CARTOLERIA CROCE

^MILANO

MANZONI ic

PLEASE HANDLE WITH CARE

University of Connecticut Libraries

: ■}

ì

0:P-CC>

^5*à*-

Ài

,<!»-

3 H1S3 D114D3SS T

U3

h9

c^y^^A c^

7

TRE DONNE.

BRUNO SPERANI

TRE DOME

r^s'

-^

LIBWRIA ED^illCE GALLI >35^ c;f^IE;We F. GUINDANI

r^

1891

Bergamo Stab. Tipo-Litografico Bolis.

CAPITOLO I. In Val Mis' eia.

Il sole era scoQiparso; una leggera nebbia si stendeva sulla terra fredda e umida.

Oppressi da insolita tristezza, i contadini ri- tornavano dai campi in silenzio.

Le donne, provenienti dallo stabilimento dove si lavorava la canapa, formavano un gruppo nel quale era tutto un discorrere fitto e sommesso. E spesso le parole erano rotte da singhiozzi, da gemiti.

Maria Scaramelli moglie di Sandro Ram- poldi il cavallante giovine donna di ventidue anni, diceva tra le lagrime:

1

2 -

Pare che l'avesse in cuore, povera Giulia! Non ci voleva andare al lavoro stamattina ! . . . Le doleva il capo; aveva bisogno di stare in casa a riposare qualche ora di più. Ma la sua cognata le rammentò ch'era di turno alla mac- china, che il padrone l'avrebbe mandata a chia- mare, e in tutte le maniere le sarebbe toccato di andarci ; altrimenti sarebbe cascata in multa, 0 avrebbe dovuto pagare una donna, che é poi lo stesso. La si vestì di mala voglia e venne giù brontolando. Io 1' aspettavo come tutte le mattine per fare la strada insieme. Per tutta la strada non fece che lamentarsi. Povera Giu- lia ! . . . r aveva in cuore, povera figliuola ! . . . Ringrazio il Signore che almeno non 1' ho vista quand'é cascata...

Avete ragione di ringraziare il Signore entrò a dire una anziana dal viso scarno Io invece l'ho proprio vista, e non me ne scorderò finché vivo. È successo tutto in un lampo, veli ! Ecco: io stavo a lavorare al mio solito posto, poco discosta dalla Giulia, ma con le spalle voltate. La macchina faceva un rumore di casa del diavolo. Mi pareva che non l' avesse mai

fatto un fracasso cos'i. Stavo per alzarmi e an- dare a vedere. In quella, sento un urlo, che mi ha rimescolata...

S' é sentito tutti ! . . . esclamò un' altra vecchia facendosi il segno della croce.

Si, ma io ch'ero là, l'ho sentito nelle viscere. E son saltata su gridando: Giulia! 0 Giulia ! . . . Ho subito pensato al grembiale pieno di pane. Certo la macchina l'aveva pigliata per una cocca del grembiale!.. Mi son buttata avanti, con la speranza di fare qualche cosa, chiamando aiuto con quanto fiato avevo . . . Gesù, mio ! . . , Non sono arrivata che a vederla un momento in faccia che faccia ! . . . Poi ho sentito un altr'urlo, soffocato... Era già dentro!... E 1 due piedi in aria facevano cosi cosi ... Oh ! chi non ha visto que' due piedi, non può figurarsi l'orrore ! ...

Le donne ascoltavano agghiacciate. Yi fu un silenzio.

Lo interruppe una ragazzetta che pareva in- dignata.

Eh! se gli uomini fossero stati pronti a fermare la macchina, la si salvava.

4

Le altre protestarono risolutamente.

Ma che ! . . . Ma che ! . . . Erano corsi subito, povera gente !

Subito confermò la vecchia.

Erano altre donne, le quali accennarono tristamente eh' era tutto vero , che gli uomini avevan fatto di tutto per salvare la Giulia, Ma la Cristina Scaramelli sorella minore di Maria moglie di Sandro si rivoltò come un serpente, gridando che lei gli uomini non li aveva visti; che d'altronde era ora di finirla con quella storia; che ne avevano parlato tutto il santo giorno, e che lei non ne poteva più. Qualche cosa aveva visto, pur troppo , ma appunto per questo non voleva sentirne parlare. Voleva scordarsene ! Loro ci trovavano gusto ; ma lei no. Lei non poteva vivere con quell'orrore da- vanti agli occhi.

E nel suo disgusto usci in queste frasi:

Voglio andarmene da questo posto ! Non la voglio più fare questa vitaccia, com' è vero che Dio mi sente ! . . .

Le donne la guardarono stupefatte.

Alcune ghignarono perchè questa ribelle Cri-

stina era un bel pezzo di ragazza e i padroni le facevano 1' occhio di triglia , e anche don Giorgio Castellani, il giovine curato di Gel, la vedeva volontieri.

Ma la sorella di lei, la sposa Rampoldi, do- lente e quasi offesa, esclamò:

Sei pazza?! Che vita vuoi fare, altro che lavorare?... I poveretti son nati per questo. Anche il mio Sandro, eh' é stato via coi tede- schi e poi coi piemontesi, dice che dappertutto é lo stesso.

0 lavorare , o . . . via ! Non sta neppure bene di dirle certe parole. Raccomandiamoci piuttosto al Signore, che ci tenga la sua santa mano sul capo.

Le anziane approvarono gravemente e tutte s'affrettarono verso casa senz'altro dire.

La pianura lombarda ha pochi luoghi più miseri, più desolati di questo mucchio di ca- sette su una specie d' isolotto fra due corsi di acqua: la Vergonza e la Mis'cia. I contadini danno a tutto questo lembo di terra il nome di Val Mis'cia. Due ponticelli servono a chi ci va

a piedi ; ma gli animali e i rotabili d' ogni ge- nere devono passare a guado dove l'acqua é più bassa. Quando la piena gonfia i fossi, non si passa più. Val Mis'eia rimane come bloccato.

Per questo lo chiamano pure 1' isola.

In fondo non é altro che un cascinale.

Niente chiesa, niente botteghe, neppure un forno per cuocere il pane.

I contadini e le loro donne, occupati da mat- tina a sera, hanno appena il tempo di far la polenta, la minestra e qualche focaccia da cuo- cere sotto la brace.

Un garzone di fornaio vi porta il pane re- golarmente un paio di volte la settimana, da Casorate o da Gel.

Fino a pochi anni sono, avevano il pregiu- dizio che i pomidori maturi fossero cattivi ; però s'affrettavano a mangiarli verdi, e appena rossi li buttavano via, mentre avrebbero fatto tanto bene alle loro minestre cosi malcondite.

Quella sera, rincasando, i contadini dell' isola ebbero una sorpresa poco gradita: il garzone del fornaio s' era scordato di portare il pane.

Ciò accadeva qualche volta, se 1' uomo era

troppo stanco e aveva la fortuna di esaurire il suo carico prima di giungere fino a quel- r eremo.

La notizia circolò in un momento da una casupola all' altra.

Siamo senza pane !

E i bambini tanto più strillavano : Pane !... Pane ! . . .

Ma gli animi erano così depressi che la cosa passò senza far rumore.

Qualche sorda imprecazione, qualche bestem- mia • smozzicata, bastarono a sfogare la collera dei più malcontenti e affamati.

Si affrettarono a fare la polenta, maledicendo quella giornataccia da cani.

In casa Rampoldi era pronta la minestra. L' aveva preparata la Virginia, la moglie di Pietro, il fratello maggiore, che era contadino a podere e aveva sempre una discreta scorta di riso, di fagiuoli e di lardo.

Appena accompagnate le bestie nella stalla e deposti gli arnesi del lavoro, i due uomini si fecero intorno alla Virginia, una pallidona delicata che non andava mai a lavorare in campagna, alla canapa. Essi discorrevano con lei, come i contadini usano di rado con le donne; mostrandosi gentili il più che pote- vano.

La minestra scodellata mandava un eccel- lente odore, e i due uomini facevano alla brava massaia i soliti elogi di tutti i giorni, per cui lei sorrideva di compiacenza.

Tutti sapevano che la minestra dei Rampoldi era la più buona: perché la Virginia, essendo stata a servire in casa di ricchi fìttabili, se ne intendeva di cucina. Ma si sapeva pure che i Rampoldi non pativano miseria come gli altri. Erano due uomini forti che lavoravano per sei e il podere lo facevano andare quasi senz' altro aiuto : specialmente dacché Sandro aveva spo- sata la Maria Scaramelli una sgobbona che se non lavorava la terra, andava alla canapa: e quando ritornava a casa, a giornata finita, si addossava le faccende più gravose, per rispar-

miare la pallida cognatina incapace di faticare, lei, COSI gracile.

I maligni ghignavano di quella gracilità. Si sapeva bene che Sandro 1' aveva presa di mala- voglia la figliuola di Marco Scaramelli, per ob- bedienza al fratello maggiore che vedeva la ne- cessità di avere in casa una lavoratrice; e per non dargli sospetto. Del resto, come moglie non la guardava neppure; anche questo si sapeva. I^ei non era che l'asino di casa Rampoldi: moglie era la Virginia, tanto dell' un fratello che del- l'altro, di Sandro come di Pietro. Se ne rac- contavano d'ogni colore sugli amori dei due co- gnati ; e Maria, sposa legittima di Sandro, era chiamata impunemente l'asino dei Rampoldi.

La sorella di lei, l'ardita Cristina, che di tali discorsi ne aveva sentiti anche troppi, fre- meva dentro di sé: ma non le bastava il cuore di dire tutto quello che pensava alla sua sorella.

Tanto non sarebbe giovato: Maria non era donna da vendicarsi.

Seduti nella cucina semibuia, intorno alla vecchia tavola, i due Rampoldi e la bella Vir- ginia mangiavano la minestra e del buon pane

10

che Sandro aveva portato da (^asorate , dov' era stato quel giorno nella sua qualità di cavallante. E insieme al pane giallo egli aveva portato anche un panino bianco, che la Virginia mangiucchiava a guisa di companatico insieme a quello giallo. E mangiando parlottavano allegramente con la bocca piena.

Secondo il solito, non s'erano dati pensiero di aspettare Maria che non aveva ancora finito di portar T acqua nella stalla ed in casa.

Quand'ella arrivò finalmente, dalla porta di dietro che menava all'orto e alle stalle, gli altri s'erano già alzati, e di pane bianco non ce ne era più sulla tavola ; anzi neppure di quell'altro.

Ella non si mostrò stupita, offesa che non l'avessero aspettata.

Succedeva cosi tutti i giorni: c'era avvezza.

Prese la sua scodella e andò a mangiare sull'uscio di strada, come sempre, perché le piaceva di mangiare all' aria aperta e scambiare qualche parola con quelli che passavano.

Mangiava adagio, senza appetito, il cuore oppresso come da un incubo. Pensava all'orri- bile morte di quella povera Giulia : ma insieme

- 11 -

alla sanguinosa immagine, che non riesci va ad allontanare, le ritornavano le amare parole della Cristina.

Sull'uscio dalla casupola da canto, apparve una vecchia mangiando un pezzo di polenta. Era l'Annunziata Meroni.

Le due donne si salutarono : e Maria si staccò dalla sua abitazione per avvicinarsi alla anziana.

E per stasera il funerale?

Si. Per farle un po' d'accompagnamento; nella giornata di domani sarebbe impossibile.

Verrà il curato?

Non eredo. Mi pare che ha mandato a dire che non poteva. Ci aspetterà in chiesa. Ho visto il Tonio della Mora e l'altro becchino che andavano a inchiodare la cassa... Vostro padre porterà la croce.

Lo so. E la Cristina, mia sorella, l'avete vista ?

Era qui ora. E andata a farsi un po' di polenta.

Maria sospirò, ma non disse nulla. Pensava che avrebbe potuto prenderla con la sua so-

12 -

rella, nella casa del marito, se la non fosse stata tanto scontrosa e difficile.

Se mia sorella fosse come me disse dopo un momento di silenzio non avrebbe bisogno di stare sola.

Oh ! é meglio così. Vostra sorella somiglia a vostro padre ; mentre voi siete come la vostra povera mamma.

Cosa volete dire?

Voglio dire che siete troppo buona. E poi, avete sentito? vostra sorella Cristina é stufa di questa vitaccia di contadina.

Oh !.. . Cosa volete che faccia ?

Manca cose ! Può andare anche a Gel a servire il curato.

Maria arrossi fino alla radice dei cappelli,

Al curato gli basta nostro padre per ser- virlo.

Potrebbe mandarlo via per fare posto alla figliuola.

Oh! Nunziata, non dite questo!... Mia sorella è una ragazza per bene. Siamo figliuole della stessa madre, sapete !

So bene ; ma lei dice sempre che voi

- 13

siete una sgobbona; una... scusate veh?. . . dice che siete una stupida, che fate la serva a quella smorfiosa di vostra cognata.

La serva no. Sono in casa mia come lei. Lavoro di più perché son forte e sana, grazie a Dio; mentre lei ch'é pochina pochina, s'am- mala per nulla . . .

Un bel comodo ammalarsi quando si vuole !

Ferita da questa ironia la moglie di Sandro tacque un istante e trangugiò alcune cucchiaiate di minestra, ciò che le permise di stare un poco voltata nascondendo la faccia.

La sua figura si disegnava mollemente nella luce grigia del crepuscolo. Era una bella con- tadina, alta, dalle spalle larghe, dalle braccia solide quanto quelle di un uomo, ma belle, tonde e grassoccie. Il viso regolare, freschissimo, seb- bene già un po' abbronzato dal sole e dalle in- temperie, aveva una espressione dolce, in cui la bontà appariva serenamente mista alla forza.

La vecchia, che sempre la guardava, riprese:

È tutto dire che Sandro con quella testa d'avvocato, e la religione che ha, non sappia far rispettare la sua donna...

14 -

Maria si voltò di scatto.

Cosa volete che faccia? S'ha a litigare?.. S'ha da spartirsi? Uhm! Un bell'affare! Stando tinti uniti si va là: ma se noi si volesse spar- tirsi, il podere resterebbe a Pietro... la roba di casa sarebbe inchina, a farne due parti... Si andrebbe a star peggio dimolto. E poi, la di- scordia in famiglia... Come si fa? Sicuro che io lavoro tanto : ma dal momento che il lavoro c'è, bisogna farlo. Lavoravo anche a casa mia del resto. E Sandro non lavora forse?...

Oh ! per questo nessuno dice nulla. Dico soltanto che vostra cognata fa la signora, mentre voi portate il basto...

A questa insinuazione maligna. Maria impal- lidi. Più di una volta le era capitato di sorpren- dere certi sorrisi, certe mezze frasi, il cui senso al primo udire le era rimasto oscuro. L'asino dei Rampoldi! L'aveva sentito dire una sera al figliuolo della Menica, e lei aveva creduto che parlasse veramente del loro asino . . . Ma il ra- gazzo aveva riso in un certo modo ! . , . E ora la vecchia Nunziata le diceva che lei portava il basto. Era un insulto dunque ? Volevano forse

15

significare che lei non contava per niente in casa di suo marito, che era la sgobbona e nulla altro? Strinse forte i denti e scrollò la testa bruna e poderosa.

Sentite Nunziata, perché dite che io porto il basto ? Cosa vuol dir questo ?

0 Dio ! Non andate in furia ! E cosi per dire che voi lavorate troppo, che siete troppo buona . . .

Troppo buona, troppo buona . . . Non so perché non dovrei esser buona. Quando la mia mamma si é sentita morire, la mi ha racco- mandato d'essere sempre buona e di fare il mio dovere in tutte le maniere: io faccio quello che mi ha detto lei. Ero appena sposa quando 1' é morta, vi ricordate?

Eh ! altro che ricordarmi. E stata lei che ve l'ha fatto prendere il vostro Sandro. Voi non ci pensavate neppure . . .

È vero. È stata lei. Mi ha detto che era un galantuomo, un lavoratore, un uomo che andava piuttosto in chiesa che all'osteria.... Cosa potevo sperare di meglio, poveretta come ero?... Tuttavia avrei detto di no... perché

- 16

mi dava troppa soggezione con queir aria . . . Ma quando la mia mamma ha insistito, non ho più saputo cosa dire; ho lasciato che facesse lei. E ora che l'ho sposato, vedo che é proprio un galantuomo , che ali* osteria non ci va mai , e lavora sempre. In giornata non se ne trovano tanti degli uomini come i Rampoldi. Per questo se mi lamentassi sarei una cattiva donna. Quanto a farmi dei complimenti... lui non c'è tagliato, quantunque sia stato fuori e abbia visto il mondo. D'altronde, lui ha i suoi trentasei anni, e certi fumi gli son passati... Per me poi, mi vergo- gnerei di pensarci. Son contenta cosi; e con- tenta io, contenti tutti.

Siete una brava donna sentenziò la Meroni. A proposito, potreste prestarmi un mezzo pane? Ve lo restituirei domani mattina...

Pane?! Se siamo rimasti tutti senza!... Io non ne ho mangiato . . . non ne ho neppur visto . . .

Come ! . . . Vostro marito é stato a Caso- rate col padrone; non ne ha portato?... Mi pareva d'avergli visto una micca di pane bianco...

Ma che! Via, diciamo V Angelus piut- tosto ; suona VAve Maria a Gel.

17 -

S'inginocchiarono sullo scalino dell'uscio.

Il padre della Griulia ! . . . mormorò la Annunziata dando nel gomito alla sua vicina.

E tutt'e due fissarono gli occhi sbigottiti nel vecchio Melica lungo e pallido come un fantasma, che passava ' di col cappello in mano, pregando e piangendo, tutto assorto nel proprio dolore.

Finita la breve preghiera, Maria salutò la vecchia e s'allontanò perché voleva far presto a sbrigare le poche faccende e andare anche lei a Gel con la morta.

La Nunziata restò un momento suU' uscio a guardarle dietro ; e fra pensava :

La ci deve avere il suo interesse per fingere di non capire. Basta ! Chi si contenta gode.

CAPITOLO ir. L'asino dei Rampoldi.

La grande cucina dei Rampoldi era quasi tutta immersa nell'oscurità.

Sul camino basso e ampio, alla fratesca, circondato di panche, un focherello di legna verde mandava molto fumo e pochi bagliori di fiamma.

Appena entrata. Maria andò istintivamente con lo sguardo a quel po' di luce della fiamma e restò come impietrita.

Sulla panca davanti, voltando le spalle a chi entrava, Sandro e la Virginia sedevano vici- nissimi, tanto vicini che parevano stretti in un amplesso.

20

Egli le aveva passato un braccio attorno la vita; e lei gli posava la testa sulla spalla. Forse si erano baciati in quel momento.

