if% IL o I b&en^e^ .^//&re e/f^_^r&^ Non ita ccvtaiidi ciipidiis quam pioptcr amoicm. LuCSEE. XWiO II. ©ohnnc §^1:011^0 ì TORINO, 1838 STAMPERIA GHIRIIXGHELLO E COJHP, 'iitàrii* '-àém -'4»/ '^Sn^ IIVDICE BELLE MATKIilG OOlVTEWtJTE NEL SECOIVDO VOLUME Filosofia . SciE>jZE Sociali ED Amministrative Esposizione del sistema 'filosofico del Nuoro Saggio di N. Tommaseo .... pag. f *"• • . . u loi W » 293 Dizionario Geografico - Storico - Statistico - Commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna. G ^1, -^ Tutti gli articoli sottosegnati colla lettera G tanto nel primo, che nel secondo volume di questo Giornale sono stati scritti dal Prof. Gaspare Gorresio Membro del Collegio di scienze e lettere nella R, Università, Prof, di letteratura nella Regia Militare Accademia di Torino. Notizia d'un trattato d'architettura ecc. C. P. » 199 Discorsi sopra i modi di dare i terreni a col- tura nell'alto Piemonte. W » 353 Lettera sopra il mendicantismo D. DeRolandis 460 Etudes sur l'economie politique par /. C. L. Simonde de Sismondi. Sev. Battaglione » 470 Annali di giurisprudenza , Raccolta mensile pubblicata da una società di Avvocati e Causidici. Avv. Spirito Fossati. ...» 55o Plinio il giovane. Tcllio Dandolo . . pag. s5 Seneca , Lo stoicismo nel primo secolo dell' impero. T. Dandolo » l46 Epittelo e Mai'co Aurelio, Lo stoicismo nel secondo secolo dell'impero. Tullio Dandolo » 444 Dante e i suoi tempi. G. L. Faukiel . » i66 Studii sul secolo d' Augusto , libri quattio di Tullio Dandolo. S. Battaglione . . » 317 ScJfiiTJE Sf 0RIC.( L'Apologia di Socrate , Novella tiaduzione dal greco di Senofonte. C. Dalmazio . . » 49^ Sopi'a il colonato dei Romani. G. . . » 122 Delle imposizioni dirette sotto gli Imperatori Romani , dissertazione del sig. Carlo Fede- rico di Savigny^ traduzione dal tedesco del cav. Carlo Baxjdi di Vesme .... » 889 Storia delle compagnie di ventura in Italia di Ercole Ricotti. Carlo Yesme . . . » 5i8 Il Bardo Irlandese , Traduzione libera dallo inglese di G. G. . »> 9^ Le Diwan d'Amro'lkais précède de la vie de ce poete par l'Auteur de Kitab el-Aghani, accompagné d'une traductjon et de notes Letteratura ^ ^^^ ^e B. Mac. Guckiii de Slane. A. » 226 Il Profugo Polacco, Trad. dal Tedesco. Y. » 265 L'Indicateur Savoisien par H. Thiollier, Q. Q. » 345 Poema di Scianfara intitolato Lamijjat al- Arab , tradotto dall'Arabo in versi italiani dall' Avv. Paolo Pallia. A » 523 Sei racconti popolari pubblicati da Enrico Mayer preceduti da un dialogo dell' A. È.. Lambr US chini. M. C. P. » ^3 Opere del P. Daniele Bartoli della Compagnia . di Gesù. Cav. Paravia » 44 < Considerazioni intorno alla Farsaelia di Marco Anneo Lucano per Felice Garrone marchese di San Tommaso. Mass, Montezemolo » 69 Delle commedie nuovissime di Alberto Nota e del Torquato Tasso di TVolfango Goethe. Giovanni Vico » 2i3 ST RAMERÀ ITALIANA ( Discorsi parrocchiali , Instruzioni catechistiche ed altri scritti di Antonio de, Rosmini Ser- bati ecc. C. Cantù pag. 240 - 1 Del Bertoldo , Bertoldino e Cacasenno. » 35q Letteratura ] •• j- n- ^, j n ■ . . . \ Opuscoli vani di Pier Alessandro Foravia ITALIANA A ^ ^ raccolti ecc. G » 240 Due Drammi inediti di Carlo Pratolongo da Genova. 2 » 544 Saggi drammatici di Giacinto BattagUa.G. P. » 538 _-, 1 Essai sur la languc et la philosophle des In- diens par Frederic Schlegel. Q. Q. . . ■ 78 Alcune poesie di Alfonso Lamartina recate in versi italiani da Alessandro Cappi. C, P. » 77 Liriche di Giuseppe Montanelli. C. P. - ■2 34 Una commedia , un dramma e qualche altra poesia lirica del C. V, T- . - . . . » 25o Tt ) Rovildo e Lisa , frammento di cantica di A- r'OESIA < ■ ^ ,- e gostino Lagnoli ..,.....» 233 Cenni sui fonti , e sugli uffizii dell' odierna poesia. Sevehino Battaglione ...» 253 Poesie di Pietro Giuria. C. P » 339 I Montanini e i Salimbeni , Novella del sec. XIV del Dott. P. A. Langlade. S . • 53i ■n , k i Lettera XL Del melodramma B. . . . » 81 I Lettera XU. Dell'armonia fìsica B. . . » 254 Lettera di G. F. Baruffi a Pietro Giordani » 89 Cenni d'una peregrinazione da Torino a Pestìi di G. F. Baruffi » 268 Le biblioteche. G. B. M » 359 Altri cenni di una peregrinazione da Torino a Pesth del Prof, Baruffi » 263 Varietà' . . . . < Saggio sperimentale pratico sull'acqua di Ce- resole (valle di Locana, provincia d'Ivrea) di Tommaso Pallino membro di varie so- cietà. S. B. » 556 Lettere d'illustri piemontesi. Prof. Paravia » 56o Istruzioni intomo alla coltivazione delle orta- V glie. Y. » 573 Biblia sacra vulgatae edictionis , Sixti Pontificis Maxinii iussu recognlta et Clementis Vili . , auctoritate edita. G. ..... pag. 75 Programma di associazione per 1 erezione d un monumento alla memoria del Dottor Luigi Rolando. D. G. V. . . . . • . • » «9^ Ànnunzii di bibliografia » 100, 575 1 FILOSOFIA DEL SISTEMA FILOSOFICO DEL NUOVO SAGGIO ECC. Fatta da N. Tommaseo ■•a 61 gai Art. 4.** ( f^. distrib. dì ago:>to ) Singolarità del giudizio primitivo. 11 Degerando aveva acutamente veduta la falsità delia definizione solita darsi del giudizio, il paragone di due idee, e aveva detto: il giudizio col quale affermo a me stesso l'esistenza reale d'un oggetto ^ non può essere un semplice paragone d' idee. Più larga e più vera si è la definizione del n. A. che fa consistere il giudizio nell'atto d'attribuire un predicato a un soggetto. Il predicato dev'essere sempre un'idea: il soggetto, nel giudizio primitivo, può essere un complesso di sensa- zioni , o per dir meglio , un oggetto in quanto cade sotto i sensi, innanzi che la mente dell'uomo lo perce- pisca. Accoppiando l'oggetto sentito all'idea dell'ente, noi giudichiamo l'esistenza reale delie cose esteriori, e ce ne formiamo a un tempo l'idea *i. *i T. 1, I). i46. 4 2 E comunque cotesto primitivo atto si concepisca , con qualunque formola si voglia esprimere , e" riraan sempre un giudizio. O si dica: giudico che quest'oggetto è: o sento che : oppure, ho V interno sentimento dell' esistenza di questo oggetto di cui provo l'impressione: o, ìa sensazione ch'io provo suppone una qualche cosa esistente ; sarà sempre vero eh' io sento un rapporto fra l'oggetto sensibile e l'esistenza. Il solo dire: quest^ og- getto ; il solo dir, questo; è un giudizio dell'esistenza. E non pure il dirlo, ma Io stesso pensarci. E si badi a distinguere il discernimento primitivo che segue nell'uomo tra il male ed il bene, dal giudizio del vero e del falso. Il primo è in certa guisa comune ad ogni animale, non il secondo: il primo viene eccitato dal senso, il secondo è opera dell'intelletto *i. Altra distinzione importante. Sebbene il giudizio pri- mitivo crei, contemporanea a sé, l'idea dell'oggetto esterno, non è però che l'idea generale dell'essere non sia distinta e indipendente dal giudizio; e che tutte le altre idee le quali susseguono al giudizio primitivo, quando riguardano non la sussistenza, ma le qualità de- gli oggetti , non sieno posteriori di tempo agli slessi giu- dizi dai quali hann' origine. Non havvi insomma altra idea che quella di sussisteii' za, la quale sia figlia insieme e gemella del giudizio *2. L'atto dunque col quale noi diciamo; la tal cosa sus- siste, una cosa sussiste) in qualunque tempo delia vita intellettuale si faccia, è un'operazione dello spirito di- versa dalle altre: è piìi che un'idea; è la persuasione, la credenza che sussista ciò che si pensava o che si po- teva pensare come meramente possibile *3. E dalla singoiar natura dell'idea dell'essere segjie po^ ^i T. II. p. 59. — *2 T. III. p. 16. — ♦a P. -ìSS. 3 ter lei fra tutte sola, preesistere ad un giudizio, perdi' essa è l' unica idea che non sia composta d' un predi- cato e d'un soggetto, ed è semplicissima *i. Quindi anco deriva la certezza del giudizio primo, eh' è insieme percezione; ed ha per elementi non già due idee, ma un'idea e una sensazione: a differenza dei giudizj che congiungono insieme due idee ; ne' quali si può spesso errare, o dando un predicato a un soggetto al quale non appartiene, o negandolo ad un soggelto al quale appartiene *2. Ne' giudizi primi all' incontro quando l'uomo riceve un'impressione, e ne conchiu- de ; esiste una qualche cosa fuori di me , non può certo ingannarsi *3. Osservazioni. Giovava illustrare il meglio possibile questo primo passo dello spirito umano : ormai poche semplicissime osservazioni serviranno a sciogliere qualche dubbio che potess' essere rimasto in alcuno de' miei pochi lettori. Sole le sensazioni possono occasionare il giudizio pri- mitivo, perchè il sentimento della propria esistenza non può divenire idea se non quando la mente incomincia a riflettervi, né rifletterci può se non quando l'atten* zione è stata desta dalle cose di fuori. Qui non si tratta d'idea universalissima, còme quella deir essere, la quale può starsene inavvertita nella mente appunto perchè in- determinata: si tratta dell'idea determinata dell'essere proprio. Per concepire il me come idea , conviene ch'io concepisca prima un diverso da me. In questo senso acquista una qualche verità l'espressione del Fichte: che \ io ponendo il non io j pon se stesso. E quando dico *i 1». 198. — *2 T. IV. p. 298. 337. 340. — *3 P. 448. 4 pone, non voglio dire lo crea, ma l'intende. L'idea dun- que dell'fo non può prevenire l'idea d'una qualche cosa al di fuori: punto importante a notarsi. Perchè, se questo non fosse, parrebbe che il semplice sentimento potesse far le veci dell'idea; e confusa l'una cosa coir altra, si ricadrebbe agli errori e agli equivoci antichi. Il sentimento e dell'essere proprio e delle im- pressioni esterne non diventa idea se non arriva all'in- telletto: ma appena Tintelletto lo percepisce, quell'atto è un giudicare insieme e un acquistare l'idea. Ma r intelletto non sarebbe intelletto se gli mancasse la norma con cui giudicare: e questa dev'essere un'idea indeterminata affatto: che altrimenti non si potrebbe applicare a qualunque caso, a qualunque oggetto, a qua- lunque esistenza; non potrebb' essere il predicato di qua- lunque soggetto. Onde, quant' essa è necessaria ad ogni giudizio primitivo, altrettanto alla natura sua è neces- sario l'essere generalissima. E quando diciamo che l' intelletto considera le cose in se stesse, non intendiamo già che le possa sempre e pienamente conoscere come sono j ma in guanto sono al di fuori di noi. Qui la voce come corrisponde all' utpote più che all'ai/. Basta per noi che l'intelletto giu- dichi a quella guisa gli oggetti, distinguendo se stesso da loro. Questa distinzione è l'essenziale del primo giu- dizio: la conoscenza delle cose come sono in partico- lare, è l'uffizio de' giudizi seguenti. S'avverta bene da ultimo la differenza che corre tra la generale idea dell'esistenza e quella degli oggetti esi- stenti. L'A. già notò che idea d'esistenza particolare non c'è; ma solo d'enti ai quali è applicata la generale idea d'esistenza. Giova inoltre osservare che l'idee degli enti, non in quanto sono possibili ma reali, si potrebbero chia- mare idee degli enti sussistenti. Le quali idee degli enti 5 sussìstenti sono diverse dall'idea di sussistenza : e questa è molto men generale dell'idea d'esistenza; ma sempre più generale di quelle che riguardano tale o tal classe d'enti sussistenti o reali. Se non si determina precisa- mente il linguaggio, gli equivoci, di piccola origine cre- scono, e si molliplicano in infinito. Ma per bene inten- dere e questa distinzione e le cose seguenti che riguar- dano l'origine delle idee, giova fare alcune osservazioni un po' pili attente sulla generale natura delle idee stesse. JJcL fjossibile. Se l'uomo non avesse che il senso, non riceverebbe l'impressione d'altro che d'enti individuali, la riceve- rebbe senza poterne giudicar l'esistenza. Le sensazioni, come tali, non sono idee: perchè idee divengano è ne- cessario che l'intelletto le generalizzi, vale a dire con- sideri quella sensazione come possibile a ripetersi un numero indefinito di volte. Nell'atto dunque che lo spi- rito riceve le sensazioni , possedendo l'idea dell'ente pos- sibile, accoppia nella propria unità questi due per sé distinti elementi: e basta che concepisca come possibile a rinnovarsi quella impressione, perchè ne generalizzi l'idea: basta che la consideri non in quanto sta in un modo o in un luogo, piuttosto che in altro, non in quanto produce in lui tale o tal sentimento, ma in quanto potrebb' essere in infiniti]^altri luoghi e modi *i. Operazione semplicissima. Basta pensare una sensazione per avere un'idea; ne una sensazione si può pensare senza farne un'idea, né l'idea può meritare tal nome senz'es- sere generale *2. Le cose infatti non son conoscibili, se non in quanto *i T. III. p. -/Uj. ^ '2 T. HI, p. 324. T IV. 2o3. 6 sono, in quanto partecipano dell'essere*!: quando dun- que io percepisco un individuo, lo percepisco in rela- zione con l'ente, relazione la quale non può essere certo esclusiva; sì che di simili a lui non ve ne possano es- sere innumcrabili. Quindi è che la nozione d' un indi- viduo inchiude in se necessarinmente la possibilità d'in- finiti individui, vale a dire ch'eli' è generale. Di parti- colare v' è nelle cose la propria loro sussistenza: e que- sta stessa non può essere percepita se non per via d'un' idea. La stessa propria sussistenza e individualità nostra è percepita con idea generale: perchè, affine che il senti- mento dell^esser nostro diventi idea, noi dobbiamo appli- cargli il predicato dell'essere^ il quale in quest^applica- zione riman tuttavia universale. Noi sentiamo è vero la nostra individualità; questo è il soggetto del giudizio: ma il predicato riman sempre universale per modo che nella percezione intellettiva di noi slessi è compresa 1' idea dell'essenza d'un uomo, la quale si ripete e rinnovella in tutti gli uomini esistenti , e in altri innumerabili si potrebbe rinnovellare. Se questo non fosse, noi non po- tremmo conoscere il senso della voce uomo; dal nostro modo d'essere non potremmo argomentare l'altrui. L'i- dea non è dunque mai un sentimento , come il La- romiguière vorrebbe: lo stesso uso del linguaggio a que- sta confusione ripugna *2. Al solo pensiero è necessario avere 1' essere per oggetto, non già al sentimento: altra verità non osservata dal Bouterweck. Tolto via ogni og- getto del pensiero , sarebbe tolta col pensiero la facoltà di pensare ; ma l' Io non sarebbe annullato però : reste- rebbe la parte animale, e l'uomo scenderebbe alla con- dizione del bruto *3. Dunque l'idea dell'essere possibile, eh' è il gran mezzo della cognizione umana, è altresì *i T. IV. p. 260. — *2 P. 307. ~ *3 P. 517. 7 quella che specifica 1' umana natura , costituisce il suo carattere proprio *i. E r idea , in quanto racchiude 1' elemento dell' essere possibile, in tanto è comune *2, Quand' io dico uomo y abbraccio con questa parola non un determinato numero d'uomini, ma sta in me l'applicarlo a quanti uomini furono, sono, saranno, possono, potranno^ potrebbero essere. L' idea di possibilità non ha che fare con gl'in- dividui; non è in loro, né può essere in loro; ma è quella che rende noi atti a pensare un numero, quanto mai si voglia, smisurato. Immaginiamo degli enti a' quali mancasse la facoltà di pensare questa possibilità; che perciò non fossero atti a percepire se non se un certo numero d'individui esi- stenti: in questa specie d'enti noi potremmo iraaginare or più or meno forza di percezione , secondo il numero degli individui percettibili a ciascuno di loro: ma, nes- suno potendo passare quel numero, non potrebbero aver nomi comuni a tutti gli oggetti possibili d'una specie, come uomo, bestia, 'virtk, ma soli nomi propri da ap- plicarsi a ciascuno in particolare degli individui da lor conosciuti. L'uomo all'incontro può imporre nomi co- muni: i." perchè ha la facoltà di fissar l'attenzione so- pra una qualità dell' individuo la quale può essere in altri innumerabili: 2.° perch^ha la facoltà di conoscere la possibilità che più individui partecipino d'una qualità comune. Al nome comune si congiungono dunque le idee seguenti: 1.° l'idea d'una qualità: 2." dell'abitu- dine ch'ha essa qualità d'essere in uno individuo: 3." della possibilità eh' essa sia partecipata da altri indivi- dui in numero indefinito *3. Ad un nome in comune possiamo infatti congiungere il pensiero d^un individuo "*! Priuc, di se. mor. p. 74. — ^-2 T. I. p. 229. 252. — *3 P. 233. 8 non reale ma possibile: possiamo, al sentir nominare ca^ vallo, non solo rammentarci un cavallo veduto, ma rap- presentarcene uno possibile e non esistente, fornito di qualità, tratte dalla nostra fantasia *i. Tanto è ciò vero che al solo presentarcisi un individuo di quella specie, sebbene noi non l'avessimo veduto mai , ci accorgiamo subito ch'esso ha il suo nome stabilito innanzi pure che sia venuto ad esistere, perdi' ha le qualità che lo collo- cano tra gli individui ai quali è stato assegnato quel no- me. Se io non avessi l'idea possibile di cavallo, non potrei al primo vedere un nuovo animale di questa spe- cie, non mai veduto, dire: questo animale appartiene alla specie de' cavalli *2. Una qualità ò particolare in quanto realmente esiste in un individuo ; ma io posso considerare una qualità senza pensarla annessa al tale individuo esistente : dun-r que la considero come possibile, e quindi come comu- ne *3. Non avrei idee comuni se non avessi 1' idea del possibile; e da questo ch'iMio l'idea del possibile segue che esistono le idee comuni. Questa idea del possibile è la norma con la quale conoscere e giudicare gli enti sussistenti *4' L' idea del possibile non è dunque un nulla , come vuole il Bardilli *5; è un'idea che non esisterebbe al certo se non esistessero enti ragionevoli *6; ma senza la quale la stessa realtà sarebbe nulla per la mente nostra , per- chè non potrebb'essere percepita *•"]. Ma il Reid che to- glie all'uomo le idee, e non gli lascia se non gli og- getti reali , doveva togliere ancora l' idea della possibi- lità, perchè la possibilità non è altro che idea: e, con- *i P. 142. — *2 P. 282. — ♦a P. 253. — *4 Piine, mor. p. 177. *5 T. IV. p. 538, -^ *6 Priuc. se, mor. p. 42. — *7 T. I. p. 264. 353. 9 dotta a tal passo quella dottrina , la falsità ne riesce evidente *i. Non è già che non abbia la sua parte vera, ed è que- sta. — Il Reid nel pensiero umano distingue tre cose: il soggetto pensante: l'atto della mente che pensa: l'og- getto pensato: e dice, il quarto elemento introdotto da' filosofi. Videa, è inutile, è nulla. Distinguiamo: che l'idea^ come vogliono alcuni, sia r unico mezzo di conoscere perfettamente le cose reali , è un errore. L' idea niente fa conoscere di reale : non presenta che la mera possibilità. Per le cose corporee è necessario il senso che dia la materia e l'occasione alla forraazion dell' idea. Le idee non sono imagini in- tere de' corpi: i corpi son potenze che immediatamente operano sopra noi; e il nostro senso riceve quest'azione, senza che ne segua però la cognizione intellettuale de' corpi. Convien che preceda un giudizio il quale affermi esistente l'oggetto che fa impressione sul senso. La per- cezione, così compiuta, del corpo, ha due elementi: la percezione d'un oggetto individuale, e l'attitudine a concepire ìnnumerabili altri simili oggetti. L'idea non è dunque un mezzo ( e fin qui la ragione è con Reid); è un elemento della percezione de' corpi *2. Ma non è un nulla. E lo provano le note frasi: in potenza j in atto; delle quali la seconda esprime la sussistenza reale ; la prima r esistenza della cosa come idea nella mente *3. E che infatti può essere una cosa in potenza, se non la vo- lete un'idea? Il fatto sarà singolare, misterioso, se così piace: ma negarlo non ispiega il mistero. E qui si osservi essenzial difierenza. La possibilità delle cose è la loro intelligibilità; la possibilità delle cose è *i T. n. p. 237. — *2 T. III. p. 734. — *3 T. IV. p. i36. i56. 10 la loro idea; fuor della mente il possibile è nulla: in questo senso esso è dipendente dall'ente che pensa. L'ente esistente invece esiste a condizione contraria j d'essere indipendente da noi, d'essere l'occasion della cognizio- ne , mentre il sentimento e la cognizione esistono a condizion d' essere effetti. Questa è la forma universale della relazione fra le sussistenze e le possibilità; fra le cose e le idee : questo è il vincolo di comunicazione tra le intelligenze e le cose. Ci siano esempio le idee di causa e d'effetto. L'idea di causa non si può concepire senza l'idea relativa d'effetto. All'incontro nella realità la causa sussiste indipendente dall'effetto, sussiste da se *i. Del comune. Verità cardinale, e da alcuni filosofi non osservata, si è questa: che le sensazioni, o gli oggetti reali da cui provengono, sono in se individuali, e altre qualità non contengono se non particolari ; poiché qualità comune e generale non esiste se non nella mente dell'uomo *a. Negli oggetti esterni sono, è vero, qualità le quali de- stano in noi un'impressione simile ; di che concludiamo essere in loro qualche cosa di simile o di comune: ma questo rapporto di somiglianza non è che una perce- zion della mente, non è una qualità degli oggetti: ha fondamento nella realità, ed è un fatto, ma fatto in quanto la mente umana lo vede. Tra due oggetti nulla propriamente v' ha di comune. Ammettendo che il comune sia un non so che di reale nelle cose, i Lockiani dissero: il senso percepisce le qua- *i Princ. se. iiior. p. 47- — ' *'? f- I- P- 4t>- 11 lìtà proprie e le comuni; distingue queste da quelle, e cosi acquista le idee generali. A questo modo il pro- blema della filosofìa si credette sciolto , e non era nem- meno ben posto. Il comune non viene da' sensi ; la mente confrontando le cose, le giudica simili in parte o in tutto, e il suo giudizio alle cose riferisce *i. Il notabile si è che non v'ha alcuna idea, per particolare che appaia, la quale non contenga in se un elemento di comune *2: e per avvedercene, poniamo l'idea d'un oggetto corporeo, idea che può in qualche modo chiamarsi imagine o rappresen- tazione , giacché noi pensiamo l'oggetto , quale ei cade o cadeva poco fa sotto i sensi *3. Quest' idea è come un ritratto che rappresenta l'oggetto da me veduto: ma siccome un ritratto oltre al somigliare a tale o a tal persona , può somigliare in parte almeno a molti altri uomini che vissero o vivono o vivranno o potrebbero vivere; e certamente in qualche cosa somiglia agli uo- mini tutti del mondo reali e possibili , in quant' hanno umana figura: così l'idea, rappresenta, sì, l'individuo og- getto, ma insieme rappresenta quant'altri innumerabill oggetti a quello possono somigliare. E siccome la per- sona ritratta non ha sì esclusiva relazione con l'effigie dipinta^ che possa, dirò quasi, assorbirne tutta a se sola la somiglianza , e impedire che v'abbiano altre persone, le quali più o meno a quel ritratto medesimo rassomi- glino; allo stesso modo l'idea d'un oggetto particolare^ non può essere tanto individua che qualcosa di comune ad altri oggetti , almeno possibili , in essa non sia *4- Immaginiamo un oggetto anche unico al mondo : l'idea che io mi fo di quest'oggetto , oltre al rappresentar lui, rappresenterebbe certamente innumerabili altri oggetti *i P. 5i. — *2 P. 92. — *3 P. 76. — *4 P. 94. 12 possìbili simili a quello. O almeno in questo senso l'idea dell'oggetto individuo avrà del generale, in quanto eh' esso somiglia di certo, non foss'altro per la proprietà comunissima dell'esistenza, agli altri enti tutti. ^n ìui In questo senso ogni idea è come un tipo, tipo' di natura sua generale : e siccome da un tipo, se non si logora, io posso trarre una copia, e posso diecimila , senza che sia tolta l'attitudine del tipo stesso a darne tant'una quanto innumerabili ; così l'idea , s'io la voglio particolarizzare , e riferire a una cosa sola, a quella per esempio, da cui fu occasionata, questa è una partico- larizzazione positiva, non già necessaria. Io vedo per la prima volta un cavallo, ne acquisto l'idea, e apprendo a chiamarlo col nome generico di cavallo. S'anche io non sapessi in sul primo, o non badassi che questo è un nome generico, non fa. Qualunque animale di quella specie io rincontro poi , con quella medesima idea lo ri- conosco, e posso chiamarlo col medesimo nome. Non è una nuova idea della specie y quella ch'io acquisto ogni volta che vedo di nuovo un cavallo: l'idea della specie è sempr' una. Posso coli' osservazione di vari individui determinare meglio l'idea generale, ma non farla vie più generale *i. Ch'anzi, come osservò il Condillac stesso, ne' primi giudizi noi sogliamo generalizzare ancor più lar- gamente che non facciam poi con ingegno più adulto e in età più matura. Fatto inesplicabile se si ponga che il generalizzare sia frutto dell'esperienza presa sopra molti oggetti individui, piuttosto che immediato effetto della natura dell' idea stessa. Condillac ha confusa l'attitudine eh' ha l'idea d'essere applicata a innumerabili oggetti, coU'atto per il quale noi riconosciamo nell'idea stessa un'attitudine tale. E *i T. II. p. 209. 15 l'atlo certamente, essendo atto di riflessione, è posteriore a moltissime altre operazioni dello spirito umano. Quand' anco in un ritratto io non [considerassi mai altro che l'imagine di quel tal uomo individuo, non gliftorrei con questo la somiglianza ch'esso ha con tanti altri. Quan- d'anco un'idea non mi risvegli che la percezione d' un solo oggetto, ciò non toglie ch'essa non ahbia il po- tere di presentarne altri infiniti al pensiero. Cotesto è abito che s'acquista col tempo, ma non si potrebbe acquistare se ne mancassero i mezzi. Per formarmi la generale idea dell'arancio , non è necessario ch'io ne vegga due o due milioni: né due ne due milioni baste- rebbero a ciò, se al primo aver veduto un arancio, io non me ne fossi formata un'idea, che, per essere idea, dev'essere generale. S'intende che l'oggetto debba essere la prima volta veduto in modo da poter lasciare un'im- magine di se: che altrimenti non solo non produrrebbe idea generale, ma idea nessuna. Qui si parla d'oggetto che lasci un'idea, e si dice che quest'idea non può non essere generale. Tornando all'esempio dell'arancio, nel vedere il se- condo, il millesimo, io divento sempre più franco nell'ap- plicazione della detta generalità agl'individui : ma la ge- neralità non la creo. Così quando in un ritratto io co- mincio a pensare la somiglianza eh' esso ha con altri uomini, non muto la natura del ritratto, del tipoj non vi aggiungo nulla; scopro soltanto una relazione che v'era già, e a quella penso *i. Si può avere l'idea generale e non ne conoscere r uso : ma se non s'ammette la preesistenza dell'idea all'uso che se ne fa, come spiegare l'origine dell'idea stessa? Vedere più oggetti della medesima specie non è già un acquistarne l'idea generale, è un'occasione *i T, 1. p, loi. 14 d'accorgersi della realità di detta idea , approfittandone. Conoscere che due o più cose sono simili non è altro che veder più cose comprese entro una specie sola, più o meno larga, più o meno determinata (giacche dicendo specie, non intendiamo parlare dei easellini scolastici o logici). La specie di cui qui si parla , è l'idea , la qual ci mostra le cose in quanto son simili: le impressioni poi, particolari o proprie, che ciascuna delle due cose produce in noi, ce le fanno sentire nella individualità loro *i. Lo Smith e lo Stewart vogliono che le idee comuni non sieno altro che nomi significanti collezioni d'indi- vidui, nomi che ci aiutano a concepire il comune, il qual però non riman altro che un nome. Ma primiera- mente non tutti i nomi esprimenti collezioni d'individui son nomi comuni *2 : per esempio i nomi de' numeri e delle quantità: due, tre j dieci — pochi j taluni. Poi, non tutti i nomi comuni riguardano collezioni di individui: per esempio, gli aggettivi sostantivati: uma- nità j bellezza , bianchezza ; che si possono chiamar ge- nerali ed astratti , comuni no. Comuni veramente son quelli che si possono applicare a molti individui, cia- scuno individualmente preso: come uomo j animale , ca- verna : od anco gli aggettivi ; bianco , duro _, deforme. In ciascuna di queste voci è chiusa un'intera proposizione. Quand'io dico, uomo, intendo ente dotato di tutte le j qualità che costituiscono l'umana natura: e così discor- \ ...... \ rendo. Con questi nomi s'attribuisce agli enti una qua- ! lità che in essi si riconosce; e questi sono comuni perchè j convengono a ciascun individuo di quella classe, cioè !' fornito della tal qualità. Uomo conviene a ciascuno de- gli uomini, albero a ciascuno degli alberi j non è una *i P. ia6. — *2 P. 178. 15 collezione di uomini o d'alberi, come vuole lo Smith. Se ciò fosse, dicendo alberi plurale, si dovrebbero inten- dere più collezioni d'alberi , e invece non s'intende che parecchi individui *i. Nome proprio all'incontro è quel ch^indica l'oggetto con un suono destinato a denotare un oggetto individuo. Chiamando un tale oh queWuomo! io non fo già diventar proprio il nome comune; ma, non considero, o non in- dico, in quell'uomo ch'io non conosco o fingo per celia o per altro di trattarlo come se noi conoscessi, altra qualità che la qualità d'uomo; chiamandolo, Gino, io specifico l'individuo. E non importa che molti ve n'ab- bia de' Gini. Questo nome essendo stato sempre serbato a denotare un uomo unico, rimane individuale sempre. Potrebbe diventar generale col tempo; come il nome individuo d'Apollo, diventa generale quando d'un beli' uomo si dice: è un Apollo. Questo è importante a notarsi. Chiamar con un nome un oggetto, chiamarne mille, non fa diventar comune quel nome di proprio ch'era; se non si annette al nome la significazione d'una qualità comune che indichi quegli oggetti appartenenti a una specie data *2. Quand' anco tutti gli uomini si chiamassero Rafiaele, Raffaele non sarebbe già nome comune, com'è uomo, se non quando venisse a significare ente dotato di quel carattere che chiamasi umanità. Non si può dunque un nome render comune, applicandolo a più oggetti, siccome lo Smith affermava: ne un selvaggio il quale chiamasse caverna quattro o dieci caverne, renderebbe con ciò il nome di caverna comune, se non v'annettesse l'idea di quella ge- neral proprietà eh' hanno le dieci caverne, proprietà co- mune non solo alle dieci, ma a tutte quante. Non è *i P. 187. — *2 P. ao8. 16 dunque il nome accomunato che dà l'idea comune,- è l'idea della qualità comune che fa trovare un nome co- mune, o fa divenir tale un nome proprio, non mai per semplice estensione, ma per maniera diversa di consi- derare la cosa. — L' estensione viene ad essere effetto, non causa di ciò ch'hanno in se di comune le idee. Che il selvaggio infatti non cominciasse a parlare dal- l'uso de' nomi proprii , lo vede chi pensa che con un nome proprio s'indica un oggetto, non una qualità o un sentimento o un giudizio, che son le cose a cui di- notare l'uomo in sul primo adopera la parola: lo vede chi pensa che la necessità de' nomi proprii allora si fa sentire quando si tratta di distinguere due oggetti simili, vale a dire che il nome proprio suppone già preesistente l'idea di somiglianza , l'idea comune *i ; lo vede chi pensa come , ben più dìHìcile essendo cogliere le differenze che le somiglianze, al selvaggio deve riuscire piiì facil cosa creare (adopriamo questa parola secondo l'ipotesi dello Smith) creare un nome comune che un proprio : onde prima d'introdurre nel suo nascente linguaggio un nome proprio, è ben più probabile ch'egli, la cosa individua che vorrà dall'altre distinguere, s'ingegni di distinguerla con un cenno, ovvero con una qualità o relazione pro- pria della cosa, vale a dire con un nome comune. Ed invero i monumenti storici attestano tutti che i primi nomi proprii furon tratti da una qualità deli' og- getto, ed avevano per radice i nomi comuni. E i nomi propri d'oggidì non sono veramente tali se non in quanto l'intelligenza delle loro etimologie s'è smarrita dai più *2. Anco nelle lingue moderne dove il cresciuto avvedimento e le moltiplicate relazioni sociali rendon talvolta peri- colosa ed incomoda la confusione di molti oggetti sotto *I P. J96. — "1 P, 20J. 17 un nome comune, anco nelle lingue moderne, non havvi oggetto che non abbia un nome comune , quello almeno di cosa, innumerabili son quelli che nome proprio non hanno. Come sarebbe mai ciò, se il proprio producesse il comune? Si concede allo Smith (ed è questa verità che Io in- dusse in errore) si concede che i primi ad essere no- minati o determinatamente pensati sono gli enti individui: ma da ciò non viene che i primi nomi avessero ad es- sere nomi proprii; giacche quell'individuo poteva bene essere nominato da una qualità che avesse comune con altri molti. Nelle idee degl'individui non tutto è indivi- duale *i; e tal è la necessità nella umana mente di concepire il comune, che negli stessi nomi proprii ella s'ingegna di trovare un che di comune. S'ammette pertanto, che le prime cose ad essere no- minate dall'uomo son enti individui: ma, al vedersi tor- nare innanzi individui simili, l'uomo, non già per esten- sione di senso, ma per comprensione d'idea, applica loro il medesimo nome. Non è il nome proprio (cosa assur- da!) che gì' ispirò l'idea comune: è l'ide? cernane che gl'insegnò rendere comune il nome, ancor prima eh' e' sapesse distinguere il comune dal proprio. E questo de' nomi comuni è mirabile magistero della natura: perchè le specie dal nome comune indicate sono, anco da' popoli rozzi, anco da uomini ignoranti, e di costumi e di lingua diversi, percepite con tale chiarezza, che la improprietà del nome dimostra subito la falsità del giudizio. S^io chiamassi elefante un uccello, non al- largherei già il significato del nome comune elefante ^ perchè non istà nell'arbitrio dell'uomo allargare i limiti delle specie, sacri come la sapienza creatrice : a lui tocca *I P. 212. 18 soltanto imparare a discernerli , e ritenerne i nomi san- citi dall'uso: io non farei che pronunziare un falso giu- dizio, collocando un individuo in una specie che non è punto la sua. Ma il dire (e foss'anche vero), dire che l'uomo passa da' nomi proprii ai comuni, non è già uno spiegare come la mente passi dall'individuo a concepire il comune: e questo è il duro problema *i. Voi dite: il nome d'un oggetto s'applica a tre, quattro, dieci: eccolo fatto co- mune. No: il nome comune, indicante genere o specie, s'applica non a tre, non a dieci, ma a tutti gli oggetti eh' hanno quella qualità o relazione comune, o che pos- sono averla. Voi parlate d'un numero determinato : e qui si tratta di numero indefinito. Com' è che la mente si forma questa idea così vasta? Com' è che col nome d'un individuo essa chiama altr'individui, e quanti ne può imaginazione ideare? Perchè lo fa ella? — Perchè vi trova un che di simile, di comune. — Dunque il nome stesso era comune già, se capace d'essere applicato ad innumerabili oggetti , e con un conforme atto della niente, non con operazione nuova di tutt' altra natura. Se il nome comune indicasse collezione d'un certo nu- mero d'individui, applicato a nuovi individui ^ e' diver- rebbe sempre più comune: cosa assurda a pensare. Il nome comune comprende: i." l'idea d'una qualità o relazione, 2.° l'idea della possibilità ch'essa qualità o relazione possa accomunarsi a individui innumerabili *2. Questo secondo elemento, lo Smith non lo calcola j e questo costituisce il comune: e quando pure cotesto ele- mento entrasse in un solo de' nomi comuni, merite- rebbe d'essere studiato, per ispiegarne l'origine. L'idea comune, dicono, è un nome. — Ma se questo ■*I P. 2-2 1. *2 P. 233. 19 nome non significa individui, e se pur significa un qual- che cosa, deve significar dunque una qualità, una rela- zione comune; l'esistenza del nome comprova la realità della cosa. E si noti che qui per realità intendiamo quella ch'è nella mente nostra : poiché s'è già detto , il comune essere nella niente dell'uomo , essere un modo di riguardare le cose *i. Quando, dice lo Smith, io pronunzio un nome co- mune, vi annetto sempre l'idea d'un ente individuo. — Dunque il comune è nulla. — Ma perchè (domando io) perchè al nome comune uomo non annettete voi mai l'idea bestia o pianta? Se il nome detto fosse cosa ar- bitraria, mero suono, se non corrispondesse ad un tipo della mente, ogni uomo al nome comune congiungerebbe idee d'enti e di specie diversissime *2. Poi: non è già che pronunziando il suono uomo io mi rappresenti alla mente uno o più enti determinati: ab- braccio in esso gli uomini tutti. Se gì' individui corri- spondenti al nome comune fossero già fissati, lo Smith ragionerebbe diritto; ma qui si ha una potenza indefi- nita, e s' ha insieme una norma, un limite definito. E questo è egli nulla ? Tanto è ciò vero , che al primo vedere un uomo non mai veduto , io lo conosco per uomo. l' ho dunque il tipo dell^ uomo nella mente : non è un nome vano la umanità j non è abitudine ch'io mi son fatta di sostituire al nome comune l'idea dell'uomo individuo: perchè qui si tratta d' uomo eh' i' non ho mai veduto ; si tratta , se volete, d'uomo che non esiste, di un uomo possi- bile *3. Il dire pertanto che al nome comune la mente sosti- tuisce sempre l'individuo, è un confermare ch'esiste, oltre *i P. 275. 287. T, IL p. 57. 90. ^ *2 T. I. p. 285. — *3 P, 244. 20 all' Idea dell' indivìduo , una norma per riconoscerlo; sì ch'io possa nell'esistenza sua vedere la qualità ch'esso ha comune con gli altri della sua specie. Altrove lo Stewart istesso , che tiene dallo Smith , dice che i nomi comuni non son meri suoni : anzi af- ferma che per mezzo di segni noi perveniamo alle ve- rità generali: e così viene a concedere quello che con tanto sforzo negava *i. Ma ci si potrebbe in suo nome rispondere j che la realità dal nome comune indicata non è altro che la qualità d'un ente individuo; e che^ quand' io dico bian- chezza, non intendo già una bianchezza in genere, ma sì un corpo bianco. — L'obbiezione è speciosa, e seb- bene le cose notate la sciolgano , pur giova combatterla ancora. Tutti concedono che le qualità posson essere, astraendo, considerate a parte dagli enti individui: non già ch'esse esistano così separate, ma la mente così le considera. E giova ripetere che qui si disputa della mentale realità dell'idea comune, non già della realità d'un oggetto co- mune. Considerare una qualità separata dall'ente al quale ap- partiene , è considerare una qualità in comune, cioè da potersi applicare non ad un ente solo , ma ad innu- merabili della medesima specie. Se dunque io posso con- siderar la bianchezza in genere , i" ho un'idea di bian- chezza che non è l'idea di questo o di quel corpo bianco ne di tutti i corpi bianchi ch'io posso aver mai veduti. Io con l'idea di bianchezza posso pensare corpi bianchi non veduti mai, e pensarli senza intonacarli punto del bianco di corpi individui da me veduti, togliendo il colore a questi per darlo alle creature della mia fantasia *2. "i P. 3()5. ~ *2 P. 256. 21 La bianchezza, da che la considero in un individuo, è incomunicabile, è quel tale intonaco del tal corpo, dal quale io potrò in certi casi levare e trasportare uno strato sovr'altro corpo: ma allora il bianco che resta di sotto, farà un bianco nuovo , non quello che passò ad imbiancar l'altro corpo. La bianchezza individuale, ripeto, è inco- municabile ; ora con l'idea di bianchezza io 'mbianco dieci mila universi. In una parola , la qualità comune è dominio dell'imaginazione: per negare che l'idea co- mune esista , convien togliere all'uomo questa sua po- tentissima facoltà, madre non solo delle arti, ma delle scienze stesse , le quali , senza l' idea del possibile , sa- rebbero nulla *i. Tolte le idee comuni , è tolta la facoltà di giudicare; perchè non si giudica senza percepire la somiglianza e la dissomiglianza degli oggetti ; e a percepir questa son necessarie le idee generali. Ecco come. Io veggo due corpi bianchi: come fo io a conchiudere eh' e' si somi- gliano? — Il problema par semplicissimo, ma convien pure scioglierlo. Io non trasporto i' una bianchezza nell'altra; cosa impossibile: non posso nemmeno con- frontare a dirittura le due bianchezze tra loro , senza un aiuto ; perchè la bianchezza individuale , non posso muoverla dal corpo al quale appartiene senza distrug- gerla *2; non posso finalmente, dalla somiglianza della impressione dedurre la somiglianza della bianchezza, per- chè , le due impressioni essendo separate l'una dall'altra, mi bisogna un punto nel quale congiungerle per poter dire; sì; le son simili. Ecco dunque come segue la cosa. — Io ho la potenza di considerare la qualità separata dall'oggetto, vale a dire non più individua ma comune a quanti mai oggetti mi cadranno sotto a' sensi o in *I P. 2G8. — *2 P. 279. 22 pensiero. Questa qualità comune è sempre una, perchè le individuali varietà non la mutano ; è dunque un tipo delle qualità individue. Io che ho veduto una volta il bianco, ebbi la sensazione di quella tale bianchezza, la percepii, la separai da quel corpo, la considerai in se. Mi torna agli occhi un altro corpo bianco ; soggiungo subito: questo è simile a quello. L'idea della bianchezza io già l'ho, e l'ho generale: posso dunque concepirla in qualunque individuo. E così , nell'atto di vedere il corpo bianco- la mia idea della bianchezza comune e la percezione della bianchezza individuale si trovano in- sieme senza confondersi, essendo impossibile che il ge- nerale si confonda col particolare , il quale è compreso da quello , e si può in quello vedere senza perdere punto di sua individualità *i. Se del resto s'intende che le qualità comuni non esi- stono fuor della mente, in ciò tutti andranno facilmente d'accordo. Ma che nella mente non esistano idee di qualità comuni, lo Stewart istesso non lo potrebbe affermare, egli che aveva già detto : che nei ragionamenti sulle qualità generali noi facciam uso di segni, come gli alge- bristi delle loro formolej paragone bellissimo e oppor- tuno per noi. Co' segni infatti ch'esprimono qualche idea generale , s'ottengono due intenti: si scende dal generale al parti- colare , e , per esempio , dalla parola uomo j la mente è condotta a pensare un tal uomo individuo : e dai par- ticolari s' ascende agli universali , ragionando in modo astratto, e senza punto fermarsi agli enti individui *2. Né l'uno né l'altro si fa senza idee generali , poiché per discendere dal senso generale della voce uomo al pen- siero di tale o tal altro uomo^ non basta a me l'idea *i P. 281. — *2 P. 3o6. 25 dell'uomo individuo: convien ch'io abbia un'idea la quale mi renda intelligibile il senso generale della detta parola. Nel secondo caso, quand'io ragiono sugli universali adoprando i vocaboli come segni , allora io fo, ben dice Io Stewart, come il geometra che , descrivendo un trian- golo per dimostrarne alcuna qualità generale, non pensa al triangolo individuo , ma applica la dimostrazione a tutti affatto i triangoli possibili ad essere descritti o pen- sati. Quello ch'egli ha sotto gli occhi, non è che un segno , un esempio : e la verità ch'egli vuol dimostrare, sebbene trovata per mezzo de' segni , non è però della stessa natura de' segni. Ma lo Stewart giunge ad affermare « potersi ragio- » nare sulle parole , senz' aver riguardo alle cose che » esse parole esprimono. » Provi dunque lo Stewart a togliere da una proposizione le parole esprimenti idee generali, e sostituirne altre a caso ; e vedrà s'è tutt'uno. Ma, soggiung'egli, s'io espongo lo stato della causa ad un giudice tacendogli i nomi delle parti , o sostituen- done di fittizii, o mutandoli in una seconda esposizione del fatto , il giudice intenderà bene , e darà sentenza al medesimo modo. — Or questo che prova? Prova che i nomi degli enti individui si possono bensì cambiare, ma che le qualità e le relazioni delle cose debbono rima- nere le stesse , acciocché il ragionamento abbia luogo : prova che non i segni delle idee generali , ma i segni delle particolari sono assai volte indifferenti all'identità del giudizio j prova il contrario di quello che lo Stewart voleva mostrare *i. Anche Aristotele ammettendo quel suo bizzarro intel- letto agente, veniva a rendere impossibile la distinzione *i P. 3i6. 24 importantissima del proprio dal comune *i ; distinzione ormai dimostrata con tutta evidenza. Conchiudiamo. L'idea di cosa comune, inchiude l'idea di possibilità che la data quahtà si ripeta in innumera- bili oggetti *2. Non può dunque la detta idea non essere indeterminata: e quanto la specie da lei abbracciata è più vasta j più indeterminata eli' è. Quindi 1' idea dell' ente in universale è insieme la più comune e la più in- determinata di tutte *3 : ma tutte le idee son comuni, per ciò solo che sono idee. E le riguardanti anco oggetti individui , sono comuni in questo senso , che possono con esse pensarsi altri oggetti individui innumerabili. Una sola eccezione può darsi: quando l'ente individuo, di cui si tratta, fosse di sua natura necessariamente unico. *i T. U, p. 83. — *2 P. 92. — *3 T. IV. p. 362. Tommaseo. Sarà continuato. 25 PLINIO IL GIOVIWE (Dal IV Uh. degli studi inediti sui primi secoli dell'impero ). Comunichiamo con vera soddisfazione ai lettori del Subalpino un bellissimo saggio inedito su Plinio il giovane dovuto alla penna dotta ed elegante del sig. Tullio Dan- dolo. Il nome di Dandolo è caro alV Italia, ed è pure dolcissima cosa il vedere come il figlio batta luminosa- mente la carriera delle lettere e delle scienze illustrata dal padre. Grazie ad esso e ad altri pochi ma nobilissùni esempi , noi Italiani possiamo guardare senza invidia quelle famiglie della dotta Allemagna , della Svizzera e della Francia (Niebhur, Pictet, Decandolle , Jussieu ecc.), in cui la dottrina , V amore delle lettere e le piìi care so- ciali 'virtù, die diffìcilmente dalle lettere si scompagnano , paiono anzi sono ereditarie. Caio Cecilio Plinio Secondo che con sì adorne ed amo- revoli parole ci descrisse gli studi e la morte dell' illustre suo zio, ora diventa egli a sua posta argomento a nostri studi , geniale argomento , uno degli uomini dell' antichità con cui simpatizziamo meglio. I grandi scrittori di Roma costumano avvolgersi , pavo- neggiarsi troppo entro ai maestosi panneggiamenti della ^6 toga ; quant' è più elevata la missione che si assunsero , quant'è più sublime il piedistallo sul quale ascesero, tanto è più naturale in noi , e vivo il desiderio , dopo di averli contemplati ad elevazione sì bella, vederceli dappresso da semidei tornati mortali : rimosso quello studiato , pomposo apparecchio , ameremmo penetrare nell' intimità del vi- vere loro j scorgere in essi non 1' attore che si atteggia dinanzi la posterità , ma l' uomo che compartecipa alle pas- sioni della nostra natm^a ; sarebbeci caro , in una parola , cavar loro di dosso la toga , impresa in vero ardita , poco meno di quella del Gallo che toccò la barba a Papirio , né solamente ardita , ma piena , zeppa di difficoltà , sì que' barbassori sono diligenti a non presentarti opportunità né di un lembo per cui pigliai-e li possa , né di un fesso per entro cui la mano tu ficchi o lo sguardo. Astengonsi di parlare di sé , delle proprie opinioni taccionsi , o non ne accennano che in termini generali V io che domina le mo- derne lettere negli epistolari , nei racconti , anco nelle sto- rie ( non parlo poi di quelle memorie alle quali non ba- stando il campo della vita, vengonci manipolate perfin d' outre-tombe ) , 1' io , dico , fu quasi sconosciuto alle let- tere antiche. Livio , Tacito , Sallustio , Virgilio , non ne usarono certamente , e leggendo i commentarli dubiti , se fosse Cesare a scriverli: a romper la quale monotonia di cotesta sia poi modestia od alterezza , buon per noi che M. Tullio ricordi ad ogni tratto la gloria del suo conso- lato ( di che gravemente contemporanei a posteri ripren- donlo ) , e ben venute quelle pistole ove almeno tra amici è lecito parlare di sé e de' fatti propri. Gli epistolari sono preziosissimi perché iniziano i lettori all' intimità del vi- vere privato , parlo sempre degli antichi; perocché se essi troppo larga parte, così nelle azioni , che negli scritti hanno data alla vita pubblica i moderni , a contrapposto , e in quelli e in questi troppo accordano alla privata : le prò- 27 porzioni sì sono impiccolite , 1' età de' giganti che il capo nascondeano nelle nubi passò; ognuno è avido che i pro- pri fasti pigmei non periscano, e sarà più facile a nostri pronipoti saper quanti pasti facesse ogni di Vittor Hugo, o quante awentm^e contasse nel romanzo vero ed immo- rale della sua vita Madama Sand, di quello che a noi Io scovrire come e in qual anno morì Plinio Secondo. Le lettere di Cicerone spargono luce sul vivere intimo de' contemporanei di Cesare e di Ottavio ; più che le sue orazioni sul vivere esteriore. Le lettere di Plinio , essen- dosi la vita esteriore ridotta a poca cosa al suo tempo per la cessata libertà , occupansi con più amore a quasi esclu- sivamente della vita intima de' contemporanei di Domiziano e di Traiano , e perciò ci arrecano più diletto. Egli ha gettato via la toga più deliberatamente che il suo prede- cessore non fece : però mi spiego : il contesto delle sue pistole è bensì tutto d' argomento privato , ma lo studio postovi è di autore che destina quelle pistole a formare un libro da pubblicarsi : M. Tullio invece scrivea agli amici gli avvenimenti del giorno , ottimi materiali di storia , ma scriveali coli' abbandono dell' intimità e senza importanza j che se la corrispondenza di Plinio fosse dettata colla scor- revolezza ciceroniana , ci avremmo un epistolario perfetto , e per aggiungere qualche altro tocco al confronto tra quei due , dirò , che in Tullio è più genio , più artifizio in Se- condo , uno porge migliori esempi di bello scriver-e , l'altro di rettamente vivere, uno ti fa meglio d'ogni storia com- prendere gli uomini della sua età , e da quai molle mossi , r altro più che ogni trattato di morale insegna agli uomini d' ogni secolo a conoscere e regolare se stessi. Dai dieci libri delle lettere di Plinio l' ultimo de' quali contiene la corrispondenza che Proconsolo in Bitinia tenea egli con Traiano , e le risposte dell' ottimo Imperatore ; io mi accingo a spigolare tutto ciò che all'uopo nostro me- 28 glio si affa : e dichiaro che non mi sarà facile ristringermi entro certi limiti , a non eccedere una conveniente mism^a. La vivezza di quei racconti , la evidenza di quelle descri- zioni sono eccitamenti a moltiplicare le citazioni, e fanno la seduzione più gagliarda del proponimento. Prima di tutto osserviamo come i nomi posti in fronte a quella lettera sieno tra più autorevoli e chiari dell' im- pero , un Traiano , un Tacito , un Quintiliano , uno Sve- tonio y un Marziale e simili. Diresti che al dischiudersi della porta dell' essedra lam-entina a noi già nota '■i , il buon Plinio e' introduce per mano e ci presenta agli amici suoi ivi raccolti a spendere alcuni di beati , lungi dal ru- more e dal polverio della capitale , in riva a quel giocondo mare che se è scarso di pesci , col suon roco delle onde j e col fresco vento allegra gli animi , e ristora i corpi. A leggere quelle dichiarazioni d' un' amistà di diciasette se- coli addietro, il grazioso racconto di nonnulla su cui già pesano poco meno che due mila anni , la sposizione , an- cor calda per la impressione recente , di casi , d' uomini , sulle cui ossa giacciono accumulate le ossa di quaranta ge- nerazioni successive ; alla parola scritta la fantasia aggiunge il suono della parlata, e le inflessioni della maestosa fa- vella del Lazio in mezzo al silenzio dello studio , trovano in noi un eco interiore Ecco ti pare vedere ed udire Plinio che al suo Tacito con amorevole sorriso si volge e dice : — « Lessi il tuo libro , segnai con quanta più cura seppi ciò che avvisai potervisi cancellare od emendare : sai che tanto è mio co- stume dir ciò che penso , quant'è tuo udirmelo dire, per- chè niuno sa sopportare meglio critiche di chi sa di me- *i Nel cap. XIV. lib. IV. degli studi sul secolo d'Augusto, ove si pax'Ia delle viUe romane , ha trovato posto per luterò la bella epistola dì Plinio in cui descrive il suo Laureato. 29 ritarsi lodi. Ora tocca a te, e stommi in aspettazione delle osservazioni che farai sullo sci'itto che ti ho consegnato. Ed oh ! quanto è dolce ed onorevole cotesto scambio di suggerimenti e di lumi ! Quanto gioisco in pensando che se i posteri si occuperanno di noi, sapranno che eravamo amici ! E sarà caso osservabile e raro che due cultori di lettere , quasi coetanei , di condizione pai-i , di qualche fama entrambi ( sono modesto per conto tuo , trattandosi che parlo anche di me ) siansi mutuamente soi-retti nei loro studi. Sin dalla mia prima giovinezza , quando tu eri già celebre, proposimi d'imitarti, e vi riescii comechè da lontano , però pili dappresso d' ogni altro. Son vano , lo confesso, che il mio nome allorché si ragiona di letterati sìa citato col tuo , oltreché avrai osservato che nei testa- menti abbiamci spesso uguali legati: da che conchiudo che dobbiamo amarci sempre più , uniti venendo sì caramente dagli studi, dall'indole, dalla fama e persino dalle volontà estreme degli uomini. » Tacito a sì affettuose parole non avrà egli gettato , deposta per un istante la gravità sua , le braccia al collo di Plinio? il quale rivolgendosi agli amici : « mi è stato narrato or ora ( ripiglia ) una comica Storiella. Pollieno Paolo, cavaliere, come sapete, assai col- to, scrive elegie; è un prurito di famiglia, vanta Properzio tra gli avi suoi ; or bene accingendosi egli l'altro dì a de- clamare in pubblico uno di cotai suoi componimenti , e comincia con voce da Stentore. — Tu mi comandi, o Prisco .... Giavoleno Prisco , quivi presente in udirsi in- terpellalo, balza in piedi, e grida: io non comando niente: — figuratevi lo schiamazzare e il ridere d' ognuno a quella brusca interruzione : il povero Paolo durò fatica a termi- nare quella sua malaugurata declamazione. » — Entra Quin- tiliano : Plinio gli corre incontro , e tiratolo in disparte : « benché tu sia, dice egli, semplicissimo e modestissimo ne' tuoi modi di vivere , ed abbi educata la figlia in modo 30 degno di te e dell'avo Tutilo ^ nullaraeno oggi che di Nonio Celere si fa sposa , a cui l' impiego impose obbligazione di vita splendida , sta bene che a lui conducasi corredata come alla sua nuova posizione conviensi , tali apparenze so bene che non aumentano la nostra dignità vera, val- gono però a farla più osservata ad altrui , ed io so che doviziosissimo di virtù, lo sei poco di beni di fortuna; mi assumo io dunque una parte di ciò che (potendo) tu fare, a te spetterebbe , e quale altro padre do alla nostra cara fi- glia cinquantamila sesterzi : ne terreimi pago di questo se non fossi convinto che la modicità del dono ti sarà unica ragione d' accettarlo! » E in così dire stringendo la mano all' amico , e senza dargli tempo a rispondere , traggelo, altamente commosso, in mezzo al crocchio, e tosto Massimo è sopra al sovrag- giunto a richiederlo se sia vero , e come avvenisse che Co- rellio Rufo siasi tolta la vita. — « Pur troppo, rispose Quin- tiliano , a Rufo piacque lasciarmi e morii-e; ed è questo che mi accora. Quando gli amici da malattia sono rapiti, rimane almeno un argomento di conforto in riflettere che queir inevitabile fatalità pesa sulle sorti di tutti gli uomini; ma quelli che troncano volontarii lo stame dell'esistenza, lascianci il cruccio di pensare che avrebbero potuto rima- nerci più a lungo. La calma della coscienza, una fama ono- revole meritata , d' agiatezza il bastevole , moglie , figlia , nipote , sorella, amorevoli tutte, amici veri , ogni cosa con- tribuire dovea a farlo contento; ma i suoi fisici patimenti duravano da lungo tempo , eranglisi fatti intollerabili ; e la spinta a morire vinse, spezzò i legami che trattenevanlo in vita. Attaccato dalla gotta che avea trentatre anni, dis- semi più fiate d' averla ereditata dal padre , perocché beni e malori ci vengono spesso per via di successione. Finché fu fresco di età trovò rimedio nel vivere astemio dai pia- ceri della gola e di venere , più innoltrato negli anni e più oì sopraffatto, sosteiinesi mercè la virtù e la costanza ; un dì che atroci dolori assediavangli non solo i pie, ma tutto il corpo , e condussimi a visitarlo ( al tempo di Domiziano ), ritiratosi ognuno ( così avea egli comandato quando a lui ne veniva un qualche amico); sai tu, disse, perchè mi ostino a sopportare sì atroci patimenti ? per sopravvivere a Domiziano almanco d' un giorno ! A fare egli stesso ciò che auguravasi altri facesse , non gli mancava certo il co- raggio , bensì la forza. Esaudironlo gli Dei, ed il tiranno fu ucciso. Pago allora e fatto sicuro di morire libero , volle spezzato il filo de' giorni suoi. Stette a digiuno quattro dì. C. Geminio , a nome d' Ispala moglie di lui , mi arrecò la triste nuova che Corellio avea determinato di morire , e che vani eran riusciti gli scongiuri suoi e della figlia ; solo in me fidare le sconsolate ; accorro, prego, supplico e mi ho una risposta sola dal moribondo : la sentenza è portata. Oh ! che a rimembrare quelle funebri e solenni parole ho r anima conquisa dal dolore ! Qual amico ho io perduto ! Contava il sessantesimosesto anno e lo piango come se mi fosse stato rapito sul fiore ; e lo desidero ( m' accusino pure di fiacchezza ) per amor di me medesimo , conciossiachè mi venne meno il testimonio , il giudice , la guida deUa mia condotta, e temo di vivere d' or innanzi più sbadato a ben fare. Vedete, amici, qual uopo ho che mi confor- tiate ! né mi dite che Corellio era vecchio , che era in- fermo : d' altre consolazioni ho mestieri di quelle tali che non peranco ho ritrovato nella società e nei libri. La mia afflizione non è d' indole da venire calmata da volgali considerazioni. — » Simpatizzano tutti al giusto dolore di Quintiliano e Ma- cro che non lascia mai sfuggire occasione di filosofare : « questi dì passati , soggiunge , la malattia d' un amico mi ha fatto riflettere che diventiamo gente dabbene infer- mando, e che l'avarizia, la libidine cessano allora d'arti- 32 gliarci : l' ammalato crede negli Dei , e si ricorda che è uomo ; più non invidia , non ammira la sorte di veruno 5 le maldicenze non gli fanno né impressione , ne piacere , proponesi , se può riaversi, di menare vita innocente e felice ; onde io qui posso farvi in due parole una lezione che i filosofi distempereranno in volumi — perseveriamo in sanità ad essere ciò che ci proponemmo quando eravamo infermi. » Plinio a distraiTC Quintiliano dalla malinconia ha ricorso ad ingegnosissimo spediente; presentagli Acilio che presso a partire per la Grecia , ove è nominato Proconsolo , venne ad accomiatarsi: — « or tu, dicendo , a cotesto nostro co- mune amico dà a modo di viatico quei consigli che il tuo amore per la culla delle arti e delle lettere t' inspira : ed io , sclama Acilio , me li terrò diligentemente fisi nella me- moria siccome parole estreme del mio venerato maestro. » Al nome della Grecia gli occhi di Quintiliano hanno bi-il- lato , lo diresti invaso dal sagro fuoco d' Apollo : « te av- ventm"ato , a cui sono commesse le sorti dei compatriotti d' Omero e di Socrate : oh ti ricorda che sei eletto a go- vernare uomini generosi , pei quali la libertà è Diva , a cui sacrarono sin dall'età p^ \ remota vir-tù , azioiìi , allean- ze, religione; rispetta i le 'o Numi, le tradizionali loro glorie , la vecchiezza de' popoli non è men venerabile e sacra di quella degli uomini. Rendi onore alle loro anti- chità , alle loro gesta , anco alle loro favole , ed abbi di continuo innanzi il pensiero che là noi attignemmo le idee del diritto , e che a ricambio del giogo che noi imponemmo a quelle genti , esse ci diedero religione , lettere , filosofia e civiltà » Breve silenzio tiene dietro a quelle parole eloquenti, e Svetonio ad Acilio: « ricordati bene, di visitare la casa de' fantasmi , e scrivermene novelle. — Qual casa? quai fantasmi ? gridano vaiii : — e che non sapete ? Ora io vi 55 narro il fatto per disteso. V'aveva in Atene una casa co- moda e vasta , ma screditata e desei ta. Nel più profondo silenzio della notte udivasi fragor di ferro percosso contro a ferro , e chi prestava orecchio attentamente , discernea cigolio di catene che pareva venire da lontano , poi com- pariva uno spettro in figura di scarno vegliardo , con lun^a baluba , irti i capegli , i pie , le mani inceppati da ferri che orribilmente squassava ; lo che spaventava gli abitanti di quella casa , impedivali dal doi-mire ; la veglia facevali am- malati e morivano. La casa rimase deserta con un cartello sulla porta , indicante che si voleva vendere od appigio- gionare. Atenodoro filosofo , non ostante che della leggenda spaventosa informato fosse vi alloggiò , e fatto per bravata ritirare ognuno , recatosi innanzi le sue tavolette per tema che la fantasia non gli facesse un mal giuoco , diessi ad intensamente meditare e scrivere. Regna dapprima profondo silenzio , poi odesi rumor sordo ; né il filosofo alza per questo gli occhi dallo scritto , e fa motto ; il rumore cre- sce e si fa più distinto; eccolo nella vicina camera, ecco spalancarsi la porta , e lo spettro affacciarvisi , e chiamar r ospite con gesto imperioso. Atenodoro s' alza e gli tien dietro ; lo spettro lo precede a lento passo come se l' in- gombro delle catene gli arrechino oppressione ed impac- cio; giunto in mezzo al cortile sparisce. Il filosofo racco- glie un fascetto d' erbe , e lo colloca là ove scomparve il fantasma. L' indomani si presenta ai Magistrati , ed invi- tali a fare scavare in quel sito ; detto , fatto ; trovanvisi ossa ancora avvinte da catene ; il tempo avea consumate le carni ; furono raccolte e sepolte ; ninna visione turbò più gli abitatori di quella casa. )) Marziale die uno scoppio di risa. — « E tu ci credi ? — E perchè no ? rispose Svetonlo : i Mani sdegnosi non tornano dall' Averno 1 Dinieghi fede ai Lemmi , il culto de' (piali è fatto solenne dalle XII tavole ? — Bella auto- 3 54 rità , la XII tavola a dì nostri ! e che sì che tu paventi , che i tuoi creditori ti facciano in pezzi , e ti vendano agli stranieri d' oltre Tevere ? — Buon per te , dice Svetonio , accigliandosi, che sia venuta in disuso la legge Cornelia, che minacciava di bastone i diffamatori! — « Plinio inter- venne con cpella sua inneffabile festevolezza a temperare ie ire nascenti , a sviar 1' attenzione de' garritori e degli altri. — « Ho discoverto il soggetto d'un poema che è una storia vera, eppure ha sembiante di favola; lo pro- porrò a Stazio che ne faccia una selva. Ecco il fatto : presso Ippona in riva al mare , costumano i fanciulli d'addestrarsi a nuotare , e qual d' essi più discostasi dal lido , quello è più lodato : nel qual certame un baldo garzoncello es- sendosi di soverchio innoltrato , un delfino presentasi che ora lo precede, ora lo segue, ora gli gira intorno, final- mente pigliasi il poverino , che non ne potea più , sulla schiena , e tremante lo riporta salvo alla spiaggia. La fama dell'avvenuto diffondesi per tutto il dintorno ; il dì seguente d' immensa turba è gremita la riva ; gittansi a nuoto i gar- zoni , torna il delfino e va scherzando intorno all' amico suo , ed egli imbaldanzito gli balza sulla schiena , portato e riportato sentesi riconosciuto , amato , ed ama a sua po- sta : la confidenza dell'uno cresce in proporzione della do- cilità dell' altro ; il delfino diventa sì dimestico che vien- sene sulla secca sabbia a ravvoltolarsi e scherzare. Ottavio Avito luogotenente e proconsolo dominato da superstizione comandò che l' innocente animale si uccidesse , ed il suo piccolo amico ne fu inconsolabile .... » L' eloquenza subito avea irreparabile crollo collo spe^- gnersi della libertà. Condannata a starsi muta nei comizi d' un popolo spogliato d' ogni franchigia , tra senatori tras- OD mutatisi in servili consiglieri di Cesare ; nel foro ore le grandi cause di peculato e crimenlese più non trattavansi che per mera forma , e acciò i dannati dal principe pe- rissero con apparenza di legalità ; l' eloquenza rifuggitasi nelle pagine di Tacito , mandava 1' ultime voci affievolite nelle declamazioni di Quintiliano , nelle epistole di Seneca nel panegirico che Plinio dettava di Traiano. L'oratore si eleva sublime quando aspira a soggiogare la volontà . e guadagnarsi il suffragio d' una moltitudine ammirata ; ma quando ad unico campo restagli d'adulare il principe l'ispi- razione gli vien meno , e la sua parola comechè sonora ed elegante , è colpita d' impotenza ; gli stati liberi sono vero unico campo d'eloquenza , perocché all'eloquenza voglionsi avversari, pericoli, combattimenti, trionfi; allora gli sforzi sono proporzionati alle speranze ed ai pi cmii ; e gli uo- mini facendosi largo ad essere ciò che sanno e possono essere, il genio collocasi naturalmente nel seggio che "\i si compete ed è impossibile cacciamelo; ma dove domina im despota e fatai livella è tesa su tutte le teste, la vita pubblica ha cessato d' essere ini arringo immenso aperto da ogni banda e a ciascuno , per tramutarsi in una stretta d' accesso arduo percorsa da pochi in silenzio e ad occhi bassi. Tali erano le condizioni dei Romani dopo Augusto sotto la CUI dominazione le discipline figlie dell' immagi- nazione aveano bensì aggiunta la perfezione , ma la vera eloqvienza era perita colla repubblica e con Cicerone. « Il panegirico a Traiano, scrive Tiraboschi, è statolo- dato da alcuni come il più perfetto modello di eloquenza a cui sia mai giunto uomo di questa terra. Nello scorso secolo Plinio e Seneca erano i due autori sui quali cre- deasi comunemente di dovere formare lo stile ed il di- scorso , ed io credo che tal paese v' abbia ancora fuori d' Italia , in cui diasi almeno una tacita preferenza a Pli- nio in confronto di Cicerone , ove si tratta di scrivere la- 36 tinamente. Ne si può negare che il panegirico di Plinio non abbia sentimenti e pensieri d' una forza e sublimità ammirabile ; ma volere dare ad ogni cosa un' aria nuova o meravigliosa , e far pompa ad ogni passo d'acutezza d'in- gegno , e trovare in ogni oggetto confronti , antitesi , con- trapposti , non solo crea oscm^ità ma noia anche in chi legge; quindi di Plinio si può dire ciò che di Seneca di- cesi da Quintiliano , che ei può essere letto con fiutto da chi già essendosi formato sugli eccellenti autori , può sce- gliere in essi saviamente ciò che v' ha di pregevole e de- gno d' imitazione ; e lasciare in disparte ciò che vi si con- tiene di vizioso. Io penso nondimeno che Plinio debba es- sere anteposto a Seneca, perchè nei sentimenti di Plinio si vede comunemente il grande , il vero , benché guasto sovente d' una soverchia affettazione di sublime nei senti- menti. In Seneca altro non s' incontra, sovente, che una vuota ombra ed ingannevole apparenza di maestà e di gran- dezza , la quale se vogliamo penetrarci addentro , si dirada tosto e svanisce. » ,,( Fu gran ventura per Plinio 1' avere a lodare un prin- cipe qual era Traiano , e l'essere Traiano succeduto a Do- miziano ; più felice contrapposto non poteagli essere fornito dalla fortuna. È facile comprendere come con addoppiato fervore il generoso ingegno del panegirista dovesse nel tempo stesso usar di severità colla nequizia , e tributare il dovuto omaggio alla virtù, e fjuai tinte brillanti all'elo- quenza dovesse foi"nire il contrapposto delle passate scia- gure e della pregente felicità. Citerò alcuni brani del panegirico acconci ad offrire am- maestramenti ed esempi , e prima di tutto veggiamo come 1' autore parli in una lettera ad un amico di quel suo la- voro. — « Uno degli obblighi del mio consolato quello era ili rendere solenni grazie a Traiano in nome della repub- blica , e dopo- d' civure adempiuto all' ulìicio couìc conve- 57 niasi al luogo ed alla circostanza, reputai opera degna di buon cittadino lo sviluppare in più diffuso scritto ciò clie là sfiorato avea solamente ; primamente per rendere a sì gran principe omaggio non indegno delle sue vu^tù; in secondo luogo affine di presentare a' suoi successori non tanto norme di condotta , quanto un modello a m crearsi la stessa glo- ria co' mezzi medesimi. Ed infatti dire a' principi ciò che essere debbono , è imprendimento nobile per certo ed ar- duo , ma che facilmente può parere presontuoso ; lodare invece gli ottimi principi in guisa che il loro elogio sia una lezione agli altri , è quasi un lume che loro indichi la via , e questo è un assunto non meno vantaggioso che modesto. » Plinio animato da questi elevati sentimenti dopo d'avere sul principio del panegirico ricordata la viltà de' Cesari , i quai non opponevano argini all'irruzioni de' baibari altro che con pagare ad essi tributo — « Ora , sclama , quelle formidabili tribù imparano di nuovo ad essere docili e som- messe ; credono vedere rinato in Traiano imo degli eroi di Roma antica , ed aljbiamci da essi osta£rj:ri invece di darli ; non comperiamo più vanto di trionfatori con vergo- gnose largizioni ; ai nostri nemici ;, fatti supplichevoli , noi accordiamo o dineghiamo le richieste conformemente alla maestà dell' impero , e rendonci essi grazie dell' ottenuto , né lagnansi del diniegato , né ardirebbero lagnarsi perchè ricordano d' averti visto , o Traiano , accampato in mezzo alle loro più feroci nazioni nella stagione che ad essi è più propizia, allorché il cumulo de' ghiacci vmisce le due rive del Danubio , e quel naturai ponte improvviso può schiudere quando che sia il passo a sterminatrice guerra ; viderti , dico , valicare quell' indurato gelo che era dianzi loro baluardo , e portare nelle loro foreste quell' incendio che essi teneano in serbo per le nostre città E la tua moderazione tanto più splende ... Tu nò temi né provochi 58 la guerra .... Il Campidoglio vedrà finalmente un trionfo non fantastico , un simulacro non vano di vittoria ... ! n Traiano è stato il primo imperatore che si pigliasse pen- siero degli orfani , provvedendo al loro sostentamento , non che a favorire in generale l' educazione della gioventù; promulgò savissimi ordinamenti , e fondò in tutta l' esten- sione dell' impero asili ed istituti. « E opera degna di te , o Cesare , favorire co' tuoi tesori le speranze del popolo romano, ne v'ha dispendio che a' principi stia meglio dei benefici largiti alle generazioni venture : a' doviziosi è gua- dagno aversi figli ed allevarli ; a' poveri per averne ed al- levarli primo incoraggiamento è la bontà del principe , e quale non dovette essere la tua gioia allorché accolto con imanimi grida festose degli avi, de' padii , e de' figli, com- prendesti d' essere ringraziato de' benefici , che non chiesi ma dal tuo cuore istesso ispirati , avevi prodigalizzati ! E apice della gloria del regno tuo dire che ogni cittadino desidera di diventare padre , e tiensi a ventura d'esserlo diventato. Ninno oggidì teme per le sue creature altro che i casi inseparabili dall' umanità. L' oppressione non è pivi contata tra gli inevitabili mali , e se è dolce vedere i pro- pri nati oggetti della liberalità del principe , piìi dolce ancora è crescerli ad essere liberi e felici. » Oggetto della magnificenza imperiale furono mai sempre gli spettacoli , Caligola , Nerone , Domiziano s' erano se- gnalati con pazzie per istrioni e gladiatori , i giuochi ce- lebrati da Traiano furono e dovean essere di ben altra na- tura. (' Noi ci avemmo spettacoli ma non di mollezza e corruzione fatti per isnervare il coraggio , ma tali da ispi- rare generoso disprezzo della morte e ad infondere amor di gloria ed ardore di vincere agli stessi schiavi fuggiaschi, agli stessi rei di capitaU delitti combattenti nell' arena. E quanta nobiltà in tai ludi , e quanta giustizia! Come di- mostrasti che ogni parzialità era 9I disotto di te ! Qual li- 59 berta ne' popolari suffragi ! Niuno fu tenuto empio o col- pevole per avere parteggiato per questo o quel gladiatore, niuno espiò con supplizi futili trasgressioni ; di spettatore diventato spettacolo ! Stolto , e dell' onor vero ignaro quel principe che va cercando sui gradini dell'anfiteatro o del circo delitti di stato , reputando se stesso dispregiato ed offeso se i suoi prediletti «limi o cocchieri ricevono sfregi dal popolo , e la divinità della propria persona violata : esso che stimandosi pari agli Dei stima i gladiatori pari a sé ! Vituperosi spettacoli , oh ! quanto diversi da quelli che abbiamci oggidì ! Troppo tempo durò una schiera di de- latori nell' esercitare in Roma il suo brigandaggio ; abban- donate le vie e i boschi a ladroni d' altra specie ^ assedia- vano costoro i tribunali ed il senato : più non v' ebbe pa- trimonio certo , testamento sicuro ; il pericolo era grande per tutti , e l' avarizia dei principi incoraggiva cotesti pub- blici nemici. Tu , o Traiano , rivolgesti lo sguardo su tal gangrena dello stato , e dopo d' avere restituita securtà alle Provincie ^ la riconducesti anco nel foro con estirparvi ogni mal erba, e la tua provvida severità impedì che una repubblica fondata sulle leggi, non venisse rovesciata dall' abuso delle leggi. N'avvenne che ( benché la tua fortuna , e la tua generosità abbianti posto in grado di farci vedere nel circo ciò che forza ed ardimento valgono , mostri in- domiti pria , domati , meraviglie dinanzi rade ed ascose , fattesi vulgari ) nulla riuscì più gradevole al popolo ro- mano , e più degno di te quanto veder fiaccata la baldanza dei delatori : eranci noti , e godemmo in vedendo cotai vittime espiatrici de' pubblici guai , e dell' universale tre- pidazione , attraversare in lunga fila il circo sui cadaveri sanguinosi de' rei ; trascinati a più crudele e formidabile supplizio : cacciati alla rinfiisa su barche sdruscite furono abbandonati al vento ed all' onde. Discostinsi , fuggano da una terra che la loro nequizia ha desolata ! se i fiotti gli 40 scagliano su inospito Udo , meniavi giorni angosciosi Ira l'ansie del terrore e della fame; e per colmo di cruccio TCggansi intorno il genere umano che sono sforzati di la- sciare in pace Spettacolo memorando , quella flotta carica di colpevoli senza guida, senza aiuti, in balia della fortuna ! E la fortuna disperse que' fragili navigli in uscir appena dal porto , ed il mare ingoioUi , quasi rendendo mercè all' imperatore che fìdavagli il supplizio di ribaldi che egli stesso non degnavasi di punire ! E se alcuno di essi andò salvo, i deserti dianzi popolati da senatori più non ricetteranno che i loro delatori e carnefici ...» Traiano abolì l' abbominevole accusa di crimenlese di cui tanto abuso erasi fatto sotto i precedenti imperatori. « Pago d' essere grande , e senza attribuirsi immaginaria maestà , tu ci liberasti da quello spauracchio, tu restituisti con ciò la fedeltà agli amici , la pietà ai figli , la sommessione agli schiavi. I nostri schiavi non sono più gli amici di Cesare , siamlo noi stessi. Col liberarci dai domestici accusatori , innalberasti im segnale di salvezza che annientò tra noi la guerra dei padroni e dei servi , e facesti ad entrambi ugual benefizio con restituire agli uni la tranquillità , agli altri la confidenza. Ma tu non ami d' essere lodato di giustizia e forse noi debbo io fare ; consentimi almeno dire che è confoi^tevole a coloro che ricordano quel tuo antecessore che subornava gli schiavi a danno de' padroni , e loro sug- geriva accuse , onde avere pretesto di punire un delitto inventato da lui stesso ( irreparabile sventuia di chiunque avea uno schiavo perverso quanto l' imperatore ) ', è con- fortevole , ripeto , dii'e che ora regna sulla terra la giu- stizia » Vissuto era Traiano lunga pezza in condizione privata , ed avea visto l' esecrabile regno ed il tragico fi^ne di Do- miziano. Adottato da Nerva , tosto gli succedette. « Pro- fittevole è l'avei-e assaggiata l'avversità pria d'arrivare alla 41 grandezza. Tu vivesti con noi, dividesti i nostri pericoli, vivesti al par di noi tra V ansie ; destino serbato all' inno- cenza ; toccasti con mano quanto i malvagi principi sieno detestati anco da coloro che contribuiscono a farli peggiori; così ciò che apprendesti e conoscesti da privato , t' illu- mina principe , e tal principe ti fa che è più facile suc- cederti che reputarsene degno. Chi dilTatto vorrebbe addos- sarsi un tal peso ? Chi non temerebbe d'esserti paragonato? Sotto un principe qual tu sei , la virtù consegue le stesse ricompense e gli stessi onori che in libero stato , e tramon- tarono i dì nefasti , in cui altro premio non restavale che la interior voce della coscienza. Tu ami nei cittadini una nobile fermezza , né cerchi , come dianzi , di soffocare il coraggio, d'intimorire la probità; basterebbe che non vi avesse più risico ad essere dabbene , or v' ha profitto : ai daljbene tu accordi dignità , sacerdozi , proconsolati ; la ricompensa della loro integrità , de' loro servigi inanimi- sce ad imitarli , che vuoisi proclamarlo ; gli uomini sono buoni o tristi secondo che trovano il loro prò ; e poche anime s'elevano tanto da giudicare l'intrinseco delle azioni e dei diportamenti senza lasciarsi abbagliare dall'esito ...» L' oratore paragona l'affaliilità di Traiano al cupo vivere degli oppressori di Roma. « Niuno è che tu umanamente non accolga , ed in mezzo a tante cure ti resta tempo per tutti. Noi ci conduciamo al tuo palazzo non come dianzi tremanti d' essere mal capitati , ma tranquilli e quando meglio ci conviene : ci è lecito anche quando tu sei di- sposto ad accoglierci , rifiutarci alla chiamata se abbiamci altro da fare. Quando in quel palazzo medesimo che il ter- rore circondava, ritiratasi come in caverna una belva, si innebriava del sangue de' suoi congiunti , e non n' visciva che per isbranare i più illustri cittadini , allora vegliavano Sul limitare la minaccia , lo spavento ; allora tremavano del pari e chi veniva e chi discostavasi. Egli stesso il tiranno 42 presentavasi formidabile ; 1' orgoglio avea dipinto in fronte, il furore gli balenava negli occhi , solitudine circondavalo ; eppiu-e tra quei muri di cui si facea baluardo serrò con se la vendetta , la morte , ed il Dio che lo punì ! il ca- stigo raggiunselo in quei penetrali, oh! quanto ora mu- tati ! Niun esempio è più atto a convincere che la guar- dia più fida e più sicura de' principi è la loro propria virtù , e dii-ò meglio che non trovansi essi mai più efiìca- cemente difesi che quando di difesa non hanno mestieri...» I brani che in tanta copia citai sin qui così delle let- tere , come del panegirico non chiariscono abbastanza che Plinio fu uno de' più amabili e spiritosi romani del suo tempo , anzi d' ogni tempo ? Amico generosissimo ( noi lo vedemmo delicatissimamente beneficare Quintiliano) ei non possedeva cosa che degli amici non fosse ; tollerantissimo di loro difetti, con se medesimo severo, fedele nella sven- tura, consacrava alla memoria de' suoi cari defunti un culto di desiderio e d' amore. A Calvinia rimasa orfana manda quetanza della somma che avea prestata a suo padre (tre- cento mila sesterzi ); a Romano perchè possa essere am- messo air ordine equestre , ed ottenere seggio tra' finan- ziein, sborsa 200 mila sesterzi: a Corellia, figlia di quel Rufo di cui pianse con sì bella eloquenza la morte volon- taria , cedette 200 mila sesterzi meno del suo valor reale un podere che ella bramava d' avere ; Corellia avvertita di ciò , pregalo di accettare V intiero prezzo , rifiutalo Plinio con dire — dover ella considerare non ciò che è degno solamente di lei, ma anche ciò che è degno di lui. » Liberti e schiavi trovarono in Plinio indulgenza e bontà ; vivea con essi piuttosto padre che signore, e quando ta- luno scherzava che la mensa de' suoi liberti era imbandita 43 a paro della sua propria, rispondea ridendo — non è vero che i miei liberti bevano lo stesso vino di me , è bensì che io stesso bevo lo stesso vino de' miei liberti. » Fu sposo felice di Galpurnia, che lo circondò di vene- razione e d* amore. Peccato che ad uomo che sarebbe stato si degno padre mancasse prole ! A Como sua patria fondò scuole , e contribuì la terza parte agli stipendi de' maestri. Innamorato della gloria , era solito dire : — sola ambi- zione lodevole esser quella d' oprare cose degne d' essere scritte e di scrivere cose degne d' essere lette. — Ammi- nistratore benefico e sapiente innalzò un teatro a Nicea , acquedotti a Nicomedia ed a Cinope , bagni pubblici a Pru- sio ; liquidò i debiti contratti della città , moderò le spese de' municipii con soavi ordinamenti; fu tutore dei deboli, severo mantenitore della giustizia. Certo d'ottenere da Tra- iano checché avessegli chiesto , si riservò ad un unico fa- vore d' offrire in qualità di augure sagrifizi agli Dei per la conservazione di lui ... Tacito e Svetonio , suoi amici , teneano i cristiani in conto d' empia e pericolosa setta. Plinio più tollerante , più giusto scriveane a Traiano : a in giorni determinati adunansi prima del levare del sole , e cantano versi in lode di Cristo che chiamano Dio ; obbligansi con gim^a- mento non a delitto , ma a non commettere verun latroci- nio 0 adulterio, a non mancare di fede, a non negare un deposito, dopo di che costumano separarsi; poi radunansi nuovamente a mangiare in comune cibi innocenti » Plinio avea un' anima fatta per proteggere ed amare i di- scepoli di Cristo Tullio Dandolo. 44 Opere del P. Daniello Bartoli della Compagnia di Gesù. (Torino, dalla tipograQa di Giaciuto Maxictti , 8-to). Si suol (lire che i libri hanno i lor destini; ma a me sembra che non gli abbiano punto meno gli autori. Chi è di noi, che un trenta o quaranta anni fa , udisse a nominare fra' più eccel- lenti scrittori italiani il P. Bartoli ? V'avea forse tipografo che ne ristampasse qualche opera ? V'aveva egli antologia che ne pubblicasse qualche squarcio ? Che se ci prendca vaghezza di scartabellare le storie della nostra letteratura , esse non servi- vano tampoco a farci acquistar del Bartoli un migliore concetto. Gli dedica, è vero, il Mazzucchelli un lungo articolo, nel quale con la consueta sua accuratezza dà il catalogo, non che delle sue opere, delle ristampe e traduzioni di esse; ma parlando delle virtù del suo scrivere, si restringe a chiamarlo uno dei più chiari scrittori in lingua volgare della sita Compagìiia ,• il che è ben poca cosa. Il Tiraboschi parla in tre luoghi del Bartoli; e quantunque là dove ne discorre più a lungo il lodi per la novità del suo stile, che non uvea avuto esempi in ad- dietro, né ha poscia avuti seguaci; quantunque perla sceltezza de' vocaboli lo dichiari non inferiore ad alcuno, e a tutti anzi il preponga nella facoltà di dipingere ciò che narra ^ conchiude però che ciò non ostante, dopo alcun tempo, il lettore ne ri- sente stanchezza e pena , perchè V autore si sostìen sempre per così dire su' trampoli , e affetta sempre di parlar con ingegno. Or chi è che si senta invogliato a leggere e studiare uno scrit- tore faticoso, affettato, e che va sempre su' trampoli? L'Andres ricorda a pena l'opera del Torto e Diritto ; ma là dove parla degli storici degli ordini regolari , che era il vero luogo da ra- gionare estesamente del Bartoli , non ne dice pur motto. E delle sue storie tace anche il SalG, che a pena il ricorda fra' grammatici; che se il Maflei, che pur lo registra fra' gramma- tici, ricorda ivi per passo le sue istorie, il fa solo per chia- marle un panegirico , sì come innanzi a lui le avea chiamate il Gorniani. Or dopo ciò , non fa maraviglia , che poco si conoscesse e meno ancor si studiasse uno scrittore , di cui i nostri storici aveano con ingiustìzia taciuto, o con vieraaggiore ingiustizia parlato. Benché, ad essere schietti e imparziali, confessar bi- sogna, che se il Bartoli avea tali virtù da non meritare quella dimenticanza, v'erano altresì delle ragioni, che la rendeano in qualche modo escusabile. E prima di tutto la materia stessa delle sue opere (parlo delle storiche, che sono le più nume- rose e lodate) 5 la quale essendo non pur religiosa, ma asce- tica, richiede nel lettore, perchè sia gradita, un certo gusto per le cose della pietà e della religione , che pur troppo non è il gusto de' più. Se ne avvide lo stesso P. Bartoli, il quale dovendo raccontare i lenti principii della Fede novellamente introdotta nella Gina , per opera specialmente del P. Ricci, so- spettava di ragione, che raccontandoli, come dovea, alla di- stesa , più increscesse altrui la fatica del leggerli che al P. Ricci stesso quella dell'operarli. Arrogi la poca critica , che il Bartoli adopera in queste sue istorie , dove t'iucontri spesso in fatti mirabili e soprannaturali , de' quali e' non solo grande- mente si compiace, ma non si mostra punto dubbioso, ancorché la reverenda autorità della Chiesa non gli abbia mai raffermati. •^Sgi^Dgasi finalmente la eccessiva diffusione di queste istorie- diffusione prodotta nel Bartoli dal soverchio suo amore per le cose della Compagnia ; sì ch'ei si farebbe coscienza di tacerne pur una , e di non contarle con tutti i lor particolari ; ma da questo amore non essendo del pari infiammati gli animi dei suoi lettori , ne viene che questi trovino spesso inconcludente e fastidioso ciò che lo storico giudicò importante e piacevole. Ma oltre a questi vizi intrinseci alla materia delle sue storie ve n' ha tli quelli che s'appartengono all'elocuzione di esse ; io parlo specialmente di quel construlto e di quel periodo, che essendo tutto altro che spoutauto e perspicuo , dee di neces- 46 sita, soprattutto In opere sì voluminose, indur fatica e stan- chezza. Perchè non so concordare con l'illustre Giordani là dove loda il Bartoli per averci mostrato nelle sue istorie quanto vaglia una profonda e veramente filosofica arte nel condurre come in ordinanza stretta i pensieri, e dalla destrissima collo- cazione delle parole ottenere chiarezza lucidissima-^ al leggere le quali parole, si crederebbe che il Bartoli fosse uno di quegli scrittori , sul gusto del Davauzati , che ordinando strettamente i pensieri, vogliono riuscire quanto più brevi e serrati, tanto più efficaci e nervosi. Ma a me pare, che troppo altro sia il fare del Bartoli, fare assai intralciato ne' construtti e assai dif- fuso ne' periodi , per cui si genera oscurità e noja ad un tempo. Il Napione non tacque di questo suo vizio, dicendo che sarebbe assai difficile il discolparlo da una certa oscurità, che deriva dal modo suo di periodare; onde in lui desidera quella chia- rezza _, che è qualità principalissima richiesta in ogni specie di scrittura. E il Puoti altresì non dissimula la lungaggine e l'o- scurità de' periodi Bartoliani ; e quantunque la deduca , come in Tucidide e nel Guicciardini, dalla troppa folla delle idee, che adunandosi tutte e incalzandosi in un solo periodo, fanno sì che le accessorie attraversino e oscurino le principali; ciò può escusare il difetto, non toglierlo; tanto più che il Bartoli pare che si compiaccia di certe maniere di construrre lontane da quella chiarezza e semplicità che richiedesi nelle istorie ; come sono gl'infiniti e i participi impiegati in ufficio di sostan- tivi, uno scontro frequente di segnacasi e preposizioni, e in generale un ricusar di esprimersi co' modi più usuali e più semplici, per sostituirne d'insoliti o nuovi. Benché ciò stesso , che può talvolta offuscare la perspicuità del suo stile , gli dia più spesso un'efficacia maravlgliosa ; da che una vera mai-avi- glia rrai è sempre paruta nel Bartoli quel piegare e voci e rnodi, che pur sono comuni, a significazioni , che punto non son co- munali ; facendo sì , che in questi nuovi usi , a cui li volge il suo ingegno, essi riescano, non solo vivi ed efficaci, ma proprii altresì e convenienti. Avea già notato il P. Cesari nelle sue Bellezze di Dante ( tom. i. f, 33. ) quel campali in aria , detto de' fregi che risultano dal fondo, e che in grazia de'forli stìiri cbe li contornano , rimangoft quasi in aria isolati ; il qual modo appropriò si bene il Bartoli {^Ricreazione del Savio^ al fiore del tulipano ritto j svelto e cóme campato in aria *i. Ma quante mai di queste voci a novelli usi rivolte , non s' incon- tran nelle opere Bartoliane ! E per recarne qualcbe esempio f di comune uso è il verbo accecare, ma non è già comune lo adoperarlo che fa il Bartoli in proposito di quel Sacerdote, il quale avendo scritto col carbone sul muro del carcere la sua professione di fede , era confortato perchè cancelli e acciechi quelle parole (Inghilterra lib. iv. e. 5.J,- or qui V accecare mi rende l'idea di quel riempier che si fa i vani delle lettere, sì che si veda bensì, ma non si legga lo scritto. Dicasi lo stesso del verbo accennare , che detto di una fabbrica , la quale è in atto di accennar verso terra (Italia Hb. i. e. ii.J, non è al- tro che il chinato della carisenda di Dante (Inf. 3i. v. iBy.). E quel gliene attraversò le prime parole (Inghilt. lib. v. e. 9.^ quanto ben non esprime lo strozzare che si fa ad uno le pa- role in bocca ! Si dice tuttodì il suggellar di una lettera o di un piego ; ma come non è nuovo e vero l'usarlo che fa il Bar- toli in modo traslato parlando del P. Cornelio (ib. e. 6.) che cerco, e quasi colto dalle spie di Lisabetta , fu presto a git- tarsi nel nascondiglio sotterra e suggellarvisi dentro ,• e delle donne Cinesi , le quali vanno per la città in seggia , poco men che non dissi suggellatevi dentro (Cina lib. i. § 16.). Tutti diranno che uno seppe liberarsi , ma il solo Bartoli dirà del Borgia che seppe redimersi da una tribolazione (Fila lib. III. e. 8.J. Lo spremere è verbo di uso frequente ; ma non è già frequente l'usarlo che fa il Bartoli nel senso di strappare un segreto dalla bocca di chicchessia; eccone il luogo (Ingliil. lib. IV. e. I Z.) : condotti a ratificar le spontanee confes- sioni, 0 lo spremutone a braccia di tormentatori. Che di più usuale del verbo andare ? Ma in questo andar in parole per in questo dire (ibid. e. 40 ci trovo qual cosa di singolare che assai mi piace; ed è pur singolare l'uso del verbo gittare ia *i Lo ripetè nel lib. 1. § 4^ t^^^l* Cina, dove disse dei Cinesi scultori, che traggono maraviglie di lavori traforati, e fiori campati in aria. 48 quel passo : il re Citi mandò gittar bando la tesLa a' capima- stri deir opera ( Cina lib. i. §. 5J 5 e del verbo sviscerare là •dove parla della donzella chinese, che andando a marito senza dote non isviscera la casa onde parte (ibid. §. 29^. Studiare il passo per affrettarlo, lo vidi le mille volle; ma solo nel Bartoli (^Inghilt. lib. v. e. 3.) incontrai lo studiar le mani. Si dirà di alcuni poco destri e felici oratoi'i , che si partirono dall'aringo mutoli e svergognati ; ma il Bartoli aggiungendovi capovolti (Missione al Mogor. §. i), crescerà di due tanti la vergogna di quel silenzio. Si dirà di un principe, che si cac- ciò via un indegno ministro 5 ma il Bartoli con modo tanto più espressivo, quanto più insolito, dirà che se Vavea stermi- nato di corte (Ibid. §. 2^. Così arieggiano di novità e il buon 'volere fiaccatogli dal non potere (Italia lib. i. e. 11 ) , e l' op- pio rintuzzato e domo con varie correzioni d'aromati (Mogor. §. 7^, e le speranze che poi al legare invanivano (Ih. §. 8^ j e soprattutto quello scarnato dalle amiche (Italia lib. 1. e. 1 1), detto con tanta verità di uno , che imbrigato in laidi amori , se ne seppe di poi sviluppare. yrMa eziandio senza questi modi singolari e pellegrini , che s'incontran nelle storie del Bartoli , quanta è mai la ricchezza di lingua che in esse risplende , e ricchezza vera e solida, poi- ché la derivò specialmente da' trecentisti , le cui scritture tutti sanno che non menan altro che oro! Ma ciò, che più mara- vio'lia si è , che egli adoperò la lingua di quel secolo , non già a scriver qualche leggenda da chiostro , o qualche novelletta da veglia , ma bensì a distendere in trenta volumi un'amplis- sima materia (come dice il Giordani) di terre, di mari, di paesi, di guerre, di negozj , di religioni, di commerci, di arti, di scienze j di mestieri:, e però quella lingua del trecento, che si va predicando come vecchia e impotente , veggasi se più si possa dir tale , da poi che bastò negli ultimi tempi al più po- tente e vario scrittore , che abbia avuto l'Italia. E il Cesari , prima ancor del Giordani , avea nel suo dialogo delle Grazie lodato il Bartoli per ciò che usò maestrevolmente la lingua del trecento, soprattutto in cose di scienza, anlepoueudolo per que- sto rispetto al medesimo Galilei, bcuchc toscano e cruscante. 49 E questo aver pescato in autori tanto antichi , quali sono i trecentisti , espressioni e voci atte a significare le cose moderne, oltre al dare alla lingua del Bartoli quell' aria di frescLezza e di novità, di cui toccava poc'anzi, fa si, ch'essa sia tanto varia e copiosa, che io non temo di affermare, che chiunque abbia attentamente lette le opere del Bartoli , e spogliatele delle più scelte e nobili locuzioni , si troverà ricco di un tal capitale di lingua , da non fallirgli mai la voce o il modo pro- prio , nientemen che efficace , per significare qualunque idea , per descrivere qualsiasi oggetto. Che se a taluno parrà ecces- sivo quello cb'io dico , pensi , che il Giordani disse prima di me , che il Bartoli è scrittore di tale forza e abbondanza da non temere il paragone di nessun altro in quahivogUa nazione j e discesero in questo parere anche gli Accademici della Cru- sca , i quali con partito vinto l'anno 15186 noverarono il Bar- toli fra quegli scrittori , che si doveano spogliare per aiigu- mento del loro vocabolario; il quale spoglio fu anche fatto in parte da que' benemeriti , che ci diedero non ha guari il Di- zionario di Bologna. Ed è appunto questa dovizia di lingua , è appunto questa potenza di stile , che vincendo i molti difetti delle storie del Bartoli , ne raccomandano la lettura a tuttti gli studiosi della italiana eloquenza 5 sono esse , che inai conosciute nel trascorso secolo, impedirono che nello spazio di esso pur una si ristam- passe delle opere isteriche di questo illustre scrittore ; e che degnamente apprezzate a' giorni nostri , fanno si, che dal co- noscere e studiare il Bartoli incomincino i loro studj i giovani, e dell'averlo conosciuto si tardi si lamentino i vecchi ,• si co- me accadde al co. Napione , il quale con quella sua rara in- genuità confessa al P. Manera, che sul primo egli sentiva del Bartoli al modo stesso, che ne sentenziò il Tiraboschi; ma che poscia , rilettone alcune opere , massimamente istoriche , dovè disdirsi di quell'avviso, e concordar con quello del Gav. Rosmini , che nella vita di Seneca lo disse sin dal 1 790 serit- tore elegantissimo. Ma non bastava che tale il gridasse V eru- dito Rosmini. Per mettere il Bartoli in voga , per farlo dive- nir popolare, duopo era che qualche scritiore di c;rnndc au- torltà in opera di lingua ne proclamasse le singolari virtù. E onesto scrittore fu il P. Cesari , il quale ne scrivea sin dal 1^87 al suo Cav. Vannetti in questi termini. « Ho cominciato a leggere la Storia della Compagnia di Gesù nell'Asia del gran Bartoli. In questa egli scrive da gran maestro di lingua, e sì guarda sempre da quelle bizzarrie e immaginette , e da tutto quel rimanente di vivace e brioso, eh' ei lasciò cader dalla penna a sua posta nelle altre sue operette 5 le quali egli solca fare quando era ne' porti a fornire la quarantia per sollazzo.... Grand'uomo colui ! piccolo di statura , ma d' animo uguale al colosso di Rodi. » (Y. Epistolario .... di donne e d' uomini cele- bri ecc. Venezia 1790 4-° anno 1. f. 90.^. E ne tornò a dire un gran bene nel dialogo delle Grazie , die fu stampato la prima volta del 181 3 ; onde che il buon Filippino avea ra- gione di scrivere del i8iì8 : Io l' ho messo in voce qui in Ve- rona da molti anni ; dowe poco era conosciuto j ed al presente e cercato. Dopo il Cesari fu assai benemerito delle glorie del Bartoli il Giordani , che del i8ig confortò lo stampatore pia- centino Del-Majno a intraprender la raccolta delle opere sto- riche di questo Scrittore 5 né lasciò poi fuggirsi occasione al- cuna di magnificarne l'eloquenza e lo stile -, sì come da' passi che ne ho testé allegati si può facilmente argomentare. E al Giordani fecero bordone il Monti , il Perticari , il Parenti , il Colombo , il Grassi , brevemente tutti i più giudiziosi cri- tici e i più lodati scrittori de' nostri giorni ; sì che oggi si è messo in tutti una voglia di legger le opere Bartoliane , da non potersi immaginar la maggiore. A satisfare il qual desi- derio , parve di doverle qua e colà ristampare ; ma tutte sì fatte edizioni o presto o tardi arenarono 5 né v'ha che quella del Marietti , la quale impresa con amove , continuata con zelo, e prossima oramai al suo termine, sia la sola, che possa dirsi in ogni sua parte compiuta. Perchè il Giordani la disse cosa sacrosanta , e che da tanto tempo dovea desiderarsi ; e il Grassi non dubitò di chiamarla il maggior regalo e mi- gliore die potesse farsi all' Italia a questi tempii ne' quali per le strane e dn^eise opinioni che corrono nel fatto della sua lingua , le stupende scritture di tanto ìnacslro le tornei annq a 51 gran prò. Nò solo , perchè fra breve compiuta , ma altresì per- chè correttissima, è da lodarsi la ediziou del Marietti 5 la quale paragonata dall'accurato Cav. Pezzana con le edizioni originali, in cui si sa quante mende rinvenne e riparò l'autore medesimo , pargli da esse grandemente avvantaggiata. Or a voler toccare dell'ordine di questa edizione , i due primi volumi contengono la vita dì S. Ignazio; e di ragione, perchè non si possono giudicare i frutti di un' arbore, se da prima non se ne considera il ceppo. Il terzo e quarto volume compren- dono r Inghilterra , o sia le cose operate dalla Compagnia di Gesù in quel reame ; il V. e VI. 1' Italia 5 il VII. Vili. IX. r ^sia specialmente detta ; il X. sino al XIV. il Giappone 5 il XV. sino al XVIII. la Cina. E qui sì chiudou le opere i- storiche. I volumi XIX - XXII. contengono le vite del P. Ca- rafa , del B. Stanislao Koslka, del P. Zucchi , di S. France- sco Borgia , e del cardinal Bellarmino. I rimanenti volumi , che saranno sottosopra otto , debbon contenere le opere scien- tifiche del Bartoli 5 e di questi ne usciron già quattro. A varii di codesti volumi sono anteposte varie lettere d'illustri scrit- tori in lode del Bartoli e della Toi'inese edizione delle sue opere; e da sì fatta corrispondenza io cavai e autorità e giu- dizj per arricchirne, come ho fatto sin qui , e come farò an- che appresso , il presente articolo. Il quale volendo discorrer con qualche ampiezza e con un cotal ordine del Bartoli e delle sue opere , s'incomincierà dallo stabilire i quattro aspetti, sotto i quali il Bartoli vuol essere considerato; ciò sono , di storico , di biografo , di scrittor mo- rale , e di scienziato. E per rifarci dalla prima qualità , che è certo la più glo- riosa per lui , come fu deputato a scriver la storia della sua Compagnia , egli si avvisò di divìderla in quattro parti , secondo le quattro parti del mondo j in cui la sopraddetta Compagnia esercitò il suo ministero. Ma pur troppo di questa vastissima tela e' non arrivò a disegnare e colorire , che un terzo a pena ; da che egli parlò largamente dell'Asia , non toccò dell'Europa che l'Inghilterra e l'Italia , e tacque del resto. Ma se con quello che scrisse nou arrivò a compier la storia del suo ordine , ben 52 diede compimento alla sua celebrità , la quale appunto in quelle opere istodclie ha il suo piincipal fondamento. E per toccare dello spirito con cui sono scrìtte , considerando il Bartoli, che la sua Compagnia fu sempre assalita da potenti avversar] , che ne inforsarono i meriti e ne oscuraron le glorie, conobbe sin dal primo, che la sua storia dovea spesso mutarsi in apologia,- apologia però, che gli parve tanto più onesta e lodevole, che essa è pur sostenuta da' fatti , i quali ( com' egli notò savia- mente ) tanto pruovano quanto dimostrano. Ma raccontando le onorevoli imprese della sua Compagnia , celar non volle o at- tenuare que mancamenti o eccessi coti che altri de' suoi Jigliuoli U ha disformata o renduta men bella ,■ e questo fece , non solo per pagare il debito tributo alla verità, la quale niente vuol che si taccia o alteri nelle istorie, ma altresì per fare il prò de' suoi leggitori ; « imperciocché ( e questo è bellissimo » documento per uno storico ) sì come i naufragi degl'inavve- » duti han mostrato le secche e gli scogli nascosi, i quali po- » scia, per pubblico insegnamento trasportati su le carte da » navigare, han fatto il viaggio per mare in gran parte sicuro ; )> non altrimenti il segnare su le carte d'una fedele istoria , )) dove altri per suo mal governo arenò , dove percosse at- » traverso, dove ruppe, grida con salutevole avviso a chi vìen )) lor dietro, che, se non vuole un simile infortunio, prenda » altro vento , e tenga più saggiamente alti'O sentiero. » Con questo spirito adunque egli pose mano alle sue storie; e per primo ci diede la storia della Compagnia di Gesù in Inghilterra , perchè la precedenza ( dice il Bartoli ) in ragione di meriti suole e vuol darsi al sangue prima che a' sudori. E vero sangue fu quello , che sparsero i fedeli cattolici a tempo dell'ambiziosa Lisabetta ; e quel sangue troppo dimostra , che non v' ha flagello più spaventoso pei popoli della barbara in- tolleranza e del fanatismo crudele. Ma se ci rattrista questa fosca scena di persecuzioni, di scandali, di delitti, altrettanto ci consola la intrepidezza e la virtù di que' buoni cattolici, i quali non si peritarono di sagrificare i lor beni , la lor libertà, la lor vita alla causa di quella fede, che ereditaron da' lor maggiori. E di questa onorala schiera ci si fa innanzi per primo il 53 Tommaso Pondo , che di cortigiano ardentissimo della reina divenne ad un tratto uno de' suoi più acerrimi oppositori. E come succedesse in lui questa subita mutazione , lo racconta il Battoli nel cap. xiv. lib. i. di quella istoria,- il qual luogo, che il Cav. Pindemonte non finiva mai di lodarmi , m'è bello di qui recare , anche per far onore al giudicio di un tanto maestro. « Usanza di quella corte era. dalla Pasqua del Natale sino )) all'altra dell'Epifania, festeggiare ogni di in commedie, iu » giuochi , in musiche , in danze, con magnificenza e solen- » nità , quanta forse non se ne vede altrove. Vi concorreva » tutto il meglio della nobiltà, e tutto il più bello della glo- » ventù di Londra , e di non poco spazio intorno : chi ad es- » sere spettatore, e chi a fare spettacolo di se stesso : e l'oi'di- » nar la festa , e spendervi a suo potere , era pensiero e gra- » zia , di che la reina onorava chi più le fosse in grado : e lo » ebbe il Pondo l'anno 1069 doppiamente accetto, e perché » splendidissimo nello spendere , e perchè graziosissimo nel » ballare : tal che aggiunta a si bel giovane, ch'egli era, la mae- » stria che aveva in quell'arte sopra ogni altro suo pari , e » l'agilità e '1 ben portar della vita , non v'era chi più di lui j) volentieri fosse veduto in danza. Presane dunque una delle » più ammirate , il cui finimento era , recarsi Ja persona in » aria , se non iu quanto ella pur si tien ferma e movente su » la punta d'un piede, rotarsi dirittissimo come un paleo, e » dare intorno a se medesimo tante più volte e giri , quanti » ne sofferà la snellezza a fai'li velocemente , e la gagliardia » a durarvi, e soprattutto il capo senza aggirarglisi e cadere: » egli , al tanto che potè in quella leggerezza, n'ebbe da tutto » il teatro esclamazioni e grida di lodi : la reina , quasi in » segno di pagamento, il prese nella mano, anch'ella a mano » ignuda : e tolto al Conte di Leicester, suo caro, il cappello, » ne mandò coprire il Pondo , riscaldato e sudante. Fatte , » mentre egli si riposava , altre dilettevoli intramesso , la reina M l'invitò a rifar da capo ^1 medesimo ballo ^ in fine al quale » mentre egli fa le ruote , che n'erano il più aspettato , il prese >» in buon punto un fortissimo capogirlo , per cui cadde giù 54 •» stramazzone in terra. Le risa che si levarono , e il motteg- » giavnè con betTe, furono, se non più, al par delle lodi poc' )) anzi avute : ma quel che più gli cosse , la reina non si fece •» a porgergli la mano per rialzarlo, e ne avrebbe reintegrato » Tonore : anzi , come in vendetta d'averle svergognata la fe- )) sta , gli die tutta dispettosa un calcio di due scortesi pa- » role , dicendogli: lievati bue : e valse a raddoppiar negli altri » le risa , in lui la confusione. Rizzossi , e con l'un ginocchio, » e molto più con la faccia a terra, le s'inchinò, dicendo sotto » voce a se stesso , ma sì che altri l'intesero , quelle solenni » parole : sic transit gloria mundi. Al Pondo succedono altri auimosi difensori della fede ; e le descrizioni che fa il Bartoli , quando dei tormenti a cui erano posti, quando de' nascondigli in cui doveano appiattarsi, mentre ci provan da un lato l'accorta intrepidezza di que' ge- nerosi, ci provan dall'altro come il Bartoli, in opera di descri- zioni , sia, come lo disse il P. Cesari , una maraviglia. E per toccare di questi nascondigli , che si lavoravano di que' tempi nelle case de' cattolici inglesi per ricettarvi gl'insidiati Sacer- doti j eccone una assai viva e particolareggiata , che s'incontra nel principio del lib. m. K Un de' modi più usati erano le muraglie doppie, e loro » in corpo il ripostiglio. Altri, dove la fabbrica, o per neces- » sita o a posta , corre bistorta e fa gomito , e le camere ri- » quadrate vi lasciano un canto vano , quivi era il ricettarlo. » Ne conducevano fra '1 soppalco e '1 tetto , o al contrario in » caverne sotterra. E non tutti eran sepolcri o nicchie angu- » sto, né tutti soli e semplici. Havvene de' fabbricati di pianta, » e ben intesi a disegno , con uno o due stanzini : e scoperli » per avventura questi e presi , serbano una ritirata d'altret- » tanti sotto essi , e non v' ha discendimento conoscibile a » verun segno. E questa, come la più difficile , così era la più » studiata parte di questo artifizio de' nascondigli : convenendo » entrarvi , o per isportelli , o per cateratte , o come ne' tra- » bocchelli, per ribaìle rimboccate sopra la scavatura, sì che )) non paressero desse , anzi tutt'altro , al lavorare e servire in » altr'opera , con chiodi falsi e giunture ben suggellate ; o che 55 » si mostrassero esser fondi, fianchi, cicli d'armarj , o scaglioni » posticci e movevoli con ingegno , o in alcune delle mille altre M maniere , che riportate in disegno sareLhono in tal genere )) una maraviglia. « Grande maestro nell'immaginare e lavorar codesti nascon- digli era un Giovanni Ovven , dalla men che mezzana statura sopranomato il Piccolo. Ora costui ( come si legge nel lib. vi.) « a coudur segretissime cave sotterra , chiuder fra muro e » muro cavernette e stanzini , ricettacoli fra soppalchi , e in » mille altre guise adatte alla condizione de' luoghi divisare » impenetrabili e sicurissimi nascondigli ,• e quel ch'era il più » malagevole, accecarne gli entramenti, falsificando gli usciuoli » e le cateratte loro , con sì tutt'altra apparenza dall'esserlo , » che per qualunque accortezza non potessero indovinarsi , e » avendoli innanzi agli occhi non fossero , per cosi dire , vi- )) sibili : in tutto ciò ebbe il più sagace ingegno , e la più de- » stra e felice mano che mai altr'uomo che lavorasse in quell' » arte, w Ora in codesti bugigatti, dov'era di necessità che si ripa- rassero i Sacerdoti cattolici per ingannare il vigile occhio di tante spie , ognuno può immaginare il disagiato e affannoso vi- ver che vi faceau là entro. Basti per tutti il ricordare ciò che successe al P. Westou , il quale detta la messa a un gentil- uomo cattolico , ecco una mano d' armati che tutta ne stringe ed occupa la casa 5 sì che a pena ebbero il tempo, egli di ca- larsi in una caveruetta sotterra , e gli altri di ricoperchiarla e fermarne l'imposta co' loro ordigni. Ora volle la mala ventura del P. Weston, che, non trovato lui, seco menasser prigioni il padrou della casa , e un suo famiglio , che soli erano a parte di quel secreto. Perchè i rimasti in casa, che tutti eran donne, ignorando che fosse del buon padre, e non immaginando mai ch'egli si appiattasse in quel buco, questi (e qui entra il Bar- toli con quella sua maravigliosa evidenza di stile ) « stette ivi ■n sepolto, senza fiatare, tutto quel giorno, la notte appresso, » e 'l dì seguente , sino a fatto già più clie sera : sempre in )) piedi , non potendosi altrimenti 5 sì angusta era quella più » tosto fossa , che grotta , oltre che umida , scura , fredda , e 56 » la stagione a mezzo il verno. Alla fine, per non morir quivi » entro sepolto vivo, salì sopra la scaletta, e tenuto buona » pezza r orecchio in ispia alle commessure della ribalta, né » udendo voce o strepito di persona viva, cominciò a puntar » delle spalle contro al coperchio: ma come saldamente fer- » matovi con segreti ordigni di ferro, nulla poteva senza gran » forza, e senza altrettanto pericolo, che premendo gagliarda- » mente co' piedi il sottil pivolo della scala, non rompesse » prima questo , che disserrar quello : e rompendosi , egli ne » sarebbe a mal partito, tra il cadere e il non poter più ri- » salire. Ma come volle Iddio , durandola , vinse la pruova , )) benché non senza tal forza e patimento degli omeri , che » per più giorni appresso gliene dolsero l'ossa ; e sconfitto il » coperchio , uscì fuori tutto ne' panni e sul volto , polvere e )) tele di ragnateli. » E a dolersi, che il Bartoli, trascinato da questa foga dì descrivere , doni molto in questa sua istoria alla parte dell' immaginazione e dell* ornamento , e poco assai a quella del cuore 5 è a dolersi , ch'egli siasi lasciata fuggire fra le altre , una cax'a occasione da intenerire e commuovere i suoi leggi- tori, qual era la morte della bella e infelice Maria Stuarda; la qual morte è accompagnata da tanta pietà, che ci tira sugli occhi le lagrime, ancor che descritta da penne mediocri 5 or pensa quale sarebbe riuscita sotto la penna prodigiosa del Bar- toli 5 ma egli se ne sbrigò pur con due versi , non altro di- cendo della Stuarda, se non che il valor dello spirito j con che ella terminò quell'estremo aito della sua vita , fu per ogni parte degno del rimanente della sua vita; e molto invece distenden- dosi sulle indegne cagioni che la condussero a quell' indegno supplizio', il che può farci detestare l'autore di quell'infortu- nio, ma non già lagrim'are su chi ne era la vittima. Meno copiosa di accidenti , e però men piacevole a leggersi è l'altra parte delle storie del Bartoli , che tratta delle cose d'Italia 5 perchè là dove noi vedemmo nella Inghilterra fierezza di persecuzioni, squisitezza di tormenti, e battaglie di sangue ; qui, toltone la morte del P. Venusti, che si legge nel lib. iv,, e che fu oscura opera di un ribaldo , noi troviamo nel resto, 57 come dice lo stesso P. Bartoli, turbolenze e contrarietà sola- mente di penne e di lingue. Con che allude a' servigi rendati dalla Compagnia nella turbolenta Germania 5 dov' è bello il ve- dere un Savoiardo , il P. Pietro Fabro , disputare gagliarda- mente co' Luterani, e sodar le verità della fede contra le in- sidie e i cavilli di chi intendeva oppugnarle. Al P. Fabro suc- cedono il Salmeron e il Laynez, i quali non meno utilmente s'adoperarono per la Chiesa nel celebre Concilio di Trento 5 e qui accadde al Bartoli di sostenere quelle parti di apologi- sta, le quali dichiarò sin dal principio che in lui si sarebboo. mescolate con quelle d'istorico ; poiché dovendo egli raccon- tare di que' due Gesuiti tali cose , che il Sarpi non solo nega , ma ne dice anzi tutto il contrario 5 il Bartoli gli è addosso con le autorità e le ragioni , alle quali mi pesa ch'egli aggiunga talvolta le ingiurie, con cui non s'è provato mai niente a questo mondo. Le disputazioni adunque in Alemagna con gli eretici, e in Trento co' padri del concilio, sono le parti più impor- tanti di questa istoria del Bartoli; la quale del resto va tutta in descrivere gli ordini interni della Compagnia, il favore che ebbe da varii Pontefici , la iustituzione in Italia di varii col- legi , e simiglianti materie, le quali dovrebbon forse noiare chi non si sente assai appassionato per esse , se il Bartoli non sapesse di continuo avvivarle con la virtù del suo stile , e ral- legrarle eziandio col racconto di fatti strani e piacevoli, come è il seguente, che si legge nel cap. xiii. del lib. ni. « Cadde questa prima andata ( de^ Gesuiti in Loreto ) nel » novembre dell'anno i544 > e nel ricevimento v'ebbe trava- » gli dentro e contrasti di fuori : e questi per occulta sugge- )) stione , quegli per dichiarata infestazione de' demonj : i quali, » per dire in prima d'essi , sembravano aver fatto della casa » dove abitavano i Padri , a sé un piccolo inferno , a' nostri » un gran purgatorio , tanti ve ne avea di quella razza mal- » nata , e con tanta e libertà e indiscrezione , insolenti e mo- » lesti : indubitatamente a speranza , che durandola nel tri- J» belarli, verrebbe alla fine lor fatto di vincer la pruova , e » con la disperazione costringerli a partirsene appena giunti. » Per ciò cosa d'ogni notte era il dar loro a veder fantasima 58 w di terribile apparenza, e finger tremuoti , e vacillar di mura » e di tetti , con fracasso sì somigliante al venir giù d' una » fabbrica, che mettea raccapriccio, non altrimenti che se da » vero si diroccasse. Poi sul primo sonno spalancare usci e » finestre, quasi sospinte e sforzate dal turbine: indi trar loro » di sopra i letti, le coltri e le lenzuola, e scorrazzar per la » camera, e fin sopra le lor vite, animalacci di scontraffatte » figure. Né nulla lasciar nella casa delle masserizie a' loro » luoghi, ma o trasportarle, o tutte ammassarle in uno alla » avviluppata. Né per ciò il dì correa lor sicuro , non che » quieto : e invece del mostrarsi con visibile apparenza gli spi- » riti, davansi a conoscer presenti coll'opere: cosi un de' Pa- » dri n' ebbe tale una percossa nel fianco , che stramazzò a )) guisa di tramortito. Or dopo le fatiche del giorno, non po- >) ter quietare la notte, e starsi in un perpetuo spavento di » ombre, di fracassi, e di que' mali giuochi di mano, che ne » provavano or Tuno, or l'altro, cagionò malattie in alcuni, » in tutti un grande scemamento di forze. » Ma io non so spiccarmi dall' Italia del Bartoli , senza fer- marmi alquanto a quel luogo di essa, dove narra, che morto S. Ignazio, fu nominato vicario del Generale della Compagnia il P. Laynez, quel desso che si comportò con tanto zelo nel Concilio di Trento. Ora questa elezione fu guardata con sini- stro occhio dal P. Bobadiglia, che allegando i suoi meriti con la Compagnia e con la Chiesa , sino ad averne ricevuta dagli eretici una sconcia ferita sul capo, pretendeva a sé dovuto quel posto ; e per ottenerlo stese scritture , menò pratiche , mosse in somma ogni pietra. Or questo luogo del Bartoli mi par de- gno di considerazione per due ragioni: la prima ^ perché con esso si tura la bocca a coloro , i quali affermano con l'autorità del Corniani , che le istorie del Bartoli non sono che panegi- rici sotto il nome di storie-^ ora il fatto del P. Bobadiglia non è certo una gloria, né il raccontarlo così per minuto merita il nome di panegirico. L'altra si é , perchè avendo contra il Bo- badiglia composta una veementissima aringa il P. Giiolamo Natale , il Bartoli nel capo xvni. del lib. ni. ne reca l'esordio, dandoci così un bello esempio di quella eloquenza giudiziale, I 59 nella quale son sì ricchi e Greci e Romani e Francesi, e noi invece eìam tanto poveri , che il confessarlo è necessità e ver- gogna ad un tempo. Ma leggasi quell'esordio ( che io recherei qui, se non fosse alquanto lunghetto), e si vedrà, se agli Ita- liani, più che la disposizione per l'eloquenza, mancate siano, e manchino anche adesso, le occasioni da poterla nobilmente esercitare. Ma comechè nell' Inghilterra e nel? Italia il Bartoli abbia dato grandi pruove di valore, la sua vera gloria, come quella di tanti arditi navigatori , è al di là dell' Oceano. Sì, VAsia nelle sue tre parti, cioè l'Asia specialmente detta, la Cina, e il Giappone, è tale opera (dice Pier Giordani in nome dello Editor Piacentino di essa ) che « per la novità e grandezza » e varietà delle materie, per l'invidiabile perfezione dello stile, » per gli esempi ammirabili di religione e di civile prudenza, » di paesi e di costumi stranissimi evidentissimamente rappre- » sentali, mi pare che debba invogliare e trattenere ogni ge- » nere di lettori 5 e tutti lasciare contentissimi della istruzione » e del diletto che procura questo eccellente e singolare scrit- » tore. » E che questa sua istoria riuscir dovesse a' lettori di non minor piacere che giovamento, se ne confidava lo stesso P. Bartoli « a cagione (com'egli dice nel lib. i. e. iv. dell'^^ia) » de' tanti, e cosi rari, e la miglior parte illustri avvenimenti, » che mi si offeriranno a contare: quali sono scoprimenti di » nuovi e incogniti paesi , conversioni e battesimi di re e di » regni barbari e idolatri , ambascerie fin dall'ultimo capo del » mondo a rendere ubbidienza al Romano Pontefice , dispute » e quistionì con Cascizj, con Bramani e con Bonzi j » fierissime persecuzioni di re difendi tori della paterna super- » stizione nel culto degl'idoli, e martiri di crudelissime morti » sofferte con invincibile pazienza. » E per toccare del suggetto e della disposizione di questa , che è la più voluminosa e lodata delle istorie del Bartoli, essa , come accennava poc'anzi , è divisa in tre parti. L' Asia propriamente detta descrive ne' primi quattro libri ciò che il Saverio , per lo spazio di circa undici anni , operò nelle Indie a fine d'introdurvi o ravvivarvi la fede , e ammendarvi i co- 60 stutni 5 al quale effetto ognuno può immaginare quanti osta- coli gli bisognasse vincere , quante guerre combattere , quante prevenzion superare, e lavorare or d'animosità ^ or di prudenza, or di severità, or di dolcezza, e sempre travagliarsi e non quietar mai. Ma se lo zelo del buon Missionario non si stanca nell'operare tante maraviglie, non si stanca né pure il P. Bar- toli a descriverle^ anzi crescendo quello, si può dire che al- tresì la virtù del suo stile s'accresca. I tre seguenti libri de- scrivon tuttociò, che si è fatto da' Gesuiti nell'Indie dopo la morte del Saverio. L'ottavo finalmente non parla che del Giap- pone, e narra come il seme della fede, sparsovi già dal Sa- verio , fruttificasse per opera di quelli che vi faticaron dopo di lui. Agli otto libri dell'^^za suole tener dietro la missione al Gran Mogor del P. Ridolfo Acquaviva ecc.:, breve istoria, ma scritta con tal proprietà ed evidenza di stile , che il Gior- dani, per invogliar gl'Italiani, che mal conoscevano il Bartoli, a leggere e studiar le sue opere , stimò bene , nella edizione piacentina, d'incominciare da questa; certo, che essa sarebbe bastata a innamorargli di tutte le altre. ISAsia del Bartoli è opera , che va per le mani di tutti ; e da essa specialmente si tolsero que' numerosi esemplari di eloquenza e di stile , che si propongou di continuo allo studio e alla imitazione della gio- ventù italiana: il che stimiamo che possa tener luogo di qual- siasi altra parola, che da noi si volesse porre in commenda- zione di essa. Simile si dica del Giappone , storia ancor questa assai vo- luminosa , partita in cinque libri, ne' quali si narra ciò che i Gesuiti operarono per la fede sotto il regno di cinque diversi imperadori , a ciaschedun de' quali corrisponde il suo libro. Che se in tutte le storie del Bartoli ammirar si debbo lo zelo di tanti apostoli della fede , che per recarla in paesi corrotti e selvaggi , non dubitarono d' incontrare mille generazioni di pericoli , di tormenti e di morti ; quanto più non si dovrà ammirar questo zelo nelle remote isole del Giappone, non solo per la esquisita singolarità dei supplizj , a cui furono condan- nati quegl' infelici cristiani , ma altresì pel nessun frutto che poi si colse da tanto sangue 5 avendo permesso Iddio , che la 61 fede cristiana portata primamente in quelle ìsole dall' infati- cabil Saverio, e cresciuta di acquisti e di credito per lo zelo de' suoi successori, desse poi volta, sino a cadere affatto; quasi lietissimo campo di biade percosso dalla tempesta proprio sul granir della spiga. Già il Bartoli ne avea apparecchiati a que- sta fiera e sconsolata materia del suo Giappone , là dove nella prefazione vien compendiando le tante foggie di tormenti, im- maginate da que' popoli con isquisitezza di crudeltà, e descritte dal Bartoli con non minore isquisitezza di stile ; sì clie non v'è anima , per quantunque salda , che al leggere quelle carni- ficine , tutta non si senta rabbrividire. Ciò non ostante, anche in mezzo alla ferità di que' soggetti s'incontrano tali scene , che non pur ci temperano il doloroso effetto di que' racconti, ma per poco ci chiamano sulle labbra il sorriso. Tal è il fatto, che si legge nel lib. ii. §. 