e ì IL / / ^§m £W^ mmU DI t/oim/zey .^M^^/'c er/f^yéré Non ita certaiidi cupidus quani propter amoj em. LVCR. SIE TORINO STAMPERIA GIURINGUELLO E COMP. con pci-missioiTc. IIVDICE DELLE MATERIE CONTENUTE IVEL PRIMO VOLUME Filosofia . . Introduzione M. M pag. i Delle cognizioni umane. Trattato del Teol. Coli. Ahhk. Toi'ino j Tip. Canfari. P. » 8 Lettera di Cesare Balbo, della necessaria variazione dei melodi injdosofia. G. B. » 49 Cours de philosophie sur le fondement des idèes ahsolues du vrai^ du beau et du bien , professe à la facultè des lettres en 1818 par M. V. Cousln, et public auec son autorisation etc. par A. Garnier. Paris i836j Libr. class, et èlèment. de L. Hacbette. P » i45 Quesiti sopra i pubblici ujfiziali del Barone Manno. G » 6Q Considerazioni sulla moralità delle pene. G. Bon-Gomp » 97 Scienze Morali ( ^^SS^*^ ^'"^^^ genesi degli affetti. G. . . » 107 Nuova opera del conte Redern. S. B. » 3 1 1 Contes aux jeunes agronomes par Mad.'^ Ulliac Trémadeure. J » 4^5 Pensieri di G. P. Richter. M." C.* . . » 4^7 Manuale del testatore. Novara i835. J. » 26 Storia deW antica legislazione del Piemonte del conte Federico Sclopis. S. B. . . » ^9 Giurisprudenza E Legislazione Giurisprudenza Legislazione SciEI^ZE Economiche ED Amministrative Istoria . Aecheologia - — Scienze Naturali Pètition cantre le duel adressée d la Cham- bre des Députés. M. M pag. 247 Cenni sulla storia del diritto romano di Leone Menabrea, traduzione di S. B. » 3o3 Continuazione » 4^3 Del Codice Teodosiano e di alcuni fram- menti inediti del medesimo da un ma~ noscrilto palimpsesto della B. Università di Torino. Carlo Vesme » 35 1 Fragments d'un discours sur la peine de mori prononcè le 18 mars 18 36 par M, le Chev. Garmignani » 56 1 Leggi sulla popolazione S. B » 3i3 Degli istituti di beneficenza e dei modi di soccorrere la mendicità e diminuire il pauperismo. S. B » 563 Delle casse di risparmio. M. M. . . . « 5^ i Storia della Repubblica di Genova dalla sua origine sino ^/ i8i4j scritta da Garlo Varese. C. M » 15?. Etudes sur Ihistoire de France et sur quelques points de Vhistoirc moderne par M. Trognon, professeur uVhistoire à VAcadèmie de Paris. M. M. ...» 197 Della letteratura negli XI primi secoli dell era cristiana. Lettere di Gesare Balbo al sig. Abate Amedeo Peyroii. S. B. » 255 Scoperta di documenti di storia antica F. S. » 55 1 Sopra i Geroglifici Egiziani. F. B. . . » 73 Geologia, G » 20 Osservazioni geologiche sopra il sistema delle Alpi. S » 1 1 2 Continuazione » 204 Scienze Fisiche Geografia Agricoltura E Statistica Letteratura Sperienze sul tiro e V effetto delle armi da fuoco seguite a Metz nel ! 834 L. F. M. pag. 170 Acustica f libro del Doti. Bennati ...» 33o Cenni di climatologia. G » 233 De' Jiumi G » 3i5 Saggio sulle viti e sui vini della Valle d' Aosta del Doti. Lorenzo Francesco Gatta, socio libero della B. Società Agraria di Torino , e membro delP Ac- cademia di lettere , scienze e arti eco- nomiche della Valle Tiberina Toscana ecc. ecc. Opera inserita neltom. xi della prefata R. Società Agraria. S. B. . » 5o3 / DeW arte tragica G. . . r » 29 Id. Articolo 2." della esterior forma e dei soggetti della tragedia. G. » 1 16 Id. Articolo 3.° dello stile. G. » 209 Lettere di Ugo Foscolo a Giuseppe Grassi pubblicate per la prima volta. G. » 2 j i Accademia letteraria tenuta neW Univer- sità di Torino. G » 3 2 [7 Alcune osservazioni intorno la poesia ne' secoli inciviliti. G » 358 DeW Angelo tiraìino di Padova e degli altri drammi di Victor Ugo. G. M. ... » 368 Frammento di un orazione. G » 4^2 Dei drammi di Victor Ugo. Art. 2." C. M. » 5 1 o Frammento d'una commedia inedita G. » 620 Delle bellezze recondite, Estetica. C. M. » 83 Amor di Dante. Tommaseo w 4^9 Saggio di poesia lirica ebraica. G. . . » 88 Saggi di poesie inedite d' Italiani viveìiti T. » 388 Saggio di poesie persiane. G « 4 "4 Filologia Belle Arti Biografia . Dizionario di Artiglieria dei sig. Carbone ed Amò. M. M pag. 79 Nota sopra un verso di Dante ed uno del Berni. P. A. Paravia » i3i Lexicon linguae copticae studio Amedei Peyrou equitis ordinuin Mauritiani et Sabaudi ob merita e. v. j projessoris lin- guarum orientaliuni in Taurinensi Athe- naeo j sodi etc. Taurini ex Regio Tj- pographeo j i835. F. B " '79 Lettere inedite di Gius.® Baretti P. A. P. » 219 Tre lettere inedite di Melchiorre Cesarotti ed una del Federici a Gius.*^ Grassi G. » 449 Grande Dizionario tecnico-etimologico-Ji- lologico. G » 479 Lettere inedite di chiari personaggi rica- ttate dalla corrispondenza di Giuseppe Grassi » 47^ Durano : Précis des lecons d'architecture données d Vècole poljlecnique. T. . » 38 Lettera sulla Musica B » i35 Sopra una Santa Cecilia dipinta da Gio- vanni Servi. Lettera di P. A. P. ad un amico » i38 Lettera 2.* SuWeJficacia della musica Gre- ca. B » 277 Lettera 3.* Musica de' Romani. B. . . . » 332 Lettera 4-* Musica moderna. B » 4^^ Lettera S.^ Riflessioni sulla musica sa- cra. B » 58o Cenni biografici: Dupuytren. M.° C* . » 49^ Cenni sul poeta inglese I. H. Wiffen. ut » 284 / Una passeggiata al Campo Santo. G. pag. 92 Lettere inedite di Ugo Foscolo ad Ippo- lito Pindemonte. G » i4i Frammenti d'una storia F^eneziana. H. » 189 Id. » 289 Id. » 289 Varietà' . . . J Sopra un articolo degli annali universali di Statistica. P » 345 Sonetto a Milano di A. C. Sonetto ad un amico. G » 497 L'Italia or son cenf anni _, ossia lettere scritte dalV Italia ad alcuni amici nel 1789- 1^40 ^a Carlo De-Brosses , e pub- blicate ecc. » 589 Notizie Diverse a pag. 34o, 898, 49^» 544 5 SgS Annunzi Bibliografici a pag. 95, i44> 196, ^46, 296, 349 » 4oi , 454 , 5o2, 549, 597 Uijdfùoò llZiOVlt^ ^Jfiunti noi all'istante di segnare la prima orma nella via, clic abbiamo in proposto di battere, giova al caldo pensiero il pre- correrla rapidamente e di lancio ad oggetto di ordinare con breve rassegna le materie, che verremo in progresso di tempo trattando, e confortarci a lunghe fatiche col vagheggiare dap- presso una meta lontana. Il perchè nel presente discorso io toccherò di tutte quelle cose, cui le pagine del Subalpino vennero consacrate, e procurerò di stabilire alcuni principi generali d'onde i nostri ragionamenti procederanno, indicando ad un tempo il metodo col quale progrediremo nelle future discussioni o disamine. Né vorremmo che a taluno per avventura sembrasse mancare in tanta diversità di subbietti l'opportuna afKInità per riunirli appo- sitamente in un quadro, e derivare da una fonte comune le varie leggi che le varie cose governano. Imperocché una secreta colle- ganza apparenta fra loro tutte le discipline dall'umano ingegno coltivate , sicché le une traendo luce dalle altre giova talora l'insieme ordinarle per ajutare così, e drizzare a giusto segno li speciali studi degli uomini. Nell'estendere questi brevi cenni sulle moltiplicì dottrine, e nell'esporre alcuni principi che migliori ingegni svolgeranno, io non aspiro che a meglio appalesare l'intento del nuovo Gior- nale, e i mezzi che s'adopreranuo a conseguirlo. Chi mi legge, farà come quegli che disponendosi a visitare lontane contrade getta prima di partire uno sguardo sopra l'itinerario, segna le stanze di riposo, e libra in sua mente le venture del viaggio. 2 A chi entra a parlare delle cose, cui l'uomo suole applicare l'intellettuale potenza per trarne giovamento o diletto, prima occorre alla mente la filosofia , quella gran madre d'ogni umano sapere , dalla quale come da ceppo naturale se vengano spiccate le scienze e le arti, potranno ancora ridursi a pratica ed ornarsi, ma crescere e progredire non mai. Dai luoghi altissimi e dalle torri, dice Bacone, si spinge lontano lo sguardo, ed è impossibile scoprire le rimote ed interne parti di alcuna scienza senza salire come alla vedetta di una scienza più sublime *i. All'età nostra egli è conforto per gli amanti dell'umanità il vedere in ogni dove le menti più e più infervorarsi nello studio della filosofia, sicché all'Italia che già erudiva le altre nazioni nelle ardue discipline , ora non è picciol vanto il degnamente emularle. E qui fassi opportuno l'accennare a quella distinzione che ogni iniziato in filosofia conosce, di una scuola tedesca, scozzese, francese ed italiana, e additare quali fra i principi delle medesime siano per essere adottati dagli scrittori del Subal- pino. A tal uopo io non mi farò a scrutar per addentro le dottrine delle diverse scuole , al che mancano il proposito , e le forze , bastimi il riferire alcune parole di un valente filosofo dei giorni nostri, colquale noi pensiamo *2 « che in filosofia non avvi altra « patria che la verità , e che non trattasi di sapere se quella ; «che un tale professa, sia tedesca, inglese o francese, bensì « s'ella sia vera. Udissi mai parlare di una geometria o di una « fisica francese? Forse la filosofia per la natura istessa de'suoi « oggetti non ha, o almeno non tende ad avere quel carattere « di universalità, nel quale ogni distinzione di nazionalità si « dilegua ? » Dalle quali parole potranno i lettori dedurre che gli scritti filosofici , ai quali si darà luogo nel nostro Giornale , siano essi consacrati a recar qualche luce nelle agitate controversie, sia che versino nell' esame delle opere altrui , saranno dettati da uno spirito di puro eclettismo, vale a dire da quello spirito di giustizia che distingue senza studio di parte, o predilezione di *i Do dignit. et augni, scicnt. lib. i. *:^ CousjK FragmcnU philusopLiques a'' édit. Praef. 5 patria, il bene ed il male, l'errore e la verità. Quindi è che rimosso ogni amore di sistema, i fatti della natura, e le leggi dall'osservazione di questi, e dall'induzione rivelate, saranno la sola base dei nostri giudizi e ragionamenti : non ripugnando noi a concorrere nella sentenza di qualsiasi scuola ogniqualvolta coU'enunciato metodo ne venga fatto di dimostrarla. Egli è partendo dai fatti della natura umana, e riuscendo ancora ai medesimi per ispiegarli , additandone le cause e le necessarie condizioni, che la filosofia nudata delle strane ambagi, in cui talora fu da potenti ingegni ravvolta, può pervenire alla soluzione dei gravi problemi che riguardano l'essenza dell'uomo, ed i fini dell'umanità. Fra le scienze che somministrano agli uomini i più utili insegnamenti, e il di cui studio li avvia alle miglioranze della civiltà, ha distinto luogo la storia, semprccchè ne' suoi dettati sia ampiamente diffuso il raggio della filosofia. Disporre e rac- contate le vicende del passato in modo che da quelle emergano i consigli dell'avvenire , è dello storico nobilissimo scopo. Io dirò brevemente dei mezzi di conseguirlo, mostrando cosi la fonte di quei giudizi e pensamenti che verranno da noi manifestati, qualora cada opportunità di fare sovra tale materia più largo discorso. Un'accurata ricerca dei fatti, ed una chiara esposizione dei medesimi, è certamente uffizio primo di chi imprende a scrivere istorie. Ma se taluno razzolando pei tempi andati s'accontentasse al raccogliere i fatti materiali, appurarli anche con sana critica, e diligentemente esporli nell'ordine loro cronologico, quegli sarebbe lungi dall' avei'e adempito a tutte le parti di storico. Imperocché non solamente i fatti dei quali è argomento e furono e si succedettero, ma eziandio si connessero fra loro, si con- catenarono, gli uni originando gli altri in virtù di scerete forze che operarono dipendentemente da leggi scerete. Quindi affinchè la storia sia oracolo di sapienza, è d'uopo allo scrittore di essa volgere l' ingegno alla disquisizione delle cause che originarono i fatti, notare il modo della loro concatenazione, e scoprire le leggi, che governando gli eventi, nella di cui successione consiste la vita dei popoli, li scorgono per date vie a un dato fine. 4 Grave e difficile assunto io ragiono, ma convien -pure ch'ei sia qnello di quanti aspirano ad utilmente ammaestrare gli uomini colla storia. Né basta allo scrittore che , asseguito per li propri studi e meditazioni un tale risultamento , ei lo faccia palese con nude sentenze. La parola non corredata di prove è senza autorità, ed è mestieri a chi scrive porre i suoi lettori in grado di ottenere per se stessi la dimostrazione di quanto egli afferma. Perlocchè alla narrazione degli avvenimenti egli deve accoppiare l'esposizione delle loro adiacenze, in un coi fatti materiali notare quelli morali che si producono talora nella società, e son seme di altri eventi, e trasportandosi colla mente ai luoghi ed ai tempi che descrive, vivificarli, direi, ritraendo i costumi, addi- tando le credenze, lo stato ed il progresso delle scienze e delle arti , e dando in fine al suo quadro quel colorito che ogni periodo ed ogni gente ha in proprio. Cose io dico già dette e note, ma che non perdon valore per antichità di data. L'archeologia che interroga i monumenti , e la filologia in- terprete della lingua e dei testi dell'antichità, sono faci che ne guidano per la notte dei tempi remoti. Le investigazioni di queste scienze , se generali e comparativamente instituite, sono valido siissidio per la storia universa e primitiva dell'umanità j e di molto giovano a quella particolare di ciascun popolo, qualora vengano specialmente applicate alle cose che lo riguardano. Havvi uno scoglio però che spesso evitare non seppero ingegni d'altronde prestanti, io dico il vezzo di sostituire l'Ipotesi « r induzione alle severe indagini ed allo studio dei fatti positivi. Del che non rado è cagione impronto amore di preconcetti sistemi, per il quale taluni snaturando l' itidole di quelle discipline mal disviano a sostegno di vani fantastlcamenti le certe nozioni sopra cui dovrebbero consistere, e farle base di ogni teoria. Le cose dell'Oriente , e prime fra queste le antichità indiane ed egizie essendo ora precipuo obbietto delle lucubrazioni degli archeologi e dei filologi , il Subalpino affidato nell'opera di un egregio cultore di questi studi terrà ragguagliati i lettori del frutto che ne verrà alla scienza, traendo anche dai più accreditati Giornali stranieri l'analisi ed 11 giudizio di quel libri che faranno al proposito. Né si omcttei'à di porro in luce le dovizie archeolo- 5 giche e filologiche sì del Piemonte che delle altre parti d' Italia , perchè intendere all'onore della patria è ad ogni fatica sprone ad un tempo e mercede carissima. Quella scienza che librando con lance di giustizia i vari diritti ed insegnando a ciascuno i propri doveri verso i singoli uomini e verso la società, custodisce ed afforza le virtù cittadine 5 e quella che intendendo alle leggi dell'economia sociale procede con retta analisi all' esame ed alla miglior disposizione degli elementi che concorrono alla pubblica prosperità, son tema ai dì nostri di gravi meditazioni e profondo studio. Se non che distrae talvolta coloro, che si addentrano in queste dottrine dall'alto scopo che si propongono , una duplice pecca che io dirò vaghezza di vie nuove o troppo amore delle antiche rotaje. Incorrono nel primo errore gli appassionati promotori delle teorie di soverchio speculative e fondate unicamente sulle astrat- tezze della ragione, siano esse riguardanti la scienza delle leggi, o versanti nell'economia politica. Imperocché uffizio di queste discipline essendo esercitare l'azione sopra oggetti determinati e definiti dal fatto, questi nell'immensa varietà della loro natura sfuggono sovente all' impero dei principi astratti , e le conse- guenze dei medesimi portando sopra cose di nessuna realtà l'ap- plicazione loro agli oggetti esistenti , ne viene a produrre o nessun resultamento , 0 spesso ancora funesti disinganni. Coloro poi che oltremodo rifuggenti dal dominio delle gene- ralità, e idolatori della ragion pratica nelle umane bisogne, pensano potersi alle nuove condizioni sovvenir sempre coi modi ed oc- corrimenti antichi , vanno errati nella seconda maniera. Però oltrecchè non è da scordarsi come il tempo muti ogni faccenda di quaggiù, sicché di molte cose antiche non rimanendo che il nome alle odierne conservato , i consigli che quelle reggevano son per lo più alle presenti disadatti ; ciò vuoisi pure notare , che ogni scienza consta necessariamente d'idee generali, e che dall'unità inerente ai principi solo può derivare l'unità d'impulso da imprimersi alle varie cose che debbonsi ad un sol fine ad- dirizzare. Dal che si vede come gli unì inganni il poco conto, od il 6 non giusto apprezzamento dei fatti, gli altri lo spregio del prin- cipi. Io procurerò di brevemente accennare come possa conci- liarsi l'autorità di questi e l'importanza di quelli , e far concorrere Io studio e lo sviluppo degli uni e degli altri al progresso della dottrina. Oggetto della scienza civile è il regolare le azioni degli uomini in modo ch'esse non discordino dai santi precetti della giustizia; della economica il dare agli umani negozi quell'avviamento per cui riescano più profittevoli e prospefi. I fatti adunque, ovvero cose di fatto sono i materiali di questo scienze e devono esserne la base. L'osservazione e lo studio dei medesimi conduce poi allo scoprimento delle leggi che li governano , e dà luogo alle ideei generali ed ai principi i quali coordinati dalla mente e ridotti a corpo di scienza reagiscono sopra i fatti, e ne coi'reggono talora le viziate tendenze nell'applicazione loro alle sociali bisogne. Così r idraulico studia le leggi naturali che determinano il corso di un fiume, e da quello studio impara ad utilmente dirigerlo e deviarlo ancora ad opportuni irrìgamenti. Tal dunque è la solu-* zione del problema : instruii*e le teorie dall'esame dei fatti, ed alla direzione dei falli applicare le teorie, ovvero per espri- mermi colla sentenza di un chiarissimo autore « introdurre «l'impero dei fatti nell'ordine intellettuale , quello dell' intelli- « gcnza nell'ordine sociale: governare la ragione secondo la realtà, « la realità secondo la ragione *i. )> Autorevoli parole che più va- sto argomento inspirava, ma che piacquemi addurre come al pre- sente soggetto calzantissime. Questi sono i pensieri ehc Ci scorgeranno qualora l'esame di Ttn qualche libro trattante di tale materia ci oflVirà occasione di presentarne ai lettori un succinto estratto, ed un modesto giudizio. Di commercio e d'industria si fece parola nel programma del Subalpino. L'economia politica comprende le teorie generali che riguardano queste fonti della pubblica prosperità 5 saranno di più consegnate nel nostro Giornale quelle teorie pratiche e spe- ciali che crederemo poter essere di alcun giovamento a coloro che danno opera alle medesime. *i Guizot Hist. de lu civilisatioii francaise , voi. i< Rimane a dire delle lettere e delle arti. Vasto campo egli è questo e bella palestra dei nobili ingegni, a percorrere la quale si richiederebbero confini più larghi di quelli che ad una pre- fazione s'addicono, e lena più potente ch'io non m'abbia. Arduo inoltre sarebbe stabilire una sola norma gnidatrice del giudicio di molti là dove si tratta di produzioni che hanno a scopo la manifestazione del bello. La stessa natura di questo suhbiettiva ad un tempo ed obbiettiva ne vieta in ciò ogni solidaria mal- leveria. Questo solo io avvertirò che in tutti i secoli le scienze e le arti ebbero una speciale missione fra gli uomini, la quale è facile il veder compiuta a chi risalendo il corso del tempo voglia consistere nei diversi periodi , e quivi considerare d'onde mossero, il loro andamento, il fine che attinsero. Quando la barbarie erompendo dalle regioni del Caucaso allagò 1' Occi- dente e vi spense quasi ogni civiltà, le lettere, e le arti lottarono contro quella distruzione salvando e tramandando idoleggiate ai posteri le opere in cui gli antichi aveano deposto i tipi del bello. Quindi esse furono conservatrici ed imitatrici. Dileguato il tur- bine, e mutate le condizioni, esse rivendicarono il diritto di progresso, e nuove creazioni vennero in luce diversamente in- formate secondo lo stato delle Cose. Tale sì è l'origine delle letterature e delle arti moderne. Da quel punto insino a noi esse adempierono per ogni era novella un nuovo mandato, e nessuno disconosce come i costumi inciviliti e lo squisito sentite che i tempi nostri distinguono, siano dovuti alla coltura delle benefiche muse- Dal che è lecito inferire che discernere qual sia l'uffizio di esse nell'età che viviamo, e consacrare l' ingegno a procacciarne l'adempimento è la miglior via a conseguire meri- tato premio di lode e rinomanza. Ai di correnti parmi che il costume gentile ed il sentire delicato corran grave pericolo dì cadere nel lezioso e nel fiacco. Laonde quelle produzioni let- terarie ed artistiche che mirano a levar la mente ad alti concetti, e temprar gli animi a robuste virtù ^ ottengono la prima corona : l'esempio dei più illustri scrittori ed artefici moderni può facil- mente validare questa sentenza. Conchiuderò. Ogniqualvolta noi imprenderemo ad esaminare una qualche opera di letteratura o d' arti , cercheremo sino a 8 qual punto l'autore abbia accoppiato ad un bello estetico un'utile idea morale; noi entreremo quindi a discorrere dell'intrinseco merito e delle forme dell'opera. Nel confortare di giusta lode i valorosi , e nell'additare le mende che ne sembreranno offuscare i pregi di un lavoro, noi rammenteremo che se la coscienza comanda la schiettezza, la dignità delle discipline vieta i modi inurbani e scortesi. Dei nostri giudizi altri giudicherà, ed accoglieremo con grato animo le osservazioni di tutti, persuasi noi che il fallire è fatale agli umani , ma che là dove si cerca la verità anche l'errore di alcuni riesce utile ai più, fatti esperti dal fuggire lo scoglio ove altri urtò. Accade allora a chi sbaglia di fare come quei che va di notte Clie porta il lume dietro e se non giova , Ma dopo se fa le persone dotte. Dante Purg. e. kiu M. M. ©ElIE COG^I^IOHI UMANE V TRATTATO DEL TÈOL. COLL. ABBA Torino i835. Tip. Ciinfari, 11 titolo stesso del nostro Giornale ci fa quasi un dovere di parlare ai nostri lettori di questo libro , che il chiarissimo sig. professore Abbà publicava negli ultimi mesi della sua vita; e questo dovere tanto piti volontieri noi lo adempiamo, quanto maggiore ci sembra essere l'importanza del nuovo Trattato delle cognizioni umane in mezzo al recente movimento eccitatosi verso gli studj filosofici in questa superior parte d'Italia. Anche da noi finì per essere generalmente sentito il bisogno d'una filosofia più severa e più compiuta di quella che trovasi negli scritti di Loke, Condillac , Tracy ed altri sensisti ; e di questo progresso nei nostri studj debbesi certamente render me- rito alla lettura divenuta assai comune delle opere di Reid e di Dugald-Stewart, delle lezioni di Royer Collard e di Gousin, degli scritti di JoufFroy e dei due sommi filosofi italiani Gal- luppi e Rosmini. Quanta parte l'ottimo prof. Abbà prendesse a questo felice movimento eccitatosi negli animi subalpini verso lo studio della vera filosofia, ce ]o attesta il libro stesso che prendiamo a discorrere, e che l'Autore appunto pubblicava per dare a questo movimento una direzione diversa e migliore secondo lui di quella a cui si dimostra inclinato. E che tale fosse la sua intenzione ci pare di poterlo facilmente rilevare dalla natura stessa del suo libro , il quale sebbene dai titolo che porta sembri non essere che l'esposizione delle meditazioni dell'Autore sul problema della cognizione umana , non è però in gran parte che una confutazione della dottrina pubblicata dal Rosmini nel suo Nuovo Saggio sull'origine delle idee. Noi non potremmo evitare la taccia di presuntuosi se voles- simo farla da giudici in questa controversia. Ella è così antica come la filosofia , e siccome da principio ella divideva già le due grandi scuole Jonica ed Italica , così continuò in appresso a stabilire il principale carattere distintivo delle diverse scuole filosofiche. Alle varie ed opposte soluzioni che in tutti i tempi sonosi proposte dell'accennato problema , senza che mai intorno ad alcuna siansì generalmente messi d'accordo i filosofi, non pos- sono a meno di maravigliarsi coloro che nelle quistioni filoso- fiche non sanno vedere più in là della corteccia , e reputano quindi d'impossibile soluzione quel problema fondamentale della filosofia, e come se questa fosse uno studio vano, un puro lusso del pensiero, per poco non la disdegnano, e ripetendo lo stolto avviso degli Abderitani a Democrito , che 1' uomo è fatto per coltwar la terra, non per misurarla, vanno gridando ai filosofi che l'uomo è fatto per acquistar delle cognizioni, non per tor- mentarsi a rintracciarne l'origine. Ma non per questo desistono i filosofi dalla loro impresa. Lo spirito umano non può rimanersi a contemplare tranquillo le sue cognizioni attuali ; esse hanno 10 una parte troppo grande sul destino che l'uomo deve compiere in questo mondo , perchè egli possa essere indifferente sulla loro origine e sulla loro legittimità, perchè egli non provi mai una volta il bisogno di esaminare 1 titoli di quel poter legislativo che le sue cognizioni esercitano o tendono ad esercitare su tutta la sua vita : e finché questo bisogno non è soddisfatto , un' inquietudine vaga gli rimane j che turba ogni altra sua credenza. Egli è dall'altezza di questo punto di vista che conviene guar- dare il problema del principio delle cognizioni umane per ap- prezzarne tutta r importanza , per fare una giusta stima di co- loro che si adoperano a trovarne la soluzione j e per sentire qual grave debito si assuma colui che volesse pronunciare sugli opposti sistemi d'ideologia sinquì pubblicati. A due principalmente soglionsi ridurre questi sistemi, lo spe- rimentalismo ed il razionalismo : il primo dice che tutte le nostre cognizioni derivano dall' esperienza 5 l'altro sostiene che una parte di esse^ ed è appunto la parte principale, debb'es- sere o innata nel nostro spirito o da lui prodotta. Ma questa riduzione ci pare troppo vaga ed indeterminata. Nel problema dell'ideologia, come in qualunque altro pro- blema di filosofia, vuoisi distinguere 11 metodo con cui deve trattarsi, l'applicazione del metodo, ed il risultato di quest'ap- plicazione che è appunto la soluzione cercata. Ora le denomi- nazioni di sperimentalismo e di razionalismo a quale di queste parti vengono esse applicate? al metodo od alla soluzione ? Se si parla di metodo, nessuno certo bilancerà di preferire lo sperimentalismo al razionalismo, il metodo rigoroso d'o^^er- vazione e à^ induzione a quello fallace di costruzione, il cui punto di partenza è sempre in sostanza un' ipotesi , alla quale non può darsi nessun valore scientifico, fosse ella anche una verità. In ogni ricerca filosofica debbesi partire da certi dati, e nella ricerca di cui parliamo i dati sono appunto le cognizioni uma- ne , alle quali non si può certamente assegnare un'origine qua- lunque che non sia arbitraria , se le cognizioni stesse non fu- rono prima sottomesse aduna dilìgente osservazione, onde co- noscerne la natura e gli elementi dì cui si compongono. 11 Questo metodo, quantunque non ignoto agli antichi fìlosofi, e talora pure dai medesimi praticato, è specialmente proprio della filosofia moderna, di cui forma il principale carattere distin- tivo. Ma i filosofi moderni i quali tanto raccomandano il me- todo d' osservazione e d' induzione non sono sempre i più scrupolosi osservatori del medesimo. E se non si sapesse come deboli siano e difettosi i primi tentativi in ogni genere d'im- presa j farebbe certamente maraviglia il vedere come quelli stessi che professavano il più rigoroso sperimentalismo siano stati i primi a discostarsene specialmente nel problema delle cognizioni umane , quando senza nessuna o dopo una superfi- ciale ed imperfetta osservazione sulla natura delle medesime , stabilivano in dogma non esservi elementi innati nella cogni- zione, l'anima da principio essere come una tavola rasa, tutte le nostre cognizioni derivare dalla sensazione e dalla riflessio- ne : e con tal principio arbitrariamente stabilito s'accingono a spiegare o direm meglio a costrurre l'ideologia falsando od an- che al tutto niegando quelle cognizioni che alla pretesa loro spiegazione o costruzione si mostrano refrattarie. Un sistema d'ideologia, il quale non sia fondato sur un diligente esame della natura delle cognizioni umane, delle loro specie, dei loro elementi , non può chiamarsi sperimentale che per un abuso di linguaggio 5 razionale piuttosto dovrebbesi dire , se meritasse questo nome un sistema che parte da principi arbitrarj e che invece di spiegare i fatti della natura umana li costruisce a suo modo. E quanto al metodo non ci estenderemo più oltre a ragio- narne nella controversia tra lo sperimentalismo ed il raziona- lismo : perchè su questo punto oramai non è più controversia tra i filosofi, mentre i seguaci dell'uno e dell'altro sistema, se si eccettuano alcuni , sono d'accordo che la psicologia è il vero punto di partenza della filosofia , e che nella questione ideo- logica il problema della natura delle cognizioni umane deve precedere quello della loro origine. Ma partendo dagli stessi dati e adoperando lo stesso metodo come poterono adunque risultarne soluzioni così diverse ? Noi potremmo rispondere doversi una tale diversità ripe- 12 tere dall'applicazione stessa del vero metodo bene o mal fatta. Percliè se l'osservazione della natura delle cognizioni umane fu parziale ed imperfetta , di modo che non tutti gli elementi della cognizione ma solo alcuni sieno stati rilevati, le soluzioni ultime debbono risultare necessariamente varie ed anche op- poste secondo la varia natura degli elementi che si vollero esclusivamente vedere nelle cognizioni. Ma noi crediamo che oltre a questa causa dell'accennata diversità, debbasene pure un'altra riconoscere nell'ambiguità dei termini adoperati dalle due parti. E di vero quando si dice oppure si niega che tutte le no- stre cognizioni derivano dall'esperienza, che cosa di grazia in- tendesi per questo nome di esperienza? Prendesi egli come si- nonimo di uso dei sensi ? oppure per esperienza intendesi l'uso delle nostre facoltà mentali mediante il quale noi ci formiamo le cognizioni ? Questa distinzione che ci pare giustissima la faceva Kant quando osservava che ben altro è il dire « tutte le nostre cognizioni vengono dall'esperienza» ed altro è il dire « tutte le nostre cognizioni vengono dai sensi. » E posto che per esperienza intendasi l'uso dei sensi, conviene ancora no- tare che è ben diverso il dire « ogni nostra cognizione inco- mincia coll'esperienza» dall'altro «ogni nostra cognizione nasce dall'esperienza ». Finalmente un'altra distinzione pure essen- ziale ci pare essere quella delle cognizioni propriamente dette, composte cioè d'una parte ybrma/e e di una materiale, di ele- menti a priori e di elementi a posteriori, dagli elementi stessi, i quali separatamente presi non possono a rigore chiamarsi cognizioni. Queste distinzioni basta accennarle per sentirne la verità, e per convincersi come una filosofia possa essere spe- rimentale senza essere sensistica, razionale senza essere ideali- stica , e come la vera filosofia , quella che rappresenta il reale andamento della natura nei fatti in quistione , debba proba- bilissimamente risultare dalla fusione dello sperimentalismo e del razionalismo per quella parte almeno che 1' uno e 1' altro hanno di verità. Certo noi non saremmo difficili ad ammettere che tutte le nostre cognizioni propriamente dette nascono dall' esperienza , 15 purché questa non s'intenda nel significato esclusivo del sensua- lismo , in cui per esperienza intendesi 1' uso dei nostri sensi. Ed anche in questo significato pare a noi che potrehbesi senza errore sostenere , che tutte le nostre cognizioni incominciano coir esperienza , vale a dire colle sensazioni. Solo quando si trattasse di stabilire la parte che l' esperienza così intesa mette nella cognizione , parrebbe a noi di dover rigettare la risposta esclusiva dei sensisti ,• perchè se dall' un canto egli è verissimo che r uso dei sensi somministra una parte essenziale delle nostre cognizioni, da potersi con verità affermare che nessuna cognizione è in noi , nella quale il senso non metta la sua parte ; egli è pur vero dall' altro canto , che a comporre la cognizione umana oltre gli elementi sensibili entrano ancora altri elementi che i sensi non potrebbero somministrare, e che per conseguenza la mente stessa pone o in virtù di certe sue congenite forme o leggi , o perchè ne ha il germe innato. In altri termini poiché non si può a meno di ammettere la celebre sentenza di Lei- bniz sensus quidem docet quid fiat , non quid necessario fiat , forza é pure di ammettere 1' altra sentenza dello stesso grande filosofo nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu, nisi ipse intellectus. Le quali due sentenze, ove siano conve- nientemente intese ci parvero sempre contenere quasi in ri- stretto un intiero sistema d' ideologia , ed un sistema il più conforme alla verità. Queste considerazioni nascevano nella nostra mente leggendo il Trattato delle cognizioni umane del Professore Abbà. Seb- bene egli sembri da una parte attenersi di preferenza allo spe- rimentalismo sia nel metodo, sia nella soluzione a cui giugne del problema assunto , in alcune parti però se ne scosta a segno , che il lettore per poco si aspetta di vederlo riuscire nel sistema opposto. Così nella parte prima, ove tratta della na- tura della cognizione umana, dopo aver distinto ciò che a priori da ciò che a posteriori si nomina nella cognizione , ed assegnato per caratteri propri del primo Vunità la necessità e V universalità y e del secondo il moltiplice il contingente e il determinato , r A. vi soggiugne « essere a posteriori tutte le cognizioni delle «t cose gensibili determinate od acquistate dall' esperienza , le / / 14 « quali però hanno sempre una parte a priori ( pag. 19).» Questa parte adunque non nasce dall' esperienza. Se 1' A. non dice espressamente questa cosa , dice però 1' equivalente là dove afferma che le nozioni d' unità necessità ed universalità , le quali unitamente a quella d' oggettività compongono ciò che è a priori nella cognizione , « sono altrettante condizioni da pre- « supporsi affinchè la mente possa conoscere , senza le quali « sarehhe impossibile di concepire la stessa potenza di cono- « scere e di ridurla in atto ( pag. ly ). » Queste nozioni adun- que che r esperienza suppone e non produce o nascono dall' attività intellettuale dell' anima in virtù di certe sue forme o leggi costitutive, o risultano da un elemento o nozione innata, che abbia appunto per caratteri propri 1' oggettività la neces- sità e r universalità. Dove riesca questa conclusione , che ci pare discendere necessariamente dai principi dell' A., lasciamo giudicarne ai nostri lettori. Penetrando più addentro nell' esame della natura della co- gnizione r A. vi distingue due modij la cognizione, cioè dell' essere delle cose , e la cognizione del fare delle cose, I limiti d' un articolo non ci permettono di seguire 1' A. in un' analisi intricatissima calcata a un di presso su quella che trovasi nelle Kedute fondamentali suW Arte logica del ce- lebre Romagnosi : sopra di essa ritorneremo forse un' altra volta. L' A. intanto giugne a questo risullamento , che ci pare di sommo rilievo nella questione di cui si tratta , che cioè 1' es- senza della cognizione consiste nel giudicare ossia nell' attri- buire ad un soggetto concepito una qualificazione ( pag. 6Q ). « ÌJ essere ed \\ fare sono le qualificazioni universalissime che « si attribuiscono ai soggetti concepiti alle quali tutte « le altre si riducono come diversi modi dell' essere e del « fare, w Senza fermarci ad esaminare , se queste due qualificazioni , simili a quelle di sostanza e di causa, a cui il signor Cousin riduceva le categorie kanziane , non potrebbero per avventura ridursi ad una sola quella dell' essere , noi pensiamo coli' A. , che neir atto della cognizione la mente attribuisce al soggetto che il senso le presenta una qualificazione , quella dell' essere 15 per esemplo dell'esistenza sostanziale. Ma l'idea di questa qua- lificazione da chi le vien ella somministrata ? Su questo punto ci rincresce che l'A. non siasi più chiara- mente spiegato ; perchè a questo punto veramente si riduce tutto il nodo della questione , a trovare cioè un giudicio il quale dia 1' esistenza all' idea della cosa giudicata, vale a dire che produca in noi l' idea della cosa, non la supponga. Ora un tale giudizio è appunto quello che cade sull' esistenza della cosa 5 poi- ché noi non abbiamo propriamente l' idea d' una cosa , non la conosciamo , se non quando la pensiamo come esistente. Il pre- dicato di questo giudicio è adunque 1' essere o V esistenza 5 il soggetto è cip che i sensi presentano alla nostra mente. Ma questo che il senso ci presenta finché rimane nel solo senso non è ancora propriamente conosciuto. Perchè se così fosse , la cognizione sarebbe indipendente dal giudicio, il che none; o converrebbe dire come diceva Gondillac, che il 5e«jo giWzca ; la quale sentenza oltre di essere assurda non scioglie la diffi- coltà : poiché il senso non può giudicare con altra legge da quella con cui giudica lo spirito, colla legge cioè di aver pre- senti un soggetto ed un predicato , ed un predicato di natura afTatto opposta a quella del senso stesso. L' A' poJie come condizioni di quel giudicio o verbo della mente, con cui complesi la cognizione « 1° un sentire avvertito-^ a. 2° un interessante che determini la mente a portare la sua « attenzione piuttosto a questa che a quella delle molte sue « sensazioni ; 3° un concepire determinato ( pag. 67 ). » Ora questo concepire determinato , che nasce dalle sensazioni avver- tite e distinte coli' attenzione , non può essere ancora la cogni- zione ^ poiché sarebbe allora saltata a pie pari la difficoltà , che è appunto di spiegare come dalle sensazioni la mente passi a conoscere. Il concetto determinato dell' A. non ci sembra adun- que difierife da quella percezione che Rosmini chiama sensi- tiva, e che somministra appunto il soggetto di quel giudizio che è contenuto nella percezione intellettuale o cognizione , e mediante il quale noi consideriamo la cosa oggettivamente , cioè in sé, nell'esistenza sua propria , non soggettivamente, cioè co- me una modificazione nostra , quale il senso ce la presenta. 16 Le condizioni annoverate dall' A/^ sono dunque certamente in- dispensabili, ma non sufllcienti , perchè la mente sìa tratta a pronunciare quel verbo, formar quel giudizio, nel quale con- siste la prima cognizione. Nella seconda parte del suo trattato il prof. Abbà prende ad investigare l'origine e lo sviluppamenlo delle cognizioni umane. Lo scopo di questa seconda parte è manifestamente quello che abbiamo da principio accennato, di fare cioè una confutazione della dottrina di Rosmini. Ed è veramente maravigliosa la sagacità con cui l'A. s'è studiato di rilevare i difetti secondo che a lui parevano grandi e piccoli del Nuovo Saggio sull'ori- gine delle idee. Chi non ha conosciuto l'anima eccellente del prof. Abbà potrebbe facilmente esser tratto in errore a giudi- carne dalla sua polemica ora amichevole sino alla famigliarità, or rispettosa fino all' affettazione , da far quasi dubitare se sia sincero od ironico il suo modo di esprimersi. L'amicizia di cui ci onorava l'A. mentre viveva , ci fa un dovere di preve- nire a questo riguardo ogni interpretazione che potesse meno- mamente intaccare la bontà e la generosità di quell'animo pieno di cristiana filosofia. Certo il solo amore per la verità, che in lui era grandissimo , gli dettava quelle osservazioni e questioni che dirige all' A. del Nuoi^o Saggio. Elle possono ridursi a tre capi : alcune attaccano diretta- mente la dottrina di Rosmini: altre versano sull'analogia che può avere questa dottrina con quella di Platone, di Kant e di altri filosofi tedeschi ; altre finalmente contendono a questa dottrina l'appoggio della tradizione cristiana e specialmente di S. Tommaso che l' illustre A. si studiò di darle. Sul merito di queste obbiezioni noi non osiamo di pronunciare , né cre- diamo necessario di farlo nella persuasione in cui siamo , che l'egregio A. del Nuovo Saggio non disdegnerà di rispondere egli stesso nella seconda edizione delle sue opere- che sta preparan- dosi in Milano. Continuando ad esaminare la parte positiva della dottrina dell' Abbà , la nostra attenzione si porta, nostro malgrado, sul metodo non al tutto sperimentale, che l'A. ha tenuto nel cap. 6 , parte 2* dove fa la genesi delle cognizioni umane , 17 descrivendo, come egli dice, un tratto d' istoria naturale del- l'uomo bambino, in cui è mostrata la prima origine delle co- gnizioni umane. Non sarà discaro ai nostri lettori , che noi rife- riamo a (juesto proposito le parole di un egregio collaboratore dell'Antologia di Firenze, il quale in una serie di articoli riferiva con maravigliosa chiarezza e precisione una parte della grande opera del Rosmini. « Gonvien distinguere , dice egli _, il cam- mino che percorre la mente del bambino infante nell'acquisto delle idee, dal cammino che nell'analisi delle idee fa la scienza. Per misurare tutti i passi del primo converrebbe tornar bam- bino : e chi vuol cominciare la filosofia dal trattato delle sen- sazioni, convlen di necessità che s'ajuti a forza di fantasia, che indovini que' fatti ch'egli non può più certamente osservare in se stesso. Cominciando all' incontro dall'analisi delle idee quali le ha l'uomo adulto, e vedendo non di negarle ma di spiegare se i sensi soli le abbian potute produrre , allora veramente la filosofia s'appoggia all'osservazione, ed è , come Bacone racco- manda, induttiva *i. » A voler seguire il primo metodo di congetturare dagli esterni indizi che si osservano nel bambino 1' interna economia della sua mente , oltre di esporci al pericolo di esser tratti a con- clusioni spesso arbitrarie, potrebbe pure facilmente accaderci di oltrepassare il nodo della questione senza avvedercene, e di supporre spiegato ciò che non è veramente. Ed in questo di- fetto pare a noi che sia caduto l'A. quando giunto ai primi atti spiegati dalla mente del bambino soggiugne : « Ma con questi non vedrà egli ancora nulla di distinto 5 tutto si presenta con- fuso al suo intendimento non ancora educato a pensare 5 il mondo non è da lui veduto che per una sintesi primitiva j in questo stato per lui il percepire ed il giudicare sono una cosa sola. Questi giudizi gli ammettono i filosofi sotto il nome di giu- dizi primitivi e naturali, ne'quali non si separa il soggetto dal predicato (pag. 2o3) .... formerà molti giudizi naturali e primitivi prima di accorgersi de'suoi discernimenti-, prima di for- mare un giudizio esplicito (pag. 2o5). » *i V. .\iitologia di Firenze uum. i38. Giugno i832 a pag. ^4- 2 18 Certamente queste separazioni, questi discernimenti, queste analisi con cui si rischiara, si estende, si moltiplica la scienza nel bambino crescente, egli non le fa che assai tardi ajutato dall'educazione domestica e sociale , dal linguaggio e via di- cendo. Ma egli è quella sintesi, quel giudicio primitivo e na- turale , con cui la mente da principio conosce, sebbene in con- fuso, l'esistenza di ciò che sente, attribuisce a ciò che confu- samente sente la qualificazione o predicato deìVessere, che con- \ien spiegare senza ammettere nulla d'innato nella mente stessa. L' A. pone egli quel giudizio come un fatto inesplicabile ? Ma allora con qual diritto asserisce poi (pag. 240 ^^^ ^^ pensiero volgendosi alle sensazioni si forma Videa e produce le percezioni primitive accompagnate costantemente dalla persuasione della cosa percepita primitivamente ? Lo spirito umano volgendosi a pensar ciò che sente , lo pensa oggettivamente cioè come dotato d'una esistenza sostanziale propria. Ora ciò che sente è pura- mente soggettivo, è una modificazione del me senziente. D'onde viene adunque quesl' oggettii^itd della cognizione ? D'onde quel concetto d'un'esistenza sostanziale che fa parte della cognizione e la rende oggettiva ? La persuasione o credenza irresistibile che s'accompagna sempre alle percezioni primitive, trova queste percezioni già formate e non le forma essa stessa; diversamente quella credenza pri- mitiva non potrebbe servire all' A. nello stabilire quel criterio che forma l'oggetto principale della terza parte del suo trattato. Poiché se la mente non crede all' esistenza sostanziale di ciò che sente per questo appunto che la percepisce ; se ella invece la crede per un istinto o legge della sua natura ; 1' idealismo trascendentale di Kant ci pare inevitabile , inevitabile il sistema singolare di Fichte, termine ultimo e necessario e confutazione nel tempo stesso del sistema della credenza istintiva posta come principio della realtà oggettiva della cognizione umana. L'A. certamente sentiva qual debole fondamento avrebbe dato alla scienza umana ponendo quella credenza primitiva come prodotta in noi da un istinto o legge della nostra natura; l'A. sapeva che una tale credenza o persuasione non è un'idea, ma un sentimento (pag. 228), il quale non contiene che una realtà 19 soggettiva fenomenale; egli sapeva che la necessità ài un sen- timento non è la necessità della verità , che dal credere al sapere e' è un salto immenso. Ed è perciò che nella parte 3* egli chiama la certezza una persuasione ragionevole intorno all'essere , all' esistere, al fare delle cose (pag. 246)» e più sotto soggiunge che « la persuasione o certezza nasce in noi dalle ragioni che c'in- « ducono a dare, senza il menomo sospetto di errare, il nostro tt assenso ovvero affermare che un predicato convenga o non « convenga ad un soggetto ; » ed in più luoghi con rigoroso discorso stabilisce essere Vei'idenza quella che costituisce la ra- gionevolezza della persuasione nella mente. Ora 1' evidenza si riferisce propriamente alla cognizione 5 dunque la cognizione di ciò che esiste precede la certezza o persuasione di ciò che esiste 5 la credenza primitiva 'che si unisce alla prima cogni- zione trova dunque già 1' esistenza dell'oggetto sentito e non la pone essa stessa. E qui ci basti avere come seppimo discorso intorno al Trattato delle cognizioni umane. Noi speriamo che i nostri lettori avranno di leggeri penetrato l'intenzione che ci guidava in questo esame, la quale era non di rilevare i difetti di quel trattato , ma di mostrare coU'esempio dell' A. come nello stato attuale della scienza non possa il problema del principio delle cognizioni umane risolversi compiutamente per mezzo d'uno sperimentalismo puro, senza o supporre spiegato ciò che non è , o lasciar addietro il nodo principale della quistione. Per questo riguardo non meno che per l'erudizione filosofica di cui è ricco, noi crediamo che tornerà utilissimo al progresso de'nostri studj filosofici il libro dell'Abbà , il quale dopo i principj metafìsici dell' immortale ab. Caliiso è forse la sola opera originale di filosofia che siasi pubblicata nel nostro secolo in questa estrema parte d' Italia. Se da quello che l'Abbà fece negli anni che si consacrò a questi studj vuoisi giudicare di quello che avrebbe potuto fare se un' immatura morte non l'avesse alla scienza rapito , egli non sa- rebbesi certamente fermato a quello sperimentalismo j a cui tanto si dimostra inclinato nel suo Trattato delle cognizioni umane. Chiunque lo ha seguitato nel suo insegnamento non ha potuto a meno di potare in lui un progresso che fu evidentissimo, 20 quando il sensismo di Loke e Condillac , a cui da principio attenevasi , correggeva colle nuove dottrine del Laromiguière, e quando convinto alla fine dell' insufficienza della sensazione tra- sformata e Ae]^' attenzione trasformante si faceva discepolo della scuola scozzese fatta comune in Francia ed in Italia. Questa legge di progresso , e l'amore sincero che egli aveva per la ve- rità, non ci lasciano dubitare dei nuovi passi che egli, se fosse vissuto, avrebbe fatto verso un sistema più compiuto di filosofia. P. SCEEr«JZE KATURALI GEOLOGIA Dal riputato Journal general de Vinstruction publiqiie ri- caviamo il seguente articolo geologico dell' illustx^e Elia de Beaumont , professore di geologia al collegio di Francia. Il dotto professore ha peregrinato non è gran tempo cpie- ste nostre regioni insieme coll'egregio signor Sismonda , pro- fessore di mineralogia in Torino : e la loro peregrinazione fu feconda di belle osservazioni geologiche , che i due profes- sori pubblicavano in parte in una loro lettera indirizzata , se non erriamo , alla Biblioteca Italiana. Sul finire della state dello scorso anno i due dotti Pro- fessori si ritrovarono di nuovo insieme al borgo di San Ma-arizio nella Tarantasia ^ dove il signor Sismonda s' era condotto a raggiungere il signor Elia de Beaumont attra- versando , ed esaminando la valle d' Aosta , ed il piccolo San Bexnardo. Partiti di colà intrapresero una nuova pe- regrinazione geologica. Visitarono insieme la valle della Isera , e quella di Reme. Quindi ora accompagnati , ora 21 divisi osservarono i terreni delle valli di Savaranche , di Valtellina, di Cogno, del gran San Bernardo. Si condus- sero poscia nel Valese , e nel Cantone Svizzero di Vaud considerando dappertutto a palmo a palmo il terreno, e studiandone le più minute particolarità. Questo cenno di lavori geologici abbiamo voluto qui fare ad onore di chi con tanto studio , ed amore si adopera a coltivare una così nobil parte delle scienze naturali, quale si è la geologia. L'articolo, che qui produciamo, è la lezione, con cui il sig. de Beaumout apriva il suo corso di geologia. La geologia deve abbracciare tutte le cognizioni rìsguardanti il globo terrestre. Ella si collega adunque coi diversi rami della storia naturale , con quelli soprattutto , che hanno per iscopo lo studio de' corpi inorganici, vale a dire l'astronomia e la mi- neralogia. Perocché V individuo inorganico non è così limitato come l'individuo organico. La pianta, l'animale sono facili a circoscriversi j laddove la storia naturale inorganica può consi- derare come individuo l'universo, il pianeta terrestre, un cristallo. Di qui hanno origine tre scienze: l'astronomia , la geologia , la mineralogia , le quali non si diversificano fra loro quasi per altro , che per i limiti del loro individuo. La geologia si lega eguaU mente alle scienze fisiche. Presentemente tutte le scienze tendono a riunirsi in una sola 5 e benché ciascuno dei loro rami richiegga uno studio speciale , hanno pur nondimeno tra di loro vincoli comuni, che fanno delle scienze fisiche e naturali un sol tutto, impossibile a dividersi in parti intieramente staccate le une dalle altre. Lo studio della geologia, come quello di tutte le scienze, ha avuto suo principio dall'osservazione di fatti particolari. Si con- siderarono i vulcani ad uno ad uno : si diede opera a spiegarne i fenomeni locali. Più tardi si paragonarono insieme questi fe- nomeni, e se ne conobbe l'identità. Si è osservato, che i vulcani sono disposti sulla superficie del globo terrestre in gruppi circolari , o distesi in linee rette ; che i terremoti sono in re- 22 lazione coi fenomeni vulcanici; che la disposizione de' vulcani si lega all'andamento delle principali catene di montagne , alle grandi rotture della crosta del globo terrestre. Quindi s'è venuto a conchiudere , che i presenti fenomeni vulcanici sono l'ultima manifestazione de' grandi rivolgimenti, che turbarono il nostro pianeta. Così mediante profonde indagini sopra un solo fatto geologico si pervenne a stabilire col signor d'Humboldt, che gli effetti vulcanici s'hanno ad attribuire all'influenza che esercita l'interno d'un pianeta sopra la sua corteccia esteriore ne'differenti stadj del suo raffreddamento. La semplice manifestazione generale de' fenomeni vulcanici ha condotto i geologi ad una definizione astronomica. Alcuni hanno voluto stabilire un confine tra l'astronomia e la geologia dicendo , che questa non deve proporsi come sua materia che gli oggetti , che l'uomo pub toccare. Noi non possiamo toccare l'interno del nostro pianeta: dirassi perciò, che lo stato interiore della terra non appartiene al dominio della scienza geologica? E perchè noi non possiamo che l'è Jere le scabrosità, che si trovano sulla superficie de'corpi celesti , avrassi per questo a rinunziare alle induzioni , che se ne possono dedurre per ispiegare l'origine delle ineguaglianze , che offre la superficie del nostro globo? D'altra parte tutto quello che noi tocchiamo non si lega direttamente alla geologia 5 così la misura della superficie del globo costituisce la geodesia, la quale s'attiene all'astronomia piuttosto che alla geologia. Le carte geografiche risultanti dai lavori della geodesia servono alla geologia, come le figure ben disegnate servono allo studio dell' anatomia. So- vente le operazioni della geodesia hanno somministrato impor- tanti materiali alla geologia. E per addurne alcun esempio , misurando al Perù un grado del meridiano Bouguer venne a riconoscere, che il Chìmboraco doveva essere cavo al di den- tro; lavorando alla misura d'un parallelo terrestre si conobbe il perpendicolo essere alterato per effetto di cause locali dipendenti da una differenza di densità in diverse parti della corteccia terrestre. Questa differenza è stata provata ancora dalle ano- malie , che offre la diminuzione regolare della lunghezza del pendolo a secondi, andando dal polo all'equatore. 25 Se la geologia si lega per una parte airastronomia , ella si coDgiunge pur anche sotto un altro aspetto intimamente colla mineralogia , che è rivolta allo studio degli elementi , onde si compone la corteccia del globo. La chimica che considera la proprietà delle molecole s' attiene eziandio naturalmente alla scienza, che considera i gruppi più o meno costanti che for- mano queste molecole , l'insieme de' quali costituisce il globo terrestre. Si potrebbe dire che la geologia è il serraglio d'una volta, di cui i due pilastri sono l'astronomia , e la fisica mo- lecolare. La geologia è debitrice della scoperta di molte sue verità le più essenziali ai lavori de' geometri e de' fisici. È Newton che ci ha insegnato che la figura della terra è quella che prende- rebbe una massa liquida , che girasse intorno al suo asse colla velocità di rotazione, che è propria del nostro pianeta. E d'A- lembert che ci fece conoscere, che la massa della terra si compone di strati successivi , la cui densità s' accresce dalla superficie andando verso il centro. La densità stessa della terra ci è nota per mezzo delle esperienze del fisico Cavendish. Wol- laston provando, che l'atmosfera terrestre ha de' confini, ci ha somministrato uno de' dati geologici più importanti, avendoci per esso accertati , che il nostro pianeta contiene presente- mente tutto quello , che ha contenuto sin dalla sua origine. I lavori elettro-chimici del signor Becquerel hanno portata molt' oltre la geologia : essi spiegano 1' origine per lo addietro nascosta di molte sostanze minerali. Un giorno verrà forse, in cui lo studio de' filoni metalliferi potrà rivelare alla fisica i risultati .d'azioni elettro-chimiche che hanno avuto luogo sopra una scala infinitamente più grande , che quella de' fenomeni de' suoi laboratorj. Quello che noi sappiamo della figura della terra, prova che ella è stata altre volte fluida : le osservazioni termometriche indicano un accrescimento di calore quanto più si penetra al di sotto della sua superficie; dal che si conchiuse la fluidità ignea della terra , e che il nocciolo terrestre conserva ancora pre- sentemente una parte del calore primitivo. Laplace, Fourrier tennero questa opinione. Ai contrario il signor Poisson ha di- 24 mostrato che le osservazioni termometriche possono spiegarsi senza ammettere, che il calore proprio della terra sia prodotto dal suo calore primitivo. Qui bisogna che il geologo decida quale delle due ipotesi meglio si addice alla spiegazione de' fenomeni. Convieu adunque, ch'egli abbia conoscenza di lavori estranei alla geologia. L'affinità della fisica colla geologia ha fatto che i signori Gay-Lussac e Davy cercarono di spiegare i fenomeni vulcanici per mezzo di metalli non ossidati esistenti nell' interno della terra, il contatto de' quali con l'acqua potrebbe produrre uu calore atto a fondere le lave. Più tardi si conobbe che un'ipo- tesi parziale non poteva render ragione d' un fenomeno cosi generale , come quello degli effetti vulcanici. Onde il signor Ampere, rendendo generale questa ipotesi, crede che il globo intiero si componga nel suo interno di metalli non ossidati, e che alcuni almeno tra i fenomeni vulcanici possano attribuirsi alla loro azione sopra l'acqua del mare. La meteorologia è una delle scienze i cui lavori si legano maggiormente alla geologia. Dall'origine del pianeta terrestre in poi l'aria e l'acqua hanno cagionato grandi alterazioni sopra la sua corteccia 5 queste alterazioni ci saran note per la loro ana- logia con quello , che succede presentemente sulla superfìcie del globo. La climatologia d' altronde si collega intimamente colla geologia per l'influenza che la distribuzione de' climi eser- cita sull'abitazione degli esseri oi'ganici. Lo studio de' corpi or- ganici fossili è un ramo della geologia : questo studio ha pro- cacciato al signor Adolfo Brongniart molte nozioni sopra i climi, ne' quali vissero i vegetali che egli ha costrutti. La paleontologia e la climatologia hanno cosi unito la geologia alla meteorologia. Abbiam detto la paleontologia essere un ramo della geolo- gia : ma ella fa egualmente parte essenziale della zoologia e della botanica 5 perocché non si possono separare le spezie vi- venti dai loro congeneri , che più non sussistono 5 onde veg- giamo noi i geologi darsi a studi ed a lavori importanti di sto- ria naturale organica. Ed al signor Beudant abbiam obbligo delle esperienze rivolte a conoscere fino a qual segno gli ani- mali marini potrebbero vivere nell'acqua dolce e viceversa. 25 Il signor Guvier dopo avere ricostrutta la più gran parte conosciuta de' grandi animali fossili , é venuto a conchiudere , come il signor Brongniart, che le regioni oggidì temperate do- vettero avere una volta un clima equatoriale. In questo credettero alcuni di avere un'altra prova del raf- freddamento progressivo del nostro pianeta 5 ma il signor W. Herschell ha dimostrato che potrebbe essere che la terra avesse subito mutazioni astronomiche , le quali chiarirebbero le qua- lità tropicali de^ cox'pi organici fossili, che si trovano nelle la- titudini le più elevate, senza ricorrere all'antica fluidità ignea, ed al raffreddamento progressivo. Dai calcoli degli astronomi non risulta esattamente se la lunghezza del piccolo asse dell'ellisse, per la quale si muove la terra, sia costante: ammettendo, che questo piccolo asse sia variabile , il fuoco potrà trovarsi più o meno vicino all'estremità del grandmasse secondo la maggiore o minore lunghezza dell' asse piccolo. Mettendo insieme questa considerazione colle variazioni nell'inclinazione dell'asse terre- stre , può trovarsi essere stato un tempo, in cui la terra abbia goduto d'una temperatura mezzana ed uniforme, d'una prima- vera perpetua 5 mentre secondo altre combinazioni v'avranno avuto luogo alternativamente stemperamenti di caldo e di freddo. Egli non sembra per altro , che le variazioni del piccolo asse abbiano luogo dentro limiti abbastanza estesi per produrre ef- fetti importanti in geologìa. Quello che noi abbiamo fin qui detto, basta per far vedere l'aiuto , che gli studj geologici domandano , e porgono nello stesso tempo alle altre scienze; ma dalle relazioni intime che legano la geologia all'astronomia, alla mineralogia, alla fisica non si vuole conchiudere che la prima non occupi nelle scienze umane che un luogo secondario. La geologia forma di per se stessa una scienza così speciale come le altre : né può essere ben coltivata che da uomini, i quali vi si applichino esclusi- vamente. Se r astronomo passa le notti a osservare il corso degli astri, e i giorni a calcolarne i movimenti: se la vita del mineralogista è tutta impiegata nella misura degli angoli dei cristalli , nell'analisi delle sostanze minerali e nella loro clas- sificazione : parimenti il geologo deve dedicarsi intieramente 26 alle ricerche che hanno a condurlo alla conoscenza del gloho, che egli abita. Leggansi i viaggi di Saussure, di Humboldt, e vedrassi come la vita del geologo è scompartita tra faticosi viaggi , e studj niultiplici e profondi nel suo gabinetto. Una gita in un paese montuoso richiede un giorno intero : l'esplo- l'azione d' una catena di montagne esige intiera una stagione d'estate, e l'inverno si passa coordinando i fatti che si sono osservati, e meditando sugli oggetti che si sono raccolti. L'egregio professore viene ora qui divisando il metodo che seguiterà nel suo corso geologico. Lo divide in tre parti 5 nella prima toccherà brevemente degli elementi della scienza geolo- gica ; nella seconda considererà le grandi leggi , che servono di principio alla geologia; nella terza farà conoscere i risultati delle osservazioni geologiche relative a un periodo qualunque della storia del globo , applicando a questo periodo le leggi ge- nerali state da lui prima esaminate. Noi verremo a quando a quando scegliendo alcune tra le le- zioni dell'illustre professore per adornarne queste pagine, sicuri di far cosa grata a quelli tra' nostri lettori, che pregiano quanto si conviene la nobile ed utilissima scienza geologica. G. Novara i835. Se per generale consentimento degli scrittori di legale filo- sofia debbe la cognizione delle leggi avere la massima diffusione possibile, sicché ognuno appieno conosca i suoi doveri ed i suoi diritti , e possa ad essi conformare le proprie azioni , utile di- visamento fu senza dubbio quello dell'anonimo autore di ren- dere intelligibile all' universale una parte sì importante della patria legislazione 5 divisamento tanto più utile e necessario, quanto meno popolare è appo noi la conoscenza delle leggi, a cagione della lingua straniera e nota ai soli dotti , in cui per 27 la maggior parte sono scritte, e della moltiplicità delle fonti a cui è mestieri ricorrere; ai quali gravissimi inconvenienti è per porsi riparo mercè nuovi codici, che, quali richieggono i lumi della presente civiltà , si stanno, sotto gli auspici del governo, maturando. Che il nostro autore abbia soddisfatto a questo bi- sogno de' suoi concittadini e che lode gli si debba perciò^ pare non potersi dubitare , conciossiachè il suo libro contenga una chiara e compiuta esposizione della materia testamentaria, per quanto riflette la persona del testatore. Forse, perchè il pre- gio principale di tali opere è la chiarezza, avrebbonsì dovuto onninamente sbandire le frasi latine , che occorrono troppo spesso e senza necessità, né sempre seguite da volgare inter- pretazione. Forse anche la parte morale di quest'opera vole- vasi svolgere con maggiore ampiezza 5 non già che l'autore l'ab- bia interamente ommessa 5 ne diede alcuni tocchi , e ne lo commendiamo: ma non trattolla con quell'estensione di che è suscettibile il soggetto, e sarebbe stata cosa degna dell'animo suo, inchinevole ad ogni utile impresa, il soddisfare anche per questo lato ai bisogni dei padri di famiglia, cui egli dedica il suo opuscolo 5 e le direzioni morali non sarebbero state a no- stro avviso meno interessanti né meno utili che le legali , le quali possono essere fornite dalle persone dell'arte. Il testa- mento , quell'atto che si direbbe oltrepassare i confini della proprietà perchè ne esercitiamo i diritti in un tempo in cui più non siamo né viventi né proprietari , quell'atto sì ferace di buone o di ree conseguenze , è certamente uno fra quelli che nella vita dell'uomo sono di maggior momento. Debbe co- lui che vi si accinge porsi con animo religioso innanzi alla di- vinità, scrutare le voci della coscienza, consultare i moltiplici doveri che gli corrono, sceverar l'animo da ogni mala passione, avere la certezza di non essere sotto il predominio di persona che intemerata, e di sentimento nobile non sia. Ma quanto di- versamente troppe volte procede la cosa ! Alcuni agitati da contrarie passioni fanno e rifanno contrarj testamenti, e sene servono come di mezzi più a punire , che a beneficare 5 altri dominati da ridicola boria impinguano i primogeniti; altri tra- viati da condannevole affetto ad una Circe ingannatrice pospon- 28 gono il dabben parente. Ma non è nostro intendimento, né può essere dell'istituto nostro il supplire alla lacuna di che par- liamo. Concludiamo esser certo desiderabile cbe ognuno faccia testamento, siccome vuole l'autore, che la legge generale, la quale regola le successioni, non potè prevedere le peculiari cir- costanze in cui trovasi l'individuo: ma esser ancor più desi- derabile s'astenga dal testare chi non si sente capace di farlo da dovere 5 imperciocché il legislatore imparziale dispone in modo più equo delle sostanze , di quello che molte volte non veggiamo fatto da' testatori ; e quante ingiustizie e quante liti non vi sarebbero di meno , se potesse la legge togliere la fa- coltà delle ultime disposizioni a coloro che in quel punto so- lenne non sanno mostrarsi né benefici, né grati, né giusti, che vi obbediscono al rancore od alla vanità , e sull' orlo della tomba negano ancora il perdono ! Taceremo dello stile di quest'opera, poiché l'autore ne av- verte ch'egli voleva fare un lavoro intelligibile ad ognuno, e do- vejglisi quindi condonare gli errori di lingua ; accenneremo soltanto che questa conseguenza non reggerebbe del tutto 5 con- ciossiaché la nobile favella italiana si pieghi alle varie foggia di stile, sì elevato che piano, ma esenti tutte da errori, i quali rendono oscuro anziché chiaro il parlare. Ma qui ci cade in acconcio una generale osservazione , ed é che pochi libri si stampano in Italia senza che si preamboli sullo stile: non cosi adoperano gli scrittori d'altre lingue. Non pare egli venuto il tempo di finirla una volta dopo il tanto ed il troppo che si è già scritto e disputato su questo proposito, sicché ciascuno usi quel migliore stile che sa e può , ed al soggetto suo crede più convenevole, senza spendervi sopra lunghe parole? I. 29 JLETTEMATU DELL ARTE TRAGICA Fungar vice cotis , acutum Recidere, quae ferrum valet exsors ipsa lecandi. Oraz. de Art. Poet. Fu opinione d'alcuni potersi in qualche modo applicare alle arti , ed alle lettere la massima di un gran politico relativa alle sette o repubblicliej che a volere che elle vivano lungamente, sia necessario spesse volte tirarle verso i loro principj. Noi non vogliamo opporci a questa sentenza. Egli è certo , che nelle lettere e nelle arti dominano alcune regole generali , immu- tabili, che hanno lor fondamento nella natura : tali sono, per caso d'esempio, l'unità del disegno, l'omogeneità degli elementi, la proporzione delle parti , la regolarità dell' andamento , la perfezione del tutto *i, e il volersi dipartire da quelle, o da coloro , che nelle loro opere le seguitarono, sarebbe lo stesso , che falsare la natura , romperne le leggi, guastare ogni bellezza. Ei pare che vi siano, dice il Botta , andazzi di buon gusto come ve ne sono di cattivo. Chiunque ponga mente alle storie letterarie , si persuaderà facilmente della verità del suo detto. Non è nostro proposito l'entrare ora qui ad esaminare, quale sia il gusto della presente età. Nell'Italia, per quello che s'ap- partiene alla poesia, potrebbe forse dirsi, che penda alquanto all'ammanierato di Lucano ; nella Francia regni una soverchia e disordinata licenza. Nella Germania dopo Schiller, Goethe , Biirger , Holberg ed altri egregi la poesia vien declinando : il troppo amore del maraviglioso, ed una falsa e malintesa imi- tazione della natura la guasta. Che se per l'invasione di nuove e false foggie di opinare venisse a contaminarsi il bello , a corrompersi il vero nelle lettere e nelle arti j possente e forse *i Vedi il Ghcrardini : elementi di poesia. 50 unico mezzo a ravviare gli ingegni sarebbe il richiamarli allo studio di que' sommi, che ebbero a guida nelle loro opere prin- cipi fermissimi e veri. E lo studiare i grandi maestri, e spiare l'orme , che essi impressero nelle loro vie , sarà pur anche ca- gione efficacissima di non lasciar declinare le arti, che dal loro nobile oggetto si chiaman belle. Per questo rispetto noi cre- diamo giusto il detto : che il saggio debbe cercare la sapienza degli antichi : né Orazio poteva per avventura dar miglior pre- cetto di poetare, che quello di meditar dì e notte i greci esemplari. E per venire più dappresso al proposito nostro, non ha dub- bio, che chi voglia niantenere la tragedia nel suo vero splen- dore, debba soprattutto studiare le opere de' greci tragedi , e sovra quelli maturare l' ingegno suo. Eschilo , Sofocle , Euri- pide siedono sovrani maestri della tragica poesia, e nonostante alcun loro difetto , inseparabile forse dai primordii della tra- gedia, nessuno può vantarsi d'averli ancora agguagliati j non Alfieri neppur esso. Egli è vero , che i greci tragedi , Eschilo principalmente, lasciano desiderare alcuna volta alquanto più d'arte; ma dove il bello soprabbonda, si può perdonare qual- che difetto nell'arte: e sembra d'altronde, che la natura invida in certo modo della perfezione delle opere umane abbia pre- scritto agi' ingegni o di trascendere con disordine , o d'essere ordinati con mediocrità. Ma perchè Eschilo, Sofocle, Euripide ed altri dopo di loro furono sommi, ne seguita egli perciò, che abbiano essi esau- rito tutto il bello, ond' è suscettiva l'arte tragica, in quanto alle sue forme, ed alla sua essenza, e chiusa la via ad ogni altro ; né potrassi accoppiare la loro imitazione con quella no- vità, che i tempi, il progresso delle arti, e le cangiate cre- denze , ed instituzioui richieggono ? Questo è ciò che noi non crediamo. La poesia, scrive Teodoro JoufFroy *i debbe esprimere i sen- timenti dell'età intorno al buono, al bello, ed al vero. La sua natura la sottomette alla lesse di cangiare coi sentimenti "&a* 'i Melanges philosophiques. Reflexions sur la philosophie de l'histoire. 31 popolari, altrimenti cesserebbe d'esser vera, 11 poeta non può avere i sentimeuti d'un'altra età: se egli li esprime, è un co- piatore : quello , eh' egli scrive non è più poesia , ma imita- zione d'una poesia , che più non sussiste. Ecco perchè la mi- tologia non è più poetica, I veri poeti , i veri artisti sono sem- pre d'accordo coi loro tempi j quindi è, che le loro opere sono monumenti preziosi per la storia del progresso dell'umanità. Fondati sopra questi principi, che a noi pajono incontrasta- bili , ed insieme ammiratori profondi de' Greci, che apersero la via ad ogni umano perfezionamento, e de' Latini seguitatori de' Greci, prendiamo qui ad esporre alcuni nostri pensieri in- torno alla Drammatica tragica , a parer nostro princìpal pro- motrice della civiltà de' popoli , e nobile palestra dove si eser- citano i poetici ingegni dell'età nostra. Il solo amore della ve- rità e dell'arte ne sarà scorta in queste disquisizioni , lontani, quali siamo egualmente da intemperante studio di novità, e da prevenzione d' inveterate opinioni. Toccheremo dapprima dell'essenza del concetto tragico; poi della esterior forma , e dei soggetti della tragedia : quindi del- l'uffizio del coro in essa, poscia dello stile: per ultimo cerche- remo di render ragione di quel piacere, che si prova alle tra- giche rappresentazioni. Se ad alcuni paresse per avventura di poterne dar carico , che le cose, di cui qui sotto ragioneremo , e quelle altre an- cora, che intorno a differenti soggetti verremo di mano in mano scrivendo in questo Giornale non abbiano tutto il pregio della novità ; a costoro noi rispondiamo una volta per sempre, che poche cose nuove omai rimangono a dirsi , e che vi sono alcune verità , le quali sebbene già da altri ritrovate , è pur nondimeno utile il ripetere spesse volte. Del rimanente ne piace qui ricordare quello, che pensava l'Herder, mentre era per por mano alla sua grand-opera sopra la filosofìa della storia del- l'umanità , di cui parleremo in qualche nostro articolo. Colui, che scrive bene o male , apre la sua mente agli uomini , loro disvela le sue opinioni, i suoi dubbj , eccitando a più profonde meditazioni coloro, che veggono più addentro di lui, ed aspet- tando le loro osservazioni per profittarne. Altrimenti quale al- 32 tro fine potrebbe indurlo a diventar scrittore? Questo commercio invisibile delle menti è il più grande benefìzio della stampa , la quale senza di questo arrecherebbe forse tanto male, quanta utilità ad una nazione incivilita. dell'essenza del concetto tragico L'uom grande che soffre, è la fonte di tutti i tragici affetti. E perocché l'uom grande soffre con fortezza e dignità com- battendo contro i proprii dolori , cosi dai patimenti e dalle lotte dell'uomo grande il concetto tragico nasce, e s'informa. Combatta egli contro il destino, o contro i suoi simili, contro le proprie passioni , o contro i proprii rimorsi , purché nobil- mente soffra e combatta , ciò basta perché si compianga , e s'ammiri; perchè l'alta poesia non isdegni d'assumere il lin- guaggio de' suoi lamenti. Vuoisi per altro qui eccettuare i.° il dolor fisico, siccome quello, che assalendo la parte men nobile dell'uomo ,, manca di dignità; 2.° il caso, il quale è un troppo ignobile avversario d'un agente morale ; né contr'esso è possi- bile il combattere , come non é possibile il prevederlo. Sol- tanto dalla lotta di due esseri dotati di volontà sorgon quelle scintille d'affetti , che formano il tragico. Quando l'uomo com- batte contro le proprie passioni , allora la sua volontà si parte in due, che pugnano tra di loro quasi nemiche; 3." la pazzia,* perocché il pazzo né forse soffre , uè certo combatte. In esso nulla havvi di grande. Un breve delirio per altro, conseguenza di lunghe lotte e di forti dolori, può essere tragico oltremodo. Non è sempre l'uom giusto da mala fortuna accompagnato , non è questo spettacolo degno di Dio , che si ricerca indispen- sabilmente nella tragedia. Benché forse l'innocenza oppressa dagli uomini o dalla sorte formi il concetto tragico per eccel- lenza , niente osta che l'uomo malvagio posto alle prese co' suoi rimorsi, e ridotto finalmente a dover gustare gli amari frutti de' proprii delitti ne possa muovere a compassione , ed a ti- more , purché un raggio di dignità, e di grandezza traluca pur sempre attraverso della nequizia. Ora è manifesto, che quella tragedia , la quale saprà muovere simili affetti conseguirà parte del suo fine i-eiidemlo uiigliori gli uomini coll'iiidurli al vicen- devole amore , ed alla bontà. Come pel pittore le orride rupi e le feroci tempeste, così pel poeta la scelleratezza , e l'empietà hanno il loro bello ideale, se non che l'innocenza e la virtù lo presentano da tutti i lati; e il lor contrario non l'ofire che a gran pena da un solo. Il quale se colto venga dal perspicace occhio d'un Alighieri, d'un Milton, d'un Byron rende atti non solamente ad esser com- pianti , ma persino ad esser amati i più odiosi soggetti. L' an- tico colpevole cui la memoria del delitto perseguita come un Eriane , il reprobo, che porta incancellabile in fronte la male- dizione , di che Dio r ha segnato , e ne prova ad ogni ora i terribili effetti 5 l'uomo dapprima virtuoso, che una violenta passione travolse , e tirò sul rovinoso calle de' delitti , Aristo- demo, il conte Ugolino, Saul, Mirra , Filippo , Macbetto sono altrettanti personaggi di scellerati , ciascuno de' quali porge uno^ stupendo tema di tragedia. Perchè taceremo Francesca da Ri- mini ? quell'amor riprovevole su cui Dante ha steso un sì bel velo, e che dettò a lui que' versi divini, che sembrano allor- ché gli ascolti un inno della pietà, che risuoni pur fralle im- precazioni de' dannati 5 questo riprovevole amore prestò a Pel- lico il soggetto d'una tragedia , che sola basterebbe a racco- mandare ai posteri il suo nome, quand'anche il suo ingegno (il che non crediamo) avesse cessato di emulare se stesso. Il primo elemento delle tragedie greche era il fato. Questa divinità inesorabile, cui non si cousecravano templi, non s'in- nalzavano altari; questa divinità memore ^ e vindicatrice , cui cento sventure non placavano, che ricercava i delitti degli avi fralle più remote generazioni, e li puniva coi delitti ancor più atroci de' nepoti; il fato era ognor presente nelle tragedie gre- che , e dava luogo per tutto il dramma , ma principalmente ne' cori alla più sublime poesia. Nasceva il discendente di Lab- duco o di Tantalo col marchio in fronte del suo avverso destino. Infelice talvolta sin dalle fasce spendeva in una inulil lotta contr'esso tutta la travagliosa sua vita ; o s' egli pareva nascere sotto auspici migliori, se propizie sorli gli sorridevano per al- cim tempo, colto subitamente nel mezzo del corso delle sue 3 54 prosperità veniva travolto nelle più acerbe sventure. Il resistere il tutta possa contro il fato, il cedergli virilmente era riputato presso i Greci l'estremo dell'eroismo. Sofocle pivi che gli altri tragedl antichi seppe valersi del fato e de' profeti , stupendo mezzo di grandezza e di meraviglia nelle cose drammatiche. Questo mezzo la tragedia presente non può più ragionevolmente adoperarlo, eccettochè in parte ne' soggetti biblici, ne' quali i profeti producono un effetto maraviglioso , come provollo Al- fieri nel Saul. Ma se le nostre credenze religiose, negando il potere quaggiù d'un cieco ed inesorabil destino, hanno tolto alla tragedia un antico mezzo d' inspirare il terrore, non bassi però a dire , a parer nostro , che non le abbiano arrecato un grande , e quasi eguale compenso , mediante il memore pen- eiero d'una suprema provvidenza. La provvidenza divina, benché nel mondo avvenire eserciti principalmente la sua giustizia retributrice , non ha per altro così abbandonato il presente all'arbitrio degli uomini, od alle leggi dell'umana natura, che non vi si faccia a quando a quando sentire con alcuno di quegli esempi, che la religione e la sag- gezza de' nostri antichi ha sempre considerato quasi altrettanti avvisi del cielo agli uomini, alle stirpi malvagie, ed alle nazioni prevaricate. La storia de' popoli ne offre moltissimi: uno fra gli altri splendidissimo ne occorre traile storie d' Italia. Invaso da violenta sete d'assoluto dominio Federico Barba- l'ossa , viola i privilegi , che Ottone il grande aveva concessi all'Italia, e poiché le città Lombarde s'arrischiano di opporsi alle sue tiranniche voglie, discende dall'Alpi a guisa di torrente, distrugge le fiorenti campagne d' lusubria , riduce Milano a pochi borghi , e ad un gran mucchio di ceneri , costringe il Pontefice a nascondersi quasi un profugo dal suo furore, e già gonfio d'orgoglio passeggia sulle italiche rovine, miserandi segni della sua rabbia vandalica. Ma una vigile giustizia lo arresta nel trionfale suo corso , gli strappa di fronte gli allori conta- minati di sangue , lo spinge alla sua volta negli amari passi di fuga, e dopo una lunga serie di disastri lo costringe ad implo- rare la pace dai cittadini di quelle terre, che ha combattute, eoiantellate ed avse, a tenere quasi scudiero la stafl'a a quello 55 stesso Pontefice , che fuggi lungo tempo dinanzi alla tremenda sua collera. Carico d'anni , di sventure , di rimorsi egli prende dalle mani del suo vittorioso nemico la croce, e s'incammina alla volta della Giudea pqr espiare colà i lunghi affanni del Vi- cario di Cristo , e le lagrime , ed il sangue de' popoli. Ma il cielo gli ha disdetta una fine gloriosa. Assiderato dalle gelide acque del Solef egli termina oscuramente la lunga e strepitosa sua carriera, I suoi discendenti e successori, nemici qual esso dell' italica pace , terminano quasi tutti con funestissimo fine una vita di travagli e d'affanni. Enrico VI si muor di vele- no , e se dobbiamo prestar fede alle storie, quella mano, clie più d'ogni altra glielo avrebbe dovuto rimover dal labbro , la mano stessa della consorte glielo ha porto. Federico II ama- reggiato per tutta la vita da politiche insieme, e da domesti- che avversità , condotto da' suoi sospetti ad incredulire contro l'amico , e contro il figliuolo^ muore tenendosi a stento una corona , che i fulmini del Vaticano gli aveano quattro volte scossa sul capo. Corrado dopo la morte del padre riconquista la Puglia ribellata 5 ma appena è fatto tranquillo possessor del suo regno , una morte immatura gli tronca nel fior degli anni le più. belle speranze. Manfredi più avventuroso di tutti cade in battaglia ; ma le sue ossa trasportate furtivamente in riva al Verde , e fuor del regno sono bagnate dalla pioggia , ed agi- tale dal vento. Finalmente il giovane Corr-adino solo innocente disceso da tanti malvagi perde la testa sovra un patibolo. Né il crudele uccisore di quel gentile colse lieti frutti del suo trionfo. I vesperi Siciliani puniscono Carlo d'Angiò , e tutta un'oste straniera d' innumerevoli atrocità e libidini , ed avve- lenano al vecchio usurpatore ne' suoi ultimi anni le torbide gioje della tirannide. Indarno suo figlio tenta vendicare la strage di tante migliaja di francesi. Volle la provvidenza, che quella strage , che già era una vendetta , rimanesse inulta per sem- pre. Il fato sinistro degli Angioini, che nel regno di Roberto parve sopito, risorge più fiero in quel di Giovanna, e questa sventuratissima donna si abbandona vinta ad una passione cbe la trascina al più orrendo delitto. Novella Clitennestra ella di- vien rea della morte del proprio marito. Invano fugge la misera m dalle mani d'un Re che scende dall'Alpi per vendicare il Re trucidato. Invano un Papa fatto giudice di si gran causa la di- chiara innocente. Giovanna dalle braccia d'uno sposo passa in quelle d'un altro , e da molti imenei ad altrettante vedovanze : invecchia , scorda fors' anche il giovanile delitto. Ma il cielo non r ha scordato. Carlo Durazzo ministro delle celesti ven- dette le fa guerra , la vince , la prende , e soffocandola cru- delmente sotto un guanciale le fa espiare in non molto dissi- mile guisa la barbara morte del suo marito. I dolori , e le lotte dell'uomo grande formando l'essenza del concetto tragico , egli è evidente, che nulla di faceto e di ri- dicolo debbe aver luogo nella tragedia. Comunque di ciò pen- sino e sentano le altre nazioni , gì' Italiani al paro de' Greci , dotati di squisito senso del bello , non applaudiranno mai ad un dramma, dove ai sublimi omei di Melpomene andasse fram- misto il procace riso di Talia. Il comico discorda dal tragico quanto il pianto dal riso. Che se popoli atti piuttosto a pro- fondamente e sottilmente ragionare , che a sentire delica- tamente , provar possono diletto ad una rappresentazione , in cui la natura venga così malamente imitata da vedersi il buf- fone accanto all'eroe (seppure eroi in natura si trovano), l'Ita • liano non meno che il Greco sentirebbe tedio e disgusto, ove dai nobili e lagrimosi modi della tragedia fosse balzato nei bassi tuoni della parodia. Il bello ideale vien meno davanti alla realtà cosi servilmente imitata ; e lo spettatore cessa di com- muoversi alla vista d'un'azione , che non impedisce di ridere ad alcuni fra que' personaggi medesimi, che ne fan parte. L'e- sempio di Shakespeare , né d' altri grandi non assolve i ro- mantici , che li van seguitando dalla taccia di gusto corrotto , e di torto giudizio. Schlegel medesimo, benché si sforzi di difendere in questa come in ogni altra cosa il suo autor favo- rito Shakespeare , pure non può far a meno di confessare, che l'ironia (e qui s'intende l'ironia comica) debbe cessare dac- ché si entra veramente nella regione tragica. Euripide il primo fra veri tragedi greci , che osasse mescolare alcun che di ridi- colo nella tragedia , ha fama d'aver fatto retrocedere piuttosto che progredir 1' arte ; né chi ha fior di senno vorrà dargli lode 37 d'aver dileggiato il dramma tragico da quell'altezza, a cui Eschilo e Sofocle l'avevano poc' anzi innalzato. L' amaro riso dell'ironia, e la diabolica festività dell'odio appagato ponno soli aver luogo nella tragedia siccome quelli, che non già ila- rità ne' spettatori , ma fremito produrranno e spavento. Ed alto fremito suol anche destare lo stupido e deliro riso, che scoppia improvvisamente dal cupo silenzio o tra le strida di un dolore disperato , qual si è in Amleto il ridere della forsennata Ofe- lia , che imitato da Pellico nella sua Iginia , ne sforza alla compassione ed al pianto. Havvi con tuttociò un moderno scrittore francese, che con esempio affatto nuovo seppe render tragico , e, se il nostro giu- dizio non erra , altamente tragico un personaggio , che sia pel deforme aspetto delle sue membra , sia pel ridicolo mestiere , che egli esercita , ad altro non sembra atto, che ad eccitare una procace festività. Triboulet, protagonista del dramma le Boi s'amuse, un gobbo, un buffone di corte s'innalza nelle mani di Vittore Hugo a tutta l'altezza "del coturno. La ragione per altro non ne par sì recondita, da non poterla agevolmente co- gliere e spiegare. Triboulet serio per natura ed affettuoso , forzato dalla povertà e dalla spregevole sua struttura a fare il mestier di buffone, sente l'abbiezione di questo mestiere, e se ne attrista; e mentre il suo ingegno vivace, la mordace sua lingua, e la sua strana apparenza lo servono mirabilmente in cosi tristo esercizio, la sua anima elevata discorda dall'ingegno, dalla lingua, e dal corpo, ed è continuamente tormentata dal pensiero di fare un così brutto , e maligno uso delle proprie facoltà. « Ah la nature et les hommes n'ont fait Bien méchant , bien cruel , et bien làche en effet ! 0 rage .' étre bouffon! o rage ! étre difForme ! Toujours cette pensée! et, qu'on veille ou qu'on dorme, Quand du mond en révant vous avez fait le tour; Retomber sur ceci: je suis bouffon de cour! Ne vouloir, ne pouvoir, ne devoir, et ne faire Que rire ! Quel excès d'opprobre et de misere ! » Chi non si sente commosso in udirlo deplorare la perdila ss fll ciò, che agli uomini tutti, anche ai più infelici è concesso,» il liiritto di piangere ? ' « Quei? ce qu'ont; les soldats ramasSés cn troupeau Autour de ce haillon . qu'ils appellent diapeau , Ce qui reste, après toiit , au mendiant d'Espagvic, A l'esclave en Tunis , au forcai dans sori bagne , A toiit homme , ici-bas , qui respire et se meut , Le droit de ne pas rire, et de pleurer, s'il veut , Jc ne l'ai pas ! » La rabbia di vedersi deforme, l'invidia d'ogni bellezza , d'ogni forza, d'ogni fortuna, l'han fatto diabolicamente maligno. Alla corte di Francesco I egli è : « Le noir démon, qui conseille le maitre.» Le angosce di Triboulet sono commoventi e tragiche. Ma se non puossi negar lode a Vittoi'e Hugo, che con nuovo ardimento ha saputo spargere tanfo bello ideale sovra una tanta deformità della natura, debbcsi per altro por mente, che non sarebbe senza pericolo il volerne seguitare l'esempio, G. Sarà continuato. E 1.1. E AS^Tl AUCHITETTIKA JU'RAND PKÉCIS D£S LECONS C'arCHITECTIIUE DONNÉES A l'ÉCOLE P0L\'TECHN1QDE. Il nome della scuola politecnica di Francia è tale che un libro , il quale contenga le lezioni su qualsiasi materia in essa dettate , solo per ciò porta con sé una speciale raccomandazione. Quindi non è maraviglia se il ristretto delle lezioni d'archi ■ lettura che annunciamo ebbe al tempo di sua pubblicazione e continua tuttora ad avere in Francia molta voga 5 questa voga 59 passò in Italia in questa pìitrìa de' sommi arclùtctti, ecl ora si procura la pubblicazione di tale ristretto iu nostra lingua, e si propone il medesimo' a modello di trattato elementare di ar- chitettura , massime per quelle scuole clie hanno qualche analogia colla scuola politecnica. Noi non crediamo di aspettare questa pubblicazione in Italia per parlarne 5 ci pare anzi che possa essere conveniente il dis- correre anche prima brevemente del merito intrinseco di tali lezioni, e l'esaminare se la loro celebrità dipenda piuttosto da questo che dal nome della scuola nella quale esse vennero date. Perciò, ed a progredire con ordine, prima di venire all'esame de' precetti e degl' insegnamenti che nel corso di queste lezioni vengono dati, lasciamo che M. Durand istesso esponga i principi! che devono essergli di scorta a stabilirli. L' architecture i die' egli , 11 a (Vautre hut (]ue Viitilitè puhlicjue et particuUère j la coiisen'atiofi, le honlieur des individus et des familles et de la sociètè: en hdtissaiit on doit chercher i.° a tirer des èdiflces le plus grand avantage et par consequent a les faire de la manière la plus conveìiahle a leur destinadon : 2." a les hdtir de la manière la moins pénible dans V origine, et la moins dispendieuse par la suite lorsque l'argent fut dcvenu le prix du travail; e dopo queste cose , siccome in esse non è ancora fatto cenno di bellezza , che pur tutti credono doversi ricercare nell'architettura, soggiunge che scopo dell'architettura non è di piacere, e che la decorazione non è il suo oggetto, e che frattanto non ne segue , che le produzioni di quest' arte non siano per piacere 5 che anzi, ove si soddisfaccia ai veri fini dell'architettura qui sopi-a accennati, le produzioni dell'archi-^ lettura non possono non piacere 5 ce n est pas mcnie necessaire^ prosegue a dire, de chercher de donner de la variété de lejfet du caractère aux cdifices puisquil est impossible quils n'aient pas toutes ces qualitès au plus haut dégré dont ils sont susceptihles lorsque remplissant le hut dell architecture tei quon Va fixè plus haut ^ on leur a donne tout ce qui leur Jaut , rien que ce qui leurfaut, et que ce qui leur est necessaire est dispose delamaniére la plus simple. C'est dono de la distrihuiion seule que doit s'occuper un ar- 40 chìtecte ménie celiti qui tieiiilrait ci la dccoration et qui ne chercherait qua plaire; puisque cette dècoraliou ne peut étve appelèe belle ne peut causer un vrai plaisir qu'aittant qu'elte ne risulte que de la disposition la plus convenable et la plus économique. Ecco in ristretto il sistema di Diirand, fondamento del quale è il principio, che il bello sta nell'utile, onde mancherebbe di significato l'antica sentenza omne tulit punctuin qui miscuit utile dulci; giacché secondo questo sistema, chi fa l'utile, fa il grato, e non avrebbe più a logorarsi il cervello per riunirli in una stessa cosa. Ma questo sistema ne applicato alle belle arti in generale , ne all'architettura in particolare , può secondo noi reggere in alcun modo: rispetto alle belle arti in generale, siccome molte di esse, come la pittura, la musica ecc., non hanno altro oggetto che di produr cose che piacciono, il dire che le cose che esse produrranno saranno belle quando conseguiranno lo scopo perchè son fatte , è dire che saranno belle quando piaceranno ossia che saranno belle quando saranno belle. Rispetto all'architettura in ispecie , la quale si propone anche un altro fine nelle sue produzioni , cioè che gli edificii riescano e sodi e comodi agli usi ai quali sono destinati , il dire che conseguendo questo solo fine si consegue anche la bellezza degli edificii, e che l'edificio è bello solo per ciò che è sodo, sano, comodo j regolare j simmetrico ^ semplice ^ è dir cosa che la più semplice osservazione smentisce, e per verità chi non vede come il più bello edificio possa ridursi ad essere la più brutta cosa cambiandone solo le proporzioni e la decorazione , senza che punto perciò esso riesca meno accomodato al fine al quale viene destinato, anzi ciò possa farsi talvolta rendendolo anche più accomodato e meno dispendioso? Chi togliesse nel peristilio del Partenone la metà delle colonne, certamente renderebbe esso peristilio molto più comodo per la maggior larghezza che rice- verebbero gì' intercolonnii, molto meno dispendioso, e sodo quanto basta, cioè tuttavia sodissimo*, chi in quello del Panteon riducesse le colonne alla metà di loro altezza, renderebbe pure tal peristilio e più comodo , perchè il suo tetto meno alto da 41 terra riparerebbe meglio dalla pioggia e dal sole , molto meno costoso e più solido. Chi poi sopprimesse metà del cornicione almeno in ambi i peristilii , farebbe cosa ottima al dire di Durand, giacché certamente non v'abbisogna più di metà dell'altezza, perchè il cornicione faccia il suo ufficio. E chi prendendo a modello molte case di Francia a vece di coronare un palazzo con una cornice, come usa l'Italia, facesse sporgere per parecchi piedi il tetto in fuori, avrebbe conseguito la massima bellezza di che il palazzo è capace, giacché avrebbe dato al medesimo tout ce qui lui faut rien que ce qui lui faut , ed avrebbe disposto ciò che gli è necessario de la manière la plus simple. Non sono dunque questi soli principii, cioè che l'edificio è bello, solo che sia solido e comodo, i quali hanno guidato, siccome vorrebbe Durand, le persone discrete che in tutti i tempi e in tutti i luoghi innalzarono gli edifìcii che ora noi ammiriamo^ che anzi questi principii non che guidare alla costruzione de' più bei monumenti che ci rimangono, avrebbero guidato a fare edifìcii interamente diversi; né è perciò travia- mento de' moderni architetti , come pure loro rinfaccia Durand , il cercare la bellezza indipendentemente dalla solidità e dalla comodità, solo sarebbe traviamento de'moderni, ove, com'esso afferma, l'architettura venisse dalla maggior parte di essi con- siderata non tanto come arte di fare edifìcii utili , quanto come arte di ornarli; noi non sappiamo se ciò succeda in Francia, ma in Italia in questa patria dell'architettura noi possiamo ben dire che non è succeduto così nei tempi in cui l'architettura fu più fiorente, né succede cosi ai nostri tempi; che anzi il mag- gior numero degli architetti non considera 1' architettura né come arte sola di ornare gli edifìcii, come suppone Durand, né come arte di farli solo utili , come esso propone , bensì come arte di fargli insieme 5oJij comodi e belli j né si dà a credere, com'esso si dà, che basti fargli utili perchè sian belli. Ma se il fare gli edifìcii utili non basta a conferir loro tutta la bellezza di che sono capaci, e se l'architettura , dice Durand, ha da piacere non per la sola ragione di sua utilità, se ha anche da riguardarsi come bella arte, essa non potrà piacere, se non 42 perchè, come ogni altra bella arte, imiterà la natura. Ora quali sono questi oggetti di natura che l' architetto si proporrà ad imitare? Secondo alcuni la primitiva capanna la quale , benché oggetto artefatto, è tuttavia prodotto di arte cosi rozza che poco differisce dalla natura, secondo altri l'uomo ne'diversi suoi stati. Vediamo, soggiunge, se effettivamente l'architetto imiti tali oggetti , e primieramente come si potrà dire che l'ordine dorico imiti un corpo virile, ne abbia la forza, le proporzioni, la bellezza , se secondo i Greci dovrebbe fissarsi 1' altezza della colonna a sei volte la larghezza della base, mentre nell'uomo la lunghezza del piede è l'ottava dell'altezza della persona intera, ed anche non avvi poi regola fissa per questa proporzione tra la larghezza della base e l'altezza della colonna, come potrà dirsi che l'ordine jonico abbia le proporzioni di una donna, ed il corintio quelle di una ragazza , se queste proporzioni non si ravvisano le stesse in tutti gli edificii decorati di questi ordini ? Ma queste proporzioni fossero anche costanti, qual paragone puossi mai fare tra il corpo umano, la cui larghezza varia ad ogni diversa altezza , ed una specie di cilindro nel quale il dia- metro è dappertutto lo stesso ? Quale rassomiglianza può mai ravvisarsi tra questi due oggetti quand'anche loro si supponesse la stessa .proporzione fra la base e 1' altezza ? Egli è dunque evidente che le proporzioni del corpo umano non poterono servire di modello a quelle degli ordini. Ma se le proporzioni degli ordini non possono essere state imitate da quelle del corpo umano, nemmeno possono essere state imitate da quelle delle capanne 5 le colonne negli ordini hanno basi e capitelli, iiella capanna i tronchi d'alberi che la sostengono non ne hanno y né si dica essere stati in seguito posti in cima a questi, pezzi di tavola onde spianarvi meglio l'architrave; essi non ne hanno bisogno, piuttosto ne avrebbero bisogno le colonne di pietra che i tronchi d'alberi ; né le parti superiori della capanna vengono meglio imitate dal sopraornato degli ordini 5 in un edificio quadrato, se si mettono modiglioni, che diconsi rappresentare le estremità de' legni inclinati che portano il tetto della capanna', se ne mette tutto in giro dai quattro suoi lati, mentre nella capanna ve ne ha solo da due 45 ìati^ Io stesso dicasi de'triglifi, i quali di più se rappresentano le teste de' travi , come si pretende , dovrebbero essere liscii» Se dunque gli arcbìtetti si proposero ad imitare la capanna » essi certo 1' imitarono assai male. '. Ora se la capanna non è stata bene imitata, e per altra parte non puossi neppur dire oggetto di natura; se il corpo umano non potè servire di modello all' architettura , bisogna necessa- riamente conehiudere che gli ordini d'architettura non ne formano l'essenza, che il piacere che si aspetta dal loro impiego e dalla decorazione è nullo, che per fine la decorazione stessa è una chimera, e la spesa che per questa si fa è pazzia. Se ad alcuno parrà che questo ragionamento di Durand pecchi in più modi , e la conclusione ne sia interamente falsa , sentirà questi come noi sentiamo , e per verità come si potrà mai con- cedere che se un'arte ha per oggetto di trovare il bello, essa noi possa trovare se non imitando; perchè la pittura, la scultura cercano in generale il bello imitando, dunque la musica, dunque la poesia, dunque l'architettura non possono trovarlo che coli' imitazione; ma, di grazia, che ha mai da imitare la musica, forse il canto degli uccelli-, il sussurrare de' venti, il mormorio de' rivi, l'armonia delle sfere, od altre simili fanciullaggini? e la poesia cosa imita, se la sua parte minore è la verseggiatura, è l'armonia del verso della quale solo, non modello ma esempio si potrebbe forse avere in natura , e la parte massima quella che la costituisce . poesia per tutti gli uomini colti è tutta spi- rituale e non si sente che coll'anima? E la pittura e la scoltura sono forse divine allora che imitano più perfettamente, ovvero non si dicono piuttosto divine allora che inventano? e Vanostade è Mieris e Breughel sono forse stimati più valenti pittori di Raffaello e di Tiziano, perchè meglio imitarono la natura, od almeno l'imitarono in modo insuperabile? mai no; questo dell'imitazione è pregio grande, ma non è il massimo; nella pittura il massimo è quello della composizione; per essa dicesi sommo il pittore, e questa non è imitazione, è vera invenzione; né si vada dicendo che è imi- tazione della bella natura; questa bella natura non esiste che in concetto, e prima d' imitarla convien trovarla, e però l' imi- 1 44 tazlone di essa è vera invenzione; né cessa d'esserlo tench è possa succedere che le varie sue parti separatamente già esistano o trovinsi nella natura ; che certamente chiunque all' uomo pre- senta un oggetto da ammirare per sua bellezza non glielo presenta di nuova specie, non lo presenta che risvegli in lui idee tutte nuove; un tale oggetto probabilmente non sarebbe gustato, bensì glielo presenta tale che molte e molte idee tutte grate per sé o per la loro associazione, ma più o meno già conosciute, in lui risvegli , e facciagli vibrare quelle stesse fibre che già altra volta vibrarono separatamente, ma questa volta insieme e con armonia; e l'accozzamento, l'unione, l'impasto di tutti questi motivi di grate percezioni, questa è tuttavia, come si disse, vera invenzione di bellezza. Non dipende adunque dalla imita- zione qualunque siasi bellezza che con arte trovare si voglia. E se alcun architetto andò cercando il modello degli ordini nella primitiva capanna ovvero nel corpo umano, od andò stra- namente errato o troppo materialmente intese un paragone. Talvolta alcuno può aver detto; varii sono i generi di elo- quenza; essa non ha né un aspetto, né un colore, né un abito solo, né un solo portamento, né un solo tuono di voce. Ora ella è gaja e scherzevole, ed ora disdegnosa e severa; ora indossa un vestire semplice, liscio, disinvolto, ed ora va pomposa e ricca di ornati ; ora ti pare una bella donna che si prepara alla danza , ed ora viene in contegno di maestosa matrona con gran sopracciglio; la sua voce ora è tenue, piana, colante come un ruscello, leggera come un'auretta d'aprile; ora manda tuoni e fulmini e va come turbine e si spande come T Eridano. Chi udendo queste espressioni andasse immaginando che l'eloquenza dee avere le proporzioni ora di vaga giovane , ora di donna matura, in quale imbroglio non si troverebbe ove volesse fissarle ? ravviserebbe ben egli certamente molto maggior dis- somiglianza tra un'orazione, che è tessuto di parole, ed una donna, che é tessuto di carne e d'ossa, di quel che ravvisato abbia il nostro Durand tra il corpo umano e 1» colonna ; sia detto adunque con buona pace del signor Durand e di tutti quegli altri architetti , che il paragone fra le proporzioni del corpo umano e quelle degli ordini intesero materialmente, l'espressione di chi forse primo accennò tal paragone era poetica , e come poetica ha suo senso che da loro non fu inteso. Resta l'imitazione della capanna, che da molti vien posta innanzi , e da Durand vien combattuta ; ora questa non è imi- tazione che si proponga i nel modo stesso che all'oratore si dice: il vostro discorso non sia solamente un ammasso di parole , un impasto di figure, un accozzamento di frasi ; ma bensì un forte e sodo ragionamento in bel modo condotto con bella dicitura esposto, di belle frasi e di convenienti figure ornato, cosicché persuada a un tempo e piaccia 5 si dirà all'architetto, non sia il vostro edificio un solo ammasso di cornici , di colonne , di fascie, di piedestalli, di statue, ma si bene sia edificio comodo all'uso a che si destina , sodamente costrutto, vagamente ordinato, con colonne e cornici, con nicchie e statue in bell'ordine dis- poste decorato. Perchè poi avendo a comporre un discorso non vi avvenga di lasciarvi dalle parole abbagliare, e crediate buona cosa un' insulsa diceria, fate astrazione delle figure, esprimete il senso del discorso, spogliate d'ogni ornato i ragionamenti ossia riducete il discorso alla sua più semplice espressione, e pesatene il valore j similmente onde avendo a costrurre un edificio non v' accada di restare dalle apparenze ingannato, esaminate ben bene gli usi ai quali si destina, e vedete se essi sono soddisfatti, spo- gliatelo col pensiero d'ogni decorazione, ed esaminate allora, se esso adempie alle condizioni per cui vien fatto; riducete insomma il ragionamento al sillogismo, e l'edificio alla capanna. Ecco in qual senso si potè dire da alcuno, che il modello il quale l'architetto deve proporsi è la primitiva capanna. Chi voglia di questa capanna fare maggior conto e trovare in essa ragione d'ogni ornamento, certamente, oltre al fare cosa arbi- traria, cadrà in ridicolaggini ed assurdi, né giungerà mai inoltre ad avere alcuna norma fissa che lo guidi nella decorazione. Si conceda dunque a Durand che né l'uomo, né la capanna sono oggetti che l'architetto si deve proporre ad imitare, e che se alcuno si fisse in capo tal cosa andò grandemente errato} ma si conchiuda ancora che non è necessaria all' architetto la imitazione di alcun oggetto- naturale , e che anzi non la sola 46 architettura , ma tutte le belle arti , sebbene da alcuni chiamate arti d'imitazione, sono vere arti d' invenzione, e che la cogni- zione ed il ritrovamento del bello non dipende da altro prin- cipio che dal perfezionamento del proprio gusto o facoltà di sentire il bello, come la cognizione e 1' invenzione del vero dipende dal perfezionamento di nostra ragione , e finalmente che il bello non è inerente alle cose buone ed utili. Queste ultime proposizioni, ove il comodo si presenti, saranno da noi altra volta anche più ampiamente svolte 5 siccome pure altra volta vedremo di compire l'esame dell'opera di Durand , percorrendo succintamente le regole ed i precetti che esso dà nel corso di essa, e che pare voler far dipendere da que'principii che noi abbiamo fìnquì combattuto. r. con permissione. INDICE DELLE MATERIE IttTRODUZIONE. M3I. -P^g* ' Filosofia. Delle cognizioni umane. Trattato del Teol. Coli. Abbà, Torino, Tip. Canfari. f. m 8 Scienze Naturali. Geologia, g « 20 Giurisprudenza. Manuale del testatore. Novara i835. /. » 26 Letteratura. Dell' arte tragica, g "29 Bei,le Arti. Durand précis des lecons d'architecture données à l'école Polytechnique. t. » 38 49 FILOSOFIA DELLA NECESSARIA VARIAZIONE DI CESARE BALBO A N. N. Permettetemi, mio antico ed ottimo amico, di veiiinni spie- gando per iscritto iilcuni pensieri che oggi disputando con voi, io appena accennavo. E non è eh' io mi ricreda di quanto vi diceva sulla preferenza che pur do in siffatte materie alle di- spute parlate. Pur sostengo che la indeterminatezza delle pa- role filosofiche, la diversa maniera d' intenderle tra chi le elice e scrìve, e chi le ascolta e legge, la facilità delle spiegazioni interpellate, ed ogni cosa in somma mi sembra fare preferi- bile la conversazione alle scritture filosofiche. Mi pare che con- versando si va più in là , e si va più giusto. Se si pressano i termini , poco danno ; se una proposizione non è giusta in tutti i sensi , ella non è presa da un uditore di senno e sin- cerità , se non nel senso in che fu detta , o se altrimenti si corregge. All' incontro la cosa scritta , non ha fisonomia , né voce, né inflessioni, né riserve, né spiegazioni. Le espressioni di parola viva , o parola morta , giuste in ogni materia , lo sono anche più qui. Ma e che monta ? la vostra salute non vi regge alle discussioni prolungate ; io sono per lasciarvi , onde ho fretta di spiegarmi ; e poi alcun vantaggio ci è pure allo scritto. Le idee si fissano; e appunto pei'chè s'arrischiano meno elle riescono forse più precise. E del resto indirizzandomi a voi , che già conoscete alcune delle mie opinioni filosofiche , voi siete in caso di intendere e correggere anche morte le mie parole. I. Ultirriamente si discusse mollo de' metodi in filosofia. Da DeCartes in qua quasi tutti i filosofi dissero , la mia filosofìa i 50 non è altro che il mio metodo, o una filosofia è un metodo, od anche più in generale , la filosofia è il metodo. E voi pure, amico , mi deste un giorno una sorta di definizione che monta a ciò , ma è pur bella e nuova nell' espressione , dicendomi ; che la filosofia determina che sia spiegazione , e quali cose sieno capaci di spiegazione. E sì che anche monta allo stesso l'altra definizione, che la filosofia è la scienza delle scienze; e r altra che è la scienza della verità. Imperciocché la verità considerata nella sua universalità e totalità , è pur veggihile da molti aspetti , attaccabile per così dire da molti lati , scopri- bile con molti metodi. Ogni metodo costituisce una filosofia separata. E notate che quelli i quali dicono , che in ogni fi- losofia vi son tre cose o tre parti, il punto di partenza, il metodo, e le cose trovate, quelli pur dicono lo stesso 5 pò- 'jsciachè nel metodo , preso nel senso più lato, è evidentemente compreso il punto di partenza 5 e le cose trovate essendo tutte comprese nella verità universale, ogni buon metodo debbe con- durre o a tutta questa o a una parte di questa più o meno estesa. Ed a determinare appunto qual parte della verità si possa arrivare con ogni metodo , tendono appunto questi pochi cenni , e tende direi la mia filosofia personale, 2. E così è che è vera quella proposizione degli Eccletici di tutti i tempi, che tutte le filosofie sono buone. Tutti i me- todi sono , debbono essere buoni ad iscoprìre la verità ; se con un sol metodo , sotto un sol aspetto, questa diventasse falsa ella non sarebbe più verità, -r- E cosi pure si può dire che le filosofie, la ricerca della verità, i metodi sono infiniti. La verità non è una materia , né sostanza , ma il complesso di rapporti delle sostanze 5 e queste , o almeno una di queste es- sendo infinita, anche la verità è tale ; ed anche tali gli aspetti di essa , i melodi a cercarla. 3. Ma come succede egli che forse tutti , certo molti di questi metodi buoni di studiare la verità , abbiano condotto poi o alla falsità universale, o almeno ad alcune falsità? Questa, s'io non m' inganno , mi pare una delle questioni più importanti non solo della filosofia passata , o storia della filosofia , ani anche della filosofia viva o futuia. Kou tenterò di sciorijlierla 51 per altrui 5 mJ» sciolta per me fin da quaiiJo iticoniiiìciai ad attendere a sliratte speculazioni, tenterò di partecipare altrui, o almeno a voi la mia soluzione. 4. Incomincio con un esempio — Tutti 1 metodi sono buoni , per esempio quello della osservazione materiale , il metodo spe- rimentale per mezzo dei sensi. Il naturalista , il medico osser- vano 1 corpi in genex'ale , e dall' uno all'altro vengono ad os- servare l'uomo. Bene sta, il loro metodo è buono; anzi è il solo buono finché osservano 1' uomo sotto 1' aspetto in elle hanno incominciato le loro osservazioni, l'aspetto materiale. Ma se veduto quanto è possibile loro della materia puf vogliano ve- dere dal medesimo aspetto , col medesimo metodo , una cosa diversa da tutte quelle vedute , chiaro è che tutte le loro de- duzioni dal diverso saranno false, quindi tutte le loro osser- vazioni anteriori inutili , il metodo antecedente incapace a px-o- gredlr più — Cbc fare allora? Cambiar metodo, cercare un aspetto diverso per vedere una cosa diversa ; passai-e da una scienza all' altra ; e nell' esempio presente dalla fisiologia alla psicologia. 5. A chi all'incontro s'ostini nel medesimo metodo, che suc- cè"derà? D'errare, certamente. Ma come «e ne avvedrà? Quando r errore diventi assurdo , 1' assurdo provato con altri metodi. E così è che la prova per 1' assurdo usata nelle matematiche, si vorrebbe, parmi, estendere alla filosofia in generale. Le prove per l'assurdo sole sou quelle che un giorno o l'altro defini- ranno i limiti de' metodi, delle diverse parti della filosofia, o sapienza generale, e delle diverse scienze e parti di scienze. 6. Io mi son forse affrettato troppo a trar le conseguenze a stabilire un principio, una regola da un solo esempio. Tor- niamo dunque indietro , seguendo anche qui i modi del con- versare , e cerchiamo altri esempi 5 vedremo allora se veniamo alla medesima conchiusione. E di nuovo prendiamo un natura- lista qualunque , o chimico occupato nella teoria degli elementi, o degli atomi della materia , entomologo osservatore di animali microscopici, od Astronomo scopritore di mondi telescopici , non importa,. Dalla considerazione degli incommensurabili e innumerevoli piccoli 0 grandi, dall' armonia del minimo ignoto 52 al massimo pure ignoto , dalla bellezza universale del tutto , o d' ogni parte queir osservatore qualunque sia , s' egli è pur alquanto ragionatore ( e tal sarà fatto dalla sua stèssa scienza, dal metodo seguito ) verrà certo a concliiudere ad una causa di ogni effetto, ad una causa universale di tutti gli effetti, a Dio. Ma e poi ? forse progrediendo egli potrà dedurre la po- tenza di Dio , la sapienza di Dio , la bellezza cioè il tipo uni- versale di bellezza che è in Dio , insomma alcuni de' suoi attributi. Ma potrà egli dedurli tutti, arrivare a tutti dalla sola scienza da lui studiata , col solo metodo da lui seguito ? Dedurrà i rapporti di Dio col mondo immateriale , non os- servato da lui , e cosi la giustizia di Dio , la bontà , e in- somma tanti altri attributi maggiori, se si può dir così , di que' primi? Chiaro parmi, tutta la verità non è mai compresa in un sol metodo, che al punto di partenza pareva pure im- plicarla. 7. Progrediamo negli esempi ; e prendiamoli ora mai nel seno della filosafla stessa propriamente detta. Ma intendiamoci bene , esempi soli prenderò qua e là dispersi 5 che se tutti volessi addurre , o sol numerare gli errori prodotti dalla ulte- riore continuazione , dalla esagerazione dei metodi , io avrei a rifare la tanto rifatta storia della filosofia, che a pur pen- sare mi fa paura — Ma a ciò pensando mi viene un' obbie- zione al già detto , e forza è che me la sgombri. Dissi buoni tutti i metodi ; è egli vero poi ? Che sia buono per esempio anche il metodo della statua di Condillac? Veramente, io credo che no. Credo che questo metodo non conduce come gli altri a molte verità parziali e non diventa solamente cattivo esage- randolo nella ricerca di tutte le verità 5 ma eh' egli non con- duce a niuna verità, che è cattivo per sé. Ma perchè? Perchè la posizione stessa del metodo è falsa ; perchè vi si suppone un aspetto che ninno ha veduto 5 perchè non. parte da una realità 5 perchè la sua prima proposizione è una bugia. Chiaro è; dal falso non può venir se non falso. Ciò non distrugge anzi prova per opposizione la mia piuma proposizione, che da ogni vero vien vero ; che ogni aspetto reale è buono a consi- derare , che ogni metodo partente dal vero è buono a seguire < 53 fino a un certo punto. — Un altro filosofo, scartata la statua falsa , parte dall'uomo nascente che è un dato vero ma incer- to ; che avvenne al suo metodo ? Che questo sarà pur Incerto , e incerte le conchiusioni. E cosi è, ch'egli deduce che la prima idea vera è quella del proprie essere o psicologica , mentre al- tri forse ne dedurrehbe , che la • prima idea vera venendogli dall'esterno , è ontologica. Un punto di partenza incerto dà un metodo incerto. 8. Ma l'esempio della statua non è che d'un erroi-e d'un tale in una scuola filosofica 5 non è errore per esagerazione della medesima scuola. Veniamo a questa , buona come l'altre nella sua partenza da Bacone, o da Lolke , e come l'altre, diventata cattiva solamente nella esagerazione del metodo. Né voglio en- trar nella ricerca, se gli errori posteriori fossero in genere nelle espressioni di questo o quelFaltro padre della scuola. Solo af- fermo che il germe delle prime verità e degli errori susseguenti era , come in tanti altri , nel metodo della psicologia de- dotta dalle sensazioni. Uno e certo era il metodo al principio suo. E innegabile la produzione delle idee dai sensi 5 innegabili molte combinazioni delle idee,- innegabile l'azione in queste di molte facoltà dell'animo 5 che anzi , forse da questo metodo rigorosamente seguito, si potrebbe dedurre la stessa immate- rialità dell'anima , contraria alla deduzione succeduta. Ma si possono esse dedurre tutte le facoltà dell' animo ? la volontà , la libertà.'' Io noi credo, o almeno non si deducono facilmente 5 e che sia così, lo prova appunto il fatto succeduto; che per non poter dedurne le facoltà, gli attributi più importanti del- l'animo, se ne dedusse (col metodo pirronista, il quale è l'e- sagerazione del metodo mio degli assurdi) la negazione dell'a- nimo che non si potea dedur nella sua essenza. 9. Altro esempio. Altri non discosti da quelli, non figli ma fratelli loro in filosofia, osservarono direttamente l'anima ne' suoi attributi, e nelle sue facoltà. Metodo come si vede supe- riore al precedente, e venuto appunto dall'aver osservata l'in- capacità del precedente ( imperciocché quest' osservazione del- l' incapacità è quella che si vuol aggiugnere a quella dell'as- surdo per venire in chiaro de' limiti di metodi. E già sovente 54 si fuce l'uno e l'altro, senza averci badato, o almcuo senza averne falla una regola ). Or che venne da questo bellissiiuo metodo scozzese deirosservazioue degli attributi e dtìlle facoltà dell'auinio ? \ennero, come era naturale, bellissime osserva- zioni , una bellissima filosofia , cbe poco o nulla produsse di falso — se non fosse la sua pretensione di essere filosofia com- piuta, od anche solo psicologia, o di condurre almeno a ciò. E difatti non è difficile scorgere che non si può fare una os- servazione , ed anche meno una descrizione compiuta di una sostanza di un ente non limitato. Diciamo altrimenti, un ente qualunque non può osservare compiutamente se stesso perchè non può osservare compiutamente la sua facoltà osservatrice 5 come in due specchi contrapposti non è possibile contare le immagini che si riproducono reciprocamente all'infinito. Tant'è vero, clic non posslam nemmeno comprendere, come Dio stesso conosce compiutamente se stesso, se non deducendo tal fatto da un attributo di Dio, dedotto da un altro metodo 5 la sua onnipotenza. Tanto lungi dunque è la filosofia scozzese dal poter dedurre le altre parti della filosofia dal suo metodo psi- cologico-spcrimentale, che ella non può nemmeno dedurre una psicologia compiuta. 10. Due altri esempi insieme. Descartes e Lelbnitz sono due de' maggiori uomini che sieno vlvuti mai , perchè unirono le sue facoltà così diverse , e difficili ad unirsi , dell'osservazione del mondo materiale ed immateriale, E non è dubbio che que- sta doppia osservazione onde partì già la filosofia ai tempi di Talete e Pitagora, non sia anche ai dì nostri d'una grande uti- lità ad aprir la mente di chi unisca le due senza confondere i due metodi. Ma qui sta la gran difficoltà. Ei non si vuole confonderli; e credo che i due nomali non gli abbian confusi. Ma ei si possono riunire," e certo è un punto d'unione dicessi; sempre ce n' è tra due aspetti della verità, due veri metodi. Ma tal unione esiste ella solamente nella mente d'Iddio o è ella arrivabile o percepibile dalla mente umana ? Gran qui- stione, che finora la spericnza non isciolse , e che la teoria non può forse sciogliere. Che più-, non si potrebbe egli pro- vare che non è solubile? Non vi sarebbero eglino in filosofia DO come in matematiclie di que' problemi non solo iusolubili, ma che si può provare che sono tali? E questo non è di quelli? Io lo crederei. Per concepir l'unione, i rapporti tra la materia e lo spirito bisognerebbe comprendere tutti gli attributi del- l'una e dell'altro. Ora dicemmo testé ( n. g) che lo spirito umano non può osservare compiutamente se stesso; e tuttavia non ha modo d'intendere- se non coll'osservazione. Dunque al- meno uno dei termini della comparazione ( e io credo due ) testerà sempre incompiuto nella mente umana. Dunque la com^ parazione non si può fare ; dunque la differenza non si può scor'- yere. Dunque i rapporti non si possono scoprire; dunque l'u- nione non si troverà mai — Io credo che altre dimostrazioni pur vi sieno della insolubilità di tal problema — E se fosse dimostrata, od almeno a coloro cui sia dimostrata che dir dei leiitativi di que' filosofi anche sommi che pur tentarono quel- l'impossibile dimostrato? Io non vi voglio scandalizzare, par- lando contro quegli uomini sommi; se no la comparazione con coloro che cercano in matematica la misura del circolo , o la trascrizione dell'angolo, loro verrebbe tutta fatta — Ad ogni mo*» do, per me, e quelli cui sia provata quella impossibilità, parmi chiaro che non solo i metodi buoni diventano incapaci e falsi esagerandosi | ma che anche nella comparazione de' me- todi buoni, vi sono le sue difficoltà, e talora le sue incapacità — E quali sono queste poi ? Quelle che altrimenti con altro metodo sieno provate tali colla prova diretta dell'assurdo. 1 1. Riprotesto che cito esempi, e non fo una rivista generale delle filosofie. E se non avessi altre ragioni , avrei questa della mia poca pei-izia nelle filosofie germaniche. Ma s'io non m'in- ganno l'osservazione fatta testé (§ io) sulla impossibilità di riunire con un sol metodo, o colla comparazione di due me- todi, il mondo materiale allo spirituale, vale anche, non dico già contra, ma sopra le filosofie germaniche, le quali belle ed anche chiare in tante parti, diventano oscure e forse inintelligibili ne' loro tentativi ad unire i due mondi , i due metodi materiale e immateriale, e talora anche in quello di unii- metodi meno distanti. Imperciocché a me pare che la qualità distintiva della filo- sofia germanica attuale stia principalmente in ciò ; ne' suoi tentativi 5G Ji unire i metodi. Tentativi per unire il metodo psicologico coU'on- tologico 5 tentativi per unire amendue col metodo teologico- naturale 5 tentativi anche per unirli tutti col metodo teologico rivelato. Ora che produssero fin al presente tutti questi tentativi? Per non entrare ne' particolari , ricorro al fatto generale. E chiaro è da questo che i tentativi non riuscirono tutti fruttuosi. Nelle più recenti produzioni filosofiche della Germania (in quella per esempio di Schelling su Cousin) veggo riprodursi questa quistio- ne dell'unione, del passaggio da un metodo all'altro. E il fatto sta che questa quistione del passaggio dei metodi, è la più grande delle quistioni filosofiche che sieno oggidì ; epperciò appunto i Tedeschi più avanzati che gli altri nella scienza ne cercano e studiano quasi esclusivamente. E fanno essi bene o male con ciò ? Benissimo certamente. Imperciocché io che credo dimo- strata assurda la ricerca dell' unione de' due mondi , de' due metodi materiale e spirituale, credo possibile , finché non mi sia dimostrata assurda, 1' unione di due metodi psicologico ed ontologico , e tante altre di altri metodi. La credo possibile ripeta , finché non mi sia dimostrata assurda ; e le ricerche appunto debbono condurre a trovare le unioni, ovvero le as- surdità. 12. E ciò mi trae naturalmente al metodo Ecclectico. Il quale sarebbe un inganno , scusate s' io dico una i-agazzata se non fosse ciò appunto 5 la ricerca dei limiti di ogni metodo, e dell' unione di ognuno. Che se fosse solamente la esposizione, sarebbe storia della filosofia e non filosofia, sarebbe erudizione e non metodo egli stesso. Io non difendo né Cousin , né ninno dettosi Ecclectico ; ma mi par che le accuse fatte ai più, con quelle parole incirca, sieno ingiuste appunto perciò, che sciente- mente od inscientemente , dicendolo, o non dicendolo, certo poi , di fatto, cercarono chi più chi meno questi limiti e questa unione dei metodi. E stoltissimo mi par l'opporre che per giudicare dell'altre filosofie, dei metodi, ci si vuol prima una filosofia, un metodo-, onde prima ci si vuol cominciare da farne una. Imperciocché ei mi par che si possa e si debba sostenere : che appunto non si può fare una buona filosofia senza seguire molti metodi ; e che l'incapacità dell'uno non si dimostra se non dall'assurdo 57 dedotto da ini altro. E ciò appuuto e non meno e non più , è , o debb' essere 1' Eccletismo ; almeno come V intendo io. — Aggiungo che il punto d' unione , che mi par cercato da Schel- ling, che la filosofia Germanica, e la moderna Francese, la somiglianza delle due, o se si voglia il carattere distintivo della filosofia odierna , la gloria che sarà fisrse della filosofia del secolo XIX, sta o starà appunto in ciò, nella comparazione e la correzione reciproca dei metodi. i3. Ma s' arriverà egli alla correzione, alla limitazione della filosofia stessa tutt' intiera , del metodo universale ? E deside- rabile ; direi che è certo nel futuro , senza determinazione di tempo. Mi par che la limitazione d' ogni metodo , colla prova dell' assurdo dedotta da un altro metodo deve a poco a poco condurre a una tal determinazione d' assurdi che la filosofia non limitata finora positivamente , riuscirà così un giorno li- mitata negativamente. E allora sarà il secolo d' oro della filo- sofia. Imperciocché le scienze procedono non meno per limi- tazione che per estensione. Quando non sì cerca più l'assurdo si sviscera il vero 5 La ricerca della pietra filosofale , e dell'oro fattizio trasse dall' Alchimia la Chimica 5 ma questa non s' a- vanzò se non quando fu lasciata quella. E la filosofia sgombra dalla ricerca degli assurdi , tanto più si addentrerà nelle con- seguenze infinite del vero. I filosofi moderni scherniscono gli antichi per le loro Cosmogonie, e Teogonie. E verrà forse un'età che pur si burlerà dei tentativi moderni non troppo dissimili. E voi vedete. Amico mio, eh' io son lungi da quelli che predicono o desiderano il fine della filosofia 5 lungi da quelli che la predicano vana , che la condannano come inutile. Che anzi un corso infinito di splendore, di utilità, di pro- gresso , io le veggo ; ma tutto ciò nei termini suoi. Imper- ciocché indubitabilmente alla mente mia , il metodo universale è soggetto alla medesima condizione , a cui i metodi speciali che fan parte di esso 5 ad avere una capacità finita j ad errare quando tenta oltrepassare i suoi limiti. 14. E parmi che ciò potrebbe dimostrarsi direttamente con altri metodi. Imperciocché , siccome vi sono proposizioni , le quali dedotte da un metodo pajono esatte , e che poi da un 58 altro metodo si dimostrano assurde , così pure sono altrr proposizioni che si dimostran vere con parecchi o con tutti i metodi , come per esempio 1' esistenza di Dio , senza entrare in tutti i suoi attributi. E cosi parmi che sia la proposizione della insufficienza della filosofia, o del metodo della ragione pura a provare tutte le proposizioni che alla ragione ajutata dai fatti esterni pur sono provate e chiare. Con più metodi , dico si potrebbe dimostrare ciò ; per esempio col metodo del senso comune , e con quello della rivelazione. Ma io non vo- glio entrare in ciò 5 che oltre che questa lettera incomincia ad esser lunga e voi non reggete nemmeno alle lunghe letture , io pure come sapete sono distratto in questo punto dai lunghi studii. Lascio dunque questo cenno, come un addentellato a trattare , se mai, un giorno o l'altro dei limiti reciproci, o dell' unione dei due grandi metodi , i quali fin dal principio , si son divisa l' umanità , il metodo filosofico , e il metodo reli- gioso. Il fatto prova che questi due metodi sono differentissimi 5 opposti talora nella direzione; e nelle conchiusioni, onde l'as- surdo dedotto dall'uno distrusse più volte il dedotto .ipparente dall' altro 5 ma che io tengo per unibili , ora che la verità è a me chiarissima per uno dei metodi , onde sorge per 1' altro una regola di assurdi che non fu , che non può essere smentita. Né tal unione distrurrà la verità della filosofia , che anzi la comproverà ; e non distrurrà l'utilità di lei , essendo utili le dimostrazioni diverse della verità, e un metodo lasciando sem- pre all' altro la dimostrazione migliore di molte parti di essa. Aprile i836. a B. 59 LEGISLA2:iONE STORIA dell'antica LEGISLAZIONE DEL PIEMONTE DEL CONTE FEDERIGO SCLOPIS In Piemonte non v'ha persona amica degli studii e dei progressi morali che ignori questa benemerita fatica , ed in Lombardia le crebbero rinomanza gli Annali universali di Statistica per un articolo del cav. Gioauetti. L'amore sincero della sua patria, e l'indipendente opinione che negli ordinamenti civili che anticamente ne moderarono i destini non è tutto barbaro e disutile, furono i generosi sen- timenti che ispirarono l'autore nel dettare quest'opera, e che con lui proverà ognuno che si faccia senza prevenzioni ad esami- narla. E gli studiosi poi delle discipline legali a cui egli par- ticolarmente la consacra , la riputeranno con esso lui « non « inutile a nutrire l'amor della patria, ed a far rivivere i frutti « dell'esperienza de' nostri maggiori. » Per raggiungere uno scopo così profittevole, il conte Sclopìs segna come a punti di partenza e quasi a condizioni della sua storia tre ricerche essenzialissime. Discerne dapprima con sin- golare accorgimento le epoche in cui con certezza di fatti e di documenti si possono osservare i primi movimenti vitali della nazione Piemontese , e queste le trova nei secoli che scorsero dal i3oo sino al i58o, nel quale terminò il regno di Emanuele Filiberto, lasciando basi novelle e migliori speranze per i regni futuri. Quindi rivela gli ordini di governo pubblico che allora furono-comuni al Piemonte come a tutta l'Italia occidentale, e finalmeute determina i limiti territoriali che in quei secoli costituivano il vero Stato Piemontese. Venuto per tal modo sopra un terreno conosciuto e raffermo, l'autore si volge con franchezza e perspicuità di metodo a de- scrivere le leggi politiche per cui i Principi di Savoja rassodarono 60 ed ampliarono sotto il loro dominio questo Stato, qual parto di governo vi abbiano esercitato i Comuni, quali fossero le regole e le forme di amministrare la giustizia, e come finalmente le leggi civili, le criminali, le feudali e le ecclesiastiche provve- dessero sulle persone e sulle proprietà di coloro che abitarono prima di noi queste contrade. Investigazioni di tal fatta non possono intraprendersi se non da chi sia penetrato della verità che la legislazione è l'espres- sione più fedele della vita di un popolo, ed abbia fatto uno studio profondo dei varii periodi e mutamenti politici, morali e religiosi per cui esso è trascorso. Si è la storia della legislazione quella che può insegnare qual sia stato l'organo della legge , ossia il potere supremo donde essa emana , scoprire le forze intrìnseche di cui esso ha potuto gio- varsi per reggere lo Stato, determinare le naturali tendenze della nazione e le mire politiche del suo legislatore. Sarà egualmente ufficio di questa storia la soluzione del problema, se gli effetti della legge abbiano sempre ed in qual proporzione corrisposto al fine a cui era diretta. Da consimili indagini procederà senza dubbio l'opinione che se la moralità delle leggi e la prospera condizione de'popoli non possono per avventura tutte dipendere dalla forma politica dello Stato, dove però vinse il principio del feudalismo, o quello degli ottimati penetrò, massimamente nel primo loro afforzarsi , gli ordinamenti fiscali , i militari , 1 privilegi dovettero soverchiare le istituzioni civili. Il perchè la legislazione vivente in tali epoche , rimarrà poco meno che indifferente per i municipii e per le classi minori della società, e provvedei'à piuttosto agi' interessi esteriori dei governanti che non a quegl' interni dei governati. Questi perciò si vedranno abbandonati al disposto della legge indigena preesistente, e di quelle consuetudini che il momento avrà consigliate per adat- tarla alle mutantisi circostanze di tempo e di luogo. Importava quindi al merito dell'opera, a cui il conte Sclopis si è applicato, il farci conoscere come in quei tempi deplorabili lo Stato venisse piuttosto amministrato a guisa di proprietà che di nazional co- munanza, la sovranità ravvisata soltanto come un diritto, non come un ufficio, come le leggi più vi fossero di protezione che 61 «li giustizia, e come ancora più vi apparisse la conquista clie il governo. Questi caratteri, che si scorgono in tutte le legislazioni de' mezzi tempi, potevansi con tanto minor cordoglio notare in quella del Piemonte, con quanto maggior sollievo veniamo tosto dallo Sclopis confortati colla esposizione di quei provvidi tem- peramenti che la politica de'suoi Sovrani, e la saviezza de'Gomuni vi hanno a grado a grado introdotti. Né scarsa può tornare la lode al nostro autore nell'averci con tanta evidenza rappresentata nel capo vii della sua storia l'intricata costituzione feudale. E sebbene con onesta sollecitudine egli la voglia monda da un turpe diritto se per diritto le si appone , pure non dissimula che la nuda forza ne era il principale fondamento *i. E tanto poi è fedele nel ritrarne i vizj , che neppure rallegra il triste quadro colla consolante idea di Guizot che sotto il governo feudale e mentre lo assiduo avvicendarsi delle offese e delle difese co- stringevano a più stretti consorzj e gli oppressori e gli oppressi , rinacque allora più gagliardo il bisogno di ripararsi in grembo ai sentimenti ed alle virtù domestiche , e cosi sia avvenuto che quando sfasciavasi d'ogni parte la società pubblica e soffriva , quella interna della famiglia si ricomponeva e respirava. La- sciando alla immaginazione la lusinga di questa elegante con- ghiettura , viensi del resto a provare un positivo conforto leg- gendo nella storia del conte Sclopis come i Principi di Savoja superati i conflitti sostenuti con quei di Acaja , e coi marchesi di Saluzzo, siano ora colla forza dell'armi , ora colla prudenza de' trattati, ed ora per fortuna di successioni o per ispontanee dedizioni pervenuti a ridurre nella potente lor destra tanta folla d' incomposti poteri. Ed è per essi gloria giustissima lo avere saputo coir andare de' secoli moderarli talmente , che sarebbe oggimai una visione ed un sospiro colpevole quello che si for- masse per lo ritorno di que' tempi e di quelle istituzioni, do- vessero pur anche restituire alla nobiltà Piemontese quelle tanto ampie e quasi regali franchigie che il nostro Storico ricorda es- *i 11 preteso diritto della deflorazione de'talauii, che il volgo è ancora avvezzo a chiamare yf/s /òt/er/i , sebbene realmente questo consistesse nel provvedere le vetlovaglie alle soldatesche (pag. 4'")' G2 sere state nel 1 36o con essa patteggiate in Risoli da Amedeo VI * i. Di assai migliori frutti per la civiltà europea e particolarmente d' Italia furono feconde le franchigie de'Comuni. Da esse surscro più libere e più miti le relazioni delle divise popolazioni ; ebbero culla le cittadinanze federative. Usando la facoltà di formare statuti , ridussero in legge scritta quanto l'esperienza aveva loro insegnato essere vantaggioso alle famiglie ed ai privati terrieri, e che vagava ancora nell'incertezza delle consuetudini. Egli è in queste loro costituzioni come nella legge romana che fu per lungo tempo custodito il fuoco sacro della ragion civile. Né vi sarà quindi persona che accagioni il conte Sclopis di demagogica fantasia per- chè abbia pensato con Thierry che i Comuni furono i depositarli dei diritti delle masse, gli archivisti quasi dei loro titoli, e che in essi il terzo-Stato rinviene i suoi antenati. Bensì taluno avrebbe forse desiderato che la storia dell' antica legislazione del Pie- monte avesse con più distinta unità esposta l'origine e l'efficacia di quelle consuetudini che o ridotte in peculiari statuti od affidate soltanto alla tradizione avevano pur forza di legge. Cosi avrebbe essa più direttamente giovato a conoscere qual fo."se la primitiva indole delle nostre inclinazioni ed esigenze sociali. Nello studio di fatti della giurisprudenza statutaria a cui il conte Sclopis avesse consacrato un capo della sua storia , troveremmo la ragione delie nostre leggi sulla patria potestà, sull'agnazione, sulle successioni, e sui fìdeicommissi, e saremmo fatti capaci coll'avv. Gioanetti che per il Piemonte non era ned è forse ancora opportuna la consuccessione eguale delle femine , e come questa abbia sempre sinora ripugnato al sentimento comune della nazione. E sebbene dalle condizioni di una legislazione antica di appena quattro secoli, mal si possa arguire alle opportunità presenti dopo tante e così enormi mutazioni di stato civile, e diremo anche politico; pure a noi sembra che non più inopportuna, e forse meno ripugnante all' odierno spirito piemontese giungerebbe quella eguaglianza di suc- cedere, ove venisse ristretta alle successioni provenienti dal lato ma- terno, poiché per queste restando sempre straniera l'opera , ed ogni idea di condominio dell'agnazione e reputandosi come sostan- za sopraggiunta e non calcolata in famiglia, avrebbevi certo una *i Gap. VII, pag. 4'-i3 e sfeg. 65 equità nel partecipare al minor sesso ciò clie proviene dalle persone del sesso medesimo. D' altronde essendo le figlie le più inseparabili e costanti compagne della madre , e per esse più necessarie e durevoli le di lei cure , siccome alle stesse sue sorti esse sono per l'ordinario chiamale nella società, così con eguale misura coi figli dovrebbero partirne il retaggio. Checché però ne possa avvenire di questo nostro concetto tor- nando all'opera dello Sclopis noi teniamo per uno de'suoi maggiori pregii , lo aver confermato coll'esperienza dei fatti e delle vicende che narra , la santità di alcuni principii , che professati da un inge- gno come il suo, non possono a meno che promettere alla legis- lazione del Piemonte grandi ed utili progressi. E di fatto come ad argomento e risultato della perfettibilità umana , egli colle lezioni della sua storia ne guida necessariamente a persuaderci che i Comuni sono i veri elementi della società, che il potere politico non ha base sicura senza la proprietà territoriale sa- viamente distribuita , che il concentrarla nelle mani di pochi fu sempre danno gravissimo: che la pubblicità e l'uniformità dei procedimenti giudiziarii formano la più valente guarentigia della tranquillità individuale e pubblica: che infine l'autorità legislativa in qualunque forma di governo ha sempre con sé il bisogno di cautele cercate nell' assentimento delle basi costitutive della società , e che senza di questo concorso la legge riesce molte volte ingiusta od inefficace. Così in Piemonte atte- stano questo bisogno gli ufficii prima degli Stati, poi dei Con- sigli , ed ultimamente la interinazione dei Magistrati. Tali sono le conseguenze che si raccolgono sparse nella storia dell'antica legislazione del Piemonte , e tutti gli onesti debbono saper grado all'autore, ch'egli non le abbia traviate o guaste. Fece Jn tal guisa manifesto ch'ei tenne l'animo suo troppo gentile ed illuminato lontano dalla desolante dottrina di coloro che non consentono alla natura umana altra forza che quella sola del- l' inerzia , ovvero di una fatale e perenne roteazione sugli stessi bisogni , e sugli stessi mezzi per satisfarli. Conviene certamente rispettare la potenza dei fatti materiali e pratici e tenerne buon conto, tuttoché talvolta infermi ed imperfetti ; ma nello stesso tempo non dispreizare a maestra, la filosofia, ossia l'intima 64 ragione che li corregge, Cos\ mentre l'uomo prudente sehte tutti i pericoli di una sconsigliata mutabilità negli ordini sociali, il vero saggio confida nel movimento verso il meglio che la Sapienza infinita impresse ne' destini umani. Ducici per altro che i confini che lo stesso autore segnò alla sua storia non gli abbiano permesso lo sviluppo di questi principi! in tutti i loro risultati, ed essi emergano piuttosto come necessarie illazioni dagli eventi che quivi descrive ove specialmente vengano raffrontati colla storia di altri paesi. Duolci ancora che per questa stessa angustia di confini, come l'autore ci palesa, ei siasi astenuto dal comprendere nella sua opera le leggi di amministrazione economica , senza le quali una storia della legislazione non può essere compiuta. Non possiamo per altro su di ciò consentire nel dubbio poco onorevole pei piemontesi ingegni, a cui piacque al cav. Gioanetti di attribuire siffatta lacuna , che in Piemonte cioè , pochi siano convinti che 1' associazione delle vedute di economia pubblica con quelle di giurisprudenza può solo con- durre la legislazione ad uno stato normale di perfezione 5 mentre nel nostro Piemonte non v' ha modesto cultore delle scienze legali che non sappia ^ ed il nostro Storico meno d' ognuno , essere gli ordini di finanza e di commercio cosi strettamente collegati con quelli di diritto civile, che dalla loro scambievole azione giustamente librata può nascere unicamente non la sicu- rezza soltanto ed il riposo, ma ben anche ìa. Jloridezza ed il perfezionamento dello Stato. Sarà quindi sempre da desiderarsi, e tutti desiderano, che l'opera legislativa signoreggiando tutta l'uni- versalità delle additate vedute, si estenda a conciliarne la be- nefica unione in tutti i rami della sapienza governativa. Che se a ragione non temessimo il rimprovero, che le nostre parole piuttosto che su ciò che ha scritto, si aggirino su ciò che il conte Sclopis non scrisse e non aveva proposito di scrivere, noi noteremmo ancora nella sua storia altri lamentabili silenzj. Ed in vero chi leggendola non s'interroga se nelle età da esso dis- corse non vi erano in Piemonte regolamenti di forza pubblica di pubblica istruzione, di educazione? Eppure in altri paesi ed in altri tempi meno de' nostri conosciuti e più remoti il [conte di-Pastoret aveva nella celebre sua storia della legislazione os- 65 servati dove i germi e dove lo sviluppo di queste importanti istituzioni. Ma la sobrietà clie il conte Sclopis si è imposta, dolse per avventura più di tutto a coloro che domandano alla storia gli ultimi ed i generali risultameuti di essa, gli effetti in una parola che le leggi producono nei più intimi rapporti della vita soèiale. Amerebbero costoro di trovare nella storia di un' antica legis- lazione palesemente dimostralo come gli ordinamenti politici , civili ed ecclesiastici di quei tempi abbiano influito sui costumi de' popoli , quali abitudini, quali tendenze vi abbiano scolpite, quali benefizi e quai mali vi abbiano fatti, riparati ©preparati, quali ostacoli abbiano tolti o lasciati al miglioramento delle venture generazioni. Da tali dimostrazioni vorrebbero essi im- parare le insistenze o le riforme che possono rendere più felici le presenti, e conoscere ad un tempo quali siano quei ^/v/ffi che si possono raccogliere dalU esperienza de' nostri maggiori e se convenga farli indistintamente riviver tutti , ora che quell'espe- rienza giunse a noi confortata di consigli più vasti e poderosi. Sarebbe stata questa a parere di quei mal soddisfatti , come nelle storie del Sismondi, una utile e filosofica conclusione alla storia del conte Sclopis, ed il commiato che avrebbero preso da essa sarebbe stato più contento e solenne di quello, che lor sembri tornare dalla gretta e tutta curiale notizia con cui termina il suo libro 5 che nelle cause degli Ebrei di competenza delfoio ecclesiastico doveva pure intervenire il loro Conservatore. Ma come il conte Sclopis avesse senno, coraggio e dottrina per appagare quando che fosse con usura questi desiderii, celo mostra abbastanza e l'intiero contesto della sua storia, e i più recenti suoi Discorsi sulla Legislazione , intorno ai quali con- tinueremo altra volta le nostre osservazioni. 