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1898

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Proprietà Letteraria

Tutu i diritti riservati

549-92. Firenze, Tip. di Enrico Ariani, Via Ghibellina, 53-55.

PREFAZIONE

NA voce mi diceva, dopo che io ebbi finito 1 di corregger questo volume:

Tu pubblicherai il libro più originale, più utile del secolo....

È questa, generalmente, l'opinione di tutti quelli, che pubblicano un libro: pensano ciò perfino gli inventori della letteratura difficile (a leggere), co- loro, i quali pubblican volumi, che pesan 3000 chili.... senza contare la carta.

Ma la voce; ch'io udiva^ mi parve, all'insistenza con cui si ripeteva, che fosse la mia: come quando si sente una voce, che loda senza misura una com- media del prof. Cammillo Antona-Traversi si può

Prefazione

esser sicuri che è la voce del buon prof. Caramillo Antona-Traversi. Questo libro io voleva intitolare:

LA COMMEDIA DEI COMMEDIANTI.

È, in fatti, un libro ove, non pur si rende omaggio al loro ingegno, si racwntano i più varii aneddoti della loro Vita, ma si mettono in rilievo i loro capricci, la loro burbanza, i loro difetti. Lo riconosco, il libro è, in certe parti, senza pietà: ma no fin dove apparisce crudele, il lettore vi scorgerà sempre un sentimento benevolo.

Oggi più d'un cervello è squilibrato, si potrebbe anzi domandare : qual cervello non è così. La Grecia ebbe sette Savi, ma qual vanto per lei se il numero de' suoi Savi avesse agguagliato quello de' nostri pazzi !

Una certa esaltazione non è, dunque, propria sol- tanto degli artisti di Teatro.

Grli attori, insigniti di titoli cavallereschi, li ere- don già inferiori al loro merito: vagheggiano ora i titoli di nobiltà.

Leggeremo fra poco:

< Nel Deputato di Bombignac il marchese

Prefazione

Ermete Novelli e il conte Leigheb furono ieri sera prodigiosi. Il pubblico non si saziava d'ammirare questi due ingegni veramente aristocratici. »

Dal nome delle loro ville, Ernesto Rossi prenderà il nome di duca, o principe di Montughi, Tommaso Salvini s'impossesserà, o dovrà contentarsi di quello di granduca delle Fornaci.

Alamanno Morelli avrà, se non gli par poco, il titolo di Papa.... di Scandicci.

Si dirà, registrando un successo della Compagnia Marini :

Come mai il brillante Sichel non è ancora barone ?

Ernesto Uossi ebbe da Sovrani varii ordini: da alcuni il semplice ordine.... di lasciarli in pace.

Le attrici fin secolo (per la loro età) e che non hanno ancor rinunziato alla ingenuità (su la scena) vorrebbero che un araldo passeggiasse le vie, gridando il numero delle chiamate, che hanno avuto, i nomi e gl'indirizzi di chi lo ha applaudite!

Ho studiato, com'era mio obbligo, gli attori del mio tempo ne' loro pregii, e ne' loro difetti ; credo lasciar a' posteri una serie di documenti, d'assai ri- lievo; poiché tutti oggi scriviamo per la posterità: almeno per una certa posterità! Potrei assicurare che

Prefazione

queste pagine saranno addirittura immortali, se non altro perchè vi si parla d'Ernesto Rossi, e di Er- mete Novelli: ma mi contenterò vivano.... (parlo delle pagine) dagli otto a' diecimila anni.... soltanto.

Mi si dice che, a volte, dovrei frenarmi di piìi, ma non posso.

Per esempio, leggendo in un giornale che Ernesto Rossi è scritturato per andar a far di nuovo la parte del giovinetto Borneo in Polonia, non ho potuto trattenermi dall' esclamare:

Sapevo già che la Polonia è la più sventurata delle nazioni!

Se, in qualche punto, ho giudicato severamente il grande attore, non nel suo genio, (che sono il primo a venerare) ma nelle sue debolezze, si pensi che egli mi avea attaccato nel modo più assurdo, e eh' io sono stato il primo a consolarlo d' un gene- roso perdono (ch'egli aspettava).

Ernesto Rossi ha dimenticato che il savio deve soffrire e tacere: egli, come scrittore, ha parlato e fatto soffrire!

Anni or sono, detti in luce un libro su gli ar- tisti di teatro, intitolato Attori, Cantanti^ Acro- haii.

Il pubblico, che mi ha mostrato sempre tanta sim-

Prefazione

patia il diavol mi porti, se so il perchè fece tale accoglienza al libro, che in breve tutta l'edi- zione fu esaurita.

Ecco una delle ragioni, che c'indussero a pub- blicar ora questo nuovo volume, ove non ho parlato degli attori, di cui mi era a lungo occupato nell'al- tro: solo qui si troveranno nuovi giudizii e nuove notizie su alcuni di essi.

Ma non riprodussi qui nulla dall'altro mio libro.

Non so se fischierete questa Commedia dei Com- medianti^ com'io voleva intitolare il mio libro se sì, mi conforterò, pensando:

Quando si fischia, non si sbadigliai E poi dirò come un cantante:

Quando mi fischiano^ mi fanno piacere, intanto ripiglio fiato!

0 come quell'autore drammatico, che si sentiva fischiare:

Ci avranno di certo aggiunto qualche cosa! Non c'è pericolo ci abbia aggiunto qualche cosa

il mio Editore, che m'avea prescritto di non metter i punti sull'z .... per risparmiare l'inchiostro.

Abbiam stampato il libro in bei caratteri, perchè lo possan leggere anche i centenari. Se si annoie- ranno, mi sieno grati: una tal lettura gli avrà ri-

Prefazione

conciliati con la fine suprema, avrà loro reso meno amaro il distacco dalla terra.

Se poi il libro piacerà tanto (e questa è la mia profonda convinzione) che molti sentano il bisogno d'esprimermi il loro entusiasmo, di chiedermi anche un autografo, mi scrivano pure.

Sarò orgoglioso di sodisfarli.

Ma non dimentichino il francobollo per la ri- sposta !

Jarro.

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A COSTANTINOPOLI E A ATENE

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17 Giugno 1881).

ELLA primavera del 1889 Ernesto Rossi compieva gj*^ il suo sedicesimo viaggio in Europa. (Per anni ed anni, egli ha girato i tre mondi: compreso quello della vanità).

Inutile eh' io descriva la premura, con cui i Pre- sidenti e le teste coronate si affrettarono a onorare, insieme coi loro popoli, l'artista ormai mondiale.

Ernesto Rossi tornava dal suo viaggio giovane, Mondo, modesto : insomma irriconoscibile. La sua conversazione era sempre più arguta, e piacevole : l'Io ne riempiva appena due metà.

Ma r artista è cosi grande, ci rammenta belli e preziosi trionfi dell'arte italiana, che ha per noi sin- goiar attrattiva tutto ciò che a lui si riferisce. È stato detto che Ernesto Rossi ama enormemente se stesso : T ho detto anch' io : e 1 classici non 1

2 Ernesto Rossi a Costantinopoli e a Atene

isbagliano : e bene io m' inchino a quest'adorazione spontanea che l'esimio attore si tributa, come a tutte le convinzioni rispettabili!

Le recite, che Ernesto Rossi dava a Costantinopoli, saranno registrate per sempre nella Storia dell'Arte drammatica italiana. Prima di tutto, ivi come in ogni parte del mondo, l'esimio attore ha dato recite di beneficenza per gì' italiani : e molto in auge presso chi esercita in quelle regioni il potere supremo, ci ha raccomandato tutti, contro ogni evento, con parole supremamente benevole, dalla Famiglia reale a' piìi umili cittadini.

So che, in un colloquio molto intimo, egli ha detto al Sultano:

Sire, r Italia è stata fatta da Vittorio Emanuele, da Cavour, da Garibaldi e da me: molto da me. Vedete che nessuno è più di me riconoscente a' fat- tori del nostro risorgimento. Non vi dissimulo che ora sono rimasto solo : ma Umberto è un buon gio- vane, assai docile, e fin' ora s'è lasciato guidare da me assai bene !

Allah ! allah ! sillakerin! interruppe il Sultano. E questa è, mi assicurano, la più pura espressione

della sua sodisfazione.

Ernesto Rossi ha recitato, a Costantinopoli, nel Tea- tro Municipale del Campetto ; teatro, eretto in mezzo a un giardino : e, più che teatro, sala per concerti, accademie, ove si raccoglie, di solito, l' eletta società dell'aristocrazia europea.

La sala è quadra: è elegantissima; da due lati cor- rono due ordini di palchi.

I Turchi non vanno, di consueto, al teatro : quando si danno spettacoli straordinarii , vi accorrono gli europei: vi assistono le famiglie degli ambasciatori:

Ricordi Critici e Umoristici

ed è naturale che Ernesto Rossi, nelia sua qualità di diplomatico, non incontrasse altro che amici.

Le recite di Ernesto Rossi ebbero tutte il successo p'm clamoroso. Non si parlava d'altro in Costantino- poli.... è così che il rumore giunse nei misteriosi si- lenzii dell' Iiarem, alle rosee orecchie delle odalische.

Fatma, e Vrasmone, le due favorite del Sultano, dis- sero, un giorno, tutte cascanti di vezzi, al loro signore:

Non potresti tu farci udire questo meraviglioso giaur. . . .

Il grande Eunuco, non ho mai capito perchè un eunuco può esser grande, mi sembra che piìi è grande e più.... ma torniamo a noi: cercava stornar il Sul- tano dal compiacere a ciò che le belle domandavano con si incantevoli sorrisi. Allegava che l'Arte è profana.

E non deve meravigliarci, se consideri profana, o superflua l'Arte un uomo abituato, nella severità dei suoi costumi, a privarsi fin delle cose piìi necessarie alla vita.

Ma fra coloro, che eran più assidui alle recite del- l'attore italiano, si noveravano : Munir pascià, gran Ciambellano di Palazzo, Elias bey, intimo amico del Sultano, suo confidente: il Ministro dell'Istruzione pubblica: il Ministro di Persia.

Dobbiamo notare che i palchi costavano 115 franchi per sera: le poltrone circa 23 franchi : una lira turca.

Si parlava spesso alla Corte delle perfezioni spie- gate dall'attore italiano: le odalische ne mormoravano il nome, fra le nuvole di fumo odorante, che usciva dalle cassolette, tra i ritmi voluttuosi delle canzoni, accompagnate da una mano morbida e bianca sulla mandòla. Alla fine, il Sultano più di tutti s' invaghì d'udirlo: fu determinato d'invitare l'artista a recitare co' suoi nel Teatro di Corte.

4 Emesto Rossi a Costantinopoli e a Atene

Sorgeva un dubbio : si potevan lasciar recitare in- tere le produzioni? fu deciso torre qua e : e il grande Eunuco, come persona esperta, fu incaricato dei tagli.

È d' uopo sapere che in Costantinopoli la Censura Teatrale è molto rigorosa ; gli ufficiali, che la eserci- tano hanno, inoltre, fortissimo potere. A Ernesto Rossi era stato proibito di recitare dunque al pubblico : V Amleto, il Re Lear, il Giulio Cesare, il Luigi XI, tutti i lavori ove si riscontra un Sovrano fra i per- sonaggi.

E non ci fu caso che l'artista italiano potesse spun- tarla, neppure quand'ebbe a' suoi servigli il Sultano.

Caro cugino gli diceva Abdul-Hamid io, dopo i decreti della Censura, non posso esercitare la mia autorità in contrario.... Un'altra volta, se tor- nerete, rivolgetevi a me direttamente. Sapete voi il turco ?

Abbastanza per non farmi capire.

Allora scrivetemi nel vostro italiano : sono quasi certo che l'intenderò.

Il Sultano, per etichetta, non può andare a' teatri, ove vanno gli altri miseri mortali. Ecco perchè i Sovrani han fatto costruire un teatro, per uso in- terno, nel loro palazzo.

Il teatro è vaghissimo; è quadro, un po' diverso da' nostri anche in ciò: che, nel mezzo, invece della platea, vi è il vuoto. È vero che questo accade, da un pezzo, anche ne' nostri teatri di prosa.

Un misantropo mi diceva tempo fa :

Io non vado più ad altri spettacoli che a quelli delle nostre Compagnie drammatiche. È il miglior mezzo per trovarsi solo I

Ma nel teatro del Sultano c'è quel vuoto, perchè

Ricordi Critici e Umoristici

non è comportato a chicchessia di poter, ritto o seduto, voltar le spalle al proprio sovrano. I così detti spettatori della platea stanno, quindi, tutti, sotto un colonnato, che gira intorno alla sala, e che è sotto il prim'ordine dei palchi.

Il teatro è sfarzosamente illuminato a luce elettrica.

Il palco del Sultano, di rinipetto al palcoscenico, è <li un lusso veramente orientale, negli arredi, nella suppellettile : con graziosi salotti attigui, ove si può fumare, prendere il tè, far altri esercizii.

Tutti i palchi, a' lati del teatro, sono chiusi da leggeri, eleganti reticolati, a risalti e lumeggiature 'oro, e dietro quelle inferriate scintillano gli occhi sfavillanti di soavi odalische.

Mentre Ernesto Rossi recitava, non si udiva un mormorio : solo il fruscio delle vesti di seta, un certo lieve suono dei vezzi di grosse perle, che s'agitavano a certi movimenti delle creature leggiadre.

Però la sera, in cui Ernesto Rossi recitava in- comparabilmente, cioè, secondo il suo modo, l'Ofe^/o, fu udito dietro una delle leggere inferriate un so- spiro, un gran gemito, un muoversi di persone, che subito si allontanarono.

La principessa Feridè avea provato, per l'arte sfog- giata dal sommo attore, una commozione suprema.

Fu, per la prima volta, stabilito che il Rossi dovesse recitare tre atti (\q\V Otello.

Si temeva tutta la tragedia potesse commuover di soverchio il Sovrano. Sua Maestà non si è molto occu- pata di letterature comparate, egli ignorava il soggetto dell' Ote/to, ma gli era stato raccontato, pochi giorni innanzi, da Munir pascià, suo dragomanno, giovane signore, fornito di una rara coltura, famigliare con le principali lingue d'Europa, compreso la nostra.

6 Empito Rossi a CostantinopoU e a Atene

Il Sultano avea mandato a Ernesto Rossi Elias Bey con l'invito di recarsi al palazzo: invito che il celebre artista accettava, senza porvi condizioni di sorta.

Sara Bernhardt, invece, avea dispiaciuto al So- vrano, rispondendo a un gentile invito con le più strampalate pretese.

Ma Ernesto Rossi è abituato a aver tra le mani più re d'uno che giuochi, per consuetudine, al faraone; ed è abituato a trattare con alcuni di essi soltanto, da pari a pari ; per trattare con gli altri, si serve di ambasciatori, accreditati, dal suo castello di Montughi, in tutte le parti d'Europa.

Dunque, il Sultano udiva, per la prima volta, V Otello; e lo stesso è a dirsi delle languide signore, che compongono V harem.

A proposito : c'è chi arriccia il naso a questa pa- rola harem, specialmente le donne : esse ammettono, almeno con troppi numerosi esempii, che una donna possa avere molti uomini, ma fanno vista di meravi- gliarsi del contrario. A Costantinopoli vi sono gli hare'ìns, è vero ; ma dei Turchi si sa almeno quante donne hanno, il che s'ignora di molti cristiani!...

Poi vorrei dire, se mi fosse lecito, un'altra cosa.

Non potremmo certo imitare i Turchi : poiché ve- diamo spesso, fra noi, una sola donna ridurre sulla paglia, che forse non avrebber dovuto mai abbando- nare, parecchi uomini. È vero che alcune, al loro letto di morte, o prima, fondano spedali, probabil- mente per riguardo a coloro che hanno obbligato di cercarvi ricovero.

Ma non è a stupirsi, se la rovina è cosi facile a chi s'inoltra per certe vie, poiché fu deciso che le donne, essendo le nostre metà, noi dobbiamo pagare il tutto. Chi se n'intendeva era Pigmalione, il quale

Bicordi Critici e Umoristici

s'innamorò d'una statua: avea capito che una donna di marmo avea qualità più d'ogni altra per esser fedele !

Il Sultano ricevette tale impressione dalla recita- zione di Ernesto Rossi che mandò incontanente, finito il terz'atto, Munir pascià, a domandare all'artista che volesse recitare eziandio gli altri due.

Ed egli recitò il quarto ed il quinto.

Ma non bastava: la robustissima, gagliarda fibra di Ernesto Rossi, una delle più forti tempre d'artista, dovea esser posta a prova ben dura per chiunque altro.

Il Sultano era restato tanto commosso, era in tanta trepidanza, dopo la recita dell'Otello, che voleva qual- che cosa di gaio.

Di gaio?... e a tale ora ?

Ernesto Rossi domandò quali commedie già cono- scesse il Sultano. Gli fu risposto che Munir pascià avea raccontato distesamente a S. M. l'intreccio del SulUvan.

E allora disse intrepidamente Ernesto Rossi reciterò il secondo atto del Sullivan.

Dovea però togliersi la truccatura (ìeW Otello: dovea levarsi, rimettersi gli abiti : il Sultano aspettò più d'un' ora con placidezza orientale. Fu entusiasmato anche del Sullivan e la rappresentazione finì.

Era tempo !

È la prima volta, credo, che un attore, dopo aver recitato i cinque atti deW Otello, così leggeri, recita un altro atto di un poderoso lavoro !

Il Sultano desiderò una seconda rappresentazione dell'artista italiano e per questa fu scelto il Mer- cante di Venezia.

Questa volta, però, non assistevano più alla rappre-

8 Ernesto Rossi a Costantinopoli e a Atene

sentazione le velate e nascoste bellezze àeWìicwetn: ma il Sultano avea invitato gli ambasciatori, le loro fiimiglie, i personaggi più cospicui della Corte, gli ospiti più ragguardevoli, fra gli altri l' ex-re Milano di Serbia.

Ah, Ernesto Rossi può vantarsi di aver recitato dinanzi a spettatori, e spettatrici, che ad altri attori sarà più facile ambire che ottenere ! Eccovi il prin- cipe Mohamed-Selim, eccovi la vezzosa principessa Sultana-Kekiè, già fidanzata, la principessa Sultana Naimè, la principessa Sultana Adilè : e tanti altri fra i principi e le sultane della famiglia imperiale. Però le donne hanno ascoltato l'impareggiabile at- tore, senza che egli le abbia vedute.

Dopo le recite, il Sultano regalava a Ernesto Rossi tutti i magnifici tappeti persiani, che gli erano stati forniti dagli ufficiali della Corte per i sontuosi ad- dobbi della scena ì\q\V Otello.

Gli regalò una stupenda tabacchiera, tempestata di grossi brillanti e gli fece recapitare, nel modo più delicato, un involto ov'eran racchiuse ventimila lire.

Gli conferì l'ordine dell'Osmaniè : il massimo grado : volle insignire dell'ordine di cavaliere, e ufficiale, al- tri attori della Compagnia: perfino il suggeritore.

Poi fece una domanda, che Ernesto Rossi intese così :

Potrei decorarli tutti questi cani....

L'attore italiano credette a uno scherzo, e si ran- nuvolò, ma tacque. Però ebbe torto. Khan, in turco, è un titolo di nobiltà, anzi di maestà: indica il più grande rispetto.

Finalmente, il Sultano, cavando fuori una nuova decorazione, la dette al turcimanno, che la porse a Ernesto Rossi, mormorando :

Questa pel vostro cuoco....

Ricordi Critici e Umoristici 9

E dopo breve pausa :

Avete cavalli?

Tre pariglie.

Allora eccovi altre sei decorazioni..,. Nominateci pure tutte le bestie che vi circondano. Appartenendo a voi sono degne di una distinzione !.., Vi siete sem- pre circondato delle più belle bestie del mondo..,.

Oh, oh, Maestà riprese Ernesto Rossi, con spic- cato epigramma sono tutte intelligenti,... sanno che, per esse, la maggior onorificenza è di starmi vicine !

Alla hala bì-aha! proferì il Sovrano, in modo di saluto e di commiato.

Aveva chiesto a Ernesto Rossi il ritratto, che V ar- tista gli aveva inviato, in una splendida cornice : e il Sultano l'aveva messo nella propria camera.

In occasione dei matrimonii della Sultana Zekiè col figlio di Osman pascià, il difensore di Plewna, e della Sultana Naimè, Ernesto Rossi scrisse al Sovrano una lettera, riprodotta in varii giornali d'Europa, e molto ben ispirata. Dette poi due rappresentazioni gratuite : invitando a una gli ambasciatori, le persone più rag- guardevoli della città: l'altra per il popolo. I turchi in costume assistevano alla rappresentazione del Sul- liirm. Ernesto Rossi può dire di non aver veduto mai pubblico più con-turbante.

E va segnalata, fra gli atti generosissimi, e innu- merevoli, che il nostro amatissimo attore ha compiuto, com'ho detto, in ogni parte del mondo, la recita da lui data per la Società di beneficenza italiana. Il Mar- chese di Montebello, ambasciatore di Francia e antico amico di Ernesto Rossi, mandò fra i primi a prendere un palco per tale recita : un palco di proscenio.

Non c'è modo, onde il Sultano non abbia onorato

10 Ernesto Rossi a Costantinopoli e a Atene

il nostro attore. Si sa che non è permesso entrare nell'interno del palazzo con le carrozze. Ernesto Rossi avea il privilegio di andar in carrozza dove voleva, anche al primo piano.

Egli poteva uscire, entrare, a suo beneplacito, nei palazzi, nei chioschi imperiali: ha ammirato, col suo tino, eletto gusto, tutte le rare bellezze che vi sono diffuse, accumulate, vi ha riveduto, con gioia, un ri- cordo della patria lontana, il lavoro, che attesta l'in- gegno, la fantasia poderosa di un amico, il quadro di Stefano Ussi raffigurante il Pellegrinaggio alla Mecca.

Ma un quadro ci sarebbe da fare, veramente nuovo, e che potrebbe esser veramente ammirabile, di un soggetto al tutto originale ; un quadro che rappresen- tasse Ernesto Rossi, il sublime interpetre dello Shake- speare, nel momento in cui, su la scena del Teatro Imperiale di Costantinopoli, fa comprendere, col suo genio, la grandezza del genio Shakespeariano, al Sul- tano Hbdul-Hamid e alle misteriose donne del Ser- raglio.

Virtuale potenza di un artista, che dopo aver fatto rifiorire nella sua lingua i portenti della musa shake- speariana, innanzi i più colti pubblici del mondo, en- tra a disvelarne le bellezze, e a farle arrivare, anche nel silenzio, e ne' misteri ([qW Harem!... Un pittore, che ci sapesse rendere quel Sovrano barbaro, circon- dato dalla sua corte fastosa mentre guarda commosso ; e quelle figure di donne, travedute fra i reticolati, che chiudono i palchi.... ci darebbe, senza dubbio, un'opera, degna di vivere !

Da Costantinopoli, Ernesto Rossi è andato in Grecia. È arrivato a Atene, dove erano antiche irritazioni contro di noi a causa del blocco : e si ostentavano

Ricordi Critici e Umoristici 11

predilezioni alla Francia. Egli è persuaso di aver ri- liristinato la nostra influenza. E io lo credo. La pre- senza di un uomo di genio, che onora la sua patria, non può esser certo senza efl!icacia in terre lontane. È un fatto che le Scuole italiane, a Costantinopoli, come a Atene, sono in condizioni migliori, dacché Ernesto Rossi fu in quei paesi. Vorreste negare ogni forza, ogni benefica e civilizzatrice virtù dell'arte? Io, davvero, non mi sento di negarla.

In Atene pure, Ernesto Rossi ebbe le più cordiali accoglienze : gli furono offerti banchetti : fu chiamato dalla grande Accademia letteraria del Parnaso a te- nere una Conferenza. Nella favoleggiata dimora di Apollo, Ernesto Rossi stava bene : anch' egli ha qual- che cosa del sole, oltre la chioma fulva : è un sole, che ha gettato tanto fulgore di luce sulla nostra Arte drammatica, oggi circondata di si fitte tenebre !

Mi diceva :

A parlare schietto, la montagna del Parnaso, mi è sembrata, stando alle descrizioni che ne aveo letto, molto ingrossata.

Ma gli ho risposto ciò avviene a quasi tutte le montagne.... a causa della vita sedentaria!

E un discorso pronunziava Ernesto Rossi al Par- naso, pieno d' idee assennatissime.

Anche il Re degli Elleni prodigò cortesie al suo augusto collega : lo insignì, egli pure, d'una onorifi- cenza. D'una cosa ormai mi meraviglio: che Ernesto Rossi non abbia ancora istituito un Ordine Cavalle- resco: per esempio V ordine di Moniuglà, per insi- gnirne, a sua volta, in segno di ricambio, tutti i so- vrani d'Europa, cominciando dall' insignirne se stesso come fanno tutti i veri sovrani in ricompensa de' loro meriti e in riconoscimento leale de' loro servigli.

12 Ernesto Bossi a Costantinopoli e a Atene

Il Re Giorgio gli disse chiaramente: se il Governo della vostra penisola vi mandasse qui a rappresen- tarlo, non sarebbero più possibili, in avvenire, ma- lintesi fra l'Italia e la Grecia. E questo giudizio del Re era popolarmente ripetuto in Atene : fu pubbli- cato in qualche giornale.

Ernesto Rossi di ritorno da Atene, si recava a Roma, poiché egli non è mai stanco, anzi è inesau- ribile nella sua feconda attività, per conferire su ciò con l'on. Crispi. Resta a vedere quale de' due sia il miglior commediante o il miglior uomo politico. Il giu(;lizio non è facile.

L'on. Crispi rifiutò a Ernesto Rossi le credenziali di plenipontenziario italiano a Atene, non conside- rando forse che tralasciava di rendere un servizio importante alla pace dell'Europa.

Coperto di gloria, entrato nel milione, anzi nei milioni, fiorente d'una giovinezza, che sfida il tempo, amatissimo da tutti, Ernesto Rossi, a cui l' Italia deve, non solo affetto, ma riconoscenza per l'onore che le ha tributato col suo genio, può oggi esser ben og- getto alle invidie, ma non v'è lode che non gli spetti, che egli non si conceda.

Co' suoi lievi difetti, con le sue grandi, amabili qua- lità, è senza dubbio, uno degli uomini più straordi- narii, che il nostro tempo abbia dato e il suo nome è de' pochi, i quali, di sicuro, sopravvivono a tutto un periodo di civiltà.

T

OLEMICA PER UN LIBRO

27 Giuo-no 1887

)he differenza dallo spettacolo glorioso, che Erne- C^'» sto Rossi ha dato di sé, per molti anni, in ogni parte del mondo, onorando l'Italia col suo genio, porgendo conforto a' suoi veri amici, e lo spettacolo che ci offre oggi con la pubblicazione di libercoli, nei quali vorrebbe mostrare il suo spirito e i suoi denti (due cose che gli potrebbero mancare, secondo alcuni) a coloro che lo sostennero sempre con la mas- sima generosità e il massimo disinteresse !

Egli mi attacca in uno de' suoi vaniloquii, nel modo 1)1 LI gratuito, e inaspettato, con una veemenza, tra ridicola e feroce, che è sembrata biasimevole a tutti coloro, i quali sanno i rapporti che io ebbi sempre con r insigne artista e di cui egli stesso si vanta.

Risponderò al provetto attore, come è mio stile, con molta calma; rispetto troppo i capelli bianchi, anche quando sono tinti. Io non credo poi che le tristi pa- gine, le quali vanno sotto il nome del grande artista.

14 Polemica per un libro

possano esser sue; bisognerebbe a tale uopo che, tra i doni munifici da lui ricevuti, nella sua splendida carriera, ci fosse anche quello d'una penna che met- tesse l'ortografia da sé.

Di più dovrei ammettere che fosse mutata nel vec- chio amico l'antica bontà e nobiltà dell'animo.

Si racconta nel libercolo di Ernesto Rossi (come si legge nel frontespizio) che egli, un tempo, confi- dava a me « le sue gioie e le sue pene. » E, se vuol esser sincero, non si deve esser trovato mai tanto bene quanto allora!

Vi si pubblica una lettera da me scrittagli, tredici 0 quattordici anni fa ; una lettera molto affettuosa. E, dopo, c'è una tale esclamazione: Delusioni! amare delusioni! ecc. E prima e poi, altre parole non molto cortesi che io non voglio rilevare : tutto deve esser permesso al G-enio!

In che cosa mi sono domandato io posso aver deluso cosi amaramente Ernesto Rossi ? Quattordici anni or sono, Ernesto Rossi riceveva da me lettere affettuose, e le ha sempre serbate, il che mi onora; oggi le pubblica, senza neppur domandarmene il permesso (che gli avrei dato volentieri,... ora spe- cialmente che se 1' è preso) e ciò per far sapere al genere umano che egli ha un tempo goduto i tributi della mia ammirazione! Ma poteva citare prove ben più recenti : poteva citare l'appendice, che io scrissi quattro mesi fa sulla sua recita del Montjoie, poteva citare le parole, con cui il 4 aprile decorso soste- nendo la necessità d'istituire una vera, seria scuola di recitazione, io diceva:

E della Scuola vorrei a capo, condizione sine qua non, uno de' nostri grandi attori: Tommaso Salvini, o Emesto Bossi, già che questi due attori abitano in Firenze. Po-

Bicordi Critici e Umoristici 15

irebbe esser chiamato a insegnarci anche Alamanno Mo- relli, il quale ha pur fissato la sua dimora fra noi.

Dicono che Tommaso Salvini non accetterebbe, e si citano certi precedenti. Credo che accetterebbe, ad ogni modo ammettiamo di no, il mondo non perirà, anche se Tommaso Salvini l'abbandona. Ernesto Rossi accetterebbe di sicuro: non chiederebbe nulla in ricompensa: sarebbe lieto di rendere anzi un servigio al suo paese; e di met- tervi qualche cosa del suo: il che non dovrebbe mai esser comportato. Ma egli ha già espresso, anni or sono, al mi- nistro De Sanctis quali fossero le sue idee generose.

Solo in tal modo, cioè ricorrendo a' tre maggiori lumi- nari, che ci abbia lasciato l'arte rappresentativa, chie- dendo i loro consigli, poiché abbiamo la ventura di poter- cene avvalorare, credo possibile il risorgimento della no- stra arte rappresentativa.

E voglio riferir ciò che io scriveva per la recita del Montjoie, data dal Rossi molto prima, e alla quale io stesso lo aveva persuaso :

Il ricomparire di Ernesto Rossi sulle scene del Teatro Nuovo, dopo la lunga assenza dell'esimio artista da Fi- renze, fu per tutti noi una gran festa. Al suo presentarsi sulla scena il pubblico l'accolse con uno di quegli applausi, che tributa a' sovrani dell'arte. Io non ho alcuna ragione di adulare il grandissimo attore, e mio amico e non ho bisogno d'eccitare il j^ubblico a credermi, nel dire che in- terpetrando il carattere di Montjoie, fu addirittura sublime. Solo, volendo con lui spingere la severità fino allo scrupolo, si potrà dire che, in alcuni punti, l'emissione della voce lasciava un po' a desiderare ; vi si notavano, tutt' al più, certi leggieri jati. E ciò che accade anche a grandi artisti, dopo lungo tempo che non recitano, o se recitano in un teatro, in cui non sono stati da un pezzo, e di cui non pos- sono misurare a un tratto la sonorità.

Di più, Ernesto Rossi era in preda a un certo timore.... Ho conosciuto molti grandissimi artisti, posso dire tutti i

16 Polemica per un libro

più grandi artisti contemporanei : e non solo gli attori, ma i cantanti : non ne ho veduto mai uno che, dopo breve as- senza, affrontasse un pubblico con sicurezza. Mi rammento che Teresa Stoltz, quando si accinse in Firenze a cantare nella Messa del Verdi tremava come una principiante ; la Galletti, benché ormai dovesse esser sicura di se nella Fa- vorita, a giorni, alcune ore prima di andare al teatro, era colta da un tale timore, e da una tale eccitazione, che oc- correva differire la rappresentazione. Potrei citar molti esempii di artisti, che ho veduto, tra le quinte, accasciati, prima di mostrarsi al pubblico, in modo da dare sgomento e che il pubblico salutava, alla loro uscita, con uno di quelli applausi, che ne' veri e grandi artisti raddojjpiano i terrori. Oggi i giovani non conoscono più queste salutari trepi- danze....

E, dopo essermi fatto così generoso difensore per la parte nella quale al pubblico l'attore era sembrato deficiente, io concludeva, lasciando in disparte i di- fetti della dizione :

E, davvero, ci lasciò tutti ammirati : la naturalezza del suo atteggiamento, la verità, la suprema eleganza del suo gesto, la sua grande dignità sulla scena, la j)recisione di ogni suo moto, lo studio, quasi celato dalla sj^ontaneità, la somma intelligenza dell'arte, rivelata ad ogni istante, gli effetti di un gusto, di un istinto, di un temperamento mirabile, ci fecero provare una di quelle gioie, che ben di rado, a non dir mai, oggi troviamo al teatro. Pareva, in mezzo a tutti gli altri attori, ciò che è : im maestro, e quale maestro !

Era questo il parlar da nemico?...

Debbo ricordare le lodi, che io gli rivolgeva pel modo con cui avea diretto le rappresentazioni della Mandragola, nelle mie appendici e nella 'prefazione alla elegantissima edizione della Mandragola, uscita coi tipi ài^W Arte della Stampa?

Ricordi Critici e Umoristici 17

In che, dunque, è mutata per lunghi anni, la mia am- mirazione, dirò anzi la mia devozione, sincera A'erso l'e- simio attore ? Egli vede che io sono sempre lo stesso ! Se non viene più a confidarmi le sue gioie e le sue^^ene, non è colpa mia torni pare, non troverà chiuso il mio seno. Ma s'egli pretende di esser sempre adulato, a torto, e a ragione, invece di amici, se vuole clienti che gli sbattano sempre sotto il naso il turribolo, gli ripetano soltanto ciò che a lui piace, che non lo av- vertano francamente di certe sue debolezze, diciamo la parola, di ridicolezze, di ostentazioni, quasi puerili, che offendono i grandi, rari, innegabili suoi meriti : se la verità gli è ostica, non solo, ma importuna, e non vuol udire intorno a che lodi smisurate, elogi strabocchevoli, se più che la lode è assurda, e più gli aggrada, se non può ascoltare una parola sincera, allora non conti su di noi.... non conti su uomini onesti, sempre disinteressati, che non potranno mai mentire, per rispetto di e del pubblico : tutt' al più potranno, come fecero sempre, mitigar la verità con l'affetto.

Più volte Ernesto Rossi mi ha confidato che, in Italia, egli ha molti nemici, i quali lo demoliscono. Era un' utopia della sua mente esaltata : ma egli ri- sparmia, da qualche tempo la fatica, a' suoi nemici, se ne ha, si demolisce da sé. Non so come non trovi tra coloro che lo circondano una persona, la quale abbia come me, tanto affetto per lui, e tanto corag- gio da sconsigliargli certi atti molto inopportuni. Ma è vero che è assai diffìcile far ascoltare a Ernesto Rossi un consiglio ragionevole.

L]gli mi rammenta un tempo in cui non parlava quasi mai con nessun fiorentino e stava con me cin- (jue o sei ore il giorno. E dire che Vi ho sopravvis-

2

18 Polemica jyer un libro

suto! Dio guarda all'intenzione, io mi sacrificava al- lora per il mio paese !

C è chi sostiene non doversi tener conto di certe escandescenze dell' illustre attore, poiché nate da un'irritabilità che gli è venuta col declinare degli anni. Ma i suoi amici d' infanzia affermano che, a sette anni avea la stessa potenza di ragionamento che ha adesso.... in certi momenti.

Ernesto Rossi, nella ultima pubblicazione che va sotto il suo nome, si è mostrato ingrato verso di me, e peggio che ingrato ove è arrivato sino all' ingiuria, che io di gran cuore gli perdono.

Per buona ventura, io non ho mai scritto nulla, in privato 0 in pubblico, di cui debba pentirmi : ho sem- pre scritto ciò che ho pensato : e ho pensato sempre a quello che ho scritto : ma il pubblicare una lettera privata non poteva esser lecito, mi pare, senza do- mandarne il permesso all'autore. Bensì, tutto è le- cito.... in Danimarca.

Nessuna polemica, nessun attacco potrà distruggere ili me l'ammirazione profonda, l'entusiasmo per ciò che seppe fare il grande attore : nulla potrà togliermi la fede, che ho inconcussa, ne' servigli segnalati ch'egli può rendere tuttora all'Arte Italiana, come maestro, come insegnante a' giovani attori: ben in- teso, non insegnante di letteratura.

Egli cita, a dimostrare che l'affetto da me profes- satogli, secondo lui, soltanto nella mia prima giovi- nezza, fu menzognero (?), le parole dette da Polonio a sua figlia, per metterla in guardia contro Amleto: « allorché il sangue ferve, so quanto è prodiga l'anima nel proferir voti : coteste vampe dan più bagliore che caldo : non prenderle per fuoco ecc. » Si direbbe che Ernesto Rossi ha ricevuto da me delle dichiarazioni

Ricordi Critici e Umoristici 19

d'amore e si duole per la mia incostanza ! 11 tratto è stupendo....

E che direbbe, se, com' egli si serve contro di me, gratuitamente, delle parole di Polonio, io mi servissi contro di lui, a proposito di certe pubblicazioni, d'altre parole di Atnleto?

Amleto. Va' diritta al convento. Dov'è tuo padre?

Ofelia. A casa, signore.

Amleto. Fa' che le porte si chiudano dietro di lui, e non possa più recitare la parte del pazzo che fra le pareti domestiche. Addio!

E, con questo addio, un consiglio al mio vecchio amico Ernesto Rossi : da ora innanzi mi lasci stare: sarà meglio per la pace nostra, per la pace del mondo (1).

14 Luglio 1887. IL

Entro da un libraio e gli domando :

Il libro di Ernesto Rossi? (2)

Vuol comprarlo ?

risposi, molto risoluto.

Il libraio mi guardò spaventato. In certe stagioni la follia si manifesta in mille modi.

Anche i cervelli più sani!... mi parve mor- morasse.

(1) Di queste polemiche, inutile il dirlo, nulla è rimasto, fuor che il mio affetto, la mia ammirazione per il grande artista : la nostra reciproca simpatia. Si pubblicano come documento di risposta a censuro già pub- blicate in volume.

(2) Intendi il I" volume delle sue Memoi-ie.

20 Polemica per un libro

Lo vuole davvero ? reiterò.

Feci un piccolo atto d'impazienza: poi, per acquie- tare il libraio, soggiunsi: Capisco, volete dirmi che cinque franchi si potrebbero spendere assai me- glio!... —

Il libraio era diventato sempre più burbero: poi, spiacendogli forse la mia confusione, esclamò quasi espansivo :

Vede, lei mi ha fatto perdere una trentina di lire.... Avevo scommesso trenta lire che nessuno sa- rebbe mai venuto a chiedere una copia di questo libro!...

Sospiravo.

Ma dica ribattè il libraio non glie n'è stata mandata in dono neppur una copia, benché in un capitolo vi sia riprodotta una sua lettera?

Già?...

Sì: e, non per farle la corte, è la sola pagina sensata che ci sia nel volume.

Uscii, portando con me il libro prezioso: mi detti a leggerlo: mi pareva che il pavimento traballasse, che le sedie passeggiassero da se per la stanza, che le mura si spalancassero. Sentiva, intorno a me un suono di cachinni impertinenti, uno scrosciare di risa, secondo che leggeva, a voce alta, or questa or quella pagina.

Guardai la costola e lessi : volume primo.

Una voce subito mi sospirò accanto: Oh, così fosse unico!

Seguitavo a leggere e m'entrava nell'animo un su- premo disgusto della vita. Abbiamo oggi il suicidio semplice e doppio: il suicidio in prosa, e in versi. Perchè io pensava uno speculatore amico del genere umano non aprirebbe uno stabilimento che

Ricordi Critici e Umoristici 21

fosse come il Tivoli della morte volontaria, il Club del suicidio? Ci sono tanti oggi, afflitti da tale mania, che l'affluenza permetterebbe d'esigere soltanto una modica retribuzione: servitori vestiti di nero vi guide- rebbero in un giardino dove trovereste una torre di 60 metri, se desideraste morire d'una caduta, una torre circondata da un pavimento di marmo, perchè gli effetti fossero più pronti: una sala con rivoltelle, o armi taglienti; e corde di seta, attaccate al soffitto: una biblioteca, con le opere di Ernesto Rossi, per quelli che volessero morire più repentinamente, ma tranquillamente.... di noia.

Ci sono cose incredibili nel nuovo libro. Si potrebbe riassumere con un immagine : un Ernesto Rossi, che recita sopra un palco scenico e in platea lo stesso Ernesto Rossi, che applaudisce fragorosamente con cento mani come se fosse un Briareo e non finisce mai d'ammirare se stesso: di gettarsi corone.

Ha di l'opinione che nessuno lo superi: è con- vinto d'essere un grand' uomo; e pure il suo genio gli fa tali sorprese eh' egli stesso è costretto a pro- varne meraviglia.

Ecco in che modo il mio ottimo amico parla di certe recite, da lui date insieme con la Ristori :

Dico il vero, ella secondava me: io secondava lei in guisa che spesse volte, calato il sipario, ci guardavamo in faccia l'un l'altro e dicevamo: Questa bella cosa non me la sarei aspettata !

Finge che un amico gli muova una domanda:

Tu mi domandi, se avvi compatibilità fra il Genio dello Arti e quello degli affari. È arguta la tua domanda.

E prova che egli ebbe tutti i genii!

Polemica per un libro

Racconta che quando gli artisti drammatici parla- Yan di lui si servivano di queste modeste parole:

Le grandi individualità non sono più a temersi: hanno preso il volo e sono andate all'estero.

Continua :

E poi quali individualità ? Si contano sulle dita, e non si finisce la mano! pollice, indice, medio!

Il pollice, ben inteso è Ernesto Rossi.

In questo libro sono chiamati a rassegna tutti gli artisti drammatici, e, si capisce, accanto a Ernesto Rossi, restano tutti pigmei.

Laura Bon, che ebbe tanto ingegno e una vita avventurosa che pare un romanzo, è per l'egregio autore del libro una scimunita, a cui mancano pa- recchi giorni della settimana ; la mia grande e cara amica Giacinta Pezzana par nulla : non seppe mai nep- pur parlare. Ma, guardate combinazione, tutti sono d'accordo nel riconoscere che Giacinta Pezzana fu, per l'eccellenza e squisitezza della dizione, superiore a tutti gli attori italiani: comparabile solo a Tom- maso Salvini.

Sentite come discorre su Cesare Rossi:

Cesare Rossi: lo 'preferii sempre più nel serio che nel RIDICOLO (vuol dire nel faceto); perchè nel comico ebbe la disgrazia d'imitare il Gattinelli; e le copie son sempre peggiori degli originali; nel serio lo GUIDAI IO (sempre quell'io) e non volli che mi imitasse, ma che mi studiasse...

Ma se questo Cesare Rossi, dato e non concesso, imitò, copiò il Gattinelli, non ci fu un altro Rossi che, ad esempio, nel Luigi XI copiò Gustavo Modena : e lo copiò perfino nella voce nasale, che gli proveniva da un difetto fisico, in un certo gestire del braccio

Ricordi Critici e Umoristici 23

destro, che consisteva nel tenerlo innanzi, proteso e con la mano penzoloni : il che al Modena derivava da una ferita riportata nel muscolo di quel braccio in una rissa tra birri e studenti?

Il mio buon amico Rossi parla del Bellotti-Bon e dice che egli fu superato, e di gran lunga, dal bril- lante Giovanni Leigheb, il padre di Claudio. Ma crede Ernesto Rossi che oggi non ci sia proprio più nes- suno che sappia la storia della nostra Arte dramma- tica : non ci sia più chi abbia sentito Giovanni Leigheb, un buon comico, un caro artista, di cui io stesso ho parlato anni or sono, ma che fu di tanto, e tanto in- feriore al Bellotti-Bon ? Il Bellotti-Bon non ebbe mai una gran simpatia per Ernesto Rossi, non lo ebbe mai nell'altissima stima, che il Rossi nutre meritamente di sé, ed egli, oggi, si vendica. Piccolezze, caro Erne- sto: indegne d'un vero grand 'uomo, come sai d'esser tu.

0 di Tommaso Salvini?... Ernesto Rossi, dopo aver detto male di quasi tutti i suoi colleghi, n'esce scu- sandosi col dire non lo conosco! Non l'ha mai veduto, sentito recitare altro che nella Merope : e quindi lo giudica: classico, solamente classico. Come però si può dar giudizio d'un attore, avendolo visto, udito recitare in una parte sola?

Crede il Rossi che il Salvini sia classico t\q\V Otello, Ti^W Amleto, nel Lear, nel Giosuè Guardacoste, nella Zaira, nella Francesca da Riniini, nel Saul, come nella Merope? Ma il Rossi non sa nulla che Tommaso Salvini abbia recitato in tutte queste parti. Ingenuità beata. So che Tommaso Salvini ha visto lui in tutte le sue interpretazioni : non so che cosa ne pensi : poiché egli ha (avea almeno una volta) il tatto di non volersi erigere a giudice de' suoi compagni.

Ernesto Rossi fa uno studio dei due fratelli Tommaso

24 Polemica per un libro

e Alessandro Salviiii: veduti insieme dalla schiena; forse vuole che dal quel punto soltanto Tommaso Sai- vini oggi accetti il suo libro !

Mentre degli altri ha poco da raccontare, il mio simpatico amico crede, a ragione, che il genere umano non sarà mai sazio di domandargli particolari sulla sua più intima vita. Ne' grandi uomini tutto appar- tiene al mondo.

Ecco un saggio di certi fatti storici:

Una lacrima sdrucciolava sulle mie gote ; col dito medio volli tergerla, era ghiacciata Ut

E altrove:

Entro pacifico, 2^^cifi(^o, nel mio letto....

0 che? Ci volevi entrare armato?

Attribuisce a fatti insigni nei quali ebbe piccola parte. Ad esempio, scrive:

Teatro Niccolini, che IO ebbi già l'onore di battezzare con tal nome.

Invece deve leggersi: dove io recitai, PAGATO dal- l'Impresa, la sera in cui l'Accademia degl' Infuocati lo battezzò con tal nome, ecc.

Non si perita a raccontare di aver dato lezioni di galateo a Bettino Ricasoli (!!) quando era governa- tore della Toscana: e d'aver dato ad intendere alni e a Celestino Bianchi, due poveri analfabetucci, che V Arnaldo da Brescia del Niccolini avea un signifi- cato tutto diverso da quello che vi metteva il poeta.

Lessi, ma da furbo (davvero?) a rovescio: dove c'era colore mettevo la calma, dove c'erano frasi vive qualche piccola sfumatura, e tirai via,.,, sicché per quella lettura risultava che Arnaldo aveva torto e Adriano ragione (! !_) Chiusi il libro dicendo: Vedo il Papa, infine fa una bella figura. Creda signor Barone ecc..

Ricordi Critici e Umoristici

Il barone Ricasoli e Celestino Bianchi si lasciarono convincere da ([wqWq, \eii\xrà a rovescio ! Ma probabil- mente il Rossi era stato vittima d'una di quelle allu- cinazioni cui vanno soggetti anche gli uomini celebri, avea parlato soltanto con gli uscieri di Celestino Bian- chi e del barone Ricasoli!

Voglio dare alcuni fiori dello stile in cui è scritto il libro: un ragazzetto, che sci'ivesse così, non sa- rebbe ammesso a un esame di terza classe.

Dice a un suo amico:

Tu fosti Quasi testimone oculare della deferenza che mi usava il grande uomo.

(Il grand'uomo qui non è Ernesto Rossi).

Parla d'un amoroso e scrive :

Un eccellente amoroso tale che oggi invano si cerca e si trova l'eguale.

Ecco un'alta riflessione filosofica:

Una spada, sia pur quella di Alessandro, non scioglie un nodo, una questione. Potrà tagliarlo, ma come la vipera, raccolti i brani, tornerà a rivolgere le spire (si parla sem- pre del nodo) contro la Società.

E si potrebbero citare di tali brani all'infinito.

Io mi domanderei: chi ha consigliato a Ernesto Rossi di scrivere un tal libro, un libro da cui esce menomata la sua bella e meritata reputazione di artista: esce offesa la sua fama d'imparzialità?

Ernesto Rossi non ha capito che anche a un gran- d'uomo non è proibito d'essere moderato negli elogii che volge a se stesso.

Nel suo libro, come forma letteraria, tutto è assai cattivo e il deploriamo : nulla vi è da imparare, o ben poco, per l'Arte.

Molto è travisato dalla passione e da quel morbo,

26 Polemica 2)er un libro

da cui Ernesto Rossi è travagliato, la vanaglOìHa asiatica.

Non accuso nessuno di avergli negati buoni con- sigli: probabilmente egli non gli avrebbe accettati. Ma è triste il pensare che avremo ancora un altro simile volume.

Io amo Ernesto Rossi, stimo i suoi bellissimi doni d'artista, il suo gran cuore : egli ha torto di conside- rarmi come un fìgliuol prodigo, che si è emancipato, verso di lui, dall'ammirazione. No; io l'ammirerò, purché non scriva. Ammazzi pure il vitello grasso e.... stia sano : la riconciliazione è fatta: io tornerò a lui.... E non torno soltanto per il vitello !

f^RNE^TO \0^^

DEPUTATO

13 Novembre 1890.

(EiJ^RA le candidature nostre, qual'è la più seria? Iff Indovinate ?

È quella di un uomo politico toscano, che ha già gloriosi precedenti, non solo nella politica italiana, ma in quella europea.

E chi può essere quest'uomo politico toscano?

Fa torto alla vostra perspicacia, se non ne avete ancor pronunziato il nome.

È Ernesto Rossi!

Il simpaticissimo e celebre attore fu visitato, giorni sono, da un giornalista persiano, che gli domandò le sue idee sulla politica interna ed estera.

Fra le molte lingue che sa il carissimo attore ci è an- che il persiano. Lo scrive, anzi, meglio dell'italiano.

Il giornalista venuto da Theran, a posta per aver un abboccamento con l'elegante e geniale artista, ebbe l'idea proficua di riprodurre tutto ciò che egli gli aveva detto.

Ernesto Rossi, rileggendo la sua conversazione-pro-

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Ernesto Rossi deputato

gramma su la politica nazionale ed estera, esclamò: Ma è uno splendore! Già, modestia a parte, come tutto quello che faccio io.... Mi conosceva già im- menso come Amleto, sublime in tutte le altre parti, ma non mi conoscevo ancora tutto. Non mi ero bene esplorato.... Dio sa se ho cercato metter fuori i miei meriti, ma uno me n'era rimasto nascosto. C'è in me un uomo politico: e un uomo politico d'altra stoffa dello stesso Crispi.

E continuava:

Avrei potuto esser la Ninfa Egeria del popolo italiano.

Non è molto, il famoso tragico, seguendo la stessa idea, fece mettere all'ingresso della sua splendida villa, che ha arredata con gusto d'artista e sfarzo da sovrano, una gran placca di ottone, sulla quale era inciso in nero :

ERNESTO

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POPOLI

CAMPANELLO

A DESTBA

pel servizio

di notte.

Dalle vicinanze di Montughi la gente cominciò a scendere e a presentarsi all'ottimo attore. Egli rice- veva quella gente, con la bontà, che è in lui una seconda natura, con quel suo sorriso di benevolenza che, starei per dire, ha più del divino che dell'umano.

Ricordi Critici e Umoristici 29

Buona gente, siete venuti da molto lontano ! diceva loro.

Non vorremmo incomodarla!

Oh, sempre l'Europa mi circonda: parlate, buoni amici....

E a tutti dava consigli, a tutti impartiva lezioni improntate della più schietta saggezza; a tutti rive- lava una parte delle sue mire politiche; li educava all'avvenire.

E, allorché consacrava poche ore al sonno, si co- ricava felice, e fiero, indirizzandosi però questa pic- cola congratulazione :

Ernesto, anche oggi hai salvato la patria!

La gente principiò ad abusare di lui, venivano a narrargli delle loro malattie, a raccontargli d'un cane smarrito.... e ciò lo feriva ripensava a certe sue Compagnie vaganti.

Allora egli si parlò così :

Ernesto, mio grande Ernesto, tu spendi il tuo genio politico, poiché tu hai il genio politico come tutti gli altri genii, a profitto di ben pochi. Hai già saputo entusiasmare i pubblici e le inclite, cui eri chiamato a comandare. La tua popolarità supera ogni altra. Giovatene!

Comincia dal fondar un giornale, che non sia al tutto personale; basta tu lo intitoli L'Universo sono io! E gettati nella lotta elettorale.... Uscirai vitto- rioso. Non c'è che un Ernesto al mondo; tutti gli altri non esistono; ed è incomparabile, invincibile, irresistibile.

Dopo breve pausa, l'eccellente e popolare artista ripigliava la conversazione con se stesso:

Deputato!... È un primo passo. Ma si manca di presidenti del Consiglio. Doventa! Tutto le que-

30 Ernesto Rossi deputato

stioni d'Europa ti sono familiari. Poco si è fatto varii anni, senza di te. E quel poco non riuscì bene.

Il monologo però non era finito. E ripigliava:

Presidente del Consiglio!... Saresti troppo mo- desto. È sovrano, che devi essere.... Ernesto I (questo già lo sono, anzi primissimo).

Si accostò allo specchio, sorrise a se stesso ed esclamò :

Come il mio profilo starebbe bene su le monete !... Per regalar il mio ritratto, darei un pezzo di cinque franchi.... Sarebbe un mezzo per render ricercati i pezzi da cinque franchi, di cui ora quasi nessuno si cura!

Orsù, non più esitanza; mostriamoci al popolo. E a Ernesto Rossi sembrava di esser salito a ca- vallo : e andava qua e là, gridando :

Popolo italiano, popolo di valorosi, saluta il tuo salvatore. Viva me! Viva Ernesto I Re.... anzi Im- peratore! —

La circolazione er^ interrotta: 17 omnibus s'erano fermati in un punto solo.

Tosto si accorse eh' era in preda ad un'allucinazione.

Ma l'esimio artista risolvette di mantenere la sua candidatura.

Se gli davano il voto tutti coloro, che lo stimano e gli vogliono bene, tutti coloro che ne sanno la bontà, la nobiltà dell'animo, che provano il fascino della simpatia, ch'egli sa sempre ispirare in chiunque lo conosca, nessun altro candidato avrebbe avuto più voti di lui.

Ma io conosco gl'italiani.

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Essi hanno idee limitate: cedono a pregiudizi: sin ora non vi fu grande attore, che fosse insieme una gran mente politica.... Il caso è nuovo: da ciò dubbii, incertezze: e, quindi, per la stima affettuosa che io nutro verso l'illustre attore, gli suggerii:

Ritira la tua candidatura. Non impiccolire il tuo Ernesto, occupandoti soltanto dell' Italia : tu devi sempre pensare all'Europa!

Ieri, incontro Ernesto Rossi, sempre giovane e un fiore di eleganza.

Perchè hai detto male delle mie Memorie? La modestia sarebbe qui di cattivo gusto. Tu sei nel falso, io sono nel vero. Per qual motivo non dicesti che sono un capolavoro?

Per un'aberrazione....

Oh, mio caro, qual articolo potevi scrivere, lo- dandole. Ti avrebbero tradotto in tutte le lingue.... Non troverai più una simile occasione. L'avrei voluto per te, non per me, te l'assicuro. Io ormai non sa- crifico nulla alla vanità lo sai, la mia divisa è: tutto per l'arte....

Gli chiesi perdono, lacrimando. Anch'egli avea le lacrime agli occhi (o fingea d'averle). Mi mise una mano sul capo: -jentii che le idee mi nascevano a quel contatto in modo terribile : alzò gli occhi al cielo e esclamò :

Sii perdonato!

Gli abbracciai le ginocchia.

Vuoi annunziare aggiunse che pubblicherò a giorni un nuovo volume di 1,000,000 di pagine: tutto sopra di me : con note. Pubblicherò poi tutte le mio lettere e anche le mie cartoline postali....

32 Ernesto Rossi: aneddoti

Sulla parete di una Chiesa, dinanzi alla quale passava sovente Ernesto Rossi, era stato scritto:

Dio SOLO è grande.

Il sindaco ordinò si cancellasse l'iscrizione.... per riguardo a Ernesto Rossi.

Ernesto Rossi ha il segreto invidiabile di una pe- renne giovinezza. E le sue origini sarebber remote, a giudicarne da un manoscritto arabo scoperto in questi giorni e che parla della Creazione in termini dai quali si rileva che Ernesto Rossi ha avuto parte non indifferente nel Caos. È stato detto che il mondo fu tolto dal Caos con la parola.

Ernesto Rossi sarebbe capace, con lo stesso mezzo, di farcelo ritornare.

Ma ecco un sunto del manoscritto, da me tradotto alla lettera.

Dio mise cinque giorni a creare Ernesto Rossi: e poi si riposò. Il sesto giorno disse : Ora, che ho creato Erne- sto Rossi, potrei fare il mondo, tanto perchè Egli avesse un po' di spazio da passeggiare.

E creò il mondo, non tutto però; lasciando a Ernesto Rossi nelle ore d'ozio, di creare il sole, la luna, l'acqua, i pesci (compresi i pesci-cani) e altri accessorii.

Ma 'Ernesto-Amleto si annoiava. Sentiva il prepotente bisogno d'una donna, che gli facesse da Ofelia. E un giorno, mentre dormiva, Dio gli cavò una costa e nacque la donna. Ernesto Rossi non si svegliò, perchè si era addormentato sul volume primo (e fortunatamente unico) dei suoi Studii Drammatici.

Un altro giorno Ernesto Rossi disse a Dio : Senti (poiché

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egli dava del tu anche all'Ente supremo) mi faresti almeno, tanto per incominciare, commendatore?

E la Provvidenza non seppe nulla rifiutare a quel suo giustamente prediletto.

Qui finisce il manoscritto arabo.

L'esimio attore lascia discutere con olimpica pla- cidezza su qualche suo difetto; e i difetti nascono in lui da eccesso di virtù : dalla feracità della fantasia, agevolmente commovibile, dall'esuberanza del senti- mento. Forse, mentre cerchiamo le festuche nell'oc- chio suo, egli si diverte a veder le travi nel nostro!...

ADELAIDE Je^^ERO

pi ON vi ha nulla che rattristi come la morte di una @jY di quelle donne, che ebbero su la scena tanta poe- sia, tanta grazia, tanta eloquenza, che fui'ono amate e ammirate, che ricordano a una generazione tutti i bei sogni, tutte le trepide commozioni, tutte le speranze ineffabili e le illusioni della giovinezza.

Sembra che certe artiste, scomparendo dalla scena del mondo, portino con una parte preziosa della intelligenza, del cuore di molti,

Adelaide Tessero fu l'attrice deHa passione : le eroi- ne, che ella incarnava su la scena, non sembravano più finzioni di scrittori : essa dava loro i suoi palpiti, il calore della sua anima, lo splendore della sua forte intelligenza: essa er« il personaggio, che avrebbe do- vuto parere. Poche attrici, al nostro tempo, in Italia e fuori, hanno recitato con più vivo e profondo sen- timento : poche, al pari di lei, furon consumate dallo stesso ardore della loro ispirazione.

Adelaide Tessero 35

Povera Adelaide, piena d'entusiasmi, ricca d' ideale, facile a creder possibile tutto ciò che le sembrava piiì desiderabile, piiì degno di lei !

L'annunzio della sua morte deve aver contristato, in modo supremo, gli artisti, che le furon compagni, gli autori, a cui dette col suo sguardo, col suo gesto, col suo accento appassionato, pensieri più originali, più nuovi di quelli che essi stessi avean concepito; gli amici, ch'ella avea numerosi, e affezionati, in ogni paese, ove l' incanto dell'arte sua lasciò traccio du- revoli.

Vi è qualche cosa di spaventoso, di desolante, di terribile nella morte di grandi artisti, che per anni ed anni han prodigato ogni sera, o quasi, alla folla i tesori della loro fantasia, del loro studio, del loro ingegno.

Il gesto, di cui ammiravamo la verità.... la voce, che ci scendeva al cuore, la fisonomia, che or e' in- duceva a sorridere, or ci facea rabbrividir di terro- re.... ove ritrovarli?

I grandi artisti della scena somigliano in ciò all'u- signuolo ; staccandosi dal ramo su cui si è posato, porta con sé, ad un tratto, e per sempre.... la sua me- lodiosa canzone.

Non s' intende oggi bene tutta l' importanza, che ha l'artista drammatico nell'arte, nella letteratura. Quanti drammi, quante commedie non hanno avuto altro me- rito, se non quello di esser bene rappresentati?... Quanti autori debbono agi' interpetri intelligenti più che metà della loro gloria? Quanti lavori cadono, al- lorché un interpetre felice li abbandona?

Abbiam visto attori compier davvero prodigii ; in- fondere in certi tristi personaggi l'anima propria: dar vita a cadaveri!

Adelaide Tessero e Virginia Marini furono le Muse

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ispiratrici della nuova arte drammatica in Italia. Gli autori, che dettero al nostro Teatro di prosa il meglio, per lunghi anni, Paolo Ferrari, il Giacometti, Pietro Cossa, il Torelli, il Marenco, ed altri, trovarono in esse le interpetri più volenterose, più accette al pub- blico, e più infervorate nel combattere una lotta, ch'è pur memorabile per tanti bei trionfi.

Certamente, esse erano nate in un periodo capric- cioso, in cui è stato più il baglior de' lampi, che il fulgore d'una luce bella, serena, durevole : sono vis- sute in un periodo di ricerche, di febbri, di tentativi frettolosi, di titubanze, ma il loro nome è congiunto a tutto ciò che si potè far di più nobile, di più ge- neroso, di men incompiuto per l'Arte drammatica, E ad esse è dovuta una immensa riconoscenza.

Adelaide Tessero era nata in Firenze, in una casa in Piazza del Duomo. L' ho udita più volte compiacersi d'esser fiorentina. Suo padre, Pasquale Tessero, fu uno degli ultimi buoni attori che interpetrarono le così dette parti di tiranno; la madre, Carolina Ristori, sorella alla illustre artista Adelaide, era anche essa attrice.

Adelaide Tessero comparve su la scena la prima volta, giovinetta, accanto a sua zia Adelaide Ristori, nella Medea del Legouvé, a Parigi. Erano nella Com- pagnia anche il padre e la madre di lei.

Giacinta Pezzana e Virginia Marini confessano di aver ricevuto le prime lezioni di semplicità, i primi esempii di efficacia, nell'arte del dire e del porgere, dal celebre capocomico piemontese Toselli. Quell'ar- tista, oggi tanto dimenticato, nuovo segno della labil gloria che tocca agli artisti drammatici, fu il vero primo maestro di Giacinta Pezzana, di Virginia Ma- rini, d'Adelaide Tessero.

Adelaide Tessero 37

Altra scuola, e può immaginarsi se profittevole, fu- rono alla giovane attrice i consigli e, sovratutto, l'e- seiupio della sua celebre zia, Adelaide Ristori. E la Ristori per molti e molti anni, quando la Tessero era uià prima donna, nelle più stimate Compagnie, vedeva sovente la nipote, che a lei domandava sempre nuovi insegnamenti, e la consultava premurosa, or su que- sta, or su quella interpetrazione.... Docile sempre, desiderosa di apprendere : benché recitasse con foga, e credesse, erroneamente, l'artista dover quasi tutto aspettare dalla ispirazione momentanea, da quel sen- timento, che sorge in un subito, studiava volentieri i più alti esempii : cercava avvantaggiarsi della altrui esperienza.

Fu scritturata nella Compagnia Lombarda di Ala- manno Morelli : fu la prima attrice italiana, che in- terpetrasse la graziosa commedia Fuoco al Convento.

Sposava, a Torino, un ricco negoziante di stoffe e si ritraeva, giovanissima, dal Teatro.... Ma il marito, sopra tutto dopo che Torino cessò di esser capitale d' Italia, ebbe a soffrir gravi perdite nel suo com- mercio; mentr'era a Parigi, a assestare i suoi affari, volti al peggio, Adelaide Tessero, credendo provvedere all'utile della famiglia, cercò scritturarsi di nuovo, a insaputa del marito. Il cugino di lei, il compianto Luigi Bellotti-Bon, la scritturava prima donna nella sua Compagnia.

Fece più tardi Compagnia insieme con Alamanno Morelli : il grande attore e la grande attrice erano socii ! La Compagnia si recò nell'America del Mezzo- giorno : Adelaide Tessero fu accolta, con entusiasmo: divenne popolare in quelle regioni. Tornò in Italia, formò una Compagnia per suo conto, diretta da Luigi Biagi, e si recò di nuovo in America, Nel suo primo

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giro avea avuto fortuna arridente : era piaciuta ; avea, se non accumulato.... essa non sapea il segreto di ac- cumulare.... assai guadagnato.

In questo secondo giro artistico ella fu a Buenos Ayres, a Montevideo, al Chili, al Messico, nella Re- pubblica dell' Equador, al Perù. Si trovò al Perù, nel fervere d'una rivoluzione, in mezzo allo stato d'as- sedio, senza poter recitare, e dovendo supplir alle spese per la Compagnia ! Fu il suo primo grave disa- stro pecunario : cominciarono per lei quelle difficoltà, che doveano, a poco a poco, farsi più aspre, e doven- tar insormontabili. Molti dicono che essa avea un ca- rattere debole ; e può darsi : ma reca davvero stupore il pensar quanti dolori essa ha saputo divorare, quanti ostacoli è riuscita a superar questa donna, nata per tutte le gaiezze, le giocondità della vita, amante del lusso, di cuor generoso e apertissimo, e che si è tro- vata a lottare, minutamente, ogni giorno, fra le più inenarrabili angustie. Può darsi avesse carattere de- bole: ma non so quanti caratteri, che si dicono forti, vigorosi, avrebbero resistito alla lunga, nella continua battaglia che essa ha sostenuto per anni contro le più dure realità della vita.

Fra le altre avventure di quella sua vita randagia, nel secondo giro fatto in America, racconterò la se- guente.

La Compagnia giunse un giorno a Panama: vi giunse, perchè era stato mal interpetrato un tele- gramma, il quale diceva che, tra venti giorni soltanto, sarebbe partito un vapore. Qualcuno avea capito che il vapore partisse subito.' Si trovarono in un paese, nel quale non erano ancora alloggi, non v'era teatro.... E vi dovean restar venti giorni. Altro disastro pecu- nario ! Per minor guaio, s'incontrarono in un giovane

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allegro, ben noto in Firenze, e a Torino, e che si era dato al serio, lavorando, sotto la direzione del signor di Lesseps, per l'apertura del famoso canale intero- ceanico.

Gl'impiegati del signor di Lesseps fecero a' comici italiani la più lieta accoglienza : li accomodarono d'al- loggio e, una o due Tolte la settimana, essi potettero recitare nella sala di riunioni della Società, presieduta dal signor di Lesseps, dinanzi a un pubblico, composto d'impiegati e di operai, addetti ai lavori del canale.

Il danno pecunario risentito da Adelaide Tessero era già gravissimo, quand'ecco infuriar la febbre gialla.... Poterono alla fine partire, lasciando l'attore Piaz- zanti, quasi moribondo, ma, per ventura, oggi tornato all'Arte.

Al ritorno in Italia, Adelaide Tessero era già af- franta. E la tormentavano stranamente le angustie della vita. Si trovava a capo di Compagnie miserrime e che essa non potea pur sostenere ; con attori me- diocri, indisciplinati e anche ineducati, è forza il dirlo : spesso ridotta fin senza i vestiarii, che le erano indispensabili. Si è trovata talvolta senza aver piìi in suo potere neppur uno de' suoi bauli.

E, tuttavia, tra ruvidezze, tra ingratitudini, tra so- verchierie d'ogni maniera, fra umiliazioni che non avea meritate, fra cocenti dolori, ella non si smarriva. Un tempo si era ridotta, ella già di tanto signorile ele- ganza su la scena, la più signora, anzi, fra tutte le attrici, che abbiamo avute.... a indossare per uscir fuori certi abiti, che sono proprii, più che altro, alla scena, e fatti per figurare alla luce della ribalta.... Io r ho incontrata, l'ultima volta, di pieno giorno, anni or sono, nella Piazza del Duomo di Firenze, presso alla casa ove era nata... Il sole era sfolgorante ; essa

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portava una mantiglietta di velluto scolorito con certe vistose guarnizioni d'oro, già stinte e sfilacciate. Nel suo volto malinconico si parean già le traccie di grandi sofferenze.... Avresti detto che essa avesse recitato la sera innanzi e non fosse uscita dalla scena se non in quella fulgida ora del mattino, senza togliersi gli abiti, che aveva indossato per recitare. Il vederla rattri- stava, perchè il pensiero correva ad altri tempi. Pure io non mi son mai rimasto dall' ammirare la forza d'animo, di volontà, la virtù d'arte, ch'era in lei.

Uscita dall'arte la bellissima, non dico bravissima, attrice Annetta-Campi, il capocomico Francesco Pasta la surrogava con Adelaide Tessero e Pierina Giagnoni : due artiste elette, d'indole opposta, e tutt'e due morte anzi tempo !

Adelaide Tessero, benché accasciata, non più giova- nissima, stette in mezzo agli attori, tutti tra i migliori, della Compagnia Pasta, come una regina; accanto a Pierina Giagnoni seppe pur ridestare ammirazioni, attrar sopra di la simpatia, l'attenzione del pub- blico. Tornò in America col Pasta, sei anni dopo il suo secondo viaggio; recitò la Maria Antonietta del Giacometti, la Stuarda: raccolse molti onori, anche denari, non dirò molti.