54 di quel vecchio ottuagenario, che essendo con tutta la sua famiglia dannato a morte , e confor- tato dal figliuolo ad accettarla con le ginocchia piegate , le mani e gli occhi levati al cielo , e il collo profferte al carnefice , egli , che era valentissimo armeggiatore , e ripieno in sì grande età di spiriti giovanili : « Che ? rispose tutto rabbuffato al fi- M glluolo : dunque per morir da martire convien morir da vi- » gliacco ? ed io ho a vedermi uccidere innanzi i miei padri, » e soffrirmelo , come mai non avessi tocco arme in mia vita? » e tu , indegno del padre e del sangue di che se' nato, a ciò » mi consigli? Che ginocchioni, e mani alzate, e porgere il » collo? E in così dire , perocché non avea al fianco altro che » solo il pugnale, corse a prendere la sua scimitarra, dismessa » già da alquanti anni, e tornato, incominciò a brandirla, e » colpeggiare all'aria , recandosi in posture di vita da schermi- » dorè , nel che era bravissimo , e diceva : ho ben ancor forza » da maneggiarla. Vengano cotesti cani idolatri Io ne » farò macello , fin che mi rimanga in pugno il manico solo, » o le braccia , per più non potere , mi caschino : allora mi » uccidano , e morrò come si dee martire generoso : e rifacea » da capo le sue prodezze , come fosse ringiovenito. » E altresì piacevole a leggersi in questa istoria il passar che fecero in Europa que' principi del Giappone mandati al Pon- 62 tefice in ufficio di ambasciadori , per deporre a' suoi piedi i sentimenti di ossequio della cristianità Giapponese , e racco- mandarne le sorti al paterno suo cuore. Le cacce , i conviti , le luminarie, le feste, le onorificenze di ogni maniera, che ricevettero per tutti i luoghi del lor passaggio, fa duopo leggerle nello storico per sentirsene ricreato l'animo, e per ammirare quella sua prodigiosa varietà di tinte nel descriver sottosopra i medesimi oggetti. Né solo la copia ,^ ma la vivezza altresì dei colori è da ammirarsi in questi quadri. A cui non par di ve- dere que' principi giapponesi, pur leggendo la descriz-ioue delle lor foggie di vestire che ne fa il Bartoli nel lib. i. §. y8? « Ve- w stivano giubbe di finissimo cremisino , sottile come aria e j) morbido: seta cinese, e d'un si puro bianco lattato, che » le nostre europee , appresso loro , sembrano affumicate. Non )) però erano schiette, ma quali , eziandio ì vecchi e le ma- )) trone gravissime , colà portano , figurate a fogliami , a varii » fiori e uccelli svolazzanti: non accostati e composti insieme, » con quel legamento che sogliono gli arabeschi, ma sparsi , 3) e come sopraseminati j e di colori , a ciascuna cosa il suo » proprio , vivissimi ; e quegli uccelli e que' fiori così bene » effigiati , che furon creduti trapunto d'ago , ed erano sem- V plice tessitura ..... Del medesimo drappo, e similmente )) infiorato come le vesti , ma di più squisito lavoro , avean su » gli omeri una cascata , larga due e lunga tre palmi, ferma- » tavi con due nastri , che dall'una spalla tirano al contrario ■» fianco, talché incontrandosi, gli incrocìcchian sul petto, e » data dietro la volta , se gli tornano avanti, e quivi in mezzo » gli annodano come cintura Le giubbe poi , percioc- » che in lasciandole giù distese alla libera , elle andrebbono » loro perfino a' piedi , e il così averle sciolte, ad uomini , » che d'ogni ora stanno con l'arme a lato, e in acconcio di w adoperarle, tornerebbe a non piccolo impaccio, le si raccol- » gono dalle falde alla cintola, attraversate ancora con un certo » lor proprio garbo , onde co' capi a' fianchi e co' lembi se ne » formano come una rosa alle reni In gamba poi , )) sotto le calze line d'una cotal loro sottilissima tela , che mai , » né pur mettendosi a giacere, si traggono per nettezza, aveano 63 » borzacchini alti un palmo d'una dilìcatissima pelle , e fessi » fra il dito grosso e gli altri quattro uniti : e in pie , non » altro che suole, con due guigge di cuoio che ve li fermano.... » Finalmente al fianco la scimitarra eh' essi chiamano catana : » e 1' averla seco è dal rizzarsi al coricarsi, che mai non la » scingono : e l'averla di quella finissima tempera, di che colà » ne lavorano, martellando ben bene l'acciaio rovente, poi » mettendol sotterra, fin che tutto arrugginisca , indi come » prima rinfocandolo e battendolo e sotterrandolo , fino a tanto » che più non gitta fiore ( che è mestier lungo , e vagliono » per la finezza un tesoro), è il maggior pregio d'un cavaliere » e d'un principe. » Né si creda che per dar l'abbrivo alla sua immaginazione, il Bartoli oiTenda in queste sue incomparabili descrizioni la ve- rità; ed io ne fo ragione da quel tanto ch'ei ne conta di Ve- nezia, dove piegarono i prìncipi giapponesi, innanzi di ricon- dursi a' lor reami. Perchè mi sembra di girar con essi il ca- nal grande j che corre per lo più bel di J^inegia, . . . ad un batter di remi lento e posato. Credo seguitarli al palagio du- cale, e quivi inchinare il doge Nicolò da Ponte, vecchio in età d^ intorno a novantacinque anni, tutto in pel bianchissimo^ e d'un sembiante di pari amabile e maestoso , con a' lati due lunghi ordini di Senatori ^ che di sé davano un'ammirabile vista e per que" proprii loro vestiti purpurei, e per la canutezza e gravità delle persone. Visito con essi 1' armeria , il tesoro , l'arsenale-, e colà fra la punta del lido e il castello di S. Andrea (stupenda opera del Sanmicheli) mi par di assidere a quella real cena, che quivi fu loro imbandita in mezzo al mare, con musica d'oltre a dieci diverse maniere di strumenti , ciascuna il suo corpo intero di sonatori : e dopo essa un' allegrissima pesca. M'aggiro seco per la via delle merci , solita addobbarsi anche a' dì nostri in occasione di straordhiarie allegrezze , e quivi ammiro non men la ricchezza che il gusto di tanti mer- eiai , orafi , gioiellieri ecc. nel mettere in mostra il lor più bello 5 e credo bene, ragguagliando i moderni tempi agli an- tichi, che le sole drapperie d'ogni più prezioso e sfoggiato la- voro furono una dovizia da non potersene stimare il pregio. 64 Ma ciò , che diede maggior pruova a* Giapponesi cosi del fa- sto, che della pietà de' Veneziani , si fu la processione solita farsi in memoria dell'apparizione di S. Marco, la qual cadendo a' 25 di giugno , fu , in servigio di sì illustri ospiti , trasferita in quell'anno il di di S. Pietro. Or qual fosse la religiosa pompa di questa processione, udiamolo dal nostro Autore. « Tutte le » confraternite , le sacre ordini de' religiosi , i collegi e i ca- » piteli del chericato v'intervennero, moltitudine a maraviglia » grande , chi in cotte fioritissime , e chi parato di sacri ahiti » preziosi. Ma il più da ammirare in ciò furono certi gran » tabernacoli , o, come ivi dicono , solai, intramezzati a luogo » a luogo, con sopra reliquie, levate in ispalla a Sacerdoti in » abito, e adorni ciascun di que' tabernacoli, anzi incrostati » di tanti giojelli, che in trecento che furono, il valore, tra » degli ori e delle gemme e perle , andò voce , che montasse » a dieci millioni. E n'era altresì una gran parte indosso a » grandissimo numero di figure , che similmente in su bare » maggiori si portavano, atteggiate al vivo a rappresentare al- » cuno de' più illustri misteri del vecchio e del nuovo Testa- » mento , martirj , e simili altre memorie di Santi. E in fine, » quella sopra tutte bellissima, che dimostrava la solenne ub- )> bidienza che i nostri medesimi ambasciadori aveano renduta » al Sommo Pontefice , veduta da essi con impareggiabile con- » solazione , e pari anco di Yinegia. » E perchè vie più si manifesti come il Bartoli , anche nel descriver questi particolari, sia storico assai fedele, rapporterò qui la descrizione , che di questa processione medesima fece Andrea Morosini nel lib. juil- della sua storia, scritta per de- creto pubblico. Ingens sacrorum lipsanorum numerus, cunctis religiosorum liominum ordlnihus comitantibus j inter irnrnensam ■prove argenteorum atcjue aurtorum copiam invisehatur. Sacro-' rum virorum , qui modo aeterno aevo in coelo fruuntur ^ vel miracula, vel niartjria^ vel alia egregia gesta ad virum ex- pressa et circumlata insigniorem ac mirabiliorem pompam efficere. Ma è tempo oramai che si entri col Bartoli nella Cina 5 il qual paese se fu il campo della maggior celebrità dei Gesuiti, lo fu altresì della maggior gloria del nostro Autore. Al che 65 conferisce Tesser quel regno chiuso rigidamente a qual si sia forestiero ; al quale non si permette di mettervi entro il piede, anzi né di gittarvi pur da lunge l'occhio entro a' confini , più di quel ( dice il Bartoli ) che fra noi si permetta a un curioso straniero il farsi tutto alla libera dentro una fortezza stretta di assedio e col nimico alla fossa. Dal che ci pare quanto esser debba importante e piacevole a leggersi una storia , che ci mette cosi addentro nella notizia di un popolo , il quale disgregato , per così dire, da tutto il mondo, era dall'intero mondo com- piutamente ignorato, E perciò appunto , che trattasi di un paese non mai percorso ( prima che vi entrassero i Gesuiti ) da pie straniero , salvo che di volo e di furto , ha stimato saviamente il Bartoli di farcelo , sin dal principio della sua istoria , in ogni parte conoscere 5 e però una notizia statistica della Cina precede la storia del cristianesimo in quel reame 5 e questa notizia per poco comprende tutto il primo libro de' quattro in cui codesta storia è partita. Già il n. a. ci avea dato un saggio di queste descrizioni statistiche, di questa fedel rela- zione delle fisiche e morali qualità de' popoli e de' paesi , in varj luoghi dell' Asia , e specialmente là nel libro tu. , dove la religione , il governo , i costumi e tutto che si riferisce al Giappone, accuratamente discorre. Ma in questo descriver la Cina egli stimò doversi vie più allargare, per ciò che trat- tasi di un paese nuovo , come diceva testé , a quasi tutta la Europa. Né per allargarsi ch'ei faccia in questa descrizione, si creda già ch'egli fallisca di sincerità e di esattezza 5 coocios- siachè, sì come ho altrove osservato ( Vedi i mìei Opuscoli a f, 145) « derivasse il Bartoliìa. materia di quelle descrizioni » dalle copiose relazioni , che di que' lontani paesi mandavano » i Gesuiti in Italia ; e ninno certo meglio de' Gesuiti potea » e dovea conoscere i più minuti particolari di que' paesi, sì » per la lunga stanza che vi fecero , come il P. Ricci , che » dimorò nella Cina 27 anni; e sì per la conoscenza profonda » che aveano delle lingue , delle arti e delle scienze dei sud- » detti paesi : stromenti, come tutti sanno, di cui si valsero » i Gesuiti per introdursi nel sospettoso regno della Cina , e » seco introdurvi la fede di Cristo. Ciò si conferma dalla uio- 66 » tlerna Biografia universale , la qual dice, che questa istoria )) del Bartoli è curiosa, perchè vi si trovati molte cose che al- )) trove sì desiderano , e che l'Autore aveva attinto dai mano- » scritti del Vaticano , da quelli di varj collegi, e dalle me- » morie che gli erano state spedite d' Inghilterra. Anche il Na- » pione, parlando della Cina del Bartoli , dice, che quantunque » siano numerosi coloro , che de' riti , costumi , arti , governo » ecc. di quell'impero hanno parlato , niuno il fece sopra più )) sincere relazioni, senza parzialità veruna, rappresentando » nel suo vero aspetto quella superstiziosa , ceremoniosa ed or- )) gogliosa nazione. E gli fa eco il Lucchesini, dicendo: Niuno » scrittore , che di quelle regioni abbia scritto , fu mai quanto » il Bartoli degno di fede. » Ma se per tutte queste autorità è sicurata al Bartoli la gloria di narratore fedele , fa duopo leggere quel primo libro della Cina per trovarlo narratore elegante , vario , ingegnoso , com* è il suo solito , e più ancora del solito. Perciocché la postura, il temperamento, i fiumi, i ponti, le vie della Cina, le pro- duzioni del suo territorio , le qualità de' suoi abitanti, e quelle tante loro ceremonie , e il piagnisteo che fanno a' lor morti y e la struttura delle lor case , e la condizione delle loro arti, e il conferimento de' gradi accademici, tutto insomma che è più bello e importante a sapersi intorno a' Cinesi , è narrato, anzi descritto dal Bartoli con una tale ricchezza di voci ed evidenza di stile , che il fatto suo è una maraviglia e un piacere. Ma un grande vantaggio , che i lettori caveranno singolar- mente da questo primo libro della Cina, si è il conoscere in qual conto si debbano aver le lettere e chi le coltiva; da che quale ignominia non è mai per l'Europa , che pur si predica tanto innanzi nelle vie del sapere , e tanto libera da' pregiu- dizi , il vedere bensì aperte in essa università e licei , fondati musei e accademie ,• ma a mediocri stipendj condannati i pro- fessori delle scienze , in dure distrette lasciati i cultori delle lettere, e gli uni e gli altri, se non sempre negli ultimi, nou però mai ne' primi posti locati ! Mentre che nella Cina l'unica via per venire agli onori è quella del sapere e dell'ingegno , e i letterali vi sono avuti iu tale ossequio , che non v' ha alcuno 67 (dice il Bartoli f. ii4-) c/ie salga mai ad uffìzio sì sublime^ eziandio se condottiere di esercito , che non istia col capo sotto i piedi del menomo letterato. Né ciò debbe far maraviglia, solo che si consideri , che nella Cina basta esser semplici baccel- lieri (che pure è l'inferiore de' gradi accademici) per salir su- bito a grande stato. « Già si contano (e qui lascierò che parli •a il nostro storico) fra i più splendidi della città : han dalla » regia camera provvedimento e privilegi, essi e le lor case: ve- » stono una pavticolar divisa , che li fa riguardevoli infra gli M altri : usan cerimonie più gravi , e ne ricevon maggiori : » nelle visite han luogo conveniente al lor grado: sono in non » poche cose esenti dal comun foro ; e se rei d'alcun fallo deb- w bon punirsi, il castigo è più temperato : e , quel che a noi » è più strano, come quel dì rinascessero d'altra stirpe, anzi » non, d'altra stirpe , ma di loro medesimi , sono finissimi no- » bili : perciocché la nobiltà ne' Cinesi ( trattine sol » certi pochi .....) non si trasfonde per sangue , ina sì uie- » rita per virtù , né si porta seco nascendo , ma si guadagna » operando : e quel che ognuno è , il dee tutto e solo a se » stesso , che tale colle sue mani si lavorò. E non poche volte » avviene di vedere un povero giovane , che col vestito civile » in ispalla se ne viene a pie scalzi da una terricciuola sua » patria alla città , tenutosi felicemente agli esami , e per ciò D graduato, trasformarsi, tutto in istante, di rustico in gen- » tiluomo 5 e, se l'ingegno il porta (che d'altro non ab- M bisogna), salir di poi tant'alto per dignità e per ufficj, che » fino i parenti del re gli parlano ginocchioni. » Ma non si creda però che i letterati Cinesi , veggendo il gran prolitto che si ricava dallo studio, si martellin poi sempre su' libri • che sanno pur essi ricrearsi in feste e con vi li , donde si partono talvolta , non pur brilli , ma disonestamente briachi 5 e sanno rAZzimarsi e polirsi e acconciarsi, più che non farebbe tra noi una sposa novellina ; e soprattutto godono diportarsi « in quei f» lor giardini e lor paradisi, unitovi quanto di delizie e ru- .» stiche e cittadine può aggiungere l'artificioso al naturale. » Palagi superbissimi , e d'invenzione secondo il più vago stile » cìm possa veuiie. in disegno al piacere, che uè l'architetto: 68 » poi, secondo i sili e le posture loro convenienti, collinette, » rupicelle , spelonche 5 con dentro fontane a schizzi, a gronde, » e giuchevoli in più maniere ; e di fuori , piene cascate di » ruscelletti , menati fin sulle cime di quelle finte rupi a vol- » gere e rompersi giù per i sassi : e nel piano , vivai e laghi, » con in mezzo isole amenissime , e boschi di folte ombre : » tutte delizie fatte a mano , e le nuove sempre in gara di » vincere le antiche. » La qual vaghissima descrizione delle ville Cinesi mi reca a mente quella del P. Cesari delle ville romane ; ed io la riscrivo qui , perchè raffrontando questi due Scrittori , si vegga ove uno abbia dall'altro vantaggio. « Ho veduto le ville o giardini dei )) principi di Roma : tutte raffinamento di lusso , e di smode- ìì rato splendore in palagi di spesa immensa ^ e delizie e lau- >) tezze de' più squisiti lavori. Marmi , pietre dure , bronzi , » bassirilievi , statue, gruppi, pitture de' primi maestri, bo- li schetti , fontane di artifizio , e fogge sopra l'umano pensare. ■» Gli alberi , che Dio e la natura genera a nostro diletto , M danno un piacer comune e plebeo. Dunque per raffinar la )) delizia vi sono ad arte educate le piante , e condotte e sfor- » zate a prender forma di verdi pareti , di ombrelle , di tempi, )> di volte , che sembrino trasformar la natura. Questo è prin- » cipesco diletto. L'acqua che corre limpida in un ruscello , » rotta fra' sassi , è cosa vile , di nessun conto. Egli è da im- » prigionarla in segreti serbato) e cisterne ; e di là per tubi )) di piombo , ramificati con raro ingegno , farla sprizzare or •» diritta or in arco j qui a zampilli, là a sgorgo pieno e so- » nante 5 e apparecchiarle bizzarre cadute , o salti a disegno » d'arte formati, dove si rompa o si stenda a modo di velo, » e romoreggi fuor dell'usato , e sfumi e torni in vapor ru- » giadoso. Quello è piacere da principi , e certo trae 1' uomo » di sé a vedere tanta varietà di cose , che pajono una nuova » lavorata natura. » Ma basti 11 sia qui detto , perchè si abbia ad ammirare nel Bartoli uno de' più maravigliosi Scrittori di storie che mostrar possa l'Italia. (Sarà continualo) ^«•^- PARAVIA. 69 RIVISTA CRITICA (Jonsiderazionì intorno alla Farsaglia di Marco Anneo Lucano per Felice Garrone Marchese di S. Tommaso. Torino, presso G. Bocca libraio di S. S. R. M. Il suicidio d' un grati popolo dominatore della terra , che nelle guerre intestine perde le forze e la libertà , e nella tirannide che segue la virtù e la gloria , forma 1' argomento della Farsaglia di Lu- cano. — Quel poema destinato ad eternar la memoria d' una cata- strofe che mutò la faccia del mondo antico e i destini delle genera- zioni che succedettero , — che suona come un ultimo eco dei tanti gemiti , delle fiere imprecazioni , che la piena dei mah e la rovina della repubblica strappavano a quanti erano ancora non degeneri ro- mani , — quel poema scritto quasi per lottar contro il fato , innal- zando sulla fortuna dei vincitori la virtù dei vinti , differisce tanto per la sostanza e per lo scopo dall' epopea di cui Omero e Virgi- lio avean lasciato il modello , che sembra non dovesse venir giudi- cato dietro i precetti che i retori avevano attinti all' lUiade ed all' Eneide. Ma i pedanti d'ogni età e d'ogni luogo sono gente che mi- sura ogni cosa alla stessa apertura di compasso , epperò qual carme cui mancava per molte parti un idoneo tipo di confronto , posto a paraggio coi suUodati poemi venne troppo spesso da quelli malme- nato e segnato d' un ingiusto biasimo. Ai di nostri gì' ingegni scossero il giogo di quella pedanteria che fece si mal governo della letteratura , e per mancanza di chi gli desse retta venne meno la verva dottorale di quei chiosatori, commen- tatori , dissertatori , i cui nomi giungeraimo appena alla posterità , come merce di contrabbando sulle spalle degli autori medesimi, che tolsero a martoriare. Ma se quasi cessato è di presente il mal vezzo, durano tuttavia gh ell'etti d'un lungo costume , e molti pregiudizi ge- ueruti dall'autorevole predicare di tanti pettoruti barbassori preoccu- ro pano ancora le menti , e falsano il giudizio di chi gli accoglie come verità , cui il tempo ed il comune consenso abbian posto inalterabile suggello. Tra le fallaci opinioni tanto più largamente diffuse , quanto mea sottopposte ad esame, è quella che contende a Lucano un onorevole seggio fra i poeti epici antichi; sicché quel suo poema sfolgorante per tante bellezze , si pieno di alti pensieri e di nobili affetti , essendo a molti conosciuto soltanto di nome , ne va perduto il diletto ed il frutto che dallo studio del medesimo deriverebbero. Simili pensamenti mossero il Marchese di S. Tommaso a scrivere le sue Considerazioni sulla Farsaglia di Lucano con animo di ri- vendicare al poeta la gloria che gli spetta , e cancellare V ingiusta prevenzione onde va segnata 1' opera sua , dimostrando quanta ric- chezza ivi si trovi di poetiche e filosofiche bellezze. 11 colto autore nella prefazione posta in fronte al suo libro parla del poeta e del poema in cjueste parole : ;, « Nerone, governando per sé solo, cominciò un regno p libidinoso , feroce , pazzo , senza gloria d' armi. Tostochè fu ve- » duto occupato di giuochi , di corse , di spettacoli teatrali , andato » in Grecia farvisi auriga, accettare il premio non meritato delle » corse , ricompensare i Greci delle adulazioni affrancandoli , allora » si risvegliò fortissimo il desiderio della repubblica. Allora Lucano » celebrò le solenni esequie di essa nella sua Farsaglia , stupenda » elegia alla romana libertà , grido inutile ma generoso e sublime. » Né si contentò di piangere sopra la sei'vitù della patria ; volle pure , » conspiraiido con Pisone alla morte dell' imperatore , togliere di » vita chi la teneva si crudelmente schiava» L'imprudenza d'un con- » giurato, Scevino, e la viltà d' un altro , Natale, svelarono la ti'ama, » e Nerone impedì la effettuazione di essa uccidendone gli autorL » Ma il tiranno ben potè distruggere 1' odioso poeta , non ugual- » mente il poema, il quale diciotto secoli dopo la morte dell' im- » peratore e quattordici dopo la caduta dell'imperio è ancora a noi » solenne pruova di una gran verità -, fra tutte le potenze essere for- » tissima e durevolissima quella dell' ingegno. Ma non uguale alla » vita lunga e ir.eritata è fra noi la faina , né l' amore della Far- » saglia. Questo poema è al generale poco apprezzato perché non » molto conosciuto. Dell' essere poco noto credo prima cagione il » giudizio dei freddi pedanti, i quali, facendo suonare alle oiec- » chic dei giovani le terribili paiole di decadenza , di esagerazione , » di stile ampolloso , generan nell' animo loro una si meschina idea n » dell'opera ch'eglino più non si curano di leggerla. Ben è giusto i> che si dia la preminenza nell' epica poesia latina a Virgilio e gli » sì conceda la dovuta lode per la fantasia vivace , per la venustà » dello stile , pe' stupendi versi ; ben è giusto che i giovani si ecci- » tino a leggere e rileggere 1' Eneide e imitarne i pregi , ma ingiu- » stissima cosa è che , accennati loro i vizi di Lucano affinchè li • possano schivare , non s' invitino alla lettura di lui tanto superiore » a Virgilio nella forza de' pensieri e nelle sentenze filosofiche e » morali , quanto gli è inferiore nello stile e nella lingua» La Far- » saglia è assai più istruttiva della Eneide , ed è fra tutti i poemi » convenientissima al nostro secolo , positivo , compiacentesi più dei » soggetti storici , che de' favolosi, più de' concetti robusti, filosofici ■ e utili , che de' vani fiori poetici. Lucano disprezzato dai pe- » danti fu ammirato da due ingegni straordinariamente grandi e su- » blimi, Voltaire e Dante. Quello ha lodato assaissimo la Farsaglia ■ nel suo Saggio sopra il poema epico. Questo al canto quarto dell' » Inferno ha assegnato il quinto grado a Lucano dopo Virgilio , » Omero , Orazio e Ovidio; e in parecchi luoghi della divina com- » media ha dimostrato in quanto concetto lo tenesse, togUendo a » imitare alcuni passi della Farsaglia, » Altra cagione che il poema di Lucano sia poco o mal noto, e • ( per mio avviso ) il modo in che finora se ne fece 1' esame , e • se ne portò giudizio. Molti uomini valenti e alcuni di rarissimo » ingegno scrissero intorno a quest' opera , quasi tutti giudici favo- » revoli, ma tutti esaminatori troppo brevi. Un esame largo e col- » léttivo non si conviene a Lucano , il quale è si irregolare , si va- » rio : in questa parte dell' opera tanto caldo e sublime , in quella » cotanto freddo e basso che ad averne giusta conoscenza forz' è » esaminarlo minuta e analiticamente, e, quasi notomizzandolo , ri- » cercarne le viscere e ogni picciolissima fibra, n Questo brano abbiamo qui trasportato perchè rivela ad un tempo qual si fosse l' intento dello scrittore , e per qual via egli abbia pro- curato di asseguirlo. Per quello nessuno al certo vorrà negargli \xn giusto tributo di lode ; e la lettura delle Considerazioni convincerà ognuno che il chiaro A. pose ogni studio per dar risalto a tutte le bellezze del poema che tolse ad esaminare , traendo ad una ad vma ogni menoma gemma da quel prezioso contesto per porla in piena luce e farne ammirare il pregio e lo splendore. Ben parrà forse a taluni che troppo lenta e minuta sia 1' analisi che si istituisce della Farsaglia , e che l'A. si softeiini talvolta a parlar soverchio e difl'uso I 72 di cose cui basterebbe accennare. Ed invero quel sostare ad ogni passo sopra ogni benché lieve incidente, quello spesso digredire nella storia od in argomenti che al tema principale si rannodano soltanto per tenui fila o casuali analogie , fa sì , che il lettore si avvede tal- volta , non senza qualche impazienza , d'essere condannato a seguir pedestre un genio che vola , e a trovar stemprato in molte parole quello che in breve discorso potrebbogli con maggior frutto venir offerto. E però da dirsi , che se troppo larghi per avventura sono i confini a sé prefissi dall' A. , egli seppe arricchir le sue pagine di non volgare erudizione ed animarle con un caldo sentimento che ac- cusa le sue simpatie e la sua ammirazione per quanto è grande e ge- neroso. Kè piace inoltre quella sua tendenza a fare degli studi lette- rari un istrumento del progresso sociale , sicché la letteratura non abbia ad essere una vana regione popolata da splendidi fantasmi , puro ornamento ed inutile gloria d' un popolo : ma un campo ferace cui si confidano i germi d'ogni miglioramento, un'arena ove la lotta delle idee ed il trionfo di quelle che ne ritraggono l' impronta della verità e della giustizia, preparano la via allo svilupparsi degli eventi. Né piace anche il fastidio con che guarda a quell'inerzia mor- tale , che seppellisce nell' ozio e nell' oscurità tanti giovani che po- trebbero levarsi ad alti uffizi e ad orrevole fama , ed il suo amore per quella attività e virile energia senza la quale , come assennatamente egli afferma , nulla si pub fare che sia durevolmente grande e glorioso. A fronte di tante ragioni dì consenso, noi non ci faremo a con- tendergli la vieta sentenza che sta in capo della sua prefazione, né a garriie intempestivamente per qualche giudizio recato sopra alcuni passi della Farsaglia, a cui non fossimo onninamente paghi. E tanto più volontieri noi tributiamo intiero il plauso a questo primo parto d' un giovane ingegno , che oltre allo svelarci nell' A. non comune alacrità di mente , e buon corredo di cognizioni , noi vediamo in esso data al Pubblico un' arra su cui fondare l' aspettazione di altri lavori di maggior monlento. Egli prosegua animoso nell' intrapresa carriera , dagli studi filolo- gici passi a far soggetto delle sue meditazioni più fecondi argomenti , creda alla legittima sovranità del pensiero , rigetti ogni giogo che a lui volessero imporre le esclusive mire dei crocchi, duri nel caldo suo amore per la patria , e così facendo avrà posto , per esprimerci colle eleganti parole d' un altio giornale , una speranza di più nella bilancia dell' a^^-enire. MASSIMO M0NTSZBM0I.O. 75 IL SALVADANARO. Sei racconti popolari pubblicati da Enrico MaveCj preceduti da un dialogo sulle casse di risparmio delC Abate R. Lambruschini. ( Firenze iSS^ ). n genio che ha potenza d'innalzarsi a sublimi speculazioni, di crearsi una vita tutta propria , un mondo tutto suo popo- landolo colla immaginazione , abbellendolo colle illusioni del cuore , è spettacolo maraviglioso ; — ma il genio che discende da quelle regioni inteso più a bisogni dell'umanità che a sé , che si fa popolo, e studia e medita le condizioni sociali, che si condanna a strisciare per assumere una missione di pazienza infinita , e confortato il più spesso meno dalla gratitudine che dalla coscienza procede animoso per questo cammino di tri- boli gettando in terreno universalmente negletto la sementa del vero, e volgendo a mite e pietosa opera di lunga aspet- tazione l'energia , onde i tempi contendono uso più efficace , oh ! questo è spettacolo degno del sorriso di tutti i buoni , dell'amore delle generazioni che sono e saranno. Questi pensieri mi sorsero in mente quando visitando gì' a- sili d'infanzia della popolosa Livorno strinsi primamente la mano al generoso promotore di quegli stabilimenti , delle scuole di mutuo insegnamento , e della cassa di risparmio. E questi stessi pensieri mi ridestò la lettura di questi suoi racconti preceduti da un dialogo di quell'egregio Lambruschini cui è inutile il dire quanto debba la Toscana non solo ma Italia tutta. Come il dialogo , i sei racconti — Il facchino, — 11 contadino, — La massaja , — Il garzone di bottega , — I servitori , — Gli operai , parlano delle casse di risparmio , e ne dimostrano la utilità. Ivi il eh. A. ha rinunziato all'eleganza del dire , «ilIa altezza dei concetti : parla al popolo il linguaggio del popolo, s'identifica coi suoi bisogni , e gl'addita come provvederli , come ripararli. — A lui dunque un tributo di sincerissima laude , ed un voto dal profondo dell'anima perchè s'accresca in questo uoslro paese il bel numero di coloro che gli somigliano. M.° P. G. 74 Dizionario Geografico - Storico - Statistico- Commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna. Fascicolo 1 3. Due qualità principali si richieggono in colui che piglia ob- bligo col pubblico d' opere di molta mole , e che deggiouo uscir spartitamente a pezzo a pezzo ; perseverante costanza , e probità coscienziata. Se manca la prima il lavoro procede lento, nasce diffidenza nel pubblico , scoraggiamento nello scrittore , e sovente 1' opera si rompe a mezzo , come veggiamo non di rado avvenire ai giorni nostri. Se manca la seconda non si pon più mente alla possibile perfezione dell' opera ; si tira giù in- nanzi il lavoro tanto per isdebitarsi dell' obbligo preso , ma il frutto che s'aspettava dell'opera è quasi intieramente perduto. Le due qualità soprammentovate si ritrovano eminentemente nel sig. prof. Goffredo Gasalis benemerente autore di cotesto Di- zionario. Dappoiché egli pose mano alla sua opera , mai non gli fallì la lena , ed i fascicoli si continuarono sempre gli uni agli altri ad intervallo di tempo a un dipresso eguale 5 mai non si dipartì egli dall' usata sua probità letteraria , come ne fan prova i diversi articoli del suo Dizionario lavorati tutti con egual diligenza ed assiduità di ricerche , nulla omesso di quanto allo scopo deir opera si appartiene. Il fascicolo che noi qui annunziamo contìnua a descrivere le terre comprese sotto la lettera C, lettera fecondissima d'articoli, che verranno forse di per se soli al numero di seicento , per la grande quantità di luoghi , cui rimase l'antico nome di castello, e che sebbene in parte o ridotti ad umili terricciuole o spariti affatto, pur volle il Casalis illustrarli con dovizia di storiche notizie. Tra gli ar- ticoli compresi in questo fascicolo degni di particolare menzione riputiamo quelli di Castelnuovo di Scrivia , di Cavorre e di Cen tallo , grosse ed importanti terre de' reali dominii sabaudi. 75 Benché il Dizionario del sig. Casalis non sìa pervenuto ancora che alla lettera G. , tuttavia fatta considerazione del numero dei luoghi ivi già compresi e descritti, e delle molte e principali città provinciali che abbracciano le lettere già esaurite , si può stimare che 1' opera del Casalis abbia ornai passato il terzo; cosicché è da sperare che non sarà lontano il sud compimento e che sarà presto intieramente appagato 1' universale desiderio e provveduto a quel bisogno , il quale indusse il benemerito au- tore a metter mano &1 faticoso lavoro. G. Biblia sacra vulgatae editionis Sixtì J^ Pontificìs Maximi jussu recognita et Clementis J^III auctoritate edita. Taurini, per Josephum Pomba et Soc. mdcccxxxvh. L' arte della tipografia viene sovente giudicata e stimata più da' suoi pregi esterni, che dall'intrinseco suo merito, e quelli assai più che questo sogliono dar nome e grido alle sovrane celebrità tipografiche. Avviene d' essa quello che delle altre arti e discipline umane ; dove l'ornamento, il lusso, lo sfoggio hanno spesso il vantaggio sopra altre qualità più utili e sode, ma meno ambiziose e appariscenti. Molti tipografi reggiamo sa- liti in grande fama per splendore di edizioni , per eleganza di caratteri , per accuratezza dì correzione ; quanto pochi hanno vanto e rinomanza per avere dalle modeste loro officine dif- fuso in gran copia libri utili e buoni ^ benché meno notabili per apparenza di forme. Eppure il merito che ha la tipografia colle lettere e -colle scienze non consiste tanto nelle sue perfe- zioni estrinseche e diremmo materiali , il cui pregio perpetua 76 sovente opere di niun conto , quanto nell' ottima scelta de' li- tri che s' imprende a riprodurre , e nell'agevolezza fatta altrui di procacciarli ; e meglio diremo , che adempia i' ufficio dell* arte sua quel tipografo, che moltiplica e diffonde benché sotto modeste forme libri lodati ed utili , che colui il quale osten- tando tutto il lusso dell'arte adorni di qualche eleganti volumi alcune sontuose biblioteche. Né si creda però che da noi si disapprovi 1' eleganza e la venustà dell'arte tipografica: chi potrebbe biasimare quelle due amabili doti ovunque elle si trovino ? solo vorremmo che dall' eleganza non fosse scompagnata mai la qualità più importante, che è r utilità , e che non unicamente dalle perfezioni estrin- seche si giudicasse sempre dell' arte e de' suoi cultori. Che se concorreranno in uno e queste e quella , noi avremo il tipo- grafo che le riunisce in conto d' ottimo dell' arte sua. Quindi e che noi debitamente diam lode di eccellente tipografo all' egregio Pomba per la splendida e sontuosa edizione dei classici latini , e per quella più modesta e copiosissima della biblioteca popolare , pei vari scritti periodici che egli va continuamente pubblicando , e per 1' edizione che egli ora intraprende della sacra Biblia, accurata per quanto si può .scorgere dal primo fa- scicolo già messo in luce , di bello e gentil formato ed a te- nuissimo costo. Il pensiero che nacque al sig. Pomba di por mano a questa edizione può dirsi veramente utile ed opportuno, e bello r uso a che egli volge l'opera spedita de' meccanici or- digni , per cui tanto s'accrebbero non solo i comodi materiali, ma pur anche intellettuali degli uomini. Ci son molt' anni che r Italia non vide ristampata la sacra Biblia col puro e semplice testo latino , e dopo le antiche edizioni Pezzana e Baglioni nes- sun'altra ne venne rifatta , che noi sappiamo , mentre si anda- rono moltiplicando le Biblie con traduzione, commenti e rami, le quali non si possono avere senza un buon costo, e per lo più con poco o nessun utile per essere malamente tradotte e peggio chiosate. Ottimo consiglio e di qualche onore al nostro paese fu aduque quello del Pomba di dare all'Italia, che do- vette finora ricorrere ai tipografi di Francia , un'edizione bella e corretta della sacra Biblia , divino libro conservatore delle 77 memorie degli antichissimi tempi e fonte d' altissima e pere- grina sapienza. 6. CONDIZIONI DELL'ASSOCIAZIONE. 1. Tutta la Biblia verrà compresa in un volume in 8 -grande di pag. 8oo circa. {■2. Il solo prezzo pei soli Associati sarà di lire la. 3. A maggior comodo dei compratori verrà pubblicata e distribuita per dispense di 3a pagine cadmia : gli associati pagheranno 5o cent, ognuna ricevendole fino al num. di 24 ; qpelle che venissero in più saran date gratis. 4. Le dispense verranno in luce una per settimana dal i.** dicembre iSS^, 5. Al i." gennaio i838 è chiusa T associazione , ed il prezzo è fissato a lire 18. Alcune poesie di Alfonso di Lamartine recate in versi italiani da Alessandro Cappi. ( Ravenna 1837 ). Gl'argomenti per nozze le sono oramai miniere cotanto scal- vate , che miracolo potrebbe quasi chiamarsi il dire in questo genere alcun che di nuovo. Epperò non senza ragione un va- lente scrittore di epigrammi , ch'ei tiene inediti , ma che darà forse un giorno gentile regalo all'Italia , non è molto scrivea : « 1 versi che per nozze tu mi doni, Titiro , inver non son buoni né belli , Ma pur per nozze sono belli e buoni. » Tuttavolta fra la immensa schiera di tante povere creazioni destinate a morir così presto alcune di quando in quando com- parvero e compaiono a manifestare un miglior gusto — e sono 78 poemetti , romanze toccanti soggetti di storia od altri , e tra- duzioni fin'anco di straniere bellezze offerti nei giorni di nu- ziale esultanza. — Per questa nuova strada rinunziando a quella battuta ancora sventuratamente da molti , s' avviò il eh. tra- duttore , a cui diamo perciò una parola di lode dovuta come a obi seppe sciogliersi dai vincoli che pur sembrano talvolta fatali di un'antica costumanza. In quanto poi al merito della traduzione ciò solo diremo essere tanta in Lamartine la minu- tezza delle descrizioni , tante le gradazioni di colorito per cui ti presenta un medesimo pensiero sotto aspetti sempre nuovi, sempre diversi , tanto impercettibile il transito da un colore ad Ù^ altro , tanta la dilicatezza delle pennellate, da opporre un monte di difficoltà al traduttore. Non è quindi nostro in- tendimento il troppo severamente giudicarne se il eh. tradut- tore non tutte le superava. C. Essai sur la langue et la philosophie des Indiens par Frederic Schlegel. Egli è un andazzo assai comune in oggi presso coloro che si consacran allo studio dell'antico Orieijte il derivare dall'In- dia ogni cosa , ed il voler trovare nei più complicati fenomeni della nostra attuai condizione sia religiosa che sociale e civile l'elemento indiano primitivo, cosicché la presente civiltà euro- pea non sarebbe che il frutto d'una pianta esotica , vario perchè maturato nei secoli sotto diverse influenze, ma rivendi- cabile sempre ad onore della terra che ne fu patria ed altrice. Quindi le lingue istesse dovrebbero ripetere dall'India la loro origine , ed il sauscrillo sarebbe secondo alcuni la lingua pri- 7a initiva, il ceppo radicale su cui pullularono tutti i diversi idiomi parlati sulla terra, la madre comune delle tante favelle, che, per quanto siano tra loro dissomiglianti e varie offrono pur sempre una qualche analogia od apparenza di parentado, nel suono di alcune parole, nelle forme grammaticali o nei loro rapporti coi pensieri che son destinate ad esprimere^^j ■ .^•..i^ Il sig. Federico Schlegel nel suo saggio sulla lingua e sulla filosofìa degli Indiani si sottrasse in parte al giogo di questa scuola filo-indica, abbenchè il suo libro ne riveli ancora in al- cune parti la tendenza. Diffatti egli non adotta questa prio- rità assoluta attribuita al sanscritto e non riconosce da lui la figliazione delle altre lingue. Egli crede che più idiomi esi- stettero in origine nelle varie regioni del globo, i quali si for- marono e giunsero più ó meno rapidamente al grado loro di perfezione relativa , secondo lo sviluppo accordato dalla na- tura alle facoltà degli uomini delle varie contrade. E per vero pare che a spiegar quell' affinità delle differenti lingue tra loro non sia mestieri ricorrere all'ipotesi d'una lingua universale e primitiva , se vogliasi riflettere che l'istrumento del linguaggio umano essendo dovunque l'istesso , come le istesse sono a un dipresso le impressioni ed i bisogni che ne determinarono l'a- zione , dovea necessariamente l'istessa causa produrre talora so- miglianti effetti anche nelle regioni fra loro più dissimili e re- mote. Ardita è l'ipotesi del nostro autore circa l'origine delle lingue e dell'incivilimento, e noi non sappiamo se conquisterà molti credenti a malgrado della molta dottrina e della profonda eru- dizione su cai poggia il suo sistema. L'uomo secondo il sig. Schlegel avrebbe ricevuto direttamente dal suo Creatore una lingua intieramente fatta ed uno stato di civiltà ampiamente sviluppato : la barbarie quindi , lunga dall'essere lo stato primitivo dell'umanità non sarebbe che uno stato di degeneramento e di corruzione, un accidente morboso nella vita dei popoli. Vi ha certamente in questa proposizione alcun che di consentaneo all' intimo sentimento della dignità umana , e quindi la sua parte di vero. Però consentendo noi coir autore in quanto egli afferma non essere la barbarie lo 80 stato primitivo dell' umanità, non sapremmo seco lui concor- dare in ciò che l'uman genere esordisse nei suoi destini da una lingua e da una civiltà compiute e mature. Ed oltreché a prima vista si affaccia l'impossihilità di trovare a questa asserzione le competenti prove di fatto , e volendo pur ( stare nel campo delle ipotesi , che sole ih tale materia possono purché non di- scordanti dai fatti cogniti e relativi ) dare una base ai nostri ragionamentij non sarebbe egli più ovvio il supporre uno stato primitivo in cui tutte le attitudini, tutta la potenza, tutta, diremo, virtualità umana, esistessero nella loro purità non vi- ziate né pollute dalle cause della barbarie , ma né anco svi- luppate e mature siccome addiviene nel principio e nell'infan- zia d'ogni cosa ? Alte sono le teorie del sig. Schlegel sulla filosofia indiana e sulle forme simboliche di quel culto , ed egli ne deduce tro- varsi in esso , come in tutte le religioni , la |credenza in un Dio supremo, nell' immortalità dell' anima ed in una vita ri- muneratrice, ■j>Je.jUi iunh i. Forse l'erudizione sta in alcun luogo a véce di critica, forse ogni assunto dell'autore non trovasi sempre rigorosamente pro- vato; non pertanto noi crediamo esser questa un'opera da la- sciarne giudice chi siasi intimamente addentrato in queste ar- due discipline, epperò astenendoci dall' avventurare una sen- tenza stìam paghi per ora ad averla annunziata ed additatene alcune capitali quistioni *i. Q. Q. *i Tutte le ipotesi che si possono formare sulla lingua e stato primitivo dell' uomo debbono esser conformi a quanto ci è stato rivelato nel divino libro della Genesi. Lo stesso Schlegel nella sua filosofia della storia , lez. VI. t. I. , dice che la lingua del primo uomo creato da Dio e istruito da Dio stesso non fu né 1' e- braica , né l' indiana , né alcun' altra di quelle che ci son di presente , o sono da noi conosciute. 81 ELLE AETI Lettera XI, Del Melodramma lu oiimibus rcspicc fìncm. Carissimo Amico E toccando appunto il loro fine queste lettere musicali , sem- bra che io debba volgere uno sguardo indietro per misurare all' ingrosso quanta strada abbia io fatta -, e poi consolarmi per essere ormai vicino al limitare della casa. Bella cosa è viag- giare , ma più bella ancora arrivare ! E colui che inventò gli arrivi debb' essere stato più umano di chi n Ritrovò le partenze e l' andai" via. » Ma quantunque debba consolarmi di questo arrivo, pure temo I maestri allora noji volevano guastar la poesia 5 dunque era buona. Che vi dirò poi dei drammi di Zeno e di Metastasio? Che vi dirò delle opere di qucst' ultimo che gì' italiani hanno ora bandito dui loro teatri, ed a cui quando fanno l'onore di amnaetterlo gli pre- parano il letto di Procuste ! Vitupero degno di quei tempi in cui la musica è tutto, e la poesia niente ! Dunque non ne pai'- liarao, ma solo prendiamo dal suo metodo motivo di discorso sulla drammatica azione. Già vi dissi che il melodramma è parente colla tragedia e commedia , e ciò debbe intendersi largamente in quanto al sog- getto, all'intreccio , ai caratteri, alle passioni, e non in quanto alla maniera di trattarli ; poiché altro è azione tragica , altro comica , altro drammatica. Nelle due prime può il poeta amico o nemico che sia delle unità spaziare, così direi, liberamente, non badando che a quanto egli fa o vuol fare 5 ma nella drani- matica , seria o buffa che sia, il poeta è chiuso dentro un cir- colo, movesi dentro confini, esente sopra e dentro di sé una grave necessità impostagli da chi mai ? . . . dalla musica. Guai a quel poeta che scrivendo non pensa alla musica ! Egli farà nn eccellente tragedia o commedia , ed un pessimo dramma. Ma che cosa impone cotesta musica ? Siccome parte integrale dell'opera ella comanda al verseggiatore di lasciarle mezzo lo spazio che ella dovrà poi riempire del suo. Ella impone al poeta di scegliere un' azione tale che il soggetto , il nodo , gli affetti , i caratteri si possano toccare di volo , accennare piut- tosto che inculcare. Comanda che siavi dapertutto un patetico tempeifato , un contrasto di passioni nobili sì , ma senza quelle fosche tinte di cui dilettasi la tragedia ; che nell' intreccio del nodo lasci sempre vedere un crescente albore di scioglimento fe- lice. Così vuole e così, se non erro , fece Metastasio 5 anzi così volevano i suoi contemporanei , i quali disapprovarono que' po- chissimi drammi, in cui il poeta dilettato erasi del tristo fine. L'influenza della musica scorgesi pure nella forma stessa dell' opera , siccome in quella che doveva essere molto acconcia al canto ed al suono. Perciò pochi atti sufficienti appena al modo rapido con cui debbesi l'azione sceneggiare 5 verseggiatura tutta particolare; frase e stile che risulti da quanto siavi di più ar- monioso , e delicato in una lingua. Gli attori stessi , o dirò meglio i cantanti se in un melodramma avessero a sostenere il peso d' uft personaggio severamente tragico , il loro canto 85 sarebbe una caricatura, l'armonia quasi un soprappiù, sovente ridicola. Lo stesso dite ove l'opera buffa fosse una pretta com- media, né le rimanesse luogo per quel ridicolo che debbe pure scaturire dall' allegria di motivi melodici , o dal contrasto dell' armonia. Veramente non so come i Pantaloni e gli Arlecchini farebbero a cantare la parte loro. Anche questa adunque è una necessità imposta al poeta, dalla quale mal farebbe a sottrarsi con grave riscbio di sbagliare il suo scopo. In omnibus respice Jinein. — Direte anche voi che queste necessità sieuo conve- nieìize teatrali che ahhonono interamente dalla natura e dalla ragione , come ad istruzione de' Francesi scrive un nostro ita- liano in Parigi. Io gli co^ederò che il libretto sia un genere di poesia ribelle al pensiero-^ anzi aggiungerò ribelle al buon gusto, ed al buon senso 5 ma i libretti non sono melodrammi quali intendiamo noi, non sono né anche un genere di poesia, ma mostri , infamie, vituperi dell' arte e del paese. Non sa egli che da molti anni in qua nessun poeta , tale tenuto ia Italia e fuori, ha mai dato opera ai libretti, ed ove almeno uno di grido e vaglia scritto avesse qualche melodramma sulle traccia di Metastasio o su quelle della ragione e della natura , a quest' ora i libretti sarebbero finiti, il buon gusto ristabilito, e la musica moderna con tutt'altro andamento avrebbe aiutata, non rovinata la poesia? Non è dunque da incolpare il genere, ma la mediocrità e l' insufficienza degli autori. Adesso che mi sono sfogato alquanto posso parlarvi della se- conda parte integrale del melodramma, che è la musica. E qui se vi volessi tosto dire quel che sento vi domanderei un poco perchè nel secolo presente la musica sia stata piuttosto il ma- lefico influsso e l'infausta sibila della poesia, che la buona amica e compagna ? Vorrei un poco sapere perchè un dramma che sarebbe riuscito una buona tragedia o commedia, soprav- venendogli una cosa di più per la sua maggiore perfezione , debba invece currente rota riuscire un guazzabuglio? Ma udite. ^on si sa se il Metastasio seguace della natura e della ragione, e che non trovò mai ribelle la lirica poesia, non si sa, dico, se abbia avuto tempo a formare i maestri suoi contemporanei ; ma egli è certo che non mancava d' intendersela con esso loro, siccome apparisce da alcune sue lettere che voi direste di con- 86 STglio. Quest' accorrlo de' poeti coi musici antichissimo , come sapete, ci parve sempre una delle più opportune consonanze, molto migliore di quella che può essere talvolta tra due col- laboratori d' una commedia. 11 poeta ed il maestro debbono mirare il medesimo scopo battendo la medesima strada ; sono i due occhi melodrammatici che semplici e non doppj veggono gli oggetti 5 le due mani occupate in un sol lavoro, e se non vi spiacciano le similitudini, i due piedi che concordemente muovono il corpo lirico-musicale verso il suo fine. Posta adun- que questa bella armonia , il compositore siccome ultimo in tempo ( eccettochè indovinando egli quanto scrive o scriverà il poeta^ voglia essere il primo o(^^ almeno contemporaneo) debbe di necessità lavorare sul fondo del poeta; ed ecco im- posta pure a lui grave necessità; eccolo rinchiuso dentro il suo cerchio. La poesìa diventa il suo modello, cui debbe con- tinuamente guardare nel porre giù le note sue; la poesia è a lui come al poeta la musica per cui scriveva. Quindi è che un melodramma non può mancare il suo scopo allorché il mae- stro coglie dapprima il pensiero dominante della poesia ,• non che tutto il complesso, in modo che tale sa subito quale corda debba piz«icare. E questa corda altro non è che quel genere, quel colore musicale che debbe concordare col concetto poe- tico, dirò meglio con tutta l'azione; così che la musica sia tutta propria di questo e non di qualunque altro dramma della stessa specie. E questa sarà 1' unità musicale notevole dalla prima all'ultima nota dello spartito; la quale alcuni credono d'osservare facendo sovente udire o quel motivo o quel tratto d' armonia che sembra piuttosto un suggerimento alla memoria dell'uditore. Ciò non è riprove^le, ma non basta per l'unità; poiché cotesto suggerimento può venire inopportuno, o fare a pugni con quel che precede, e con quanto debbe seguire. E una melodia principale, è quell' acconcio colorito d'armonia da per tutto eguale che debbono rendere uniforme la composizione. Ma coir uniformità confina la monotonia, per isfuggire la quale cercasi la varietà; ed è perciò uffizio del maestro cogliere in secondo luogo nel proprio aspetto le singule parti del poetico lavoro per dare a ciascuna quel musicale carattere, che serve di compimento e rinforzo a quanto ha il savio poeta ideato. Con 87 essa varietà vanno di pari passo la disposizione, 1' ordine, la simmetria, la gradazione de' musicali pensieri. Egli è vero che il maestro qui non può dipartirsi da quanto già trova poetica- mente disposto 5 egli non può trasportare una scena, né intro- durne una di più, né duplicarla per servire alla moda delle obbligazioni stromentali, o delle inopportune ripetizioni 5 non- dimeno anche in questa parte ove ingegno e senno non gli man- chi, potrà far mostra delle sue creazioni. Per mancanza di que- sti accorgimenti odesi talvolta una musica la quale appena ha incominciato a moversi concorde colla poesia, che tosto corre fuori di strada, quasi volesse a bella posta sbagliare ogni scenica situazione. Direste che il maestro pentito di sì bel principio, o disperato del resto abbia tirato giù il pennello alla carlona , o gittata la spugna contro il disegno, presumendo nelle com- binazioni del caso ! Io non vorrei attediarvi per quest'ultima volta 5 ma pure bi- sogna che vi dica ancor qualche cosa su questa parte. Il mae- stro a dir vero non ha in sua balia che il linguaggio musi- cale, anzi la parte più meccanica e materiale, ed un dramma che zoppichi da questo lato tanto maggior rimprovero debbe fruttare all' autore , quanta niaggior libertà aveva di farlo cam- minar bene. Ed in molti modi si può qui zoppicare; i." nei passaggi. Quando una scena dal terribile volge all'affettuoso, o da tristo principio a lieto fine in conseguenza dell'azione, nuova melodia non farà bisogno per operare questo cangiamento 5 ma quella medesima che in tuono minore o con agitato ritmo esprimeva terrore e tristezza , solo col variar del tono o del tempo potrà benissimo esprimere la nuova situazione delle cose. 2.*" Nel cangiamento de' tuoni. Io non so perchè si faccia tanto scialacquo in questa parte e tanta inopportunità talora vi si scorga ? Non é questo un volere che il linguaggio della mu- sica diventi insignificante ? Per me una mutazione di tuono dice come un cangiamento di scena, tanto più quando è ri- cercata o fatta con inganno, cioè quando il maestro accenna da lungi un tuono, ed inaspettatamente cade sopra un altro. Voi vedete che questi artificj debbono essere efficacissimi nelle drammatiche vicende, ove sieno a tempo e con discrezione usati. 3.° Nell'uso dell'orchestra. Già vi parlai quanta e quale ss sia ì espressione di ciascuDo stromento ; ora aggiugnerò die 1 orchestra è come attrice nel melodraruma. Né badate che re- stì kkori del palco , e dietro al suggeritore , bisogna immagU ■ani cJkc sia sul palco medesimo, e faccia come Tufiìzic d un con» perpetuo di stromenti , dico , non di suonatorL Se ogni stromento, come abbiam detto, ha il proprio colore, di neces- sità ha pure la propria parte drammatica ; e se queste parti vengono dal maestro sbagliate daudo p. e. al flauto quella del TÌoloncello, come potrà Topera parlare un linguaggio tratto? Sia egli un preludio, un'obbligazione, una proposta, una rispo- sta . un' alternatÌTa col canto , sia quel che si vuole , non mai debbe essere indififereate alla scena ; e questa sarà un'altra con- Tenienxa teatrale. Io non ri parlerò dell' esecuzione , la quale né dal maestro né dal poeta dipeede, né in modo alcuno en- tra nella fattura del melodramma: da lei viene il buon esito di tutta l'opera , il compimento del piacere , della maraviglia , della soddisfazione che prora l'uditore. Dunque conchiudiamo che la natura del melodramma è po- sta nella concordia , e nella ricenderole influenza della musica sulla poesia ; che un' azione teatr:ile distinta dalla tragedia e commedia , mentre all' una ed all' altra è simile nella scelta del soggetto e delle passioni , non nel modo di trattarle. Per- ciò il dramma lirico resterà bastantemente assicurato e dagli assalti de' critici , i quali trorano assurdo che gli eroi dram- matici cantino e facciano tutti i fatti loro in musica, e dalle fantasie di coloro che van sognando i melodrammi dell'epoca, del progresso e che so io. Intanto chiedendori perdono se in questa lettera ho richia- mate alcune cose già dette, per fare come un epilogo, vi an- nunzio che la Sinfonia è finita. Quanto io andai scrirendo in queste lettere tenetelo dopo il piacer rostro come scritto non ^à per accusare e censurare o far palesi le mie opinioni ; ma pel maggior vantaggio ed onore d' un'arte che meriterebbe mi- gliore fortuna. Se avrò tempo , né voi dissentirete , vi farò ancora udire alcune Armonie , che nessuna orchestra di questo mondo ha mai potuto eseguire. Non saranno che tre battute ag- giunte come coda a quella sinfonia che voi mi comandaste di •oonare. Addìo. B. ^attcik /4l cfuarifSf'mo ii/j. Pi«;lro («ionlnni. 'l'iìciuti, il ai oiUAif: iH^i^- Appena di ritorno alla cara 'l'orino, vi ftcrivo toAto quattro figlie di rif»pctlo. foglio quanto ho potuto «pigolare nelle due ultime hrevi ftta/ioncelle di Milano e {No- vara , e riw:rvando ai soliti lelt<;roni le <;o»e principali not;ite in Praga nella dotta riuniouc dei ^laturaliali , iti Vienna e neli' Ungheria «pecialmente. — Da Vienna me ne venni col corriere a Milano in fio ore, la distanza per la via ordinaria della Stirìa, Carinzia , Friuli ecc. non CAtcndo che circa 5oo miglia di Piemonte. Milano ci ahliclla ogni giorno , e quando la via di ferro che deve unirla con Venezia «ara ultimata ( «i attende con operosità alle livel- lazioni ) la Metropoli Lornharda godrà quabi dei vantaggi di un porto di mare, ed ove &i prolunghi himile strada (ino a (jc- nova, come giova «perare, riunito co«l il Mediterraneo all'Adria- tico con tanto risparmio di tempo e di spazio , quei due ele- menti primi della vita sociale , e mercè lo spiritai d'associazione pel maggiore sviluppo dell' industria e del commercio che va mettendo s) profonde radici , un novello irjesaurihile tesoro di ricchezza nazionale ci si para davanti , e 1 intiera penisola do- vrà risentirne un'elettrif:a commozione. Kitrovai con vivo pia- cere parecchi nostri compaesani veriuti in questi hei giorni di autunno a visitare la lieta Milano, e L'yfjo neW imbarazzo di Dooizzetti , col grandioso spettacolo dell' Kttorc Fieramosr^ mostrarono poche sere sono alla Scala che a malgrado della 90 mania di villeggiare , la città è pur sempre piena di cittadini e di forestieri. Avrete udito come venne ristaurato a nuovo il teatro Re. Si attende con molta operosità a liberare il Duomo da quelle meschine casette die ne velavano la parte orientale, e forse col tempo il porticato dei Fìgini e lo stesso palazzo im- periale cederanno le loro aree, acciò l'esterno del Tempio soiga più splendido , ed appaia in tutta la sua magnificenza 5 vidi che si stanno pure ristaurando e rimettendo i cristalli istoriati dei finestroni , benché ancora forse con successo non cosi felice come nella Metropoli della Baviera. L'arco grandioso del Sem- pione volge pur esso finalmente al termine , quasi finite le due gran porte laterali , e coronata la cima dai destrieri di bronzo , il tutto dovendo essere ultimato per la solennità dell' imperiale incoronazione nel prossimo settembre 5 e Milano che vanta ora la prima scuola d'ornato e primeggia pure nella scul- tura , avrà così nel suo seno l'arco più bello ed elegante, mentre Parigi possiede il maggiore dell' universo. Data un' oc- chiatìna alla pinacotea per ammirare sempre quei due cari gio- ielli dell' Urbinate e del Guercino , lo sposalizio e l'Agar, corsi allo stabilimento Agrario-Botanico del sig. Burdin maggiore e stupii di trovarlo già così fiorente nel breve tempo che il dotto ed operoso fondatore ne arricchì la capitale della Lombardia. Quanta varietà e moltiplicità d'alberi fruttiferi e d'ornamento d' ogni maniera ! E quel gran pino della Colombia , unico fi- nora in Italia , desta la maraviglia , e vidi la regina di Napoli contemplarlo attonita, peixorrendo essa appunto in quell'ora con dotta curiosità lo stabilimento , mentre il grazioso Ernesto Burdin mi stava additando le tante varietà di Dalie e Came- lie ... . quella bella casa fu decorata dal rinomato scenografo il valoroso S. Quivico ; qui sono felicemente' èoltìràte le pi^r^te di tutte le parti dell'universo, e vidi gli inservienti affaccen- dati a ordinare grandi casse di vegetali per Atene e Odessa , sicché ora 1' occidente somministra le piante all' oriente , quasi come il settentrione nel momento irradia di sua luce scienti- fica il mezzodì, l'eterno Riformatore avendo forse così dispo- sto a felice compenso nell'ordine nioralé.'Itotatìtd lode ne torni grandissima al sig. Burdin maggiore , che coi' suoi stabilimenti di Chainbery , Torino e Milano si rencfe cosi benemerito dell' agri ed orticultura italiana , sorgente prima d'ogni ricchezza e ben essere sociale. Udii con gioia che una dama illustre, fi- glia d'un Verri, presiede agli asili dell'infanzia, e gli pro- muove a tutta possa ; ah che 1' influenza morale sommamente benefica della donna sulla vera civiltà, forse non è ancora ab- bastanza universalmente sentita ed apprezzata ! . . . . Una bella sera m' invitò a fare una visita all' osservatorio di Brera che è certamente il primo d' Italia e per la bontà degli stromenti di cui è cosi doviziosamente fornito , e per la scienza e zelo dei valorosi astronomi che gli adoprano con tanto vantaggio dell' astronomia pratica. Trovai tra le novità un novello stro- mento gigantesco, il maggior telescopio a riflessione finora co- strutto dal celebre nostro Amici , lo specchio avendo un piede di diametro, e la distanza focale di i4 piedi 5 a prima vista lo credereste il tronco d' un albero ; finora giace là sul pavimento aspettando che sia terminata la nuova torre per esservi equi- librato. Il sig. Gav. Carlini fece disporre un istroroento dei pas- saggi perpendicolarmente al meridiano secondo l'idea di Bessel o meglio del danese Roemer, quale disposizione è nuovissima in Italia. Caduto il discorso sull'osservatorio di Buda, che io aveva veduto pochi giorni prima , udii con maraviglia dal sig. Kreil che la specola milanese è priva anch' essa del segno me- ridiano, e che qui si verificano le posizioni degli stromenti colle stesse osservazioni astronomiche, mentre la stella polare ad esem- pio , serve di segno meridiano per 1' istromento dei passaggi. Ma ciò che trovai più notevole dopo la mia ultima visita sono gli apparati magnetici del sig. Gauss , e lo zelo con cui il sig. Kreil attende alle osservazioni magnetiche coi due stromenti de- clinatório eà'inelinatorio, per fissare così i tre elementi di in- clinazione , declinazione ed intensità magnetica ; questi preziosi stromenti sono consultati regolarmente sei volte al giorno , ed all'uopo (due essendo portatili ), si fanno le osservazioni nell' attiguo giardino lungi dall'influenza del ferro, finora non es- sendo ancora all'ordine un apposito osservatorio tutto in legno. Il i8 andante ottobre le variazioni furono grandissime nei tre clementi suddetti , a principiare dal mezzodì , momento in cui 92 il cielo incominciò ad intorbidarsi, e la temperatura variò essa pure notevolmente ; forse le grandi variazioni atmosferiche sono connesse colle grandi magnetiche, almeno così possiamo già dfi- durre dalle stesse moltiplicate osservazioni del sig. Kreil; avendo esplorato l' orizzonte verso le nove ore di sera non abbiamo riconosciuto alcun indizio di aurora boreale, fenomeno che fu però osservato altrove, sensibilissimo a Varese per esempio e Torino , ed in varii luoghi della Francia , e taluno lo credette foriero delle presenti mutazioni atmosferiche ; vi ricorda forse che simile fenomeno fu pure veduto ora volge l'anno in questi stessi giorni. Il sig. D' Humboldt raccomandò con una lettera circolare a tutti gli osservatori di consultare gli stromenti ma- gnetici di cinque in cinque minuti dal 12 al 1 5 del prossimo novembre, epoca della pioggia di stelle cadenti, all'oggetto di riconoscere se questo curioso fatto cosmico abbia qualche rap- porto col magnetismo terrestre. Da Milano a Novara trovai rettilineata la strada che da Ma- genta va ora diritta diritta al magnifico ponte del Ticino , e udii che verrà pure quanto prima rettificato un altro ramo della stessa via verso Trecate. In Novara poi ho notato una straor- dinaria attività, mastri da muro che qua abbattono vecchie mu- ra, e là ne innalzano delle nuove, scarpellini, statuari, lastri- catori dappertutto , fervei opus per il prossimo 4 di novembre, giorno onomastico dell'augusto nostro Sovrano, che il Corpo ci- vico novarese vuole festeggiare inaugurando con grande solen- nità i parecchi bei monumenti che si stanno ultimando con tanta operosità in questi giorni. La nuova porta di Vercelli è bellissima e degna d'una gran città, lo stile è greco classico, e mi si dice ohe scompariranno pur anco presto le altre porte tristi avanzi della ferrea dominazione spagnuola, per dare luogo a simili nuove stupende costruzioni ; vedo una nuova via Bel- lini , che mena al novello Istituto d'arti e mestieri, che grazie alle patrie sollecitudini ed al savio regolamento, dotto lavoro d' un operoso e benemerito cittadino , forse emulerà le scuole politecniche di cui sono ormai fornite quasi tutte le città di Germania, sicché in vece d'un semplice chiostro femminile , secondo l'idea prima della pia e generosa fondatrice, il Piemonte i 93 avrà forse in Novara un modello da imitare, benché nascente, adattato ai bisogni attuali della società , dove accorrendo i gio- vanetti artigiani , non consumeranno più gli anni preziosi della prima giovinezza in inutili studii , e diverranno cosi migliori e più utili cittadini dello stato. E questo utilissimo Istituto verrà esso pure aperto nel giorno lietissimo di S. Carlo, men- tre sì scoprirà avanti il nuovo teatro la statua di Enimanuele Filiberto , pregiato lavoro dell' insigne Marchesi , e verrà con- segnato ad un tempo al presidio novarese il bel corpo di guar- dia sul cui frontone vedo raffigurata in mirabile basso rilievo la pace dei Guelfi coi Ghibellini. Vedo pure continuarsi qua e là le rotaie di granito alla milanese con tanto comodo dei cittadini , e che' noi facciamo i più caldi voti acciò la nostra civica Amministrazione voglia proseguire l'incominciato disegno della via del palazzo di città , sicché i forestieri e gli abitanti non abbiano più a parlare male dell'incomodo pavimento della nostra bella Torino. Novara insomma veste un aspetto più re- golare, e quindi più lieto e sano, essendo circondata da bellis- simi viali 5 nessun mendico più vi rattrista lo sguardo e '1 cuore, mentre tutti vengono accolti nella casa d' industria del bene- merito De-Pagave con immenso vantaggio economico e morale della città. Passando poche ore in Novara si rivede sempre con piacere il bel tempio di S. Gaudenzio per ammirarne lo scu-»- rolo ed i preziosi dipinti del Ferrari , il Raffaello della Val- sesia , e queir altro bel quadro del Cav. Palagi ^ uno dei prin- cipi della moderna scuola milanese , e poi salite volentieri quello svelto ed altissimo campanile donde passeggiate piacevolmente collo sguardo , e vi fissate su quel gigante Uosa che mosse cosi aspra guerra al Bianco sovrano dei monti europei. Entrato nella chiesa di S. Pietro al Piosario trovai i due signori Narducci e Riva dell'accademia milanese, che ne ristauravano i pregia- tissimi freschi , mentre nelle attigue sale un abile meccanico «ostruiva 1' organo novello. Nel duomo ammirai una 'maggiore operosità per la costruzione a mosaico del pavimento 5 ma il maggior altare, disegno del noto Architetto Antonelli, tutti richiamò in un attimo i miei sguardi , e fissò la mìa atten- /rione, e non saprei se dopo qucU' unico sterminalo della con- 94 fessione di S. Pietro nel Vaticano, ne vantila cfistianità un altro più bello ; né mi si opponga il rinomato altare di S. Ignazio in Roma, che certamente quello è forse il più ricco , raà noli cosi grazioso e bello :ed^ elejgante come quieslo di So* .vara. E quando finito il grandioso ed utilissimo edifizio detto del mercato, ammireremo in quelle sale la pubblica biblioteca ed una pinacoteca, i cui elementi trovansi già presso tanti rio- chi cittadini che possedono quadri preziosi *i , e forse una ma- gnifica sala destinata alla memoria degli illustri e benemeriti novaresi , i forestieri passeranno una giornata con molla sod- disfazione a visitare ima cittadina di provincia ricca di tanti interessanti stabilimenti. Voi sapete che Novara possiede nel iinornento in Mercadante una delle notabilità musicali dell'Ita- li^ ed artisti distinti, economisti, istoriografi, medici, avvo- cati e personaggi distinti in varii rami dell'umano sapere, tra ciii un illustre astronomo e geometra che dopo aver diretto uà osservatorio astronomico nel nuovo mondo, venne chiamato or ora alla cattedra di matematiche sublimi nella nuova accade- inia delle isole Jonie , voi m' intendete che vi accenno il sig. Mossotti, da me incontrato appunto jer l'altro in Milano men- tre s' avviava a Corfù. La città di Novara è tra le più ricche delle Provincie dello stato , spendendo forse un mezzo milione di franchi annualmente nelle tante opere di beneficenza, di cui il sig. conte Petitti ha fatto cenno nell'opera sua applaudita, e quella civica Amministrazione animatissima per il ben pubblico ad altro non pensa che a rendere la città sempre più bella e degna stanza di colte e gentili persone ,; mentre generosi citta- dini la illustrano colle proprie veglie e con largizioni d'ogni genere,- possiede un giornale di letteratura, con buUettino of- ficiale j peccato che la sua situazione troppo eccentrica abbia forse impedito il diseguo di farla stanza d' un senato .... Ma io non ho passato che poche ore in Novara correndo qua e là col corpo rotto dal mio lungo viaggiare e colla niente stordita *i Oso suggerire alla civica Amministrazione di voler far dipingere a fresco sulle nitìrà di questo bellissimo porticato i fatti principali dell'istoria novarese, come si sta appunto facendo col più grazioso successo sotto i portici del Bazar in Mo- naco di Baviera. delle tante cose pellegrine vedute nei due mesi precedenti , e sarebbe forse un' impertinenza parlarvi più a lungo ed in una SI cattiva lingua di una città posta sulle porte di Torino., e che voi conoscete forse meglio di me -, accogliete ve ne prego, pregiatissimo signor mio , coli' innata vostra indulgenza questi rapidi ed imperfetti cenni dell'ultima mia stazione, coi saluti cordiali di tutti gli amici che avete fatti lieti di vostra presenza nella scorsa state , e della gentile Gioseffina che vi si racco- manda specialmente. Abbiatemi per il vostro devotissimo ,^d affezionatissimo servitore ■ " ' ,."* \ "^" jino) au 44(3 .alf.iiO ,0 11 yJu-ji^il .:! i:j'j tix , j:;ìii.; ) j jiulofi i 9 oudìiu- of i>>i!'. : :J f^,( k'ì, Jlij ) '. i'il l)J-iaq »iioidlA IL BARDO IRLANDESE ,^„, « ,0«ja -. . . •' ;»i A ! lìnìikT bunto di traduzione libera dall' inglese^, i -, . iQiiìv ollìm il) .ih latto dì 3ioffjif«^»->g»^)0-« L' anno 1299 vigilia del decimoquarto secolo era pure per Firenze la vigilia di sanguinose turbolenze , di orribili calamità. Non vinta soltanto , ma affatto spenta era la parte Ghibellina; qua e colà esiliati e dispersi ne erano i capi , e quegli che la favorivano , perduta ogni spe- ranza di risorgimento , più non promettevano aiuto od appoggio alcuno. Vittoriosi i Guelfi dominavano da trent' anni e più a talento loro, e da essi sembrava dovessero intieramente dipendere le sorti dell' avvenire. Ma queste apparenze ingannavano. Finché i Guelfi ave- vano dovuto lottare (e fu lungo il tempo) contro formida- bili avversari , il partito loro era sembrato unito , solo , 167 omogeneo , ma nel fondo componcTasi dì sette diverse di sentimenti e materie tra di loro discordanti. Questa di- scordanza dovea palesarsi, e fu lorchè queste sette più non essendo frenate dal timore di un comune nemico , eb- bero campo di operare ciascuna secondo le proprie opi- nioni e secondo il suo particolare interesse. Fra queste divisioni, le quali tutte chiamavansi , vo- levano , e credevano esser Guelfe , due facilmente se ne distinguevano, nelle quali poi confondevansi tutte le altre. Era l' una quella de' Guelfi aristocratici , che avrebbero voluto metter un argine alla popolare potenza, e mantenere la nobiltà nello stato in cui trovavasi allora. Era l'altra quella de' Guefi popolani, che o per interno con- vincimento o per debolezza cedevano alle democratiche influenze. Stava per ricominciare e riprodursi sotto diversi nomi seguiti da nuovi odi e da nuova calamità l' antica lotta delle feudali caste , sorte dall' invasione e dalla con- quista coi vecchi abitatori de' conquistati paesi. Mantene- vansi allora soldati di giustizia che erano come una spada di continuo sospesa suU' altiera cervice de' nobili. Si uni- rono questi nel lagS, e presero le armi per ottenere colla forza l' abolizione di questi soldati popolari ; ma es- sendosi posto il popolo in sulle difese , tale resistenza op- pose , che i nobili si sbandarono senza pur aver osato com- battere , e senza aver nulla ottenuto. Da questo punto la parte aristoci'atica de' Guelfi fu esclusa dal governo della Repubblica , che rimase intieramente ai Guelfi popolari. Ed ecco mia manifesta divisione : se prima non erano questi due umori che due gradazioni della parte Guelfa , furono in allora due distinte fazioni , e cia- scuna ebbe un nome, un capo, una bandiera. I Guelfi popolari presero il nome di Bianchi, gli altri chiamaronsi Neri, Prima di questi fu la famiglia Donati, di cui era capo Corso uomo valoroso e costante, il cui carattere era 168 la vera espressione della sua setta. Non molto ricco , ma di antico legnaggio, fazioso e torbido, fiero e superbo, egli era più disposto a sdegnare, che a mendicare i voti del popolo. Chiamavanlo il Barone , come se con questo nome si volesse indicare il modello, l'ideale del gentil uomo. I Bianchi ebbero per capo Vieri de' Cerchi. Se non nella superbia e nella bravura era esso in tutto il i-esto il rovescio di Corso, e come questi sosteneva assai bene la parte sua. Plebeo , aveasi col mercanteggiare procacciata un' immensa fortuna , di cui spendeva gran parte nel gua- dagnarsi amici, oltre a quelli che egli cattivavasi colla dol- cezza e popolarità. Questo dividersi de' Guelfi cagionò la divisione di tutta Firenze. Trovavasi a mala pena qualche capo di famiglia che non prendesse parte per l' una o per 1' altra fazione ; segno certo che operavasi per impulso di un interesse che molto stava a cuore. Sarebbe cosa assai difficile l' indicare esattamente il tempo in cui queste due fazioni cominciarono a distinguersi col nome di Bianchi e di Neri. Solo si sa che nel mille due- cento novantaquattro ebbe luogo a Firenze ed in alcuna altra città della Toscana la malaugurata divisione de' Guelfi. Dal 1294 al i3oo il governo de' Bianchi segnalossi per vari provvedimenti, ciascuno de' quali era un avanzamento de' popolnri , una minaccia od una precauzione contro la classe de' nobili. I Neri pelò difensori degli interessi e dei sentimenti della nobiltà potevano a sì formidabili avversari opporre maggior resistenza, che non sarebbesi a prima vista im- maginato. Oltre alle forze loro essi avevano la protezione del Pontefice. Occupava allora la sede di Pietro Bonifacio ottavo. E nota la politica de' Papi del secolo decimoterzo per riguardo 169 a Guelfi ed a Ghibellini. 1 più di essi piuttosto che par- teggiare per gli uni o per gli altri s'adoprarono a ricon- ciliarli od a tenerli in bilico , col disegno di prendere so- vra di essi un ascendente di italiana autorità , che sarebbe succeduta a quella degli Imperatori. Bonifacio ottavo però non fu mai a se stesso consen- ziente nel prendere parte nelle italiane fazioni. Noi il veg- giamo entrar a parte della questione de' Bianchi e de'Nein, ora seguendo una politica tutta pontificia , ora odi ed ami- cizie particolari. E questo intromettersi del Papa non fé' che rendere più violenta la crisi. Eranvi tra esso ed i Neri segrete pratiche, che aveano per iscopo se non la disfatta de' Bianchi, almeno l'abbas- samento della loro potenza , e questi che non potevano dubitare della predilezion del Pontefice per i loro avver- sari, tenevansi in guardia contro di lui e tutti ne aveano sospetti i disegni. A questo partito erano le cose in Firenze nello aprirsi dell'anno i3oo, lorchè avvenne ini fatto di poca impor- tanza per verità , ma eh' io tuttavia racconterò sommaria- mente. Esso ci spiega la generale politica dei Papi riguardo alle italiane repubbliche, e quella speciale di Bonifacio ot- tavo nella questione de' Bianchi e de' Neri, senzachè esso legasi in qualche parte colla vita di Dante. Nel mese di aprile del i3oo tre personaggi che abita- vano Firenze ed avevano tutti e tre intime relazioni con Bonifacio ottavo , furono come perturbatori e cospiratori denunziati al governo fiorentino , che subito contro di essi incominciò un rigoroso processo. Non è noto ciò che ab- biano fatto , o tentato di fare ; ma tutto e' induce a credere che nel suo operare essi fossero d' accordo con Bonifacio , il quale appena seppe la persecuzione che essi dal fioren- tino governo sotfrivano, mandò tosto ordine di intralasciare il processo. Ma tenuto in nessun conto V ordine del Pon- 170 tcfiee , furono gli accusati condannati a gravissime ammen- de. Quegli fi'a i Priori che più si era contro costoro mo- strato acerbo appellavasi Lappo Saltarello , uno de' più in- quieti della fazione dei Bianchi, e futuro compagno d'esilio di Dante, di cui fece menzione nella divina commedia come uno de' suoi più acerbi avversai^. Sdegnato Bonifacio del poco conto in cui i Priori di Fir-enze aveano tenuto gli ordini suoi , scrisse al Vescovo di quella città ordinandogli d'intromettersi senza indugio in questa bisogna e far rivocare o dichiarar nulla la pj-o- nunziata sentenza, Adoprossi quanto potè il Vescovo per eseguire gli ordini pontificii, ma non vi riuscì. Scrisse al- lora Bonifacio al governo , chiamando fra otto giorni a Roma i tre pinncipali autori della sentenza, che egli pre- tendea ingiusta, e particolarmente Lappo Saltarello per render conto di quanto aveano fatto , e scontarne la pe- na: minacciando, se non obbedivano, il comune di Fi- renze di molte pene temporali e spirituali. Ma neppur que- sta volta sortirono efletto queste minacce. Fu eseguita la pi'onunziata sentenza; nessuno fra i chiamati comparve a Roma ed i Fiorentini furono tutti scomunicati. Erano sul cominciare dell'anno i3oo giunti a tal segno gli odi e le inimicizie fra i Bianchi ed i Neri , che solo era d'uopo di un pretesto per venir alle mani, ne tardò guari a presentarsi. Solevasi ogni anno a Firenze far grande baldoria al ri- torno della primavera. La piazza della Trinità sul cadere del primo di maggio dell'anno i3oo era stipata di uomini, di fanciulli, di donne e di donzelle che clavansi sollazzo cantando, e danzando. Li mezzo di questa giuliva folla vennero ad incontrarsi due numerose e splendide caval- cate , r una delle quali componevano molti giovani della famiglia de' Cerchi , capi del partito de' Bianchi , 1' alti-a 171 molti de' Donati , capi de' Neri. Guardaronsi in bieco le due bande, incontrandosi dissersi villanìe , e, come suolsi, passarono ben presto dalle minacce ai colpi , alle ferite , al sangue ; al primo rumor della zuffa armaronsi a vicenda i partigiani delle due fazioni , occuparono i soliti luoghi di difesa , e Firenze passò in un colpo d' occhio dalle gioje di una festa popolare alla guerra civile ! Fatto per mezzo de' suoi agenti consapevole di queste cose Bonifacio Vili , vedendo il pericolo de' Neri affret- tossi a soccorrerli. Inviò a Firenze il Cardinale Matteo d' Aquasparta , personaggio ragguardevolissimo per la sua saggezza e pietà , coli' ordine di ristabilirvi la pace , in- trodur la riforma nel reggimento della repubblica , così che come prima fossero gli uni , e gli altri a parte degli onori e delle pubbliche cariche: giunto il Cardinale a Fi- renze ebbevi nobilissima accoglienza , ma i Bianchi che diffidavansi del Papa erano fermi a non ammettere punto r intervento del pontificio legato, ne permettergli la pre- tesa riforma. Trovossi adunque l'un partito a fronte dell' altro colle armi alla mano, cogli animi più che mai in- ferociti disposti a por termine alle differenze colla forza. Ed il Cardinal d' Aquasparta che era venuto per rimettere i Neri a parte del governo , non vi rimase più che per sostenerli con segrete pratiche , esponendosi così alla col- lera de' Bianchi. Questo era lo stato di Firenze sul principio del mese di giugno del i3oo , loriche li sei Priori o governatori della repubblica dovendo cessare dal loro uffizio, ai iS dello stesso mese fu loro d' uopo secondo 1' usanza nomi- nare i successori. In sì pericoloso frangente era più ira- portante , e più dell'ordinario difficile la loro scelta. La- sciavano essi a' loro successori un governo pieno di pericoli , quello di una città scomunicata , di una città che avea senza speranza di perdono otleso il corniccioso Bonifacio 172 Vili, di una città dove la guerra civile, frenata quasi per miracolo , era a ciascun istante sul punto di scoppiare. Di soli cinque fra i sei Priori che furono eletti a noi pervenne il nome ; e di questi cinque quattro sono cosi oscuri , che il parlarne sarebbe cosa egualmente difficile come volere dir il nome dei primi quattro , che in sul passo di Carraja tragittarono 1' Arno il giorno quindici di giugno dello stesso anno. Il quinto ci è noto ; è questi Dante. Sembra che po- nendolo in mezzo a' colleghi senza capacità come senza rinomanza abbiano voluto i Fiorentini farlo mallevadore degli avvenimenti che approssimavansi. Non solo continuarono sotto il priorato di lui le turbo- lenze, ma andarono tutto giorno crescendo. Vieppiù assicu- l-ati i Neri del favore di Bonifacio , stimolati dalle pratiche del Cardinal d' Aquasparta , raddoppiarono di confidenza e d' audacia. Ma i Bianchi sempre standosi alle vedette e tuttodì vieppiù inquieti fecero risoluzione di spacciarsi del Cardinale : non osando scacciarlo apertamente , appostarono "uomini del popolo per minacciarlo e spaventarlo. Riuscì la cosa a maraviglia ; egH se ne fuggi , rinnovando però la scomunica da cui Firenze era già stata fulminata. I Neri benché privati dell' appoggio , che s' aveano nel Cardinale , non si perderono però d'animo , presero anzi un tuono più arrogante , e cominciarono a parlare altera- mente di un principe francese , che veniva in loro soc- corso , che in Fiienze avrebbe ogni cosa rimessa a suo luogo. E questa minaccia era fondata su di una grande e funesta pratica di Bonifacio , di cui io non posso far a meno di favellare. Per condurre a termine i suoi disegni era caduto in mente a questo Pontefice di chiamare in Italia un prin- cipe francese , il quale con un esercito che seco condur- rebbe dalla Francia, avrebbe conforme a suoi ordini adoprato 173 e fatto tutto che potesse essere di vantaggio alla corte di Roma. Era questo principe, che a ciò avea Bonifacio cre- duto opportuno, il Duca à^Alanzon , Carlo di Valois, fra- tello di Filippo il bello ; Principe che in guerra erasi me- ritato nome di valoroso; ne Bonifacio poteva trovare il più adatto a compiere i suoi voti. Codesta pratica avea incominciato già da cinque anni primaj ma la negligenza di Carlo di Valois a risolversi a questa calata avea fatto che lentamente si procedesse. Alla fine però dopo tante lettere e promesse le une più delle altre magnifiche , Bonifacio vi riuscì , e fu stabilito che Carlo con un determinato numero di soldati e di gente d'arme francesi sarebbe calato in Italia nel corso dell'anno i3oo. Il rumore ^del suo arrivo sparsosi per tutti i paesi e specialmente per la Toscana vi faceva nascere movimenti diversi ; già tutte le fazioni se ne rallegravano o ponevansi in guardia secondo la condizione loro. Il fatto sta che tra gli altri servizi che Papa Bonifacio aspettavasi da Carlo di Valois eravi , che egli sottomet- tesse le città della Toscana , che gli opponevano resistenza per poterle governare a suo senno. I Neri di Firenze non ignoravano i disegni di Roma: e le dicerie loro e le minacce intorno alla venuta di questo principe straniero , erano se non espressamente accordate col Pontefice , almeno conformi a' suoi disegni , de' quali aspettavasi con ansietà l' adempimento. Ma troppa fu la loro premura : questa destò l' attenzione del governo e mi- sesi in guardia. In sui primi d' agosto , secondo tutte le conghletture , poiché non ne dicono il tempo gli storici , assembraronsi nella chiesa della Trinità i capi de' Neri per deliberare che far si dovesse. Fu stabilito di indirizzare preghiera al Papa affinchè raccomandasseli al principe francese , di cui attendevasi la discesa , e per loro implorasse la speciale 174 di lui protezione. Questa deliberazione e questa preghiera riempì Firenze di scandali e di sdegno. I Bianchi incolle- riti per la minaccia che loro facevasi di un principe stra- niero, s'ammutinarono, presero le armi, e già sembrava inevitabile la guerra civile. Senonchè i Priori i quali ave- vano fino allora tollerati gì' intrighi e le cospirazioni dei Neri, crederonsi ora obbligati di reprimerli; ma per evi- tare la taccia di studiosi di parte, compresero nel castigo quelli de' Bianchi che avevano impugnate le armi nelle ul- time turbolenze. Alcuni de' più faziosi furono per alcun tempo confinati a Sarzana- Trovossi fra questi l'amico di Dante Guido Ca- valcanti, che erasi distinto per l'ira sua contro i Neri in ogni occorrenza di pugna. Furono trattati con più rigore i Neri , la maggior parte confinati alla Pieve , città ai confini dello stato ecclesiastico, e Corso Donati loro capo fu condannato ad un perpetuo esilio , e nella confisca de' beni. Sembra però che essendo stato da prima confinato, egli avesse rotto il bando , e che l'esilio perpetuo a cui fu la seconda volta condannato , fosse cagionato da questa violazione. Tutti i biografi di Dante, che scrissero secondo le tra- dizioni di quei tempi , o giusta documenti autentici oggi per- duti, vanno d'accordo nell' attribuire alla sua influenza ed alla sua particolare autorità questo doppio colpo portato alle due fazioni che perturbavano Firenze , ed io non veggo ragione di necare le testimonianze loro. Mostrandosi acerbo contro la sua parte il nostro poeta non potè essere indotto che da nobili cagioni , ma egli era ben lungi dal preve- dere gli amari disgusti che con tale rigore procacciavasi. Guido Cavalcanti era già ammalato quando fu mandato a confine , e nell' aria malsana di Sarzana crebbe rapida- mente il suo male. Egli ottenne in breve tempo la facoltà di ritornare in patria , ma era troppo tai'di. Egli languì 175 ancor qualche giorno e morì da tutti compianto. Dante cessò dal suo uffizio di Priore addì i5 di agosto di que- sto medesimo anno i3oo , ma non per ritornare alla do- mestica quiete. La sua patria avea viemaggior bisogno di lui. I Neri confinati alla Pieve avevano violato il con- fine , erano essi corsi tutti a Roma , dove eccitavano con maneggi la collera di Bonifacio ottavo contro i Bianchi. Ciò non era loro punto difficile specialmente a Corso Do- nati , cui il Pontefice proteggeva come un nobile e valente personaggio che fu un tempo a suoi servigi come gover- natore d' una delle città di Romagna. Inquieti de' pericoli crescenti del loro stato i Bianchi deliberarono di mandare pubblici oratori al Papa per pie- garlo a liberarli dalla scomunica contro di loro pronun- ziata. Abbenchè nessun istorico lo affermi , egli è certo aver Dante fatto parte di questa imbasciata. Arrivarono a Roma gli ambasciatori verso la fine di settembre i3oo, ne si sa come vi fossero accolti^ ma le cose che seguirono ci chiariscono come fallisse questa legazione il suo scopo, stando Bonifacio saldo nel suo divisamento. Ciò nulla meno non ebbe Dante a pentirsi d' essere an- dato a Roma. Fu quivi testimonio di un grande spettacolo, che ebbe senza dubbio molta influenza sul suo genio poe- tico. L'anno i3oo era quello del Giubileo instituito da Bonifacio ottavo : un' immensa folla di cristiani vi accor- reva da tutte le contrade d' Europa. In ogni via , in ogni angolo di Roma era un andare , un venire , un affollarsi continuo di chi arrivava e di chi partiva , tutti assorti ne- gli stessi pensieri , animati dalla stessa speranza , dalla stessa gioia. Spettacolo certamente più solenne e più caro che non le divisioni od i furori civili ! ne fu Dante viva- mente commosso ed appunto per consacrare l'epoca di que- sta sublime emozione stabilì l'anno i3oo per epoca della sua visione. 176 Ritornando a Firenze ebbe Dante a provare tntte le amarezze delle fazioni. Ptespinti i Bianchi da Bonifacio cer- carono in ogni maniera di afforzarsi , e stavano in sali' avviso mentre adopravansi di lusingare la fazione nemica. Richiamarono da Sarzana quelli della parte loro, che eranvi stati confinati sotto il priorato di Dante. Si collegarono sul cominciare dell'anno i3oi coi Bianchi di Lucca e di Pi- stoia per cacciare da queste due città i capi de' Neri. Ma per quanto si adoprassero erano tuttavia in forse sul de- stino dell' avvenire. Le minacce , e le pratiche del Ponte- fice loro stavano fitte in mente , e la fama di questo prin- cipe francese aspettato da' loro nemici come un vendicatore era per loro tanto più importuna, quanto più vaga e mi- steriosa. Passarono alcuni mesi senza che più si udisse a parlare di questo principe, e già mandavansi spie per assicurarsi del fatto , quando tutta la Toscana seppe , che egli avea finalmente passate le alpi ; e che egli approssimavasi. A questa nuova corsero a lui i Neri da tutte le parti , e lo scortarono fino a Roma. Carlo di Valois passando per Pistoia a poche miglia da Firenze non si era punto lasciato vedere in quest' ultima città ; la qual cosa insieme a tante altre parve funesto au- gurio ai Fiorentini. Adunossi pertanto il consiglio generale della repubblica per deliberai'c che cosa far si dovesse : aspetteranno essi ad opporsi all'uragano quando incomin- cierà ad imperversare ? 0 cercheranno piuttosto di allon- tanarlo mentre ancora sovrasta ? Non sappiamo quali fos- sero le sentenze dei deliberanti ; il fatto sta ch'essi furono in ciò d'accordo di mandare di nuovo ambasciadori a Bo- nifacio per assicurarlo un' altra volta della loro sommes- sione , e i-ispetto , e per scongiurarlo a non inviare Carlo di Valois a Firenze , mostrandogli che tutt' altri che il principe fi^ancese potrebbe arrecai-e la pace in Toscana. 177 Stabilito doversi inviare 1' imbasciata non facea d' uopo che sceglierne il capo. Dante, a quel die pare , fu ad ima- nimi voti prescielto a quest' uffizio , ed in questa occor- renza dicesi ch'egli abbia pronunziato quel noto ed altero detto — se io vo chi rimane , se io rimango chi va ? — Questo detto, che non trovasi in alcuno degli scrittori contemporanei di Dante potrà ben essere stato inventalo nel XV secolo da qualcuno degli ammiratori del nostro poeta , tuttavia tanto si confà col carattere, colle opinioni e coi tempi in cui vivea quegli cui ponsi in bocca, che sarebbe cosa molto più inverosimile il supporlo inventato, che tenerlo per istorico. Checché ne sia fu Dante uno de' tre che partìronsi in gran fretta per supplicare Bonifacio Vili a non inviare Carlo di Valois a Firenze. Erano essi ancora in viaggio , e già le sorti di Firenze erano decise. Nelle lunghe conferenze , che il Pontefice avea tenute col principe avealo messo a parte de' suoi disegni sulla Toscana , e tutto ^^a fra essi stal^ilito su questo punto. Una solenne bolla data ad Anagni addì otto di settembre i3oi dava al principe il titolo di Paciere della Toscana. Oltre a questa missione espressa in termini vaghi, generali, paterni egli avea ricevuti segretamente ordini più precisi. Il fatto ci mostrerà quali essi fossero. Giunti a Roma i Fiorentini ambasciadori vennero al co- spetto del Pontefice, che accolseli con tutte le apparenze di benevolenza, ma non volle ascoltare alcuna delle loro proposte , — lasciate far a me che non avrete a lagnarvi ; fidatevi a me ed ogni cosa andrà bene per tutti. — Que- ste furono le sue risposte. Ma astutamente oprando due ne rimandò a Firenze raccomandandogli di esortare gli altri alla confidenza, ed alla sommessione, e ritenne presso di se r^Uighieri. Egli rimandava a Firenze due uomini delioli ; ed ingannati , che non mancherebbero inculcando l'obbe- 178 dienza di ingannarne altri , e privava la signoria di Firenze di colui che avrebbe potuto suggerire e sostenere una coraggiosa risoluzione. D' altra parte affrettava la partenza di Carlo per la Toscana. In sui primi d'ottobre Cai'lo di Valois si partì da Roma prendendo la via di Firenze alla testa di un esercito di ottocento a mille cavalieri francesi capitanati da ragguar- devoli personaggi. Afforzavasi ogni di questa banda di nobili ed avventurieri italiani, che eransi procacciato nome di valorosi guerrieri, ed abili governatori come Mainardo da Susinana, e Gante de' Gabrielli d'Agubbio. Infine era nelle prime file di questo corteggio un tale la cui vista non poteva non destare infausti sospetti: esso era Gorso Donati capo della fazione de' Neri. Grescevano a ciascun passo che faceva verso Firenze questo piccol drappello , i timori e le incertezze dei fio- rentini, mettevasi ogni dì in campo la questione se si sa- rebbe o no ricevuto il principe francese nella città , né mai venivasi ad una deliberazione, ^filialmente inviaronsi messaggieri che lo incontrarono a Siena. Doveano essi spiare le intenzioni di lui , ed avvisarne la signoria di Firenze. Li rassicurò il pi-incipe dichiarando non voler egli altro che il bene de' fiorentini ; e dava per guai-entigia delle sue intenzioni pacifiche la fama dei reali di Francia, che come egli diceva non aveano mai tradita persona , fosse pure amica o nemica. Né solo prodigava bvione parole : indirizzava pure alla signoria alcune lettere munite del suo suggello, nelle quali prometteva apertamente , ch'egli avrebbe in tutto ri- spettate le leggi, la libertà, le costumanze fiorentine. A queste belle dimostrazioni la signoria, ed il popolo di Firenze già stanchi d'incertezze , e di timori abbando- nar onsi alla confidenza : fu stabilito , che Garlo sarebbe ricevuto , ed apprestaronsi a rendergli tutti gli onori , e fargli tutte le feste imaginabili. Il popolo andò ad incon- 179 trarlo , e lo accolse come avrebbe accolto im saKatore che egli stesso avesse chiamato in suo soccorso. E Carlo da parte sua corrispose a questa confidenza con ogni sorta di gentilezza. Entrò esso ed i suoi nella città disarmato , e Corso Donati che lo avea fin allora seguito parve allora lasciarlo: ritirossi ad Ognano, villaggio tre miglia al disopra di Firenze in sulla destra riva dell'Arno. Ebbe luogo questo solenne ingresso il dì d' Ognissanti. E questo giorno , ed i tre susseguenti passaronsi senza timore o sospetto alcuno , essendo gli animi de' fiorentini assorti in quella specie d' esaltazione , e di curiosa emo- zione , che siegue d'ordinario un grande imprevisto avve- nimento ; ma le conseguenze di questa occupazione non potevano farsi molto aspettare ; esse scoppiarono con tale rapidità da eccedere ogni espettazione. Il giorno cinque di novembre Carlo di Valois convocò nella chiesa di S. Maria Nuova il Podestà , i Priori , il Ve- scovo, i Capi delle arti , in una parola tutte le autorità ec- clesiastiche e civili di Firenze. Quivi, secondo i provvedi- menti fatti per legge ed invalsi per l'u^so, chiese la balìa, cioè un potere dittatorio , e dispotico a cui ricorrevasi negli imprevisti bisogni dello Stato. Accordarono senza consul- tare i congregati il richiesto potere , ed il principe giurò di mantener l'ordine nella repubblica , e di non attentare in alcuna maniera a' suoi diritti od alla sua libertà 5 ed ognuno uscì dall' assemblea contento. Ma non ancora il principe era ritornato alla sua abitazione d'oltre Arno, che già Fir-enze presentava un altro aspetto. I cavalieri del se- guito di Carlo , che fin allora eransi veduti senz' arme, comparvero armati di tutto punto come per entrar in bat- taglia. Da ogni banda escivano armati i partigiani de'Neri ed occupavano i soliti posti di difesa, e loro s'univano gli italiani che aveano seguito Carlo. Corso Donati con cento seguaci partivasi d'Ognano , e rompendo a colpi d'asta una 180 delle porte tli Firenze entraYa nella città , irapadronivasi di una chiesa, dove innalzava la sua bandiera come per segno di unione ai congiurati del suo partito. Al primo rumore di ostilità correva il popolo fiorentino all'armi , ma nessuno presentavasi a capitanarlo. I capi dei Bianchi, i Cerchi, pensando soltanto a se stessi oveano cer- cato di afforzarsi nelle loro case , ed aveano chiuse le o- recchie a tutte le voci del popolo. I Priori non erano tali da appigliarsi ad un coraggioso partito , e nessuno osava suggerirglielo. In tale stato di cose Corso Donati avea la meglio , e come uomo risoluto non lasciava sfuggu- l'occasione. Diggià molti de' suoi l' aveano raggiunto. Seguito da questi corre alle prigioni , e spalancate le porte ne tragge i ditenuti , che lo seguono armati di ciò che lor cade fra le mani. Egli li conduce al pubblico palazzo , e ne scaccia i Priori. Firenze allora senza governo , senza difensori presentava tutti gli orrori di una città presa d'assalto. Corre dall' u^n capo all'altro Corso Donati ce xando di sfogare il suo fu- rore. Egli persegue i Bianchi, occupa a forza le loro case, le saccheggia, le arde. Gl'infami che lo seguivano non a- vendo speziali nemici arrecano dovunque entrano la rovina e la strage. Dalla città spargesi il fuoco distruttore alla vicina campagna, e per otto giorni non elibervi in Firenze ed all'intorno, che guasti, incendi, stragi. Carlo di Valois avea vedute tutte queste cose, né avea cercato di porvi riparo , anzi tutto erasi fatto per suo con- senso , o per suo ordine. Forse non avea preveduto l' ec- cesso a cui sarebbe arrivato il partito trionfante de' Neri ; ma non si può dubitare , che fosse questo istesso trionfo che egli avesse disegnato, e che tutti i giuramenti di cer- care il bene generale dello Stato , e l'niteresse comune dei due partiti non fossero cose di già concertate ad inganno; ed egli non mancava di capacità per sostenere la parte sua. 181 Passati gli otto giorni quando i vincitori erano per così dire stanchi di dare il guasto alla città, furono eletti nuovi Priori trascielti fra i più ardenti de' Neri, ed un nuovo podestà, che fu Gante de' Gabrielli, che Garlo avca seco condotto da Roma , e che era suo intimo consigliero. Ap- pena i Neri ebbero le redini del governo promulgarono molte leggi , colle quali cercavano di opprimere il partito vinto. Una di queste leggi concedeva potere al podestà di rivocare ad esame i delitti commessi nello esercizio del priorato quantunque gli autori fossero già stati assolti. Era questa legge una terribile minaccia pei fiorentini, che aveano fatto resistenza alla missione di Garlo di Valois. Le cose erano a questo partito quando il cardinal d'Aqua- sparta, quello stesso che l'anno precedente erasi provato a riconciliare i Neri allora oppressi coi Bianchi che tenevano la signoria, ritornava a Firenze per tentare di riunire gli stessi partiti , che erano ora in una situazione al rovescio della prima. Da questo tentativo fi^eddamente intrapreso , ed in gran fretta non ne vennero che alcune particolari riconciliazioni , che non durarono lungo tempo. Carlo di Valois ritornò per qualche tempo a Roma ; certamente per consultare con Bonifacio Vili sul mezzo di finirla con queste due così ostinate fazioni. Fu d'avviso il pontefice doversi sbandir da Firenze tutti i Bianchi , ed il principe parti di nuovo per la Toscana con quest'ordine , che fu come gli altri fedelmente eseguito. Il giorno quattro di aprile i3o2 fu promulgato un bando generale contro i Bianchi , e senza indugio eseguito. Più di seicento ne e- scirono di Firenze , che si sparsero per tutta l'Italia. Ora per ritornare a Dante fa d'uopo in questa generale proscrizione del suo partito sciegliere ciò che più da vi- cino gli appartiene. Come già fu osservato Dante era stato ritenuto a Roma da Bonifacio VIII in occasione della seconda ambasciata 12 182 de' fiorentini al Pontefice. Egli non fi^i [iresente a tanti disastri , che aveano rovinata la patria , ne vidde l'empio tradimento di Carlo di Valois ; egli seppe queste cose per fama , e non è difficile il pensare che conoscendole non siasi data molta piemura di ritornare in una città, teatro di tante calamità. Egli era adunque ancora a Roma quando Carlo vi ritornò per intendersela definitivamente col Pon- tefice. Abbiamo di lui un sonetto non certamente de' suoi mi- aliori , in cui sembra in una maniera molto oscura allu- dere a questo viaggio ed in generale alla maniera con cui questo principe trattava i Bianchi. Se vedi gli occhi miei di pianger vaghi Per novella pietà che il cuor mi strugge, Per lei ti prego che da te non fugge Signor , che tu da tal piacere isvaghi. Con la tua dritta man -, cioè che paghi Chi la giustizia uccide, e poi rifugge Al gran tiramio del cui tosco sugge Ch'egli ha già sparto, e vuol che il mondo allaghi. Mentre così parlava di Bonifacio e di Carlo , Dante non sapeva ancora che gran male gli avrebbero cagionato : egli non era ancor proscritto. Soltanto verso la fine di gennaio i3o2 il governo de' Neri si appigliò alla legge promulgata contro que' fiorentini, che erano stati priori prima della venuta di Carlo di Valois. Caute de' Gabrielli , questo no- vello podestà creato dal principe francese, pronunziò una sentenza nella quale era menzionato Dante e Palmieri degli Altoviti, forse suo collega nel priorato. Il testo originale di questa sentenza ritrovato negli ar- chivi di Firenze fu più volte dato in luce, cosicché se ne conosce il contenuto. Dante, e tutti gli altri, che vi sono menzionati sono per voce pubblica accusati di due delitti 185 commessi nell'esercizio del priorato. Primieramente di es- sersi opposti alla missione di Carlo di Valois , in secondo luogo d'aver trafficato l'autorità loro , e d'essersene servili per illeciti guadagni. Ciascuno degli accusati è chiamato davanti al podestà fra lo spazio di qviaranta giorni, spi- ranti il dì dieci marzo seguente , e condannato a pagare una multa di otto m. lire. Se F accusato veniva in giudi- zio e pagava 1' amme 13^ ia era tuttavia condannato all'esilio per due anni fuori della Toscana, se non compariva, né pagava, incorreva nella pena della confisca di tutti i suoi beni, e dell'esilio perpetuo. Tutto ne induce a credere , che Dante fu subito fatte avvertito della sentenza contro di se pronunziata ; ma è probabile ch'egli non fosse in istato di pagare in sì breve tempo così grossa multa : non si sa se egli si maneggiasse per evitare il colpo , che lo minacciava , ma è certissimo eh' egli non uscì punto da Roma , e là stette in aspetta- zione degli eventi. Il giorno dieci di marzo , termine a Dante conceduto per l'esecuzione della prima sentenza, era scorso, e messer Gante de' Gabrielli nel medesimo giorno pronunziò un'altra sentenza mandando ad effetto tutto che aveagli minacciato nella precedente. Per questa novella condanna , Dante , e tredici altri cittadini furono dichiarati ribelli al comune di Firenze ; essi fìirono cacciati m perpetuo esilio , ed era la condanna in queste formali parole — che se per av- ventura alcuno di loro venuto fosse in potere del governo fiorentino il si dovesse bruciar vivo. Avuta contezza di questa nuova sentenza , Dante partissi subito per la * Toscana onde accertarsi se era la sua di- sgrazia senza rimedio. Giunto a Siena vi si fermò per aver nuove di Firenze. Furono peggiori di quello ch'egli aspi^t- tavasi. Cari® di Valois di ritorno da Roma eseguiva gli 184 ultimi ordini del pontefice per la pace di Firenze, e dava l'ultimo crollo alla fazione de' Bianchi. Un gentiluomo provenzale del seguito di Carloj, chiamato Pietro Ferrante, fìngendosi corrucciato contro il principe e risoluto di assassinarlo attirò facilmente nella sua simu- lata congiura alcuni giovani de' Bianchi : egli A'oUe da essi una promessa segnata colle proprie mani , la quale come ebbe ottenuta mise tosto nelle mani del principe. Levò Carlo per questo un gran rumore, fingesi acerba- mente incollerito pronunziando terribili minaccie contro i fiorentini , i quali ne furono sommamente spaventati, a queste minacce i Bianchi presero a fuggire da ogni banda ed i nobili, ed i ricchi erano i più presti. Allontanatasi la maggior parte Carlo li fé' chiamare al suo cospetto, e condannare come imbelli per non esser comparsi. I beni ne furono pubblicati, e smantellate le loro case di città e di campagna. Ne ebbero la meglio quelli che più confidenti, o co- raggiosi non furono così pronti alla fuga. Chiamati in giu- dizio, e comparendovi furono come gli alti-i esiliati ed i beni loro presi e devastati. Il numero de' proscritti fu di seicento senza le donne ed i fanciulli. Il guadagno del fìsco fìi enorme ; Carlo di Valois n'ebbe per sua parte venti- cinque mille fiorini d'oro : e suggellò così la sua missione di paciere in Toscana. Benché Dante fosse già stato condannato venti giorni da pi-ima , fu tuttavia compreso in questa generale pro- scrizione de' Bianchi. Fu come i complici di Ferrante chiamato al cospetto di Carlo , e condannato per non es- sere comparso. Allora fu saccheggiata , ed atterrata la sua bella casa in Firenze , e devastate le possessioni che avea fuori, allora fu decisa la sorte di lui: egli era proscritto rovinato del tutto. Quali fossero le angosce del nostro poeta pensi chi ha 185 cuore in petto. Erano solo dieci anni che erasi ammogliato ed avea già cinque figliuoli , de' quali il primo chiamato Iacopo non poteva avere più di nove anni , e l'ultimo era una bambina ancor lattante nomata Beatrice, come per con- sacrare le rimembranze di questo caro nome. Egli dovea abbandonarli quando aveano maggior bisogno di lui, esposti a mancar di pane non avendo più per egida, che la de- bole loro madre. Egli lasciava bensì a Firenze un giovin nipote chiamato Francesco, solo parente che gli rimanesse, ma egli non era ricco né poteva rendere grandi servigi a suoi piccoli cugini. Una cosa, che più dovette affliggerlo nell'esilio si fii di non avervi per compagni, che gente che egli abbominava e credeva falsi e bugiardi. Fra tanti non ve ne fu un solo che gli fosse amico. Eranvi però alcuni cui egli era legato per interesse, p. e. Maso Cavalcanti, parente del suo amico. Guido , Lappo Saltarello suo predecessore nel priorato e Giachotto Malaspini , nipote e continuatore di Ricordano autore di una cronaca che è uno de' più antichi monu- menti dell'italiana letteratura. A questi possiamo aggiungere Petracco di Parenzo , uno de' segretari della repubblica , e padre di Francesco Petrarca. Qualunque opinione egli a- vesse de' suoi compagni vi si unì, e seco loro divise le sorti dell'esilio. Vedendosi in gran numero i Bianchi esiliati sicuri di trovare un appoggio nei Bianchi di Pistoia, nei Ghibellini d'Arezzo , di Siena , di Pisa , ed in quelli che in diversi luoghi del territorio fiorentino serbavansi fermi nelle loro fortezze , non esitarono ad intraprendere ed incominciare la guerra contro i Neri , che vincitori aveano la signoria di Firenze. Il primo assembramento ebbe luogo a Ger- gonza, castello fra le montagne dei confini di Siena e di Arezzo , quivi si ordinarono ed adottarono un governo. Avea questo qualche analogia con quello di Firenze. 