6'. B. 66 SC.IE3'IE MOEAI.I QUESITI SOPRA I PUBBLICI UFFICIALI DEL BARONE Torino , i836 Presso Gaetano Balbino Librajo iii Doragrossa. Come a fornire un bell'edificio non basta la buona idea del- l'architetto , se coloro" che debbono por mano ad eseguirla non rispondono all'intenzione dell'artista: né qualunque teoria mec- canica produrrà mai alcun buono ed utile risultato, se manchi l'abilità e l'industria in coloro che deggiono propiuoverne l'ap- plicazione e l'effetto ; così parimente avviene negli ordinamenti sociali , i quali , quantunque buoni per se stessi , poco frutte- ranno per la felicità de' popoli, se coloro che debbono sopran- tendere alla loro esecuzione ed applicazione non abbiano in sé virtù , attitudine , diligenza e generosità necessarie a cotanto effetto. Nella passata e nella presente età molti preclari ingegni italiani si sono rivolti al perfezionamento de' diversi rami della scienza politica; ed ajutati dal movimento indipendente della presente filosofia verso la ricerca de' primi principi d'ogni scienza discopersero molte verità , altre già conosciute meglio chiari- rono e confermarono, fecero applicazioni inaspettate di trovati antichissimi , non prima prevedute , od almeno trascurate ; e soprattutto diedero opera ad ordinare la scienza sociale in un insieme più compiuto e più ragionato. Molto, egli è vero, s'è già fatto fino a' dì nostri per giungere a quel grado di presente civiltà, la quale tante fatiche d'uomini costa, e tanto sudore di dotti e di legislatori, e tanto ingegnarsi di valorosi artefici: ma molto ancora resterà a fare a coloro che verranno per con- durre la scienza civile a quella perfezione, a cui ella può per- venire. Contuttociò vogliono riguardarsi siccome benemeriti della civil società, ed aver cari i nomi del Genovesi, del Fi- langieii, di Mario Pagano, del Romagnosi , e di quegli altri j 67 di cui con nobile intendimento scrisse non è gran tempo le biografie il Pecchio. Ma se di grand'obbligo dobbiamo essere tenuti a quelli che potrebbersi :chiamare gli architetti della civil perfezione j grande lode si debbo pur anche a chi con ge- neroso pensiero prende a dettare consigli ad ammaestramento di coloro , cui è principalmente affidata 1' applicazione delle buone leggi, il mantenimento delle buone instituzioni, il prov- vedimento ai bisogni occorrenti dei popoli, e la parte pratica, diremmo , del ben essere sociale. Questo scopo si è proposto in un opuscolo uscito novella- mente alla luce il signor barone Giuseppe Manno, uno dei principali ornamenti delle lettere piemontesi. Quegli che già scrisse con tanta dottrina e venustà dei vizii de' letterati, ora pubblicò una nuova scrittura minore bensì di ampiezza , che quella prima 5 ma di quella assai più importante per la gran- dezza della materia. L'illustre autore volle intitolarla : Quesiti sopra i pubblici Ufficiali , mentre foi'se più le sarebbe conve- nuto il titolo di doveri. Di quest'operetta facciamo qui un pic- colo sunto per rendere omaggio alla dottrina ed all'ingegno di uno scrittor nazionale, di cui tanto s'onora la patria; e per invogliare i nostri lettori alla lettura di quella scritta , dalla quale non altro che diletto ed utile potranno ricavare. Nel ragionare de' vari doveri che incombono ai pubblici uf- ficiali l'autore giudica, che lo studio di tali doveri, e l'abilità per adempirli si richiegga in modo più speciale a chi vive sog- getto a paterna signoria, che a chi vive in alcuno de' governi chiamati liberi , e questo per tre ragioni che l'autore tocca in diversi luoghi della sua operetta. La prima si è, che ne' governi chiamati liberi si tengono in minor conto alcune virtù dei pubblici ufficiali , perchè si dee far conto massimo di alcune altre ( pag. n ). La .seconda l'autore la deduce dalla durata dell'officio molto più stabile ne' governi monarchici, che in quelli d'altra ma- niera ( pag. 35 ). La terza la desume l'autore dalla maggiore larghezza , che hanno nell'amministrazione delle loro cariche i pubblici uffi- ciali ne' paesi monarchici, nei quali le leggi non tanto sminuz-" 68 zolaLc lasciano tjualche cosa al prudente arbitrio dei pubblici Magistrati ( pag. 53 ). A queste ragioni pare a noi che un'altra ancora se ne po- trebbe aggiungere : ed è il sindacato più frequente e più severo, alcuna volta anche acerbo , che si fa negli stati liberi intorno alle operazioni dei pubblici ufficiali. Quanto si è all'importanza e necessità che i pubblici ufficiali sieno buoni , oltre all'onestà ed al dovere che l'esigono, l'autore la prova eziandio dai mali che risulterebbero dall'am ministrar male i pubblici officii. Giacché, scrive egli, dicano pure quello che vogliono gV ideologi politici , nella moltitudine dei sudditi il maggior numero sarà sempre di coloro che giudicano della bontà del governo non per politici ragionamenti , ma per la somma del bene e del male che a ciascuno ne viene, e per quei pochi alti suoi che toccano la loro persona e le loro so- stanze. I quesiti sopra i pubblici ufficiali , ne' quali si discorrono quelle cose che ad essi convengano o disconvengano, sono trattati dal- l'autore con grande sapienza, dignità, esperienza delle pubbli- che cose , e sottile discernimento del vero e del buono. Tocca egli dapprima della diligenza che si richiede nel pubblico uf- ficiale , e paragona l'obbligo assunto da questo all'obbligo che nasce a chi accetta un mandato. S'addentra nell'esame dei mali che possono nascere dalla negligenza de' pubblici ufficiali nel- l'andamento delle faccende dello stato , soprattutto da quella negligenza, o direm meglio dappocchezza, che tace per sover- chio rispetto il vero a chi si convien dirlo. Quel rispetto so- verchio, scrive l'autore, è non tanto una ommessione , come un tradimento : poiché la verità ha non solamente per sé la presunzione d'essere aggradita , ma il diritto ancora di essere sempre disvelata. Pvicerca egli in secondo luogo se sia lecito a tutti di ambire un pubblico officio , e con discorso avvalorato da buone ragioni prova che la regola morale, la quale non concede agi' incapaci di ambire il servizio dello stato, vieta a più forte ragione che domande siffatte trovino accoglimento. Il terzo quesito mostra essere biasimevoli quelle raccomandazioni jghe propongono ad un pubblico officio un inetto. Chi racco- 69 manda, dic'egìi , assume come il carico d\ina cauzione : l'ac- cetterebbe egli se si trattasse d'un suo privato affare? Nel quarto quesito si stende a dimostrare come sia importante la giustizia dei pubblici ufficiali nelle cose piccole. Le grandi ingiustizie , così scrive l'autore, sono sempre riparate da un governo giusto* e perciò quegli, il quale si è dapprima risentito del torlo , finisce col render grazie a cbi lo ripara. Ma le ingiustizie leg- giere, quelle che direbbousi meglio incommodi , disturbi, di- spregi, appunto perchè nonhavviper l'ordinario maniera di rimedio sentonsi più addentro, e propagano un abito di avversione al governo. In questi tempi l'alta tirannia non è più possibile . . . ma havvi una quasi tirannia d'ordine inferiore , 1' ingiustizia dei pubblici ufficiali nelle cose piccole. Rifcercando nel quinto dove finisca l'emulazione e cominci il broglio , riduce l'onestà dell'emulazione ad un solo consiglio : qualora si riconosca pel migliore degli espedienti onde innalzarsi fra gli altri, l'ottimo servigio, e l'aver la mira non tanto a soverchiare gli altri , quanto a far valere la propria opera. E considerando ancora , che molte sono le maniere per le quali si può salire in fama di diligente ed utile servitore dello stato , dice non esservi cagione di tanto trava- gliarsi per l'eccellenza d'una qualche virtù ne'rivali, dove tante altre virtù possono servire di fondamento alla fortuna. Ragio- nando nel sesto di molte maniere di coraggio necessarie ai pubblici ufficiali , pregia altamente quella , per cui il pubblico ufficiale convinto d'una gran verità piantasi immobile in faccia alle contraddizioni 5 combatte apertamente le opinioni palesi ; non ìscade d'animo per le mene occulte che gli si oppongono , e sopporta il biasimo dei contemporanei in grazia della poste- rità. Poscia rifacendosi col pensiero a quell'epoca dell'anno an- dato , in cui il nostro paese fu travaglialo dal morbo colerico prova con valide ed eloquenti ragioni che i pubblici ufficiali sono tenuti a stare immoti al loro posto, anche alloraquando pel crescente rischio della propagantcsi mortalità le città sono in turbamento , e si disertano. Nel settimo esamina i vantaggi e i disavvantaggi dello spirito di corpo : e tra questi ultimi annovera la soverchia ostinazione per la stabilità delle antiche dottrine, quando la mutata condizione di persone, di cose e 70 (li tempi esige un miijlioraniento. Nell'ottavo finalmente di- scorre quali sludii convengano ai pubblici ufilciali , e giudica sapientemente che questi studii deggiono essere ampi e per- fetti , e rivolti principalmente alla filosofìa ed alla stoi'ia. E per dir vero noi non sappiamo come si possa concepire nella mente che il buon criterio, e il pensare rettamente sia affatto distinto o indipendente dalle necessarie cognizioni ; e che ad ammini- strare come si conviene un pubblico officio basti pratica, fatica e buon senso. Sarà mai questa la ragione pura di Kant o l'otti- mismo di Gousin? Dottrine sono queste non certamente nuove j ma quello che più imporla, vere e bene ed efficacemente scritte. Della integrità ed astinenza dei pubblici ufficiali o nulla , o poco disse il Manno : ma forse se ne rimase pensando, che ;ivrebbe fatto ingiuria alla virtù de' Maestrati. Se avessimo a cercare tra le memorie de' tempi andati un personaggio vissuto negli ufficii della patria , nel quale tutti con- venissero i quesiti sopvammentovati , il troveremmo in Giulio Agricola, di cui con tanta dignità ed altezza di pensieri scrisse la vita Tacito, quel profondo conoscitore degli uomini e degli umani eventi. Giulio Agrìcola inviato giovane a militare in Britaunia ap- plicò r animo ad isclebitai'si con peculiar diligenza del suo mandato. Fu suo studio imparar da' periti *i, seguire i migliori , nulla pretendere per giattanza, nulla ricusar per paura, in ogni cosa recare prontezza ed attenzione. Non adoprò egli mai né ostentazione né artificio. Ottenne il consolato perchè pareva pari a ciò, non che ne parlasse egli. Messo a governo della Britannia a liberti e servi niun negozio pubblico commetteva : non vi chiamava niun soldato per favori privati , raccoman- dazioni o preghiere de' centurioni ,• ma teneva per migliori i più fedeli: ogni cosa sapea , non tutte correggeva: a' peccati leggeri applicava perdono , a' gravi severità: né sempre coi castighi, ma più spesso della penitenza si satisfacea : gli ufficii, e le amministrazioni dava ad uomini impeccabili , anziché ■*! In questo, ed in alcuni altri passi ricavali dalla vita d' Agricola ci siamo valuti della pregiata traduzione del signor conte Cesare Balbo , siccome quella, che più d' ogni altra ne pare esprimere in bello, cfticace , e nobile siile italiano i grandi concftti dillo sierico latino. 71 averli a punire poi , quando avessero peccato. Come era piace- vole coi buoni ; cosi duro ài malvagi : del resto non rimaneva nulla mai della sua collera. Non avea tristezza , arroganza, né avarizia: e, difficilissima cosa, la dolcezza in lui non iscemò mai l'autorità, né la rigidezza l'amore. Sapea scompartire il tempo de' negozj e de' riposi. Tennesi discosto d' ogni gara coi colleghi, d'ogni contesa coi procuratori, stimando senza gloria il vincervi , vergognoso l'esservi vinto. Di coraggio diede prova generosa allorachè giunto al governo della Britannia, a mal- grado della state finita, de' soldati sparsi per la provincia, e della loro speranza di posare per quell'anno , cose lunghe e contrarie al cominciare : e benché a molti paresse meglio fra i dubbj star a bada , Agricola deliberò farsi incontro al perico- lo, perchè giudicava quello migliore, e più utile consiglio, ed era. Ne mancarono in lui gli studj , cui nella prima gioventù applicò l'animo ardentemente. Cotale era Agricola, cui, sembra a noi, a meraviglia rispondo r idea dell' ottimo ufficiale , rappresentata dal Manno. Che se paresse ad alcuno essere questo troppo alto esempio d' illustre personaggio adoperato ai servigj della patria , si potrebbe ri- spondere,* che dagli alti esempj possono ritrarre tutti piccoli e grandi, ciascuno secondo il modo della sua possibilità, e della sua social situazione. E per dire qui in ultimo ancora alcuna cosa dell' operetta , che abbiamo alle mani, ne pare, che se l'illustre autore avesse avvalorate le sue gravi dottrine con alquanti più esempj , come fece il Macchiavelli ne' suoi discorsi sopra le Deche dì Tito Livio , le avrebbe per avventura l'ese più efficaci , e più persuasive. Ma noi non ci riputiamo da tanto da poter dar consigli al sig. Manno ; molto meno da por mano a censurare quelle cose , che a noi pajono dette con non troppa esattezza : come , a cagion d' esempio , quello che 1' autore scrive a pag. 90 : che a chi ben conosce l' umana natura tanto vale il cre- dere , che abbiavi certe mutazioni di teorie politiche fatte per render gli uomini compiutamente felici , come gioverebbe lo sperare, che un mutamento nella medicina possa farci vivere per più secoli. Al che si potrebbe forse rispoudcre , che se 72 quel mutamento non può farci vivere più secoli , potrebbe tut- tavia farci vivere più sani. Così ancora alla pag. 4i discorrendo l'autore come sia importante la giustizia de' pubblici ufficiali nelle cose piccole , pare , die faccia derivare in gran parte r obbligo , che quelli hanno di osservarla dalla loro riconoscenza verso chi ha loi'o conferito il pubblico ufficio , che essi occu- pano. La qual cosa sembra contraddire a quello, che egli scri- veva più addietro ( pag. 26 ), che gli officj pubblici non si hanno a considerare come benefizj , che si conferiscano dal Governo. La riconoscenza non può nascere da altro, che dall' avere in conto di beneficio quello che si riceve. Potrebbesi ancora osservare , che la mente dell' autore non appare ben chiara in alcuni luoghi del suo libro, e bisogna intravederla come attraverso d' un velo , somigliante a quello , che Mon- tesquieu ha disteso sopra molte dottrine della sua grand' opera: lo Spù'ito delle leggi. Queste cose abbiamo qui notate più come osservazioni, che come giudizj. Del rimanente noi pregiamo e commendiamo assai le gravi disquisizioni, e i meditati ragionamenti, che r autore ha in così poco numero di pagine compresi , e repu- tiamo il libro de Quesiti uno di que' pochi dettati col* generoso intendimento di giovare , e che gioverà effettivamente. Perocché non è da credere , che avvenga del benessere d' una nazione , come di quello d' un individuo , che sovente si corrompe per soverchia cura , che gli si adopera attorno , siccome più inge- gnosamente, che con verità scriveva Jouffroy *i. I pregj del libro de' Quesiti sono que' medesimi , che distinguono le opere tutte uscite finora dalla penna del signor Manno : senno , dot- trina , e dignità. < *i De l'étit actuel de l'humanité. G. 75 SOPRA I GEROGLIFICI EGIZIANI. Avendo letto neZZ' Annuaire du Bureau des Longitudes pour l'an i836 un articolo del sig. Jrago , in cui si con- tiene la storia della prima interpretazione esatta, che sia stata data de' geroglifici egiziani , e potendo questo servire quasi d' introduzione a varii lavori , che in progresso di tempo noi intendiamo d' inserire in questo Giornale , ab- biamo creduto far cosa non discara a' nostri lettori dan- dolo qui volgarizzato , e toltene soltanto poche cose , che ci pajono calzar meno al nostro proposito. Essendo io, non ha molto, occupato nel pubblicare un elogio storico del dottore Tommaso Young, vennemi in pensiero , che il capitolo, nel quale io ho discusse le ragioni de' due insigni (T. Young e Ghampollion minore), ciascuno de'quali pretende se il primo avere dato una giusta ed esatta interpretazione de' geroglifici egiziani , fosse di tal natura , da far parte di questo Annuario. L'interpretazione de' geroglifici, diceva io a me stesso, terrà certamente il primo seggio fra i più nobili trovati di questo secolo, e dopo la viva contesa per quella eccitatasi, dee essere comun desiderio il sapere , se la Francia può a buon diritto rivendicare questo nuovo titolo -di gloria. Adunque e la gravità della cosa per se stessa, e vera carità di patria mi hanno in- sieme spinto a consegnare in questo libro il risultamento dell' accurata disamina che ne ho fatta. Due maniere diverse di scrittura furono trovate dagli uomini. Una , ed è la geroglifica , viene adoprata da' Cinesi 5 l' altra di uso comune al presente , appresso gli altri popoli , chiamasi alfa- betica o fonetica. I Cinesi non hanno lettere propriamente dette ; veri geroglifici sono i caratteri che essi adoprano per iscrivere; 74 rappresentano Idee, non già suoni od articolazioni. Quindi casa esprimasi con un solo speciale carattere non soggetto a veruna mutazione, quand'auclie tutti i Cinesi nella lingua cui parlano venissero ad esprimere una casa con vocabolo affatto diverso da quello, con che di presente vien designata. Né ciò dee punto farci meraviglia , se si pon mente alle nostre cifre numeriche , anch'esse veri geroglifici. Il numero otto, per cagion d'esempio, si esprime da per tutto, in Francia, in Inghilterra, nella Spa- gna ecc. collo stesso carattere, cui il Francese pronunzia huit , l'Inglese eight, lo Spagnuolo odio ecc., lo stesso dicasi di tutti gli altri numeri. Quindi , a dirla di volo , se i segni ideogra- fici cinesi fossero adoprati generalmente , come sono le cifre arabiche , ciascuno leggerebbe nella sua propria lingua i libri scritti , come legge i numeri , senza avere bisogno di conoscere neppure un solo vocabolo della lingua parlata dagli autori di que' libri. Non cosi avviene alla scrittura alfabetica: quel felice ingegno che trovò l'arte di dipingere la parola , e parlare agli occhi , avendo osservato che tutti i vocaboli delle lingue, anche le più doviziose , sono composti di picciol numero di suoni od arti- colazioni elementari , inventò da ventiquattro o trenta segni ossieno lettere a rappresentarli. Con questi segni in varie guise tra loro congiunti poteva egli scrivere qualunque parola che venisse a ferirgli l'orecchio, anche senza comprenderne il signi- ficato: la scrittura cinese o geroglifica rassomiglia all'infanzia dell'arte 5 è falso tuttavia , sebbene altre volte detto da molti , che per imparare a leggere nella Cina richiedasi la lunga età d'uno studioso mandarino. Rémusat , il cui nome richiama alla mente una delle più gravi perdite fatte per le lettere , sì col proprio esempio, e sì ancora con gli egregi discepoli che ogni anno informava con le sue lezioni ben dimostrò , che s' impara il cinese come s' imparano tutte le altre lingue. Ed è pari?aente erroneo il dire , che i caratteri geroglifici valgano soltanto ad esprimere idee comuni : alcune facciate del romanzo Yu-kiao-li , ovvero le Due Cugine , basterebbero a far vedere, come le astrat- tezze anche le più sottili non isfuggono alla scrittura cinese. Capitale difficoltà di questa scrittura sarebbe il dover esprimere 75 xin nome nuovo. Un maudarino di Canton avrebbe potuto scrivere a Pekin, che addi i4 di giugao una delle più memorande battaglie salvò la Francia da grave pericolo 5 ma non avrebbe saputo con caratteri puramente geroglifici in qual modo esprimere per let- tera , che sì glorioso evento avvenne presso al luogo di Marengo , uè che Bonaparte era il nome del vittorioso capitano. Un popolo, appresso il quale da terra a terra non si potesse tramandare i nomi proprj che per messaggi, sarebbe senza fallo nell'infanzia della civiltà ; né così sta il fatto pel popolo cinese. I caratteri geroglifici formano, egli è vero, la maggior parte della loro scrittura 5 ma qualche volta , e principalmente quando fa di mestieri scrivere un nome proprio, quelli vengono spogliati del loro significato ideografico, e sono ridotti a non più esprimere che suoni ed articolazioni, in una parola diventano vere lettere. E queste premesse non sono già vane al nostro proposito. Le quistioni d'anteriorità, che i sistemi di scrittura egizia hanno eccitate , potranno quindi essere di leggieri spiegate e comprese. Noi troveremo in fatti nei geroglifici dell'antico popolo de'Faraoni tutti gli artifìzj de' quali usano i Cinesi ne' giorni nostri. Più luoghi d'Erodoto, Diodoro Sicolo, e S. Clemente Ales- sandrino han fatto conoscere, che gli Egiziani usavano di due o tre sorta di scritture , e che in una di quelle per lo meno i caratteri simbolici 0 rappresentativi aveano una gran parte. Di più Orapolline ci tramandò il significato di parecchi fra quei caratteri , i quali segni così conservatici , non sono tuttavia che piccolissima parte degli otto o novecento caratteri, che già furono osservati nelle iscrizioni de'monumenti. I moderni , e fra gli altri Kirchero, tentarono di accrescerne il numero; ma i loro sforzi altro frutto non portarono, che quello di far vedere, a quali errori vadano soggetti gli uomini i più dotti, allorquando nella investigazione de' fatti si abbandonano senza freno alla loro fan- tasia. Per mancanza di dati positivi l'interpretazione delle scrit- ture egizie parca da lungo tempo a tutti i buoni ingegni im- possibile, quando nel 1799 M. Boussard, uffiziale del genio, scoperse per alcuni scavi' fatti da lui eseguire presso a Rosetta una larga pietra coperta di tre ordini di caratteri affatto distinti. Uno di questi tre era scritto in greco , dal quale era chiara- 76 mente indicato, die gli autori del monumento aveano ordinato, che in tre diverse maniere di caratteri fosse incisa la stessa iscrizione; cioè in caratteri sacri o geroglifici egiziani, in ca- ratteri della contrada o volgari, ed in lettere greche: cosi per inaspettata ventura rappresentavasi ai filologi un testo gr^co colla traduzione in lingua egizia , od almeno con trascrizione di due maniere di caratteri stati già in uso sulle rive del Nilo. Questa pietra di Rosetta divenuta cosi celebre , e di cui M. Boussard avea fatto omaggio all'Istituto del Cairo, fu tolta a quel dotto Corpo allorquando l'armata Francese sgombrò l'Egitto. Vedesi di presente nel museo di Londra, dove, al dire di Tom- maso Young, splende quale monumento del valore britannico! Lasciando stare da un canto ogni valore , il celebre fisico avrebbe potuto aggiungere senza troppo amore di parte, che questo pre- ziosissimo monumento bilingue era altresì un indizio del senno che dirigeva tutte le minute parti della meinorauda spedizione d'Egitto, ed altresì dello instancabile ardore di que' dotti in- signi, i cui lavori sovente fatti sotto la tempesta delle artiglierie, di cotanto accrebbero la gloria della loro patria. Di fatto cosi grande loro parve l'importanza dell'iscrizione di Rosetta, che per non abbandonare quel prezioso tesoro alla fortuna della navigazione, gareggiarono da bel principio a moltiplicarlo in varie guise e con tutti i mezzi . dell'arte ! Deesi pure aggiungere che gli autiquarii d'ogni contrada conobbero per la prima volta la pietra di Rosetta dai disegni fattine dai dotti francesi. Uno de' più illusti-i socii dell'Istituto, il sig. Silvestro di Sacy, il primo sin dall'anno 1802 si accinse alle investigazioni, per le quali veniva aperta la via ai filologi da quella bilingue iscri- zione, tuttavia non istudiò che il testo egizio in caratteri volgari. Egli vi riconobbe i gruppi che rappresentano diversi nomi proprj, e la loro natura fonetica. Cosi in una delle due scritture almeno gli Egiziani aveano segni di suoni , vere lettere. Né questo ri- levante fatto incontrò più oppositori, quando un dotto svedese, il sig. Akerblad , recando perfezione al lavoro del nostro con- cittadino , ebbe assegnato con probabilità vicina a certezza il valore fonetico speciale de'varii caratteri adoprati a trascrivere i nomi proprj conosciuti per mezzo del testo greco. 77 Rimaneva tuttora la parte dell'iscrizione puramente geroglifica, 0 avuta come tale: quella era lasciata intatta ; niuno avea osato accingersi ad interpretarla. E qui appunto noi vedremo Tommaso Young dichiarare tosto, quasi pervia d'ispirazione, che nella moltitudine de'segni scolpiti sulla pietra, imagini o di animali interi, o di esseri fantastici, od ancora di stromenti, de' frutti dell'arte , di forme geometriche, quelli di questi segai, che si trovano chiusi in figure elittiche, corrispondono ai nomi proprj dell'iscrizione greca; in ispecie al nome di Tolommeo, il solo che nella iscrizione geroglifica siasi conservato intatto. Appresso dirà, che nel caso speciale del cartello dittico i segni rappresentano non più idee, ma suoni; finalmente cercherà con minuta ed accurata analisi di assegnare un geroglifico speciale a ciascuno de' suoni, che ode 1' orecchio nel nome di Tolommeo della pietra di Rosetta , ed in quello di Berenice d'un altro monumento. Ecco, se io non fallo, i tre punti principali delle investiga- zioni d' Young sul sistema di scrittura degli Egiziani. Niuno, è stato detto, non gli avea ravvisati, o per lo meno non gli avea segnalati prima del fisico inglese. Questa opinione , sebhene ge- neralmente ricevuta, mi pare possa essere contraddetta. Egli è certo di fatto, che sino dall' anno 1766 il sig. de Guignes in un suo scritto stampato, avea indicato i cartelli delle iscrizioni egiziane, come contenenti tutti de'nomi proprj. E può ciascuno per detto scritto conoscere gli argomenti sopra i quali il dotto orientalista ha fondata la sua opinione sopra la natura sempre fonetica de' geroglifici egiziani. Young ha dunque 1' anteriorità sopra un solo punto: suo proprio è il primo tentativo fatto per risolvere in lettere i gruppi de'cartelli, per dare un valore fonetico a' geroglifici , che compongono il nome di Tolommeo nella pietra di Rosetta. In questa indagine, siccome ben può ognuno aspettare, Young darà novelle prove dell'infinito suo acume; ma traviato da un falso sistema i suoi sforzi non avranno felice successo. Talvolta darà ai caratteri geroglifici valore puramente alfabetico; più lungi attribuirà loro valore sillabico od anche dissillabico, senza darsi pensiero della stranezza di un tal miscuglio di caratteri cosi tra 78 loro diversi. Il frammento d'alfabeto pubblicato dal dottore Young contiene adunque del vero e del falso 5 ma quest'ultimo talmente soprabbonda, che sarebbe impossibile valersi del significato dato alle lettere delle quali si compone, per tutt'altra lettura, che quella de' due nomi proprj donde esse furono ricavate. La parola impossibile occorre così di rado nella carriera scientifica del dottore Young, che io mi trovo in dovere di tosto giustificarla. Dirò pertanto, che dopo la composizione del suo alfabeto, Young istesso credeva di leggere in un cartello di un monumento egiziano il nome d'Arsinoe, là dove il suo competitore ha di poi con tutta evidenza dimostrato essere il vocabolo autocrator; che credette di riconoscere Evergete in un luogo , dove convien leggere Cesare ! Il lavoro di GhampoUion, per quanto dà il valore fonetico de' geroglifici , è semplice , omogeneo , né pare dia luogo a veruna incertezza. Ogni segno equivale ad una semplice vocale, o ad Tina semplice consonante. Né arbitrario ne è il valore : qualunque geroglifico fonetico è l'immagine di un oggetto fisico, il cui nome nella lingua egizia s'incomincia per la vocale o per la consonante cui esso dee rappresentare. L'alfabeto di GhampoUion fatto da prima coU'aiuto della pietra di Rosetta, e di due o tre altri monumenti, serve a leggere iscrizioni affatto diverse tra di loro; per esempio, il nome di Cleopatra sopra l'obelisco di File trasportato da lungo tempo in Inghilterra , e sul quale il dottore Young munito del suo alfabeto non avea letto nulla. Sopra i tempii di Karnac GhampoUion leggerà due volte il nome d'Alessandro ; sopra il zodiaco di Dendera un titolo d'imperatore romano; sopra il grande edifizio , sul quale era collocato il zodiaco, leggerà i nomi e soprannomi degl'imperatori Augusto, Tiberio, Glaudio, Nerone, Domiziano ec. E COSI sarà recisa la viva ed interminabile discussione insorta circa l'età di questi monumenti ; così verrà stabilito senza replica, che sotto il dominio de' Romani i geroglifici erano tuttora in uso sulle rive del Nilo. L'alfabeto, al quale già debbonsi tanti non isperati risulta- menti, applicato sia agli alti obelischi di Karnac, sia ancora ad altri monumenti del tempo de' Faraoni , ci darà i nomi di parecchi re di quella vetusta schiatta, da'à nomi di deità egiziane; 79 • diciamo di più: darà nomi sostantivi ^ adjellivi e verbi della lingua copta. Errava adunque Young quando considerava i ge- roglifici fonetici come un ritrovato moderno ; quando affermava quelli avere unicamente servito a trascrivere nomi proprj, anzi nomi stranieri all' Egitto. Il sig. de Gnignes , e sopra tutto il sig. E. Quatremère stabilivano un fatto vero e di gran rilievo, cui la lettura delle iscrizioni de' Faraoni ha aggiunto irrecusabili prove, quando avvertivano, che la lingua copta che noi di presente conosciamo, era la lingua stessa parlata dagli antichi sudditi di Sesostri. F. B. FILC^LO€IA DIZIONARIO D^RTIGLIERIA DEI CAPITANI Carbone ^b %.xm PUBBLICATO CON APPROVAZIONE DI S. M. Torino, i835 Stamperia Ceresole e Panizza. La gloria militare è prezioso retaggio dei popoli , che da essa traggono la coscienza delle proprie forze e 1' amore a quella patria , che un fermo proposto e l'ardimento possono far secura dagli attentati dell' ambizione o cupidigia straniera. Addiviene pure talvolta alle nazioni levatesi per una serie di belliche vicende a splendida fama di guerra, che mutate anco le condizioni e scemato il vigore e la gagliardia antica , esse sono per un tratto di tempo difese dalla propria reputazione e dal rispetto già inspirato alle genti. L' impero Romano negli ultimi periodi della sua esistenza, quando l'univei'sal corruzione e le intestine discordie gli aveaii tolta ogni forza , non ebbe altro scudo contro i barbari circostanti che la maestà del nome, e la memoria delle virtù guerriere che Y avevano dotato di tanta possanza e splendore. Era prestigio , e non durava. Po- poli giovani e pieni di nerbo urtarono finalmente il colosso , che stanziato nel putridame rovinò. Corse lunga stagione prima che 80 rifulgesse per gli Italiani uua qualche gloria militare. Guerre fu- rono allora e continue , ma eran di nuovi barbari venuti a di- sputar la preda ai vincitori. Cozzavano essi fra loro con varia fortuna , gli uni succedevano agli altri nel dominio delle belle contrade ; ma la massa indigena tralignata ed ignava era calpe- stata dai vincitori e dai vinti. Frattanto in quel rimescolarsi di varie genti , in que' trambusti e tempeste rifondevasi V invilita stirpe latina. Emerse un nuovo popolo , sorsero altre sorti , e nobil vanto di guerra fregiò ancora il nome italiano. Ben eb- bero le armi italiche nelle nuove circostanze più modesta ven- tura , che alle romane non accadesse , ma sovente la virtù fu eguale , e da altre cagioni si deve ripetere la disparità dei re- sul lamenti. E quando 1' arte militare sussidiata dalle scienze sublimi levossi pur essa al grado di scienza , qui essa trovò in- signi cultori e potenti ingegni che al progresso della medesima validamente concorsero. Un chiarissimo nostro concittadino *i nota che quasi tutte le bibliografie delle scienze moderne , se vengano compilate per ordine isterico , debbono incominciare da nomi italiani , e che ciò appunto accade toccando special- mente della scienza militare. Piacemi l' arrecare qui un aned- doto dal Napione raccontato , il quale mirabilmente viene in prova di tale sentenza. «Nel principio, ei dice, del corrente secolo vennero colle truppe francesi in Piemonte alcuni ingegneri di quella nazione, e come bramosi di conoscere gli uomini celebri nell' arte da loro pro- fessata , cercarono del signor Bertola ingegnere di grido , che molto più ne acquistò poscia nella difesa di Torino. Cortese- mente questi gli accolse, ma parlando essi ( come sempre fanno nelle contrade straniere gli uomini di quella nazione ) in fran- cese , rispondea V altro in italiano , affermando di non saper il francese, siccome quello che non era uscito mai d' Italia ed avea fatto i suoi studj in Toscana. E perchè grandi facevano essi le meraviglie come altri potesse senza la lingua francese aver appreso 1' arte loro , molto più mostrò egli di farne come avessero essi potuto diventar ingegneri senza ben posseder Y Ita- *i Conte Prospero Balbo. ViU di Alessandro Viltorio Papaciiio d' Aatoni. 81 liana. Seguita transazione su questo punto , convenuto che ciascun parlasse la propria lingua , chiesero al Bertola quei Francesi qual concetto avesse formato del Va uba n , e del suo nuovo sistema di fortificazione. Egli che , come buono ed an- tico Piemontese, era di umor gioviale , e quella ignoranza di libri e dell' idioma francese ad arte fingea per trastullarsi al- quanto , rispose non sapere che autore si fosse cotesto , né qual professione avesse fatta. Guardandosi 1' un 1' altro in atto parte di beffa e parte di meraviglia , cominciarono allora quegli Ufficiali francesi a magnificare e ad esporre ampiamente colla voce e colla penna le invenzioni a questo autore attribuite. Ma il Bertola senza nulla scomporsi ripigliò notissime essere a lui tali cose tutte , ma aggiunse non esser queste punto in Italia nuove, ma antiche molto, ed essere state dagli Italiani inven- tate e poste in opera gran tempo avanti. E qui fattosi più serio il discorso , cominciò a cavar fuori suoi libri ed a squadernar sotto gli occhi loro le opere dei DeMarchi, dei Cattaneo, dei Busca , degli Anchisi e di tanti altri nostri valenti scrittori di quel genere sino del secolo XVI , e i disegni delle fortezze a que' tempi da loro ideate e piantate , facendo loro osservare perfettamente espresse e descritte, assai prima che il Vauban nascesse , quelle particolarità che credevano da lui pensate ed introdotte , di modo che attoniti quegli Oltranaontani , da lui si partirono con miglior concetto del valor italiano anche in questo ■ particolare , di quello che ne avessero da prima. « Come il Piemonte largamente contribuisse ad innalzare la nuova gloria della comune patria ce '1 dimostra la storia. D' in- dole fiera e pugnace , e primi alle riscosse semprechè la guerra movea d'oltre Alpe, i Subalpini ottennero nelle armi alto grido di perizia e valore. Questa parte d' Italia signoreggiata da una stirpe segnalatasi già per inclinazioni e virtù guerriere ebbe da tempi remoti stabile milizia e fermo sistema militare 5 quindi la sua storia anche a scapito di altre bisogne è fino ad una data epoca la storia degli eserciti e dei loro capitani. La scienza delle artiglierie è fra le discipline militari quella che con mag- gior successo venne quivi coltivata ed illustrata. Il Piemonte superbisce ricordando i Bertola, Tignola, Bozzoliuo, DcViu- 6 8i2 conti , e quel D' Antoni , i cui scritti tradotti in molte lin- gue furono dettati nelle scuole delle nazioni prime per po- tenza e civiltà. Ai tempi più vicini e presenti questa scienza progredì con crescente misura , il che non ci faremo a provare, come cosa clie ognun vede e conosce. Mancava per altro a noi ed all' Italia un codice di nomenclatura per le cose clie riguar- dano le artiglierie, il quale fermando il significato delle voci usate a designai-e gli oggetti che costituiscono la materia di tal scienza, allontanasse le equivocazioni ^ ed agevolasse la precisa emissione delle idee a chi scrive o discorre sopra tale suLjetto. La Tecnologia è al dì d'oggi tal parte di scienza, precipuamente per quelle che dagli strumenti ed esperienze s' ajutano , che questa lacuna era vivamente dall' universale sentita e dipianta. Per essa gì' italiani pensamenti venivano di frequente vestiti con foggie straniere , e 1' aureo idioma retaggio dei padri nos- tri andavasi di giorno in giorno sfregiando. I signori Carbone , ed Arno capitani nel R. Corpo dell' Ar- tiglieria , mirarono a tale jattura , e colla coscienza di chi si assume un utile e glorioso incarco , coli' efficacia di volontà che fa sprone degli ostacoli , s' accinsero a dare all' Italia un compiuto lessico delle cose all' artiglieria spettanti. Dai dizionari delia Crusca, dell'Alberti, dello Stratico, del Grassi , e dagli autori che a quelle compilazioni prestarono gli elementi , essi trassero la maggior parte delle voci che nello speciale loro lessico registrarono 5 e dove quelle fonti vennero meno essi ri- corsero all'idioma parlato in Toscana, modellando anche ita- lianamente alcune ma pochissime voci franeesi , che essendo no- mi di trovati nuovi non hanno presso a noi designazione alcuna. Il loro dizionario è quindi un ottimo libro come è pura quell' onda che da limpide sorgenti deriva. Ardua fatica, lungo stu- dio , e mollo svolger di libri costava il nobile conato; ma essi ottenevano 1' intento , ed un felice successo coronò il desiderio di tutti e le loro speranze. Plauso ad essiche non ristettero per le difficoltà dell'impresa. Noi intanto raccomandiamo il loro libro ad ogni amante della patria lingua pei'suasi che le consorelle province d' Italia acco- qlieraniio benignamente e con giubilo un' opera che ridonda a giovamento e gloria comune. 85 Riandando queste poclie linee panni vedere un ghigno spunta r sulle labbra a più d'un lettore maravigliato , come a proposito di un dizionario io ne venissi a favellare di Roma , di barbari , di medio evo ecc. Valgami ancora un aneddoto. Narrasi che Newton vedendo un pomo cadere dal proprio albero fosse tratto di pensiero in pensiero , di ragionamento in ragionamento alla scoperta della naturai legge di gravili. Nessuno al certo avragli apposto a colpa il deviamento da quel primo soggetto di che la vista dell' ordinario fenomeno investiva la sua mente. Senza poggiar le speranze a tanta altezza , noi ci proponiamo di la- isciar correre in pari modo il nostro pensiero quando un argo- mento porgeranno occasione di sviluppare una qualche idea anche ad esso estranea. Rigettatala, od accolta secondo che sarà cattiva, o buona, vogliano i lettori non cercare d' onde essa deriva , e star contenti a che almeno sia porta loro senza lo stridente cortèo dei sillogismi , soriti, ed entimemi. MM. . ESTETICi^ DELLE BELLEZZE RECOrVDlTE. Hannovi nelle produzioni di gusto, sovratutto in poesia, di tali bellezze, che per esser assai risentite, e direi cosi, prominenti, non isfuggono a nessun sguardo, e sono ammirate anche dal volgo. Ve n' ha per lo contrario di quelle più /delicate, e meno appariscenti, che quasi modeste vergini si copron d'un velo, cui soltanto un occhio più perspicace ed esercitato può pene- trare. Son elleno, per usare l'immagine di Dante, quasi perle in bianca fronte, che a stento si disccrnono, perchè l'una bian- chezza coU'altra «i »x)nfoude *i. Siffatte bellezze, che moltiplici 84 sono, allora vengono, secondo ch'io penso, ciall'autore concette, quand'egli o tali più riposte corde dell' uman cuore percuote j al cui suono sol pochi cuori privilegiati rispondono: e di questo è maestro Dante e Shakespeare *2: o quando per gran virtù di esperienza la natura coglie sul fatto in certi suoi atti mena palesi, e al più degli uomini inosservati: come fa pur Dante solertissimo indagatore della fisica e della morale natura 5 il quale col pennello medesimo, che ti dipinse il cigolar del tizzo verde arso dall'uno de'capi *3 , e (fioretti dal notturno gelo chinati e chiusi ^^y e l'augello che aspetta il so\& intra Vaniate fronde j posato al nido de' suoi dolci nati* 5 ecc.; ti dipinge puranco \a donna onesta j, che permane di sé sicura j e per l'altrui fallanza j pure ascol- tando, timida si fané *6-^ e '1 peregri n, che si ricrea nel tempio del suo voto riguardando j e spera già ridir convello stea *y '^ e '1 signore, che ascolta un lieto annunzio, da indi abbraccia 'l servo gratulando per la novella tosto cK e' si tace *8. E nascon puranche queste gentili e velate bellezze da certa fedele e non caricata pittura de'personaggi e de' tempi, la quale sdegnando discendere alla nojosa enumerazion delle parti, senza darti, dirò cosi, i connotati personali di ciascun individuo messo in azione , ti noti degli uni e degli altri alcuni particolari ca- ratteristici, e non i più ovvii, e già da molte penne di narratori logorati 5 ma que' men noti, quelli che soltanto a' più acuti osservatori si manifestano. Per ultimo (ma non già che vogliamo in cosi stretti confini circoscriverle tutte) avvi per ultimo una specie di bellezze delicate ed arcane propria degli scrittori del dramma e dell'epopea. Di simili accade incontrarne allorquando il poeta volendo preparar gli animi ad una luttuosa catastrofe, e gettar ne'cuori loro un fiero, ma non sicuro presentimento di quella, tali cenni pre- u:iette da bel principio, pe' quali, avvegnaché non abbastanza evidenti , non si rompa l'incanto della sospension d'animo, non cessi il diletto della curiosità: ma sieno quasi brevi , né troppo coruschi lampi, che ad occhi veggenti per un istante risplen- dano. Del che ne porge un esempio notevolissimo l' Ippolito d'Euripide, là dove tornato dalla caccia Ippolito, e fermatosi davanti alla reggia per offerire al simulacro di Diana una corona 85 di fiori, da un prudente vegliardo vien consigliato di non trascu- rare per troppa reverenza di quella sua diva prediletta gli altri numi egualmente venerandi e possenti: e segnatamente la dea di Cipro, la cui immagine ha pure dinanzi. Al quale rispon- dendo Ippolito cose, che in dispregio di Venere ridondano, ne segue che gli spettatori fin da quei punto tremino per l' incauto figlio di Teseo, che non paventa di prender a scherno un nume cotanto terribile , la cui vendetta di già presagiscono. Da quanto ahbiam discorso ognun vede, che siffatte Lellezze soltanto da'sommi ingegni è forza vengan create : e per dir vero , soltanto nell'opere loro ne incontra di ritrovarle. Le quali opere da queste vereconde veneri più forse, a parer rincipalc mae- stro di siffattn dottrina. Mi pare che il vocabolo difesa , solitamente usato per esprimere 1' atto con cui si respinge un male presente , dia luogo a qualcbr conrusioue d'idee. 100 a dare ai delitti mia pena che corrisponda alla malvagità del- l'agente, prima che abbiano considerato come la prudenza le- gislativa richieda molte volte una sanzione diversa da quella che richiederebbe siffatta legge della coscienza umana. Tutte le opinioni che sorgono spontanee negli animi hanno pure qualche fondamento dì verità. Tal è quella della giustizia as- soluta che muove dal principio verissimo che ogni fatto debba essere retribuito secondo il merito dell'uomo, quali pur siansi gli effetti che possono nascere dall'azione. Ma la giustizia umana può ella stabilire ed applicare tal pena che sia appunto pro- porzionata alla malvagità intrinseca del delitto? Questa facoltà è necessaria per poter applicare la pena secondo l'assoluta giu- stizia che si richiederebbe ad amministrare retribuzione sif- fatta. La malvagità intrinseca di un' azione dipende dalla co- scienza di chi la commette. Questa non si fa palese all' uomo che dall'esecuzione materiale di un pensiero. Ma le condizioni di natura, di vita, di educazione, le condizioni che invitavano o traevano al delitto, sfuggono ad ogni umano discernimento. Ancor più insuperabili riuscirebbero le difficoltà di siffatti giu- dizii, quando i principii che potrebbero determinargli si voles- sero comprendere in una legge destinata a dar norma alle sentenze; quando si volesse cercar la regola delle diverse pene da stabilirsi ai diversi delitti , quando si volesse conoscere quali falli siano gravi abbastanza per richiedere l'applicazione di una pena. Converrà dunque dire che la giustizia assoluta è prin- cipio ottimo per farci conoscere i divini giudizii, per insegnarci a modellar su quelli la nostra coscienza ; ma introdotta per principio unico di legislazione criminale è principio pessimo e fallace. Ma per contro può forse dirsi che la prevenzione particolare o generale del delitto ed astrazione fatta dal principio di re- tribuzione, dia per se stessa luogo alla legittima applicazione di una pena ? Ho già avvertito che tutti i fatti a cui si può giustamente applicare la prevenzione penale, sono considerati come malvagi in sé. Ho creduto che non siano di competenza della giustizia punitricc umana quelli che contengono una sola violazione della giustizia assoluta. Secondo queste dottrine 101 ì fatti criminosi portano per effetto una perturbazione dell'or- dine sociale. Ma la conservazione dell' ordine sociale è senza fallo prescritta dalla legge morale, anzi l'ordine sociale fu de- finito da un gran giureconsulto Italiano *i V ordine morale ef- fettuato nel consorzio degli uomini. Attenendoci dunque alle dottrine della prevenzione la nozione della pena correlativa a quelle del delitto procede da un fatto contrario all'ordine mo- rale ; e tale che secondo i dettami della giustizia assoluta die luogo alla retribuzione di una pena. Le condizioni della pre- venzione , quale può ottenersi colle pene sancite ed applicate dalla legge criminale , si fondano eziandio su quelle nozioni di giusta retribuzione nello stabilire una pena contro il delin- quente ; i legislatori suppongono sempre che quegli incontrerà la disapprovazione di tutta la gente onesta. Se invece incon- trasse la loro simpatia, è palese che le leggi penali anche se- verissime , anche puntualmente eseguite , per lo più non var- rebbero a trattenere l'uomo dal delitto; Oltre di che quando quel giudizio di retribuzione morale non si applicasse ai de- linquenti , avrebbe luogo quella compassione che l'uomo risente per chi soffre , che è maggiore quando i mali vengono dal- l'uomo e non dalla natura, maggiore ancora quando sono fatti soffrire a chi sia posto fuori della possibilità di difendersi. Tutti questi sentimenti , se non prevalesse la giustizia della retribuzione, sarebbero ostacolo all'esecuzione delle leggi cri- minali 5 deluse o mal applicate ogni volta che contrastino colla coscienza umana. Credo avere stabilito che nella legittima applicazione della petìa concorrano sempre il principio della retribuzione , e la prevenzione dei delitti futuri. Rimane ancora da ricercare se nelle pene abbia luogo il motivo della prevenzione speciale o generale. Di questa mi spiccierò in poche parole. E certo che l'impunità sarebbe incentivo a moki per commettere gli stessi delitti di cui altri si fece reo ; questa presunzione dà luogo alla prevenzione generale. Ma è certo altresì che questo peri- colo sarebbe maggiore per parte di chi fu già convinto reo; è *i P. Rossi. 102 certo che la presenza di costai finché non fia trattenuto dalla podestà pubblica, è guardata da tutti come pericolosa. La pre- venzione speciale ha dunque luogo ogni volta che si esercita la prevenzione generale. Le ragioni fin qui addotte mi inducono a credere che i tre principii dianzi addotti concorrano sempre a dar luogo alla le- gittima applicazione della pena. Vana questione sarebbe sol sapere qual fosse la natura delle pene quando si volessero far procedere da un solo di quei principii. L'ufficio delle dottrine inorali e civili è di ragionare sull'uomo quale fu creato da Dio, e quale vive nel consorzio dei suoi simili , non di congettu- rare i principii di< una natura e di una società diverse da quelle che esistono. §• II. La prevenzione dei delitti si ottiene o coU'intimorire chiun- que possa in avvenire essere spinto al delitto, o coli' emen- dare chi se ne fece reo. Dal diverso uso di questi due mezzi preventivi , nasce una nuova divergenza nella dottrina , e nella pratica del diritto penale. L' emendazione dei rei basta forse per prevenire i delitti ? No , perchè non muta la volontà di chi sarebbe inclinato ad imitargli: no, perchè i condannati essendo già disposti al ma- le , non ritornano alla probità , senza essersi in qualche modo sforzati. L' intimidazione basta ella ad impedire i delitti ? No, per- chè consta per esperienza che i più gravi delitti sogliono ap- punto commettersi da quelli che furono già sottoposti alla legge penale. La natura delle pene , che intendono solo all' intimidazione e non all' emendazione dei. colpevoli , ha forse qualche parte nella frequenza e nella gravità delle recidività ? Rispondere adeguatamente ad un tale quesito spetta alla statistica crimi- nale , disciplina che in alcune parti d' Europa è ancora nell'in- fanzia , in altre non è nata per anco. Tuttavia per pronunciare che r ìndole delle pene influisce assai sulla frequenza dei de- 105 lìttl basta esami uare la natura umana che ognuno può cono- scere , e la condizione dei condannati nota a chiunque abbia qualche pratica o delle carceri , o dei giudizii criminali. Le cause per cui i condannati, scontata la pena ^ ricadono nei de- litti , sono le cattive inclinazioni dell' animo : la mancanza di una prima educazione: la corruzione d'animo odi cuore presa mentre scontano la pena: la difficoltà e spesso l'impossibilità di adoperarsi in un'onesta industria : il disprezzo in cui cade chiunque abbia scontato una pena, per cui viene meno nei condannati insieme col timore di perdere la pubblica stima , uno dei più grandi ritegni , e forse il maggiore per cui si ri- marrebbero dai delitti. La perversità dell'indole, eia mancanza di una buona edu- cazione sono di quei mali , che non è dato al legislatore di to- gliere , quantunque possa scemarne gli effetti. La terza causa impellente al delitto sta in mano della pubblica podestà di im- pedirla , impiegando i mezzi penitenziarii , la cui natura ed efficacia saranno forse argomento di altri articoli. Chiusa quella scuola d' immoralità , mancano i fondamenti dell' opinione che infamandogli , destina quasi a nuovi delitti i condannati che hanno scontata la pena. — Colle discipline penitenziarie con- corrono quelle con cui il punito, dopo la sua liberazione, è te- nuto sotto la pubblica tutela sinché sia avviato alla vita in- dustriosa ed onesta. Questi principii corrispondono all'intenzione generale di ogni savia legislazione penale di prevenire efficacemente i delitti. Corrispondono alla dottrina dell'inviolabilità della persona uma- na , che vieta di ricorrere ad una nuova pena , se applicando diversamente la prima si può impedire la rinnovazione del de- litto.' Corrispondono al dovere che incombe all' uomo di mi- gliorare e di perfezionare 1' uomo. Dovere questo che deve de- terminare r applicazione delle discipline emendatrici anche ai condannati ad una pena perpetua ; quand' anche a loro non siano strettamente applicabili le ragioni sin qui addotte della prevenzione dei delitti. 104 § III. La legge che stabilisce, il giudizio che pronunzia, l'esecu- zione che applica la pena, sono le diverse parti di quell' atto unico con cui la potenza sociale si adopera a prevenire casti- gandogli i delitti. Se non si pronunziassero i giudizi! o se pro- nunziati non si eseguissero , certamente la legge penale quand' anche fosse stata promulgata non si potrebbe dire che esistesse: ne consegue che la legge , il giudizio e 1' esecuzione debbono essere animate da uno stesso pensiero che risplcnda in tutte le parti di quell'atto della potenza sociale. La legge penale sup- pone : I ." che il punito conosca 1' obbligazione che aveva di osservare la legge : a." che conosca il divieto e l' obbligazione imposta dal legislatore , e la sanzione apposta alla legge : 3.° che conosca la formalità dei giudizii per cui venga a ravvisare che la pena gli è veramente prescritta secondo il disposto dalle leggi. Finquì il delinquente è trattato come creatura intelligente , morale e libera, capace di conoscere e l'obbligazione che ha vietato , e la giustizia della pena che gli fu imposta. All' op- posto, coir intimidazione separata da ogni disciplina emenda- trice , cioè con un atto di forza che si esA'cita sulla sola sen- sibilità del punito , egli è trattato , come se tutte quelle fa- coltà morali , in cui si fonda la sanzione e 1' applicazione della pena , non esistessero nel punito , o non potessero esercitarsi da lui. Vi ha dunque un'evidente disarmonia tra l'esecuzione e le altre parti dell' atto della potenza puuitrice. Per rendere questi argomenti più chiari a chi non sia av- vezzo alle astrazioni della filosofia legale , domanderò se il con- dannato si possa presumere così fatalmente disposto al delitto che senza il timore od anzi la paura della pena egli non possa trattenersi dal delinquire. In tal caso egli non ha certamente il libero uso di tutte quelle facoltà che formano la ragionevo- lezza e la moralità umana. Non occorre per lui un nuovo giu- dizio , ma invece convien fin d'ora adoperare tutte quelle cau- tele, con cui un forsennato si trattiene dal perturbare la società. Ma se invece lo ridoniamo alla libertà , se gli imponiamo sotto 105 pena ancor più grave , l'obbligo di ritornare alla probità , per- chè lo governiamo come se fosse impossibilitato a profittare di niun ammaestramento , e di ' nìuna disciplina morale ? §. IV. Finora la pena non fu considerata che nelle sue relazioni col delinquente. Se qui mi rimanessi, i miei riflessi non corrispon- derebbero allo stato reale delle cose. Neil' unione degli uomini congiunti in società , ciascuno ha un desiderio legittimo e co- mune di vedere rispettate le ragioni di tutti. Un tal desiderio è fondato sull'interesse; che se altri al cospetto di tutti ve- nisse offeso nella persona o negli averi , ninno potrebbe tenersi sicuro da un consimile insulto ; sulla simpatìa , per cui cia- scuno soffre dei dolori dell'uomo, e più se sono opere di altri uomini 5 su d' un sentimento di giustizia , per cui senza inte- resse e senza affezione particolare l'uomo abborre da ogni fatto contrario al diritto ed all'ordine. Le leggi penali sono appunto ordinate a contemperare il castigo e la prevenzione dei delitti , con tutti quei sentimenti conna- turali all'anima umana; cosicché la comune sicurtà non sia né messa in pericolo dall' impunità dei delitti , né minacciata da punizioni od immeritate od eccessive. Si è già veduto che la legge penale quando trascuri affatto l'emendazione dei delin- quenti, manca al suo scopo di prevenzione, e perciò non adempie al suo uffizio rispetto alla sicurezza comune. Se la legge trascura le discipline emendatrici, conviene che adoperi maggiore intimidazione. Indi la compassione verso i colpevoli prevale molte volte sul sentimento della giustizia delle pene. E ciò accade tanto più facilmente in quanto l'una proceda dalla cognizione di un delitto passato, e l'altra dalla vista di un male presente. In oltre anche colla stessa gravezza d'intimi- dazione, la condizione del punito appare assai più dolorosa quando non si procura la sua emendazione; cosi la giustizia della pena riesce assai più difficile a riconoscersi. Laddove as- sociandovi r emendazione, la carità verso l'uomo appare nello stesso tempo che la giustizia verso il colpevole. Indi é naturale che altri si associi al pensiero che induceva il legislatore ed i 106 giudici a pronunziare la pena. Quella carità si palesa : nella cura di non inferire al colpevole un male non richiesto dalla necessità di prevenire il delitto 5 nel far servire la pena a ri- donargli la dignità morale che appartiene alla natura umana; nel porlo in grado di profittare anch' egli, senza ricorrere a nuovi delitti , di tutti i vantaggi della comunanza sociale. Finché non si è soddisfatto a tali condizioni apparirà bensì la necessità di punire ad ogni modo i rei, anziché abbandonare la società alla sfrenatezza dei delitti , ma non risplenderà nella sua luce l'ordine morale, e la giustizia che dà essere alla pena, ludi si formerà negli animi del volgo l'opinione che considera le pene come la prevalenza della forza pubblica sulla forza e suir astuzia privata 5 e negli animi più colti quella parimente funesta che le considera come vendetta della società contro i privati. Un indizio di queste false opinioni può trovarsi nella recentissima letteratura francese ,• giacché i libri universalmente gustati sogliono sempre corrispondere in qualche parte alle dis- posizioni degli animi. È noto che in moltissimi drammi e ro- manzi moderni i rei condannati alle pene più severe pareggiati e spesso preferiti agli uomini dabbene che vivono sotto la pro- tezione della società e delle leggi, sogliono essere quasi racco- mandati ai lettori come vittime della sventura o di una fatale violenza. Impressioni queste che non potrebbero certamente suscitai-si nell'universale dei lettori, né trovargli favorevolmente disposti, quando l'impressione della pena fosse invariabilmente connessa con quella della giustizia e della riparazione dell'ordine sociale e morale. La dottrina dell'emendazione dei rei come parte essenziale del sistema penale incontra qualche oppositore, perchè l'emen- dazione dei rei si rappresenta come se dovesse accomodarsi alle loro diverse nature , il che non converrebbe all' indole delle leggi che non hanno scopo individuale ma sociale, e che pro- cedono per generali principii adattati alle diverse occorrenze dei casi. La risposta ad una siffatta difficoltà spetta all'esposizione dei metodi penitenziarii che procedono essi pure secondo le generali presunzioni fondate sulla natura dei delitti ; e per ac- comodarsi alle particolarità dei fatti, non implorano che quel 107 diritto dì far grazie che tutte le legislazioni riconoscono nella sovrana podestà. Un altro ostacolo incontrano siffatte dottrine, perchè da molti si cpnfondono con quelle che invocano l'abolizione delle pene capitali. Ma 1' adoperare ogni cura per ottenere l' emendazione dei rei , non toglie che si possano privar di vita coloro la cui correzione sarebbe affatto impossibile a sperarsi , né che la mi- naccia di morte possa opporsi agli uomini che sarebbero inclinati alle più enormi scelleratezze. Con ciò non voglio io condannare le dottrine e le speranze di quegli uomini generosi ed umani che , o pel presente , o per l'avvenire invocano l'abolizione delle pene capitali. Ma faccian •SI che le difficoltà che si oppongono a quella riforma, non siano di ostacolo ad un'altra che dev'essere caldamente promossa da tutti gli amici dell'umanità , della giustizia , della religione. C. Bon- Compagni. Saggio della genesi degli affetti. Me creator , n^ creatura mai fu senza amore. Dante Purg. e. xvii. Molti tra coloro, che noi siamo soliti ad ammirare solamente siccome grandi poeti , furono eziandio filosofi non mediocri 5 ma la loro poetica fama, siccome quella che più facilmente d'ogni altra si diffonde, ha soverchiata coll'andare del tempo la loro celebrità filosofica. Quindi è , che mentre il Poema di Dante , il Ganzionere del Petrarca e la Gerusalemme del Tasso vanno per le mani di tutti, pochi sono quelli che conoscano, pochissimi coloro, che abbiano letto il convivio del primo, le epistole senili, il libro delle cose memorabili del secondo, ed i dialoghi del terzo 5 opere tutte piene di belle filosofiche dottrine , le quali 108 conosciate torrebbero forse il pregio di novità ad alcune scritture di moderni autori. I grandi poeti furono sempre conoscitori pro- fondi dell'umana natura meditandone le più recondite leggi, i fatti più secreti e i più sottili movimenti. Perocché sapevano essi , che , sebbene le arti ministre del piacere appartengano principalmente all' imaginativa , non debbano per altro andar mai disgiunte dal vero , ufficio e parto dell'intelletto, e doversi amichevolmente conciliare questi due fondamenti dell'umano sapere. La conoscenza morale dell'uomo è sopra ogni altra cosa necessaria a chi voglia conseguir lode di grande poeta. Chi non conosce la natura dell'umane facoltà ed aifezioni, e le leggi che le une e le altre governano, e vuole pur nondimeno toc- carle e descriverle, fa come quegli, che nulla sapendo di musica e di suono, presumesse di toccar piacevolmente le corde d'un'arpa ovvero i tasti d'un gravicembalo , solo perchè gli romba per la mente un eco confuso di musicale armonia. Ma i veri poeti posero molt'opra nello studio dell'uomo, e furono insieme grandi filosofi. Quindi è che nel descriver le diverse passioni , onde sono mossi e sospinti gli uomini colsero sempre nel segno, e toccarono quelle corde, alle quali ogni cuor gentile e ben fatto convien che risponda. Per addurre una picciola prova della scienza filosofica di due sommi maestri dèli' italiana poesia , Dante e Tasso , noi poniamo qui ricavata dal Purgatorio del primo al canto xviii, e dal dialogo del secondo intitolato la Molza, ovvero dell'Amore, una breve genesi analitica di quegli affetti che per gradi successivi e rapidissimi si sviluppano nell' uomo subito che la sua virtù sensitiva fu tocca da sensazioni piacevoli o disgustose. A questi due passi noi contrapporremo poscia quello che sul medesimo soggetto scrive Teodoro Jouffroy là dove parla dell'amore di se stesso, onde si vegga quanto le dottrine del filosofo francese consentano con quelle de' due nostri italiani , e sieno per così dire le medesime. Ecco il passo di Dante : L'animo, che è creato ad amar presto, Ad ogni cosa è mobile, che piace Tosto che dal piacere in atto è desto. 109 Vostra apprensiva da esser verace Tragge intenzione, e dentro a voi la spiega Si che l'animo ad essa volger face. E se rivolto in ver di lei si piega Quel piegare è amor, quello è natura Che per piacer di nuovo in voi si lega. Poi come il fuoco muovesi in altura Per la sua forma, che è nata a salire Là dove più in sua materia dura: Cosi l'animo preso entra in disire , Che è moto spiritale , e mai non posa Fin che la cosa amata il fa gioire. Qui sono descritti con maravigliosa poesia que'movimenti , che si succedono nell'animo dopo una piacevole sensazione. Che se la sensazione sarà stata disgustosa succederanno allora nell'animo movimenti affatto contrarj a quelli dianzi mentovati, ma nella loro successione corrispondenti a quelli per diritta opposizione siccome ognuno può per se stesso facilmente conoscere, e meglio apparirà dalla seguente più estesa analisi del Tasso: « Dico adunque, così scrive egli , che S. Tommaso ed Egidio, e i seguaci dell'uno e dell'altro pongono tre quasi gradi degli affetti e delle passioni, e quantunque sien diversi , nondimeno in questa opinione sono concordi : perciocché subito che s'ap- presenta l'oggetto amabile all'anima nostra, se ci piace, nasce l'amore, il quale è il primo compiacimento: ma se l'animo cerca di conseguire la cosa amata, ne desta il desiderio; e giungendola s'ha diletto di seguirla: queste tre passioni adunque sono nell'animo nostro per rispetto dell'obbietto amabile o del piacevole, l'una è il compiacimento il quale è amore , l'altra il desiderio che segue l'amore, e la terza il diletto nel quale si acqueta. E tre ne sono ancora, se si risgua«ida quel che dispiace e che s'abborrisce ; perchè se l'oggetto spiacevole s'offerisce all' animo, egli si restringe in se stesso a somiglianza del loto, o d'altra pianta, la quale spiega i fiori al sole, e li raccoglie nel suo partire , e in questo raccoglimento, e per così dire ristrin- gimento della volontà è riposto l'odio, siccome l'amore nell'e- steriore} ma se l'oggetto spiaciuto s'appressa , l'aninio il fugge; 110 e questo affetto si dice fuga, che è contrapposto al desiderio, e finalmente ne nasce il dolore, clic è contrario al piacere. Vedete "dunque che nell'animo nostro sono da quella parte , che si volge al piacere tre quasi termini o gradi, seppure non vo- gliamo chiamarli passioni con proprio nomej tre dall'altra, da cui s'offerisce quel che dispiace. » Porremo ora qui un sunto dell'analisi psicologica che dello stesso fenomeno dava l'egregio professore Jouffroy *i. La sensazione risguardata come affezione , e considerata nei suoi effetti sulla facoltà che sente non ha, che due forme es- senzialmente distinte 5 ella è o piacevole o dispiacevole , dalle quali due contrarie qualità nascono in noi contrarj fenomeni. La facoltà sensibile commossa da una piacevole impressione di qualche oggetto si volge ad esso , se ne compiace e si dilata : quest'è il primo suo movimento. Quindi si spande fuori di se me- desima, e si piega inverso l'oggetto amabile , che è il secondo suo moto; poscia cerca di raggiungerlo e di conseguirlo, ed è questo il terzo suo impulso. Questi tre movimenti Jouffroy li chiama gioia, amore j desiderio^ ovvero per usare, secondo lui, un linguaggio più proprio e più filosofico dilatazione j espansione j, attrazione. Quest'analisi psicologica di Jouffroy, secondo che a noi pare, non differisce da quella di Dante e di Tasso, se non in due sole cose. La prima è, che Jouffroy chiama sensibilità o facoltà sensibile quella dove succedono i movimenti sopram- mentovati , mentre Dante e Tasso adoperano il vocabolo più generale animo; la seconda è, che Jouffroy s'arresta nella sua analisi al desiderio, mentre i due Italiani la proseguono più oltre sino al conseguimento della cosa desiderata , ed al diletto che nasce dal possederla; la quale analisi è più compiuta ; perocché pervenuto al conseguimento della cosa amata , 1' animo non si muove più con un ^iipvimento di progresso come avviene ancora nel desiderio, ma si riposa nel possedimento intento solo al perpetuarlo. Senza entrare nelle opinioni de'sensisti , e de'sen- timentalisti ; de'quali i primi con Elvezio ed Hobbes pongono per principio delle umane azioni l'amore di se stesso : i secondi con *i Mélange» pLiloS. — Amour de soi. Ili Riccardo Cumberland , ed Antonio Ashlcy Cooper derivano la bontà morale delle azioni dalle affezioni o tendenze benevole, crediamo potersi asserire con Dante che esser conviene Amor sementa in noi d'ogni virtute, £ d'ogni operazion che marta pene. Parlando de' fenomeni, che produce la sensazione spiacevole, Jouffroy prosegue in questo modo : i movimenti della facoltà sensibile tocca da sensazioni spiacevoli sono intieramente con- trari ai precedenti. Dapprima ella si contrae e si restringe ; poscia rifugge dall'oggetto disamabile ; quindi da sé lo respinge e lo discaccia. I quali tre movimenti sono detti da Jouffroy tristezza j odioj ai^ersione ^ ovvero contrazione ^ concentrazione e ripulsione. Quanto quest'analisi consuoni con quella del Tasso, tranne quelle due sole differenze di sopra notate , pare a noi essere evidente, seppure, come spesso avviene a chi troppo si diletta d'indagini comparative, un'apparenza di somiglianza non ci ha ingannato. Checché ne sia, ci confidiamo, che questa nostra scritta non sarà per riuscire disutile affatto. Abbiamo fatto un cenno del sapere filosofico di due grandi poeti Italiani. Abbiamo arrecati due brani di bello stile scientifico, onde veg- gano coloro, che scrivono di scienze come possano, studiando i buoni autori, adornare ed ammorbidire le loro scritture. Fi- nalmente abbiamo alquanto chiarita la natura d'un affetto oltre ogni altro sentito, vogliam dir dell'amore : la qual cosa non sarà certo discara a quelle anime gentili , che alimentano una così cara affezione. 112 SciErCZE Naturali — Osseivazioni geologiche sopra il sistema delle Alpi. I monti , che circondano questa nostra bella e spaziosa pianura, si direbbero tutti sorti ad un medesimo tempo qualora non si ponesse mente che alla loro configurazione. Ma il naturalista geologo , il quale non si rista alla semplice apparenza de' feno- meni geologi , vede la cosa ben altramente. Egli fondato sopra ipotesi bensì , ma ipotesi appoggiate a fatti incontrastabili ed a tutti visibili, osa affermare, che essi sono opera di varii e consecutivi sconvolgimenti , che mutarono la faccia di quanto allora preesisteva. Onde si perdettero molti esseri organici, che ne facevano il più bello ornamento, e vennero surro- gati da altri esseri, che subirono alla loro volta la medesima sorte fino al ristabilimento attuale delle cose. Come ciò sia avvenuto, e quali ne siano state le cause, il geologo lo di- mostra con ben ragionate congetture , alle quali non sonosi ancora contrapposti abbastanza validi argomenti per rifiutarle, come avvenne di moltissime altre riconosciute false. Se esse appajono in alcuni punti non bene ancora confermate, e poco soddisfacenti , ciò non ne comprova l'erroneità, ma piuttosto dà a divedere , che le ricerche umane non sono ancora potute per- venire a tale punto da convalidare 'contro ogni dubbio questa teoria. E certe opposizioni, che al primo aspetto sembrano verità, altro non sono, che rimproveri, cui vanno soggette molte tra le umane invenzioni. Ma intanto, che col massimo ardore si sta da ogni parte accumulando fatti intorno alla struttura del globo , fuvvi chi radunò i più cogniti in corpo di dottrina. Egli è di questa dottrina , che noi discorreremo alcun poco appli- candola a quanto abbiamo veduto nei monti delle diverse parti del Piemonte. Il Monviso, che i geografi collocano al finimento delle Alpi marittime verso tramontana , e al principio di quelle , che chia- mano CozÌG per cosi eternare la memoria di quel Cozio , che 113 non isdegnò di cambiare la dignità di sovrano in quella dì pretore d'Augusto , pel geologo fa parte d' vuia diramazione di monti , che si estendono dal N. N. O. al S. S. E., alla quale si attribuisce un' età assai più antica di quella , che i fatti permettono di accordare alle alpi, le quali, come diremo in seguito, sono opera di due sconvolgimenti. Qui giova avvertire per intendimento di quanto si dirà, che la colossale ed imponente mole de'monti paragonata alla massa totale del globo, sovra cui essi s' innalzano, si trova essere assai minore di quelle piccolissime asperità, ond'è sparsa la corteccia d'un melarancio; oppure di quelle piccole pustule, che ci nascono talvolta fastidiosamente sul volto. E poiché abbiara fatta men- zione di questi piccoli rigonfiamenti cutanei, siaci permesso il dire, che oggidì credesi , anzi tiensi per vero, che egli è in un consimile modo che si formarono i monti. Ciò parrà forse strano; ma è questa per altro la maniera più soddisfacente di rendere ragione della formazione di questi informi colossi , ed insieme la più consentanea a quello che si osserva *i. Sarebbe dunque *t La formazione delle montagne è slata sempre soggetto di controversie tra gli scrittori di scienze naturali. Alcuni opinarono , cbe tutte fossero originate dalle posature, o sedimenti del mare, quando antichissimamente, secondo loro , le acque del mare copersero quella parte di terra, che noi abitiamo. Altri ne. •attribuirono l'origine all'eruzione di materie liquefatte esistenti nell'interno del globo , le quali sospinte e sprigionate per forza de' fluidi gassosi o sollevarono gli strati già consolidati della Terra , o talvolta ammontandosi soyr' essi li rico- persero e produssero o nell' una , o ndl' altra guisa le montagne. I primi si dissero Nettuniani , i secondi f^iilcanisti. Ora prevale il sistema degli ultimi , il quale pare fondato sopra migliori congetture , e più valide ragioni. Ma non bassi però a dire, siccome osservano njcuui degni scrittori di scienza geologica, che tutte le montagne sieno state prodotte dalla medesima cagione di sussulto , od eruzione di materie liquefatte. Perocché ve ne ha alcune , cbe portano l'im- pronta d'una formazione lenta e progressiva, le quali è pur forza confessare, che sieno state formate dalle acque. Alcuni geologi hanno attribuito forse troppa importanza alle montagne considerandole come 1' immagine della struttura in- terna della Terra, mentre la più alta montagna del globo equivale appena a tr.^ millesimi del suo diametro. Herder nella sua opera sulla filosofia della storia derivò dalle qualità e dall'andamento delle montagne conseguenze forse troppo ardite sopra la storia fisica e politica del globo. Ma di questo avremo occasione di parlare altra volta. Scrittori recenti e riputati mostrarono falso quello che scrisse Buffon ; che le montagne seguitino «n andamento generale, e che nell' antico continente le grandi catene montuose corrano d'oriente in occidente , nell'antico 8 114 la parte liquefatta del globo , che rigoufiando per causa di su- bitaneo svoljjimeuto di copiosi fluidi gassosi urtò e ruppe le pareti delle caverne in cui era imprigionata, ne uscì più o meno e modificò in varia guisa gli strati già consolidali. Abbiasi tutte le lodi chi concepì il primo questa idea , che ci mette in grado di spiegare quegli andirivieni, che fanno le valli, quelle rotture, fessure, contorcimenti, che si osservano sul dosso de'monli,e che finora erano misteri inesplicabili pel naturalista. Tutta la stranezza che pare avere a prima vista questa teoria de'solleva- menti, scompare, quando si pensa ai fenomeni vulcanici attuali, i quali sono una miniatura di quelli che seguirono anticamente. Chi non ha udito parlare di quell'immensa quantità di materia fusa, che di tempo in tempo vomitarono i vulcani con ispavento e terrore degli abitatori delle contrade sottostanti? Si consulti la storia, e si troverà quanto sia stato lo spavento dei popoli di Messina e di Catania in occasione di simili avvenimenti vul- canici. Si miri lo stato in cui si trovano Erculano e Pompeja , ed esso ricorderà quanto funeste possono talvolta riuscire codeste eruzioni. Se tutto ciò non basta per farci conoscere una certa tal quale verità nella teoria dei sollevamenti, la storia ancora rammenta molte isole che non altrimenti si formarono. Plinio ne ricorda moltissime dell'arcipelago greco 5 altri storici parlano della disgiuuzione della Sicilia dalla penisola con un sensibile alzamento di tutto quel suolo 5 e senza rivangare i fatti di tempi così antichi , ricordiamoci della breve apparizione che fece a' dì nostri l' isola Giulia, la quale si direbbe che comparve solo per accertarci del potere della natura , perchè mentre che se ne disputava la proprietà venne inghiottita in quegli stessi abissi da cui era poco prima uscita ; la nostra vista non penetrò a vedere le dislocazioni cagionate agli strati sottomarini in quest' occasione , altrimenti egli è probabile, per non dire certo, che si distendano da settentrione al mezzodì. Una particolarità conosciuta vera nella più parte delle catene montuose si è quella d' essere dall' una parte molto più erte e scoscrse che duU' altra. Così i pirenei cadono assai più rapidamente in- verso mezzodì che inverso settentrione ; le alpi , onde provvide natura la bella Italia, bauno inverso questa un pendio moiìo più erto che dalla parte opposta. 115 si sarebbero osservate lacerazioni, rotture, alzamenti ideatici a quelli che miriamo sui nostri monti. Dopo una così lunga digressione dal soggetto principale di questo articolo , ritorniamo alla questione e vediamo in qual epoca sia avvenuto il sollevamento della diramazione detta del Monviso. E per questo cerchiamo quali sleno i terreni stati urtati e dislocati in quest'avvenimento. Gli ultimi depositi in cui rimangono sconvolgimenti , rotture , ed altri consimili per- turbamenti concordanti con questo sistema di sollevamento, sono quelli della creta inferiore , e siccome i monti di tale sistema sono, come già si disse , i più antichi che si riconoscano in Pie- monte, siamo pertanto autorizzati a credei'e che prima della loro apparizione il nostro suolo fosse ricoperto dalle acque, nelle quali vivevano nuitierosissimi e generi e spezie di animali , che og- gidì si dissotterrano dagli strati cretosi inferiori quando non sieno stati fusi ; imperocché le roccie sollevanti ritenevano tanto calorico che liquefecero tutto cjò che loro stava d' intorno , quindi la distruzione di tutte le spoglie degli esseri organizzati , la struttura cristallina delle roccie, e molte altre modificazioni , che testificano al geologo la natura e la potenza di que' for- midabili agenti. In Piemonte propriamente non esistono od almeno non si riconoscono segni di siflatte dislocazioni 5 nulladimeno non si può asserire che in quell' epoca non siansi anche qui formati dei monti , ma pare piuttosto che gli indizii , che dovrebbero ciò constatare, sieno stati annullati nelle successive rivoluzioni, che stabilirono le cose come noi con nostra gran maraviglia le con- templiamo presentemente. Nel contado di Nizza marittima sif- fatti dislogamenti si riscontrano in migliaja di luoghi, per modo tale che non si può elevare dubbio di sorta che una gran parte di quelle giogaje sia uscita dal mare nella rivoluzione monvi- siana: e se questi fatti non si credessero per loro stessi vale- voli a comprovare l'asserzione riferita, pongasi mente a quelle vette denudate d' ogni posteriore sedimento 5 il che non è al- trimenti spiegabile , se non colV ammettere eh' esse già si ele- vavano sopra al livello del mare quando si formarono i depo- sili dei terreni più moderni della creta della inferiore. Oltre a ciò 116 ravvìsausi ancora in quelle località dei movimenti del suolo, i quali si accordano nella direzione con quelle screpolature donde usci la materia delle propaggini montuose, che i geologi con- getturano di gran lunga più moderne, mentre le più accurate indagini non palesarono negli strati di queste moderne catene , alcuno indizio di dislocazione riferibile al sollevamento del Mojiviso, 5. Sarà continualo. Letteratura — Deli' Arte Traska, Articolo 2.** Della esterior forma e dei soggetti della tragedia. Come ij germe informa la pianta , perocché attraendo dalle viscere della terra que' sughi , che a sua special natura più si confanno , li riduce ad atteggiarsi in quella piuttosto , che in quell'altra figura d'altero, d'erba, o d'ai'busto, e di mille ma- niere di fiori j e quanto è più gagliarda la sua virtù vegetativa, tanto più largamente e nella terra e nell'aria distende li suoi germogli : così il pensiero del poeta infox-ma variamente il te- ma , su cui egli adopva la sua poetica virtù , ed usurpando all'idioma le sue voci, alla musica i suoi numeri, alla storia Je sue reminiscenze , lo obbliga a vestire queste o quelle sem- bianze , a piegarsi a queste o a quelle forme , secondochè - il tema fu nella sua mente diversamente concepito. E quindi , gè un caldo e rapido entusiasmo lo accende , in liriche note gli giova sfogarlo : se aqaore il punge o ricordanza di cara 117 cosa perduta , l'elegia gli oflVe i suoi patetici modi : se una fu- gace reminiscenza di cavalleresche avventure gli si desta nel- l'animo , ne fa soggetto di breve romanza : ma se memorie di patrii fatti gli fervon possentemente nel petto, se lo infiamma il desio di fare immortale la gloria degli eroi 5 allora ei dà fiato all' epica tromba , ed invita le genti ad ascoltare i lunghi e maestosi racconti dell'epopea. Il pensiero adunque del poeta sì è quello, che attenendosi alle universali e costanti leggi del bello , al tema dà forma e vita 5 non già la forma , che dia vita e legge al pensiero. E indarno colla procace gioja , e col fuggitivo estro d'Anacreonte si vorrebber descrivere i lunghi e lagrimosi casi della guerra trojana, o vibrare le corde di cetra lasciva , quando si piange la patria perduta , e i dolori tutti di chi vive in terra straniera. I greci tragedi commossi dall' un canto da vivo entusiasmo di religione e di libertà , inspirati dall'alti'o da patrie e mito- logiche reminiscenze , diedero mirabil forma ad un poema , che insieme colla rappresentazione delle famose gesta degli eroi e de' semidei univa la più alta poesia politica e religiosa. Lavo- rando le tradizioni , che pel bujo dell'antichità , in che giace- vano involte, e pel vario modo, con che erano state dai pre- cedenti poeti o sacerdoti esposte , eran divenute arrendevolis- sime, potevano senza nuocere all'interna e spiritual forma dal pensiero concepita , vestirle di quella materiale, per cosi dire, ed esterne , che a qualità o necessità locali meglio si conve- nisse. Ma , vaglia il vero , se ne dipartirono liberamente ogni- qualvolta lor parve inceppare l'ingegno, o disviarli dagli alti lor fini. E Sofocle nell' Ajace trasmutò dalla tenda al bosco romito 11 luogo della scena , anziché non esporre sotto gli oc- chi fedeli la tragica fine di quell' eroe. Eschilo nell' Eumenidi trasferì l'azione da Delfo in Atene , e fece nel breve termine d'un coro , e di poche parlate compiere ad Oreste tutto quel cammino , piuttostochè commettere alla narrazione la terribile scena delle furie addormentate nel tempio , e dell' ombra di Clitennestra, che pallida e sanguinosa sorge a l'isvegliarle. L'unità di tempo fu pure da' greci maestri trasandata in più luoghi : e lunghi viaggi , come già accennammo, e campali battaglie si 118 supposero dà essi nel corto intervallo d' una lirica poesia , e terminali , e combattute *i. Poiché dopo una lunga notte di barbarie le arti belle si ri- svegliarono , e gli studj drammatici con esse, i novelli tragedi, cui religione e patria più non accendevano" di nobile fìamma, mal seppero rendere a se stessi ragione del coro: e questa parte delle greche tragedie così sublime, e così essenziale, superflua parve ad essi ed incommoda. Questa più che ogni altra fu la cagione, perchè il coro da quegli scrittori stessi, che da una non sapremmo dir quale imitazione de' greci, furon detti clas- sici, fu abbandonato per sempre. In ciò fur essi almeno ra- gionevoli, rimanendosi dal tentare iin genere di poesia sublime ed ardita, per gli alti voli della quale bisognavano penne più che le loro robuste : e la rinunzia ai cori, gli assolve da tac- cia d'orgoglio , e di servile imitazione *2. * I J^edi Eschilo nell'Agamennone , Sofocle nelV Edipo Coloneo , Euripide nelle Supplicanti ecc. La violazione dell'unità di tempo doveva essere più sentita assai nelle tragedie greche , che nelle nostre ; perche in quelle mai non calava la tenda. *2 Questo , a parer nostro , non è picciolo argomento a dimo- strare , quanto la tragedia antica per la inimitabile sublimità de' suoi cori superi la moderna , che non seppe sollevarsi a cotanta altezza. E poiché ci occorse altra volta di accennare a questo scri- vendo che nessuno puh ancora vantarsi d' avere uguagliati i tra- gedi greci , non Alfieri neppur esso : non giudichiamo fuori di pro- posito V addurre qui quelle ragioni , che ne indussero a manifestare quella opinione j instituendo un breve paragone tra ì Greci ed Al- fieri ; non già per voler diminuire la fama di quel sommo ^ come fece lo Schiller: che nessuno più di noi pregia^ ed ammira il tra- gico Astigiano ; ma per modo di accademico ragionamento. Il let- tore giudicherà della validità delle nostre ragioni. Cinque pregi, a parer nostro , rendono i tragedi greci eccellenti^ e finora insuperati da Alfieri medesimo, i." Semplicità di condotta. 2.** Altezza di tema. 3.° Grandezza di caratteri. 4-** Robustezza di stile , che dall' altezza de' temi e de' caratteri deriva. 5." Sublimità nel lamento. E in quanto alla semplicità di condotta , la troviamo ne' Greci maravigliosa. Se si toglie l'Edipo Re di Sofocle , e qualcuna delle 119 Ma quando s'avvisarono di prestar greche sembianze a soggetti non greci, e restringere i grandi e assai men docili temi della storia in anguste forme non inventate per essi , diedero allora a divedere come mal comprendessero lo spirito della greca tra- gedia , e come una falsa imitazione gli avesse malamente travolti. tragedie d' Euripide , ìion certo le migliori , tutte le altre hanno un' andatura semplicissima : il fdtto vi si rappresenta tal quale si supponeva avvenuto. Il Prometeo d' Eschilo è un dialogo di tre o quattro personaggi con Prometeo , i quali non entrano per altro , che per farlo parlare. Malgrado questa ^ che t; piuttosto nudità, die semplicità , quale stupenda tragedia non ne è uscita ! Qiiando mai con sì pochi mezzi si fece altrettanto ? L' Edipo a Colono di So- focle è pur esso semplicissimo nella condotta , e nondimeno ma- raviglioso per bellezze. Edipo viene a Colono spinto dal fato per morire : parla con Teseo , benedice le figlie , maledice i figli , cerca il luogo della sua tomba , e muore. JJavvi una peripezia , /' arrivo di Creonte , che vuole rapire ad Edipo le sue figliuole : ma questo incidente è pur piccolo a confronto di que* tanti ^ onde si compone e s' intreccia la moderna tragedia. Nei sette a Tebe d' Eschilo può dirsi che v' ha un personaggio solo ^ Eteocle : giacché il Nunzio è una narrazione personificata : Antigone , Ismene , il Banditore giun- gono dopo la catastrofe quasi ad annunziare un' altra tragedia .• l' Antigone. Eteocle vedendo Tebe cinta di nemici guidati da Poli- nice s' informa del numero d' essi , della condizione de' loro duci .• a ciascuno contrappone quello tra' suoi , che crede pari o maggiore in coraggio , e gagliardia. A Polinice poi , all' odiato fratello op- pone se stesso. Ordinate le cose per la difesa della patria scende al campo , vi uccide il fratello, e vi rimane ucciso egli ancora. Ecco tutto il tessuto di quella stupenda tragedia. Polinice non si ved& che morto : Giocasta non c'entra. Con tutto ciò la tragedia d' Eschilo è in alcuni luoghi piìi robusta di quella d' Alfieri. Nel Polinice d'Alfieri per lo contrario quanto intreccio ! quante situazioni fe- conde di sentimenti e d'affetti, I raggiri di Creonte per ingannare i due fratelli , e trarli amendue ad estrfma ruina : Polinice ed Eteocle posti sovente a fronte l'uno dell'altro ; e quindi tutta quella caldezza di dialogo , che ne deve necessariamente risultare : Gioca- sta madre affettuosa , che vorrebbe comporre le i/e fraterne , e pro- duce situazioni per se stesse comTliovtntissime : la scena del giura- 120 E perocché s'avvidero, cVie que'Soggetti giganti slavano a disagio nel letto di Procuste , in dhe gli volevano costringere , dispe- rando gridarono, che tali soggetti non erano suscettivi di buona tragedia. Con non migliore giudizio , poiché non conobbero, che la grandezza d'un secolo non è quella d'un altro, e che il lin- guaggio d' Ercole e di Teseo mal suonerebbe nella bocca di mento , della tazza awdenata ecc. Ma nella tragedia greca l'affetto non nasce dall' arte di contrarii affetti , come in quelle d' Alfieri e degli altri moderni ; modo certamente più facile di suscitarlo , ap- punto come si suscita la favilla dalla selce dall' acciaro battuta. Nelle tragedie greche l' affetto nasce dal tema : l' unica situazione è quella del tema , quella che il fatto somministra : fuori- di quella non se ne mendica alcuna. Il personaggio piange , s' adira non al- trimente che V uomo si suppone aver fatto. Lo stesso potrebbe dirsi dell' Antigone di Sofocle posta a confronto con quella d'Alfieri ■• in questa molt'arte , e situazioni fortissime : in quella tutto semplicità. JSell' Agamennone d'Alfieri la grande simulazione d'Egisto , l' amore per esso di Clitennestra , i rimorsi di questa: Elettra che ama egual- mente il padre e la madre , ed è in continuo timore per la vita dell' uno e pel pudore dell' altra , lo scontrarsi che fanno sulla scena Agamennone ed Egisto , tuttociò dà luogo a molte situazioni suscettive di tragici affetti. In quello d' Eschilo niente di tutto que- sto. Clitennestra sola medita la morte d' Agamennone , dissimula il suo fiero proposito fino al momento dell' esecuzione. Riceve giuliva r annunzio di Troja espugnata , ordina sagrificii in rendimento di grazie, festeggia il reduce sovvertitore della città di Priamo , gli stende sotto i piedi i tappeti assirj , lo conduce nelle interne stanze , e mentre Cassandra rimasta di fuori, e invasa d' apollineo furoie , profetizza sciagure alla casa d'Atreo , Clitennestra uccide Agamen- none, Eppure chiunque ponga mente all'Agamennone d' Eschilo il tro- verà più tragico di quel d'Alfieri. Questi, ne sembra , privò la sua tragedia d' un grande ornamento , lasciando addietro il personag- gio di Cassandra. L' Oreste è quella tragedia di soggetto greco , che Alfieri ha saputo meglio imitare dagli antichi esemplari. Pure in quanto alla forza tragica , cede , ne pare , in parecchi luoghi alle Coefore d' Eschilo , e nella catastrofe anche all' Elettra di So- focle. Nella semplicità poi della condotta è ad amendue le greche di gran lunga inferióre. 121 Carloniagno e di Ottone, dissero, che a personaggi moderni non si coufù la grandiloquenza. Ammiratori profondi quali noi siamo dei Grec\, cui le Muse allattaron più eli altri mai, noi portiamo opinione, che in altra guisa scriver non si possa una perfetta tragedia, che seguitando, come esemplari, que' sommi maestri dell'antichità, che nelle lettere e nelle arti andarono innanzi La conclusione del Jin qui detto si è , che Alfieri ha dovuto usare per condurre le sue tragedie molta piìc arte , e piìi raggiri , che i Greci. Del che noi siamo ben lungi dal volergli dar carico ; ma se si debba maggior lode a lui , owero ai Greci , che con tanta temperanza di mezzi artificiali seppero condurre a fine opere così maravigliose ; se s" abbia ad antiporre V arte studiata d'Alfieri alla sublime semplicità de' Greci , ciascuno pub facilmente per se stesso giudicarne. La natura , onde V arte è figlia e seguitatrice , è ella così complicatane' suoi mezzi, a non piuttosto semplicissima in tutte le opere sue ? Ora diremo alcuna cosa degli altri pregi de' Greci. Le greche tragedie grandeggiano sopra tutte le altre per V altezza de' loro temi, tutti ricavati (eccettuatine i Persiani) dalla storia eroica e mitologica della loro nazione , sicché la storia degli uomini si confonde con quella de' numi. Quindi a quelle favole è impresso un carattere augusto , che grandi le rende e venerande. E per vero dire un Prometeo perseguitato da Giove, perchè amò gli uomini pili del dovere, le stirpi di Labdaco e di Tantalo punite fin nelU ul- timo de' nepoti per gli antichi delitti degli avi, un Ercole pro- genie di Giove, che muore, un Filottete così tenace dell'odio an- tico, che a rimoverlo dalla fiera sua mente convien che Ercole istesso discenda dal cielo , un Ippolito figlio di Semidio , tanto grande , che Venere il credè degno della sua ira , e Nettuno fa prodigj per sagri/icario al forsennato sdegno del padre : un Alceste per la cui vita vengono a contesa nella sua reggia la Morte , Al- cide ed Apollo , questi soggetti son tanto grandi per se stessi , che la sola storia mitologica della Grecia poteva somministrarli. Alfieri si giovò bensì d' alcuni di questi temi , ma oseremo dire , che nelle sue mani s' impiccioliscano. In questo la morte dei due fratelli ne- mici è pili V effetto dei raggiri di Creonte , che di quel nero ed im- placabil fato , che signoreggia tutta la tragedia d' Eschilo , i sette a Tebe. Neil' Antigone le ragioni di Stato , che muovono Creonte , tolgono anch' esse gran parte dell' opera di quel destino , che traeva 122 a tutti. Ma non crediamo con tuttociò, che per sovercViio studio di greca imitazione, si debbano in greco manto avviluppare i grandi personaggi italiani o fra'Vicesi , o sacrificare all' esteriore osservanza delle forme le intime bellezze d'un moderno soggetto. Se Eschilo e Sofocle vivessero a' tempi nostri , e fossero cit- tadini della nostra Italia , e come già tragedie greche , tragedie a distruggersi gli uni per la mano degli altri lutti i discendenti di Edipo. Così dicasi dell'Agamennone , e delle Coefore d' Eschilo , e dell'Elettra di Sofocle m,esse al paragone coli' Agamennone, e coir Oreste d'Alfieri. Questi pose i moventi umani in maggior luce di quel gran movente divino , il fato : mentre avrebbe potuto giovarsene (guanto i Greci trattando temi tolti da que' tempi e da que' fatti. Non parleremo de' cori , pregio inimitabile de' tragedi greci. I cori de' sette a Tebe , e dell' Agamennone d' Eschilo sopra le sventure della casa d' Edipo , e di Pelope contengono a parer nostro piìi poesior tragica , che non le intere due tragedie d'Alfieri. Dell' Eume- nidi d' Eschilo è meglio tacere affatto , che dirne poco. Quale gran- dezza di pensiero , personificare i rimorsi ! E V inno senza toccar di lira che inno stupendo e terribile ! Quella tragedia noi la cre- diamo insuperabile. Per grandezza e sublimità di caratteri sovrastano ancora i Greci. Gli eroi delle greche tragedie son tutti o Dei o Semidei, o figli e di- scendenti di Semidei. Quindi la tempra dell' animo loro corrisponde all' altezza della stirpe, e que' personaggi sono tutti giganteschi. Lasciando addietro i molti esempj , che della grandezza de' ca- ratteri greci si potrebbero addurre come di Prometeo , d'Edipo , dell' Eumenidi ; e d'Eteocle , e di Creonte più elevati assai nelle tragedie greche che in quelle d'Alfieri , il quale fece il primo tra- ditore e spergiuro : al secondo attribuì tutta la perfìdia d' un ti- ranno novellamente salito al trono , mentre V Eteocle d' Eschilo è un Re generoso , che difende col proprio sangue una patria cara a lui quanto il trono (e il trono è V unica cura di quel d'Alfieri; di patria ei non ha pensiero ), e il Creonte di Sofocle è un Re severo ; due soli esempj sceglieremo per dimostrare come i ca- ratteri delle greche tragedie s' innalzino al di sopra di quelli di Alfieri; gli esempj di Clitennestra e d' Oreste. La Clitennestra d' Eschilo è veramente la fortissima de' Tindaridi, la quale non ti- tuba mai fra il delitto e il pentimento , nasconde il pensiero del 123 italiane volessero scrivere , come farebbero essi ? da qaali fonti deriverebbero i temi loro? di che foggia piuttosto li vestireb- bero? Ci presenterebbero essi, non ha dubbio, sull'italiche scene Ottone il grande, l'imperatore Eurico IV, Federico Barbarossa, il re Manfredi, Francesco Ferrucci, Bonifazio Vili, la regina Giovanna, come già Teseo, Edipo, Serse ed Eteocle , e Tiresia misfatto , e compiutolo s' allegra sul cadavere dell' ucciso marito , vantandosene come d' opia bella e generosa. I Greci non credevano che il delitto della figlia di Leda potesse altrimenti abbellirsi , che d' una insolita, audacia nel recarlo ad effetto. La Clitennestra di Alfieri è mesta , incerta e trepidante , quale forse si conveniva al teatro nostro, dove mate si comporterebbe, massime in donna, l'aspetto della scelleratezza invereconda , e senza rimorsi. Così V Oreste di Alfieri non è matricida che a caso ; mentre quello de' Greci e l'E- lettra sono matricidi d' animo deliberato , e persuasi inoltre di far cosa debita e santa. I profeti nelle tragedie greche sono caratteri anch' essi grandi e sublimi , ne sappiamo perchè Alfieri abbia vo- luto lasciarli addietro , avendo per altro introdotto Achimelech nel Saul. Tocchiamo dello stile. Altezza di temi e di personaggi deve gene- rare altezza di sensi j e quindi uno stile robusto e sublime. Tale ap- punto si è quello de' Greci. Qui converrebbe distendersi pili assai che i limiti di queste pagine non comportano per dimostrare la robustezza di stile , V altezza de' concetti , e la forza tragica , ond' hanno sì gran fama i greci tragedi. Toccheremo solo d' alcuni fra que' temi , che Alfieri ha anch' esso trattati. Chi legga le parlate d' Eteocle al coro , che incominciano: oh furente , oh da Numi abbominata No- stra d' Edipo miseranda schiatta ecc. , e raffronti questa scena col Polinice d'Alfieri, avrà pena a. trovare in quest' ultimo cosa , che le si agguagli in forza tragica. Parimenti chi mediti neW Antigone di Sofocle tutte le parlate di Antigone con Creonte , la nobil gara d'Antigone e d' Ismene , che V una e l'altra voglion parer ree del sepolto Polinice (scena imitata da Alfieri J: la scena di Antigone frolle guardie condotta a morire , e poi faccia il paragone con quelle d' Alfieri , che a queste corrispondono , il suo giudizio riu- scirà forse favorevole al greco. Quell'Antigone , che pende nel fondo dello speco d' un capestro al collo attorto , quell' Emone , che pian- gente la stringe fra le sue braccia , é visto il padre , che quasi pen- 124 e Clitennestra sulle greche scene rappresentarono; la battaglia di Legnago o di Lepanto agi' Italiani ricorderebbono, come già agli Ateniesi quelle di Maratona e di Salamina: e quella forma, che a siffatti soggetti meglio paresse loro convenire, si ad essi l'adatterebbero. tito s' innoltra , lo guata truce e minaccioso , e snuda il ferro , poi contro se stesso il rii'olge : e con tremule braccia Stringe al petto la vergine , e versando In copia il sangue e anelando le spira Sulla candida guancia il fiato estremo; poi i lamenti disperati di Creonte: Un Nume Orribihnente mi pesò sul capo , E in suo sdegno mi scosse, e calpestata Ha la prisca mia gioja. Me infelice ! Opre dell' uom malaugurate ! Oh non placabil mai Fiero porto d'Averno a che mi struggi ? . . . . Venga omai di mia vita il più bel punto L' ultimo alfin de' giorni miei ! Deh giunga , Deh giunga omai si , eh' io più il di non vegga ; tutte queste sono cose maravigliose. Né le descrizioni di quelle morti , ne i laménti di Creonte han luogo nella tragedia d' Alfieri , e per concetti tragici noi la crediamo inferiore a quella di Sofocle. Neil' Agamennone d' Eschilo le par- late di Cassandra , e quelle di Clitennestra sul cadavere d' Aga- mennone : cosi lo spirto ei fremendo esalava -, E fuor soffiando impetuoso il sangue D'atra rugiada mi spruzzò , che lieta Femmi non men di seminato campo , Quando irrorato dalla diva pioggia , Apre ai fiori la vita ecc. sono, a parer nostro, impareggiabili. Al- fieri avendo impicciolito il carattere di Clitenne stra non poteva porle in bocca parole così sublimemente impudenti. Potremmo citare an- cora le parlate d'Oreste sul cadavere di Clitennestra, e di Egisto nelle Coefore d' Eschilo : Mirate d' Argo la tiranna copia ecc. , e queir insinuarsi del rimorso nel cor d'Oreste : Rea fu davver costei o rea non fu ?.. * . ma basti per prova quel poco , che se ne è detto. Resta ora a parlare della sublimità nel lamento. Questa, secondo noi, è dote quasi esclusiva de' greci tragedi. I moderni ove abbiano ad esprimere un lungo lamento cadono spesso in un tedioso piagnisteo. Non così gli antichi. J^eggansene in prova i lai d' Antigone condotta a morire , i disperati lamenti di Filot- tete e di Edipo , que' tanto soavi d'Alceste morente , e de' suoi figli , quei di Evadne moglie di Capaneo nelle supplici d' Euripide, il coro pur anche delle supplici. Alzate , o madri , il cantico , che alzar si suole per le morte genti ecc. // canto dell'usignuolo non è 125 Né alcuno creda per avventura mancare dignità e grandezza ai soggetti derivati dalle italiche storie. Perocché non havvi 'forse popolo sulla terra , i cui annali più di quelli della nostra pe- nisola abbondino non meno del suolo suo stesso di grandi esempj d'ogni sorta d'umani rivolgimenti. Noi taceremo qui le virtù e i vizii, e la soverchiante fortuna della grande repubblica ; il terrore e la maestà del grande impero fecondi l'uno e l'altra di miserevoli casi e di stupende azioni. Anche i tempi , che seguitarono appresso , quelli soprattutto , in cui le città italiane poco soddisfatte del governo di Principi deboli ed ambiziosi, e mal difese e protette dal nome d' un impero lontano , e il più delle volte delle cose d' Italia poco sollecito, s'ordinarono a repubbliche, e combatterono prima per la propria sicurezza ed indipendenza, poscia consumarono le loro forze tra feroci vicendevoli inimicizie ed arrabbiate domestiche contese , anche que' tempi di turbolente libertà , d' incomposte cittadinanze e di piccole signorie sorte sulle rovine delle città parteggiane produssero uomini e fatti maravigliosi e memorandi , quanto quelli de'secoli eroici della Grecia. Grandiosi caratteri, scrive il Sismondi , svilupparonsi in que' piccoli stati , e vi germogliarono le più vive passioni e le più eroiche virtù. In- somma quanto di grande , di sublime , di magnanimo, ed insieme di funesto, dì lagrimevole e crudele è sparso qua e là per gli più dolce de' lamenti della greca Melpomene. E qui faccioni punto a questa lunghissima nota. Noi bene ci avvediamo d' aver posto mano ad opera delicata , e difficile ravvicinando due epoche così lontane della tragedia , quali sono quelle de" Greci e d'Alfieri ; epo- che così differenti tra di loro per mutazioni avvenute morali , poli- tiche , scientifiche e religiose , le quali dovettero di necessità pro- durre notabili effetti sulV essenza della letteratura. Ma qualunque possa essere il pregio delle cose da noi discorse , da esse appa- rirà , che noi abbiamo tenuto conto del cortese invito , che ci venne fatto ; e che apprezzeremo sempre quelle acconce osservazioni , che ci si faranno in avvenire. Avvertiamo per altro , che scrivendo noi intendiamo piuttosto di palesare opinioni, che di proferire sentenze \ onde ci crediamo liberati dall' obbligo di entrare sempre per esse in letterarie o scientifiche discussioni. 12^ annali del mondo sia di cose operate sulla terra , com« sui mari, nell'aula regia o nel tempio, nel foro o nel campo , tutto trovasi raccolto quasi in compendio ne' diversi periodi delle italiche Storie. Onde non è da dire ; che manchi nobiltà e grandezza ai soggetti derivati da storie così fatte; e nemmanco quel velo d'antichità, onde tanto si diletta la poesia. E bene il provarono col loro esempio i presenti tragedi italiani che quasi tutti da quelle storie derivarono i temi delle loro tragedie , Manzoni , r^icolini, Pellicole più d'ogni altro JVIarenco. Debbe adunque il poeta studiare e meditare profondamente il suo tema, onde il poetico lato di sotto alla severità della storia scoprirne,- poscia quella forma adattargli, che meglio ris- ponde al suo pensiero, e quella maggiore o minore larghezza consentirgli, che richiede la natura del meditato soggetto. E dove ponesse sotto gli occhi un'azione, che in private dome- stiche mura , o nella cerchia d' una sola città , e in breve spazio di tempo fosse stata compiuta , i lìmiti della scena convenevolmente restringa. Ma quando seguisse le tracce d'un fatto grande e solenne, che molto tempo abbracciò, e molto spazio percorse , quando le grandi gesta dei popoli e i loro alti destini rappresentasse; allora col poter magico della poesia gli stretti confini della scena proporzionatamente distenda , non altrimenti die suole il pittore, il quale, secondo l'azione che imprende a dipingere e il novero delle figure, che a ben rappresentarla si richieggono, la tela del suo quadro allarga o restringe. Né puossi dire perciò, violar esso le leggi del vero- simile, e scemar interesse all'azione, facendola parere incredi- bile. Perocché altra cosa è nel dramma la parte sua intima e spirituale, altro l'esterna, e, se così lice chiamarla, meccanica. Nella prima soltanto è necessaria la verosimiglianza, siccome in quella , che è l'essenza e il midollo del dramma ; e che non vera essendo, ma finta (^q favola tecnicamente vien detta) ri- cerca a destar l' illusione l'ornamento di que'colori , che la fan parere simile al vero. Accessoria è l'altra e subordinata , ne in essa la vita del dramma consiste , al quale risponde come la scorza al midollo : e non altrimenti, che la scorza è informata dalla naturai virtù della pianta , così seguita quella la interior 127 forma del dramma, ne verosimiglianza alcuna è in lei possibile j perocché tutto in essa è vero e reale. Invano il pittore, il macchinista useranno tutti gli sforzi loro ad ingannare piace- volmente gli spettatori. Se non gli illude il poeta colla sua possente malìa e colla verità in tutta la parte intima del dramma trasfusa , ricorderannosi ad ogni istante , che nel breve circuito d'un teatro essi stanno, non già in Argo od in Tebe. Il pub- blico assistente in teatro non debb'essere già, come altri crede, ozioso ascoltante e spettatore ^ ma attore e poeta ancor esso. E dove egli mai lasci d'essere attore e poeta 5 quando sull'ali della fantasia più non si trasporti da' suoi immoti seggi in Argo, in Corinto od in Tebe , e dagli angusti confini d'una sera nel vasto campo de' secoli andati ,• dov' egli non converta le mobili tele dipinte in rnura di regie, in fori ed in campi, dove, per megliu dire , la poesia noi rapisca fuori di sé , e noi tiri in estasi ir- resistibile dietro al suo legno ^ che cantando varca. Nessuna illusione desterà in lui , a nessun affetto il commuoverà la tragedia dinanzi a'suoi occhi rappresentata. Eschilo, Sofocle ed Euripide i greci costumi nelle loro tra- gedie rappresentarono : a volerli degnamente imitare i nostri costumi nelle tragedie italiane voglionsi rappresentare e derivare in esse dalla cristiana religione tutto quello, che un santo rispetto non vieta. Conciosiachè la religione sia quell'affetto, che il primo nasce nel cuore umano, e come la speranza non vi muore giam- mai. E se nel corso della vita il tumulto di cento passioni rende fioca o talvolta muta l'augusta sua voce, s'ella quasi sbigottita 6Ì sta lungo tempo nascosa nell'interno dell'animo, ella risorge vieppiù forte e temuta nell'ore estreme, e al morente che la riabbraccia pentito sparge in volto la mesta e severa sua luce , come il sole , che sfolgorando di rosei colori sul nascere , velato talvolta d'oscura nube sul meriggio, riaccende nel tramonto i colori stessi sull'ultime falde dell'occidente. La religione si è adunque a parer nostro il più forte degli umani affetti; e sorgente insieme di affetti fortissimi. Perocché gli uomini perdono le sostanze, i figli, fin anche l'onore, e si rassegnano ; perdon talvolta la vita , e ne superbiscono : e i popoli cessano finalmente di difendere, e persino di piangerò 128 la loro independenza. Ma della perdita della religione noli è cosa che li consoli: iiè l'uom soffre , che una forza soverchia- trìce e profana gli strappi dal cuore quelle credenze consola- trici, che gli infiorano di care speranze la vita. E quindi os- sia , che un santo entusiasmo accenda il vero credente contro la tirannide del fanatismo , ossia che un fanatismo oppresso combatta contro un fanatismo oppressore ( perocché negli af- fetti umani la superstizione alla religione s'agguaglia ) magna- nimi e cari agli occhi degli uomini son sempre quegli sforzi , ch'altri fa per difendere -, e puro ed inviolato trasmettere ai posteri il patrimonio della fede avita ; e santo ed onorato quel sangue che si sparge per essa: ne Melpomene può sciogliere un inno più pietoso e sublime di quello , che il martire in- nalza fra le fìanime de' roghi. DEL cono NELLA TltAGEDIA. La tragedia nazionale, la tragedia dettata da amor patrio e religioso, si giova maravigliosamente dei cori, parte principale delle tragedie greche, e diremmo quasi che non ne possa far senza. L'azione , che il poeta tragico dipinge , debbe di ne- cessità destare in lui medesimo vive perturbazioni e riflessioni profonde, onde emerge la parte morale del dramma , e che egli desidera naturalmente, siccome ogni uomo , che è profon- damente commosso d'imprimere negli animi altrui. Impaziente dei limiti , entro cui l'imitazione d' un' azione detcrminata lo restringe : ma obbligato nello stesso tempo ad usare per tutto il dialogo un linguaggio temperante imitativo del naturai di- scorso de' personaggi , ama dì sospendere alquanto il corso degli avvenimenti drammatici per isclogliere un inno, dove le reminiscenze del passato, i presentimenti del futuro, qu e' pro- fondi concetti insomma che ha fatto nascere in lui 1' azione , che ha descritto sieno vestiti delle splendide forme d'una lirica poesia, ed affidati ad un coro, il quale però bene vicn detto dallo Schlegel l'organo de' sentimenti del poeta , il rappresen- tante dello spirito nazionale , lo spettatore ideale e contem- " 129 poraneo dell'azione rappresentata, atto più che il caldo opera- tor di quella a riflettere quasi specchio que' sentimenti , che «ssa desta in colui, che scevro da forti passioni, e^on occhio perspicace la mira. Ma conviene che l' azione contemplata ia qualche modo gli appartenga 5 altrimenti il suo giudizio sarà non solamente spassionato, ma freddo come quello de' posteri. Ondechè i Gteci, tranne alcune poche tragedie, dove il coro è coro , e protagonista ad un tempo lo composero mai sempre di persone , che non abbastanza congiunte ai personaggi del dratnmà per essere rapite dal vortice delle loro passioni , non fossero nemmeno ad essi cosi estranee, che punto non le toc- cassero l loro delitti e le loro sventure. Così lo formaron sòvéttté di tecchi , siccotuè quelli Cui l'età rende più alti al ihédiUre che all'agire; ma di vecchi cittadini, che del bene e del male della patria si rallegrano altamente, e si rattrista- no: di donne o donzelle, che, o schiave essendo , mentre dal- l'un cantò non l:an comunanza di sangue o di patria coi loro padroni , nOn son per altro affatto indifferenti alle vicende loro avendone per dura necessità a seguitar la fortuna buona o mal- ragia 1 ovvero essendo libere , sentono siccome donne , e giu- dicano sugli umani eventi diversamente dagli uomini 5 ma né mogli essendo , né madri , né sorelle degli eroi , che operan nel dramma , si ristringono a deplorare i mali , onde le vio- lente passioni di coloro sono cagione alla famiglia o alla città. Lo formarono ancor di guerrieri, che stanchi dalle fatiche di lunga guerra, sospirano la terra natia, e maledicono le funeste cagioni , per cui furon tratti in lontane contrade a sparger per gli altrui sdégni il sangue. In questo modo operarono i greci maestii : né mai sareb- bersi arrischiati d'introdurre nella tragedia una poesia lirica , un inno, che mal si comprenda da chi debba esser cantato. Come s'abbiano ad usare i cori nelle moderne tragedie , il di- mostrò quel maraviglioso ingegno di Alessandro Manzoni nel suo Adelchi : Manzoni , il quale dopo aver dato. della tragedia nazionale non piccolo saggio , non volle , uè sapremmo perché , progredire più oltre. Quando nitW jddelchi s' intuona la nenia funebre intorno al letto della morente Ermengarda , chi non 9 130 comprende, che le monache del monastero di Brescia la can- tano, e tutta non iscorge la convenevolezza e la sublimità dì quell'inno stupendo? Ma se s'ode cantare la discesa di Carlo- luagno in Italia, o la battaglia di Maclodio in guisa che non si dia onore ne ai vincitori, né ai vinti, e s'imponga silenzio a tutte le speranze anche fallaci, che un grande evento suol destare ne' contemporanei , per darsi pensiero esclusivamente di generazioni non ancor nate , o di un popolo , i cui interessi punto non si trattan nel dramma ; ognun chiede a qual gente appartengan coloro, che le presenti cose non muovono affatto, e che stranieri al secolo in cui vivono , usurpan gli affetti ed il giudizio de' posteri. L' arte adunque del poeta debbe sce- gliere in modo que' personaggi, cui egli affida l'espressione dei suoi pensieri, de' suoi affetti 5 che la parte lirica del coro non riesca una parte al tutto estranea, e staccata dal dramma *3L E siccome fecero i Greci, che prendendo occasione dall'azione stessa, innestarono bellissimi inni nelle tragedie loro : e lieti epitalamii intuonarono, e lugubri canti intorno alla bara fune- rea , e solenni peana nel tempo d'un sagrifizio, e canti mar- ziali fra lo strepito de' combattimenti: cosi deggiono pur fare gl'Italiani, se de' Greci hanno a dirsi veraci seguitatori. *3 Ma poiché la tragedia piìt non ti canta , (jiial sarà il modo di rappresentare la parte dei cori ? a questo rispondiamo : o V oC" casione si presenta d' introdurre un canto nel dramma , come un inno funereo, un epitalamio, un canto guerriero, e allora nulla osta, ch'esso venga cantato. Ovvero il coro esprime soltanto in liriche forme i pensieri di tale, o tal altro ordine d'uomini; ed in questo caso vuol essere declamato, facendo parlare successivamente i varii personaggi del coro. Il miglior mezzo poi ne par questo di terminar le strofe o la maggior parte di esse con un detto sentenzioso , che più s'imprima nella mente degli uditori, e farlo poscia ad una voce ripetere dal coro intero. Così fece Schiller nei cori della Sposa di Messina. Sarà lonlinuaLo e finito in un altro articolo. G. 151 ÌTLOLOGIA — Nota sopra un verso di Dante ed uno dei Barn/. Chi è che non cliiacchierl oggi su Dante? Da che, se nell' andato secolo i letterati medesimi aveano quasi ribrezzo a par- larne, oggi si può dire con verità che ne cinguettano persin le donne. Ma se io deploro quel tempo e quell'inchiostro che si gitta o per ricantar cose che furono dette le mille volle, o per dar fuora interpretazioni affatto strane e bizzarre, o per regalare a Dante opinioni e intendimenti che non gli passarono mai per il capo ; altrettanto, parmi, lodar si debbon coloro, che fauno opera , perchè la mente del gran poeta con validi e sicuri ar- gomenti vieppiù si confermi e chiarisca. E perù loderò gran- demente il eh. ab. Federici, vice-bibliotecario della università di Padova, il quale svolgendo, per cagion del suo ufficio, il qua- resimale latino del cinquecentista Paolo Attavanti, ed incon- tratosi in più che un migliajo di versi del" divino Allighieri , da esso recati e frammessi , com' era vezzo di quell' età , alle autorità delle Scritture ede'Padri, s'accorse che que' versi con- tenevano delle notabili varianti dalle migliori edizioni della divina Commedia, e massime dalla nldobealiua; e però volle pubblicare quelle varianti, per far agio così agli studiosi di Dante di vie più raddrizzare la lezione del suo maraviglioso poema. 'Ora io dal fascio di codeste varianti ne cavo fuori una , che mi par bellissima, e dalla quale si potrà argomentare la importanza e la utilità delle altre. Nel secondo cerchio, dove si castigano i lussuriosi , mette il poeta per prima la famosa Semiramide, di cui si legge, Clic succedette a Nino e fu sua sposa. Confesso che questa circostanza mi è sempra parata estranea al soggetto di questo canto j pex'occhè se Dante voleva mostrarci Semiramide j'oltd talmente a vizio di lussuria j che libito Jh' licito in sua legge j perche soggiungere: C/ie. succedette a Nino e J'u sua sposa? E forse un delitto , è forse una pruova di disonestà, il succeder che fa la donna al marito che è morto ? So che quel 132 succedette potrebbe anche esser dello in senso ironico, alludendo al modo crudele e sleale, con cui Seniiramide, per testimonianza di Diodoro e di Plutarco, si disfece del marito e gli successe nel trono; ma allora Dante l'avrìa cacciata nella Caina fra' tra- ditori de'proprj parenti, e non già in questo cerchio, dove sono tormentati i lascivi. Ma tutte codeste difficoltà, che presenta la lezione di quel verso, in sin qui ricevuta, svaniscono nella lezione del P. Altavanti , il quale reca quel verso così : Glie suir!;er dette ;i Nino e fu sua sposa. Oh ! questo fatto, sì, mette il suggello a quella rotta lascivia, (li cui il poeta l'avea marchiata nel precedente terzetto 5 poiché in falli non v' ha pruova maggior di libidine in una donna , né più tristo esempio di dissolutezza in una reina, che il vivere in disonesti abbracciamenti con quel desso, acni, come a pro- prio figliuolo, già diede il latte. E ciò appunto dichiarò il P. Altavanti, appiccando a quel verso le seguenti pai'ole, come a modo di commento : Quasi clicat: Illa est Semiramis luxurio- sissima , qiiae habuit in viriim Ninuni, guein lactaueratj et ne liomines ohloquerentur de ea j fecit legem , ut omnibus liceret iixorari ad libitum. Né vale il dire , che quel matrimonio di Semiramide col proprio figliuolo, attestato già da Cenone e da Giustino, fu rifiutalo da Fozio al tempo antico, e da Freret a' giorni nostri j poiché basta al poeta anche una semplice tra- dizione, per fondar sovr'essa il proprio componimento; e però non dobbiamo maravigliarci , che da codesta tradizione abbia pavato l'Allighieri un solo verso , quando il Grebillon e il Voltaire pavaron da esso un' intera tragedia. Dichiarg,lo così questo verso del poema sacrOj mi si conceda ora di chiosarne uno di un capitol burlesco ; già fra la serietà p l'allegfia suol passare la vita; e però non è male, che talvolta ^} questi due elementi s' informi eziandio la letteratura. Tutti sanno di quella cattiva notte , che il povero Berni passò a Povigliano, sul Veronese , in casa di quel cotale, che credendo di albergarlo da principe, il fé' star peggio di un galeotto. Non l?isogna far doraiir male i poeti, se non si vuole che la mattina sì sveglino col cattivo umore, e lo sfoghino poscia ne' loro versi. Ciò fece appunto messer Francesco, il quale roso dalle pulci, intronato dalle stiida, orbo dal fumo, diede di piglio alla penna, e ne scrisse quel capitolo al Fracastoro, che è meritamente sti- mato uno de' più cari gioielli della poesia berniesca. Ora in quel capitolo volendo il Berni fare la più. sozza pittura che mai potesse di quel suo ospite , né lasciargli, come suol dirsi, pelo asciutto, ne dice, ch'egli aveva Un ceffo accomodato a far San Marco. Questo verso potrebbe a prima giunta sembrare ingiurioso al Santo Evangelista ; ma chi sia pratico degli antichi costumi veneziani, è ben lontano dal pigliarne ombra di scandalo. E qui per farla anch' io da erudito (da che l'erudizione costa oggi sì poco e frutta tanto) , ricorderò , come si mantenga a Venezia una tradizione : che San Marco, navigando verso Aqui- leja , per predicarvi il Vangelo^ incolto da fiera burrasca, abbia dovuto riparare nelle lagune di Venezia, e proprio nel luogo, dov'è oggi l'antico orto de'padri Zoccolanti 5 nel qual orto, per commemorazione di codesto avvenimento, sussiste tuttavia una cappella col titolo di S. Marco. Checché sia di questo fatto, al quale par che alluda S. Paolino nell'Inno V. di S. Marco, è certo che esso bastò per invogliare i Veneziani ad averne il corpo, eleggendolo per lor patrono. E Dio li favorì per modo in questo pio desiderio, che Bono di Malamocco e Rustico di Torcello f trovandosi per negozj di mercatura in Alessandria , poteron di là toglier furtivamente il sospirato corpo del Santo Evangelista, e condurlo salvamente a Venezia, dove gli si rizzò una magnifica chiesa, e gli si decretò un pubblico culto 5 chiesa e culto che si mantengono tuttavia , dopo che tutto sparve dell' antica Venezia , quasi per mostrare, che se v' ha cosa che dura a questo mondo, è ciò che si appoggia agli altari. E tanto s' infervorò la Veneziana Repubblica in questa sua devozione verso San Marco, che l'immagin di lui volle scolpita sulle monete; ed il lione , che è dato compagno al Santo Evangelista , volle clic fosse la sua impresa e il suo stemma ; sì che lo si tessè sulle bandiere che navigavano in Oriente, lo si scolpì sulle torri delle 134 castella e sulle mura della città, lo si collocò ne'mouumenti , lo s'Impresse ne' libri, lo si dipinse ne' palagi e ne' templi ^ brevemente, non vi era pubblico edilizio in tutti i Veneti dominj , che per dichiararne la pertinenza e tutelarne la maestà, non mostrasse alla sua entrata il lione di S. Marco e il libro del Vangelo aperto fra le rispettose zampe di esso. E tanto era vedere il lione, quanto veder S. Marco medesimo, e però il nome del Vangelista si appropriava all'animai suo favorito, con SI costante ed universal tradizione , da toglier lo scandalo, che altri avrebbe provato, chiamando una bestia col nome di un Santo. Or ben si vede come multiplicandosi in infinito le im- magini di questi lioni , e spesso lavorandosi da mani imperite, ne riuscisser talvolta delle teste così goffe e sgraziate, che l'asso- niigliare ad uno di codesti San Marchi un povero cristiano, era l'eccesso dello scherno e del vitupero. Infatti i Veneziani in quel loro dialetto così spiritoso ed espressivo non tardarono a chia- mare certe facce deformi e rincagnate musi da San Marco spe- gazzdj e questo é modo popolare, che dura tuttavia, e che il dotto Patriarchi nel suo V^ocaholario Padovano e Toscano spiega cosi: « San Marco spegazzà, v. g. El ga un muso da S. Marco « spegazzà. Ha un viso accomodato a far S. Marco, è un brutto « babbuino, ha una faccia scofacciata.» Or dalla citazione che fa il Patriarchi del verso del Berni , chiaro si vede il senso , nel quale questo verso debbe essere inteso. Né fa maraviglia , che il toscanissimo Berni abbia regalato alla volgar lingua una maniera di dire che è tutta veneziana ; poiché quando scrisse quel capitolo al Fracastoio, egli era a' servigi di monsignor Giberli vescovo di Verona 5 e però essendo Verona un antico paese veneto, dove si parla un dialetto, che per poco è quel di Venezia , niente è più naturale , che il Berni si fosse im- pratichito di alcuni più vivaci modi di esso, e questi poi abbia con felice successo tramutati nella materna favella, seguendo in ciò l'esempio delì'Allighieri. Onde che se questi due poeti , che pur sono d' indole si diversa , io gli ho uniti in questa nota , si vedrà che almeno per questa parte io 1' ho fatto con le mie buone ragioni. P. A. Paras'ia. 155 Belle Arti — Lettera sulla Musica. Carissimo Amico Voi m'invitate a scrivere stilla musica, ed io assalito dalla parte più debole, sono quasi disposto ad arrendermi. Ma badate bene, che altro è suonare, cantare, e schiccherar note musicali, altro parlarne acconciamente 5 e poi questo scrivere, questo ordinai- pensieri sulla carta m'è sempre paruta cosa difficile e spaventosa; così che sovente mi maraviglio, come alcuni possano trovarvi tanta facilità , e tante cose abbiano pur sempre da dire. Che dunque vi dirò io di questa musica, di quest'arte di combinar suoni per dilettare l'udito? Quale sarà il preludio di quel concerto che voi mi volete strappar dalle dita? Gomincierù io dalla origine della musica , e ve ne tesserò brevemente la storia dai canti d'Orfeo ai concenti di Rossini , dalla portentosa lira d'Anfione sino al magico violino di Paganini? oppure prendendo le mosse da colui che fu padre de' suonatori di cetra e d'organo vi dis- correrò io le vicende della musica ebraica, fenicia, egiziana, chinese, di cui sì poco sappiamo, e poi della greca e romàna si bella, sì efficace, ma sì per noi misteriosa, per venire final- mente a quella epoca di universale risorgimento di ogni bell'arte, in cui gl'Italiani sugli avanzi dell'antica innalzarono una nuova armonia che concorse all'incivilimento di tutta l'Europa? Potrei anche entrar subito negli armonici laberinti per indagare di quale indole fosse quell'antica musica, se i Greci, e i Latini conoscessero il contrappunto, se i loro modi e generi fossero come i nostri, se avessero un alfabeto musicale, se i loro stro-- menti fossero migliori dei nostri. . . . Ma questo preludio che riuscirebbe maraviglioso per la farragine delle note consonanti e dissonanti , questo prearnbolo eruditissimo finirebbe con an- nojarvi, e forse con farvi ritrattai'e l'invito. Il perchè io lascierò pizzicar le dotte corde dai Martini , dai Rousseau , dai Gretry, 136 «lai Tarllni , dai Burette , e vi farò invece udire una breve raelodia sull'importanza della musica. Per le nove Muse! escla- merete voi, che io non intendo questa grande importanza; ec- cettochè non sia quella che le attribuiscono i professori dell'arte, e i musico-maniaci; poiché quelli ricavandone tutto 1' utile , questi bevendone pazzamente tutto il piacere, se la credono importantissima. — Non andate in collera, e persuadetevi che l'utile ed il piacevole , il quale puossi onestamente e saviamente ricavare dalla musica non è da disprezzare, anzi da tenere in gran conto; che altrimenti pazzo sarebbe il mondo, il quale vuole musica e in chiesa e in teatro, in città e in campagna, in casa e su per le strade ; di giorno e di notte , nell' allegria e nella tristezza , nelle nozze e nei mortorj , in pace e in guerra. Il canto ed il suono a guisa del sale condisce tutte le circo- stanze della vita, sempre diletta, sempre piace, sempre ricrea ; opportuno al pellegrino, sollazzevole al prigioniero, acconcio al gentiluomo nelle gioconde serate non meno che al mandriano che meriggia accanto al suo gregge ; dilettevole si alla nobile fanciulla che sospira in città , come alla contadinella che danza in villaggio.... Ma se io proseguo su questo tuono, il mio preludio arrischia di cangiarsi in un'apia buff?. Forse che non vi sarebbe una cantilena più seria, più grave per questa mu- sicale importanza? La vi è; ma bisogna montar su nei tuoni più acuti per trovarla. Uditemi , che in poche battute mi sbrigo. Dice Plutarco che la musica è importante, pei'chè cogl'inni possiamo esprimere a Dio la nostra riconoscenza, porgergli i nostri omaggi. Ciò tanto è vero, che gli antichi prima di tutto la introdussero ne' loro sagrifizj, ne adornarono i loro religiosi riti. Il modo o l' armonia frigia grave e devota accompagnava i sacri canti , e concordava colla purezza delle ceremonie. Guai a quel suonatore o maestro che con profana melodia avesse turbato il religioso raccoglimento! Mercurio stesso invenlor della lira, ed Apolline padre del canto avrebbero severamente punita cotanta profanazione. Ma dal tempio passando al pampo, v'avrò io a ricordare 1' importanza della greca musica in guerra ? vi parlerò di que' flauti , o di quelle trombe, che inspiravano, o temperavano il coraggio de' guerrieri ? di que'canti marciali, con 137 cui i Tìrtei operavano prodigi, e strappavano la vittoria di mano al nemico? Tanta era l'efficacia di quell'armonia dorica, di quelle maschie modulazioni! — Anche gli antichi medici la credettero importante nelle fisiche e nelle morali malattie. Ghirone maestro d'Achille fu medico e musico, né aveva difficoltà a guarire piut- tosto coi suoni, che coll'erhe. Talete (non so se il Milesio) vantavasi d'aver colla musica liberata Sparta dalla pestilenza, e Peone aveva certe musicali ricette non so per quali morbi gravi e segreti di cui parla Salvator Rosa. Ora questi rimedj , omiopatici o simpatici che fossero, diffi- cilmente si troverebbono presso i nostri speziali, come né anche si troverebbe nei musicali repertorj di Parigi o di Vienna quest^ altro genere importantissimo di musica. Platone afferma, che non qualunque armonia è buona per ogni forma di governo. Egli stesso per la sua futura repubblica riservava i concenti dorici, ed Aristotele escludeva da uno Stato la melodia frigia come troppo turbolenta. Ma lasciando le teorie platoniche ed aristoteliche, posso assicurarvi che la musica politica era molto pregiata dagli antichi Greci. Le ben costituite città avevano leggi sopra la musica, avevano magistrati che invigilavano sui suonatori e sugli stromenti, ed infliggevano pene ai trasgressori degli stabiliti nomi, ossia norme musicali. Né è necessario che io vi rammenti il celebre editto degli Efori contro Terpandro o Timoteo (come altri vogliono), il quale osò aggiungere nuove corde alla lira , ed eseguire suonate effeminatrici de' costumi. Che volete di più ? Gii Arcadi , soli nel cantare periti , come racconta Ateneo , regolavano colla musica le loro pubbliche fac- cende. Quale felicità! tutto andava a tempo rigoroso di musica. — Né crediate che allora la musica fosse un' arte mercena- ria. Ella era piuttosto un elemento d' educazione , una scuola di virtù, di gentilezza, di bei costumi, ima maestra d'ordine, di squisito sentire, di temperanza: il galateo di que'tempi. Perciò i legislatori se ne occupavano, i magistrati la inculcavano, i filosofi ne ragionavano, i precettori la insegnavano. Finalmente serviva quell'antica musica a vestire di acconcie ed espressive note quei capi d'opera di poesia , che noi ancora leggiamo, ma poco sentiamo. Ma di questo a tempo opportuno. 138 Eccovi r importanza di quella musica che fin dalla culla aveva operati portenti colle corde di Orfeo e di Aufione , che spiegava tutta la sua forza non solo sugli uomini, ma pur sulle belve, non tanto sulla terra, quanto negli abissi. Egli è però vero che siffatta prodigiosa armonia o col disgiungersi dalla poesia, o per la raffinatezza sopravenutale si corruppe , e perdette il bel pri- vilegio d' istruire e migliorare gli uomini. Onde non è maraviglia se presso i Greci posteriori divenisse quasi inefficace , e se i Romani, imitatori di Grecia in tutto, spregiassero questa musica, e la lasciassero in mani servili o forestiere. Ora paragonate voi 1' importanza moderna coli' antica , il su- perfluo col necessario, il lusso coU'utilità , senza trascurare in tale comparazione la differenza di questi e di que' tempi, de' moderni e degli antichi costumi ; e ciò fatto, giudicate voi di quest' arte 5 che lo, avendo finito il niio preludio, prendo un po' di fiato. Intanto attenderò 11 vostro giudizio in un coll'ordine di dar principio alla sinfonia. Vivete felice. B. Sopra una Santa Cecilia dipinta da Giovanni Servi. Lettera di P. A. P. ad un amico. È pur bella cosa , mio caro amico , quando si esce dalla tetra natia, l'imbattersi in talun di coloro, che ne manten- gono in paese straniero la celebrità e Io splendore ; che ci è più cara la patria, quando la vegglam produrre de' cittadini si egregil ; e 1 nostri concittadini ci son più cari, quando li veg- giamo accrescere per tanti modi le glorie della patria comune. Siffatto sentimento si desta in me qualunque volta lo passo per la ricca ed ornata Milano ; né accade mai che io ci vegga i lodati dipinti di un Demin , di un Hajez , di un Servi e di simii;llanti artefici , senza eh' io m'esalti In me stesso di esser 139 érfesciuto in una Vinegia , la quale non potrà mai dirsi povera e scaduta, sin che delle opere de' suoi artisti ella continuerà ad abbellire la opulenta capitale della Lombardia. E per toc- carti del sólo Giovanni Servi , fra' varj dipinti che decorano il suo studio , parte già compiuti , e parte a pena abbozzati , rai fu di gran diletto il vedervi la Santa Cecilia, ch'egli copiò dalla famosa tavola di Rafaello , che è oggi nella pubblica galleria di Bologna. Desiderosa la sig. Giuditta Pasta di fregiare la cappella della sua villetta sul lago di Como della immagine di una Santa, che coltivato avesse quell'arte medesima , in che essa levò tanto grido, non le poteva a ciò occorrere miglior soggètto della vergin Cecilia , che è la vera Euterpe del cristia- nesimo, ne miglior quadro di quello stupendo di Rafaello, né più diligente artefice per ritrarlo del sig. Servi. Grande diffi- coltà però gli si affacciava a prima giunta ; perocché essendo' di breve misura l'altare, su cui voleva esser collocata la nuova tela, a ritrarre tutta intera quella dell'Urbinate, la quale ben ricordi che rappresenta la vergin Cecilia , messa in mezzo da quattro Santi, sopravi una gloria; a volerla, dico , ritrar tutta intera , ne veniva un quadretto di figure sì mingherline , da non contentare né la divozione , né il gusto 5 e a voler ri- trarre la sola Santa , era a temersi che non riuscisse di un colorito e di una luce a bastanza viva 5 perocché addentrandosi essa nel quadro originale, e non rimanendo per conseguenza sul primo piano di esso, vi é più basso il tuono delle tinte e la vibrazion della luce più moderata. Ma da codesta difficoltà uscì felicemente il buon giudizio del Servi , il quale potè dare alla Santa tutta quella forza ed armonia di tinte che si ri- chiedeva in una figura che sola occupa il quadro ; e seppe ad un tempo mantenervi e quella correzion di disegno , e quella scelta di pieghe , e quella nobiltà di movenze , e soprattutto quella spressione di volto , per cui la tavola del divino Rafaello è tanto ammirata. Ma in questo ritrarue una sola figura , un' altra difficoltà si presentava al nostro Servi ; perocché egli dovea riempiere il vuoto j che lasciavano nella copia i quattro Santi del quadro originale 5 ma qui pure l'ajiitò il suo buon giudizio ; poiché 140 non permettendogli la coscienza d' introdur nella copia di un' opera di Rafaello cosa veruna che rafaellesca non fosse , egli ebbe ricorso al quadro della Santa Famiglia , egregio lavoro dell'Urbinate, posseduto ora da Lord Staffort, ma in memoria del suo antico padrone , conosciuto tuttavia col nome di Ra-^ Jaello Orleans. Ora dal paese di questo quadro cavò il Servi qua' tratti che faceano al suo uopo 5 e con tale accortezza gV incorporò con quelli della tavola bolognese , che' tutto quel paese lo si direbbe dall'artefice concepito di colpo ^ e colorito di seguito. Ma che dirti poi di quella espressione di santo affetto, che il Servi mantenne nel volto della vergin Cecilia ? Non vi si vede più , è vero , quella gloria di angeli , le cui celesti note ebbero tanta forza sopra il suo cuore 5 ma quella gloria, per cosi dir , tu la vedi , ma quella musica , per così dir , tu la senti , al cadere dell' organetto di man della vergine , al di- sperdersi qua e là delle canne, e soprattutto al rapimento esta- tico della sua persona 5 aperti indizj di un'armonia , che d'al- tronde non può venire che di paradiso. Per li quali pregi tutti non è a dire quanto si commendi l'opera del Servi , di cui ti venni parlando in questa lettera ; la quale, per la grande stima in che tieni l'artefice, tanto forse ti sarà stato caro di leggere , quanto a me fu certo caro di scrivere. A Dio. Torino a' 25 aprile i836. 141 Varietà — Lettere inedite di Ugo Foscolo ad Ippolito Pindcmonte. (Milano coi tipi Pirotta i836). Le lettere che qui annuoziamo recentemente pubblicate non sono che sette in numero ; ma chi ha conosciuto Ugo Foscolo idi persona o veramente ne' suoi scritti vedrà come in iscorcio trasparire da quelle tutta l'indole di quell'uomo straordinario. Ugo Foscolo aveva un'anima sdegnosa, libera e fieramente tem- prata che tion poteva accomodarsi e piegare alla soverchianté forza degli eventi , e lottava acerbamente contr' essi. Di che s'era venuto formando in lui un abito di disamabile asprezza e di fastidio. Percorrendo i sentieri della vita, dove i più degli uomini hanno gara tra loro per carpirne que'fiori , che radi vi spuntano, ed inghirlandarsene, egli peregrino afflitto e combattuto non ne vedeva che il termine, il sepolcro; e rade volte sul suo cammino s'accoglieva alle piagge fiorite, dove la moltitudine s'aduna ; ma più spesso cercava il suo riposo de^itro il folto di qualche macchia riposta. Le passioni sorgevano in lui tempe- stive, non come zeffiri , che increspano mollemente la superfice d'uq lago, ma come venti gagliardi, che tutto lo scompigliano da imo a sommo. Direnjmo che in lui la sensibilità, l'ìmagi- pativa e l' intelletto , le quali facoltà egli aveva robustissime , combattevano sempre insieme come nemiche , e tentavano di soverchiarsi a vicenda. Quindi nasceva quella sua continua in- quietudine arcana , quel suo scontento, quella guerra insomma con se stesso, con gli uornini, e con l'età. Ugo Foscolo era uno di quegli esseri , che la natura produce di rado per non parer forse troppo crudele inverso i suoi figli: perocché è difficile che esseri così fatti trovino mai pace e felicità. Le sue lettere di Jacopo Ortis , che fecero palpitare tanti cuori italiani e stranieri , sono prova delle tempeste di quell'a- niqaa. Jn mezzo alla ridente beltà de'colli Euganei egli si di- 142 Iettava più che d'ogni altra cosa dell'oscurità della notte, del so- litario orror de' boschi e del fischio de'venti , e visitava spesso il triste monte de'pini, dovè andava imaginando che avrebbero pace le sue ossa. L'iraagine stessa dell'a inabile Teresa non s'as- sociava in lui , che a pensieri cupi e tristissimi. Peregrinando la riviera occidentale più che i colli ombreggiati da mesti olivi ritraeva le alpestri rocce , onde discende il Roja. Passeggiando le città non vedeva che infelici e perseguitati. Quanto diverso da lui era il dolce Ippolito Pindemonte, quell'anima così cara e gentile temprata a così soave sentire ! Contuttociò Foscolo ed Ippolito avevano insieme un'amicizia tenacissima. L'uno e l'altro erano grandi e generosi. Dalle morali qualità di Ugo Foscolo da noi dianzi accennate il Pecchio, che ne scrisse la vita, trasse alcuna volta materia d'ironico riso, la qual cosa ci dispiacque assai «ella lettura di quel libro, non ispregevole per altro. Ma il Pecchio aveva con Foscolo intima dimestichezza, e nel conversare assiduo con lui gli avveniva forse , come ei suole , di scoprire qualche volta il lato debole dell'amico, che, malgrado il suo alto ingegno e l'anima sua indomita, era pur sempre un uomo anch'esso. A noi, che non abbiamo conosciuto Ugo Foscolo, che ne'suoi scritti, letti ancora in quell'età giovanile, che delle cose insolite oltremodo si diletta, è rimasto di quell'uomo un con- cetto assai più grande ed ammirativo. In mezzo ai combattimenti della sua vita grande conforto traeva Ugo Foscolo dagli studj. Le lettere, che egli coltivò con ardore incredibile, erano come il porto di quell'anima tempe- stosa. Egli è vero, che la sua musa fu sempre più severa e sde- gnosa, che amabile e delicata, anche quando cantò le Grazie'^ egli medesimo confessa , che non seppe mai far vei'si d'amore. Ma il carme de'sepoleri, che il Pecchio chiama una filza di perle , basta da sé solo ad assicurargli presso i posteri la fama di grande poeta. Nessuno forse più di lui tra'suoi contemporanei studiò profondamente i classici autori greci, latini ed italiani ,- onde aveva piena la memoria de'più bei passi delle opere loro. Nelle sette lettere testé pubblicate, che egli scriveva a Pin- demonte, occorrono spesso citazioni greche, latine ed italiane, che gli cadevano quasi spontanee dalla penna. Noi recheremo qui 14o alcuni passi di quelle lettere per mostrare, come da essi tras- paja l'indole d'Ugo Foscolo. LetL I. a e me pure gradivano le vergini muse, anch'io sospiro la sacra solitudine 5 ma l'animo va invecchiando per le sciagure , e 1' ingegno irrigidito , e le grazie mute per me, e la terra coprirà queste ossa Ignude, e celerà con esse il nome Prima del mio morir quasi già spento, u ^ Leu. IF. « E mi vedo sempre più costretto a non irritare le vane passioucelle di questi uomini , poiché non voglio né so lusingarle — e parere a me stesso da meno di me , per non parere agli altri da più di loro! e fra queste tristissime consi- derazioni sul mio stato, le quali, mentre spengo il lume ed abbandono il libro sui guanciali del mio letto, mi ritardano il sonno, e me lo rompono prima dell'alba, io esclamo sempre: Oh chi mi leva in alto, e chi mi posa! Leu. VL « Vivo assai tristo; vedo pochi — facesse il Cielo ch',0 non vedessi ninno! è ancbe gran tempo ch'io non piglio la penna per gli amici miei _ oh ! mi pare ch'io potrei scrivere un altro Ortis: scriverlo a me solo, e per me solo.» Leu. VII. «A me la natura, e dopo che le disavventure e leta l'hanno in parte temprata, a me la fortuna prescrisse più agitata la vita; e chi sa forse quando, e come potrò impetrare Il solitario riposo a cui da più anni aspiro sempre ed invano. >, Queste lettere Ugo Foscolo le scrisse non già per essere pubbli- cate, ma come amico ad amico schiettamente parlante; quindi non si conviene pretendere in esse la perfezione d' un lavoro meditato. G. AnnijNzj di Bibliografia Nuovo Saggio suir origine delle idee di Antonio Rosmini- Serbati prete Roveretano. — Voi. I. Puntata i.* Milano dalla tipografìa Pogliani 2. 22 È questa la prima distribuzione dell' edizione compiuta di tutte le opere edite ed inedite dell' ab. Rosmini , le quali sono : I. Saggio sull'origine delle idee, Voi. 3. II. Il rinnovamento della filosofìa in Italia proposto dal C. T, Mamiani della Rovere , ed esaminato dall'abate Antonio Rosmini- Serbati. III. Introduzione alla filosofìa, Voi. unico. IV. Principi della Scienza morale. Prima e seconda parte. Voi. unico ( la seconda parte inedita ). V. Saggi di varie materie , Voi. 4- — Voi. i.° Saggi di Teo- dicea. — Voi. 2.** Saggi d'educazione. — Voi. 3.° Con- futazione di alcune idee di Ugo Fuscolo sulla Spe- ranza. — Breve esposizione della filosofia di Melchiorre Gioia. — Sulla definizione della ricchezza, combattendo quella data dal Gioja nel prospetto delle scienze eco- nomiche. — Esame delle opinioni pure del Gioja in difesa della moda. — Frammento di una storia del- l'empietà. — Voi. 4-° Saggi di letteratura. — Saggio sul bello delle arti. — Lettera sulla lingua italiana. — Ga- lateo de' letterati. VI. Il diritto naturale , privato e pubblico ( inedita ). VII. L'Antropologia morale (inedita). Vili. Raccolta di prose ecclesiastiche. STAMPERIA GHIRIJNGHELLO E COMP- con permissione. 145 r ILOSOFIA — Cours de philosophie sur le Jbndeinent dcs idccs absolues du Fraì , dii Beau et du Bien professe d la fa culté des lettres en 1 8 1 8 par M. V. Coushi , et public avec son autorisation etc. par A. Garnier. — Paris t836, Libr. class, et élém. de L. Hachette. I nostri lettori hanno già un'idea del corso che anuunziajnfl nella stupenda prefazione che il sig. Cousiu j)remetteva all.n prima edizione de' suoi frammenti fdosofici tolti in gran parte alTe lezioni di questo corso testé pubblicato sulle inigliori com- pilazioni fatte dagli allieyi di quella scuola Normale, di cui Cousin parla con tanta efi'usione di affetto — Anche facendo astrazione dal magnifico prospetto sotto cui l'eloquente professore ci. presenta la filosofia da lui insegnata in quel tempo, a leggere solo quelle pagine piene di vita ove egli ci descrive la storia di quella sua scuola prediletta , cbi non ha sentito nascere nel suo spirito un vivo desiderio di conoscere pur qualche cosa dei lavori fatti sotto la direzione di un Cousin e da allievi dei quali «n Cousin con tanto amore fa menzione ? A questo desiderio volle soddisfare il sig. Garnier maestro di conferenze alla scuola Normale pubblicando col consenso del Cousin il corso del i8i8. Noi non potremmo farlo meglio conoscere ai nostri lettori , che traducendo in gran parte la prefazione che vi ha messo lo stesso sig. Garnier. '( Nel suo corso del i8i8 il sig. Cousin si è provato a ri- solvere la questione la più importante ad un tempo e la più difficile della filosofia , quella che a mente di alcuni è pur la sola questione filosofica, o la filosofia tutt' intiera : se cioè v'ab- bia delle idee che non siano né la cognizione dei corpi , né la cognizione di noi stessi , e quale sia il fondamento di queste idee? » Quantunque 1' esistenza del mondo fisico e quella dello spi- rito umano possano dar luogo a questioni difficilissime e forse pure insolubili \ tuttavia fortunatameulc incontra , che lo spi- lo 146 rito umano si soddisfa assai facilmente sull' una e suU' altra : così vero come io esisto , dice il volgo tal fiata ; così vero come 'il sole mi rischiara , soggiugne tal altra. Egli ha dunque la certezza della sua esistenza e quella dell' esistenza dei corpi. « Ma lo spirito umano non comprende solo 1' idea dei corpi e r idea di se stesso. Noi pensiamo pure a cose che né si toc- cano , né si vedono , e che non possiamo confondere con noi stessi. Noi abbiamo 1' idea d' uno spazio senza limiti , d' un tempo eterno , d' una giustizia e d' un dovere universale , di un tipo di bellezza che le arti stesse non esprimono mai com- piutamente , d' una causa che non ha né conlinciamento uè line: che cosa è fuor del nostro spirito lo spazio , il tempo, la giustizia, l'ideale, Dio? Per soddisfare al pubblico ed a se slessi su questo punto , molti filosofi hanno detto : poiché ognuno riconosce 1' esistenza di se stesso e quella dei corpi , e che su questi due punti non si muove difficoltà di sorta , non v' ha dunque che un mezzo solo di dare una spiegazione soddisfacente di tutto il resto , e questo è di ridur tutto sia alla materia sia a noi stessi . . . Ed è a questo modo che la filosofia sedotta all' evidenza delV esistenza del me, e della na- tura non ha voluto niente riconoscere fuori di queste due sfere, ed anzi secondo la sua tendenza predominante ha assorbito il me nella natura o la natura nel me. » « Nel corso che pubblichiamo il sig. Cousin s' occupa da principio a rimettere in istato il me dinanzi alla natura e la natura dinanzi al me,, ed a riedificare questi due elementi che le scuole sensistiche ed idealistiche del secolo decimottavo ave- vano assorbiti l'uno nell'altro. Egli compie rapidamente questa prima parte , e si consacra appresso intieramente alla costru- zione di quel mondo distinto dal me e dalla natura , che fu negato concordemente e da quelli che rispax-miavano la natura, e da quelli che rispettavano il me. » « Il professore comincia per riconoscere 1' esistenza d' idee , che non traggono loro origine né dal mondo fisico né dal me limano , o in altri termini che non sono prodotte né dalla sensazione né dalla riflessione ; le distingue dai due caratteri che hauno d' uuiveisalilà e di immutabilità 5 oppone il primo 147 ?dr individualità del. me, il secondo al perpetuo mutarsi tlella natura , ed a queste idee dà il nome d' idee assolute , perchè indipendenti dalla natura e dal nw, ed esaraiuaudo la lunga noia che di queste idee ha dato l'illustre Kant, egli le riduce a due fondamentali: i.° l'idea di causa , che comprende le idee di fenomeno , accidente , moltiplice , particolare , contingente , finito^ 2.