La sua ultima interpretazione, dinanzi a' pubblici italiani, fu quella della protagonista nella commedia di Giacinto Gallina Estneralda, ch'è un gioiello: la Tessero, riproducendo quel tipo di madre nobile, nuo- vissimo, e finissimo, arrivò alla perfezione.

Poiché questa grande attrice ebbe tutti i doni, in una certa misura : fu comica nel Fuoco al Convento ^ nel JDivorziamo, lavoro in cui riuscì inimitabile, fu ammirabile nella Messalina, nella Cleopatra del Cossa, neWOdio del Sardou, nel Suicidio del Ferrari, nella

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Principessa di Bagdad del Dumas. Fu graa signora nel Mr. Alphonse, nella Straniera del Dumas : vera- mente aristocratica su la scena, di una somma ele- ganza nelle intonazioni, nel portamento della persona, nella scelta delle vesti: non somigliava a certe attrici, 0 giovanissime, o sempre giovani, che credono il mas- simo della eleganza stia nell'avere le vesti più stra- vaganti, con gli accozzi di colori, e di stoffe più biz- zarri, e nel portarle nel modo più stravagante.

Fu attrice, che molto confidò nella ispirazione: preparava nella mente, con molto meditare, l'insieme della sua parte : ma non disegnava i suoi gesti, non studiava avanti le sue intonazioni. Si abbandonava al sentimento, che le dava effetti inattesi. A sere, l'ho vista tornar tra le quinte, tutta palpitante, avendo appena la forza di respirare, col volto bagnato di lacrime, di grosse lacrime, che le cadevano fin su le vesti. Il metodo è pericoloso, giova per arrivare sempre al sublime dell'Arte.

Essa ne provò, nonostante il mirabile ingegno, i guai. Il naso, a volte, per la troppa commozione, cui si lasciava andare in preda, le doventava tutto rosso: la voce le si rompeva sulle labbra, avea, spesso, una dizione affrettata, che non pareva nascer da commo- zione ; ed essa era appunto troppo commossa. Ma altri sono gli effetti dell'arte: e vogliono l'artista, che senta e comprenda, ma sia padrone di sé.

Adelaide Tessero fu un ingegno veramente moderno; fu attrice di una sensibilità squisita: non ebbe nulla dell'arte classica. Essa si è consunta per alimentare la stessa fiamma, che in lei ardeva: si è consumata la nobile, poetica creatura allo stesso suo fuoco: la lampada era troppo ardente e doveva illanguidire, spengersi troppo presto.

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Addio, 0 cara, o leggiadra, o indimenticabile, o commossa interprete di tante fantasie ! Noi ti pian- giamo, e, con te, molti piangeranno sempre tanta parte di giovinezza, d'ideali, di inebrianti passioni, che sembrano, col dileguarsi della tua immagine con- citata ed amata, allontanarsi irrevocabilmente da noi !

Lasciamoci oggi andar presi a certi ricordi ; e con la fantasia rivoliamo a' tempi, in cui Adelaide Tessero, ancor giovane, bella o, almeno, seducente, tutta pas- sione, tutta foga, tutta anima, ricca di un forte in- gegno, di un istinto artistico mirabile e fecondo, fa- ceva palpitare, fremere, entusiasmare dilettava e rapiva i pubblici italiani.

Erano due allora le attrici, verso cui sospiravano i poeti, i giovani spettatori di vent'anni, che ne fa- cevano il loro sogno e il loro delirio: erano due le attrici, care alle belle donne, le quali vengono al teatro per esser ammirate e per vedere, udir inter- petrati con grazia, con eloquenza, con tutti gl'in- canti della venustà, e tutte le delicatezze dell'arte, i trepidi sentimenti, che le agitano.... Le due attrici, le due vere interpetri del dramma, quelle che sape- vano dir bene i versi armoniosi de' giovini poeti, le prose, un po' tormentate, d'alcuni de' nostri migliori autori, e sapevano trar sospiri da' petti più gentili, e strappar lacrime a' più begli occhi, si chiamavano Adelaide Tessero e Virginia Marini. Aveano press' a poco la stessa età: interpetravano lo stesso reperto- rio ; il repertorio degli autori più moderni, aspettando

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sempre ogni anno di offrir il loro ingegno a qualche nuoYO scrittore.... Giacinta Pezzana se n'andava tutta sola, per vie sue proprie : tentava tutte le altezze, non ne raggiungeva veramente alcuna : sublime in certe scene, non mai perfetta in una grande intepe- trazione, ebbe il più robusto ingegno, fra tutte le at- trici dei nostro tempo, dopo Adelaide Ristori : ebbe una voce d'oro, di cui sapea servirsi, quando voleva, con maestria: ma, nell'insieme, non usò, sprecava, sparnazzava tanti e rari tesori.

Fu più bizzarra che originale ; più invidiabile, pei mezzi da lei posseduti che per essi potente : non giovò all'arte, a ; ignorò su la scena una delle doti più precipue, per una donna: la eleganza. *

Tra le prime-donne, moderne, Clementina Cazzola superò tutte, e di gran lunga, nella espressione delle passioni, nella poesia con cui sapea trasportar su la scena, far vivere l'eroina d'un dramma, d'una tra- gedia. Oh, non più vedemmo, o meglio non più udim- mo.... dopo di lei.... una Desdemona, che sospirasse più soavemente, i cui singhiozzi più ci straziassero il cuore !

Immensa era la simpatia, che la donna adorata, da noi veduta ormai nella dolce trasfigurazione delle me- morie di giovinezza, destava nelle terribili situazioni della tragedia o del dramma : nella ben temperata commedia goldoniana eri ridente, o Clementina, gaia.... con tanto riserbo e pur tanto abbandono, con tanta misura e pur tanto slancio d' ingegno, sapevi bene l'arte di allietare con verecondia, di meravigliare con la tua ispirazione!...

Ecco, perchè, giorni or sono, appoggiato al cancello da' cui fori s'intravede la sua tomba, soffusa di una luce colorata, io ripensando a' giorni rapidi della

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sua gloria, alla serenità di certe sue interpetrazioni, sorridevo ad un tempo, e mi sentivo gii occhi umidi di pianto nel legger sul marmo le lettere del suo nome, quasi dietro quel marmo fosse scomparsa per sempre la Musa, la Fata benefica del nostro Teatro di prosa....

Non vorrei si esagerasse, a proposito di Adelaide Tessero : vi è bisogno di esagerare per la sua gloria. Essa non fu di quelle attrici, per le quali l'Arte non ha ostacoli ; che, come era accaduto della sua zia Adelaide Ristori, possono dalle altezze della tragedia Shakespeariana e della tragedia più moderna scendere al dramma moderno, come Maria Antonietta, alla commedia familiare, come il Regno d'Adelaide, senza perder nulla delle loro virtù d'Arte : anzi serbandosi, in ogni aspetto, sempre ammirevoli pernuove perfezioni.

Adelaide Tessero avea su la scena una bella e gra- devol persona : si sapea truccare benissimo ; si vestiva a meraviglia. Non già che le vesti fossero sempre sfarzose; ma in certi grandi drammi, le bastava met- ter un abito di seta nera, o di raso nero: e lo spet- tatore sentiva, per tutta la sera, che avea dinanzi a una gran signora. La nobiltà non è nei vestiti ; è nella persona che li indossa. Oggi, certe nostre prime donne, e qui mi verrebbe l'uzzolo di nominarne una.... assai celeberrima, con tutti i loro abiti screziati, composti nel modo più singolare, e più eccentrico, hanno l'aria, spesso, di be' mannichini di legno, su- periormente dipinti, non dico : e abbigliati a profu- sione da qualche mercante, il quale si crederebbe abbia scelto un tal modo per far una Esposizione.... assai pubblica di certe stoffe. Eh, staremmo freschi, se bastasse un bell'abito a fare una gran dama sul palcoscenico.... Ci sono molte donne, m'immagino non siate senza conoscerne tutti qualcuna, che potrebbero

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pretendere d' interpetrare i lavori drammatici,... col vestito : e, invece, sono costrette a far tutt'altro, in lavori d'altra specie.

Un difetto d'Adelaide Tessero era quello d'apparir su la scena con le spalle un po' ricurve ; ma era leg- gero difetto, appena avvertito da incontentabili....

La voce non era limpida, estesa, potente come quella di Giacinta Pezzana, o di Virginia Marini : stupenda voce quest'ultima, che pur tanto ricordò sempre, seb- benconpiù rigido metodo, in certe inflessioni, le armo- niose inflessioni della Pezzana. La voce di Adelaide Tessero era un po' rotta, ineguale ; ma nella passione si coloriva, vibrava in questa o quella espressione, arrivava sempre al cuore degli spettatori.... Non era dicitrice, nel senso classico, o accademico, della pa- rola: si lasciava guidare, o meglio trasportare, per lì, dal suo sentimento, dalla sua commozione, anzi che obbedire a certe regole, a un certo concen- tramento della riflessione, all'Arte, secondo che fanno i sommi : i quali hanno il raro privilegio di sentire e, al tempo stesso, saper misurare, nel miglior modo, r espressione del loro sentimento.

In questa foga tumultuosa, in questo intemperante abbandono di tutta stessa, Adelaide Tessero sciupò, meglio logorò, più presto che non doveva, i suoi mezzi : era di quegli artisti, che danno al pubblico talvolta ciò che è più che l'Arte, per essi : cioè la loro anima, il loro cuore !

Anche con tal metodo, pericolosissimo, quando -sia accompagnato da raro ingegno, e da un elettissimo istinto artistico, come avea Adelaide Tessero, si pos- sono ottenere efl'etti meravigliosi.

Ho già detto che l' ingegno di Adelaide Tessero fu essenzialmente e squisitamente moderno.... Essa tentò anche la tragedia, e la tragedia moderna, come la

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Maria Stuarda, m?i, rimase inferiore a stessa. Tutto in lei si prestava alla passione drammatica : non ar- rivava, come non v'è ancor arrivata alcuna delle no- stre attrici moderne, dopo Adelaide Ristori, al vero sentimento lirico.... Pure non le disdissero certi ten- tativi. Nella Messalina del Gessa era d'una sensualità, d'una foga, d'una impetuosità, che ammaliavano gli spettatori, li lasciavan perplessi.

Chi non 1' ha ammirata, angosciosa, ansante, trepi- dante d'amore, in preda a uno spavento mortale, tutta eloquente di accenti, che eccitavano il terrore, l'affetto, l'ansietà negli stessi spettatori, allorché nella Patria interpetrava il patetico personaggio di Dolores?...

Di altre sue interpetrazioni ho già parlato....

Per varii anni, il pubblico italiano si appassionò nella disputa: qual fosse migliore attrice, Adelaide Tessero, o Virginia Marini.

La disputa si affuocava talvolta : segno di quanto erano amate, stimate le due attrici: soltanto attrici, che avean dilettato e commosso migliaia e migliaia di spettatori, ed eran vivissime di continuo nella lor memoria, poteano eccitar universali e ardenti di- scussioni.

Il fervore de' disputanti arrivava al punto che una notte io fui svegliato da un gran rumore ; eran tre o quattro persone, che sotto un lampione disquisivano se dovea darsi la preferenza alla Tessero, o alla Ma- rini. Ciascuno sosteneva l'opinione propria , e con tal abbondanza di argomenti, e tal forza di voci, che sino oltre le 2 del mattino la strada rimbombò di quella artistica discussione.

Allorché, dopo la Tessero, Virginia Marini venne in Firenze a interpetrare, su la stessa scena, la Mes- salina, io scrivevo il 22 agosto 1876, studiandomi di pacificare i molti parteggianti :

Adelaide Tessero 47

« E ora due parole su la Messalina.... Non faremo paragoni, poiché a noi sembra una vera empietà l'ec- citare una contro l'altra due grandi attrici, due ami- che, due donne che sono l'onore della scena italiana.... Dopo la stupenda e vivace interpetrazione, che la si- gnora Marini dette della Messalina debbo dire can- didamente che, io m'accorsi, il pubblico (circa duemila spettatori) mostrò d'accorgersi che la signora Tessero avesse mancato di maestà, di grazia, di pas- sione, di verità nel rappresentare quella parte ibrida, difficile a rendersi bene con l'azione, poiché anche il poeta r ha resa in modo tanto vago ed incerto con la sua parola bella ed eloquente. Il pubblico applaudi, festeggiò la signora Marini, come aveva applaudito e festeggiato la signora Tessero,' e fu lieto di questa duplice e calorosa ovazione alle due simpatiche arti- ste, poiché era ad esso una prova che noi possediamo oggi due attrici di tal merito, d'ingegno vero, e d'animo buono, così giustamente celebri ed amate, che non v'é bisogno d'eccitare fra loro gretti, miseri antagonismi, dissidii frivoli, di cui sono le prime a ma- ravigliarsi, esse che hanno ottenuto ambedue la loro gloria a prezzo di studio e di fatiche onorevoli, di rare e felici disposizioni, non con le cabale, i raggiri, le in- vidie, patrimonio soltanto dei mediocri e volgari!... » Ma, epilogando, chi volesse far oggi un paragone fra le due attrici, potrebbe dire : che Adelaide Tessero fu superiore alla Marini nella forza del sen- timento, nella verità con cui esprimeva la passione, nel saper ottenere, come di slancio, certi effetti : ebbe, su la scena, di gran lunga maggior nobiltà. Virgi- nia Marini fu più splendida dicitrice, fu più semplice, ebbe una affabilità, una grazia peculiari, e, come don- na, apparve su la scena anche {)iù bella della sua ri-

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vale, se non più maestosa. Adelaide Tessero ebbe il gesto più largo, più corretto, più ispirato di quello della sua amica : Virginia Marini ebbe una poesia, tutta fa- miliare, che piacque al pubblico : sapea ispirare, co' personaggi da lei raffigurati, una durevole, calda sim- patia. E non è piccol trionfo ! Virginia Marini fu più popolare ; Adelaide Tessero fu più ammirata dagli ar- tisti e dagli intelligenti. Tutt'e due furono somme.

Ebbero poi, singoiar ventura, autori che scrisser per esse : ebbero tuttle due il destro di rivelarsi in parti nuove, concepite da uomini, i quali avevano la scienza, l'esperienza, il sentimento del Teatro. E oggi alle giovani attrici, a' giovani attori non si offron che aborti.... Essi poi ne accettano alcuni da far credere che hanno perduto ogni rispetto di : o sono dive- nuti quasi analfabeti ! . . .

Quanta gloria, attori e attrici, quante serate di be' trionfi hanno dovuto, per esempio, a Paolo Ferrari !

Adelaide Tessero è morta a poco più di 48 anni. Si direbbe che un destino crudele preme sugli artisti drammatici della nostra generazione ! Molti tra i mi- gliori sono scomparsi nel fiore della giovinezza, delle speranze, sono morti giovanissimi il Majone, il Sal- vadori, il Ceresa, il Marietti, il Giagnoni, Pierina Giagnoni.... il povero Carlo Arighi, è stato chiuso in un manicomio, agitato da quella cupa follìa, che già avea colpito il Salvador! e il Ceresa.... O perchè la morte, la follìa han divorato precocemente una schiera di giovani artisti, han distrutto tante pro- messe?... La risposta forse non appartiene alla Cri- tica. Il segreto di tale jattura è da lasciarsi al fisio- logo, che vede nelle làtèbre dell'animo umano, ne' più intimi misteriosi penetrali della fragile umana natura....

YlRQINIA ^ARINI

Decembre 1892.

tWiRGiNiA Marini ha lasciato oggi le parti di amo- ^ rosa, e le parti di innamorata : serba ancora qual- che parte di donna appassionata nel gran repertorio, e ciò perchè certe parti, o domandano un'attrice assolu- tamente provetta, maestra in certi espedienti dell'Arte, 0 si può dire che è arduo trovar chi possa interpe- trarle a dovere.

Ma citerò tre interpetrazioni nelle quali Virginia Marini mi è sembrata, assai di recente, perfetta: tre parti di madre, quella delle Due Dame, quelle del- l' Ostacolo, deW Esmeralda.

La parte della madre è troppo sprezzata nello no- stre Compagnie ; non è ben intesa nel Repertorio. Certe attrici sfuggono tali parti a tutto potere: non si comprende, o sembra non si comprenda che vi sono parti di madre, le quali, oltre l'abilità artistica, ricercano la grazia, la seduzione, l'eleganza.

Virginia Marini è oggi attraentissima, squisitamente

50 Virginia Marini

simpatica, perfetta in quelle parti di madre, per le quali ci vuole un'attrice che allo spettatore rappre- senti una donna capace d' ispirar le passioni e che le ispiri, ma, nel tempo stesso, sappia con dolcezza gui- darle e frenarle.

Su la scena Virginia Marini ha poi quella vera, amabil bellezza che orna certe donne nella lor se- conda e florida gioventù.... Le attrici hanno l'età, che dimostrano su la scena. E Virginia Marini com- parisce agli occhi dello spettatore la donna fra i trenta e i quaranta anni, ideale d' alcuni romanzieri nella prima metà del secolo, il frutto maturo e saporoso, il tramonto roseo, e pur tutto splendente di luce come un'aurora, talvolta di colori più accesi, più varii dell'aurora, soffuso d'un certa malinconia poetica, che aggiunge valore alle sue ricchezze : al punto della vita in cui certe promesse della prima, incerta età divengono a dirittura magnificenze: e la donna avvenente acquista un dolce, inefFabil mistero, che tutti sarebbero ansiosi di scoprire o di penetrare.

Virginia Marini ha due occhi, che parlano e vanno al cuore degli spettatori prima della sua voce so- nante, armoniosa; vera voce d'oro, e che sempre piacque e piace tanto per la misura d'affetto, che vi è trasfusa.

Agli artisti drammatici, che studiano, l'età reca nuove perfezioni : ben inteso in un certo limite, quando i difetti fisici non li rendano incomportabili nell'a- spetto e nella pronunzia ; e pur che si attengano alle parti ad essi confacenti. In ispecie, come dicitori, gli attori han sempre da affinarsi. E nella dizione di Vir- ginia Marini, ad esempio, ci sembra riscontrar nuove squisitezze : una maggior fusione de' varii tuoni, una miglior contemperatezza di opposti effetti.

Ricordi Critici e Umoristici 51

D'uopo è rilevare che gli attori si perfezionano fino a un certo termine della loro età : e di sicuro non son bene ispirati i quasi settuagenarii che voglion perseverare nell' interpetrar le più grandiose e fati- cose parti del repertorio: non sono bene ispirate le donne che hanno scavalcato la metà di un secolo, allorché si vogliono atteggiare a ingenue, procaci fanciuUine : a ragazzine spensierate, non ancora uscite dall'Educatorio.... Vedo che tali aberrazioni costan già care a qualcuna delle nostre attrici, pur di bel nome. Poiché, é facile trovare, durante un certo pe- riodo di tempo, insensati, o pusilli adulatori: ma il buon senso del pubblico sovrasta a tutto : certi idoli grotteschi cadono nel ridicolo, che loro spetta.

Hanno torto poi alcuni attori, varcato il segno di una certa età, a voler sempre interpetrare le parti più ponderose : benché sieno stati grandi nell' arte, appaiono sovente inferiori a' mediocri, nuocciono a stessi, presentandosi in condizioni penose, di- nanzi a una generazione di spettatori, che non li ha conosciuti perfetti : e, anzi che ammirarli, li prose- gue di dileggii, 0 di una tollerante compassione, più amara d'ogni altro castigo.... Io ho veduto, di re- cente, valentissimi attori, che pur serbano peculiari qualità in età molto inoltrata, interpetrare parti di grandiosi personaggi. E bene, io ho sofferto per quegli attori : tutti i loro sforzi, sebbene non pic- coli, sebbene non immeritevoli, generalmente, di lode, eran pure intesi a un sol punto : a sminuire la loro fama: a mendicar la benevolenza anzi che a ecci- tare l'ammirazione, l'entusiasmo. Ma alcuni artisti trovan si di rado chi dica loro il vero : e sono di- sposti, nella lor infantile vanità, ad accogliere tutte le illusioni !

52 Virginia Marini

Gli attori, cui la natura largì i doni più preziosi, e a cui l'arte rivelò i suoi più rari e riposti segreti, dovrebbero pur persuadersi che, valicato un certo periodo di tempo, essi possono essere, qualche volta, eccellenti nel dir una scena, nel ripetere un tratto di poesia, o di prosa, ma vien loro a mancare quella elasticità, quella potenza di comunicativa, che sono necessarie all'effetto dell'insieme d'una parte: a dar varietà, vivezza alla dizione ed al gesto, affinchè il pubblico non soffra tedio.

Torniamo però alla nostra cara attrice Virginia Marini.

: il tempo è opportuno per ragionar di lei con una certa ampiezza di ragguagli.

Virginia Marini è di famiglia d'origine scandinava. Suo nonno era svedese : ufficiale al servizio del primo Napoleone: e, tra una guerra e l'altra, prese dimora in Piemonte.

La Svezia è il paese delle belle voci, Jenny Lind, Cristina Nillson, Sigrid Arnoldson sono nate in Sve- zia. Molti ricorderanno le voci melodiose, di stupendo metallo, delle mirabili cantanti, che viaggiavano e davan concerti col nome di dame svedesi.

In questa famiglia, oriunda svedese, nacque, in Alessandria, Virginia Weyss, che tale fu il casato de' genitori della esimia attrice.

Ebbe, da bambina, gran propensione al Teatro. A 7 0 8 anni, non pur recitava, ma dirigeva le recite di altri bambini. Faceva da prima attrice, e anche da primo attore, in drammi sacri.

Il padre, un impiegato, conduceva ogni tanto le figliuole al teatro : or questa, ora quella ; la bam- bina Virginia, quando toccava d'andare al teatro alle altre sorelle, le allettava con qualche dono a ce-

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dere ad essa il loro diritto di assistere alla rappre- sentazione.

In Alessandria non capitavano allora tutte le Com- pagnie primarie ; ma vi si recavano talvolta attori eccellenti, basta citare il piemontese Toselli e Luigi Pezzana, tuttor vegeto a circa ottant'anni, e che go- dette gran fama, accanto a Gustavo Modena; anzi ebbe nome, come si legge sotto certi suoi ritratti, litografati, di infornatore del Teatro italiano. Egli tentò le interpetrazioni che richiedevano maggiori doti, e a cui non bastano artisti mediocri ; citerò, fra le altre, quella ^elY Edipo Re di Sofocle.

La Marini udì recitare, giovinetta, e conobbe, quale amico di suo padre, l'attore Giovanni Tessero : il fa- moso tiranno.

Benché fosse arrivata agli studii per prender il diploma di maestra, la giovinetta ardeva dal desi- derio di recitare in una vera Compagnia d'attori. Fu possibile contrariare, non stornare una forte vocazione....

Entrò, come servetta, nella Compagnia di Alessandro Monti e del celebre meneghino Preda. Salvo il Preda, artista originale, di molta naturalezza, d'istinto felice, che recitava in dialetto, tutti gli altri attori della Compagnia recitavano nel piìi puro italiano.... che potevano.

La Marini rimase per tre anni in quella Compagnia, prestandosi a far le più piccole parti si veda come incominciarono, per qual tirocinio passarono tutti gli artisti di maggior levatura e oggi si vogliono le prime donne.... istantanee fu a Milano, a Torino, a Trie- ste.... Chi indovinava l'esimia prima attrice dell'av- venire, la interpetre di Paolo Ferrari, del Cossa, del Giacosa, del Marenco, l'attrice che avrebbe, con si

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colorito, veemente accento, ripetuto le bellezze del Teatro francese contemporaneo ; la donna, che dovea esser come la Musa di tanti giovani autori, e la col- laboratrice di autori gloriosi, in quella servetta che recitava la Conversazione al bujoì...

Vedremo che nessuno la indovinava : neppure, al solito, coloro, che avrebber dovuto essere i giudici più sicuri. Sin da allora squillava su la scena la sua bella voce, vi risuonava il suo riso armonioso, e, per questi rispetti, già destava simpatie....

La servetta però studiava, orribile a dirsi, la Si- gnora delle Camelie.... Quel lavoro fu, tra i primi, che a lei, giovinetta, piacquero. Lo studiava e, in casa, ne ripeteva le scene ad alta voce.

Il gran Pieri (non alludo a quello che oggi recita, ma al padre.... lo dico, poiché potrebbe nascer equi- voco) udì la Marini nella Compagnia Monti-Preda, ne riconobbe il merito, desiderò scritturarla come ser- vetta e per altre parti brillanti.

Così ella andava un passo innanzi, entrava in una Compagnia, migliore della prima, si ritrovava fra due solenni maestri: il Pieri e Luigi Domeniconi.

Dal meneghino Preda, Virginia Marini riconosce d'aver molto appreso, d'averne ritratto i primi esem- pii di verità, di disinvoltura, di garbo comico sulla scena.

Anche Giacinta Pezzana riconosce di aver appreso da un esimio attore in dialetto, il Toselli, la sempli- cità del gesto, la schiettezza della dizione, il vero, secondo le ragioni dell'arte.

Non tutti i comici, ben inteso, erano allora fiori d' intelligenza : ce n'erano molti che non capivano nulla,... Press' a poco, com'oggi.

A un capocomico di quel tempo fu domandato che

Bicordi Critici e Umoristici 55

fosse l'Epifania: rispose, con la solennità eh' è pro- pria di queste aquile (non sempre dell'ortografia): non so se l' Epifania sia uomo, o donna : so che è una gran festa !

Un altro comico raccontava che, in un lavoro, fa- cendo la parte di Sansone, con una mascella d'asino (forse la sua) avea passato i filistei a fil di spada !

Per un anno la Marini fece sempre parti comiche nella compagnia Pieri-Domeniconi : recitava col Pieri nelle farse a due personaggi. Era nella Compagnia prima donna la signora Casali-Pieri.

E, inoltre, due anni rimase col Pieri, ch'aveva formato da Compagnia, separandosi dal Dome- niconi.

Desiderava mutar parti: il comico più non le ba- stava — Al pubblico piaceva, e agli attori, per la voce bella, per la vispa appariscenza della fiso- nomia, pel suo sorriso giovanile, incantevole, per la sua eleganza, per il peregrino istinto artistico che rivelava.

Si scritturò qual prima donna giovane con il capo- comico Adamo Alberti a' Fiorentini di Napoli, e nella Compagnia erano Clementina Cazzola e Tommaso Sal- vini. La Cazzola lasciò alla Marini alcune parti di prima donna.

Intanto la giovane attrice cresceva a grandi esem- pii ; dal Pieri alla Cazzola e a Tommaso Salvini. Seppe imparar molto, il che non è dato a tutti, e ciò eh' è eziandio più difficile, seppe esserne grata.

In Napoli stette due anni, poi si scritturò di nuovo con Alessandro Monti che non avea più nella Com- pagnia la maschera del Meneghino.

Partita dall'Alta Italia servetta vi tornava prima donna.... Ciò urtava tutti i pregiudizii. Il pubblico

Virginia Marini

che l'avea gustata, ammirata in parti leggère, non sapea persuadersi che ella potesse rappresentare le patetiche, appassionate eroine di certi drammi mo- derni.

Era il 1866.

Gaspare Pieri avea suggerito alla Marini non cam- biasse il genere delle sue parti : la voce di lei, egli diceva, era maschia, non si sarebbe piegata a espri- mere i sentimenti gentili, affettuosi.... Ora, accadde tutto il contrario.

Non già che il giudizio del Pieri non fosse in parte vero. Se nessuno può affermare che a Virginia Marini sia mancata la calda espressione degli affetti, la pa- rola pittrice, in certi momenti, delle immagini, pure le è mancata l'altissima espressione dell'arte : l'espres- sione lirica, poetica. Quando recita neìV Adriana Le- couvreur il brano della Fedra, vorrei dire si scorge in lei l'attrice che s'alza in punta di piedi per giun- gere alle sommità della tragedia.,., e non vi arriva: ha sempre le intonazioni più familiari, di brava e buona donnina, non l'accento imperioso d'una eroina sublime. Il suo gesto è sempre un po' angusto, fami- liarissimo, gesto da commedia, non dico in più alto componimento : il passo è quasi automatico : nel por- tamento della persona e' è spesso grazia, vaghezza, non c'è maestà: neppur quando occorrerebbe.

Forse dico, in germe, il giudizio del Pieri conteneva qualche cosa di vero. Ma l'attrice, con la perseve- ranza, con lo studio, ha vinto, o superato stessa: se non fatto dimenticare, compensato certi difetti.

La prima sua gran parte fu la Serva amorosa: parte comica, di prima donna, che ella ha poi rap- presentato, in tutte le Compagnie, per oltre ven- t'anni.

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Nel 1867 Tenne per la prima volta in Toscana col Monti e recitò, in Firenze, d'estate, all'Arena Gol- doni. Gli entusiasmi che ella suscitò non si ridicono. Il pubblico si accalcava in quel teatro ore e ore prima che la rappresentazione incominciasse. Fu poi, nello stesso anno, di carnevale, al Teatro Alfieri. Firenze amò, sin d'allora, la grande attrice : Firenze, dif- ficile a lasciarsi conquistare dagli artisti, e che crea, non accetta beli' e fatte, di seconda e cattiva mano, le riputazioni, adottò subito la giovane prima donna dalla voce d'oro, la graziosa fata ammaliante su le scene, interpetre coscienziosa, e poiché se Fi- renze è difficile all'entusiasmo, non sa obliare chi ha amato, poiché il suo affetto soltanto a chi lo merita e a chi, nell'arte, s'inalza, non intepidì mai nella sua simpatia verso l'attrice.

Ella ritrova sempre qui un pubblico innamorato.

Nel 1868 Clementina Cazzola era travagliata da un morbo, che insidiava furioso la vita della più ispirata, della più eloquente, della più appassionata tra le at- trici interpetri del dramma moderno. Per amorevol consiglio della stessa Cazzola, Tommaso Salvini, a so- stituirla, scritturò la Marini.

Virginia Marini incominciò il nuovo corso di recite con Tommaso Salvini, al Teatro Alfieri, nella quare- sima. Mi rammento di aver assistito, trepidando, a quelle interpetrazioni.

Tommaso Salvini, dopo la Ristori, la Cazzola, non ha avuto accanto a una prima donna, che fosse più degna di lui. Virginia Marini compariva su la scena bellissima: le due voci si rispondevano, con una armonia, una freschezza di suoni eh' era un in- canto. Ricordo Virginia Marini, nel Figlio delle Selve, con le sue belle spalle nude risplendenti, le sue braccia

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tornite: accanto al colosso, che avrebbe potuto soste- ner solo tutta la gloria dell'Arte del recitare nel no- stro tempo.... Non v' è donna che in quella parte della fanciulla greca, lievemente ombreggiata dall' Halm, sia stata di maggior grazia, di maggior candore, di maggior verecondia, e più armata di que' vezzi che riescono a attutire, a addolcire i cuori più rozzi, come quello del rubesto, irto Ingomaro!...

Ah ! r ho vista allora Virginia Marini nella Pamela, accanto a Tommaso Salvini, che sospirava, è la pa- rola, con divini accenti la parte di LoìyI Bonfil. E, quando penso a quelle recite, e a ciò che oggi udiamo, mi domando, per Dio, se sono attori .della stessa razza, se parlano fin la stessa lingua congreghe d' istrioni, che squittiscono, pappagalleggiano, miagolano, su la nostra scena di prosa !

Con Tommaso Salvini, Virginia Marini fu in Ispagna, nel Portogallo, a Nizza.

Un giornale spagnuolo, El Gii Blas, scriveva, in data del 29 aprile 1869: « Virginia Marini è un'ar- tista eminente all'altezza del Salvini. » Forse questo era troppo. Lo stesso giornale si mostrava meglio ispi- rato nello scrivere: « Virginia Marini, artista eccel- lente, degna compagna del Salvini. »

Lasciata la Compagnia di Tommaso Salvini, Virgi- nia Marini entrava per un vero arco di trionfo, tutto onusto de' segni d'onore da essa raccolti, nella Com- pagnia Lombarda, diretta da un singolare, magistrale attore. Alamanno Morelli.

Per Virginia Marini incominciò la vita nuova.

Essa divennej da allora, la graditissima interpetre del repertorio, fornito dagli scrittori contemporanei più ragguardevoli, in Francia e in Italia!

Quante commedie nuove allora! Quanti successi,

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cui è legato il nome di Virginia Marini! Quante ca- dute risparmiate, attenuate dalla sua abilità, dall'au- torità, dalle simpatie, che essa godeva nel pubblico ! Che lotta di ogni giorno e di ogni sera ; con le difficoltà delle interpetrazioni, con le pretensioni degli autori, coi malumori della critica, e, sopratutto, con le emule, con le rivali, disputanti alla infervorata, instancabile attrice la supremazia!,.. Il pubblico si stipava nei teatri ove recitava Virginia Marini : essa ebbe ar- denti, numerosi partigiani che la inalzavano a cielo contro le sue emule : ci fu una vera battaglia : e una battaglia di fiori. Recitò, per la prima, al Gerbino di Torino, nella quaresima del 1867, la parte di Rosalia nelle Due Dame: la parte della Marchesa Emma nel Ridicolo l'anno innanzi, d'autunno, al Capranica di Roma; la Medea del Grillparzer, tradotta dal Maffei, al Teatro Nuovo di Verona : fu, per la prima, Bona di Savoia nel Fratello d'Areni.... e chi l'ha mai agguagliata in tal parte? Vi era a dirittura affasci- nante, di una portentosa efficacia..,. Per la prima recitò la parte della Duchessa di Septmmit nella Stra- niera: interpetrò per la prima la Messalina del Cossa al Valle di Roma, la Cecilia al Manzoni di Mi- lano ; fece per la prima la parte della giovane pu- pilla di Cirillo nei Napoletani del Cossa al Manzoni di :\Iilano, la Vannozza nei Borgia del Cossa al Valle di Roma,.,.

Per la prima interpetrò la Do/'a del Sardou, in Italia ; ma in tal parte, a que' giorni, una giovane attrice, scomparsa presto da' teatri de' suoi trionfi, e dalla scena del mondo, Amalia Checchi-Bozzo, per felice combinazione, o accordo di doti naturali, conface- voli in quella parte, per un istinto artistico, che parve in lei si destasse d'improvviso, tutte superò

60 Virginia Marini

nella interpetrazione del delicato, complesso, dram- matico personaggio di Dora.

Fu la prima Virginia Marini a interpetrare la parte di Clotilde nella Fernanda. Era a Trieste con Ala- manno Morelli.

Unita poi col Morelli nella proprietà della Com- pagnia, fu di nuovo in Ispagna, nel Portogallo. Il loro accordo durò tre anni.

La Marini fu per tre anni nella Compagnia diretta da Luigi Bellotti-Bon ; per tre anni, in appresso, stette col Bellotti-Bon come socia. Passò tre anni nella agi- tatissima Compagnia Nazionale, che ebbe cinque anni di vita, e morì veramente bambina!

Fu per un anno con Giovanni Emanuel, per due stagioni con Cesare Rossi, eh' avea allora una Com- pagnia di comici raccogliticci, i quali esercitavano la pazienza del capocomico e del pubblico ! Virginia Ma- rini, uscita a un tratto dalla Compagnia Nazionale, avea accettato d'entrar in quella Compagnia, non avendo da far altro.... di peggio.

Nella quaresima del 1888 Virginia Marini formò la Compagnia, della quale, può dirsi con tutta impar- zialità, fu il principale ornamento.

Pietro Cossa, sotto una sua fotografia, che inviava a Virginia Marini, scriveva « alla più grande e alla più vera interpetre de' miei lavori drammatici. »

Nell'anno 1876 il Bellotti-Bon andava con la sua Compagnia ad Alessandria. La Marini, celebre, tor- nava per la prima volta nella sua città nativa, donde era partita oscura.

Come raccontar le feste che gli fecero i suoi con- cittadini ? Alla prima recita la folla, per smania di vederla e di udirla, atterrava le porte del Teatro. Tutta la sera poi trascorse fra applausi e dimostra-

Ricordi Critici e Umoristici 61

zioni di giubilo. Il Comune le decretava una corona d'argento, con lo stemma della città, e il dono le era presentato dal deputato, sindaco Oddone.

Per quindici anni, ha recitato tutte le sere ; e a volte, interpetrando in un anno più di venti commedie nuove, e avendo appena un riposo per settimana. Im- maginate qual vita ha condotto questa attrice, poiché le recite sono un nulla, rispetto alla fatica dello stu- dio e delle prove.

Per due sere recitò a Barcellona in ispagnuolo la parte della sposa ne' Gelosi foriuncdi.

Presentata a Madrid alle LL. MM. il Re Alfonso e la Regina dal conte e dalla contessa di Quisiana, il Re Alfonso le disse:

Ella non lo saprà ancora, di certo, ma oggi alle Cortes fu parlato di lei. Un senatore fece un discorso ed essendo spesso interrotto da applausi, esclamò: mi par d'essere al Teatro della Commedia, sono applaudito quanto la Marini....

Virginia Marini ebbe sempre l'abitudine, non pur di studiare la sua parte in un lavoro, ma di studiarvi tutte le parti. In certi lavori recita facendo tacere il suggeritore. I quadernetti delle sue parti son tutti pieni di geroglifici: delle sue osservazioni, de' suoi appunti.

Ecco perchè non le ha mai volute restituire a' ca- pocomici,, quando era nelle Compagnie non sue !

Essa recita, sentendo quello che dice, concitata in- timamente dalla situazione. In tal modo le vengono talvolta effetti inaspettati. Mentre recitava testé, alla Arena, l' Ostacolo del Daudet, in una scena col figlio, eccitata dalla sua commozione, trovò un effetto vero, bellissimo, che le procurò molti applausi. Essa aveva veramente le lacrime agli occhi e i singhiozzi nella gola.

62 Virginia Marini

Questo modo di recitare non può esser però accet- tato come regola generale da chi mira appunto alla verità, all'efFetto. Sta bene che l'attore senta, ma deve esser padrone della sua commozione, deve sa- perla dominare con l'arte e a' fini dell'arte. Altri- menti, s'arriverebbe al punto, ed è accaduto, che un attore, un'attrice, per soverchio di commozione, non potrebber più parlare, o parlerebbero in modo sfor- mato e ridicolo. Invece di commuovere il pubblico, si può giungere al grottesco : scopo dell' attore non è soltanto il sentire, ma il rimaner padrone di sé, de' mezzi dell'arte, da trovar la giusta espres- sione per far sentire agli altri I

Virginia Marini lo sa meglio di me: una volta ha studiato per varie settimane un solo grido, che vo- leva facesse, in una certa situazione, Tommaso Sal- vini: e, alla fine, v'è riuscita. Sicché non basta la commozione per essere commoventi, ci vuole l'arte!

L'abbandonarsi troppo alla commozione può produrre eccessi. Rammento che Virginia Marini una sera, re- citando nel Suicidio del Ferrari, anni or sono, pro- ferendo i famosi tre gridi, si svenne!

S. M. la Regina Margherita, ricevendo una volta Virginia Marini, le diceva d'aver riscontrato che ella interpetra meglio i personaggi, ne' quali è molta bontà, che quelli agitati da incomposte, terribili, esagerate passioni.

C é in Virginia Marini un non so che di fami- liarmente buono, affettuoso, semplice, ed essa non è mai riuscita, neppur con la molta arte, con l'arti- ficio, a vincere, in questo, la sua natura. In certe scene della Signora delle Camelie, ad esempio, essa fu sempre una buona donnina da casa, e sembrava parlar di cose che non capiva, o che le facevano

Ricordi Critici e Umoristici 63

troppo dispiacere, non sapendo di averle mai meri- tate, con parole, opere, od omissioni !

Per Virginia Marini, perfetta nelle parti, che ormai preferisce, uno de' nostri autori dovrebbe oggi scrivere un lavoro. Egli sarebbe fortunato, se indo- vinasse, comprendesse tutte le qualità dell'attrice; sarebbe ricompensato nel successo.

In certe parti Virginia Marini è oggi unica.

|:iUiqi j^APUANA

La Giacinta.

25 Giugno 1888.

iUTTi parlarono della commedia di Luigi Capuana, ^ Giacinta.... Ne parlarono i giovani, i vecchi, gli uomini, le donne, i bambini: un neonato, anzi, con una precocità, che ha del prodigio, domandava, appena venuto in luce, notizie su la Giacinta e si dava a discutere, piangendo, se fosse un lavoro immorale! Chi sa ormai come andrà a finire un uomo, che prin- cipia la vita con simili auspici. La famiglia è già, mi dicono, nella più profonda e..,, legittima desolazione !

Tutti dunque parlarono della commedia di Luigi Ca- puana: — ne discussero il pubblico e la inclita: se ne discusse dal pianterreno alla soffitta, nelle piazze, nei trivii, e anche ne' quadri vii : ne parlò chi se ne intendeva, e chi non se ne intendeva: dato ci sia chi non s' intende oggi d' arte drammatica : il che non è ammissibile.

C'è chi si propone cavar dalla Giacinta un li-

Bicordi Critici e TJmoristìci 65

l)retto per musica, un ballo, nel quale Giacinta in- dicherà, con gesti, il bisogno che ha di esser amata per se stessa.

Un tale mi ha detto, e costui mi è parso il più profondo di tutti : Io penso a cavare dalla Giacinta una commedia !

Una signora, udendo che Giacinta ha un amante, esclamava : è inverosimile !

E pare anche a me inverosimile, non eh' una donna abbia un amante, ma che gli rimanga fedele.... e muoia per lui. In questo, Giacinta, diciamolo chiaro, esce dav- vero molto dal consueto.

È pure strano, se non inverosimile, che una donna abbia un amante !

La signora, infatti, che non trovava verità in quella situazione, ne ha due : e li teneva, anzi, uno a destra e uno a sinistra: poiché se nei duelli è proibito ser- virsi di tutt'e due le mani, nelle cose dell'amore la destra come la sinistra, credo, possono essere eser- citate, senza venir meno alle regole della più scrupo- losa cavalleria.

Oh, mio Dio!... Si è parlato tanto, per la commedia del Capuana, di realismo !

Ma che cosa è questo realismo ?

Tutti ne parlano : i più non sanno che sia spe- cialmente quelli che ne sono entusiasti.

Somigliano un tale, che mi diceva: mi piacciono tanto i libri scientifici perchè m'istruiscono, ma non li leggo mai, vedete, perchè mi annoiano!

Luigi Capuana è stato accusato di essere uno zollano. Gli dicono: voi scrivete come Emilio Zola. È una taccia davvero infamante, bisogna convenirne : tanto più che può toccare a tutti, bastando a meritarla l'aver soltanto un grande ingegno e una assoluta pa-

Luigi Capitana

dronanza della lingua in cui si scrive : due cose, come tutti sanno, molto comuni tra noi!

Discuteremo, a suo tempo, se il Capuana sia zollano.

L'accusa che più si propala, più si ripete, e più fragoreggia contro il Capuana è d'aver mancato di rispetto alla morale.

La morale!... Essa non può difendersi da sé, ma è ammessa al patrocinio gratuito di non so quanti gior- nalisti.

Si crede da taluno che i giornalisti sieno dediti alle più frenetiche dissolutezze : invece sono d'un candore, che rammenta l'età dell'oro, età che, pur troppo, la maggior parte di essi non hanno mai conosciuta.

Nessuno è, più d'alcuni giornalisti, sollecito della morale ; e la difendono con una competenza, un'auto- rità, avvalorate dalla austerezza de' loro costumi.

Chi non lo sa ?,..

Mi dicono che alcuni fra i miei egregi colleghi ab- biano assalito, con penna armata, il Capuana per le sue trasgressioni contro la morale. Certo l'autore della Oiacìnta deve inchinarsi dinanzi a tali giudizii, e su- bire i ragionamenti de' critici più spartani, anche se sieno di digestione difficile (parlo de' ragionamenti, non de' critici) come il famoso brodetto de' figli di Licurgo ; nutrimento amaro, il quale spiega che gii spartani tenesser poco alla vita!

Epiloghiamo, eziandio, questo punto. La commedia del Capuana è immorale?

E alla domanda daremo, a suo tempo, adeguata ri- sposta.

Però discutiamo, con vostro beneplacito, e così in genere, su tale questione.

Si dice : alla tal commedia non ci si può portare una signora !

Ricordi Critici e Umoristici 67

Mi meraviglio, e sinceramente, non si sia mai pen- sato a dire: un uomo non ci può andare!

Ammetto che le donne sieno cosi invase dal pudore che le faccia arrossire soltanto l'esser guardate ad occhio nudo, ma non so approvare che l'uomo debba esser considerato a dirittura un animale senza decenza.

Le donne hanno certo il loro pudore, ma anche noi abbiamo il nostro!

Poi si dice : a certe commedie non si posson por- tare i ragazzi : e non vi parlo di quelle famose ra- gazze, a cui si fanno leggere le quarte pagine dei giornali, e anche le altre pagine, ma che debbono tro- varsi scandalizzate a una commedia come la Giacinta!

Ma per i ragazzi, per le ragazze ci sono i cavallini meccanici, i burattini, le trottole ; ogni età ha i suoi propri divertimenti : non si vedono pel solito gli uo- mini e le donne, arrivati a vent'anni, o a cinquanta, giocare al volano, o a mosca cieca, o andar a piede zoppo intorno a una piazza.

Una donna, a ventott'anui, non si contenta delle sole distrazioni, che a otto formano la sua gioia.

La morale è una cosa molto relativa.

Una volta ho sentito alcuni che lamentavano come un grande scandalo che certe donne e certi uomini andassero insieme, gli uomini vestiti da donna, e le donne da uomo.

Ora, a me, invece, sarebbe sembrato il massimo del- l'immoralità se quegli uomini e quelle donne si fos- sero uniti insieme senza alcun vestito.

Altro esempio di morale relativa :

Certe donne, il cui seno, come alcuni bilanci dello Stato, presenta un deficit spaventoso, sfuggono, adesso, nelle città di mare di bagnarsi sotto gli occhi de' cu- riosi. Sanno che al mare tutti desiderano stare lon- tani dalle secche. Questa sincope di decenza è sincera?

68 Luigi Capuana

Vi sono altre donne, il cui aspetto incute paura, e che pur non consentirebbero a viaggiare in ferrovia con un uomo : e cercano con grande fracasso un va- gone separato, per sfuggire a quegli attentati masco- lini, che hanno aspettato indarno per tutta la vita!

Una donna, che è gobba, sarà sempre aliena dal- l'andare ad un ballo scollata ; essa non difende la sua virtù, ma le sue inclinaz-ioni.

Vedete, quanta ostentazione c'è nella morale di ta- luni: — e si potrebbero centuplicare i casi, senz'andar lungi dal vero!

C'è chi domanderebbe alla Venere di Milo, la quale è senza braccia, che vivesse del lavoro delle sue mani.

Ci sono alcuni, che vorrebbero radiati dalle leggi i sequestri, e gli uscieri che li fanno.... Ma il modo più ragionevole di finirla con gli uscieri e con i se- questri sarebbe d'abolire i debiti!...

Al modo stesso operano quelli che al Teatro do- mandano sempre ciò che il Teatro non può sempre dare : e non vogliono comportarne certe necessarie effervescenze. Lasciate che io le chiami così.

Esse ri:^pondono alla condizione de' tempi; e si ebbe ben altro che quello che oggi si deplori, in periodi di raffinatissima civiltà, e le commedie, come Giacinta, sarebbero allora sembrate troppo innocenti anche in un educatorio.

Immorale, per me, è il ragguaglio, che si di certi processi ignobili ne' giornali : stomachevolmente immorali i ragguagli, ad esempio, che si davano, nel tempo in cui si rappresentava la Giacinta d'un aborto commesso, si diceva, da una gran signora italiana : e si davano, con molta sollecitudine da quelli stessi gior- nalisti, che poi erano offesi nella loro immacolatezza per la commedia di Luigi Capuana.

Non può essere immorale l'opera di un ingegno

Ricordi Critici e Umoristici . 69

convinto, sincero cui si presenta un fatto umano, e lo studia, lo sviscera, e ve lo porge, senza illecebre di volgari, sensuali ornamenti ; e ve lo offre in una forma casta, severa, di una concettosa e alta sobrietà ; e vi un lavoro, che è tutto, da principio alla fine, nelle ragioni dell'arte ; e non cede, se non quanto strettamente gli sembri necessario, alle convenzioni. Luigi Capuana ha voluto esser sincero, senza curarsi di riuscir impopolare; non ha pensato e questo può essere il suo massimo difetto, ma anche il suo massimo pregio al pubblico; egli è di coloro cui par disdica all'artista, che scrive, il pensare: qui debbo prepararmi un applauso; qui tendere un laccio, ove incapperà di certo il facile spettatore; no, egli ha vo- luto che i suoi personaggi dicessero quello che, data la loro situazione, era rigidamente necessario; non quello che forse, benché un po' fuori del fatto umano, potea prestarsi a una più ricca armonia della commedia !

Luigi Capuana ha offeso la decenza?

Data una situazione, che certo non è quella in cui si deve trovare la donna più virtuosa, ne ha egli abu- sato per gettarvi attorno una smagliante fioritura di paradossi: si è adoperato a difendere i suoi personaggi, a sostenere che la società era colpevole verso di essi, che tutta quella gente, triste o corrotta è vittima di pregiudizii, di leggi inique, d'ingiustizie altrui?

Non ci ha egli, invece, esposto un fatto, nella mas- sima sua semplicità e crudezza, con la imparzialità di chi osserva, non di chi discute : e i suoi perso- naggi, tutti fuori delle leggi sociali, ma che arrivano inevitabilmente alla disperazione, torturati da mille angoscie, sono un eccitamento al vizio, o provano piuttosto che non vi può esser pace, onore, felicità per chi calpesta le leggi morali?

70 Luigi Capuana

Non e' è un grande ammaestramento in questa com- media?... Una donna passa una gioventù burrascosa, non ha scrupoli di darsi al vizio, è una madre, senza vigilanza e senza cure per la propria figliuola : le è anzi un pessimo esempio. Che avviene? La triste edu- cazione fruttifica : quando la madre crederà dimenti- cato, espiato il suo passato, quando crederà poter go- der in pace la felicità, la stima, per le quali ha tanto lottato, che accadrà ? Sorgerà dinanzi a lei la figlia : la figlia, quale l'ha fatta la ricevuta educazione : con- seguenza di essa: castigo alla madre. La figlia, che giungerà perfino ad insultarla, in un momento di ir- refrenabile eccitazione, di esasperazione acutissima.

Un uomo accetta l'amore colpevole di Giacinta: lascia il lavoro per ingolfarsi in questa tresca: vi perde la sua dignità. Questa passione furibonda di- viene per i due amanti ij più tremendo castigo. Essi si torturano, si straziano, si inacerbiscono a vicenda: è un amore, ove sono più imprecazioni, più maledi- zioni che estasi, e sospiri!...

L'uomo scende tanto pe' gradi di questa spira in- fernale: vi si trova talmente implicato, che, a poco, a poco, non resta più padrone della sua volontà: al- lorché la sua coscienza si ribella, allorché egli vuol spezzare quel tristo legame, che cosa succede? La stessa sua buona azione, lo stesso risveglio dell'onestà in lui, doventa un atto crudele, un atto vile, poiché sembra che annulli tutti i sacrificii, che la donna gli ha fatto, tutti i debiti di riconoscenza, che egli ha verso di lei.... Ecco il mostro: ecco la situazione dolorosa da cui non s'esce; ecco che l'autore vi indica quella cupa regione, ove è flagellato chi cal- pesta le leggi della virtù, dell'onore; ogni passo vi spinge sempre verso nuovi abissi ; non e' è più

Ricordi d'itici e Umoristici 71

speranza di redenzione. Lasciate ogni speranza^ 0 voi che entrate.'... Ecco il terribile insegnamento, che il Capuana non ostenta, non grida ad alta voce, con tirate a effetto, messe in bocca de' suoi personaggi, e rampolla, a così dire, dalle viscere stesse della commedia.

Alcuni spettatori, forse molti, avrebbero voluto che iiella commedia ci fosse uno di que' predicatori, spi- ritosi, amabili, che ogni tanto vengono alla ribalta e fanno a' personaggi riuniti in una conversazione, o catechizzando un solo personaggio, discorsi vivaci, aggiustasti, attraenti.

Ma questi predicatori, sempre destri a cavare, fra una scena e l'altra, la morale d&lV ese7npio : questi personaggi in cui s' incarna una tesi, che all'autore servono per spiegare le proprie teorie, non sono am- messi da quella scuola, che segue il Capuana.

Se sia bene, se sia male non so : lo vedremo più tardi : a noi basta mettere in rilievo che il Capuana ha latto ciò che egli, accingendoci a scrivere la Giacinta, voleva fare. E lo ha fatto con la schiettezza, la pu- rezza, la padronanza de' mezzi, d'un gagliardo inge- gno ; e lo ha fatto, senza uscir mai da quelle severe ragioni d'arte, ch'egli s'era prescritto.

La commedia del Capuana ha varie cose contro di se, dico rispetto al buono e durevole successo, che i lavori teatrali debbono avere nelle rappresentazioni, e che è basato sul diletto, su la curiosità, su la com- mozione degli spettatori.

Nella commedia si vuole un intreccio, un continuo movimento, e quel famoso ad eventum festinat, che nella Giacinta non c'è. Si capisce troppo presto come andrà a finire. La sospensione dell'animo, l' impreve- duto per lo spettatore non c'è, o quasi: ma bisogna con-

72 Luigi Capuana

venirne, non era negl' intenti del Capuana, ne' cri- tedi, ond' è mossa la sua scuola. Un commediografo, che pensa al pubblico, dirò meglio, che pensa alle regole del Teatro, sceglierò un'altra parola : all'ottica, alla meccanica teatrale, che cosa fa? Se una situa- zione è un po' scabrosa, vi gira attorno, l'ammollisce, ve la presenta con ogni cautela : se vede che si pende, da un lato, verso una soverchia cupezza, pone dal- l'altro lato qualche cosa di più gaio, di più leggero : cerca insomma un equilibrio, si studia di compartire, in dose eguali, o quasi, il male, il bene : il riso, e la commozione : se eccita il disgusto, subito cerca pro- vocare la tenerezza.

Gli scrittori come il Capuana, invece, accettano di fronte qualsiasi situazione : non mettono da parte una scena, sol perchè ardita, nel senso che questa parola ha al Teatro: essi prendono un fatto verosimile, o vero, 0 che hanno studiato sul vero, e lo riproducono sinceramente data la premessa, dicono, la illazione è questa ! Il commediografo doventa una specie di arit- metico, somma, ordina, mette in rapporto certe quan- tità: non le giudica.

I suoi personaggi sentono forse più che non dicano, e questo potrà esser per molti un difetto : potrà, sopra tutto, esser un grande ostacolo agli attori, benché vo- lenterosi e valentissimi, poiché, se già riescono con difficoltà a esprimere quello che deve dire il loro personaggio, quanto non riuscirà ad essi arduo l'espri- mere non solo le parole, ma le riposte intenzioni del- l'autore ?

Anzi che il dramma esteriore, il dialogo concettoso del Capuana esprime il dramma interno, il lavorìo che si fa nella mente, nel cuore del personaggio: vuole, quindi, lo spettatore attentissimo: chiede agli attori

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un modo di recitazione, un po' diverso da quello a cui sono usati: è un lavoro, dove perfino nel comico, sarebbe peccato sostituire il lazzo all'espressione vera. L'artista, che ha scritto questa Giacinta, è un uomo che sa ciò che vuole, e sa fare ciò che vuole ; il suo lavoro è tale, da poter piacere o no, da sollevar sem- pre molte discussioni, ma esce, per ogni rispetto, dalla volgarità. Il vieto, il volgare vi è fuggito a bello studio.

Diciamo, in breve, la favola della commedia, cui già abbiamo accennato.

La signora Marnili è una di quelle donne, che vo- gliono esser rispettate come donne oneste e vivere..,, come le altre. Il personaggio non è inverosimile. Amante d'un banchiere, ha fatto su gli uomini gli stu- dii d'antropologia più comparata ; non s'è mai curata della sua figliuoletta Giacinta.

Questa, d' un carattere fervido, una testolina arden- tissima, abbandonata a se stessa, ha subito, fanciul- lina, da un servitore quell'oltraggio, che, per certe donne, non è mai l'estremo.

Non basta: un dissoluto, il Cuvalier Moclii, il quale frequenta la famiglia, s'accorge dell'onta subita da Giacinta: le va sempre ripetendo ch'ella non ha più avvenire, non potrà essere sposa di alcun uomo onesto, ch'ella deve rinunziare a ogni gioia; salvo quella, ch'egli le offre, e superiore ad ogni altra (per lui) d'essere sua amante !

Ma Giacinta non lo ama; ama invece Andrea Ge- race; un impiegatuccio della Banca Nazionale. I di-

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scorsi del Mochi hanno però fatto nella ragazza la loro opera di corruzione: essa non sposerà Andrea Gerace, che potrebbe chiederle conto un giorno del suo passato, e al quale essa ha rivelato la sua sventura. Non vuole che Andrea le faccia alcun sacrifizio, che le conceda nulla: essa vuole invece tutto sacinficare e concedere a lui. Vuol essere dominatrice assoluta in quella pas- sione : « l'orgoglio essa dice è il mio coraggio ! »

Sposerà un altr 'uomo : un citrullo! il conte Grippa: e sarà l'amante di Andrea G-erace. Con questo di- segno, essa entra nel matrimonio.... Gerace è l'amante: si risa da tutti de' loro convegni in una villa: lo scan- dalo è pubblico. La madre si risente : essa è irritata dallo scandalo, ora che credea esser giunta alla con- siderazione: di più essa è ormai innamorata della virtù.... negli altri.

Si sa, perfino, che Giacinta paga il suo amante: eh' e' giuoca col denaro di lei : e Giacinta, alludendo al passato di sua madre, che la rimprovera, si lascia sfuggir dalle labbra: Tu vorresti che, invece, fosse il contrario ?

Ma subito fa ammenda di quello scatto, di quelle parole che l'attrice deve pronunziare, come fuori di sé, e che le debbono dare, appena pronunziate, un'im- mensa angoscia.

La commedia è finita, tanto la favola è semplice, quando io v'abbia raccontato, che il conte Gtnppa doventa a dirittura idiota, dopo aver sposato Giacinta: essa e il suo amante vivono accanto a quel malato una vita di spasimi, di rimbrotti, di paure, di rimorsi; fino a che il Gerace si vuole scuotere da un tal'avvi- limento : ma Giacinta lo sorprende nell'atto ch'egli, preparate le valigie, sta per partire, e acquistato il convincimento di non esser più amata, si uccide.

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Ella è stata il castigo di sua madre ; la passione colpevole, che ha concepito, è il castigo di lei.

Tutto s'incatena, dunque, nel mondo: Luigi Capuana crede a una specie di Ananke, di fatalità?

La madre non pensa a educare la figlia, la figlia riceve l'affronto del servitore, è pervertita da un amico di casa, cresce perversa, prende marito per avere un amante, si convince crede la sincerità, il disinteresse, la foga della sua passione debbano assol- ver tutto: in quel sentimento esaltato, benché colpe- vole, cerca alla sua vita oscura un raggio di poesia, un'aurora di speranza. Ohimè, dove cerca?

La stessa Giacinta dice : «C'è una logica feroce nel male che fanno gli altri, e in quello che facciamo noi: siamo trascinati a far cose, che non avremo fatto mai,... »

Una colpa ne trae con un'altra : l' impulso del male è irresistibile di generazione in generazione ; non bisogna cedervi, bisogna rimanere nelle cime ar- due e serene dell'onore e della virtù !

Ecco r insegnamento della commedia.

Ma la lezione, mi direte, è data in modo troppo brusco. E sia. Tanto più che qui non sta la novità.

I commediografi antichi vagheggiarono pur questo metodo: disgustare dalle turpitudini con lo sciorinarne a tutti, secondo una certa crudezza d'osservazione, le conseguenze più funeste.

Apj'iamo V Eunuco, di Terenzio, atto V, scena IV.

II giovanetto Fedria ama Taide, che gì' impedisce l'unione legittima con Pan fila.

Ecco che cosa dice l'Autore per bocca di Par- menone:

« .... Mi reputo degno di corona d'aver ritrovato il modo, ch'un giovanetto impari a conoscere l'indole

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delle cortigiane e avendole conosciute a buon'ora e' le colga in uggia per sempre.... Per un giovanetto il co- noscer tutte queste cose è la sua salute. »

Avete udito? Terenzio se ne vanta!

La scena della Giacinta in cui la figlia rimprovera alla madre il suo passato urtava, e giustamente, il senso morale del pubblico. Ma, intendiamoci. Quando, anni or sono, furon date le prime recite del Signor Alfonso, il pubblico mormorava, allorché l'ammira- glio, appena saputa la colpa della moglie, le dice: al- zatevi, vi perdono ! Il marito sembrava assurdo, ridi- colo. Perchè? io diceva perchè l'attore non ci sa rendere V intenzione dell'autore : non sa farci ca- pire quanto quell'uomo soffre, che lotta accade in lui, che terribile commozione egli sormonta.... prima di perdonare. Lo stesso io dico alla gentile attrice che faccia la parte di Giacinta, (se vi sarà ormai più chi la faccia) essa deve trovare in quel punto una espressione molto viva.

Circa la situazione, non è davvero ardita nuova. Un figlio contro il padre, o contro la madre ! Ma ce ne abbiamo in diecine di drammi, di commedie, non parlo della tragedia greca (per carità!) non de' lavori come il Parricida del Belot, ecc. Ma nei Fourcham- bauU, il Benard non osa sospettare, un istante, sua madre, donna della più alta virtù, e sessuagenaria, d'aver una prurigine amorosa per un uomo che, aven- dola ingannata, l'ha condannata a una vita di pianto: nel Fils naturel di Alessandro Dumas non abbiamo il figlio che osa rimproverare alla madre il suo du- plice disonore: mentre Aristide cho entra allora, gli grida 7niseraJ)le?...

Non parlo della scena in cui Amleto versa ogni più atroce vitupero sul capo di sua madre : non delle

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scene sublimi in cui ci appaiono le due figlie del Re Lear contro il loro padre.

Ma il Capuana è vittima del suo metodo: egli non guarda se non al dramma interno de' suoi personaggi, non si occupa di preparare, attutire il colpo, di tirar fuochi d'artifizio per abbagliare : il pubblico deve in- tendere lo sforzo di concentrazione dell'autore con uno sforzo della sua riflessione : e l'autore conta al- tresì su un magistero di esecuzione supremo.

Che sarà allorquando la Giacinta cada in mano di attori men valenti di quelli, che la prima volta l'e- seguirono, 0 mediocri ? Ho detto cada : e con buon proposito; poiché essa non starà in piedi, rotolerà.

Dato il metodo rigido del Capuana, data la schiet- tezza, la rigidità della sua formula, egli vi s' è atte- nuto mirabilmente. L'autore non si occupa punto de' personaggi : non parla per loro : non ce li fa pre- sentare da altri personaggi: quindi anch'essi riman- gono un po' rigidi: il pubblico non vi vede quella individualità, che l'autore ha voluto mettervi, ma che forse non ha saputo sempre trasfondervi con evidenza pari alla intensità della sua riflessione. Per lo meno, ripeto, egli chiede troppo all'attore, troppo al racco- glimento del pubblico, trascurando quasi ogni parte esteriore, e volendo che il pubblico segua in ogni individuo, non in ogni 'personaggio, poiché questa distinzione c'è nel Teatro del Capuana, il dramma interno.

Si dirà: ma ciò deriva dall'esser tolta la comme- dia da un romanzo. No, nel romanzo i personaggi sono quasi come nella commedia: poiché il romanzo è parchissimo di descrizioni, di analisi: la forma dram- matica già predomina anche in esso.

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IIL

Il Capuana racconta nel suo romanzo Giacinta, senza nel racconto metter nulla di sé, come storico imparziale, che espone un fatto.

Con la stessa freddezza, con la stessa imparzialità egli racconta, in ogni suo lavoro, le situazioni in cui si trovano i suoi personaggi, buoni o cattivi, poetici 0 ripugnanti, senza difenderli, senza accusarli, senza giudicarli : l'autore non interviene a dirittura nella questione.

Ecco perchè s' ingannano, e molto, coloro che cre- dono il Capuana uno Zoliano: lo Zola è tutto occhi per la natura esteriore, alcuni de' suoi romanzi sono una perpetua, e mirabile descrizione : lo scrittore siciliano, diciamo italiano, ha invece l'occhio a cer- care soltanto il dramma interno : un uomo, una donna, movendo di qui, arriveranno là, dati certi loro im- pulsi, come un oggetto lanciato, dalla mano di un fan- ciullo, 0 di un uomo esperto, obbedisce irrevocabil- mente alle stesse leggi di gravitazione. La passione, il sentimento, possono aver gravi traviamenti ; all'ar- tista, per lui, spetta l'esporli, lo studiarli, imparziale, non correggerli, ma ripeterli tali e quali, come se si trattasse di documenti della più alta importanza, che non è onesto, savio alterare.

Però se il Capuana non è zoliano, nella forma, è un ammiratore, e grande ammiratore dell'insigne scrittore francese.

Non mi dite : il Capuana è immorale. Voi non lo co- noscete. Tratta tutti i soggetti : prima della Giacinta

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avea scritto un Idillio, che non è stato ancora rap- presentato : una commedia candida sul genere del- V Abate Costantino. Ha scritto le graziose, incantevoli Fiabe per i bambini, di cui si son fatte molte edizioni. Egli ha questa idea : che l'artista dev'esser sincero : che, quando ha concepito un soggetto, lo deve trat- tare con la forma adeguata a tale soggetto, con la più scrupolosa verità, senza passione, non indietreggiando dinanzi ad alcuna bruschezza, o ad alcuna semplicità ; esser sincero, magari fino al punto di apparire in- genuo.

Emilio Zola cominciò col dire, e ha seguitato sem- pre a dire che bisogna abrogar nel Teatro tutte le convenzioni : questo, in teoria: poi, in pratica, ha finito con il collaborare in un melodramma alla D'Ennery, alla Ducange, come Bes ir èe : ha, scritto la farsa sbra- culata, nelle più viete forme, Bouton de Rose!

Luigi Capuana è più rigido, nella pratica, sebbene ammetta, in teoria, che certe convenzioni sieno ne- cessarie, ma non credo ne ammetta abbastanza.

Vi sono alcuni, che hanno un preconcetto : vedono nel mondo tutto guasto, corrotto, putrido, per essi tutto è fracido e male olente.

Credono che tutto quello che si poteva dire di ra- gionevole è stato ornai detto ; e, per novità, parlano e scrivono a dirittura come gli alienati di mente.

Luigi Capuana, lo ripeto, è un artista sereno, ma innamorato di originalità; tratta un soggetto di una semplicità infantile, e un soggetto de' più bruschi, ma li vuol trattati ambedue con una forma sobria, magari troppo nuda, che nasca dalle viscere stesse del soggetto, che sia a dirittura la più rigorosa estrinsecazione di esso; non vuole andar per la strada battuta da altri, far tesoro di quegli espedienti, che, pur nella lettera-

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tura, si dicono del mestiere ; e che pur sono una bella rivelazione degl'ingegni sovrabbondanti, nei quali do- mina la fantasia, e con certi espedienti sanno dilettare, commuovere, e, così almeno si crede dai più, per- suadere.

Ma ci sono ingegni severi, schivi, più chiusi in stessi, che non si esaltano allo spettacolo esteriore delle cose, ingegni calmi, sindacatori, i quali non sanno stordirsi, inebriarsi della musica delle loro elo- quenti parole, benché fatta su motivi un po' volgari. Cotesti strani ingegni non gustano, se non un lin- guaggio, che par loro muova dall' intimo dell' animo umano, e che non tutti intendono.

Inutile dire essi pensano ciò che è stato detto; inutile richiamar forme, che già ebbero il loro splen- dore : e probabilmente (e qui sta tutta la scuola) il loro massimo splendore. In tal caso, la parola e la penna fanno un rumore inutile nell'aria e nella carta. .. .

Ci sono di quelli, invece, che non hanno nulla da dire e non voglion tacere : di quelli come me, cui piace ripetere dieci volte la medesima sentenza: prima, perchè le cose buone si possono ripetere ; poi perchè ne ho spesso bisogno per riempir le mie pagine. (Al- meno così dice chi non conosce, per sua sventura, se non incompiutamente, la mia fecondità!)

Mi domandava un tale : ma come avete voi udita la Giacinta ì

L' ho udita con due orecchie. Se ne avessi avute tre....

Capisco sarebbe troppo.

In ispecie, per udire la Giacinta!

Tra le obiezioni, che si muovono al Capuana è que- sta : mancano nel lavoro i personaggi simpatici. In un gruppo di sette, o otto persone, si dice, non c'è nean-

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che una persona di garbo. E pure v'ha chi conosce il mondo e sostiene ciò non esser punto inverosimile ! Mi si osserverà; ma ciò ci disgusta! E sta bene: ed entriamo in un' altra questione : discutetemi pure la scelta del soggetto, il genere del lavoro, non me ne discutete, non me ne censurate la fattura, che è sa- piente : ove ogni difetto è sormontato da rarissimi e finissimi pregi.

La serenità, l'imparzialità che è nell'artista, cui dobbiamo questo lavoro, di rado scenderà ne' giudici, poiché ben pochi sono in condizione da poter osser- vare la misura de' giudizi in certe questioni ; in con- dizione da poter sceverare una forma letteraria stu- diata da un fatto biasim.evole, tristo, ributtante, se vuoisi, a cui è connessa.