Maria ebbe una sensazione di stroncamento in tutte le ossa, e un gelo di morte la fece rabbrividire.

Non gridò, non si mosse, paralizzata dal rac- capriccio.

Come aveva fatto comprendere alla Nunziata, ella non aveva mai amato Sandro di un grande amore; certo non sapeva neppure cosa volesse dire amare appassionatamente; epperò non il dolore disperato, non 1' angoscia gelosa la anni- chilivano in quella guisa; bensì un vero terrore; il terrore di un' anima che si sente divellere dalla sua fede e precipitare nel nulla. Avrebbe voluto fuggire: e con la vita stessa avrebbe pagata la grazia di non vedere; per quel medesimo senti- mento che, qualche ora innanzi, parlando della Giulia, l'aveva fatta prorompere in quelle pa- role : ringrazio il Signore che almeno non 1' ho vista !

Ma non poteva staccare i piedi dal suolo.

Tremava tutta. E la scodella col cucchiaio

- 21 -

che teneva in mano, producevano, sbatacchian- dosi, un rumore secco, per cui gli altri due si voltarono.

Oh ! finalmente siete qui ! esclamò la Virginia balzando in piedi con un fare semplice e naturale: Dove siete stata? Avete visto Pietro ? . . .

Maria non rispose. La commozione era troppo grande in lei perché potesse nasconderla così subito.

D'altra parte una nuova lotta sorgeva ora nell'animo suo, fra l'indignazione esasperata da quella sfacciata ipocrisia, e un desiderio violento fino allo spasimo, di negar fede ai suoi propri occhi.

Non l'avete visto?

No balbettò con voce sorda la moglie di Sandro.

Ho capito. Sarà andato a dormire nel fe- nile. Era tanto stanco! Anche noi ci siamo ap- pisolati qua al tepido; e si cascava uno addosso all'altro, come sacchi vuoti. E si che, grazie al Signore, abbiamo mangiato.

Fece una risatina che mori fredda fredd a.

22

Sandro s'alzò e accese un lume. Era impac- ciato e non poteva parlare.

Maria si mise a lavare le stoviglie e quando il marito le si accostò, facendo uno sforzo per domandarle se andava col funerale^ ella cre- dette di scorgere in lui una certa ansietà e le parve che la guardasse fìsso per capire se aveva visto.

Allora lei si senti arrossire e chinò la fronte. Provava un senso acuto di vergogna, come se la colpa fosse stata sua. Era fatta cosi.

Sandro usci mormorando un « ci vedremo laggiù p e le due donne restarono sole.

Sempre in silenzio, Maria continuava le sue faccende affrettandosi perché la compagnia della cognata le pesava in quel momento come una macina sul cuore.

Ma la Virginia s'irritò di quel silenzio. Lei avrebbe preferito un bisticcio, pur di sapere ciò che r altra pensava. Epperò cercava di farla parlare, provocandola con la sua solita petu- lanza.

Quand'ebbe finito di dar ordine, Maria si

- 23 -

asciugò le mani e, rimessosi il fazzoletto in capo, s'apprestò ad uscire.

Dove andate? gridò la Virginia esa- sperata. — Perché non parlate?... Che vi si è fatto?. . . Sorniona! . . .

A quest'attacco la moglie di Sandro si voltò e mostrò una faccia così corrucciata , che la provocatrice rimase interdetta.

Ma ora l'offesa non poteva più contenersi. Si gettò con impeto sulla nemica ; le afferrò i polsi con le sue dita di lavoratrice, vere morse di ferro; e spingendola contro il muro, la in- chiodò lì, gridandole con lo strozzamento della collera :

Vergognati I . . . Vergognati ! . . .

Poi, tutto a un tratto, ripresa dall' intimo orrore che quella donna le ispirava, la lasciò stare e uscì senza voltarsi.

La notte era cupa e diaccia. Il mucchio di casupole pareva addormentato. Ma al di si sentiva un bisbiglio di voci con-

- 24 -

fuse clie s' allontanavano. Qualche lumicino va- golava per le viottole.

Maria fece alcuni passi a caso senza veder nulla, brancolando nelle tenebre. Non sentiva il freddo acuto. L'aria diaccia recava appena un poco di refrigerio alla sua testa in fiamme. Non pensava.

Ingenua e rozza non poteva fare riflessioni analisi su quello che le accadeva. Ma nel- r animo istintivamente gentile e fiducioso, ella sentiva, cosi in confuso, che tutto crollava in lei; che tutto stava per cadere, nella sua vita, e si disfaceva. Provava la sensazione indefinita di precipitare nell' abisso. Nel medesimo tempo quel senso acuto di vergogna e ribrezzo che l'aveva oppressa fin dal primo istante continuava a farla fremere e rabbrividire.

Ora capiva tutto il significato delle amare parole: l'asino dei Rampoldi ! . . . Già, lei era r asino. Doveva essere un amore vecchio quello di Sandro e Virginia. Che sudiciona, un co- gnato I . . . E lei non s' era accorta di nulla in dieci mesi; che bestia!... Ed ora si ricordava improvvisamente di tante e tante circostanze che

25

avrebbero dovuto spiegarle ogni cosa. Ma lei credeva che suo marito fosse un galantuomo, un uomo religioso... che non avesse grilli per il capo I . . .

Qualcuno la chiamò.

Mandò un urlo.

Eh! Sei pazza di gridare cosi, o Maria!... Non m' avevi riconosciuta?

... No !.. .

Ti senti male?.. Hai una voce!... Oh! caschi, perdio ! . . .

Maria vacillava: ma cercò di irrigidirsi.

Non é nulla ... Ho pianto troppo. --- Cosa t'hanno fatto?...

Cristina, a giorno della tresca e sempre in sospetto di qualche scoppio, intuiva tutta la verità.

Maria lo comprese e sentì che doveva men- tire : però disse con voce abbastanza ferma :

A me ? nulla. Per la povera Giulia, eh !

La Giulia non soffre più... Ma se vuoi che andiamo al funerale bisogna far presto.

Son già partiti ? . . .

26

Si, guarda laggiù. Andiamo per di qua: li raggiungeremo in un momento.

Presero per una scorciatoia traverso i campi.

Una blanda luce si diffondeva nell'aria ca- liginosa. Si sentiva lo stropiccio dei piedi nella polvere e il salmodiar delle preci mortuarie. Una voce grave aveva intonate le litanie dei Santi, e tutti gli uomini e le donne rispondevano in coro :

Ora prò ea !

Ora 2^ro ea !

Le voci forti e le voci esili si sposavano in una semplice armonia, che V aria della notte portava lontano nel silenzio lugubro della cam- pagna autunnale.

Le due sorelle arrivarono in pochi minuti su la strada percorsa dal funerale.

Un misero funerale ! Davanti camminava un ragazzo con una lanterna ; poi veniva il vecchio Scaramelli con la croce ; indi la bara portata a spalla da quattro giovinotti e a mala pena co- perta da un cencio nero, senza fiori, altro ornamento.

Le donne e gli uomini che la seguivano an-

27

davano un po' alla rinfusa, e di tratto in tratto qualcuno rischiarava la strada con una cande- letta, una lanterna o un fanale.

La prima persona su cui si fermò lo sguardo di Maria fu appunto Sandro che se n'andava a testa alta, pregando con una sorta di slancio.

Era un beli' uomo il cavallante Rampoldi ; un bel soldato; e l'aria soldatesca, il porta- mento svelto, lo distinguevano tra tutti i suoi compagni.

Per la prima volta dacché lo conosceva. Maria fu colpita da quella relativa distinzione, da quella maschia bellezza : e per la prima volta senti che sarebbe stata molto felice se, invece di essere cosi freddo, egli le avesse dimostrato un po' di quella tenerezza che germogliava adesso, nel povero cuore di lei, al posto della collera e del disgusto.

Sotto il dominio del nuovo sentimento che la faceva più intensamente soffrire, rimaneva immobile, sul ciglio della strada, gli occhi fissi in quell'uomo, che era suo marito, e non le apparteneva più di un estraneo.

- 28 -

Che fai? le gridò la Cristina vedendo che non si moveva. Vieni qui con noi !.. .

Come un automa ella si lasciò trascinare e entrò nella fila singhiozzando.

CAPITOLO III. Frimavera

I contadini lavoravano accanitamente dal- l'alba al tramonto. Si erano messi in testa di terminare i lavori per la seminagione del grano turco, prima delle feste. Anche il fieno, quel prezioso fieno d' aprile , doveva esser falciato e raccolto. La settimana santa avrebbe portati via i suoi tre giorni buoni alle donne, tra le funzioni, le divozioni e la pulizia delle case. E gli uomini pure ambivano di essere liberi per dedicare qualche ora al piccolo orto domestico e per altre faccende minori. Bisognava affret- tarsi dunque, tanto più che quell'anno tutto era andato bene e il bel tempo durava da un pezzo.

30 -

Le pioggie sarebbero arrivate nel momento più propizio, se il grano era seminato e il fieno messo sotto coperto. Ma certi nuvoli, certi buffi di vento le annunciavano vicine. Presto dunque, presto ! E i falciatori affilavano le loro grandi falci lucenti come specchi, e le donne allarga- vano il fieno coi rastrelli di legno cantando allegramente, nell'eccitante profumo della menta, del timo, delle primavere, delle campanelline rosate, di tutta la infinita famiglia delle erbe odoranti.

Nei campi destinati al melgone, gli aratri andavano su e giù lungo i solchi, squarciando il seno alla terra nera, calda, bramosa di- fe- condazione.

I bifolchi e i cavallanti camminavano al passo presso alle loro bestie, esortandole di tratto in tratto con le voci famigliari a cui esse obbe- discono.

Tutta Val Mis'cia era in moto. I fratelli Rampoldi dirigevano i lavori. Pietro che aveva sempre fatto il bifolco ed era il contadino del più grosso podere, guidava talvolta i bovi mentre Sandro conduceva i cavalli.

31

Ma Pietro era dappertutto. Appena un campo era finito di arare, egli si legava alla cintola la grande tasca ricolma e gettava a manate piene i bei chicchi d'oro nella terra squarciata.

Anche Sandro faceva un po' di tutto : mentre un altro contadino guidava per altri campi l'a- ratro tirato dai bovi , egli attaccava i suoi cavalli all'erpice e li faceva passare sulla terra seminata. E dopo l'erpice attaccava sotto il po- deroso cilindro che spiana la superfìce e rende il campo tutto pari e liscio come un letto da sposa.

Che vertigine di lavoro, che attività, che animazione su tutta la pianura !

La speranza, che l'autunno avrebbe facil- mente delusa, aleggiava intorno alle fronti curve dei lavoratori.

L'annata si era messa cosi bene!...

E sotto ai raggi dorati del sole di aprile', sott'al cielo bianco lattiginoso che ha un carat- tere cosi umano in confronto ai cieli metallici dei paesi meridionali, la misteriosa giocondità della Pasqua s'insinuava blandamente negli animi semplici dei poveri contadini.

H2

I grandi lavori si trovarono compiti la sera del martedì santo, come i fratelli Rampoldi avevano preveduto.

La giornata del mercoledì fu occupata dagli uomini a dare un'ultima voltata al fieno per metterlo sotto coperto, la stessa sera. Le nuvole minacciose si addensavano all'orizzonte: la notte non sarebbe passata senza un acquazzone; forse un temporale. Le donne intanto percorrevano i campi testé seminati, affinché neppure un grano di semente andasse perduto. Armate di un lungo bastone ferrato, esse facevano un buco in terra appena scorgevano un granello sfuggito all'azione dell'erpice e del cilindro, e prestamente lo cac- ciavano sotto.

Maria Scaramelli, la brava moglie di Sandro Rampoldi, valeva taut'oro per quest'operazione. Il suo occhio esperto distingueva subito il pic- colo chicco giallo, e la sua mano sicura lo fa- ceva sparire nello stesso momento.

- 3B-

Ma ella non era cosi attenta quel giorno. Già più di una volta aveva dovuto tornare in- dietro per ricuperare dei grani dimenticati : e di tratto in tratto parea che s'abbandonasse come spossata sul bastone confìtto in terra.

I suoi occhi non vedevano le cose esteriori, assorti in una dolorosa contemplazione interna.

Cristina Scaramelli e Nunziata Meroni, la vecchia dal viso giallo e scarno, guardavano quella afflitta, dal campo vicino, traverso al fi- lare ancora senza foglie.

Non pare più lei ! mormorò la Cristina soffocando un sospiro.

Dopo la disgrazia della povera Giulia, la non s'è più rimessa !

La povera Giulia?... Eh, si! le voleva un gran bene; ma se non fosse il resto... non sarebbe in quello stato !

La vecchia strizzò gli occhi: poi, mentre puntava il bastone per cacciar sotto due grani, mormorò :

Al resto ... lei non ci crede. ,

Altro che crederci ! . . .

Allora non si fida di me. Una sera, la

- 34

sera del trasporto della Giulia, entrai a par- larle della sua cognata e di quello che lei do- veva patire in casa. Non parlavo per curiosità, elle non son mai stata curiosa io, lo sapete. per malizia. Che m' importa mai a me della Virginia e de' suoi pasticci ? . . . Parlavo cosi, per amicizia verso Maria e perché la si po- tesse sfogare con qualcheduno ; che, chi non si sfoga scoppia. Ebbene ! La mi si rivoltò tutta d'un pezzo, come una furia!... Se l'aveste vista. Per poco la non mi diede della bugiarda. Cristina stette un momento sopra pensiero, poi disse:

Allora la non sapeva ancor nulla. Ma quella stessa sera ci fu una scena che deve averle aperti gli occhi. Poi si chetò, non so come, si rassegnò, e chiuse ogni cosa in sé. E una santa vi dico, fossi io al suo posto vedreb- bero ! . . .

E avreste ragione. Chi si fa pecora il lupo lo mangia.

Eh, sì. Ma chi è nato pecora, però, non può far da lupo. Lei é così. È una malattia come un'altra. Vuole un bene dell'anima al suo

- 35 -

Sandro e non osa dirgli una parola. Tace per

paura di disgustarlo ; e sopporta le angherie di

quell'altra.

La Nunziata alzò la spalle e ripensò senza

esporsi : « Ci avrà il suo interesse ! » Dopo una pausa Cristina riprese : State attenta al mezzogiorno : quando la

Virginia porta il mangiare agli uomini. Vedrete

che faccia farà la mia povera sorella, e capirete

da voi quanto soffre quell'anima.

Poco prima di mezzogiorno, la moglie di Sandro avendo continuato a lavorare con quel- r aria di stanchezza e di smarrimento, come una sonnambula, si trovò giunta in proda al campo presso al ciglione che sovrastava al fos- satello coronato da un filare di salci e pioppi. Invece di risalire il campo e continuare il lavoro, ella sali sull' arginello e si mise a camminare nella viottolina lungo il filare, finché si trovò davanti a un appezzamento tenuto a prato. Qui si fermò, e facendosi solecchio con le mani, guardò attentamente in fondo alla grande mar- cita dove gli uomini rimovevano il fieno sten-

-se- dendolo bene perché pigliasse tutto quel bel sole di mezzogiorno.

Saliva fino a lei nell'aria calda il profumo delle erbe giovani recentemente falciate ; e lei aspirava quelle voluttuose esalazioni , mentre il suo cuore si struggeva in uno spasimo d'amore e di gelosia.

Cercava con l'occhio ansioso il suo Sandro. Dov'era?... Perché non riesciva a discernerlo? Nessun lavoratore era come lui alto; nessuno aveva il personale svelto e maestoso per cui egli faceva cosi bella figura quando andava in città guidando la pariglia del legno padro- nale.

Mezzogiorno suonava alla chiesa di Gel ! . . . Ah! egli era andato incontro alla Virginia che portava il mangiare agli uomini.!...

Non si stancava mai di vederla, di starle appresso ; non ne aveva mai abbastanza di quell'amore ! .. .

Maria si sentì gelare improvvisamente. Li aveva scorti.

Camminavano adagio uno accanto all'altro sulla viottola larga che formava il margine di

- 37 -

un altro campo al di del fosso in fondo al prato. Sandro aveva presa la marmitta di mano alla cognata per risparmiarle fatica, e questa sorrideva beatamente.

Oh ! anima dannata ! anima dannata I . . .

Ora varcavano il ponticello, si fermavano sull'argine al rezzo.

Gli uomini deponevano i rastrelli e le forche ridendo in pelle. E quel minchione di Pietro non s'addava di nulla. 0 marito ciuco !

Vinta dall' ira Maria picchiò un colpo col ba- stone ferrato sulla terra indurita della viottola. Questo rumore la fece trasalire.

Ebbe paura di essersi fatta scorgere dalle compagne. Si voltò timidamente e vide infatti che sedevano sul margine fra due campi man- giando il boccone del mezzogiorno. Tutte guar- davano a lei.

Vieni qui le gridò la Cristina vieni a mangiare con noi !

Maria si raccolse un momento; si passò una mano su gli occhi; crollò la testa. Final- mente si mosse e adagio adagio si avvicinò al

gruppo delle donne, sedette presso alla sorella e non fiatò.

Pensava confusamente, con una sorta di su- perstizioso terrore, a quello che aveva veduto, e che si ripeteva tutti i giorni : pensava alla sua misera sorte.

Sarebbe stato sempre così?... Sempre... finché lei sarebbe morta di crepacuore?... La Virginia s'era fatta più superba che mai dacché la disgraziata Maria aveva scoperta la tresca ; e la rimproverava per ogni cosa e giungeva fino a minacciarla. Pietro la guardava di traverso ; e Sandro non le parlava neppure. Quando gli altri le erano addosso con gì' improperii, come se non avesse fatto il suo dovere, mentre non si ripo- sava mai, Sandro taceva o andava fuori di casa. E la Virginia sempre seduta al camino, o sulla porta della cucina, non faceva che comandare: e vestiva quasi come una signora , col grem- biale sempre nuovo e il fazzoletto di fulard ; men- tre la povera sgobbona tremava quando aveva consumato un paio di zoccoli e doveva chiederne un paio nuovo ! . . .

Sarebbe stato sempre cosi, sempre... Ci do- veva essere mezzo qualche stregoneria . . . qualche vecchiaccia le aveva dato il cattivo occhio . . .

Forse la Meroni . . . forse . . .

Con questi pensieri, cercando nel buio della memoria un fatto, una data che le sfuggiva, Maria rimaneva intontita, ripetendo mentalmente le stesse parole. Le donne intanto parlottavano della vicina Pasqua, delle funzioni, della con- fessione, della pulizia delle case...

Ne sentirà delle belle don Giorgio! esclamò una giovane contadina dal viso rotondo ammiccando furbescamente. È il prim' anno che si trova a questi ferri.