° l'idea di sostajiza, che comprende l'essere, l'unità, r assoluto , r eterno , 1' universale , il simile , 1' infinito. E di vero che altro havvi nella natura oltre il fenomeno che cangia, passa , agisce sur un altro fenomeno , e che costituisce così r azione e la riazione delle cause , ed oltre la sostanza , 1' es- sere iramutahile che è il sostegno del fenomeno , e che non partecipa alle sue mutazioni ? L' universo può definirsi : ouat- che cosa che cangia , e qualche cosa che non cangia. Ma questo qualche cosa che non cangia sfugge ai nostri mezzi d'osserva- zione 5 la nostra ragione stessa ce ne fa hen concepire l'esistenza, ma non la natura. L'essere infinito, dice Cousin, non si manifesta al nostro spirito che per le idee del vero del hello e del bene , che sono immutabili come egli è , ma più facilmente arrivabili dalla nostra umana ragione, w . « Questa teoria potendo essere sospetta di misticismo, il pro- fessore paragona la sua dottrina con le diverse teorie mistiche, che si incontrano nella storia della filosofia j egli dimostra che il misticismo consiste sia a divinizzare il fenomeno o la causa materiale , sia a voler contemplare la sostanza o l'essere infi- nito faccia a faccia , e facilmente gli riesce di provare che la sua filosofia, che spoglia le cause esterne d'ogni personalità, e che non pretende di far uscire l'Eterno dalla forma in cui s' avvolge , non può essere accusata di misticismo. » « Ecco dunque le idee assolute ridotte da una parte all'idea di causa o di fenomeno , e dall'altra all'idea di sostanza sotto la triplice forma del vero del bello e del bene. L' autore distingue il vero assoluto dall' essere assoluto : la verità asso- luta si compone degli assiomi che presiedono a tutte le scienze, assiomi accessibili alla nostra ragione, ma a cui il nostro spi- rito ha bisogno di concepire una base , un punto d'appoggio , c questo punto d'appoggio l'autore lo pone in Dio stesso , che 148 la religione d'altronde ci rappresenta come la sorgente d'ogni verità. » « Egli si applica a riconoscere e dimostrare l'esistenza della verità assoluta. La necessità in cui siamo di ammettere questa verità è quella che 1' ha perduta agli occhi di certi filosofi , quando piuttosto doveva salvarla. Essi hanno creduto, che que- sta necessità svelasse la verità d' un carattere subbiettivo, e la trasformasse in una specie di produzione del me umano. Il sig. Cousin loro fa questa concessione che è immensa ; ma egli os- serva che la credenza necessaria è una credenza riflessa, mentre 10 spirito non s'accorge della necessità che gli impone la verità, se non quando riflette sopra se stesso , e fa , come dire , sforzo per sottrarsi al dominio della verità stessa. Ora ogni stato ri- flesso suppone uno stato anteriore irriflesso, nel quale V io non s'è ripiegato sopra di sé, non ha appreso se stesso nell'atto di apprendere la verità, ed ha ottenuto ciò che Cousin chiama un' appercezione pura ^ scevra d'ogni impronta di subbiettivitàj la verità s' impone alla ragione , e non è la ragione che fa la verità. » « I principi assoluti sono stati attaccati per un altro lato : essi furono scomposti in molte idee semplici , delle quali si è preteso di trovare 1' origine nella sensazione o nella riflessione. 11 professore segue questi avversarii sul terreno ove si posero , e penetra con essi e più di essi denti'O 1' analisi dei principj controversi. — Egli distingue l' idea di causa individuale e vo- lontaria ma contingente e finita quale nella coscienza noi l'ap- prendiamo , dal principio di causalità , che ci mette in pos- sesso della causa esterna necessaria e infinita. Quanto al prin- cipio di sostanza egli niega che alcuna delle idee che entrano a comporlo sia pur d'un istante anteriore al principio stesso ; l'idea di sostanza e l'idea di fenomeno sono correlative, l'una non nasce senza dell'altra 5 perchè separate esse sarebbero in- comprensibili. Questo principio si presenta dunque intiero allo spirito , armato di tutto punto , come la Minerva uscita dal cervello di Giove , ed è per conseguenza impossibile di risol- verlo in alcun' idea precedente di riflessione oppure di sensa- zione. La falsa dottrina sull' origine dei principj è ridotta dal 149 «tg. Cousin alla teorìa inesatta che considera il gìudicìo , come il risulta mento posteriore del concorso di due idee acquistate prima una ad una. Il professore fa vedere , che le idee ci ven- gono simultaneamente ed in relazione le une colle altre, e che per tal modo il giudicio si trova al primo manifestarsi delle operazioni intellettuali. » « Dopo aver considerato la verità assoluta in se stessa, Cou- sin la considera nelle opere della natura e dell' uomo, vale a dire sotto la forma del hello. Egli s' applica a provare che ridea del bello è un'idea assoluta originale, e non un'idea collettiva generale comparativa. Si porta quindi a distinguere il bello ideale dal bello naturale , ed a mostrare come lo spi- rito separi il primo dagli inviluppi del secondo. Dimostra come il giudicio relativo alla bellezza si collochi tra la sensazione che lo precede ed il sentimento che lo segue 5 oppone questo sentimento a tutti gli altri fenomeni sensibili, con cui s'è vo- luto confonderlo ; lo fa riconoscere nel fenomeno complesso dell' immaginazione , che si compone pure dell' intuizione dei sensi e della ragione. Osserva che 1' oggetto il quale lascia in armonia V intuizione sensibile e la ragione ritiene il nome di hello propriamente detto , e che 1' oggetto il quale turba 1' ac- cordo di queste due facoltà , lasciandosi dominare dall' una e sfuggendo all'altra , prende il nome di sublime. Segna i li- miti tra il gusto e il genio questi due aspetti o gradi diversi dell' immaginazione 5 e si studia finalmente di far riconoscere come i diversi generi di bellezza manifestati sia negli oggetti fisici , sia nei sentimenti e nelle azioni , sia nelle idee , deb- bano identificarsi in un solo e stesso tipo di bellezza morale od intellettuale; che l'espressione più o meno fedele di questa bellezza esterna decide della classificazione delle arti , ed assi- cura il primo posto alla poesia, e che questo tipo ideale indi- pendente dalla natura e dallo spirito s'appoggia come la verità assoluta sull'essere infinito nascosto al fondo d'ogni cosa, w « Il professore giugne finalmente alla verità assoluta consi- derata nelle azioni o all' idea del hene morale; egli mostra che se non vi ha scienza nessuna senza principi assoluti , non vi .Jia scienza morale senza verità assoluta in morale. La discus- 150 sione «leir idea del bene non è , dice egli , una speculazione senza risnltanicnto pratico, una meditazione puramente con- templativa. La soluzione che le si dà, influisce sulla condotta degli individui e sul governo degli stati. Se si contende 1' esi- stenza d' una verità morale assoluta , il principio delle nostre azioni non può essere dato che dalla sensibilità. 1/ egoismo di- venta la sola regola del genere amano , regola che lo conduce allo stato di guerra od alla tirannia. Il solo contrappeso all'ar- bitrario ed al dispotismo è la giustizia immutabile ed eterna , cioè r idea assoluta del bene. » w La verità assoluta considerata in se stessa obbliga la no- stra ragione, considerata nelle azioni obbliga la nostra libertà, domanda cioè d' essere praticamente effettuata , che è appunto ciò che dicesi obbligazione morale. Così 1' idea del dovere de- riva dair idea del bene , e non 1' idea del bene da quella del dovere. La verità morale imperando alla libertà ne risultano per questa due obbligazioni: i." di non obbedire che alla ve- rità assoluta ed alla ragione che la rivela : a.* di obbedire a tutti i precetti della ragione. Quindi tutta la serie dei doveri dell'uomo, e tutti i generi di diritti dal privato sino al politico. » « La verità morale esigendo di essere effettuata mediante 1' azione , la società umana è dunque predestinata necessaria inevitabile , ella è data a priori. La società non è fatta pel go- verno , bensì il governo è fatto per la società. La missione di lui è d' invigilare al compimento della verità morale. Questa da uno de' suoi aspetti ci presenta il principio del merito e idei demerito , vale a dire una connessione necessaria tra la virtù e la felicità , tra il vizio e la miseria ,* la parte del go- verno consiste ancora nel compimento di questo principio den- tro la misura della sua forza e dei lumi umani. » « La verità morale assoluta non può essere attribuita alla 'nostra educazione ; perchè la questione sarebbe così discostata non sciolta ; essa non è neppure la volontà dÌA'ina , se pure non si faccia quivi un' equazione tra volontà e giustizia , nel qual caso 1' idea di giustizia torna ad essere primitiva , non derivata : ella non è neppure l' idea delle pene e delle ricom- pense future , mentre non è il castigo né il premio che deci- 151 dono del bene e del male , iiia il bene ed il male clic fanno premiare o punire. Finalmente la legge morale assoluta si di- slingue non solo dalla sensibilità fisica, ma ancora dai godi- menti più intimi e più squisiti della sensibilità morale ; oltre- ché nella maggior parte dei casi quest' ultima suppone 1' idea del bene e del male. Se la legge non viene dalla sensibilità , essa non viene neppure dalla libertà ; V io non può farsi la legge a se stesso. Forza è adunque di unire alla sensibilità ed alla libertà una terza facoltà^ la ragione, che fa comunicar l'uomo colla verità assoluta seuzacbè per questo renda punto subbietliva la verità stessa, dividendosi quasi in due prospetti o punti di vista, l'appercezione pura ed il concetto necessario. » « 1/ obbligazione morale essendo il carattere assoluto della verità morale suppone la libertà , che è per tal modo data a priori come la società, e che ci viene nel tempo stesso atte- stata a posteriori dalla coscienza. La verità morale assoluta è trovata ; essa ha lo stesso fondamento della verità in generale e dell' ideale ; essa è una manifestazione dell' essere perfetto ed infinito ; la scienza morale è dunque possibile. » « Tale è la dottrina svolta dal sig. Cousin nel corso di cui offriamo presentemente un cenno. Questa teoria è curiosa a studiarsi anche per quelli che non fossero disposti di appro- varla ,• gli uni ne ammireranno la profondità , gli altri 1' ar- ditezza. In questo vasto edifizio tutto s'attiene e si collega in armonia: la cognizione del nie umano è salvata dagli attacchi della scuola sensistica ; la cognizione dei corpi é sciolta dalle difficoltà che le oppongono le scuole idealistiche; e al di sopra di questi due mondi contingenti e mutabili del me e della natura fisica è posto il mondo delle idee assolute. Lo spirito umano ritrova in questa dottrina quegli assiomi immutabili, che formano i principj di tutte le scienze, senza i quali niente meriterebbe di essere studiato ; egli riconosce quelfideale che è nel tempo stesso la vita e la spiegazione delle belle arti ; finalmente egli raggiunge quel bene morale assoluto , che è il solo riparo contro il regno della violenza , e che stabilisce la pace sopra questa terra e la speranza nel cielo. Poi se la sua curiosità lo vince, se egli domanda che cosa è la verità 152 ia se stessa , che cosa è l'ideale fuori del nostro spirito e della ualiira , che cosa sarebbe il bene morale se gli uomini ed il moudo fossero distrutti j questa dottrina gli fa travedere un essere sostanziale eterno infinito, che è il fondo misterioso del vero del bello e del bene , e che non si manifesta all' uomo e nella natura che sotto queste tre forme. Le idee asso- lute ci vengono dunque dall'essere assoluto 5 sia che si discenda da Dio all' uomo sìa che dall' uomo si risalga a Dio , esse si incontrano sul cammino, esse sono come il messaggiere il me- diatore celeste , la più sublime e la più chiara manifestazione di Dio, il più santo degl'inni che l'uomo possa innalzare alla Divinità. P. ISTORIA — Storia della Repubblica di Genova dalla sua origine fino al 181 4 scritta da Carlo Varese. GcBova , dalla Tip. d' Yves Graviev i835. Alle nazioni che hanno perduto il nome , ai popoli cui l'e- sistenza propria e indipendente fu tolta , rimane , non meno che ad alcuni uomini privilegiati, ancor qualcosa dopo la vita, la fama. Dopo l'ultima penosa agonia , attraverso il volger dei tempi e '1 mutar degl'imperi, malgrado 1' obblio a che i po- tenti, che sono, si sforzano di condannare i potenti, che fu- rono, dura (se loro pur non l'invidiano i fati) la reminiscenza delle gesta famose, che fatte al cospetto del moudo, pare che soltanto col finir del mondo dovrebbe spegnersene il suono. Prima della storia era ufficio delle muse figlie della memoria il conservare degli egregi fatti la ricordanza e la lode : ed Et- tore cantato da Omero avrà , come ben disse Foscolo , onore di pianti Finché il sole > Risjilcndcrà su le sciiigure muanr. 155 Ma vixere fortes ante Agamemnona multi , i quali percliè non ebbero un Omero che li celebrasse , tutti rimasero oscuri ed incompianti. Destino invero lagrimevole di molti uomini e di popoli interi l'aver operato cose grandi prima che vi fosse tale, che sapesse degnamente tramandarne ai posteri la me- moria. Né d' Erminio , che virilmente difese la patria contro a' conquistatori del mondo , bastò ad eternare Y eroiche gesta la voce de' Bardi , la quale si perdette infruttuosa nelle foreste germaniche , poiché i superbi romani ogni rinomanza sdegna- vano che romana non fosse * i . E ben si sforzarono que' gelosi di dar di spugna sulle stesse illustrazioni italiche , che non datarono ah urbe condita ; quasi che sia stato agli occhi loro un delitto l'aver avuto potenza prima di Roma; e valore prima dei Camilli e de' Fabii. Pur non vi riuscirono in guisa , che o da brani elucubrati di antichi scrittori , e de' romani storici istessi , o dai marmi , dai bronzi , dalle monete , dalle ai-gille , non raccogliesse Micali, quasi tavole sparse d'un gran naufragio, gli avanzi di quelle antiche reminiscenze, e non ne componesse la sua Italia avanti il dominio dei Romani. Né collo spegnersi del nome romano si spense affatto l'ita- lica virtù: e dopo la ferrea dominazione de' barbari che l'hanno insanguinata ed oppressa , risorse l' Italia piena di novello vi- gore , e corse un' altra volta un lungo stadio di possanza e di gloria; nel quale però se non le vennero meno, quasi piante del proprio terreno, i Furii, gli Attilli, i Scipioni ; ben man- colle un Livio , che valesse a celebrarne i nomi e le gesta ; e }a lega lombar4a , il più bell'episodio della storia italiana del medio evo j letta negli scrittori contemporanei è ( mi si passi il paragone ) una storia di giganti narrata da' nani. Quando poi nel principio del secolo decimosesto destossi vie più grande negl'italiani l'amore e l'emulazione delle antiche lettere, e dal- *i « Lìberator haud clubie Germaniae , et qui non primordia populi romani, M sicut alii reges ducesque , sed florentissimum imperium lacessierit .... Ca- » niturque adhuc apud barbaras gcntes; Graecorum annalibus igiiotus, qui sua » tantum niirantur: Romanis haud perinde Celebris ^ dura velerà cxtoUaraus , « recentium incuriosi. » Tacit. Anna), lib. i\. § txxxviii. Panni che il qui sua tantum mirantur potesse ai Romani applicarsi non meno che ai Greci. 154 l'umiltà della cronaca s'adersero i narratori de'patrii fatti alla dignità della storia, la grandezza d'Italia toccava di nuovo al suo termine , e la voce di Macchiavelli , di Guicciardini , di Varchi , di Segni , erano come il canto del cigno moribondo : quasi sia sempre destino delle cose nostre, che allora abbiano y^lenti narratori , quando mancarono i prodi operatori. Beata veramente per ogni lato Firenze ! la quale , oltrecchè può vantarsi d' aver dati alla luce que' primi esemplari della vera storia italiana , fu anche avventurata in questo , che le sue cronache, perchè dettate nel dolce idioma dell'Arno , non ven- nero condannate a quella obliviosa polvere, che sol pochi in- trepidi eruditi osano scuotere di quando in quando dall'altre cronache italiane : ma per amor della lingua son lette tutto giorno da quelli , che come storici documenti non le degne- rebbero pur d'uno sguardo. Ma se a temperare il ribrezzo di quelle cronache informi , se a diradare le spine che ingombravano il campo della storia patria de' mezzi tempi , spesero Muratori e Denina le dotte fatiche loro : se Sismondi lo infiorò poscia di tutte le bellezze d'una storia filosofica a un tempo e drammatica: se Venezia fu degnamente illustrata dal francese Daru : se al reame di Napoli dopo Giannone e Colletta altro non resta a desiderare se non che 1' ultimo avesse di più tradotta la storia del primo : per ultimo se il piemontese Botta, chiarissimo fra gl'italiani , ha, per quanto spetta alla storia generale della penisola , riempita lodevolmente quella gran lacuna , che da Guicciardini stende- vasi fino ai tempi presenti, la repubblica ligure., parte impor- tantissima del bel paese, non aveva prima d'ora, ch'io sappia, né fra gl'italiani, né fra gli stranieri sortito delle cose sue uno scrittore proprio ed universale. A quest'impresa che compariva tanto più ardua quanto fin adesso intentata , s' accinse il sig. Carlo Varese , al quale i suoi romanzi istorici hanno di già acquistata bella fama di letteratura. Ora noi, che sentiamo al- tamente quanto sia nobile ufficio lo spendere il tempo a gio- vamento e ad onore della patria , godiamo d'esser fra i primi a felicitarlo e dell'onorato proposto, e della costanza a ridurlo a compimento fralle difìicoltà , e i pericoli j che a chiunque 155 si pone a simil cammino, si fanno molestamente tra' piedi. E poi ch'egli ( per quanto ne argomentiamo dai primi volumi dell' opera venuti in luce ) è nel suo intento felicemente riu- scito , osiam presagirgli che la sua storia piacerà, e sarà letta finché memorie italiane lusingheranno menti italiane. La storia ben si scrive da' contemporanei per coscienza di -cose operate , o viste, o da altri, che sia degno di fede, im- parate : oppure da' posteri per scienza d'antichi documenti , e lume di critica a ben giudicarli. Dal che ne consegue, che se fra '1 bujo delle vetuste tradizioni, perla distanza de' tempi e la scarsezza delle memorie ardua e spinosa riesce di sovente la ricerca del vero ; pure avvi a ciò per lo storico compilatore un compenso, eh' ov' egli abbastanza dotto si mostri delle no- tizie scampate alle ingiurie del tempo, e abbastanza buon cri- tico per conghietturar fra la scarsezza o le contraddizioni delle medesime quella probabil sentenza , che in mancanza d'una più •certa diventa vera , il suo ufficio è lodevolmente compiuto : mentre a colui, che descrive fatti presenti, è ingiunto il grave obbligo d'esprimer sentenze non già probabili, ma vere: poi- ché ove la sorte non l'abbia collocato in luogo , donde potesse le cose accadute a' tempi suoi osservare co'proprii occhi, o in altra sicura guisa chiaramente e fedelmente imparare , non è cosa che lui scusi, se quello ch'egli stesso mal sapea, s'assunse l'incarico di raccontarlo altrui. Abbiansì dunque le storie con- temporanee gì' eroi , che le cose stesse fatte materia di storia operarono, e che dir possono ^worum pars magna fui (purché l'altezza dell'animo dagli scogli dell'amor proprio li salvi), e coloro ch'ebbero la fortuna cosi propizia da seguir da vicino que' grandi operatori , e contemplarne le gesta , e spiarne le parole e i pensieri : o quelli infine che con questi ultimi hanno vissuto e conversato. A chiunque conduce modesta e solitaria la vita , e cui non romba strepitosa nell'orecchio la gran ruota della fortuna, a questo se il suo genio lo consiglia a scriver la storia, conviensi eleggere la compilata, non la contemporanea, nella quale mal saprebbe , come un Colletta , adoprar quel tatto delicato , e quell'occhio sicuro, cui nessuna ombratile di- sciplina, ma l'uso del mondo, e l'esperienza delle pubbliche faccende possono solo conferire. 156 Le dette cose mentre chiariscono più che sufficiente al peso accollatosi il signor Carlo Varese, sembra che formino a prima vista l'elogio non meno de' contemporanei , a' quali va debitore delle sue notizie. Ma qui accade per 1' appunto tutto al con- trario : che gli annalisti genovesi ( e ben Tavvertì l'autore nella prefazione ) , o saliti a' primi gradi della repubblica , ovvero scriventi per ordine , e quasi sotto il dettame de' magistrati , o non seppero così spogliarsi dell'amor proprio i primi, o non poterono cosi emanciparsi da' rispetti umani i secondi , ch'essi riuscissero delle cose patrie altro che parziali o timidi , in- somma poco sinceri narratori. Ma se a' loro racconti disperava l'autore di attignere come a limpide sorgenti la verità, vennero in suo soccorso , oltre il fino criterio di che egli si mostra fornito, anche gli annali delle altre genti italiane, che coi genovesi ora strinsero leghe , ora combatterono sotto le ban- diere stesse , ora guerre lunghe ed accanite si fecero : essendo natura delle storie d'Italia, che di questo o di quell'altro suo popolo tu non possa partitamente leggere i fatti , senza quelli altresì di più altri imparare; così intralciati, ed ahi pur trop- po ! così sempre discordi e pugnanti furono delle sue città gli interessi , che in tanto urtarsi e confricarsi insieme che fecer mai sempre , invece di confondersi , o almeno appianarsi , par che più sempre distinti emergessero, e più scabri. Si è perciò che in tanto conflitto di municipali ambizioni ella è cosa difficilissima il por mano alle stoi'ie d'Italia, e mo- strarsi italiano; e tanto più a quello che non dell'Italia intera, ma d'alcuna sua città o stato si faccia a descrivere gli avveni- menti. Gl^è ben può forse colui, che nel vasto suo tema ab- bracci la penisola tutta dall'alpi alla punta di Reggio, volgere spassionatamente uno sguardo di commisei'azione o di nobile sdegno sulle tante discordie che in ogni tempo l'han lacerata; come farebbe uomo di mezzo in terra divisa dalle fazioni : ma far centro delle proprie elucubrazioni una città italica, e con- file la cerchia delle sue mura , o i limiti de' suoi dominii , e non affezionarsele in guisa da divenire , quando tu noi sii , quasi suo cittadino , e guatar d' un occhio geloso ogni altra , che non sia quella ; e gli altri italiani tutti , che pur son fra- 157 telli , chiamarli stranieri j e nelle guerre della citta da té illu- strata colle vicine lùvali , dimenticando che sono guerre fra- terne , bramare il trionfo di quella coli' esterminio di queste : scrivere , per venir al proposito , la storia di Genova , e non abbori-ire, e procurar che i lettori abborrano Venezia e Pisa ella è cosa che mi parve prima d' ora impossibile. E che ora più non mi paja , debbo renderne grazie al signor Varese, la cui rettitudine scorgesi, per quanto ne ho potuto legger finora, ad ogni passo della sua storia, e vie meglio là dove le guerre fra' genovesi e pisani , o fra genovesi e veneziani guerreggiate e le cagioni di esse guerre discorre : che né orgoglio munici- pale ( mentr'egli genovese non è ) , né cieco amore del tema sposato fanno si eh' egli mai tradisca in grazia del soggetto la verità : ma la ragione ed il ^rto sì all'uno che agli altri popoli distribuisce , parmi , con equa lance 5 e quale si professa nel preambolo , tale in tutta la narrazione si mostra, italiano. Se nonché l'imparzialità d'uno storico, e più se storico delle cose nostre , è tardo frutto d' una lunga lotta contro gli affetti che caldi e tumultuosi gli debbono ad ogni pagina, e quasi ad ogni linea eromper dal petto. Ma la vittoria de' proprii affetti, sic- come ottunde la parte dell' uom sensitiva , mena non di rado all'indifferenza, o a quel ch'è peggio , al sogghigno , alla satira; che l'uomo assume volentieri 0 la maschera tragica , o la co- mica, e il contegno che più gli pesa, è , se non m'inganno, la dignità. Questo io dissi, perchè il chiarissimo Autore, forse men per iudole propria , che per imitazione di storici ed an- nalisti illustri , sembra talvolta che più di frizzi e d'epigrammi goda infiorare il proprio stile , che non di gravi e illepide sentenze. E di ciò tanto più mi duole, quanto di gravi e belle sentenze è il signor Varese , solo che il Voglia , fecondo : non isplendide per avventura ed efficaci al segno d'alcune di Botta, o di Colletta, ma pur sempre splendide ed efficaci. A queste vorrei che s'attenesse esclusivamente, e pensasse che la storia d' Italia da noi italiani vuol essere scritta piuttosto col pianto sugli occhi , che col riso sulle labbra. Del resto e le sue orazioni mi parvero animate , e ben co- lorile le descrizioni , fralle quali giova citare quella dcll'espu- 158 gnazione d'Almecià per opera de' genovesi nel • libro secondo , e quella della battaglia navale della Melora nel quinto ; bat- taglia, che quanto più vivamente dipinta, tatìto più contristar deve il lettore filosofo , ed alla quale , come a tutte quelle combattute fra popoli che parlano la stessa lingua , si vorreb- bero porre ad epigrafe que' due notissimi versi di Manzoni I fratelli hanno ucciso i fratelli : Questa orrenda novella vi do: Noi confidiamo che la storia di Genova nelle mani del sìg. Varese sia per farsi di volume in volume *i più importante e più bella : e già avemmo cagione di osservare a sua lode come egli a confortare i lettori, e se stesso, di certe aridità storiche invochi l'ajuto della filosofia , che da' campi pili sterili sa far germogliare fruttifere piante. Il rÌÉorno eh' ei fa di quando in quando ai primi conati di costituzione repubblicana, o ai pri- mordii delle bell'arti in Genova, provano ch'egli ben sa, che la storia d'un popolo, quando nessun predicato restrittivo le si aggiunga, è storia universale: storia vo' dire civile, politica, militare, letteraria, ecclesiastica; la storia insomma della vita di quel popolo, de' suoi progressi, delle sue speranze, delle sue credenze , de' suoi diletti , de' suoi patimenti. Questo ne può compensare' del non trovar nelle pagine del signor Varese que' brillanti episodii , que' detti e fatti memorabili , di cui i primi annalisti di Genova, colpa loro, o di chi li faceva sciù- vere, non si curarono di far tesoro. E qui, se fosse lecito di- gredire a chi scrive angustiato dagli stessi confini del foglio , vorrei contrapporre la storia romana a quella di Genova , e dire che la prima è storia di romani, storia d'individui più an- cor che di popolo: perocché in ciascun quadro della medesima è a vedersi un personaggio eminente, che, rimoveudoli dalla turba che lo circonda, tutti attrae, e concentra in se solo gli sguardi. Cosi in Roma assediata da Porsenna, Clelia, Muzio Scevola , Orazio Coclite; in Roma presa da' Galli Furio Ca- millo, e Marco Manlio ; nella tirannide decurionale Appio Claudio; nelle guerre puniche tu scorgi Attilio, Fabio, i Sci- "i Lta uscito il tcr^o volume quindo fu scritto quesl'ji liccio. 159 pioni. E ne* senatusconsulli perfino , e nei plebisciti più che '1 senato e la plebe tu vedi il senatore o '1 tribuno , che il pro- prio nome eternò in fronte alla legge da lui ritrovata *i. Air opposto ( proseguirei ) la storia di Genova è storia di popolo , non d' individui : né in essa per lunghi tratti altro si vede che Genova , il suo comune , il suo popolo , che tutto insieme , quasi fosse un sol uomo , a grandi imprese si move. E se di rado ne' fatti suoi più luminosi t' accade d' imbatterti in un uomo , che a parte le distinzioni de' titoli, di dignità e d'impero, per isplendore di straordinarie azioni su tutti gli altri primeggi ; per 1' onore di Genova , e per rimuovere dai suoi annalisti il sospetto d' invidia , tu sei tentato a credere che quello sia un popolo d'eroi, quello dove a uissuno è dato uscire dalla schiera volgare. Senonchè quando tace la tromba di guerra , quando il maggior vessillo più non isventola sulle liguri antenne, allora ti suonano di continuo all'orecchio quat- tro gran nomi, che per intemperanza di civili ambizioni, allor più dlvengon famosi quando la repubblica negli ozìi della pace lascia riposare la propria fama. E un generoso sdegno ti si desta in core contro quegli storici antichi j i quali con iniqua distribuzione di fama tacquero de' privati chi sa quanti fatti magnanimi , e non passarono sotto silenzio i delitti. Ma ove queste cose io dicessi (e pur troppo le ho dette!) più che di riflessioni sensate avrebbero presso taluni apparenza di poetiche esagerazioni. Ora dalle generalità ritraendo il discorso a termini più par- ticolari , mi sia lecito toccare di alcune cose , n§lle quali l'o- pera del signor Varese non m'ebbe bastantemente soddisfatto: premettendo però , che a ben giudicare d'una storia , conver- rebbe avanti ogni cosa saperla fare , possedere cioè il soggetto *i Anche ne' tempi della tirannide si usò conservare ì nomi di chi proponeva qualcosa in senato. Dopo la morte di Augusto « consultatum de honoribus , ex » quis maxime insignes visi : ut porta triumpliali duceretur funus , Gallus Asi- » nius ; ut legum lularum tiluli, viclarum ab eo genlium vocabula anteferren- M tur, L. Arrunlius ccnsuere. Addebat Messala Valerius, renop'a/jf/Hm per a/moi ») sacramenium in nomine Tiberii, » Tacit. Anna], lib. i. § viii. E ben fé' Ta- cito ad eternare di questi adulatori l' infamia. 160 tanto quanto lo possiede l'Autore. Perciò delle cose dette , e di quelle che a dir m'accingo , fo giudici i più eruditi di me ( che son molti ) , e primo di tutti l'Autore , al quale , se vo errato, chieggo venia pei torti giudizii. Se l'imparzialità e un senso di giustizia vendicatrice ingiun- gono allo storico di rivelare molte turpitudini, l'imparzialità stessa , e una giustizia rimuneratrice gì' impongono di non di- menticare i bei fatti, e vie meno se al protagonista, dirò così, della sua storia appartengano. Nel libro primo (toni. I. pag.^8), dove ragiona dell' istituzione de' consoli detti del comune e dei placiti, bramerei avvertita dal chiar. Autore una cosa assai con- solante , che afferma CalFaro a proposito de' consoli del i i63. « In veritate dici potest , quod fama januensium consulum in » augmentatione reipublicae civitatis Januae, in sententiis dan- » dis sine venali auditu , cunctis suis vicinis civitatum et lo- » corum usque modo eminet universis » ( pag. 284 ). E se alcuno obbiettasse per avventura, che a Caffaro, che fu console anch'esso , non deonsi così agevolmente credere gl'elogi che fa del proprio ordine , risponderei , che d' un paese che si ama , vuoisi credere, senza tanto sofisticare, tutto il bene elicsene racconta; e fare in ciò, come caldo amatore, «che dei pregi e delle virtù della sua donna, perchè appunto gli giova crederle, facilmente se ne persuade. L'esattezza nelle cose di lieve momento è garante al lettore di pari esattezza nelle maggioi'i. INarrando le dispute dell'Arci-, vescovo pisano, e degli oratori genovesi davanti al Concilio Lateranense (^lib. I. toni. I. pag. 44 ^ seguenti ) intorno al diritto di consecrare i Vescovi Corsi , per cui quel metropoli- tano con quel di Genova rivaleggiava , narra il signor Varese che l'Arcivescovo di Ravenna delegato dal Pontefice a decidere in compagnia di 24 prelati la lite , disse dopo breve discus- sione : «signori, signori, il nostro concilio annulla qualunque » diritto della chiesa di Pisa su quella di Corsica: l'Aicive- » scovo pisano non s' intrometta più mai nelle consecrazioui » di quell'isola. Ed io lodo e confermo tal decisione, soggiunse )) il Papa. » Caffaro iavece pone in bocca all' Arcivescovo di ^avciHiu parole più umili, men decisive, più conformi, parca 161 me , alla persona clic le disse , ed a quella dinanzi a cui le disse *i : « Domine, nos non sumus ausi dare sententiam coram te (parla M al Papa), sed dabinius tibi consiliuui obtinens vini senten- ì) tiae. Gonsilium meum , et sociorum tale est , ut Arcbiepi- » scopus pisanus deinceps Corsicauas consecrationes dimittat , » et ulterius de illis non se intromittat. Papa vero audito con- » 'silio surrexit , et dixit : Arcliiepiscopi , Episcopi , Abbates , » Gardinales, placet omnibus vobis hoc consilium? Qui surrexe- » runl, et Iribus vicibus dixeruut: placet: placet: placet. Et Papa » dixit: et ego ex parte Dei , et B. Patri, et meae, laudo et cou- » firmo, et mane pieno concilio cum omnibus vobis iterum lau- j) dabo et confirmabo. » E queste interrogazioni del Pontefice a' Prelati l'accolti , e il rispondere che fecero essi tre volte placet^ e ciò che il Papa soggiunse in appresso , sono colori , che meglio si confanno alla pittura d' un concilio , che non que' pochi ed assoluti detti : ed io lodo e conformo tal deci- sione. Che se altronde, che dagli annali di Gaflaro, trasse l'e- ruditissimo Varese la materia di questo racconto , mi giova dirgli con quella riverenza , eh' io professo a' suoi pari , che bello ed onorevol costume si è quello di molti storici, che so- gliono passo per passo citare appiè di pagina le sorgenti delle loro cognizioni. Né vale a screditare un tal costume qviell'aura di classicismo, che da una storia nuda di note spirar sembra; che de' classici i lodevoli trovati , non le viziose omissioni voglionsi imitare: e nemmeno l'esempio, d'altronde autorevo- lissimo del nostro Botta , oppur le ragioni che del non aver egli documentata la propria storia addusse il Golletta : perchè queste sue ragioni possono bensì valere per lui scrittore di cose per la più parte contemporanee, nelle quali i documenti sovrabbondan di troppo, e sono, per la slessa natura loro, dì malagevole citazione : ma non varrebbero egualmente per chi storico originale non è *2 : bensi di altre storie già scritte compilatore, ha continuamente sotto gli occhi i docunienLi tutti sui quali va tessendo la propria. *i Pag. 255. *2 Almeno per la niiiggior parte della sua storia. I I 162 Quando racconta nel libro secondo , come gli ambasciatori di Genova e Pisa piatissero pel dominio della Sardegna davanti a Federico I , che apertamente favoreggiava i Pisani , fa dire il nostro Autore ad Uberto Spinola, capo della legazion geno- vese, parole così arroganti e superbe , ch'ella par cosa incredi- bile, ch'uom qualsivoglia, e ardito e temerario pur fosse, s'ar- risicasse a profferirle nel cospetto di un Barbarossa, d'un Im- peratore, la cui potenza, se non parve agli italiani invincibile, loro non sembrò però mai contennenda ; e la cui fierezza e crudeltà eran note per prova all' Italia tutta. « Or dove siam. » noi? E questo un giudizio di savio principe, d'un consesso » di gravi e perspicaci personaggi, o manrovescio di scimi- » tarra , che tronca il nodo alla maniera del Macedone ecc. » ( pag. i54 del tomo I). Ma Oberto cancelliere continuatore di Caffaro, seguitato nel resto dall'Autore, fa parlare Uberto Spi- nola da lui chiamato vir prudens et sapiens , in guisa assai più diplomatica 5 esordiendo cioè dalle espressioni del più umile ossequio *i , e insinuandosi bel bello con rispettose ma sode ragioni nell'animo di Cesare *2, finch'egli possa senza pericolo ricusare apertamente la sentenza di lui a' Genovesi sfavorevo- le *3 5 scusandosi per altro con questo, che non già pensato e solenne gindizio quello si fosse , ma semplicemente una voce alla bocca di quell'Augusto inavverten temente sfuggita: alla qual voce se ardissero i Pisani dar maggior peso, che giustizia non comportasse (qui si riscalda e minaccia, ma l'invettiva è contro i Pisani ) , e se prima qhe la Corte Imperiale avesse loro la *i « Domine iniperator , securius potest quilibct ante vestram praescnliam » Uiqui, videlicet qui justum et honestuin fovct, et con tra qui iuiquura vel in- » justum contendit, tiiuere et verecundari illum oportct » (pag. 3i3). *2 « Tameu' propter excellentiam impcrialem , quia vcritatcm ante curiaiu » dicerc intendo , ego palain loquor ut orator veridiciis ; et deprccor niajestalis 11 vcstrac clcmentiam, ut Principibus et BarOnibus vestris jubeutis , ut me au- » diant. Civitatcm nieam , kuniilium sublcvalor , in vestram fidclcin et legalcm u novisi.is ctc. » ( ivi ). *3 « Ego vice civitalis meae publicc afilrmo , quod praeccptinn vestrum non » est juris , aequitatis , vel ullius rationis; et non tenetur civitas janucnsis tale j) observarc praeceplum vel mandatum .... salvo vestro honore , id quod di- » citis, centra jus, et conlru houcslatem curiae dicluiii est, et non tenemur >' illud observarc , et nullo modo obscrvabimus » ( pag 3i4 ). 165 Sardegna espressamente aggiudicata , se li fossero i Genovesi trovati tra' piedi in quell' isola , lor avrebbero tronchi i nasi , e strappati gli occhi di fronte *i. Aggiunge l'annalista, che parlato che ebbe lo Spinola « surrexit douiinus Fridericus im- )) perator , capellum in sua manu tenens , et dicens : vcrum » est quidquid Obertus Spinola dixit » ( pag. 3i4 ). Lo spet- tacolo d'un Federico Barbarossa, che ritto in pie, col capello alla mano davanti agli ambasciatori di due citt^ italiane , dà ragione a un Uberto Spinola , è cosa che non so come al si- gnor Varese passasse inosservata. E poi che accennammo d'un principe della casa di Svevìa , vorrei che l'egregio Autore, abbandonando a tutte le esecrazioni de' suoi lettori il ben meritevole Barbarossa , avesse d'alquanto più risparmiata la memoria del secondo Federico , il quale se generalmente all'Italia fece molti mali, ad alcuna sua contrada in particolare fece pur grandi beni. E dei primi più la mal- vagità dei tempi , in cui regnò , e le contraddizioni sofferte deggionsi per avventura incolpare; mentre de' secondi non altro che il suo animo grande, né dal veleno della potenza piena- mente corrotto lodar sen debbe. Per grandi beni poi intendo non tanto la poesia sicula sotto i suoi auspicj coltivata , e la protezione accordata ai poeti, che mi s'opporrebbero que' versi d'Ariosto ( cauto xxxv ) : Non fu si santo , né benigno Augusto , Come la tuba di Virgilio suona. L'aver avuto in poesia buon gusto, v La proscrizione iniqua gli perdona : ma sì le opere di civiltà, delle quali in tempi assai rozzi diede l'esempio; ristorati nel regno di Napoli gli studii giacenti; parec- chie città fondate; la feudal superbia de' Baroni umiliata; rilevati i municipii ; ammigliorata la condizione del popolo ; l'ammini- strazione della giustizia protetta , e la potenza del clero a quei tempi strabocchevole, frenata. Le quali lodi, se, come non le *i « Si enim prò hac non senlenlia , secl voce tantum imperatoris intromi- » serint, nos illoruiu nasos et oculos de capitibus ejicicnuis, si in cadein insula » invcneriinus illos , nisi primo a curia palam judicali et condemnali erimus » (ivi). 164 pretermise il Colletta serittore apposito delle cose napoletane, nella peana dello storieo di Genova riuscivan superflue; basta- vano per altro a sconsigliarlo dall' aggiungere il predicato di principe cattivo *i al nome di un illustre italiano , che per alcuni rispetti il titolo si meritò di principe giusto e magnanimo. All'anno ii6q dopo avere il nostro storico con bella facondia narrate le orribili discordie, che la repubblica sconvolsero per opera dei Della Volta , dei Castellani , e degli Advocati , che cinti d' innumerevoli scherani sfidavansi ne' campi aperti quasi ad ordinate battaglie; ad esempio de' quali il popolo tutto era surto In armi, e parteggiava; e la città e le campagne formi- colavan di ladri e d'omicidi: dopo aver accennato come sei liti arrabbiate fra dodici famiglie delle principali, erano al punto da doversi per sentenza de' consoli stessi colla i-agione del brando definire: e che stando i campioni dell'una e dell'altra parte già accinti al combattimento , per segreto maneggio di que' consoli accorti compariva in mezzo a loro coli' urna del santo Precursore , l'Arcivescovo Ugo in abito pontificale , cir- condato da tutto il suo clero colle torchie accese, invitando i duellanti a giurare le leggi del duello su quella sacra reliquia: e pronti mostrandosi quelli , a giurare, fermatevi, gridava solle- vando la rn^wo , fermatevi -per Dio! e con parole commoven- tissime gli esortava a deporre i malaugurati sdegni, e com'erano tutti figli della stessa patria , a ritornare una volta fratelli : dopo aver queste cose come non si poteva meglio raccontate e descritte, conchiude cosi: «era l'Arcivescovo Ugo d'antica età, » era ornato d'ogni virtù cristiana: venerabile per santità, ve- » uerabile per costumi : avea V aspetto piacevole , dignitoso il )) piglio : la sua voce avea qualcosa di angelico , avea quel pa-. » tetico che seconda cosi bene l'eloquenza del cuore. Intanto >) ch'egli diceva , le mani dei rivali che accarezzavano l'armi , » cadevano, penzoloni sui fianchi; i loro occhi che sfavillavano » d'ira si bagnavano d'una lagrima; e quando il budn prelato *i li Queste sono le esequie dei popoli sulla tomba dei Principi cattivi. Clii W è vago , segua le traccie dei Federighi , e di chi ai Federighi somiglia. ( lib, IV, t. I, pag. 385 ). 165 » accennò loro di avvicinarsi alle sacre reliquie per profforire » il giuramento di distruzione, ei buttaronsi nelle braccia l'uno » dell' altro , e si diedero il bacio della concordia » ( lib. Il , toni. I, pag. i85). Bellissime parole invero, e piene di pit- trice eloquenza 5 ma non deL pai'i di storica esattezza. Ascol- tiamo adesso il cancelliere annalista : « Hac re peracta slatue- » runt ( consules ) parlaraentum ante lucem , ignorantibus ci- » vibus , sonare , ut cito mirantes consurgerent , et velociori » pede noctu, quam die venirent, injungentes, ut media con- )) cione reliquiae Beati Joannis Baptistae introducerentur , et » cruces civitatis in unaquaque portarum per honestas personas » tenerentur , omnisque clericatus tamquam in festivis diebus » apparerei indutus. Et civibus ad colloquiuni properantibus , » ista videntibus , obstupuerunt , qui licet transactis diebus » inefFrenati illic stare consueverant, tameneadie, quasi obe- )) dienliam portantes Dei instinclu apparuerunt. Surrexit qui- » dem primitus dominus Hugo Arcbiepiscopus, et consules post » euradem, miira insinuatione cives alliciens, et de pace, quae » instruenda erat, tum voce, tum personae gestu miro ordine )) componens , et de periculo civitatis lionesta quoque, et utir- » Ha , sicut domino, et populo convenit, angelica voce instiuens, » aures civium ampliavit, mentesque eorum quasi ad inaudita » ejusdem pia senectus adduxit. Continuo appellaverunt Ro- » landuni Advocatum , ut ad pacem compouendam, et juran- » dam tum causa Dei , tum bonore civitatis , tum quia peri- )) culum ultra urbs nostra non incurreret, festinus veniret. Quo » audito, scissis vestibus, lacrymando , et voce altisona mor- » tuos prò guerra invocando, renuens venire, terra adsedit. » Nani parentes , qui* de pace coustltuenda consulibus auxiliuni » praestare juraverant, in euni surgentes, licet ei vim minime » inferrent, tanien sicut euni decebat, ei supplicabant quoniana )) consulibus et populo satisfaceret. At quum consules illuni )) quasi obstupefactum , et se movere nòUe cognoscerent , ive- )) runt cum Arcbiepiscopo et omni cltricatu, crucibus , et teste » evangelio corani ipso quasi coactuni ad subrum adduxerunt, ; » et multis praedicationibus adj aralo , tandem in orJlnationé >» consulum pacem quietus juravit. Qud facto, illieo Fulcouera 166 » de Castro appellaverunt , qui equidem non erat tunc in » concìone, sed lanieu liumilem et rationabileni respousioncm » emisit dicens : ego tamquain dominos , et nieae civitatis re- » ctores j consules volo exaudire j hoc tamen non gravet illos : » non possuni , nisi soceri mei lugonis de Volta primitus raihi » data licentia praecedat. Quo auditu consules cum 0mni cle- » ricatu domum illius iverunt , et in concione anibos duxe- V runt, qui ad jurandam pacem pari veneratione vocati, et ad » lectorium ducti , post niultas murmurationes pacem quieti M juraverunt. Et exhinc parentes omues , qui publice guerram » portaverant, et quos consules utiliores ( forse deve dire hu- ■» ìuìliores) cognoverant, pacem in eorum voluuta te juraverunt, » et osculuni pacis ad invicem alter alteri tradidit w ( Obert. Cane. Contin. CafFari pag. "òiG et 827 ). La storia è come un gran dramma : e nessuno di quegli episodii che possono accrescergli amenità ed interesse, da uno scrittore che brami popolarità , vuol essere intralasciato. In tanta povertà delle primitive notizie di Genova avrei raccolto, come un glojello, il seguente fatto che a grande onore poi an- che degli antichi suoi magistrali ridonda. Era tregua fra Genova e Pisa. I consoli d'ambe le parti dispu- tavano a Porto Venere per non so qual nave da'corsari pisani in dispregio degli accordi a'genovesi rapita. La tregua era rotta, e rotta per colpa di que' di Pisa. Mentre fervevano le discus- sioni, il console genovese ^ Ottobuouo, s'avvede che un certo Trepedicino viscito sulla propria galea di Porlo Venere, s'ap- parechiava ad andare in corso contro i pisani. Perlocchè più di pace amante che di rappresaglie , stava per dar ordine a parecchi legni minuti di correr dietrc^ alla nave corsara , e impadronirsene: quando Alemanno, uomo pisano che il console della sua patria accompagnava « Signore , disse ad Ottobuono, » Trepedicino è mio cognato: né credo, ch'ei vorrebbe, quand' )) anche voi gliel comandaste, offendere la gente nostra. Fatelo, )) se v'aggrada, qui venire alle buone , e parleremgli. » Venne per comando del console il genovese corsaro, ed interrogato da Alemanno dove andasse , e a che fare : « Io vo (rispose l'amoroso )) coguato), io vo in cerca di voi altri pisani per prender voi, 167 » e le cose vostre, e i vostri nasi troncare, se col console mio » non farete concordia. » Giacché in que' tempi feroci non ba- stava agl'inimici romper il petto o trafiggere i fianclil, se non si sformava loro la parte dell'uomo più Leila il volto, quella in cui il Creatore improntò la sua immagine. Nacquero da tal risposta parole ancor più villane , dopo le quali Trepedicino in onta al divieto d'Ottobuono, che non voleva che di Porto Venere si dilungasse, risalì sulla nave, e andossene pe' fatti suoi. India quattro giorni ecco spuntare la galea di Trepedicino , che verso Porto Venere si fuggiva a gran forza di remi da una nave pisana inseguita : e il corsaro, visto il suo console, gridava ad alta voce dalla nave : « Voi mi feste , Signore , giurar la tregua con cotesti » pisani : ora vedete quel loro legno che così nimichevolmente » mi viene seguitando. Parlate: che ho da far io?» Al quale Ottobuono : « Entra in porto: frattanto io parlerò al console di » Pisa.» Ma il console di Pisa, che vuoisi di tutto ciò fosse intinto, rotti improvvisamente i colloquii di pace, postosi il giaco in dosso e l'elmo in capo, raggiunge col mezzo d'una barchetta la nave pisana, e toltone il comando, contro la genovese sen va dritto e minaccioso. Pregava Trepedicino il suo console che non r obbligasse a fuggir lo scontro con tanta vergogna pro- pria e del nome genovese : e il console, che pareva co' pisani giuocar di buona fede, come quelli con esso di mala fede giuoeavano , per l'onor della bandiera comandava bensì al cor- saro che la propria prora contro la prora nemica volgesse ; ma salito prima sur un palischermo , quando le due navi furono ad urtarsi vicine, entrò come paciere in mezzo ad entrambe, ed impose ai genovesi d'indietreggiare. « Figli delle male putte ! » ( gridava allora il malnato Alemanno ) voi fuggite la batta- » glia , perchè queste son barbe di Pisa. » Punto nell' onor della patria arse di sdegno a queste parole Ottobuono, e dato a'suoi l'ordine d'assalire i nemici «andate, gridava, andate va- » lorosamente contro que'traditori ; che la ragione è nostra, e Dio )) sarà pure con noi.» Ma nel caldo del combattimento il con- sole pisano codardo non men che sleale , vista la mala parata , gittossi in mare , implorando vilmente dal tradito Ottobuono la vita. E questi gli rendea ben per male : e brevemente rin- 168 fàcciatogll , die del corso pericolo non altro doveva incolpare che la propria perfìdia , il fece da una navicella raccogliere e porre in salvo. In questo mentre Alemanno, il vigliacco dalle sconcie parole, gridava misericordia dalla pericolante galea , e scongiurava Oltobuono di salir su quella, acciocché per rispetto del proprio console cessassero i genovesi dal più combatterla. Saliva adunque sulla nave pisana il longanime Ottohuono fralle strida e il pianto degli avviliti nemici, e al suo cenno rista- tasi ognun dalle offese, e i due legni azzuffati si separavano, non senza pericolo della sua stessa persona 5 poiché nello sce* verare i combattenti , una saetta da non so qual arco partita, gli s' infiggeva nel braccio. Ma non curante del proprio danno, stavasi egli nel mezzo della nemica trireme sgridando i suoi, che per la caldezza del sangue anelavano di tornare all'arrem- baggio , e cogli odiali rivali rimescolarsi : quando un pisano ( diabolica ingratitudine ) ! cavatosi prima 1' elmo di capo e lo scudo dal braccio , quasi vei-gognoso di portare guerrieri arnesi mentre apprestavasi ad un' azione da sicario , fattosegli insidio- samente dietro colla spada sguainata , gli assestò un tal colpo nel piede, che lui fé', quasi morto, stramazzare sul ponte. Inorridirono all'atto nefando i pisani stessi, ma non pertanto meno infelloniva quel tristo 5 e se un genovese non gli tron- cava incontanente il capo dal busto , il buon console rima- neva vittima della propria generosità. Salivano intanto a gran furia i liguri sull'avversaria galea ^ e trentadue pisani ferivano in quel primo impeto crudeli vulnere. Ma Ottobuono , in cui la pazienza non s' era stancata come ne' suoi nemici la fede e il pudore , Ottobuono ferito gravemente nel braccio e nel piede, rialzatosi a stento per opra de' suoi, e girato attorno lo sguardo, vide i fieri colpi che i genovesi menavano , e il molto sangue che si spargea : e pietoso o magnanimo non sofferse che per r offesa a sé fatta trascorressero i suoi a troppo aspra vendetta. Imposto fine alla strage , comanda che i feriti tutti in un col pisano console sian portati a salvamento nel vicino castello : ed allo stesso console pisano, che, perduto l'onore, chiedeva mercè per non perder la vita. « Vanne, disse, al tuo ospizio » co' tuoi feriti. Sebbene per colpa tua, e per l'arroganza de' 169 jr tuoi , queste cose sien oggi accadute , pure non sia detto , » che voi pisani, i quali (con quanta sincerità s' è veduto) qui » conveniste a ragionamenti di pace, corriate il menomo rischio » per cagion mia*i. « Abbenchè mi duole , che narrando simili fatti , ove la virtù di alcuni italiani coi vizii di altri italiani contrasta , non puossi esaltare gli uni senza gli altri Infamare , pure bramerei che questo, in miglior mòdo descritto eh' io far non seppi, avesse trovato luogo nella storia del sig. Varese, siccome quello che splendidamente prova in tempi comunque perfidi e crudeli pro- durre la natura uomini miti , leali e generosi : e che vicino agli esempli del maggiore tralignamento dell'umana stirpe si tro- van talvolta quelli della sua maggior perfezione. Il chiar. Autore , superiore di gran lunga a' miei encomii , accolga benignamente queste critiche osservazioni, non con altro fine dettate , che a testimoniargli la mia stima , a mallevare la sincerità delle lodi , e a far fede del mio amore per le ita- liche illustrazioni. E per verità , se non fosse la tenerezza delle cose patrie , che fa superar molte noje, sarebbe in me una gran prova di gusto corrotto l'interrompere la lettura della bella ed elegante storia del sig. Varese , per trangugiarmi i cattivi latini dell'aride cronache del medio evo. *i Obtrt. Canccll. pag. 3o3 , 3o4 , 3o5. C. M. 170 Scienze Fisiche e Militari — Sperìenze sul tiro e r effetto delle armi da fuoco eseguite a Metz nel \8i/\. Varie pratiche dell'artiglieria ed i principj ammessi sul tiro e l'effetto delle armi da fuoco mancavano ancora di basi certe abbastanza , onde si potessero stabilire regole incontestabili per le applicazioni e procedere ad ulteriori perfezionamenti. Già da molto tempo Giovanni Bernouilli da sperienze ripetute da Poleni , s'Gravesende e Musschenbroek , aveva dedotto che il volume dell' impressione formata da un corpo die penetra in un mezzo solido resistente era proporzionale alla forza viva posseduta da quel corpo all'instante dell'urto, ossia al prodotto del suo peso per l'altezza dovuta alla sua velocità. L'ab. Camus nel 1738 aveva parimente presentato nelle memorie dell'Acca- demia delle Scienze di Parigi giuste nozioni fisiche e teoriche intorno alla penetrazione de' corpi , quando Eulero dedusse da mia semplice analisi le circostanze di questo fenomeno, esten- dendo , a mezzi qualunque , i risultati di Robins ricavati da sperienze fatte sul legno d'olmo, dalle quali si conchiudeva che non solamente il volume dell' impressione era proporzionale alla forza viva del mobile , ma che ancora la resistenza opposta da un tal mezzo al movimento del proietto era indipendente dalla velocità. Questo ultimo principio adottato dagli autori che ven- nero dopo è lungi di essere esatto , come lo provano le sperienze che riferiremo. L'uso ogni giorno più frequente del ferro fuso nelle costru- zioni industriali sembrava annunciare un' intiera riforma nel materiale di guerra. Poco tempo fa furono già proposti affusti di ferro pei cannoni di campagna; ma le prove fatte a questo riguardo non riescirono a vantaggio di una tale modiiicazione. Alcuni pensavano ancora di rivestire con lastre di ferro fuso le parti della fortificazione soggette ad essere battute in breccia , 171 sistema del quale non si potè giudicare per mancanza di dati precisi. Sul modo istesso di formare una breccia, sulla durata di una tale operazione non s' incontrano negli autori che pochi rag- guagli non sempre chiari e consentanei fra loro j per accertarsene basta consultare Vauban, Bousmard, Gassendi e Decker. Questi dubbj sopra questioni cosi importanti ed i vantaggi che potevano recare sperienze instituite a questo riguardo, mos- sero nel i833 il maresciallo Soult allora ministro della guerra in Francia ad invitare le varie scuole d'artiglieria onde dirigessero le loro ricérche verso lo stabilimento definitivo de' principj del tiro delle armi da fuoco. La Commissione , a tal uopo formata a Metz , procedette nel 1834 alle sue sperienze, e scelse per relatori delle sue opera- zioni i sigg. Piobert e Morin uflìziali ambedue distinti, e l'ultimo più specialmente conosciuto per le sue ingegnose ed importanti ricerche sull'attrito. Gli autori, allontanandosi dalle traccie degli osservatori ordinari , seppero in siffatte sperienze scoprire feno- meni di un nuovo ordine. La loro memoria , egualmente inte- ressante pel fisico e pel militare , contiene ricerche relative alla penetrazione de' proietti, al loro urto ed al loro effetto contro le costruzioni difensive. Presentata all' insti tuto di Francia, classe delle scienze , venne prima analizzata e discussa sul finire del i835 in una dotta relazione de' sigg. Dupin, Navier e Poucelet, quindi meritò l' approvazione di quella celebre Accademia. Il successo ottenuto dai sigg. Piobert e Morin mostra come la scienza sia guida sicura nelle ricerche pratiche , e come possa diventare feconda di utili applicazioni. Tenteremo frattanto di esporre brevemente i principali risultati consegnati nell' accen- nata memoria. Il fenomeno della penetrazione presenta varj aspetti secondo la natura del mezzo che attraversa il proiettile. Nelle fabbriche di muro e nella roccia , il foro da esso formato è generalmente composto di due parti bea distinte. La prima anteriore e tron- coconica sembra dovuta ad uno svellimento prodotto dalle reazioni elastiche delle pietre compresse. La seconda parte è cilindrica e terminata da uu emisfero nel quale resta incastrata 172 la palla. Questo vuoto pare formato da una polverizzazione delle materie che s' iucontrauo sul passaggio della palla e le quali sono lanciate sino ad una distanza di sei metri dall'orifizio del foro, in senso contrario del movimento del proiettile. Nella sabbia mescolata coti ghiaja le cose si passano in un modo analogo. Il tiro contro le terre argillose, più o meno umide, offre circostanze alquanto diverse dalle precedenti. Il vuoto della penetrazione resta formato da un lungo canale sostenuto e ri- vestito internamente da una crosta indurita, la quale presenta delle scanalature longitudinali , e la cui superficie piuttosto pa- rabolica che conica volta la sua convessità verso 1' asse della traiettoria. La sua sezione meridiana verso il fondo ha le di- mensioni del circolo massimo della palla , nvntre il diametro dell'orifizio è cinque o sei volte quello del proiettile. La forma conoidale di queste impressioni sembra doversi attribuire in gran parte alla velocità comunicata nel senso trasversale alle mollecole del mezzo, dalle varie zone dell'emisfero anteriore del proietto in movimento. Qui si offre una circostanza degna di osserva- zione; questo emisfero si ricopre gradatamente d' una serie di falde 0 calotte coniche di materia fortemente condensata , la quale fa funzione di cuneo , il di cui angolo diventa sempre maggiormente acuto, mentre, perdendo la sua velocità, il pro- iettile s' innoltra nel mezzo resistente. Si è sparato contro legni di rovere e di abete con cannoni da 24, 1 6, 12 e da 8, e con cariche di i/3 del peso della palla. Le aperture praticate nel rovere si ristringono immediatamente in virtù dell'elasticità delle fibre. Ma si manifestano lunghi e profondi stracciamenti, e frammenti di legno sono lanciati sino a 1 5 metri di distanza. Cosi , con un solo colpo , una trave di quercia si può mettere fuori di servizio. Ciò non accade nell' abete 5 benché la profondità della penetrazione vi sia maggiore che nel rovere, l'urto della palla non sembra influire che sulle parti immediatamente in contatto con essa, mentre il rimanente del solido non prova alterazione veruna sensibile. Quindi gli autori conchiudono che, nelle costruzioni difensive, il legno di abete sia da preferirsi a quello di rovere. Varj tiri furono eseguiti 175 contro grosse masse di piombo; il vuoto di penetrazione pre- sentava forme alquanto analoghe a quelle delle impressioni nell' argilla, se non che il metallo si ripiegava in un- orlo esterno molto incurvato e frastagliato in giro somigliante a quello di un vaso antico ornato di fogliami. La forza viva che possedè un corpo essendo la misura della facoltà ch'esso ha di produrre una certa quantità d'azione , ne viene che gli effetti distruttori del proiettile debbono venire rappresentati da questa quantità 5 ed infatti , in tutte le spe- rienze precedentemente citate, il volume dell'impressione è proporzionale alla forza viva della palla. Designando per I il volume di questa impressione, per p il peso della palla, v essendo la sua velocità e g^ la gravità, si ha: ^'=2^1 dove 8 ' k è un coefficiente costante per una medesima sostanza. Le prove fatte a Metz diedero i seguenti risultati : Roccia calcarea oolitica ak = 835oooo til. Muro formato con pietre spaccate ak == 4620000 P^°™^o • • • • 2k = 22l55oOO Legno rovere 2I, ^ 3oo8ooo Legno di abete . ak ^ 1970000. I due ultimi valori di I si ottennero prendendo per I il volume dello spazio descritto nel mezzo dalla palla , giacché in virtù dell'elasticità conservata dalle fibre la maggior parte dell'im- pressione spariva. Così in questo caso k rappresenta la resistènza per un metro quadrato. Se si chiami e la profondità della penetrazione , D il diametro del proiettile espresso in metri , TT il rapporto della circonferenza al diametro, si avrà allora:' 4- P V* r ^ ~ TrD-k '^' Q"^st^ ^ Ja formola estesa da Eulero ai mezzi o qualunque. Per calcolare la profondità della penetrazione nelle altre so- staqze gli autori danno nell'attuale memoria una formola em- pirica, della quale si serve il sig. Piobert nelle sue lezioni alla scuola di Metz. Ritenendo le precedenti denominazioni e desi- gnando inoltre per e la carica , per S k densità della palla , - 174 per E la penetrazione, espressa in diametri, corrispondente alla carica del terzo del peso del proiettile di densità 5', si ha: EDJLog.(i— i-48o.- ) ì' . 2,2o685 Adoperando proietti di ferro fuso, si sono trovati i valori seguenti di E : Roccia calcarea oolitica E = i,8o Muro formato con pietre spaccate E = 4>oo Ghiaja assodata . . E = io, 75 Terra vegetale assodata Id. mescolata con sabbia recentemente smòssa i ' /e?, mescolata con sabbia assodata E= 1^,10 Id. argillosa recentemente smossa ....... E = 2/\,5o Id. vegetale id. E = 3o,5o Gli autori non hanno potuto applicare la loi'o formola d' in- terpolazione al piombo per motivo delle irregolarità succedute nelle penetrazioni in, questo metallo. Il sig. Poncelet deduce l'espressione precedente di e adottando una legge colla quale si rappresenta ne! modo il più generale la resistenza di un mezzo qualunque fluido o solido. L'espres- sione di questa resistenza è composta di due termini: uno costante relativo agli attriti ed alle forze di coesione che deve sormontare il mobile , l'altro dipendente dalla quantità d'azione che si deve comunicare alle masse spostate, e quindi proporzionale al qua- drato della velocità. Così appare come ne'casi estremi l'uno de' termini possa essere trascurato rispetto all'altro. Dietro questo principio cercando il volume percorso dalla palla nel mezzo resistente ed osservando , che ne' limiti delle cariche ordinarie il rapporto p è proporzionale al quadrato della velocità iniziale , si otterrà un' espressione la quale coincide colla formola del sig. Piobert. Gli autori instituirono ancora altre sperienze sul movimento delle palle nelle terre. Il globo si movea in una cassa piena di quella terra che si volea provare. La natura del moto si rico- nosceva mediante l'apparecchio adoperato dal sig. Morin nelle sue ricerche sull'attrito. La velocità della palla fu portata sino 175 a G nielli per i." Qui si trovò la resistenza indipendente dalla velocità e proporzionale all'area del circolo massimo del mobile ; così , in questo caso, spariva, a fronte dell'altro, il termine della resistenza relativo al quadrato della velocità. Chiamando k' la resistenza sul metro quadrato , si ebbe : Per la sabbia fina k' = 20686 '^i'- ghìaja k' = 21821 terra argillosa umida . k' =: 29428 idem bagnata k' = 18102 L'enorme differenza clie si osserva fra questi ultimi valori della resistenza proveniente da una medesima specie di terra , e quelli che si deducono da precedenti sperienze, non sembra potersi attribuire che alle dimensioni ed alla smossa recente del massiccio di terre sottoposto alle prove. Non è men degno di osservazione come i risultati ottenuti precedentemente sulla profondità delle penetrazioni siano oltrepassate del doppio da quelli dedotti da numerose sperienze fatte anticamente. Nuove prove sono dunque ancora necessarie per rendere ragione di queste anomalie. I dati precedenti potranno ancora servire a risolvere il problema della penetrazione delle bombe, osservando che allora non è più lecito di trascurare il primo periodo del movimento , durante il quale il proietto s' innoltra nel mezzo sino all'altezza del suo centro. Un altro ordine di fenomeni si presenta nell'urto delle palle di ferro fuso contro piastre dello stesso metallo. Le loro velocità furono per quelle da 24 comprese fra 190™ e S^o"", e per quelle da 8 fra 70"" e 225"". In tutte queste sperienze i proiettili vennero spezzati nell'atto dell'urto. Osservando il modo di questi spezzamenti , si scoprì che la parte urtante della palla serviva come di base ad un nocciolo di forma piramidale il quale faceva l'ufficio di un cuneo per separare il proietto secondo piani meri- diani in numero di parti tanto maggiore quanto maggiore era la velocità. Allora la piramide si avvicinava ad un cono di base circolare le di cui generatrici erano" però alquanto convesse verso l'asse. L'esame de' frammenti dei proiettili mostrò che le super- ficie di rottura dirette secondo piani meridiani avevano un aspetto granelloso, mentre quelle in contatto colle faccie della pira- 176 mìde erano brillanti e eli apparenza fibrosa. Il nocciolo sino ad una certa profondità presentava una serie di strati conici di spessore uniforme , i quali dal loro aspetto fibroso parevano avere strisciato gli uni sopra gli altri, mentre nuove zone del pi'oietto venivano in contatto colla massa di ferro. Il volume dell'impressione, al quale si adattava esattamente la palla, era sensibilmente terminato da una superficie di rivoluzione. Quindi il teorema di Guldin servi a misurare questo volume che fu trovato proporzionale alla forza viva della palla. La media delle sperienze diede ak = 164600000^1'-. La circostanza die colpisce di più in queste sperienze è la distruzione pressoché completa dell'elasticità del metallo nella parte che sopporta V urto. La formazione del nocciolo e l'esistenza dell' impressione servono a spiegare come la riflessione della palla in senso contrario del suo movimento sia nulla , mentre i frammenti sono lanciati lateralmente con una velocità che li rende capaci di attraver- sare tavole di più centimetri di grossezza. Questo fatto mostra come sarebbe vana lusinga quella di sperare che le palle ur- tando contro rivestimenti di ferro fuso, fossero rimandate contro gli assedianti, in virtù della loro elasticità. Inoltre delle masse di ferro anche grosse 3o cent, vennero infrante dall'urto di un solo proiettile animato da piccola velocità. La rottura si deter- minava non solamente nel punto del contatto , ma ancora in altri assai distanti. Quest'ultima circostanza è dagli autori at- tribuita alle vibrazioni eccitate nel metallo , le quali producendo variazioni di densità maggiori di quelle comportate dalla natura del corpo , cagionavano il suo spezzamento. Da ciò si giudicherà se dannosa possa riuscire la sostituzione del ferro fuso al legno in varie costruzioni d'artiglieria. Se due palle s' incontrano si forma un nocciolo avente la forma di una piramide tronca a base sferica pentagonale. Se l'urto è diretto, l'asse della piramide è normale al punto di contatto, il quale serve di piccola base; nel caso contrario l'asse è ob- bliquo. Il modo indicato dello spezzamento sembra generale , giacché di 260 palle osservate una sola aveva il suo nocciolo piramidale a base ettagonale. Se il prolettile urtato è un obice , il «occiolo che si determina ha la forma di due pii-amidi tronche 177 unite per la loro base minore. La velocità della palla c$seiulo bastante per determinare la rottura , questa ha luogo secondo un piano meridiano che passa per l'occhio dell'obice ed il punto di contatto. Questa sezione è naturalmente quella di minima resistenza. Né si tralasciò di osservare la resistenza de'proictti. Si trovò che l'effetto deirobizzo è nullo contro le opere di muro, giacchù si rompe quando è lanciato anche colle minime cariche. Le palle sono egualmente spezzate in gran parte e sempre secondo piani meridiani. Tutti i fenomeni descritti finora sono accom- pagnati da un' alta elevazione di temperatura , ma sulla misura di questa gli autori non danno che ragguaglj vaghi assai. Una gran parte delle osservazioni sinquì riferite, furono falle in occasione di un tiro in breccia eseguito per iscoprire il mi- gliore modo di procedere a tale operazione. Si scelse una scarpa costrutta sotto gli ordini di Vaubau , con pietre spaccate unite con smalto di calce forte e di grossezza media di i^jSo. Due breccie furono formate ; l'una con quattro cannoni da i6 e l'altra collo stesso numero da ^4 j la disianza ali' opera presa dalia bocca du'cannoni era, per la prima batteria, di 2i"',4o e per la seconda di 3i'",90. L'altezza del rivestimento era di ó", e la lunghezza media di ciascuna breccia di uà'". I pezzi distanti circa di cinque metri 1* uno dall' altro dovevano ciascheduno battere un'eguale lunghezza di scarpa- Si principiò col praticare una sezione orizzontale a due metri sopra il fondo del fosso j essendosi osservato che una palla da 34 produceva nel muro una commozione del diametro di i™,i5, i colpi sparati da cinque in cinque minuti , e colla carica della metà del peso della palla, furono diretti da metro in metro sul rivestimento. Cosi si formò la sezione orizzontale procedendo da destra a sinistra, poi in senso contrario, dirigendo allora i colpi negli intervalli ancora pieni , finché la rottura fosse penetrata sino alle terre. Questa essendo compita si aprirono sezioni verlicaii in numero corrispondente a quello de'cannoni. Il tiro si esegui dal basso in alto slargando i colpi mentre si avvicinava il taglio alla sommità della scarpa. Si giudicò convenevole di accelerare più delle alUe lu due sezioni verticali csUeiuc. Appena tulle J2 178 queste terminate, il muro fu rovesciato dalla spinta delle terre. Alcuni colpi di cannoni bastarono per distruggere i contrafforti , e degli obizzi da 8pol'- lanciati colla carica di it,5o e ripieni di a''»'- dì polvere, rovinando il parapetto resero la breccia ac- cessibile. La durata totale di. tale operazione fu di circa () ore ira col cannone da 16, mentre col calibro da 24 fu eseguita in 8 ore. Gol primo calibro si consumarono 2i6ol^il- di ferro e loSo^il. di polvere, e col secondo a'i/\o^'^- di ferro e 11 70^. di polvere. Quantità poco diverse ne' due casi. Il vantaggio resta adunque al calibro da 24 attesa la maggiore rapidità dell'operazione. Per la formazione mediante le mine di una terza breccia simile alle prime però meno praticabile di queste, furono impiegate 3o6 ore di lavoro e yootil. di polvere spartiti in cinque mine. Questo fatto può far giudicare de' vantaggi relativi de' due sistemi. Dalle poche prove eseguite sul tiro obbliquo si è potuto con- cbiudere che la palla lanciata colla carica della metà di suo peso, rimbalza ancora sotto l'angolo di 20^5 colla carica del terzo la riflessione ha luogo sotto l'angolo estremo di a^°; colla carica del quarto questa succede sotto l'angolo di 33°. Da ciò si deduce il limite dell' obbliquità colla quale si può tentare di formare una breccia. Conviene ancora accennare, che in queste sperienze si rico- nobbe la superiorità de'cartoccj allungati proposti dal capitano Piobert sopra quelli in uso finora; giacché i cannoni caricati coll'antico metodo provarono enormi degradazioni, mentre furono insensibili quelle de' pezzi caricati nel modo indicato dal sig. Piobert. Tali sono i principali risultati contenuti nella memoria della quale presentiamo il sunto. Ricca di preziose osservazioni e di dotti precetti , essa potrà servire di guida a chi tentasse di instituire sperienze analoghe a quelle che ne fanno l'oggetto; e mentre onorevolmente attesta V ingegno degli autori , desta il vivo desiderio di vedere terminata una serie di ricerche prin- cipiate sotto così favorevoli auspicj. L. F. M. 179 l'ILOLOGIA — Lexicon lingiiae Copùcae studio Amedei Peyrou equitis ordinum Mauritiani et Sabaudi uh inerita czV. , pro- fessoris liiiguarum orientalium in Taurinensi Athenaeo, sodi R. Academiae scientiarum Taurinensis aliavumque. Tauritti ex regio tipographeo iSS5. Da poi che lo scoprimento fatto dai sigg. Young e Cham- pollion della natura de' geroglifici egiziani ridestò fondata spe- ranza di potere con perseverante studio penetrare il significato di quelle arcane scritture ; dopo gli scritti dì que' due chiari archeologi, e precipuamente del secondo, niun letterario la- voro doveasi con maggior desiderio aspettare, che un nuovo dizionario della lingua coptica, il quale e per la copia de' vo- caholi, e per meglio studiata disposizione de' medesimi, e per comprendere tutti e tre i dialetti di quella lingua , supplisse il triplice difetto , che i dotti possono facilmente ravvisare iu quello di La-Croze , i cui esemplari oltre a ciò erano divenuti cosi rari, che non senza somma difficoltà e grave spesa po- teano procacciarsi da chi ne avesse bisogno *i. Di fatto senza il presidio della lingua coptica , nella quale dc!<;si riconoscere , sebbene con molte e notevoli alterazioni , la lingua parlata u/.ioni del Subalpino. — F. B. 184 irlioina d' un popolo , cadono assai più sulle forme e su tutto qut'lìo clic vi ha d' accessorio , che sopra le radici , le quali cosliluiscoiio la sostanza ed il fondamento d' ogni lingua , e pone per esempio a provare questa sentenza , il gotico d' UlGla paragonato alla lingua tedesca iu diversi tempi di sua esistenza. Io penso dover qui trascrivere le sue proprie parole tanto più, quanto che io non ammetto interamente questa teoria: In liac -vctustiovuin lì'nguaruin cuin recentiorihus coinparatione , non forinae noininnm , aut declinationes , non vocwn composido aut iniìexiones verborum , non clenique minuta quaevis accidenlia simili conjhrenda suiti, sed ex analogia ac radicihus res est decernenda. Di più, la lingua copta è atta del pari, od anche meglio di qualsivoglia altra lingua ad avere le sue voci ordinate secondo il metodo etimologico. Sommamente regolare ed uniforme uè' vocaboli derivati e ne' composti, lascia vedere da per tutto le radici , per così dire , nude , né richiede alcuna faticosa inve- stigazione. Da questo carattere della lingua il sig. Peyron con- chiude non aver questa dovuto essere molto acconcia alla poesia od ai concetti d'immaginazione ridente e ardita, o piuttosto, che la poesia e le opere d' immaginazione a quella mai non si appresero, uè punto cooperarono a formarla. E dobbiamo, secondo lui , tenere per fermo , che i monumenti della let- teratura antica d'Egitto non ci offriranno che soggetti gravi e scrii, sistemi di teogonia e di religione, annali, descrizioni, contratta, ed il tutto fatto con prosa arida e priva d'ogni or- namento : omnia jejuna et squallida oratione exposila. Si po- trebbe forse a cosi severo giudizio opporre quel che noi cono- sciamo addi nostri della leggiera e poetica letteratura dei cinesi, di quella nazione , la quale , non è gran tempo , si credeva che fosse unicamente data alla morale , alle speculazioni filosofiche ed alle astrattezze metafisiche , dove tutte le azioni della vita sono come imprigionate da forme tradizionali , donde uissuna classe della società saprebbe disciogliersi , la cui lingua in fine priva d' ogni forma grammaticale sembra condannata a non do- versi giammai discostare da monotona e rigorosa uniformità nella tessitura del discorso. 185 D'altronde, dice il sig. Peyron, non è egli consentito dai dotti, e confermato non solo per l'esempio delle lingue dette semitiche _, ma eziandio della greca e latina, che ne' dizionarii il metodo etimologico sia da anteporsi all'alfabetico puro? Se diverso è il fatto per le moderne lingue d'Europa, ne è unica ragione , che queste, e soprattutto le derivate dalla lingua latina, contengono molte voci prese a diverse sorgenti, e straniere une alle altre, ed altronde bene spesso varii vocaboli derivati da una stessa radice latina divergono dalla comune loro origine per significati consacrati da uso cieco e capriccioso. Quale somiglianza di si- gnificato, per cagion d'esempio, unisce in francese la parola tempie al verbo contemplerà o l'aggettivo sidéral al verbo con- sidèrer? Come mai conoscere, se non si sa che il francese, il vincolo che unisce poudre e poudreux con pulvériser? All'in- contro il metodo etimologico è adoprato per la lingua copta eoa pari, anai con maggiore facilità che per la greca o per le lingue semitiche, poiché la somiglianza materiale dei derivati colle loro radici apparisce al primo sguardo, e se in questa lingua alcune voci trovansi di straniera origine , queste generalmente sono pure greche introdotte nel copto senz' alcuna alterazione , le quali non debbono aver luogo nel dizionario. Se s'incontrano alcuni vocaboli presi da altre lingue , cosi piccolo ne è il nu- mero, da non doversene tenere alcun conto. D'altronde potranno venire ordinati nel dizionario come sterili radici, che non avranno dato origine a veruna famiglia di derivati. Il ,sig. Peyron aggiunge qui un'osservazione importante e giu- diziosissima, cioè, che quando egli parla di radici e di derivati, prende la lingua nello stato in cui ci è pervenuta, e lascia da parte ogni sistema che tendesse a decomporre con troppo sottile e sempre problematica analisi le voci che si offrono a noi come radicali, per ridurle a più semplice origine, per esempio, a puri monosillabi. Ben lungi da regolare l'ordine delle voci copte, secondo tale ipotesi , egli ha preferito all' incontro di moltipli- care il numero de' radicali, ammettendo come tali, in grazia de'principianli, vocaboli derivati, a trovare la vera radice de' quali dovrebbero durar fatica. Un' altra considerazione capitale viene di poi ad occupare 186 l'eruclito nostro lessicografo, e dichiara doverla a Champollion. Questa consiste in istabilire, che nella lingua copia, come nell' ebraica e nelle altre lingue semitiche, le vocali non hanno che un ufizio .secondario, il che più o meno addiviene in tutte le lingue. Alle consonanti adunque dee principalmente badare chi vuole formare un dizionario coptico secondo il metodo etimo- logico, e se l'autore si propone per fine, siccome ha fatto il sig. Peyron , di agevolare l'applicazione della lingua copta all' interpretazione dei monumenti dell'antico Egitto, egli è cosa tanto più necessaria il ridurre le radici alle sole consonanti , quanto che su questi monumenti il più delle volte sono om- messe le vocali ne'vocaboli scritti foneticamente. Questo prin- cipio tuttavia ammette di necessità una prima eccezione, quando le vocali trovinsi nel cominciaraento delle parole 5 e ne ammette una seconda nel caso in cui una vocale appartenga all'essenza della radice; ed è pur forza concedere, che l'applicazione di questa seconda eccezione, lascia nel copto molto spazio all'ar- bitrio. Gol metodo seguito dal sig. Peyron , quando una voce radicale senza le forme ed inflessioni grammaticali contiene al meno tre consonanti, od una vocale iniziale seguita da due con- sonanti almeno, la l'adice così costituita è ammessa al suo ordine alfabetico nel dizionario, e dopo quella vengono collocate tutte le voci , le quali conservando le stesse radicali non differiscono le une dalle altre che per le vocali. Alcune consonanti potendo essere adoprate in luogo d'altre dello stesso organo, avviene che debbano aversi per identiche radici, le quali a primo aspetto sembrano diverse. Debbono adunque essere riunite o ravvicinate nel dizionario queste diverse forme, per agevolare nel copto il rintracciamento delle antiche voci egizie. Noi non abbiamo nulla a riprendere in questo ravvicinare che fa il sig. Peyron tanto più naturalmente, quanto che egli riputò conveniente di com- porre un solo vocabolario pei tre dialetti della lingua copta. Però quando le consonanti radicali vanno sottoposte a mutazioni sia in un medesimo dialetto, sia d' un dialetto ad un altro, ogni forma diversa dovette essere collocata nel proprio ordine nel dizionario, ed una postilla dovette indicare il luogo in cui fosse da cercarsene la spiegazione. Queste permutazioni per verità, e 187 soprattutto d'un dialetto all'altro, sono in generale regolari e dipendenti dall'analogia , che può servire di guida a colui che vuole consultare il dizionarioj ma ella è pur sempre una difficoltà, che era bene fosse tolta di mezzo; e tolsela infatti il sig. Peyron. Noi non possiamo dilungarci ad esporre minutamente tutte le indicazioni date dall'autore, per insegnare al lettore la via da tenersi nell'uso del suo dizionario; un esempio ne farà le veci....*i Questo metodo può, egli è vero, cagionare qualche difficoltà nei principii dello studio della lingua copta , e talvolta chi studia non giungerà a trovare il vocabolo di cui va in traccia, chea tentone ; ma lo slesso accade pure nello studio dell' ebraico, dell'arabo e delle altre lingue semitiche, e le fx'equenti postille fatte dal sig. Peyron rimedieranno quasi sempre a questo leggiero incouioclo, che è di gran lunga minore dell'utile che porge il metodo etimologico, siccome l'autore ha compiutamente dimo- strato nel tempo stesso che ha risposto alle objezioni che poteano essere flitte a questo metodo. Il sig. Peyron avendo riunito in un solo dizionario i tre dialetti della lingua copta, Memfitico, Tebaico e Baschmurico, egli ha distinto colle lettere M, T, B. le voci appartenenti a ciascuno di questi dialetti. Egli ha pure indicato il modo , con che i verbi reggono i loro complimenti ^ qualunque volta non appa- risca dalla significazione stessa del verbo. Il significato delle parole, il genere de'nomi, le forme de' plurali , la costruzione de' verbi ecc. , tutte queste cose sono dichiarate sia con esempj quando questi parvero necessarj , sia con rlmandai-e a' testi , ai quali ciascuno può aver adito. Forse si desirerebbe maggior copia d' esempj ; ma vuoisi convenire , che moltiplicandoli 1' autore avrebbe aumentato di molto il volume, e ne avrebbe accresciuto il prezzo senza notevole utilità. Il sig. Peyron dopo la sua pre- fazione ha posto il catalogo dei libri o stampati o manoscritti da lui letti o consultati per la composizione del suo dizionario, e vi ha aggiunto i segni abbreviati de'quali si è servito nel corso dell'opera per ciascuno de' testi su cui si fonda. *i Nell'originale leggcsi un lungo esempio, che noi tralasciammo per evitare allo stampatore la diftìcoltà de'caratteri coptici. 188 1 L l "r '^^^/^^P^^-" f«"« -" ordine tutto nuovo, ^ s g. Ennco rattam ,u Oxford ne pubblicava un altro secondo i metodo puran^ente alfabetico, col titolo seguente: Lexicon Je- §JpUaco.LaUnurn e. veteribus Unguae aegjptiacae monumentis ^ et e. openbus Lacrozii ^ Woidil et aliorum summo studio con. gestum, cum indice ^ocum latinarum ab Henrico Tattam etc Forse pau tardi ne renderemo ragione in questo Giornale , intanto non dubU.an.0 di affermare, cbe una tale emulazione è di felice augurio per lo studio de'monumenti scritti dell'antico Egitto. SlLVESlAO DI SacY. (Journal det Samnts , mars i836;. Questo dizionario di Tattam contiene da novecento facciate in-S» grande, ed ,o stesso ne ho pagato un esemplare in Parigi 3q fr cioè poco meno del doppio di quello del cav.« Pevron. Quanto al merito comparativo d'entrambi, aspettando la sentenza di un più auto- revole giudice, mi pare tuttavia di poter affermare, che e per copia di VOCI, e per accurate interpretazioni, e per acume d'analisi, e per metodo ordmativo, quello del nostro Professore porti il vanto sopra 1 inglese. — F. B. * 189 VaUIETjA. — Frammenti d'una Storia Feneziana. Già da molte ore gli abissi del cielo si mostrano popolati da'suoi ful- gidi abitatori. Miriadi di raggi , come tante fila d'argento piovono da quelli , oscillando nel seno di purissima atmosfera. La notte volge sulla dominatrice de' mari silenziosa e tranquilla quell'ora, che secondo r umano giudizio doveva per lei essere 1' estrema. — Perchè le rive di queste isolette sorelle non risuouano di canti , di danze , di fe- stive grida ? Perchè le loro vie son deserte ? Perchè non guizzano per tutto le illuminate gondole , e dentro ad esse il Veneto seduto a mensa , fra le melodie , non esulta per le annuali nozze , e non trascorre secondo 1' usato i liquidi calli della sua meravigliosa patria ? E pur la notte questa dell'Ascensione ! — Uno straniero , un ospite , un inviato di re scelse questa notte di gioia per piantare nel cuore di Vinegia il pugnale da lungo tempo per lei affilato , e per fare di un tanto prodigio dell' arte umana un rogo immenso , ed incenerirvi , senza poter di fuga, in mezzo alle acque, l'ultime braccia che po- tevano ancor difendere l' Italia. — Brune barchette solcano i canali ; non piene di festevole adunanza , ma d' armati : nelle anguste vie s' ode soltanto il passo delle pattuglie , ed il tintinno dell' armi. — Mentre il popolo ignaro s' appi-essava nella sua ebbrezza alla notte , che portava nel grembo 1' ora esiziale ; tre uomini al di cui sguardo nulla s' asconde , vegliavano per lui : improvvisi compaiono stuoli armati a rompere i suoi tripudii , inondano le piazze , le strade , disperdono la folla , ogni radunanza , s' avventano nelle case , fru- gano ogni dove. Yinegia è desta , e taglia coli' usato , spaventevole mistero le fila d'un'immensa trama. Le mani che dovevano appiccar le fianune a'suoi monumenti di gloria , di possanza sono in catene : ogni uomo atterrito senza osare di chiedere perchè si ritrae frettolosa alle sue case: e sulla romorosa città posa l'anticipato silenzio della notte, e l'antico terrore ne tutela ancora la minacciata esistenza. Di sala in sala , di verone in verone del suo palazzo trapassa Ma- rina , che dall'ansia , dal timore, dal desio non trova pace. Ogni gon- dola che traile ombre scorge rivolgersi alla sua volta lo pare quclia 190 d' Alvise : trasale , esclama ; è lui ; 1' accompagna coli' occhio , co' palpiti , la incalza colla brama , ma quella trascorre , ed essa ritufla nel suo allanno. Siede spossata , ma , come ferita da cento punte , subito sorge , passeggia , si ferma in mezzo alla sala : dalla sua im- mobilità , dal candore della veste la diresti bianco marmo effiggiato. Si fa di nuovo al verone , spinge lo sguardo sulla laguna , origlia , nulla: sospirosa , oramai succumbente se ne allontana. Oh infernale, eterno spazio che ci dividi da ciò che si ama , si spera , si agogna ! Perchè non possiamo distruggerti ? Perchè allora non vola la vita ? Perchè si lunghi , sì angosciosi intervalli separano le nostre poche gioie ? — Già squillò la mezzanotte , e Alvise non viene : i servi mandati , rimandati sulle sue tracce fecero ritorno senza alcuna no- vella. Era questa la terza notte che doveva portarle le sue delizie, ma ne* primi avidi sorsi di queste , sposa da soli tre di , ella cominciava assaporare un dolore inenarrabile , non mai sentito nel tranquillo corso d' una vita di tre lustri. Ignara della dura scienza che la sven- tura insegna , Marina credeva che tutta la vita dovesse fluire dolce come il primo bacio che il ministi'o di Dio aveva consacrato. Essa era una di quelle fragili creature degne di mondo migliore , che solo vivono d' amore , e si struggono d' amore ; che da' primi urti della vita sono abbattute , e da' primi dolori spezzate. Il suo cuore era un'ara sacra ad un Nume terrestre ; che ardeva continua , inconsu- mabile , «Ja cui perenne si sollevava all' idolo suo , il dolce salmo d' amore. — Vedesti tu mai da un incendio innalzarsi tra la caligine nugliaia di faville , spegnersi, succederne altrettante? Vedesti tu mai nelle ardenti notti estive migliaia di lucidi alati avvolgersi sospesi sui campi , lampeggiar le loro luci , ed oscurarsi a vicenda ? Si nu- merosa , sì rapida era la successione delle immagini che si ergevano dall' agitato acceso fondo dell' anima di Marina. Di tempo in tempo come cosa che per pienezza scoppi , la dolente mandava fuori della mesta bocca queste parole : — quando m' abbracciò era pallido , tremavano le sue labbra ■ — i suoi occhi stavano li per piangere — Ah purtroppo è certo ! egli correva a qualche rischio ! — nulla dirmi ! le sue ultime parole furono tronche , fioche — egli faceva forza a reprimere .... e fuggiva gli occhi miei , non rispondeva alle mie inchieste. — Perchè tutti questi armati in volta ? Perchè il popolo fuggiva, e tutto questo silenzio in tale notte ? Che mai fe- cero quegli infelici che Capitan grande faceva strascinare a quelle barche ? a che quell' armi in quelle case ? perchè quelle grida ? so non fosse in qualche risciiio sarebbe toiuaio — ci che sa quaulo 191 1' ami , quanto io peni mentre è lungi — fosse ferito! fosse ... Qui perdeva la foraa di parlare. L' immagine di Alvise bagnato del proprio sangue era superiore alle sue forze, e se avesse potuto ri- maner lungo tempo innanzi a lei , se la speranza non 1' avesse re- spinta , avrebbe forse rotto il debole ordito della sua esistenza. Ma prosa da terrore portava entrambe le palme sulla fronte quasi per rimuover quel pensiero , e poi giugnendole , protendevale al cielo , atterrava le ginocchia , e supplicava con tale voce , con tali sem- bianze che ogni uomo al vederla si sarebbe maravigliato che un tal angelo potesse versare lagrime , fosse soggetto al dolore. In quella un fremito non lontano giugne al suo orecchio , balza , corre al ve- rone : è una gondola , son quattro remi che tagliano la pigra onda del canal grande. Dio ! Dio ! — fa che sia lui ! — esclama Marina. È tanta l'ansia che respira appena-, son tanto veementi i battiti del suo cuore che quasi lo squarciano. La gondola è già presso al palazzo , volge il canto , si ferma. — E lui , è lui , grida 1' infelice inondata dalla gioia ; vola , dà voce alle ancelle che s'erano addormentate , a servi che accorrono alla porta. Essa si fa alla scala agognante di gettare le sue braccia all'amato collo , di far quietare il suo cuore su quello dello sposo : ma impaziente ne discende gli scaglioni gridando: o mio Alvise , perchè cosi tardi ? quanto ho sofl'erto! A lei non risponde la sospirata cara voce , a lei non corre il suo sposo , ma in sua vece quattro uomini, ed un cj[uinto con larva al viso, seguiti da servi muti esterrefatti, salgono le scale. — In nome di Dio chi sono costoro ? che vogliono ? Perchè li lasciaste entrare , disse Marina spaventata e dando indietro. Ci manda il Consiglio de' Dieci, risponde uno di que' sgherri. Queste parole avevano in Venezia la forza d' una malia, aprivano ogni porta , rendevano paralitiche le braccia , la lingua , tutte le membra ; queste parole arrestavano persino il pensiero in chi le udiva profierire a lui dirette da uomini quali erano costoro. I servi vollero a prima giunta vietare loro 1' ingresso, ma , uditi que'poclii suoni , ebber appena lena di spalancare la porta , e di curvarsi pro- fondamente. In Marina, che aveva tanto penato, quelle parole pro- nunziate nel punto che il suo cuore s' era dilatato dalla gioia , nel punto che stendeva le braccia per istringere 1' unico bene de' suoi giorni , produssero un efletto mortale. Un raccapriccio, un tremore le invase la persona , e tutti i suoi visceri , un gelo assali le sorgenti della vita , e cadde supina su' gradi della scala. 192 D«ntro sèriche cortine , sopra le piume due notti sole calcale , dove amore inizioUa nelle maggiori soavità della vita , giace Marina priva di sentimento. Il dolore già s' accarna in quelle forme, cui tre lu- stri fecero a prova di rendere più belle ; e già rode la radice di si leggiadro fiore. Sempre ne' luoghi di nostra gioia questo verme nato col primo palpito del nostro cuore vuole la vece sua : e là dove si ristora ne' sonni la vita , là dove son coperti di velo i nostri pia- ceri , egli ne stramazza , ne tormenta i polsi , ne lacera le fibre , ne toglie e forze e senno -, là infine avventa l'idtimo morso, e colla sua vittima muore. Discinta è la giacente : la candida e sottile sua veste si posa sulle sue membra come neve sopra più candida neve. Brillano , per le lagrime versate , le sue guance , qiiah gigli dopo la pioggia -, e come Espero dietro la tenue compage di vapore vespertino -, i suoi neri occhi tralucono dietro le socchiuse palpebre ingemmate da immo- bili stille di pianto. A due lati del letto stanno Laura sua ancella, e r uomo della larva ; entrambi intesiti su di lei , ma per diverso affetto. Dolente è 1' una , e attende con ansia che intera la vita ritorni nella sua signora : 1' altro passeggia cupidi sguardi su quelle bellezze , e già divora nel suo pensiero la sua preda , e tanto più certa la tiene quanto più sente potere in sé di farla infelice. Sarà dunque vero che virtù e bellezza debbano sempre essere sventurate ! Sarà dunque vero , che la donna , questo capolavoro della natura , in cui essa riunì i suoi più leggiadri colori , le sue più belle forme , sparse in terra ed in cielo -, in cui Dio compi la creazione, e la com- pendiò tutta , sia stata posta nelle mani dell' uomo perchè cospi- rasse col tempo ad affrettarne la distruzione , perchè ne vuotasse dagli occhi tutte le lagrime , ne accelerasse sul volto la deformità , e neir anima di lei imprimesse la malvagità sua ! — Ma perchè ora freme costui? Il muto labbro di Marina si schiuse finalmente , e come fiore arso dal sole esala da] suo calice la fragranza , cosi la misera arsa d'amore e di doglia esalò dalle sue labbra un nome , Alvise. EUa potrebbe perdere sensi , ragione , ricordanza , ma quel nome — mai: esso e l'immagine di chi lo porta sono legati all'ultimo filo , cui è attaccata la sua esistenza. Ella non sa formare pensiero che non sia di lui o per lui , come armoniosa corda non sa ren- dere che un suono solo. L' uomo larvato sorti dalla stanza. In que- sto frattempo Marina ricuperò il movimento , e sospirosa si agitava per lo letto , e non ancora ritornata tutta in sé , disse : — qual so- gno orribile hd fatt' io , Alvise ! Sognai che tu cri ne' pozzi 195 sógno orribile ! che io m' accerti di aver sognato. E ciò dicendo , getta le braccia sul lato destro del letto che tiova de- serto , apre gli occhi , si leva a sedere , e li volge smarriti intorno e ripiglia : — Ah Laura ! come ! qui vestita ! perchè non è meco Alvise ? — • Mentre l'ancella si disponeva a rispondere , rientrò nella stanza colui : alla vista del qxiale Marina tutto ricordò , tutto com- prese. — Sortite si fece a dire questi a Laura , quando vide la pa- drona risentita , debbo parlare da solo a sola con lei — se avrà mestieri di voi, vi chiamerò. — No , Laura , non partire , non lasciarmi sola con lui , appena potè dire Marina più che mai tremante. — Deponete ogni timore , signora , m' è, forza di far cosi debbo parlarvi di vostro marito e di vostro padre. — Di Alvise! dove si trova? perchè non tornò? deh parlate! — Ora vi sarà aperto tutto ; e con un cenno reiterò a Laura il co- mando di partire. — Fermati nella vicina stanza , e sta in ascolto della mia voce , le raccomandò Marina vedendo dagli atti, dal suono delle parole di lui che vana era ogni opposizione e lamento. Sortita che fu Laura dalla stanza , colui si fece all' uscio , e or- dinò ai sergenti che vi stavano a guardia di vietare il passo a chiun- que , e chiuse di dentro pianamente. Quindi si levò la maschera , e mostrò al chiaròr della lampa cosa più orribile della larva stessa. Mostrò due occhi di jene j una faccia cinerea fin dove il folto e nero pelo non la copriva -, e su due labbra livide , putride , somiglianti all' apertura d' una piaga , immota la contrazione dell' odio , che non sì estingue né per morte dell'odiato, neper tempo; che non infiahsce col cuore che lo alberga , ma che dura finché non è fatto gelo tutto il sangue. L' aspetto di colui stringeva il cuore come il presagio di una sciagura. Tant' era difforme da quanto 1' occhio suol vedere , che , vedendolo misero , in vai estremo rischio , e chiedente soccorsa , uno si sentirebbe annichilare nel petto la pietà , ed ima voce spin- gersi sulle labbra ad oltraggiarlo ; e vedendolo andare al patibolo , uom proverebbe suo malgrado vm' arcana gioia in lui , e all' udire che mori , più lieve si sentirebbe sollevarsi il petto. Gran Madre di Dio! voi, sig. Francesco! esclamò Marina atterrita nel ravvisar colui quando s'appressò al letto. Son io . . . rispose l'altro con un sorriso più spaventevole dell'abi- tuale contrazione delle labbra , e che rivelava tutta la gioia che sen- tiva del terrore infuso in Marina. Uno sposo assente in tal notte, e *I2 194 senza, saper perchè , birri in casa , e riconoscere in un nemico temuto un .'inquisitor di stato , eran cose più die bastanti per chiarii- Marina del'ia sorte di Alvise e del genitore. L' inquisitore vedeva giubilando spiegarsi nel pensiero dell' infelice tutta la terribilità della sua situa- zjione, e lei percorrere gli stadi della certezza che la vita e la sorte rii tutti era inevitabilmente in sua balia. Dopo pochi istanti di si- lenzio egli continuò : — Alvise e vostro padre sono ne'pozzi per delitto di stato — la loro colpa è provata — è certa la loro morte, ma io — Per delitto di stato ! interruppe Marina con isdegno, essi I i mi- gliori cittadini di Venezia! ah iniquità! e voi lo dite! — Il vero, l'unico delitto loro è l'odio vostro; le prove, la sentenza son nell'odio vostro. Voi volaste a godere della vostra vendetta a vedere nell'angoscia la terza vostra vittima , a dirle tutti i mali che le apparecchiate. — Ma che v'abbiamo noi fatto ? E forse un delitto a due creature l'amarsi , e ad un padre il benedire il loro amore , e farle felici ? Doveva egli tormi a quella felicità, perchè voi avevate posto l'occhio su di me? Doveva io farvi il sagrilìzio d'una vita intera già consacrata dall'amore per un altro, vietarmi tutte le dolcezze promessemi dalla speranza-, strapparmi quell' immagine cara da Dio postami nel cuore per so- stituirne un'altra da me non mai veduta ? possiam noi far nascere e spegnere gli affetti ? tre creature erano felici del loro amore voi le vedeste , ecco la loro colpa , ecco l'odio vostro. — Ma sarà breve la vostra gioia , voi non ci potrete separare , noi ci riuniremo per la stessa opera vostra, o tutti in terra o tutti in cielo . . . essi, miseri! morranno ne' pozzi , ed io di dolore. — Non vi affannate , bella Marina -, voi non mi lasciaste finire : gè vi portai la novella d'un male, vi porto pure il rimedio. Io e voi possiamo salvarli. — Io! cou qual mezzo? — Uditemi. È tanto l'amore che ancor sento per voi, che son pronto a correre grande rischio per la mia vita , son pronto a violare il mio dovere lasciando senza pena la colpa, ed in Venezia liberi due cit- tadini che macchinarono la sua rovina , e ad obbliare gli oltraggi loro .... ma voi come mi ricambierete ? — Col pregare sempre Iddio per voi , colla nostra riconoscenza eterna , jsoggiunse Marina affettuosamente, e aprendo il cuore alla speranza. — Non basta .... non mi volgerete mai l' occhio più benevolo , ed iin sorriso non mi farete mai beato del vostro amore. — Del mio amore! che dite mai! l'amor mio è tutto d'Alvise . . . eternamente . . . 195 — Eternamente I ripetè l' inquisitore co'denti digrignati , e sepi'itò. — Ah pregate il cielo ch'io scordi questa parola; pregate che non mi venga a mente , quando coloro saran posti a tormenti ; allora io potrei far lacerare le loro membra fintantoché questa parola lacera il mio cuoi-e: amatelo.,, ma non me lo dite più mai.... E quindi avvicinandosi più a lei , e sforzandosi ài raddolcire la voce , continuò. — - Pensate Marina , che son là nella trepidanza in faccia a' tormenti, alla morte .... voi potete dar vita e pace a tutti ... e nel pronunziare queste parole s' incurvò sul Ietto , e tentò di cingere la persona di lei colle sue braccia. Il laido disegno venne dal fondo dell'anima sua a rivelarsi tutto nel volto , come rettile che dal fondo del pantano venga a mo- strarsi a filo d'acqua. L'abbattimento, l' innocenza e la purezza dell' anima di Marina le erano impedimento sulle prime a penetrare il pensiero dell' inquisitore , ma cpiando vidde quell' atto , quel volto percosso da luce più diretta della lampa, riconobbe in quale stremo si trovava , e innorridi. Con tutte le forze latenti che in noi snidano le disperate situazioni si gettò dall'altra sponda d,el letto, gridando aiuto; e vedendosi inseguita da lui furente, corse al verone , mandò sulla laguna altissime strida, e montò sul parapetto dicendo dispe- ratamente : — Se movete un passo , io mi getto nella laguna. Quegli dopo un istante di posa, non credendola da tanto, s'avventò per im- padionirsi di lei, ma non giunse che a udire il tonfo, ed a vedere il corpo sparire dentro la laguna. ., H. Sarà conlinualo. 196 Annlnzj di Bibliografia Inni di Cesare Cantù. - Milano , presso Ant. Fort. Stella e figli, i836. — In-8, di pag. Ba — y5 La Croce. - La Domenica degli Ulivi. - Maria assunta. DELLA Lettura nel doppio aspetto dell' uTiLitA d^l piacere. Per l'apertura della pubblica biblioteca maceratese^ discorso re- citato dal bibliotecario Fr. Tommaso Maria Borghetti ai i2 del 1 836, - Macerata, pei tipi di Alessandro Mancini. — In-8 , di pag. 32. Ncjovi ELEMENTI DI FISIOLOGIA. Del baróne Richerandj profes- sore alla facoltà medica di Parigi , ecc. Undecima edizione ri'- i>eduta, corretta ed aumentata dall'autore e da Bérard seniore , professore di fisiologia alla facoltà medica di Parigi^ ecc. Tra- dotta e corredata di annotazioni da Paolo dell'Acqua^ dottore^ ecc., e membro della facoltà medico - chirurgico -farmaceutica presso V i. r. università di Pavia. - Pavia , libreria della Minerva di Luigi Landonl, 1 835. - Fase. V. Iti-8, di pag. 128. . i. 56 LE Opere del pittore e plasticatore Gaudenzio ferrari , dise- gnate ed incise da Silvestro Pianazzi 5 dirette e descritte da Gaudenzio Bordlga. -^ Milano, coi tipi di Paolo Andrea Molina, i835. — Fase. Ili, In-4, di pag. 8 e 4 tavole a contorno . 5. — Paradisea classica , ecc. - Voi. X. Opere scelte di Niccolò Macchiavelli. Con note filologiche di Bernardo Bellini , profes- sore di storia universale e di fdologia latina nelV i. r. liceo di Cremona. Edizione stereotipa. - Cremona, dalla stereotipia Bel- lini, 1835. — Voi. III. In 16 di pag. 240 .... i. 3o Per gli associati alla Pantografia '• '7 STAMPERIA GHIRINGHELLO E COMP. con permissione. 197 Istoria — Études sur Vhistoire citi France et sur quclgues points dtì lliistoire moderne par M. Troguou projbsseur dltis- toire d V Acadernie de Paris. , Di questo libro così pieno di scienza e meritevole cV encomi era mente nostra il dare un' idea ai lettori , quando ne cadde sott' occhio un articolo del Journal de l' instr ucdon publìquc , in cui se ne discorrono i molti pregi e le rare mende. Parve a noi racchiuder egli tal coppia di dottfina e chiarezza di esposizione, che dismettendo quel primo pensiero, crediamo far cosa più utile e grata ai nostri lettori col darlo qui volgariz- zato , riservandoci ad esporre in un altro articolo alcune no- stre idee sulla ci'itica e suU' applicazione di essa alla storia. MM. Le pagine della critica hanno sovente il destino delle carte sibilline. Scritte sotto l'impero delle preoccupazioni del giorno . dettate dalla micizla, o inspirate dai pregiudizi deir istante, ciò appunto che dà loro il merito dell'opportunità, forma la loro labilità , ed esse cadono per la stessa fedeltà delle loro pitture. Allorché !a crìtica pervenne ad abilmente impossessarsi delle numerose e varie tinte che compongono la fisionomia talora si mobile e vaga della letteratura del giorno: quando ella ha fe- delmente riprodotto nelle graduazioni loro più impercettibili e delicate quei tratti di costumi, quelle variazioni del gusto, quei capricci delle opinioni, che un dì medesimo vede nascere e mo- rire, pare eh' eli' abbia adempito all' uffizio suo: pure la cri- tica perisce. Come difatti potrebbe ella sorvivere alle opere di che imprende l'analisi, a quelli errori che addita, se ella me- desinia effimera ed imprevidente fra quei vivi colori che assi- duamente si mutano , non sa sorprendere ed esprimere ciò che vi ha di stabile , ed appoggiare a que' fatti che non passano le sue osservazioni ? Hannovi invero nella critica due parti di- i3 198 stinte, r una mobile, mulantesi : l'altra immnta clic resiste al tempo. Se la critica muore così ratto ed intiera , egli è per- chè essa manca per lo più di previdenza e d'unità: di previ- denza ricevendo tutte le impressioni esterne che d' ogni lato le arrivano senza assoggettarle ad una legge pi-efissa , immute- vole, che essa deve avere primamente stabilita: di unità per- chè i suoi lavori non muovono tutti da un gran pensiero filo- sofico , istorico , letterario; essa perisce in ventiquattrore, per- chè vive alla giornata. Onde è che se troppo spesso la critica muore nascendo, a lei se ne deve apporre la colpa , egual- mente e forse più, che agli oggetti cui vitine applicata. Che se li suoi sguardi penetrassero nel futuro, se li suoi lavori a queir impronta di attualità che li rende interessanti, e ne co- stituisce l'incanto, riunissero pure quel carattere di verità as- soluta che solo dà alle òpere la solidità e la vita , allora poco o nulla essa avrebbe a paventare dal tempo. Allora più avven- turosa delle carte sibilline che una volta mescolate e date al vento più non si posson riunire e dlsciferare , essa potrebbe raccogliendo le inspirazioni sparse formarne un libro pieno d' ordine , di lucidità , di vita. Cosi avvenne che le pagine cosi dotte , cosi vìve , confidate in prima dal sig, Trognon alla sorte ed al soffio della stampa quotidiana , poteron diventare e diventarono un libro com- pleto , in cui tutte le parli si collegano e concatenano *, in cui le questioni istoriche che dieci anni fa occupavano cosi viva- mente e la critica e 1' attenzione del pubblico , ricompaiono dotate di nuove attrattive. Oggi egli è facile a noi il giudicare lo ti'e grandi scuole che sotto la ristaurazione diedero allo studio della storia un così forte e bello impulso-, ma in allora la cosa era piena di diffi- coltà ; gli uomini che ai giorni nostri crearono la storia i sigg. Guizot, Augustin-Thierry, Dc-Sismondi avevano tutti molta potenza d'ingegno: ciascuno de' loro sistemi aveva in sé gran- dezza ed anche verità; sicché perfino agli occhi più perspicaci potevano sfuggire gli errori che si trovassero sparsi fra la tanta luce novella e vital fecondità di che veniva arricchita la scienza. Rammentisi ciò che erano gli sludi storici prima che 199 sorgessero quesli dotti ed infaticati clucubratori , e saremo fii- cilmente fatti capaci , come gli spirili meglio avveduti non abbian saputo ed iu certo modo potuto difendersi dalle illusioni che dovevan produrre tante e sì nuove bellezze frammiste a po- chi e rari difetti. Ciò non ostante il sig. Trognon non si è la- sciato sedurre ; egli rese solennemente ai loro meriti la dovuta giustizia; ma egli vide pure, e ciò che giova meglio, ei dimostrò in cosa quei sistemi peccassero. Cosi mentre egli plaude a quel zelo conscienzioso con cui il sig. De-Sismondi va svolgendo i più vetusti e confusi annali per fare una storia dei Francesi , « non una storia della chiesa, del feudalismo, della monar- chia ; mentile ammira quella penetrazione che fra tante testi- monianze sì spesso fra loro in contrasto trova il fatto impor- tante , quello che deve tutta un' epoca illustrare , il sig. Tro- gDou gli rimprovera di guastare colla riflessione del filosofo 1' impressione dell' artista , di giudicare da filosofo del secolo decimottavo il passato dipinto da candido cronichista , fedel narratore e veritiero testimonio. « Preoccupato da certe idee dell' ordine pubblico che deve reggere le società , quel modello fan- tastico di social perfezione che la coscienza di storico gli vieta di realizzare nel passato , ei 1' ha sempre presente allo spirito, continuamente ei volge a quello i suoi sguardi per confrontare quello che fu fatto con quanto avrebbe dovuto farsi , ed in quel perpetuo discapito che ne tocca alla sua immaginazione, egli non può a meno di adontarsi contro le umane cose , e far atto di accusa contro le medesime in nome dei principj. Quella prepotenza del pregiudicio sopra un ingegno così lucido, sopra un pensatore così sodo e indipendente ha veramente alcun che di maraviglioso; e più ancora lo sono le inconseguenze e le apparenti contraddizioni in cui ad ogni passo ella trae lo storico. La sua mente fu or ora illuminata da una viva luce in presenza dei fatti che essa contemplava ; T impressione delia verità ha colpito l'autore, ed in quel moto-primo tutto spon- taneo ei disbc le cose come le ha vedute; ma 1' istante dopo gingne p?r/c' daiulo la rillessione: que' falli che come involouta- riamenle gli apparvero e che sì fcliccmcule riprodusse, lo sto- rico li evoca davanti al severo tribunale delle sue lilusoliehc 200 opinioni ; giova alloi-a vetlere come egli li tratta , e come rim- provera loro di non essert- in altro modo avvenuti. » Ne sembra diffirile di meglio afferrare e dipingere quel doppio tarnttere del sig. Sismondi , uomo del passato pe' suoi lavori , uomo del secolo decimottavo per le sue affezioni, diremmo quasi prevenzioni 5 giacché se il sig. Ue-Sismondi offre quél singoiar contrasto fra le sue impressioni ed i suoi giudizi, fra i quadri che presenta ed i voti che forma , la colpa a vero dire sta jit^ir essere in lui due uomini distinti 5 l'uomo del secolo deci- inottavo, e Fuomo dc;i giorni nostri 5 l'allievo di Voltaire, ed il «'apo della scuòla istorica del «ecolo decimonono. Difatti ella è glo- ria del sccol nostro l'aver dovunque riposto in evidenza la verità: nell'istoria come nella filosofìa; forse quell' istesso desiderio d'imparzialità ne trasse troppo lungi, e per la tema di parere appnssionati restammo indifferenti. In tal disposizione degli spi- riti era forza venirne a quel motto scello ad impresa dal signor De-Barante: Scribilur historia ad narranduin non ad proban- diiiìi : ma una tal massima, troppo rigorosamente estesa, non è ella un errore? Nel tempo istesso che la storia è una pittura, i;on è essa o almeno non deve essere un giudizio? Giustamente adunque combattendo una tale opinione il sig. Trognon dice ; (( io f-o che il sig. De-Barante risponderà , che i fatti esposti neK vero loro aspetto proclamano essi medesimi la sentenza che se ne deve inferire ; che al lettore spelta il conchiudere alle cose viste, ])er mezzo del ragionamento, dopo che lo spettacolo degli eventi ha colpito la sua immaginazione ; che quando lo storico ha raccontato, egli ha adempito all'uffizio suo. — Ma sarà egli sempre così facile il conchiudere? Lo sarà egli su quel vasto ed oscui'o teatro delle nostre scorie moderne, quando ad ogni istante da venti parli diverse entrano in lizza passioni ed interessi con- trari, quando le conseguenze di un evento son mascherate da resultati di apparenza, quando infine accade a chi s'interessa air insieme del dramma di non sentir siixipatia per alcuno dei -personàggi? Chi illuminerà il giudizio del lettore incerto? chi gli mostrerà l'andamento delle cose in tanta complicazione d'in- cidenti ? chi gli porrà fra le mani il filo d'Ariane? » Questi liS^mpì che noi potressimo inoltiplicare baslauu a diuiosliarc qu;U 201 lucidilù, ed al tempo stesso qual alu-zzà df vedute il si0o ohe la lingua romanza era ancor roAza, e che le njigliori sue produzioni sou lungi tlal poter equipararsi ai saggi della poesia latina, anche artificiali come erano, allora terremo conto a' quei poeti latini dei pochi loro meriti piìi ancora che dei loro molti difetti. Quòsta storia letteraria il sig. Trognoa la continua sino al secolo decimosettimo facendola sempre servire di complemento e di luce alla storia politica; e siccome in Abhone, e Guglielmo il Brettone egli ritrasse gli ultimi tempi dei Carolovingi, e la rina- scenza degli studj e delle scienze sotto i Capeli: cosi egli ne dipinge nelle avventure di Bouchard d' Avernes, nel carattere nuovo dei cronicisti del secolo XVFroissart, Moustrelet, Ma- thieu de Coucy, e le feste e le imprese del feudalismo che ora mai non era più altro che la cavalleria. Quindi vengono Montine, Tavannes, la None a farci conoscere le guerre di re- ligione, le loro cause, le loro vendette scritte con quella sol- datesca schiettezza , che nella confusione e nell' eccesso delle parti è un' ultima virtù. Cosi in questi Ètudes tutto è completo, armonioso, splendido 5 questi ampii quadri benché talvolta separati fra loro da un lungo spazio di tempo, sono giunti e concatenati dal pensiero filosofico che ne costituisce l'anima e l'unità; qtiesto pensiero si è la continuità del progresso e la definitiva vittoria della ci- viltà frale lotte, e le varie fortune del feudalismo, del clero e del trono. Il suo libro è un compiuto e sostanzioso sunto delle nostre rivoluzioni sociali , politiche, e letterarie : i costumi , le iustilu- zioni , le opere più notabili dell'ingegno, tutto intiero il passato rivive in quelle pagine e si veste di splendidi colori. Lo stile del sig. Trogùon è elegante^ colorito, pittorico; solo di tanto in tanto eì rivela l' influenza che fu un istante sì potente di <[uella scuola che vuol ricondurne all'ingenuità per mezzo dell' affettazione. Questo al rimanente è piuttosto nell'opera del sig. Trognon una data letteraria che fu bene il lasciare; e se noi ciò notiamo egli è per provare che non sapressimo guari trovar altri difetti da rimproverare all'autore, il di cui libro offre una lettura variala del paro ed istruttiva, e nel miglior modo le più giuste ed ingegnose osservazioni. 204 Scienze Naturali — Osservazioni geologkh sopra il sistema delle Alpi — Continuazione. Il sollevamento della catena del Monviso alzò dal fondo del mare una numerosa serie di strati prodotti da sedimenti , gli ultimi dei quali al dire di tutti i geologi spettano alla serie cretacea inferiore 5 e dove 1' azione del calorico non è stata tale e tanta da fonderli , ritrovansi tuttora moltissime spoglie di corpi organici. E per non dilungarsi troppo , noi ci limitiamo qui a ricox'dare quelli soltanto che distinguono essenzialmente questi depositi. Ancbe su questo proposito vi è molto a dire: imperocché già allora, come osserviamo ai giorni nostri, cia- scuna regione o contrada aveva abitanti suoi propriij quindi , secondo i paesi che si esplorano, incontransi negli strati di una medesima epoca, specie e talvolta persino generi d' esseri or- ganici di natura diversa. Gli yiininoniti j le Plagiastome , le Podopsis , Vlnoceramus , le Trigonie ecc. , sono frequenti in sif- fatti terreni, ma le specie più comuni sono la Gevvillia avi- culoides , Thetis minor, Trigonia aliforniis ecc. Alcuni di que- sti fossili si ritrovano ancora ne' terreni sottogiacenti alla creta , ma (Inora non furono riconosciuti nei posteriori, onde tra que- sti terreni ed i cretacei è stabilita una diversità tale, che non sapremmo ben dire se sia sistematica , ovvero naturale. Tutte le cose hanno fine : anche questi grandi sconvolgi- menti si terminarono, e succedette una pei'fettissima calma, durante la quale si riprodussei'O nel mare e nel piccolo nu- mero d' isole , nuovi esseri organici , che alla loro volta trova- rono la stessa morte incontrata dai loro predecessori. Si sollevò dalla parte più interna del globo una nuova ca- tena di monti nella direzione dell' O. 18 iVl aW E. 18 S. la 205 quale ne ruppe e slogò la corteccia sino agli strati cretacei su- periori , che erano gli ultimi ossia i più superficiali che allora esistessero. Di quest' e^oca sono gli Appennini in Italia , ed i Pirenei che dividono il regno della Francia dalla Spagna, donde venne il nome di Pireneo^Appennino , con cui i geologi chia- mano questo sistema. Gli immensi strati di calcareo bigio e compatto che lungo la riviera d'occidente s'alternano con roc- cie scistose , sono di questa formazione 5 e attenendoci ai se- gni più evidenti delle loro rotture , screpolature e dislogazioni, siamo indotti a credere che la loro uscita dal mare ebbe luogo in questo grande cataclìsmo. Le parti più basse di questi de»- positi sono ricoperte da strati orizzontali della formazione ter- ziaria , la quale si separò nel mare dopo che avvenne questa grande rivoluzione. Una simile soprapposizione dei terreni terr ziarii sui cretacei esiste nei contorni di Nizza marittima ed iu quelli di Ventimiglia : altrove per altro le falde terziarie sono anch'esse dislogate, edannunziano che il suolo è stato gagliar- damente urtato posteriormente alla loro formazione. Queste ano- malie che ben frequentemente si osservano in quei terreni ter- ziarii che giacciono negli Appennini , in vece di renderci dub- biosi intorno all' epoca del loro deposito , ci fanno anzi accorti di un cataclisma posteriore al loro deposito. A Cadibona presso Savona , in mezzo a monti di origine Pireneo-Appennina , ri- siede un masso considerevolissimo di strati, di ciottoli rotolati di ghia ja, di argilla sabbiosa ecc., dove sono sepolti banchi o falde assai potenti di una lignite apparentemente consimile alla Houille. Tutte queste sostanze si depositarono in un lago d'acqua dolce, come lo confermano i fossili ivi esistenti, e furono poi sollevate all'apparire delle Alpi occidentali colle quali quei terreni si accordano nella direzione. E se si pone mente a quanto s'in- contra dalla città di Savona per arrivare al sito delle cave di quella lignite , di tanto in tanto si vedranno a fior di terra lungo la strada filoni d' una roccia felspato-anifibolica , i quali sono di- retti nel senso stesso che corrono le Alpi occidentali. A code- ste penetrazioni di sistemi delle roccie si devono quei sconvol- gimenti e quelle modificazioni di stratificazione che tanto con- .tribuiscono ad oscurare i fatti, e talvolta persino a render quasi 206 impossibile il riconoscere in quale dei sistemi geologici essi sieno stati prodotti. Negli Appennini e nei Pirenei loro con- temporanei una consimile penetrazione di roccie di più sistemi si mira piuttosto frequentemente; laonde si può dire che questi monti ben poco ritengono della originale loro figura ; imperocché l'attuale ossatura e fisionomia loro ebbero luogo dopo una serie di vicende che modificarono in gran parte il primo abbozzo che di loro fece la natura. Nelle falde calcaree dei monti di Oneglia , di Finale , della Pietra ecc. , rimangono in assai buono stato di conservazione tracce di vegetabili , i quali furono riconosciuti per Fucili : le roccie sono in generale di tinta scura , compatta , e più o meno fis&ili. In ciò differiscono essenzialmente dai tei'reni contempo- ranei dell'interno della Francia e dell'Inghilterra, dove la creta è bianca e quasi polverulenta 5 mentrechè nei nostri paesi , ossia vicino ai grandi monti ed in conseguenza alla prossimità delle roccie sollevanti , essa è compatta , tenace e di tinta scura ; per cui è facile il confonderla coi terreni più antichi, qualora l'e- sperio geologo non prendesse a considerare altri caratteri ed altri fatti più costanti e positivi , come sono i fossili e la so- prapposizione. La creta , come già dicemmo , nel bacino di Parigi ed in In- gìiilterra è bianca terrosa, ed è riunita in massi disposti a falde eh' hanno bene spesso più centinaja di piedi di grossezza , ma di tanto in tanto sono separati da arnioni di selce piromaco ( pietra focaja ) disposti a suoli orizzontali. L' aspetto , la po- .sizione ed il giacimento di questi arnioni non lasciano credere che essi prcesistessero al deposito della materia in cui stanno racchiusi , ma piuttosto pare con molta verosimiglianza che la loro sostanza siasi rappresa in mezzo alla belletta calcarea. Non tutti gli strati cretacei racchiudono di questi arnioni : quelli di qua delle Alpi ne mancano quasi dappertutto, e non se ne ve- dono poi nelle falde cretacee che avvicinano i grandi monti , o che 11 ricoprono ; come non se ne vedono parimente negli strati cretacei inferiori. Le spoglie organiche che noi dlsotterrlamo da questo terreno, appartengono dunque agli esseri animali e vegetabili che vive- 207 vano nel periodo di calma che v' ebbe tra il sollevamento delle catena del Monte Viso , e quello di cui abbiamo fin' ora ragio- nato. Siccome nel primo di questi cataclismi le condizioni fisir che dell'aria atmosferica provarono essenziali cambiamenti, come ne avvenne pure nel fondo del mare , ed alla superficie terre- stre, non sarà pertanto difficile lo spiegare la grande diversità che noi ravvisiamo tra gli esseri della serie cretacea inferiore , e quella detta superiore. Diffatti se vi erano monti e catene mon- tuose, vi dovevano essere fiumi ed inconseguenza animali d'acqua dolce , come pure di quelli che si trattengono alle imboccature dei fiumi nelle acque salse. Alle falde di questi monti il fondo del mare era molto meno profondo di quanto lo fosse a una certa distanza ; pertanto quivi vivevano generi d' animali che difficilmente avrebbero altrove potuto allignare , perchè la profondità stessa dell' acqua impediva un appropriato transito ai raggi luminosi ; quindi gli animali che più propriamente abitano gli scogli o le sponde marine, non avrebbero ritrovato alimento che loro si confa- cesse. Abbiamo ricordato i terreni cretacei superiori che s' incon- trano lungo la spiaggia marittima tra Genova e Nizza; ma oltre a questi ne abbiamo molti altri non ancora bene cogniti nell' interno del nostro paese. Il marmo di Gassino , tanto usitato per decorare le fabbriche della capitale del Piemonte , appar- tiene indubi tara ente ai terreni cretacei superiori , come lo di- mostrano le Nummiliti ed altri fossili che si trovano impastati con esso. A Guarene in una regione detta le Calcinere , perchè anticamente si «straeva di colà un calcare che somministrava colla cottura una mediocre calcina , ne abbiamo veduto alcune testate sorgere dal mezzo dei depositi terziarii superiori , le quali per quanto potemmo notare dobbiamo congetturare es- sere di questa formazione : ma di questi ed altri contempora- nei terreni ora non viene in acconcio di parlare , pel motivo che i dislogamenti ed altre anomalie di posizione inducono a credere eh' essi furono sollevati nella susseguente rivoluzione. Non sapremmo troppo cbe dire sui fossili di questa forma- ziouCi In Piemonte se ne conoscono pochissimi , e ciò forse 208 perchè questo sistema si trovò o nella medesima rivoluziione y o iu mia delle posteriori , talmente vicino alle roccie ignee o sollevanti, che ogni traccia di corpi organici fu intieramente distrutta , od almeno ridotta in uno stato da essere quasi quasi indeterminabile. Nel macigno d'Italia, come in quello di Scan- dicci presso Firenze, di Decimo nel Lucchese, di Garfagnano ^ di Montierri , di Lecco in Lombardia , di Sirone , del monte di Pigne nel Bellunese, del capo Passare in Sicilia, dei monti d'Erba, di dicale, di Fuligno ecc., furono trovati nell'una e nell'altra di queste contrade Nummiliti j, Discorhiti , Saracenarie , Jìotulitij Lenticulitij ammoniti, frale quali il i^a/ci/èr, i\ Fai" catus, il Walcotii , e V Heterophillus , gli Hippuriti , la Torna- tella gigantea, il Tellinites probleniaticus ecc., ma ora rimane a determinare a quali delle due serie appartenga quest'arenaria. I Geologi non sono ancora bene d'accordo, pare per altro che il maggior numero propenda al credere ch'essa spetta alla sex'ie inferiore : se dobbiam dire quanto ne pensiamo da quel poco che vedemmo , e da quell' altro poco che potemmo ricono- scere dalle descrizioni parziali che se ne sono pubblicate , noi opiniamo che hanno tutti egualmente ragione, perchè ci è pa- ruto che v' ha di questa arenaria , la quale spetta alla parte inferiore della formazione cretacea , ed altra invece che è tuUa propria della porzione che si dice superiore. Da tutto ciò che abbiamo fin qui riferito apparisce che la immensa massa che i Geologi chiamano cretacea , è stata in- terrotta da due grandi sollevamenti che cambiarono la faccia del nostro globo, ma più essenzialmente quella del nostro Pie- monte. Fuvvi il sollevamento della catena del Moute Viso che troncò la continuazione della parte più bassa , appellata dell' arenaria ( grès ) verde. Subito dopo è succeduta la calma , e principiarono i depositi detti di creta superiore , i quali con- servano coi sottostanti una certa tal quale analogia, lontana sì, ma che si riconosce ancora tanto nei fossili che nelle roccie in generale. E questi depositi si continuarono fino al solleva- mento della catena detta Pirlneo-Appennlna , la quale venne a mettere il suggello ai terreni della creta 5 e dopo di essa i sedimenti che ancora continuarono a formarsi , sono di ben 209 diversa natura, sia pel fossili che li distinguono, che per le roccie o sostanze terrose che li rappresentano * l. "i Noi abbiamo Gnora parlato della teoria dei sollevamenti, ma ci crediamo in dovere di notare eh' essa fu ideata da un nostro Italiano , Majoli , fin dal 1597. Stenone al 1669 ne fece 1' applicazione al suolo della Toscana. V. Nico- lai Slenonis de solido intra solidum naluraliler contento dissertatonis prodro- mus ad Serenissimum Ferdinandum magnum II. Etruriae ducerti. Lazzaro Moro, egli pure italiano e buon geologo , fu un caldo , valoroso sostenitore della teo- ria dei sollevamenti nell'anno 1740, teorica che venne quindi proclamata nel 1772 dal gesuita celebre matematico Boscpvich. In questi ultimi tempi 1' onore di aver richiamata ed arricchita maravigliosamente questa teorica si appartiene tutto al sommo genio del sig. Elia di Beaumont , e del sig. De-6uch. s. Sarà continuato. Letteratura — Dell'arte Tragica. Art. 3." Dello stile. La poesia spargendo fiori sui sentieri funesti , ove passeggia il coturno, abbellisce mirabilmente le scene più orride del mondo morale. Ella infonde dignità all'ira, espressione armoniosa al furore, copre d'un manto di grandezza gli odii inveterati, e le truci vendette, adorna l'amore di celesti sembianze, dona al la- mento una patetica melodia, nobilita insomma , ed innalza tutti gli umani sentimenti ed affetti. L'espressione che più lacera l'a- nima, dice lo Schlegel, l'espressione più terribile debbe avere un certo che di superiore alla realtà , ed esser fatta mediante l'efficacia della poesia non solamente comportabile, ma amabile e cara. Il disperato dolor di Nlobe tra sette e sette suoi JigUuoli spenti, i terribili sforzi di Laocoonte, come dal sasso effigiato spirano dalla maschera tragica una sublime voluttà. La piaga di Filottete stillante tabe e negro saiijiuc cessa dal muoverne a schifo 210 ed orrore, qualora la poesia spargavi sopra gli odorosi suoi bal- sami. La morte medesima veste per essa le maestose sembianze d'una severa matrona. Due strofe d'un' ode del Parini solo che all'immagine dell'amabil donatrice si sostituisca il magico potere della divina poesia rendono a meraviglia il nostro concetto : Me per l'urto e per l'impeto Degli afletti tremendi , Me per lo cieco avvolgere De' casi, e per gli orrendi Dei gran re precipizii , Ove il coturno camminando va , Segue tua dolce immagine Amabil donatrice , Grata spirando ambrosia Sulla strada infelice, £ in sen nova eccitandomi Mista al terrore occulta voluttà *i. Tale adunque essendo l'uffizio della poesia, mitigare cioè col suo divino potere le troppo violente commozioni della pietà e dello spavento, ed infiorare le aspre vie per cui cammina Mel- pomene, ella è cosa manifesta, che quanto v'ha di più sublime e di più gagliardo ne' concetti, di più grave ed eletto nelle pa- role, di più splendido nelle forme, di più squisito nel verso ora dolce e dilicato , ora rapido e forte debbe concorrere alla for- mazione del tragico stile. Questa verità sentirono profondamente i greci: e non solo il linguaggio della tragedia delle più squisite bellezze infiorarono, ma impiegarono fin anche la ricchezza dei varil metri, acciocché le rapide transizioni degli affetti dalle ac- concie transizioni del ritmo accompagnate fossero, e secondate. Né, quantunque alle varie condizioni de' personaggi accomodas- sero avvedutamente lo stile, ed alla sollecita nutrice non dessero il superbo linguaggio della potente matrona, essi discesero però mai a tale, che a persone quantunque si voglia umili prestassero basse parole, e triviali concetti. Perocché tutto nella tragedia debbe essere in armonia colla grandezza del soggetto siccome nella reggia tutto ritrae dalla magnificenza di quella: né il par- *i II dono. Pei- la Marchesa Paola CailLlicni. 211 lare benché dimesso de' personaggi minori ha ad esser tale che disdica agli eroi che l'ascoltano. Ed a quella guisa (giacché ad esporre cosi sottile materia meglio ne soccorrono le comparazioni, che i ragionamenti), che la musica quando pur dalle vivaci e ricche melodie dell'aria discende alle piane modulazioni del re- citativo non perde sua natura, né si confonde col parlar natu- rale: così lo stile elevato una volta alla tragica altezza può bensì trascorrere per più gradazioni dentro i confini da cui è limitato 5 ma non mai uscire da quelli , e discendere agli umili modi di un raen alto genere di poesia. Né l'uso contrario può in alcun modo difeudersi o scusarsi colla pretesa imitazione della natura: poiché se a questa non va unito il bello ideale , il fine di ogni bell'arte è perduto. Ed egli è appunto uffi/.io del bello ideale come il diffondere grazia sulle orride cose, cosi il nobilitare le volgari ed abbiette, E di ciò facciano fede que' tanti e così leggiadri poemi, che dall'imitazione della vita pastorale traggono argo- mento e nome. Né le nutrici o i vecchi pastori nelle greche tra- gedie, né in quelle di Shakespeare i becchini, né il carnefice in alcuna di Victor Hugo con insolito ardimento introdotto sareb- bero giammai sopportabili a vederci in sulla scena senza quella magica aureola, senza quell'apparato di bello ideale onde li ha circondati la mente ingegnosa del poeta *2, *2 Poiché ci 'venne di nuovo fatta menzione di Victor Hugo , potente ingegno , il quale si può dire che signoreggi ora la lettera- tura drammatica francese , osserveremo cjui quale arte egli usi per introdurre con qualche dignità il carnefice nel suo dramma Marie tudor. Egli è già stato annunziato dalla regina , la quale avendo paragonato il suo futuro colloquio con esso a quello della testa colla mano , ne ha già con questa comparazione molto diminuita la ributtante idea. Egli giunge : a les rangs des gentilshommes s'écar- tent, et l'on voit paraitre le bourreau vétu de rouge et de noir . portant sur Vépaule une longue épée dans sonfourreau.D La regina gli indirizza la parola : a approche toi ! Je suis aìse de te voir. Tu es un bon serviteur. Tu es vieux. Tu as déjà vu trois règnes (fedel servo , vecchio , che ha veduto tre regni, quante qualità che servono ad innalzarlo / J. /l est d' usage , que les souverains de ce royuuine le fassent un don le plus nnigiiifique possiblc à leur àvé~ 212 Or che diremo d' alcune moderne tragedie , in cui lo studio pare riposto non ad abbellire, ma a spogliare lo stile d'ogni suo poetico ornamento, ed a renderlo così povero e basso , che egli imiti con fedeltà pedantesca la maniera e il gergo quasi del con- versar consueto: e gli eroi decaduti da quell'altezza, a che non pure la poesia, ma la storia medesima gli aveva innalzati, son resi volgari quasi al par della plebe? Che diremo di quel pro- saico voi intruso nel dialogo tragico, e cotanto alieno dalla no- biltà che gli si addice? Così fatte tragedie popolaresche piuttosto parodie, che tragedie vere s'hanno a chiamare. Né giova il dire, che quello stile è sempre bello, il quale non improprio essendo né oscuro, esprime fedelmente il concetto. Che qualche cosa di più che proprietà e chiarezza si richiede nello stile della trage- dia : egli debbe essere inoltre nobile ed alto. Ed ove il concetto splendido e sublime per se stesso non sia, conviene nobilitarlo con eletto e dignitoso stile, cosicché s'accordi colla maestà del coturno. Che se grande e sublime sia per se stesso il concetto, disdicevole ed impropria sarà sempre quella forma che degna- mente noi rappresenti. Dicono cotesti corrompitori dello stil tra- gico, che essendo il fine morale della poesia quel di giovare, le è forza per conseguirlo, e giovare alla moltitudine di abbassare il suo sublime linguaggio, e farsi, direm, plebea per accomodarsi alla scarsa intelligenza del volgo. Ma questa ragione non ha forza alcuna. Perocché, tacendo anche, il principal fine dell'arti belle consistere nell'esser belle, e dilettare, e l'utile essere vin loro fine secondo, forsechè lo stil sublime, presupposta l'intelligenza dell'idioma nel volgo, sarà da questo men inteso che lo stil umile? Forsechè la sublimità ricercando sopra ogni altra cosa ncinent. Mori pére Henri Vili Va donne Vagrafe en diamans de son manteau. Mon Jrère Edouard VI t'a donne un hanap d'or ciselé. C'est mon tour maintenant. » Quale dono vorrà ella fare al carnefice ? la testa del proprio amante « fé te la donne. » // car- nefice tace, perchè la parola uscita da quella bocca abbominosa non può essere udita senza ribrezzo ; e tacendo non si mostra che pel suo lato migliore , la stima in cui lo tiene una regina crudele. Quanto bello ideale sparso so^'ra cosi orribile personaggio ! 215 chiarezza e verità non colpisce subitamente gli animi ed in essi profondamente non s' imprime ? *3 Veggansi i greci , se quando nel popolo eccitar vollero a bello studio le più veementi com- mozioni, discesero mai per essere intesi ai bassi modi del par- *3 II sublime da alcuni fu riposto nel terrore , da altri nel mi- stero , da taluni nelle rovine etc. Concediamo che in tutte queste cose , ed anche nella solitudine v' ha del sublime. Ma son esse , a parer nostro, quasi altrettanti rigagnoli di quella grande ed originai fonte da ad il sublime deriva, vogliam dire la grandezza. Dovun- que è straordinaria grandezza, ivi è pur anche sublimità, E poiché la grandezza o risiede nelle cose stesse, o nelle azioni degli uomini, o nei loro affetti e pensieri, così tre sorta di sublime noi distin- gidamo : il sublime reale , quando emerge dalla grandezza delle cose; il morale, quando appare nelle azioni degli uomini; l'ideale o psicologico , quando nasce dai loro affetti , o dai loro pensieri , soprattutto se questi vengano espressi con brevi ed efficaci detti , che molto in poco restringano , e ci colpiscano improvvisamente quasi strali. Così sublime di sublimità reale chiamiamo i mari in tempesta, gli altissimi monti coi loro fianchi dirupati, le profonde e interminate valli ; la cupa notte , che ti desta Videa del nulla iii~ finito , una immensa solitudine , e le rovine le quali ricordano una passata grandezza , che il tempo ha distrutta. Sublimità morale troviamo nel gran rifiuto di Washington , e in tutti quei magnanind sforzi morali , che superando le ordinarie forze dell' uomo si chia- mano eroici. Sublime psicologico scorgiamo nel dolor di Niobe, in. quel di Macduffo nel Macbetto di Shakespeare , nelle gelosie d' O- tello , nella nera e indefìnibil tristezza di Saul. E sublimità ideale s' incontra qua e là in certi detti brevi e robusti , che racchiudono un gran pensiero. Di questi motti Seneca il tragico abbonda fin troppo. Notissimo e il Medea superest, onde deriva il mei di Ra- cine. Il fiat della creazione è creduto universalmente sublime. Ora se volessimo andare innanzi col ragionamento , troveremmo Jorse che quel misterioso e recondito seiiso del sublime nasce da una segreta ed istintiva tendenza , che ha V anima nostra verso U infinito , del quale ogni qual volta una benché tenuissima imma- gine gli si offre nelle terrene grandezze , riman sopraffatta da un sentimento grande, ineffabile, ma fugace in guisa, che ella invano si sforza di ritenerlo o comprenderlo: e le ne resta come d'una cara visione sparita , un' oscura reminiscenza ed un durevole desiderio. i4 214 lar popolare: e forse che gli stessi autori di cotesta nuova foggia di stile tragico, cui più clie la santa intenzion di giovare ha per avventura traviati, il desiderio d'un troppo facile plàuso, quando il loro ingegno nato a cose più grandi, li solleva ad un'altezza, alla quale pare che non si fossero proposto di giungere , forse che allora non sono dalla volgar moltitudine e intesi, e gustati, e applauditi? Cada adunque dalla mente di poeti non mediocri questo novello errore così pernicioso al bello nelle arti. Imitisi degnamente la natura, dove tutto è convenevolezza e proporzione, cerchisi nello stile la chiarezza , dote principale di qualsivoglia scrittura, abbiasi per iscopo di giovare, ma fuggasi siccome in- degno della tragedia il basso ed il triviale. Della causa di quel piacere , che la tragedia produce. Quali sieno le recondite cagioni di quel senso gradevole, che l'uom prova allorché per opera delle belle arti, e precipuamente della tragedia gli si offre la rappresentazione d'eventi dolorosi , d'af- fetti strazianti, di violente passioni fu dagli scrutatori dell'uman cuore diversamente definito. Aristotele volendo spiegare la cagione di questo piacere dice, che l'uomo, animale sommamente atto all' imitazione , gode assai alla vista di quella. Il Gravina nella sua ragion poetica pensa che dalle tragedie e dalle mestizie rap- presentate si trae dilètto , perchè l'animo è da leggier titilla- mento stimolato senza che sia scosso e costernato dall' opinion ilei danno. Oltreché compiangendo il male altrui , sembriamo giusti ed onesti a noi stessi 5 e la riconoscenza della virtù in noi occupa e lega le nostre potenze con un piacere intellettuale che vince ogni altro. Darwin suppone, che consista nella pena ac- compagnata dalla pietà, la quale dice essere associata all'amore la più gradevole di tutte le nostre passioni. Altri ricorsei'o a quella falsissima sentenza di Lucrezio troppo disonorevole per l'uma- nità : dulce mari magno etc. Dolce è mirar dal lido Clii sta pur naufragar Come la tradusse il Metastasio usandola al suo bisogno. Lo Schle- gel colla solita sua sottigliezza deriva da due fonti quella nascosta soddisiazione, che si confonde insieme colla nostra pietà per gli 215 strazianti dolori , che dipinge una bella tragedia. Egli è , dice egli , il sentimento della dignità dell'umana natura che si ridesta alla vista di quelli eroici modelli, od è la speranza di cogliere per mezzo all' apparente irregolarità del corso degli avvenimenti la misteriosa traccia d'un ordine di cose più elevato , che per avventura vi si svela. Queste due fonti di piacere vengono sovente ad unirsi. Oltre le soprammentovate molte altre opinioni si tro- vano scritte in su questo proposito, le quali per brevità intrala- sciamo. Ma nessuna finora ci ha talmente tratti a sé, e persuasi da giudicare sovei'chio ed inutile il mettere innanzi , siccome ora facciamo , la nostra. Noi pensiamo adunque , che la natura figlia di Dio , come Dante la chiama , in tutte le opere sue , segue a modello una grande idea, la quale concetta nella mente di Dio, e perfetta quindi siccom'essa non può da lei , che imperfetta si è , e circo- scritta in angusti limiti, fuorché assai debolmente venir ritratta. Dalla quale idea, per dirlo così di passaggio, la natura sembra più o meno discostarsi , quanto i soggetti delle opere sue più o meno si scostano da un'infinita grandezza. Così mentr'ella appare sa- pientissima ordinatrice delle generali leggi dell'universo , e larga e vigile provveditrice ai bisogni primieramente dei generi, e poi delle moltiplici specie, poco o nulla sembra curare gli individui, e posti una volta nella regione degli esseri , abbandonarli alle universali leggi da lei stabilite , ed a quanto di bene o di male può loro da quelle derivare. Ma la mente umana, per ritornare ora al soggetto, dal quale un'amara riflessione ci ha per un istante dipartiti, la mente umana scintilla della divina intelligenza porta innato con sé, benché oscurato, direm così, dalle nebbie della materia , il sentimento e quasi la reminiscenza d'una perfezione maggiore, che quella alla quale può giungere la natura sovente impedita e viziata dagli accidenti. E quando la mente nostra meno rattenuta, e compressa da' suoi corporei legami levasi leg- gera sulle sue ali e spazia per una regione incognita ai sensi , o come egregiamente disse Dante : Quiindo la mente nostra peregrina Più dalla carne , e nien dai pensier presa Alle sue vision quasi è divina, 216 si è allora die ella va In traccia d'una perfezione, che cercò in- darno nel mondo sensibile, e si slancia per quanto i suoi vincoli terreni 11 comportano verso le eterne ed Infinite idee del bello e del vero. A questa fonte ella attinge quelle più ampie cogni- zioni della proporzione, dell'ordine, della grandezza, della forza, della virtù, con tutto quello non sapplam che d' inesprimibile , che forma a' nostri occhi il hello ideale; e una volta veduto e concetto lo trasfonde poscia in quelle arti, che dal loro nobile tema si chlaman belle, delle quali valendosi ad Imitar la natura supera lei di gran lunga mercè di quel suggello di perfezione, e di quell'aura divina che la fantasia accesa nella contemplazione del bello nelle ammirate opere d'arie imprime e diffonde. L'ec- cellenza di quell'opere tragge a sé con meraviglia e diletto gli animi umani; ed ecco la sorgente vera di quel piacere, che le arti ne porgono ; il bello ideale aggiunto all' imitazione della natura. Non è già l'imitazione per se stessa, e il sentimento di quella maestria, che la condusse, che generi a prima giunta il diletto, benché più tardi sia causa d'ammirazione: perocché l'opera della riflessione si richiede a comprender tai cose , né risultano fuorché da un antecedente giudizio dell'intelletto. Ma quel piacere che nasce in noi all'aspetto d'un egregio lavoro del- l'arti, quel non ragionato stupore, quell'estasi che ne rapisce, sono impressioni immediate, istantanee, indipendenti da qual- sivoglia discorso della mente, un puro ed ineffabil senso di go- dimento. Non è neppure la perfetta corrispondenza coll'oggetto imitato , che goder ne faccia dell'imitazione : che anzi tutto al- l'opposto sembra avvenire; e il piacere fino ad un certo punto in noi cresce a misura che la finzione dalla verità si discosta 5 e dove con questa si confondesse verità ne parrebbe, non più imitata finzione,- mancherebbe allora illusione , e coli' illusione il diletto. Cosi il naturale parlare degli uomini più assai ne piace imitato coi vaghi ritmi del verso che in nuda prosa; e più se al verso si aggiunga la rima ; e più ancora se al verso e alla rima si aggiunga la musica. E le forme di bella donna più ne dilettano espresse in bianco marmo, dove invano cercheresti il roseo incarnato delle guaucle, e il nero o l'aureo color delle chiome, che in una statua di legno, dove la pittura alla scul- 217 tura congiunta tutte queste cose imitasse. Perocché il mondo ideale si è un mondo a parte , un mondo sublime ^ ed ogni qual volta una servile imitazione troppo ci ravvicini alla realtà, pro- viamo allora un senso di disgusto, quale nasce in noi alla vista di quei simulacri di cera, i quali rassomigliando quasi perfet- tamente il volto umano, ma d'anima privi e di vita, destano in chi li mira l'idea e l'orror d'un cadavere: mentre alla statua marmorea, appunto perchè s'innalza sovra l'origiual suo, splende in fronte impresso dall'artefice un raggio ideale di vita. 11 bello ideale si è adunque la vera sorgente del piacere nelle arti ; ma prima fra l'arti belle è la divina arte de' carnai: e princlpalissimo fra i carmi la tragedia *4' Come la musica facendo oscillare mi- suratamente le umane fibre , imprime in esse , e nell'anima tutta non sappiam che d'armonioso e di ritmico 5 così la poesia tragica scuotendo possentemente le più segrete corde dell'anima suscita in essa un tumulto d'affetti, e precipui fra quelli il terrore e la pietà. Ma la pietà, che provata altrimenti non può non arrecare dolore , quantunque mitigato dalla dignità , che seco porta un cosi nobile affetto , preparata qual è dall' incanto della poesia riesce un potente bisogno del cuore, e quindi il suo sfogo una soave commozione , un nuovo e sublime genere di voluttà-. Il terrore poi, la più forte per avventura e la più spiacevole fra le umane perturbazioni è fatto dalla poesia una specie*gradevole di spavento *5 ,• e il raccapricciare , il fremere generano più assai diletto che disgusto in un'anima, cheli fascino della poesia tem- prò e dispose alle più gagliarde impressioni , e le ne diede il bisogno. Quell'anima allora s'innalza sopra la realtà in una re- gione fantastica popolata di belle illusioni 5 ed ivi spiega la ric- chezza tutta de' suoi più l'econditi affetti. E come questi affetti ella provali soltanto in astratto, perocché lei non tocca 11 dolore d'alcuna privata sventura , l'anima sente nel disfogarli quel di- letto che suole in lei produrre l'esercizio delle più nobili sue facoltà. Allora il piangere, l'adirarsi, il temere son cose belle per ciò solo che umane sono 5 e l'uomo anche il più abbietto si *4 ^edi Aristotele. Poet. cap. 1. . *5 Parini, ode citata. 