Un ingegno come quello del Capuana può esser turbato dal timore, forse soverchio, d'arrenare nella volgarità, o dalla indifferenza nell'urtare, nell' irri- tare certe opinioni e, diciamo pure, certi sentimenti dei più. Sostenetemi, sì, che il lavoro v'irrita, come uomini: v'irrita nelle, vostre opinioni, vi disturba, come spettatori, nel genere di commozioni, di piaceri, che cercate al Teatro, ma, non mi discutete, per pietà, la coscienza dell'artista, che risplende pura in tutto questo lavoro.

L'Autore ci ha dato ciò che volea darci, come ho già accennato, e la potenza, la sicurezza del suo in- gegno, si spiega nella misura con cui ce l'ha dato, nelle strette ragioni d'arte, a cui ha saputo attenersi.

O le discussioni pazze, frenetiche?... E che me ne importa ? Primo punto : esse sono un segno di vita : la coscienza del pubblico e quella dell'artista sono in lotta, ma, almeno, parlano ed io me ne congratulo. Poi, circa il peso, il valore di queste discussioni, ci

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sarebbe a ridire ! Io non posso neppiir supporre che vi sia chi non s'intenda d'arte drammatica: in ispe- cie di certe manifestazioni tra le più ponderate e elaborate, da gravi ingegni, dell' arte drammatica. Tutti ne sanno tanta da poter giudicare una comme- dia : anche taluni che non conoscono altra letteratura, da quella infuori, de' cartellini delle bottiglie. Altri, occupati in lavori tecnici, giudicano cosi di sotto- gamba uno scrittore, un uomo d'ingegno, incanutito negli studii come l'autore della Giacinta, e chi sa quanto strillerebbero se un uomo di lettere venisse a dare il suo parere su una locomotiva !

Si tollera che io parli d'una commedia, d'una re- cita, benché si ammetta che non me ne intendo (non è questo, a scanso d'equivoci, il mio parere) : ma chi sa che cosa si direbbe se io volessi esporre i miei criterii sul modo di ordinare una stazione di smista- mento ! E pure lo smistamento è stato per me oggetto di gravi e amorose ricerche. È vero che sono arri- vato a non capirci nulla, come la maggior parte di quelli che sono più autorevoli in certi argomenti!

Io credo che la commedia del Capuana segnerà un punto storico nella Storia del nostro Teatro dramma- tico ; credo che voglia, nella esecuzione, secondo ho già toccato di volo, più che attori, i quali riproducano artisti che indovinino e creino : artisti di immagina- zione, di sentimento, d' intuizione : non fotografi, ma dipintori.

Allorché la forma della commedia, quel dialogo concettoso, senza una parola oziosa, ma ove ogni pa- rola forse significa troppo, e domanda soverchia con- centrazione al pubblico, e forza e verità di espressione all'attore : quando la forma della commedia e la ese- cuzione sieno stupendamente contemperate, il pubblico

Ricordi Critici e Umoristici 83

più intelligente potrà accettar tali lavori come un esperimento d'arte : non credo mai come un passa- tempo : una distrazione. Ma a ciò unicamente non mi- rano tali autori.

Le commedie, scritte col metodo della Giacinta, po- tranno piacere ? Ripeto di : se abbiano una squisita esecuzione, poiché ne hanno bisogno più de' lavori teatrali di qualsiasi genere. Potranno piacere, se scritte sempre benissimo e benissimo eseguite, ma incontre- ranno però sempre una certa repulsione in una parte notabile e rispettabile del pubblico. E ciò per più ra- gioni : parlo soltanto rispetto alla fattura, all' effetto teatrale del lavoro.

Il Capuana, e altri, credono che il pubblico finirà con l'accettarli. Può darsi : accadrà però del pubblico come di un'operazione, tentata da un mio amico, il quale assicurava che un uomo può vivere senza in- testini. L'operazione è riuscita benissimo. Ma il ma- lato è morto. Così non vorrei che, date certe com- medie, magari esagerate da chi vorrà imitarle, il Teatro possa rimanere, presto o tardi, senza spet- tatori.

Non si può pretendere, se non di rado, innanzi a migliaia di spettatori, il trionfo dell'arte pura: di un'arte, che vuol fare astrazione dalle stesse condi- zioni, 0 convenzioni del Teatro.

Certo, si vuol dare al pubblico una gioia troppo severa: una gioia che esso forse non cerca, o do- manda ne' teatri. Che direi io, se, entrato in una Birreria e chiesto da bere, il proprietario mi dicesse : invece di birra gli darò un veleno (ammettiamo ciò accada talora.... senza dirlo) affinchè lei si abitui a sostenerlo come Mitridate ? Che cosa direbbe un gio- vanotto, il quale fosse stato invitato da una bella

Luigi Capuana

signora al più intimo de' convegni e, allorché v' è arrivato, essa gli dicesse : e, ora, figliuolo mio, leg- giamo le cinquanta pagine dello Schopenhauer sulla vanità delle passioni?...

Il lavoro del Capuana è opera d'arte, per il modo con cui egli ha attuato il suo schietto intendimento, per la sobrietà, la mirabile armonia di certe parti, la saldezza della struttura. È tentativo degnissimo di un serio ingegno. Ma come lavoro essenzialmente tea- trale, manca di certe condizioni, senza le quali il pub- blico, forse, non si diverte : vorrebbe essere una ri- voluzione, ma le rivoluzioni al Teatro, dopo Eschilo, dopo lo Shakespeare, il Molière, il Goldoni, e tutti i commediografi moderni, io le credo un po'diflicili; ben inteso, parlo di rivoluzioni fortunate, che non finiscano col supplizio di chi le fa... e di chi le subisce.

Circa la immoralità della commedia, e della reputa- zione derivatane al Capuana, racconterò due aneddoti.

Il proprietario della Locanda, ov'era alloggiato l'au- tore della Giacinta, a Firenze, dovette, nella tabella dei forestieri, mettere una foglia di vigna sul nome del Capuana, poiché, le famiglie arrivate, letto quel nome, subito si allontanavano.

Giorni sono, un servitore annunziava nel salotto di una signora il Capuana. La padrona di casa, gettando intorno a una rapida occhiata, esclamava: E ora le ragazze si possono ritirare !

Nella Giacinta fu riscontrato immorale che una donna, la quale ha per marito un imbecille, abbia un amante : ci sono donne maritate, che si danno a certe annessioni, senza neppure aver cercato la prima atte- nuante..,. Nascono dalla esposta situazione per gli spettatori, e in ispecie per Giacinta, orribili conflitti, ma non si osserva che il marito, come nel Padrone

Ricordi Critici e Umoristici 85

delle Ferriere, la prima sera delle nozze è licenziato, dispensato dalla lotta! È im marito, che, per lo meno, non tradisce l'amante come altri. Il Capuana ha avuto, qui, anzi, un certo puritanismo.

Quel marito poi è già imbecille, figuriamoci che cosa sarebbe divenuto, se subito la moglie non lo avesse esonerato ; non gli avesse risparmiato quel servizio coniugale, gratuito e obbligatorio, continuo, che fa spesso vacillare anche le teste più salde.

Domandate a chi può dirvelo, che cesa sarebbe do- ventato il conte Grippa sottoposto ai lavori forzati del matrimonio ? Invece, il Capuana, che s' accusa di immoralità, ha avuto la delicatezza di preparare al suo personaggio una vita senza scosse e senza occu- pazioni superiori alle sue forze. Oh, andate ad esser cauti !...

<^IACINTO <|aLLINA

^^ FESSO udii ima disputa suU' indole dell'ingegno, che ^f^ ha il giovane autore veneziano. Chi lo dice facile e fecondo, ripensando a' dieci volumi delle sue Com- 7nedie: chi lo rimbrotta di esser neghittoso, di la- sciarsi sopraffare dalle fantasticherie, di passar gran parte della vita fra le morbide allettative dell'ozio.

Questi ultimi non pensano al numero delle sue com- medie: pensano agli anni trascorsi dall'autore del Moroso senza produr nulla, o quasi: dall'SO in poi, cioè per oltre 10 anni, egli, veramente, si fece ap- pena vivo !

Tale è la sentenza, che danno certi giudici del Gallina, e la rampogna, così espressa, è per lui già onorevole, poiché addimostra il desiderio ch'egli ha lasciato delle cose sue: la trepidanza che v'è, negli amatori del nostro Teatro di prosa, che s'isterilisca uno de' più simpatici ingegni.

Mentre il Gallina è chiamato a rispondere, come un reo, dell'accusa di esser troppo lento nel com- porre, 0 svagato: e il suo silenzio par che riduca a

Ricordi- Critici e Umoristici 87

lutto la Musa della buona commedia: il pubblico è arcigno verso altri autori, che hanno scritto appena due 0 tre commedie, magari una sola, e già li crede d'una fecondità, il cui appellativo più benigno, nel- l'opinione universale, è mostruosa!

Dobbiamo credere Giacinto Gallina un pigro, un indolente, o dobbiamo figurarci eh' egli ha passato questi ultimi dieci anni in un vero e proprio racco- glimento, in una preparazione a lavori d'altro ge- nere e d'altra tempra?

Egli, certo, vorrebbe fossimo di tale opinione: e, a corroborarci in essa, ci porse un buon motivo, il suo lavoro, in un atto. Esmeralda; scritto, mentre tutti affermavano ch'egli fosse sfinito, accasciato, scritto non in veneziano, ma in pretto italiano : lavoro ch'ò una bellezza nella verità, nell'armonia, nell'abilità della sua struttura: lavoro di un'osservazione deli- cata: d'una graziosa, scintillante, pura poesia.

Noi ci contentiamo che i fiori, i frutti sieno prodotti dalla natura soltanto in certe stagioni, ma si vor- rebbe continua da certi autori la produzione de' fiori, de' frutti della lor fantasia. Non pensiamo che come la natura, la quale ha pure una fonte perenne d'ali- mento, la fantasia ha bisogno di certi riposi per fe- condarsi: ha bisogno d'avvalorarsi nella meditazione e nello studio.

Non sono sterili i periodi di tempo, che certi scrit- tori, 0 artisti d'ingegno, passano a rifiettere, ad os- servare.

Poi l'ingegno è come il corpo, è come tutta la na- tura, ha le sue malattie, le sue atonìe, incompren- sibili alla folla; i suoi periodi di trasformazione e di transazione.

Non è sempre facile conoscer l'indole degl'ingegni.

Giacinto Gallina

Da Griacinto Gallina, che è riuscito un commediografo lodato, tutti s'aspettavano riuscisse.... un concer- tista di violoncello.

Da giovanetto fu avviato alla musica e ad altri studii. Fu schiacciato a' primi esami nelle scuole di lettere; cosa accaduta a molti uomini, creduti di genio, e che non palesano spesso altro genio, da quello in fuori di non passare all'esame.

Figlio d'un medico, che esercitava anche l'ufficio di medico ne' Teatri, il Gallina fu costretto, già che non voleva far nulla, a studiare la musica. A molti sembra che le due cose si equivalgano!

Non è molto, ho udito io un brav'uomo dire con- vinto : il mio figliuolo, non è proprio buon a niente; ho deciso di farne un pittore.

È vero che centinaia di quadri dimostrano che si può esser pittori e buoni a niente !

Il futuro autore del Moroso de la Nona, e della Esmeralda dette lezioni di musica; cumulava il pia- noforte e il violoncello, due grandi strumenti.... di supplizio nelle sue mani!

Si accenna spesso al linguaggio degli strumenti. Un violinista, gonfio di gloria, volevo dire di vanagloria, e stremo d' intelletto, mi diceva : Il mio strumento 2)arla.

L' ho notato gli rispondevo è tal quale come voi.... dice molte sciocchezze!

Ne' Teatri di Venezia, alla Fenice, al Rossini, fu a molti indicato, per un pezzo, il posto ove sedeva, tra i professori, il suonatore di violoncello Giacinto Gallina.

A diciott'anni scrisse la sua prima commedia. Ipo- crisia, in italiano, o a un di presso, rappresentata da Florido Bertini, e da Giuseppina Bossi. La commedia

Ricordi Critici e Umoristici

andò, senza accompagnamento.... di violoncello, e di spettatori.

Poi scrisse V Ambizione di un operaio. Vi toccava un tema vasto ed opportunissimo : la fregola negli operai di far de' loro tìgliuoli tanti dottori, di renderli vergognosi del fruttuoso mestiere, esercitato dal padre, avviandoli a crescere la calca degli spostati.

La critica, illuminata, giudicò che l'autore era nato per la musica, non per la prosa : si tenesse alle corde del violoncello, a' tasti del pianoforte ; non toccasse i tasti sociali; non cercasse possedere la corda del dramma, non c'era nato!

La critica seria ha sempre di questi gravi responsi, di queste poderose divinazioni I

Angelo Moro-Lin, che dovea ravvivare le tradi- zioni de' grandi e veri attori veneziani, invitò il Gal- lina a scrivergli una commedia in dialetto. Il giovane non conosceva allora il Goldoni. Ne aprì a caso un volume: lesse la Famiglia di un Antiquario e così gli nacque l'idea delle sue Barufe in famegia.

Era l'anno 1872. Egli suonava sempre il violoncello nell'orchestra del Teatro Rossini. Dovea nascere una gran crisi. Dirigeva l'orchestra il prof. Cesare Trom- bini (certo discendente dalla famiglia degli Ottoni!) Il violoncellista Gallina gli chiede il permesso d'an- dar a mettere in scena la sua commedia al Teatro Armonia di Trieste.

Gli rispose burbero il maestro:

Non c'è altra vera armonia che quella della nostra orchestra per lei : nelle partiture, che ella ha, troverà tutti i buoni 'dinotivi, fuor che quello d'assen- tarsi. (Il Gallina ci trovava spesso eccellenti ruotivi.... per dormire). Ella deve ricordarsi che è uno strumen- to.... uno strumento del dovere: il suo posto è qui!

90 Giacinto Gallina

Ma sono aspettato.... balbettò il Gallina, an- che allora piccino com'oggi, non dico di più, che non sarebbe stato visibile ad occhio nudo. Era timido, ma già irritato.

Quando s'è preso un impegno continuò il Maestro, che comandava a bacchetta gli uomini e gli strumenti si deve saper mantenere sino alla fine!

L'uomo piccino non rispose : chiuse nella cassa il violoncello, alcuni dicono anche se stesso: e si fece trasportare a casa.

Il Direttore d'orchestra era de' più bizzarri.

Una sera avea ordinato nessuno de' suonatori po- tesse entrare nel teatro, se non munito del proprio strumento.

Si presenta uno de' suonatori. È rimandato addietro.

Ma io suono l'organo dice non posso por- tarmi sotto il braccio il mio strumento!

Non ci fu caso, il Direttore d'orchestra volle fosse rimandato addietro.

Quando si è fatto un regolamento esclamava deve essere osservato !

Ho detto che il nostro Giacinto, adolescente, era di una strana esiguità di persona. Vedendolo si scarso, sua madre gli dette a bere olio di merluzzo. Il be- verlo gli giovò tanto che, dopo aver trangugiato una gran quantità d'olio, era cresciuto e ingrassato a segno da poter entrare nella bottiglia.

Il Gallina era molto timido, ripetiamo : avea molta soggezione del padre : ma giurò che non sarebbe più tornato in orchestra. Parti per Trieste, e tenne il suo giuramento!

Così fu commediografo : dette la stura al suo estro : scrisse talvolta fin tre commedie in un anno.

Giunse l'anno della leva: fu soldato esemplare.... per la indisciplina: non mancò.... a nessuna puni-

Ricordi Critici e Umoristici 91

zione. Condannato spesso alla prigione, addolcita dalla benevolenza d'un ufficiale superiore, veneziano, scrisse da prigioniero, su un tavolinetto barcollante El Moroso de la Nona: lo scrisse per esercizio di dialogo, non contando sul successo strepitoso, che ebbe poi quello stupendo lavoro.

Furono annunziate spesso» commedie di lui, delle quali egli non avea scritto altro che il .titolo. Si ri- dusse talora alla vigilia della rappresentazione sen- z' aver finito l'ultimo atto, che fu provato per la prima volta, a poche ore di distanza dalla recita.

Per questo rispetto, non dico dispetto, ha spesso gettato nella disperazione i capocomici, gli ammini- stratori, gli attori.

Ci sarebbe da scrivere la Commedia delle Com- medie di Giacinto Gallina!

Egli ha sempre in testa dieci o dodici soggetti: e intuisce, con suprema chiarezza, che gli riusciranno tutti bene, ma ogni giorno si persuade che il giorno migliore per cominciarli sarà.... domani.

Quando il tempo è alle strette, lo sorvegliano. Egli ha promesso di star in casa, lo vorrebber rinchiudere, ma non può respirare, dice, se la porta non è aperta. E da quella porta scappa: gli attori, l'amministratore, che lo credono a lavorare, lo incontrano per le strade: egli è imbarazzato, ma trova sempre una scusa: gli doleva la testa, e non poteva più star seduto : o s'era scordato ch'avea un appuntamento importantissiìno : 0 ha pensato che « domani » lavorerà meglio!

E pure ciò che ha fatto questo così detto « ozioso » è già molto : e il suo Teatro basterebbe a dar nome a tre, o quattro autori.

Ma ormai è condannato a far commedie a vita, e belle commedie.... Mi dicono ch'egli, in certi mo- menti in cui sarebbe smaniante di pace, di ti'an-

92 Giacinto Gallina

quillità, gridi che tutti i suoi lavori sono delitti.... di leso ozio : e abbia il pentimento d'aver cominciato a delinquere !

Eccovi un esempio delle strette a cui si trova.

Da varii giorni, è fra le torture, deve rifare il se- condo atto d'una sua nuova commedia. Il lavoro deve andar in scena mercoledì ; l' impresario è quasi si- curo che, mercoledì, verso le 5 pom., Griacinto Gal- lina avrà forse finito di scrivere la penultima scena di questo secondo atto.

L'impresario è impaziente ; e anche il pubblico.

Tutti vogliono udire il nuovo lavoro di Giacinto Gallina.

Egli, mentre scrivo, ha in mente, a volte gli ci restano troppo, capisco sono in luogo d'elezione, due altre commedie: una: Le Tose al palo.... Sapete che stanno al palo le gondole, non noleggiate. Le ragazze al palo sono quelle, che non trovano ancora un ma- rito, per fare insieme il viaggio della vita.... Sarà una satira della piccola borghesia veneziana, che tanto si presta alla satira, nella innocente sua jattanza.

Poi ci darà Nel paese de le Ciaccole. Questo paese ove si chiacchiera tanto di libertà, di filantropia, ove si fanno tanti Comitati, tante Commissioni, tante inau- gurazioni, tanti presidenti, tanti vice-presidenti, tanti segretarii e vice-segretarii, qual'è?... Sarà un piccolo paese nella commedia. Ma credo che molti il trove- ranno assai somigliante a una grande nazione. Quale ?

Ci ha dato or ora Fora del Mondo: un altro gra- zioso, originale lavoro.

Il dormiente si è svegliato.... Vi pare impossibile?

Ma già egli dovrebbe dare, per contentarvi, una commedia tutti i giorni: non esclusi, forse, i festivi!

ALAMANNO ^ORELLI

/^-XLAMANNO Morelli è nato in Brescia il 28 giu- J^ gno 1812 da Antonio e Adelaide Morelli.

Furono i primi attori veneziani, che girassero per tutta l'Italia, sulla fine del secolo scorso, recitando in veneziano le commedie del Goldoni.

Alamanno Morelli è entrato nell'Arte, a diciotto anni, dopo la morte di suo padre, che avrebbe vo- luto dargli un altro avviamento. Entrò nella Compa- gnia, diretta da G-iacomo Modena, il quale avea allora nella sua Compagnia il figliuolo Gustavo.

Gli attori faceano, in altri tempi, come ho detto più volte, un lento tirocinio: non s'improvvisavano grandi di motu proprio.

Così Alamanno Morelli principiò semplice generi- cuccio, e con la parte di Filippetto, ne Rusieghi, nella quale fece molto ridere per una sua scappata.

Su la fine della commedia, allorché lo sponsale è concluso, e un personaggio dice a' due sposi novelli :

94 Alamanno Morelli

Ecco i compari : e quando avrete un bambino.... Morelli, guardò la ragazza, esclamando: E chi lo farà il bambino?

L'uscita improvvisa, lo ripetiamo, suscitava l'ilarità.

Alamanno Morelli fu il primo a recitare, in Italia, il Kean.

Ciò accadde, quarantasette anni fa (nel 1845) al Teatro Re di Milano.

Gli attori, diretti dal Morelli, provavano una mat- tina il lavoro. Arrivati alla scena del Teatro, quando Kean insulta il Principe di Galles, il Morelli non fu appagato dall'assetto scenico. Il fondo della scena rap- presentava un teatro, con palchi e spettatori dipinti. In un palco però ci dovevano essere gli attori, com'è noto. Il Morelli vide che le figure vere accanto a quelle dipinte stonavano troppo. Fece sospendere la prova. E pensò levar via la tela del fondo: dispose che gli attori sarebbero andati a dirittura in uno dei palchi del teatro.

Si può immaginare l'effetto, che ebbe allora questa scena, fortemente ideata dal Dumas, nel pubblico. Si può immaginare, paragonandolo all'effetto, che pro- duce tuttora, quando è ben fatta, in certi pubblici.

Il Kean fu ripetuto per sedici sere.

Gustavo Modena, che allora si trovava a Mantova, volle andar a veder il Morelli nel Kean.

C era nella Compagnia Morelli un attore, che io ho poi conosciuto professore in una cattedra di liceo, e che è stato mio maestro. Luigi Bonazzi, il tersissimo scrittore della Storia di Perugia, l'autore del libro Gustavo Modena.

Luigi Bonazzi interpetrava a perfezione nel Kean la parte del Principe di Galles.

Egli ebbe un grandissimo incontro, e si noti un fatto,

Bicordi Critici e Umoristici 95

il quale ci dimostra come gli attori s' ingannino facil- mente, eziandio i migliori, nel sentenziare su un la- voro drammatico, che essi giudicano spesso con cri- terii troppo esclusivi.

Il Bonazzi non credeva che il Kean potesse andar a versi del pubblico; anzi era uscito di tra le quinte, facendo la parte del Principe di Galles, col cappello un po' a traverso e agitando il suo bastoncino, mentre zufolava a' compagni : Stasera questa non si finisce !

Strano uomo era il Bonazzi. E non ci dispiace rac- contar qualche aneddoto su di lui, poiché il suo nome è tuttora tanto celebrato fra i cultori dell'Arte drammatica, e delle lettere.

Il Modena lo vide e lo udì nel Kean rappresentare la parte del Principe di Galles. E gli apparve perfetto.

Tre mesi dopo, il Modena stesso recitava il Kean e affidava la parte del P)'incipe di Galles a Luigi Bellotti-Bon, Ma il Bellotti in quella parte non sod- disfece al Modena che chiese, con molta insisten- za, al Morelli di concedergli il Bonazzi; e dopo un anno, il Modena rimandava al Morelli il valentissimo attore.

Non era facile aver vita tranquilla con il simpatico artista. Egli era sempre tormentato da sospetti, per tutto vedeva ostacoli, difficoltà. Il Modena lo chia- mava: spargi-dubbii. Veramente il Modena, nel suo linguaggio energico, usava parola assai men poetica di spargi/

A mostrarne il carattere diffidente, racconterò un suo tratto.

Il Morelli e il Bonazzi erano a Torino,

Si ricorda gli dice il Bonazzi, mentre passeg- giavano insieme di quel tale con cui parlava una mattina sulla porta del Teatro Re?

96 Alamanno Morelli

Ma saranno sei mesi....

Ecco : quel tale diceva male di me.

Come?

Sì, l'ho capito dal modo con cui mi guardava!... Quando Gustavo Modena l'aveva con sé, scriveva

al Morelli, dopo un lungo viaggio in diligenza:

« Ho fatto salire il Bonazzi in seì^pe con me : mi sono detto, in due giorni avrà tempo di buttarmi giù tutti i suoi dubbii. E ne ha buttati, ti so dir io ! Spe- ravo, almeno, avesse finito, quando siamo arrivati. Noi invece cominciava allora! »

I suoi compagni d'arte, per motteggiarlo dell'indole proclive ai sospetti, lo chiamavano l' Om&rone, da un dramma del Revere, in cui c'è un personaggio, cosi denominato.

Ho spesso raccontato le difficoltà, che incontrarono i più grandi artisti: ho rilevato certe ingiustizie e certe violenze di pubblici.

II pubblico milanese, ad esempio, fu, un tempo, cru- dele verso il Modena. Nel 1830, nel corso di una sta- gione assai burrascosa, una sera il Modena, dopo avere recitato mirabilmente una scena, era applaudito da una parte degli spettatori. Altri non aveano l'abitu- dine alle inflessioni nasali, che il grande attore non era riuscito a poter frenare, e di cui non si corresse mai, poiché gli derivavano da un difetto nella conforma- zione del naso. E uno di questi spettatori gridò, al- lorché furon cessati gli applausi : Bravo schise/... L' insulto era grave. H Modena, collerico per tempe- ramento, entrò nel suo camerino furibondo: non volea più tornar a recitare.

E non fu facile il persuaderlo a ri presentarsi su la scena. La mattina dopo, lasciava Milano. Naturalmente Alamanno Morelli era stato fra coloro

Ricordi Critici e Umoristici

che avevan messo in opera tutto per consolare il grande attore di quel ridicolo epigramma.

Nel 1850, primo fra tutti gli attori oggi viventi, Ala- manno Morelli recitava V Amleto.

La prima recita la dette a Trieste. La signora Giu- seppina Aliprandi facea la parte di Ofelia: il Balduini quella del Re. Tale personaggio è interpetrato, a malincuore, dalla maggior parte degli attori, che hanno un merito in comune: quello di non capirlo. Volentieri gli stessi capocomici, che tra noi hanno fiore d'intelligenza, chiamei-ebbero un lumaio a inter- [»etrar tal carattere. Il Balduini sapeva ottenervi un bellissimo successo: perchè egli era artista, perchè non vi sono parti meschine pei veri attori, singolar- mente nei lavori di uno Shakespeare.

Darò un esempio lampante: la scena, in cui il Re, punto da' rimorsi dopo lo strattagemma dei Tea- trino, inventato da Amleto, si riduce nella sua camera per pregare. L'augusto scellerato vuol inginocchiarsi, e non può ; una lotta terribile si scatena in lui : lotta che lo Shakespeare rivela in un monologo ma- gistrale.

L'attore Balduini sapeva esprimere, con la mas- sima efficacia, quel tormento, causato dal conflitto li-a la colpa pervicace e la coscienza impaurita, e allorché mormorava : « Piegatevi, ribelli ginocchia: » tutte le sere prorompeva un applauso fragoi-oso.

IL

Nel 1850, primo fra gli attori italiani, viventi, come ho già detto, Alamanno Morelli recitava Y Amleto.

L'aveva studiato per tre anni, "facendone una ridu- zione sulla traduzione del conte Rusconi insieme con

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98 Alamanno Morelli

Gaetano Vestri, attore di vivo e multiforme ingegno, imo dei figli del grande Luigi Vestri.

Le prove delV Aonleio nella Compagnia di Alamanno Morelli, della quale era direttore Augusto Bon, l'au- tore del Ludro, duravano già da un mese. Una mat- tina il Morelli, «he allora agli attori non sembrava esser mai abbastanza coscienziosi, e ì pubblici serii non permettevano d'improvvisare, trovava nella sua interpetrazione difficoltà insolite da superare, non era sodisfatto di sé, cosa che non accade più a' no- stri giovani attori !

Spaventato, irritato contro se stesso, a un certo punto, egli prese il libro dalle mani del suggeritore, e, benché già avesse fatto molte prove, esclamò:

Ci rinunzio.... Non è roba per me! Augusto Bon, e non era facile alle lodi, era sem- pre, al contrario, torvo e un po' invicìioso d'ogni suc- cesso accanto a sé, si alzò dalla scranna su cui era seduto, vicino al bugigattolo del suggeritore :

E tu lo farai ! disse, battendo in terra il ba- stone con grosso pomo d'avorio. Sai che io sono sincero.... Se tu non fossi adatto alla interpetrazione, a quest'ora l'avresti già udito dalla mia bocca....

E fu di nuovo dato il libro al suggeritore e furon continuate le prove.

Dopo tante ambagi, dopo lunghe e pertinaci lotte con le difficoltà del lavoro, Alamanno Morelli si pre- sentò al pubblico nel personaggio di Amleto. E forse, sin allora, nessuno attore italiano avea ottenuto in tal parte un più strepitoso successo.

E, a proposito óeW Amleto, una cosa vogliamo no- tare : che il grandissimo Gustavo Modena si era egli pure accinto ad una tale interpetrazione, ma gli spettatori del Teatro Re di Milano gli fecero acco-

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glienza assai tempestosa, e il Modena vi rinunziò per sempre.

Di altri tentativi shakespeariani dobbiamo tener conto ad Alamanno Morelli : di quello del Macbeth, <la lui recitato per sei sere, prima deW Amleto, al ('arignano di Torino (1849-50) ; del Riccardo III, che egli recitava al Teatro Niccolini di Firenze, per otto sere, nel 1870, come molti ricordano.

La parte di Lady Macheth era sostenuta da Laura Bon, giovanissima, come, nel Riccardo III, Luigi I\Ionti sosteneva la parte del Pi-incipe di Galles.

Un'altra gloria, e purissima, di Alamanno Morelli fu la interpetrazione del poetico personaggio di Chat- terion, nel dramma del De Vigny, che piglia nome ap- punto dal protagonista.

Il dramma è famoso nella storia della letteratura teatrale : in Italia, nessun attore di grido ha mai osato, dopo il Morelli, rappresentarlo : tanto egli vi è riu- scito perfetto.

Ce lo ricordiamo nell'ultimo atto, quando diceva, con espressione sublime per suprema angoscia, e per gli strazi che rivelava : Caterina, colui che vi parla è un moribondo e le dava un bacio in fronte. Poi, siccome lo Chatterton è già sopraffatto dai lenti ve- leni dell'oppio, usciva di scena, barcollando, quasi dormente, e saliva, al cospetto degli spettatori, una lunga scala, per andar a moi'ire in una soffitta. Il personaggio, magistralmente ritratto, destava sempre la commozione più profonda ; e alla commozione suc- cedea l'entusiasmo per un attore che su la scena seppe tanto ideare, e mostrò tutta l'ellìcacia dell'arte vera !

Nel Chatterton la parte del quacquero era soste- /mta dall'attore Balduini ; Luigi Bellotti-Bon dava risalto al personaggio di Lord Derbv ; e Cateriìia

100 Alamanno Morelli

riceveva irresistibili attrattive dalla leggiadria e dalla bravura di Laura Bon, allora fra le donne più applau- dite, più vezzeggiate e invidiate.

E qui lasciatemi raccontare un grazioso episodio, e ricordar i nomi di due donne ammaliantissime, e dotate di un ingegno pellegrino. Adelia Arriva- bene, e Fanny Sadowskv ; quest'ultima, tuttor vivente, r altra spenta, nel fiore degli anni, della bellezza, della felicità, che le dava la gloria, da una passione crudele.

Adelia Arrivabene era stata scritturata per l'anno 1849 nella Compagnia Lombarda, ove si trovava Ala- manno Morelli. In quella Compagnia la Arrivabene dovea trovarsi insieme con la Sadowskv.

Una donna, una donna di gran nome, e di gran ve- nustà, nota per alta virtù, insigne per singolari atti di patriottismo, cedendo a una forte aberrazione, si dette a scrivere un gran numero di lettere anonime, lettere che venivano puntualmente recapitate, e con regolare vicenda, alla Sadowsky, ed alla Arrivabene.

Chi le scrivesse allora non si sapeva: il tempo lo ha rivelato, come ne ha rivelato le cause, a testimoni discreti : e io stesso ne ho i documenti.

È un fatto che le lettere erano scritte da chi co- nosceva profondamente l'indole degli artisti e reca- vano il massimo disordine, la più viva irritazione nei commovibilissimi animi delle due prime donne.

Spirata la fine del Carnevale 1847, Adelia Arriva- bene non volle partire da Trieste, ove si trovava, per andare a Milano ed entrare nella Compagnia Lombarda.

La Sadowsky diceva la graziosa attrice mi fa una guerra atroce. E la Sadowsky ripeteva a tutti, parlando della sua emula : la Arrivabene mi fa una guerra spietata!

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Il governatore di Milano, per mezzo delle autorità austriache di Trieste, fece trasmetter l'ordine alla Arrivabene che partisse subito, si recasse a far il suo dovere con la Compagnia : non poter un artista, a suo talento, prendersi giuoco del pubblico: e, se avesse buone ragioni, arrivata a Milano, le sarebbe stato consentito di allegarle !

Il Lombardi, padre dell'attuale egregio impresario del Teatro Manzoni di Milano, portò al governatore di Trieste l'ordine dell'altro governatore. L'attrice fu imbarcata su un vapore, a bordo del quale si recò a Venezia. Ma, appena arrivato il A'apore, Adelia Ar- rivabene fu chiamata da Giulia Modena, la moglie dell'illustre attore, la quale si trovava in una gon- dola. Adelia Arrivabene scese nella gondola, invitata dall'amica. Il Lombardi, sorpreso :

Ma dove, dove vengo a riprenderla?

Dalla signora Giulia!

Il giorno dopo il Lombardi va a casa della Modena : una persona di servizio gli dice che le due signore erano uscite.

Per farla breve, al terzo giorno, la signora Giulia Modena riceveva il Lombardi con piglio autorevole e gli diceva:

Vuol saper proprio come sta?... Adelia non e' è più....

0 me la renda insisteva l'accorto impresario 0 mi rivolgo alle autorità ! C è l'ordine che essa debba venir subito a Milano....

E la Arrivabene usciva allora dal suo nascondiglio e si diceva finalmente pronta a seguir l'impresario.

In que' tre giorni di dimora a Venezia essa avea contratto un amore, che doveva riuscirle fatale : fa- tale al suo baldo ingegno, alla lieta, prosperosa, ra-

102 Alamanno Morelli

pida sua giovinezza, poiché ella fu come una meteora, abbagliantissima, nell'orizzonte dell'arte drammatica italiana.

C'è tuttora chi se la rammenta; dolcissima, piena di prestanza, con una soave maestà di Dea, appari- scente nel manto d'oro che i magnifici capelli disciolti le faceano su tutta la persona.

Il puntiglio fu discusso dinanzi agli avvocati. La Arrivabene non volea star insieme con la Sadowsky. Fu trovato un espediente : nella Compagnia c'erano allora due direttori. Augusto Bon e Alamanno Mo- relli; fu deliberato dagli avvocati che uno, il Bon, dirigesse la Sadowsky, l'altro, il Morelli, dirigesse la Arrivabene!

Le sdegnosissime prime donne accettarono il patto. E, col tempo, come accade, dalle inimicizie implaca- bili passarono alle tenerezze espansive: diventarono intime amiche : e non si sono mai piìi vedute insieme due attrici più belle e più valenti !

In certe commedie, in certi drammi formavano un duo stupendo.

E in quella Compagnia Lombarda, con la Sadowsky, e la Arrivabene, erano la Mayer, che piacque tanto ad un Re, e Angela Botteghini, tanto pregiata da Gustavo Modena e eh' egli voleva sempre a far la parte di moglie ne' Due Sergenti, per la grand' arte che vi spiegava!

Adelia Arrivabene e Fanny Sadowsky ! . , . Quale evo- cazione di splendide, gentili memorie. I pubblici ita- liani si appassionarono per queste due donne sedu- centi di ingegno si raro. Si arrivò a un punto che la Sadowsky recitava una sera la parte della prima donna nel Fornaretto e, la sera dopo, la stessa parte era sostenuta dalla Arrivabene.

Ricordi Critici e Umoristici 103

Gli spettatori impazzivano in quelle gare. Le due artiste serene, orgogliose dei loro trionfi, contente nella loro amicizia, glorificavano l'arte: mostravano a gente, in ciò più avventurata di noi, il connubio eh' è più raro a vedersi, ciò che forma la perfetta armonia: l'unione ben temprata dello studio e del- l' ingegno, della gioventù, della bontà e della bellezza.

III.

Alamanno Morelli, nel 1831, era al Teatro de' Con- cordi di Padova nella Compagnia di Giacomo Modena, il padre del famosissimo attore Gustavo.

Al Morelli fu assegnata nelle Gelosie eli Zelinda la parte, quasi accessoria, di Sgualdo, e vi si fece molto applaudire. Un certo attore Romani non voleva ac- cettar la piccola parte del Cameriere nel Medico Olandese: il Modena gliela strappa di mano, la al Morelli, che l'impronta, l'atteggia si bene da esser chiamato più volte al proscenio insieme con la prima attrice, la bella Carlotta Polvaro, che gii diceva : trotteremo, giovinetto mio!

Il Filippetto ne' Rusterjhi fu un altro de' suoi gio- vanili trionfi.

La dote più spiccata nel Morelli fu la versatilità. Io serbo da varii anni la riproduzione d'un quadro, assai rara, d'un quadro fatto dagli alunni dell'Acca- demia di Belle Arti in Milano, e nel quale Alamanno Morelli è raffigurato ne' tipi più diversi da lui rappre- sentati.

Ogni sera i giovani artisti andavano a vederlo e ne coglievano le varie fisonomie.

In questo quadro vediamo il Morelli trasfigui'ato in

104 Alamanno Morelli

molte tra le sue più belle interpetrazioni dall' Avileto al Chatterion del De Vigny, ch'egli fu solo a in- terpetrare in Italia: dal Macbeth al Fausto del G-oethe, al Gugliel'ìno Teli dello Schiller, alla Calunnia dello Scribe!... Lo vediamo nel San Piero d'Ornano del Re vere, nel Vagabondo del Bon, nel Giuocatore del- rifìiand, nello Stiffelius, nel Benvenuto Cellini, nel FiescM: poi nel Montecristo, nella Signora di Saint- Tropez, ael Vetturale del Moncenisio, ch'egli riusciva a fare accettare e applaudire al Teatro Manzoni di Mi- lano per più sere.

Il Morelli si presentava al pubblico una sera nello Chatterion, giovinetto di 18 anni, e la sera dopo, vecchio di 80 anni nella Claudia, il dramma in cui Giorgio Sand, purissimo artista, volle imitare i la- boriosi sviluppi, i colpi di scena dei Bouchardj e dei Ducange: dall' J.?»tóto passava a far l'Importuno e il Bistratto.

Eran forti in lui le duplici qualità di attore co- mico e di attore drammatico, che nel 1840, la Com- pagnia Florio lo scritturava « per sostenere le parti di brillante e di tiranno! »

Il critico drammatico Piazza scriveva di Alamanno Morelli : « Era meraviglioso, nel tratteggiare e scol- pire sulla scena tipi diversi, e poteva dirsi per ciò il più versatile degli artisti del nuovo ciclo dram- matico. »

E Luigi Bonazzi, nel suo libro Gustavo Modena e l'arte sua accennando alle condizioni dell'arte dram- matica in Italia verso il 1839 dice: « Allorché Mo- dena tornò a brillare sul nostro cielo, tutti i primi attori erano scomparsi o impalliditi ; e solo si vede- vano spuntare sull'orizzonte gli astri di un nuovo ciclo drammatico, la Ristori e il Morelli. »

Bicordi Critici e Umoristici 105

Primo in Italia, Alamanno Morelli mise in scena il Kean, la Catena dello Scribe, Giovanni Maina Vi- sconti de' poeti milanesi Porta e Grossi, sempre tanto lodato.

Come disse giustamente di lui Antonio Ghislanzoni : « nella storia del Teatro italiano lascerà nome illu- stre, non solo come attore, ma come maestro e rifor- matore. »

In fatti, egli portò nel repertorio delle nostre Com- pagnie un' insolita larghezza, ma sopra tutto contribuì a liberarle da quelle pecche di istrionismo, contro cui già tanto si era adoperato il Modena : e fu maestro e riformatore per la serietà de' suoi intendimenti ar- tistici, per aver richiamato tra noi, a tutta possa, e con l'esempio, lo studio, la riproduzione del semplice e del naturale.

E, per naturalezza, forza, evidenza, egli fu sempre sommo nella varietà de' tipi che rese : ebbe tal fa- coltà di dare impronta viva a certi personaggi che sembrarono rimaner incarnati in lui e che nes- suno più potesse pensare di riprodurli.

Cito, cosi come mi vengono alla penna, due o tre caratteri : il Conte Sirchi nel Duello, che il Ferrari scrisse per lui : Gihoyer, ch'egli studiò tanto e riprodusse con tanta energia: il Clarhson nella Straniera.

Chi Io potè mai agguagliare in tali parti? Tutti gli attori che vi si provarono parve ci dessero la cari- catura del tipo, che egli ci aveva saputo scolpire.

Il Morelli fu di quegli attori, che arrivarono a grandi perfezioni solo in virtù dell'arte, della riflessione, dello studio, dell'intelligenza, senza esser dotati di straordinari mezzi fisici.

Imparò ad altissime scuole ; vide il sublime Lui-i

106 Alamanno Morelli

Vestri, che certo lo avrà raffermato nel suo amore della verità, e il Modena, a non parlar di altri.

IV.

Nel 1850 Alamanno Morelli pigliava in affitto il Teatro Valle di Roma insieme col Domeniconi. Si erano obbligati a tenerlo aperto sei mesi per ciasche- duno. Al Morelli toccò l'autunno ed il carnevale e andò in scena il 1" settembre con la sua Compagnia, la famosa Compagnia Lombarda, nella quale erano la Sadowsky, la Arrivabene, la Majer, la Botteghini, prime attrici; Augusto Bon, Luigi Bellotti-Bon, il Voller, il Majeroni, il Lance tti, il Bonazzi, tutti attori primarii nel loro ruolo. Erano undici che, nell' en- trare in scena, aveano ogni sera il saluto del pubblico.

Paragonate queste Compagnie con le migliori fra le attuali !

Prima di recarsi a Roma, Alamanno Morelli avea dato un corso di recite al Teatro Re di Milano.

Assisteva ogni sera a quelle recite, la principessa Albani, sorella al duca Litta. Caro Morelli disse una volta la gentildonna al direttore della Compagnia

voi avete un fornimento di scena, eh' è una bel- lezza!

Ho già detto che Alamanno Morelli prima, e poi il Bellotti-Bon, portarono su le scene italiane la ve- rità, lo sfarzo, l'appropriatezza nell'addobbo, nell'as- setto generale.

Non ho mai veduto continuava la principessa

mobili più eleganti, di buon gusto, neppur a Pa- rigi. E li porterete a Roma?

Il Morelli rispose di no : e che ne avrebbe presi a nolo colà.

Ricordi Critici e Umoristici 107

E la gentildonna insìsteva:

A Roma troverete vecchi mobili di cardinali, di vescovi, ma di moda come questi non ve ne sono, salvo in qualche palazzo principesco.... Metto a vo- stra disposizione la mia Villa Albani, per suppellettili antiche : mobili, di gusto moderno, e eleganti come i vostri, vi ripeto, a Roma non ne potrete trovare!

Quella mobilia era veramente di una ricchezza inso- lita. Una sera la Sadowsky, sul punto d'entrare in scena, si recitava la Marchesa di Santerre, vide poltroncine, coperte di raso, a ricami in oro e ar- gento, ed esclamò, con la sua bella voce : Se i mo- bili sono così ricchi, che vestiti dovrà indossare una povera attrice?

Alamanno Morelli partiva per Roma con la sua sfar- zosa suppellettile. Allorché fu portata al Valle e sco- perta, gli addetti al servizio del teatro ne fecero le più grandi meraviglie e divulgarono per tutta la città questa specie d'avvenimento, pur magnificando ed esa- gerando, come accade in tali congiunture.

La prima recita fu data col Marito in Campagna. Alzato il sipario, si scatenò un tal baccano nella platea e nei palchi, che gli attori non poteano farsi ascol- tare e non sapeano a che attribuire il malaugurato ricevimento. Si appurò subito che il pubblico credeva veder un assetto scenico d' insolita bellezza, e che gli spettatori si proverbiavano l'un l'altro d'esser caduti in un agguato. Ma le situazioni, che si svol- gono nel primo atto, richiedono una stanzetta, con (lue tavolini, senza tappeto, e sedie di paglia. Passò lutto l'atto fra i mormorii: il pubblico non capì nulla del lavoro, apprezzò il merito degli artisti, a' quali non badava.

Nell'atto secondo i personaggi son tutti raccolti in

108 Alamanno Morelli

una sala da ballo. L'apparatore fece sfoggio di sce- nari, tappezzerie, mobili, lumiere, ricchi Yasi, statue : fu necessario che l'orchestra suonasse tre pezzi, tanto durava l'allestimento !

Finalmente, fu di nuovo alzato il sipario. E, dal malcontento, il pubblico trascorse, in un attimo, alla più espansiva sodisfazione. Per ben sette volte l'ap- paratore dovette presentarsi agli onori del proscenio, salutato da applausi di spettatori, che sembravano deliranti.

Un tal fatto ha la sua importanza nella vita arti- stica di Alamanno Morelli, poiché ci dimostra come egli fu riformatore, pel nostro Teatro di prosa, anche in questa parte dell'addobbo scenico, non solo anti- venendo, ma superando i desiderii del pubblico, guar- dando sempre al massimo decoro dell'Arte. L'arte per l'arte, in questa formula tutta la vita d'artista del Morelli è compendiata.

E agli insieme eccellenti, alla verità, a' più puri ideali della recitazione, a inalzare la dignità degli at- tori, a render l'arte splendidamente educativa degli spettatori, egli ha sagrificato sempre volenteroso se stesso, cioè le sue suscettività, e talvolta perfino il suo utile.

A Roma, in quei tempi. Alamanno Morelli ha do- vuto combattere una battaglia disperata con le Cen- sure teatrali. Nel 1850 la Censura gli proibiva oltre settanta lavori !...

Arrivato alla fine del settembre non aveva più la- vori da dare: il suo repertorio, così stremato, era esaurito. Va a conferire con Prelati, non ottien nulla : è men fortunato di Ernesto Rossi, il quale nelle sue Memorie racconta che, leggendo V Arnaldo da Bre- scia in un certo modo, fece capire al barone Ricasoli

Ricordi Critici e Umoristici 109

tutto il rovescio di quello che aveva scritto il poeta. Ernesto Rossi lo racconta, è vero: ma noi siam pa- droni di non crederlo.

Per spuntarla contro la Censura, il Morelli ebbe l'idea di ricorrere, qual suddito lombardo-veneto, al ministro austriaco. E fu una portentosa ispirazione. Si recò al Palazzo di Venezia. Tra i segretarii dell'Am- basciata era il conte AVimpfen, che egli avea cono- sciuto a Milano e che gli procurò subito udienza dal- l'ambasciatore, principe Hestharazy.

Il Morelli espose le sue ragioni e concluse, doman- dando l'appoggio di S. A. Quale non fu la meraviglia dell'attore, sentendosi rispondere dal ragguardevole diplomatico : lerisera ella mi ha stupito nella sua interpetrazione. La Compagnia avea rappresentato il noto dramma francese : Ella é pazza !. . . Io ho in- terpetrato seguitò il principe quel personaggio nel mio teatro, a Vienna, e ieri sera ella mi ha sor- preso. Mi sono accorto che, dopo tanto studio, non avevo capito nulla!

Strinse la mano all'attore, il quale aveva una du- plice soddisfazione, poiché trovava nel Mecenate l'ar- tista.

Il principe lo indirizzò al cardinale Altieri, che gli fece accoglienza paterna. Era già istruito dell' ac- caduto e gli disse: Ma perchè non siete venuto prima, figliuolo mio ? Gli domandò che gli porgesse la lista delle produzioni proibite e il cardinale gli disse : Scegliete quella che vi piace !

Il Morelli scelse il Marito in Campagna, che era stato vietato dopo la prima recita, e il Cardinale gli soggiunse, sorridendo : Direte che domani sera Sua Eminenza il Cardinale Altieri, principe di Roma e Comarca, anderà al Teatro Valle per assistere a que-

110 Alamanno Morelli

sta recita. E sarà un caso strano, perchè non vado mai al teatro!...

Per tre sere il teatro fu gremito : il Cardinale assisteva alle rappresentazioni. Il Morelli dovea re- carsi nel palco del Cardinale per rendergli omaggio e la terza sera il porporato fece seder l'attore ac- canto a sé, sul dinanzi del palco. Gli spettatori pro- ruppero in applausi fragorosi e talmente ripetuti, che il Cardinale, allora si in favore del popolo, per ben cinque volte, dovette alzarsi a ringraziare.

Racconterò un piccolo aneddoto, a viepiù dimostrare gli studii, che facevano un tempo gli attori. Ho par- lato a lungo delle interpetrazioni shakespeariane, ten- tate dal Morelli, primo fra tutti gli attori viventi italiani.

Lo eccitò a interpetrare V Amleto la grande Carlotta Marchionni, dopo averlo udito nel Macbeth. Carlotta Marchionni avea ben studiato lo Shakespeare, unica- mente per sua coltura, e per suo diletto e un giorno al Morelli esitante d'accettare il consiglio di recitare V Amleto, per innamorarlo sempre più di quel capo- lavoro, ne lesse alcuni brani, tra gli altri il famoso monologo, nel quale essa dava meraviglioso rilievo a tutte le finezze.

In mezzo alla rivoluzione di Genova, nel 1849, Ala- manno Morelli è stato a un punto di perder la vita.

Egli avea passato a Genova la stagione di carne- vale e vi avea cominciato quella di quaresima. Un giorno, mentr' egli era con i suoi comici della Com- pagnia Lombarda, il popolo si mette a gridare : Viva i lombardi! li circondano, li costringono a salire sul forte di Castelletti, che ergeasi dov'è oggi il Teatro Paganini. Alamanno Morelli eragià stato soldato sui campi di Padova e di Vicenza nel 1848. Fu nominato

Ricordi Critici e Umoristici 111

capitano, sotto gli ordini dell'Avezzana, e fu l'ultimo comandante del forte di Castelletti, poi demolito. Con lui era il povero Bellotti-Bon, anch' egli armato di fu- cile : l'attore Codermann, che volle battersi risoluta- mente e fu ferito a una gamba, in guisa che dovette starsene a letto per quattro mesi.

Tra i soldati, sotto gli ordini del Morelli, era il ce- lebre cantante Giuseppe Scheggi, ch'abbiamo cono- sciuto ottuagenario, e, come il Morelli, sempre vigo- roso ed allegro ; montava di notte la guardia e, col suo vocione, mentre si gridava: alVerta, all'eria sto: egli trovava modo accortamente di prolungare il grido con un sto-to-to.... ro-rò!

Alamanno Morelli, prima che tuonasse il cannone, volle uscire dal forte. Non gli andava a genio di bat- tersi pei repubblicani : trovò una buona scusa. Avea con alcuni de' suoi artisti, ma i più di essi, le donne, fra le quali la Sadowsky, erano nella città, dovean aver bisogno di denaro, spirato il tempo dei pagamenti, così ottenne una parola d'ordine per po- ter uscire dal forte e consegnò il comando al gio- vine tenente Bongiorno. Baldo, egli fu lietissimo di ricevere dal Morelli il comando ; ma in un' uscita dal fDrte, messo il piede co' suoi uomini nella Contrada dell'Acqua Verde, fu subito ferito al ventre da una scheggia di mitraglia e, tre giorni dopo, spirava nel- l'Ospedale !

Insigni per patriottismo furon molti fra i nostri attori : abbiamo il Canova, compagno di prigionìa a Silvio Pellico nello Spielbergo, ricordato nelle Mie Prigioni, e Tommaso Salvini combattente su le mura di Roma nel 1849.

J^LEONORA pupe

Eleonora Duse nella parte di « Cleopatra. » Se Cleopatra deve esser grassa. La Duse in Spa- gna, IN Egitto, ecc.

I.

M/ICEVA Pascal: se il naso di Cleopatra fosse stato ^*^ più corto, il mondo avrebbe cambiato aspetto.

Si affermò che la signora Duse non avrebbe potuto assumere l' interpetrazione del personaggio di Cleo- patra, per una questione tutta fisica: la sua magrezza!

Una parte del pubblico, e i critici pedestri, che lo seguono, sono d'opinione che Cleopatra debba essere di forme molto pensierose, di una persona florida, re- quisiti indispensabili, per alcuni, alla maestà. Coloro, che han tali idee, sono vittime di un innocente in- ganno; giudicano del personaggio di Cleopatra dal quadro di Guido Reni, da altre pitture, e sopra tutto da certe sculture.

Il quadro di Guido Reni è sublime ; ma è infedele alla storia : e tutta la tradizione, che si è formata.

Ricordi Critici e Umoristici 113

sulle qualità fisiche di Cleopatra è una menzogna: una menzogna molto divulgata, se vi piace.

Abbiamo la pazienza di studiare un poco: e ve- dremo che, fra tutti i personaggi delle tragedie sha- kespeariane, Cleopatra è una donna tutta nervi la donna più facilmente commovibile, che il gran poeta abbia cercato di ravvivare con la magìa della sua ispi- razione. Cleopatra è appunto la donna, tra le antiche, più rispondente al ti]D0 moderno : la donna in cui certe sensazioni e la intelligenza hanno il predominio su tutto: la donna, ecco la gran parola, nevrotica per eccellenza.

La bellezza di Cleopatra viene sopra tutto dal suo sentimento, dalla sua intelligenza : il modo che ha di provare, di esprimere, di eccitare le sensazioni, di abbellire l'amore, è tutto il suo fascino.

Non c'è una sola allusione, nello Shakespeare, o in Plutarco, alla vigorìa delle sue forme, allo stimolo di volgari sensualità.

Al contrario si parla sempre di dolcezza nella voce, di espressione negli occhi, d'un' arte sottile di amare.

Io non posso dimenticarmi due frasi di Enobarbo, che paiono di romanziere moderno, del genere, come dicono, psicologico. Enobarbo, parlando di Cleopatra, nella tragedia, dice: «; l'età non saprebbe appassirla, l'abitudine esaurire la sua vcrriek'i inCinita. » Frase stupenda, di un'analisi profonda, di quelle frasi, delle quali lo Shakespeare ebbe il segreto, e che ci fanno veder, d'un tratto, tutta una indole, tutto un orga- nismo. « Altre donne rintuzzano gli appetiti, a cui corrispondono : essa affama ove più soddisfa. » Ve- dete com'è spiegabile l'ineffabil suo potere di sedu- zione, il continuo allettamento, ch'ella esercita su Antonio. Lo Shakespeare poi si adopera nel dar a Cleopatra una spiccatissima impronta di grazia : tutto

114 E/eoiìora Duse

ciò che ella fa è avveiievole, ha leggiadrìa, esercita, quindi, attrattive: « le cose più vili le si addicono, in modo che i santi sacerdoti la benedicono nello stesso suo libertinaggio! »

Ma distruggiamo per sempre questa leggenda di una Cleopatra, florida della persona, e grassa.

Nella bellissima scena col servo Alexas, quando Cleopatra, gelosa di Ottavia, la nuova moglie di An- tonio, fa domande per sapere le doti fìsiche della ri- vale, in contrapposto alle sue, chiede:

È magra, o grassa?

Molto grassa risponde il servo, che appunto vuol dar nel genio alla sua padrona, esagerando la pinguedine di Ottavia.

E Cleopatra risponde :

Le donne con quella forma di volto sono la mag- gior parte stupide.

E ciò non avrebbe detto, se ella non fosse stata magra !

Vogliamo però citare un frammento di Plutarco nella Vita di Giulio Cesare, Cap. XLIX.

« E mandò segretamente a chiamare Cleopatra, la quale venne con Appollodoro siciliano.... a notte oscura. E non avendo altro modo da entrare scono- sciuta distesa quanto era lunga, entrò in una va- ligia, da portare arnesi e vestimenti, e Appollodoro, messala ben legata in ispalla, la portò a Cesare.... »

Di che fu preso Cesare ? Ce lo dice Plutarco : « ma conosciuta appresso la dolcezza e gymzia del suo con- versare 7nmase vinto che.... »

Bensì il ritratto più compiuto è nella Vita d'An- tonio, Cap. XXVII :

« Perchè la sua beltà sola (come dicono) non era incorniKiraUle, destatrice di meraviglia, e stupore ne' risguardanti ; ma il coaversare fu dolce che

Ricordi Critici e Umoristici 115

impossibile era non rimaner preso; e la vaghezza del volto, accompagnata dalla dolcezza persuasiva del favellare e da gentil costume che condiva in certo modo ogni suo fatto e parola, era imo stimolo ben pungente. Gratissimo era il suono della favella, e la lingua fatta a guisa di strumento di musica a più re- gistri rivolgeva agevolmente a quel linguaggio che più le fosse piaciuto. » E Plutarco aggiunge che a pochi barbari dava udiqjiza col turcimanno, e rispon- deva da se stessa agii Etiopi, a' Trogloditi, agii Ebrei, agli Arabi, a' Medi, a' Parti, e a molti altri « i cui linguaggi aveva imparati. »

Nel romanzo di Cavalleria, scritto nel mille, inti- tolato Vita di Antonio, e ben noto a tutti gii stu- diosi, Cleopatra ci è pur rappresentata come un tipo di bellezza, quale è oggi intesa e osservata da certi romanzieri : bellezza, meno attraente per la forma, che per lo spirito, il cui fascino ha origine nell'animo, nella intelligenza.

C'era poi in Antonio una disposizione ad amare nella donna l'intelligenza, a cercarvi anzi un'intelli- genza suprema. La sua prima moglie Fulvia avea avuto tutti i virili ardimenti, i pensieri più gravi e più alti. Quando essa muore, Antonio non piange su la bellezza di lei, ma compendia il suo dolore in queste parole: « Una gran wente è partita! »

Lo Shakespeare non volle veder in Cleopatra altro che la donna innamorata, ma il grande tragico Cor- neille rendeva tutta la debita giustizia alla intelli- genza di questa egiziana, cui dava luogo, tra i prin- cipali personaggi, nella sua tragedia Pompeo.

Il Corneille anzi, la considera soltanto come donna politica: e il carattere ch'egli ci mostra è forse, in parte, più rigidamente aggiustato alla verità della

116 Eleonora Buse

storia, ma è assai men alto nella poesia di quello che lo Shakespeare ci ha raffigurato.

E, in fatti, il Corneille ha scritto nella Prefazione alla sua tragedia:

« Secondo me, a esaminar bene la storia, Cleopatra non aveva se non ambizione senza amore, e che per politica essa si serviva de' vantaggi della bellezza per rassodare la sua fortuna. Ciò si rileverebbe dal non affermare gli storici ch'ella si sia data ad altri ch'a due primi uomini del mondo, Cesare ed Antonio e, dopo la caduta di quest'ultimo, non risparmiò alcun sacrificio per illaqueare Augusto nella medesima pas- sione che costoro aveano avuto per lei e fece vedere in tal guisa che si era lasciata attirare dalla potenza, non dalla persona di Antonio. »

La politica ha certo ispirato al Corneille versi molto armoniosi, ma i contrasti della passione hanno ispirato ben altrimenti lo Shakespeare: le sue scene fra Antonio e Cleopatra sono le scene d'amore più patetiche e più grandiose, pel modo onde si svolgono e son preparate, a cui la fantasia d'uno scrittore abbia piegato lo strumento d'un linguaggio armonio- sissimo, e su cui un ingegno poderoso abbia gettato immagini, splendenti e copiose, com'una pioggia di gemme.

Ho detto che la Cleopatra dello Shakespeare è una donna essenzialmente nervosa.

Ve lo provo.

Enobarbo dice, fino dalle prime scene, ad Antonio che vuol partire a un tratto :

Se Cleopatra soltanto lo subodorasse verrebbe meno. L'ho veduta venti volte Yenir meno per assai più frivol motivo.... Essa vien meno con tale celerità!

È furba più che uomo non pensi.

Ricordi Crìtici e Umoristici 117

No, DO, signore. Le sue passioni non proven- gono da altro che dalla più sottil parte del puro amore.... Ci sono in lei tempeste, uragani più grandi che non possono riferire gli almanacchi....

Eccovi, dunque, il ritratto della donna più nervosa. Un'altra prova della nervosità di Cleopatra. Alla vista del messaggero, che torna dall' Italia, essa esclama :

Antonio è morto! Se tu dici questo, furfante, tu assassini Ja tua padrona....

E ciò, prima che il messaggiero abbia parlato.

La nervosità di lei si palesa perfino nel modo con cui rampogna Antonio, se piange la morte della mo- glie Fulvia, 0 se vi si mostra rassegnato. Se la piange, Cleopatra geme che la memoria di costei sia più forte dell'amore che egli nutre per essa: se non la piange: Oh! esclamerà il più falso degl'innamorati: ove sono dunque i sacri vaselli che tu dovresti riempire delle tue lacrime? Ah, io vedo, per la morte di Fulvia, come sarà accolta la mia!

Osservatela nella scena 5=^ dell'atto II. Cleopatra è stanca, abbattuta: domanda la musica che è il sospiro delle donne nervose: un alimento ai loro sogni, che paion sollevarsi in quelle onde armoniose.

La musica ! la musica ! è il gran rimedio, il sollievo, la medicina agli animi feriti dal rammarico e dalla passione : anche per lo Shakespeare.

Bruto, agitato per la morte della moglie Porzia, vegliando la notte, che finirà con l'aurora la quale deve illuminare la battaglia di Filippi, domanda al giovinetto suo servo, a Lucio, di cavar « uno o due accordi » dal suo strumento. È una fra le scene più commoventi del Giulio Cesare. L'animo di Bruto, eccitato dalla musica, dovea esser probabilmente, se-

118 Eleonora Duse

condo lo Shakespeare, meglio preparato alla visione dello spettro di Cesare, che viene a mormorargli il ci invedremo a Filippi.

Cleopatra domanda la musica, che serve a deludere, 0 esaltare le perplessità d'innamorati: of us that trade in love !

Ma, appena le dita d'avorio della schiava saranno in procinto di far udire i tintinni dell'arpa, Cleopatra muta idea, vuol giuocare al disco: e, quando il giuoco sta per principiare, essa non vuol più saperne, pro- pone d'andar a pescare!

Ecco tanti scatti di nervosità.

È tutta nervi questa Cleopatra. Antonio perde Ful- via, Cleopatra lo perseguita con la memoria di lei: viva, si serviva di lei per motteggiarlo, tormentarlo di continuo. Cito la tragedia dello Shakespeare : « Che dice la donna maritata? domanda Cleopatra ad Antonio. È forse in collera? Non vada almeno a mormorare che son io che ti tengo qui. Non ho potere su di te. Sei tutto per lei ! » Così ne irrita, ne stuzzica la passione. Antonio mostra vaghezza di pigliarsi bel tempo, domanda qual festa possono aver nella sera: ella subito gli consiglia di ascoltare gli ambasciatori di Roma !

Non si tosto egli davvero fa sembiante di voler tornare ove lo chiamano i suoi doveri di triumviro, l'onore di soldato, di cittadino, essa lo inebria con i suoi filtri magici, lo riconduce, coronato di rose, nelle vie del piacere.... La donna nervosa prostra, stordisce il suo amante coi contrasti, con la sua va- rietà infinita, secondo l'espressione che ho accennato, e con la varietà impreveduta.

Non ha bisogno de' consigli di Ira e di Casmio, si bene addottorate in tutti i femminili artifici ! Essa

Ricordi Critici e Unwristici 119

non lascia d'occuparsi un istante d'Antonio ; lo segue sempre per tutto col pensiero : gli tesse intorno una rete d'oro e di perle, da cui l'amante non può fug- gire. È abbagliato, ma schiavo ; l'incanto è continuo; ecco perchè il giorno della battaglia d'Azio egli fug- girà, lascierà che rovini un mondo anzi che condan- narsi, per tempo indeterminato, alla separazione dalla sua amante, a non sapere ove ella è, al supplizio più crudele, alla tortura, all'angoscia, tra le maggiori di un cuore innamorato, legato da' ricordi di una pas- sione, sempre nuova, e sempre ardente!

« Andate, andate dice Cleopatra alle sue ancelle guardate dov'è, con chi, quel che fa (lo spionaggio non potrebbe esser più compiuto).... Se lo trovate triste, ditegli ch'io ballo, se è allegro, annunziategli che io mi sono a un tratto malazzata. Presto e tor- nate. — Signora, mi pare se voi l'amate teneramente, non seguiate il metodo buono affinchè egli vi corri- sponda. Cedetegli in tutto, non contrariatelo in nulla. »

Ma essa ha il suo metodo ; il metodo delle donne nervose, delle donne-sfingi, che non s'indovinano, che sanno riuscire imprevedute, il cui stesso mistero, le cui stesse caparbietà doventano invincibile attrattiva.

Ecco perchè Cleopatra risponde all'ancella : Siei una sciocca: cotesto sarebbe il vero metodo di per- derlo !

Singolare teoria dell'amore, ma che le donne com- prenderanno : le donne che in questo hanno il su- I)remo e più delicato intelletto.

Torturare Antonio, presente, occuparsi di lui, a ogni istante, lontano: esser avida de' più minuti rag- guagli, è il carattere dell'amore di questa donna ec- citatissima. E il suo carattere nervoso si rileva nel- l'importanza che essa ad ogni ragguaglio.

120 Eleonora Duse

Il suo messaggere le riferisce che Antonio è mon- tato a cavallo e che sul punto, in cui egli saliva in sella, il cavallo ha nitrito, ed essa vuol pur sapere, se Antonio era mesto, o allegro.

E il messaggero, che non sa che deve rispondere, perchè la sua signora è capace ferirlo di coltello con la stessa sua mano, se la risposta a lei non piaccia, risponde maliziosamente.

Era come la stagione dell'anno fra i due estremi del caldo e del freddo : mesto, allegro !

Ed essa ne cava le conseguenze : « Nota, o Car- mio, che bella disposizione : non era triste perché vo- leva restar sereno per coloro che compongono il volto su quello di lui, non era allegro, come per lor dire che il suo pensiero restava in Egitto con tutta la sua gioia. » E qui si vede l'industria dell'amore appassionato, che é sempre studioso d' interpetrare, quando lo sconforto non lo soverchi, ogni segno in suo favore.

Cleopatra s'occuperà sempre di Antonio: vorrà, come é il più vivo desiderio degli amanti, saper giorno, ora per ora, ciò che fa l'oggetto dell'amor suo : « avrà egli ogni giorno parecchi messaggeri da lei, dovesse ella pur spopolare l'Egitto. » (Atto I, scena 5*).

E la battaglia d'Azio perché é perduta? Per un at- tacco di nervi di Cleopatra : essa non ha potuto sop- portare più la commozione di una lunga battaglia. Cleopatra é debole, nell'intimo del suo essere, il suo carattere é tutto ciò che vi ha di più femminino : la risoluzione stessa di uccidersi le viene dalla esalta- zione de' nervi: dalla paura di non poter resistere agli scherni della plebe, dei servitori di Cesare che l'avrebbe portata con sé, quale spoglia, e la più ricca, del suo trionfo.

Ricordi Crìtici e Umoristici 121

Nell'ultimo atto, al prim' annunzio della catastrofe, essa si sviene: e cade la maschera della ostentata fortezza d'animo : rimane la donna debole, eccitabi- lissima, nervosa, che si prostrerà a' piedi del trion- fatore un istante : e che poi morrà, ma senza alcuno stoicismo, morrà com'una donna debole, irritabilis- sima, la quale ha studiato, con ripetute e crudeli esperienze, un veleno, che le darà una morte senza la minima sofferenza, una morte dolce, istantanea.

Tutto è poesia, voluttà, mollezza in questo carattere.

La signora Duse ha, fra le attrici italiane, e forse fra le attrici forestiere che noi conosciamo in buon numero, doti stupende, diremo uniche, per rappresen- tare la parte di Cleopatra.

Lo dovrebbe provare a' più scettici il fatto che nella ultima parte della scena in cui riceve il messaggero, nel domandargli quali sono le doti di Ottavia, e nel paragonarle, internamente, alle proprie, essa è di una efficacia, che supererà sempre, credo, ogni confronto.

In quel punto essa è la Cleopatra perfetta, sodisfa ogni spettatore che non pensa a domandarle altro, poiché è pienamente contento, prova una gioia intel- lettuale compiuta in ciò che essa le dà.

Se, in altre scene, lo spettatore non è sodisfatto, non è dunque da cercarne la causa nell'essere l'at- trice per se poco adatta alla interpetrazione di quel carattere : bisogna cercarla nella deficienza della in- terpetrazione. Bisogna convenire che essa non è stata dalla attrice ancora abbastanza studiata, benché l'ab- bia studiata molto; e bisogna concedere che in tali interpetrazioni non si trova subito la perfezione.

Un massimo difetto nella sigfiora Duse, mentre ìn- terpetra il personaggio di Cleopatra, credo sia un tuono non languido, che molto si addirebbe al per-

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sonaggio, ma soverchiamente piagnucoloso, che inge- nera monotonia ed è contrario allo stesso carattere di Cleopatra.