Ma la vecchia Meroni ribatté subito con la sua solita malignità:

Peuh ! non pare uno da scandalizzarsi ! Che ne dite voi Cristina?

40

La Cristina fece una grande risata canzo- natoria :

0 che credete che le venga a dire a me queste cose?

Quando comincerà a confessare? do- mandò la Menica, povera donna, consumata dalle febbri, che non aveva punto memoria per le cose di chiesa.

Stasera dopo gli uffizi, come tutti gli anni riprese Cristina con la sua aria di donna franca. Domattina dalle cinque alle nove aspetterà gli uomini in sagrestia. Poi dirà messa e comunicherà. Vengono due preti da Casorate, don Bortolo e un altro ; epperò il mio vecchio brontolava perché gli é toccato prepa- rare le camere.

Avrà molto da fare vostro padre questi giorni.

Si, ma lui non si scalmana.

E non confesserà più don Giorgio dopo questa sera e domattina? domandò una ra- gazzetta dalla faccia rigonfia.

Confesserà venerdì e sabato tutti quelli che vogliono comunicarsi il giorno di Pasqua.

41 -

Maria ascoltava questi discorsi, prima distrat- tamente, poi con più attenzione; e un lavorio nuovo occupava il suo cervello.

Sandro viveva in peccato mortale . . . Come avrebbe fatto con la Pasqua? Si sarebbe confes- sato, pentito?... Oh! volesse Iddio!... E se taceva invece?... Se commetteva un sacrilegio... se si dannava per l'eternità?!...

Rabbrividiva a questo pensiero; e un freddo sudore le inumidiva i capelli.

La speranza tornava a rianimarla con un suggerimento.

, Forse don Giorgio poteva fare qualche cosa per lei, e salvare un'anima... due... che lei pure si dannava a quella vita!... Ma se Sandro taceva il suo peccato, cosa poteva fare don Gior- gio? Nulla... nulla...

Sbigottita come davanti a un abisso pronto a inghiottirla, ella chinava il capo, schiacciata... Ma la tenace speranza non s' arrendeva. Forse don Giorgio sapeva di quella tresca ... ne par- lavano talmente tutti!... E, sapendo, avrebbe interrogato il suo penitente, l'avrebbe messo al muro. E Sandro, cosi interrogato, non avrebbe

- 41

osato negare ... E se don Giorgio voleva gli avrebbe toccato il cuore . . . Sandro era buono, religioso... E sarebbe tornato a lei, e sarebbero andati a lavorare lontano lontano, in un altro paese... magari in America !.. . Lei era pronta a tutto...

Sì, ma se don Giorgio non sapeva, o se non se ne ricordava in quel momento, e Sandro commetteva il sacrilegio?!...

Tornò a impallidire, a tremare.

Bisognava prevenire don Giorgio. Questo era il solo mezzo. Lei non avrebbe osato; ma la Cristina poteva farlo: la Cristina sapeva par- lare e don Giorgio l'avrebbe ascoltata.

Improvvisamente balzò in piedi:

È ora di rimetterci a lavorare ! Bisogna far presto ... se vogliamo finire a tempo per andare in chiesa !

Tutte si alzarono e la vecchia Meroni os- servò seriamente che era sempre meglio pren- dere la Pasqua il giovedì santo, che gli ultimi giorni non si poteva avere la testa al Signore perché e' era la casa da ripulire e mille cose da pensare.

- 43 -^

Maria riprese il bastone che aveva lasciato cadere, e andò al lavoro con nuovo slancio, come nei bei giorni della sua massima attività.

Stupefatte di quella improvvisa trasforma- zione, le compagne se l'additavano in silenzio.

CAPITOLO IV. In Confessione.

Era il giovedì santo.

r drappi neri e la cotonina nera, sbiadita dal lungo uso, gettavano ombre livide nella chie- suola, di solito cosi piena di luce, di aria e di campestre gaiezza.

Fuori, la campagna risplendeva: gl'insetti l'onzavano; i passeri annidati sotto il cornicione della chiesa cinguettavano allegramente ; e le rondini appena arrivate dai lidi lontani, parca che avessero mille cose da raccontarsi; mille osservazioni curiose da comunicare 1' una al- l' altra.

46 -

Anche nella chiesa era un bisbiglio som- messo, un biascicamento di orazioni miste a sospiri. Le donne che si erano confessate la sera innanzi aspettavano l'ora della comunione.

Alcuni chierici finivano di adornare il sepol- cro nella cappella laterale. In sagrestia, altri chierici si vestivano, preparavano gli oggetti per la prossima funzione, insieme a due pretonzoli venuti da un paese vicino per aiutare don Giorgio e buscarsi qualche soldo.

Neir angolo più appartato , don Giorgio in cotta bianca e stola ricamata sopra la lunga veste nera, finiva di confessare gli uomini. Da due ore egli stava seduto, quasi immobile, nella luce tediosa di quella stanzuccia, nell'aria grave per tanti fiati misti al puzzo di moccolaia.

Una invincibile uggia abbatteva i suoi nervi : e il viso giovine, ancora fresco, dai lineamenti regolarissimi, appariva stirato, afl'ranto: con dei lividori sotto ai piccoli occhi grigi, affondati, e intorno alla bocca tumida, sensuale. Alcune ru- ghe precoci gli solcavano la fronte bianca; e la mano affilata, s'agitava per un moto nervoso nella schiacciante inoperosità. Nei movimenti

47

del capo, il marchio sacerdotale luccicava come im disco d'avorio tra i folti capelli neri, nella luce filata che scendeva dalle alte finestre.

Di tratto in tratto, dopo di avere lunga- mente ascoltato, pronunciando appena le parole indispensabili, don Giorgio pareva preso da un grande interesse e si metteva a parlare con be- nevola effusione, curvandosi un poco sul peni- tente inginocchiato ai suoi piedi. Era la sua una eloquenza semplice e calda, alla portata di chi l'ascoltava : ispirata a una grande pietà. Dal pergamo o in confessione, le sue parole esprimevano quasi sempre un conforto, rara- mente un rimprovero. Ma egli sentiva l'inutilità del suo ardore : e una stanchezza mortale, uno sfiduciamento scettico s'impadronivano di tutto il suo essere, malgrado gli sforzi della volontà.

Nato in campagna, dotato di un corpo ro- busto, ricco di una esuberante giovinezza, don Giorgio soffriva specialmente della inoperosità materiale. Felice quando poteva maneggiare la zappa e la vanga nell' orto del prebistero ; quando i doveri del suo stato lo portavano nel crudo inverno, o nella cocente estate, da una ca-

48

scina all'altra, di paesello in paesello ; per la campagna gelata o sotto al sole ardente. L'aria tepida della chiesa, impregnata d' incenso e di esalazioni umane, lo sfibrava. Aveva languori strani ; subitanei incitamenti. Volta a volta, gli pareva che il sangue gli s'arrestasse nelle vene spegnendogli ogni forza , ogni vita ; mentre l'istante appresso era un torrente precipitoso che minacciava di straripare.

Nessuno più adatto di questo prete per com- prendere i difetti e i bisogni dei contadini ; ma nessuno più convinto di lui, che a mettersi in testa di correggerli e di migliorarli, avrebbe perso tempo e fatica.

Troppa miseria ! soleva dire scrollando le larghe spalle e troppo densa, inveterata ignoranza !

Egli faceva tuttavia quanto poteva fare, che la pietà rimaneva ardente in fondo al suo cuore.

I contadini, senza comprenderlo, gli volevano bene; e se scoprivano in lui qualche debolezza, la coprivano con la stessa indulgenza di cui egli era cosi largo verso di loro.

49 ~

Da parecchi mesi, forse fin dalle prime set- timane che l'avevano mandato a quella cura, nel maggio dell'anno avanti, la grande debo- lezza di don Giorgio Castellani era la Cristina Scaramelli, quella bella ragazza ardita e franca, capace di sentimenti e d' intuizioni superiori al suo stato. Per amore di lei, egli s'era preso al servizio il vecchio Marco, gran fannullone, ca- pace di votargli la cantina piuttosto che badare alla casa e all'orto. Ma la Cristina andava di tratto in tratto a dare una mano al vecchio ubbriacone, e il giovane curato aveva il piacere di vederla. Non una parola, però, aveva rivelato l'ardore segreto ; neppure un cenno. Le sue labbra avevano i sette mistici suggelli. Soltanto gli occhi parlavano audacemente, accesi dal fuoco dell'amore.

E Cristina intendeva il linguaggio di quegli occhi, perché lei pure era trascinata da una forza ineluttabile. Nonostante, se qualcuno si permetteva uno scherzo troppo... campestre, una allusione un po' salace, ella si rivoltava tutta di un pezzo.

Don Giorgio?... Ma che!... Un santo era!..

E se la parola non bastava, il braccio ro-

4

ì insto della lavoratrice si levava per sostenere nel modo più energico la santità delF ideale amante.

Le otto sonavano all'orologio del vecchio campanile, e ancora don Giorgio confessava gli nomini.

Tre ore !

E ce ne voleva prima che la fosse finita !

Don Giorgio contava meccanicamente quelli che aspettavano. Ogni volta che ne aveva as- solto uno, e un'altro andava ad inginocchiarsi ai suoi piedi per narrargli, nel solito modo gros- solano, i vecchi peccati triviali, le vecchie mi- serie, don Giorgio sentiva che le sue forze dimi- nuivano e l'uggia cresceva. Le distrazioni lo assa- livano accanitamente. Alzava gli occhi, spingeva lo sguardo fuori della sagrestia, nella chiesa, tra le donne inginocchiate , cercando la Cristina ; ripensando tristamente alle cose eh' ella gli aveva dette in confessione la sera innanzi.

51

Oh ! a quale cimento l'aveva messo I

Voglio bene a uno aveva detto tre- mando la giovane voce impregnata di lagrime, di cui egli sentiva il soffio caldo traverso la graticcia, voglio bene a uno che non mi può sposare ... E gli voglio tanto bene che non me ne importerebbe niente di essere sposata... Questo é un grave peccato, lo so . . . e lui non vorrà mai ... é un santo lui . . . Per questo . . . perché sono stanca di patire ... ho fissato di andare via ... in America . . .

Ella soffocava; le mancava la voce per la gran vergogna e il dolore, ma diceva, perché voleva dire.

Dio di Dio ! Che passione di non poterla stringere fra le braccia e baciarla sulla bocca mentre parlava ! , . .

Eppure egli aveva avuto il feroce coraggio di dirle che avrebbe fatto benissimo a partire, che era il suo dovere, che Dio l'avrebbe ricom- pensata ridonandole la pace dell'anima!...

E intanto si sentiva ardere e gelare. Non aveva patito così dacché era al mondo.

Tutta la notte poi senza chiudere occhio ;

- 52

tormentato da spasimi incredibili ... E ora si sentiva le ossa come frantumate ; la bocca amara di tossico ; il cervello torpido.

Era umano, soffrire a quel modo ? . . . Perchè Dio gli aveva dato quel temperamento ? . . . Ah ! il male era di avere vestito quell'abito ! Non ci era Dio, santi. Si trattava di una povera figliuola che egli avrebbe disonorata . . .

Un altro pensiero sorgeva improvviso nel suo animo turbato : forse l'aveva già disonorata guardandola, tirandosela in casa... I contadini, che l'avevano indovinato di questo era certo non potevano supporre ... ma che ! . . .

Lo stimavano lo stesso, però, lo compati- vano, perché era giovane e con quel tempera- mento ! . . . Loro già accomodavano ogni cosa : la terra e il cielo.

E continuava a cercare la Cristina e ad assolvere i peccatori. Assolveva tutti ; ora per un sentimento di pietà fraternevole, ora sbada- tamente.

Ma dov'era la Cristina? Non si sarebbe pre- sentata alla Comunione ? . . . Egli le aveva detto che se pensava ancora al suo amore, se ne so-

58

gnava nella notte, non avrebbe potuto acco- starsi alla mensa del Signore . . . Perché dirle di quelle cose, lui che pensava sempre al suo amore, che ne sognava a occhi aperti ? . . . Ah, perché?... Per la speranza non confessata, ma conscia, ch'ella ritornasse a confessarsi la mat- tina, a dirgli che aveva pianto, sognato, deli- rato . . . come lui stesso ! . . .

Mea culpa . . . mea culpa . . . diceva con voce rotta un nuovo penitente inginocchiato ai suoi piedi.

Era un mingherlino, traballante sulle gambe, il viso bruciato, l'occhio spento: Marco Scara- melli, il padre di Maria e di Cristina.

Il prete gli conosceva i peccati dal primo all' ultimo.

Anche ieri sera, si, padre, signor curato... anche ieri sera ! . . . Non posso trattenermi . . , non posso . . .

Hai bevuto l'acquavite?...

... Si . . . Sono entrato dal tabaccaio . . . me r hanno offerta . .

Dovresti almeno accontentarti del vino

- 04

della mia cantina che bevi, di nascosto, oltrf^ quello che ti do . . .

Oh !.. . signor curato, creda . . .

Ricordati che stai confessandoti . . . non commettere sacrilegio ali.ieno.

E il confessore si mise ad ammonire quello sciagurato, un po' con le brusclie, un po' con le buone, convinto di non ottenere nulla; che quello avrebbe continuato a bruciarsi coi ve- leni alcoolici che i liquoristi vendono ai poveri diavoli.

E non faceva lo stesso lui?... Non si bru- ciava tutti i giorni con la sua passione?... Non si era bruciato fin dall' adolescenza fissando gli occhi concupiscenti su tutte le donne?... E ora che ne desiderava una sola, era peggio che mai!... sarebbe disceso irreparabilmente, sempre più giù... fino alla dannazione dell'anima... alla rovina di tutta la sua esistenza.

Un brivido gli corse per le vene ; i suoi pen- sieri si concentrarono sopra un solo soggetto; dimenticò 1' ubbriacone e le tristi considerazioni che gli aveva ispirato.

Aveva scorto la Cristina.

- 55

Era inginoccliiata in terra presso al Sepol- cro; il viso nelle mani, la testa curva, pareva annichilita.

Piangeva forse.

Don Giorgio sbrigò alla lesta il vecchio Sca- ramelli, assolvendolo con una indulgenza forse eccessiva forse colpevole.

Presso alla Cristina, la moglie di Sandro pregava con intenso fervore.

Ah ! pensò il curato devo occu- parmi anche di quella li !.. . Cristina me 1' ha raccomandata.

E cercò con gli occhi Sandro Rampoldi ri- masto fra gli ultimi penitenti.

Un'altra colpa d'amore: un adulterio ince- stuoso! Caso purtroppo non raro tracampagnuoli.

Osservando i due amanti, mentre un mezzo cretino, che aveva preso il posto di Marco, si perdeva in un lungo racconto, don Giorgio li giudicava con sicurezza. Sandro gli era sempre parso un buon uomo.

Non poteva che essere acciecato dalla pas- sione, dalla sensualità... Ma la Virginia gli pa- reva una furba da non affrontarsi direttamente.

- 56 -

Nessun mezzo morale poteva avere presa su quell'indole molle, astuta, scivolante. Non se- dotta , seduttrice , lei doveva aver trascinato Sandro al tradimento del fratello; appena sposa forse; e senza passione, senza acciecamento: per comandare a due uomini invece che a uno solo ; perché i guadagni di tutti e due mettessero capo nelle sue mani, e lei potesse contentare i suoi vizi capitali di contadina : 1' avarizia e la gola. Certo era di quelle egoiste meschine che pensano a farsi la parte più comoda nella vita, a spese di chi le circonda; ma senza violenza, adope- rando i vezzi, le moine, le astuzie.

Non vi poteva essere che un mezzo per farla retrocedere nel suo cammino : la forza. Biso- gnava schiacciarla.

Ma come?. . . Avvertire Pietro? Quel toro in furore 1' avrebbe stritolata ! . . . A meno che lei non trovasse il modo di calmarlo , protestandosi innocente, accusando magari il suo complice per salvare se stessa. Allora il solo Sandro sarebbe andato di mezzo ; e Maria avrebbe pianto tutte le sue lagrime. Bisognava scegliere un'altra via. Commuovere Sandro sullo stato della sua pò-

57

vera moglie : toccargli il cuore. Non era un' in- dole recalcitrante, tutt' altro. Ma vicino alla Virginia sarebbe ricaduto e come! Bisognava allontanarlo dunque.

Contento in fondo di questa nuova preoccu- pazione, che lo sottraeva per qualche istante almeno all'incubo tormentoso della propria pas- sione, don Giorgio tornò a volgere lo sguardo sui contadini che ancora aspettavano. Erano due : un giovinetto che faceva il galante con tutte le ragazze del circondario, e Sandro Ram- poldi.

Sandro si era tenuto per ultimo. Segno di ri- pugnanza. E la sua bella faccia abbronzata, dai lineamenti severi e composti, rivelava una vaga inquietudine : segno che la battaglia interna era fiera.

Queste sommarie osservazioni bastarono al confessore per giudicare che, senza la sugge- stione dell' abitudine, senza il timore dello scan- dalo, quell'uomo che era sempre stato reli- gioso — sarebbe fuggito di chiesa, o non vi sarebbe neppure entrato.

- Ò8

Ben presto, anche il bel concji-iistatore se ne andò assolto.

Serio e imponente nel suo portamento d'an- tico soldato, pur non riuscendo a vincere un leggero tremito di tutte le membra, il cavallante di Val Mis'cia andò a inginocchiarsi ai piedi del confessore.

Aveva giurato alla Virginia di non dir nul- la. All' altro curato V aveva detto ; ma quello, un vecchio buontempone, era accontentato di strapazzarlo un poco. Con don Giorgio era un altro paio di maniche. Chi sa che cosa gli avrebbe imposto, lui che proteggeva le Sca- ramelli !

Quanto a me concludeva la Virginia non r ho mai confessata questa cosa e non la confesserò . . . Mancherebbe ! . . .

Ma al momento di commettere queir atto cosi inaudito per lui, nel convincimento del sa- crilegio, tutti gli scrupoli della sua anima reli- giosa e superstiziosa assalivano il povero caval- lante.

E quando don Giorgio lo accusò severamente di essere un cattivo marito; di avere ridotta la

ó9

sua povera sposa, magra e pallida, da quel pezzo di donna che era; quando gli fece intendere che se Maria moriva, egli sarebbe stato la causa di quella morte, e avrebbe gravata l'anima sua di un assassinio oltre che di tutto il resto, Sandro non potè reggere. Dimenticò la promessa fatta alla Virginia, e, commosso, tremante, sopraffatto da una suprema angoscia, confessò tutto, quasi felice di togliersi quel peso dalla coscienza, colto da un desiderio nuovo, impensato, che il prete lo aiutasse ad uscire da quella situazione dolo- rosa, tra la moglie che si struggeva nella gelosia, l'amante che lo dominava con la sua felina vo- luttà e il fratello che poteva scoprirlo da un giorno all'altro.