218 crede per un istante uri* eroe , poiché il poeta lo ha fatto \)\an- gere e temere e adirarsi con dignità. Vorrehbesi allora continuare per lungo tempo la grata illusione; si ha cara quell'ultima la- grima , che la pietà ha spremuta, e si desidera perfino un alFettò doloroso , una sventura , che ti renda simile a quegli esseri sof- ferenti che hai tanto ammirato e compianto. Ma se la scena offre un* immagine troppo simile al vero, ogni buon effetto è perduto. Scompare allora l'illusione, la realtà si dimostra nel disgustoso suo aspetto, e tu rifuggi da quello spettacolo come l'uccisore del padre d' Amleto fugge spaventato dalla rappresentazione d'un dramma, che tutta gli pone dinanzi agli occhi l'orrenda imma- gine del suo delitto. Epperù le sventure contemporanee male si eleggono a temi di tragedia , e siccome già nella Grecia reche- rebbero in ogni tempo ed in ogni luogo più che piacere disgu- sto ; sia perchè le forme ideali della poesia male s'adattano ai fatti che ciascuno vide nelle reali sembianze della verità : sia perchè la reminiscenza de' dolori sofferti verrebbe ad assalirne sì forte , gli affetti in noi suscitali sarebbero così concreti, che la rappresentazione delle passate disgrazie poco diferirebbe dal vero senso di quelle. CONCLUSIONE Ne pare d'aver dimostrato nelle lotte, e nei dolori dell'uomo grande consistere il concetto tragico. Ci confidiamo d'aver pro- vato inoltre, che dalla profonda meditazione del tema, non da cieca e servile imitazione di cose già fatte , il dramma tragico vuol ricevere la propria forma; che il rappresentar sulle scene le patrie gesta è il miglior uso che far si possa dalla poesia drammatica ; e che dove religione e amor di patria infiammino il poeta, il coro nelle tragedie risorgerà per se stesso. Quelle cose che sulla dignità del tragico stile sentivamo , esponemmo non senza tacere quanto ne dolga il vederlo talvolta cosi avvi- lito da coloro stessi, che più sarebbero atti ad innalzarlo. Per ultimo abbiam cercato di dimostrare il bello ideale essere , la fonte di quel diletto che alla rappresentazione delle buone tra- gedie si prova. Possa questo breve discorso avviare se non altro a più dotte meditazioni coloro, i quali non meno di noi amanti dell'arte e del vero sieno più di noi di perspicace ingegno e di retto giudizio forniti. Ci. 219 riLOLOftlA — Lettere inedite dì Giuseppe Baretll. Al Marchese e Cax\ Felice Garrone di S. Tommaso Pier-Alessandio Paravia. Gon la ristampa Toiinese da voi procurata dei dialoghi di Giuseppe Baretti * avete a bastanza dimostrato in quale e quanto pregio per voi si tenga la memoria di quell' illustre scrittore. Perchè non dubito che vi torneranno carissime que- ste poche sue lettere, le quali, comunicatemi da quel fiore di gentilezza , che è monsignore Garlo Emanuele de' conti Muzzarelli , io sono assai lieto di poter metter in luce, e ancor più lieto d' intitolare a voi. Io le credo inedite, e inedite credo altresì le poesie che le accompagnano , salvo però il sonetto al medico Bicetti , che è stampato fra le piacevoli poesie dell' Autore, ma perù con alcune varianti, che io, da buono edi- tore , ho voluto mettere a pie di facciata. Sono queste lettere indirizzate al conte Gamillo Zampieri , Imolese , poeta lodato a' suoi tempi , e che lo sarebbe anche a' nostri , se i troppi poeti in Italia non fossero come i troppi quadri in una galleria, che con la loro luce si nuoccion 1' uu l'altro. Vedrete da esse, che il Baretti era in quel tempo tutto affogato nelle poesie berniesche , e che anzi disegnava farne una raccolta delle mi- gliori j raccolta , di cui non fa pur cenno il eh. bar. Custodi nella copiosa vita che scrisse del n. a. , ma di cui parla il Ba- retti medesimo in un suo capitolo al Passeroni. So che alcuni daranno biasimo al Baretti per questa sua frega di ridere e scherzare poetando ; ma tal sia di loro ; che quanto a me , io preferirò sempre codesti spiriti giovialonl a quelle facce arci- gne e severe, le quali, se non hanno un sorriso per la gioja, * Da che si è qui fatto ricordo di codesti dialoghi del Baretti , noi crediamo bene , dopo le sue lettere , di stampare intorno ad essi un articolo , che si giacque sinora inedito per cagioni, che qui non importa di dire. 220 assicuratevi, mio caro Marcliesino, che non hanno né j)ui'e una lagrima per la sventura. Ma io non vuo'cjui farvi un lungo ragionamento 5 quando invece non intesi che di scrivervi una breve lettera, la quale vi sia pubblico seguo di quella stima che vi professo, e di quell'amor che vi porto. Di Torino a' 27 maggio i836. Al Sig.'' Conte Camillo Zampieri Imola. Benedette sieno pure le donne , che sempre fanno o in un modo o in un altro piacere alle persone; e benedetta dì e notte la nostra gentile Fenicia , che con l'annesso suo foglio mi dà luogo di presentarmi alla Signoria Vostra, valorosissimo sig. conte Zampieri , a cui vengo offerirmi in cox'po ed in anima, che vuo' esserle Schiavo in catena sin che mangio pane , tanta è la stima, che già da gran tempo nutro in seno per un tanto letterato, quale Vossignoria si è, e, quel che più mi va a pelo , un uomo in poesia berniesca così valente. O signor Zampieri stimatissimo, io sono tanto innamorato degli amatori del mio santo Bernia, che per loro amore mi lascere' fare in minuzzoli j ergo sono guasto da un capo all'altro della Signoria Vostra già da gran tempo, quantunque non abbia la sorte di conoscerla di vista 5 che per avere tal consolazione, non dico un occhio, ma per un dente o due , me li lascerei cavare volen- tieri , sì da senno. Prima di cominciare la presente , ho letto ancora un'altra volta il di lei sonetto pel gatto del mattissimo nostro Balestrieri, ed bollo baciato per contentezza 5 dico quel suo sonetto, che è degli squisiti, ch'io m'abbia letti mai; cosicché, se i poeti si canonizzassono, vorre' in questo momento istesso canonizzare la Signoria Vostra, ed attaccarle tantosto un voto così di sottovia. Or veniamo al tandemme , che con questo ci- calajo io non empiessi tanto la carta, che non me ne rimanesse da scriverci suso quello, che voglio dire. Sig. Zampieri benedetto, 221 io la vuo' pregare di qualche suo, anzi di molti suoi compo^ nimenti burlevoli , dico di que' già da lei fatti in passato, che vorre' ornarne una raccolta , che sto facendo d'autori viventi : ecco in due parole ciò, che dalla Signoria Vostra io desidero, ecco di che la supplico ardentemente : canchero ! non bisognava farmi imbertonare de' fatti suoi con le sue composizioni eccel- lentissime, che non sarei or qui ad importunarla e ad incom- modarla; e siccome e dal Giusto, e dalla menzionata signora Manzoni mi vien descritta la Signoria Vostra per Carnai sorella della cortesia ; però spero , che sarò abbondevolmente favorito , quantunque merito alcuno appo lei io non abbia , se non volessimo porre in riga di merito quello, che di sopra io dicea, ch'io sono affatto, affatto innamorato e di lei, e de' bellissimi suoi versi. La mia raccolta sarà di tre volumi, e fors' anco di quattro, e ho in capo, che la voglia essere buona, anzi che no, essendo stato favorito da qualche amico di cose assai belle , e fra gli altri da quel diavolaccio di quel dottor Vettori di Mantova, che m'ha mandate cose bellissime. Se il sig. Zampieri mi farà grazia di risposta , e se mi permetterà , che tratto tratto io ne lo in- commodi con qualche scipita mia lettera, gli parlerò più a lungo di questa faccenda , e per ora basti così : dico che quando mi voglia graziare di risposta, potrà a me dirigerla dirittamente senza incommodare la virtuosa Fenicia di vantaggio, e del favore gliene sarò estremamente tenuto. Giacché di sopra ho parlato del Gatto del Balestrieri, mi sovviene di soggiungergli, che credo, che il sig. Zampieri non abbia ricevuta la copia di quella raccolta a lei appartenente , non tanto per essere il Balestrieri alquanto trascuratello , quanto anche per essere in campagna da qualche tempo; e se la cosa fosse cosi , come fortemente dubito , ella me ne dia avviso, e mi suggerisca per qual mezzo io potrò farle tenere un tal libro, che gliel manderò io subito. Giacché mi resta alquanto spazio di carta vuoto, mi do l'ardire di trascri- verle qui due sonettuzzi da me fatti di fresco, non avendo tempo di scrivacchiargli a bella posta quattro versi , lo che farò un' 222 altra volta ^ e pregandola di onorarmi cogli ambitissimi suoi comandamenti , con pienissimo ossequio mi dichiaro Di V. S. valorosissimo sig. Co. Zampieri Milano li 11 novembre i74(' Umilissimo Servitore Giuseppe Baretti. AL BALESTRIERI Per il rumore sparsosi, che in Milano corresse manuscritta una critica contro la sua RACCOLTA SOPRA IL GATTO Un certo Barbalacco ha giù la buffa, E s' inliona , s' indraca , s' imbiscia , Contro di te, compar, stiammazza e sbuffa, Contro di te già dirizza la striscia. Guardati, Beco, che, s'egli ti ciuffa , 10 tei so dir, ti farà far la piscia; Su, t'apparecchia da senno alla zuffa, E la coi'azza indossa, e l'armi liscia: Beco , fa presto , pria , eh' e' ti sgranocchi Cotesto imbestialito basalistio, Che non hai mica a far con de' marmocchi -, Fa presto, Beco, pria che cresca il ristio, Provvedi a' casi tuoi, guardati agli occhi, Ch' e' lion ten cavass'uno sol col fistio ; I' non te la cincistio: Ma e' vuol fuor fuora traforarti il giacco j 11 prefato cotale Barbalacco. Della suddetta critica non se ne parla più, e non si è mai potuta vedere. 225 Contro N. N. Romano Tu, che ti vanti Avvocato Romano, E allacciartela vuoi in poesia, Se t'ho a dire, cogli altri, la mia, Tu non sai qual sia piede, e qual sia mano. Porre il scipito e rancio Loredano Col grande inclito Bembo! oh frenesia! Te la perdoni la Vergin Maria, Gli è un porre col Vangelo l'Alcorano. Tu credi aver a far con degli allocchi, E perchè '1 nome d'alcun dotto sai , Gittarci della polvere negli occhi; Ma se per l'avvenir non toccherai Corde diverse da quelle ch'or tocchi, Un bue col campanello ognor sarai; E da' primi a' sezj;ai Eternamente si 'n prosa, che 'n rima Ti faremo dirieto lima lima. Al Conte Camillo Zampieri ■*- Imola, Dulcissime rerum Di Cuneo a' 20 agosto 174'- Laude sia a Dio benedetto, che finalmente ho anch' lo de' vostri caratteri, e quello, che è meglio, sono oggimai i passi liberi, cosicché per lo innanzi spero pure di averne. Voi dite, che per rispondere alla mia lettera scrittavi là verso il fine del passato mese, posto vi siete in farsetto; ed io per rispondere alla vostra sono quasi , quasi per far porre il caldano sotto il tavolino; che se costi fa caldo, caldo, qui fa già freddo, freddo, e sono alcuni giorni , che e io , e gli altri abbiamo deposti i panni lini pe' panni lani. Siccome il vostro sonetto al nostro Re è bello oltremodo, e Sua Maestà di finissimo giudizio anche in «questo è dotata, perciò nulla punto mi meraviglio, se gli è 224 andato a sangue, che giuoco forza era, che così fosse. Io sì, che sono imbrogliato, che per lo dì di santo Maurizio ho a dar fuori un sonetto per la sua festa , e non so come diamine me lo accozzerò 5 che io con quel messer Petrarca non sono troppo amico, e di poesia seria non so una frulla 5 basta, santa Clio forse m'ajuterà, e mi trarrà fuora di questa ragnaja. Vi sono al sommo obbligato dello incommodo datovi in trascrivere quel cujus, che ho tanta frega di squadernare da un canto all'altro. Deh ! sig. Zampieri , cacciatamelo 'n un pezzo di carta con due parole di soprascritta, e mandatemel per la posta, ch'io non posso più star nella pelle, e mi muojo certamente se non mi vien dato di leggerlo presto. Ricevuto che lo avrò, scriverò al sig. Auditor Canti, cui piacciavi portare i miei più affettuosi saluti. Ho ancora a scrivere alcune lettere ; poi, se mi avanza della giornata , vuo' trascrivervi qui alcuni versacci, che ho composti dacché son qui. Amatemi , scrivetemi , e addio. Il vostro Baretti. Non vi sdimenticaste di mandarmi quattro de' vostri versi burlevoli per la mia raccolta, e mandate alla trentancanua quella vostra umiltà fuor di proposito, che un uomo par vostro non debbe aver paura di farsi cuculiare 5 mandatemene dunque il più che potete, e fate presto, ch'io non vedo l'ora di esser fuori di questa briga , ma non voglio che la raccolta si stampi senza porvi il vostro nome dentro, e per Dio sarà così. Ancor una cosa vuo' dirvi. Sappiate che m'è venuto il gricciolo di adornarmi una stanziolina co' ritratti di alcuni poeti majuscoli d'oggidì, e ne ho già alcuni: avete capito? Vorrei anche il vostro , s' e' non vi fosse sconcio. Fate dunque così : fate fare il disegno, che io poi qui farò fare il quadro da una giovanetta, che non lavora male, e sappiatemi dire di qual colore voi siate, e l'età, e la statura, e il pelo, proprio come se vi dovessero far una fede che non siete infetto di peste; insomma ditemi a minuto tutto quello, che concerne la persona vostra , di modo che io possa formarmi una giusta idea di Vostra Signoria, giacché 225 non m' è dato per ora vedervi cogli occhi della testa. Avete mo capito bene il mio pensiero? Orvia , fatemi questo favore, ve ne scongiuro, ed aggiungete ancora qualche cosa intorno al vostro essere , che io desidero saper tutto quello che concerne la persona vostra, per potermela vivamente presentar al naturale alla fantasia; e tutto questo che io dico a voi, voi favoritemi di dirlo anche al sig. Jacopo, da cui pure vorrei quello, che da voi voglio. Addio un'altra volta. SONETTO I. Armi armi, serra serra, dalli dalli: Ecco là gli Spagnuoli , velli velli : Santo Chimisso ! chi potrà fermalli , eh' e' non ci faccian tutti in istrambelli ? Guata occhiacci , che s' han que' lor cavalli , Rotondi e larghi, che pajono anelli-, Da quegli occhiacci , in fé di Dio, a miralli Uscir si veggion trenta Mongibelli. Ognun le porte di casa sigilli -, Che alcun de' micheletti noi smidolli-, Cappe ! e' s' han stioppi usciti de' pupilli. Oiniè, dove anderanno i nostri polli? Più non potrem lor fare billi , billi ; Ahi quanto fieno pe'nimici frolli ! Cosi di Cuneo i folli Gridan piangendo siccome fanciulli , Che sien dal mastro stati fatti brulli. SONETTO li. Quella mona Giacchetta novellaja Tuttodì gracchia , e non sa che si gracchi , Asciugherebbe la nostra pescaja Qualora da dover discioglie i bracchi. Non si crede in bellezza la sezzaja, E ha gran frega di far chicchi bicchiacchi , E aspetta ognor, che alla sua frasconaja CaH un tal tordo , e vi s' invischi , e attacchi. 226 Ma , alle guaguele , badi il pastricciano A non s' imbacuccar con tal bacucco , eh' e' gnen dorrebbe alfine il cordovano. No, non s'avvezzi a questo badalucco, Ch' e' lasceravvi , per santo Bastiano, La camicia , e le brache , non che il lucco , Onde in breve , ristucco Di lei , vedrallo andar la gente a zonzo Diserto, fiacco, pesto, floscio, e lonzo. Ho ancora un sonetto alquanto lungo , che vi trascriverò un' altra volta. Ditemi frattanto il vostro parere sopra questi versi, ma alla Zampieresca sempre. Ho sonno, vuo' andar in' letto. Al Medesimo Di Milano a'ia marzo \'}l\ì. E aneli' lo andava tra me dicendo: domane avrò risposta dal Zampieri , domane avrò risposta dal Zampieri, e questa alfine è venuta , e quanto mi sia cara , Dio vel dica ; massimamente per quella falciata, che mi date, che veramente è da valentuomo qual voi vi siete, e che mi ha levato ogni pregiudizio intorno a quel mio sonetto , e conosco che avete ragione da vendere , quantunque me 1' avessero lodato parecchi , che ora ho tutti per e , 0 per adulatori infami; sia però benedetto il padre Riva , che anch' egli mi disse , non però colla franchezza , che mei dite voi , che valeva propio niente. Siate pur bene- detto il mio Zampieri : adesso vi stimo veramente per un grand' uomo, e vi assicuro, che da quel vostro non mi piace ho im- parato più , che da un mese di studio, e se seguirete a parlarmi con questa schiettezza , io non potrò non amarvi pazzamente , che di questi stiticuzzi e (e la più parte oggi sono cosi) che non sanno far altro mestiere, che lodare, non so che farne : io voglio , che gli amici mi dicano biffe e baffe il loro senti- 227 mento chiaro e schietto, ma sin' ora non m' è riuscito di tro- vare un Zampieri , che siate benedetto un' altra volta. Insom- ma , se potrò ridurre quel sonetto ad un segno , che possa pia- cervi , bene 5 quando no , te lo scarto bello e intiero, e buona notte. Ve ne trascriverò qui un altro , che forse vi piacerà , che dopo fatto ci ho pensato sopra , e mi soddisfa un po' più dell' altro 5 ma se non vi piace , ditemelo chiaro e schietto al vostro solito , e così di tutte 1' altre mie composizioni , che vi manderò di mano in mano, che per Dio vi resterò obbligato sempre più. Godo, che vi piacciano le mie ottave , e quando a voi pa- jano belle, la sarà così senz'altro. Se potrò, scriverò in quest' ordinarlo al sig. Auditor Canti^ e voi a bocca fate anco la parte vostra , caso che la mia lettera non operasse 5 ma vel dico mo chiaro, che non la vuo'sentire quella canzona, che non vogliate mandarmi cosa alcuna del vostro. Eh via non vi fate tormentare colle mie lettere, ma fate copiare un buon numero di vostri versi e fattone un plico grosso come il Duomo , dirigetelo al dottor Vittore Vettori di Mantova, 0 al dottor Galeotti, che da essi mi sarà inoltralo, e vi dico di non fare il matto, che non serve a niente tanta umiltà : voi slete un gran poeta, e un gran poeta berniesco , e sì se il sanno gli altri , lo sapete anche voi , onde non vi fate tanto pregare , ed ungere , ma mandatemi de' vo- stri versi , mandatemene , mandatemene , che sono begli , per Dio. Che ve ne dica una fresca , fresca ? Io oggi sono mezzo stravolto, e afllltto , e scombussolato, e che so io, perchè dopo essere stato lontano dalla patria cinque anni , mi veggio sul punto di esser astretto a tornarvi a mio dispetto , ed oggi ap- punto con le lettere di Torino sento seguita T iutiera mia rap- patumazione co' miei, e mi vlen ordine di restituirmi a casa, onde fatte le feste di Pasqua, non potrò a meno di non por- tarmi subito colà ; voi però , se continuerete ad onorarmi di qualche vostra , sino a nuovo avviso , continuate a dirigermi le lettere qui in Milano. Vi raccomando di mandarmi delle vostre poesie 5 e di far presto, perchè giunto in Torino, vuo' mettermi da senno In istato di mandar subito la mia raccolta alle stampe, e sì vi so dir io, che roba trista o mediocre, se 228 Dio ne ajuta , e' non ven sarà, che io non sono il Balestrieri, e non m' importa se alcuno se 1' ara a male , che io scarti , o muti i suoi componimenti , come succederà infallibilmente , che mi sono state mandate delle poesie a mio dispetto, che non mi piacciono, e da gente che io non ho cercata: basta, basta , farò le cose come vanno. Vado a Torino, e vuo' far rivedere il tutto dal mio antico maestro 1' ab. Tagliazucchi , ed egli vai saprà consigliare e dirigere. Addio il mio caro Zampieri , non ho altro a dirvi per ora. Trascrivo il sonetto , e addio un'altra volta. Il vostrissimo Baketti. AL DOTTORE GIAinHIARIA BIGETTI Bicetti , che se' un medico valente , Se mai avessi o adoprata, o letta (i) Sopra gli autori tuoi qualche ricetta , Che fosse buona a dimagrar la gente, Mandala, te ne priego , inunantinente , (2) Né metter tempo in mezzo, perchè ho fretta, E spediscila pur per istaffetta , O ch'io son rovinato interamente. (3) Io vengo cosi grande, grasso e grosso, Che dubito trovarmi una mattina Divenuto un gigante , o un colosso. (4) Non ho che una giornea sola meschina , E questa più aUacciarmela non posso : Pensa che sconcio, e guata che rovina. Oh fortuna assassina I 229 Cresco ogni giorno e pel largo , e pel luugo , ■Come s' io fossi veibigiazia un t'ungo. Colla testa ornai giungo Di là dall'uscio un palmo, ed abbassare (5) Molto la deggio, se in casa vuo' entrare. L'è maniche allargare E il collo alla camicia mi son fatto (6) Che m'era divenuto stretto allatto. Insomma a questo tratto,, Se non ritrovo al mio male riparo, D'andarmen bello e nudo mi preparo ^ Che se te l'ho a dir chiai-o, Per Dio, Dottor, io non mi ho un danajo (7' In tasca da compiarnii un altro >-a]o. V A B I A j» T i (ì) Se tu avessi o adopr;ita o letta (a) Mandamela, ti jiriego, iramantincntc, l'i) O eli' io soli rovinato veraiiieute. (4) Diventato un gigante «.! un colosso. (5) Più su dell'uscio un palmo, ed inchin.tre (6) Alla camicia , e allargar mi son fatto Il colio ancor, che m' era stretto affatto. Mi fa diventai- malto, Se passo per la strada , la brigala , Ognuno A me si volge , ognun mi guata. Insomma a questa fiata Se non ritrovo ecc. (7) Affé , Dottor, non mi trovo un danajo Avevo già pensato di scrivervi dell'altre cose , ma per la mia vicina partenza sono agitato dalla rabbia, dalla amicizia , dal dolore, e quel che è peggio dall'amore, che da poco in qua ini martella maledettamente , onde non ho la testa a segno, e scrivacchio giù alla bestiale senza badare né a' precetti della lingua, né altro 5 voi mettetevi gli occhiali per poter leggere questi sgorbj. C'è ancora qualche momento prima, che parta la posta, onde do di mano a un altro foglio, e scrivo al sig. Canti. i5 250 Raccolta fli modi eli dire italiani ed inglesi ad uso di cjiidli che desiderano apprendere a parlare correttamente queste due l'n'^uc, opera di (jiuseppe Baretti Torinese ecc. Prima edi- zione Torinese interamente ri<^eduta e corretta secondo le regole dalla moderna ortografia, e pubblicata per cura dì F. S. T. Torino:, presso Giuseppe Bocca, i835, 8." col testo inglese di contro. Clii è elle non couosca qiiel bizzario unioic di Giuseppe Barelli ? Il quale innamorato per tempo de' noslri Classici , educato alla incontaminata scuola del TagliazuccVn , del Parini, del Gozzi, potè non solo iinpi'alicbirsi di buon' ora di tulle le proprietà ed eleganze di nostra lingua, ma potè conoscere al- tresì coir acuto suo ingegno, come per far servire questa lingua all' idee ed al bisogni del secolo, bisognava toglierle lo strascico, per non dir le pasloje , cbe le aveauo posto il Boccaccio , e più «he lui i boccaccevoli , ed infonderle invece quella spontaneità, quel calore, quel brio, cbe distinguono una lingua viva e parlala da quelle , cbe già condannate al cemeterio , non sono cbe studio e delizia degli eraditi. Nella qual sua opinione confermato dall' esempio delle più eulte nazioni d' Europa , cbe potè visi- tare e conoscer dappresso, egli riuscì scrittore , non pur copioso, elegante e corretto , ciò cbe molli sono , ma altresì fiaiico , originale , e vivace , ciò cbe sono assai pocbi. E cbe altro infatli , se non la magia di codesto suo stile ba potuto dare tanta ce- lebrità alla sua Frusta letteraria , ad un giornale cioè , cbe mentre vede tutti i suoi confratelli , dopo la effimera esistenza di una settimana o di un mese , condannati ad una obbllviou sem- piterna , egli solo si riproduce, si legge, si gusta, qual se fosso lina nuova commedia di Scribe, o un nuovo romanzo di Balzac? Però non dee far maraviglia , cbe a Milano siasi cercato ia questi ultimi anni di mettere insieme tutto ciò , che uscito era dalla graziosa ed originai penna di questo famoso scrittore ; uia bensì dee far maraviglia, come in sì fatta raccolta non siansi compresi i dialoghi, de' quali testé abbiamo recalo il titolo. Forse non si sarà creduto cbe fra le opere del Baretti , tutte sparse di erudizione e di critica , trovar potesse degno luogo 231 mi libro dedicalo alla uojosh e pedantesca istruzion dei fanciuUii Chi perà giudicar volesse del merito e dell' importanza di questi dialoghi dalle così fatte opere , che soglionsi porre in mano de' giovinetti per esercitarli nella pratica dell' una o dell' altra lingua, andrebbe errato di lunga mano. Poiché sotto un titolo così vulgare , sotto un'apparenza, per cosi dir, fanciullesca, (juesto libro non lascia di contenere gran sugo di dottrina e di morale , e di schizzar qua e colà de' lumi di spirito e de' lampi d'ingegno, che ti farebbono indovinar di colpo il nome dell' Autore, ancorché tu noi leggessi nel frontespizio. È vero che il Baretti , non dimenticando mai lo scopo principal del suo libro , che è quello di addomesticare i giovani con le due lingue italiana ed inglese, prende ogni più. leggier motivo d'infilzarli una litania di voci , che perteugono alla stessa famiglia di og- getti 5 così nel dialogo XXIX, che è uno de' più importanli, perocché vi si parla di Dante e del Conte Ugolino , avendo fatto dire al Cane, che Giovau Villani morì nel XIV secolo, fa che il Gatto, come più soro , gli domandi ^e è morto di febbre, d'indigestione, di colica, di mal di denti ecc.; tutte domande soverchie in qualsivoglia altro libro, fuori che in questo, il quale non potea perdere una sì bella opportunità di mostrare a' giovani qual sia il vero nome di una dozzina almeno di ma- lattie ; le quali però sarebbe a desiderarsi che né fossero co- nosciute in verun paese , né nominate in veruna lingua. Ma tolto ciò, v'ha, lo ripeto, di sì curiose ed importanti notizie in questo libro, da giovarsene, non che il fanciullo, 1' uom provetto 5 com' è il dialogo XLIII dove si parla di Ossian ; il qual dialogo se può importare agi' Inglesi per la disputa che vi si narra fra il Machperson , e il Johnson circa alla origi- nalità delle poesie del Bardo Scozzese, non importa punto meno a noi Italiani per il discorrere che vi si fa della traduzione del Cesarotti j della qual traduzione il Baretti dice un gran male, mentre che un altro piemontese illustre , 1' Alfieri , ne andava pazzo : or va dopo ciò , e fidati al giudizio de' conLcmporanei. Ed è curioso anche il vedere, come il Baretti malmeni in questo dialogo que' giornalisti, che ingiuriavano il celebre John- son j e massime un certo Keuvick , che per giunta avea slra- 252 pazzato il Barcttij il quale però ne lo dipinge sulla porta di una bettola a Gelsi con una pinta di birra in mano, e gli dà del birbo, del cane j àe\ furfante , protestando però sempre, che vuol tenere in eterno la lingua ìH' frer^o rispetto a questo tre- mendo campione j e che vuol lasciare la sua vendetta a pidocchi: espressioni, come ognun vede, che ben dimostrano , come il !3aretti non tanto impugnava in que' dialoghi la scutica di Fidenzio, quanto la frusta di Scannabue. Che dirò poi dei sali, dei motti, delle facezie, delle burle, dei tratti ingegnosi ed inaspettati , delle bizzarre domande, e delle ancor più bizzarre risposte , di cui van tutti zeppi codesti dialoghi ? Che al leg- gerne alcuni è impossibile , che la più marmorea faccia , che s' incontri per via, non si componga, al suo dispetto, a uh sorriso. E il fare del Baretti appparisce anche in quel suo fog^ giar nuove voci , quando la nostra lingua iioq gliene som- ministra di abbastanza espressive per significare le proprie idee 5 nella qual sua licenza però noi non vorremmo, eh' egli fosse da' giovani così ciecamente imitato. Pep queste ragioni a- dunque raccomandandosi grandemente i dialoghi |del Baretti ad ogni studioso delle due lingue , e ad ogni estimatore di quell' jngegno singolare , noi non possiamo che render le più vive grazie al eultissimo sig. Marchese di San Tommaso , il quale riproducendo e migliorando 1' edizione di questi dialoghi fatta in Londra del ijyS, e mandandovi innanzi la notizia del Ba- Vetti scritta dall' Ugoni , ha dato con ciò un nuovo saggio dj quel nobile zelo che lo accende per tutto ciò che torna di proiilto alle lettere e di onore alla patria. P. J. P, 255 IjrF.OGRAFIA — Cenni di cUmatotogia^ Usano alcuni geografi di dividere tutta la terra in sessanta climi , trenta nell' emisfero settentrionale , trenta nel meridio- nale misurandoli dalla maggior lunghezza del giorno al solsti- zio d'estate, e noverandoli di mezz'ora in mezz'ora dall'equa- tore fino ai circoli polari , e di mese in mese dai circoli po- lari fino ai poli. All' equatore il più lungo giorno è di dodici ore : ai circoli polari è di ventiquattro. Dunque dstll' equatorei fino ai due circoli polari contando i climi di mezz'ora in mezz* ora secondochè più«^i va pi«ogressivamente allungando il giorno del solstizio d'estate s'avranno quatant'otto climi. Dai circoli polari j dove il giorno più lungo dura ventiquattr' ore fino ai poli ^ centro delle zone glaciali, dove dura intieri sei mesi, si comprendono gli altri dodici climi divisi per numei'o di mesi in proporzione del progressivo accrescimento della durata dei giorni , che nelle zone glaciali si novera da mese a mese. Questi climi così distribuiti sono detti da' geografi climi mate- matici , ovvero astronomici. Ma di questi più importanti assai a considerarsi per i loro effetti , soprattutto rispetto allo scom- partimento degli esseri organici sidla superficie della terra , sono i climi fisici. La circoscrizione de' climi considerati fisicamente non dipende soltanto dalla loro distanza dall'equatore : ma con- tribuiscono insieme a formarli più alti'e cause locali , le quali noi verremo qui sotto accennando , attenendoci a quello che ne dicono i più reputati geografi , e tra gli altri Malte-Brun. Il caldo, il freddo, la siccità, l'umidità eia salubrità d'un luogo qualsiasi della terra fanno il clima fisico di quel luogo modificato secondo le diverse qualità anzidette, che più pre- valgono in esso. La prima ed universal cagione della diversità de' climi fisici è 1' azione del sole. Gli effetti di questa sono determinati generalmente dalla maggiore o minor distanza del sole dalla terra ; dalla più o meno obbliquità , con cui i suoi raggi cadono sovr' essa ; dalla maggiore o minor lunghezza dei 234 giorni e delle notti ; dalla refrazione de' raggi solari passando per più o meno strati d' atmosfera. Ma perocché la natura de' diversi climi fisici non corrisponde sempre a questi efìetti dell' azione solare, quali dovrebbero essere secondo i quattro prin- cipi teste annoverati, ed il calor solare si trova distribuito sulla terra in maniera affatto differente da quella, che dai principi dianzi posti seguiterebbe , perciò bassi a dire , che la diver- sità de' climi non dipenda intieramente dall'azione de' raggi so- lari , e conviene ricercarne altre più particolari cagioni. Queste secondo Malte-Brun si riducono ad otto. La prima è il calore interno della terra. Dove avessero luogo sotterranei incendimenti, colà potrebbe la temperatura esteriore sentu'ne gli effetti. La seconda è 1' altezza del terreno , per cui s' accresce progressi- vamente il freddo. Il più aspro verno regn^ tuttavia sulla cima delle alpi , mentre la primavera già abbellisce le pianure sot- toposte : ce ne ha per esempio ancora l'alta valle di Quito ral- legrata da fiorente vegetazione, e nondimeno posta sotto la me- desima latitudine che la Gujana francese funesta per istempe- ramenti di caldo. Così fatti esempi , scrive un dotto geografa francese , sono frequenti soprattutto nelle alte creste delle isole e sulle coste montuose de' paesi caldi : il pico di Teneriffa tra l'antico e il nuovo mondo, la Sierra-Nevada al mezzodì della Spagna , e dirimpetto alla Barbarla sono luoghi , dove senza andar tropp' oltre un naturalista può nel termine d' un solo giorno passare da una natura torrida ad una natura polare. Ag- grandendo il cerchio delle idee si potrebbe considerare le due metà del globo siccome due immense montagne opposte base a base , di cui la linea equinoziale sarebbe 1' ampio contorno , e 1 due poli co' loro eterni ghiacci le due cime. La terza è la situazione del terreno , secondochè questo è posto più op- portunamente per raccogliere più o meno diritti i raggi del sole. Nel Vallese veggonsi le alpi dall' una parte tutte nevose e ghiacciate , mentre la parte opposta si dimostra adorna e lieta delle più vaghe pompe della natura. La quarta è la posizione /elle montagne , le quali se non possono impedire affatto i mo- menti dell'atmosfera, giovano pur nondimeno assai a ratte- n-;e certi venti , o a dlmiauirne la forza. La bella Italia debbe 255 ili parte a' monti , elio la circondano, il suo dolce clima, k sua invidiata fertilità, e quell' aria d'ogni stagione piacevole e temperata. Per opposto 1' insopportaliil freddo dell' assiderata Russia centrale e meridionale si vviole attribuire tra le altre cause al non avere ella al settentrione una catena di monti , che rompa 1' impeto de' venti freddissimi , che tirano dal mar bianco , e dai monti Ural. La quinta è \a vicinanza del mai'e, la quale può assai sulla natura de' climi : perocché riscaldan- dosi r acqua nell' estate molto meno della terra , e meno ezian- dio raffreddandosi nelV inverno , fa si che le coste marittime , e le isole non vadano soggette agli eccessi nò dell' una, né dell' altra stagione. Bei'^hen in Norvegia , e tutte le coste di quel paese poste fra il 6o e 62 grado di latitudine hanno la sta- gione invernale molto men fredda e nevosa, che Cracovia, Praga e Vienna, poste fra il 48 e 5o grado di latitudine: ed il porto di Berghen non agghiaccia così spesso come la Senna a Parigi. La sesta è la qualità naturale del terreno. Tutti i terreni non si riscaldano colla medesima facilità: alcuni pei'dono presta- mente il caloi'e compreso, altri lo mantengono più lungamente. I terreni argillosi e quelli impregnati di sali raffreddano l'atmo- sfera : egli è in parte per questo , che i paesi d' Astracan ed Orenburgo sono freddi ed insalubri 5 il suolo sabbioso e secco per contrario la riscalda. I terreni umidi e paludosi ingom- brando l'aria di grossi vapori diminuiscono il calore: dal che deriva , che la Olanda sotto il grado 5'ji di latitudine ha so- vente inverni più aspri e crudi , che le isole Danesi sotto il 55 paralello. La settima è la coltivazione , causa efficacissima di cangiare un clima di selvaggio e pernicioso in dilcttevob' e salubre. Ma la coltivazione d'un terreno stato lungo tempo in- colto e deserto non è senza pericolo di coloro , che primi vi si pongono all' opera per le ree esalazioni , che dalle selve la prima volta dibo.scatc , e dai terreni squarciati dalla prima aratura debbono di necessità uscir fuori. La ottava finalmente sono i venti , 1 quali secondo la loro natura , direzione j in- tensità ed i luoghi per cui passano , modificano poi in maniera divei'sa gli effetti di tutte quelle cause fin qui accennate. Qui cade opportuno l'osservare che molli luoghi della terra dovet- 256 turo una volta arer avuto un clima differente assai da qnello» elle hanno presentemente, qualunijue possa essere la cagione. La qual cosa viene confermata dalle notizie, che si rinveugona presso alcuni storici antichi , e ne è prova eziandio il ritro- varsi sepolti in alcuni siti avanzi di animali, le specie de' quali ora vivono in paesi da quelli lontanissimi, forzati a cer- care colà il clima loro confacentL-. Dalle cause soprammento- vate risultano i vari climi o caldi ed umidi, o caldi e secchi, o freddi ed umidi , o freddi e secchi, o temperati ed umidi, o temperati e secchi ecc. Il clima caldo e secco è quello de' de- serti di Zahara e dell'Arabia ecc., dove il caldo è sì cocente, che par che 1' aria ne arda. Le piante non vi si appigliano per mancanza d' alimento ; gli uomini e gli animali vi sono nerboruti , ma radi e di natura propensa alla ferocia. Il clima caldo ed umido è quello di Bengala, della Mesopotamia, delle eoste di Zanguebar , della Senegambia , della Gujana , di Pa- nama ecc. Dentro a questo clima crescono le più. vigorose e gigantesche piante, i frutti più nobili e più squisiti, e le più l)c]le varietà di fiori odorosi e di verdissime erbe. L' umana specie v' è molto robusta e generativa : tantoché , come nota l'Herder, il vecchio Negro, il quale non ha generato che set- tanta figliuoli, s'attrista della sua infecondità; ma vi tiene ge- «eralmente del sensuale ed animalesco assai ; del che è indizio, come suole , la grossezza delle labbra. La più gran parte dell' Europa e dell' Asia ha il clima freddo e secco : questo clima mantiene una A'cgetazione florida e gagliarda , ma non tanto ab- bondante : gli uomini respirando quivi più ossigeno hanno salute e forza e attitudine a lutti gli esercizj di mente e di corpo. La loro forza fisica e la morale sono tra di loro in giusta propor- zione. Nel clima freddo ed umido quale si è quello della Siberia, del settentrione del Canada ecc., il cielo è per lo più nebbioso e scuro , la vegetazione povera e stentata , gli uomini di grosse membra , ma deboli , tutti intesi a difendersi contro la pigri- zia del freddo, e i disagi del clima, e di tempera melanco- nica. Per le cose discorse intorno agli efietti dei climi sulla spezie umana non vorremmo noi , che alcuno troppa virtù a quelli attribuisse , siccome già fecero alcuni , e tra gli altri 257 Montesquieu, L' uomo è tra tutti gli esseri organici quello, clic meno ne provi" gli elfetti , e che più facilmente d' ogni altro s' accomodi a tutte le varietà de' climi. Per quello che s' ap- partiene alle varie temperature delle cinque zone 5 la zona tor- rida non ha generalmente che due sole stagioni, l'una secca e l'altra piovosa. Il caldo si mantiene in un grado pressoché eguale nello spazio di io o i5 gradi dalla linea equinoziale. Incomin- cia a variare verso i tropici ; cresce poi a dismisura al tropico del cancro, dove sono le contrade le più calde e le meno abi- tabili della terra. Molte cagioni concorrono insieme a rattem- prare e rendere sopportabile il caldo della zona torrida, e sono le nuvole, le grandi pioggie, le notti freschissime, le copiose evaporazioni , gli immensi mari , la vicinanza di montagne al- tissime coperte di perpetue nevi , i venti , e le inondazioni pe- riodiche ; dal che nasce ancora , che nella zona torrida si ritro- vano tutte sorte di climi. Il sole è colà più splendido , V aria più lucida, gli astri più sfavillanti : tutta la natura vi si dimo- stra oltre ogni diro bella e maravigliosa , siccome egregiamente narra 1' illustre viaggiatore prussiano il sig. Alessandro d'Hum- boldt. Le zone temperate sono sottoposte alla varietà delle stagio- ni, ed hanno la temperatura quale esse la danno dolce e gra- devole nella primavera e nell' autunno , alquanto calda nella state , e fredda nel verno 5 ma quelle parti delle zone temperate che confinano ai tropici sono sovente più calde che le parti con- tigue della torrida. L'avvicendamento delle stagioni non succede più al di là dei circoli polari nelle zone fredde chiuse d'eterni geli, né nella torrida al di là dei tropici. Quella parte del nostro emisfero settentrionale, che dal tiopico si stende fino al grado 35 di latitudine s'assomiglia in molti luoghi alla beltà, ed alla ricchezza della zona torrida: fin verso il grado 4o ^^ esente da- gli aspri e lunghi geli, e delle grandi nevi. Dal grado 4^ fino al 60 le stagioni si succedono con più regola, che in alcun'altra parte, e più se ne sentono gli effetti. I popoli, che abitano tra il grado 35 e 55 sono quelli, che abbiano forme più belle, più ingegno, più ardimento, e migliore civiltà. Sulle coste del me- diterraneo nell'Asia minore, nella Grecia, e nelle sue Isole la forma e 1' intelligeui^a umana si dimostrarono quant' esser pò- 258 tevano perfette. Quello terre avventuroso lontane egualmente dai due estremi del freddo, e del caldo clima videro con gentile e mirabile accordo la bellezza adorna delle più amabili forme, e l'intelligenza nobilitata dalle opere più generose. Di là ven- nero a noi i tipi del bello, le arti, le scienze, tutti i beni, e le dolcezze dell'incivilimento. Dal grado 60 fino al ^8 cbe pare essere l'ultimo termine delle terre abitabili non si provano più che due sole stagioni lungo ed insopportabil freddo, e a certi tempi caldo stemperato. Molti tra gli antichi, e tra moderni si sono adoperati a de- finire la maniera, con cui gli animali, e le piante sono distri- buiti sulla terra secondo i vari climi. Non ha dubbio cbe in molte cose si sono apposti al vero, come quando stabilirono fondati sopra ripetute osservazioni, che a circostanze eguali di località il numero delle piante criptogame aumenta a misura , che si procede più inverso l'equatore. Ma non si vuole dar loro fede in tutto, siccome avvertono scrittori modesti, edottissimi, 1 quali conoscono quanto studio, e quant' opera d'osservazione bisogni ancora per ben chiarire, e definire questa parte di scienza geografica; e conviene diffidare principalmente di coloro, che con geometrica esattezza vorrebbero porre certi limiti , che la natura disdegna. 239 • Varietà Frammenti d'una Storia P^eneziàna Contiìiuazione. Che mai è la vita ? Un immenso Sahara * t . Sopra nuda , cocente rena il pellegrino spinge i suoi passi : sul di lui capo il sole versa dall'alto le sue ardenti cateratte: il suo petto assorbe mvisibili fiamme -, la sete , la fame gli coiTodono le viscere. Ma una voce nel cuore gli parla : là , sull'orlo dell'orizzonte dove s' appoggia il cielo , v'è un boschetto di palme ; fra quelle ampie foglie s'asconde un frutto soave ; una brezzolina perenne ne fa ondeggiare i rami ; sotto di questi scorre una gelida fonte , che refrigererà il tuo petto anelante : studia il passo ; colà riposerai. Egli per questa voce sostiene la fatica della via , gli ardori della terra , e del sole -, sostiene l' interna ar- sura , e affisando sempre quel palmeto , cammina e spera di toccar quel cielo, e di potersi adagiare a quel rezzo. Giugne: ma il cielo di altrettanta via è ancor lungi da lui -, sopra altro orizzonte appog- gia la sua intangibil volta : quelle palme sono sfrondate , e scarsa ombra stampano sulla rena infuocata ; agri , amari succhi spreme l'assetato labbro da' loro frutti , e sol trova poc' acqua limacciosa in cui si diguazzano fastidiosi rettili. Desioso guarda intorno il pelle- grino: r istessa voce gli addita vicino un altro palmeto : egli di nuovo s'avvia è scorda la faticosa strada , l'amaro cibo, la schifosa bevanda, e si lusinga di potere quando che sia fermare i passi in quel luogo felice: nuovo inganno. Ma non mai saggio, sempre insegue gli stessi oggetti finché ilSimum*2 lo coglie per via, e pone termine a' suoi giorni, ed alla sua brama. Ecco la vita. Ma che cosa ella è mai per colui che arso d' ogni dove non può muovere le piante verso que' luoghi che sì belli gli dipinge e presenta la speranza ? Che cosa è la vita quando la speranza , questa fata del pensiero , cessa di porgergli le sue tele dipinte , i suoi fantasmi , che han tanta sembianza di vita ; quando gli toglie dagli occhi i celesti azzurri, e quell'ombroso palmeto, e lo abbandona solo in un deserto tracocente? Allora la vita è un respiro affannato , che si fa mantice d' ima for- nace inestinguibile ; allora è un sospiro impetuoso cìie fugge senza poter mai schiantare la confitta ambascia ; allora il sangue , come alcool infiammato , consuma i vasi suoi , e dissecca la sorgente delle lagrime che temperano il dolore , e nel fluire seco strascinano una *i Gran deserto dell'Affrica. *3 Vento del desePlo. pai-te di esso: allora la brama è come un ferro acuto, rovehte clirf penetra nelle carni , che non trova mai fondo , che non si ferma fin- ché rimane un nervo da ardere , da lacerare. Cosi vive Olimpia , figlia di Messer Grande. Ella entrava nella vita , e la madre ne partiva ; il primo e 1' ultimo respiro di due esistenze , quasi 1' una si trava- sasse nell'altra. La morte della madre , ed il nascimento della figlia non furono a Messer Grande cagione ne di dolore, né di gioja -^ furono per lui un nojoso avvenimento. Olimpia ebbe ben tosto una matrigna ; e ruvida donna l'allattò. Le sue labbra d'angioletto formarono il primo sorriso, le sue piccole mani si prostesero per chiedere i baci , le carezze che sono l'altro latte di cui abbisogna il cuore quando comincia ad amare: ma nessuno accoglieva que' primi segni d'amore-, al suo invito veniva un volto deforme , ed una voce aspra rispondeva. I suoi pianti, i suoi dolori non furono mai alleniti da alcun soave suono. Non vide , non udì mai un labbro sorridente , sospeso sul suo, ripeterle il nome di madre , finché esso avesse appreso a comporlo : non ebbe mai in compenso quella pioggia di baci , di sorrisi , di carezze che versano i genitori ebbri di gioja all'udire quella prima parola. Ella attraversò i mali dell' infanzia , crebbe da ninno amata , peggio che tra fiere. Sulla bocca d'Olimpia poscia sonò il nome : padre , madre ; ma il suo cuore non sentì mai nel medesimo tratto quelle dolci commozioni y quell'unione di affetti che si esprimono con quelle parole : ella le proffe- riva tremando a due esseri tirannici, a due voleri inflessibili che fiveVa trovati sul limitare della esistenza, a due aspetti di cui non aveva quasi mai veduto il sorriso. Di rado vedeva il padre , più di rado ne udiva la voce: ella stessane temeva la vista, perchè dal suo sembiante usciva il medesimo terrore delle carceri di cui era custode. Birri , spie , car- cerieri , carnefici , istrumenti di dolore , di morte furono gli altri oggetti che si affacciavano a' suoi occhi , che l'accompagnavano ne' passi de' suoi giorni. Storie tronche , orribili , vere furono i racconti che udì dalla nutrice , da' servi. Tutto quel che circondava Olimpia era atto a farla incrudelire, ma nel suo cuore vi stava un'arcana maestra , che le parlava , v' erano altri oggetti , un altro mondo. Ella era in mezzo di quelle cose come una corrente d' acqua dolce nel mare: pura, pura faceva suo cammino. Il quarto lustro aveva già portato il suo ultimo giorno ad Olimpia , ed essa non aveva ancor potuto dire ad alcuna creatura , né udire quella parola sì piejia di vita, di gioja, di speranza; quella parola che è una melodia: io t'amo. Questa parola che abbiamo bisogno di versare dal nostro cuore ; ^ che quando non può sortirne lo consuma lentamente , che vuol es- 241 sere mille volte e mille ripetuta da un eco , che vuole riprodotta so- pra un altro viso quella ebbrezza , quel delirio che porta seco ; que- sta parola era chiusa nel suo petto : e se nelle sue ore solitarie per conforto la taceva suonare sul labbro , e la dirigeva ad un essere della sua fantasia ; il vuoto , il silenzio che ne succedevano, maggiore le rendevano la prima tristezza. Neppure un'anima aveva incontrato nella vita cui potesse dire : io solVro ; che intendesse quel mistico linguaggio , quel mistico sentire di quel senso di più , solo dato ad alcuni , che non ha ancor nome -, sorgente ignota di nuove dolcezze , di non creduti mali. Ma come essenza orientale fugge dall' ermetica fiala e lungi spande il suo soave olezzo ; così la potenza , la pie- nezza d' amore in Olimpia non poteva starsene senza espandere at- torno di sé la sua benefica influenza. Ne' piombi, ne' pozzi donde la pietà era bandita , ella si estendeva e si faceva 1' angelo tutelare di qua' luoghi. Soventi volte il misero prigione trovava dentro del suo nero pane nascosto più grato alimento -, ed in luogo della so- lita bevanda trovava più confortante liquore -, spesso vedeva miglio- rata la sua sorte , accoglieva la speranza della fine de'suoi mali , e credeva pietà quella de'suoi oppressori , ignorando qual pensiero era a lui volto , qual mano il soccorreva , qual voce supplicava per Ivii , (piai voce era scesa, per vie sol note a lei, nel cuore di quella cruda genia, e ne avea destato il compresso germe dell'umanità, che natura pose in tutti i cuori. Alla fine venne un di fatale , che una fanciulla non scorda piti , che contiene i semi del suo avvenire. Là dove il mortale promette a Dio di amar sempre , là , accanto a Dio primo amante della vergine , mentre il core solleva la pura prece , tra le abbassate palpebre spesso entra furtiva un' immagine , e giù discende in esso e anch' ella vuole il suo culto; Olimpia vide nel tempio un giovine ; lo rivide e la sembianza sua incise nel cuore , come la vergine affricana incide con ferro rovente sulla pelle d'eba- no le forme del suo Dio. Sperò ; i dolci sogni di vm avvenire felice calmarono J^i sua cura, le diedero nuova forza a sopportar la vita. Ma colui non 1' amava e non sapeva d' essere amato; fu sposo d' un' altra -, ella il seppe ed ogni speranza le spirò nell' anima e La notte era molto iunoltrata. Messer Grande stava seduto ad una tavola su cui posavano alcuni volumi. Aveva U testa chinata sopra un libro aperto che in una faccia conteneva alcune figure , e nell'altra le parole. I suoi occhi passavano dall'una all'altra parte delle due jjiecie del libro, e quindi, levando egli il capo, si fissavano su pai-. 242 chetli d'una guardaroba aperta , che erano pieni di molti istrumenti , e diversi nella forma. Que'libri erano parte manoscritti , parte stampati, e contenevano piante, proffili e facciate di carceri antiche e nuove, e delle varie loro parti ; contenevano descrizioni di supplizj , e di istrumenti usati e da usarsi, contenevano regolamenti di tutta quella genia che è al servizio delle carceri , incluso il carnefice. Non altro che uno di quelli era il libro che egli aveva dinanzi: quelle figure erano istrumenti per la tortura , e lo scritto che vi stava allato era la descrizione, e l'insegnamento del loro uso. La guarda- roba di contro era uno dei tanti depositi degli ordigni che avevano già tormentate centinaja di vittime. Messer Grande aveva ricevuto l'ordine di ritrovare una nuova maniera di tormenti: dentro quelle preziose pagine egli cercava d' ispirare la mente. Di tempo in tempo portava 1' inquieta mano sulla testa calva , e stringeva quelle poche ciocche di capelli, qua e là lasciate dal tempo, come poche foglie d'una quercia non ancora distaccale dalla brezza autunnale. In que- sta s'apre l'uscio della stanza, ed entra un omicciatolo. Alla vista di costui si leva in piedi Capitan Grande e gli si fa incontro , in- chinandosi più volte. Avete fatto ? si fece a dire con un soniso feroce il venuto. Signor mio, vi andava pensando. Ella sa quanto abbiamo avuto a fare in questi di , e che io debbo vedere tutto, assistere, e prov- vedere a tante cose. Solamente un grosso muro divideva la stanza di Olimpia dalla paterna. Nella spessezza di quello, e poco discosto dal suo letto v'era un vano, che si chiudeva con due imposte a guisa d'un armadio. Là dentro vi stava un inginocchiatojo, e sopra questo un'immagine divina. Olimpia teneva sempre aperte nella notte le imposte, perchè da quel luogo più agevolmente quanto di romoroso accadeva nella stanza paterna si faceva via al suo oiecchio. — Discende precipitosa la fanciulla dal letto, e corre in quel luogo, e si pone in ginocchio. Prega ella? ben altro. Tiene un orecchio vicin vicino al muro, e raccoglie parole si chiare , si distinte , come se un labbro colà le profferisse. Ma esse non le vengono continuate di tempo e di senso, e sempre dalla stessa voce. Di ciò era cagione un eco unicamente noto ad Olimpia * i , che ripeteva sole quelle parole che si dicevano *i In una sala del palazzo ducale di Mantova esiste un eco consiinilcja^que- sto. Lo parole, hencliè sommesse, dette in un iingolo della medesima sono udite in un allro senza che quelli die stanno vicino a questi due luoghi, ed in uiviio della sala , sentano nulla. 243 in un cerio punto della stanza attigua. Onde ella poteva solo ascoltare quella voce del padre o dell'Inquisitore, che in quel punto parlava. Oh quante volte ella stette in xiueU' angolo in ascolto, e udì cose orrende che le facevano trapelare un gehdo sudore per tutta la persona-, quante volte volse a quell' immagine celeste quelle semplici preghiere, che sono lui sospiro, un represso sordo lamento , un giugner di pal- me, un levar d'occhi lagrimosi ; e quante volte in quel luogo concepì i soccorsi , i conforti per que'miseri , ed il modo di farglieli pervenire ! ! ! Ma ora ella ode tali accenti che tutta sconvolgono la sua mente, che tento morsi afliggono nel suo cuore, che Venezia è tutta qua. Mira quello stupendo edifizio di marmo ; si chiama palazzo del Doge; ma il suo vero nome è: capo e cuore di Venezia. In quelle st;uize si radmiarono e si radunano i più saggi, ì più astuti e crudeli uomini del mondo. Sotto quel tetto di piombo vi son carceri ; sotto quell' onda che vedi al suo piede vi son car- ceri , a destra in quel più basso edificio vi son carceri ; a manca fra quelle colonne v'è il patibolo , dove non muore il condannato , ma avvinto per li piedi, col capo in giù con un cartello vi com- pare a salutare il mattino del veneziano ; e là al fondo v'è un tem- pio. Carceri, rei, carnefici, giudici, governanti, Doge e tempio son tutti qua riuniti con istretto nodo , da cui parte una sottile immensa rete di ferro , che cinge tutta la città , ed ogni più piccola parte ne allaccia indissolubilmente. — Si , sotto quelle dorate sale , sotto la laguna vi sono tali luoghi che faran raccapricciare l'età future: esse non crederanno opra umana questa , ma infernale ; non crederanno che pensiero in cui dimori la soave idea d'un Dio possa averli con- cepiti ; che labbro che sorrida , che occhi che piangano , abbiano potuto ordinarne e vederne la costruzione. In essi non scende mai raggio del cielo , non quel puro fluido che vola sui mari che ti susurra gratamente all' orecchio , e par che dica al pensiero : vola com' io ; ma vi stanno tenebre perpetue che ne occultano l'orrore ed un'aria fetida greve vi stagna. In quelle basse e strette caverne in quegli androni non s'ode mai riso , mai voce di gioia, d'amore di pietà ; ma solo pianto , fragore di catene , di ferree porte , grida di tormentati , di morenti. Due specie sole d' uomini laggiù dimorano e s' aggirano : 1' una vive nel dolore , che non ha tregua , e l'altra vi scende a distribuirlo. Nulla di quanto vi succede può sortirne : \' è sopra un coperchio di sepolcro. Errano di fuori nelle bocche fidenti racconti, congetture sommesse, ma vaghe, minori o maggiori 244 dei vero. Dentro il più profondo di quegli antri , sopra l'umida terra , con ischifosi insetti giace Alvise incatenato. Egli non sa quanto tempo già corse sopra di lui da quella notte che fu strascinato in quei luoghi , e diviso dal padre di Marina : al suo orecchio non giunge suono che gli divida il tempo , ed al suo occhio non venne più luce : per lui dura sempre quella notte. Solo udi sul suo capo un'immenso frastuono , un correr di gente , un rimbombo di porte aperte e chiuse , un lungo suonar di catene, e pianti, e lamenti, e strida; e quindi succedergli un silenzio breve , e ricominciar di nuovo la vicenda. Alcune di quelle disperate voci sono a lui note , e il fanno certo della sua morte. Egli l'attende di momento in momento , anzi la de- sia , la invoca per sottrarsi all' insoffribile agonia in che lo tengono i suoi pensieri. La sua mente è fatta un vortice di dolorose idee. Vede tutte le angosce di Marina, ed ode nel cuore 1' amara ram- pogna d' aver condotto nella sciagura quella donna adorata che a lui aveva donato la sua esistenza , che gli aveva detto : io non ho più vita ; mia sarà la tua gioia , mio sarà il tuo dolore : la vede da tutti derelitta , misera , con un nome infame ramingare di terra in terra insieme ad un innocente pargoletto , che forse daranno a luce Je sue viscere : e dallo spasimo egli si contorce , e lagrima e geme. Quindi si presentano tutti i vasti suoi disegni concepiti dall' amore di patria e di gloria ; e non più accompagnati dalla speranza , ina solo per tormento. Addio , pensa tra sé , desiati campi di gloria ; addio sublime istante, che la tromba comanda l'assalto; addio soave suono della vittoria ; addjo gioia del ritorno , delizia degli amplessi di Marina , e d'un figlio crescente che già v'emula nell'infantile pen- siero ; addio quel sagrifizio della vita ch'io sperava fare alla mia patria ; addio grida di giubilo , di lode de' miei cittadini ; addio glo- ria, io v'ho perduti per sempre !I! Io morrò senza potere veder più Marina, ed implorare da lei il perdono d'averla fatta tanto infelice; morrò ; e una pietra non coprirà il mio cadavere ; nessuno potrà additarne la sepoltura agli oggetti che mi amarono , ed ho amati ; e nessuno potrà dire agli uomini che io sono innocente, che io ado- rava la mia patria; e che a mutare le ingiuste e atroci leggi di Ve- nezia , non a sua distruzione , io aveva a Bechnar congiunte braccia veneziane ; io morrò infame , e ogni cittadino mi crederà traditore. Le tenebre si diradano nel carcere , vm fruscio di piedi s' avanza neir andi-one , una luce passa , e dipinge la doppia inferriata sulla volta di esso , e ne svela ad Alvise 1' orridezza e le parole scritte sulle pareti da coloro che prima di lui soflrirono. S'apre la porta , 245 entra Capitan Grande insieme a tre altri, e dopo un istante l'In- quisitore con un segretario, — Io non so nulla, rispose di nuovo Alvise. — Vi consiglio , riprese l' Inquisitore premendo con grande sforzo l'ira, a rispondere meno conciso. Noi sappiamo tutto. Oltre questi che nominai, e Renault, e Giacomo Pietro, e Jaffier hanno deposto d'avervi parlato più volte sul mare, dove sotto spezie di andare a nuotare lungi dal lido, tenevate le vostre considte. Hanno palesato che voi proponeste pel giorno più acconcio il dì dell'Assunzione -, che persuadeste loro l'instantanea uccisione della nobiltà veneta, che loro deste del denaro, e prometteste armi, e trecento armati. — Essi hanno mentito , soggiunse Alvise freddamente. — Io avrei potuto già estrarre da voi la verità per mezzo di quell' istrumento , ripigliò 1' Inquisitore additando un' armatura che slava in una cesta portata da' primi venuti ; ma quella stessa cle- menza che noi abbiamo usato cogli altri useremo con voi: non ci fate pentire. Quelli che v'ho individuati , colla sincera confessione del loro delitto e de' loro complici, hanno ottenuta la vita e la libertà: fate lo stesso , e nello spazio di poche ore voi vedrete la vostra sposa , e sarete libero. Siete reo : ciò è provato : se vi ostinate a negare, avrete tormenti e morte. Veder Marina , esser libero era pur dolce cosa per Ahise -, ma egli non credeva alle finte parole dell' Inquisitore , e se anco avesse creduto , non avrebbe mai 1' anima sua generosa comprato con una viltà que' due sommi beni. Onde rispose : — Io non ho nulla a dire : sono innocente : e per scampare ì tormenti non mentisco , come altri forse fecero. Laceratemi pure : la tortura mi strapperà meno parole clie non fecero le lusinghe. — Fate voi dunque, disse T Inquisitore a Messer Grande, colla furia d' una moUa che scatta. Due di que' carcerieri misero le mani ad?» dosso ad Alvise per ispogUarlo , e Messer Grande insieme ad un terzo apri 1' armatura. Era questa simile a quelle che si portavano in guerra , colla differenza che dentro vi erano molte punte di ferro, e fuori molte viti che volgendosi stringevano quella parte d' essa che si voleva. In guisa che il coi-po nudo chiuso là dentro poteva , se- condo il piacere del tormentatore , essere forato da centinaia di que- gli aculei di ferro. Nudato che fu Alvise , lo posero dentro e . . H. — Sarà continualo. *i5 246 Annijnzj di Bibliografia Nuovo Saggio suir origine delle idee di Antonio Rosmini- Serbati prete Eoveretano. — Voi. I. Puntata i.*, Milano dalla tipografia Pogliani * L. 2. 22 È questa la prima distribuzione dell' edizione compiuta di tutte le opere edite ed inedite dell' ab. Rosmini , le quali sono : I. Saggio suir origine delle idee , Voi. 3. II. Il RinnovameOto della filosofia in Italia proposto dal C. T. Mamiani della Rovere , ed esaminato dall' abate An- tonio Rosmini-Serbati. III. Introduzione alla filosofia , Voi. unico. IV. Principj della scienza morale. Prima e seconda parte. Voi. unico ( la seconda parte inedita ). V. Saggi di varie materie , Voi. 4- — Voi. i.° Saggi di Teo- dicea. — Voi. 1° Saggi d' educazione. ■ — Voi. 3." Con- futazione di alcune idee di Ugo Foscolo sulla speranza. — Breve esposizione della filosofia di Melchiorre Gìoja.- — . Sulla definizione della ricchezza , combattendo quella data dal Gioja nel prospetto delle scienze economiche. — Esame delle opinioni pure del Gioja in difesa della jmoda. - — Frammento di una storia dell' empietà. — ^ Voi. 4''' Saggi di letteratura. — Saggio sul bello delle arti. — Lettera sulla lingua italiana. — Galateo de' letterati. VI. Il diritto naturale , privato e pubblico ( inedita ). VII. L* Antropologia morale ( inedita ). Vili. Raccolta di prose ecclesiastiche. STAMPERIA GHIRINGHELLO E COMP. con permissione. 247 IjEGI8LAZI0?(E —— Pètition cantre le duel adressée à la Chambre des Dèputès par le Colonel Barou de Peri'on commandant de la Lègion d'Honneur. (Paris, iraprimerie de H. Foui'uier — i836). Dacché un'era di civiltà succedendo alla barbarie dei mezzi tempi, la ragione umana riassunto il proprio impero cominciò a giudicar gli atti della vita d'appresso la loro moralità: dacché convinta della nobile sua missione fra gli uomini sorse spesso a lottare contro la forza brutale e la prepotenza dei pregiudizi e degli esempj per tutelare il dritto inerme e la virtù oppressa, il duello fu più volte evocato dinanzi a lei , e meritamente segnato di giusto anatema. E la religione e la filosofia s'unirono per cancellare dalla società quell'avanzo di barbari tempi , quel simulacro degli antichi giitdizj di Dio. Ma s'opponevano allo sradicamento del feroce costume alcune invalse opinioni , cioè : Che la società vendicatrice dei gravi torti fatti agi' individui che la compongono, non può scendere ad equamente librare quelle minori offese, le quali più che nel danno positivo, e fa- cilmente apprezzabile , consistono nella malevola intenzione di offendere. Che quell'usanza accoppiando all'idea di un'ingiuria il pen- siero del pericoli che trae seco, sia valida a trattenere dallo svillaneggiare altrui ben molti , presso cui sariano impotenti più gravi considerazioni. Che quantunque per quella s'abbiano talvolta a lacrimare private sciagure , essa contribuisca tuttavia a mantener vivo nei cittadini quel valore di che la patria può abbisognare in certe circostanze. Per tali ragioni ed altre di minor momento quel costumo ripi'ovato dai saggi seguiva a funestare la società ; e quegl'istessi che la condannavano, per fuggire la taccia d' infingardaggine i6 248 apposta a colui clie offenclitore od offeso negasse di commettere alla propria spada la vendetta di un oltraggio recato o sofferto, eran tratti abbenchè ripugnanti ad un atto che nella loro co- scienza giudicavano stolto e criminoso. E la mala usanza dege- nerando come suole in pessimo abuso , fu vista talvolta V im- pudente spavalderìa del bravaccio sopraffare il dritto del modesto e pacifico cittadino, all'autorità della legge sostituita la ragione del feri'o, alla giustizia la forza o la cieca sorte. In Francia forse più che altrove, essendoché maggior esca alle passioni irose vi presentano le memorie di recenti agitazioni politiche, lo scandalo dei particolari combattimenti giunse a tale che ogni dabben uomo sentiva desiderio che il legislatore ponesse un freno a quei sanguinosi eccessi. Il barone di Perron, con- cittadino nostro e colonnello negli eserciti francesi, si fece in- terprete di questo voto dell'umanità, chiedendo una legge contro il duello in vma petizione da lui diretta alla Camera dei Deputati. E ben s'addiceva al prode soldato che su venti campi di bat- taglia, a fronte d'ogni sorta di rischi, diede la misura del proprio valore, l' insorgere contro quel pregiudizio che fa lecito il duello a favore del coraggio che sembra promovere e dimostrare nei campioni. Noi daremo con alcune citazioni un' idea ai nostri lettori di questa petizione, nella quale l'autore ragionando come filosofo, cittadino e militare refuta vittoriosamente i diversi argomenti posti innanzi dai parteggiatori di queste pugne. lutanto ne giova accogliere la speranza che il nobile voto del sig, Perron non rimarrà inesaudito, e che in Francia una legge promulgata da quel consesso investito del poter legislativo in virtù della pubblica confidenza, e praticamente applicata dalla nazione per mezzo de'suoi giurati, varrà a correggere l'universale opinione, e ren- derla consentanea alla ragione sopra una quistione di tanto momento. Ecco intanto come il nostro autore espone brevemente l'istoria di questa costumanza , e dall'origine sua seguendola fino a noi combatte l'opinione di quelli che a sostegno del duello asseri- scono esfier egli talmente immedesmato nei costumi della nazione francese, che follia sarebbe il pur pensare a canceilaruelo. 249 « Nessuno in Francia contesterà, io credo, che il duello sia un'usanza assurda, illegale, che nojii serve a provar nulla, né anco il vero coraggio. Ma per isventura egli è errore general- mente invalso che da più secoli ei faccia parte dei nazionali costumi , e che vi ahhia gettato profonde radici. E perchè le leggi dell'antica monarchia furono impotenti a recarvi rimedio, si conchiude che egual sorte correrebbero quelle che in oggi venissero a tal oggetto promulgate. Falsa conclusione di un fatto erroneo: imperocché le leggi furono impotenti a togliere il duello non perchè egli fosse invetcì'ato nei costumi nazionali, ma perchè egli era negli usi della nobiltà, la quale sola commetteva il delitto che si voleva reprimere. » « In fatti qual meraviglia che non venisse mozzo il capo al gentiluomo che avea pugnato in duello (come diceva il Ietterai senso della legge) ad un tempo in cui l'interesse di ceto e di casato assicurava non solo alla nobiltà, ma persino a'suoi famigli r impunità dei più ingiuriosi attentati e patenti delitti? » « Ed era forza d'appresso l'andamento delle cose che il duello fosse in uso fra la nobiltà. Nei tempi remoti i nobili signori e despoti nei proprii fendi, reluttanti contra ogni giurisdizione esterna , non aveano altro mezzo di terminar le loro contese «he il guerreggiarsi da castello a castello ; e quando i Re gra- datamente introdussero l'ordine nello Stato, la nobiltà perdette la propria possanza, ma non la memoria dell'antica indipendenza. Il perchè essa costantemente sforzavasi di sottrarsi alla legge comune 5 e recando ad onore il farsi ella stessa giustizia per quanto più possibile fosse , sostituì la tenzone pi'ivata alle piccole guerre. « « Va confessato che in quell'epoca l'introduzione del duello fu un benefizio per l'umanità. Egli ebbe in sé un carattei'e morale, nel sottentrare a quelle imprese di devastazione più funeste ai miseri servi che ne riuscivan vittime , che ai signori che le dirjgevauo. « « Malgrado gli anatemi che la Chiesa non ha mai cessato di scagliare contro tal sorta di certame , il duello traeva ancoi'a origine da un falso principio di religione ; un fanatico acceca- mento faceva credere che in simili pugne il buon dritto fosse 250 sempre vincllore 5 ed ammessa una tal credenza anticristiana , egli è facile concepire come in quei secoli d'ignoranza i co- slumi e la religione mal intesi facessero una legge del sotto- mettervisi, giacché il rifiutarlo equivaleva al dichiararsi empio, dubitando del giudizio di Dio, o colpevole, con paventarlo. » « A poco a poco ciò che il duello presentava d'utile o reli- gioso dileguò in faccia ai progressi che fecero le leggi e la ra- rione : ma l'uso del duello si conservò fra i nobili, che ave- vano d'altronde piuttosto i costumi del proprio ceto che della nazione. » «Il duello avea altre volte sì poca parte nei costumi della generalità dei francesi, che se un plebeo avesse avuto l'audacia di provocare un nobile, questi ben lungi dal rispondere all'in- vito, avrialo a piacimento fatto caricar di battiture, senza che la cosa avesse ulteriori conseguenze ; e se poi un galantuomo di plebe avesse sfidato un pari suo , i motteggi del pubblico , e la severità dei magistrati avrebber punita una tale insolenza; e questi malaugurati provocatori sarian parsi dementi ed insen- sali tanto quanto il parrebbe oggidì chi avesse l'audace pazzia di dichiarar guerra al Re ; ovvero al castello od alla comune vicina, » « Ed egli è ancor troppo il dire , che nei tempi antichi il duello fosse nei costumi di tutta la nobiltà: quella di toga asle- nevasi da questo singoiar modo di farsi giusliaia, e i membri del parlamento non diedero mai alla Francia l'esempio scan- daloso di scannarsi fra loro. » « Il duello era, nei costumi della nobiltà dedita all'armi, come lo erano il disprezzo delle leggi , la dissolutezza sotto il nome di galanteria, e l'uso di non pagar i debiti se non procedenti dal giuoco, con altri mille abusi di cui in oggi si arrossireb- be, e si rideva allora. )>" «( Dopo la rivoluzione, il terzo stato si fuse cogli avanzi della nobiltà , la di cui preponderanza fu vinta da nuove classi supe- riori sorte dall' esercito , dal foro, dalle arti e dal commercio. L'imitazione degli usi dell'antica nobiltà ricondusse il duello fra queste alte classi , ed ci non ricomparve nei costumi che da ciuquant'anni al più, ecc. ecc. » 251 Dopo questa compendiosa narrazione, ni u n dubLio resta , che il duello non sia un partìcolar uso d'una classe speciale che forma la minima parte della nazione; onde con nobile energia l'autore esclama: « In nome dei costumi della maggioranza ; in nome dei co- stumi di venticinque milioni di Francesi , Io domando una legge contro il duello. » « Che se il duello , ci soggiunge , questo mal vezzo nocevole , pericoloso, pur fosse nei costumi della nazione, appunto do- vrebbe a tal proposito il legislatore far i maggiori sforzi per mutarli. » « Gli odj di famiglia , gli assassinamenti per vendetta sono , a quanto si dice , nei costumi di certi isolani , senza seguirne che in que' paesi la legge abbia a tacersi sopraf tali reati. » L' autore passa quindi a considerare il duello nella sua mo- ralità e nelle sue conseguenze : egli dimostra quanto sia mon- struoso che la legge punitrice dell'omicidio involontario, e dei minori attentati, lasci impunito un atto sì sanguinario; egli ad- duce i castighi applicati dalla legge alla semplice rissa, dove r intenzione è meno colpevole , e la premeditazione non ha luogo , e con quella formola concitata e vigorosa egli esclama successivamente : « In nome dell' umanità e della vera giustizia; Del rispetto dovuto alla legge ; Dell' eguaglianza dinanzi ad essa ; Della ragione , Io domando mia legge contro il duello, w Esaminandolo quindi sotto 1' aspetto religioso , così egli si esprime : « Per obbedire all'usanza del duello l'uomo pio è tratto a sacriGcare non solamente la vita , ma la propria coscienza. » « Il duello non riconosce altro Dio che la vendetta : sopra i suoi altari solo fuma il sangue dei cittadini: il mostro non gra- disce che umani olocausti , ed è perciò incompatibile con ogni sorta di religione , di culto e di morale. La coscienza del Quac- chero come quella del Cattolico; quella del Luterano al paro che del Calvinista egualmente lo respingono .... 252 « In nome adunque di tutte le religioni che son professate in Francia, Io domando una legge contro il duello. )) Finalmente ei si fa a considerarlo come supposta prova di valore. « 11 rispetto dovuto al vero coraggio, e l'apparenza di quello clie il duello inchiude, solo potrebbero indurvi, o signori, ad alcun ritegno nell' abbattere un tal pregiudizio; ma la brutal baldanza di esporre inutilmente la vita non è un pregio e meno ancora una virtù: la natura prodiga un tal dono all'uomo del paro che alla bestia feroce. Il delitto pure ha il suo ardire , come la virtù 5.Ì Fieschi, ed i Bailly lo possedono egualmente: presso un popolo incivilito solo s'onora ed apprezza il valore, ma in quanto Si^ì ha uno scopo utile alla patria : il coraggio della passione , quello dell'irritabilità che non serve che a ven- dicar le personali offese j quello che non tende che a decimare j cittadini , non è certamente di tal sorta da essere inanimito dalla legislazione , la quale per l'incontro deve a tutta possa notarlo d'infamia. » Quindi facendosi a scandagliar la natura di questo coraggio egli non dubita di chiamarlo spregevole, perchè sovente ei si accoppia coi vizi più schifosi, colla viltà morale, ed anche colla dappoccaggine in guerra. «L'esperienza dimostra, ei dice , che sovente i duellisti più focosi sono i peggiori soldati dell'eser- cito. In fatti i più caldi duellatori sono quelli che pensano di aver una notevole superiorità di esperienza, di forza e di de- strezza, ciò che toglie l'eguaglianza della pugna; ed ogniqual- volta quest' eguaglianza non esiste, havvi viltà per una parte. » «Esamini, di grazia, ciascun di voi , o signori , le circostanze dei duelli che la memoria gli ritrae ; e vi apparirà forse la ve- rità di quanto io affermo: voi riconoscerete che essi erano per la maggior parte macchiati di slealtà, poiché se l'eguaglianza d' arme e di distanza esisteva , assai certamente mancava all' eguaglianza delle probabilità di successo. » « La cosa è evidente : s' egli è x-aro il trovar due giuocatori della forza stessa, come credere che altrimente ne avvenga alla spada 0 alla pistola? E fa meraviglia in vero come l' accieca- 255 mento dei costumi assenta, che quegli cTie trasse la gioventù tra le sale d'armi o nelle case di tiro, vada a battersi in duello contro colui che non mai ha pur toccato un' arma. » a Davanti al mondo si arrossirebbe di rovinare un giuoca- tore inesperto, e non s'avrebbe ad arrossire di toglier la vita a chi non sa difenderla? Forse le alti classi della società non sanno che il vero valore, il valore onorevole svei'gogna i com- battimenti ineguali ?» « Di più osservate, o signoi'i, che affinchè vi abbia egua- glianza nel duello 'principalmente di pistola, non basta che siavi nei campioni eguale ardire, pari maestria nel maneggio dell'arma, pari destrezza, il che , ripeto, è raro, e quasi mai non accade 5 ma vuoisi inóltre che in ambe le parti siavi r istesso accanimento, l'istessa ferocia, l'istessa abitudine dell' omicidio, » « Imperocché nel duello 1' ardire di espor gagliardamente la propria vita non basta ; ma si richiede il ripugnante coraggio di freddamente aggiustai'e un avversario immoto : onde segue che colui che ha già ammazzalo in duello , ha notevole supe- riorità sopra quello che si batte per la prima volta. » « I Greci ed i Romani quantunque prodi non conobbero mai il duello ; ed i gladiatori che giornalmente davano a Roma lo spettacolo di una brutale bravura, cui potrebbesi assimilare quella del duello , eran reputati vili e spregevoli malgrado tutto il coraggio di che facean pompa nel circo. » « Egli si è in nome del valore nobile ed utile , del valore leale e generoso, di quello che guida all'immortalità, che Io domando una legge contro il duello. « L' autore chiude la sua petizione dimostrando come le pas- sioni politiche che aggiunsero nuovi elementi d'irritabilità, ren- dano più necessario un freno che arresti il mal costume 5 cita funesti esempli 5 ed invocando il progresso della civiltà cui s' oppone quella barbara usanza, invocando il vero onore, così conchiude : « Dopo aver osato di soffocare 1' anarchia dei trivii , è giu- stizia, o signori, che voi vi facciate a reprimere l'anarchia desìi eletti ritrovi. » 254 Sejjuono le basi che l' autore propone alla legge invocata , delle quali chi bramasse aver conoscenza può ricorrere alla let- tura della petizione. Noi ci avvediamo che per dare ai nostri lettoli una adeguata idea della petizione ci siamo estesi forse più del dovere, cu- mulando le citazioni; mane attraeva l'importanza del soggetto, ed un certo orgoglio di patria lusingato dal pensiero essere concittadino nostro quegli che invocava in Francia un tanto sa- lutar rimedio ad un grave male della società. Speriamo che al- lorquando questa legge verrà ribattuta alla faccia del mondo, molte voci eloquenti faranno eco a quella del sig. Perron , e so- sterranno la sua petizione. Intanto la manifestazione di tali sen- tenze sul duello fatta da tale, cui^ nessuno accuserà di farsi scudo dei vili, ne dimostra che il pregiudizio non è univer- sale ; e quando la luce irradia i monti , si può sperare a ra- gione che fra poco ancora sia per rischiarare le valli. Perchè se l'opinion pubblica non mutasse a tale proposito , se la pa- rola codardo dovesse rombar assidua all'orecchio di chi ripu- gna a quei fatali combattimenti 5 noi paventiamo forte , che quelli ancora che per miglior senno e retta coscienza li con- dannano , dimenticando malgrado loro se stessi , potrebbero ve- nir tratti a sostituire talvolta alle ragioni del filosofo i peren- tori argomenti della spada. M. M. 255. Scienze Storiche — Della letteratura negli xi, primi secoli dell' era cristiana Lettere di Cesare Balbo al sig. Abate Amedeo Peyron. (Torino, presso G. Pomba. i836). Alfieri nella sua vita e Parini ne' suoi poemi rappresenta- rono que' tempi, ne' quali pei nobili cittadini l'affetto maggiore, anzi r unico studio era quello dell' armi , e nel resto le cure cortigianescbe, e lo stare beati di diletti, di ozj e di vivande, ne riempiva la vita. Allora le scienze filosofiche e le discipline morali erano per essi una merce qpasi straniera. Quindi guer- rieri , cortigiani , alcuni statisti , qualche magistrato , qualche amatore di belle arti compiono pressoché il dizionario delle ce- lebrità di quel ceto. Ma quei tempi e quei costumi sono im- mensamente cangiati. Vedesi a dì nostri la maggior parte dei patrizi versata in ogni maniera d' intellettuale dottrina , e di ministeri pubblici, E fu un gran bene: poiché nei novelli studj essi portano quella squisitezza di gusto che ben di rado si scompagna da un costume lungamente educato e gentile, quel sentimento delicato e superiore che altre volte si credeva una prerogativa del sangue e follemente si mostrava ne' modi e nelle pretese , ed ora meglio si colloca nel vero merito. Una di queste più splendide prove ( poiché non si possono più chia- mare eccezioni) la troviamo nel conte Cesare Balbo, nome caro alla patria ed alle lettere italiane. Già da molte sue opere ap- parve la sua mente ricercatrice del vero , e 1' anima sua vogliosa del bene , ed ora ne porgono nuova testimonianza le quattro lettere che annunziamo. Questo suo novello lavoro adunque, sebbene di picciola mole, si distingue però per la vasta erudizione di che va fornito, per la precisione delle epoche storiche che prende ad esame, e per le molte verità che contiene , alcune però delle quali non sono ancora presso noi universalmente cousentite, e per esserlo con- 256 verrebbe prima che si dimostrassero conciliabili coi futuri pro- gressi della civiltà e della letteratura , utili anzi per li medesimi. In questa dotta scrittura l'illustre Piemontese, conversando col chiarissimo collega a cui la dirige, l'Ab. Amedeo Peyron, intende eziandio a persuadere il Pubblico che la letteratura come la civiltà antica non decaddero solamente per le cagioni che comunemente si pensano, ma perirono affatto per 1' intima in- sufficienza della loro propria natura , e per l'assenza dalla me- desima dell'elemento religioso, il quale poi entrando nella let- teratura e nella civiltà cristiana assicura a queste una vita ed un incremento perpetuo. Sentesi da ognuno I' ampiezza e nello stesso tempo la deli- catezza di questa proposizione , la quale può condui-ne a lon- tani risultati diversi forse da quelli stessi voluti dalT autore ; e se egli non avesse secondato 1' irresistibile impulso della pro- pria coscienza , che gli fa dettare come una verità sicurissima ogni suo nobile pensamento , si potrebbe temere che alcuno lo accusasse d' ingratitudine nell' essersi in queste sue meditazioni cotanto giovato dello studio di Sismondi e di Guizot , e di averne poscia ripudiate le conseguenze. Del rimanente nel sostenere il suo sistema pare che 1' autore abbia a-lquanto tra loro confuse le forme dell' antica letteratura colla loro essenza, mentre se lepi'ime, e per così dire il mec- canismo di quelle peri nel mutarsi de' tempi, de' popoli, della religione e de' costumi, non così però avvenne della sua essenza; giacché l'ufficio della letteratura non essendo in sostanza altro che quello di esprimere i portenti della creazione, e questa essendo sempre stata la stessa, il suo linguaggio non poteva perciò intrin- secamente cangiare , né partorire effetti assolutamente diversi. Infatti dovunque e sempre la natura umana é la stessa e sempre sebbene in proporzione e con modi infinitamente svariati dà li medesimi risultamenti. Così vediamo sempre sentito il culto della divinità , 1' amore , il valore. I sentimenti, le virtù e le passioni sono sempre le stesse ; V uomo in somma interna- mente sempre lo stesso, come sempre lo stesso il creato che lo circondale questi sono i due fonti indeclinabili, immutabili d'ogiii letteratura. 257 Il medesimo succede nella lìlosofia, la coscienza dell'uomo, Y io, ne fanno sempre il fondamento: ed i diversi sistemi che prevalgono presso qualche nazione, ed in alcune epoche non sono che sviluppi parziali di un solo elemento filosofico, che esauriti l'uno dopo l'altro sino alle ultime loro conseguenze, vanno poi, purificati da ogni aherrazione, a riunirsi in un centro comune, che costituisce in ultimo la vera, la somma filosofia: Fuvvi persino chi pensò intervenire lo stesso nella religione, e Lamennais fra gli altri crede, che non vi sia mai stata che una sola religione sopra la terra, rivelata bensì tre volte prima ai Patriarchi, poi a Mosè, indi per opera di Cristo. In questa successione essa non avrebbe mai cangiato di essenza, e non avrebbe mai fatto altro che svilupparsi ed apparire con un nuovo elemento di luce e di autorità. Le stesse false credenze non sarebbero che traviate e corrotte emanazioni di queste tre ri- velazioni ; ma la l'eligione in se stessa tanto antica che nuova si vedrebbe sempre conservare la sua unità in mezzo agli svol- gimenti e successivi progressi pei quali trascorre. Quindi non saia troppo facil cosa il persuadere che al sor- gere della letteratura cristiana, sia per sempre perita la lette- ratura antica, e che questa contenesse in se stessa, e per la mancanza degli elementi comunicatigli poscia dalla cristiana , tutti i gei'mi della propria caducità e distruzione. Troviamo solamente che la letteratura antica avendo esaurito il mondo reale esterno , non poteva più per questa via progre- dire 5 laddove la cristiana venendo a spiegare la sua attività sopra il mondo intellettuale, operò \' unione dei due elementi che dapprima stavano disgiunti , ed [il secondo anzi ignoto o poco meditato 5 e si arricchì di tutte le immense condizioni d' ingrandimento e di progresso che procedono da quella fortu- nata confluenza. Si può quindi soltanto conchiudere che la letteratura antica esausta ne' suoi sforzi a rappresentare la creazione fìsica , im- perfetta ed impotente a rappresentare i fenomeni della natura interna dell' uomo senza il soccorso che poscia ricevette dalla religione cristiana , non del tutto perì , ma subì soltanto una trasformazione , una transizione colla letteratura moderna, che 258 di flecrepila com' era divenuta, risorse ringlovenita e bella di tutti i nuovi tesori che la novella religione aveva nel suo seno versati. Epperò non morte , ma letargo , ma sonno fu piuttosto il suo; ed in essa, per l'influenza cristiana, si maturò, se così è permesso spiegarsi, il destino dello crisalide. Però poco esattamente immaginerebbe colui che fra lo sci- bile antico e lo scibile moderno collocasse un abisso , mentre egli è un fatto costante nella storia , che sempre quando le lettere risorsero dopo una sonnolenza più o meno lunga e pro- fonda , sempre ciò si operò per mezzo dei capo-lavori della let- teratura greca e latina. La qual cosa ebbe luogo persino nelle epoche della più fitta ignoranza e di maggior corruzione della lingua , perchè sempre 1' antica letteratura si conobbe necessa- ria e fu stimata come un oggetto degno di studio, d'imitazione , d' ammirazione, come il tipo del bello, sebbene avesse in al- lora dovuto ripiegarsi sopra se stessa , ed invece che prima aveva servito di solo stromento alle creazioni dello spirito umano , di- ventarne essa stessa lo scopo, e da creatrice divenire imitatrice, risolversi in critica. Accadde insomma nella letteratura ciò che nella giurispru- denza, e se, come ha provato il Savigny, la sapiente legisla- zione romana non perde mai totalmente la sua influenza sulla civiltà, neppur dopo la caduta dell'Impero, così la letteratura antica non si spense neppur essa affatto, ma sempre nelle suc- cessive epoche ne lasciò ancor travedere le tracce. Ed egli è forse per ciò che tutti gli scrittori i quali notarono questo fatto sono forzati , come lo stesso conte Balbo , ad usare semplicemente la voce decadenza; parola che significa diminuzione bensì, ma non cessazione. Sembra quindi che non si ponderino abbastanza queste sto- riche risultanze, allorché si attribuisce la causa di questa de- cadenza non già al nascente cristianesimo , né all' invasione de' Barbari, né alla forma dell'imperio, né alla coudizione che generalmente si suppone alle cose mortali , che giunte al colmo abbiano a decadere ; ma bensì all' intima natura della stessa letteratura antica, cioè in quella imperfezione radicalo e disac- cordo che regnava in essa della religione e della filosofia. 259 Sotto questo aspetto certamente gli uomini, i filosofi, So- crate stesso erano e rimasero impotenti a congiungere queste due motrici d' ogni affetto umano, a compiere quella mancanza, a sanare quella imperfezione. Ma se né le nuove e per certo estraordinarie circostanze de' tempi , né gli uomini bastavano a tanto bisogno , e' conviene di necessità conchiudere che solo poteva farlo la Provvidenza, ed allora come credere a quella protesta che il conte Balbo ne fa, che a lui non piace di far intervenire la Provvidenza per pro- vare un fatto ? Adottata questa maniera di vedere e di ragionare , mentre forse niuno se lo aspetta , ti vedi fino dalla prima lettera del nostro autore involto nella antica questione , se il cristianesimo sia di origine divina o filosofica ed umana , e ti trovi cosi sca- gliato nelle controversie del gnosticismo e del neo-platonismo. Ma poiché si tentavano siffatti argomenti , sembra che anche qui non sarebbe stata disadatta la distinzione tra il cristiane- simo considerato come religione , ed il cristianesimo conside- rato soltanto come società umana. Diffatti se sotto il primo ri- spetto ci onoriamo dì professare con Cesare Balbo , che il cri- stianesimo è di origine divina, non crediamo dall'altro scostarci dalla verità , dicendo che V opera umana concorse pur anco a costituirlo in società, e a munirlo di disciplina; mentre umana- mente e storicamente parlando , come spesso si risolve di fare il nostro autore , non dubitiamo di affermare che se il cristia- nesimo fosse soltanto rimasta una credenza interna religiosa, e non una società , una chiesa già regolarmente costituita , qua- lunque esorbitante potenza esterna , qual per 1' Occidente si fu quella de' Barbari , non avrebbe tardato ad opprimerla , come r invasione dei Musulmani l' oppresse di poi nell' Asia ed in tutta r Affrica settentrionale. Ci è grave il dirlo che da questa non abbastanza precisa dedu- zione d' idee nascono talora nel libro che esaminiamo alcune apparenti contraddizioni. Come infatti non s'accorge l'autore che volendo attribuire alU necessità della loro propria natura la decadenza della religione, della filosofia e della letteratura antica , taluno potrebbe forse 260 anclie inferirne che la slessa necessità, e la pienezza de' tempi partorirono il Cristianesimo ? Come non prevede che non am- mettendosi desso per causa principale , si potrebbe forse soltanto riconoscere per un effetto di quella universal decadenza? Come non teme che quivi venga applicata quella sua stessa sentenza che per lo più. non sorge nulla di nuovo se non dalla corru- zione dell'antico ? Ma proseguiamo. Dopo avere rigettate come ragioni principali della decadenza della letteratura antica le suddette tre cause , la forma dell'Imperio, 1' invasione de' Barbari , ed il Cristia- nesimo , il nostro autore è costretto ad accettarle di nuovo ad una ad una , e adottarle come cause secondo lui accessorie ed occasionali. E ben conveniva che ciò facesse perchè senza di questi avvenimenti non si sarebbe forse mai scoperta 1' insita insufficienza della letteratura antica , e forse per molti secoli sarebbe essa ancora vissuta. Non sembra quindi cosa né esatta , né prudente per le sue conseguenze il considerare soltanto quella nuda naturai imperfezione indipendentemente dagli eventi , come causa prima quasi fatale della decadenza. Ed invero si poteva riconoscere con Guizot che come l'unità esclusiva di un principio, il carattere di unità nelle istituzioni, nelle idee, e ne'costumi, la preponderanza della forza materiale furono le cagioni che mantennero immobile e stazionaria la civiltà antica , cosi parimente nella letteratura questo istesso carattere di unità, di semplicità, e di monotonia, quella predo- minante rappresentazione delle cose fisiche, e delle materiali sensazioni furono le cagioni della sua decadenza. Si vede cote- sta istessa fisonomia in tutte le opere di religione e di morale, in tutte le tradizioni storiche, nella poesia, si che tutto sembra il risultato di un medesimo fatto, di una sola idea. La Grecia istessa in mezzo a tutte le ricchezze dello spirito umano ebbe la letteratura e le arti predominate da un'assidua unità, da una fissa identità. Bastava pertanto avvertire questi fatti per riconoscere che anche nelle cause umane, storiche, razionali si può trovar quella della decadenza della letteratura antica. Ma qui non si potrà a meno che domandare all'autore perchè 261 invece di notare soltanto le cause di dissoluzione che i fatti sto- rici da esso riferiti recarono nella letteratura antica , non abbia pur anche notato i più fecondi elementi di vita e di perpetuità che in essa infusero quei tre fatti istessi, e per cui una no- vella civiltà e letteratura si ricompose, immune l' una' e l'altra dalla condizione periodica di cui erano a suo giudizio colpite le antiche. Sarebbe veramente stata cosa utile e degna del suo ingegno il dirci le principali influenze che 1' Impero, i Barbari , ed il Cristianesimo ebbero sulla società moderna. Avremmo per ciò volentieri da lui imparato che l'Impero le ha legato primieramente l'elemento municipale, poi il rispetto al potere politico mantenuto per la maestà dell'antico nome. Avremmo appreso che là dove nella civiltà antica si cono- sceva soltanto la libertà politica, e quella del cittadino, ai Barbari andiamo debitori della libertà dell' individuo, e della formazione della famiglia, e che per essi si conobbe l'attaccamento dell'uomo all'uomo, il nobile e morale sentimento della personalità della spontaneità umana, come pure quello della fedeltà dell'individuo verso l'individuo senza che alcuna legge esterna la comandasse, e che infine dall'influenza nordica nacque l'idea. di onore che nobilitava e non digradava quello stesso sentimento di fedeltà. Avremmo infine udito con piacere a ripetere che il Cristia- nesimo v'istillò il sentimento religioso, il principio della supe- riorità ed immortalità del pensiero e dell'anima , e nello stesso tempo l'obbligo di assoggettarlo alle leggi della divinità, alle annegazioni de' proprii appetiti che rendevano 1' uno e 1' altra più forti e più sublimi. Si sarebbe ancora potuto soggiungere senza peccare di fanatismo che la religione cristiana influì pur anche non poco coli' ispirare il rispetto alle eguaglianze ed alle superiorità legittime , talché facendosi una istituzione popolare ed accessibile a tutti i talenti ed a tutte le più nobili ambizioni della natura umana aprì più di alcun'altra una carriera vastis- sima allo spirito di esame, alle discussioni d'ogni sorta. L'eser- cìzio difatti della ragione e della libertà individuale sono i fatti che più risplendono nel primo stabilirsi del Cristianesimo; e per sussistere accanto ai Barbari e mansuefarli e convertirli, 262 -.j Vette appunto insegnare come insegnò che la forza non aveva alcun potere sopra il sistema delle credenze , delle speranze , e delle promesse religiose, e che il mondo spirituale ed il mondo temporale erano perfettamente distinti. Ecco quali immensi benefizi , quali salutari elementi questi tre fatti che il conte Balbo considera soltanto come cause se- condarie della decadenza , impressero ed aggiunsero alla civiltà e letteratura antica, e la fecero salire a quel grado di prosperità e di vita che, dopo superati alcuni secoli d'inerzia e di oscurità, non cessarono mai più di avere. Cosi quanto alla letteratura è avvenuto, che se essa scadde dal lato della bellezza delle forme , acquistò poi per riguardo a quello della sostanza e della copia ed energia de' sentimenti e delle idee . che sorsero quindi più forti , più feconde , più varie. Ed è questa la solita condizione della natura di esser più difficile il conservare una forma semplice e pura, dove i ma- teriali sono più abbondanti e diversi. Ed egli è da questa ab- bondanza e da tanta diversità, che provenne dapprima il lan- guore, e poscia la trasformazione, la rinnovazione più ricca e sublime della civiltà e letteratura antica nella moderna. Preso il partito di considerare finita la letteratura antica , perchè la condizione sua fosse periodica e caduca , l'autore ravvisa nella letteratura cristiana una natura affatto diversa, un carattere progressivo, e intende provarlo colla storia degli vin primi secoli di essa. Egli perciò instituisce il paragone tra la letteratura cristiana , e quelle altre che furono ad essa contemporanee, e che distingue coi nomi d'Indiana-Ghinese , di Araba, e di Nordica-Germanica. Il conte Balbo ripete che queste letterature pur anco rimasero inerti e si spensero per la solita causa dell' insufficienza della ragione umana a svolgersi per se stessa in una serie infinita di progresso , nella maggio?' lontananza dalla culla delPumanità e dal Santuario delle primitive rivelazioni. Ma se si può concedere che 1' immobilità e la caducità di queste letterature proviene dalla insufficienza della ragione umana, non che dalle meno favorevoli circostanze locali, come l'autore stesso è poi costretto di ammettere, sebbene poi sia pur anche 263 certo che una delle maggiori cause di simile decadimento con- sista nelle condizioni della società con cui quelle letterature nacquero accompagnate 5 pure non si potrà mai egualmente convenire che la letteratura indiana ed araba assai più antiche della cristiana fossero più lontane dalla culla dell' umanità e dal Santuario , mentre anzi vi sono più vicine , e nelle forme mitiche, che veneravansi in quelle, stavansi immedesimati e come per intuizione si comprendevano i principali fondamenti non della letteratura soltanto, ma si pure della filosofia e della religione. Basterebbe d' altronde ad accusare 1' inesattezza di quell'asserzione, l'innegabile fatto che gli scritti biblici parte- cipano di quelle due letterature , e non occorre poi dimostrare quanta parte dei primi sia passata nella letteratura cristiana, poiché lo stesso autore afferma che questa desunse le più sentite verità morali dalla religione ebraica di cui il Cristianesimo si professa continuatore ed adempitore. Quivi smarrita un' altra volta la sola quistione letteraria , l'autore tocca quella di più alto rilievo , se dopo la generale diffusione del Cristianesimo vi resti ancora un'altra epoca, un altro periodo, quello cioè dello stato filosofico dell'umanità; e per conseguenza il Cristianesimo non sia anch'esso un semplice periodo. Ma su d'un tale proposito si può osservare che attri- buendosi alla letteratura cristiana una natura indefinitamente progressiva , sì viene implicitamente a confessare un effetto della sua perfettibilità ; e mal si escludono poi tutte quelle conse- guenze che possono scaturire dal riflettere che se il Cristiane- simo fosse l'apogeo di tutta la filosofia , di tutta la civiltà , di tuttala letteratura, dell'umanità insomma, sino da quando venne dal suo divino autore instituito avrebbe condotto ad uno stato d'immutabile perfezione le sorti umane, e così i primi secoli della Chiesa avrebbero pur anche dovuto essere i più bei tempi della civiltà e della letteratura. Ma tali certamente non sono le conseguenze né di Cesare Balbo, né di JoufiVoi, nòdi altri insigni filosofi, poiché il credere che il Cristianesimo col mezzo di studii incessanti , e de' consigli dell' esperienza può trovare uua più diffusa e compiuta spiegazione de' suoi principii , una più estesa applicazione di esbi a tulli i falli della coscienza , IT 264 della ragione , e della società , non è certamente professare la condannata sentenza che il Cristianesimo possa ancora avere un altro periodo filosofico, non è ammettere la possibilità di una nuova religione. Tanto poi il conte Balbo è lontano da ciò che nella terza sua lettera s' innalza con facondia apologetica a persuadere che nel Cristianesimo non vi sono sintomi di decadenza , ma bensì di conservazione , di progresso, di perpetuità. Vede quindi nella letteratura cristiana dal primo al iv secolo accrescimento, dal iv al v ne vede il colmo. Quivi pare che il conte Balbo trascuri di nuovo pienamente l'eredità che la lette- ratura antica lasciò alla novella lo spirito classico, il tipo del bello 5 non rammentando cbe ancora nel v secolo sussistevano biblioteche , scuole pubbliche , teatri , e che ancora conosciuta e coltivata era la letteratura profana e da Vescovi persino, come ne fanno testimonianza il poeta Ausonio, Venanzio Ferreolo, Eutropio, Cresenzio di Narbona , e Sidonio Appolinare. Egli dimentica egualmente che contemporanei ai Santi Padri greci e latini vissero singolarmente due scrittori pagani Libonio e Temisto, celebre il primo per i suoi due discepoli Gregorio e Basilio che furono ammirati dagli stessi gentili , e famoso il secondo per avex'e , benché gentile , difeso presso 1' imperatore Valente i cristiani perseguitati. Colpa di queste dimenticanze passa pur anche inosservato il riflesso che se la letteratura antica risplende soprattutto per l'eleganza delle forme, l'arte della composizione e dello stile, anche allorquando ne è povero il midollo, e le idee false, confuse, tronche , e mentre i suoi scrittori sentono vivamente e primeg- giano a riprodurre il bello ; quelli della succedente letteratura sono per contro più intenti ad investigare il vero; ed il merito scientifico sempre traluce nelle loro opere sebbene lor manchi quello dell'arte. Fu questa la cagione per cui mentre molte opere del medio evo restarono obbliate , la letteratura invece greca e romana loro sopravvisse , e sopravvivi'à sempre alla società da cui era nata *i. *i Giiizol Collis d'iiistoiic moderne, lecon 16.' 265 Torna pertanto quivi il proposito di ripetere che sarebbe stato più storico e più esatto lo scrivere che la letteratura e la filosofia antica passarono e si gittarono , per così dire , nella filosofia e nella letteratura moderna , nella quale poi alcuni sistemi diven- nero credenze , come alcune scuole divennero sette. Per tali motivi non è raro trovare negli scrittori dei primi secoli dell'era cristiana designali come filosofi alcuni scrittori greci , ed il libro soprattutto di Mammerto Glaudiano Della natura de W anima ridonda di citazioni di filosofi antichi. Egli è vero però che in allora i rappresentanti della letteratura antica non erano che retori e grammatici, compositori di cro- nache, di idilii e di egloghe, non erano più pagani ma non erano ancor cristiani, le loro opere erano straniere alle quistioni de' tempi, ai bisogni morali ed alle commosse coscienze de'popoli, non erano che rimembranze di una società che spirava: opere in una parola di convenzione e di lusso non atte che a dissipare le noje de' belli spiriti, e de'ricchi potenti. Ad un medesimo tempo per 1' opposto la letteratura cristiana rappresentata da uomini nuovi, ardenti, coraggiosi , come furono Ambrogio, Pao- lina di Nola, Sulpizio, Cassiano, Evagro, Prospero d'Aquitania, Mammerto Claudiano e Gennadio, si occupava de'più grandi in- teressi del pensiero e della vita , ricercava gì' individui in seno delle solitudini e ne scuoteva le coscienze, mentre convertiva i popoli in mezzo alle città. Tanta differenza succedeva principal- mente perchè alla prima letteratura mancava la libertà dello .spi- rito , difetto inerente alle materie stesse sopra cui versava , e man- tenuto nelle scuole, come si comprende da vma costituzione di Valentlniano del 3^0*1 : quando all'opposto nella seconda quella libertà era dominante e si estendeva sopra le più importanti di- scussioni morali. Di qui la superiorità della moderna letteratura severa e libera , sopra l'antica servile e frivola. Ciò che dilfatti la letteratura civile non poteva fare in allora, cioè resistere ai disastri, alla dissoluzione, allo scoraggiamento universale, il fece la letteratura religiosa , la quale non già distruggendo, ma asso- ciandosi alla filosofia ed alla letteratura degli antichi le salvò *i Cod. Thcod. Jib xiv, tit. 9, 1. 1. 266 dalla ruina da cui erano minacciate , ed impresero di conserva a dirigere gli uomini non solo nella loro sociale condotta , ma verso pur anche la loro spirituale salvezza. Così lo spirito umano ])roscritto ed abbattuto dall' ingruenza barbarica ebbe asilo nelle idiiese e nei chiostri , e riparando all'ombra degli altari, aspettò lempi migliori per i-isorgere arricchito e fecondato da tutti gli elementi delle due letterature , cimentate alla prova della sven- tura, della persecuzione, e dell'agonia. Ecco quale fu la vicenda dell'antica lettei'atura nei primi secoli dell'era cristiana , epoca per essa di transizione , di rinnovella- mento, non di totale annientamento, vicenda comune alla lingua, ed ai costumi , e che per riguardo a questi ultimi il Sismondi cercò di ritrarre in un suo conosciuto romanzo. Se poi si parla di epoche meno lontane, e cosi dei secoli vi, vu e vili le stesse due letterature sacra e profana crescevano ancora, e sebbene la prima divenisse ognor più dominante, l'altra però viveva tuttavia ; poiché i di lei semi si osservano ancora nelle cronache di Gregorio di Tours, mentre egli stesso ne riferisce i lamenti che si facevano per la sua decadenza*!, e nei poemi di Avito, e di Fortunato, quantunque i loro temi fossero unicamente religiosi. Dal fine però del v all' vui secolo rinviene il conte Balbo, e vi fu veramente decrescenza ed oscurità , ma non tale però che potesse dirsi spenta uè la letteratura antica , iiè la novella ; e se questa racchiudeva in se stessa i germi della propria risur- rezione , non li dispiegò tuttavia nei secoli successivi senza ri- chiamare pur anche alla vita quella con cui erasi immedesimata. Si giunse per tal modo all' epoca di Carlo il Magno ; e la quarta lettera del conte Balbo è diretta ad illustrarla , ed a ( onfermave il suo sistema colla storia dei secoli ix, x e xi. Ma quivi pur anche torna a farsi sentire la poca esattezza del suo metodo di escludere dapprima le cagioni , e poscia riammetterle come per favore ad una ad ima. Non è già che si dissenta da quella sentenza che il principio generatore delle *i Iiìgeiniicebanl saepius pleiù/ue diccnles : f^cie diebiis noslì'is quia periil ■tludìum liltevavum a nobis! (Gicg. Turon. Hisl Frane, eccles,, iipud rerum Gallic. et Francie. Script, t. ii , pag. 137). 2()7 umane costiluzioni non siano gli individui per quanto grandi e famosi essi sicno , ma bensì gli eventi maturali dalla moltitu- dine nota ed ignota , clie anzi tale si è pure il nostro avviso. Neppure pretendiamo sfrondare la gloria che il conte Balbo at- tribuisce intiera al conte De-Maistre per avere proclamata co- testa sentenza , sebbene sì trovi sviluppata eloquentemente da Gousin quando scrive che tutte le epoche della storia, i più grandi avvenimenti , le rivoluzioni , le guerre e le vittorie , ed i più grandi uomini non sono che il trionfo di una novella ve- rità filosofica, di cui abbisogna V umanità per migliorare. Sola- mente dopo simili premesse ci sorprende trovare Carlo Magno collocato fra questi uomini grandi e celebrato come causa pos- sente del risorgimento delle lettere, e poscia designandola qual causa solamente personale , minorarne subito la precoucessa im- portanza, e dire che mancata la di lui persona, era pur forza che le lettere tornassero a decadere come avvenne sino al looo. Ma assai più ne sorprenderebbe se mentre si attribuisce a Cailo Magno lo stabilimento del reggimento feudale, si volesse in questo trovare un titolo a quella grandezza. Imperocché ben altri sono i suoi pregi , e la storia e' insegna ch'egli colle sue guerre e col riunire e coli' ordinare l'amministrazione, impiegò il suo l'egno a lottare contro le invasioni della barbarie, e ad introdurre lo spirito di civiltà; e la stessa storia perciò ce lo mostra sollecito ad instituire scuole, a favorire i dotti, ed il clero, tutto ciò insomma che gli pareva proprio ad agire in prò della società intiera^ e dell'individuo. Egli è perciò che dopo di lui sebbene la letteratura di nuovo scadesse , pure la gagliarda spinta che vi aveva data, imped'i che l'oscurità ridivenisse cosi densa come fu dal secolo vn all'vnr. Merita qui di essere notato come il conte Balbo da vero ita- liano riscatti l'Italia dalla censura che da taluni le vien fatta di non aver più avuta altra eloquenza che la sacra ; e questo zelo che già partecipò il Gravina *i , il troviamo assai meglio locato di quello che il nostro autore impiega nel ripeterci con Guizot e Scleghel che il sommo della oscurità e della barbarie *i Rag. Poct. lib. 2. cap 6. 268 fu nel secolo vru, e die il risoi'gimento comincia da Carlo Ma- gno, e non nel looo. Da questa inesattezza cronologica prende motivo il conte Balbo di dolersi che al di qua del Reno e dell' Alpi non sia ancor ben ritratta la storia di Carlo Magno, come pure si lagna che quivi non sia ancora abbastanza conosciuta l'opinione di alcuni eruditi tedeschi, che rimettono in onore la memoria di Gregorio VII, e lo chiamano l'eroe del medio evo, riconoscendo da lui tutti i benefizi che nella civiltà sono venuti nel secolo xi per la lotta della Chiesa coli' Imperio. Lusingandoci che non mancheranno ingegni per placare queste querele del conte Balbo, noi frattanto ricordiamo con esso il fatto che da quella lotta appunto nacquero le franchigie dei Comuni , conseguite e protette dalla Chiesa sia colle esenzioni delle città dalla giurisdizione de' Conti, sìa colle elezioni con- ciliari de' Vescovi , sia col principio della fratellanza cristiana. Alla formazione intanto de' Comuni alla quale aveva senza dubbio cooperato lo spirito del Cristianesimo viene attribuito universalmente il progresso sociale e letterario del secolo xii, e ci pare giustissima l'opinione del conte Balbo conforme a quella del Perticari, che a questa istessa cagione sia dovutala forma- zione delle lingue moderne ed il loro divenire illustri. Ed in vero, domandiamo anche noi coli' egregio autore: come poteva esistere, fiorire, illustrarsi una lingua plebea, volgare, comune, senza che vi esistesse pur anche e s'ingentilisse il popolo? E questo fenomeno, risultato del movimento comunale, il conte Balbo non crede soltanto che sia avvenuto in Italia, ma lo ravvisa altresì nelle lingue moderne di altre nazioni. Percorrendo con simili vedute gli undici primi secoli dell'era cristiana, il conte Balbo confida di aver provato che la civiltà e la letteratura cristiana non è periodica, non soggetta cioè ad epoche di decadenza e di annientamento , ma bensì ch'ella è sempre rinascente, ed a serie. Generosa pertanto è la conclu- sione del suo libro, dichiarandola eminentemente progressiva. Egli finalmente termina il suo scritto con lasciarci sperare che avrebbe confermato questo suo tema continuando le stesse osservazioni dal secolo xii ai secoli successivi. Noi certamente 269 facciamo plauso sincero ed invito a sifatto disegno, ma soltanto dubitiamo che avvicinandosi ad epoche più conosciute invece di maggiori riprove, incontri piuttosto difficoltà al suo sistema. Giunto difatti al secolo xiv, tutti gli diranno che Fantica let- teratura greca e latina fu per così dire restaurata, e che noi italiani soprattutto rammentiamo con nazionale orgoglio l'ardore con cui Dante, Petrarca, e Bocaccio cercavano i manoscritti greci e latini, li pubblicavano, li commentavano, li diffondevano j provando ad ogni scoperta un vivo trasporto. Allora fu certo il risorgimento dell'antica letteratura, e se essa non avesse contenuto in se stessa elementi profondi , veri, perenni non sarebbe risorta, né avrebbe ripigliato tanto impero in quell'epoca dove gli spiriti attivi, alti, eleganti e difficili mal più potevano comportare i costumi grossolani , le idee con- fuse , le forme barbare che dappertutto si erano intruse. Un tale ritorno alla letteratura antica venne pur anche in allora confermato eziandio dall'arrivo de' Greci fuggenti da Costanti- nopoli venuta in mano de' Turchi. Essi apportarono un novello desiderio dell' antichità , numerosi manoscritti , maggiori mezzi per istudiarla. Così nei tempi che seguirono si avverò per l'I- talia il secolo d'oro della letteratura, quantunque lo sviluppo intellettuale e l'arditezza dello spirito fossero accompagnati da una specie di sibaritismo , e da costumi evirati , frutto anche questo di quel ritorno all'antico. Non si vuole frattanto omettere di commendare le tavole di cui queste lettere del conte Balbo vengon corredate , lavoro di un giovine suo amico che molta speranza lascia di sé. E vera- mente questi quadri come quelli di Tenneraanu, di Gioja, e di Guizot, possono grandemente giovare allo studio ed alla memo- ria , ove però non la stipino di nomi troppo oscuri e di minute particolarità, a scapito di nomi più celebri, e delle più esatte ed eminenti notizie che lo storico deve formarsi sopra ciascun' epoca della umanità. Terminando finalmente, pare che le cose sin qui osservate possano permetterci ili dire, che in sostanza quanto v'ha di meno commendevole in questa scrittura del conte Balbo si debba at- tribuire al suo metodo troppo generale ad un tempo e troppo esclusivo: 270 Troppo generale : percliè non conservata sempre una precisa distinzione e classificazione dei principi! e delle materie clie tratta , trovansi soventi confuse la religione , la filosofia , la po- lìtica , la civiltà e la letteratura; e malgrado il continuo sforzo che l'autore si fa di stare nel proprio argomento, pure o tra- scinato dalla molta sua dottrina, o indotto dalla grande affinità che quelle scienze hanno tra loro, mentre credi che ti ragioni di sola letteratura , t'accorgi poi che già ti parla di tutt'altro , ed è perciò che in queste lettere non trovi sempre quella unità di concetto e quella schietta e rigorosa deduzione logica che li persuade e soddisfa. Troppo esclusivo; perchè se pur non erriamo, ci sembra che lo spirito dell'autore inclini a considerare qualunque quistione dal lato semplicemente religioso, e credere che questo le pre- domini tutte e basti a spiegarle. Cosi ad ogni anche benché puramente letterario argomento tu lo vedi occupato a trovar- gli un principio ed un termine quasi ascetico; talmente che potrebbe forse esservì chi lo notasse d'introdurre il panteismo nella letteratura. Per tal guisa nelle gravi quistioni delibate in queste lettere, l'autore si colloca sopra un terreno altissimo, e Siam quasi per dire fatato, dove la critica non può sempre giun- gerlo, e chi l'osasse sarebbe profano. Nulla diremo poi dello stile, poiché malgrado l'apparenza sua famigliare e dimestica , pure e' non ci pare sempre eguale e spontaneo , ma talora pizzicando dell'epigrammatico si mostra abbindolato ed oscuro. A malgrado però di queste nostre forse troppo schifiltose ri- flessioni , la lettura di queste lettere ci convince oguor più , che l'illustre incomluclatore d'una storia d'Italia, il volgariz- zatore di Tacito e di Leo , io scrittore di cose filosofiche, con- secrando tutto il suo ingegno cosi ricco di vasta erudizione, e caldo com'è di nobili intenzioni ad una qualche opera di un solo, speciale, e costante argomento, stamperà nell'immenso campo del sapere umano un'orma più franca e profonda. S. B. 271 Letteratura — Lettere di Ugo Foscolo a Giuseppe Grassi pubblicate per la prima volta. , (Torino i836, coi tipi di Giuseppe Fodratti). Poco più d'un mese addietro noi annunziavamo a'nostri gentili lettori sette lettere inedite di Ugo B^oscolo ad Ippolito Pinde- monte pubblicate in Milano dal sig, Andrea Maffei in occorrenza di nozze d'un suo amico veronese. Ora ci è caro l'annunziarne ventitre altre, che Ugo indirizzava al suo amico Giuseppe Grassi in Torino, e che 1' egregio sig. cav. Pier-Alessandro Paravia prof, di eloquenza italiana in questa nostra Università faceva di pubblica ragione per accrescere gioja e splendore alle fauste nozze di persone illustri, e carissime a lui. Né qui possiamo rimanerci dal lodare il consiglio dell'esimio editore, il quale in così dolce occorrenza a dimostrare l'animo suo lieto e benevolo verso per- sone amiche scelse un mezzo così bello ed accomodato. Agli illustri sposi , che novellamente si sti'insero insieme coi dolci nodi d'amore e di fede, non potrà certamente, che riuscire caro oltremodo il dono di queste lettere scritte da un personaggio, che dell'amore e della fede sentiva sì altamente , e precedute da una lettera dedicatoria dell' egregio editore tutta spirante cortesia e gentilezza. Sebzachè a persone amanti dell'onor pie- montese debbe pure goder 1' animo di cara gioja veggendo in quelle lettere fatta onorata menzione di tanti nostri ingegni , che il severo Ugo pregiava ed amava grandemente , e questa bella nostra Torino desiderata da colui , che nacque sotto il puro cielo di Grecia, e che tanta parte d'Italia visitò nelle sue assidue peregrinazioni. E per non mancare qui al debito nostro dai'emo delle annunziate lettere un breve ragguaglio. La maggior parte di quelle lettere furono scritte da Milano; una da Berna ; quattro da Londra nello spazio di presso a quindici 272 anni, dal 1808 al 1822, coslccliè comprendono esse due periodi della vita di Ugo Foscolo, anzi due periodi memorandi della moderna istoria , quello della sua dimora in Milano ai tempi del regno italico , e quello del suo volontario esilio prima in Isvizzera, e quindi in Inghilterra posciachè ei vide mutate le cose , e rovinato quell'edilizio , intorno a cui egli s'era con tanta generosità affaticato. Perocché , coriie bene scrisse il Manno * i , la capacità può hen mutare pigione, ma la devozione che passa al servizio contrario è un' irrisione. Ed Ugo Foscolo non era uomo da dare di sé cosi fatto esempio. I due periodi anzidetti si potrebbero forse definire colle sentite parole del sig. conte Cesare Balbo *2 così : il primo quello in cui le cause morali origine delle rivoluzioni incominciarono ad operare sugi' interessi materiali più pressanti, e si combattè per istabilire una nuova condizione sociale fatta inevitabile : il secondo quello in cui dopo la rivoluzione sorsero fecondi gli animi di facoltà intellettuali, e nati nuovi pensieri , si meditano , si scrivono questi meglio che non siasi fatto per lo addietro. Le lettere, che Ugo Foscolo scriveva da Milano pailano di molti suoi lavori letterarii, del suo Tieste , e della chioma di Berenice, che egli chiama disenteria erudita, e che si crede aver egli composto per mostrare con quanto poca fatica si possa acquistar fama d'erudizione; della sua versione dell' Iliade da lui intrapresa , ma non condotta a fine; della sua edizione del Montecuccoli da lui chiosato, il quale libro sebbene il Grassi scrivesse avere Ugo guastato , debbesi pur nondimeno a lui la gloria d'avere rivendicato dopo un secolo e più alla letteratura italiana 5 dei Sepolcri suo capo-lavoro ; delle Grazie carme diviso in tre inni, tutto infiorato di greche bellezze; della sua Orazione dell' origine e degli ufficj della letteratura abbondante forse troppo di metafisiche sottigliezze , come notò il Monti, ma eloquente, ardita e generosa; dell'Ajace , e della Ricciarda tragedie non manchevoli di pregi, ma inferiori all'in- gegno, ed alla fama di cosi grande scrittore. In una di quelle lettere Ugo Foscolo s'attrista della sorte d' Italia ; e con quanta *i Quesiti sopra i pubblici Ufficiali. *-À Della letteratura negli xi primi secoli dell'era cristiana — Lettere di Cesare Balbo al sig. abate Aincdco Peyron. 275 ragione il facesse il vedrà chi legga il libro xxm della storia d' Italia del Botta dal 1789 al 181 4- Non so, scrive egli, sechi avrà finqui letto queste nostre storie , avrà quanto basta posto mente alle miserie d' Italia. E volgendo la penna al doloroso ufficio , narra compendiata la miseranda Iliade delle sventure italiane. Ed Ugo, che le vedeva, e n'era puranco a parte, come poteva non contristarsene acerbamente amantissimo qual era dell' Italia, che s'avea eletto a sua patria? Odansi i nobili sensi di quell'anima generosa espressi da lui nella seconda delle lettere , di cui qui ragioniamo. « Due somtni beni , mio caro Grassi , ho conseguito dagli studj 5 d' ingannare con essi le noje , e le matte passioni di questa vita che fugge , ma di non apprezzarli poi tanto da contaminare per essi la libertà, e la dignità del mio cuore Solo amo caldamente e ciecamente forse la mia patria e non posso né accusarla, né dissimulare le sue colpe a me stesso, né perdonarle. Ed in quegli eccessi d'amore scrivo: ma la penna è tra le mie mani uno strumento che non apprezzo, se non quanto giova a destare negli altri l'amore per l'Italia che io sento in me. » Sensi sono questi , che dovrebbero bene imprimersi negli animi di tutti coloro, che coltivano le lettere, onde fossero sbandite dal nobile ufficio di letterato tutte quelle dotte ambizioni , e quelle meschine passioncelle , che non giovano a nessuno, che contaminano le lettere , ed allontanano gli animi altrui da chi le coltiva. Che giova l'ingegno, e la molta dottrina se vengano adoperati al solo interesse personale , ed al fine di soverchiare l'altrui colla piopria fama? Assai più che dell'ingegno, e della molta dottrina si giova la società degli onesti e generosi affetti , e delle virtù disinteressate. Si potrebbe paragonare i cultori delle lettere che non han generosità ai lavoratori delle marem- me. In questi l'aere infetto di que' luoghi insalubri nuoce allo sviluppo delle facoltà fìsiche, eli trascina anzi tempo al se- polcro. In quelli il tumulto di cento passioncelle, o, come dice il Foscolo, le misere battaglie d'invidia e di vanità letteraria im- pediscono lo svolgimento e 1' esercizio delle più belle affezioni , delle più preziose doti dell'animo ed il conseguimento del fine delle lettere. Quanto è maggiore il danno in quelli, che in questi! 274 l'agi-icoltore, che nasce pei' isventura in un tristo luogo, cui l'inopia e le voci della famiglinola, che chiede pane sforzano a cangiare nella pestilenza la fame, quell'agricoltore è scusabile ^ ma la necessità, che giustifica la coltivazione delle maremme, giustifica fors'anco chi coltivando le lettere avvilisce quelle , e se stesso? La penna ci ha tratti quasi a nostro malgrado, ma innocen- temente fuori di tema in questa digressioncella. Ora torniamo al soggetto di questo nostro articolo. Ci ricorda , che il Pecchio nella sua vita di Ugo Foscolo scrisse , che questi nulla si co- nosceva di politica , e che non poteva parlarne senza dire uno sproposito. Se per politica il Pecchio intendeva l'arte delle sot- tigliezze e de'raggiri , può essere, che Ugo non se ne conoscesse gran fatto. Ma di quella politica vera, che ama oltre ogni altra cosa la patria , che ne conosce i bisogni , e consacra a lei tutto se stesso, di quella era Ugo intendentissimo; e ne sono prova i suoi scritti, e non pochi passi di queste lettere. Perdonici il Pecchio, a cui noi professiamo tutta la nostra stima , se par- lando d'uno scrittore, al quale siamo in gran parte debitori dei nostri primi passi nella carriera letteraria, non possiamo alcuna volta consentire con lui nel giudicarne. Qui ci cadono sott'occhio alcune parole a noi aspre e forti scritte da Ugo nell'ottava di queste lettere. Il massimo de'miei peccati, dice egli, e di cui no» mi crederò mai prosciolto, né lavato, si fu l'essermi impacciato in giornali. Misericordia ! una sentenza così dura e ricisa pro- nunziata da Ugo Foscolo ! Confessiamo d'averci meditalo sopra non poco 5 ma non ne abbiamo preso per questo scoraggiamento, né sdegno. Ugo poteva avere le sue ragioni per prorompere in quel detto. Tutte le cose quaggiù hanno il loro lato buono, ed il lato cattivo. Noi crediamo, che si possa far cosa bella ed utile anche scrivendo giornali 5 essendoché i giornalisti sono scrittori come tutti gli altri, e possono essere buoni o cattivi, come gli scrittori di libri , che non sono giornali. Molti nomi sorsero già illustri e benemeriti da quest'aringo; e ne ricorda, che il Manno, giudice autorevole, scriveva non è gran tempo, che v'ha la grandezza anche de' giornalisti. — L'ultima di queste lettere fu scritta da Londra addì 20 luglio i8a2. Noi non sappiamo, se d'allora in poi siasi Ugo taciuto inverso l'amico suo; ma noi 275 tveJiamo. L' infelice Canlor de' Sepolcri terminò pochi anni appresso la travagliosa sua vita in paese straniero: Ne pia la terra Che lo raccolse infante , e lo nutriva Nel suo grembo materno ultimo asilo Gli porse. , Più felice di lui il Grassi ebbe almeno qui nella natal sua terra onor di tomba, e fu d'umane Lodi onorato, e d'amoroso pianto. Pace ad amendue. Non sarà forse disgradevole a'nostri gentili lettori, se sul finire di quest'articolo arrecheremo alcuni passi più sentiti delle presenti lettere, i quali meglio palesino l'animo dello scrittore. Lett. 3.* Se noi talvolta non incontrassimo le Grazie e le Muse nel nostro mortale pellegrinaggio , e se le Grazie e le Muse non ci aprissero le porte della cortesia e dell' amore , io non troverei più né motivi , né interesse a continuare il viaggio della vita tra tante noje e tra tanti pericoli. E perché io credo che tu , e tutte le gentili anime siano nel caso mio , io ti mando questa lettera che ti farà incontrare le Grazie e le Muse. Visiterai con essa la signora Malanotte, e saluterai per amor mio e per amor tuo que' suoi grandi occhi nerissimi. Né io la raccomando a te, né raccomando te a lei 5 sarete cari l'uno all' altro, perchè ella é bella, ed é maestra di canto, e perché tu sei cortese ed amabile letterato. Bada solo di non innamorarti , e viviti lieto. Lett. 8." In questo breve circolo circoscritto dal tempo a noi tutti , parvemi , o mio caro Grassi , di non afFannarmi in cose da poco. — Il passeggiare al sole, il dormire, l'amare e l'es- 8ere amati , il ciarlare al focolare con 1' amico a quattro occhi , e il sorseggiare il caffè, guardando l'alba sorgente, e ricordan- dosi de' begli anni passati , non sono cose da poco. — Bensì il procacciarsi la slima d'uomini, che non hanno giudizio pro- prio e sìni ero — L' andar dietro a' battimani di chi sarebbe pronto a fischiarti senza saper perchè — L' aspettarsi ricono- 276 sceuza dagli uomini a cui dite: vedete fratelli, che voi cam- minate a traverso — Il dir male di certi mali libri quando in fondo bisogna dirne bene o tacerne, da che sono buoni per l'autore che ha già conseguito l'impiego e il regalo, e pe' me- cenati per comando dei quali fu scritta e stampata la dedica. — Questi e simili perditempi sono peccati , di cui dovrò ren- dere strettissimo conto al Dio del tempo , che mi va seiupre incalzando e rimproverandomi, e forse anche un giorno al Dio dell' eternità. Lett. i4'* Io rivisitava il Lario e i Lariani, per me est alìquid sacri ne'luoghi da me una volta abitati , e nelle antiche amicizie. Lett. 2 1.* Io m' acquisterò ( raccomanda al Grassi un suo amico inglese) la gratitudine di uu viaggiatore che non visiterà r Italia per disprezzarla , bensì per compiangerla. Se alcuno ci domandasse ora qui se tutte queste lettere sieno poi veramente interessanti, e meritevoli d'esser pubblicate , noi rispondiamo, che, tranne una o due, tutte le altre ci interes- sarono grandemente e per se stesse , e per la memoria di quell' uomo , e commendiamo assai 1' egregio editore , che le pub- blicò. Ma come non intendiamo d' imporre altrui 1' opinione nostra , cosi lasciamo che ciascuno ne giudichi a suo modo. In quanto allo stile non si potrebbe certo dire, che sia purissimo : ma è forte e sentito, e vi si veggono come improntati i pensieri dello scrittore. Questi pregi, pare a noi, possono ben compensare qualche difetto di purezza. G. 277 Bèlle Arti — Lettera 2.» Sull'efficacia della Musica Greca. Lyra est , quae velerent rexei'it Grceciam . . . Vossio. In cambio del preludio fattovi sulla musica ricevetti jeri i vostri rimproveri, coi quali vi lagnate, che io intrattenendovi suir importanza della musica antica, v'abbia arrecati esempj tolti solo dalla Grecia. E dove lasciaste mai ( così mi sgrida- te ) e gli Ebrei, e gli Egiziani, e gli Arabi, e principalmente i Ghinesi? Anche i Ghinesi! Anche costoro, benché non fac- ciano più baldoria come nel secolo scorso, insorgono contro di me ! Pazienza gli Ebrei e i loro vicini , della musica de' quali molto vi sarebbe a dire, e se ne dirà a tempo opportuno 5 ma i Ghinesi , e principalmente i Ghinesi ! Ghe vi dirò io di co- testoro? Sarei tentato a dirvi, che questo popolo fu si felice neir imitare le cose altrui, da parerci poi originale; che fu si avventurato nelle sue inezie , nelle sue bambinaggini, da com- parir non ha guari, e grande, ed importante. Ma non vel dirò per paura di disgustarvi, tanto meno perchè jn futto di mu- sica si sa che i Ghinesi ebbero pure un Orfeo, un Anfione, suonatori che si vantano d' aver arrestati i fiumi , mosse le montagne , tratti gli spiriti dal cielo , e cavati i demonj dall' abisso 5 che ebbero principi i quali o promossero , o riforma- rono , od abolirono la musica , quasi fossero sazj di que' pro- digj ; che ebbero finalmente legislatori e politici , i quali os- servarono , poter il gusto musicale servire come di termometro della felicità e costumatezza d'un paese. Tanto potevano que' loro dolcissimi , per non dire portentosissimi stromenti, i quali rendevano il suono della seta , della pelle , della terra-cotta , ti della zucca ! ! ! Ma io lascio i vostri Ghinesi , e torno a miei Greci. La lira, dice il Vossio , governò 1' antica Grecia , e vi fondò più re- 278 pubbliche , che ora non se ne trovino per tutto il mondo. Sa- preste voi svelarmi il segreto di questa miracolosa lira , ma- neggiata non men dai suonatori , che dai politici? Voi direte che vi può essere dell'esagerazione, dell'allegoria, del mistero. Concedo 5 ma siccome la storia mi assicura della reale effica- cia di quella musica , de' prodigiosi etFetti che operava sulla greca nazione , non tanto dobbiam crederla , quanto ricercare d' onde procedesse quella efficacissima virtù alla musica attri- buita; e ciò sia come suggello di quella importanza, di cui vi parlai. Non so se vi piacerà questa prima modulazione con cui do principio alla sinfonia 5 ma da piacere a no bisogna aver pazienza e udirla : omnibus hoc vitiuin est cantai ibus. Voi mi invitaste a suonare, ed io suonerò a mio capriccio, e forse fin- ché avrò lena. Già sapete che i musici sono un po' caparbi , e bizzarri , quasi direi che tengono anzi che no del chinese. Ma prima di prender le mosse è d' uopo che mi tolga dai piedi un intoppo ; perocché molti mi potrebbero opporre che i prodigj della greca lira non tanto alla musica , quanto alla poesia , ed alla eloquenza voglionsi attribuire. Concedo che e musici , e poeti , ed oratori si strappano di mano questa ma- gica verga 5 ciascuno di loro vanta per. padre Orfeo, Aufione , ed altri fondatori del vivere umano e civile. Ma appunto sif- fatta contesa meglio mi scuopre la musicale efScacia che io vado indagando. Non è egli vero , che ne' primordj della greca civiltà tutto era in verso, teologia, leggi, storia, filosofia? Ora come verso non davasi senza suono e canto 5 così tutto era mu- sica ; tutta la greca sapienza era sinfonia : Ljra est. Il metro serviva di forma ai racconti , alle sentenze , alle dottrine , agli insegnamenti , e la melodia erane 1' espressione , il veicolo , r allettamento , la migliore comunicativa , alla quale più tardi soltentrò per opera de' filosofi , oratori , e storici che si sciolsero dalle leggi del verso , la declamazione , melodia più sorda , e meno efficace , detta da Tullio quidam cantus ohscurior , una specie di musica chinese , che ancora va uniformandosi alle pri- sche leggi musicali e poetiche per non comparir tanto libertina. Ma torniamo ad rem. Se dalla su mentovata lite de' musici , poeti ed oratori si deduce l'unione della musica , della poesia, 279 e d«lla eloquenza ; da quCvSta unione medesima conci udesi la forza e l' efficacia dell' antica lira , risultante come da tre con- giuntissime parti, che sono la melodia , l'elocuzioHe e la poesia. Ed in quanto alla prima credesi che fosse mirabile per la sua semplicità e regolarità. Conoscessero o no i Greci gli artifizj dell' armonia , e del nostro contrappunto , ne facessero miglior uso di noi , sapessero eglino cavar dai loro stromenti suoni , e combinarli in modo che significassero quanto volevasi signifi- care , il certo si è che semplici e regolate modulazioni basta- vano per dilettare e commovcre gli animi loro. Questa sempli- cità , questa naturalezza che forse vi farà sogghignare un tan- tino , io credo che risultasse da cantilene più inspirate, che ri- cercate , da modulazioni ovvie ed acconcie , da mutazioni e transizioni analoghe e preparate, da ben distribuite consonanze , dalla scelta degli stromenti e dall' armonia delle voci ; aggiun- gete r allontanamento d' ogni strepito , d' ogni sforzo , d' ogni impiastro , e lisciatura si nella composizione , che nella esecu- zione , quale era appunto la musica italiana , con cui Pergo- lesi , e Vinci , e Leo vestivano i bei drammi di Metastasio , ed avrete così un' idea di questa indicibile semplicità, tanto lon- tana dalla rozza armonia de' selvatici, quanto dalla effeminata ed artificiosa de' civilissimi popoli. La regolarità poi dipendeva non solo dall' uniformarsi che i musici facevano alle leggi mu- sicali , di cui vi parlai nella prima lettera ; ma anche dalla rigorosa osservanza delle regole dell' arte , le quali volevano la melodia piuttosto nel frigio , che nel dorico modo, piuttosto nel diatonico genere, che nel cromatico, e viceversa, i quali modi e generi adatti al soggetto cantato , ed alle altre circo- stanze di tempo o di luogo , erano come i colori nella pittura , come gli stili nell' eloquenza , come i metri nel verseggiare , come gli ordini nell' architettura. Il secondo elemento della musicale efficacia era l'elocuzione, in generale la lingua adoperata nel canto, signore assoluto del!' antico melodico regno. E qui ho io da rlcoidar i pi'egi della greca favella ad uno che gli conosce meglio di me ? Solo vi laro riflettere sulla parte armonica di essa lingua. La musica d' una lingua non tanto dipende dalla sua indole medesima , i8 280 cioè dall'avere tali elementi più o meno rotondi e sonori, dall' impasto delle consonanti, e delle sillabe, e dal valore ritmico di esse, dalla composizione, cadenza, misura, varietà di ciascun vocabolo , quanto anche dalla natura e capacità della costru- zione e dall' abilità , delicatezza e finezza dell' orecchio di chi la parla o scrive sì , che ne risulti o un periodo , o un tratto , o un discorso sì ben combinato , che si assomigli più a can- tilena, che a pronunziato discorso. Tale è la lingua greca, e tale fu adoperata dai grandi scrittori che noi conosciamo. Chi nel leggere o declamare Erodoto , Platone, Senofonte, Demo- stene non sente armonia , non ode una ben temperata musi- ca, o è sordo, od è insensato. Ora per la grande influenza che una lingua ha sul canto , per quella parentela che esiste tra le articolazioni , e le modulazioni , tra le parole, ed i suoni, tra gli artifizi del favellare , e gli accenti dell'umana voce , è lecito conchiudere che la greca musica dovesse maggior effetto ottenere , che qualunque altra o antica o moderna. Ed è per- ciò che i vostri Chinesi (^bona venia dicam ) non avranno mai musica , siccome non han quasi poesia per quel che io sappia. E qual musica , e poesia vuoisi ottenere nella China da quella linguetta sorda e muta , composta di monossilabi sal- tellanti , e monotoni , di mezze parole infantili , degne vera- mente d' essere accompagnate dal King e dal Ceng , che fanno udire il suono della pietra e della zucca ? Ma veniamo finalmente alla poesia , la quale era creduta sì incorporata colla musica , che 1' una dall' altra separala non potevasi concepire. Una melodia senza versi , una poesia senza canto , e pizzicar di corde era stimata cosa non tanto insigni- ficante , quanto mostruosa. Né anche qui fa bisogno, che io vi spieghi innanzi la ricchezza, la varietà, la mollezza, l'incanto della prosodia greca ; che incanto propriamente doveva essere una lingua per sé armoniosa rinforzata dalla poetica intona- zione , legata alle leggi del ritmo , vestita di acconcia melo- dia. Ed appunto da questa acconcezza, da questa convenienza doveva conoscersi l'abilità del musico; poiché come il poeta dovea adattare al soggetto il proprio metro ; così il maestro a ciascun verso doveva acconciare propria cantilena, proprio ac- 281 compagnametilo, e ritmo , onde colla velocità o lentezza dell' andamento , col colore della melodia , colla durata corrispon- dente delle sillabe , e delle note , colla temperanza de' suoni acuti e gravi esprimesse al vivo il soggetto poetico, o le pa- role come noi diciamo. Dal che avveniva che gli uditori (al- lorché la composizione riusciva a dovere ) non sentivano che una cosa sola, un tutto composto di versi, di canto, di me- lodia , di accompagnamento , la cui multiplicità non danneg- giava né l'unità, né la semplicità. Maraviglie son queste, direte voi , e lo sono certamente , ma in nulla dissimili da quelle che eccitano in noi le altre arti , allorché toccano il colmo della perfezione , che sta appunto nel saper operare quest' uno e moltiplice effetto. Paragonate p. e. la musica colla pittura , come alcuni han fatto , che ne vedrete subito le relazioni , e le somiglianze. La cosa non vi sarà difficile ; poiché dall' orec- chio air occhio, da suoni ai colori non vi è gran tratto . . . Ma io vi ho suggerito una cosa impossibile. Come paragonar colla pittura quella musica che non abbiamo più ? Ponete che la ritrovassimo , e che potessimo udirla. Ci farebbe ella grande sensazione ? Ho i miei dubbj. Imperocché io credo che a render efficacissima quella greca musica concorressero altre circostanze , le quali ora difficilmente si potrebbero tx-ovare, siccome proprie solo di quel paese. In que* tempi medesimi le greche melodie portate non dirò nella rozza Europa , ma nella effeminata Asia non sarebbero state accolte. Ponete anche ( benché alquanto strana sia la supposizione ) che oltrepassata 1' India , ed il Gange, con altri fiumi e mon- tagne, e muraglie, i greci Anfioni raccolti in compagnia filar- monica, avessero potuto entrare nelle dorate porte del lumi- noso regno , del civilissimo impero Chinese , credete voi che avrebbero fatta fortuna ? Mai no. Non solo i bottonati manda- rini col rimbombo di quelle loro campane telegrafiche i, ma anche tutte le tartare orchestre coi loro dolcissimi stromenti composti di pelle , di metallo , di terra-cotta e di zucche avreb- bero affogata la musica greca , e scacciati i suonatori oltre i confini , come fecero ai musici europei che accompagnavano r ambasciata inglese. E la ragione si è perchè i Chìnesi non 282 sarebbero stati disposti ad udir quella musica. All' opposto in Grecia erano certe disposizioni negli animi , per cui doveva riuscire efficacissima. E queste disposizioni io le riduco a tre. La prima è fisica. Mi negherete voi che i Greci fossero meglio conformati dei vostri Cliinesi ? che avessero dalla natura sor- tita maggior sensibilità , sensi più delicati , organi più perfetti? Immaginatevi che il loro orecchio non solo accorgevasi , ma dilettavasi delle menome frazioni de' tuoni musicali ( nel che stava il loro genere enarmonico ) mentre noi moderni non an- diamo oltre il semitono. Cosa incredibile, ove non ci fosse da tutti gli scrittori assicurata. Qual fino udito bisogna dunque che avessero quei signori ! Ma che ? questa finezza , questa de- licatezza non l'avevano pure nelle altre cose ? La seconda disposizione è morale. E per educazione e per sentimento erano i Greci avvezzi al buono , al bello , al pia- cevole, allo squisito. A ciò erano ammaestrati, di ciò nutri- vansi , di ciò gloriavansi al cospetto degli altri popoli. Le belle arti erano per loro un'altra vita tutta spirituale, tutta mistica , e contemplativa , siccome furono loro una seconda patria, una seconda libertà. Perciò non è maraviglia se pur la musica fa- cesse su loro cotanta impressione , non solo per la dolce ed ir- resistibile forza che esercita sopra tutte le colte nazioni , sopra tutti gli animi gentili , ma anche perchè in essi trovava un cuore già apparecchiato , già accordato dalle altre piacevoli e delicate sensazioni , un' anima insomma per lungo uso armo- niosa. La terza disposizione finalmente che proveniva dalle altre due era questa ; alla quale voi darete poi quel nome che più v'aggradirà. Che cosa erano i loro teatri? meri passatempi? sem- plici sollievi forse ? Voi noi credete 5 poiché la stretta relazion che avevano colla religione , e collo stato ve ne danno un più alto concetto. Il luogo era sacro , lo spettacolo scenico rappre- seutavasi nelle maggiori feste dell' anno , i sacerdoti , i magi- strati solennemente vi assistevano. Silenzio, decenza, attenzione e religioso contegno accompagnavano ed animavano V azione. E siccome questi spettacoli o tragici o comici che fossero co- miiic;i;\.tuo coi principiar del giorno, gli spettatori vi si tro- 285 vavano con mente libera, con membra riposate, e forse anche collo stomaco digiuno, e perciò non stanchi, non sazj , non nauseati da occupazioni , e da altri piaceri. L' assistenza adun- que al teatro era come la prima religiosa ceremonia con cui davasi principio alla festa che si celebrava. Ditemi ora se con tale disposlzion teatrale ( v' inviterei a chiamarla cosi ) la mu- sica che accompagnava que' solenni lavori drammatici , poteva sbagliare il suo scopo , poteva andar a vuoto? Anzi nel teatro appunto , come alcuni ci dicono , la musica rinnovava i mira- coli di Lino , e d' Orfeo , e come l'eloquenza di Pericle , fol- gorava , tonava , metteva sossopra tutta la Grecia. Queste cause che io toccai appena , e che in parte possono scoprirci il segreto della musicale efficacia , potrebbero essere soggetto di più lunga e profonda meditazione al filosofo delle arti belle. Del resto io penso che in qualsivoglia tempo o paese purché barbaro non sia , né corrotto o viziato , chiunque si proverà a collegare in modo lingua, poesia e musica, che un tutto per unità e semplicità mirabile ne risulti , potrà nei tea- tri , e altrove operare gli antichi prodigi , non ultimo de' quali sarebbe 1' avvezzar la sua gente a sentire la forza, e 1' impor- tanza di queste tre facoltà legate con un sol nodo , ed a prepa- rare così gli animi ai morali vantaggi che ne possono derivare. E voi intanto preparate pur nuovi rimproveri , che io mi ap- parecchio a riceverli con molta pazienza. State sano. B. Necrologia €lf|' Cdtti/tàoie ~b^t 5u'6afpmc». Pregiatissimo Signore Concedetemi, vi prego, poche pagine nel vostro Giornale, perchè io possa pubhlicameute rendere un tributo d'affetto e di gratitudine a un ottimo straniero benemerito della nostra patria e delle buone lettere italiane. Molti dei vostri lettori avranno caro di veder rammentato colla dovuta lode l'uomo virtuoso che per più anni fu uno dei sostenitori della cadente fortuna di Ugo Foscolo j né lo abbandonò quando un cumulo di sventure fece scendere quel chiarissimo ingegno anzi tempo alla tomba: e tutti gì' italiani udranno con riverente e grato animo ricordare un illustre letterato che, con pai-ecchi suoi scritti e coli' elegante sua traduzione della Gerusalemme , sparse quanto ogni altro l'amore della nostra letteratura nell'Inghilterra. — Voglio parlare di /. H. TViffen testé rapito alle lettere nella fresca età di nove lustri. — Nato a Wohurn deliziosa terra del Bedforshire da genitori appartenenti alla Società degli Amici ^ volgarmente detti Quac- cheri , egli esercitò tutte le virtù dì quella setta. Il luogo della sua nascita fu quello in cui passò la maggior parte dei tranquilli e studiosi suoi giorni , poiché fattosi un nome da giovinetto col precoce suo ingegno e col grazioso suo poetare, il duca di Bedford, patrono e fautore di ogni bella disciplina , gli diede agio a de- dicarsi interamente alla letteratura , raccogliendolo come suo bibliotecario nella vicina sua residenza. Nel beato ozio di quella splendida villa , in mezzo a migliaja di scelti volumi di autori d'ogni età e d'ogni lingua, circondato ed ispirato dai capi d'opera di belle arti di una galleria che conta fra i suoi tesoli le Grazie del Canova, il giovine TViffen fece rapidissimi progressi in ogni ramo della letteratura e coltivò soprattutto le lingue si antiche 285 che moderne , fra le quali studiò con religioso ardore l'ebraica e con ismisurato amore l'italiana. Comparvero in breve alla luce alcune sue poesie liriche e poscia alcuni suoi poemi di maggior lena, pieni di grazia, di spontaneità e di pensieri originali, che furono accolti con favore dal Pubblico, benché il campo della poesia fosse allora occupato da tre uomini sommi nell'arte e gli inglesi fossero avvezzi , mercè di quelli , a pascersi di sempre nuove e stupende creazioni. L' imaginoso e sublime Bjron ^ il fecondo Tf alter-Scott nutrito delle m.emorie antiche e il tenero Moore soavissimo bardo della verde Erina , che per un raro accidente sorsero quasi in pari tempo a tanta altezza nei tre Regni Britannici , non lasciavano speranza ai poeti dotati di minor genio di venire in quella fama cui avrebbero giustamente aspirato in tempi meno doviziosi di poetici prodigi. Il pensiero che era oramai inutile il lottare con siffatti campioni fu forse cagione che il modesto TFìffen si ritirasse da quella palestra e ne sce- gliesse un'altra meno battuta , ma non meno della prima faticosa e difficile. Fu allora che si diede a voltare nella sua lingua le poesie del castigliano Garcilaso de la F^ega , il che eseguì con tanta fortuna e tanta destrezza di versificazione che riu.scì a far leggere i molli lamenti dei pastori del Manzanares ad una nazione che non ama se non concetti veri e forti, ed in un secolo in cui ogni idea d'Arcadi innamorati suol essere eccitatrice di disprezzo o di riso. Il buon esito di questa sua prima fatica nello scabroso sentiero del Poeta traduttore 1' invogliò a tentare un lavoro di maggior mole e di ben altra importanza. Tratto da una dolce simpatia verso 1' infelice Torquato ed allettato dalla soave lingua d' Italia che più d'ogni altra apprezzava , egli intraprese di tras- portare in versi inglesi la Gerusalemme liberata con tutta quella esattezza e quello studio che un tanto poema si meritava. L'antica traduzione del Fairfax che egli non riputava né abbastanza fedele, né pienamente degna dell'originale, benché in lei riconoscesse il merito di esser divenuta popolare , per un certo facile andamento e per un'armonia di verso non comune, e il sapere che lo Stewart RosCy personaggio di grandissimo ingegno e delle lettere italiane intendentissimo , stava occupandosi nel voltare il Furioso^ gli erano incitaipento e sprone ad adoptarsi cou tutte le forze per 286 viuicire a Ltuou lerniiuc nulla sua impresa. Egli commise forse rerrore di scegliere una stanza che per la sua forma non pare la più atta a rendere colla dovuta concisione l'ottava italiana. La stanza spenzeriana _, che il famoso Spencer poeta dell' età di JElisahetta usò nel suo poema The faìiy queen e che fu poscia impiegata da molti e principalmente con singoiar maestria dal Thompson nel suo Gasile of indolence j dal Beattie nel Minstrel e dallo stesso Bjfon nel Childe Harold j benché sia gravissima a cagione del verso yllessaiidrino che la chiude, è tuttavia per la giacitura delle pause e delle rime , e più ancora perchè costa di nove versi, troppo dissonante dalla regolare maestà della stanza dei nostri epici. Lo Stewart Rose se ne accorse e con prudente consiglio, giusta l'esempio del Fairfax ^ segui a passo a passo V Ariosto con altrettante ottave somiglianti nella struttura a quelle dell'originale. Ma appunto perchè il Fairfax aveva scelto quel metro, soleva il TT'^iJfen dichiarare che non gli rimaneva altro partito da prendere fuorché di verseggiare al modo dello Spencer, acciò non si credesse che si fosse giovato della traduzione del suo predecessore e insieme non corresse pericolo di essere da lui vinto, in un metro ad ambi comune, nel paragone della fluidezza e dell'armonia, comecché sperasse di superarlo in dignità e nella fedele espressione del pensieri. — Io ebbi la fortuna di conoscerlo, or son più di dieci anni, quand'egli, inoltrato già nel poema, dava opera alternativamente a .limare il già scritto ed a compiere la versione degli ultimi canti j e posso dire che, con rara modestia, degna di quel suo animo semplice quanto sereno, non cessò dal sollecitarmi con amichevoli istanze finché non ebbi scorse più parti del suo manuscritto e non ebbi qua e là notate quelle cose che mi parvero doversi emendare o potersi più acconciamente esprimere. Mi sia lecito di sentire un'onesta compiacenza nel riandare con la mente le brevi settimane che passai nel consorzio di quell' uomo eccellente , più ancora per propria indole virtuoso e benevolo che per istituto della setta cui era ascritto, e nel pensare che d'allora in poi, sebbene lungamente divisi, egli non cessò di mostrarmisi non meno costante che sincero amico. Io sono lontano dal trarre cagione d'orgoglio per esser stato consultato dal JFiffen su vuri punti 287 della sua versione intorno ai quali dubitava se avesse veramente còlto nel segno ; anzi non mi vergogno di confessare che in più d'un caso da lui mi vennero certe idee che mi fecero sfavillare i versi del Tasso di una novella luce. Riferirò in prova di questo la spiegazione ch'egli mi diede di un passo generalmente stimato difficile, sul quale non mi era mai accaduto di udire o di leggere alcuna cosa che mi soddisfacesse e che prima d' allora io non aveva menomamente inteso. I dotti diranno che la spiegazione è ovvia e non è da farne miracolo, ma io credo di non ingannarmi supponendo che moltissimi italiani abbiano sìnqul letto super- ficialmente quel tratto, senza averne mai sospettato non che penetrato il vero senso. Ci eravamo fermati sulla interpretazione della 3o* ottava del xviii" canto, là dove il poeta descrivendo la Selva incantata dice : Già nell'aprir d'un rustico Sileno Meraviglie vedea l'antica etade : Ma quel gran mirto dall'aperto seno Iniagini mostrò più belle e rade. Donna mostrò ecc. ecc. ecc. Quali erano coleste maraviglie che gli antichi vedevano nell'aprire di un rustico Sileno ? mi domandava il buon VFlffen. -^ Ed io italiano, balbettando ed arrossendo fors'anco, confessava all'inglese che il passo era per me sempre stato in profonde tenebre involto. Anch'io, soggiungeva egli, mi vi stillai sopra il cervello per un pezzo, ma un dotto mio concittadino che si diletta di studi filosofici mi ha poi fatto conoscere ciò che invano da me solo avrei cercato di comprendere. — Il Tasso ^ filosofo quant'altri mai , aveva così familiari le opere di Platone che non è maraviglia s' egli vuole alludere a questo fatto accennato da quel divino ingegno. — E qui, calato da un vicino scaffale il testo del principe dei filosofi , in non so quale delle opere di lui , mi lesse e , da quell'ellenista ch'egli era, nel suo idioma mi spiegò, come fosse uso presso i greci di nascondere certe imagini domestiche, che dovevano essere capo-lavori dell'arte o troppo preziosi o fors'anche troppo lascivi, sotto le rozze spoglie di Sileni o forse di Pani e di altre tali divinità scolpite nel legno, quasi dentro a guaine o a custodia per meglio conservarle o per torle dagli sguardi del volgo. — Con questa somma diligenza e scrupolosa esattezza 288 anche nelle menome cose, trasportò il TVlffen la Gerusalemme liberata nella nativa sua lingua, e in questo modo , per quanto in lui stette, innalzò nella sua patria un eterno monumento ad una delle maggiori glorie d'Italia. — La dolcezza dell'indole e il profondo sentire del TViffen non si mostrarono solamente nella simpatia grandissima che provava per l'infelice Torquato^ di cui dettò pure una vita, prezioso frutto di lunghe e pazienti ricerche , ma si erano già rivelati nel poema originale intitolato lulia Alpinuluj di cui trasse 1' argomento da quell' epltafio scoperto nelle rovine d^Aventico ( oggi Avenches ) già capitale Romana dell'Elvezia, del quale disse Bjron che non conosceva composizione umana pia tenera ^ né storia più commovente. Per coloro cui il nome di lulia Alpinula riuscisse nuovo accennerò brevemente che questa giovane sacerdotessa à'Aventico morì di dolore, poco dopo di avere inutilmente tentato di salvare il padre, da Aulo Cecina condannato nel capo qual traditore di Roma. L'iscrizione che si legge ancora su di un cippo mezzo roso dal tempo è la seguente: e qui penso di trascriverla , perchè le epigrafi di questa sorta, che alla delicatezza del pensiero uniscano l'eleganza e la brevità , non sono facili a incontrarsi e meritano perciò di essere maggiormente conosciute. IVLIA • ALPINVLA HIC • lACEO INFELICIS • PATRIS • INFELIX • PROLES DE^ • AVENTI^ • SACERDOS EXORARE • PATRIS • NECEM • NON • POTVl MALE • MORI • IN • FATIS • ILLI • ERAT vixi • ANN. xxm. Il TJ^iffen illustrò con versi pietosi la tomba della sventurata vergine à'' Aventico : ma a lui non sorgerà né cippo, né monumento che insegni a posteri la fossa dell' insigne letterato e dell'uomo dabbene. La modestia della Società degli Amici non permette che si rendano vani onori a pochi avanzi che tornano nel seno dell'antica madre a rimescolarsi colla polvere. Ai i4 di giugno i836. Prostro Dei'Otissimo Servitore A 289 Varietà — Frammenti d'una Storia Veneziana Seguito e fine. Era queir ora , in cui ogni oggetto depone soavemente la sua va- ria veste di luce , e pare che mandi un addio ; era quell' ora che dinanzi al pensiero conduce quanto ha di più mesto la ricordanza, e in cui siamo si tristi come se partisse una cosa cara , un amico , che non deve tornar più. Placida era la laguna , e 1' aria pendeva immobile su di lei , come un' amante sta sospesa sopra il suo vago , non osando fiatare per tema di destarlo. In una casipola di quella lingua di terra che separa la laguna dall' Adriatico , dimorava già da qualche di la povera Marina. Ora ella stava al fondo d' una stanza che dava la vista della laguna e di Venezia : teneva appoggiato un braccio sopra rozza tavola , e la fronte nella pahna di sua mano , e aveva gli occhi si fissi sul palazzo del Doge che esprimevano : là dentro v'è quanto io amo al mondo. Dopo un sospiro si volse ad una bella creatura di forse diciotto anni , che andava e veniva nella stanza per ammannire la cena, e ruppe il silenzio dicendo : — È sera , ed il vostro marito ancor non torna , mia cara Maria. — Fra poco dev'essere qui , signora , rispose Maria -, appena sera sento di lontano la sua canzone , con cui m'avverte di allestire la cena. — E possibile , Maria , che voi non sappiate a chi debbo la vita ? Perchè non mi lasciarono morire ? Avrei finito di soffrire : pur troppo ! per quanto io pensi non ispunta una speranza. — Non dica cosi , signora , soggiunse affettuosamente Maria , e avvicinandosi a lei -, anzi io spero molto. Io non so altro, come già le dissi , che una donna , ed un tal Marco , amico di mio marito , r hanno portata qui in quella notte , raccomandandocela molto , e dicendo che presto sarebbe venuto chi l'avrebbe di qui tolta. Poverina! ella non dava segno di vita: io la tenni per morta. — E vostro marito ignora veramente chi sia costei ; non ne fece inchiesta al suo amico , non lo Vide più dappoi ? — Io credo che non sappia nulla , e che non 1' abbia più visto , soggiunse Maria con calda negazione. — Ma egli non torna , disse Marina , levandosi inquietamente in piedi. 