Ho notato pure nella grande artista una tendenza a render la sua dizione sempre più lenta, facendo di continuo pause arbitrarie. Citerò un piccolo esempio. Parlando di Cesare, Cleopatra dice : « Dopo aver so- gnato la conquista del mondo schiudeva le labbra ecc. E piovevano baci. »

La signora Duse recita cosi : « Dopo {una lunga imusa) aver sognato {alhm pausa) la conquista del mondo {nuova interruzione). E {qui un'altra pausa) piovevano baci. »

E debbo rilevare che le pause non hanno un signi- ficato, vale a dire non conferiscono uno speciale ef- fetto a questa o a quella frase, ma sono adoperate ordinariamente da lei in guisa da sminuzzare tutti i periodi. È un metodo di fraseggiare molto difettuoso, che nasce o dalla smania del dir troppo bene, o da un vizio di respirazione, che si contrae. Non so.... Ma ricordo che una cantante famosa, l'Albani, divenne insopportabile, negli ultimi anni della sua carriera, con questo modo di fraseggiare. Certe opere duravano con lei tre quarti d'ora di più! Non comprendo nella illustre attrice italiana questo difetto, poiché essa ac- cennava un tempo a voler contrarre piuttosto il di- fetto di una dizione troppo rapida.

Probabilmente, ha creduto recar così nella inter- petrazione shakespeariana una maggior solennità. Ma i versi, 0 diciam meglio, poiché io debbo pensare alla traduzione, i concetti dello Shakespeare sono così belli che basta il ripeterli con la massima semplicità, che ispiri l'arte, perchè riescano efficacissimi. E la si- gnora Duse riesce stupenda nel punto della tragedia

Bicordi Critici e Umoristici 123

ove sa esser più semplice; secondo i dettami di un'arte finissima.

Ma OTB l'attrice italiana è più censurabile, secondo me, è nell'abuso di certe note gutturali, quando in- terpetra le scene più drammatiche. Qui dobbiam es- ser tutti d'accordo ; non c'è questione di realismi : il grido della passione al Teatro dev'essere un grido bello, artistico, di una sonorità limpida, perfetta ; altrimenti, io dovrei immaginarmi, ad esempio che la prima qualità di Cleopatra fosse di esser fioca, o malata di gola. La signora Duse ha torto di forzare in certi punti la sua voce che ha accenti armo- niosi, e che comunicano una profonda commozione, nelle note di testa.

Non capisco che bisogno abbia di scendere nelle note più basse del suo registro, di cavarne suoni cavernosi, di battere l'erre (ohimè) in certe parole, a produrre un effetto, che le sfugge: e che dovrebbe trovar facilmente nello stesso suo organo, poiché ella sa l'espressione, non essere nel volume della voce, ma esser tutta nell'accento ! È un pregiudizio, che vedo fa molte vittime, quello di credere sia necessario l'urlare in certe situazioni, anche quando non si hanno i mezzi vocali corrispondenti. Si può esprimere ogni sentimento, con molto effetto, e senza sforzare i pro- prii mezzi.

Piccole mende che noto alla sola attrice italiana, la quale io credo oggi capace di uno splendido avve- nire ; alla sola che ci rimanga, d'ingegno forte, ori- ginale, disposto alla perfezione. Il suo tentativo di dar nuova vita alla tragedia shakespeariana Antonio e Cleopatra fu noblissimo: ci dimostrava un felice e fe- condo temperamento d'artista, che cerca e che vuole.

Il tentativo generoso appartiene oramai alla storia

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del nostro Teatro, con esso Eleonora Duse dava un gran passo innanzi in una via, per lei tutta co- sparsa di rose.

IL

Se mi venissero a dire che, dalla Colonna di Santa Trinità, hanno levato la statua della Giustizia per so- stituirla con la statua della signora Duse, ci crederei. Ormai io non mi stupisco più di nulla : e la gentile attrice è doventata, a ragione, l'idolo del pubblico in Italia, e altrove.

Chi forma il suo bel successo? Tutti: gli spettatori d'ogni classe : ma in questo coro di lodi e di gloria prevale sopra tutto un suono di voci armoniose, di espressioni dell'entusiasmo femminile. Le donne sono le prime a tesser ghirlande di fiori, a decretare co- rone per la fronte delicata della elegante, originalis- sima artista. Pare ad esse, e a ragione, che ella in- carni in modo stupendo la loro passione, le loro furie, le loro rivendicazioni. La signora Duse si è compia- ciuta nelle recite di tre lavori: Fedora, Amore senza stima, Francillon, ov'è sempre una donna, tradita da un uomo, che anela a vendicarsi, o si vendica, o impreca: una, dalla parte della quale son sempre, o quasi, tutte le ragioni, eh' è un modello di fedeltà, 0 di virtù e di logica. Ora le donne, con la buona fede e la modestia, di cui son capaci, si riconoscono tutte in tale modello. Sono circa cinquantasette secoli, dacché la donna vorrebbe far credere che è la vit- tima dell'uomo : dico far credere, poiché essa non ci crede : nel suo segreto ella sa che è quasi vero tutto il contrario....

Molte e molte donne si vedono ornate di tutte le

Ricordi Critici e Umoristici 125

perfezioni : il che mostra quanto avrebber bisogno di farsi l'operazione della cateratta....

E godono tutte le volte che una donna s' indigna sulla scena pei torti d'un uomo verso di lei : ogni grido di protesta, di abbandono, trova un'eco nel loro animo: si direbbe che, nelle donne, per chi ha il coraggio di pigliarle sul serio, ogni lamento di un cuore ferito, secondo le finzioni dell'arte, riapre dav- vero una ferita del loro cuore.

Ora figuratevi, quando l'eroina della commedia, del dramma si chiama Eleonora Duse e alle sue pro- teste, alle sue rivendicazioni l'eloquenza di una di- zione sapiente, piena d'effetti, la forza del suo raro istinto di verità!

Le donne l'amano, perchè esse vanno al teatro, non per vedere Fedora o Francillon, ma per vedere la loro immagine, di cui sono giustamente e sempre in- namorate: e quest'attrice nervosa, tutta scatti, sul cui labbro vibrano le ironie, i sarcasmi, quest'attrice, che par debba cadere ad un soffio, ma che nelle scene di passione sembra rinvigorirsi alimentata da una forza interna, offre loro l' immagine, che cercano, viva, palpitante, rassomigliantissima. Essa è, innanzi a tutto, moderna, moderna nell'accento, nell" intona- zione con cui esprime i moti dell'animo, nella sua irrequietezza, nelle sue stesse esagerazioni, nella sua pretesa nervosità, che è una malattia.... Ora si dice, e il primo grido l' ha gettato un poeta sublime, Alfred De Musset nel suo libro, L'Enfant de Siede, che in questo secolo siam tutti malati.

Malati, di che? Prima di tutto d'una grande man- chevolezza, d'un gran disquilibrio ; siamo gente, che non sta, ma passa frettolosa: somigliamo, in una vita che s' è tanto rinnovata, agl'inquilini che entrano in

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una casa costruita di fresco, e vi passano soltanto il tempo necessario a asciugar le pareti. Gl'inquilini, che verranno dopo, vi staranno forse a miglior agio, e più sani di noi!

In tutto oggi abbiamo l'esagerazione: l'artista non si atteggia, ma si contorce: la sua dizione dev'essere un gemito, o un dardo avvelenato, le espressioni delle varie arti si vogliono tutte confuse, con atto violento, in una sola: ciò che è strano, individuale, momen- taneo, ci attira più di ciò che è vero, benché si parli tanto di verità, universale, perenne. Siamo stanchi della perfezione, col pretesto che è antica : e' innamo- riamo de' difetti, non già perchè sieno nuovi, ma perchè è nuovo il dar ad essi nome di perfezioni. L'arte dovea esser serena, assoluta padrona de' suoi mezzi d' espressione, vivificante, con alito di poesia, con un potere d' ispirazione ogni cosa creata, intesa a far grandeggiare quel vero che ogni uomo reca in sé, anzi nella miglior parte di sé, e a cui ha dato il nome d'ideale, e che é la sola verità non relativa, non angusta, immutabile. L'arte poderosa e serena ebbe un fine : dar forza all'uomo per inalzarsi a tutte le verità: l'arte nuova, invece d'inalzar l'uomo, rim- picciolisce il vero a certe proporzioni.

E bene, facciamo guerra alle arcadie, all'accade- mico, all'artificioso, ma non facciamo guerra all'ideale, a questa sola verità suprema, onde l'Arte può aver vita ! E rammentiamoci che, senza la paziente osser- vanza di strette regole, non v' è arte : che se si doves- sero avere scrittori di genio, ma senza grammatica, autori di ritmi, senza chiarezza e senza poesia, attori senza riflessione, senza scuola, e tutti impeti di ner- vosità, i migliori giudici dell'Arte bisognerebbe ormai andarli a cercare nei direttori de' Manicomii !

Ricordi Critici e Umoristici 127

Io vorrei si cessasse dal parlare di nervosità^ a pro- posito della signora Duse, da coloro, che si danno per i più sviscerati ammiratori di lei, che anzi dicono di aver il monopolio, che lascio loro ben volentieri, di questa ammirazione. Se la Duse recitasse bene sol per- chè è nervosa, nelle sezioni degli ospedali ove si cu- rano certe malattie, ci sarebbero a diecine, stese su que' letti, le Rachel e le Ristori, l-a Duse, anzi, per me, recita bene soltanto quando non è nervosa: quando, con la virtù dell'arte, padroneggia i suoi nervi.

Sarebbe bella se bastasse esser malati, per essere grandi artisti! Ciò vi idea de' criteri, ond'oggi muove una certa critica!

La nervosità nell'Arte sarebbe, non solo un errore, ma una pazzia, poiché già vediamo che il solo senti- mento non giova a nulla, se l'artista, sia poeta, pittore, scultore, o attore, o musicista, non abbia eguale al sentimento la scienza e la misura della espressione.

Io vorrei che, a proposito di questa cara, e non esito a dire, sublime attrice, si parlasse meno di ner- vosità, e si rendesse maggior giustizia alla sua intel- ligenza, alle sue doti di riflessione, allo studio che ha fatto per riuscire nell'Arte. A questo solo essa deve la sua originalità, i suoi bellissimi successi.

Essa nulla sarebbe, senza quella sua rara intelli- genza, senza la riflessione, e senza il lungo studio. L'ho chiamata sublime, ed è tale, in alcuni punti culminantissimi delle sue interpetrazioni, ma, se in altri, a' veri intendenti dell'arte apparisce un po' mi- nore di sé, ciò si deve al non aver essa potuto sup- plire con la intelligenza, con la riflessione e con lo studio agli effetti d'una scuola assolutamente buona, d'insegnamenti autorevoli, che, bisogna pur dire, le é mancata.

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Questo ci è nuovo argomento a confortare la nostra vecchia tesi: che gli artisti non s'improvvisano: che l'arte sarebbe troppo a buon mercato, se vi si potesse giungere alla maggior eccellenza, senza un lungo ti- rocinio, senza rare doti, e senza un vivo sforzo della mente e delle volontà.

E tale sforzo fu compito, in modo singolare, con energia unica, da quest'attrice, che ci pare esile, aerea, quasi fosse venuta a noi, in un'onda d'ar- monie dalla regione profumata degli elfi, e ha pure una indomita potenza di volontà.

Coloro, che parlano di nervosità, a spiegare certi effetti dell'arte, non sanno quello che dicono. E la prova n' è che, quando la signora Duse non sta molto bene di salute, quando cioè non può contenere i suoi nervi, dirigere la sua dizione, è subito smarrita.

Esaminiamola nella sua dizione e nel suo gesto.

La migliore sua voce è una voce di testa e, con intonazioni sovente nasali, in modo spiccato. È la voce che ebbero quasi tutti i grandi attori francesi, e non pochi fra i grandi attori italiani, eccettuato Tommaso Salvini. Molti dei nostri più famosi cantanti ebbero pure voci di testa, e ce ne sono oggi di quelli ben noti, che cantano senza testa.

Per ben servirsi di tal voce, ci vuole un'arte su- prema. Le note nasali, che, con arte, posson doventare armoniosissime, riescono monotone, insopportabili, ove l'arte non soccorra.

Una delle nostre più leggiadre prime donne. Gra- ziosa Glech, ad esempio, ha la voce di testa, ma or- mai parlava sempre col naso in tutte le parti, senza discrezione, con un suono squarciato, il cui abuso finiva per nuocere alla sua carriera. La Duse tien quasi sempre alte le sue note di testa e acquistano

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così una gran limpidezza, la sua voce si fa nasale in certi tratti lamentosi, dove è appropriata.

Poi, la Duse adopera con molto accorgimento una varietà mirabile d'intonazioni, passa dall'una all'altra con una naturalezza squisita, forse non senza un tan- tino di ostentazione, quasi facendo presentire allo spettatore l'effetto ch'ella cerca per ammaliarlo.

Questa varietà d' intonazioni è uno de' saggi più pellegrini che la signora Duse della sua fina in- telligenza. È un segreto del ben recitare, e del reci- tare con verità, anche non avendo una voce sonora : segreto che non vogliono intendere i nostri attori.

La varietà d'intonazioni, di trapassi nella recita- zione corrisponde appunto alla verità del conver- sare. Parlando, secondo il sentimento che esprimiamo, mutiamo involontariamente di tuono; chi noi fa, an- noia, anche in una conversazione familiare. Si sfug- gono, come molesti, coloro che hanno una voce mo- notona. E, ad esempio, certe donne, anche non belle, ci affascinano con la vivezza^ la mobilità delle loro intonazioni.

Quasi tutti i nostri attori, e le nostre attrici sono, nella recitazione, convenzionali, monotoni, senza co- lore; artificiosi: dicon tutto nel medesimo tuono, con pause senza giudizio, con una quantità di smorfiette, di giuccherie, che lo spettatore non sa spiegarsi.

Ma sapete ciò da che dipende?... attori, attrici sanno la loro parte; non possono esser veri, i^artore, poiché aspettano l'imbeccata dal suggeritore; non possono creare un personaggio, mentre tutta la loro attenzione è appena sufficiente a cogliere a frullo la parola.... In tal guisa, si sono abituati a certe len- tezze, a certe pause, a un dire artificioso, a' lezii con- tinui.

130 Eleonora Duse

È, forse, la prima ragione per cui il pubblico si annoia tanto, da qualche tempo, al Teatro di prosa. Non sente più nessuno che gli parli, da certe prime attrici agli ultimi personaggi della commedia; nessuno che dia alla conversazione il colorito, che si può dar soltanto quando si sa e s'intende ciò che si deve dire. La Duse ha portato anche in questo una rivolu- zione. Sa la sua parte : parla spontanea, rapidissima, a volte, anzi, un po' precipitosa, non aspetta la pa- rola. Il pubblico, abituato al barocchismo, scatta a quella differenza del dire, attinta nella verità. È un crepacuore udir attori, anche provetti, ad esempio Cesare Rossi, impiegar varii secondi per finir una frase, tirar su l'aria, tossire, far pause a un tratto, tutto per aspettar la parola del suggeritore.

Come i nostri attori possono, in tal condizione, es- sere veri, divertenti, originali?

Ecco in quali semplici cose sta l'originalità della signora Duse e di cui altri va a pescar si lontano i motivi.

Essa ha, come attrice, una rara forza di sentimento, una grande potenza di virtuosità, uno studio, un'at- tenzione continui : uno studio, che altri nega, ma che i veri intendenti dovranno riconoscere perfino sover- chio. Non solo ella dice con semplicità, con natura- lezza, con rara misura d' intelligenza, ma pare voglia dar di ciò, alle volte, un'accademia: insegnare anche agli altri queste doti, raffinandole, forse, talora, un po' troppo.

La voce di petto, a cui ricorre negli slanci della passione, è gutturale, un poco rauca, non ha mai in- tonazioni di puro metallo. Potrebbe questo far credere che il suo repertorio dovesse essere angusto? Il gesto è, forse, in essa, ciò che vi ha di più ir-

Bicordi Critici e Umoristici 131

regolare. Il detto dell' Hegel : l' intellittività si riversa nella corporeità, par quasi detto per lei. In certe scene un po' violente, in ispecie, quasi ogni parola è accompagnata da un gesto.

Si direbbe che quelle sue braccia lunghissime sono le ali della sua intelligenza, destinate a portare a ogni spettatore il significato di ciò che essa dice. Muove, agita le mani, ia certi momenti, come un prestidi- gitatore ; non può tenerle ferme un istante ; o le batte runa contro l'altra, facendo quelli schiocchi, che mi pare abbiano anche un po' troppo del familiare, o le batte sui tavolini, o le attacca alle porte, o le lascia correre lungo le poltrone, o se le striscia lungo il viso, 0 le alza, a ogni istante, per accomodarsi un capello, che è sempre al suo posto, o piglia e posa di continuo questo o quell'oggetto. Mi dicono che, la sera, la parte di lei più stanca, almeno in certe sere, sono le mani e che, prima d'andar a letto, se le leva e le chiude in un astuccio di velluto. C'è chi so- stiene che quelle mani sono artificiali, poiché, vere, non potrebbero reggere a tanto lavoro.

Non credo che stia in questo il verismo; ma posso ingannarmi.

Però essa ha il fascino, un fascino inesplicabile, che tutti sentiamo dinanzi alla grande incantatrice, si direbbe che' essa porta con un talismano pel quale costringe all'ammirazione di i più restii, i più dubbiosi, i più timorosi di darsi a certi entu- siasmi : e forse questo talismano è il suo sorriso, ammaliante, lo sguardo che illumina la sua mobilis- sima fisonomia di un bel raggio d' intelligenza, forse è la simpatia che emana dalle fattezze, da tutta la poetica persona di lei. Questo talismano fa che il pubblico l'ama per ì suoi stessi difetti, ombra forse necessaria alle sue splendide qualità.

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Come diceva in principio, agli spettatori, e, sopra tutto, alle spettatrici sembra in quell'attrice, che ha un tal segreto e espressioni ineffabili di verità, scorger la propria anima: sembra che quella forma pallida, triste, bella, la loro anima l'abbia vestita per rivelarsi a loro stessi e agli altri.

La Duse ha già quello, che è proprio soltanto dei veri artisti : sa ottenere grandi effetti con la sem- plicità. La sua riputazione è già immensa, il suo nome già caro,, popolare, dacché basta ella reciti in un vec- chio lavoro, Fedora, Amore senza stima, perchè il pubblico riempia il teatro, non vi lasci un sol posto vuoto, a prezzi non ordinarli: applaudisca, si esalti, esca, magnificando l'attrice inspirata e ciò le accade in Italia, in Austria, in Germania, in Russia.

Da certe sue rappresentazioni la folla esce commos- sa, inebriata dall'artista, ma trepidante, vibrante di di- scussioni : et tradit mundum dis]Jutationibus eorum. È la ventura di chi sa trionfare sinceramente !

A coloro che urlano: ci manca il repertorio, che credono debba cominciarsi la riforma dell'arte dram- matica dall' eccitare a scrivere commedie, risponde questa nobilissima attrice, entusiasmando gli spettatori con una commedia vecchia, e anche mediocre, costrin- gendoli a udirla, non solo, ma rendendoli impazienti di riudirla. Così ella torna alle antiche, meravigliose tradizioni del teatro italiano, quando si andava al teatro unicamente per sentire, veder un attore, un'at- trice spiegare la virtù dell'arte loro. Essa ci rende un raggio della nostra gloria, in un periodo nel quale Y individualità dell'attore era scomparsa: essa ci offre quello che pareva ormai miracolo, che da molti non si voleva più credere, ammettere, vale a dire: che la produzione più vecchia, basta all'ingegno, all'inspi- razione di attori nuovi, che sanno infondervi la vita.

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Il pubblico non ha bisogno di nuove scene: gli bastan le vecchie, pur che le senta dir bene: quel che desidera, quello che lo attira, è di vedere i caratteri^ di sentir l'anima, il palpito del cuore di un artista. Nella forma poco ormai c'è da rinnovare al Teatro.

Il pubblico è sempre colpito, in un altro ordine di idee, da ciò che è nuovo, e questa attrice lo porta di un subito in un mondo eh' è nuovo: gli stessi suoi difetti non sono comuni ; mentre gli altri attori del nostro tempo si somigliano anche in ciò : hanno quasi tutti gli stessi difetti. È l'unica artista che sappia oggi farsi applaudire, e chiami il pubblico al teatro per viì'tù propria, prescindendo dal lavoro, che interpetra.

Ha finezze di dizione tali, in certe scene secondarie, a cui nessuno, gli altri attori, ne gli autori forse han pensato, che mostrano quanta sia profonda la sua intelligenza e la sua coscienza d'artista. Sono questi appunto i tratti, a cui si riconoscono gli artisti ori- ginali, serii, innamorati dell'arte loro, che recitano per rispetto di verità, non per esca d'applauso.

III.

Vi ripeto, essa non è un'attrice compiuta, i suoi mezzi non sono grandissimi, non v'è nella sua per- sona quella proporzione armoniosa, che si nelle scuole a modello della pura bellezza.

Ma poche attrici credo abbiano mai saputo più di lei commovere in certi momenti : trovare una più rara, eletta misura tra l'affetto, la inspirazione, la verità ; in altri par che s'abbandoni all'istinto, pare esausta dallo sforzo che ha fatto, o contenta della poesia, del sentimento, della virtù d'arte, che ha già saputo trasfondere nel cuore degli spettatori.

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Ella è l'attrice moderna per eccellenza, l'attrice che sente come sentono, per la più parte, quelle spettatrici languide, pallide, o sapientemente dipinte, coi grandi occhi irradianti la passione, che l'ascol- tano sì attente ne'palchi, e che sembrano ipnotizzate nell'ascoltarla. Queste commedianti, che hanno l'abi- tudine di recitare in un Teatro più vasto, e che hanno tutte, più 0 meno, una grande maestria, si direbbero venute a studiare, o a sentir ripetere certe grida della passione, sopra tutto dello sdegno, dell'ironìa, del sarcasmo : d'una passione, che si ribella ; espressioni nelle quali la delicata, originale attrice non ha pari.

Le donne formano la più poderosa e la più attraente falange nella gran moltitudine di coloro, che l'am- mirano. Esse l'intendono forse meglio di noi, ne in- tendono, quasi ne indovinano tutte le più sottili finezze. La signora Duse è potentissima nel ripetere le loro rivendicazioni. In ogni lavoro, in tutte le scene, nelle quali una donna discute con un uomo le ingiustizie ond'egli l'ha oppressa, difende stessa, o accusa; che è la miglior maniera trovata dalle donne per difendersi (in ispecie quando hanno torto) la signora Duse, l'ho già detto, arriva ad un'eloquenza, ad una varietà, ad un magistero, ad un'energia ed efficacia nella dizione, che i più torpidi, i più restii all'ammi- razione debbono applaudirla.

La freddezza del sarcasmo, la vivacità delle accuse, la crudeltà delle minacele, de' sillogismi fondati sulla logica femminile, che è tutto il contrario della logica umana, sono interpetrate con la massima foga, con perfezione d'arte, con impeti di verità.

Bisogna vedere come le donne pendono dal suo lab- bro, come l'ascoltano, come applaudiscono l'attrice, che sa parlare bene, ripetere con tanta felicità di

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accento ciò che esse fingono di creder vero! Però la Critica, che discute molto, e forse aspramente, la signora Duse, trova, nel sesso a cui tutti dobbiamo una madre, e anche molte altre cose che non c'in- spirano il medesimo culto, le più acerrime contradit- tricì. Mi direte che la Critica, non una certa Critica aspra, indotta, villana, ma l'altra può aver ragione. E le donne la combatteranno anche di più : esse, in generale, sono nemiche di tutto ciò eh' è un po' ra- gionevole. Se domani avesser l'impero del mondo, sarebbero occupate a costruire, prima di tutto, pic- cole cellette per rinchiudervi i pochi sani di mente, che ci fosser rimasti.

Però andiamo oltre, ma teniamo conto di questo omaggio di simpatia, d'attenzione, che la più bella parte del pubblico tributa a una attrice delle più in- dividuali, delle più intelligenti, delle più simpatiche, che abbiamo avuto da molto tempo.

L'attrice ha prima di tutto quel certo fascino inespli- cabile, di cui dicemmo, e un'arte che è somma, ove ri- splende in tutta la sua potenza. Nella Susanna d'Ange del Demi-Moncle, nel personaggio di Odètte, come essa è grande ! Quanta seduzione, quanta grazia, quanta forza felina, per così dire, accoppiata a una suprema finezza ed eleganza, nel personaggio di Susanna! Nel personaggio di Odètte che commozione sincera e che profonda, tormentosa passione ! Poiché essa interpetra la passione con una verità, che vi rapisce e vi stra- zia, quando non deve salire alle più inaccesse altezze del dramma poetico, come ì\q\V Abbadessa di Jouarre. Questo dono forse non le manca, però non è in lei ancor bene sviluppato ; anche i grandi artisti si for- mano, e si perfezionano lentamente.

136 Eleonora Duse

Gennaio 1890.

.... E già che abbiamo parlato di belle persone e di belle voci, vediamo come un'attrice incomparabile, senza esser bella nel senso assoluto della parola, senza aver una voce suonante, potentissima, sia riuscita a poter conquistare tutti i cuori, a vincere tutte le am- mirazioni, a doventar segno d' invidia : a superare ove volle tutte le attrici che aveano su lei il van- taggio di certe doti fisiche.

Parlo di Eleonora Duse: della affascinante, della inebriante, della sirena incantatrice.

Gloria alla grande, ammaliatrice artista!

Essa è ora in Egitto : nella terra ove furono i mimi, i commedianti più vetusti, che ricordi l'antichità ; è nella terra, ove Cleopatra, anch'essa, bella, di plastiche perfezioni, ma che aveva la grazia, la vi- vezza dello spirito, lo splendore della intelligenza, il fascino, si rese irresistibile.

Guardate Eleonora Duse : uditela parlare, chi di voi la direbbe l'eroina d'ogni dramma, d'ogni commedia, che le piacerà tentare dinanzi alla ribalta: chi di voi riconoscerà in lei e la soave, timida Pamela, che so- spira, trema, e gorgheggia il suo idillio ; e la feroce Fedora, spasimante, ruggente nella sua passione; e quella scettica Francìllon, di cui ogni frase par un soffio gelido che debba spengere ogni fiamma di puro, di semplice affetto?

E pure Eleonora Duse non è bella, ma è incante- vole : è eloquente, è versatilissima : la sua voce non è sonora, non è regolarmente melodiosa, ma vi com- raove, perchè nella sua voce c'è la sua anima!

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Non è bella, ma la fisonomia di lei, che l'Arte tra- sfigura con uno splendore della sua luce divina; il suo sorriso che è, mi sia lecito il dirlo, un baleno d'intelligenza, mi attraggono più che le composte, fredde perfezioni di certi modelli d'Accademia.

Essa è bella perchè l'Arte la rende tale: un'altra donna, che avesse le sue forme, i suoi lineamenti, sarebbe insignificante: essa è bella, ed è efl^cace, ideale sulla scena perchè è una donna di genio.

Ora è andata a riconfortarsi al sole d'oriente, la cara, poetica, languidissima, delicata creatura. Che essa acquisti una fibra forte come il suo ingegno: è il voto che faccio alla Musa Italiana!

Intanto Eleonora Duse ha recitato 1' Odètte del Sardou agli egiziani. Come certi cantanti, che hanno un organo difettoso, e pur imparadisano per la finezza dell'arte loro, tale è Eleonora Duse anche neWOdètte. Oh, noi ricordiamo il suo dialogo musicale con Bè- rengère, quel dialogo ov'essa mette un accento patetico, e si drammatico; ove spiega tutta la dolce tenerezza del suo sentimento....

Il Phare d'Alessandrie ha su questa Odètte un'os- servazione che va raccolta, tanta n'è la verità.

« La recitazione della Duse è singolarmente comu- nicativa: sembra che l'Arte non vi entri per nulla ; che l'artista essendosi al tutto identificata nel iiersonag- gio di cui è l' interpetre, pianga le lacrime e soffra i dolori di esso; quindi i suoi accenti sono irresistibili.

« Essa non è più la Duse: è V Odètte del Sardou; ride, sorride, soggioga, piange, singhiozza, con tutta la sua anima, e il pubblico piange, sorride con lei, l'applaude in modo frerielico. »

Aggiungo : tutte le rappresentazioni della Duse in Egitto furono un trionfo.

138 Eleonora Duse

E ha ragione il critico che nella Duse rileva la potenza, l'arte di identificarsi nel personaggio.

Tommaso Salvini ebbe, e in grado altissimo sopra tutti, questa facoltà d'intendere le piìi piccole sfu- mature di un personaggio, di sviscerare un carattere, d'appropriarselo e renderlo in ogni ragguaglio. E rese vari caratteri, con precisione e forza, che può chiamarsi, senza esagerazione, michelangiolesca.

Eleonora Duse, in un altro repertorio, più facile e men vasto, fu d'una verità, d'una schiettezza d'arte, d'uno slancio di sentimento che doveano esaltare i pubblici, traviati spesso dietro il barocco o il me- lenso, ma che rendono sempre giustizia a ciò eh' è originale, pensato, preparato con studio!

Qual differenza fra Eleonora Duse e le prime donne asmatiche, le prime donne che fanno le bambole (po- verine) recitano \q pochades in vestiti, più o meno scollati e che dimostrano come sarebbe venuto il tempo di tirar un velo su certe rovine; che diffe- renza da Eleonora Duse alle tartagliatrici, alle mac- chinette a vapore^ che dicono, o meglio trinciano, cinquecento parole al minuto secondo.... Ohimè!

Per fortuna che fra i giovani, dopo Eleonora Duse, ci rimane Ermete Novelli, il quale, secondo il suo parere, ch'è pure il nostro, basta a riempire tutti i vuoti nel Teatro italiano!

Febbraio 1890.

Eleonora Duse dall'Egitto è andata in Ispagna. Un collaboratore del Pais ha avuto una conversa- zione con la nostra grande attrice. Di primo acchito, le ha detto :

Lei è oggi la prima attrice italiana!...

Ricordi Critici e Umoristici 139

Naturalmente, Eleonora Duse è andata subito in collera a questa sanguinosa ingiuria.

La prima ?... ma no ha risposto la poetica {il proto non mi stampi: la politica) attrice. Ci sono la Pezzana, la Marini e.... la Glech.

Tutte aggiunse la Duse sono attrici insigni e meritano occupare il medesimo posto; non v'ha nulla più arduo del tesser certi paragoni; il pubblico, quando vede un' attrice e la mette a confronto con un'altra suol ca- dere in spiccate ingiustizie. Nell'arte scenica la impres- sione ricevuta non si serba con fedeltà; vi hanno molti spettatori che ricordano i meriti e scordano i difetti d'una attrice, o viceversa !

A questo punto scrive il giornalista spagnuolo Eleonora Duse si mise a guardar le lampade elet- triche.

Lei non si può figurare ella disse quanto mi molesta il rumorio del motore elettrico. Abomino tutti i progressi del secolo.... {come, come Eleonora f cos' e questa nuova corrente.... non elettrica?...) e non posso guardare le nuove lampade senza sentirmi male. Forse si rideranno di me (un pochino, Eleonora, ma come gente che vi vuol molto bene!) ma dichiaro che son molto reazionaria.... {oh ! oh !), e che mi piace molto l'antico. Vengo dall'Egitto e ho visto le piramidi ; ma pavento il giorno in cui le de- moliranno per costruire, co' pezzi, di quelle fabbriche nere, che già gl'inglesi possiedono nella terra dei Faraoni.

Il giornalista, cosi spagnuolo ed ingenuo da voler trovar la logica piìi rigorosa nelle dichiarazioni, nelle aflermazioni di quell'adorabile testolina le ha risposto :

O allora, se le piace tanto l'antico, perchè ella predi- lige il repertorio moderno?

Eleonora Duse non è però donna da lasciarsi fa- cilmente mettere in imbarazzo da giornalisti, siano pure spagnuoli, o di rimando ha osservato.

140 Eleonora Duse

E che vogliono ch'io faccia? Il Teatro classico non piace al pubblico. Lo Shakespeare, sublime e umano, non commuove, non impressiona [davvero Eleonora?... ne siete certa f): il nostro Carlo Goldoni, tanto spiritoso e deli- cato, non è tollerabile in Italia (!?): e lo stesso jdosso dire degli altri (! ! ?) Leggo i lavori de' nostri antichi, ma non li rappresento, perchè, oltre che attrice, sono impresaria ! Pamela e Antonio e Cleojyatra non entran nei conti : sono miei capricci, o, per meglio dire, mie devozioni. {Brava : la correzione mi piace: e quasi, quasi era necessaria!)

Alcune parole della Duse ci sembrano degne di es- sere studiate dalle nostre giovani attrici, che seguono il barbaro sistema di recitare all'improvviso, senza preparazione, senza opera di riflessione. Comporti il lettore che insistiamo sovente su tal punto.

Prima di far una parte del repertorio moderno, cosi complessa come quelle di Federa, di Odette, di Cesarina, o d'altri lavori francesi, procuro di studiar il carattere, o meglio viverlo per qualche tempo. Non ho rappresentato alcun personaggio, prima di aver potuto rendermi conto delle sensazioni, delle inconseguenze di esso, se ne ha, delle sue passioni, per mostruose e assurde che sieno.

Ed ecco perchè, dico adesso io, con la sua concen- trazione, con la potenza della sua riflessione, essa è riuscita ad esser vera, efficace ; quindi nuova, origi- nale in parti che altre attrici avean ripetuto a sa- zietà, con minore effetto !

Un giornale, molto letterario, di Madrid : Et Glòbo, scrive, a proposito della nostra attrice: « Tutto, tutto in Eleonora Duse è filigrana di arte ; ispirazione di- vina. » Come il divino e la filigrana vadan d'accordo s'intende poco.

La Duse piacque agli spagnuoli nella OclHte, nella Fedora, nella Signora delle Camelie, nel Divorziamo, nella Dora: e tutti riconoscono la sua ammirabile

Ricordi Critici e Umoristici 141

semplicità, la sua forza nella « ironia ; » i critici più esperti lodano ciò che in lei è lodevolissimo : lo stu- pendo sentimento della verità, pel quale essa non sa- crifica mai la sua dignità d'artista, il suo concetto del bello, del reale, agli espedienti onde si guadagna dalla turba l'applauso.

Testé Eleonora Duse recitava in Ungheria,

Si sono pubblicati i gìudizii di alcune attrici un- gheresi su di lei,

I giudizii sono corti; come, in generale, i giudizii delle attrici,

Eccone un saggio :

Cornelia Preste: La Duse ha schiusa una nuova era, è maestra di una nuova scuola del tutto diiferente da quella francese e tedesca, perchè è la vera scuola che ta ammirare il vero, il vero senza falsità.

Maria Hegyesi: Oh Duse! lo m'inchino dinanzi a te, tu sei il mio Dio!

Serek A Fay : E la più grande artista che mente umana possa ideare (! !) nessuno potrà mai sorpassarla (!!)

Italia Naqy: Applausi, Za^rme, ^aitro, tutto e troppo poco per Eleonora Duse.

Non so perchè, dopo tutto questo, S. M. la Regina Vittoria, Imperatrice delle Indie, che occupa il più bel trono della terra, non ne scenda, per offrirlo a Eleonora Duse, che vi avrebbe forse maggior impor- tanza; ma vi occuperebbe di certo meno spazio....

Uria delle attrici ungheresi e non si può esser più.... ungheresi di così, esclama : 0 Duse, tu seiilìnio Dìo!

Chi sa quanto dispiacere questa concorrenza di Eleonora Duse, che non ha noppur creato.... la Si- gnora delle Camelie, deve fui- all'altro Dio, cui doh-

142 Eleonora Duse

biamo soltanto, almeno secondo certe voci, la piccola creazione del mondo !

Ma forse l'entusiasmo delle attrici.... ungheresi, più che una questione d'arte, dev'essere una que- stione di lingua.

Può darsi che la lingua ungherese si presti a certe magnificazioni: che lo spingersi cosi avanti sia pro- prio l'essenza di quelle belle nature.

È vero che, conoscendo le donne, e in specie le prime donne, si può dubitare se abbiano inteso ma- gnificar Eleonora Duse, o burlarsi di lei. Ma io sto per la prima ipotesi.

Ammettiamo pure che Eleonora Duse è un Dio : il nostro Dio, come dice la cara attrice ungherese. E prepariamoci a entrar nel suo culto!

Ammettiamo pure che a Eleonora Duse tutto ob- bedisca: il cielo, la terra, il mare, ogni elemento; uno solo le resiste : forse quello della grammatica, che mancava nelle lettere della simpatica, affascinan- tissima attrice, fatte, talora, pubblicare ne' giornali.

Ma non si può essere in tutto perfetti ; e Eleonora Duse ha già splendide qualità.

È vero che un Dio si può immaginare infinitamente superiore a tutto; anche alla Sintassi.

Poi la Duse è un'attrice di cuore. E il cuore non Ila ortografia!

<^IOVANNI IMMANUEL

^ ON v'ha esempio, nella storia della nostra Arte @JY drammatica contemporanea, d'un attore che, come Giovanni Emanuel, in breve spazio di tempo, sia salito a tanta fama, e si sia tanto avvantaggiato nell'arte sua, fra le difficoltà, gli ostacoli d'ogni ma- niera, mentre decadeva, o si corrompeva ogni prin- cipio, che avea ispirato, formato i grandi, gl'illustri attori, onore della scena italiana.

Come Giovanni Emanuel ha conquistato in si breve tempo il pubblico.... com'è riuscito a farsi applaudire, a lasciar sempre nuovo desiderio di nel pubblico italiano e nel pubblico del Brasile, del Messico, della Repubblica Argentina, e del Chili, della Nuova Gra- nata, e dell'Avana ?

È il suo segreto : un segreto, che facilmente, forse inutilmente, potrei io rivelare agli attori, che oggi presumono battere la stessa via : segreto che consiste nello studio, nella volontà pertinace di migliorare se

144 Giovanni Emanuel

stesso, nel raccoglimento delle facoltà intellettuali tutte assorte, rapite nelle cose dell'Arte.

Attore invidiabile, di una tempra felice e che pensa, non si l'istrinse soltanto all'antico: prestò con entu- siasmo il suo ingegno, la sua eloquenza di dizione e di gesti, all'ingegno, all'eloquenza di scrittori, suoi con- temporanei.

Ed è cosi che dev'esser l'artista: non intelletto chiuso, strimizzito, soffocato nelle angustie di una scuola, ma libero, aperto a tutte le ispirazioni, ca- pace di sentire tutte le bellezze, disposto a tutte le interpetrazioni, che possano essere informate alle vive ragioni dell'Arte.

Il pubblico risponde a certi ardimenti, li favorisce, li segue, allorché chi li tenta è avvalorato dall'in- gegno e dall'esperienza: ride delle ingenue, temera- rie baldanze.

Il pubblico non è attirato, se non da quella forza, che l'artista ha nella sua fama. La fama ? Cosa molto agevole a ottenere, dicono gì' intelletti abortiti, o as- siderati, 0 impotenti, i quali, a proseguirla, spesero indarno tutti i loro sforzi imbelli ; ma non si ottiene, se non col lungo tirocinio, col lavoro costante e se- vero, con l'abnegazione di tutto stesso a una no- bilissima idea: e non si serba da un artista, se non col migliorarsi ogni giorno di continuo, con l'affinare il suo ingegno, rinverdir le sue doti.

La vita dell'artista è una lotta continua per arri- vare a sempre nuova perfezione: se questa lotta lo stanca, la fama lo abbandona.

Però il critico deve essere abbastanza avveduto per poter giudicare, non soltanto quello che è oggi un ar- tista, ma quello che potrà esser domani, s'egli ha la forza di sviluppare certe facoltà, di cui già si

Ricordi Critici e Umoristici 145

scorge lo splendido germe, I giovani artisti appassio- nati, pieni di fantasia, eclettici verso ogni maniera di bello, e che vengono innanzi con la febbre del rinnovare, poiché sentono che l'Arte può sempre an- dar innanzi, e che niuno può pretendere d'avervi detto Tultiraa parola, non possono esser compresi, convenientemente incoraggiati se non dal critico il quale ha fede nell'avvenire : e sa ove poggiare questa sua fede.

Ma a quale altezza di fama sia arrivato fra noi Grio- vanni Emanuel n'erano riprova, a non parlar d'altro, le sue prime recite dell'Odetto, del Re Lear in Italia.

Gli spettatori non vi assistevano spensierati, disat- tenti, ma raccolti, silenziosi, come se avesser l'an- sietà di scoprire, di gustare tutte le bellezze, tutte le situazioni di un lavoro nuovo.... e si infuriavano contro chiunque con un rumore intempestivo veniva a distrarti dalla loro attenzione, come se proprio stesse loro a cuore di non perder una sillaba di ciò che diceva l'attore, un'inflessione, un ac- cendo nel modo ond'egli lo diceva.

Giudicate voi, se questa non è la piìi alta espres- sione del successo, e della stima, dell'ammirazione, che il pubblico nutre per un artista.

Egli è che Giovanni Emanuel è arrivato, a poco a poco, con l'amore, la passione, e insieme il ri- spetto, che un artista deve avere verso i capolavori, a certe interpetrazioni.

Egli é che ogni spettatore sa ormai di trovarsi di- nanzi a un attore, che non esce in scena, dopo aver dato in fretta un'occhiata alla sua parte sotto uno dei lumi, risplendenti fra le quinte, e che non ha fatto forse altro più profondo studio.... no, lo spet- tatore sa di trovarsi dinanzi un artista cosccnzioso, :o

146 Giovanili Emanuel

un artista che pensa e che, prima di tutto, vuol es- sere convinto egli stesso di ciò ch'egli fa, un artista che ha studiato, non periodo per periodo, ma parola per parola la sua parte.... e anche quelle degli altri.... ne' lavori che rappresenta.

In tal guisa, la recita d'un capolavoro, doventa una discussione ; una discussione tutta mentale, se volete, ma a cui gli spettatori, o almeno un gran numero di spettatori s'appassionano, fra l'artista ed il pubblico.

Ecco dice l'artista, o il pubblico indovina il suo pensiero come io credo debba interpetrarsi, rendersi questa scena : ecco come io penso debba ge- stire, parlare Otello, ad esempio, in tale e tale in- contro !

Lo spettatore ha veduto già altri Otelli, e gran- dissimi : non gii ha punto dimenticati : anzi ne vede sempre, con l'occhio dell'intelletto, le perfezioni: quindi egli, durante la recita, ha una vera attrattiva: l'attrattiva per chi ama l'Arte di giudicare fra i varii metodi, i varii espedienti, onde le varie scuole pro- seguono il vero ed il bello.

Poi la discussione si accende : si paragona, si sce- vera : si accusa o si esalta con le rimembranze : per virtiì d'un artista si torna a tempi, in cui le con- versazioni, i dissidii sull'Arte aveano l'importanza che oggi usurpa il ciarlìo ridicolo su la cosa pubblica.

Così le recite di un vero attore hanno per ottimo effetto, fra gli altri, quello di alimentare, avvivare nel pubblico il sentimento dell'arte.

La disputa più degna d'attenzione è quella che sorge, in tali congiunture, fra i giovani e i vecchi, e anche tra i giovani, i quali invecchiano prima del tempo, e i vecchi che serbano una gioventù inespu- gnabile.

Ricordi Critici e Umoristici 147

Vi sono quelli che dicono: tutto fu già fatto e bene, anzi ottimamente ; non resta più nulla a fare : chi può osare, senza temerarietà, dopo Ernesto Rossi, o Tommaso Salvini?

Ci sono gii altri, e ne abbiamo avute prove in ar- ticoli strampalati, che si pubblicarono, anni or sono, non ih Firenze, i quali sostengono che Ernesto Rossi 0 Tommaso Salvini furono accademici.... e che quindi, la palma è tutta de' giovani, i quali rinnovano, dirò meglio, se mi permettete, rivoluzionano il teatro : poi- ché tutto oggi dev'esser rivoluzione: essa rovescia i troni e l'ortografia!

Non intendo già come s'accozzino insieme i nomi di Tommaso Salvini e di Ernesto Rossi, nel ventilar certe discussioni : poiché questi due sommi seguirono ciascuno, nella loro recitazione, un metodo molto di- verso : il che indica come, eziandio piegandosi a' pre- cetti d' uno stesso maestro, rimanendo custodi scru- polosi di certe tradizioni, non si perda l'originalità.

Niuno può dire che i due piìi celebri fra i nostri attori abbiano avuto, o abbiano eguale potenza : e ciò mostra che, non ostante la conformità d' insegnamento, non ostante l'assenso su certe massime fondamentali, l'attore s'inalza soltanto, secondo che ha virtù pro- pria: e si libra più alto, secondo che la sua indivi- dualità ha in maggiori armonie per intelletto, per studio, 0 per natura.

Il nostro pubblico va oggi al Teatro disattento, poco curioso, più per passare il tempo in generale, che per trovarvi una commozione profonda. Qual' attore esso ascolta con ansietà, con viva attenzione ? Citate il Ferravilla, Eleonora Duse, Ermete Novelli e poi.... e poi....

Qual virtù i)ro[)ria deve avere Giovanni Emanuel,

148 Giovanni Emanuel

se è riuscito a destare alte discussioni, a far ac- correre tanta gente per udirlo, a strappare, malgrado la parziale contradizione, applausi fragorosi?

È questo il momento di parlare di tale artista, poi- ché la gloria gli si mostra si propizia, si prodiga delle sue carezze : e poiché il pubblico si occupa tanto di lui.

C'è chi lo dipinge come un infonnatore del Teatro di prosa: egli non ebbe mai tal pretenzione. Egli sug- gerì, tentò attuare cei'ti provvedimenti, che dovean crescere decoro all'Arte, ed erano savii, temperati. Vedremo.

Si allega ch'egli ha dichiarato la guerra ai sommi attori viventi : che vuol loro apprendere un nuovo e vero modo di recitare. Inezie ! Giovanni Emanuel è il discepolo più devoto, l'ammiratore più ardente e rispettoso che abbia fra gii artisti italiani Tommaso Salvini.

Prima d'entrare in certe discussioni, studiamo un po' la vita di G-iovanni Emanuel. Il pubblico, che plaude tanto all'esimio attore, mi sarà grato di dargli certi ragguagli.

Giovanni Emanuel è nato nel febbraio del 1849. Non so il giorno e me ne duole pel caso in cui i posteri più lontani volessero, proprio per l'anniversario del suo natalizio, inalzargli un monumento!...

Fu impiegato, volontario, in un ministero: ma, dopo 6 mesi, si accorse che quel tenore di vita non era per lui.

Si era permesso varie scappatelle su la scena : non avea inorridito dal recitare come filodrammatico.

Capitò a Torino il gran maestro di tutti i giovani attori italiani, in tal periodo, Luigi Bellotti-Bon.

Cercava, fra i dilettanti, giovani in cui fosse la stoffa d'attori, per la sua Compagnia. Luigi Belletti-

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Boll era come Virgilio che sapea trovar le perle nel fimo di Ennio. Fra la caterva de' dilettanti, egli seppe trovare più d'una volta giovani degni d'esser da lui educati all'Arte drammatica.

Nel 1866, a diciassett'anni, Giovanni Emanuel re- citava assai umilmente all'Arena Alfieri di Livorno. Si trovava già in mezzo a grandi artisti, recitava accanto a Luigi Bellotti-Bon, a una Pezzana, a una Fumagalli. '

Il Bellotti gli affidava le parti di generico, di amo- rosetto, di brillante : e gli sembrava che a queste ul- time avesse peculiare inclinazione.

Gli offri scritturarlo come secondo brillante !

Secondo brillante il futuro interpetre dei lavori shakespeariani !

Al principio dell'anno teatrale, si staccava subito dalla Compagnia Bellotti-Bon, e se ne andava primo amoroso nella Compagnia Coltellini.

Noi rammentiamo averlo veduto nel 1868 su la piccola scena del Teatro Rossini di Firenze, in una Compagnia nella quale era prima donna Laura Bon, e primo attore Gustavo Bianchi.

Quali rimembranze si debbono oggi ridestare nel- l'animo dell'esimio attore, passando per quella via d'Ognissanti ove è stato distrutto il teatro, in cui, succeduto al Bianchi, ebbe i suoi primi trionfi come primo attore assoluto!

Ci sembra vederlo tuttora nella tragedia Brune- chilcle. La parte di protagonista era sostenuta da Laura Bon, creatura soave, poetica, oggi cui'va dagli anni e dagli acciacchi: attrice, ingiustamente dimenticata, e che non ebbe la fortuna pari all' inge- gno: cuore traboccante d'affetti, bellissima un tempo, nel quale era amata, applaudita, e di cui non seppe

150 Giovanni Emanuel

profittare : donna, che sparve dalla scena, ove avea gettato tanta luce, come una meteora, senza lasciare alcuno splendore dopo di : troppo prodiga del suo ingegno e della sua bellezza: degna d'una sorte mi- gliore di quella in cui intristisce la sua vecchiezza: degna che il compianto onde alcuni la circondano fosse men sterile, l'aiuto più efficace.

In quel tratto di tempo l'Emanuel recitò pure nella Diavolina di Napoleone Giotti, il provetto dramma- turgo, il poeta, che troppo presto posò la penna feconda. Forse temette che, fra ì gerghi, de' quali per opera di scrittori e di attori rintronano le nostre scene, non si comprendesse più la sua parola, pura, ornata, schiettamente italiana!

L' Emanuel fu poi primo attor giovane nella Com- pagnia, diretta dal compianto Alessandro Salvini, e finì l'anno.... in prigione.

Recitava con questa Compagnia all'Argentina di Roma: e recitava noìV Elisabetta d'Inghilteì'ra.

Era stato chiamato per la leva militare a Torino : voleva partire. Si opponevano a lui il Salvini e il Boldrini, con cui avea briga anche a motivo della distribuzione di alcune parti : tentò varcare il confine : fu respinto da' carabinieri pontificii.

Nella Elisabetta d'Inghilterra cessa a un tratto di recitare; improvvisa un'invettiva contro il governo de' preti : è arrestato sul palcoscenico e condotto nella prigione di Montecitorio, con gli abiti che in- dossava nella tragedia.

Per fortuna, ci stette soltanto nove giorni. Era il 1870.... Le truppe italiane entrarono per la brec- cia di Porta Pia e liberarono questo inglese del se- colo XVII.... vestito con l'antica foggia.... dalla pri- gione di Montecitorio.

Ricordi Critici e Umoristici 151

I/aimo dopo comparve su le scene dell'Arena Na- zionale di Firenze, e destò la più viva attenzione del pubblico in varii lavori nuovissimi: nel Boccaccio del Bettoli, nel Vizio di Educazione, che il Monti- gnani avea trafugato da un romanzo francese, e ram- mentiamo tuttora le irose polemiche dei gazzettieri : nel Chi sa il giuoco non l'insegni: questa perla del repertorio di Ferdinando Martini: scrittore elettis- simo, de' pochi, nati fra noi, a scrivere per il Tea- tro : e che è da deplorare abbia fatto presto e crudelmente infedeltà alle Muse, che non si vollero, forse, più riconciliare con lui.

Dopo esser rimasto per un anno scritturato col Peracchi, l'Emanuel tornò improvvisamente a Firenze per surrogare un giovane artista eccellente, e che dava tanta speranza di sé, il povero Majone, morto nel modo più repentino, una mattina, balzato dal letto, mencre tuffava le mani nella catinella per lavarsi.

Sostituì il Majone, nella Compagnia Morelli, che recitava al Teatro delle Loggie, ora Salvini: e accanto alla buona Virginia Marini, che era all'apice della sua popolarità, recitò la parte d'Armando nella Signora delle Camelie : creò, per il primo, la sua parte nel Ridicolo di Paolo Ferrari ; e vi fu applau- ditissimo.

Però in tale stagione superava ogni buon successo quello deW Agnese di P'elice Cavallotti, che, sopra tutto per virtù dell'Emanuel, fu ripetuta dieci o do- dici sere.

Da quel tempo, l'Emanuel divenne il prediletto in- terpetre de' lavori del poeta lombardo.

Oh, non credo il poeta ingrato: ma ben ingrato sarebbe davvero, se gli fosser cadute dall'animo le battaglie, che ha combattuto con lui il giovane at-

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tore!... Egli fu il primo, fra gli attori che doveano onorare la scena italiana, ad aver fede assoluta nel- l'ingegno robusto di Felice Cavallotti.

Qual altro, con più zelo, con più affetto, con più fervore artistico di lui avrebbe interpetrato il poema in prosa de' Messeni, e il bellissimo Alcibiade?

Giovanissimo, allora, ma sempre palpitante d'entu- siasmo per l'Arte, affrontò, in tempi ardui per lui, tutti gli ostacoli che offriva l'assetto scenico, dispendioso, la interpetrazione, faticosa e grave di quei lavori.

Uscito dalla Compagnia Morelli formò da Com- pagnia : ebbe prime donne la Pasquali, la Campi. Inaugurò, in Firenze la nuova Arena Nazionale, re- staurata com'oggi si vede.

Con lui, capocomico, furono la Glech e la Marini: la prima imjjarò da lui molto: ma presto ebbe tutto disimparato.

In pochi anni, l'Emanuel corse tutta l'Italia, tor- nando più volte nelle stesse città : sempre amato dal pubblico, sempre discusso con serietà, con affetto dalla Critica.

Finalmente, anch'egli, tratto dal desiderio di usu- fruire della sua rinomanza, che già varcava i con- fini del nostro paese, e aprirsi più larghi orizzonti, partì per l'America del mezzogiorno.

Lo accompagnava qual prima donna Virginia Reiter, attrice incantevole.

Fu a Montevideo, a Rio Janeiro, e in altre città del Brasile, a Buenos Ayres, al Chili, al Perù, nel- l'Equador, nella Columbia, all'Avana, al Messico un

Ricordi Critici e Umoristici 153

II.

In America Giovanni Emanuel, dopo nuovi studii, in- terpetrò 1' Otello, V Amleto, la Morte Civile, il Nerone.

In que' lunghi viaggi, recitando soltanto quattro volte la settimana, egli ebbe agio di riconcentrarsi nello studio, di meditare, di prepararsi con più forte raccoglimento alle sue interpetrazioni.

Da anni, in Italia, avea dovuto recitare ogni sera : una delle cause, per cui le migliori doti, che certi no- stri attori avrebber sortito da natura, rimangono sterili.

Giovanni Emanuel ricavò grande utile da' riposi, che gli concedette il recitare soltanto quattro volte la settimana. Non sarebbe troppo l'affermare ch'egli in America ricominciasse i suoi studii.

Soltanto nel secondo anno delle sue rappresenta- zioni interpetrò per il pubblico americano il Re Lear. Vi s'era preparato con lenta, paziente osservazione. Vi s'accinse con una commozione profonda.

In varie città dell'America recitò nella tragedia Romeo e Giulietta; e vi trionfò insieme con Virginia Reiter, che gli entusiasti critici americani ci dipinsero come la Giulietta più patetica e più ideale.

Ala l'Emanuel non volle, al ritorno, tentar fra noi quella interpetrazione ; teme che il pubblico lo creda troppo vecchio per un Romeo!... Ma a quarant'anni, un attore non è vecchio ; e, prima de' quarant'anni, è difficile che arrivi a conseguire le perfezioni richie- ste da una tal parte.

Abbiamo veduto Ernesto Rossi darci, a quaranta e cinquant'anni, un Romeo sublime. Com'egli sospi- rava quel dialogo meraviglioso, il dialogo poetico, immortale, poiché si ripeterà sempre fra due cuori che si amino, sotto il balcone di Giulietta! Che in-

154 Giovanni Emanuel

flessioni carezzevoli, che impronta di cavalleresca dignità ed eleganza ! e come sentiva subito il pubblico quel soffio di passione, di ardire, quegl' impeti di vo- luttà e di valore, quel sentimento di melanconia inef- fabile, ond' è tutto invaso l'eroe shakespeariano !

Di sicuro, quando Ernesto Rossi, stanco, ma non sazio, continuava dieci anni dopo a ripresentarsi in quella tragedia ci pareva d'assistere, non più diver- titi ma rispettosi.... al Centenario di Romeo!

De' pubblici innanzi a cui l'Emanuel ha recitato, in America, so ch'egli affermava a varie persone esser migliori, cioè più attenti, più appassionati dell'Arte e, quindi, più infervorati nella discussione, i pubblici di Montevideo, del Brasile, del Chili, del Messico.

A Rio Janeiro, ove è in auge la letteratura ita- liana (lo stesso Imperatore avea tradotto, mentr' era sul trono, la Divina Commedia) vanno al teatro tutti insieme, scolari e professori : vanno a udir im attore originale, come andrebbero a udir un oratore famoso ; cioè, con molta serietà d' intendimenti: ascoltano una tragedia dello Shakespeare come una lezione solenne.

Gli spettatori arrivano al teatro un quarto d'ora prima che cominci lo spettacolo, non volendo perder nulla della gioia estetica, che si aspettano: non vo- lendo turbarla con rumori.

A Rio Janeiro, a Santiago, professori, studenti in- vitarono l'Emanuel a visitare le Università: lo accol- sero con molto affetto.

Al Brasile potè sfruttare la simpatia, di cui go- deva, per una causa nobilissima: l'abolizione della schiavitù.

La sera della sua beneficiata liberò due schiave, che •avea fatto comprare dalla Società d'Emancipazione per tremila lire.

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Parlò al pubblico, impaziente di udirlo : e parlò dal palcoscenico per la prima e l'ultima volta, poiché l'Emanuel sa che un attore serio ha sul palcoscenico una sola missione ; quella di saper bene la parte e di recitarla con fedeltà, con ardore di verità.

A far discorsi, gli attori spesso consumano una Voce, che poi non ritrovano per adoperarla più util- mente. E mi s'assicura che ce ne sono illustri esempii !

Le due infelici, liberate dall'Emanuel, erano pazze dalla gioia, e vollero comparire con lui alla ribalta.

L'atto generoso dell'artista italiano piacque alla Sovrana Reggente, tutta propensa all'abolizione del mostruoso traffico di creature umane : irritò il mini- stero reazionario.

Ma l'abolizione fu poi decretata: e l'Emanuel rice- vette dalla Reggente un telegramma, nel quale l'au- gusta' signora gli comunicava l' importante, grata no- tizia e gli aggiungeva com' ella rammemorasse i voti dB, lui fatti perchè fosse posto fine a tal barbarie.

La popolazione di Rio Janeiro già aveva provato al grande attore di qual animo fosse verso di lui.... Una sera, all'uscir dal teatro, fu ricevuto da moltitudine entusiasta. Centinaia di ammiratori, di amici, porta- vano fiaccole; un nove o diecimila persone accom- pagnaron l'attore alla sua dimora: vi erano rappre- sentanti della Camera, della Corte: un drappello di truppa apriva quella numerosa processione: i palazzi erano illuminati.

Non è mai stato fatto tanto dicea l' Impresario dell'Emanuel per un tenore o per una ballerina!

Non si creda che questi viaggi artistici in America non richiedano una rara pazienza, una rara forza di carattere e molta oculatezza. La pazienza bisogna

156 Giovanni Emanuel

esercitarla nelle lunghe giornate in cui un grande ar- tista si trova a bordo d'un piroscafo, senz'altra distra- zione che gii studii. L'Emanuel è stato in mare, per i suoi viaggi, a varii intervalli, un trecento giorni. Ci vuol pazienza e, in uno, forza di carattere con gli attori, facili alle ribellioni, talvolta astiosi fra loro, piccosi, puntigliosi per la distribuzione d'una parte, e che credono, fin quasi al buttafuori, che i Conti- nenti, l'Europa e l'America, abbiano gli occhi sopra di loro.... e che dal personaggio che interpetrano, dal numero delle frasi, che torturano, dipendano i destini del genere umano, e l'avvenire dell'Arte.

Ci vuole oculatezza per le grandi spese che occor- rono ad ogni tratto : per andare da Panama a Colon, circa tre ore di ferrovia, con la Compagnia e il ba- gaglio, l'Emanuel ebbe a pagare lire quattordicimila.... e in oro.

L'Emanuel nutrì sempre un concetto: quello d'isti- tuire una Compagnia stabile in Italia, raccogliendo i migliori attori. Tornato la prima volta dall'America, cominciò di nuovo il suo giro artistico in Italia e lo cominciò da Roma. Voleva cercar modo di tornar in vita la Compagnia Naziojiale: o una Compagnia, for- mata con il medesimo intento. Almeno per sei mesi, r Emanuel avrebbe voluto che la Compagnia recitasse su la scena del Teatro Nazionale di Roma. Ben inteso, egli non avrebbe domandato a ninno sussidii : si sa- rebbe posto all'impresa, con i mezzi suoi proprii, af- frontando ogni rischio come capocomico.

La Compagnia, formata dall'Emanuel, avrebbe po- tuto certo rispondere al maggior incremento dell'Arte: poiché a un tal attore, di moltissimi pregi, non v'è oggi alcuno che possa stare a pari come maestro, edu- catore di uiovani.

Bicordi Critici e Umorisfici 157

Ma l'Emanuel non trovò in Roma molto favore alle sue idee, che, per lo meno, erano ben generose.

Mentre si deplora, e a buon diritto, che oggi non vi sia su la scena chi abbia autorità, e una luminosa intelligenza per dirigere gli altri, Giovanni Emanuel ha addimostrato ciò che egli può eziandio come capo- comico.

Fin che stette con lui la signorina Graziosa Glech non fu grandissima attrice, ma seguiva un metodo semplice, vero, che facea molto sperare di lei: spe- ranze che quella gentile attrice ci tolse con troppa rapidità. Abbandonò l'Arte, ma l'Arte già l'avea ab- bandonata.

Virginia Reiter è la vera, la più affettuosa alunna di Giovanni Emanuel : ed è stata degna del maestro. Essa ha saputo proflttare di autorevoli lezioni, che si rivolgevano a un intelletto ben disposto ad acco- glierle e a farle fruttificare.

L'aver coltivato, reso si felicemente produttivo un tale intelletto, è fra le opere artistiche più preziose, che Giovanni Emanuel, nel suo squisito sentimento di capocomico, abbia compiuto.

Taluno mi dirà che Virginia Reiter non è in tutto perfetta: che, adorabile, impareggiabile nel rendere certi tipi poetici, soavi, comici, lascia un po' a desi- derare in qualche scena allorché raffigura in un personaggio molto drammatico, o ha una parte forte, come si dice nel gergo teatrale.

Vi risponderò, prima di tutto, che Virginia Reiter ha un difetto, di cui ci si sbarazza facilmente, a poco a poco, la giovinezza; e vi risponderò che in parti fortissime, ad esempio quella di Margherita nella Signora delle Camelie, in certe scene, citerò quella che chiude il colloquio fra 'Margherita e il veccbio

158 Giovanni Emanuel

Luval, nel terzo atto, essa arriva a una perfezione, che non fu adeguata mai da alcuna delle nostre prime donne, se se ne eccettui Eleonora Duse; tanto ella è vera, commovente, e tanto l'effetto, che vi ottiene, è nelle piij strette ragioni dell'arte.

Una cosa è da rilevare in tutte le scene fra l'Ema- nuel e Virginia Reiter: e ciò rende giustamente at- tento e palpitante il pubblico alle loro rappresenta- zioni, ciò le ha rese appunto un soggetto di si universale discussione; tutt' e due seguono un me- todo rigidissimo : quello di scansare le imposture, gl'istrionismi, perfino i semplici espedienti, con cui la maggior parte degli attori cercan strappare l'ap- plauso.

Essi vogliono recitare con probità, con assoluta co- scienza artistica.

A ritroso di altri attori, che sempre mettono se innanzi, e soverchiano sotto le più varie maniere di fronzoli la loro parte, questi due artisti recitano come se fossero a dirittura i personaggi, buoni o cattivi, quali essi credono li abbia voluti l'autore: non aggra- vano, non sottolineano, non alzan la voce per destare il facile applauso: recitano, secondo diceva lo Sha- kespeare, come se la natura tenesse loro dinanzi uno specchio. questo specchio è mai appannato da un alito di quella ciarlataneria artistica che consiste nel sopraffare, nello strafare, e che oggi fiotta con tal furore su le nostre scene di prosa.

"Pia ^archi-^JVIaqq:

J

!|aLi presentai puro e semplice (come un ordine del ^ giorno) alla arguta attrice, che tutti conoscono. La elegante signora mi ricevette con molta affa- bilità. E io le dissi il men timidamente che seppi:

Desidero interrogarvi sul vostro passato.

Aprite la Storia Antica ! ella mi rispose con uno de' suoi sorrisi maligni.

Le baciai la mano con ogni reverenza per prote- stare: e, credo, nella distrazione, un po' anche il bellissimo braccio:

Ella ritraendosi, esclamò:

Avete un modo curioso di entrar in materia!...

Infine cominciammo sul serio, o a un di presso. La briosa e gentile attrice esclamò : . Per carità, non principiamo con le date.... Scrivete eh' io v' ho assicurato di aver cento anni....

Ma io non crederò che alla metà di quello che dite !

Veramente io non so quando sono nata.... Ero allora

160 Pia Marchi-Maggi

tanto piccina, che non me posso rammentare. Non ho mai voluto posseder un atto di nascita. E meglio star lon- tani da testimoni d'accusa....

Siete giovane....

Potete pur dire giovanissima: di mente, di cuore, di tutto....

Da quanti anni recitate?...

Vi chiedo il permesso di non ricordarmene.... E già non me ne ricorderei, anche se pretendeste aver trovato il giorno, l'ora, il minuto secondo preciso con le vostre ri- cerche.... erudite.

Ma vi voglio dare una prova di speciale considerazione.... la meritate....

Grazie!...

Col dirvi che ho cominciato a recitare all'età di 3 anni e mezzo. La prima parte del inio repertorio fu questa: dovevo aspettare che uscisse dalle quinte una signora, e gridarle: mamma, mamma!

Com' io proferissi quelle grida non so.... ma par che vi fossi sublime : cagionai un vero delirio. Tutti dicevano sa- rei andata molto avanti.... Poi, son rimasta li....

Ma io parlo con un angiolo.... di modestia!

Sono modesta, e me ne vanto!... A 5 anni, a Vicenza, recitai nella Figlia di Domenico. In questa commedia io faceva varii caratteri, parlava francese, veneziano, anche italiano.... Sin d'allora si rivelava in me la propensione, che ho avuto sempre, come tutti sanno, alle lingue....

Non posso dirvi quando, ma posso dirvi che son nata.... a Verona: e, per il trionfo ottenuto nella Figlia di Dome- nico, ebbi la cittadinanza di Vicenza e mi fu coniata dal Municipio una medaglia. Vedete che ho gustato precoce- mente le dolcezze della gloria. Ero piccola e già avevo un gran genio....

Io guardavo la simpatica attrice ; il sorriso ironico, a cui eran atteggiate le sue labbra rosee : i riccioli de' suoi capelli, anch'essi quasi rosei. . ,;

Ricordi Critici e Umoristici 161

Soggiunse :

Credete mi burli di voi?

Non vorrei crederlo, ma mi sento inclinato a sup- porlo.

Vi assicuro che, da bambina, ero un prodigio. A Trie- si scrissero su la mia bravura molti articoli. Si ripe- teva per me più e più volte La Mendicante di Sassovna. Emilio Treves scrisse che gli pareva veder in me, si pic- cina, una Ristori, guardata col canocchiale alla rovescia.... E son rimasta sempre una Ristori.... per chi mi guarda a quel modo!

Fu posta in un Collegio-Convitto di signorine a Mi- lano: e cessò di recitare per vario tempo. Nel Col- legio spiccarono in lei due doti, che non dovea mai perdere: una grazia assoluta e una mancanza di ogni volontà di studiare, egualmente assoluta.

Uscita dal Collegio tornò a recitare : esopdì al Teatro Carcano nella Compagnia di Adelaide Ristori.

Esordiva nel Cavalle?^ di Spirito del Goldoni, fa- cendo la parte di prima donna: primo attore era il valentissimo Luigi Pezzana.

Adelaide Ristori si meravigliò più della intrepi- dezza che della bravura della giovane attrice: essa già recitava le parti stupendamente (senza saperle): non avea alcuna soggezione del pubblico : era già tra quelle artiste che gli concedono soltanto un di- ritto: quello di applaudirle e adorarle. Il pubblico dimostrò subito all'attrice, la quale era gentile e vezzosa, che conosceva i suoi doveri verso di lei.

Fu con la Ristori, durante un anno, a Londra, a Parigi, a Barcellona. A Barcellona poco mancò ella non fosse causa di una rivoluzione.... tra' suoi am- miratori per il modo con cui interpetrava la parte di Guglielmina nella Suoi' Teresa.

162 Pia Marchi-Maggi

Tutti la giudicarono quel che dovea poi veramente riuscire : capace di tutto come attrice, anche di re- citar bene.

Fu poi in una delle Compagnie d'Alamanno Mo- relli, e imparò (non dico molto) dal gran maestro. Col Morelli stette sei anni : interpetrò tutti i principali lavori del repertorio moderno e incominciò, com'ella stessa suol dire, la sua carriera di artista e di donna adorata.

In ogni città d'Italia avea il suo gruppo d'ufflcianti, che cantavano a squarciagola le sue lodi, di deliranti, che nutrivan per lei le più focose passioni: non fa- ceva un passo senz'esser accompagnata da un drap- pello di entusiasti, di guardie del corpo, com'essa li chiamava. Alcuni de'suoi adoratori divennero storici : essa si prestava con la miglior grazia del mondo, e con un'infinita malizia a farsi fare la corte: avrebbe volentieri ristabilito il baciamano. I suoi adoratori furono innumerevoli, di tutte le età, dai sette ai set- tant'anni. E sarebbe impossibile il dire quali faces- sero le maggiori ragazzate.

Ella incoraggiava tutti, ma tutti, a un certo punto, la trovavano fredda: alcuni restavan platonici con- vinti, se non persuasi, nella loro estasi : altri si ri- bellavano, si trasformavano in nemici della graziosa artista che si era, secondo essi, burlata di loro.