186 Eia composto di due consigli 1' uno chiamalo il consiglio dei dodici , l'altro consiglio secreto. Dante fu uno del con- siglio dei dodici. Fu creato generale dell'esercito il conte Alessandro Ro- mena, personaggio allor celebre fra i Ghibellini della To- scana della famiglia degli antichi conti Guidi, Il governo dei Bianchi pose sua sede in Arezzo , dalla quale città po- ieva più facilmente intendersi cogli Ubaldini e coi Ghibel- lini di Val d'Arno coi quali aveano fatta alleanza. I Neri dalla lor parte apprestavansi a far resistenza, la guerra stava per ricominciare in Toscana, ed accanita e funesta come la prima lotta fra i Guelfi ed i Ghibellini. I Bianchi ed i Neri non potevano combattere se non can- giando d'opinione e di partito , abbracciando cioè ciascuno dalla parte loro sentimenti opposti a quelli che fino allora aveano avuti. Cercando i Guelfi popolari ossia i Bianchi un appoggio nei Ghibellini, guerreggiavano per l'antico in- teresse della nobiltà , e del feudalismo, E i Guelfi aristo- cratici ossia i Neri se voleano difendersi dai Bianchi facea d'uopo da volere o no cedere alle popolari influenze. I due partiti pertanto aveano cangiato d'opinione e di bandiera, gl'uni per conservarsi quella signoria , che aveansi usur- pata , gì' altri per la speranza di riacquistare il perduto potere. Indarno tentò Bonifacio di impedir questa guerra di cui egli era l'autore : egli non potè che sospenderla per poco tempo. Era allora podestà di Arezzo Uguccione della Fa- giuola Ghibellino dichiarato , e celebre dipoi per il dominio di Lucca, e per le vittorie, ch'egli riportò de' fioi^entini, il quale per non so quale offesa fatta alla chiesa era stato scomunicato da Bonifacio "Vili. Il papa cominciò coli' as- solverlo bellamente dalla sconmnica , e gli fece promettere pe' suoi agenti , che avrebbe creato uno de' suoi figliuoli Cardinale : dopo di che pregollo di cercare in tutte le ma- 187 niere , che a lui fossero possibili di scacciare da Arezzo i Bianchi , che aveanvi stabilito la sede formale. Obbedì Uguccione e di tal maniera tormentò i refugiati che furon costretti a sloggiare. Si dispei'sero allora per diverse parti: gli imi stabilironsi a Siena , gli altri a Pistoia , la maggior paile a Forlì. Dante fu fra questi ultimi , e questa io credo fu la prima volta che mise il piede negli stati di Romagna. Stabilitisi a Forlì i Bianchi , ch'io chiamerò d'ora in poi Bianchi ghibellini , per indicar Tunione di due partiti in un solo , incominciarono la guerra con un esercito di quattro mila fanti , e duecento cavalli. Io non racconterò questa guerra distesamente^ solo atterrommi ad alcuna par- ticolare incidenza che legasi colla vita di Dante. Toccarono i Bianchi ghibellini nel loro primo impeto una sconfitta. Avendo essi assediata la fortezza di Pulciano situata sul colle della Siene chiamato Mugello , furono ob- bligati a fuggirsi all'appressarsi del nemico, e lasciaronvi diecisette prigionieri. Di questi sette appartenevano alle più distinte famiglie di Fii-enze , gì' altri erano d' oscura nascita. I vincitori fecergli tutti decapitare, dando così un inaudito esempio di crudeltà alla Toscana. Il tradimento di Carlino de' Pazzi è eziandio un episodio di questa malaugurata guerra. Era questi uno de' Bianchi cui i capi del partito ave ano dato in guardia ima fortezza in Val d'Arno chiamata il castello di Pianotravigne ; era questo castello come un salvaguardia, ed i Bianchi ghi- bellini facevano di là frequenti escursioni sul territorio di Firenze. I Neri mandaronvi soldati che l'assediarono per un mese senza poterla occupare j e già erano per i-itirarsi , lorchè Carlino gli vendè la fortezza , e diede loro nelle mani gli assediati , dei quali una buona parte fu stran- golata , gli altri condotti prigionieri. Dante non obI>liò questo infame tradimento; noi troviamo Carlino de' Pazzi 188 in uno de' più orribili cerchi deiriùfcrno , e già siamo pre- parati a questa giustizia poetica. Ne questi soli erano i vantaggi de' fiorentini ; occupa- rono essi ne' gioghi dell' Appennino molte castella degli Ubaldini , de' Gherardini , e di altri vecchi capi ghibellini feudatari della contrada , devastarono dappertutto le loro terre , e menarono molti vassalli ; di maniera , che questa guerra presentava come tutte le altre del popolo fiorentino contro i Ghibellini l'aspetto di una lotta della democrazia contro la feudalità. Traditi i Bianchi ghibellini e senza buon reggimento più non potevano continuare la guerra , quando la fortuna venne in loro soccorso. L' implacabile e possente loro nemico Bonifacio YIII morì addì ii ottobre i3o3, e gli succedette Benedetto XI, nemico questi delle fazioni , cercò come è dover d'un pon- tefice di riconciliar quelle di Fn^enze e della Toscana; ed in questo mentre egli prese con tutto l'animo a proteg- gere la più debole contro la più forte. Inviò egli pertanto a Firenze il cardinal di Prato affinchè s' adoprasse per richiamarvi i Bianchi , ed introdur la ri- forma nel governo , cosicché gli uni e gli altri avessero parte agli onori. Ebbe giunto a Firenze il cardinale gra- tissima accoglienza dal popolo, che più amava i Bianchi, che i Neri. Egli ottenne perciò alla barba di questi ul- timi il potere necessario per adempiere la sua missione. D'altra parte egli intesela co' Bianchi che erano ritornati in Arezzo , i quali dledergli autorità a trattare la pace , e la riforma anche da parte loro. Fu dato l' incarico dagli esiliati di trattar cpiesta cosa col Cardinale a molti com- missari, di cui la storia non fa menzione che di due ; ru.no fu Dante, l'altro Petracco di Parenzo, padre di Pe- trarca, compagno d'esilio del nostro poeta. Die mano il Cardinale alla riconclUazione de' partiti , ed 189 alla riforma del governo ; e queste riforme furono tutte in favore de' popolari , e perciò odiose ai capi de' Neri , che come noi sappiamo appartenevano alle più nobili famiglie di Firenze. E difatto era per essi cosa troppo grave il contentai^si ad un rivolgimento democratico, ed al ritorno de' loro nemici : tanto essi perciò s' adoprarono colle loro segrete pratiche , coi loro intrighi , colle loro minacce , che ruppero i fili della trama del Cardinale. Egli partissi sdegnato sui primi di giugno i3o4 senza aver condotto a fine cosa alcuna , e ritornossene a Perosa , dove era allora Benedetto XI, lasciandp Firenze interdetta. Appena erasi egli allontanato da Firenze , che spavente- voli disordini scoppiarono in quella città. Quegli che aveano sperata la pace non perdonavanla a quelli, che l'aveano im- pedita. Incominciasi una zuffa fra i più inquieti dei due partiti; in pochi istanti tutto il popolo prese le armi, riempiè tutte le strade , e le piazze. I Neri stretti da tutte le parti dal numero ognor crescente de' loro nemici erano pressoché vinti , quando un incendio ancor più terribile , che il com- battimento di cui seguiva le traccio ed il tumulto, scaccia rapidamente i combattenti, e li disperde. Erano autori di questo incendio i Neri , i quali abbiso- gnando di una diversione aveano immaginato questa. Durò otto giorni il fuoco, e distrusse quasi due mila case. I fautori de' Bianchi esterrefatti non pensarono più a com- battere , ne lasciarongli il tempo di destarsi dal loro stu- pore i Neri; furono tutti insieme condannati , ed andarono ad unirsi nell'esilio a coloro che aveano voluto richiamare. Questo fu il risultato della pacifica missione del Cardinale di Prato. Ma questa volta almeno non era il legato del pontefice che avesse arrecata la guerra e la proscrizione a Firenze. Informato Benedetto XI. di questi tristi casi , ne fu al sommo addolorato. Chiamò i primi capi de' Neri a ren- 190 der conto dei loro portamenti; furono cosi forti i suoi or- dini che non osarono opporvisi , e partirono tosto per Pe- rosa dove era il Pontefice. Il Cardinale di Prato stimando potersi adoperare la frode per sostegno del più debole contro il più forte , appena ebbe contezza che i capi de' Neri eransi partiti da Fi- renze, ne die avviso ai Bianchi Ghibellini d'Arezzo, esor- tandoli ad impadronirsi di Firenze mentre ne erano as- senti i Neri. I Bianchi senza perder tempo mossero in- sieme segretamente quanti poterono , ed in due giorni aveano essi assembrato nove mila fanti e seicento cavalli. Il giorno appresso in suU' imbrunire erano giunti a Tre- spiano ed a Lastra alle porte di Firenze , senza che si fosse avuto nella città sentore di questo avvicinarsi. Volle la mala fortuna loro eh' essi quivi passassero la notte aspettando aiuti che non giunsero, ed ebbero così i Fiorentini campo a mettersi in sidle difese: non si sa- rebbe trovata persona che avesse prese le armi contro de' Bianchi, ma temevansi i loro alleati i Ghibellini, ed eransi allestiti a difendersi. Tuttavia venuto il mattino seguendo gli esiliati il loro divisamento lasciarono parte delle forze a Lastra, villag- gio a due miglia da Firenze sulla via di Bologna, vennero sotto le mura della città , impadronironsi non senza molte diflicoltà di una delle porte , ed entrati andai'onsi a met- tere in ordine di battaglia sulla più vicina piazza. Di là mandarono avanti la vanguardia per conoscere come la pensassero i Fiorentini. Questa frotta trovò resistenza , e fu messa in fuga. Molto esagerata arrivò a Lastra la fama di questa disfatta , e cpegli , che quivi rimaneano diersi precipitosamente alla fuga. Il nerbo delle forze degli esi- liati già sfiduciato per la prima rotta perde ogni speranza quando riseppe la ritirata precipitosa di que' di Lastra. Tutto congiurava contro di essi. Correva allora il mese 191 di luglio; accampati in aperta campagna, saettati dai co- centi raggi del sole , arsi dalla sete, sbardavansi senza nulla osare neppur di difendere la vita loro. Parecclii furono presi, e neppur uno sarebbe scampato se fossero stati ga- gliardamente inseguiti. Dante facea parte di questa spedizione , e certamente ebbe a patire quanto soffrirono gli altri. Ma non il mal- augurato successo, l'onta fu che cagionogli maggiore ama- rezza, e disdegno. E di fatto non mai alcuna sì bella oc- casione fu lasciata sfuggire per sì cattivo maneggio. Già adirato coi capi della parte sua , egli non perdonò loro questa disfatta. Pigliò egli allora la risoluzione di abban- donarli , e di starsene da solo , e di cercare il ritorno in patria altramente che colla forza e colla guerra. Dal mese di giugno i3o4 al mese d'aprile iSo'y pres- soché per tre anni scompare egli affatto dalla storia delle fazioni del suo tempo , ed appena si conosce che di lui fosse in questo intervallo. Malgrado la toccata sconfitta i Bianchi -Ghibellini, aiu- tati da Ghibellini d'Arezzo e da Bianchi di Pistoia non Qveano già cessata la guerra contro i Neri di Firenze , al- leati con quelli di Lucca. Ma la fortuna continuò a mo- strarsi loro avversa. Addì 2'y di luglio i3o4 Papa Bene- detto XI. loro sostegno moriva di veleno, e stimavasi co- munemente la morte di lui come una vendetta de' Neri. Clemente V. che gli succedeva trasportò la Sede Pontificia ad Avignone , dove più non avea ne le stesse ragioni , né le stesse comodità per prender parte nelle fazioni della Toscana. Da questi eventi incoraggiata la parte Nera di Firenze e di Lucca , credette poter tentare qualche cosa di più , che semplici scorrerie od espugnazioni di piccole castella nelle più selvaggie parti di Val d' Arno o di Mugello. E dìfatto al principiare di maggio i3o5 cingevano d' assedio 192 Pistoia, oramai la sola città della Toscana dove avessero il comando i Bianchi. A questa nuova il Papa mandava tostamente legati in Toscana per acquetar le fazioni od almeno far levare l'as- sedio da Pistoia , ma questa legazione era andata a vuoto per gli intrighi de' Neri. Allora Clemente inviò in To- scana come paciere il Cardinale Napoleone Orsini stimato più abile de' primi. Ma questa legazione fu punto più della prima felice , conciossiachè non solo non vollero i Neri ascoltarlo , ma Pistoia fu sotto gli occhi suoi medesimi espugnata. Il Cardinale ritirossi a Bologna , da cui fu ben tosto per le pratiche de' Neri sforzato a partire. Egli al- lora passò in Romagna , e scomunicò tutti i Neri , e fina- mente non avendo alcun effetto la scomunica, nel mese di aprile 1807 andossene ad Arezzo per mettervi in piedi un esercito e far guerra a Firenze. I Bianchi Ghibellini furono i primi ad unirsi a lui, e con essi Dante riprese il primo suo posto di consigliere e capitano. L' esercito messo in arme dal Cardinale Orsini contro i Neri di Firenze e di Lucca era molto numeroso, ne mancava di coraggio , ma per l' ignoranza e la mollezza de' conduttori fu messo in fuga senza aver fatta cosa al- cuna ne pel Papa , ne per le fazioni che il componevano. Dante vedendosi nuovamente deluso nelle sue speranze ab- bandonò di nuovo i suoi e ritirossi nella Lunigiana , dove fu con grandissimo onore raccolto dal Marchese Morello Malaspina. Mentre Dante lavorava presso i Malaspina attorno al suo poema, grandi avvenimenti si maturavano al di là delle Alpi, che lo avrebbero gettato ben lungi dalla poesia tra tutte le turbolenze e le incertezze della politica. L' Imperadore Alberto d' Austria fu assassinato il primo di maggio dell' anno i3o8 da Giovanni suo nipote , e il 195 27 novembre dello stesso anno Arrigo Conte del Liissem- bui'go fu col nome di Arrigo settimo proclamato Re dei Romani. Nel mese di agosto dell' anno seguente il nuovo Imperatore avendo convocato a Spira gli Stati generali della Germania^ aperse la solenne sua risoluzione di scendere in Italia per ricevervi la corona e ristabilirvi l'ordine. Fer- mata questa discesa , diedesi a far provvisioni per man- darla ad effetto nell' anno seguente. Il solo annunzio di una tale risoluzione dovea essere e fu per l' Italia un grande avvenimento. Erano già scorsi 6o anni dacché gì' Italiani non aveano fra di loro veduto alcun principe allemanno investito del titolo d'Imperatore, e tutto in Italia erasi passato come se più non fessevi stato impero. Le fazioni italiane aveano proseguite le antiche loro pratiche colle sole forze loro senza temer o sperar cosa alcuna dall' impellale intervento. La venuta in Italia di un Imperatore seguito da im esercito straniero dovea cangiare l' aspetto della lor lotta. Guidati da imo straniero , e dallo stesso aiutati i Ghi- bellini avrebbero guerreggiato per mantenere o riacquistare i lor privilegi. E contro uno straniero i Guelfi sarebbero obbUgati a difendere la libertà che essi aveansi nel volger di più di due secoli acquistata. Ciascuna parte apparec- chiossi a questo cangiamento, e già prima che Arrigo n.» si mettesse in cammino tutta l'Italia vivea in una perples- sità e movimento straordinario. Il nostro poeta fino al giorno in cui fu esiliato avea parteggiato pei Guelfi , ed era stato de' primi , ma nel suo esilio r ardore di parte avea cominciato a raffreddarsi , ed in questo tempo già quasi la pensava da Ghibellino. Tut- tavia tutto ciò che sappiamo dalla sua vita dal i3o2 al i3io si prova non averlo in alcuna maniera dimostrato nella sua condotta. Egli non avea perduto affatto la spe- ranza di essere richiamato dall' esilio , e perciò egli avea 194 saputo raggirarsi per non romperla colla parte nera di Firenze. Solo al rumore della prossima calata di Arrigo «y.** e per la prodigiosa mutazione di pensare cagionata in Italia da questa novella , noi veggiamo Dante dichiararsi acremente e senza alcun riguardo Ghibellino e Ghibellino per la vita, a tal segno che appena trovava la sua fantasia tei^mini che potessei'O esprimere ciò che egli pensava. Scrisse in questo tempo una lettera in volgare , indiriz- zandosi a tutti i domimi ed a tutti i popoli italiani per esortargli a ricevere come si conveniva 1' Imperatore , il liberatore che approssimavasi. Questa lettera è da un capo air altro un ditirambo , nel quale egli servesi di metafore, di immagini, di figure scritturali ; poiché Virgilio e gli altri autori latini erano troppo deboli per somministrargli le espressioni che gli abbisognavano per una tale occor- renza Quand'anche Arrigo -y." fosse stato il più grande e pii^i potente fra gli uomini, avi^ebbe durato fatica a compiile sì grandi speranze. Arrigo "y." però non era che un principe di buone intenzioni, mediocre in ogni cosa, e che erasi lasciato affascinare dal nome e dai diritti dell' impero ro- mano sull'Italia moderna. Egli vi comparve sullo scorcio di ottobre i3io. Da Susa recossi a Torino, da Torino a Ge- nova^ a Mdano, a Pisa e fa per lui questo viaggio un trionfo. Fu dovunque egli passò accolto con gran rispetto , e dappertutto egli esercitò senza ostacoli il suo potere: fece richiamare tutti gli esiliati di qualunque fazione essi fos- sero, ed in ciascuna città lasciò un Vicario imperiale, che avea il. supremo comando su tutti i magistrati dello stato. Arrivato in sul chiudersi dell'anno a Milano, quivi fer- mossi per alcun tempo per farvisi incoronare re d' Italia e deliberare co' suoi partigiani che da ogni banda accor- revano su di ciò che rimanevagli a fare. 195 I piccoli despoti che aveansi usurpata la signoria delle città loro, vennero per ottenere in conferma della loro usur- pazione imperiali diplomi. I vecclii capi de' Ghibellini ven- nero ad assoldarsi sotto le di lui bandiere , sicuri questa volta di riacquistare gli onori e le lor perdute castella. Quasi tutte le città di Lombardia e della marca di Verona in- viarongli ambasciatori per assicurarlo della lor sommes- sione. Gli esiliati fiorentini vennero ad unirsi agli altri , e Dante che erasi fatto come precursore di questo nuovo salvatore , non tardò meno a rendergli omaggio. Egli ebbe con Arrigo un abbocamento , dopo del quale certamente per non istarsi confuso con la folla, che circondava 1' Im- peratore , prese la via della Toscana , ed arrestossi appiè degli Appennini ove ha la sorgente 1' Arno , aspettando il passaggio di questo liberatore , che dovea ricondurlo in pa- tria , neppur per sogno pensando alla infausta sorte che toccò ad Arrigo. Fu questi nel mese di gennaio 1 3 1 1 incoronato Re di Italia nella chiesa di S. Ambrogio in Milano , aspettando il momento propizio di farsi coronare a Roma. Ma egli trovò avversari che gli fecero peincoloso il viaggio. Le città guelfe d' Italia riunite sotto Roberto di Napoli pre- paravansi ad opporgli resistenza; e cpielle della Toscana, come di Romagna aveano conchiusa una formidabile lega che dovea rompere 1' orgoglio allemanno. Neir alta Italia però la parte Guelfa era meno forte , poiché solo Padova ed Alessandria aveano negato di sot- tomettersi ad Arrigo: ma l'oro ed i maneggi de' Fioren- tini portarono ben tosto la rivolta nelle città che parteg- giavano per r Imperatore. Lodi, Cremona e Brescia furono le prime a rivoltarsi, e Milano , Pavia , Piacenza e molte altre non aspettavano che il momento propizio per seguirne l'esempio. Questo nuovo Imperatore perciò , questo politico , civile salvatore 196 dell' Italia sul principio così ben accolto , era obbligato a fare dovunque passava atti di rigore che lo rendevano mag- giormente odioso. I suoi disegni erano diggià interrotti, ed invece di recarsi con magnifico apparato a ricevere la co- rona a Roma, era obbligato a percoiTcre armato la Lom- bardia per sottometterne i rivoltati popoli. Inqviieto e rattristato Dante per questi successi , scrisse ad Arrigo una lettera per dimostrargli la necessità di rivol- gere le sue ai^mi contro Firenze : non sappiamo se questa lettera arrivasse all' Imperatore ; ma è però cosa certa eh' egli non cangiò divisamente , ne volle intraprendere cosa alcuna contro la Toscana , prima di aver sottomessa la Lombardia. Passaronsi sei intieri mesi in queste guerre. S' impadronì senza durar fatica di Cremona che trattò ma- lamente smantellandone le mura , privandola di ogni pri- vilegio e della libertà, imponendogli 1' enorme tributo di cento mila fiorini d' oro ; assediò Brescia , che espugnò eziandio dopo lunghe fatiche e grandi perdite; sottomise Piacenza e Pavia , dopo le quali vittorie stimandosi pa- drone di tutto il paese , lasciò in tutte le città piccoli ti- ranni che da lui avevano ricevuto il diritto di opprimerle. Parti di poi per Genova per recarsi remigando a Pisa , città che gli era devota ; da Pisa egli disegnava andar- sene a Roma , ricevervi la corona , e ritornar quindi a sottomettere la Toscana. La prospera fortuna che seguitava Arrigo in Lombardia avea messo la costernazione nei fiorentini. Volendosi me- glio apparecchiare a sostenere l' impeto dell'Imperatore , presero il partito di richiamare in patria tutti gli esiliati. Ma i signori di Firenze essendo della parte Nera non vol- lero ricevere i capi de' Bianchi. Baldo d'Aguglione uno de' Priori nemico personale di Dante e di altri esiliati , chia- mato da uno degli antichi chiosatori di Dante il gran cane , pubblicò un decreto o come chiamavanlo una prov- i9r YÌgioae, nella quale perraettcYano ili rientrare in Firenze a quelli che non erano nominati in una particolare lista, che gli si aggiungeva. In questa il nome di Dante non fu certamente obbliato, e cosi era per la quarta, o quinta volta confermata la prima sentenza di esilio pronunziata contro di lui. Dante non fu molto angustiato per questo successo , e sapendo che Arrigo era in cammino per Pisa, andò colà ad unirsi a tutti quei della Romagna , e di Toscana che parteggiavano per l' imperatore. Poco tempo fermossi Arrigo a Pisa, e seguito dalla mag- gior parte degli esiliati che da ogni banda erano accorsi a lui partì per Roma, per ogni dove trovando avversali ed ostacoli. Gli fu d'uopo combattere per entrare in Roma, combattere per trovarvi un palagio per stanziarvi, com- battere per trovare una chiesa per la consecrazione , ed appena ricevuta la corona ritirarsi in gran fretta da fug- giasco piuttosto che da re. Nel mese di agosto i3i2 arrivò ad Arezzo dove fer- mossi qualche giorno per deliberare sulle cose di Firenze. Addi 19 settembre era sotto le mura di questa città: ma non permettendogli le sue forze di assediarla formalmente concentrò i suoi in un sol punto , piuttosto deliberato di aspettare gì' avvenimenti , che di tentar cosa alcuna. I fiorentini erano molto superiori di forze all' Impera- dore , perciò dopo di avere questi inutilmente atteso qua- ranta giorni, ritirossi a Poggibonzi castello de' Fiorentini sulla via di Siena. Dante non ebbe il dispiacere di veder la litirata di Arrigo ; egli non era fra il numero de' seguaci dell' Im- peratore, e solo per l'amor della patria non avea voluto esserne spettatore dell' assedio. Ma per ritornare ad Arrigo egli scapitava ogni giorno di forza, e potere. La Toscana aon avea mostrato di te- i3 198 merlo : la Lombardia érasi di nuovo rivoltata , ed il re di Napoli cresceva giornalmente in favore presso gli Italiani. Non sapendo che farsi di meglio Arrigo nell' inverno che passò a Poggibonzi institui un processo contro i Guelfi di Firenze, che egli fece condannare come ribelli contro l'impero. Più di seicento furono condannati come contu- ' maci , né alcuna cosa ne seppero , o se il seppero non si curarono di questa condanna. Passò Arrigo da Poggibonzi a Pisa per metter-e in arme un esercito, e marciar contro Napoli. Partì per questa spe- dizione il 7 agosto; ma già languente e corrucciato cadde ammalato per via, e il 24 agosto ioi3 morì a Buon Con- vento , a poche miglia da Siena sul cammino di Roma . . 199 P*' 0 T a Z ! A DEL TRATTATO INEDITO DI ARCHITETTURA SCRITTO WEL 1 4^0 BA ANTONIO AVERLINO FIORENTINO detto FILAKE'IE. Di questo trattato se n' hanno copie a Milano, a Roma, a Venezia; una ne esìsteva a Siena, e quella sulla quale io compilai questa notizia è della biblioteca di S. E. il cav. Cesare Saluzzo, alla di cui somma gentilezza io vado debitore si dell'aver conosciuti questi libri, che della fa- coltà di stenderne questi estratti; questa copia è tratta dal codice cartaceo della Magliabechiana segnato numero 3o , classe XVII , palchetto i , il quale è con ogni probabilità lo stesso autografo. L'autore dichiarasi da se stesso nella dedica al magnifico Piero de' Medici, ove parlando dell'opera sua dice : Come si sia pigliala non come da Vetruvio né dalli altri degni architetti ma come dal tuo Filareto Architetto Antonio Averlino Fiorentino ecc. , ma essendo stato a' tempi suoi conosciuto sotto il cognome solo di Filarete , ne nacque l'equivoco dell' editor Torinese del Baldinucci che aggiunse la vita dell' Averlino a quella del Filarete, facendo poi le meraviglie come a questi due coetanei artefici si attribuis- sero gli stessi edifici e lo stesso manoscritto. — D' onde vengagli simil cognome , ignorasi ; egli scrisse nel 1 460 , 200 come è notato nel libro XIV, ed allora ti-otarasi in Mi- lano trattenutovi dal Duca Francesco Sforza ; v' è dunque motivo a credere che la dedica al De' Medici ei 1' abbia aggiunta dopo di essere rimpatriato, essendo chiaro che l'opera tutta è per tal modo composta e scritta che non ad altri che allo Sforza poteva decentemente venire inti- tolata, perchè il Filarete (precedendo in ciò di sett'anni il Colonna) divide il suo trattato in 2 5 libri, che sono quasi altrettanti canti di un poema, dico solo per l'ordi- tura , e di questi ne è lo Sforza 1' eroe principale , sopra tutto al libro XIV nel quale finge l'autore che in un an- tico libro , trovato sotterra in una cassa , narrinsi le gesta di quell'eroe, e la descrizione intiera della città che già ivi esisteva, e dalla quale prende norma il Filarete per la disposizione e le parti della sua Sforzinda, che così volle chiamare la città da se ideata. Del nostro autore parlano il Mazzucchelli , il Tiraboschi ed il conte Carrara. Vasari che ne vidde il manoscritto , giudicoUo cosa ridicola ed estremamente sciocca, ma il Cicognara ( il di cui giudizio e dottrina era di tanto su- periore a quello del Vasari) dopo ripetute le parole del biografo Aretino aggiunge : ma il discredito maggiore di questo libro lo ha fatto V oscurità in cui lo ha lasciato la stampa che nel moltiplicare infinite opere, anche di una clas- se ijferiore, lasciò inonorata e sepolta questa produzione che mai non fu tratta a pascere il desiderio degli ama- tori di tali studi. Era il Filarete cattivo scultore ma ottimo architetto, e parmi che il Vasari con chi lo seguì, abbiano posto mente piuttosto alla prima qualità che alla seconda; non ha egli la vasta e qualche volta inopportuna dottrina del celebre suo contemporaneo L. B. Alberti, ma ei di- stese un trattato d' architettura, e, valga il vero, nella pratica dell'arte sua si dimostra molto più versato che lo j Alberti non sia. — La Veneta bibhoteca de' ss. Giovanni SOI e Paolo conserya la copia stessa die Antonio Bonfini tra- dusse in latino per comando del gran re Mattia Corvino, e nel catalogo de' codici di quella biblioteca ne riporta le due dediche il Berardelli. — L'esame dei venticinque libri del Filarete , io lo stenderò a modo di indice delle cose principali, notandovi special- mente quanto si riferisce alla storia delle arti di quel secolo. LIBRO I. Dopo la prefazione ed un cenno circa le opere di Vi- truvio e dell'Alberti, dice che il suo trattato sarà diviso in tre parti, nella prima delle quali parlerà delle misure e dei modi del fabbricare : nella seconda della distribu- zione di una città : nella terza della forma di alcuni antichi edifici e di altri da lui stesso inventati. Ritrae le propor- zioni degli ordini da quelle dell'uomo ; tralascia la geometria rimandandone gli studiosi ad Euclide ed a Campano da J^igevano che lo comentò *i ; e siccome ad ogni edificio aggiunge le misure , cosi avverte che servesi del braccio di Milano ( metri o,5865 ). Tra i ruderi di Roma , fa menzione delle Terme di Diocleziano , del Tempio della Pace al quale rimaneva solo una colonna *2 : del Teatro di Pompeo nota che poche grotte se ne vedevano a Campo di Fiore : indica le Terme di Tito , che allora dicevansi le Capoccie , ove vedevasi un vaso di pietra ( forse un labrum) che aveva di circonferenza circa 3q braccia. Parla dell'origine dell'architettura , mettendone per tipo la vieta capanna Vitruviana. '*! E questa forse la prima notizia che abbiasi del luogo nativo di Campano: poteva chiamarsi Novarese essendo allora Vigevano parte di quella diocesi. *2 Ora sulla piazza di S. Maria Maggiore. 202 LIBRO II. Discorre a lungo della diligenza e degli studi necessari air architetto e della varia qualità degli edifici. Venendo quindi a dare l'idea d'una città ne chiama Averliano il disegno , ed alla città dà il nome di Sforzinda ad onore del Duca Francesco Maria : il perimetro ha la figura di due quadrati iscritti in un circolo , essendovi una porta ad ognuno degli otto angoli ottusi ; il diametro lo fissa a braccia 3'y5. Aggiunge una descrizione topografica di quel paese ideale , in stile molto simile a quello usato da Fra Francesco Colonna nella Hipnerotomachia , quantunque la lingua sua e la frase siano sempre umili e volgari , e troppo lontane dalle stranezze del Colonna. LIBRO 111. Parla della calcina , per far la quale loda i ciottoli dell' Adda , e quelli del lago presso Anghiera , come pvu^e il travertino ed 'il marmo bianco, come usava a Roma far le calcare con statue antiche ; del sabbione , dei mattoni ; aggiunge che il marmo bianco a Firenze andava da Car- rara ; parla de' mischi , graniti e pietre fine ; de' ferramenti e de' legnami , e di nuovo del sito della città Sforzinda. LIBRO IV. Del tempo di gettare le fondamenta di ima città giusta le regole astrologiche ; si dà principio alle mura della Sfor- zinda, che sono in gallerie, e munite agli angoli da tor- rioni rotondi. LIBRO V. Varia figura ditoiTÌ: piante delle fondamenta delle porte: descrizione e misure di ogni parte del recinto : nomi delle 205 porte presi da quelli degli Sforzeschi, come Philisfoma , Sforzoma , Lodosfoma , Scanisfoma ecc. LIBRO VI. Comincia questo libro dal parlarvisi del famoso laberinto di Chiusi, che secondo i moderni eruditi, non ha mai esi- stito , quindi della scarpa delle torri della sua città, delle porte a tre ingressi , della pianta universale del castello a foggia di laberinto , e vi unisce il disegno di una di quelle torri che chiamavano Battlfredi o Belfredi, alta ben 365 braccia , e la intiera pianta della Sforzinda : al castello poi dà nome di Galisforma in onore del giovane Galeazzo Maria; e gli artisti chiamativi a lavorare erano Donatello, Luca (della Robbia) , Agostino ed Ottaviano fratelli , De- siderio (da Settignano) , Dino , Michelozzo , Pagno di Lapo, Antonio e Bernardo Rossellini , Lorenzo di Bartolo con suo figlio Vittorio : Varrone e Nicolò Fiorentini creati del Filarete , Dello , Urbano da Cortona, Pasquino da Montepulciano, Antonio ed Isaia da Pisa autore dell'arco di Aragona a Napoli, Domenico da Lugano discepolo del Brunellesco , Geremia da Cremona , e vi doveva pur anche essere un Domenico da Capo d' Istria senonchè si morì a f^icovaro '" 1 in uno lavoro che faceva al conte di Ta- gliacozzo , il qual lavoro è un tempietto ottagono di marmo bianco , piccolo ma graziosissimo ; Vasari nella vita del Brunellesco , forse per sbaglio , lo attribuisce ad un Simone Fiorentino. LIBRO VII. Il principio di questo libro è consacrato alla Chiesa Maggiore della città , ed a più lezioni di architettm^a che *i Villaggio -27 miglia distante da Roma sulla strada di Subiaco. ii Filaret« ya dando al giovane principe ; fra i suoi pre- eetti noto il seguente : che per la regolare distribuzione di una pianta , egli divide un disegno in tanti quadra- tini , che chiama parelli (voce molto appropriata che manca alla Crusca) , nei quali poscia colloca e distribuisce le varie parti. Ho voluto notarlo perchè questo metodo per facilitare la formazione di una pianta fu in questo secolo messo in gran voga in Parigi dal Durand, come cosa nuova ed eccellente , quantunque ora più non se ne parli. Discorre quindi della sagrestia , del tetto , dei campanili e d'ogni altra parte necessaria a simili fabbriche. LIBRO Vili. Espone quale sia stata l' origine delle colonne , seguendo in ciò il parere di Vitruvio, per cui dimostra sempre una cieca venerazione : quindi dà le proporzioni deir ordine Corìntio. Fa un beli' elogio a Filippo di Ser Bi-unellesco , ristauratore dell' architettura antica : loda assai una casa fatta di pietre lavorate a' tempi suoi a Firenze in via contrada la quale via si chiama la Vigna, e che era all'uso antico, come pure un castello fabbricato sul Po dal Marchese di Mantova. Sicché , aggiunge , priegho ciascuno che lasci andare questa usanza moderna, e non vi lasciate consi- gliare a questi maestri che usano questa tale praticaccia , che maledetto sia chi la trovò : credo che non j'usse , se non fusse gente barbara che la condusse in Ytalia. Quindi fìssa le proporzioni degli archi e delle porte e finestre. LIBRO IX. Siche io intendo nel nono tractare in prima modi e forme di cornici e basamenti ancora secondo gli antichi gli usavano , sbaglia però soventi nell' applicare alle sa- 205 gome l Homi antichi. Dice d' aver veduto a Roma nel por- tico di S. Pietro certi musaici antichi finissimi rappresen- tanti gabbie con uccelli dentro, quali ora sono perduti. Per la chiesa da sé ideata nel suo trattato dice che lavo- rarono in orifìceria uno che ebbe nome Mazzingo fioren- tino y e un altro che intagliava a niello bellissimo , il quale ebbe nome Muso del Finiguerra *i , e un altro che ebbe nom,e Giuliano che era chiamato Facchino : questi furon Fiorentini. E uno Giovanni Turini da Siena , uno maestro Niccolò della Guardia , uno Pagolo da Roma , uno Pietro Pagolo da Todi e da Fulignio ancora ci fu. E dei cande- lieri di bronzo dell'altare , dice che furono fatti da scelti mae- stri e le porte pur di bronzo Lorenzo di Bartolo ne fé' due, Donatello ancora e io. Vuole che le volte sieno decorate con stucchi fatti di una certa pasta di calcina e d'altre cose e farle di mezzo rilievo .... come credo abbiate 've- duto nel Coliseo , la qual'arte scrive il Vasari che fu tro- vata di nuovo , meglio che cinquant' anni dopo , dal Bra- mante e da Giovanni da Udine , onde vieppiù mi confer- mo eh' egli non abbia letti tutti i libri del Filarete. Per i musaici , egli vuol chiamare maestri Angelo da Mm^ano, e per le pitture un Frate Filippo da Firenze (il Lippi), un Piero dal Borgo (Pietro della Francesca), uno An- drea da Padova detto Squercione ( confonde questi eoi Mantegna ) , uno Gusmè da Ferrara ( Cosimo Tura ) , un altro Fincentio Bresciano ( Vincenzo Foppa ) e alcun altro. Per gli stucchi anzidetti vuole che vi siano Desiderio da Settignano , Cristoforo e Geremia da Cremona. Il cammino della sala principale lo fa intagliare da Luca della Robbia, *i Ciò prova che nel 1460 questo celebre artefice era ancora in vita , notizia importante per coloro che scrissero dell' origine dell' intaglio , in rame , come pure che Finiguerra era nome del padre suo. 206 e per gli alari parla di una sua ingegnosa idea che io darò per esteso: egli eccita il fuoco col mezzo del vapore, applicato , come ognun vede , come agente fisico , non già qual forza motrice. Erano li alari in questa forma fatti: quella parte che sostenevano le legnie erano di I grosso ferro : dalla paiate dinanzi era un "vaso di bron- zo, eh coverchio era uno putto nudo che ghonfuwa le ghote , e immodo era congegniato che soffiava nel fuoco fortissimamente quando erano al fuoco a scaldarsi, o dove V uomo gli avessi 'voltati. Nel modo che erano fatti si e questo : erano voti e ben saldati e sottili , empie- vansi dacqua per lo bucho della boccha , cioè per lo foro proprio donde soffiavano cJiera nel mezzo della boccha con uno bucho in sul capo il quale si turava poi bene in modo die none sfiatava da altro luogho senone dalla boccha e mentre durava quell'acqua mai cessavano di sof- fiare comefusse uno mantacho. Solo per farsi capace della efficacia di questo mezzo , abbia presente chi legge qual fosse la vastità dei fuocolari a quel tempo e quanta legna vi si bruciasse. — LIBRO X. Attorno alla piazza centrale dispone i principali edifizi. Dopo il palazzo del Podestà o della Ragione come sei chia- mavano , viene a dire delle carcein , ed ora che tanto s' è scritto e fatto per alleggerire la sorte degli infelici prigio- nieri , è curioso il sentire come se ne pensasse quattro- cent' anni fa. E luoghi dove staranno e prigioni , saranno variati secondo le qualità delli delitti , cioè quegli che li saranno per debito di danari staranno in quelli luoghi pia evidenti Sarà quattro luoghi di prigioni , cioè luo- ghi i quali saranno molto pia sinistri ed aspri, ne'' quali saranno messi quelli die aranno commessi delitti da es- 207 sere condannati alla morte, e nell'ima staranno quelli che meritano la forcha , cioè ladri, e nelV altra quelli che saranno giudicati a essere tagliato loro la testa, cioè quelli che avessino fatto un homicidio. NelV altra sta- ranno quelli che meritassino il fuocho , e V altra quelli che avessino a essere squartati, 'come traditori e simili mali fattori. Tutta la fabbrica deve essere bene illuminata € cinta da un fosso. Sieguono la dogana, la zecca, bec- cherie , pescherie , mercati , ai quali aggiunge le chiese e conventi di vari ordini. LIBRO XI. In questo libro trattasi specialmente degli Spedali , circa i quali il Filarete non manca di dare una minuta descri- zione dell'ospedale maggiore di Milano, opera sua bellis- sima , e che d' assai più magnifica sarebbe , se in tutto si fosse seguito il suo disegno che è aggiunto in margine , soprattutto per la facciata. Narra tutta la ceremonia che ebbe luogo allorché il giorno 12 aprile del 14^7 si mise la prima pietra del detto ospedal maggiore dal Duca Fran- cesco con Bianca Maria, il conte Galeazzo e Madonna Ip- polita e Filippo Maria e gli altri suoi figli : nella nobile comitiva v' erano i Marchesi di Mantova e di INìonferrato , col conte di S. Angelo ed un gentiluomo napolitano, am- basciatori del Re Alfonso , e Taddeo da Imola con altri molti. La pietra fondamentale portava lo scritto dato dal Vasari, opera di Tommaso da Rieti valente letterato. Quindi dà le misure di un palazzo da gentiluomo or- nato con loggie ossiano altane coperte con colonne in ar- chi se fosse luogho che il freddo offendesse , se no si facciano scoperte , e con verdure come sono a Damasco. 208 LIBRO XII. In questo libro, dopo esposte alcune abitazioni di pri- vati , viene a parlare del circo ( eh' egli chiama teatro ) fuori di Roma, propinquo a Santo Sebastiano e a capo di ho , che era allora molto meglio conservato che non sia adesso : nell' annesso disegno le carceri sono chiara- mente innalzate e piantate non già sopra una retta , come nelle antiche stampe , ma sur un segmento di circolo , onde ve desi che questa osservazione era stata fatta più di tre secoli prima dell'Uggeri e del Bianconi, ai quali se ne dà la primazia nell' opera 2?e' Circhi. Poscia soggiunge di aver misurato il Colosseo , ne dà 1' altezza di braccia mi- lanesi 80 (metri 4^, 90), la quale pochissimo scostasi dalla vera , toltine i tre gradini col sopracarico ; cjrca la guglia che è ora a Piazza Navona ci narra che Francesco Filelfo credeva d' intenderne il valore dei geroglifici, e che la guglia stessa secondo lui significava l' invidia , delle quali divinazioni del Filelfo parmi che la notizia sia sfuggita an- che al suo dottissimo biografo moderno Cavaliere Rosmini. Fissa in seguito i precetti per edificare la Naumachia e la Palestra, e fatta una scorsa per quel suo immaginario paese trova un sito dove da un fiume vien formato un seno come un porto naturale. LIBRO XIII. Trattasi in questo de' ponti , ed accenna il Filarete di aver misurati il ponte S. Angelo a Roma e quello di Ri- mini : propone un ponte di egregia invenzione e coperto, col metodo per far le palificate e gettar le fondamenta delle pile. Narra quindi del modo col quale Francesco Sforza traghettò il Tevere a Todi col tirar corde sulle pile di un antico ponte rovinato , facendo in tal guisa un ponte sospeso. 209 LIBRO XIV. Dove aveva veduto quel porto naturale , scavando tro- vasi un libro antico nel quale sotto nomi anagrammatici narransi le avventure del grande Sforza. Questi vuol fare un monumento, e le colonne ne vengono innalzate da un Bolognese chiamato Letistoria , anagramma del celebre Ari- stotile che chiamato in que' tempi a Mosca vi innalzò quel Cremlino tanto rinomato a' giorni nostri ; trovasi anche nel libro che l' architetto di un' antica città già ivi esi- stente era Onitoan Nolivera Notirenflo ( Antonio Averlino Fiorentino ) e che era stata fatta nel i46o, la qual cosa si scuopre la data sicura del trattato intiero. LIBRO XV. Qui si espone di quante scienze debbe V architetto par- tecipare ^ quindi del condurre le pietre e legnami; siegue il disegno di una chiesa bellissima e di un palazzo. LIBRO XVI. Sono in margine i disegni di un altro palazzo con giar- dini pensili, e di una magnifica chiesa. Parlasi quindi di una ferriera e dell'arte di gettare in ferro, e specialmente di una bombarda nel castello di Milano , colata inferro la quale è informa d^ uno llone , proprio a ^vedere pare che a giacere stia. LIBRO XVII. Nella città Sforzinda si stabilisce un collegio, sull'am- ministrazione del quale molto si dilunga ; nel dormitorio vuole che si trovi uno svegliatolo il quale ogni sera sia temperato per infino alVora detta di sopra , il quale duri 210 poi il suo sonare una mezz^ ora , o un* hora , in modo che tutti si destino. LIBRO XVIII. Rincliiude questo libro il progetto di un vastissimo edi- ficio destinato a raccogliere molte arti : il suo esterno è formato da sette ordini di arcuazioni^ come pure il cortile. LIBRO XIX. Nell'anzidetta fabbrica erano ritratti i primari tra gli antichi artefici e gl'inventori delle varie cose inservienti alla vita , de' quali tesse l'autore un lungo catalogo. Parla di nuovo del porto , e quindi di un acquedotto e della sua conserva. LIBRO XX. Dà il disegno di un magnifico castello d'acqua, come pure di una palazzina col suo boschetto ad uso di caccia: prosiegue colla descrizione minutissima di un ergastolo. LIBRO XXI. Comincia questo libro colla pianta e la facciata di un palazzo da edificarsi , a comodo di pesca , ui sito panta- noso : gli è di tanta bellezza da non temere il confronto de' più pregiati che in Venezia esistano. Promette poscia ( ma non dà ) il disegno di una torre volubile attorno al suo asse, nella quale è chiaro che volle imitare la torre dei venti in Atene , descritta da Vitruvio al cap. 6, lib. I , se- nonchè male egli ne intese le parole , applicando a tutto l'edificio quella volubilità che Vitruvio dice essere stata solo propria del Tritone ch'era in cima. Mentova poi al- cune acque sulfuree e termali di varie regioni d' Italia ; 211 termina col dire che parlerà altrove delle acque e special- mente in un libro d'agricoltura che aveva già principiato, e che non trovo menzionato da alcuno scrittore. LIBRO XXII. Quantunque avesse il Filarete detto sin da principio di non voler parlare di geometria, ne dà però in questo libro gli elementi. LIBRO XXIII. Contiene l'applicazione della geometria all'architettura , ed i primi elementi della prospettiva : siegue un cenno sopra la proprietà e l'espressione nella pittura : finisce col parlare di una sua dimora in Venezia senza dire quando o perchè vi si ti-attenesse. LIBRO XXIV. Parla della composizione de' colori , e del modo di ar- monizzare le tinte , quindi de' musaici ; discute quali re- gole debbansi seguire nella composizione di un quadro , e di ciò che ora chiamano costume isterico , biasimando Masolino da Panicale per aver vestito i santi alla moderna. Scendendo quindi all'arte dell'intaglio , loda le raccolte di antichi cammei e d'incavi fatte da Paolo II quand'era Car- dinale, da Pietro de' Medici e dal Duca di Berrì. LIBRO XXV. Avverte che l'antecedente libro explicit die ultimo mensis januarii che dev'essere del 1461. Tesse un elenco dei migliori edifici eretti in Firenze da Cosimo de' Medici. Loda la biblioteca adunata da Pietro suo figlio , e la sua colle- zione di ritratti antichi , di gioie , pietre fine , vasi d'oro 212 e d'argento, armi ed armature, terminando col dire aTcì- egli voluto che da bonissimi maestri gli sieno stati ritratti gli edifica di Roma e d'altri luoghi , e in questi disegni molte volte si diletta; descrive quindi le chiese fatte in Firenze da Cosimo e da Piero , ed il palazzo loro in via larga. Termina col dare il disegno della facciata ed una descrizione minuta del palazzo ancora esistente a Milano in contrada de' Bossi, donato a Cosimo da Francesco Sforza : amplioUo il Medici in modo che la facciata che prima era di braccia 5'] 1/2 fu portata ad 87 ip , dov'è da correg- gersi il Vasari in Michelozzo che dice che la era prima di braccia 84 : segue questo scrittore a narrare che le decorazioni sue furono opera del Michelozzo , e cita a questo proposito il libro XXV del Filarete , ma, a dir vero , significa bensì questi chiaramente che non era di- segno di se stesso, ma di chi fosse poi neppure l'accenna; non so se più sicuro fondamento ne avesse il eh. De-Pa- gave allorché affermò la stessa cosa , ma parmi che il Va- sari lo attribuisse al Michelozzo solo perchè ne trovò la descrizione susseguente a quella del palazzo Medici , ora Riccardi , opera certa di questo architetto. Ad ogni modo il palazzo di Milano poco sente dello stile di Michelozzo. C. P. 213 Delle Commedie novissime di Alberto ESota, e del Toiquato Tasso di Volfango Goellic. Non manca oggidì chi osi affermare non avere il Nota nelle ultime sue opere teatrali più aggiunto quel grado di perfezione cui le prime erano condutle. Di quella originale impronta che dello scrittore manifesti non dubbio progresso, trovarle sfornite, uè altro saperci scorgere , se non deboli vestigi di una mente già possente per arditi concetti. Essere infine tanto ingegno oiuaì volto al suo tramonto. Comechè siffatta opinione aver possa qualche apparenza di vero , de' suoi drammi parlando , può essere per altro vittoriosamente combattuta , trattandosi della Donna irrequieta , dello Sposo di provincia , del Prigioniero e l'Incognita, commedie che di per se sole bastano a serbare al Nota il primato in Italia fra quanti scrittori drammatici s'affa- ticano in siffatto genere per l'onore delle nostre scene. E tali io le credo da ravvisarci a prima giunta, l'applaudito autoi-e della Lusinghiera , della Vedova in solitudine , della Donna ambi- ziosa, della Fiera, e da potersi con orgoglio opporre , a quante bene accette drammatiche frastagliature piovono d' oltremonte ad innondare 1' Italia. Per ciò poi , che risguai'da lo siile , è cosa ad ogni encomio superiore , porgendoci manifesto esempio di quella convenienza del dire , che propria è soltanto de' grandi maestri. I due drammi il Petrarca e l'Ariosto, non furono forse dall' autore altramente ideati che entro que' limiti prescritti ad ogni altro suo drammatico lavoro , salvo alcun riguardo serbato alla storica dignità. Protagonisti siffatti dovevano essere trattati in un campo cer- tamente più vasto. Né era cosa sulliciente spogliarli deiraiutola della loro immortalità , porrendo in vista il loro lato tlebolo , i4 214 le loro imperfezioni o sviamenti ( comccbè col massimo ri- serbo ) a voler fare cosa grata ed utile ad un tempo. Qual sia 1' opinion mia in fatto di cose drammatiche non m'attenterò qui intempestivamente esporla, ove tuttora durano le nimicizie di quanti invecchiarono ne' vizi di una supersti- ziosa educazione letteraria, ove a sconforto d' uomini propugna- tori de' nuovi principii di letteraria emancipazione son posti tutto dì or dagli uni , or dagli altri , sott' occhio della moltitudine, quanti errori fruttarono le audacie individuali, senza por mente ai tipi dell'arte, onde fu desunta ogni idea di progresso; ove da pochi appena non paurosi j sono rinnegati antichi pregiu- dizi ingigantiti dall'uso, scossi dall'esempio di qualche non in- felice tentativo, ove non han forse subito l'ultima lor prova le brighe, le superbie accademiche, le ostinate lotte contro pe- danti insulsi e venali 5 ove appena son letti, non studiati, Sackspcare , Goethe e Schiller. Né so come in questa nostra Italia d' ogni beli' arte madre , siedano impunemente a magi- strale scranna , uomini perduti entro un esclusivo sistema let- terario ( che da capo a fondo malgrado il loro sonoro cinguet- tio sarà indubitatamente mutato ) , i quali a questi tre sommi ardirebbero presso noi rifiutare cittadinanza. Costoro cui per altro non mancano sfrontati adulatori , non altrimenti, cred'io, giudicano Macbet, Amleto, Otello, Riccardo 3.°, Giulietta e Romeo , Gcitz di Berlikingen, Egmout , Maria Stuarda , Teli , Wallenstein , D. Carlos , di quello farebbe un Chinese , per- venuto in Italia, e posto innanzi ai capo lavori in Vaticano , di Tiziano e Correggio , fermatosi quindi alla trasfigurazione di Raffaello, pronunciasse in tuono cattedratico «non c'è male» quindi soggiungesse freddamente , « noi pure Chinesi siamo in- imitabili nella vivacità de' colori, de' quali orniamo le nostre porcellane. Nessuna nazione ci ha per anco superati. » E più di un pedante forse ha in alcuno di que' vasi vuotate bevande , che il sonno gli cacciassero , cagionatogli dalla profondissima lettura delle autorevoli ricette di Aristotele. Pertanto forse mal non s'appose vino de' più valenti critici, allorché disse , essere la vanità nazionale degli Italiani quasi più irritabile ancora di quella de' Francesi. Quantunque io sia 1215 ben lungi dallo starmi in tutto a quanto scrisse sulla nostra letteratura, ciò nondimeno la maggior parte de' suoi giudizii sembra basarsi sul vero, e a questa nostra letteraria repubblica, molto vantaggio , cred' io , ne deriverebbe quando meglio ve- nisse interpretato di quello abbiano fatto e Gherardini^ e Cesa. Non so cbe cosa stia per fare 1' erudito Bozzelli Napoletano , del quale è annunziata un'opera in senso contrario allo Schlegel. Molte , ripeto , sono le sentenze profferte da questo critico sul merito de' scrittori nostri drammatici, che non meritano d'es- sere altramente risguardate , che quale gratuito insulto all'onor nostro nazionale. E fa meraviglia , come colui che tanto ap- profondì Sackspeare da porne in chiara luce ogni benché mi- nimo pregio, molti de' suoi difetti scusando, o tacendo, non siasi degnato di fare altrettanto su V'ittorio Alfieri, il quale, a mio avviso , di molto avanza 1' Inglese sì nella sublimità , sì nell'ejEcacia di uno scopo generoso, prefisso a quasi tutti i suoi drammi, benché nessuno di questi sia composto di que' sva- riati elementi che formano il gigantesco de' Sackspeariani. Difettano in fatti que' d'Alfieri per vizio di sistema, per es- senza non mai, o di rado, come nel Filippo IL e nella Stuarda. Quando lo Schlegel fosse stato meno esclusivamente idolatra di Sackspeare , avrebbe egli potuto affermare , senza rossore , essere i drammi d'Alfieri meno atti allo sviluppo dell' umano incivilimento di quello sieno i Sackspeariani ? Alfieri sollevando all' altissimo ufficio di ammaestrare i popoli la drammatica mutandone se non la forma, l'essenza in tutto, ne fu rigene- ratore in sommo grado, e sì efficace da non potergli a con- fronto reggere fra quanti hanno calzalo coturno , niuno. Pare anzi abbia egli tutte le speranze de' popoli in un affetto concen- trate, e in siffatta idea pertinacemente durando, s' ebbe dall' Europa pensante la corona del genio. Come tale doveva essere giudicato; ma Schlegel si degnò appena guardarlo, e, senza avvedersene , ciecamente. Per non deviar poi tanto dal mio soggetto , mi limiterò a far osservare al Nota , come imprendendo a porre in scena e Petrarca e Ariosto, era ufficio suo indispensabile di collocarsi tra il passato e l'avvenire, trovare ne' fatti trascelti a trattarsi 216 un principio, e svolgerlo. Più accuratamente, che non fece, disaminando la storia , doveva in essa rinvenire quelle cause cbe intera svolgessero 1' epoca de' fatti ; da questi trarre una conseguenza. Pertanto e Petrarca e Ariosto, riescono imperfet- tamente presentati per difetto di studio dell' epoca in cui vis- sero , e per non essere stata sviluppata un'idea o un principio, che intera ne compendiasse d'entrambi la vita. Disaminando forse più addentro questi due drammi , non farei che viemeglio comprovare un assunto che accennato di volo, preveggo già di per sé inefficace, altro non procaccian- domi che la taccia di vanamente ardito. So pur troppo essere stato detto , essere noi Italiani i più invidi nemici delle glorie nostre fraterne , senza perdonarla ai più provetti di senno o d' età. Io per me , senza nulla scemare di quella venerazione che ho sacra al Nota, la cui fama in Italia ha troppo salde basi perchè in nulla lo possa menomarla , non potei indurmi a confermare col silenzio quanto fu detto in vantaggio de' suoi drammi e del Tasso principalmente , del quale più che de' primi ho pensato intrattenermi , come quello che più s' avvi- cina al tipo da me accennato. A chiarir però meglio 1' opinion mia credetti poter ricorrere a Volfango Goethe , il cui Tasso , per tacere d'ogn' altro, è l'unico che merti venirgli paragonato. Non è per questo ch'io creda essere cosa più perfetta, parmi bensì essere stata in questo sviluppata viemeglio l'epoca parti- colare sé non generale del fatto , quindi più finiti i caratteri della Principessa , e del Montecatino. Quale ne sia il lato più difettante , dove il Nota parmi d'assai superiore , lo accennerò più sotto. Per brevità tralasciando adunque un ordinato transunto del dramma del nostro autore, come cosa notissima, passo di slan- cio alla scena 5. dell' atto 2. La Principessa pone sul capo al Tasso una ghirlanda d' alloro in attestato del conto in cui è da essa tenuto; quest'atto meramente arbitrarlo, da aitilo non apparendo veramente suggerito che dalla stima , potrebbe per avventura dirsi la prima , la più importante pietra rimossa da un edifizio che presto sarà ridutto in polvere. Da questo mo- mento la rovina del Tasso è secretamente più che giurata dal 217 Montecatino. Di fatto tanto egli, quanto l'altra turba di cava- lieri pajono apposta chiamati ad umiliante confronto , e a dar quindi non difficile prova di cortigiana bassezza. S' addoppia nel Montecatino il sospetto di una reciproca corrispondenza d' amore , tra il Tasso e la Principessa , nel tempo medesimo che non altrimenti dubita della Contessa , posta a calcolo la gioja cbe le traspare dal volto per la viva parte presa al trionfo del Tasso. Non era dunque questo il mezzo migliore , onde al Tasso ravvicinare il Montecatino , e cbe male al suo inten- dimento abbiano corrisposto sì l'uno, cbe l'altro, lo dice la Principessa medesima, che, per poco conoscesse il Montecatino, non altro esitq dovea attendersi. Ma tutto ciò non è forse quanto essa aveva in animo di farp. Lo scopo suo diretto era di dare al Tasso un attestato di stima e di affetto. In tal caso 1' atto della Principessa , meramente arbitrario, come quello per cui ella ad ogni sospetto rendevasi superiore, non dovea essere dal Tasso altrimenti interpretato , cbe da quella vana gloria, od orgoglio dettato, onde i potenti largiscono favori 5 mentre è destino ( d' amori parlando che speranza non hanno, salvo d'errore o delitto) starsi le pub- bliche manifestazioni d' affetto in ragione inversa dell'intensità de' medesimi quando l'animo è verecondo, e non rotto a vizio di libidine. Né con ciò io credo avrebbe condutta in errore la Principessa , libera d' ogni vincolo , una manifesta corrispon- denza d' amore col Tasso. Ben lungi da siffatta idea conviene pur pensare , dovevansi frapporre , d' ogni vincolo ancor più forti, inveterati pregiudizii di famiglia; equal sorella d'Alfonso, ragioni di stato , ostacoli insurmontabili a que' tempi ( e ne' presenti , in ciò non essendo le condizioni dell' umana razza punto migliori ). Più saggiamente pertanto avvisò il Goethe facendo sì, cbe tale incoronazione altro non fosse cbe una degna ispirazione d'Alfonso , a dar pegno onorevole di gratitudine al poeta , dal quale ebbe in dono un poema. Non è quindi la Principessa cbe l'interprete di questo sentimento. Ad un cenno d'Alfonso di fatto (atto 1. scena 3.) prende ella dal busto di Virgilio una corona d'alloro, ed altro non attende, cbe il Tasso umilmente 218 si curvi a riceverla. Giusta di questi la ritrosia , vera la sua commozione 5 virilmente temperalo alla più ardua lotta di se- creti affetti, può, senza tradirsi, abbandonarsi istantaneamente all' idea d' essere da Eleonora compreso , e pieno di fidanza è senza fallo quel tremito d' amore , che sole potevano causare queste parole; « /w me clonnes enjin,, Tasse j la rare sadsfa- clion de te dire sans paroles ce qui se passe en moi. » E poco dopo segue la Principessa « Là ( au capitole ) te salueront de hruyantes acclaniations , ici Vainitiè te rècompense avec moins de fracas. » A tanta lotta d' affetti puossi anche aggiungere quella venerazione ( onde poco prima ci apparve e ritroso e modesto), cui la corona medesima a Virgilio tolta, dovea ec- citarlo , cosa ben diversa da una corona intesta dalla famiglia di un maggiordomo di principe, come dal dramma italiano risulta. Nel corso di questo ci veggiam privi della presenza di Alfonso. Non sapremo mai abbastanza buon grado al Nota di nn tanto favore. Seguendo poi l'andamento della scena 6., atto 2. del nostro dramma, non parmi dovesse il Tasso torsi di capo una corona, qual pegno di stima avuto dalla Principessa , sospinto dal sar- casmo di bassa rivalità d' Antonio ; quella corona , che senza pur pronunciare un modesto motto , pienamente convinto del proprio merito, piegò il ginocchio a ricevere. In un istante dunque non potea credersi della medesima indegno, e rifiutar quindi un dono che ad ogni costo era debito suo difendere , rendendosi per tal modo superiore alla temerità di un corti- giano, e questo, con fare più largo ci venne dipinto dal Goethe, quasi siasi proposto crearne un essere più degno di paragone con Torquato. Vedrem quindi quanto siffatta indulgenza verso un ministro d'Alfonso, abbia poco contribuito al generoso fine cui dovea tendere il dramma. E Antonio per altro creatura af- fatto istorica. Diplomatico, e cortigiano, sufficientemente edu- cato ad un' ironica , ed officiosa impassibilità d'animo servile. Non pessimo tra gli eguali di stato ; superiore forse a questi per quella dignità che può venirgli da qualche filosofico stu- dio , sa prudentemente giungere ad ogni qualunque cortigia- nesco scopo preconcetto. Quando la prima volta ci si presenta 219 reduce da Roma, (atto i., scena 4-) dove riesci a por fine ad ogni contesa, adempiendo per tal modo ogni desiderio d'Alfonso riguardo a suoi interessi con Gregorio XIII , benché d'improv- viso colpito dal vedere due fronti coronate d'alloro, da qualche motto appena puoi scorgerli dentro un profondo senso d' invi- dia, e direi quasi saresti indutlo a perdonargli il tacito rim- provero ad Alfonso, d'aver coronato il Tasso, tanto è dettato da intimo senso di convinzione, l'elogio che fa dell'Ariosto, e tanto è dignitoso e trascendente il modo con che si mostra del medesimo caldissimo ammiratore. Non è quindi né beffardo nò audace a seguo da volerne al medesimo Tasso imporre. Tornando al Nota , ( scena y. , atto 2. ) riesce veramente intempestiva e tutta ridicola una dichiarazione frettolosa d'a- more di Ferrante ad Eleonora , di questo volgarissimo stro- mento della viltà d'un Montecatino. Può essere però probabile, non dovesse passare senza frutto ogni momento ( il tempo é cosa preziosa) alla corte d'Alfonso. Termina l'atto 2. con farci maestrevolmente sentire benché occulto , la presenza del tiranno in Belriguardo. Passo sotto silenzio la scena i. dell'atto 3., dove il signor Ferrante al cospetto di una contessa di Scandiano è costretto a dolersi , anche lepidamente , del suo nulla 5 e lepido è di fatto quel replicarle , chi sa con quali smorfie, che è innamo- rata , qual si farebbe d' una vispa e schizzinosa ragazza cui si volesse strappare un secreto del quale poco o nulla c'importa. Sarà forse stata etichetta cortigiana di que' tempi. Ma costui ama , e il suo amore non ha limiti , tanto è vero che per questo lo veggiaua disceso alla più generosa delle imprese , il tradimento. E sa d' avere un' anima nobile , e non teme mi- lantarsene. Eccoci alla scena 6. dell' atto medesimo , quella forse , che con r 8. tra il Tasso e Montecatino furono giudicate sufficienti a dar fama a qualunque sciittore. Credeva ( in questa ) il Montecatino d' esser giunto al mo- mento di scoprire ogni cosa, ma s' è avveduto, cJlc la tnrtù di contenere e nascondere le passioni dell' animo fu molto pro- pizia alla Principessa pure. La sua sagacità poco gli ha frut- 220 tato 5 avrà forse esito migliore col Tasso. Sul merito di questa sceaa lascio che ognuno pensi a sua posta ; in quanto a qne- st' altra , ognuno farà quel caso che vorrà delle ragioni che io addurrò a comprovare il mio dissentimento dal giudizio sta- tone profferto. Antonio s' è fìtto in capo , ( scena 8. , atto 3. ) sotto la maschera d'una bene dissimulata calma e dolcezza^ di strappare al Tasso un secreto, dal quale avrehbe con certezza arguito quale delle due Eleonore amoreggiava egli. E vuol ve- nirne a capo con una penetrazione di sguardo, principalmente, che nulla perde di que' moli esterni, che l'intimo ti rivelano del cuore. A chi ha letto il Filippo d'Alfieri non riescirà nuovo questo trovato. Veggiamo a che giovi. Ottenga egli pure piena certezza del fatto. Fa duopo avere una prova di più oltre il libro ricamato, e un pezzo di carta, ove sono alcuni versi: non già accertarsi , che l'uno sia lavoro veramente della Principessa, l'altro opera del Tasso, ma una prova di più oltre questa che valga a convincere Alfonso d'amorosa corrispondenza tra i due; questa 1' otteneva egli strappando al Tasso un tale secreto ? Non già, che altro non poteva che confermarsi nell'opinion sua. E uà uomo , quale il Montecatino , poteva risparmiare di di- scendere ad umiliante colloquio con un rivale, dal quale altro non dovea ottenere che un' asserzione , senza la quale , presso Alfonso , avrehbe avuto ugual successo colla menzogna , colla calunnia perfino. Ma Nota non volle degradarlo a tanto. Ad ogni modo che ha egli fatto ? Presentò ad Alfonso , in con- ferma d' un' accusa , un libro e pochi versi. 11 Principe rico- nobbe tostamente la mano di sua sorella , ed ecco anche meglio chiarita la cosa. Ma Antonio non poteva prevederlo? In questa scena Alfonso non è per Montecatino , che un tacito strumento di sue private mire , a vendicarsi di Torquato ; onde nel dubbio di potersene valere , doveva non esporsi ad accertarsi di cosa, che senza punto giovargli, doveva ferirlo nel più vivo del cuore , e poteva rimanersi invendicata. Po- trei aggiungere altresì, che era cosa facile avvedersi come più alla Principessa che alia Contessa di Scandiano fosse il Tasso de- voto , dal sue diverso contegno coli' una e coli' altra ; mentre nulla doveva sfuggire alla sagace esperienza del Montecatino. 221 A considerare ora i primi sensi di questo riguardo al Tasso , ( sapesse pur destramente infingersi ) riesce troppo repentina quella sua dichiarazione d'amicizia, di lealtà d'animo, e non produce il desiderato effetto. Ch' ei segua ogni via onde trarre r altro al suo intento , sta ; ma il Tasso ? come doveva egli comportarsi? Posto ancora ch'ei fosse convinto del mal celato ran- core delMontecatino, doveva ciò nondimeno il suo impeto frenare. Una secreta voce più potente di un odio efferato , ( e odio non era in Tasso ) doveva a miti sensi richiamarlo almeno , e dico almeno , essendo il suo avversario , che primo mosse parole di tutta pace; questa secreta voce era il priego di Eleo- nora: « Torquato per compiacere a me caldamente ve ne prego , » e un' anima ardente strutta dal più violento degli affetti , do- veva tener conto non che di un priego che obblia , ma d' un minimo cenno , poiché era di donna amata. Tutto dovea ce- dere innanzi all' idea di farsi più accetto ad Eleonora col sa- crifizio d'ogni corruccio col Montecatino. Ben altramente fece il Goethe nella sua scena 3. dell' atto secondo , ove il Tasso senza punto esitare offre primiero in segno di pace la mano. L'istante cui anelava è giunto e a questo anelava dal punto che Eleonora a quello il consigliava ; il faut cjue vous sojez liès . . . ne resiste point. (atto 2 scena i ). Taccio la maestria di questa prima scena , (che può dirsi degna di Sakspeare) con cui Goethe parmi essere stato vero interprete de' sensi dell'uno, e dell'altra. Il monologo quindi del Tasso che a questa tien dietro è tutta vita , né meglio poteva esserci presentato l'uomo magnificato , e fatto sublime davanti un essere, che solo poteva inspirargli quanto bastava a sollevarlo dalla volgare sfei'a , a lui rivelatore di que' profondi segreti , che accendono e alimentano la po- tente fiamma del genio. Nella scena 3 dell'atto medesimo Torquato ancor cieco di affetto, non sa ravvisare in Antonio che un amico. Ogni ombra di rancore è sopita. Molti sono i pregi di questa scena , e a far cosa degna di quel grande Tragico, converrebbe quasi intera riportarla, ma noi consente la brevità prefìssa a queste mie osservazioni. Quanto umanamente poteva essere tentato onde procacciarsi l'animo del Montecatino, tutto adopra il Tasso. Più 222 d'una volta offre in pegno di pace, e mano e cuore. Tutto ri- fiuta il protervo avversario. Anela egli a più compiuto trionfo, che non è sì fatta umiliazione. Non può intanto rattenersi dal fargli rimprovero d'una corona d'alloro rapitagli. Senza punto sgomentarsi sa pacatamente ogni sarcasmo rinfacciare , e rispon- dere. « Ce quune divinitè accorde librement d celui-la et refuse durement à celui-cij n'est pds un bien cjue chacun puisse at- teindre au gre de soii envie et de son intelligence » ben lungi dal porsi le mani alla corona, e toglierla « benché nobilmente » di capo. Questa, datagli dal suo idolo, sa egli difenderla. Epargne les dards de tes jeux , de tu langue ; tu les diriges vaineinent sur la couronne , V iinperisable couronne qui ceint nion front. Sois d'abord asse grand pour ne pas me Venvier ; puis tu pourras peut-ètre me la dispuler. Je la juge sacrée^ et le plus grand des biens. Ma è forza che egli stanchi ogni umana prova, contro la mordace ironia , d'un impassibile cortigiano omai certo di nuovo trionfo. Gonvien por mano all'armi. Un istante di mal repressa collera ha tratto il Tasso ad alta imprudenza immemore di trovarsi nella reggia d'Alfonso. E questi , certamente per 1' av- versario suo propende, costituito giudice davanti loro (scena 4). Giunge a tale l'audacia officiosa d'un favorito che come reo è condannato il Tasso 5 e questa condanna è tutt' affatto degna d'Alfonso. Tanto inaspettata gli giunge e tanto è possente in lui il dispetto di si esosa ingiustizia, che come indegna di starsi al suo fianco ripone una spada donata, e come non degna di cingere il capo di un prigioniero, depone, baciandola , una corona, che salvo il braccio della tirannide, ninno gli avx'ebbe strappata di fronte. Lottante coll'idea di sua schiavitù, astretto a rinunziare ad ogu'impeto dettato da sublime pensiero , piega umilmente il capo, e mormorando parole di dolore, si toglie a due ministri dell'oppressione. Dopo siffatta digressione j ritorno onde mi partii alla se. 8 del 3 atto del Nota. Gonviene adunque che il Montecatino ri- cordi egli medesimo al Tasso la sua promessa ad Eleonora di farsigli amico. Poco mancò non se ne dimenticasse affatto. Tutto infine lo stratagemma del Montecatino sta nella nuova miste- 223 riosamente significata di un matrimonio della principessa con un cavaliere forestiero. Può darsi per avventura che la, somma d'ogni pregio di questa scena stia in questo. E (andando in- nanzi) possibile che il Tasso tutto creda in un momento per bocca d'uno cui poco prima rifiutava la mano d'amico ? Quanto resta egli impicciolito davanti un cotal messaggio, con queste parole a la principessa si stimerà felice di Jar pago il desiderio di un sì gran personaggio ? Anton. Qual dubbio ? Tasso. Z' ha detto ? Anton. Mi pare di sì. Buona ventura che ci pensò un mo- mento. Possibile che l'autore dell'eroico amore di Tancredi non fosse forte a frenare un subitaneo trasporto di passione davanti un Montecatino? Ma questa debolezza è appunto quanto mo- tiva l'eccesso di collera cui trascorre poco dopo. Ciascuno potrà essere giudice imparziale dell'efi'etto che possono sortire ambe le due scene del Goethe e del Nota, ogniqualvolta senza pre- occupazione veruna si faccia a rileggere s\ 1' uno eh© 1' altro dramma. Il quarto e il quinto atto del Nota non sono che lo sviluppo di quanto ha saputo preparare il raggiro di un cortigiano. Tutto convenientemente procede, entro que' limiti angusti però, che l'autore ha voluto determinare. Principalmente l'atto ultimo, di tutti il più maestrevolmente condutto , riesce di ottimo effetto; odi misto al gemito della vittima dell'orgoglio, del pregiudizio, del livore , il festevole suono del tripudio dell' opprimente ; questi che tratto tratto ci si mostrò come lampo foriero d'atra tempesta, celato ora ad ogni sguardo da non lontane mura, che alto neir oscurità della notte ( rotta dal chiarore che queste tramandano) torreggiano; nell'ebbrezza forse di un convito, o nell'obblio di una danza, da mercenario canto allettato, ci si manifesta in tutta la pienezza della sua tirannide. Per tal modo ci viene offerto il doloroso spettacolo della degradazione del genio in Torquato, quasi reietto e d' ogni aiuto deserto, ove prima fu colmo d'onori. Sventura, sventura a lui che ha posto fede in Alfonso; che ne ha egli difatti riportato? Se il Nota ebbe in mira di porre in evidenza siffatta verità, non ha fai- 224 lito ad un giusto fine. Ha egli con ciò rilevato non avere il genio, in fatto di lettere principalmente, d'uopo di mediazione di principe. Ha egli per via di robusto abozzo sviluppato un fatto, che dentro covava un tal principio; Torquato Tasso adunque vittima di Alfonso d'Este, di quegli appunto cre- duto alimento necessario al proprio genio, era il fatto scelto a trattarsi , l'epoca del quale doveva essere ampiamente svolta, mentre dallo studio di questa potevano rinveuirsi i necessarii elementi ad ottenere più completo un carattere quale è quello di Torquato, non trattato dal Nota che a cenni. L' idea do- minante poi del fatto medesimo doveva esser quella di degna- mente rivendicarlo per quanto la storica verità il consentiva. Quale conseguenza dovesse derivarne il dissi. A tuttociò non pensò né punto né poco Goethe mentre pare, come altri già osservò, abbia egli scritto il suo dramma nello interesse di Alfonso, e suoi pari. Del suo Tasso non abbiam sviluppata che la passione; da ogni altro lato è falso. Non gli muoverò ac- cusa d'averlo dipinto troppo meditabondo, sapendo noi essere stato a' suoi verd'anni molto occupato a platonici studii. Goe- the sapeva benissimo che sotto il cielo d'Italia, al secolo 16 le anime erano più ardenti, che freddamente calcolatrici. E non fece Tasso partecipe di tale ardore. Gli fu male apposta una quasi perfetta, e collegiale ignoranza di convenienze so- ciali. Sarebbe questa una prerogativa de' pensatori e poeti del Nord? Gred' io fosse tutt' altro il Tasso. Bello della persona, ardito ne' modi, atto a convincere: d'animo espansivo, confi- dente, irascibile, amante e amato, prode di senno e di ma- no, eguale perfettamente al suo secolo ; non altrimenti doveva presentarsi all'immaginazione del Goethe. Fu questi co' suoi nemici indulgente. Ha svisato il carattere d'Alfonso per intero, e ci diede in Antonio un perfetto cortigiano a caratterizzare al- quanto l'epoca. E a tale fu indulgente a voler quasi persua- dere il Tasso medesimo, la perfidia, l'audacia, il raggiro di quella corte tutto essere chimerico, o tutto procedere dalla disordinata, e offesa sua mente. Questi errori, già da altri pure accennati , li ripeto a rinfacciare al Goethe un delitto di mala fede. Per verità pare impossibile , come 1' autore del 225 GiJtz ai Berlikingeu non abbia inteso a scopo migliore ^ es- sendo quasi indulti a credere aver voluto provare cbe lliomme n'est poinl né povr élre Ulve: (atto 2, scena i). Queste parole per altro son pronunciate innanzi Eleonora. Era dessa pel Tasso cieco d'amore, oggetto di troppo entusiasmo, e troppo elevato a' suoi sguardi , perchè egli dovesse esitare a prostituire , in grazia sua, ad un principe suo fratello la più sublime delle facoltà morali. E una prova di quanto poca cosa si credesse in- nanzi la medesima, lo manifesta nella stessa scena, dove dice; Je te vis, et rentrant en moi mente; plein de honle , fappris a connakre ce qui dtait elicne de. tous mes -vceux. Dirò insomma come dal corso del dramma del Goethe apparisca aver egli non male interpretato il secolo 16; ma non compreso una posterità che è convinta, e più si convincerà che i secoli non succedono a ripetersi 1' un 1' altro. Onde, poiché la giustizia del tempo è venuta, Alfonso (sfuggito all'obblio) non sarà da popoli ven- turi altramente che da presenti giudicato, intanto che Tor- quato, finché cuori gentili palpiteranno, sarà mai sempre l'or- goglio e la gloria tra le più care di quella terra ove fu cinto della corona de' martiri. Giovanni Vico. 226 RltlSTl CRITICH Le DnvAN d'Amro'lkais précède de la vìe de ce poéte par l'auteur du Kitab el-Aghani , accompagné d^une tvaduction et de notes par le B. Mac Guckin de Slane, rnembre du conseil de la Sociètè Asiatique de Paris. — Paris. Imprimerle Bojale_, iSSy, in 4-° Gli Arabi devoli alla legge del Corano furono mai sempre maravigliati della sublimità di stile con cui è scritto questo libro : ed i più non sapendone o non curandosi di trovarne la ragione , ciò riguardarono come un argomento non leggiero dell' origine divina degli scritti di Maometto. E forse, a conferma di questa credenza, loro pareva venire in acconcio molto bene la sfida cbe il Profeta va proponendo nel Corano a cbiccbessia di scrivere un capitolo intiero^ se fia possibile, che possa paragonarsi ad uno dei ii4 più. o meno lunghi che compongono il suo libro. Ma dopoché si studiarono bene i più fiorenti secoli della letteratura islamica , e si raccolse diligentemente ogni prezioso avanzo di quella quale siasi letteratura che fiorì prima di Mao- metto , si ebbe modo di ammirare ad una ad una le bellezze della lingua e dello stile del Corano , come pure di notarne singoli i difetti. Quindi non solo gli Europei , ma ancora gli uomini assennati dell' Arabia hanno potuto riconoscere che la sublimità dello stile tale qual essa risplende negli scritti di Maometto , è quella stessa che formava, per Cosi dire, il vero 227 carattere distintivo della lingua de' suoi tempi; quella, colla quale , in un secolo che propriamente può chiamarsi il secolo d'oro della lingua araba , parlava o scriveva chiunque era dotto neir arte dello scrivere o del parlare purgatamente. In quel secolo tanto era diffuso 1' amore della poesia , tal era la cura di tenerne vivo lo studio e l'emulazione, e per fine tanta era la giustizia colla quale si ricompensava il me- rito dei più insigni poeti , che sette sono i poemi che meri- tarono di essere sospesi al tempio della Mecca. Ed ognuno intende quanto rara doveva essere giudicata l'eccellenza di questi scritti ( che appunto per essere stati sospesi a quel tempio si chia- mano in arabo ^loallake"), i quali ancora oggidì e sempre saranno riguardati come i più purgati modelli di poesia e di lingua arata. Ed egli è altresì in quel secolo , che, a somi- glianza di noi, i quali fra tanti poeti che fiorirono nei vari secoli della nostra letteratura , sogliamo rammentarci i più eccellenti col titolo dei quattro poeti, l'Arabia, oltre le sette Moallakej era pure illustrata da altre poesie tanto sublimi che vennei-o poscia raccolte in un solo codice, celebre altre volte e in Africa ed in Ispagna sotto il titolo di Divano dei sei poeti. Questi fu- rono Amro'lkais, Nabega , Alkama, Zohair, Tharafa e Antara. Nabega ed Alkama non sono autori di carmi sospesi al tem- pio , siccome, insieme cogli altri quattro, ne ebbero l'onore Lebid, Amru ben kultum ed Hareth 5 quantunque niuna poe- tica composizione di questi tre sia stata compresa nel Divano dei sei poeti. Ma se le Moallake furono tutte pubblicale coi commenti di filologi arabi , tradotte e commentate da filologi europei , il Divano de' sei poeti non vide mai la luce. Perchè tal è la pazienza che la pubblicazione di questo prezioso monumento richiede, e tanta vuol essere la scienza dell' editore sì della lingua, che dell' antica storia degli arabi , che credo di non andar fallito affermando che tali uomini sono molto rari in Europa. Ci voleva il Barone Mac Guckin de Slane per conce- pire il pensiero di pubblicarlo , tradurlo e commentarlo : per- ciocché attivissimo, com'egli è, ninno trasandando degli infiniti mezzi di cui è ricca Parigi agli studiosi della letteratura araba, 228 egli è tuttavia il più chiaro tra i moderni discepoli del cele- bre Barone Silvestro de Sacy. Del suo ardore e della diligenza sua per riuscir bene in questa difficile impresa fui io testimo- nio , che vedendolo per più mesi ogni giorno occupato all'o- pera, sempre lo trovai imperterrito innanzi a mille difficoltà srravissirae , sempre penetrato di quella sincerità e di quella coscienza che altro non cerca che la verità e 1' utile altrui. E se questa è massima che dee regolare ogni maniera di dotte investigazioni, essa era molto più necessaria al pubblicatore del celebre Divano dei sei poeti arabi. Ma per non parlar oltre dell' editore il quale sta ora prepa- rando il più bel monumento alla letteratura ed alla storia araba che per avventura non siasi mai veduto, pubblicando l'immensa opera biografica di Ibn-Kalikan , di cui io vidi già composte dal Didot di Parigi più di cento delle mille pagine in 4-° che abbraccierà il solo testo arabo, darò un breye cenno intorno alla vita ed alle poesie inedite di Amro'lkais , che sono le pri- me del rinomato Divano dei sei poeti , che per cui-a del de Slane uscirono alla luce. Molti credono che Amro'lkais sia stato contemporaneo di Maometto ; anzi autore celebre di molte satire contro il pro- feta. Ma il de Slane congetturò eh' egli sia morto pochi anni prima che Maometto incominciasse la carriera del suo aposto- lato. Egli era figliuolo di Hodjr, principe nella tribù dei Benou- Asad , il quale , accecato dal pregiudizio di quei tempi che l'arte del compor versi non s'addicesse in modo alcuno alla nobiltà di un principe , forse perchè era troppo comune , né potendone distogliere il figliuolo colle preghiere , perchè troppo era potente la musa che inspirava 1' anima di Amro'lkais , lo scacciò di casa colla forza , mentr' egli era ancora di giovanile età. O fosse indole sua , o effetto di quella giovanile sconside- ratezza che talvolta crede di potersi distrarre la mente da qual- che grave cura coli' abbandonarsi agli stravizi , il giovane poeta lasciò da parte il pensiero del genitore e della casa paterna ; e senz' altro avvedimento correndo alla ventura insieme con altri disciolti compagni pei deserti dell'Arabia, menò per qualche tempo quella vita di dissolutezza , che egli slesso ci fece co- no Boscere ne' suoi yersi. Valga questo pensiero: godi tu menti e vwij giacché sei mortale , clie gli occupava l'animo (a pag. 3i , T. 8), invece di molti suoi versi che qui potrei «dcìurie per provare come spesso egli siasi abbandonato al vino ed all'amore. M» questa vita non poteva per lungo tratto touyenirc all' alto sentire, all'animo generoso e forte di lui 5 perchè, ap- pena ebbe la notizia della misera morte del padre suo, assas- sinato dagli uomini della sua tribù che gli si libellarono , oh ! disse ; se mio padre soverchiamente severo inverso di me mi perdette mentre della mia giovinezza , adulto , siccome or sono , debbo infiammarmi di desiderio di vendicarne il sangue. Pero trascorra ancora quest' oggi senza riguardo alla sobrietà ,• ri, a domani sia lungi da me ogìii stravizzo ; oggi il vino , domani gli affari. E dopo queste ultime parole che ancor sono in prover- bio appresso gli arabi, si vietò il vino e l'amore, giurando solennemente di non usarne se non quando avrà troncate cento teste dei Benou-Asad, e tagliati a cent'altre i capelli della fronte. Dice egli a pag. 3 7 : O miei amici, dite alla tribù di Doudan : schiavi cke a*"t« ! quali- aU(We fulliai vi ribellò contro il forte leone ( Hodjr ) ? Oh ! quanto conforto non rioeveltcro gli occhi miei dalla tribù di Malek , dai tiyli di Anir e di KaLil , E dai figli di Gamn, figliuolo di Doudan, quando tulli li prosUammo! .... Eccoli ammucchiati come torme di locuste , come Kaia ( uccelli ) di Kazam quando vanno ad abbeverarsi. Noi li abbandonammo sul campo della pugna, e !e loro gambe rivolle in su parvero tronchi di legno fitti nell^ terra. Ed or mi è pur lecilo ilvuio, che uc fui per lo avanti impedito da gravi cure. Ed oggi appunto io bevo senzj peccar in Dio o bever deli' altrui. Se questi versi mirano a qtiel suo giuramento io nou trovo nella vita del poeta onde convincermi che questa sia gioia di compiuta vendetta. E se per avventura l' immaginazione sua non dipinge quivi figuratamente ciò eh' egli confidava dover accadere , non già quello che accadde , parmi che egli non sia mai arrivato a potersi far lecito il vino , perchè non fu mal libero da quelle cure che ne lo impedivano. Imperciocché ap- 250 pena i Benou-Asad si sottrarono al suo furore e sì rallentò l'ardore de' suoi compagni, cominciò egli a dover temere dell' esito felice della concepita vendetta. E questo suo timore molto s' accrebbe in lui quando , passando un giorno per Tebala dove era Zou'lkolosa , idolo rinomatissimo nel predire per mezzo del <^ioco delle sorti le cose future, volendo egli tuttavia tentarle, onde presentire più fondatamente dell'esito che era per incon- trare le sorti non gli tornarono punto favorevoli. Del che sde- gnato ; possa tu essere, disse all' idolo , il più vile arnese del inondo ! se tuo padre fosse stato assassinato tu non mi neghe- resti di difendere il mio. E finalmente è certo , che per un con- corso di avvenimenti troppo lungo a riferirsi, l'oracolo si av- verò. Perchè errando il poeta di tribù in tribù senza trovarvi aiuto contro i suoi nemici , deliberò di passare in Siria , e quindi a Costantinopoli , dove, poco prima dell'an. 565 della Era nostra fu bene accolto dall'imperatore Giustiniano, siccome saggiamente congettura il de Slane. Se non che la lentezza di questo imperatore nel trattare gli affari, le lunghe pratiche che necessariamente dovette tenere Amro'lkais prima di poter ri- partire con qualche s'occorso per l'Arabia, gli amori di lui, dei quali parlano gli scrittori arabi , con una figliuola dell' impe- ratore rendono molto probabile l'opinione dello stesso de Siane che il poeta non sia ripartito per l'Ai-abia che sotto il regno dell' imperatore Giustino II. Ma neppure questo soccorso gli giovò per compire la sua vendetta sopra i Benou-Asad; perchè appena egli era uscito di Costantinopoli colla sua milizia , che certo Tamraah, il quale da molto tempo macchinava nel suo pensiero la più aspra vendetta contro Amro'lkais che ucciso gli aveva un fratello , recatosi in quella città all'insaputa del poeta e quivi spiatolo diligentemente in ogni azione sua , seppe co- glier tempo di accusarlo presso l'imperatore degli usi secreti del suo cliente con Arabia (siccome pur congettura il de Slane) figliuola appunto di Giustino II , e moglie di Baduario , so- vrintendente alla casa imperiale. La qual cosa accese l'impera- tore di tanto sdegno, che dolente della protezione accordata ad Amro'lkais, prontamente gl'invio un pallio, invitandolo a gradirlo ed a vestirlo siccome nuova distinzione di onore che 251 gli concedeva. Ed il poeta , che di nulla sospettava , acconsen- tendovi di molto buon grado y trasse quindi una maligna in- fermità , per essere il pallio stesso portatore di potente veleno che lo condusse alla tomba in Ancira. Queste sue non mai in- terrotte cure danno luogo a credere che l'infelice sia morto , senza aver potuto far cadere le cento teste, né tagliare i capelli della fronte alle cento altre dei Benou-Asad , prezzo eh' egli aveva stabilito con giuramento al sangue di suo padre. Ecco come egli stesso parla a pag. 34 35 della sua infermità e dello stato misero a cui lo aveva l'idotto : O miei amici ( dissi ) , accostatevi all' antica abitazione in Asas : ma ahi ! ciò diss' io invano. Oh! se gli uomini di quesia abitazione ancora vi fossero, siccome altre volte ve- demmo , avrei ben io con loro Lieta com' armonia di primavera. » quella del navigante sui mari e della donna che ne invoca il ritorno , e quella più mesta del prigioniero che » Giunte le pabnc 1' inna della speme » . . . . accorda al fragor delle catene. AlV Ave Maria della sera una melanconia solenne lo assale ; ì suoi versi spirano quella dilicata mestizia onde s' alimentano le anime assortite. Qui piange l'angoscia del povero, e lamenta la miserrima sorte dell' esule che 256 »...,. lonlano dall' ostello aTita Ode suonar le yespertine squille McMpe del mar solingo erra sul lito. Ai mesti tocchi , dalle sue pupille Scoppia il dolor dell' animo smarrito , K \a dicendo ti'a i sospiri e i lai Oh ! patria mia non ti vedrò più mai. La eainpaua del De-profondis , Le rimembranze e?' infanzia, il Salice sono tutte poesie ripiene di gentili ed alti concetti ^ tutte hanno una parola pel cuore, tutte rivelano nell'autore una piena d' affetti generosi ad un tempo e soavi. Ma La Tro- vatella dal sorriso malinconico, senza nome, senza tetto, sola sola tra mezzo alle genti , è poesia intenta a nobilissimo scopo, degna del moderno incivilimento , degna di trovare un eco non fallace in tutti i cuori. // giovine è una rivelazione di quella morale tortura , in cui chiunque senta in sé la potenza del genio , riconoscerà l'imagine di quella ch'ei pure soffriva. Nella Sposa del ricco vorremmo si specchiassero quei parenti tutti che pensano la suprema felicità dei figli potersi coli' oro o colla vana pompa di un nome attenere. La giovinetta invidiata da tutti è diserta nella sala dorata , ha 1' angoscia nel cuore , i-I pianto negl' occhi. » Die un rimbombo la porta dorata » Il mastino nell' atrio latrò , » Suona un' ora di notte avanzata Il consorte dall' orgia tornò. Terminiamo raccomandando la lettura della bellissima lirica — // poeta cieco — dandone un breve sunto onde maggior- mente invogliarne i nostri lettori. Guidato da un fanciullo colla faccia volta ad oriente chiede l' inspirato che veda il fanciullo or che la brezza Del sol foriera mormorar si sente. » Veggo una barca Che il lago varca , 237 Là sulla via Uu villancUo Va lento lento Verso il castello, Di pianta in pianta L' augel che canta Svolazza e limpide Stille dai|jrami Cadono al suol. A noi di fronte Sol vedo il monte Che appar turchino Come tranquillo Flutto marino j Inargentato Splendidamente E l'oriente .... Vedo una nuvola! • . Ah padre mio Si desta il sol! Il poeta sente il sorgere dell' astro animatore, sente il sor- riso che saetta alla dolce patria , e svegliasi » aura di speranza » Nel poeta , eh' in suo cuore Seco piange al suo dolore. » Poi nelle popolose vie d' una città d' Italia sull' ora del mez- zogiorno una donna dalle pupille color del cielo passagli presso e sclamando infelice! gli dona una lagrima. — Quella donna, il poeta non la vide e non la vedrà mai j^bensì vide e serrò per disdegno lo sguardo codardi che calcan la terra Impressa dell' orme d' antico valor. Sopraggiunge la sera , la sera in riva al mare .... presso la torre dei prigionieri. Lontane vele .... e la luna che ri- splende ed una stella che gli tremola a lato. Il poeta s' arre- sta e s' innebbria di quelle aure marine. Odesi intanto il pe- scatore. 258 » Sempre Ticina al lido Va questa navicella , Italia è troppo bella Io non la vo' lasciar. Prima che 1' alba nasca Lasciando il tetto mio Degl' astri al tremolio Gitto le retti in mar; E al mio ritorno i 6gli Con ilare sembiante La preda ancor guizzante Accorrono a mirar. Vada il nocchiero ardito Incontro alla procella : Italia è troppo bella Io non la vo' lasciai-. Succede al giovial canto il mestissimo del prigioniero , so- lenne contrasto dell' uomo libero e fortunato coli' uomo trava- gliato ed oppresso. » M'hai rapita la bellezza De' miei poggi , del mio sole , Della sposa la carezza , Il sorriso della prole , Perchè l'ala del pensier E rimasta al prigionier? Scesero quei due canti al cuore del poeta , e germinarono il pensiero che prorompe in lamento. E questo lamento è te- nero , è soave , è sublime. Viene la notte , il poeta è in seno della cara famiglia , ove gode sentirsi sulle ginocchia il peso delle amate membra del figlio , e prega le figliuole onde il dolore vogliano addormentargli col canto. E le dilette già cantano, già dopo l'amorosa canzone aspettano » Che i labbri s' aprano Del genitor. S' aprono . . . narra il poeta come e quando perdesse il dolce n lume degli occhi 5 « E se non piangi, di che pianger suoli? » Era egli tra due foleggianti ragazzine. 239 Repente alla caligine Gli s' addensò d' intomo. — » O figlie mie , la nebbia » C invidia i rai del giorno ! — » Padi'c travedi; un velo » Sarà Ticgl' occhi tuoi ; » Sempre sereno è il cielo , » Risplende il sol per noi. — Tacquero; e la caligine Più folta si facca / AI fianco suo le figlie Stringendo allor dicea : — » Ogni creato oggetto » Invola al guardo mio , » Ma dei figli 1' aspetto » No , non rapirmi , o Dio. — Ah fu vano il pregar , fu vano il pianto , Crebbe la nebbia e le due fanciullette Queir infelice più non vide accanto — Dove ne andaste ? Padre , Risposero, siam qui] Ma qual da un altro mondo Ei la risposta udì. ' Or sono adulte , ogni gentil le adora Egli le vede pargolette ancora.. — Non aggiungeremo altra parola d' encomio , non una di cri- tica ne diremo 5 perocché quanto amiamo il cercare e 1' am- mirare il bello ed il buono , tanto abborriamo il farci scruta- tori di quei piccioli nei da cui ninno, ch'io creda, va esente, uffizio che volentieri abbandoniamo a chi sei voglia assumere. Abbiasi il Montanelli un nostro affettuosissimo abbraccio, quale si manda a diletto fratello, e sappia che se con lui ammettiamo » Non stenda la mano sull' arpa del vate Chi fi-emer quai fiamme dai venti agitate Magnanimi affetti non sente nel cuor. *i » Con pari franchezza osiamo pronosticare, che seguitando egli nello intrapreso cammino non sarà mai vero che a lui applicar si possano quei suoi ultimi bellissimi versi » E al par della nube che in cielo viaggia, » E al par della nave che cerca ima spiaggia, Vai'cando la vita senz' orma morrò. *i NeW ultima Urica — La poesia. C. P. 240 Discorsi parrocchiali , istruzioni catechistiche ed altri scritti di Antonio de Rosmini - Serbati , già arciprete e decano di Ro- vereto. Milano, 1837. Tipografia e libreria Pirotta e Comp. , in-8 di pag. 292. Le ultime ore di un condannato di Vittore Ugo furono li- bro letto e riletto , stampato e ristampato in tutte le lingue. Eppure egli non sapeva se non pronunziare la bestemmia fi- losofica contro le istituzioni umane , cbe stipendiano un uomo ad ucciderne un altro ; che disperano del delinquente a segno di precidergli ogni via al pentirsi , e a giovare alla società cui La nociuto 5 che sulla bilancia della giustizia gettano una te- sta , la testa d'un uomo che pensa, che sente, che ha fatto calcolo su molti anni ancora d' una vita che gli è violente- mente 'strappata. Ma la bestemmia filosofica non potè nulla finora correggere di quelle leggi. Se non valse a cancellarle la religione ^ neppur col segnare a ciascuno in fronte il misterioso tau , si è però accostata al soffrente, lo ha confortato in quegli ultimi mo- menti quando ogni cosa gli fugge innanzi 5 quando la società lo respinge da sé , mostrogli aperte a riceverlo le braccia di un Dio , morto anch' esso per condanna d' uomini. E la fine d' un tristo , e le consolazioni eh' e' trasse dalla religione ci sono dipinti in questo racconto , steso da un sa- cerdote che r assistè insieme coli' abate Rosmini , allora arci- prete di Rovereto. ' « Felice Rohol di Vallarsa ( raccontasi quivi ) fu preso d'a- more per Anna Polli ; forse le avea dato speranza che mene- rebbela moglie. Intanto apparirono segni di gravidanza : egli ne ingelosì fieramente 5 la credette infedele. Ma ella ( non so i 241 con quanta ragione ) ne disse autore Felice che non credevasi autore , né si credette giammai. La Polli , per cessare la ver- gogna imminente , svelò la cosa al suo Parroco , e pregollo di far uffizio perchè il Robol attenesse la fatta promessa ( diceva ella ) , e le nozze seguissero tosto. Ma tutto fu vano : egli ri- cusò di sposarla. Ben fu questo il fatale momento, in cui la gelosia, l'infamia temuta, la rabbia, terribili furie, gli con- sigliarono di torre alla sciaurata la vita. Meditò , ordinò e com- piè in pochi giorni il doppio omicidio orribilissimo. Ritrovato alcuni dì appresso il cadavere della Polli , non poterono man- care ai giudici forti sospetti e indizi gravissimi contro il Robol 5 onde incontanente fu preso e tradotto nelle carceri. » Le prove però mancavano e stava il reo per esser rimandato innocente, quando si vide il trionfo dell'idea morale della giu- stizia. Perocché dopo lungo contrasto con se stesso, il Robol sentendosi degno di castigo, spontaneamente confessò il suo misfatto. La legge che dianzi, reo, stava per rimandarlo im- punito, ora pentito lo condannò. Ma in lui comparve uno stu- pendo trionfo della grazia , perocché in quei giorni divenne r edificazione di quanti gli assistevano e parlavano. E i suoi discorsi appunto e la generosa sua rassegnazione e i conforti datigli formano il semplice tessuto di questo racconto. La religione , lo so anch' io , 1' ho sentito dire anch' io le mille volte dai maestri di coloro che sanno , la religione è una sciocchezza, un allucinamento di deliranti, o un'astuzia d'in- gannatori , un bel trovato pel volgo : ma bisogna vederla al letto dell' infermo , nel tugurio del povero , nella carcere del condannato Robol per essa da ribaldo fatto maestro di pietà, scriveva: « Rover edo adi iQ settembre Felice Robol sono stato condan- nato a morte per i suoi misfatti. Ma spero nella Miseri — que- sto e il mio desiderio che io tengo nel mio cuore 0 mio Dio col sacrifizio che io spero de farti con la mia vita che già tu lave- rai stabilito il momento opera come a tu ti piace a gloria tua e sia fata la tua volontà e voi Madre mia Maria agutatemi a fare la volontà di Dio e maledire quella volta che io ho fato la mia. 242 Carissimi genitori io i^i saluto con tutto il mio cuore prima mio padre e poi mia madre mio frate con tutta lafamilia cioè sorele cunada e cunai , ma vi prego che — » Che bela consola . . . a dire che un peccatore che Iddio e cosi misericordioso che un peccatore còlè *i contrito de' suoi peccati le certo e sicuro che Iddio gè li perdona. » Per qualche tempo si sperò che gli si farebbe grazia della vita, ma invano. L'espiazione dovea compirsi col sangue. « Appena uscito sulla via *2 se gli fece incontro il carne- fice : un uomo di forse quarant' anni , di mezzana statura, ma robusto e fatticcio 5 pallido in faccia , occhi alquanto piccoli e cerulei ; capegli , barba alle guancie , e mustacchi folti e ne- ricci j un cappello puntato , velata di panno bigio chiusa sul petto, alla militare; brache giallognole, rigate a trama, co- turni e uno stocco che da una cintola di pelle bianca fasciante i lombi gli penzolava a sinistra , in una vagina di pelle nera, ornata di ottone *3. Quello era il momento nel quale il reo veniva dalla giustizia consegnato alle mani del boia. Onde que- sti , mentre il carceriere traeva a Felice la catena dal pie, gli prende fortemente le mani , gliele unisce colle dita incrocic- chiate, gli sciorina sugli occhi una funicella, e stringelo con essa ai polsi. Fu tenuto fisso 1' occhio a Felice per vedere se questo scontro e gioco pauroso lo potesse turbare. Egli non guardò mai né il carnefice , né altre persone , ma divideva i suoi sguardi, divoto e sorridente, tra il crocifisso e il cielo, che , stato il di innanzi e la mattina suU' alba piovoso e oscu- rissimo , parca si fosse fatto sei-eno e lucente per consolare del suo aspetto quell'anima. Solamente quando senti libero il piede dalla catena , e ne udì lo stridore , egli si volse addietro , e disse con molta sollecitudine: — dov'è la mia catena? bramo baciarla prima che la portino via. — Ma non si potè conten- tarlo , perchè il carceriere non era più li. » Come fu compita la giustizia , il Rosmini che 1' avea sera- *i Quando è. *i II 19 settembre iSS.S. *3 Qui il sacerdote si ricorda dei romaniieri. 245 pre assistito, montalo sulla scala del patibolo recitò il discorso, di cui riportiamo alcuni brani. « Che vi giova avere assistito al supplizio di questo misero malfattore , se di qui non vi partite , o spettatori , ammaestrati e compunti ? — Pietosa e terribile lezione v' è stata data ! Questo fresco giovane di ventitre anni, pochi minuti innanzi r avete veduto vivo , sano , robusto : miratelo ora , considera- telo bene, fissate pure colà i vostri sguardi nel suo gonfio e triste cadavere penzolante : saziatene la vostra curiosità : — ma finalmente, tornati a voi medesimi, che ne imparate ? — Non leggete scritta su questo patibolo 1' antica sentenza di Dio, che il peccato chiama la morte? — Si, peccato e morte sono fra- telli: non dee vivere chi ha peccato )) Lo sgraziato giovane era almeno pentito: accettò una morte violenta con ammirabile rassegnazione 5 egli stesso la preferì alla vita, quando, non convinto da prove, confessò a' giudici che lo voleano dimettere i suoi capitali delitti , dicendo farlo per istimolo di coscienza , che dentro gridavagli soddisfacesse all' eterna giustizia : provò il suo detto con penitenza esem- plare ne' giorni di suo carcere : e quel Dio che affligge e che consola, donogli vivissima fede di passare, peri meriti di Cri- sto che volle frequentemente ricevere , dal patibolo al cielo. » Altri segreti infrangitori della divina legge , veri malfattori perchè indurati, vivonsi lieti e dalla umana giustizia sicuri. Infelici ! voi vi morrete sul vostro letto : ma la vostra morte sarà perciò migliore di quella dell'appiccato ? L' anima di que- st' infame viverà in paradiso ; quando la vostra, se non vi con- vertite , sarà morta eternamente all' inferno » Padri e madri, ora a voi mi rivolgo, e vi prego d' impa- rar finalmente da questo luttuosissimo esempio , quanto sia fa- tale la negligenza nell' educare la prole , il non guardarla dai mali esempi , da' perversi compagni , dalle peccaminose occa- sioni, e, in una parola, il non istillare in essa col latte, per così dire , il timor santo de' giudizi di Dio , il quale affreni e moderi le loro giovanili passioni. Non crediate che questo mi- nistro della giustizia sia il vero uccisore de' condannati al sup- plizio : per lo più sono i genitori stessi gli spietati carnefici dì 244 tanti miseri figliuoli che ignominìosamente finiscono sulle for- che. Perchè abborrite quest' uomo innocente che eseguisce la legge ? perchè non abborrite voi stessi ? Ai padri , alle madri trascurati e iniqui che avviano i loro figliuoli per le strade della iniquità, sarebbe dovuto l'orrore diche s'incarica il giu- stiziere : spetta a loro il capestro , meglio che non ai ladroni ed agli assassini loro figliuoli che s' appendono per mano della giustizia : cagionano essi colla mala educazione 1' infame morte di tanti giustiziati : a molti più non giustiziati aprono essi il baratro dell' inferno: dove disperati, rabbiosi, padri e figliuoli in eterno si troveranno. Grida dunque a voi questo palco di morte, grida a tutti nel nome di Dio: ravvedetevi, peccatori, non perdete l'occasione datavi dalla divina misericordia: pensi il padre, pensi la madre a salvar la sua prole : pensi ogni uomo a salvare se stesso: giovani, vecchi, tornatevi alle case vostre picchiandovi il petto e convertendovi a penitenza, L' uomo ap- piccato ve r ha lasciato in ricordo : l' ha predicato dal carcere a quanti lo visitarono: ascoltatelo, perocché sotto le spoglie del peccatore egli era oggimai un giusto , come ci fanno sperare tanti suoi pii sentimenti, tanta esemplare sua penitenza , i sa- cramenti divotamente ricevuti , e la penosa morte incontrata con gioia , maravigliosa a tutti , per un santissimo amore di giustizia. » Questo ragionamento , al quale non occorre aggiunger parole, è compreso ne' discorsi parrocchiali e istruzioni catechistiche del Rosmini , stampati dal prete Orsi. Quanto quei discorsi condu- cano verso r invocata riforma dell' eloquenza del pulpito , il diranno gl'intelligenti. Ma se l'eloquenza del pulpito consiste in belle frasi liscie e leccate , in periodi variati e torniti e so- nanti , descrizioni minute, ipotiposi , figure, colle quali si ri- vesta una credenza priva di convinzioni , una morale spoglia di dogmi , un dissertare filosofico , questi del Rosmini non po- tranno certo aiutar i progressi dell' eloquenza. Qui v' è erudi- zione teologica, v'è applicazione di dogmi, v' è profonda ve- duta, v' è stile non sempre spontaneo , ma puro e chiaro. Se vi sia unzione il mostri questo passo. (( Dolcissimi fratelli mici ! ceco , vedete ciò ohe dobbiamo 245 noi fare ; « portate i pesi V uno deir altro, e così adempirete la legge di Cristo. » Questa legge è l'amore. Se la pratiche- rete, non che esservì tra voi più discordie, non vi saranno nep- pure differenze: ciascuno sarà simile , ciascuno prossimo al suo fratello. Le diverse condizioni della società si abbracceranno insieme in servigio ed aiuto scambievole : ognuno sarà ricco dell' amor di tutti e nulla gli mancherà Non sarà questa una dolce cittadinanza , formata dalla carità ? ]Nou sarà un caro ostello Rovereto, un viver lieto, una comunanza felice? Quale dubbio? La legge di carità, ove sola voi pratichiate, sovrab- basta invece di tutte le leggi. Una città non ha bisoguo di al- tri ordini. E se la carità sola reca unione e pace e abbondanza e rimedio a tutti i bisogni, e a tutte le calamità riparo sicu- rissimo, e rende il social vivere beato e santo; orche è, che non si pratica un mezzo così semplice e spedito di certa e piena temperai contentezza e felicità ? Chi e' impedisce che non ci amiamo? Per far elemosina conviene aver danaro; per digiu- nare buona salute ; scienza per ammaestrare altrui : ma per amare che ci bisogna? Il solo volerlo. Ogni uomo può amare; egli è uomo per questo, acciocché ami, e solo amando. è beato. Qual traviamento adunque, quale aifascinamento, che fatale in- fortunio è il nostro! Cerchiam tutti lo star bene a questo mon- do, ne abbiamo in mano il mezzo sicurissimo, facilissimo, e noi vogliamo. Vogliamo odiare, cosa contro natura ! e starci male ; e potremmo amare , al qual line Iddio ci ha posto in seno questo cuore , e star tutti bene ! Perchè dunque mi re- cate voi i vostri lamenti ? Perchè venite a contarmi lungamente le vostre sciagure? Perchè cercate si sovente da me conforto e rimedio? Potessi darvelo a tutti! Iddio sa quanto lo bramo. Ma io l'ho presto; oggi ve lo dai'ò : rispondo a tutti i miseri, a lutti quelli che soffrono calamità e tempesta, sbattuti in questo mare della società umana : per tutti i mali dell' umana conviven/.a V ha un rimedio agevole, certo, divino: amate. Amatevi di concordia V uno coli' altro , distruggete in voi l'odio, i-egni in tutti la carità di Gesù Cristo ; a cui sia onore e gloria ne' se- coli de' secoli. Cosi sia. » Ed io credo che quesl" due tomi debbano convenire ad ogni t6 246 Parroco, siccome una guida in molte solenni funzioni dell'au- gusto loro ministero. — Al che principalmente utili torne- ranno le catechesi, che a parer mio son la parte migliore di quest' opera. Il giovine arciprete non seguitò in essi la solita traccia del catechismo romano ; ma ragiona dapprima sul fine dell' uomo, indi su' mezzi di conseguirlo , che sono la provvi- denza , la legge , la grazia. Non si spaventino i lettori; non isvilupperemo queste parti, non citeremo esempi : sappiamo d' aver già tratto troppo in lungo questo argomento così futile e tedioso. Parliamo del tea- tro. C. Canta. Opuscoli vari di Pier- Alessandro Paravia raccolti ed emendati dalV Autore. (Torino, per Giacinto Marietti tipografo - libraio , 1837). Raccogliendo in uno diversi scritti dettati a mano a mano negli anni antecedenti il sig. Cav. Paravia li pubblicava non è gran tempo intitolandoli suoi opuscoli. I quali , tranne due di- scorsi 1' uno sopra la patria dei due Plinii , 1' altro sopra la traduzione delle lettere di Plinio il giovane fatta dal Tedeschi , si compongono di biografie, articoli necrologici ed orazioni in lode di personaggi illustri italiani. Questo tema di scrivere pare essere singolarmente prediletto dall' illustre autore e da lui coltivato con particolar compiacenza. Innamorato delle glo- rie letterarie d' Italia , siccome quelle che pur mostrino ancora degna di riverenza e non immeritevole di nobili speianze que- sta terra , che vien chiamata delle reminiscenze , acceso par- 247 ticolarmente d'ammirazione verso quelle più vicine alni, che o nello scorcio del passato secolo o nel volger del presente si spensero , egli stimò non men utile che generoso pensiero il sacrare il suo delicato ingegno ad onorarne la memoria e Poiché la carila del natio loco Lo strinse, raunò le fronde sparte. e la gentil ghirlanda che egli ne venne tessendo offerse ora caro tributo all' Italia. Lo scrivere del sig. Cav. Paravia non è quello di colui che col riandare le memorie de' celebri trapassati non altro cerchi che di soddisfare una vana curiosità , impiegare qualche parte di queir ozio che gli sovrabbonda o procacciare altrui qualche leggiero e fuggitivo diletto di lettura. Egli si mostra per tutto compreso della dignità del suo tema , e vi si aggira per entro con generoso entusiasmo , e diremmo quasi con riverenza , in- tento al doppio scopo di rendere omaggio di lode ad alcuni nomi onde più s'onora 1' Italia , e d'ammaestrare insieme con r esempio di quelli i presenti. E questa sua nobile intenzione vien dichiarata dall' autore nel por mano a scrivere la biogra- fia dell' immortale Tiraboschi. « Io mi sono condotto , dice egli , con lieto animo a scrivere nuovamente la vita di un tanto uomo , la quale essendo rischiarala da una perpetua luce di sapere e di virtù , sarà di utile scuola a questi nostri tempi , ne' quali tante essendo le nimistà e le discordie , che separano la letteraria famiglia , ci è forza conchiudere, che non sem- pre la virtù si fa compagna al sapere. » Alcune tra le biografie scritte dal sig. Cav. Paravia illustrano non solamente la vita di un personaggio , ma contrassegnano eziandio una qualche epoca famosa nella storia letteraria , additano un passo fatto nella scienza, come la biografia del Bianchini, il quale colla sua storia provata con monumenti e figurata con simboli degli an- tichi dischiuse nuove e più sicure vie per cui indagare le me- morie degli antichissimi tempi , e chiarire i primordj dell' umanità. Che se colle sue ardite congetture non colse egli sem- pre nel segno, fu colpa piuttosto dell'essere mancata a lui tutta quella luce di scoperte che fu opera della generazione 248 seguente 5 non del suo metodo, il quale seguitato ora con se- vei'ità di critica , e con più copia di mezzi non può fallire di condurre a sicuri ed importantissimi risultati. Onde noi cre- diamo ingiusto verso il Bianchini il giudizio del Cav. Bossi , -che quella storia chiamò con soverchia leggerezza un romanzo. E considerate per questo lato alcune delle biografie , onde si compongono gli opuscoli del sig. Cav. Paravia, acquistano nuovo pregio e maggior importanza. Perocché non è delle cose lettera- rie come delle politiche. In queste soglionsi considerare più i tempi, che gli uomini, e gli scrittori di scienze sociali discor- rono spesso così astrattamente dei tempi , come il geometra ragiona astrattamente dello spazio, in quelle per contrario vuoisi più che dei tempi tener conto degli viomini, ai quali si legano in gran parte i progressi delle scienze e le vicende delle lettere. Potrebbe taluno per avventura desiderare che il eh. autore fosse stato alcuna volta meno apologetico , ed avesse in quella vece penetrato alquanto più addentro nella mente di quegli uomini della cui vita fu cosi diligente e facondo nari-atore. Perciocché il seguitare passo passo e segnare le vie de' sublimi intelletti , e svilupparli in tutta la loro ampiezza è forse la migiore apologia che di loro si possa comporre. E questa con- siderazione non isfuggì air autore giudicando egli stesso della sua biografia del Varano con queste parole : « se dovessi ora compor questa vita, la condurrei forse in diversa maniera; né vorrei più citare in commendazione del Varano o le officiose lettere degli amici o i benigni articoli de' giornali .... Invece io vorrei diffondermi sul merito che egli ebbe con 1' italiana tragedia , e specialmente con la poesia dantesca , che egli con- tribuì grandemente a mettere in onore ecc. ecc. » Per quello che s' appartiene ai pregi dello scrivere non si può che lodare altamente la facile , copiosa e spontanea elo- quenza, lo stile eletto, terso, fiorito di delicatissimi pensieri, piegantesi senza fatica ad ogni bisogno dello scrittore. E cote- sti pregi risplendono soprattutto nella sua bellissima orazione in onore di Carlo Coldoni , della quale ci piace qui arrecare (•ome per saggio un piccolo brano onde chiudere con qualche diletto di coloro che il leggeranno questo nostro articolo. 249 « E sia pure che nel rappresentare i costumi delle altre na- zioni e degli altri paesi il Goldoni non sia stato sempre fedele ; egli lo sarà tanto nel rappresentar quelli della sua patria, che basta un poco avvolgersi per queste vie , per riscontrar quasi a ogni passo la verità delle sue tinte e la precisione del suo pen- nello. Che se un sì fatto riscontro si fa un dì più che 1' altro difficile, colpa la condizione de' tempi , per cui, perduto il suo nazionale governo, va anche perdendo la patria nostra ( dolo- rosa e inevitabile conseguenza ) il suo nazionale costume ; que- sto , che per Venezia è diminuzione di gloria , è crescimento di merito pel suo Goldoni. SI 5 nella consuetudine dello stra- niero perda pure Vinegia que' suoi particolari usi , che la di- stinguevano da tutte le altre città italiane ; e nel forestiero co- stume così mescoli e confonda il suo proprio , da smarrirne col processo del tempo interamente la traccia : dirò di più 5 sparisca dal mondo questa maravigliosa città, e dove ora soi'ge la magnificenza de' suoi edifizi , affondi il barcaiuolo il remo, o stenda il pescatore le reti 5 Venezia potrà perire , ma il ve- neziano costume nelle commedie di Carlo Goldoni immortal- mente vivrà. Né il veneziano costume sarà la sola parte di questa patria, che viva e risplenda nelle commedie del Goldoni ; poiché al par del costume, e più ancora di esso, vi risplenderà eterna- mente il veneziano dialetto. E quando io dico il veneziano dia- letto , intendo il più gentile , il più facile e il più musicale dialetto di quanti mai se ne pai'lauo dalle Alpi al mar di Sici- lia 5 quel dialetto che a tutte servendo le modificazioni dell' animo , a tutte piegandosi 1' educazion degli slati , suona non men caro e spressivo sul labbro del procace gondoliero, che su quello della vereconda donzella, non men si presta alla pia- cevolezza del teatro e alla ilarità de' conviti , che alla grave contenzion del foro e alla reverenda maestà del senato; quel dialetto in fine, che parlato da una delle nostre dame del trascorso secolo, non fu l'ultima arme, per cui venne nuova- mente sotto il giogo d' amore lo sdegnoso animo del canuto Parini. G. 250 Una Commedia , un Dramma e qualche Poesia lirica Del C. V. T. Infine due Odi di G. T. sorella del suddetto Autore. (^ Torino, 1837. Tip. Mussano e Bona). La è uua miscela , che se non fa meraviglia cem' e^sa abbia potuto sgocciolare giù dalla penna di due autori , fratello e sorella, e' non si capisce poi alla prima com' abbia potuto rac- chiudersi in un solo volumetto di i5o pagine. — Nella commedia abbiamo creduto di ravvisare un fatto contemporaneo, vero ed accaduto. Essa ha uno scopo veramente morale , e se alla vei-ità storica ed alla moralità accoppiasse maggior eleganza di locuzione , un più gran brio nel dialogo e maggior vivezza di caratteri, gioverebbe assaissimo a medi- care una piaga molto inveterata della società. Trattasi non di manco che d' insegnare alle zitelle di non risguardare come un pis-aller quel giovane che in tutta la schiettezza d' un primo ed onesto affetto viene ad offrire a qualch'una di esse la mano di sposo. Queir aspettare sempre partiti migliori di quelli che si sono presentati pei primi , quel tenerli tutti a bada tra una inai intesa civetteria ed una preziosaggine disprezzante , è tale un difetto che anche oggidì non è tanto raro a trovarsi nelle fanciulle da marito , ed a cui molte volte tocca o il castigo della nostra Fidanzata alla prova che alla fine del giuoco sen 251 rimase senza fidanzalo, oppure quell'altro incontrato da quella zitella di cui narra graziosamente La-Fontaine : Celle-ci fit un clioix quon naurait jamuu cru Se trouvant à la fin tout ai$e et tout heureuse De rencontrer un malotru. — Il dramma poi , Ester, è una rappresentazione che senza alzarsi al concetto ed alla dignità del dramma storico e tanto meno del dramma religioso e politico , senza neppur anche ve- stire il carattere di quei poemi che oggidì si chiamano con voce novella umanitarii , è però scritto con quella certa varietà di metri e spontaneità di parole che queste potrebbero assai convenevolmente servire alla musica di un' opera sacra , tutta volta però che questa musica somigliasse a quella del Mosè di Rossini. — Le altre poesie sono poesie di famiglia o di crocchio , e tranne qualche sonetto , come sarebbe quello su d'una cantante invecchiata e quell'altro su Paganini , il loro interesse poi non può oltrepassare la soglia della casa in cui e per cui sono state scritte ed immaginate. Allorché esse giungono all' orecchio di chi non è informato delle circostanze per le quali furono com- poste , non fanno e non lasciano alcuna impressione. Sono di quei versi che non farebbero forse cattiva figura in quelle rac- colte che si danno per strenua. 