290 — Abbi pazienza , signora: lo desidero tanto anch'io: questa è l'ora più bella e più brutta della giornata : è più lungo uno di questi minuti x:he tutto il giorno. Quando Luigi mi fa passare alcuni di questi minuti di più io mi sento un male , un male addosso che più non reggo , né mi cheto finché non odo la canzone che ha fatto per me. Luigi dice che dal bene che mi vuole è divenuto poeta. Ne sa tante altre di quelle canzoni a memoria : canta il Tasso a' forestieri quando li mena in gondola. Se voi lo sentiste alla domenica , di notte , quando tocca la chitarra: gli si fa un cerchio di persone intorno e poi un altro e via-, fa arricciar la pelle. La domenica è il giorno che gli voglio più bene , perché tutte le mie amiche vedendomi a braccio con lui, dicono in core : ah! che bel marito ha Maria! questo mi fa un piacere grande. — Non godete di ciò, non desiderate l' invidia altrui , essa è cosa fatale. — Ora poi comincio a penare anch' io , 1' ora è passata. Povera me ! con tutti questi arresti , con questi strozzamenti , non vorrei che il mio caro Luigi E senza finire si affacciò alla fine- stra e stette in ascolto. — Ch' io abbia portata la sventura a questi due cuori felici ! pensò Marina dopo aver udito le ultime parole di Maria. — Eccolo, eccolo, si fece a gridare questa; venga, signora, qui; venga pure , è bujo bujo, nessuno la vedrà. Lo sente? continuò quando la signora fu alla finestra. — Temo che vi lusinghiate , io non sento nulla. — No no, non isbaglio: aspettiamo un po' e udirà. Diffatti dopo pochi istanti si udì sulla laguna una voce soave e lontana, e che si faceva sempre più chiara , e cantava : Come sulla laguna Vola mia gondoletta j Sul mare della vita Io volo , mia diletta. Ella sul primo albore Si spicca dal suo lido ; Io pure dal tuo seno Allora mi divido. Insiem da' cari lochi Lunge n'andiamo il giorno , Insieme in sulla sera A lor facciam ritorno. 291 Essa la fune avvolge Al lido , e si riposa ; Ed io le braccia gctt<^> Al collo di mia sposa. Ecco mia vita; nulla Il cor di più desia, Ch'un pane, queti sonni, L'amore di Maria. Per le pose che faceva tra una strofa e l'altra, il gondoliere fini di cantare l'ultima, che poco discosto era dal lido; e già la sua gondola era veduta dalle donne. Maria si fece a salti alla proda, dove fedeli entrambi gli sposi all'amore , ed alla canzone si abbracciavano con trasporto un po' maggiore dell'usato. Questo è uno de'pro dell' aspettare , del farsi aspettare , e dell' incpiietudine. Un'ora più tardi! non 1' hai mai fatto questo; Maria disse al con- sorte con affettuoso ed esagerato rimprovero. — Non ho perduto tempo. Tu sai , che doveva fare quest'oggi. Dimmi , non è venuto alcuno attorno alla nostra casa ? — Non ho vedvito nessuno. — Bene. Nel tornare mi passò vicino una gondola, ed un visaccio guardò dentro alla mia Non sarà nuUa ; entriamo in casa. Marina nel vedere le carezze e la contentezza di questi suoi ospiti fece due tristissimi pensieri : io non godrò mai più di questi momenti ; e forse sarò cagione eh' essi finiranno di goderne. Poi , appena che il gondoliere ebbe posto il piede sulla soglia della stanza , domandò premurosamente — Ebbene, mio buon Luigi, quali novelle ? — Ecco tutto. Fui dapprima da' suoi parenti. Gli uni mi fecero tanto d'occhi , togliendomi per una spia , e mi dissero , crollando le spalle, che non volevano impicciarsi nulla, nulla: gli altri non mi vollero neppur vedere: infine i più negarono di essere suoi parenti; andarono in bestia per l'audacia ch'essi avevano di vantarsi per tali... — Non si meravigli , signora ; gli amici ed i parenti son cosa che va e viene: son come le rondini; vengono alla primavera e partono a' primi freddi: ma tornano a' primi caldi. Buon per me, che m'era travisato; non fui conosciuto, e la potei far netta: andai dopo in piazzetta: era piena di gente: la metà raccordanti.*! Minchion min- chione m'avvicinai alle due colonne e vidi tredici .... *J Raccordante signiiicava a Venezia lo stesso che spia. 292 — Tredici ! esclamò Marina , e chinò il capo sospirando. — Squadrai, e risquadrai quelle povere creature con tanto male in cuore , che quasi mi veniva una mancanza ; dover esaminare que' volti contorti: infine non v'era né il sig. Alvise, né il di lei padre. — Non udiste nulla nella piazza ? Che diceva la gente ? non rac- coglieste alcuna notizia , per cui possa formare una speranza ? — V'era solo qualche viso equivoco, che passando vicino a que' cadaveri , diceva : che ceffo di birbone -, bene gli sta e cose simili. Già, chi è morto ha sempre il torto. La gente poi, la vera gente girava , vedeva , e parlava di tutt' altro : la bocca discorreva di Co- stantinopoli, di caffè levantino, di negozi, e gli occhi, tutti gli occhi parlavano di Venezia. Non ho potuto però rilevar nulla per noi. Mi creda, signora, speri, abbia fiducia in Dio. Il vero soccorso le deve venire da quella mano, che le salvò la vita. — Parla sommesso , interruppe Maria ponendosi 1' indice sulla bocca-, vi son due uomini fermi sotto la finestra, che guardano in su. — Chiudi , chiudi , disse Luigi più con cenni , che con la voce. Marina cominciò a tremare tutta , . Finalmente gli riuscì di aprire ; si mise dentro riguardosamente , rabbattè la porta , e pose in un angolo il lume , e un panierino. Alvise pensò sulle prime , che quegli venisse a dargli la morte, unico bene che potesse sperare -, ma vedendo poi che colui stava in mezzo il carcere -, che lo guardava senza osare di avvicinaisi a lui, meravigliava che in un carnefice vi potesse essere peritanza: e per richiedergli che era venuto a fare, agitava il corpo e le catene , e mandava suoni inar- ticolati , non concedendogli di formar parole i ferri , che tenevano chiuse le sue labbra. A questi atti il venuto corse a lui , e con voce tremola e piana gli disse : son venuto a salvarvi. Alvise rimase im- mobile dallo stupore : e quegli s'affrettò a svitare quell'ordigno, che gli divietava la parola, supplicandolo di volere poi parlare sommesso. In quest'operazione il prigioniero attonito s'accorse che quelle dita , che si adoperavano per rendergli la favella , erano piccole , bianche , tremanti ; che quel viso , che gli stava sopra , benché oscurato e nascosto in parte dal cappuccio , era pallido , di forme giovani , gen- tih, e per nulla somigliante a quelli che là dentro aveva veduto. La sua meraviglia andò al colmo quando s'addiede d'un moto convul- sivo nel petto di lui , accompagnato da un singhiozzo a gran fatica lepresso -, quando sentì cadere sul proprio volto alcune lagrime , e vide lui torcere la faccia per celarsi. 293 — Ma voi chi siete? chi vi mandai domandò Alvise appena ebbe le labbra libere. — Per amor della vostra Marina parlate pianamente, gli ripetè quel giovine giugnendo le mani , e con un accento commovente. — Marina ! la conoscete voi , la vedeste ? parlatemi di lei , sog- giunse Alvise riempiuto di speranza. — Fra poco sarete nelle sue braccia , e saprete tutto. Il tempo incalza -, per un prodigio del cielo io sono qui. Volgetevi , che vi sciolga le braccia. Ah quanto avrete sofferto! Buon Dio! com'erano legate le vostre gambe I potrete camminare ? come vi sentite ora ? Ciò fatto , e detto tuffò un pannolino , che tirò fuori di soppanno , in un recipiente d'acqua che stava vicino al carcerato , e soavemente lo trascorse sul volto di lui rigato dalle stille di sangue, e trafitto dalle punte dell' armatura. La presenza , le parole , le amorevoli cure di quel giovanetto , il sentirsi le membra libere , la speranza di vita , la riconoscenza , il digiuno , i sofferti tormenti talmente commossero Alvise , che quasi svenne. Non poteva formare parola ; solo teneva gli occhi fissi sul suo liberatore , e lo toccava con una mano per assicurarsi che non sognava. Questi avvedutosi del suo stato soppose alle sue narici una fiala contenente prezioso aceto , e lo guardava con ineffabile soavità. Quindi gli offerse un po' di cibo , e un po' da bere, che aveva portato nel panierino, perchè avesse forza di partire. — Ora dobbiamo separarci , disse mestamente il liberatore quando Alvise ebbe compiuta la sua refezione. — Come! separarci! non venite voi meco? — Ora non posso; vi raggiungerò, non mi domandate di più; per ora ubbiditemi. La vostra salvezza, la vita di Marina dipendono da pochi minuti: abbiate fiducia in me. Deponete il vostro camicione, vestile il mio cappotto: non temete nulla; forse sulla terra non v'è creatura che v' ami più . . . . M' incatenerete , com' eravate voi : chiuderete la porta ; al fondo dell'androne vi sta a guardia un uomo; vi guiderà a salvamento; seguitelo senza parlare; dategli le chiavi; fidatevi di lui pure. Mentre che questo giovane profferiva affannosamente questi accenti , l'uno indossò il camicione , e l'altro il cappotto. Alvise potè per questo nmtamento d'abiti vedere più distintamente il suo liberatore. Esso mostrava avere poco più di quindici anni; il suo volto era si bello, si delicato , che avrebbe fatto sospettare non essere d'uomo. Onde si per la vista di quel leggiadro giovinetto misterioso che tanto aveva operato per lui; si perchè s' era dileguato in parte quello stupore 294 in che 1' avevan messo tante commozioni , disse risolutamente ; — Io non fuggo, se non con voi — non posso accettare la vostra proposta : io incatenarvi ! io lasciarvi qui ! non sarà mai. , . . — Quell'uomo vi dirà tutto per via , interruppe il giovine spa- ventato dal tuon fermo di Alvise : troppo abbiamo tardato. Io debbo restar qui per poco. Attendetemi là dove vi menerà la vostra guida : partiremo tutti insieme di Venezia. Vi scongiuro , Alvise -, fate quanto vi dico-, in poco d' ora vedrete Marina. In ciò dire gli strinse una mano e lo condusse nel luogo del dolore Dire che si strinsero , dire che le loro anime si confusero , si penetrarono come due onde-, che s'immersero l'una nell'altra come vapore nell'aere -, che si unirono come due fiamme , non vale ad esprimere l' immensa delizia che goderono Alvise e Marina. Soltanto quegli sventurati che assaporarono quanto sono amare quell'ore in cui la speranza non vi parla più -, e si ama e si desia ancora e im- mensamente, un oggetto, che v' è tolto per sempre; soltanto coloro possono immaginarsi qual paradiso sia in quelle due creature. Non han più voce, non han più moto, non esistono più que'corpi colle comuni leggi -, vivono essi della vita degli spiriti — dell'amore. Ma a chi siamo debitori di tanto ? chiese Marina ritornata nell' ordinaria esistenza. — Ad un giovanetto, rispose Alvise , che mi promise di raggiu- gnermi nello spazio di due ore. — Nel vostro cappotto , signore , avete una lettera ; leggetela . . . soggiunse Marco con profonda mestizia. Alvise frugò nelle tasche del cappotto, trovò la lettera, l'apri, lesse. — Corsi per salvarvi nella notte dell' Ascensione , ma voi eravate già arrestato fuori di casa -, giunsi in tempo a conservarvi la vita della vostra sposa. Spero di riunirvi. Mi sarà mestieri di menzogne per indurvi a fuggire ; perdonatemele. Non m'aspettate -, partite subito di Venezia. Io debbo restar nel vostro luogo; un dovere mi costringe. Forse sarò salvo io pure , forse vi rejiderò il padre; ma non atten- dete nessuno, partite subito. Amatevi, amatevi, e siate felici. . . . Maladetti lampi ! bestemmiò Marco : non vi sarebbe notte più pro- pizia ; ma quelli fanno di notte giorno. Voghi , voghi , signor Alvise , ancora un miglio, e poi siam fuori di rischio. 295 Marina che sempre temeva, non lasciava di guardar eontinuaniente indietro verso Venezia. Un lampo si distese nel cielo , sul mare , ed essa vide lontano due barche. — Siamo perduti ! gridò ; due barche e' inseguono. Rimasero tutti e tre muti -, attesero un secondo lampo : pur troppo era vero. Quelle due barche volavano sopra l' onde come due uccelli marini , e non eran lungi. — Se possiamo voltare la punta di «juell' isoletta , me ne rido , metta tutta la sua forza , sig. Alvise. — Ferma , ferma , gridarono molte voci dalle barche che insegui- vano — Erano queste spinte da molti remi , e tacevano triplo cam- mino della fuggitiva. Già la vedono , e dopo pochi colpi di remi l'afferrano ; vi saltano dentro : trovano nessuno. Si chinano e guardano suUa superficie del mare se alcuno nuota, se appare una testa; tirano moschettate ad ogni cosa che vedono di somigliante, corrono qua e là e trovan niente. La piazzetta di S. Marco è gremita di popolo. Un'onda di gente va e viene. Fra le colonne vi son cinque cadaveri appesi col capo in giù , con un laccio al collo , ed a' piedi un cartello , che dice ; per delitto di stato. Se alcuno vi riconosce in quelli una persona cafa, dà volta, e fugge tra uomo e uomo a nascondere il suo do- lore , il pianto .... All' improvviso la folla si apre , e forma due sponde; in mezzo vi passa Messer Gi'ande come un boa frale canne della sua landa. Si ferma innanzi a que' cadaveri, fissa uno di quelli che parca d' un giovinetto ; il suo viso si contorce , riconosce sua figlia Olimpia in abito maschile , co' capelli recisi , strozzata , ma ancor bella. Il vecchio si rivolge addietro, e sparisce Un pescatore nell' istesso mattino narrò d'aver veduto , poco lon- tano dal lido, due corpi abbracciati , uno d'uomo e l'altro di donna , galleggiare per poco sull'onde , e profondare. *i8 296 Annijnzj di Bikliografia ELEUCO DEI ATTUALMENTE IN CORSO DI PUBBLICAZIONE. Luogo Modo Prezzo Tilulo e materie trattate della pubblicazione. annuo. Lir. C. ital. I . Album, in append. all'Enciclop. circ. Venezia. Ebdomad. 8.70 2. Album, [Giornale pittorico .) Roma. Ebdomad. 12.92 3. Amico della gioventù. Modena. Ogni iSgior. i3.— 4. Annali civili del R. delle Due-Sicilie. Napoli. Bimestrale. 25. 20 5. Ann. delle scienze del R. Lomb.-Ven. Padova. Bimestrale. i5.— 6. Ann. delle scienze religiose. Roma. Bimestrale. 12.92 7. Ann. dell'Instituto di corrisp.arclieol. Parigi. Mensuale. '48.- 8, Bollettino dell'Inst. di corrisp. ardi. jRoma. Mensuale, 9. Annali universali di medicina. .Milano. Mensuale. 3i. 32 ro. Ann. universali di statistica, economia! pubblica , storia, viaggi e commercio. Milano. Mensuale. 20.88 1 1 . Annotatore piemontese. ( Lingua e • 9.^0 letteratura italiana.) Torino. Mensuale. 13. Antologia militare. Napoh. Semestrale. 3.82 1 3. Apatista, [Letterat. amena e teatri.) Venezia. Ebdomad. i5.66 1 4. Ape delle cognizioni utili. Milano, Mensuale. 5.65 i5. Ape ital. delle belle arti. [Con incis.) Roma. Mensuale. 25 circ. 1 6. Archi vii del proprietario e dell' agri- coltore. Piacenza, Ogni due 0 II. — tre mesi. 0 num. 1 7. Archi vii di medicina e chirurgia. Napoli, Ogni iSgior. . . . . 18. Aristide. {Giurisprudenza.) Napoh. Ebdomad. . . . . 19. l'Artista. (Lettere ed arti.) Napoli. Ogni 1 5 gior. 5. IO ■'.0. Axìo]o^ni\)\cena.{Scienz.^lett.edart.) Macerata. Trimestrale. 17.92 •21. Bibliografia ital. {Dal Ricoglitore.) Milano. Mensuale. 6,— 32. Biblioteca di farmacia, chimica, fisica, medicina , chirurgia , terapeutica , storia naturale ec. Milano. Mensuale. 14.— 2j. Biblioteca ital, {Lett., scienze ed arti.) Milano. Mensuale. 24.- 24. Bibhoteca vaccinica. Napoh. Semestrale. 7.5. lìolletlino delle cognizioni industr. e dilettevoli. Bologna. Ogni 1 5 gior. 7. 53 297 Titolo e materie trattate. Luogo I Modo della puLblirazioiii'. Prezzo annuo. 26. Bollettino di notizie statistiche ed economiche ital. e straniere. [Dagli ninnali di statistica.) 27. Bullettino delle scienze medico-chir. 28. Cabinet littéraire. 29. Cattolico {Religione e letteratura.) 30. Censore universale dei teatri, 3 1 . Cerere, (Notizie politiche, offici ali ec.) 82. il Colombo. [Teatri.) 33. Comentarii di medicina. 34. il Coltivadore dello spirito. ( Relig. e morale.) 35. il Compagno della gioventù. 36. Continuazione degli atti dell'I. R.Acc. dei Georgofili e Giorn. agrario toscano. 3'j. Continuazione delle Memorie di reli- gione, di morale e di letteratura. 38. Corriere delle dame. ( Letteratura amena, mode, teatri.) 39. Corriere mercantile. 40. Corso de'cambi e valute ec. 4i. Cosmorama pittorico. 42. Cosmorama teatrale, 43. i Curiosi. [Letteratura amena.) 44- 1^ Curiosità ameno-morale. .e- Diario di Roma.,,^ . ,.^ , 45. AT i- • 11- [I\otiz. polit.aiin.ee.) ^ JNotiziedelgiorn.^ f^ ' 46. Diario forense. 47- Echo. [Letteratura amena, mode e teatri. Redatto in lingua tedesca.) 48. Effemeridi fisico-mediche. 49. Effemer. scientif. e lett. per la Sicilia. 50. Emporio di utili | Scienze ed arti. cognizioni. / Letter. e storia. 5i. Enciclopedia circolante. 52. Esculapio napoletano. [Medicina , chirurgia e farmacia.) 53. Esercitazioni dell'Acc. agr. di Pesai'o. 54. Estratti dai registri dell'Indie. [Ann.) 55. la Fama. [Letterat. amena e teatri.) 56. il Faro, [Scienze, lettere ed arti.) 5']. Figaro. [Letteratura amena e teatri.) 58. Filiatre sebezio. [Scienze-mediche.) 59. Flora delle \node. [Mode e lett. amena.) Milano, Bologna. Torino. Lugano, Milano. Palermo. Genova, Padova, Napoli , Magliaso, Firenze. Modena. Milano. Genova. Trieste. Milano, MUano, Napoli, Verona, Roma. Torino, Milano. Torino, Palermo. Torino. Torino. Venezia. Napoli, Pesaro, Napoli, Milano. Messina, Milano. Napoli. Fi\enze, Mensuale. Mensuaie. Mensuale. Ogni 1 5 gior 2 n. per sett, Cotidiano. 2 n. per sett, Mensuale. Ebdomad, Mensuale, Trimestrale, Bimestrale. Ogni 5 gior. 2 n. per sett. 2 n. per sett. Ebdomad. Ebdomad. Ogni 1 5 gior. Mensuale. ■2 u. per sett, Ebdomad. Ebdomad. 2 n. per sett. Ebdomad. Mensuale, Mensuale, Mensuale, Ebdonxad, Mensuale. Semestrale, Ebdomad, 3 n. per sett, Mensuale. 2 n, per sett, Mensuale, Ebdomad, 6,96 7.68 2tJ. IO 39,95 20. 20.88 8.32 IO, 5o 36,— 3o.— i5. 6t) 6.96 3.48 b. — 34.43 9, 5o 28. 71 IO, — • IO, 20 5.— 5.— 3i, 32 Variab. 3i, 32 IO, 20 17.40 IO. 20 20. — 298 Titolo e materie trattate. Luogo Modo Prezzo della pubblicazione. annuo. Verona. 3 n. per sett. 26, IO Parma, Ebdomad. 6. — Firenze. Ebdomad. 22. — Milano. Ebdomad. 17- 40 Lodi. Ebdomad. IO. Torino. Ebdomad. 20, — Firenze. 3 n. per sett. 26, 56 Genova. •2 n. per sett. 24. — Lucca. 2 n. per sett. 22, 40 Mantova. Ebdomad, IO, 44 Parma. 2 n, per sett. 20, — Cagliari. Ebdomad. 4. 60 Verona. Mensuale. 5, 22 Zara. 2 n. per sett. 20, 88 Verona. Mensuale. 8. 70 Torino. I giorni inf. 3o. Bologna. 3 n, per sett. 26. 90 Milano. Cotidiano, 43, 5o Venezia. I giorni inf. 36, 54 Lugano. Ebdomad, 9- ai Fuligno. Ebdomad, 5, 38 Milano. Trimestrale. 12. 18 Roma. Mensuale. 26. 90 Palermo. Trimestrale. 5. IO Pisa. Bimestrale, i5. — Catania. Mensuale, 7- 65 Trieste. 3 n,per sett. 78. 3o Brescia. Ebdomad, i5.66 Bergamo. 2 n. per sett. IO, — Pavia. Mensuale. 6, 09 Napoli, Cotidiano, 60, 60 Roma. Ebdomad, 9- 68 Palermo. Trimestrale, 5, IO 60, Foglio di Verona. {Notizie politiche, annuncii ec.) 61, Foglio periodico, [Avvisi.) 62, Folletto, {Mode e varietà.) 63, Gabinetto di scienze, arti ed industria in appendice alla Fama, {Contavole.) 64, Gazzetta della prov, di Lodi e Crema, 65, Gazzetta delle Mode, 66, Gazzetta di Firenze. 67, Gazzetta di Genova. 68, Gazzetta di Lucca. 69, Gazzetta di Mantova. 70, Gazzetta di Parma, 71, Gazzetta di Sardegna. 72, Gazz, di terapeutica medica e chirur, 73, Gazzetta di Zara, 74, Gazzetta eclettica di cliimica-farma- ceutica-medica-tecnologica. 70, Gazzetta piemontese, 76, Gazzetta privilegiata di Bologna. 77, Gazzetta privilegiata di Milano, 78, Gazzetta privilegiata di Venezia, 79, Gazzetta ticinese, 80, Gazzetta universale. 81, Giornale agrario lomb.-ven. e Conti- nuazione degli Annali univers, d'agri- coltura, d'industria e di arti econom, 82, Giorn, arcadico di scien,, lett, ed arti. 83, Giorn, clinico dell'ospedale grande, 84- Giornale dei letterati, {Letter. -Scien.) 85. Giornale del Gabinetto Letterario dell'Accademia Gioenia. 86. Giornale delLloyd austriaco. (iVofiz/e commerciali e marittime.) 87. Giorn, della prov, bresciana, {Notizie politiche, annuncii , atti officiali ec.) 88. Giornale della provincia di Bergamo. {Industria, commercio, letter atura ec.) 89. Giornale delle scienze medico-cliir. 90. Giornale del regno delle Due-Sicilie, {Notizie politiche , atti del governo.) 91. Giornale di commercio, arti, agricol, e industria. 92. Giorn, di commercio e d' industria. 299 Titolo e materie trattate. Luogo I Modo della piib1)lica7.ionc. Prezzo annuo. 93. 95 97 98. 99- [OO. [02, io3, .04. 106. [07. [08, [20, [21. 12-2, [23. .24. [25. 126. 128, Giornale di commercio, d'imlustria, teatri, varietà, bibliogralia ed avvisi. Giornale di commercio. Giornale di commercio. Giorn. di medie, pratic. per la Sicilia Giorn.. di scienze, lettere ed arti per la Sicilia. Giorn. di scienze medie, per la Sicil Giornale ecclesiastico. Gior. econ. del principato ulteriore Giorn. per servire ai progressi delU patologia e della materia medica. Giornale vaccinico. Giovedì, lettura pei giovanetti. Giurisprudenza pratica. Glissons, n'appuyons pas. il Globo areostatico. Gondoliere. {Lett. ani., mode e teat. Guida dell'Educatore. Imparziale. [Notizie politiche e lett.) Indicatore economico. Indie. [Letter. straniera, scienze ec.) Indie. Y>ìsano.{Com., arti, agr. ed ati.) Indie. [Letter. amena ed industr.) Indicatore. [Agenzia teatrale.) Indicatore sardo. Indipendente svizzero. [Notizie po- litiche, letterarie ed aiinuncii.) Innominato. [Scienze, lett. e arti.) l'Istitutore. Journal de Savoie. (Po/i>/ca, religione e letteratura.) Lavori delR. Istituto d'incoraggiam. Magazzino pittorico universale. Manuale di conversazione. [Indu- stria, commercio, agricoltura.) Maurolico. [Scienze, lettere ed arti.) Messaggere. [Com., letter., teatriec.) Messaggere modenese. [Notizie po- litiche, annuncii ec.) Messagg. tirolese. [Not.pol.evariet.) Messaggiero delle belle arti, la Moda. [Mode e teatri.) Fiaiuino della Moda. Firenze. Livorno. Napoli. Palermo. Palermo. Palermo. Alessand. Avellino. Venezia. Palermo. Milano. Milano. Mdano. Napoli. Venezia. Firenze. Palermo. Modena. Milano. Pisa. Siena. Napoli. Cagliari. Magliaso. Messina. Napoli. Ciamberì. Palermo. Genova. Venezia. Messina, Torino. Modena. Rovereto. Napoli. Milano. Ebdomad. 2 n. per sett. Ogni IO gior. Ebdomad. Mensuale. Mensviale. 2 n. per mese Ogni 1 5 gior. Bimestrale. Semestrale. Ebdomad. Mensuale. 3 n. per sett. Ebdomad. 2 n. per sett. Mensuale. 2 n. per sett. Ogni 1 5 gior. Mensuale. Ogni I o gior. Ebdomad. Ebdomad. Ebdomad. 2 n. per sett. Ogni IO gior. Ebdomad. Mensuale. Ebdomad. Mensuale. Ogni IO gior. Ebdomad. 2 n. per sett. 2 n. per sett. 2 n. per sett. Ogni 5 sior. 8.40 3o.— 8.77 IO. 20 20. 4» IO. 20 8.— 3.40 20.88 5. IO 8.70 26. IO 3i. 32 10. 20 3i. 32 1 1. 20 19. 12 5.— 24.- 6. 72 6.66 8.77 6. — 9. 21 8.92 i5.— IO. 20 7- — 10.44 9.35 16. — 9- — 34. 80 20.88 500 Titolo e materie trattate. Luogo j Modo della pubblicazioiie. Prezzo miiitio 1 29, la Moda. Napoli. i3o. Moda di Parigi [Figurino del Gon- doliere.) Venezia. . Moda milanese e straniera. (/^7gia ù lo sposare una vergine che una vedova , qiiod nieiius vst vir- gÌ7ieni quam viduani ducere. Veggonsi finalmente i più insigni dottori afiiontare col più austero coraggio discussioni le più futili e vane , e spiegarvi talora una potenza di logica ed una penetrazione ver;!uieiile prodigiose. Gepolla , per eseuip. , i di cui trattali sono tra ]c. njani di lutti , fece un libercolo intitolato da caulctis , (iove esaurisce lutti li più sottili arzigogoli per riiivenirc i mezzi di o06 dare al tcwrto tutta la ragione ai cospettp della legge. Nulla v'ha di più curioso che un tal libro; ed ella è cosa impossibile di resistere a tutte le tentazioni d' ilarità che si provano leg- gendo le rubriche delle varie cautele e stratagemmi di cui l'au- tore annovera e spiega 1' impiego. Aprendolo a caso ci cadde sott' occhio il capitolo dove egli colla più accigliata gravità pro- pone il modo con cui un debitore di una egregia somma può liberarsi dalla sua obbligazione pagandone una assai minore — Cautela prò debitore in magna suniina obbligato , quod solvendo pantani liberetur: ed il nostro giureconsulto s' avvede che que- sto suo ritrovato può essere così prezioso eh' egli lo presenta come una cautela mirabile e da non oj)bliarsi giammai — Ego libi do imam cautelam admirabilem ^ quam tene menti perpe- tuo. Tommaso Ferrazio dottor Pieniontese ha eziandio pubbli- calo un simil libro de cautclis dove fra le altre sì distingue una cautela diretta a che un beneficialo che avesse commesso un omicidio non possa venir privato del suo beneficio (cautela ut praelatus non perdat sua beneficia propter homicidium com- missum): ed un' altra per poter dire impunemente altrui delle ingiurie ( cautela ut dicens alieni verba injuriosa evitet actio- nem injuriaruni). Tale si era lo spirito di quei tempi *i. 8ul Unire poi del XVI secolo il Fabro con una indipen- denza di genio allora mai da gran tempo sconosciuta fu il primo a sollevarsi contro 1' abuso delle discussioni meramente specu- lative. Il suo libro de conjecluris che compose nell' età di soli 23 anni, e quello de er/oribus Pragmaticorui/i sono un \\^oi-oso ed ardito proclama contro quella genìa di dottori che non sa- pevano far altro che giurare per Accurzio e per Bartolo. Il sig. Consigliere di Stato AVET nel suo eccellente elogio del presidente Fabro ci mostra questo gran giureconsulto quasi sin dall'infanzia combattendo la disperante dottrina della cieca autorità. « Ce qu'il )> y a de remai-quable dans Favre, egli dice, e' est de le voir en- )) core sur les bancs soumettre tout à l'examen de sa propre » raison. S'afi'ranchir des routes vulgaires , ne compier pour "i A difesa ili scrini cusi fatti si potrebbe forse sospettare o desiderare al- meno che Mi.ino slati comporti piuttosto per irexiiii che da senno. ( Nota del T. ). 307 » rieu l'autorité qui n'est pas appuyee sur l'esprit méme de V la loi , chercher la verité sans se laisser imposer par les pre- » jugés dans un gente de connaissances où souv'ent le doute » nait du savoir, et où les opinioiis admises acquierènt par là )) méme tant de force et d'empire ; c'e'tait s'étre place , long M temps avant Descartes sur la voie qui seule conduit aux gran- » des découvertes dans l'ordre social comme dans l'ordre na- » turel. ». Dicesi che sia stato sulla proposizione del Fabro che il Duca di Savoja Carlo Emanuele I pubblicò quel celebre editto riprodotto nelle Costituzioni generali del 1770, tuttodì ancora vigenti , con cui è vietato agli avvocati di citare nelle loro allegazioni veruno de' dottori nelle materie legali ed ai giudici tanto supremi che inferiori di deferire all'opinione di essi sotto la pena ai contravventori della sospensione dai loro ufilzj (Reg. cost. lib. 3, tit. 22, § i5 ). Egli è così che i nostri Principi conculcavano i pregiudizi tuttoché fossero ancora nella primiera lor forza, e si facevano antesignani nel movimento progressivo dello spirito umano. Fabro per tal modo veniva aprendo una carriera novella : l'opera era cominciata-, conveniva darle il compimento. Nel secolo XVIT alcuni retti ingegni compresero che l'istoria del diritto romano doveva servire di base , e di preparazione alla conoscenza intima della scienza. Gravina in Italia, Terras- son in Francia, Schubart e Heineccio in Alemagna applicarono con successo lo studio dell' antichità allo sviluppo dei principj della giurisprudenza romana che finalmente ebbe i suoi isto- rìografi. Egli è nell' Alemagna soprattutto che dessa venne col- tivata con maggior fervore. Nel 1755 Giovanni Augusto Bach, professore in Lipsia, pubblicò una storia del diritto che fu ac- colta con moltissimo favore : era essa la prima opera compiuta che sin allora fosse venuta alla luce sopra una siffatta materia. Lo stabilimento della scuola chiamata istorica risale a un di presso a quest'epoca. In appresso ricerche infaticabili, e la sco- perta di nuovi monumenti come furono le instituzioni di Gajo, trovate in Verona nel 18 16 da Niehbur, hanno sollevata questa scuola bea al di sopra di quello che era ai tempi di iii inecciu 308 e (li Bach: e tutti conoscono oggidì le dotte fatiche di Ugo « di Savigny *i. Con tutto ciò a misura che si progrediva più addentro nelle viscere della legislazione romana, e che se ne assoggettavano i principii fondamentali ad un'analisi più rigorosa, si veniva ad accorgersi che questa legislazione non era punto immune da ogni difetto. Racchiude essa difatti molte ricchezze, ma esse sono affastel- late nelle compilazioni giustinianee con sì poco discernimento ed ordine , con sì poca critica , che a ragione si dice che i lavori di questo imperatore profìttaiono assai poco al suo se- colo , e che rimasero ben lontani dal partorire quei risulta- menti che se ne erano spei'ati. Si potrebbero paragonare ad una miniera feconda di cui bisogna prima d'ogni cosa purificare il metallo prezioso e sceverarlo dalla scoria che gli è frammi- schiata. Simbolica nella sua origine, essa divenne nel progresso del tempo sottile e fittizia. Nessuno ignora quale in sulle prime fosse il l'igore del diritto , e con quante formalità e termini sacramentali era stata inceppata la maggior parte degli atti della vita civile. In allora 1' efficacia dei contratti consisteva quasi unicamente nelle solennità a cui erano stati sottoposti: uti lin- gua nuncupassit ita jus esto *2. Questi ostacoli miravano, egli è vero , ad un fine politico , poiché tennero lungo tempo il popolo nella dipendenza dei grandi che facevano una specie di monopolio sopra la scienza del diritto , ed a cui era forza ri- correre onde proporre azioni in giudicio. I costumi di Roma erano intanto divenuti meno austeri, ed il potere aristocratico del senato si andava indebolendo, ed al- lora si sentì il bisogno di raddolcire 1' asprezza delle antiche leggi. Egli é a quest'epoca che il diritto de' pretori ebbe il suo *i Qui si parla .soltanto della scuola istarica della Germania. Del resto in Francia nulla hanno di che invidiarla , sebljcne ne seguano le tracce utilissime i Lhermiiiier , iTropIong, i Dupin, ed i Joufroy ; ed in Italia i Roraagnosi, i Carmignaiii ed altri insigni. Né a quella scuola si mostrò straniero il nostro eonte Sclopis nelle sue opere sopra l'antica legislaMone del Piemonte. (Nota del T. ) *a Leggìi dilla xii. tav. , tay. n. fram. i. .509 coniinclamento. Questo diritto non potè stabilirsi che col .«oc- corso di fiuzioui , percljè non ?i -voleva lasciar comparire che si abrogasse ciò che sin allora era stato ricevuto e praticato. Ma egli è certo che queste fiuzioui come che loutane da noi per tanta distanza de' secoli e per la difierenza degli elementi di civiltà, conservano tuttavia aucora iu oggi una grande influenza sopra i giudizj de' nostri maestrali. li periodo più glorioso del diritto romano si è quello senza dubbio in cui vissero i giureconsulti , le cui opere si fecero ser- vire alla compilazione delle pandette. La deunizione sola della giurisprudenza, divinariini atque huttianarum rerum notilìaj de- finizione che Llpiano ci ha conservala indica qual fosse l'esten- sione e la varietà delle loro cognizioni. Egli non è questo il luogo d' intertenerci sopra il merito letterario dei loro scritti: lo stile però non restò privo di encomii , e questi gli hanno gene- rosamente risarciti dall ingiustizia che loro veniva fatta col non essere stati anuovei'ati fra gli scrittori della sublime latinità. Lo studio della filosofia ben lungi dall'esser i-espinto dai giureconsulti come un accessorio di poco momento, veniva all'opposto consi- derato come una necessaria introduzione alla giurisprudenza. ]Noa tengasi però questo per un motivo di credere che questa scienza vi abbia guadagnato gran fatto. La filosofia greca con tanta violenza assalita dal primo de' Catoni si era slabiìita in Pioma con tutta la sua dialettica sottile, capziosa, e sofistica. Seguendo l'esempio de' filosofi . i giureconsulti non tardarono molto ad abusare ancor essi dei principii generali, ed a ridurre alla realtà le idee astratte ; soventi si veggono assorti in escogitare divi- sioni arbitrarie, o distinzioni non su d'altro poggiate che sopra un semplice traslocamento di parole *i : più soventi ancora essi puntellano i loro ragionamenti sopra massime immaginarie alle cui conseguenze teugou poi dietro con un rigore inflessibile *2. *i V. le instituzioni lib. 3, tit a^ , $ 7, dove si fa qinlla fjinosa classifica- zione dei contratti do ut des , facio ut facias , J'acio ut d.'S , do ul J.icias ; e nella quale le due ultime divisioni rientrano l'ima nciriiilra , e la sola Irasui.si- lione delle parole forma tutla la differenza. '1 V. la discussione tra i Sabiniaui ed i Proculeiani iiilonio alia spccifìcaztoiie ( dig. kg. r. § ^. de adquir. rerum dominio). Vedi ancora la li^;:e 21 , er la scienza. » leeone Menabrea. 311 SciEFCZE Morali — Nuova opera del Conte Reaern. (Paris i835). Mentre ci riserbiamo di far conoscere ai nostri lettori per mezzo di una più estesa analisi il libro del conte di Redern intitolato — Considèration sur la nature de thomme en soi méme ^ et dans ses rapports avec Vordre social — Noi lo annun- ziamo frattanto colle stesse sue parole e con quelle del sig. M. A. Julien. « L' oggetto di quest' opera , dice 1' autore , abbraccia il va- sto campo di tutta 1' esistenza e di tutte le speranze dell'uomo. Più d' una fiata si considerò un sistema speciale di governo come una norma comune dell' umanità , a cui dovessero inva- riabilmente assoggettarsi gì' individui e le società, senza punto badare cbe quel sistema doveva soltanto servire di prova e di stromento per darle tutto quel conveniente sviluppo che la sua propria varietà richiedeva. Si volle in tal quìsa modellar l'uomo sopra l'ordine sociale, invece di comprendere che quest'ordine è formato da lui solo , e per lui stesso , e che per conseguenza deve trovarsi in armonia collo scopo della sua esistenza e colla natura delle sue facoltà. I due volumi pubblicati sinora con- tengono la destinazione e la natura dell' uomo considerato in se medesimo, e formano a loro stessi un'opera speciale ed in- dipendente, che comprende la parte teorica. Un secondo libro poi , compimento del primo , tratterrà delle applicazioni di que- ste alte verità all' ordine sociale : verità che 1' autore espone nella prima parte del suo lavoro con una gran forza di logica e che ci svelano il vizio radicale di alcune attuali instituzioni. — Un quadro analitico del mondo sensibile e del mondo in- tellettuale , delie forze e delle azioni della natura inanimata , e della natura dotata di anima , che dimostra sino a qual se- gno r autore siasi profondato nel suo argomento , termina il primo volume. Vi si trovano particolarmente molte assennate 312 obbiezioni contro la doUrina che ammette una relazione spe- ciale tra le parti del cervello con ciascuna facoltà della forza intellettiva , ed una continuità di azioni scambievoli tra le fa- coltà dell' organo encefalico. « Una relazione tra la forza intel- » ligente ed il corpo debb' essere certamente una e semplice » nella sua causa 5 ma le sue manifestazioni sono diverse. L'in- )) fluenza delle affezioni sopra il corpo non è meno evidente che » quella della volontà sopra i muscoli. » — Altissimi pensieri sulla morale succedono poscia alle osserA^azìoni psicologiche, e finalmente un trattato compiuto di psicologia e di filosofia mo- rale ed intellettuale vien coronato con questa bella sentenza : » L'essere che discerne il bene ed il male, che ha un pensiero » ed una facoltà di desiderare immensa , un essere i di cui » sguardi si portano suU' avvenire , non appartiene certamente » tutto intiero al presente ed a questa terra , ma bensì al » mondo delle forze , all' ordine morale , ed è immortale come » lui stesso. » — Quest' opera pertanto che ci promette uno studio profondo e ragionato sopra 1' uomo e le società umane, merita nel più alto grado le meditazioni de' filosofi e de' legis- latori. Noi desideriamo di trovax-vi realmente questo merito , e ci auguriamo di cuore che 1' autore attenga alle promesse che ne fa annunziando l'oggetto del suo libro, e vorremo persino tro- vare che quest' annunzio fosse ancora modesto. Frattanto se nelle promesse applicazioni delle teorie ai fatti egli sarà giusto, conscienzioso , sapiente , il suo libro avrà la rara utilità per i libri di tal fatta , quella cioè di procacciare vantaggi e perfe- zionamenti reali e positivi nella pratica; ed esso intanto potrà facilitare lo scioglimento di quei dubbii che tuttodì ancora si vanno rimproverando a quelli scrittori che, come il conte di Redern, nelle cose filosofiche e sociali seguitano la scuola delio spiritualismo. S. B. 313 Scienze Amministrative — Statìstica. ~ Leggi sulla popolazione. Sembra che l' incivilimento sia più favorevole all'aumento delle donne, poiché si osserva, che il loro numero è maggiore nei paesi più inciviliti. Nelle contrade ove la popolazione venne numerata , si trovò quasi sempre esservi più donne, che uo- mini , allorquando nessuna violenta circostanza aveva alterate le naturali relazioni dei due sessi. Vi ha per conseguenza na- turalmente maggior copia di donne, che di uomini, quantun- que in generale vi nascano più maschi che femmine. In Eu- ropa si riscontra esservi 19 donne sopra 17 uomini"; e quanto alle proporzioni dell'età il sig. Villermè determinò per quanto gli fu possibile: i.° Che il quarto de' viventi ha meno di io anni. 2." Che la metà non giunge a 3o anni ne' paesi, dove la po- polazione è la più prospera, né ai 20 anni in quelli dov'essa è meno fiorente. 3." Che infine sopra 100 viventi, non ve n'ha giammai più d'uno, che abbia 80 anni, o di vantaggio. Un giornale di Berlino diede recentemente il risultato di ri- cerche curiosissime , fatte dal Dottore Caspar sulla longevità comparativa degli individui maritati, e dei celibi. Venne rico- nosciuto che per le donne la durata media della vita a aSanni, è per quelle che sono maritate di 36 anni, e per le non ma- ritate di anni 3o e mezzo. Riguardo poi agli uomini, il Dot. Caspar continuando le sue indagini , riconobbe , che per gli uomini giunti dai 3o ai 45 anni, la mortalità non è, che di 18 sopra 100, mentre essa è di 27 per 100 perii uomini non ammogliati entro quella età: e che per ogni numero di 4' ^^^^~ batarj dello stesso sesso, che pervengono ai 4o anni, vi esistono 78 individui ammogliati. La differenza diviene ancor più sen- sibile a misura che si considerano più avanzatisi in età. Così 314 a 60 anui non vi hanno più, che aa celibatarj sopra 4^ am- mogliati, a 70 anni la proporzione è da ii a 27; a 80 da 2 a 9. Questa istessa proporzione può venir stabilita rispetto alle donne, dimodoché 72 donne maritate pervengono all'età di 5o anni sopra 62 non maritate, che giungono allo stesso limite. Egli è inutile ( soggiunge il Mémorial Encjclopedique , da cui queste notizie sono ricavate) di far notare quanto siffatte osservazioni possono essere feconde per i moralisti. Non risulta difatti dalle medesime la conferma soltanto dei ripetuti prin- cipi, che lo stato conjugale è favorevole ai buoni costumi, all' accrescimento della popolazione 5 ma toccando più da vicino l'egoismo, lo avvertono inoltre col potente linguaggio dell' espe- rienza, che il matrimonio è propizio pur anche alla longevità. S. B. Nota - « Questi calcoli di osservazione e i loro risultati saranno veri , ove si parli » di paragone fra i maritati e i cclibatai-j libertini , che menano vita rotta ad ogni » intemperanza. Ma trattandosi del celibato religioso , la cosa procede ben diver- » satuente. È fatto provato dall'esperienza di più secoli, che nei monisterj e in ge- u nerale nelle case religiose è assai frequente la longevità, dacché la sobrietà, la V vita attiva ma regolata , la tranquillità dello spirito e cento altre ragioni mira- » bilmente contribuiscono a prolungare la vita. Lo stesso dicasi anche del elepo » (ecolare. » 315 Geografia — D*' fiumi. Tra i molti oggetti che appartengono al dominio della geo- grafia e della storia , pochi ve ne ha così importanti a consi- derarsi quanto i fiumi. Ei fu già dall' Herder sapientemente osservato che la configurazione della terra ha grandemente con- tribuito a determinare qua e là le differenti condizioni della spezie umana. «La natura, scriv'egli , *i ha delineato con pos- sente Ulano il disegno della storia dell' uomo , e de' suoi rivol- gimenti nella disposizione delle montagne , e nel corso de' fiumi che da quelle discendono. » 3e quelle e questi avessero avuto un andamento diverso da quello che hanno , tutta la storia dell' umanità ne sarebbe stata cangiata, l'umana spezie avrebbe preso tutt' altro avviamento. Pochi popoli o forse nessuno v' ha sulla terra , che non abbia una o più volte ne' tempi andati can- giata sua sede. Ora è provato per le storie , che gli antichissimi popoli dalle alture della terra , loro sedi primitive , discesero quasi sempre a nuove regioni , seguitando il corso de' fiumi , e fermandosi colà dove la fertilità delie pianure da quelli ir- rigate gli invitava. Così dalle alture dell' Armenia seguitando il corso dell' Eufrate discesero già, com' è verosimile , gli abita- tori del bel paese Babilonico , che per la dolcezza del clima , per 1' ubertà del terreno, per l'opportunità di un gran fiume avente foce nel golfo persico pareva dover essere la culla dell' umana civiltà, e che invece fu la sede della mollezza, del de- spoti smo , e della servitù, e nulla mai maturò di gentile e ge- neroso , colpa forse delle frequenti irruzioni delle turbe nomadi dei deserti dell'Arabia, e del mar Caspio, che inondando a vicenda que' dolci campi , scompigliavano e distruggevano ad un tratto r opera di molte g€nerazioni *'i. Lungo il corso del Nilo ^liscescro parimente uell' Egitto e v' ebbero odiosa dominazione *i Idécs sur la philosoiihie de 1' histoiie ile 1' humunile. 'a Joufltoy — Mèlaiiges philosoi)hiqucs. 316 gli Etiopi. Dal Tibet s\ calarono, seguitando il corso del Gange, gli alpestri conquistatori dell' ludostan , e vi mutarono ad uu tempo religione e leggi *i. la una parola ei pare che le alture della terra come spandono al basso lo acque 5 cosi versino pur- ancbe i popoli ora a distruggere , ora a conservare. Ma non è nostro proposito il discorrere ora qui de' fiumi in quanto essi si legano alla storia dell' umanità ,• del che ci occorrerà forse di ragionare altra volta. Ora ne discorreremo alquanto considerandoli dal lato loro geografico. I grandi fiumi hanno quasi tutti loro origine nelle principali catene di montagne : e derivano da sorgenti tranne alcuni che sono alimentati dalle nevi, e dai ghiacci disciolti, come la più parte de' fiumi , che nascono dalle Alpi appiè de' ghiaccia) *2. Delle molte opinioni , che s' ebbero già intorno all' origine delle sorgenti *3, prevale ora universalmente , e fuori d'ogni dubbio quella , che ne attribuisce la formazione alla grande quantità di vapori che dal max-e e dalla terra per virtù del calor del sole si sollevano nelF atmosfera , e che o le montagne traggono a sé , e si beono , ovvero adunati in pioggie ed in nevi cadono in sui loro dorsi, e quel più che ne è trattenuto e sopravvanza al nutrimento delle piante penetra addentro nella terra per li suoi strati meno densi , finché pervenga ad uno strato più consi- stente d' argilla o di roccia , che ne trattenga lo scolo : ivi s'ac- coglie e spaudesi giù pel pendio di quello, finché scemando il monte lo strato riesca alla superficie del terreno , dove l'acqua accolta esce in sorgenti. Da queste hanno principio i fiumi. Talvolta avviene che gli strali sovra cui scorrono le acque dentro terra vengono interi-otti da caverne , che s' aprono nel seno delle montagne 5 allora le acque vi si precipita a den- tro , e di qui nasce che alcuni fiumi traggono origine dalle ca- *i Hceren. Idcen e te. Kritischc ansiclit dcr Indlscheii altcrtliuinskunde. " *a S. F. Lacroix. lutroductiou a la géograpliie matliématique et phisique. *3 Descartes opinò, che le acque de' fonti derivassero tutte dal mare, e pe- rocché le sorgepti trovansi quali più, quali meno alle sopra il mare stesso, ima- ginò, che pervenute le acque marine nelle caverne dischiuse sotto la base delle montagne fossero fatte evaporare per virtù d'un fuoco sotterraneo: chi.' in que- sla evaporazione deponessero aifatto il loro sale, e che quc' vapori condensati poscia dal freddo dessero filtraudo nascimento ai fonti. 517 verne. Tra questi è nota per fama la Sorga originata dalla caver- nosa fontana di Valcbiusa fatta celelire dai lamentosi carmi dell' innamorato cantore di Laura. Le acque uscite dalle sorgenti in- cominciano attraverso le valli il loro picciolo corso , durante il quale più e più sempre ingrossano per nuove acque, che accol- gono finché vanno a perdersi o dentro laghi, od in mari in- terni, o nell'Oceano. La grandezza e l'importanza de' fiumi non dipende dunque soltanto dalle acque delle sorgenti-, ma dalle altezze ond' hanno origine, dall'abbondanza de' loro atlluentì, dall'ampiezza e dalle qualità naturali del paese che percorrono. Le alture bene inarborate giovano grandemente ad alimentare i fiumi col trattenere le acque atmosferiche, e diminuirne l'eva- porazione; e come i fiumi contribuiscono assai alla fecondità delle campagne 5 cosi i soverchi diboscamenti possono arrecare per questo rispetto danni non mediocri. Kant nella sua geogra- fia fisica *i attribuisce al corso delle acque la formazione delle valli e del letto de' fiumi. Per quello che s' appartiene ai letti de' fiumi pare non esservi dubbio , che ei furono ca- vati e formati dalle acque 5 ma non crediamo potersi afFer- mare lo stesso delle valli , perocché alla formazione di queste troppo più efficace causa si richiedeva , che quella del corso delle acque. Onde noi opiniamo con Malte-Brun *2 ed altri riputati geografi, che l'origine delle valli s' abbia ad attribuire a que* medesimi rivolgimenti , che produssero le montagne. Le acque atmosferiche poterono bensì solcando i fianchi de' monti, e portandone al basso le molli e movevoli terre formare colle loro posature gli strati orizzontali che occupano il fondo delle valli, e fare cadendo più profondi i loro canali nella pnrte su- periore del loro corso, ed innalzarli nella parte più bassa , po- terono insomma produrre sulla superficie della terra mutazioni grandissime, come di fatto le produssero, e continuano di pro- durle sebbene più lentamente ora che da principio pel conso- lidarsi che fece la terra , ma non pare probabile , che abbiano potuto esse sole col loro cadere formale le valli. '1 Kanf. Gcoj;r:ilia fisica. Voi. 5. *■>. Malte-Hrnii. Piccis de li iiéosiafic iinivtistlle. Voi. 318 Tulio l'iusiems dvì terreno declive, da eui uà tìuoie racco- glie le sue acque, si può chiamare o con Malte-Brua e Borj de St. Vincent il bacino, o la regione idrografica di quel fiu- me , ovvero con Kant il dominio della corrente , oppur con altri la conca fluviale. Il bacino o conca , che si voglia chia- mare d'un fiume principale si compone di altrettanti bacini secondar] più piccoli, e più stretti, quante sono le valli, in fondo alle quali corrono le riviere, che portano a quel fiume il tributo delle loro acque. V'ha sulla terra certi rialti , od acro- cori (plateaux), che sono come punti di scompartimento per le acque, divortia aquarum. In questi punti si ravvicinano sovente a picciolissima distanza ì bacini di due o più grossi fiumi , ì quali divallando dilungansi poscia di grandissimo spazio gli uni dagli altri , seguitando la pendenza del terreno. Nell'Europa le sorgenti del Dnieper, che mette foce nel mar nero, della Duna e del Niemen , che si scaricano nel mar Baltico, sono quasi contigue le une alle altre nel mezzo d'una pianura palustre*!. Lo stesso avviene del Volga e del Don. Neil' Africa secondo- che si raccoglie dalle notizie di Bruce, e Mungo Park, il Ni- lo, il Senegal, eia Cambia hanno pure le loro sorgenti assai vicine. Nell'America settentrionale il Bourbon, il S. Lorenzo, il Missisipì e l'Orezan hanno le loro sorgenti non più distanti tra loro, che di 6 miglia geografiche *-i. Alcuni grossi fiumi hanno di più ancora i loro bacini quasi confusi insieme. Nell'A- merica meridionale un braccio dell'Orenoco il Gassiquiare cade nel Rio Negro , il quale si unisce coU'Amazzone, ed il Xupuro, che può considerarsi come un braccio dell'Amazzone, cade uell* Orenoco, e v'ha esempio di viaggiatori portoghesi che navigando suU'Orenoco e sull'Amazzone vennero ad incontrarsi. Onde ei pare, siccome nota Kant *3 , che quelle acque incomincino adesso il loro corso, e non abbiano potuto ancora cavarsi il loro letto, onde spandersi liberamente o dall'uno, o dall'altro lato. I bacini fluviali sono sovente separati 1' uno dall'altro da catene di montagne, le quali formano colle loro creste le line» *j S. F. Lacvi;ix. 1. e. ( *a Kant. 1. e. *3 L. e. 519 ài scompartimento tra le regioni idrografiche di diversi fiumi ; ma non di rado occorre, che le conche fluviali non sono di- vise altrimenti da monti falsamente creduti da alcuni geografi limiti necesssarj a tutti i bacini de' fiumi. Da molti acrocori dove l'occhio appena discerne una picciola inclinazione si spandono le acque in contrarie parti , segui- tando solamente la pendenza del terreno. Al che si vuole tanto più por mente, in quanto che molti facitori di carte geogra- fiche dandosi a credere, che i fiumi sempre s' avessero a con- durre entro catene di monti, imaginarono montagne dove non erano : e moltiplicarono nelle loro carte linee montuose per iscompartire i bacini de' fiumi là dove i viaggiatori non tro- varono poi che vaste pianure diversamente inclinate. La qual cosa s'avvera principalmente nella Spagna riguardo ai bacini del Xujar, e Guadalquivir : de' quali fiumi derivanti dalla mede- sima altura, il primo mette foce nel Mediterraneo dalla parte d'oriente; il secondo nell'Oceano dalla parte occidentale, dichi- nandosi secondo il pendio del terreno , senzachè v'abbiano mon^ ti, che ne partano i bacini *i. Né solamente i fiumi non sono sempre fiancheggiati da catene di montagne e di colline, ma rompono talvolta per farsi via le montagne , che s'attraversano al loro corso , anziché dar loro volta attorno. Del che sono prova nell'America i fiumi Cohougrontariver, e Susquehannah, che bagnano la Pensilvania e il Maryland, rompendo le mon- tagne, che quella da questo dividono. E opinione d'un celebre geografo *2, che il corso d' alcuni grossi fiumi si componga di bacini successivi, già antichi laghi , d'onde le acque rotte coir andar del tempo le chiusure s'apersero una via all'uscita. Ei ne arreca per esempio il Danubio , ed il fiume S. Lorenzo dell'America settentrionale. Qui non vogliamo omettere di ad- durre, tolto del medesimo scrittore, un passo, il quale fa a que- sto proposito, e che dimostra se non altro l'arditezza del pen- siero di quel geografo. « Tutti i mediterranei, e la più parte de' golfi addentrati nella terra con una stretta imboccatura possono risguardarsi come *i Bory de s. Vincent Géugiaphie phidiquf. *2 Id. 1. C. 30 520 bacini generali e pai-zi ali , che tardi o tosto non saranno più, che nna serie di laghi , e finalmente diverranno letti di fiu- mi più o meno considerevoli. Di fatto il nostro mediterraneo non comincia egli già a prendere una t'orma somigliante a quella del corso del fiume S. Lorenzo? il mar d'Azof, il mar Nero e quel di Marmara non vi stanno ei già come laghi subordi- nati, che si possono pnragonaie coi laghi Superiore, Huron e Michii^an? Un giorno le isole del mar Egeo ne intercetteranno venti altri; l' Adriatico fatto continuazione della valle, o ba- cino secondario dell'Eridano, lo spazio compreso tra la costa di Siria, di Libia, ed una linea tirata dalla Calabria alla punta Punica attraverso la Sicilia, diverranno nuovi laghi, dopo i quali un altro più ampio assai se ne verrà formando, in cui le Baleari , la Corsica e la Sardegna , diversamente legate per l'accrescimento delle loro rive, daranno origine ancora ad altri laghi. Tutte queste successioni d' acquo imprigionate alimente- ranno per la loi'o concatenazione un gran fiume , di cui l'im- boccatura sarà tra Calpe , ed Abila lo stretto di Gibilterra ; mentre il Nilo, l'Oronte, il Don, il Danubio, il Po, il Tevere, il Bodano e l'Ebro, fatti di fiumi riviere, porteranno al gran fiume le tributarie loro acque. » Una somigliante trasformazione di mare in fiume il sig. Bory de S. Vincent crede ancora, che avrà luogo rispetto al mar Baltico, e già pare a lui di vederla in parte effettuata in uno de' golfi di quel maro, il golfo di Botnia. I bacini de' fiumi meglio considerati a'dì nostri diedero origine ad una divisione geografica della terra più d'ogni altra semplice ed accomodata, secondo la quale si scomparte molto acconcia- mente la superficie terrestre in tante parti, quanti sono i bacini de' grandi fiumi. Il bacino del Danubio si computa yaooo miglia quadrate geografiche*!, quello del Po iB4oo compresevi le valli che vi mctton capo, tra le quali iion ultima è la nativa mia dilettevole valle del Tanaro, per le cui chiare, e freschis- sime acque grandemente s'accresce la maestà del regal fiume. La geologia, scrive Malte -Bruti *?-, s' è molto adoperata ad csa- *i Kant. 1. e. *3 Malie Bnin. 1. e. 52Ì minare i baciai ; ed è provato clie per lo più yli strati miuerali e le petriGcazioni d'uno stesso bacino hanno tra di loro qualche somiglianza. Ma più assai che per la geologia sono importanti a considerarsi per la storia , e per la politica la natura ed i limili de' bacini fluviali. Il fatto dimostra, come gli uomini, i (juali abitano dentro i confini de'medesimi bacini tluviali sieno tra di loro conformi dì sembianze, d' ingegno, di altitudini, di costumi, di opinioni , eccettuatene quelle differenze, che pos- sono esservi state prodotte dalle invasioni straniere. Per quanto si estenda il corso d' un fiume gli abitatori d' una medesima regione idrografica , sebbene di mollo spazio divisi dall' uua all'altra estremità, hanno pur sempre tra di loro più assai somi- glianza e fisica e morale che non con quelli, i quali abitano ai confini dei bacini limitrofi; ma cadenti a parte opposta. Alcuni ne attribuiscono la principal cagione all'esposizione del terreno, che è generalmente la stessa per tutta la distesa d'uu bacino , e che tanto contribuisce alla natura d'uu clima fisico, siccome fu da noi altra volta osservato. Ma noi crediamo, che più assai ancora che l'eguale esposizione del terreno contribuisca » produrre una colai somiglianza la facilità del comunicare in- sieme , che hanno gli abitatori d'una medesima conca fluviale non essendo impediti dalie malagevoli erte de' monti, le quali fanno sempre più o meno rade le relazioni tra popolo e popolo. I fiumi per lo contrario non rompono, ma agevolano i mutui cominercj; di che nasce una comunanza di sangue, d'idee, di affezioni, che legano insieme gli abitatori delle medesime regioni idrografiche. Il celebre geografo Bory de 6. Vincent *i che scrisse egregiamente su questo proposito, adduce per esempio il bacino del Pieno, dove, nonostante i vari limili politici, clic partono Ira diverse signorie quelhi regione idrografica dilacerata, tut- tavia tanto gli abitatori , quanto le produzioni del suolo con- servano sempre la medesima somiglianza dai monti chiusi d' eterni ghiacci, d'onde nasce quel fiume sino alle paludi ba- ia ve , dove egli si disperde. INoi potremmo addurre pe • ■> (•■ondo esempio le conche de'fiumi d'Italia, i quali si può dii. . ^i L. 322 che appartengano quasi tutti ad una medesima regiouc idro- gvaGca siccome quelli, die discendono dall'alpi, che la circon- dano , e metton foce nel mare, che la bagna, e i cui bacini in- oltre comunicano insieme nelle grandi crescenze, siccome fu os- servato dal sig. De Prony *i. Questa grande conca fluviale italiana per quanto sia stata e corsa, e predata, e smembrata, e scon- volta non si potè però mai cangiare si , che i suoi abitatori ne perdessero le gentili loro forme, i loro costumi, le loro tendenze, le loro opinioni , il loro ingegno. Qui cade al proposito un'osser- vazione del sopramraentovato scrittore , che « le dominazioni umane sono state generalmente tanto più durevoli , quanto più la loro situazione, ed i loro contorni sono stati meglio accomodati ai bacini naturali. Una quantità grandissiraa di stati accresciuti o smembrati dalla violenza o dalle alleanze di famiglie reguanti , cui 1 popoli servivan di dote , non ebbero mai che una sus- sistenza precaria, e subordinata alle circostanze, le quali pro- dussero quelle araalgame contrarie alle convenienze fisiche.» Al principio del corso de' fiumi la sola pendenza del terreno produce la discesa delle acque. Ma allorché la loro massa ha ricevuto l'impulso, che le sospinge al basso, la sola pressione dell'acqua può farla scorrere, quand'anche il terreno fosse quasi piano *2. Di fatto molti grossi fiumi scorrono con picciolis- sima pendenza. L'Amazzone ha appena un ventisettesimo di pol- lice di declivio ogni mille piedi. 11 Gange da Hurdwar fino al mare scorre in una pianura , che ha soli ventisette pollici di pendenza ogni lega; la quale pendenza viene ancora diminuita dai molti torcimenti del fiume, e ridotta ad un solo piede ogni lega *3. Que' fiumi stessi , che han nome di più rapidi, scor- rono con pendenza minore di quello che si potrebbe crederi; argomentando dalla loro celerità. La caduta media del rapidis- simo Rodano dalla sua uscita dal lago di Ginevra fino alla sua foce si calcola a un dipresso a due tese ogni lega *4- L'incli- nazione di un piede sopra 200 renderebbe, secondo Kant, i fiumi *i S. F. Lacroix. I. e, '•a Malte-Brun. 1 e. *3 S. F. Lacroix. 1. e. *4 S. F. LMcroix. I. e. 323 impossibili a navigarsi. Il pendio del lotto d'un fiume non es- sendo eguale per tutto il suo corso , ma dove più, dove nicino declive, ne seguita che la rapidità della corrente debba variare anch'essa da luogo a luogo. INIa conviene q^ui osservare, che la relazione tra la pendenza del letto d'un fiume , e la celerilà della sua corrente non è sempre la medesima ; ma può variare per cagioni accidentali. Se un fiume accolga dentro da se un atHuente senza allargare il suo letto; se questo venga in qualche sito a ristringersi, ne seguiterà un accrescimento di celerità nel fiume j sebbene la pendenza del terreno continui ad essere la stessa. Non è agevolcosa, come nota Kant, il determinare esat- tamente la pendenza del letto d' un fiume : onde calcolare se- condo la sua caduta media e la lunghezza del suo corso, quanto le regioni poste alle sue, estremità differiscano tra di loro di livello. Chi a misurare l'altezza d'un luogo comparativamente a quella d'un altro tenesse questo modo, potrebbe facilmente ve- nire indotto in errore. Stabilita, per caso d'esempio, la caduta media del Danubio a un piede sopra mille, come vuole lo Sca- mozzi , il convento di s. Giorgio nella Svevia, ond' ha sua ori- gine il Danubio, distante yoo miglia geografiche (ogni miglio di 22848 piedi francesi ) dalla foce di questo fiume , dovrebbe avere i5gg'ò piedi d' altezza sopra il livello del mare, ed in conseguenza 1000 piedi più, che la punta estrema del Monte bianco, mentre non ne ha che 4oo^ *'• Generalmente il corso d'un fiume si fu sempre più lento e più tortuoso , quanto più s'avvicina al mare, parte pel successivo dicrescere che fa la pendenza del terreno, parte per la resistenza che oppongono alla sua foce le acque del mare. Onde i viaggiatori di paesi scono- sciuti , ed i selvaggi stessi s'indovinano della vicinanza del mare dagli spessi torcimenti, e i-igiri d'un fiume. La progressiva lentezza del corso de' fiumi è cagione , che questi depongano parte ne' siti più bassi del loro alveo, tna soprattutto alle imboccature grande quantità di materie diverse svelte dai terreni , che essi attra- versano. Onde bene scrisse il Gioia *2 che « lo statista che •i Kant. 1. e, *2 Filosofia della st.itistica Voi. r. 324 voglTa esaminare l'anclamento e le vicende de' fiumi, non dimen- ticiierà due verità feconde di conse£:;uenze , e sono 1' innalxa- meuto progressivo dciralveo de' fiumi , e la prolungazione delle, fori.» Dell'uno e dell'altro di qucisti effetti de' fiumi abbondano gli esempi. Ed in quanto all'innalzamento dell'alveo «il Po, come nota lo stesso Gioia *i , dall' epoca in cui è stato in- cbinso tra dighe , ba innalzato in modo il suo alveo , cbe la superfìcie delle sue acque è attualmente più alta cbe i tetti delle case di Ferrara. E si osserva lo stesso fenomeno lungo i rami del Reno e della Mosa ; quindi i cantoni più ricebi del- l' Olanda banno continuamente il terribile spettacolo di fiumi sospesi a 20 e 3o piedi sopra il loro suolo. » Più frequenti e più importanti ancora sono gli efletti delle posature de' fiumi alle loro foci , onde sono prodotte appoco appoco nuove regioni cbe l'industria degli uomini può ridurre a siti di maravigliosa fecondità e di piacevole residenza. Tra questi è celebre il Delta egiziano formato dai sedimenti del Nilo. La più gran parte del Belgio, e f|uasi tutta l'Olanda sono terreni d'alluvione divelli dalle alpi, e deposti dal Reno in quelle bassure. Il Rodano ba formato ancb'esso alla sua foce un tratto di paese conosciuto col nome di Bocche del Rodano , cbe rimane tuttavia incolto, e disutile, impaludandovi l'acqua mentre, come osserva e duolsi un geografo francese, potrebbe, se fosse coltivato, cangiarsi in luogo oltremodo fertile e delizioso. « Le alluvioni del Po, sono parole del Gioia , banno prolungata la sua imboccatura nell'A- driatico, e si sono avanzate con tanta rapidità, che per termine medio dedotto dall'avanzamento osservato al principio del XVII secolo , il Po ba guadagnato sul mare ne' secoli XVII e XVIII yo metri all'anno, invece dì 25, lunghezza media dell'interra- mento annuale tra i secoli XVI e XVII. Cosicbè Venezia dura fatica a conservare le lagune cbe la separano dal continente, e in onta di tutti i suoi sforzi, sarà infallibilmente unita un giorno alla terra ferma. » Per queste alluvioni è avvenuto cbe molte città, le quali erano una volta situate in riva al mare, se ne trovano ora assai distanti perduti tutù que'beni, onde sogliono *i Filosofia della statistica. 1. e. 525 avvantaggiarsi le città marittime. Damìata era porto di mare ancora nel secolo Xllf , ora ne è d'un bel tratto distante. Ka- venna trovavasi al tempo di Augusto nelle lagune, come pre- sentemente Venezia, e quella città è ora lontana una lega dalla riva marittima. Delle molte imboccature che avevano a' tempi andati i più famosi fiumi, alcune si sono chiuse per quel con- tinuo adunamento di materie , che menano i fiumi continua- mente , ma soprattutto nelle grandi piene. Grandi terreni d'al- luvione si vanno eziandio formando al confluente di due fiumi ; purché il fiume affluente non si scarichi nel fiume principale ad angolo i-otto 5 la qual cosa per altro avviene di rado ; es- .sendochè gli affluenti si gittano per lo più ne' grandi fiumi formando con questi un angolo di /\5 gradi. Esempi di cosifatte alluvioni sono la Mesopotamia al confluente dell'Eufrate e del Tigri, e la Gironda al confluente della Dordogna e della Ga- vonna. Così i fiumi insieme con altre cagioni non meno pos- senti vanno continuamente mutando e rimutando l'aspetto della terra . Buffon più facondo alcuna volta ed ingegnoso , che verace ed esatto *i scrisse, che i grandi fiumi conformandosi nel loro andamento alla direzione delle montagne, corrono generalmente d'occidente in oriente. La qual cosa non si può affermare as- solutamente né degli uni , né delle altre. Perocché sebbene al- cuni fiumi tengano questo corso, come il Po, il Danubio, l' Ebro , tuttavia v'hanno molti grossi fiumi che corrono dal settentrione al mezzodì , come il Rodano , molti altri che cor- rono dal mezzodì al settentrione come il Reno, il Nilo,rObi, il lenisci , la Lena. I fiumi seguitano affatto la pendenza del terreno , e s' indirizzano per tutti i versi. Il letto d' un fiume tiene per lo più il mezzo della valle, quando la montagna o le colline, che la chiudono, hanno verso lei nna pendenza eguale; ma se dall'una parte della valle l'erta discenda più rapidamente che dall'altra , il fiume si getta da questa parte radendola ed ha quivi più alto fondo. Oltre al fecondare la terra colle loro acque, ì fiumi contri- *i TWorip (lo h. fcrre. 526 buiscono pur anche al diffondimento delle piante. Sulle loro sponde s' incontrano sovente molte spezie di piante alpine , che le acque divelsero dalle natie loro alture. E in sulle rive d'al- cuni (lumi settentrionali, come la Vistola, e la Schelda s'ali- mentano, e crescono certe piante originarie di climi più caldi, che i fiumi coprono e copservano col tepore delle loro acque. Di alcune altre particolarità de' fiumi, come delle cascate, che si fanno là, dove il loro letto è subitamente rotto; dello sparire che avviene di alcuni fiumi , allorché il loro letto trovandosi ad un tratto sbarrato da dure roccie , le acque si aprono un cam- mino attraverso uno strato di materie più movevoll, che si trovi al dissotto j delle crescenze periodiche d'alcuni fiumi sottoposti all' influenza delle grandi pioggie periodiche della zona torrida ^ di queste, ed altre particolarità de' fiumi, universalmente cono- .sciute , non occorre qui discorrere più lungamente. Secondo Kant dal continente antico cadono nel mare circa 43o fiumi grandi, e dall'America 180. Ma come i principali fiumi d'America sono oltremodo più grandi , ed hanno maggior lun- ghezza di corso, che i fiumi del continente antico, così, benché miuori di numero , portano pur nondimeno al mare maggior quantità d'acqua. Buffon ed altri si sono adoperati a calcolare la quantità d'acque, che i fiumi conducono al mare o tutti insie- me , o presi a parte ogni ora , ogni giorno , ogni mese , ogni anno. Chi ha vaghezza di saperne i risultati, legga il volume quinto della geografia fisica di Kant. G. 327 IjETTERATURA ' — Accademia letteraria tenuta nell'Università di Torino. L'emulazione e l'onesto desiderio di lode , suono dolcissimo all'orecchio de' migliori , siccome scriveva il grande Manzoni ne* begli anni di lieta gioventù, e di splendida fantasia, sogliono essere in tutti gli animi gentili , ma principalmente ne' giovani possente stimolo ad onorate cose. Egli è noto per fama come gli allori di Milziade rompessero i sonni al generoso Temistocle , e frutto di quella nobile emulazione fu la vittoria di Salamina, che salvò la Grecia dalla dominazione straniera , e mantenne incorrotto dalla contaminazione de'barbari il prezioso germe della greca civiltà , che produsse poi cosi splendidi frutti , e distese i suoi rami sovra tanta parte di terra. La lode , che ottenne Erodoto dalle sue storie lette dinanzi all'intera Grecia raccolta nelle pianure d' Elide accese di smisurato ardore 1' animo di Tucidide , e frutto di quell'acceso desìo d'onore fu la più bella storia , che abbia avuta la Grecia , quella che pose i confini fino allora indistinti tra la storia e la poesia. Per la qual cosa degne di grande commendazione debbonsi riputare quelle in- atltuzioni , le quali o grandi o picciole che elle sieno tendono ad alimentare negli animi giovanili 1' emulazione , e 1' onesto desiderio di lode , e che porgono loro opportunità di esercitare l'una e di conseguire l'altra. Instituzione così fatta noi troviamo esser quella introdotta da alcuni anni in questa nostra Università dal chiarissimo sig. cav. Pier-Alessandro Paravia prof, di elo- quenza italiana , per opera di cui sul finire d'ogni anno soglionsi adunare in una delle più magnifiche sale di questo splendido Ateneo gli alunni delle lettere italiane, greche e latine , ed alcuni altri giovani cultori dei buoni studj , ed ivi alla presenza di personaggi per dottrina , per dignità e per gentilezza di sangue ragguardevoli , danno a gara prova del loro ingegno e del loro ♦ studio, declamando ciascuno una sua composizione scrìtta intorno 328 ad un tema dall'egregio professore proposto. L'accademia lette- raria tenuta quest'anno il dì i4 dello scorso giugno ebbe per tema di celebrare le glorie de' Piemontesi illustri. Fu aperta, com' è costume , da un eloquente e forbito discorso del cb. prof. 5 e vi si dissero poscia per ordine le lodi di Emanuel Fi- liberto principe d'immortale memoria per guerresche stupende imprese, e per aver disgombrato di forestiere spade il princi- pato avito; del Cassini, che tanta fama lasciò di sé in Ita- lia ed in Francia per asti'onomiche elucubrazioni ; della va- lorosa donna Segurana , la quale dimostrò quanto possa talvolta nobilitarsi per illustri fatti quel sesso, che è creduto da al- cuni non altro, che un dolce ornamento, una piacevolezza della vita; del Bodoni che condusse a non più veduta perfezione la tipografica arte 5 di Tommaso di Carignano, il quale non picciolo splendore accrebbe al gentil ramo fatto ora ceppo della regnante Prosapia Sabauda ; del Baretti leggiadrissimo scrittore e restaura- tore in parte de' buoni studj in Italia ; del Passei'oni poeta d'amabile semplicità e d'inesaurabile vena; d'Eugenio di Savoja uno de' più celebri capitani che abbia veduto il mondo; del Valletti discepolo del Martini e maestro di musica , il quale rallegrò sovente de'suoi concetti musicali i templi di Padova , e di Venezia, ma men noto forse alla fama di quello, che meri- terebbe; del Beccaria delle scienze fisiche dottissimo, ed insieme prestante coltivatore delle lettere ; del Tornielli orator sacro di non mediocre rinomanza; del Lagrangia, Cigna e Saluzzo nomi venerandi di sommi personaggi fondatori dell'insigne accademia delle scienze; finalmente d'Alfieri, per cui l'Italia potè con- tendere con qualsivoglia altra nazione del pregio di ti'agica ec- cellenza, il quale si va in lei ogni dì più accrescendo per opera di nuovi e sublimi ingegni. E per toccare alquanto dei pregi di alcune traile composi- zioni soprammentovate diremo, che la canzone in lode d'Em- manuel Filiberto fu ben disegnata, ed in alcuni luoghi ben colorita : furon lodate le virtù pacifiche di quel principe , la protezione delle arti, e delle lettere dimostrata principalmente nell' accoglienza , che fece alla persona del grande ed infelice Torquato. Le ottave in lode della Segurana furono se non tutte. \ 329 eettaiuente in gran parte, robuste e sonore; v'ebbe copia d'imma- gini e di locuzioni -, né mancò evidenza alle descrizioni , quan- tunque fossero qua e là un po' ridondanti. Il lodatore d'Alfieri diede prova di poetico ingegno , e di vivace imaginativa ; discese nel cuore del tragico Astigiano, e rappresentando l'interno sen- tire di quell'anima, cercò di spiegare per tal modo l'indole delle sue tragedie , e la tempera de' suoi affetti. La sua poesia fu qualche volta soverchiamente sottile ed astratta : ma lo spet- tacolo della rivoluzion francese, la discesa d'Alfieri dalle Alpi, e il suo sedersi sulle rovine di Roma antica, furono quadri dipinti con pennello gagliardo e sicuro. E noi non dubitiamo, che nodrendosi sempre più di buoni studj , il giovane poeta non sia per avverare le speranze, che fece di lui concepire. L'inno al Principe Tommaso di Garignano pregevole per giustezza di concetti, ed accuratezza di stile, avrebbe abbisognato d'al- quanto più di quel fuoco, che si richiede a cosifatto genere di poesia. Il capitolo sul Baretti dettato in istile Berniesco se- condo l'ingegno di chi lo scrisse , fu degno di lode per le gra- ziose allusioni, i tratti spintosi, ed i sali dilicati, onde era sparso, e per uno stile conveniente a quel genere di poesia; nel quale il festevole seguitatore del Berni si verrà sempre più per- fezionando, quanto più maturerà l'ingegno suo sullo studio di quell'esemplare di poesia giocosa. Noteremo per ultimo la dili- eatezza d'imagini , e dolcezza di sentimenti della poesia in lode del Vallotti , e la chiusa nobile di concetti, e di stile di quella in lode del Tornielli. In mezzo a tanta poesia avremmo desiderata pure qualche buona prosa, qualche elogio storico sul fare di quello del Grassi, ad onore dell'illustre Saluzzo , del quale elogio scriveva Ugo Foscolo, che pochi libri aveva letti, usciti ai suoi dì, che po- tessero gareggiare col buon senso , e col profondo e modesto calore di quel lavoro. Egli è vero, che scrivere un elogio sto- rico in bella , e filosofica prosa è opera alquanto più difficile , che scriverlo in versi: ma un anno di più d'insegnamento, e di studio potrà mettere in grado qualcuno tra i giovani alunni di soddisfare un'altra volta al nostro, ed all'altrui desiderio. G. &30 Acustica Un libro francese di un illustre italiano , il dott. Bennati , rapito l'anno scorso immaturamente a' vivi , che esce oggidì, merita di essere letto attentamente e dal fisiologico sollecito di registrare e generaleggiare i fenomeni della vita , e dal fisico che si studia di subordinarli alle leggi universali della natura, e segnatamente dal musico, a cui l' A. prende a svolgere tutto il meccanismo della voce umana , mostrandone le necessarie condizioni pel vario giuoco del canto. Noi ne daremo qui un rapido cenno per invogliarne dell' intera lettura coloro a cui specialmente s'indirizza, e che ne trarranno le più utili indi- cazioni per ajutare con più diretta coltura l'organo musicale. Il canto , secondo il Bennati , non è altro che la voce modulata , vale a dire , che percorre con una variabile rapidità i varii gradi della scala armonica , e passa dal grave all'acuto, dall'a- cuto al grave , crescendo e decrescendo all'uopo per tutti i tuoni iritermedii. Benché il più sovente il nostro canto sia parlato , la parola non è punto necessaria ; esso esige bensì maggiori sforzi e maggior movimento che non occorre per la favella; la glotta vi si allarga o si ristringe, la laringe s'alza o s'abbassa: s'allunga od accorciasi il collo; sono accelerate, o sostenute, o violentate le ispirazioni, lunghi e brevi i respiri. Quindi tutte le parti dello strumento vocale si stancano troppo più cantando che non parlando , e assai meno tempo vi reggono. L' A. già bnon musico egli stesso, e noto nelle sale di Parigi pel grande volume ed eccellente metallo della sua voce , entra nel para- gone del magistero dell'organo del canto coll'artifizio de' migliori e più perfetti strumenti da fiato , ed è curioso vedervi come bel bello l'industria umana ha indovinato, benché sempre gros- solanamente , le combinazioni della natura , di cui , però con tutti i perfezionamenti, non ari'iverà mai a raggiungere l'intero accorgimento e il vario sottilissimo ingegno. Il garbo , la giù- 351 stezza della voce , l' esleasìone e la varietà delle inflessioni dì- peiidono dalla più o meno ben intesa confermazione degli organi che loro servono. Basta che le due metà della laringe o le due fosse nasali siano disegualmente sviluppate , perchè la voce manchi di precisione di franca intonazione. L' A. ha potuto farne le più appropriate sperienze e le più acute osservazioni sopra se stesso. Un' attenzione perseverante a quello che in lui ed in altri accadeva cantando, 1' ha convinto che la lingua stessa alzandosi ed abbassandosi ed eziandio curvandosi in isgorbia , conferisce molto alle varie modulazioni , e che onde la laringe scontri in una intonazione qualunque , è mestieri che 1' osso ioidco resti fermo in una positura determinata. Egli ha ricono- sciuto oltreciò che le note dette impropriamente di sesta o di falsetto sono dovute alla fatica pressoché esclusiva , alla più forte contrazione di questa parte superiore del tubo vocale. Egli le chiama perciò note sublaringee , e il loro complesso, secondo registro j per distinguerle dalle note di petto ch'egli nomina Laringee , non negando però il concorso della laringe in quelle, né della gola in queste ; ma volendo con ciò indicare la parte più essenziale che prende la gola nelle note del secondo regi- stro. In quanto al terzo registro di cui fan cenno alcuni metodi di canto , egli lo tiene per immaginario , e dovuto unicamente alla più o men forte vibrazione delle ultime note del primo o delle prime del secondo. I cantanti su due registri hanno biso- gno di maggior arte per ispianarne 1 vicendevoli passaggi , e si stancano assai più facilmente di quelli che ne posseggono un solo. Il dott. Bennati adduce due fatti curiosissimi in pruova delle sue spiegazioni fisiologiche della voce, i.° di un'amigdala inceppata impossibile a aggiuguei'si , né anche a scorgersi in mezzi ordinarii , e che si rilevò alla più acuta nota che potè cantare l'infermo: il 2.° di un cantante che, fattasi estirpare una parte delle amigdale, acquistò due note del primo registro, e ne perde quattro del secondo. Ma un fatto che finox'a passò , benché frequente , inosservato , e che conferma ad evidenza la classificazione dell' A. si è che ai cantanti sul secondo registro duole per la fatica precisamente il velo del palato, e l'infiam- mazione che vi si mnnifcsta, se si dirama talvolta fino alla tra- 532 chea, di rado però discende ai tronchi ed ai polmoni , laddove il canto sul primo registro istanca le regioni del diaframma e del torace con più profonde infiammazioni che spesso degene- rano in punture. Il Bennati fa passo dell'analisi della voce a quella del suono in generale, e i suoi sperimenti sulle figure ohe prendono gli atomi leggeri e mobili su' corpi vibranti se- condo le varie distanze , i tuoni e le note , sono quanto sor- prendenti per novità , altrettanto conducenti ad una compita razionale teorica acustica. M." . . . O.* . . . Belle Arti — Lettera 3.* Musica de Romani. Tu regere imperio populos, Ruinìine , tnciuento Hae libi erunt artes Vino. Se non vi rincrescerà d' alzar gli occhi all' epigrafe, vedrete subito ciò che vi è di nuovo. Qui non si tratta più della lira portentosa che governò, ed incivili l'antica Grecia , no signore j si tratta di governare con uno stromento di ferro di durissimo suono. T^ói altri. Romani , ( dice Anchise a suo figlio là nei campi elisii ) pensate all' impero del mondo ,• queste saranno le arti vostre , come se T arte del dominare le comprendesse tutte . . . Quale diversità di musica , dolcissimo amico ! Ma forse questo non era che un avvertimento dato dal poeta cor- tegiano ad Augusto , sotto il quale le arti avevano rinnovata r età dell' oro. Virgilio vedeva da lungi la decadenza di Roma, ed avrebbe voluto che il primo Imperatore ostasse ai principi della corruzione j ed in ciò operava più da buon patriota , the 335 «la poeta adulatore. Pure il consiglio giunse troppo tardi ; la greca lira accordandosi coi rozzi stronienti dell' Etruria aveva dirozzalo il Lazio , ed introdottovi colla poesia ed eloquenza lusso , effeminatezza , feste , spettacoli e teatri. I Romani eran già fatti Greci, vinti da' loi-o medesimi prigionieri ; ma con que- sta differenza. Perocché i Greci recaronsi ad onore il possedere, l'esercitare, il coltivare a gara le arti ingenue, ed i Romani all' opposto non fecero che tollerarle , e lasciarle nelle mani dei servi e dei forestieri, come già vi accennai nel preludio. Allora i pittori, gli architetti, i musici ed i poeti non corre- vano carriera più onorata dei nostri cuochi , sarti e cocchieri, tutto r onore era alle armi ed alla politica. Se non che fino da' primi tempi fecero uso i Romani della musica in guerra ; e nelle religiose ceremonie. In quanto alla prima non compo- sta d' altro che di corni, e di trombe, ninno ci racconta che operasse prodigj come in Grecia ; d' altra parte la militar disci- plina e r amor patrio bastavano per vincere. Pure Quintiliano sembra volercene dare un gran concetto, dicendo che il fragore di que' guerreschi stromenti tanto era più gagliardo , quanto più la romana nazione superava le altre nella guerra. Lo stesso autore parlando de' canti Saliari da Numa istituiti, e che a' suoi tempi ancora si usavano, dice che dimostravano chiaramente la necessità della musica, mentre perfino i popoli rozzi, e dati alla guerra non potevano farne senza. Nò Roma era solo guerriera , ma anche religiosa ; perciò col suono de' flauti accompagnava i sagrifizj solenni. E di questa musica pare che facesse maggior conto che dell' altra. T. Livio non so più in qual libro della prima deca ci racconta un fat- terello che dimostra 1' importanza della musica sacra presso i Romani. Non vi rincesca di udirlo. I Tìhiciiii j ed i Liticinij eseguite le loro religiose sinfonie, ave- vano diritto di ajutare. gli epuloni, e i sacerdoti, al sacro ban- chetto. Questo diritto, venisse da legge, o da consuetudine im- memorabile, un bel dì fu loro tolto dai magistrati ; ed i suo- natori dovettero tornar a casa col ventre digiuno. Questa soper- chieria (che tale doveva parere ai Tibicinì e Liticini) non suonò bene alle armoniose orecchie de' musici romani-, ma però, senza 534 uè domandar ragione ai tribunali, né fare il rumor grande per la città, se ne vendicarono pacificamente. Tutti quanti sgombra- rono di Roma , e lasciaronla senza musica. I sacerdoti tosto fe- cero intendere, che senza il suono degli stromenti non si po- teva sagrificare, ed i magistrati pentiti di quanto avevano ope- rato, ebbero cura di richiamar i musici dal volontario esiglio. Ma questi facevano i caparbj, non ascoltando né preghiere, né promesse , rifiutando le più latghe offerte. Ma come eransi ri- fugiati in una città amica, i consoli alla fin fine scrissero a que' cittadini , che ad ogni modo procurassero di ricondurre a Roma i suonatori, altrimenti, cred'io, n'andava l'amicizia, e la pace dei due popoli. Per buona fortuna quella gente conosceva già la debolezza de' filarmonici, né andò molto che seppe ti- rarne partito. Imperocché celebrato a bella posta uno straviz- zo , tanto diede da bere ai bravi suonatori, che durante la pro- fonda ubbriacchezza ebbe campo a farli sopra un carro stra- scinare a Roma , dove loro mal grado furono svegliati dagli evviva del popolo accorso ad incontrarli , e dalle carezze dei ma- gistrati, e de' sacerdoti. E cosi rappatumati pcoseguirouo a suo- nare ed a banchettare come prima. Più tardi comparvero i primi albori della musica teatrale ; se non che questa musica sem- brami che fosse messa a troppo grande prova. Udite anche que- sta. Sotto in consolato di G. Sulpizio, e di Li e. Stolone, Roma era travagliata da siffatta pestilenza, che né divino, né umano soccorso poteva liberarnela. Alcuni giuntatori ( cotesta é una razza antica) credettero alla fine d'aver trovato lo specifico con- tro il morbo micidiale, e consigliarono al Senato l'introduzione de' giuochi scenici, cosa inudita, dice Livio, ad un popolo guerriero. Detto fatto. Tosto si fan venire dalla vicina Etruria alcuni strioni, i quali al suon de' flauti eseguirono alcune rozze pantomime, che non dispiacquero al popolo, ma noi liberarono dalla peste, perchè una musica senza versi e senza azione, come osserva lo storico, non poteva essere efficace in quella luttuosa circostanza. Nondimeno queste danze etrusche imitate poi dalla romana gioventù diedero origine alle satire, ed alle altre sce- niche azioni accompagnate dal canto. Qualche anno dopo Livio Adronlco che fu l'Eschilo di Uo- 555 ma, da lali loii-ì piiucipii liasse la loriiia d un cliaimna rego- lare. Le sue favole teatvali fecero dimenticare le danze dc"li Etrusci, e le satire de' filodraiumatici , tanto più che- egli slesso ne era il principale attore, eccellente nel gesto e nel canto. Ma venutagli meno la voce per la vecchiezza, ebbe licenza dai Ma- gistrati di acconciare i fatti suoi in questa maniera. Un giovane da lui ammaestrato eseguiva sulla scena il cantico al suono de' flauti, mentre egli gestendo, rappresentava l'azione con mollo maggiore verità e foi-zaj il qual metodo mai più rinnovato toi~ iierebbe pure acconcio a que' moderni attori i quali non sono fre- giati egualmente di bella voce e di gesto. Intanto da Andronico in poi sembra che la musica non sì separasse più dalle sceniche azioni, come si può vedere nelle commedie di Plauto, e molto più in quelle dell'elegantissimo Terenzio , nelle quali voi udite le tibie destre e sinistre , eguali e disuguali, e tutta la romana orchestra, e leggete nel programma l'editore dello spettacolo in un col maestro compo- si tor della mugica , ossia il nome del Modosfc.cit. I quali pro- grammi ove si fossero perduti, noi avremo durala fatica a ere dere come quei versi Tereuzianl giudicati da molti senza pro- sodia e ritmo musicale potessero essere cantati e suonati. Ma io credo, che quelle comiche cantilene altro non fossero che recitativi. In questa maniera 1 Romani prendendo piacere ai teatrali spet- tacoli , gustarono pure la buona musica , e la tennero In mag- gior conto 5 le loro orecchie assordate dai bellici rumori de- gnaronsl di dare adito alle greche armonie, che raminghe per l'Italia gli animi disponevano alla civiltà. Ed in ciò credo che fossero ajutate dalla poesia , e dall'eloquenza. Orazio padre della lirica latina compiacevasi d'essere mostrato a dito come il suo- natore della romana lira,, romanae tihicen lirae. Tutta la fan- tasia, la vivacità, la ricchezza, la varietà della greca cetra beò le rive del Tevere, rapì a maraviglia i conquistatori del mondo. Anche gli oratori conobbero il bisogno della musica, sia per introdurre nel periodo oratorio una certa numerosa composi- 7àone e cadenza, che per ajutare l.i declamazione. Che direte voi di quel terribile C, Gracco, il quale nell' arringare il po- 21 556 polo, teuevasl dietro uu flautista pei" sorregergli la voce? Forse questo suonatore modulava nel tuono iVigio, che era il più tur- bolento. Cicerone in qualche liLro filosofico, ma molto più ne' rettorie!, è invaghito della musica, e ne affetta, direi quasi, la tecnologia, imitando in ciò Platone, il quale ne' suoi dialoghi ci fa sovente udire qualche modulazione. Da quanto egli qua e là ne dice, sembra che nel secolo d'Augusto la musica fosse molto in Roma pregiata e coltivata. «Quanto sono più gradite^ » dice egli nel Terzo dell'Oratore, nel canto 1 gorgheggi, le )) appoggiature, i gruppetti, chele note certe e rigorose! Ep- » pure se alcun ne abusa, non solo gli uditori austeri, ma pur » la moltitudine stessa gli disapprova. » Anche allora le lezio- saggini musicali offendevano. Nel libro li. delle leggi reca questa similitudine , che mostra la sua perizia nella musica. « Come 1) nelle tibie, nelle corde, e nel canto debbesl formare un tal » concerto di suoni distinti, che alterato e dissonante riuscirebbe )) insopportabile alle dotte orecchie^ il qual concerto però è » sempre armonioso, ed acconcio benché da mescolanza di voci » dissimili risulti, così ecc. » Questo passo potrebbe anche pro- vare l'uso del contrappunto presso gli antichi, siccome sembra pure provarlo il seguente di Seneca nell'Ep. 84- « Non vedi tu » di quante voci sia composto il coro? Una è acuta, l'altra è ^) grave, qviesta mezzana ( soprano _, basso e tenore J. Gli uo- w mini cantano colle donne, i flauti vi mescolano i loro suo- )) ni 5 ciascuna voce, ciascun suono si confonde, non odesi che » una sola armonia. » A' tempi del medesimo Cicerone era molto celebre l'attore Roscio , che diverso da queirAndrouico, cantava pur sulle scene, già vecchio 5 e per non stonare eseguiva una parte più bassa , ed allargava il tempo musicale, avvertimento che tornerebbe utile a certi moderni cantori. Ma Roscio conosceva profonda- mente l'arte sua ; egli era maestro di declamazione, alla cui scuola molti oratori accorrevano, onde imparare quel garbo, quella fi- nitezza, quella perfezione di cui con tanta lode parla il prin- cipe dei romani oratori. Con tali vicende la musica latina pare che gingnesse al sommo grado, dal quale cominciò tosto a de- clinare. Oriizio già lagnavasi della musicale licenza de' tempi 3o/ suoi, lodando l'antica semplicità. Udite questi versi come il Gargallo ve gli ha tradotti. » Non grave d'oricalco, e della tromba ■* 1) Qual oggi è oniai, la tibia emiilatrice , )) Ma semplice , e sottil per pocbi fori » Spirando, al coro utile accordo univa, » E del suo fiato empiea gli ancor non troppo » Spessi sedili » Maggior crebbe licenza ai metri, al canto.» (De Arte Poet.) Anche allora gli suonatori dilettavansi ad adulterare gli stro- menti ; il flauto erasi cangiato in una tromba , forse forata. Dunque non era più flauto quel de' romani, come presso a noi non sarà più tromba questa che coi fori , e colle chiavi vuol contraffare la dolcezza del flauto e del clarinetto ! Con queste stramberie è impossibile che la musica non decada liuo alTul- timo grado. La licenza poi sopravvenuta al canto, di cui parla Orazio, cinedo non altro essere stata che quella invalsa ai giorni nostri, in virtù della quale , senza contare le frascherie che i cantori aggiungono di loro tasca, i maestri scrivono note alte al basso , altissime al tenore , arcialtìssime al soprano , quando ;perù noi fanno cantare coi bassi .... ma lasciamo che altri impugni la sferza musicale. La scostumatezza accompagnò la decadenza della musica. Quintiliano inculcando al suo discepolo l'utilità di quest'arte lo avverte a guaidarsi bene dalla musica impudica ed elfeminata de' tempi suoi, siccome quella che aveva tolto ai Romani quel poco di maschio vigore che ancora vi restava. Egli nomina certi stromenti detti salterj e scadici degni deli'abborrimento d'ogni onesta persona. Ma io credo che quest' ultima ignominia fosse alla musica sopravvenuta sotto Nerone. Cotesto Imperatore tra le altre dimenticanze erasi pure scordato d' essere romano ; e perciò niun conto facendo di quel virgiliano avviso, che sarebbe stato la salute deirimpero, erasi dato ai teatri, al saltare, al cantare, al gareggiar coi musici iu Italia, e fuori; poicliè erasi recalo iu Grecia per dare spettacolo di sé neJia musicale peri- 558 zia, e farsi ammirare dai Greci filarmonici eoli degni, come ei diceva , d'udirlo. Voi che già udiste in questa lettera e An- dronico, e Roscio , perfettissimi nell'arte loro, non isdegnerete d'udire ancora quest'altro, il quale sotto la romana porpora salì in fama di grande cantore. Svetonio ci narra le musicali pazzie di Nerone con quella serietà , con cui Tacito ci dipinge le cu- pezze e le scelleraggìni del medesimo. « Nerone , dice lo storico de' Cesari , che da giovane aveva tra le altre cose pur appresa la musica , appena fu Imperatore chiamò a corte Terpuo uno de' migliori nel pizzicar la cetra, e standogli dopo cena a' fianchi mentre cantava e suonava sino a notte avanzata, a poco a poco egli stesso cominciò ad esercitarvisi , non tralasciando cosa che conferisse ad accrescei'gli e conservargli la voce .... Finché al- lettato da' suoi progressi volle comparir sulla scena, benché di poca e rauca voce fornito. » Questo fu il musicale tirocinio di Nerone. Ma quando tempo gli parve , uscito dal conservatorio recossi in Napoli , città da lui scelta per la prima comparsa , dove recitando, fu sì poco atterrito da un terremoto che scosse tutto il teatro, che seguitò l'aria incominciata sino al fine. Quivi cantò parecchi giorni facendo brevi pause , e dal bagno pas- sando sulla scena dove pranzava al cospetto del popolo maravi- gliato di sì indefesso attore. Fatto adunque sì felicemente il primo passo nella teatrale carriera , il porporato musico tornò a Roma per gli spettacoli che dal suo nome s'intitolavano. La nuova fama già avealo preceduto: ed appena ivi giunto , tutti volevano udire quella celeste voce; il popolo e la milizia ne lo pregava , 1' aspettazione era grande. Fece un po' il restio per imitar perfettamente i musici ; ma finalmente comparve 1' Im- perator romano sul palco scenico in mezzo agli evviva de' suoi sudditi. Sorregevangli la chitarra i prefetti del pretorio , cor- teggiavanlo i tribuni militari, gli amici, gli adulatori. Eseguita la INiobe cantando, e suonando sino all'ora decima, difierì il resto dello spettacolo all'anno seguente. Né mi state a doman- dare se venisse applaudito, ed ammirato, e portato alle stel- le. Chi ne può dubitare? 11 più bello si è che gli evviva, e gli applausi furono pure in musica. Nerone prima di lasciar Napoli avc\a lalli iinmacslirire cinque e più mila robusti gio- 559 vani ad eseguire" certe sinfonie «lette plaudenti. Questa banda musit^àle seguivalo nelle sue teatrali spedizioni, e quando era tempo i nuovi e mai più uditi musici dell'imperiale cappella, chi con il bombo imitando il ronzio delle pecchie intorno al- l' alveare , chi percotendo insieme pentole e tegole , accompa- gnamento a quel dolcissimo canto , applaudiva il coronato can- tore ...!!! Siffatta musica venne poi alla moda sui teatri di Roma, e vi durò qualche tempo 5 strepitoso frastuono che voi volentieri paragonereste con quello che in Creta facevano udire i Goribanti , 0 con quell' altro che talvolta assorda i trivj delle città francesi , e che io piuttosto paragonerei colle sinfonie de' vostri Chin Ma no 5 perchè con questo paragone potrei oiFendervi di nuovo. Queste furono le vicende della musica latina , non così glo- riose come quelle della greca. Sulle ruine dell' una e dell'altra spuntò ne' mezzi tempi l'Antifonario, primo germe della mu- sica moderna , della quale intendo parlarvi , se voi avrete tempo d' udire. Del resto io vi assicuro che non proseguirò la sinfonia che a vostra imova richiesta. Conservatevi ed amatemi. B. ù4y Appendice Notizie Ji^'erse — Il sig. Bassi di Loill ha fatto curiose ricerclie sopra la malattia dei bachi a seta , cui egli dà nome di Bliiscarclina. Questa vna- lattia attacca il baco in tutte le sue età e in tutte le fasi. Abbcu- chè scorrano più giorni tra 1' epoca dell' Invasione ed il suo termine , il quide è sempre fatale, essa per cosi dire non s'appalesa con al- cun segno esterno, ed eccettuate le più violenti epidemie, il baco che n' è cotp»to muore conservando il suo naturai colore , il suo vo- lume e tutte te apparenze d'ella salute. Ma appena il corpo è egli pinvo di molo , eh' egli si fa. consistente , e a poco a poco indurasi a seguo di esser infranto. J.l baco morto per la inuscardina copresi in breve dj una eflSxsresceuza similie alla neve , la quale è la parte esterna dà innumerevole moltitudine di piccoli funghi esistenti prima della morte dell' animale sotto i suoi integvimenti , e che crescevano a suo detrimento senza potersi far via al di fuori per la resistenza opposta dalla pelle ; essi possono soltanto sprigionarsi dall' invoglio cutaneo , quando questo è già ammollito da un principio di putre- fazione. Alla loro apparizione all' esteriore consegue in breve il frut- tificare dei medesimi, e gli innumerevoli germi che si spandono so- pra i corpi vicini, o disperdonsi nell' atmosfera , conumicano la ma- lattia a grandi distanze. Le sperienze microscopiche recentemente fatte dal sig. Balsamo professore di storia naturale a Milano, mo- strarono che quelle piante criptogame, che formano quella bianca ef- florescenza , appartengono al genere dei Botrili , e la specie in que- stione ricevette il nome di B. Bassiana. Molte osservazioni condus- sero il sig. Balsamo a riconoscere : i ° che una tal mucedinea non si vede che sopra i bachi morti per la muscardina; ch'ella non s'in- contra mai nelle diverse specie di rnufle che si sviluppano sopra i bachi artificialmente essiccati ; che si può riprodurre a scelta sopra qualunque individuo comunicandogli i germi tolti da un baco infetto dalla malattia : 2.° che la pelle del baco attaccato dalla muscardina è perfettamente sana, e che gli elementi morbifici stanno in un pig- mentum sottocutaneo che può aumentare di volume ed invadere quasi 541 tutte le parti interne del baco e della ulula : 3." the <{uel pigmeii- tum offre un mucchio di granelli simili agli spori della muffa , le quali nelle circostanze favorevoli si allungano in fibre che portano germi capaci di riprodurre il vero Borytis Bassiana. (Acad. des se. 2 mai). — Fra tutte le tribù di masnadieri dell'India si distingtiono i Fo- segardi per costumi più sanguinarli, per scelleratezza meglio calcola- ta, per potere il più inevitabile. I loro principali convegni sono verso la frontiera meridionale del regno di Mysore, ed essi traggono il loro nome da quello del nodo scorritojo, phansi , di cui si servono per assassinare i passeggieri e per spogUarli senza resistenza. Le loro orde s' ingrossano dei malcontenti di ogni casta , e lo stesso delitto serve ad accrescerne il numero ; imperocché essi risparmiano per lo più i figli delle loro vittime per allevarli nelle tradizioni dell'orribile loro industria. I Fosegardi hanno religione, istoria, tradizioni ere- ditarie, inorale, educazione, organizzazione sociale unicamente a loro proprie, ed in armonia coll'industria loro che consiste a strangolare i viaggiatoli. Quando essi hanno in tal modo assassinato alcuno, non. tralasciano mai di frangergli le anembra e profondamente sotterrarlo , sottraendolo cosi alle belve feroci ed alla giustizia indagatrice. Essi inventarono del pari una tradizione religiosa per ispiegare la loro condotta. Il giovinetto che viene iniziato , impara a considerare il suo interesse come opposto a quello della società ch'egli detesta. Non gli si permette di subito d'assistere all'eccidio dei viaggiatori ; si teme che la prima vista di un tale spettacolo lo faccia abbrividire. Ei viene primamente avvezzato a contemplare senza ribrezzo un corpo morto. Quindi gli si fa dono di una leggiera parte del bottino jjer eccitare in lui la sete del sangue. Poco a poco gli si lascia prendere una parte > più attiva ai preparativi dell'assassinio-, e finalmente gli si permette di esserne testimonio. Ma egli è soltanto all'epoca della virilità, eh' egli è definitivamente ammesso a far uso del fatai cordone; e noii ci vogliono meno di 18 anni di prove per giugnervi. Allorquando il momento è arrivato, il suo Intedaìo regala di un dlionta o phansi (corda a nodo scorritojo); e questo è il termine del suo noviziato, il suo diploma di uccisore in carica. I Fosegardi sostengono la I010 condotta non altrimenti che si difendono tutti gli abusi , e le usan- ze: essi dicono, il mio padre e la mia madre strangolavano ; io Jò (fuello che essi m'insegnarono a fare. ( Tableaux piilores(jucs de l'Inde, par le rév. Caunter). — La società centrale dei naufragi porse al ministro della mari n a un progetto del sig. Macquet, che tendo ad organizzale una società 342 d'ashicuvazione mutua contro la morte cagionata dagli accidenti deltai navigazione, e dall'insalubrità del clima delle colonie. 11 presentato progetto può riassumersi rosi: il numero dei marina] e operaj validi si innalza a 99667 , aggiungendovi quelli adoperati amiualmente , cioè Sglo alla pesca dei pesci su le coste, e 1000 al cabotaggio , si hanno 109,717 individui, dai quali deducendo gSS-z operaj validi fuori d* servizio; e 18000 mariiiaj al servizio dello stato, ne rimangono an- cora 82185 soggetti ai pericoli della navigazione ecc. impotenti ad assicurare alla loro l'amiglia , morendo , una esistenza die valga a toila dalla miseria. Ora, su cpiesto numero havvi annualmente 3oB vittime, o 17273: del clie ne segue, clie portando soltanto il prezzo di ciaschedun soscrittore a 4 1''^ e 5o centesimi all'anno, l'assicu- rato procurerà alla di lui vedova, ai di lui figli, o a cpialuncpie altra persona, una somma di lire 1228. Non puossi dunque, far a meno, che desiderare l'eseguimento di un tal progetto atto a far nascere il ben essere fra la classe sì necessaria e si infelice de' nostri mari- nai di commercio. Il ministro della marina ha promesso di esami- nare questo progetto col più vivo interessamento. Già fin dal i834 vi esiste a Dunkerquc , sotto il titolo di società umana , un'associa- zione filantropica, che ha per iscopo di raccogliere gh sforzi e le soscrizioni delle persone disposte a soccorrere gli annegati e naufra- ghi ; di riunire i migliori mezzi per stabilire una sorveglianza at- tiva e savia, sopra il porto e i canali che circondano la città , sovra le coste vicine, ed anche sovra tutta la spiaggia e i banchi; di re- car soccorso a cliiunc}ue corra rischio di annegarsi; di promuovere l'attenzione sui mezzi preservativi dei naufragj ; e finalmente d'in- spirar coraggio a coloro che si presteranno per la salvezza dei nau- fragati. Ma la società stabilì già due fattorie munite del materiale ne- cessaria per soccorrere i naufraghi e gli annegati: una tettoja serve di ricovero ad un battello di salvamento insommergibile, donato dal ministro di marina , e che , messo sopra un carro a quattro ruote che può tirarsi da uomini o da cavalli, è preparato all'uopo. Pa- recchi uomini scelti fra i migliori barcaiuoli sono sempre pronti pel governo di questo battello. A Boulogne, a Calais siffatte società co- minciano pure a formarsi; e non v'ha dubbio che col loro esempio, e coU'impulso della società centrale dei naufragj se ne instituiscano altre ancora in tutti i porti della Francia. (Bull. soc. des naufra- geSj num. 2). — Libri Tibetani — Esiste nel Thibet sotto il titolo di Kahgyour una immensa collezione di lutti i libri sacri dei Bouddisti. Quella 345 collezione ofìie in lingua Tibetana le opere di Boudda e de' suoi discepoli : gli atti dei concilj della chiesa bouddista : le biografie di Boudda , de' suoi discepoli e dei patriarchi ; finalmente tutto il corpo della letteratura classica di quella religione. Essa fu incisa iu legno a modo dei Chinesi, ed il lama di Boutan che ha il deposito di quelle tavole , ne fa trarre di tanto in tanto alcuni esemplari pei bisogni dei templi e delle scuole di teologia stabilite nei monasteri. Questa raccolta fu conosciuta* in Europa solo da pochi anni per le lettere del celebre viaggiatore Csomo ne Roros , il quale andò a sep- pellirsi per anni 8 nei chiostri del Thibet per istudiare la letteratura di quel paese. Egli si era procurato un esemplare di tal collezione che portò a Calcutta , dove stampò il catalogo della medesima con alcuni estratti. La società asiatica di Calcutta fece stampare a sue spese il Dizionario e la Grainalica Tibetana del sig. C. per dare agli eruditi la chiave di cfuell' importante letteratura. Ma quei soc- corsi non potevano tornare che di scarsa utilità in Europa a cagione dell' assenza quasi assoluta di libri tibetani ; la real biblioteca di Pa- rigi non possedeva in tal lingua che alcuni fogli. La società asiatica di Calcutta volle rimediare ad un tale stato di cose , e le circostanze ne favorirono mirabilmente le generose intenzioni. La Compagnia delle Indie avea per ambasciatore nel Népaul il sig. Hodgson , uomo d' ingegno e di sapere , il quale ha già resi grandi servizii alle let- tere orientali colle sue memorie sopra il bouddisino , e colla sco- perta da lui fatta di originali sanscriti , e delle opere che forman la base di quella letteratura. La sua influenza presso i preti del Né- paul gli forni i mezzi di entrare in relazione col clero Tibetano , e lo mise in grado di ottenere un esemplar*e del Kahgfour. La so- cietà di Calcutta che pagò i3ooo lire quella raccolta composta di I oo enormi volumi in foglio , stampata su carta del paese , pensò che ella ne disporrebbe nel modo il più utile alle lettere col farne dono alla società asiatica di Parigi. Questa società credette soddis- fare il meglio possibile all' intento di quella di Calcutta, deponendo questa prima collezione nei manoscritti della real biblioteca -, ed ot- tenne dai ministri dell' istruzione e dell' interno , che fossero man- date alla società di Calcutta alcune delle grandi opere che il Governo Francese ha fatto pubblicare , in prova del pregio in cui tiensi a Parigi il dono che quella società ha teste fatto. ( Mémorial Encyclo- pédique etc. ). — Il Carambolo ( Averrhoa carambosa ) di Ceylan , ha fruttifi- cato , per la prima volta, in Inghilterra nella stufa del distinto bo- 344 tanico sig. Batemaii, 11 zelo e la liberalità del quale son giunti a in- trodurre e coltivare epifiti dei tropici: nell'autunno, del i834 questo frutto venne a maturità in grande abbondanza. Egli è grosso come un uovo , ma a lati angolari ; se ne fa uso nelle focaccia e nelle pa- sticcerie , come pvue nelle conserve ; e dicesi clie il suo profumo su- pera tutto ciò elle si conosce. ( Jour. Acad. d' hort. - Janv. ) — Il progetto di formare biblioteche ambulanti trasse origine , al- cuni anni sono, nella contea d' Haddington in Iscozia, e da bel prin- cipio ebbe im successo notevole. Egli aveva per iscopo di procurare a tutte le città e ai borghi del contado biblioteche composte di libri Utili, e di distribuirle in modo che nessuno ne fosse lontano più di mezza lega. Il nome di ambulanti che loro venne dato , ne indica lo scopo e l'utilità. Esse compongonsi di 5o volumi. Se ne stabilisce una per il corso di due anni in un luogo : i libri sono dati ad imprestito a qualunque persona di età maggiore degli anni dodici. Al termine di due anni si trasporta la biblioteca in un'altro luogo; nuova scelta di libri succede alla piima , e cosi a ciaschedun biennio. Con ragione si credette che meglio si era stabilire una bijilioteca nello stesso luogo pendente due anni , che per uno spazio minore : difatti nel primo anno si comincia per chiedere i libri più ameni ; dal che ne seguirebbe che se ogni anno si rinnovasse la biblioteca, non si leg- gerebbe che questo genere d' opere ; mentrechè in due anni i soliti l.-ttori hanno il tempo di leggere pur anco altre opere più solide e più utili. Da im altro canto non sarebbe meno inopportuno di la- sciare per un tempo maggiore di due anni la medesima collezione di libri nello stesso luogo , perchè il numero delle dimande dimi- nuirebbe di molto ; mentre all' incontro ad ogni rinnovamento bien- nale queste eguagliano e spesso avanzano quelle del primo anno. Questo progetto di biblioteche ambulanti tornerebbe utile non sola- mente nelle piccole città e borghi, ma si bene ancora nelle città più vaste, le quali potrebbero trarne immensi vantaggi. Egli è a desi- derarsi che venga pure introdotto altrove. ( Le Semeur , if mai i836. ) 345 Varietà Sopra un articolo degli Annali universali di statistica. Gli Annali universali di statistica durano da molti anni, ed ebbero una meritata celebrità. Il Romagnosi ne fu lungo tempo direttore e collaboratore , e dalla sua direzione e dagli scritti che egli v' inseriva non vuoisi dire quanto se ne vantaggiasse quel Giornale. Nel fascicolo di maggio noi c'incontramnio nella pagina 120, dove si fa menzione cosi alla sfuggita del Subalpino, e si fanno le viste di discorrerne la prima distribuzione. A leggere quell' articolo la prima cosa che ci venne in mente fu che 11 Roma- gnosi era morto, e la seconda fu il seguente brano dello stesso Roniagaosi relativo ad un articolo della Revue Encjclopédique ^ « Omettei'e di ricordare l'oggetto princlpalissimo d' un libro « nell'atto che si pretende di darne una notizia sommaria e « per soprappiù se ne intraprende la censura , ci sembra una « licenza un po' troppo delusoria per tutti coloro che amano « di leggere giornali letterarj sia per loro istruzione propria , « sia per occuparsi più di proposito in un dato argomento*!. » ]Ma dagli Annali universali di statistica nell'articolo, con cui viene annunciato il Subalpino, si è fatto peggio assai che dalla Rivista Enciclopedica. « Lo annunciamo , vi si dice , come uu « fatto meramente statistico. )> Ma noi non sappiamo davvero qual razza di statistica vogliano fare gli Annali se le notizie « che si riferiscono allo stato economico , morale e politico di « un dato popolo stabilmente fissato su di un dato territorio « e convivente in civile colleganza *2 )> vi sono sempre esposte colla stessa esattezza e buona fede con cui vi si parla del Subal- pino , ed esaminate collo stesso buon senso e colla stessa copia *i V. Romagnosi dell' Ind. e dei fati, dell' Inciv. Milano, presso gli Ed. degli Ann. univ. i835. *a V. Questioni sull'orditv. dx-Ua Statist eivili.... Qupst. Il id. 54G «li «lotlrina con cui fu esaminato il primo articolo di filosofia del nostro Giornale. Qualcheduuo ci diceva che dagli Annali ci veniva con tale annuncio gettato il guanto, e che il Subalpino doveva racco- glierlo ; ma a noi pare diversamente. Nel suo programma il Subalpino diceva: «Noi esporremo il nostro parere sulle opere « che prenderemo a disaminare bensì con coscienza ed impar- (c zialità , ma sempre in modo che dalla nostra sentenza appaga « potere alla schiettezza andar accoppiata la cortesia. » Ora egli è appunto per rispetto a questa legge , che il Subalpino si è imposta e che gli valse sin dal suo primo comparire qualche buono accoglimento, che noi non crediamo di dovere formal- mente rispoudere all'articolo degliAnnali ; che troppo ci sarebbe difficile di accoppiare alla schiettezza la cortesia, e forse non ci varrebbe di scuSa sufficiente 1' esempio di separarle datoci dagli Annali stessi. Del resto qual risposta fare ad un tessuto di epigrammi, nei quali non dirò già indizio di scienza , che troppo a disagio sta- rebbe in epigrammi, ma appena è se vi traspare indizio di ingegno? Quei compilatori che a forza di economia e di stati- stica e di peggio ancora debbono essere uomini fortemente positivi, dovrebbero pur sapere che noi viviamo in un secolo in cui gli epigrammi sono tenuti in quel conto che meritano, e quantunque messi innanzi con importanza cattedratica nessuno è che li prenda in iscambio di ragioni , né anche quando vengono pronunciati col tuono patetico di colui, che lamenta le aberrazioni degli uomini, e il regresso nella via della perfezione, i pericoli della morale , e lo scherno in che presso gli stranieri possono trarre r Italia coloro che si attentano di chiamar Loke un sensista. Ed a' nostri lettori noi siamo in debito di dare la singolare notizia che egli è appunto perchè noi siamo stati del numero di questi imprudenti, i quali osano chiamar Loke un sensista, che ci venne addosso lo sdegno degli Annali universali , pei quali sembra che il Saggio suU' intelletto umano sia il non plus ultra della fìlosoQa. Ma si consolino i loro compilatori ; perchè veramente noi crediamo di poterli assicurare, che ben pochi oramai sono quelli , i quali non sappiano distinguere tra 547 il merito personale cV un individuo e la natura delle dottrine che egli di buona fede professa 5 poehissimi quelli che non sap- piano altro essere il dire che il sensismo ingenera di sé il materialismo l'ateismo il sensualismo, ed altro il dire che Loke sensista fu dunque materialista ateo sensualista e chi sa quante altre più brutte cose. — Noi possiamo assicurarli di più che nessun giudizio sfavorevole sull'Italia porterà lo straniero, perchè in un giornale italiano Loke sia stato chiamato sensista, non la Francia , non l'AUemagna , non 1' Inghilterra neppur essa. — Bensì piuttosto crediamo , che lo straniero si maravi- glierà degli Annali , i quali hanno la semplicità di tener per maligno il nome di sensista, e si sdegnano che venga attribuito a Loke quasi fosse un insulto da non sopportarsi , e mostrano seriamente di temere che V Italia possa per questo scapitarne presso lo straniero, il quale da un gran pezzo ha creduto di progredire nella scienza abbandonando i principi , e diciamolo pure il sensismo di Loke. Se qualcheduno al leggere di tali cose prenderà gli Annali in parola e dirà che sono veramente divenuti un po' grossi di legname e che stanno proprio zoticamente pel sistema progres- iivo; non se l'abbiano poi a male 5 essi stessi l'hanno detto. Quanto all' Italia noi speriamo che nessun uomo discreto vorrà mai commettere l' ingiustizia di prendere per filosofia italiana quella chtì è solo d'una scuola o d' un giornale , fosse anche questo gli Annali universali 5 come nessuno crediamo vi sia il quale pensi di fare un torto alla Francia o di prendere per filosofia francese il materialismo professato da Broussais. L'articolo degli Annali finisce con queste parole: «È troppo « giusto il voto che i nuovi giornali se non curano d' inalberare « 11 vessillo del vero, almeno si rattengano dal giurarsi alla « causa del falso. » Ma se tu logli la forma a questo bel pe- riodetto, che cosa più ti rimane ? Un voto senza senso, come necessariamente dovrebbero essere gli articoli di un giornale , il quale non curi d'inalberare il vessillo del vero , e non voglia giurarsi alla causa del falso. Noi ne litremo uno più sensato, ed è che i vecchi giornali se non curano di essere sinceri espositori delle sentenze che incontrano negli scritti periodici 548 o non periodici che prendono a disaminare, s'astengano al tutto dal parlarne anziché alterare i pensamenti altrui o far peggio ancora che alterarli. Quel collaboratore che inserisce negli An- nali un articolo per annunciare il Subalpino e non dice che specie di giornale egli sia 5 che accennando al primo articolo (non sappiamo con quale intenzione, ma certo con tale da non onorarsene troppo) lo chiama un articolo di teologia e ideologia-^ che nello stesso articolo dice di aver incontrata la necessità delle idee innate quando vi si accenna solo alla necessità di qualche cosa d' innato ^ che è una diversa cosa,- che non può dissimulare il suo rammarico, perchè « noi non abbiamo almeno (( da principio resistito all' esempio di chi crede dar prova di « senno, e forse pur di virtù ^ insultando ai nomi più belli che « onorino i fasti dell'umana intelligenza 5 » e che per tali parole induce i suoi lettori a credere non essere l'articolo del Subalpino da lui censurato se non un tessuto d' insolenze e di virulenti declamazioni contro certi nomi pur troppo comunemente in- sultati; questo collaboratore, diciamolo pure, ha già pronunciato egli stesso la sua sentenza in queste parole del suo articolo: chi si mette a queste proi^e , mette il proprio nome a spenzolar bruttamente tra la nota di malafede e quella d' ignoranza. P. 349 AiHiMJiNZj DI Bibliografia LIBRI ITALIANI. Amenità' de'viaggi e memorie contemporanee. Terza serie in 12 volumi. =:Vol. III. Telaggio nella Svizzera. = Milano, tipogr. e libreria PiroUa , i836. — Parte i."^ in-32 , di pagine I 296 I. 3o. La Condizione sociale del reo non deve influire né sulle qualità, né sulla misura della pena ; parole che leggeva nel giorno della sua promozione alla laurea legale Alessandro Cer- vesato di Treviso. = Padova, tipografia Cartallier , i836. — Iu-8.° di pagine 32. Dissertazioni sul mutuo e sulle misure, di un Canonico Poliziano. = Montepulciano, dalla tipografia di Angiolo Fumi, i835. — Iu-8.° gr. di pagiae 262 3. — Faggio di una versione poetica dell'Apocalisse, di Francesco Pe /• e s. = Palermo, tipografia di Filippo Salii, i836. = Sono i capi iv, v e vi tradotti in 4-'* rima. Biografia degl'Italiani illustri nelle scienze, lettere ed arti del secolo xvni e de'contemporanei. Compilata da letterati ita- liani di ogni provincia , e pubblicata per cura del Prof. Emilio de Tip aldo. = Yenezìa, dalla tipografia di Jll- visopoli^ 1 835. = Voi. u, fase. 2. — In-B." a due colonne , di pagine 128. 2. 61. Alcuni Cenni di Grammatica comparata delle due lingue Italiana e Latina ad uso della gioventù, con corollarii della Gram- tnatica ideologica di Tracy, di G. B. D. = Padova, tipogr. e fonderia Cartallier^ i836. — In-B." di pagine 1^. Racconti storico-romantici di Alberto Scrihani piacentino, dedicati alla signora marchesa Fanny-Visconti, vedova An- guissola. = Piacenza, fratelli del Majno , i836. — Voi. ni in- 16 di pagine 10^ — «''• 350 Dizionario storico-mitologico di lutti i popoli de] mondo. =, Palermo, tipogr. di Frane. S/jampinato, i835. = Distrib X.X alla XX» (voi. n). - In-8.-^ di pagine 64, 48, 48, 48^ Con disegni. Opere d, C. Cornelio Tacito, tradotte d^i Bernardo Dauanzati con le giunte ed i supplimenti dell'abate Gabriele Brotier tradotti sullo stile del Das^anzati da Pastore. Voi. unico' = Palermo, gabinetto tipografico all'insegna del Meli, i835. — Indice pagine 384- Amministrazione della giustizia civile presso i Giudicati di cir- condario. Opera dell'avvocato Fedele Caliri da Palermo = Palermo, presso Salvatore Barcellona, i835. — Parte iv distrib. i.» in-S." pagine 64. ' Delle qualità' essenziali della pittura italiana dal suo rinasci- mento fino all'epoca della perfezione 5 discorso del prof. Tommaso Minardi vice -presidente e cattedratico di pittura nell'insigne e pontificia accademia romana di belle arti denominata di S. Luca ecc. ecc. = Seconda edizione. = Roma , i835 , dalla tipogr. Camerale Ia-4.« di pag. 4o. Amenità' STORICHE. = Voi. 1, parte i.» e ^.^ Ristretto cronologico di òtoria universale dal principio sino al 1 836. = Milano presso Ant.-^ Fort.» Stella e figli, ,836. - In-32 di pag xv,' ^'^'. '74 '\^^^[ Di G. Mosconi, come rilevasi dalla prefazione. Il buon governo dei bachi da seta, dimostrato col Giornale delle bigattiere. Del conte rò.ce«3o Dandolo. Terza edizione con rami. = Milano, presso l'editore Lorenzo Sonzogno , 1836. — In-8." di pagine 126 con tre tay^ole. . . 3. 50. STAMPERIA GHIRINGIIELLO E COMP. con permissione. 531 OlURISPRUDEIVZA — ■^'-'^ Codice Teodosiano e di alcuni frammenti inediti del medesimo da un manoscritto palimpsesto della B. Università di Torino. Era uso delle nazioni germaniche , le quali distrussero l' im- perio romano , di permettere agli antichi abitatori il libero esercizio del loro diritto. Ma presso i Romani questo era in gran parte congiunto alle instltuzioni politiche abbattute dalla conquista dei barbari 5 ed innumerabili erano le leggi risguar- danti la publica amministrazione , il senato e 1' intricata ge- rarchia e i pesi ed i privilegi dei magistrati imperiali. Grandis- sima parte inoltre dei corpi del diritto conteneva principalmente le leggi regolatrici del sistema tributario. Siccome la conquista non solo fece sì che ai magistrati ed alle instituzloni romane si sostituissero magistrati ed instituzioni germaniche , ma an- cora che essendo gli abitatola stati spogliati di parte di loro terre cessassero in compenso (tranne in Italia sotto Odoacre e sotto gli Ostrogoti ) i tributi diretti : veniva quindi ad essere inutile gran parte delle leggi romane , ed incomodo 1' uso dei codici che le contenevano. Perciò Alarico re dei Visigoti , i quali avevano conquistato parto della Gallia meridionale , fece compilare una scelta delle leggi romane , servandovi 1' ordine tenuto nelle collezioni originali , e sottoponendo alle leggi con- servate una interpretazione , che ne rendesse più agevole l'in- tendimento. La principale delle opere abbreviate fu il Codice Teodosiano. L' opera fu compiuta 1' anno 5o6 5 ed in breve fu ricevuta non solo nel regno dei Visigoti, ma in tutta la Fran- cia e nelle Spagne. La conquista di Carlo Magno portò questo compendio anche in Italia , sebbene quivi 1' uso mai non ne divenisse generale, ed in breve al tutto cessasse al risorgere dello studio della giurisprudenza Giustinianea. Del vero Codice Teodosiano troviamo tuttavia menzione nei capitolari dei re di Francia; ma già prima, e poi fino al no- stri secoli, sotto il nome di Codice Teodosiano veniva il solo 32 352 compendio Alarlciano, e più frequentemente le interpretazioni sottoposte alle leggi dei bi-eviatori Visigoti. Del Codice Teodo- siano genuino era perita perfino la memoria ; e quando al ri- sorgere delle lettere Sicardo pubblicò a Basilea, l'anno iSaS, il compendio Alariciano , lo designò col nome consueto di Co- dice Teodosiano. Ventidue anni dopo furono ritrovati dal Tilio gli ultimi otto libri di questo Codice 5 e li pubblicò a Parigi unitamente ai primi otto del Breviario Alariciano , omesse le interpretazioni aggiunte dai Goti. Ed a quei tempi appunto si introdusse il nome di Breviario a denotare il compendio Ala- riciano in opposizione al Codice Teodosiano genuino , del quale allora per la prima volta si traeva nuovamente alla luce sì am- pia parte. Il manoscritto dal quale furono pubblicati i predetti òtto libri giace ora nella biblioteca Vaticana. Pochi anni dopo il Cujacio ebbe da Pietro Carpino, canonico a Lione, un manoscritto in più parli lacero, il quale conteneva il libro VI, il VII e l'VIII del Codice Teodosiano. Quindi l'anno i566 pubblicò in un sol corpo a Lione i primi cinque libri del Breviario, ed i se- auenti del vero Codice Teodosiano secondo il predetto mano- scritto e r edizione del Tilio. L' anno 1 586 ne fece a Parigi una nuova edizione^ ed in ambedue anche ai primi libri ag- giunse parecchie costituzioni, parte estratte da manoscritti più compiuti del Breviario Alariciano , e parte raccolte da' varii fonti e disposte sotto i titoli, ai quali parevano appartenere. Ma come tante altre parti dell' antica letteratura, così anche la giurisprudenza fu coH'ajuto di codici finora sepolti nelle varie biblioteche d' Italia , arricchita ai nostri giorni di ampii fram- menti inediti di antichi scrittori. L'anno 1820 Gualtiero Fe- derico Clossio, allora professore di diritto a Tubinga, aveva deliberato d' intraprendere un viaggio in Italia, colla speranza di potere da questa « inexhausta rerum anecdotarum fonte m , come egli si esprime, arricchire la giurisprudenza romana di nuovi tesori. Né 1' evento deluse 1' aspettazione 5 e giunto ap- pena a Milano gli venne fatto di trovare nell' Ambrosiana un codice miscellaneo contenente tutto il primo e parte del secondo libro del Breviario Alariciano, nel quale manoscritto il primo libro comprendeva parecchie costituzioni aliene dal Breviario, { e fino a ^uel tempo incognite. L'anno 1824 diede alla luce la aua scoperta a Tubinga. — Per opera del Clossìo si aggiunsero al Codice Teodosìano seltantanove costituzioni, delle quali venti- sette già si leggevano nel Codice Giustinianeo. Parecchi anni prima era stato scoperto, come un codice lacero e mancante di più quinterni, esistente nella Biblioteca della R. Università di Torino, era palimpsesto,- e dai titoli posti in sommo delle pagine e non ricoperti dalla seconda scrittura vi si rico- nobbero frammenti del Codice Teodosiano. Il eh. Professore Cav. Amedeo Pcyron avendo deliberato di publicarlo , ne fu lungo tempo impedito da altre cure e particolarmente dalla edi- zione dei frammenti delle orazioni di Cicerone- Finalmente r anno 1824 diede aua luce la sua scoperta , ornandola di note e di commentarii. 1 fogli da lui publicati furono trenta j dei quali due appartengono al libro I, uno al II, uno al Ili, tre al IV, sei al V, ed uno contiene un supplemento di un titolo mutilo del libro VL Gli altri appartengono alla parte edita. Ma in questi ampii frammenti del Codice Teodosiano, che a sì grande vantaggio della storia e della giurisprudenza furono scoperti e publicati dal eh. Professore Peyron, sono parecchie lacune, causate dal non avere talora l'editore potuto distinguere i tratti oltre ogni credere evaniti dell'antica scrittura. Alcune di queste sperava io di supplire, e mi eccitava l'esempio dello stesso Peyron , il quale non senza grande vantaggio rivide i fo- gli del palimpsesto Ambrosiano di Cicerone già due volte letti ed esaminati dal Mai. Recatomi dal eh. editore non solo ne ot- tenni l'assenso, ma per quella urbanità e cortesia eh' è in lui innata mi ajutò di avvertimenti e di consiglio nella difUeile impresa. Già aveva percorso gran parte dell'arduo lavoro, quando mi avvenne di ritrovare altri fogli non conosciuti dello stesso pa- limpsesto, dal quale il Peyron aveva arricchito di tanta parte inedita il Codice Teodosiano. Furono sette fogli; dei quali due appartenenti al libro I, uno al III, due all' Vili, e due al IX. Avendo determinato di publicare fra breve non solo quanto fu da me scoperto d'inedito e la parte già pubblicata dal Car. 554 f Peyrou , ma l'intero Codice Teodosiano: descriverò qui solo in breve la materia contenuta nei predetti fogli; aggiungendo in line alcune osservazioni sull' ordine dei frammenti del palim- psesto, e dei titoli del libro V. I due primi fogli (terzo e quarto fra quelli dell'intero palim- psesto) appartengono alla parte estrema del libro I, alla quale non somministra verun supplemento il manoscritto Ambrosiano scoperto dal Glossio. Le due prime leggi appartengono ad un titolo al tutto mancante nel Breviario Alariciano, ed al quale sembra potersi preporre la rubrica: « de officio eoriim qui in sacris scrìniis militant. » — Quella del titolo seguente , in gran parte svanita, pare essere: « de officio prociiratoriim gynaecei et metallariorum. Il foglio contiene le prime sette leggi del ti- tolo, delle quali la prima è l. % C. I. de murilegulis ^ e la quinta G l. \ C. I. de metallariis. Le altre sono inedite , e ricche di importanti notizie sui diritti dei procuratori imperiali, sulle formalità nell' ammessione agi' impieghi di publica amministra- zione, e sulle pene dei mali amministratori. II secondo foglio contiene il titolo de defensorihus senatus e le prime cinque leggi del titolo de defensorihus civitatum. Le ru- briche sono quasi per intero, sebbene a fatica, legibili. Nel ti- tolo dei difensori del senato, dei quali finora non s'incontrava che fuggitiva ed incerta menzione, sono quattro leggi , nelle quali si concede ai senatori la facoltà di eleggere dal proprio corpo uno o due per ciascheduna provincia, a difendervi i diritti del senato , ed a vietare che vi si esigesse dai senatori oltre quanto prescrivevano la consuetudine e la fede dei pu- blici catasti. Isa legge prima del titolo seguente scioglie la questione tanto agitata del tempo della instituzione dei difensori delle città. E questa legge del di 27 aprile 364, degli imperatori -Valenti- niano e Valente. Prescrive che dal prefetto al pretorio sieno eletti nelle città difensori della plebe, di retti costumi e di buon nome, da non scegliersi tra i decurioni, né tra quelli che fos- sero stati soggetti all'uffizio della prefettura o del rettore della provincia. Ordina inoltre che si riferisca all'imperatore chi sia stato ordinato in ciascheduna città. — La legge seconda è la /. i C 355 /. eod. — Della terza, mutilandola ed interpolandola, Tribo- niano formò la /. 2 eod. In questa legge secondo la lezione del Codice Teodosiano è degno di nota come fra le persone da eleggersi a difensori sono annoverati gli ecclesiastici. E forse dalla dignità di difensore per consenso dei popoli e per con-- suetudine congiunta a quella di vescovo derivò la giurisdizione volontaria quasi municipale, che esercitarono i vescovi in Italia ed altrove prima che in essi fosse trasferita l' autorità comitale. — La legge quarta, inedita, è di simile argomento. — Della legge quinta , mutilandola e traendola ad aifatto diversa senten- za, Triboniano fece la /. 3 C. I. eod. Nel Codice Teodosiano è una esortazione ai senatori a sottoporsi alla carica di difensori. Il terzo fra i fogli inediti ( sesto fra quelli del palimpsesto ) appartiene al titolo de sponsalibus et ante nuptias donationibus ; lib. III, tit. V del Breviario. È mancante della parte inferiore. Comincia dalla legge terza del Breviario , che fu parimente la terza del Codice Teodosiano. La legge quarta è /. 2 C. /. eod. La quinta e la sesta sono la quarta e la quinta del Breviario. La settima, l'ottava e la nona sono inedile. Nell'inscrizione della decima finisce il foglio. Dei fogli appartenenti alle parti edite il primo comincia tar- ditasnullagenerelur , finisce anthemioetsyagrio oss. Lib. VIII, tit. V, 1. 33—39. Il secondo comincia decernimusquiadse ^ finisce transireper- mittant dai III. Lib. Vili, tit. Vili, L 5 — tit. X , 1. 2. Il terzo comincia proiudicismotus sementiamo finisce nonnul- lo sjlatur ar io Sinai. Lib. IX, tit. XIX, 1. 4 — tit. XXI, ]. 6". Al quarto manca la parte inferiore. Il lato retto comincia solumfructumpropriae o finisce quosfacilior; il lato averso princi- pia // Impparch et hon aa ^ Unisce adcojiiunctionisd. Lib. IX, tit. XXI, 1. 10 — tit. XXIII, 1. I, e 1. 2 — tit. XXIV, 1. I. In quanto finalmente ai fogli ed ai titoli del libro V, l'or- dine delle materie e le tracce della disposizione antica dei fo- gli del palimpsesto non lasciano dubio che si debbano distri- buire nel modo seguente. Il foglio XI del palimpsesto comincia rharorumpraedact , fi- nisce ingejiuosseniit. Era primo di quaderno, e congiunto al 556 loglio XrV. n titolo rie ingenuis qui tempore tjranni servierunt ha pi-efisso il numero Vili. Dunque il foglio comincia dalla legge pennltìma del titolo sesto, al quale può forse preporsi la rubrica de dwisione praedarum. Al foglio XII manca la parte superiore. Principia (u)el(em)- eritisueteranis , finisce bienmumeademads. Era il terzo dello stesso quaderno , ed era congiunto al foglio XIII; onde tra que- sto ed il precedente manca un foglio o pagine due. Le leggi pa questo contenute appartengono al titolo de omni agro deserto, il quale anche nel Codice Giustinianeo precede immediatamente la materia dei fondi patrimoniali. Il foglio XIII, già congiunto , come vedemmo, al XII, fu il sesto del quaderno. Principia orumobligatione , e finisce facul- talib. dat. pr. Contiene le leggi \\ — 21 del titolo XIII, al quale possiamo colla scorta del Codice Giustinianeo preporre la rubrica de fundis patrimonialibiis limitrophis j, emphjteiiticis et saltuensìbus. Fra questo od il foglio precedente manca un pajo di fogli , ossia pagine quattro. Il foglio XIV fu l'ultimo del quaderno, e ne ha in fine la nota mutila X**. Fu , come dicemmo , in origine congiunto al foglio XI. Incomincia umpatrimonialem , finisce praedictoiure- fundo. Contiene le leggi 3o — 36 dello stesso titolo XIII , il quale anche è notato a parte destra del margine superiora della membrana. Tra questo ed il precedente manca un foglio, nel quale furono otto leggi. La cronologia e 1' argomento delle leggi del foglio che co- mincia nentib.indulgentusanobis e finisce siquemposteaminus di- mostrano , come osservò il eh. professore VVenck , che le tre leggi della parte anteriore di questo foglio appartengono allo stesso titolo che quelle dei due fogli precedenti ; onde questo •viene ad essere il foglio XV. Siccome l'intervallo tra questo ed il foglio precedente non è che di quattordici anni, pare che tra di essi non manchi che un solo foglio ; onde questo verrebbe ad essere il secondo del quaderno seguente. — Per quanto tempo e diligenza vi impiegassi, non pervenni a leggere il nu- mero né la rubrica del titolo seguente. L' argomento del ime- desimo è de fundis rei privatac 5 e ne contiene le leggi i — 4- 557 Al foglio ultimo o XVI manca la parte superiore. Il lato retto comincia mofficiumrespriuatae , finisce necadsacratissimu". , e contiene quattro leggi. Il lato posteriore comincia usproposi- tissuper , finisce atqjiispossessionih. Contiene tre leggi , delle quali le due ultime portano il numero XIIII e XV. Tutte le leggi di questo foglio appartengono all' argomento de fundis rei privatae. Il numero delle leggi mancanti non permette che si supponga alcuna maggiore lacuna tra questo ed il foglio prece- dente 5 onde questo verrebbe ad essere il terzo del quaderno. Passando ora a determinare l'ordine dei titoli del libro quinto del Codice Teodosiano , denoteremo con numeri separati i titoli del Breviario Alariciano, e con parentesi ( ) distingueremo i numeri e le rubi'icbe incerte dei titoli del Codice Teodosiano, LIBER V. Codicis Breviari! Theodos. Alaric. (I) I (II) II (III) III (IV) IV VI VII V vili VI (IX) VII (X) VIII (XI) XIII XIV (XV) IX (XVI) X (XVII) XI (XVIII) XII De legitimis hereditatibus. De bonis Decurionum. De bonis clericorum et monachorum. De bonis militura. ( De divisione praedarum ). De postliminió, idest post captivitatem regressis. De ingenuis qui tempore tyranni servierunt. De expositis. De bis qui sanguinolentos eraptos vel nutrien^ dos acceperint. ( De omni agro deserto ). ( De fundis patrimonialibus limitrophls, emphy- teuticis et saltuensibus ). ( De fundis rei privatae ). De fugitivis colonis, inquilinis et servis. De inquilinis et colonis. Ne colonus inscio domino suo alienet peculium, vel litem inferat ei civilem. De longa consuetudine. 358 Dal clie appare come manca tuttavìa un titolo prima del se- sto , ed uno tra 1' ottavo e il decimoterzo, oltre quella parte maggiore che dopo il titolo XIV pare essere stata dai Visigoti omessa in fine del libro. Dimostrerò altrove piìi difFasamente questa mia disposizione , e descriverò 1' ordine dei fogli del pa- limpsesto Torinese si secondo V antica scrittura del Codice Teo- dosiano , come secondo la scrittura più recente sovrimpostavi , contenente la vita di Alessandro Magno. Carlo Fresine. Letteratura — Alcune osservazioni intorno alla poesia ne secoli inciviliti. I concetti delle menti robuste ed erudite, o veri o dubbi che ei sieno, fatti palesi collo scrivere, debbono da chi ha caro il progresso dello spirito umano tenersi in quel conto, che me- ritano per l'utilità, che il più delle volte ne deriva allo sco- primento o chiarimento del vero. Se nelle loro meditazioni elle furono di tanto avventurose da condurre a maturità ed a per- fezione purgata d' ogni caligine qualche verità elucubrata , e produrla quindi alla luce tutta splendida e bella, quale parto gentile dell' intelletto , come ne deriva a loro una ineffabile gioia, cui non s'agguaglia a gran pezza quella d' una madre, che spose al dolce lume del giorno il primo suo portato , cosi non è da dire , quanto se ne avvantaggi il tesoro dell' umano sapere , cui suole una verità ritrovata non tanto arricchire per se stessa, quanto per lo successivo figliarne di più altre, che da quella siccome da germe sono sovente originate. Che se a co- lui che primo intravide e vagheggiò dentro da sé con assiduo intento qualche verità sconosciuta , non venne fatto di matu- rarla pienamente, e purgarla da ogni macchia d'errore ( che suole essere sempre così presso al vero, ed oscurarlo, forse per- o59 che s' accresca la gloria di chi intende a scoprirlo ) : e gli con- venne sporla rozza ancora e disformata, egli ha pur nondimeno molto ben meritato dell'umano sapere; perocché da quel parto, avvegnaché immaturo, emersero poi per opera d'Ialtti ingegni, che vi si adoperarono attorno , le divine ed amabili forme di un' angioletta. La qual cosa sembia confermare sempre più quello che una dotta filosofia ha preso novellamente a dimo- strare, vale a dire, che la ragione fu dall' eterno Reggitore data all' umanità, non agli uomini, e sulla vita dell' uman genere, non degli umani individui regolatone il progressivo sviluppo 5 cosicché è cosa irragionevole e scortese il deridere superbamente i traviamenti , o gli inutili tentativi dello spirito umano in que-^ sto od in queir individuo , in questa od in quell' altra parti- colar sua prova. Ondechè noi riputiamo doversi sempre tener gran conto delle opinioni e de' giudizj de' grandi ingegni, seb- bene avvenga talvolta o di non consentire pienamente con loro, o d'avere opinioni alle loro affatto contrarie. Queste cose abbiam creduto dover premettere prima di venire a toccare al- quanto di una opinione comune a tre nobili ingegni, alla quale noi non possiamo intieramente aderire. I dottissimi Monti, Jouf- froy e Fauriel, il primo nelle sue lezioni d'eloquenza là dove parla di Virgilio , il secondo nelle sue riflessioni sulla filosofia della storia , il terzo in una delle sue lezioni di letteratura stra- niera sono d' opinione, che i secoli inciviliti sieno contrarj , o per lo meno non favorevoli alla poesia. Il Monti dopo di avere parlato d'Omero, e detto che nelle scienze progressive l'ultimo passo è sempre il più degno d'ammirazione , mentre all'oppo- sto nella fantasia i primi lampi sono sempre i più vivi 5 che a far sì che Omero sembrasse essere dotto senza dottrina , arti- ficioso senz' arte , e filosofo senza filosofia contribuirono le cir- costanze dei costumi e dei tempi, rimosse le quali. Omero sa- rebbe stato imitatore anch' esso in luogo di essere creatore , così prosegue ragionando di Virgilio. « Osserviamo adesso Vir- gilio. Escluso egli da questa primitiva esaltazione poetica , che scorre libera ne' suoi impeti, ed è simile ai primi tocchi d'amore, che provati una volta, non si fanno mai più sentire colla stessa vivacità , circondato dalle regole e dai freni che Aristotile avea 560 già messi agli ingegni , abbandonato , dirò cosi , dalla natura già da altri afferrata, è sforzato a prender tutto dall'arte, ed a crearsi coli' arte una quasi nuova natura. Collocato in un se- colo dall' eroico remotissimo , intraprende egli la sua opera in mezzo ad un popolo già padrone del mondo , già erede di tutte le arti , di tutti i lumi e nel medesimo tempo di tutti i vizii dei secoli precedenti, in mezzo ad un popolo, a cui era im- possibile di piacere senza molta delicatezza e molta filosofia. Frenato da tanti ostacoli, osservate 1' artifizio mirabile di que- sto ingegno. » E qui si fa a discorrere i principali pregi del poema Virgiliano. Il prof. Jouffroy filosofo tanto gentile ed or- nato, quanto profondo in modo più reciso scrive : « la poesia esprime più sentitamente, che la filosofia i pensieri dell' età , o delle masse, come dice egli, la filosofia li comprende meglio. Se la poesia comprendesse, ella diverrebbe filosofia, e scomparirebbe. Ecco perchè Pope e Voltaire sono filosofi e non poeti. Ecco perchè la poesia è più comune e più bella ne' secoli illuminati , più rara e più fredda ne' secoli colti. Ecco perchè in questi ul- timi la poesia è il privilegio degli ignoranti. » Il sig. Fauriel accenna a questo medesimo colle seguenti parole : i poemi na- cquero ne' secoli di mezzo tra la barbarie assoluta, che non ha poesia, e la civiltà troppo avanzata, che favorisce il progresso dell'arte a danno della spontaneità poetica. Quantunque questi tre illustri scrittori s'accostino molto dappresso alla medesima sentenza ; tuttavia v' ha tra di loro questa diversità, che l'opi- nione del Monti e del Fauriel risguarda piuttosto alle qualità esteriori , alle forme della poesia , e non ci sembra abbastanza ben sviluppata e chiarita ; quella del Jouffroy mira più all'es- senza , e ne pare troppo assoluta ed esclusiva. A noi parve dura cosa a comprendere , come la poesia , che fu già stromento così efficace di civiltà, s'abbia a risguardare come incompa- tibile o poco sociabile con questa : quasiché lo spirito umano non possa progredire nello sviluppo e perfezionamento d' al- cune sue facoltà , se non che a danno di alcune altre ; onde ab- hìaia preso ad esporre qui alcuni nostri pensieri intorno alla poesia ne' secoli inciviliti. Una delle principali differenze , che corre per risp«tto ali* 361 poesia tra i secoli lontani ancora dalla civiltà, e quelli già lar- gamente inciviliti si è, che in que' primi tutto è poesia, presa nel suo più ampio significato, laddove negli ultimi la poesia ha i suoi limiti conosciuti, dentro a' quali è rinchiusa. 