Si divulgarono su lei molte leggende : si disse che non era una donna, ci fu perfino chi disse che era un uomo.

Una sera, appoggiata a una quinta sul palcoscenico, ella mi osservava alquanto costernata per le pazze dispute :

Mi affliggono certe questioni.,.. E capirete non si posson mostrare i documenti giustificativi....

Bicordi Critici e Umoristici 163

Le rispondevo :

Il mondo, signora, è stato sempre difficile nel credere alle grandi virtù.

Ella sospirava.

Un altro giorno le domandai :

Non avete nulla a dire del vostro matrimonio, che sorprese tutti?...

Anche me, ve l'assicuro.... Andrea Maggi mi ha pro- vato ch'io non era una donna di spirito.... o mi fece per- dere quel poco che avevo.

E, a un tratto, divenne si melanconica, melan- conica, la soave creatura, come se rimpiangesse quel poco che avera perduto !

Fu la prediletta tra le giovani attrici, che Adelaide Ristori tenne accanto a sé. Fin da' primi anni, ella ebbe una grande attitudine a imitare, a contraffare gli attori, le attrici, altre persone.... Queste imitazioni, in cui prosegue anche oggi, e che le sono spesso richie- ste da' suoi conoscenti, parvero sempre una satira fra le più giuste ed acute.

Nel gennaio 1883 recitava al Teatro Manzoni di Mi- lano, e dirigeva la Compagnia il Bellotti-Bon. La sera del 3 gennaio recitava la commediola Bere o affogare. Il Bellotti-Bon andava su e giù per il palcoscenico: e mormorava di tratto, di tratto: o bere o affogare....

Ella andò incontro al grande artista e gli domandò :

Che cos'ha stasera, Bellotti?...

11 Bellotti le rispose soltanto facendole una carezza.

Il giorno dopo. Luigi Bellotti-Bon, che avea tanto giovato all'Arte drammatica, che era stato padre a tanti attori, si uccideva....

Mi diceva la signora Pia Marchi-Maggi :

Dopo la morte di mio padre fu questo il più doloroso

164 Pia Marchi-Maggi

avvenimento della mia vita. Ero affezionata al Bellotti-Bon : mi era caro pel suo ingegno come attore e come capoco- mico.

Quali altri attori avete ammirato?

L'attrice mi rispose con lunghe circonlocuzioni.

Ma io posso essere indiscreto.... Essa non ha mai ammirato (più che tanto) Ernesto Rossi e Tommaso Salvini. I grandi urli, i grandi gesti, e anche le perfe- zioni del genere tragico 1' hanno lasciata indifferente.... E ha sposato Andrea Maggi, che recita il Conte Rosso e simili lavori ! Ha avuto la sua punizione e così grave che non mi resta forza di condannarla, se le è man- cata l'ammirazione per un certo genere.... La Musa della tragedia è stata vendicata ! Quando la signora Pia Marchi-Maggi recitava la parte di Lesdemona, altre parti di eroine tragiche, ai drammi in versi, mentre fingeva di piangere, rideva: rideva fin di se stessa. Piacque sopra tutto alla geniale attrice l'ame- nità, la leggerezza (nelle commedie, s'intende) il co- mico.

Ella diceva:

Avrei dovuto sposare Ermete Novelli.

Ma Ermete Novelli sarebbe doventato allora, pro- babilmente, un attore tragico a dirittura (che Dio ci liberi) poiché si sa che i mariti e le mogli non si tro- vano mai d'accordo sul caymttere.

La signora Pia Marchi-Maggi suol dire :

La disgrazia degli attori e delle attrici italiane furono il Ferravilla e la Duse.... Tutti vollero imitare, e in tutto, que' due grandi artisti. Gli attori comici, anche i migliori, recitano sempre di tre quarti, imitando, o credendo d' imi- tare r inimitabile Ferravilla.... E le donne, le prime donne, danno tutte alla loro persona su la scena la linea d'una mezza parentesi... credendo così imitare la Duse....

Ricordi Critici e Umoristici 165

IL

E riuscita benissimo in due cose opposte ; nel far le parti d' ingenua, al suo esordire su la scena, e nel render più tardi i caratteri di donne cattive, sarca- stiche, maligne : non ci dette mai interpetrazioni mi- gliori di quelle della Moglie di Claudio, di Francil- lon, di Diana di Lys. Non per profonda originalità, o per finezza, ma per vivo istinto artistico potè nelle due prime interpetrazioni rivaleggiare con la stessa Duse.

Per le ingenue, giovanissima, avea tutte le va- ghezze: era aggraziata, vivace: avea due occhi, due labbra, due....

Ma è inutile continuare l'enumerazione di tanti tesori.

Dalle ingenue volle passare alle grandi civette (un po' tardi) alle parti della Judic (s' intende alle parti del repertorio....) ed è persuasa d'esservi riuscita a me- raviglia. Non la turbiamo in questa sua persuasione.

Fu l'unica tra le nostre attrici che recitasse nella Femme à Papà, tradotta in italiano, o giù di lì: ebbe speciali attitudini nel far la Saffo (di A. Daudet).

Per lei scrissero: il Marenco, la Celeste, il Falco- niere; il Ferrari, Cause ed effetti; il Torelli, Fragilità. Fu vezzosissima nelle Prime armi di Richelieu, nel Birichino di Parigi, nella Leggitrice dello Scribe, nel- V Orazio e Lidia del Ponsard, per lei tradotto in for- biti versi da quel fino gentiluomo, che è il marchese di Tresana don Lorenzo Corsini.

A Madrid ottenne successi, che ella si ostina a cre- dere deliranti nel Livorziamo e nel Frou-Frou. E, benché sia capace di tali ostinazioni, ella suol dire che non è perseverante!

166 Pia MarcJii-Maggi

Le domandai:

Avete studiato molto?

No: e mentirei se vi dicessi che fui una vittima dello studio, che ho passato le notti insonni su i libri, come tante altre.... Sono diventata grande attrice senza studiare....

Il caso non è raro, ma è raro che un'attrice lo dica.... È raro, anzi, che una donna dica la verità.

Sapete, io sono originale in tutto !

Ma vi credete proprio una grande attrice?

Vi dirò: per intuizione artistica poche mi hanno su- perato; i mezzi erano sufficienti, non molti... ma ho studiato poco: e non ho mai avuto costanza....

In nulla....

Precisamente.,.. Quando s' inaugurò il Teatro delle Loggie a Firenze il Meynadier, dopo avermi udita nella Diana di Lys mi propose d'andar a recitare in Francia....

S'è mai suicidato nessuno per voi?

No, tutti coloro, che mi hanno amato, stanno benis- simo. Ed è una fortuna.... per l'Italia. Se tutti coloro, che hanno nutrito passioni per me si fossero suicidati.... man- cherebbero al nostro paese milioni d'uomini....

Dite pure anche di donne....

Dopo una breve pausa esclamò:

Quanto ho recitato!

Si, e specialmente fuori del palcoscenico.... E che vasto repertorio avete avuto.... Poche donne l'ebbero più svariato di voi.

Ho fatto di tutto, vi assicuro, e qualche cosa anche bene....

Non v' è mai accaduto nulla di strano ?

Ve 1' ho già detto, la mia vita è stata calmissima.... M'avrebbe fatto assai comodo che qualcuno si fosse sui- cidato per me.... Bella storia avrei oggi da raccontarvi....

Quali furon le vostre più grandi passioni?

Una di esse il cavallo.... Sono stata una grande ca- valcatrice.... L'altra mia passione i viaggi: m' è piaciuto

Ricordi Critici e Umoristici 167

sempre il movimento.... Quanto più avrei viaggiato se avessi potuto !

Una sera recitava ne' Pezzenti. Assisteva alla rap- presentazione r Imperatore Don Fedro. La scena era divisa in due : essa avea finito di dir la sua ora- zione e chiamava: padì^e! padre! Il padre era il De Col che, dall'altra parte della scena si era addormen- tato. Alla fine l'attrice, non ricevendo risposta, andò da a cercar il padre, che credeva morto, ma che era immerso in un sonno non eterno.

Tornai a domandare :

Siete stata molto amica di prime donne?

Mi furon buonissime amiche la Marini, la Duse, le altre.... Ma, sapete, le prime donne son come gli orologi: si guastano facilmente e difficilmente vanno d'accordo....

So che la Duse vi ha regalato un ombrello.... e che questo ombrello ha una storia....

Oh, ma deve rimanere.... negli archivi di famiglia....

E una storia che non può rimaner misteriosa, poiché la sanno già varie donne.

Sentii non volea più parlare su tale argomento.

Non e' è, dunque, nulla di straordinario, di rumoroso, di avventuroso nella vostra vita?

Ve l'avevo già avvertito.... Io non ho incontrato, zin- gare, che mi abbian fatto predizioni, m'abbian regalato spa- dino.... Non sono stata rapita.... Non ho salvato nessuno da un incendio.... Nella prima parte della mia vita ho avuto adoratori, ma insignificanti.... Nessuno di essi si fece saltar le cervella.... e per una buona ragione... Spero ciò che non m' è accaduto nella prima parte della mia vita.... m'accadrà nella seconda. Se non sbaglio, mi par di aver letto che si ammazzavano per Niaon d'Enclos, quando essa aveva 80 anni.... Il prossimo anno mio marito va in Russia per la seconda volta: io rimango in Italia....

168 Pia Marchi-Maggi

Mi diceva ciò con un'acuta ironia, come una donna argutissima, importunata da moleste domande. Ripigliò :

Visto che nella prima parte della mia vita il colore de' miei capelli non mi aveva procurato nulla di strano, non mi aveva spinto a nulla.... l'ho cambiato, per tentare se m'accade in tal modo qualche cosa di drammatico, di romantico, di fin de siede. E siccome io non sono una donna politica, dico a tutti con coraggio che ho cambiato di colore....

Mi ricordo avervi udito cantare in certe commedie....

ho cantato.... ma non voglio che esageriate, com' è vostro difetto: mi obbligherete, scrivendo che ho.... cante- rellato. Da bambina avevo una bella voce, dicevo benissimo papò, e mamma.

Suono il pianoforte, ma l'odio: eccovi un mio proverbio : chi va senza piano va sano !

Ora studio il mandoKno.... Il mandolino è uno strumento utile, se non altro a far allontanare la gente. Era meglio avessi accolto anche voi con un pizzicato.... Chi sa a que- st'ora dove sareste....

Siete religiosa?.,.

M' è venuta spesso l'idea che avrei dovuto farmi mo- naca.... dopo essermi maritata. Una monaca ha certo minori occasioni, credetelo, d'esercitar la pazienza.

Ma siete molto religiosa?...

Vi ripeto, non sono costante in nulla.

Sareste stata un grand' uomo politico....

E, in certi momenti, v'assicuro, avrei voluto avere quel che mi manca ad esser un grand' uomo!

Qui la elegante signora fece un atto d'impazienza. Era stanca del mio interrogatorio.

Ma io, che avea udito che con le donne, e anche con le prime donne, si può perder il cervello, ma non si deve perdere il coraggio, insistei:

Ricordi Critici e Umoristici 109

E in America non vi è successo nulla di nuovo come quel mondo?

Nulla, mio caro.... Vi ho trovato molti adoratori... ma in questo il mondo nuovo m'appariva molto somigliante al vecchio.... Avea udito dire che in America si offrono alle attrici molti brillanti.... Io non ne ebbi. Però si spargeano di continuo foglie di rose, da adoratori ignoti, dinanzi alla porta della mia casa in ogni città.... L'offerta avea un gran valore.... poetico.

Ma, dunque, vi è accaduto sempre così poco?..,

Sono stata felice come i popoli, che non hanno storia. Sono stata amata, applaudita: voi direte senza merito....

Non mi permetto interruzioni....

Quando oggi sento dirmi che sono bella....

E ve lo dicono....

Spesso.... Io credo si tratti d'una metempsicosi: credo aver preso nuova apparenza.... 0 sia una cosa, o l'altra, spero rimaner giovane ancora per molto tempo.... Fin' ora, vi ho dato soltanto la prima parte della mia biograiia.... Confido che, fra anni, potrò darvi la seconda, assai più agitata....

La signora Pia Marchi-Maggi è stata sempre ac- colta nel mondo più aristocratico, ove ebbe peculiari ammirazioni e amicizie.

L'amore dell'Arte fu in lei superiore a tutti gli amori. Avrebbe potuto entrare nella più pura aristo- crazia con un cospicuo matrimonio: rifiutò sempre, per non lasciare la scena. E vi ottenne lìori, applausi, sodisfazioni, lodi, gloria.

Ho conosciuto un attore, invece, che amava l'Arte, sebbene gli avesser tirato più d'una volta su la scena delle patate. E diceva :

Ho avuto spesso cosi di che nutrirmi!

f^DOARDO j^ERRAVILLA

I

Avventure di E. Ferravilla.

. ON SO per che motivo, qualcuno domandò un giorno _ X al Ferravilla se mi conosceva.

Il Ferravilla rispose, con quella generosità, che gli è propria:

Se lo conosco ! ma mi ha salvato più volte la vita ! Vi lascio immaginare se l'interrogante rimase stu- pito. Venne da me, con aria misteriosa, e mi disse :

Ho scoperto un' altra di quelle belle azioni, che voi nascondete con modestia, tanto esagerata, a' vostri con- temporanei.

?

SI, si : ho saputo che voi avete salvato più volte vita a Edoardo Ferravilla. Ed egli ve n'è molto ricono- scente.

Dopo breve meditazione replicai :

Ah! è vero.... è vero.... voi avete detto bene: ma io, come Ernesto Rossi, pecco d'eccessiva modestia. Com- pio le più belle azioni nell'oscurità e non voglio che si

Ricordi Critici e Umoristici 171

risappino. Però non sono solo a aver salvato la vita a IFerravilla.... e' è un altro che ha questo inerito, e non lo ha fatto sapere a nessuno, neppure al Ferravilla....

E chi è ?

Romolo.

Romolo ?

Sì, il fratello di Remo....

Il fondatore di Roma ?

Appunto.

Il Ferravilla andò un giorno a Uoma, a piedi, molti anni or sono.... Non avea portato con se provvisioni.... Tra- versò la vasta prateria di Baccano, arrivò alla Storta, sem- pre senza poter mangiare. Gli albergatori erano allora ra- rissimi in quelle regioni. Si trascinò, digiuno, per la via Flaminia e stava per spirare nelle.... proprie braccia, allor- ché la vista del Tevere lo riconfortò.... cosi per dire.

Traversò il ponte, esausto di forze, e di li a poco gli riusci sdigiunarsi in un' osteria.... Se Romolo avesse avuto l'idea di edificar Roma a un quarto di miglio più distante, il Ferravilla, sopraffatto dal lungo digiuno, sarebbe morto di fame.

Dobbiamo quindi avere per Romolo una grande ricono- scenza! —

Dieci anni or sono, il Ferravilla aveva, press' a poco, ventott' anni. Un industriale, oggi celebre, si pre- senta a un insigne letterato milanese, che io ho molto conosciuto : uomo prodigo della sua bontà verso tutti, che ha seminato tanti benefìcii e ha raccolto.... tanti ingrati.

L' industriale disse al letterato :

Vorrei da voi un favore.

Son pronto.

Vorrei che mi accompagnaste alla pianura di San Luca.

E dov' è questa pianura ?

172 Edoardo Ferravilla

Su.... una montagna.

Ah !... Andiamo pure....

Arrivati sul punto centrale della pianura, l'indu- striale disse al letterato :

Che vedete?

E lo forzò a guardare intorno.

Il sole : e neppure un fil d' erba.

E bene, io ho fatto costruire un Teatro in questo deserto ove voi non vedete nulla....

Un teatro per voi solo ?

No, per il pubblico.

Ma dove lo troverete questo pubblico ?

In una città che voglio fondare.

Siete sicuro di star bene in cervello ?

Come sono sicuro d'avere un pubblico, se voi mi rendete un servigio.

Chiedete....

Bisogna che persuadiate il Ferravilla a dar una re- cita nel mio Teatro.

Lo persuaderò : è un originale, uscirà volentieri dalle sue abitudini, gli sorriderà l'idea di predicare in un de- serto come San Giovanni Batista. Vox clamantis in de- serto.... Ma.... e' è una piccola difficoltà.

Quale?

Il Ferravilla vorrà almeno ottocento lire per una rappresentazione.

Ne darò cinquecento.

Su gì' incassi del deserto ?

No, su la mia cassetta privata, e anticipati !

Avete attori nel vostro teatro ?

No, ma ho tre muratori che declamano V Oreste del- l'Alfieri meglio di tre Salvini.

Non è difficile...

E avete scelto VOreste per il Ferravilla ?

Oh, è la sola produzione possibile qui : in ispecie a motivo dei tre muratori.... E poi, vedete quel villaggetto

Ricordi Critici e Umoristici 173

laggiù? Gli abitanti son tutta gente devotissima; credono il teatro un luogo d'abominazione. E bisogna che io attiri quel pubblico ! Io sbattezzo, s' intende, V Oreste.... lo intitolo: Come finiscono le cattive famiglie^ o il Trionfo della Reli- gione, poiché, all'ultimo atto, aggiungo una scena in cui tutti i pex'sonaggi si fanno.... cattolici....

Ma credete voi che intorno a questo teatro possa sorgere, a poco, a poco, una città ? Certo, di qui a laggiù potremmo avere una bellissima e lunghissima strada di città.... per ora non ci mancano che le case. Ci sarebbe anche il letto d'un fiume: ma è un fiume idrofobo, senz' acqua, per ora ; i suoi ponti possono rimanere allo stato di ono- rarii, poiché non ci ha da passar sotto, per ora, altro che la polvere.... Si potrebbe però far venire l'acqua fin qui, e con poco, la spesa non supererebbe di certo i 70 milioni.

Oh, vedo che voi conoscete bene il paese !

Era una giornata caldissima, veramente torrida : il termometro segnava almeno 39 gradi all' ombra del naso di Ermete Novelli.

Continuava il letterato:

C'è da aprire di belle strade.... splendide.... qui dove oggi abitano soltanto lucertole, e vi converrà lottare contro di esse per espropriarle....

L'industriale e il letterato visitarono più tardi il parroco del villaggio. L'ecclesiastico promise una neutralità benevola per la rappresentazione dell' Ore- ste, che doveva finire, come abbiamo detto, col Trionfo della Religione.

Il Ferravilla accettò con gioia di recitare in quel teatro nel deserto.... Ma la voce era corsa, la gente trasse alla rappresentazione da enormi distanze.

In una carrozza a quattro cavalli, il P'erravilla avea il giorno innanzi visitato tutti i borghi, i paeselli sparsi in una vasta estensione.

Non mai il Ferravilla fu più inspirato come in

174 Edoardo Ferravilla

quella tragedia, recitata in menegliin: non mai en- tusiasmo fu più sincero di quello, che eccitava una maravigliosa rappresentazione.

I tre muratori, uno dei quali faceva la parte di Clitennesb-'a, aveano voci di bronzo e sarebbero stati necessarii orecchi.... della medesima materia per stare a sentirli.

Quando il Ferravilla (Oreste) nell'ultimo atto cadde in ginocchio, gridando sono cristiano .'... tutti gli spet- tatori s'inginocchiarono, e ciascuno di loro urlava, anch'io f anch'io !

Durante il terzo atto, alla scena di Egisto, una donna spaventata dava alla luce un bambino, tanto perchè il Ferravilla avesse uno spettatore di più !

II giorno dopo, l'industriale spartiva quel deserto in lotti, e vi facea piantare pali con questa iscri- zione : Terreno Ferravilla da vendere.

Ci fu un'epidemia di acquisti : le mura si alzarono di repente, i tre muratori, agitando la cazzuola, di- nanzi alle nascenti costruzioni declamavano i versi àeW Oreste : le pietre sorsero le une sulle altre, come per incanto.

Le larghe strade di Ferravillojìoli , partendo dal loro centro, il teatro, si estesero a' limiti più estremi dell'orizzonte: l'acqua corse nel fiume ; l'industriale eresse al Ferravilla una statua equestre (egli era a cavallo al suo famoso cane Pinella) su la piazza del teatro, e l' inaugurò con una festa, i cui splendori non sono ancora dimenticati.

Pochi anni dopo, incontrai il più intimo amico del Ferravilla e gli annunziai che l'attore milanese avea fondato una città.

Non me l'ha mai detto mi rispose ma lo credo, il Ferravilla è capace di tutto !

Ricordi Critici e Umoristici 175

Erano state edificate molte statue nella nuova città : ma ai primi Consigli municipali, attivissimi, ne suc- cedettero altri inetti e indolenti. Ci fu un Sindaco, che suggerì per far fronte a certe spese, in un mo- mento d'angustie, di mettere tutte le statue al Monte di Pietà. E così fu fatto.

Una deputazione de' più ragguardevoli cittadini andò a lagnarsi al Ferravilla. Non solo le statue erano sparite, ma alcuni gruppi in bassorilievo erano stati mutilati. Ad un coccodrillo, per esempio, mancava la coda ! Ciò poteva avere le più gravi conseguenze per l'educazione scientifica degli abitanti.

Era profondo il rammarico per la mancanza di certi personaggi e animali mitologici.... Ferravilla pensò che i Consiglieri ISIunicipali poteano benissimo sosti- tuire gli uni e gli altri.

Disse il giovane, ma arguto attore:

Già che i vostri Consiglieri municipali non si muo- vono, facciano da statue!

E fu stabilito un regolamento.

Articolo i. Ogni giorno tanti Consiglieri quante eran le statue, dovranno salire sui piedistalli e figu- rarvi i gruppi.... impegnati.

Art. 2. I « nudi » dovranno esser fedeli. È proi- bito l'uso di camiciuole.

AìH. 3. La giornata è di ventiquattr' ore : sic- come alle volte, di notte, potrà far fresco, saranno accomodati caloriferi nei piedistalli.

Art. 4. Sarà proibito agli edili figuranti d'abu- sare della loro situazione per sedurre le ragazze, che passano. L'immobilità del corpo e dell'occhio òpre- scritta, ecc. ecc.

In tal guisa il Ferravilla ha spiegato la sua sa-

176 Edoardo Ferravilla

pienza civile e non è vietato di credere che le sue leggi saranno un giorno felicemente contrapposte a quelle di Salomone e di Licurgo.

Ferravilla umorista.

Dobbiamo studiar il Ferravilla come umorista?

Tra gli attori, è oggi il solo che possa al critico offrir argomento a un tale studio, poiché egli ha im- maginato certi tipi, ha scritto varie commedie, e tutte le sue parti in ogni commedia, che interpetra : vi ha aggiunto motti profondi, vivissimi, e senza alcuna vol- gare scurrilità.

Lo studio sarebbe ben lungo a volerlo compiere con ogni accuratezza, poiché una fra le ragioni della ilarità che il Ferravilla eccita in modo irresistibile nel pubblico più colto, più raffinato, è da ricercarsi nella appropriatezza, non di certi motti speciali, ma quasi d'ogni parola, che i personaggi, da lui interpe- trati, pronunziano.

Già che una dote di questo meraviglioso attore, ed è unico a possederla, consiste nell'aver impartito ai suoi personaggi un linguaggio, peculiarmente adatto, in ogni menomo ragguaglio, al loro carattere, alle si- tuazioni in cui si trovano, e che dal loro carattere sono modificate.

Tutte le generali situazioni, nascano da odio, da amore, da pusillanimità, da ambizione, da presunzione, acquistano un peculiare aspetto dalla indole del perso- naggio.

Non tutti amano, odiano, temono, fremono, si inor- gogliscono allo stesso modo.

Il filosofo fine, il fine umorista, si rivelano nel Fer- ravilla con la tenuità di certi tratti.

Ricordi Critici e Umoristici 177

Quando il Sur Panerà, buon uomo, pacifico, sempre ripugnante da ogni atto un po' risentito, si trova rav- volto in guai d'ogni specie, spinto a un duello, non sa dire altre parole contro colui, che gli è occasione di tante inquietudini, di tanti mali, che gli fa met- tere a rischio la vita, se non la palmola: indelicato/

Questa parola, sproporzionata agli effetti che vuole esprimere, si in contrasto con una situazione atroce, risponde ammirabilmente al carattere del per- sonaggio. Ecco perchè è sempre causa di riso : pel contrasto fra il carattere del personaggio e la qualità della situazione: il carattere del personaggio rende arcicomica una situazione che, dato un uomo di ca- rattere ordinario, sarebbe ultra-drammatica.

Ora il Ferravilla rende, con un'arte nuova, gran- dissima, certe sottigliezze.

Il suo umorismo non consiste nelle truccature esa- gerate: la sua truccatura è sempre ammirabile, effi- cace, perchè semplice e vera ; non ottiene la comicità con vestiti di colori smaglianti, di foggia e di misure strampalate, di bizzarri disegni ; anche nel suo vestito e' è la massima semplicità, si direbbe, a così espri- mersi, inseparabile dal personaggio che l'indossa.

Voi non saprete immaginarvi un Maester Pastizza, un Sur Pedrin, un Massinelli, un Pistagna l' im- mortale, giocondissimo, finissimo Pistagna e il vecchio della Scena a soggetto, se non abbigliati come ve li presenta il Ferravilla.

L'abito fa parte integrante, a così dire, nelle crea- zioni del Ferravilla, del carattere del personaggio; non v'ha esagerazione di sorta, ricerca di cattivo gusto. Anche in questo rispetto si palesa nell'attore una vera intelligenza, una peregrina, delicata intui- zione.

178 Edoardo FerraviUa

L'umorismo del FerraviUa è poi da ricercarsi nelle intonazioni con cui pronunzia certe parole. E questo pregio che, a esaminarlo, ci trarrebbe tropp' oltre, è ben compreso dal pubblico fino, in ogni parte d'Italia, assai meglio eh' io non potrei spiegarlo.

Ma ricerchiamo alcuni de' motti umoristici, nelle commedie da lui scritte, e tutti si acconci al perso- naggio, che li pronunzia.

11 Sindech Fitiocchi propone, per Paolo Incioda, « un monumento equestre a piedi. »

E ce ne la più sodisfacente spiegazione.

Immagina di veder Paolo Incioda con gii speroni a' piedi, il frustino in mano, e dice :

Si capisce, questo giovane ha l' idea di far una caval- cata, e, si sottintende, se non è a cavallo, nel momento, ci potrà andare fra qualche tempo....

Quando la contessa vuol dar la mano al Massinelli, il Massinelli ritira la sua.

Perchè la ritira ? gli domanda la contessa.

E il Massinelli con una intonazione ammirevole, le risponde :

Perchè mi preme il mio onore!

Qui abbiamo il cretino Massinelli uomo socievole, innanzi a un certo numero di signori e di signore.

Egli ha udito dire che dar la mano significa esser marito e moglie.... prende la frase alla lettera!

Ma anche il Massinelli ha naturali appetiti.

Vuol dar un bacio a una servetta, contratta di pa- gar una lira l'autorizzazione del bacio : non può far che una carezza ; allora domanda indietro cinquanta centesimi, poiché non ha potuto esercitare tutti i suoi diritti d'autore.

Ricordi Crìtici e Umorìstici 170

Secondo lui, cinquanta centesimi è il prezzo di fab- brica per una carezza: una lira sarebbe sprecata per così poco consumo 1

Epica è la facezia del Sur Panerà nella famosa scena del duello. L'uomo pacifico, pusillanime, si è lasciato trascinare al duello ; ma è convinto che il suo avversario abbia il dovere d'aspettar di ricevere da lui una puntata ; di star fermo e attendere il suo colpo ; vedendo che si tira indietro, fa parate, egli in modo giusto, con attitudine vera, che centi- naia di persone ne ridono insieme, esclama mentre gli va incontro :

Se non sta fermo, l'è impossibile!...

Don Baltisar, prete a modo, allorché sorge una fiera disputa fra marito e moglie, mostra gran dispia- cere.... Ma l'immenso dispiacere gli deriva dal ti- more non vada bene il pranzo a cui è invitato.

Ferma la mano al servitore, che vuol levargli un piatto dinanzi, e, allorché vede il marito e la moglie, rappattumati, ordina per al servitore, a aiutar la buona digestione, uno zabaione.

Ma dice non ci mettete più di sei uova, altri- menti potrebbe farmi male !...

Ricordate la risposta del Massinelli all'interroga- torio sulla geografia.

Che cosa è la terra ? Risponde :

La terra è quella cosa che, presa fra le palme, sporca le mani....

Ma tutta la sua geografia non si creda stia qui. ^ Alla domanda, fritta in milanese:

Che cosa sono i poli?

180 Edoardo Ferravilla

Risponde, balbettando:

I poli, i poli.... sono polli, galline, pollastre.

Ne' Dì(, Ors, dopo lo scambio delle teste ne' due finti orsi, alla domanda perchè l'orso nero ha la testa bianca, risponde :

Perchè è incanutito! ~ E Torso bianco perchè l'ha nera?

Quello è incanutito.... secondo il suo modo di vedere.... Altra volta diceva, se non erro:

E diventato nero per dispiaceri di famiglia!

Nel Maester Pastizza racconta al giovane, il quale deve sposare la sua nipote, eh' egli, proprio egli, ha scritto tutta la sinfonia della Semiraìnide del Rossini.

Il giovane gli crede, si entusiasma per lui, gli stringe la mano con espansione, s'intenerisce.

Appena è uscito, il Maester Pastizza, sorridendo benignamente della credulità di quel giovane, esclama :

E proprio un giovane di cuore : farà una ÌDella riuscita nelle marcie funebri !

Però si richiedono la viva situazione, l'atteggia- mento, il gesto magistrale del Ferravilla, la sua so- vrana squisitezza artistica per dar a queste frasi tutto l'effetto umoristico, di cui son capaci, e che produ- cono immancabilmente ne' più intelligenti tra gli spettatori.

Una delle sue scenette più umoristiche è quella nella Luna di miei del sur Pancrazi.

Egli lascia la moglie sola, con l'amante, si allon- tana un po' timoroso, dicendo, volto alla moglie :

Guarda.... ritorno subito.... e vi raccomando; adagio alle.... voltate!

Ricordi Critici e Umoristici 181

Ciò è proferito con tale arguzia che il pubblico, dato il personaggio del Stir Pancrazio ne ha una du- revole impressione d' ilarità,

I motti del Sur Pedrin sono classici.

Lei è forestiero. E stato mai a Genova ?... E lom- bardo ?...

Risponde Pedrin:

No, son cristiano!

E a Genova domanda :

A che ora si può andar a vedere il mare?

La signora, che fuma una sigaretta, chiede al Sur Pedrin, se il fumo gli fa male.

Ed egli, credendo formular il più leggiadro compli- mento, con una di quelle intonazioni, con cui il Fer- ravilla ha reso popolare un tal personaggio, ri- sponde, molto serio:

Vorrei essere una lingua per farmi affumicare da lei !

II nipote del primo ministro assicura il Dott. Pi- stagna che gli farà ottenere il posto di capo-medico. Il ristagna vuol baciargli la mano, ma l'altro la ri- tira. Come esprimere la sua riconoscenza? Il ristagna, tra il silenzio degli astanti, si raccoglie in e, con

I voce rimbombante, per compendiare tutta la sua gra- titudine, grida: Viva l'Italia!

Lo stesso Pistagna, nello Sposalizi, deve sposare la vecchia Veronica.

' Affare magro ! dice egli stesso.

E, mentre fa la sua dichiarazione d'amore alla vec- I chia, e le propone di sposarla, ed è agitato da una I forte ripugnanza, la vecchia lo richiede:

Vi è avvenuta qualche disgrazia?

182 Edoardo Ferravilla

Per ora no, ma vedremo !

Nella Scena a soggetto, il vecchio centenario rac- conta che il medico gli ha ordinato d'andar a ca- vallo.... se è possibile. Un tratto de' più umoristici, fra i tanti, di cui ribocca la Scena a soggetto, e che dimostrano la meticolosità di abitudini del vecchio, la sua eccessiva commovibilità, è il seguente:

La sera, il vecchio cerca di far tardi, perchè il me- dico gli ha ordinato non coricarsi di buon'ora, e se ne sta a parlar con la nipote. Ogni tanto alza il braccio, prende la mochetta per smoccolar la candela.

Ha detto alla nipote che vuol andar al pianoforte per suonare un pezzo. La nipote porta dal tavolino sul pianoforte la niocTietta.

Il vecchio, fedele alle sue piccole, meschine abitu- dini, cerca la mochetta per smoccolar la candela, prima d'alzarsi ; non trova la « mochetta. » Dov' è ? Si alla più grande eccitazione.

La nipote lo avverte che l'ha messa sul piano- forte. —

Che commozione gli ha dato : che avvenimento, nella monotonia di quella esistenza di uniformi, anguste abi- tudini !

Il vecchio si eccita: si calma: poi, come si trattasse d'uno de' fatti più importanti dell'universo, accennando alla sua cara mochetta:

Un'altra volta bisogna avvertire prima di traspor- tarla !

Ma di queste finezze, frutto d'una osservazione umo- ristica profonda, individuale, originalissima, è ricca l'arte del Ferravilla.

A noi è dato appena sfiorarne una parte : ci per- deremmo facilmente fra tanti e scintillanti tesorL

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Il Ferravilla recita, da diciotto anni, e in tutte le sue parti, da lui scritte, ha sempre rinnovato, perfe- zionato, acuito i motti.

Alcuni attori li ripetono: alcuni autori li hanno messi nelle loro commedie....

L'artista, che ha cavato dalla sua fantasia i tipi del Massinelli, del Pedrin, del Pistagna, del Pastizza, del vecchio della Scena a soggetto, del Sur Panerà, del Tecoppa, e gli ha resi popolarissimi, come tipi universali, non solo nella letteratura, ma nel senti- mento popolare, l'artista che, oltre l'aver concepito certi personaggi, ha saputo dar loro un adeguato linguaggio, ben proporzionato alla mente, all'animo, alla condizione di ciascuno, e li ha saputi presentar al pubblico con tale arte sovrana, ha addimostrato d' esser uno tra' più sottili osservatori, tra i più felici umoristi del nostro tempo.

Si Jioti che r illustre attore ha tanto studiato i suoi personaggi, li ha veduti, creati, se mi è le- cito dir in cotal modo, compiuti ch'egli li segue, anche fuori delle commedie, delle situazioni in cui li ha posti.

Talvolta, fuor del teatro, capitandogli questo o quel caso, egli suol dire : ecco come si conterrebbero, come si atteggerebbero, che direbbero, il Massinelli, il Sur Pedrin, il dottor Pistagna se si trovassero, al pari di noi, in questa situazione!...

Aneddoti FerraYilliani.

Non vi parlerò de' primi anni del Ferravilla, seb- bene l'infanzia di tutti i grandi uomini meriti una speciale considerazione.

Vi dirò che Edoardo Ferravilla, a 17 anni, avea

184 Edoardo Ferravilla

compiuto il quarto corso tecnico e si mise a fare il contabile.

Si distinse subito per un grande amore alle bestie : e questo si vuole da alcuni un indizio delle sue fu- ture attitudini a fare il capocomico. Divenne, cosi precocemente, uno tra i massimi zelatori nelle So- cietà protettrici per gli animali. Si racconta di lui che, un giorno, sceso di carrozza, staccò il cavallo, di cui aveva pietà, lo mise dentro la carrozza ed egli si dette a tirare il timone : solamente pregò il coc- chiere a non dargli frustate.

Una volta, andando a caccia, per caso ammazzò una lepre e subito si levava di tasca il fazzoletto e piangeva.

Ho detto che a 17 anni era contabile. Lo voleano avviare a risolver le questioni finanziarie : sarebbe stata una perdita per l'Arte, ma egli, col suo spirito d'ordine, di parsimonia, sarebbe riuscito un gran mi- nistro delle finanze.

È stato meglio che il Ferravilla non abbia imposto altro, se non la propria gloria al suo secolo : la sola imposizione a cui i nostri ministri delle finanze non hanno ancora pensato per conto proprio.

Il Ferravilla principiò subito dal lasciare i libri maestri per andar a recitare coi dilettanti della So- cietà Gustavo Modena, allora fiorente in Milano.

Nel 1868 alcuni autori, d'accordo con un piccol numero d'attori, ebber vaghezza di istituire un re- pertorio in dialetto milanese. Però l'intento non riu- scì a bene, tuttoché il Cima sapesse far accettare al pubblico la sua commedia di genere serio La don- zella de ca'Belotta.

Compagnia e repertorio non poterono aver forza di vita.

Ricordi Critici e Umoristici 185

Venne detto Arrighi, uomo capace di fare in ven- tiquattr'ore quarantotto cose diverse, e di sognarne, per lo meno, altre novantasei.

Per opera di detto Arrighi fu edificato, nel 1870, il Teatro Milanese, egli fece una cerna d'attori, prese alcuni artisti della vecchia Compagnia, chiamò a rac- colta i dilettanti, e formò l'Accademia stabile.

Mancava a detto Arrighi il genio dello Shakespea- re ? Questo è positivo. Gli facea difetto l'esperienza delle cose teatrali ? Era egli forse sprovveduto di queir istinto necessario ad appurare qual carattere un attore possa meglio interpetrare ? detto Arri- ghi ha scritto circa trentamila volumi per spiegare i suoi intendimenti : poi ci ha fatto altrettante appen- dici, ma s' è scordato di pubblicare anche una Guida, a uso de' lettori che ci si volessero raccapezzare.

detto Arrighi ha detto più volte tutto il male che pensa di certuni, e tutto il bene che pensa di sé: io sono molto d'accordo con lui in quest'ultima parte. E son pronto, se occorre, ad aggiungervi qualche cosa.

Il Ferravilla era allora un bel giovane. Questa al- meno è la sua convinzione: mi manca il coraggio di contradirla. Ciotto Arrighi gli assegnò le parti d'amo- roso: lo fece esordire con la parte di Augusto nel Barchett de Boffalora, e poi, sempre da amoroso, recitò neW Arcobaleno in on Cumo, nel Loft e la Cassa de risparmi, nei Trii Tini D. del ben gener ecc. Ma il Ferravilla non era nato per fare all' amore : almeno sul palcoscenico. Fu tacciato di freddezza : gli Accademici, sempre intelligenti, avean deliberato di licenziarlo, qual attore poco originale, comune !

Però, tra gli accademici, sedeva un' artista di molto acume, e di fervido cuore, il pittore Domenico In- duno. Egli consigliava si andasse un po' a rilento

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neir effettuare quell'atto d'ostracismo contro il gio- vane attore. Se, dopo altre prove, non fosse riuscito, offriva agli accademici la testa di lui.... Ma gli acca- demici non hanno mai saputo che farsi d'una testa.

Si ammalò un attore : il Ferravilla dovette surro- garlo. Così ebbe a recitare la piccola parte di Ger- vesin nel Barchett de Boffalora. Gli accadde ciò che accade soltanto a' veri artisti. Quella parte, non solo gli bastò a far più spiccare il dono della comicità, che era in lui, ma vi scorse e ne trasse effetti, fin allora impensati. L'attore è, per questo rispetto, un creatore : allorché vede, cioè, in un lavoro tal po- tenza d' effetti che l'autore stesso non aveva ben pre- sentito : allorché un' interpetrazione doventa, per la luce che emana su varii punti, una rivelazione.

Ci sono attori, che riescono non solo commenta- tori, interpetri di un lavoro, ne chiariscono i dubbii, ma ne mettono in rilievo perfezioni nuove.

Un vero attore non ha sempre bisogno, e l'ho detto più volte, di grandi scene, di tirate, di lunghi mono- loghi per dar saggio del suo ingegno e farsi applau- dire. Pochissime parole, dette con molta arte, ba- stano a un attore per cattivarsi la stima del pubblico, per procurargli una viva commozione, per mostrare la sua valentìa.

Il Ferravilla è oggi qual' era un diciott' anni fa, allorché interpetrava la piccola parte di Gervasin. Egli proferisce una frase, una frase comunissima, che molti e molti attori potrebbero dire, senza ca- varne il più piccolo effetto. Ma, quando egli la dice, il pubblico ride, perché, sin dal principio della com- media, egli vi ha messo dinanzi agli occhi il personag- gio qual' è, quale dev' essere, in carne ed ossa, non si è mai dimenticato un istante.... La sua truccatura è

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mirabile, il gesto è adattato al personaggio, l'intona- zione della voce è speciale...: Il riso del pubblico nasce nel vedere la verità riprodotta con tanta mae- stria da lasciar quasi perplessi se quello che vediamo sia finzione, o verità.

Ma, a proposito, della sua somma perizia nel truc- carsi, riferirò un aneddoto.

Niccolò Barabino fu una volta pregato di voler di- pingere il ritratto di un signore, spirato da pochi mesi. Non avea lasciato della sua fisonomia alcun ricordo, salvo in una miniatura, fatta quando egli era giovinetto.

Edoardo Ferravilla avea ben conosciuto quel signore. Con la mirabil bravura, la precisione istintiva, ch'egli ha nel truccarsi, si fece un viso come quello del suo amico defunto. Posò dinanzi al Barabino per varii giorni; e il ritratto miracolo di collaborazione de' due insigni artisti riuscì somigliantissimo.

Il Ferravilla ha recato, non nel Teatro milanese, ma nell'arte italiana, anzi universale, una nota nuova, geniale, che il pubblico stesso di tutte le città italiane sostiene che alcuni de' comici più in voga di Compagnie italiane hanno imparato e ritratto da lui.

L'artista milanese, che ormai in quasi tutte le sue parti, senza che certi critici l'abbiano riconosciuto, parla italiano, il più schietto italiano, salvo una certa peculiarità d'accento, eh' è un altro tocco di somma verità da lui recato nella sottile interpetrazione di certi personaggi, non può esser paragonato a altri attori in dialetto, o limitati, o sciolti da ogni freno, sbrigliati, senza gusto.

Edoardo Ferravilla recita, da vari anni, ne' pri- mari teatri d'Italia: e soltanto no' primari teatri: ed è ricercato, avuto iji singoiar predilezione dal pub- blico più fino, più colto, più esigente.

188 Edoardo Ferravilla

La sua arte è ricercata dagli spettatori più eleganti come qualche cosa di 'squisito.

E perchè?... Suppongo volentieri mi facciate questa domanda.

Perchè questo attore di genio, che ha davvero oleato un genere tutto suo, cui è pervenuto con singoiar forza d'intuizione e d' istinto, è d'una verità, d'una natura- lezza, d'una evidenza, che nessun altro attore ha mai superato.

Ne volete una prova? Certi tipi, da lui interpetrati, sono entrati nella letteratura, nei dettati popolari: sono scelti ormai dalla gente colta, e dalla moltitu- dine, per incarnare questa, o quella specie di uomini, in certi lor difetti, o in certi lor aspetti morali.

Così noi diciam spesso, o Massinelli, o Sur Pedrin, 0 Sur Panerà, o Maester Pastizza, e via via, a certi individui: e con tali qualificazioni veniamo a specifi- care dinanzi a chi ci ode le bizzarrie, le stranezze, le manchevolezze di certi individui, molto appropria- tamente, tanta è la potenza, tanta è la universale, espansiva evidenza, con cui il grande attore ha saputo rendere vivi e veri, ed efficacissimi, anche alle menti più ottuse certi suoi tipi : suoi per l' ingegno, la pro- fondità, ch'egli ha posto nel rappresentarli; umani, poiché tutti come tali li approvano e li riconoscono !

Un vizio di alcuni attori comici italiani, anche ec- cellenti, è lo strafare : il voler ottener effetti ad ogni costo, senza ponderar che gli effetti istantanei, otte- nuti a sproposito in questo o quel punto, nocciono poi all'armonia d'effetti dell' insieme, poiché nuoce tutto ciò che è artefatto, che non è vero.

Il Ferravilla è alieno da tutte le scurrilità, da tutte e volgarità: rammenta la semplicità umoristica dei più grandi comici francesi : la semplicità, di cui in

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Italia fu uno degli ultimi esempi, nella comicità, il caratterista Cesare Dondini, preceduto dal più mira- bile degli attori comici, Luigi Vestri.

Ho notato più volte la varietà de' personaggi ch'egli interpetra : le più lievi differenze fra carattere e ca- rattere, ch'egli rende con spiccata maestria.

Ma v'è in lui una dote, eh' è propria soltanto dei grandissimi attori, o si dieno alla tragedia, al dramma, alla commedia: quella di sapersi attenere a un certo numero di parti.

La versatilità di un attore si appalesa nella profon- dità, nella originalità, nella potenza di certe interpe- trazioni: non nella moltiplicità di esse: goder la stima del pubblico, attirarlo sempre con la perfezione in due, tre, dieci parti è opera soltanto di rarissimi attori di genio : abborracciare cento parti, tentar tutti i generi, è proprio di tutti i mediocri : cei-care con la farraggine attirar il pubblico, che si lascia, invece, attirar soltanto dalla perfezione.

Guardate il Ferravilla: in ogni suo personaggio, se la truccatura è magistrale e ve n' ho già toccato alla truccatura tutto corrisponde, tutto par indovinato con genio: il taglio della camicia, la cravatta, la sotto- veste, i pantaloni, la giacchetta, il soprabito, la blusa : fin il cappello, o la papalina : l'ombrello, se occorre, il fazzoletto !

Non basta: in tutti i suoi personaggi l'attore ha un modo diverso d'atteggiar la persona, di muover le gambe, le braccia, di andar diritto, o ricurvo, o da un lato : vedete sottigliezze ; e e' è di più, l'attore in ogni personaggio ha un'espressione diversa degli occhi, il che è meraviglioso: un modo diverso di tener le lab- bra, fin le dita, le mani !

Intorno a un caposcuola, come il Ferravilla, nascono

190 Edoardo Ferravilla

facilmente effimere agitazioni. Non so se l'esimio at- tore si sia accorto della più ridicola fra esse : e che consiste nel far apparire di tanto in tanto, per mezzo di qualche oscuro cronista, tra le notizie teatrali di un giornale, che vi sono attori, assai migliori, assai più ispirati, e più comici del Ferravilla: che questo Ferravilla usurpa il posto, il quale spetta ad altri at- tori di genio, e che lo superano.,,, in presunzione.

Il Ferravilla ha un difetto : quello di farsi applau- dire ogni sera, e senza intrighi di sorta : dovrebbe farsi fischiare, supplicar il pubblico che non accor- resse più in folla ne' teatri, ov' egli recita. Egli deve questa soddisfazione a coloro, cui dispiace la sua gloria, per l'unica ragione che non hanno saputo e non pos- sono meritarla !

L'aver avuto e il continuare ad aver tanti trionfi è un torto : al Ferravilla molti non sanno perdonarlo. Ch'egli, dunque si sacrifichi : cerchi d'entrare, anzi, sprofondarsi nell' oscurità, per far piacere ad alcuni, cui egli, come inferiore, deve tali riguardi ! I trionfi del Ferravilla sono un continuo attentato alla loro quiete. Pare impossibile che i pubblici di tutta Italia si lascino così facilmente soggiogare.... E davvero una tal conquista dev'esser costata al Ferravilla tanto ingegno, che, si capisce, come alcuni non glielo pos- sano assolutamente perdonare !

Ci sono ne' manicomii taluni affetti dalla innocua mania di credersi il Sole, il Padre Eterno. Vi sono qua e alcuni alienati di mente, la cui manìa non si alza al cielo, ma consiste nel proclamare e far pro- clamare su la terra, che essi sono.... assai migliori attori del Ferravilla.

E tutti lo credono ad essi.... anche il Ferravilla !

È una guerricciuola di lilliputti contro un gigante.

Ricordi Critici e Jlmoristici 191

L'esimio attore può far appunto com' Ercole co' pi- gmei « de' quali scrive Daniello Bartoli mentre Ercole dormiva, entratogliene, per le narici, nel capo un gran popolo, tanto gli andaron frugando il cervello, che il trassero a starnutare col quale impeto, tutti gli si gettò fuor del capo : non vi dico quanto lontano, se non che più non si videro. »

Alcuni, tanto è lo spazio che pensano d'occupare, credono nel mondo non ci possa esser posto per loro.... e pel Ferravilla.

Ma il Ferravilla si ricordi la favoletta dello Sterne, in cui l'uomo paziente, importunato da una mosca, la prendeva delicatamente con due dita, la metteva fuori della finestra, dicendole :

Va', t'accorgerai nell'universo c'è tanto spazio da volare, senza che tu venga a ronzarmi intorno, a molestarmi !

Sono diciott'anni che l'arte di Edoardo Ferra- villa trionfa, su le principali scene de' teatri di prosa di tutta Italia : e, da diciott' anni, appena torna in una città, si direbbe che non v'è mai stato, tanto il pubblico si mostra impaziente di riudirlo. Le sue interpetrazioni, come tutte le cose semplici e perfette, non stancano mai : oggi il pubblico, nu- merosissimo, ride al Maester Pastìzza, e ride al Massinelli in vacanza, come se si trattasse di due lavori freschissimi, scritti ieri. Freschissima e sem- pre geniale n' è l' interpetrazione : bastano le in- vidie, le velenose criticuzze a distruggerne i pregi. A forza di far il Re, il protagonista, il tipo che at- tira l'attenzione di tutti, su la scena, gli artisti di teatro continuano la tragedia o la commedia, e qualche volta tutt' e due insieme: e figuratevi il letificantis- sirao guazzabuglio, anche fuor delle scene.

192 Edoardo Ferravilla

Edoardo Ferravilla non ha nulla della comica pe- tulanza, dell'istrionica ampollosità, delle burbanze da saltimbanco glorioso, o accigliato, che si notano in molti e molti de' suoi colleghi, tra quelli, che vanno per la maggiore: degl'infimi non parlo.

Edoardo Ferravilla, sebbene oggi abbia di poco oltrepassato i vent'anni.... per la seconda volta, ha l'aria d'un giovanetto a modo, appartenente ad agiata famiglia, e mandato nella città in cui si trova a stu- diare e farsi onore. Parla poco, non ride quasi mai, è cordiale senza essere espansivo ; è molto riservato, cosa rara nei comici ; non accetta mai alcuna conver- sazione, che abbia per argomento la storia de' suoi successi ; cosa anche più rara.

Edoardo Ferravilla è grave, senza pedanteria, serio, e pure affabile; è semplice, ordinatissimo ; per lui il genio non vuol dire la scapigliatura, lo zingaresco. Ha nelle vene il sangue di gentiluomo.

Egli non accetta, e a ragione, come frivola que- st'arte di provocare il riso, il riso che è l' immagine della felicità umana. L'uomo, che può rallegrare one- stamente i suoi contemporanei, che può dar loro la forza di scordare idee tormentose, di riprender co- raggio alle lotte della vita, non si può dire che abbia vissuto per nulla.

Voi vedete spesso a una recita del Ferravilla tutti i volti atteggiati a letizia, tutti gli sguardi più vivi, tutte le labbra più sorridenti : ha un non so che per cui comu- nica la gaiezza, una gaiezza che invade tutti gli spetta- tori, li porta cioè verso un ideale di spensieratezza, che è per chicchessia il punto di riposo dell'esistenza.

L'attore Milanese sa far ridere anche i più delicati, r ilarità che desta è durevole, poiché appunto è de- rivata da ragioni d'arte.

Ricordi Crìtici e Umorìstici 193

Questo attore ha per me un grandissimo pregio: non è mai fuori della natura umana. È, nel suo mi- rabil repertorio, l'attore più sincero e più realista! Ha mostrato come in tutto, anche nelle cose più tenui, che sembran più lievi, più fuggevoli, più circoscritte, un vero artista sa trovare virtù di eccellente espres- sione.

Ho dimenticato dire che Ferravilla è nato a Milano come Alessandro Manzoni. C'è chi lo chiama, anzi, l'Alessandro Manzoni del Teatro di menegìiitt. Credo che il paragone non gli sembri un grande elogio e che dica, tra sé, con molta sincerità:

Forse io non potrei scrivere i Promessi Sposi, ma è certo che Alessandro Manzoni non avrebbe sa- puto recitar come me la parte del Sindec nella Statoa del sur Incioda. Ognuno ha il suo genere!...

Il Ferravilla ha scritto varie commedie, di cui è proibita la riproduzione, anche molecolare. . Il Cervantes rileva, in una sua Novella, che un per- sonaggio nel quale egli è raffigurato, dopo aver scritto certe pagine, nascose si in alto la penna che nessuno arrivò a riprenderla.

Arrivare ove giunse il Ferravilla è la speranza (o meglio la disperazione) de' migliori attori comici ita- liani.

^NNA JUDIC

A BOLOGNA

^ NA parola su Anna Judic. Non crediate che io % voglia imitare quegli autori, che pongono nel titolo d'una pubblicazione : Bue parole su tale o tal soggetto.... e ci danno parecchie ventine di pagine; sebbene anch'essi non abbiano torto, poiché fra tante pagine, vi siano sovente circa il soggetto, che annun- zian di trattare, appena due parole.

Le rappresentazioni date da Anna Judic, nelle prin- cipali città d'Italia nel 1892, non spinsero gli spet- tatori alla frenesia dell'entusiasmo. Le platee rima- sero veri deserti ; si sarebber potute attraversare con l'aiuto d'un dromedario! Qua e vi si vedevano pochi amanti di solitudine, andati a quelle rappre- sentazioni col solo scopo di sfuggire il contatto dei loro simili.

Un'attrice avrebbe, invece, il desiderio, non dico la pretesa, che migliaia di persone fossero sempre in aspettativa di poter conquistare un biglietto d' in- gresso al Teatro in cui recita, e fosser necessarie

Ricordi Critici e Umoristici 195

varie compagnie d'uomini armati.... anche di pa- zienza, per tener in freno la folla, affinchè non rima- nessero schiacciati i più ardenti d'arrivare al loro scopo. Per un'attrice sarebbe già poco che una po- polazione intera bivaccasse, da un tramonto all'altro, intorno al Teatro, nel quale ella degni di mostrarsi, disputandosi a mille il favore di poter esser ammessi, un po' per volta, a deliziarsi nel solo aspetto della diva!

Anna Judic è tornata per la seconda volta in Italia, il paese delle Arti Belle, più che mai.... monumen- tale; si dice che, in questi anni, abbia perduto varii milioni, ma la sua apparente floridezza è molto au- mentata.

Se oggi ella si dividesse in due, per spartirsi fra i tanti teatri che la domandano, si può supporre che ne rimarrebbe sempre abbastanza per ogni teatro.

Quando si presenta al pubblico, ogni spettatore può subito riflettere sui tesori che la diva ha accumulato, unendo insieme l'amore dell'Arte.... e.... de' sani nu- trimenti : quando si volge, l'esposizione retrospettiva è di prima Categoria....

La brava artista ha recitato in America e in Eu- ropa, ma oggi basta che reciti, per tutto dove si volta, ha spettatori di due mondi.

Ho udito una volta due signore, che parlavano di una nube di trina, che l'attrice aveva su la fine del dorso. La chiamavano nube forse perchè le nubi si posano, a volte, su le montagne.

Non mi ricordo se le due signore parlavano in ita- liano, 0 in francese, o in inglese, poiché lo sapete, fra tutte le lingue, quella delle donne è la più diflì- cile a ritenere.

Anna Judic è chiamata la stella delle canzonette, però

196 Anna Judic a Bologna

basta fissar questa stella per scoprir cose, che altri pianeti non hanno ancor rivelato a' teloscopii più poderosi.

Nel 1886 io ho scritto la Vita di Anna Judic : e l' ho pubblicata in un libro (1) : ma da quel tempo, la sua vita si è singolarmente allargata; occorrerebbe farne una nuova edizione, notevolmente accresciuta.

Il formato del libro non ci permetterebbe di pub- blicare un fac-siwile della sua persona, neppur ri- dotto del mille per uno su le proporzioni naturali.

Certo, la grande artista ha compiuto un lungo cam- mino, dal tempo in cui, giovanetta, era allogata da sua madre in un magazzino di cucitrice. Ha pur eser- citato la professione di stiratrice : a questa molti fanno risalire l'origine della sua salute di feì^ro.

Da giovinetta, per disperazione d'esser tenuta lon- tana dal Teatro, tentava asfissiarsi. Ma fu miracolo- samente salvata. E dobbiamo esser grati alla Prov- videnza che volle ci fosse conservata una artista di tal qualità e di tal quantità.

Anna Judic ha sempre destato molte passioni : essa non è sfuggita d'occhio: e non era facile; a coloro che smaniano per le artiste di teatro, in ispecie per le grandi artiste d'una finezza e originalità prodigiosa.

Un signore russo, tutto ciò che vi ha di più in ofT, un diplomatico, avea concepito per lei una di quelle passioni che essa ha avuto il segreto di saper sempre ispirare.

Egli diceva a un' attrice molto allegra, e amica della Judic, che avrebbe dato per la celebre attrice la vita: la sua testa:

Ma gli rispondeva l'attrice voi uomini

(1) Attori, Cantanti, Acrobati. Memorie Umoristiche di Jarro. Firenze, Cappelli, 1887.

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siete tutti cosi : offrite sempre quello che non ha va- lore: che nessuno vi chiede I... E poi una testa, che farne? Non si può mettere.... in commercio, e nep- pure, in caso di bisogno, al Monte di Pietà, il piìi popolato monte che vi sia....

A poco, a poco, l'attrice dette ad intendere al di- plomatico che la Judic si sarebbe commossa, se le avesse offerto uno de' suoi denti sul davanti, montato in oro.... Il sacrificio le avrebbe toccato il cuore!

Il diplomatico andò a farsi cavar il dente: l'offrì, ma l'attrice, che si era incaricata di far da messag- gera, tornò a lui, dicendo che aveva sbagliato!... La Judic, per una superstizione, teneva non ad avere un dente della fila superiore, come quello, ma della fila inferiore....

Il diplomatico riprese subito il dente e il suo posto in una Ambasciata, da cui s'era allontanato, senza permesso.

Nella Mam'zelle Nitouclie, Anna Judic, se lascia ormai qualche cosa a desiderare nella esecuzione, non lascia nulla a desiderare.... da un altro lato.

Non si può immaginare, anche avendo un po' di fantasia, una educanda così bene sviluppata. Anzi che supporre che quella maestosa persona non sappia che cosa è l'amore, si supporrebbe quasi abbia avuto il tempo di dimenticarlo ! Anna Judic è un'attrice finita, non dico: ha tale scienza delle minuzie, ha tali ma- lizie, proprie della sua età più che di quella de' per- sonaggi, ch'essa rappresenta, da farsi sempre ap- plaudire, e ascoltar con piacere.

E la signora Judic è sempre incomparabile, nelle canzonette: in esse è sempre la grande diseuse ! Nella commedia vera e propria, come Ma Cousine, non potè mai vincere le sue rivali, neppur accostarsi

198 Anna Judic a Bologna

alle migliori di esse. Giunse alla perfezione in un ge- nere, tutto suo, originalissimo, in certi lavori, come Mam'zelle Nitouche e NinicJie, lavori intermedii, tra l'operetta e il vaudeville.

Chantez, chantez, ma belle, Chantez toujours:

ecco l'invito, che noi faremo sempre, da oggi in- nanzi, a Anna Judic. La sua voce è sempre pura ; e la sua arte di sottolineare quasi ogni nota con le espressioni della fisonomia, coi sorrisi, col gesto è incomparabile.

A proposito delle sue canzonette, si può dir dav- vero: essa canta e c'incanta. E che si potrebbe, o dovrebbe dire di più?...

Le cose non volser propizie, ripeto, in Italia, per Anna Judic nel 1892: i biglietti d'ingresso alle sue rappre- sentazioni, sono stati ricercati, tutto dire, meno dei bi- glietti di Banca : non furono negoziati alla Borsa, nes- suno ha pensato neppure a considerarli come valori.

Inde trae. E, dopo aver data una rappresentazione a Bologna, a cui il pubblico era pur accorso assai benevolo, la diva meravigliandosi che il Prefetto, il Consiglio Comunale, la magistratura, un gruppo delle più aristocratiche donzelle, vestite di bianco, non le avessero mosso incontro, mentre il cannone l'avesse di tratto in tratto salutata; sdegnandosi che i Bolo- gnesi non l'avessero accolta, gettando continuamente su di lei, dalla Stazione al suo domicilio, una piog- gia di fiori.... scrisse sul cartoncino d'una fotografia: ^— addio d'Anna Judic a Bologna, ov'ella non ri- metterà più i PIEDI.

Qual mortificazione per Bologna ! E che le gioverà avere l'Università, la fama di dotta, l'esser convegno

Bicordi Critici e Umoristici 199

di uomini gravi e eruditi, se una eletta intelligenza, la creatrice delle Femme à Papà, dee mancarle per sempre?

La notizia che Anna Judic non « rimetterà più i piedi a Bologna » avrà singolarmente costernato i calzolai : alcuni di questi egregii industriali hanno gran passione per l'Arte drammatica : si senton pre- disposti a far gli amorosi, poiché il mestiere gli co- stringe a passar tanta parte della vita a' piedi del bel sesso !

Anna Judic ha avuto torto di arrabbiarsi: il pub- blico italiano le ha fatto l'accoglienza, che ella me- ritava.

Tutti i lavori, in cui ella interpetra la parte della protagonista, furono scritti a posta per lei : in tutti questi lavori essa rappresenta, per il solito, una ra- gazzina ingenua, o una giovane molto procace e se- ducente ! . . .

Ma una diva di quel sesto, anzi di quel palinsesto, non può più sperare di poter dar agli spettatori, meglio disposti, l'illusione di una ragazzina, che sta per educarsi in convento, d'una donnina leggera. Al solo vederla, tutti capiscono che la sua educazione deve esser già perfetta da molto tempo: e io non dico che non vi possano esser donne leggere.... anche di novanta chili !

Il riso di Anna Judic era armonioso, melodioso, un gorgheggio; in tutti i lavori c'era la scena delle ri- sate ; e anzi, per le sue risate, di un puro metallo . argentino, era stata scritta la Cliatouilleuse !

Ma fin quel riso è oggi velato, non è più squillante, non comunica più, come un tempo, agli spettatori, una irresistibile gaiezza.

Ci vorrebbe ormai per Anna Judic un altro reper-

200 Anna Jtalic a Bologna

torio, un repertorio più adatto alla sua persona, e alle meravigliose attitudini, che le restano. Poiché basti il darle un'occhiata a convincersi che le è re- stato molto.

Nella sua scomunica contro Bologna, la diva non minaccia quel popolo, che essa vuol spingere all'orlo della disperazione, e forse più in là, di non fargli riudir la voce, ma di non rimettere più in Bologna « i suoi piedi.... »

Bisogna sapere che i piedi sono una delle parti più importanti nel già ricco repertorio personale della elegantissima e simpatica artista. Essa ha due piedi, co' quali le dev'esser facile far due chilometri in pochi secondi.... Non v'è artista che sia più di lei, di con- tinuo, su un vero piede.... di guerra.

I suoi piedi son come i piedi inglesi : sono a di- rittura metri....

Non è, quindi, a stupire se la grande e celebre artista, che è tanto degna di simpatia, anche in ogni suo eccesso, minacci della privazione de' suoi piedi Bologna, come della privazione d'una cosa tutt'altro che piccola ! Bologna dovrebbe mancare per lei d' ora innanzi di piante.... grasse?

Anna Judic è, da oltre un quarto di secolo, su la scena. Ma si può continuare per venticinque anni a fare le ingenue? Non è naturale che il pubblico, dopo aver veduto un'ingenua per cinque lustri, cominci a pensare ch'ormai deve aver acquistato, fra tante cose, anche un po' di malizia?

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]^1.NDREA Maggi è nato a Torino: non dirò quando, J^ mi manca la pazienza, la sottigliezza dei famosi abati di Montecassino nell'arte verificare le date.

Non starò a dir neppure che Andrea Maggi è un bell'uomo : egli lo sa : e se lo sente dire da un pezzo. E a certe cose si crede sempre. Non y'è infatti uomo, su questo punto, più ossequente di lui alla pubblica opinione.

Si parla molto delle sue passioni (di un tempo) ma io non ne so nulla: e credo che il mondo non ne chieda con febbrile insistenza una storia in parecchi volumi e con vignette.

Un solo aneddoto ho sempre ritenuto. Andrea Maggi aveva appena diciott'anni : soffriva, si dice, di un gran male d'amore.

Il medico gli osservava un giorno:

Mal d'amore.... lesione di cervello....

202 Andrea Maggi

E il giovinetto, che sembra avesse un buon senso precoce, gli rispondeva:

No, dottore.... se avessi cervello non mi troverei così!

Il Maggi nacque da un'agiata famiglia: compì i suoi studii, fino al liceo, nel Collegio di San France- sco di Paola : poi entrò volontario nel ministero delle finanze. E vi stette per più di un anno.

La sua famiglia non voleva che fosse attore, seb- bene egli avesse dato molte prove di aver peculia- rissime doti nella recitazione: e, in tenera età, era stato già l'eroe di una piacevole commediola.

Frequentava la Compagnia di dilettanti, che istruiva la signora Malfatti, aveva accettato di far una parte in un lungo dramma. Egli entrava in scena circa la metà del lavoro, cioè verso le 10. Avea promesso che la sera, quando in casa sua tutti dormissero, sa- rebbe andato al teatrino : si sarebbe truccato : avrebbe recitato.

Poi disegnava tornarsene a casa, coricarsi e dor- mire.... su gli allori.

Ma non gli venne fatto bene, come s'era posto in animo. Un suo zio assisteva alla rappresentazione. Quando il fanciullo uscì dalle quinte, era ben truc- cato ch'egU non lo ravvisò. Ma appena mosse la parola, allo spettatore, al parente, sembrò di pro- vare una strana impressione. Lo guardò meglio ; e strabiliava. Intanto, il fanciullo suscitava applausi fragorosi. Lo zio più tardi saliva sul palcoscenico, ravvolgeva il fanciullo nel suo proprio mantello e, colmandolo di baci, lo riportava a casa, senza che i genitori potessero subodorare della scappata.

Andrea Maggi non ha fatto un penoso tirocinio; non è stato in piccolissime Compagnie, non ha guit-

Ricordi Critici e Umoristici 203

teggiato, secondo il vocabolo del gergo teatrale. Ha fatto però un tirocinio assai lungo: ha sostenuto le parti di minor rilievo, prima che il Bellotti-Bon, il suo miglior maestro, gli desse il molo di amoroso e di primo attore nelle sue Compagnie.

Non m' indugierò sulle avventure cavalleresche del- l'esimio attore. Egli è molto difficile a parlare di ; esce dalla scuola opposta a quella d' Ermete Novelli ; ma pure son trapelate certe notizie.... Si bucina ch'egli abbia avuto un duello, il solo nella sua vita, con un Critico, il quale s'era permesso di sostenere che in una parte il Maggi s'avvicinava soltanto al sublime.... I due combattenti furono messi uno in faccia all' al- tro. Ma, ad un tratto, un grido di stupore usciva dalle labbra dei padrini : il Maggi avea ingoiato la spada del suo avversario !

Un fatto di ben altro genere, e che rivela tutta la delicatezza, tutta la prontezza di spirito del giovane attore, si racconta com'accaduto ne' primissimi anni della sua carriera teatrale.

Bisogna qui io dica anzi tutto : che Andrea Maggi è un musicista, dilettante, di molto valore. Ha voce sonora, estesa, un po' monotona nella sua ricchezza, 0 meglio nella sua ridondanza, anche quando canta. Giuseppe Verdi ha avuto pochi entusiasti pel suo Otello, così convinti, cosi appassionati come il nostro simpatico artista. Dopo che egli ebbe udito a Milano, per la prima volta, la sublime opera ove le furie del Moro e i sospiri della poetica veneziana si ripe- tono in un linguaggio immortale, ogni sera, nel suo camerino, Andrea Maggi cantava, tra un atto e l'al- tro del dramma o della commedia, a chi lo visitava, l'aria d'entrata di Otello: o quell'aria dell'ultimo atto, sospirata sul cadavere di Desdemona, che imparadisa,

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e di cui ogni nota è una stilla di pianto : e pianto che sgorga da uno dei cuori più eccelsi, cui la poe- sia e la musica abbian dato ali per inalzarsi nel pa- tetico, nelle trepidanze dell'amore, nelle ebbrezze, o tenere o feroci, della passione.

Anni or sono, e molto prima che fosse scritto dal Verdi il suo Otello, Andrea Maggi si trovava a Ve- nezia. Vi aveva conosciuto una cantante russa, il cui nome, sebbene essa abbia fatto nel Teatro l'appari- zione fugace e abbagliante d'una meteora, è tuttora ricordato nell'Arte.... Essa ebbe un momento d'ido- latria: idolatria di popoli, di principi, di sovrani. Si stette in forse che su la sua chioma bionda potesse posarsi una corona granducale.

Questa gran dama, cantatrice, avea accettato il puro, gentile omaggio dell' attore italiano. Andrea Maggi era giovanissimo : accesissimo, come sempre, dell'Arte. Una sera, dopo il teatro, l' illustre canta- trice e l'attore italiano vocalizzavano insieme. Di più essa studiava allora V Orfeo del Gluck, che avea avuto per la prima l' idea di far resuscitare. Pigliava consigli dal giovane attore su la bella scena della pantomima, ben collocata. I due artisti avean tra- scorso insieme, nelle conversazioni dell'Arte, ne' loro mutui entusiasmi, una gran parte della notte : avean voltato le pagine di varie partizioni : a un tratto, nel silenzio di quelle ore, si inalza un grido straziante. Il fuoco s'era appiccato nella camera della dama di compagnia della cantante. L'incendio divampava in un attimo. Dalla strada si erano alzate altre grida, si bussava alla porta, Andrea Maggi non volea esser colto, riconosciuto in quell'ora. S'appiglia ad uno strattagemma. Chiama un servitore : si accomoda su la testa una larga berretta: si veste panni umilissimi.