Dal fondo della chiesa intanto. Maria e Cri- stina volgevano gli occhi ansiosi dalla parte della sagrestia. Non vedevano altro che lo schie- nale del seggiolone occupato dal curato, e di quando in quando, in grazia di qualche movi- mento, una metà del suo viso. Pure, dacché tutti gli uomini erano venuti fuori, e il solo Sandro non appariva , esse indovinavano che l'ultimo penitente era lui. E il cuore di Maria

- 60 -

picchiava e picchiava come se avesse voluto uscirle dal petto.

Nel banco vicino, la Virginia pareva assorta in fervente preghiera. Il viso candido, 1 linea- menti dolci, l'espressione calma, lo sguardo se- reno, manifestavano a primo aspetto una co- scienza tranquilla, un'anima senza peccato.

Le due sorelle la guardavano di tratto in tratto con una specie di terrore, spaventate da quella ipocrisia. E lei pure le guardava di sot- tecchi, e nell'armoniosa dolcezza del viso bianco di Madonna, guizzava un lampo d'odio, e l'occhio sereno si appannava nel segreto timore.

Ma la confessione di Sandro non finiva mai.

Già i chierici intenti alle ultime decorazioni del Sepolcro^, avevano compiuta l' opera loro ; già tutto era pronto per la deposizione allego- rica del sacro corpo : i lumini, accesi ; i fiori, disposti in bell'ordine. Già le donne ammira- vano.

Sonava il terzo segno della messa grande. I preti erano pronti ; i turiboli, pieni d' incenso : l'altare maggiore, parato. E ancora don Giorgio non aveva finito di confessare il cavallante.

61

Che ansia nel cuore delle due rivali, che spa- simo di speranza, di paura, di odio.

Maria pregava con uno slancio di anima li- berata che si sente salire. La speranza era tutta per lei : la speranza la portava in alto.

Virginia, sempre più pallida, fissava la co- gnata con gli occhi ardenti. Gliela volevano fare dunque, gliela volevano fare? Codeste vi- pere di codeste Scaramelli si erano messe d' ac- cordo col prete per rubarle l'amante, per calpe- starla ? . . . E quel vigliacco di Sandro aveva confessato ?

Finalmente don Giorgio alzò la mano per benedire e mandare in pace anche quell'ultimo penitente. La vittoria era stata completa : Sandro aveva promesso tutto. Ma don Giorgio sapeva troppo bene che se non lo faceva spartire dal fratello, il più presto possibile, quelle buone promesse sarebbero volate via come il vento ; perciò non si rallegrava che a metà. Egli si levò finalmente da quella sedia ; si tolse la cotta e la stola, e indossò il camice bianco e i paramenti sfarzosi della messa solenne.

62

L'organista, stanco di aspettare, intonò il solito pezzo della Gazza ladra ^ con grande rinforzo di pedali, e la voce fessa del vecchio istrumento empì la navata.

La messa usci. Uscirono i turiferari squas- sando i turiboli accesi.

Cristina vide la bella figura di don Giorgio salire all'altare, in mezzo a una nuvola odo- rante, e il suo cuore balzò, e i suoi occhi non si staccarono più dalla superba apparizione. Erano quelli i momenti luminosi, inebrianti del- l' amor suo. Per una serie di sensazioni acute, e non analizzate analizzabili, ella confondeva in una gioia suprema, la commozione di fem- mina innamorata e T estasi di un' anima istin- tivamente mistica : la tenerezza e il profondo rispetto : il desiderio e 1' ammirazione : 1' uomo agognato e l 'uomo-dio.

Pallido, ma sempre calmo e diritto, anche Sandro Rampoldi uscì finalmente dalla sagrestia, e le due donne che l'aspettavano con tanta pas- sione, lo fissarono, ansiose.

Egli non guardò che la moglie, e le sorrise.

- 63 -

La Virginia vide e comprese e serrò i denti per non scattare. Poi , domata la prima verti- gine, si voltò verso la cognata e i suoi occhi sfavillanti dissero chiaramente :

Non ti rallesrrare ! Mi vendicherò.

#-§.

CAPITOLO V. Zappando.

Giugno, il mese più laborioso per la gente di campagna, recava un caldo precoce, eccessivo, in Val Mis'cia, quell'anno. Il sole investiva tutta la pianura da mattina a sera, senza il refrigerio di un acquazzone.

Le donne zappavano il grano turco : o erano a mondare il riso con l'acqua fino al ginocchio, curve, le mani nell'acqua per strappare le er- bacce che crescevano insieme alle pianticelle del riso: o voltavano il fieno: o rincalzavano il grano turco nei campi finiti di zappare.

Con r intervento di don Giorgio, Sandro Ram- poldi aveva trovato da collocarsi alla Cascina Grande. Così i due fratelli si erano spartiti, in

- 6(i -

mezzo ai lamenti e alle recriminazioni di Pietro e della Virginia. Ed ora, siccome Pietro non po- teva fare tutto il lavoro da sé, e voleva spendere in salari il meno possibile, la bella delicatina non poteva più stare in casa e fare la signora, ma doveva zappare come le altre.

Tutti parlavano di queste vicende della bella invidiata. E chi cercava di consolarla , chi la aizzava ; i più indifferenti e maligni la tira- vano sul discorso della cognata per il gusto di sentirla menar la lingua.

Un sabato, stanca già dal lavoro di una set- timana, essendo nelle ore più calde della gior- nata, che l'aria pareva fuoco, ella gettò la zappa, e asciugandosi il sudore esclamò quasi con le lagrime :

È una vita da bestie !.. Io non posso, non posso...

Sette 0 otto donne, pure incendiate da quelle vampe, che zappavano nel campo vicino, alza- rono il capo, e talune sorrisero ironicamente.

È meglio stare sedute all'ombra che zap- pare al sole ! mormorò la vecchia Meroni, sempre più secca e gialla, mentre posava avi-

67

damente ciò che del resto facevano tutte, cer- cando l'unico refrigerio possibile i piedi nudi, brucenti, sulla parte umida e fresca di una zolla appena rivcdtata.

Fu una risataccia, poiché tutte compresero il sarcasmo. Soltanto Lucia, la giovinetta pallida dal viso rigonfio, che era più vicina al campo della Virginia, le domandò in aria di compassione :

Siete molto stanca ? . . .

Non ne posso più !... Mi pare di morirei sospirò la disgraziata che non c'era avvezza. E si buttò a terra fra le pianticelle ancora basse del melgone, cercando un filo d'ombra.

Le zappatrici, indurite al lavoro, scrollarono le spalle, sprezzanti : e le sette o otto zappe rialzate con nuova lena, ricaddero sulla crosta arida della terra, spezzandola vigorosamente.

0 Cristina! gridò la Meroni che ce l'a- veva sempre un po' su con le Scaramelli. Se ci date dentro a quel modo, addio melgone, ta- glierete tutte le piante! Guardate, avete intac- cata una radice !...

Poco male! Vorrei gli si sciupasse tutto a quel cane...

Ella s' interruppe. Le sue compagne, che po- canzi ridevano, si erano voltate dall'altra parte, e le zappe brandite tornavano a fendere il suolo con lo stesso vigore, ma con maggiore pre- cauzione. E ancora i piedi nudi, neri, tormen- tati, cercavano istintivamente la parte più umida e fresca delle zolle rimosse.

Il padrone, entrato nel campo dalla parte di dietro vide la pianticella rovinata dalla Cristina, udì le sue parole. Con voce irata tuonò :

Scaramelli, giù quella zappa ! E vammi fuori dei piedi. . . tanto, tu hai voglia. . . d'altro che di lavorare ! . . .

La Cristina si drizzò di scatto. Il suo corpo di antica driade si disegnò superbamente sul fondo luminoso. Un istante, ella fissò gli occhi azzurri, scintillanti, nel viso adusto, non vec- chio, non brutto, del padrone che pure la assava. E le braccia robuste, poderose e eleganti insieme, fecero l'atto di scaraventare la zappa alla testa di queir uomo.

Madonna Santissima ! Lo ammazza ! . . . Lo ammazza ! . . .

La Virginia, balzata in piedi, guardava la

69

scena terribile coi grandi occhi raggianti di per- fida gioia.

Ma nessuno tentò d'intromettersi.

il padrone si mosse, rimanendo quasi im- passibile sotto la minaccia e continuando a sfi- dare la giovine con lo sguardo pieno di collera e di lascivia.

Per fortuna un miglior consiglio prevalse nell'animo di Cristina. Una risata che parve un singhiozzo le usci dalla gola convulsamente: allentò le braccia e lasciò cadere la zappa. Poi si voltò e si allontanò a piccoli passi misurati, con la massima calma.

Allorché il padrone pure si fu allontanato, la Virginia si mise a gridare dal suo campo:

Sudiciona ! sudiciona ! . . . Ora la va dal curato. Ci penserà lui a mantenerla. Sudicio- na !.. . Ah ! so soltanto io che roba sono queste Scaramelli della malora ! . . .

Ma poiché le compagne ancora troppo atter- rite, non la incoraggiavano nelle sue impreca- zioni, e quella che le era più vicina si rimetteva a zappare voltandole le spalle, la Virginia com- prese, una volta di più, che non spirava buon

-70 -

vento per lei nel paese e che le contadine, ben lontane dal compiangerla, si godevano di vederla sgobbare e la canzonavano.

Senza altro dire, avvolgendole tutte nella stessa muta imprecazione, ella raccolse la zappa dimenticata in un solco, e si rimise alla sua fatica cercando di sbrigare alla peggio T odiato lavoro.

Il campo dei Rampoldi non renderà più come gli altri anni, ora che l' asino ha rotto la cavezza e se l'è svignata! mormorava in- tanto la Meroni facendo sghignazzare le sue vicine.

■«■^

^

CAPITOLO VI. Vinto !

Furente da prima e il cuore esulcerato per l'offesa patita, ma poi sempre meno triste e più padrona di sé, man mano che andava allonta- nandosi, la Cristina camminava traverso i campi e i prati, alla volta di Gel. Passò al guado la Vergonza quasi asciutta e quando fu sulla strada maestra incontrò il dottore che veniva da Caso- rate col suo legnetto per visitare la moglie del fittabile di Val Mis'cia. Egli fermò il cavallo.

Ehi, Scaramelli, é bassa 1' acqua ?

Sì, signor dottore...

Sei malata?

Ella arrossì lievemente.

No... sto bene...

- 72 -

Allora é l'amore ! . . .

E lanciò una facezia grossolana, tentando di pizzicare le belle braccia sode della contadina. Ma ella fece a tempo a ritrarsi.

Scusa sai, non mi ricordavo che con te non si scherza. Ho visto la tua sorella alla Cascina Grande; non pare più lei. E un pezzo che non la vedi ?

Sarà un mese e mezzo . . .

Va a trovarla, vedrai come ingrassa: e a dicembre ti fa zia ! . . .

Mentre parlava, egli aveva gettato il mozzi- cone del sigaro e ne accendeva uno nuovo, mostrando i denti bianchi, la mano lunga, affi- lata, da signore. Era un bel giovinotto, ai primi esordi della carriera, e si annoiava mortalmente di quella condotta.

Comanda altro ? domandò la Cristina seccata.

No... ti dispiace eh, di star qui un mo- mento... Maledetto paese! Tutte brutte, e le poche belle, scontrose!... Vai a Gel? Ella impallidi. Andava a Gel, sì; ma non ci aveva pensato, e a sentirselo dire tremava tutta.

- 73 -

Andrai alla cura... Canaglie di preti, tutte per loro ! brontolò il dottore masticando il virginia; poi ad alta voce: Fammi il pia- cere, Cristina, passa da don Giorgio e digli che quei tali libri glieli porterò quest' altra set- timana.

Si signore! Sarà servito.

E s' allontanò in fretta, seguita dallo sguardo ironico del giovine medico, il quale attribuiva a don Giorgio le conquiste che a lui non rie- scivano.

Quando le ruote del calessino si rimisero in moto, la Cristina si arrestò per riflettere. An- dava dal curato?... Certo; non poteva avere altra meta. Ma s'ei la scacciava? Dalla Pasqua in poi le stava più sostenuto ; e sebbene a volte si fermasse a contemplarla, evitava di parlarle. Che non l'amasse più?. .. Non le pareva possibile. In ogni modo voleva averne il cuore netto e se la respingeva, se proprio non voleva saperne di lei . . . ebbene, 1' agente d' emigrazione aspettava ancora la sua risposta ! . . . Sarebbe partita . . . partita per quel paese tanto lontano che ci si metteva dei mesi ad arrivare; e sarebbe

-74 -

morta di crepacuore , o rimasta laggiù per sempre.

Con questa risoluzione si rimise a camminare, affrettando il passo, quasi senza accorgersi, come sospinta dall' ansia indomita.

Arrivò alla cura trafelata, gli occhi sfavil- lanti per l'interna concitazione, il volto viva- mente colorito.

Tirò la cordicella che pendeva dal buco della serratura ed entrò come il solito chiedendo :

È permesso ? . . .

Nessuno le rispose. La casa era vuota ; don Giorgio zappava l'orto e aveva mandato il vecchio a Casorate a vendere quei pochi bozzoli.

Cristina andò dritta in cucina e si guardò intorno. La pentola bollicchiava sul fornelletto, ma la cucina era in un disordine spaventevole. Piatti sporchi qua e là, avanzi di spazzatura lungo le pareti e perfin nel mezzo : ragni, at- taccati a lunghi fili pendenti dal soffitto, dan- zanti nel vuoto.

Crollò tristamente il capo. Il vecchio non pensava più che a ubbriacarsi! . . E don Giorgio non aveva voluto chiamarla; e lei non aveva

75 -

osato presentarsi... per tutti quei giorni!... Povera casa ! . . .

Ma adesso . . .

Ella ebbe uno scoppio interno di passione e un brivido nella schiena che la fece sussul- tare.

Un pensiero nitido, luminoso le era passato nella mente come un baleno : da ora in poi la casa era sua; ci avrebbe pensato lei a tenerla come si deve ; e se il vecchio non le obbediva, peggio per lui ! . . .

Stava per uscire dalla cucina e andare in cerca del curato, su, al primo piano, allorché le parve di averlo visto dalla porta socchiusa che dalla cucina stessa metteva nell' orto. Fece un passo indietro e guardò meglio.

Era lui veramente. La lunga veste nera sa- cerdotale, gettata negligentemente traverso a un ramo di salice, metteva una nota lugubre nella festività luminosa dell'orticello tutto verde e fiorito. In compenso, nulla di lugubre aveva la maschia figura di quel giovine. La camicia bian- chissima, di tela fine, aperta sul petto, con le maniche rimboccate, e i lunghi calzoni neri ser-

- 76

rati alla cintola, come egli usava nelle ore di lavoro, gli davano un aria ardita e procace, che nulla aveva del prete. In quel momento egli aveva deposto la zappa e si riposava mon- dando alcune piante. Voltava le spalle alla casa. La sua testa bruna si ergeva superbamente sulle ampie spalle, e tutto l'atteggiamento della persona spirava la soddisfazione di una forza esuberante cui è finalmente concesso un mo- mento di espansione.

Sempre quando lavorava, all'aperto, dimen- ticando il suo stato di prete, don Giorgio si sentiva rinascere. Il cervello, dolcemente ripo- sato neir operosità muscolare, cessava di tor- mentarlo ; ed egli apriva il cuore alle benefiche sensazioni, libero, calmo: la vita gli appariva facile e bella : l' amore, un bene supremo, non contrastato da rimorsi, da paure , e il terri- bile problema, che la sua carne poneva feroce- mentre al suo spirito, preventivamente sciolto dalla eterna Natura.

La Cristina lo vedeva di profilo quand' ei voltava la testa nei movimenti del braccio. Non poteva saziarsi dal contemplarlo. Com' era di-

77

verso da quando lo vedeva in chiesa!... Là, nei paramenti solenni, nel jiimbo dell'incenso, le pareva un essere superiore, fantastico, un se- midio ; lo adorava ; si prosternava dinanzi a lui : ma non avrebbe mai osato dirgli aperta- mente quanto l'amava. Un momento le pareva di salire con lui, nella gloria del cielo; il mo- mento appresso si sentiva respinta da una forza ineluttabile, e ricadeva nella polvere, misera creatura che aveva osato alzare gli occhi a un amore sacrilego.

Ma allorché, di tratto in tratto, lo vedeva così, senza la veste nera, in tutto lo splendore della sua maschia bellezza, i timori svanivano. Non più semidio, ma uomo, vero uomo, egli non aveva nulla di straordinario, non la opprimeva con una superiorità troppo alta. Era un bel gio- vane , forte come lei : e come lei lavorava la terra. Pure diverso dagli altri anche in quel momento! Ella sentiva che nulla poteva abbas- sarlo, e il profondo rispetto ch'egli sempre le ispirava, si fondeva in una ineffabile tenerezza.

Intanto che ella rimaneva a fantasticare, i minuti passavano. Si riscosse a questo pensiero.

78

Il vecchio ubbriacone suo padre po- teva ritornar presto, e quel!' istante perduto non si sarebbe forse ripresentato mai più . . . Mai più ella avrebbe riavuto tanto coraggio . . . Ra- pidamente ella prese una risoluzione e adagio adagio usci fuori nell' orto. A piccoli passi leg- gieri s'insinuò nella viottola, passò dietro le spalle del giovane ; raccattò la zappa abbandonata da lui e si mise a zappare.

Don Giorgio avverti subito il rumore del ferro che fendeva le zolle, e pensò :

Queir imbecille di Marco crede d' ingan- narmi ; quando lo rimprovererò di essere tor- nato tardi^ mi dirà: eh! signor curato ó un'ora che son qui a zappare ! lei era assorto come il solito e non mi ha sentito !

E sorrise tra dell' astuzia grossolana di queir incorreggibile perdigiornate.

Ma con che vigore zappava!... 0 dove era andato a pescare tanta forza, quel lumacone?!

Si voltò ; vide la Cristina e restò li inter- detto.

Cristina ! . . . mormorò, dopo alcuni istanti con la voce rotta dalla intensa commo-

zione.

IO -

Cristina ! . . .

Ella udì e si drizzò, interrompendo il lavoro, e guardò il suo signore con ineffjibile e ansiosa tenerezza.

Il Castellani comprese che il momento fatale lungamente temuto e pazzamente desiderato , era giunto, e che non stava più in potere suo di sfuggirlo, di allontanarlo.