11 Vico ne* suoi principi di scienza nuova dimostrò apertamente, come ne* secoli barbari la religione , la filosofia , la storia tutto è poeti- co, perchè gli uomini vi sono dominati principalmente dai sensi, e dall' imaginativa. Nella Gi'ecia Aristotile fu il primo , che pose i confini tra la filosofia e la poesia , le quali si trovano an- cora confuse nelle opere di Platone ; come Tucidide fu il primo che divise la poesia dalla storia indistinte ancora ne' libri d'Ero- doto. Per quello che spetta alla storia romana il Niebuhr tiene in conto di finzione e di poesia tutto quello che si narra di Romolo e di Numa ; e pensa che solamente con Tulio Ostilio cominci un racconto di fondo storico, sebbene non appurato an- cora intieramente dalla finzione poetica , la quale si vede a quando a quando ricomparire fino al quinto secolo di Roma. Ond' ei considera come poema tutta la narrazione Liviana intorno a Lucio Tarquinio Prisco e Servio Tullio. Così ne' secoli bar- bari del medio evo la poesia invase di nuovo il dominio della storia e perfino della religione co' suoi canti eroici , colle sue leggende, colle sue maravigliose finzioni. Egli è adunque aperto più, che meriti 1' opera della prova , che ne' secoli barbari la poesia distende ampiamente il suo dominio sopra le credenze, le scienze e la letteratura ; mentre ne' secoli inciviliti ella ha il suo regno a parte, dove chi entra sa dove ei si trova, ed ossia che ella spazii nelle regioni affatto immaginarie , oppure che ella derivi dalla religione o dalla storia i soggetti per inne- starvi sopra le sue finzioni , e gli impronti delle dottrine filoso- fiche 0 religiose de' tempi, non ne nasce perciò confusione alcuna di quella con queste , perocché que' soggetti venuti una volta dentro a' confini della poesia son fatti esclusivamente poetici, e da tutti riconosciuti come tali. Ora se ad alcuno piacerà di af- fermare , che per questo rispetto i secoli semibarbari , od eroici , come li chiama il Vico, sono più poetici, che i secoli incivi- liti, perchè la poesia è in quelli più largamente diffusa, non gli si può contraddire ; ma non ne seguita per questo , che i secoli 362 d'incivilimento non sleno opportuni alla poesia, perchè in essi questa è costretta dentro a' confini suoi propri. Egli è uno de' principali effetti del progresso dell' umana ragione , é della civiltà il determinare 1 limiti di ciascuna scienza, e di ciascuna parte della letteratjjra , le quali quasi brani di smembrato corpo stettero lungamente confuse per vari popoli , e tempi , prima che più felici ingegni dessero opera a sceverarle , e ad ordinarle insieme siffattamente , che le une alle altre dessero a vicenda , e togliessero sussidio unite in generosa lega , senza essere confuse. Ma questo ordinamento non è distruzione d'al- cuna d' esse , né perchè la ragione ne' secoli inciviliti progre- disca sempre più ardita, e forte inverso nuove speculazioni, e distenda i confini delle cognizioni filosofiche e positive , ne consegue perciò , che debbano restare addietro , e quasi sof- focati r imaginativa , e il sentimento , onde deriva la poesia ; e che coloro i quali per natura più sopravanzano in quelle due facoltà non possano usarle con successo ed onore valendosi dei progressi della ragione nelle dottrine filosofiche , e civili. La poesia, stando alla definizione tutta semplice e ristretta che ne dà il Gherardinl , è la facoltà di concepir 1' idea del bello, e di renderlo sensibile ad altrui : il fine a cui ella tende è di signoreggiare il cuore , e la fantasia rendendo sensibile ad al- trui il bello concepito dal poeta , il mezzo col quale ella ot- tiene questo fine è il diletto. Noi non crediamo , che sia per venire in mente ad alcuno di dire , che la natura sia più scarsa della facoltà poetica agli uomini ne' secoli inciviliti , e che gli animi umani sleno in questi meno suscettivi del diletto , che la poesia ne porge. Chi dicesse questo , oltreché il farebbe senza fondamento alcuno di ragione^ verrebbe combattuto dagli esempi , e dall' esperienza di molti secoli tutti più o meno innoltrati nella civiltà , e fecondi pur nondimeno di sommi ingegni poetici , i quali per avventura non sono posposti agli antichi , se non perchè il velo d' antichità suole sempre in- grandire gli oggetti lontani, e farli parere maggiori di quelli, che ci stanno più dappresso. L' imaginativa, fonte piinclpale della poesia , dipende , come bene nota 1' Herder , dall' orga- nizzazione , e da' climi , non dal variar delle età più , o meno 563 lontane, né da vicissitudini di barbarle , o di civiltà. Che se le fantasie poetiche de' secoli rozzi ne pajono più robu- ste , e più feconde , che quelle de' secoli più colti la cagione si è perchè in que' primi poco o nulla adoperandosi le altre facoltà della mente , il cui uso richiede più studio , e fatica , debbe di necessità prevalere l'esercizio e la forza della fantasia, facoltà più d' ogni altra pronta ed attiva , e fomentata per so- prappiù dall' ignoranza di molte cose naturali , madre di ma- raviglie , come la chiama il Vico 5 laddove negli ultimi tutte le intellettuali facoltà esercitandosi ugualmente , e con tempran- dosi a vicenda , la fantasia viene ad essere più corretta e tem- perata sì, ma non però inferiore per naturai virtù Al che si aggiunga , che grande vantaggio sopra coloro che vennero ap- presso, ebbero gli antichi nell'essere stati i primi. Se adunque la facoltà poetica non è legata al mutar delle età sieno esse o rozze , o civili è da vedersi quali cagioni conferiscano ad eser- citarla felicemente in quelle, e se v'abbiano ostacoli insupera- bili, che s'oppongano al coltivarla nobilmente, e con successo in queste. La principal cagione , per cui ne' secoli poco dotti la fantasia è creduta più atta ad esser poetica si è, perchè in quelli le menti, siccome dice il Vico , di poco essendo astratte, assottigliate , spiritualizzate , gli uomini vi sono fortemente si- gnoreggiati dalla virtù sensitiva , profondamente impressionati dagli oggetti esterni e tocchi da subite e vive passioni. Di qui deriva , che la poesia in que' secoli è sovente più imaginosa , più descrittiva, più vispa e più si diletta di rap- presentare la natura esterna^ pf^rocchè forse meglio la sente e ne è più vivamente commossa. I più de' poeti, che noi ammi- riamo per queste poetiche qualità tengono, siccome nota il Monti, delle circostanze del tempo un vantaggio, che agli altri venuti dopo è impossibile di conseguire. Chiunque si è impa- dronito dei colori primitivi conserva un merito d' invenzione, adorna di tal luce i suoi quadri, che i suoi successori anche forniti di maggior fantasia, li potranno bensì imitare e perfe- zionare, ma non mai togliere ad essi la preminenza. Ma le qua- lità soprammentovate, comechè pregevoli, e belle, non sono per altro le sole , che formino la poesia. V ha un altro genere 564 di poesia, quella che diremmo poesia di profoudo sentimento, la quale è principalmente rivolta a rappresentare 1' uomo in- terno, che sa toccare le più recondite corde dell'umana natu- ra, che parla un linguaggio più accomodato alla mente, ed al cuore, che ai sensi, che è più ricca di sublimi concetti, e di filosofiche idee , che non iscorre leggera leggera sull'anima solo per solleticarla, ma vi imprime sopra orme durevoli e profonde, e questa poesia è appunto quella, che fiorisce ne' secoli colti ed inciviliti, perchè la poesia, secondo il detto del Jouffroy stesso , debbe essere sempre d'accordo coi tempi. Laonde in vece di asserire, che la poesia ne' secoli colti è più rara e più fredda, pare a noi che sarebbe stato più esatto il detto , che ne' secoli colti si conviene un genere di poesia diverso da quello che è proprio de' secoli meno dotti. Omero, e Virgilio sono amendue sommi poeti , ma diversi tra di loro secondochè i tempi richie- devano. « Omero, come dice il Monti stesso, è mirabile per lo splendore e la sublimità delle immagini, ma non altrettanto per le profonde riflessioni dello spirito. Egli mette in delirio la fantasia, ma lascia quasi sempre il core tranquillo. » Virgilio per l'opposto è poeta tutto cuore, e sentimento. Né è da dire, che nuocia alla poesia ne' secoli colti il pro- gresso delle idee filosofiche, quasi che la filosofia sia incom- patibile colla poesia, e questa non debba comprendere le dot- trine di quella, le idee e i pensieri dell'età, come scrive l'egre- gio sig. Jouffroy. Quando le masse popolari progrediscono senza quasi avvedersene inverso qualche verità , che il tempo debbe ancora maturare , e fortificare prima che ella abbia iutiera vit- toria sull'errore, e sia pienamente stabilita, i poeti sono per lo più i duci, gli antesignani di quel movimento, di quel pro- gresso. I filosofi veggono da lungi le verità e le additano j i poeti le spogliano della loro forma astratta , le adornano , le ingentiliscono, e secondo la tempra de' loro ingegni o scuotendo, o lusingando s'adoperano a far sì che la moltitudine le accetti e ne proclami l'impero. E bene conviensi a' poeti quest' ufficio, essendoché è dato loro l'esercitare sulle masse un maraviglioso potere, maggiore assai di quello de' filosofi. Se nell'ardua im- presa dell' umano progresso si potessero esattamente distinguere 565 le parti , e gli ufiflzii che ciascuno v' esercita ,• avrebbesi a dirfe che i filosofi sono gli esploratori, i poeti duci, le masse il nerbo dell' esercito , che muove alla vittoria ed al conquisto. Ora non solamente non potrebbero i poeti bene adempiere l' ufficio loro , se non comprendessero la direzione, e lo scopo del mo- vimento , ma quanto più lo intenderanno , tanto meglio po- tranno compiere la nobile loro missione. Quindi è , che chi sappia bene addentro penetrare nella mente de' grandi poeti de' secoli colti, troverà in essi non solo espressi vivamente i pensieri dell' età, ma compresi eziandio i sentimenti e i de- sideri delle masse , ed intraveduto 1' avvenire o lontano, o vi- cino a cui esse tendono. Ed il sig. Jouffroy stesso afferma , che le opere de' poeti sono monumenti preziosi per la storia del progresso dell'umanità. La mente de' veri poeti fu sempre come un' imagine fedele dello stato sociale, ed un compendio insieme di tutto il sapere filosofico e civile delle età in che vissero, né il comprendere nocque giammai , anzi giovò grandemente a formar i poeti sommi , e conformi alla condizione de' tempi. Omero, e Dante non sono eglino come i rappresentanti di tutte le cognizioni , che s' avevano a' tempi loro ? Non com- prendevano eglino forse le idee, e i pensieri delle loro età? Virgilio non usò egli al suo uopo principalmente nel libro se- sto della sua Eneide le idee Platoniche , che erano in vigore nel suo secolo e che parevano additare un progresso avvenire ? Non fu egli filosofo insieme , e poeta ? Dirà per avventura alcuno doversi egli posporre ad Ennio poeta [di tempi meno colti? Orazio non tolse a tutte le filosofie, che si professa- vano al suo tempo in Roma le dottrine, che pili gli convenivano? La poesia ha un modo suo proprio di valersi delle dottrine filo- sofiche senza cessare di essere poesia; e i veri poeti lo conoscono e sanno usarlo. Il potere d'un' icnaginativa veramente poetica è grande: ciò, che ella l'accoglie dentro da sé sa adornarlo - di tale splendore, improntarlo di tale bellezza, avvivarlo siffattamente, che esce da lei tutto diversamente informato da quel che era prima. Non è egli già, a parer nostro, nel comprendere, o nel non comprendere, che sta la differenza tra la poesia , e la filo- sofi.'» , ma piuttosto nel vestire, nell' adornare e nell'esprimere divèrsamente la verità compresa. Tutto si lega insieme nel pen- siero umano. Le idee del vero, del bello, del bene, come di- mostra il signor Gousin, hanno lo stesso fondamento e sono tra di loro in istretta relazione ; non che 1' una escluda l'altra. Che se la poesia, come dice lo stesso signor Jouffroy, canta i sentimenti dell'età intorno al bene , al bello , ed al vero ^ come potrà ella farlo con verità e giustezza senza comprendere , es- sendoché in que' sentimenti si racchiudono pure le tendenze delle età , e la coscienza avvegnaché confusa dello scopo a cui mirano? Ben lungi pertanto dal credere, che lo intendere i pensieri dell' età pregiudichi alla poesia , com' é opinione del Jouffroy , e che i lumi , e la filosofia le sieno ostacolo , come pare che giudichi il Monti, noi pensiamo, che dove più ab- bondano gli elementi filosofici e civili , quivi la poesia sarà bensì diversa in parte da quella de' tempi meno colti , ma grande di concetti, e d'idee, e ricca di sentimento. Di ciò potrebbero ad- dursi, se pur fosse d'uopo, i più splendidi esempj. In quanto a quello, che scrive il sig. Jouffroy che la poesia ne' secoli colti è il privilegio degli ignoranti ei ci sembra al tutto alieno dalla verità. La poesia può stare coli' ignoranza nei secoli rozzi , in cui gli uomini sono quasi come fanciulli, veri figli della natura nelle loro azioni, e nei loro pensieri, ne' loro amori, e ne' loro odj , nei loro timori, e nelle loro speranze, nelle loro gioje, e nei loro dolori, e nelle dolci loro illusioni fan- ciullesche. Come gli antichi Germani di cui ci lasciò memo- ria Tacito, e come di molti popoli presenti narrano i viaggia- tori , essi sono guidati quasi in tutto dalla fantasia , lei segui- tano come detta e spii-a, poco o nulla si conoscono e si ajutano dell' arte , né sono eccitati da forti e profonde idee morali e civili, siccome quelli , i cui pensieri poco più oltre si esten- dono, che all' esercizio della forza, ed ai bisogni materiali della vita. Ma non così, pare a noi, ne' secoli colti. Li que- sti i poeti debbono essere tutt'altro, che ignoranti se hanno ad essere d' accordo coi tempi , come vuole il sig. Jouffroy , e sdebitarsi degnamente dell' ufficio loro. ]Né quella ignorante semplicità, che distingue la poesia de' tempi rozzi, sarebbe un pregio, un convenevole adornamento alla poesia de' tempi colti, 567 ed ìucivilìLi. Qui inteudiamo noi di parlare de' veri poeti. Che pur troppo la turba de' poeti ignoranti è grande anche ne' secoli colti, uia di loro noi non ragioniamo. L' iniaginativa de' poeti ne' secoli rozzi si giova grandemente delle tradizioni maravigliose , piene di splendide e care re- miniscenze de' loro antenati , rappresentanti come attraverso d'un velo le imagini della vita nazionale, gli usi, gli eventi, e la storia fisica del loro paese. Queste tradizioni tramandate di generazione in generazione formano come il fondo poetico delle nazioni poco colte , ed esercitano nn grande potere sulla fan- tasia de' poeti. Per questo rispetto forse s'avvantaggiano i secoli rozzi sopra i secoli inciviliti, il cui splendore vince la tenebra misteriosa della tradizione, e ne discioglie tutto l'incanto. Ma in quella vece ne' secoli colti le menti de' poeti sono dominate da altre idee non meno possenti , ed efficaci a suscitare in loro la poetica fiamma. Dal che deriva di nuovo la conseguenza, che la poesia ne' secoli colti debb' essere di qualità diversa da quella de' secoli incolti ; perocché, come bene nota il sig. JoufTroy, la sua natura stessa la sottomette alla legge di dover cangiare. Non è ora nostro proposito il discorrere delle qualità della poesia ne' secoli inciviliti, il che sarà tema d'un altro nostro lavoro, che si continuerà a questo 5 ed in cui penetreremo più adden- tro ideile viscere del soggetto. Qui era solo nostro intendimento il dimostrare come l'incivilimento, e la copia de' lumi non escludano od impediscano la poesia, ma solo la modifichino. Queste nostre osservazioni non sono che il proemio d'alcune altre più meditate, che verremo dettando appresso. Forse ab- biam speso intorno a questa parte del nostro soggetto troppe più parole, che non si conveniva; ma non abbiam potuto ri-, manerci dal prendere la difesa d' un' arte gentile, che infiora sì dolcemente gli aspri sentieri della vita, ne rende più cai'a la virtù vestendola di amabili forme , ne ricrea cosi spesso de' disagi, e dello nojc, inamabili compagni del mortale pellegri- naggio , e ne infonde vigore ed ardimento a superare gli osta- coli , che ci si attraversano , come il canto dell' Arabo rincora lo stanco cammello a proseguire la via pei le riarse areuc del deserto. G. s= Sarà commiato. 33 568 Dell'Annoio tiranno di Padova, e degli altri di animi di ViTTOR Ugo. ARTICOLO PRIMO Ove fosse vero, come gridano molti, che di tutti i drammi di Vittor Ugo l'Angelo tiranno di Padova, l'ultimo de' sinquì pubblicati , sia a tutti gli altri inferiore ; noi lasciando a chiun- que sei voglia il poco fraterno ufficio di lamentare pubblica- mente il destino d' un illustre scrittore , il cui astro parrebbe anziché salire andar declinando, ci restringeremmo a deplorare quello dell' italiana letteratura , ad accrescere il cui patrimo- nio già in fatto di teatro non assai pingue, sarebbesi mediante due recenti versioni dei sette drammi di quel valoroso straniero scelto il men bello : quasi col malizioso intento , offrendo per paggio all'Italia la più meschina delle sue opere, di farlo a lei conoscere dal suo lato più debole. Lunge dai traduttori dell'Angelo così maligno sospetto! lasciando pel momento intatta la questione da non trattarsi leggermente e di volo, quanto vaglia paragonata ai suoi fratelli questa prole d'Ugo ultimogenita , il fatto si è che rappresentato tre volte sulle scene torinesi dalla R. Compagnia drammatica, ebbe l'Angelo tutto il favore di questo Pubblico. E comunque sembri che il signor Vittor Ugo, uso qual è agli applausi della platea parigina, poco dovesse curarsi del come venisse accolta una sua produzione in questa umile Italia ^ della quale ( il diciam con rammarico ) ei sembra in verità sentire poco bene 5 pure la mi par cosa impossibile, che sapendo poi come l'uditorio torinese ha festeggiato il suo dramma, non si sentisse intenerire a quest' entusiasmo per lui d' una nazione straniera; non provasse un qualche rimorso dell' aver troppo sovente nell'opere sue parlato irreverentemente di una nazione, che lui tratta cosi bene, e non concepisse di noi Italiani tutt' yitrfi ùliiua, conoscendo ptr prova come la generosità non è 569 viilù privilegiala al più l'oite. Dal siaquì dello si fa manifesto, eli' io puulo non mi vergogno di deferire in fallo di letteralura drammatica al giudizio del Pubblico: sapendo io (oltreché le opere teatrali son fatte più propriamente per esso; epperò di sua ragione è il darne giudizio), che come nella repubblica civile nel popolo son tulli, così tutti sono nel Pubblico nella letteraria 5 e il voler sceverare i dotti dal Pubblico in questa è cosa incivile non meno, che il separare i nobili dal popolo in quella; si è stabilir quasi un'oligarchia letteraria; e, come chi dicesse, che, tranne gli ottimati, tutto nel popolo è plebe, dire che, salvi i dotti, tutto nel Pubblico è volgo di slolti. Ora volendo, noi indagare le cagioni, per cui la platea tori- nese , nuovissima a sifì'atto genere di rappresentazioni , gustò costantemente quella dell'Angelo, toccheremo dei pregi di esso, scorrendo leggermente sovra i più folgoranti e risentiti , e sof- fermandoci alquanto sui meno appariscenti , su quelle che in altra scrittura nostra ci piacque chiamare bellezze recondite. Trascorreremo poscia a ragionare degli altri drammi d' Ugo, ed esaminando brevemente alcune fralle più importanti critiche, che lor si fanno, ad esporre su quelli e su queste il parer nostro. Non insisteremo ( lo protestlam da principio ), non insisteremo guari sui difetti di questo valente scrittore : sia perchè, ove il facessimo, a gelosia di mestiere potrebbe venirne ascritto ; sia perchè meglio de' pregi, che dei difetti delle cose altrui ne giova intrattenerci, riservando tutta l'austerità della critica a correggere le cose nostre; sia per ultimo per qiiest' altra ra- gione , che siccome in fatto di morale, col solo pVoporre ai gio- vani ottimi esempj da imitare, anche senza punto additar loro pessimi esempj da sfuggire , si possono benissimo educare a virtù; così nell'arte, senza l'enumerazione dei tanti scogli, de' quali per fuggir timidamente gli uni si urta sovente negli altri, si può condurre altrui a lontana meta di perfezione, in- segnando lor puramente a seguire la via percorsa dai sommi , là dove pel costante consenso di tutti gli uomini sommi vera- mente si dimostrarono. Veniamo al proposito. Comunque si possa opinare e dai critici di professione , e dagli uomini puramente di buon criterio sulla tessitura dell' 370 Angolo , eir è cosa evidente , poiché provala dall' esperienza , che r interesse vi è vivo e crescente da capo a fine : che l'ani- mo del lettore e dello spettatore ne vengono dalla prima fino all'ultima scena potentemente e gradevolmente commossi. Quanto ai caratteri, chi non ama la Tishe, chi non compiange a Ca- terina, chi non s'affeziona all'infelice Rodolfo, all'esule, allo spodestato signore , all' amante ed amato per sua doppia sven- tura? Tisbe è una riproduzione diversamente modificata di quel primo tipo , che così altamente si è scolpito nella mente di Vittor Ugo , una grande laidezza morale o fisica abbellita e no- bilitata dalla dignità di un affetto puro e sublime. Lucrezia Borgia è la bruttezza mollale riscattata più clte dall' incanto della bellezza fisica , dalla santità dell'amore materno : Triboulet nel dramma Le Boi s'amuse la deformità fisica che s'asconde sotto il manto di un grand' amore paterno *i : Marion de Lorme la turpitudine di una vita cortigianesca , che scompare per dar luogo alle bellezze dell' amor puro : pensiero destato per avventura dagli amori di Edoardo Bomston nella Nouvelle Hèlo'ise di Rousseau. Tisbe per ultimo è la male suada fames et turpis egestas non priva affatto di un sentimento della di- gnità umana, e che dal fango de'trivii, e dalla polvere dell'aule corrompitrici , s' eleva talvolta al più alto segno dell'eroismo spinta da una gran forza d' amor filiale. E' ne sembra cVie Vittor Ugo, rendendo a se medesimo ra- gione di siffatte creazioni, dovesse discorrer cosi: « mal s'ap- » pone chiunque crede che tutto sia viltà sotto i cenci più » vili , che tutto sia sozzura e vizio in una vita di disordine » e di prostituzione. Sovente la natura ha riparati, quasi pre- » veggendoli, i torti della fortuna; ed a coloro, cui questa » tiranna ha tolto tutto, e perfin gli stimoli della virtù, quella » ha dato a compenso un forte e straordinario sentire , che in » essi fa tavolta le veci della virtù medesima. E laddove gli » affetti filiali commovono più debolmente il petto di coloro, » che nati fra gli agi, educati da gente mercenaria, sembrano » più della fortuna , che dei parenti loro esser figli , (Juesti me- *i Lo dice l'Autore stesso ncl!f prefazione della Lucrècc Borgia. 371 y» desimi affelli scuotono possentemente il cor ili que' misei'i , » che nati nel difetto d'ogni comodità, deggion la vita alle » poppe materne che gli hanno nudriti , al fiato materno che » fomentò le lor memhra assiderate , a que' pochi cenci di cui » la sollecitudine di una madre gli ha coperti, e a quel pane » che una madre andò accattando per essi , fors' anche a prezzo M di virtù ! » Tale si è Tisbe. E per che recondito fine ima- ginasse egli , e presentasse al Pubblico con tanta predilezione personaggi siffatti ( lasciando che altri ne incolpi a sua posta un' intemperante vaghezza di novità , che vorrebbe al bello ideale antico sostituire il brutto ideale moderno ) a me pare d' indovinarlo : e per onor dell' Autore, dirò in che modo. Cou- siderando [egli la natura morale, e veggendo come in essa , non men che nella natura fisica , tutto è moltilatero , delle mag- giori deformità spiò intentamente il lor lato buono, e le rap- presentò da quel lato 5 con questo filosofico intento ( se pur non erro ) di dissuadere gli uomini dalla severità intollerante, dal disprezzo , e dalla tirannia sensuale verso certi esseri mi- serabili, trastullo insieme, e vittime, e rifiuto: e di attirare anche sulle classi più degradate della società un raggio di com- passione, che le nobiliti, come raggio di sole , che riscaldando, senza lordarsi , il fango de' campi , lo ritorna alla sua primi- tiva condizione di terra monda e fruttifera. Il personaggio di Catterina non è originale. Di queste donne delicate di cuore e di membra , nate al mondo per amare e per soffrire , già prima d' ora avevamo il modello. La Teresa nell'Antonio Foscarini di Nicolini è tale, ed è stupenda. Ma il difetto di novità non è sempre difetto di bellezza : e quando s' imita senza copiare ( oltreché 1' imitazione talvolta è invo- lontaria e fortuita ) ^ si supera una difficoltà : diffìcile est pro- prie communia dicere. Ha poi questa imagine della Catterina una tinta che la distingue dalla Teresa: l'ingenuità, impronta caratteristica di quasi tutte le donne di Vittor Ugo. Silenzio sali' Angelo Malipieri , perchè di questo non potrei parlare al- trimenti che in biasimo. Rodolfo è reso intei'essante assai più dal suo amore , che dalle proprie sventure, delle quali, assorto siccom'è nel pensiero di quello, pare che punto quasi non glie 372 tip caglia. E veramente a chi nacque, com' egli, nella disgra^ zia, riesce men doloroso il senso di quella. Tuttavolta le sven- ture di Rodolfo, comunque appena accennate, non tralasciano di farlo ai nostri occhi più nobile, di circondare il suo capo di quella mesta aureola , che rende venerabile l' aspetto degli infelici. Non so perchè V Autore , volendo a questo personaggio aggiungere un nome storico e storiche reminiscenze, abbia per suo nome vero, celato sotto il finto di Rodolfo, abbia, dico, scelto il nome inamabile, e male a proposito, di Ezzelino da Romano. La stirpe degli Ezzelini si estinse tutta nel famoso tiranno di quel nome, e nella famiglia di Alberico suo fra- tello , distrutta nel castello di San Zeno: ed altre schiatte op- pressero Padova prima che Venezia se ne facesse signora , la quale non a que' da Romano , ma bensì a que' da Carrara l'ha tolta , e tolta ad essi in un collo stato la vita. Omodci è un personaggio misterioso: come il Gubetta nella Lucrezia Borgia , come il Giudeo nella Maria Tudor , come r Angely nel prim' atto della Marion de Lorme. Quando cessa d' esser tale, quando si scopre uno sgherro — peggio ancora — una spia . . . allora scompare per sempre. Maestria note- vole. Oltre a queste che sono le principali figure del dramma , havvene alcune, che appena profilate, pure riescono d' efietto mirabile, in virtù della luce in cui son poste, e del risalto che danno alle figure maggiori. Tali sono, per esempio, il De- cano di Sant'Antonio, e l'Arciprete. Ma siffatti personaggi l'Italia gli sbandisce dalle sue scene, come quella che non vuol vedere in teatro ciò, che è solita venerare nel tempio. Pur troppo il teatro anche a dì nostri è ancor molto lontano dall'essere una cosa sacra , qual era al tempo de' Greci. Venendo alle bellezze parziali, condotta con gran maestria ne par la scena settima della prima giornata. Omodei, insi- nuato prima nel cuor di Tisbe un fier sospetto sulla fedeltà di Rodolfo, dissele, che mediante una piccola chiave che il Podestà tien continuamente appesa al collo , quasi fosse un gioiello , esso può introdurla di notte in un luogo , dove ri- troverà il suo amante accompagnalo con altra donna. Tisbe 575 che fìnse di non prestargli fede, e svillanegglollo qual menti- tore , pure al giunger che fa poco poi il Podestà, s'accinge a carpirgli la chiave misteriosa. Angelo ama passionatamente e gelosamente Tisbe , la quale sinora non ha mai voluto corri- spondergli. Ehhien! (ella comincia) étes-voun toujouì^s jaloux? Angelo Toujours y madame. La. Tisbe T^ous ètes fou. yl qitoi hon étre j'alon.r ? Je ne domprends pan quon soit jaloux. T ainierais un liomnie ^ nioi , aite je nen serais certainement pas jalouse. Angelo Oest que vous naimez persoune. La Tisbe Si , j'aime qjtelqii'un. Qui ? Angelo La Tisbe T^ous. Angelo a questa inattesa risposta va fuor di sé per l'allegrezza^ Oh ! rèpètez moi ce que vous m'auez dit là. Le si avvicina con trasporto Dessa frattanto prende in mano la catenella d'oro , da cui pende la chiave, e così come per distrazione osservandola, Tiens ! dice , qiiest-ce donc que ce bijou ? je ne Vavais pas encore remarquè. Cesi joli. E, dopo averlo ben lodato, cesthonpour une femme ^ ce bijou-ld. — ^h ! Tisbe , vous m'avez rempli le coeur de joie avec un mot! ripiglia il Podestà tutto pieno della dolcezza di quel vous j che usci poco dianzi dalla bocca di Tisbe. Ma essa, che ad altro non intende, che a sottrargli dal collo la chiave , c''est bon , c'est bon , risponde ; mms dites-moi donc (questo è l'essenziale) ce que c'est que cela ? Angelo Cela; c'est uneclej'. 374 L\ TlSBE Ah ! e est ime clef. Tiens, je ne m'en serais jamais doutée. Ah ! oitij je vois , e est avec ceci quon ouvre. Ah ! (con afFettata trascuranza) cesi une clef. E d'una chiave che vorrà ella farne? « Se questa è una chiave , non la voglio. Tenetela. » Ma An- gelo, che dopo quel benedetto monosillabo, vous ^ non è cosa che non sia pronto a darle in ricambio, staccasi dal collo la catenella colla chiavicina sospesa , e con replicate istanze glieV offre, Tisbe che già lasciò sfuggirsi di bocca che forse le sarebbe piaciuta come un giojello maestrevolmente intagliato, ora poi che sa ch'è una chiave, Je n'en veux pus j, ripete: Cela vous sert peut-étre. Angelo Oh! bien rarement, D'ailleurs j'en aiune autre. fouspom'ez la prendve , je vous jure. La Tisbe JYon^ je n'en ai plus em'ie. Ma siccome per lo contrario ne ha una pazza voglia j Est ce quon ouvre des portes avec cette clef-ld? soggiunge subito. Elle SiSt bien petite. Qui Angelo si fa a spiegarle come chiavi di tal sorta son fatte all'uso di aprir porte segrete, e di quali camere apra questa le porte; di modo che Tisbe, istrutta ora mai quanto basta, vraiment! esclama tra il meravigliato e l'astratto: ed afferrando (quel che importa) il bramato giojello, ma pure fingendo di esservi costretta a furia di offerte (puisque vous Vexigez absoluinent ) glielo carpisce fra i ringraziamenti di lui , tutto giubilo per aver essa accettato pur una qualcosa dalle .sue mani. Qui poi temendo ch'egli voglia , siccome è naturalis- simo, proseguire i ragionamenti amorosi, ora tanto più che il dono accettato fu dal canto di Tisbe un tacito pegno di corri- spondenza , ella per isbrigarsene provvisoriamente, esce fuori con questa digressione, che a me parve ingegnosa non poco. Au fait , je me souviens que Vambassadeur de France d i^enise^ monsieur de Montluc, en avait une d-peu-près pareille. Auez- vous coìinu monsieur le marèchal de Montkic ? Un homme de 375 grand esprit j nest-ce pas ? Ah ! vous autres nobles j vous ne pouvez parler aux amhassadeurs. Je n'jr songeais pas. C'estégalj il TÌ'etait pas tendre aux huguenots , ce monsieur de Montluc. Si iamais ih lui tomhent dans les mains! c^est un fier catho- lique! E reggendo l'impazienza d'Angelo, che in quel momento tutt' altro s'aspettava udir dalla Tisbe , che la storia del mare- sciallo di Montine , e degli ugonotti 5 e temendo fors'anche non sia per fallirle materia ulteriore di ciance a tenerlo a bada , tenez y monseigneur , gli dice con vivacità : je crois que voìld f^irgìlio Tasca , qui vous cherche , Id-bas dans la galene.,,. Angelo f^ous crojez? La Tisbe N'aviez-vous pas à lui parler? Angelo Oh ! maudit soit-il de irCarracher d'auprès de rious ! Lik Tisbe, lui montrant la galene. Par-là. Angelo , Jul baisant la main. j4h ! Tisbe j vous m'aimez donc ! La Tisbe Par-là, par-ld. Tasca vous attend. Partito Angelo, e ritornando in quel punto Omodei , essa corre incontro a quest'ultimo gridando iu aria di trionfo: J'ai la clef! L'autore ha sentito altamente l'improbabili là di simil ripiego: perchè della chiave d'una porta segreta , della porta che mette alle camere della moglie da lui per gelosìa tenuta rinchiusa. Angelo, il Podestà di Padova doveva essere miglior custoditore. Perciò, oltre l'avergli fatto dir prima, che di siffatte chiavici n' ha più d'una , preparò colla scena citata la cosa in modo, da riescir quasi affatto probabile e naturale agli occhi di chiunque conosca alcun poco quanto simili donne possano sul cuor d'uu 376 uomo colle lusinghe loro. SI è questo fors'anche il motivo, per cui alla crudele e sospettosa natura d'Angelo ha mescolata quella tinta comunque discorde di credulità e dahhenaggine , che nuoce alla dignità d'un tal personaggio. Ci dilungammo più forse, che non desiderasse il lettore , sull'esame di questa scena ; perchè , se non importantissima quanto all'effetto, tale ne parve quanto all'arte: persuasi come noi siamo, esser ufficio di chiunque si ponga ad esaminare le produzioni di tal genere, lo sviscerarle per cosi dire, e svelar le recondite ragioni di quelle, come d' ingegnosa macchina i più riposti ordigni. Bella e commovente è la scena terza della seconda giornata- E qui ( se n'è lecito il dirlo ) riescirehbe difficile ad Ugo il negare , che di questa e del principio della susseguente non siagli venuta l' ispirazione dalla scena 3 , atto i dell'Antonio Foscarini; se non fosse cosa più che possibile, che in due ingegni sommi pari situazioni destino somiglianti pensieri. Catarina con Dafne sua fante lamenta le pene del suo amor infelice, e piange la lontananza di Rodolfo, che non ha più veduto da un mese. Teresa Contarini prorompe con Matilde, sua Jlda ancella ^ in misteriosi lai , che svelano lo stato dolente della sua anima , che invano combatte contro le reminiscenze dell'amor di Fo- scarini. Teresa ode un canto sulla laguna. E la voce d'Antonio, che le ricorda i primi amori, ed ignaro della forza che le venne fatta per unirla a Contarini , la rampogna d' infedeltà. Catarina tenta ridursi alla memoria una canzone , che Rodolfo soleva cantarle: prende il liuto, e preludia alcuni suoni patetici, per ricordarsela. D'improvviso sente la voce di Rodolfo, che di sul balcone, ove si è poco prima nascosto, canta le prime due strofette della canzone. Più probabile riesce certamente il canto di Foscariui sulla laguna , che non quel di Rodolfo dal balcone della casa stessa del marito di Catarina. La laguna veneta nei tempi antichi risupnava tutta nell'ore notturne di suoni e canti , di ottave del Tasso, e di canzoni d'amore. La nenia d'un in- namorato sotto le finestre della sua bella poteva di leggieri confondersi colla cantilena del gondoliere, e suonar inosservata agli orecchi di un comunque geloso marito. Padova, città serva, 577 doveva essere poco romorosa nej giorno , affatto silenziosa la notte. Il canto d'uno straniero nella casa del Podestà, presso alle camere della moglie , della quale egli vive geloso e pien di sospetto... Non dissimulò a se stesso queste difficoltL T egregio scrittore, e in un hrcve soliloquio di Catarina le fece dire parole tali, che dimostrando *1 suo estremo desiderio di udire dalla bocca di Rodolfo k cara canzone, hanno virtù di spinger questi, che non veduto lascolta , a romper ogni ritegno, e farle una grata sorpresa. Gioventù e- violenza d'amore non fanno l'uomo temerario e sconsiderato? Dopo l'invito a cantare, che, senza saperlo, le fa Catarina, riesc'rebbe assai men naturale in Ro- dolfo il silenzio, che non l'ardimento di porsi a cantare. Gio- vami trascriver qui ìe. due scene, l'italiana dico e la francese, fin dove l'una all'altra corrisponde: e se i miei lettori, malgrado le molte e forti bellezze della seconda, dessero per avventura la palma alla prima, non avrei demeritato della francese, ed avrei forse meritato dell' italiana letteratura. Angelo — Journèe III. Scène in. Catarina, Dafne, Rodolfo, cache sur le balcon. Catarina Plus d'un mois ! sais-tu qu'il y a plus d'un mois, Dafne? Oh ! c'est donc fini. Encore si je pouvais dormir, je le verrais peut-étre en réve (pensiero squisito) ^ mais je ne dors plus. Oxi «st Reginella? Dafne Elle vient de monter dans sa chambre , où elle s'est mise en prière. Vais-je l'appeler pour quelle vienne servir madame? Catarina Laisse-la servir Dieu. Laisse-la prier. Hélas! raoi, cela ne me fait rien de prier! Dafne Fermerai-je cette fenétre , madame? 378 Catarina Cela tient à ce quo je souffre trop, vois-tu, ma pauvre Dafne. Il y a pourtant clnq semaines, cinq semaines eternellcs que je ne l'ai vu! — Non, ne ferme pas la fenétre. {Bello e natura- lissimo quel ricordarsi soltanto adesso di rispondere aW inter- rogazione ^ che Dafne le ha fatta). Cela me rafraichit un peu. J'ai la téte brùlante. Touclie. ; — Et je ne le verrai plus! Je suis enfermée , gardée, en prison. G'est fini. Pénétrer dans cette chambre, c'est un crime de mort. Oh! je ne voudrais pas mème le voir. Le voìr ici ! Je tremblc rien que d'y songer. He'las , mon Dieu ! cet amour e'iait donc bien coupable , mon Dieu ! Pourquoi est-il revenu a Padoue ? Pourquoi me suis-je laisséc reprendre à ce bonheur qui devait durer si peu ? Je le voyais une heure de temps en temps. Cette heure, si étroite et sì vfte fermée, c'e'tait le seul soupirail par où il entrait un peu d'air et de soleil dans ma vie. Maintenant tout est mure. Je ne verrai plus ce visage d'où le jour me venait. Oh ! Rodolfo ! Dafne , dis-moi la vérité , n'est-ce pas que tu crois bien que je ne le verrai plus ? (Dimanda piena d'ingenuità). Dafne Madame Catarina Et puis , raoi, je ne suis pas comme les autres femmes. Les plaisirs , les fétes , les distractions , tout cela ne me ferait rien. Moi , Dafne , depuis sept ans , je n'ai dans le coeur qu'une pensée, l'amour,- qu'un sentiment, l'amour; qu'un nom, Rodolfo. Quand je regarde en moi-méme, j'y trouve Rodolfo, toujours Rodolfo, rien que Rodolfo. Mon ame est faite à son image. Vois-tu , c'est impossible autrement. Voilà sept ans que je l'aime. J'étais tonte jeune. Comme on vous marie sans pitie ! Par exemple, mon mari , eh bien , je n'ose seulement pas lui parler. Crois-tu que cela fasse une vie bien heureuse ? Quelle position que la mienne ! Encore si j'avais ma mère ! (bel pensiero !) Dafne Chassez donc toutes ces idécs tristes , madame. 579 Catarina Oh ! pai- tles soiiées pareilles, Dafne, uous avons passe, lui et moi , de bieu douces heures, Est-ce que c'est coupable tout ce que je te dls là de lui ? (naturale questo scrupolo,, che tem- pera inoltre l'arditezza di certe confessioni di Catarina). Nou, n'est-ce pas ? Allons , mou chagrin t'alìlige , je ne veux pas te faire de peine. Va dormir. Va retrouver Reginella. Dafne Est-ce qua madame ?.... Catarina Oui , je me déferai seule. Dors bien , ma bonne Dafne. Va. Dafne Que le ciel vous garde celle nuit, madame! (Elle sort par la porte de l'oratoire). Catarina, seule Il y avait une chanson qu'il chantait. Il la cbantait à mes pieds avec une voix si douce I Oh ! il y a des momens où je voudrais le voir. Je dounerais mon sang pour cela! Ce couplet surtout qu'il m'adressait. (Elle prend h guitare) — Voici l'air, je crois. (Elle joue quelques mesures d'une miisiquc mélancolique ) — Je voudrais me rappeler les paroles. Oh ! je veudrais mou ame pour les lui entendre chanter , à lui, encoro une fois ! Sans le voir, de là-bas, d'aussi loiii qu'ou voudrait. Mais sa voix ! Entendre sa voix ! Rodolfo, du halcon où il est cache j Il chante: Je t'adore ange et t'aime fé mine. Dieu qui par toi m'a complète A fait mon amour pour ton amc; Et mon rcgard pour ta beauté. Ciel! o80 Catarina, laissant tomber la guitare Rodolfo, continuant. Toujouis cachi O ma charmante , Ecoute ici L'amant qui chante Et pleure aussi. Catarina Rodolfo Rodolfo, paraìssant et jetant son manteau sur le halcon derrière lui. Catalina ! // vieni tomber d ses pieds. ANTONIO FOSCARINI ATTO SECOI^IDO Scena Qninfa Matilde, Teresa, e Antonio Foscaiuni di dentro. Matilde In queste Mura io non crebbi; ma ti vidi appena, Bella infelice, che t'amai... Se gravi Ti son le mie parole, e troppo ardisco, Soffri che almeno io teco pianga. 581 Teresa Amica! . . . Matilde Oh qual nome soave ! e che far deggio Che ili util tuo ritorni ? Teresa Ahi tutto incrésce, Matilde , al mio dolor ! Matilde Le sparse chiome Nel vel raccogli : alla fedele ancella Le stanche tue membra abbandona : è dolce Questo peso per me. Nelle segrete Stanze tornar ti piace ? or 1' egro corpo Riposo avrà nel conjugal tuo letto Ma che ? .... tu impallidisci ! Teresa Io qui non odo Cosa che non mi offenda. Matilde Oh ciel ! perdona . , . Torni il sorriso sul tuo labbro. Teresa Ah tutto O m' aflligge o mi nuoce ! Matilde Oh se la pace . . , Teresa Pace mi niega ogni vivente aspetto . . . Matilde Chiedila alla natura. ( S'accoslauo all'^peilo balcone che risponde siillu Lguna ). 582 Teresa Oh come è dolce Quesl' ora di silenzio al core afilli tto ! Ha le sue gioie anche il dolore . . . Ascolto Un suon funebre , un mormorio lontano . . . Matilde Rotta dal vento nell' adriaco lido Sempre è 1' onda del mare, e par che pianga ; Limpida ò la laguna, e a specchio «iede Dei marmorei palagi. Teresa In ver beata Chi non vi nacque ! Matilde Colla fida moglie Che amor trattiene sull' opposta riva Il nocchier di Vinegia ì canti alterna. Teresa Avventurosi ! Ei 1' ha lasciata appena , E tosto a quella col desìo ritorna. Matu.de Cantan d' Erminia. Teresa Un infelice amante ! Questo è r accento del dolore : il canto Un gemito diviene, e muor fra Fonde *i. Matilde Mira qual bruna navicella appressa La prora a questa riva, e chi vi siede *i Ragione Ingegnosissima che dà il Poeta all' iiLlitorio del non giungere infiu ad esso il canto di cui ragionuuo le due donne. 585 Appena desta col suo remo i flutti ; Suona fra 1' onde un' armonia novella . . . Forse le pene nel suo cor nascose Notturno amante all' idol suo palesa 5 Chi sa . .'. tradita . . , Teresa Oh che dicesti ! Matilde Ascolta .... Antonio Foscarini Quando da te lontano , Perfida , io volsi il piede , Pegno d' eterna fede La bella man mi die. Teresa ( Qual voce ! Io rea non sono . . . egli m'oltraggia Ma la terra crudele , e 1' odio fugga , Che minaccia i suoi dì ). Matilde Vacilli ! Teresa Il sai Che ognor la forza m' abbandona , e tremulo Il pie mi manca . . . Ah ! mi sostieni. Matilde E vuoi Di qui sottrarti ? Teresa Io . . . sì . . . non posso ... il canto Ha sul mio core una potenza arcana Che qui m' arresta . . . Egra non sei, Matilde 5 34 o84 Il lieto volto gioventù felice Orna delle sue rose, e non comprendi Questi misteri del dolore. Matilde Io t' amo ; In me t* affida , e sul mio sen riposa. Antonio Foscarini Mirai tremando il volto D' un bel rossore asperso , E tutto r universo Disparve allor da me. Matilde Arrossisci , e perchè ? . . . Tu volgi altrove Gli occhi gravi di lagrime , e la faccia Fra le tue palme sospirando occulti ? Antonio Foscarini Mille parole intesi Che ti dettava amore , E quel che sente il core E il labbro non può dir. Io sarò tua , dicesti , E il mio costante affetto Sol fuggirà dal petto Coir ultimo sospir. Matilde Le meste rime io modular t' intesi Suir arpa or muta , a cui fa vel la polve. Teresa Come ! . . . Matilde Il ricordi ? Io palpitante il seno Vidi «otto queir arpa , e voce e suono 585 Ad un tempo cessar , mentre discese Sulle tremule corde un rio di pianto. Teresa. Conforme al canto era il mio cor ... si piange E s' ignora il perchè . . . segrete e molte Son le vie del dolor. Matilde Morir bramasti Con quei versi sul labbro. Teresa Odi, Matilde. Antonio FoscARiNf Queste del nostro addio Fur r ultime parole : ogni parola Sia rampogna all'infida. Ah, s'io non deggio Rivederla mai più, corro alla tomba Che m' addita il dolor : farà la morte Del mio nome un rimorso , avrà la terra Infausto esempio di tradito amore, E l'immagine mia sarà terrore. Teresa Misera me , che ascolto ! Io nella tomba Ti seguirò . , . Ma delirai ! . . . Che dissi ? . , . Matilde Ami , celarlo è vano ... Teresa Oh Dio , perdona Se tanto arcano alla tua fé nascosi. Temo che qui tutto favelli , ed abbia Anche il sospiro un eco . . . Alfin conosci Chi morte chiama in flcbil canto ... il figlio Del Doge 586 Matilde Il prode Foscaren ? . . . Teresa Dell ! parla Sommessamente ecc. Sapendo come le bellezze di genere splendido e prominente sono di sicuro effetto in teatro, il poeta francese nella citata scena, come in molte altre de' suoi drammi, pone affatto a nudo il cuore umano , e lascia poco ad immaginare allo spettatore. L'italiano invece, coprendo d'un tenue e leggiadro velo que- sti misteri di dolore , fa pensare altrui più che non esprima egli stesso, e la sua scena riesce per ciò appunto più delicata, più vereconda, e (a parte anche il verso, che manca a quella francese ) più essenzialmente poetica. Per altro la rivelazione dei segreti dell' uman cuore , purché fatta con verità ( e molta verità spira da questa , come da molte altre scene di Vittor Ugo ), non può non abbondare di poesia. Il dialogo che segue tra Catarina e Rodolfo è cosa a parer mio che non si può lodare, né ammirare abbastanza. Il cuore di una donna innamorata vi è tasteggiato, dirò così, nelle sue fibre più arcane : dirò di più , vi è decomposto. A chi dicesse per avventura , che Rodolfo vi fa troppo risparmio di parole per un amante , che rivede 1' amata dopo un mese di lontananza ; e dice cose che pajon fredde a paragone di quelle caldissime di Catarina ; e che talvolta alle sue frasi e ai pensieri non manca tal qual ricercatezza che sa più di galanteria, che di vera passione *i j risponderei che il linguaggio d'un uomo colto può parer ricercato senza esser tale : perocché la frase ornata , e i concetti squisiti gli corrono spontanei sul labbro in virtù di dotte reminiscenze. E non suol egli dirsi di tale, che parli Rodolfo *i 0 Catarina, étre séparé de loi ^ e' est avoir les téntbres sur Ics yeux 1 le vide aii coeur'J c'est sentir qu'on meur.i un peu chaque JQurl C'est elre sans lampe dans un cachot , sans étoile dans la 387 fuor dell' uso comune « ei parla come un libro? » Risponde- rei che il silenzio può esser indizio di forte sentire in un uomo non meno che la facondia in una donna : e per ultimo che r espressione degli affetti nella donna è naturalmente assai più vivace che nell' uomo non sia. Il fatto si è, che questa scena non può, senza gran commozione, esser veduta in teatro, né letta , segno evidente che desta un eco nel cuore. Mi asterrò dall' esaminare le altre di questo dramma. Le due ultime gior- nate sono da capo a fondo o altamente terribili , o altamente affettuose. Basta il leggerle per convincersene. Una legge di prospettiva teatrale, dice l'autore in una nota, r obbligò alla recita a presentare in iscorcio la catastrofe , fa - cendo calar il sipario immediatamente dopo le parole di Tisbe pour moi , pour toi ! Per 1' onore del Pubblico , o ( come dice Ugo ) del popolo francese , inclino a credere che a ciò 1' abbia costretto una legge di sana morale. Il Pubblico nostro certa- mente non soffrirebbe di veder sciogliersi un dramma collo spettacolo d'una donna maritata, che se ne fugge coli' amante *r. E noi di questo grandemente seco ci congratuliamo. nuit! C'est ne plus vivre, ne plus penser, ne plus savoir rien ! Ce que fai f alt ^ dis-tu ? je U ignare. Ce que fai senti, le voila, Catarina < Eh bien, moi aussi! Eh bien , moi aussi ! Eh bien , moi aussì ! Oh ! Je vois que nos coeurs n'ont pas été séparés. Il faut que je te disc bien des choses. Par oà commencer ? On m'a enfermée, Je ìiepuis plus sortir. J'ai bien souffert. Vois-tu, il ne faut pas t'étonner si je n'ai pas tout de suite sauté a ton cou, c'est que j'ai été saisie. Oh Dieu! quand j'ai entendu ta voix , je ne puis pas te dire, je ne savais plus oà j'étais. Voyons , assieds-toi la , tu sais ? Camme autrefois. Parlons bas seulement etc. *i Partez tout de suite (dice Tisbe morente a Catarina e Rodolfo) En trois heures , vous serez hors de l'état de J^enìse : soyez heureux. Elle est déliée. Morte pour le Podestà. Vivante pour toi. Trouves-tu cela bien anangé aiasi ? C. M. 588 Poesia — Sa^^i di poesìe inedite d' Italiani vigenti. A dimostrare che la poesia non è morta in Italia, gioverà (li tempo in tempo offrire alcun saggio di versi o inediti o poco noti, i quali sìeno agl'infingardi rimprovero, agli scorati con- forto, a' giovani esempio. Con questo fine diam qui alcune ot- tave di Toscano poeta , belle di casto affetto , di facile e soave armonia. LA CAMPANA DELLA SEKA Come sospir di vergine amorosa Che lontan sente il suo fedele, e plora, M' aleggia intorno un' aura rugiadosa Che di niahnconia 1' anima irrora ; E in vagheggiar la nuvola scherzosa Rosseggiante nel ciel che si scolora , E neir udir de' villanelU il canto Provo un piacer che si distempra in pianto. E mentre piango, e 1' occhio lacrimoso ScoiTe sulla mestissima campagna , 11 colono che torna al suo riposo Umile mi saluta e m' accompagna. Or del soverchio ardore , or del piovoso Tempo , in semplice dir meco si lagna , E dopo breve tratto un nuovo addio Mi volge, e i-esta nel casal natio. Solo il cammin proseguo, e la campana Che sembra il giorno pianger che si muore Qual voce di notturna eco lontana Va per gli orecchi flebilmente al core. Ai lenti tocchi la famiglia umana Supplice si rivolge al suo Fattore 389 Ma nei pochi che il ben d' alto intelletto Dalla turba diparte al lucro intenta , E che un mondo nascoso hanno nel petto, In cui r alma di se vive contenta , La fiamma animatrice dell' affetto Quel mestissimo suon dolce alimenta, E lo spirito dai sensi pellegrino Alle immagini sue quasi è divino. Il fervido garzon che nel sentiero Della vita , sperando , avanza il piede , Un avvenir sereno in suo pensiero Sogna, e nell'uomo e nelle cose ha fede. Ode i plausi del mondo, ode il sincero Favellar degli amici , e splender vede Nel paradiso suo di gloria ornato Un angelico volto innamorato. E neir ora che il bruno aere percuote La squilla della notte messaggera Rischiarirà sembianze a lui già note Il moribondo raggio della sera, E solcati di lagrime le gote Tra i cari amici dell' età primiera Lo accoglieranno i genitor cadenti Alternando coi baci i franchi accenti. Oh quante volte mentre il sol declina Vago di respirare aura più pura La tempesta dell' alma cittadina Nel grembo accheterà della natura y E sul pendio di facile collina , O tra i pioppi d' ombrifera pianura Con la consorte al fianco e i figli intorno Udrà r addio che dan le squille al giorno ! Ma r uom che al tempo dell' età fiorita Tai speranze allettò nel vergin core , E poscia nel sentier di nostra vita Tra mille spine uou riaveune un llore , 590 Talché sovente a lacrimar 1' invita Una tristezza clie non è dolore , Ad altre fantasie I' alma abbandona Mentre la squilla lentamente suona. E r ore impazienti di riposo Rimembra del mattin di sua giornata , E il palpitar del cuore impetuoso , E i sogni della mente inebbriata , E della madre il bel volto pietoso , E le sembianze della donna amata , Ed il piacer che gli piovea nel petto Lo stringer d'una mano, un guardo, un detto. Ah troppo presto al nuovo pellegrino Apportator di lutto il ver comparve! E come nuvolette del mattino Si dileguar le immaginate larve , Ah troppo presto nel mortai cammino Un orrendo fantasima gli apparve, Che sulla fronte ha scritto — Io son tiranno Degli umani destini, e ho nome inganno. E della lode la gentil favella Che qual rugiada gli scendea nel seno, E l'amistà che intemerata e bella Gli dava il bacio di dolcezza pieno , E l'amor che lucea siccome stella Pura del viver suo nel ciel sereno , Poiché il sospetto gli si pose allato , Più non ebber per lui l' incanto usato. Mille memorie di sospir feconde Or fanno i suoi pensier cupi e dolenti , E di grave mestizia lo confonde L' idea dei cari che la morte ha spenti Ei meditando allor sulla fralezza E sul destino delle umane cose , Fisa il volto atteggiato di tristezza Nella terra che tante osse ha nascose; 591 Poi quasi in traccia d' ìiumortal bellezza Di nuovo al ciel le luci desiose Volge , e all' orecchio gli ragiona intanto Una voce che par|^voce di pianto. Vedi , ella dice , un fior che il capo inchina Là suU' erbetta pallido e languente ? Nelle ore della placida mattina Col grato olezzo a sé traea la gente. Era r amor| dell'^^aura mattutina , La rugiada su lui tacitamente Piovea sue goccie dall' eterea mole , E in quelle goccie *si specchiavaJil£sole. Dove il balsamo andò ? E al par del fiore spariranno un giorno Le stelle ancor che l'infinito accoglie-, E qual inutil fiaccola , il superno Fuoco del sole spegnerà 1' Eterno. A questa voce che risuona in fondo Del cor , la fantasia si fa più mesta ; E nel veder 1' umanità nel mondo Battuta come nave in gran tempesta , Egli sospira — Neil' aerea volta Quel sospir si disperde e niun 1' ascolta. Ma il gran conforto del sentirsi pura Ed indomata 1' anima nel petto , Ma il celeste sorriso di natura , Sorgente d' ineffabile diletto , Ma la fede in un mondo ove secura Virtù s' allegra del divino aspetto , Una dolcezza ispirano al gemente Che comprender non può chi non la sente. Oh mille volte più infelice e mille Quei che lontano dall' ostello avito Ascolta il suon di vespertine squille Collo sguardo rivolto al patrio lito ! 392 E va dicendo in sospirosi lai O patria mia , non ti vedrò più mai ? La campana che ascolta , ah f non è quella Che il pargoletto orecchio gli molcea ; egli sen vola Alle bramate invan sponde natie , E di soavità 1' alma consola Col dolce aspetto delle patrie vie. Vede i più cari e n' ode la parola Qual per lui risuonava in altro die , E la valle rimira Tal dal volo dell' estasi amorosa L' esul ripiomba nella sua tristezza E vede ovunque volga umido il ciglio , L' abominata terra dell' esiglio. O santissimo vate ghibellino , Tu ben provasti quanto sia dolente All' orecchio del nuovo pellegrino Una squilla che pianga il di morente. Ed io che al raggio del cantor divino Con giovanil desio scaldo la mente Spesso del mesto cor nel più segreto Quei lamentosi tuoi carmi ripeto. Farmi vederti nella patria mia Come leon ferito andar vagante! E il genio della nuova poesia Accompagnava il Ghibellino errante , E ogni imago gentil per te vestia Itala forma qual non ebbe innante Dagli ampi seni del pensier profondo liscia , dall' arte armonizzato , im mondo. S. M. 955 Soggiungiamo alcun frammento di romanze antiche spa- gnuole bellissime , le quali tra poco esciranno in Italia , tra- dotte con la schiettezza abbandonata ed ingenua della poesia popolare. Fugge 1' oste di Rodrigo : Perso il cuor, si disbaraglia. Nel dì ottavo del conflitto Tinta i Mori lian la battaglia. Lascia il re le terre sue: Fuor del campo, e san va via. Sen va sol lo sventurato Senza toglier compagnia. Stracco affranto era il cavallo , Che all' andar più non reggea : Non guidato , non tenuto , Già qua e là dove volea. Tanto il re va costernato, Che gli falla il sentimento : Muor di sete , muor di fame , Che il vederlo è accoramento. Tanto è il sangue ond' è cosperso Ch' ei par bragia. E lavorio Di gran gemme , l' armadura Tutta guasta è dal pestio. Fatta è sega la sua spada Dai gran colpi che 1' han pesta : Ammaccato anche 1' elmetto , Giù comiiresso in su la testa. Gonfia, gonfia il re ha la faccia Dal travaglio ond' è sbattuto. Va a salir su in cima un colle -, Sul più eccelso che ha veduto. 394 Di là mira la sua gente Come vinta lo abbandoni. Di là quanti egli n' avea Di stendardi e di pennoni Tutti tutti nella polve Di là mira come sièno Scalpitati alla rinfusa, Tramestati sul terreno. Cerca intorno i capitani: E non un , non un eh' ei veggia. Mira il campo tinto in sangue , Che a rigagnoli n' ondeggia. Vide il miser quel conquasso , E una gran pietà lo afflisse : Lagrimando fuor per gh occhi , Ruppe in lagni e cosi disse : 2. Dietro i merli Don Garzi a Passeggiava i baluardi: D' una man tenea 1' arco , E dell'altra gli aurei dardi. Fea lamenti alla fortuna Malediala più e più : » Da piccino il re allevommi , » Finch' io crebbe a gioventù. » Ei mi die cavallo ed armi , » Onde ogni uom vien più a valere: » Ei mi die Donna Maria » Per mia pari, per mogliere: 395 » Mi die cento damigelle » Per tenerle compagnia : » Mi die qui '1 castel d' Uregna » Dov' aprir la casa mia : » E di cento cavalieri » Il castello mi guerni; » E fornimmelo di vino ; » E di pan me lo forni : » E fornimmel d' acqua dolce , » Che il Castel n'avea difetto. » 11 mattin di San Giovanni » Ecco i Mori che m' han stretto ! » Son sett' anni ornai d' assedio -, » Né men voglion liberar. » Veggo i miei morirmi intorno » Non potendoli sfamar. » Pongo i morti alle bertesche » Cosi armati come stanno , » Perchè il Moro ancor s' avvisi » Che a combattere varranno. » Questo pane qui in castello » E il sol pan che più vi sia : » S' io lo do a' figliuoli miei , » Che dirà la moglie mia ? » E s' io '1 mangio , io sciagurato , » Come i miei dolersi udrò ! » Ruppe il pane in quattro tozzi -, E giù al campo li gittò. Giù tra' piedi al re , giù in campo , L' un de' tozzi venne a dar. » A là tribola i miei Mori ! » A là guai ne vuol mandar! » 11 superfluo del castello » Vettovaglia il campo a me ! Li dar tosto ei nelle trombe , E 1' assedio toglier fé'. 396 Il terzo frammento canta la morte di Bianca di Borbone, da Pietro il crudele uccisa per compiacere a D. Maria di Padilla. Il mazziere le dice : 3. M Giunta adesso è 1' ora vostra , » Né la posso io differir — » Ella disse, amico, a voi » Io perdono il mio morir. » Sia pur quel che il re comanda, » Quel che vuole il signor mio ! » Confession non mi si nieghi , » Il perdono almen di Dio! — Fean pietà fino al mazziere 11 suo pianto , i suoi sospir : Trepidando , a voce fioca , Poverella ruppe a dir : » Oh , mia Francia ! nobil terra ! » Oh ! mio sangue di Borbon ! » Sol compiei diciassett' anni , » Nei diciotto appena or son! » Dal re ancor non conosciuta , » Con le vergini men vo ! » Quanto io fei per te , Castiglia , » Tradimento non ci entrò ! » Le corone che m' hai diite » Son di sangue e di dolor; » Ma n' avrò su in ciel un' altra » Che ben fia di più valor ! » E al finir delle parole Il mazzier la mazzicò : Le cervella del bel capo Per la sala sparpagliò. 597 E so clie queste cervella sparpagliate faranno rabbrividire di santo zelo poetico certi nostri delicatissimi e gentilissimi , che non sapranno , deboli come son di memoria , rammentare né l'Arcivesco o al quale è roso da un cane II teschio e I' altre cose né il verso di Virgilio il quale dice a un dipresso il medesimo della canzone spagnuola. Ma chi sarà mai quel disgraziato che vorrà disputar di bellezza con gente che vagheggiano i classici per insudiciarli imitando 5 testuggini rovesciate , retori a nati- vitate , arcadi fin dal ventre materno? Tommaseo. 398 Appendice Notizie diverse. Scienze matem\tiche. — Recenti progressi in Francia, = 11 signor Navier pubblicò e fini l'opera postuma di Fourier sul Calcolo delle ineguaglianze , teoria affatto nuova di cui si conosce la fecondità. — Il sig. Legendre, a 80 anni, ha pubblicato il terzo ed ultimo sup- plimento delle sue funzioni elittiche , opera che racchiude calcoli immensi , e nuove , profonde ricerche. — Il sig. Poisson amplia i limiti di un genere di ricerche di cui a vicenda già scrissero Laplace , Lagrange , Legendre , Biot fra i francesi , Ivory et Gauss fra gli stranieri ; cioè l'attrazione degli elissoidi omogenei , qualunque sia la posizione del punto attratto. Lo stesso autore ragiona di nuovo sul moto della luna attorno la terra, e cerca altri mezzi di risolvere il metodo della variazione delle costanti arbitrarie ; egli tratta pur anco del calcolo della variazione delle doppie integrali. — Il signor Poinsot imprese a trattare coH'aiuto della sola geometria le quistioni tra- scendenti del doppio moto dei corpi , la traslazione e la rotazione. — Il sig. De-Corancez lasciò per ultimo frutto delle sue veglie una dotta teoria del moto dell'acqua nei vasi. — Il sig. Poncelet confermò le sco- perte di Monge e di Fourier coUe sue ricerche sulle trasversali, sovra le proprietà projettive delle figure , sovra il calcolo numerico e i limiti delle serie dirette verso uno scopo d' applicazione. Le ruote idrauliche a belle forme sotto il di lui nome vennero popolari. — Il sig. Beau- temps Beaupré prosegue l' idrografia delle coste della Manica collo stesso metodo usato per quelle del Belgio e dell'Olanda, e per quelle dell' Oceano da Ouessant sino alla Spagna. — Riguardo alla nuova carta si visitò in ogni verso la Francia di frontiera in frontiera op- posta, col mezzo di due nuove linee di triangoli meridiani, e di sei linee di triangoli paralleli, osservate con istrumenti perfetti: il sig. Daussy ha già misurato la gran catena sinuosa che segue le coste dell' Oceano — Il lavoro del signor Corabaeuf sulle operazioni geo- desiche de' Pirenei, e '1 paragone del livello dei mari, dimostra per 599 la prima volta l'uguale altezza dell'Oceano e del Mediterraneo. — Il signor Puissant, sotto il titolo di nuova descrizione geometrica della Francia, rende conto dei lavori della carta di Francia, ove il reono è diviso primieramente in 2 1 quadrilateri seguitando le grandi ca- tene meridiane e parallele; questi quadrilateri sono poscia coperti da una rete di triangoli primordiali aventi per sommità i punti cul- minanti del suolo e dei monumenti più rimarchevoli ; vma serie di triangoli di second' ordine rappicca a questi principali segni tutti i punti essenziali nelle topografie locali ; per ultimo il catastro riempie queste ultime reticelle, misurando li terreni dei particolari, che cuoprono il suolo di tutta la Francia. — La carta geologica della Francia , mediante li dieci anni di continui viaggi e d' esplorazioni latti dai signori Elia di Beaumont e Dufrénoy, si trova aumentata di tutti i materiali necessarj per condurla a termine, e farne un mo- numento degno di star a fronte alla carta geologica dell' Inghilterra. Si cominciò con carte parziali, che potrebhonsi chiamare il catastro geologico della Francia, e le quali presenteranno la topografia spe- ciale e compita delle nostre ricchezze minerali ( Acad. Se. ). Macchine a vapore — Motore a gaz ammoniacale. =: Senza tur- bare la disposizione del cilindro delle macchine a vapore attuali, il signor Schwartz di Stockholm, che non ha guari introdusse in Fran- cia la sua invenzione , dà 1' impvdso allo stantuifo col mezzo dell' azione di un gaz invece del vapore. Nella sua niacchina ima cam- pana di getto serve di caldaja, si comincia per riempiere questa quasi intieramente di 'gaz liquefatto, di cui mia parte assai presto si dilata alla temperatura ordinaria, passa per un tubo conduttore posto alla sommità della campana , entra in una cassetta regolatrice, scorre sotto lo stantuffo eh' egli fa ascendere nel cilindro, fugge al dissopi-a dello stantuffo e segue im altro tubo conduttore che attra- versa la campana, e le tien luogo, per cosi dire, di asse verticale. Questo tubo termina con due sferoidi piane , sovi'apposte a poca di- stanza l'ima dall'altra, e contenenti due piastre metalliche alquanto coniche nel loro centro. 11 gaz evasosi dal cilindro, tosto giunto alla parte superiore di questo tubo ( condensatore ), trovasi in contatto con una piccola caduta d' acqua portata da una cannella che conui- nica con unserbatojo, e alimentata per mezzo d'una piccola pompa cui dà moto una porzione non altrimenti impiegata della forza pro- dotta dalla macchina. Venuti appéna a contatto fra loro l'acqua ed il gaz, si fa uno scoppio, il gaz rosta assorbito, e vi rimane uii vuoto / 400 sotto lo stantuffo. Questo scoppio è ossenzialìssimo nel sistema-, esso rende libero il calorico, il qviale scaldando le pareti del tubo e delle sferoidi, fa dilatare altra porzione di gaz che alla sua volta passa sotto lo stantuffo, scoppia mescolandosi coli' acqua, determina il va- cuo sotto lo stantuffo, aggiugne una nuova quantità di calorico, e cosi alimenta continuamente nuovi scoppii bastanti per dare quella velocità che si desidera allo stantuffo. Allora il gaz si trova intiera- mente consumato , e 1' acqua che a i è saturata non è più necessaria al movimento della macchina. — La macchina del signor Schwartz offre , sotto la pressione reale di tre atmosfere , la forza di 4° cavalli atta a mettere in moto un locomotore rimorchiante un peso di cin- quanta tonnellate di merci, oltre a dodici altre tonnellate di macchine e carri, con una velocità di 12 leghe di Francia all'ora. Riguardo al con- sumo, egli è all'ora, per ogni cavallo, di i5i , 582 piedi cubici di gaz ammoniaco, il quale liqviefatto alla pressione di sette atmosfere alla temperatura ordinaria, occuperebbe un volume di 0,2087 piedi cubi, vale a dire vi abbisognerebbe un peso di 87,02 chilogrammi supponendo una pressione costante di un po' più di due atmosfere nel condensatore. Da un altro canto vi vorrebbe presso a poco 87,85 chilogrammi, ossia 1,102 piedi cubici d'acqua di condensazione per assorbire la stessa quantità di gaz , sotto la stessa pressione. — Ecco i risultati che presenterebbe il motore del sig. Schwartz s'egli ottenesse di farlo muovere: 1° la di lui forza potrebbe aumentarsi, o diminuire in proporzione del gaz consumato nelle salite e nelle discese , ciò che non si ottiene col vapore che convien sempre pro- durre nella stessa proporzione , a meno di lasciarlo disperdere nell' aria in pura perdita se esso è inutile , come può vedersi nelle discese. 2.° Questo motore non dovrebbe in veruna guisa sbigottire. 3.° La di lui forza valevole a trarre il peso dei magazzeni d' acqua e di carbone delle vetture a vapore, occupando un volume molto più piccolo, potrebbe impiegarsi a rimorchiare una vettura caiica di merci. 4-*' H consumo sarebbe molto minore. 5." La mole da trarsi sarebbe costante dal principio al fine del viaggio. 6." Il peso della vettura a vapore diminuirebbe assai. 7.° Il motore potrebbe fermarsi ad un tratto e senza rischio. 8.** Esso potrebbe esser sempre pronto a camminare, a fermarsi, e a partir di nuovo. 9.° E finalmente esso sarebbe atto a dar moto a qualunque più piccola vettura. ( Journ. .Acad. de l'Indust. i835 ). 401 Anrriiivzj di Bibliografia LIBRI ITALIAM. Biblioteca, agrària , ossia Raccolta di scelte istruzioni economico- rurali , diretta dal sìg- dottore Giuseppe Moretti ^ p. p. di economia rurale nell'I. R. Università di Pavia. = Voi. xviii. Della ragion civile delle acque nella rurale economia, ossia Dei dritti legali e convenzionali delle acque in quanto concerne la Ipro acquisizione, la loro conservazione ecc., trattato di G. D. Bo magno si. = Milano, presso Ant.° Fort.° Stella e figli, i835, — Voi. in ed ultimo in-i6 gr. di pagine 620 con tavola 5. 55. Pei non associati 7. 53. L'analisi chimica arricchita di un nuovo mezzo di separazione ; discorso di Francesco Dotto j seguito da due nuovi me- todi per separare taluni ossidi metallici. 1= Palermo, per Federico Garofalo ^ i836. — Ia-8.° di pagine 32. Considerazioni sulla Storia di Sicilia dal 1 532 al 1789 da servir d'aggiunte e di chiose al Botta. Di Pietro Lanza prin- cipe di Scordia. = Palermo , stamperia di Ant.° 7>/M/a£o/7', i836. - — In-8.° di pagine xiv-592. Corografia dell'Italia. Di G. B. Rampoldi. = Milano, pei Antonio Fontana, i836. — Fase, xxv (voi. in, fase. 9) in-8.°, a due colonne di pagine 120 (sec-sla) i. r5. GcGLiELMO Tell, tragedie di F. Schiller. Traduzione del cav. A. Maffei. = Milano, per gli editori degli Annali universali ^ i835. — In-i6 di pagine viii-246 2. i^'. Le usure, lihri tre. Discussione dell'abate Mastrofinij volume unico. = Palermo, tipografia del Giornale letterario^ i83tì. — Fase. II al IV in-S." Ogni fase, di pagine 80. A Vincenzo Bellini, carme di Michele Bertolanì. = Palermo, tipogr. del Giornale letterario , i835. — In-S." di p.-ig. 16. 402 La VERGINE d'Orléans , tragedia romantica di JF. Schiller. Tra- duzione del cav. A. Maffei. Seconda ediz. riveduta.=Milano, per gli editori degli Annali universali j i836. — In-i6 di pagine 248- Con ritrailo eli Gioauna d'Arco. ... 2. ly. Annali d'Italia, dal principio dell'era volgare sino al lyoo , compilati da L. Ant. Muratori j e continuati sino ai giorni nostri. Ediz. nuovissima. == Venezia, tipogr. di G. Anton elli , i835. — Voi. Lxn (1797) in-i6. Ogni voi — 87. Descrizione del Campidoglio, di Pietro Righetti. = Roma , con permesso de'superiori, i836. — Fase, xx in-foglio di pag. 48. Con 8 tavole 6. 4^- Costumi dei secoli xm,xivexv, ricavati dai più autentici mo- numenti di pittura e di scultura. Con un testo storico e descrittivo, di Camillo Bonard. Prima traduz. italiana di C. Zar^e«z. = Milano , dalla tipografìa e calcografia di Ranieri Fanfani , fase, xxix (voi. n, fase. 4) in-4.° di pag. 8. Con 4 tavole in nero 3. — Colle tavole colorate, senz'oro 4- — Colle tavole lumeggiate d'oro 6. — ■ Ahchitettura idraulica ovvero Arte di condurre, innalzare e regolare le acque pe'varii bisogni della vita. Di Bernardo Belidorj commissario provinciale d'artiglieria, professore di matematiche alle scuole dello stesso corpo, membro di varie accademie. Con note ed aggiunte di Navier^ ingegnere nel Corpo Reale di ponti e strade, f^ersione italiana sulV ultima edizione francese di Basilio Soresina^ dottore nelle scienze fisiche e matematiche. Parte prima, tomo primo. = Mantova, presso gli editori fratelli Negrettij i835. — Fase. Ili e iv in-4-° Ogni fase, di pag. 48, e 5 tavole. 3. o4. L'Italia, la Sicilia, le Isole Eolie, la Sardegna, Malta, I'Isola DI Calipso ecc. Prima edizione italiana con aggiunte e cor- rezioni. = Torino, presso G. Pomha^ i836. — Dispensa 71 alla 77 (Roma) in-8.° g;/'. Ogni fase, di pag. 8, e 2 tavole incise in acciajo — JO. STAMPERIA GHIRINGHELT.0 E COMP. con permissione. 405 Legislazione — Storia dd Diritto Ronu ( Continuazione ) Dopo aver dato una lieve idea delle varie fasi della legisla- zione romana, dopo aver gettato di passaggio un rapido sguardo sulla storia dello studio del diritto nel i5.° e 1 6.° secolo eli è necessario oh' io ritorni sui primi miei passi. E prima di tutto , mi si perdoni se io ricuso di piegare servilmente la fronte dinanzi alla grand' opera di Giustiniano ; questo monumento , io lo ammiro come testimonio del genio di un popolo potente lo ammiro come un deposito d' iminense ricchezze, ma io credo che come monumento di legislazione positiva , egli non saprebbe corri spondei-e ai bisogni di una nazione, il di cui primo inte- resse si è di esser sottomessa a leggi, la scienza delle quali sia per lei accessibile. A udire certi giureconsulti moderni , a vederli tutti intenti ad applicare le disposizioni del diritto romano con una logica tutta meccanica, e con una severità di conseguenze inesorabile si crederebbe che noi viviamo ancora ai tempi in cui le XII tavole erano in vigore, in cui i comizj si radunavano, in cui i pretori formavano editti. Per dimostrare sino a qual punto la nostra giurisprudenza siasi impinguata colle numerose fin- zioni della legislazione romana , bisogna risalire all'origine delle cose. Il diritto romano ne' suoi esordj era sovranamente sacra- mentale, emblematico, e (ìgnvato. La solennità. , dice l'illustre Vico , era allora il carattere più rimarchevole di questo diritto. Eflettivamente si vede lungo questo periodo che i Romani non facevano t;onto delle obbligazioni risultanti dagli atti della vita civile , tranne in quanto che questi atti erano accompagnati da certe formalità la di cui nuiggior parte erano simboliche. Non solamente il diritto era a quest'epoca tutto solennità e figura, ma il suo rigore era eccessivo , e questo è il secondo carattere ,/t 404 eh' egli è essenziale di noa perder di vista. Entriamo ad os- servare alcuni particolari. Volgasi dapprima 1' attenzione allo stato delle persone. In cima alle disposizioni die regolavano questa materia si vede disegnarsi ampiamente la grande distinzione tra il cittadino romano, ( ci'm romajius ) e lo straniero (^ paragrinus). Questa distinzione abbracciava i diritti politici , e i diritti civili. Il cittadino romano era il solo capace a contrattare, ed a far testamento -, a lui solo poteva appartenere il titolo di padre e di marito ; egli era 1' uomo sociale per eccellenza 5 straniero e nemico ( peregrinus et hostis ) erano due espressioni sinonime. Così , dal suo principio , Roma separa vasi dalle altre nazioni , e destinava ad esse quel disprezzo che contribuì così possentemente a farle conquistare 1' impero del mondo. Immediatamente dopo al cittadino romano compare il padre di famiglia. A questa qualità si congiunge la patria potestà, la potestà maritale , e la potestà dominicale ( potestas , inanus , inancipium ). La più inconcepibile durezza aveva dettate le leggi dei primi romani , ed il potere paterno era presso di loro una tirannia esecrabile : il padre disponeva della vita de' figli , e tutto ciò elle essi avessero acquistato , si devolveva a suo profitto senza riserva. L' esercizio di questo dispotismo paterno ebbe egli è vero in seguito alcuni temperamenti , ma i principi che lo autorizzavano rimasero gli stessi , e Giustiniano gli ha legati perfettamente intieri ai popoli moderni. In tutto ciò che concerne la patria potestà , come in molte altre cose , i Romani avevano sostituito ai rapporti che la na- tura ha stabiliti tra gli uomini , altri rapporti meramente ci- vili : così se il figlio diveniva erede del padre , ciò era assai più per un effetto della dipendenza a cui la legge positiva l'aveva assoggettato , e del vincolo fattizio che ne derivava , che iu virtù delia sua qualità di essere da lui generato. Prova ne sia , il vedere divenire il figlio una volta emancipato straniero alla famiglia , ed annientarsi il suo diritto a succedere. Non si parli della potestà dominicale , cioè quella dei pa- droni sopra i servi , tutti sanno die questo potere era assoluto. Quanto alle femmine , esse erano sottomesse ad una tutela 4o5 pendente tutta la loro vita , ed esse passavano , secondo le circostanze , dalla dipendenza del padre a quella dei fratelli d;i quella dei fratelli a quella del marito. Io giungo alla materia importante dei testamenti. Quivi so- prattutto si andrà vedendo la giurisprudenza moderna adot- tare le forme figurative e le finzioni del dritto antico. Noi apprendiamo da Ulpiauo ( tit. XX. ) che nei primi tempi della repubblica vi erano due principali sorta di testamenti : quello che si faceva ne' comixj in presenza del popolo radu- nato 5 e quello che si chiamava pur aes et libram, e che si ordinava nel modo seguente. Cinque cittadini romani venivano convocati per assistere a quest' atto solenne. Un pesatore ( li- bripeiis ) teneva una bilancia dì rame 5 un altro personaggio chìarnsito Jamiliae emplor , il compratore della famiglia, ossia del retaggio e che rappresentava 1' erede , gettava una moneta in una delle lanci dicendo : (juesta famiglia è mìa perchè /' ho comprata con questa moneta e col mezzo di questa bilancia di rame. Il testatore pronunciava allora il nome dell' erede con una formola solenne. Veniva finalmente un antestato ( ante- status ) cbe dopo aver toccato V orecchio a tutti i cinque cit- tadini romani , li ammoniva di restare memori del fatto. Osservisi di passaggio che la solennità di una vendita figu- rata si praticava in parecchi altri atti della più alta importanza, segnatamente nel matrimonio ( coemptio ) e nell'emancipazione. L' emancipazione si compieva mediante una triplice vendita del figlio fatta dal padre , e di tre riscatti successivi per parte del cittadino romano che rappresentava il personaggio del com- pratore. Egli è senza dubbio alla rimembranza di questa tri- plice solennità, che a dì nostri la pratica esige che il padre quando emancipa il suo figliuolo gli apra le braccia a tre di- verse riprese, come per invitarlo a pigliare oggiraai il volo colle sue proprie ali , e che pronuncia tre volte questa formola : « mio figlio io ti emancipo e ti pongo fuori della mia potestà. » Ritorniamo. Mi perdoni il lettore, se per un istante io lo trascino in mezzo alle più aride teorie del diritto. Le solennità estrinseche dei testamenti , solennità che la giurisprudenza continua ancora di presente a rendere obbligatorie, si riducono 406 alle regole seguenti : che vi siano sette testimonii ; che questi sette testimonii sieno maschi e cittadini ; che sieno richiesti (rogati), e non si trovino riuniti fortuitamente ; che infine vi sia neir atto unità di contesto , vale a dire , che 1' atto si compia senza interruzione. Ora framezzo a queste solennità non ve n' ha una sola che ne' suoi veri motivi abbia un rapporto reale colla costituzione attuale della società. Ed in verità perchè sette testimonii ? Perchè altre volte il testamento per aes et lihram esigeva la presenza di cinque cit- tadini romani, d'un libripens e di un antestato 5 ciò che forma appunto un total numero di sette. Il compratore dell'eredità (familiae emptor ) rappresentando 1' erede. Perchè bisogna egli che i testimonii siano maschi ? perchè le femmine erano escluse dai comizj o radunanze del popolo , e che i sette testimonii del testamento sono una figura com- pendiata dei comizj. Perchè i testimonii deggiono essi essere richiesti ( rogati ) ? perchè per la validità dei comizj era necessario che i cittadini fossero stati solennemente convocati con questa formola : ve- litis , juheatis qxdrites etc. Perchè infine si richiedeva ella 1' unità di contesto ? perchè per es. non potrei io interrompere il mio testamento per pas- sare a stipular un aflfittamento , una vendita , a spedire una quietanza ? perchè non mi sarà egli lecito di redigere oggi la metà , e terminar poscia domani l'atto di mia ultima volontà? Anche qui noi dobbiamo ricorrere di nuovo ai comizj : i co- mizj , per esser regolari , non dovevano essere interrotti né da sinistri presagj , né da un accidente di malcaduco, né dall'in- tervento di un tribuno del popolo o di un magistrato. Nessuno si aspettava di certo di trovare ancora che i comizj , il libripens e V antestato avessero ancora tanta parte nei testa- menti del secolo u)". Percorrerò rapidameute la materia contrattuale , e ripeterò a questo proposito ciò che già dissi , cioè che nei primi tempi i Romani non credevano che vi potesse esistere un' obbligazione indipendentemente da ogni vincolo di diritto positivo. Egli non 407 fu che ben tardi, che V obhiigazioìie naturale fu ricouosciuta dai giureconsulti. Ora il vincolo per mezzo del quale si t'or- mavano le obbligazioni consisteva tutto intiero u,el]' osservanza delle solennità richieste dalla leggo. Per la validità a cagion di esempio della stipulazione , era di mestieri , che le parti pro- nunciassero certe parole sacramentali : ed altri contratti non ottenevano la sanzione civile se non che adempiendo la forma- lità dell' aes et libra dì cui sopra ho ragionato. Notai, sin dalle mosse, i due più prominenti caratteri deìTau- tico diritto romano : la solennità e la severità. Pei; dare ai let- tori una norma di quest' ultima, basterà citare alcune fra le disposizioni delle leggi delle XII tavole. Ognun sa che queste leggi furono recate di Grecia dai Decemviri nell'anno 3oo ài Roma , 45o anni prima di G. G. Uno dei più. curiosi frammenti che ne possediamo è senza fallo quello che concerne la facoltà accordata ai creditori di fare a pezzi il corpo del loro debi- tore, e dividerselo tra di loro dopo spirato il termine stabilito pel pagamento del debito. Ottenutasi dal creditore la condanna del suo debitore, questi aveva trenta giorni per soddisfarvi. Trascorso questo tempo, il creditore poteva impadronirsi della di lui persona^ il che dice- vasi nianus injectio. Entro un secondo termine di due mesi il debitore dovea venir esposto in vendila a tre mercati succes- sivi , e se nessun cittadino presentavasi per farne compra , era venduto all' estero come schiavo. Allorché più erano i credi- tox'i, la legge lasciava loro la facoltà di farne in pezzi il corpo, e di spartirlo tra di loro. » At si plures erant, rei tertiis nundinis partes secante : » Si plus iuìdusvc secuerint se frauda osto : « Si volent, uls Tiberini peregre venumdanto. Ma se saranno più d'uno dopo il terzo mercato taglino in parti il debitore. Se lo avranno tagliato inegualmente, ciò sia senza frode. Ovvero, se cosi vorranno lo vendano all'estero al di là del Tevere. ( Se nel testo è usato per sine , uls per ultra ). Alcuni autori e particolarmente Montesquieu sou di parere che questa legge non deve intendersi nel senso eli' io riferii, ma 408 parlarsi in essa della divisione del prezzo del debitore vendiilo. Hugo però ed altri giureconsulti che occuparonsi specialmente della Storia del diritto , confessano non potersi adattare questa metaforica interpretazione, ed Aulo Gellio da cui fu conservata una parte del citato frammento, non revoca neppure in dubbio che la legge delle XII tavole permettesse realmente ai creditori di far a brani il debitore insolvibile. Già feci cenno della patria potestà , e dissi con quanto ri- gore venisse esercitata. L'origine di questa potestà , che Tito Livio chiama Maestà paterna, paterna niajestas, ascende ai più antichi tempi di Roma. Dionisio Alicarnasseo riferisce che già sotto i re era lecito ai padri di batter i figli con verghe o cinghie, di punirli col carcere, di impiegarli al lavoro de' campi, di venderli, e finalmente di ucciderli. Questo diritto fu mantenuto dalle leggi delle XII tavole. Endo ilberis justis j, jus vìlae , necis , venundandiinte potestà» ei esto. ( Endo significa in ). Havvi di più. Il primo frammento della tavola IV impone ai padri di tosto uccidere qua' figli che nascessero difformi. Pater insigncm ad defoniiitatem puernra cito necato. Sembra che la parola insignis contenuta nel testo ricevesse im' interpretazione estesissima, se ne giudichiamo dal seguente verso di Plauto. Aut varum , aut valium , aiit compernera , aut poetuni. Erano parimenti insignes gli Androgini od Ermafroditi, vale a dire que' figli le cui parti sessuali mostrassero apparenze dub- biose. La falsa opinione che gli organi dei due sessi potessero tro- varsi uniti nello stato di perfetta conformazione nello stesso individuo , si mantenne come articolo di fede dai tempi più rimoti sin quasi ai nostri giorni. Gli annali giudiziari! sommi- nistrano numerosi esempj di prociulimeuù istrutti contro pre- tesi ermafroditi per profanazione del sacramento del matrimo- nio. Gli avi nostri possono ancora ricordarsi di quella famosa Anna Grand-Jean, che creduta in prima del maschil sesso, sposò a Grenoble una figlia per nome Francesca Lambert, colla quale 409 visse iu buon' armonia per molti anni. Suscitatisi sospetti sul eli lei sesso , essa fu accusata e condannata in un primo giu- dicio ad essere pubblicamente esposta, fustigata e quindi ban- dita. Appellossi Anna Grand-Jean , ed il parlamento di Gre- noble , determinato dalla di lei semplicità , dalla di lei igno- ranza e dalla di lei buona fede , circoscrisse la sentenza dei primi giudici, assolvette l'accusata dall' osservanza del giudicio, e le impose di rivestire la gonna. La supposta esistenza degli Ermafroditi diede sempre e so- prattutto ne' mezzi tempi luogo a molte novelle assurde, e su- scitò fra i legisti quistioni ridicole ed oscene. — Quanto ai rac- conti nessuno ve n' ha di più incredibile che quello riferito da Giovanni Molinet nel suo poema intolato : Recollection des mer- x'eilles avenues en nótve temps. Per ciò poi che spetta alle quistioni discusse fra i dottori sopra questa materia , io rimando il lettore alle raccolte di cause celebri , dove troverà senza dubbio di che appagare la sua curiosità. La fàvola degli Androgini e degli Ermafroditi mi conduce naturalmente a parlare del pregiudizio della magia e degli amaliamenti. Il diritto romano era eccessivamente rigoroso ri- spetto agli amaliatori: la legge delle XII tavole contiene questa solenne disposizione : Qui malum Carmen incantassit parricida esto. Le parole parricida esto eqiuvalgono a queste capital esto , e significano la pena di morte pura e semplice. Più tardi questa pena fu ancor aggravata-, V imperator Costantino ordina il sup- plizio del fuoco contro i matematici e gli operatori di male- fizi , e quello della deportazione e della confisca contro co- loro che li consultassero ( leg. 3.* Cod. de malejicis et niate- maticis ). Per malefici si designavano specialmente coloro che impie- gavano artifizi sacrilegi, m,alae aites, per propagare le pesti, e le epidemie , per fascinare i bestiami , per sollevare i venti e far cadere la grandine e la pioggia sopra i frutti della terra (legge 4." ibid.X 410 I matematici erano quelli che si ' giovavano della scienza dei numeri per scongiurare gli elementi e gli astri , e per divinare il futuro. Si chiamavano geoinetrae quelli che studiavano le matemati- che per un fine lodevole. Artem geonietiiae discere, dice la legge 2.' del sópracitato titolo , exercere publice interest ; ars auteni matematica damnabilis et interdicta omnino. Ne' mezzi tempi si prese autorità da queste leggi ed inoltre da due o tre versetti del Levitico e del Deuteronomio per bru- ciare spietatamente i pretesi auguri ^ maghi ^ divinatori, caldei, pronosticatori , incantatori, astrologi, negromanti , ed altri pos- seduti dallo spirito di Pitone. Nessuno più ignora queste mo- struose processure , in cui non bene si sa se più si debba ma- ravigliare dell' ignoranza e della follia de' giudici , oppure della loro crudeltà. Dubitare della esistenza delle streghe era allora un' eresia abbominevole. « La miscredenza di alcuni giudici ^ » dice Chernu Jiella sua raccolta delle questioni notabili , rese » sino a questo tempo il delilLo di sortilegio impunito , e que- » sta impunità fa sì che il numero dei stregoni crebbe prodigio- )) samente, e diede una licenza tale al demonio , che per opera » da' suoi agenti , infettò una gran parte della Cristianità , » tamquam serpens irrepens , etc. etc. » Fra tutti i processi de' prestigiatori , nessuno fu più clamo- roso di quello d' Urbano Grandier , Curato di Louduu , stalo accusato d'avere co' suoi malefizi dato in poter del demonio un convento intero di Orsoline. Il i8 agosto i634> sulle deposi- zioni degli spiriti Astaroth, Easas , Acaos , Asmodeo , Cedon, Neftalim , Alex, Fabulon , Cham , Uriele ed Acas , vale dire sulle deposizioni delle monache che dicevansi possesso da que- sti spiriti , Grandier fu condannato al rogo. Né è soltanto a riguardo degli incantatori , ed ammaliatori che le leggi delle XII tavole mostravano una si atroce severità, gli altri delitti erano del paro puniti colle pene le più cru- deli. Gli incendiari perivano pel, fuoco 5 i testimoni falsi veni- vano precipitati dalla Rocca Tarpeja,- eccitare nella città assem- bramenti notturni, ricevere danaro in qualità di giudice o 411 d'arbitro , erano delitti capitali ; la frattura d' un membro era soggetta al talione. Si membrura rupserit , ni ciim eo pacit, talio esto. Pare che nelle sanzioni penali le leggi delle XII tavole ab- biano soltanto mantenuto le leggi già esistenti , le quali risa- livano ai tempi di Romolo e di Nunia. Montesquieu, a cui bi- sogna sempre ricorrere allorché trattasi de' Romani, è di parere che lo spirito della repubblica avrebbe richiesto che quelle odiose leggi non venissero dai decemviri conservate, ma (sog- giunge ) persone che miravano alla tirannia guardavansi dal se- condare lo spirito della repubblica. Le disposizioni penali delle leggi delle XII tavole, non man- tenersi però in vigore per lungo tempo. Non furono espressa- mente abrogate, ma la legge Porcia avendo proibito di far pe- rire un cittadino romano , esse rimasero senza applicazione. Alla pena capitale fu allora sostituita la deportazione , o 1' in- terdizione dell'acqua e del fuoco, cioè il bando. Sotto gli im- peratori la legislazione tornò ad essere più severa , e la pena capitale ricomparve. Questi pochi cenni devono bastare per far conoscere i carat- teri per cui si distingue il diritto romano nel suo primo pe- riodo. Non volendo trattare dogmaticamente e né anche con metodo 1' istoria della legislazione Romana , ma soltanto dare un sunto per quelle persone che hanno appena una leggiera idea di questa scienza , io ho creduto di dovermi solamente applicare ai fatti più rilevanti , e i trascurai a bella posta quelli che non sono capaci a destare l'interesse del maggior numero de' lettori. Il diritto romano nella sua origine era dunque solenne , em- blematico e severo : esso s'appresentava inoltre come una scienza misteriosa aperta unicamente ad alcuni patrizj che se ne vale- vano per mantenere il popolo nella loro dipendenza. Si è ve- duto in fatti come le formolo fossero di una ben alta impor- tanza; non v'era un solo atto della vita civile per cui non fosse necessario pronunciare parole sacramentali , ed il menomo er- rore a questo riguai'do rendeva Tatto vizioso e nulìo. Per reca ine 412 un esempio; secondo Ulpìano ( tit. 21 ), un' instituzione di erede , acciocché fosse valida , dovea essere concepita in questi termini. Tizio sii tu mio erede , oppure sia Tizio mio erede , od anche ordino che Tizio sia mio erede. Se in vece di questi modi |di dire il testatore avesse usato altre espressioni , se per esempio avesse detto = faccio naio erede Tizio ; lo istituisco mio erede = V istituzione poteva essere impugnata. Ora i soli patrizj possedevano la scienza delle formole, delle parole solenni, essi soli conoscevano il Calendario, e quindi i giorni giuridici, dimodoché era assolutamente necessario di ricorrere a loro sì per contrattare con sicurezza,' e si per proporre giudizialmente un' azione qualunque. Cessata poco a poco la preponderanza del Patriziato , ed aperta pur anche a' plebei la via allo studio del diritto, si senti il bisogno di temperare il rigore de' principj di legislazione. Nacque allora il dritto pretorio. I pretori non erano in origine che semplici magistrati. Ma poco a poco usurparonsi una vera legislatura indiretta. Per non essere accagionati di distrurre le leggi, essi le modificarono abusando del loro testo , per mezzo di supposizioni , di inter- pretazioni arbitrarie , e con crear nuove parole. Indi quella moltitudine di finzioni di che abbonda il dritto comune. Illustri giureconsulti, come Tomasio, Cujacio, Eineccio, con- siderano gli editti de' pretori quale fonte di dritto del tutto illegale ed impuro. Altri e specialmente Hugo ne sostengono bensì la legalità , ma confessano nullameno che da questa fonte introdussersi nella legislazione infinite sottigliezze. Cosi a cagione di esempio. Il figlio per l'emancipazione tro- vavasi privato della successione paterna : il pretore che non poteva deferirgli Y eredità perchè ostava il testo della legge , gli aggiudicava la possessione de' beni , che nella sostanza era la stessa cosa. Se il padrone avesse dato la libertà ad uno schiavo in un convito, lo schiavo non era perciò libero, perché non erasi osservata la formalità della manumissione ,• ma il pretore gli conferiva i prìvilegj degli uomini liberi , dicendo che viveva in libertà , in liberiate moratur. 413 Se un ostacolo opponevasi alla riveadicazione d'uno stabile , il pretore inventava gli Interdetti ed i rimedj possessorj. Ora il pretore supponeva la prescrizione compiuta,, come neir azioa pubbliciana , ed ora Gngevala non compiuta, come neir azione rescissoria. Alcune volte assegnava gratuitamente la qualità di cittadino romano a persone cbe non 1' aveano , ed in cerli casi perfino fingeva cbe un fatto meramente immaginario avesse avuto luogo in Roma al cospetto del Magistrato (Ved. la Legge Cisalpina citata da Hugo ). Agli editti dei pretori vennero più tardi ad aggiungersi ì re- sponsi dei giureconsulti (responsa prudentum), i quali sin dal secolo d'Augusto ottennero forza di legge. I giureconsulti romani facevano , come già dissi nel prece- dente mio articolo , uno studio speciale della filosofia greca. Secondo che appartenevano alla setta degli Stoici , o a quella degli Epicurei , oppure a quella dei Peripatetici diverse erano le loro opinioni ; di qui nacque una maniera di diritto contro- verso , le cui vestigia trovansi in gran numero nelle compila- zioni di Giustiniano. Finalmente sotto gì' Imperatori lo schifoso abuso dei rescritti condusse al colmo la confusione nelle leggi. Se pertanto in ora si considera che il diritto romano non pervenne sino a noi , se non che rivestito ancora dell'assisa di cinque secoli di barbarie, dubiteremo facilmente se noi abbiamo di che congratularci per esservici ancora sottomessi , o piut- tosto ci convinceremo senza fatica che il favore di cui esso godette per tanto tempo e la religiosa venerazione in cui fu capricciosamente tenuto contribuirono piuttosto a ritardare , an- ziché ad accelerare il progresso dello spirito umano. L. Menabrea. 414 Letteratura Orientale — Saggio di poesie Persiane del Sabir ricavate da vn Manoscritto autografo esistente nella B. Biblioteca di S. M. il Be di Sardegna. La letteratura degli Arabi è così ricca di poesia , che non pare aggrandito sopra la verità il detto d' uno scrittore, che as- serisce comprendere essa più poeti, che tutte le altre lettera- ture insieme. Già prima, che gli Arabi uscissero delle natie loro contrade per ispandersi come torrente ^ e dominare sovra tanta parte di mondo , chiusi ancora dentro a' loro deserti senza opera di studio, senza ornamento di dottrina, e con si picciola coltura, che secondo 1' Andres poco più oltre stendevasi che all' alfabeto, quelle accese loro fantasie fortemente eccitate e dal clima , e dalla solitudine, e da tutte quelle gagliarde com- mozioni, che suole produrre una vita errante, e libera in mezzo a sterminate pianure, si dilettavano soprammodo della poesia. I poeti erano gli storici ed i moralisti della loro nazione. Di ciò sono prova quelle loro adunanze, che ogni anno nella città d' Ocadh si tenevano non ad altro fine che a dar saggio, e a contendere della poetica virtù *i. Ocadh era agli Arabi, come Olimpia ai Greci. I poemi giudicati migliori , e degni della co- rona erano deposti e serbati come cosa preziosa negli archivi de' Principi e degli Emiri. *2. Usciti gli Arabi a subite, e strepitose spedizioni portarono con loro pur tra 1' armi 1' amore alla poesia , e la naturale at- titudine a tutte le discipline dell' ingegno. Ond' è che quietato quel primo loro feroce impeto di guerra, venuta meno quella ebbrezza di battaglie, e di vittorie, posato quello scompiglio , *i Dell' origine , progressi , e stato attuale di ogni letteratura di Giovanni Andres voi. i. *2 Gibbon — Histoire de la décadencc , et de la chutc de l'empire Roniain — Voi. i3. 415 cessata quella distruzione, che accompagnano quasi seuipie le con- quiste, e le nuove dominazioni, massimamente se a queste si congiunga il fanatismo, e 1' innovamento di religione, gli Arabi dominatori vergognatisi della loro ignoranza, ed invaghiti del primo onore nelle scienze, e nelle lettere, di cui T Egitto, e gran parte dell'Asia conquistata porgeva loro splendido esempio, diedero opera a rifare quello, che avevan prima disfatto, e le let- tere, che tanto avevan sofferto dal furore delle loro armi per le arse biblioteche, e per la dispersione de' dotti, furono da loro desiderate , e trovarono presso di loro maravigliosa accoglienza. Eglino, come scrive il continuatore del Segur *i, smossero per cosi dire le ceneri, che avevano ammucchiato, e raccolsero gli avanzi sottrattisi al fuoco ed alla barbarie. Già sotto il califato degli Ommiadi, sebbene il nuovo impero travagliasse di discordie, e di guerre civili, le lettere e sopi-attutto la poesia ebbero protezione e favore. Ma quando prevalsero in mezzo alle civili fazioni, e furono innalzati al trono gli Ab- bassidi, allora mirabilmente s' accrebbe, e si diffuse per tutto l'Arabo impero lo splendore delle scientifiche, e letterarie disci- pline. Le storie celebrano meritamente Almamone, settimo degli Abbassidi, siccome principe tra i più splendidi, di cui s'abbia memoria nel favorire, nel proteggere, nell'incoraggiare le scien- ze, e le lettere. La capitale del suo impero Bagdad suscitata per così dire dagli avanzi di tre memorande città, Babilonia de' Caldei, Seleucia de' Seleucidi, Ctesifone de' Parti, che l'una dopo l'altra copersero delle loro rovine il paese delle invasioni e degli sconvolgimenti tra l'Eufrate ed il Tigri *2, Bagdad arric- chita d'innumerevole quantità di libri fu sotto quel califo un em- porio d'ogni maniera di dottrina , il convegno de' più nobili in- gegni , la cui fama splenderebbe per avventura di luce più bella , se alla loro dottrina si fosse accoppiata la dignità *3. Insieme cogli studj delle scienze più severe della filosofia, delle mate- matiche , dell' astronomia e della medicina , cui le opere dei *i Storia universale. *3 Heeieii — Ideen iiber die politils , den verlclir , und den Iiandcl der vor- nehnisten vòller dcr ;\!ten welt. *3 Gibl)on — Histoirc etc. Voi. i4 416 Greci fatte tradurre servirono di base e di testo, vi si coltivò grandemente la poesia delizia delle Arabe fantasie , gentile ornamento d' ogni letteratura. Tra i poeti, che fiorirono al tempo degli Abbassidi è celebre il poeta Alkalil Ahmad al Fa- rabidi il primo cbe sottomise a certe e stabili leggi la poesia, che era per lo addietro in troppo libero arbitrio de' poeti. L' esempio di Almamone fu seguitato non solo da' suoi suc- cessori , ma dayli altri Arabi eziandio , che avevano dominazione in altri paesi. E lo imitarono i Fatimiti nell'Affrica, e gli Om- miadi nella Spagna , dCve si può dire, che la letteratura Araba fosse condotta al suo maggior splendore. Questo avveniva ne' secoli , iu cui r Europa era ravviluppata nella caligine dell' ignoranza e doUa barbarie , oscurato dalle nordiche nebbie il bel lume intellettuale diffuso già dalla Grecia e dal Lazio , se- coli ingloriosi ne' nostri annali, cui non basta a nobilitare l'ener- gia d' alcune individuali virtù consumate per lo più disutil- mente , spesso eziandio con danno: ma ne' tempi, che segui- tarono r Eurojja si riscattò generosamente da quella sua pas- sata abbiezionc ; superando se non in abbondanza certamente in grandezza e nobiltà d'opere letterarie e scientifiche l'oriente, e corre ora infaticabile ad una meta , che l' oriente o non conobbe , o seppure intravide , ne rimase pur sempre a gran pezza addietro. Di tale giudizio converranno con noi tutti co- loro che le cose d' oriente e le nostre considereranno alieni ugualmente e da soverchio entusiasmo, che tutto ingrandisce sopra il vero, e da oltraggioso disprezzo, che l'altrui disde- gnando avvilisce. Tra i paesi venuti in signoria degli Arabi non ultima certo a seguitare quell' impulso e ad entrare in contesa d'eccellenza nelle arti , e nelle lettere fu la Persia. Mentre Bagdad diffon- deva per opera di Almamone una luce maravigliosu di sapere, Ispahan nella Persia accoglieva dentro da sé i personaggi e nelle lettere, e nelle scienze più insigni de' paesi intorno, e s' abbelliva de' loro lavori s\ in prosa che in verso. Quell' ar- dore per le ItUere, e le arti, e principalmente per la poesia si mantenne vivo iu Persia , e molto bene alimentato ne' se- coli appresso; sebbene per lo più rivolto a non troppo no- 417 bile scopo; siccome si può scorgere dalla storia della poesia Persiana, che scrisse il celebre orientalista sig. Cav. D. llammer, della quale abbiam caro , che ci occorra di dover qui fare men- zione per dimostrare quanto ci sia in pregio l'illustre autore, e come fresca si mantenga in noi la memoria di lui e delle dilet- tevoli conversazioni, che avevamo insieme spesse volte in Vienna. Il Voltaire *i onora di molta lode il poeta Sady che viveva neir età del Petrarca , e s' avea acquistata una fama pari a quella del cigno di Valchiusa. Le poesie del Sady vanno tutt' ora per le bocche de' Persiani , de' Turchi , e degli Arabi , come quelle del Petrarca sono presso di noi la delizia delle anime gentili ed amorose. Gli Arabi , secondochè scrive l'Andres *2 , tfarlne l'epica , e la drammatica, adoperarono tutti i generi di poesia usati dai Greci e dai Romani. Ma il genere , che prevalse tra loro fu l'erotico, in cui innumerevoli sono le composizioni di diversa foggia che dagli Arabi si scrissero. Il soverchio uso delle delicatezze più squisite , come de' morbidi bagni, degli odorosi profumi, degli ornati abbigliamenti, cui lasciata l'antica asprezza si vennero gli Arabi avvezzando tratti dall' esempio de' popoli vinti, coi quali si confusero *3 , la tempra de' climi eccitatori di focosi desiderj , la beltà delle donne della Circassia, e del Cachemir incentivo a loro non d'altro, che dì sensuali diletti, la loro religione blanditrice de' sensi santificandone i godimenti , il poco loro sentire gli affetti più generosi, dappoiché que' loro spiriti ardenti , ed indomiti si fiaccarono sotto il giogo del ser- vaggio orientale , la forma del loro civil reggimento contraria all'adergersi del pensiero , tutte queste cause, ciascuna per sé non lieve , contribuirono oltremodo più efficacemente insieme a piegarli alla mollezza, ed agli amori, né questi certamente gran fatto platonici. Quindi è che la loro poesia non ha quel nerbo, quella grandezza, quella dignità di concetti, che suole avere presso le nazioni di mente più libera, e pensatrice, e che più altamente sentono dell'umana natura. Quando noi leggiamo *i Essai sur l'bistoire. *-2 Dell' origine ecc. Voi. 2. '3 Gilihon — Voi. 14. 418 negli storici il numero stragrande de' poeti , che fiorirono tra gli Arabi , tale , che bisognarono più volumi a registrarne solo i nomi , restiamo come sopraffatti dalla maraviglia. Ma veggendo poi la voluttà e gli amori fatti temi perenni de' loro versi , e tanto stemperamento di affetti , più che ad ammirare la loro ricchezza poetica , siamo tratti a deplorare la infelice condizione delle vergini INIuse , costrette ad invilire ne' giardini d'Epicuro ed a vibrare per trastullo le corde lascive d' Anacreonte. Gli Arabi si compiacciono oltremodo nel loro poetare di leg- geri scherzi , e di giuochi di parole indizio del quanto poco conoscano la vera natura , ed il fine della poesia. Quindi que' loro versi centrici , che ogni lor grazia traggono dal termi- nare tutti in una medesima lettera 5 e que' poemi composti di venti strofe , i cui versi tutte contengono le lettere dell' alfa- beto , e finiscono colla stessa lettera con cui cominciano, ed i versi retrogradi, e lo scherzare lungamente equivocando con un medesimo vocabolo , come fece un cotal poeta Assiuteo usando per gioco in cinquanta sensi diversi il vocabolo Ain che significa occhio , e mille altri puerili artifizj , onde em- piono le loro carte i migliori Arabi poeti, talché si potrebbe loro applicare il rimprovero di Marziale: turpe est difficiles ha- bere nugas. Oltreché, siccome osserva il Gibbon, mancano gli orientali generalmente delle belle proporzioni dell' arte, della severità e temperanza nello stile e dell' abilità a descrivere con giustezza i caratteri e le passioni. Contuttociò la poesia degli Arabi abbonda pur di molti, e squisiti pregi. Nissuno può loro negare varietà , grazia ed evidenza nelle espressioni , dovuta in parte alla ricchezza *i e all'efficacia del loro idioma, delicatezza *i Nota il Gibboii voi. i3 che gli Arabi avevano ottanta vocaboli per indi- dicare il miele , duecento per indicare il serpente , cinquecento per il leone e mille per una spada in un tempo in cui quel popolo era senza lettere , e con- servava nella memoria tutta quella ricca nomenclatura ; ehe se , come scrive l'Herder, le lingue portano in sé l'impronta del pensiero e del carattere dei popoli , che le parlano; e 1' indole e le qualità d' una nazione in nessuna cosa si manifestano più evidentemente che mila sembianza e negh accidenti del suo idioma ; ciascuno può facilmente giudicare della possente immaginativa degli Arabi , che un medesimo oggetto denominavano con si maravigliosa varietà di vocaboli risguardaiidolo sotto differenti aspelli , e rappresentandolo da tanti e M moltiplici lati. 419 nelle imagi ni, talvolta gentilezza di pensieri , e d'affetti, e subli- mità di figure sebbene non di rado giganlescbe ed eccessive. Ma forse che, come scrive l'Andres, noi gustar non possiamo piena- mente i saporiti frutti di quella poesia, le grazie della quale si- mili sono a que' vini , che trasferiti a stranieri paesi tutto lo spirito perdono, e tutta la forza. Le cose dette più sopra in- torno alla poesia degli Arabi si conosceranno in gran parte vere leggendo il seguente saggio delle poesie del persiano Sabir ri- cavate da un prezioso manoscritto autografo esistente nella bi- blioteca di S. M. , e tradotte dall'egregio sig. Romualdo Tecco, segretario di legazione in Constantinopoli, che presentò di quel manoscritto la R. biblioteca. Il signor Tecco giovane ancora fu inviato dal Governo Sardo nella Siria e nell' Egitto a studiarvi le lingue dell' Oriente , delle quali con lunga opra aiutata da naturai attitudine d' in- gegno , usando alle scuole del Rascia Mehemet Ali , e intrat- tenutosi per molto tempo al Libano in varii conventi de' Ma- roniti acquistò profonda conoscenza , e riuscì di molte , ed ardue lingue dottissimo. Durante il lungo suo soggiorno nelle parti d' Oriente peregrinando ora 1' Egitto , ora la Siria , ora la Grecia, e trovandosi spesso a Costantinopoli, gli 'venne fatto di raccogliere molti preziosi libri , e manoscritti , d' una parte de' quali arricchiva 1' anno passato la biblioteca dell' Università di Torino , ed il più prezioso tra tutti il manoscritto autografo del Poeta Sabir offeriva a S. M. il Re Carlo Alberto , che ne adornava la sua real biblioteca , dimostrando con un magnifico dono il suo gradimento a colui , che Glielo offerse. A quel manoscritto il signor Tecco unì alcune notizie storiche da lui raccolte intorno al poeta , ed un saggio di poesie , che egli scelse e tradusse dall' originale Arabo -Persiano. Ouesto suo lavoro comunicatoci gentilmente dal Bibliotecario di S. M- noi qui pubblichiamo nel nostro Giornale stimandolo degnis- simo d' esser fatto conoscere a' nostri gentili lettori , perocché occorre di rado , a cagione della gran difficoltà delle lingue d'Oriente , di vedere o prose o versi orientali, tradotti nelle nostre lingue dai loro lOriginali. G. 36 420 NOTIZIE Sul Poeta Sabir e sul suo Libro. Nessun Orientalista fece sinor conoscere cosa alcuna intorno al Poeta Sabir,- gio\^erà perciò premetterne un breve cenno. Il nome proprio di questo poeta , couie appare dalla dedica in fronte del manoscritto, egli è Ali ; essendo Sabiu, voce che significa costante, un sopranome poetico, che usano di assu- mere gli Orientali , non altrimenti che i poeti di molte nostre Accademie. Ebbe esso i natali nella città di Ispahan, capitale un tempo della Persia, celebre non meno per la sua gran- dezza e magnificenza, che per essere la patria di molti insigni personaggi e letterati. Ebbe a vederne il nostro poeta , giova- netto ancora, la miseranda catastrofe, allorché espugnata Tanno 84o dell' Egira dal famoso Mirza Guian-Sciah , quel feroce capo della fazione del Montone nero non contento di aver messa la città a sacco , ne fece crudelmente trucidare quasi tutti gli abi- tanti , ed in quella barbara strage pare sia stato involto anche il padre dello stesso Sabir denominato Fethullah. Non andò guari però che la Persia fu liberata dalla tirannia di quel mostro , poiché vinto egli finalmente ed ucciso dal capo della fazione contraria , passò 1' impero di Persia al vin- citore Uzun-Hassan , che d' indole splendida e generosa prese a proteggere grandemente i letterati , de' quali buon numero avea sempre presso di sé che l'accompagnavano pur anco, nelle sue guerresche spedizioni, e fra essi il poeta Sabir. Accesasi poscia la guerra tra questo principe ed il terribile Sultano degli Ottomani , Maometto II. , e venutosi fra di essi a battaglia campale sui confini della Media , dopo ostinato e sanguinosissimo conflitto, rotto intitramcnle l'cscriMlo Persiano, Ali rimase compiala la vltloiia agli Ottomani, che fecero un gran- dissimo numero di prigioni, fra i quali si trovarono molti let- terati che col nostro Poeta avevano seguito il principe Persiano in quella sgraziata spedizione. Sultan Maometto però lungi dall' incrudelire con questi ultimi, gli accolse con somma cle- menza e bontà , e colmatili anzi di favori , seco li condusse poscia a Costantinopoli, «3ove , giusta 1' espressione orientale del celebre istoriografo Saadeddin , « i più esimii letterati del )) secolo venivano con amorevolissima cura raccolti , quali pre- )) ziose piante per ornare i deliziosi giardini di scienze che » quel grande e savio Monarca sorgere vi faceva , ed ivi erano » largamente innaffiati da copiosi rivi della sua inesauribile be- •» neficenza, e ricreati dalla dolce pioggia della sovrana gra- » ziosissima protezione. » E per verità giardini di scienza potean chiamarsi tanti sta- bilimenti letterarj e scientifici da quel Sultano con isplendida munificenza eretti e dotati, e fra questi la gran biblioteca, e gli otto Medressè ( Gollegj ) pella pubblica istruzione annessi alla stupenda Moschea , che da luì fondata porta il suo nome, non che la scuola per la prima educazione de' poveri fanciulli orfani , rimangono tuttora in quella città monumenti perenni del favore specialissimo con cui quel Sultano , letterato e poeta egli stesso , volle promuovere fra 1 suoi sudditi lo studio delle scienze e della letteratura. In quella nuova capitale dell' impero Ottomano scrisse Sabir il suo Divano, che, tributo di ben giusta riconoscenza, presentò poi al suo grande e magnanimo benefattore. Tale Divano non è altro che una collezione di poesie leg- giere dette dagli Orientali Gazelle distribuite in modo tale , che riunite insieme quelle, i cui distici terminano rimando colla stessa lettera, seguono così dal principio sino al fine l'or- dine alfabetico. E queste Gazelle poi non hanno verun' altra connessione fra di loro, se non che la generalità dello stesso soggetto , il quale consiste in concetti erotici , espressi per lo più epigrammaticamente : né maggior connessione hanno fra loro gli stessi distici di ciascuna Gazella , essendo solo insieme congiunti dal vincolo di una rima comune. Laonde potei fra 422 CBsì sceglitore, seuzachè ne uascesse iuconveuienza , perla tra- duzione, un piccolo saggio di que' concetti, il cui merito non consistendo in soli giuochi di parole, possono offrire , anche tradotti , qualche^ interesse. Restami ancora a notare brevemente il pregio e l'ordine ma- teriale del manoscritto stesso. Accuratissima ne è l'ortografia 5 e modello d' eleganza può essere considerato in quanto alla esecuzione calligrafica : esso è scritto in carattere detto Taalic. La dedica araba per altro che si legge in fronte di esso libro, è in carattere detto Neski. La prefazione che segue contenente , giusta 1' uso mussul- mano , le lodi di Dio , è decorata superiormente da un grazioso fregio in miniatura , in mezzo di cui campeggia in caratteri CuFFici la formola esprimente l'unità di Dio ( Allah-ula-Sivah ), Iddio , né altri che lui. Dopo r anzidetta prefazione succedono le Gazelle , secondo l'ordine alfabetico soprammentovato , e finalmente alcune com- posizioni epigrammatico-cronologiche che indicano , cioè , col valor numerico delle lettere , l' epoca a cui si vogliono rife- rire. E con una iscrizione di tal genere appunto si pon ter- mine al libro istesso-, poiché le due voci Jatiha'-kitab che significano fine del libro , col valor numerico delle lettere che le compongono , segnano ancora 1' epoca in cui fu finito, cioè l'anno 878 dell'Egira (1470 E. V.). Traduzione letterale dclV iscrizione Araha autentica dedicatoria che leggesi nel Medaglione del frontispizio. Questo Divano il compose colui che prega per la felicità del più grande fra i Sultani padrone delle cervici de' Re Arabi e Barbari, Kalifa (Vicario) di Dio nel mondo, Sultano figlio di Sultano, il Sultano Mchammed Khan, figlio di Murad Kan (per- petui Iddio il di lui impero e Kalifato): presentoUo a lui per riportarne la memoria di un beuiguo sguardo , lo stesso già sopra indicalo, il quale si è Ali figlio di Fethlllah Mudanio da Ispahan , conosciuto sotto il nouie di Sabir ( Renda prospero Iddìo Io stato suo ) PREFAZIOriE In nome di Dio clemente e misericordioto. 11 sommo INume al principiar de' canni Supplice invoco che mie voci inspiri ; Voce d' impero già fec' egli udire E da tal voce , qual da vital fonte , Degli esseri il giardin sorge e s'abbella, A quel soave ed ineffabil suono Cantan gli augelli in melodioso coro , E r universo ognor risuonar seirte In ogni loco queU' antica voce , Che senza scritti o pronunziati accenti Alto si fa nel petto uman sentire , Onde ripieno ed esaltato il core Sciolser talvolta lor labbro i Profeti .... E come il ciel quasi desio lo tragga Al centro intorno ognor curvo s'aggira, Cosi lo sforzo della mente umana Verso quel Nume irresistibil tende; Nume che riempie di se stesso i mondi Senza occupar materiale spazio, E a definirlo si solleva invano Degli intelletti il più sublime e puro. Ei pur degnossi sopra poca polve Di sua possanza collocar le insegne * i , E come regio padiglion , del cielo Il novemplice vel su lei spiegare ; Della divina luce il vivo raggio Sull' universo è in modo tal riflesso Come r eco che s' ode ripercossa Il suono rimandar è suon pur essa. Specchio del Nume egli è quanto di bello *i Allusivo al testo del Corano dove si legge che Iddio eoitituì 1' uomo mii C«lifa , os»i« luogntcnente nel mondo. 424 TiiiìV uom s' ammira in questo basso mondo ; Quindi un hA volto di rapire i cuori L' ammirabil virtù tolse e la forza . . . Eterno sol che sul creato splendi , 'fu mia niente rischiari e Ì cor m' infiammi „ Grandi sul volgo sol tua scienza innalza Quei che Profeti ti scegliesti e amici , E al par soggetti al tuo voler sovrano Fasti coi servi umili i re potenti, E a rattenerli nella tua temenza Del ciel sereno in sulla pura faccia U' col guardo il mortai alza la speme Del Drago splender fai 1' orride spire. Ma '1 lene soffio di leggera auretta , Che spiva in sul mattin dall' oriente Quasi della tua bocca il fiato pare , Che r uom conforta e a lieto amor l'invita, E tal dolcezza mi diffonde in seno Che dileguarsi 1' anima già sento, E suir ali del vento a te volare. Deh almen Io spirto che al mio fra! legasti, Quando fia sciolto dal corporeo velo , Non divietare allov che a te ritorni. Or degli affetti ai procellosi venti Battuto e immerso in pelago di colpe , Per ottener da te grazia e perdono , Mi volgo , al solo intercessor potente , De' mortali il miglior , gloria del mondo ( Lo salvi Iddio e ognor gli sia propizio ) Astro lucente di virtù perfetta , Del ciel di dlrezion fulgido sole , Del capo de' Profeti alma corona, Lume de' cuori intemerati e puri , Mar di boutade e di sapienza , fonte Di grazie e di favor , di Dio 1' Eletto . . . * i Grandi e infiniti son , Signor , miei falli , Ma tua clemenza è pur grande, infinita, ' *i Eletto in arabo Mdstafa. Titolo sotto il quale i Mussulmani designano per antouomasia il loro pseudo profeta Maometto. 425 Non trovando Sabir canne sì degno eli' alle divine lodi s' adeguasse , Confuso e mnil di riverenza in segno Coprissi il capo e la lingua ritrasse. SAGGIO Desunto dalle Gazcllc ihl Divano ili Saeir. Fra le cocenti arene il pellegrino Mira talor di linipid' onda un lago * i , Ma quando ormai si crede a lui vicino Tristo s' avvede esser sol vana immago ; Tal mirandoti in volto anch' io meschino Coir amor tuo sperai far mio cor pago , Ma dal fallace tuo guardo ingannato Al pellegrin simil piang' or mio stalo. Se '1 dolce labbro tuo dona la vita A chi r appressa, ben crudel tu se', Che chi ad amarti sol 1' avria gradila Tu costringi a morir lungi da te. Dopo lungo martir d' amor tjuest' alma Al dolor disperato alfin cedette , Ma già disciolta dall' attlitta salma, Nel dirti addio in sul labbro ristette. *i Presentano non di rado gli arenosi deserti una ingannevole apparenza di acqua, il che vieu deuuiuinato da' Persiani Serab (il Mirale de' ùaucc»ij. 426 Uiìi la rosa i soavi concenti Dell' amante Lusciuia al primo alLorc, Raccolse entro sue foglie i cari accenti , E no formò cosi libiti d' amore * i . Fra notturni silenzn in mesti accenti Solo piangeva mi infelice amore ^ Fatto pietoso ali' aspro mio dolore L' usignuolo rispose a' miei lamenti. Dell' amata talor 1' immagvn bella Scende la notte a consolarmi il cote ^ Qual la luna col suo dolce splendore Irraggia del Dervìs la cheta cella. Senza 1' amor tuo tristo e desolato Alberga sol lutto e mestizia il petto, Qual rovinoso ostello abbandonato D' orridi spettri sol dìvien ricetto. Air aura del mattin tra fronda e fiore Cantava 1' usignuol : vana è la vita Per chi passa suoi di scevro d'amore y Qual arbor senza frondi inaridita. •i Celebratrssimi sono da' poeti orientali i mistici amori dell'usignuolo e della rosa , traendone argomento dal vedere che nella stagione in cui comincia a can- tar r usignuolo vedesi appunto sbocciare la rosa , quasi attirata dalla dolcezza de' suoi concenti amorosi. E poi non meno noto che in Oriente i fiori e spe- eialmente la rosa , servono a manifestare i sensi degli amanti , come pKSto di noi I« lettere amorose. J\ 427 Dammi , dissi all' amata un bacio almeno j- Dammi tu 1' alma , la crudel rispose , Replicar volli allor , ma già dal seno L' alma fuggita in sul labbro si pose. Spiegarti invan vorrei mio tristo stato, E r amore che il cor m' arde cotanto : Da' singulti è l' accento ognor troncato , Ed ogni voce mia si muor oel pianto. Molle di sangue del mio cuor, prostrato L'amata mi mirò sul suo cammino , E pur crudel passando a me vicino Sol di sua veste il lembo ha sollevato. Al' morir presso mi rivolgo ancora per commendar mio spirto al ciglio amato ^ Che si volge il morente all'ultim' ora Della Caaba *2 inver V arco sacrato. Lunga vivi , o crudel , vita felice , Che più non turberanti i miei lamenti ; Spirando per dolor 1' alma infelice , Tai furo di Sabib gli estremi accenti. *i Sangue del cor — Espressione di frequente uso fra i Poeti Persiani per lignificare l' estrema ambascia amorosa. *a La Caaba, il celebre tempio della Mecca, cui si rivolgono sempre i Mussul- mani facendo le loro preci , e moribondi eziandio si fanno ad essa rivolgere. In questo tempio poi , come in tutti gli altri hayn un arco detto Mihrab che ne k il luogo più sacru. 428 Farikh ossia iscrizione epigrammatica -cronologica indicante r epoca dell' inaugurazione della 3Ioschea del Sultan 3fao- metto II. in Costantinopoli. Di Costantin nella città protetta Sovran voler tempio stupendo eresse , ' Fé' r alta mole e la sua forma eletta j'" Ch' egli emular 1' empireo paresse * i : Quando mirò Sabir 1' opra perfetta, L' epoca fausta in queste voci espresse : » Del Divino Splendor degno ricetto » È '1 tempio ch'erger fé' Sultan Maometto *. *i Allusivo alla forma sferica della sua vastissima cupola. "2 Gli ultimi due versi punteggiati , che uell' originale sono compresi nelle se- guenti parole Giainir Sultan Muhamtned Megmai Envari Hak , presentano col valor numerico delle loro lettere l'epoca dell'inaugurazione sovrindicala , l'unno cioè dell' egira 877 ( i^Cq era volgare ). 429 Scienze Filologiche — Amore di Dante, Il Boccaccio nelle sue prose ci dava la parte prosaica dell' amore , intanto che la poetica ci dava nelle rime il Petrarca. Nel secolo decimosesto l'amore e in prosa e in rima era pro- saico del pari : prosa i sonetti e prosa i sospiri del card. Bembo e dei molti commilitoni suoi. Nel decimonono pare che dalla melma dell' amore prosaico cominci a spicciare una vena di viva poesia , la quale per suo canale presceglie alla canzone il romanzo ed il dramma. Ma in fatto d'amore la poesia più vera è la prosa che le donne innamorate fanno, quando dicono il vero. Non parlo della prosa stampata : ma se tutti i pensieri e i doloi'i e le esclamazioni e i ragionamenti e gì' inni dell' amore femmineo si potessero in un volume raccogliere , quello sarebbe il più poetico libro e il più grave d' arcani. Or noi lasciando le donne innamorate del secolo decimonono e la prosa loro , saliremo alle rime amorose di Dante. Come lo sdegnoso uomo le abbia saputo cospargere di tanta soavità e gentilezza , par cosa forse meno mirabile a chi pensa come ne' forti ingegni s'accoppino le qualità apparentemente con- trarie , come né vera forza senza delicatezza , né vera delica- tezza sia mai senza forza. E ben dice egli stesso , ripetendo il verso di G. Guinicelli, che amore e cor gentil sono una cosa *i. E in questo nome io comprendo non pur l'amore della fem- minile bellezza, ma dì quante bellezze ai nostri occhi profon- dono instancabili la terra ed il cielo : 1' amore del vero, l'amore del giusto , r amor della patria che tutti in sé gli altri amori comprende. Pure non resta che rara cosa non debba a tutti parere tanta soavità, quanta spira dai versi seguenti: Negli occhi porta la mia donna amore, Perchè si fa gentil ciò eh' ella mira . . . Fugge dinanzi a lei superbia ed ira. Ajutatcrai, donne, a farle onore. *i Sonetto Vili ed. Mantoy. 430 Quanto spirito lirico in questa invocazione alle donne , clic ad onorare lo ajutino, come se tanta gentilezza potesse da sole le donne esser compresa e degnamente onorata ! Più fine elo- gio alla bellezza dell' anima femminile non ha forse la poesia italiana , di questo : Ogni dolcezza , ogni [icnsiero umile Nasce nel core a ctii parlar la sente, Und' è laudato chi prima la vide. Quel eh' ella par quand' un poco sorride Non si può dicer , né tenere a mente, Si è nuovo miracolo e gentile. E questi sono versi antichi di cinquecento quarantaquattro anni almeno; e son più chiari che i versi di tanti poeti viventi. Pare che nel pensiero di Dante abbia, e per ragionamento e per prova , fatta impressione grande la efficacia della non abusata bellezza a nobilitare gli animi umani. E veramente nes- sun più forte richiamo della bellezza pose Iddio quaggiù per attrarci alla perfezione suprema. E si vede come sovente nelle sue rime ricorre la parola umiltà 5 e Beatrice si chiama à' umiltà vestita 5 e dicesi che umili pensieri nascono in chi la sente , e che ogni cosa fa umile la vista sua. Perchè 1' altero uomo co- nosceva quanto gentil cosa l'umiltà fosse, e quanto la superbia villana *i j conosceva quanto giovi a far miti i pensieri l'aspetto d' una pura bellezza. Oh questa tutta umile fiorentina è ben più sublime cosa della bella francese umilemente altera , altera- mente umile, che il buon Petrarca cantava. Ma voi domanderete , in quali ore e in quali luoghi amasse più Dante celebrare ne' versi la donna sua : se nel sorriso della solitaria natura, o nel frastuono della città popolosa 5 se pas- *i A fermar Dante in questa opinione avrà forse conferito anche il sentimento religioso ; poiché ( come nota a questo proposito il Card. Pallavicini in una delle sue lettere ) « pare che Iddio nella religione cristiana abbia tanto favorita la » virtù dell'umiltà, incognita alle altre sette, che a misura di quella si tro- » vino in un' anima tutte l'altre eccellenze , le quali per se stesse varrebbero » ad eccitar la superbia. Onde mi par scusato quel verso , che Dante fa dire « » S. Bernardo lodando la Vergine : Umile e alta più che creatura. 451 seggiaudo dal Gardingo *i , o fuor della cerchia antica *2 , o salendo l'altura di Trespiano, o scendendo ne' luoghi, dove ora forse villeggia più d'uno tra' moderni fiorentini, a tutt' altro pensando che a versi. A cotesta domanda una sola cosa io po- trei rispondere , ed è che la hella canzone la qual comincia : Donne che avete intelletto d" amore y fu imaginata da lui -pas- sando per un cammino , lungo il quale sen giva un rivo chiaro molto *3. Allora gli venne volontà di dire ; e la sua lingua parlò quasi per se stessa mossa ^ quel primo verso che ho detto , ed egli lo ripose nella mente con gran letizia ; onde poi , 77- tornato alla città , pensando alquanti dì j scrisse la intera can- zone. E non so se a voi quanto a me paja bella e poetica que- sta notizia , non so se quel verso , caduto così nella mente a lui passeggiante lungo le acque d'un chiaro ruscello , a voi paja più dolce, E veramente non è cosa che più soave parli all' anima e più soave la ispiri, d'una pura acqua corrente. Quell' umore che fugge, rende imagine lieta insieme e malinconica degli umani piaceri 5 quella vita diffusa in ogni minuta stilla , è vero simbolo della vita d'un' anima, che in sé non ristagni, ma corra al bene come per dolce pendio ; quella copia mode- sta pare gradito alimento ai pensieri dell'uomo, cosi come ai fiori del campo, par che rinfreschi con l'erbe del margine lini- maginazione appassita ; quel placido mormorio par che accom- pagni ed inviti 1' armoniosa parola ; e quello specchio fedele sempre offerto alle bellezze del cielo e della terra , par che di- sponga r anima del poeta a farsi specchio essa stessa di quante bellezze intorno diffondano la terra ed il cielo. Parla egli in quella canzone alle donne e alle donzelle amorose j che non è cosa da parlarne altrui; e per isjogar la mente (perchè nella mente non meno che nel cuore è il suo fuoco ) ragiona. Or quali imagini sceglie il P. alla lode ? Fa che un Angelo parli a Dio d' una maraviglia che si vede nel mondo. Lo cielo , che non ha altro difetto Che d'aver lei, al suo Signor la chiede; E ciascun Santo ne grida mercede. *» li»f. XXllI. *3 Par. XVI. *3 V. IVuor,! p. 3;. 432 Iddio risponde: aspettate alquanto, si che gli ijomini ]& pos- sa.no ancora godere, e coloro che vanno all'Inferno, raccontino: I' vidi la speranza de' beati. Quindi venendo a narrare le doti di questa desiderata da- gli Angeli', dice due versi che toccano il sublime: E qual soffrisse di starla a vedere Diverria nobil cosa, o si niorria. E dopo aver detto che la sua vista umilia l'uomo si da fargli dimenticare ogni oft'esa, le attribuisce virtù santi Beatrice dell' anima , e aiferma : Che non può mal finir chi le ha parlato. Ed ecco in queste due stanze i germi della Divina Corame- dia. Già di Beatrice ancor viva. Dante nell'estasi dell'amore, udiva parlare gli Angeli in cielo , e nell' inferno i dannati 5 già le iraagini dei regni eterni e degli eterni destini dell' uomo s' erano nella sua mente congiunti al nome d' una giovinetta Toscana : già di lei diceva amore : Per esemplo di lei beltà si prova. Non solo bellissima, ma l'esempio, il tipo era ella della bel- lezza vei'a : qual maraviglia che il P. la convertisse in una forma ideale, non solo di corporea, ma di spirituale bellezza? Alle donne sovente questo duro uomo amava rivolgersi , e a loro confidare i suoi secreti dolori *i. Allorché muore il pa- dre della Beatrice , vede egli tornare dal compianto varie schiere di donne, e udendole pai'lar del dolore di lei , si dà al pian- gere, e finge in un sonetto d'interrogare quelle donne pietose, ed esse in un altro rispondono ; Ella ha nel viso la pietà sì scorta , Che qual 1' avesse voluta mirare Saria dinnanzi a lei caduta morta. Voi mi risponderete con filosofica severità che né uomini , né donne cadono morti per così poco : e io non voglio rispon- *i L. III. Canz. 435 tlerc alla vostra filosofica severità : dirò solo che un giovane di venticinque anni, il quale si fatti versi compone, e così al- tamente idoleggia Y amore , era nato per iscrivere a trentacin- que altra cosa che versi amorosi. Ti-a Testasi dell'amante, e la visione del politico , tra le teologiche aspirazioni a Beatrice palpabile e ì teologici inni a Beatrice simbolo di sapienza ci- vile, voi scorgerete, io spero, una potente armonia. E siccome , al dir di lui , la luce della sua salute nelle altre donne si diffondeva , cosi nel proprio amore comprendeva egli quant' erano belle doime , tutte subordinandole a quella bel- lezza regina. E' rincontra un giorno 1' amata di Guido Caval- canti , il primo amico di Dante; e '1 nome suo era Giovanna, ma, forse per la bellezza, la chiamavano Primavera. Dietro lei veniva la mirabile Beatrice. Allora parve che amor gli parlasse nel cuore per dirgli: quella gentil donna non per altro ha nome Primavera , se non perchè doveva un giorno precedere Beatrice. E qui fantasticando sui nomi di Giovanna e di Primavera , e' rinviene che ambedue significano la medesima cosa 5 perchè S. Giovanni Battista precesse Gesù, come Giovanna Beatrice; e cita qui r Evangelio dell' altro Giovanni ; e in certa guisa assomi- glia la donna sua al Redentore del mondo. Se amor cosiffatto non finiva in un dramma sacro , io non so, per dir vero, quale altro esito avesse potuto sortire. Ma le cose nella V. stanza narrate sono eglino simboli o realtà ? Il Canon. Biscioni crede Beatrice né figliuola del no- bile fiorentino , né donna vera , ma la sapienza in largo signi- ficato presa , 11 saluto di Beatrice essere la capacità della scienza , le donne che Beatrice accompagnano scienze ancb' esse. Il Bi- scioni non nega però che la Bice sia stata in questo mondo ^ e dotata , com' egli gravemente dice , di riguardevoli prerogative. Ma un altro canonico, forte anch' egli in filologia, il canonico Dionisi , nega che Beatrice sia cosa fantastica, condanna il Fi- lelfo , condanna il Biscioni *i. E voi pure, o signori, darete ragione, io spero, al canonico Dionisi, e vagheggerete in Bea- trice la figlia di quel Portinari che Dante chiama buono in *i Preparazione alla nuova ediz. di D,)nte. "\"erona i8u6. T. 11. p. 43 ''S- 454 alto grado *i, al qual Firenze deve la foadazlone del «uo spe- dale di S. Maria Nuova ; per merito del quale gentile atto e pio, è da credere che il cielo abbia dato alla sua Bice vivere splendidamente immortale ne' libri di Dante. E questo pensiero sappiatelo, non è mio, ma io ne reco l'onore all'illustre autore del Lodovico il Moro e del discorso su Mlchelangiolo Buonar- roti. Ma che per esaltar Beatrice e per riferire a lei i grandi effetti di sapienza nel cuor suo dall' amore promossi , Dante in questa femmina viva e vera simboleggiasse talvolta or 1' umana sapienza, or la sapienza delle cose celesti , eli' è cosa certissima. « Per egual maniera ( son parole del Monti o ispirate da lui), » per egual maniera il Petrarca dal contemplare tutte le per- » fezioui giunte con mirabili tempre nella sua donna, facevasi » scala al Fattore, Se non che 1' amante della bella Avi<^no- » nese non può tanto abbandonarsi ai voli del suo amor pla- » tonico , che perda di vista colei che n' è 1' oggetto : anzi di » pensiero in pensiero , di monte in monte la va cercando e » raffigurando per tutto : e dopo la morte di lei porta invidia » alla terra avara che chiude il bel velo ch'egli ha tanto amalo. » Laddove 1' Alighieri dall' avere amate e ammirate una volta » in Beatrice tutte le virtù, tanto vien sollevato alla speculazione B delle cose superiori, che ascende nella regione delle forme » a contemplare nella Beatrice beata l' imagine eh' egli s'è for- » mata della divina *2. Quel sogno del resto , nel quale egli vede il suo cuore ar- dente , e la donna sua che lo mangia, rammenta la fiera ser- ventese del Trovatore Sordello , il qual nella morte del prode Blacasso, gentiluom di Provenza, invita i vili del suo tempo a mangiare di quel cuore per farsi nobilmente animosi. Della qual serventese dal Perticari primo pubblicata, giova, io credo, recare tradotta dal Provenzale alla lettera alcuna stanza. « Primo mangi del cuor di Blacasso , perciocché gran bisogno » ne ha, l'imperatore di Roma, se e' vuole i Milanesi per forza » conquistare perdi' essi lui tengono conquiso , ond' e' vive di- » sertato, malgrado de' tedeschi suoi. Poi ne mangi il re fran- *i V. N. p. 4.V *i Pfcf. air ed. 1827, p. XIV. 455 » cese, e ricevrà sua terra che per nescienza perde. Del re d'In- )) ghilterra mi piace , poiché è poco coraggioso , che molto » mangi di quel cuore, ed allora sarà valente abbuono . , . E )) il re di Castiglia tengo che ne mangi per due, perchè due » regni tiene , e ad un solo non basta. E al conte di Tolosa » e al re di Navarca e al re d'Aragona consiglio ohe mangino » di quel cuore, ed apprendano a non essere vili. E conchiude; » i baroni mi vorranno male perch' io dico vero: ma sappiate n eh' io tanto poco gli prezzo quant' eglino me. » A celare l'amor suo vero, Dante si finge amante di altra gen- til donna 5 e durò la finzione alquanti anni e mesi ; e per più far credente altrui, feci j die' egli ^ per lei certe cosette per rima. La donna alla quale e' fingeva amore, dovette partirsi di Fi- renze , ed egli per non tradire il secreto, scrisse versi di simu- lato dolore : tanto curava che il suo vero affetto non si sco- prisse. Or perchè ciò ? Timido pudore non era , s' egli fingeva d' amare altra donna ; ma forse modesto riguardo di non la of- fendere con strane significazioni d'affetto si veemente 5 forse ti- more del sorriso de' galanti di quella età: era forse altezza di fantasia che temesse, manifestandolo, spogliar l'amore di quel velo ideale che lo fa sovrumano: era forse una di quelle tante prosaiche ragioni che è facile immaginare , che indovinare è difficile , che si frammettono tra 1' occhio del poeta e i suoi fantasmi, e gli vieterebbero di contemplarli, s'egli per meglio vederli a suo agio , non avesse 1' accorgimento sicuro di chiu- dere gli occhi. Partitasi di Firenze quella donna che era velo all'amor suo, un'altra in sua yece ne sceglie il poeta 5 e perchè queste dirao- .strazioni d' amore davano che dire alla gente , Beatrice se ne offese , e negogli il saluto. Egli allora che fa ? « Misimi nella » mia camera , là dov' io poteva lamentarmi senza essere udito; ■» e quivi chiamando misericordia alla donna della cortesia , e )) dicendo, Amore , ajuta il tuo fedele , m'addormentai, come )) un pargoletto battuto , lagrimando. » E le gioie e le lagrime del poeta , a quel che pare, finiscono in sonno : un saluto con- cesso lo fa dormire , un saluto negato lo fa dormire : fortunato poeta ! 27 456 Dopo tale vicenda e' potè mettersi tranquillamente a pensare, se amore sia o no buona cosa. Questo pensiero era, scientifi- camente , diviso in quattro , e gì' ispirò il sonetto : Tutti li miei vensier parlari d amore ^ dove il primo verso è il più bello di tutti ; e più singolare si è il decimo che dice : « E vorrei dire, e non so ch'io mi dica 5 » verso che passati i trent'anni Dante forse non avrebbe pensato. È cosa notata già da Lionardo Aretino 1' altezza de' generosi cominciamenli ne' versi lìrici dell' Alighieri: né al primo lancio sempre la tratta del volo corrisponde 5 e alla evidenza d^^He imagini l'astruseria de' concetti fa velo: ma ad ogni tratto il poeta si rileva animoso e più forte che mai: sì che può bene affermarsi col Ginguéné , che, quand' anco alla gloria di lui mancasse la D. Commedia, basterebbero a collocarlo primo poeta del suo tempo, le rime. Io non direi che lo facciano altresì pri- mo prosator del suo tempo la V. Nuova e il Convivio; che voi non m'opponeste le Vite de' Padri e la Cronaca del Compagni: ma certo se quelle vite non fossero e quella storia, ben si po- trebbe dire che Dante insegnasse alla px'osa e il numero e la evidenza e la semplicità e la snellezza; e tanta dal Boccaccio a lui essere la distanza, quanta dall' arte gentile alla schietta natura. Un giorno persona amica lo conduce dov'erano adunate molte donne gentili , e la vista della sua donna lo turba in fiero modo: sopra questo e' scrive un sonetto , ove dipinge Amore : Che fiere tra mici spirti paurosi, E quale ancidc e qual caccia di fora , Si eli' ci solo l'iiiiane a veder vui. Più nobile e più virile questa imagine d' amore prepotente guerriero, cbe non del molle e alato e bendato fanciullo, di quel che il Chiabrera dipinge FiveretLa^ Serpentello , Dragon- cello : diminutivi eloquenti perchè dimostrano come 1' amore italiano si venisse collo impiccolire degli altri affetti ogni di più restringendo. Or che è egli a' giorni nostri l'amore. E egli volatile o rettile? Fanciullo o guerriero? Bestia o Dio? Non mai forse volò tant'alto, non mai strisciò sì basso come a' giorni nostri l'amore. Ora puro s[)irito, or carne morta; ora un pen- siero, ora un calcolo; or astro, or fango; or sottile e tenace, 437 or pesante e volubile: sconosciuto a ehi più ne paila, a chi. meno lo studia , rivelante i suoi casti misteri ; vergognoso dell* antica mollezza, avido di azione e di gloria; allegro di mesta gioja, mal pago di sé e delle cose; conoscente di non esser più fine suflìciente a sé stesso, non più idolo unico della umana na- tura ; sollecito egli stesso d'inchinarsi innanzi agli altari della virtù, della patria, di Dio. Tale a'giorni nostri è il guerriero di Dante, la vipera del Chiabrera, il fanciullo de' Greci. Ma finalmente si fa noto a molti il secreto del P. , e chi ne lo deride, e chi lo compiange. Muore il padre di Beatrice nel 1289 il di trent' un di dicembre (nel 1286 aveva fondato lo spedai tiorentino ); *i ed egli canta il dolore di lei. Inferma egli stesso, e delirando imagina che Beatrice sia morta, e cauta r ambascia dì quel delirio. Alti'e avventure più del suo amore non narra, se non 1' ultima, la morte dell' Angiolo suo. Di quali corrispondenze lo confortass'ella , non dice ; e dopo averci narrato ch'ella x'ise di lui, non prende la cura di pur notare se Beatrice si penti di quel riso; tanto sincera e tanto poco timida dello scherno ( che all' anime piccole è martirio insopportabile ) era la sdegnosa anima del Poeta. Il Boccaccio *a fa lei maritata a un Simone de' Bardi, il qual fu nel i3oo condannato da Dante priore, come agitatore di [civili discor- die *3. E a voi dorrà veramente che la sua beatitudine fosse stata sposa a un Simone. Ma il Pelli , lo spietatamente pro- saico Pelli, Pelli r erudito implacabile nota il testamento del padre, l'ogato a dì io di gennajo del f^dy, dove lascia cinquanta fiorini Bici fìliae suae et uxori D. Simonis de Bardis. Il perchè «ella V. Nuova l'abbia egli taciuto, non è difficil cosa a ve- dere. A questo schietto romanzo della V. Nuova, Dante non intese affidare tutti quanti i secreti dell'amor suo, ma solo «sporre 1' occasione e 1' argomento delle amorose sue rime. Né commento poteva farsi più gentile di questo: che par quasi la storia delle giovanili impressioni di quell' anima , e dello *i Pucha Cliùsc fior. T. 8. p. 176. *i Coni, al II. Inf. "3 Dillo L. I. 458 svolgersi che faceva l'ingegno, quasi fiore, al raggi d' un can- dido e fervente affetto. Però 1' amore quivi si considera come cosa seria, come parte d'educazione, come professione, per dir così, come scienza. Qui si ha la storia interiore d' un uomo, a cui pochi somigliano degli uomini presenti 5 e la stoi'ia amorosa d'un tempo, al quale il presente quasi in nulla soniiglia. E negli annali della passione , nella pittura di quant' è più deli- cato e ineffabile nell'anima umana, risiede così la più profonda bellezza, come la vera efficacia del romanzo. Lo dicano Richardon, e Sterne, e Gian Giacopo, e il Manzoni nostro. A questo pre- gio, tanto più desiderabile a' nostri giorni che la poesia de' sensi e della materia ci pesa grave sull'anima avvilita , a questo pregio molti difetti si perdonano: senza questo gli altri pregi languiscono. E di questo scritto potrebbe Dante dire quel che di ott'anni della sua vita diceva Rousseau: « in questo spazio po- » che avventure avi'ò a raccontare, perchè la mia vita fu tanto » semplice, quant' era soave; e di quella uniformità aveva ap- » punto bisogno l'indole mia per formarsi. In questo prezioso )» tempo l'educazione che fin allora fu sparsa e interrotta, s'as- 5) sodò , e tal mi rese qual poscia rimasi in tutto il corso della ■» procellosa mia vita *i. » Poteva egli ancora con G. Giacopo stesso ripetere : (c Quanto mi è caro tornare di tempo in tempo a' be' momenti della mia gioventù ! Eran pur dolci , e duraron pur brevi , e venivan si rari, e sì poco mi costava il gioirne! Ah! la sola memoria mi rinfonde nell'anima una voluttà pura, necessaria purtroppo a ravvivare il mio stanco coraggio, e a vincere il tedio de' miei dolorosi anni.» Dante, per certo, non ha voluto svelarci tutte intere le pure dolcezze dell'amor suo; non le notturne ore nel contemplar dalla sua le finestre della casa vicina di Beatrice ( che gli Alighieri stavano in porta S. Piero, e 1 Portinari presso al canto del Pazzi, e i Portinari e gli Alighieri eran del popolo di S. Mar- gherita) *2,- non la gioja delle civili solennità festeggiate nella *i Conf. L. V. *a Cionacci V. B. Umiliana p. 385 e ^o";. 