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si fa alcuni fregi stupendi nel viso e, chinando le^ spalle, zoppicando, esce dalla casa, tra la folla ac- corsa a spengere T incendio. Quando è fuori, dopo che ha gettato i panni, che s'era accomodato sopra i suoi, dopo che s'è ricomposto la fisonomia, torna, veduto da tutti, sul luogo del pericolo: salva dalle fiamme una giovane cameriera e ha tuttora nel braccio sini- stro una cicatrice lasciatagli dal fuoco.

E ciò senza strepiti, senza ostentazioni, senza ri- peterlo le mille volte al primo capitato. C'è intorno ad Andrea Maggi tutta una simpatica leggenda : una leggenda di affezioni, di gentili commozioni artistiche, di tratti di grande e squisita bontà.

Poiché la bontà è veramente la qualità suprema, che impronta nel giovane artista tutte le altre. C'è in lui una illimitata indulgenza vèrso tutto e verso tutti.

È di quegli uomini che sanno, per un felice istinto, prima delle lunghe esperienze, indovinare che nel mondo vi sono molte persone, o moleste, o sciagu- rate, pili malate che tristi, a cui bisogna saper molto perdonare. Poiché forse nel mondo non vi sono veri tristi : vi sono infelici, che nascono con una certa propensione alla calunnia, alla bassezza, al delitto : incapaci di gustar la più ineffabile gioia dell'uomo, ch'è quella di sentir nobilmente.

Andrea Maggi ha la serenità degli uomini, nati buoni, e che si sentono forti, in tutto bene equili- brati: che non sanno quindi aver gelosie, invidie, abietti rancori: che, fra i tanti partiti ch'offre il mondo, scelgono quello eh' è il migliore : quello che ride, cioè, dolcemente, delle soverchierie, delle av- ventatezze, degli errori di tutti gli altri....

Andrea Maggi è stato sempre equanime. Una cen- sura aspra, magari ingiusta, niagari di quelle censure

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vituperose, con cui oggi certi scrittori insozzano le loro penne, non lo irrita, non lo punge: lo fa sorri- dere : di quel riso, sereno e sdegnoso, dei savi : con- tro cui si spuntano tutte le malignità della gente rin- ghiosa, isterica d' odii, o di piccoli livori !

IL

E stato detto più volte che oggi si abusa, nel Tea- tro di prosa, delle farse, in tre, o cinque atti, delle commediole sguaiate, o sbraculate, senza studio di caratteri, senza garbo di stile, senz'ombra di vero- simiglianza. E noi siamo d'accordo; e noi pur deplo- riamo, che si confonda il comico col grottesco, lo spi- ritoso col bislacco, la deformità con la bizzarria.

Ben inteso: noi deploriamo l'abuso di un certo genere di commedia, un po' scapigliata, alle volte troppo scapigliata, ma non sappiamo indurci a con- dannare nessun genere; anzi, vorremmo che gli at- tori coltivassero i generi più disparati, poiché sol- tanto dalla varietà può essere alimentata l'attrattiva nelle loro rappresentazioni, E di ciò abbiamo esempio (e che splendido esempio!) nelle antiche Compagnie drammatiche italiane, in quelle Compagnie, che oggi gli studiosi della Storia della nostra Arte dramma- tica debbon citare a modello; quali la Compagnia Sarda, la Compagnia Lombarda, la Compagnia che recitò, in un certo periodo, a' Fiorentini di Napoli,

In tali Compagnie il repertorio era distribuito in modo che, ne' varii giorni della settimana, si dava agli spettatori un genere diverso di produzioni ; cioè, 0 la tragedia, o il dramma, o la commedia goldo- niana, 0 la commediola venuta dal Palais Rovai, o

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dalle Yarietés, o la farsa arrischiatissima in più di un atto.

Allora gli attori, da' più illustri, che faceano le prime parti, a' generici, a' promiscui più spiccioli, aveano l'abilità di recitare benissimo, e in prosa ed versi : e il dramma, e la commedia e la tragedia : sappiamo che Adelaide Ristori era applaudita, con eguale entusiasmo, e per eguali perfezioni, nella Ltulv Macbeth, e nella Mirandolina della Locandiera: che Ernesto Rossi era di un'efficacia poetica, asso- luta, nella tragedia e di un piacevolissimo incanto nel Lìndoro delle Gelosie goldoniane: che Tommaso Salvini scendeva dalle altezze tragiche, dalle nubi del dramma romantico, per recitare, come un attore di genio, la parte di Lord Bonfil nella Pamela: e per- fino una parte di caratierista nella Fasma.

La varietà è, dunque, necessaria, anche nelle rap- presentazioni del Teatro di prosa, al diletto del pub- blico: non si può scartare sdegnosamente questo, o quel genere. E la massima versatilità è pur necessaria, vorremmo dire indispensabile, ne' grandi attori. Sa- rebbe singolare, ad esempio, il rimproverare, in modo assoluto, un artista, che sembrò sopra tutto atto alle parti comiche, s'egli tenta le parti più serie, più drammatiche. Gli esempii, che ho già citato, baste- rebbero a dimostrare qual disvario di attitudini può essere nel medesimo artista. E potrei crescere a di- smisura il novero di tali esempii. Ma mi contenterò rammentar di volo le testimonianze recate dal Eeitzge- rald nella Vita del Garrick, a mostrar come il cele- bre attore fosse sommo nella commedia e nella tra- gedia: rileverò che una soubrette della Comédie- Frangaise, la Joly, fu lodevolissima, recitando la parte di Athalie: che un comico francese, de' più briosi, e

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popolari, il Beaulieu, seppe essere ammirabile, inter- petrando la parte del protagonista nella tragedia Mao- metto del Voltaire.

Il Regnier, vecchio, raccogliendo i ricordi della sua vita di attore, notava come Adriana Lecouvreur esordisse alla Comédie-Frangaise con uno spettacolo, in cui essa rappresentava la parte della protagonista nella tragedia Elettra del Crebillon : la parte di An- gelica nel Giorgio Dandin. E ciò perchè « era allora d'uso che gli esordienti dessero saggio di lo stesso giorno nei due generi, tragico e co^nico! Far ridere, dopo aver fatto piangere, era, in quel tempo, lo studio di tutte le buone attrici: e si rileva da uno de' ritratti, che sono in un atrio della Comédie Frangaise, quello della Desmarès. Essa è raffigurata, tenendo nelle mani un pugnale e una maschera comica, duplice emblema delle sue attitudini teatrali. Adriana, fedele alla tradi- zione, ebbe questa civetteria dell' ingegno e cercò sem- pre l'occasione di far valere la varietà de' suoi meriti. »

Ed anche di Adriana Lecouvreur, somma attrice tragica, si cita la perfezione con cui recitava, ad esempio, nella commedia del La Fontaine, R Fioì^en- tino, la parte à' Ortensia: « parte dice Titon du Tillet che passò sempre per una delle più difficili a rendersi nel genere comico. »

E noi non abbiamo Ermete Novelli, versatilissimo ? Ermete Novelli che, se è un Giocatore: la parola non è esagerata : nel Deputato di Boìnbignac, nella San- terellina, nel Prefetto di Montbrison, in tante altre produzioncelle, è un attore castigato, patetico, effica- cissimo nella Gerla di Papà Martin, nel Romanzo parigino, nella Grande Marniera, e anche nella Morte Civile !

E però studiammo sempre, con attenzione, con

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passione di amatori dell'Arte, tutti questi nuovi ten- tativi d'Frmete Novelli nel genere drammatico: e in tutti avemmo a scoprire qualche nuova perfezione. Solo l'abbiam trovato manchevole in lavori, ne' quali non basta all'attore essere umano, ma, o per la forma del lavoro, o per le situazioni gli è richiesto, in più 0 meno proporzione, il sentimento lirico : e questo sentimento in lui ci parve, almeno per ora, scarso.

Andrea Maggi va pur studiato nei servigli, che, tuttora giovanissimo, ha reso all'Arte, come artista e come capocomico.

La sua vita di artista, secondo ho già detto, fu sem- pre T'egolatissima : non andò soggetta a quegli sbalzi di fortuna, a quelle vicende mutevoli, incresciose, onde son travagliati molti artisti per la loro man- canza d'ordine, o la loro imprevidenza. Una sola tem- pesta vi è stata nella sua vita: il suo recente disa- stroso viaggio nell'America del Sud: ma se vi ebbe disavventure, come capocomico, vi ebbe pur come artista non piccole sodisfazioni. E tornato dall'Ame- rica, desiderato in Austria, in Russia, in Polonia fu, specialmente a Pietroburgo, accolto con entusiasmo, ricevette splendidi doni, ricordo d'affetti popolari.

Andrea Maggi non fu sedotto, ne' primordii della sua carriera, da una facile gloria. Capì che tutte le attitudini non si sviluppano in un giorno: che non ci si sveglia artisti dall'oggi alla domane : che il miglior fomite degl'ingegni è la disciplina. E, per lunghi anni, rimase docile al consiglio di maestri eccellenti : si esercitò in studii, in prove, che doveano spianargli la via a' più difficili 'tentativi. Salì, a grado a grado, non per impeti pazzerelleschi , com'abbiam veduto far a altri giovani, i quali trovarono in una cieca foga la loro rovina.

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I suoi ideali dell'Arte erano alti: ma, come tutti gli artisti ben temprati, eletti, avea la coscienza delle difficoltà, che si frapponevano a raggiungerli, delle forze, onde avea mestieri, per adeguarli.

Egli avea la mira di tutti i giovani baldi e gene- rosi : arrivare ove già poggiavano i sommi nell'arte, toccare il subblime: liberarsi, più che gli fosse dato, dalle pastoie del repertorio moderno ; non restar tutto chiuso in ciò che è frivolo, ma librarsi a ciò che è duraturo.

Per la sua indole, per la sua bella figura, per la sua bella voce, si sentiva male a suo agio in certe scéne artificiose, in certi dialoghi miseri: vagheggiava le grandi situazioni, i grandi personaggi: la poesia: una forza irresistibile lo accostava, trepidante, a' ca- polavori.

Restò, come ho detto, molti anni, nel repertorio ordinario di tutte le Compagnie, accettando le parti, che gli erano assegnate : amato subito dai pubblici, per la sua figura gradevole, per quella luce di giovi- nezza, che abbaglia tutti, per la sua eleganza, per una intonazione, che sapea essere, a tempo, aristocra- tica. Il suo primo vero successo fu nel Ferrèol. Nes- suno poi lo vinse in quella parte. Devono esser corsi un quattordici anni, o giù di li : e io me lo rammento tuttora, qual' io lo vidi sulla scena del Teatro Nicco- lini, più sere, dinanzi a centinaia di spettatori, cui il dramma del Sardou, che udivamo per la prima volta, dava una insolita commozione.

II Maggi nulla lasciava a desiderare nella parte di Ferrèol: si capiva il fascino, la seduzione esercitati dal giovane eroe su la gentildonna, trascesa in una colpa, causa a tutti e due di terribili angustie ; la nobiltà, che spirava da tutta la sua persona, la sua

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voce calda, patetica, ora tonante, or carezzevole, la simpatia che egli attirava sopra di da ogni spetta- tore, ravvivano quelle scene : faceano trepidare cia- scuno di quella passione, di quella amara espia- zione.... L'attore sembrava fatto per il personaggio: il personaggio per l'attore. Di rado si è veduta una più compiuta unità tra la potenza dell' interpetre e la fantasia dello scrittore.... Il trionfo, ripeto, fu senza eguale.

Andrea Maggi ebbe dunque, sin da' suoi primi passi, un desiderio invincibile di darsi alla grande Arte : di interpetrare i capolavori : cooperare a serbar sulla scena, fiorente, la tradizione della più bella lettera- tura drammatica.

Ma ebbe la virtù di sottoporsi a un lungo tirocinio, mentre altri giovani intorno a lui, si facevano im- provvisatori: si rivelavano, a un tratto, Kean, Otelli, Amieti.

Però vi fu differenza in queste due specie di tenta- tivi. I tentativi de' giovani avventati, più temerarii che arditi, caddero nel nulla : il pubblico non si curò di questi facili mattoidi, nati col bernoccolo di con- traffare l'ottimo. Invece, allorché Andrea Maggi an- nunziò i suoi primi tentativi in lavori difficili, la curiosità fu universale: il pubblico, che non si era commosso a nomi ignoti, a vanti di arrischiati, senza precedenti di sorta, si commoveva pel desiderio di veder in un nuovo e più arduo cimento delle sue forze un giovane attore, che avea già acquistato tante predilezioni e a cui, per la sua fama, il pubblico con- cedeva, a buon diritto, il massimo credito.

Mentre, infatti, giovani imprudenti avean veduto la platea vuota, allorché essi pretendevano recitare V Otello, V Amleto, Andrea Maggi vide il pubblico ac-

212 Andrea Maggi

correre ad affollare i teatri, ov'egii recitò, per la prima volta, V Amleto, e poi V Otello. E, non solo questo si verificò, ma la prima recita, le repliche di questi capolavori gli fruttarono, come incasso, più di qual- siasi recita, o replica di altro lavoro, magari nuo- vissimo.

Ciò è prova di quello eh' io ho sempre sostenuto : esser molto inopportuno raffermare che la tragedia è morta : che il pubblico non la vuol più ! Il pubblico non esclude nessun genere : il pubblico non può, sino a che rimanga fiato di civiltà, esser ostile ai capola- vori : ma vuole, e a ragione, attori adeguati. La imper- fezione assoluta dell'esecuzione stride sempre più nella perfezione assoluta d'un capolavoro. Ecco perchè il pubblico rifiuta d'andare ad assistere alla parodia di certe tragedie.

Nell'ornato, neW Otello ebbe rari pregi d'interpe- trazione, e difetti : il suo Amleto è mirabile : mi è pur noto che a simili interpetrazioni l'attore studioso, e di peregrine qualità, va sempre aggiungendo: va sempre in esse lasciando qualche difetto, le affina, le purifica. Abbiamo notato questo lavorio, nelle stesse interpetrazioni di Tommaso Salvini e di Ernesto Rossi, fino a questi ultimi anni.

Si, con Andrea Maggi, artista e capocomico, siamo pur lontani dall'abuso delle commediole sfrontate e giuccherelle, delle farsaccie, allungate per tre o cin- que atti ; e, nelle sue compagnie, si sentì di tornare alla massima varietà del repertorio. Egli con i più arditi tentativi, cercato di richiamare il pubblico alle vere discussioni letterarie : e, non solo ha cercato nelle letterature straniere lavori, che altri non avrebbe davvero accettato, non credendoli utili , lavori di scrit- tori poderosi, come il Don Giovanni, dell' Heyse, ma

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ha cercato incoraggiare, eziandio in certe peculia- rità, la letteratura paesana. Nessun altro capocomico avrebbe accettato e messo in scena, come il Maggi lo mise, YAsmodeo di Luigi Alberti : poetico tentativo, che, se non sorti esito felicissimo, aveva, in certe parti, vigoria e bella ispirazione di ingegno, e la cui riproduzione bastava a rivelare a quali concetti ri- spettosi verso ogni" sincera manifestazione dell'Arte volesse conformarsi il giovane attore.

I capolavori shakespeariani erano stati messi in scena fra noi, e anche dal Salvini e dal Rossi, con molta parsimonia e, sovente, con poco decoro. Per questo lato, i nostri grandi attori, furon poco utili al nostro Teatro: gli furono, anzi, diciamo, dannosi. Nes- sun altro ebbe in piccol conto l'assetto scenico, l'insieme d'una Compagnia, che pure è tanta parte nella essenza dell'Arte rappresentativa. Ciò non tolse loro d' esser uomini di genio !

Andrea Maggi fu il primo a metter in scena, fra noi, i capolavori dello Shakespeare, con quel rispetto, che è dovuto a un tal poeta. Nella sua Compagnia Otello non apparisce circondato da una frotta di strac- cioni, di guitti, vestiti nelle foggie piìi goffe e sgar- bate, l'assetto scenico risponde tutto a serii intendi- menti artistici. Ed è questa una delle sue benemerenze, più grande che non si creda.

S' io dovessi rilevare un difetto generale in Andrea Maggi, un difetto, che domina su tutti gli altri, direi esser questo. Egli, nelle sue interpetrazioni, è allet- tato da tutto ciò che splende, da tutto ciò che luccica; un bagliore, o anche una bella sonorità, lo attraggono in modo che spesso non pensa più in là. In certe in- terpetrazioni egli è più brillante che profondo; pia- cente a molti per lo sfoggio, la ricchezza di rarissime,

!14 Andrea Maggi

invidiabili qualità, anzi che d'una forte evidenza, di una potente facoltà intuitiva, spiegata, secondo il sog- getto, in modo vario e magistrale. Si può dire di lui che ci di certi caratteri soltanto la superficie, una superficie brillantissima, se vuoisi ; ma si vorrebbe eh' egli sviscerasse di più, fosse più multiforme. Ciò gli verrà sicuramente col tempo, ed in breve. E fo tal riserva soltanto per alcune interpetrazioni.

Non dico che manchi di versatilità. Si racconta che il Kean e il Talma non erano capaci a rappresentare un personaggio plebeo, cencioso, abietto, sordido nel volto e nell'anima. Andrea Maggi, appariscente, poetico, ne' grandi personaggi della tragedia o del dramma, così signorilmente elegante nella Francillon, 0 nella Dionìsla, così pieno di dolcezze, di soavità, è a dirittura ammirabile nel modo con cui rappresenta lo sguaiato e lurido personaggio, che può dirsi il pro- tagonista dell' J. Basso Porto.

Andrea Maggi ha una memoria ferrea, felice, in- vidiabile. È de' pochissimi attori, i quali sanno a mente ogni parola della loro parte. In tre giorni avea impa- rato a memoria tutto V Otello. Racconterò un aneddoto.

Giovanissimo, avea assistito a dieci o dodici rappre- sentazioni del Figlio Natuy^ale di Alessandro Dumas. Si ammalò un attore ; non si sapea come fare a so- stituirlo : il giovinetto dilettante si ofi"rì un'ora avanti che dovesse andare in scena, e disse tutta la parte del primo attor giovane, che avea imparato a memo- ria, soltanto a udirla, e suscitò i più grandi applausi, E il dilettante era il solo nella Compagnia che sapesse la parte ; la sapea meglio dell'attore da lui surrogato, e che non l'aveva saputa mai, senza il suggeritore!

Una volta Andrea Maggi, mentr' era impiegato, come

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ho detto, nel Ministero delle Finanze, fece un sogno misterioso, strano, e allora per lui inesplicabile. Gli sembrava che la sua piccola e scura stanza d' impie- gato era mutata in una vasta sala, tutta splendente di luce: che avea dinanzi a una folla immensa, attenta, appassionata: che, attorno attorno, belle donne, chinate su mazzi di fiori, e sfavillanti di gio- ielli, gli sorridevano: invece del suo semplice abito, egli vestiva un abito sfarzosissimo, parlava un lin- guaggio ornato, ingegnoso : tanto che certe sue frasi erano accolte con segni di compiacenza, interrotte da approvazioni. Gli pareva, insomma, d'essere artista, e, forse, un grande artista.

Il sogno roseo, benché allora strano, si é oggi com- piuto: la folla che vedeva, in sogno, il giovane im- piegato, addormentato su le carte del suo ufficio, quella folla festosa, attenta, appassionata, benevola, é la folla degli spettatori italiani, che riguardano oggi il giovane attore, con orgoglio, come una fulgida glo- ria dell'Arte italiana.

^INA pi |:iOREN^O

I.

'LI attori, le attrici, che arrivarono alla fama, non ■^^ vi arrivarono, se non dopo un lento e lungo tiroci- nio, abituandosi alla scena, con assiduo esercizio, in parti secondarie ; e, a poco, a poco, conforme in loro la esperienza della scena si maturava, interpetrando le prime parti.

Oggi si segue un altro metodo : non vi sono più discepoli, non v'è più studio: si doventa di primo ac- chito maestri!

Io mi domando, se l'Arte della recitazione sarebbe un'Arte, posto che, da un istante all'altro, per solo impulso della volontà, vi si potesse doventare eccel- lenti. Chi non bramerebbe di essere grande attore, o grande attrice a tal prezzo?

Invece, vediamo ogni giorno quanto i veri artisti, anche sulla scena di prosa, sieno rari !

Ma è colpa d'un'artista giovane, graziosa, se la lode si inalza d'un tratto intorno a lei, senza misura, assordante, inopportuna?

Ricordi Critici e Umoristici

No: e non è neppur da ascriversi a colpa di co- loro, che senza occuparsi di continuo dell'Arte dram- matica, credono bene, in un beli' impeto d'entusiasmo, gettar fiori (di retorica) sulla via che deve percor- rere un'attrice.

Vero è che quelle lodi non si possono mai tener ispirate da vera amicizia, poiché hanno un solo ef- fetto:— quello di render il pubblico molto esigente, di fargli credere ch'egli si trova dinanzi a un'at- trice perfetta, già celebrata al paragone di tutte le migliori, e indurlo spesso a dimenticare che è dinanzi ad una semplice esordiente.

Ve poi da tener conto di un altro ragguaglio.

Una volta, quando nelle Compagnie si trovavano fin cinque o sei artisti di gran fama, e di altissimo merito, era diffìcile a un giovane, a una giovane, che esordivano, rivolger tutta, o in parte, a l'atten- zione del pubblico e della critica. Il pubblico e la critica scorgeano di leggeri quanto mancava a quei giovani per arrivare all'eccellenza dell'Arte, di cui aveano innanzi splendidi esempii.

Oggi, abbiamo su la scena attori e attrici, che po- trebbero più lucrosamente esercitare la professione di fenomeni viventi, pel loro aspetto, la loro voce, la loro età: abbiamo una vera penuria d'attori d'in- gegno, e capaci di studio ; e, per me, è naturale, é naturalissimo che, allorché comparisce sulla scena un'attrice, che ha una fìsonomia assai leggiadra, che parla, non squittisce, che non ha accento viziato, subito si gridi al prodigio. Essa, infatti, è un pro- digio; in mezzo a tanti pessimi, o mediocrissimi attori !

Quando in una Compagnia v'erano quattro, cinque, Sèi, 0 più artisti, che bastavano a riempire il Teatro

218 Tina Di Lorenzo

ciascuno di loro con questa, o quella interpetrazione, per virtù propria; i giovani non si inalzavano così di subito: ma aveano un vantaggio, quello di poter migliorarsi, di poter studiare su certi esempii.

I capocomici, eziandio quelli che non erano insi- gni attori, erano, come il Bazzi, uomini sperimenta- tissimi : insegnavano.

Oggi una giovinetta, con suo danno, diventa subito arbitra, despota sul palcoscenico; non si piega a leggi, le detta, e le detta prima d'averne il diritto, per l'abilità, per i suoi successi.

E, a proposito della signorina Tina Di Lorenzo, io dirò che nel giudicarla bisogna esser ben ponde- rati : la severità sarebbe crudeltà, l' indulgenza una debolezza e un pericolo.... per la gentile attrice.

Io tengo a non entrare fra coloro che la stordi- scono con gli elogii : che vogliono renderle impos- sibile ciò di cui tanto abbisogna : il progredire !

Ripeto, con gli elogii sfrenati si rende il pubblico diffidente; dopo lodi assurde e sperticate, che non hanno alcun fondamento, esso non rimane piìi equa- nime, non può trovare ciò che gli si promette : si sde- gna, lascia i Teatri deserti, o soltanto popolati.... da ammiratori di professione.

E ripeto pure : il recitare è o no un'Arte ? Ri- chiede studio, esperienza, tirocinio, esercizio di ri- flessione? Per non esser monotono, non citerò i nomi de' sommi, ma vi è un primo attore esimio, vi è una delle nostre grandi prime attrici, che doventasse primo attore, prima attrice dall'oggi al domani?

Lasciate, dunque, a questa cara giovane il tempo di do ventare.

Non l'assordate con le vostre trombe ; che non son certo quelle del Giudizio !

Ricordi Critici e Umoristici 219

Nella signorina Tina Di Lorenzo abbiamo una gio- vane di ventanni, che già da tre anni affronta tutte le parti più ardue del repertorio. Che delizia, che in- canto, se questa giovane artista avesse voluto rima- nere nelle sue parti; le parti à." ingenua, di pì-ima amorosa. Avremmo avuto un'attrice, da surrogare alla compianta Pierina Giagnoni. Ma oggi in tutto si vuole sforzare ; in tutto si vuole strafare !

Come questa giovane attrice può riuscire, a un tratto, in tutte le parti più difficili del repertorio moderno ? Dove ha avuto l'agio, il tempo di studiar queste parti, di sviscerare i caratteri,, di trovar ac- cento, intonazione, andamenti diversi?

In uno, 0 due anni, ha abbracciato tutto il reper- torio; artisti di genio hanno studiato, per due, tre anni, una sola parte.

Ciò che mi farebbe sperare di questa giovane at- trice è la sua intelligenza, che si rivela nella sua misura. Essa è semplice e non esagera ; e se, in molti lavori, non fa nulla di straordinario, di pro- fondamente originale (e come potrebbe ?) o di nuovo ; se le manca pel* ora la individualità, dice certe scene benissimo: ha momenti felicissimi, accanto ad ore assai cattive.

In altre scene, ov'è richiesto accento caldo, appas- sionato, una rapida, sapiente varietà di espressione drammatica, la voce della signorina Di Lorenzo è manchevole. Ma si può da una giovanetta pretender di più?

Essa ha il più grato de' difetti : è troppo giovane, difetto di cui si guarisce molto rapidamente !

Però è strana la condizione del nostro Teatro ; ab- biamo da un lato donne, che, già arrivate a mezzo centenario, usurpan lo parti di ingenue e di amo-

220 Tina Di Lorenzo

rose: e bambine, che per poco non si arrischiereb- bero a far la parte di Medea !

Il pubblico applaudisce talvolta la signorina Di Lo- renzo, ma dove applaudisce tutte le attrici. E certi applausi non debbono inorgoglire un'attrice delicata, e che sembra vagheggiare alti trionfi. Vi sono scene, che fanno l'attore, o l'attrice ; che procurano sempre un applauso anche a' mediocri.

In quelle scene il pubblico non sa bene, se applau- disce la situazione, o l'esecutore : non se ne rende conto. Sa che, a certi punti, deve sempre applaudire ; e, in specie, se v'è un'attrice giovane, graziosa, che ha un bel sorriso (e la signorina Di Lorenzo l'ha, talvolta, bellissimo) , allora il pubblico la vuol ri- vedere.

Il vero pregio in artisti, come sarà la signorina Di Lorenzo, io non ne dubito, è di farsi stimare, ap- plaudire ove altri passino inosser\'ati. L'attore rivela il sommo dell'arte sua in certe minuzie. È di esse che è formato sulla scena un carattere. E, per ora, -sfugge alla signorina Di Lorenzo la interpetrazione artistica, intera, d'un carattere. È vero che l'amabile artista può dirmi che sfugge ad attori, ad attrici, che sono su la scena da venti.... e trent'anni più di lei! E non ha torto.

Dovrei pur rimproverare, se me lo permette, alla signorina Di Lorenzo, il vezzo di portarsi troppo spesso le mani alla faccia. La faccia è graziosa, non posso dire di no, come critico imparziale: ma non vedo l'urgenza di carezzarla sempre : non la vedo almeno in chi l'ha a sua disposizione per tutti gli omaggi, che vuol renderle, e che merita, anche fuor della scena.

Altro difetto, per me, nella signorina Di Lorenzo,

Ricordi Critici e Umoristici . 221

è nella studiata, o troppo ripetuta lentezza dei mo- vimenti, in una continua smorfia, che dovrebbe espri- mere, almeno in certi lavori, un incommensurabile dolore, ma che dovrebbe esser cambiata, secondo la diversa indole del personaggio: e che, ad ogni modo, mi sembra sempre troppo ostentata.

La signorina Di Lorenzo è elegantissima, ha sulla scena un diportarsi leggiadro e signorile: in ciò è superiore a tutte le nostre prime attrici : eccettuo Eleonora Duse per la sua poetica, originale eccen- tricità : le altre par che studino in voler dar sag- gio nel gestire, nel sedersi, fin nel distendersi, di una stravaganza, tutt' altro che artistica e rispon- dente a qualsiasi criterio .di eleganza anche fra le donne un po' larghe di idee!

La signorina Di Lorenzo, nella dizione, nel gesto, non fa mai nulla di volgare : grande elogio, che dob- biamo tributarle. E ciò rivela in lei, almeno, una squisita finezza di gusto.

La sua fisonomia è leggiadrissima : i tratti molto fini ; non ha però, sin ora, la mutabilità, richiesta su la scena. L'espressione della sua fisonomia è mi- nore, a' lumi della ribalta, di quella che abbiamo ri- scontrato in donne, inferiori a lei di venustà, ma che aveano ciò che ad essa manca sin' ora, la bellezza scenica, teatrale, se cosi può dirsi !

La. signorina Di Lorenzo è una grande attrice ? No, davvero. Ne si può essere grandi attrici a diciotto anni.

È una speranza per la nostra Arte drammatica? L'auguriamo di gran cuore alla giovinetta vezzosa - ed a noi.

Bisogna diffidare de' piccoli [)rodigii?

L'avvenir-o solo ce lo dirà!

Tina Di Lorenzo

IL

Ormai si dice Tina soltanto, come si dice Cleopatra, Bidone, Semiramide.... Non scrivo che, dinanzi a tanta celebrità, non si possa rimanere sospesi.... come i famosi giardini, eretti appunto da Semiramide.

Tina incede sopra una terra, la quale non produce per lei, se non adoratori e articoletti di cronaca lau- dativi: due cose che la impensieriscono e l'annoiano: a ragione.

Due volte, almeno, per settimana, qualcuno le chiede la sua mano: riceve, in capo al mese, dalle cinquanta alle sessanta lettere, contenenti le più furiose dichia- razioni d'amore : una volta le leggeva suo padre : ora non le legge più alcuno, salvo chi le scrive.

Per poco ch'essa degni volere, la gentile e vaghis- sima attrice sposerà il parente non troppo lontano di qualche monarca, che sarà molto onorato di tale unione. Gli altri pretendenti si bruceranno il cervello, dato che ne abbiano....

Tina Di Lorenzo ha oggi 20 anni : non ha, ripeto, per me, la bellezza scenica, poiché non sa, o non vuole truccarsi nel rappresentare certi personaggi, non sa correggere con gli artificii la delicata finezza, la tenuità de' suoi tratti ; le prime donne sono come le scene, debbono fare un grande effetto.... da lon- tano. Se non hanno il volto richiesto ad esprimere certi forti, o svariati sentimenti, debbono farselo. Per le prime donne non è un rimprovero, ma è un pre- cetto da seguirsi, quello che Amleto rivòlge alle donne, in generale. « Dio v'avea dato un volto, e voi ve ne fate un altro ! »

Ma, se in certe parti, la signorina di Lorenzo non ha questa bellezza scenica, che io cerco, e ho diritto

Bicordi Critici e Umoristici 223

di cercare nell'attrice, per chi la vede a una passeg- giata, in un ritrovo, in un palco, al teatro, come spettatrice, essa è di una bellezza, non dirò soltanto incantevole, ma poetica, originale, attraentissima.

Non ha la plastica bellezza pagana, ma la bellezza angelicata, secondo un vocabolo usato nella Vita Nuova da Dante e, in un articolo, dal prof. Antona Traversi, che sembra voler essere, almeno, il Dante di questa nuova Beatrice. E se l'egregio professore non ha ancora scritto una Commedia, che si possa chiamare divina, non ci son gravi motivi per disperare del- l'avvenire.

La signorina Di Lorenzo è, l'abbiam detto, una attrice, che cerca la sua via : che ha lampi di inge- gno e d'intuizione e molte perplessità, molte incer- tezze, ma vi è in lei alcun che di raro, di singolare, una potenza indefinibile, che turba, confonde tutti coloro che la avvicinano. È facile andarla a visitare e perder la testa : dico per quelli, che ve la portano.

In tutto ciò che ha fatto e che fa questa giovanis- sima attrice vi è un non so che d'ineffabile, di mi- sterioso : la sua vita tranquilla, ritirata, studiosa, molto seria, contrasta col gran rumore, che si fa in- torno a lei, con la garrula leggerezza, la strepitosa e vana baldanza de' cento suoi adoratori. Potrei metter mille: tanto mi costa lo stesso.

Di rado si è veduta sulle scene de' nostri teatri di prosa una giovane attrice di più lina educazione, d'in- dole più mite, più raccolta in se, più fervidamente ap- passionata dell'Arte, più timida e più aliena da tutti i petulanti istrionismi.... L' ho già rilevato: non possiamo oggi asseverare a quale altezza poggerà come attrice ; ma è già di molto superiore a tutte le volgarità della cosi detta vita teatrale. V è già in lei l' impronta

224 Tina Di Lorenzo

peregrina di un essere, che non vuol somigliare se non a sé, che ha un modo peculiarissimo di sentire e d'intendere. Quella seduzione profonda che essa esercita, a sua insaputa, su quanti la circondano, dei'iva, il che par mirabile in si giovani anni, dalla sua forte individualità: non parlo come attrice.

Tina Di Lorenzo può dirsi figlia dell'Arte. Sua ma- dre, nata Colonnello, fu una buona seconda donna : fu anche in una delle Compagnie dirette da Tommaso Salvini.

Una volta Tommaso Salvini dovea partire per l'Ame- rica del Sud. Ad un tratto la signora Colonnello si rifiutò di seguirlo, offrendo di pagare la penale pre- scritta. Essa dava allora il latte alla bambina-mira- colo, che dovea trovar tanti adoratori, devoti se non ragionevoli, fra i gazzettieri, i frequentatori de' teatri di prosa.

Tommaso Salvini andò su le furie, vedendosi, men- tre il tempo lo stringeva, privato della sua seconda donna : si dette a gridare con la sua bella voce to- nante. La bambina era causa di grandi rumori, anche prima di aver la parola. Fu pagata la penale: e la madre rimase di qua dall'Oceano a allattare la sua bambina.

Due anni or sono, Tommaso Salvini desiderò veder la giovinetta che, da bambina, gli era stata causa di inquietudini.

E, dopo averla veduta e udita, il grande attore disse alla madre, con la sua immensa e cordiale bo- narietà :

Valeva la pena di scioglier un contratto, e fa- ceste bene di non seguirmi in America, se ciò po- teva mettere nel più lieve pericolo un'esistenza preziosa !

Ricordi Critici e Umoristici

Il padre della giovane attrice appartiene a una rag- guardevol famiglia siciliana, ha nobili parenti. La sua bisnonna era una Borgia. Egli discenderebbe dal duca Valentino. Nientemeno !

Tina Di Lorenzo si trovò da bambina sul palcosce- nico: all'età di 6 anni già recitava: si scrivevano per \b\ monologhi: ora non ne vuol più recitare: in questo si vede che ha davvero progredito.

All'età di 6 anni era già applauditissima.... nel Tea- tro Municipale di Noto.

A Napoli destava entusiasmo recitando poesie in onore di S. M. la Regina, e su la orrenda catastrofe di Casamicciola : beneficò le vittime (della catastrofe, non delle poesie).

A 12 anni interpetrò la parte della ragazza cieca nello Due Orfanelle.

A 11 anni già recitava la Suonai) -ice d'Arpa, con alcuni dilettanti, nel Teatro di Portici.

A 16 anni era amorosa in Compagnie drammatiche col Ferrati e la Buccellati : col Drago e la Lugo nelle Puglie. Sin d'allora recitò nella Serafina quella parte di giovi- netta, in cui è oggi pur tanto applaudita : recitò la parte di Lesdemona neìY Otello: recitò nella Fenumda.

Una parte del pubblico prese ad amarla subito : già destò in attrici, che si credeano a lei superiori, le gelosie, le violenti animosità, che sono il balzello im- posto dall' invidia a chiunque s' inalzi, e per qualsiasi specie di merito.

In Napoli la giovinetta fu udita da Eleonora Duse, dalla signora Pia Marchi-Maggi, dal Maggi, che ne parlaron con lode a Virginia Marini.

Virginia Marini scritturò la Di Lorenzo mentre era in una piccola Compagnia, e stava per entrar nella Coinpagjiia diretta dall'attore Paladini.

226 Tina DI Lon

In quel torno l'egregio attore Francesco Pasta, che avea concepito l'ardito disegno di formare una Com- pagnia di veri genii, cominciando da se stesso {...prima charitas a se....) la udì a Genova: e la rapì a Virginia Marini.... pagando una penale di parecchie migliaia di 'lire.

In tal guisa la signorina Di Lorenzo facea il suo ingresso nella Compagnia Pasta, di cui fu la principale attrattiva....

Io non mi seppi rallegrare che la signorina Di Lo- renzo fosse entrata nella Compagnia de' Triumviri : Pasta, Garzes, Reinach : pur ammesso che questi at- tori sieno tre vere glorie viventi dell'Arte.

Essa era, per me, già molto più al suo posto nella Compagnia Paladini : Compagnia di attori disciplinati, che sapeano di dover qualche cosa a una giovane at- trice, che dava i suoi primi passi, nella scelta del Repertorio, e in altri riguardi. Forse si spingevano, fino all'estremo, quasi rinunziavano a mettersi in ve- duta, ciascuno per conto loro, affinchè l'astro mag- giore viepiù risplendesse.

Nella Compagnia Marini, la signorina Di Lorenzo si sarebbe forse trovata meglio. Essa vi si scritturava, non già come prima donna assoluta, ma come prima donna giovane e prima amorosa. Non sarebbe stata costretta a far tutte le parti più gravi e più ardue, più sproporzionate a' mezzi d'una giovanissima attrice.

Mi si dirà : ma Virginia Marini avrebbe compor- tato di buon animo accanto a una giovane attrice, alla quale il pubblico prodigasse tutte le sue più vive simpatie, tutti i suoi più clamorosi favori?...

Rispondo: Virginia Marini è, anche per la bontà della sua indole, una fra le migliori nostre attrici : e, se si dovesse aflermare che essa è superiore a ogni

Ricordi Critici e Umoristici 227

emulazione, a ogni rivalità d'arte, mettendo una mano sul fuoco, io ci metterei ben volentieri.... una delle vostre...; ma, io mi domando, sino a pochi anni or sono, non stavano insieme riuniti cinque, sei grandi attori, senza che uno portasse ombra all'altro, con- tribuendo anzi, in tutti, a un insieme perfetto? Che gono queste meschinità feroci, queste pretese, oggi tanto squinzagliate ?

Con Virginia Marini, accanto a un' attrice, merita- mente famosa, non gettata di balzo sul trono di prima donna assoluta, e notate che essa avrebbe avuto le idee ])m costituzionali, anzi quasi repubblicane, Tina Di Lo- renzo si sarebbe certo più avvantaggiata che nella monotona, cupa Compagnia dei Triumviri.

E se io, semplice mortale, potessi aver autorità di indirizzarmi a esseri, che già si credono, e forse sono, superiori alla umile, fragile natura umana, io avrei Tletto, e direi a' Triumviri, o meglio a' tre egregii Imperatori della Compagnia, oggi, piìi singolarmente, ad un solo di essi:

Voi avete una giovinetta cara, leggiadra, la più soave, la più elegante e aggraziata giovinetta, che si possa vedere su una scena : essa non vi può an- cora esprimere le grandi, sensuali, brutali passioni: essa ha una personcina snella, flessuosa, una fisono- rnia, vorrei dir d'angiolo, (ma si dee star sempre fra le nuvole?...) gentile, dolcissima: una voce tenue, ca- rezzevole, che molce le orecchie in certi familiari colloquii, ma che non ha ancora gli accenti vibrati, coloriti, gli scoppii d'intonazione delle passioni più veementi e più sfrenate. Chi ha mai pensato di chie- dere al gelsomino, alla rosa ciò che si chiede alle, più forti sostanze, di voler dall'usignolo i ruggiti, che prorompono dalla gola del leone?... Eppure la rosa.

228 Tina Di Lorenzo

il gelsomino, l'usignolo sono tra i più belli e delicati ornamenti della creazione. Chi vorrebbe alterarli, o distruggerli?...

Perchè dirò io, continuando a parlare a que- sto Imperatore, col rispetto che gli è dovuto non ci date un repertorio più adatto alle qualità, alle tendenze, ai mezzi della giovane attrice?

Una attrice italiana non dovrebbe, prima di tutto, affermarsi in un repertorio italiano o, almeno almeno, in parte, italiano? Ho torto io? Scusate. Ma Carlo Goldoni non ha scritto lavori, in cui sembra abbia voluto dare a una giovane attrice il mezzo di spie- gare le più squisite perfezioni ?

Perchè non ci fate vedere Tina Di Lorenzo negli Innamorati, nella Locandiera, nella Pamela, nelle Gelosie, nel Ventaglio e, perchè no?... nella Serva amorosa ? Perchè non tornate a mettere in scena al- cuni de' lavori scritti per attrici giovani, dal nostro Gherardi Del Testa?

Nel repertorio dello Scribe c'è una miniera di belle parti per attrice giovane : e il ruolo dell'attrice gio- vane tra noi va sparendo, perchè le convenienze di Compagnia fanno scartare un vasto repertorio, il quale sarebbe produttivo anche per la cassetta, e meno op- primente di quello oggi in voga, ad esempio, nella Compagnia Triumvirale o Imperiale!

Per fermo, non avrete mai vere prime attrici giovani , se le costringete precocemente ad uno sforzo intellet- tuale e fisico, superiore alla loro età, a' loro mezzi ; se andate a ritroso delle loro naturali disposizioni all'Arte, se le condannate alle eroine clamanti e scom- pigliate, a partire dal punto ove dovrebbero arrivare, dopo lungo tirocinio, a usare tutte le loro forze, prima d'averle studiate una a una, e messe al paragone.... se

Bicordi Critici e Umoristici 229

me le condannate a' grandi drammi, diciamo la parola, a' veri lavori.... forzati !

Ma torniamo a Tina Di Lorenzo....

Tina, inutile ve lo dica, è il diminutivo di Concettina. Essa è nata a Torino il 4 settembre 1872.

Vi ho già parlato di sua madre Amalia Colonnello ; il padre, Corrado Di Lorenzo, è un tranquillo possidente, nativo di Noto, in Sicilia.

La giovane attrice ha un metodo di studiare, tutto suo.

Legge le sue parti ad alta voce, dinanzi a uno spec- chio. Fra vent'anni giudicherà che gli specchi hanno molto cambiato.... come quel senatore, sordo da due anni, diceva che.... non sapea perchè.... da due anni i suoi colleghi avean perduto la voce !

Mentre legge dinanzi allo specchio, Tina riflette: tal' e quale come lo specchio : vede il suo personag- gio innanzi a sé: lo vede entro la sua fantasia.

Guai a chi la disturba, mentr' essa è intenta a stu- diare. Non è lecito ad alcuno distrarla: neppure ai suoi genitori, se non vogliono essere severamente re- darguiti. Neppur il piccolo fratellino di Tina Di Lo- renzo osa interrompere gli studi i della sorella, in tali momenti. Il giovinetto Di Lorenzo è alunno nel Col- legio di Marina: è vispo e spiritoso.

Un giorno un attore drammatico di cui dovea esser rappi-esentata la sera una commedia stava correggendo un componimento del futuro navigatore. Vi faceva molte correzioni e cancellature.

Il giovinetto, pensando alla commedia, che sarebbe stata rappresentata fra poche ore, e avendo, da buon marinaio, un vago presentimento di sibili e di tempe- ste, disse all'autore, suo maestro, con voce scolpita:

Fa', fa' : ora tocca a te, stasera poi toccherà.... a me !

230 Tina Di Lorenzo

Auguro a questo ragazzino, futuro navigatore, che possa scuoprir molti nuovi mondi....

Ho rilevato che Tina Di Lorenzo non ha nulla d'istrio- nico : essa ha la massima paura del pubblico : è com- movibilissima: la più piccola peripezia l'abbatte, su la scena e fuori.

Che una commedia, in cui essa recita, non piaccia al pubblico e sia fischiata, si perde subito d'animo: è sopraffatta da una grande agitazione: trema, non riesce a parlare!...

In generale, parla sempre poco : è di carattere pro- fondamente malinconico: prova spesso un bisogno irresistibile, e inesplicabile, di dare in scoppii di pianto: ben di rado è colta da un sussulto di riso nervoso.

A vederla nella intimità, a guardare quella sua fiso- nomia, così graziosamente infantile, si direbbe che questa fanciulla, adorata da buonissimi genitori, vez- zeggiata, idolatrata dal pubblico, è in preda di con- tinuo a un'atroce sofferenza.

Essa mi diceva un giorno :

Voi mi avete censurato di atteggiar sulla scena la fisonomia alla tristezza ; ma io non atteggio punto la mia fisonomia : è seria naturalmente ! Mi sento, triste, melan- conica, quasi sempre, non so perchè.... È la mia indole.... Vi dirò anzi, che, anche nelle interpetrazioni di personaggi, non sento mai forse compiutamente quelle di personaggi comici: mi attira tutto ciò che è patetico, mi sento com- movere agli aiFetti di famiglia, alle sventure, alle passioni nobili, elevate, contrariate, a' semplici amori: non sento, neppur come attrice, certe passioni bieche.

E naturalissimo la gentile attrice propenda a quelle interpetrazioni, che son più consentanee alla sua età, al tenore di vita che conduce: che sia inclinata a

Bicordi Critici e Umoristici 231

comprendere, più che altro, i sentimenti teneri, le più intime e dolci commozioni dell'animo, l'amore ele- giaco, il patetico.

Io non posso però menar buono alla giovane attrice quello che essa sostiene circa la sua fisonomia : « l'ho così e dev'esser così ! » Ben inteso io ammetto la bellissima artista non sia del mio parere tutte le volte che io non la lodo. Non comprendo, anzi altri- menti, gli attori, le attrici !

Ma io le osservo : la fisonomia su la scena bisogna saperla mutare, atteggiarla, perchè sia appro- priata ad esprimere, non solo i sentimenti scritti, espressi dall'autore, ma anche quelli sottintesi, e di cui l'espressione è lasciata all'attore!... L'attore deve, per così dire, parlare agli orecchi e agli occhi. La sua fisonomia occorre sia sempre in accordo con la sua parola. Tutta l'arte è qui : su ciò faticarono i più sommi. La facoltà di commoversi per passioni imma- ginarie, di supplire con l'espressione più evidente della fisonomia, con le trovate de' gesti, alle appa- renti deficienze del testo, che vi un autore, ecco il segreto dei grandi attori ! Lo stesso osservo della voce! La voce è l'anima del commediante. Non è vero che gli basti la sua voce naturale : no, egli deve educar la sua voce a esser atta a trasmetter al pubblico una certa commozione. È richiesto a ciò un lavorìo inces- sante. Dirò alla signorina Di Lorenzo che tutti gli at- tori nascono con un organo più o meno ricco, ma quanto studio a coloro che lo ebbero pur ricchissimo ci vuole per renderlo docile, perchè possa avere, non solo la varietà, ma la precisione nell'espressione, e Vemto!

In generale, gli attori hanno una certa disposizione nel loro organo a proferir certe intonazioni, o tutte

232 Tina Di Lorenzo

tristi, 0 tutte allegre. Vi è taluno che esprime la gioia (li ritrovar un' amante quasi con la stessa in- tonazione, di cui si servirebbe se ne deplorasse la morte !

Non bisogna contentarsi di dire : la mia fisono- mia è triste, la mia voce è flebile per natura: l'Arte sta appunto nel vincere la propria natura, nel- l'arricchirla, nel piegarla a tutte le difficoltà. Se no, l'Arte, 0 sarebbe nulla, o sarebbe una vera super- fluità.

La signorina Di Lorenzo, l'attrice di cui oggi la cri- tica ha il dovere d'occuparsi sopra ogni 'altra, fra le giovani, e per questo io me ne occupo con tanta di- ligenza, mi osservava:

Voi non vi siete ancor deciso a dire come io riuscirò.... (Non glielo dico perchè forse la mia opinione, palesata, la farebbe troppo insuperbire. Obi sa?). Ma io sento che po- trò arrivare a buon punto.... Sento e so che sono al primo scalino: ma sento che arriverò, ve lo assicuro.... Il pub- blico mi vuol bene.... Di certe mie interpetrazioni mi si do- manda più volte la replica nella stessa città, nella mede- sima stagione.... Però, vedete, ho momenti di grande sco- ramento ... Ci sono momenti, e mi. si ripetono spesso, in cui vorrei abbandonar l'Arte : non udir più parlar di teatro : andarmene a vivere con mio padre e mia madre in una assoluta solitudine.... Se sapeste allora quanto soffro !

Ed è un fatto : chiunque conosce la vezzosa attrice sa che ella, per un nonnulla, cade nel piìi profondo abbattimento : diffida di sé, delle sue forze : un non- nulla però la riconforta.

Figuratevi che un mio articolo, ad esempio, le sia dispiaciuto: scrivetele una lettera anonima per dirle che io ho torto e che essa è, com'è vero, la piià gra- ziosa creatura del mondo:

Ricordi Critici e Umoristici 233

una grandissima attrice: i pensieri neri voleranno su- bito via dalla sua bella testolina.

Cambia di opinione molte volte in uno stesso giorno: in questo è donna.

Mi diceva:

Perchè asserite eh' io non fo bene la parte di Dio- nisiaf E pure ci ho messo tanto studio e sento di farla bene ! Forse ho per voi poca voce : ma quella è la mia voce.... Quando sono commossa, anche naturalmente, non posso gridare di più.

No, o soave, o preziosissima attrice, voi non gridate di più, quando siete commossa: e neppure occorre, anzi non si deve gridare in tale scena; ma sapete l'effetto che fato a me in quella scena?...

Io non vedo Dionisia, cioè una donna offesa nella sua dignità, nel suo onore, nel suo sentimento, nel suo affetto di madre, tradita e contristata da un briccone, che fu il padre del figlio di lei, morto fra gli stenti: ma vedo una bambina, molto carina, che racconta che le hanno fatto qualche cosa di grosso, di molto grosso, se volete, ma neppur ella sa cosa sia....

Su Tina Di Lorenzo ci sarebbero da raccontare molti aneddoti. Gli aneddoti son tutti autentici.... an- che per quelli che li inventano.

Ma su lei non c'è bisogno d'inventare. Ne raccon- terò uno solo.

Era andata a vedere inalzare un pallone areostatico. Disse: vorrei esser uomo, per poter subito salirvi.... Subito un giovane signore entrò, o meglio si gettò nel pallone nel momento in cui questo si alzava. Il pal- lone restò in aria sino alle 11 della notte e la paura che ebbe l' intrepido adoratore non si lascia descri- vere.

Una sera, Tina Di Lorenzo era al Gran Serraglio Kludsky.

234 Tina Di Lon

Nessuno guardava più i leoni : tutti guardavano la bella attrice. Uno de' suoi adoratori le disse:

Se me l'ordinate, mi getto nella gabbia dei leoni! Rispose la bella attrice, sorridente :

No, non farei un regalo a' leoni, sapete che tutti i giorni mangiano qualche animale !

Tina Di Lorenzo non fa un passo; senza esser se- guita da un nuvolo di ammiratori. Par che le chie- dano l'elemosina di uno sguardo, almeno. Infatti al- cuni li chiamano i suoi iwveri (di spirito).

J^RMETE j^OVELLI .

5 Agosto 1889.

Ermete Novelli in Ispagna.

JLJÌrmete Novelli è ora tornato da Barcellona: ove (^^ egli racconta che il pubblico fece per lui cose da pazzi : se lo dice, dobbiamo credergli.

Egli arrivò in Barcellona lo stesso giorno, nel quale vi arrivava, a capo d'una squadra, un principe fore- stiero. Le navi da guerra spagnuole tirarono varie salve, in onore del Principe, dopo aver alzato le ban- diere.

Ermete Novelli credette subito, per la modesta idea che ha del suo merito, quelle salve fossero ti- rate in suo onore.

Ritto su la prora della nave, al momento in cui arrivava nel porto, avea fatto scendere nelle cabine tutti i suoi attori, le sue attrici, volendo che gli occhi della Spagna, in quel punto, fossero concentrati sol- tanto sopra di lui.

230 Ermete Novelli

A ogni colpo di cannone, dava una scossa, e, su- bito rimesso, mormorava, sorridente:

Mi vuol bene questo buon popolo : già non e' è popolo, dove io non abbia ammiratori: e più mi ammirano dove non sono conosciuto!

Il suo segretario Maccheroni, vista la condizione d'animo, in cui egli si trovava, si provò a chiamarlo generale : ma Ermete, inquieto :

Che generale, che generale ? Io sono imperatore !... e imperatore di u.n regno come la Spagna, ove, secondo la frase di Carlo V, il sole non ai corica mai.

Ciò poteva piacere a Carlo V, che non aveva cre- ditori.

Ci volle del buono a convincer il sommo Ermete che le salve erano tirate in onore del Principe d'una Casa regnante : ma, appena il dubbio si fu dissipato, egli esclamò :

Già lo sa questo popolo intelligente ch'io non voglio rumori, che ogni pompa mi dispiace. In tutta la vita ho cercato con ogni mezzo di non attirar mai l'attenzione so- pra di me!

Non vi stupisca se Ermete Novelli, parlando degli spagnuoli, li chiama sempre : il m«io popolo. È un modo comune ai grandi attori, i quali provano il bi- sogno d'assicurare, a ogni istante, il genere umano che esso gode della loro familiarità. Un popolo inor- goglisce subito, quando sa che può far assegnamento su la simpatia di Ernesto Rossi, o di Ermete No- velli. Oramai fra l'Europa e l'America c'è tutte le mattine una disputa : e ci sono varii Osservatori! per poter stabilire con certezza da qual parte penda il favore dell' uno o l'altro de' due attori : a quale con- tinente si alzino da letto più propizii!

Ricordi Critici e Umoristici 237

Allorché Ernesto Rossi tornò da Atene, dove poco era mancato non lo incoronassero re di Grecia, e ove il re Giorgio, anzi, lo ringraziò di aver conservato, contro il capriccio popolare, la corona alla sua dina- stia, ferveva in Firenze la questione del Duomo e dei piccioni. Molti (non parlo dei piccioni) gli andarono incontro per sapere che cosa ne pensasse. Rispose :

Ah, si tratta del mio Duomo? E che umori ci sono nella mia città? Vi dirò, però, prima d'interrogarla, che ornai siamo abituati a incontrare nella Piazza del Duomo un certo numero di bestie : tale e quale, come nell'alti-a Piazza, da ciii passano i Sindaci, i Consiglieri Comunali per recarsi alla loi'o sede. Le aquile soltanto ci passan di rado....

Non vi starò a ripetere tutti i trionfi, che Ermete Novelli ha ottenuto in Ispagna. Si sa che, fin da quando egli fu a Madrid, nello scorso anno, la Regina reggente gii offri il titolo di principe di Dios-me-asista , ma egli rispose :

Non potrei accettare un tal favore, mi contento già di esser chiamato semplicemente il principe degli attori viventi. Vostra Maestà potrebbe propormi una piccola com- menda e una grossa pensione.

La Regina reggente non udì, sembra, che le prime parole e osservò:

Potrei farvi mio ministro !

Ma Ermete Novelli le replicava che la Spagna era un regno troppo piccolo per la sua intelligenza. E tutti dobbiamo essere di tal parere ; non foss' altro per contentarlo.

Ermete Novelli è piaciuto in Ispagna, sopra tutto, per le sue interpetrazioni di lavori serii. Ha entu- siasmato nella Morte cUnle, nel Romanzo imì-igino.

238 Erinefe Novelli

nel Michele Perrin, nella Gran Marniera, nella Gerla di Papà Martin. Ci sono giornali che vorrebber far credere com'egli sia stato insuperabile nel Nerone; ma questo si chiama fabbricare Novelli in Ispagna !

Certo il Novelli nel Nerone è un gran tiranno, poiché, soltanto a vederlo, fa sotfrire.

Ma è degno di esser rilevato il suo ottimo successo in certe parti drammatiche: egli l'ha ottenuto in Ispagna, come l'ottenne e l'ottiene sempre in Italia.

Si parla del Novelli, in generale, come d'un at- tore comico e, certo, nel genere comico egli è at- tore per eccellenza ; vi farà ridere tutta la sera in una commedia nella quale altri dieci attori, e non cattivi, non sapranno cavar effetto di sorta.

Ma studiamolo pure in alcune parti, fra le più dram- matiche, del repertorio e vedremo questo artista in- vidiabilissimo giungere ad un' eccellenza, in cui non l'adeguano molti tra i nostri attori, che si son tutti dedicati al genere drammatico.

La interpetrazione che il Novelli ci del perso- naggio di Corrado nella Morte civile non è perfetta, ma ha in se tali e tante bellezze che supera tutte le interpetrazioni dateci di quel dramma dai nostri gio- vani primi attori.

E si noti che il Novelli ha contro di il paragone tuttor vivissimo della sublime interpetrazione di Tom- maso Salvini.

Ove il Novelli è anch' egli assolutamente creatore è nella Gerla di Papà Martin. Egli mostrò le sue peculiarissime doti d'artista, arrivando di slancio in questo lavoro alla perfezione. L' interpetrazione di Cesare Rossi, benché tanto artificiosa, benché tutta sovraccarica, anzi addirittura ingombra di lambicca- ture, di ricercatezze, d'arcaismi e di convenzionalismi,

Ricordi Critici e Umoristici 239

era pure una interpetrazione di una non comune effi- cacia scenica. Il provetto attore vi ottenne sempre, e per tutto, indimenticabili trionfi. Ciò dico a dimo- strare che non era facile al Novelli il segnalarsi, il destare ammirazioni ardenti in questo lavoro. E pure egli vi riuscì, e vi riuscì con un mezzo che racco- mandiamo a' giovani attori. I trionfi ottenuti con mezzi artificiosi, con espedienti di mestiere, e, bene inteso, non è dato a tutti il sapersene valere con effi- cacia, anzi è dato a pochi, egli li volle e li seppe ot- tenere con una grande verità e semplicità. Il suo du- plice dono della comicità e della commozione, spicca in mobo mirabile nella interpetrazione del personaggio di Papà Martin. Egli sa impadronirsi in tal modo dell' animo di chi lo vede e lo ascolta, che, a talento dell' interpetre, lo spettatore è mosso ora al riso, ora al pianto, senza che il trapasso l'offenda : senza che il riso urti la sua commozione, o la sua commozione venga a rendere men sereno il sorriso nelle scene in cui è appropriato.

È uno fra' miracoli dell'arte moderna questa in- terpetrazione del personaggio di Papà Martin, data dal Novelli; l'artista vi spiega tali finezze, vi pro- fonde uno studio psicologico cosi sottile, vi pone tali squisite perfezioni, che il pubblico si sente attratto, affascinato, senza rendersi conto de' ragguagli, del- l'accorgimento ond'è formata una simile interpetra- zione, la quale ha il bello, il potere irresistibile delle cose ispirate e molto pensate.

E che dire del personaggio di Yorich nel Dramma Nuovo del Tamavo ? In tale dramma, nelle grandi scene dell' ultimo atto, Ermete Novelli arriva in certe sere a destare il sublime della commozione. Dico in certe sere, poichò non seni[(n' (questo grande artista

240 Ermete Novelli

è eguale a se stesso; talvolta, nella medesima inter- petrazione, in cui avea dato saggio di eccellenza, mi è apparso manchevole.

Ma che ricchezza di artistico istinto, d'ingegno, che potenza nel destar certi affetti che egli ha saputo rivelarci, quando ha voluto, in quel personaggio di YoìHcli !

Lo stesso dobbiam dire del Michele Perrin, del Romanzo Parigino, due altre stupende creazioni, e correndo con la mente al Pinteau del Deiìuiato di Bombignac, all'organista della Santarellina, al dici- tore di monologhi, ora umoristici, ora commoventi, or l'una e l'altra cosa insieme, è pur forza ricono- scere nel Novelli una delle più elette tempre d'artista, che si sieno rivelate al nostro tempo.

Quando vuol fare i grandi amorosi, i grandi eroi, i grandi appassionati, gli mancano gli scoppii della voce, gli mancano, per ora, nell'accento il colorito, le inflessioni, che esprimono certe passioni, in un certo grado, e si richiedono a certi personaggi, in una certa età, in una certa condizione ; gli manca una certa lar- ghezza e varietà nel gesto, gli manca nella persona una certa maestà e nobiltà a rappresentare, con effi- cacia, certi personaggi. Gli manca la parola alata, vi- brata, sonora : e pur si desidera una maggior vibratezza e poesia nel suo gesto. Si desidererebbe in lui, allorché tenta certe situazioni, qualche cosa di più plastico. Ma non si può aver tutto. La sua stessa leggerezza, la sua agilità, la sua dizione familiare gli approdano nella comicità di certe altre interpetrazioni.

Ma che questo attore, a cui non consiglierò mai di arrischiarsi a interpetrare i personaggi lirici, grandi amanti, giovani o nel fiore dell'età matura, ci raffi- guri im vecchio, un uomo affranto, colto da qualche

Ricordi Critici e Umoristici 241

ingiustizia, offeso nel diritto, nell'onore, dilaniato dagli affetti, non v'è tra noi attore che possa giungere più oltre del punto ove egli arriva. Ciò perchè in questi siffatti personaggi, oltre la parte drammatica, o tra- gica, v'è intimamente una parte generica, o carat- teiHstiea, nel significato che questa parola ha al Tea- tro, e che si attaglia stupendamente a' mezzi di lui.

Ne' primi atti del Dramma Nuovo, ove dee far la parte di amoroso, lascia a desiderare: e molto nella Morte Civile, mentre riduce a una parte di ca- rattere generico, e con molta abilità la parte di Co)'- raclo, è insufficiente ove dovrebbe esprimere quella grandiosa terribilità, il contrasto fra essa e l'affetto, che insieme con la concentrazione e lo stile, sono il segreto del successo, che Tommaso Salvini ottenne d'nanzi a ogni pubblico in quella interpetrazione.

Ammettiamo pure ch'egli passi una metà della sua vita in ammirazione dinanzi a sé, è d'uopo ricono- scere che l'ammirazione può essere, forse, un po' ^troppo calorosa, ma non è ingiustificata.

In certe città secondarie d'Italia, come all'estero, accade che il Novelli piace più nel genere serio che nel suo repertorio comico, ove egli è pur tanto ori- ginale ed ameno.

Ma vi sono pubblici, a cui sfuggono finezze d' in- terpetrazione, che vogliono il lavoro in 5 atti, con grandi situazioni, con personaggi solenni, e forti pas- sioni, e credono che altri tenti pigliarsi giuoco di loro, se si recitano le vispe commediuole in 3 atti, le farsette sbraculate, i lavoretti leggeri, la cui trama è tutta composta dei sottilissimi fili dell'equivoco, del qui prò quo.

Ermete Novelli, che ha tanti sinceri, intelligenti am- miratori, incominciando da se stesso: Ermete Novelli,

242 Ermete Novelli

che trova si facile la lode e talvolta anche l'applauso, ha bisogno d'esser messo in guardia da chi ha la virtìi e il coraggio d'essere imparziale contro certi fanatismi e contro certe approvazioni smodate : più che altro, ha bisogno d'esser messo in guardia contro se stesso. Potrebbe darsi che questo incomparabile artista fosse inclinato ad abusare de' suoi doni, È un difetto comune agli attori. Allorché essi si veggono applau- diti, seguendo un certo metodo, facendo certi movi- menti, certi gesti, usando certe inflessioni, a poco a poco si danno ad esagerare quel metodo, quei gesti, quei movimenti, quelle inflessioni : credono di esser più applauditi strafacendo, e perdono la misura, che è il vero segreto degli effetti durevoli.

Noi non vogliam dire che il Novelli abbia oltre- passato il segno : forse mostra una certa tendenza a certe esagerazioni di comicità, le quali, se in lui do- ventassero vezzo, sarebbe vera jattura, poiché gli farebbero perdere la simpatia, le approvazioni del pubblico fino, del solo pubblico, che è degno della in- telligenza di lui.

Lo strafare in una scena può esser causa di qualche maggior eff"etto immediato, può eccitare una risata di più, 0 una risata più sonora ; ma quel soverchio compiuto in una scena è causa di squilibrio in altre, turba l'armonia del lavoro : un effetto é a scapito di molti.

L'esagerazione, a cui v'abbandonate in una scena, nuoce all'effetto dell' insieme, anche, ripeto, se ha un certo effetto immediato, poiché, nello svolgimento del lavoro, toglie verosimiglianza ad altre situazioni, e talora al carattere stesso del personaggio.

Un altro particolare.

La sera in cui dette al Teatro Lirico di Barcellona

Ricordi Critici e Umoristici 243

l'ultima recita, il Novelli, tanto era l'entusiasmo del pubblico, dopo essere stato chiamato quindici o sedici volte al proscenico, dovè pronunziare un discorso : nessuno lo capì, ma fu giudicato magnifico. E l'ora- tore fu molto e molto applaudito. Chi sa che un giorno, per gli esami di licenza liceale, non sia dato per tema agli alunni : Il discorso di Ermete Novelli ai Cata- lani. Sarà una bella occasione per i giovani poco studiosi : poiché, se ne' componimenti vi saranno spropositi, potranno dire che han voluto imitare, in tutto, lo stile dell'oratore : e se saranno inintelligibili, potranno allegare che tale fu l'oratore, la cui eccel- lenza stava appunto in questo : nel dir molto, senza farsi capire.

In Spagna il Novelli ebbe vittorie da oscurare quelle del Cid Campeador.

Si pubblicarono giornali, riviste, libri, con ritratti, elogii, racconti di avventure del celebre attore.

Fra le avventure, una delle più semplici, e delle più credibili, è questa.

Una sera, dopo la recita, tre persone, che avevano l'aspetto almeno di tre ministri, si presentano al No- velli : lo assicurano che un gran personaggio vuol parlargli. Egli replica che ha fame: desidera andare a cena! ma gli rispondono, chiedendogli un sagrifizio per la felicità della Spagna. Ermete Novelli non ha mai guardato a sagri fizii per salvare una nazione che lo implora. Scende; entra in una carrozza; è con- dotto in un palazzo, nel più bel palazzo di Madrid, è lasciato in un salotto misteriosamente.

Sente il fruscio di una gonnella, una porta si apre, si spande un soave profumo. Entra un' augusta si- gnora. Era la.... Essa gettandosi in ginocchio dinanzi al Novelli esclama:

244 Ermete Novelli

Ermete, io ti amo!

La giustizia non informa : ed è bene.

E questa è la più semplice, e sopra tutto, la più credibile fra le avventure toccate al grande, briosis- simo, popolarissimo attore nei suo breve viaggio in Ispagna.

Decembre 1890.

Ermete Novelli in America.

Ermete Novelli, il gaissimo Pinteau del Deputato di Bonibignac, il comicissimo attore del CondensiamOy facendo suo, rispetto all'Arte, il detto del monarca: non più Pirenei! si accingeva a recitare V Otello dello Shakespeare.... a Buenos-Ayres.

Si poteva credere da alcuni timidi, che egli facesse la parte di BraMnzio, ad esempio : ma il Novelli, che non è un timido, e non conosce freni alla fiducia di se stesso, interpetrò addirittura il personaggio di Otello !

Fin'ora si nutrì il concetto che il carattere à' Otello fosse riserbato agli attori, i quali aveano sortito dalla natura le doti più pellegrine per riuscire attori tra- gici eccellenti : ma questo fu un pregiudizio, che il Novelli vittoriosamente ha combattuto. L' Otello, come le altre tragedie dello Shakespeare offrono anzi, pare, uno de' migliori esercizi agli attori più comici.

In Francia, in Inghilterra, in Germania, negli Stati Uniti i grandi attori non vollero uscir mai da un ge- nere, 0 da generi molto affini a quello prescelto : ma gli attori italiani hanno provato, felicemente, che sono superiori a tutti gli attori del mondo, e che possono osar tutto: sicuri di trovar sempre chi li approvi, o chi li comprenda, almeno nell'America del Sud.

Ricordi Critici e Umoristici 245

Un critico, che è tra i critici il più buono, anzi il più Buenos-Ajres possibile, scrive che non si può an- dare più in : Otello, Prefetto di Montbrisson, San- iarellina, Nerone^ Kecm, Condensiamo^ Amleto e Le Distrazioni del signor Antenore.

Nessun attore è arrivato più oltre !

E pure il Novelli non ha ancor detto la sua ultima parola; e, sul suo esempio, gli altri artisti, che sono su la scena, vorranno in riunire tutti i varii generi.

Potremo leggere ne' manifesti teatrali : Ernesto Rossi e Tommaso Salvini, prime ballerine di rango francese, a dar prova della loro non comune abilità, eseguiranno un passo a due, con inimitabile legge- rezza !

E si leggerà: il celebre attore Tamagno reciterà ia parte di Pinteau nel Deputato di BomUgnac: il cantante Ermete Novelli, noto nei tre mondi, eseguirà r Otello del Verdi ; egli cumulerà le parti di Otello, di Jago, di Cassio, di Desdemona, di suggeritore, di ac- cenditore, di macchinista, di direttore d'orchestra, eseguirà da i cori e i duetti : farà la parte di ^r- mando e quella di Signora delle Camelie!

Cosi almeno Ermete Novelli potrà dir seriamente d'aver aperto un'era nuova per l'Arte Italiana.

In America gli si é bruciato intorno la mirra, il cinnamomo, il nardo, tutte le materie che hanno un fumo odorante : mai nella vita d'un artista c'era stato tanto fumo!

Ormai a lui non é dovuta soltanto ammirazione, ma adorazione e noi teniamo a dar prova d'intelli- genza, iscrivendoci primi tra i suoi adoratori.