252 ROYILDO E LISA (Frammento di cantica * i )■ ©- L'asta squassando e tutto aspro d'acciaro Trascorreva Piovildo imperioso Il paterno castello -, e orribilmente Al mutar de' gran passi rintronando L'ampie sale di fiere armi vestite, In que' tremanti ferri fremebondi Parea metter la pugna. Al fragor cupo Lisa , la bella di Rovildo sposa , Subitamente accorse , e visto il truce Appareccliio di guerra , impallidì. Poi girando le braccia alle ginocchia Dell'ardente marito , lagrimando Gli cadde innanzi, e disse: or perchè sotto Alla rovina di nemici brandi Furor ti porta ? qual ira fratei'na , Sposo, al sangue ti tragge? Oh maladetto Questo che tanto ti si apprese all'alma Di battaglie desio ! Deh , se pur care Queste chiome ti fur che nella polve Or disciolgo al tuo pie , l'orride spoglie Svesti , e mi torna con un riso al seno. Ah ! ti mova di Lisa la querela: Lisa morrà di doglia ove tu corra , Diletto capo , a perigliar la vita , E qui sola mi lasci e abbandonata. Tosto alzoUa il Guerriero e la posando Sul proprio petto , in pio atto amoroso Dolce le corse colla palma il mento : Le baciava i grand'occhi che nel pianto 1 255 Eian quai del malti n vergini fiori Sotto il tremulo vel della rugiada. Indi a dir le si fece : oh di mia vita Amore , e prima del mio cor dolcezza, Ti riconforta e m'odi. Una sfrenata Ambizione di tiranich'alma , Né cupa sete di sangue fraterno Me non spinge de' forti alla tenzone. Se nelle vene d'innocenti petti 10 cacciassi le mani, approssimarle A te potrei , angiol di pace e viso Di celeste pietà ? Ma ad Ildeberto , A cui solenne sacramento femmo Di soccorso or mi volo : orrendamente Stretto è d'assedio l'infelice amico Che tante volte vincitor ne rese. Ti riconforta , o donna , ognor de' giusti L'armi il ciel foitunò. Di queste mura 11 terzo sole a illuminar le torri Verrà dall'alto , e più del sol lucente Fia che venga Rovildo a rallegrarti , Che bello è lo splendor della vittoria Più del puro e nascente astro del giorno. Tacque , e cogli occhi di partir fé' cenno A' suoi fidi che muti e impazienti Agitavano i brandi. Alla feroce Necessità di sangue e di ruine S'acquetò la dolente , e in un sospiro Mori l'ultimo addio. Agostino Cannoli. Cenno sui fonti e sugli uffìzi dell'odierna poesia. Già altre volle le pagine di questo Giornale si sono fregiate di alcune poesie inedite di Agostino Gagnoli , ed è con piacere che ora si fregiano di nuovo di questo suo frammento di cantica. Egli è nel leggerle e iiell'inserire questo fram- mento , che ci si risvegliarono nel pensiero alcune idee sui fonti e sugli uflicii della odierna poesia. Noi ora qui le presentiamo in guisa di nota senza veruna sorta di pretensione, e col solo divisamente che possano per a-v-ventura chiamare sopra di 254 un tale argomento 1' attenzione di qualche dotto che nella letteratura non cerchi solamente i precetti dell'estetica, ma il sentimento ben anche di un benefizio morale. Il frammento dunque su riportato del nostro pregiato Reggiano è un suo tenta- tivo per pi'ovare che la buona poesia può anche sposarsi al genere delle cantiche, leggende , o romanze senza adoperare quelle bassezze di stile e di concetto in cui veggiamo cadere coloro che hanno la disgrazia di credere essere queste negligenze quasi compagne inseparabili di un cotal genere di componimenti. « Perchè , dice » sensatamente il Gagnoli , perchè non si possono trattare i temi che oggidì si » preferiscono dai più colla castità della lingua e col sempre onorato e dignitoso » abito degli antichi? Le novità delle imagini vorranno forse una nuova favella?» Ma a queste domande siaci permesso di rispondere con altre domande , le quali ci paiono ricercare forse più in fondo l'interesse e l'ufficio della poesia. Perchè dunque , domandiamo noi , far ancor a dì nostri servir la poesia a rap- presentare le imagini , e le abitudini de' tempi cavallereschi ? Perchè non credere già abbastanza e a quel vecchio modo ricantati « Le donne , i cavalier , l'armi e gli amori ? » Perchè in una parola la poesia non si è ancora emancipata da questi luoghi co- muni del medio evo ? Egli è un fatto oggimai iimegabile che gli animi e le immaginazioni delle mo- derne generazioni sbattute , e scosse da tante sensazioni ed illusioni diverse , sono sazie di quelle antiche imagini della poesia feudale , come lo furono prima di quelle della poesia mitologica. Le avventure eroiche ed erotiche dei Paladini , e dei Ca- stellani sono passate di moda come quelle favolose dei Semidei. La sola tragedia che è , si può dire , la poesia della storia , dovendosi innalzare alla contemplazione ed alla rappresentazione delle ragioni politiche e nazionali , può ragionevolmente e forse deve di preferenza ispirarsi negli avvenimenti dei mezzi tempi. In questi stanno ancora in gran parte riposte molte della nostre credenze , delle nostre istituzioni , dei nostri costumi , e mentre questi tempi ci appartengono più da vicino , sono però ancora in quella prudente lontananza , che è necessaria perchè una tragedia possa fare effetto , e come spettacolo e come poesia dell' uomo individuo e dell' uomo sociale , come dramma insomma , e come popma umanitario. Nel vortice però delle passioni politiche in cui la tragedia ama avvolgere il suo spettacolo , il Man- zoni , per tacere di altri , mostrò come si possano usare con infinito vantaggio dell'arte le tinte più dolci e più penetranti della scienza del carattere dell' epo- ca e della scienza del cuore ; di quella scienza che essendo di tutti i tempi e di tutti gli uomini può sempre fortemente influire sullo spirito di qualunque secolo , e sul cuore di qualunque generazione. Di qui sempre meglio si capisce che il mondo pensante , il mondo che cerca e che è capace di godere i piaceri dello spirito , questo mondo che non è più ristretto in poche intelligenze , ma che ora abbraccia e comprende anche il popolo , chiede in questo momento alla poesia più giovani , più potenti e più vere ispirazioni. Le menti occupate dagli interessi reali della vita più non possono lusingarsi con fantasie che nulla o ben poco più hanno di comune con essa, e rigettano questi sforzi di una poesia decrepita ed eunuca, come si rigetta un frutto che abbia bensì ancora serbata qualche apparenza di co- lorito, ma che in sostanza sia fracido e non più buono a nulla. Una poesia meglio appropriata alle presenti condizioni dello spirito , e del cuore , 255 una poesia che parli ai presenti interessi dell'uomo e della società, una poesia in- vsomma vivente e sentita, ella è necessaria oggidì per ravvivare le menti italiane logore e stanche da una esanime poesia ornai nient' altro divenuta che un suono di parole impotente e tedioso. La ragione, il buon senso, la verità, questi bisogni che al giorno d'oggi si fanno cosi imperiosamente sentire , le simpatie , le esigenze sociali , le affezioni dell' in- dividuo e della famiglia, le sue speranze, i suoi timori, gli affanni e le gioie chn Io istruiscono, lo consolano , e lo migliorano , dovrebbero oramai creare quel fonie novello di poesia che si è forse voluto tentare col genere delle cantiche e delle leg- gende. — Ma qui da un lato le schifose , e prosastiche realtà , e dall' altro un troppo vaporoso misticismo , si presentano come due scogli minaccianti naufra- gio. — Per altro non veggiamo noi tutto giorno , e non ci dilettano forse tanti romanzi che ci descrivono la vita pratica della presente società , gli accidenti veri e positivi della vita domestica ed intema, i sentimenti più intimi colle loro più fuggevoli gradazioni, i vizi e le virtù più apparenti o nascoste, gl'impulsi religiosi e le insistenze del sensualismo , le illusioni e i disinganni , le ambizioni e le apa- tie , le espansioni e le diliidenze , le lagrime soffocate e le gioie prudenti, le inno- centi malizie e le maliziose ingenuità ; in una parola tutti i più impercettibili movimenti dell'animo , e tutte le più segrete combinazioni della vivente società ? Ebbene tutto questo tesoro ancor inesausto di pensieri , e di sensazioni , tutto questo mondo palpitante di realità e di psicologia non potrebbe prendere il posto delle antiche tradizioni ed abitudini letterarie , e meritarsi nella sua rappresen- tazione l'onore del linguaggio poetico? Ma forse il linguaggio artistico e convenzionale che è solito a dominare nella poe- sia italiana ed a vestirne le ispirazioni , e che talora tiene anche le veci delle ispi- razioni stesse , non vorrebbe abbassarsi sino a descrivere tutte codeste attualità della vita, che si sogliono chiamare comunali, prosaiche, e spegnitrici d'ogni poetica scintilla. Forse un linguaggio nobile e dignitoso , ma nello stesso tempo espressivo e spontaneo che possa applicarsi ai sentimenti più schietti dell' animo ed agli av- venimenti quotidiani della vita , è ciò che manca ancora alla poesia italiana. Eppure sembra vergogna che mentre le poesie delle altre nazioni si rigenerano nei nuovi elementi della odierna società e del mondo attuale , ed in quella appa- rente varietà , o vera monotomia di caratteri , d'inclinazioni , e di opere che ci fanno amare o fastidire la vita e ne colorano tutti gl'istanti , la sola poesia italiana ri- manga inerte , e quasi fosse stretta in ruotale d' invincibile mota , continui a tra- scinarsi brancolando nelle regioni mitologiche , o cavalleresche , chiedendo ispira- zioni da cose , che , a giudizio nostro , non sono più fatte , per darne alcuna. S. Battaglione 256 IELLE AMTI Lettera XII. ARMONIA FISICA Carissimo Amico » Dov' è colui che primo » Quello che udir non vagliono » L' anime fitte nel terrestre limo , » Armonizzar d' etcì-ce » Ruote ascoltò , siccome Iddii lassiì ? Mazza. Giacché tale si è il piacer vostro io aggiugnerò questa Coda alla terminata Sinfonia , e vi farò udire tre battute sull'Armo- nia fisica , morale e religiosa. Solo vi avverto , che se finora mi intrattenni con voi con tutta pacatezza ed accademicamente ra- gionando, adesso dovendo io stringere il tempo, ed accellerare il moto , avrei bisogno di un po' più di libertà. Abbastanza mi pare diesiamo stati sui quinci e quindi, annoiandoci l'un l'al- tro con queste musicali teorie. Dunque allentiamo alquanto la briglia e , come D. Chisciotte , una volta almeno nella vita usciamo per po.o da' gangheri. Credete voi che la pazzia sia sempre un male? Certo no, quando si fa a bella posta, o per provarvici. Vi prego eziandio che se mai in queste lettere v'in- vitassi ad accompagnarmi in qualche viaggietto, non ricusiate; perchè altrimenti correreste rischio di non intendermi. E cominciando dall'Armonia fisica , voi sapete che antichis- simi filosofi pitagorici e platonici molti naturali fenomeni vol- lero colla musica spiegare 5 così che voi direste che le teorie musicali fossero le loro cifre o formole algebriche, il linguaggio matematico di que' tempi , e di que' filosofi. Sebbene la mu- sica applicata dagli antichi sapienti alle più sublimi dottrine 257 fu piuttosto un' ispirazione che uno studio ; fu la lira di Mer- curio , la siringa di Pan , il canto d' Apolline e delle Muse , furono i poeti che svegliarono i filosofi: Orfeo precedette Pi- tagora , i canti furono il preludio delle speculazioni e la mu- sica quasi anello intermedio tra la poesia e la filosofia. In virtù della quale cognazione Pitagora non trovò miglior legge, miglior vincolo e disposizione nel mondo che l'armonia, Timeo e Platone non seppero meglio spiegare la formazione e l'econo- mia dell'universo, il portentoso lavoro del gran Geometra, che colle armoniche leggi. Genii poetici e sublimi furono costoro, i quali nel contemplare e nello studiare la natura s' aiutarono con un' arte divina , e per allettare ed istruire la moltitudine adoperarono un linguaggio dolcissimo j inteso da tutta la Gre- cia , voglio dire la musica ! O Muse j, o alto ingegno,, or m'aiutate, perchè altrimenti come farò io a dimostrare che quanto per mente e per occhio si gira , tutto è armonia ? Ben mi basterebbe un sufficiente aiuto, ove io avessi, o amico, solo a parlare od a ripetervi le cantilene de' volgari poeti, voglio dire i diversi canti della pen- nuta famiglia , lo susurrar de' ruscelli , e lo strepito d' un fiu- me o d'un torrente alpestre, od il fragor del molto -sonante mare , lo scroscio delle tempeste , il brontolio del tuono , in cui siccome molti hanno scoperto un certo suono e ritmo, così alcuni moderni maestri hanno creduto di dovergli imitare sulle scene col rimbombo dell'orchestra. Ma, come vi dicea , ho bisogno di grande ed efficace aiuto per discorrere di que- sta muta armonia ; ed io lo spero , se le invocate Muse mi hanno udito. Ed intanto che lo attendo posso ben cominciarvi a dire che questo bel mondo mi pare simile ad un organo di mille varie e subordinate e connesse armoniose canne mirabil- mente composto, in cui, come pure talvolta nelle chiese av- viene , non si vede mai il suonatore , ma dal suonare conget- turiamo che vi sia. La nostra terra , vedete, non ne è che una piccola parte, un piccol registro creduto dagli antichi il più basso. Quanto sulla superficie di lei esiste o fluido o solido, o piano o montuoso ^ fermo o mobile j mutabile od immutabile è armonioso. L' orror delle montagne e de' mari, T amenità 258 delle colline e delle valli , la solitudine e le città , tutto per unità consuona, per varietà armonicamente dissuona. Ogni cosa fa il suo giro , ogni essere progredisce sulla sua scala. Inoltre le vicende del giorno e della notte, 1' alternarsi delle stagioni in cui i Caldei scoprirono musicali proporzioni, il periodo de- gli anni e de' secoli, adducono sulla terra una perpetua armo- nia di luce e di tenebre , di caldo e di freddo, di arsura e di innondazìoni , di sterilità e di fecondità, di agi e disagi a' suoi abitatori , i quali pure dal principio del mondo sino al pre- sente anno e giorno per vari casi , per indicibili avvenimenti , per igìiem et aquam sonosi succeduti gli uni agli altri a fami- glia , a tribù , a popoli , a nazioni , or semplici e rozzi , ora colti ed effeminati, quando mansueti e pacifici, quando feroci e bat- taglieri, un po' selvatici, un po' civili, or felici, ora infelici, oggi oppressi , domani oppressori. Se le umane generazioni (che delle bestiali non so ) per mezzo ai frastuoni de' diluvi , de' terremoti, de' vulcani, delle guerre, delle rivoluzioni non sono andate in musica, come siano e come abbiano da andare non saprei. Il certo si è che tutte fecero udire la loro voce a cori e semicori per ammutolir tosto in un lungo tacet ; tempo d" aspetto il quale non finirà che al clangore dell'angelica trom- ba Intanto tocca a noi fare la parte nostra meglio che possiamo. Ora allargate bene le orbite degli occhi , e finché il sole ci illumina, osservate quest'altra musica, la quale è la più muta di tutte. Questa luce medesima, questo riso dell' univei'so , quest' anima del mondo , che ci rischiara e riscalda e rallegra, una e settemplice è pure armoniosa. Chi fece si bella scoperta ? Newton. « Allorché 1' uom sommo ( dice il mio maestro *i ) » venne a trattar della luce, e vide i segreti di quella per cui » si veggono tutte le cose , e scoperse i sette colori che ella » gelosamente nasconde nella sua bianchezza , e variamente di- *i Giuseppe Biamonti , professore d' eloquenza italiana in questa Università , ira le altre sue orazioni , una ne scrisse sull' Armonia , mirabile non tanto per la bellezza dello stile , quanto per la grandezza delle cose. Con questa e con le altre citazioni intendo di onorare tant' uomo e di rinfrescarlo nella memoria de' Pie- montesi. 259 » videndogli ci mostra la varietà degli oggetti , trovò nelle lun- » ghezze degli spazi occupati dai sette colori le medesime pro- » porzioni, che nelle lunghezze delle corde dei tuoni della » musica, ed il Newton, il gran Newton rinvenne nella luce » la chiave , com' egli disse , un tuono , la terza minore , » la quarta, e gli altri gradi della musica scala. » Dietro tale teoria il P. Castel compose il suo clavicembalo de' colori, sul quale io avrei volontieri eseguita una sinfonia per dilet- tare la vista degli uditori , e per accertarmi bene della somi- glianza che è tra i suoni e i colori in quanto alle vibrazioni, ondulazioni, velocità dell'aria o della luce, e principalmente in quanto alla consonanza o dissonanza, alla soavità od aspi-ezza dei colori. Ed ecco perchè io vi dicea in un' altra lettera di paragonare la musica colla pittura , i suoni coi colori ; ma forse primachè questa giunga al suo termine, voi dovrete paragonarla colla più sublime poesia. Ma che ? I vostri occhi mi paiono abbagliati da questa settemplice luce che sgorga a torrenti dal fonte di tutto il lume. Foi'se qualche gran colpo della luminosa orchestra v' avrebbe infranto il nervo ottico ? O corifeo della musica celeste, o motov del mondo , regolator de' tempi che furono e saranno, custode de' musicali ritmi, luminoso Apollo, taci per poco, velati di qualche nube, oppure tramonta tosto a queir alpe cui sembri vicino , e dando luogo alla tua nemica , lasciaci contemplare nella calma e nel silenzio delle tenebre le altre maraviglie armoniche del tuo regno ! Facta est nox , durante la quale voi non vedrete già col Salmista ebreo passar tutte le fiere della selva j ma sì tutte le stelle del firmamento. Quale spettacolo ! que' globi scintillanti che io chiamerei altrettante note musicali , se non gli avessi già chiamati canne del grand' organo mondano , voi ve li ve- dete girar sul capo e descrivere i loro archi. Sono mondi che passano, figure della caducità delle create cose, specchi in cui gli abitatori della terra mirano la forma e il moto della loro dimora. Il filosofo nelle sue contemplazioni gli studia , gli mi- sura, direste quasi che gli dirige come un capitano i suoi sol- dati. Il rozzo ed il pellegrino all' opposto gli guarda come tante facelle che a lui rallegrano 1' orror della notte. Ma qualunque 260 cosa essi siano , certo si è che ora stanno eseguendo concorde- mente un' armoniosissima sinfonia. Osservate là la cetra d'Or- feo , quella che incivili l'antico mondo, quella che operò i portenti di cui vi parlai , ora risuona in cielo e splendente di quattro stelle , gode il premio de' benefizi fatti al genere uma- no. Ma noi siamo troppo bassi per ben contemplare tanta va- stità ed altezza. Volete voi che con Dante ascendiamo di stella in stella almeno sino a quella cetra lufninosa per meglio ine- briarci di quella musica celestiale ? Ebbene alziamoci da questa teri'a ed attraversando da prima questi bassi elementi, jtoniam mente se mai ci dessero qualche suono. Osservate che bella musica fecero gli antichi di questi quat- tro corpi sublunari. Gli Arabi trovarono maravigliosi ragguagli tra la natura ed i suoni. Il grave stromento detto Berti (credo che fosse il loro contrabasso ) aveva simpatia col peso e soli- dità della terra : un altro chiamato Motsellets per la fred- dezza dei suoni avevala coli' acqua : un terzo detto Metsni per la delicatezza delle corde somigliava all' aria : un quarto final- mente per r acutezza e vivacità delle melodie emulava il fuoco e chiamavasi Zir. — Iddio ( secondo Platone e Timeo ) vo- lendo creare il mondo visibile e tangibile , aveva mestieri di luce e solidità 5 ed eccovi fuoco e terra. Ma questi due ele- menti troppo erano per natura dissonanti , come dunque ac- cordarli ? L'acqua non bastava, la quale comechè fosse in ar- monia colla terra , troppa contrarietà aveva col fuoco 5 essa lo avrebbe subito spento , ed allora : addio mondo. Ed eccovi r aria che a guisa di mediatrice viene a collocarsi tra il fuoco e l'acqua, gli accorda, accoi'daudosi ella stessa per mezzo dell' acqua colla terra , la quale pei due corpi intermedii trovasi in perfetta armonia col fuoco. Quattro elementi adunque armoni- camente annodati nei tre proporzionali intervalli vi danno il diatessaron , ed il diapente gli accordi cioè di quarta e quinta, di cui formasi il diapason , ossia l'ottava e la scala elementare. Altri filosofi trovarono altri ragguagli in questi corpi 5 la terra cioè unita all' acqua col vincolo della necessità , \ acqua anno- data coir aria coi legame dell'armonia, [l'aria congiunta col fuoco col nodo dell'ubbidienza. Ma uell' intervallo medio, come ^61 vedete , vi e la musica che accorda insieme necessità ed ub- i>idienza , onde riescano meno amare , e più sopportevoli. Ma il sapiente di Samo salendo, come facciam noi , oltre gli elementi a region superiore , trovò un' armonia più bella. Egli educato al par d' ogni altro greco nella musica pratica , dopo d' aver applicato le proporzioni aritmetiche e le armoni- che alla fisica , all' opposto di Socrate che dal cielo chiamò la filosofia in terra, trasportò la musica dalla terra al cielo e come aveva già trovato un nome degno allo studio della sa- pienza, così ne applicò un altro più magnifico all'ordine dell' universo , chiamandolo armonia We/ mondo. « Quindi ( seguita » il mio maestro ) accordò tra loro la terra , i pianeti e 1' ot- i) tavo cielo, numerando i tuoni ed i semituoni che sono dall' » uno all' altro , onde trovar le distanze dei pianeti e delle » stelle secondo le proporzioni del monocordo , aggiungendo » che dal moto di questi corpi nasce un mirabile concento, » il quale noi non sentiamo, o perchè è troppo grande, o, » secondo altri , perchè vi siamo avvezzi. » Quindi è che in que' remotissimi tempi meglio non si seppe discorrere dell'astro- nomia che colla lingua musicale. L' eptacordo ossia la lira di sette corde accordata nel genere diatonico servì di scala astro- nomica. La Luna , ove ora siamo , rappresentata dalla nota sì era il tuono fondamentale, la prima corda: Mercurio la ^e- conda: Venere la terza: Sole la quarta: Marte la quinta: Giove la sesta: Saturno la settima. E come p. e. l'intervallo che è dalla Luna sì a Mercurio ut è di un semituono , e quello da Mercurio a Venere re è d'un tuono intiero 5 così venivasi da quegli astronomi ad indicare la maggiore o minore distanza de' pianeti tra loro. Il tuono equivaleva a 26000 stadii , unità di misura molto semplice e spedita come presso i moderni il dia- metro della terra. Ma dissopra avete veduto che pitagora ac- x:ordò la terra coli' ottavo cielo , due note di più da aggiun- gere al diapason astronomico. In questo viene in acconcio il genere cromatico che ammette altri semituoni; così che ripi- gliando dalla terra ( se non v' incresce discendere un momento) come dalla nota gravissima, e saltando l'ottava elementare, e lornaudo alla Luna per un taono intiero, e salendo gli altri 262 corpi per semitonici troveremo sull'ottava sfera, ultima e più acuta nota della pitagorica armonia. Ed eccoci, amico, nella lira d' Orfeo. Non abbiate paura di quest' avoltojo od aquila che la sostiene , né degli altri animali che intorno ci stanno. Essi han cangiata natura, sono mansuetissimi. E come potreb- bero inferocire alla presenza d' Orfeo, [ed al suon delle sue corde ? — Ora , riposando qua un poco , posso io doman- darvi se nel salire questa armonica scala avete udito qualche concento ? Se non 1' udiste vostra è la colpa , perchè non vi pensaste ; né io tutto occupato nel guidarvi per mano onde non poneste piede in fallo per si lubrico sentiero, mi sovvenni di avvertirvi. Ma evvi rimedio a tutto. Quando il vogliate voi potrete udire queste supreme melodie 5 non così tosto , perchè il moto rapidissimo di questa ottava sfera dà un suono sì acuto, sì penetrante , che il passaggio dalla totale sordità a cotanto rumore potrebbe farvi cadere a terra morto. Intanto io prose- guirò a dirvi che questa mondana armonia non solo fu negli antichi tempi notata 5 ma anche ne' secoli moderni. Io già vi lodai e Pitagora e Platone e Newton, aggiungete ora quarto a tanto senno 1' interprete dei due primi , ed il predecessore del terzo, voglio dire Keplero. Che bel tetracordo di filosofi, amico dolcissimo l Io voglio cantarvi di lui colle note del mio maestro : « Ke- » plero fece 1' ultimo canto dell' astronomica e geometrica poe- M sia: dopo il quale si doveva chiudere quella misteriosa sin- » fonia per non sentirsi più dai mortali; essendo il suo poema » ( Delle armonie ) , e per le immaginazioni sublimi il più » alto che ancor fosse fatto in tal genere, e per le verità che » contiene , il principio d' un nuovo modo di contemplare le » maraviglie del cielo » Sì , amico mio , costui fu ve- ramente il Dante ed il Milton della più astrusa filosofia, come quelli per così dire furono tra' poeti i Pitagora ed i Kepleri della più misteriosa poesia. Il rigoroso poema kepleriano non si può paragonare che colla Divina Commedia , o col Paradiso perduto; né l'Iliade, né l'Eneide, uè la Gerusalemme nulla bau da fare con quello. Né ciò mi negherete allorché avrete qualche idea di siffatto astronomico poema. Ponete mente che 265 il mio maestro è pronto a darvela : « Appena Keplero ebbe sen- » tito animare l'armonia de' cieli , e veduto nel Timeo di Pia- li toue i cinque corpi regolari , quattro de' quali sono attri- ci buiti agli elementi , ed il quinto all' universo , cbe questi » pensieri furono come un fuoco nella sua mente. E prima » cominciò dal porre le cinque figure solide ne' cinque inter- » valli tra i sei pianeti che girano intorno al sole per trovare » le proporzioni delle loro distanze ; e per ventidue anni sem- » pre paragonando i tuoni musicali con gli apsidi , gli eccen- » trici e i moti estremi e i convergenti e divergenti e colle » altre apparenze de' pianeti , credette finalmente di vedere » la parentela fra le proporzioni armoniche, e i cinque solidi ; » e conchiuse che tutta la natura dell'armonia , quanta ella è » in ogni sua parte , si trova tra i moti celesti in modo ec- » cellentissimo e perfettissimo . , . . , e infine che quella pro- » porzione la quale è tra il canto semplice o la monodia . . . » e tra il canto figurato ossia contrappunto , quella medesima » è tra le armonie di ciascun pianeta da sé, e le armonie de' M pianeti congiunti insieme. » Voi vedete che 1' armonia pitagorica fu dal discepolo di Co- pernico mirabilmente adattata al nuovo sistema planetario , il quale dopo di lui arricchito di nuove corde , voglio dire dei cinque pianeti posteriormente scoperti , ora non debbe essere che armoniosissimo. La terra cedette al sole il suono più grave, scegliendosi la quarta corda , ed accordandosi nel genere enar- monico cogli antichi e nuovi pianeti 5 le quali mutazioni si ese- guirono con tanta quiete che in nulla fu interrotta o tarbata 1' armonia del cielo. Così che quando udirete a dire cbe alcuni corpi di quassù vagabondi e senza legge , ma che per altro so- gliono viaggiar con grande pompa di capegli e di coda , pos- sono a guisa di false note alterare sì bella musica, ridete, e poi tornate a ridere quasi udiste una lepidissima novella. Ora vi direi che sarebbe tempo di gustare bel bello cotesti melo- diosi concenti , ma dal rossore del mio volto toì v'accorgerete che io non posso più mantenervi la parola. E perchè ? Se Ke- plero , come vedeste , chiuse questa misteriosa sinfonia per non sentirsi più. dai mortali , come posbo io farvela udire i* Quando 264 1' organo è chiuso come farà il suonatore a tasteggiarlo ? Pre- potente filosofo! tu ci hai usata una imperdonabile soperchie- ria. Se non fosse per questa , voi avreste con tutto il piacere udito come cotesti corpi nei loro più o meno rapidi rivolgi- menti , e secondo la loro massa e distanza facciano un soave concerto di suoni gravi , mezzani ed acuti , avreste udito le platoniche sirene le quali come in cocchio girando su questi globi , accordano la loro dolcissima voce , vincendo da abili cantatricì il coro delle nove Muse , le quali secondo i pagani teologi van consuonando con Apollo, Corago di tanta orche- stra , emulatrici nella giustezza della voce e nell' armonia e semplicità del canto delle applaudite sirene 5 avreste pure udito come talvolta e Melpomene e Calliope ed Urania occupino gli intermezzi degli atti provandosi ad eseguire gorgheggi ed ariette or liete or malinconiche al suono della cetra d' Orfeo. — Io stesso vi avrei su quest'organo celeste eseguita una siffatta suo- nata , che modulando sopra una nota ferma , colle consonanze e dissonanze , colle fuge ed imitazioni , col salire e discendere de' suoni, coi loro urti, intrecci, giri e rigiri vi avrei appieno rappresentato il sistema nostro planetario con tutte le varia- zioni di Pitagora , di Platone e di Keplero. E mentre io vi avrei eseguita questa sinfonia gli occhi vostri come sopra le teatrali decorazioni sarebbersi maravigliosamente dilettati di mai più veduto spettacolo ; poiché avreste veduto per questi vastissimi spazi danzare al suon dell' organo gli atomi di Epi- curo , i numeri di Pitagora, le proporzioni di Platone, i cicli di Tolomeo, i vortici di Cartesio, le monadi di Leibnizio , i solidi di Keplero , le attrazioni di Newton , i frantumi di Buf- fon , gl'influssi degli astrologi, ed intrecciare vari movimenti con tutte le moderne speculazioni e notevolmente colle stelle cadenti; insomma voi veduto avreste tutta la fantasia dell'uomo, e sopra e sotto e intorno ad essa tutta la sapienza di Dio in atto di premerla, attritarla e sperderla al vento. O grande e misteriosa Armonia , o il più bel parto della divina Mente , chi potrà fare di te parole sufficienti e degne ! Amico, prima di lasciar quest'altezza meditiamo a Lei un inno; soltanto dal cielo ella si può e comprendere e cantare. Addi» 265 ©arictà IL PROFUGO POLACCO I. Nei deserti poveri di sorgenti degli Arabi nomadi erra senza scopo e senza patria su sentieri mossi dai venti un eroe po- lacco, e tacito si sdegna perchè il suo cuore abbia ancora un soffio di vita. II. Il sole gitta su di lui gli ardenti fuochi del mezzodì pei cui baci di fiamma diviene rovente la spada al suo fianco ; voglion forse i raggi del sole destare l'acciajo valoroso a feroce vampa di vendetta? III. Il suo corpo languente per sete si piega verso la terra : il suo corpo che si comporrebbe tanto volontieri a riposo più fresco nelle sue proprie ombre, che per estinguere l'arida sete berrebbe quasi il suo medesimo flotto di lagrime. IV. Tuttavia perchè il suo cuore porta seco un'afllizione ben più profonda non bada a questi dolori. Egli cui le lunghe soffe- renze ed il pensiero delle battaglie danno forza , cammina a- vanti. Di tanto in tanto la sua bocca invoca Kocziusko — so- gnando mena colpi di spada nel vuoto aere. 266 Y. Ora però che la sera «pira aure più fresche si sofferma in un sito verdeggiante 5 l'argentea sorgente gli canta incontro una soave e pietosa canzone e 1' erba susurrando sembra dirgli — oh t'addormenta qua uomo tapino. • — YI. Egli cade a terra e dorme; l'albero della terra straniera col mormorio delle sue foglie lo guida lene lene in un sogno di eroi. Le onde e le aure vespertine scorrono presso il suo orec- chio come sonoro passo di battaglia, lo innebriano come canto di vittoria. Già fuori dell'oriente s'alza pieno e sereno lo splendore della luna 5 vedi! le bianche sciabole di una ciurma di beduini lu- cicano lontan lontano nelle selvaggie regioni della luna, se- reno notturno adornamento del deserto. Vili. Il rumore del galoppo di corsieri che gareggiano coi venti si fa ognor più vicino 5 essi spinti dalla sete e condotti dal chiarore della luna nitriscono all'avvicinarsi della sorgente. I cavalieri gridano nella notte; non perciò l'Eroe Polacco si desta. IX. Essi lasciano i cavalli freschi ed allegri dissetarsi nella sor- gente e attoniti mirano ad un tratto splendere una spada tra l'erba; e la fredda luce tremolando sembra scherzare sovra un pallido volto. X. Essi si pongono muti a giacere attorno allo straniero, timo- rosi di svegliarlo 5 essi vedono la santità delle cicatrici sulla bianca fronte e sulle pallide guancie : la silenziosa maestà dello sfortunio tocca il cuore al figlio del deserto. 267 XI. Un vecchio nero nomade s'accosta con passi ospitalmente leggieri all'eroe addormentato 5 e bevanda e cibo, quanto gli ri- maneva di meglio , gli colloca segretamente vicino nell'erba, XII. Quindi ripiglia il suo luogo. — Quantunque sieno trascorse le molte ore della notte tuttavia la muta ronda guarda ancora il pallido europeo ; finché il uomo che ha perduta la patria si leva dal sonno. XIH. Allora essi salutano pietosi lo straniero , e per fargli onore cantano nell'ampiezza del deserto profondi e selvatici canti di battaglie. Vendetta di sangue, secondo l'antico costume dei loro padri, è il caldo soffio delle loro canzoni. XIT. Veh come l'eroe impugna la spada e la vibra. Egli ancora ingannato dal sogno sta nel campo di Ostrolenka. Vedi come trattenuto nella sua estasi da que' canti tempestosi sta in ag- guato e come il suo occhio di fuoco spia la venuta del nemico. XV. Ma ora il polacco ascolta più attentamente: ahi sono, sono suoni stranieri ! Quei che lo sorpresero collo splendore delle armi sono i liberi figli dell'Arabia su cui cadono i raggi dalla luna del deserto : allora si abbandona a terra e — > piange. V. Cenni di una peregrinazione autunnale da Torino a Pesiti per la ì^altelUna j J'irolo^ Baviera j Boemia j Austria ed Ungheria, lettera prima della presente j e diciottesima delle corse pre- cedenti del prof. G. F. Baruffi al chiarissimo sig. L. Gerì, prof, emerito e consigliere della facoltà di Chirurgia nella Rt^a^ia Università di Torino ecc. Praga, settembre 1837. Buon dì caro Gerì , eccovi il solito letterone che l'amico vi scrive da parecchi anai , e questa volta per giunta cosi luogo da meritarsi forse la buona o mala ventura di venir inserito in qualcheduno dei nostri giornali. Questo mio foglio verrà ad interrompere un po' quella vita di lieto riposo che le vostre lunghe ed onorate fatiche vi hanno così giustamente procurata, e voi lo riceverete non è vero ? quale piccolo segno di rico- noscenza per le tante cordiali gentilezze di cui vi compiacete favorirmi Ma voi amico impaziente desiderate delle mie notizie e volete che vi scriva subito di questo mio viaggio ; ebbene vi dirò subito che sta volta me ne venni da Torino a Milano quasi in un salto , grazie ai miglioramenti delle Poste dovuti all' attiva e saggia amministrazione dell' egregio nostro sig. Generale Pallavicini. E prima di continuare , permettetenji che vi aggiunga ancora due altre precauzioni alle varie indi- cate in uno dei precedenti letteroni , e necessarie a chi viag- gia in Germania e dovunque , procurarsi cioè qualche buona commendatizia, e di quelle soprattutto che ricevete con tanta cortesia e liberalità dal grazioso nostro banchiere il sig. M. A. Berlini , cui mi reco a grata premura di porgere qui i miei dovuti i-ingrazi amenti ,• procurate inoltre , viaggiando in dili- genza o col corriere , di scegliere il cabriolet , che sarete lar- gamente compensato per il po' di fresco della notte , dalle tante distrazioni e della vista della campagna e dell'aura pura che vi respirate ; e poi il condottiere che ben conosce la via , vi 269 dllella eoa mille interessanti racconti e variati aneddoti , e vi addita ogni monumento ed accidente della strada , e so dirvi d'averne trovato dei molto colti e graziosi , e ne ricordo sem- pre uno classico che mi divertì da Halla a Berlino coi più curiosi aneddoti delle ultime guerre di Germania , e maravi- gliando io della sua erudizione Virgiliana , egli allora lasciati i bei versi dell' Eneide , incominciò a declamarmi 1' Iliade in greco ! Nel ritorno visiterò meglio le tante belle opere che si stanno ultimando nella nostra Novara , e vi toccherò pure qual- che cosa intorno alle più recentissime di Milano *i 5 per ora seguitemi col pensiero e via subito col corriere d'Innsbruck che parte due volte per settimana per la piccola capitale del Tirolo Tedesco (sono circa 25o miglia d'Italia), attraversando la Val- tellina, e '1 giogo dello Stelvio. La giornata magnifica , la gra- ziosa compagnia, e la bella strada che percorriamo, e la dolce temperatura , servono mirabilmente a dissipare quella profonda tristezza che tutto v'invade nel dare l'addio alla patria ed agli amici pr'ediletti che vengono cortesi ad augurarvi il buon viaggio nell'atto della partenza. Chi sa se ci rivedremo ancora ! non è vero che quest'idea melanconica vi passa davanti nei primi istanti della corsa, e vi stringe il cuore, e vi trae a lagrimare vostro malgrado ? Siamo già a Monza , soggiorno gra- dito della pia Teodolinda di cui avrete veduto qui le reliquie della sua teletta ; e passando davanti la Basilica mi torna sempre in mente la corona ferrea , e '1 detto napoleonico : Dieu me la donne , gare à qui la touche! e percorrendo il muro lun- ghissimo della magnifica villa imperiale , riandava colla mente l'istoria della Signora di Monza , quella sventurata e terribile Gertrudina chiusa nel chiostro dall'avarizia paterna , e che la più violenta delle passioni trasse al delitto , e trasformò in un essere d'inferno quella creatura soave posta da Dio nella scala della creazione tra l'uomo , e gli spiriti celesti .... Ma che belle campagne intanto non attraversiamo , eccoci nella famosa Brianza : oh fossi un po' tanto ricco, da potermi comprare una *i Vedi nel fascicolo precedente del Subalpuio la lettera indiritta dallo Scrittore della presente al chiarissimo sig. Pietro Giordani. 270 di queste villette per passarvi l'autunno ogni anno con qualclie carissimo amico ! Voi mi perdonerete questo piccolo peccato di desiderio .... che bel cielo ! mi richiama un po' i dintorni della nostra amena Caluso. Se vedeste come lussureggiano e l'albero della seta , e la vite , e '1 grano turco e frutti d'ogni maniera; siamo proprio nelle regioni dell'abbondanza , qui tro- viamo tutto , e la veste del ricco , e 'I pane del povero , e frutti e vino in copia per tutti ; aggiungete quante dotte escur- sioni si potrebbero ancora fare dai naturalisti geologi e bota- nici. Si costeggia 1' Adda lungo una bella via che il Governo Austriaco ha rettilineato or ora , persuaso che le belle e co- mode strade sono uno dei primi elementi della presente civiltà, e direi le arterie per cui circola il commercio che è forse il sangue delle nazioni. Oh Lecco quanto è lieta la tua situazione, e '1 tuo lago ! e 'l Resegone e Pescarenico richiamano subito i nomi ormai popolari dell'istoria dell'illustre Manzoni , quella bella fanciulla vi ricorda Lucia ; ecco là un Renzo, e quel buon prete pare un Don Abbondio. La strada segue il lago per un gran tratto , talvolta è scavata nel vivo sasso e camminate per gallerie sotterranee, i paesetti sono frequentissimi, la campagna vi presenta sempre un quadro della più rigogliosa vegetazione, è una vigna continua in cui vedete avvicendarsi la vite , la meliga e gli olivi con alberi fruttiferi senza fine; e chi percorre questa bella via a piedi, trova frequentissimi quadrati ben om- breggiati e muniti di sedili per ristorarsi dalla fatica del viaggio. A Varenna incominciò ad annottare , sicché attraversai sonnec- chiando gli altri paesetti della Valtellina , dando appena una occhiata a favore del lume della luna alla fisionomia esterna di Sellano , Gollico , Morbegno ed alla stessa capitale Sondrio. Ma prima di giungere a Tirano , fissate un istante Ponte, pic- colo borgo che vide nascere il celebre P. Piazzi, lo scopritore d'un novello pianeta , ed a cui la scienza pratica del cielo va debitrice di tanti bei lavori. Udii che vivono tuttora i suoi nobili parenti, e quello, stesso suo nipote frate con cui sap- piamo che l'astronomo si congratulasse per certa tesi teologica speditagli in Sicilia, rispondendogli che non doveva punto in- vidiare la gloria dello zio , mentre egli si era fermato nella 271 regione delle stelle , e 1 nipote più ardito volare più in su. Tirano è famosa per il suo Santuario della Madonna che la pia leggenda vuole apparsa in questi luoghi 5 l'imperatore Au- gusto voleva con voluttà imperiale alla sua tavola l'uva di queste eolline; la situazione di Tirano è pittoresca, là sono le rovine del castello feudale , e l'Adda che accoglie le acque romorose della Poschiavina che precipita giù dal lago superiore di Po- schiavo , dove i vicini Grigioni pescano delle eccellenti trote che scambiano col buon vino di Tirano 5 il colle a mezzodì è una vigna immensa , mentre le opposte colline sono piantate di bei castagni, albero prezioso i cui frutti, mi diceva un po- vero montanaro , sono altrettanti bocconi che la Provvidenza ci manda belli e fatti. Più in su è Bormio rinomato per il suo miele ed i bagni caldi solforosi , e le vicine acque ferruginose di Santa Catterina. Peccato che quei magnifici recentissimi edifizii dei bagni siano stati innalzati lassù sul dorso dei sette venti, e non già un po' più al piano vicino a Bormio 5 in questo anno furono molto frequentati atteso il bel tempo e la sua bellissima situazione , le persone meno agiate alloggiano però più in su nell'antico stabilimento con. molta economia. E qui siamo ai piedi dello Stelvio , e finisce la Valtellina, una delle più fertili e lunghe valli delle alpi , e la cui istoria non pare meno interessante , giacché si pretende abitata in prima dagli antichi Etruschi , fuggenti l'ira dei Galli condotti da Belloveso 5 Carlo Magno fece dono di questa valle all'abbazia di S. Dio- nisio di Parigi. Straziata lungamente nel medio evo dalle di- scordie intestine e dei suoi tirannotti , vide la carnificina di tutti i protestanti scannati senza misericordia dal più provetto all'ultimo bambino in culla ! E patria di qualche buon artista, del P. Piazzi sullodato , del Quadrio autore della storia e ra- gione d'ogni poesia , di Tommaso Nani uno dei redattori del codice penale del regno d'Italia La sorte della Valtel- lina fu recentemente migliorata da un nostro quasi compaesano il Cav. De-Pagave, di cui l'egregio novarese Cav. Avv. Gioanetti pubblicò un elogio filosofico. Mi spiace di non aver letto la descrizione della Valtellina, e delle grandiose strade dello Stelvio e Spinga , pubblicate dal De-Pagave in Milano ; ma non sarà 272 inutile averne citata (jui la esistenza per istruzione di coloro che amassero conoscere meglio questi luoghi di tanta impor- tanza. Ma incomincia di già la salita , epperò salutiamo la valle per concentrare tutta la nostra attenzione sulla via stupenda che l'ardito Donegani tracciò con inaudita audacia attraverso i ghiacci di queste pendici per comando del suo governo, che desiderò questa via militare per volare colla massima celerità alla prediletta Milano. Ho vedute tutte le altre vie alpine , e parmi che questa sia forse la più maravigliosa che vanti finora il genio antico e moderno ; e m'accorgo già sul bel principio che non vi ha proprio descrizione più difficile di quella dei luoghi ove soverchiano le cose da descriversi , trovandosi qui tutti i così detti accidenti della via , e non vi manca neppur uno di quegli orrori che formano la spaventevole bellezza d' un caos. Costò essa la somma enorme di parecchi milioni di buoni fiorini di Vienna (12 milioni?), e ne costa tuttora più di 20 mila annui per le più urgenti riparazioni 5 aggiungete che non vi si può passare colla vettura che per breve stagione dell' anno , oltreché venne fortemente censurato il valoroso architetto della Valtellina per averla esposta di troppo alle sterminatrici va- langhe e rovinosi dirupi , e udii che verrà forse trasportata in altra parte, ed è forse anche vero, ora che è fatta potendosene ben esplorare i dintorni, che l'architetto avrebbe potuto trac- ciarla in luoghi meno pericolosi 5 ma la critica è sempre facile, la difficoltà sta nell' arte. E certo che le difficoltà vinte sono immense, e se vedeste quante gallerie praticate ora nella viva rupe, ora fatte con muri a bella posta, e frequenti ponti su torrenti o ruscelli feroci (^■wildbach) , come gli chiamano così bene i Tedeschi 5 mi si notò alla prima cantoniera che il lungo e solido ponte di s. Martino venne trasportato nello scorso inverno in un attimo lungi forse mille passi da un vento im- petuosissimo destatosi dal precipitarsi d'una terribile valanga che vi passò dissotto (così videro due montanari che stavano per passarvi sopra in quell'istante, e che si credettero asfissiati dalla violenza del vento dietro una rupe), e se ne scorgono tuttora laggiù i rottami sulla enorme valanga che coprì il corso dell'Adda che si perde quindi per lungo tratto satto quelle rovine 275 di ghiaccio e legnami di ogni maniera. Le valanghe ( qui si chiamano lavine dal tedesco ) , sono l'inferno di questa strada straordinaria nella brutta stagione ed anche in primavera. Un povero cantoniere che lavora qui da 1 5 anni mi fece rabbrividire ripetendomi alcuni terribili racconti su questo proposito .... poverino! parmi vederlo ancora là sotto una galleria occupato ad avvivare il fuoco con rami di pino per prepararsi un po' di scarsa polenta , che nella maggior parte dell'anno è costretto di cuocere con neve fusa precedentemente allo stesso fuoco ! Se ci aveste incontrati sotto quelle gallerie (eravamo quattro, il professore Koren di Praga , un cavaliere Tirolese il signor Carlo di Heufler , ed io col corriere) mentre camminavamo lentamente a piedi , misurandone sotto voce la lunghezza coi passi, ne trovammo una di 220, i nostri abiti bianchi da viag- giatore con quella luce si debole e '1 fracasso spaventevole delle interne cascate , certo che un brivido vi avrebbe assalito e ci avreste creduti fantasmi dell'altro mondo. Sono undici di queste gallerie prima di giungere alla sommità del monte ; passammo la notte nella cantoniera di s. Maria, dove quella buona donna mi rattristò raccontandomi colla più viva commozione Timmenso disastro d'una valanga che schiacciò in parte la cantoniera in- feriore in una notte 5 figuratevi che spavento per i poveri abi- tanti di quella casetta, che scossi da un sì tremendo tremuoto si credettero sotterrati vivi. Percorrendo questa via altissima incontrate tutti i climi, è quasi come se dall'equatore scendeste ai poli , dalla vite di Tirano poco per volta eccovi alle selve dei pini e larici, e via alle pianticelle nane alpine, la rosa delle alpi, il rhododendrum ferrugineum ecc., sicché potete dire con Petrarca: l'vidi '1 ghiaccio, e 11 presso la rosa, — Che pur udendo par mirabil cosa : — e poi le piante ghiacciali, il ra- nunculus glacialis , la cherleria sedoides , il chrjsanthemum al- pinum ecc. , e poi cessa finalmente ogni vegetazione , non tro- vate più un solo filo d'erba , né un insetto , è spento ogni indizio di vita, lassù tutto^ è ghiaccio e neve perpetua, siamo nella regione degli aquiloni , dello spavento , della morte. Vi sta davanti la più alta montagna del Tirolo , 1' Ortlerspilze , la piinla deU'Ortler, rivale del Rosa e del monte Bianco che 274 sapete essere il sovrano dei monti d'Europa, e quei ghiacciai verdi azzurri profondamente solcati , e 1' aria sottilissima , e tutta quella scena sterminata pittoresca , romantica , poetica , sublime, prodigiosa Scegliete voi un epiteto per ben ca- ratterizzarla se ve ne ha uno , vi riempiono l'animo d'un reli- gioso terrore, provate di quelle sensazioni che non sapete ridire, ed appena osate respirare e quasi vi tremano le vene e i polsi. Pensate che mi trovai soletto per poco lassù all'altezza di circa nove mila piedi al dissopra del livello del mare (la vera al- tezza è di 2814 metri, la via più alta del mondo antico, ve- hiculari transita omnium excelsissimo , dice appunto l'iscrizione latina che ho letto più abbasso, e forse non ignorate che nel Perù ve ne hanno di quelle la cui altezza pareggia quasi quella del monte Bianco, che pur sapete essere di 4810 metri), ed oh quanto in quel punto si accese la mia immaginazione , ri- flettendo che io era forse in quell' ora il più alto dei mortali misericordia ! un insettuccio pari mio trovarmi quasi a livello deirOrtler, lo Stelvio per piedestallo, coll'Italia a destra e la Germania a sinistra oh rabbia ! e perchè non soppravvanzi tu d'altrettanto i tuoi eguali per bontà di cuore e potenza d'intelletto ! eccovi l'idea superba che mi balenò in quell'istante alla mente esaltata. E fantasticando rivolto all'Italia mi tornò viva al pensiero quella terzina infernale del feroce Ghibellino : — Ahi serva Italia d'ogni vizio ostello — Nave senza nocchiero in gran tempesta — Non donna di provincie, ma b — e guardando quindi la Germania con occhio pietoso, udii rintronarmi all'orecchio i versi ardenti dell' esa- cerbato poeta d' Amborgo 5 ma io che 1' aveva già percorsa in parte quasi due volte, e stava per visitarla una terza, gridai: ' no ! no ! non dorme a malgrado del duplicato canto del mat- tutino augello , con passo lento , sì , ma pur cammina anche essa obbediente alla legge eterna del progresso .... Lasciata la regione delle nevi perpetue e dei venti , dove non già la voce dell'uomo , ma solo si odono les cracjuements dcs glaciers et les roulements da tonnerre, e precipitando giù a raggiungere i miei compagni sotto quel lungo porticato formato dalle tante gallerie di legno sovrapposte quasi perpendicolarmente le une 275 alle altre con mirabile magistero ad evitare le fatali valanghe, vedete che matto , urlai con quanto aveva di voce nella strozza : Leonida! Leonidaa ! ! era il grido dell'irrequieto Visconte di Chateaubriand alle Termopili , che mi si era cacciato in cuore in quell'istante, e l'eco di quei ghiacciai e di quelle rupi ri- petè lungamente : Leouidaaa ! perdonatemi o caro questa pue- rilità che ho voluto narrarvi per celarvi niente secondo la promessa. Il versante Tirolese è sì erto che si dovettero spo- gliare molte selve di larici nella costruzione delle suddette i6 gallerie di discesa 5 e poi quanti pini a sostenere semplicemente la strada , che in altri luoghi è tutta in muro , ed in altre non sapete indovinar bene come abbia potuto praticarsi. Udii da un cantoniere che questo versante era un dì popolato di camosci ora affatto scompaxsi ; nello scendere giù da quell' or- rido verno trovammo poco per volta la più lieta primavera , selve di pini verdissimi, e poi i bei fiori violacei dcìV enilobium angustifolium , e '1 thjmus alpinus , ed il serpillus in tanta copia che l'aere n'era tutto imbalsamato. Mentre si faceva lo scambio de' cavalli al piccolo villaggio di Trafoi , domandai alla buona padrona che stava attivando il fuoco nella stufa , quando ces- sasse poi di accenderla, al che mi rispose con faccia ridente, nel giorno di S. Giacomo , per incominciare di nuovo in quello di S. Anna. Un po' dopo incontrammo Stilfs ( Stelvio ) villaggio che dà il nome alla montagna; e la cima più alta varcata or poco , la chiamano Stilfserjoch ( giogo dello Stelvio ) ,• vedete come i dolci nomi italiani scompaiono, e d'or in avanti fini- scono tutti per consonante. Continuando la discesa , i grandi crocefissi in legno per la strada vi annunziano una popolazione religiosa, se non che la troppa frequenza dell'immagine santa che scorgete perfino sulla forchetta, coltello e cucchiaio che i postiglioni e contadini Ti- rolesi portano sempre in tasca coi manici sporgenti in fuori , ve gli annunziano fors' anche un po' superstiziosi , e notate a questo proposito come in Malz 1' acqua d' un fonte pubblico sgorga da un lungo tubo di ferro adattato alla piaga del costato della statua in legno del Redentore; e qui voglio dirvi tra pa- rentesi, come tutti i crocefissi dipinti o scolpiti hanno la piaga 276 a destra , ed è pure uso generale degli attori in Germania di portare la mano sinistra alla destra del torace per indicare il cuore , errore madornale in anatomia come voi m' insegnate ; ed in conferma del cattivo o nessun gusto estetico di questi luoghi , aveva già notato il di precedente in Tirano due co- lonne sostenute da due angeli che essi pure non poggiavano in alcun luogo. Un po' al dissotto del villaggio di Malz trovai la sorgente dell' Adige , mentre il dì piuma aveva veduta quella dell' Adda ; ma qui 1' acqua , per la consociazione delle idee , mi ricorda la curiosa conversazione avuta per via con un am- malato guarito nello stabilimento medico del signor Priessnitz posto a Grafenberg nella Silesia Austriaca. Le molte guarigioni operate gratuitamente dal filantropico Tedesco coli' uso della pura acqua fresca lo hanno reso celebre in Germania, mentre appena è noto presso qualche nostro medico. Gli ammalati pa- gano una modica pensione , è vietato rigorosamente l'uso del vino e dei liquori , e secondo le varie malattie l'acqua viene amministrata per bocca, o in bagni totali o parziali, pediluvi!, doccle e simili , e vennero già pubblicate varie dotte memorie in Tedesco su questo utile ed interessantissimo stabilimento , e mi si citarono eminenti personaggi che hanno ricuperata qui la salute quasi perduta senza speranza *i. E vero che i Tedeschi amano già molto l'acqua pura come i francesi fanno uso con- tinuo dell'acqua zuccherata , ma intanto per me , perdonatemi questa insolenza, o caro mio professore, godo moltissimo di questo progresso medico , perchè finalmente al fatale abuso del salasso e delle mignatte che quando non uccidono il povero ammalato, lo condannano alla perpetua clientela dei medici e lo avviano dolcemente alla idropisia ed etisia , in pochi anni sono sotten- trati gli innocenti sistemi purganti emetici, omeopatici, ed oi'a l'inuocentissimo metodo idrlatrlco, benché nei nostri paesi vi- niferi troverebbe forse maggiori partigiani , diciamolo tra pa- rentesi, il sistema opposto del vino schietto, e se non fosse di quelle benedette società di temperanza che ci minacciano , 'i Vedi la dotta ed interessante memoria del nomilo Dott. Coli. B. Berlin». - Gioinalc delle ije.ienzi; mediche di Torino. 277 chissà che il buon vino non venisse un dì qual novella panaceli proposto a rimedio universale, come già gli alchimisti lo spe- ravano dall'oro potabile, benché d'altra parte l'idea che l'oro possa guarire tutte le malattie, presa nel senso morale, non è poi così assurda; ma intanto mentre sto chiaccherando a dritto ed a traverso d'oro e d'acqua e di vino e di medicina con uno dei personaggi che hanno tanto illustrato la medicina esterna piemontese , siamo già a Nauters , villaggio ove osservai una grandissima attività 5 fervei opus , qui si trasportano materiali d'ogni genere per la fabbricazione , là vedete lavorare pietre e tegole , ordinare legnami , è un andirivieni continuo di gente e carri ed animali; osservate come quei due cavalli muovendo in giro una gran ruota , si opera facilmente la necessaria mi- stura della calce colla sabbia con grandissima economia di braccia e di tempo , questo elemento della fabbricazione essendo qui necessario in tanta quantità; per poter lavorare sotto il fiume se gli costrusse un gran letto artificiale in legno, le fondamenta sono già a fior di terra, e quel gran buco che si sta scavando lassù nel vivo sasso , è destinato a magazzeno delle polveri ; voi v' accorgete che si sta innalzando una nuova fortezza qui dove il Tirolo confina coi Grigioni , mentre quella di Bressa- none nel Tirolo italiano è quasi terminata , e sono pure ulti- mate le fortificazioni di Verona. Lungo la destra dell'Inn vedete già i frequentissimi segnali per la nuova strada da costrursi, ben- ché non si vorrebbe toccare il territorio Grigioue Ma però a dirvela all'orecchio tutte queste fortificazioni in questi tempi in cui la forza materiale va via cedendo il posto ad un altra più nobile e morale, non devono fare molto grata sen- sazione ad un amante della vera civiltà , quali e per nostra natura , e per le norme divine del Vangelo dobbiamo esserlo tutti; per me v'assicuro che mi fa proprio male al cuore veder sacrificare in simili costruzioni tante braccia , e dissipai-e tanto oro che si potrebbe meglio spendere in prò dell' industria e commercio, e della istruzione, e morale e religiosa educazione; e perchè non imitare almeno il principe della Baviera che va' ria innalzando qua e là nella sua magnifica capitale tanti bei edifizii alla cultura dell' intelletto ai comodi dei cittadini ed' 18 278 allo splendore della religione ? E vero però che il re va via ingrossando la sua prediletta Monaco senza poterne poi egual- mente aumentare la popolazione 5 e quelle nuove lunghe vie e quei tanti palazzi sono quasi spopolali Ma vedete un po' come questa strana mania delle digressioni mi strascina sempre fuori di strada ; per buona sorte eccoci già ad Innsbruck (ponte dell' Inn), città di circa undici mila abitanti con una piccola Università di studii ed una bella Cattedrale, in cui am- mirate il bellissimo monumento funebre di Massimiliano, pre- giato lavoro del celebre Alessandro Colin, ed una quantità di statue di principi e santi, la cui descrizione ci tratterrebbe di troppo; vi accennerò solamente che venne or ora innalzato un modesto ed elegante monumento, lavoro della scultura Viennese, al famoso Andrea Hofer , le cui ossa vennero trasportate nel 1823 dalla cittadella di Mantova, dove lo sventurato Tirolese era stato moschettato i5 anni prima per ordine di Napoleone; viaggiando nel Tirolo , trovate frequentissimo il ritratto del moderno eroe di queste balze , di cui avrete forse letto alcuni cenni nell'ultima storia d'Italia del nostro Botta. Della celebrata collezione del castello d' Ambras vi parlerò nel letterone su Vienna , perchè le molte e preziose reliquie del medio evo raccolte con tanta spesa nelle sale di quest'antico castello ven- nero appunto avviate alla Metropoli dell'Austria nel lor ritorno da Parigi ; ma parlando d'Innsbruck corrono sempre al pensiero la pia leggenda di Massimiliano , e le pietose avventure della bella Filippina Welser ; e 1' amico vostro che ama le grandi rimembranze non ha dimenticato di fare una visitina alla ca- mera storica del bagno ed alla tomba della più avvenente e virtuosa fanciulla d'Augusta e di quei tempi , dando pure un' occhiata alla parete di Martino (Martinswald); s'innalza questa quasi perpendicolarmente all'altezza di circa 800 piedi, e scor- gete ancora lassù il buco dove Massimiliano , precipitando dall' alto mentre cacciava , restò appeso per uno sprone. Corsa la voce dell'imminente pericolo del principe così caro ai Tirolesi, si adunarono questi in un attimo in gran quantità pregando a pie della rocca trasformata in altare per il felice trapasso dello agonizzante Sovrano j ma quando terminate le preci dei mo- 279 ribondi , il pontefice benedicendo coll'ostia santa il popolo , questi rispondeva l' ultimo funebre amen .... ecco improv- viso calarsi giù dall'alto un animoso cacciatore che fu veduto afferrare con ardire sovrumano il corpo penzolante del semivivo Massimiliano nell' istante preciso che stava per piombare da quell'altezza e stritolarsi lungo la scabra parete, e tornare cosi miracolosamente a vita, secondo la pia leggenda di quei tempi. La tomba della bella Filippina è nella cappella d'argento alla cattedrale suddetta; udite che semplice e tenera iscrizione vi appose il principe Ferdinando suo sposo : Alla sua carissuna Filippina ! non è vero che vi ricorda quella così commoventi* che leggiamo nella via funerea della dissotterrala Pompeia : Servilia all'amico del cuore! (Servilia amico animce)! Il nome di Filippina Welser suona tuttora soavemente sulle labbra dei gentili Tirolesi , e parlano essi ancora delle sue virtù e della sua prodigiosa bellezza , ed il popolo per esprimere la finezza e dilicatezza di quel suo corpicciuolo , dice che le si vedeva scorrere il vino rosso attraverso la gola quando beveva. Io non ho il coraggio di trascrivervi tutta l'istoria pietosa della sven- turata fanciulla che fece un sacrifizio così generoso della pro- pria vita all'amore del consorte e de' suoi Tirolesi. Dotata di prodigiosa bellezza (si conserva tuttora il suo ritratto originale nella camera suddetta del bagno) e delle più stimabili doti del cuore e della mente , viene riguardata come il tipo del più nobile e sauto amore, l'amour desinteressè j ce don du del le plus beau de tous , cette Jleur de la sensibilitè huniaine .... L'autore della natura collocò la donua virtuosa tra l'uomo e gli spiriti celesti , e diffatto oh quanto ci sorpassa essa , lasciatemi esprimere in quella lingua di Francia che tanto sì adatta a queste riflessioni, « en pureté et en ardeur de senliment , en 1) tendresse de coeur , en dévouement absolu et immiiable à » l'objet de ses affections comme mère, éponse. fìlle, il y a, » dans l'accomplissement de tous ses devoirs, une saìnte acti- » vite de l'ame , qui l'empéche de penser , mème un seul •a instaut aux difficultés et aux obstacles dont ils sont environ- » nés. La femme a recu du Créateur pour la croyance aux » mystères et pour la mise en pratique des doctrines les plus 280 )) sublimes , une disposition naturelle à laquelle l' liomme n' » atteindra jamais. Egalement faite pour la société ou la so- )> litude , pour l'ornement de la chaumière et du palaÀs, gui- )) dee par l'impulsion du bon sens , bien mellleure pour les » habitudes jourualières que nos réflexious les plus profondes, » asile tranquille et sur de lout ce qui est bon et noble , au » milieu des orages de la vie , la femme a été donnée à 1' homme » afin de lui indiquer constamment le chemin vers un monde )) meilleur. » Rividi con piacere la splendida capitale della Baviera *i, cbe trovai di un aspetto lietissimo per il bel tempo de' scorsi giorni , benché non più cosi affollata di gente come allora che tanti forestieri vi erano accorsi per vedervi le grandi solennità nazionali. Trovai con grata sorpresa quasi ultimati molti dei tanti ediQzii appena incominciati ora sono due anni. E chi torna a Monaco ritornerà pur sempre a rivedere la pi- nacoteca , la gliptoteca , il palazzo della residenza , e '1 gran giardino inglese, che colla stupenda via Ludovica fanno di MoQaco una delle più belle città del mondo ; peccato che per la sua situazione in una regione cosi elevata dal livello del mare ( i568 piedi parigini) e cosi sterile, priva del benefizio d'un gran fiume ( che l' Issar non è navigabile), non potrà forse mai sperare una popolazione iu rapporto coi tanti sontuosi edifìzii che il re attuale tutto innamorato delle arti belle vi sta facendo costrurre con incredibile celerità, e con tanta spesa quasi in ogni angolo. Odo però che in meno di 40 anni la popolazione si è raddoppiata, ma forse sarà giunta al maximum o vi sarà ben vicina , giacché quelle tante belle vie nuove sono tuttora deserte , e benché abitate dai ministri esteri , e dall'alta aristocrazia, vi credete aggirarvi iu mezzo a ville cam- pestri. Non bastano dunque le piazze le vie e gli edifìzii e il buon volere ad imprimere il movimento e la vita ad una città, una sola buona legge è sovente molto più efficace ; né qui taluno mi accusi di voler biasimare la costruzione di tanti belli edi- fìzii, che certamente è meglio di gran lunga convertire il danaro 1* Vedi la lettera su Monaco, indiiitta al sig. Davide Bertololti , Annotatore Piemontese, fascicolo di luglio i836. 281 in simili opere di belle arti che sono la parte poetica del vi- vere sociale , e danno un aspetto di maestà alla capitale , di quello sia seppellirlo nei banchi , nelle grotte , o peggio de- stinarlo ad altri usi iniqui. La pinacoteca è anch'essa ultimata , e già vi sono disposti i quadri tutti dell'antica galleria e quei di proprietà privata del re. Quest'edifizio unico in questo genere , è veramente stupendo, già descritto e disegnato in ogni lingua ( vedi la lettera sud- detta su Monaco ) l'insieme però non i sfugge alla critica, come in generale quasi tutte le opere del signor Klenze l'architetto principale della moderna Monaco ; e chi vi addita ad esempio avanti la gliptoteca il lago Klenze prodotto da uno sbaglio nelle livellazioni , e chi vi nota che l'architetto ha fatto scavare la terra e vi fa discendere giù parecchi gradini acciò la sala ap- paia più elevata, chi vi susurra all'orecchio che fu scelto lo stile gotico nelle chiese, perchè questo é il tipo cristiano, chi vi adduce la volontà del Sovrano che ha portato seco simile gusto da' suoi viaggi , ed altre somiglianti ragioni in parte buone ed in parte un po' elastiche. Per me non ho la impertinenza dì censurare tanti sontuosi edifizii , perchè Domeneddio volle solo concedermi quel pochino di senso esletico necessario ad ap- prezzare il veramente bello che in sostanza piace poi sempre a tutti , e vi ripeto che la critica è facilissima , e le difficoltà stanno sempre nella esecuzione. Io mi permetto solamente di notare che il gotico moderno tanto lodato da alcuni , non mi va molto a sangue, e mi fa quasi male al .cuore; tutto questo gotico, moresco, bisantino e teutonico misto che si vede in quasi tutti i recenti edifizii di Monaco , era adattato al medio evo , e le grandiose cattedrali di Anversa , Colonia e Strasborgo sa- ranno sempre vere maraviglie, ma là sulle sponde della Schelda e del Reno , e come espressioni di quell'epoca poetica e reli- giosa ; le arti belle dovendo forse esprimere sempre le idee del secolo. Ma voler richiamare nel secolo decimonono le idee e gli usi del decimoquarto , è forse uno strano anacronismo , o peggio; e per ora il gotico non lo vorrei nemmeno per burla, e potrei forse provare la mia tesi con certe ragioni che non sarebbero poi tanto da minchione. Per formarsi un'idea coni- 282 piiita tlella pinacoUica conviene rivederla in più volley ma quel lungo aspettare nell' atrio finché sìa libero un conduttore per poter correre attraverso quelle tante sale ^ non va bene (l'atrio è meschino e non corrisponde alla magnificenza dell' edifìzio , per ora notate solamente il portinaio gigantesco, che sono po- chi anni, fece mostra di sé nelle principali città); si moltipli- chino i custodi a sufficienza come in quasi tutte le gallerie , si apra al pubblico anche meno frequentemente, ma l'ingresso sia libero, e facile il fissarsi a beneplacito a contemplare quel quadro che più vi garba 5 è vero che in qualche altra galleria si fa pure nell'istesso modo , ma questa ragione non è perfet- tamente logica , e se foste viaggiatore forse sareste anche del mio avviso , senza che io pretenda d'altra parte darvi tutto il torto. Nella prima sala vedete i ritratti di alcuni membri della famiglia reale ed una bellissima tavola in pietre dure ; percor- rete quindi nove maggiori sale tutte splendenti per ornati d'oro e stucchi senza fine , calcando magnifici pavimenti , e succes- sivamente ventitre altri graziosissimi gabinetti le cui pareti sono coperte di pregiatissime tele. I quadri sono distribuiti per ordine di scuola , è preziosa la collezione delle opere Tedesche e di Piubens , e quello stupendo giudizio finale di sì grandi dimen- sioni , è un tema trattato più volte dal celebre artista fiam- mingo 5 ma quel Divino Pargoletto che scherza cosi vezzosa- mente coU'innocente agnellino , e quella Madonna cosi soave , e quella Maddalena di Carlin Dolce sono cosi belle e divine cose che si rivedrebbero volentieri cento volte 5 e quando ri- passo per Milano , se ho un po' di tempo libero , non posso mai trattenermi dal correre un istante al palazzo Brera a pa- scere lo sguardo innocente coll'Agar del Guercino; quella fisio- nomia cosi dolce e simpatica, e quella lacrima cadente hanno un non so che di magico su d'un cuore che non sia di sasso, e ne fauno vibrare tutte le fibre, ed una sì viva e bella im- magine vi sta davanti per lungo tempo , e finisce per restarvi scolpita in cuore. Sopra il bellissimo ritratto di Raffaello , opera preziosa dello stesso, sta un quadro somigliantissimo alla Madonna detta della Tenda della nostra Reale Galleria , creduta anch' essa lavoro 283 originale dell'Urbinate , quadro che l'icordo aver pur veduto a Pioma nella galleria Albani , e che mi si disse un bel lavoro di Pierin del Vaga, felice imitatore del suo maestro Raffaello, sic- ché non saprei dirvi quale possa essere l'originale tra questi tre bei dipinti. Per conservare un' eguale e moderata temperatu- ra, il troppo caldo ed il troppo freddo essendo nocivi alle tele, colori e vernici, sono disposti termometri in ogni sala, giac- ché nella fredda stagione vengono convenientemente riscaldate. La parte del palazzo reale riguardante il giardino è pure quasi intieramente terminata , e l'intiero edifìzio sarà quanto prima ultimato , e potrà sempre citarsi come una maraviglia dove tutto è mirabile , dai pavimenti in legno di tanti variati disegni, e dagli stessi smisurati cristalli delle finestre fino alla aurora di Thorwaldsen nella camera cubiculare del re , freschi ornati, bassi l'ilievi, e le magnifiche sale del trono, di Esiodo, degli Argonauti , disegno del celebre Schwanthaler. In questo sontuoso palazzo rivestito internamente di tanti curiosi dipinti trovate quanto l'antica e moderna pittura hanno saputo ideare, scorgete dappertutto un' ingegnosa imitazione della Grecia e dell'Italia e del Medio Evo Germanico; in mezzo al gran lusso degli appartamenti regna un gusto etrusco greco, gotico, teu- tonico, misto , antico e moderno che vi sorprende, e tale è appunto l'attuale scuola di Monaco , che , si proclama ecclet- tica, come dovremmo ormai esserlo tutti in tutto, benché real- mente si vede che gli artisti di Monaco stan lottando tra il Medio Evo Germanico , e '1 secolo decimoquinto italiano , e disse molto dottamente un recentissimo scrittore francese, che Norimberga e Fiorenza sono i due poli da cui la scuola Bava- rese è continuamente attratta e respinta. Per ultimo vi accenno che sono molto inoltrati i freschi del plano terreno , dove il sig. Schnorr seppe rappresentarvi con nìirabile verità gli eroi dei Nibelungen , e vi pare riconoscere i feroci Siffredo Folker, Gunther ed Attila , e vi dilettano infinitamente quelle belle fisionomie pure e liete delle eroine del Medio Evo Tedesco ed Italiano , Ghrimilde , Brunekilde , Imilde e Cassilde Si stanno pure continuando i dipinti sotto il gran porticato del Bazar verso il giardino inglese, sicché Monaco vanterà il 284 più bel passeggio coperto del mondo. Visitando aell'industrioso sobborgo d'Au una manifattura di zuccaro di barbabietole, bo dato un'occbiata a quel tempio gotico che volge anch' esso al fine; il campanile è secondo il disegno delle famose guglie go- tiche , e vidi esposto uno dei grandi finestroni a cristalli co- lorati ; è una stupenda deposizione di croce in cui ammirate il più squisito disegno , ed una bellezza e vivacità di colori che vi sorprendono così aggradevolmente , che possiamo dire, il signor Frank aver fatto sorgere più bella e rigogliosa l'arte della pittura sui cristalli. Credetemi, o caro, che la contem- plazione un po' prolungata di questo sterminato fiuestrone , è quasi quasi un peccato ottico , tanto vi diletta soavemente 1' occhio ed il cuore. La gran Basilica in faccia alla gliptoteca , destinata ai Mo- naci Benedittini , è giunta al coperto che si stava appunto or- dinando ; ma a proposito di critica architettonica, ne ho udito •una curiosa, che i capitelli cioè di questa Basilica saranno di forme diverse come quei di qualche Basilica in Roma , igno- randosi forse in Monaco , che in quelle antiche chiese romane i capitelli sono tali per puro caso , e non già per ordine o regola d'arte; e giacché parliamo di sacri templi, non dimen- tichiamo la chiesa nuovissima di Tutti i Santi destinata a cap- pella reale , e dove tutto è bellezza e splendore. Il disegno è del sig. Kh^nze sullodato, lo stile è moresco antico, ed i freschi bisantini del sig. Hess. La facciata in pietra grigia è modesta, e VI annunzia una delle antichissime cappelle che si ammirano ancora in qualche angolo di vecchie città, e siete lungi dal sospettare un interno così magnifico ed imponente che vi ab- baglia. Il fondo è tutto d'oro , il pavimento e le colonne di marmi fini e variati lucidi come specchi, dorati i capitelli, e sull'oro del soffitto e delle pareti s'ammirano dei dipinti cu- riosi sul gusto di Cimabue, tra cui il grande ovale del maggior altare dove scorgesi l'augusta Triade coronata da un'immensa nube di angiolini, e la Vergine Santa con quattro altre imma- gini colossali che vi sorprendono ; passeggiate pure lo sguardo attorno, e non saprete trovare un pollice solo che non sia rico- perto d'oro o marmi preziosi o pitture pregiate: e chi entrerà 285 la pi-inaa volta in questo Santuario, quando nelle grandi solen- nità vi assisterà la famiglia reale coi dignitarii dello stato e cavalieri di S. Giorgio , colle loro splendide insegne su quella gran loggia , e la luce del tempio sarà fatta più religiosa dagli accesi doppieri, e l'aura scossa soavemente da una musica dol- cissima, tepida l'atmosfera per gli interni caloriferi, all'armonia di quest' insieme , mentre i Pontefici celebreranno gli augusti misterii sul maggior altare Chi porrà il piede allora per la prima volta in questo sacro recinto , si crederà trasportato fuori di questa bassa terra. Il 20 scorso agosto, festa anniversaria della nascita del re, fu posta la pietra fondamentale d' un altro nuovo edifizio de- stinato alle esperienze ginnastiche, degna maniera di celebrare utilmente simili solennità nazionali. La via Ludovica grandiosa e quasi monumentale va allungandosi indefinitamente 5 l'im- menso edifizio della biblioteca è terminato nella sua parte esterna ( è pure ultimato il beli' edifizio delle poste sulla piazza del principe Massimiliano), e l'ospizio dei poveri inferrai, colla chiesa gotica di S. Ludovico, l'università degli studii, il con- vento di S. Anna destinato, dicono, agli archivii, e varii altri edifizii che non saprei ben indicarvi col proprio nome, avan- zano rapidamente verso il loro termine; guai però se il re Luigi mancasse ora ai vivi , forse Monaco resterebbe cosi in aria! — Nella mia precedente descrizione di Monaco , credo avervi di- menticato un cenno sulla porta dell'Isar ( Isar Thor), oggetto degno d'una visita; vedete lassù le tante armi gentilizie orna- mento delle due torri laterali , sono quelle appunto dei nobili Bavaresi che accompagnarono l'imperatore Luigi IV di Baviera nel suo solenne ingresso in Monaco , dopo la gran vittoria in cui dis- fece il suo rivale; contemplate quell'immenso fresco (ristaurato recentemente) che vi rappresenta così al vivo tanta solennità , e dite se non è un bellissimo lavoro , degno d' essere notato da un viaggiatore che ama di poter rendere conto agli amici delle cose vedute. In un giro per la città fatto in calesse col grazioso cavaliere Gesarino Pallavicini, ad oggetto di guadagnar tempo, essendo discesi sul ponte dell'Isar, la cui rottura pro- dotta da una straordinaria escrescenza d' acque die luogo nel 286 i8i3 a quella spaventevole catastrofe per cui l'intiera città vesti a lutto per tanto tempo , udimmo ricordarci da un testi- monio oculare colla più viva commozione 1' immensa sciagura di quelle trecento vittime ingojate dall' Isar furioso , mentre ne stavano contemplando con funesta curiosità i vortici minac- ciosi. Oh quali tratti di pietà, di umanità e di amore delirante non mi raccontò mai! mi è ancora vivissima alla mente quella balia affettuosa che udito lo scrosciare del ponte sentendosi mancare 1' appoggio sotto i piedi , getta il caro bimbo in luogo sicuro , e sì abbandona cosi a certa morte, perdendo il tempo utile di aggrapparsi alle vicine travi! .... oh amore, amore che sei tu mai ! ah chi non sente la tua magica potenza non è creatura di questo mondo! tutti parlano ancora di quell'uomo vestito a bruno , e di forme gigantesche che attraversò il ponte a cavallo un istante solo prima della rottura , e che nessuno potè mai rinvenire a malgrado delle più scrupolose ricerche della stessa polizia. Il volgo fatto più superstizioso nelle grandi sventure in cui tutto veste un' apparenza misteriosa , lo credette uno spettro , o '1 genio del male Da Monaco a Freisingen la strada e le campagne sono aride e monotone 5 Freisingen già capitale dell' antico vescovado di questo nome, è però una bella cittadina di cui non posso par- larvi per averla solo attraversata col corriere ; e giacche cor- riamo per le poste , per trattenervi vi dirò che vedo anche qui come in tutta la Germania , i cimiterii veri campi seminati di migliaja di piccole croci d'ogni maniera in legno e metalli dorati , da molte delle quali pendono vere pentole di rame ripiene d' acqua santa , e poi fiori senza fine che circondano il sacro recinto 5 ma per lasciare in disparte queste fredde os- servazioni, e mettervi anche un po' a parte della mia conver- sazione itineraria, vi dirò che tra i più variati discorsi avuti col sig. Motzfeldt, professore di giurisprudenza nell'università di Cristiania in Norvegia, parlammo delle grandi feste di Ma- gonza, Gottinga e Praga, essendo egli, reduce da Magonza , appunto avviato alla famosa università di Hannover, mentre io correva ad assistere alle dotti sessioni dei naturalisti Tedeschi nella metropoli della Boemia. Vorrei potervi ridire quanto mi 287 narrò il giovane professore sul giubileo tipografico di Magonza , di cui fu testimonio oculare sono pochi giorni 5 egli mi raccontò tra le altre cose curiose , che quando le varie associazioni ti- pografiche passando avanti la statua di Guttenberg , abbassa- rono le loro ricchissime bandiere, al suono improvviso di tante musiche militari , ed al rimbombo giulivo delle campane , in mezzo a forse diecimila spettatori, la scena non poteva essere né più commovente, né più solenne; la sola guarnigione austro- prussa trovò queste feste incomode e troppo lunghe per aver dovuto rimanersene chiusa nella fortezza. Ed avendo sott' oc- chio r invito a stampa del giubileo imminente dell' università di Gottinga, ve ne trascrivo quattro righe: « Quam curam res- » publica apud Graecos et Romanos literis doctrinisque colendis » et promovendìs impenderit : kiinftìg anzuzeigen, risponderemo » un'altsa volta Die einladung lautet: l'invito dice: Academiae » Giorgiae Augustae inaugurationis sacra saecularia religioso et » solemni ritu publica cum gratulalioue celebranda in dies XVII, » XVIII, XIX septembris , hujus anni 1887 rite indicunt et M omues quotquot academiae huic et literis favent , ad socie- » tatem laetitiae suae observanter et officiose invitant prorector » Friedericus Bergman , Doctor et Senatus academicus. Arrivammo sul far della notte a Landshut , di cui ricordo solamente 1' alta torre di S. Martino ( 456 piedi ) , e la via principale bella e lunga 5 la città conta più di io mila abi- tanti , ma udii che 1' università , biblioteca ed annessi istituti vennero trasportati a Monaco , avendo ricevuto in magro com- penso un tribunale. E ripensando meco come questa città fu presa e ripresa all'alba del 21 aprile 1809 dagli alleati contro gli Austriaci , e che il sangue scorreva a rivi per le vie semi- nate di cadaveri e di feriti , tra cui morto un bravo generale Bavarese, non sapeva persuadermi che una si profonda piaga si fosse così facilmente rimarginata : ed in così breve tempo il tutto fosse già quasi obbllato, come nella vicina Ratisbona, dove anzi la parte più elegante della città è appunto quella che ebbe a soffrire maggiormente in q ne' fatali disastri, dove lo stesso Napoleone riportò una ferita. Incenerita in gran parte sorge ora più bella dalle ceneri Ratisbona ( Regensbourg dei 288 Tedeschi), sede della dieta germanica fino al 1806, epoca di sua dissoluzione. La città, che ha più di 26 mila abitanti, mi parve d' un aspetto non molto lieto, lo direi nordico, benché circondata da bei passeggi , ed il territorio sia molto fertile , e tra le migliori e più ricche provincie della Baviera. Il lun- ghissimo ponte in pietra sul Danubio è uno dei tre più belli e stupendi di tutta la Germania; entrato nella bella cattedrale gotica vidi che si stavano ristaurando i preziosi cristalli istoriati all'antica, e che erano stati appena terminati or ora i due mo- numenti ai due vescovi ultimi defunti 5 uno è quello di mon- signor Wittmann, la cui carità cristiana spiccò tanto nel tempo della battaglia del 1809, e mori sono ben pochi anni lasciando fama di santità,- notai il monumento di Dalberg pregiato la- voro di un Zendomeneghi 5 e visitando di passaggio il piccolis- simo cimitero della Collegiata , ho letto il nome d'un Bellapasqua medico veneziano celebei-riino , dice l'iscrizione, se non è scritta però nel solito stile adulatorio. Del resto Ratisbona presenta poche curiosità al forestiere, e data una breve occhiatina alle collezioni naturali (è molto coltivata la botanica specialmente) del principe Tour e Taxis che ha qui sua stanza per una parte dell'anno , se vi restano due o tre ore , correte al Walhalla , ediGzio gigantesco che il re di Baviera fa costrurre con enormi spese su d' un colle in riva al Danubio alla distanza d' un' ora e più dalla città. Il Walhalla ( nella mitologia Scandinava e- quivale ai campi elisii ) sarà il Panteon destinato a tutte le celebrità germaniche, e dove troverete con Lutero perfino la imperatrice Catterina di Russia perchè nata in Germania ; ma prima che sia terminato si richiedono ancora forse tre anni di continuati lavori, e spese moltissime, e per giunta discussioni senza fine sul merito reale dei beati che dovranno avervi stanza. A Ratisbona incominciate a trovare un po' più di rilassatezza nei pubblici costumi , e se vi passerete 24 ore cercate diretta- mente dell' angelo d'oro in vicinanza della posta , che questo è il migliore ed un ottimo albergo , mentre altrimenti in ora un po' avanzata, dopo le tre pomeridiane ad esempio , vi sa- rebbe difficile trovare di che potervi sfamare in tutti gli altri varii alberghi; e giacché abbiamo pronunciata la parola albergo, 289 mentre intanto stiamo avviandoci in Boemia , eccovi anche due parole di gastronomia lì alla sfuggita ed a solo titolo di varietà, e per provarvi che saprei forse farla anche un po' da viaggia- tore torf se me ne saltasse il grillo. Ma prima notate quanta varietà in Europa nella sola maniera ed ora di pranzare e bere il caffè ! Da Bologna dove questo liquido si prepara a bella posta, nell'istante cioè, per farvelo pagare un po' più caro, a Brusselle dove il caffè nero è sempre accompagnato da una sola gocciolina di latte in un piccolo vasellino di maiolica che di- reste un guscio di noce , v'è di che fare un ben lungo e cu- rioso letterone delle tante modificazioni e prezzi e modi di beverlo e sulle sale pulite o sucide dove sovente siete obbli- gato a respirai'e un' incomoda atmosfera di fumo di tabacco ( peccato che uno dei buoni caffé della nostra via di Po inco- minci a lasciar introdurre dagli studenti il pessimo uso di fumare in pubblico; è uno scandalo grave che sarà funesto alla borsa del proprietario), in mezzo a numerosi giuocatori di bigliardo di cui trovate talvolta perfino quattro grandi tavole nella stessa lunga sala ; aggiungete che la sala del caffè in Germania ordi- nariamente è anche una trattoria ,• trovate dappertutto in copia giornali politici e letterarii , ed in Amborgo ed Altona sale magnifiche e stupende davvero, come vi ho notato appunto in una lettera precedente su Altona *i. In Germania si pranza generalmente dall'una alle due pomeridiane, e si cena ancora dappertutto; il prezzo del pranzo nei primi alberghi, alla ta- vola così detta rotonda , varia dai due ai quattro franchi , il vino però si paga sempre a parte, come in tutto il Nord, non facendosi uso che di vini fini e ricercati , perchè la bevanda ordijiaria è la birra che gustate eccellentissima in Baviera e Boemia specialmente , e tale che la nostra migliore non vale a darcene un'idea. Il pranzo incomincia con un po' di brodo ia cui galleggiano alcuni frantumi di prezzemolo crudo , qual- che volta tale zuppa ordinaria è rimpiazzata da quelle dette puree , oppure all'orzo ; segue il manzo bollito accompagnato da patate , ed insalate di cocomeri o di barbabietole a modo *i Vedi Gazzetta Piemontese, N.° «ag dell' anno corrente. 290 d'iatingoli eoa altre varianti cèie non saprei qui descrivervi , perchè non conosco bene la lingua della gastronomia tedesca; vengono quindi altri piatti variati di carne, costelette ad esempio col solito corredo di legumi in gran copia ( cosi chiamano in- distintamente i pomi di terra , carote , fagiuoli , cavoli , spi- nacci ecc. ) , e poi il pesce , ordinariamente molto ricercato , e si chiude (nella maggior parte delle città di Germania non è in uso il così detto dessert ) coli' arrosto di pollo o pernice o cervo di cui abbondano, ed insalata verde e frutti colti com- pagnia d'obbligo per l'arrosto , come le patate lo sono per il bollito. E pure frequente il piatto detto badino inglese , e ri- cordo sempre un gran pranzo in Gassel nell' Assia Elettorale all'eccellente albergo dell' imperatore romano ( gastikof zum ro- mischen kaiser J in cui fu servita tale pietanza al punch ìa fiamma, sicché essendosi chiuse le finestre , la vista di quei 5o commensali con quelle fisionomie di altrettante larve per la fiamma che ardeva davanti a ciascheduno , avreste detta quella un'orgia infernale Ma punto alla gastronomia , che le frequentissime striscie giallo-nere divisa dell' Austria , ci an- nunziano già il nostro ingresso nella Boemia ; un faceto cui rimproverava il gusto poco estetico del suo governo nell'avere scelto tali colori funebri, mi rispose sorridendo che erano stati adottati in segno di duolo, quando si perdette il regno di Ge- rusalemme di cui ora più non si ritiene che il semplice titolo. Ma caro professore , sappiate ancora che prima di lasciare il territorio Bavarese , poco mancò che un wildbach nelle vici- nanze di Waldmunchen inghiottisse la vettura e l'amico vostro, e addio allora a questo ed ai futuri letteroui 5 ho tuttora vi- vissimo all' immaginazione quel momento terribile in cui gli ululati di una trentina di donne scarmigliate disperate per la imminente distruzione del loro villaggio , e le onde furiose di quel brutto torrentaccio che stavano per ingoiarci, mi desta- rono sul far del giorno da un sonno afiannoso in cui la stan- chezza delle precedenti notti vegliate , m'aveva profondamente immerso; vedendomi lì così presso alla morte improvvisamente a quell'ora in un luogo così oscuro e lungi dagli oggetti delle mie affezioni , restai quasi istupidito, quando aspettando la 291 morte , avviluppata la faccia nel mio mantello , grazie alla Provvidenza, che ve ne ha una specialissima anche per i viag- giatori , ed al coraggio straordinario del sig. Wutsch uffiziale austriaco del genio che si trovò meco per mia buona ventura, sentii aggrapparsi fuor d' ogni speranza , i cavalli all' opposta sponda , ed uscito tutto inzuppato da quei vortici frementi , guardando indietro quelle onde perigliose , le guatai estatico per alcuni minuti parendomi sognare tutto assorto in una di quelle strane visioni di una notte febbrile, e caduto ginocchioni sulla terra allagata dalla gran pioggia della notte, ringraziai in cuore la divina Provvidenza che mi avesse scampato da tanto pericolo coll'aiuto d'un sì intrepido compagno , e mi tremarono quasi tutto il giorno le vene e i polsi per la memoria viva di tanto spavento In Boemia è ben frequente la statua dì s. Giovanni Nepomuceno il patrono primo del regno 5 qui il più miserabile villaggio s.i onora del titolo di città, benché la sola veramente degna di questo nome da Waldmunchen a Praga, è forse Pilsen , piccola città di circa 8 mila abitanti, e rinomata in Boemia per i suoi bei granati e fiere e mani- fatture. Intanto siamo finalmente giunti sani e lieti a Praga dove mi sono subito installato all'ottimo albergo del Cavallo nero ; ma della bella e grande capitale della Boemia e della straordinaria riunione dei dotti della Germania, vi parlerò a lungo nel se- guente letterone 5 per ora nella dolce espettazione di rivedervi anche sano ed allegro nella nostra Torino , quando riceverò da voi tutto esultante quello spontaneo vivissimo amplesso , segno non equivoco di quella schietta e pura affezione che scende così soavemente al cuore , vi prego a richiamarmi alla buona memoria della vostra graziosa consorte , e di quei cor- tesi amici che vi fanno lieto di loro amena conversazione , ed a cui anch'io mi professo obbligato per le tante sollecitudini che si assumono a riguardo delle carte necessarie al mio viaggio. Credetemi il vostro veramente affezionatissimo ed obbliga- tissimo G. F. Baruffi. 292 PROGRAMMA D' associazione per l'erezione d'un monumento alla memoria del Dott. Luigi Rolandip prc^ss. d' Anatomia nella R. Università di Torino ecc. Un compianto universale accompagnava 1' infausta morte dell' esimio professore Luigi Rolando , tolto alla patria , ed alla scienza il 20 aprile iSSy. Agli amici poi, ai suoi discepoli, ed ai colleglli toccava mag- giore cagione di lagrime, poiché in lui perdevano un uomo di sentire generoso, un fisiologo insigne, un profondo anatomico, ed un cultore sagace di tutti i rami della medica scienza. Al giusto dolore, in che li lasciava così amara perdita , sottentrava poi il bisogno di dare una qualche testimonianza dell'alta stima che nudrivano essi per i meriti dell'illustre con- cittadino; quindi la voce della riconoscenza che non doveva estinguersi sulla sua tomba, fatta potente nel loro cuore det- tava l'idea d'un monumento, che, le preziose ceneri conser- vando , ne ricordasse le profonde dottrine. Era pur debito di cittadino il farlo : e giusto rimprovero ci sarebbe toccato dai posteri , ove non una lapide , non un segno d'affetto avessimo lasciato loro di quell' esimio che apprende- vano a venerare dagli scritti che la fama avrà di lui conservato. Il desiderio pubblico , e la pubblica riconoscenza interpreta- vano intanto alcuni distinti colleghi dell'illustre defunto, e fi- denti che alla generosa impresa non sarebbe mancato il soccorso de' loro concittadini, aprirono una soscrizione (*) per erigergli un monumento nel Campo Santo di Torino. Limitando le azioni per questo monumento alla somma di franchi fO^ pensarono di allargare il campo del concorso, e lasciare ai più agiati il mezzo di cooperare con generosità, — concorrendovi con più azioni — a rendere più nobile questo progetto , già nobile tanto di per se stesso. Dott. G. V. (*) Le soscrizioni si ricevono dal Libraio Pie , sotto i portici della fiera. STAMPERIA GHIRINGHELLO E COMP. con permissione. 293 Soluzione iValcune obbiezioni contro il principio d'alcuna cosa d'innato. S'è già detto che il sistema delle idee innate è distinto affatto da quello delle idee separate di Platone e dei seguaci di lui *i , s'è già detto che tutti i sistemi delle idee innate differiscono da quel dell'A. , il quale ammette d'innato il meno possibile ad immaginarsi , un germe d^idea, piuttosto che un^idea , una potenza di concepire le idee, una condizione a ciò necessaria, un atto es- senziale alla natura dell'intelletto, un lume, una forma. L'A. lo dice assai chiaramente *2. ({ Se taluno negasse il nome di cognizione a quell' )) elemento eh' è in noi dalla natura inserito , e eh' è » percepito immediatamente dallo spirito senza giudizio )) alcuno, io non vorrei contendere con costui di pa- » role. Fors'anco cosi richiede la stretta proprietà del » parlare. L'intelletto infatti conosce le cose mediante » un'idea; quello dunque che l'intelletto conosce, non » è già l'idea o specie, ma sì la cosa; e l'idea non è » del conoscere altro che il mezzo. Se dunque in noi » fosse la pura idea senza oggetto alcuno, non si di- )) rebbe che la mente nostra intende veruna cosa , ma » solo che ha il mezzo d'intendere. E tale è la condi- » zione della mente che pensa Tessere in universale, e » non ha ricevuto ancora verun fantasma da' sensi. Ella » nulla conosce ancora, nulla intende, ma solo ha la » potenza d'intendere , di conoscere. E però l'intelletto » ha bisogno delle cose sensibili per esercitare il ptn- » siero , per discendere dalla potenza all'atto *3. » Quando nello spirito umano è un fatto che non m *i T. II. p. 44. — *2 P. 106. — "3 P. 214. 19 294 può spiegare altrimenti , conviene attenersi alla spiega- zione unica inevitabile. E il fatto c'è *i. Ben dice il Leibnizio : niente è nell' intelletto che non sia stato nel senso, tranne lo stesso intelletto *2. E nei principj del nostro A. la sentenza è molto più vera che non in que' di Leibnizio , giacche senza quel lume della mente non esisterebbe veramente intelletto. L' argomento inoltre da noi accennato , del Leibnizio stesso : che l'anima può possedere un'idea senz'accorger- sene *3, serve a distruggere tutte le obbiezioni del Lo- cke. Si può bene avere non solo un'idea , ma una co- gnizione positiva , una serie d'idee , e non vi riflettere. Il fatto quotidiano lo prova. Non vi son eglino , do- manda il Leibnizio, in natura molti corpi impercettibili, e molti movimenti invisibili */\? Egli è bensì difficile immaginare uno stato del pen- siero in sola percezione , senza riflessione che ce ne faccia accorti ; ma il fatto non è però men chiaro , men certo: e il distinguere l'uno dall'altro è il passo che deve pur superare chiunque aspiri a qualche progresso nella filo- sofia dello spirito umano *5. Ma nel non ammettere d'insito all'uomo se non quanto basta a distinguere l'uomo dal bruto _, tanto è diligente l'A. nostro, che le più ovvie operazioni dello spirito, le idee più cardinali , che per essere concepite , par che punto non abbian bisogno del senso , e' non le considera come innate. « Per quanto l'uomo faccia tutti que'giu- )) dizii o raziocinii celeremente, per quanto esse discen- )) dano naturalmente e prossimamente dall'idea dell' es- » sere; sebbene anzi non siano che l'idea dell'essere » applicata, accompagnata di relazioni: tuttavia è ne- *i T. IL p. 198. T. m. p. 62. 87. — *2 T. ni. p. i4i. *3 T. il. p. io3. 159. — *4 P. 169. — *5 P. 177. 295 )) cessarlo che la nostia ragione si mova a tal line da » quello stato primo di perfetta quiete, sul quale ella è » quasi molla tesa e fermata *i. Tutlociò eh' è in noi , » in conseguenza di qualche movimento della ragione , » non essenziale alla stessa ; io amo chiamarlo cosa » acquisita. » E altrove: l'intelletto è costituito dall'idea universale dell'essere; ma l'intelletto non è ancora cognizione : la cognizione non comincia se non quando cominciano a presentarsi degli oggetti all'intelletto: non v'ò dunque cognizione innata , bene è innata la luce per cui si veg- gono le cose *2. Or considerato questo primo elemento come una mera potenza di conoscere ^ come una virtù essenzialmente costitutiva dell'umano intelletto, ognun vede che i Lo- chiani stessi la possono ammettere, e veramente la am- mettono in fatto *3. Osservazioni. L'argomento che il Locke adopra a combattere Je idee innate , e che tanto potè da rendere quasi ridicolo co- desto nome, nulla può contro i principii del nostro A. Io non istarò a ricercare se questo argomento d' indu- zione, col quale da alcuni fatti, scelti con arte, sì viene a conchiudere che certi uomini , certi popoli non pos- sedevano l'idea dell'onesto e del retto, sia argomenlo infallibile : non cercherò se giovi confondere in una sola questione la verità e la giustizia, la volontà e l'intel- letto. Dirò solamente che l'idea dell'essere, non che combattuta dagh argomenti del Locke, n' è viemeglio *i F. 232. — *3 Opuscoli T. I. p. 236. -~ *3 Op. T. IL p. 4yfi. 296 confermata: giacché per erronee che sieno e false le opinioni d'alcuni uomini, anco nella falsità e nell'er- rore, eglino pensano sempre ^ debbon sempre pensare che una qualche cosa esiste , che qualcosa e' è. Questo pensiero suppone l'idea dell'essere; idea che non può venire da' sensi ; giacche , per accorgersi delle cose sen- sibili convien giudicare che esse esistono, convien far uso dell'idea della quale si disputa. Con quale argomento combatt' egli Locke le idee in- nate? Mostrando che quelle che si credevano innate, in molti uomini non sono. Or si provi che l'idea dell'es- sere in qualch' uomo non sia. Altre obbiezioni. Nella prima lettura del N. Saggio varie obbiezioni mi si presentarono alla mente , preoccupata da alcuni pre- giudizi filosofici, tanto più tenaci, quanto più leggiere e facili ad afferrarsi sono le teorie sulle quali si fondano. Non è difficile che , siccome a me , così a talun altro dei lettori o di questo sunto o dell'opera intera, le me- desime difficoltà si presentino, o sotto la medesima, o sott'altra forma. Gioverà dunque trascrivere alcune delle risposte che l'A. , da me interrogato, diede cortesemente a' miei dubbi. Io gli opponevo che l'astrazione non può mai essere scompagnata dal giudizio, che tutte dunque le idee ge- nerali si potrebbero originar dal giudizio, contro il di- lemma ch'egli poneva per confutare i sensisti *i. Egli risponde: « Io conserverei distinta l'astrazione dal giu- » dizio, sebbene coU'astrazione siano quasi sempre me- » scolati de"" giudizi. Ecco in che faccio consistere la di- *i T. 1. del Saggio. 297 » stinzione tra queste due operazioni mentali , V astra- » zione e il giudizio. Quando io mi sono formato già » l'idea d'una cosa qualsiasi, il semplice contemplarla » nella mia mente non è giudicarla. Ora io potrei con- » templarne una parte sola : questa contemplazione non » sarebbe un giudizio, sarebbe un astrarre quella dalle » altre parti che io non contemplo. Vero è ch'io posso » esser mosso a far ciò da un giudizio , anche da un » raziocinio , anche da una serie lunga di raziocini! : » ma questo non fa che il semplice atto d'una contem- » plazione parziale sia veramente un giudizio. Non è che » un' astrazione : al giudizio si richiede 1' unione d' un » predicato con un soggetto. Infatti io dimostro *i darsi » il caso nel quale noi siamo tirati istintivamente, e » senza la virtù d' alcun giudizio , a fissar 1' attenzione » sopra le cose, astraendo dalla lor sussistenza: e que- » sta è astrazione scompagnata da giudizio. IL Alla distinzione da lui posta tra imaginazione e memoria *2 , io opponevo l'imaginazione non essere che una memoria più viva. Ed egli: io distinguo la memo- ria dall'imaginazione , perchè questa richiama solo i fan- tasmi sensibili, mentre la memoria ritiene e richiama ( quando richiama, prende nome di reminiscenza ) le idee delle cose , sempre distinte da' loro fantasmi. III. Io gli chiedevo dichiarazione d' una sua sentenza degli opuscoli filosofici *3 ; laddove dice che le idee tutte vengono all' anima di fuori da lei ; e la mi pareva con- traddittoria all' elemento dell' essere da lui posto. Egli mi nota ch'anco cotesta idea vien di fuori, essendo nel- l'anima impressa da Dio ; e viene da un'azione che fa sopra lei un oggetto esterno , sebbene spirituale. L' idea è cosa sì grande , oggettiva , assoluta , che non può mai *i T. IH. p. i54. — *i T. I. — *3 T. I. 56. 298 essere d'un soggetto limitato e finito com'è l'anima u- niana. E uscirebbe da lei se l'anima la traesse da sé , e la non venisse d'altronde, IV. Così l'A. si salva dai pericoli del Kantismo. E un po' di Kantismo io glielo avevo appunto rimprove- rato in quelle parole : la radice delle cose è nelle idee. Ma egli le commenta così. Primo. Kant confonde le cose con le idee : io le distinguo. Secondo : Kant fa le idee soggettive , cioè dipendenti dal soggetto ; io le fo ogget- tive, superiori al soggetto, e che a questo impongono leggi. V. Uno de' più difficili e più essenziali punti della fdosofia è la dottrina delle idee generali ; e al primo aspetto presenta difficoltà molte e forti; ma , ripensan- dovi , appare semplicissima e luminosa. Le seguenti con- siderazioni gioveranno a schiarirla. « Quando io penso una cosa come meramente possibile , io non ho nella mente se non il disegno , per dir così , della cosa , non la cosa reale e sussistente : questo disegno o pensier della cosa , io Io chiamo rappresentazione intellettiva della medesima : e appunto per aver io in mente la rappre- sentazion della cosa, non la cosa stessa, appunto perciò la mia idea è generale. La rappresentazion della cosa non è che la cosa pensata possibile. » « Voi dite (scriveva l'A. a me) che questa generalità » venente all'idea dall'essere rappresentativa, suppone )) una relazione di somiglianza tra le cose rappresentate; » sì certamente : ed io chiamo questa relazione la co- » noscibilità delle cose; dimostro che questa relazione » non è in loro se non perchè sono in sì fatto modo » costituite da dover avere un rapporto essenziale con » lo spirito che le pensa, con una mente insomma; e )) che, ove si prescindesse da questo loro rapporto, per 299 » altro essenziale , tolta sarebbe la possibilità della so- » miglianza tra loro *i. » « Io non nego che queste qualità siano veramente » nelle cose; ma nego che sia nelle cose il loro es- » sere comune, perchè la natura dell'esser comune non » è che la relazione di più cose con una mente che » le percepisce , e nella semplicità sua le unisce , e le » paragona , e giudica comuni quelle qualità che con )) una sola e medesima idea si comprendono *i. » « A chi suggerisce ricorrere al simile per ispiegare il » comune , io rispondo che la difficoltà riman la me- » desima , per la spiegazione e di quello e di questo ; » giacche due oggetti non sono simili, se non in quanto » hanno alcuna cosa di comune fra loro. Anche lo » Stewart ricorre alle qualità simili delle cose per spie- » gare le idee generali e le idee delle qualità comuni ; » ma io dimostrai come ciò non era che un porre la » difficoltà medesima in altre parole *3. « Coll'ammettere poi che le qualità delle cose , non » in sé, ma in quanto noi le percepiamo come comuni, » sono mere relazioni colle idee della mente, io non » sono idealista né scettico ; perché le qualità ammetto » io realmente nelle cose ; ma ciascuua ci sta da sé, di- » stinta , inconfondibile con l'altra ,• ciascuna ha un'esi- » stenza sua propria. La comunità dunque delle qualità » delle cose , non è che un modo della loro conoscibi- » lità, nulla più. E l'avere ben chiara questa nozione, » ci aiuta a concepire molte cose difficili nella scienza )) dello spirito umano. » In altra lettera : « voi fate un'osservazione sull' uso proprio delle parole tipo e rappresentazione. Io presi l'una per Taltra : così parmi abbia fatto il Condillac. Io *i T. iV. p. 194 e seg. — ♦a T. I. p. 121. — *3 T. I. p. 278 e 283. 500 sostengo che tulle le idee per loro propria natura sono comuni *i , e che questo carattere vien loro appunto dall'essere rappresentazioni. Prendo adunque la parola tipo in un senso alquanto lato, e quando voglio indi- care un tipo perfetto e primo nel suo genere , lo chiamo archelipo *2. » Notate che la qualità di essere rappresentazioni o tipi è comune anco alle idee di cose chimeriche e mostruose ; se non che a queste idee non corrispondono le cose reali ch'esse rappresentano fuori di noi : ma nel pensier nostro ci corrispondono cose possibili. La questione della realità degli oggetti può stare indipendente dalla loro natura di tipi. » E altrove. — w II pensare : questa Tintura è comune j è il medesimo che pensare : infinite nature simili a questa possono esistere. — Questa proposizione può essere equivoca, ma dove rettamente s'intenda, parmi vera. Non è già che noi ci rappresentiamo alla mente , pensando al comune , innumerabili nature le une di- stinte dall'altre; ma pensiamo alla possibilità che quell' unica natura innumerabili volte si replichi. L'idea è in- tuitiva e semplice, ma pensando intuitivamente la pos- sibilità che alcuna natura si replichi , noi non poniamo alcun lìmite a questa possibilità. » VL Criticato un poco da me, perchè non avesse con la solita sua chiarezza distinto il comune dal generale, risponde : « quando una qualità è comune a più cose , allora questa stessa qualità comune, quand'io la consi- dero in se stessa come semplicemente possibile ad es- sere applicata alle cose , la chiamo generale. V ha dun- que poca differenza tra il generale e il comune. Ciò che è generale in astratto , è comune a più individui j quando *i T. III. p. 42. — *2 Ivi. p. 357. 501 si consideri in relazione con essi. Quindi la bianchezza , la durezza, la quantità sono nomi generali: bianco, duro, quanto, comuni; perchè predicati di più oggetti. Pochi, molti e simili posson dirsi comuni, a tutti quei cumuli di cose che hanno la pochezza , la moltiplicità e simile: i quali ultimi vocaboli comuni non sono, ma generali *i. Questa distinzione non rende però affatto inutili, se non erro, quelle ch'io tra comune, generale j univer- sale ho accennate di sopra. Dei nomi proprii e de^ comuni. Intorno ai nomi comuni, le lettere dell'amico autore da me interrogato , m'offrono preziosi , e forse necessari! schiarimenti. « Havvi egli de' nomi (voi mi domandate) veramente proprii , ch'altro non dinotano , se non che l'individuai natura d'un oggetto ? Io dico di sì : ma so- stengo (avvertite bene, perchè qui sta uno de' principi! più difficili del mio sistema) che a que' nomi non cor- risponde un'idea , propriamente detta. Perchè ? Perchè l'idea riguarda l'essere possibile , sia universale o gene- rale o individuo. Perciò l'individuai natura dell'ente, presa in sé , cioè come sussiste , non è mai un' idea , ma una cosa. Ma le cose non le conosciam noi per via delle idee? Distinguo : le cose come possibili , sì ; e intanto sono idee. Ma come sussistenti in se stesse , no : e intanto si dicono semplicemente cose. Ma se le cose sussistenti non le conosciamo per via delle idee, come le conosciamo noi dunque? Per via d'un giudizio. A cagione d'esempio, quand'io *i T. I. p. i84 e seg. 302 dico , questo cavallo ch'ora penso e figuro coll'iraagina- zione, sussiste: formo un giudizio, col quale dico a me medesimo che il cavallo pensato, il cavallo del quale ho idea, sussiste anco in se. Il cavallo pensato non è che possibile. Quand' io dico che quel cavallo non solo è possibile ma sussistente , non solo nel mio pensiero ma in realtà, nulla aggiungo all'idea del cavallo, ma affermo solamente che, oltre quell'idea, v'ha realmente un ente sussistente il quale all'idea corrisponde. Or come posso io accorgermi di tal sussistenza? In due modi — o la percezione sensibile o l'autorità. I vocaboli dunque, dico, denotano o le idee o le cose : i denotanti le cose sono i nomi proprii j perchè le cose sono necessariamente individue, nulla potendo sussistere , che individuo non sia. I nomi proprii sono d'una special natura, differente da tutti gli altri vocaboli che dinotano le idee : sono un medio fra gli altri vocaboli e i suoni inarticolati. I suoni inarticolati non significano propriamente nulla , ma esprimono le affezioni del senso. Il suono che esprime la semplice affezione del senso, non è segno d'idea , perchè per inventare un tal segno si richiede una facoltà capace di percepire una relazione tra '1 segno e la cosa significata. Nel giudizio dunque si percepisce la cosa in quant' opera sul senso , ma si percepisce in relazione all' idea della cosa , come si può vedere dalla stessa formola del giudizio. Per esempio : quest'uomo (ecco l'idea) sussiste (ecco il giudizio). Anche nel nome proprio dunque, che esprima la individuai natura sussistente della cosa, è sottintesa la relazione di questa sussistenza individuale colla sua idea : e questa relazione è forse quella che vi fece dubitare dell'esistenza de' nomi veramente proprii. In altra lettera: « il nome proprio denota l'ente nella sua sussistenza, quale è in se, non qual è nell'idea no- 503 stra. Quindi il nome proprio ( avvertite bene , il nome veramente proprio, per esempio, Tizio) non inchiude nulla di comune ; ma la mera individuai sussistenza dell' ente stesso , la persona di Tizio. Quindi il nome proprio è un segno arbitrario: mentre quand' io uso un nome comune , per dinotare un individuo , come di- cendo il rosso , per indicare un uomo rosso di pelo , non iscelgo quella parola affatto arbitrariamente, ma ho una ragione dello scegliere, cioè il colore dei capelli di lui. Ora il color rosso è qualità a molte cose comune. Voi forse replicherete : « un ente in quanto sussiste in sé, e non è da me conosciuto, io noi posso nomi- nare : e però il nome proprio deve indicare qualche cosa di cognito , qualche cosa di cui s'abbia idea. Ora, ogn' idea anche particolare nel vostro sistema inchiude un'idea generale : dunque anco nell'idea segnata dal nome proprio dev'essere alcuna cosa di generale. Rispondo : e questa risposta è di qualche importanza a bene intendere la mia mente. Due sono i mezzi di conoscere: l'idea e il giudizio *i. Coli' idea sì conosce la specie , col giudizio il sussistente ; il nome comune denota un'idea , il proprio denota il verbo della mente che giudica. E veramente io ho dimostrato *2 ( questa è una delle chiavi del mio sistema) che la sussistenza della cosa non entra mai nell'idea della cosa , ma si co- nosce mediante un giudizio che si fa ad occasione della sensazione ricevuta. 1/ uomo che conosce un solo oggetto d' una specie , non ha bisogno che del nome proprio : certamente. Se può avere il nome proprio , n" ha assai. Ma sebbene non abbia bisogno che del nome proprio, ha bisogno sempre dell'idea comunissima dell'esistenza; senza la quale *i T. III. p. 176 e seg. — "s P. i3 e seg. 304 non percepirebbe intellettualmente l'oggetto. Osservale però che il nome proprio è più difficile ad inventarsi che il nome comune, ed è l'ultimo che comparisca nella for- mazione delle lingue. Porre il nome d'Adone ad un fiore individuo, è della piiÀ raffinata civiltà: l'uomo primo al primo fiore che vide , pensò che lo chiamerebbe col nome comunissimo d'un ente o d'una cosa , ch'è il me- desimo; e al più lo specificherebbe coll'aggiunto del pro- nome : questa cosa, pronome che indica presente, attuai sussistenza. Per gli uomini rozzi moltissimi oggetti non son che una cosa. Questa parola è sempre la prima in tutte le loro definizioni. » Voi dite : avrei amato qualch'eserapio filologico della distinzione che pongono gli uomini tra la qualità par- ticolare , e l'idea particolare di quella. Avete ragione: ed eccomi a soddisfarvi. Ripeto adunque che i soli nomi proprii indicano le cose, mentre tutte le altre voci e- sprimono idee. Ciò posto , quanti son eglino i nomi proprii? Pochissimi. I nomi delle persone e de' luoghi j e assai pochi altri. Quindi la maggior parte degli enti e delle qualità non hanno punto nomi proprii, cioè a dire sono nominate non in quanto sono individui sus- sistenti , ma in quanto sono pensate come possibili. E la ragione di ciò è molto chiara. Gli uomini non hanno bisogno di nominare le cose individualmente prese nella lor sussistenza , ma basta ad essi nominarle nella loro natura. Per esempio, quando dico, bell'animale è il cavallo; ciò che m^ importa determinare è la natura del cavallo che si pensa nell' idea ; né d' un tal cavallo individuo ho punto cura. Similmente le parole anima- le j bello, non esprimon che idee, cioè natura o qua- lità, non in quanto sussistono, ma in quanto sono pos- sibili. L'è poi corrisponde all'idea dell'essere in univer- sale. )) 305 « Ma se il più delle volte i ragionamenti non si com- pongono che d' idee esprimenti la natura d' una cosa , non un indivìduo sussistente; tuttavia e' è bisogno, voi direte, assai volte d'esprimere la qualità dell'indivi- duo sussistente. — Sì certo : ma ciò si fa co' pronomi questo j quello, e simili, i quali determinano il segno generale, ristringendolo ad uno od a parecchi oggetti. Però, dicendo j a cagion d'esempio : questo cavallo che è qui presente j questo leggiadro colore] tali locuzioni analizzate e sciolte filosoficamente, in quest'altre locu- zioni si tradurrebbero : «della natura cavallina ch'io ho in idea , quell'oggetto, quell'atto ch'ora colpisce i miei sensi: « del tal colore, al quale io pensando, non posso non ne pensare infiniti altri simili: quello che ora mi fa impressione suU' occhio. » Nelle quali locuzioni voi vedete espressa 1' unione di ciò che si percepisce coli' intelletto e di ciò che col senso : perciocché coll'intel- letto si percepisce l'idea, tanto più vasta e generale dell' atto. Lo spirito nostro per Tunità sua congiunge in se questi due estremi, e dice: ciò che si sente col senso, è un atto di quella potenza la qual percepisco con 1 in- telletto. Ed è questa Toperazion della ragione : poiché io definisco la ragione : quella potenza che unisce la percezione sensitiva con la intellettiva , prima e fonda- mental delle quali si è l'essere. » Considerate però, che nel discorso comune, con lo stesso vocabolo si denotano le idee e le cose; e così di- ciamo: io sto pensando a una casa da fabbricare ^ come ho veduto una casa. Si dà cioè il nome di casa tanto a quella che si pensa e eh' è meramente possibile, quanto a quella che si è veduta e che realmente sussi- ste. La ragione di ciò è posta in quella dottrina de^nomi proprii , che ho sopra toccata. Il nome casa è comune, cioè denota l'idea della casa, la casa possibile; ma gli 506 aggiunti spiegano che questa casa non solo è possibile , ma invero sussiste ; e tali aggiunti sono , siccome io di- cevo, i pronomi. Nella locuzione : questa casa è espressa la sussistenza : nella locuzione ho veduto una casa y la sensazione della vista determina l' idea in un atto , e dalla natura universale fa discendere il pensiero alla sus- sistenza individua. CONSIDERAZIONI GENERALI Prospetto dell' Opera intiera. Il desiderio d' esporre con la sufficiente chiarezza al- cune delle idee fondamentali del Saggio, il desiderio di raccogliere e adunare alcune osservazioni, che me- scolate con altre, o disperse qua e là^ non hanno nell' Opera stessa quell' efficacia che avrebbero forse in altro ordine collocate ; portò il mio discorso a troppa più lunghezza ch'io non disegnassi dapprima. Ora pensando che le cose dette possono essere sufficiente preparazione a comprendere V intera teoria dell' A. , parmi d' aver compiuto l'uffizio mio. Afferrata l'idea madre del sistema , dico Videa universale dell'essere ; veduto come in tutte le questioni e teorie filosofiche la necessità di questa idea si faccia sentire, e sia confermata tanto dalla ve- rità, quanto dagli errori delle dottrine dei secoli an- dati e del nostro ; dimostrata la natura dell' idea , quale la concepisce l' A. n, ; e la natura del giudizio primiti- vo ; io credo di potere ormai rimandare il lettore air Opera stessa , ben certo che con questi quattro punti 507 cardinali sott'occliio , e' troverà il rimanente chiaro di per se e luminoso. Io lo consiglierei però , dopo letto il presente povero sunto, a cominciare la lettura del Saggio dal terzo volume die comprende l'intera teoria ; e la ragione del mio consiglio apparirà dal compendio che qui porrò delle materie ne' quattro volumi contenute. Nel primo e nel secondo si pone la questione , se ne fa conoscere l'importanza , la si mostra ne' varii aspetti ne' quali s'è presentata a filosofi varii. Ma per combat- tere le loro teorie , non si può a meno d' alludere in- tanto alla teoria dell'A. , la qual non è ancora esposta : e codesto moltiplica le difficoltà e i dubbi nel lettore non ben preparato : dubbi che nella lettura del volume terzo si vengono dileguando. Certo che rileggendo dopo il terzo i due primi , vi si rincontrano molte osserva- zioni vere, molte profonde dottrine, alle quali solo il di- fetto d'ordine può scemare evidenza. Il terzo volume , ripeto , contiene la teoria : incomin- cia dal dimostrare la necessità e la natura dell'idea uni- versale dell' essere ; poi scende a indicare come dall' idea dell'essere, unita alle sensazioni, procedono le altre idee tutte; spiega come quest'idea sia il vero fondamento e del principio di cognizione e del principio di con- traddizione e dell'idea di sostanza e dell^idea di causa: su questi quattro principii ragiona in modo nuovo e forte: passa all'origine dell'idea di corpo, delle idee di moto, di spazio, di tempo. In questa lunga disamina l'A. non segue l'ordine cro- nologico della genesi delle idee, dimostra solo la possi- bilità dell' origine loro da un' idea sola. Il modo della formazione 1' occupa più che non 1' ordine. Quando la scienza sarà perfezionata, quando sarà raccolto un nu- mero sufficiente di fatti (a' quali sì poco si è badato fi- nora se non in passando o per caso), allora il sistema 308 ipotetico diverrà storico, e la dimostrazione sarà simile ad una limpida narrazione provata da non dubbii docu- menti. Intanto, prima di rigettare la teoria dell'A., con- vien ribattere gli argomenti oh' e' recaj e negare con prove alla mano i fatti psicologici ch'egli accenna. Il quarto volume applica la teoria alla gran questione del criterio della verità, questione che ne riceve assai lume. Oltraciò si toccano nel volume ultimo alcune dottrine importanti che possono dar soggetto a nuove meditazioni, a nuovi libri; e si finisce col fondar sul principio della idea dell' essere una classificazione delle scienze non meno semplice che feconda. Il presente Sunto ricapitola quanto è necessario alla intelligenza de' due primi volumi, e di parte del quarto; cioè la parte critica e la polemica del lavoro ; ricapitola ciò che riguarda la dimostrazione dell' idea universale dell'essere, ricapitola le dottrine brevemente poste dall' A. sulla necessità del linguaggio; raccoglie le sparse no- tizie sulla comune natura delle idee , e sul giudizio pri- mitivo, col quale lo spirito accoppia alla cosa sentita l'idea d'esistenza. La trattazione della genesi de' principi! razionali, e delle idee di corpo e di spazio, la discus- sione intorno al criterio della verità , poste quelle pre- raiesse, diventa chiara, e torna inutile presentarne il compendio. Fecondità di questa dottrina. Piuttosto , se ne avessi il tempo, vorrei dimostrare le molte ed importanti conseguenze che dalla teoria dell'A. si possono trarre a vantaggio d'altre scienze, di che l'A. stesso ci diede un saggio neiridtimo capitolo dell'Opera, e in un libriccino di cui parlerò brevemente più sotto. 