439 patria cornuue,- non le preghiere da entrambi forse alla mede- sima ora innalzate a Dio nel suo bel S. Giovanni * i • non le prolungate speranze ; non 1' immaginato e forse il vero ricambio eh' ella rendeva a si timido affetto. Ma quel tanto eh' egli ne dice, già basta a farci conoscere: lui essere stato ben più fe- lice *2 di queir amore che finì in un saluto, che non altri di quelli i quali da più forte cosa che da un saluto incominciano. Moriva Beatrice nell'età d'anni ventiquattro 5 nell'anno 1290, venticinquesimo della vita di Dante: moriva lasciandogli in re- taggio un affetto immortale, un tesoro di memorie senza ri- morsi, un' immagine che doveva di luce serena irradiare i versi di lui, e con la sua gentilezza accrescere 1' energia a quel ga- gliardo intelletto. Oh venne pure opportuna alla gloria d' en- trambi e forse alla loro innocenza la morte ! Tempo era che Dante ad altro che ad amox'ose contemplazioni levasse 1' inge- gno, e per altro apprendesse a palpitare che per bellezza di donna. La patria lo chiamava, la patria, e la religione, e il di- ritto, e la natura, e quanti mai possono amori capire in cuor d'uomo. Se Beatrice viveva, noi non avremmo né la D. Com- media quale abbiamo ora, né la Vita Nuova stessa; avremmo un precursor del Petrarca , un Petrarca più guerriero , più uomo. Occupato dall'amore, non avrebbe forse Dante ambite le cure della discorde repubblica, non avrebbe forse soiTerta la dignità dell' esilio 5 bella non sarebbe del nome e dell' esempio suo la sventura. Oh di grandi arcani è ministra la morte! Ella è ehe insegna ai felici il dolore, ai prepotenti la paura, agli scellerati il rimorso, ai pii la speranza: eli' è che santìiica chi va, e nobilita chi resta 5 e fa, più della viva persona, o terribile od amabile un nome. La morte è il gran pernio cosi degli umani destini, come delle umane virtù, la morte è il germe che si nasconde, e poi sorge da terra; la morte è il fiore che allega in frutto, la morte è l'Angelo dell'Onnipotente, la morte è il quotidiano miracolo della creazione: adorate la morte. •^i Inf. XIX. *.* J'ai peut ètrc eu plus de pìnisirs duns mes atnours cu finissant par une inaili baisée , qoe voiis n'en aurez jaiiiais Jaus lei vòtrts eu coiuuieiicuut lout «u iriuiiKs p.ir la , . . Conf. Rous. L. IV, 440 Tempo era che 1' anima di Dante, dopo aver dall'amore dì donna, quasi da notturna rugiada, bevuto alimento e freschezza, s' aprisse rigogliosa al vivo sole del vero. Già troppo sdolcinate saranno a voi parse alcune di quelle sue parole amorose, e troppo devota quella maraviglia, e troppo teologico quel dolore. Io credo al Boccaccio , il quale attesta che egli « Di questo li- bretto ^ composto nel ventesimo sesto anno, negli anni più ma- turi si vergognasse molto». *i Non già che si vergognasse di quella schietta eleganza e di quelle immagini leggiadre, ma del peso dato a cose, cui l'estasi dell'amore non iscusava. Altri cita in contrario la menzione che della T^ita nuova fatta è nel Con- vito *a: dove le cose in quel volumetto esposte conferma. Ma il Convito stesso fu scritto poco innanzi o poco dopo il qua- rantesim' anno; e poteva ben Dante nell'ultima età vergognarsi di certe sottigliezze peripatetiche ancor più che platoniche. E già r amore istesso era si alto in lui che maggiori cose chie- deva di quelle. «Apparve, die' egli, apparve a me una mirabil » visione, nella quale io vidi cose che mi fecero proporre di » non dir più di questa benedetta, insino a tanto eh' io non » potessi più degnamente trattare di lei; e di venire a ciò, stu- V dio quanto posso, siccom'ella sa veracemente.» Fin dal vige- simo sesto anno meditava egli dunque alcun grande monumento di poesia, e lo meditava in onore della sua donna. L'Arriva- bene trova il suggello d'amore nello stile, nell'armonia, nelle liete descrizioni delle varice vaste bellezze della natura *3; il Ginguéné lo riconosce nelle parole della innamorata Francesca da Rimini, parole la cui semplicità e verità e tenerezza attinse il Poeta non dai sacrarti dell' ingegno , ma dalle memorie del cuore. E il Salvini, accademico della Crusca quanto il Biscio- ni, e quanto il Biscioni forte in filologia: « Quando amoroso parli, egli è si vero II tuo parlar, che vera esser non puote Più verità *4 •••• Finalmente il Venturi, crede all'amor di Beatrice, e •i Vita P. 8a. 83. H Tratt. I. C. l. p. 6 "3 P. LXXXVil. *4 Capitolo A Redi. 441 la chiama civetlina, tutta smortie *i, e ride ì parossismi dell' amore di Dante e le sue languidezze, e cou semplicftà conchiude: « io di questi loro deliri! non me ne intendo. » Non gioie stolte fruttava a Dante la sua passione, ma lacrime. È sempre vene- rabile una creatura umana che piange, per qualunque cagione ella pianga: e tale era l'indole di quell'anima, tale la natui'a di quel secolo, che le gioje istesse prendevano qualità di do- lore. E intanto che Dante piangeva d'amore, l'Italia piangeva di rancore e di rabbia^ e l'anno appresso che V amor suo co- minciò, il 1274 fiij J^oii meno degli altri, anno di sventure all' Italia. Nel mese appunto di maggio quando lo spirito della vita prese a tremare nei polsi di Dante fanciullo, e un Dio più forte a signoreggiarlo, in quel mese la maledetta discordia signoreggiava una delle più fiorenti tra le città italiane, Bolo- gna 5 e i Guelfi Geremei s'azzuffavano co' Ghibellini Lamber- tazzif e più giorni durava la strage, più giorni l'incendio. Ac- corrono a soccorso de' Guelfi, Parma, Cremona, e Modena, e Reggio, e giungono sino al Reno; ma dalla nuova concordia della città fatto inutile il soccorso, ritornano. Breve e infida concordia *2: perchè nuova rabbia gii azzuffa *3 , e a .sostegno de' Geremei accorrono di nuovo da Parma, da Reggio, ila Fer- rai'a, da Modena, da Firenze: ondr; i Lambertazzi sono costretti a lasciare la patria in numero di quindicimila, e a portar l'ire e r onte alla vicina Faenza *4- Quivi correva poscia ad as.eal- tarli il popolo di Bologna, ma invano; bene scacciava da Imola i Ghibellini j e la muniva di guelfo presidio. Vicenda orribile di vittorie e sconfitte, dove la gloria del valore era infamata dall' inutilità delle stragi e dalla stoltezza dell' ire. In quel mese istesso che fu primo all' amore di Dante , in Modena la fazion de'Rangoni e de' Boschetti caccia i Gras- soni; e i fuorusciti assaltano la città, e rompou l' esercito dei vincitori *5. In quel mese, Astigiani, Pavesi, e Guglielmo di 'i Cou.ni. al XXX d.l Purg. *a Ann. Bon. T. iS. K. *3 €hr. l'arm. T. 9. Mcm. Pot. Re- T S. "4 Ghirardacci. "ò Auii. VcL, ?(lut. T. II. 442 Monferrato, il rammentato da Dante *i, guastano le torri rV Alessandria *2 , imnriemori della grande concordia che creò quella città, che tanta gloria fruttò all'Italia, e tanta vergo- gna allo straniero nemico. Tommaso March, di Saluzzo abban- dona r alleanza di Carlo. H Piemonte si sottrae quasi tutto al dominio di Carlo *35 e i Marchesi di Possano, spossessati dell' avito castello, vanno in Puglia a mendicar pane ed onta dal tristo Angioino. Il quale, tolto a' Genovesi il castello d'Aiaccio, ode da loro bruciati in Sicilia i suoi legni ; ode saccheggiata l'isola di Gozzo; li vede, gli alteri cittadini della feroce repub- blica, venir sotto Napoli a gridargli improperìi e a sommerger nel mare le regie bandiere. Vincitori per tutto , fuorché a Men- tono, dove infelicemente s' azzuffano col siniscalco del re *4' In quel mese istesso dell'amore di Dante, Gregorio X convo- cava splendido concilio a Lione, di cinquecento Vescovi e più che mille prelati *5 ; e Michele Paleologo ritornava per paura del crociati e di Carlo alla Chiesa latina. Rodolfo d'Austria prendeva anch'egli la croce; e in guiderdone il Pontefice a lui confermava i diritti sull'impero d'Italia, ad Alfonso negandoli , il re di Gastiglia. Ma il re di Castlglia mandava trecento dei suoi soldati a Pavia; intanto che Napoleone Tornano, precur- .sore di Lodovico il Moro, ojffriva all' Imperator d' Austria il dominio di Milano, e n'era eletto Vicario, e riceveva a tutela della città soldati tedeschi *6. Cosi tra un Re Spagnuolo e un Im- peratore Austriaco era disputato in quei tempi 11 diritto d' un regno, dove e Francia e Spagna doveano interi secoli risiedere. Nell'anno appunto di cui ragioniamo, Tommaso Conte d'Aqui- no *n, e Bonaventura di Bagnorea *8 , che soli valevano un grande concìlio , due glorie altissime della scienza italiana, in- '"I Purg. VII. *2 Chron. Asf. T. j ». 'S Ptol. Lue. St. Eccl. T. 23. C. 26. *4 Cafl'. ami. t;cn L. 9. *5 Rayn. Ann. Eccl. ■"6 Flamni. Man. C. 3io. "7 Ptol, Lue. St. Eccl. L. aa. T. 11 R. 1. *8 Bt'lland, ac. sanct. ad 14. 443 gegni non meu alti di Dante, altamente da Dante celebrati , morivano ; 1' uno cincjuantaquattro giorni innanzi , 1' altro set- tantacinque giorni dopo che egli apprendesse i primi tremiti e le prime lagrime dell' amore. Quanto d'intellettuale fosse nell'amore di Dante tutti i luoghi dove di lei parla, vel dicono: e se prova ne volete ben chiara, vedete là dov'egli narra la morte di lei seguita il dì nono d'ot- tobre, e a questo pi'oposito si mette a disputare del numero nove, numero a Beatrice amico, perchè i cieli son nove, e tutti nella sua generazione avevano di concordia operato ; per- chè tre via tre fa nove; e il tre non è altro che Padre, Fi- gliuolo, e Spirito Santo. « Beatrice dunque era un nove, cioè » un miracolo, la cui radice è solamente la mirabile Trinità ». In tali arzigogoli il cuore non ha, parmi, gran parte: e ben dice il P. stesso, che dalla morte a lui moveva talvolta 1' ispi- razion dell' amore *, e nello spirito dell' amata donna già morta e' non vedeva che un nobile intelletto. Queste cose giovava no- tare perchè nessuna letteratura, io credo, può mostrare un amor di sì nuova maniera , di tanto caldi sentimenti e di tanto astrusi concetti. E nessuna letteratura può mostrarne altro, dove a tanta se- renità d' imagini sia congiunta tanta mestizia, e tant' ombra di morte. L' amor di quest' uomo è simile a Cenobita penitente che si tien continovo dinanzi agli occhi la squallida vista d'un, teschio ignudo. Ogni pensiero alla vista di lei non si dilegua , ma muore ^ il viso tramortisce * i ,• Morta è la vista degli oc- chi di' hanno di lor morte voglia — E per la ebrietà del gran timore Le pietre par che gridin : muoia , muoia. Ma quello che meglio d' ogn' altra cosa fa riconoscere nell' amante il cantore della gente morta, e nelle significazioni del suo affetto un preludio dell'Inferno, è la fantasia che gli viene, quand'egli si crede morire, e imagiua morta la donna sua. La *i Son. VI, 444 qual fantasia racconta egli di nuovo in una canzone , Jovb la narrazione per la evidenza e l'affetto ond' è colorata , si fa più lirica d'ogni più lirico volo; genere di poesia nuovo, il quale giunge a conferma di una verità non indegna di essere medir- tata: come nelle grandi epoche di costituzione o di rinuovella- mento intellettuale e sociale, la lirica e la drammatica siano dalla poesia narrativa comprese e quasi assorbite; di die la Bibbia ed Omero, ed Eschilo stesso ne' cui drammi la narra- zione è gran parte, e i poemi indiani, e il gran poema tede- sco, e i frammenti d' Ossian, e la Divina Commedia, e le bal- late contenenti le tradizioni volgari, e i canti popolari della Grecia e quei della Servia, sono bellissima prova. Vedete come pieno di morte fosse 1' amore in quell' anima ; come dai fiori d'una vivida gioventù il pensier suo discendesse ai desolati silenzii del sepolcro , come dal sepolcro gli sorgesse più pura e più lieta che mai 1' iiuaginc d'una immarcessibile ed immortale bellezza. Forte, ben dice la Bibbia, come la morte è l'amore: e nessun uomo lo sentì più che Dante. Amore, morte, immortalità erano nella sua mente una ti'iade generatrice di se, creatrice di un nuovo universo. A questi tre nomi noi dobbiam le tre cantiche. Quando il pensier dell'amore è scompagnato da quel della morte, e quel della morte dal pensiero dell'immor- talità, e orribile si fa la morte , e via più abborrevole della m;orte diventa l'amore. Che malinconico, perchè male ricambiato, fosse nell'Alighieri l'affetto, io noi vorrei dire. Schiava nel trionfo d'amore pone il Petrarca Beatrice con Dante, e Selvaggia con Gino: di che si scandalizza il Gastelvetro , e il Tassoni con la solita sveltezza risponde: « Quanto al dire che Beatrice e Selvaggia non rico- » noscessero gli amanti e poeti loro, altro testimonio che quello » di loro stessi non ne abbiamo; tanto degno di fede, quanto » merita l'insaziabilità degli amanti, che sempre ingrate e cru- )) deli chiamano le donne loro. » Ma non è affatto vero, ben nota uno storico de' danteschi amori *i, che Dante, insazia- bile sempre, chiamasse Beatrice ingrata e crudele. E sebben *i Arriv. p. 196. 197. 445 dica QclJe «uè lime *i: non lei non state j che non v'è Amore, narra pure altrove e l' arridere delle labbra e 1' arridere degli occhi di lei , narra come Beatrice al vederlo si facesse d' una vista pietosa e d'un color pallido 5 e le fa dire a lei stessa , che Amore le lia fatto sentir de' suoi dardi. Né sì tenace sarebbe durato nel P. 1' affetto, se da qualche apparente lusinga al- meno e' non fosse stato allettato od illuso. Dante, sebbene da natura non fregiato di molto delicata bellezza , alla bellezz.a era non solamente amico , ma accetto, più che a poeta teologo non dovesse parere desiderabile. Nella V. Nuova vediamo una schiera di donne sospirar de' .suoi mali, una donna gentile piangere di compassione al suo letto, due donne chiedergli de' suoi versi ; vediam poscia a lui dall' amore non so s' io dica rasserenato o contristato l'esilio. Ma quanto a Beatrice, rade e mal certe, e dal pudor della donna e dalla timidezza sua stessa temprate, gli venivano quelle gioje 5 onde cresceva e intensità e purità al desiderio, che d' un velo quasi religioso vestito moveva , e quasi sull'ali della fede portato. Se a lui crediamo, questo culto poco rnen che religioso, a lei si teneva dovuto da quanti la conoscessero : e quando passava per via , le persone correvano per veder lei : e dicevano molti, poiché passata era: questa non è femmina, anzi uno delli bellissimi Angeli del Cielo. Se religioso era in sé, com' ogni amor vero, non poteva non essere dalle religiose idee consacrato nel giovane Alighieri l'a- more: ond'è che la morta donna egli colloca nel del dell'umiltà dou è Maria *2 5 e prega il Sire della cortesia gli piaccia che la sua anima se ne possa gire a vedere la gloria della sua donna *3. Religiosa è la più bella parte d' una bella canzone eh' egli indirizzava a lei morta , e alle donne gentili. Questa santa speranza nell'amor d' un'estinta , questa ferma fede della sublime corrispondenza del mondo visibile con 1' invisibile , e della terra col cielo, aggiunge all'amore e altezza e tenerezza nuova. •i L. II. Son. I. *a P. 80 V. N. "5 P. 93. 446 E da questa altezza e parsimouìa di concetti e di stile, io uon so se voi vogliate conchiudere meco, la lirica dantesca es- sere della petrarchesca e più virile e più schietta e più ispirata e più varia: non so se vorrete dar piena ragione al Tasso lad- dove dice: « io ho Dante e l'Ariosto nel numero di coloro che )j si lasciano cader le brache * i . » -E se il Tasso se le fosse lasciate talvolta al medesimo modo cadere, si sarebbe, cred'io, mostrato e meglio uomo, e meglio gentiluomo. Il Muratori pone le rime di Dante accanto alla Commedia, e non erra. Non tutte di bellezza son pari: havvene d' incorrette, havvene di spurie non poche^ ma quelle, dove si riconosce il cantor de' tre mondi, pajono degne di più attento studio ed amore, che finora non abbiano dai critici venerandi impetrato. A farne pregiar la bel- lezza, quel semplice quasi romanzo della Vita Nuova conferi- sce assai, perchè mostra l'occasione che ne dettò parecchie, e ne svolge il primo germe, e il concetto intimo ne rivela, e la ispirazione del poeta a filosofiche considerazioni assoggetta. Nella V. Nuova abbiamo varianti, nella Vita Nuova abbiamo fram- menti. Abbiam la canzone da lui cominciata, quando pareva che amore gli si facesse più lieto , e interrotta per morte dell' amata donna. Intuona egli un inno di gioja; ed ecco la morte a troncarglielo: tanto era fatale alla sua vita il dolore. L'anno in cui questa donna moriva era di grandi fatti ripieno e di grandi sventure, per le quali si venivano maturando i de- stini della sfortunata Italia e del suo sfortunato poeta. I popoli dall'un lato abusanti della libertà, mano mano condotti o dall' imprudenza propria o dagli altrui accorgimenti, a prescegliere volontari!, come efficace rimedio, la tirannide 5 i tiranni dall'al- tro , o impunemente audaci, o infruttuosamente puniti. Per- correrò brevemente e i colpevoli successi loro , e le colpevoli sventure de' popoli. Guglielmo Marchese di Monferrato, il rammentato da Dante *2, incorreva nel Novarese e in quel di Milano e in quel di Pia- cenza. Se non che in Alessandria, da pi-tcipilata sommossa di 'i Leu. a Luca Scalabiino. 'ì Purg. VIIL 447 cittadini sopraffatto , egli è preso , e chiuso ia gabbia di ferro . quivi freme per ben diciassette mesi, quivi lo coglie, preceduta certo da' rimorsi della vergogna, e forse dal pentimento de' com- messi delitti, la morte *i. Perchè la gabbia di ferro era nel medio evo la scure e lo scoglio di S. Elena preparato ai prin- cipi soggiogati. E i popoli d' allora, nella forza propria e nella costanza del proprio volere sicuri, temevano il dominio non il nome dell' uomo ; contenti di togliergli ogni strumento di nuo- cere. Barbara, chi lo nega? era quella gabbia di ferro: men bar- bara però dei moderni spedienti, e certo men vile. Intanto dun- que che Dante Alighieri piangeva sulla tomba della leggiadra donna fiorentina fremeva in gabbia il reo Guglielmo-, e giova collocarsi dinanzi alla mente siffatti contrasti, perchè in essi è il mistero e la poesia della vita. Il giovane figlio di Guglielmo fuggiva intanto in Provenza ad invocare il soccorso straniero ; antica, e sempre funesta spe- ranza degli italiani signori. Intanto i Beccheria s' impadroni- vano della pavese libertà, ed un Visconti si faceva per cinque anni capitano, cioè signor di Vercelli; e Obizzo da Este , signor di Modena e di Ferrara, dai discordanti cittadini di Reggio, in ciò solo concordi, era eletto signore *2: e signore perpetuò di Piacenza sorgeva fra i tumulti civici Alberto Scotto *3 5 e si- gnore di Pisa per anni tre il Conte Guido da Monlefeltro *4 , il dannato da Dante *5,' onde il Papa scomunica e gli eleggenti e l'eletto *6. E intanto che questo Nicolò quarto fulminava la città Toscana al dominio suo non soggetta per aver voluto ubbidire a questa volpe astutissima *y , egli il Papa ubbidiva ai Colonna, e i Colonna di molti favori privilegiava, e un di loro su trionfale cocchio condotto per le vie di Roma era onorato *i Ann. Mur. T. 16. "2 Mera. Pot. Reg. T. 8. *3 Chr. Plac. T. 16. *4 Hist. Pict. T. 24. *5 Inf. XXVII. *6 Rayn. i>nn. eccl. *7 l'ipino T. 9. eoi titolo imperiale di Cesare *i ; onde dai Romani, alla galira da gran tempo usi, e non ad altro che alla satira, fu dipinto il Papa rinchiuso in una colonna, con solo fuori la testa mitrata, e due colonne dinanzi. Un Colonna frattanto era Marchese di Ancona , un Colonna Conte della Romagna *2, e ambidue a lor posta le cose romagnuole volgevano, e s'immischiavano ne' ne- gozi di Cesena, di Rimini, d'Imola, di Forlì, mandavano un Malatesta a confino ; né la cosa aveva termine se i Ravennati , levati a rumore, non imprigionavano questo franco negoziatore di negozi non suoi *3. Malatesta tornava signore di Rimini ; i Manfredi non perdevano il dominio di Faenza se non per dar luogo a Mainardo ed al Polentano. Giacomo di Sicilia mandava indarno Giovanni da Precida al Papa per offrir le sue forze alla nuova crociata, perchè il papa obbediva al cenno straniero *4i invano Carlo Martello , il lodato da Dante *5 , figlio al re di Napoli e nipote del re d'Ungheria, la corona ungarica ambiva, ed era in Napoli coronato re di paesi, che dovevan toccare al figlio d'una Beatrice di Modena *6. Per raccogliere molte cose in una, i forti dalle reciproche ambizioni fiaccati, tramando rovina agli altri, la preparavano a sé ^ i piccoli tiranni della discordia di popoli e delle brighe de' principi approfittavano per farsi grandi. Le libertà frattanto d' Italia perivano. Invano Milanesi, Cremaschi, Bresciani, Cremonesi, Comaschi a danno del Monferrino invasore s' univano *7 ; poscia Asti- giani, Milanesi, Piacentini, Cremonesi, Bresciani e Genovesi; invano al soldo dei liberi popoli accorreva un Conte di Savoja , con cavalieri, con balestrieri, con fanti. Brevi erano le concordie, fugaci della concordia gli effetti, instancabili le ire, e i frutti dell'ira immortali. Piacenza già s'arma contro Pavia, Genova contro Pisa^ fra le mura di Rimini risse e sangue ; in Imola *i Clir. Parin. *'JL Ctir. For. T. aa. *3 Chr. Parili. T. 9. *l^ Bart. Ntocastro T. i5. *5 Par. Vili. *6 G. Vili. 70, 134. *7 Cbr. PiHm. 1". g. 449 gli Alido»! coi JNoniiii a fiera battaglia; e Bologna accorre per «iare vittoiia ai Nordili, e per adeguare a terra ogni bellico guarnimento della città. La pace gravida di nuove sventure, fe- conda di servitù nuove la guerra. La causa de' popoli incauti ogni giorno più in basso, ogni giorno più in alto la causa degli astuti oppressori. Tale era nel 1290 l'Italia. E già le sventure della patria a più forti pensieri cliiamavano e a più maschi atìetti r infelice Aligliieri. Tommaseo. Tre lettere inedite di Melchiorre Cesarotti, ad una del Federici a Giuseppe Grassi. Le lettere private di quei personaggi , che col loro ingegno e co' loro scritti ebbero non picciola influenza sulle vicende letterarie, ed anche civili dell' età iu cui vissero, contengono bene spesso notizie preziose, che invano si cercherebbero al- trove. In quelle lettere ch'eglino scrivevano come amici ad amici schiettamente parlanti , si veggono sovente espressi senza velo i loro più intimi pensieri, i loro giudizi, le loro opinioni; ed anche talvolta toccati alcuni fatti ed occulti , o poco noti 5 le quali cose tutte giovano grandemente a far conoscere e gli uo- mini, e r età. Quindi è, che saggiamente un illustre autore , de' cui scritti si fregieranno qualche volta le pagine di questo Giornale, consigliava un suo corrispondente di pubblicare quante lettere inedite di riputati personaggi gli capitavano alle mani. Poco tempo addietro uscivano alla luce in questo giornale tre lettere inedite del Baretti pubblicate dal eh. Prof. Cav. Pier Alessandro Paravia. La favorevole accoglienza che ebbero quelle tre lettere, ed alcune altre pure inedite di Ugo Foscolo a Giu- seppe Grassi date alla luce dal medesimo sig. Prof. Paravia j e da noi esaminate in un nostro articolo ci induce ora a pub- 450 Llìcare le quattro seguenti tolte dalla corrispondenza del no- stro illustre coneittadino Giuseppe Grassi , dalla quale verremo a quando a quando ricavandone qualche altre scritte da per- sonaggi chiari per fama , ed amici di lui. Tre delle seguenti lettere sono di Melchiorre Cesarotti , al cui nome non è bi- sogno aggiungere altra lode, una del Federici, il quale sebbene inferiore d'ingegno, e di fama a quel primo, è tale pur non- dimeno da onorarsene il Piemonte, a cui egli per nascita ap- partiene. G. Qentilissimo Signore Padova i5 dicembre 1797. Bench' io risponda un po' tardi a cagion delle mie occupa- zioni , ho però gradita moltissimo la vostra lettera , testimonio del vostro amore per la bella letteratura , e della vostra cordial prevenzione verso di me. Mi compiaccio che siate rimasto col- pito dalle mie osservazioni sopra Quinto Smirneo. Se tutti gli autori classici fossersi pubblicati con queste analisi , i giovani avrebbero trovato di che alimentare il gusto, e formar il crite- rio. Quanto a ciò che mi domandate non saprei come compia- cervi in tanta distanza di luogo e in tanto assedio di faccende che mi sta intorno. S'io avessi sotto gli occhi qualche saggio del vostro lavoro, potrei dirvene qualche cosa di preciso, e ri- levare insieme i gradi della vostra facoltà poetica , che per una tal impresa deve sollevarsi di molto sopra la sfera comune. Senza una tal sicurezza o almeno lusinga non saprei come con- sigliarvi ad un assunto che potrebbe logorar senza frutto le vo- stre forze. Gradite intanto la mia schiettezza come una pi'ova dell'interesse ch'io prendo per i vostri progressi. La vostra pas- sione per le lettere, e la vostra parzialità per me impegnano il mio zelo ad assistervi, ma conviene ch'io vi conosca un poco meglio per essere in caso di darvi le direzioni opportune. In- tanto accogliete i miei cordiali ringraziamenti e credetemi con afTelluoso sentimento Vostro Jffez.""' Servidore Melchior Cesarotti. 451 \ Mio Signore Gentilissimo e Pregiatisssi\ Padova u5 .^^ ,g^j. Con somma compiacenza ho ricevuto V estratto„j .rj^vaale di Toriao sulla mia Pronea. La lode ragionata, gen^^j ^^ spon- tanea d'un estrattista letterato, qualunque ei si fossc^^j^ polca riuscirmi che piacevole ; ma ciò che in questo estrat^^j^j colpì più sensibilmente si fu l'ultimo periodo, e la sottoscr^j^g g^je lo corona. Il di lei nome balzato agli occhi inlp^ov\^^Jg^^g mi commosse colla più dolce sorpresa, sensibile com' sono ben più ai piaceri del cuore che a quelli dell' amor Pg^io mi sentii caramente commosso allo scorgere che, malgrv, ]^^ distanze dei tempi e dei luoghi , e alla varietà delle vice;^^, ella conserva tuttora viva e fresca quella parzialità e amor^, lezza che ha mosti-ato per me sin dai primi anni della sua v.^ letteraria, e che coglie con espansione di animo 1' occasione e farlo conoscere solennemente agli altri ed a me. Si accerti che questo pegno del suo affetto mi resterà stabilmente impresso in quella parte della memoria che comunica direttamente col cuore. Ignaro di ciò che la risguarda, veggo però senza equivoco eh' ella vive onorevolmente alle lettere, e conferma le speranze eh' io aveva già concepite de' suoi talenti, né so dubitare che ella non goda d' una situazione e fortuna corrispondente alle sue qualità di spirito e di carattere. Se i signori Raby e Merlo sono a Torino e si ricordano an- cora di me, faccia loro i miei complimenti. Cosi potess' io una volta aver il bene di veder lei , com' ebbi già la buona sorte di veder loro. Mi conservi almeno il suo affetto, anzi lo for- tichi colla certezza della mia coi'diale corrispondenza, e di quel vivo sentimento con cui godo di protestarmele JffezJ^" ObbL'°° Sen'idore ed amico Melchior Cesarotti. 452 utilissimo Signore Padova 12 gennajo 1798. Supnon<^^^ avrete ricevuta la mia risposta benché dalla vostra dei'' dello scorso noa lo rilevi abbastanza. L'arditezza della vost^^^P"^^^^ ' ^ ^ sentimenti che spiegate francamente nel vostr'^S^^^ ^^^^ mostrano che aspirate al grande, ma sof- frite eh' ^^ ricordi 1' avviso d' Orazio, Sumite materiam vestris qui scribitis aequam Viribus et versate din quid ferre recuseut, Quid yaleant humeri. jj,,oema epico è forse lo sforzo il più grande dello spiri- ^^y . non vorrei credere che voleste avventurarvi a tanto senza jjyg.iato a voi stesso più d'un saggio delle vostre forze in sog- crgj di minor conseguenza. Se questo fosse il primo slancio (jfj vostre penne confesso che temerei per voi il destino d'Icaro. (munque sia, eccovi la soluzione ai vostri quesiti. Omero non rappresenta mai Achille come innamorato di Bri- ,eide. Ella non è uè sua moglie, né sua amante , ma una schiava favorita. Achille è offeso contro Agamennone perchè gli rapì una donna eh' er,i sua conquista e suo premio. Egli può essersi innamorato di Polissena veggendola sulle mura di Troia nell' atto che strascinava il corpo di Ettore. Questo momento darebbe il contrasto il più nuovo e il più tea- trale che fosse mai imraagiuatp da verun poeta , ma inorridisco pensando alla difficoltà di maneggiar questa situazione. Per le due orazioni niente repugna di sommariare o imitare anello d'Ovidio, levando, aggiungendo, cambiando tutto ciò che vi pare. Così Piacine nell' Ifigenia prese da Omero e quasi tradusse 1' altercazione d' Achille e d' Agamennone. Questo è ciò che posso dirvi per ora. \eduto il vostro scenario, e il saggio della vostra verseggiatura potrò consigliarvi meglio: ma vi ripeto che V impresa è pericolosa e da pensarci molto prima d' azzardarvisi. Sono intairto cordialmente Fostro ^Jer..""* Senidore Melchior Cesarotti. 453 Cittadino Illustre Padova 16 geunajo iSoa. Forse a quest' ora voi avrete inteso, o signore, dal librajo Morano eh' io stampo le mie opere edite e inedite, non tanto per proccaciarmi qualche utilità, quanto per riparare alla mìa riputazione, poiché mi duole ch'esse (quantunque Lene accolte) corrano per l' Italia e per V estere nazioni così sfregiate, e tra- dotte da pessimi originali. Siccome io veggo a chiari segni che voi mi amate per gentilezza e virtù vostra, cosi io vi racco- mando me stesso e la mia edizione , affinchè ne promoviate costi r esilo e la buon' accoglienza. Un mese fa mi giunse alle mani la figlia del Jabbro da voi pubblicata. I vostri elogi sono lusinghieri e mi consolano, ma temo di non averli meritati. Troverete nel mio primo Tomo la medesima Commedia stampata diversamente, e veggendo da quale luogo ella parte, ne capirete la ragione senza eh' io ve la spieghi. Vissuto sì lungamente in terra straniera rivedrei (Dio sa con qual piacere) la mia patria, se avessi speranza di poter colle mie fatiche farci sussistere la mia famiglia, o impiegarci dei due figli che ho , un solo , della di cui abilità posso fidarmi. ]Ma io formo un castello in aria, e sono costretto a con- tentarmi del mio desiderio. Ciò di cui son lieto e glorioso, è l'essere amato da voi. Per lo che ponete me nel numero di quelli che più vi riamano e vi stimano, e credete alla mia gratitudine. Vivete sano e fortunato. Di voi , o Cittadino Illustre f/m."" Z'ef^of.""' Servidore ed amico Camillo Federici. 454 ArtNunzj di Bibliografia LIBRI ITALIANI. Opere di Giuseppe Parini. = Monza , tipografia Corbetta, i836. In-8.° gr.j a due colonne, di pag. xxiv-260. Con ritratto del Patini 6. — Si seguH'ediz. procurata dal Reina (Milano, i8oi-i8o4), escludendone però alcune composizioni. Precedono le notizie di Camillo Ugoni Della vita e delle opere di G. Parini. // rinnovamento della Filosofia in Italia _, proposto dal C. T. Mamiani, ed esaminato dall' Ah. D. Antonio Rosmini. Un grande volume in 8." diviso in tre libri, nei quali, co- gliendo l'occasione di rispondere alle obbiezioni, che il C. Ma- miani fece al sistema filosofico dell'Autore, si svolge ampia- mente questo sistema in varie sue applicazioni , lo si fortifica di nuovi argomenti , cercasi di renderlo vieppiù popolare , e si gittano i fondamenti di una storia delle vicende della filosofia in Italia, sottoponendo ad un esame critico le opere dei prin- cipali filosofi , cbe fiorirono in questa nazione. È uscito il i.° fascicolo di 1^0 pag. — Prezzo d'assoc* a 54- STAMPERIA GHIRINGHELLO E OOMP. con permissione. 4^5 oCIENZE MORAH — Contes aux jeunes asvonomes par Mademoiselle Ulliac Tréniadeure. Contes aux jeunes ardstes par la iiuine. (Paris i836 ). La letteratura, che seguita lo stato molale della società, e che ne è come il termometro, ha scorto l'additato di lei biso- gno d' occuparsi d' educazione , ed è appunto per soddisfarvi che vengono ogni di alla luce libri ad essa appartenenti, sia che trattino dei vari metodi di fisica, morale, intellettuale educazio- ne, vale a dire, a guisa di scuola normale, ammaestrino l'edu- catore, sia che abbiano per iscopo d'ammaestrare l'educando nelle mani del quale voglionsi porre. Lungo sarebbe il novero di tali opere , anche attenendosi a quelle della seconda specie. Osserveremo soltanto che fra esse tengono un distinto posto quei racconti o quelle novelle che si propongono d'ammaestrare di- lettando. Il diletto consiste nel commuovere le varie passioni, nell'eccitare la curiosità e nel soddisfarla a vicenda; l'ammae- stramento nei sani precetti che al racconto si frappongono, e nella morale sentenza che, quasi corollario , dal lacconto si de- duce. Le novelle del Soave furono per lungo tempo presso che il solo libro di tal genere che alla gioventù si convenisse. Ma allargatosi ora quell'intellettuale bisogno si moltiplicano i mezzi di soddisfarvi, giusta le leggi dell'economia politica desunte dall'attenta osservazione de' fenomeni, le quali regolano la pro- duzione scientifica siccome ogni altra. Né solamente si moltiplicarono i libri di morale e scientifica istruzione, ma si adattarono ancora alle varie classi de' lettori cui vengono destinati ; quasi nella stessa guisa ciic col crescere della pubblica agiatezza non solo si moltipÌie:iiio i tessuti se- rici, ma se ne aumentano ancora le qualità a secoiida dei bi- sogni dei consumatori. Ora mercè gli scritti de' filosofi del de- cimo ottavo secolo, e poi ricomposta in Europa la pace dopo 28 456 li caduta di Napoleone, mercè i più rapidi progicssl della ci- viltà, il cui principale istituto è di abbattere i pregiudizi , andò iippoco appoco operandosi ropioionc essere unica nobile occu- pazione quella dell' armi, e prevalse per lo contrario appo le più incivilite nazioni la retta sentenza che, senza nulla detrarre all' importanza ed alla nobiltà della professione di coloro che re- putano gloria il Versare per la patria il proprio sangue , voglionsi pure tributare elogi agli integri magistrati, ai diligenti cultori di qualunque delle parti dell' umano sapere, agli industriosi manifatturieri, ai pacifici agronomi 5 in una parola prevalse, ed ogni dì maggiormente prevale , se mal non mi appongo , l'opi- nione essere stimabile ognuno nello stato suo, quando egli non si allontana dai dettami deironesto, e procura di rendersi utile in quel miglior modo che sa e può, e valendosi di quei mezzi «he la condizione sua e le circostanze gli vengono sommini- s fraudo. A confermare e spargere questa verità , ad ispirare 1' amore delle utili occupazioni sono diretti i racconti di Madamigella Trémadeure. Per la santità dello scopo non meno che per la bontà dell'esecuzione debbonle esser grati i genitori, che hanno un libro di più, e libro eccellente da porre fra le mani de' loro fanciulli; ed ella avrà ben meritato dell'attuale e della futura gioventù, che in leggendo questi suoi racconti impiegherà gra- devolmente ed utilmente il tempo. Il nome dell' autrice vuol essere posto a lato di quelli del Soave, del Larabruschini, del Berquin, del Jussieu, delle signore Guizot, Remusat, Neker , Edgeworth, Bianca , Milesi-Mojon. Questi nomi rammentano ad ognuno i più gradevoli insegnamenti abbelliti da tutto che r osservazione, la sensibilità, lo spirito possono aggiunger loro (V incantesimo. Lode pertanto a chi crede doversi appigliare al più efficace modo di migliorare la specie umana, istituendo la gioventù. Sarchile a desiderarsi ohe come le opere del Berquin e della Edgeworth , così anche quelle della Trémadeure fossero volte in italiano ad uso di quei giovanetti che ancora non appara- rono la ìingu.i francese, anzi del popolo intiero e della classe agricola principalmente che trarrebbe maggior profilto se nelle 457 lunghe sere invernali andasse leggendo nelle stalle i racconli ai giovani agronomi, che non dal Caloandro fedele, dalla lata Morgana, dalle avventure di Bertoldo e Bertoldino e da altre scempiaggini che tuttora ritrovi per le mani de' villici. Frattanto che o dalla lodata Mojon, o da Giuseppe Sacchi, volgarizzatore di alcune novelle che presentò a guisa di buon capo d' anno ai fanciulli , o da qualunque altro che aspiri ad essere utile alla gioventù italiana venga compito questo nostro desiderio , noi daremo il sunto od indicheremo lo scopo di ciascheduno dei Racconti ai giovani agronomi. Gustavo od il piccolo giardiniere fiorista. — Il Capitano De- lille, francese, prigioniere di guerra a Wolgast nella Pomera- nia citeriore, vi prende cura del giovane Gustavo 6glio del Go- vernatore della fortezza e ne accudisce l'educazione principal- mente dal lato intellettuale e morale, ispirandogli l' amore dei pacifici studj e delle campestri occupazioni. Presa d' assalto dai Francesi la fortezza di Wolgast, ne è liberato Delille e morto il padre di Gustavo. Questi, non avendo parenti che vogliano assumerne cura , segue in Francia il suo padre adottivo e coi pochi avanzi della sua fortuna, salvati mercè lo zelo del Ca- pitano, compera presso Parigi una casetta ed un giardino da fiori. Colà stabiliti entrambi ed alternando gli studj della bo- tanica colla pratica del giardinaggio, in breve tempo prospera il loro stabilimento, e non valgono ad allontanare l'assennato giovane, da quella vita beata, tranquilla ed occupata uè i pia- ceri della vicina Parigi, né le istanze di un suo zio, di na- zione Polacco, che con ogni sorta di lusinghe e con quella principalmente della sua ricca eredità lo vorrebbe indurre ad abbracciare la professione dell'armi, ch'egli reputa sola dice- vole al nobile suo nipote. Anzi tanta forza su qucìi'ollimo zio esercitano i dolci ed onesti modi del giovane , che egli è con- vertito ad abbracciare lo stesso genere di vita e sono più pervenire, o sono irrisi e disprezzati; e con tutte que- » ste loro malavvedute sollecitudini mandano i figliuoli alla ro- )) vina del costume e delle sostanze. » Il padre di Adolfo era siate vittima di tale malinteso amor paterno e ne aveva prò- 459 vale le funeste conseguenze, e noti volendo che suo figlio eredasse la propria infelicità, né conoscendosi atto a convenevoknente edu- carlo , volle fosse allevalo sin dai più teneri anni in una fami- glia di onesti contadini, alla quale egli fece dono dei poclii avanzi della sua fortuna. Quivi il giovinetto Adolfo , credendosi nno della famiglia, maneggiando per trastullo sin dall' infanzia l'ascia, la marra, il badile, assistendo e da prima dilettandosi e poi affaticandosi nelle varie faccende del governo dei filugelli , della raccolta del fieno, delle seminagioni, delle messi , e fatto grandicello alternando , per quanto l'andavano comportando le crescenti sue forze, le dure fatiche campestri con pochi studj , ma convenevoli alla sua condizione, continuamente occupato, crebbe alla robustezza della salute, all'innocenza del costume, alla vera felicità. A questo tranquillo asilo rifuggissi finalmente il di lui padre ed ivi solo, beandosi della felicità del suo diletto figliuolo, trovò quella pace e quella contentezza di che avevalo defraudato una storta educazione. Terminerò, quasi a guisa di moralità di questo racconto, colle seguenti gravissime parole del lodato Fontana.» Ciascuno die non sia veramente signore, ove » prima si avvegga che il figli uol suo non ha singolare prestanza » d'ingegno e non ba volontà ed amore agli studj della sapienza, » noi sospinga fuor della propria condizione; porgagli quell'eru- » dimento che più si conviene al proprio stato , ma noi rimova » del tutto dall'officina, o dal banco, o dal solco. Cresca il )) giovinetto alle domestiche abitudini , alle domestiche occupa- » zioni, alle domestiche fatiche; si ausi alla vita raccolta e ca- » salinga ; non dissipi 1' animo e non lo perda a vagheggiar » condizioni che non sono punto per lui; rimangasi al suo » stato, e sia in esso amorevole e diligente, perchè in esso è » posta la sua vocazione. Le pecore. — In questo piccolo racconto si contengono alcune interessanti quantunque elementari notizie sulla storia naturale delle pecore , e principalmente dei merini. Eugenio od il piccolo vignajuolo. — Il signor di Moutrol ed il signor di Villeblanche erano amici e compagni di collegio , ma, separatisi quindi, seguitarono diversa carriera; il primo credette dover seguire la famiglia del suo re emigrando , il se- 460 condo rimase , noji senza pericolo , in patria : laitrauìbi coscien- ziosamente opcrai-ono; i due compagni di collegio non ritrova- rónsi poscia nemmeno dopo il ritorno del signor di Montrol nel paese natio. Il signor di Villeblanche datosi all'agricoltura ed air educazione della sua famigliuola , procurava di fare nel suo villaggio il maggior bene che poteva. Iddio benedisse alle di lui virtù, per guisa che divenne tanto ricco quanto era amato e riverito da tutti. La famiglia del signor di Montrol al con- trario era rovinata di sostanze, né altro mezzo rimaneva per campar la vita al vecchio zio ed al giovanissimo nipote Euge- nio, unici superstiti, che il piccolo profitto del lavoro di questo ultimo. Il fanciullo Eugenio , avviatosi dunque in cerca di la- voro, capita nel villaggio dove abita il signor di Villeblanche al quale egli offre i suoi servizi per l'imminente vendemmia : accettato vi si adopra il giovinetto il meglio che sa, e col buon volere supplisce all'età; è pertanto accarezzato, amato, trat- tato come compagno e fratello dai figli del sig. di Villeblanche; anzi avendo questi scoperto essere Eugenio nipote del suo vec- chio amico, vola a trovarlo, e con soccorsi dati nel modo il più delicato lo trae dalla miseria, e lo conduce alla propria casa. Quivi il zio e nipote Montrol sono trattati come se fossero della famiglia , né ha differenza tra 1' educazione che riceve Eugenio ed i figli del signor Villeblanche: quest' educazione consiste nell' alternare gli studj dell' agricoltura colla pratica di essa, nell' ispirare 1' amore della virtù e della vita campestre, e frutto di tale educazione si fu che Eugenio colla sua diligenza, colla sua perseveranza nel lavoro potè ristabilire il male andato suo pa- trimonio ed acquistare uno stato di mediocre agiatezza , nel quale visse lieto della compagnia dell' attempato zio, di una virtuosa consorte e dell' amicizia della famiglia Villeblanche , dalla quale egli riconosceva ogni sua felicità. Le UV& — Questo racconto consta principalmente di una in- teressante conversazione tra un precettore e due suoi allievi sulle proprietà delle varie uve e sui diversi metodi di vinificazione. La pregevole autrice dei racconti ai giovani agronomi altri pure ne pubblicava con non men lodevole intento diretti ad 461 iuiotiJei'e l'amore della più pura virtù ne' giovani artisti. Lei benefattrice delle crescenti generazioni io non d-wLitcrei ai chiamare, perchè al vero mivglioramento dell' individuo somale adopera il non comune suo ingegno rendendo que' modesti suoi quadri valevoli ad allettare i giovanetti meno rozzi nelle occupazioni de' campi e delle arti, e nell'esercizio de' più im- portanti doveri. In una nazione, quale si è la nostra, che può annoverarsi fra le agricole , pei'chè la popolazione ed i capitali impiegati nell'agricoltura sono maggiori clic quelli vòlti all'in- dustria manifatturiera o commerciale *i, ragion voleva che dai racconti agli agronomi si esordisse. Ma non sembrano me- no degni d'essere conosciuti anche i secondi. Ispirare l'amore del lavoro , dimostrare che il vero onore e la vera felicità non consistono nel possedimento di molte ric- chezze , ma sì dapprima nelF essere puro d' animo innanzi a Dio ed al prossimo, e poi nei dolci e virtuosi sentimenti del cuore, tali sono le mire sublimi che si prefisse l'autrice. Ma uno scopo ch'ella careggia, un precetto ch'ella inculca inces- santemente si è l'utilità, la necessità del lavoro. E di'fatti cosa sarebbe il mondo senza il lavoro umano ? Sarebbe spopolato , insalubre, deserto. Mercè il lavoro solamente può l'uomo prov- vedere a' suoi primi fisici bisogni, come a quelli della più raf- finata civilizzazione. Le case che abitiamo , le città abbellite di magnifici monirmcnti , i canali sui quali trasportansi le merci , sui quali volano i battelli a vapore , o quei ben più importanti per nuratero co' quali irrighiamo le nosti'e campa- gne , le strade d'ogni maniera che facilitano il commercio, il mare soggetto, di modo che d'ostacolo ch'era divenne mezzo di comunicazione, i fiumi arginati, le paludi prosciugate , la superficie quasi iutiera della terra dissodata e coltivata : che più? L'immenso tesoro dell'umano sapere, delie arti leggiadre, delle allettatrici lettere , tutto tutto è fruito della fatica , e de' sudori de' nostri maggiori. E chi è che insensibile a questo (i) Dal Saggio sopra la distribuzione della vicchezzn dcW inglesi' Jores si vede che sopra cento individui impiegati nella coltivazione della terra, esistono: In Italia 3i individui estranei a tale cokiva/ione In Francia 5o id. In Inghilterra 20u id. 462 maravìglioso spettacolo , nicghi accrescere questo tomune pa- trlmoiiio , di dove risulta l'umana civiltà, col tributo del suo oLolo o del suo talento ? Mille talenti e mille vi apportarono i sommi ingegni di tutte le età , di tutte le nazioni 5 né già, come potrebbe credersi , col solo fervore del loro genio , ma non perdonando a veglie e faticbe per irradiar temperata sul mondo quella luce di cui splendono ancora ; aggiunsero tesori col lavoro al sapere Cicerone, Virgilio, Tacito, Dante, Tasso, Galileo , Vico , Beccaria , Alfieri e tanti altri cbe così effica- cemente e per si varie guise contribuirono ad ammansare dap- prima , quindi a migliorare , coneggere, istrurre , felicitare in ogni maniera la specie umana ; un obolo si lusingano appor- tarci i compilatori di queste sfuggevoli pagine; ma il medesimo scopo ne accomuna. Ben provvide pertanto natura che l'uomo nell'adempimento de' suoi doveri, in una vita attiva, operosa ed utile, ritrovi una ineffabile soddisfazione, ed al contrario egli sia punito col flagello della noja in una vita scioperata e disutile. Eppure malgrado questa legge santissima , indeclina- bile , perpetua, la quale comanda che tutti i figli di un me- desimo padre pongano vicendevolmente 1' opera loro a giova- mento della comune prosperità , dal qual concorso risultar debbe una maravigliosa armoni» , ella è troppo generale l'opi- nione che considera il lavoro come una condizione di necessità per coloro che senza di esso non possono campar la vita e di elezione per gli altri. L'obbligo del lavoro è universale, perchè debbe ognuno affaticarsi a più potere onde migliorar sé stesso e giovare a' suoi fratelli. E colui cui le circostanze non vinco- lano ad una stabile occupazione, ad una operosa consuetudine, non debbe pei'ciò comportare l'infamia di essere collocato nella classe dei frames consumere nati. Cerchi egli occupazioni ed intorno a sé troveranno di molle, di utili , di consentanee al- l'indole sua. La volontà e non i mezzi mancano per giovare altrui 5 vi si ponga adunque ognuno con fermo volere^ non si lasci sgomentare dagli ostacoli , ma vincali colla perseveranza ; faccia meta al suo operare l'utilità stessa che ne debbe risul- tare , e non la gratitudine de' beneficati. Per me io sono per- suaso che siccome infiniti e moltiplici sono i bisogni degli uo_ 465 mini , COSI non possono mancare i lavori a chicchessia. Lungo troppo sarebbe il particola reggia re questa materia ; d' altronde ognuno debbo prender consiglio dalle circostanze in che si trova : mi limiterò pertanto ad alcune generali indicazioni. Co- loro che non sono tenuti ad una stabile e continua occupa- zione hanno il debito di porre negli studi tutta quella solle- citudine che altri pongono negli esercizi della mercatanzia , della agricoltura , delle arti , dei mestieri , delle varie profes- sioni : solamente essi debbono godere di maggior libertà nella scelta di quella disciplina verso la quale precipuamente essi hanno da dirigere i loro studi. Ma fatta quella scelta che più loro piacerà , e che sarà più conveniente al loro ingegno, essi debbono pigliarsi quella lor scienza prediletta , porsi tutti in essa , e seguitar innanzi a professarla per elezione. Un' altra sorgente di utili occupazioni sarebbe l'esercizio d'una qualche arte meccanica o chimica 5 e qui ci duole di non vedere ge- neralmente seguito , siccome varii altri precetti di Rousseau j così ancora quello con cui vorrebbe che ad ogni fanciullo , qualunque siasi la sua condizione, venisse insegnata un' arte manuale. Questa somministrerebbegli opportunità sia d'impie- gare quel tempo che tanti altri profondono in ozj , od in vizj , sia di giovare altrui , epperò di nobilitare se stesso colla no- biltà vera degli uomini, la quale non in altro consiste se non nell'utilità che al pubblico risulta dalle opere loro. Ma internandoci nel merito letterario dei racconti di mada- migella Ulliac Trémadeure, diremo che da essi appare quanto bene ella conosca il cuore umano di cui vengono con tutta ve- rità svolti gli affetti. Queste scene , quantunque siano di quel semplicissimo intreccio che ognuno può conoscere dall' argo- mento che ne esponiamo , pure tali sono la precision del di- segno , la vivacità dei colori, la ingenuità dei sentimenti, che la lettui'a ne riesce oltremodo cara ed interessante , forte e profonda l'impressione. Essendo però debito nostro il far conoscere nel miglior modo che per noi si possa questi racconti, di una cosa vogliamo av- vertiti i nostri leggitori, affinchè essi non cadano per avven- tura in quell'abbaglio, in che alla sola lettura dei titoli ca- 464 demmo. Questi racconti non sono punto destinati ad essere prin- cipalmente posti nelle mani del popolo iutiero, voglio dire di (juelle due vastissime , così utili ed interessanti classi della so- cietà che campano la vita col sudor della fronte , sia lavorando ne' campi , sia esercitando alcune delle meccaniche professioni , e quantunque ad esse come a qualunque altra persona possa riuscirne profittevole la lettura , è chiaro che l'autrice ebbe sol- tanto di mira 1' istruzione de' giovani di quella condizione che suolsi civile appellare. Gli eroi di questi racconti apparten- gono, per così dire , all' aristocrazia dell' industria , e come nel primo volume sono agronomi proprietari che governano e di- rigono , anziché contadini che eseguiscano le varie operazioni dell'agricoltura, così nell'altro sono artisti, cioè incisori, scul- tori , pittori , musici , e non artieri come falegnami , fabbri , muratori , calzolai ecc. Le quali cose non diciamo a cagione di critica, che l'autrice non erasi proposti tali lettori , ma sì per indicare una lacuna che resta ancora a riempire. L'istruzione, il miglioramento delle classi inferiori è soggetto il più bello che dar si possa ; è il più nobile ministero delle lettere. Que- sto vasto campo rimane pressoché intentato 5 ad esso debbono esser rivolte le mire de' filantropi scrittori. Ecco gli argomenti de' racconti ai giovani artisti. Leone od il giovane incisore. — Leone era rimasto in tenera età senza padre e senza fortuna 5 ma mercè le amorevoli cure di sua madre egli apprese l'arte dell'incidere e con essa acqui- stò uno stato d' agiatezza , nel quale visse felice in compagnia dell' ottima sua genitrice che sottrasse dalla convivenza di due congiunti che le amareggiavano con mali trattamenti il pane che somministravanle. Anche la madre di Leone , per occupare utilmente il tempo ed accrescere co' suoi profitti lo scarso red- dito comune , erasi data all'arte dell'incisione, colla quale essa alternava le cure domestiche. In questo racconto campeggia , come in un quadro, la felicità di questi due interessanti indivi- dui che ogni loro contentezza ripongono nel seguire i dettami dell'onesto e de' più generosi sentimenti, nell'amore vicende- vole, e, quando Leone ebbe moglie e figli, in tutti i più soavi sentimenti di famiglia che soli all'uomo sensibile rendono cara 465 la vita. In uno de' lati poi, quasi per far magi^iornieu te spic- care col confronto la parte principale del quadro , vedi 1' infe- licità che regna nella famiglia de' suddetti due parenti di Leo- ne , appunto per 1' assenza di ogni domestico affetto e di sta- bile occupazione. frateria o la giovane pittrice — Simile all' antecedente è 1' argomento di questo racconto : colà un figlio orfano di padre sostenta col suo lavoro se e sua madre; qui Valeria oi'fana di ma- dre sostenta sé ed il p'adre suo che nulla aveva tralasciato per procurare alla sua figlia un'educazione colla quale ella potesse provvedere a sé, e vi riesci, che Valeria divenne abile pittrice ed acquistò una certa celebrità. Vita felice e tranquilla traggono il padre e la figlia: né anche qui manca il confronto dell'infe- licità in cui é immersa una cugina di Valeria per nome Eloisa; i ricchi parenti, soverchiamente indulgenti , negligentaronne la morale ed industriale educazione, sicché Eloisa è obbligata rice- vere dalla virtuosa Valeria quei soccorsi che in altri tempi essa ed i suoi parenti avevano a lei negati. Ma se è simile la tessitura de' due racconti, vari ne sono i dettagli, gli episodi, i precetti, che non può essere «iel nostro istituto di riferire. Diremo solo che nell'ultimo é svolta la mas- sima essere da preferirsi un' educazione severa anzi che no , purché non mai disgiunta da vera amorevolezza , a quella edu- cazione frivola e sdolcinata di cui rendonsi colpevoli tanti ge- nitori che con cieca compiacenza si fanno quasi servi ai ca- pricci dei loro tirannelli ragazzi. Prospero o il giovane scultore. — Ancor più semplice degli altri è l'intreccio di questo racconto. Ma ciò malgrado non havvi lettore il quale non ponga affetto nell'orfano e povero pastore che ne é il principal personaggio , il quale malgrado le diffi- coltà che gli presenta la miseria , perviene colla perseveranza ad imparare, esercitare la scultura e rendervisi valente, e fa poscia un ottimo uso delle acquistate ricchezze. Einmelina o la giovane musica. — A chi dall' infanzia ebbe a lottar coli' avversa fortuna e fu allevato alla dura ma profit- tevole scuola della necessità , od a chi da saggi ed amorevoli parenti fu cresciuto alla fatica ed al lavoro, e fu temperalo 466 l'animo a resistere alle umane vicende, riuscir debbe meno pe- noso il cammin della vita , quantunque seminato di triboli 5 laddove veggiamo per lo più che coloro che hanno propizia la sorte ne' primi anni , o cui malavveduti genitori assecondarono i capricci , e ben lungi dal reprimere , fomentarono anzi le na- scenti passioncelle , se addiviene poi che abbiano ad esperimen- tare contraria la sorte, si scoraggiano, riempiono il mondo di inutili querimonie, sono di peso a se stessi ed agli altri. Così non è capitato alla giovane Emmelina, figlia della signora Adelmond. Questa essendo rimasta vedova, datasi al lusso, ai piaceri e ad ogni dispendioso passatempo, profuse in pochi anni la maggior parte del suo ricco patrimonio : una lite intrapresa per pun- tiglio, continuata per impegno finì di rovinarla. Madre e figlia dieronsi in preda al più vivo cordoglio : ma sovr' esse vegliava un dabbea uomo, già amico del padre d'Emmelina, i cui av- vertimenti erano stati nella prosperità non che messi in non cale , derisi. Per consiglio di costui che conobbe essere Emme- lina dotata di una forza d' animo che la guasta educazione non aveva intieramente distrutta , ella diessi a studiare con maggior impegno la musica che prima coltivava per solo divertimento, e vi divenne così valente che in pochi anni potè coli' esercizio di arte sì bella vivere agiatamente colla madre sua. Crudeli ri- morsi rodevano dapprima il cuore della sgraziata genitrice, sé incolpando unica cagione della rovina del loro patrimonio : ma tanto fece la virtuosa fanciulla che pervenne a riconciliarla con se stessa ; ed infine entrambe in quella vita ritirata , occupata ed abbellita dal reciproco amore, trovarono la felicità che non avevano conosciuta nella loro prosperità. Questo racconto ci mostra quanto sia utile 1' insegnamento di una professione od arte anche a chi nasce fra gli agi , e quanto sia lodevole cosa il ricorrere a lei come a mezzo di sussistenza, quando volge sfavorevole la sorte: e, tacendo di re fatti maestri di scuola, e di tanti altri esempi che sommi- nistrano le storie , ci piace di ricordare al mondo musicale della nostra Torino quell' ottimo uomo , il quale alla caduta del regno d' Italia , spogliato dall' altro straniero della carica che copriva nell' amministrazione di quel regno , fece fonte di 467 sua indipendeuza uà' arte che dapprima non coltivava che per aggradevole passatempo. Possano queste poche linee" giungere a lui che all' esercizio della nobile professione frammette la col- tura delle lettere , e possa egli riconoscere in chi le scrive un sincero ammiratore delle virtù onde 1' animo suo è sì abbon- devolmente fornito ! J. Pensieri di G. P. Richter. L'avvenire è degno oggigiorno della più matura considera- zione. Il globo terrestre è caricato a polvere: simile all'epoca ^ella migrazione dei popoli , il nostro secolo si prepara alla migrazione delle intelligenze, e il mondo trema sotto la mol- titudine delle scuole, de' musei, delle aule accademiche, delle camere nazionali. Chi sa che il fanciullo che coglie fiori accanto a noi , non sia per islanciarsi un giorno dalla sua isola di Cor- sica , come il Dio della guerra, in un angolo procelloso del globo , per trastullarsi colle tempeste e schiantar tutto , o per purgar l'aere e il suolo e spargervi nuovi semi fecondi? Povere donne ! In mezzo alle insipide occupazioni che riem- piono la vostra vita , come sapreni noi , come sapreste voi me- desime d'aver un' anima, se non ve ne serviste per amare? Ahimè ! nei lunghi anni misurati dalle vostre lagrime , voi non levate mai il capo che al di brillante e troppo passeggero dell' amore. Dopo di esso , il vostro cuore perduto senza riparo s' inabissa nel golfo gelato ond'era uscito. Così le piante acqua- tiche vegetan tutto l' anno sotto le onde : solo al momento della loro fioritura elle sfoggiano il lor verde ai raggi d' un sole benefico ! poi ricadono al fondo del lago. I nostri errori e le nostre colpe più dannevoli sono quelle per avventura che vanno a turbare la serenità delle donne. Ahi ! 468 quante non v' hanno di queste amabili creature che sofìVono sconosciute , il cui cuoi-e fa sangue scherzando , e che pur colla gioja dipinta sul volto fuggono precipitosamente in un angolo oscuro o si ascondono dietro al loro ventaglio per abbandonarsi alle làgrime che le affogano , e pagano un giorno di allegria con cento notti di dolore ! O sesso dolce e fedele , ma debole , perchè tutte le facoltà della tua anima sono così prepotenti che fanno impallidire e fuggir la tua ragione ? Perchè porti nel tuo cuore un così pro- fondo rispetto per un sesso che non ha riguardi pel tuo ? O donne! più voi abbellite l'anima vostra, più impregnate di gra- zie il vostro corpo , più l'amore regna nei vostri cuori , e spira negli occhi vostri , più vi rivestite dei prestigii degli angeli , e più noi ricerchiamo questi angeli per precipitarli dal cielo. Egli è appunto nel secolo che voi siete più belle e più se- ducenti, che tutti gli scrittori , gli artisti e i grandi della terra si raccolgono attorno di voi , come una selva d' alberi avve- lenati , ad attossicarvi , e noi ci stimiamo tanto più , quante più tazze pestifere porgiamo alle vostre labbra innocenti. A quella guisa che il Vesuvio vomita pietre infocate, l'uomo avventa al di sopra di sé i suoi disegni : ei gli scaglia e gV in- ghiotte a vicenda, finché una direzione più felice li spinge fuori del cratere. La nostra operosità senza scopo, le nostre., agitazioni nello spazio , parer debbono ad esseri superiori , come quel raspare e grancire che fanno i moribondi le loro funebri coltri. Lo spirito universale riposa o dorme, dice 1' uom nano, dac- ché il suo occhio di vermicello più non può seguirne la marcia. Cosi credevasi un tempo che il sole dormisse nell'oceano, men- tr' egli illuminava nel rapido suo corso altri oceani ed altri mondi. Per gli uomini energici, i grandi dolori e le grandi gioje sono come alte montagne onde scoprono tutto quanto il corso della vita. Il passalo e 1' avvenire si velano a' nostri sguardi j ma il primo porta il velo delle vedove, il secondo quello delle vergini. Un genio ci getta dall' alto nella vita , e conta poi settanta 469 od oltapta , come quando noi lasciamo cadere una pietra in una voragine , ed alla settantesima od ottantesima pulsazione dell' arteria ne sentiamo il sordo tonfo nel fondo. I più dolci istanti d' una vita sono quelli che ne rilardano il termine, quando già si tieiie la canna in mano, e non si parte ancora. Perchè, o pecchia , hai tu raccolta la tua cera ? per farne maschere o candele , per velare o per illuminare ? No , rispose la pecchia 5 io volea solamente costrurue cotali cellette a riporvi il mio mele. Anch' io , risponde il poeta , non voglio né in- gannar, né sgannare: io non vuo' che dar gusto. Così in fatti G. P. concepisce 1' arte come cosa hella da sé e disinteressata. La morale non è lo scopo dell' arte , ma essa è la necessaria conseguenza della verità nell' arte medesima. L'arte non insegna, non professa; ma, strada facendo, ad- dolcisce e guarisce , ed il nostro poeta ha detto con gran senso: « Herder e Schiller hanno voluto farsi chirurgi nella loro gioventù, ma vi ostò il loro destino. V'hanno, lor diss' egli, altre piaghe più assai di quelle del corpo pi'ofonde ; queste applicatevi a guarire ,• e tutti e due si posero a scrivere. » Chi non ha provato la verità di quel che segue alla lettura di que' poeti d' istinto, per cui la natura ha fatto tutto, e che sembrano così estranei ad ogni artifizio e ripiego del mestiere? « Ond' è che nelle opere de' grandi scrittori uno spirito invisi- bile ci cattiva senza che noi possiamo indicare le parole ed i passi che producono su di noi questo effetto ? Così mormora un' antica foresta senza che si vegga un sol ramo agitato. » La questione di G. P. non s' indirizza meno a que' poeti il cui stile d' una inarrivabile perfezione mostra in ogni verso un tessuto di egual finezza e densità. Donde, domandasi, questo inesprimibile incanto? Donde, se non dalla perfezione medesima? Musica , eco d' un altro mondo , sospiro d' un angelo che abita in noi ! quando la parola è impotente , quando tutti i sentimenti son muti nel nostro cuore , tu sola sei la voce per cui gli uomini si fanno sentire e s' intendono a vicenda dal fondo dell'oscure loro prigioni. Tu li poni a contatto fra loro, e ne l'accogli e ne contemperi i sospiri eh' essi esalano nel deserto della vita. 470 Quando il pensiero s' affaccia a G. P. , egli il riveste delle vaghe tinte della natura , poi lo incastona , qual una gemma , in un romanzo di sua foggia, in un dramma. Questo pensiero non ha senza dubbio l' inesorabile verità e la rigorosa conci- sione di una massima di la Rochefoucauld , ma gettata alla ven- tura in un più vasto campo , se scende meno addentro nel cuor dell' uomo , lo solleva più alto con sé. Ma perciò appunto esso sfugge all' analisi , all' ordine , alla concatenazione. Allorché un uomo trascendente scrive un libro di sentenze , è facile afferrarne l'unità e seguirvi un sistema ben compatto di credenze e d'opinioni. Ma il cercare in fan- tastiche fatture i pensieri fondamentali , le idee rettrici , l'astratta formola della mente creatrice , egli è come voler rintracciare la pianta e le proporzioni d' un edifìzio demolito in qualche ba- samento o capitello sparso sul suolo. M.°... C.»... Scienze Filologiche — Grande Dizionario Tecnico - Eti- mologico - Filologico compilato sulle norme di quello dell' Abbate Marco Aurelio Marchi ed accresciuto di moltissime aggiunte e correzioni per cura di alcuni letterati Italiani. — Prima edizione. — Compimento a tutti i dizionari della lingua italiana. Torino i836. Edit, O. Barerà, Tipografìa Fodrati, Con grande giudizio , e verità è stato scritto da un filosofo che il vocabolario è il primo , e principal libro d'una nazione, dentro al quale si contiene tutto il tesoro delle sue idee. L'u- mana ragione inabile quaggiù nel corso di sua mortale carriera a penetrare addentro , ed a comprendere 1' intima natura e la forza occulta delle cose ne astrae gli accidenti , e le qualità loro esterne, e le imagini che ella ne forma siccome labili , e fuggitive 471 dalla memona essa affida per trattenerle , cil inipadrouirsenc a suoni , a vocaboli , a segni artefatti , e variabili ] i quali le rappresentiuo al pensiero, le esprimano al di fuori , e ne per- petuino di età in età la conoscenza. Nò ciò solo, ma per mezzo di que' suoni, di que' segni T uomo ebbe inoltre cbiara conoscenza e signoria de' suoi interni sentimenti ed affetti, i quali sarebbero stati dentro l'animo suo oscuri, disordinati ed indo- miti, se egli denominandoli o designandoli non avesse trovalo modo di cliiarirli a se slesso e ad altrui, d'insignorirsene e di go- vernarli. Tale è la natura, tale l'uffizio del linguaggio parlato o scritto opra la più stupenda dell'umana ragione che condusse alla scoperta di tutte le arti, e di tutte le scienze, rendendo esso solo possibile l'osscrvazlouc, la reminiscenza, e la comparazione delle idee, vincolo il più saldo delle società , strouiento, avvegnacLè imperfetto, tuttavia il più efilcace , e possente deireducaxionc dell' umanità , tautocliè è stato osservato che una nazione manca di quelle idee , per le quali la sua lingua non ha vocaboli. « Tutto quello , scrive 1' Herder, die 1' uomo ha mai pensato, voluto, o fatto, e lutto ciò, che egli farà d'umano e di grande sulla terra è stato, e sarà sempre eiTetlo del semplice movimento d'un filo d'aria : perocché se quesìo soffio divino non ci avesse ispirati, se egli non fosse trascorso sulle nostre labbra come un incantesimo, noi saremmo ancora tutti erranti nelle foreste. La storia intiera dell'uomo con tutti i tesori della tradizione, e della civiltà è una conseguenza del linguaggio. » L' inteilelLo umano adunque esercita le sue facoltà , adopera la sua virtù per mezzo d'una quantità di suoni e di segni diversi, e variabili, i qua'i senza avere relazione alcuna necessaria né colle idee , uè colle cose, hanno pur tuttavia il potere di rappresentare, e di espri- mere le une , e le altre. Che se questo magistero del linguaggio palesa dall' una parte 1' imperfezione dell' unico mezzo di svi- luppo assegnato dalia divina Provvidenza all' umana ragione , dimostra molto più dall' altra la necessità di bene studiare , e conoscere e perfezionare la lingua in che si pensa, e parla, e scrive, onde pensare rettamente, e manifestare altrui con esat- tezza, e precisione i propri pensieri. Quanti errori, quante false opinioni, quante contese derivarono già dal difetto di preci- 472 sione nel linguaggio, dall'inesattezza de' vocaboli tirati poscia da questi , e da quelli in diversi significati ! Tutte le sette filosofi- che e religiose , secondochè osserva un grande scrittore , hanno avuto origine dal difetto di chiarezza, e di precisione nel parlare, e nello scrivere , difetto inerente bensì in parte alla natura stessa del linguaggio, ma prodotto altresì non di rado dalla poca co- noscenza della lingua. Ond' è che ei muove sovente sdegno il vedere negletto, e talvolta finanche spregiato, siccome superfluo, ed inutile, lo studio profondo della propria lingua da non pochi tra coloro , cui la forza dell' ingegno chiama ad essere scrittori, quasiché ignorando quella si possa e pensare e scrivere degna- mente. Diasi lode pertanto a coloro , i quali coi loro studi , e colle loro filologiche elucubrazioni si adoperano al perfeziona- mento della propria lingua col chiarirne , e determinarne con precisione gli elementi , che la compongono. A questo scopo è indirizzato il dizionario , che noi qui annunziamo compilato bensì sulle norme di quello del Marchi, ma accresciuto ed ar- ricchito di molti vocaboli , che mancano in quello , e purgato da alcune mende , che al primo intraprenditore di un lavoro di non mediocre difficoltà sfuggirono a quando a quando. Il dizionario , che esce alla luce ha per fine principale di stabilire con esattezza d'analisi la precisa significazione dei vocaboli così detti tecnici derivanti dal greco , di cui oltremodo abbonda la lingua italiana soprattutto per quello , che s' appartiene alle scienze , ed alle arti. I letterati , che ne attendono alla compilazione seppero ar- ricchire la loro opera dei nuovi vocaboli tratti dal fonte greco, ed introdotti nella nomenclatura scientifica italiana dai più re- centi scienziati , e tra gli altri dall' illustre nostro Bonelli. Da questo chiaramente appare 1' utilità , che ne deriveranno i cul- tori delle scienze , cui manca 1' ornaipento della lingua greca. Di quest' opera noi non abbiamo veduto finora , che la prima dispensa , e ce ne par bene. Quando il lavoro sarà condotto più innanzi torneremo in su questo importante soggetto , e ne di- scorreremo più ampiamente. Basti per ora a lode ed incorag- giamento degli egregi compilatori ed editore quel poco , che se n'è detto. G. 473 Condizioni dell' associazione. i. L' Opera sarà lipartita iu due volumi in 4-° > *^ verrà di- stribuita in 4o fascicoli all' incirca. 2. Ogni fascicolo di quattro fogli di stampa , non costerà che I franco. 3. Di venti in venti giorni si pubblicherà un fascicolo. 4. La prefazione dell' Editore sarà data nel corso dell'Opera, volendo prima delle nostre promesse dar un saggio del modo con cui saranno mantenute. 5. Le associazioni si ricevono in Torino dall' Editore Omo- bono Barerà , presso il negozio da libri di Giuseppe Bellatore in via di Doragrossa , accanto alla Chiesa detta de' Gesuiti. — Da Pompeo Magnaghi Direttore ed Amministratore della So- cietà del Teatro universale ; ■ — da tutti i Librai sì di Torino, che delle altre città d' Italia , — e da tutti gli Uffici delle Regie Poste. 6. Ai signori Librai commitenti sarà accordato un convenevole sconto. y. Nel corso dell' Opera verrà pubblicato il catalogo dei signori Associati. Lettere inedite di chiari personaggi ricai-ate dalla corrispondenza di Giuseppe Grassi. Chiarissimo Signore Debbo a un particolar tratto di sua cortesia e non già a veruno mio merito la graziosita compartitami d'avermi fatto il prezioso dono del suo Dizionario militare. Questo lavoro man- cava alla nostra favella. E scorrendo 1' opera ho ravvisato essere riuscito a compilarla con maestria e con dottrina. Sommamente piacciuta mi è la prefazione scritta da penna veramente italiana 474 e atta a rivendicarci parte di quella gloria , che o per ignavia nostra o per invidia altrui vorrebbesi a noi carpire. Avrei de- siderato dalla sua diligenza che fosse indicato il fonte da cui è tratta la voce. Ma se debbo giudicarne da me molto utile è il suo lavoro agli scrittori. Mi feci un dovere di leggere in Accademia la lettera colla quale erasi degnata accompagnarmi il suo dono. L' Accademia per mezzo del suo Segretario le ba esternata la sua riconoscenza. Accetti questo mio particolare tributo , e la prego credermi quale con pienissimo ossequio ho r onore di segnarmi Di lei Ornatis.""" Signore Firenze 21 giugno 18 ly. Devot.""' Obb.'"' Setritore Il Conte Baldellj. etilico Firenze 3i dicembre 18 17. Le lettere sono come le catene ; spezzate , non si trova il verso di riattaccarle 5 intere , una maglia tira 1' altra. Eccomi a replicare alla tua amatissima del 20 spirante. In essa tu mi dai tre attribuzioni : di autore nel domandarmi la spedizione della mia operetta al Bocca 5 di amico verso il Collini 5 di ruf- fiano presso la Marchionni. Non ne ricuso alcuna, ma non mi disimpegno bene in veruno di questi affari. Credo difficile tro- vare il mezzo di spedire le 12 copie del mio teatro domestico. L' amico Colliui si vede come 1' oro nelle tasche de' poeti , cioè raramente: spero ciò non ostante poterti dir qualche cosa di lui prima di chiudere la presente attendendolo a momenti, se si dà il caso che un avvocato mantenga la promessa. La Mar- chionni non ha mai parlato meco né io con essa: malgrado ciò io stimo quest'Attrice sopra ogni altra, e fra cinque 0 sei giorni 475 l'ecjlerà una mia nuova Gommecìiola in un atto , intitolata il Maestro di scuola ossia la Serva ribalda ove essa ha una bella particella in abito da uomo. Questa faisetta è stata da me regalata al Belloni per una sua serata di beneficio. Sono quasi sicuro, che non sarà meno ben accolta della mia casa disabitata ^ e della mìa. com'ersazione al biijo. Commedia di maggior peso non l'ho voluta dare, perchè la Compagnia non è qui per proprio conto , onde non si potrebbero far conti con essa 5 ed io amo poco il donar commedie acciò non si dica che un Giraud non trovi altro mezzo per esporre le sue commedie che quello di regalarle. Non ti porre però di malumore domani che per la prima volta proverò la mia farsa , il tuo nome sarà la prima parola che proferirò alla tua protetta, e condirò il discorso con tutte quelle salse ^ che possano stuzzicar l'appetito della giovane in favore tuo. — Passiamo a cosa che interessa me j e forse interesserà te come mio amico. — Giunge fra giorni in Torino una mia nipote figlia di Checco mio fratello , che tu conosci per essere stato varj mesi in Torino , capitano del i3.° Reggimento degli Ussari. Essa è all' età di sedici anni , sposa di y mesi di un inglese M.'' Dodwell che seco la conduce per qualche mese in Lon- dra. Tratterrassi qualche giorno in Torino j tu devi andarla a vedere , e trattarla con la cordialità , amicizia e confidenza come fosse una mia figlia. Avverti che è bella, non farci il ga- lante, e non te ne innamorare, perchè perderesti il tempo. Il marito è un*letterato in materie antiquarie, il suo nome è cognitissimo pe' suoi viaggi fatti in Grecia, su' quali va a pub- blicare in Londra un' opera grandiosa , con quantità di rami di suo disegno. Egli ha quarant' anni , uomo in apparenza non geloso. I due sposi stan bene insieme , per quanto lo possono stare 16 anni con quaranta, un antiquario con una portata alle feste ed ai balli. Vedx'ai anche un mio nipotino con essa ragazzo di i3 anni. Usa loro quelle amicizie che le circostanze e il poco tempo di loro dimora possono permetterti. Amicizia intendo per procurar loro un compagno nelle loro ore di trattenimento in Torino , non già altro tuo incomodo. Ti raccomando bandire con essa ogni complimento , rammentarle che scriva , e non distrarla in modo che le rincresca di proseguire il viaggio. Au- 476 nunziali al marito come quell' amico letterato di cui io gli ho qui tanto parlato. ■ — Amami , scrivimi ed abbi giudizio , cosa difficilissima per noi. — Collini da buon avvocato ha mancato alla parola 3 uon è venuto. — Addio. GlRAUD. Caro Grassi Milano 14 luglio 1818. Vi lio mandato programma e lettera d' ufficio : basta bene onde possiamo contare suU' opera vostra. Non reputo dunque necessario, e vi dovrebbe anzi parere in qualche maniera in- delicato ch'io aggiungessi parole e stimoli , indizj di diffidenza: bensì vi esorto a non lasciar che trascorra una bella opportu- nità che calda calda si px'csenta , di onorare il vostro nome appo questi vostri paesani e miei : capirete anche voi che la congiuntura è di tal fatta da impegnarvisi particolarmente nella vostra qualità di Accademico ; si è pubblicata da un certo Pozzuoli, coi tipi di Pirotta , la traduzione dell'opera di Ba- retti suir Italia e gì' italiani , in risposta a certo libro un po' acerbo del dottor Sharp su lo stesso argomento. Saprete già senza dubbio che il capitolo de' Piemontesi è sommamente in- giurioso ai medesimi , conseguenza dei risentimenti che Baretti nudriva contro il paese d'onde ei'a stato poco men che bandito, e in seno a cui non si rendeva gran fatto giustizia alli meriti suoi. Il sig. Pozzuoli , che mi pute di pingue Lombardo e di astioso vicino , dà dell' imbecille al Vernazza che si argomentò di rispondere al Baretti. Non so che mai scrivesse il Vernazza ; certo era facile il ridurre a nulla metà di quelle asserzioni : tanto più che Baretti accomunando nelle imputazioni i Savojardi e i Nizzardi coi Piemontesi , più vasto campo si apriva pari- menti alla confutazione. 477 Mio caro Grassi poco vi ha da costar di tempo e di fatica a non lasciar che impunemente s' inorgoglino questi inetti di oggidì 5 ai quali hasterà che sieno stampate sifiatte cose onde ripeterle in tutte le loro gazzette e note e prefazioni. Avete per le mani una messe copiosa. Il dire che la patria di Ban- dello , di Gotta , de' due Gordara , del Tornielli non è capace di produrre poeti, è lo stesso che dirlo di pressoché tutta l'Italia: giacché se ne togliete i quattro gran luminari , e poch' astri di second' ordine , non ci ha provincia italiana , i cui sonettanti e canzonanti non siano freddi rimatori a paro di quei nostri. E dove lascio il Ceva , poeta latino di primissima forza , e in- superahile nelle descrizioni e nelle immagini , a giudizio del Muratori e di Gal uso. Ghe diamine d'osservatore era egli quel Baretti dell' indole e delle doti di una nazione , se proclamò assolutamente come inetto agli studii poetici , morali e affettuosi, non che alle arti quel Piemonte che si modificò del vivente an- cora di Baretti, e poscia in tante guise, negli Alfieri, ne' De- nina , nei due Napiorii, nel Tana , nel Federici, nel Passeroni, nel Bodoni , nel Gigna , nel La-Grangia , BerthoUet , Saluzzo , S. Raftaele , Vernazza , Fea , Ghio , Regis , Vassalli, Giobert , Botta , Galuso , De-Rossi ? E i Milanesi che ehbero mai prima dell' unico loro Parini ? E chi diede più uomini italici all'Italia se non è la patria di Denina che primo ne scrisse le rivoluzioni ; di Alfieri che ne fondò il teatro , e ne rinnovò lo spirito poli- tico ; di Barretti , solo fra gli italiani che pigliasse a vendicarla in questo suo libro dalle calunnie d' un estero , e il solo , che riunisse sin qui in sommo grado 1' erudizione delle lingue e- stere a quella della propria sua , e ad un brio d' ingegno tutto nuovo e non saputosi da alcun altro italiano imitare poscia ? Gosi avesse avuto filosofia, che non avrebbe scusate tante melensaggini e superstizioni degl'italiani, e, superiore a' risentimenti, avrebbe detto, che il Piemonte è il vero vivajo dello spirito in Italia. Non cedete questa palma a verun altro costì, se vi basta scrivere una lettera su di ciò , o una dissertazione, destinatela al Conci- liatore-^ se poi farete cosa più solenne, manco male dovrà stare da sé ; ad ogni modo rispondetemi subito, — Monti esalta assai il soccorso che gli avete mandato , Pe) ron e voi : credo bene 478 die non sarà un lusso di badiali parole , ad impinguare il libro e a tirare innanzi 1' opra onde non si contenga in meno di sei tomi per cadauna parte, che farebbero poi a.j- L' assunto vo- stro mi piacque , e non dissimulai a Monti , eh' io credeva do- vess' essere cotesta la parte più filosofica dell'opera, e più degna di quello spirito , con cui s' ba da trattare siffatta materia nel secolo dopo Locke, Condillac, du Marrai e Tracy. Quel Johnson aveva più sottigliezza che non filosofìa; ma più filosofia senza dubbio che non tutti insieme gli attuali scrittori d' Italia ; de- finiva correttamente e svolgeva il più compiutamente, che non si fosse fatto per lo innanzi in Inghilterra , un dato sistema di lingua. Del resto egli è nel numero di quei letterati , la cui memoria mi è abbominevole. Pedante all' eccesso anch' egli , el piacque ai timidi e ai maligni : le sue biografie poetiche sanno dell' ipocrita e dell' invidioso. Gray era geuio altissimo , e cuore armonico e immaginazione splendida , ma era di so- verchio sensitivo ; Johnson se n'avvide , se gli avventò contro, ne calunniò il merito e V eccellenza poetica , con delle infami arti di Zoilo. Gray si sgomentò ; si avvilì ai propri! sguardi ; e crepò nella disperazione. Mille cari saluti a Pcyron .... addio , caro Grassi. // vostro affitzionatissimo Li)D.° di Breme Chiarissimo Signore Di molte grazie vado io debitore a lei , gentilissimo signor Grassi, alle quali se non ho prima d'oggi soddisfatto, mi sia scusa r avere ricevuto da pochi giorni soltanto la lettera ch'ella mi scriveva il io dello scorso febbraio. In prima debbo saperle grado del piacere che mi ba procu- rato dandomi a leggere la sua dissertazione sull' opuscolo ine- 479 dito del Montecuccoli , nella quale se ho dovuto ammirare gli artifizi ingegnosissimi della critica, co' quali ella rivendica quello scritto all' illustre Italiano, ho dovuto non meno confortarmi e compiacermi dello stile col quale ella ha saputo far valere le sue ragioni , nel quale vanno sempre del pari la perspicuità, y eleganza , la purità della lingua , difficile accordo , rarissimo a nostri tempi , e non frequentissimo né manco nei nostri secoli migliori. In secondo luogo poi debbo professarmele senza fine grato dei modi cordialissimi co' quali mi ha voluto dar prova della memoria eh' ella ha di me tuttavia e della costanza della sua amicizia, del che tutto quant' io mi compiaccia non potrei dar- gliene altro miglior argomento, che quello del sommo conto in cui tengo i suoi talenti , ed il suo carattere. Ella si assicuri quindi che i sentimenti di stima e di amicizia che le professo non verranno meno nell'animo mio giammai , e che di nulla mi compiacerò tanto che delle occasioni che mi si offriranno di dargliene un qualche argomento. La prego di accettare cortesemente questi miei sinceri sen- timenti , e di credermi sempre Reggio IO aprile 1820. Dev.^" ServJ^ ed Amico Il Conte Paradisi. Il Conte Napione riverisce distintamente il sig. Grassi , e supponendo che abbia influenza nella compilazione della Gaz- zetta Piemontese , lo prega di un favore , che dalla sperimen- tata gentilezza di lui spera di ottenere , e di cui gliene sarà grato oltremodo. Nel num. 121 della predetta Gazzetta sotto gli 8 del corrente mese, pag. 602 parlandosi dell' arrivo di una nave genovese dal Perù , si soggiunge in precisi termini che essi genovesi « navigando sotto una bandiera rispettata e sicura •» rivedono ora que' mari del nuovo mondo , che ancora suo- )) nano del noaie ddU iniinortale loro concittadino Colombo 5 » 480 colla quale ultima espressione si dà ( e quello che è più da penna piemontese ) vinta la causa a' genovesi nella controversia della patria di Colombo. Prescindendo da quanto è stato già pubblicato , e da ciò che sta sotto il torchio per provare che quell' uomo grande usci da famiglia del Monferrato, è cosa notabilissima , che lo stesso patricio genovese il defunto sig. Domenico Franzoni nel suo opuscolo intitolato : La vera patria di Cristoforo Colombo stam- pato in Roma nell' anno i8i4 ( P^g- 97) si spiega come segue: « Manca a' Genovesi pure una morale certezza del luogo di sua nascita (di Colombo), e noi contrasto , siccome neg^ar 7io« ne saprei la Piemontese origine dalle carte presentate nel pro- cesso della lite , e dal Tribunale riconosciuta. Ciò posto chi scrive si lusinga, che in qualche num. seguente della Gazzetta piemontese si inserirà un correttivo alla soprac- cennata inesatta espressione sfuggita all' estensore dell' articolo di cui si tratta , mediante i buoni ufficj del sig. Grassi , e co' sentimenti della più ossequiosa divozione si pregia di rinnovarsi Dal Rubatto presso Torino io ottobre 1822. Suo DevotJ"^" Obbl."'^ Servitore e Collega Stimatissimo e Gentilissimo Sig. Grassi Ho letto con mia grata sorpresa il giudizio insieme e V elogio che piacque alla gentilezza di V. S. d'estendere nel Giornale Torinese sopra la mia Polissena. L' uno e r altro lusingano il mio amor proprio , e mettono il colmo alla soddisfazione degli applausi con cui il Pubblico volle onorarmi : che poi il personaggio d'Arisbe non giovi all'in- teresse dell'azione io sono con lei d'accordo , e ciò ben pre- vidi sin d'allora eh' ebbi formato il piano della tragedia , ma non era io più a tempo per toglierlo senza la riforma presso- ché intera del piano suddetto ; del rimanente mi giova dirle per mia difesa che di questi attori secondar) si sono già valsi 481 Sofocle , Eschilo , Seneca ed i migliori tragici francesi senza parlar degli italiani , i quali personaggi , sebbene non abbiano un particolare interesse all' azione principale ^ servono però d' eccitamento alle prime parti ; ed io amo meglio servirmene, piuttosto che cadere nell' assurda inverosimiglianza di frequenti monologhi, come hanno praticato alcuni autori moderni. Quanto all' apostrofe sei dolor , sei furor tu che m ingombri ? ecc. av- vertir si vuole che la proferisce un re infelicissimo in una si- tuazione d' un dolor disperato , oltreché questi tratti s' ella ben osserva ne' sopraddetti tragici greci s' incontrano , tratti che alla lettura paiono a taluno talvolta azzardati, ma in teatro alla pluralità degli uditori riescono grati. Perdoni , sig. Grassi stimatissimo, ad un autore forse soverchiamente tenero pe' suoi parti questa digressione che forse non contiene che una mal- sicura difesa. La stima che ho già concepita pe' suoi rari talenti poetici appresso le sue commendevoli composizioni da me lette , indi per la sua energica e giudiziosa maniera di recitare le produ- zioni altrui mi obbligano a consigliarlo senza adulazione a per- correre senza perder tempo la tragica provincia ; dico senza perder tempo , poiché coli' età matura si acquista bensì un maturo giudizio , ma 1' entusiasmo della mente, 1' energia dell' anima si va scemando * i . Magno Cavalli , autor del Corrado , Al- fieri pili non esistono , io qualunque mi sia , ho terminata la mia carriera , ed ella può riempire il vuoto che resterà in Piemonte , e dirò ancora in Italia d' un autor tragico vivente. Nulla si fa se non si tenta 5 se non si osa 5 ed io sono con- vinto che non havvi nella letteraria carriera un campo più luminoso per procacciarsi gloria e pubblica fama quanto 1' al- loro di Melpomene. Ho il piacere d' essere con perfetta stima e piena riconoscenza Di V. S. 111.™* De\^ot."'° ed Obb.""" Servitore Cesare Oliverj. •j Multa ferimt anni venientes eommoda secum , Multa recedentes adimunt. Horat. art. poet. 482 Frammento d' un Orazione. Giovani io vi invito alle storie. Novelli nel pellegrinaggio della vita voi vi poneste a tale cam- mino caldi il petto di quella giovanile speranza, che assai men corto calle , eh' esso non è , ed assai pure men arduo e meno intricato lo fa parere. Ma cresciuti in età conoscerete con amaro disinganno quanto ristretto sìa l'orizzonte della vita mortale, siccome quella, la quale non è che piccola frazione della più lunga , che la natura alle specie più che agli individui cortese concesse alle secolari nazioni. E tanto men piana, e più tor- tuosa via la troverete, quanto che ciascuno uomo piccolo e ca- duco membro d' un corpo maggiore , che sono i popoli , ignora naturalmente d' onde quelli abbiano prese le mosse , e con quali arti si spianassero la strada , e dove sieno alla fine per arrivare. Ma se un velo impenetrabile contende agli umani di scorgere per entro il futuro, non cosi avvien del passato : e la Provvidenza concesse a noi guida del terreno viaggio la storia, la quale siccome donna che sempre guardando indietro fa lume a coloro , che avanti camminano , dall' esperienza delle passate cose trae non piccolo raggio a rischiarar 1' avvenire. La storia scriveva quel grande Romano, che nel filosofare andò tant' ol- tre ; la storia illumina la gioventù, la vecchiezza intrattiene, ci occupa ed istruisce nella felicità , ci fortifica e conforta nella sventura, ed in qualunque ufficio ci riesce utile e grata com- pagna , la storia è il testimonio de' tempi , la luce della ve- rità , la vita della memoria, la maestra della vita, la bandi- trice dell' antichità. Voi dunque , o valorosi giovani, leggete gli annali delle genti guerriere, e le vite dei più celebri duci ; e lontani per istituto da una troppo querula filantropia, la quale altro non fa , che sparger lagrime sui mali inseparabili dalla guerra, e niente pregiando i generosi sensi, le eroiche azioni, e il devoto sagrificarsi per la patria, oud'ella è fonte 485 e maestra , non considera questa grand' arte fuorché sotto il disumano aspetto della distruzione, abborrite puranco da quella feroce ragione , che tutto indulge al soldato vincitore , e con egual piede conculcando il robusto che resiste , e il debole che cede e prega , spregia nell' ebbrezza del sangue le lagrime e l'innocenza de' popoli 5 ammaestrati dalla simbolica antichità rammentate, o giovani guerrieri , che l'asta d'Achille il cam- pione per eccellenza sanava le piaghe eh' essa medesima aveva aperte 5 e rallegrandovi ogni qualvolta rinverrete per le storie che un maggiore spandimento di civiltà consolatrice, e una frut- tifera pace ricca di tutti i doni dell'arti furono l'ultimo risul- tato di lunghe guerre , detestate quell' altre tutte , nelle quali il sangue non ha fruttato altro che lagrime, e coi conforti e coir esempio industriatevi di togliere all' esercizio di quest'arte tei'riblle ciò che nella mitezza degli odierni costumi ella ritiene peranco di vieta e troppo irragionevole atrocità. Studiate la sto- ria delle nazioni , e vedrete da come tenui primordii , e attra- verso quante contraddizioni esse pervenissero a quel grado di presente civiltà, la quale tante fatiche d'uomini costa, e tanto sudore di dotti e di legislatori, e tanto adoperarsi di valorosi ingegni , e tanto sangue di popoli 5 eppure, colpa delle spesso ingrate posterità, pregiata non è quant' esser dovrebbe, a se- gno persino che taluni ciechi non arrossiscono di mostrarsi de- siderosi di tempi più rozzi ed immiti. Studiate la storia delle fdosofie, e se troverete che la umana ragione bamboleggiò per lungo tempo prima di giungere a questa che non è fors' anco matura virilità ; e che le parti dell' umano sapere quasi brani di smembrato corpo stettero lungamente divise e sparse per varii popoli e tempi , prima che più felici ingegni in men di- fettosi codici le raccogliessero , e le facessero comuni a tutte le nazioni pensatrici , riflettete che la ragione , siccome una recente filosofìa sembra avere vittoriosamente provato , fu dall' eterno Reggitore data all'umanità, non agli uomini, e sulla vita dell' uman genere , non degli umani individui regolatone il progressivo sviluppo ; sicché non è cosa meno irragionevole e scortese il deridere superbamente i traviamenti dello spirito umano in questo od in quel secolo, in quella od in quest'altra 484 nazione di quello, che sarebbe, se a Galileo o a Newton si rim- proverasse r ignoranza dei loro anni puerili. Meditate ancora la storia delle religioni 5 e sebbene una tal quale imagine d' un essere oltremodo possente , d' un Nume vindice e rimuneratore sembri pur sempre venire a galla dai torbidi gorghi delle umane superstizioni , pure considerando come una miglior cognizione dell' Ente Supremo , e più chiare notizie dell' onesto e del retto sieno egualmente necessarie a ciascun individuo che all' intere generazioni , spargete una la- grima sul destino di quei tanti popoli che l' idea del Supremo Fattore cosi offuscata ed imperfetta ereditarono dagli avi, e sulle vie della morale stamparono orme così Vacillanti ed in- certe. Ma rispettando quell' inviolabil velo , che copre ad oc- chi mortali un cosi tremendo mistero , consolatevi che un più mite riguardo della Provvidenza a voi sortisse il nascere in luo- ghi ed in tempi , in cui una religione illuminatrice e benefica piove sopra l'uomo i tesori d'ogni sovrumano conforto. Studiate per ultimo (e caldamente ve ne esorto) studiate più particolar- mente le storie d'Italia , che patrie storie pur sono. Perocché non havvi popolo sulla terra, i cui annali più di quelli della nostra penisola abbondino non meno del suolo suo istesso d' esempi d'ogni sorta d'umani rivolgimenti. Voi troverete in essi la grande repubblica e il grande impero ; le piccole cittadinanze assorte ne' grandi stati, e di nuovo i grandi stati smembrati in piccole cittadinanze; la libertà di molti popoli spirata sotto la domi- nazione d'un sol popolo libero ; poscia un gran popolo schiavo dar luogo a molte e turbolente libertà; e piccole signorie sorte sulle rovine delle città partéggianti stancare in breve le loro forze negli eccessi della tirannide, e contaminar molte pagine della storia de' rapidi lor nascimenti, e delle rapide cadute loro; mentre un regno all'estremità dell' Italia appiè dell' alpi debbe ad un temperato e benefico reggimento la sua lunga e sempre flo- rida sussistenza. Vedrete la barbarie emergere dall' invecchiata civiltà, ed a vicenda la civiltà emeigere dalla stanca barbarie : e Roma già centro d' ogni superstizione divenir sede dell' unico non irragionevole culto; e sventolare sul vaticano l' inscena di tutti coloro che credono. In somma quanto di grande, di ma- 485 raviglioso, di sublime, di magnanimo e di funesto insieme di lagrimevole , di crudele e tremendo è sparso qua e là per gli annali del mondo sia di cose oprate sulla terra , come sui mari; nell'aula regia o nel tempio; nel foro , nella curia o nel campo , tutto il troverete raccolto quasi in compendio nell'italiche sto- rie. Leggetele ed insieme le altre tutte con quello spirito, con che la storia vuol esser letta, la quale essendo storia d'uomini, essere misto di divina ad un tempo e di brutale natura tutto di lui sì può credere e le virtù sovrumane, e i vìzi più disu- mani. Leggetele, dico, con quello spirito alieno e dallo scet- ticismo che nulla accetta , e dalla credulità che nulla rifiuta , e dalla bonarietà che tutto difende e perdona, e dalla mali- gnità che tutto calunnia e condanna. Leggetele , e gli ingegni vostri maturate sulle virili loro pagine. Con quest' arte allun- gate a voi stessi il corso della presente vita , la quale brevis- sima e nulla per coloro , che languiscon nell' ozio , e lunga ed anzi immortale per quelli , che ad alte cose intendono , dall' opre e non dai giorni vuol essere misurata. E se al racconto di generosi fatti , all'immagine di sublimi virtù voi sentite cor- rervi per le vene il fremito dell' ammirazione , e destarvisi in petto il tumulto d' una nobile invidia , voi avete molta ragione di sperare , che la storia riguardo a voi , o valorosi giovani , non è fatta soltanto a quest' ufficio , che voi le grandi azioni degli uomini passati leggiate in essa ed ammiriate, ma a quello altresì che i posteri le grandi azioni vostre leggano un giorno ed ammirino. G. 486 Belle Arti — Lettera IT. Musica Moderna ( Cenni sulla musica sacra. ) Carissimo Amico E nuove Muse mi dimostrali 1' orse. Dakte Par. Ed io V! ripeto, che V Antifonario fu il primo albore della musica moderna. Qual maraviglia? Qualunque antipatia abbiate colle antifone, egli debbe essere certo anche per voi, che bi- sognò cominciare dalle semplici cantilene della Chiesa, dalle note del canto-fermo per giungere tra molte buone, e ree vi- cende alla copia, al lusso, alla ricercatezza della musica pre- sente. Inoltre se tutta 1' antica musica ebbe origine dalla reli- gione, se gli Dei ne furono creduti inventori, sarà egli strano che pur la moderna abbia avuto slmile principio? Ella è adun- que veneranda, e guai a chi la profana! Ella è la saci'a arpa di Davide (mi perdoni la cetra d'Orfeo) inspirata dal cielo non solo per modular gì' inni all' Onnipotente, ma anche per ad- dolcire il ntalo spirito di Saul, voglio dire le passioni, ed i travagli del genere umano 5 d' onde il doppio uffizio della mu- sica, la diversità del carattere che as&uuie cantando Iddio, o dilettando gli uomini. Tutto il mondo pagano risonava ancora di melodie e ne' tem- pj , e ne' teatri 5 i Numi di Grecia, e di Roma ricevevano ancora il tributo degli antichi inni , allorché i nuovi cristiani nelle se- grete adunanze cominciavano a cantar le lodi del vero Dio. Le loro sacre cantilene o tolte fossero dalle giudaiche salmodie , o dalle arie gentilesche, o dall'une o dalle altre, come pare, an- nunziavano una nuova musica, erano il preludio d'una più pu- ra, e più bella sinfonia. L'aulica lira esalava gli ultimi accenti 487 còlla religione, colle arti da lei abbellitte, colla civiltà che essa aveva creata. Ultima Cumei venìt jam carminis celas \ che pure iu questa parte doveva il inondo essere rigenerato. Ma questo canto cristiano siccome volgare , e trasmesso per orale tradizione vagava già incerto e guasto , allorché nel IV secolo per le cure di S. Ambrogio, e nel VI per opera di S. Gregorio, divenuto fermo sulla pergamena degli antifonarj , segnò la prima epoca della musica moderna scritta, o scientifica che vogliate dire, prendendo, e ritenendo ancora il nome non tanto dalla fiua stabilità quanto da suoi riformatori. Onde ( permettetemi questa troppo nota similitudine J come le muse d'Erodoto fu- rono il fine della mitologia, ed il principio della storia; così r Antifonario fu il fine dell' antica , ed il principio della nuova musica; la quale avrebbe fatto, siccome cosa fresca e vigorosa, progressi grandissimi nel mondo cristiano, se la prepotenza del medio Evo non le si fosse opposta. Né è già che cotesto nuovo Barone proibisse dì cantare, e suonare,* mail canto ed il suono in mezzo alla universale barbarie non poteva far molta, e lunga fortuna; e poi i Goti, e i Vandali, e i Longobardi recavan con sé la musica loro fredda, e stridente come il ribrezzo della quartana, e regalavanla agi' Italiani cogli altri regali che noi sappiamo. Perciò la nostra non poteva molto avanzare, nemmen coli' ajuto di Carlo Magno, autore di quella celebre gara tra i cantori di Italia, e di Francia, terminata a gloria di noi ri- masti fin da principio superiori nel canto , come gli Arcadi in Grecia. Egli è però vero che in mezzo a quelle foltissime tenebre parve mostrarsi alla traviata musica una benefica stella nella persona di Guido Aretino, monaco del sec. XI, il quale col suo Micrologo sembrò minacciare alla rozza Italia i portenti d' Orfeo , ed il ritornò della civiltà; ma non era ancor tempo, ossia quel Barone non voleva ancora,- nella sua vecchiezza era divenuto più crudele che prima questo secondo Tiberio. Meglio per noi che fosse stato Nerone, che almeno ci avrebbe diver- titi in teatro. — Ma tornando a Guido io debbo avvertirvi, che costui è tenuto personaggio allegorico nella storia della musica. Egli fu r Ercole a cui tutte le musicali imprese di quel tempo si attribuirono, per il quale altissimo onore procacciatosi presso 3o gli avi nostri, ora è pressoché sparito dal regno degli esseri , e di stella cangiato in foco fatuo. Che se io intendessi di raccontarvi la storia della musica moderna, molte cose vi potrei dire riguardo ai tempi mitologici di lei , o piuttosto cantarvi una lunga nenia sopra le sue dis-i grazie. Ma che importerebbe questo piagnisteo? che dolora non sarebbe il vostro nell' udire fra le altre cose , che la nostra mu- sica era già vecchia, ed inferma quando nell' epoca luminosa rinascevano, o ringiovanivano le lettere, e le arti in Italia! Quanto non avreste da piangei-e sulla sorte di lei, che avve- nutasi nella poesia volgare sua minore sorella, non ne ricevesse conforto, ed ajuto in niun modo, quasi in presagio de' suoi fu- turi destini! .... Ma che direste nell'udire che non solo i poeti, ma né anche i maestri le prestassero opera pietosa? Sarà forse per questa nazionale crudeltà ( notate nuova disgrazia ) che i Fiamminghi impietositi corsero in ajuto della musica nostra ? Nel secolo dell' Alighieri, e del Petrarca, e nel seguente , il che vuol dire nella più pura luce delle italiane lettere, vennero cotestoro ad insegnarci un nuovo genere di melodie, un con- trappunto, ossia canto in consonanza ignoto forse agli antichi. L' Antifonario che i nostri rimasti vincitori, come già sapete, avevano recato in Francia in un colla scienza del canto, era di- venuto pei Fiamminghi il codice musicale, come la filosofia, e la poetica d' Aristotile era per altri ingegni il canone infallibile del sapere , e del gusto 5 sopra esso avevano eglino lavorati certi armonici bisticci , certi labirinti di note che allora passavano per il non plus ultra della musica ecclesiastica, genere di com- posizione non solo inferiore al semplice, e maestoso canto-fermo, ma falso , spurio , disprezzevole per mancanza di gusto , e di senno, inorpellato soltanto dalle numeriche proporzioni, e da tutta la pompa della scienza enigmatica di quella età. Siffatta musica introdottasi nelle cappelle, e nelle scuole italiane soste- neva per la sua barbarie la cadente vecchiezza del nostro Ba- rone ( che Dio l'abbia in grazia), e serviva di penitenza non tanto agli scolari, quanto ai devoti frequentatori della chiesa , finché Papa Marcello II ebbe coraggio di fulminarla siccome eretica, e piarum aurium ojfensiwain, che è tutto dire. Ma ag- 489 giuBgerò che non solo la cattiva, ma pur la buona musica sa- rebbe stata avviluppata nella stessa ruìna ( giacché i fulmini non si possono sempre dirigere al loro scopo ), se un certo Pa- lestrina non si fosse interposto, improvvisando una Messa di stile e gusto diverso nel genere antico, nel modo italiano, monu- mento che dura tuttavia per segnare l'epoca di quella catastro- fe musicale. In questa maniera il Palestrina fu veramente per la musica nostra una stella propìzia. Egli passa per il Dante dei musici italiani, e di lui dice il Majcr, mia guida in queste no- tizie, che fece della musica fiamminga quanto Virgilio aveva fatto dei versi d' Ennio, studiando di separarvi l'oro dal fango. E qui perla vostra innata curiosità voi vorreste un po' sapere quale sorta d' oro abbia costui sfilacciato dai tessuti musicali di Fiandra? La y«ga, io vi rispondo. Inarcate pure le ciglia, e stu- pite quanto volete, la fuga fu la farfalla del bacclierozzolo fiam- mingo, fu un bel parto di mostruosa madre, simile nell'origine £> tante altre cose di questo mondo. Questo genere di contrap- punto con molta saviezza, e discrezione adottato dal maestro di Papa Marcello piacque assai alle italiane orecchie, diventò ca- rattere della musica ecclesiastica segnando i limiti del sacro , e del profano, divenne canone dell' arte , sistema di scuola, pie- tra di paragone della buona musica , degno insomma di succe- dere all'Antifonario, ed alle antiche cantilene. Io so bene che la y^g^rt si ha dai moderni a schifo come rancidume, e scola- stica quisquiglia , e con ragione poiché furono cancellati i con- fini del sacro , e del profano 5 eppure ( dice il Majer ) « Lo » stile fugato deriva direttamente dal principio della imitazio- )) ne 5 e lungi dal meritare d' essere condannato come un ran-r » cidume, ed un'invenzione degna de' secoli barbari , può nelle )) mani di un valcnLe compositore divenire uno degli strumenti >» più efficaci della espressione musicale. » Ed infatti che cosa è la fuga ? Se voi la guardate da un lato é un severo, e strin- gente raziocinio, una catena di sillogismi armoniosi 5 se dall'altro è un'imitazione dedotta non so se dalla natura, o dall'arte, che vuole esprimere qualche cosa di avviluppato, e di confu- so, da sviluppare con varj accidenti, e conti-asti, e peripezie, quasi drammatico intreccio. Io non se mi spit'shi, ma fingcttì 490 ti' udire un tratto musicale, dove, in mezzo alla più dotta, e semplice armonia, tra consonanze, e dissonanze, tra snoni che s' intrecciano, e s'avvicendano, voi possiate come in tumultuosa assemblea distinguere un soggetto ^ ossia cantilena, e tosto un contra- soggetto quasi parere contrario, il qual doppio motivo venga di mano in mano l'ipetuto , variato , imitato, trasformato in mille modi con modulazioni, e passaggi inaspettati, e scorra per tutte le gradazioni dall' acuto al grave, e dal grave all' acuto sino alla cadenza, ed avrete cosi un' idea della ^ga, e di quello stile fugato in cui tanto risplendono e Palestrina, e Gorelli, e Marcello, ePergolesì, e Haydn, e pochi altri. Questo genere pel suo atticismo proprio della scuola e del gusto italiano produsse nel secolo scorso , che fu 1' aureo per la musica , i migliori capi d' opera , quali furono p. e. lo Sta- bat del Pergolesi , ed i Salmi di Marcello , e seguirà a pro- durne finche durerà 1' amore del bello. Se la moderna schifiltà lo disappi'ova, se lo stile profano si è introdotto nel Santuario, non è però ancora spento o perduto. La musica è pur soggetta alle vicende delle arti e delle lettere ; anch' ella percorre il suo arco. E quantunque la buona musica ecclesiastica attenda il suo rialzamento dalle scuole italiane ; nondimeno le sue mag- giori speranze si attengono a quell'autorità medesima, che un giorno diedele la vita. luiperocchè i successori di Papa Mar- cello non solennizzano le maggiori feste dell' anno ecclesiastico che all' armonia delle maestose fughe , né la romana Chiesa nella luttuosa settimana trova ai suoi gemiti eco più aflìettuoso dei divini concenti del Palestrina. E cosi Roma è sempre con- servatrice de' monumenti della gloria nostra. Ma io debbo ancora intrattenervi d'una cosa, senza la quale la mia presente cicalata non sarebbe compita, ed è che la buona musica da Chiesa dovette anticamente la sua semplicità, e bel- lezza non tanto al genere di composizione, quanto anche all' essere nuda di stromenli. Essa era tutto canto, tutta armonia di vai'ie voci ingegnosamente lavorata , mirabilmente eseguita , siccome usasi ancora sulla pontificia orchestra. Immaginatevi percià quale dovesse essere lo studio del maestro , e l'abilità dei cantanti! Coli' andar del tempo parve che la maestà dell'organo 491 opportunamente, e squisitamente toccato non dovesse guastare le belle cantilene del tempio. Ma a parer mio migliore fu l'in- troduzione d'un basso cbe coi gravi suoni sorreggesse, non co- prisse le voci, il quale dapprima con fondamentali note, poi con continui suoni, e modulazioni fu causa di novità musicali. Imperocché ne' tempi del Gorelli , gli stromenti da corda , e principalmente il violino ristaurandosi , ed introducendosi ad abbellire le profane melodie , non sembrò disdicevole che pur le ecclesiastiche cantilene avessero un accompagnamento ana- logo alle voci. Ma questi accompagnamenti tosto vollero gareg- giare col canto medesimo, i violini s' immedesimarono colle voci , e cantarono anch' essi , stando però per la saviezza dei maestri, e la gelosia de' cantori ne' limiti prescritti. Finalmente pet la loro perfezione gli stromenti eguagliato il canto lo sovverchiarouo , e così da servi divennero padroni dell' armonia. Bisogna però confessare che cotesta insurrezione stro- mentale a pregiudizio del canto ci venne d' oltre monte. I Te- deschi infatuati de' loro stromenti , e del magico effetto che sanno ottenerne, introdussero verso la metà del secolo scorso una ricca e sonora armonia nelle musiche di chiesa, nella quale novità furono tosto bene o male dai nostri imitati. Dico bene o male, e forse più male che bene, perocché oltre l'inferio- rità de' suonatori italiani , i nostri compositori non avevano uè r ingegno, né il magistero di Mozart e di Hajdn per riuscire felicemente in quella imitazione. Questi due maestri di cui r AUemagna può gloriarsi come d' un Ariosto e d' un Tasso del musicale Parnaso, furono gli autori della già detta rivolu- zione. Per loro il concerto, ossia stromentazione divenne im- portante , ed occupò il primo luogo cedutogli dal canto 5 per loro la musica sacra acquistò magniGcenza, varietà, ricchezza, dirò anche espressione, ma perdette il meglio che noi le ave- vam procacciato , cioè semplicità , affetto , dolcezza , decoro. Mozart impresse nelle sue sacre composizioni quel grado di forza, e di sublimità dantesca, per cui tanto distinguonsi i suoi concerti. Chi non conosce il suo Requiem nulla conosce di grande in musica. Forse senza di lui quella terribile e pa- ttjtica Sequenza non avrebbe mai più avuto sì degna e calzante 492 «rmouia, per cui questo capo-lavoro non può ad altra cosa meglio paragonarsi che al gran dipìnto di Michela ngiolo , vo- glio dire all' uuivcrsal giudizio, tanto più che al maestro stau sì Lene quelle parole che del pittore disse il Lanzi, a si ter- ribile artefice ninna istoria essere stata più confacentc , che il giorno dell' ira di Dìo. In questo genere dopo Mozart ( e lo dico di passaggio) nulla trovo di più espressivo che V Offerto - rio di Cherubini , degno pel suo Requiem di star vicino al Bo- naruoti della musica sacra. — Haydn poi che voi potreste chia- mare il Jubal moderno , il pater canentium cjthara, se non fosse la grandezza e profondità dì alcune sue composizioni, po- trebbe per la varietà, la bizzarria, la facilità del suo stile chia- marsi pitlor fiammingo. Ma di si gran maestro forse vi parlerò iu altra mia. Intanto per le innovazioni di Costoro anche gli stromenti da fiato furono in voga , prima i più dolci e pacati , poi gli aspri , gli striduli , i guerrieri , e finalmente la banda turca appena sopportevole in teatro. Né è già che vogliasi affatto riprovare cotesto lusso musicale in chiesa. La maestà di Dio se non isdegnava uel tempio di Gerosolima ogni sorta di stromenti , se Davide e Salomone da- vano lode al Signore in omnibus lignis fahrefactis , certamente la religion nostra non debbe escluderli dalla sacra liturgia. Sol- tanto r abuso non vuol essere tollerato ; gli eccessi d' una fra- gorosa musica, le indecenze d' una profana imitazione, le in- degnità de' teatrali plagj e simili abbominazioni vanno bandite. Né ciò solo per la riverenza del luogo , ma anche per l'onore ed il vantaggio dell' arte ,' imperocché ove la musicale corru- zione provocasse nuovi fulmini come ai tempi di Marcello e di Benedetto , sarebbevi forse pronto un altro Palestrlna per trat- tenerli ? o piuttosto colla cattiva anche la buona musica non correrebbe pericolo comune ? Qual vergogna , qual danno non sarebbe allora a quest' arte , se mentre la pittura, la scultura e le altre sorelle gareggiano onestamente nella casa di Dio, essa sola venisse da si bella gara esclusa? Io auguro felicità alla musica e senno a' suoi cultori. Se tra il poco ed il troppo evvi un giu- sto mezzo, se tra le nude cantilene d' una volta ed il rumore delle moderne orchestre sta la virtù musicale , 1 maestri vi si 493 appiglitio come a tavola di naufragio. Questo è il rimedio che al presente male puossi additare , rimedio col quale allo stato di sanità e floridezza potrebbe la musica sacra pervenire. Ora basti. ISella lettera seguente io vi parlerò ancora dell'Antifona- rio non più storicamente , ma filosollcamente ond€ vieppiù eoa esso lui conciliarvi. Addio. B. Cenni Biografici — Vupujuen. Il sig. Donne ha dato nella Revue des deux mondes una biografia di questo sommo chirurgo , ove il suo genio è ana- lizzato con singolare sagacità , e con quello spirito filosofico che sa trovare e cogliere nelle idee il punto di contatto col senso comune. Noi ne ricaviamo i seguenti squarci che bastano a farci conoscere il carattere di un uomo che ha tanto onorato e promosso l'arte nobilissima , a cui s'era dedicato. a II sig. Dupuytren era di alta statura: i suoi lineamenti ri- sentiti e severi , la sua fronte spaziosa e prominente , la sua testa vigorosa e di belle proporzioni , la sua andatura lenta , grave e piena di digaità, il suo vestire semplicissimo, aveano qualche cosa di solenne , ed esercitavano un cotal fascino su quanti se gli facean dappresso : sentivasi , al solo accostarlo , l'uomo trascendente, il maestro. V'hanno cotali quaggiù, di cui non saprebbesi definire l'ascendente, e pur T hanno, senza che si possa attribuirlo uè alle parole , né all'opre loro. Perchè mentre si studiano accanto ad essi le impressioni che se ne ricevono e il potere che n' emana , questo potere ti domina , t'opprime, come se una mano ti ghermisse e ti curvasse nella polve : hai un bel dibatterti , senti l'autorità del padrone , e se non sei disposto a servire , il meglio è , s' è tempo ancora , 494 «vignartela: la resistenza è inutile con uotniui siffatti; bisogna arrendersi o fuggire. II sig. Dupuylren possedeva a un grado eminente una tale superiorità. Né la spiegano in verun modo il suo immenso talento, uè le maravigllose sue scoperte ed ope- razioni chirurgiche: essa era tutta dovuta alla natura del suo spirito , al suo carattere , alla sua volontà. « Di rado il sig. Dupuytren aflìsavasi nella persona a cui par- lava : il suo sguardo parca distratto , il suo pensiero preoccu- pato, la sua parola indeterminata: ma punto che i suoi occhi si fermassero sopra il suo interlocutore , il penetravan sino al- l' intimo , e gli dettavano la risposta. Il suo volto grave e se- vero , il tuono sedato , pieno di riserbo e quasi lusinghiero della sua voce, una cotale immobilità de' suoi tratti e delle sue pupille, il piglio delle sue labbra piene di sdegno e di collera infrenata, tutto ciò formava un imperioso e irresistibile com- plesso. Tant'è che non si potea troppo convivere col sig. Du- puytren , e quelli stessi che più sinceramente ammiravanlo , che rendeano piena e intera giustizia al suo merito, i suoi più antichi amici , pareano in suggezione con lui : anche ad essi era mestieri cedere o andarsene pe' fatti loro. 11 sig. Dupuytren s'era dunque fatto come una solitudine in mezzo al mondo, e questa solitudine sembrava affarsi alla sua indole, al suo umore ed a' suoi disegni d' ambizione. Insensibile alle mille gare che noi riguardavano, e a tutte quelle baje che pascono la vol- gare curiosità, il suo spirito era tutto assorto in ciò che facea la sua gloria e la sua fortuna. Uscito dall' Ospedale maggiore (hotel Dieu ) , dal suo inspgnamento e dalla sua clientela, il sig. Dupuytren era sordo a tutte le agitazioni del globo, e le de- bolezze così spesso rinfacciate al suo carattere non furono per lo più se non mera indifferenza. « Non avendo che uno scopo ed un pensiero , egli era sem- pre in scena : egli rappresentava la sua parte in pubblico non meno che all'Ospedale, alla scuola di Medicina come all'Ac- cademia , e questa parte consisteva a non mal demordere in nulla dalla gravità della sua persona e dalla dignità dell'arte, a mostrarsi dappertutto pari all'altezza dell'immensa sua ripu- tazione. Alcuni de' suoi famigliari assicurano di averlo veduto 495 ridere, è talvolta permettersi qualche giarda; ma non vi doveva aver garbo ; la sua fronte corrugavasi meglio alla meditazione che non si spianasse alla gioja 5 perciò egli appartavasi in se- greto , quando stanco volea scendere dal suo piedestallo. « Una tempra d'uomo così ferma , un così severo contegno in- cutevano il più alto rispetto. E veramente delle tante genera- zioni di chirurgi, suoi successivi alunni, non tutti l'amavano, eppur né un solo ne parla fuorché col linguaggio dell'ammira- zione. E convien dire che egli era veramente ammirabile nel suo servizio all'Ospedale. Era questo il vero teatro della sua gloria ; quivi apparivano nella loro pienezza le sue grandi fa- coltà, quivi egli mostrava la profondità delle sue viste, la fe- lice arditezza della sua mano , la saviezza del suo giudizio e il suo infaticabile ardore ; quivi egli facea risonare la sua po- tente parola , spiegava tutta la sua autorità , e regnava infine senza contrasto. L'Ospedale era cosa sua 5 tutto gli s'ecclissava davanti , egli vi regnava sovrano j di quinci ogni mattina la sua fama spargevasi al di fuori , portata da mille voci che ri- peteano le sue lezioni e pubblicavano i suoi stupendi trovati. « Tre cose ci colpiscono soprattutto in Dupuytren , e lo met- tono a' nostri occhi fuori di schiera meglio assai che non tutti i suoi scritti 5 i." la sua profonda sagacità , quel che noi direm- mo il suo tatto chirurgico , se per questo non intendessero certe menti ristrette un cotal senso independente dalla scienza e dal senno; 2.° il suo ardente amore per l'arte , il quale non era forse che un'ardente ambizione, ma nobile ambizione che gli ha fatto , per ben venti anni , adempire a' suoi doveri con uno zelo fino a lui senza esempio; 3." finalmente la sua incom- parabile superiorità nell' insegnamento. « Il servizio chirurgico dell'Ospedale è stato venti anni con- tinui , fra le mani del sig. Dupuytren, il più grande, il più bello , il più importante che mai si vedesse in tal genere non solo in Parigi , ma fors'anche in tutta 1' Europa. Non vi fu mai cosa meglio ordinata di questa , e lo zelo del capo era tale , che allievi, infermieri e suore di carità, tutti marciavano d'un passo , tutti obbedivano a quella volontà di ferro, tutti con- correvano allo stesso fine , la regolarità del servizio e il prò 496 de' inalati. Gli allievi e le suore hanno potuto qualche volta lagnarsi dell'eccessivo rigore del capo ; ma tutti erano costretti di riconoscere che ne ridondava sempre la miglioria dell'infer- mo. Invariabilmente egli visitava ogni mattina più di 3oo letti, un dopo l'altro , colla più religiosa esattezza , e senza che mai gì' infermi fossero operati o medicati da altre mani che dalle sue. Si può dire che per ben dieci anni il popolo di Parigi fu curato all' Ospedale dal più grande chirurgo dell' Europa con quello scrupolo e quella maggior diligenza che potean esserlo a peso d' oro i più opulenti infermi del mondo. « Ogni giorno , prima delle 5 matutine , Dupuytren era al suo posto ; per quanto vigilanti fossero i suoi allievi , a fatica po- teano antivenirlo. Nulla negli altri ospedali può dare immagine di quel che vedeasi allora al grande Ospedale di Parigi , e dell' imponente carattere che il capo aveva impresso a tutte le parti del suo servizio. Egli facea sotto voce le chiamate de' suoi allievi schieratigli intorno: ogni assente era inesorabilmente no- tato. Il primo interno era al suo luogo, colla candela in mano, ritto alla testa del primo ordine dei letti. Il sig. Dupuytren cingeva una specie di grembiale, e poneasi lentamente in mai-- cia , colle mani incrocicchiate sulla schiena, aprendosi il varco fra la folla con un leggiero ondeggiamento di spalle. Egli non soffriva il menomo bisbiglio; interrogava con dolcezza i malati, sovente senza guardarli, in modo che pareva appena badar loro, se non che il ragionarne che faceva poi all'anfiteatro mostrava ch'era quello effetto di puro concentramento. Gli bastava ri- correre al numero d'ordine dell'infermo per ricordar subito pre- cise tutte le particolarità del suo male. Succedeva alla 2.^ fila di letti il 2.* interno , e cosi alla 3.* il 3.°, finche, terminata la visita , Dupuytren scendeva all'anfiteatro per dare la sua le- zione e divenire alle grandi operazioni. E qui bisognava sen- tire con che nettezza e che giustezza di senso egli sponeva la storia d'una malattia , la cura conveniente e le sue contingenze. La sua voce calma e piuttosto sommessa comandava il silenzio, e, s'egli dovea praticare qualche importante operazione, essa piegavasi allora ad un tuono solenne, che imposseSsav^asi di tutto l'uditorio. » M." . . . C* . . . 497 Varietà' Da che si è parlato in varj fogli Piemontesi delle poesie della signora Adele Curti, noi, senza ripeter le lodi, di cui le fregia- rono aue' giornali, crediamo bene di riferir cjui il sonetto che scri- veva ad onore di essa il culto sig. Agostino OUgnoli di Reggio. Addio, da un puro sole amoreggiate, Benedette colline di Brianza, Onde del Lario, che speccliio vi fate A un ciel, che di vaghezza ogni altro avanza. Addio, città, di miti arti onorate È di cari costumi amica stanza *i ; Quanto dolce di voi, sponde beate, Mi ragiona nel cor la rimembranza! Sol fra cose si belle e peregrine Non vidi , onor dell' insubre paese, Una fanciulla, che ha un bel lauro al crine 'a. Ma , voi che lieto mi accoglieste in pria, Dite a quella diletta alma cortese, Come fu mesta la partita mia. *i Milano. *a Adele Curii. ^d un Amico SONETTO Oltre que' monti, il cui vertice altero Sovrasta al pian di Lombardia ferace, Umile im tempo, or Donna d' alto impero Una cittade in ampio spazio giace. Inamabil n' è V aura a chi '1 vivace Aer d' Italia respirò primiero: 'L caro idioma suo natal vi tace, Né patrio affetto accende il suo pensiero. Là due volte cangiar vidi le chiome Dell'alte quercia alla stagi on novella, Ripensando nel cor, Carlo, il tuo nome. Do\Tinque avversa, oppur propizia stella Me guidi errante, Carlo, il tuo bel nome Sempre avrò caro in questa parte e in quella. G. 498 Appendice J^otizie diverse. Monumenti druidici. — Sul poggio di Primel ( Bretagna ) , a poca distanza dall' antica fortezza di questo nome , furono trovati alcuni monumenti druidici, ed altre anticaglie. Il campo che chiamasi Bacheiiar - Ben , o strato di teri'eno della tomba, presenta un re- cinto druidico lungo 35 piedi e largo 3 ip', composto di venti smi- surate pietre, poste in modo da formare un quadrato oblungo. Al nord - est di questo sito , alla distanza di qualche centinaja di passi dalla pianura verso il mare , havvi una pietra confitta in terra , alta 4 piedi , isolata , e rassomigliante ad un termine : essa vien chiamata il Maen-ar-Bioh. Non lungi di qui, dall'altro lato del podere di Trégastel, havvi un rilevamento di suolo assai pronunziato che rim- bomba allorché lo si batte col piede, e stendesi lunghesso la spiag- gia sino ad alcune mine nomate Castel-ar-Saloa, Il castello pare dovesse estendersi assai; ed egli racchiudeva nel suo recinto parec- chi macigni che doveano esser collegati insieme con muri di cui veggonsi alcune reliquie sepolte sotto un denso ammasso d'erbe ma- rine. Si rinvennero pure, quasi a fior di terra, molti coni gallici, e pezzi di lamine di spada o di pugnale, tutti di bronzo, qua e là sparsi, e senza apparente ordine sul margine della via scoscesa che dalla dogana conduce al forte di Primel. ( Instit. histor. i835). Cisterne veneziane. — Il signor Ratte, di Besancon, compilò un libricciuolo, in cui descrive i mezzi d'arte, ai quali furono costretti i veneziani di ricorrere per procurarsi acqua potabile, non potendo per sua natura il suolo eh' essi abitano, né darne, né conservarne. A questo fine essi costrussero cisterne, le quali nella loro struttura interna hanno la forma di un uovo, che stia ritto sulla punta. Il pozzo in tutta la sua altezza è cinto di altre piccole cisterne pres- soché intieramente piene di sabbia mista a ciottoli , attraverso i quali la pioggia è costretta a passare, e per necessaria conseguenza di feltrare onde giugnere al fondo, ove esse trovansi generalmente 499 tìiìàre ; di là esse passano nel pozzo , ossia nella grande cisterna tra i primi strati della base che sono costrutti con pietre cosi dette asciutte. Affinchè le acque pluviali possano senza sperdersi arrivare facilmente nelle cisternette, si selciò a foggia di canaletto il terreno circostante al margine , ed in modo che forma un leggiero e concentrico pendìo. Cosi le acque colate, giunte al basso delle piccole cisterne, non puonno passare né rimontare che per la base del pozzo, e a misma che viene attinta acqua dal medesimo; dal che ne risulta che quelle acque che sono nelle cisternette non passano, e non colano se non se a misura che quelle purificate del fondo passano nel pozzo. ( Acad. Se. janv. i836 ). Arti litologiche. — Macchina per appianare le pietre. — Co- desta macchina veramente ingegnosa , inventata dal signor Hunter , è oggidì adoperata nelle cave di Leys - Mill , nella provincia del For- farshire , per preparare le pietre piallandole : essa da parecchi anni venne migliorata più volte, e non è gran tempo che giunse a quel gl'ade di perfezione che procuroUe l'approvazione della Società d'agri- coltura dell' Alta-Scozla. La Commissione incaricata d'esaminare questa macchina , ne fece il seguente rendiconto : dessa vien messa in movi- mento col mezzo di una macchina a vapore; si collocano sur una tavola a ciò destinata, e in pari tempo, tre pietre scabrose ed ine- guali, della superficie media di i5 piedi: tutte le superficie di esse vengono pulite e lisciate dalla macchina in mezz' ora, ^compreso il tempo che si richiede per dar il cambio ai ferri. Un mastro-mu- ratore ed un architetto giudicarono che questo lavoro avrebbe oc- cupato pendente cinque giorni e mezzo un valente operajo , e la spesa ne sarebbe ascesa a i5 scellini e 9 denari, mentrechè, giusta i calcoli del signor Lindsay Carnegie proprietario della macchina , la spesa non oltrepassa un scellino e 7 denari. La prefata Commis- sione vide altre pietre più dui-e , di diflierenti cave , preparate con coiTÌspondente vantaggio per mezzo di questa macchina, la quale viene da essa altamente lodata , siccome propria a procurare i mezzi di disporre pel selciato certe pietre che, senza il di lei ajuto, non potrebbonsi impiegare , ed oltremodo economica per alzare ogni sorta di pietre da taglio. Ci duole che l'ampiezza e la complicazione di questa macchina e' impedisca di descriverla, o dipignerla. Ella me- rita r attenzione degli intraprenditori di grandi lavori pubblici, e potrebbe, vicino a qualche gran città, come Parigi, offinr loro im- mensi vantaggi. ( Quart. Journ. of. agric. i835 ). 609 ; Fabbriche di zuccaro. — Manifattura economica di zuacavo di bar- babietole. = Molti, ed incontrastabili fatti dinioslrano gii immensi vantaggi che si trairanno dall' estendere la coltura delle barbabietole e dall' estrarne lo zuccaro. Egli è soltanto col ridurre le ricolte di primo getto in prodotti commerciali di maggior valore , che gli agri- coltori puonno uscire dal rovinoso stato cui soggiacciono per gl'infimi successivi prezzi delle derrate. La manifattura dello zuccaro non to- glie al terreno alcuno de' suoi principii di fecondità ; sembra anzi che la barbabietola possa all'uopo riprodursi nel medesimo campo pendente dieci o quindici anni consecutivi, senza diminuzione, anzi con accrescimento di raccolta. La coltura di questa radice effettua i voti per l' introduzione di una pianta sarchiata, esscnzial base del vero svolgimento della terra. Lo stabilimento di un lavoro d'in- verno nelle campagne, e la cessazione di altro lavoro intellettuale fra classi di persone poco istruite e spesso immerse nell'ozio pen- dente una gr.an parte dell' anno -, tvitti questi miglioramenti e un conseguente ben essere gexierale saranno i prodotti dell'industria che ora ci occupa, allorquando essa verrà introdotta fra i piccoli agri- coltori. Tale si è lo scopo che proponsi la Società reale centrale d'agricoltura, come uno dei migliori metodi di coltivazione: essa cre- dette esser giunto il momento di render popolare questa industria; poiché già arrivò un proprietario della Limagna ad estrarre da cin- quanta a 75 chilogrammi di zuccaro greggio ogni giorno con istru- menti semplicissimi , e aumentando il nutrimento delie sije vacche e il concime delle sue terre : havvi pur anco nelle provincie del nord molte piccole fabbriche coltivate in famiglia, e parecchie riu- nioni d'agricoltori fruttarono immensi vantiiggi. Nelle vicinanze di Va- lenciennes, di Tovdouse , di Limoges, di Kimes, altre riunioni for- marono con grande loro profitto società simili a quelle delle frutte, il cambio infine delle barbabietole raccolte con zuccaro greggio, eh' ebbe luogo tra gli agricoltori ed i fabbricatori, si è un buonissimo esempio da seguire. Ciò che ancor rimane oggidì a perfezionare, o da ricercare, sono i mezzi economici di manifattura, i quali sono necessari per diffondere l'industria dello zuccaro di barbabietole presso le piccole coltivazioni. Ad uso di strettojo venne già adoperata una macchina somigliante a quella degli scarpellini, la quale sospesa a una trave, potrebbe torcere la polpa e le schiume. Il modo di sof- fiar l'aria calda adoperato dal signor Brame -Chevallier con una specie di mantice a fucina , pare poter ©ffrire ai coltivatori uii instrumento semplice e comodo. Del resto, che che ne sia di questi migliora- 501 menti, essi sono soltanto o parziali, o in aspettativa: per ciò appunto la Società, conoscendo tutta l'importanza della risoluzione dei varii problemi, e della propagazione nelle campagne di vm tal modo di procedere nella fabbricazione economica dello zuccaro di barbabie- tole, propose a questo fine tre premj a darsi in aprile del venturo 1837: il primo di 3ooo lire per la più accurata descrizione dei mezzi semplici ed economici, adatti alle piccole manifatture rurali, e in attività da due o tre mesi , per fabbricare ogni di dodici chilogrammi di zuccaro di barbabietole : il secondo di due mille lire per l' inven- tore di utensili il cui prezzo moderato possa ottenersi da una riu- nione di agricoltori che volessero cavare almeno 5o ettolitri di succo al giorno: e per ultimo lire mille pel più notevole perfezionamento, e non ancor noto, arrecato a qualcuna fra le varie operazioni di questa fabbricazione. Oltre a ciò , la medesima Società farà dono di parecchie medaglie a coloro che avranno esortati, ed impegnati quanti poterono agricoltori a stabilire piccole fabbriche, ovvero li avranno riuniti ad un tale scopo in altrettante associazioni, o finalmente a favore di quelli che avranno fatto cambio di zuccaro coi prodotti dei coltivatori. Furono inoltre, sulla proposta del sig. Soulange- Bodin , offerti altri premj d' incoraggiamento di cento lire , accor- dati alle dodici prime piccole fabbriche che preparino economicanìente con barbabietole da esse coltivate, oltre li trecento chilogrammi di zuccaro all'anno. ( Inst. et prog. pubi, par la Soc. cent. d'Agric. i835). 5oa ÀNmJNZJ 01 Bibliografia Discorso dell' avv. Giovanni Castagnola, Prefetto al Tribunale di Chiavari, Presidente della Società Economica eretta in quella città l'anno 1791, letto nella pubblica adunanza del 3 luglio i836, in occasione dell'annua esposizione e della solenne di- stribuzione de' premli per le arti e per 1' industria patria. Chiavari , dalla Provinciale Stamperia Argiroffo. Questo scrìtto contiene utili e savie considerazioni intorno al migliorare ed arricchire d'alcuni prodotti il territorio della riviera. Discorso sulla importanza d' una storia generale dell' indu- stria e del commercio degli Italiani. Teramo, Tipografia Angeletti i836. // pensiero dello scrittore di questo discorso è generoso e de- gno di tirare a se V attenzione dei dotti. Le cose ragionate dall' A. sono onorevoli per V Italia ^ e mostrano quant' egli ne senta altamente. Cenni sulla vita e sulle opere del giureconsulto Giacomo Antonio De-Giorgi Alessandrino. Alessandria, per Luigi Capriolo Tip.-Litogr. -Librajo i835. Chi ama conoscere la mente ed il cuore di quel personag- gio che illustrò la sua vita con dotti studj j con utili scritti di diversa maniera , e con begli atti di henejicenza , rinverrà negli indicati cenni esposte con buon ordine ed accorgimento le op- portune notizie. Notizie sui celebri pittori e su altri artisti Alessandrini dell' avv. G. A. De-Giorgi con note dell'edit. avv. Cristoforo Mantelli. Alessandria, dalla Tipogr. di Luigi Capriolo i836. Tanto le notizie, quanto le note appostevi sono pregevoli pel loro scopo e per la conoscenza che vi si spiega dei pregi dell' arte. I Chiostri — Orazione di Gioachino De -Agostini per la ve- stizione di una Monaca. Toriiao, Tipografia Chirio e Mina. L' Orctzione è scritta con buono stile ed infiorata di alcuni bei pensieri, né manchevole d' una tal quale novità in tema già tante volte trattato. STAMPERIA GHIRINGHELLO E COMP. con permissione. 505 Agkicoltura k Statistica — Saggio sulle mti e sui vini della Valle cVylosta : — Del Doti. Lorenzo Francesco Gatta. Socio libero della R. Società Agraria di 'Inorino, e Membro dell' Accademia di Lettere e Scienze ed Arti Economiche della Italie Tiberina Toscana ecc. ecc. Opera inserita nel tom. XI. della prefata R. Società Agraria. È volgare lameato che 1' agricoltura , 1' industria , il com- mercio, non siano discipline abbastanza istudiate, non siano fonti di ricchezza abbastanza conosciuti e favoriti. A placare questo lamento che in Piemonte è forse più frequente che giusto, dovrebbe giovare assai questa buona scrittura del D. Gatta. Essa è consecrata a descrivere la coltivazione della vite , e la fab- bricazione del vino nella valle d' Aosta ; e sebbene per ora le sue osservazioni siansi limitate sopra quest' ultima provincia d' Italia 5 tuttavia esse sono sufficienti per far vivamente desi- derare eh' elleno vengano con uguale diligenza e talento estese sopra altre parti del bel paese ove il sì suona. Sentirà questo desiderio chiunque leggerà questo Saggio a ragione accolto ed onorato dalla nostra R. Società Agraria , ed a leggerlo invoglieranno chiunque queste belle parole della sua bella introduzione. « Regione forse non havvi , che , come la valle d'Aosta in, » brevi limiti ristretta , offra più svariati e singolari fenomeni )) al naturalista, e che più superba vada per vetuste memorie: )) qui rocce , fossili , metalli , acque minerali di più ragioni : » qui piante ed animali di diversi climi : qui le più alte mon- » tagne d' Europa coronate da immensi ghiacciai ; ma qui » ancora il cielo, il sole d' Italia, il tepore delle sue più » meridionali regioni : e quando siffatti prodigii ad illustrare » questo suolo non bastassero ad ogni passo tu v' incontri » venerandi monimenli, che ti ricordano gli antichi culli, le » antiche glorie , e le antiche sconfitte. « 504 È qui chi non fosse amante esclusivo di anticLilà potrebbe pure ricordare nella calata di Bonaparte al San Bernardo , glo- rie , e sconfitte recenti. Ma le citate parole mostrano intanto che il lavoro del D. Gatta non è scientifico solamente , ma che con esso egli seppe pur anche parlare all' immaginazione 5 e difatti ogni parte del suo scritto , e la parte tecnica ch'era la più difficile egli 1' in- fiora de' più bei modi di dire italiani , cosicché vi trovi leg- gendolo tutto il sapore, tutta quella flagranza toscana che si sente nelle opere del Davanzati , del Rucellai , e del Redi. Nessuno però vada pensando che il D. Gatta intenda sol- tanto a lusingare la fantasia, e che il suo Saggio risuoni come il canto del cigno di Mantova, e le poesie dell' Arici, dell'A- lamanni , del Barbieri e di Pindemonte. La sua è prosa forbita ed elegante sì , ma prosa ricca di l'icerche fisiche , chimiche , enologiche , corredata di note erudite e delle osservazioni re- centi de' più celebri agronomi e naturalisti , è prosa quale si addice per istruire le eulte ed agiate persone sulle cose rustiche, posciachè sono le eulte , e le agiate persone quelle che più possono nei reali progressi dell' agricoltura , è prosa insomma che conforta l'esperienza di utili notizie, e di consigli, come quella di Verri, di Dandolo e di Gioja *i. I nomi che sin qui abbiam pronunciati ed altri molti che per brevità non riferiamo , fanno manifesta ragione che per r Italia è antica e meritata la gloria dei buoni studj georgici 5 e che essi non ebbero soltanto nei cantori d' Arcadia i l'oro cultori. Cultore Arcade sebbene membro di Accademie non n'è per certo il D. Gatta , quantunque egli ponga ogni cura nell' ab- bellire il suo stile, e non ommetta alcuna circostanza che possa dare un colorito poetico alle sue descrizioni. Chi per es. si aspetterebbe di esser commosso quand' egli scrivendo le qualità di una vite chiamata Prie, soggiunge: « Ogni casa, ogni umile *i Non va qui scordato il nome del nostro benemerito Dott. Ragazzoni, il quale nel suo Mepertorio d' ai^ricollura ecc. sì occupa indefessamente nel pio- pagare i buoni studj georgici ed industriali. 505 )» abituro della Valdaosta ha d'appresso la cara pianta di Prie y> al cui rezzo siede lo stanco contadino , e del cui dolcissimo » frutto si disseta?» Non ti par egli di leggere un romanzo, e dalla valle d' Aosta , dipinta con tinte cosi oscure dal Conte De-Maistre , non ti senti ad un tratto trasportare sui colli di Fiorenza per vendemmia festanti ? Frattanto il D. Gatta penetrando nelle più severe parti del proprio argomento , discorre scientificamente la topografìa e la condizione del clima della sua valle diletta , poi distribuisce ad ogni suo villaggio, ad ogni altura, ad ogni poggio le viti clic vi fruttano , ne indica il loro governo , ed i loro nemici , e le specie e le varietà , trattando la quistione se vi esista una dif- ferenza primitiva tra le varie specie di questo prezioso arbusto, oppure se essa dipenda soltanto dalla diversità dei terreni e dei climi , e di questa quistione per saggi riflessi abbraccia la prima sentenza. Giunge quindi alla festiva vendemmia , e parla della fabbri- cazione dei vini comuni , delle alterazioni , e conservabilità loro , e particolarmente dell' indole dei vini di fresia ; calco- landone da buon chimico i sali e le sostanze che li compongono. Ragiona poscia sopra i vini, eh' egli chiama di lusso, fra i quali il più noto e rinomato è quello di Ciambava 5 e se ben fatti, e' s'argomenta che poco o nulla abbiano ad invidiare quelli di Francia. Com' era poi da aspettarsi , succedono alcune giudiziose pro- poste di miglioramento nella coltura della vite , nella fabbri- cazione e nel governo dei vini. Chi crede che i trattati di agri- coltura siano sempre affastellati di ragionamenti speculativi, e di trovati ingegnosi, ma vani od impi-aticabili , legga questo Saggio del D. Gatta , e si convincerà di quanto riescano alla pra- tica utili le teorie e le scoperte scientifiche quando sono accop- piate ai risultamenti della esperienza. E mai persona in questa età tutta sollecita del positivo, ebbe tanto diritto alla comune riconoscenza , come quei generosi che consacrano i loro scritti ad insegnare i metodi sicuri e pratici, onde si aumentano e si migliorano i prodotti della terra, cercando di emancipare i pro- prietarii , ma soprattutto i lavoratori dalla schiavitù del solito 506 praticato. Se non che a quest' uopo non è forse bastevole l'o- pera del D. Gatta, perchè scritta con quell'elegania ch'ella è, sarebbe mal atta all' intelligenza popolare. L' ottenere d' al- tronde uno scopo di così vasto profitto , non è concesso a' scritti isolati; avvegnaché pviò egli solamente divenire l'ell'etto di pub- blici stabilimenti, come sarebbero gli asili per l'infanzia e delle scuole normali , che in Prussia e nella Germania , ed anche già in alcune parti d' Italia principiano a migliorare 1' educa- zione del popolo. Ciò nulla meno per quanto 1' indole ed i confini del suo scritto gliel' consentivano , il D. Gatta vi si mostra tenero dell' umanità e della patria. Pensa alla pubblica salute , e consigliando di ridurre alla coltura della vite quei terreni soltanto che non possono con- venire ai cereali , invoca la gratitudine del Valdostano sopra chi lo sapesse indurre a maggior temperatezza nel bere , e lo invita a trarre dai graspi delle uve più salubri bevande che quella non sia del così detto hrandvin. Ridivenuto agronomo suggerisce di coltivare a tramontana le viti moscadelle , che così esposte ei dice che facevano assai bene presso i nostri antichi, e tuttora afferma che riescono meglio in Francia 5 e ciò affine di lasciare alle viti di colore liberi i vigneti meglio esposti. Elevatosi poscia a considerazioni di pubblica economia il D. Gatta , coir esempio della Francia che in un solo quinquennio ricavò cinque milioni di prezzo dallo smercio dei vini di lusso, incoraggisce non solamente i Valdostani , ma i Piemontesi tutti ad accrescerne con ogni studio la fabbricazione. Questa raccomandazione non può essere meglio diretta che al nostro Piemonte , il quale per la sua geografica posizione , coronato da fertili montagne , e solcato dappertutto da ridenti colline , pare dalla natura chiamato a somministrare il gio- condo liquore della vite agli abitatori delle sottoposte pianure della Lombardia. Egli è noto che con metodi facili ed effet- tuabili da qualunque meno istrutta ed anche men ricca persona, già si ottengono in Piemonte vini squisiti; ed è noto pur anco che per opera di distinti personaggi i nostri vini fecero il tra- 507 gltto del mare senza nulla deperdere della natia lor forza e sapore. Ora se questi esperimenti si ripetessero , se queste cure si moltiplicassero , non è a dire quanto ne profitterebbe il commercio del Piemonte , die in vece di soffrire i danni dell' importazione de' vini forestieri , godrebbe tutti i vantaggi dell' esportazione de' suoi. — Ma prima di tutto converrebbe guarire i nauseati palati indigeni dalla smania de' vini esotici. Col procaccio di una miglior qualità de' vini , verrebbe a moderarsene la quantità forse ormai divenuta soverchia e no- cevole e per essersi propagata la coltura della vite a terreni dapprima incolti , o destinati ed atti ad altre produzioni , e per lo costume , pur anche dal D. Gatta lamentato , di letami- nare e di anacquare le viti. E perchè non ci venisse da taluno rimproverato questo de- siderio, alle considerazioni sanitarie, statistiche, ed economiche riferite dal nostro georgofilo, si potrebbero eziandio aggiungere alcune osservazioni morali. Se difatti si consultassero i registri criminali, noi vedremmo che la maggior parte dei delitti , vengono commessi da indivi- dui abbandonati alla vinolenza , e che quei delitti stessi ven- gono il meglio delle volte meditati nelle taverne. Vedremmo che le giunterie, i contratti rovinosi, i vizj più turpi che im- poveriscouo i patrimonii e scompigliano le famiglie, si fomen- tano il più soventi in mezzo agli alternati bicchieri. Gran danno in vero , che con sì facile intemperanza venga sciupata questa vera letizia dell' uomo socievole , e questo con- forto dello stanco ed affaticato mortale. Che del resto piace anche a noi quell' addit cornila pauperi d' Orazio , che aggiunge al poverello quell' onesta baldanza che lo fa rispettare dall' a- varo superbo e codardo. E noi pure sappiamo che alle libazioni di questo amabile liquore si confortano talora gì' ingegni de' Poeti e degli artisti , come non ci è nascosto che sotto 1' in- fluenza di lui sgorga quel lampo di verità nativa che anima le fìsonomie e ravviva il parlare degli umani. Cosi il pennello di Rembrant, ed il genio di Walter Scott seppero tra le scene di una locanda , o di un corpo di guardia sorprenderò la na- tura ne' suoi più schietti ed iuarrivabili momenti d' istinto. 