Abbiamo già incominciato, al mattino e alla sera, le devozioni innanzi a' suoi ritratti!

Mi direte.... e qual lode c'era da aggiungere, al-

246 Ermete Novelli

lorchè il Novelli è stato dichiarato « il più grande fra gli attori, che esistono o hanno esistito! » In fatto di lodi, c'è sempre da aggiungere. Domandatelo a Ermete Novelli !

Egli è buono, sa tutto, e mi protegge, e vi dirà che io non ho errato.

Grli americani hanno creduto far molto, mettendo il Novelli sopra tutti gli attori già esistiti, o esistenti, ma avrebbero dovuto affermare che non potrà esi- stere un attore di tanto merito, e tanto simpatico, in tutti i secoli avvenire! Venendoci dall'America, tal sentenza sarebbe stata creduta e Ermete Novelli avrebbe avuto un motivo di gratitudine di più verso gli americani. Questa trascuratezza, da parte di essi, credo possa aver lasciato una piccola nube nell'az- zurro de' cordiali rapporti, che il Novelli ebbe con un gran popolo, atto a comprendere l'ingegno d'un vero artista e che, su un punto solo, gli avrà lasciato a desiderare!

Si dice che il Novelli abbia esclamato, in un certo giorno, non so se a Buenos-Ayres, a Montevideo o a Rio Janeiro :

Non avevo mai ben capito perchè Colombo avesse scoperto l'America. Ora me ne faccio un' idea ; l'aveva sco- perta per me.

E si vuole abbia continuato, una volta in questa linea di pensieri:

Percliè non si scopre per me un altro mondo?.... Quelli scoperti ormai non mi bastano!

Un amico gli ha soggiunto:

Tu puoi esser piìi fortunato di Colombo, e con meno disagio: ogni volta che ti levi il cappello.... non scopri un mondo ?

Bicordi Critici e Umoristici 247

Non disconosco il suo genio.... neppure nella tra- gedia. Tutt'altro !

Mi lascia anzi ammirato la singolarissima ubertà, e versatilità della mente di questo eletto artista.

Ne' pochi mesi dacché partì dall' Italia, ha inter- petrato il Kean, V Amleto, V Otello, il Nerone, al quale in Italia avea rinunziato (felicemente). Non parlo della Morte Civile, la cui interpetrazione avrà certo affinata, e che in America ha ripetuto con molta frequenza.

È un caso strano, assai pellegrino, sul quale mi trattengo, poiché ha nell'Arte una non lieve impor- tanza, eziandio per le conseguenze immediate, che ne derivarono, come dimostrerò.

Ermete Novelli è partito per l'America, dov'era desiderato come semplice attor comico.

E, in Italia, per oltre diciotto anni, era arrivato quale attor comico all'apogeo della riputazione!

Quando, fra noi, tentò il Nerone, il tentativo fu accolto com' uno di quei fenomeni, che danno sem- pre seriamente a pensare su la salute di un amico.

Ermete Novelli è convinto che tutti gli autori, i quali hanno scritto per il Teatro, sien caduti negli errori più gravi e che egli sia stato inviato al mondo (al nuovo e al vecchio mondo) per correggerli.... E cerca compartire a tutti un po' di quella intelligenza, di che hanno mancato, secondo lui.

Si crede, generalmente, che il terzo atto deW Otello sia un capolavoro.

Non vorrei negare che Ermete Novelli pensasse:

Avessi conosciuto Guglielmo Shakespeare, che cosa non gli avrei suggerito in quel terzo atto !

Applicate lo stesso sistema al Dumas, al Sardou. Non vi parlo delle commedie italiane moderne : Er-

248 Ermete, Novelli

mete Novelli le recita senza dir una parola di ciò che ha scritto l'autore. Però, forse, le fa applaudire.

Un critico brasiliano osò muovere un appunto al Novelli nella M07-ie Civile.

Disse che il Giacometti fa morire il suo protago- nista avvelenato: il Novelli lo fa morire di una le- sione cardiaca! Il suicidio è più naturale : Corrado si convince che è di più in questo mondo (come la Critica pel sommo Ermete) e si sopprime. Non era possibile che un uomo, in quello stato, nella casa del medico Palmieri non ricevesse i soccorsi della scienza. Il dottor Palmieri se gli avvicina, dicendo : Sta per Tìiorire. Con un suicida questo era accettabile, non con un cardiaco.

Il critico ha torto : e spero che Ermete Novelli, a quest'ora, lo avrà fatto pentire del suo ardimento.

Come lo schiavo antico, tra la folla assordante, de- lirante in acclamazioni, bisbigliava misteriosamente al Cesare romano ricordati che sei uomo ! io dirò umilmente a questo sovrano dell'arte : ricordati che sei sopra tutto un attore coìnico !

Ricordati che il maggior pregio, come fu detto dell'uomo, e dee dirsi peculiarmente dell'artista, è il « conoscer se stesso: » non nelle lodi irreflessive, ma nella temperanza della riflessione, e nella misura.

Tutti gli attori italiani, in America, si danno a re- citare V Otello, V Amleto, il Kean; i lavori del più alto repertorio !

Il brillante Roncoroni, ad esempio, ha già recitato il Kean e V Amleto: altri attori, anche più oscuri e mediocri, di cui sarebbe inutile vi dicessi i nomi, recitano V Amleto, V Otello, il Kean!

Tutti fanno oggi le prime parti.... per paura d'es- ser fischiati nelle seconde !

Bicordi Critici e Umoristici 249

È una furia, una smania, che non si comprende.

Ermete Novelli, questo attore di tanto ingegno, e, si può dire nato artista.... se fosse dato il nascere artisti perfetti..,, nel paese delle rivoluzioni, ha fatto anch'egli la sua rivoluzione !

Forse gli è accaduto ciò che più volte gli era ac- caduto in Italia come abbiamo già accennato in certe piccole città di provincia ; quando egli re- citava i suoi capolavori, ne' quali spiegava tutta la sua vis comica, tutta la sua vivace originalità, il pubblico si credeva da lui burlato. Non volevano scherzi!... Lo preferivano tvqW Armando della Si- gnora delle Camelie, ed egli, da uomo che conosce i suoi simili, li contentava!...

E anche a Madrid gì' intervenne lo stesso. Nelle commedie, in cui è inimitabile, negli scherzi comici, nelle farsette, ne' monologhi, mentre arrivava alla più squisita e naturale perfezione, gli tenevano il broncio.... Empì il Teatro, recitando nella Morte Civile, e la parte ^'Armando nella Signo^ra delle Camelie! Questi sono fatti, di cui abbiamo i docu- menti, e che non si discutono.

Cioè andrebber discussi....

Ma preferirei cantarvi il duetto àeW" Amico Fritz.., se non fossi solo.

Non ho altro da dire su Ermete Novelli.

Anni or sono, pubblicai (") una lunga biografìa di lui: opera che raccomanderà certo il mio nome alla po- sterità.... per la scelta dell'argomento.

(*) Nel libro Attori, Cantanti, Acrobati. Firenze, Cappelli

LA COMPAGNIA

^bodio-j]1arnaqh

I.

^^'lo dicessi che le rappresentazioni della Comica ^^ Compagnia Milanese Sbodio-Carnaghi mi han pro- prio spinto al delUnum tremens dell'entusiasmo, po- trei esser tacciato di esagerazione.

Ma la Compagnia è certo assai buona: ha attrici simpatiche, eleganti, vivaci: ha attori che meritano d'essere ascoltati, studiati.

Come v'era un'artista, a cui per esser grande ar- tista, niancò una sola cosa, il talento; alia Comica Compagnia Milanese, per poter dire di essa che in varie città italiane ha avuto uno strepitoso successo, è mancato soltanto.,., il pubblico.

Perchè si sia formata la Compagnia Sbodio-Carna- ghi non so: la Compagnia, diretta dal Ferravilla, e di cui fu già ornamento lo Sbodio, a me bastava. Ma forse io ho desiderii troppo modesti. Par che nel- l'Arte italiana fosse urgente si componesse questa nuova Compagnia : e il torto è nostro di non averlo indovinato a tempo. Ne facciamo ammenda. Se non

Ricordi Critici e Umoristici 251

si potè pregiar la nostra perspicuità, si accetti, al- meno, la nostra contrizione !

Si disse che la Compagnia Carnaghi-Sbodio avrebbe avuto un alto scopo. Oggi non si cercano che alti scopi : una volta bastava all'attore divertire, attirare il pubblico, commovere, piacere; ora no, hanno tutti una teoria in tasca: troppo spesso non ci hanno al- tro: vogliono ristabilire il vero, il bello che sofFri- rebber, da tempo, di sincope, e ne saremmo privati SFnza le cure di nuovi dottori. Tutti oggi si fanno medici dell'Arte: tutti si armano contro i pretesi nemici di essa: quasi che i medici avesser bisogno di armi per ammazzare.

Si buccinò che la Compagnia Sbodio-Carnaghi avrebbe dato opera al rinascimento del Teatro Milanese : avrebbe attuato un py^ogramma artistico : per poco non si at- tribuì a' due capo-comici una nuova creazione del mondo, con correzioni e aggiunte su la vecchia: poi- ché questa volta il mondo sarebbe riuscito opera, non di una, ma di due supreme Volontà.

Che è accaduto ? Studiamo il repertorio della Com- pagnia. Nella sua parte migliore esso è composto di farsette, di commediole del più vecchio stampo, ta- lora delle più sbraculate : e certe commedie, un po' serie (troppo) si storpiano di due, tre atti, si ridu- cono a un solo. Badiamo bene, io non biasimo sempre questo vezzo. Quello che non si rappresenta, d'un la- voro, non si fischia.... S'intenda con discrezione.

Il repertorio, dunque, della Compagnia Sbodio-Car- naghi non ci offre alcuna di quelle meraviglie d'Arte, che si promettevano. Non me ne Jagno perchè so ormai in che consistono sovente certi prodigii ; so, sopra tutto, l'effetto che hanno sul pubblico : e quindi su la cassetta dei capo-comici.

252 La Compagnia Sbodio-Carnaghi

Ma io ammetto, perchè mi costa poco, che ci sieno autori, i quali apprestino per lo Sbodio un grande repertorio milanese, da far parere meschino, convenzionale, anche quello dello Shakespeare.

Ricordo però che, sin da venti anni or sono, si fece, e fu continuato per cinque o sei anni consecutivi, in Milano, un tentativo molto generoso, ma infruttuosis- simo, anzi rovinoso su questo rispetto. È vero che nulla impedisce allo Sbodio d'esser piìi fortunato.

Tuttavia, dicevo, che per ora non siamo neppur al principio : che la Comica Compagnia Milanese Sbo- dio-Carnaghi, la quale briose, lodevolissime ese- cuzioni di certe commediole, di certe farsette, senza pretesa, nell'esecuzione delle Vergini (/ Verginej) del Praga, ad esempio, tentando, cioè, la commedia un po'elevata, ha provato di tentar cosa superiore alle sue forze. Tutti, compreso lo stesso Sbodio, vi si sono mostrati manchevoli.

Lo Sbodio è un attore intelligente, coscenzioso, di una certa versatilità: scrupoloso nell'arte di truc- carsi : incomparabile in certe macchiette : nessuno ha saputo meglio di lui entrare a così dire, nella pelle del loch milanese : sebbene oggi rappresenti un loch, il quale non ha più tanto del verde.... poiché è assai maturo.... Lo Sbodio è pur molto encomiabile in certe parti di caratterista drammatico: nella Spia (prologo del Barharó) per un esempio, egli è efficace con arte sobria, vera.

È eccellente nella macchietta comica dell' Ubria- cone nella Gaina, incomparabile nel i^oettra deposi del fecondo C. Arrighi. E nella Ereditaa del Felis di Luigi mica, originale ingegno, che ha spesso un profondo sentimento del vero, lo Sbodio nell'in- terpetrare il tipo del giovinastro abietto, che specula

Ricordi Crìtici e Uiiioristici 253

sul disonore della sorella, più che cinico, di una as- soluta perversità, che in lui sembra natura, ci meglio che un personaggio teatrale, un carattere vivo; l'autore è spesso crudo, non con vanità, ma con schiettezza e probità d'osservatore, l'attore salva tutto con la sua misura.

Non in ogni parte l'eccellente attore Sbodio è schivo da volgarità : ma, nelle sue parti migliori egli sarà sempre ammirato dagl' intelligenti, dagli artisti, per certi suoi fini ragguagli: credo, e posso ingannarmi, gli manchi quella profonda genialità, quella potenza con cui soltanto certi artisti riescono, più che a farsi ammirare, a farsi perdonar i loro difetti, a do- ventare, per anni ed anni, gì' idoli delle moltitudini.

L'attore Davide Carnaghi è un giovane di rarissime doti. È assai intelligente, è versatile. Riesce nel ge- nere serio, più nel genere comico. Si trucca bene, a volte con un po' d'artificio. Ha la dizione limpida e pronta, il gesto efficace, pittoresco.

Negli Artisti da Cafè Chantant mostra la sua abilità anche come clown. Sta bene : ma non vorrei ne abusasse. Imita perfino il canto delle galline : ma non e' è bisogno oggi su la scena di moltiplicare gli animali, che parlano o che cantano.

Il Carnaghi è oggi, tra i nostri giovani attori, uno de' migliori e de' più promettenti.

I Monologhi, da lui scritti, sono in gran parte graziosi e garbati.

Circa lo Sbodio io non sono di quelli che hanno aspettato vent'anni ad accorgersi ch'egli è un intel- ligente attore.

Molti, a quanto mostrarono, se ne accorsero sol- tanto allorché egli, or è un anno, si separò dai Fer- ravilla.

254 La Compagnia Sbodio-Carnaghi

Per molti fu un'occasione, aspettata, di denigrare 11 Ferravilla: di prender così a scappellotti questo piccolo attore, che non ha mai conosciuto il successo! Ma no.... era il successo, che dava lor noia. Basta un uomo riesca in qualche cosa per eccitare certe malignità. E occorre comportarle di buona grazia! Edoardo Ferravilla sarà il primo a riderne: egli eh fino e arguto gentiluomo.

Tutti sanno ch'io sono sincero.

Io vorrei che il bravo Sbodio e il Ferravilla si potessero riunire: credo ciò sarebbe opportuno.... allo Sbodio, non al Ferravilla, che ormai col suo gagliardo ingegno, si è posto in una di quelle con- dizioni, in cui un grande artista non ha più nulla a sperare, o a temere.,

Ad ogni modo, io auguro che la nuova Compagnia Comica milanese abbia il successo che ebbe ormai, da oltre diciott'anni, quella di cui fu ed è anima il Ferravilla. Per oltre diciott'anni il Ferravilla recitò in tutti i primarii teatri d'Italia, e soltanto ne' pri- marii ; fece la prosperità de' suoi artisti ; fu deside- rato, richiamato sempre dagl' Impresarii : fu ammirato da tutti i critici più autorevoli, fu l'idolo di tutti i pubblici; creò un repertorio, creò personaggi, che vi- vono, non pur su la scena, non pur nell'Arte più squi- sita, ma nella letteratura, nella tradizione popolare.

Coloro, che oggi scrivono per negare il genio di un artista come il Ferravilla, davvero non commet- tono un gran reato ; potrebbero far uso ben peg- giore delle loro cinque dita....

Noi siamo lieti d'esser tra coloro, che l'hanno sempre ammirato, e, con ciò, gli hanno reso giusti- zia. Certo che il successo universale del Ferravilla è confermato dalle ire, dalle aspre rampogne de' me-

Ricordi Critici e Umoristici 255

diocri, e degl'impotenti. La gloria, il trionfo, non sono compiuti senza l'invidia.

Io amo molto il Ferravilla, sono tenero dell'arte sua, perfetta : applaudisco lo Sbodio : non ho mai pro- vato il bisogno di nuocere allo Sbodio, paragonan- dolo al Ferravilla. So che i due artisti si amano; so che se l'uno è eccellente, l'altro, il Ferravilla, è unico. So che essi si ridono, per i primi, della bizza fanciullesca, con cui si vorrebbe tener vivo fra essi un dissidio ridicolo, e a cui non v'è ragione, poiché tutt'e due vanno per vie si diverse!

So, come ho già detto, che il mondo è così vasto che i due artisti ci possono star benissimo, senza darsi incomodo, tutt'e due.... per quanto sieno grandi!

II.

Torno a batter su un punto: si disse circa il re- pertorio della Compagnia Sbodio-Carnaghi, fino da che essa fu formata, dover essere ispirato a alti intendi- menti artistici : varii autori di genio avrebber prepa- rato capolavori. Per ora non si videro : il genio ha bisogno di tempo : si ebbe qualche saggio lodevole : ma, neir insieme, di alcun efletto su la scena : e poi rilevate, o vera, inenarrabile amarezza ! che le in- terpetrazioni di certi lavori non rispondevano all' in- trinseco merito di essi : fu udito perfino qualcuno degl' iniziati esclamare : il tal lavoro andrebbe forse bene.... se ci fosse il Ferravilla.

M' ingannerò : lo Sbodio potrà salire con la sua Compagnia alle stelle, ove non mi propongo di se- guirlo : potrà egli dar origine a un nuovo Teatro Mi- lanese ; miracoli che avverranno, torno a supporlo, poiché le profezie non costano niente.

256 La Compagnia Shodio-Carnaghi

Ma, fin ad ora, giudichiamo il repertorio della nuova Compagnia qual'è ; giudichiamo il tentativo nella sua sostanza; non nelle speranze, che può de- star per l'avvenire.

Gaina è certo un'ottima cosa : sono ottime cose In Viarenna, Foeura de post, La me voeur, Evviva la bolletta ecc. ecc. Ma queste ìnaccliiette più o meno briose, e sfumate, possono stare a confronto delle creazioni di veri personaggi ; del Sur Panerà, del Sur PedìHn, del Massinelli, del Zio Camola, del Maester Pastizza, del veccMo nella sublime Scena a soggetto musicale, del Sindech Bertold, del Sindech Finocchi, del cantante nel Minestron?

Il Ferravilla ha fatto ben altro che metter fuori macchiette; ha creato personaggi, così vivi, così veri, che la letteratura paesana, la tradizione popolare si impadronirono di que' tipi, da lui creati : e come au- tore e come attore : e uomini di certe qualità, di certi difetti sono oggi designati col nome del perso- naggio, di cui ci dette il tipo il sommo attore. Tanto fu profondo, universale l'effetto dei tipi da lui pre- sentati.

E poi l'ottimo Sbodio mi metta un altro attore a far La Gaina, In Viarenna, ecc., vedrà che quell'at- tore, pur che sia mediocre, vi otterrà i medesimi effetti, 0 quasi : poiché si tratta di parti fatte, di parti, che non richiedono peregrine doti e da cui tutti possono cavarsela....

Si metta un altro attore a far la Scena a Soggetto: a riprodurre i tipi, in cui il Ferravilla è arrivato al sommo della verità, e della comicità, non con istrio- nismi, non con soverchianze, non con volgarità, ma con la più grande, con la più rigida, con la più mae- strevol semplicità di mezzi. È l'unico, tra i comici

Ricordi Critici e Umoristici 257

italiani, che somigli appunto per la semplicità a' più insigni e popolari attori comici francesi,

Gaetano Sbodio ha recitato per circa diciott' anni col Ferravilla : e accanto a lui fu sempre giudicato un buon attore, ma attore secondario per potenza indi- viduale, per originalità. Pochi s'accorsero di lui, mancandogli appunto quella universalità d'ingegno con 3ui un attore sa affermarsi dinanzi a' pubblici più svariati, agli spettatori d'indole più diversa.

Allorché lo Sbodio si separò dal Ferravilla, come ho già detto, alcuni miei egregi e simpatici colleghi scoprirono, a un tratto, che lo Sbodio era un ge- nio creatore : il Ferravilla un meschinetto contraf- fattore, il quale ormai non meritava più neppure il benefioo compatimento, onde era stato sostenuto da critici non nati, almeno d' intelligenza, quando il Fer- ravilla giungeva all' apice de' suoi primi successi.

La battaglia finì nel grottesco: il pubblico rispon- deva a' colpi delle durlindane di carta, lanciati nel vuoto, con le più unanimi risate ; il pubblico, mentre altri lo chiamavano a certe baracche, continuò ad af- follare i Teatri ove recitava il Ferravilla : continuò a applaudire il geniale attore : gì' impresarii continua- rono a proporgli scritture anticipate d'uno, o due anni, per esser sicuri di averlo. Di certi attacchi, il Ferra- villa sì modesto, e che legge poco i giornali, non ne ha notizia, ed è male : gli darebbero motivi di buon umore.... se gliene mancassero altri!

La guerra al Ferravilla, per metter lo Sbodio sopra di lui, è tra le cose più amene del nostro tempo ; avrebbe nociuto molto.... allo Sbodio, se egli non fosse il primo a sdegnarsene, il primo a riguardare il Fer- ravilla come maestro e qual maestro! Lo Sbodio non è un debole di mente, secondo credono alcuni.

258 La Compagnia Shodio-Carnaghi

Egli mostrò anzi non piccola originalità nel non imitar mai il Ferravilla, pur studiandolo. Il Ferravilla non s' imita : ha cercato di riprodurre i suoi tipi il buon Cavalli : ma son proprio, diciamolo, imitazioni da cavalli....

Alcuni egregi scrittori, che vollero far guerra al Fer- ravilla, non lo amavano forse perchè egli non aveva accettato di rappresentar certe loro commedie? Le sue gli fruttavano di più. Aveva torto di preferirle?...

Ecco perchè posero i modesti successi dello Sbodio accanto agli splendidi trionfi del Ferravilla : e ten- taron porre un artista diligente sopra a un artista di genio.

La Compagnia Sbodio-Carnaghi che, com' ho già detto, ha un insieme di attori accurati, di graziose e briose attrici, come la signora Venturi, la signorina Bice Rozen, la signora Vostri, avrà un ostacolo a' suoi successi in ogni parte d'Italia, ove si comprendono assai più attori che parlino francese, di attori che parlino in stretto dialetto milanese.

Il Ferravilla ha recitato sempre in italiano : fu questo uno dei segreti , per cui il meraviglioso attore riuscì accetto in tutta Italia : ma non era agevole far questo ; l'eletta artista si prescrisse una difficoltà di più : e ne trionfò. Nessuno potrà fermarlo nel suo cammino glorioso.... Il gracchiare delle ranocchie non turba il volo dell'aquila.

E auguriamo di nuovo all'egregio Sbodio di poter arrivare ov'è arrivato il suo maestro.... nonostante gli sforzi dei maligni.

Per ora, il brav'uomo ci ha sempre da cammi- nare ! . . .

f|MILIO ^AQO

fERSO Emilio Zago la Critica fu sempre giusta : non somigliò alla statura di lui.... Egli darebbe non si sa che per potersi alzare ancora di qualche centimetro sul livello del mare.... Ma Tesser così piccolo è una delle sue attrattive. Emilio Zago ha le gambe corte e la lingua lunga ; nessuno lo eguaglia nella felicità del suo eloquio veneziano.

Egli è nato nel 1850 a Venezia, potrei dire il mese e il giorno, l'ora, i minuti : ma voglio esser gene- roso, non voglio accaparrar tutto il lavoro degli storici, che si occuperanno un giorno de' nostri grandi contemporanei. Desidero che rimanga agli eruditi il potersi esercitare, utilmente pel genere umano, come in altri consimili casi, sul quarto d'ora, sul mi- nuto secondo, in cui Emilio Zago nacque ; su la casa, sul piano della casa, sul modo ond' era imbiancata la stanza in cui dette il primo vagito, fece la prima.... scena; il ricercare se nacque in ora antimeridiana,

260 Emilio Zago

0 pomeridiana : alla luce del sole o a quella della lu- cerna ; e quante goccie d'olio erano nella lucerna.... L'erudizione si apre, tra noi, sempre più vasti oriz- zonti. E, per chi l'ignorasse, dico che in questi rag- guagli è ormai tutta l'importanza della storia....

Emilio Zago nacque da genitori popolani ; studiò, almeno lo asserisce, crediamolo su la parola, e fu al- logato nella Casa di commercio dei signori Reali in Venezia.

Invece di attendere a' libri di commercio, e allinear cifre, leggeva di soppiatto farse, drammetti ; sempre aveva sott' occhio qualche lavoro teatrale, un Libro di Canti ; allorché sopravveniva gente copriva il libro de' canti con quello de' conti.

Cosi giovane, era già in preda a una grave malattia, che fa, almeno ogni domenica, centinaia di vittime : era dilettante ! Apparteneva alla società Gustavo Mo- dena, diretta nientemeno che da Carlo Hurard.

Carlo Hurard?... Questo nome non dice nulla a voi, al vostro amico, all'amico del vostro amico : non dice nulla a tanti della nostra generazione. Ma Carlo Hu- rard, tuttor vivo, e che ha oggi circa 90 anni, fu uno de' valentissimi attori nel primo fiorir del secolo : fece gli amorosi col Rastopulo, non meno noto, un tempo, di lui, fu.... Ma che vado io ricordando? Carlo Hurard, benché quasi novantenne, serba la sua fre- schezza di spirito, e lavora, in questo momento, a una fina traduzione in veneziano della Locandiera del Goldoni.

Nel 1871 Emilio Zago entrò nella Compagnia dram- matica di Francesco Zocchi, con grande onore, se non con grandi guadagni. In tre mesi arrivò a guada- gnare settantacinque lire! Era in un paese di mare e incominciava a nuotare: non nell'oro!

Ricordi Critici e Utnoristici 201

Dalla Compagnia dello Zocchi passò in quella di Giuditta Cardini. Si recarono a Voltri nell'estate. L'aria era calda: ma il pubblico freddo.... Per le prime due sere, non si presentò anima viva al teatro. L'entusiasmo non potea esser più sincero e più uni- versale. La terza sera, domenica, c'era in teatro un pubblico non numerosissimo, ma eletto, composto di sette spettatori. L' incasso era notevole : due franchi e mezzo. Fu data la recita....

La Compagnia era formata di dodici persone tra attori ed attrici : dormivano tutti insieme in due stanze . uomini e donne ; la prima donna, l' ingenua, la madre nobile, l'amoroso, il caratterista, il brillante, il secondo brillante, il sedicesimo brillante. Immagi- nate i drammi.... della vita! Le scene e le.... con- troscene !

Cosi viveano allora, e vivono anche oggi alcune miserrime Compagnie drammatiche, quasi mendicanti, la vita a fusto a fusto in oscuri paeselli.... quasi sempre senza vesti, spesso senza pane.... e pur da queste Compagnie uscirono attori, attrici di grandis- simo grido, di portentoso ingegno. Ne uscì Eleonora Duse, ne usci Ermete Novelli ; n' è uscito Emilio Zago, ne è uscito quel valente autore e attore che è Libero Pilotto....

A Voltri sarebber morti d' inedia, o giù di lì, gli squallidi attori, se non veniva a rilevarli, come si dice nel gergo della scena, pagando i loro debitucci, dando quasi lor del suo fiato per respirare, il già gramo stenterello Serandrei. Con lui se ne andarono a Genova.... a piedi, a piccole tappe. Si fermarono, per esempio, a Pegli, a Sestri. In quest'ultimo paese arrivarono alle 10 di sera.... Sentiano il pungolo della fame : si ridussero a un' osteria e pranzarono

262 Emilio Zago

con alcune grosse fette di pane e due o tre litri di vino.

L'oste ebbe curiosità di sapere chi fossero quelli stoici si bizzarri, e frugali : seppe che erano po- veri comici. Stava per partire alla volta di San Pier d'Arena un barrocciaio, con un carico di carbone. A' comici sfiniti fu offerto, per andar innanzi nel viaggio, questo carro trionfale di nuova specie, e si adagiarono fra le balle, che ad alcuni parvero soffici, tanto erano stracchi, affraliti, al par de' cuscini d'un trono.

Arrivati a G-enova, la Compagnia si scompigliò, se già non era abbastanza scompigliata !

Entrò Emilio Zago nella Compagnia Landini e Car- bonin : quel Landini era il fratello del celebre sten- terello Raffaele. A Genova Emilio Zago fu martire.... dell'Arte. Recitava nel Fm^eniino in mare: ridu- zione di On Milanes in maì\ Nel far la parte della iitarionetta, alzando una gamba, cadde sul palcosce- nico.... e rimase con una gamba storta in aria. Il pubblico, credendo il giovane attore continuasse la scena, si scarrucolava dalle risa. Ma Emilio Zago si era rotto due ossa.... Fu per quaranta giorni all'Ospe- dale : zoppicò un sei mesi !

E si noti che Emilio Zago, in tutte queste Compa- gnie, recitava in italiano, sebbene la sua mira fosse d'arrivar a recitare in una Compagnia Veneziana e si sentisse chiamato, non so da chi, certo non dalla Modestia, ad occupare nel Teatro Veneziano del no- stro tempo il primo posto come attore.

Angiolo Moro-Lin, il grande attore veneziano, avea assistito a recite dello Zago, sin da quando egli era dilettante. Ma diceva il Moro-Lin che la statura dello Zago, così.... economica, lo rendea inetto alla

Ricordi Critici e Umoristici 263

scena : avrebbe avuto molta difficoltà a farsi accet- tare dal pubblico. Anche nelle Compagnie italiane, ove lo Zago recitava le parti di secondo brillante, pur riconoscendo l'ingegno di lui, si esclamava dagli attori :

Che peccato, che peccato con quella statura !

Ma Emilio Zago andava innanzi, senza perdersi di animo : e anzi ogni giorno cresceva, non di statura, ma di fiducia in sé.

E sempre tenea in mente il suo massimo scopo : entrare in una Compagnia Veneziana !

Proseguì con le Compagnie che recitavano in ita- liano. Guarito della gamba, entrò di un salto nella Compagnia Papadopoli-Tollo.

Il Moro-Lin lo udì di nuovo, e parve convertito : gli promise, offerendosegli il destro, di scritturarlo ; forse nel venturo anno (1875) si riprometteva di po- terlo accettare.

Nella Quaresima del 1876 Emilio Zago era nella Compagnia di Gaetano Benini.... Se ne andarono in primavera a Monselice per dar dieci recite : ve ne dettero ottantacinque, riposando soltanto una volta la settimana, le sere di venerdì.

Una mattina dell'agosto, passeggiando per Monse- lice, lo Zago si abbattè in un fattorino del telegrafo: lo cercava per recapitargli un telegramma. Angiolo Moro-Lin gli offriva di entrare nella sua Compagnia.

Finalmente !

Entrò nella prima Compagnia Veneziana come ge- nerico : incominciò le sue recite al Sannazzaro di Napoli. Andò in scena, interpetrando la parte di M- colelto nella Buona Madre del Goldoni.

Dopo tre sere, al suo uscir di scena, il pubblico lo salutava come una vecchia e gradita conoscenza.

264 Emilio Zago

In quel torno il bravo Giacinto Gallina scriveva Mi fìHa, e v' innestava, per lo Zago, la parte del ra- gazzetto fornaio.

Spirata Marianna Moro-Lin, che fu l'onore, e potrei dire la Musa casareccia, familiare del nuovo Teatro Veneziano, gli affari della Compagnia Moro-Lin vol- sero al peggio ; e lo Zago ne uscì, dopo due anni dacché v'era entrato, e fece una nuova Compagnia Veneziana insieme con il Borisi.

Anche il Borisi, questo discreto attore del Teatro Veneziano, morì nel fiore dell'età e delle speranze, da tutti compianto, e lo Zago si unì con Giacinto Gallina.

Giacinto Gallina, direttore di Compagnia, rinnovava la triste prova che, in tal qualità, aveano fatto il Mo- lière, e lo Shakespeare, e il Goldoni e, ai tempi nostri. Paolo Ferrari. Non ci fu mai nulla di piìi sciagurato degli uomini di lettere, che vogliono impancarsi a dettar leggi, in una certa parte tecnica della recita- zione, su la scena: porsi a dirigere attori : eccellenti in ciò, pochissimi soltanto, fra noi, quando si tratti di lavoi'i usciti dalla lor mente. Pure il voler sapere quel che s'ignora è malattia italiana.

Ma, pur troppo, si veggono allignare le più curiose manìe: per esempio quella di metter letterati, o pseudo- letterati, a insegnare, a dirigere nelle Scuole di Re- citazione, e di veder costoro riuscire a persuadersi d'esser davvero, in tal ramo (la parola è giusta, a proposito di pazzia) cime d' ingegni, da disgradarne, anzi, i più celebri attori, che hanno acquistato nome, con lunghi anni di esperienza, e grandi prove d'in- gegno. Ma la dolce follìa pur si manifesta in varie città d'Italia e noi non abbiamo la forza di addolo- rarcene troppo!...

Ricordi Critici e Umoristici 205

L'unione nella Compagnia Veneziana, diretta dal Gallina, durò tre anni: e dico unione, così per dire : certo non furon risparmiate a nobili animi, durante tale unione, cocentissime amarezze ! Giacinto Gallina usci dalla Compagnia stanco, avvilito, contristato, e, sopra tutto, annoiato: e il suo splendido ingegno, o fosse disgusto, o altro, parve si andasse annebbiando per molti anni in una invincibile atonia.

Per buona ventura, Giacinto Gallina è tornato, o quasi, al lavoro: e, se non fidare, si può molto augu- rare, su la sua operosità.

Emilio Zago gli serba sempre affetto e reverenza, e credo in fondo al cuore abbia un desiderio ardente : quello di riunirsi col suo antico poeta.

Certo, l'uno e l'altro sono degni d'amarsi e di com- prendersi e l'uno, mi persuado, non può star senza l'altro: poeta e attore sarei per dir si completano: l'uno parla il linguaggio che arriva al cuore della folla, se altri lo interpreti bene : e non è facile, nel Teatro Veneziano, trovar oggi un interprete della forza e della popolarità di Emilio Zago ! Per molti egli ha già un successore in Ferruccio Benini.

Il nostro attore, uscito dalla Compagnia, che diri- geva il Gallina, stette per sei, o sette mesi in riposo; quindi si unì con Guglielmo Privato. Felice unione, poiché Guglielmo Privato, oltre il versatile ingegno, oltre la bontà innata del carattere, oltre un nome caro al pubblico, portava nella Compagnia un altro tesoro ; quello della sua esperienza. Guglielmo Pri- vato ha circa 65 anni... ormai mi è scappata...: ma è una voce che fanno correre le male lingue : anch'oggi, mentre recita la gran parte di Ludro, tutti dicono che ne deve avere 40. Ed io pure credo quest'ul- tima sia la notizia più vera, o più probabile !

266 Emilio Zugo

Emilio Zago e Guglielmo Privato vanno molto d'ac- cordo, poiché appunto formano fra tutt' e due un ca- pocomico perfetto, press' a poco. Lo Zago è giovane, impetuoso, pieno di baldanza, Guglielmo Privato è quasi maturo, tutto longanimità, pazienza, dolcezza di carattere.

Il resultato è stato ottimo: è questa al nostro tempo la prima Compagnia Veneziana che abbia fatto veramente denari : che sia piaciuta in primarii teatri, attirando un pubblico molto numeroso, come accadde di recente alla Compagnia Zago-Privato in Milano.

Lo Zago è stato anche con lo Stenterello Miniati: e sempre in qualità di secondo brillante.

Nella Compagnia Moro-Lin, un tempo, dovea vivere con II franchi la settimana: il resto che guadagnava dovea spenderlo in vestiti, che il Moro-Lin voleva de- corosi e anche sfarzosi.

Come si vede, Emilio Zago non è arrivato al punto, in cui oggi si trova, senza molta pena.

Una volta, nella Compagnia Papadopoli, in Trieste, al Teatro Mauroner, Emilio Zago, richiesto, tentò di far rivivere la maschera del Facanappa, inventata dal famoso burattinaio Reccardini. Accorsero per as- sistere al tentativo centinaia di spettatori, attratti dalla curiosità. L'attore Zago avea già ricevuto dal- l'Impresario una vistosa ricompensa. Era stata scelta una vecchia commedia dell'arte : Margherita Strozzi. Lo Zago dovea adattare il personaggio di Facanappa alla parte d'un sicario: e all'indole del Facanappa sarebbe convenuto tutt'altro : al second'atto, allorché, a metter lo spavento addosso alla persona che gli stava dinanzi, evocò gli spiriti, sbucarono fuori tanti attori, con mascheroni da carnevale, e avviluppati in

Ricordi Critici e Umoristici 267

larghe toghe da magistrati... Il pubblico si dette a fischiare come un sol uomo. Il mal capitato Zago ebbe up bel da fare a mettersi in salvo. Se la commedia si fosse ripetuta, a Trieste il prezzo delle patate sa- rebbe aumentato....

Una Tolta, mentre apparteneva a una piccola Com- pagnia, Emilio Zago arriva a Chioggia ove sapeva che doveano aspettarlo i suoi compagni. Non tosto giunto, domanda del Teatro. Che Teatro? gli rispon- dono — Qui non c'è Teatro! Gli cadde il cuore: si credette vittima d'una burla: non avea denari per tornar addietro. Alla fine riesce a snidare i suoi com- pagni in un baraccone di legno, che serviva ad essi di dimora e che dovea esser la palestra dei loro genii....

Lì, in quel baraccone, recitò la sua prima parte, come attore comico, la parte di Lefleur nelle Glorie del 1808!

Gli eruditi mi faranno il piacere di trovarmi la data del giorno: raccomando loro non se ne dimentichino !

Sin d'allora, l'attore Zago cominciava a perdere 1 capelli. Pensò di sposare, sotto il regime della co- munità di beni, una ragazza che ne avesse una fo- resta.... vergine: si parla della foresta, ma gli fu fatto osservare che ciò non era possibile. Emilio Zago, nei primordii della sua carriera, fu sfidato a duello da un provetto autore dranmiatico. Quando si venne alla scelta delle armi, l'autore drammatico dichiarò voler esclusa la pistola: non voleva udir fischiare le palle.... Aveva già sentito fischiare abbastanza nella sua vita!

Fu presentata, o mi si dice, allo Zago una Memo- 7-ia, firmata da molti de' nostri autori drammatici, la quale conteneva la proposta di un prossimo Congresso per stabilire i seguenti discreti capitoli.

268 Emilio Zugo

I. Di un lavoro, sia pur veneziano, non potranno esser sospese le rappresentazioni dal Capocomico sino a che non abbia prodotto la somma di 25,000 franchi a vantaggio dell'autore.

II. Sarà proibito rappresentar lavori, o riduzioni di lavori, di Goldoni, Augier, Ferrari, Sardou, Dumas, che hanno successo, con tanto danno de' giovani autori!

III. Sarà condannato alla deportazione fuori della sala ogni spettatore che sbadigli, o starnutisca alla rappresentazione dell'^&orto, o altro capolavoro della scuola moderna : sebbene da tali lavori debba capirsi che gli autori non han mai frequentato alcuna scuola.

IV. Premio a chi proporrà la pomata più rapi- damente distruttrice de' critici nocivi.

Bisogna dirlo, a onore del suo buon senso, Emilio Zago, credo, al ricevere questa MemoìHa, o Circo- lare, la prese con due mani, non avendone altre a sua disposizione, e la strappò!

Emilio Zago ha meritato di ricevere molti segni di stima, e più ne avrebbe ricevuti, se avesse voluto.

Credo, a un suo amico, abbia risposto, giorni sono, press'a poco così :

Se fossi ambizioso, non avrei che a parlare per veder il mio nome scritto a caratteri azzurri, su la porcellana bianca, che le Amministrazioni municipali fanno porre, in alto, sul canto di ogni via pubblica, che si rispetta. So bene di esser degno di tale onore, ma la mia soverchia timidezza mi fa un dovere di respingere l'omaggio d'una strada, di qualsiasi cantonata.... Rifiuterei anche un ponte!

Come Emilio Zago imparale parti?... Allorché gli si presenta un nuovo lavoro, lo fa leggere a tutti gli attori della Compagnia : ne sente il parere : legge la sua parte una volta, e non più. Subito se ne forma in mente l'embrione, si accosta al suo tipo. Due o

Ricordi Critici e Umoristici 269

tre sole prove bastano a questo felice attore per an- dare in scena. Va nel suo camerino, per vestirsi, soltanto cinque minuti innanzi che l'orchestra suoni le prime battute.

Studia molto dal vero.

Dovea rappresentare la parte di un veneziano del- l' infima specie : rozzo e robusto. Se ne andava per i vicoletti di Venezia alla posta d'un uomo di tal ca- libro. Un giorno ne vede uno, che gli va a garbo. Lo trascina in un'osteriuola.

Gli dice:

Se facessimo una partitina?

Intanto, si proponeva d'osservarlo, ed altro.

Giuocano : Emilio Zago vince tutti i pochi soldi del suo compagno: un piccolotto, tarchiato: e costui in- siste che vuol giuocare anch'i panni, che ha indosso.

Emilio Zago accetta di cuore!

L'uomo rozzo perdette : era pronto a consegnar gli abiti, senza pensare. come tornerebbe a casa.

Lo Zago gli dice d'aspettare, si allontana: e, poco appresso, è di nuovo nell'osteria con un vestiario completo, ch'avea pagato 35 franchi. E in una tasca avea messo i soldi, guadagnati al suo nuovo amico.

Portò via con gli abiti, indossati da quell'uomo. Avea già del personaggio, che volea rappresentare, il tipo esteriore !

Un'altra volta, dovea rappresentare il tipo di un magnano.

Fa venire a casa sua il magnano per esaminare una toppa. Costui arriva: lo Zago gli dice:

Tutte le toppe vanno bene; so che è la vostra festa: voglio farvi un regalo. Eccovi un abito nuovo, mettetevelo indosso: lasciate qui il vostro!

270 Emilio Zago

Non è a dire, se il magnano fu lieto.

Poco dopo, fu suonato alla porta. Le persone della casa andarono a aprire, e dissero all' uomo, che si presentava :

Che volete ?... Non v' è stato detto che non abbiamo bi- sogno di magnano. E tornate sempre?...

Il magnano questa volta era lo stesso Zago, vestito e truccato, e che tentava il primo effetto del suo nuovo tipo.

Emilio Zago è ora vicino all'agiatezza.

Già sogna di aver un palazzo sul Canal Grande: un castello... in Ispagna: sono questi i piìi facili a co- struire, i più costosi.... a demolire!

Ma Emilio Zago arriverà a tutto. Ha l'istinto del- l'arte, r ingegno, il cuore buono, l' indole gaia e pro- pensa alla felicità.

Dio lo conservi: e che l'arte sempre lo inspiri!...

<](ARAMBA E ^CIOpCIAMMOCCA

5L mio egregio collega Caramba (Edoardo Boutet) ebbe un' idea arditissima, pensò che gli fosse lecito discutere il merito di Edoardo Scarpetta, l'attore na- poletano, più noto col nome di Sciosciammocca.

Ma gli è costato ben caro l'aver osato di muovere le censure più modeste a questo re del teatro.

Egli subito ha ammazzato il giornalista (che ora sta meglio di prima) con una lettera di cui darò il principio.

« Leggo un articolo che mi riguarda, ed in verità non mi sorprende il novello attacco; perchè ormai mi ci sono avvezzato. » (A che, al novello attacco?)

Si vede proprio che i grandi uomini hanno un modo speciale di esprimersi.

Il mio collega Caramba pensa che Sciosciammocca non sia ottimo; egli, invece, si crede sublime!

L'attore napoletano riconosce che il giornale, in cui scrisse Cararaba, in altri tempi lo ha lodato, e,

272 Caramha e Sciosciammocca

durante quel periodo, egli non ebbe occasione di ma- nifestargli il suo malcontento, il giornale faceva, se non benissimo, assai lodevolmente, il proprio dovere : diciamo, non benissimo; perchè è difficile che un giornale arrivi ad esprimere tutta la buona, non scri- viamo esagerata opinione, che 1' egregio Sciosciam- mocca ha di sé.

Seguitiamo a citare:

« Al giornale, che ieri mi lodava ed oggi mi attacca poco seriamente ecc. »

Avete capito? ieri lo lodava: e quindi era serio; oggi lo attacca e subito perde ogni serietà. Poiché, non basta l'aver lodato, fino a ieri, questi uomini a dirittura superiori ; bisogna continuare a lodarli eter- namente, senza mai permettersi, non pure una censura, ma una interruzione negli elogi.

Ciascuno di loro ragiona (o quasi) in tal modo :

« Il pubblico delira per me : basta io degni di farmi veder su la scena, perché gli spettatori non sappiano contenere il loro fanatismo. È tanta la loro gioia di contemplarmi, e si manifesta in modo così tu- multuoso, che, alle volte, mi é impossibile di parlare ! »

Ce ne sono alcuni, i quali con una tranquillità, che fa l'elogio del loro sangue freddo, se non del loro buon senso, raccontano aneddoti di questo ca- libro. Per esempio, 'vi dicono con la solennità, che é una tra le forze del mestiere : non solamente io ho avuto un raro ingegno, accompagnato dalla più rara delicatezza di carattere, ma la natura liberale mi ha conferito altri doni.... cui avrei volentieri rinun- ziato, perché é incomodo nella vita trovarsi in tutto su- periore di tanto a' propri simili.... E vi assicuro che io soffro a veder quanti sono umiliati dalla mia pre- senza.... Ma volete sapere a che cosa mi son trovato

Ricordi Critici e Umoristici 273

esposto?... Anni or sono, una bellissima ragazza ha dato fuoco al teatro ove io recitava, per potermi in mezzo alle fiamme stringere fra le sue braccia.... Non pare incredibile?

Oh I no : bisogna rispondere in tali casi : tutto è verosimile con un uomo di tanto merito.... Ma chi sa quante saranno state le vittime dell'incendio?

Qui il confabulatore si fa sempre più solenne: ve- dete, non senza stupore, che due grosse lacrime gli rigano le guancie, mentre egli esclama, in preda a una commozione, la quale vorrebbe far credere sincera :

Povere famiglie ! povere famiglie ! e tutto per causa mia!

Inutile dire che egli non s' è mai trovato ad alcuno incendio, che le donne, le quali hanno abbellito la sua esistenza, non avean bisogno di superare alcuno ostacolo.

Si manifesta oggi negli artisti, salvo ben poche ec- cezioni, il delirio delle grandezze : essi hanno per- duto ogni misura; da' loro ragionamenti, alludiamo a quelli che ne sono capaci, si rileva che non distin- guono più ciò che loro accade, ciò che valgono, ciò che hanno fatto, da ciò che li induce a credere av- venuto, 0 a dare ad intendere come avvenuto una sconfinata e cronica (il proto non mi stampi comica) vanità.

Bisogna veder il modo con cui camminano, osser- vare il tuono della loro voce ; e si capisce subito che soffrono di una singolare malattia ; la febbre dell' im- portanza, un eruzione di albagìa. La diflerenza tra il piccolo posto che occupano realmente nel mondo e quello che si vorrebbero assegnare, la povertà della loro coltura, e spesso della loro educazione, rispetto

274 Carainha e Sciosciainniocca

alla sicumèra, alla burbauza cui si atteggiano, li rende piacevolmente grotteschi.

Circa la critica essi hanno assunto l'attitudine che più conveniva loro, e che certi giornalisti hanno davvero meritato. Non c'è paese, ove, come nel nostro, il pub- blico sia destinato, da parte di una certa stampa, a esser vittima di un sistema più pervicace di menzogne.

Andate a un teatro; trovate il teatro vuoto, ascol- tate una pessima commedia, recitata da cattivi o mediocri attori, tra il ripetuto clamore delle disap- provazioni. Il giorno dopo leggete: che il teatro era affollatissimo, che gli attori e le attrici fecero a gara nello sfoggiare il loro genio; che la commedia è un capolavoro, anzi troppo capolavoro: e forse l' intelli- genza del pubblico non può arrivare a afferrarne tutte le pellegrine bellezze. Il pubblico non crede più a questi ingenui giornalisti e fa bene: il pubblico si è accorto ormai che i capocomici, gli amministratori delle Compagnie, certi scrittori di commedie, sono gli autori de' telegrammi, delle notizie, che mutano una caduta in strepitoso successo, ormai essi lavorano per conto loro, hanno giustamente il danno e le beffe.

Il pubblico ormai, prima di credere, vuol giudicare da sé, e ha centomila ragioni.

Però la sbraculata indulgenza, o diciamo pure il so- verchio candore di certi giornalisti, se non ha recato discredito al giornalismo, ha confuso un po' i criterii, è tanto facile ! de' nostri artisti. Essi concedono or- mai alla Critica un solo diritto: quello di lodarli, di servire a' loro interessi, ben inteso, affermando poi sempre che se ne infischiano e non ne hanno bisogno !

Il giornalista, che osa pensare con la sua testa, e che dopo aver fatto a un artista le più grandi cortesie, pur si crede obbligato a muovergli alcune osservazioni : a

Ricordi Critici e Lhnorìstici

dimostrare che egli non è, in tutto, perfetto : è con- siderato subito come un ribelle, un uomo di pessimo carattere, e si va cercando nella Gazzetta de' Tribu- nali qual serie di delitti più atroci gli potrebbe essere attribuita.

Ma la colpa, lo ripeto, è tutta dei giornalisti che, non sapendo mostrarsi imparziali, o digiuni di studii 0 senza ingegno, non hanno saputo ispirare agli ar- tisti il rispetto della propria autorità.

Ed ecco perchè quando un giornalista, per caso, fa il suo dovere, ha il coraggio di dire ciò che pensa, si trova subito uno Sciosciammocca per dare in grot- tesche sfuriate contro di lui ; e noi siamo molto malac- corti che, invece di schierarci dalla parte del collega ludricamente offeso, ci sentiamo tentati invece a met- terci dal lato dell' istrioncello imbizzarrito. Perchè è segnalata, tra noi, anche in questioni ove non entra la politica, la poca concordia del giornalismo ; nelle stesse questioni ove si tratta della sua dignità.

Io amo gli artisti, ho vissuto in mezzo ad essi una gran parte della mia vita ; non e' è un grande artista in Europa, posso dirlo, con cui non abbia avuto rap- porti de' più cordiali ; gli artisti mi conoscono e lascio volentieri che mi giudichino: mi basta si sappia che io non nutro alcuna speciale antipatia verso di loro; ben al contrario.

Ma io ho un altissimo rispetto de' critici e della Critica, e sono convinto della sua grande importanza, e i critici, che non hanno questa fede, dovrebbero scegliere, fra' tanti mestieri, uno che fosse più adatto alla pusillanimità, o alla sordidezza del loro animo.

Ecco perchè io difendo volentieri un mio collega ; sebbene sappia eh' egli non ha bisogno di alcuna difesa.

270 Caramba e Sclosclammocca

La lettera di Edoardo Scarpetta dimostra che se gli artisti sono pagati per divertirci, mai, come nel nostro tempo, si può dire che furono retribuiti a ra- gione !

Sciosciammocca, in un secolo di critica, vuole sfug- gire alla critica: non ammette di esser censurato, neppure da chi ebbe la lealtà di lodarlo.... a esube- ranza, per le buone qualità che sono in lui ; egli non ammette altro che Velogio perpetuo.

Ma perchè, mio buon Scarpetta.... io son de pochi che tuttora vi voglion bene, e non disperano di ve- dervi tornare in buon senso.... perchè non cercate di inventare una macchina, a tanti battenti, che di continuo vi facessero sentire il rumore degli applausi? E dovreste dividerla in due parti : in alto le spatole per applaudire ; in basso le cassette, da cui uscissero fuori gli articoli beli' e fatti, preparati, ad esempio, da voi stesso. Potrebbero esser magari senza orto- grafia, ma renderebbero giustizia, ne sono certo, al vostro merito.

L'artista ha torto d'insolentire contro il critico: d'invadere la palestra del giornale. Con ciò mostra una cosa sola : che ha la coscienza della propria de- bolezza, che non è persuaso del suo valore nell'Arte : e che pure ha una strabocchevole presunzione.

Al giornalista spetterebbe un altro diritto corri- spondente: poter, 0 salito sul palcoscenico, mentre, l'attore recita o da un punto della platea, chiederli a ogni tratto che desse a lui la parola, cessasse di recitare, perchè egli potesse dimostrare al pubblico i difetti della recitazione, le parole dette, i gesti fatti a controsenso : e notare inmiediatamente tutti gli er- roi'i nella dizione e nel resto.

Un uomo va sull'orlo di un precipizio. E il suo

Ricordi Critici e Umoristici

compagno di cammino gli grida senza scrupolo : be- nissimo 1 bravo ! bravissimo ! e il disgraziato rotola in fondo all'abisso, mentre gli suonano all'oreccliio le approvazioni del suo imprudente ammiratore.

Ad un altro, lo stesso compagno di cammino non permette alcuna distrazione, non Io lascia addormen- tare in una esagerata fiducia delle sue forze, lo guida alla mòta.

Tali sono i rapporti fra il critico e l'artista : l'uno è dimenticato, l'altro giunge all'apogèo : ma al critico tocca una vece, ben singolare : di consueto egli è chiamato il benefattore di colui, che ha perduto, il nemico di colui che ha salvato.

E che deve far dunque il critico ?

Il suo dovere: scrivere, promovendo il bene, soste- nendo gli oscuri, onorare i sommi, studiandosi cor- reggere per tutto le soverchianze, farsi liberatore, se può, e sa, di tutte le intelligenze, cui nuoce un preconcetto, o un pregiudizio, rassegnarsi alla calun- nia, cercando da di estenderla, poiché si conforma appunto alla misura del bene, che uno ha fatto.

Io riguardo con una profonda ammirazione tutti i giovani critici, che hanno il coraggio delle loro idee, e che sanno mostrare agli artisti l'autorità del loro senno e della loro dottrina. Essi giovano a ripristi- nare fra noi, in un certo ramo della letteratura, la dignità dell' ingegno. E poi, lo dico altamente, la Critica con le sue defezioni, ha cooperato a annichi- lire il Teatro. I timori salutari, che essa ispirava, erano un eccellente guarentigia : le licenze stomache- voli, che essa comporta, diventano opera sua. Uno può essere giudicato il vero autore del male, che avrebbe potuto impedire.

Plaudite leìite ! vi dice il Dio del gusto : uno scro-

278 Caramha e Sciosciamniocca

scio di ammirazioni frenetiche, puerili, sconclusionate, stereotipate, un abuso di iperboli, informate di stra- vaganze inevitabili e reciproche per tutti, addolora il filosofo, che vede in nome dell'amicizia commessi certi assassinii, poiché uccidano nell'artista ogni emu- lazione, ogni attitudine a migliorarsi, ogni desiderio di perfezione !

Edoardo Scarpetta non si può lamentare, ad esem- pio, del Critico che, a confessione di lui, lo ha tanto lodato; ma un uomo che pensa, è naturale scuopra difetti nell'oggetto della sua ammirazione ! scorga so- pra tutto confronti. Per la lode, a getto continuo, come la vorrebbe lo Scarpetta, bisogna ricorrere alla mac- china : l'uomo ragionevole non vi può bastare.

Il meglio sarebbe lasciar giudicare gli artisti da se stessi.

E, probabilmente, Edoardo Scarpetta, uscendo dal recitar, 'Na casa sotto 'n coppa, sarebbe capace con- tentarsi di dedicare a questo paragrafo :

« Il grande artista Edoardo Scarpetta ha superato ieri sera se stesso. Egli ha una dizione, che Tom- maso Salvini potrà bassamente invidiare, ma che non potrà mai sperar di eguagliare. Lo Scarpetta ha su la scena un' autorità che neppur il Garibaldi, o il gene- rale Boulanger, seppero acquistare sui campi di battaglia. Pecca soltanto da un lato : ha troppo in- gegno, e dovrebbe sapersi più accomodare alle mo- deste intelligenze, per le quali è penoso, benché vo- lenterose, seguire un tale artista ne' suoi voli. Edoardo Scarpetta avrebbe potuto recitare nella tragedia, ma la sua innata modestia non gli ha impedito di rico- noscere che la commedia sarebbe morta senza di lui ! Il pubblico deve avergli eterna riconoscenza di un tale sacrifizio.... Tutti sanno ciò che Edoardo Scarpetta

Ricordi Critici e Umoristici 279

ha fatto per il Teatro ! arrivato a questo punto l' in- gegno, bisogna pur dirlo, non è più ingegno, doventa addirittura genio. »

E ciò non torrebbe a Edoardo Scarpetta di aggiun- gere a tale paragrafo, da lui scritto, la postilla : « mi piace dire che non mi sono 'inai creduto un grande artista ! »

A Roma però, non fu solo l'egregio Caramba a criticare l'esimio Sciosciammocca, Sciosciammocca- prodigio, com'egli si chiamerà. Altri autorevolissimi giornalisti si sono permessi questa licenza. E il ri- formatore del Teatro napoletano risponde : « se cotesti signori credono di farmi male coi loro inquaUfìcabili attacchi, perdono il loro tempo : per attaccarmi è troppo tardi. »

I giornalisti più autorevoli di Roma si chiamano cotesti signori per questo Sovrano in pa?iibus, per questo cavaliere, le cui origini debbono rimontare alla.... Tavola Rotonda (molto rotonda) ; le censure di uomini colti, che da anni si occupano dell'Arte Dram- matica, sono attacchi inqualificabili.

E, ad ogni modo, abbiamo quella frase meravi- gliosa « per attaccarmi è troppo tardi ! »

E chi non sa che Edoardo Scarpetta può ormai ambire al titolo di cavaliere, anzi commendatore delia Immortalità (che si è già conferito di motu propino) ; chi non lo sa eh' egli vede tutto l'universo a' suoi piedi,... 0 un poco più in su?

Io ho sempre avuto, ed ho una giusta ammirazione per Sciosciammocca ! io ho scritto, con una specie di affetto reverente e commovente, la sua storia ; io sono suo vecchio amico, ma andiamo, il simpatico artista napoletano ha perduto proprio la tramontana!...

Si può avere, ma non si può dar a vedere, senza

280 Caramba e Sciosciammocca

eccitar troppo riso, una tale adorazione di se stesso : io ammetto che Edoardo Scarpetta, per i suoi meriti, per il suo acume, per la serietà de' suoi propositi, abbia ormai superato Napoleone I ; ma egli ha di- menticato una cosa, che è necessaria specialmente a un uomo arrivato al vertice di tutte le grandezze umane, e anche agli uomini più meschini: il tatto.

10 intitolerei la lettera, che 1' egregio artista ha pubblicato, Edoardo Sca7'petta ghigliottinato da se stesso! poiché egli ci apparisce ormai senza testa.

11 critico Caramba aveva creduto istituire un pa- ragone fra lo Scarpetta e il Ferravilla sostenendo che quest' ultimo è superiore, in virtù di arte, al- l'altro. E usava in ciò di un imprescindibile diritto, che ha la critica. Adempiva, inoltre, un suo dovere, perchè il critico deve, fra due artisti affini, dir quale sia il maggiore, per la potenza dell'ingegno, degli effetti, che sa ottenere.

Il Critico, che non ha il coraggio di far questi para- goni, manca al suo primo dovere, che è l' equità. Per- chè se io so e tutti sappiamo che un dato artista è superiore ad un altro, non dovremo dirlo ? È una man- canza di giustizia verso l'artista migliore. E i critici, che non sanno adempiere l'obbligo di dire il vero, posson fare, con ciascuna delle loro cinque dita, un altro mestiere più adatto alle loro qualità.

Il mio amico g. p. nel Corriere della Sera, pur tri- butando lode alle belle doti, che tutti riconosciamo e abbiamo sempre riconosciuto in Edoardo Scarpetta non scriveva « Ferravilla è un verista, lo Scarpetta un grottesco »

Non so se valga la pena d' invocare un nuovo Plu- tarco, che venga a scrivere le Vite Parallele de' due Edoardi : Ferravilla e Scarpetta !

Ricordi Critici e Umoristici 281

Edoardo Scarpetta non ha voluto imparare che l'am- mirazione di ha un limite : come lo ha in lui il merito, benché egli non lo vegga (il limite non il me- rito): e quindi, al critico ingegnoso che lo censurava, ha risposto con una questione di cifre! Ma che hanno che fare con la questione dell'Arte le questioni di cassetta ?

Dice lo Scarpetta : io ho guadagnato a Roma 30,000 lire. E bene, io avevo, anzi sentito dire : duecento- mila, e ci credevo : lo Scarpetta ha dunque scemato il mio ideale. E mi avevano convinto che 30,000 egli le aveva regalate soltanto agi' inservienti del Teatro, con quella grandezza d'animo che gli è propria!

A Bologna, ad esempio, lo Scarpetta non riuscì ad attirare mai gente in teatro : la seconda volta che venne a Firenze, i suoi introiti furono pure assai modesti : gli artisti non debbono sempre sollevare una questione di ì)Oìxlereaux : è per essi, in certi casi, im- prudente : una balena, esposta, guadagna in una gior- nata più di loro: cinque o sei belle donne, che facciano i quadri plastici su una scena, supereranno, in una se- rata, gì' incassi di tutti gli Sciosciammocca.

Un attore deve esser giudicato dal favore univer- sale, che ha potuto ottenere in molte e molte città, ove sia andato e tomaio, per lungo corso di anni. E poi se si fa questione di cifre ; se l'ingegno e la re- putazione debbono esser misurati dalla somma di cui l'artista può disporre, data tale scoperta, Rothscild si troverà a essere il primo Scipsciammocca del mondo (ma crediamo che non ci tenga).

Edoardo Scarpetta sostiene aver riformato il Teatro Napoletano e abbiamo, anche noi, e lo rammentiamo con piacere, sostenuto, contro molti pregiudizi i, la parte di merito che a lui spetta : ma vorremmo che

282 Caramba e Sciosciammocca

l'egregio artista non inducesse il pubblico, i giorna- listi a credere che, non ostante la sua riforma del Teatro Napoletano, il regno dei pulcinelli non è finito I

Egli si mostrerebbe molto incauto.

Noi gii daremo sempre volentieri ogni prova di simpatia: lasciamo ad altri, e di buon grado, la fa- cile gloria di demolire gii artisti : noi gli stimiamo, e ci accuora però vedere che non pochi tra essi, e fra questi Edoardo Scarpetta, lavorano con tanta ala- crità, e, r abbiamo ripetuto in altre congiunture, a demolire se stessi, risparmiando ogni fatica a' loro av- versarli !

PaMMILLO y^NTONA-^RAVER^l

Le Rozeno.

[ o scriver sopra un lavoro, come Le Rozeno del professor Cammillo Antona Traversi, mi fa tre- nar la mano e, in conseguenza, la penna....

Si tratta di un' opera cosi applaudita (anche dallo tesso autore, il primo che ne rivelasse a' molti suoi postoli tutte le finezze, le bellezze peregrine e le rditezze), di un' opera, su la quale han discusso atti i critici più sublimi, in Italia e fuori. Ignoro io che hanno detto e, secondo il solito, tengo ad gnorarlo. Molti critici dovrebbero dar un giudizio, da, non avendolo, mi domando, allegramente, ove ovrebbero prenderlo.

Mi son lasciato dire che, in alcuni luoghi, per le api)resentazioni delle Rozeno, si son tirati fuochi di .rtifizio in onore dell'autore: o, in mancanza di me- lio, l'autore se gli è tirati da sé. Egli è di una col- ura, di un ingegno, di una bontà, incomparabili : ma

284 Cammillo Antona-Tri

è pure un eroe della reclame, in essa è di tal forza, con tutta la sua apparente innocenza, da far parer deboli l'uomo e anche la donna-cannone.

Il miglior modo, per poter dir bene della commedia di un amico, è di non andar a sentirla.... Così la coscienza vi lascia più liberi. Io sono andato a udir tre volte, e spero tornar a udire, le Rozeno del prof. C. Antona Traversi : il mio intendimento era di par- larne con la massima imparzialità : il dramma non mi ha divertito, non mi ha persuaso, ma ha eserci- tato su me, come su altri spettatori, una potenza, che non riusciamo a spiegare : ci volevamo ribellare all' autore, ma, ad un tratto, egli sapeva con l' inge- gno, con r arte, con non so qual suo segreto, sog- giogarci : le Rozeno destarono, credo, per tutto, e quasi in tutti, certe impressioni contradittorie. Il soggetto è sempre scabroso, la forma è poco, spesso j punto curata, ma la fattura, in certi punti, è ma- gistrale ; vi è qualche farragine, ma ci sono alcune scene splendidissime : certi particolari urtano, certi altri, resi con vero acume d'osservazione, conciliano all'autore le simpatie di chi pensa.

Le Rozeno non sono un lavoro di facile digestione: non sono il parto di una fantasia serena, di un'ispi- razione, che abbraccia tutti i varii aspetti della vita ; dobbiamo piuttosto assegnarle a quell' arte, che è oggi il prodotto di fantasie morbose e affaticate : arte mo- mentanea, che non lascerà tracce durevoli : arte fine di secolo, come dicono tanti pappagalli, che non sanno neppure quel che dicono : una fine di secolo che so- miglia, in certe manifestazioni, alla fine d' un ban- chetto d'ubriachi.

Ma, quali sono, le Rozeno, a parer nostro, e per r osservazione e per la teatralità, e per tutte le doti,

Ricordi Critici e Umoristici 285

richieste in un dramma, sebbene non tutte qui in pieno fiore, sono un de' lavori più potenti, più ori- ginali, meglio condotti, che abbia dato, da varii anni, il nostro Teatro di prosa : uno di que' pochi lavori, i quali, non ostante le loro imperfezioni, le loro sguaiataggini e le loro ingenuità, poiché v'è questo singolare miscuglio, danno a vedere le peculiarissime disposizioni d' un vero autore. Dopo le Rozeno è corroborata la speranza che il prof. C. Antona-Tra- versi possa dar al Teatro italiano una commedia, un dramma di altissimi pregii.

Il soggetto delle Rozeno è scabrosissimo, e non è nuovo. L'originalità del lavoro sta nella sua condotta, nel suo, svolgimento, in certe dipinture minute, che chiamano d'amUentey e secondo me, ve ne ha nelle Rozeno alcune di somma finezza.

Il soggetto l'avete già stemperato in diecine e die- cine di commedie. Non c'è nulla di nuovo sotto il sole, così dicea Salomone, universalmente lodato per la sa- pienza del suo detto, sebbene dopo di lui si sieno in- ventati il vapore, il telegrafo, tutte le applicazioni del- l'elettricità, e altre piccolezze, che egli, senza dubbio, avrebbe riconosciuto di qualche importanza. Ma se nuovo non è il soggetto, vi è novità nelle Rozeno circa il modo con cui l' autore F ha pensato e, in parte, svolto.

La favola è presto detta : le Rozeno sono tre sorelle e han formato una Società, tutt' altro che anonima, allo scopo di render il più possibile diffuso il prodotto della loro bellezza. Emettono azioni, il cui valore mu- ta, secondo il valore del cretino a cui son destinate : azioni, che danno i più illimitati diritti al portatore.

Questa Società Clarissa, Matilde, Valentina Rozeno e C.'*, tutte donne.... d'affari pi'ospera sino a un certo

286 Cammillo Antona- Traversi

punto: ma gli anni sopravvengono, cominciano a man- car gli offerenti,

Clarissa Rozeno ha una figlia : essa è già cresciuta in età, e in bellezza : il nuovo prodotto autorizza le com- ponenti la Società a una nuova emissione di titoli.

Queste.... recidiviste, queste donne di mondo, o me- glio di mezzo mondo, sono alla ricerca di chi voglia investire un grosso capitale per coltivar le grazie della giovanotta Lidia Rozeno. Si presenta, fra gli altri, un vecchio principe, ed è accettato come il miglior offe- rente.

Le Rozeno, con le generose largizioni del vecchio, metton su uno splendido appartamento, cominciano di nuovo una vita sfai'zosa.

Ma Lidia, mentre accetta gli omaggi, e i portafogli del vecchio, s'innamora di un giovane studente, En- rico Valenti. Questo amore è il suo ideale e, in conse- guenza di esso, si trova, improvvisamente, se non corretta, aumentata.

Lidia sta per avere un figlio.

La madre, le zie di Lidia, un cugino, che è l'aiutante di campo della provetta madre, tutti vedono di mal'oc- chio la relazione fra Lidia e il povero studente. È stu- dente, mi par, di Belle Arti : ciò che spiega la sua facilità di riproduzione.

Ma il principe ha ben altri titoli.... di rendita, e al rispetto, quindi, d' una tale famiglia: tutti sono attorno a Lidia perchè rinunzi al giovane studente ; tanto più che il principe è disposto ad accettare per suo anche il figlio, a mettere il suo nome, come editore, su questa opera d' altri.

Lidia, finalmente, si ribella : non vuol che sia venduto il figliuoletto delle sue viscere : le pare che lo spirito di vendita sia proprio eccessivo nella sua famiglia.

Ricordi Gitici e Umoristici 287

Sua madre s'era venduta, avea poi venduto lei, Li- dia, ora volea vendere la creatura di lei : accingersi al contratto di vendita della terza generazione !

Lidia fugge : corre a Venezia, ove lo studente è stato richiamato dalla famiglia : la ragazza non ha altra speranza che in lui. Ma lo studente la respinge da sé.... Si noti che essa non gli domanda troppo, nep- pur di sposarla : sa che il matrimonio è impossibile. Essa è figlia di Clarissa Rozeno, ma sua madre non le avea mai potuto dire, e lo ignorava ella stessa beata spensieratezza e semplicità di costumi chi fosse il padre di lei : tanto era stato il numero dei suoi collaboratori. E così poco si tratteneano su lo stesso soggetto ! Nel suo commercio avea fatto le cose troppo al minuto : come esigere si ricordasse di tutto?