509 La classificazione dello scibile proposta da lui, sebbene abbozzata, si vede poter servire a un lavoro enciclo- pedico molto più profondo di quelli clie abbiamo sinora. La scienza prima, dic^egli , base ed elemento di tutto, si è quella che tratta deiressere in universale : tutte le altre, in quest'aspetto, diventano scienze applicate, ap- plicate cioè agli enti che sussistono. Nella trattazione enciclopedica delle scienze, pone l'A. l'assioma: che sia primo in ordine quello che non ha di bisogno del ragionamento, ma della semplice os- servazione ; che non è teoria ma fatto, talché lo scet- tico stesso non può negarlo. Distingue poi le varie maniere di considerare lo sci- bile: cosa importante. Altro è collocarsi nel punto da cui Tuomo comincia lo svolgimento del proprio intelletto; altro è collocarsi sulla via non delTuomo individuo, ma dello spirito umano; altro è tracciare il cammino dell' uomo che a filosofare incomincia ; altro è delineare il sistema delle cognizioni umane. Le tre prime maniere di considerare l'argomento forniscono tre diverse divi- sioni dello scibile: ma meglio forse sarebbe dividere o distinguere le cognizioni umane secondo i veri bisogni dell'osservatore o del filosofo, e secondo i varii scopi dell'opre loro: e intanto per divisione principale stabilir quella che risulta dall'ultima considerazione delle quat- tro che abbiam numerate. Il singolare, per altro, a no- tarsi, e che conferma la verità dei principii del n. A., si è che nella teoria dell' essere universale il primo e V ultimo punto di vista , vengono in acconcio modo a congiungersi. L'idea dell'essere è il primo elemento del- 1^ umana cognizione , e n' è insieme il piìì alto punto : nulla si può pensare senza lei, nulla è tant'alto che con lei non si pensi. Quindi è che la teoria dell' A., oltre a molti altri vantaggi , potrebbe formare una classifiea- 20 510 xione dell'umano sapere , non di mero lusso scientìfico o di logico apparato o di letterario ornamento. Così , secondo la maggiore o minore dose, dirò così, d'essere negli oggetti conlenuta, si verrebbe a giudicare la no. bilia e la fecondità della scienza clie di quelli ragiona. Altra applicazione fece delle sue dottrine l'A. in un breve saggio intitolato principii di scienza morale. Ivi mostra come il germe della prima legge morale sia la nozione dell'essere *i. Per questa legge intende la prima idea per cui mezzo si fanno i giudizi morali. Egli dun- que clie Ila dimostrato, le altre idee tutte originarsi da quella dell'essere, lia già dimostrato implicitamente an- che r origine dell'idea madre del sentimento morale *2. Per conoscere infatti il merito d' un' azione bisogna incominciare dal misurare l'attività delT agente: ora l'idea dell'agente incbìude di necessità l'idea d'ente. E perchè senza l'idea dell'ente non si può formare giudi- zio umano, non si possono per conseguente senz'essa formare giudizi morali *3. Ma egli lo prova ancor più particolarmente così : Il bene , in tanto è bene in quanto dà alla cosa una certa pienezza d'essere: tuttociò cli'è negativo, che le toglie quanto sarebbe necessario o conveniente al suo essere, è male *4. Quindi i varii gradi di beni, secondo la maggiore o minor pienezza dell'essere. L'accrescimento pieno e supremo dell'essere è il bene supremo. Allor ch'io so quanto Tessere sia pieno o difettivo neirente ^ so quanto l'ente sia buono. Quindi è che il bene si ama perchè si ama l'essere *5. Quindi è che gli enti inani- mati e irragionevoli , non sentendo l'essere proprio, non son beni che in senso relativo a noi. E siccome l'essere •r P. 7. — *2 T. III. delN. Saggio p. 277. 290. T. IV. p. 567 e seg. — *3 Princ. mor, p. 12. — *4 P- 5i. — *5 P. 64. 511 può concepirsi e come sostanza e come accidente, così può il bene essere sostanziale , e può essere accidentale. V'ha un bene relativo, e un bene assoluto: assoluto è quello a cui le forze di ciascun ente tendono di per sé ; relativo è quello eh' è atto a cagionare il bene altrui, o ad occasionarlo *i. E siccome l'intelletto può sempre conoscere nuovi ecti possibili , finche non giunga a possedere intera l'idea dell'essere nell'essere sussistente infinito; cosi la volontà può sempre amar nuovi beni, finche non giunga al possesso del bene infinito. E perchè nell'idea deiressere è quella universalità che tutti gli enti abbraccia , che tutti aiuta a conost^rli , in essa risiede appunto l'umana dignità *2. Senz'essa Tuomo non potrebbe gustare il bene , perchè noi potrebbe co- noscere. Ed essendo che nell'idea l'uomo considera gli oggetti non quali li sente , ma in quanto sono al di fuori di se , viene egli per essa a godere quel bene vero che deriva allo spirito dalla contemplazione della realità ; viene a gustare quella felicità che procede dal non si rinchiudere in se medesimo, dal non far se solo centro dell'universo intero, dal rendere giustizia ad ogni bene ' anche menomo, ch'è fuor di noi, dal mettere l'anima nostra in comunicazione con esso; viene egli a distin- guere i beni fallaci , quelli che lo lusingano con una me- ramente soggettiva dolcezza, dai reali ch'hanno fuori di lui fondamento ed appoggio nell'ordine delle cose. Col senso l'uomo non gusta che il bene relativo; con l'intel- letto gusta la nozione del bene, eh' è un piacere essa stessa, anco scompagnata dall' attuai godimento, e che, a questo unita, lo rende degno della natura ragione- vole *3. Questa distinzione del bene oggettivo dal soggettivo *i P. 73. — *a P. 81. — '3 P. fto. 312 è importantissima, in quanto che giova a distinguere la morale propriamente detta, la scienza del bene, dalla eudemonologia, Tarte del viver felice; discipline affinis- sime, e la seconda dipendente affatto dalla prima, ma che, confuse, possono indurre il pericolo di subordinare la prima alla seconda, di togliere dalla morale ogni vera moralità. Siccome la forma della intelligenza è la visione dell' essere in universale, così la forma della morale è l'a- more del bene in universale , l'amore di tutti gli enti, di tutti i beni, amore proporzionato al grado del bene, ch''è quanto dire al grado deiressere. E quando diciamo flwore, ognun vede che la volontà deve all'idea del bene congiungersi perdi' abbia luogo il merito ed il demerito. La volontà è la potenza dell'ente intelligente: la volontà che ama gli enti secondo l'ordine loro , secondo l'impor- tanza del vero lor essere, quella è perfetta *i. La volontà ch'odia un ente, tanto è piiì rea, quanto è maggiore l'ente odiato, e quanto l'odio è più vivo: la volontà, eh' ama un ente, tanto è più virtuosa quanto l'ente è più grande, quanto è più caldo l'amore. In caso di collisione, quel bene che la conduce ali' odio d' un ben maggiore , più oggettivo, più durevole, divien male: e l'amor di tal bene non è senza colpa. L'idea dell'essere in univer- sale dairun canto , e dall'altro l'idea degli enti in parti- colare, spiega nell'uomo quell'apparente contrarietà di natura che lo trasporta ora all'amore d'un bene che non si può trovar nella terra, ora all'amore di beni vilissirai *a. Questa teoria ci spiega la dignità della scienza morale con l'altezza del principio , e con l'altezza del fine. La legislazione morale ha principio nell'essere mentale, ha fine neir ente assoluto: l'essere mentale, indefinito, ♦ , p. ,o3. — *2 P. no. 515 universalisslmo, necessario elemento, che nell* umana ra- gione nulla ha che stia sopra lui : l'ente assoluto ch'è il compimento, la realità deiressere mentale, è Dio. Gli atti della volontà son sì nobili perchè procedono da un ente intelligente , e ad un ente intelligente si vol- gono, quasi a fine. Giacche solo T ente inteUigente è fine dell'uomo : i beni che diconsi cose non son altro che mezzi. Quando la volontà colla sua forza arresta la mente sui difetti o veri o immaginati dell'ente o dell'opere sue, e la allontana dal pensiero de' pregi ; o quando la arre- sta sui pregi o veri o immaginati, e la fa non curare i difetti che pur vi sono^ la volontà diventa colpevole. Può l'umana debolezza rendere più o meno facile l' uno o l'altro trascorso, ma non lo rende mai necessario, quando riflessione abbia luogo *i. L'intelletto nella percezione ci presenta l'essere qual egli è, o almeno ci rende possibile il conoscerlo quale egli è, tanto da non ci rendere col- pevoli nell'amarlo. Ma se la volontà svia la mente dalla percezione dell'intelletto , di lei viene ad essere tutta la colpa *2. Finche l'uomo contempla la verità, non può mai peccare; quando alla verità vuole aggiungere o de- trarre, allora il male incomincia. Ma questo aggiungere, questo detrarre è uno sforzo, il quale si rinnova ogni volta che torna ^al pensiero la verità, qual è, schietta, invariabile. Cotesto sforzo è penoso : se rinnovato sovente e sempre con maggior pertinacia, diventa tormentoso, e terribile : ecco il rimorso. Tutti gli enti sono amabili^ in quanto son enti. Il male sta nell'amarli disordinatamente, cioè nel posporre ad essi aUri enti, il cut essere è più intero, più Ogget- tivo, più durevole, più necessario *3. Amando smode- *i P. .40. — *2 P. i5i. — *3 P. 182. 514 ratamente an bene minore, io gli do un essere che non ha in sé, commetto una falsità, pongo il falso per fon- damento all'amore. Finalmente la forza dell'amore e delTodio, crescendo, come abbiamo detto, il merito e il demerito, da ciò segue che due anime possono amare l'oggetto stesso, e il merito essere diverso, secondo l'intensità del mede- simo amore, Applicazioni da tentarsi. Dall'applicazione che fece l'A- della sua teorìa filoso- fica alla scienza morale, ognun può vedere , quanto la sia feconda , e può dalla varietà delle applicazioni trarre ar- gomento della sua verità. Ne dubito che ad altre parti dell'umano sapere vorrà 1' A. applicarla. E preveggo già, che, applicandola, per esempio, alla religione, potrà egli dimostrare come i religiosi doveri sieno i pili augusti di tutti, perchè riguardano il som- mo degli enti , come da essi piglino sanzione e valore tutti i doveri sociali; come, in lutti gli enti sussistenti riguardando una riflessione dell' ente supremo , lo spi- rito si sublimi ad un ordine di pensieri e d'affetti reli- giosi e liberissimi ; come la somiglianza dell'umana alla divina natura in nuli' altro consista, se non nel poter comprendere, siccome possibile, quel che un giorno si conoscerà sussistente; e come tolta allo spirito l'idea dell' essere in universale , essa non può concepire né Dio né ente alcuno. Preveggo che applicando questa teoria alle altre scienze filosofiche , l'A. potrà dimostrare acconciamente non solo la genesi delle idee, ma l'ordine ancora ed il metodo, col quale le idee si figliano, e si succedono, e si ride- stano: potrà edificare la scien^za di cui questo primo 315 trattato ha posti già i fondamenti : potrà giovare all' educazione mostrando come nello spirito umano s'ab- bia fin da' primi anni a svolgere questa potenza di for- mare ogni sorta d'idee con un solo elemento, come ri- chiamarle tutte al principio da cui derivano , come sem- plificare i trattati ed i metodi. Preveggo che, applicata alla scienza del diritto, questa teoria stessa vi spargerà nuova luce^ e definirà chiara- mente in che consista veramente il diritto, cioè nella facoltà di quelle azioni sole , che riguardano il fine dell' essere umano; non nell'esercizio di quelle che riguardano i mezzi dell'esistere, se non in quanto i detti mezzi sono indispensabili e conducevoli al fine : dichiarerà la gra- dazione dei diritti secondo la loro maggiore o minore necessità, e per tal modo potrà distinguerne que' tanti che si chiaman diritti, e che nocciono non che giovare all'esercizio dei diritti veri; misurerà secondo l'ordine degli esseri, i premii o le pene e ai politici insegnerà non aggravare con pene che toccano l'esistenza, delitti che l'esistenza non feriscono ; a non avvilire con premio materiale meriti che appartengono a sfera piiì alta. Preveggo, come, applicata alle indagini della critica, sia filosofica sia letteraria , la detta teoria potrà rifor- mare i processi logici e i raziocinii estetici, dimostrando il crescere ed il formarsi delle idee e de' sentimenti, in- dicando come e perchè vada congiunta la ^'erità alla bellezza ; come nella filologia e nella filosofia sia na- scosta una bellezza estetica , e nella bellezza si nasconda una profondamente filosofica verità: indicherà i mezzi di riformare potentemente il gusto delle moltitudini istu- pidite, richiamando gl'intelletti alla vera misura univer- sale di tutte le cose. Preveggo finalmente, che dalla teoria dell'A. le stesse arti belle potranno, sapendo, nella pratica loro trarre 316 profìtto, sì per la scelta degli argomenti, e sì per la trattazione : potrà la poesìa , profondandosi in quell'in- definito cli'è il carattere dell'umana ragione, allargarsi ad un ideale che punto non guasta, ma perfeziona la realità delle cose; potrà l'eloquenza apprezzare meglio che non faccia tra i moderni i principii d' universalità e di necessità , che son base alla credibilità del proba- bile stesso; potranno le arti della bellezza visibile ele- varsi dallo studio quasi meccanico delle forme e dei co- lori e della morta imitazione, a quella bellezza essen- ziale e intuitiva, che il detto studio facilita, e nelle opere della mano diffonde l'arcana spiritualità dello ingegno, e alle opere ch'hanno per limite lo spazio ed il tempo comunica non so che d'incommensurabile e d'immortale. Tommaseo, FiNr, 317 STOll SUL SECOLO D'AUGUSTO LIBRI QUATTRO (Milano, 1837). Fìutantocliè delle cose dì Grecia e di Roma si faceva un abuso eguale a quello della mitologia , fintantoché questi studi servivano soltanto ad un inutile sfoggio di erudizione , allora fu cosa perdonabile lo sclamare col vate francese , Qui nous délivrera des Grécs et dea Romains? Ma quando poi si videro uomini insigni far studi profondi e coscienziosi sulla storia esterna e politica di quelle grandi nazioni non solo , ma sulla vita civile eziandio e domestica , quando questi uomini si posero a scrutarne l'indole e le pas- sioni , e a rivelare i secreti pensieri di quei tempi famosi, quando dalle scritture che ci lasciano ci accorgiamo che gli uomini di quei tempi erano proprio i nostri simili, quando in una parola abbiamo il secolo di Pericle e di Augusto scritti da Tullio Dandolo , allora bisogna sinceramente pentirsi di aver qualche volta proferita quella non pia giaculatoria. Altri meglio che per noi non si possa ebbe già a ragionare del secolo di Pericle , ed ora non dispiacerà che si avventuri pur anco da noi alcuna modesta parola sull' ancora più medi- tato lavoro intorno al secolo di Augusto. Lo diciamo più meditato , sebbene forse si dovesse soltanto dire più brillante di colorito, più fecondo di fatti, più ricco 518 (11 effetlì. Imperocché per entrambe queste grandi composizioni veggiamo , egli è ben vero, come trasfusa in Dandolo rauima del Tiziano e del Canova ; ma per altro ne parve che con maggior compiacenza siasi poi essa trattenuta nel ritrarre il secolo d' Augusto, o sia che in questo argomento più copiosi e parlanti gli venissero sotto la mano i materiali , e che più forti quindi ne sentisse le sensazioni , o sia piuttosto che trat- tandosi d' un' epoca più vicina e più immediatamente italiana, e che noi ebblrao per sì lunga stagione a maestra ed ispira- trice se non ne' costumi , nelle leggi almeno e nelle rimem- branze, più caro gli tornasse descriverla; certo si è che quest' ultimo lavoro del Dandolo porge maggior diletto e profitto maggiore a chiunque si faccia a meditarlo. Guglielmo Roscoe volendo dar ragione dei motivi che lo mossero all' impresa di scrivere la storia del secolo di Leon X , scriveva : — « Fra questi era il desiderio ardente di presen- » tare alla generazione attuale la storia di un secolo famoso , » di dirigere l'attenzione pubblica su quegli uomini illustri , » su que' perfetti modelli , a' quali 1' Europa deve una gran » parte de' progressi, che essa ha fatti nelle lettere, nelle }> scienze e nelle arti ; di mostrare 1' effetto delle cause mo- 1) rall sulle cognizioni eia felicità del popoli , e di innalzare, » per quanto possono permetterlo sforzi di questa natura , un » riparo , una barriera contro il torrente di un gusto viziato » e corrotto , il quale se continuamente non viene combattuto, » potrà far ripiombare nella barbarie le nazioni europee le » meglio incivilite. Io avrei potuto propormi altresì in aggiunta » a quelli che ho espressi , motivi ancora più nobili 5 di mo- )) strare cioè le conseguenze funeste di una ambizione mal di- » retta, e di trarre dalle pagine della storia quelle massime )) d' umanità , di saviezza , di fedeltà negl' impegni politici , » che troppo sono state neglette in tutti i tempi, e senza delle » quali non possono essere guarentiti il riposo, 1' onore e lai » prosperità delle nazioni. » Quanto 1' illustre storico inglese aveva desiderato e presseh- tito, Tullio Dandolo ottenne ed effettuò. — E se la storia di Leon X è rispettabile per ricerche erudite e per copia di do- 519 cumrnti relativi a quel Pontefice ed ai personaggi che gli fo- rouo contemporanei, quella del secolo d'Augusto ora scritta da Dandolo le va superiore per lo giudizioso scompartimento delle materie disposte come in bellissimi quadri e per la vivacità e franchezza delle tinte con cui è scritta dall' un capo all' altro , e le va poi soprattutto innanzi per le vedute filosofiche e per gli insegnamenti sociali ond' è ripiena. Sembra dunque che si possa considerare quest'opera di Tul- lio Dandolo sotto due aspetti diversi , l'uno l'aspetto esteriore e meramente letterario, l'altro l'aspetto intimo e filosofico. Quanto al primo aspetto noi non potremo meglio ragguagliare i nostri lettori del disegno dell' opera , dell' ordine delle ma- terie e della varietà degli argomenti in essa trattati , che tra- scrivendo quanto lo stesso autore ne dice. Ho diviso , egli scrive , il mio lavoro in quattro parti. •^ Nella prima delineai a gran tratti non tanto la storia di Roma dalla fondazione ad Augusto , quanto 1' azione che gli avvenimenti esercitarono sulle istituzioni e sui costumi; corollario nobile e grave degli insegnamenti dell'adolescen- za. Dopo aver ristx-etto a breve ragionamento l' era dei re ( cap. I. ) , le istituzioni dei primi secoli della Repubblica ( cap. II. ) e le guerre puniche ( cap. III. ) che segnarono il primo passo gigantesco del suo ingrandimento , i Grac- chi ( cap. IV. ) mi chiamarono a meno concise parole ; avvegnaché in mezzo ai sanguinosi trambusti eh' essi su- scitarono , le forme del prisco reggimento subissero irre- parabile crollo, e i semi fossero gettati che Mario e Siila, Cesare e Pompeo fecer dappoi fruttificare ad eccidio della romana libertà. — E tenni dietro con diligente studio a quei due tremendi proscrittori ( cap. V. ) , proposimi di investigare qual passione li movesse , ed avvisai di trovare in essi il tipo personificato di quelle pesti sociali che dai vincitori di Mitridate e de' Cimbri sino a Robespierre e Marat insanguinarono sì di frequente la terra j vo' dire la 320 proscrizione democratica , furiosa e passeggiera. — Cesare e Pompeo ( cap, VI.), magnifici rivali di dominazione e di gloria , offrironmi spettacolo sublime ; la lotta del pas- sato contro il futuro, del genio della conservazione contro il genio della innovazione : uno che rappresenta le prische istituzioni , di cui son fesse le fondamenta e crollante il fastigio; l'altro che rappresenta la riforma sociale, il nuovo incivilimento; un quasi timido veglio che muove incerto in avventuroso arringo ove già pressente una sconfitta ; l' altro quasi giovine focoso a cui già vien meno aria e luce tra confini angusti , ed anela a spaziar liberamente per campi sconosciuti. In tempi che 1' etema Sapienza pre- destinati avea alla rigenerazione dell' umanità , diresti che un raggio di quella sapienza rifulse nella grand' anima di Cesare a trascinarlo anch' esso ad opera di rigenerazione : chi contrapponeagli la vecchia Repubblica ? il suo gigante dal pie di creta. — Cesare e Pompeo scendono a combat- tere per non ignobil causa , generosi campioni : ma Otta- vio ed Antonio ( cap. VII. ) contrastansi un cadavere. La Repubblica è spenta , non d' istituzioni o di gloria dispu- tano costoro , ma di brutal dominazione. Ottavio è dap- prima un abborrito , scaltro proscrittore , ipocrita che non ebbe nemmeno il franco ardimento della scelleratezza : sono forzato ad ammirarlo , poiché si cambiò in Augusto ( cap. VIII ) tipo degli accorti fondatori di quelle monarchie che Luigi XIV sì ben definiva — Vétat d'est moi — oh quanto diverse da quella che G. Cesare avrebbe fondato I Al quadro della storia e delle istituzioni politiche dalla fondazione di Roma ad Augusto , espressione fedele della coscienza pubblica, posi presso il quadro della giurispru- denza romana, espressione non meno fedele della coscienza privata. Dopo d'avere studiato il popol di Quirino nell'in- furiar delle sue passioni politiche , ' nello splendore delle sue civiche virtù , nel declinare immancabile e lento della sua libertà , non mi restava a studiarlo che ne' diritti e ne' doveri privati , ne' vizi , ne' delitti ! le leggi , io scrissi in fronte a questo secondo libro, sono la coscienza scritta delle nazioni: lo studio delle leggi è dunque investigazion importantissima , che sola può recar luce sulla moralità de' tempi lontani ; ed io quante leggi dell' era de' re ( note sotto nome di Codice Papiriano) e quante delle XII ta- vole ci furon tramandate nell' antico testo , o semplice- mente ricordate dagli scrittori , altrettante ho trascritte , aggiungendo commenti ovunque bisognava, destinati a chia- rire come la maggior parte di tai leggi subì modificazioni infino ai tempi d' i?i ugusto : ond' è che troverai là entro un sunto della giurisprudenza dei primi sette secoli di Romei Nel terzo libro ho descritto il fiorir delle lettere, delle scienze e della filosofia ; e mi proposi di porre in luce per cotesto vastissimo campo non tanto il bello filolo- gico, quanto l'impronto morale. — Cominciai dall' esplo- rare le origini osche della favella Ialina e l' accompagnai passo passo nel suo ingentilirsi da Romolo ad Appio Clau- dio , da Scipione Barbato ad Ennio , da Lucilio a Lucre- zio , con cui già tocca alla perfezione. — Di Plauto e Te- renzio tenni particolar discorso (cap. IL ), e ceixai nella composizione stessa dell'informe moltitudine che assumea nome di popolo romano le cagioni che fecer Plauto applau- dito, Terenzio fischiato; e reser impossibile tra' sette colli il fiorir della tragedia. — L' introduzione della filosofia in Roma ( cap. HI. ) resemi attento a scrutare i primi in- flussi di quella straniera visitatrice, e la vidi proscritta dal pubblico , raccolta dai privati , colorare ad ultimo il ca- rattere romano con tinte che d'esotico conservaron sem- pre alcun che , ma furon vive e marcate. Cicerone trat- tennemi alquanto , e passai a rivista que' suoi maravìgliosi trattati , alcun brano qua e là trascrivendone a saggio di sapienza sublime. — Anco dell' eloquenza del foro ( cap. 522 IV.) scorsi seder principe M. Tullio, e piacquemi dimo- strare eh' egli fu nel tempo stesso orator sommo e uomo amabile e -virtuoso. — Molti nomi illustri ho mentovati in ragionar delle scienze (cap. V. ), e principalissimi Celso, Varrone e Giulio Cesare. — Le belle arti (cap. VI.) van- tano un nome solo, quello di Vitruvio; vacuità a prima giunta sorprendente , ma a render ragione della quale valer possono le cause stesse che proscrissero in Roma la trage- dia. A temperar l'aridità dell'argomento v'innestai la descri- zione della galleria di Verre lo spogliatore della Sicilia. — Cesare e Sallustio (cap. VII.) furon da me posti accanto, non perchè amici o storici entrambi , ma perchè i più ar- diti novatori del loro tempo. — Celebrai in T. Livio il più caro de' miei maestri e non tacqui come la scuola pirro- nista di Niebhur , che addensa tenebre intorno le divine narrative del mio stoinco, non sa trovar favore direi piut- tosto nel mio cuore, che nella mia mente ( cap. Vili.). — Studiai in Orazio l' uom della duplice natura , stoico ed epicureo, repubblicano ammirator di Catone, cortigiano di Augusto ( cap. IX ). — Virgilio mi parve più gentile che grande ; posilo a riscontro d' Omero , e lo vidi schiacciato ( cap. X. ). — In Ovidio trovai quadri vivissimi di costu- mi ; e collocai le sue Metamorfosi più alto dell' Eneide ( cap. XI. ). I poeti erotici Irassermi a gettare uno sguardo sulla storia d' amore , e mi dolse che il gentil arciero dei Greci tramutassero i Romani nel pettoruto Dio che collo- cavano negli orti a terror de' ladroncelli ( cap. XII. ). — Chiusi con Fedi'O ( cap. XIII. ) quel mio terzo libro , per- ch' egli è il poeta che siede a cavaliere ti^a il secol d'oro e quello della decadenza , tra Augusto e Nerone : le favole dell' imitator d' Esopo mi si appalesaron piene di vivacis- sime allusioni i costumi del suo tempo. Ad apposita descrizion de' costumi ho consacrato il lì» bro IV : sono essi il vero suggetto de' miei .studii , stp- 325 ria, giurisprudenza, lettere, filosofia servirono a chiarire d' un tal suggetto alcune parti : qui m'appigliai a due ma- niere di descrizione. Rappresentai dapprima i costumi ro- mani personificati in alcuni famiigerati cittadini, in alcune celebri matrone ; personaggi che non avean conseguito po- sto distinto nelle storiche considerazioni del primo libro, perchè non esercitarono sugli avvenimenti del loro tempo un' azione efficace; tali però a cagione delle minute carat- teristiche notizie che di lor tramandarono storici, biografi, oratori , satirici da poterli noi riguardare appunto come personificazione de' vizi, della virtù, delle scioperatezze del lor secolo. — Verre mi chiamò a descriver la dolorosa con- dizione delle Provincie ( cap. I. ) ; Spartaco la misera sorte a cui soggiaceano i gladiatori ( cap. IT. ) ; Catilina la balda immoralità del patriziato ( cap. III. ) ; Clodio la cieca per- versità della plebe ( cap. IV. ) , e M. Tullio mi prestò a tratteggiar questi quadri i colori della sua splendida elo- quenza. Posi il tremendo ritratto di Fulvia a riscontro del seducente di Cleopatra ( cap. V. ) ; il comico di Cloelia rim- petto allo spaventoso di Sassia ( cap. VI. ) ; e Cicerone mi somministrò anche qui spesse fiate tavolozza e pennelli. — In Catone ( cap. VII. ) lo stoicismo parvemi sempremai di- gnitoso fuorché nella cessione e retrocessione di Marzia. — T. Pomponio Attico ( cap. VIII. ) m' invitò ad amare il suo benefico epicureismo. Da questi cenni biografici feci tragitto ad argomenti ge- nerali ; e primo per la sua dilicatezza scelsi la romana ur- banità ( cap. IX. ) , e dmìoslrai com' ella fosse virtù esclu- siva agli abitatori della Urbs , la capitale del mondo; do- po di che addussi ad esemplare di cotesta urbanità nello scrivere Orazio, nello agire la famiglia de' Massimi. — In- vestigai degli schiavi (cap. X.) qual fosse la condizione, e lamentai che quell' abbominio della civiltà antica deturpi ancor la moderna. Della religione e del sacerdozio tranne 524 ghiottonerie e brutture poco mi restò ad accennare. La fiamma di Vesta sembrami stata quasi anima del popol di Quirino (cap. XI.). — Dal sacerdozio alle cene (cap. XII.) era naturai passaggio; rappresentai qual fosse il triclinio di Cecilia Metella, quale la pontificai cena del triumviro Lepido. — Indicai in qual foggia il cittadino spendeva le "variabili ore della sua giornata ( cap. XIII. ) ; — con quali artifizi , in qual forma , da chi assistita la matrona s' ac- conciasse il mattino ( cap. XIV. ) ; — quai trattenimenti cit- tadino e matrona facevano appassionati amatori, infatica- bili frequentatori del circo ( cap. XV. ) ; — qual era la sontuosità dei palagi (cap. XVI.); qual l'eleganza e va- ghezza delle ville ( cap. XVII, ). Ti'a le delizie di queste ville non ancor contaminate dalle orgie di Messalina , di Nerone, rese ancor geniali dagli amabili ozi di Mecenate, di Orazio e dalla memoria recente dei dienitosi ozi di Cice- o rone, al risplendere di questo ultimo fuggevol raggio di ro- mana gentilezza piacquemi dir addio alla Roma d'Augusto. Non ci vuole certamente di più per tosto conoscere la forma e le proporzioni di questo bellissimo lavoro , e come in esso collo stile ora di Livio, ora di Svetonio, ora di Tacito ed or di Plutarco s'incidano con forti parole i caratteri degli uomini, la ragione delle vicende, l'indole delle istituzioni, lo stalo dei costumi che costituirono la nazione padrona del mondo. Dal lato poi filosofico e morale non v' ha dubbio che in quest' opera siasi fatto un generoso e profondo studio dei si- stemi, delle opinioni , dei costumi, delle istituzioni, della legis- lazione, e dell'economia pubblica, ed in somma di tutti i rami che compongono il gran albero politico e sociale della costitu- I zione romana. Gli elementi che dalla Grecia e dalle altre con- quistate nazioni si erano in essa versate , le modificazioni che vi avevano subito dalle istituzioni e dai costumi indigeni , ì cangiamenti che le succedute mutazioni nel sistema interno dello stato, a misura che il principio conservatore o l'innova- 3^5 tore, l'aristocrazia o la democrazia prevaleva o scapitava , i vari ordinamenti con cui si cercava di richiamarla a' suoi principii, e ridare 1' antica tempra a quelli che andavano corrompendosi , sono tutte cose che vengono in quest' opera con bella maestria delineate. Né in tali indagini l'Autore vi reca soltanto le co- gnizioni proprie di quei tempi, ma cimenta e giudica quei fatti col confronto delle teorie e delle esperienze recenti , di- modoché in questo libro sebbene si vegga trattata la storia del secolo d'Augusto, tu vi trovi come trasfusa tutta la filosofia morale e politica de' tempi nostri , e puoi vedere come trac- ciata colla più grande accortezza di rimembranze e di con- fronti la storia delle presenti società. Così quest' opera di Tul- lio Dandolo non ha solamente un interesse storico od archeo- logico , ma contiene altresì un interesse altamente sociale , fecondo di pensieri e di vita contemporanea e futura. Questo merito è sempre costante in tutte le parti dell'ope- ra, ma specialmente in quelle dove si parla delle istituzioni civili e militari di Roma, mostrando come i cittadini romani fossero contenti di rimaner poveri pui'chè solamente acquistas- tero ricchezze per la Repubblica , e come la magistratura e la guerra li facessero forti e sapienti. Roma, scrive Dandolo, formava atl un tempo uomini di stato e capitani : avvezzando i suoi cittadini al duplice arringo inculcava loro colla tacita eloquenza delle sue isti- tuzioni che per esser degni di salir alto nella Repubblica conveniva associare alla conoscenza degli uomini e delle cose l' intrepidità e l'ardimento che padroneggiano , allor- che più ve n' è uopo , amici e nemici. Assai più distcsauienle «li quanto si potesse aspettare in im libro quale si annunzia quello del Dandolo, esso discorre di leggi e di giurisprudenza. — In primo luogo, ed in quattro distinti paragrafi si rammemorano quelle antiche leggi che si cono- scono col nome di Codice Papiriano, e che formarono as- sieme alle leggi delle Xll tavole il fondamento non solamente della romana, ma della uuiversale giurisprudenza. Queste leggi 2 I 326 raccolte da Sesto Papirio versavano fin d'allora, collo stesso ordine che poscia si vede essersi quasi sempre seguito nei codici posteriori, primieramente sul culto religioso, poscia sul di- ritto pubblico e la polizia , quindi intorno ai matrimoni ed all'autorità paterna, e finalmente intorno ai contratti, alla pro- cedura ed ai funerali. Riguardo alle leggi delle XII tavole se- guendo le tracce dell' opera classica del Terrasson sulla storia della giurisprudenza romana, il Dandolo riferisce il testo di quelle leggi famose che il tempo ciba conservato, eie accom- pagna di alcune brevissime , ma opportune illustrazioni. Il quale sunto conciso e sugoso che qui troviamo nel Dan- dolo delle leggi romane , come lavoro storico e letterario ba sicuramente un pregio ragguardevole , ina come elucubrazione filosofica, ducici di non potergli riconoscere un merito eguale. Pare infatti ornai tempo che si cessi dall' idolatrare quelle leggi come un oracolo perpetuo ed infallibile di giurisprudenza. La legislazione romana naia e cresciuta iu una società e per una società tanto dissimile dalla nostra, irta di formolo, di sotti- gliezze e di contraddizioni , compilata con leggi sovrapposte le une alle altre secondo le mutazioni che si succedevano nello stato, deve forseoramai riguardarsi più come punto di storia, che come fonte di sapienza sociale e legislativa. I veri fonti della filosofia del dritto , le basi razionali del giusto , dell' utile e dell' onesto si trovano ora terse e purgate nelle opere dei mi- gliori pubblicisti e nei codici recenti, senza che sia più ne- cessario attingerle con inutile fatica nei volumi delle leggi ro- mane. Contuttociò lo studio che ne fa il Dandolo giova moltissimo alla importantissima conoscenza delle relazioni che hanno le leggi coi costumi. Quindi è che ne' primi tempi della Pvepubblica la riverenza del diritto e della legalità era onnipossente in Pioma. — Povertà e guerra formavano i suoi costumi politici , e la sua politica attingeva nella loi'o austerità una gagliardia irresistibile. — Nei tempi posteriori per conciliare da un lato colle leggi i costumi che si i-addolcivano , e dall'altro per con- servare puri i costumi con mantenere la forza delle leggi , s'isti- tuirono due provvidentissime magistrature, il pretore e la cen- 327 sura. Ma poi conquistalo 1' Oriente la corruzione e l'efi'emìna- tezza dei costumi cominciarono a punir Roma delle sue con- quiste , ed allora la legislazione tentò infruttuosamente rime- diarvi sia coir opporvi la sua resistenza , sia colle concessioni a cui fu costretta piegarsi. Molti furono i tentativi clie allora fecero le leggi per resti- tuire l'antico splendore alla religione, per frenare il lusso, per impedire i brogli e le venalità delle cariche, il carpire de' testamenti , per diminuire il celibato , per punire insoliti e nuovi delitti , ma tanto furono rapidi i progressi della corru- zione , che la legge Mummia soppresse persino in Roma il ca- stigo de' calunniatori. — « Tanto alla virtù era scemato il pri- » sco onore, conchiude Dandolo, che si concesse amnistia alla » calunnia. » Cangiate in Roma non solamente le leggi ed i costumi , ma la popolazione eziandio , le discordie civili non tardarono di improntare di atrocità e le leggi ed i costumi ed il popolo. . — Fu in questo periodo miserando della società romana che « la » legislazione, al dire di Dandolo, era divenula un campo di » battaglia , su cui ad ora ad ora trionfava la varia fortuna dei M partiti, u Era , egli prosegue , tolta ornai alle leggi la facoltà di rendere meno tristi i costumi , né i costumi più valevano a correggere le leggi. Tutto stava per ahbissarsi in mia ri- voluzione diventata ormai inevitabile. Eppure taluni studia- vansi ancora di connovare le antiche leggi, di risuscitare gli antichi costumi. Vano imprendimento : intanto che Bruto ed i suoi amici sognavano di Repubblica , la Repubblica crollò per non risorger più mai La stessa profondità di pensare, la stessa varietà di concclli, ' la stessa vaghezza e nobiltà di stile risplende colà dove il Dandolo discende dalle leggi a parlare delle scienze , delle let- tere , delle arti o della filosofia presso i Romani. — Il com- plesso delle sue osservazioni ci convinse della verità di (pici 528 detto: — minciare 1' educazione con li lettura di Cicerone e d' Ovidio che ne segue egli ? )) che vissuti in un mondo non nostro ne riportiamo quella grettezza di spirito , » la quale viene da occupazioni che non possono esercitare tutto 1' uomo ; ne ri- » portiamo di più quell' orgoglio , che inspira ogni sorta d' abilità estranea a ciò )) che riguarda i più gravi ed imperiosi bisogni dell' umana natura. — ( DelV edu- cazione scritti varii pag. 162 ). 329 bili per r arte tragica e che la Grecia possedeva nel grado più eminente. Alle quali cagioni noi non crediamo clie si debba aggiunger quella che i Ptomani avvezzi com' erano alle tragedie vere, non potessero essere scossi dalle tragedie finte e rappresentate. Im- perocché appunto r essere i Romani assuefatti alle scene di sangue , alle cadute di Re ed ai trionfi , poteva produrre una conseguenza tutta contraria ja quella del non bramare le imi- tazioni teatrali. L'epoca, è vero, presentava spettacoli orren- damente veri, ma la tragedia avrebbe esposte le passioni che a questi conducevano , e l' occasione che la realtà delle cose ofFex'iva, ben lungi dal nuocere alla tragedia, poteva anzi gio- vare altamente al più nobile suo ufficio. Qui non possiamo resistere al piacere di riferire lo stupendo ritratto che Dandolo ci porge delle glorie letterarie del più grande capitano di Roma che sta come una grande figura di quanto l'educazione militare e civile di Roma poteva operare sopra i suoi cittadini. Suo nome è Giulio Cesare l'uomo di cui niuiio a' suoi giorni ebbesi vita più operosa ed agitata l'am- bizioso che sino dalla prima giovinezza aveva fermato il proponimento d' insignorirsi della Repubblica , e a tale in- tento consecrò l'attività maravigliosa del vasto suo inge- gno il gueiu'iero che la terra allora conosciuta da un capo all' altro corse alla testa delle sue legioni perfino nell' ignorata Brettagna approdando , le bellicose Gallie in dieci anni, Farnace in pochi dì soggiogando. Lai'go impetuoso fiume contrastagli il passo? gettavi sopra un ponte che versatissimo lo dà a conoscere nelle matematiche e nella meccanica. S' è avvisto dell' abberrazione crescente tra i mesi e le stagioni ? ne' brevi ozi della capitale applica a comune vantaggio gli insegnamenti dell' egiziano Sosigene e riforma il calendario. Giureconsulti e Magistrati si que- relano dell' immensa e disparata moltitudine di leggi che compongono il diritto? divisò dargli nuova forma, il me- glio scegliendo e coordinando secondo i lumi della filoso- fia ; e a fare vie più onorate tutte le liberali discipline , concede a quanti ne fanno professione il diritto e le fran- chigie della romana cittadinanza. — Tale è Giulio Cesare cultore delle lettere e delle scienze. Dopo dì aver dettate le sue osservazioni generali sullo stato delle lettere e delle scienze latine , il eh. Autore introduce come testimoni parlanti della loro verità gli scrittori più fa- mosi di Roma. Ammirahile oltremodo è la pittura che ci fa di Orazio, pit- tura che per nulla invidia a quella che diede il Monti nel giudizio che precede la sua bellissima traduzione di Persio. — Forse tante citazioni annoieranno , ma la seguente potrebbe bastare a farcele perdonar tutte. Chi non ammirerà in Orazio l'impronta d'una doppia esistenza intellettuale ; che facendolo delizia d' Augusto e nostra delizia , ci si rivela ugualmente ammirabile e viva a diciotto secoli di distanza , con un abisso a mezzo di religioni , di leggi , di costumi mutati ? Chi non ravvisa neir ammirator di Regolo e di Catone il giovine ardente , generoso , che studuiva stoicismo ad Atene , e di là par- tivasi per combattere con Bruto? Chi non riconosce nel celebratore delle pompe, de' trionfi, de' benefizi del princi- pato recente, l' amico , il commensale di Mecenate , a cui parer dovea sogno , ma sogno non dimenticabile più mai , l'entusiasmo provato per la causa della libertà ? Orazio cor- tigiano non ha rinnegato il sentire d'Orazio repubblicano; ed ecco la lirica poesia, la splendida creazione del Venosino in Roma, la figlia capricciosa del suo mobile ingegno farglisi specchio di tutte le romane idee , calcedoscopio morale de' sentimenti più disparati; ecco la lirica poesia aprire ad Orazio, immenso campo di gloria, che ninna poesia poteva affarsi meglio all'ingegno d'Orazio; niun poeta parve dalla natura più appositamente destinato a siffatta poesia, versa- 331 tile come fronda aggirata da vento, egli; libera, sciolta, a- mica de' balzi , de' voli , ella ; ora voluttuoso , or grave , ora lieto , or mesto , egli ; pronta ella a cangiare meti o e cadenze, dal saffico al jambo, dal pizio all'arcaico, da tutti i ritmi di Pindaro e di Simonide a tutti que' d'Arcliiloco e di Alceo; Orazio e il carme lirico erano fatti uno per r altro , come Livio per descrivere gli innocenti secoli di Roma , Tacito i contaminati ; conciossiachè in certi uomini privilegiati è un imperioso istinto , un irresistibile eccita- mento a collere determinati arringhi , ne' quali , scesi ap- pena, muovono dominatori. Ma 1' arringo luminoso che ad Orazio nel secolo d' Augusto si schiuse , niun altro secolo avrebberglielo aperto, perciocché in niun altro quel suo ge- nio camaleonteo avrebbe saputo e potuto allargar le ale a' Ihnci voli che immortale lo han fatto. Ov' è un rivale ad Orazio ? Quale degli orgogliosi figli de' secoli della civiltà contrasta il primato al Venosino ? Civiltà ! magico vocabolo che sottintende bensì libertà , agiatezza, prosperità, lumi, tolleranza, scienze, filosofia; ma non capolavori e genio ! che scovre l' arte di coi-rere i mari senza vele , 1' aria senz' ale , di moltiplicare all' in- finito la fuggevole parola dell'uomo, di coniare pe' posteri il baleno d'un pensiero fecondo di grandi risultamenti , e non sa donarci un altro Omero , non sa ispirare un se- condo Orazio! Eppure vedemmo tempi anche noi ne' quali lottavano le fiere ricordanze d' im passato atroce e le spe- ranze sotto magnifico principato^ d' un fortunato avvenire . . . Sarebbe forse fatale che quanto maggior luce dalle disci- pline figlie dell'osservazione scaturisce, altrettanto a quelle che sono figlie dell' immaginazione venga meno Veccelleuza e lo splendore. I ritratti storici degli scrittori sono il mezzo con cui il Dan- dolo continua a rappresentare lo stato della letteratura romana. Così nel darci quello di Ovidio , ei lo ricava dal carattere e 332 tlallo spirito de' suoi tanto varii poemi. — Parlando in parti- colare dei Tristi chi non si sente intenerire leggendo : Scrisse a sfogo delle angosce dell' esilio le sue Tristi : con qual vena di pianto non ricompra in esse le follie e le scioperatezze della gioventù! La più toccante di quelle Tristi è consacrata a ricordare la crudele dipartita dalla patria ! Oh come teneri furono gli ultimi saluti ! Come in- naffiati di lagrime i baci estremi ! Come straziante quel dar addietro per voler calcare anche ima volta il limitare della casa paterna e stringere fra le tremanti braccia la mo- glie ! . . . Ed era in quell' ora infausta ottenebrato il cielo da nubi , e cani in lontananza mandavano ululati ! . . . , Singolare poi si è il vedere come Dandolo cerchi persino di indovinare 1' indole di Ovidio , ravvicinandolo ai poeti vissuti a tempi molto a lui posteriori. Di tempra francese è lo spirito di Ovidio ; talmente che pare tra tutti gli antichi poeti esser egli quello che men d' ogni altro avrebbesi avuto aria forestiera alla corte di Luigi XIV : tanto più che regna nel suo stile un cortigia- nesco ed una galanteria, quali punto aflTacevansi al tempo d'Augusto , quali appunto non avrebbero disdetto a' tempi del francese Monarca. Sono il cortigianesco e la galante- ria quasi due belle maschere , una dell' amicizia , 1' altra dell' amore che gli uomini si pongono al viso quando in uno stato è spenta la libertà, né si può più andare a faccia scoperta Discorrendo de' poeti erotici le pagine del Dandolo ci tras- portano a pensare come al cristianesimo ed ai poeti cristiani sia dovuto l'aver fatto dell' amore un sentimento puro e gen- tile , e come un poeta d' Italia più gentilmente di qualunque altro sia stato quello Che Amore in Grecia nudo e nudo iu Roma D' un velo candidissimo adornando Rese nel grembo a Venere celeste. 533 Veramente l' Amore de' Romani cosa fu egli mai ? È Dan- dolo che risponde vergognando : — « s' io descrivere lo dovessi » qual ei fu veramente, m'accuseresti d'aveie «cambiato l'ar- » ciero adolescente nel pettoruto Dio che collocavano negli » orti a terrore de^ ladroncelli, m Eppure r amore si è quel libro universale in cui meglio che da qualunque altro luogo si può studiare la storia morale dei popoli. Ecco come sapientemente il Dandolo esprima questo sublime concetto. Tra gli studi che tornano più valevoli a recar luce suU' argomento de' costumi, quello degli scrittori erotici è cer- tamente uno de' primi: furono essi in ogni tempo, direi, come i sacerdoti dell'universale culto vero d'amore: trat- tando materie che in ciascun uomo trovano non sola- mente spontanea simpatia , ma anche facile intelligenza , ampia via loro s'aperse di popolarità e di fama ogni qual volta rappresentar sepper vivacemente e fedelmente nelle loro dipinture le mezze tinte che costituiscono il carat- tere proprio di ciascuna età in argomento che a tutte è comune : ed onorata impresa avviserai esser quella di chi tessendo la storia d'Amore da primitivi tempi a questi nostri, immenso campo a se schiudesse di variata, geniale erudizione , e fornisse materiali preziosi in bell'ordine rac- colti alla storia dell' umano incivilimento. E il Dandolo appunto già raccoglie una gran parte di cosi fatti materiali lungo i secoli che sono occupati dai destini di Roma , e nel dipingerci la vita privata di Ven*e , di Spartaco, di Catilìna , di Clodio , e quella di Fulvia e Cleopatra , e di Clodia e Sassia, nel farsi il ritratto d'uno stoico pigliando a modello Catone , e di un epicureo pigliando quello di Pom- ponio Attico , nel descrivere da un lato la urbanità de' citta- dini romani , della urbs , e dall' altro la coudizione ed il ca- rattere degli schiavi , la religione e il sacerdozio , le cene , le ville, i palagi, il circo, la giornata e le occupazioni di un oit- 534 ladino e la mattinata persino di una matrona con tal vivezza di colori che Pioma non è più quella città antica da tanti se- coli estinta , ma Roma ci si appalesa come una città nostra contemporanea , ehe come la Grecia descritta dal Bartélémy , pare che ci voglia invitare a visitarla come si visiterehbe Pa- rigi, Londra e Filadelfia. Una così vivida rappresentazione proviene dalla maniera con che il Dandolo ragiona delle grandi come delle menome cose di Roma , in guisa che pare vei-amente eh' egli abbia vissuto in questa capitale del mondo , e che abbia propriamente fatto parte di quella così immensa e svariata popolazione che in essa si agitava. Leggendo infatti le sue descrizioni ne senlbra d'ascol- tare con lui i Tribuni ne' comizi , di udire le concioni nel foro , di ascendere coi trionfatori sul Campidoglio, passeggiare negli atrii e nelle vie , entrare nelle case de' privati , praticare dimesticamente con essi. Egli è in tal modo che Dandolo giunge a svelare le grandi contraddizioni di quel popolo , che ne de- plora i vizi e tutte ne palesa le virtù , le delizie ed i pati- menti. Così il Dandolo facendosi contemporaneo di quei secoli , e concittadino di quella or spenta nazione , invece di sterili de- scrizioni monumentali , ne ritrae fedelmente la vita ed i co- stumi , e scolpisce come in altrettante medaglie i tratti carat- teristici delle istituzioni e degli uomini che la fecero famosa. Interrogate dal nostro scrittore quelle grandi rovine , gli ri- spondono robustissime descrizioni di guerre civili , di congiu- re , di proscrizioni, di stragi, di rapine, di orgie, di libidini e d' infamie tante che in esse tu trovi sparsi i semi di discio- glimento di una grande nazione , e tutti i gradi di corruzione pei quali passò la società romana prima di essere invasa dalle nordiche popolazioni , e da tante dipinture che molte volte de- stano il fremito e la vergogna , miri sorgere i pericoli e gli errori per cui le grandi società dal fastigio della potenza e del lusso cadono alcuna volta nell'annientamento e nella barbarie. Nella impronta filosofica che largamente si stende sopra le pagine di Dandolo , sono specialmente osservabili i confronti e le analogie eh' egli istituisce e ritrova tra qualche tratto della 335 storia di Roma , e quella de' tempi a noi più vicini. In tal guisa Dandolo imprime al suo libro una fisionomia ed una uti- lità tutta recente. Tralasciando di citare altri esempi , note- remo quello in cui espone la situazione politica di Augusto. Qui è da avvertire una specie di fenomeno, di che ab- biamci oggidì sott' occhio un clamorosissimo esempio : chiunque per opera di rivoluzione o civile guerra s'impa- dronisce del potere supremo, se esce fuori alcun poco, per r istinto proprio della dominazione , da que' confini d' un giusto mezzo e d'una politica equivoca che da prin- cipio adottò , avviengli di farlo a danno della parte che lo innalzò ; la quale grida : sconoscenza ! — e il principe rinfervora ad assistere e rialzare i succumbenti. La vecchia Roma , la Roma dell' aristocrazia era stata vinta a Farsaglia , a Filippi; vinta tra le mura della città, dove i suoi costumi , le sue credenze , le sue leggi erano state dannate all' obblio ; vinta ne' templi , ove più non si adoravano che straniere deità ; vinta nella curia , ove se- devano più barbari che romani ; e per questa ragione ap- punto Augusto si studiò di far risorgere la Roma antica, la Roma dell' aristocrazia : reazione simile a quella che a' nostri dì vedemmo mandata ad effetto da un conquista- tore, il quale tornò in onore il culto, la nobiltà, le corti con rifare morale, eleganza, onore alla foggia e sul ta- glio de' secoli trascorsi. L' analogia tra le due situazioni , tra' due principi è sorprendente : ognuno d' essi consape- vole di ciò che mancava al reggimento novello, diegli com- pimento con prestanze tolte all'antico, uno i-ifabbricava la vecchia Roma , l' altro la vecchia Francia , ommettendo però uno l'aristocrazia repubblicana, l'altro le fìanchige provinciali. Finalmente oltre al merito di siffatte allusioni, il libro dì Dandolo ha pur quello di ricercare i più patetici sentimenti 336 dell' animo. Epperò esso si può anche considerare da un lato che si potrebbe dire sentimentale. — Per provare una tal cosa fra i molti recheremo quel solo passo , dove egli descrive l'uc- cisione di Pompeo. Un legionario arse il morto corpo, ed alle ceneri dei suo antico generale scavò sulla riva una fossa.... — Que- sta fossa in cui su remota spiaggia una pia mano compose le reliquie d' un conquistatore perchè ha desto un palpito in me ? . . . Anch' io so d' una tomha su lontano inospito lido che il navigante saluta da lunge , e intorno alla quale romoreggia 1' Oceano. Non rade volte queste tinte melanconiche s'incontrano nel libro di Dandolo , e ben si vede che egli lo compose coli' a- nimo percosso dal dolore della perdita della sua sposa, a cui egli con amorosa mestizia lo intitola, — E non male si con- veniva codesta disposizione d' animo in chi si faceva scrittóre di un secolo splendido delle più gloriose apparenze , ma inter- namente contaminato dalle più basse brutture , e che già era tocco da tutti quei germi di dissoluzione che sino dal secolo d'Augusto facevano pressentire la caduta del colosso romano. Tali sono i rapporti principali , sotto cui si può riguardare questo libro di Dandolo, tali sono i suoi pregi. Penetrando nello spirito dei tempi , ei seppe rannodare le cose che erano più apparentemente fra loro straniere , rammorbidì 1' aridità dei fatti con pensieri e con sentenze nascenti dalla natura di questi fatti medesimi , e per mezzo di convenienti confronti e di una critica sempre elevata ei seppe derivare le più istrut- tive conclusioni , e riesci in una parola a drammatizzare la storia. Alcuni critici meno benigni tacciarono il Dandolo di aver ra- cimolato ne' suoi Sludii quanto di grande aveano prima di lui scritto sulla storia di Roma Macchiavelli , Vinchelmann , Mon- tesquieu , Gibbon , ed il Niebhur. Altri ancor più severi tro- varono che molti giudizi da esso dati sulla letteratura latina erano gli stessi che prima aveva già dati La Harpe. Vi fu 357 persino chi trovò un plagio tra quanto scrisse Ennio Quirino Visconti intorno a Virgilio , e ciò che ora ne scrisse il Dan- dolo. Questi stessi critici poi non vollero neppure sottoscriversi ad alcuni suoi giudizi sul merito di certi scrittori , e gli ap- posero ora alcune inesattezze cronologiche , ed oi'a alcune om- messioni hibliografiche *i. Noi non iscuseremo in tutto il Dan- dolo da sifatte censure per non sembrare che volessimo farcene gli apologisti ; ma per altro diremo che quasi sempre egli di- chiara i fonti da cui ricavò le sue osservazioni , e che molte volte ancora queste possono trovarsi ripetute colla più grande buona fede da quei scrittori che fanno sopra lo stesso argomento i medesimi studi. Del resto ciò che possiamo con tutta sicurezza affermare si è che il Dandolo seppe giovarsi colla più incredibile op- portunità e discernimento delle scritture di quei profondi inge- gni , che lo precedettero in questi studi , appropriandole al suo soggetto ed alle sue proprie meditazioni , e quasi incarnandole cogli avvenimenti del secolo d'Augusto, giunse a formare un tutto insieme sovranamente efficace e nella più gran parte ori- ginale. — Chi pertanto osserva il libro di Dandolo, non vede soltanto una raccolta di vecchie notizie e di ricantate narrazioni. * I Queste censure si leggono specialmente raccolte in un ai-ticolo del sig. Ignazio Canta sopra quest'opera del Dandolo inserto nt\ Ricoglitore ^ fascicolo di novembre i83^. — Lo scritto è erudito ma severo; pare però che l'autore di esso consideri l'opera del Dandolo piuttosto sotto il punto di vista archeologico e letterario , che non sotto quello filosofico e sociale. — Noi non conosciamo il Dandolo di persona , neppure per averlo visto una volta sola , né alcuni momenti di colloquio con lui ci poterono svelare l'animo suo tanto gentile, ma quantunque vergini di sifatte favorevoli prevenzioni, noi abbiam scritto queste poche cose sul di lui libro mossi unicamente dalle impressioni che il medesimo e gli altri suoi scritti ci fe- cero e soprattutto da quell'amore dell' umanità che arde costantemente in tutti. — Dissentiamo poi apertamente dal credere che iu essi si trovino idee troppo an- tiquate pel nostì-o tempo e scarsezza eli vedute grandiose degne delV argomento. La lettura degli Studj sul secolo d'Augusto , come ogni altro scritto del Dandolo , ci ha sempre impressa una convinzione assolutamente contraria. — Due cose sol- tanto ci permettiamo di desiderare negli scritti di questo illustre italiano ; 1' una ch'egli rimetta alquanto del suo stile enfatico e contorto per prenderne uno più naturale e positivo ; l'altra che rivolga il suo polente ingegno sopra qualche punto di storia meno antica , e sopra un' epoca che più davvicino lisponda alle sim- patie ed ai bisogni recenti. ^ 538 ma ha un libro scritto con un' aria tutta di novità e di fres- chezza , un libro per cui 1' antichità non avrà fatto altro che prestargli i materiali , e quella maestosa severità che essa suol dare a tutto ciò che da essa proviene , un libro lumeggiato da pitture e da confronti efficacissimi, ricco di osservazioni pro- fondamente sentite, ispirate dalla sapienza recente. Questo li- bro pertanto non teme il paragone di quei tanti libri , che invadono oggidì la storia e la letteratura, e che anche narrando fatti recenti , pure disonestati dallo spirito di partito , e per loro natura già men grandi dei fatti di Roma, se da essi ne togli il prestigio della novità e della favella, non li trovi poi scritti né con eguale indipendenza di principii, né con mag- gior ampiezza di scopo. Bastano dunque questi studi storici di Dandolo per rammen- tare che il tipo dell'antica scuola storica italiana gloriosamente con^rvato dal Botta, dal Coletta, da Varese e da Tommaseo è ancora in tutto il suo splendore. Saremo forse stati troppo prolissi nel dare il nostro giudi- zio sopra questo libro di Dandolo. — Forse poi taluni ci a- vranno anche incolpati di troppa prodigalità nelle citazioni. Ma le abbiamo credute necessarie per far conoscere i pregi di un libro eccellente, e per innamorare della sua lettura un maggior numero di persone. <(. Possa ^ o lettore _, questa mia fatica parerti degna ^ se hai Jìgli , d' esser loro posta fra mano terminava Dandolo la sua introduzione , e noi terminiamo questo articolo affermando che il suo libro non solamente può qualunque pa- dre darlo fra mani del suo figlio , ma che qualunque genera- zione d'uomini può trovare in esso quella maturità di eonsigli, quella saviezza di ammaestramenti sicuri, e quella grandezza ed eleganza di narrazioni che ricreano nel tempo stesso che assennano lo spirito. Severino Battaglione. 339 RlflSTl CRITICI POESIE DI PIETRO GIURIA Torino , 1837. Tir— T>rgl.i:'. Se per altro alcuna volta è bene che i giornali impediscano che un libro cattivo usurpi il credito di essere un libro buono,, dovere de' giornali crediamo essere piuttosto quello di chiamar l'attenzione de' lettori sulle opere che non òono scarse di me- rito o d'utilità, perchè più sollecita sia 1:. notizia delle mede- sime , e più generale il profitto che può -ricavarsene. A parte quelli che leggono i giornali per mero divertimento , gli altri cercano nei ragguagli d' opere un risparmio di tempo e di spesa, vogliono aver contezza dei libri che si pubblicano , onde vedere se loro paia di leggerli , o di comperarli. Quanto ai giudìzj il Giornalista espone più o meno modestamente il suo parere, o r altrui , il pubblico pronuncia inappellabilmente , o se havvi appello , i viventi non ne veggono 1' esito , perchè ( se non va deserto ) decide la posterità. E difficile che riesca del tutto inutile un' opera , che rac- colga e ponga in ordine fatti veri , e bene osservati. E di sif- fatte opere l' importanza è maggiore in quelle discipline , le quali, come l'economia politica, hanno assunto il nome e l'aspello di scieuza, piima forse di essersi preparata e composta 354 una bastantemente ricca suppellettile di fatti che alle inda- gini teoriche servano di solido fondamento. Oltraciò quelli fra i principj delle scienze anzidette , che astrattamente hanno carattere di maggior evidenza , non si possono trarre alla pra- tica senza un'esatta cognizione del soggetto, sul quale si opera: altrimenti si corre rischio di applicare un principio quando la realtà delle cose reclamano l'applicazione di un principio op- posto. Il sig. Martinengo nell' opuscolo che annunciamo , raduna molte notizie sulle consuetudini delle varie provincie del Pie- monte , concernenti i diversi modi di dare i terreni a colture, che chiamansi — - schiav'enza j bonaria a tempo — massarizìo : sulle varie modificazioni di questi contratti, e sugli effetti pra- tici delle condizioni loro per 1' interesse del proprietario , del colono , dell' agricoltura. Sono appunto siffatte consuetudini quelle, che l'art. 1792 del nuovo Codice Piemontese vuole che siano osservate in tutto ciò che non è prescritto dalle di- sposizioni degli articoli che precedono , e preferibilmente an- che alle norme segnate agli articoli successivi della medesima sezione. — In questo senso l'opera sua può riescir^ di qualche uso anche pel foro. io rn'-jb Egli nota inoltre alcuni inconvenienti nelle abitudini invalse, e suggerisce alcune cautele per evitarli con patti appositi. Nel che il suo lavoro dettato per quanto pare da estesa pratica può tornar utile ai padri di famiglia. Delle opinioni economiche poi , qua e là manifestate dal sig. Martinengo, noi non faremo parola perchè le quistioui, cui accennano , o sono già altrove con pienezza risolte, come quella che concerne la preferenza tra i grandi ed i piccoli poderi, o richiederebbero più alta e compiuta trattazione. Perciò che può davvicino appartenere al suo argomento , il sig. Martinengo insiste nella preferenza dovuta al massarizio sulla schiavenza , o sulla bovaria, contratti ne' quali il conta- dino mettendo poco o nulla del suo, è più scarsamente retri- buito. Nel che saremo più facilmente d'accordo con lui : il male sta in ciò, che non è facile il procurare ai contadini di che diventar Massari. , ,,,« i<;, . . 555 Il massarizio istesso vorrebbe poi il sig. Martinengo, che fosse convertito in una perfetta società tra il proprietario ed il colono. Ma il massarizio non è egli fin d' ora una società modificata in quella guisa , che una lunga esperienza pare aver dimostrata essere la più acconcia? Un fatto che il sig. Martinengo non ha creduto di rilevare, e che potrebbe dar luogo a serie ed utili indagini è questo, che nel Piemonte propriamente detto manca quasi totalmente una classe di persone assai importante in Lombardia , quello di affiltaiuoli forniti di cospicui capitali , che attendono ad importanti speculazioni agricole. La prosperità della Lombarda agricoltura dipende in parte da questo. Resta a vedere se ap- punto per lo stesso motivo non sia in quel paese deteriore la condizione dei contadini , come appunto il sig. Martinengo dice accadere in Piemonte sui beni affittati. Finisce il sig. Martinengo con un capitolo sull' utilità di un codice rurale , rinnovando un voto più volte emesso ed anche recentemente dalla Camera d' Agricoltura di Savoja. W 356 DEL BERTOLDO, BERTOLDINO E CACASENNO In 8. rima , fase, i . — Pubblicato dalla lipogr. Ferrando in Genova cent. 5o. L' opera che qui si annunzia è quella medesima , che nata dal buon umore di una società letteraria Bolognese, alla prima edizione fattasene a Bologna pei tipi di Lelio della Volpe nel 1786 in4''') eccitò nel pubblico, non interesse solo, ma entu- siasmo senza pari. Il pensare infatti come a quel ghiribizzo por- gessero la maestra lor mano i Frugoni, i Zanotti, i Barolfaldi, i Zampieri , e tanti altri nobilissimi ingegni per la parte poe- tica , e di numerose incisioni avesserlo adornato i valentissimi artisti Crespi e Mattioli , giusti6ca abbastanza quell' unanime tripudio. Ma quelle medesime sensazioni eh' ebbero a provare gV Italiani di cento anni addietro , quando tutti que' rinomati scrittori ed artisti erano vivi e sani , potrassi egli ragionevol- mente sperare di eccitarle oggidì nel cuore di chi non altri- menti li conobbe che per fama ? O son eglino i bisogni del nostro secolo quelli né più né manco del secolo passato? E se no — sarà mai per avventura che il su citato poema giocoso alle attuali contingenze venga in qualche parte almeno a prov- vedere ? Che il Ferrando editore abbia in pronto tali risposte a queste mie interrogazioni che dimostrino in lui più che uno spirito meramente speculativo , un animo rivolto a procurare il vero bene della sua terra, non potrò io dubitarne, quando i fatti medesimi somministrano prove in contrario ? In un tempo nel quale la smania del leggere essendo tanta, scarsissimo però è il numero delle nuove produzioni che i semi contengono di un qualche piogresso , quale è 1' uffizio de' ti- pografi? Non è egli vero che in quello stato di cose il decadi- mento, piuttosto che l'onor delle lettere, paiono dipender da 357 loro per guisa, da poter asseverare con foiidamento che i buoni studìi sieno per tornar in fiore, ove tra le infinite opere degli antichi quelle traggansi a nuova vita , le quali maggior grido levarono , e maggiormente proficue son per tornar a' lettori ; e che per contrario vedrannosi deperire ognora più le letteie ove alla corruzione crescente con sole ciance facciasi argine? Posti cosi ir fra due gli editori , o di favorire o di soffocare l'incremento delle buone discipline, secondo che buona o cat- tiva sarà la scelta degli autori ch'essi riprodurranno col mezzo de' torchi , qual grave obbligo non hanno di ben ponderare su questa scelta ? E poiché i giorni degli Aldi , degli Elze- viri , dei Volpi, dei Bodoai , quando tipografo e dotto era quasi una cosa , non sono più , come dell' eccellenza dell' arte loro potendosi prevalere , a' scienziati e letterati uomini non ricorreranno per averne consigli non minori delle esi- genze della società ? Delle quali ponderazioni , che , fatte dal Ferrando pur sol una fiata , avrebbono bastato a sperdere in lui Y idea di una speculazione non procedente di pari passo coli' utile delle let- tere, mostrò egli ben poco curarsi, quando, pubblicate le poesie del Guadagnoli , annunziava ai lettori genovesi essere per riprodurre lo scherno degli Dei del Bracciolini. Dio bene- detto! Dal Guadagnoli al Bracciolini che salto! E chi avrebbe mai pur sognato che quel poema concepito nel secolo XYil. fosse sì fattamente acconcio alle idee del XIX. da far piovere in tasca all'editore tante sottoscrizioni , quante valessero a dar- gli, oltre le spese, un sufficiente guadagno? Locchè di certo dovette essere , se , compiuta anche quella ristampa , senza frammettere indugio veruno , ei mandava fuori il primo fasci- colo del Bertoldo , che ha dato luogo alle presenti riflessioni. E potesse almeno a sviar da sé il sospetto di speculazione , dirci il Ferrando essere stata sua mente nel riprodurre tali opere d' adoperarsi che elleno non si vedessero andar sepolte ne' più riposti e men cerchi scaflfali delle biblioteche, bersaglio ai tarli e alla polvere! Ma questa scappatoia pure gli è tolta, poiché (di Guadagnoli non parlo, il quale stampato e ristam- pato delle volle ben molte in pochi anni e però diiì'uso per a3 o58 ogni più riposto angolo d' Italia , ha fatto e segue a far le delizie di qualsia condizione dì persone) la Società Tipografica de' Classici Italiani in Milano provvedeva assai a mantener viva la fama del Bracciolini , stampando nel 1828 quel me- desimo eroicomico poema ; e del Bertoldo , oltre all' edizione originale , un' altra in piccolo formato cen forniva il Masi in Bologna nel 1822. E veramente che a ciò si attendesse dai Bolognesi , ai quali quello scherzo ( ov' eglino trovano raccolte le fatiche di tanti dotti loro fratelli ) dee rassembrar opera tutta patria , mi par cosa che proceda pel suo verso. Che al- tri ciò pratichi a ben meritare di un popolo il quale ha di- ritto a quella gloria pel solo Frugoni , o come a dire per la vigesima parte , non so rilevarne un perchè diverso da quello già espresso. Ma di quanto s' è rimproveralo fin qui , accagionerassi solo il Ferrando ? Ahi ! che pur troppo bassi a confessare , a voler esser giusti, eh' ei s' ha la minor parte nel torto! A chi dun- que il rimanente ? L' avvilupparmi in tali indagini mi obbli- gherebbe a troppo lungo discorso: concluderò pertanto col dire semplicemente, che ove la classe addetta agli studii apprenda a mostrarsi schiva di ogni leziosaggine, e più che a favorire a tante opere , le quali , solleticando piacevolmente , nulla però ti in- segnano di profittevole alla vita , solo intenda ad applaudir a quelle , mercè le quali ogni reale erudizione propagasi , non potrà non esservi un notevole miglioramento nell' istruzione, E specoli allora, che buon prò gli faccia, quanto sa e vuole, qual è stampatore nella penisola ; che ad avvantaggiarsi ne'cal- coli numerici non tornandogli a conto trascurare gli assennati e riflessivi uomini per attenersi a coloro , di numero di gran lunga minore , i quali meglio che applicarsi amano ridere e darsi sollazzo, sarà tratto, eziandio non volente, a far il bene delle scienze e delle lettere. 559 V LE BIBLIOTEGUI:: I libri non sono di alcuna utilità se non sono lettij bensì sono d'incomodo e di spesa per la loro conservazione, per gli scaffali o per le sale che occupano , per la loro legatura, per l'interesse composto del loro prezzo, il quale trascorso certo tempo trovasi di molto scemato a cagione dei progressi che ogni dì va facendo l'arte tipografica, siccome le altre tutte, e quanto ad alcuni libri a cagione del loro invecchiare e quasi direi del passar di moda. Queste palpabili verità sembrano però ignorate da quei proprietarii di libri , i quali per tema che essi non si guastino poco se ne servono eglino stessi, e 1' uso ne niegano altrui. Certamente non v' ha legge j uè esser vi potrebbe , la quale obblighi chi ha libri ad imprestarli a chi ne abbisogna, ma ci pare che questo sia uno di quei doveri che i legali chiamano imperfetti, com'è lumìnis communicatio , giusta il principio , quod alteri prodest et tihi non nocet facile est con- cedendum ; né l'ifiuterà per certo di adempiere questo gradito dovere colui cui stanno a cuore la massima difl'usione dei lumi ed i conseguenti progressi della civiltà. Se non che v' ha un forte motivo che vale ad iscusare la poca inclinazione di alcuni ad imprestare i loro libri ; è la maggiore o minor tema di per- derli ; poiché non v' ha forse oggetto che cert' uni si facciano cosi poco scrupolo di ritenere quanto i libri altrui , pare che ai libri non sia applicabile il diritto di proprietà, e v' hanno di molti che in ogui altra cosa moslrausi rigidi osservatori del 360 mio e del tuo, ma non tralasciano di coniporsi una piccola biblioteca a spese de' benigni imprestatori, i quali sovente sono costretti di vedere con rammarico manomesse le loro librerie, e, ciò che loro più duole, di scorgere miseri e grami alcuni volumi di un'opera piangere amaramente la violenta separazione dai loro fratelli. Un certo ordine nel tener nota delle persone alle quali sono imprestati i libri può diminuire tale inconve- niente : cbi ha numerosa libreria dovrebbe imitare il celebre fisico inglese Gavendisb , la cui ricca biblioteca era governata con tant'ordine che egli stesso non ne estraeva i libri se non rimettendo al suo bibliotecario di quelle cartoline che aveva fatto stampai'C per coloro verso i quali era liberale dell'uso de' suoi libri. Ma il timore di perdere i propri! libri , il quale rende scu- sabile sino ad un certo seguo il uiegarne l'uso altrui, non ha più luogo ove trattisi di pubbliche biblioteche : colà ordini se- veri e provvidi o non permettono che i libri escano dalle sale destinate alla lettura,, o se ne permettono 1' esportazione j il fanno colle opportune guarentigie. Inoltre ciò che è dovere imperfetto pei privati, diventa dovere perfetto e stringente quanto alle pubbliche biblioteche, perchè ognun vede che sarebbe violare le intenzioni dei fondatori, siano essi stati i governi od i privali , il non ammettere il pubblico al godimento di quei tesori che con grande dispendio procacciarongli i magnanimi nostri antenati. Fra i due mezzi di trarre il maggior partito pos- sibile dalle pubbliche biblioteche , quello d'imprestar libri al di fuori e quello di ammettere i lettoi-i nelle sale della biblio- teca medesima , non v' ha dubbio che questo sia di molto preferibile tanto per la maggiore sicurezza che presenta, quanto perchè cosi un libro può passare in maggior numero di mani 5 ma affinchè questo mezzo produca il suo effetto richiedesi che lungo quanto più si può sia il tempo destinato alla lettura. Né debb'essere di ostacolo la maggiore spesa che seco trae neces- sariamente il maggior numero d'impiegati , imperciocché esige una retta amministrazione che si sopporti questa spesa per trarre maggior partito dalle altre, appunto come fanno i chia- roveggenti manifatturieri i quali procurano che le loro officine 3^1 siano sempre in moto onde ricavare raaggiore utilità dalle spese della manifattura, delle macelline ed altre che non sono in ragione dell' opera che si eseguisce. Meglio sarebbe diminuire la spesa consacrata annualmente all'acquisto di nuovi librij piut- tosto che non trarre il maggior partito da quelli che già si hanno. Il bisogno di occuparsi delle pubbliche biblioteche , ond'esse, corrispondendo alla loro destinazione, siano di raaggiore utilità al pubblico che per lo passato non erano , fu recentemente sentito in Francia : cosi il governo di quella nazione provvide perchè tra le varie biblioteche si facessero i cambi di quelle opere di cui alcune di esse avevano più. di una copia , locchè tornò a grande utilità di tutte ; così ordini severi vi vietano cbe si estraggano i libri dalle biblioteche, siccome praticavasi non ha guari a favore di certi privilegiati, locchè seco traeva il doppio inconveniente del pericolo di perdere i libri, siccome difatti soventissimamente avveniva e di defraudare il pubblico della lettura di quei libri che rimanevano anni intieri nelle mani degli indiscreti possessori 5 cosi i-ecentissimamente fu il- luminata col gaz e fu riscaldata col sistema dei caloriferi la biblioteca di s. Genoveffa a Parigi , affinchè e maggiore como- dità e maggior tempo si somministrasse ai leggitori della me- desima frequentata principalmente dagli studenti di legge e di medicina. Lo stesso sistema d'illuminazione a gaz verrà adottato per le altre pubbliche biblioteche della capitale della Francia e segnatamente per la famosa biblioteca reale dove sono circa 780,000 volumi stampati, 80,000 manoscritti, più di 1,200,000 stampe, oltre ad un gran numero di medaglie. Non senza motivo ci piacque trattenere i nostri lettori de^ miglioramenti che si fauno da una nazione vicina riguardo alle biblioteche. E noto che si stanno facendo preparativi per il- luminare col gaz la nostra Torino 5 per cotal guisa siccome questa città non è seconda a nessun'altra europea per bellezza durante il giorno , così non la cederà loro nemmeno nella notte e più non avremo a sopportare le lagnanze dello straniero ac- costumato alle splendide capitali della Francia e dell' Inghil- terra : ì mitrliora menti che diconsi materiali se da un lato sono 5012 meno importanti del miglioramenti morali , i quali sono la sorgente dei primi , dall'altro lato hanno pure il loro grandis- simo vantaggio , il quale suol essere da nessuno o da pochi contestato. Ora ci pare dover suggerire a chi appo noi è in- caricato dell'amministrazione della R. Università , la cui biblio- teca è ricca non solo di preziosi manoscritti , e di libri pre- giabili per la loro rarità , od antichità , ma , ciò che più monta , di libri di un' utilità comune ed usuale , che sarebbe forse ottimo divisamento quello d' applicare alle sale destinate alla lettura l'economico sistema dei caloriferi e soprattutto d'illu- minarle col gaz. Se mal non ci apponiamo (Questo nostro pro- getto troverà grazia appo coloro che riflettono di quale utilità ne tornerebbe l'esecuzione alla studiosa gioventù e ad ogni classe di persone, che vi potrebbero passare con profìtto le lunghe sere invernali, quelle ore cioè le quali, avendo ognuno in ge- nerale soddisfatto al dovere della propria professione o del proprio stato, rimangono libere sicché possonsi consacrare^ se- condo la varia inclinazione e le varie circostanze *i , al diver- timento od all' istruzione. Maggiore ne sarebbe il vantaggio durante quella parte dell'anno in cui cessando i pubblici trat- tenimenti serali, maggiore è il pericolo che, per mancanza di occupazione , ne soffra danno il costume ,• ed ecco in quale guisa i progressi intellettuali , innalzando la parte spirituale dell'uomo sopra la parte materiale , vadano raramente disgiunti dai progressi morali : laonde ci pare che questa nostra proposta essendo intimamente legata col miglioramento del costume de- sterà per avventura la simpatia di ogni cuore ben nato. Del resto qualunque giudizio sia per portarsene nessuno potrà cer- tamente tacciarci di non essere amici dei lumi. *i Moltiplicare le occasioni del bene , diminuire quelle del male è per lo più l'unico mezzo col quale si possa coadiuvare l'azione della bontà divina che sola agisce nell'interuo. G. B. M. 563 Cenni d'una peregrinazione autunnale da Torino a Pesth per la f^akellina , Tiralo, Baviera, Boemia, Austria ed Ungheria , lettera seconda della presente j e diciannovesima delle corse precedenti del professore G. F. Baruffi air Illustrissimo sig. Marchese D. Agostino Lascaris di Ventimiglia, Presidente della Reale Accademia delle Scienze di Torino ecc. ecc. Praga, settembre 1837. A voi , nobilissimo signore , il cui nome storico suona così dolcemente sulle labbra dei colti e gentili Torinesi , e per le belle vostre qualità di cuore e di mente , e per quello spi- rito patrio che vi rende cosi caro a tutti , e benemerito dello Stato 5 a voi, graziosissimo signor Marchese, indirizzo un let- terone dalla metropoli della Boemia , per attestarvi in questa maniera la mia verace riconoscenza per i segni di stima affet- tuosa di cui vi compiacete onorare la mia piccola persona; nella dolce speranza che la lettura di questi brevi cenni su Praga _, vi arrecherà forse un istante di passatempo non isgradito in mezzo agli ozii autunnali dove state rinfrancando la preziosa vostra salute, che prego Iddio vi restituisca forte e lunga a co- mune vantaggio. Vi scrivo dall' eccellente albergo del Cavallo Nero posto nel Grahen, magnifica via della Neustadt, che è pur essa la bel- lissima delle cinque città che insieme riunite formano Praga. Giusta l'uso di rilevare a memoria il piano della città appena giunto , per meglio ordinare le mie corse col maggior risparmio di tempo, varcato il ponte della Moldau , mi portai lassù al Hradschin , il più elevato e nobile quartiere della capitale Boema, dove torreggiano la bella cattedrale gotica ed i sontuosi palazzi dell' Imperatore e dell'Arcivescovo con tanti altri considerevoli edifizii ; e salito sulla tori'e della Chiesa Metropolitana , godetti 364 dolio stupendo spettacolo di Praga, fabbricata in una delle più amene situazioni, lungo le due sponde della Moldau, su cin- que amene colline , quasi nel centro della Boemia ^ e benché m'avessi già vedute le principali città d' Europa , so dirvi che tale aspetto mi lusingò così dolcemente lo sguardo , che ne restai fortemente maravigliato , non aspettandomi un sì bello e grazioso panorama da cui non sapeva quasi più staccarmi. Se vedeste laggiù qucU' ammasso di 36oo case , tra cui più di cento magnifici palazzi d'ottimo gusto italiano , con 5o Chiese, e circa 60 campanili, e 22 torri, e 55 piazxe intersecate da 212 strade , e ò'^ altre piccole vie abitate e percorse da 120 mila cittadini *i, 11 mila cavalli , ed oltre 2 mila cani. E quel lungo ponte dove formicola sempre tanta gente , e la Moldau che scorre placida attraverso la città , con quelle graziose e variate isolette , ornamento di Praga , e delizia dei cittadini nei di festivi 5 aggiungete il magnifico Belvedere e tanti giar- dini e vigneti e passeggi lietissimi , con quell' immenso muro merlato che pare una corona murale , e le otto porte monu- menti storici delle passate sciagure , e della spenta maestà. La sua cerchia è di circa dieci delle nostre miglia , e ne ha tre nella sua maggior lunghezza , e benché città di second'ordine, se fosse residenza d' una splendida corte, potrebbe forse ancora gareggiare colle prime capitali. Ivi abbondano ancora i monu- menti di belle arti del medio evo ; il suo commercio ed in- dustria sono molto l'inomati in tutta Germania e fuori, e ben- ché tanti de' suoi nobili e ricchi cittadini abbiano fissata la loro stanza a Vienna, secondo lo stile monarchico, vivono perù ancora in Praga moltissime illustri ed opulenti famiglie *2 , e *i Eccovi la popola/ione di Praga pubblicata officialmente in questi giorni ( il 5 settembre corrente ) : 107, 358 cittadini , esclusa la guernigione ed i forestieri. Sono cioè 49,760 maschi, e 57,604 femmine; l'eccesso femminino viene però compensato dalla guernigione che monta a i3 mila uomini. Nel i834 si sono cal- colati 943 matrimonii , e 4 bambini per matrimonio , un nato su 26 persone , ed un morto su 17. *2 Questi signori passano l'estate alle terme , o nelle loro terre , e l'autunno nelle grandi caccic così ben ordinate in questo paese rinomato per l'abbondanza e qualità del selvagiume , e nell' inverno fanno lieta la capitale colla loro presenza , e feste , balli , ecc. 565 nella buona stagione aggiungono nuova vita alla città le vicine terme famose di Toeplitz e Carlsbad convegno di Re, Principi ed Ambasciatori e della più alta aristocrazia d' Europa. Ma per formarvi un' idea meno incompleta della città , forse non avrete discaro, che incominci dallo scrivervi due righe di cenno sulla sua storia feconda di tanti avvenimenti, la cui influenza fu così universalmente sentita in Europa. Ho letto di passaggio nelle biblioteche i titoli di varie antiche descrizioni in diverse lingue , e ne ricordo alcuni latini un po' enfatici e strani , Gloria Pragensis ad esempio 5 Phosphorus septicornis è la de- scrizione della Chiesa Metropolitana , ossia Divi Viti Ecclesiae Pragensis majestas et gloria^ e poi per giunta quante bellissime viste della città e dintorni , incise o litografate , a cominciare dalle famose di Sadeler, pubblicate nel 1606 in nove grandi fogli , fino alle recenti stupende litografìe colorate, e descrizioni topografiche , e piani trigonometrici, e la recentissima mara- vigliosa rappresentazione plastica in cartone. Francesco Palacky lo storico più rinomato della Boemia , dopo tante sue ricerche, ci fa sapere che l'epoca della vera origine di Praga risale ai tempi favolosi , e che i documenti autentici non sono anteriori al secolo ottavo dell'era cristiana. La parola Prag ( così scrivono e pronunciano il nome della capitale ) tra i varii significati che ha in Boemo, lingua Slava, indica anche un'altezza che si va elevando gradatamente , e tale pare l'etimologia probabile , per lasciare in disparte altre leg- gende insussistenti. L' istoria di Praga è tra le più interessanti del medio evo per i grandi esempli d'energia politica , e tanti fatti pietosi e variati ; e passeggiando per la città v' incontrate quasi ad ogni passo in monumenti che ricordano fatti solenni, sicché lo storico sullodato dice che possiamo quasi applicare ad ogni via e ad ogni piazza il detto Liviano : quocumque in- cedimus, in aliquam historiam vestigium ponimus. Sostenne as- sedii funestissimi , fu devastata da incendii terribili , e venne presa e ripresa e saccheggiata. Nel 1091 era però talmente in fiore il commercio di Praga per essere in relazione colle prime piazze commerciali di quei tempi , e colla stessa Bisanzio, che im autore ci lasciò scritto : Ibi Jiidaei auro et argento pienis- simi, ibi ex omni gente negotialores ditissimi, ibi monetarii 366 opulentissimi y ibi forum in quo praeda abundans etc^ benché l'epoca più splendida di Praga è quella del regno avventurato di Carlo IV ( i346 - 74), la sua maggior prosperità è dovuta a questo Principe , la cui memoria è tuttora venerata in Boe- mia ; r Università degli studj fondata sul modello di quella di Parigi ( contava 20 mila studenti quando il famoso Huss ne era il Rettore ) , la Cattedrale , il gran ponte sulla Moldau, e tanti altri belli ed utili edifìzli sono dovuti alle di lui attive solle- citudini per la sua prediletta capitale che ampliò come la ve- diamo attualmente , e la innalzò al grado di città di primo ordine, chiamandovi da tutta la colta Europa, professori, ar- tisti , e commercianti d' ogni maniera , sicché potè gareggiare colle prime e più splendide metropoli di quei tempi , Roma , Firenze , Parigi , e Colonia , contando circa 3oo mila abitanti, finché la guerra fanatica degli Ussiti venne a dissipare tanta prosperità. L' Imperatore Sigismondo fu replicatamente respinto dai cittadini di Praga comandati dal valoroso capitano Zizka , inferociti contro di lui che credette di dover consegnare, a malgrado del salvocondotto, Giovanni Huss ai padri del Con- cilio in Costanza dove in pena delle sue eresie ed ostinazione venne abbruciato vivo col suo discepolo Gerolamo da Praga. Quarante mille bras , dice uno scrittore francese, s^armèrcnt en Bohème j et se levèrent ensemble pour venger Jean Huss et son disciple : Dieu dèchaina Ics loups furieux contre l' Empereur qui avait lii^ré Jean Huss j et le tambour fait de la peau du borgne Jean Zizka chefs des Hussites j battit long temps encora après sa mort la charge contre Sigismond. Di qui la guerra civile in tutta la Boemia che scoppiò più accanita ed infernale nel centro stesso di Praga , e quindi ne segui la rovina imme- diata e totale d'ogni maniera d' industria e commercio e pro- sperità, effetti tristissimi del maggior flagello^ con cui la Prov- videnza Sovrana corregge e punisce le nazioni traviate, sicché il savio ed energico principe Giorgio Podiebrad, non potè con tutta la sua potenza rialzare la capitale , e farvi rifiorire le arti di pace ; e quando verso il i490 i R^ trasportarono la loro sede a Buda, la decadenza di Praga fu totale. Ma come piacque al pacifico Imperatore Rodolfo II. di riordinare il Hrad- schin , e fissarvi la sua stanza , Praga si rialzò poco per volta, 567 e 'quasi ricuperò l'antico splendore , e venne riputata tra le più dotte città del mondo , avendo due Università di studii , una Utraquista ( di coloro cioè che volevano la comunione santa sotto le due specie per il popolo), e l'altra cattolica, oltre uu gran numero d' instituti letterarii e scientifici, e i6 stamperie, cosa straordinaria in quell'epoca ( 1676 -1612), mentre le sue i5o torri le davano per 1' esterno un aspetto imponente. Ma questa nuova prosperità fu di troppo breve durata ; il genio del male suscitò il 23 maggio del 1618, giorno in cui i due consiglieri di Stato Slawata e Martinitz furono barbaramente precipitati dai loro collega nell'atto stesso dell'adunanza dai veroni del castello di Praga ; fu questo il primo atto della lunga e sanguinosa tragedia dei trent' anni , che sconvolse or- ribilmente l'intiera Europa, e addusse l'Alemagna sull'orlo del precipizio. La città che prima di questa guerra fatale era quasi tutta Utraquista popolata e fiorente , dopo si trovò tutta cat- tolica è vero , ma perdette in questa lunga lotta i due terzi dei proprii abitanti ; cambiò due volte regime , illustri cittadini erano stati martoriati e morti sul palco dell'infamia 5 fu presa quattro volte d'assalto, saccheggiata e spogliata d'ogni orna- mento dai Sassoni e Svedesi; i cittadini colti e coraggiosi si espatriarono, ed i superstiti furono decimati dalla fame e dalla peste; le case crollavano qua e là , e le vie erano ingombre di rottami; la capitale ed il paese mutarono affatto d'aspetto, tutto era squallore e rovina , e ricordava il canto patetico di Geremia : Quomodo sedet sola cwitas piena populo ; facta est quasi vidua domina gentium etc. Gli abitanti di Praga ma- nifestarono però sempre la maggior energia in mezzo a tanta desolazione , ed è memorabile il coraggio civico del Gesuita Giorgio Placky che sostenne con un pugno di studenti rinchiusi in una delle due torri del ponte della Moldau, l'urto di 2600 svedesi, e difese valorosamente il ponte. Dopo la guerra dei 3o anni , che ebbe principio e fine in Praga, si rialzò di nuovo, ed acquistò nuove forze per poter sopportare nuovi strazii nella lunga lotta di Maria Teresa col Re di Prussia , che tale fu il tristo destino di Praga, oscillare con fatale vicenda tra lavila e la morte , cadere per sorgere a nuova vita , e poter soffrire nuovi tormenti. Assediata cadde per ben due volte nelle mani 368 nemiche, e fu stanza per qualche tempo di un'armata francese comandata dai marescialli di Broglie e Belleisle, Il Re di Prus- sia si presentò alle porte con ottanta mila uomini , e dopo un terribile bomhardamento , la gueruigione avendo capitolato, Praga venne di bel nuovo saccheggiata, ma finalmente per l'ul- tima volta. E a darvi un'idea dei tanti disastri sofferti in que- ste luttuose vicende, bastivi il notare che nell'ultimo assedio, forse è vero il più tremendo di quanti ne leggiamo ne' suoi an- nali, furono abbruciate o distrutte dai proiettili lanciati dal ne- mico 880 case, la cattedrale, il palazzo dell'Imperatore, e quasi tutti gli edifìzii furono più O" meno danneggiati 5 e nelle tre ultime settimane gli assedianti fulminarono la città con una grandine infernale di ^3 mila bombe , 58 mila palle da can- none e 548 carcasse ! Federigo il grande diresse in persona le operazioni dell'assedio fino al momento in cui la perduta bat- taglia di Gollin ( 18 giugno ijSj ) l'obbligò ad abbandonare Praga. Ma tornarono finalmente i giorni lieti dopo tanto lutto e tante rovine , e sì profonde piaghe si cicatrizzarono e gua- rirono perfettamente sotto il regno di Maria Teresa , Giuseppe IL, e dell'ultimo defunto Imperatore Francesco; atterrate le tante torri inutili, e ridotti ad altri usi i tanti chiostri, la città vestì l'attuale aspetto moderno, e mercè specialmente delle patrie sollecitudini del Gran Burgravio, il sig. Conte Ghotek , furono introdotti miglioramenti senza fine , quasi duplicata la popolazione, estesa e perfezionata l'industria, e creati sotto gli auspizii del governo per volontarie soscrizioni molti stabilimenti destinati al progresso delle scienze, dell' industria e delle arti, o al sollievo degli sventurati ; abbellita e resa più sana la città col trasformarne i baluardi in eleganti passeggi ; fu creato il giardino nazionale ( f^olhsgarten )j aperte e lastricate nuove vie e nuove piazze , tra cui il Rossniarkt (mercato de' cavalli ) stu- pendo di 36o tese in lungo ^ e largo 325 ristaurata la grandiosa porta dei cavalli ( Rossthor ) , e quei tanti nuovi marciapiedi rendono comoda e facile la circolazione per la città, ed i nuovi quais lungo la Moldau, il tutto vi convince che forse nessun' altra città d'Alemagna subì tanti felici cambiamenti in meno di vent'anni, e Praga è una prova palpabile del carattere emi- nentemente progressivo dell'epoca attuale. Intanto dacché ab- 569 biamo incominciato dal Hradsckin, vediamone le cose principali, e prima entriamo nella cattedrale gotico-bisantina ; la parte e- sterna è tuttora imperfetta , e la facciata fu dipinta per la bea- tificazione di S. Giovanni Nepomuceno; ma l'interno è notevole per le reliquie sante e storiche , e per i tanti lavori d'arte. In quell'arca d'argento , veramente magnifica , si conservano le ossa del santo Nepomuceno, il protettore principale delia Boemia, ed in quel mausoleo riposano Carlo IV, colle sue quattro consorti, ed altri principi boemi ; in questo tempio s'incoronano gli Im- peratori d' Austria a Re di Boemia. Date uno sguardo ai bei quadri clie adornano le pareti , e poi fissate il candelabro, or- namento principale del tempio dì Salomone ; trasportato dai Crociati in Lombardia, nel sacco di Milano del 1162, toccò a Vladislao che lo donò alla cattedrale di Praga 5 ma 1' angolo più curioso del tempio, è la cappella di S. Venceslao , dove tutto è storico , reliquie sacre e profane , disegni in pietre dure che incrostano le pareti , è un vero museo storico e religioso. L' attiguo castello reale del Hradschin che servì or poco d'asilo a Carlo X di Borbone nel suo esilio dalla Francia, è uno dei più belli in questo genere , e meriterebbe una lunga descrizione ; la magnifica gran porta è disegno dell' italiano Scamozzi. Quante rimembranze vi si eccitano percorrendo questo vasto edifìzio ! Eccovi là quelle due colonnette che ricordano l' avvenimento dei due reali consiglieri Slawata e Martinitz precipitati dalle finestre di questo palazzo 5 e quella torre gode pure di una trista celebrità per le sue leggende e prigioni e trabocchetti e simili orrori di quei tempi barbari e feroci 5 la chiamano Da- liborha dal nome dello sventurato cavaliere che rinchiusovi per tanto tempo ingannò le ore della sua cattività col suono della viola che dicono portasse al più alto grado di perfezione; Excellens in arte non debet mori eppure 1' infelice non ne usci che per salire il palco ferale ! A fianco del bel palazzo dell' Arcivescovo sono le varie raccolte del museo nazionale, dovute alle tante sollecitudini del conte di Sternberg , gran mecenate delle scienze e belle arti , ed uno dei più distinti personaggi della Boemia. La raccolta zoologica è appena na- scente, e ricordo solo una serie unica di denti ( non fossili )
  • e dove accorrono da ogni parte ad una scuola speciale quanti desiderano acquistare le necessarie 575 cognizioni teoriche e pratiche su questo norello. ramo d'ìudu- stria econo mico-agricola , mi fece vedere un suo trattato ma- noscritto di cui veuue superiormente incaricato , e di cui ap- pena pubblicato promise mandare una copia in Torino 5 mi fece quindi notare col microscopio i distinti cristalli di zuccaro esistenti in una barbabietola che stava appunto esaminando. Le prime e più rinomate manifatture di questo genere sono in Praga, e si estrae lo zuccaro dall' 8 al i o per 100 ; anzi nel momento con un metodo recentissimo, da 100 libbre di barbabietole se ne ottengono fino a 1 3 di zuccaro. Ora prima di condurvi meco col pensiero per la città, voglio accennarvi almeno i nomi dei varii istituti che riguardano dav- vicino la coltura della mente e del cuore , o quella nobilissima virtù della beneficenza che voi, o egregio Signore, mettete cosi bene in pratica. E primo tra questi 1' Università degli studii che ha 4^ professori ordinarli, y straordinarii , ed 11 sostituti, i quali insegnano le varie scienze e letteratura a 3420 studenti , che tale è appunto il numero registrato nel catalogo del cor- rente anno; e poi vengono i ginnasii , il seminario, e ruli- lissima scuola politecnica per formare gli ingegneri, architetti, agronomi, chimici , capi - manifatture ed altri utili impiegati nelle zecche, finanze, selve ecc. L' insegnamento dura tre anni, e si fa da cinque professori , oltre un'altra scuola preparatoria che conta un egual numero d' insegnanti. E poi viene una scuola imperiale modello , vera scuola normale dove s'impara l'arte difficile d' insegnare agli altri. Non mancano molte scuoio pubbliche per il sesso femminino, e case d' educazione militare per ogni reggimento _, scuole varie di musica, tra cui una por quella di chiesa , onde il canto religioso risulta poi cosi divoto ed armonico che vi commuove soavemente il cuore. Aggiungete una scuola di disegno, una di cavallerizza, una di scherma, una di nuoto , quest' ultima però solamente gratuita per i mi- litari. Vi do la semplice nomenclatura delle varie società per il progresso delle scienze ed arti per non ingrossarvi di troppo questo letterone. La prima è la reale società delle scienze, e poi vengono la società patriotica ed agronomica che ha per iscopo la diffusione delle cognizioni agricole nel popolo ; la società poraologica che dìstribuisc* annualmente ai coltivatori 376 boemi un gran numero dei migliori innesti di alberi fruttiferi, la società per il miglioramento delle bestie cornute e lanifere, con esposizioni annue,* la società del museo nazionale, già cita- tovi dissopra , per rendere utile e conservare ai posteri le col- lezioni dei prodotti naturali , e monumenti della Boemia ; la società degli amici delle arti nazionali favorisce il progresso delle belle arti , e ne conserva il buon gusto. Vi ha una so- cietà per il progresso della musica, e come vi ho già citato dissopra una scuola , si è formata recentemente sotto la pro- tezione dell'Arcivescovo^ una società distinta per il progresso della parte più sublime della musica , quella cioè con cui ele- viamo i nostri cuori al Creatore, celebrandone le laudi nei sacri templi. E pur ben da notarsi la società recentissima per r incoraggiamento dell'industria patria, che vanta per fondatori tre Principi della famiglia Imperiale ed i primi Signori ed Ec- clesiastici della Boemia 5 è questa tra le meglio ordinate d'Europa, potendo conseguire più efficacemente lo scopo coi tanti mezzi di cui può disporre , esposizioni pubbliche cioè dei prodotti nazionali, medaglie, diplomi, premi pecuniarii; un giornale politecnico popolare di piccola spesa, un gabinetto di lettura, modelli , e quel che più monta somministrando i fondi oppor- tuni agli artisti ed opera] bisognosi. E giacché parliamo d'isti- tuti di una utilità reale ed evidente , lasciate che continui a citarvi almeno i nomi dei tanti altri di beneficenza , di cui è così ricca la metropoli Boema j e sono 1' istituto privato dei sordo-muti, in cui questi essere sventurati che non sono molti anni vegetavano quasi puramente a carico della società , ora la servono quasi quanto gli altri j e poi un altro istituto pri- vato per i ragazzi ciechi , o travagliati da oftalmia , oltre un altro recente distinto per i ciechi adulti. E poi viene la casa degli orfanelli ed un'altra per le femmine orfane, ed un'altra ancora per i soli orfanelli italiani ; vedete quante volte ci torna al pensiero il nome della nostra cara madre Italia. Esiste in Praga una casa d'educazione per i poveri ragazzi ebrei, e qui vi avverto tra parentesi che la Judenstadt di Praga, il quar- tiere antichissimo destinato ai figli d' Israello è notevole oltre o<^ni dire. Sono già introdotti felicemente gli asili dell' infanzia, cosi utili e religiosamente morali per preservare i ragazzini 775 dalle immoralità di parenti corrotti , ed avvezzarli alla fatica con apposite istruzioni e piccoli lavori adattati alla loro tene- rissima età. Vi ha una casa di lavoro per occupare utilmente le fanciulle di parenti bisognosi , e poi le casse di risparmio anche di tanta moralità e cosi atte a spandere nel popolo la sobrietà , 1' economia, e '1 buon governo delle famiglie ; e per non dimenticarmi , vi noto qui, che la società recente per gli incendii contava già laB mila assicurati nell' anno i835. I fo- restieri che non conoscono la lingua o per altro motivo abbiso- gnano di documenti, trovano in Praga un pubblico uffizio, detto Lomhard, in cui sono sicuri d' essere soddisfatti , oltreché in tutte le città di Germania trovate in ogni albergo un libro stam- pato degli indirizzi , e poi i soliti servitori di piazza , sciocchi ciceroni ordinariamente, di cui è ben non fidarsi sempre cie- camente. La pubblica mendicità, auella piaga schifosa, la cui guarigione si tenta ormai felicemente dappertutto , mercè dei varii stabilimenti di beneficenza è scomparsa, e tra questi vi ha in Praga 1' istituto dei poveri, e poi un altro per soccorrere a domicilio i poveri vergognosi , molto migliorato per essersi abolite nel 1827 le incomode e ridicole visite del buon capo d'anno , con una piccola retribuzione destinata a vantaggio di tale stabilimento filantropico. Neil' ospizio dei borghesi sono ricoverati 3oo vecchi , ed in un altro vengono accolti cento cittadini incapaci a procurarsi il vitto ; vi è un ospizio per i poveri , diretto dai Cavalieri Crociferi 5 un altro piccolo stabi- limento di pensionarli detto dello Strahow ; la casa degli in- validi che ricetta 1200 soldati inetti al servizio militare, colle loro famìglie. L' ospedale degli ebrei , in cui nella fredda sta- gione si distribuiscono monete e legna , ed al cui fianco esiste un altro stabilimento che da un secolo somministra la zuppa in ciaschedun sabbato. Vi è una società di Dame per 1' inco- raggiamento dei lavori all'ago, e che alimenta un piccolo ospizio per gli orfani di padre e madre 5 un' altra società di soccorsi agli sventurati caduti innocentemente nella miseria 5 1' istituto delle vedove ed orfanelli del corpo dei mercanti , a cui dovete aggiungere altrettante distinte società per il sostentamento delle vedove ed orfanelli degli avvocati, medici, professori, maestri di scuola , e varii impiegati ; e perfino una per gli attori del 378 teatro nazionale , e per le veclove dei vecchi scnritorl , ed an* ancora che non posso dimenticare composta di studenti agiati e bnoni , per venire in ajuto dei poveri studenti di filosofia , il cui numero totale ascende ordinariamente a ^oo. E prima di chiudere la lista degli istituti di pubblica beneficenza cogli ospedali, permettetemi che vi accenni qui tra parentesi, l'esi- stenza di due Capitoli di nobili damigelle canonichesse , creati l'uno dall'Imperatrice Maria Teresa, e l'altro da una contessa di Golz , con alcune altre case religiose , in piccolo numero però. Il primo degli ospedali è quello generale dove 1 poverelli e gli studenti sono ricevuti gratuitamente. Ve ne ha uno per gli sventurati che hanno perduto il bene dell' intelletto , uno per le partorienti e per i trovatelli, ed altrettanti distinti per gli incurabili , per i sifilitici, per gli ebrei, per la guernigione militare ; quello detto delle Elisahettlne è per sole 5o donne ammalate ,• nell' altro dei fratelli della misericordia furono ri- cettati nel solo i834 ì ammalati 22^8 ; nell' ospedale dei Ca- valieri Crociferi , sono specialmente accolti i poveri ammalati delle terre spettanti all' ordine dei detti cavalieri. Vi è l'istituto per la vaccinazione gratuita , ideìn per le malattie d' occhi , oltreché gli Stati di Boemia pagano uno speciale oculista per i poveri del regjio, cui vengono somministrati gratuitamente i rimedii prescritti ; e poi trovate bagni per gli studenti , bagni per i poveri , e per ultimo una società proprio filantropica , detta di umanità , che duole di non vedere ancora general- mente adottata, distribuita nei varii quartieri per portare pronto soccorso nei casi di morte vicina, reale od apparente. Ed a compiere questa lista vi accennerò ancora che nella casa pro- vinciale di correzione vi sono scuole variate , in cui i condan- nati studiano e lavorano ( conta essa nel momento 65o con- dannati , 5o dei quali devono starvi da io a 20 , e gli altri da i a IO anni ). Voglio notarvi ancora qui che per guarentire i cittadini dalle frodi dei forestieri o di qualunque altro, nes- suno può partire di Praga, senza essere munito d' uno speciale bigliettino dell' uffizio di pulizia , unito al passaporto , uso ge- nerale negli Stati Austriaci. Non vi parlo punto delle adunanze dei cosi detti Stati Boemi ^ perchè la loro importanza politica 379 (^ nulla affatto * e quando vengono adunati, « per ratificare 11 già fatto , al che sono docilissimi. Piacciavi ora uscire meco, se v'aggrada, dalla mia cameretta del Cai'allo Nero, dove vi ho schicherato finora giù alla sbara- gliata queste poche notizie generali, raccolte qui e là nei d» precedenti nel niio portafoglio da autorevoli cittadini, o rolla oculare ispezione; e passeggiate un po' meco per la città, che a parte la Neustadt e '1 Ilradschin, ed i magnifici passeggi dei dintorni , ha un aspetto antico e storico per i frequenti edì- fizii gotici strani , e statue e colonne e simili monumenti. E prima guardate qui vicino appena uscito dall'albergo , quell'e- difizio con quella facciata grandiosa , e leggetene l' iscrizione latina : Frane, Austr. Imp. vectigalibus et mercaturis exercendis fieri ciiravit anno 1811. Era un convento ora trasformato nella maggior doga^na , sicché quasi quasi anch' io sarei tentato di gridare fecistis speluncam latronum! se non temessi d' essere tacciato di zelo troppo ardente ; ma quel mercaturis exercendis non mi va molto a sangue , e per me credo che le dogane siano atte a tutt' altro che a facilitare il commercio , ed oso dirvi che nei delirii della mia immaginazione parmi travedere che tutto questo complesso di dogane, quarantene, passaporti , ecc. e.c. saranno cose puramente storiche e trovate nei soli libri dai nostri nipoti 5 e per quanto alle quarantene vedo già con piacere , che alcuni dei priqai e più valenti economisti in- cominciano a parlarne come di istituti, la cui utilità è molto problematica ; ma lasciamo un po' 1\ questo tema, per non farmi dare del matto e dello stravagante , giacché nelle lettere precedenti mi sono forse già meritato questo titolo col gridare un po' troppo sul colera, e sull' abuso spaventevole del salasso. Intanto mentre andiamo chiacchei'ando, eccoci sulla piazza del palazzo civico. Vedete quanti oggetti vi feriscono lo sguardo in una volta , e 'l Rath haus ( palazzo municipale ), e quella gran- diosa fontana che sorge nel centro , e la chiesa di S. Maria con quelle torri di forme cosi bizzarre , da cui ne spuntano tante altre lateralmente, come i rami d'un albero. Qui tutto è storico , e soggetto di dotta meditazione j e parmi quasi di es- sere sulla piazzetta famosa di S. Marco in Venezia ; su quel balcone fu decapitato il fiore della nobiltà sotto Ferdinando IL , 380 e quei teschi sanguiaenti restarono esposti , spettacolo osceno ! lungo tempo sulla prima torre del ponte. Ma volgiamo subito lo sguardo a quel grandioso monumento, che torreggia nel mezzo della piazza ; quegli angeli che si sbracciano per tron- care le teste di quei mostri che versano acqua dalle loro boc- caccie , ricordano la cessazione del flagello della peste, e '1 mo- stro e l'angelo che mancano in un angolo , vennero atterrati da una bomba prussiana,- incontrerete simili colonne, obelischi e statue su quasi tutte le piazze , e la statua di S. Giovanni Nepomuceuo frequentissima poi in Praga e nel più piccolo vil- laggio della Boemia. E prima d' entrare nella chiesa che ci sta dirimpetto , date un' ultima occhiata alla faccia gotica del pa- lazzo civico, che verrà abbattuto nella prossima primavera per cedere l'area ad un altro più adattato ai bisogni attuali della città 5 ma per patrio decreto della Reale Società delle Scienze, sarà conservata in una medaglia ed in una grandiosa tela la memoria della faccia esterna dell' edifìzio con quel éurioso orologio. S. Maria am tein è così detta dalla parola Slava tein ( toi'un degli inglesi , dunum dei galli ) che suona circondata , perchè l'antica prima cappella eretta in questo antichissimo quartiere era appunto circondata da una selva. Peccato che questo tempio sia mascherato da miserabili casuccie 5 è degna d'uno sguardo quella crocifissione che sta sulla porta laterale , per essere un curioso basso rilievo dei primi tempi della statuaria boema. La chiesa non è commendevole né per disegno, né per ornati, ma è molto celebrata nell' istoria religiosa di Praga 5 da quella cattedra predicarono Gerolamo da Praga, e S. Giovanni Nepo- muceno , da quella cappella vennero estratte , ridotte in cenere e gettate al vento le ossa del famoso arcivescovo Utraquista Kokezana 5 questo sacro luogo fu testimonio di mille profana- zioni ed orrori ; accorrono in questo tempio gli amatori delle belle arti per ammirarvi varie opere di Skreta, il più rinomato dipintore boemo; il gran quadro dell'Assunta che adorna il maggior altare , lo direste uno stupendo capo lavoro d' uno dei nostri principi della pittura 5 ma per me la più bella e gra- ziosa tela è il quadro deW altare del pittore, così detto perché meritò a Skreta l'onore di essere annoverato tra i membri della 581 società (li pittura. Il valente artista raffigurò se stesso sotto le s^eiubianze di S. Luca che sta ritraendo la Madonna, mentre il divino Infante leggendo un librettino imprime con una grazia maravigliosa un bacio affettuoso sulla candida mano della Madre sua santissima che gli va additando le parole col più amabile e dignitoso contegno. A questo altare gli Utraquisti giurarono solennemente di mantenersi fedeli alla loro dottrina 5 l'organo è il migliore di Praga. Tra i varii monumenti non ho scor- dato quello del giovanetto Simone Abele immolato barbara- mente dal proprio padre nella verdissima età di dodici anni , per aver abbandonato la religione ebraica per entrare nel seno del cattolicismo. Ma ora volge l'anno, avendo vedute nella metropoli della Danimarca alcune reliquie dell' illustre Tycho Brahe, la vista del suo monumento concentrò 4n un subito tutta la mia attenzione a quel basso rilievo ,. e ne ricopiai r iscrizione bilingue latina e tedesca. Morì il grande astronomo esule in Praga nell'età di 55 anni, il 24 ottobre 1601 *i ; e fu sepolto in questa Chiesa parrocchiale. Sull' alto del monu- mento è scritta la seguente sentenza latina ; non Jasces j nec opes, sola artis sceptra perennant; V iscrizione sepolcrale è chiusa da questo verissimo elogio : Ne frustra 'vìxisse videre- tur_, iminortalitatem etiam apud antipodas scriptorum perenni- tate sibi comparavit , planeque potius esse , quam haheri maluit : nunc vita functus aeternum vivit. Continuando a percorrere la città , troverete anche varie chiese notevoli per disegni o per altri bei lavori d'arte , e frequenti memorie degli Utraquisti e degli Russiti i magnifica al solito quella degli ex-Gesuiti j quella dei Cavalieri Crociferi è di bella architettura italiana con una stupenda cupola , sono molto stimate le statue in gesso dell'in- terno , e gli affreschi sono di Rainer il più celebre frescante boemo , riputato specialmente per il suo valore nel disegno. Nella chiesa di S. Tommaso troverete altri bei lavori dello stesso Rainer , il martirio del Santo Apostolo è un prezioso lavoro di Skreta , e '1 bellissimo S. Agostino del maggior altare è attribuito a Rubens. Il ponte in pietra sulla Moldau, lungo *i Vedi la lettera su Copcnhaghen al chiarissimo Cavaliere Bouchcron. Anno- tatore piemontese, foscicolo di settembre, e seguenti 1837. 