Con questa convinzione dell'inevitabile, che agisce, a volte, come una potenza ipnotica del - r io su se stesso e trascina e conquide le crea- ture impressionabili, quasi quanto la più fiera passione, egli rinunziò fino da quel momento a qualunque idea di resistenza.

Sarà quello che sarà pensò con intima gioia Io non Tho chiamatale il destino che me la manda ! . . .

E nel frattempo se la divorava con gli occhi, che non gli era parsa mai tanto bella.

Come siete qui, Cristina ? Non eravate a lavorare laggiù nei campi del fittabìle di Val Mis'cia? Mi parve di avervi vista questa mattina con la zappa sulla spalla, avviarvi insieme alle altre . . .

80 -

Ella pensò che s'ei l'avea vista, voleva dire che cercava di vederla, senza farsi scorgere, mentre apparentemente la fuggiva ; e n'ebbe un senso di gaudio che le fece coraggio.

Ci sono andata, é vero; ma quel ladro mi ha cacciata ! . . .

Cacciata ? !

Si. Perché gli ho sciupata una pianta di melgone, zappando troppo forte ! . . .

Per questo soltanto ? . . . Egli vi voleva bene, hanno detto. . .

La Cristina arrossì come di una offesa.

Bene? I . . . Oh !.. . Voleva fare di me come di tante altre ... e perché io non ho voluto s' é messo a perseguitarmi . . . Vigliacco ! . . .

Don Giorgio sussultò. Dopo un momento ri- prese in tono di scherzo:

Se era innamorato, povero diavolo!... Non ti piaceva?... Eppure é un bell'uomo... ricco... E dicendo ciò la fissava con intenzione.

Oh ! Don Giorgio ! . . . mi crede cosi , lei ! . . Crede . . .

Non potè continuare. La commozione lunga- mente frenata, la fece scoppiare in singhiozzi.

- SI

Provava un' amarezza che la soffocava ; un doloroso pentimento. Le pareva che don Gior- gio non l'amasse più e non volesse più saperne di lei... E lei s'era quasi offerta!... Che ver- gogna ! . . .

Egli invece la guardava piangere, con intima gioia. Quelle lagrime che vedeva correre sulle guancie di lei scendevano fino in fondo al suo proprio cuore, calmando soavemente 1' atroce febbre da cui era arso.

Finita la lotta! Aveva tentato l'impossibile. Ora era vinto... vinto e felice.

Le si accostò : la prese per le braccia, 1' at- tirò a se.

Non piangere, Cristina!... Non ho voluto offenderti, sai?... Ti amo! è male... ma ti amo... E tanto tempo che mi braci il san- gue... che ti sogno... che ti voglio... E tu pure mi ami... lo so, lo so, sai...

Parlava concitato, con la voce soffocata; il petto anelante si alzava e si abbassava con un movimento rapido, poderoso.

Oh ! Cristina ! non so quale destino , se buono 0 perfido, t'abbia mandata qui a questa

6

- 82 -

ora; ma dacché sei venuta, dacché Dio l'ha permesso, non te ne andrai più. Sarai mia, mia per tutta la vita, qualunque cosa accada ! . . .

L'aveva trascinata dentro, nella casa, e la serrava tra le sue braccia, suU' ampio petto, dove ella cercava un rifugio, nascondendo la faccia, confusa, timida, dopo tanto ardimento.

Andiamo di sopra le mormorò. Vieni a vedere le mie stanzette ... il nostro apparta- mento... Ci si sta meglio che qui, sai...

Ma ella non poteva neppure fare un passo; le forze le mancavano, si sentiva cadere...

Allora ti porto ! . . . Si, ti voglio portare, in trionfo . . . mia . . . mia ! . . .

E l'afferrò risolutamente e l'alzò sulle brac- cia poderose, portandola come un oggetto pre- zioso con una delicatezza di mamma, su per la breve scala nelle piccole camere silenziose, dove egli l'aveva tanto desiderata, invocata, posse- duta... nel delirio delle allucinazioni.

Il sole declinava dietro alle persiane soc- chiuse; il mistero e la penombra rendevano più sicuro il nido ai due amanti.

Giù nell'orto ancora smagliante di luce, la

- 83

veste sacerdotale dimenticata sul ramo del sa- lice, allungava sempre più la sua ombra fune- raria, simbolo pauroso di schiavitù, di menzogna, di morte.

E dalla viottola, al di del muro di cinta, il fìttabile che aveva scacciata la Cristina, guar- dava ghignando quel cencio nero e accennava alle finestre socchiuse della casetta con un gesto osceno di scherno e d' imprecazione.

CAPITOLO VII. ^Ua Cascina G-rande.

Erano i giorni lieti della raccolta autunnale ; tanto più lieti che il formentone abbondava.

La sera, dopo cena, uomini e donne si met- tevano intorno all'aia e sotto la loggia della casa padronale, formando un largo circolo : e ognuno aveva il suo mucchio di formentone davanti a sé, e r uncino di ferro in mano per scartocciare le pannocchie.

Maria Scaramelli , seduta sotto il portico presso alla lanternina attaccata a un chiodo unico lume per tutti faceva andare V uncino con tanta rapidità e destrezza che le pannocchie mondate si ammucchiavano alla sua sinistra come

per incanto ; e ad ogni poco ella doveva spin- gere in là, con le braccia e le gambe, i cartocci vuoti che le si ammassavano intorno.

Le altre donne le dicevano sorridendo senza invidia :

Nessuna vi può superare voi, Maria; siete la più svelta e non vi stancate mai: neppure a essere in quello stato !

Ella scrollava il capo con un fare dolce di contentezza; ma non rispondeva. Non le piaceva discorrere di quella grande speranza concessa finalmente al suo intimo desiderio. La sua po- vera anima abituata alle asprezze del destino non era forse più suscettibile della confidente baldanza che sostiene i fortunati anche in mezzo ai peri- coli, e spesso li manda illesi.

Lei temeva sempre. Dopo tanti tormenti, dopo tante angoscie, la pace di cui godeva e l' oriz- zonte sereno che le si apriva dinanzi, la ren- devano timida, superstiziosa. Le pareva impos- sibile che dovesse durare : era tanto avvezza a piangere !

Epperò chiudeva ogni cosa in sé, come nel passato ; gelosa della gioia come del dolore.

E non si lagnava mai delle piccole contrarietà: le dissimulava piuttosto, perfino con se stessa.

Se il cavallante stava fuori più del bisogno, se arrivava un tantino brillo lui che negli anni addietro non andava mai all'osteria ella faceva le viste di non accorgersene e non gli chiedeva mai dov' era stato cosa aveva fatto. Temeva troppo di vedere quella fronte oscurarsi, quegli occhi, ora buoni e ridenti, ridiventare freddi, arcigni come nel passato. Del resto, dac- ché aspettava il bambino, non si accorgeva quasi neppure se il marito tardava : era tanto occupata, aveva tante piccole cose da preparare.

Anche quella sera Sandro era fuori. Attac- cato il cavallo se n' era andato via : per ordine del padrone diceva.

Ma sarebbe ritornato, e presto. Lei intanto lavorava. Lavorava e cantava. La delicata poesia che ella portava inconsciamente nell'anima, e il bisogno indistinto di una effusione e di una te- nerezza, di cui veramente non conosceva neppure il linguaggio, si esalavano in un rozzo canto contadinesco.

Cominciava da sola.

8S

La sua voce morbida, impregnata di tristezza si elevava dolcemente nell'aria molle della serata autunnale.

I contadini l'ascoltavano un istante in silen- zio, con una sorta di raccoglimento; poi, alla prima cadenza, le donne, trascinate, la segui- vano : e dopo poche battute , tutto a un tratto, quasi selvaggiamente, prorompevano le voci forti e ben timbrate dei maschi.

II coro si formava. Un coro assai primitivo, senza alcuna sapienza, senza varietà di toni: ma poderoso nella sua malinconica monotonia, e non privo certo di una cotale semplice e so- lenne bellezza. Di tratto in tratto sembrava come se da quei petti rozzi, da quei cervelli incapaci di un pensiero sintetico, si fosse spri- gionato il più profondo sentimento della insop- portabile miseria il conscio orrore della troppo lunga ingiustizia. Erano schianti di an- goscia, gridi di rivolta, appelli disperati. E quelli che nel mezzo dell'aia, battevano col co- reggiato le pannocchie mondate per distaccarne il grano, seguivano il ritmo con impeto cre- scente, formando uno strano, formidabile accom-

89 -

pagnamento. Pareva il bosco, allorché urla e scoppia, e si torce imprecando, sotto la sferza odiata del vento.

Ma pochi istanti appresso, le braccia stanche dei battitori si allentavano, e il coro rientrava, a poco a poco, nella solita nenia semplicemente malinconica.

Le faccie tranquille, le mani operose non tradivano alcuna commozione insolita.

Che cosa era stato ?

Nulla. Uno sfavillamento imponderabile del sotterraneo braciere.

Uno scatto istintivo del sentimento umano conculcato.

Ma la materia infiammabile non era pronta. Ma i poveri contadini, depressi dall' ignoranza e dalla miseria, non potevano comprendere cosi subito il misterioso appello.

11 cielo, ognora più chiaro e limpido annun- ziava il sorgere della luna. Levati di mezzo i

- 90

torsoli delle pannocchie alcuni dei quali ser- bando ancora una parte dei chicchi venivano sot- toposti al ferro da sgranare i contadini pro- cedevano a ben distendere il grano sull'aia ser- vendosi de' rastrelli: altri distendevano pure i cartocci che ben ripuliti e completamente secchi avrebbero servito pei sacconi de' letti o per uso di strame alle bestie.

Maria ascoltava ansiosamente il rumore di una carrettella che si avvicinava. Certo era il suo Sandro.

Ma prima che la carrettella arrivasse al can- cello, un uomo vecchio, sbilenco, in abiti metà da paesano, metà da scaccino, entrò nella corte e si accostò alla giovine donna gesticolando e borbottando forte. Era suo padre : Marco Sca- ramelli.

Ella sentì come una ferita al cuore. Oh ! qualche cosa di brutto era avvenuto a Gel, alla Cura. Quella Cristina!... Non ebbe il tempo di interrogare.

Mi hanno cacciato ! gridava Marco. Mi hanno cacciato, que' due sudicioni, quei due.., levando il sacro di lui, que' due maiali!..

91

I contadini curiosi, pronti a malignare, face- vano crocchio intorno all' ubbriacone che gri- dava come un energumeno. Tutti sapevano di chi parlava ; che gli amori del giovine prete con la bella Cristina erano soggetto di ciarle per molte miglia all' ingiro.

Maria si sentiva morire.

Sta' zitto ; ti prego , sta' zitto ! ba- dava a dire al padre.

Ma questi non le dava retta.

Cacciato! Messo in strada co' miei cenci! E accennava a un fagotto, che gli pendeva dal braccio mancino, e a cui Maria non aveva badato alla prima.

Vi ha cacciato perché non avete voluto smettere di ubbriacarvi disse un certo Ber- nardo, uomo serio cui non piacevano i pettego- lezzi. — Ha ragione il signor Curato ; non avete a rifarvela che con voi stesso.

Come accade in casi simili, tutti si schiera- rono dalla parte di Bernardo, e Marco si sentì deriso.

Ma non si diede per vinto.

Bugie ! Bugie ! . . . Non é vero niente. Se

92

fosse suiiu [)ei' il vino, tanto, dovrebbe avermi cacciato da un bel pochino, dovrebbe!... Ne facevo del bere 1' anno passato ! Dio ! se ne fa- cevo del bere ! Mii-acolo se non gli ho asciu- gata la cantina. Ma allora non mi cacciava, perchè in grazia che c'ero io alla Cura, la ci capitava di tratto in tratto anche la Cristina! .. Potevo uì)bria.carnii allora!...

Lo donne presenti scoppiarono in una risata. Egli prese coraggio e continuò

Già! lo cacciava adesso il signor Curato; adesso si accorgeva che era un ubbriacone ; adesso, perché la ganza ce l'aveva in casa e non voleva testimoni ! E lei peggio di lui, (luolla...! Metteva suo padre in sulla strada, invece di assicurargli il pane, già che la si era data a quel bel mestiere, quella...! E giù parolaccie e bestemmie, snocciolate come avc- ìnarìe.

Chi rideva ancora e chi brontolava; tutti però l'ascoltavano come aliascinati da una curio- sità malsana.

Egli era spaventevole e grottesco. Secco come una mummia, traballante sulle gambe, con

JiTi -

quegli abiti cho gli cascavano da tatto le parti: col viso bruciato dall'alcool, gli occhi I' ^-^'/li^* morta. Metteva schifo e paura.

Maria non tentava più di farlo tacere. Capiva che era impossibile. Ma quando vide Sandro si «enti riavere. Corse a lui e gli raccontò *"♦♦- in poche parole.

Sandro, sempre beiroomo, sempre svelto e imponente, si avanzo verso il vecchio e guar- dandolo bene in faccia, con fere asciutto, ma senza collera disse :

Noi andiamo a letto : abbiamo lavorato , siamo stanchi : e io devo chiudere il cancello ; scusate, veh ! . . . Ritornerete un altro giorno, a un'ora più comoda... E mentre parlava cer- cava di spingere il vecchio fuori del cortile.

Ah ! ah ! ah ! ah ! ah ! sghignazzo Marco .Scaramelli affrontando il genero e facendolo rinculare verso il centro del cortile, con una forza che nessuno si sarebbe aspettata dalla parte di un vecchio cosi male in gamba. Qui voglio restare ! esclamò. Qui. Tu mi devi mantenere. Io non ho altri.

U=r;;To (5^] r.rirno -tupore di oriella inaspet-

- 94 -

tata reazione, Sandro si drizzò tutto di un pezzo, e con un semplice spintone ricacciò quel petulante fino all'uscita.

La zuffa impari divenne feroce.

Gli astanti cercavano di mettersi di mezzo per distaccare i due furibondi ; e Maria li sup- plicava piangendo, che la finissero.

Le altre donne strillavano, al solito, di paura.

Già il vecchio soccombeva. Ma all' ultimo istante, quando si senti costretto a volgere in fuga, si mise a gridare con quanto fiato aveva in corpo :

Va bene! tu mi scacci. Ma io andrò da tuo fratello e gli dirò che ti ho visto con la sua donna, e gli dirò dove e quando!...

Il cavallante esasperato assestò al suo suocero un calcio tale che lo fece ruzzolare in mezzo alla ghiaia, al di del cancello.

CAPITOLO Vili. Nuove lotte.

Pallido, la fronte corrugata, gli occhi stanchi, don Giorgio Castellani errava per la campagna, come un' anima in pena.

Non parlava con nessuno, o pronunciava sol- tanto le parole necessarie.

In casa, solo con Cristina, si forzava a pa- rere calmo; le insegnava a leggere e a scrivere per ingannare il tempo e se stesso. Poi si chiu- deva nella sua camera col pretesto di un urgente lavoro. Una terribile battaglia si combatteva neir animo suo.

Dopo quel primo giorno di delirio, in cui l'u- manità aveva trionfato completamente dei pro- positi e dei pensieri del prete, egli era ritornato

96

su' suoi passi, tormentato da mille dubbi, da mille angoscie.

Cosi, mentre i contadini Taccusavano d'avere cacciato Marco per starsene più libero con la sua amante, egli avrebbe potuto spalancare usci e fmestre e mettere tutta la propria esistenza, sotto agli occhi indagatori del pubblico.

Non era uomo da crogiolarsi nelle comode transazioni dei costumi e della religione. Ardente, entusiasta, forte e semplice, non poteva trarsi d'impiccio con le solite scappatoie dei frolli, degli ipocriti. Per lui erano le grandi e fatali uscite: le follìe, mai le viltà. Non faceva teori- che; sentiva così, forse senza ben rendersene conto. Natura energica, esaltata dal misticismo della prima educazione.

Insieme a ciò gentiluomo fino allo scrupolo, gentiluomo nell'intimo senso della parola; e re- calcitrante a tutte le sottigliezze dello spirito gesuitico fin dalla prima età. I suoi superiori che lo conoscevano, avevano di lui una grande stima; ma in generale opinavano che non avrebbe mai fatto carriera, e che fosse meglio tenerlo in campagna.

Un suo vecchio amico, impiegato alla Curia vescovile di Pavia, diceva: Castellani non sa il valore della parola: distinguo: non può fare strada.

Era tutto di un pezzo.

Se fosse scoppiata una guerra patriottica, avrebbe preso il fucile ; e lo diceva ; poiché nessuno 1' avrebbe potuto convincere che i suoi doveri di prete escludessero i suoi doveri di cit- tadino.

Col medesimo criterio giudicava i suoi doveri verso Cristina. Pure amandola appassionatamente, se ella non fosse stata quella che era una crea- tura, cioè, tutta devota a lui e purissima egli avrebbe forse troncato il dolce vincolo, sa- crificando r amore al dovere del proprio stato. Poiché non poteva nasconderlo passato il pri- mo acciecamento della passione, terribile in lui, il rimorso lo schiacciava. E non tanto per il pec- cato commesso: egli sapeva che Dio perdona: ma ben più per il bivio crudele, in cui si era messo, di dover abbandonare la donna amata, o mancare all'impegno preso davanti a Dio e da- vanti agli uomini. Sapeva che molti preti, messi

- 98

nelle identiche circostanze, se la cavavano con la massima disinvoltura.

C era una vittima di più nel mondo : una donna gettata nell'infamia, o nella miseria, o nella disperazione: ma il prete si salvava.

Dio perdona.

Quale spirito maligno gli suggeriva che il perdono divino non basta a riparare il male reale fatto ad un nostro simile ? Era la sua squisita delicatezza di gentiluomo ? Il suo attac- camento all'onore mondano?... La passione, forse, che si mascherava cos'i ? . . . 0 un intendi- mento più alto, più nobile della religione e del dovere stesso ? . . .

Nei primi giorni di sbalordimento, dopo la disfatta, il suo cervello preso da vertigine, aveva immaginata una via di salvezza, irta di triboli, ma splendida di poesia e di bellezza.

La giovine che gli si era abbandonata, non aveva più che lui al mondo; egli era responsa- bile di quell'anima, di quella vita ; la coscienza gli permetteva di scemare con sofismi tale re- sponsabilità: dunque, come egli stesso aveva detto quel giorno, essa doveva rimanere con lui.

99 -

nella sua casa, unico asilo per lei. Su questo, nulla era da mutare. Ma . . . non poteva quella convivenza essere senza peccato, santa, ideale?.. Non potevano, libato il calice inebbriante, colto il fiore divino dell'amore, vivere vicini in casta amicizia, amanti sublimi, martiri dell'idea?!...

Oh ! il bel sogno ! . . .