Il giovane Enynco Valenti arriva perfino a consigliare la giovane, che ha amato, a tornare col principe : egli è povero, gli sforzi che potea fare con lei gli ha già fatti.... Il principe le darà modo di passar vita gaia. La ragazza, eh' è già incinta, ha già, in piena regola, il suo certificato di magazzinaggio : ascolta inorridita quel parlare da cinico. Ma non basta : il giovane ag- giunge : Se sei venuta a Venezia per recitarmi la commedia della mia paternità 1' hai sbagliata !

Egli, dunque, non ha neppur fede che essa lo abbia amato : egli sospetta eh' essa gli abbia dato dei sosti - stuti ! Punizione amara : morale del dramma se- condo il fervido autore!... l' ingratitudine di colui, al quale la donna si è sagrifìcata !

Lidia non può resistere a questo disprezzo, a questo abbandono e si getta da una finestra.

Tale la semplice e nuda (e trojìpo nuda) favola del dramma.

E, cert(^, in molli drammi, in ispecie in que' (Iraiuiiii,

288 CammìUo Antona-Traversl

che oggi si voglion più condannati, avete visto i pa- renti corrotti, viziosi speculare su la bellezza di ra- gazze inesperte, su la loro dissipazione : avete visto la ragazza, venduta al signore, al tiranno, amare il bel giovane povero, ma dissipato, il prr/??o o/moroso: esser abbandonata dal dissipato, afflitta da un improv- viso peso.... subito dopo la sua leggerezza.... e l'avete vista cercar una morte precoce, strappando le lacrime alle erbaiuole, a'cocchieri d'omnibus, personaggi sem- pre altolocati, ai piccoli mercantuzzi, alle mercantesse, che, con panni da festa, in certe sere, s' affollano nei posti de' teatri, più a buon prezzo.

Avete poi visto, sempre, un altro personaggio, lo sfruttatore: il prediletto, o l'amante di una donna di etcì e che vuole vivere del sacrifizio della giovane, appartenente, in qualche modo, alla donna, cui pgli è unito da turpi legami.

Questo personaggio dello sfruttatore, del vWrione, di bassa lega, c'è nelle Rozeno: ma l'abbiamo visto per tutto.... l'ultimo di questi individui, più trionfante, l'abbiamo conosciuto nelle Due OrfaneUe del D'En- nerj !

Nelle Rozeno c'è pure una grand'aria, e più che un'aria, di parentela con le Vergini del Praga : uno de' più originali lavori, per finezza d'osservazione, del nostro tempo. Dopo, con la Moglie Ideale, con VAlleluja, l'egregio scrittore è caduto nel contorto, nel lambiccato, nell'artificioso: senza alcun segno di arte vera, o di maestria, non ostante il rumor d'ori- calchi, che gli fanno attorno certi gnomi: e ch'egli si fa fare. Poiché certi autori pensan poco a scrivere i loro lavori : si affaticano invece a trovar i Sosia, che li lodino. E la lode è facile, è obbrobriósa fra noi : se la scambiano volentieri i mediocri, i

Ricordi Critici e Umoristici 289

pessimi, i nulli ! E fa sorridere la gonfiezza, la stra- vaganza di certi elogi, per certi lavori, e la indiffe- renza, per l'oblìo del pubblico verso di essi!...

Però, tornando alle Rozeno, se il soggetto è trito, se l'autore prese alcuni fatti, che si ripeton da secoli, 0 li portò su la scena, dopo averli di nuovo osservati, se egli lavorò d'indagini ove aveano studiato anche altri, la sua osservazione è spesso profonda, pere- grina : il suo dramma è, non solo a tratti, ma in tutto il suo insieme, improntato di novità.

Egli vi ha posto certe vigorose doti di osserva- zione, d' ingegno, tutte sue : e l'effetto di esse, che si manifesta in certe scene, tiene avvinto, sospeso lo spettatore : appassiona il pubblico, eccita l'attenzione, l'ammirazione della critica.

Il soggetto è scabroso: è peggio che scabroso.... Ma i più grandi maestri del Teatro moderno si val- sero di tali soggetti. Vittoriano Sardou in un am- Tjìente, come quello delle Rozeno^ ha scritto forse nella Fernanda il più bel prim' atto, che abbia il Teatro drammatico contemporaneo. E vi sono tutte le ardi- tezze, non v'è nulla che urti: una signorina bennata può ascoltar quel primo atto, senza dover arrossire, 0 coprirsi il volto col ventaglio (per nascondere che non arrossisce !) Nel Demi-monde, nella Lionisia^ vi sono situazioni che somigliano molto a quelle delle Rozeno: ma nei punti più scabrosi, quanta poesia di passione, quanta eloquenza, quanta potenza viva di sentimento, quanto brio, trascinano, commuovono, fan trepidare, e sorridere, in mezzo alla sua commozione, lo spettatore !...

Nelle Rozeno i personaggi parlan tutti ad un modo, parlano un linguaggio arido, scolorito, negletto; ciò è contrario alla stessa verità della vita ; la monoto-

200 Cammillo Anfona-Trrivefsi

nia dello scrittore, che ha un vocabolario piuttosto ristretto, e piuttosto comune, rende più ripugnanti certe situazioni ; questa monotonia, inverosimile, ri- peto, nella vita, toglie molto alla teatralità del la- voro, lo rende opprimente.

E che il prof. Antona-Traversi ha pur il dono della gaiezza. In certi suoi lavori l'ha dimostrato, sa pure eccitare V ilarità del pubblico. In quel mondo di Rozeno, ch'egli ci ha dipinto, ove l'uomo propone.... e la donna è sempre disposta, ci sono, di sicuro, ce- late, sotto i fiori, sotto le gemme, e gli orpelli, orri- bili miserie, ma è un mondo i cui personaggi si pre- stano, per lo più, molto alla comicità. Si direbbe che della varietà poco si è occupato l'autore ; poco si è curato della diversità con cui dovean parlare i suoi personaggi; egli ha, per me, ben concepito, dato il punto di partenza, che prediligeva, il suo lavoro; e l'ha poi scritto in fretta, in troppa fretta!... In questo quadro vi è molto buon disegno; vi mancano i colori, non vorrei dire vi manca il colore; vi si desidere- rebbe più luce.

Il dramma del prof. Traversi dimostra da qiial gente può esser circondata una donna, che sdrucciola nella lubricissima china di una certa vita dissipata. Essa non avrà più veri amici: tutti vorranno profittare di lei, chi a sfogo di brutali passioni, chi a sodisfa- zione di cupidigia, d'interessi. Non avrà famiglia, appoggio di persone oneste ; sarà sfruttata, tradita, abbandonata, povera, dovrà finire con l'uccidersi.

È così: con un dramma certo tutt'altro che morale, in alcuni punti sconcio, l'autore, senza perizia d'arte, secondo un metodo antico, ha cercato una morale. Gli antichi però metteano in certi lavori i massimi splendori di forma, la massima varietà di stile; sa-

Eicordi Critici e Umoristici 291

peano che, nelle conversazioni quotidiane, non v'è soltanto la monotonia, v'è il brio, la vivacità, la vee- menza, la più forte eloquenza delle passioni, eh' è nella natura, qualunque sia la condizione dei perso- naggi.

Secondo la condizione, l'educazione di questi per- sonaggi, varia la misura del brio, della vivacità, della veemenza, della eloquenza di passione. Manca nelle Rozeno questa savia, aggiustata contemperanza nel- l'espressione degli affetti: e manca a certi caratteri nel dialogo la espressione, che sarebbe più adeguata e più caratteristica.

Se nelle Rozeno vi fosse stata questa industria, questa accortezza, questa arte del dialogo, se l'espres- sione fosse stata più studiata, il lavoro avrebbe avuto un successo durevole.

E non faccio questioni di pedante; questioni di pu- rismo e di parole; so quanto ciò sia vano al Teatro; fo questione di una forma generale, di un certo mo- vimento, di un certo stile nel dialogo, di cui troviamo nelle Rozeno soverchia penuria.

E, anche circa le parole, le frasi, si direbbe che l'autore ha voluto, con inesplicabile modestia, tener nascosto.... se avesse potuto.... al pubblico ch'egli è uno squisito, coltissimo letterato.

Ma la morale c'è nelle Rozeno? Non so. La ragazza si uccide. Ma potrebbe benissimo vivere. Perchè si uccida non si comprende.... logicamente, anche dato il carattere di lei, ma tutto può ben accadere nel mondo.

Leggete oggi le cronache di mille giornali, trove- rete fatti che non si spiegano con la pura logica umana.... Non si capisce più nulla nel mondo, come nelle commedie.

202 Canimiìlo Antona-Traversi

Il pubblico può ftir un' obiezione. E, se Lidia ac- cettasse davvero il consiglio di tornare dal principe? Se, come altre, guarita dai suoi pregiudizii, così chiamano, in un certo mondo, tutte le idee di deli- catezza, fosse arrivata a' più tardi anni, dopo essersi fatta offrire un coupé, e magari un coupè-leiio ?

Ma mi dirà il prof. Traversi o il carattere di Lidia? E i suoi precedenti giustificano, in tutto, questo carattere ? Ripeto però : che io credo al pro- fessor Traversi, a chius' occhi, vi sia una Lidia di tale stoffa : tutto è possibile nel mondo ; il vero è, anzi, la sola cosa che sia spesso inverosimile: e nes- suno può, senza esser ridicolo, segnar confini a certi atti dell'animo umano. Ciò che parrebbe più assurdo e lo vediamo tutti i giorni, magari anche ne'drammi del prof. Traversi è ciò eh' è più vero.

La ragazza buona, e men corrotta, tra le altre della famiglia, più o meno ragazze, ma corrottissime, ci ripete nelle Rozeno la proporzione matematica.... di virtù, che è nelle Ve^^gini. Semplici incontri.

I personaggi secondarli nelle Rozeno, i frequenta- tori di quelle donne, tutt' altro che equivoche, poiché si sa bene quel che sono ma appunto si chiamano equivoche le poche donne, di cui si sa con la mas- sima certezza ciò che fanno i personaggi secon- dari, dico, sono scelti e presentati con molta coscienza di elevato osservatore. Il maestro di musica, il cava- liere Stoppini, Stefano Zucchelli, Ugo, la mima Irma, fin la cameriera Marietia^ sono i veri personaggi di quel mondo.

La scena del terzo atto, in cui Lidia si ribella a tutta quella gente della sua famiglia, che vuol vivere speculando sulla infamia di lei, è una scena forte e simpatica: sebbene vi manchi, ripeto, secondo me, e

Ricordi Critici e Umoristici 293

lo dico umilmente, il linguaggio che sarebbe più pro- prio di tanta passione ; sebbene due o tre frasi scur- rili, non artistiche, non ardite, ma volgari, ne sciu- pino assai l'effetto.

Nel terzo atto : nella scena in cui l'amico del- l'amante di Lidia vien a tentar di sedurla, ed essa è costretta a scacciarlo, disperata nel veder che di ninno può fidare, da alcuno può aspettarsi stima e nella scena in cui avviene la separazione de' due amanti, l'autore ha impostato due bellissime scene, cui ha ben frapposto qual contrasto (poiché egli intende, da maestro, anche questa scienza de' contrasti, solo gli impedisce la fretta di applicarla da par suo....) l'ar- rivo del comico musicista. Al solito, anche in 'queste scene le situazioni sono accennate, ma la parola dei personaggi non è ad esse adeguata : la forma non cor- risponde al gagliardo concetto.

Pure sono scene molto vive, e sono sempre molto applaudite; ma chiunque le sente capaci d'una mag- giore efficacia, se alla fantasia dell'autore avesse più soccorso l'Arte, o l'accorgimento dello scrittore: dirò meglio, se lo scrittore avesse voluto fare ciò che ha trascurato.

Malgrado i difetti, ripeto, c'è nelle Rozeno una potenza d'attrattiva inesplicabile ; o, a dir più giusto, vi sono, insieme con enormi difetti d'euritmia e di gusto, si spiccati pregi i, che lo spettatore è conti- nuamente combattuto fra due opposte tendenze, ora è spinto a disapprovare, ora si pente e ascolta, come affascinato e conquistato. Udendo questo dramma, siamo fra continue perplessità!...

Non dev'esser troppo violento l'attore che rappre- senta l'amante sfruttatore dell'attempatclla Rozeno^ e un po' troppo ruvido fu il primo interpetre.

294 Cammilìo Antona- Traversi

ClatHssa è una di quelle, che non rinunziano mai al sistema uomoeopatico !

Mi fu recapitato, dopo la rappresentazione, una lettera, lasciatami da un coltivatore, sul serio, di donne attempate, che hanno bisogno di riempire i voti dell'esistenza.

Press' a poco mi diceva, poiché ho smarrito la let- tera :

« Anch'io ho per sedurre queste donne, come lo Stefano del dramma, argomenti irresistibili. Ma non è quello il viso, il modo per stare in una casa di iio^eno.... arricchite. Anche gli iSte/«m si debbono allora rincivilire ! Altrimenti l'uomo stuona con l'am- biente. Non è quello il modo per ottener favore dalle Rozeno, anche attempate : io so come s'ottiene l'avan- zamento con esse, contando sull'anzianità, dico.... su la loro anzianità. Sono stato al loro servizio di giorno e di notte. Il servizio di notte è il più penoso con certe nature irrequiete.... »

Non ne ricordo più, ed è forse un bene.

E ora leggete (se non vi dispiace) il capitolo qui aggiunto.

La Rozeneide

Corse la notizia che erano state commesse due aggres- sioni : una contro un notissimo artista : l' altra contro il più famoso, e il più modesto, fra i nostri giovani autori drammatici, superfluo il dire, Cammilìo Antona-Traversi.

Una notte Cesare "Rossi tornava a casa, a ora molto inoltrata.... Fu sorpreso, nell'ingresso della sua casa, da due individui, che in atto minaccioso gli si fecero addosso, gridandogli :

Bicordi Critici e Umoristici 295

O ci date una replica delle Rozeno, o la vita....

Cesare Rossi rispose che, fra i due sacrifizii, non esitava.

Avrebbe replicato le Rozeno !

I due aveano il volto coperto da un fazzoletto.

Neil' accomiatarsi da Cesare Rossi, uno gli offri un s i- garo d'avana.... in segno della sua sodisfazione !

Si vuole che uno degli aggressori fosse lo stesso autor e delle Rozeno. Respingiamo volgari insinuazioni....

Ma non meno grave sarebbe stata la seguente aggres- sione.

n prof. Cammillo Antona-Traversi non tox'na mai a casa la sera.... fino alla mattina. La notte la passa a parlar, con amore, delle sue Rozeno: dopo aver passato il giorno nello stesso modo. La sua fortuna è che trova sempre qualcuno che lo ascolta. Ma e' è chi afferma si procuri di questi pazienti con grande dispendio, pagandoli a un tanto l'ora : e la notte il doppio.... In paragone di ciò che soffrono, ascoltando, questi benevoli auditori non rubano certo la paga!

Dunque una di queste sere.... e verso la mattina.... il prof. A. Traversi tornava a casa. Si sente afferrare a un tratto per le braccia da due persone, che gli puntano i pu- gnali al petto. Egli allibisce.

Accenna loro la tasca ove ha il portafogli.

Lo trascinano sotto un lampione. E lasciandogli libere le braccia, tenendogli sempre i pugnali al petto, gli dicono tutt' e due con voce cavernosa e, mettendogli sott' occhio un libretto :

Vogliamo un vostro autografo : una o duo tra le frasi pili vive delle Rozeno!

Oh risponde l'autore mi aspettavo a queste violenze : e trae fuori da una tasca circa un centinaio d' autografi, eh' egli, modestamente, tien sempre pronti....

Offri loro anche il portafogli come in omaggio a due malfattori intelligenti : ma 1' uno di essi, respingendolo, rispose :

Seneca ci ha insegnato il dispregio delle ricchezze....

29G Cammillo Anton a- Traversi

Due vostri autografi, valgono tutti i tesoi'i del mondo.... Per rubarne uno, rischierei di esser condannato a morte.... e di non aver discorsi su la mia tomba.... Addio, Genio, cbe onori il nostro Teatro....

La lode è grande ripetè Antona-Traversi, rimasto solo ma non è mai troppa....

A Firenze, ne' viali delle Cascine, nella piazza d'Azeglio, nella piazza dell'Indipendenza, nei Lungarno fu vista più volte, una giovane assai bella, ebe indossava quasi sem- pre un vestito color di rosa.... La giovane fu vista, ora in una Victoria, ora in un lanciali, era in \\n semplice fiaccbere.

Quando veniva a passar una persona, clie le ispirava fidu- cia per eerti suoi fini, la giovane dicea al cocchiere di fer- mare, scendeva dalla vettura, si dirigeva verso quella persona, eh' era sempre del sesso maschile, e sempre lie- tamente sorpresa di vedersi venir incontro una si bella e giovane signora....

E subito essa mormorava :

Signore, sono uscita di casa, senza portamonete, mi urge di far una piccola spesa : mi bastano due lire.... e il suo indirizzo per poter subito sodisfar al mio j)iccolo debito !

Alcuni gentiluomini offrivano dieci, venticinque, cinquan- ta e anche cento lire alla bella signora, che, dopo aver insistito di voler soltanto due lire, risaliva nella sua Victo- ria, nel suo landau....

Dopo aver pagato le 20 lire, che le costava la Victoria, il lanciati, restava alla nostra eroina ogni giorno una bella somma : tale da permetterle di andar a continuare su altri la sua fiorente industria, industria che avea un buono scopo, fra i suoi varii scopi, quello d' indirizzarsi al senti- mento cavalleresco degli uomini, e tenerlo vivo.

Ma, fìuabuente, essa ebbe un' idea infelice : si rivolse, per la seconda volta, a chiedere le due lire a.... un delegato.

Che vuol dire non essere fisionomisti !

Ricordi Critici e Umoristici 297

Il Delegato la sottopose a un interrogatorio.

Come le diceva una persona, di si civile ai:)pa- renza, ha potuto ridursi a tale espediente ?

Signore rispose la giovane lio bisogno : volevo rimaner virtuosa.... non doventare una.... Rozeno!

Ah riprese il delegato, che avea assistito alla rap- presentazione di questo poderoso dramma non avete voi una madre?... Ma già soggiunse con orrore anche costei poteva essere una Rozeno....

Si sa che le Rozeno si vendono per se, vendono le loro sorelle, le loro figlie e, se occorre, anche gli animali do- mestici, specialmente ammaestrati.

Anzi uno spettatore, guardando la bella e brava attrice signora Mezzanotte, che fa una delle Rozeno, e che è si alta della persona, esclamava :

Questa è una vendita alV asta !

Ho udito un dialogo fra due Rozeno, in piena attività di servizio.

Aveano discorso a lungo sul dramma dell' ingegnosissi- mo C. A. Traversi.

Ecco la conclusione del dialogo.

Rozeno 1^ Ho una gran paura degli iiomini !

Rozeno 2^ E io.... dei bambini I

Buone notizie ci giungeano da per tutto dopo le prime rappresentazioni delle Rozeno, su la prossima vendemmia.

E la provincia è rimasta sempre addietro : in certe cose vi si pratica tutto all'antica: per esempio, vi si crede che si possa far bene il vino soltanto con l'uva.

Alle porte di molte città vi sono alciine Fabbriche o Ma- nifatture di vino, ove il vino si fa col campeggio, con la fucsina : due vigne, che sono molto riparate dalla filossera.

Un industriale pensava :

Se il vino mancasse, d' ora innanzi, lo dobbiamo far senza materie nocivo.... d' acqua pura, posta in grandissi- simi recipienti.

298 Cammillo Antona- Traversi

E faran leggere le scene delle Rozeno dinanzi all'ac- qua.... perchè arrossisca.

Un ultimo detto, proferito dal felice autore delle Rozeno alla sua padrona di casa :

Sofia, avvertite quelli clie vengono a suonare di conti- nuo il campanello, a chieder copie delle Rozeno, e non vo- gliono andarsene, ch'io, per ora, non stampo quel capola- voro.... Lo voglio prima far tutto incidere, con illustrazioni. E, se le illustrazioni riescano evidenti, e rendano bene certe situazioni di paesaggi.... scabrosi, intendo sopprimere il testo.... seguendo un consiglio di Jarro!

Ho veduto che si rinnova l' accusa di plagio contro Emi- lio Zola.

Tutti i grandi romanzieri, tutti i grandi commediografi (non escluso il prof. C. A. Traversi) sono stati accusati di plagio....

Contro Vittoriano Sardou, a ogni sua commedia, s' è scritto che era rubata da questo o quel racconto, da que- sta o quella commedia... Ciò non gli ha davvero impedito d'essere il più aj)plaudito, e più universale commediografo del suo tempo, e di doventar, con le sue commedie, arci- milionario.

Se a questo punto, si arrivasse coi plagii, si troverebbe, a ogni quattro passi, un genio, o un arcimilionario, a cui inchinarsi.

Ma, pur troppo, il successo, in qualunque genere, sca- tena sempre la caterva de'goifi, degl'ignoranti, de'pedanti, degl'impotenti invidiosi, che si danno alle loro diatribe!...

Torno a Emilio Zola, e a Vittoriano Sardou.

Se le invettive di certi sciagurati e di certi balordi, po- tessero giungere sino agli uomini di grande ingegno, se l' abbaiar di certi botoli ringhiosi potesse turbar gli uomi- ni, che godono serenamente la gioia del successo, vorrei dir loro :

Siate lieti di certe accuse : nessuno ha mai accusato

Ricordi Critici e Umoristici 299

di plagio gli scrittorazzi astiosi, gelosi : nessuno ha mai accusato di plagio gì' imbecilli : tutti ne rispettano l'asso- luta originalità....

Mi ricordo a proposito di piagli d' un predicatore, buon uomo, ma stizzoso.

Mentre predicava, un uditore irrequieto, osservava, a voce abbastanza alta per essere inteso :

Questo è del Segneri !...

Questo è del Barbieri !...

Questo è del Cesari !...

Il predicatore, perduta la pazienza, gridò, arrabbiato :

Chetatevi, pezzo di p....

Questo è vostro ! esclamò 1' altro, fissandolo in viso

* * Un critico, di quelli che mescolano sempre l'arte alla po- litica, ha chiamato il prof. Antona-Traversi, autore delle Rozeno, il Bismarck.... del verismo drammatico.

No ha risposto l'applauditissimo autore non può farsi un paragone tra il Bismarck e me; le nostre linee sono diverse.... Capisco che la gloria è la stessa. Di più, io ho serbato, anche nell'ora del trionfo, la bontà.... Domandatelo a' miei familiari. Non ho desiderato, fin ora, che alcuno mi chiami Principe, tollero da essi il semplice titolo di mae- stro....

Il giovane professore si recava da un pirotecnico.

Vorrei gli diceva tiraste due fuochi in mio onore.... Non desidero si vedan troppo; basterà li incen- diate su una grande altura.

Ci vuole molte bombe?

Molte.... Ma desidererei pure qualche cosa di sim- bolico....

Perchè si capisca che è lei, basterà far un'aquila, che si alza, si alza, si alza....

L'idea mi piace.... Potreste aggiungervi un contorno di uccelletti minori?

Sta bene !

300 CammiUo Antona- Traversi

Fu fatta la prova dell'aquila, ma il gran volatile, invece di andar in su, cadeva sempre in giù, si ficcava nella terra. Come avveniva ? Due 0 tre esperimenti riuscirono allo stesso modo.

Non v'intendete disse gravemente il professore di pirotecnica !

Non me n'intendo? Crede lei aver inventato la polvere?

Giù di li....

O guardi !

E per fa capire al popolare commediografo qiial fosse la sua abilità, il pirotecnico die fuoco nell' istesso tempo a una trentina di razzi.

Il banco, a cui s'appoggiava il professore, saltò in aria; anche il professore fu inalzato, e mormorava: in alto!... sì!... questo è il mio posto.

Il pirotecnico si era bruciata la mano destra.

Ho perduto disse quattro dita. Non ne sono certo, ma, per lo meno, non le vedo più in cima alla mia mano....

Oh,... una mano più.... una mano meno.... replicò il professore. Se sapeste quanti l'hanno perduta per ap- plaudirmi ! E non se ne lagnano ! Pusillanime !

* * *

Un' altra notizia :

L' autore delle Rozeno, che non porta alcuna decorazione, sebbene i sovrani e.... i presidenti d'Eui'opa faranno, tra poco, a gara per onorarlo, porterà da ora innanzi, per esser meglio notato, all'occhiello un lanternino elettrico.

Ciò gli servirà anche a rilegger di notte i numerosi elogi, che gli tributa la stampa ben pensante (secondo lui).

I, j^affè-Phantant^

Jui 'Accademia della Crusca, che si è fermata sul C (^ più che su qualunque altra lettera, non ci ha insegnato in qual modo, schiettamente italiano, pos- siamo tradurre l'appellativo Caffè-Chantcmi ; appel- lativo ibrido, mezzo italiano e mezzo francese.

Alcuni dicono i Caffè- Concerti , ma la parola Con- certo incute ormai terrore in ogni anima bennata, anche se fra le più agguerrite alle avversità della vita.

Lasciamo andar, dunque, Caffè- Chantant: tanto più che in Italia tutto si capisce, pur che non sia in lingua italiana.

Alcuni si mostrano irritatissimi per la istituzione e la propagazione dei Caffè- Chantants. Posson riguar- darsi come luoghi ove ci si avvelena in tre modi : con gli occhi, con gli orecchi e, specialmente.... con le bibite.

Un mercante d'acqua calda può far foi-tuna, pui*

302 / Caffè-Chantants

che la serva con accompagnamento più o meno vo- cale e strumentale!

10 non vedo il perchè si debba tanto inveire contro i Caffè-cliantanis. Mi direte: sono immorali. Oh, ma non quanto le commedie, i drammi, che oggi si vor- rebbero far ingoiare al buon pubblico. In parola di onore, esso ha ragione di preferire certe birre : non ostante tutto quello che posson contenere di letale.

11 Catfe-chantant diventa, a poco a poco, un'abitu- dine: ci vanno le più belle ed eleganti signore, in compagnia de' loro mariti, o de' loro.... parenti: ci vanno le più tranquille famiglie borghesi e ci portano magari i loro bambini : tanto perchè imparino come, dal Rossini in poi, la musica abbia progredito : ci va il vostro calzolaio, e il vostro pizzicagnolo : ci vanno artisti, magistrati, senatori.

Un senatore, che è sordo da dodici anni, mi diceva sere sono, mentre il pubblico, in uno de' nostri Caffè- Chantants, urlava a squarciagola, secondando il ri- tornello di una cantatrice:

Io vengo qui per la gran quiete, che ci si gode.... Già si provan fra noi, in tutto, i benefìci effetti della civiltà.... Mi ricordo che, un tempo, gli organetti di Barberia leva- vano di sentimento : ora li vedo sempre per le strade, ma non suonano più !

Ecco un uomo, dunque, che loda i Caffè-chantants . Capisco che è molto sordo: ma la sua lode non è meno sincera.

A Parigi vi sono oltre duecento di questi Caffè : a Berlino, a Londra, a Madrid ce ne sono a ventine, in Londra, a centinaia, e alcuni frequentati da un'elet- tissima società.

Anche a Roma questo vainolo artistico, chiamiamolo così, infuria : al Caffè delle Variètès, graziosissimo e

Bicordi Critici e Umoristici 303

splendido, forse non quanto il nostro Alhambra, vanno a schiere i deputati : non parlano : o fumano o dor- mono. È il momento in cui sono più utili al loro paese.

L'Italia è però stata l'ultima a aprire i Ca/fè-chan- tants.

Intorno ai cantanti dei Caffè si fa in Parigi, e anche a Vienna, il più gran rumore. Dirò meglio : essi lo fanno da se: sanno che nessuno può esser lodato, gonfiato bene come da se stesso.

Somigliano, in questo, e nella mancanza di voce, ad alcuni degli artisti più celebri, degli artisti da noi chiamati servi; non so il perchè.

Hanno sempre il giorno innanzi rifiutato le offerte d'un Impresario americano: anzi, saranno capaci di raccontarvi che gì' Impresarii di ogni regione del mondo s'accalcano talmente alla loro porta, che è necessario distribuire a ciascun di essi un numero, perchè aspettino pazientemente il momento di poter essere ricevuti e ascoltati!

Se sono donne, non c'è trono d' Europa sul quale non avrebbero potuto sedersi, (e non mancan di se- dere.... più alto che possano) hanno rifiutato più volte una corona pel magnanimo dispregio delle ricchezze, e per soverchio amore di libertà.

Posto che trovino uno di quelli idioti, e ne trovano sempre, affetti da cretinismo costituzionale e incura- bile, gli danno ad intendere che il Principe Imperiale di Germania una sera è fuggito dal suo palazzo, e vestito da cameriere, è andato a servir gli avventori in un Caffè ove la bella cantava, per aver un pre- testo di avvicinarla.... cedendo a un'irresistibile attra- zione molecolare.

E, in certi casi, il giovinetto, che hn il pr-ivilegio

304 I Caffc-Chantants

di tali confidenze e che si crede amato assolutamente per se stesso, non manca di mormorare:

Povera ragazza, bisogna davvero avesse una tempra robusta, se fin ad ora ha potuto resistere a tante e forti seduzioni!

Stando a sentire alcune canzonette, io mi domando spesso : se certa gente si occupa di musica perchè è pazza, o se è la musica che fa impazzire.

Certo è roba che, anche in salsa cantaride, non la digerirebbero neppur gì' ippopotami. Ma l' uomo ha uno stomaco estetico forse men delicato di quello de- gl'ippopotami.

Molte di queste canzonette contengono il racconto d'una storiella.

Per esempio : una di quelle donne che, anche poste sul Monte Bianco, sarebbero sempre molto accessibili, va, con uno di quei giovani, a cui si dice che le donne fan perdere la testa (come se la cosa fosse pos- sibile) in una di quelle Trattorie, ove il servizio e i canapè funzionano da un tramonto all'altro.

Leggete e ditemi se si può essere più babbuassi!

Sans faire d'embarras,

Oh, là, là, là! J'iui dis: Prenez mon bras.

Oh, là, là, là! Enfin elle consent;

Oh, là, là, là.... La note se montait.

Oh, là, là, là! A quatre-vingt francs net.

Oh, là, ! Après avoir j)ensé,

Oh, là, là, ecc.

Ricordi Critici e Umoristici 305

Ecco di che cosa si è dilettato il figlio di Promoteo nel nostro secolo! Se qualcheduno lo avesse profe- tizzato uno 0 due secoli fa, il genere umano gli avrebbe dato querela per ingiuria!

Nei Caffè- eliantemi: s il pubblico canta con le attrici ; e, in certi momenti, tutti gridano: Ah! ah! oppure: Oh! old oppure: Là! ! occupazione degna di gente, che coltiva in sé, e meritamente, l'ultima espressione della civiltà.

È vero che questo chiasso ha il suo lato buono : impedisce, almeno, di sentire la musica.

Le artiste che si mostrano in questi Caffè, pigliano i nomi di stelle, le più cantano scollate, mostrando le braccia, le spalle, il collo ed altri accessorii circon- vicini: si dipingono molto, e le più guadagnano a esser viste.... da lontano. I^e accusano di aver grandi pretese: ingenerale, si contentano piuttosto di tutto che di poco : io le credo donne perfette : non lasciano nulla a desiderare.

Si dice pure che le più non hanno voce : ma si ^a, le belle bocche sono soggette a mancar di.... parola.

Per ora in Italia si vive d'importazione. La can- zonettista italiana è rara. Gli usignoli dei Calfè-Chan- /''/n/.s vengon quasi tuiii dalla Francia, dall' Tngbil- WM-ra. dall'AustiMa-TTiiglicria. dalla Corniaiiia.

A 1111 loro Irilh». ?(. un Inpo geshi. Aodiaiiin ce'lili- iiaia (li [jeL'sonL' divincttlarsi. gridar come invasate I... Tali cantatrici, quasi tutte così pingui, possiedono l'arte di agitare le masse.

30G La Principessa Pignatelli

La principessa Pignatelli.

Fra gli artisti di Caffe-Chantants più famosi, dopo Pau- lus, e dopo... cent' altri, è la principessa Maria Gaetana Pi- gnatelli Della Cerchiara.

La floridissima principessa è certo uno de' personaggi di maggior peso.

In Italia esordì, cantando all' Eden di Milano : si direbbe che, come Circe, essa ha la facoltà di cambiar gli uomini in bestie (facoltà che hanno molte donne, senza ricorrere alla masica !) Infatti, nella platea dell'Eden, appena la principessa apriva bocca, per cantare, si udiva, tra il pub- blico, sibilare, latrare, ruggire, grugnire.

Come mai una si nobil signora è arrivata ad essere una semplice canzonettista di caife-chantant ì

Occupiamoci un po' di questa donna singolarissima : e à cui spetta un posto speciale, fra le canzonettiste, se non per il volume della sua voce, certo per quella della sua persona.

Riguardando la principessa Pignatelli, nessuno può dire che sia un' artista consumata.

La principessa è quasi agli esordii della sua carriera artistica : canta da soli 7 anni, ma se la sua carriera è acerba, la sua persona è ben matura.

E figlia del principe Fabrizio Pignatelli di Napoli.

Intorno a lei vi sono state sempre catastrofi. Suo padre mori d'una caduta da cavallo.... Il suo marito, signor Pip- pert, gentiluomo tedesco, si suicidò in un albergo della Svizzei-a.

La principessa rimase con due figlie ed un figlio : e dovè vendere perfino i suoi abiti : non credo tutti : per soppe- rire a' debiti lasciati dal marito.

Una sorella della principessa sposò il conte Potoswki, dimorante a Parigi, e uno de' più gran signori d' Europa.

La contessa Potowski fu, per molti anni, uno degli astri del più beljmondo parigino.

Ricordi Critici e Umoristici 307

La madre della principessa Maria Gaetana, rimasta ve- dova del principe Pignatelli, sposò un gentiluomo, Capece- G-aleota, dei duchi di Regina.

Essa è vedova : e vive con la figliuola contossa Po- towska, oggi separata dal marito.

Un bel giorno, anni or sono, scoppiò un dissidio fra il conte, la contessa Potowsky e la principessa Pignatelli.

La principessa dichiarò che essa era ridotta alla miseria, e i suoi parenti non volevano soccorrerla : quindi avrebbe cantato, per vivere, nei così detti Gaffe-Concerti.

E tenne la sua promessa: e alla Scala ci fu il finimondo. Ma la principessa, si vuole, fosse lieta dello scandalo, che ricadeva, come un obbrobrio su la sua famiglia : come una macchia, che non avrebbe potuto tergere tutto il Sapol della terra (il migliore fra i saponi per tutte le macchie d'olio, di grasso, di vino, o morali : e anche per cantanti di canzonette).

Si disse che a Parigi il conte Potowsky, e i potenti amici della famiglia del cognato avesser fatto fischiare la principessa.

Ma contro la principessa si disse ben altro. Non m' isti- tuisco avvocato di questa nuova Frine : tanto più che sco- prendole il seno, si scoprirebbero orizzonti non tanto facili ad abbi'acciare. Non tenterò la sua difesa ; perchè non tengo agli emolumenti !

La principessa mi scriveva una lettera, da cui tolgo soltanto alcuni brani :

« Si dice ch'io canto per capriccio o 2?er vendetta: ec- covi la mia giustificazione :

« Il mio marito mi abbandonava, dopo i primi tempi del nostro matrimonio, lasciandomi debiti a pagare, e figli mi- norenni.

« Doi^o la sua morte, il mio cognato conte Nicola Po- towsky, e mia madre, la duchessa di Regina, in compenso d'una pensiono alimentaria, che consentivano a passarmi,

308 La Principessa PignateUi

esigevano ch'io rinunziassi a' miei diritti di madre, e affi- dassi loro i miei figliuoli. Ho preferito il lavoro e guada- gnare il pane col mio canto. »

La giustificazione è vera ?

Io credo a tutto ciò che dicono, e che cantano le canzo- nettiste, anche se sono principesse ; poiché ho notato che le donne più che salgono in alto, e più crescono nell' abi- tudine di non dire la verità. Ma ammetto, e di buon grado, che la principessa PignateUi sia un' eccezione.

Essa è irata contro « i parenti, e tutti quelli che mi son prossimi pe' vincoli del sangue, del nome, della casta : » li designa tutti come suoi calunniatori.

Alza la bandiera delle rivendicazioni democratiche ! Ah, se ella continua ad alzare....

Come il dentista, che cava i denti agli altri per metter qualche cosa sotto i suoi.... la principessa PignateUi apri- rebbe la bocca, di sera, perchè il direttore di un qualsiasi Trianou, o uu suo incaricato, gliela riempisse, ella dice, di pane !

Ma fortunatamente, l'amabile principessa non ha l'aria d'aver mancato di pane : anzi ha l'aria d'avere, e d'avere avuto sempre in abbondanza, fin ad ora, tutto ciò che può piacere a una donna.

Anni or sono, la principessa PignateUi, splendente di bellezza, consegnava in Firenze al Ministro della Gruerra, la bandiera, dono deUe donne italiane all' esercito, iiunl ricordo per le liattaglio drlla indiiipudonza.

Quante avventure avrebbe da vaccontave la principessa!

Una notte, in una campagna, presso Berlino, due uffi- ciali si battevano per la bella, sotto il suo balcone, ai raggi d'una lanterna cieca.

Nessuno li vedeva : neppur la lanterna : perchè, come ho detto, era cieca.

La principessa ha due sorelle monache : una Carmeli- tana, una Orsolina.

Ricordi Critici e Umoristici 309

Anni or sono, anch' ella entrava in un convento ; e nelle funzioni, cantava.... Attirò la folla. Alcuni, più volte, cer- carono scalare le mura del convento. Le buone suore s' im- paurirono : allontanarono la futura canzonettista.

Anche allora era ben Sviluppata : aveva una voce soa- vissima : si sarebbe detta la voce d' un usignuolo nella gola di un ippopotamo.

Sei anni or sono, dovea cantar a Venezia. La sua fami- glia la perseguitava come pazza, volea farla rinchiudere in un manicomio : qualcuno l'avea minacciata di detur- parla col vetriolo.... Essa cantò, a una certa distanza da Venezia, sopra una nave con bandiera austriaca, per varie sere.

A Berlino cantava nel Parodie-Theater la parte di Lola nella Cavalleria Rusticana.

Le scene dei Caffé-Chantants, ove essa comparisce, sono specialmente appuntellate per l'occasione.

Nel veder questa donna su la scena, mi coglieva un sen- timento di tristezza, che mi coglie spesso innanzi ad alcune nostre provette attrici, notissime, le quali persistono a vo- ler rimaner su la scena, ad alcuni notissimi nostri attori in simili condizioni.

Mi pare che le persone di una grave età, a una cert'ora, dovrebbero essere già coricate !

Leopoldo Fregoli.

Si parla per tutto di Leopoldo Fregoli, il trasformista comico.

Fregoli.... Fregoli.... non si discorre d'altro.

Nel nostro tempo basta, per doventare grand'uomo, il far delle sciocchezze.

Il Fregoli ha diritto alla cronaca.

Veramente la sua fama non è in tutto usurpata.

Un buon trasformista non si trova oggi facilmente di- sponibile: tutti i migliori trasformisti, quelli che sanno

310 Leopoldo Fregoli

eseguire nel più breve tempo, e ne' modi più rapidi, le più improvvise e incredibili mutazioni, sono assorbiti dal sistema parlamentare, dalla vita politica.

Sono andato, dunque, a intervistare come si dice nella nuova lingua italiana il grande trasformista.

Egli era assai occupato per gli omaggi, che riceve di continuo da ogni parte d'Europa al suo bell'ingegno.

Mi ha ricevuto con una certa benignitcà: mi ha fatto comprendere che consentiva io mi sedessi dinanzi a lui, cosa che non avrei osato, senza un suo benevolo incorag- giamento.

E vero ho incominciato che Giosuè Carducci sta scrivendo un'ode sopra di voi?

Non lo so di certo, ma me lo han fatto supporre. Egli ha già cantato sovrani e sovrane: e sapete che io posso essere una cosa e Faltra, per le mie trasfonnazioni a volontà. Giosuè Carducci ha la scelta: può cantarmi come E.e, o come Regina.

Mi hanno detto soggiunsi che voi avete una straordinaria intelligenza.

È quello che mi si ripete fin dal giorno in cui io nacqui, e da persone che non sarebbero capaci di adu- lare, ne vi avrebbero interesse.... Sì, la mia intelligenza è a dirittura straordinaria.... Tutti ne parlan sempre rapiti....

Quanti anni avete?

Diciotto.

Avrei creduto trenta!... Da quanto tempo recitate?

Da diciannove anni.

E come può darsi ne abbiate diciotto?

Mi par curioso anche a me! rispose il trasformi- sta. — E non so spiegarmelo.

Qual'è il più grand'uomo, che abbiate conosciuto?

Garibaldi.

Dove l'avete visto?

Allo sbarco di Marsala.

Come può darsi allora abbiate diciaunov' anni ? Fra

Ricordi Critici e Umoristici 311

ciò che dite e ciò che avete detto c'è una bella discre- panza....

Ah, ve ne siete accorto? (e mi ha stretto la mano). Dunque, nulla vi sfugge.... E uu piacere ragionare con un uomo si acuto.... Ma, vi ripeto, ho diciannov'anni.

S'io ne dubitassi....

Come? Ne volete saper più di me? Allora è inutile mi fate domande....

Avete avuto fratelli, sorelle?

Non me ne ricordo bene !

Quasi a ogni domanda e risposta, egli andava e veniva: ricompariva ora vestito da soldato, ora da cuoco, ora da ballerina, ora da prete, ora vecchio, ora giovane: e parlava con i suoi cento tuoni di voce.

Vi racconterò riprese ima cui-iosa storia di fa- miglia manco, a volte, di memoria, ma ora mi avete

fatto ricordar benissimo di tutto.... Io e mio fratello Gia- como nascemmo gemelli.... Dopo venti giorni, ch'eravamo nati, ci misero tutti e due in una tinozza per lavarci.... Uno di noi affogò.... Ma non si seppe mai quale. Secondo alcimi fu il mio fratello, secondo altri.... Oh, orrore ! E certo che uno di noi avea un segno nero nella guancia sinistra, ed era io. Ora appunto il bambino col segno nero fu quello che rimase annegato.... Mistero inesplicabile !

Davvero ! Fu la sola cosa, che ardissi di ri- spondere.

Mi sentivo straziato dinanzi a un si giusto dolore. M'accomiatai: il celebre trasfbrmi.sta mi disse:

Perdonate, se non vi ho detto molto su una esistenza, che potrebbe appena esser compendiata in una sessantina di volumi.... Ma stamani la mia memoria non mi serve bene.... Voglio donarvi il mio ritratto.... cioè non il mio ritratto, poiché sono morto, parecchi anni or sono, nella tinozza....

Egli sospirava e anch' io !

Ma il ritratto di colui, che oggi tutti chiamano Leo- poldo Fregoli e, oso dire, il gran trasformista.

312 Leopoldo Fregoli

Il grandissimo !

Vi sono grato per l'interruzione: avete buon gusto e sentimento di giustizia I Desidererei scrivere una dedica sotto questo ritratto.... ma non so scrivere.... e mi contento di farci una croce.

E il simpatico giovane, che lia destato si vivo fanatismo nel nostro pubblico, mi accomiatò !

Uscito, io non potevo contenermi.

Fossi stato di cautchouc mi sarei messo a balzare dal pavimento al soffitto per lo schietto entu.siasmo.

Un amico mi ha osservato, poco dopo :

Il Fregoli è un uomo assolutamente grande : ma ha un difetto, la sua memoria spesso non lo serve bene : va soggetto a distrazioni.

E mi ha raccontato il seguente aneddoto.

Una sera il Fregoli giunse a un albergo con due suoi compagni, in un paesello. Non trovarono più camere di- sponibili. C'era soltanto un letto libero in una camera a due letti. Nell'altro letto dormiva un moro.

Nella soffitta si potevano stendere sul pavimento due materassi.

Il Fregoli fece di tutto, accortamente, per aver il letto nella camera del moro : gli altri due dovettero ridursi in soffitta. Ma non potevano chiuder occhio : i topi, il vento, già che erano in mezzo alla campagna, altri sconci li tor- mentavano.

Poiché non si dorme disse uno all'altro si po- trebbe scendere a far uno scherzo al nostro compagno.... Gli si tingerà il viso tutto di nero, in modo che non si possa più distinguere dal moro!

Scesero: il Fregoli, stanchissimo, doi'miva la grossa: gli spalmarono tutto il viso d'una bella vernice nera, a freddo.

Poche ore dopo, bussarono alla porta per svegliarlo come avevan fissato la sera innanzi.

Ricordi Critici e Umoristici 313

Non ei*a ancor l'alba : egli s' alza, accende un lume : va per guardarsi dinanzi allo speccliio, ed esclama : Hanno svegliato il moro ! E se ne torna impetuosamente fra le lenzuola. Il moro dormiva con la testa sotto il capezzale !

Clliquita.

Una cantante comica, di nome Chiquita, ha avuto grandi successi. E una stella, accanto al hicentissimo pianeta Fre- goli. E molto bella : gran parlatrice : sa diverse lingue e conversazioni, a mille franchi per orecchio !

y^NTONIO j^ARDINALI

E IL SUO TEATRO MECCANICO

JL miglior Teatro di prosa, che sia aperto in ogni sta gione, è il Teatrino Meccanico di Antonio Cardinali. Mi direte che non vi si recita mai prosa. Per questo è il miglior Teatro di prosa! Quel Teatrino è una meraviglia : nella Compagnia il solo fatto un po' comune è che non ci è un attore, il quale sappia parlar italiano. Ciò accade in quasi tutte le nostre Compagnie drammatiche. Mi diceva il proprietario del Teatrino Meccanico :

I miei attori sono di ferro. Li potreste far muovere con ogni calamita: salvo quella de' guadagni, o dell'ambi- zione. Resistono a ogni fatica; ce ne sono di quelli che, da quarant' anni, vengono ogni sera su la scena : e non sono ne ridicoli, ne commendatori, ne esigenti, ne noiosi. Li vedete sempre freschi, specialmente quando sono stati tinti da poco. L'esser tinti è una loro debolezza ; una delle poche, le quali abbiano comuni con i più grandi attori !

Ricordi Critici e Umoristici 315

10 ascoltavo questo filosofo: e, con la mia attitu- dine, lo incoraggiavo a parlare.

Levando dal palchetto di uno scaffale una figurina-, le cui giunture cigolavano, disse :

Ecco la mia prima donna : ha viaggiato con me in Francia, in Spagna, in Germania, in Inghilterra, in Ita- lia. Non mi ha mai costretto a chiuder il Teatro una sera per indisposizione. Ha carattere e viscere di ferro !

E continuava a andar qua e là, carezzando or questo or quello de' suoi minuscoli attori. Proseguiva :

Tutta brava gente, e che, posso assicurarvi, non m' ha dato mai un dispiacere ! Ciascuno di loro è contento della sua sorte : se una sera, alla rappresentazione, uno è ap- plaudito più dell'altro, non c'è caso ritornino tra le quinte con l'idea di mangiarsi gli uni agli altri il naso.... Non c'è fra essi chi voglia insegnare allo Shakespeare la lettera- tura drammatica, al Bismark la politica, ai lettei'ati la critica.

Ma allora i vostri non sono attori !

Vi dirò : sono attori, che vanno dritti per la lor via, che sono d'una gran tenacia d'abitudini, hanno testo di ferro : mentre sento dire che oggi, fra gli attori, ci sono anche alcune teste di legno : e graziose attrici, che hanno risoluto il problenia di vivere a dirittura senza testa

Non potrei dirvi nulla su ciò di positivo.

Le teste de' miei attori sono piene e avrete trovato su altre scene molte teste vuote !

Guardavo alcune tele dipinte.

11 proprietario del Teatrino Meccanico continuò :

Queste son le montagne di Cividale.... Mi servono

pel grande spettacolo della nevicata Nel mio Teatrino

si svolgono tutti i drammi della natura : i miei attori sono tra il vento, l'acqua, il fuoco, fra tutti gli elementi: sono

31() Antonio Cardinali

superiori, come altri attori, noti pei loro scritti, agli ele- menti della grammatica ! E come si chiamano questi piccoli attori ? Non hanno nome Si presentano al pubblico ano- nimi : e pure il pubblico ogni sera li riconosce e li ap- plaudisce.... a differenza di tanti vostri attori, che piìi fanno stampare i loro nomi e meno son conosciuti : altri son conosciuti in modo che, quando il pubblico ne vede an- nunziati i nomi, presso la porta d'un Teatro, se la a

E questa figurina, che è cosi ripiegata e andata a male ?....

Ha voluto un giorno leggere le Memorie, i commenti allo Shakespeare, i discorsi sull'Arte di alcuni de' vostri at- tox'i : le avea detto di guardarsene.... Benché di ferro, non ci ha potuto resistere !

E questi attori, tutti in fila, che non mettete piia in scena ?

Sono attori, che hanno preso parte a rappresenta- zioni d'ogni genere, per oltre quarant' anni, in ogni paese del mondo : e hanno capito da sé, con tatto raro, che essi

avevano abbastanza del mondo e il mondo abbastanza

di loro Il pubblico è stato loro riconoscente di non ob- bligarli più, con uno scopo o coli' altro, a ammirazioni, che

non possono ormai esser sincere Ho diversi di questi

attori, pieni di gloria, e che non aprono mai bocca

Felice voi !

Neppur per lodarsi : per far atto di tracotanza contro gli altri.... Non sanno dire la parola io.

Sono a dirittura portentosi !

Non volli però continuare una conversazione, che mi parea potesse compromettermi ; sebbene, fra gli attori che vivono in Italia, non ce ne sia alcuno, il quale potesse esser colpito da tali allusioni.

Andate al Teatrino Cardinali: e cercate, se vi riesce, di far la conoscenza del proprietario.

IiicorcU Critici e Umoristici 317

Antonio Cardinali è uno degli uomini più singolari, e laboriosi.

È difficile trovar ne' drammi, nelle commedie, di cui ci occupiamo ogni giorno, un personaggio più liaio, più buono, più originale.

11 proprietario del Teatrino Meccanico è già cono- sciuto di fisonomia da tutte le mamme, da tutti i bam- bini, che Io hanno veduto sul suo palcoscenico, mentre fa operare il famoso autòraa.

Ma il più del tempo egli lavora dietro le quinte, mezzo sdraiato, o accoccolato per terra: nelle più strane e faticose attitudini, affinchè le sue figurine, i suoi animali si muovano con naturalezza, con vivacità, Ora vi un cielo azzurro, ora vi fa cader la neve : il Cardinali ò una colila della Pi'ovvidenza : fa la piog- gia e il bel teiiiiio :

Quel teatrino è un mondo in piccolo : e un inondo, che desta la più spontanea ammirazione.

Per esempio, siamo al temporale. Vedete come il vento agita tutto all' intoi'no, con quanta naturalezza tutto ò studiato; eccovi il brav' uomo col suo om- brello in mano, che lotta col temporale: e il fiotto del vento che rovescia l'ombrello: ad un altro jiorta via di testa il cap[)ello. \\ curioso veder aiulare, tor- nar iiiilieirn iKiiiiiiii. donne: curioso Acder il caccia- lore che s|i;ii-;i ii c(»l|i(i; il lÌK tc( i elle scinl illa. il cane' elle si geiiii .-i nuolo nel liiniie. \ a a prender la preda e la riporta al cacciatore.... K curioso, veder lo si- gnore, che arrivano in carrozza, si fermano, stavo jìcr dire a parlare, co' bellimbusti, che le salutano, ca- vandosi il cappello, mentre le signore agitano i minu- scoli ventagli.... Vedete come questi cigni si muovono : come questo contadino guida i suoi bovi.... Vedete come questa tigiiriria la niuovoi-o spedirò il \cleciiiedo !

318 Aìifonio Cardinali

Non basta : le figurine si tirano l'ima contro l'altra le palle di neve: e la neve lascia sui loro abiti di velluto le impronte.

Tutto ciò è stato ottenuto con pazienza di anni : con un lavorìo, a cui il buon Cardinali è stato tratto dalla vocazione: lavorìo d'istinto, di pazienza, di rara precisione.

Tutto ciò è stato veduto, ammirato in molta parte d'Europa: e l'uomo, che ha portato con questo teatrino, di anno in anno aumentato, nelle principali capitali, ha per tutto lasciato traccia del suo passaggio in opere benefiche, pietose, generosissime.

Antonio Cardinali, quell'ometto semplice, ha dato, in un certo spazio di anni, oltre quarantamila franchi in opere di beneficenza.

In ogni città, quando viene un dato giorno, egli s'agghinda co' suoi panni da festa, e con la sua fiso- nomia più bonaria si presenta al sindaco, al diret- tore di qualche pio Istituto, dicendo nel suo accento piacentino :

Io sono Autouio Cardinali.... per servirla.... Vorrei mi favorisse l'occasione di far un'opera buona....

Dica pure....

SI, signore, se mi permette. Io ho un teatrino : a sere faccio in una rappresentazione sette, ottocento lire: sarei disposto a dare una, due, tre di queste rappresenta- zioni, a beneficio d'infelici.... Potrei aver l'onore che Ella m'indicasse in questa città i più degni di essere aiutati?

Un personaggio, compito, non può esser ricevuto se non con gran festa : nessuno gli nega i consigli : e pochi giorni dopo, Antonio Cardinali porta le sue cen- tinaia di lire ai sindaci, a' direttori di pii istituti coi quali ha avuto le sue conferenze.

Da anni, Antonio Cardinali è ricercato persino dalle

Bicordi Critici e Umoristici 319

signore, ciò che lo ha un po' insuperbito, e lo ha spinto ad un lusso, che gli è stato ignoto ne' bei tempi della sua giovinezza. Egli non bada più, dacché ha allargato il circolo delle sue relazioni, a spendere dalle 11 alle lo lire per farsi tutto un vestiario. Non v'immaginereste mai quanto è elegante; ma ormai i suoi rapporti sociali l'obbligano a questa ricercatezza. A Firenze è venuto con una raccomandazione per una dama della Regina, scritta da un'altra dama di Napoli. Figuratevi !

Fra poco, Antonio Cardinali viaggerà, da un punto all'altro d'Europa, con lettere autografe dei varii So- vrani, e non mi meraviglierei alcuni di essi, ad esempio il Re di Serbia, si servissero di lui per certe trattative diplomatiche delle più importanti.

La vita d'Antonio Cardinali è degna di essere stu- diata.

Egli è stato, ma non è più, un saltimbanco. Egli è un vero e proprio impresario, e proprietario di tea- tro; un tempo viaggiava nei carrettoni, oggi viaggia in strada ferrata, egli, la moglie, i quattro uomini che ha con sé; un tempo aveva compagna ne' viaggi una pianista. Capirete che non era alunna del Listz 0 del Buonainici....

Porta in vagoni su le strade ferrate, tutto il suo teatro, le sedie, ogni suppellettile e la Compagnia ; una Compagnia di ferro.... come la strada; la Com- pagnia più pesante e anche la più sicura in caso di di- sastri ferroviaria... È difficile che un suo attore si rompa un braccio o una gamba. Dato il caso pur di una tal catastrofe, si procede all' amputazione ; e quindi si rimette a posto un altro braccio, un'altra gamba. I suoi attori possono mutar anche di testa senza pe[-icolo. E la nostra Arte drammatica risorge-

320 Antonio Cardinali

rebbe, se domani si potesse compiere su un certo nu- mero de'nostri attori la stessa operazione ! Insomma, le Società delle Strade Ferrate non hanno mai avuto da pagar indennità, per infortunii, agii attori della Compagnia, ben diretta dal Cardinali, diretta, senza opposizioni, perchè tutte quelle figurine, possono an- che soffrire qualche ingiustizia, ma con carattere ferreo, la subiscono e tacciono !

Il Cardinali carica, ogni tanto, su la strada ferrata, per recarsi da una città all'altra 33,000 kgr. di peso.

Tuttavia, ripeto, è degna d'esser posta in rilievo la virtù di quest'uomo, affinchè si veda con nuovo esempio, e imparino i giovani, che dalle condizioni più umili, fra le più oscure battaglie della vita, un uomo può inalzarsi alla prosperità, acquistarsi la stima universale,- con l'onore, la dignità, il lavoro!

Antonio Cardinali è nato a Piacenza, nel 1829.

Perdette il padre: rimasero sette figliuolini a ca- rico d'una povera donna. Non c'eran denari: dalla agiatezza, in cui l'avea allevata il padre, la fami- glinola si trovò senza pane.

Antonio Cardinali, che era tra quegli orfani uno de' più provetti, volle mettersi alla ventura in cerca di fortuna.

P;i TMacoiiza se no andò a piedi.... (ino a Parigi, e si noti, senza denaro, coinè mi [lieeolo jneiidiranie. ilorniendo nelle e;i|ianne. l-iee\ elido soccorsi d.l chi si

sofferniaAa a Liuardare (pud giovinoiio si delicato e si intrepido.

A' confini doveva star molto alle vedette, poiché i soldati delle pattuglie arrestavano e rimandavano in- dietro chiunque in cui si abbattessero, sfornito di carte e di mezzi: e pure il Cardinali arrivò sano e salvo a Parigi I

Ricordi Critici e Umoristici 321

Si accomodò coi Gregoire, che sono stati anche in Italia col loro Teatrino d'Operette, ma aveano allora un Teatrino Meccanico alla Porta Saint-Martin, coi Gregoire, divenuti poi ricchi.

Stette con loro, con una paga meschina, qualche tempo.

Nel 1848 lasciò Parigi e andò a arruolarsi bersa- gliere. Fu, sotto il comando del La Marmora, col Rebaudi, il Nigra, il Casalis, che, molti anni dopo, prefetto, facea concedere, sorridendo, i terreni pel teatrino al suo antico commilitone.

Dopo la battaglia di Novara, tornò a Parigi.

Un tal Padouin lo incitò a mettergli su un Teatro Meccanico, ma il Cardinali ambiva di metterlo su per proprio conto.

Ho dimenticato dirvi che, fin da giovanetto, egli era stato appassionatissimo per lavorare da mecca- nico : e da aveva costruito varii oggetti.

Era stato in teatri, per esempio a Forlì, a far esperimenti di luce elettrica, di quadri dissolventi : anzi, a Forlì, avea conosciuto un ragazzo del po- polo, studiosissimo e come lui appassionato pei- la meccanica, e che dovea poi divenire l'esimio profes- sore Golfarelli, direttore dell'Officina Galileo.

Quando Pio IX fece il suo primo viaggio nelle Ro- magne, lo seguitava per tutto il Cardinali, proiettando sul Sommo Pontefice le sue irradiazioni di luce elet- trica, di luce Drummont, di luci a smaglianti e abba- glianti colori!

Fabbricato da tutto il suo teatrino, allora assai pic- colo, e senza i grandi miglioramenti che vi ha poi ar- recato, il Cardinali, cominciò a viaggiare in Francia, in Spagna, in Svizzera, in Germania. Aveva allora poco più di 25 anni, oggi ne ha 04.

322 Antonio Cardinali

Una volta si trovò nello Stretto di Gibilterra a bordo d'una nave a vela. Una burrasca era imminente. Il capitano diceva al Cardinali:

Il mare è un pezzo clie bolle ! Il Cardinali credo rispondesse:

Chi sa quanti pesci ci saranno a quest' ora già cotti!

Non perdeva mai la sua serenità.

Ma la tempesta si scatenò.

Il teatrino, con tutte le sue figure, fu spazzato da bordo dai cavalloni.

La Compagnia Cardinali fece un buco nell'acqua !

La sua ballerina più leggera, che avea davvero le gambe di ferro, fu la prima a andar al fondo.

Della Compagnia non si salvò neppur uno.... a nuoto.

Fu una perdita per l'Arte e più pel Cardinali, Egli dovè rimettersi al lavoro. Le sue casse, le sue sedie, i suoi telai tutto era stato travolto ne' gorghi del mare.

Qualche tempo dopo era a Londra. Il suo teatrino, rifatto alla meglio, rigurgitava di gente. Ogni sera però vi accadevano furti. Era doventato il ritrovo de' migliori borsaiuoli inglesi.

Anche al Cardinali una sera, mentre stava su la entrata, innanzi che cominciasse la rappresentazione, fu rubato di tasca l'orologio. Impensierito, egli non portava più con sé, oggetti di valore, danari.

Teneva in una tasca un portafogli vuoto con un foglietto, in cui aveva scritto: « Briccone, questa volta hai speso indarno la tua fatica ! »

Se un borsaiuolo tentava su lui qualche altro tiro

Ricordi Critici e Umoristici 323

avrebbe avuto una lezione : così pensava il buon Car- dinali !

Una sera, scendendo da un omnibus, mette mano per curiosità al portafogli : Io apre; vi era un foglietto di colore diverso dal suo; lo spiega, va sotto un lampione, e legge con meraviglia: «Siete furbo dav- vero! »

li borsaiuolo gli aveva voluto render lo scherzo.

I borsaiuoli inglesi sono artisti raffinati !

In un paesello di Spagna fu contestata al Cardinali la contravvenzione, perchè adoperava, nel suo teatro, una pistola, senza permesso.

II Cardinali è portato dinanzi al capo degli algva- zils, che gli dice, quando son rimasti soli :

Bella pistola! Dove l'avete comprata ?

A Parigi.

Quanto vi costa ?

Tre napoleoni.

E bene: eccoti un napoleone: la pistola la prendo io.... E, pel resto, ti condanno a quaranta franchi di multa !

Tornando al tempo in cui il Cardinali era a Londra, dobbiamo raccontare il fatto seguente.

L'audacia de' ladri era cresciuta a un punto estremo.

La polizia Qon .sapea più come combatterli.

I ladri entrarono nel palazzetto di un signore, amico del Cardinali, e che era venuto in Italia.

Egli avea lasciato nella stanza d'ingresso della sua casa un gran cartello, in cui si leggeva :

« Ai ladri, o a coloro, che venisse r qui con intenzione di rubare. Tutti i miei oggetti di valore, tutta la mia ar- genteria, è depositata nelle Casse della Banca E.... Ne' miei bauli, negli armadii non ci sono che biancherie, vesti usate,

324 Antonio Cardinali

oggetti di troppo ingombro, e di niuu valore. Le chiavi, per clii vuol verificare, sono nel cassetto a sinistra della credenza nel caso si dubitasse della mia parola. Tro- verete lì anche una piccola somma, per remunerazione del disturbo preso a venir qui. Ripulitevi i piedi allo stoino e non sgocciolate la cera su i tappeti! »

Incredibile a dire : i ladri entrarono in quella casa, presero i denari.

Soltanto, non si pulirono i piedi !

A Londra, il Cardinali fu amico di Ledru-RoUin, di Louis Blanc, dell'Armellini, del Saffi.

Con altri patriotti, fu emigrato a Torino.

I casi avvenuti su le Fiere al Cardinali sono innu- merevoli e de' più bizzarri.

Una volta fu rizzata accanto al suo bel teatrino meccanico una baracca, ove s'annunziava di far ve- dere un mostro : Guyucutiis I

Si trattava di due americani, che non avevano più un soldo e si erano fatti dare in prestito quella ba- racca.

II biglietto d'ingresso alla baracca era di un franco, e la metà per i fanciulli.

La baracca aveva servito da Circo : vi entravano un seicento persone.

Era stata tirata a un punto una tenda per divider in due la baracca.

Uno degli americani raccolse l'incasso, quando la baracca fu gremita, per il più di donne e di fanciulli, e passò dietro alla tenda. Si cominciarono a udire urli : poi parve vi fosse dietro la tenda una fierissima lotta : si gridava: feriscilo nel cairn.... t^ompe le catene.... si libera.... è libero!

E, alla fine, un urlo disperato.... signore, signoìn, salvatevi.... salvate i vostri bambini!

Ricordi Critici e Umoristici 325

In un attimo la baracca fu vuota : continuarono al- cuni istanti i ruggiti : per un'altra porta, i due ame- ricani fuggivano, portando con l'incasso, tratto ai burlati spettatori.

Altra volta, in un piccolo teatro, in materiale, mentre il Cardinali avea costruito presso a quello il suo Teatrino, la folla accorse a vedere un uomo che avea annunziato, facendo spargere migliaia di fogliet- tini, che egli prendeva il bastone di qualsiasi spetta- tore e suonava con esso (col bastone) l'aria di qual- siasi strumento: di più prometteva d'entrare, alla vista di tutti gli spettatori, in una bottiglia : e cantare, quando vi fosse dentro....

Vi era, nel foglietto, questa nota :

Ognuno potrà prendere in mano la bottiglia !

Agli spettatori era concesso di andar al teatro ma- scherati : l'uomo nella bottiglia avrebbe loro rivelato chi fossero !

Lo spettacolo sarebbe durato circa tre ore.

Il pubblico accorse numeroso : su la scena non com- pariva alcuno, dopo tre quarti d'ora l'esasperazione del pubblico era al colmo. Venne al proscenio un uomo, il quale dichiarò che lo .spettacolo non aveva più luogo, e sarebbe reso il denaro : però colui che dovea entrare nella bottiglia, vi sarebbe entrato.... se gli spettatori avessero pagato un doppio prezzo !

Si accorsero allora, ma tardi, d'essere stati bur- lati.

Un compare gridò parole ingiuriose dalla platea, da un palco fu tirata una candela accesa sulla scena: si appiccò il fuoco a una tela.

S'urlò: brucia, brucia! Vi fu un pànico generale. Tutti corsero verso la porta. I compari se la svigna- vano con r incasso !

326 Antonio Cardinali

Antonio Cardinali ha soflFerto molto, ma molto, del mal di mare.

Si sa che il mal di mare, d'istante in istante, entro un certo spazio di tempo, si va facendo viepiù acuto.

A chi gli domandava un giorno quali erano le sue sensazioni in tali frangenti, rispondeva :

Ne' primi minuti credevo di morire, ne' secondi mi rincresceva di non esser morto !

Ma su quest' uomo buono, operoso, intelligente, che ha tanto viaggiato, e tanto lavorato, ci sarebbe da dire sino all' infinito.

Oggi egli è agiato : ricompensa alla tenacia, alle sue lunghe fatiche ; per lui la più grande soddisfazione è di far il bene.

Ha beneficato un grandissimo numero di pie isti- tuzioni : un signore può dare diffìcilmente quel che egli ha già dato pei poveri, in molti anni, come ho detto, circa quarantamila franchi !

Il cardinale Rampolla gli aveva ordinato di fare un Presepio meccanico per la Propaganda Fide, poi mancarono i denari. Il Presepio è rimasto al Cardinali, che lo farà vedere, un anno o l'altro, nelle città d' Italia.

Il Cardinale Rampolla non lo volle più. Pare im- possibile non si sieno intesi fra.... Cardinali I...

INDICE

Prefazione ^<^/y- lii

Ernesto Rossi a Costantinopoli e a Atene 1

Polemica per un. libro 13

Ernesto Rossi deputato 27

Aneddoti ... 31

Adelaide Tessero 34

Virginia Marini 49

Luigi Capuana: La Giacinta 64

Giacinto Gallina 86

Alamanno Morelli 93

Eleonora Duse 112

Giovanni Emanuel 143

Pia Marchi-Maggi 159

Avventure di E. Ferravilla 170

Ferravilla umorista 176

Aneddoti Ferravilliani 183

Anna Judic a Bologna 194

Andrea Maggi 201

Tina Di Lorenzo 216

328 Indice

Ermete Novelli in Ispagna Po-g- 235

Ei-mete Novelli in America 244

La Compagnia Sbodio-Carnaghi 250

Emilio Zago 259

Caramha e Sciosciammocca 271

Cammillo Antona-Traversi : Le Eozeno 283

I Caffe-Chantants 301

La Principessa Pignatelli 306

Leopoldo Fregoli 309

Chiquita 313

Antonio Cardinali e il suo Teatro Meccanico .... 314

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DEL CASTELLO DELLA SOLICCHIATA

PROPRIETÀ

del Barone ANTONINO SPITALERI

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Primi Fremii all' Esposizione di Londra 1888

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ALLA FIERA ENOLOGICA DI PALERMO 1889

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Approvata dalla Direzioue di Sanità, e presentata al XIV Congresso Medico in Siena, Agosto 1891

11 Dott. A. Naidoni nella sua Memoria presentata al detto Congresso a pagg. 20-21 dice ;

l.° Che l'Emoglobina solubile dei farmacisti Desanti e Zuliani come già quella esperimentata nella clinica del pro- fessore Maragliano è assorbita sempre e rapidamente ;

Che manifesta la sua azione curativa in un tempo bre- vissimo in confronto ai preparati di ferro ;

3.° È bene tollerata e assorbita senza dar mai luogo a fe- nomeni d' intolleranza, pur da individui in cui si abbiano a lamentare perturbamenti delle funzioni digestive ;

Mercè la sua spiccata azione ricostituente dei globuli sanguigni, stimola l'appetito, riattiva la nutrizione languente, aumenta il peso del corpo e la forza dinamometrica, provoca e regolarizza le funzioni catameniali, fa scomparire molti dei disturbi subbiettivi dell'anemia e della cloro-anemia.

5." Piccole dosi (10-20 centigrammi al giorno) hanno una azione spiccatamente curativa.

Dopo ciò, intimamente convinti che l'Emoglobina seguì un sensibile progresso, anzi apre addiritura un nuovo oriz- zonte nella terapia delle discrasie sanguigne in genere, in particolar modo della cloro-anemia, non possiamo esimerci nel chiudere il nostro lavoro, dal raccomandarla caldamente ai colleghi, certi che anch'essi, come noi, saranno per ot- tenere brillanti risultati.

Pillole 11. L 2,50. Liquida Q. L. 3. Vino di peptone di carne fi. L. 4.

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