382 8oo de' miei passi ( ho letto 'in varii luoghi lungo 1790 piedi )^ ha 16' archi , e benché non molto elegante, pure attesa la sua lunghezza e gran solidità, e marciapiedi in grosse lastre di ferro rigato, e parapetti adorni di 29 gruppi di statue colossali , è annoverato tra i tre più famosi ponti della Germania e del Nord; quella piccola crocetta metallica che i Fedeli toccano riveren- temente passando , segna il luogo donde si crede che il Santo Nepomuceno venisse precipitato nel fiume 5 il gran Crocefisso metallico venne formato col prodotto dell' emenda cui furono condannati gli ebrei nel 1696, per aver profanata la Croce Santa. Il ponte venne disegnato da un nostro compaesano , Pietro Arlieri di Bologna, l'autore della cattedrale sullodata 5 ma r istoria di questo ponte e delle sue tante statue ed iscri- zioni e due torri e tradizioni popolari e proverbi ed anedoti curiosi , formerebbe essa sola un grosso volume a giudicarne da quel poco che ne ho udito e veduto, sicché fermatici ancora un istante nel mezzo a contemplare il bello e nuovo panorama della città , passiamo oltre alle isole della Moldau , che sono quella dei tintori , un'altra detta degli archibugieri , e poi la grande e la piccola Venezia , e l' isola Koppel , tutte ombreg- giate d'alberi, e munite di sale da caffè e bagni , e ristoratori e musiche e divertimenti d' ogni genere , luoghi prediletti di sollievo nei di festivi. E ricordo appunto d'aver visitata in un lietissimo giorno di festa la più amena di queste isolette, la Fdrherinsel, quella detta dei tintori. Che bella e cara giornata non fu mai questa per me! non la dimenticherò mai più. La mattina mi inebriai in chiesa di quelle musiche soavi , e quelle dolcissime voci umane sposate all'organo, ai clarini ed alle arpe nel luogo sauto, nell'atto della celebrazione degli augusti miste- rii, fecero vibrare in modo arcano tutte le fibre del mio cuore, e mi commossero fino alle lagrime ; è questo un mezzo potentis- simo per dissipare quella profonda malinconia che talvolta v'as- sale con tanta forza quando siete lungi dalla patria e dagli amici* Verso il mezzogiorno poi ho assistito ad uno spettacolo nuovis- simo per me, ad una manovra di Ulani, e poi ad una rivista mi- litare di truppe polacche, e sempre quelle beate musiche con un cielo purissimo, e splendente di un sole tiepido; verso sera mi lasciai trasportare dalla folla alle isolctte sullodate. Era un 385 *,rtclirivlc»ji perpetuò di barchette piene zeppe eli lieti cittaclinì in abiti festivi , che sbarcavano alternativamente all' isola degli archibugieri (^ Schiìzeninsel), dove l'aria eccheggiava di sinfonie militari, mentre si giuocava al tiro, e '1 popolo s'abbandonava ad altri variati divertimenti. Ma lo spettacolo più attraente era nell'amenissima isola dei tintori *, è questa deliziosa isoletta cir- condata da altissimi pioppi d' Italia, che vietano l'ingresso ai raggi di un sole incomodo, e viene solcata in ogni verso da bei vialetti e giardini e parterri di fiori pellegrini, e tappeti di Verzura 5 sorge nel mezzo un gran palazzo ad uso di catFè e trattoria, e vi sta dirimpetto un altro bell'edifizio per i bagni, e sotto un altro porticato trovate higliardi in copia sempre af- follati di giuocatori; nel centro dì nu allegro boschetto si al- ternavano di continuo i più scelti pezzi di musica sotto un grazioso padiglione alla chinese, mentre migliaja di persone si aggiravano in quel giardino o sedevano a centinaja di tavolini, inebriandosi di birra e caffè. Ma verso notte quando una pro- digiosa quantità di lumi rimpiazzò la luce del di morente, lo spettacolo parve magico davvero 5 non mi ricordo d'aver veduto tanti commensali in una volta. E 1' uso nella Domenica di ce- nare in quesfc' isola all' aria aperta ed allo splendore di tanti lumi, ricreandosi ad un tempo con una sì grata armonia. L'ora del pranzo essendo fissata dall'una alle due pomeridiane, la cena è tuttora quasi generale in Germania , ed in tutte le sale da caffè, la tela cerata verde che veste le tavole è ricoperta a sera da una bianca tovagliola, e vengono la zuppa, l' arrosto « r insalata ed i perpetui pomi di terra, e la birra ad interrom- pere la lettura dei giornali , e '1 giuoco del bigliardo , e si sos- pende per poco il fumare dei sigari finché si chiude la beata sera col teatro o col fumo di nuovi sigari e coi vapori di nuova birra. Vi ho già accennato dei pubblici passeggi di Praga ve- ramente bellissimi, perchè ivi la natura venne maravigliosa- mente in ajuto dell'arte , ed oltre quei dei baluardi e le isole della Moldau, è molto frequentato il così detto Baumgarten , dove secondo gli avvisi a stampa accorrono nei dì festivi in folla i cittadini a piedi, a cavallo, in carrozza; anche qui sorge un bel palazzo gotico, una. piccola ménagerìe di animali, e musiche militari, e boschetti e viali e giardini senza fine, ed 384 incontrate per via ciechi poverelli che vi chiedono un piccolo Kreuzer col suono dell'organetto. Passeggiando per la città ve- dete splendide botteghe da moda, e librai dove trovate le più recenti produzioni dell' attuale letteratura proteiforme, e libri stampati in ogni lingua; notai un^^sola elegantissima nuova gran sala da caffè, sicché la nostra Torino è sempre la prima d'Eu- ropa in questo genere, a parte le sale magnifiche d'Altona e d'AmborgOj di cui vi ho trattenuto nei precedenti letteroni; ed una cosa anche da notarsi in Praga sono quelle sale volanti sotto gli atrii di tante case, dove scorgete sempre una folla di popolo e contadini seduti a pranzo ; ad ogni passo trovate una venditrice di frutti e pane di forme variate, tra cui ne ricordo una cornuta e tempestata di semi di papaveri molto di moda; ed in frequenti casette di legno , in vece d' una scolta militare, vedete una forosetta che vende sigari ; non avendo vedute bot- teghe speciali per la vendita del pane e tabacco , credo che questi due primi elementi della vita tedesca colla birra , non formano il monopolio d'alcuno. Chi viaggia coli' occhio un po' osserva- tore , so dirvi che trova cento oggetti degni d'attenzione anche nelle cose più triviali; se un ingegnoso toppalachiave, ad esera- pio, percorresse l'Europa per osservare solamente le cose dell' arte sua , sono certo che tornerebbe contento e ricco dei più belli e curiosi disegni di mille variate maniere di chiavi e ser- rature, e maniere diverse di chiudere ed aprire le porte e fi- nestre, e quindi pensate quanti perfezionamenti non potrebbe trarne, correggendo e combinando in dotta maniera i tanti va- riati disegni veduti ; e per me lodai moltissimo l' idea del pa- drone dell' albergo posto ai pie dello Splùgen per incammi- narsi alla via mala, il quale percorse l'Europa all'unico fine di visitarne i principali alberghi e rendersi così più atto al suo mestiere. Il sistema monetario attuale della Boemia e dell'Au- stria, ed in tutta l'Alemagna in generale, non è molto in ar- monia coi tanti altri reali miglioramenti; sono in corso due specie di moneta, una metallica grossolana, poco argento, e rarissimo l'oro, e l'altra in carta , certamente comodissima per il trasporto e simili ; distinguono inoltre una moneta ideale che chiamano cattiva , da un'altra che dicono buona, una Zwanziga metallica, a cagion d'esempio, vale 20 Kreuzer \n buona, e 5o 585 di cattiva o piccola moneta 5 i piccoli contratti si fanno ordi- nariamente in moneta piccola , ed i maggiori in buona, e di- cono cbe la cattiva moneta è quella per cui si fa il buon mer- cato , vera illusione E quando mai gli Stati europei con- verranno tra di loro per darci una sola moneta ed una sola misura , come fecero già i Romani Pontefici per la misura del tempo *i ? Per poter apprezzare praticamente il vantaggio im- menso di questo progresso così sociale, conviene aver percorso i varii Stati d'Europa da pari mio , con piccoli mezzi cioè , ed in brevissimo tempo. Poveri forestieri quante centinaja di volte siete corbellati buonamente ! ma lo sento pur troppo , che per tacere d' altre ragioni morali , questo sarebbe un anello di più per istringere le nazioni europee in una sola famiglia, il cbe forse non va a sangue di alcuni. — Ora vi toccberò brevemente, per modo di chiusa, della gran riunione dei naturalisti della Germania , le cui annue solenni sessioni hanno appunto luogo in questi stessi giorni nel palazzo dell' università, sotto la presidenza del già citatovi conte di Sternberg, Vi ripeto cbe questo non è che un brevissimo cenno, giacché la descrizione di quest'adunanza farebbe essa sola un lungo e dotto letterone cbe io non avrei né tempo né scienza sufficiente a bene scrivervi. Mi limito dunque a dirvi in poche righe che l'assemblea fu piena e brillante, a malgrado del giu- bileo dell'Università di Gottinga che impedì i celebri Baroni d' Humboldt e Berzelius , e tanti altri rinomatissimi professori dell' Hannover , Prussia e Sassonia di convenire a Praga. Fu questa la quindicesima adunanza dei dotti tedeschi , dopo sì utile istituzione ,• si trovarono in numero di circa 4oo , e si citavano scienziati dei due mondi , di Kasan , S. Pietroborgo , Londra , Parigi , Baltimore , ecc. ( tra parentesi un solo ita- liano ! ) L' Imperatore , 1' Amministrazione municipale , il Go- vernatore , i cittadini, il Presidente sullodato, tutti concorsero a renderci facile e gradito il soggiorno di Praga, e fu una con- tinua gara di cortesia. Giascbedun membro del Congresso ap- pena.giunto riceveva un bigliettino che serviva di passaporto *i Odo con piacere nel momento che avrà luogo quanto prima in Dresda un congresso monetario a questo fine. 3S6 per la pulizìa, e d'ingresso ad ogni pubblico istituto, biblio- teche , musei , giardino botanico , che in questi giorni stanno tutti aperti. L'Imperatore volle concorrere colla somma di sei mila fiorini (circa i5 mila fr.) del suo tesoro privato, convitando tutti questi dotti ad un sontuoso banchetto nel palazzo impe- riale , il Governatore diede anch' esso una splendida festa, e il corpo dei negozianti di Praga invitò la dotta assemblea col fiore dei cittadini ad un'altra graziosissima festa nell' isola dei tintori che in quella sera pareva proprio uu luogo d' incanto. Dopo la prima seduta generale in cui il Presidente lesse uu eruditissimo discorso sull' università e studii di J?raga , seguito da altre importanti letture, oltre quanto riguardai regolamenti per l'ordine delle sessioni generali e particolari , tutto il Con- gresso fu trasportato in corpo da una gran quantità di vetture, ordinate a bella posta, all' isola dei tintori, dove era preparato a prezzo fisso discreto un bel pranzo , con invitò di trovarvisi tutti giornalmente per meglio conoscersi di persona , essendo questo uno dei fini di simili adunanze ; questi pranzi furono i più lieti del mondo, conditi cioè da una schietta cordialità , musiche, tog,st, letture di poesie tedesche e latine distribuite a stampa ai convitati , col catologo degli accorsi all'adunanza, e ciascheduno ricevette una copia d'una dotta guida di Praga in tedesco, ed una medaglia di bronzo in commemorazione di tanta solennità. Dopo la prima tornata generale i dotti si ordinarono in sette distinte sessioni con presidente e segretario, le quali tenevano per quanto si poteva le loro sedute in ore diverse per comodo di coloro che desiderassero assistere a di- verse discussioni. E per citarvi qui per saggio alcune delle tante memorie originali lette , vi dirò che il professore di fìsica in Vienna, il signor D'Ettingshausen, presentò un modello d'una sua nuova macchinetta magneto-elettrica , in cui colla semplice rotazione d'un magnete , desta tale sviluppo d' elettricità da produrre vivissime scintille , arroventare nell' istante un filo di platino , mettere in moto una ruota ( macchina analoga a quanto esegui tra i primi da qualche tempo in Torino il nostro valente elettricista il signor professore Botto ), e piacque molto la lettura della sua dotta memoria, in cui parlò delle applicazioni probabili di questa macchina agli usi medici ecc. » 387 e poi il sig. professore BischofF lesse una sua memoria di fi- 6Ìca terrestre per dimostrare che partendo dall' ipotesi del calore centrale, non abbiamo a temere un sensibile raffredda- mento alla superficie della terra, che da qui a parecchi milioni d'anni , appoggiando i suoi ragionamenti e calcoli su esperienze da lui eseguite recentemente con termometri introdotti nel centro di sfere di basalto ed altre sostanze riscaldate a bella posta , e notandone quindi il tempo del raifreddamento. Ma tra le tante memorie, una che interessò forse più altamente l'assem- blea é quella letta in una delle generali adunanze dal celebre Barone d' Hiigel , reduce non è molto dai suoi gran viaggi nell' Asia e nelle regioni dell' Himalaja. Il dottissimo viaggiatore portò da quelle rimote regioni , preziosissime collezioni che si con- servano in Vienna, e la messe delle nuove osservazioni e no- tizie rare, etnografiche naturali, civili su quegli abitanti, e su quelle contrade che ha visitate così minutamente per varii anni, e con tanto fino giudizio, è grandissima, e di un genere cosi nuovo e curioso, che si aspetta dai dotti colla più viva impazienza la pubblicazione del suo viaggio. In una delle se- zioni di botanica ebbe luogo un' interessante discussione sul modo rotatorio del polline delle piante osservato col microsco- pio ; fu pure letta una buona memoria sulla rabbia , e poi varie altre di statistica medica sulla pazzia , sui figli spurii suicidii ecc., con invito ai medici a comunicare simili elementi nel prossimo nuovo congresso per poter formare una statistica medica generale ; non va dimenticata una lettura utilissima suir importanza d' uno stabilimento di un' accademia delle scienze in Vienna per propagare in Oriente, col mezzo delle missioni religiose, il gusto delle scienze naturali così forte ia Germania ..... Ma vedo che mi è assolutamente impossibile accennarvi anche di volo i variati lavori di tante sedute parti- colari e generali , il cui conto leggerete poi meglio nei giornali a suo tempo ; e conchiudo quindi col ripetervi che il tutto finora passò tranquillamente, e colla maggior soddisfazione di tutti , eccettuato forse l'accidente d' una seduta generale , in cui si trattava di fissare la città, dove si dovranno tenere le sessioni dell' anno prossimo. Questa seduta fu naturalmente un po' tumultuosa , multi opinando per Erlangen di Baviera, ed 388 altri in numero quasi eguale per Friborgo 'di Brisgavia ; vinse però quest' ultima, sicché il i8 settembre del i838 conver- ranno i dotti Tedeschi in questa lieta cittadina a rendersi conto reciproco dei progressi fatti nei diversi rami delle scienze na- turali. Le riflessioni che sorgono naturalmente su questi dotti congressi che si vanno adottando in Inghilterra , Francia , Svizzera e Germania , sono troppo ovvie e forti. La sola Italia finora non ha pensato a queste adunanze puramente scientifi- che, a malgrado dei tanti dottissimi ed attivi individui sparsi qua e là nel nostro bel paese; e se i governi intervenissero a simili adunanze , donde si devono assolutamente escludere tutte le discussioni teologiche e politiche , come appunto si pratica nelle suddette regioni , certo che non si avrebbe punto a temere di simili congressi eminentemente pacifici , e nuovo lustro ne tornerebbe alla nostra patria comune ( diciamolo , nel momento un po' sprezzata ) con grandissimo vantaggio delle scienze e della società italiana, giacché, lo ripeto , i veri dotti , ed ì veri studiosi sono eminentemente pacifici e morali , come potrei dimostrare ad alcuni miei compaesani coli' esempio parlante di tanti sommi, e specialmente degli studenti di matematica della R. Università , che siete sicuro di non trovare a gettare il tempo e la borsa nei bigliardi , o dissipare le sere nei teatri , o col fumare sempre i sigari per le vie , o corrompersi l'intelletto e il cuore in vane e nocive letture , sicché a parte la circostanza felice che stanno a capo di questo insegnamento eccellenti pro- fessori, tra cui due alte notabilità europee, la nostra scuola di matematica , diciamolo pure con orgoglio nazionale , è forse la prima dell' universo , e ne abbiamo avuta una recente prova materiale quando il governo del Brasile abbisognando di buoni ingegneri , non andò a cercarli nelle altre dotte capitali d'Eu- ropa , ma bensì in Torino ,• ed alla nostra capitale si diresse di nuovo or poco per far acquisto d'un valente professore di matematica la nuova Accademia delle isole Joule. Siatemi in- dulgente, o pregiatissimo signor Marchese, ed aggradite intanto il buon volere e la pura intenzione del vostro devotissimo ed obbligatissimo servitore. G. F. Baruffi. Stamp. Ghiringhello e C. con permiss. 589 DELLE IPOSIZIONì DIRETTE SOTTO GLI IMFEEA'fOEI I^OMAMI DISSERTAZIONE DEL SIGNORE CARIBO FBDUmCO DI SAVXGMY KJtadiiTÀciic Dal (Je^eéco 0 DEL CAVALIERE €AKLO BAUDI DI V£8ME AVVERTIMENTO DEL TRADUTTORE. Nel dare alla luce questa dissertazione del sig. di Sa- vignj j da me tradotta fino dalV anno i83a, una folla di osservazioni e di emendazioni importanti mi si offerivano alla mente, per le quali aveva deliberato di corredare la presente traduzione di ampie note e di appendici , e dare per tal mezzo un^ idea meno imperfetta delle due imposi- zioni sotto i Romani, V origine e la forma delle quali V Autore aveva preso ad esporre. Ma dopo i primi tenta- tivi me ne rattenne V impossibilità della esecuzione ; poiché a5 390 lenite vi sono le omissioni e le lacune , che il riempirle ec- cederebbe di gran lunga i limiti della stessa disseitazione ^ ed inoltre in molte parti non coìwengo nelle opinioni del chiarissimo Autore , soprattutto ove tratta deW imposizione personale. Oltre ciò fautore prese ad e s umiliar e due soli tributi dei Romani: laddove il loro sistema tributario era sì vasto ed intricato , che difficilmente può spiegarsene alcuna parte senza esaminare la natura di tutte ^ e certo i vizii di questo sistema , principalmente nel modo e nella guarentigia dell'esazione , furono una delle principali ca- gioni della caduta di quel grande Imperio. Per queste cagioni, avendo in altro mio lavoro, che fra poco vedrà la luce , dato una breve descrizione di tutto il sistema tributario romano *i: a parte a parte in dissertazioni separate , le quali nondimeno per loro natura si possano raccogliere in un sol corpo , andrò rischia- rando, per quanto è in me, questa oscura ed importante parte della storia e della giurisprudenza romana. A que- sti miei lavori premetto la presente dissertazione del Sa- vignj *2 , la quale scioglie molte parti della questione , e che, ad onta de' suoi dij etti , godette in Germania di una approvazione universale , ben meritata, in quanto principal- mente il suo Autore fu il primo a rivolgere in modo alquanto piti certo V attenzione dei dotti sopra questo dif- ficile argomento. *i Nel primo capitolo dell'opera intitolata: Della materia tributaria nelle Gallie sotto la dominazione dei Franchi , Memoria premiata dall' Academia delle Inscrizioni e Belle Lettere di Parigi. *2 Fu publicata la prima volta nelle Memorie dell' Academia delle Scienze di Berlino armo 1822-3, Classe di scienze storiche e filologiche, pag. 27 e segg. , sotto il titolo Ueber die romische SteuerverJ'assung unler deit Kaisern ; e poscia ristampata con aggiunte nel Giornale di Giurisprudenza storica ( Zeitschrift fiir die i^escliichtlicìie Rechtswissenschaft ) , tomo IV, pag. 32 1 e segg. — La divisione in numeri o paragrafi fu da noi apposta per maggiore commodo delle citazioni, e ne fu fatto uso nel corso della stessa Dissertazione invece della citazione dello pagine , che si trova nell' originale tedesco. 391 òòtlo ali ómmuxicti cixcmauì 1. Le entrate dell' imperio romano , come quelle della maggior parte degli stati moderni, erano composte di parti di vario genere , e principalmente di contribuzioni dirette ed indirette. Le jjrincipali erano due tributi diretti e re- golari, r IMPOSIZIONE PREDIALE, 6 1' IMPOSIZIONE PERSONALE; e intorno a queste si aggn^a il presente saggio. 2. Due motivi ci inducono a cominciare le nostre in- dagini da' tempi a noi più vicini : V appartenere a questi le fonti più copiose sopra tale argomento , e l'essersi su que- sta età principalmente fissata l'attenzione di pressoché tutti i moderni scrittori ; onde intorno alla medesima appunto regnano alcuni errori, i quali conviene chiarire prima, se vogliamo aprirci una via sicura alle presenti ricerche. De- finito lo stato degli ultimi tempi si acquista una base, sulla quale determinare la condizione anche dei tempi anteriori, e diviene quindi possibile di esporre ordinatamente 1' ori- gine ed il progresso di queste instituzioni. ARTICOLO PRIMO STATO DELLE IMPOSIZIONI SOTTO GLI IMPERATORI CRISTIANI. 3. Sotto Costantino ed i suoi successori v'era una im- posizione PREDIALE , regolare ed accuratamente determinata, la quale formava senza dubbio l' entrata principale dello stato , ed era detta comunemente capitatio , e talora iiiga- 392 tio o terrena iugatio *i. Erano per essa le terre divise in altrettante porzioni estimate, da ognuna delle quali si esigeva la medesima somma, e con proprio nome si chia- mavano capita *2 , onde venne all' imposizione medesima il nome di capitazione *3. La contribuzione si pagava in contanti , e da essa erano al tutto diverse le prestazioni di derrate ( annonae ) ; sebbene queste parimente si impo- nessero ai possessori di beni stabili, quasi una giunta alla contribuzione prediale, e fossero a norma di questa di- *i L'esistenza di una imposizione prediale sotto il nome di capitano viene comprovala principabnente dalle seguenti leggi : e. q C. I. de actione empti ( 4 , 49): « capitatio prcedii venditi ; » e. 1 C. Th. de immunitate concessa (11, 12): « iugorum capitationibus . . . amputatisi » e. 5 C. Th. sino censu (11, 3); e. a C. I. de fundis rei privatce (n, 66). — Le voci iugatio e capitatio vengono quindi talvolta congiunte come sinonime ; e. 8 C Th. de censu (i3, 10), ossia e. 9 C. I. de agricolis (11, 4^)5 '^^ " ^- ^^- "^ (juid puhliccè laetitice nuntii (^8, ti); e. Il C. Th. de exactionibus {il, •]). — Altrove unitamente alla capitazione troviamo fatta menzione della cessione dei coloni ad uso della milizia, e delle pen- sioni annonarie ; il che dimostra evidentemente come con questo nome venisse pure significata l'imposizione prediale. C. 7 C. Th.de tironibus ("] , i3); e. a C. Th. de immunitate concessa (ii, 12); e. i5 C. Th. de annona et tributis (11, i). *2 C. 2 C. I. de immunitate nemini concedenda (10, a5 ), [ossia e. 5. C. Th. de itinere muniendo (i5, 3) — Tbad. ] : « Pro iugorum numero vel ca- pitum quce possidere noscuntur. n Così anche in molti altri luoghi iuga o iuge- ra [ ? 1 e capita sono usati come sinonimi : e. 6 C. Th. de collatione donatarum (11, 20); e. I C. Th. de protostasia (11 , 23); e. i C. I. de palatinis sacra- rum largitionum (12, 25), [ossia e. 6 C. Th. de extraordinariis sive sordidis muneribus (11, 16 ); — Trad. ] ; e. 3 C. Th. de militari veste (7, 6),- e. 1 C. Th. de imponenda lucrativis descriptione (j-ì', 4)- - Nel medesimo senso s'incontra la voce caput nel noto passo di Sidouio , Carm. i3, v. 19, 20 (a Maggiorano ) : n Gerjones nos esse puta , monstrumque tributum; Hic capita, ut vivam , tu u mihi tolle tria. » Chiede cioè pe' suoi beni l'esenzione da tre capi di tributo. — Di due luoghi di Amraiano e di Eumenio non può essere data , se non molto più sotto , la spiegazione. *3 Questa derivazione è per certo più semplice e naturale, che non quella di Giacomo Gotofredo , Comment. ad e. 2 C. Th. de censu (i3, 10) : che il fondo venisse considerato come capitale, del quale il tributo fosse quasi censo od inte- resse. Che se si chieda onde traesse origine il nome di caput, rispondo , che vero- similmente nella guisa stessa , che venne così denominata una divisione di una legge , di un libro ecc. ; poiché in ciascuno di questi casi caput significa una parte determinata del tutto, la quale può essa medesima venire considerata come un tutto ilittinto. Cosi nella materia tributaria capo significa una parte determinata di un fondo . 593 str'ibuite : onde l' esenzione dalla capitazione importava an- che l'esenzione dalle prestazioni annonarie *4- 4. Oltre r imposizione prediale^ \' era una imposizione PERSONALE , diretta ed universale essa pure , la quale si chiamava o semplicemente capitatio *5 , o humana capi- tatio, capitalis illatio "6, od anche capitatio plebeia, espres- sione della quale fi^a poco ragioneremo. La gravità di questo tributo non è nota ^-y : esso si pagava in prima intero dagli uomini , mezzo dalle donne ; ma Graziano ed i suoi compagni all' imiperio lo ridussero a due quinti per gli uo- mini , e per le donne ad un quarto *8. 5. A questa imposizione detei-min eremo dapprima chi in origine fosse tenuto; (piindi esporremo le varie eccezioni, onde venne a poco a poco ristretta. — Per legge generale adunque erano sottoposti alla capitazione umana tutti i ple- *4 e. l5 e. Tli. de annona et tributis (ii, i): « Unusquisque annonarias « tpecies prò modo capitadonis et sorlium yrcebiturus etc. ; n e. -2 C. Th. de ìmmunitate concessa (n, la). *5 Questo uso della voce medesima a significare oggetti affatto diversi fu quello che maggiormente confuse gì' interpreti. Perfino nella stessa costituzione talvolta oc- corre la voce capitatio senza ulteriore spiegazione ora nell'uno ora nell'altro senso; e. -j C Th. de tironibus (7 , i3). *6 C. un. C. I. de colonis Thracensibus (n , Sa): « Sublato in pei-petuum <( humance capitationis censu, iugatio tantum terrena soli>atur. » C. 6 C. Th. de a collatione donatarum (11, 26); e, 23 princ. C. I. de agricolis (11, 48). '*7 Priva di fondamento è la congettura di Placentinus , Summa in tres libros distributa , tit. de annona , che la somma di questa imposizione importasse un aureo. Probabilmente era assai più tenue. *8 C. IO C. I. de agricolis (11, 48)' « Cam antea per singnlos viros, per bi- li, nas vero mulieres capitis norma sit censa , nunc binis ac ternis viris , mulie- « ribus autem quaternis unius pendendi capitis attributiim est , etc. » Sebbene questa costituzione non sia diretta che al Prmfectus Prcetorio Orientis , pare nondimeno che 1' osservanza ne fosse universale, anche prima che venisse inserita nel Codice Giustinianeo. [ Già questa costituzione si leggeva nel Codice Teodosiano, c. 2 de censitoribus (i3, 11), come dimostra il foglio XXXIX del Palimpsesto Torinese , ossia il XXVII fra quelli scoperti dal eh. cav. Peyron. f^. Codicis Theodo- siani fragmenta inedita , in lucem protulit atque illustravit Antedeus Peyron , nelle Memorie dell' Academia delle Scienze di Torino , voi- XXVII , Classe di scienze storiche e filologiche, pag. 327. — Trad.]. — Bini ac terni viri significa, una volta due e l'altra tre , a vicenda ; cioè che cinque uomini pagherebbero per due. 394 bei che già non pagavano imposizione pi'ediale , e quelli che erano di condizione inferiore ai plebei. Esimeva dur- que regolarmente da questo tributo in prima il grado ; sì che vi erano tenuti quelli soli, i quali erano di condizione inferiore ai decurioni '"9 ; come dimostra il nome stesso di plebeia capitatio, usitatissimo ad esprimere questa imposi- zione; dalla quale appellazione manifestamente appare come questo tributo fosse peso proprio dei plebei *io. Inoltre in una costituzione viene concessa immunità personale dalla capitazione umana ad alcuni uffiziali minori del fisco, fin- ché durassero nell'impiego; cessato il quale chi lo aveva amministrato od era punito per infedeltà , ne meritava esen- zione ; od in premio di retta anmiinistrazione veniva pro- mosso a grado superiore , che per sé stesso lo esimeva , e rendeva inutile il privilegio * n . Evidentemente adunque in questa legge il grado viene riconosciuto come fondamento ordinario di esenzione. — Potrebbe muovere dubio sulla verità di tale spiegazione un' altra legge secondo la quale , gli ex comitibus e gli ex praesidibiis *I2, i quali avevano ottenuto questo titolo non dopo occupate queste dignità, ma solo ad onore , devono essere sottoposti ai soliti pesi civili ; nella quale legge vien detto : « plebeiam quoque su- *9 Che il decurionato fosse il grado più prossimo ai semplici plebei lo dimostra la e. 7 C, Th. de tironibus (7, i3) ; « Ut si\'e senator, honoratus^ principalis , K decurio, vel plebeius tironem.... ex agro ac domo propria oblaturus est etc. » *io Capitatio plebeia; e. 4 C. Th. de censu (i3, io); e. 2 C. Th. de proto- stasia (11, 23),- e. 36. C. Th. de decurionibus (12, 1). — Exactio plebis; e. 6 C. Th. de censu (i3, io). — Questa parimente è la cagione che nelle costitu- zioni sopra questo tributo si trova particolarmente fatta menzione della plcbs ur- bana e rusticana; e. 2 C. Th. de censu (i3, io) j e. i C. I. de capitatione ci- vium (11, 49); e. I C. I. ne rusticani (n, 55). *n C. 3 C. Th. de numerariis (8, 1): « Capitationem quoque ipsorum (se. « annonariorum et actuariorum) tantum, qui ex bis censiti sunt , J'aciat haberi « immunem quoad in actu fuerint constituti : nam postea vel laus eos et digni- « tas honorabit , vel si in culpa Juerint deprehensi , poena comitabitur. » *i2 [ L'Autore li chiama excomites ed exprcesides , contro 1' espressione della legge e l'uso dei tempi. — Trad. ] 595 « stineant capitationem *i3. « Se questo passo si spieghi con Giacomo Gotofredo , che debbano tali persone essere sot- toposte alla capitazione plebea, la medesima non verrebbe ad essere esclusa dal solo grado ; ma dal contesto di questa non meno, che dal confronto di altre simili leggi *i4j appare non trattarsi quivi del pagamento , ma dell'esazione di questo tributo : la quale ( passando probabilmente per molte mani) faceva parte dei communi oneri civili, onde non esimevano quei vani titoli di onore. 6. In secondo luogo liberava dalla capitazione umana qua- lunque possessione di stabili ; sì che pagavano questa im- posizione soltanto quelli , i quali non soggiacevano ad al- cuna imposizione terrena. Questa nostra asserzione viene dimostrata da una legge , della quale non possiamo dare piena spiegazione, se non quando tratteremo dell' obliga- zione dei coloni di pagare l'imposizione personale *i5. Da questa si deduce che l' imposizione personale non veniva propriamente considerata che come un supplemento della prediale , ossia come un tributo imposto a quelli , i quali altrimente sarebbero stati immuni di ogni contribuzione , perchè privi di beni stabili. Tale sistema spiega chi s'in- tendesse sotto il nome di possessores , dei quali già tro- viamo da qualche tempo fatta menzione come di un ono- rifico stato particolare , inferiore ai decurioni , e perciò da questi diverso *iG. Vengono parimente nominati fra *i3 C. 36 C. Th. de decurionibus (12, 1). *i4 C. 2 C. Th. de protostasia (11, 23); /. 18 § 8 D. de munerìbus (5o, 4)- Falsa affatto è la spiegazione che di questa legge dà Heraldus, qucestionum quoti- dianarum lib. i, cap. 9, § 7. *i5 C. 4 e. I. de agricolis (11, 48)- *i6 L. 1 D. de decretis ab ordine faciendis (5o , 9) , nella quale si prescrive che 1' ardo e i possessores eleggano d' accordo i medici per li proprii territorii. Fa maraviglia che Pancirol. , de Mag. municip., Cap. I, possa tenerli per sino- nimi ; né certo a sua opinione è di appoggio la e. 6 C. I. de omni agro deser- to (11,59); anzi pienamente la distrugge la e. 2 C. Th. ne collationis translatio postuletur (ir, 22) ; « Discant ordines , discant reliqui possessores etc. » 396 le quattro classi , delle quali , secondo 11 prescritto di Onorio , doveva essere composto il congresso di Arles * 1 7 ; come pure da Cassiodoro , ora soli , ora insieme cogli al- tri stati * 1 8 : il che anche presso altri autori non rade volte troviamo *ig. Questi possessores non sono altro che i proprietarii di beni stabili ; e che essi formassero uno stato distinto e separato si spiega con questo, che i me- desimi erano soggetti all'imposizione prediale, ed immuni dalla capitazione umana ; onde anche nasceva grande affi- nità fra i possessori ed i semplici plebei , ossia quelli che erano soggetti all'imposizione personale. Da questo si può inoltre conchiudere che l'imposizione personale fosse assai tenue; perocché siccome qualunque anche minima posses- sione di stabili esimeva dalla imposizione personale *20 , *i^ Savigny, romische lìechtsgeschichte, B. I, S. 5g. * 18 Cassiodorii Variarum ; (insieme cogli altri stati) //, 17; III, 9; ///, 49» I^i 8; VI, 34; VII, 27; Vili, 29 : (soli) ///, 44; V, 9; V, i5,- V, 38. Nel primo, per esempio, di questi luoghi, dice : « Honorads, possessoribus, defensoribus et curiali- bus Tridentinae civitads. » Sia in questo come negli altri luoghi honorads non è un epiteto di possessoribus , come potrebbero indurre a credere le edizioni ; ma con tal nome viene denotato uno stato distinto , appunto come nella allegata legge di Onorio. — In modo alquanto oscuro è fatta menzione dei possessores dallo stes- so Cassiodoro , Var. VI. 9, in una instruzione al comes patrimonii, ove , ammoni- tolo a contenere ne' loro doveri i coloni , passa a trattare dei possessores. Man- so , Geschichta des Ostgothischeii Reichs , 5. 97 , intende sotto questo nome gli amiministratori e gli enfiteuti dei beni demaniali : io li proprietarii di stabili , i beni dei quali confinino con quelli del demanio. Il passo è il seguente : « Queri- « monias possessoruni sine venali protracdone distìngue Possessiones nostrce , « vel quia sunt immobiles , non egrediantur terminos consdtutos : ne condidonc « contraria, quod non potest movevi, malis moribus contingat estendi. » Cioè : dacché i beni demaniali sono inalienabili , né possono pervenire alle mani di pri- vati , non siano almeno usurpati ed incorporati ai fondi del demanio i beni dei possessores , che con essi confinano. *i9 In una inscrizione presso Ducange, v. Possessores, leggiamo : «.Or do possesso- « resque Brixillanorum. » Sotto la voce Liber diurnus presso il medesimo : « Pre- a sbyteris, diaconibus, clericis, honoratis , possessoribus , et cunetta plebi ili. ec- K clesice. » — Un passo importantissimo tratto dalla legge Salica ven'à allegato e spiegato in fine dell'Articolo II. *2o C. 4 C. I. de agricolis (n. 48): « Sane quibus terrarum erit qxiantu- « lacumque possessio etc. n 597 sarebbe stato facile arrecare danno alla cassa fiscale , se questa contribuzione fosse stata di qualche gravezza. 7. A norma di questa regola negativa non riesce difficile determinare quali classi fossero principalmente sottoposte alla capitazione plebea. Primieramente vi erano soggetti gli abitanti liberi delle città privi di grado e di possessione di beni stabili, come per esempio gli artigiani e ma- noali. — Come questi ne fossero poi liberati , tratteremo pili sotto fra le eccezioni. — Secondariamente nella cam- pagna i coloni. Tei'zo , nella città e nella campagna gli schiavi. Le due prime classi prese assieme formavano ap- punto i plebei ; delle due ultime , di gran lunga le più im- portanti, verrà ora a parte trattato. 8. Il motivo pel quale i coloni pagavano l' imposizione personale era il seguente. Siccome il fondo che coltiva- vano apparteneva non ad essi ma al padrone , questi , non i coloni, pagava pel fondo l'imposizione prediale; mentre all'incontro il colono , appunto perchè non possedeva bene stabile proprio, era soggetto per se all'imposizione perso- nale. A commodo e sicm-ezza del fisco erasi bensì introdotto che il padrone pagasse al fisco l'imposizione personale per tutti i suoi coloni *2 1 , onde questa era nei registri fiscali segnata a piede della imposizione prediale del fondo al quale appartenevano , ed insieme con essa pagavasi ; ma questa non era che una forma pai-ticolare nell' esazione : 1' obligazione era personale dei coloni *22 , ed il padrone del fondo, che aveva pagato pei medesimi la capitazione, da essi nuovamente la esigeva. L' obligazione del padrone di pagare la capitazione pei coloni durava nondimeno , an- corché ne avesse accidentalmente perduto il possesso. Se *2i C. 14 C. Th. de annona (ii, i), ossia e. 4 C. I. de agricolis (della quale più sotto verrà per disteso data la spiegazione); e. 26 C. Th. de annona (ii, 1). *aa C. 23 princ. C. I. de agricolis (11, 48) •• . • • « et sit suppositus una cum « omni sobole sua . . . huiusmodi JbrluncB , et capitali illalioni. » 598 lo riacquistava , il colono se era frattanto vivuto quale uomo libero, doveva rimborsare al padrone la somma per lui esposta ; se era dimorato presso un altro come co- lono , a questo spettava di r-estituire al vero padrone la somma '''23. 9. In grave errore nondimeno cadrebbe chi confondesse l'imposizione terrena con questa obligazione del padi'one, di sottentrare alla soluzione dell'imposizione personale pei coloni. Alla contribuzione prediale era tenuto egli stesso come a proprio peso, perchè padrone del fondo: né poteva intorno a questa obligazione correre differenza di sorta, sebbene intorno al modo di soluzione si trovino varii usi ; poiché in alcune province il tributo era pagato dal co- lono , in altre dal padrone , essendo in proporzione minore nel primo caso , nel secondo maggiore il censo , al quale il colono era tenuto verso il padrone *24- Tale differenza, la quale poteva pure aver luogo fra i soliti appaltatori, non ei-a di alcun danno al fisco : dacché colui che era sog- getto all'imposizione doveva sodisfarvi o per se stesso, o per mezzo di interposta persona. Diversa da questa è ne- cessario che fosse quella imposizione, la quale nelle leggi viene definita come peso proprio e personale dei coloni , sì che il padrone del fondo non soggiaceva per essa ad altro peso che a quello dell' esazione dai poloni , e della soluzione alla cassa fiscale; la quale obligazione non può intendersi , che della capitazione umana dei coloni. Questa *23 e. 1 C. Th. de fugitivìs colonis , inquilinis et seri'is (5 , i5) ; « Apud « cjuenicumque colonus iuris alieni faerit iiweritus, is non solum eumdem origini « suce restituat , verum super eodem capitationem temporis agnoscat etc. » — C. 8 C. I. de agricolis (ii, 48) ; e. 23 § a eod. *24 Che difatti avesse luogo questa accidentale differenza lo dimostra apertamente la e. 20 § 3 C. I. de agricolis (ii, 48)-' « Et si quidem coloni more solito eas « ( publicas functiones ) dependebant , ipsi maneant in prisca consuetudine... u Sin autem moris erat dominos totam summam accipere, et ex ea partem qui- « dem in publicas vertere functiones., partem autem in suos reditus habere : « tunc etc. » — Vedi il mio saggio sopra il colonato. 399 spiegazione viene appieno confermata dalla notevole circo- stanza, che la legge sovracitata ( § 4 ) ? ^o^^^ quale venne diminuita la somma della imposizione personale, nel Co- dice Giustinianeo si trova fia le leggi sul colonato ; il che si può spiegare soltanto dicendo che i coloni appunto fos- sero quelli principalmente , che erano soggetti a questa imposizione. IO. Ora solo ne riesce finalmente possibile di spiegare una delle costituzioni più importanti sopra questo argo- mento , della quale abbiamo già fatto uso in varii luoghi della presente dissertazione. Essa è dell'imperatore Va- lente, e dice così *25 : « Hi, penes quos fundorum do- « minia sunt, prò his colonis originalibus , quos in locis « eisdem censitos esse constahit , 'vel per se vel per ex- « actores proprios recepta compulsionis sollicitudine , iin- « plenda niunia functionis agnoscant. Sane quibus terra- in rum erit quantulacumque possessio, qui in suis con- « scripti locis proprio nomine libris censualibus detinen- « tur , ab huiusmodi prcBcepti communione discernimus : (( eos enim convenit proprice commissos mediocritati , an- « nonarias functiones sub solito exactore agnoscere. » Cioè : r imposizione personale , alla quale secondo le leggi i coloni sono soggetti, si paghi dal padrone del fondo, e questo la esiga nuovamente dai coloni, non per mezzo dei public! esattori , ma o per sé stesso , o per mezzo di esattori privati da lui a tal fine preposti *26; nel caso *25 e. 4 e. I. de agricolis, (ii, 48), ossia e. i^ C. Th. de annona (ii, i). Seguo la lezione del codice Giustinianeo , dalla quale poco si scosta quella dei codice Teodosiano. *i6 Manifestamente opposta è la regola prescritta nei due casi proposti dalla leg^- ge ; poiché nel secondo viene ordinato che l'esazione sia a carico del solitus exactor (dell'esattore pubblico) : nel primo a questa è tenuto il padrone del fondo , o per sé slesso , o per mezzo di esattori da lui designati (per exactores proprios). Falsa affatto è la lezione preferita dal Gotofredo, per actores proprios ; né falsa meno la sua maniera di costruire le parole vel per se vel per exactores proprios con 400 più raro poi , nel quale il colono possegga altrove , cioè fuori del fondo al quale è annesso , alcun tratto di terra quantunque minimo, in questo caso non ha egli a pa- gare che il tributo prediale del proprio fondo *27 (e per- ciò nessuna imposizione personale), e questo verrà esatto dove si trova il fondo proprio del colono, e dai soliti pu- blici esattori: si che l'imposizione di tali coloni ne era esatta dal padrone del fondo al quale erano annessi, ne dal me- desimo pagata al fìsco. 1 1 . Come i coloni , erano alla capitazione umana sog- getti anche gli schiavi, per la stessa ragione, perchè que- sti cioè , come quelli , erano plebei privi di possessione di stabili. Tutti gli schiavi erano perciò registrati a catasto *2 8; che se erano addetti alla campagna , venivano registrati a pie della imposizione prediale del fondo al quale apparte- nevano , e si trovavano così in una condizione simile a quella dei coloni, essendo essi pure considerati come parti agnoscant, spiegando la legge del versamento nella cassa , e non dell'esazione , alla quale l'annotata opposizione prova doversi riferii'e. Affatto inutili sarebbero inoltre le parole vel per se , etc. se le predette parole dovessero intendersi del versa- mento nella cassa ; mentre nell' opposto caso pieno e chiarissimo ne è il senso. *27 Annonariasfunctiones , i pesi cioè imposti sul reddito del fondo , la contri- buzione prediale e le prestazioni di frutti : esclusa certamente con tale espressione l'imposizione personale , la quale non poteva essere compresa sotto il nome di an- nonaria functio. Male adunque suppone Gotofredo , che ambe le parti della legge siano concette della medesima imposizione : della prediale cioè senza fallo. Tale opinione non può ammettersi , perchè la contribuzione imposta ai fondi non era peso dei coloni ; e lo fosse stato pur anche , falsa tuttavia sarebbe la spiegazione ; imperciocché nel caso che 1' imposizione prediale del fondo, al quale il colono era annesso , venisse pagata dalpadi'one, ed a lui dai coloni rimborsata, con tale o- bligazione dei coloni non avrebbe avuto che fare il caso afilitto fortuito , che il colono possedesse altrove beni proprii fuori del fondo , al quale era amiesso , e 1' imposizione di un fondo sarebbe stata del tutto da quella dell' altro indipendente. *28 C. 4 § 5 D. de censibus ( 5o , i5 ) (di Ulpiano ) : « In seri'is deferendis « ohservandum est ut et nationes eorum , et cetates , et officia , et artijìcm « specialiter deferantur. » — Lactantius, de mortibus persecutorum, cap. -lò (del censo sotto Galerio) : « ... Unusquisque cum liberis, cum servis aderant etc. w — C. 7 C, I. de donationibus (8, 53). 401 inseparabili del fondo *!ìg. Ma falso al tutto sarebbe il re- stringere volere a questi soli l'obligazione che generale era negli schiavi di pagare questa capitazione. Piena prova ne comparte uno dei molti rescritti di esenzione da questa imposizione , col quale fu concessa immunità a tutti i pit- tori, purché ingenui ossia nati liberi, per essi, per le loro mogli e figliuoli, e per gli schiavi, purché barbari di nascita *3o; onde appare che l'obligazione degli schiavi di pagare questo tributo era personale, indipendente affatto da ogni loro vincolo al fondo. — Dalla esposta universale obliga- zione degli schiavi ne segue che questi venivano considerati per sé stessi , ed erano personalmente soggetti a detta ca- pitazione , o ne fosse o non ne fosse immune il padrone o pel suo grado o come possessore. Ma d'altronde siccome essi non avevano proprie facoltà, questa obligazione per- sonale degli schiavi non era che apparente , ed il peso ri- cadeva sul padrone, ed era perciò, principalmente pei ric- chi , una specie di imposizione sul lusso. 12. Poiché venne dimostrato chi fosse regolarmente sog- getto all'imposizione personale , rimangono ad esporre le ec- cezioni onde venne tale obligazione ristretta. — Rendeva principalmente immuni alcune classi di persone la loro età, stato o professione. i.° Intorno all'esenzione per l'età eb- bero luogo le regole seguenti. Ai tempi di Ulpiano nella Siria erano immuni tutti quelli j che fossero o minori dei dodici e quattordici anni, o maggiori dei sessantacinque. Fu poscia prescritto che gli uomini ne fossero esenti fino "29 Servi censiti, censibus adscripti. C. 7 C. I. de agricolis , (11, 48); e. 3 C. Th. de re militari, (7, i), ossia e. io C. I. eod. (12, 36). — L. ^ C. Th. sine censu (11, 3). *3o L. 4 C. Th. de excusationibus artijìcum (i3, 4) •' " Picturce projessores , « si modo ingenui sunt , placuit neffue sui capitis censione , neque uxorum aut « etiam liberorum nomine tributis esse munifico» , 6t ne servos quidam barbaros « in sensuali adscriptione profiteri etc. » 402 ai vent' anni , le donzelle poi sempre , senza rispetto ad età. Venne finalmente per ambo i sessi stabilita 1' età di anni venticinque compiti *3i. — 2.° Ne erano immuni le vedove e le monache *32. — 3.** Dell'esenzione dei pit- tori ingenui , delle loro mogli , figliuoli, e schiavi stranieri già fu detto (§11). — 4'° -Di simile esenzione godevano, finché duravano nell'impiego, due sorta di impiegati fiscali, gli annonarii e gli actuarii *33. — 5.** I soldati ed i ve- terani avevano immune il proprio capo , ed era inoltre per gradi prescritto quanti anni di servizio ne liberassero ora soltanto le mogli , ora anche il padre e la madre *34« — Degli ecclesiastici all'incontro era espressamente definito, che il solo loro stato non gli esimeva dalla imposizione personale *35. i3. Altre esenzioni inguardano regioni intere. Cosi sotto Teodosio II e Valentiniano III ne fu liberata la diocesi della Tracia *36; sotto Valentiniano I ed i suoi compagni all' imperio l' Illirico *37. — ■ Più ampia è la esenzione, il *3i L. 3 D. de censibus (So, i5). — C. ^ C. Th. de censu(i3, io); e. 6 eod. *33 C. 4, 6 C. T. de censii (i3, io). *33 Vedi sopra § 5. *34 L. i8 § 29 Z). de muneribus (5o, 4) j e. 6, 7 C. Th. de tironibus (j, i3) ; /. 4 C. Th. de veteranis (7, 20). Occorrono quivi le espressioni : «uum caput ex- cusent , unum caput excuset , duo capita excusaturis etc. *35 C. II C. I. de episcopis (i, i3), ossia e. 33 C. Th. eod. (16, 2). — • C. 61 C. Th. eod. *36 C. un. C. I. de colonis Thracensibus (11, 5a) ; « Per unwersam dioece- « sim Thraciarum , sublato in perpetuum humanae capitationis nexu , iugatio « tantum terrena solvatur. Et ne Jbi'le colonis tributarice sortis absolutis , va- « candi facultas permissa videatur etc. » Qui parimente assai chiara si scorge la stretta relazione fra l'imposizione personale ed il colonato. *37 C. un. C. I. de colonis Illjricianis (11, 53); n . . . Inserviant terris non « tributario nexu , sed nomine et titulo colonorum » etc. — L'indicazione crono- logica di questa costituzione andò soggetta alle mutazioni seguenti. Le antiche edi- zioni , poco per l'ordinario diligenti in tale materia , la intitolano a Valentin. Theod. et Arcadi e mancano della sottoscrizione. Cujacio nei Commentarii (fuor di du- bio da un manoscritto) le prepone l'inscrizione: Valentin. Valens et Gratianus , e le soggiunge la sottoscrizione Gratiano A. II. et Probo Coss., cioè l'anno 371. I sogucnli editori ritemiero inavvertentcmente l'antica inscrizione, e vi aggiunsero 403 tempo della quale non è a noi noto, per cui venne ri- messa affatto alla plebe m-bana l'imposizione personale, e ristretta alla sola campagna. Già tale immunità aveva avuto luogo sotto Diocleziano; ed essendo stata rivocata da Gale- rio *38 ; fu poco dopo ristabilita da Licinio nei seguenti ter- mini *39 : « Plebs urbana , sicut in orientalibus quoque « provinciis obsewatur , minime in censibus prò capita- ci tione sua conveniatur , sed iuxta hanc iussionem no- li stram immunis habeatur : siculi etiam sub domino et « parente nostro Diocletiano seniore Augusto eadem plebs M urbana immunis fuerat. » La legge è diretta al Preside di Licia e Panfilia, province che appartenevano alla Dio- cesi Asiana ; vi si dice anzi che questa esenzione era tut- tora in vigore nelle province orientali ; onde appare che non fu universale la rivocazione della medesima sotto Ga- lerio. Sembra inoltre che e prima e poi sia stata molto estesa tale esenzione ; il che viene confermato dall' essere detta costituzione stata inserita in ambo i Codici. Ma se sia stata resa universale , o se ristretta alle sole parti di Oriente , è incerto : ma questa supposizione ha qualche fondamento in un passo della legge Salica, del quale si darà la spiegazione in fine del seguente articolo. — Da questo tempo in poi cessò dunque affatto per gli abita- tori delle città il peso dell' imposizione personale , non questa soscrizione affatto contradditoria ; abbaglio , cui trovo per la prima volta nell'edizione di Baudoza, e die è scorso anche nella recente di Spangerljerg. Go- tofredo pare che non abbia posto mente alla insciizione ed alla soscrizione di Cujacio, e nella Chronol. Cod. Theod., p. CXXXl-^I, ed. Ritter questa costituzione viene da lui collocata fra qpelle di Valent. Theod. et Arcad. , d'incerto armo. '*38 Lactantius , de mortibus persecutorum, e. 23, descrive 1' asprezza del censo sotto Galerio, e fra le altre cose soggiunge: « In civitatibus urbance ac rusdcce « plebes adunatcE. » *39 C. 2 C. Th. de censu (i3, io), ossia e. un. C. I. de capitadone civium censibus eximenda (ii, 49); nella quale nondimeno è ommessa l'ultima parte, da siculi al (ine. La parte isterica di questa costituzione fu egregiamente trattata da Gotofredo ; de' suoi errori nella spiegazione della legge verrà fra breve discorso. 404 meno per li plebei liberi che per gli schiavi ; sì che le ric- che città trassero grande vantaggio da questa innovazione. Nella legge è fatto uso dell'espressione plebs urbana; nella rubrica del titolo nel Codice Giustinianeo è detta capita- no cwium : ne può essere intesa qui la voce civis, che per ABITATORE DELLE citta' ; Onde uon ha punto che fai^e colla cittadinanza romana, la quale mai per certo non rese im- mune dall'imposizione personale *^o. Dopo questa impor- tante mutazione non era più soggetta all' imposizione per- sonale la plebe in genere , ma soltanto la plebs rusticana ; del che anche si trova chiarissimo indizio in una consti- tuzione di Diocleziano e Massimiano *4i. i4- Fu dimostrato fin qui come la voce capitatio ha due significazioni principali : designando l' imposizione pre- diale, e l'imposizione personale- Occorrono nondimeno di questa voce altre meno fi-equenti e meno importanti signifi- cazioni. Così viene chiamata capitatio animalium una im- posizione sui bestiami, della quale viene fatta menzione insieme colla capitazione umana *42» — Altrove questa *4o Della immunità dell'Italia dai tributi sarà trattato più sotto, ma nelle pro- vince i cwes non erano al certo immuni j se non , già dai tempi di Caracalla l'imposizione personale sarebbe stata ridotta ad una imposizione sugli schiavi. *4i C. I C. I. ne rusticani (ii,55): « Ne quis ex rusticana plebe , quce ex- « tra muros posila capitationem suam detulit etc. » *42 C. 6 C. Th. de collatione donatarum (n, 20) : « Exceptis his , quae in « capitatione humana atifue animalium divorsis qualicumque concessa sunt etc. » ■ — Il senso di questa difficile costituzione, per quanto riguarda la nostra materia, è il seguente. Ove siano state concesse esenzioni dai tributi, i." dovrà per lo scorso tempo, da Arcadie in poi , pagarsi il quinto del tributo prediale rimesso ; tranne la capitazione vimana e di quella degli animali ( eorum iugorum fino a concessa sunt ) ; 2.° pel futuro , ogni esenzione concessa da Teodosio I in poi sarà ri- dotta a minore somma, nel modo seguente : se essa importerà meno di 400 capita, non varrà che per la metà ; se li eccede , la concessione non varrà che per 200: e questa riduzione pel futuro si estende anche alla capitazione umana e degli ani- mali posta a registro unitamente alla imposizione prediale ( ita ut omnium — benejicium impetrabit). Ma tale restrizione non avrà luogo se il proprietario provi che I' esenzione fu concessa in riguardo alla sterilità del fondo {nisi si quis — tri- buta publica soluturtis). — La spiegazione di Gotofredo posa su di una divisione 405 voce viene usata a significare il foraggio *^3 ; nel quale senso nondimeno è più commune il vocabolo capitum o capitiis *44- i5. Al sistema da noi stabilito sì intorno all'imposizione prediale e personale , come alla significazione della voce capitatio 3 sono affatto contrarli gli scrittori moderni, par- tendo questi quasi sempre dal tacito principio, che la voce capitatio non abbia che un senso solo ; e da questa affatto arbitraria presupposizione derivano i loro errori più gravi. I più fra gli antichi glossatori , tratti dall' apparenza del nome, intesero per essa l'imposizione personale, senza por mente ai molti luoghi, nei quali manifestamente denota l'imposizione terrena. Tale errore fu scoperto da Giacomo Gotofiedo, il quale nondimeno cadde nell'errore contra- rio , non ammettendo altra capitazione che l' imposizione prediale. La sua opinione , da varii luoghi l'accolta , è la seguente ''^5. — Nei tempi antichi , e particolarmente ai tempi di Ulpiano, v'era una imposizione personale sugli uomini liberi, la quale aveva cessato affatto sotto gl'impe- ratori cristiani *46. L' imposizione prediale poi , alla quale aflatto erronea della legge ; e più falsa ancora si è quella di Heraldus , quaest. quotici, lib. /. , cap. 9, § la, il quale anzi sfigura il testo con congetture affatto prive di fondamento. *43 C. 8 C. Th. de erogatione militaris annonce (7, 4) •' « Militibus ad kal. « aug. capitatio denegetur , ex kal. aug. prcebeatur. » — C. n eod. "44 Così , per esempio , nella e. un. C. I. de annonis et capita administran- tiuin (i, 52) dove la vera lezione capita è guasta in varie maniere nei codici non meno che nelle edizioni ; così puro in molti altri luoghi. Vedi Arntzen , ad Pa- negyr. vet. , T. 1 , p. 45o. *45 /. Gothojredus , paratiti. Cod. Theod. de censu (i3, io); comment. in e. -ì et li eod; comment. in e. i5 et 33 de annona (11, i); comment. in e. 6 de collatione doiiatarum (11, 20). *46 Comm. in e. 4 C. Th. de censu (i3, io): « Plerique vero interpretum « id de tributo capitis , seu capitis censu , quod prò capite dabatur , accipiunt. « De quo est sane l. 3 ff. de censibus .... Verum cum nullum iam amplius hoc « tevo capitis , seu prò capite libero , tributum usurparetur , est omnino haec n lex , ut dieta l. 6, accipienda de capitatione et iugationepro capitibiu et iugis « seu possessionibus, » 26 406 sola ora reslava il nome di capitatio , ei^a fondata su di im allibramento generale dei fondi ; al quale oggetto ogni parte dei medesimi era estimata, con gli schiavi ed i co- loni annessivi, e dal nome di queste parti o capi della imposizione prediale nacque il falso supposto, che anche a quei tempi durasse l'imposizione personale *47« Così Go- tofredo, e con lui in sostanza concordano molti fra i mo- derni scrittori '■48. — Ma tale opinione viene in prima dimostrata affatto improbabile per argomenti economici ; poiché il provento netto di un fondo, per quanto almeno riguarda l' imposizione prediale , non è accresciuto , ma piuttosto diminuito dal maggior numero dei necessarii o- peraji : all' opposto di quello che avviene dei bestiami , i quali possono essere per sé stessi di reddito , ciò che non può avvenire degli uomini che cooperano alla coltura , dei coloni cioè e degli schiavi. Si potrebbe tentare di sfuggire detta objezione col dire che, siccome col tempo venne pre- scritto che i coloni pagassero l' imposizione personale al padrone del fondo, dal numero dei coloni era accresciuto il valore del fondo , e si doveva perciò di essi tener conto *47 Comm. in e. a eod. a Ergo capitatio est modus collationis prò iugerum seu <( capitum numero , non prò capite hominis, ut vulgo creditum , etiani Cuiacio. '< Denique terrena hcec capitatio seu iugatio Juit . . . sic tamen terrena Jiiit, ut « ratio haberetur quoque ho/iiinum et animalium, velut quce pars capitis seu « substantice et Jacultatum essenti tinde et capitatio humana . . . non quasi prò « capitibus eorum separatim capitatio vel iugatio Jieret aut prcestaretur , ve- ti rum quia in censum veniebant rejerebanturque omnia , quce possessionum , « capitum, sortiumque et iugorum cestimationi accederent. » ■*48 Hegewisch, romische Finanzen , Altona i8o4 , 8, S. 273, 276, 289; Manso , Leben Costantin's, Breslau 1817 , 8 , 5. i85. — Basse, Finanzwescn im romischen Staat , Braunschweig 1804, 8, JS. 2, S. ii5, 210 parla così am- biguo , che non è possibile asserire con certezza che segua la stessa opinione. — Nei punti principali anche Heraldus, Quaest. quotid., lib. I, cap. 8, § i5 ,• cap. 9, § 7 - i5 tiene la stessa sentenza; né so comprendere come Gotofredo lo consideri quasi ad essa contrai'io. Negli accidenti cade bensì in parecchie altre false supposizioni ; così, secondo lui, tutta l'imposizione prediale constava di due parti , delle quali una era computata dal numero dei coloni e degli schiavi {capitatio hu- mana) , l'altra dal numero del bestiame {capitatio animalium). 407 nell' estimo. Ma non è possibile che tale fosse la mente tlei Romani: imperciocché qualunque imposizione prediale non può assorbiie che una parte del reddito netto dei fondo ; che se l'imposizione personale dei coloni fosse stat;< computata come parte del reddito , l'imposizione non avreb- be potuto essere imposta che sopra una parte della ca- pitazione umaiìa dei coloni , mentre all'incontro il padrone del fondo ne doveva sborsare al fìsco tutta la somma. — Ma tale opinione viene pienamente confutata dalle seguenti proposizioni di fatto già da noi dimostrate. La capitazione umana appare essere stala carico personale dei coloni ( § 8 ), non peso proprio del padrone; e dalle numerose esenzioni dalla medesima scorgiamo evidentemente come fosse peso personale , e l' immunità dalla capitazione un favore per-^ sonale all' individuo , pel capo del quale avrebbe dovuto es- sere pagata. Viepiù chiara è la prova dedotta dalle esenzions concesse ai pittori ed ai soldati e loro attenenti ( § 1 1 , 12, la quale apertamente era diretta ad onorare le sovradettr persone , non a favorire alcun possessore di beni stabili. Decisiva affatto è poi l'osservazione , che da principio alla capitazione um.ana erano sottoposti anche i plebei nelle città , e che solo più tardi ne furono liberati , impercioc che questi non hanno rapporto alcuno con i padroni di fondi, ed a questo ultimo argomento lo stesso Gotofredo non può far fronte se non con una spiegazione sì assur- da , che sola basterebbe a dimostrare la falsità del sv.v sistema ; intexide cioè questa legge di quei plebei che pos sedevano piccoli fondi, ed ai quali dice rimessa la con tribuzione prediale ^"49. — Meno per altro, che non par rebbe a prima vista , 1' opinione di Gotofredo si scosta *49 Conim. in e. 2 C. Th. de censii (i3, io): « Ergo hiiiiis li^gis luce per- .1 spicua sentenlia est, plebcm ufbannm, si modicum Jòrle isione della differenza di questi due vocaboli è manifestamente priva di fondamento. *6o Fragm. Fatic. , § 61 , dal quale è tratta la /. i princ. D. quibus modis ususfructus amittitur (7, 4)j dove nondimeno mancano le parole da noi citate. Simili sono i §§ 269, 283, 285, 289, 298. [Così anche sembra doversi supplire la lacuna precedente le parole fundis atque mancipiis nel § 23 (vulgo 87^ degli stessi frammenti ; « Qucecumque (prò reliquis prodigorum in annonario titulo « ceterisve) Jiscalibus debitis luxu ac ne(quitia possessorum in tributariis vel « stipe ndiariis ) Jundis atque mancipiis vel in quibus(cumque corporibus sub ali- ti, elione licitanda sunt , fisco) auctore vendantur etc. » — Un altro esempio ne abbiamo nella e. 8 (inedita) C. Th. de sponsalibus (3, 8) : « Quotiens , sp(on- « so) in minori constitutw celate futurce coniugi aliqua co(nferente) in prcediis « italicis vel stipendiariis seu tributariis , int(erceden)te stipulatione donantur, u largitas perpeti Jirmitate s(ubsistat) etc. — Tbad.]. 414 come quelli soggetti a prestazioni annonarie. All' incontro da Paolo e da Ulpiano questa espressione agri vectigales viene usurpata in un senso affatto diverso , a denotare cioè le terre date in enfiteusi dai municipii *6i. Né più tro- viamo presso gli antichi giureconsulti indizio di decime o di altre simili prestazioni già in uso nelle province *63. 23. Ai tempi de' giureconsulti classici gli ordinamenti intorno alla materia tributaria erano i seguenti. Tutte ge- neralmente le terre delle province pagavano una contribu- zione prediale in denaro *63 , 1' obligazione alla quale era derivata da una specie di universale dominio del popolo romano o dell' imperatore sul terreno delle province *Q^. *6i L. I princ. D. si ager vectigalts (6, 3) ; « Agri civitatum alii vectigales « vocantur , alii non. Vectigales vocantur qui in perpetuum locantur . . . Non « vectigales sunt, qui ita colendi dantur , ut prii'atim agros nostros colendos « dare solemus. w L. i5, § 26, 27 D- de damno infecto (Sg, 1) ; /. 12, § 2 D. de publiciana in rem actione (6, 2),- /. 71, § 5, 6 D. de legatis i (3o). — Più in- certi , sì nel fatto de' termini , come anche nel diritto stesso, sono i passi allegati da Goesius p. 2o5 , 46 , 'j^- Vedi anche Trekell , deutsche Aujsatze, S. Sg. "62 Sullo stato delle imposizioni in Egitto v. fiudorjff", das Edict des Tiherius Julius Alexander, Einleit., § io, rhein. Museum fùr Philologie, zweiter lahr- gang , S. i34- — Secondo Orosius hist. I. 8, anche a' suoi tempi l'Egitto sarebbe stato soggetto alla prestazione del quinto dei frutti. Io non posso intendere questo altrimente , se non che questo quinto sei-viva quasi di norma alla imposizione pre- diale di tutto l'Egitto ; imperciocché sarebbe assurdo il dire che oltre il tributo della quinta , ossia della doppia decima dei frutti , l'Egitto pagasse ancora una imposizione non leggiera, e parimente generale, in denaro. Anche Rudorff, luogo citato , concorda che non erano pagate al tempo stesso; ma pretende che i posses- sori fossero alternativamente obligati a queste due sorta d'imposizioni. *63 Agri tributum : l. !\ ^ ^ D. de censibus (5o, i5). — La generalità di tale obligazione viene chiaramente indicata dai passi allegati di Cicerone , di Igino e di Cajo. *64 Caius, Comm. 11, § 7 : « Sed in provinciali solo placet plerisque solum « religiosum non Jleri , quia in eo solo dominium populi romani est , vel Cce- « saris : nos autem possessionem tantum et usumj'ructiim habere videmur. » Ag- genus in Frontinum p. ^6 : « nam ideo publica hoc loco eum dixisse astimo , « quod omnes etiam privati agri tributa atque vectigalia persolvant. » Questo dominio non era vero e reale , ma una ipotesi dei giureconsulti onde spiegare su quale fondamento posasse delle province l'imposizione terrena. Assai della univer- sale esattezza di tale principio mi fa duliitare il sopracitato passo di Cic. in Vcr- rem Act. II, Lib. Ili, cap. 6 , ma è dessa necessaria onde spiegare l'impossibilità 415 V ria inollre una imposizione personale *65 , dei regola- menti intorno alla quale non è fatta in questi tempi men- zione , sebbene sembri che anche 1' origine di questa ri- monti al tempo dell' assoggettamento delle province. — L' Italia all' incontro era libera del pari dall' imposizioiie prediale e dalla personale. In quanto alla imposizione pre- diale questo si deduce dai luoghi citati , nei quali 1' o- bligazione ai tributi viene indicata come distintivo carattere delle province : in quanto poi ad ambedue le contribuzioni appare sì dal ius italicum , del quale or oi^a parleremo , sì dalla espressa menzione che troviamo fatta dell' intro- duzione delle medesime in Italia. L' unico peso affine all' imposizione terrena , al quale fosse soggetta la maggior parte d' Italia , erano le prestazioni di frutti ; rispetto alle quali nondimeno l' Italia stessa si divideva in urbicaria ed annonaria, questa essendovi soggetta^ quella essendo im- mune anche da queste prestazioni. All'Italia urbicaria ap- parteneva il solo distretto di Roma , il quale era soggetto al prefetto della città, ossia una parte della Toscana e del Piceno : il resto era l'Italia annonaria '^QQ. — Questa del dominio quiritario nelle province. Dalla predelta ipotesi, contro la quale si dichiara anche Niebuhr , //. 35 1 , nacque 1' opinione , assai comune a' di nostri , che i tributi nelle province fossero una spezie di censo {canon) da pagarsi in rico- gnizione del dominio dai possessori. Ma questa spiegazione , che io aveva già ab- bracciata in altra opera [ius italicum , 5. 7 , nella parte istorico-filologica dello Abhandlungen der Academie der W^issenscliaften zu Berlin , aus den Jahren 1814- i8i5. — Vedi la seconda edizione nella Zeitschrift fur geschichtliche Rechts- wissenschaft , Band. V., S. 254), i^o" P"ò ammettersi in guisa alcuna 5 imper- ciocché le predette prestazioni erano sotto ogni aspetto veri tributi prediali , e co- me tali si pagavano allo stato. *65 Tributum capitis (5o, i5) ; /. 8 § 7 J). de censibus. V. /. 3 eod.; e suU' esistenza dell'imposizione prediale e personale a quei tempi Tertullian. Apologet., e. i3, « Sed enim agri tributo onusti viliores , Iwminum capita stipendio censa « ignobiliora. » *66 Dottamente disputa sopra tale argomento Salinasius ad Trebell. Poli. XXX. Tyrann. , cap. 23. V. anche I. Gothojredum in e. 9 C. Th. de annona (n , i). Sullo scopo di questa divisione è incerto Salmasio : a me pare indubitabile la spie- gazione da rae addotta ; imperciocché il trovai'si anche in Koma e nel suo territorio 416 regola, secondo la quale erano le province sottoposte ai tributi, e l'Italia n'era immune, andava soggetta ad alcune importanti eccezioni, molte città nelle province essendo state messe a parte del ius italicum. Il nome stesso dimo- stra come queste godevano di alcuni privilegi delle città d'Italia, i quali in tre cose consistevano principalmente: nel diritto di reggersi con proprii magistrati , nella capacità del dominio quiritario, e nella immunità dai tributi '"67. Che generalmente parlando l' immunità dai tributi facesse parte del ius italicum , si può dedurre parimente dal tro- varsi raccolti nelle Pandette sotto il titolo de censibus tutti i fi^ammenti degli antichi giureconsulti, riguardanti il ius italicum ; che anzi molti di essi fanno espressamente cenno di questa immunità *68. Ma la prova più evidente si trova nel seguente luogo di Paolo *69 : « Divus Vespasianus « Ccesarienses colonos fecit, non adiecto ut et iuris italici « essent ; sed tributum his remisit capitis. Sed Divus 7ì- M tus etìam solum immune factum interpretatus est\ » cioè: Vespasiano diede a questa città soltanto il diritto di colo- nia , senza il ius italicum , concedendogliene nondimeno una parte col condonarle l'imposizione personale : Tito poi am- pliò questo privilegio, donandola di un altro dei diritti del fatta ne' tempi posteriori menzione di prestazioni annonarie non ha che fare col tempo del quale parliamo , essendo anzi ne' tempi seguenti stata estesa a tutta l'I- talia la stessa imposizione terrena. *Grj Vedi il mio Saggio sopra il ius italicum nelle Abhandlungen der Academie der Wissenschaj'ten zu Berlin , aus deii Jahì-en i8i4 - i8i5. Ma in questo è inesatto , che 1' immunità dai tributi vi è definita come sola costituente il ius i- talicum ; onde quanto viene detto in questo luogo potrà servire a quello di cor- rezione e di supplemento. — Vedi la seconda edizione di questo saggio, emendata, nella Zeitsclirift fiiv geschichtliche Rechtswissenschaft , Band V, N. VI. *6i L. 8 princ. D. de censibus (5o, i5) ; « In Lysitania Pacenses, sed et E- « meretenses iuris italici sunt. Idem ius Valentini et Licitani habent. Barceno- « nenses quoqub ibidem immunes sukt. » — L. 8 § 5 eod. : « Divus Antoninus « Antiochenses colonos Jecit, salvis tributis. » Cioè, li fece coloni bensì, ma non coloni iuris italici. ''69 L. S ^ 6 D. de censibus. 417 ius italicum, l'immunità dall'imposizione terrena. Da que- sta legge apertamente si scorge come l'immunità da que- ste due sorta d'imposizioni formava parte del ius italicum-^ sebbene quivi non si dica che essa godesse del pieno e perfetto ius italicum, ed anzi Ulpiano ci affermi il con- trario '*70 ; poiché questa città poteva tuttora essere priva delle altre parti costituenti il medesimo diritto : la facoltà di reggersi con propri! magistrati, ed il dominio quiritario. Se poi l'esenzione delle città che godevano del ius italicum riguardasse solo i tributi propriamente detti , o si esten- desse alle prestazioni annonarie , non v' ha menzione ; sem- bra nondimeno che non fossero immuni che dai soli tri- buti, ossia godessero in questo pari diritto coli' Italia an- nonaria , non coWurbicaria. — Di simile esenzione gode- vano senza dubio anche quelle città , le quali vengono accennate sotto il nome di libercs civitates , e forse da principio molte differenze correvano rispetto alle loro esen- zioni *'7 1 ; sebbene , dopo che la materia tributaria fu ordi- nata e l'esa uniforme in tutto l'imperio, appena più possa restar dubio sulla piana loro immunità ^-ja. 24- In tale stato di cose la mutazione piiì importante in questa materia riguarda 1' Italia , la quale fu priva di sua immunità , e resa in tutto pari alle province. Di que- sta mutazione abbiamo non solo evidente indizio nelle molte costituzioni , colle quali venne ad alcune parti d' Italia con- *')o L. I § 6 eod. : « in Palestina duce fuerunt colonice , et C^sariensis, et « /Elia Capitolina, sed neutra ius italicum habet. » — Schwarz, de iure italico, § IO, trova contradizione fra questi due passi, e tenta conciliarli col supporre che il ius italicum concesso da Tito sia stato prima dei tempi di Ulpiano , forse da Severo, ritolto. Secondo la nostra spiegazione riesce inutile questa affatto arbitraria supposizione. *']! Vedi Spanheim , Orbis romani, II, io. *7a Niebuhr B. ■! , S. 352 ; Dirhsen, Versuche zur Kritik, S. i45, i48, i5o. Una prova evidente ne dà lo Scoliaste all'orazione prò Scauro (p. 54 , ed, Heiì.- rich). « Aliai civitates sunt stipcndiarice , alice liberce. » 418 cesso un ribasso dall'imposizione prediale *73 ; ma anche intorno al tempo ed al motivo di tale mutazione abbiamo chiarissimo testimonio. Nella divisione seguita fi-a Diocle- ziano ed i suoi compagni all'imperio^ l'Italia e l'Africa toccarono a Massimiano ; ed in tale occasione furono intro- dotti in Italia i tributi delle province. Questo ne attesta Vittore nel seguente notabile passo '"'^4 • " Hinc denique « parti Italice invectuni tributorum ingens malum. Nani « cum oninis eadem functione moderataque ageret , quo « exercitus atque imperator , qui semper aut ex maxima « parte aderant , ali possent , pensionibus inducta lex nova. « Quae sane illorum temporum modestia tolerabilis , in « pemiciem processit his tempestatibus. » — A schiari- mento di questo passo serviranno le osservazioni seguenti. Pars Italiae non significa qui una parte d'Italia, ma la REGIONE , il PAESE d' Italia ; e già presso gli scrittori clas- sici , come anche nei tempi posteriori , viene non rade volte fatto uso della voce partes in questa significazione : col quiale modo di dire è allatto conforme e consenta- neo l' uso della voce pars nello stesso senso *'y5. Si po- trebbe fors' anche intendere per sors , sì che denoti la *')Z e. ^ , ^ , •] , 17, e. Th. de indulgentia debitorum (ii, 28). *74 Aurelius Victor, de Ccesarìbus , cap. 89. Su questo passo vedi Manso , Geschichte des Ostgothiscen Reichs , S. 386 , il quale in molte parti combatte la mia spiegazione. Nei punti principali mi pare con essa d'accordo Salmasius, ari TreheU. Poli. XXX Tyrann. , cap. 1!^ , avvegnaché non tocchi tale materia «ho con poche parole ed alla sfuggita. [ Cosi era stato spiegato questo passo già dal Denina , Rivoluzioni d' Italia , Lib. Ili, cap. 5, in questi termini : « Massimiano « cominciò ad imporre nuovi tributi agl'Italiani, i quali non avevano fin « allora avuto altro carico , che il sostentamento delle guardie. Queste gravez/.e « diventarono tanto più intollerabili agl'Italiani, perocché, oltre all'essere privuii n nel tempo stesso delle solite contribuzioni che vi venivano di fuori, erano pro- le babihnente dalla nuova moltitudine di milizie molestati , e fu disturbata più che « mai la coltivazione delle campagne. E siccome l'Italia, perdute le sue preroga - « tive , incorse nel destino comune delle altre provincie ecc. » — Trad.]. *'j5 lusdniani sanctio pragmatica, cap. 11 : k Etiam per partes Italice obtmer e. » V. anche Ducange , v. Pars. 419 porzione che nella divisione dell' imperio toccò a Massi- miano "76 ; ma non posso accostarmi a questa interpreta- zione , perchè alla parte di Massimiano apparteneva anche l'Afìùca, della quale non è qui fatto cenno, e dove sarebbe assm-do il dire che allora solo fosse introdotta l' imposi- zione prediale ^-77. — La voce omnis si riferisce ad Italia o pars Italice-, onde pare che già fosse cessata l'immu- nità dalle prestazioni annonarie , della quale godeva \ Ita- lia, urbicaria ( § 28 ). -— Functio può significare qua- lunque sorta di tributo , ma qui non può essere intesa che delle prestazioni annonarie ; con ciò sia che , dicendosi che prima l' Italia pagava una fwictio , ma che a quel tempo vi furono per la prima volta introdotti tributa e pensio- nes ( voci che espressamente denotano contribuzioni in de- naro), la yoce fu?ictio non può a meno d'intendersi delle sole prestazioni di annona; la quale interpretazione viene confermata dalle parole seguenti , che indicano quale fosse l'uso dì essa functio , il sostentamento cioè della corte e dell' esercito. Manso all'incontro riferisce queste parole aWe pen- siones delle quali in appresso, quasi che non l'antica functio , ma le pensiones pur allora introdotte , fossero con- vertite a tale uso. Ma questa spiegazione rende oscura ed intralciata la costruzione di un luogo per se piano e chia- rissimo ; ed è più apparente che vero il fondamento storico, al quale solo appoggia il Manso questa sua interpreta- zione. Dice egli che soltanto dopo la divisione dell'imperio l'imperatore e l'esercito facevano dimora costante in Ita- lia, laddove prima si trovavano ora in questa provincia ed ora in quella, da continue guerre distratti; sì che, dice, le parole di Vittore non possono intendersi dell' antico stato d' Italia , ma sì di quello che dopo la divisione dell' *-]Ci Così Manso, a. a. O. *■)■] V. Ciccio in Fervem, Jet. Il, lib. HI. , cap. 6. (Vedi sopra nota 54). 420 imperio Ti s'introdusse. Ma ove si ponga mente al conte- sto dell' autore, si vedrà nulla ostare che queste parole si riferiscano all'antico stato d'Italia; imperciocché anche quando gli imperatori facevano guerra in lontane contrade, l'Italia non era al certo sfornila affatto di armati: l'impe- ratore poi solo accidentalmente ed a tempo, per cagione di viaggi o di guerre, veniva ad allontanarsi dalla x^esidenza sua ordinaria , l' Italia ; e senza fallo anche allora vi re- stava tanta parte della corte e degli ufTiziali dell'imperatore, da rendervi necessaria la soluzione delle solite prestazioni. — Questa nostra interpretazione sarà i-esa più evidente da una traduzione per disteso dell' intero passo di Vittore ; « Solo a questi tempi venne infine introdotto nel paese d' Italia il gravissimo male dei tributi pecunlarii. Imperciocché ove prima non era tutta Italia soggetta che ad uniformi e leggiere prestazioni , destinate al mantenimento dell'esei'- cito e dello imperatore (della corte imperiale), i quali o sempre o almeno per l' ordinario vi facevano dimora , le venne ora imposto il nuovo peso dei tributi. Tolerabili questi dapprima a cagione della moderazione che a quei tempi tuttora regnava , vennero ora condotti ad una gravezza rovinatrice. » 25. Secondo un tale probabilissimo racconto il motivo di questa mutazione non fu l'ingordigia degli imperatori , ma essa era una necessaria conseguenza della divisione dell'imperio. Finché l'Italia fece parte dello stesso imperio che le province , poteva essere da queste senza grave loro danno mantenuta: ma quando sola con l'Africa fu fatta re- gno separato e distinto , le spese necessarie per l'Italia avreb- bero dovuto essere supplite dall' Africa sola , il che ap- pena sarebbe stato possibile. Non fu invero questa divi- sione durevole, e venne fra breve riunito in un sol corpo r imperio , e poi più volte nuovamente in varii modi diviso ; ma è evidente che abolita una volta , pili non 421 era per venir restituita l' immunità dai tributi , principal- mente poiché ognora meno l'Italia veniva considerata eome la sede dell' imperio. — Naturale conseguenza di questa mutazione si fu che anche Vltalia urbicaria perde ora al certo il suo privilegio, se pure già prima non l'aveva per- duto, come pare indichi l'allegato passo di Vittore ( § 24); ed anche in questa parte d'Italia vediamo ora fatta men- zione delle prestazioni annonarie ^78, né più il nome òi! Italia annonaria corrisponde alla originale sua signifi- cazione. — Ma anche dopo tale mutazione non cessò l'immunità dai tributi nelle città che godevano del ius itali- cum nelle province ; anzi perfino il nome stesso di ius ita- licum continuò ad essere in uso , abbenchè ora improprio e più non adatto. E così dovette naturalmente avvenire ; con eiò sia che la necessità onde questa mutazione fu in- trodotta in Italia, non poteva avere pari influsso su quelle città , le quali a paragone di una intera provincia erano di si poco rilievo. Alcuni moderni scrittori, appoggiati all' autorità di alcune leggi, nelle quali viene con apparente generalità dichiarata nulla ogni esenzione dai tributi ^70, pretendono che insieme coli' Italia ancora queste perdessero loro immunità *8o. Ma a fronte di queste stanno altre costituzioni, colle quali si concedono parecchie immimità *8i ; e le accennate leggi proibitone riguardano le esenzioni estorte per via di orrezione da persone private *82, non quelle che fossero fondate sull'antico stato di cose, e con- *78 C. 3 C. Th. tributa in ipsis speciebus (ii , 2); e. t/^ C. Th. de induU gentiadebitorum {11, 28). Qucst' ultima legge è malamente spiegata da Gotofredo. *79 C. 1 C. Th. de annona (11, i);c. ao eod. V. anche e. 8 C. Th.de cen- su (i3, 10); l. 1 C. I. de immunitate (io, 25); e. 7 C. I. de annona (io, ij), *8o Spanhem, orbis romani, ex. 2, cap. io; Schwarz, de iure italico, § 12. *8i C. 2 , 4, 6 C. Th. de censu (i3, io). *82 La e. I C. Th. de annona (11, i), per esempio, parla solo delle esenzioni cancesse dallo stesso imperatore ; la e. 30 eod. delle esenzioni per rescritto ; espres- samente di (jiicllc ottenute per o&re/Jtiowff» i tit,. 12, i3 , Lib. XI C. Th. 27 422 formi al presciitlo generale delle leggi. Fra queste non v' ha dubbio che l'osse l' esenzione delle città godenti del ius italicum, la quale, senza quasi vi si ponesse mente, potè durare anche dopo quei generali divieti. E che du- rasse ne è prova invincibile il vedersene fatta menzione anche ai tempi di Giustiniano. 26. Coir accennata mutazione in Italia confina immedia- tamente r età degli imperatori cristiani , dalla quale ebbe principio la presente dissertazione. Solo adunque ci rimane di esporre fino a qual tempo ci restino indizii della durata di questa forma d'imposizioni. 27. Sotto Giustiniano nella sostanza continuava lo stesso ordine di cose che sotto i suoi predecessori, come di- mostrano alcune costituzioni di questo imperatore ''-83 , nelle quali in generale l'amministrazione della materia tributaria viene appunto descritta come nel Codice Teodosiano ; anzi eia ne è prova evidente l'essere la materia tributaria nelle Pandette e nel. Codice esposta coi frammenti degli antichi giureconsulti e colle costituzioni dei precedenti impera- tori. Ne solo, r imposizione prediale e la personale vi sono ordinate o presvipposte quali furono da noi descritte, ma anzi nelle Pandette il ius italicum viene allegato come fonte di esenzione da queste due imposizioni '•84. Che anzi potremmo con probabilità asserire , che l'immunità dai tri- buti era l' unico avanzo pratico del ius italicum : imper- ciocché l'antica libera forma di governo municipale appena certo si era potuta mantenere nello stato primiero, e la facoltà del dominio quiritario sotto Giustiniano aveva ces- sato di essere privilegio di alcune città. Concorda con questa opinione l' essere i frammenti degli antichi giure- consulti riguardanti il ius italicum raccolti sotto il titolo '83 'Cosi, per esempio, nov. 128. •*.S4 Tit. D. de censiius (5o, i5). Vedi sopra % 11. 425 de censibus , nel quale solo oramai , secondò la nostra supposizione , potevano aver luogo *d)5. 28. Sotto gli Ostrogoti s' incontra in Italia una imposi- zione sotto il nome di bina et terna , la quale viene espres- samente attribuita agli antichi ordinamenti del paese *86. Senza dubio questa fu la capitazione personale ; poiché siccome , secondo le ultime leggi ( § 4 ) j 1^ somma di questa imposizione più non si pagava da un uomo , ma a vicenda da due e da tre (mine binis ac ternis viris) , da questo speciale prescritto potè di leggiero venire all'impo- sizione stessa il nome di bina et terna *8']. Anzi in Cas- siodoro troviamo perfino indizio che i possessoii di stabili fossero immuni da questa contribuzione '"88. — Anche r imposizione prediale durò sotto gli Ostrogoti quale sotto gli ultimi imperatori, come dimostra il trovarsi in due di- versi anni presso Cassiodoro editti ai rettori delle province. *85 Schwarz y de iure italico, §§ i3, i4 preteudc che il ius italicum sotto Costantino cessasse di importare immunità dai tributi , e sotto gli altri rap- porti cessasse a' tempi di Giustiniano. Se così fosse non potrebbe spiegarsi come ne venga fatta nelle Pandette cosi frequente menzione , quasi di un diritto tuttora >a vigore. *86 Cassiod. Variar. Ili, 8 : « Pridcm libi, secundum morem veterem , exa- « ctionem binorum et ternorumfuisse delcgatam. « — fll. 20 : « Et ideo bino- mi, rum et ternorum titulos , c/uos a provincialibus exigi prisca decrevit aucto- « ritas, etc. » — VII. 21 ; « Quamvis prisca consuetudo binorum et ternorum exa- « ctionem ad te iusserit pertinere etc. » — VII. 22 .- « Quce de binis et ternis « quantitas solemniter postulatur. » — V. mia Geschichte des romischen Rechts im Mittelalter , B. 1. S. 286. *^7 Questa è già la spiegazione di Dubos monarchie Jrangaise , Lif. I, chap, 12, il quale nondimeno cade in parecchi errori. — Manso, Geschichte des Ostgo- thischen Reichs , S. 889 ci dà di questo nome un' altra spiegazione. Secondo lui per bina et terna si intende una superindiciio sti-aordinaria, la quale a' pic- coli fondi era imposta per due termini , ai fondi maggiori per tutti ti'e i termini. Non arreca il Maaso alcuna testimonianza istorica in sostegno di sua ipotesi, ne mi pare che per sé medesima abbia alcuna intema probabilità. *88 Cassiod. Variar. VII, 22 : « Sic tamen ut nec cerarium nostrum aliquid anescunt. » *io3 Vedi per esempio , e. 5 C Th. de censii (i3, io). *io4 L. 4 princ. D. de eensibus (5o, i5) . . . v. Et id agrum quod in decem « annos proximos satum erit , quot iugerum sii . . ; pralum , quod intra decem « annos proximos sectum erit , quot iugerum. » 430 babilltà l'uso cronologico delle indizioni , delle quali a lungo parleremo fi^a breve *io5: ne forse è improbabile che l' indizione avesse origine dal censo lustrale dei cittadini romani ; poiché il tempo del censo lo vediamo appunto du- plicato e triplicato nell'indizione *io6. Ma anche prima che Venisse formato un nuovo catasto, il possessore poteva ot- tenere dalla cassa fiscale un ribasso, ove provasse che senza sua colpa il fondo fosse deteriorato dal tempo dell' ultimo censo '^loy. Né questo diffalco legale fatto dalla cassa fiscale deve confondersi colle esenzioni arbitrarie , le quali non di rado l'imperatore concedeva od in favore di certe persone, o in sollievo di possessori impoveriti *i 08. 33. L' uso poi del catasto era il seguente. Per esso si conosceva il numero delle porzioni tributarie o capi in tutto l'imperio , cioè di quelle quantità di terreno , le quali erano supposte dare lo stesso provento , ed alle quali era perciò imposto il medesimo tributo. Ogni anno tributa- rio (il quale cominciava col primo settembre , e portava il nome òUndictio) si determinava la somma totale della con- tribuzione di quell'anno , e si divideva pel numero dei capi indicati dal catasto: il prodotto veniva a formare la somma che ogni capo doveva pagare in imposizione terrena. Il pa- *io5 Forse più antico' è l'uso dei periodi di anni quindici, né v' ha alcuna re- lazione fra questi e i dieci anni mentovati da Ulpiano. *io6 Potrebbesi fors' anche supporre che vi fosse una connessione immediata fra i due censi, e che il censo provinciale e quello dei cittadini venissero eseguiti nel- lo stesso tempo, ogni due censi dei cittadini omettendo una volta il censo provin- ciale. Ma prima di Augusto sarebbe impossibile il ritrovare alcun ordine uniforme nelle imposizioni nelle province ; e già sotto Augusto più non si trova alcun censo quinquemiale , che anzi e' non lo tenne che tre sole volte. Sveton. in Augusto , cap. 2j ; Monumentum Ancyranum , tah. n. *i07 L. !^ ^ \ D. de censibus (5o, i5). — V. pure e. 4 , i3 , i5 C. Th. de censitoribus (i3, ii). — Tale equo statuto distrugge l'acciisa di ingiustizia opposta da. Hegewisch, S. 292,6 da Manso, S. 189. — Che se intere possessioni fossero ab- bandonate, e cessassero cosi a loro riguai'do i tributi , si faceva luogo ad un censo straordinario anche fuori del tempo stabilito. C. 4 C 1. de censibus ( 1 1 , 58 ). *io8 Quale è quella di cui nella e. 2 C. Th. de indulgentia debitorum (n, 28). 431 gamento aveva luogo a tre termini eguali , il primo gen- najo, il primo maggio , ed il primo settembre. — In nes- sun luogo trovasi bensì per disteso descritto questo pro- cedere , quale venne da noi esposto; ma i dvie suoi punti principali sono a parte provati incontrastabilmente: primo, la somma dell' imposizione stabilita di anno in anno (in- dictio o delegatio), onde lo stesso anno tributario pren- deva il nome di indictio '" 1 09 ; secondo , l'eguaglianza per- fetta dell'imposizione che veniva pagata da ciascuna porzione 0 capo '"110. Non segue quindi perciò che stabilita la somma dell'imposizione per tutto l'imperio, questa fosse divisa precisamente pel numero dei capi ; anzi non è inve- rosimile che , divisa prima in proporzione fra le varie parti ( province diocesi o prefetture), ciascuna di queste somme vi fosse poi suddivisa pel numero dei capi. E quindi pos- sibile che la somma d' imposizione per ciascuna provincia venisse determinata secondo il suo stato particolare, e che perciò l'imposizione di un capo nelle Gallie, per esempio, fosse maggiore o minore che non in Oriente. Un passo di Eumenio sembra comprovare la verità di questa d'altronde probabile congettura *iii. *109 C. 8 C. Th, de extraordinariìs sive sordidìs munerihus (ii, i6); « Ut « indictione anniversariis vicibus eniissa , iubeamus inferri inerito pensitanda. » — C. .3 C. Th. de iiidictionibus ( 1 1 , 5 ) : « Ne per ignoranùam collatores ad « (inni prioris exeniplum ante delei;ationem missam ea cogantiir exsoh'ere , quce « postmodum indebita^ mìssa delegatione , forsitan proi>ocabit evenlus etc. » — C. i3 C. I. de annona (io, i6): « Tripertito autem omnia Jlscalia iiiferantur... « videlicet cai. ianuariis , et col. maiis , et ad Jinem indictioiiis. . . Quod si ve- « lint tripertito solvere, habeant ad dilationem totuni septembrem mensepi Jìitu- « ree indiclionis. Ante inissum X'ero, ut coni>enit , inferant in exordio cuiusque « indiclionis ; nain et hoc eius significai appellatio. « — C 18 C. Th. de an- nonis (11, 1);.. « Eius anni atque indiclionis exordio etc. m — C. 35 eod.j Cassiod. Variarum Uh. XI. ep. ^ ; lib. XII. ep. 3 (vedi sopra , nota 89). — In- torno al tre termini, vedi pure e. i5 , 16 C. Th. eod. *iio Prove non dubie ne danno due passi di Amniiauo e di Eumenio, dei quali daremo nell' articolo seguente la spiegazione. *iii Eunienii graliaruin aclio ad Constantinum, cpp. 5; « Nec tamen iiiste n queri palerai, cum et agros qui descriptifuerant habereimis, et Gallicani con- 452 34- Merita speciale attenzione l' uso che venne fatto di queste instltuzioni tributarie in denotare il tempo. E noto che nelle leggi e nei diplomi posteriori al tempo di Co- stantino frequenti volte è notata l' indizione , e che tale usanza , stata in vigore tutto il medio evo , si è in parte conservata fino a tempi assai recenti *ii2. Partendo da un anno determinato *ii3, si computava il periodo di quin- dici anni od indizioni ; ma mentre si denotava l'indizione , non veniva indicato di quale fra que' periodi si trattasse , e solo si esprimeva il numero dell'anno di ciascun periodo : l'anno medesimo , non il periodo di anni quindici , portando il nome di indictio. Se^ per esempio, si trova in un do- cumento notata la settima indizione , esso appartiene al settimo anno di alcuno di quei periodi di anni quindici, senza che venga determinato a quale *ii4. — Tutto que- sto è indubitato ; quello che segue ne è ima deduzione « sus communi formula teiieremur. » Pare quindi che la gravità dell'imposizione nella prefettura delle Gallie dilTcrissc da quella delle altre province. Ma non può dedursi prova alcuna da questo , che ( come con grande verosimiglianza suppone Gotofredo ) veniva mandata dall' imperatore una delegatio generale , la quale poi era divisa dai prefetti al pretorio in altrettante delegazioni particolari nelle pro- vince ; imperciocché tale insti tuzione poteva aver luogo anche nel caso che fosso pari in tutto 1' imperio 1' imposizione. La congettura di Gotofredo è confermata dalla e. I C. Th. de annonis (ii, i), e e. 3, 4 C. Th. de indictionihus (ii,5). — V. I. Gothofredi paratiti. C. Th. , Uh. XI, tit. 5. *ii2 Della indizione cronologica tratta in breve ma pienamente V Art de vérijìer les dates... depuis la naissance de N. Seigneur, T. /, pag. 36, ed. Paris, i8i8, 8. — V. anche /. Gothqjredi prolcgomena Cod. Theod. , p. CCf^II. ; Scaliger , de cmendatione temporum, lib. V. p. 5oi-5o6, ed. Colonice Allohrogum, 1629, _/.' *ii3 Vi ha diversi computi di indizioni, dei quali uno comincia l'anno 3i2 , gli altri il 3i3, il 3i4 od il 3i5. *ii4 Per molti secoli non fu fatto uso delle indizioni che nella esposta maniera; e solo in tempi assai recenti, cioè net secolo duodecimo, si trova talora introdotto un metodo di computo affatto arbitrario, il nome di indizione dandovisi al periodo stesso di anni quindici, e aggiungendo visi il numero di una tale indizione dalla nascita di Cristo , e l' anno della medesima ; per esempio : Indictionis LXXIX anno V. — V. Art de vériJler le dates, l. e. — Scaliger, l. e, p. 5o2, 5o3 dice che da principio indictio significasse ora un anno , ora cinque , ed ora quindici ; ma senza fondamento di sorta. 453 assai probabile^ avvegnaché manchi di prova espressa. In- dictioj come notammo (§ 33), era il nome dell'imposi- zione di un anno, ed il nome insieme dell'anno tributa- rio , il quale aveva principio col primo settembre. Da que- sta parità di denominazione da un lato nella materia tri- butaria , e nella cronologia dall' altro , viene ad essere sommamente probabile che anche i periodi cronologici di quindici anni non fossero che periodi fiscali , cioè lo spa- zio di quindici anni tributarli * 1 1 5. Toglie quasi ogni dub- bio su tale ipotesi il cominciare l' indizione cronologica , quale era in uso presso gl'imperatori d'Oriente, appunto il giorno stesso che 1' anno tributario , cioè il dì primo settembre *n6. Che se si cerchi quale instituzione tribu- taria potesse distinguere specialmente questi periodi , nes- suno ci si offre così adatto e naturale , come 1' universale l'innovamento del catasto in tutto V imperio ; della quale epoca , come importantissima e a tutti nota , poteva co- modamente farsi uso nel computo del tempo. Tanta è la probabilità di questa supposizione, che ad essa sola ap- poggiati ammettemmo, ciò che d'altronde non si potrebbe dimostrare, che appunto ogni quindici anni si rinnovas- sero 1 catasti ( §. 32 ). — La connessione delle indizioni cronologiche con la materia tributaria è tanta , e sì chia- ramente viene in varii luoghi del diritto romano indicata, che neppure nei secoli di mezzo andò affatto in dimenti- canza *ii "7. Intorno alla cagione della medesima s' incon- *ii5 Scaliger, l. e, p. 5o2 , nota che il principio delle indizioni (anno 3i2 ) cade nei quinquennali di Costantino , il quale salì all' imperio l'anno So^ ; che da questi a' suoi vicennali corrono appunto quindici anni : e pretende che quindi nascesse 1' uso di considerare tale spazio di tempo quale misura cronologica. Ma non v' ha ragione perchè appunto a questo spazio di tempo siasi annessa una tale importanza. *ii6 La coincidenza, della quale abbiamo fatto menzione nel testo, rende assai improbabile 1' opinione di Scaliger , l. e. , p. 5o3 , che solo dai tempi di Giusti- niano r indizione cronologica cominciasse a computarsi dal primo settembre. '113 i'iacentinus , summa in tres libros , tit. de indictionibus, dice che i Romani 454 trailo presso alcuni motlerm scrittori le seguenti opinioni, affatto dalla nostra diverse. Alcuni pretesero che ogni quin- dici anni si stabilisse iper l'intero quindecennio seguente la somma della contribuzione '"iiS; ma a tale ipotesi osta quanto sopra fu dimostrato (§33), che l'imposizione era Stabilita di anno in anno. Vollero altri che la norma dell' imposizione fosse tratta dalla media proporzionale del red- dito del fondo durante gli ultimi quindici anni * 1 1 9 ; ma tale supposizione non è comprovata da alcuna testimonianza isterica, anzi è contraria affatto agli esposti regolamenti : irapei-ciocchè se il reddito reale dei fondi fosse stato preso a norma della gravità del tributo , sarebbe stato inutile quel minuto registro dei campi , prati e vigne, colla de- signazione del numero dei jugeri, del numero delle viti, ecc., quale ci viene descritto da XJlpiano. 35. Anche l' imposizione personale veniva allibrata nei catasti universali ; ma a tal fine non erano destinati registri particolain , e quelli per l' imposizione prediale servivano anche per questa imposizione secondaria. Così XJlpiano, de- scrivendo la forma del censo , dice che ogni padrone do- avevano diviso i tributi in periodi di cinque anni ; che nei primi il pagamento si faceva in oro, nei seguenti in argento', e finalmente in l'ame , e cosi il tutto fra anni quindici. La Glossa al medesimo titolo ripete la stessa opinione ; alla ({uale tennero dietro molti moderni scrittori. ( H. Lincken , de indici. Iloni. , Jeiice , 1673 , cap. IV. § 4)- — ^zo , lectura in const. Stimma^ segue lo stesso parere , solo sostituendo ferrum ad ces. -^- Lucas de Pènna in e. "2 C. de annona dice che nel primo lustro pagava i tributi l'Asia, nel secondo l'Africa, nel tei-zo l'Eu- ropa. — Questa comiessionc universalmente riconosciuta fra le indizioni cronologiche e la materia tributaria diede anche origine alla antica voce tedesca romerziiiszaliL per esprimere la voce latina iHc/ictzo : vocabolo del quale troviamo, por esempio, fatto uso nel §3 dell'ordinamento pe'notaji, dell'anno i5 12. — Ai'cntii.us, Epit. annal , ed. i523, ci tradusse in tedesco alcune carte del secolo nono e del duodecimo ; e la voce indictio la rende così : der kaiserlichen stewr anlegung ( o der romer steur anlegung ) im XII Jar, ossia, nell'anno XII della imposizione tributaria imperiale, ecc. — Schilter , Glossarium, p. 4^6, ^'ii , f\Ì2. *ii3 Diibos , monarchie franqaise , liv. I. chap. 12. *ii9 Le Beau, nelle Mèmoires de VAcadémie dcs Iifsciiplivns, t. \i , p. iSq. 435 veva deferire i suoi servi, denotandone le qualità *i2o, ed ogni proprietario i suoi coloni ed inquilini , sotto pena di essere in loro vece soggetto al tributo *i2i. Questa unione di ambe le imposizioni nel formare i catasti è di- mostrata parimente da Lattanzio ( § 3 1 ) , e ne vediamo pure fatto cenno in un noto passo del Codice ''"122. Strana parrà questa unione di due imposizioni tanto fra loro diver- se , e trai-rà forse alcuno in errore sulla vera natura dell' imposizione personale, diversa affatto ed indipendente dalla imposizione terrena; e l'indurrà a credere con Gotofredo, che quella che noi chiamiamo capitazione umana non fosse altro che una parte dell'imposizione terrena. Ma svanisce ogni difficoltà ove si osservi che l' imposizione personale non era propriamente che un compimento dell' imposizione pre- diale ; poiché veniva esatta da quelli soltanto , che non erano a questa soggetti ( § 6); onde se il fisco voleva ac- certarsi che nessuno era stato ommesso nei registri tribu- tarli , non v' era altro mezzo migliore , che di fare for- mare insieme e dagli stessi censitori i registri per ambe le imposizioni, sì che ogni abitante non fornito di spe- ciale privilegio vi fosse necessariamente o per l' una o per *i2o L. 4 § 5 D. 6?e censìbus (5o, i5): « In servis deferendis observandum a. est ut et nationes eorum , et cetates , et officia , et artificia specialiter defe- « rantur. » *i2i L. 4 § 8 eod: « Si guis inquilinum , vel colonum non Jìierit professus , « vinculis censualibus tenetur. » Chiara cosa è , trattarsi quivi dei soliti coloni ed inquilini , e che l' obligazione pel proprietario non era che una instituzione diretta a sicurtà del fìsco, onde impcdu-e che non fossero obliati noi censi. Falsa è dunque l'opinione di quelli, che in questo passo pretendono trovare indizii del co- lonato, solo in tempi posteriori introdotto. *I32 C. 7 C. I. de donatioiiibus (8, 53); a Censualis quidein proj'essio domino « prceiudicare non solet. Sed si in censiim velut sua mancipia deferenti privi- ti gno tuo consensisti, donationem in eum contulisse videris. » — Schulting , ad Vip. I, 8, doppiamente s'inganna: primo, in riferire questo passo all'antico censo lustrale ; ed in secondo luogo, ravvisandovi una maniera di trasferire il dominio , mentre la legge altro non dice, se non che in tale caso è evidente la volontà di donare ; senza toccare punto della forma dell' alienazioiie, cosa lontana allatto dal soggetto. 436 r altra imposizione descritto. Come poi sorse il colonato e dilatatosi fra breve acquistò importanza grandissima , questo maggiormente confermò l'uso di registrare la capi- tazione umana del colono a piedi dell'Imposizione prediale del padrone del fondo , e da lui esigerla direttamente ( § 8). Confermata poi questa consuetudine per legge , ne nasceva un nuovo motivo di non separare queste due contribuzioni. 36. Anche riguardo alle persone soggette alla capita- zione umana molte dovevano essere le mutazioni |)riraa della rinnovazione del censo. In questo caso, se il regi- strato moriva o saliva ad uno stato che lo esimesse dall' imposizione personale, questa cessava ; quelli poi che du- rante quel tempo dalla loro età erano resi soggetti all'impo- sizione, non erano registrati se non in quanto era d'uopo onde supplire per loro mezzo a' vuoti surriferiti '^23. ARTICOLO QUARTO CONGETTURE SULLA GRAVITA* DELL'IMPOSIZIONE. Z']. Intorno alla somma delle entrate dell' imperio ro- mano troviamo presso varii moderni scrittori diverse con- getture, le quali, come non appoggiate ad alcun fonda- mento istorico, meritano poca attenzione; e le poche te- stimonianze contemporanee intorno alle rendite di alcune province nei tempi più antichi, si riferiscono più a casi passeggeri che a stabili ordinamenti *-i24. Ma intorno all' imposizione prediale sotto Costantino ed i suoi prossimi *i;l3 C. 7 C. Th. de censii (i3, io); e. 7 C. Th. de tironibus (7, i3). *I24 Diffusamente su tale proposito Z-ip^mi , de magnitudine Rom.^lib. II. cap. 3. Egli fa salire le rendite sotto Augusto a più di centocinquanta millioni di nostra moneta ; ma non so di quale moneta. Gibbon , chap. 6, dice che ascendevano da quindici a venti millioni di lire stelline. 457 successori abbiamo due passi l'uno dall'altro indipendenti, i quali fra loro comparati danno luogo a congetture assai probabili , e di tanto più importanti , in quanto era per certo r imposizione teri-ena quella che formava V entrata principale dell' imperio. Dall' uno di questi si deduce il numero dei capita o porzioni tributarie nelle Gallie ; l'altro ci addita quanto venisse pagato per ciascun capo. 38. Il primo passo si trova in un panegirico di Eurae- nio a Costantino *i25. Questo imperatore aveva conferito molti benefizii alla città degli Edui, e fra gli altri viene qui specialmente lodata una remissione fatta sull' imposi- zione prediale. Anche prima di questa remissione gli Edui non avevano onde lagnarsi di apparente ingiustizia ; imper- ciocché né era stata loro nei catasti attribuita maggiore quantità di terreno che non possedessero , ne imposto tributo maggiore di quello che importasse la gravità delle impo- sizioni per le Gallie. Pure , dice Eumenio , per essere quel territorio e per natura e per mancanza di coltivazione infruttuoso , il peso dell' ordinario tributo era intolerabi- le *i26; e su tale fondamento fu concessa la remissione, della quale tratta Eumenio in questi termini : « Septeiu « millia capitani remisisti ^la'j , quintam amplius portela « nostrorum censuum . . . Remissione ista septem millium « capitum , rigiriti quinque millibus dedisti 'vires , dedisti « opem dedisti salutem; plusque in eo consecutus es quod ^iiS Eumenii gratiaìmm actio , cap. ii, in Panegyr. vet. , edit. Arntzen , t. a^ Traiecti 1797, 4i P- 44'*- *i^6 Loc. cit , cap. 5, p. 432 (vedi sopra nota iii ); cap. 6, p. 433: « Ha- « bemus enim , ut dixi , et hominum numerum qui delati sunt , et agrorum « modum ; sed utrumque nequam , hominum segnitia , terrcsque perfidia. » *i27 Cioè , sette mila capi dell' imposizione prediale. Molti , come Dubos , monarchie frangaise , /, 2 , e Schwarz , de iure italico , § 3 , intendono la re- riljsione dell'imposizione per sette mila persone. Ma in tutto il discorso è si evi- dente trattarsi dell' imposizione prediale ( vedi la nota precedente ) , che non può u meno di intendersi di essa il luogo presente. Arntzen in questo ha colpito nel segno. 28 458 « roborasti f quam recidistiin eo quod remisistii cjuatenus « tantum tibi Jirmum certumque redditum est id , quod « irrito petebatur. Siquidem desperatio perferendi debili u etiam id , quod duri poterai , inhibebat; nec erat ratio a conandi , cum non esset spes ulla complendi. O divinam, u imperator , tuam in sananda ciyitate medicinam ! Sicut (( cegra cor por a . . . resecata aliqua sui parte sanantur, « ut imminuta vigeant, quae exaggerata torpebant: ita nosy « nimia mole depressi ^ levato onere , consurgimus. n Alcuna difficoltà nel precedente passo muovono i numeri ; imper- ciocché secondo l'interpretazione di tutti, senza eccezione, gli autori moderni , Costantino di venticinque mila capi ne rilasciò agli Edui settemila, sì che rimasero diciotto mila. Ma con questa interpretazione non concorda quel quintam amplius partem ; poiché settemila è più ancora della quarta parte di venticinque mila. I più correggono perciò quartam , lezione non confermata , per quanto ap- pare , da alcun manoscritto j onde 1' ultimo editore ripose quintam , cercando di giustificare la lezione col debole pretesto , che sette mila è difatti più di cinque mila. Ma è evidente che 1' esattezza dell' espressione esigeva che si esprimesse la somma più prossima al vero , e quindi la quarta e non la quinta ; e più ancora lo esigeva lo scopo dell'oratore, di fare in tutta la sua ampiezza palese la liberaliità di Costantino. Ma viene sciolta ogni difficoltà interpretando che da principio fossero trentadue mila lotti, i quali per indulgenza imperiale sieno stati ridotti a ven- ticinque mila ; imperciocché sette mila é appunto poco più di un quinto di trentadue mila ; onde affatto certa ne de- riva la lezione quintam. — Ma anche l' intero contesto, rende non dubia tale spiegazione. Siccome un membro infermo , dice l'oratore , può nuocere anche agli altri mem- bri ai quali è unito , ed ove si tagli , ritorna ai rimanenti il proprio naturale vigore : così l' imperatore , col rimettere 459 sette mila capi, ha reso possibile ed ha assif^urato il paga- mento del tributo degli altri venticinque mila. Chiaro è che in questa similitudine li venticinque mila capi rapre- sentano la somma giusta ed adeguata , la quale solo per V eccessivo peso degli altri sette mila non poteva soppor- tarsi , e che tolti questi era nuovamente divenuta tolera- bile. I venticinque mila capi formano adunque la somma dell' imposizione rimanente dopo l' indulto , e da principio i capi erano trentadue mila. — Gibbon ha quindi tentato di calcolare in quanti capi o porzioni tributarie fosse di- viso l'odierno regno di Francia '*i28. Secondo il suo com- puto si ha dalle notizie statistiche de' suoi tempi, che la città degli Edui conteneva cinquecento mila abitanti* 129: sì che , contandone allora secondo lui la Francia intera ventiquattro millioni , ne risulta che il territorio degli Edui è alla Francia come uno a quarantotto; proporzione com- provata anche da altre testimonianze *i3o. Ponendo adun- que come norma del numero dei capi degli Edui i venti- cinque mila capi restanti dopo la concessione di Costantmo, ne segue che il regno di Francia era diviso in un millione Jucento mila capi *i3i. 39. Quale poi fosse l'imposizione di ciascun capo lo di- *i28 Gibbori's history , chap. 17 , p. m. 92, 98, *i39 Dà egli bensì come possibili due prodotti diversi, cinquecento mila ed ot- tocento mila ; ma su buoni fondamenti preferisce il primo, *i3o Prima del Dubos , Monarchie frangaise , già la Notitia Gallice dava all'antica Gallia ( più assai che la Francia odierna ) diciasette province ; di queste la Lugdu- tiensis prima aveva tre civitates e due castra : e tra quelle era la civitas degli Edui. Questo computo condurrebbe al prodotto medesimo. *i3i Ho qui in parte seguito il metodo di Gibbon, allontanandomi nondimeuo al tutto dal suo computo. E questo erroneo nei due seguenti punti essenziali : i.** egli , come tutti gli altri moderni scrittori, dà agli Edui diciotto mila capi in vece di venticinque mila ; 1.° egli calcola i capi tributarli della Francia a cinquecento mila. Ora questo computo non regge se non sulla supposizione che gli Edui ai tempi di Gibbon contassero ottocento mila abitanti (cioè un trentesimo della po- polazione della Francia) , numero già da lui rigettato j onde si trova qui in con- tradizione con se medesimo. 440 mostra Amraiano nel seguente importantissimo passo, nel quale tratta dell'amministrazione di Giuliano nelle Gallie * iSa: « Primitus partes eas ingressus prò capitibus singuUs tri- « buti nomine vicenos quinos aureos reperii Jlagitari; di- « scedens vero septenos tantum , mimerà universa com- a plentes *i33. » Dunque nel principio della reggenza di Giuliano il capo dava ( annualmente ) venticinque aurei , ed egli fé' discendere la contribuzione a sette aiurei. Anche questo passo viene da molti interpretato dell' imposizione personale *i34; uia è impossibile che questa fosse sì enor- me , qualunque arbitraria modificazione si voglia anche imaginare onde sfuggire tale difficoltà : onde è necessario intendere questo passo del tributo prediale di ciascun capo. Si vede pertanto non meno da questo luogo che da quello di Eumenio , che ogni capo pagava la stessa imposizione, e che anzi sopra tale eguaglianza era fondato tutto que- sto sistema tributario. — Per ridurre la somma pi-e- detta a nostra moneta serviranno le osservazioni seguenti. U aureus o solidus , il quale era prima di '/45 di libra di oro fine, da Costantino in poi non fu coniato che di '/r,2 di libra. Questo peso corrisponde ad 85 grani e ^/la pari- gini *t35; e siccome il carlino francese pesa i53 grani *i32 Ammianus Marcellinus, Ub. XFJ, cap. 5, § i4; p- 128 ed. T. Gronovii, L. B. , 1693 , 4. *i33 Munera universa complentes s\gm.r\C2i che iii questa somma erano comprese tutte le imposizioni prediali di ogni sorta , ove prima forse erano ad essa ag- giunti altri pesi straordinarii , come ora alla contribuzione prediale in Francia i eentimes additionels. *i34 Per esempio V^alerius ad Ammianum, loc. cit. ; Dubos , lit>. I. chap. 12. Quest' ultimo , per dare alla cosa un'ombra di verità , dice , che finché durò la schiavitù , gli uommi liberi erano assai doviziosi , ed in istato perciò di pagare gravi imposizioni personali. *i35 Su questi dati vedi Naudet , t. II. p. 3ii, 3 12. Sono essi tratti principal- mente dalla e. un. C. Th. de oblatione votorum (7, 24), e dalla e. i3 C. Th. de susceptoribus (la, 6). — Rome de l'Islc, Metrologie, p. 136, dice die pe- sasse soli grani ottantaqualtro. I 441 e 3/5 *i36, la proporzione da quell'aureo minore al carlino è come 556 a 1000. Se poi il carlino si computi a ven- ticinque franchi cinquanta centesimi, l'aureo Costantiniano importerà quattordici franchi venti centesimi , o poco più di un ducato. Secondo questo calcolo ogni capo al princi- pio della reggenza di Giuliano pagava trecento cinquanta- cinque franchi, alla fine novantanove e quaranta cente- simi *i37. 4o. Siccome adunque secondo il fatto calcolo la Francia odierna conteneva circa un millione ducento mila capi, quella imposizione maggiore vi saliva a quattrocento ven- tisei millioni, quella minore a cento diciannove millioni ducentottanta mila franchi. — Questo computo è fon- dato sulla supposizione, che la remissione dei sette mila capi conceduta agli Edui da Costantino fosse tale, che ap- punto il giusto numero di capi vi rimanesse; che ove sia stata un semplice privilegio o gratuito, o fondato anche su circostanze loro particolari ( come apertamente addita Eu- menio), il numero dei capi in Francia dovrà essere com- putato dai trentadue mila capi, quanti prima ne contavano gli Edui. Così crescerebbero tutti i numeri di sette venti- cincpiesime; e le due predette somme ascenderebbei^o la prima a cinquecento quarantacinque millioni ducento ot- tanta mila franchi , la seconda a cento cinquantadue mil- lioni seicento settantotto mila quattrocento franchi. 4i. Il prodotto del confronto di tali somme coi tributi dei nostri tempi è il seguente. Nell'anno i8i8 la contribu- zione prediale ( contribution fondere en princìpal) ascese a cento settantadue millioni settecento tre mila fi^anchi *i38; *i36 Nelkenbrecher , 5. ji3. *i37 A rigore dovrebliero queste somme venire diminuite di alquanto ; eoa ciò •sia che a' tempi di Costantino la proporzione dell' argento all' oro era come x : 14, 2/5 {Rome de l'Iste , p. 144;; mentre a' di nostri la differenza è alquanto maggiore, cioè al presente (i8a3) a un dipresso come i • i5, 4/5. *i38 Moniteur 1818, p. 369. 442 somma maggiore alquanto di quella imposizione minore , ma dì gran lunga inferiore a quell'altra maggiore *i 89. Sorprendente è il prodotto di tale confronto ; poiché lo stato della Francia è certamente al giorno d'oggi più jflo- rido, e l'amministrazione piò regolare, che non sotto gl'im- peratori cristiani : sì che il rapporto avrebbe dovuto essere affatto contrario. — A spiegazione di tale difficoltà servi- ranno le seguenti osservazioni. Primo, altro certamente sarebbe il prodotto di questo confronto, se fosse possibile fare il calcolo delle contribuzioni di ogni sorta in ambedue le età; imperciocché pare probabile che nel romano im- perio la sola imposizione prediale importasse assai più, che tutte le altre imposizioni prese insieme : mentre all' incon- tro le contribuzioni indirette formano al giorno d'oggi una parte sì importante delle entrate degli stati. In secondo luogo, errerebbe affatto chiunque che tenesse le predette somme a norma, ancorché vaga, dell'altezza delle imposi- zioni durante tutto l'imperio dei Cesari; che anzi non v'ha dubio come, non mutata la forma delle imposizioni, esse furono spinte ad un'altezza incredibile , in guisa che sotto gli ultimi imperatori il tutto aveva l' aspetto più di una continua avania, che di un'imposizione regolare. Già ne è indizio evidente l' incredibile diminuzione da venticinque a sette sotto Giuliano (§89): diminuzione tale, che solo *i39 Diverso affalto è il prodotto di Gibbon, luogo citato. Egli fra i venticinque ed i sette aurei prende la media proporzionale , sedeci aurei , al che nulla è da opporre, e li calcola a nove lire sterline. Questi moltiplicati pei cinquecento mila capi , quanti egli ne computa , danno come totale dell' imposizione quattro mil ■ lioni e mezzo sterUni. Calcola poi le rendite della Francia a' suoi tempi a diciotto niillioni sterlini ; e ne deduce che nell' imperio Romano le imposizioni non fos- sero che di un quarto di quello che ora in Francia. Ma oltre gli errori già sopra mentovati (nota i3i), cade qui nel nuovo gravissimo errore, che nel suo con- fronto da un lato computa tutte le contribuzioni della Francia, dall'altra nell'im- perio romano la sola imposizione terrena, senza tenere conto non solo della con- tribuzione prediale , che non ammette, ma neppure delle imposizioni sui mestieri, di tulli i tributi indiretti , ecc. 443 in una stato cU cose affatto disordinato potè aver luogo. Lo stesso viene confermato dalle concordi testimonianze di Lattanzio, di Salviano e di Ammiano , i quali ci presen- tano un orribile quadro della gravezza delle imposizioni a que' tempi, e riferiscono perfino che molti per esse cad- dero affatto dei loro averi *i4o. Più preciso è l' allegato passo di Vittore, il quale espressamente dice, come fino ai tempi di Massimiano le imposizioni furono moderate e tolerabili, ma che sotto i seguenti imperatori furono con- dotte ad un' altezza rovinatrice *i4i- In terzo luogo è da considerare come questa imposizione non deve conside- rarsi quasi tutta pagata , come si farebbe in uno stato regolare. Il prodotto di tutti i tributi veniva raccolto in una massa enorme , dalla quale si prendeva quanto era necessario; ed i residui saranno forse stati talora grandis- simi , come induce a credere la folla di indulgenze dai tributi , delle quali ridonda il Codice Teodosiano. 42. Che se alcuno chiegga quale giudizio si abbia a pro- nunziare sulla esposta forma d'imposizioni; diremo essere tale, che non disconverrebbe a qualunque stato più florido e bene ordinato ; ma che , fra le mani di principi o inetti o prepotenti , riesci a massimo detrimento dell' imperio. *i4o Lactantius , de mortibus persecutorum , e. 23 (vedi sopra nota g8). Sat- vianus , de gubernatione Dei, lib. V. cap. 8, 9 (v. il saggio sopra il colonato) ; Ainmìanus lib. XVI. cap. 5. *i4i Aurelius Victor, de Ccesaribiis , cap. Sg (V. sopra § a3). 444 EPITTETO E MARCO AURELIO LO STOICISMO NEL SEGOIXDO SECOLO OELl' IMPERO Cominciò con Augusto una nuova era per la filosofìa^ • — Allorché per casi avversi diventano increscevoli le sorti a cui è forza sottostare, l'animo conturbato cerca ansiosamente rimedii , od almeno alleviamentij interior lavorìo che più o men si prolunga e ci costa, secondo che scademmo da stato più o men felice : lo paragonerei volontieri allo studio che uomo non avvezzo a coricarsi sul nudo terreno pone a sperimentare di varie giaciture, onde ammaccarsi meno le membra e diminuirsi il disagio. Tale era la situazione de' Romani stanchi di civili discordie, non ancora assuefatti al giogo. Nonostante la corruzione pressoché universale , le memorie e le abitudini della libertà avevano conservato sopra essi un segreto potere: furono avidi di passatempo e cercarono nella filosofia non altro che distrazione: studiaronla storicamente, cioè amarono meglio sapere ciò che altri avean pensato , di quello che pensare essi medesimi. Ad abbracciare vaste associazioni d'idee son richieste mentì fornite di corri- spondente capacità ; né di tal tempra erano le menti romane intese piuttosto a rimpiccolirsi: coglievano a volo , come il caso , il bisogno o la moda suggerivano frammenti isolati di questa o quella dottrina ; la rifles- sione non sceglieva , la meditazione non maturava; il capriccio adottava, difendeva, abbandonava assiomi, che 445 sniuoveano lievemente la superficie, lasciando fosco ed immobile il fondo. Augusto la cui filosofia pratica era consistita in far morire chi gli dava impaccio, e s'avea acquistato nome d' umano lasciando vivere chi gli era innocuo, incoraggi sulle prime cotesti studii ne' suoi fa- migliari, alline d^averseli intorno colti ed oziosi. Una setta fece rapidi progressi perchè offriva ai Ro- mani ciò che lor si conveniva a quell' epoca , cioè un codice di prudenza e insegnamenti di vita gioconda. Ta- luno volle scorgere nella dottrina d'Epicuro una causa efficace del tramonto della libertà : le date chiariscono ch'esso ne fu per lo contrario un effetto. 1 Romani più illustri dell' età d' Augusto si fecero per così dire vio- lenza per discendere fino all'epicureismo. Orazio ci pre- senta un curioso esempio dell'interiore contrasto a cui sotto il dispotismo, sono in balìa le menti elevate. Avea egli ceduto al destino che dominava il mondo, e da tri- buno militare di Bruto s'era cambiato in cliente di Me- cenate. Hannovi uomini temperati al bisogno di rannodar la lor condotta e specialmente le lor debolezze a idee generali : Orazio vantò la setta che giustificava la sua rassegnazione ; però querelasi che più nobili dottrine gli siano interdette: la brevità della vita è da lui mentovata quasi a conforto ed a scusa : rinunzia alla libertà pub- blica, ma tiensi tanto più cara l'indipendenza individuale, evita di far mostra di sé ; ama la ritiratezza ; si sottrae a Mecenate anche a costo di spiacergli. Ciò a che Orazio piegavasi con isforzo, altri faceanlo volonterosi : la filo- sofia d'Epicuro diventò dottrina dominante. Il vecchio usurpatore che avea fatto plauso ai progressi dell'epicureismo sintanto ch'eragli paruto opportuno ad attiepidire negli animi la ricordanza e Tamor della re- pubblica, fu spaventato scovrendo che spegneva per giunta ogni gagliardia , ingenerava sazietà , intolleranza d' ogni 446 cosa, e poneva in trono l'egoismo! volle allora adoprar mezzi repressivi: ma non è concesso agli autori della corruzione de' popoli farsene riformatori : la Provvidenza preparava ai Romani severi ammaestramenti. Tiberio , Caligola , Claudio , Nerone vennero come di ragione a cogliere i frutti delle vittorie di Cesare, della politica di Augusto : debolezza e forza , vizio e virtù , viltà e corag- gio furono colpiti indistintamente : i Romani impararono che non bastava mostrarsi sottomessi per vivere tranquilli, ned essere abbietti per venire risparmiati. La tirannide quando ricorre ad ipocrita dolcezza snerva ed avvilisce; quand'è intolleranda e feroce si fa rigorosa ed utile mae- stra del genere umano. Alla cupa crudeltà del figlio dì Livia , alla demenza del pronipote d'Augusto , all'imbe- cillità del marito d'Agrippina, alla iniquità sanguinaria e capricciosa del suo successore, Roma andò debitrice del risorgimento dello stoicismo j ne gli stoici romani si sviarono come i greci in una metafisica oscura mal su- scettiva d'applicazioni ; ma si attaccarono alla morale. Non si trattava più a que' giorni di cercare un teatro su cui far mostra delle qualità brillanti dello spirito, ma d'apparecchiare all'anima un asilo ove rifugiarsi; e un tal asilo poteva unicamente venire offerto dalla morale. Gli stoici dell'impero tirarono conseguenze sublimi da assiomi che pe' Greci antichi erano stati sofismi od ar- guzie. — A conciliare la libertà umana col fatalismo i discepoli di Zenone aveano asserito che all' uomo onde essere libero basta volere ciò che la necessità comandagli. Lo stoicismo romano pigliò le mosse da questa idea per crearsi una maniera di libertà che collocò in fondo ai cuori come in santuario: non potendo strappare l'indi- viduo alla gran catena degli avvenimenti senza spezzarla e sconvolgere le nozioni di causa e di effetto, immaginò di renderlo indipendente mercè le facoltà di sentire e di 447 pensare : così un'Ipotesi la quale era stata pe' Greci un rifugio contro prestanti obbiezioni divenlò pe' Romani un principio di forza , di sicurezza e d'eroismo. Ad ottenere dagli Dei ciò che bramiamo, insegnò Ze- none, dover noi domandare agli Dei ciò ch'essi vogliono; precetto che pare quasi un dileggio della bontà divina^ una derisione de' voti umani. Una tal sottigliezza addusse 10 stoicismo romano a determinare con quali sollecita- zioni deve l'uomo rivolgersi ai dispensatori dei destini. 