508 Ma tutti questi pregi i olio ben volentieri accordiamo all'ef- ficacia del vino , non possono farci abbaglio sopra i tristi suoi effetti tanto fisici che morali, qualora dall' uso temperato si trascorre all' abuso. Quindi Foscolo ci perdoni se per questa volta la sua atrabile non c'intenerisce, quand'egli dalla sua solitudine de' colli Euganei non vuole che il Parroco sgridi quei contadini pel vizio dello smodato avvinazzarsi nei giorni di domenica , come se nel vino eglino bevessero soltanto l'ob- blio delle proprie miserie, e spesso pure non si bevesse l'ob- blio delle virtù e dei doveri. Ma tronchiamo or mai questa piccola digressione , acciò nessuno la scarabii con una antifilantropica declamazione con- tro il progressivo accrescimento delle produzioni della terra e contro i godimenti eh' esso diffonde sopra i suoi abitatori. Tale certamente non è 1' intenzion nostra, ne quella del D. Gatta. Se proponiamo una riduzione nella quantità del vino , non è per minorarne il prodotto, ma bensì per ottenerne una miglior qualità , che togliendo grande pascolo agli eccessi , fecondi maggiormente questo ramo di nazionale ricchezza. Ritornando frattanto all' analisi della Memoria del D. Gatta, non dobbiamo tacere eh' egli l'abbellisce ancora con un quadro delle specie e varietà delle viti vegetanti nella provincia d'Aosta , che divide in nove circondarli vitiferi , osservando nel distri- buirle r ordine della loro frequenza. Una descrizione geoponica di siffatte specie e varietà termina poi questo pregevole Saggio , e qui ci è grato ripetere , che un tale ragguaglio è scritto con lingua così scelta, con termini così esatti , così significativi , così tecnici , da sfidarne qualun- que botanico , e qualunque purista. La maestria pertanto con cui è dettata questa scrittura, e r utilità che ne può ridondare fanno desiderare vivamente che il D. Gatta voglia occuparsi con pari amore e talento della sua propria provincia. Dalla Valle d'Aosta disceso sulle terre canavesi che la natura, dopo che le vestì di ridenti aspetti , e le circondò di aure sa- lubri, si compiacque di arricchire ancora coi prodotti de' suoi tre regni, qual ampia messe di osservazioni e di consigli ei ^09 coglierà in un campo sì vasto e si caro ? Quivi forse non tro- verà metodi di coltura da proporre o da correggere , abusi da riparare , miglioramenti a promovere ? E quivi sui' colli della Sei-ra, di Masino, di Caluso e di Valperga, assai più che sopra i brulli sassi di Ciambava e di Mongioveto nou troverà dardet'- giante il raggio del sole. » Che si fa vino » (giunto all' umor che dalla vite cola ? Speriamo tutto dal buon volere e dai talenti del D. Gatta, e lo speriamo molto più dacché essendo stato creato a mem- bro della Commissione provinciale di Statistica , egli ne ritrarrà quindi maggiori mezzi e stimoli alle sue meditazioni agrarie , ed economiche. Bene poi e grandemente meriterebbe della pa- tria se riescisse a persuadere i suoi comprovinciali a non si fidare soltanto suU'ubertà del loro suolo, ma emulando la so- lerzia del vicino Biallese , facessero nell' industria un maggior fondamento di propria ricchezza. Frattanto 1' onorevole D. Gatta accoglierà queste brame , e questi pensieri che la di lui operetta ci ha suggeriti tuttoché un po' lontani dal suo , ma però ravvicinati al nostro istituto; e le accoglierà , ne siamo certi , non tanto a sincera significa- zione di lode , come a forte incoraggiamento a lavori più estesi sopra così fatte materie. E chi si maraviglierebbe se egli con- tinuando ad esercitare il secreto di congiungere V utile col di- lettevole, quantunque non Avvocato ma Medico, afirontasse collo stesso successo le illustri fatiche dell' Bandi e del Plebano per le provincie sorelle di Biella e d' Ivrea ? Speranza , non meraviglia ne avranno con noi tutti coloro , che porranno mente alle cognizioni fisiche , statistiche , economiche e letterarie , di cui il D. Gatta ci diede ora un Saggio cosi promettente — E sono queste cognizioni sopra le piagge più dilette esercitate, che assicurano ad opere di tal fatta la pjù distinta vocazione, S. B. 510 Letteratura — Dei Drammi di Victor Ugo. ARTICOLO SECONDO Lucrezia Borgia. H nome della famiglia de' Borgia suona fatale all' Italia. I nostri Annali farebbero a meno di essa , e tutta volentieri ne lascierebbero la celebrità a quelli della Spagna ov'ebbe origine. Un italiano scrittore di tragedie o drammi , che non pago di far camminare il cotturno nel sangue , volesse farlo guazzar nel fango, potrebbe scegliere ad eroe Cesare Borgia, e di lui già si leggono sozze e nefande parole in istorie e romanzi. Ma Lu- crezia Borgia nota per bellezza incantatrice , e, se dobbiam prestar fede ai contemporanei, per grande abuso fattone , è poi ignota del tutto dal lato delle crudeltà e dei delitti. Che questa gentil donna cedesse al torrente del secolo corrottis- simo non è gran meraviglia. La figlia della cortigiana Vanozza e di Roderigo , la sorella del duca Valentino , se casta e vir- tuosa fosse stata come quella antica Romana di cui portò il nome , questa sì che sarebbe cosa mirabile e direi quasi fuor di natura. Queste cose non considerava per avventura il sig. Victor Ugo quando di questa Lucrezia faceva un mostro coperto di tutte le scelleratezze della sua famiglia, macchiata del sangue dei Vi- telli e degli Orsini, che sparse il suo fratello Cesare, di quel del proprio marito Alfonso d'Aragona, che non ella, ma suo padre 511 o suo fratello fecero uccidere , ed essa invece lo pianse, e dì quello di più altri che ned' essa, né alcuno forse della sua fa- miglia hanno versato; contaminata poi di tutte le sozzure, che storici contemporanei , forse troppo sospettosi e maligni , le hanno attribuite. E se per amore delle forti antitesi , e dei ca- ratteri straordinari il poeta francese a tanta bellezza fisica co- tanta turpitudine morale accoppiò, lunge da noi il dargliene carico , come quelli che rispettiamo le opinioni altrui in fatto di arti , e più quando sono di valenti artisti , che alle loro qua- lunque siano opinioni pongon suggello di opere belle e mira- bili. Ma se per andare a versi del volgo , e riscuotere un plauso troppo indegno di lui avess' egli voluto vituperare con fantasie siffatte il carattere delle donne di qua dall'alpi , noi alzeremmo la voce a difesa della più bella metà del popolo italiano, e sia zelo di patria che un altro senso gentile porrebbero sulla no- stra penna parole tali, che mai le più forti e le più fiere non ne siano per avventura cadute. Ma io non m' avvedeva che il supporre sì basso intento a Victor Ugo , sarebbe far torto non che a lui , a noi stessi ed alle nostre leggiadre donne , alle quali non puossi creder diretto un oltraggio che mai non po- trebbe giungere insino ad esse. Ma come d' alti'onde un certo prurito di mordere acerbamente l' Italia si scorge chiaro negli scritti di questo, come di molti altri francesi, giovami il far- gli con tutta riverenza osservare , quanto stia al dissotto della dignità di un autore il lacerar la fama delle nazioni , e con- vertire in libelli le più belle opere del genio. Quand' egli poi recriminando adducesse a scusa l' esempio degli Italiani stessi , che i fatti più sanguinosi ed atroci della patria comune fecer soggetto di tragedie o romanzi, ovvero alle altre nazioni le colpe loro fieramente rimproverarono, potrei rispondergli: i." Che quelli fra noi, che diedero forma di dramma o poema a patrii soggetti , se i delitti di una famiglia , d' un ordine o di una città rappresentarono, su quella famiglia, su quell'or- dine , su quella città fecero esclusivamente cadere 1' animad- versione de' posteri , e l' ignominia di pochi non accomunarono all' intera nazione. Che anzi il biasimo scagliato contro gl'ini- qui rattemprarono quasi sempre colle lodi dell' Italia in gene- 512 rale, o con altro concetto qualunque, onde l'amor patrio dello scrittore e il suo nobile intento si rendesse palese. Giacché r Italia rigetta da sé come straniere le cose tutte che la de- turpano : e adottando di Venezia le glorie marittime e la sa- pienza de' magistrati, ripudia il despotismo decemvirale e ti'ium- virale , i Pozzi, i Piombi e Canal Orsano, cose tutte che se pur fossero state inventate ( il che non è vero ) a difesa della libertà , son tali da renderla odiosa più che qualunque tiran- nide. E mentre di tutte le sue città novera con gioja i fasti , deplora e detesta le discordie intestine e le mutue rivalità , che tanto nocquero al bene comune: e i suoi presenti scrit- tori non che vogliono dissimulare per adulazione le antiche colpe , che tutto dì ricorda la storia , troppo illustri perchè possano venir mai obbliate , le riproducono anzi o sulle scene o nei romanzi in nero sì , ma verace aspetto , acciocché più sempre sieno abbomiuate, e nessuno s'invogli mai più di tempi degni da questo lato di eterna esecrazione. Cosi facendo non temon essi che altri di poco amor patrio li accusi , palese com'è abbastanza il generoso lor fine, e conscii qual essi sono che ove di tale taccia potessero andar macchiati, della medesima macchiato ne andrebbe il nome di Dante , di quel fiero ripren- ditore de' morti e dei vivi 5 e quello di tutti i tragedi greci e di tutti i px'ofeti ebrei , che le colpe delle nazioni loro , accioc- ché le emendassero , palesaron lor sempre e rimproverarono. 2.° Che gli italiani scrittori che le altre nazioni, e per dir più chiaro la francese , hanno ripresa ne' scritti loro , non dissero per avventura mai cose che vere e provate dalla storia non fossero, e che 1' offesa altrui precedette mai sempre lo sdegno nostro , sicché noi non ci abbassammo giammai al segno di vilipender gratuitamente e quasi per sollazzo gli stranieri, tanto meno i francesi. Così l' Alighieri alzò la voce a maledire quei successori di Ugo Cappeto eh' ebbero fama di qua dalle alpi pei gran danni che vi operarono ,• quel Carlo senza terra che venuto a Firenze con missione di paciere , lasciolla più tur- bata e più in guerra che prima, quel Carlo d' Angiò uccisore di Corradino, e creduto avvelenatore dell' Acqui nate , quel Fi- lippo il Bello , che coir opera del Colonesi intruse in Allagni 513 violentemente lo stemma del Fior d' Aliso, rinnovando nel Vi- cario di Cristo la tragedia del Calvario : e all' aspetto di tanti orrori quasi profeta dei tempi presenti esclamava : Oh Signor mio , quando sarò io lieto A veder la vendetta che nascosa Fa dolce 1' ira tua nel tuo segreto ? Cosi il chiarissimo Nicolini dipingendo nel Giovanni Procida il non inutile sforzo di un popolo che scuote il giogo di un altro popolo , copriva della meritata infamia non i Francesi tutti, ma i sanguinarj , avari e dissoluti seguaci dell'Angioino, plebe della nobiltà e del popolo francese la cui morte rese più solenne in Sicilia il più solenne giorno dell' anno. Cosi altri adoperando il linguaggio di Melpomene a vituperare quel Carlo istesso così fatale all' Italia , il debito onore alla gentilezza e generosità francese non dimenticò di tributar loro. Queste parole che mi sembrano miti , comunque un giusto sdegno me l'abbia spremute dal cuore, non contraddicono punto alla promessa da principio fatta *i di non voler troppo insi- stere sui difetti di questo d' altronde stimabilissimo scrittore , che dei difetti dell'arte, siccome ognuno potè comprendere, non di quest'altro, che non saprei invece di che nome se- gnarlo , io intendeva parlare. Tornando al soggetto del dx'amma che ho sott' occhio , non m' intratterrò a notare quanta scon- venevolezza ed inverosimiglianza nasca dall' aver supposto l'au- tore che il Senato Veneto , sapientissima fra le antiche assem- blee , inviasse a Ferrara come componenti il seguito di un' am- basciata a quel duca marito di Lucrezia, uomini che offesi da lei nel sangue de' lor congiunti , dovevano per ciò appunto esserle odiosissimi : e che questi poi fossero avventati ed in- cauti a segno di oltraggiare così sfacciatamente in Venezia que- sta principessa, che sapevano dover fra non molto rivedere nei luoghi del suo dominio , e per debito del proprio ufficio ono- rare : e per ultimo che il giovane Gennaro varcasse i confini *i V. l'art, i." lulla stessa materia nella srconda Dislriburione di liielio. 514 tulli della prudenza fino al punto di mutilare in Ferrara stessa il terribile nome Borgia sugli stemmi della Sovrana : e solo di- remo in proposito cosa che non torna a biasimo dell' autore , esser falso cioè che l'orditura dell'Angelo sia di quelle tutte dei drammi d' Ugo la più viziosa ; perocché lo spettatore assai più facilmente si persuaderà che la sospettosa indagine dei Dieci giugnesse sino al segno di praticare per entro alle pareti dei pubblici palagi tenebrosi androni per le sue spie , che non sia per credere che il Senato di Venezia abbia per un istante solo dimenticata la propria saviezza. Giacché delle cose vere o ve- rosimili facilmente si perdona l'esagerazione: ma non già la pretesa di tale che voglia sforzarci a credere le inverosimili , e contrarie affatto alla natura delle cose. Sentì vivamente l'autore r impossibilità del suo disegno , e nella scena seconda , parte seconda dell'atto primo si sforzò ad ogni modo di giustificarlo. E quando 1' autore scorge da per se stesso , e tenta di rime- diare a' propri falli , dà almeno a divedere che non opera a caso , e eh' egli sacrificò alcune parti dell' opera all' effetto del tutto : e come la perfezione è sbandita dal mondo, non eccet- tuate le arti, i difetti dell'autore consentiti, i difetti dirò così ragionati di leggieri gli si vogliono perdonare, tanto più se con bellezze non comuni, come sempre suol Ugo , li riscatta: e ri- cordarsi di ciò che in uno di questi fogli disse con molla gra- zia un mio valente e caro collaboratore , che la natura diede agli uomini o di ti'ascendere con disordine , o d' essere ordinati con mediocrità. Le bellezze che risultano dal qualunque siasi disegno di que- sto dramma son molte. La scena quinta della parte prima dove i congiunti delle vittime di Lucrezia si scuoprono a lei improv- visamente e le rinfacciano i suoi delitti , e per ultimo rivelano senza pietà il suo nome in faccia all' unica persona eh' eli' ami al mondo , e per rispetto alla qual sola la propria fama le in- cresce , è sulla scena di effetto stupendo , quantunque una ven- detta inutile non sia cosa grande in se stessa , né tragica. La descrizione dei terribili effetti del lento veleno usato dai Borgia (atto primo, parte seconda, scena seconda) e il passare che fa nel tempo stesso lo sventurato Montefeltro, nelle cui vene 515 serpe un veleno siflalto , quasi a far fede del tremendo rac- conto , ha altrettanta bellezza quanta novità. Gli stessi impru- denti trasporti di Gennaro sotto le finestre di Lucrezia , il do- lore che la medesima occultata dietro a una persiana si sup- pone dover provare al vedersi odiata dal proprio figlio , benché da lui sconosciuta per madre, la parlata di quest'ultimo contro di lei piena di esecrazione ed abbominio,- e finalmente quel suo atto furibondo di tagliare il B al nome Borgia, e farlo, così mutilo, diventare un vocabolo che abbraccia ogni sorta di notturni disordini, Orgia, sono nella loro, diciamol pur, biz- zarria, cose belle, cose vivaci e di grande effetto in teatro. E affettuose e commoventissime sono la scena del 2.° atto in cui Alfonso vuole , presente Lucrezia , spegnere o con ferro 0 con veleno Gennaro eh' egli crede suo amante , ed ella invece si affanna a salvarlo perchè suo figlio : e quell' altra dove Lu- crezia costretta dal marito a porger di suo mano il veleno al proprio figlio , partito Alfonso gli offre 1' antidoto , ed egli ri- cusa lungamente di beverlo , dubitando che 1' offerto antidoto sia appunto il veleno. Né resisterei alla voglia di trascriver qui parecchi passi di quelle scene a dimostrare quanta verità , quanto studio di natura esse esprimono , se non che nel primo articolo ho di già troppo abbondato in citazioni. Le tante cose che dice Gennaro a Lucrezia senza abbastanza conoscerla , il dubbio che gli nasce nell'animo ch'ella sia la persecutrice dell' ignota sua madre , il quadro che fa di questa , tal quale se la dipinge al pensiero , pura e santa come un angiolo , son tutte punture mortali al cuore della consapevol Lucrezia. Nel finir dell' atto il figlio maledice alla madre , ed essa a lui benedice. Il terzo termina collo spettacolo del figlio che la madre senza conoscerla uccide. Cose invero che fanno raccapricciare. Ma questa catastrofe comunque orribile è condotta in modo da farla rassomigliare a quelle delle greche tragedie che compajono quali effetti di una tremenda ed inevitabile fatalità. E siccome di ve- leni fatali agli stessi potenti avvelenatori correva tradizione in quella età miseranda, non riesce fuor di proposito questa cata- strofe , dove Lucrezia collo intento di avvelenare i suoi nemici spinge a morte anco il proprio figlio, che prima di morire se ne 516 vendica nel sangue di lei: ed ha se non altro una moralità alla foggia de' Greci, i quali rappresentavano sulle scene lunglie serie di scelleratezze da maggiori scelleratezze punite. La scena deir avvelenamento è terribile. La gloja pazza del convito , cui succede 1' orror della morte , le mense che tramutansi in tom- be , le salmodie lunghe che interrompono spaventosamente gli osceni canti degli epuloni , quella trista e misteriosa figura di Gubetta , che allo stolto ed inverecondo tripudio de' commen- sali mesce il suo infernale sogghigno , le belle e gaje donne che scompaiono per dar luogo alle squallide figure di frati con- fortatori dei pazienti , per ultimo Lucrezia Borgia che vestita di neri panni , terribile come Medea viene improvvisa a gu- stare il piacere della vendetta, annunziando a' suoi smemorati offensori eh' eglino son tutti avvelenati , queste antitesi messe in azione son tali da produrre quei portentosi effetti di terrore che r antichità racconta delle Eumenidi d' Eschilo, Qualche benché lontana rassomiglianza ha questa scena con una del biz- zarro dramma tedesco il Fausto di Goethe , dove la sventurata Margherita , grave il seno del frutto della sua colpa , stando nel tempio mentre si celebra il sagrifizio pei morti , ode lo spirito malvagio che le rinfaccia i suoi trascorsi mentre il suon lugubre dell' organo, e il coro che canta in latino la minac- ciosa nenia , che si chiama sequenza dei morti , accrescono nel suo cuore i rimorsi e la disperazione. Ov' io dicessi che la Lucrezia Borgia di Victor Ugo termina nel modo istesso dell' Eneide , desterei sul labbro di molti un ghigno derisore. Eppure le ultime linee di questo dramma pa- jono inspirate dagli ultimi versi di quel poema. E che di Vir- gilio sia amico il poeta francese, lo provano parecchie epigrafi virgiliane , eh' egli appose all'opere sue. Gennaro veduti i pro- prii amici tutti per opera di Lucrezia avvelenati e sé mede- simo pur anco, senza che Lucrezia il volesse, involto casual- mente nella loro sventura , respinge disperatamente 1' antidoto che r ignota madre vuol persuaderlo ad ingojare , per ciò solo eh' esso è in si piccola dose , che bastando appena per lui , non può salvar da morte i compagni. Questa fiera magnanimità di un giovane che vuol tener compagnia agli amici anche in 517 molle , è naturalissima ia Gennaro, orfanello ignoto a sé stesso, che non conosce altri congiunti fuorché i suoi compagni d'arme e di sollazzi , né ha mai sentito altro affetto che 1' amicizia. Egli vuol morire, ma vuol che lo preceda al fiero passo l'av- velenatrice de' suoi più cari. Lucrezia, non già che ami una vita macchiata da tanti delitti, ma per istornare dal proprio figlio la colpa del matricidio , tenta di placarlo ad ogni modo. D' altronde conscia d' essergli madre per incesto , non osa sve- largli la turpitudine de' suoi natali , e disingannare in cosi cru- del guisa un virtuoso garzone , alla cui fantasia la madre si rap- presenta come donna di tutte virtù , e che in udire d' esser fi- glio a Lucrezia proromperebbe in maledizioni contro il ventre che r ha portato , e le viscere che 1' hanno concetto. Perocché essendosi ella , colla speranza d' intenerirlo , avveutui'ata a fin- gersi sua zia , egli die nelle smanie gridando , che il p'ensiere di essere uno dei Borgia è cosa che lo fa impazzire. Pure a forza di preghiere , di lagrime , di persuasioni eli' è di già per- venuta ad ammollirlo in modo, ch'egli dubita se debba adem- piere alla sua tremenda promessa, ovvero ber l'antidoto e per- donare alla propria ed alla vita di Lucrezia. Già questa consi- derandosi d'averlo vinto, oh! hen veggo „ esclama, ottenni la grazia. La leggo negli occhi tuoi. Oh! lascia ch'io pianga a' tuoi piedi. Quando una voce di fuori grida, Gennaro! È la voce di Maffio Orsini , il suo fratello d' ai-mi , quegli che gli ha salva la vita ed esso a lui: e questo giovane così a lui di- letto per mutui pegni d' un' eroica amicizia , la cosa più cara eh' egli abbia al mondo , avvelenato dalla feroce Lucrezia sta in punto di morire. Chi mi chiama? risponde Gennaro. Gen- naro fratel mio! ripete la voce. È Maffio, ripiglia Gennaro, al quale la voce tosto risponde. Gennaro! io moro! vendetta! Allora il giovane sale in furore, ed impugnando il coltello: È Jatto j, grida ferocemente, non ascolto parole } voi l' udiste j si- gnora j e bisogna morire! r .-jiabiv i Lucrezia ( divincolandosi ). Grazia ! grazia ! ancora un accento ! Gennaro. No 518 Lucrezia. Perdono ! ascoltami. Gennaro. No! Lucrezia. In nome del cielo! Gennaro. No! E la trafigge. Ed ella morendo Ah ! . . . tu m' hai trafuta , Gennaro, io sono tua madre. Cosi mentre Enea alle preghiere di Turno da luì ferito si sente correr per l'anima quella pietà che suol nascer frall'armi quando i nemici hanno cessato di resistere , ecco ad un tratto gli vede pender dall' omero il cinto di Fallante , dell' infelice amico ed alleato d' Enea , che Turno gli uccise spietatamente in battaglia : e quasi il fato avesse in quel punto guidato i suoi sguardi, gli si ridesta a quello spettacolo una trista ricor- danza , che mettendo in fuga la nascente pietà gli rammenta il debito della vendetta, che Evandro, padre di Fallante, si riprometteva da lui , e Fallante, esclama, nonio, ma Fallante ti uccide. Incidit ictus Ingens ad terram duplicato poplite Turnus. Consurgunt gemitu Rutuli , totusque renaugit Moiis circum , et vocem late nemora alta remittunt. Ille humilis , supplexque oculos dcxtratnque precantem Protendens : equidem meruì, nec deprecor , inquit: Utere sorte tua. Miseri te si qua parentis Tangere cura potens , oro (fuit et tibi talis Anchises genitor), Dauni miserere scnectae : Et me , seu corpus spoliatum luoiiae niavis , Redde meis. Vicisti et victum tendere paltnas Ausoni) videre. Tua est Lavinia conjux : Ulterius ne tende odiis. Stetit acer in armis ^neas , volvens oculos , dextramque repressit. Et jam jamque magis cunctuntem flectere sermo Cceperat; infelix huraero cum apparuit alto Baltcus , et noti» fuUerunl cingula bullis 519 Pallantù pueri; victum quem vulnere Turnus Straverat , atque humeris inimicuiD insigne gereb«t. Ille , ocuiis postquam soevi monumenta doloris Exuviasque hausit, furiis aceensus et ira Terribilis .- tu ne bine spoliis indute meorum Eripiarc mihi? Pallas te boc vulnere, Pallas Immolai , et pcenam scelerato ex sanguine sumit. Hoc dicens , ferrum adverso sub pectore condit Fervidus. Paragonata la Lucrezia all'Angelo, io darei, come dissi, la palma a quest' ultimo , il cui disegno mi par meno improba- bile, più vario l'affetto: mentre al terribile, che solo cam- peggia nella Lucrezia, va unito nell'Angelo l'amoroso e il pa- tetico, e di nuovo il terribile vi nasce dai sensi nel dialogo espressi , quando nella Lucrezia dipende in gran parte dall'ap- parato scenico. Giacché non vorrà negarsi che la scena penul- tima dell'atto 3.0, quella dell'avvelenamento, la più terribile di tutto il dramma, non sia d'effetto, dirò così, macchinale. Non ommetteremo di osservare che ne' teatri italiani, una ccena di questo genere ove le cose sacre son frammiste alle proi^ine , quando se ne permettesse l'esecuzione, difficilmente riescirebbe a buon esito : e le gravi salmodie miste alle canzoni degli ubbriachi rischierebbero di eccitare il riso , anziché Io spa- vento della platea. C. M. 3a 520 franinitnto d'una commedia inedita. - Cenni intorno a quello _, che precede. Edoardo giovine nato in sigaoril condizione era rimasto privo de' suoi genitori in sul fiore della sua giovinezza. Egli aveva sortito dalla natura un'iniaginativa pronta ed accesa, un cuore caldo e sensitivo, un'indole piuttosto propensa alla malinconia; n»a era dotato insieme d'un' anima temprata a virtù, di squi- sito ingegno , e di un grande amore agli studj. La sua educa- zione affidata ad uomo bizzarro, e tutto fuori del comua uso era stata male indirizzata e guasta. Le qualità dell'animo suo, le quali se avessero avuto dall'educazione un buon avviamento avrebbero prodotto frutti delicatissimi di virtù, guidate da cat- tivo freno, s'erano fatte in vece tiranne della sua vita, gli a- vevan turbata la sua pace, frapposte traveggole agli occhi, e condottolo a cercare la solitudine, infermo di malinconica pas- sione. Ond'egli ritiratosi in una sua remota villa consumava colà disutili i suoi giorni combattuto e sopraffatto dalla foga della sua imaginativa in balla di vane illusioni , accorato e perduto dietro a desideri ed affetti senza scopo , che gli uni sopra gli altri gli rampollavano nella mente. Gli abitanti del vicino vil- laggio, e tra gli altri il buon. Tommaso coltivatore de' suoi po- deri, e il suo fidato cameriere Michele, si maravigliavano ol- tremodo di lui, veggendolo così alieno dal consorzio degli uo- mini , e cercar sempre i luoghi più riposti , e solitarj , né sapevano comprendere come Edoardo giovine cosi favoi-ito dalla natura e dalla fortuna sperdesse sì malamente i doni dell'una e dell' altra. Edoardo era qualche volta visitato alla sua villa da alcuni pochi suoi amici , tra i quali Carlo suo cugino , giovane di gioviale natura, cui piaceva goder la vita, e darsi bel tempo, ed Eugenio reduce di fresco da un suo viaggio, giovane che sentiva generosamente , 1' amico il più intimo , e più fido ehc Edoardo 5' avesse, quellg , che meglio il conosceva, ed «21 amandolo grandemente cercava di ridurlo a più sani consigli. Poco discosto dalla villa d' Edoardo usava passare tra le dol- cezze della vita campestre gran parte dell'estate , e dell'autunno una onorevole famiglia , con cui Edoardo aveva conoscenza , e della quale era capo Roberto ; uomo grave , maturo , e di se- veri costumi, cui stava a cuore la sorte d'Edoardo, e padre di Eloisa, fanciulla di diecisette anni, bella, gentile, ed amabile. Eidoardo , e la famiglia del sig. Roberto si vedevano insieme qualche volta , ma di rado. Ad Eloisa , clie pizzicava alquanto di romanzesco non dispiaceva affatto Edoardo , che era allora in sui venticinque anni , , di bello aspetto , e non ostante i suoi difetti , buono , e di tempra onesta e generosa. Ma quella se- creta inclinazione d'Eloisa inverso d'Edoardo , la quale secondata alquanto si sarebbe facilmente cangiata in amore , era rimasta sempre soffocata, e sterile per mancanza d'alimento dalla parte d' Edoardo , che mostrava bensì di pregiare assai le belle doti della fanciulla, ma non le aveva dato mai alcuno di quelli in- dizi , che palesassero qualche cosa al di là dell'ammirazione. Ora accadde un giorno d'autunno, che stando Edoardo a disegnare una bella veduta , passò per colà a diporto lunghesso nn lago Eloisa accompagnata da' suoi genitori. Il suo schietto vestire , il suo portamento svelto ed aggraziato , il suo sembiante sereno insieme, e meditativo, il verginale contegno, le forme dilicate della fanciulla non apparvero mai ad Edoardo degne di tanta ammirazione , come in quel momento. Ond' egli , o fosse va- ghezza d'artista, o possanza d'un nuovo affetto non ancora da lui per lo addietro sentito, la ritrasse con molta cura nel suo disegno. Da quel punto ebbe principio il suo amore per Eloisa. Quello , che poi ne addivenisse , si vedrà dal seguente fram- mento. I personaggi sono que' medesimi menzionati in questi brevi cenni. 522 ATTO SEC SCENA NONA. Edoardo solo. Quale insolita commozione mi conturba ! Sento bensì qualche volta in me un'inquietudine arcana, uno scontento, talora un fastidio d'ogni cosa , ma nessuno di questi sentimenti è quello da cui io sono ora combattuto; è un senso sconosciuto che mi porta alla confidenza, e all'abbandono. Ho veduto cento volte Eloisa, né mai la sua presenza mi ha commosso; ed ora quale cangiamento è succeduto in me ! La sua imagine mi sta dinanzi agli occhi : la veggo là sulla riva del lago , né posso sviare da lei il mio pensiero. Quanto era onesto e gentile il suo portamento! quanto dilicata la sua grazia! Ah è pur vero, che Eloisa è adorna de' più amabili pregi. Quella dolcezza, quel candore, che spira dal suo volto , quella schiettezza di costumi , quella bontà d' ani- mo Ma dove vado io trascorrendo di pensiero in pensiero. — Eppure io sono tratto irresistibilmente a pen- sare di lei; — mi pare, che la sua imagine rallegri la mia mente, il mio cuore, come il sole diradate le nebbie rallegra un bel mattino d' autunno ( i' abbandona sur un sedile). SCENA DECIlttA. Tommaso e detto. Tornm. (da sé) Eccolo là, se non pare che abbia tutti i ma- lanni addosso, eppure Dio sa se gli manca qualche cosa (folle ad Edoardo) Riverisco il signor padrone. 523 Ed. Tommaso! avresti forse qualche cosa a dirmi? Tomm. Signor sì, vorrei parlargli d'un affare che m^appartiene, e chiedergli un consiglio, ed anche una sua licenza. Ed. Di' pure su Tommaso , che cosa hai ? Tomm. Gli dirò. Sin dall'anno passato praticava molto in casa nostra un giovine , che forse egli conosce , Pietro Tra- maglino. Ed. Sì lo conosco : un buon giovine mi pare. Tomm. Oh questo sì, tutto il villaggio gli rende giustizia. Un giovine, che non ha mai niente a dire con nessuno, che non ha alcun vizio , che attende ai fatti suoi , lavora vo- lentieri. Ed. Ebbene, che cosa vuoi dirmi di lui ? Tomm. Gli diceva dunque, che costui era solito venire in casa mia. Egli conosce la mia figlia Dorella, che, non fo per dire , ma non è brutta , vispa come un demonietto 5 ma buona, savia, ubbidiente. Ed. Ma insomma, dove vuoi andare a riuscire ? Tomm. Ebbene voleva dunque dire , che dapprincipio io non pensava più in là ; lasciava che Pietro andasse e venisse per casa senza tenergli l'occhio addosso. Egli ora recava a Dorella un bel mazzolino di fiori , ora un bel nastro. Le più belle mele primaticce erano sempre per lei. Ma io non pensava più in là. Finalmente m' accorsi che i due bricconcelli cominciavano a parlarsi sotto voce in disparte , che si guardavano l'un l'altro con certe occhiate che Dorella diventava rossa come il fuoco , quando le parlava di Pietro 5 allora apersi l'occhio, ma non era più a tempo; i due cattivelli se l'eran già intesa di diventar marito e moglie. E Pietro me l'ha fatta chiedere oggi in isposa. Il partito veramente non mi disconviene. Pietro è un ottimo giovane : io ho anche bisogno di qualcuno che m'ajuti, perchè comincio a diventar vecchio; e se il sig, padrone non è malcontento .... Ed. Malcontento! perchè? E ti pare che io dovrei impedire la felicità di due buoni giovani , che s'amano. Ne son con- tentissimo. 524 Tomm. Davvero! Dunque io gli dico di s\. JBdf. Sicuramente. ,^ Tomm. Io vado dunque subito a trovar Pietro. Mi pare g>a di vederlo a saltare d'allegrezza ^ è così cotto il poverino .. . Eà. Anzi, farò un regalo a Dorella di cinquecento lire, e se Pietro vuol rimanere al mio servizio ne' miei poderi, ce lo terrò molto volentieri. Tomm, Oh quanto è buono il mio signor padrone. Ora tocche- rebbe a lui a fare altrettanto. Mi perdoni. £ Edoardo. Eug. Edoardo , apri il tuo cuore alla gioja. Eloisa acconsente a divenir tua sposa. Il sig. Roberto , la sua consorte ne sono contenti. Tu sarai felice. Rob. Eloisa è lieta d' essere da voi eletta a vostra sposa, perchè conosce le belle doti dell' animo vostro. Io , e mia moglie ne siamo lietissimi 5 ma a una condizione : che voi diver- rete d'ora in poi più socievole , che vi darete ad occupa- zioni più utili , più degne di voi , e che tempererete la sovercbia foga della vostra fantasia. Credetemi mio caro 545 Edoardo , cui m' è dolce il poter chiamare fin d' ora col nome di figlio, bisogna conciliare l' imaginativa coli' intel- letto ] se queste due facoltà sono in guerra , e tentano di soverchiarsi a vicenda la pace dell' animo è perduta, la vita si consuma inutilmente. Della solitudine non conviene abusarne. Ella è un ristoro dell'animo , ma non è suo nu- trimento. Oltreché voi dovete pensare , che non vivete a voi solo , e che è mancare all' obbligo vostro inverso la società il lasciar annighittire il vostro ingegno , e la vostra attitudine a più nobili , ed utili uffizi. Dunque ri- serveremo quinci innanzi la campagna per la bella sta- gione quando ci verremo tutti insieme a villeggiare , e spero che vi tornerà più gradita in avvenire rallegrata della com- pagnia di colei, che sarà tra poco vostra sposa. Perdo- natemi j Edoardo, se io comincio ad usare sopra di voi i diritti di padre consigliandovi pel vostro meglio. JEd. Ah SI ! io seguiterò in tutto i vostri consigli, vi riverirò, vi ubbidirò qual figlio. Voi m'avete creata la mia felicità. Ma tu Eugenio ! potrò io mai ricompensarti degnamente di tanta tua generosità. Quale sarà degno compenso d'aver perduta si amabile creatura ? Cari. Perduta ! fino ad un certo punto sì , ma non intieramente. Eugenio non sarà il marito d' Eloisa, ma sarà il suo amico, come è il tuo. L' amicizia d' Eugenio colla futura tua sposa sarà nobile , pura , generosa, come è generoso il suo cuore. Né tu sarai per averne gelosia , credo. Ed. Io aver gelosia d' Eugenio ! E dove troverei io un animo cosi elevato , cosi onesto : dove un amico cosi disinteres- sato , così buono. Eugenio sarà sempre V amico di mia sposa , r amico del cuor mio. Eug. Te ne ringrazio Edoardo. Io avrò un degno compenso di quello, che ho potuto fare per te nell'amicizia tua, e della tua sposa , e nel caro pensiero d'aver giovato a un amico. G. Fine. ih ùnsiii-j. 544 Appendice Notizie diverse. Coltura Industriale: — Applicazione dell'argano all'aratro. — Il signor Hilaire, maniscalco a Tarascon, adattò con suc- cesso r argano all' aratro, come forza motrice, per sradicare la robbia: con questo istrOmneto havvi 1' economia di un terzo sovra il metodo sinora praticato. Il meccanismo è semplicissi- mo: un argano largo tre piedi e cinque pollici, e lungo sette piedi, sei pollici, vien posto alla distanza di 24 piedi dalla piantagione di robbia; e fermato iu terra con quattro piuoli. Dodici piedi più lungi, dietro 1' argano, colloca la carretta die portò r aratro e 1' argano. A traverso dei raggi di una ruota della stessa carretta , e all' altezza da terra di 8 pollici ^ è posta una stanga, cui sono legate due corde che tengono 1' argano. Questa ruota penetra dentro il terreno, come in una rotajà, alla profondità di sei pollici: questa profondità serve di punto d'appoggio contro la forza dell' argano. Un sol cavallo, traendo sur una stanga di nove piedi , e moventesi attorno all' argano come in una cavallerizza, fa sì die la corda die trae la car- retta si attortiglia attorno al suo fuso. (Ann. prov. d'agric. i835). Stato attuale delle lettere nella Turchia. — L' antico genio degli Ottomani si trova in piena decadenza. Gli attuali poeti credono di essere benemeriti della patria e deir avvenire, al- lorché essi scrissero cronogrammi , ossia composero alcuni versi o sentenze esprimenti fatti istorici , e indicanti col mezzo di certi caratteri dell' alfabeto e con numeri, la cifra e la data del fatto di cui intendono ragguagliare. 11 figlio di un Alfiere porta stendardo sacro, Mir Alemsade, è il più fertile fra tutti i compositori di cronogrammi; egli compose 1 0,000 strofe di 545 storia, tutte ragguardevoli per l'esattezza delle cifre, e la steri- lità dei pensieri : esso può riguardarsi come il cancelliere poe- tico di quanto accade nell' impero. Sonvi a Costantinopoli molti letterati 5 vennero a profusione instituite scuole in tutto 1' im- pero : ma rare sono le opere di qualche merito. I due presi- denti della scuola del genio , Ishac-Khoza e Seied-Seid-Moham- med-Esad, sono i soli luminari attuali della letteratura orien- tale; l'uno s'occupò Bpezialmante delle matematiche, e 1' altro dopo essere stato giudice a Scutari, poscia giudice dei campi, infine giudice della Mecca e di Costantinopoli, venne incaricato da tre anni di pubblicare il Registro degli avvenimenti j gior- nale storico dell' impero. Scorgendo oggidì 1' antica energia del genio mussulmano affievolirsi a proporzione degli sforzi fatti dal Sultano Mahmoud, e delle nuove prove d' attività che of- fre la stampa da lui protetta, ci indurrebbe a credere che il disegno di civilizzazione adottato dal Sultano sia diametralmente opposto a tutta la vita del popolo ottomano. Lo stile, a vece di purificarsi, si corrompe: i gallicismi e fin anco le locuzioni moscovite spesse fiate si riproducono nella lingua. I termini di comando usati nel servizio militare sono in lingua francese. I vocaboli ancóra che 1' Europa diede ad imprestito all' Oriente onde sfigurarli, ci vengono ora restituiti dalla Turchia medesima sotto la loro nuova forma , e tronchi. Di fatti la voce araba taarif à\\ennQ tariffa in Europa: oggidì a Costantinopoli dlcesi tarifa. Gli calligrafi, o scrittoli turchi, a buon diritto celebri durante gli ultimi due secoli, perdono appoco appoco la loro abilità ereditarla. Avviene oggi nell' impero ottomano ciò che accadeva in Europa sul finire del secolo decimoquinto: 1' arte cioè dei copisti cede all' influenza della stampa. 11 Sultano at- tuale, in ciò simile al suo predecessore, va superbo perla sua bella scrittura. Gli Ulemi, vera gerarchla scientifica e letteraria, sussiston tuttora , e formano 1' unico simbolo ottomano della forza intellettuale. I loro principi sono la stabilità, non già il movimento ,• un' affezione al passato , non il progresso verso l'avvenire. Gli Ulemi nutrono incessantemente questi sentimenti. A lato delle innovazioni introdotte dal Sultano, trovansi pure tutti 1 segni della decrepitezza, Si stampano giornali, ma il pen- 546 siero vieu meno; lo studio dell'istoria è incoraggìto , ma non ci trovi punto veruna iavestigazione storica 5 molte opere escono alla luce, ma vengono nelle mani di pochi j si rileggono gli an- tichi autori, non già per acquistare idee nuove, o per ampliare la sfera dell' immaginazione , ma sì per sopraccaricarli di note, di chiose, d'appendici, di commenti, di scolie, tutte produ- zioni parassite che si appiccano all'astro della scienza per suc- chiarlo , e farne perire i suoi frutti. Molte scuole sono stale in- stituite, ma 1' idioma si corrompe. La letteratura ottomana si separa dal suo tipo originale , anzi pare allontanarsi dall' Asia per accostarsi all' Europa; ma codesto appressamento la depri- me, invece d'arricchirla 5 ella perde i suol caratteri, senza ac- quistare i nostri, e senza rinunziare a' suoi difetti ( The Athe- nceum i835. ) Gran Bretagna: — Forza marittima. — La marina militare di questa potenza, al primo di gennajo i835, era composta di 554 navigli, di cui ijo si trovavano in istato di commissione. Quattordici vascelli da 120 cannoni, aventi a bordo tra tutti 1680 bocche a fuoco, 87,099 tonnellate, e 12,000 uomini di guarnigione, costarono 42,234,5oo lire. Il più antico di questi vascelli (Hibernia) fu costrutto nel i8o4. Li Rojal-Federic , Royal-WiUiam , e Trafalgar sono nei cantieri. Nove altri da 104 a 112 cannoni, in tutto 970 bocche a fuoco, 21,104 ton- nellate, 7,400 uomini di presidio, costarono 21,975,675 lire. Fra questi vascelli, la J^ictorj venne costrutta nel 1765, e la Real- Adelaide nel 1828. Uno fu preso agli Spagnuoli nel 1797. Il San Giuseppe è il più recente. Ventiquattro vascelli dagli 80 ai 92 can. 2,029 l>ocche, 54j338 ton. e portanti i5,200 uo- mini, costarono 55,196,900 lire. 11 più antico fu fatto nel 1788, cinque furono costrutti a Bombay, tre vennero presi al nemi- co, e quattro stanno per fabbricarsi: essi sono London j Nil _, Gibraltar, Indus. Settant' otto vascelli da 74 agli 78, aventi a bordo tra tutti 6,674 can., i4o,4oo ton. e !\'],\oo Moxmni, co- starono 154,173,944 lire. Il più antico fu fatto nel 1764, cin- que furono costrutti nelle Indie, uno a Genova nel 18 io, tre sono in commissione, cioè li Colligwoody Goliatk , Vanguard. 547 Ottani' otto fregate di 44 * ^^ can. aventi tra tutti 4 5 '44 bocche a fuoco, 206,600 ton. e 80,900 uomini a bordo, co- starono 90,200,000 lire. La più antica fu fatta nel 1782, cin- que sono state costrutte a Bombay, cinque altre prese ai fran- cesi, e due trovansi in costruzione; cioè Chichester, e Wor- cester. Così la marina militare di alto bordo dell' Inghilterra , che monta a 21 3 vascelli, o fregate, costò 363,779,675 lire. ( Echo da Commerce, i835 ). Sulle eruzioni sottomarine. — Il signor Costant Prévost, colle osservazioni da esso fatte nel suo viaggio alle isole Giulia , Malta, Sicilia, Lipari, e all'intorno di Napoli intrapreso sotto gli auspizj dell' Accademia delle scienze nell' occasione della comparsa, in giugno i83i, di un vulcano sottomarino tra le spìaggie della Sicilia, e quelle d'Africa, giunse a trarre le se- guenti conghietture. i.* L'eruzione del i83i cominciò al fondo di un bacino circondato da un macigno e scarpa sottomarino , i cui orli attestano un' antichissima dislogazione lineare del suo- lo. 2.° Potersi con fondamento presumere, l'eruzione del i83i non essere la prima che abbia avuto luogo sovra questo punto del Mediterraneo; essere anzi probabile, che anticamente siansi fatte eruzioni successive affatto sottomarine, le quali accumu- lando le lave abbiano preparato il sito della nuova eruzione , e diminuendone la profondità , abbiano spinte le materie in- coerenti che formarono il cratere del i83i, a venir a fior di acqua, ed anzi a sorpassare di molto il livello del mare. 3." Che se codesto lungo lavoro sott' acqua non si è punto mani- festato se non se raramente alla sua superficie con segni positivi, ciò provenire da che le acque condensando e assorbendo in tutto o in parte i vapori esalantisi dal centro dell' incoude- scenza , i fluidi elastici non puonno, a cagione della gran den- sità dell' acqua, gettare a un' alta distanza le lave e le scorie sottomarine. Per questo motivo 1' elevazione dei crateri sotto- marini non può essere sì grande quanto quella che avrebbero all' aria libera. 4-° Allora dunque che la cima della montagna sottomarina così formata lambì la superficie del mare , la pres- sione divenendo minore, lo svolgimento del vapore dell'acqua crebbe , e tosto per conseguenza la materia della lava incan- 548 dcscente potè venir spinta nell' atmosfera ; e quindi ricadendo neir acqua , le ceneri e le scorie si accumularono in parte at- torno air orifizio dell'eruzione sino a che sendosi mostrati pa- recchi punti saglienti al dissopra dell' acqua, le circostanze at- mosferiche ordinarie succedettero a quelle dei vulcani sotto- marini, ed un cratere somi(;liaute a quelli del continente si è progressivamente elevato sopra il mare. 5.° Molte lave, dice il signor Pre'vost , stillarono da alcune fessure dei sommersi fian- chi del cono d' eruzione, e la colonna ascendente di materia fluida non avendo più potuto pervenire sino al livello del ma- re, e nessuna altra lava solida e continua avendo consolidate le materie incoerenti della nascente isola, questa non potè resi- stere all' azione dei flutti, eccitata dalle scosse del suolo. 6." La formazione dell'isola sorta nel i83i non fu l' effetto ne del sollevamento di un fondo di mare vulcanico preesistente, né di una enorme gonfiezza di lava viscosa a segno da star insieme unita , malgrado la sua gran mole : la distruzione in fine non fu già prodotta né per cagione di uno spezzamento, né da una projezione finale di tutte le materie accumulate precedente- mente ; projezione d' altronde che avrebbe tratta origine da su- bitaneo sgombramento di un'immensa quantità di n^aterie gaz- zose. y." Mosso da queste considerazioni , e dall' esame dei ter-» reni evidentemente sottomarini di Val-di-Noto, l'autore giunse a dare interessanti spiegazioni sulla formazione deli' Etna , di Stromboli, di Vulcano, e del Vesuvio, osservando che gli an- tichi terreni plrogeni , che servono di base alle moderne eru- zioni di questi Vulcani tuttora in attività , offrono nella loro parte inferiore i caratteri di materie vulcaniche sottomarine , e, nella loro parte superiore, tutti quelli delle egestioni atmosfe- riche: ed analizzando il modo della loro formazione, egli pone per fatto positivo che le basi dei grandi sistemi vulcanici di cui trattasi, e la gran mole di terreni pirogeni che compongono in Francia il Mont-Dore, il Cantal, ed il Mézin, erano i resti di grandi coni d' eruzione, che sarebbono stati smantellati dalle potenti corrosioai superficiali, le quali hanno messo a soqqua-. dro tutte le altrui parti del globo prima ancora del puiiodo geo- logico in cui vivi ;;ao. ( Gordier rapp. à l'Acad. ) 549 AnNUNZJ di LlBLlOGRAFIA LIBRI INGLESI. The POETicAi romances of Tristan, in french , in ANGLO-NORMAND , IN GREEK, composed in the xii and xiu centuries 5 edited b_y Francisque Michel, ossia Raccolta dì ciò che ancor rimane de' poemi di Tristan relativi alle sue avventure, composti in francese, in anglo-nor mando e in greco nei secoli 12 e i3, — Londra, tipografia di Ch. Wittingham^ libreria di TVill Plckering (e a Parigi presso Techener), i832, 2 voi. in- 12. Journal of a residence in China , and the neighbousing countries by de Abeel. London, i833, ìn-i-ì, ossia Giornale di un soggiorno alla China e nei paesi vicini, dal i83o sino al i833; relazione di quanto l'autore ha veduto a Canton, a Siam , e in parecchie isole. The chronicles of rabbi Joseph the Sphardi. Le cronache del rab- bino G. Sphardi (contemporaneo di Enrico viii, France- sco i.» e Carlo v). — Traduzione dall'ebraico per cura di F. Biallohlotzky. Pubblicate a Londra dal Comitato delle traduzioni d'opere orientali ; 2 voi. in-8.° che saranno seguiti da altri. HisTORY OF THE United-States op north America. Storia degli Stati-Uniti del nord dell'America; per /. Graham. 4 voi. in-8.° — Parigi, nella libreria degli Stranieri. Tue monarchy of the middle classes. La monarchia del ceto medio in Francia, 2.* serie, per Bulwer. 2 voi, in-S." — Alla libreria degli Stranieri. Study of english poetry. Studio della poesia inglese, scelta dei migliori pezzi dei più grandi poeti della Gran-Bretagna 5 opera di ^. Spiers. In-12 di pagine 23. —Parigi, presso l'autore, contrada Mazariua, n." 19. 550 ERRATA alla pag. 3gy , Un. 4-* della distribuzione a.' di luglio. ®Lf (Ditcttotc'^ef ^tt^afpmo Nelle poche parole mìe accompagnanti i versi non miei eh' EUa^ a signore , stampò nel suo pregiato Giornale , corse un errore o dello stampatore o del copista, e fu detto cane /per conte. Sarebbe un far torto ai lettori tenerli capaci di sospettare o nelV errore o nella cor- rezione alcuna allusione maligna. Questo del vedere aggiunti ai pro^ pri gli sbagli dello stampatore o del copista , è uno dei tanti inco- modi della lontananza, e non dei più dolorosi. Creda alla stima del suo Obbligatissimo Tommaseo. P. S. La prego di stampare , se pub , questa letterina , perchè lo sbaglio è troppo madornale, a dir vero; e di scusarmi e di cre- dermi S. T. STAMPERIA GHIRINGHEr-LO F, TOMP. con permissione. 551 Istoria — Storia ANTICA; scoperta di documetifì. La scoperta di un manoscritto , che ci rivela la recondita an- tichità della storia Fenicia , che narra le maraviglie di un commercio estesissimo, che può aggiungere qualche autorità alle erudite indagini sopra gli antichi culti venuti d'Oriente in Oc- cidente , non può a meno di eccitare vivamente la curiosità di tutti quelli che attendono a' severi studii della storia , o si oc- cupano nelle difficili congetture archeologiche. Il primo annun- zio pertanto del ritrovamento di un codice che contiene la ver- sione greca fatta da Filone di Biblo della storia primitiva dei Fenici scritta da Sanconiatone , fu udito con maraviglia ; suc- cedette tosto il desiderio di leggere prontamente quel libro cre- duto per tanti secoli irremissibilmente perduto ; surse dopo una striscia di diffidenza nel giudizio di taluno, che non vedendo comparire colle stampe il promesso codice, ricordò altre illu- sioni di tal fatta crudelmente deluse, e per non essere sedotto dalla speranza , in m.odo quasi assoluto ne rigettò la già provata dolcezza. — Ecco la serie de' fatti : il sig. Fr. Wagenfeld ha testé pubblicato tn tedesco un opuscolo intitolato = Analisi della storia primitiva de Fenici di Sanconiatone fatta sul ma- noscritto recentemente ritrovato della traduzione intiera di Fi- lone. Il Dott. G. F. Grotefend, direttore del Liceo di Hannover, quegl' istesso che acquistò fama pe' lavori eseguiti intorno alle iscrizioni di Persepoli, ed a quelle della Licia, pose avanti a quell'opuscolo una prefazione , ed è il sunto di quel libro di- steso appunto dal Dott. Grotefend che ora noi pubblichiamo tradotto dal giornale inglese the Athenceum che l'ebbe dal lo- dato autore. Nacquero frattanto incertezze o dubbii nelle nienti di quelli che con più fervore aspettavano l'opera di Sanconia- tone ; un letterato francese il sig. Ph. Le Bas ne scrisse allo 34 552 stesso Dott. Grotefend , il quale dopo d'avere encomiato e ri- dotto in forma d'epilogo l'opuscolo del sig. Wagenfeld, mutò ad un tratto d'opinione, e dichiarò che teneva V analisi anzidetta per una compiuta finzione. La risposta dal Dott. Grotefend al sig. Le Bas dà a divedere che non ha peranco nessuna prova convincente che il manoscritto annunziato sia un'opera apocri- fa , ma che, senz' averlo per altro ancor veduto, non ci ha fede perchè non serba fiducia nelle parole del sig. Wagenfeld. I particolari di questa contesa si leggono nel fascicolo della Be^'ue des deux mondes , i.° settemb. i836 , dalla pag. 543 alla 5 1 8. Chi è vago d' alterchi anche ne' pacìfici campi della letteratura potrà aggiungere questo novello esempio ai molti che pur troppo già se ne hanno ; chi avendo a sdegno il gar- rire , e portando in cuore la castità degli studii , esamina con animo imparziale la quistione, sospenderà di decidere fin che la promessa di Wagenfeld sia adempita, ed il testo di Sanco- niatone voltato in greco da Filone di Biblo sia comparso sotto iA\ occhi del pubblico. Frattanto la sola formola giudiziaria en- tro cui ci possiamo ristrignere è, il romano non liquet. Siccome però r aspettazione è grande , e la scoperta , se si verifica , sarà importantissima, crediamo opportuno il qui consegnare fin d'ora alcuni cenni sull' asserito ritrovamento del codice, e sulle cose che vi si contengono. La nota scritta dal Dott. Grotefend quando ancora credeva alla sincerità del manoscritto , basta all' intento nosti-o , epperò 1' abbiamo , come si è detto , tradotta dal ci- tato giornale inglese. L'opuscolo originale del Wagenfeld è ra- rissimo fuori di Germania 5 un' ampia notizia ne dà tuttavia la Revue des deux mondes nel fascicolo sovr' indicato. Quell' .articolo ne pare fatto con molta cura, ma noi Italiani abbiamo di che dolerci che vi si leggano le seguenti frasi: — V Alk- nia^ne nest pas la terre classique de ces sortes de supercheries ( supposizioni di codici , fatture d' apocrifi ecc. ) dont l'Italie a donne de si funestes exemples ^ ed in fine si parla di chi sa- rebbe un successeur d'Annius de Viterbe et de Licori:, se avesse supposto, e finto il codice promesso. Nò la giustizia permette, uè lo zelo, anche il più indiscreto, della schiettezza lettera- ria può far sopportare simili asserzioni. La sincerità degli studii 553 classici in Italia è provata dalle infinite riccliezze che mercè di essi si acquistarono alle lettere. Chiamati dalla Piovvideuza ad operare il risorgimento delle scienze e dell'arti gì' Italiani fecero comune a tutti i popoli il tesoro che presso di lor si celava 5 e non è in questi tempi , ne' quali si trassero d' Italia tanti splendidi avanzi dell' antico sapere , che conviene apporre a questa terra un rimprovero non meritato; né gl'Italiani la- sciarono ad altri l'onore di esporre al pubhlico quelle scoperte, ma senza invidia , e con nobile gara fecero opera rimeritata dell' universale encomio. E se noi riconosciamo le illustri fa- tiche spese nella ricerca e nella dichiarazione di antichi co- dici da' Niebuhr , da' Glossi us e da altri chiarissimi Tedeschi, non possiamo del pari dimenticare quel moltissimo che si è ottenuto dal Mai , dal Peyrou e dagli Accademici Lucchesi , e quel che si è in ragione di aspettare dalle dotte investigazioni di Carlo Troya e di Carlo di Vesme. I nomi allegati dal sìg. Le Bas quasi a prova dell' acerbo giudizio , anziché confermarlo r infievoliscono. GÌ' inganni tessuti dal maestro del S. Palazzo di Alessandro VI, gli errori di un uomo che come il Ligorio era piuttosto artista che letterato, secondo la comune opinione non dimostrano se non un gran difetto di critica , ed un in- gegno corrivo alle illusioni, nel momento in cui tante scoperte vere e reali si facevano in Italia 5 ma chi ne dà colpa oggidì all' intiera nazione? Gli studii classici ridestati tra noi ad ammaestramento d'Europa coprono abbondevolmente 1' errore o la seduzione di un vanaglorioso o di un entusiasta. Siccome grande era in Italia il numero di quelli che s'occupavano in questa maniera di studii, non è maraviglia che fossero alcuni che male ne usassero ; dove e' è maggior circolazione di mo- nete , più. frequenti sono i casi di falsificazione. Ne duole l'aver dovuto entrare in queste difese , ma il silenzio sarebbe stato incomportabile 5 lungi dal muoverne reciproche accuse, che non mancano mai, facciam voti perché le relazioni letterarie diventino vieppiù strette, vieppiù facili, vieppiù durevoli fra i dotti di tutte le nazioni. Le gelosie impiccioliscono 1' animo , le ingiuste accuse feriscono il cuore. GÌ' Italiani possono impa- rar molto dagli stranieri , ma questi non ricbbono discono- 554 sceie la dignità della nostra letteratura , che è pure gran ])arte della nostra vita sociale. — Se contro 1' opinione no- stra che i giornali non debbono riprodurre articoli di gior- nali , ma pai-lare di per sé e non come un eco imperfetta ri- petere i detti altrui, ci siamo fatti a tradurre la notizia del Dott. Grotefend, l'importanza dell'argomento speriamo ci varrà di scusa. F. S. 1 signori Hahn librai nella città di Hannover hanno testé pubblicato un piccolo volume il cui contenuto è così impor- tante, che io non posso trattenermi dal chiamarvi sopra 1' aj- tenzione degli studiosi , e molto vi sarebbe che dire sopra que- sta pubblicazione , se non fosse che io schivo le prefazioni che .son più lunghe dell'opera istessa. Egli è questo un estratto della storia originale dei Fenici scritta da Sanconiatone , e desunto dalla traduzione compiuta fattane da Filone , manoscritto sco- perto di recente ed accompagnato da osservazioni di Fr. Wa- geufeld , a cui il Colonnello Pereira ha mandato per pubbli- carlo il manoscritto originale trovato per caso nel monastero di Merinhao , in Portogallo , con tredici altri manoscritti di minor importanza. Io lascierò che le persone versate in tali materie portino giudizio dell' antichità del manoscritto dal^ac- siinile *i , che contiene la conclusione dell'opera intiera; mi basta il dichiarare che il manoscritto bene scritto in pergamena è di 12^ larghe pagine in quarto, che comprendono ciascuna da s5 a 35 linee , e riescono quindi a più del doppio del sunto che se n' é pubblicato. La traduzione è fatta con strettissima fedeltà all'originale, e di leggieri possiamo in essa riconoscere le giunte proprie di Filone , come distinguiamo lo stile delle autorità addotte, e per la maggior parte nominate; la più im- portante delle quali sulla potenza e commercio di Tiro al tempo del re Joram , o^'^'ero tìiram, è anche citata di parola in pa- rola, e può per conseguenza essere considerata qual monumento scritto del tempo di Salomone. Sanconiatone egli stesso scriveva *i II fac-simile è unito all'opera del sig. Wageiifcld , ed appare di bella e àion moderna scrittura greca. 555 nel tempo all' incirca in cui Ezechiele componeva il suo 37.° capitolo , e ci avrebbe aperto tutta quanta 1' antichità Fenicia , se non si fosse limitato a far risalire la sua storia antica so- lamente sino al fondatore della famiglia reale che a' suoi tempi regnava a Byblus ; mentre la storia della più remota anticliità era già stata scritta da Kaukabas ed altri istorici menzionati nel fac- simile. Sembi'a che la causa immediata clie lo indusse a scrivere questa storia sia stata un terremoto che abbattè le colonne nel vestibolo del tempio di Melikertes in Tiro , sulle quali Joram aveva fatto incidere da un sacerdote dello stesso nome, primieramente il viaggio della scoperta dell'Isola di Ra- chius ( Olir ovvero Ceylan ) ; ed in secondo luogo il catalogo di tutti i paesi e di tutte le nazioni allora conosciute. Il viaggio della scoperta sussisteva ancora in modo da poter essere letto intieramente sulla abbattuta colonna , ma il catalogo fu di- strutto e sarebbe perciò stato perduto per noi, se Joram non ne avesse avuto quattro copie fatte dal suo segretario Sydjk pei suoi vice-re di Sidone, Byblus, Aradns , e Berytus, dellequali quella che rimaneva nel tempio di Baaltis a Berytus fu an- cora conservata. Perchè non andasse perduta egli la copiò di parola in parola, e vi mise avanti l'intiera storia antica dalla creazione del mondo. Quanto bene qualificato fosse Sanconiatone per scrivere que- sta storia , si fa manifesto da che noi vediamo che egli discen- deva da una illustre famiglia di Byblus, egualmente distinta per le opere e per 1' ingegno ; che egli era un regio scriba , come pure lo era stato il suo avo Okalothon , e che mentre egli era ancora garzonetto aveva accompagnato Kidnion , suo avo materno ( chiamato il Nebiteo dal tratto di paese a lui dato pe' suoi servizi) nella spedizione all'assedio di Tiro, l'isto- ria del quale assedio , come dice il fac-simile , fu scritta dallo stesso Kidmou. Sanconiatone ha diviso la sua storia in nove libri. Il primo contiene le tradizioni mitologiche già conosciute , ma iu parte sfigurate, e che diventano più chiare se noi distinguiamo le due principali fonti di esse; i libri del Dio Taaut scritti dai Kabiri , e dal loi'o ottavo fratello Asklepios , e le tradizioni 556 Ci^izio-greche. Col secondo libro comincia la storia mitologica della fondazione delle prime colonie in Kitium e sull' opposta costa di Cilicia , fatta da Demaroon padre di Melikertes 5 degli Hyksos e dei Giganti nella contrada ; dell' origine del mar morto 5 del viaggio di scoperta fatto da Melikertes alle alpi marittime , alle isole baleari ed a Tartessus , nella cui narra- zione Sanconiatone cita i cauti che Hierbas , il sacerdote (pro- babilmente il Hierombal di Porfirio ) declamava il giorno prima clie salpassero i legni Tirii , sotto la condotta di Okalothon , alla volta di Tartessus. Anche al tempo di Sanconiatone si can- tavano ancora alla festa di Melikertes le canzoni nelle quali questi celebrava la sua amante, per cui egli aveva dovuto con- tendere col deforme suo fratello Isroas. Ecco un saggio della poesia fenicia. « Lo sparviere veramente uccide lo sparviere , e sui monti il cedro cadente atterra il vicino della stessa sua specie. Ma d'onde viene che tu sii avido di battaglie ? Perchè vuoi tu combattere col tuo fratello? Tu sai che io son prode, ma non vorrei far prova contro di te. Non siamo noi , o fratel mio , due ruscelli che sgorgano dalla stessa fonte? Perchè dunque cerchi la pu- gna ed il conflitto con me, o Isroas? (malvagio uomo)!)) Nel terzo libro la più antica istoria di Byblus incomincia colla genealogia dei Kabiri , e l'istoria della gioventù di Amo- rius , sotto il quale si formò il mar morto. Una gran parte di questa istoria sembra essOre desunta dagli atti di Bethobal re di Byblus scritti da un sacerdote di Kronus, ovvero llus ; ma vi si comprendono anche parecchi canti , come 1' inno trion- fale , dove si descrive la battaglia di varie città fenicie contro gì' invasori Kerati ( Philistines da Creta ) , e si loda la giustizia di re Sydik nella divisione delle spoglie. Tosto dopo si citano alcune parole tratte da un canto satirico intorno a due fratelli che edificarono la miserabile città di Bcthataba. Cavato dal li- bro degli eroi, sovente ivi menzionato , si legge pure un canto del cacciato re di Hamath, pieno di energia e di foco, col ma- nifesto paralellismo d'idee. « Ammìsus mi cacciò dalla città; i miei servi mi schernirono. Ma io flagellerò i servi ed ucciderò Ammisus. Dapprima io riposava sulla porpora Tiria, ed il mio 557 capezzale era fatto della seta di Babilonia ; ora la rupe é la mia casa , e il mio capezzale è il deserto. Ma pensi tu che io tremi quando le tenebre cadono sulla selva e la tempesta fre- me fra gli alberi , come una ruggente belva feroce ? ovvero che io sia spaventato dal luccicar delle rupi al lume di luna, o dalle pallide sembianze che mostra ogni zolla ? 11 leone è egli forse disanimato fra le ombre del suo covile , o vedeste voi mai impaurito il cinghiale? Il selvaggio cinghiale gira in- trepido fra le strette de' monti, ed il ruggito del leone fa tre- mare tutti i suoi nemici, d Oltre alla fondazione ed alla primitiva storia della città di Hamath in Siria, vi è sul fine del terzo libro una narrazione dei turbamenti avvenuti in Egitto, in seguito ai quali nume- rose tribù uscirono da quel paese, e vennero a stabilirsi parte sotto il dominio dei Fenici, e parte in lor vicinanza. In que- sta occasione si fa anticipatamente menzione della migrazione av- venuta di poi degli Ebrei, ai quali veramente Sanconiatone , secondo l'uso del suo secolo, dà il nome di Giudei, o di So- mirei 5 mentre però tenta di accertare il tempo di tal migrazione, col memorare tutti i re che in quel tempo regnavano nei dì- versi stati. Il quarto libro comincia colla storia di Sidone, che giusta il calcolo accennato nella prefazione, circa la metà del diciano- vesimo secolo prima della nascita di Cristo acquistava il pi'i- mato sopra tutte le città fenicie. Allora seguì la fondazione di Arado e di Damasco, e si stabilirono dieci colonie di mille coloni ciascuna ; due in Kitium ( probabilmente Citium ed Amathus in Cipro), una in Rodi , e tre in Kapia. ^oivìxn (Ate- neo IV. y6 ) ovvero rn Hspaia. Ta>v Pojuìojv ( Strabone XIV. I. extr. ); una in Creta (probabilmente ^otvixov5 Stef. Biz. ); una in Malta dedicata a'Mylita "^i, e due in Ersifouia, ossia Li- guria, contrada settentrionale, e tosto dopo fu edificato da' co- loni di Creta il magnifico tempio di Astarte *2 nell'isola di *i Melyta , la Venere dei Fenici; il cui culto aveva poi acquistato un infame celebrità in Babilonia — N. del traci. *2 Astarte , la luna dei Fenici — N. del trad. 558 Citerà, il quale dall' essere circondato di mura ebbe nome di Gadera. L'annuo tributo che Binialo ritraeva dai suoi domi- nii si alzava a looo talenti, ed il suo esercito era di centomila combattenti. I carri da guerra che Damascon il fondator di Damasco, aveva fatto venir dall'Egitto erano loo, i legni grossi da guerra erano ^o, innumerevoli le navi onerarie; mille le guar- die del corpo vestite di maglia d'argento. Se con queste forze noi paragoniamo la potenza di Joram, il cui padre Bastofa al tempo del re Davidde trasportò il primato da Sidone a Tiro, come il figliuolo di lui, Sydyk vi trasferì l'alta scuola fondala da Belirus nipote di Bomalus dietro il tempio di Kronos a TirOj e commessa sotto severissima disciplina alla custodia dei figli dei sacerdoti che colà avevano atteso agli studii , dovre- mo aggiunger undici colonie alle anzidette, (tra le quali Ga- dera, ossia Citerà possedeva parecchi villaggi e castella sull'op- posto lido ). Quattro Ti rie sulla sponda dell'Asia minore rim- petto a Pio di 5 una Aradia; una Tiria in Creta chiamata Ma- pristorj ossia seno di mare Tirio; sei città Tirie e Sidonie in Sicilia , con innumerevoli villaggi ; Mafile in Tenga ( Tengis ) formata di cinque città degli Aradii, Bibliani, ecc.; due in Ersifonia aflbrtificate dai Sidonii (Contro gli independenti Tar- tessii; una piccola città sullo stretto tra l'isola grande, e la piccola ( Sardegna, e Corsica ). L'esercito di Joram non era mi- nore di 200,000 combattenti, d'armi diverse, i carri da guerra erano 180, ed i legni pure da guerra 643 con immensi tesori; cosicché i guerrieri armati di lance vestivano d'oro. Ma la mag*- gior ricchezza derivò in quel tempo dalla scoperta dell'isola di Ceylan, che si trova con precisi particolari descritta: Tenga, e le isole Imyrchakine, ovvero isole della distanza ( le Canarie ) furono scoperte nel primo secolo dopo che Sidone erasi le- vata in potenza da certi avventurieri usciti di Byblos, siccome fu narrato nel libro degli Erranti. Anche a quei tempi gli uo- mini usavano libri di diletto nei viaggi, dove erano pure ritratti degli Iddii. La novella di un giovane era piacevolissima agli uditori. Da una mescolanza di tratti curiosi, e di canti popolari, fra cui quelli di Nama in lode delle donne celebri , scorgesi che il libro quarto con tutta la sua esatta cronologia, è desunto 559 in parte dalle tradizioni popolari. Dal libro dei canti è presa r elegia di Damaskon sovra il suo fratello che era, stato uc- ciso, e un' altra bellissima elegia del re di Sidone sulla dis- fatta del suo popolo nella battaglia contro i Tartessii; metà di questo componimento trovasi ripetuta nella descrizione di Sidone inserta nel catalogo delle città fatto da Joram, in guisa tale che le differenze, che qua e là s' incontrano nella tradu- zione , riescono a conferma della sua fedeltà. Ma se si parago- nano questi versi coi luoghi corrispondenti di Ezechiele, XXYII, 3, 8, 28, nonostante qualche maggior larghezza nei partico- lari, si trovano nel profeta ebreo alcune ommissioni (come il non essere fatta menzione di Berytus insieme con Sidone, con Aradus , e con Byblus ) 5 ed il poeta Fenicio invece di parti- colareggiar prosaicamente, si stende in paragoni, ed in poeti- che immagini nel modo seguente. « Il mare ti ha esso gettato sulla sponda qual perla , oppure movesti tu dal cielo, o stella brillante? La terra è rischiarata dal tuo splendore , e l' onda del mare riflette la tua bellezza. Quando tu miri , o regina del mare, navigar alla tua presenza i tuoi figli , ti allegri qual madre felice alla vista della sua prole. Ma spingi l'occhio a più. lontano orizzonte, e le lagrime scorrendoti dalla guancia irrigheranno il terreno, e il mare echeggierà dei luttuosi tuoi canti ; poiché le tue navi furono rotte a Tartessus^ ed i più illustri tra i figli tuoi giacciano esanimi sovra remote terre , preda agli avoltoi , ed ai mostri marini. » Nel quinto libro Tiro comincia ad ingelosire della potenza di Sidone, e intorno all'anno 1700, prima di Cristo, costringe Jasimon re di Sidone a cedergli le colonie stabilite in Tenga ed in Ersifonia ; i Tirii sono ammessi a trafficare in tutti i domi- nii di Sidone, ma i Sidonli non possono oltrepassare Melita, navigando alle colonie di Tiro, ed a Tartessus. I Tirii sono dis- fatti con gran perdita presso gli stretti di Mazaurisa, ovvero di Sicilia dagli abitatori delle vicine regioni, e Sidone venendo al soccorso di Tiro riacquista la primiera potenza. Circa 1' anno 1600, prima dell'era cristiana, i Sidonii pongono cinque colonie in Mazaurisa, ed una in Ersifonia la più atta a proteggere il 560 loro paese dagli assalti dei Tartessii, e la pìccola città sullo stretto tra l'isola grande e la piccola; i Biblii e gli Aradii sono indotti a mandar colonie a Tenga; i Tirii ocupano Ascalona. Sidone si mantiene nel primato nel sesto libro, quantunque un tentativo da essa fatto nel XV. secolo prima dell'era cri- stiana, per trovare una colonia presso Tartessus fosse andato così disperatamente fallito, che i Tartessii si eran posti a de- vastare le colonie Tirie in Tenga, ed in Ersifonia. In quel tempo tutte le città marittime della Fenicia dovettero unirsi coi montanari per resistere all'invasione degli Ebrei. Non occorre d'insistere sulla molta luce che questi ed altri storici spandono sulle antichità d'Oriente e d'Occidente; ma l'attenzione si accresce coli' accrescimento della potenza di Tiro nel settimo libro, che si chiude col viaggio di Eilotha alla sco- perta di Geylan. Il libro ottavo contiene la copia letterale del- l'istoria delle nazioni, di Joram, dove enumera anzitutto tutte le città, le isole, e le colonie Fenicie colle militari loro forze, fra cui gli abitatori della Caria viaggiano alla volta di certe isole, e di certi stretti posti a settentrione per combattere con certi barbari pirati, che hanno navi tanto grosse quanto i Fenicii ; vi si fa pure allora menzione delle nazioni situate ai confini della terra, ad occidente, mezzodì, settentrione e levante, con tutte le tribù adiacenti. Il nono libro si chiude coli' avvenimento di Adonilibnas al trono di Byblus , che regnò a mezzo il secolo decimo, prima di Cristo, e fu l'antenato di tutti i sovrani che regnarono in Byblus fino al tempo di Sanconiatone. G. F. Grotefend, 561 Legislazione — Fragmens d'un dìscours sur la peine de mort prononcè le i8 mars i836 par M.^ le Chevalier Car- mìgnani; traduits de l'italìen par le comte de Sellon^ fon- dateur de la Société de la paix de Genere qui j- a ajoutè guelques reflexions. Genève i836, Imprimerie E. Pelletier , ruc du RUòne, voi. in 8." de 64 pages. La scrittura che annunziamo onora 1' A. filantropo Ginevrino che consacrò 1' ingegno a render sacra ed inviolabile la vita umana , onora il professore Pisano che illustrò con la luce dell' ingegno e delle scienze 1' argomento tante volte trattato della pena di morte , onora il governo Toscano che lasciando libera r espressione di quei generosi sentimenti che per bocca del Carmignani risuonarono nella prima università del Gran Ducato, dimostrò come in quella forma di reggimento i principii fon- damentali dell'ordinamento sociale possano essere dibattuti con la libertà della filosofia , con la gravità della scienza. La speranza dell' abrogazione della pena di morte è di quelle idee che debbono sorridere ad ogni cuore generoso ed umano. Togliere 1' occasione degli errori che infamarono 1' umana giu- stizia macchiata di sangue innocente ; troncar la serie delle feroci vendette che fecero olocausto di tante vittime alle discre- panze delle umane opinioni , è benefizio tale che gli scrittori, i moralisti , i legislatori che possono e non vogliono o compa- tirlo od apparecchiarlo agli uomini, debbono essere straziati di eterno rimorso. L' inviolabilità della vita umana non è tuttavia professata da noi in modo cosi assoluto , come da quelli che invocano 1' uni- versale ed immediata abrogazione della pena capitale, afferman- do, in fatto che in nessuna condizione di cose questa non possa mai essere necessaria alla conservazione dell' ordinamento so- ciale , ed in diritto che una siffatta necessità non possa prevalere 562 sulla ìnviolahilltà della vita umana. Finche non sieno adoperati tutti i mezzi diretti ed indiretti di educazione popolare, finché la rigenerazione morale del colpevole non sia introdotta come elemento necessario del sistema penale 5 fino allora la preva- lenza deir intimidazione si manterrà necessariamente , e la pena di morte e tutte quelle aggravazioni che si trovano nella gra- duazione delle pene sancite nei più dei Godici presenti. Quest' opinione quantunque non sia forse per essere consen- tita dai due illustri scrittori, da cui mosse il nostro discorso , è tuttavia la sola che nell' intima pei'suasione della nostra co- scienza crediamo atta a far quando che sia prevalere così sante intenzioni. A quelli che le tengono per utopie tali da non me- ritar né anche una seria confutazione, faremo avvertire che da un mezzo secolo in qua tutti i Codici in molte parti d'Europa, e d'America, surrogati agli antichi, mitigarono in qualche parte l'antica severità delle pene, e resero assai più rara l'applica- zione dei supplizii capitali : che i Godici antichi anche dove non furono mutati furono mitigati dalla giurisprudenza, e dalla pratica dei Magistrati tratti quasi malgrado loro verso quella benignità che il secolo invoca 5 che quanto si fa oggidì fu dap- prima vituperato come vana e rea speranza. In quanto a noi saluteremo nel conte di Sellon uno dei più benemeriti , e generosi uomini che onorino questo secolo. Nes- sun uomo vive più utilmente di chi si dedica a far prevalere un' importante verità ; perchè la verità è più forte e più po- tente che le passioni e le opinioni degli uomini; ninno adempie in miglior modo la vocazione di una creatura intelligente , perchè il progresso delle dottrine e dei costumi è V orma del vero spirito che Iddio segnò nella creazione. 563 Scienze Morali ed Amministrative — Degli istituti di beneficenza , e dei modi di soccorrere la mendicità , e di diminuire il pauperismo. A quei sussidii costanti e regolari che le leggi di alcuni paesi obbligano di dare ai poveri , si è imposto , non sappiamo se rettamente o no , il nome df carità legale. Egli è almeno sotto questo nome che il sig. I^aville , ministro del culto protestante, pubblicò recentemente due volumi. Altri prima di lui avevano confutato quella maniera diretta ed obbligatoria di soccorrere il povero, che certamente dovrebbe sempre essere T effetto spon- taneo di un cuore umano e religioso. Per ciò fu soggetto di lunghe dispute la tassa de' poveri che è in vigore nell' Inghil- terra. Nessuno però di questi oppositori a siffatto genere di in- stituzioni si era finora accorto che nel seno medesimo di quei paesi dove quelle non esistono, ve n'hanno di altre da eglino stessi raccomandate per sopperirvi, che si risolvono pur anche nella stessa carità obbligatoria eh' essi vogliono biasimare. A queste ricerche applicò V animo il sig. di Naville , ed egli non solo per via di ragionamenti speculativi, ma coi fatti eziandio accaduti , intese a provare quanto siano funeste alla società queste maniere di beneficenza , e quanto la così chiamata carità legale sia incapace a sollevare le miserie del popolo. L'autore non è però così crudelmente ingegnoso da disapprovare tutto ciò che sinora la previdenza umana ha saputo inventare, ma ricerca sollecitamente qual altra maniera di beneficenza vi si possa aggiungere o sostituire , ed espone un gran numero di vedute tutte nuove , e tutte piene di filantropia sia sopra i mezzi di cui la carità particolare può disporre , sia sui regolamenti che potrebbero venir adottati per la distribuzione dei soccorsi ai poveri , sia finalmente sopra il bene immenso che si potrebbe ottenere prevenendo le miserie dell' indigenza. Tanto questo 564 libro è dettato dall' amore dell' umanità , tanto generosi sono i sentimenti che in esso vi splendono , eli' egli venne a giusta ragione coronato dall' Accademia di Francia. Pensando che ai nostri leggitori non possa esser discaro di averne un' idea , noi volentieri la lor diamo , seguendo anche le tracce di quanto già ne dissero altri giornali. Dieci pertanto sono le parti che compongono quest' opera. Nella prima , data una definizione della carità com' essa vor- rebbe essere intesa , l'autore tratta di quella legale , e dei modi con cui essa viene sotto la denominazione generale di tassa de' poveri esercitata in varii paesi di Europa e di America. Essa consiste nell' esazione di una imposta o in derrate , od in moneta distribuita dal governo o dall' amministrazione comu- nale , od anche consumata in alcuni luoghi dal povero stesso nella casa di colui che la retribuisce. L' influenza di questa carità coattiva , secondo che pensa l'autore , è funesta alle disposizioni morali , alla condotta ed al ben essere delle diverse classi della popolazione. Una tal sorta di carità , egli dice , toglie ogni motivo di riconoscenza ai po- veri che si avvezzano a riguardare le elemosine come altrettanti crediti che essi hanno diritto di riscuotere 5 nel tempo stesso li dispone alla pigrizia , li rende imprevidenti , senza pensiero dell' avvenire , presentando loro un soccorso certo ed imman- chevole che li salverà sempre dal perir di fame. Oltre acciò ancora il desiderio di veder aumentare per essi questi sussidii , li spinge a contrattare unioni sciagurate che perpetuano poi , ed accrescono le miserie del paese. Ora se da un canto egli è vero che 1' umanità e la morale vietano che il matrimonio sia interdetto agli indigenti, non è però d'altra parte men vero, che l'economia politica e la prudenza non debbono permettere che con tanto favore s' incoraggisca e si fomenti. Questi mali inerenti alla natura della carità legale , sono poi anche accresciuti necessariamente dai metodi di distribuzione. Cessa questa d' essere un esercizio savio ed intelligente della più bella fra le virtù 5 gl'impiegati subalterni , ai quali è forza com- metterla . la compiono come altrettanti automi , e spesso anche con modi brutali 5 il povero onesto e vergognoso , come il pò- 565 vero poltrone e svergognato dedito ai vizìi ed al libertinaggio sono accolti all' istessa guisa e soccorsi colla stessa misura. Da tutto ciò ne risulta , al dire dell' autore , una certa dlsordi- natezza morale fra la classe indigente , e per conseguenza una nuova cagione di miserie. Parlando poi delle persone che devono corrispondere l' im- posta , non meno infausti sono, a giudizio del sig. Naville, 1 ri- sultati del sistema di carità legale. La beneficenza , attributo sublime dell' uomo , diviene una taglia , i poveri non vengono più considerati come esseri infelici e sofferenti ; non si vede più in essi che tanti abusi amministrativi viventi , di cui si vorrebbe restar liberati ad ogni costo , vengono guardati come nemici di cui si soddisfano a malincuore le esigenze e solamente perchè si ha paura di essi. Ne avviene quindi uno stato di osti- lità permanente tra i ricchi ed i poveri 5 uno stato che po- trebbe troppo facilmente realizzare il pericoloso sogno di Hob- bes dell' yu5 omnium in omnia. Terminata in queste importanti considerazioni la seconda parte del suo libro , il sig. Naville tratta per minuto dei di- versi stabilimenti della carità legale ^ quali sono il domicilio di soccorso , il lavoro imposto agli indigenti , la proscrizione della mendicità. Egli fa quivi conoscere con molta accuratezza gì' innumerevoli abusi che trae dietro di sé la pratica dei re- golamenti indispensabili per siffatto sistema. Vedesi sotto que- sto rapporto 1' autore invocare colla più calda eloquenza la li- bertà individuale , la morale e la religione che mosti'a egual- mente compromesse da alcune misure ingiuste e nella maggior parte del tempo ineseguibili. Riassumendo quindi tutti li dati slnora esposti , 1' autore fa sentire 1' influenza che il sistema della carità legale esercita nel suo complesso sopra i varj rapporti che uniscono le varie classi della società, e di qui sopra la pubblica morale. Egli per ispeclal conclusione ne inferisce , che lungi dal diminuire il pauperismo , un tale sistema non serve che a propagarlo e ad aumentarlo nella più spaventevol maniera. Parecchi esempj ri- cavati dagli annali de' Paesi -Bassi , della Svizzera, dell'Inghil- terra, e degli Stati-Uniti d'America, egli adduce in prova della sua opinione. 566 Restavano ad esplorarsi le cause che hanno potuto far intro- durre lo stabilimento della carità legale, rimaneva a cono- scersi lo stato della pubblica opinione a questo riguardo , i do- veri che incumbono ai governi per frenare i progressi del male e ricondurre per quanto fia possibile nelle istituzioni pubbli- che di beneficenza lo spirito morale e filantropico , che non vi dovrebbe essere escluso mai , i provvedimenti che più giove- rebbero per ristabilire l' equilibrio , che deve sempre trovarsi tra la ragione e la carità , e per conformare l' esempio di que- sta virtù colle mire sapienti dell' economia politica ; tutte que- ste cose così ardue, così importanti restavano a considerarsi , ed il sig. di Naville le pondera nelle tre penultime parti della sua opera. Neil' ultima finalmente ei viene a proporre que' metodi che si dovrebbero, secondo lui, sostituire a quelli esistenti, a quelli ch'egli con raffinata perspicacia sconsiglia e disapprova. — Ognuno si sente qui a fronte 1' hoc opus , hìc lahor. Crede ciò non di meno l'autore di aver trovato nella carità privata quel tesoro inesauribile, che a tante difficoltà, a tanti bisogni risponda. In essa gli par di vedere 1' unica maniera di b<;neficenza che possa raggiungere lo scopo che da tutti si cerca , quello cioè di scemare i tormenti morali e fisici della società. Egli però non vorrebbe che si distruggesse ad un tratto tutto ciò che già vi esiste di stabilito per il sollievo de' poveri , ma vorrebbe che si venissero di grado in grado adottando altri preferibili mezzi , come per es. quelli delle associazioni volontarie di beneficenza. Ad onore dell' umanità egli crede che già vi esista un buon numero di queste società , ma isolate le une dalle altre , esse non fruttano ancora tutto quel bene di cui sarebbero suscettibili \ e ciascuna di esse, dovendo abbracciare tutte le esigenze in una volta della carità , non basta senza dubbio da se sola a com- piere tutte le condizioni che per il saggio attivamente di lei son necessarie. Hanvi, chi noi sa ? molte sorta di poveri , hannovi parecchie sorta di bisogni. Bisognerebbe dunque che si formassero diverse società , le quali consecrandosi a lavori ed a atti disparati , si indettassero però tra di loro , onde concorrere cogli sforzi co- ^(y7 munì al medesimo scopo. Le une si occuperelibero esclusiva- mente dei socGorsi a darsi ai poveri validi , che è quanto a dire, dei lavori , degli impieghi, degli incoraggiamenti ueces- sarii per sostenerli , e prevenire per tal modo a quella miseria incurabile che i*ecano gli anni e le infermità loro compagne. Le altre cercherebbero i mezzi migliori onde provvedere agli indigenti i nutrimenti iutellettuali e morali che la loro anima non meno capace di virtù , di elevatezza e di religione , che quella dell' uomo nato fra gli agii richiede : 1' educazione in- somma sarebbe 1' oggetto della loro più viva sollecitudine , ed esse volgerebbero tutti i loro sforzi verso la miglior sua dire- zione , ed i mezzi di renderla a tutti comune. Altre società fi- nalmente non avrebbex'o altro di mira che di sollevare i poveri invalidi. Tutti questi soccorsi poi sarebbero, per quanto meglio fosse possibile , amministrati nel domicilio stesso del povero da' commessarii , il di cui zelo fosse assiduamente stimolato- dair amore del bene, e dall' intima persuasione di una retta e benefica amministrazione della carità. Si trarrebbe per tal modo partito di tutti i sentimenti individuali di benevolenza e di tutte le generosità particolari , e dando loi-o un centro comune di attività, si renderebbero assai più veracemente efficaci. I biso- gni , le miserie del povero sarebbero nello stesso tempo il più che si potesse conosciuti , le loro cause esposte alla pubblica evidenza , sarebbero discusse con vantaggio e soccorse ed assi- stite dal governo in ciò che dipenderebbe da lui; queste società s' affaticherebbero indefessamente nell' ufficio il più nobile che possano proporsi uomini religiosi ed umani, quello, cioè, di eliminare la sventura dal seno della società; infinito ufficio senza dubbio che tende ad uno scopo inarrivabile quaggiù, ma che, come tutte le altre fatiche degli uomini sopra la terra, può camminare innanzi senza riposo di progresso in pi'ogresso. Siccome è facile a comprendersi questa, sebbene splendida per generosità di dcsiderii , e per ardenza tutta evangelica di af- fetto , è ciò non pertanto la parte più debole dell'opera del sig. Naville. Non è già ch'ella manchi di vedute eccellenti, che anzi abbonda di ottimi consigli e di voli lodcvolissimi, ma i partiti ch'egli mette innanzi sono per avventura troppo vaghi, e nella 35 568 esecuzione poi inancherebbeio forse di leggieri di basi durevoli ed efficaci. Lasciare difatti il libero esercizio della beneficenza alla carità privata , riduce ogni cosa all' incerto ed all' arbitra- rio, e senza il suggello dell'autorità che la inviti e 1' assicuri, manca l'emulazione del beneficare, mal si conoscono i bisogni, ed il numero dei poveri , il discernere i veri dagli infinti di- viene difficile , nessun calcolo finalmente si può fare sui mezzi che deggiono servire a soccorrerli. Coli' ordinare d' altronde la carità per mezzo di associazioni volontarie , si fa ritorno indiret- tamente al sistema coattivo , oppure si corre il pericolo delle diversioni dallo scopo. Nel costituire poi l'amministrazione e nel regolare la distribuzione dei sussidii si avrebbe a lottare colle superiorità e colle diffidenze individuali, con tutte le preferenze parziali. AH' ultimo poi quelle associazioni andrebbero esse per lungo tempo immuni da quello spirito di corporazione che le fa quasi sempre collocare in una posizione isolata, altiera, di- stinta della società , e che punto non ispira riconoscenza nel povero, confidenza nel pubblico? E non obbligate poi a ve- runa pubblicità delle loro operazioni, qual guarentigia presente- rebbero esse contro i pericoli della malversazione ? Additando queste difficoltà è lontano da noi il pensiero di sconfortar gli animi caritatevoli delle proposte società , ma vor- remmo soltanto che fossero stabilite ed amministrate in modo che almeno partorissero il reale vantaggio delle tasse dei po- veri , che si è quello di procurare intanto ai bisognosi un po- sitivo e presente soccorso. Mentre si accostavamo al fine della lettura del libro del sig. Naville , ci colse il dubbio che in esso si potesse rilevare una lacuna. Quivi difatti non vediamo suggeriti quei mezzi che po- trebbero essere diretti a prevenire le miserie dell' indigei>za. Ma foi'se questa ricerca avrebbe condotto 1' autore al di là del suo argomento , ed egli amò meglio rinchiudersi ne' suoi confini , e non spaziare ne' campi sterminati della psicologia , della po- litica , della legislazione, della scienza de' culti. Converrebbe di certo salire all' altezza di queste dottrine , per investigare le cause ed i rimedj radicali del pauperismo , giacché nel corso comune delle provvidenze umane e nella carità ordinaria, tro- 569 vansi forse soltanto le cause occasionali ed i palliativi per cosi dire di questa malattia sociale. In ultima analisi sembra a noi che un sistema il quale senza escludere la carità legale , che si dirige alla borsa di coloro che altrimenti non sarebbero di- sposti ad aprirla , favorisse nello stesso tempo , ordinasse ed impi'imesse una specie di legalità alla carità privata e sponta- nea , che parla al cuore di chi soccorre il povero senza esserne costretto e può sempre soccorrerlo oltre quanto è costretto ; questo sistema che riunirebbe tutte le disposizioni sì pubbli- che che private , sì interne che esterne alla beneficenza , sod- disfarebbe , crediamo noi , se non a tutte , certamente però alle più importanti condizioni del proprio istituto. Confidiamo ai futuri destini della civiltà europea il compi- mento di questi voti. Frattanto speriamo che malgrado le difficoltà e le imperfe- zioni forse inevitabili in cui il sig. Naville non potè a meno d'imbattersi, i br«;vi cenni però che or diemmo del suo libro Io annunzieranno abbastanza per benemerito dell' umanità, e degno che venga meditato in Italia. Qui dove il sentimento della benevolenza è così espansivo , le simpatie gagliarde , la generosità spontanea, i materiali tutti per costruire un edi- fizio di vasta e ben intesa beneficenza abbondano iu gran co- pia. Resta forse soltanto che alle intenzioni, ed alle disposi- zioni dell' indole benevogliente corrispondano i mezzi posi- tivi del beneficare , ed una retta ragione nell' amministrare il benefizio. Altrettanto può dirsi particolarmente del Piemonte. Per quanto difatti uno si voglia serbar innocente d'ogni nazionale giattanza , pure egli non potrà a meno di riconoscere che quivi non v'ha forse terra per angusta che sia , la quale non abbia la sua con- gregazione di carità con fondi proprii che bene amministrati e distribuiti basterebbero sempre a sollevare le prime e le più. urgenti miserie locali. Indi pubblici stabilimenti di beneficenza, asili per ogni sorta di poveri , per i poveri di sostanze , di gio- ventù e di salute, per i poveri di spirito, fanno in tutte le città e nella capitale soprattutto testimonianza dell'antica pietà e mu- nificenza de' nostri maggiori. ' — Le jrestaurazioai e 1« amplia- 570 zionl di quei slabllimenli stessi , la fondazione di nuovi , nuove case di lavoro , scuole infantili aperte per pubblica e per libe- ralità privata, distribuzioni di sussidii, dappertutto un'ammi- nistrazione intelligente e fedele attestano la beneficenza e la sapienza recente. Individui poi ed amministrazioni che gareggiano coir ingegno e colle sovvenzioni a migliorare la sorte dei po- veri neir atto medesimo che si occupano a menomarne il nu- mero. Per tacere di altri , rammentiamo a singoiar lode gli scritti del Gambini, un'egregia ifcfe/nona del conte Francesetti di Mezzenile, un Saggio pregevole dell'avv. Maffoni; opere tutte dirette a sminuire le cagioni della mendicità , e soccorrerla. Siaci anche permesso, ogni esagerazione rimossa, di ricordare i provvedimenti che di tempo in tempo si fecero sopra 1' an- nona 5 e le misnre , per cui senza aver aspetto di persecuzione, si andarono ricoverando gl'indigenti , onde diminuì , se affatto non cessò, lo spettacolo di tanta poveraglia, che schifosa e tal volta insolente ingombrava le vie , i vestiboli de' templi , e gli accessi alle case private. Per idtimo non ci sia negato di desi- derare ancora che vengano stabilite nuove Casse di l'isparmio e di previdenza ad esempio di quella erettasi dalla città di To- rino; del cui stato e dei progressi non facendosene di pubblica ragione le operazioni, non p'bssiamo dare ragguaglio. Ben vor- remmo che anche in lontana proporzione si verificasse tra noi r esempio della Francia , dove le Casse di risparmio nel solo mese di giugno i836 aumentarono in Parigi di fr. 8a5,326. 22 , e nei dipartimenti di fr. ij^SSjSjrg. 74, cosicché in tutta la Francia sul principio di luglio v'era in cotesti stabilimenti un capitale di poco meno di ottantatre milioni e mezzo di fran- chi. Stupendo patrimonio per gli artigiani , per i salariati d'ogni maniera , per tutti quelli che vivono in giornata e sui perso- nali prodotti ! Ed ecco come finito lo scompartimento del territorio ^ possa sorgere ancora una nuova classe di possidenti ; ecco come quella degli odierni nullatenenti possa insensibilmente sparire dalla società. S. B. 571 Scienze Economiche — Delle Casse di risparmio. Ella è antica come gli umani consorzi la questione mossa intorno alle sociali ineguaglianze, per la quale co- loro che intendono allo studio delle civili aggregazioni in duplice schiera dipartironsi , gli uni quelle impugnando come ad ogni giustizia contrai-ie , gli altri sforzandosi di onestarle , e farle legittime come dal natui'aì ordine delie cose procedenti. E le opposte sentenze non sempre can- didamente predicate , fecero spesso velo a mire non eque e scerete , e furono origine di fieri trambusti e gravi mali. Dimodoché non liavvi oramai chi fatto accorto da un lungo disiniranno , non ravvisi nell' una il vano oracolo d' ambi- ziosa dottrina, inutil piato nell' altra. Onde più sana e vera a noi sembra l' opinione di coloro , i quali considerando come in tutte le scienze d' applicazione la parte sperimen- tale non debba dalla speculativa discompagnarsi, ammisero come legittime quelle ineguaglianze di fatto inseparabili da ogni umana società, consecrando al tempo istesso l'egua- lità di diritto^ per cui su tutti scende egualmente la pro- tezione e la giustizia della legge. Per ora non è mente nostra l'invischiarsi in troppo ar- due questioni , cercando cjual possa essere il limite certo e costante da stajjilirsi tra il diritto ed il fatto. Ma vol- gendo uno sguardo alla società quale si trova , non pos- siamo a meno di commiserare il destino di quella parte di popolo , che sostentando la vita col lavoro delle pro- prie braccia , trovasi talvolta senza propria colpa condan- nata agli stenti ed all' inopia , cui vergognosamente per 572 l' umana natura tediamo presso taluni tener dietro il di- sprezzo e lo scherno. Dissi senza propria colpa , e ciò ad- diviene (piando per politici sconvolgimenti , per invasione di qualche panica paura nell' opinion pubblica , o per altri casi gli organi che distribuiscono interiormente la vita ai vari membri della società sospendendo l'uffizio loro, vedesi stagnare il commercio , venir meno il lavoro , le menti e le braccia inerti. Allora si è che indicibili dolori piombano su quella classe d' uomini che tragge dal lavoro il proprio sostentamento; le angoscie dell'onorato operajo che si vede costretto a stender la mano per via , del padre amoroso che non ha un tozzo onde appagai^e la fame dei figli , si possono sentire , esprimere non mai. Le quali cose noi tocchiamo , non per muovere que- rela di superbia o crudeltà all' età nostra , in cui i pre- cetti della filantropia hanno tanta autorità, e l'amore d'al- trui fece tanti conquisti sopra il laido egoismo. Le odieine Statistiche ofTron tali argomenti di fatto da convincer d'er- rore chi una tal accusa proferisse. Egli è invero confor- tevol cosa il vedere come il novero delle opere di bene- ficenza siasi da guaii accresciuto , e vada tutto dì molti- plicandosi ; ed il Piemonte nostro acchiude tal copia di case di ricovero, spedali, ospizi, orfanotrofi da giustamente onorarsene. Belle e sante istituzioni son queste , valide certo a mitigare crudeli patimenti , a lenire cocenti am- bascie , senonchè della maggior parte è uffizio il render comportevole il dolore , e la miseria presente , non 1' ov- viare all' infortunio che sorviene , ed ari-estarlo alle sue fonti. L' effetto per quelle sì fa più mite , la causa rimane la stessa , e forse moltiplica gli effetti suoi. Egli è in questo senso che da alcuni moderni pubbli- cisti vennero condannate le opere di carità pubblica ; e le ragioni eh' essi adducono in favore di quella sentenza ap- parentemente crudele , non n^ancano di peso e d' impor- 573 tanza. Alla quale sentenza in verità noi non sapremmo per intiero sottoscrivere , ma ne anco possiamo chiuder gli occhi ai danni che un esclusivo sistema di carità pubblica produce. Difatti se si eccettuino alcune case di lavoro e quelli ospizi dove s' accolgono gli orfani per ammaestrarli in qualche arte o mestiere , onde trar possano quindi ono- revolmente il vitto ; gli altri istituti col prospetto d' un sicuro rifugio per le circostanze di mala ventura blandi- scono forse di soverchio l'inerzia del povero, e addormen- tano queir energia individuale che addoppia le forze dell' uomo , allorché da essa dipende unicamente la sua sorte futm^a. Aggiungasi che quando per cause generali la mise- ria subitamente inonda , insufficienti son sempre per quanto conspicui siano i mezzi di queste pie instituzioni a soc- correr tutte le infelicità, e dove una cagione istessa pro- duce in tutti un egual bisogno d' aiuto , si fa più crudele e disperata la condizione di quegli che ne resta privo. Ne sono da trasandarsi le conseguenze morali che ingenera il vivere della carità altrui ; imperocché l' ignavia naturale agli uomini converte facilmente in abito quello che fu straor- dinaria necessità , sicché formasi per tal modo , e si man- tiene quella trista piaga del pauperismo che affligge le società, e le minaccia di rovina. Miserando spettacolo in vero egli è quello che offre la classe dei poveri in alcuni luoghi, a cagion d'esempio in Irlanda, dove gli accattoni formano, direi, un'immensa casta, ed il pauperismo ha portati tutti i suoi frutti. Là una schifosa abbiezione degli animi, cui la coscienza della dignità umana è affatto stra- niera : un'ignoranza crassa talmente , che istupidisce ed otte- nebra tutte le facoltà della mente: nessun precetto morale guidatore costante delle azioni: religione bene intesa nessuna. Quindi nessuno amor di patria, che ogni fraterna comu- nanza coi cittadini è tolta a quelli infelici dalla bassezza della condizion loro; quindi nessuno amor della virtù che 574 conoscere non sanno, ed il vender se stessi indifTerenti e stupidi a cpialunqne opera , talor anco al delitto ; quindi mi astio, un rancore perenne contro le altre classi della società, e l' odio in loro d' ogni ordine di cose esistente , come quelli che in peggiore stato cadere non possono. In quale abisso di mali possa precipitare un popolo, cui tali germi di dissoluzione travagliano, chiunque ha senno sei vede. Le quali cose osservate e meditate da quelli che agli studi loro pongon meta il sociale miglioramento, essi ne vennero in pensiero, che più conducevol via per riparare agli accennati mali sarebbe il porre i lavoratori in grado di contrastare per se medesimi alle accidentali calamità, of- frendo a ciascun d' essi i mezzi di crearsi nei tempi ordi- nari un sostegno ed un asilo pei tempi fortunosi e difficili. Levò plauso una tale sentenza, perchè facendo base del nuovo sistema l'universale sollecitudine di se stesso, par\e toccata la molla più apposita a produrre generali risultati. Fu anche notato come la maggiore atlività, che ciascuno instigato da un più vivo movente personale recherebbe nell'esercizio delle vane professioni, debba tornare in utile incremento d' ogni industria ; ed i generosi animi si com- piacquero nel pensare, che ciascuno trovando quindi in se stesso i mezzi di vincere la rea fortuna, i lavoratori sottratti così alla trista condizione che li fa spesso dipendenti dalla carità altrui , ne verrebbero dotati di un più intimo senso di dignità-, e dallo stato d'ilotismo , cui sono talora misera- mente ridotti, sahrebbero all'onorevole rango di cittadini. Le quali ragioni desunte dalla psicologica conoscenza del cuore umano non cadevano certamente in falso. Ma era per avventura difficile il trovare un pratico modo, che ad ottenere il nobile scopo valesse , e vasto quindi il campo agli errori. Alcuni avvisando nelle proporzioni con cui vien distri- buito il prodotto del lavoro, la causa della precaria con- 57^ dizione dell'operaio, e dimenticando come l'economia po- litica pili consista nell'osservazione dei fatti naturali, che nel modo di padroneggiarli , vanamente chiedevano a quella scienza una nuova legge di distribuzione, che meglio ai lavoratori provvedesse. Altri giudicando inconciliabile il pro- gressivo aumento della popolazione colla comune agiatezza, pensarono che dovessero porsi ostacoli alla propagazione delle classi povere ; in questo sconsigliati e crudeli, che a quelli che de' maggiori beni son privi , contendevano di seguire il più naturale degli umani impulsi, negando così la vita , ed il benefìzio dell'aura e del sole a chi noi potesse ricambiare con oro. Gli strani sistemi, e le infiuttuose esperienze non mancarono, come lo attestano in alcune con- trade i privilegi delle corporazioni , la tassa dei poveri e simili espedienti. Gli ingegni o dietro astratte speculazioni smarrivansi, o delle teoriche direzioni sdegnosi troppo con mal pa- rati sperimenti procedevano a tastone , ed a caso. Così per un che di tempo parve intangibile meta il trovare il mezzo d'indurre nei fatti il dominio di un principio ra- zionalmente incontrastabile, giusto, benefico. Egli è sul cominciare del corrente secolo, che fu av- vertita in Inghilterra l'esistenza di alcune casse destinate per proprio istituto a ricevere i piccoli risparmi degli ope- rai , per restituirli coi frutti accumulati ad inchiesta e vo- lontà del deponente. Gli utili risultati di quella istituzione fingono ben tosto riconosciuti, ed i filantropi studiosi videro in essa un modo di pervenii-e alla soluzione del difficile prolilema , cioè alla pratica applicazione di un razionale principio. Chi fosse il primo inventore del felice trovato , il primo fondatore della benefica istituzione., si ignora. Forse in- tendeva egli meramente di stabilire in suo prò una profi- cua operazione bancaria , e fu lungi dal prevedere tutti i 576 fortunati effetti della nuova combinazione. Forse , ed un tal credere più ne conforta, fu nobile divisamento di alcuno fra i pochi modesti uomini e generosi, cui la coscienza di un benefizio operato meglio appaga, che non ogni lusin- ghiera aura di gloria. Ma chiunqiuLe fosse di quella istituzione il benemerito autore, e da qualsiasi fine movesse, certo egli è che sparso il buon seme, non rimase infecondo. Di fatti, porto così all'uomo laborioso il mezzo di collocare in sicuro i piccoli risparmi fatti sul prezzo del suo lavoro , e di rendere pro- duttive quelle minime somme , che per la tenuità loro infrut- tuose rimanevano, dovean riuscire a necessaria conseguenza : Maggior amore al lavoro nell' operaio , e quindi fi-enato il bagordo e la dissipatezza. Lo spirito di previdenza che induce a serbare per la vecchiezza, e gli inopinati disastri quanto sopravanza ai quotidiani bisogni. Scemato in parte il fatale allucinamento del giuoco, per- chè aperta a tutti un' onesta e sicura via di migliorare la propria sorte. Fatto più generale il sentimento della proprietà che in- genera il rispetto dell' ordine e dei vincoli sociali. Migliorata insomma la fisica e moral condizione dell'uomo. I quali risultamenti dimostrati una volta e toccati con mano, le casse di risparmio e di previdenza, che tale è il nome con cui vennero appositamente designate, moltipli- caronsi in breve nella Gran Bretagna principalmente per cura dell' egregio sig. Ross, e nel i8ig fm'ono introdotte in Francia , quindi in ItaUa. Noi daremo in qualche ventura distribuzione un sunto storico dei progressi che questa bella istituzione fece nelle diverse contrade, e di quanto le rispettive legislature ope- rarono per favorirne 1' incremento. Per ora essendo pro- posito nostro di promuovere per quel minimo eh' è in noi 577 i vantaggi di quella istituzione nella nostra patria , note- remo come grazie alla pubblica e privata munificenza il Piemonte già annoveri alcune casse di risparmio, fra le quali vogliamo rammentata a gloria della civica amministra- zione di Torino quella che in questa capitale veniva fon- data sin dal 1827 da quel colto e venei'ando Senato muni- cipale, che primo vediam sempre camminare nelle vie della carità, e del progresso. Povero tributo è questo di poche e disadorne parole, ma valga per quanto egli è un eco delle lodi dei mille , ed attesti che l' ingratitudine non è vizio di popoli, ed a chi spande sovr'essi il benefizio non è per mancare giammai il conforto dell'amore e delle benedizioni universali. Ma per raccogliere da questa istituzione tutti i buoni fi^utti che meritamente sperar se ne possono , noi crediamo che più cose rimangano ancora a farsi tra noi da chi cal- deggia il bene di coloro che formano la maggiore e più utile parte della società ; delle quali alcune spettano a co- loro che per mezzo di scritti, 0 periodici o non, hanno comunicazione col pubblico , le altre s' appartengono a quelli cui dalla propria social condizione vien fatta possanza di fe- condare coli' opera i concetti delle menti loro od altrui. Stimiamo impertanto competere ai primi: I .° Diffondere nelle classi a di cui favore vennero istituite la conoscenza delle casse di risparmio già esistenti. 2.° Dimostrare con ragionamenti accessibili a tutte le in- telligenze i vantaggi che da quelle all' operajo derivano. 3*° Pubblicare il cpiadi^o delle loro operazioni per vincere con prove di fatto la ripvignanza che induce nelle masse ogni cosa che abbia in se alcun aspetto dirìovità, e la dif- fidenza natm'ale in chi confida ad alti'ui il proprio avere. 4."* Discorrere e comparare i diversi statuti vigenti o proposti, onde arrivare al miglior metodo di reggimento e d'amministrazione. 578 Dei secondi uno sarà l'uffizio, ma ampio , glorioso , ed è : Adoperarsi perchè il benefizio di quella istituzione si estenda ai vari paesi che ancora ne rimangon privi, col fondare ivi nuove casse di risparmio e contribuire coli' avere e col senno alla prima dotazione, ed al reggimento delle medesime. Im- perocché r influenza sulle opinioni e sopra le volontà es- sendo l'unico mezzo d'azione per cui questa istituzione può produrre li suoi effetti, giova più che tutto a renderla universalmente efficace ed operosa il moltiplicare i suoi centri : essendoché l' esperienza ne dimostra , come ogni molla vada scemando di forza e d'attività a misura che la sfera entro cui s'adopra si fa pivi vasta ed estesa. Per la qual cosa imprendere noi crediamo, che poche forse, e meno idonee sarebbero le disgregate forze indi- viduali , ove tutte in una non venissero composte , e con costanza ed unità di metodo al grande assunto consacrate ; sicché abbiam fatto pensiero di pubblicare in questo nostro Giornale la proposta di una associazione da istituirsi, previo l'assenso delle competenti autorità, la quale per proprio istituto intenda allo stabilimento delle casse di risparmio su tutti quei punti del territorio , ove dalle condizioni dell' industria e della popolazione son fatte più opportune. Ma dovendo a parer nostro esser preceduta una tale proposta da alcuni ragionamenti sopra i mezzi d' attingere al desi- derato fine , e conscii di quanto alla prestanza del sog- getto sia in noi minore la virtù dell' ingegno ed il corredo delle dottrine, facciamo impertanto caldo invito a tutti co- loro che intendono allo studio delle scienze economiche , affinchè vogliano comunicarci i propri pensieri sopra tale materia , e soccorrere così alla povertà del nostro buon volere colle dovizie delle menti loro. Gli scritti che ne verranno a tal oggetto benignamente trasmessi, saranno pubblicati, o non, nel nostro Giornale, secondo il piaci- mento di chi li dettava, riservandoci noi a consegnare in 579 alcune note quelle osservazioni che da un diverso modo di prospettar l'argomento discorso ci potranno venire sug- ger te. Al che ci muove non la vana giattanza di chi pre- tende imporre ad altrui il proprio giudizio , ma l' intimo convincimento che siccome dall'urto dei corpi vediamo sca- turire la luce , così fì'a il dibattimento delle contrarie opi- nioni, pili limpida sfavilli talora la verità. Intanto offriamo a tutti coloro che ne saranno larghi del loro ajuto una copia del Subalpino dalla prima sua distri- buzione sino all' aprile del 1 83 '^ , cioè la prima serie an- nua del Giornale. Tenue pegno certamente è questo della nostra riconoscenza ; ma chi sarassi in tal modo adoprato pel bene della patria troverà nel proprio cuore il maggiore de' compensi. M. M. 580 Belle Arti — Lettera F. Riflessioni sulla Musica Sacra Amico Carissimo Penetra solo il ciel queir armonia , Che in vece d'intonar canto che nuoce, Piange le colpe sue con Geremia. Saly. Rosa. Si racconta che Michel angiolo in quel gran dipinto del giu- dizio, di cui già vi parlai, denudasse troppo le figure de' risor- genti, e che perciò Paolo IV scandolezzato le facesse velare da un altro pittore, il quale però dovette aver paura non che ver- gogna a vestire de' suoi veli quelle mirahili creature. Ma la colpa fu del Bonarroti il quale per isfoggiare, e scapricciarsi nel nudo, dove riusciva a maraviglia, non aveva badato che di- pingeva in Chiesa. Questa inavvertenza fu commessa da altri egregj pittori di quel tempo, per cui ne furono meritamente biasi- mati. Ora che voglio io dire con questo? Voglio dire, che gli eccellenti maestri, i quali succedettero a si eslmii dipintori del secol d'oro fuggirono le inavvertenze, e i biasimi di quelli ve- lando le musiche di Chiesa, e lasciando svelate quelle che sotto il nome di profane divertivano la gente in teatro. Del resto questo velo come non basterebbe ai dipinti Sacri,- così ne anche alle composizioni ecclesiastiche. Imperocché bisogna che tanto il pittore, quanto il maestro attìnga i suol soggetti ai sacri fonti, e ne gli componga o secondo la verità, o il decoro del luogo, ed inoltre che vi spanda su un certo colorito che ritragga più del celeste, che del terreno, più dello spirito che della carne; così che il pittore badi a dipingere p. e. volti, e atteggiamenti di santi, ed il maestro attenda a darci di quelle melodie non solo dissimili dalle profane, ma che adombrino per così dire quelle del Paradiso. I maestri han da seguire in musica la scuola 581 del Sassoferrato , e del Dolci, il quale principalmente è cele- brato nella storia pittorica « per 1' espressione di certi pietosi ■» affetti all'idea dell'affetto consuona il colorito, ed il » tuono generale della pittura, ove nulla è di fragoroso, o di » ardito , tutto è modestia , tutto è quiete, tutto è placida » armonia. » Ma è ormai tempo che io mi spiccili dalla pittura per par- larvi solo della mxisica , la quale ha gran bisogno di raccoman- dazione, e di conforto onde poter pareggiare la sorella. Essa quando fu presa sotto la tutela del suo Masaccio, che fu, come sapete, il Palestrina, ebbe molto a rallegrarsi, e molto a sperare, vedendo che il tutore aveva saputo trovare il genere di melo- dia conveniente ai divini uflflcj , per cui col tempo, e col senno de' seguenti maestri sarebbe sempre stata ricca di due abiti, di uno da chiesa, e d' un altro da teatro,- tanto era lontana dall' infausto pensiero della sopravenutale povertà! Ma sapete voi a qual fuoco l'ingegno musicale del Palestrina siasi scaldato, o da quale pietra focaja abbia suscitate le nuove scintille? Dal salterio davidico, dalla sublime poesia ebraica. Egli non poteva ignorare che la poesia è 1' anima della musica , che il canto , ed il suono s' informano del verso, e che le melodie dalle im- magini, dagli affetti, dai sentimenti espressi dal poeta prendon colore; e perciò a tal puro, e sconosciuto fonte attinse il nuovo stile musicale. I Fiamminghi , come alcuni moderni, non avevano mai pensato , che la poesia sacra potesse animare le loro fughe, e fargli uscire una volta da quello scolastico, e triviale, d'onde avevano cominciato , e dove per pedantesca caparbietà ancora vollero rimanere non ostante il buon esempio del maestro ita- liano. E notate che sotto il nome di Fiamminghi io comprendo pure i seguaci che avevano in Italia, i loro discepoli, ed imi- tatori, per colpa de' quali il cattivo gusto durò, e la sacra poesia fu malmenata sino al principio del secolo XVIII, tempo in cui i grandi musicali ingegni riaccesero quel fuoco che i successori di Palestrina aveano lasciato spegnere con grave danno dell'arte. E qui innanzi tratto sarebbe bene far due parole intorno alla sacra poesia, fondo comune, su cui dipingono i nostri maestri. Di questa ve n' ha due sorta j la prima è la scrittu- 582 rale ossia inspirata , e divina , la quale benché Iddio data ce l'abbia per instruirci , e consolarci , ed edificarci alla pietà^ non- dimeno ama d' essere con essa e lodato, e cantato. « Onde M i demonj ( dice il Grisostonio ) introducendo in Chiesa «anti » lascivi non rovinassero tutto, Iddio oppose loro la salnio- » dia , da cui e piacere , e vantaggio insieme si ricavasse. » Ma questa salmodia non è tutta compresa e nel salterio , e ne' libri profetici, ed in altri scritti originalmente in metro*, poiché siccome le parole della liturgia sono quasi un florile- gio di tutta la Bibbia; cosi materia d' ogni musicale composi- zione può essere qualunque tratto scritturale sia in prosa che in versi. L' altra sorta è quella degl' inni, delle sequenze, dei cantici adottati dalla Chiesa , di cui ve n' ha di vario metro e gusto; i quali benché più arrendevoli alle note, ed al ritmo musicale per la loro verseggiatura ; tuttavia forza è che cedano ai biblici nella sublimità, nella varietà, nell' affetto. Ciò posto io domanderei come debba essere musicalmente trattata questa poesia? Sarebbe un inceppare ingiuriosamente gl'ingegni, ove si pretendesse di assoggettarli all' autorità dei sommi compositori , ed all'imitazione servile de' migliori modelli, non lasciando loro quella libertà che ajuta nelle arti a creare. Tanto meno io pre- senterei a' maestri un tipo nella musica degli Asaf, e degli Idithun, voglio dire nell'antica musica ebraica, la quale sap- piamo essere stata per la moltitudine degli stromeuti piuttosto fragorosa, né senza ragione ; poiché gli Ebrei, come nelle altre cose, avevan bisogno nel lodar Dio di forti scosse con un' ar- monia direi quasi corporale, e degna de' loro sanguinosi riti. La religione della pace, dello spirito, dell'amore vuole una m.usica pacata, spirituale, amorosa, che scuota il cuore non il corpo, che innalzi 1' anima alle celesti cose, che desti i più puri affetti, la più soave allegria, e lasci nel cristiano qualche memoria a guisa d'una predica, o d'una meditazione; insomma vuole una musica che non si opponga al buon effetto che e le sacre parole, e i divini uffizj , e la maestà della religione deb- bono produrre in chi assiste npl tempio. Direte voi che questo è un pretender troppo? Anzi è un pretender ben poco, e, se- condo me , è uq far torto alla musica 1' esigere solo da lei 585 che non distrugga le sacre impressioni, percLè io la credo abile a confermarle^ a rinforzarle, ed ingrandirle. Io metto l'orchestra nel numero di quegli oggetti esterni che accrescono agli occhi dei sensi maestà al divin culto , onde px'o- cacciar quel piacere , e quel vantaggio di cui parlava il Griso- stomo. Se la semplicità dei prischi riti voleva semplici canti- lene, la maestà delle presenti ceremonie esige una musica con- forme , accordata con esse. Voi vedete che io non sono né rigoroso , né partigiano dell'antica musicale grettezza , quan- tunque lodator degli antichi. Ma tiriamo avanti senza arrestarci. Ora una musica che s'accordi con esse ceremonie debbe sve- gliare una piacevole , e dolce divozione nel cristiano. E qui , lasciando stare che le ecclesiastiche armonie adombrino miste- riosamente l'intima vinione de' fedeli con Dio, la consonanza de' voleri e pensieri , il triplice accordo della carità verso Dio , il prossimo e se stesso, io dico che questa piacevole divozione non è altro che un movimento d'amor divino. Il cristiano e pregando, e piangendo, e rallegrandosi, e pentendosi, e me- ditando non fa che amare. Eccovi adunque trovata la corda che i maestri debbono toccare, cioè quella dell'amore, sopra la quale eglino faranno con mirabile varietà udire i suoni della speranza , del timore , della tristezza , della gioja , e d' ogni altro affetto che al tuon principale dell'amore si riferisca. Im- perocché sia egli un cantico di ringraziamento , o di lode , o di penitenza, sia un salmo o di genere epico, o lirico, o eie-, giaco , sia un inno o affettuoso, o pacato, o tenero, o gajo, o lugubre , la musica nella varietà , ed acconcezza dei colori , nell'armonia del tutto lasci travedei'C il fondo del quadro, si mostri devota , non si dimentichi che debbe o risvegliare y o rinforzare nel cuor umano un affetto divino. Cosi io credo aver fatto i sommi compositori di genere sacro, d'alcuni de' quali io vi feci menzione nella lettera antecedente. Questa congettura io la deduco dalla osservazione delle opere loro , siccome voi dalla lettura dei versi di Dante , o di Virgilio , o d' Orazio conchiudete che questi poeti dovettero tenere uu certo metodo per cui era difficile che non riuscissero eccellenti. E in verità a considerare i capi d'opera di alcuni maestri del secalo scorso. 36 584 i)isogiia dire che lavorassero un po' all'antica, p. e. a foggia de' musici greci, i quali alla scienza musicale univano lo studio della poesia , della filosofia , il buon gusto , e soprattutto un gran senno. Quella massima che dice , essere il sapere princì- pio e fonte del bene scrivere, pare che loro non fosse scono- sciuta. Ma che cosa mai , direte voi , avranno essi particolar- mente studiato? Io credo che studiassero ex professo l'arte loro, onde riuscirvi a perfezione. Se quest'altra congettura vi sembra tm po' arrischiata compatitemi , perchè per trovare la verità bisogna ben arrischiar qualche cosa. E venga quel che vuole , io n' arrischierei ancora un' altra j perchè a considerare i loro lavori io non posso levarmi di capo che studiassero ben bene quanto dovevano porre in musica. Il che forse vuol signifi- care che studiavano quella sacra poesia su cui dovevano met- tere alla prova la loro musicale perizia. Cosi la penso io, ne, ìinchè altri mi provi il contrario, desisterò da questa mia opi- nione. Voi per altro direte che parecchi tra' moderni conobbero pure l'arte loro. Ma chi , rispond' io , v' ha parlato di antichi o di moderni ? io v' ho fatto menzione de' sommi , e degli ec- cellenti , i quali se furono da voi veduti solo tra gli antichi ^ la colpa è vostra 5 perchè se a me parlando di loro sfugge tal- volta il tempo passato, confesso che l'intenzione e il desiderio mio è di trovarli in qualunque età preterita, presente e futura. Questi sommi adunque di qualsivoglia tempo essi siano , debbono aver fatto un grande studio della poesia per adattarvi acconciamente le note , sicuri come erano che lavoravano un campo fecondo di bellezze per l'arte ^ di gloria per loro. Essi amavano non strapazzavano la professione : volevano farla pro- gredire , non arrestare , illustrare e renderla stimata , non vili- pendere ; nel che molto giudiziosamente seguivano il bel esem- pio dei professori delle altre arti .... Ma lasciamo i maestri, e tiriamo avanti nella musica. Non avete voi per caso mai os- servato che le migliori musiche sacre abbondano di dissonanze, quasi pitture da troppe ombre oscurate? Ora se le dissonanze spiacciono all'udito siccome contrasti di due suoni tra loro an- àpatici , perchè mai furono nelle armonie ecclesiastiche intro- dotte ? Voi mi potrete rispondere che furono introdotte per 585 infliggere un po' di penitenza alle cristiane orecchie , onde Tu- ditore si ricordi che il dolce di quaggiù è misto d' amaro. Benissimo ; ma io avrei un'altra congettura da proporre. Ditemi un poco: 1' amore è forse tutto zuccaro? la divozione è tutta miele? Uno come voi poco iniziato negli ascetici segreti non può né anche conoscerne le dissonanze, e le peripezie. Ma chi è informato di queste cose può assicurarvi che e i tedj j e i timori , e le tiepidezze , e gli scrupoli , e le angoscie , e le interne lotte della vita devota meglio non potevansi esprimere che cogli accordi dissonanti. Inoltre per allargare di più cotesta sfera , la vita del cristiano non è ella una milizia , un com- battimento continuo tra il cielo e la terra, tra Dio e il mondo? Il cristiano stesso, benché uom più perfetto, quando ai divini uffizj assiste, lascia forse di sentire le lotte dello spirito colla carne , del raccoglimento colla distrazione , de' pensieri divini cogli umani? La chiesa è pur campo di battaglia ut castroruin acìesj ha i suoi tempi brutti, i suoi infortunj , i suoi cimenti. Ora , dico io , tutto questo spirituale combattimento , questo chiaroscuro della cristiana società poteva forse essere meglio espresso e figurato che con un'armonia amareggiata da disso- nanti accordi, da cozzanti suoni, i quali nelle loro risoluzioni, nel cangiarsi in consonanti vengano pure a significare una pace, un amore , una concordia futura ed interminabile? — Avrei alcune altre riflessioni su questo punto, ma le lascio per paura di dare in sottigliezze ; del resto potranno esse entrare oppor- tune in altre lettere. Per ora aggiungerò ancora qualche cosa sopra altre dissonanze , chiedendo innanzi tratto perdono al vostro delicatissimo udito. Due uffizj ha la chiesa: uno pei vivi, l'altro pei morti, uno di letizia, l'altro di tristezza 5 due colori perciò deLbe avere la musica sacra onde adattarsi al diverso rito. E comechè questa diversità io la veggo generalmente usata , nondimeno vorrei sapere quale e quanta debba essere cotesta difFereuza. La corda ^ amico mio, non debbe cangiare , è sempre quella delia divo- zione 5 cangiano solo le melodie , o , dirò meglio , il colorito delle melodie , nello stesso modo che la Chiesa muta il color delle stole ^ che del resto, come sapete :, il sitgrifizio tk^fi »-• ns6 Lrasi pei morti iu uullu diflerisce da quello dei vivi , solo al- cune cei'iinonie, alcune pi'eci si trovano njutate. Ora appunto per non voler badare a questo , soglionsi commettere alcune dissonanze nella musica , le quali meglio chiamerebboosi errori. Conceduto che un tetro preludio stia bene sul principio d' un Requiem^ onde il devoto componga a tristezza la sua mente, perchè mai queste parole che cantansi a conforto del defunto: Signore , dategli V eterno riposo , e la perpetua luce lo rischiari. A te j, o Dio j si dehhe un inno in Sion , ed un ojoto in Geru- salemme ,• ascolta la mia preghiera j a te ritornerà ogni uomo in carne, perchè mai , ripeto, queste soavi e consolanti parole che parlano del cielo dovranno essere accordate con note sepol- crali , con suoni bassi e profondi ? Anzi una preghiera che ri- corda la vita futura . che augura felicità all'estinto , che addol- cisce l'amarezza della morte dovrebbe essere accompagnata da te- nere melodie. Così dicasi del Kyrie, àeW^ Offertorio , e di altre preci. Solo nel Dies irae può il maestro cangiar registro , e ca- ricar il suo quadro di tinte le più fosche , le più spaventose , ma a tempo e luogo onde non commettere dissonanze. Aggiungo alla musica de' mortori quella della settimana santa, musica, come credo, la più difficile per tutti i riguardi. I lamenti dell' inspirato e sublime Geremia come sono inimitabili in poesia, così anche in musica ; ed un bravo compositore quando sia giunto con molta fatica ad esprimere sentimenti di dolore che non spiacciano per la loro monotonia , non isperi di più 5 ed il perchè lo sa un tale che uscendo il venerdì santo dai lu- gubri uffizj della sera, crollato il capo, disse (come io udii) all' amico ; oibò ! il maestro ha presa una corda per 1' altra ; e poi per esprimere a capello i treni di Geremìa bisogna sen- tire un dolor profondo, ed un forte amor patrio. — Costui aveva ragione e se fosse maestro potrebbe far de' miracoli. Son sicuro, che egli in luogo di ripetermi tante volte Jerusalem, mi fa- rebbe sentire nelle sventure di quella città, nell'ultimo eccidio di quella patria tutta la dolente storia d' un' anima che ge- mendo sotto il peso de' suoi falli anela al pentimento ^ e nella schiavitù della colpa sospira la libertà , sostenuta dalla spe- ranza del perdono, e della futura sua riedificazione .... Ma 587 cìic ? non è egli vero che molti salmi e cantici presentano le stesse difficoltà ? le quali per altro anzi che Spaventare do- vrebbero indurre i maestri a severo studio , poiché 1' arte è lunga , e la vita è breve. In quanto alla messa dei vivi , benché debba essere festosa, e lieta , nondimeno fa d'uopo aver quaiohe riguardo alla diiìe- renza delle solennità. Se una messa pasquale p. e. vuol essere tutta gìoja , e brio, quella in onor d'un martire esige un'alle- grìa temperala da alcune meste melodie che ricordino le soffe- renze del martirio. Il maestro vada via accordandosi col colore delle vesti sacerdotali , e col rito che si celebra ; queste sono le prime consonanze che debbe adoperare. Ma ciò che mag- giormente importa si è il complesso della musica che debbe accompagnare questo augusto e tremendo rito della cattolica Chiesa. A questo proposito io direi che il compositore potrebbe considerare la luessa in musica sotto l' aspetto d' un sacro dramma. Se la messa è la rappresentazione del sagrifizio della croce , che conipiesi nelle sue distinte parti , perchè la musica non esprimerà questa rappresentazione con drammatico pro- cesso ? Figurisi il maestro il Sacrifizio d'Isacco , o la Passione di Cristo come furono scritti da Metastasio, aggiungendovi solo una terza parte che debbe contenere il ringraziamento ; cosi egli avrà la sua musica divisa quasi in tre atti, nei quali ten- terà di tratteggiare colla varietà de' motivi j coi colori dell'ar- monia, e coir uso opportuno delle voci, e degli stromenti il grande sacrifizio. In questo intreccio egli non avrebbe a seguire altra traccia che le vibrazioni di quella corda di cui abbiamo parlato; poiché quivi é il pi-imo amore, che volentieri si vota, che immensamente soffre ^ che trionfalmente risorge per la sa- lute dell' uomo. Una musica che oltre le parole della liturgia esprimesse degnamente questo divin processo dell'amore sarebbe un capo d' opera da riporsi tra le migliori produzioni dell' u- mano ingegno. — Che se questo metodo paresse o difficile , o superiore alle forze dell'arte, potrebbe almeno il maestro av- vicinarvisi passando gradatamente dalla gravità ò(AV Introito alla tenerezza del Kyrie ^ dalla varia allegrezza del Crloria alla mae- stà del Simbolo , procurando che il resto della messa fosse in / 588 luogo d'inopportune sinfonie^ o d'insignificanti motetti cantato colle parole della medesima liturgia ^ come in alcuni luoghi saviamente si usa 5 e così verrebLesi a schivare ogni sorta di dissonanze che quantunque sieno comode e spedite^ nondimeno perchè non son frutto dell'ingegno e dell'arte, ma anzi vitu- pero e danno della musica debbono essere abolite. E qui, per far fine, io lascierò altre riflessioni sulF intrin- seco della composizione, sull' economia degli accompagnamenti, sul modo della esecuzione, dalla quale siccome il buon esito della musica dipende, cosi prende pure diverso colore l'eccle- siastica armonia, tanto più quella parte che riguarda il canto; poiché , a dirlo di passaggio, il modo di cantare in Chiesa debba essere tutto diverso da quello del teatro, dove certe licenze son tollerate per non dire applaudite. Perciò il bravo cantore di Chiesa faccia come il maestro, veli la sua voce, ricordan- dosi del luogo dove canta. Un canto che in tutta la varietà dei motivi, e delle modulazioni consuoni colla corda devota debbe essere il migliore 5 né senza ragione diceva Davide cantando, che bisogna salmeggiar bene, bene psallite , perchè la parola di Dio è retta; il che può significare, che il canto debbe con- cordare collo spirito delle parole. Né altro avendo per ora da da aggiungere vi dico sinceramente Addio. 589 Varietà — V Italia or son cent' anni , ossia lettere scritte dalV Italia ad alcuni amici nel 1^89 - 174*^5 ^^^ Carlo De- Brosses , e pubblicate per la prima volta sovra manoscritti autografi per cura di M. R Colomb. ( Estratto dalla Revue Germanique i836 ). In un'epoca in cui tutto diventa comune, o per meglio diro, tutto lo è già , havvi forse qualcosa che lo sia maggiormente quanto un viaggio in Italia? Qual è lo scioperone, l'uomo at- tediato , r uom di faccende che non siasi creduto obbligato di fare codesto pellegrinaggio da sì lunga pezza venuto alla moda? Ed in fatti chi avrebbe coraggio di rifiutarsi il piacere di una simile passeggiata, quando s'odono tuttodì i nostri vagheggini dirsi tra di loro sbadatamente eh' e' contano di andare fra poco a fare una partita di caccia nelle pianure dell'America Meridionale? Veramente l'Italia e la Svizzera, sua vicina, non son più che il sobborgo , il giro attorno la scala della Francia. Quindi è che da tempo remotissimo , viaggiasi in questi paesi senza ceremonie, e, stiam per dire, colle pianelle ed in veste da camera, non altrimenti che se si trattasse di uscire a pi- gliar aria nel proprio giardino , 0 di fare una visita ad un vi- cino villeggiante. Fin qui nulla v' ha punto di male , e noi non siamo di quelli che scaglierebbero l'anatema al tourisme ; ma ci sembra soltanto che tutti cotestoro dovrebbero contentarsi di es- sere giro-maniaci (tourìstes), senza punto spacciarsi per istorio- grafi. Ciò nullameno neppur un solo ve n' ha che possa ritornar dall'Italia senza recar seco nella sua valigia la sua relazione , le sue memorie , le sue rimembranze , le impressioni che provò de' suoi viaggi : altaiche si grande n' è il numero oggidì , che si potrebbero di leggieri scaldare almeno per sei mesi i bagni di Parigi con questa biblioteca d'Alessandria di nuovo conio. Che n' è frattanto risultato da questa smania universale di gettar così in viso del pubblico i proprj viaggi e la propria biograOa ? 590 jNicnr altro che un diluvio di miserabili e prosontuose ampli- ficazioni. Egli è a gran stento che si puonno sceverare alcune opere, che quasi rari nautes , ci appariscono da lungi , e sfug- gono allo sprezzo d' ogni persona. Noi iscorgiamo in pressoché tutte le opere che cinguettano sulF Italia la stessa ignoranza , la stessa affettazione , lo stesso linguaggio affettato e di con- venzione ; sono pure sempre le stesse frasi colla stessa bur- banza razzolate sopra il bel del d' Italia ^ la patria j la terra classica delle arti: e le stesse eterne esclamazioni alla veduta di S. Pietro in Roma , del duomo di Milano, del palazzo di S, Marco , delle lacune di Venezia , della torre pendente , della via di Toledo e de' suoi lazzaroni , e che so io ? Questa è una vera stereotipia, e se coloro i quali ci vollero regalare queste mille e una relazioni di viaggi , avessero voluto prendersi 1' in- comodo ed ajutarsi con alcune reminiscenze, dessi avrebbero potuto riuscirvi altrettanto facilmente quanto i loro predecessori, e ciò senza far altro che starsene tranquillamente in casa loro. Cosi il libro di Carlo De-Brosses , quantunque libro oltre- secolare , se mi si permette 1' espressione , fu egli veramente per noi una buona ventura , poiché ad onta dalla sua vec- chiezza, e direi quasi antichità, noi trovammo in quest'opera di cose nuove ben pensate egualmente che ben raccontate in maggior numero di quante ne abbiano scoccolate i tre quarti de' libri scombiccherati dai viaggiatori d' Italia, Carlo De-Brosses invece senza punto sgomentarsi dalle difficoltà del viaggio che allora era un affare serio , in un tempo in cui si faceva testa- mento prima di traslocarsi lontano cinquanta miglia, si pose in cammino in compagnia del sig. Lopin e dei due fratelli La- ciirne de Sainte-Palaje. Pochi uomini alla verità erano più ca- paci di far un viaggio meglio istruttivo del pari che dilette- vole. Tralasciando di parlare delle loro qualità e cognizioni per- sonali , la loro fortuna non li obbligava a limitare di troppo le loro spese, ed ovunque il rango di gentiluomini lor dava facile accesso. Perciò impiegarono stupendamente il tempo a vi- sitare tutta l'Italia, e ciò in una maniera certamente più com- piuta che non siasi poi fatto dopo di loro. Carlo De-Brosses ragiona di tutto , d' antichità , di monumenti , d' arti , d' agri- 591 coltura , d' archeologia , di paleografia ; e i suoi giudizi! con- servano sempre una limpidezza , una schiettezza maravigliosa. Egli non è senza sorpresa che noi vedemmo quest' antico Pre- sidente del Parlamento di Bigione, questo traduttore di Sallu- stio, ragionare con altrettanta squisitezza di gusto, con tanta scienza e sagacltà sulla pittura , sulla musica degli italiani , quanta ne potrebbero mostrare ai giorni nostri i veri cultori di coteste arti , e come egli abbia saputo arditamente scostarsi dalle tradizioni de' suoi tempi , che acclamavano in Bouclier V eroe della pittura del secolo decimo ottavo. Queste lettere for- mano un repertorio costantemente spiritoso di aneddoti inte- ressanti, scritti con uno stile sempre vivace, leggiero e friz- zante. Quale festività e nello stesso tempo quale critica sottile, quale sagacità scrutatrice nelle osservazioni che ogni città da lui visitata gli suggerisce , ogni giorno eh' ei passa in Italia gli risveglia ? Ei nulla obblia , tutto egli racconta con tale semplicità , con tale ingegno che 1' uguale noi non eravamo più da gran mano avvezzi a trovare nelle relazioni di viaggi di oltr' Alpi. Ciò poi che aggiunge ancora maggior pregio a quest' opera e la rende più rimarchevole si è il sapere cb' essa non era punto destinata a vedere la luce. L' editore a cui noi siam ora debitori di questa bella descrizione dell' Italia nel secolo de- cimo ottavo , r adornò poi di una prefazione scritta con preci- sione pari alla spontaneità , come pure di un cenno sulla vita di Carlo De-Brosses , fornitagli da un suo nipote. Lungi dal curvarsi , come la folla degli editori , sotto il giogo di quella smanceria contegnosa che crede di recar favore ad un' opera prediletta con mutilarla , il sig. Colomb ci presentò queste let- tere quali vennero scritte originalmente , senza neppur togliere sillaba. Che se poi a qualcuno potessero talora sembrare al- quanto lìberi certi scherzi che vi sono sparsi , ma cbe d' al- tronde molto ben si confanno ai costumi ed al gusto della società di quei tempi, tal sia di loro: quanto a noi siamo grati all' editore di averceli conservati intatti: mentre siffatta mutila- zione ci avrebbe senza meno privati di molte pagine infinita- mente ingegnose e assai piccanti. Noi non avremmo avuto altro 592 che un excerpta di Carlo De-Brosses; e Ja stagione è passata. Nella prefazione il sig. Colomh compendiò i meriti di que- st' opera in una frase cosi giusta, e cosi vera, che noi gli do- mandiamo licenza di citarla : « tale, egli dice, come questo li- » bro usci dalla penna dell'autore, ei ci presenta tuttora la pit- » tura più fedele, più luminosa, più arguta e spesso anche la » più comica della conditone fisica e morale d' Italia or son » cent'anni. » E noi italiani d'oggidì non possiamo aggiunger altro a qua- si' articolo , che uu cordiale = Cosi sia. 595 Appendice Notizie diverse. Scienze Fisiche — Princìpu della fosforescenza, — Risulta dalle osservazioni del sig. Osann, che i solfuri d' arsenico , d' an- timonio, e di mercurio, mescolati con calce, divengono fosfore- scenti. Il primo di questi solfuri spande una luce cerulea vivissima: gli altri due la offrono di un verde chiaro. Quest' autore avendo fatto parecchie sperienze sovra questi corpi artificiali fosforescenti, e sovra molti altri, onde chiarire la teoria oggidì ammessa sulla fosforescenza, giunse a conchiudere: i.° Che la fosforescenza non prende punto origine da alcuna lenta combustione, poiché i corpi che la posseggono non si alterano menomamente. 2." Che pendente il loro soleggiare, la luce viene assorbita dai corpi, e si sprigiona in parte nell'oscurità; l'altra parte rimane occulta, e non può sciogliersi se non se collo riscaldare il corpo stesso. 3." Che i corpi fosforescenti luccicano non solamente al buio , ma pur anco di pien meriggio , conservando i loro pro- pri colori , benché in quest' ultimo caso sia malagevole il vedere la luce che ne emana, a cagione del giorno (Glocker min. journ). Scienze Naturali — Mineralogia. — Nuovo minerale di rame d' antimonio. — Cotesto minerale fu scoperto dal sig. Zinkcn nelle cavità di pietre quarzsose a Wolfsberg, sotto forma di prismi a quattro lati, e ad angoli tronchi-, ciò che dà a questi cristalli la figura di una tavola. Il colore di codesto minerale è bigio-ferro; la sua durezza si è tra quella dello spato-calcare, e dello spato-fluore: può essa venir rappresentata da 3, 5; il suo peso specifico é di 4? 74^- Esso ha un lustro metallico, e scoppietta messo in contatto col fuoco. Fuso misto a soda, esso presenta una materia rossastra , in cui il sig. H. Rose trovò da 594 3, 5y, a 5, 79 parti di silicia. L'analisi di questo minerale oilVl per prodotti zolfo, antimonio, rame, ferro, e piombo. Il ferro e il rame vi sono probabilmente allo stato di solfuro piritoso ^ il piombo e l'antimonio a quello di solfuro. (Rev. Britann. i83(S). Scienze Medicinali — Azione del (Galvanismo. — Il sig. Ma- gendie fece un minuto ragguaglio della guarigione di un giovane ufficiale Polacco, il quale caricando una batteria di cannoni alla battaglia d' Ostrolenka , venne gettato a terra, senza riportare veruna contusione, e che dopo di essere rimasto privo dei sensi durante mezz'ora^ avea smarrito le facoltà dell'udito, della pa- rola, e del gusto, di quel gusto cioè che ha la propria sede sulla lingua. Tornati vani tutti i rimedi somministratigli a Vienna e Trieste, recossi egli a Parigi, dove il nostro autore ebbe ricorso, per combatterne la sordità, all'azione delle correnti galvaniche, applicando uno dei fili della pila sopra il timpano dell'orecchio. Fin dal primo esperimento il malato sentì un grande zufolamento d'orecchio. Alla terza applicazione, il senso del gusto prese a svilupparsi, ciò che pare comprovare essere il nervo del timpano una divisione del quinto paio, non già una porzione del settimo. Dopo sette od otto applicazioni, l'infer- mo udì il rumore del tamburo, quindi il suono delle campane, poscia dei campanelli, e infine delle parole. Ora per compiere affatto la guarigione , altro più non rimane se non se di resti- tuire alla lingua i suoi movimenti. Spera il sig. Magendie di ottenere pur anco tal cosa cogli stessi mezzi diggià adoperati, ed applicando direttamente le correnti elettriche ai nervi che presiedono alla riproduzione della voce. A queste esperienze tengon dietro altre del sig. Roux, che stabiliscono i prodigiosi effetti del galvanismo. Dovendo questi curare una ragazza la quale a cagione della sua gibbosità era affetta da intiera para- plessia, e che da quindici mesi trovavasi costretta a starsene immobile nel proprio letto, ottenne i più felici risultamenti , immergendo alcuni aghi a puntura nella midolla spinale con tutta r attenzione richiesta da cosi dllicata operazione, e facendo uso di queste punture per venti volte circa. Dopo le prime operazioni manifestossi di nuovo il movimento , prima nelle dita 595 tlei piedi, e successivamente nei piedi stessi, nelle gambe, e appoco appoco iu tutta la persona; cosicché la giovine amma- lata potè camminare sorretta dalle stampelle , e tosto anche senza veruno appoggio. (Acad. des Se. i836). Arti Meccaniche — Nuovo modo di filare le lane. — Da più di 5o anni i più celebri chimici dell'Europa si sforzarono inu- tilmente di scoprire i mezzi di diminuire la consumazione dell' olio nelle manifatture di stoffe di lana; ma tutti i vantaggi da essi ottenuti quanto a ciò erano oltremodo contrabbilanciati dagli inconveaienti , e dalle deteriorazioni arrecate ai cardi. Questo mezzo così lungamente e invano rintracciato fu, non ha molto, scoperto dal sig. John Byerley, che ottenne una patente d'invenzione dal governo inglese. Consiste questo principalmente nell'uso dell'oleazione, di cui si veggono qui appresso i van- taggi comprovati da lunghe e numerose sperienze fatte in pa- recchi distretti lavoranti della gran Bretagna, i." Havvi un ù-? sparmio d'olio che varia tra il 65 al yS per cento, secondo lo stato e la qualità della lana. 2.° La lana vien meglio lavorata, e non si ferma tanto negli scardassi, come allorché s'adopera olio puro; d'onde risulta una economia di lana. 3." I panni si digrassano molto meglio. 4-° Dessi si pigiano più facilmente ; onde ne segue economia di sapone, di sodatura, e di uso della macchina. 5° I cardi insudiciano meno , e durano più lungo tempo^ perché Toleazione si è un eccellente anticorrosivo (Journ. Connaiss. usuel. i836). Arti Litologiche — Scaldamento senza combustibile, — E stata inventata negli Stati-Uniti d'America una macchina atta a riscaldare le fabbriche , e qualunque altro edifizio. Consiste questa in due piastre circolari di ferro fusOj disposte orizzon- talmente in un forno a mattoni. Le piastre hanno quattro piedi circa di diametro, ed è caduna del peso di 800 libbre. Esse si fregano a vicenda, come due macine da mulino. L'una gira, e r altra sta immobile. La piastra che si muove fa 80 giri al minuto, e in due ox'e ciò basta per elevare al più alto grado la temperatura della fornace. La dimensione delle piastre, la 496 velocità di rotazione deggiono essere proporzionate alla vastità del luogo che si tratta di scaldare. Havvi posto alla sommità del forno un tubo che dirama il calore come quello delle stufe: dopo un quarto d' ora di fregagione il calore è tale alla bocca del tubo nel piano superiore, da non potersi, senza bruciarsi, tenervi sopra la mano. Codesta macchina semplicissima può mettersi in movimento con una coreggia posta attorno 1' asse della piastra mobile, e continuare un continuo moto col mezzo di una ruota ad acqua o simili , senza necessità di veruna cura. Liquore di riso. — Si fanno cuocere tre libbre di riso in gran quantità d' acqua , sino a compita svaporazione ; si mangia la crosta, poscia si pesta il restante del riso cotto, aggiungen- dovi tre grossi pugni di farina di riso : si fa dissolvere una lib- bra di zuccaro ordinario in una penta d' acqua , in cui si me- scola un piccolo pezzo di pasta di lievito, e quindi si rimescola quest' acqua col riso bollito. Ciò fatto , si versa il tutto in una pignatta di creta della capacità di circa 35 pente j si finisce di empiere il vaso con acqua comune, aggiungendovi tre dramme di zenzero , e tre dramme d' acido tartarico : si depone il vaso in un luogo qualunque, dove la temperatura sia di iS." del termometro di Ghevalier: da 11 a pochi giorni comincia il li- quore a fermentare, e tosto che 11 medesimo cessa di far la schiuma , si versa con attenzione in altro vaso , che si ottura come la birra : quindi si mette in bottiglie che si avrà cura di stendere da principio, e di alzare poscia onde evitare lo sfracella- mento. Questo liquore si conserva agevolmente, ed ha un gusto dlllcato: il residuo si getta agli animali del cortile. (Journ. des conn. usuelles, mai i836). 597 ANNUNZI DI BlBLIOGRAFIi LIBRI ITALIATfl LIBRI FRANCESI Angelo , tiranno di Padova ; dram- ma di Vittore Hugo. Prima ver- sione ita), di Gaetano Barbieri. esaMilano, presso la ditta Angelo Bonfanti, ^836. — In-IS." di p. \ 56. Col ritratto di Hogo \ . — CtiNicA dello spedale di S. Lnigi o Trattato completo delle ma- lattie della pelle, che ne con- tiene la descrizione ed i migliori metodi curativi. Opera del bar. J. L. ^liberty offiziale della Le- gion d^onore, cav. di parecchi ordini, medico in capo delio spedale di S. Lnigi , primo mem- bro del collegio d' Enrico IV , prof, alla scuola di medicina di Parigi, membro dell'Accademia reale di medicina ecc. =3=Venezia, dalla tipografia di Commercio, 1835.— Fase, ni in-8.° di p. 72. Con tavola litografica miniata. 2. 61 Le antichità' di Atene, misurate e designate da J. Stuart e N. Beveltj pittori ed architetti in- glesi. Prima versione ital. per cura del pittore Giulio fluisciti, «a Milano, presso l'editore. — Fase. XI in-foglio, di pag. 16, e 7 tavole 5. 20 Della condizione d'Italia sotto il governo degl'imperatori romani. a=i Milano, dalla tipogr. Rivolta, 1836. — In-8.° di p. 140 — 87 L'auchitetttjra antica descritta e dimostrata co'monumenti. Dell' architetto cav. Luigi Canina. =* Roma , presso l' editore , 1 835. Essai sor l'histoìre du royaume des deas Siciles. Tradnction de C. M. — Naples , imprimerie de la Minerve, 1835, in-12 1. 06 /Versione di Camillo Minieri. Consolations CHOLÉBiQXJEs ; lettre touchant quelqaes consìdéra- tions statistìques et morales aa sujet da choléra. — Turin, se- ptembre 1S35, de l'imprimerie Chirio et Mina, in-8.'' di p. 16. Analyse de la discnssion sur rasure par Mastrofini. — Annecy, Aimé Burdetj imprimenr et libraire da clergé , 1 835 , in-S." pag. 20. Apercus GÉoLOGiQxres snr la vallee de Chambéry, par le chanoine Benda. — Chambéry, Puthod . 1835, ìn.'Ò." Histoire des sciences mathémati- ques en Italie depais la renais- sance des lettres jusqa'à la fin du XVII siede ; par G. Libri. — In-8. Tom. i, 1836, Paris chez Paulin. BoTANiQUE medicale etindastrielte, oa Dictionnaire des plantes mé- dicinales asaelles et vénéneases ( y compris les champignons ) tant indigènes qu'exotiqoes; par f^avasseur et Cottereau. — ln-4. a 2 col. avec plus de 800 fig. Paris , chez M. Tardieu, rue du Battoir. Médecine legale théoriquc et pra- tique, par Alph. Devergie, avec 598 — Fase. XI al xvi in-foglio , con tavole 8. 07 Prezzo dei 1 6 fase, i 99. 38. Inni di Cesare Canta. «=3 Milano, presso Ant. Fort. Stella e figli , -1836. — In -8.° di pag. 32 — 75 Continuazione della Storia naturale di Biiffbn. — Fase, clxxiv ( voi. XXXIV, fase. \ ."). Storia naturale dei vegetahili classificata per famiglie, con la citazione della classe e dell'ordine di Linneo, e r indicazione dell' oso che si può far delle piante nelle arti, nel commercio, nell'agricoltura, nei giardinaggi, nella medici- na ecc. con disegni tratti dal naturale e un genere completo, secondo il sistema linneano, coi; de'rinvii alle famiglie naturali , di A. L. de Jussieii. Da ù, B. Lamarcky membro dell'Istituto nazionale diFranciae professore al museo di storia naturale , e da B, Mirbel , membro della società delle scienze, lettere ed arti di Parigi , prof, di botanica nell'ateneo di Parigi. Recata in lingua italiana dal sig. dottor A. Farini^ già prof, di mate- matica elementare, con note ed aggiunte. a= Firenze , per V. Batelli e figli, 1835. — Voi. I, fase. 1.° in-8." di pag. 104. Con 4 tavole in nero — 60 Colle tavole a colori — 75 le texte, et les lois relati fs à la médecine legale, revus et anno- tés par J. B. F. Dehaussy de Ro- bécourl. — Tom. i in-8. 46 f. Paris , cbez Germer Baillière. Philosophie de l'economie politique ou Nouvelle exposition des prin- cipe» de cette science; par Jh. Dutens , insp. gén. des ponts et chaussées — 2 voi. in-8. Prix : \ 5 Ir. Paris , chez Aillaud. CoNsiDÉRATioNs sur la nature de l'homme en soi méme et dans ses rapports avec l'ordre social ; par le comte De Redern. — 2 voi. in-8. Prix: 15 fr. Paris , 1835, chez Treuttell et Wurtz. Les DERNiERS Bretons ; par E. Sou- vestre. — Tom. M et 2 in-8. Prix : 1 5 fr. Paris , chez Char- pentier. Recueil de procédés chimiques , appliqués aux arts et métiers. Toutes les recettes sont éprou- vées et garanties par l'auteur, M. J. F. C. comte De Gazzera- ffoulmer.Présentés par G. Drey- fus. — In-8. de 2 feuil. Prix : 12 fr. Paris, chez Poussin. SouvENiRS de la vie privée du ge- neral Lafayette; par M. J, Glo- quet. — In-8. 1835. Paris, chez Galignani. "^i. S7À1IVB&IA CHIRIRGHELLO E COM?. coB permÌMioBC.