Ei r accarezzò quel sogno : volle farne una realtà.

E la ragazza dei campi, la contadina igno- rante, ineducata, intese questa bellezza ideale; e abbracciò con entusiasmo la mistica poesia del sacrifizio.

Ma dopo quattro mesi, quantunque non avesse mancato in alcun modo alle sue promesse, don Giorgio non credeva più di poterle mantenere in eterno. Una grande tristezza era in lui. Capiva d'essere stato eccessivamente presuntuoso, forse ipocrita, forse gesuita.

Il terribile dilemma si delineava sempre più chiaramente sotto ai suoi occhi ; tanto più dopo che la Cristina aveva cacciato il vecchio incor- reggibile, che si ubbriacava, rubava e li insul- tava nelle sue orgie. Nessuna via di accomoda-

KK)

mento possibile ormai, di fronte alla coscienza, con le circostanze esteriori.

Abbandonare Cristina vigliaccamente, dopo di averla disonorata: gettarla in balìa ai suoi ne- mici, nella miseria, nella disperazione ; o svestire queir abito , spezzare il giuramento : spretarsi , insomma, e sposare Cristina. Non vedeva altra uscita da quel ginepraio.

Che schianto ! che angoscia ! che tormenti !

Egli avrebbe dovuto decidere prontamente. Si irritava con se stesso di quelle titubanze. Ma le sue forze vacillavano.

Ne conosceva parecchi dei preti ritornati laici. Quasi tutti uomini di ingegno: coscienze rette; ma quasi generalmente infelici. D'altra parte quelli ch'egli conosceva erano tutti scien- ziati positivisti , nei quali la fede era caduta a poco a poco sotto allo scalpello della investiga- zione. Avevano deposto 1' abito come una ma- schera menzognera.

In tal caso, ciò doveva essere molto più fa- cile. Per lui , credente , mistico in fondo , filo- sofo della vita per l'abitudine di osservare e di pensare, ma poco addentro nella scienza ; per

101

lui povero prete campagnuolo, ciò era terribil- mente difficile.

A lui sarebbe bastato che i vescovi, riuniti in concilio, guidati da una mira ambiziosa, non avessero decretata la legge contro natura che vieta l'amore a tanti uomini. Ma la legge esi- steva e tutti i colpiti si sottomettevano o fin- gevano di sottomettersi.

Prostrato ai piedi dell'altare, egli supplicava nelle lagrime il suo Iddio generoso a concedergli una ispirazione, un raggio di luce che gì' indi- casse la vera strada.

Che cosa domandava infine ? Di poter vivere da uomo onesto, senza ipocrisie, senza ver- gogna ; e di non avere per questo la coscienza scissa , r anima travagliata dagli angosciosi dubbi.

Ma Dio non V ascoltava ; irato , voltava la faccia dal supplicante.

A poco a poco, egli sentiva un gran freddo nel cuore, la coscienza si paralizzava: la pre- ghiera stessa gli pareva senza senso ; vuota la chiesa, lontano il nume. La sua fede illangui- dita non era più che un miraggio, un fantasma.

- 102 -

Poteva rinnegarla quando voleva. Ma neppure questo stato d' animo gli recava la pace deside- rata, la serenità di giudizio, lo slancio del con- vincimento. Soffriva di sentirsi cosi : rimaneva prostrato, inerte. E poi, una vaga paura sor- geva dal fondo oscuro del cuore tormentato. Paura materiale, paura delle cose, paura, se- condo lui, bassa, ma gelida, opprimente paura.

Rompere col passato : disdirsi dopo tanti anni ; spezzare il giuramento ; farsi vituperare dagli amici più cari ; ed entrare solo, senza ap- poggi in una società nuova per lui, diffidente, cinica, nemica !

Che cosa avrebbe fatto ? ... A quale lavoro avrebbe consacrato la sua forza ?... Dove avrebbe cercato un pane per e per Cristina?

Nella campagna ? . . . In città?. . . Prete spre- tato ! Vale a dire, un uomo che ha il coraggio di confessare : « E stato uno sbaglio : i principi che avevo abbracciati, non mi soddisfano più ; » Oppure : « La superiorità che mi attribuivo era falsa : sono un debole uomo. » E ciò in mezzo ad uomini che si forzano a portare la maschera del leone, anche se la natura li ha forniti di

- 103 -

un'anima da coniglio : in un mondo dove tutto si perdona, fuorché il dire: « Ho sbagliato: cambio opinione. i>

Certo qualcuno lo avrebbe compreso, compa- tito almeno : qualcuno gli avrebbe steso bene- volmente la mano. Vere anime superiori esi- stevano nel mondo ; aveva letto tanti libri dettati da un alto pensiero ; scritti da uomini veramente liberi. Ma come presentarsi a quegli uomini?... Come cercarli nell'ingranaggio della vita quotidiana?... E se sbagliava?... Se l'uomo apparentemente liberale e superiore, a cui egli si sarebbe rivolto, avesse nudrito dei pregiudizi, 0 una di quelle ripugnanze ereditarie, invincibili, che fanno dire anche ad un uomo di buon senso: r unto non si leva mai ; il prete resta prete in eterno, e quello spretato lo é due volte?...

0 se, pur trovando 1' uomo ideale, fosse man- cata in lui stesso la capacità di farsi compren- dere? Se avesse destato delle diffidenze? Era tanto facile: un prete!... Che umiliazione! Che spasimi in tutto l' essere ! . . .

Oh! maledetti coloro che l'avevano gettato fanciullo in ,un seminario, facendogli pagare a

U'4

caro prezzo un' illusorio beneficio ! Maledetti coloro che, svisando i suoi giovanili entusiasmi e le tenerezze vereconde della sua anima appas- sionata, lo avevano ingannato con la menzogna: e macchiato col nome bugiardo di vocazione, la eterna verità, il dischiudersi del fiore umano che istintivamente innalza verso il cielo i suoi primi effluvi!,.. Maledetti! Maledetti!

Solo, nella piccola chiesa piena d'ombre, get- tato sui gradini dell' altare la taccia contro terra, egli imprecava e piangeva.

Una mattina un uomo fidato gli portò una lettera della Curia.

Ei r aspettava in realtà quella lettera : ep- pure, toccandola^ ebbe come una scossa elettrica. Riconobbe la calligrafìa del vecchio prete suo ami- co, impiegato alla Cancelleria vescovile di Pavia.

Ci siamo ! pensò con una specie di gioia amara. E subito dopo, come per una ispi- razione segreta:

Qui é la soluzione !

La lettera conteneva prima di tutto una chia- mata del Vescovo: Ad audìendum verbum.

Poi una missiva confidenziale dell' amico im- piegato.

- lUò -

Il buon uomo, esperto della vita, pratico di queste faccende, avvertiva il giovine che qual- cosa di troppo azzardato era giunto agli orec- chi dei superiori. La parola « scandalo » doveva essere stata pronunciata. Non glie ne facevano una colpa enorme, no, Dio santo ! si sa, un prete giovine, e nella noia di quei paesi!... Compren- devano benissimo, compativano...

Ma lo scandalo dispiaceva a Monsignore. In questi tempi di incredulità, con tanti nemici della Chiesa, tutto diveniva pericolo, e le apparenze avevano una straordinaria importanza. Egli però poteva cavarsela con onore, anzi, a dirgliela in amicizia, quella vecchia amicizia eh' ei ben co- nosceva, destreggiandosi un poco, poteva trarre occasione per migliorare il suo stato, chiedendo un trasloco in paese più ricco; ciò che non gli sarebbe stato negato; purché accorresse subito, mostrandosi pentito e dolente; e purché si libe- rasse della pecorella. Levata di mezzo la pietra dello scandalo egli poteva giustificarsi con grande facilità. Molte cose si potevano mettere a carico della maldicenza della gente e della irreligione che infettava città e campagne.

lOH

Naturalmente T amico non aveva neppure il sospetto che don Giorgio pensasse a resistere. Epperó nessun' altra esortazione ; ma sempre quella, ripetuta, di far sparire la bella pecca- trice, fosse pure con qualche sacrificio. E qui a guisa di suggello, un distico latino, molto ele- gante, il quale indicava che il reverendo era un intelligente cultore delle belle lettere, e, a tempo avanzato, un'amico indulgente delle belle pec- catrici.

A mano à mano che andava leggendo que- sta curiosa lettera, una gran luce si faceva nel- r anima di don Giorgio. L'ultimo velo cadeva; l'ultimo dubbio era vinto.

Uno strano sorriso gli errava sulle labbra, e nel petto virile rifioriva il coraggio.

Vinto ! Ma questa volta era lui che vinceva. Gli occhi sfavillanti, la fronte eretta, andava incontro all'avvenire, conscio del proprio dovere, sicuro in se stesso.

CAPITOLO IX. La Cristina.

La ciarla correva di bocca in bocca, Marco Scaramelli era scomparso.

Morto. Morto certo.

Ma come? Quando? Nessuno poteva ri- spondere con precisione.

Dopo la scenata alla Cascina Grande, doveva essere andato vagando qua e per le campagne, cercando l'elemosina.

La mattina del terzo giorno fu visto in Val Mis'cia presso la casa di Pietro Rampoldi.

Andava a mantenere la minacciosa promessa fatta al marito di sua figlia. Tutti lo sapevano. Ma Pietro non era in casa ; e la Virginia doveva avere fatta una buona accoglienza al nemico; taluni pretendevano anzi che, leggendogli in faccia

- 108

il cattivo proposito, ella gli facesse pagar caro lo scotto, anche per le figliuole : e soggiungevano di avere incontrato il beone mogio mogio, e quasi incapace di moversi.

Ma dov'era andato poi?... Uhm!... Chi ne sapeva qualcosa?... Un ragazzo di Gel affermava di averlo visto sulla strada di Casorate, con una cestella di rame sott' al braccio. Ma le donne osservavano :

A Casorate, venerdì, ci fu il nuovo ca- vallante di Val Mis'cia e il garzone che porta il pane: l'avrebbero visto anche loro!...

Passarono così nove giorni. Alla Cascina Grande, la moglie di Sandro mise al mondo, due mesi prima del tempo, una bambina morta; e per poco non mori lei pure.

Tutto colpa di quella sgualdrina di sua sorella! esclamava il fìttabile di Val Mis'cia facendosi sentire dai suoi contadini. Cosi egli cercava di eccitare gli animi contro la ragazza, pensando che nel timore dello scandalo, il par- roco l'avrebbe mandata via; e allora, che dolce vendetta !

La Nunziata Meroni, a cui premeva di met-

109

tersi nelle buone grazie del padrone andava ri- petendo con la sua voce falsa :

Ha fatto male la Cristina, molto male ! Tutto si perdona: ma cacciare il padre, met- terlo sulla strada, no. E vergogna! Senza con- tare che la presenza del vecchio in casa era una salvaguardia per lei nell' opinione della gente. Ma quando una é donnaccia a quel punto non vuole saperne di riguardi!...

Le anziane approvavano gravemente questa sentenza e le giovani, meno belle di Cristina, sorridevano.

Perfino certi giovinotti, i quali poco tempo prima si sarebbero fatti ammazzare per la Cristi- na, la lasciavano malmenare adesso. Soltanto il vecchio Melica, sempre affezionato alle due mi- gliori amiche della sua -povera Giulia, rimbrot- tava la vecchia per la sua maldicenza. Ma il Melica era un eresiarca inasprito dalle disgrazie ; glielo diceva sempre il fìttabile, malcontento per certe osservazioni. E il medico condotto di Ca- sorate, il dottor Carlo Chiari, quel mangiapreti, ci dava dentro anche lui, per il bruciore patito in causa della Cristina. Ma poi, da quello scet- tico che era, canzonava gli uni e gli altri.

ilo -

La Cristina non osava quasi mettere un piede fuori della casa parrocchiale. Soltanto se usciva un momento nell'orto, i ragazzi che giuocavano sulla strada vicina le tiravano delle sassate.

E che parolaccie le gridavano !

Lei si rivoltava dentro di sé. Vigliacchi ! tutti contro una donna ! Come se fosse stata la prima a cadere. Perché non badavano alle loro mamme e alle loro sorelle, che ne facevano di più sporche assai ? Si;, vigliacchi ! . . .

Per lei tanto, sarebbe corsa in sulla strada e li avrebbe presi a ceffate que' prepotentacci ! Ma intendeva troppo bene che gli scandali rica- devano sul capo del parroco : che lui ci perdeva in dignità, in riputazione, in tutto: e cercava di frenarsi.

La mattina del nono giorno dopo la scom- parsa di Marco, una donna venuta dalla Cascina Grande chiese di parlare alla Scaramelli.

Mi manda vostra sorella ... oh ! non vi spaventate ! E malata si, molto malata ancora, ma pare che il dottore l'abbia cavata di peri- colo. Non si tratta di lei adesso, si tratta di voi. Non sapete ?.. . Hanno trovato il cadavere

in

di vostro padre, laggiù, in uno di quei fossi. Andava in cerca di rane, e pare sia caduto dentro, che Dio ci guardi, sicuro; forse era ubbriaco: ma laggiù dicono che si é buttato nell'acqua per disperazione, e danno la colpa a voi. E pare , dicono , che vogliano venire qui tutti a darvi una lezione. Bisogna vedere come sono : hanno il diavolo addosso. Per questo vostra sorella mi ha mandata e vi raccomanda di stare in casa... di non farvi vedere.

Cristina, sbalordita come se avesse ricevuta una mazzata sul capo, non ebbe che una perce- zione ben chiara, una percezione che l'aiutò a sopportare il colpo. In mezzo a tante disgrazie Maria aveva pensato a lei: le voleva dunque sempre bene !

Facendosi forza, disse alla donna : Grazie; grazie tante. Direte a mia sorella che la ringrazio. Starò in casa ; farò tutto quello che vuole ; non abbia paura per me ; pensi alla sua salute. Volevo giusto andarla a trovare; ma... Ecco qui, portatele queste ova fresche, questo po' di burro e il pan bianco... Povera Maria ! Che si custodisca bene ! . . . E questo per voi . . .

- 112 -

Andava di qua e di per la cucina, pren- dendo fuori la roba che disponeva con garbo in un panierino. Era nervosa, agitata e tutta rossa in viso.

La contadina intanto pensava: Quanto pane, quante ova ! . . . Può mangiare finché vuole : che fortuna !

Quanto al vecchio entrò a dire la Cri- stina con un tremito nella voce l' ho fatto mandare via, anzi l'ho mandato via io, perché a poco a poco, vuotava la cantina al curato e gii diceva dietro tutti gli improperi, e avrebbe vo- luto che gli tenessi mano io !.. . Via lui o via me, ho detto al curato : e se fosse vivo ancora oggi, rifarei quello che ho fatto !

Per carità non lo dite! supplicò la contadina. Guai se vi sentissero laggiù. Ora sono tutti per lui. Pare che sia morto un santo. E tutti contro di voi sono !

S' affoghino ! mormorò Cristina con una alzata di spalle.

113

Un'ora prima del tramonto, avendo smesso di lavorare, una frotta di uomini e di donne si avviò con molta animazione alla volta di Gel, per vedere la Scaramelli e dirle il fatto suo. Si erano montati ciarlando e gridando, inessi su specialmente da quelli di Val Mis'cia.

Intanto le autorità e il medico, giunti sul luogo in ritardo, con tutto loro comodo, esa- minavano il cadavere, constatavano la morte senza violenza, quindi volontaria o casuale, ed eseguivano le altre formalità.

Dopo r avrebbero fatto portare a Gel per la sepoltura che doveva avere luogo subito, visto lo stato di avanzata putrefazione in cui si trovava il misero corpo.

I contadini più pacifici aspettavano di accom- pagnare il morto; ma gli scalmanati non pote- vano aspettare.

E poi insieme al convoglio avrebbero fatto la strada alcune di quelle guardie di questura, ve-

- 114 -

mite in giù col delegato; e agli scalmanati non premeva di averle in compagnia.

Strada facendo la turba ingrossò, e allorché toccò il sagrato pareva quasi imponente.

Si annunziò subito con grida e fischi, ferman- dosi davanti alla casetta bianca della parrocchia tutta chiusa, porte e finestre.

Don Giorgio e Cristina erano nella saletta che teneva il centro della casa fra le quattro camerette, due a destra e due a sinistra, e in fondo metteva alle scale. Lui calmo, sereno : lei vibrante di collera.

Fuori la Scaramelli! gridavano i vil- lani imbizziti. Fuori quella che ha ammaz- zato suo padre !

Fuori ! incalzavano le donne. Mostri la sua bella faccia di sporcacciona . . .

Volevano sculacciarla. E se lei non scendeva, sarebbero saliti loro e l'avrebbero tirata ab- basso per darle una bella lezione.

Tanto sfacciata, e non ha il coraggio ! gridava un ragazzone sciancato.

Fuori ! Fuori ! Fuori !

Le donne erano in prima fila, le più acca-

~ 115

nite, E la Virginia Rampoldi trovava i peggiori insulti.

Cristina, ritta in piedi presso alla finestra, dietro le imposte chiuse, i pugni stretti, i denti serrati, schizzava fiamme dagli occhi.

Ogni tanto i suoi nervi scattavano.

Una imprecazione smozzicata le usciva dalle labbra rosse come il sangue.

Un sasso volò.

Poi un altro.

Allora ella non ebbe più pace. Voleva affron- tare i suoi nemici, faccia a faccia.

Don Griorgio, mi lasci andare ! Butteranno giù la porta , verranno su : non é giusto che lei patisca per me!... Vogliono me!... Mi lasci andare ! . . . Mi lasci ! . . .

E si dibatteva con tutto il vigore delle sue braccia robuste.

Ma egli la teneva li incatenata, con poco sforzo. E il suo volto s'illuminava di tratto in tratto per un vago sorriso di pietà e d'indul- genza. Sembrava perfino che dimenticasse il dispiacere di quel critico momento ; come se la sua anima piena di amore e di luce non potesse accogliere nessun pensiero fosco.

- 116 -

Con accento commosso, con quella voce pro- fonda che sembrava venire direttamente dal cuore, egli andava ripetendo:

Coraggio ! Sii forte. Non lasciarti abbat- tere dalla collera che é una debolezza. Sono poveri abbrutiti, poveri illusi; credono di di- fendere la giustizia; credono di far bene.

La Virginia, no. La Meroni, no. E quelle altre neppure. Son birbone!...

Lasciale gridare: che cosa t'importa?... Hanno un pochino d' invidia femminile. Non vuoi comp-atirle tu che sei tanto bella e adorata ?

Erano le prime parole d' amore che le diceva da quattro mesi che stavano insieme le prime dopo quel giorno.

Le fecero una grande impressione.