11 savio, dissero, non si aspetta dagli Dei grazie este- riori, visibili , non li invoca contro gli avvenimenti, bensì contro la propria fiacchezza : implora da essi non il pos- sedimento ma il disprezzo delle ricchezze, non il pro- lungamento della vita ma il coraggio della morte. L'impossibilità di sciogliere il problema dell'origine del male indusse Io stoicismo greco ad affermare che il male non esisteva. Lo stoicismo romano diede a tal as- sioma una forma men assoluta, più feconda di risulta- menti elevati. Non esiste, disse, altro bene che la virtù: è in potere dell' uomo di scansare il male, dacché è in sua facoltà d'essere virtuoso. — Afforzati da tai teoriche Trasea scosse col suo esempio gli animi più fiacchi , Cassio Tulo affrontò così intrepido la morte , che gli riuscì di studiare le gradazioni colle quali il principio vitale va abbandonando le membra: e Seneca DOtè ri- acquistare qualche diritto ad una riverenza mista a com- passione. Fu vano che i tiranni di Roma addoppiassero violenza contro una vigoria morale che sfidava delatori e carnefici. Che se ammiriamo lo stoicismo , in tempi avversi, e sotto Principi infervorati a proscriverlo, essersi elevato a tanta dignità; spettacolo ancor più bello è vedere che in tempi che furongli propizii e sotto principi che ne fecero solenne professione abbia saputo mantenersi nel 448 seggio nobilissimo a cui era dianzi salito. Una setta di proscritta non cangiasi in dominante , non ispoglia la dignità della resistenza, l'aureola della persecuzione, senza correre pericolo di corrompersi : che se resiste alla pro- va , e n'esce onorevolmente, vuoisi proclamare che si contengono in essa semi di forza , principii di virtù , i quali valsero a farla trionfare non solamente dell'acca- nimento de' proscrittori, ma ciò che è più arduo, delle lusinghe degli adulatori, e delle seduzioni della prospe- rità. Ambizioso, tronfio, affettato, negli scritti di Seneca, di Lucano, di Persio, lo stoicismo si fa modesto, sem- plice dignitoso in bocca d'uno schiavo affrancato. Epit- teto debitore al capriccio d'un padrone scioperato della libertà della persona (quella dell'anima se l'era egli data da se) fu discepolo di Musonio, ed insegnò filosofia a Nicopoli ove morì l'an. dopo C. 117. — A difierenza de' predecessori che di virtù menavano vampo e la morte a somiglianza de' gladiatori affrontavano coraggiosamente ond'essere applauditi, e destar maraviglia, Epitteto rac- comandava la modestia, qualità pressoché sconosciuta agli antichi, ed in raccomandarla praticavala. — « Non è uopo, diceva , adornare la propria casa di tappezzerie e di quadri, bensì di temperanza e modestia , fregi che durano sempre, ne sanno invecchiare, — » Operoso a ben fare , fu sollecito che non gliene venisse retribuito merito o lode; onde che tra precetti di lui, troviamo anche questo — « se tu sai far pago il tuo corpo di poco non invanirtene ; se non bevi che acqua non van- tartene; se arai travagliare fallo in disparte; non porre studio che altri ti veda e t'approvi; e non abbracciare le statue degli Dei in pubblico. — » Rettamente consi- glia lo stoico di non cercare nell' esercizio della virtù altro premio che la interiore compiacenza d' avere vir- 449 tuosamente operato ; credo anzi che la filosofia umana non possa aggiugner più alto : ma di quanto l'avanza la filosofia del Vangelo! — « Abbi cura, dice Cristo, in fare opere di giustizia, di non darti altrui in ispettacolo per brama d'esser veduto; perchè altrimenti non conse- guirai la ricompensa del Padre mio che è ne' cieli. Che se fai elemosina non imboccare la tromba come è co- stume degli ipocriti ; ben io ti dico ch'essi ne hanno perduto il merito. La tua destra ignori ciò che fa la sinistra : statti in ombra : il Padre mio vede ciò che è ascoso, e lo rimunera in palese. — » Epitteto indica nell'uomo spettatrice e giudice la coscenza : Cristo addita all'uomo testimonio e premio Dio: Epitteto consiglia abnegazione della volontà, rinunzia ai piaceri; sterili virtù : Cristo ci comanda in beneficare i nostri simili di starci ascosi, d'esonerarli perfino dell'obbligo d'una gra- titudine ch'egli assume sovra di se; virtù operose e su- blimi. Afferma Epitteto che il vero filosofo si distingue più colle azioni che colle parole. — Sdegnatosi un tale di essere compassionato (gli orgogliosi tengono la compas- sione ad insulto) — « l'ira che ti conquide ^ dissegli Epitteto, basterebbe sol èssa a renderti degno di pietà. — » E in veggendo uom di perduti costumi frequentar la sua scuola quasi ad attignervi insegnamenti di mo- rale — « insensato ! sclamò : tu versi entro vaso impuro un divino liquore! — » L'abbiezione in che visse non esercitò veruno mal influsso sovra il suo animo, né il piegò mai ad adulare : volgevasi ai grandi con libere e forti parole. — « I grandi, lasciò scritto, stimano se in proporzione della reverenza dimostrata dai corteggiatori. Stolti! I corteggiatori provvedono al vantaggio proprio; tostochè s'accorgono che l'ossequio non è più di stagione, cambianlo in disprezzo ed ingiurie, I grandi sono trai- 450 tati a modo di cavalli nutriti e stregghiati per pavarne proronoransi al modo che i Romani rendono culto alla febbre, acciò non arrechino danno. E qual danno pos- sono arrecare ? Se massimo è toglierci la vita. Ma non dobbiam noi un dì o l'altro morire? Importa poi tanto in qual forma ciò avvenga ? — » Ad uom vano per no- biltà e ricchezze. — « Perchè fosti due volte consolo , dice, e tuo padre era senatore, e sei il favorito di Ce- sare , ti stimi più libero di tutti coloro ai quali fu ap- parentemente meno propizia la sorte: e non t'avvedi di essere collocato in pìià dipendenza che non è uno schiavo? Quel meschino è talvolta malmenato dal padrone crudele e bisbetico: ma non sei tu tormentato da altrettanti pa- droni quante sono le tue passioni? Schiavi entrambi, quello veste canape e si covre d'un lacero mantello j tu indossi lini finissimi, e lane tinte di porpora, — » La tolleranza dei dolori fu portata da Epitteto all'e- roismo. Venne ghiribizzo al suo padrone di torcergli un dì una gamba — bada , dissegli , il martoriato : che spez- zerai l'osso — e così fu. — Te 1' aveva però detto — soggiunse. Celso scrivea a S. Agostino — che cosa ha fatto Cristo di pili morendo? — Rispondeva S. Agostino — tacque. — Epitteto facea distinzione tra coraggio e temerità. — ■ M A via scoscesa e pericolosa preferisco la facile e piana. — Tanto è disdicevole gettarsi alla cieca in un rischio quanto, incontratolo, voltargli le spalle e fuggire. — Niuno seppe meglio di lui ridurre le teoriche dello stoicismo a precetti di morale pratica: s'era scelti a mo- delli Socrate, Zenone, Diogene; del primo specialmente era ammiratore , ne imitava lo stile , adoprava ne'collo- quii j a pardi lui, paragoni così famigliari e giusti che msensibiimente traeva ognuno alla propria opinione : non ponea studio a parlar né gentilmente , nò elegante- 451 mente ; ma cercava che il suo dire fosse intelligibile e convincente: dicea la filosofia consistere nella continenza e nella pazienza, racchiudendola tutta nelle due parole avs)(pu ed Kmxoit (sustine et abstine). Non cessò mai di muover guerra all'opinione ed alla fortuna. — In quanto alla prima era d'avviso che i più importanti avvenimenti così nella vita degli individui, come ne' fasti de' popoli, sien causate da riscaldi di fan- tasia. — « Cosa è l'Iliade se non il racconto di follie? Garba a Paride rapire la sposa di Menelao; garba alla Tristarella andarsene con lui: se Menelao avesse avuto il buon senso di riguardare la perdita di tal femmina come liberazione , piuttostochè come sventura , non ci avremmo ne Iliade ne Odissea. Ma perch'egli era non meno stravagante e fantastico del rimanente degli uomini, n'avvennero turbolenze,guerre, eccidii di città e di regni: questo è pur troppo 1' andamento ordinario delle cose. — » La fortuna poi era paragonata da Epitteto a donna di buon casato che si prostituisce a' schiavi. — « Chi le si ajEda è simile ad uomo che si pone a navigare im- petuoso e torbido torrente, il qual fermatosi all'imper- versar d'estiva procella non ha scaturigini, e n'è incerta la foce. La virtù somiglia invece a fonte perenne che volge pure e limpide acque alla china. — » Aveva egli rinunziato ad ogni maniera di piaceri tranne quelli dello spirito. — « Ciò che tu accordi al corpo perisce, né torna più ; ciò che dai allo spirito dura, ne mai si perde: ed ecco perchè preferisco il riposo e la contentezza dell'animo a' vantaggi che il volgo tiene in più conto. A quel modo che non amerei pericolare in naviglio per quanto fosse adorno e pieno di dovizie, cosi reputo stoltezza lo espormi per amore delle ricchezze ad essere sopraffatto da inquietudini. Uom nato in Per- sia non si crucia di non essere greco j e studiasi di vi- 452 vere felice nel suo paese : clu nacque povero perchè si lascerà tormentare dall'antbizione, ed aspirerà sì arden- temente a cangiare stato? Perchè piuttosto non curasi di viver pago della sorte in cui lo collocò la Provvidenza? Meglio è giacere in letto angusto ed essere sani, che posar su materassi di rose e patir di malattia : meglio è conservare la pace e la contentezza dello spirito in umile capanna , che sentirsi dominato da tristezza in seggio sublime. Folle chi accusa la povertà di farci sven- turati! ambizione e irrequietezza sì che ci rendono in- felici ... Se anco fossimo padroni del mondo, possederlo non ci libererebbe da terrori e da pene. La ragione sola è capace di tanto : per questo il vero filosofo la coltiva , e pago di sé, non querelasi ne della povertà, né della fortuna. — »• Lo stoicismo dXpitteto ripudiò una gran pecca dello stoicismo di Seneca ; l'apologia del suicidio ; chi leggefso questa sentenza — allorché 1' uomo si sente stanco di sopportare le ingiurie della fortuna , si conforti pensando che la porta è aperta allo scampo — potrebbe a prima giunta scorgervi un eccitamento ad escire volontaria- mente di vita tostochè ella riesce d'aggravio : ma il senso delle parole — la porta è aperta allo scampo — allude, se ben vi guardiamo entro , alla brevità della vita , ed al vicino naturale suo termine: a farcene convinti basta porre mente a queste altre sentenze del filosofo — « aspettiamo che piaccia a Dio liberarci dal furore degli oppressori; quando ce ne darà egli il segnale, an- dremo a lui.... E assurdo creder che un soldato debba, a costo di morire, custodire il posto dal capitano asse- gnatogli , ed affermare che è lecito , a piacer nostro, abbandonare il posto che Dio ci assegnò sulla terra. » Quanto poco mancò alla rassegnazione d'Epitteto ad essere cristiana! — « Convitati a mensa ospitaliera ci 455 teniamo conlenti eli quello che ci viene apposto : per- chè domandiam noi a Dio ciò che non gli piacque di darci ? — » Roma giunta al secondo secolo dell'impero offre bel campo a studiare lo stoicismo. I due estremi della so- cietà antica sono lo schiavo e l'imperatore, uno padrone di nulla al mondo, l'altro di tutto. Vedemm^Jo schiavo ora ci sta innanzi l' imperatore. Visse un principe sommesso alla ragione, a Dio che piaceri e gloria tenne in non cale, ned altro si propose che il bene. La filosofia resegli facile il conoscimento degli uomini e delle cose. Potente d'opera e di consiglio fy, propizio ai miseri , riparatore d'ogni immeritata sven- tura, natura e studio aveanlo largamente fornito di pru- denza^ d'acume, d'attività: la prudenza reselo inaccessi- bile all'adulazione, e gli consentì d'essere libero sotto la porpora : l'acume gli insegnò a parlare, a tacere, a pre- veder gli avvenimenti, a prepararvisi; e li padroneggiò mercè l'attività. Si tenne in guardia contro la prosperità ne all'avversità cedette mai altro che a patti onorevoli. Lasciò scritto — non addurrai a buon fine le cose u- mane se dimentichi i rapporti ch'esse hanno con Dio- ne le divine se sconosci i rapporti ch'esse hanno colla società. — Il suo sapere fu vasto : coltivò con piiì amore le dottrine che potevano giovar meglio all' umanità. La beneficenza, solea dire, avvicina gli uomini a Dio: chi regna secondo i dettati della giustizia ha il mondo a tempio e tutti i buoni a ministri. — Cotesto prence fu Marco Aurelio. Niun Io dipinse in foggia più viva e vera di Giuliano il critico mordace dei 29 454 Cesari. — «Cosa ti proponesti in vita? (domanda Mer- curio a Marco sceso agli inferi ) — di somigliare agli Dei — e che! (sclama Sileno) ambisti anziché di pane e vino cibarti d' ambrosia e di nettare ? — In altro io voleva emularli — in cosa? — In aver pochi bisogni e fare il maggior bene possibile. — » Hannovi epoche di prosperità e di pace che fanno facile ai principi l'esercizio delle pubbliche virtù. Marco Aurelio visse egli in una di tali epoche fortunate ? I barbari domati da Traiano , sollevatisi e tosto cal- mati dalle concessioni , e dall'oro di Adriano, dominati dall'ascendente della virtù d'Antonino, differito avendo al nuovo regno lo sfogo de' lor ripentimenti , tostochè Marco vestì la porpora, tutti s'alzarono in arme; ad oriente i Parti, ad occidente Mori e Brettoni, a mez- zodì i Bucoli , a settentrione mille tribù dal Baltico al- l'Eusino: tutti facendo impeto dalla circonferenza al centiito s'avanzarono a strignere l'Italia d'un terribile assedio. I Parti distrutto un romano esercito occupavan Siria e Cappadocia; i Mori invadevano Betica e Lusitania ; in Egitto, in Brettagna, nelle Gallie insurrezione; i Catti penetrarono nella Rezia, i Costabochi nella Focide; Mar- comanni, Quadi, Ermonduri, Cauci, Svevi, Lombardi, Vandali, Sarmati, Alani, dal Danubio all' Adriatico ir- rompevano nelle Venezie ed al loro primo urto faceano vacillare i balluardi dianzi inespugnati di Aquileia ; vio- lavan la pace, contaminavan d'orrori la guerra; quale guerra ! i Romani spaventati paragonavano alla seconda punica, ed alla cimbrica. I disperati rimedii erano mi- sura de' perigli. Il palazzo imperiale versava nelle piazze i suoi addobbi ad essere venduti all' incanto : sul Cam- pidoglio scriveansi, contro il prescritto della legge, schiavi nelle legioni : i fuorusciti della Dalmazia , i ladroni della Dardania venivano arruolati ; e in quel frangente Aridio 455 Cassio fattosi proclamare imperatore dal suoi soldati a Roma strappava l'Egitto che la nutriva , Toriente che la facea ricca ; qua guerra straniera, là guerra civile, peste dall'Eufrate all'Oceano; carestia per tutto; ed oltracciò inondazioni, incendi, terremoti : la terra pareva data in balla al genio del male. Col cuor tranquillo , colla fronte serena attignendq forza nella virtù, speranza nella religione, simile al genio del bene. Marco Aurelio ripara i disastri delle sconfitte, matura i frutti delle vittorie, incoraggisce sudditi ed al- leati, gastiga, spaventa i traditori, comprime i ribelli, comanda pace. L^ Armenia è ricuperata; i Parti s'arre- trano ; Bucoli e Brettoni fuggono ; i Mori sgombrano dalle Spagne; e le mille trìbiì della Germania e della Sarraazia vinte da Marco in persona si rintanano nelle patrie foreste , e tra le paludi natie. Centomila prigio- nieri tornano liberati dal fondo del settentrione a rive- dere l'Italia: crolla l'efimero trono di Cassio: le provin- cie ribelli , i re nemici sono infrenati : dieci campagne segnalate da grandi vittorie, che hannosi tutte a giusti- ficazione la necessità , fanno proclamare dieci volte /m- perator il trionfatore, I pubblici granai son riaperti ai bisogni de' popoli : le città distrutte risurgono piià belle, l'amministrazione s'avviva di nuova vigoria , le leggi son rispettate, la giustizia è operosa, il fìsco stesso è indul- gente : tutte le piaghe pubbliche sono tocche e sanate dal dito del principe : ha tornato in onore la religione, la virtù : il mondo respira mercè sua. . . . Muore .... e un grido universale d'angoscia lo accompagna al sepolcro. Tai furono le prove a cui Marco soggiacque; tal egli si mostrò nell'irruzione d'ogni calamità vero filosofo sul trono. Stoico come Epitteto , gli fu compagno nella pre- dilezione per Socrate ; e ben era degno Socrate di fare di sé innamorate quelle due anime grandi : l'imperatore 456 e lo schiavo erano fatti fratelli da una comunanza di ammirazione e di dottrine. — Marco non fu però ligio in tutto alle dottrine socratiche. 11 padre della greca filosofia suppone nell'universo buoni e mali genii che si fanno dimestici a' mortali secondo l'indole di ciascuno, dacché proviene la felicità degli uni , l' infelicità degli altri, conforme a' decreti della Provvidenza di cui quei genii sono ministri. Così Scipione, a dir di M. Tullio, avea concepito il sistema del mondo invisibile. Piacque a Marco Aurelio formarsene una più elevata e confor- tevole idea : riguardò l'anima come raggio della luce su- prema, a cui dee l'uomo, se vuol vivere felice, prestar servitù , cioè sgombrarle dattorno i falsi giudizii che la ingannano, e le passioni che la traviano: opinando, con Zenone l'anime essere emanazione della divinità , crede che dopo morte si ricompenetrino in essa. — Lo che ritenuto vero, dice, sta bene che gli uomini si amino, si soccorrano, si onorino reciprocamente, perocché van- tano origine e fine comuni e nobilissimi. Marco raccolse le riflessioni politiche, morali, religiose che lo spettacolo delle cose umane andavagli mano mano suggerendo in un libro che ha indirizzato a se stesso , quasi colloquio colla propria coscenza ; ed è il più bel monumento che l' antichità pagana abbia innalzato alla virtù. D'un tal libro dettato a brani come il tempo e la opportunità portavano, incolto è lo stile, senza ordine la distribuzion delle materie : 1' autore non pose mente a limarlo, non aspirava a fama letteraria, bensì a con- servarsi buono e pio, col tornare frequentemente al prò- prio pensiero, rileggendoli, i proponimenti, e le medi- tazioni ispirategli dall'amore che portava alla virtù. Diresti che di cotesto dialogo sublime tra Marco e la sua coscenza, scopo principale sia dimostrare che negli onori, nelle ricchezze, nella vita altro non albergando che 457 vanità ed illusione, l'uomo deve chinare sommesso la fronte alla Provvidenza , e chiamarsi pago della posizione in cui si trova collocato qualunque che sia. Tema e sunto del libro è questa sublime sentenza ( mmipa3, oùìt iv ànokoaxiHf où^ociMoOé ) ^ « Hai sperimentato che |nelle cose tutte in mezzo a che t'aggirasti, niuna valse a farti vivere felice, né ragionamenti, né dovizie, né fama, né pia- ceri *i. — » Il filosofo co' lumi naturali quanto non s'è accostato alla sapienza ispirata dal Salmista (vanitas va- nitatum et omnia vanitas)! Fu convinto avervi una Prov- videnza divina, ordinatrice delle cose di quaggiù: — «in tutto risplende la provvida sapienza degli Dei. — Anche gli avvenimenti che ci avvezzammo d'attribuire al caso non accadono senza una necessità di natura , o, dirò me- glio, senza un concatenamento di circostanze voluto dalla Provvidenza. — 0 l'universo è un accozzamento fortuito d' elementi eterogenei , i quai come s' unirono possono separarsi j od è un tutto assieme coordinato con preveg- genza: nella prima supposizione, perchè bramerò io di restare più a lungo in mezzo a tale amalgama impuro ? nella seconda adorerò il Sovrano ordinatore del mondo, e mi affiderò alla sua bontà. — » Nell'idea dell'onniveggenza divina, e nella voce della coscenza collocò la norma del giusto. — « Il movente delle tue azioni dev'essere nell'anima tua non nelle altrui. Alcun ti offende ? Che monta ? Dio è tuo legislatore e tuo giudice. — Hannovi uomini perversi — 'Sì ; e ti sono utili; senza di essi qual uopo ti avresti di virtù? — Hannovi ingrati. — E tu imita la natura che tutto ci dà gratuitamente. — Ma gli oltraggi ? — Avviliscono chi li *i Lib. Vili. 45a ùì , non clil lì riceve. — E la calunnia? — Ringrazia Dio che i tuoi nemici per disonorarti sieno costretti il ricorrere a menzogna. » Assegnò alla vita uno scopo sublime — « Domandai a me stesso cosa era la riputazione : una voce, risposimi, che s'eleva e muore in un angolo della terra : e gli enco- mii cortigianeschi? un tributo che la cupidigia paga al potere, e la bassezza all'orgoglio. E il potere? La peg- giore delle sventure per chi non è virtuoso. E la vita?... guardai la clepsidra ; scendeva la sabbia in sottil filo... Marco, pensai , il tempo ti fu accordato per essere utile agli uomini; gli anni s'accumulano come que' granelli d'arena; t'affretta dunque; sei collocato tra due abissi il passato, l'avvenire; un punto è a mezzo; la vita: la rendi memorabile con esser benefico, averti l'anima li- bera e disprezzare la morte. — » Fu indulgente, ben diverso in questo dagli stoici suoi predecessori. — « Allorché mi sdegno delle altrui colpe scendo in me, mi esamino se non ho alcuna cosa di simiglianle a rimproverarmi: immerso in tal ricerca sfuma la mia collera. » Alla morte volgevasi con viso sereno siccome a ter- mine di tentazioni e di guai. — - La morte ti spaventa ? Eppur morire tra' casi della vita è '1 più semplice ed ovvio; dà fine ai combattimenti; segna l'istante in cui potrai dire — finalmente la mia virtù m'appartiene; — ti libera dal più gran risico, quello di corromperti. La tua procellosa navigazione è giunta al suo termine ; ecco il lido : balzavi su arditamente. — » Educatosi a coraggioso disprezzo dell'opinione e della morte , Marco consiglia se stesso di star bene in guardia contro le passioni: — « tu le domerai, e specialmente la più gagliarda e lusinghiera, l'amore della voluttà, se t'avrai fiso in mente che la vita è una battaglia , e con- 459 viene spenderla combattendo. Fuggi il lusso perchè snerva l'anima : vivi di poco come se fossi povero : dà al sonno il minor tempo che puoi : sienti le fatiche riposo alle fatiche : se affari e studio tutte occupanti l'oreria voluttà non saprà trovar posto ad insinuarvisi. — » Vuoisi dun- que rinunziare ad ogni piacere ? No. — « Gli Dei ten- gontene in serbo di toccantissimi , alleggerire con un cenno i guai d'una provincia; far felici dugento popoli colla tua vigilanza. Or di' ! Preferiresti forse i languori della voluttà o gli spettacoli del circo? Ogni momento della tua vita ha un dovere suo proprio: all' adempi- mento d'ogni dovere sta presso una soddisfazione. » Ecco ad ultimo la preghiera con cui Marco si volge a Dio: vi traspirano 1' orgoglio dello stoicismo. La ma- gnanimità dello stoico. — « Tu non facesti i Principi ad opprimere, né i popoli ad essere oppressi: non ti domando che mi renda migliore : ho nella mia volontà i mezzi di combattere, di vincere, di perfezionarmi: ti chiedo ciò che non posso dare a me stesso, la conoscenza del vero: ti chiedo il più prezioso dei beni; un amico: ti chiedo di morire prima di cessare d'esser giusto. — » Tullio Dandolo. 460 1.ETTERA SUI. MEMDICANTISMG Chiarissimi SigJ' Estensori TI Tostro Periodico contribuisce così efTicacemente al pro- gresso sociale che mi anima a pregarvi, o cliiarissimi Esten- sori, d'inserirvi in un prossimo fascicolo questi brevi miei cenni sul Mendicantismo. — E quantunque di certo io non abbia pretesa di pubbli- care cose nuove, il che fare in Piemonte dopo quanto si scrisse, e massimamente dal sig. conte Petiti, sarebbe un assunto ben malagevole ed arduo, tuttavia mi stimola il desiderio di testificare almeno col presente articolo in qual- che guisa a chi volle ascrivermi fra il novero dei com- missarii incaricati di compilare il progetto di regolamento per una Casa di ricovei-o dei poveri della città , e provincia di Torino, come di cuore siasi da me accettato il confi- denziale ed onorifico loro mandato. Estraneo ed indipendente però questa memoria a ciò che si è dalla detta Commissione operato , e da cui si spera di ottenere un prossimo felice risultamento , e quale s'ad- dice al fervido zelo, ed alla vera filantropia dei personag- gi * I , a cui mi glorio di essere stato collega , io qui esprimo *i Marchese Colli Commissario del Governo — Presidente Cav. Aw. Pansoja — Sig. Melano — Conte di Robilant — Abbate Cav. Botto — CoiitcJCflrrzi della Trinità — Sig. Vicino Domenico Banchiere — Sig. Berlini Id. — Sig. Avmandi — Cav. Intendente Tremisi. 461 soltanto alcune idee sul pauperismo provenienti dall'intima mia particolare convinzione, senza dubbio rischiarita dai lumi attinti nelle varie conferenze seco loro tenute. — Allorché cominciasi a discutere un punto relativo al pub- blico bene, o tardi o tosto l'opinione si rettifica, e la ve- rità trionfa. Quindi a buon titolo amo credere che eziandio sul conto del pauperismo si prenderanno decisive determi- nazioni in un pajese governato da così saggi Amministra- tori, ed alle cui sorti veglia il provldo Carlo Alberto. — E ciò poi sarà tanjt© piCl facile, in quanto che in Torino la carità è insita nel cuore degli abitanti , per cui vi è forse qui un lusso di opere erette a prò dei miseri d'ogni genere Medico dei poveri, per molti aniìi, ed in molte parrocchie nella capitale , e nei villaggi dell'Astigiana , ini trovai in continuo rapporto cogli indigenti : fui in grado di bene conoscerli, e perciò con qualche personale espe- rienza mi avanzo ora di intrattenere 11 lettore sopra un oggetto stato giornaliero tema di melanconiche meditazioni. Queir ulcere profondissimo del pubblico incivilimento , quello che con voce più eloquente accusa d' insufficienza le odierne instituzioni , si è di certo il pauperismo. E fa- cile di trovarne l'origine meno nell'ineguaglianza delle for- tune, che nell'ozio, e nell'ignavia degli uomini Da molto tempo si geme di non poter cicatrizzare questa piaga così umiliante : ostacoli gravissimi si sono ognora opposti : sussistendo adunque il male , anche a rischio di ripetere cose già dette , noi pure scenderemo nell'arringo , ed ose- remo di emettere la nostra opinione. — Tutti gli enti della natura sono necessariamente attivi , e non ve ne esiste alcuno la cui instintiva energia non venga indicata dall'indole della sua costituzione. — Essere l'uomo nato pel lavoro è un assioma inconcusso : senza la- voro egli non può ne vivere , ne provvedere a verun suo bisogno. Colui che non vuole lavorare è indegno di esi- 462 stere. — Il lavoro rende l'uomo ricco della propria stima, scuote il giogo della schiavitù morale e diffonde l'indipen- denza sociale. — Questo destino dell'uomo al lavoro tro- vasi talmente inerente al suo organismo che fu in ogni tempo altamente riconosciuto , e proclamato fìnanco dai primi versiceli della biblica Genesi. Ma il lavoro deve giungere spontaneo dal cuore , e non già comandato dalla verga. — L' uomo libero colle sue braccia ottiene un prodotto assai superiore a quello di uno schiavo : poiché il primo ha il sentimento della proprietà che gli infonde energia , coraggio e foi-za , ed il secondo avvilito dal suo stato , stanco , sfiduciato ed insensibile con- sidera la tomba come l'unico suo ristoro... E se i poveri appo noi non vengono annichilati sotto il peso d'insoppor- tabile impostogli lavoro , come gli schiavi degli antichi , o delle Americhe, essi però istupidiscono per la mancanza di educazione e per l'incoraggimento all'ozio ed all' infin- gardaggine che ogni giorno ricevono da una carità male intesa, la quale gli rende a noia il personale lavoro. — E qui giova considerare che la mendicità essendo in generale il risultamento del vizio , i suoi effetti devono inu- scire dannosissimi ... I legislatori credettero di preservare la società, comminando pene contro chi vi si abbandona, e ciò in genere senza preferibilmente analizzare le cause che la determinano Queste leggi poi contro il men- dicantismo fui'ono da molti biasimate ; i ° perchè l' uomo avendo l'arbitrio di fare ciò che vuole sarebbe una viola- zione della libertà naturale il costringerlo al lavoro, e to- gliendogli simile libero arbitrio che è il primo dono fatto all' uomo dal Creatore dopo la vita, si oltraggierebbe la Provvidenza Ma noi risponderemo , questa libertà la quale coU'atto del mendicare concede all'uomo di starsene ozioso , non permette forse anche agli altri il diritto di difendere le loro proprietà , e di gu^rautirsene il possesso 465 contro 1 percllglorni che le assaliscono, le invidiano, e le ofFendono? 2." abbisogna così poco per la misera esistenza del povero che sai^ebbe una baibarie il rifiutarglielo rispondiamo che ciò appunto stabilisce un argomento di più per obbligarlo al lavoro ; — 3.° non godendo il povero i benefizi! della società, non è tenuto a lavorare per essa rispondiamo, essere questo un vero errore; non è forse il questuante vestito, nutrito e ricoverato sano ed infermo? la Religione non è forse ancor più benigna a suo riguardo? e non si è forse sotto la maschera di una finta divozione che egli sovente carpisce soccorsi dalle anime pie e caritatevoli ? Le cause produttrici e fomentatrici della mendicità sono molte e varie ; noi non parleremo di quelle che potrebbero dipendere dai meccanismi governativi , dalle inesecuzioni delle leggi , o dalla tolleranza di permettere ai poveri di Stazionare sulle piazze, alle porte dei tempii, sui ponti, sui trivii i più frequentati del popolo: specie di prote- zione che s'interpreta per un incoraggimento all' ozio. — Tutte queste circostanze ci somministrerebbero ampia ma- teria a discorrere : ma ci stringeremo ad osservare che padri poveri educano la loro prole nel vergognoso mestiere del questuare , questi figli cresciuti nel fango e nel vizio, inscii di qualunque siasi menoma traccia di moralità, e di religione si abbandonano poi alla crapola, e ad igno- miniose passioni, quindi popolano gli ospedali ed infine le carceri. — Per le quali cose a malgrado delle caritatevoli instituzioni ora così diffuse , il mendicantismo aumenta ogni giorno, e sembra che di mano in mano si moltiplicano i soccorsi puramente di carità , il numero dei questuanti tro- visi pure in pari ragione accresciuto. — Simile risultamento non devcsi forse ripetere dall'indolenza, dall'inedia, dall' apatia che soccorsi di tal genere mantengono nell' infima classe del popolo, il quale senza lavorare rinviene il mezzo 464 tli una facile esistenza ? Buone inistituzioni atluiique appog- giate sul lavoro sarebbero assai più proficue che un gran numero di elemosiniere associazioni sopra le quali il povero si lusinga La ninna previdenza del futuro è senza dubbio un grave male del coi^po sociale che bisogna togliere , sostituendovi l'economia ; l'educazione , l'insegnamento ele- mentare, l'amore del lavoro potranno soltanto produrre questo cangiamento. Il mendicantismo non sarà mai eco- nomo ; il povero che riceve oggi una generosa elemosina, corre a godersela, ignorandone il valore e calcolando so- pra quella dell'indomani : all' opposto l'uomo provvido co- nosce il prezzo del lavoro e cerca di custodire il frutto delle sue fatiche. Si consultino i movimenti degli ospedali, si riconoscerà che certi convalescenti prolungano quanto sanno e possono le apparenze del morbo che gli dispensa dal pensare al modo di vivere massime nell'inverno : alcuni simulando reumi [soffrono vescicanti e scarificazioni senza gettare un gemito , e col tristo compenso di patimenti, e di sangue comprano un pane che potrebbero agevolmente guadagnare colle proprie braccia Ciò che si disse de- gli ospedali, si applichi pure ai soccorsi distribuiti dalle beneficenze , le quali circuite ed ingannate anche da furbi cavalieri d'industria assistono soventi volte meno l'infortu- nio ed il bisogno, che la pigrizia e l'ozio. — I questuanti poi di professione non contenti di togliere anzi diremo di rubare al povero infelice degno di sussidio le elemosine di opere pie , s'introducono nelle case , e colla importunità ed insistenza delle loro lagnanze , estorquiscono dal citta- dino un tributo che vanno quindi alla sera consmnare in succide, e stomachevoli bettole. — Se dunque gli stabilimenti di beneficenza di certo al sommo commendevoli mancano al prefissosi loro scopo , sostenendo cento viziosi per cinque veri ed onesti poveri, che cosa si dovrà dire di quelle elemosine che si porgono 465 ad mano a mano alle porte delle chiese, o sulle pubbliche vie? esse secondo noi sono corruttrici, e fomentano il vizio invece di emendarlo. — Diasi al popolo lavoro, e mezzi di lavorare : ecco laverà, ecco la sola carità da cui dipendono la quiete , i buoni costumi, la forza e la ricchezza delle nazioni L'obolo che si getta nelle contrade al povero, sparge il più squal- lido aspetto all'esteriore delle città comunque maestose e belle Ed infatti quale spettacolo più ributtante di quello d'incontrarsi in una turba di cenciosi affollata alla porta di qualche benefico cittadino, il quale ad un'ora fissa di- stribuisce le sue elemosine Essi oziosi stazionano du- rante molte ore sfoggiando le loro finte o vere ulceri con tutto il corredo della sporcizia , e della impudenza.... Al- tercano per preminenza di miseria ed offendono i sensi del passeggiero colle sfrenate ed invereconde loro sfac- ciatagini , e non di rado questi luridi volti aizzati da basse contumelie si animano alle baruffe , e così nell' accidia , nella crapola, e nei litigii scialacquano un tempo prezioso che altrimenti impiegato, gli avrebbe permesso di guada- gnare molto più della magra minestra che alla fine loro viene elargita, come a tanti cani ma i veri, ma gli onorati indigenti non si trovano in simili obbrobriose reunioni: essi gemono negli agghiacciati soffitti od m umidi soppalchi sospirando , ed attendendo una amica mano che loro rechi qualche commissione di lavoro: e se la dura necessità gli sforza finalmente a chiedere , nascondono il più che ponno e nome e famiglia A questa dasse di sventm'ati con giustizia potranno ognora soccorrere i sussidii dati con intelligenza a domicilio , le corporazioni dei varii mestieri, le casse di risparmio, e le altre ana- loghe instituzioni. Quanto abbiamo sinora laconicamente espresso sembre- rebbe dimostrare l' estinzione della mendicità essere un 466 problema non così facile a risolvere. — Qualunque siano le leggi , le instituzioni, ed i costumi , esisteranno sempre sciagurati i quali conculcheranno i buoni principii per ingolfarsi nel vizio e nel delitto , protervi e renitenti ad ogni coercitiva e saggia disciplina. — Perciò noi non passeremo in rassegna molte disposizioni di municipali po- lizie tendenti a svellere il pauperismo , tanto piiì che esse nella loro applicazione non soddisfarebbero poi intieramente alle mire del legislatore : ma ci rallegriamo di scorgere da qualche tempo introdotti in Torino, ed in altre loca- lità del Piemonte gli asili dell'infanzia,...*!. Angelica in- stituzione che non poteva inspirarsi se non che da ange- lici cuori Onore alla nobil Donna di Barolo la quale prima in Torino, aprì nel proprio palazzo una così van- taggiosa scuola, intorno alla quale scrisse il Pellico im'ode delle più dolci e commoventi, ed in armonia alla tenera e sensitiva sua bell'anima. — Ricapitolando ora il fin qui detto, sosteniamo che gli individui senza educazione, ed i mendicanti sono due fla- gelli i quali a vicenda tra di loro si i igenerano. — I primi producono i secondi , che quindi rinnovano i primi, e così eternizzano il mendicantismo. — Simile causa non essendo slnora stata tolta, fa sì che i questuanti ogni giorno vieppiù ripullulano. — Il i-imedio, lo ripetiamo, sta soltanto nel lavoro, e nell' offrirne facili i mezzi, e perciò il progetto di estinzione del pauperismo deve consistere nell'agevolare al povero il modo, l'opportunità, e l'attitudine di occuparsi. * — Lo stabilimento di pubblici laboratoi dotati di buone discipline sarebbe secondo noi il mezzo migliore. — Tali laboratoi dovrebbero avere sale nelle quali fosse libero lo ingresso, e disti-ibuite in guisa che ogni artiere od ope- raio si trovasse in grado di occuparsi , ed ove mediante *i P. e. Rivarolo nel Canavcsc. 467 una tenue retribuzione coloro che lavorano a fatture y e che sono privi d'instrumenti , di utensili, di agii, di fuoco, di lume potessero rinvenire tutto 1' occorrente con pron- tezza, e senza fede d'indigenza, mentre la brama di lavo- rare è una commendatizia non bisognevole di certificati. Noi non pretendiamo qui di suggerire tutte le speciali misure d'interna amministrazione che di leggieri si riesci- rebbe a formulare appena che in massima ne fosse inteso lo stabilimento , ed aperto questo a qualunque siasi per- sona disposta a non marcire nell'ignavia. — L' amministrazione sarebbe tutta paterna , il suo scopo tendendo a promovere ogni individuo a procurarsi i mezzi di sussistenza ; essa offrirebbe lavoro ad ogni età e condi- zione, ritenendo sopra il guadagno dei l'inchiusi una mo- dica parte del prodotto onde sopperire alle spese della casa. I laboratoi per le donne tornerebbero ancora più utili alla società, non ignorandosi quanto sia piccolo il lucro di una operaia , madre di numerosa prole e priva nell'inverno di fuoco e di lume, e per cui inesperte zitelle si abban- donano poi al vizio ed alla depravazione. — Nei proposti laboratoi troverebbero un ospitale ricovero i convalescenti appena usciti dal nosocomio , lo straniero lontano dalla nativa sua capanna, ed infine tutti gl'infelici a cui la sorte tolse il mezzo di procacciarsi personalmente il giornaliero vitto. — Nel delineare simile progetto, noi non ignoriamo che no)i si potrebbe giammai giungere alla meta, senza la di- menticanza di alcune opinioni, e di certi pregiudizii, e senza 1' aiuto di cittadini potenti per influenza e per ric- chezze e ciò ben inteso dopo la suprema assistenza che devesi implorare dall'illuminato nostro Governo. Però speriamo nella convinzione del Pubblico, il quale j riconoscerà una volta che le elemosine date per istrada, ed il gran numero di ospizii sono altrettanti fomiti, o se- 468 menzal del mendicantismo : imperciocché producono l' in- dolenza e la poltroneria, .... all' incontro il lavoro genera r energia , 1' abbondanza e la salute , ed in ultima analisi solleva i nosocomii, diminuendo il numero degli infermi, i quali sarebbero poi meglio assistiti. — D'altronde i pub- blici laboratoi , creerebbero eziandio una maggiore positiva ricchezza nazionale, emancipandoci da molti oggetti di con- sumazione che ora con grandi spese importiamo dall'estero. Ogni cittadino dovrebbe desiderare questa riforma, ed i ricchi più esposti all'invidia dei poveri, e meglio istrutti, dovrebbero conoscere l'importanza del lavoro , ed il prezzo dell' educazione , benefizii questi che rimpiazzerebbero fe- licemente quella fastosa elemosina umiliante e per chi la riceve, e per chi la pox-ge. — Dalla proposta primaria educazione nascerebbe mi^abitudine di ordine e di ecano- mia la quale forma la miglior guarentigia coutio la solita non curanza dell' avvenire propria dell' operaio ignaro di che cosa siano i risparmii s'incoraggirebbe esso a di- venire proprietario, e cosi si diminuirebbero i delitti che per lo pili ed in generale si commettono dai nullatenenti. Ecco un' ipotesi del modo con cui si potrebbe orga- nizzare il servizio ideato dal signor Manslon. LABORATOIO PUBBLICO Sale pubbliche per gli Operai locatarii. — Queste sale riceveranno chiunque lavora a suo conto , e che per man- canza di sito , o di mezzi se ne sta neghittoso C^g'^i piazza sarebbe affittata ad un tenue prezzo da stabilirsi. Sale riservate per gli Operai gioì'nalieri. — Queste sale sarebbero destinate agli artieri senza lavoro, i quali s'in- dirizzerebbero al pubblico laboratoio, come lo farebbero alle botteghe , ed alle manifatture : troverebbero qui uten- sili, istrumenti, ed i materiali necessari! per lo stato o 469 mestiere che professano. La mercede si regolerebbe sul prezzo corrente. Sale preparatorie. — Accoglierebbero gli Operai con- valescenti lisciti dagli ospedali, — il lavoro sarebbe leg- giero, e quale conviene alla fralezza delle loro forze, e per lo più adattato alle antecedenti loro occupazioni. Sale d* instruzione. — Esse si aprirebbero ai ragazzi , ed alle ragazze capaci d'imparare un'arte, come pure alle persone deboli, desiderose d'instruirsi in qualche mestiere. Sale di educazione. — Ivi si porgerebbero i primi ele- menti di religione e d'instruzione ; e sarebbero quali asili d' infanzia. Da queste diverse sale poste in attività ne risulterebbero principalmente i seguenti benefizii: i.o Di dare ad ogni cittadino la elementare instruzione indispensabile a chiunque brama di conoscere i suoi diritti, e di adempiere i suoi doveri. 2.0 Di offrire un mezzo facile a chiunque di procurarsi lavoi-o quando ne ha bisogno, per antevenire la miseria conducente al mendicantismo , oppure di abilitarlo ad im- parare un mestiere. \i 3.° Di fissare un domicilio allo sventurato, toellendolo dall'isolamento che non di rado lo precipita nella vita va- gabonda. 4.° Di procurare ai vecchi un mediocre ben essere, e di contribuire al reingresso nella famiglia sociale a quei traviati che scontarono le loro pene nelle carceri. 5.° Di sollevare gli ospedali, e di assicurare ai convale- scenti un piccolo lavoro appropriato alle indebolite loro forze. 6." Di condurre a gradi l' uomo , dall' infanzia sino alla vecchiaia, sopra una via onorevole, ed in tal guisa pro- muovere la quiete interna del paese , la sicurezza , e l'a- giatezza individuale. D. De-Rolandis. 3o 470 RKISTl CRIflM ÉTìIDES SUE L'ECOMOi^IE P0LIT5QUE PAR I. C. L. SIMOjSDE DE SISMOJXDl Art. 2." (i). Daiis l'economie politique il y a ricn d'ab&olu ni d'esclusif Say. Il signor Sismondi dopo di avere in questi suoi Studi rap- presentati con colori forse troppo caricati gl'inconvenienti della odierna moltiplicazione delle macchine, delle grandi manifatture e dei grandi stabilimenti agricoli , parve attribuire a questi incrementi della umana industria i mali del pauperismo , e quelle sproporzioni che tuttavia s' incontrano nelle varie classi della società. In questa disposizione di spirito il Sismondi lamentò i fu- nesti effetti di uno sfrenato aumento di produzione che non sia sempre proporzionato ai bisogni ed alle ricerche del con- sumatore , e volle cercare dove e come potesse esservi una giusta bilancia tra la produzione e la consumazione. Investigò parimenti cosa fosse la rendita sociale, e dimostrò non essere (i) Vedi l'Art. I. nel fascicolo di maggio, pat;. io5. 471 altro in sostanza , che quel fondo di riccliezza nazionale , che realmente viene a diffondersi fra un numero maggiore di cit- tadini. In tutte queste meditazioni il Sismondi permise talvolta che il sentimento di commiserazione verso i suoi simili vincesse la severità del suo giudizio , e perciò scrivendo sotto l' influenza degli abusi e delle crisi recenti che sciauratamente accompa^» gnarono gl'impulsi straordinarii dell'industria, e le più larghe dottrine degli economisti , parve sgomentarsi delle ultime loro conseguenze, e sembrò desiderare ordinamenti repressivi alla libera concorrenza ed all' illimitato aumento della produzione. Quindi non giudicò essere sufficiente la lotta spontanea degli interessi individuali , ed il libero universale concorso de' pro- prietarii, degli artisti, e de' speculatori nell'esercizio dell'agri- coltura e dell'industria, per ottenere una eguale distribuzione della ricchezza sociale; ma per tal uopo credette necessaria la vigilanza delle leggi e l'azione moderatrice dei governi. Nelle quali opinioni a noi parve, che il Sismondi non mostrasse più come per lo passato tanta confidenza nell' avvenire , e che la sua sensibilità per le miserie delle classi -lavoratrici lo abbia qualche volta tratto a querele troppo esagerate ed a partiti troppo severi. Ma se questo rimprovero può forse sembrar meritato , allor- ché il Sismondi magnitica gì' inconvenienti delle macchine, e dei grandi stabilimenti industriali , e quando cosi vorrebbe trovare limiti all' industria umana , ed arrestare 1' aumento della produzione; certamente poi non lo è più quando si ri- volge colla stessa sua sensibilità a compiangere i patimenti di quelle stesse classi povere e lavoratrici. In questi casi il Sis- mondi riconquista tutto il suffragio anche de' più rigidi pensa- tori, come sei rimerita tutto quando richiama l'attenzione e la protezione de' governi sopra queste classi , e particolarmente sopra quella più numerosa di tutte, la coltivatrice delle terre. Egli è adunque dell'agricoltura che più specialmente va ad occuparsi questa seconda parte degli Studj del Sismondi, a vece che la prima, di cui si è ragionato nel precedente articolo, versava più direttamente suU' industria. I 472 Sotto questo rappòrto pertanto dell'agricoltura , onde giun- gere eoa maggior sicurezza allo scopo di migliorare la condi- zione della classe coltivatrice , il Sismondi si fa a ricercare quale dovrebbe essere la distribuzione della riocbezza territoriale più atta a procacciare un maggior ben essere alla società. Egli è facile comprendere , che in una tale disquisizione si vogliono anzi tutto egualmente allontanare e le opinioni affatto esclusive e le predilezioni che si possono avere sopra li due sistemi, mercantile, cioè, e dell'agricoltura, ossia, come alcuni lo chiamano, dei fisiocrati. Nel consigliare questa ritenutezza per evitare del pari gli estremi opposti , noi non intendiamo per certo di ricusare al sistema dell' agricoltura quella preferenza che generalmente gli viene accordata. Crediamo anzi che questo sistema meriti, ec- cettuata qualche contrada, siffatta preferenza non solamente per essere il sistema coevo dell'umanità, ma bensì per esser quello che si occupa dei prodotti indispensabili alla sussistenza^ che provvede ad un maggior numero d'individui e di famiglie, e che mantiene più costantemente negli uni, e nelle altre la forza, e la morigeratezza procurando un lavoro più sano e se- reno. Per la qual cosa pensiamo pur anche che non debba a tutti gradire la definizione che il sig. Say dona all'agricoltura , chiamandola una manifattura di prodotti rurali-^ cosa che po- trebbe lasciar dubitare che l'agricoltura non fosse che uno sta- bilimento destinato ad ottenere pel solo proprietario un bene- ficio maggiore con una spesa eguale , oppure un egual benefì- cio con una spesa minore. Ed in vero se si dovesse stare a questa interpretazione si dovrebbe credere, che tutto il vantag- gio dell'agricoltura venisse unicamente misurato dal guadagno che vi fa colui che la esercita , comunque poi questo guadagno venisse procacciato. Facessesi egli sopra il consumatore o col vendergli una maggior quantità di derrate, oppure vendendo- gliene meno , ma a maggior prezzo ; facessesi sopra i collabo- ratori ed operai dell'agricoltore stesso, o col trovare un mezzo di coltivazione indipendente dal loro lavoro, o servendosi del loro lavoro con una minor mercede , ciò sarebbe sempre tutt' uno. Epperò così essendo, in vece che 1' agricoltura dovrebbe % 475 per se stessa dare un benefìzio nazionale , ampio e costante , essa non farebbe altro , che procurare a pochi individui un guadagno immediato e particolare , un guadagno che potrebbe egualmente risultare da due calamità sociali , vale a dire , o dalla carezza dei viveri , o dalla miseria degli operai. Ma se da queste incongruenze appare che l'agricoltura non vuol essere semplicemente considerata come una manufattura , essa però deve tenersi in tanto maggior pregio, quanto più si pon mente che il primo suo elemento , il capitale suo mag- giore , la terra , non è già un dono della mano , o dell' in- telligenza dell' uomo , ma bensì un beneficio della natura im- parziale dispensiera de' favori suoi a tutti gli umani. Egli è dunque ben giustamente , che 1' economia politica ravvisa nell'agricoltura la prima, e principale sorgente de' beni sociali, sìa perchè da essa la società ricava in sostanza la pro- pria sussistenza, sia perchè la maggior parte della popolazione di cui questa scienza deve prima d' ogni altra cosa occuparsi , si trova esser quella in un paese ben governato, che consacra il suo lavoro alla terra , e che dalla terra riceve la sua ricompensa. Lasciando ora questa digressione per rientrare nelle altre quistioni trattate dal Sismondi sotto l'immediato rapporto dell' agricoltura , osserveremo ancora di passaggio che quella parte dell' economia politica che ne tratta più specialmente, ella è tanto più importante quanto più si manifesta chimerica l'utopia della comunanza de' beni, che se forse ha potuto verificarsi presso qualche popolo selvaggio , essa però sarebbe sempre im- praticabile nello stato delle presenti società *i. *i Fu già osservato come quelle stesse ragioni , colle quali i San Sinionisti con- dannano il diritto di proprietà , possano servii'e per difenderlo. Odasi a questo pro- posito il segtiente ragionamento di Mario Pagano. — « Egli è vero, che la na- » tura diede agli uomini tutti di possedere la terra. Ma si non la diede loro , » che in comune posseduta l'avessero , ma bene acciocché tra tutti venisse divisa. » Avvegnaché l'oggotto della natura non si possa ben conseguire che per la divisione « della terra. I naturali prodotti o non bastano al nutrimento degli uomini di già » accresciuti, ovvero non possouo alla piacevole sua esistenza servire. Egli fa d'uopo » che i sudori dell'uomo fecondino l'aridità della terra. Ora che addiven-ebbe mai » se rimanesse comune ? L'ozioso si approprierebhe il prodotto dell'altrui lavoro : n ciò che è la massima iii^iustiràa. » 474 Venendo perciò alle quistioni relative airìnfluenza sociale dell* agricoltura , il primo riflesso che si presenta all' economista si è quello che per ottenere una più ragionevol distribuzione della ricchezza territoriale che per essa si forma, conviene verificare tre condizioni : — primieramente che la proprietà delle terre sia assicurata in perpetuo ai possessori , — in secondo luogo che vi sia la più grande divisione di esse, — finalmente che la loro coltivazione venga eseguita il più che costantemente si possa dal proprietario stesso. La verità di queste proposizioni si è ciò che il Sismondi vuole dimostrare coli' esemplo di varii popoli antichi e moderni , e coi risultamenti delle diverse loro istituzioni. Ma prima di venire a questa dimostrazione , egli si arresta ad esaminare alcuni punti di economia politica , intorno a cui sono tuttavia divisi gli scrittori ; ed è questo esame che porge occasione al Sismondi di esprimere alcune doglianze sulle con- seguenze di qualcuno dei loro più accreditati sistemi. In primo Inogo adunque egli ritorna a magnificare 1' utilità dell'esistenza de' ricchi in una nazione, affinchè, come egli dice, i progressi dello spirito umano possano essere coltivati non pel solo stimolo di guadagno , ma per la bellezza e per la com- piacenza delle sue proprie creazioni , per un sentimento di estetica, si direbbe quasi. A questo modo i ricchi si dovreb- bero piuttosto y a mente del Sismondi, considerare quai con- sumatori , che quai produttori delle ricchezze intellettuali. Ma perchè i ricchi potessero essere maggiormente vantaggiosi al resto della nazione , dovrebbero essere , il più che fosse possibile, disseminati nelle campagne, e che le abitassero. E cer- tamente nello stato attuale d'incivilimento la dimora nelle campagne de' doviziosi , che non sarebbero più come una volta sinonimi di prepotenti , potrebbe efficacemente contribuire e ai miglioramenti dell'agricoltura, e a quelli delle classi inferiori della società. E sebbene cosi non si passassero le cose sotto il regime feudale 5 pure fin d'allora la proprietà delle terre già si trovava concessa a titolo perpetuo ai contadini , e che le condizioni , sotto cui essi le tenevano, consistevano piuttosto in seivi/.i 475 personali, e nell'abblezlone loro individuale, che non nell'as- soluta loro nullatenenza. Ciò tanto è vero , che appunto dal sistema feudale si possono ripetere varie categorie di coltivatori applicati ai poderi , come sarebbero gì' enfiteuti , i livellarii , i mezzaiuoli , ed i fittaiuoli *i. Ma tutte queste classi, che prima erano sparse in gran nu- mero sulla superficie del suolo che coltivavano, avendo poscia subito una grande riduzione a cagione soprattutto dei grandi stabilimenti agricoli, che ai di nostri si vennero formando, il Sismondi lamentando siffatta riduzione dei coltivatori , entra nella quistione della convenienza dei vasti stabilimenti agrariì. A questo proposito noi non sappiamo sino a qual grado pos- sano essere vere le sue censure, ma ciò che a prima giunta e senza neppur entrare in altre più profonde indagini, possiamo fin d'ora sapere, si è che le vaste possessioni ora esercitate con grandi capitali, e coU'aiuto delle macchine e di altri stromenti perfezionati, e diretti da una intelligenza superiore, ci procu- rarono l'utile conoscenza dei tenimenti a mo^e//o, i quali, sce- mando da un lato la fatica dell' uomo ^ e moltiplicando dall' altro con più giudiziosa proporzione i diversi e più utili pro- dotti della terra, aumentarono la ricchezza dei proprietarii e dei locatori, a segno di fornire loro nuovi mezzi per ampliare ed abbellire le città e le provincie , per aprire canali d'irri- gazione, formar nuove strade , e mantenere così un maggior numero d'operai nelle varie sorta di arti , e di mestieri , che queste novelle opere richiedono ed alimentano. Ma contuttociò il Sismondi o dissimulando , o non apprezzando forse abba- stanza questi vantaggi non si acqueta a queste ragioni, e con- tinua a disapprovare i grandi stabilimenti agricoli per diversi motivi. Primieramente per formare questi grandi stabilimenti, egli dice, in luogo di dieci famiglie che prima coltivavano la terra e vivevano del suo prodotto, non si ha più, che un solo ap- paltatore; ed in tal caso è forza stare al ribasso della mercede, *i Vedi la dissertazione dell' illustre Savigiiy sul colonato 'de' Romani voltata in italiano dal Prof. G. Gorrcsio ed inserta nei precedenti fascicoli del Subalpino, 476 che a costui piace d'Imporre, per moilo che il ben essere dei contadini, che prima risultava dall'abbondanza del lavoro e dalla libertà del mercato, può trovarsi quasi abbandonato all' arbitrio più o meno avaro del grande proprietario, o del grande affittavole speculatore. Oltre a ciò, continua ad osservare il Sismondi , il numero stesso della popolazione ed il genere di lavoro che meglio con- tribuisce alla sanità del corpo, ed alla serenità dello spirito re- sta anch' esso scemato. Con questi grandi stabilimenti viensi inoltre a distrurre 1' e- quilibrio tra le domande della consumazione e la produzio- ne, perchè il grande proprietario, od il grande appaltatore che destina tutte le derrate alla vendita, può far sì che l'esistenza di ciaschedun individuo trovisi esposta alle vicende del naer- cato , sotto cui viene a cadere il cumulo delle derrate , avece che prima nel sistema dei piccoli poderi .ciascun coltivatore ne riteneva per sé quella quantità in natura che gli era ne- cessaria per la sussistenza della propria famiglia. Finalmente a tutti questi motivi di riprovazione de' grandi stabilimenti agricoli , il Sismondi ne aggiunge ancora uno , che se fosse vero in tutta la sua estensione, basterebbe da sé solo per farli condannare assolutamente. Il metodo de' grandi stabilimenti , egli dice , produsse nelle Colonie e nell' America il ripristinamento della schiavitù ; e se ciò fosse, sarebbe un risultamento ben triste anche dal lato solo dell' economia politica , perchè lo schiavo fra tutti i coltivatori è il più misero ed il più inetto al lavoro , non avendo egli nella coltura altro interesse , che un interesse di odio e di vendetta, poiché quando i lavori che l'hanno fatto molto soffrire non danno verun prodotto al suo padrone, egli nell'animo suo gioisce. Malgrado il peso di queste osservazioni , ci è parso però , che nel descrivere gli effetti de' grandi stabilimeiiti agricoli , il Sismondi sia andato alquanto al di là del vero , ed abbia anche qualche volta confuso gli effetti del vasto coltivamento agrario ( exploitation en grand ) con quelli della grande e va- sta proprietà. 477 Difatti in una quistione tanto variamente dibattuta come questa , la massima che nell' economia politica nulla vi Via di assoluto e di esclusivo, non dovrebbe mai essere dimenticata, e le conseguenze dei lati-fondi non dovrebbero mai scambiarsi con quelle della grande coltivazione. Ed in vero per risolvere codesta quistione con pienezza di convincimento a noi pare indispensabile il distinguer dapprima colla più scrupolosa accuratezza non solamente i tempi , ed i luoghi ; ma altresì i varii gradi di civiltà di ciascun tempo , e di ciascun luogo. Nei tempi per esempio di poca civiltà , ma del resto in luoghi abbondanti di popolazione, la riunione di vaste possessioni in pochi individui che poco o male le facevan coltivare, potè essere, e fu veramente dannosa, anche nel solo interesse dell'agricoltura. Per lo contrario nei primordii di una novella nazione, presso cui la popolazione sia ancor scarsa in proporzione della immensità del territorio, l'introduzione dei grandi stabilimenti agricoli , non sarebbe solamente utile, ma sarebbe anzi necessaria, e ciò si è appunto quello, che successe nella Colonie e nell'America. Così pur anche nei luoghi dove la civiltà e la popolazione sono stazionarie od in lento progresso, i grandi stabilimenti agricoli possono essere di qualche vantaggio sia col presentare un tipo di coltivazione alle piccole proprietà, sia coir agevolare gli sviluppi dell'industria, e l'applicazione delle scienze e delle arti meccaniche all' agricoltura , sia in- fine col promuovere lo spirito di associazione, e d'intrapren- dimento. Il che avverrà senza dubbio maggiormente sempre quando nel rimanente de' provvedimenti sociali 1' equilibrio delle ric- chezze, e la sussistenza delle classi lavoratrici trovino nelle leggi e nelle istituzioni guarentigie sufficienti. Ma a parte anche di tutti questi casi si possono altresì im-r maginare dei tempi, e delle nazioni nelle quali tanto la popo- lazione , come la civiltà abbiano ricevuti tutti quei maggiori incrementi e perfezionamenti di cui sono suscettibili , ed al- lora le grandi agglomerazioni di terreni in mano di pochi pro- prletarii,, vengono poco per volta a sciogliersi da se stesse e ripartirsi fra un maggior numero di cittadini , dopo però aver 478 lasciato alla società i metodi d'una miglior coltura, eia spinta ad ogni maniera di agrario perfezionamento. In tutta questa discussione per altro non si potrà frattanto mai contestare che i grandi stabilimenti agricoli cominciano ancor essi a richiedere un gran numero di lavoratori, senza che poi sìa necessario che i medesimi siano sempre nullatenenti, po- tendo benissimo riunire la doppia qualità di coltivatori e di piccioli proprietarii. La misura poi della loro mercede resta in questi casi assicurata dalla concorrenza degli altri grandi pro- prietarii od appaltatori , e la necessità dell' esporre le derrate al mercato, accumulandone necessariamente una grande quan- tità facilita all'operaio la provvista di quanto gli occorre pel suo sostentamento , e lo riscattano dall' obbligo di comperarle tal- volta a carissimo prezzo; costretto a subire quelle condizioni che il ritentore delle derrate gli imponeva anche allorquando il commercio ristretto , e le nessune o poche esigenze del lusso , lasciavano ammucchiare le derrate di più anni , benché prodotte in minor quantità presso i proprietarii , o presso i monopo- listi , quantunque questi neppur fossero in allora possessori di vasti tenimenti. — Del resto sarà sempre anche certissimo che il sistema della grande ed illuminata coltivazione aumentando il prodotto delle terre aumenta necessariamente ancora la ric- chezza sociale , e da questo aumento di ricchezza comune non può sicuramente tardare che anche le classi povere ne vengano a sentire vantaggio. Perciò l' inconveniente che il Sismondi la- menta nella grande coltivazione è momentaneo: esso è insepa- rabile da qualunque nuovo trovato sì nell'industria come nell' agricoltura, ma poscia passato quel primo cozzo delia novità, le cose non tardano a riprendere con più estesi vantaggi il loro equilibrio *i. *i II Gioia benché tenero, come tutti sanno, del ben essere e dei godimenti delle classi più povere e numerose , pure dà la picfcrenza ai grandi sopra i pic- coli proprietarii , ai grandi sopra i piccoli manufattori , ai grandi sopra i piccoli stabilimenti agrarii. Egli in una delle sue tanto utili tavole espone in piena luce i vantaggi della grande sopra la ristretta agricoltura , e tutti si ricordano , conio c^\ì co' suoi scritti abbia eontribuito a far rivocare in Piemonte quella legge del 18^0 , che ordinava la riduzione delle locazioni dei terreni coltivati a risaia. A 479 Tutto ciò mentre dere conciliarci coi grandi staLìlimenti agricoli, deve altresì persuaderci che l'economia politica, se- condo le varie circostanze dei tempi, dei luoghi, dei climi, e dei gradi di civiltà , è ohhligata far conto o con più o con men di favore dell' agricoltura , o della mercatura ; concio- siachè tanto per l' una come per l'altra essa non deve unica- mente mirare al guadagno od alla perdita materiale ed imme- diata che dal loro esercizio puoi risultare, ma bensì sollevarsi a più grandi considerazioni , e dirigere le leggi , le istitu- zioni , ed i costumi in modo che ai coltivatori delle terre venga conservata quella maggior porzione di ricchezza terri- toriale di cui sono gl'immediati produttori , e che può essere compatibile colla sicura continuazione del loro lavoro. UHìcio pertanto dell'economia politica, e dell'autorità pub- blica in tali materie si è quello di sistemare le cose in modo, che né il lavoro , né i prodotti ed i godimenti che il lavoro procaccia, vengano mai meno agli agricoltori; — che alle cam- pagne, ed alle fatiche rurali venga fissato, ed affezionato un maggior numero possibile di cittadini ; — che la loro intelligenza venga sviluppata come meglio può conciliarsi colla ruvidezza de' lavori che lor tocca di eseguire; ■ — e che infine siano pra- ticati tutti quei mezzi più acconci per educare i coltivatori alla moralità, e stamparne nelle loro menti come nelle loro abi- tudini stabilmente e praticamente i principii *i. Tali sono le doglianze , e tali i consigli , che il Sismondi propone per rimediare ad alcuni inconvenienti , eh' egli trova questo proposito egli dimostrò , che il Piemonte per ottenere un aumento di po- polazione di cui non abbisognava , si diminuiva il prodotto netto che gli fruttava una fertilissima provincia , e da cui l'intiero Stato traeva grandissimo vantaggio. *i II Genovesi avea già sentito questo bisogno quando insegnava i limiti , che si dovrebbero tenere nella ripartizione della ricchezza territoriale per non inciampare nelle esagerazioni del San Simonismo , e nel parapiglia , che ne conseguiterebbe. Ecco le sue assennate parole. « Se non è possibile , che i ricchi ed i nobili col- » tivino per se medesimi , il metodo più giusto e giovevole sarebbe quello di di- » videre le terre in porzioni d'una mediocre grandezza , e darle a livello o censo. » Questo metodo facendo a' possessori riguardare i fondi , come proprii , li rendo » più soddisfatti , e più pronti a migliorarli. Questa miglioria giova a rendere più » ricca tutta la nazione. » ( Dioccsina tom. i. png. 264 , 376 ). 480 ne' più recenti sistemi dell' economia politica e segnatamente in quello de' grandi stabilimenti agrarii, prima di venire a giustificare i suoi timori , e le sue teorie coli' autorità degli esempi. Gli esempi poi a cui il Sismondi a questo fine ricorre di preferenza, sono quelli dell'Inghilterra, della Scozia, dell'Ir- landa, e della Toscana. Parlando primieramente dell' Inghilterra , egli comincia per opportunamente avvertire, come il numero degli agricoltori vi si trovi ridotto al menomo possibile, poiché tutta la coltivazione vi ci viene eseguita da un quarto solamente della popolazione , laddove ia altri paesi essa ne impiega i tre quarti od i tre quinti per lo meno. Così invece che nella Toscana e nella valle di Nievole in ispecie un miglio quadrato occupa dai 3oo ai 700 lavorieri , in Inghilterra uno stesso miglio ne occupa soltanto ventuno. Nella Scozia intervenne pur anche da alcuni anni in qua questa stessa riduzione nel numero degli agricoltori , e ciò ebbe luogo principalmente per avere alcuni grandi signori ra- dunati sotto un solo e regolare tenimento le sterminate loro possessioni. Narra il Sismondi , che fra questi proprietarii novatori la sola Marchesa di Stafford dall'anno 181 1 al 1820 per mezzo del suo agente sig. Lode divise le terre da essa possedute in Iscozia per l'estensione di y94,ooo acri in ventinove lenimenti coltivi. Per questa operazione i5m. indivìdui che prima abi- tavano quelle vaste campagne rimasero pressoché espulsi , e po- chi appaltatori con qualche centinaio di servi occuparono U loro posto. Il rimanente dovette restringersi sulla superficie di soli 6m. acri, che la proprietaria ancor gli concesse quasi per favore, ma colla condizione però che corrispondesse un annuo fitto. Se questi calcoli fossero esatti , certamente un gran numero di famiglie dovette momentaneamente restar sprovvisto di la- voro e mancare quindi dei mezzi di sussistenza. Ma però sarà sempre difficile a comprendere come la riduzione di tanti ter- reni dapprim^a incolti , e coperti di selve , la formazione dei 481 canali neccssariì perla condotta delle acque, e la stessa miglio- rata coltivazione, non abbiano contribuito ad accrescere il la- voro , ed i prodotti dei suolo , e per ciò stesso a ricbiedere l'opera della maggior parte di que' stessi primitivi terrieri che dovettero senza dubbio ancor essi profittare di quel!' aumento di produzione. Ma forse riesciva perloso all' imaginazione del Sismondi che quelle montagne, quelle valli, quelle foreste, che Ossian avea popolati di eroi, di bardi, e di spiriti, e Walter -Scott di montanari guerrieri e indipendenti, fossero ora divenute non altro che campi e praterie uniformi abitati da fattori , da maudre di montoni , e di cavalli. Relati vaineute all'Irlanda il Sismondi sull'autorità delle de- scrizioni pubblicate dal signor Inglis nel suo viaggio fatto in questa contrada nel i834, ne deplora pietosamente lo stato, veggendolo travagliato non solo dalle discordie religiose , ma quel che è più oppresso dalla miseria. Quivi la popolazione povera è nello stesso tempo la più numerosa, la più avvilita, la più infelice. Ciò proviene principalmente da che in Irlanda la massa della popolazione non possedè pressoché alcuna proprietà, ma vi è composta di semplici proletarii , e quasi tutto il ter- ritorio appartiene ad un picciolo numero di famiglie , come un picciol numero di ricchi ritiene pur anche i grandi capitali. Era forse questo un effetto fra le altre cagioni di quell' uso antico in Irlanda , di cui parla Hume nella sua storia d' Inghil- terra, secondo il quale allorquando moriva un capo di famiglia, il capo della tribù ne distribuiva tutti i beni fra tutte le fami- glie che la componevano. Un altro uso parimenti funesto all' Irlanda era quello, che i signori vivevano assenti, e quasi stra- nieri ai loro tenimenti. Di qui le giuste querele che il Sis- mondi muove contro V absentismo , il quale assoggettava ancora per sopramercato i contadini d'Irlanda, come assoggetta pur quelli d'ogni altra nazione, dov' esso alligna, a tutte le vessa- zioni dei fattori e dei minori fittaiuoli. Questo spettacolo di miseria che affligge l'Irlanda fece dire al Sismondi che quivi seguì uno spoglio, una vera usurpazione del ricco sopra il povero , poiché il ricco , com' egli dice , n- eava da una terra J'ertilc 3 ed abilmente coltivala un reddito ., 482 che lo fa nuotare neW opulenza , nel menlrQ che il coltivatore che sii ha procurato quel reddito ^ e che bagnò co' suoi sudori ì prodotti che lo compongono j si muore di fame senza che vi possa partecipare. Questa pietà verso i poveri Irlandesi , quella stessa pietà che ispirava a Tommaso* Moore le nazionali sue canzoni, ed ora ispira il loro egregio oratore O'Gonnell, infiamma pure il Sismondi nella ricerca eh' egli fa dei rimedii che possono mi- tigarne i dolori. Le casse di risparmio^ i monti di pietà , gli asili per \' infanzia , i sussidii della religione e della carità , non sarebbero ancora, secondo il Sismondi, rimedii sufficienti; bisognerebbe per trovarne di quelli efficaci , indeflettibili risa- lire più alto nella costituzione delle società , studiare le rela- zioni dell' uomo ricco coli' uomo faticante , ricondurre in una parola alle sue vere basi il grande contratto , su cui poggia essenzialmente la società umana , il contratto fra il proprieta- rio ed il coltivatore. Sebbene questo consiglio possa sembrare a prima giunta vagare di troppo nell'astratto e nell'ideale, però il Sismondi discende ben tosto a ridurre le sue escogitazioni a più con- creti , e positivi suggerimenti. Eccone i principali : I.* Rendere gl'Irlandesi possessori a titolo perpetuo, e per enfiteusi d'una quantità di terreni; mentre la pace della so- cietà non è tanto mai assicurata , come quando i contadini che formano la massa della popolazione sono proprietariì. 2.* Che sia l' autorità pubblica quella che fissa la rendita , ossia il laudemio dell' enfiteusi : e non si lasci in balia della concorrenza privata, né oltrepassi le forze di ciascuna famiglia. Non è d' uopo osservare che la fissazione di questo canone la- sciata al governo , non deve avere altro scopo che quello di impedire ì contratti feneratizii e le estorsioni. 3." Ordinare e distribuire i lavori agricoli in guisa che tutti i membri della famiglia vi abbiano parte, e per ogni stagione dell' anno. 4''' Avvezzare il popolo a risguardare come ontosa la sua miseria. 485 5." Moltiplicare indirettamente nella legislazione e special- mente nella pubblica opinione gli ostacoli e le censure riguardo ai matrimoniì troppo precoci e sconsigliati, massime tra persone indigenti od indisposte. 6." Incoraggiare finalmente quelle abitudini che fanno con- siderare la previdenza come un punto d' onore , come per esempio avviene nella Svizzera, dove i giovani si astengono generalmente dal matrimonio, fin tanto che non si abbiano guadagnato un corredo, raccozzato un peculio, procacciato uno stato. Quantunque questi consigli siano particolarmente applicabili all'Irlanda, tuttavia noi li abbiamo voluto riferire, perchè po- trebbero per avventura anche giovare per que' luoghi , dove si soffre qualcuna delle stesse miserie sociali. Intanto ciascuno ha potuto avvertire , che le consigliate misure sarebbero sem- pre più atte a migliorare le sorti dell'Irlanda di quel che noi fossero i canti de' suoi menestrelli , come altrove lo sarebbero più di quel che noi siano le teorie degli utopisti. L'imaginazione frattanto , che era stata fino a questo punto costernata dalle calamità dell'Irlanda, e della Scozia, viene ora a rallegrarsi nella contemplazione del bel cielo d' Italia , dove il Sismondi la trasporta. E sebbene il Sismondi sembrasse da principio trovare nella natura fisica e morale dei Toscani alcune rassomiglianze che potevano farne compassionar la condizione, come compassiona quella degli Irlandesi ; egli non tarda però molto a scorgere tra gli uni e gli altri una grande differenza in ciò specialmente, che nell'Irlanda la classe più miserabile si è quella dei contadi- ni, quando invece nella Toscana la vera miseria si trova sol- tanto negli abitanti delle città. Infatti nella Toscana gli abitanti delle campagne tuttoché possessori soltanto di una strettissima fortuna, pure si godono di tutte quelle contentezze , di tutta quella sicurezza , di tutto quell'amore alla vita, che il lavoro proporzionatamente, e costantemente ricompensato suole quasi sempre immancabil- mente compartire. — Sicuramente questi saranno i frutti che nella Toscana han lasciato le buone dottrine iiiscsnale fino dnl 484 l'^iy dal Baudiai, e poscia dal Paoletti , economisti toscani, ai quali è dovuta la riduzione a coltura della maremma sanese , e la libertà nel commercio dei grani che si vide di buon' ora introdotta in Toscana. E il Paoletti specialmente fu quegli che ottenne co'suoi scritti scemati gli aggravii che prima pesavano sugli abitanti delle campagne, e determinò il gover- no a vendere i beni comunali, col che si accrebbe il prodotto generale dei medesimi coltivati con industria più diffusa e più attiva. Bisogna per altro confessare che queste dottrine e que- ste fatiche dei due benemeriti scrittori sarebbero state perdute se il gran Duca Leopoldo , e Francesco I. non le avessero fatte fruttificare colle riforme ch'essi adottarono per la Toscana. Resa per tal modo fiorente la condizione della Toscana, egli è perciò qui più che altrove che si veggon distinte le varie classi degli agricoltori , gli affittuarii cioè , i Iwellarii , i mez- zaiuoli , ed i pigionali. Perciò meglio quivi si possono anche discernere le relazioni che tutti questi agricoltori hanno non so- lamente cogli altri privati più ricchi di loro , ma colle leggi eziandio e col governo ; dal che poi più facilmente ancora si possono conoscere le forze , le tendenze , ed i bisogni delle classi più numerose della società. Il Sismondi proprietario egli stesso di un piccolo podere in Toscana nella valle di Nievole , riesce mirabilmente a vestire colle più peregrine particolarità questi tratti delle sue disser- tazioni suir economia pubblica. Egli saluta perciò la Toscana, come una sua seconda patria, e visita con amore fraterno le abitazioni di quei contadini , ne studia gli usi e le abitudini , ne descrive le feste , i pia- ceri, le inclinazioni; e spinge poi tant' oltre le sue osserva- zioni che ci dà persino la nota dei mobili che compongono la masserizia di una casata e quella degli effetti che formano il fardello di una fidanzata. Veramente questo studiare la vita di un popolo nelle sue più private e domestiche abitudini, è il miglior modo per co- noscere i suoi bisogni , ed i mezzi che può avere per soddi- sfarli, è la guisa migliore per raccogliere i dati più positivi che giovar possono ai progressi della scienza. 485 Cosi avverrà nell' economia politica , ciò che accadde nella storia , dove lo studio della vita civile de' popoli presentò alla filosofìa , ed alla statistica le più grandi , e le più utili loro meditazioni. I Ma in mezzo pero a tutte le ricchezze del clima toscano , in mezzo al lusso della natura che quivi risplende , malgrado la vivacità de' suoi abitanti , ad onta delle maraviglie della coltivazione che fanno della Toscana, quel paese mite e soave, che al dire del Tasso « Simili a sé gli ahìtator produce » il Sismondi vi ci trova ancora due mali assai gravi da la- mentare : r uno si è quello della diminuzione della popola- zione campestre ,• 1' altro quello della rovina di alcuni casati più nobili e più doviziosi. Ciò provenne, secondo il Sismondi, dallo spirito di centra- lisazioue delle grandi città e dall'introduzione de' grandi mi- glioramenti dell' agricoltura ; innovazioni tutte che fecero cre- scere a dismisura i prodotti agricoli a segno che non trovarono più smercio, e ne invilirono il prezzo appena che fu cessata la grande consumazione che se ne faceva per cagion della guerra. — La legislazione francese pur anche che dando un miglior trattamento alle figlie, obbligava i proprietarii al pagamento di cospicue doti in numerario (poiché essi ripugnavano sempre a spropriarsi delle loro possessioni per soddisfarle), fu un'altra causa, al dir del Sismondi, di questi danni. E finalmente l'af- fluenza dei viaggiatori forestieri in Italia , che recando ai si- gnori Toscani l'esempio, e l'emulazione del lusso versatile e leggiero degli stranieri , contribuì pure non poco , secondo lo stesso autore, ad introdurre nella Toscana i due disastri or or rammentati. Noi non afiiermeremo certamente , che il Sismondi abbia tutta quanta la ragione nell' assegnare a queste cause i principii di decadenza che volle ravvisare nella Toscana , e forse egli cosi argomentò per avere im motivo di più per insistere nel propo- stosi assunto di disapprovare quei sistemi di economia politica 01 486 / che promuovono uà illimitato ed irragionevole aumento nella produzione. Ma lasciando pure a questi argomenti tutta la forza che pos- sono avere, egli è frattanto innegabile, che la Toscana arricchita di tutte le recenti filantropiche instituzioni , le quali vi spie'» gano la più grande attività e successo, può tuttavia esser citata come un paese modello di civiltà , e dal lato dell' agricoltura riguardarsi come un giardino della natura *i. Ciò è cosi vero , che lo stesso Sismondi non può rimanersi Insensibile all' aspetto delle ridenti campagne della Toscana , e si lascia trascinare anch' esso nelle più seducenti descrizioni. Ed anche a voi , o lettori , se vi farete a percorrerle , vi parrà di aggirarvi per quelle dilette xampagne , e di vedervi gli abitatori ora adattare il sjiqÌo a guisa di terrazzi sospesi , q di pensili giardini , or coronare i poggi di ulive , e di vigneti , ora disseccar le paludi e le maremme con rialzi di terra , ora avvallare, ;e ridarre a coltura le apriche sommità dei monti ^ pd i ciglioni delle colline. Se chiederete con qual mezzo quest'ultimo più diSlcil lavoro si compia , qualcuno di quei coltivatori vi risponderà, che per appianare le sterili creste dei monti e' si giovano dell' azione delle acque abilmente raccolte , condotte e disperse in riga-- gnoli scorrenti , ed in artifiziali cadute con quello stesso metodo nominato colmate di montagna, che loro già aveva insegnato da gran tempo un loro concittadino , chiamato Testa Ferrata , e che ora ha perfezionato il lor caro marchese Jlidolfi *ti. *t PgUè nella Toscana , che fioriscono anc'oggi i migliori lavori teorici e pratici in materia di agricoltura. Quivi sono stabilite accademie , di qui escono giornali , qui si avviano stabilimenti agricoli. Ne siano testimonii fra gli altri l'istituto di Meleto , la scuola di Figline , i prosperanti asili d'infanzia e le casse di risparmio, le fatiche dell' Accademia della Valle Tiberina , le scuole teorico-pratiche che si vanno esigendo nella "Val di Chiana , e gli egregi lavori soprattutto a cui assidua- mente intende l'J. e R. Accademia economico-agraria de'Georgofili di Firenze. *<:( Ijegg«i4o queste belle descrizioni sulla Toscana, chiunque si sentirebbe porrer spontanea sulle labbra quella sublime invocazione di Foscolo : « Te beata , gridai , per le felici V Aure pregne di vita , e pe' lavacri lì Che da suoi gioghi a le versa Appennino ! 487 Pitture cosiffatte porterebbero piuttosto a far credere la To- scana un Eden sociale, che non a farla compiangere come un paese tocco dai sintomi di decadimento, come sembra temere il Sismondi. Che sarebbe poi ancora quando rammentassimo le sue tante benefiche instituzioni? Noi ne ricorderemo una sola delle più recenti , ed è lo stesso Sismondi , che ce la descrive. — Essa è la scuola rurale ed esperimentale stabilita in Meleto dal prefato marchese Ridolfì , e nella quale esso e la propria consorte, discendente dai Guicciardini, stanno attendendo all' educazione di quei campagnuoli. In questo Stabilimento nel men- tre che si mostrano a quei contadini i principii e gli esempi d'una morale onesta e laboriosa , loro s'insegna pur anco come col mezzo delle suddette colmate di terra si possa trasportare da una collina all'altra questo industrioso metodo di coltura. A questa scuola poi vedreste accorrere gli abitanti di quei din- torni e starvi pur anche presenti i tre figliuoli del Marchese che a tutti apprende egli stesso quanto occorre di scienze esatte e naturali al pratico esercizio dell' agricoltura. Dopo di ciò ne vedreste i figliuoli andare di conserva coi contadini a com- provare la verità delle ricevute lezioni, coll'adoprar della van- ga e della marra. Vedreste finalmente la marchesa Ridolfi istessa riservarsi per lei l'insegnamento del disegno, ed altri maestri compiere poi in quella scuola l'educazione degli agricoltori. Cosi una famiglia doviziosa e patrizia porge in Toscana a vicenda la dottrina e l'esempio d'una vera fratellanza e carità sociale, insegnando e praticando ad un tempo tutte quelle virtù, a cui la religione è principale maestra , e sicura raallevatrice. Egli è ora con molto rincrescimento, che per seguire l'or- dine delle dissertazioni del Sismondi , dobbiamo lasciare le pa- gine consolanti , dove egli ci ritrae la vita placida e serena dei coltivatori Toscani , per tornare a rattristarci su quelle dov'egli ci dipinge gli orrori della schiavitù. » Lieta dell' aer tuo veste la luna N Di luce limpidissima i tuoi colli N Per vendemmia festanti ; e le convalli » Popolate di case e d'oliveti » Mille di fiori al cicl maBdano incensi. » 488 Non è sicuramente in questo luogo che si deve chiedere , se il Sismondi s'inalzi con tutta la veemenza del suo raziocinio, e con tutto l'entusiasmo della sua sensibilità contro questo non ancora spento abuso delle società umane. Egli anzi non manca di segnalare la schiavitù , come una ignominia dei tempi pre- senti , che pur tanto si vantano di civiltà e di progresso , e non ha paura di affermare , che se la scuola crematistica colla sua smania di produrre senza limite non cessa di dominare , questi tempi abbiano ancora a diventar peggiori di quelli tanto diffamati del feudalismo. Veramente non si può dissimulare , che dalla miserevole coudizione in cui giacciono tuttora gli schiavi, ed i negri non si possa per avventura anche trarre qualche argomento per dis- approvare quei moderni sistemi d' economia pubblica , che paiono avere unicamente di mira l'aumento della produzione materiale senza troppo curarsi del miglioramento civile e ma- teriale degli individui. Questa colpevole dimenticanza si è appunto quella che con- ferma il Sismondi nella credenza , che quei sistemi non siano fatti per spandere i favori dell'aumentata produzione sopra le classi più numerose e lavoratrici della società migliorando so- prattutto la sorte degli schiavi. Se l'avarizia e l'egoismo fossero capaci di apprezzare le de- clamazioni , che a questo x-iguardo profonde il Sismondi , que- sti mostri si nasconderebbero certo confusi , e le parole eh' ei muove caldissime sulla sorte di tanti infelici troverebbero senza dubbio in tutti i cuori gentili ed amanti dell' umanità e dei progressi un'eco sentita, e profonda. Chi è infatti colui, che non sia , e da gran tempo persuaso , che la forza materiale dis- giunta dalla destrezza, dall'intelligenza, dalla moralità e dalla partecipazione ne' beni che dessa produce , non è punto capace di creare veraci ricchezze ? Egli è anzi un fatto costante che la produzione per mezzo di schiavi è minore e più costosa di quella procurata per mani libere. Ciò tanto è vero che dicesi che lo zuccaro prodotto coli' opera dei primi non potrebbe sostener la concorrenza con quello prodotto dei secondi, se il governo non aggravasse que- bL' ultimo d'iaipcsiiioni. 489 Perciò i pensieri ^ ed i voti del Sismondi quando invoca la abolizioue della schiavitù , sono pure i nostri pensieri ed i no- stri voti, né potremo ingannarci , presagendo che coi mezzi appunto che il Sismondi suggerisce , quest'onta dovrà presto o tardi scomparire dal mondo incivilito , e che il secolo XIX già luminoso per altri benefizi resi all'umanità, aggiungerà an- cor questo agli altri monumenti di miglioramento sociale *i. Tali sono in iscorcìo le importanti materie trattate in que- sto primo volume del Sismondi. Alla prima lettura, che uno ne faccia , pare impossibile di non abbracciarne tutte le opinioni. Un discorso eloquente , appassionato , uno stile abbellito con tutti i colori dell'immaginazione, e direbbesi quasi della poe- sia , una scelta varietà di fatti recati in prova delle sue dot- trine , l'autorità di un nome da lungo tempo venerato e per la sua profondità nelle storie, e pei suoi sentimenti verso l'uma- nità , il suo frequente rivolgersi al cuore de' lettori \ tutti que- sti pregi riuniti fanno in sulle prime una possentissima forza all'intelletto. Soprattutto poi quando si rivolge all'Italia, e ne parla con tanto affetto, e ne encomia, o ne lamenta le isti- tuzioni od i costumi , e ne invoca la prosperità , e la gloria , *i L'eloquenza del Sismondi , quando perora la causa degli schiavi , è un eco fedele di quella dello spiritoso nostro Ab. Galiani. Non vogliamo tralasciare dal riferire le sue parole, poiché in esse sta rinchiuso tutto il nobile entusiasmo che anima 1' Economista Ginevrino. — « Niente mi pare più mostruoso , che vedere » vilipesa e fatta schiava , e come bestie trattata una parte di creature simili a noi, » il qual costume nato in secoli barbari , nutrito da sozza superbia nostra e da » vana stima di certe estrinseche qualità di color di pelle, di fattezze, di vesti- » menta, o d'altro dura ancora a' nostri dì. Ma a chiunque è degno d'esser nato » uomo, deve e8ser noto che il massimo de' doni fattici dalla Divinità è stata Ja » compagnia de' nostri simili , che dicesi società ; che Adamo fu il più grand'; » imperatore avendo pacificamente posseduta la terra intiera , ma il più miserabile » avendola colle sue mani zappata. Nell'Inghilterra si discute ora nuovamente dopo tante altre volte un progctlo di legge per sopprimere la tratta de' Negri , e se forse i tempi non saranno ancora maturi abbastanza per farla adottire , il chiamare nuUameno sovente sopra questa veramente umanitaria quistione l'attenzione , ed il cuore de' legislatori , e de' po- poli potrà sempre giovare moltissimo per determinare col tempo una abolizione tanto sospirata da tutti i buoni, e cotanto onorevole all'istinto religioso e progres- sivo del nostro secolo. 490 allora le pagine del Slsmondi , malgrado la diversità dell'argo- mento , e la sua più grave età , ricordano l'autore entusiastico de la litèrature du midi de l'Europe , e l'eloquente storico delle sue repubbliche , e destano ad ogni passo le più calorose sim- patie. Ma come sin da quando abbiamo per la prima volta parlato di quest'opera ci è toccato di avvertire , bisogna stare ben pre- muniti contro queste prime seduzioni. Quando infatti si vengono poi a chiamare le opinioni eco- nomiche del Sismondi sotto il freddo squittinio della ragio- ne, allora si sente, non senza rammarico sicuramente, la ne- cessità di non accoglierle intieramente tutte, e si hanno a la- mentare alcune inconseguenze. Imperocché ei non s' indugia gran fatto a capire che il Sis- mondi guarda troppo spesso le cose da quel lato, che presen- tano un qualche parziale inconveniente , e quindi ne trae con- seguenze troppo assolute e generali, né sempre abbastanza sce- vre di esagerazione. Ora chi non sa , che , guardate le cose da un lato solo , e da quel lato massimamente che sia il più debole , non si trovi sempre dappertutto qualche male da la- mentare , e qualche meglio da desiderare ? Oltre a ciò vediamo anche tal fiata 11 Sismondi ripetere troppo spesso quella sua distinzione tra la scienza , ossia parte di scienza , che appella crematistica , e quella dell' economia politica. Ma, diciamolo ancora una volta schiettamente, la vera, la compiuta scienza dell'economia politica non si occupa soltanto della materiale produzione, della produzione moltiplicantesi alla cieca ed a buon mercato 5 ma eziandio si adopra ad e- quamente distribuire gli effetti di questa produzione crescente, cioè la ricchezza sociale , distribuendo 11 lavoro e la ricompensa con quella più giusta proporzione che la natura umana, e lo stato speciale di ciascuna società possono comportare. Del resto poi in questo benefico ufficio non è l'economia politica essa sola , che debba esercitare la sua influenza , ma essa si colle- ga, e chiede a tal uopo in aiuto tutte le altre discipline, che le sono direttrici , e sorelle. Perciò senza la religione , la fi- losofia, la legislazione, l'istruzione pubblica, e la beneficenza, 491 i risultamenti dell'economia politica sarebbero sempre scarsi ed imperfetti. Sembra finalmente , cbe il Sismondi abbia ancora troppo spesso appoggiate le sue teorie , e le obbiezioni che fa contro agli attuali sistemi ed invenzioni dell'economia politica, aull* esempio di alcune picciolo nazioni , senza forse avvertire abba- stanza , che queste non potrebbero sempre servire di norma alle nazioni più grandi , i di cui destini , ed ì cui interessi sono misurati sopra una scala più complicata e più vasta^ ed hanno per fondamento altri principii politici. Per queste ragioni probabilmente il Sismondi^ il quale dap-< prima forse per non sembrare fautore della legge agraria aveva quasi blandito l'esistenza dei ricchi nella società , si mostra poi nel corso di quest'opera come invaghito dei piaceri campestri ji le dolcezze della vita villereccia lo commovono, e molto si compiace nel descrivere le scene patriarcali , che ancora egli ritrova in qualche angolo dell'Italia, della Svizzera, della Sco- ria , e dell'Irlanda. Egli è fors'anche per questa stessa stia maniera di osservare gli effetti degli odierni sistemi di economia politica sulla società, che il nostro autore si lascia qualche volta trasportare a quelle atesse declamazioni , che il suo compaesano Rousseau scagliava contro lo stato sociale , chiudendo gli occhi sopra i reali van- taggi che l'odierno incivilimento e le scoperte dell'industria vi hanno recato, e guardando piuttosto i vizii , e gli abusi , che il lusso e l'abbondanza vi lasciano quasi per necessità penetrare^ Del resto però non dovrebbe sicuramente essere^ quando la scienza dell'economia politica è ancor quasi bambina , o quanto meno quando essa non ha ancora ricevuti tutti quei Sviluppi che è in dritto di aspettare dalle altre scienze, e principalmente dalle iustituzioni sociali , che possa essere opportuno d'ìugigan- tire coi colori dell'imaginazione e cogli sforzi dell'ingegno gl'in- convenienti di alcune sue teorie , o di alcuni suoi trovati. Pre- dicare la soppressione delle macchine, consigliare la cessazione dei grandi stabilimenti agricoli , o manufatturieri , bandir la croce contro lo spirilo di intrapresa , unicamente perchè tutti questi sistemi possono cagionare qualche isolato e forse passeg-^ 492 gìei'o svantaggio , il Gioja l' avrebbe chiamata una smania da ostrogoto. Epperò non basterà mai l'indicare alcuni parziali in- convenienti per distrurre assolutamente il principio della libera concorrenza in fatto di economia politica , uè per intieramente condannare i perfezionamenti delle arti , e l' introduzione di quelle invenzioni con cui in sostanza si viene a risparmiare da un canto la fatica fisica dell'uomo , e dall'altro si arriva a gua- dagnare 1 frutti della sua intelligenza : invenzioni con cui men- tre s' accresce il cumulo delle ricchezze, si aumentano anche inevitabilmente i mezzi per acquistarle: invenzioni finalmente con cui si sono ottenuti i meravigliosi benefizii , che l'econo- mia politica ha sin d' ora già compartito alle presenti genera- zioni. Iddio ne tolga, che riprovando queste conclusioni alcuno si possa pensare, che desse si trovino scritte nell' opera o sotto- intese nella mente del Sismondi. Soltanto chi ne leggesse o con superficiale, o con maligno talento le pagine potrebbe accogliere questo errore. Il Sismondi, egli è vero, lamenta alcuni incon- venienti che i sistemi dell'illimitata produzione e di una in- temperante concorrenza han prodotto in qualche epoca ed in qualche contrada, ma egli poi non ha voluto, e non ha po- tuto dissimulare i più generali e progressivi vantaggi, che 1' u- manità intiera aveva già risentito e che poteva ancor aspettare dai novelli sforzi dell' economia politica. Che anzi considerando talvolta solamente dai lati sinora meno avvertiti le più. vitali quistioui di questa scienza nel loro con- tatto coir attuale condizione della società, il Sismondi mirò a discoprirne gl'inconvenienti , o possibili, o già sentiti. Nel che egli è anzi venuto a rendere un reale servizio alla scienza , poiché non solo col far palesi quegli inconvenienti apprestò la via per ripararli in avvenire , ma eziandio perchè col mostrarli in tutta la loro, anzi forse in più della loro intensità, c'inse- gnò, come sia talvolta prudente il diffidare delle eccessive con- seguenze, a cui possono condurre alcuni principii, e ciò quanto più essi hanno sembianza di liberali e filantropici. Valga per tutti l'esempio dello spirito di associazione , che talvolta e in quelle contrade specialmente dove le fortune privale sono me- 495 diocri, e limitate le relazioni commerciali all'estero, e l'in- dustria troppo disugualmente nei varii suoi rami attivata; in- vece di operare vantaggiosi risultamenti , può anzi riescire, quando venga tratto a troppo numerose ed intemperanti appli- cazioni , a quei disinganni ed a quelle imprese disastrose che portan seco lo sconcerto in molte posizioni sociali. In questo senso il Sismondi col mettere allo scoperto le con- seguenze talora infelici dei sistemi più liberi dell' economia po- litica, rese un effettivo servizio alla scienza, ed all' esperienza sociale. E s' egli forse potè ingannarsi condannando quei sistemi a cagione di qualche men salutare conseguenza, che non da essi ma da una più lontana concatenazione di cause poteva per avventura dipendere 5 certo è però che il suo libro contiene dì molte verità , di molti nobili e generosi sentimenti , di molti prudenti consigli; i quali, rappresentati come sono con quell' arte tutta propria del Sismondi, nel loro più splendido aspetto, non possono a meno che risvegliare ogni volta di più V atten- zione e le simpatie del filosofo e dello statista. Ma che poi le intenzioni del Sismondi siano sempre ele- vate e generose , basterebbero a provarlo queste sue parole. — « tirisi une seule pensée nous dirige dans les parties dì- verses de cet ouvrage , c'est la recherche dit plus grand bien de la race humaine^ de ce plus grand bien qui comprend toujours en sol le perjectionnement moral et le bonheur. » Laonde queste nostre osservazioni sugli scritti economici del Sismondi se non avranno altro merito , avranno , speriamo, almen quello di persuadere chiunque si faccia a studiarli, che, mentre si debbe lasciare ai futuri progressi dell'economia po- litica e della civiltà la missione di rimediare a quegli incon- venienti, che il Sismondi ha creduto per ora di dover lamen- tare negli odierni sistemi di libera concorrenza , dì crescente produzione , e di nuove scoperte meccaniche 5 non deve poi mai quinci prender a chicchessia vaghezza di sconoscere e di- spregiare le nuove sorgenti di lavoro, d'industria e di ric- chezze , che questi sistemi hanno indubitatamente scoperte « dischiuse a vantaggio di tutte le classi della società. Ma ben all'opposto si deve conchiudree che da tutte le dì- 494 scussioni che sì fanno sopra questi argomenti» nasce ognor più forte il convincimento, che non è dato all'uomo di porre limiti alle facoltà sociali dell'uomo, come non è dato all'uomo di misurare alla natura le sue forze, come non gli è dato di pre- scrivere limiti alla provvidenza del suo Creatore. Gli annali della storia fanno fede più d'ogni volta, che allorquando una condizione di cose e di popoli è giunta ad un estremo e pare toccare al suo disfacimento , allora appunto si vide emergere un nuovo impulso, una nuova direzione , un elemento nuovo , che spinse r umana energia per nuovi campi di prosperità e di vita. Tanto è vero che il genio e la potenza dell'uomo , come r andamento progressivo dell' umanità confondono spesso le paure dei dotti , e sono sempre più forti di qualunque siasi pur ingegnosa dottrina. Severino Battaglione, 495 V APOLOGIA DI SOCRATE ROVELLA TRADUZIOIfC DAL GRECO DI SENOFONTE. Par mi anche pregio dell'opera il rammemorare la che guisa Socrate, poiché fu chiamato in giudizio, si consigliasse intorno alla sua difesa, e al fine di sua vita. Sopra ciò altri ancora hanno scritto , e tutti parteciparono nello scrivere della sua magnanimità nel difendersi 5 onde si fa manifesto, che So- crate cosi favellasse in effetto ; ma ch'egli riputasse essere omai la morte per lui preferibile alla vita , questo noi dichiararono ad evidenza; tal che la sua grandezza d'animo nel difendersi a parrebbe alquanto imprudente. Nondimeno Ermogene d'Ippo- nico , che era suo famigliare, riferì di lui tali cose, che di- mostrano essere stata la sua magnanimità nel difendersi al tutto consentanea alla sua mente. Imperocché all'udirlo ragio- nare di tutt'altro , fuorché della sua causa , ei mi narrò di 3 avergli detto : Ma tu, o Socrate, non dovresti pensare alla tua difesa? — e che egli primamente gli rispose: — Non ti pai* forse ch'io sia vivuto sempre meditando la mia difesa ? — Al- lora Ermogene lo richiese ; E come mai ? — Col non atCT mai commessa ingiustizia, il che stimo la miglior meditazione 4 perla difesa. E al dire che fece nuovamente Ermogene: Non vedi, come ne' tribunali Ateniesi le molte volte i giudici tra- volti da un'aringa, posero a morte gl'innocenti; e molte altre o perchè mossi a compassione, o allettati dalla grazia del dire, mandarono i colpevoli assoluti? — Per Giove, egli rispose , già ben due volte mi diedi a meditare la mìa 5 difesa , e sempre mi si oppose il Genio. — Quando poi Et- 496 mogene riprese, • — Tu di' cose maravigliose ; — Socrate di nuovo ebbe risposto : — Tieni dunque per maraviglioso, che anche il Genio stimi per lo mio migliore , che abbia ornai fine la mia vita? E non sai tu, che sino ad ora a nessuno degli uomini avrei conceduto, che abbia egli menata una vita migliore della mia? E di vero, ciò che è giocondissimo, io mi sapeva d'aver vivuti santamente e giustamente tutti i miei giorni, di modo che me stesso grandemente ammirando, ri- trovava, che anche i miei famigliari sentivano lo stesso a mio 6 riguardo. Or se l'età mia verrà tuttora protratta, non ignoro che dovrò pagare il tributo alla vecchiezza con aver peggior vista e meno udito, e divenir men atto ad imparare, e di quanto già appresi più smemorato. Dove poi m'accorgessi di venir peggiorando, e me stesso rimproverassi, come mai, n disse, potrei io vivere lietamente? Il mio Genio forse vuole per la sua benevolenza sciogliermi di questa vita, non solo nell'età opportuna, ma ancora nel più spedito modo. Perchè quando io venga al presente condannato , è manifesto che mi verrà dato d'incontrar quel fine , che da coloro i quali a ciò sovrintendono sì reputa il più spedito 5 che torna il meno incommodo agli amici , e ingenera grandissimo desi- derio di colui che si muore. Veramente quando nulla di turpe, nulla d'indegno si rimanganelle menti degli astanti, e che altri venga meno sano di corpo, e con l'anima capace di mostrarsi benevolo, come potrà non esser desldc- 8 rabile la morte ? Rettamente poi , continuava egli , allora mi si opponeva il Genio, che meditassi la mia difesa, quando voi giudicavate che io dovessi ad ogni modo cercar le vie di scampo; perchè se avessi ciò fatto, mi sarei condotto a morire travagliato da malattie o da vecchiaja , nella quale s' accumula quanto è di molesto e scevero affatto d' ogni 9 giocondità. Un tal fine, o Ermogene , no, per Giove, noi presceglierò giammai : ma se dimostrando quanti beni re- puto d'aver dagli Dei e dagli uomini ricevuto e quale stima fo di me stesso, io pervengo a gravare i giudici, torrò anzi di morire , che supplicando vilmente di scampar più a lungo, guadagnarmi una vita molto peggior della morte. 497 10 Or avendo Socrate presa tal deliberazione, poiché i suoi avversarii lo ebbero accusato — che non tenesse per Iddii quei che teneva la città, ma introducesse nuove divinità, e la gioventù corrompesse — narrò pure Ermogene, che fattosi innanzi , così favellò: 11 Veramente, o giudici, io dapprima maravigliomi di Me- lilo ; né so a qual congettura appoggiato affermi , che io non tengo per Iddii quei che son tenuti dalla città: poiché e nelle comuni solennità, e su' pubblici altari mi videro sacrificare così gli altri che per avventura v'accorsero , sic- 12 come lo stesso Melito, se pure il volle. Come poi intro- duco io nuove divinità , asserendo che la voce del Genio mi significa quel che m'abbia a fare? Anche coloro che si valgono de' garriti degli uccelli, e de' presagi degli uomini fan certo congettura dalle voci. Chi poi dubiterà che non diano voce i tuoni, e non sieno un grandissimo augurio? E la Sacerdotessa in Pito non annunzia ella dal tripode con i3 la voce i responsi del Nume? Adunque che il Dio prevegga il futuro e lo significhi a chi più vuole , questo, com' io lo dico , sì lo dicono e lo tengono gli uomini tutti. Se non che cotali annunzii dell'avvenire sono da altri chiamati au- gurii , presagii , simboli , vati ; ed io gli appello Genio ; e così chiamandoli penso di parlar più veracemente e santa- mente di chi attribuisce agli augelli la potenza degli Dei. Che io poi non mentisca riguardo al Genio, ne ho questa pruova evidente , che significato avendo a molti amici i consigli del Genio, mai non apparvi menzognero. 1 4 Poiché all' udir queste parole i giudici romoreggiavano , parte negando fede a quanto diceva, parte invidiandogli perché conseguisse dagli Dei più che non essi , Socrate di nuovo soggiunse : Or bene , udite ancor altre cose , acciocché ognuno di voa possa sempre più discredere, che io sia stato dagli Dei onorato. Una volta Cherofonte interrogando sopra di me I' oracolo di Delfo , alla presenza di molti Apollo gli rispose : non essere uomo di me né più libero, né più giusto, né più saggio. 498 i5 Siccome i giudici all'udir quest'aggiunta, fecero com'è credibile, maggior romore di prima, Socrate ripigliò: Eppure, o giudici, intorno a Licurgo legislatore de' La- cedemoni quel Dio negli oracoli pronunziò maggiori enco- mii che di me non fece , poiché si narra , che entrando egli nel tempio , il Dio cosi gli parlasse : — Io sto pensando se debba chiamarti Dio , oppure uomo. — Me poi non pareg- giò ad un Dio, giudicò soltanto, che dì gran lunga i mor- tali sopravvanzo. Voi tuttavia non vogliate già credere sì fatte cose al Dio inconsideratamente , ma ponderate una per una le parole di lui. i6 Qual uomo conoscete voi, che meno di me serva alle cupi- dità del corpo ? o quale di me più libero ? che mai non ricevo da alcuno né doni , né mercede. Quale poi ripute- rete ragionevolmente più giusto di chi s' acconcia per sì fatta guisa al presente, da non abbisognar per nulla dell' altrui? Chi poi non chiamerebbe a ragione sapiente un uo- mo, il quale, da che cominciò a comprendere quanto gli sì diceva , mai non ristette dall'investigare ed apparare tutto i|7 che potè di buono? E che non indarno m'affaticassi, non sembravi questa un' evidente prova , che molti cittadini a- manti della virtù, e molti stranieri me fra tutti trascelsero con cui conversare ? E donde mai derivava , che tutti sa- pendomi pure sprovveduto dì ricchezze per ricambiarli , 19 molti tuttavia desideravano di farmi qualche dono ? Che mentre ninno io richiedo mai di iavore , molti confessano d'essermi debitori di riconoscenza? Che durante l'assedio, deplorando gli altri il loro stato, io non viveva niente più bisognoso , che quando era la città nella massima abbon- danza? Che molti si procacciano Cai mercato costose deli- catezze , ed io senza spesa altre me ne formo nell' animo delle loro più soavi ? Or se in quel che ho detto di me stesso, nessuno mi potrebbe convincere di menzognero , perchè dunque non sarò giustamente dagli Dei e dagli uomini en- 19 comiato ? A fronte di ciò, dirai tu, o Melito , che segui- tando io un tal sistema corrompo la gioventù? Eppure noi ben sappiamo quali sieno le corruttele de' giovani: or tu dim- mi se ne conosci alcuno , che sia da me stato mutato di religioso in empio, di moderato in petulante^ dì economo in prodigo , di sobrio in vinolento , di laborioso in infin- gardo, o in servo d'altra malvagia passione ? 30 Ma, se Giove m'aiuti, disse Melito, conosco ben quelli, ai quali hai persuaso d'ubbidire a te piuttosto , che ai genitori. E Socrate : Quanto all'educazione , si lo confesso , giac- ché ben si sa che di questa io mi diedi cura. Ora quanto alla sanità gli uomini più presto ubbidiscono ai medici , che a' genitori: ed anche nelle assemblee tutti gli Ateniesi si rimettono in tutto a chi propone i più saggi partiti , anzi che a' congiunti. E per capitani , a preferenza de' vostri pa- dri, fratelli, e, per Giove, di voi medesimi, non eleggete forse coloro, che nelle cose di guerra avete in conto di 2 1 peritissimi ? — Codesto , o Socrate , ripigliò Melito , é utile e legale. — Dunque, Socrate conchiuse, non ti par egli strano, che dove ai prestanti nelle altre bisogne non, solo si concede un pari diritto , ma una preferenza ; io per lo contrario , perchè sono riputato prestante nelP educazione , massimo bene dell'umanità, io venga perciò da te capital- mente accusato ? 32 Assai più cose si dissero, non v'ha dubbio, si da lui, che dagli amici suoi patrocinatori. Nondimeno io non pre- tesi già di tutto riferire, che fu detto nella causa ; bastami di far solo manifesto , che Socrate metteva innanzi tutto di non apparir empio verso gli Dei , e verso gli uomini in- giusto : quanto poi al fuggir la morte, non volle scendere alle preghiere, anzi gli parve essere la sua fine oramai oppor- a3 tuna. E che tale fosse la sua mente, si fece anche più manifesto, da poiché fu sentenziato. Imperocché primamente invitato a imporsi la multa in vece della pena , né volle egli imporsela , né permise che il facessero gli amici, affermando che il sottoporvisi era un dichiararsi colpevole. Bramando quindi gli amici di sottrarlo alla carcere , non che li segui- tasse, ma quasi dileggiandoli, interrogava, se sapessero alcuji luogo fuori dell'Attica, inaccessibile alla morte, 500 a4 Époi che fu terminato il giudizio, Socrate ripigliò: Co- loro, o giudici , i quali insegnarono ai testimonii, che con- veniva spergiurando deporre il falso contro di me, e quelli che vi aderirono , debbono necessariamente avere il rimorso d'una grande empietà ed ingiustizia commessa. Quanto a me, perchè dovrò ora esser d'animo più rimesso, che non fossi prima della sentenza, io che non fui convinto d'aver fatto nulla di quanto mi venne imputato ? Perocché non si è mai scoperto cVie io, anzi che sacriflcare a Giove, a Giunone, e. agli altri Dei, il facessi verso altre nuove divinità, né giurassi per altri numi , o solo li nominassi. In che guisa a5 avrò poi io corrotto la gioventù , avvezzandola ad una vita tollerante e frugale ? Quanto ad azioni degne di morte , come sacrilegii , furti con rottura , plagio , tradir la città, neppur gli stessi avversarii me ne fanno la me- noma accusa ; onde mi riesce di gran maraviglia, come abbiate mai rinvenuto aver io commessa azione degna di a6 morte. Ma non perchè vengo ingiustamente condannato a morte, debbo io per questo esser d'animo più abbietto. Non a me, no, ma a chi mi condanna torna la sentenza vergo- gnosa. Emmi pur di conforto 1' esempio di Palamede , che incontrò quasi lo stesso fine; perchè anche al presente è argomento di nobili canti, ben più d' Ulisse, che lo fé' porre a morte ingiustamente. Io son pur certo che il tempo avvenire ed il passato farà testimonianza che io mai non offesi veruno, né lo feci divenir peggiore, ma giovai chi volle meco conversare, insegnandogli senza premio, quanto io po- teva di buono. 27 Dette queste cose, atteggiato in guisa conforme alle sue parole, se ne partiva allegro negli occhi, nella persona, e neir andamento. Ma come s' avvide del piagnere che fa- ceva chi lo seguitava : E che? disse, voi ora piangete? E non sapevate già da gran tempo che sin dal mio nascere era io dalla natura sentenziato a morte ? Se nondimeno fossi io tolto di vita prima del tempo tra 1' affluenza de' beni , non è dubbio , che sarebbe per me e per gli amici un mo- tivo d'affanno: ma se nel sovrastarmi di gravi sciagure mi 501 libero di questa vita, parmi che dobbiate voi tutti ralle- grarvi, come di felicità che mi sopravvenga. u8 Se gli trovava accanto un certo Apollodoro^ a lui molto affezionato, per altro uomo semplice, il quale gli disse: In niuna guisa , o Socrate , posso io comportare di vederti in- giustamente condannato. E Socrate careggiandolo gli ris- pose: Amatissimo Apollodoro, e vorresti vedermi piuttosto giustamente che ingiustamente condannato ? E in questo dire 39 sorrise. Narrasi parimente che vedendo passare Anito, cosi dicesse: Gotest'uomo ora si gonfia, come se abbia condotta a fine una grande e bella impresa nell' avermi fatto condan- nare ; e questo perchè io scorgendolo riputato degno de' sommi onori nella città, gli consigliai che non conveniva al- levare il figliuolo all' arte del conciatore. Misero ! par eh' ei non conosca che di noi due chi ha fatte cose più gio- 3o vevoli e più belle per tutte le età, quegli è vincitore. Non- dimeno , egli soggiunse, poiché Omero attribuì ad alcuni nel finir della lor vita la prescienza delle cose future, vo- glio anch' io far un po' di vaticinio. Avendo io già conversato alquanto col figliuolo d'Anito, giudicai che fosse d'animo non ignobile, tal che preveggo che non si rimarrà al servile esercizio, a cui lo volle il padre destinato, ma per non aver alcuno che ne prenda cura diligente , sarà per ca- dere in qualche brutta passione, e progredii'à anzi più 3i oltre nella malvagità. Né andò già fallito nel suo pronostico; che il giovane addatosi al vino, né dì, né notte si ristette dal bere, ed all' ultimo non riuscì buono a nulla, uè per la patria, né per gli amici, né per se medesimo, fluito pure e per la malvagia educazione del figliuolo , e per la Sa sua demenza è tuttavia infame anche dopo morte. — Ma Socrate per quel suo magnificarsi in tribunale , attiratasi r invidia , fece che i giudici tanto più lo condannarono. Io son quindi d' avviso che conseguito abbia un felice de- stino ; perocché cessò egli quella parte di vita che è più 33 travagliosa, ed incontrò la più spedita delle morii. Fece pur 'conoscere la fortezza dell' animo suo; Perchè stabilito cliu egli ebbe, esserper lui la naorte preferibile alla vita, come 502 non era mai stato troppo propenso agli altri Leni della vita, COSI non si lasciò abbattere al cospetto della morte , ma con ilarità di volto l'aspettava e la sostenne. 34 Io poi nel ripensare alla sapienza e nobiltà d'animo di tant' uomo , non posso a meno di non farne menzione, e commemorandolo, di non lodarlo. Che se fra i seguaci della virtù a taluno fu dato di conversar con persona di Socrate più giovevole, costui, per mio avviso, fu beatissimo. Note aW Apologia Dell'apologia di Socrate , dettata da Senofonte , già se ne an- noverano tre traduzioni italiane , per quanto io mi sappia. La prima si legge tra le opere morali di Senofonte tradotte dal Domenichi , Venezia presso il Giolito 1 54? ; seguita quella del Caudini che nel i588 coi torchi del Dusinelli in Venezia tutte pubblicò volgarizzate le opere dell' Attica Musa ; la terza è del traduttore de' Memorabili di Socrate , Michel Angelo Giacomelli Pistoiese, morto del 1774- Quella del Domenichi menta solo di esser rammentata perchè fu la prima -, migliore è la Gandiniana, ma ben lungi dall' appagare i lettori dell' età nostra : 1' ultima , che molto vien commendata per la lingua , rimasta negletta tra le carte del Giacomelli dopo la sua morte , fu coi Memorabili pubblicata in Brescia da Nicolò Lettoni nel 1806, quindi nel 1810 inserita nella collana di Roma; e nel 1822 ristampata pur dal Bettoni con quattro brevi note d'Alessandro Verri. E tuttavia strano , ( come osservano i tipografi Sonzogno nell' avvertimento al primo tomo degli opuscoli Senofontei, Milano, 1828), che per una singolare inavvertenza nelle tre edizioni citate l'Apologia si confuse co' Memorabili , e per ben tre volte fu divolgata come il quinto libro di essi. Questa confusione già dimostra con quanta diligenza l'apologia del Pistoiese sia stata paragonata con l'origi- nale dal Verri , il quale avendovi apposto quelle quattro chiose, 505 par che tacitamente volesse darci a cretJere che in quella tratlu- ^ione nulla più oltre v'era d'errato ; leggerezza non degna dello scrittore delle JVotti Romane. Poiché chiunque vorrà darsi la pena di raffrontar la copia col testo, troverà che vi si desidera un intero periodo , che due o tre sono cincischiati e guasti , e parecchie frasi tradotte contro grammatica , cose tutte che sfug- girono al Verri, come apparirà dalle note. Quindi è che io proponendomi, se a tanto si estendei'anno le mie forze, di con- durre a fine una nuova traduzione di qualche altra opera di Senofonte , non ho creduto inutile di raffazzonar per la prima e pubblicare l'apologia, la quale , sebbene di poche pagine , e da taluni riputata apocrifa , per la magnanimità de' concetti So- cratici di cui ridonda , non può tornar che gradita ai leggitori. § I xaì 7t&VT£g 'érv^ov t»$ iJLeyaXnyopia.? avroO •■ e tutti partecipa- rono nello scrivere ( Iv t& •ypó.