Tutta vibrante e intenerita sotto la carezza di quella voce che le penetrava il cuore, ella non trovò una risposta. Ammutolì, si concentrò. Le memorie V assalirono. Per la prima volta in tutto il giorno pensò al cadavere di suo padre, trovata in fondo a un fosso, gonfiato dall'acqua, mezzo putrefatto. La collera cadde: cadde il fiero sentimento di sfida che l' aveva tenuta

- 117 -

SU per tutte quell'ore, mantenendola in uno stato di eccitamento. Si senti sopraffatta da una immensa prostrazione. E dal fondo della sua anima si fece strada uno spasimo sordo, inespli- cabile, che andò acuendosi di momento in mo- mento.

Quel suicida, queir ubbriacone, quell'uomo orribile, scacciato da lei perché rubava e avvi- liva la casa del parroco con la propria bassezza : quello sciagurato uomo era suo padre ! . . .

Griustamente lo aveva scacciato ; e giustamente Sandro Rampoldi non aveva voluto accoglierlo. Ma questo nulla mutava alla terribile verità : era il padre suo quell'uomo; e lo avevano tro- vato morto in un fosso, mezzo putrefatto, come una carogna... Chi sa quanto aveva patito!.. . K era suo padre !

Questo pensiero, che per lei aveva l'acu- tezza dolorosa di una sensazione fisica, diveniva intollerabile, le mordeva le carni.

Un sasso lanciato con maggior violenza venne a battere appunto contro quella imposta vicino a lei. Un grido le sfuggi ; un sin- ghiozzo terribile eruppe dal suo petto.

-118-

Altre immagini spaventose l' assalirono. La sua povera sorella, già tanto infelice, la povera Maria, che perdeva 1' unica consolazione, la sua creatura, morta prima di nascere!...

E don Giorgio !.. . don Giorgio, precipitato, per causa di lei, nella rovina, nella vergogna! Forse gli sarebbe toccato andar via; e lei non r avrebbe mai più riveduto ; mai più, mai più, come se fosse morto.

Da tutte le parti il dolore l' assaliva e cre- sceva, cresceva; l'atterrava, le negava ogni scampo. Si sentiva soffocare, le pareva di andare sotto, sotto, come suo padre, nell' acqua gelida e limacciosa.

Ma quegli ossessi gridavano continuamente, e i sassi volavano.

Ella ebbe un' altro scoppio. Non era meglio sfidarli, rischiar la vita... finirla?... Spalancare la finestra? Farsi lapidare?... Finirla, finirla!

Non poteva reggere a tanta angoscia!

Con impeto disperato tentò di aprire la fi- nestra. Ma il Castellani che la sentiva spasimare e gemere e piegarsi e contorcersi come un sar- mento alla fiamma, la trascinò lontano dalla

119

finestra, in fondo alla saletta, e la fece sedere, e sedette accanto a lei. Poi, cominciò a parlarle sommessamente di queir immenso dolore eh' ella non sapeva esprimere.

Fuori la folla continuava a strepitare. Ma il parroco non vi badava : erano per la maggior parte donne e ragazzi; non potevano durar molto. Difatti, una imposta rotta a un finestrino del primo piano spaventava i più timidi, e Bernardo, il contadino della Cascina Grande, sopraggiunto in quel momento, faceva sentire la sua parola assennata. Qualcuno resisteva tuttavia: qualche sasso volava ancora, ma piccolo e mal lanciato.

Cristina non ascoltava che la voce dolce del suo signore, e, a poco a poco, la sua oppressione si scioglieva , le lagrime scorrevano da' suoi occhi brucenti, e abbandonava la testa sul petto fedele del giovine. Piangevano insieme.

Era quasi notte. I rumori cessavano. Ber- nardo aveva finito di convincere 1 più scalmanati, annunciando il prossimo arrivo dei carabinieri, e soggiungendo con un sottinteso : « Non è già per una sciocchezza simile che vorrete farvi legare ! . . . »

- 120 -

Don Giorgio si riscosse nel salottino pieno d'ombra; andò alla finestra, l'apri. Il sagrato era quasi vuoto; pochi curiosi guardavano in silen- zio. Due carabinieri camminavano in su e in giù.

Più lontano, sulla strada maestra appariva una specie di convoglio funebre con due torcie di resina , diverse guardie di questura delle quali si vedevano luccicare i bottoni al lume delle torcie, e, sopra una barella, portata da quattro -contadini, una massa nera, informe.

Don Giorgio pensò che doveva scendere, an- dare in chiesa. Passò nella sua camera, indossò la veste talare, prese il berretto e ritornò nella saletta.

Il convoglio funebre era ancora in cammino, egli aveva un istante di tempo.

Si accostò alla Cristina che piangeva sempre, e con quella voce tenera e profonda, che a lei faceva tanto bene, le disse :

Non piangere più. Tuo padre è tranquillo adesso. Dio gli ha perdonato.

Tacque un istante, poi riprese :

Anche a noi ha perdonato Iddio ! Non piangere, ti dico. Guardami. È 1' ultima volta

- 121 -

che mi vedi con questo abito ; questo che vado a compiere la benedizione alla salma di tuo padre é l'ultimo atto del mio ministero di sa- cerdote.

La giovane, che aveva alzata la fronte e ra- sciugate le lagrime, ebbe un sobbalzo e gridò :

Che dice?!...

Dico una cosa bella e seria. Domani ces- serò di essere prete e domani a sera parti- remo insieme . . .

Oh! Don Giorgio?!... È possibile?...

E lo guardava fiso, quasi per convincersi che non era impazzito.

Parlo di tutto il mìo senno. Questa riso- luzione avrei potuto prenderla da un pezzo; ma non si rompe così facilmente con tutto un passato. E poi avevo bisog^no di essere convinto che facevo bene. Da due giorni Dio mi ha fatto la grazia.

La grazia?!

SI ; concedendomi la lucidezza di mente e la sicurezza di spirito di cui avevo bisogno. I miei superiori pretenderebbero che io ti abban- donassi. A questo prezzo mi perdonerebbero lo

- 122 -

scandalo e sarebbero anzi disposti a favorirmi nella carriera,.. Non tremare, anima mia! Io non posso ammettere questa morale. Ciò che sarebbe una cattiva azione per un uomo qualunque non può diventare un' azione meritoria per un prete. E se cosi é, tanto peggio per il prete : io ritorno uomo. Tutto é disposto, pronto; domani avrò il diritto di non indossare questo cilizio. E fra qualche settimana sarai la mia sposa, davanti agli uomini ... ed anche davanti a Dio . . . non temere !

Senza proferir parola, istintivamente Cri- stina levò al cielo le mani congiunte e gli occhi pieni di lagrime, in atto di muta, fervente pre- ghiera.

CAPITOLO X. Il destino.

Dopo alcune annate discrete, i contadini sanno per esperienza die arriva una annata sterile; sembra che la terra senta il bisogno di ripo- sarsi. Non vi sono malattie, non flagelli straor- dinari; senza causa apparente, il raccolto si annunzia scarso, e i contadini cominciano a im- pensierirsi. Ma troppo spesso altre sciagure so- praggiungono: i bachi da seta vanno male per una delle mille cause impreviste che possono danneggiarli: un freddo fuori di tempo rovinai teneri germogli, malattie misteriose, crittogama 0 filossera, si attaccano alle povere piante; e i contadini, che non intendono nulla dei discorsi scientifici degli intelligenti, profettizzano però con rara perspicacia le conseguenze immediate di

124 -

quelle oscure parole. E tali conseguenze sono : miseria e fame !

Queir anno la carestia batteva in vari punti della bassa pianura lombarda. E i bachi erano andati male; parte, perché il freddo aveva bru- ciata la foglia in primavera: parte, perchè il caldo eccessivo e precoce li aveva paralizzati nel momento difficile in cui si preparavano a filare.

Dopo tante fatiche!... Dopo tanta spe- sai.. . gemevano le povere donne.

E l'annata cattiva dicevano i fìttabili passerà. Ci vuol pazienza. Ma i contadini scrollavano il capo.

Era il flagello ! Dio li puniva. Da dieci mesi dalla scomparsa di don Giorgio Castellani con la Cristina il nuovo curato, un uomo austero, dalla mente ristretta, pieno di terrori, preconiz- zava dal pergamo il castigo di Dio.

Non osando attaccare il suo antecessore, il cui romanzo amoroso lo empiva di ribrezzo, egli si scagliava contro i cattivi costumi generali: la irreligiosità dei padroni, vale a dire, dei fìttabili, che di veri padroni ve n' ha ben pochi che ahi-

125

tino in quelle campagne; i vizi dei contadini. E la sua voce tonante, la sua rettorica rozza, ma non priva di una certa efficacia, finiva di intontire quei poveri ignoranti abituati alle mi- tezze del Castellani.

In tali emergenze, col formentone che sten- tava a crescere e il riso che pareva malato, sentendosi addosso il terrore della miseria, nella prospettiva di uno squallido inverno senza scorta di denaro di derrate, i più increduli erano scossi, e la chiesa si empiva.

Pietro Rampoldi, minacciato più di tutti, dava il buon esempio tra quelli di Val Mis'cìa. Il gros- so podere che aveva dato quasi 1' agiatezza alla famiglia , fino che i due fratelli rimanevano uniti, diveniva ora per lui solo un peso esorbi- tante. Ma egli si ostinava a tenerlo, e nulla an- gosciava tanto il suo cuore di contadino, quanto il pensiero che il padrone lo mandasse via. Per ciò si sforzava a lavorare senza posa; spendeva i piccoli frutti del lungo risparmio in tante gior- nate di opere; lasciava che la Virginia finisse di rovinarsi in un lavoro superiore alle sue forze, e finalmente si attaccava al fratello, cercava di sfruttarlo con promesse, con blandizie.

- 120 -

Sandro, che si era lasciato riprendere dalla cognata, si faceva in quattro come dicevano i paesani per accontentare il fratello e la co- gnata insieme. In fondo, nella sua coscienza non totalmente atrofizzata, egli si sentiva sollevato dal proprio rimorso, tanto più, quanto più rie- sciva a rendersi utile a quel fratello che tradiva. La sua rozza onestà gli diceva che tutto quel lavoro, fatto senza interesse, era in certo modo un compenso al tradimento.

Forse egli non giungeva fino a pensare che Pietro, tutto intento a sfruttarlo e a tirarlo via di casa, parlandogli male della povera Maria, non meritava poi tanti riguardi; ma se non vi pensava liberamente, certo ne intuiva qualche cosa.

Intanto il calore eccessivo peggiorava le con- dizioni sanitarie. La minestra mal condita con poco olio di linosa^ era spesso composta di riso bacato: e il grano fermentato forniva qualche volta la farina per la polenta. Le febbri infie- rivano fra le mondaiuole. Si parlava di tifo e d'altri malanni. Alla Cascina Grande, Maria Rampoldi non poteva rimettersi dopo quella ca-

- 127 -

tastrofe che aveva chiusa in una piccola bara la sua grande speranza di maternità.

È l'aria cattiva di quest'anno! dice- vano le comari.

È un po' perché non t'importa di gua- rire ! diceva il medico rampognandola.

Era forse vero.

A ventiquattro anni Maria si sentiva fuori della vita. Sapeva che Sandro andava sempre in Val Mis'cia per aiutare il fratello facendosi stra- pazzare dal padrone, perdendo molte giornate di lavoro, inventando scuse che non sempre venivano accettate.

Ella fìngeva di non sapere. Invano le altre donne le andavano dicendo che Sandro faceva tutto per la Virginia, che erano sempre insieme, che parevano due sposi. Oppure, che il padrone della Cascina Grande era stufo, e che aspettava soltanto di cogliere il suo uomo sul fatto per cacciarlo e metterlo in istrada. Oppure, che se lo teneva ancora, era per lei, soltanto per lei ; perché tutti avevano compassione di lei, pove- rina, cosi sfortunata: e perché il signor dottore la raccomandava.

128 -

Ella rimaneva a capo basso, le braccia con- serte, mormorando appena :

Che cosa devo fare?... Sandro non mi retta.

E non pareva inquietarsi di più. Il suo amore, nato di gelosia in un momento di spasimo , si illanguidiva a poco a poco come una pianta de- licata che il gelo consuma.

Aveva sofferto tanto per quell'uomo: non poteva soffrire di più.

D' altra parte , quella bimba nata morta le aveva rapito forse per sempre la speranza di una nuova maternità. Dunque.... tutto era finito.

Ha voluto che pensassi sempre a lei ! diceva la povera contadina con quel senso ar- cano d'intima poesia che la distingueva.

Avrebbe voluto morire, perché si rodeva di non poter lavorare come prima, rendersi utile in alcun modo.

Si sentiva vecchia, e non era mai stata cosi bella. La malattia che le vietava i lavori troppo faticosi, non la danneggiava ancora esteticamente, anzi, le giovava. La sua carnagione, imbrunita

- 129 -

dal sole, ritornava bianca; e i lineamenti rego- lari, ma un po' guastati dall'impronta di volga- rità che la troppa salute qualche volta alle giovani campagnuole, si affinavano, acquistavano, nel languore della malattia , una espressione nuova, penetrante. ancora il dimagrimento nuoceva alla perfetta armonia delle forme scul- torie che apparivano più eleganti sotto al vestito liscio e aderente.

Sandro, tutto assorto nella sua cieca pas- sione per la cognata, non s' accorgeva neppure, come non s'era mai accorto, di avere al fianco una cos'i bella donna. Egli avrebbe voluto ve- derla forte e attiva come un tempo, ora che ne avrebbe avuto più bisogno che mai. E s'irri- tava col medico , che , secondo lui , menava la cura troppo per le lunghe. E diveniva aspro, inquieto. Per ciò le sere in cui, finito il lavoro, invece di vederlo entrare in casa a cenare, essa lo vedeva avviarsi verso Val Mis'cia, per lavo- rare al chiaro di luna nei campi del fratello, non provava alcun rincrescimento, bensì piut- tosto un vago senso di sollievo.

130

Cuciva, filava, custodiva i bimbi malati delle povere donne che non potevano restare a casa: e il suo dolce sorriso, la sua bontà e quel bi- sogno di sacrificarsi al bene degli altri, la ren- devano carissima a tutti. Era la consolazione di quelli che soffrivano.

Una sera capitò nella corte una vecchia che girava di tratto in tratto per quelle campagne vendendo le noci dorate col destino dentro. Co- stei si fermò davanti a Maria e le mormorò freddamente :

Voi, sposa, andate incontro a una disgra- zia e a una fortuna. La disgrazia metterà sot- tosopra il paese. La fortuna, se voi non saprete agguantarla, vi sfuggirà.

Oh! per questo esclamò una ragazza che ascoltava ci vuol poca bravura a predir- glielo : lei non saprà mai agguantare la for- tuna I

E la disgrazia? domandò Maria sor- ridendo.

La disgrazia riprese la dispensatrice dei destini potrebbe essere anche una for- tuna per voi ! . . . Si potrebbe affrettarla avver-

131

tendo Pietro di quello che succede... Per un po' di denaro e' é chi lo farebbe . . .

Maria soffocò un grido e scappò via indigna- tissima e afflitta.

La vecchia s'allontanò tutta imbronciata. Aveva sbagliato.

CAPITOLO xr.

Il Medico.

Il dottor Carlo Chiari che prestava a Maria le cure più intelligenti, non era cieco, in- giusto, né reso insensibile da una passione sfre- nata, come Sandro il cavallante.

La vita del giovine colto e ambizioso, con- dannato dalla povertà a cominciar la carriera con quella misera condotta, aveva poche gioie, molti fastidi. La fatica e il tedio l'opprimevano spesso. E se la sua ambizione sempre desta, non gli lasciava perdere di vista l'avvenire, non perciò erano meno pressanti le esigenze del pre- sente. La giovinezza lo sferzava; e i piaceri grossolani cho trovava alla sua portata non pò-

- 134 -

levano soddisfarlo. La società pavese dove fa- ceva qualche rapida apparizione, lo annoiava: troppi vincoli di idee provinciali ; troppi pregiu- dizi. E poi, egli non voleva legarsi con una di quelle relazioni che possono avere troppo peso nella vita di un giovine. Neppure ammogliarsi voleva, come certi suoi colleghi che gli predica- vano la rassegnazione. Le ragazze da marito che i soliti smaniosi di fare la felicità altrui gli vantavano ed anche gli offrivano segreta- mente, non parlavano al suo cuore, non gli de- stavano la indispensabile simpatia; e le famose doti erano miserie : ventimila lire al massimo ! Egli sorrideva con disprezzo. Ci sarebbe voluto una vera ricchezza per deciderlo al sacrificio; tanto ei sentiva alto di sé, tanta fede aveva nella fortuna. Aspirava ai massimi gradi sociali, con la freddezza tranquilla di chi non vede che il proprio valore, e non teme rivali. Ma intanto, qualche cosa gli ci voleva per passare alla meno peggio quei maledetti anni!

Da principio aveva sperato nelle avventure. Ne aveva sentite raccontar tante, quand'era studente, di giovani medici accarezzati da nobili

- laj -

e capricciose signore, specialmente in campagna, neir ozio delle villeggiature.

Ma dopo un anno, dopo due, quelle speranze erano morte e sepolte. Di signore belle, ele- ganti e capricciose come s' intendeva lui , non ne capitavano da quelle parti. Qualche moglie di fittabile lo aveva guardato di buon occhio, ed egli non si era fatto pregare: ma non va- leva la pena; bisognava pagare troppo di per- sona, fare la corte al marito, alla suocera, alle cognate, ai vecchi zii ; col rischio di essere sco- perti e fare uno scandalo. Veri gineprai del- l' amore.

Da qualche tempo era ridotto a sognare una piccola relazione, non sprovvista di una tal quale poesia, e che lo lasciasse, nel medesimo tempo, completamente libero.

Se non fosse stato cosi scarso a denari, (gualche cosa avrebbe combinato. Mah !

Una vita da diventare idrofobi ! diceva certe volte agli amici ammogliati, accompa- gnando la frase con una di quelle sue mezze risate che squillavano e davano rilievo anche alle banalità, facendo scintillare i suoi bei denti

- 136-

bianclii sotto ai baffi neri graziosamente arric- ciati.

Di tratto in tratto bisogna fuggire per salvarsi dalla pazzia soggiungeva con un'aria fredda di giovane cinico.

E scappava a Milano a immergersi in una orgia. Ma sempre quella tirannia del denaro, che tarpava Tali alla fantasia; e poi, appena partito doveva ritornare per qualche malato. Crepavano di miseria que' disgraziati !