(p£iv ) della sua magnanimità nel difendersi. Il Giacomelli « non han tralasciato di far menzione della magnificenza della di lui orazione. » Ma l'Ernesti già du- bitava , che il verbo nyxàvco potesse avere questo senso di far pienzione , e proponeva di leggere f^iyov, et recte, nota lo Sturz nel lessico Senofouteo , si tameii illa notione opus est, lo penso che r idea di far menzione sia estranea al soggetto , e tolgo 1' ifrf%oy nel significato più comune : siccome magnanimo si mo- strò Socrate nel difendersi ( non magnifico , che meglio si con- vei-rebbe a Cicerone ) , così gli scrittori tutti della sua apologia parteciparono nel loro scrivere della stessa grandezza d' animo , e direi quasi ostentazione d'innocenza. Quindi Senofonte parrebbe accennare con lode anche a Platone, se pure il dialogo della apologia, che gli si attribuisce, è autentico. In questo, p. 3i , Socrate dice : « se io mi difendo al presente , Ateniesi , noi fo tanto per me, per voi lo fo, ecc. » Per lo stesso motivo non tra- duco pLayxXiìyopix come il Giacomelli ; poiché Socrate non am- biva fama di eloquente ; anzi Montaigne riferito dal Cesarotti ( corso di letter. greca 1, 277 ), chiama la platonica apologia di Socrate « aringa puerile d'un' altezza inconcepibUe. » Consentono con quel che dico le parole di Senofonte al § 3» : Socrate per cjuel sublimar se stesso in tribunale, (Bik tò yi.eyoi.'kivsiv solvtÒv év tSì itxxaTìipi(fj) invece di difendersi ecc. E se fosse lecito mescolare le cose divine con le umane , direi che la (jiEyaXnyopia, di Socrate era in parte quella del sublime Redentor delle genti al cospetto della Sinagoga e di Pilato. 504 alquanto imprudente, ovvero inferiore alla sua sa- viezza: forse un francese direbbe inconseguente. 3 éóare TtpénovCAV fxivsaòat , e nel i .** é&aTS fniverat aìvut. Il Gan- dini e il Giacomelli traducono in amendue i luoghi pare. Nel secondo esempio bene sta; lua nel piimu, non è già che paia, la cosa è evidente. V. Matthlae § 548, 5, e Buruouf § 388, i5. Lo stesso Giacomelli al § 12, 7, come vuole il Bothe nel luogo paral- lelo delle Ellen. iv. 3. i6 , poiché le Lallaglie di Leutti'a e di Mantiuca a^Teuute a' tempi di Senofonte, non son da meno di questa. 609 dì qupllì che dalla patria seguito avevano Afj;esil(io *4 nella spe- dizione , non pochi Ciriani ; poi Ioni ed Eoli ed EUespontini a lui unitisi. Tutti questi insieme s'eran lanciati di corso , e fatti presso al tiro d'un'asta, volsero in fuga chi loro stava da fronte. Gli Argivi pertanto non sostennero l'urto de' fanti d'Agesilao, ma fuggirono verso l'Elicona. In quella parecchi de' soldati stranieri già incoronavano Agesilao, quando gli significò un messaggio , che i Tebani , tagliati gli Orcomenii , erano omai pervenuti tra le bagaglie. Dispiega egli tosto la falange , e contro quelli la con- duce -, ma di rincontro i Tebani , veduti gli alleati sottiarsi fug- gitivi all'Elicona, bramando d'aprirsi la strada verso i medesimi, s'avanzavano da valorosi. I o ( Verri ). « Or mentre s' avvicinavano era d'ambe le parti si- » lenzio jjrofondo ; ma cjuando furono distanti lo spazio di uno » stadio, i Tebani alzate le grida insieme si avventarono a cai'- » riera. Giunti all'intervallo di tre iugeri , gli si fecero incontro » quelli della falange di Agesilao condotti da Erippide. 1 1 . Essi » erano in parte quelli venuti seco da Lacedemone , e con essi » taluni de' Cirei , gì' Ioni,, gli Etoli, e gli Ellesponti loro vicini. {venuti seco: con chi erau .venuti? con Erippida, o con Agesi- lao ? il Verri doveva spiegarsi ; poiché nel primo caso la sua versione pecca di senso, nel secondo di chiarezza. Scom- metterei che l' insieme è nato dal greco òfjias. Abbiam già ve- duto Ftia per Ftiotide , il poetico Focei per Focesi -, e qui i Cirei sono soldati di Ciro Minore. Erippide , Etoli^ credo per error di stampa , stanno invece d'Eoli , Erippida. Al § 6 lo stampatore dimenticò gli Argivi, Anche Ellesponti per EUespontini nou mi quadra , sebbene diciamo i Corinti ). — Tutti questi tra- » scorsi alla distanza dì un'asta rovesciarono chi loro stava di » contro. Gli Argivi pertanto non sostennero l'impeto delle schiere » di Agesilao , ma fuggirono verso Elicona. Già quivi alcuno » de' soldati forestieri incoronavano Agesilao, quando gli arrivò » messaggio che i Tebani avendo sconfìtti gli Orcomeni , pene- » travano fino alle bagaglie loro. Egli incontanente sviluppata la » falange la condusse contro i Tebani. Ma questi allorché videro » i loro collegati fuggitivi verso Elicona , procurarono con ogni » sforzo di ritirarsi al retroguardo. » ( Cosi ogni paragrafo fi- *4 Agesilao. Nel testo v'è «ùr^J, ma si riferisce ad Agesil.io. Fu questa mano di valorosi, che salvò ad Agesilao la vita nella mischia. Plut. Ag. |8. 510 nisce con un solenne errore. Stento tuttavia a capire come dal Greco abbia potuto trar fuori senso si strano). Qui senza dubbio si può dire che valoroso mostrossi Agesilao, sebbene non elesse il partito più sicuro : che stando in lui di dar passo a chi voleva farsi strada , poi tenendo lor dietro co- gliere gli ultimi ; lungi dal ciò fare s'attaccò di fronte co'Tebani. Cosi battendo scudo contro scudo , urtavansi , battagliavano, uc- cidevano , cadevan morti. Non si levava alcun grido , e nep- pur v' era silenzio , ma tale n' usciva una voce , qual procede dall'ira e dal combattere. Finalmente de' Tebani gli uni si aper- sero la strada all' Elicona , ma non pochi stretti a dar indie- tro, furono uccisi. 1 3. Poiché la vittoria stette per Agesilao, che ferito venne portato alla falange , ecco di tutto corso alcuni ca- valli a riferirgli, come una banda d'ottanta nemici armati si trovava sotto il tempio *5 ; però domandavano che far si dovesse. Ed egli sebbene ferito per tutta la persona da ogni sorta d'armi, non mancò di riverenza alla Dea ; ma comandò che si lasciassero andar liberi e senza offesa -, anzi impose ai cavalieri di sua guardia, che sino a luogo sicuro gli accompagnassero. i4f Quando poi cessò la battagUa, era a vedersi nel luogo della mischia intriso il suolo di sangue, cadaveri d' amici e di nemici giacenti aUa rinfusa , spezzati scudi , aste infrante, sguainate spade , altre pel campo , altre ne* corpi infisse , altre tuttavia impugnate. ( Verri ). « Or qui indubitatamente si può dir Agesilao uomo » forte , perocché non si attenne a partito sicurissimo. ( Il testo » dice tutt'altro ). EgU potea lasciare che quelli si ritraessero » (nuovo errore) , poi incalzarli e cogliere i diretani. Ma ciò non »> fece , anzi di fronte assali i Tebani i ifuali ( sempre peggio ) 3 urtando gli scudi con gli scudi erano pigiati , battagliavano ,. » uccidevano , morivano. Non si udivano grida , pur non vi era » silenzio , ma tal suono misto di voci irate e strepito d' armi » ( non e* è nel greco , ma può supporsi ) qual esce da squadre » combattenti. Alla fine i Tebani parte si sottrassero verso Eli- » cona , parte caddero nella ritirata» » (La frase è alquanto strin- gata , né maraviglio che il Verri non l'abbia intesa. — Dei va- lorosi Tebani , gli uni riuscirono bensì , combattendo corpo a corpo , a tramezzare la falange d'Agesilao per all' Elicona ; ma non pochi vennero ributtati , e nel dar indietro , ÓTtoj^apovvns , *5 Di Mincrì'a Itonia. Plut. Agcs. ig. 511 tagliati a pezzi). « i3. Ma poiché la vittoria fu dichiarata per » Agesilao , il quale ferito venne trasportato alla falange , so- li praggiunsero alcuni suoi cavalieri a briglia sciolta , che gli » dissero, ottanta de' nemici stare nell'asilo del tempio , e però » chiedeano che far si dovesse. Ed egh benché in tutta la per- » sona ferito da ogni sorta d' armi , non trascurò quel Nume , » anzi impose a cjuei suoi cavalieri ( anzi a quelli di sua guar- » dia ) di lasciarli andar liberi senza offesa , e di scortarli finché » arrivassero in salvo. i4. Cessata poi la battaglia, si vedea nel » luogo della zuffa la terra intrisa di sangue , giacere i morti » nemici ed amici confusi, traforati gli scudi, spezzate le aste, » i pugnali nudi , altri sparsi nel campo , altri fìtti ne' corpi , » altri ancora stretti nel pugno. » {si vedea è ti'oppo poco , direi , era spettacolo a vedersi , era a vedersi. Ricordiauioci di Tacito nell'Agric: tum vero . . . grande et atvox spectaculum , . . Passim arma , et corpora , et laceri artus , et cruenta humus. Sebbene poi il testo letteralmente dice pugnali , lo Stui-z e 1' Enrico Stefano ci fanno avvertiti che qui s' ha da intendere spade). Ma con Alessandro Verri fermeremo altra volta le partite , quando ci sarà dato d'aver condotta a fine l' intera versione di quest'elogio d'Agesilao. Allor vedremo che l'esercito d'Epami- nonda che si ritrae dalla Laconia è stato dal Verri scambiato con Agesilao che si ritira dalla milizia 2, 25 ; Tacco re d'Egitto confuso col re persiano 2. 3o -, vedremo che il capo 4 é stato contraffatto in modo che non disdirebbe a Pietro Manzi ; spero insomma che si potrà conoscere non aver io nella battaglia di Coroaea scelta la parte debole di quel lavoro. Claudio DalmazzQ. 51:2 y4lla foce dell' Egospotami * i , quando nell'uldni anno della guerra del Peloponneso Lisandro vi ruppe /' armata Ate- niese , non -y' era alcuna ciità j come vogliono parecchi commentatori e lessicografi. Sì funeste furono per gli Ateniesi ìe conseguenze della battaglia navale vinta da Lisandro all'Egospotami (gy A nó\£t), » e traevano le vettovaglie da Sesto a quindici stadii dalle » navi, mentre il nemico si trovava in un porto e presso una » città ( jv Xifiévi xaì npòs nóUv ), — Alcibiade li ammonì , » che svantaggiosa era la loro stazione, ed esortavali a pas- » sar nelle acque di Sesto presso un porto ed una città , •0 dove, aggiunse, verrete a naval conflitto a vostro talento.» Una testimonianza più chiara di questa, almeno qual è nell'originale, parmi non si possa desiderare, né voleva essere trasandata dai commentatori e lessicografi. Né la tra- scurò Plutarco che nell'Alcibiade 36 narra parimente: « Al- *5 Schocll Lib. VI , 74- ^s' 79' P- 9' > ^° ^^^^ scrittore del secolo XI, HI» questo al fatto mio po<:o imporla. ÙÌi) » cibiade che si trovava poco luiitauo, non si mostrò ne- » gligente, né trascurato, ma venuto a cavallo dai capitani, » gli ammonì, che a lor danno si fermavano in luoghi , ove » non era porto , né città ( év ^otpioig àhfjiivotg noù mXiv qvx » eX°*'<^(v) > dovendosi procacciare le vettovaglie dalla lontana » Sesto,e tollerando che le schiere navali , quando erano scese » a terra, vagassero a lor talento e si sbandassero. » Né man chiaramente si spiega nella vita di Lisandro io. « In questa » Alcibiade , che si trovava ne' suoi castelli intorno al Cher- » soneso , venuto cavalcando al campo degli Ateniesi , ac- » cagionava i capitani , primamente che mal accampati si » stessero e con pericolo in ispiagge importuose e scoperte » ( £» aiyiaXoì^ ^uaópfiotg xcù à.va.naTiTa.y.im^ )\ che era inoltre » grand' errore il trarre le vettovaglie da Sesto si lontana, » dovendo essi col sollecitamente navigare al porto e alla » città di Sesto , dilungarsi dai nemici. » Ora se tutti gli altri scrittori non offrono che il puro nome dell' Egospo- tami ; ed all'incontro Senofonte e Plutarco si esprimono in toodo da non lasciar dubbio che ivi, non che sorgesse una città, non v'era pur un porto, anzi importuosa era la spiaggia ed aperta, parmi piuttosto strano che no il negar fede a questi due sommi autori , e far dire agli altri più che non dissero. Né mi muovo gran fatto dal mio credere , perchè l' Ar- duino nelle note a Plinio IV, li, alleghi una moneta ra- rissima ex aere mediocri ^ sul rovescio della quale , litteris aetatem Alexandri Magni referentibus , leggesi AITOIIO, cioè AìytnoTctfiiT&v , con l'effigie d'una capra, unde urbi nomen. Per confessione dello stesso Arduino questa moneta non essendo che dell' età d' Alessandro ( quasi un secolo dopo la battaglia vinta da Lisandro ) , la sua esistenza non fa contro di me , che cerco solo di sapere se nell'ultim'anno della guerra del Peloponneso esistesse all' Egospotami una città dello stesso nome. Quanto alla medaglia spiegata dall' Eckel tom. II, dal modo con cui questi si esprime, si può dir una cosa sola con quella dell'Arduino, quindi la risposta è già fatta. Ma poniamo che sìa anche diversa , col preti- 516' _Aio della paleografia numismatica mal ai poliebbe fissarne r età in modo da trarne una certa prova contro 1' espressa testimonianza dì Senofonte e di Plutarco *6". Fra i geografi da me consultati il Cellario, Not. Orb. ant. I, 1068, ne parla in modo cbe non tronca la difficoltà; ma il Danville I, 289, scrive a chiare note: « Sull' Elles- » ponto è rimarchevole Callipolls , oggidì chiamata Galli- » poli. Un' acqua poi , che poco più oltre s' incontra è » l'iEgos-potamos , o la fiumara della Capra, resa memora- )j bile da un avvenimento che diede il tracollo alla potenza » d'Atene, e pose fine alla guerra del Peloponneso. » Quindi ognun vede , che io non fo che dichiarare 1' opinioue del Danville , e da quanto ho addotto parmi che si possa rac- cogliere : I." Che V Egospotami è un fiumicello del Ghersoneso di Tracia , il quale mette uell' Ellesponto dirimpetto a Lam- psaco. 2..* Che un sasso , 11 quale o dal cielo o dal sole, o dal- l' aria caddevi dentro ai tempi di Anassagora , come si narra *7 5 e la vittoria riportata da Lisandro in su la foce neir ultiai'anno della guerra Peloponnesiaca , renderono ce- lebre questo fiumicello nella storia antica. 3." Secondo una medaglia citata dall'Arduino e dall' Eckel , giusta la testimonianza di Stefano di Bizunzio e di Zezc , iu tempi posteriori , che io non saprei deiinire *8, Egospotami fu anche nome d' una città alla bocca di quella fiumara. *6 Nel catalogo del Mionnet , tomo 1 , p. 4^5 sono descritte tre rnonctc , in una delle quali in vece del capro è un cavallo : la leggenda in tutte e tre è la stessa , cioè AIFO'StlO , uè più nò meno. Però io ripeto che l'esiislcnza di queste monete pruova bensì quella d' tin popolo o d'una città di cui por- tano il nome, ma circa l'età in cui furono coniate nulla può affermarsi di coito, la paleografia numismatica lasciandoci per questa parte piena facoltà di rife- rirle o al secolo d'Alessandi'O o a quello d' Augusto , e forse la verità è po- sta in mezzo a questi due estremi ; sed nihil certi. *"] Plinio II , 58 , e le note dell' Arduino. *8 L'Arduino alle parole di Plinio IV, n. : « Clierroncsos a Projmnlii/r habuit Tiristasin, CrilhoLvii: Cissttm .Egos Jliuni/ii ai'posiiain » siip];oii(-nilo ch'ivi si parli della ojllà"d' EpuspoUimi , np^iugiie « Qiiae nmnia l'iiiiius i'i- 517 E queste osservazioni sono da me proposte all'altrui giu- dizio sopra una quistione geografica che non mi pareva tuttavia spianata : che se non avrò dato nel segno , dirò dincerameute con Natan Moro, meliora doceri cupio. terìùse sìgnificat. » — Si potrebbe forse congetturare che 1' Egospotami ram- mentata dalle medaglie sorgesse nell' età della spedizione d' Alessandro , e fosse quindi stata distrutta o nelle guerre mitridatiche o nelle civili , o che M> io. Claudio Dalmazzo^ 518 STOMIA DELLE COMPAGNIE DI VENTURA IW ITALIA DI ERCOLE RICOTTI Lavoro premiato dalla R. Academia delle Scienze di Torino. *Dei varil fini, ai quali suole diriger l'intento chiunque si accinge alla descrizione dei passati evenimenti , sebbene altri presentano una importanza durevole , universale , commuae a tutti i tempi e a tutte le nazioni , molti sono , ancorché grandi e generosi, l'utilità dei quali è circoscritta da limiti più angu- sti. Ma siccome appunto questi fini speciali sogliono più alta- mente percuotere l' animo di coloro , alle cose dei quali si ri- feriscono : le opere sopra tali soggetti maggiormente fruttarono ai loro autori e plauso e gratitudine ed ammirazione , e con essa a vicenda e persecuzioni e carceri e veleni. — Cessato poscia il fatto od estinto il pregiudizio, dal quale nasceva la precipua importanza di tali scritti, ne scema a poco a poco l'utilità, e con essa la fama dei loro autori 5 e la remota posterità, stra- niera a quelle passioni ed a quegli interessi, stupisce in udire che tali opere e i loro autori abbiano potuto essere 1' oggetto per una parte di sì grande ammirazione e caldo favore, e per l'altra di tante persecuzioni e sdegni sì feroci. In Italia , madre dell' odierna civiltà , e dove dapprima ri- sorsero nella maestosa loro bellezza le scienze storiche state 519 lungo tempo quasi sepolte nella barbarie del medio evo 5 in Italia , dorè tanti importanti interessi si combatterono , tante passioni si succedettero, ora utili e generose, ora vili ed esi- ziali ma non meno universali ed accanite: non mancarono in grande numero storici di ambedue le classi, i quali o senza alcuno scopo speciale ebbero soltanto di mira l'utilità generale che proviene dalla esposizione dei fatti , o più particolarmente procurarono di supplire ai bisogni e svellere i pregiudizii della loro età. Ai primi appartengono pressoché tutti gli antichi sto- rici italiani , scrittori quasi di sole memorie contemporanee ; ai secondi pressoché tutti quelli dei tempi posteriori, e parti- colarmente dello scorso secolo , tranne alcuna collezione di an- tichi monumenti, la quale non può venire ascritta a veruna delle due classi , e deve considerarsi piuttosto quasi una rac- colta di materiali storici che come vera storia. Quindi sebbene alcuni fra gli storici del precedente secolo e furono dotati di sommo ingegno , e dai contemporanei vennero accolti con estra- ordinario favore : nessuna delle loro opere anche ai giorni no- stri è popolare , e di uso e di utilità universale 5 perchè ne presentano un quadro di passioni e d'interessi in gran parte svaniti, ed ognora scemanti. Ma sono alcune fra le storie specialmente dirette a fine par- ticolare, le quali riuniscono i vantaggi di ambo i generi, e dai contemporanei vengono ricevute col favore e coli' entusiasmo di uno scritto diretto a sodisfare ai loro particolari bisogni , e dai posteri sono ammirate e lette come destinate a perpetua ed universale utilità. Avviene questo quando le necessità par- ticolari del popolo pel quale si scrive concorrono coi biso- gni universali , ossia quando si desidera non tanto la confuta- zione di perniciose opinioni, o la cessazione di alcun ostacola particolare, quanto l'introduzione di bene ordinate inslituzioni o civili od economiche o militari. E sulle due prime di que- ste instituzioni molto fu detto e molto scritto in Italia , ed in opere storiche e di altro genere 5 sebbene per la difficoltà e r ampiezza dell' argomento , e per gì' impedimenti speciali di tempo e di luogo , queste opere molto siano lontane dal loro intento, e quasi l'intero spazio rimanga a percorrere. — Meno 520 fu detto delle instltuzionì militari 5 eppure in utilità partico- lare ai tempi nostri , non meno che in importanza grande e ge- nerale, sorpassano forse o certo eguagliano le altre instituzioni. Impercioccliè se cogli ordinamenti civili si rendono gli stati neir interno prosperi e tranquilli , questi dalle armi non solo per r ordinario hanno origine , ma con esse sole si difendono contro gli assalti di aggressori stranieri. Che se alle institu- zioni civili spetta d'infondere nei cittadini un verace amore della patria, e fare che ognuno volonteroso accorra alle armi se la patria è in pericolo : dalla forma degli ordinamenti militari dipende principalmente la riunione dei sentimenti di fedeltà e d'amor patrio coli' esercizio delle armi ; si che i soldati e i cittadini non formino quasi due classi distinte , né si conside- rino l'un l'altro come nemici, pronti alla mutua rovina. Nella quale funesta lotta, in quelle conti'ade dove il soldato è an- che cittadino, l'esperienza dimostra che tale disunione 'd'in- teressi finisce con una mutazione violenta delle instituzioni vi- genti ; e dove è straniero , non ha termine finche una delle due parti non sia del tutto espulsa o distrutta. La R. Academia delle Scienze di Torino, già da lungo tempo intenta a promuovere quanto è in essa lo studio delle cose della patria nostra, bene osservò come la storia d'Italia, stata sotto altri aspetti con vario successo trattata, non era an- cora stata considerata sotto l'aspetto militare; sebbene la memo- ria della sua antica grandezza, la serie continua delle guerre che la funestarono , e la gravità stessa e i danni degli errori nelle cose militari , i quali congiunti eoa altre cagioni non meno perniciose per più secoli la straziarono , e la mantennero in perpetuo debole e divisa , paressero invitare gV Italiani alla esposizione di sì vario ed importante argomento. Quindi la me- desima Academia, con suo programma dei 29 maggio i836, proponeva a concorso la soluzione del seguente quesito : DeW orìgine , dei progressi e delle principali fazioni in Italia delle compagnie di ventura sino alla morte di Giovanni de' Medici capitano delle Bande Nere ; e qual parte esse abbiano avuta al riordinamento della milizia italiana. I lavori dovevano essere presentali fra t«tto settembre dell'anno iSSy. 521 Molti furono quelli, clie allettati dalla grandezza dell' argo- tnento vollero seguire l'invito, e si accinsero alla difficile im- presa ; ma, per colpa o della brevità del tempo o d'animo sco- raggiato dalle difficoltà incontrate nella esecuzione di sì ampio tema, una sola fu la memoria presentata all'Academia, ed alla quale, come degna di somma lode, a voti concordi fu aggiu- dicato il premio del vincitore. Abbiamo sott' occhi e T opera manoscritta premiata del sig. Ercole Ricotti , ed il rapporto stampato della Giunta incaricata di esaminare lo scritto inviato al concorso 5 ed il confronto dimostra quanto ampiamente siano meritate le lodi in quel giudizio tributate al giovane Autore. Glie anzìj come bene osserva il cbiarissimo signor Gav. Sauli estensore del suddetto rapporto : « Il lavoro di cui si ragiona « non è ristretto entro i brevi confini di una dissertazione aca- « demica. Può invece considerarsi come una vera istoria mi- « litare d' Italia , che abbraccia lo spazio di tre importantissi- « mi secoli. Gonfìdiamo che emendato in parte ed ampliato, se- « condo che lo ricerca la natura del soggetto, potrà senza molta « fatica prender la forma di un'opera che giovi agli studii della « nostra Penisola , ed onori V Academia che ne avrà favoreg- « giato l'Autore. Gommendevole ci parve la scelta dei fonti « da cui si ricavarono le notizie , degno di lode 1' ordine in « cui venne la materia disposta , contrasegno di maturo esame « i confronti cui dal tema 1' Autore era chiamato a fare tra « le nostre condizioni e quelle d'altri paesi, frutto di sincere « meditazioni le sentenze onde è sparso il racconto ecc. » Grandemente desidereremmo di qui dimostrare in più par- ticolare maniera 1' ordine e 1' estensione , con che fu dall' Au- tore condotta questa storia j la quale non solo ci presenta una forte e compiuta descrizione delle vicende di uno dei più im- portanti fra i publici ordinamenti, ma per lungo spazio si confonde colla storia stessa universale d'Italia; tanta potenza le gare e la debolezza dei principi, e le male publiche insti- tuzioni avevano acquistato ai capitani di ventura , nei quali soli in fine si ridusse ogni forza ed ogni vanto della milizia ita- liana. Ma poiché , ad onore della patria nostra ed a vantaggio delle lettere, speriamo divedere fra bieve rimossi quegli osta- 522 fioM , che distraendolo in troppo diverse occupazioni impedì- sfìono r Autore dalla publicazione del suo lavoro : ci riser- viamo di darne compiuto ragguaglio quando verrà dal medesimo dato alla luce in tutta quella maggiore perfezione ed ampiez- za , die richiede la nobiltà e la grandezza dell' argomento. Pa- ghi intanto di non essere gli ultimi a far nota all' Italia sì nobile impresa , non possiamo a meno di farci in questo luogo interpreti del voto universale, ed esortare il sig. Ricotti a se- guire animosamente l' intrapresa carriera , nella quale già lo vediamo produrre si splendidi frutti ad un tempo, che altri mo- stra appena i primi fiori di quasi precoci speranze. Carlo Vestile. 525 P0EIYI4 DI S€fA]^FABii INTITOLATO TRADOTTO DALl' ARABO IN VÈRSI ITAUAKI DALl' AVVOCATO PAOLO PALLI4 La lingua , lo stile , la tessitura dei sette poemi arabi co- tauto celebri fino dai tempi di Maometto sotto il nome di Moallake ; la forza , 1' eleganza e di lingua e di concetti cbe brilla nel rinomato Dvwano dei sei poeti arabi , tra i quali è primo Amro'lkais, di cui abbiamo data notizia in questo stesso Giornale *i , servono di prova a cbi studia queste cose, chela lingua, lo stile, la maniera di concepire e di ordinare ì pensieri che cotanto sublimano il Corano , ben lungi dal do- versi attribuire a qualche potenza sovrumana, indicano anzi una lingua ed uno scrittore di quei tempi. E per non vagare per altri esempi di quelle età, tratti da produzioni di uomini let- terati della nazione araba , siccome quelli che certamente si diedero cura di scrivere e di parlare purgatamente , io dirò , che la medesima verità risulta eziandio da un poema recitato in quei tempi stessi da un uomo così feroce di animo, come rozzo di costumi , il quale , lontano dalla cultura delle let- tere, non sapeva pur leggere arabo o scriverlo. . Scianfara , contemporaneo di Maometto , ma più giovane di lui , il quale , se non si dimostrò avverso alle nuove dottrine *i Novembre e dicembre 1837, pag. aaG. 524 del Profeta , certamente stette impassibile nel gran moto delle idee religiose che segnalarono quelì' età ; Scianfara fu tale mostro di rozzezza e di barbarie, ed insieme d'ingegno robusto e di costume severo , che io non so se cotale abbia giammai vissuto. Tolto egli alla sua famìglia da uomini della tribù dei Sciababidi nella prima sua età , visse schiavo presso di loro , finché noi diedero ai Salamanidi , altra tribù , per riscattare colla sua persona un uomo della loro famiglia , |che quelli te- nevano cattivo. Né di lui si fece altro conto, sinché, vivendo esso con quell' uomo della tribù dei Salamanidi, che avevalo accolto in casa sua , e ve lo trattava non come schiavo , ma quale proprio figliuolo , non ebbe forte a dolersi perché la fi- gliuola del suo benefattore, ch'egli aveva un giorno appellata col nome di sorella , se ne ebbe a mostrare acerbamente sdegnata contro di luì. Per la qual cosa recatosi all'uomo che lo aveva ricevuto dai Sciababidi , quale prezzo di riscatto , lo scongiurò perché non gli volesse celare di cui egli era figliuolo: e come ebbe inteso che il padre suo ei'a Houdjr, della tribù di Iwàs -, bene , rispose , non prima vi lascierò la pace che io non abbia uccisi cento dei vostri , per attenni tenuto a schiavitù. Fuggito quindi dalla tribù di Salaman, e di nuovo strettosi in amicìzia con quelli della tribù di Sciababah , incominciò la sua sanguinosa carriera 5 nella quale s' era egli fatto co- tanto agile al corso, che quindi nacque il proverbio veloce al corso come Scianfara, Ma mentre diffondeva lo spavento fra quelle tribù, egli saliva in tanta celebrità nel comporre canzoni, che j caduto sulla fine della sua vita ferocemente travagliata , in mano de' suoi nemici in punto che non altro che un solo gli mancava a compire il numero delle teste che fissate aveva alla sua vendetta , questi , condottolo fra loro , e facendogli corona, su via ^ gli dissero, ^cci sentire qualche canzone. E la risposta di Scianfara, le canzoni non convengono che ai tempi di gioja, ci rammentano le parole dei cattivi Ebrei, colle quali risposero ai Babilonesi, che pur gì' invitavano a salmeggiare , quomodo cantabimus canticum Domini in terra aliena ? Se non che l' invito a Scianfara era invito di disprezzo , e la gioja di questi vincitori , ohe molto bene può paragonarsi SS5 al riso sardonico dell' antico proverbio , era giojà di sdegno : perchè barbari contio un uomo feroce gli tagliarono una mano^ gli strapparono un occhio prima di fargli cadere quel capo , che Scianfara appella la miglior parte di lui : (( Guardatevi bene dal darmi tomba , se temete l' ira del » cielo , (diceva egli ai suoi uccisori) , perchè ciò v' è difeso . . . » — e tu o Jena rallegrati , che io ti annunzio una buona » novella. » Quando essi avranno tagliato il mio capo , dove siede la » miglior parte di me stesso, lascieranno il resto mio esposto » sul campo del combatto. » E là , stanco di stragi , che posero la persona mìa a bando » nelle tribù , io non anelo a vivere felicemente nel lungo » spazio di quelle notti che passeranno sopra di me. » Fra le canzoni di cui fu autore questo mostro di atrocità ^ eh' egli stesso si giudicò indegno degli onori della sepoltura ^ una è intitolata Lamijjat alarah , la quale , se è giudicata da tutti ì maestri di letteratura araba una delle più sublimi in fatto di poesia , e ben degna della letteratura di quei tempi , essa è pure una delle più complicate in fatto di grammatica, ed una delle più difficili a riprodursi in altra lingua. Percioc- ché difficilmente si trova uomo che possa entrare in quell' anima feroce, e descrivere al giusto ogni circostanza di luogo, di tempo e di persona che accompagnarono quella vita agita- tissima. Per la qual cosa non occorre il dire che prima del celebre De Sacy , il quale pubblicò il testo arabo di questo poema , accompagnato da una letterale ed esattissima traduzione , e lo arricchì di ben 60 pagine in 8." di rischiarimenti, ninno, in Europa , poteva vantarsi di avere intesa questa poesia. Sic- come eziandio è certo , che niuno dopo il De Sacy meglio l'intese quanto il signor Fresnel. Questo insigne orientalista, passionato, com'egli dice, delle poesie di Scianfara , che chiama suo poeta prediletto , andò in Egitto, dove, soccorso dai migliori filologi che trovò al Cairo, valendosi quindi di quei commentarli intorno a questo poema, che, ignoti in Europa , la fortuna gli fece venire alle mani , do- 526 tato finalmente egli stesso di forte e viva immaginazione , |al- tese con somma cura ad una nuova traduzione di questo poe- ma , che pubblicò nella sua prima lettera sur l'histoire des Aràbes a\'ant Vlslamismej dopoché egli stesso ne aveva pur data una più mesi avanti. Le difficoltà che egli dovette superare per tutto palesare l'animo del Poeta a uomini europei sono senza fine : ed ancora egli stesso dubita d' avervi riescito ade- quatamente. Ecco che cosa egli ne dice nella sua dedica al sig. Waston : « Quando mi pare che io intendo i pensieri di Scian- » farà e che m' immedesimo , almeno per poco , con lui , allora » sento il bisogno di tutto versare nell'anima de' miei contem- » poranei il pensier suoj ed io vi dico, che un tale bisogno » mi tien luogo d' ispirazione. Se non che , vedete mirabile » contrasto ! — Scianfara è uomo di rapina , di sangue , idiota , )) agilissimo al corso , mezzo lupo e mezzo Jena — Scianfara » vuota tutto lo sdegno suo , il suo orgoglio in versi di ventotto » sillabe , stretti ad una rima ricca , sebbene sii sempre la » stessa , alla cesura , ad una successione di lunghe e brevi » severamente condotta 5 e la dicitura , ben lungi dal soffrirne, » ella è anzi sempre robusta quanto il pensier suo. — Ed io » uomo , non di rapina , ma letterato ; non uomo di sangue , » ma scrittore , traduttore francese , traduttore obbligato , guasto » a forza di scrivere in tutti i tuoni e modi immaginabili . . . » io debbo sudar acqua e sangue per conservare in questa mia » prosaica traduzione francese un pallido raggio di questo ma- » gnifico vulcano. Le parole che io adopero sono grossi fili » di un velo di rascia, con cui io ricopro la statua di Scian- » farà, pei quali tu appena ne riconosci le forme ! — E di ciò » ho forse io la colpa? no. Sarà essa la colpa della lingua in » cui io fui condannato a scrivere ? pur troppo , sì — Possa » la generazione ventura rifarla intieramente ! » A giudicare dalla franchezza colla quale in Fresnel in po- chissimi luoghi dissente dalla traduzione del De Sacy , giova credere , che il testo arabo dal quale egli tradusse , e che non pubblicò , fosse più corretto , od almeno i commentatori più discreti di quanto non fossero quelli che toccarono al celebre filologo della Francia. E tal circostanza egli appunto fa valere 527 perchè non gli si addossi la taccia di temerario, come se, con- fidando nelle sole cue forze , e coli' ajuto di qualche dotto Mussulmano , avesse voluto rifare il già fatto dal De Sacy , suo maestro. Percioccliè egli stesso si dichiara altamente convinto, che tutti i dotti arabi dell' Egitto non arriveranno giammai a formare una somma che possa disputare, anche di cose loro proprie, come sono le antichità arabe, col De Sacy: il quale se a Parigi , dpve gli usi e le cose cotanto sono diverse da quelle degli arabi, ha potuto non solo intender bene 1' Hariri, ciò che è dato a pochi , ma sì scriverne in arabo tal commen- tario che formerà per sempre l'ammirazione dell'Oriente, bi- sogna pur confessare, insieme coli' Europa, coli' Asia e coli' Africa , che l' Oriente gli si è aperto in una maniera tanto prodigiosa, che, se trapassarono molti secoli prima che l'Eu- ropa abbia potuto vantarsi di un De Sacy , molti forse ne pas- seranno prima che altri Io raggiunga. Cotale è la riverenza del Fresnel verso il suo maestro. E mi è caro di poter io pure insieme con molti altri di ogni nazione che seguirono le le- zioni di quel sommo fargli tributo di siffatta riverenza. Ma il De Sacy non è più .... e poiché Iddio , che protesse la sua vita oltre gli ottant' anni con tanto vantaggio dei buoni studi, lo richiamò a Lui in questi giorni, faccia Egli, che degni suc- cessori di un tanto uomo conservino all' Europa i tesori dei quali egli T arricchiva con tanta sua faticai Adunque il Fresnel si accinse all' opera appoggiato alla au- torità di due celebri commentatori, mai più noti per lo avanti f e tanta è la robustezza e la fiamma, così mirabile e piana la tessitura della sua nuova traduzione , che punto io non dubito che nissuno abbia letto meglio di lui nel più profondo del cuore del feroce Scianfara. L'antica storia e la letteratura araba, che già sono debitrici a questo ardito ed infaticabile giovane di alcune lettere in- torno ai secoli che precedettero l' Islamismo , molto aspettano' da lui, il quale, abbandonati gli agi che una commoda fortuna gli assicurava a Parigi, ripartì l'anno scorso per l'Egitto , for- nito di tali mezzi per rendere profittevole la sua dimora in quei paesi, che, nissuno europeo, dopo Burkhardt, lo fu mai 528 cotanto. E sempre bramoso di far nuova e più importante messe, lasciato il Cairo nel mese dì luglio, andò nell'Arabia 5 e forse a quest'ora si trova nelle vicinanze della Mecca insieme coir ottimo suo amico Paolo Emilio Botta , viaggiatore addetto air orto botanico di Parigi. Ed il Fresnel afferma che \a filo- logia orientale aspetta pure a buon diritto dal figliuolo del Celebre storico italiano la spiegazione di molti enimmi, sì per la scienza che ha della lingua araba , e sì per altre sue di- stinte qualità di spirito. La futura sua gloria rifletterà pure sul nostro Piemonte. La traduzione in versi italiani che abbiamo annunziata è pregievole lavoro di un giovane orientalista piemontese , 1' av- vocato Pallia da Rivara in Canavese , membro della società asiatica di Parigi , il quale , dopo d' avere udite per ben tre anni le lezioni del De Sacy , dottato com' era d' ingegno , po- teva bene peritarsi in questa difficile impresa. Gli studi ara- bici., dice egli nella sua prefazione, cominciarono come molte altre cose in Italia e vi posero alte radici; e quanto fossero avanzati lo dimostrano i molti testi pubblicati dalla Propaganda^ dalla tipografa Medicea ., le grammatiche, di Guadagnali e di Martellotto , V Alcorano di Mar acci , il gran Lessico del Gig" geio j ma . . . un faggio appena resta dell' antico splendore. Colui , che giudica dall' ardore col quale egli attendeva a questi gravi studi , facilmente si persuaderà, che il Pallia, non solo era infiammato del desiderio di volere un giorno , come gli sarebbe fatto , introdurli nella patria sua ; ma eziandio che egli ve li avrebbe molto felicemente propagati, se pochi mesi or sono la morte non lo avesse colto in troppo immatura età. Aveva egli incominciata la lettura di una sua Dissertazione intorno alla filosofia degli Arabi all'Istituto di Francia , lavoro assai difficile, sia che si riguardi la materia intorno alla quale ne sappiamo molto poco , sia che si consideri la lingua dei fi- losofi arabi che tanto è diversa da quella dei poeti e degli storici. E però si può dire ch'egli aveva rivolto l'animo a col- tivare nuove materie , il che è proprio di un uomo di molto ingegno. Quanto alla sua traduzione del poema di Sciavfara , seb- 5^ bene essa mi sembri fedele , pecca tuttavia a mio giudizio di oscurità. L'autore volle stringerla in versi italiani, quando egli stesso sapeva bene che spesso , per rappresentare adegua- tamente il pensiero di un uomo arabo e segnatamente di Scianfara, è necessario di moltiplicare le parole anzi cbe di ristringerle per dare al concetto una forza poetica ; e che un traduttore in questi casi è già incatenato da troppo frequenti e troppo varie difificoltà , senza eh' egli debba ancora crearsi l'obbligo di misurare in ogni verso singole le parole sue. Ne daremo per saggio que' versi nei quali il Poeta dopo d'a- vere descritta la sua velocità al corso e la magra sua persona, palesa lo stato interno dell' animo suo. « I resti sol bebber dell' acqua , ond' io Mi dissetai , benché tutta la notte Volassero con grande strider d' ali I Kata-cudri dalle bi^ie piume *r. Noi ci affrettammo dal desio sospinti : Quei 1' ali tese , ed io cinta la veste , Siccome duce innanzi a lor venia. E già da quei mi dipartiva allora , Che sfiniti piombar sulla cisterna Ficcando nella melma e becco e gozzo. Tutti convengon là da varie parti , E li raccoglie a sé quella cisterna , Come beveratoio a sé raccoglie In un campo le torme de' cammelli. E tal sulle sue sponde , e intorno a lei Strepito fauno, qual di viaggiatori Suole uno stormo allor , quando s' accampa *2. Bebber d' un tratto , e poi partir , siccome Suol frettolosa all' albeggiar del giorno Muovere il campo la tribù d' Ohada. » M' é letto il suolo e su vi stendo un dorso , II qual soUevan aride vertebre ; Ed un braccio vi adatto asciuto e scarno , *2 II Kata , dice il Golio nel suo lessico arabico -latino, è uccello per grandezza e forma simile a colomba: e sa di lontano andare all'acqua, gridando Aata, kata\ di che prende il suo nome , ne son due specie : l'una Cudri , l'altra Giauni chia- mata. Più estesa descrizione si trova nelle note del Sacy a questo poema. Chrest. Arab. Tom IL, pag. 369-37 5. *i, Ho tralasciato nella mia traduzione i versi Sg e 4» del testo , secondo che aflenna il Sacy trovarsi nel MS. vaticano. 550 Le cui giunture son , siccome dadi Che gittò il giocatore, e si stan saldi. » Se di Scianfara ducisi ora la guerra , Perchè le sfugge j lungo tempo assai <]ontro Scianfara fece il suo talento. Fatto è bersaglio ai rei : messe han le sorli Sulla sua carne, per sapere a cui Toccassero di loro i primi brani, Dormou s' ei dorme , ma con gli occhi aperti , Presti a cercar cagion di dargli noja. Usan con me gli affanni , i più costanti Tornano, e gravi più che la quartana. Li scaccio allor che appressano : ma poi Fan ritorno , di giù , di su venendo. M Se tu mi vedi sotto un sole ardente Come la figlia del Sabbion *i , vivendo Misera vita , nudo i piedi , e scalzo ; Sappi che ligio alla pazienza io vesto Un cuor di iena , e la costanza io calzo. Or di tutto son privo , ed or, abbondo : • Ma ricco è sol colui , che non paventa Lontano esiglio , e largo è del suo sangue. Me non attrista povertà , né lieto Per ricchezza ad orgoglio il pensier levo. Né passion cieca fuor mi trae di semio : Né mi vedrai per mormoi-ar d' altrui Tener dietro alle ciarle delle genti. » Questi tre ultimi versi non esprimono esattamente il pensiero del Poeta. Il De Sacy tradusse : « ma 'sagesse n'est point le » jouet des passions insensées : on ne me voit point recercher » les bruits défavorables que séme la renomée pour ternir , par » des rapports malins , la réputation d'autrui. » La tradu- zione del Fresnel , che più s' avvicina all' idea del Poeta , è anche più chiara: « Les injures des sots ne troublent point la » serenile de mon àme. On ne me voit poiut , à la piste des » propos irritants, m'informer de ce qu'un tei a dit, pour le » redir à tei autre. » E questa massima è tal giojello nella im- monda bocca di Scianfara , che meglio risplenderebbe inca- strato neir anima di molti cristiani, *i Traduco letteralmente. Lo Scoliaste arabo citato dal Sacy, dice , che por figlia del Sabbion (ibnatu-rramli) altri intendono una serpe, altri una damme. A. 551 I MONTANINI E I SAI.IMBSNI MELLA DEL SECOLO XIV DEL DOTTORE P. A. LANGLADE GeDoya. Tipografìa Ives Gravier, ]838. Suonano ancora i nomi di due liguri ingegni ( P. Giuria, ed A. Merello , V. fase, di gennaio) , a' quali in queste pagine fu tributato 1' encomio a' loro bei versi dovuto , ed ecco un terzo genovese poeta, sforzarci a cedergli un'altra di quelle corone cui non sogliam consentire altrimenti che al vero me- rito. Quella terra così , alla quale pel mutarsi de' tempi venne meno il cospicuo grado ch'ella prima d'ora occupava tra le na- zioni , prova però tuttogiorno come in lei duri almeno la poe- tica facoltà per cui tant' alto salsero Ghiabrera, Frugoni, Ga- gliuiE, Gosta, tutti suoi figli. In questa produzione, la prima, per ciò che sappiamo, dal De Langlade messa alla stampa, riferiscesi egli al medio evo: a quel medio evo al quale come a solo fonte, mostrano attin- gere quanti vogliono in oggi dar prnova di sé scrivendo tra- gedie, drammi storici, leggende, o altro che sia. L' epoca del fatto narrato è la fine del quattordicesimo secolo: la scena, Siena , partita a que' di miseramente per le discordie tra i Mon- tanini e i Salimbeni, protagonisti della novella. Alquante parole intorno all'intreccio potranno servire al tempo medesimo a rivelare l'argomento, e qual mezzo a rilevare la ^convenienza del soggette , e l'economica distribuzione di quello, 532 I Salimbeni, raccontasi, venduta la patria a Gìo. Galeazzo Visconti, vi aveano introdotto Governo di genìa malnata ejprava , Che dalle spade Viscontee protetto Un tirannico impero esercitava. Né gli era fren vergogna né rispetto Per chi le furie sue non provocava ; E dal giusto abborrente e dall'umano , Steudea su tutto la rapace mano. E perocché i Montanini, accesi di libertà, e insofferenti di perderla cosi vilmeate , d'accordo co' Guelfi pe' quali parteg- giavano , aveano voluto opporsi a cotal sommissione, vennero da quelli e da Ghibellini cui aderivano, trucidati o mandati in esìlio. Soli illesi in tanto esterminio, Carlo ed Angelica, figli di Tommaso Montanini odiato a morte dai Salimbeni, abitavano un piccolo loro podere in Val di Strove, a' confini di Siena. Or avvenne che tal Ruperto popolano , potente per ricchezze accumulate di fresco , desiderando di unire quel poderetto alle proprie terre, né da Carlo per offerir di danaro l'adempimento di quel suo desiderio ottenendo , giurò vendicarsi della ripulsa, E s'ei torsi non pnote il bel terreno, Spogliar ne vuole il possessore almeno. fermo in quel malvagio proposito, che fa egli, il tristo? L'ab- bassamento del casato de' Montanini , rendendo agevole il per- suadere che Tabborrito Carlo meditasse conculcare i fortunati Salimbeni, e per la via del sangue e del icrrore dar luogo ai Guelfi acciò rientrassero 3 di tanto lo accusa a' Maestrali. Di bosi grave calunnia indarno il meschino cerca scolparsi : ^uei protervi non danno ascolto a ragioni , e seppellitolo entro ad orrido carcere , dopo averlo con ogni più atroce tormento stra- ziato lo dannano al patibolo. Costretto cosi in un fondo di torre a vita grama e dolorosa ^ solo trova il prigioniero qual- che conforto a commettere all'eco che glielo ripete, il lamento dell'anima satolla di amarezze : 533 Ed , o Italia , sciamava , un giorno terra D'uomini madie gloriosi e magni ! Oli perchè mai con sì nefanda guerra Del sangue de' tuoi tìgli il seu ti bagni ? Perchè il fratello il suo fi-atello atterra ? Perchè non sono in un voler compagni ? Perchè un'opposta faz'ion disgiunse Quei petti , che una lingua e un suol congiunge ? Non vedi ancor di Vencislao l'inganno , Che d'oro sitibondo impune scherza , E di Milan vendutosi al tiranno Sulle tue piaghe le carole ìnlena ? Sorgi a vendetta ! Dal gemmato scanno Getta il biscion che da lontano sferza! Se da tuoi lacci a uscir non basti , o stolta , Ben meriti quel giogo a cui se' colta. Ma il giorno destinato al supplizio di Carlo era intanto ve- nuto , e mentre un vecchio cordigliero ridottosi da esso sta riconciliandolo con Dio ( episodio che, sebbene non nuovo , pure interessa per la bella maniera con che è trattato) la so- rella di lui , la sventurata Angelica , mal reggendo all'idea dell' imminente ingiusta fine dell'unico suo appoggio, fatta delirante, smanìa , prega , urla , Circondata da femmine pietose Che alle sue strida rispondean col pianto. Quegli urli e quelle strida ode un cavaliere trattosi per colà a diporto. Anselmo Salimbeni ( perocché tal n' era il nome ) viene alle donne, e domanda che sia: e l'udir la cagione di tanto disperarsi , il vedere quell'aggraziata fanciulla, ch'egli se- cretamente amava, in siffatte angustie, e il deliberare di porvi termine a qualsivoglia patto, fu un punto solo. L'antica nimi- cizia, per l'amor suo già poco a poco allentatasi, gli torna a- desso in orrore : per la qual cosa, comperati i giorni del pri- gione collo sborso di mille fiorini , lo rende , inconsapevole del come ciò avesse potuto accadere , alle braccia amorose di Angelica , la quale molto esita a persuadersi della reale pre- senza del fratello cui credeva già morto. Carlo frattanto, punto non dubitando che non trovassesi fra suoi più cari il proprio o / 554 liberatore , di ciò quelli richiede , e stupisce grandemente al- lorquando dalla sorella intende il nome del generoso. Quel magnanimo atto del suo nemico pensa egli allora come possa con tale un dono rimeritare che sia eroico del pari : e inteso a dargli compenso di ciò che abbia per lui di più pre- zioso al mondo, rivela ad Angelica, esser sua mente ch'ella vada seco il dì appresso in Siena alle case del Salimbeni , al quale destina darla in isposa. Lasciasi quella indurre, e con- dotta da Anselmo, vien sola con lui abbandonata dal Monta- nini. Sul quale abbandono nota l'A. essere da que' tempi , più che noi sia da' nostri, comportato, e chiama in appoggio le cronache contemporanee, le quali così per appunto riferi- scono: senza di che, a vero dire, ne avrebbe sogghignato qua- lunque s'imbattesse a leggere una cosa siffatta, a nostri dì in- solita e non praticabile. Carlo si allontana colla coscienza di avere con liberalità all'altrui benefizio corrisposto: ma al tra- versar d' una macchia , mentre cerca a ripararsi sotto un che da forte temporale sopraggiunte, viene d'improvviso scosso dal suono d'una freccia, che, leggermente feritolo, si configge nel tronco dell'altero. Ruperto l'infame calunniatore, saputo appena come fosse ita a vuoto la prima trama, erasi ridotto sull'orme di lui per torlo di vita : se non che azzardato il colpo , e vi- stosi un' altra volta deluso, sovrappreso da paura del nemico che contro gli si avventava, Dalle mani cader l'arco lasciossi — Poi con subita fuga si dilegua; Ond'è soverchio ornai che l'altro il segua, Qual rimanesse l'offeso Montanini dopo un tale incontrato pe- ricolo, lascio immaginarlo : . . - . . giurando punir le nuove offese Sul misleale che all'agguato il colse , Al reo capo imprecò dell'assassino Tutto il tesoro del furor divino. e sì protesta deciso al giudìzio di Dio la sua ragione E l'innocenza del suo cuor (idando. 0ùi> Di renlr con Ruperto a paragone In campo chiuso con la lancia e '1 brando ; E di provargli ha ferma intenzione Ch'egli spergiuro e traditor fu , quando Lo accusò di ribelle, e poi qual fera Lo attese al bosco , in mezzo alla bufera. Ma uà evento inatteso svia l'affare del duello ^ e sornmInisTIra la catastrofe morale del racconto. — Il Salìmbeni, tutto assorto nel suo amore Perch'ai senz'altro indugio ebbe fermato Di sposar la fanciulla — assegnato ad Angelica il fior de' cavalieri e delle matrone a i'arle onore, ponsi in via con essa lei alla volta di Val di Strove, per chiederla a Carlo in isposa. E poco più rimaneva a cor- rere, quando all' orecchio sonar fioco un lamenta S'udia qual di persona moribonda : Manda Anselmo tantosto uno scudiero da quella parte da dove proveniva quel suono, e vien riconosciuto Ruperto semivivo, dalla divina giustizia per gli enormi suoi misfatti con- degnamente punito. E la persona sfracellata e pesta Di lui che presso a morte ansando langue — Stracciata a brani a brani appar la vesta, E raggruppato su quei brani è '1 sangue — Irte le chiome s'ergon sulla testa — A terra prona sta la faccia esangue — Il tronco solo di veder gli è tolto , Che sotto immane pietra era sepolto. A tanto miserando fine ridotto, confessa egli ad Anselmo la innocenza del Montanini, e che per solo mal animo ne l'avea detto reo di quella finta congiura: narra inoltre come, dopo aver insidiato nel bosco alla vita dell'innocente , per essersi il terreno a cagion delle pioggie franato, lui fuggitivo avesse il masso a metà seppellito. Attoniti i circostanti ascoltano la nar- razione dell'empio ; 536 Tfù sì tosto esalar l'alma 1' han visto Scosscr maledicendo in lui le braccia: E '1 corpo infame , come 1' han trovato , Fu degno pasto ai corvi abbandonato. Quindi raggiunta la compagna fida , Del bosco Anselmo s'avviò pel chino Membrando come invan brev'ora arrida p trovato a casa il Montanino, lo informa dell'incontro com- passionevole, pregandolo per ultimo di assentire alle nozze, og- getto della sua venuta. — S' è già riferito quale a questo ri- guardo fosse il pensiero di Carlo : sicché torna inutile l'aggiun- gere che Anselmo n'ebbe quella risposta che più gli talentava. Come potea egli dopo più frenare l'impaziente anelito del cuore appassionato, che fuori non apparisse? Arcana gioia gli traluce in viso Che d'un casto rossor tutto s'accende — Schiudonsi i labbri a cclestial sorriso — E con l'ansia d'un cor che amore intende , Di quella vaga inginocchiato al piede , La inannella, e le giura etema fede. E qui in tempo soprarrivato quel pio cenobita il quale porti avea al Montanini captivo i conforti della religione, che do- veano essere gli estremi, vòlto a lui con bel piglio: Oh , gli dicea , quanto mi sembri adesso Da quel d' ieri , o figliol , fatto diverso ! Ma scritto fu — sull'innocente oppresso Veglia il Signor — dell' empio Jìa disperso Jl desiderio — secondando poi l'irrefrenabile bramosia degli amanti, dà opera a stringere un nodo avventuroso Che tante cittadine ire disperse : con che ha termine la novella. Intorno alla quale io non m' affaticherò a sfogare il pedan- tesco talento di trovar sconci e difetti per tutto. Primo : per- chè la novella poetica è tal fatta di scrittura che male impren- ' 537 deresti a giudicarla, se tu volessi, anziché quella certa artifi- ciale negligenza di dir le cose , che è forse il principale suo vezzo, trovarvi entro la perfezione e la lima. Secondo: perchè il soggetto è svolto con tal maestria ch'io non avrei veramente a notar cosa meritevole di una critica. Si potrebbe forse te- ner conto della poca chiarezza rilevata nella frase : non tutta al fondo Virtù sommersa ha delle colpe il pondo , e di qualche altro neo. — Non voglio ciò nondimeno tacere come il delirio di Angelica, e quello sconvolgimento della mente che le trae innanzi l'ombra di Carlo creduto morto , e l'abbracciar forsennata del capezzale ecc. mi ricordino troppo chiaramente il tipo delle novelle fatte e da farsi — l'Ildegonda. Un difetto poi rimarchevole , e che riguarda 1' invenzione , è la continua mobilità de' personaggi chiamati ad agire. Carlo infatti da Val di Strove è tradotto dapprima a Siena per es- servi carcerato e martoriato : di là rimandato a casa. Non trat- tiensi ivi che una sola notte, e riparte la domane nuovamente per Siena , dove lasciata Angelica , riprende la strada del suo poderetto. Qui termina il suo, scorrazzare : ma Anselmo ed Angelica pongonsi invece in cammino , e con questa corsa ha compimento la novella. Ciò però che può mancare per questa parte, è più che abbondevolmente compensato dall'esecuzione: nella quale campeggiano a meraviglia cognizion di lingua, bella dicitura poetica, e tutte quelle venustà di stile delle quali era capace una composizione di tal natura. I tratti riferiti, seb- bene non sempre i più belli che nel libro s'incontrino , pro- veranno, spero, non esser io caduto in inganno nel darne tal giudìzio. Segua quindi il De Langlade ad alternare coll'esercizìo delle arti salutari , l'applicazione alle amene lettere per le quali mo- stra tanta attitudine, e ci regali a quando a quando di qualche nuovo saggio de' suoi studii in bellezza pari al presente, e noi godrurao d'impiegare l'uffizio nostro a parlare col pubblico dei suoi avanzamenti nel diilicile camiuino delle lettere. 558 SAGGI DRAMMATICI DI GIACINTO BATTAGLIA Milano. Tipografia PiioUa, 1837. L'autore dei Saggi Drammatici di cui imprendiamo a ragio- nare è noto per le sue molte viste sull' arte drammatica. Egli fu uno dei primi giornalisti che giudicarono dell'essenza delle cose senza lasciarsi spaventare dalle forme : il Battaglia si ha r incontrastabile merito di essersi con tutte le forze adoperato a dissipare molti pregiudizi! , e liberare le nostre scene da va- rii ceppi. Ma non Contento di sterili teorie volle provarle coi fatti, e mandò in luce quattro composizioni arditamente ideate col no- bile intendimento di nobilitare (sono parole dell'autore) « l'arte di'ammatica al punto di farla servire essa pure al grande scopo di giovare alla causa della società, cooperando a combattere e distruggere gli ostacoli che si oppongono al più ampio godi- mento dei suoi dritti. » Tali viste che 1' autore nella sua elegante prefazione disco- nosce nelle produzioni degli autori italiani nel secolo passato , ed ai soli autori francesi attribuisce , incominciando da Beau- Marchais sino a Desnoyer , ci sembrano essere quelle preci- samente con cui Federici dettava la sua Figlia del fabbro, il Chiabattino consolatore dei disperati col prestigio dell' oro , e la Filosofia dei birbanti. Con molto spirito definisce il Batta- glia la commedia del secolo passato in queste parole: « l'uomo del popolo è abbietto per natura, è goffo e vile per abitudine: serva dunque di trastullo , di vittima o di zimbello a quegli individui delle più alte classi che pur si degnano gettar su di 559 lui uno sgnardo di sprezzo e eli commiserazione. Tn ogni caso della vita privata , in ogni circostanza della vita esterna vi sia un agente ed un paziente, ben inteso che la prima delle due parti spetti sempre non a chi ha più cuore e testa , non a chi più sa e sente e vede, ma a chi più vuole e può: a chi in luogo dei sentimenti e degli affetti ha modo di far valere gli stemmi, la borsa o il bastone: » ben contrario parci essere il corollario che dalla maggior parte delle produzioni di Fe- derici si deve dedurre, ha perciò peccato alquanto d'ingiustizia il sig. Battaglia verso il nostro Camillo Federici , che se non fu gran pittore , fu al certo scrittore di ottime intenzioni ed a grandi vedute , è questo l'incontrastabile merito che gli pro- curò tanta fama popolare. Ritornando alle produzioni dell'egre- gio sig. Battaglia, farà meraviglia come nell'attuale epoca in cui vediamo tanta pompa di titoli impiegata a mascherare la me- schinità delle opere , abbia l'autore intitolati i suoi tre drammi ( che diremo di genere alto ) Saggi Drammatici , ciò dimostra che quanto è il Battaglia ardito nei suoi concepimenti è altret- tanto modesto. Nel primo intitolato Maria o la vendetta di una donna , si propose l'autore di dimostrare la virtù paziente di una donna ohe soffre nel dolore, indi soccumbe vittima di un violento an- tagonismo , contro al quale ella non ha le forze di combattere. « Nella solitudine e nell' abbandono l' infelice Maria , figlia di un veterano , lentamente si consuma ad un amore dimen- ticato da un insensato giovine, che le splendide allettative di una vita clamorosa e spensierata travolsero al vizio, ed alla sregolatezza , quando richiamato all' antico affetto dalla voce di uu sacro dovere, e da un istintivo senso di bontà sopito in lui, ma non ancor estinto, Gustavo fa ritorno a Maria, costei ha già troppo sofferto del peso delle sue sventure. « Ella è un fiore calpestato che il tepore dell'aure estive può fare per poco rialzare verso il cielo , ma lo stelo è spezzato , ed il più piccolo soffio che lo scrolli basterà a spegnerlo del tutto. « L'altera contessa Vittoria, a cui ella, l'infelice Maria, ignara del suo proprio innocente ti*ionfo rapì l'amante alla vigilia del 540 j^iorno (Ielle nozze , giura di vendicarsi di lei ; e questa lotta ira due avversarli di forze impari, questo conflitto fra la virtù tenera, la bontà ingenua, ma debole, ma impotente da un lato, e dall'altro la consumata scaltrezza, la femminile vanità sussidiata dalle arti nere di una vile cortigianeria , non è che una specie di forma simbolica della maggior parte delle dolo- rose peripezie che travagliano e talora anco distruggono 1' esi- stenza di chi meno può , e rendono superbo , invidiato e te- muto , ma non mai , per buona sorte , felice il vivere di chi tutto osa volere perchè o d'una guisa , o dell' altra ha modo di ottenere quasi ogni cosa che vuole. » Questa materia venne dal chiaro autore svolta con molto ingegno e perfetta conoscenza della scena , il personaggio di Maria è toccato con somma delicatezza, ed oltre ogni dire in- teressante, vibrato il dialogo, tersa la lingua, egli avrebbe forse potuto allargar alquanto la periferia del suo quadro e riuscire più arguto , più nuovo , ma chi conosce le attuali condizioni del nostro teatro non potrà apporglielo a colpa, e potrà arguire dal poco il molto che per avventura ci potrebbe dare 1' in- gegno del Battaglia. Di non minore importanza si è lo scopo che si propose nel romanzetto intitolato Evellina o una donna da teatro. « Evellina benché appartenga ad una classe che la ingiustizia della società disistima in forza di rancidi e stolti pregiudizii, opera con virtù, con ischiettezza, con nobiltà di cuore: eppure non è creduta, anzi è calunniata, e sul punto di essere col- pita perfino dal disprezzo di colui medesimo , che dovrebbe più di chiunque apprezzare le rare doti del suo animo 5 ma ella non si turba a tanti assalti , gli affronta con coraggio , e sto per dire con serenità: epperò vince, e appena ha vinto poiché le é diventato inutile, rimette del suo orgoglio, e in- segna a chi voleva umiliarla sotto il peso di una burbanza sfondata che gli animi nobili per indole, e per eletto ingegno hanno in sé una virtù che disgrada quella dei blasoni , la virtù di non essere insolenti nella vittoria. » In questa leggia- dra pittura fu mente dell'autore, il porre in raftVonto il largo e generoso modo di pensare della nuova generazione colla grel- 541 tezza , coir austerità antipatica e pregiudicata di quella clte poco a poco , o va cedendo a chi subentra il suo posto , o diventa ogni di più debole , e inetta a sostenere le sue vane pretese. Semplice è il tessuto di questa novella , spiritoso e vivace il dialogo che quasi di continuo vi campeggia, per cui nulla invidia alle composizioni di tal genere che ci vengono d'oltre monte e che sono con tanta avidità dalle nostre dame divorate. Vittorina ossia le conseguenze di una scommessa è il terzo saggio che ci presenta il sìg. Battaglia,- a che abbia inteso ce lo dice egli stesso. ((. Cosi nella Maria come nell'Evellina mi proposi dimostrai'e l'urto dei due prìncipii che tanto dominio esercitano sulla so- cietà moderna , vo' dire la continua azione e reazione che ve- diamo fervere fra quel sentimento della umana dignità che per solo impulso della natura si sviluppa nell'animo dei tanti in- dividui sforniti di mezzi sociali atti a far valere se stessi , e queir altra forza morale molto più potente , e di consueto più fortunata , che è data dalla eminente e felice condizione nel mondo , e dai vantaggi che chi siede in essa può trarre , e sa trarre pur troppo dalla dappocaggine altrui , dalla malvagità , dalla viltà. A far compiuto in certo modo il mio pensiero , restavami 1' uffizio di delineare un terzo quadro , nel quale il movimento dell'azione derivasse da un altro dei principali pre- giudizii che, cadendo dalle alte classi della società, vanno a gravitare inesorabilmente sulle inferiori 5 intendo 1' opinione troppo facile ad essei-e adottata dall'uomo corrotto dalle ric- chezze , e dal vivere scioperato, ch'egli, cioè, per comodo de' suoi piaceri , ed a soddisf; piocurasle l'incasso del capitale? (pag. 45) qual peua sofl'ersi è superioie all'immaginazioue (pag. 43). Mercè la tua assistenza e le cure che le prodigherai, lo solleveranno fra breve (pag. 79). — Povera sintassi ! ! — Per ciò che è della perizia del Pratolongo nel verseggiare , basterà dal secondo dramma, scritto, come già notai, in poesia , estrarre qualche verso preso qua e là , perchè sia agevole ad ognuno il portarne quel giudizio ch'ei si merita. Della prima scena adunque riporterò l'arietta seguente : Chi agli infelici alta Presta con nobii zelo , Oggetto a noi s'addita Pietoso, e non crudcl. E queir altra strofa : Celarsi al mondo può anche il mortale , Ch'ebbe dagli uomini sol pene e male. Chi lo straniero può condannar? Nell'ottava scena trovo sei versi che valgono un tesoro ; e sono questi : Ch' io ceda , or ben m'avveggo , È speme in te , ma vana : Amo, d'amor che ideare Non può la mente umana ; Sono voler divini, A cui non giova il fren. La scena decima me ne fornisce due vaghi assai ; eccoli : Ma la trama che fu da te ordita Riuscirà a te fatale , o crudel ! Dalla scena seconda , atto secondo ne tolgo quattro armoniosis- sìmi : Crudel pur ti serba Con Palzo , e nemica , Ma benché superba Tuo cor vincerò. Aggiungi : la voce cedra per cederà , antiquata e non punto poetica: (pag. 101) la bella espressione: CWi allora spente Vedrò mie spenti. 549 (pag. io6 ) il verso : Madie che con tal noin chiainurti io godo. (pag. 112) il terzo e sesto della pag. i38 : Quiete non trovo ovunque il piede io porti , Ah! Ma ogni fosco peusier caccisi in bando! Sbagliati 5 i due decassillabì : Se un dì fosti un oggetto a terrore , Son del ciclo iiumutabil decreti. (pag. i46, e 147) nel primo de' quali al terzo caso andrebbe sostituito il secondo , e nell' altro iininulahil è mosso al plu- rale , e manca l'articolo : 1' endecassillabo finalmente della pag. n6 Anatema alla figlia ti'aviata posto come decassillabo ; e avrassi un' idea più che esatta del merito poetico e filologico del dramma. Con tal fardello vassi egli per avventura all'itamortalità ? Ma se di tante sconcezze rigurgitano que' drammi perchè dunque parlarne ? — Perchè imparasse il Pratolongo essere in- dispensabile il ben conoscere, prima di porsi a scrivere come autore , la propria lingua 5 senza che , la sintassi camminerà sui trampoli, e le voci straniere infarciranno mostruosamente le scritture : perchè imparasse ad un tempo , le difficoltà che la carriera drammatica presenta , essere grandi cosi , da non lasciar lusinga che si possano , com'ei vorrebbe , saltar a pie pari. Perchè finalmente , avendo egli date prove palpabili della sua passione a consumar molte ore ad un tavolo, non vedo impossibile il piegarlo a metter in pratica un mio consiglio che può tornargli giovevole assai , e col quale finisco : Quel lungo spazio di tempo ch'ei dovette di necessità im- piegare nei nove drammi pubblicati per l'addietro , non ricusi impiegarlo attorno ad un solo : ben meditando anzi tutto, acciò le diverse parti riescano disposte in guisa da parere altrettante anella di una regolare catena ; e attenda precipuamente a far sì che ogni cosa cammini colà secondo natura — il gran se- greto che ha prodotte le eccellenti opere teatrali — se pur gli sta a cuore l'avviarsi alla perfezione, alla quale gli auguro possa, quando che sia , pervenire. 2 35 550 AJVl^ALI DI OIUBI8PRUD£]!IZA RACCOLTA MENSILE Publicata da una Società di Avvocati e Causìdici ( Torino i838 , Fascicolo I ). Chiunque considera le condizioni della letteratura e delle scienze nella patria nostra , non può a meno di rallegrarsi ve- dendo il moto e la tendenza delle opere e dei giornali , che da non molti anni si vennero publicando. Vi si scorge uno svi- luppo di pensieri , un propagarsi di lumi , argomento certis- simo dell'energia degli animi : appunto come l'impazienza della quiete e l' impeto risoluto nell' operare manifestano in un gio- vane il vigore e l'abondanza della vita. Questo moto , questa tendenza sì propagò anche alle cose le- gali , e frutto ne sono parecchie leggi , colle quali ai nostri giorni vedemmo aboliti molti avanzi della barbarie romana e del medio evo, e principalmente il nuovo Codice, il quale più semplici e più note rendendo le disposizioni della legge, dà principio ad un nuovo periodo nella giurisprudenza piemontese; e frutto parimente questi Annali di Giurisprudenza , i quali col Codice ebbero cominciamento. A cagione dei due oggetti che i Compilatori ebbero di mira, divisero questo giornale in due parti. — Nella prima si pro- posero di raccogliere le decisioni e le sentenze pronunziate dai Magistrati supremi secondo la disposizione del Codice. Intanto» aspettando i nuovi giudicati , essi ci danno in questo primo 551 . fascìcolo una chiara e sucosa esposizione di tre casi e delle tre corrispondenti sentenze proferite a norma dell'antica legisla- zione. Il primo tratta « Dell' effetto dell ipoteca acconsentita da w un socio sopita un fondo indiviso : v il secondo « Della quarta » uxoria: » il terzo a Della dote dovuta alle fontine escluse » dalle successioni. » Né miglior mezzo, né più sicuro sarebbesi potuto concepire onde osservare come nelT applicarle ai casi occorrenti si venga sviluppando lo spirito delle nuove leggi. Inoltre gravissima è l'influenza che la pratica, ossia l'uso del foro, esercita sulla teoria di qualsivoglia legislazione ; per la qual cosa largo frutto abbiamo a sperare da questa parte degli Annali , sopratutto se la fattispecie e le questioni del diritto ci verranno presentate colla chiarezza e col felice ordine che scorgiamo principalmente nel caso sopradetto della quarta uxoria. Occupano la seconda parte, e fanno l'oggetto secondario di questo Giornale, dissertazioni, memorie, analisi d'opere econo- miche, legali, storico-legali , di diritto publico, ed altre cosi fatte. Vi leggiamo una erudita dissertazione a Dell' usucapione » secondo le leggi romane , e della prescrizione secondo il nuovo » Codice , » nella quale colla face della storia e della critica è posto in chiara luce questo intricato soggetto. • — Segue una memoria « Della misura legale delle acque correnti secondo gli )) articoli 64 1, 642 i (343 del Codice civile. » Poco finora fu trattato questo grave argomento, e tra i codici primo il nostro contiene una serie di disposizioni sopra tale materia. Per Io che sommamente benemerito della scienza nostra sarà sempre chi applichi l'ingegno a dilucidare così fatta questione, causa di tante e sì lunghe liti ; sopratutto se la svolga colla dot- trina e colla profondità che rende pregevole la suddetta me- moria, l'autore della quale tutti sanno essere versatissimo prin- cipalmente in questa parte della giurisprudenza, - — Chiude il fascicolo un' Analisi della storia dell' economia politica in Eu~ ropa di Adolfo Blanqui. Sarebbe opera perduta distendersi a provare i vantaggi che alle dottrine legali derivano dalle eco- nomiche, storiche, morali, e ad esporre la commodilà di cosi fatti sommani ed anali* .che servono di mezzo principale per propagare la conoscenza tli tali opere, e sono face che rischiara il sentiero a chi non contento di un sunto voglia ricorrere alla sorgente. Cosi fatte memorie e dissertazioni vengono proposte come oggetto secondario ; ma sembra che per utilità ed importanza possano e di molto debbano vincere il primo oggetto del gior- nale , se gli autori non limitandosi ad agetolare o dirigere l'interpretazione e l'applicazione delle nuove leggi, mirino ad un fine più alto,- e col confronto delle altre legislazioni, e risa- lendo ai principii dell' equità naturale e dell' utilità publica in quei casi che non credano bastare le leggi , discoprano e teatino di adempire le necessità del corpo sociale. — Chiunque per poco versato nella scienza legale ben sa quanto difficile e quanto vantaggioso nell'interpretazione riesca il risalire all'ori- gine delle leggi, e investigarne colla storia e colla critica il motivo, la ragione ed il fine *i ; quanto (come appunto fece r autore della memoria sull' Usucapione ) il venir notando a mano a mano ogni modificazione in esse introdotta 5 quanto il segnare, principalmente collo studio dei varii costumi, ciò che nel diritto romano sia derivato o dal barbarico o dal canonico, i quali tanto nei tempi di mezzo sul romano influirono *2. — *i In omnibus rebus anìmadverto id perfectum esse quod ex omnibus suis par- tìbus constaret. Et certo cuiusque rei potissima pars principium est. Deinde si in fòro causas dicentibus nefas , ut ita dixerim , videtur esse , nulla praefatione iacta ludici rem exponere : quanto magis interpretationem promittentibus incon- iieniens erit , omissis initiis atr/ue origine non repetila atque illotis , ut ita di- xerim, manibus , protinus matcriam intarpretationis traclare ? L. i ffde orig. iur. *2 Non poco eziandio giovano le raccolte compiute e le buone edizioni delle anti- che leggi. Dacché in questi ultimi tempi tanti frammenti del diritto romano si tro- varono , alcuni uomini di grido in Alemagna diedero opera a raccogliere e ridurre a sana lezione que' preziosi avanzi della romana gim-isprudenza ; ma nella nostra Italia appena son note si fatte collezioni. — Il cav. di Vesme sta preparando un' accurata edizione del Codice Tcodosiano, collazionata coi migliori manoscritti, ed an-icchita di parecchie costituzioni inedite. Fia breve il medesimo cav. di Vesme e l'autore di questo articolo procureranno un'edizione del diritto Giustinianeo, e sperano col confronto di parecchi manoscritti di togliere le molte mende che sfor- mano principalmenle il Codice e le Novelle ; accrescendo inoltre il primo di molle costituzioni recentemente scoperte e fra noi ancora sconosciute , e le seconde di alcune novelle che vedranno quanto prima la luce in Aleiijagna per opera del chia- rissimo Dottore Gustavo Ernesto Heimbach. 555 Sanno i. magistrati, e gli avvocati che al foro attendono, come talvolta dottrine da secoli consacrate e diventate ( siami per- messa l' espressione ) assiomi legali , nell' applicarle ai casi oc- correnti , mal consentano alla giustizia naturale ed ai diritti dell'uomo *i. INè ciò fa maraviglia: imperciocché due maniere di principii legali si danno 5 i primi immutabili, eterni, come quelli che, immediatamente tolti dal diritto di natura e delle genti, sono verità prime 5 laddove i secondi, emergendo da ciò che il più delle volte accade nelle bisogne della vita civile , formano una regola , che non precede , ma è raccolta dai fatti. Onde come non può accadere che tutti i fatti possibili in quel dato cerchio di cose concorrano a formare la regola ; cosi sa- rebbe disdicevole a tutti i fatti applicare questa regola , la quale non può mai lutti comprenderli ; appunto come logica- mente non regge l'argomento dai particolari all'universale *2. Occorrono pertanto alcune massime , che sebbene radicate da secoli, non potendosi in certi casi piegare a giustizia, fa duopo spezzarle , e sciogliersi dai loro ceppi. ■ — Ne con. ciò si vo- gliono lodare dottrine sofistiche od avventate ; ma se dedotte con sano raziocinio, se fondate sull'immutabile giustizia natu- rale, tali dottrine ci allontaneranno sempre più dal costume anche nella giurisprudenza invalso di seguir ciecamente le sentenze del maestro , e faranno sempre più immedesimare la scienza nostra alla filosofia, senza la quale non può progredire. Ma r interpretazione anche svolta con si fatte avvertenze non giova che dentro i confini dalla legge segnati ; e questa non sempre può sodisfare alle continue emergenze dei tempi, ed al progresso della civiltà. In questi casi sembra al tutto ne- cessario che il giureconsulto , come uomo che meglio scorge queste necessità, le scopra, e rompa i vincoli prepotenti delle opinioni radicate e dei pregiudizii invalsi, entri nei campi del *i Plerumque sub auctoritate itiris scìentiae perniciose , inquit Celsus, erratur. L. 91 , § 3 fF de verb. oblig. *2 Regula est quae rem quae est breviler enarrat. Non ex regiila lus sumalur, sed ex iure , quod est , regula fiat. Per regulam igitur brevis rerum narratio traditur, et, ut ait Sabinus , quasi causae coniectio est, quae simul quuin tu uliquo vitiata est perJit njfflciitin suum. L. i , if de dhor. reg. iiir. aiiL 554 puLlicista , e come salito sopra un' altura , dalla quale e da lontano e da vicino e d'ogni intorno possa spingere lo sguardo, si faccia franco banditore di quanto una sana filosofia imponga, onde ravvicinare sempre più le classi ed i membri del corpo sociale , onde estendere sempre più 1' eguaglianza di tutti al cospetto della legge ; ci apra teoiie profonde , estese , univer- sali ,• metta in somma ogni opera perchè le leggi civili siano sempre più derivate dal fonte perenne , dal diritto di natura e delle genti. — E s' egli entrasse in timore che tali dottrine riescano intempestive , o cadano infruttuose o non siano tole- rate , ragioni anzi come i tempi sono propizi! , come siamo giunti a tale , che il vero fruttifica , e non solamente viene tolerato ma accolto, se con onesta libertà esposto^ « libertà che )) fa egualmente onore ai principi che la soffrono ed a to- » loro che ne sanno far uso *i ; » pensi che spesso Poca favilla gran fiamma feconda. Gli Annali manifestarono il generoso divisamento di contri- buire a diffondere anche tra il popolo le dottrine del diritto. Ma per ciò conseguire forse non basta che il Codice ed i trat- tati legali siano volgari ; vuoisi che siano scritti con buona lingua 5 e quella delle leggi e del foro lungi d' essere tale , viene prodotta ad esempio di un gergo barbarico. Ne il difetto è delle materie , che il contrario scorgiamo in tanti eleganti passi di giureconsulti latini ; né dell'idioma nostro, così ricco, così pieghevole , da vestirne ogni più sterile ai'gomento : ma la colpa è da riversare sui giuristi, che disprezzando la veste solo posero attenzione all' intrinseco degli argomenti, non ba- dando come anche al progresso della scienza grandissimo van- taggio avrebbe arrecato la filosofia della lingua. Questa mancanza già fu sentita da un sommo giureconsulto, il cardinale Deluca , il quale sul declinare della vita , spesa tutta a svolgere l'immenso studio delle leggi, dettò un trattato sullo stile legale « per quel medesimo zelo della verità e della » giustizia, per il quale (essendone vero e buon testimonio )» Iddio ) si sono assunte quelle fatiche ^ le quali la publica *i Filangeri , Scienza della Icgislay.ione. 555 » luce ha vedute ed anche per restituire quanto sia pos-' » sibile la riputazione della facoltà ed il commercio dei leg- » gisti con gli altri letterati : mentre le materie per sé stesse ■u sono altissime e rispettivamente al genere umano grate ed » opportune forse più dell'altre, come concernenti al governo » politico e civile della repubblica, ed alla vita e morte degli » uomini , agli onori , a' gradi ed alla roba 5 sicché il solo » male proviene dallo stile *i. » Temendo ciò che avvenne, egli prediceva che le sue dottrine ai presenti giovato forse non avrebbono , ma che un tempo sarebbero state fruttuose. Questo tempo noi lo speriamo in- stante : che se mai fuvvi tempo opportuno a tentare si fatto miglioramento, si è questo, col quale comincia, almeno per noi , un nuovo periodo nella giurisprudenza e nel foro 5 ed a produrre il salutevole effetto non v' ha forse organo più op- portuno di questi Annali. Né colla Crusca vuoisi eseguire la riforma , perché i classici possono giovare , ma non soli so- disfare alle nostre necessità. Ma tra il purismo pedantesco e la sfrenatezza nello scrivere havvi una via; ed un uomo d' in- gegno può dare colorito e indole italiana anche ad uno scritto seminato di vocaboli tecnici e di neologismi. La patria nostra fu sempre celebrata per magistrati insigni, e per giureconsulti di sommo grido ed autorità; non è dunque meraviglia che sorga tra noi chi seguendo quei chiari esempli rivolga r ingegno alla difficile nostra disciplina , della quale ( se coltivata colle dovute avvertenze ) non v' ha forse altra che più conferisca a migliorare lo stato civile degli uomini. Per lo che i posteri porranno tra i benemeriti i nomi dei chia- rissimi Compilatori di questi Annali , che danno opera a con- servare il vanto nazionale , ed a migliorare le sorti del corpo sociale. *i Dello stile legale, cap. I., n. i3. /ii'v. Spirito Fossati. 55t> Saggio Speriiiicntale - Pratico sidV acqua di Cerasole (inaile di Locana , proiància d' Ivrea ) di Tommaso Pullino membro di varie Società. Molte ciotte scritture pubblicate uel Giornale di Medicina, che in sul cominciare dell'anno vide con universale applauso la luce in questa nostra capitale , e che rende buona testimo- nianza di quanto in Piemonte siano in onore le scienze me- diche , e di quanti valenti cultori di esse egli possa gloriarsi, chiamerebbero la nostra attenzione ed i nostri encomii. Ma noi lascleremo quest' ufficio a chi sopra di queste discipline ha fatto studi speciali e profondi , e ci soffermeremo soltanto a far qualche cenno su di un articolo che nel fascicolo di feb- braio vi ha inserito il Medico Tommaso Pullino da Castella- monte sull' ac*^»^ di Ceresole , perchè questo scritto ci è parso accoppiare pur anco un qualche merito letterario. Tenero come il Medico Pullino egli è della terra natia e delle ricchezze pittoriche e naturali che a tutti la fanno desi- derata e cara, premette nel suo articolo una bella descrizione della valle di Locana, in fondo alla quale zampilla l'acqua me- dicinale di Ceresole. Queste descrizioni in scritto massime che deve ridondare di tecniche disquisizioni sono sempre utili , e trovano dappertutto buona accoglienza. Se infatti veggiamo ogni anno tanti gentili signori e tante belle viaggiatrici penetrare in mezzo ai disastrosi burroni di Aosta e di Valdleri sfidando molti disagi e molte fatiche soventi più per diporto che per espresso bisogno di medicina , perchè non ci lusingheremo noi di vedere pur anche un giorno nell' estiva stagione popolarsi di liete brigate le amene sponde dell'Orco? Che se r acqua di Ceresole è cosi salutare come il nostro Medico la estima , se la sua spiritosa scrittura vien letta e sen- 557 llta come la si merita , noi non disperiamo di vedere tra poco e tratto tratto e quasi a mobili strlscie colorarsi le balze di Lo- cana e di Sparone coi più svariati gruppi di bloitzes e di cappel- lini , di scialli e di ombrelli. Che anche per queste alture spira un aere puro e vitale , qui pure ci sono le ridenti prospettive, qui le fragorose cascate del torrente , qui il placido serpeggiar di ruscelli , qui gli alberi da più di un secolo sfidanti il vento e la tempesta , qui le praterie fiorite , qui i begli orrori , qui i costumi semplici degli alpigiani, qui insomma tutti quei in- finiti accidenti della natura vergine e fresca di poesia che tanto possono sopra coloro che hanno 1' anima fastidita dalla mo- notonia cittadina , il corpo egro o la mente , oppure ( e sono i più ) che non hanno altra malattia al mondo fuorché quella cosi dolce, così famigliare del sentimentalismo. E quando dunque a tutte queste seduzioni ancor si aggiunga quella di una sorgente d' acqua medicinale , e lo stabilimento ancora di salubri lavacri, allora qual cosa più mancheravvi per attirare a Ceresole quel mondo che cerca nelle montagne e spera dai bagni potenza di distrazioni , obblio delle pene , gio- vinezza di pensieri , innocenza di palpiti, il ritorno o l'abbon- danza della salute ? Finita la descrizione del luogo , il nostro fisico descrive la natura e le virtù dell' acqua. Egli spiega com'essa agisca e per forza dinamica e per la proprietà delle sostanze e dei gaz che la costituiscono. Dopo di ciò , com' era ben naturale , egli dice con singolare sveltezza di alcuni casi in cui quest'acqua fu adoperata , ricordando i varii effetti che operò, secondo il va- rio stato patologico delle persone che ne fecero uso. Il modo e le circostanze in cui essa debba usarsi sono anche , sebbene forse con non abbastanza di precisione , accennati. Un pregio , secondo noi , essenziale di questa memoria si è che l'autore non vi si mostra mai schiavo perduto di alcuna setta ippocratica. Anzi le sue opinioni rifuggono da ogni ma- ritaggio indissolubile e troppo spesso fatale con alcun sistema: pregio che non sempre s'incontra in tutti i suoi colleghi. Sono finalmente da lodarsi alcune prudenti distinzioni eh' egli rac- comanda nella applicazione della teoria del controstimolo j -^ 558 se si dovesse congliictturare dal governo cb' ci fa delle sue co- gnizioni teoriche e pratiche nell'arte medica, si potrebbe forse dire che il PuUino aspira ad introdurre l' eclectismo anche nella medicina. Checche ne sia da questo lato , lo stile del Medico Pullino è molto schietto e vivace , e si conosce eh' egli lo ha formato allo studio de' classici modelli. Lodevole soprattutto è nella proprietà delle parole , e si vede che il Redi ed il Vallisnieri gli son famigliari. Ma gli è un peccato che lo si vegga tal- volta spruzzato di un tal fare acrimonioso che solletica ma non piace. Qualche volta anche il lascia cadere nel contorto e nel lambiccato. Ne trovo un esempio là nella prima pagina dove il Pullino vuol esprimere 1' ottimo desiderio che si apra nella sua diletta valle di Locana una strada ad uso di carrozze. - — La strada, egli dice, che si addentra nella valle sempre acco- sto al torrente Orco , è fino a Locana adattata per vettura ,. quanto il consente valle, che va angustandosi fino a Novasca, meno un buon tratto , di facile riduzione però , cui si sta , dice , opportunamente pensando ; e se con successo noi so pronosti- care'^ ben è chiaro che per ismuovere certe inerzie e drizzare le viste corte j ed aguzzare le lunghe appena una spanna, evvi mestieri di un atto di forte volontà per parte di chi vede per dono e sopravvede per ministero : seppure non è bisogno anche qui usare violenza per operare quel bene di comodo , di cui i ripugnanti avrebbero più che altri a profittare *i. Di questa stessa alquanto affettata vibratezza di stile trovo poi ancora un altro esempio nell' ultima pagina dove 1' autore vuole scusarsi del non poter dare maggior sviluppo ai suoi ra- gionamenti quando par dissentire da altri scrittori. — Bensì, egli parla, quant^ è all'accoppiatevi ciance di teoria j io mi protesto disposto a tacermi se deboli le contrarie ragioni, pronto *i Chi sa che un giorno o noi od i nostri posteri non abbiano ancora a vedere una strada ferrata che da Torino conduca abncno sino a Pont. Allora i voti del Medico Pullino e quelli de' suoi compaesani sarebbero appagati. Il Canavcse, che avreljbe quasi sul luogo la materia e le ofticiue per costruire questa strada , ai grandi henelizi commerciali ed industriali che in tal caso acquisterebbe , aggiunger potrebbe ancora quello sanitario dnll' acqua di Cerasole. 559 a ritrattarmi se solenni. Nel qual passo la parola solenni clie qui sta per giuste, non sembra risponder troppo al senso in cui si volle usare , e d'altronde il tacersi quando le altrui ra- gioni sono deboli , massime in fatto di medicina , non mi pare modestia che giovi. — A parte queste piccole mende , la presente memoria del Me- dicQ Pullino è scritta con gagliarda e bella disinvoltura, e dalla sua penna con seguitati lavori esercitata , si ponno a ragione augurare altre maggiori scritture cbe rendano prestanti servigi non alla medicina soltanto, ma tutt' insieme alla statistica, all' economia ed all'igiene pubblica, come già in questa scrittura medesima egli si è mostrato voglioso e capace di fare. 8. B. 560 VARIETÀ XiETTEBi: D' ILLUSTRI PIEMONTESI A PIETRO aiORUAIVI Una delle più splendide pruove della celeste predilezione verso V Italia mi è sempre parata quella , di attere in Lei eccitato , dopo la lunga notte barbarica , quella luce di civiltà e di sa-' pienza , che dovea poi diffondersi in tutto il resto di Europa ; e di avere in lei per tal guisa mantenuto la successione dei grandi ingegni e degli eccellenti scrittori, da far conoscere, che nella gloria delle lettere italiane non v' ha mai interregno. Co- sì, se V Italia si rattristava daWuna parte per la morte di Carlo Botta , si confortava dall'altra in veggendo quali maestri dì corretto ed efficace scrivere tuttavia le rimangano ; e fra questi richiede giustizia che Koi si collochi ne' primi luoghi , sì come quegli, che tanto valete per vigor di concetti e di stile ^ quanto il Botta per magnificenza di lingua e di cose. Niuno adunque più. di voi potrà aver care queste poche lettere del grande storico italiano , che ora vi mando, e che furono scrìtte a quel eultis- simo giovane V^eneziano, nel quale voi ed io abbiamo posto si vivo e meritato amore. Ne seguitano altre due del Paciaudi e 561 due Derossi f che mi furono trasmesse dalla gentilezza di co- desto cav. Pezzana; ed una di quel Camillo Federici ^ che sa- rebbe venuto in miglior fama j se vivuto fosse in miglior for- tuna j e chiuderà questa schiera di lettere un brano di una mia lezione intorno all' Alfieri; sì che vedete , 'come tutte le cose che v invio , abbiano un^ intima relazione con quel Piemonte , dove Vanno scorso voi avete trovato si cortese accoglienza e la- sciato si preziosa memoria. Resta che voi gradiate questa te- nue significazione della mia stima ^ e che a voi ^ a' Tommasini ed al loschi mi tenghiate senza fine raccomandato. Torino a' io di marzo i838. Caro Conte P. Parigi 28 marzo 1828. place s. Sulpice N. 8. Lunedi ultimo solamente mi pervenne la vostra degli otto febbraio, portatami dal vostro amico Quanto più m'accora in questo mondo, si è il vedere la servilità degl'Italiani , che non sanno più pensare da sé , ma seguitano , come le pecore del Dante , quanto loro viene da' forestieri , buono o cattivo che sia , e più spesso il cattivo che il buono. Dico che ciò m'accora , perchè è segno , che ogni origina- lità , ogni spirito inventivo è spento fra di loro , e giacché si sono risoluti a pensare col cervello altrui , ogni speranza è morta. Mi farete molto piacere e gran servizio , mandandomi il più presto che sarà possibile i discorsi sulla storia Veneta del conte Domenico Tiepolo. Sono appunto adesso alle mani col sig. Daru per conto della congiura degli Spagnuoli contro Venezia. Egli ha fatto in tal propo- sito una comparsaccia da procuratorello per provare , che la congiura fu finta , ed inventata da' Veneziani per far credere alla corte di 562 Spagna , che egli non avevano paftecipalo nel progetto del Duca d'Ossuna per farsi re di Napoli ; il che viene a dire , che il tribu- nale dell'inquisizione di stato fece perire nei supplizii più di cinque- cento innocenti. Non so come un simile pensiero abbia potuto cader in mente di un uomo , che non sia del tutto privo di ragione, quando anche ei fosse stato de' satelliti più attivi del più stringente e crudo despoto , che sia stato mai al mondo , dico di Napoleone. Del resto, le sole date convincono d'impostura il Daru, poiché è certo, che il pensiero di farsi re di Napoli non venne in capo dell' Ossuna se non molto tempo dopo la congiura sopraddetta , e ch'ei ^ conser- vato ancora due anni dopo viceré di Napoli , stantechè non parti dal regno che nel 1630. Non so , se potrò scrivere questa parte della mia storia con imparzialità. Tanto è lo sdegno , la rabbia , e lo stomaco , che mi fa il modo , con cui il Daru 1' ha narrata. Dalla dalla contro il governo Veneziano ; or è venuto di moda di gridar controvi dagli spirituzzi moderni. Si, sì, andate pur là, e fidatevi dei vih cagnotti di Napoleone , che ora gridano libertà ! Questa è l'età della menzogna, dell'impudenza e dell'inganno da vma parte , della credulità, della goffaggine, della rinunziazione ad ogni criterio dall' altra. Mi vien voglia spesso di ficcarmi in una tana per non sentir più , né vedere simili cose. Non ho veduto il lavoro del conte Litta sulle famiglie italiane. E un bell'argomento, e non dubito punto , che il sig. conte l'abbia trattato degnamente. , , , . Avrete avuto avviso dal conte Littardi di Tolone , che gli ho con- segnato il terzo volume della mia storia. Ora ho pei capelli il quarto , e , come vi dissi sopra , già sto scrivendo la congiura del Bedmar e Compagni contro Venezia, Presto arriverò al fatto del Fo- scarini. Alcuni vorrebbero ch'io lo sci'ivessi da Walter Scott , per- ciocché , conte mio carissimo , siamo arrivati a tale , che non solo si crede , ma si dice e si stampa., che le vere storie sono i romanzi. Ma io a costoro rispondo col doccion delle lofFe. Scusate, Il genio mio mi tira a scrivere con ardore questa italiana storia , e quello che mi é di particolare contentezza cagione , si è il poter raccontare le veneziane glorie. Oh poveri noi , oh deserti noi a che siam giunti. Amatemi , mio dolce amico , e Nostro Signore vi conceda tutta quella felicità , che meritate ; che sarà certamente e molta e grande. Il vobtro — Carlo Boita. 565 Mio carissimo Amico Parigi a5 gennaio i83i, place s. Sulpice N. 8. Rispondo alla vostra de' i4 del corrente pervenutami ieri. Io son sano come una lasca , malgrado de' miei sessantaquattro anni. Mi par di esser giovane , quando mi scrivete , poiché tanto m'amate *, vi ringrazio con quel cuore , che ad onta di tante tempeste , con- serva pure il sentire di prima. Io non ho ancora incominciato quel lavoro che dite. Forse un di lo farò , ma per ora sono carboni tanto accesi , che è duro il toccargli. Io sono per la verità , senza guardar in viso nessuno , né sono, come sapete , pedissequo dei giornali, che sono bugiardi , non dico alcuni , ma tutti. Onde vedete , dove vanno queste cose. Per la bisogna della mia storia voi avrete a pagare , ma soia- niente al mese di maggio prossimo , una rata di i oo fr. che sarà l'ultima* La storia è terminata ; 1' u3+,imo volume del manoscritto è a Tolone in mano del conte Littardi , che presto ve ne darà avviso. Sono nove volumi grossissimi , che credo faranno dieci volumi di stampa. Il conte Littardi pensa alla stampa , ed eseguirà nel pre- sente anno il pensiero , se in primavera non nasce qualche ballo di streghe. Ma se il ballo nasce , come si farà ? fra il rumore e lo scombuglio dell'armi, chi abbaderebbe alla pacifica fatica ? Chi può prevedere i casi , che seguirebbono. — Mi duole moltissimo della malattia del Gaspari *i. Se si estingue, sarà estinto un bel lume d'Italia. Ma speriamo in bene : Dio ce lo conserverà , e datemene nuove. . . ► . De' miei tre fìghuoli , di cui per gentilezza vostra mi domandate nuove , Scipione , il primogenito , è caporale nella duodecima legione della guardia nazionale di Parigi. Ai li dicembre scorso in quei ru- miori e tuibamenti di Parigi sostenne una battaglia molto brava. Si trovava di guardia suUa piazza del Pantheon con cinquanta de' suoi compagni della guardia nazionale , quando ecco arrivare il popolo *i Letterato veneziano , la cui biografia può vedersi tra gli Opuscoli varii di Pier Alessandro Paravia, pag. a33. 564 sovlrano del sobborgo di s. Marcello ciint fuslibin et lanlernis. As- salse i cinquanta e gli voleva disarmare per impadronirsi dell'armi. Insomma , dà e piglia, si venne sul menar le mani. 11 buon Scipione ebbe a fare con un coiaio , vma spezie di gigante , mezzo nudo , e che rotava a cerchio , come un pino, un grosso legno orribilmente. Il vincitore di Cartagine si difendeva alla meglio ; ma se la scola- resca della scuola di legge , che appunto è in quella piazza , non accorreva in soccorso , credo, che sarebbe stalo spacciato. Basta , coll'aiuto della scolaresca i coiai furono rimandati alle conce. Ed ora Scipione cinguetta , e parla della battaglia del Pantheon , come se fosse quella di Zama. Paolo Emilio , il secondogenito , era ai g di ottobre ad Antura presso Beruti in Soria. Stava benissimo, ed in punto di tornare ad Alessandria , per quindi incamminarsi verso le sponde del mare rosso. Dio , e chi protegge le scienze naturali il salvino " A cagione de' paesi strani , per cui viaggia , io ho maggior martello di lui , che quando faceva il giro del mondo. Cincinnato , il terzogenito , è sergente maggiore nel 5g reggimento, presentemente di presidio a Parigi, Dà le paghe a' suoi soldati, ed accudisce alla loro minestra con molta affezione ; buon giovane in verità ! Avete ricevuto la mia de' 29 ottobre ? Salutatemi il cavalier So- ranzo. Datemi nuove del Mustoxidi. Amatemi pur senjpre , ch'io vi amo quanto ne ho. 11 vostro amico — Carlo Botta. MÌO caro Amico Vaux près Meulon dèpartemcnt de la Scine et Oisc 17 luglio i83i. Nell'ultima mia corsa a Parigi trovai col vostro grazioso viglietto dei 9 giugno ultimo i due volumi, di cui mi avete voluto favorire. Non ebbi già la contentezza di vedere il portatore , essendo egli partito per l'Inghilterra. Ho veduto con singoiar piacere, leggendo uno dei volumi , che mi fece dolce compagnia in qvxesta solitudine, che la vostra casa è piena d'allegrezza per le nozze di un vostro 565 fratello. Qiiod felix , fausium, fortunaUimque sit, grido io sin di qua, che ben conosco l'animo vostro , quantunque il viso mi sia scono- sciuto , e che so il vostro fratello simile a voi. Credo , che sia ima la virtù , come è uno l'amore , ed a tutti giungerà felicità la gra- ziosa Veronese. Insomma se spesso accade , che a chi ha il sapere di esser felice, mancano i mezzi, ed a chi ha i mezzi, manca il sapere , godo , che neira\'venturosa vostra famiglia una cosa sia con- giunta coli' altra. Questi spettacoli manda Dio qualche volta in questo mondo , perchè gli uomini del tutto non si dispenno. Sentii anche da un'altra parte , i due volumi leggendo , un altro intei'no e ben dolce contentamento , ed è che il terren vostro sia ancor quello , che i Bembi ed i Bonfadii produsse. Cosi mi suonarono nell' anima e quei versi e quelle prose , e cosi principalmente quella disinvol- tura del Gaspari nel voltare dal latino in italiano : ahi , morte a- cerba , che cosi presto cel togliesti , e pure ancor felice , posciachè, non come il misero Bonfadio per atroce caso , ma tra i conforti , le cure e il pianto degli amici e dei parenti cel togliesti. Or doni il cielo ai nobili spiriti , che sopravvivono , e che del vostro sangue , e di colei , che perpetuare il debbe , cantarono , lunga e riposata vita , come al Bembo donò. Soprattutto , vivete felice voi con tutti i vostri , onde dire si possa , che raggio celeste è sceso sopra terrena virtù , ma che pure a celeste rassembra. Io me ne vivo in molto riposo in questa villa , dove mi sono in- romitato , e cosi ancora per due o tre mesi , se però non si darà mano alla stampa della mia storia innanzi che siano passati. Aria dolce , amico dolce , lieto paese qui trovo , e i fumi del cattivo u- more , manco ancor quelli dell'ambizione, non giungoiia a turbarmi. Lungi , lungi, o discordi grida d'uomini arrabbiati; che questa è sede di quiete e d' usignuoli. Là sotto , la Sennq , placido fiume , lambe con dolci giravolte il pie dell'ameno mante , che mi alberga. A stanca , verso Parigi , vedo Triel , dove il cardinale Dubois fu sacrato prete per poter avere , come ebbe , il seggio arcivescovile di Cambray , ed uno degli assistenti alla sua (tssiinzione al sacerdo- zio fu Massillon , per modo che , guardate caso , ebbe per assistente al pretato MassiUon ; e per antecessore all*arcivescovato Fenelon. Or andate , e stupitevi delle vicende di questo pazzo mondo. E giacché di pazzia parlo , vi dirò che là in faccia oltre il fiume vedo im ca- solaYe tra rustico e civile con campi intorno : quello è il podere dato dalla nazione a quella donna , o donnaccia, che nel 1792 e 179S rappresentava nelle feste pubbliche la Dea della Ragione , e talvolta 36 566 quella della Libertà : ancora il bello ed utile tenimento possiede. A destra poi verso Roano vedo un bel ponte , e con lui la città di Meulano , dove ancor si vede e ancor si mostra il muro , per cui Enrico IV mentre assediava la città , mandava giù pane agli asse- diati , che ora mai di faine se ne morivano. Ed ecci anche questo che vi si vede un campanile , sopra cui Enrico montò per soprav- vedere le campagne ali' intorno , donde venivano i Guiseschi , suoi nemici •, e si che la figliuola del campanaro , vaga giovine , era sa- lita con lui per mostrargli le scale. Già i Guiseschi arrivavano e i cannoni tuonavano e le palle fischiavano. Basta , la cosa andò , che la povera figliuola se ne venne via di forma che uterum ferebat , per dirla con una frase di Celso , ch'io studiai molto , quando impai-ava l'arte medica nell'Università di Torino. In tal frangente avreste voi avuto l'uzzolo , come Enrico l'ebbe ? per me , credo che non l'avrei avuto. Ecco pure a destra, pure oltre il fiume, ma più lungi, sco- pro una bella magione e larghi campi , e vasta foresta. Quella è la viUa , quelle sono le terre , che furono di quel Pietro Daru , che scrisse con si poca sincerità la storia di Venezia. Egli , come sapete, tradusse Orazio -, ma m nome di Dio , che quello non è il modus agri non ita magnus d' Orazio -, imperciocché Bechevilìe ( tal è il nome della villa Daruriana ) dà una rendita di più di ducento mila franchi all' anno , e se la volete comprare , il potete , perchè è in vendita. Un tale ammasso di ricchezza fece quel letterato col man- dare non so quante migliaia di buoi in Prussia , in Polonia , ed in Lituania all'esercito del tiranno della Francia e del mondo , di cui i pretesi amici della libertà ora cantano le glorie. Scusate la cicalata , amatemi , scrivetemi , e salutatemi il cavalier Soranzo, T' vostro amico — Carlo Botta 567 All'Abate Gio. Bernardo Derossi , P. P. di lingue orientai» nell'Università di Parma. Padrone ed Amico carissimo Sono in lei due pregi ; testa ben fatta , e cuore eccellente. En- trambi mi animano per ricorrere al suo sapere , e alla sua amore- Tolezza , affine di avere una letteraria notizia. Ella conosce la gran Mappa geografica e nautica ch'io ho donato alla R. Biblioleca , ch'è un pezzo di prima rarità , e di cui poteva averne loo zecchini da milord Rlarch, custode dell' ammiraghato d' Inghilterra , ed in vece honne avuto nulla dal R. Infante. Ciò sia detto per transenna. Veniamo a bomba. In codesta Carta vi sono annotazioni infinite , figure , delineazioni di città , ecc. Io avrei bi- sogno di sapere , se vi sia espressa Gerusalemme , Tiro , Tolemaide o sia Accone , e se sopra, o sotto queste città si trovi scritto qual- che cosa. A chi posso volgermi con più di fiducia di sapere il vero , chtì al mio cortese , benevolo , eruditissimo amico signor abate Derossi ? Ecco la mia preghiera. Mi favorisca di copiare lo scritto , e far de- lineare la forma , la posizione , la figura delle dette città. Dopo la preghiera verranno i voti eucaristici , e per ora mi restringo a darle cento abbracciamenti , ed a ripetermi tutto suo Torino , il 25 giugno 1777- Pioto pAciAnni. Risposta dell* Abate Derossi al P. Paciaudi, bibliotecario emerit<.Ti del Duca di Parma ecc. , a Torino. Padre Rev,'^" Parma 8 luglio 1777. Io incontro sempre con un piacere indicibile le occasioni di ser- virla. Solo mi rincresce eh' esse sono rarissime , e in cose di niuii momento. L' avrei già riscontrata infin dello scorso ordinario per il consulto che chiede della Mappa geografica e HfvUtica ; ma ave» a 568 spedire dei riscontri e consulti letterarii per Ala di Sassonia , e per Neostrelitz nel ducato di Meiklenburg , che premevano, e m'è con- venuto differire. Ora adunque nella detta Mappa, die è al certo uno de' più preziosi monumenti che conservinsi in questo genere, e uno de' più belli cimeli che abbia la reale biblioteca , v' hanno senza dubbio le tre cittìi di Gerusalemme , di Tiro , di Tolemaide. La città di Gerusalemme vien rappresentata con un gran tempio , che Occupa tutto il tratto della Giudea, ed è senza dubbio il tipo o figura del famoso tempio Salomonico , che vi aveva in quella città. Sotto que- sta città non v' ha veruna annotazione. Nella Galilea tra le città si- tuate sul lido del mar grande od occidentale , v' ha Acry , che é la Tolemaide detta anche Acre ed Acco. Poco distante trovasi Suro o Sur, che é Tiro. Sieguono ordinatamente le altre città del lido della Galilea , Sarafend , Saide , Barut o Baruty , come è scritto nella Mappa. Non v' ha ne segno j né nòta particolare relativa a queste città. Solo vengono descritte a loro luogo co' nomi loro bene spesso sformati o sfigurati, e in carattere smarrito e un po' difficile a leg- gere. Ho veduto che qualche altra città o monte o lago o torre o luogo cospicuo ha annessa qualche annotazione. Cosi il Monte Sinai , il tempio della Mecca ecc. -, a proposito del qual tempio della Mecca aveva copiata l'iscrizione o nota che c'è, ma ho poi veduto che l'ha già rapportata intera il Zanetti nel libro dell' origine di alcune arti presso i Veneziani. Del resto la Mappa io la credo, come dee essere, più esatta nella nautica che nella geografia , o posizione delle terre e delle città. Io non stimo perciò che possa esserle di qualche uso un disegno perfetto della posizione particolare che hanno quelle città. Molto più che la posizione o descrizione è in quella Mappa rappresentata assai in piccolo ; sendo essa generale del mondo in- tero , almeno per quanto era allora scoperto. Tuttavolta se vorrà questo tale disegno, si farà fare. Io la ringrazio poi distintamente della bontà che ha avuto di comunicarmi copia delle orazioni de' nuovi professori di scrittura , Boyer e Regis , unitamente alle tesi che ella crede del professore d'oggi , ina che sono del fu sig. teologo Marchino. Guai , dicono i talmudisti , a quel magistero o cattedra , che ammazza chi l'occupa. Ecco da poco tempo perduti due professori di scrittura. Io auguro miglior sorte al novello , che è assai giovine. Per disimpegnarla ha certo a faticare. Voglio chiederle una notizia. Ella nella sua prefazione al T. N. Greco di Rob. Stef. del r546 ha scritto : hoc sihi turpe, ducens ( exprobr. eiT. typ. pulrcs ) nova folla imprimi fecìt. Sicché v'hanno degli esemplari clie hanno l'uno e 509 r anno {forse V altro ) pliires e pulres. Parlando della ristatnpa del 1 549 eh' io possedo , dice typographiae ministri lucri cupidi in non- nullis exemplaribus Tò pulres loco plures de industria cdidenint. Vorrei sapere se ella ha qualche autorità , a cui s' appoggi quel che qui dice , e se ha veduti degli esemplari della 1 .^ edizione del 1 546 con pulres, e degli altri della seconda con plures. Il sig. Crevenna milanese stabilito a Àmst., che mi ha ultimamente regalato il suo catalogo ragionato in 6 volumi in 4»°) dopo vm accurato esame di molti esemplari di amendue le edizioni , mi scrive che egli crede , che tutti gli esemplari della i.* ediz. del i546 abbiano plures, e che tutti quelli della seconda del i549 abbiano pulres , e che l'er- rore tipogiafico si trovi nella sola seconda. Io gli ho scritto tra le alti-e cose anche il suo sentimento, e bramo se ha qualche autorità o di scrittori o di esemplari che me la comunichi. Io sieguo sem- pre a raccogliere dei cimeli letterarii. Dopo aver acquistato quasi tutte le edizioni ebraiche del quattrocento, sono passato ai MSS., di e ui ne ho già una piccola serie di settantacinque , per la maggior parte di pregio , antichi , inediti , originali , membranacei ecc. Son passato da poco tempo alle edizioni ebraiche dal i5oo al iSao, e ai libri latini del quattrocento , e ne ho già raccolto degli imi e de- gli altri una bellissima serie. Se sarò fortunato a segno di perfezio- narla sempre più , coli' andar del tempo ne pubblicherò il catalogo ragionato. Mi ami , Padre R."", e mi consideri quale me le rasse- gno in fretta D.'D'» Oii.™" SUO Servo Vero DEROSSI. Al Sig. Michel-Angiolo Morano — a Torino. Riveritissimo Sig. Pad.on Mio Ossjno Non è mia colpa , se a V. S. sembi'erà , ch'io sia stato poco sol- lecito a fare il dover mio. Tardi mi fu portato da Venezia il quinl 570 posta era partita il dì innanzi. Per lo che ho dovuto aspettare il seguente ordinario a risponderle. Che ho io veduto ? Che ho letto? Una dedica a me ? A prima vista ne rimasi dolcemente colpito : in seguito sentii scorrermi per la vita certo ribrezzo , e salirmi al volto un giusto rossore , che mi accusava di non meritarla. Ne fo le mie doglianze , o piuttosto i miei ringraziamenti ai cortesi Editori , co- m'Ella vedrà dall'inchiuso foglio , cli'io loro dirigo. La prego a con- segnarlo , e raccomandarmi ad essi. All'udire i nomi di concittadino e di patria sento un magnetismo in me , che mi attrae e mi spinge verso costà. Rivedrei volontieri cotesta si cara e leggiadra patria : ma mi convenne pagare il fio di una lusinga giovanile , che mi fé' vago dà veder terra straniera , come se gloria e fortuna precedesse i passi di chi esce dal suo paese nativo. Questi erano i sogni d'una gioventù inesperta e vicina a pentirsi. Sono dodici anni , eh' io sto di pie fermo in questa vasta città , che offre un' ampia solitudine , e im quieto ritiro all'uomo annoiato dai rumori e dalle vicende , e che gode di vivere a se stesso e alla propria famiglia. Ma tratto tratto , mentre il mio corpo è qui , il mio spirito vola in coteste belle contrade : e ci verrei pur anco volontieri col corpo : ma due miei figli laureati di fresco in questa Università , e vma sanità non perfetta arrestano i miei desiderii, e qui mi ritengono. Sia ciò per non detto. Vorrei avere qualche opera meno difettosa da poter in- serire nella raccolta del suo Teatro ; e sebbene al presente non sono intieramente padrone delle cose che ho scritte , pure troverò il modo di disporne alcuna a suo talento. Sullo scadere della prossima pri- mavera verrà a recitare costi il sig. Antonio Goldoni direttore della compagnia comica del Teatio di s. Luca , in Venezia. Egli avrà le mie istruzioni : e V. S. ( se l'aspettare non le dispiace ) riceverà da lui quanto so e posso darle in attestato della mia riconoscenza. Non voglio annoiarla con parole : verrò a' fatti: e siano questi una prova non duW)ia dell'amicizia e della stima , con cui passo a pro- testarmi Di V. S. Riveritissima Padova a4 feljbraio 1798. Umil.mo Obbl.nio Scrvidwe (Camili.0 Federici. 571 DEL VILLEMAIN E DELl' ALFIERI Stjuarcio di lezione. ........ Or qui facciamo punto ; perocché con tanto correr di poste e variar di paesi , io vi confesso di sentirmi un po' affati- cato. Ma prima di chiudere questa prima parte della vita di Vitto- rio Alfieri , io noterò come 1* illustre sig. di Villemain nel suo Corso di letteratura francese abbia pur egli compendiata la varia e tumul- tuosa vita dell'Astigiano; di quest'uomo, che se fosse vivuto contem- poraneo di Dante , sarebbe stato in politica e in poesia o suo com- plice o suo rivale. Vedremo in altro momento il perchè abbia egli si lungamente parlato di uno scrittore italiano in un corso di lette- ratura francese -, vedremo com' egli non abbia rivelato le glorie tra- giche dell' Alfieri , che per farne un tributo alla Francia , da cui pretende eh' egli sia stato ammaestrato al teatro ; vedremo come nidla sia più insussistente di questo fatto, nulla più erroneo di que- sta credenza -, ma se io m' apparecchio a rifiutare il Villemain per ciò che disse di avventato intorno all' Alfieri , si pertiene a voi il rifiutarlo per ciò che disse d' ingiurioso intorno al Piemonte -, so- prattutto quando lo chiamò un popolo misto d'italiano e francese, francese per il governo e la corte, italiano per la superstizione e i costumi ; e quando egli pose fuori dell' Italia , chiamò anzi sobborgo d' Italia questo Piemonte , che governato da italiano principe , av- vivato da italiani spiriti e da italiane arme difeso , è forse quella parte d'Italia, dove più si conosce il pregio di essere e di sentirsi italiani. Lascio poi le inesattezze storiche del sig. di Villemain; come quella che Vittorio Amedeo conquistò la Sardegna , quando gli fu dat^ in cambio della Siciha, la quale altresì avuta avea per trattato ; che fu gittato in una prigione, quando ebbe per soggiorno il rea] castello di Rivoli e poscia quello amenissimo di Monca! ieri ; e che le pei-sone nobili e bennate di qui non parlano il dialetto piemon- tese , quando al contrario esso è il linguaggio prediletto di tutti i crocchi. 572 E poiché toccai del dialetto piemontese ^ che v' ha di più falso che il dire , come fa il sig. di Yillemain , che la lingua usuale del Piemonte è un italiano alquanto corrotto , assai somigliante all'ita- liano di Venezia ? Niuno può attestar più di me la dissomigliaura grandissima che corre fra' due dialetti -, di me che parlo al volgo ■nel mio , ed ei non arriva ad intendermi ; di me a cui il volgo parla nel suo , e dopo cinque anni di torinese stanza a pena è eh' io lo intenda. E ciò debbe appunto succedere ; dappoi che il dialetto ve- neziano , salvo alquante voci , non è che il volgare italico piegato Ji diverse terminazioni e pronunciato assai largamente -, là dove il pie- montese è un dialetto stranamente misto d' italiano e francese, prò-' nunciato poi si strettamente , che molte lettere e sillabe intere, non che proferirle , s'inghiottono; onde la stiaordinaria difficoltà d'inten- derlo a chi non vi ha da gr^n pezzo accostumati gli orecchi. Ma poiché siam nei dialetti , concedete a me , che divenuto pie- montese di stanza e di cuore, non posso tuttavia dimenticare la mia diletta Vinegia , concedetemi di notare un altro grosso svarione , in cui offese il sig. di Villemain. Egli adunque , avendo nominato il dialetto veneziano , cosi si continua a dire : « Non è già esso quella » bella , quell' armoniosa lingua del Tasso e dell' Ariosto ; poiché , » a dirlo cosi per passo , quando vi narrano ( e Voltaire fra gli al- » tri ) , che è im incantesimo , diportandosi per le lagune di Vene- » zia, l'udir notte tempo i gondolieri , che vanno cantando con una » voce melodiosa le ottave del Tasso ; e che se Boileau , questo se- yt vero giudice del Tasso, gli avesse intesi , sarebbe stato rapito dalla »> dolcezza de' loro canti -, evvi in ciò assai poco di vero. 1 » gondolieri veneziani cantano si , con più o men dolcezza di voce , » le ottave del Tasso, ma in dialetto ; non sono più le stesse espres- » sioni , le stesse rime , le desinenze medesime. » Ora io , che degli usi di Venezia e de' canti de' suoi barcaiuoli , credo conoscermi qualcosa più che il Villemain ; io che fui le mille volte ricreato dalle alterne voci de' gondolieri , che d' in sulle opposte margini del canale risuonar fanno pel notturno aere tranquillo la fuga di Erminia , il dolor di Tancredi e gli orti di Armida ; io , dico , posso francamente affermare al sig. di Villemain , che v' ha si il Goffredo ridotto in vernacolo viniziano dal Mondini e in berga- masco dall'Assonica ; ma quello che cantano i gondolieri di Venezia , quello che Lord Byron si facea da essi ripetere quando avea biso- gno d' inspirarsi e commoversi , é il vero poema , quale lo scrisse r infelice prigionier di Sant' Anna -, non nego . che da quelle impe- 573 rite labbra esca talvolta storpiato alcun verso , ma sono pur sempre i divini versi del divino Torquato. Quella osservazione adunque, che il Villemain stimò di fare al Voltaire , merita il Villemain che la si faccia a lui stesso ; né sarà questo il primo caso, che la critica ricada su quel desso, che intendeva di farla agli altri .... Prof. Paravia. mmm\ mm^ alla coltimoi delle ortaglie Supplimento al catalogo generale dello Stabilimento Agraria Botanico di Burdin maggiore e Comp. Torino. Primavera i83b- «. Lo scrivere precetti è cosa malagevole : chi procura di dire brevemente diviene oscuro ; chi ricerca l' eleganza e la purgatezza dello stile manca di aggiustatezza e di proprietà j chi si dilunga nei particolari riesce prolisso e confuso. » Cosi comincia il colto agronomo, che ogni anno pubblicando un supplimento al catalogo del grande stabilimento agrario bota- nico affidato alla dotta sua direzione , persiste nel generoso proposito di far precedere a ciascuno di essi un'istruzione po- polare sulla coltura delle specie che in quello raccomanda. Già altre volte abbiamo applaudilo a quelle pubblicazioni, ed abbiamo mostrato come e quanto , vehendo quei catalogi sparsi in gran numero e gratuitamente , aiutino a diffondere nel po- polo nostro i sani precetti che il dotto A. tolse dai migliori 574 precettisti tanto esteri quanto nazion^ili ed emendò per mezz0 di una pratica savia ed illuminata. Ora non ci resta che a lodare la chiarezza, la [sobria spontaneità con cui queste istru- zioni intorno alla coltivazione delle ortaglie sono dettate, pregi questi che ci convincono viemaggiormente della verità del noto assioma che quegli solo , il quale nell' intraprendere un lavoro qualunque non cercò di menomarne a se stesso le dif- ficoltà, ma anzi seppe porle in piena luce, fu in grado di ri- portarne vittoria ; e che ciò abbia fatto il nostro autore lo provano a sufficienza le parole di lui che abbiamo citate in capo a queste righe. Prima di finire siaci ancora concesso di emettete un votò ed è che il dotto autore raccogliendo in un volume queste istruzioni sparse nei differenti catalogi, e completandole faccia dono alla nostra Italia di un Manuale popolare del coltivatore^ libro che malgrado i lavori parziali e spesso troppo diffusi ed eruditi dei benemeriti Filippi , Re , Verri , Dandolo ecc. , manca tuttora al popolo nostro. Ciò facendo egli procurerà a sé la coscienza di un grande beneficio e la riconoscenza dei buoni > migliore di ogni lode. 575 ANNUISZIl BIBLIOGRAFICI I ." Sono uscite le tre prime puntate dell'Enciclopedia Storica scritta da C. Cantù , esse ne compongono l' Introduzione. — Presso Giu- \ seppe Poniba e Compagnia editori. a.** E pure uscita un'opera Delle Strade Ferrate e della loro fu- lura influenza in Europa del conte A. Piola. — Stamperia Reale. Il Subalpino che per ora fa solamente menzione di queste due opere si riserva di parlarne più a lungo nei prossimi fascicoli. STAMPERIA OHIRINGHELI.O V. COMP. con permissione.