Dopo tutto non era soltanto codesto. Le orgie gli lasciavano una certa nausea; e i nervi, ir- ritati piuttosto che appagati, rimanevano reni- tenti allo studio. Non era quello che gli ci vo- leva, a lui.

In tali frangenti, un giorno la Cristina gli era parsa una salvezza. Un bel frutto da mor- dere allegramente, senza paura, senza rancori. E finito il capriccio, essa non l'avrebbe seccato, era troppo altera.

Ma don Giorgio gli aveva guastato il giuoco: maledette sottane nere ! . . .

Quante glie ne aveva dette dietro alle spalle.

In seguito però, i due amanti essendo scom-

137

parsi, e specialmente dacché si buccinava che fossero marito e moglie, la bizza del medico si era quietata. Sposarla?...

Oh! no, davvero! Se quello era il patto, meglio niente. Ci voleva un curato di campagna, un novizio, per fare di quelle pazzie. Spretarsi per prender moglie ? Rinunziare al principale vantaggio della professione ! ... E quando il dot- tore si trovava al caffé di Gel, o in qualche osteria col fittabile di Val Mis'cia, si sfogavano a ridere di queir amore e di quel matrimonio ; consolandosi cosi, a vicenda, dello smacco pa- tito.

Da alcuni mesi tuttavia le cose erano cam- biate. Il dottore non pensava più a Cristina, e se qualcuno gliene parlava, mostrava di giudi- carla benevolmente. Finito il bruciore, la natu- rale bonarietà dell'uomo spregiudicato ripigliava il sopravvento.

Gli é che a poco a poco frequentando Maria, imparando a conoscerla, e, per il genere della cura, avendo occasione di vederla nella mag- giore intimità, egli si era penetrato, quasi senza avvedersene, di quella bellezza positiva e ideale nel medesimo tempo.

138

Nessuno meglio del medico poteva intenderla (juella bellezza: forse neppure un artista. Da principio, guardandola appunto con V occhio del medico che notomizza, egli cominciò semplice- mente dair ammirare quella perfetta corrispon- denza di parti, formate dalla natura con tanta sapienza per il suo scopo fatale.

Molte volte, mentre la povera giovane si sen- tiva morire di vergogna, ei le ripeteva ri- dendo :

Hai torto di vergognarti ... sei bella ! Davvero. Non avrei creduto che tu fossi così perfetta. Sei bellissima. Te lo dico io che me ne intendo.

Una mattina, essendo appunto ritornato da una di quelle sue scappate a Milano, egli entrò a dirle secco secco :

Vuoi venire a Milano con me la prossima volta?... Ti condurrò dallo scultore Grandi che cerca una modella. Meglio di te non può certo trovare ... Oh !.. . Che faccia fai? ... Ti darebbe dei bei denari, credi!

Ella ebbe un impeto istintivo di collera ; egli, una risata. In fondo però, non era lontano da

- 139

una certa commozione. E per tutto quel giorno, la figura della sua giovine ammalata gli restò nella memoria suscitandogli un senso di vago malcontento, quasi di rimorso.

Da quella volta il dottore non si senti più di scherzare così brutalmente con Maria. Co- minciava a imporgli rispetto. Non avrebbe vo- luto veramente rispettarla ; ciò gli pareva noioso e sciocco. Ma non poteva a meno. Per quanto mal preparato, doveva pur riconoscere che quella non era soltanto una « stupenda materia » come aveva detto tante volte discorrendone con qual- che collega. Una scintilla animava quel bronzo pallido, di si mirabile forma.

E quasi ei diceva: Peccato!

Il desiderio gli si destò all'improvviso. Al- lora non ebbe pace. Divenne riguardoso, quasi timido. Aveva paura di essere indovinato, e che ella non volesse più farsi curare da lui. Innanzi tutto egli voleva guarirla; e si mise a studiare la malattia con instancabile ardore.

Una volta guarita, poi, con l'aiuto della ri- conoscenza, non gli pareva difficile di poterla commovere.

140 -

E sempre guidato da quel suo epicureismo cinico, che era una parte caratteristica della sua natura, egli faceva dei piani molto pratici ed egoisti.

Meno appariscente di Cristina, meno sedu- cente. Maria gli appariva più dolce, più sotto- messa, quindi preferibile. Certo non gli avrebbe dato alcun fastidio: ma non per orgoglio, bensì per quella mitezza che era l'essenza dell'anima sua. Proprio la donna di cui aveva bisogno per quei tre, quattro tutt' al più sei anni di vita oscura a cui poteva essere condannato, se un colpo di fortuna, inatteso, non cambiava le cose. Passato quel tempo, egli se ne sarebbe andato ; e lei sarebbe rimasta; le contadine non si allon- tanano dal marito. Ma intanto, quegli alcuni anni potevano passarli bene. Perché non doveva accettare lei, con quel marito che la trattava come! un cencio di casa? Sarebbe stata troppo stupida. E stupida non era.

Se non che, i mesi passavano, e questi bei progetti non trovavano la loro attuazione. Sfìnge incomprensibile, la malattia si accaniva, deri- dendo gli sforzi del medico. E giorno per giorno

141 -

}>ai'lando con Maria, facendola abilmente discor- rere, egli acquistava la convinzione che la virtù della donna non sarebbe stata meno crudele, meno ostinata della malattia, nella sua re- sistenza.

Ma anche lui si accaniva, mostrando in fondo poca saggezza.

Di tratto in tratto però perdeva la pazienza e scappava via brontolando : Peggio per te, sciocchina!

Nel cuore dell'estate, mentre il sole e i miasmi facevano stragi fra i più poveri conta- dini, il dottore, essendo appunto un po' spazien- tito, trovò ancora un pretesto per assentarsi alcuni giorni. Quando ritornò trovò tanto da fare a Gel e in Val Mi s' eia che non ebbe il tempo di recarsi alla Cascina dove il male at- taccava meno.

Tra i malati e' era anche la Virginia , che soccombeva alla tisi lungamente covata.

Il medico, per quanto giovine e forte e non pigro, non bastava quasi all'immane fatica di curare tanta gente; e in certi cascinali lontani, alcuni poveri contadini morivano prima eh' egli arrivasse a soccorrerli.

142

Un giorno fu chiamato anche alla Cascina Grande per un caso di tifoide. Vi si recò subito, desideroso di vedere Maria.

Appena entrato nella corte, saltò dalla sua carrozzella e si lasciò condurre presso l'amma- lato da una vecchia contadina che era ad aspettare.

La vasta corte della Cascina Grande conte- neva sei edifici. Due belli : la casa del fittabile, grande e comoda e provvista di un largo por- tico, per mettervi il formentone quando la rac- colta si faceva con la pioggia: e la stalla per le bestie.

Quattro bruttissimi, neri, maltenuti ; casupole da contadini. L'ammalato di tifoide abitava nel- r ultima casupola quasi nascosta dietro la stalla, nelle esalazioni del letame. Poco discosta, ma assai migliore era l'abitazione di Sandro e Maria. Si componeva di due stanze, vicino al fenile.

Finita la visita con tutte le regole, il dottore andò direttamente alla casa di Maria, sperando di trovarla. Ma non vi era.

Una giovine macilente che tesseva sola sola in una specie di cantina, facendo un rumore

- 143 -

assordante col suo vecchio telaio a mano, vide il medico e smettendo un momento il lavoro, gli gridò dal finestrino :

La cavallante é laggiù a filare, vicino ai gelsi.

Ei la scorse subito. Sedeva su una carriuola arrovesciata e filava all'ombra di un gelso.

Senza addarsene egli affrettò il passo. Ella si levò e gli mosse incontro.

Oh! Maria! Come va eh?

Bene, signor dottore.

Bene?... Non mi par tanto! Sei pallida: hai le occhiaie violacee. Andiamo in casa che ti medicherò: ho appena il tempo.

Oh ! no . . .

Perché, no?

E corrugò la fronte, vicino ad adirarsi.

Non vada in collera ! . . .

Andiamo, dunque.

No... non c'è più bisogno.

Che ne sai tu?

So . . . E inutile.

Egli divenne pallido a sua volta.

Non ti fidi più di me?

- 144 -

Oh I signor dottore !

Vorresti un altro medico?

Mai più ! Morirei piuttosto.

E la protesta fu cosi impetuosa, che il me- dico ne ebbe una scossa. Fissò la giovine con intensa attenzione.

Ella teneva gli occhi fermi sul filo che le sue abili dita anda^ano assottigliando; ma un leggero tremito rendeva stentato il lavoro.

Essi erano quasi soli nella vasta corte. La vecchia , che aveva aspettato il medico poco prima, era in casa presso il suo figliuolo amma- lato: la giovine tessitrice non poteva vederli dal finestrino del suo bugigatolo. Del resto, uomini, donne, ragazzi, tutti fuori al lavoro. Soltanto due piccini due testine color della canape si rincorrevano di porta in porta senza dir motto, come due muti.

Vicino alla stalla, sotto a una tettoia, dove stavano alla rinfusa carri e carrette, e aratri, e arnesi d'ogni genere, un vecchio, consumato dalla pellagra, preparava lo strame per le bestie: e la cavalla del dottore, buona e pacifica bestia, brucava tranquillamente V erba ingiallita della corte.

- 145 -

Un calore plumbeo, iiisoifribile, si sprigionava dalle nuvole biancastre, abbaglianti la vista, che velavano il sole ancora abbastanza alto. Il dottore trasse di tasca una pezzuola di batista, impregnata di una essenza acutissima che gli serviva a combattere i cattivi odori delle camere dei contadini e l' odore d' acido fenico a cui la professione lo condannava : e si asciugò la fronte madida di sudore.

Provava in una inquietezza, uno struggi- mento, qualche cosa di strano, d' inesplicabile. Il desiderio banale che l' aveva tormentato negli ultimi tempi era quasi sopito. Ben altro carat- tere aveva l' angoscia che gli serrava il cuore adesso; ben altra cosa era la sottile tristezza che gli penetrava l'anima, disperdendo i piccoli progetti egoistici di gaudente povero, già tanto accarezzati; e mettendo un senso di amarezza fin "nella visione del piacere inconsciamente evo- cata.

Senti disse, dopo un lungo e penoso silenzio devo dirti una cosa che ti farà, forse, cambiare idea. Tua cognata muore . . .

Ella smise un istante di filare, e alzò gli occhi stupefatti sul medico.

10

146

Eh I figliuola mia fece lui, ritrovando ancora una volta il suo bel sorriso di cinico. Non e' é da stupire. Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino. Lei ci lascierà il corpo e r anima al suo peccato. E il contrario di te, vedi. Ma é giusto che muoia: ti ha fatto troppo male.

Oh ! per me mormorò la moglie di Sandro, tirando adagio adagio una ciocchetta di lino per me, quello che è stato è stato; non auguro la morte a nessuno io.

Capisco. Ma Sandro è ancora abbastanza •giovine, e non é cattivo. Morta quella li, ritor- nerà a te, e sarete felici; potrai avere figliuoli ancora... se sarai guarita. Dunque, bisogna che tu ti lasci curare.

Ella scrollò il capo tre o quattro volte rapi- damente.

No, no, no! Non guarirei lo stesso.' E poi non me ne importa. Quando una cosa é fi- nita... D'altra parte c'è quella povera anima che dev'essere al limbo dice il curato e se avessi altri figliuoli patirebbe di gelosia. Me- glio non darglielo questo dispiacere.

- 147 -

E sorrise in pelle, indovinando vagamente che il dottore doveva ridere della sua super- stizione.

Difatti egli voleva gridarle :

Maledetti preti! Come v'infinocchiano! Ma non potè : era troppo commosso.

Volle dire dell'altro: Che le voleva bene, tanto tanto: che l'avrebbe fatta felice.

Ma la coscienza schiacciante dell'inutilità gli troncò la parola. Anche se l'avesse commossa e vinta ciò che gli pareva quasi impossibile non sarebbe stato inutile?... Anche se lo avesse amato . . . Inutile ! Inutile ! . . . Questa pa- rola crudele risuonava dentro di lui ; e gli pa- reva che tutta la sua vita ne fosse attossicata.

Malinconie di un istante, certo. Ma intanto, in queir istante, egli le subiva.

Scrollò il capo e le spalle, come per cac- ciarsi di dosso queir ossessione.

A rivederci! Spero di trovarti più ragio- nevole la prossima volta.

Maria lo salutò dolcemente chiedendogli scusa. Si era fatta rossa e aveva delle lagrime nella voce.

148

Egli provò una pazza voglia di stringersela fra le braccia : ma si contenne.

E parti.

Immobile, la rocca sotto il braccio, il filo tra le dita, il fuso appoggiato allo stomaco, Maria seguiva con lo sguardo intento il cales- sino che si allontanava sulla strada bianca, de- serta, sollevando nugoli di polvere.

^^,^^,

^-^m

CAPITOLO XII. Il germe dell'odio.

Il dottor Chiari non aveva parlato a vanvera: la Virginia moriva. Una cosa preveduta del resto.

Da vario tempo, vedendola lavorare con tanta fatica e diventare sempre più sottile e pallida, le contadine dicevano sommessamente :

Non ci resiste; ci rimette la pelle.

E le più maligne soggiungevano : L' asino sarà vendicato.

Tuttavia, fino che rimaneva in piedi, pareva che la catastrofe, lenta a venire, fosse lontana ancora.

Ma in quella primavera le prese una tosse che non la lasciò più. Aveva certi assalti da buttarla giù come morta.

l.>^

Pure si sforzava a lavorare, perché non vo- leva stare in casa sola: aveva paura; le veniva addosso una insoffribile malinconia. E poi, non voleva si dicesse che andava tisica. Temeva anzi sopra ogni cosa questo giudizio della gente, condanna feroce, contro cui non v'ha appello. Perciò diveniva sospettosa, e appena due per- sone discorrevano, la si metteva accanto a loro per sentire se parlavano di lei, del suo male,

E se qualcuno le domandava :

Come state Virginia? guardandola con un certo interesse o curiosità, ella rispon- deva subitamente :

Benissimo I

Ma il dottore le diceva senza pietà:

Non ti forzare: fai peggio.

Perciò, intendendo bene che agli occhi del dottore il male non si poteva celare, ella rim- beccava stizzosa:

Che devo fare? Il lavoro c'è, e non ho nessuno che mi aiuti, dacché mia cognata mi ha piantata qui per i suoi capricci!

Il medico, indifferente, s' accontentava di sor- ridere del suo spietato sorriso, e le voltava le spalle.

151

Invano Sandro e Pietro sempre amorosi , sempre attaccati a quel bel corpo, che si dista- ceva, la supplicavano di aversi riguardo.

Ella rispondeva invariabilmente.

Il podere non si zappa da ; la colpa é di chi ci ha piantati qui soli !

Cos'i , a poco a poco , nel cuore semplice e rozzo di Pietro si esasperava il rancore contro la cognata che egli accusava di avergli portata la discordia in casa e cagionata la spartizione tra lui e il fratello. Gli pareva pure che Sandro fosse stato troppo debole, troppo ingrato. Ba- dare alle chiacchiere delle donne! Rovinare una famiglia per quel bel costrutto ! Non poteva per- donargli: non poteva, no.

Eppure quando Sandro capitava l'i, e si mo- strava cos'i servizievole, cos'i affezionato, il fra- tello ma.ggiore tornava in pace con lui, e il suo risentimento si concentrava sulle Scaramelli e su don Giorgio Castellani, per il quale aveva in serbo un sacco d' improperi, che avrebbe voluto rovesciargli sul capo, levando il sacro, levando... Anzi senza fare questa fatica, poiché don Gior- gio ci aveva pensato da sé, spretandosi per fare la gran pazzia di sposare la Cristina.

102

Ma dopo queste sfuriate Pietro si faceva il segno della croce, perché il pensiero di quel prete che si dannava V anima per una donna, gli metteva un grande sgomento addosso.

Tutto considerato, il più infelice dei tre, era Sandro. In casa propria una malinconia da mo- rire, e il rimorso di vedere la sua povera mo- glie così rovinata per colpa di lui. In casa del fratello, rimorso, e paura continua di essere .scoperto. E nessuna consolazione da quell'amore maledetto che gli aveva straziato l'anima e av- velenata r esistenza I

La Virginia non lo amava più. A grado a grado, come la malattia la consumava e il desi- derio ardente di voluttà andava spegnendosi nelle sue carni disfatte, ella cessava di amare. l*erfino la simpatia fìsica, già cosi viva e tenace, degenerava in una specie di manìa persecutrice.

Lo voleva là, accanto a ; ma soltanto per tormentarlo. Lo guardava lungamente e lo tro- vava brutto, invecchiato, cencioso. Lo parago- nava, con un senso di disprezzo, a un giovine signore che era stato il suo primo damo. Che <3ifferenza ! Poi, ripensando che non le aveva sa-

153

crificata neppure interamente la moglie, il suo amore diventava odio.

Lo voleva al suo fianco ; e guai se non arrivava alle ore stabilite! Avrebbe voluto tra- scinarselo dietro, legato a una fune, come un grosso cagnaccio per deriderlo e. punzecchiarlo, mostrando però a tutti che egli era cosa sua e non poteva staccarsi da lei. Ah ! se Maria non le fesse sfuggita ! Se avesse potuto averla tra le unghie, che medicina sarebbe stata quella per la sua malattia!

La febbre di dominio e di persecuzione che stagna in fondo al cuore di tante donne rea- zione perversa della troppo lunga e dura sotto- missione di tutto il sesso giungeva all'estre- ma acutezza nella tisica moribonda.

Sandro sentiva l'odio che si accaniva contro di lui; lo sentiva nelle carezze feline, nei lunghi sguardi indagatori, nei motti scomposti.

Senonché, incapace di penetrare nelle verti- ginose profondità di quella natura tortuosa e incomposta, egli attribuiva tutto al male, alla gelosia, al dispiacere di morire; e compativa e amava.

1Ó4 -

Ma invano tentava di placare quella sua tei- ribile nemica. Le portava il pane bianco di se- mola, il burro fresco per la pappa, il latte della capra, che il fìttabile della Cascina Grande teneva nella stalla per salute dei cavalli. Spendeva fino all' ultimo soldo in medicine costose ordinate dalla magnetizzata, privandosi fin di quel poco vino, e riducendo e la moglie a non mangiare che polenta asciutta sera e mattina, e un poco di minestra mal condita con una goccia d'olio di linosa, nei giorni di festa. Invano.

Invano faceva tutto quanto un povero conta- dino suo pari poteva fare. Nulla giovava.

Virginia accettava i doni, esigeva i sacrifìci; ma non aveva mai una parola veramente affet- tuosa. Che se qualche scintilla dell'antica fiamma si riaccendeva nelle sue viscere, non erano che ardori fuggitivi subito spenti da uno scoppio di collera^ da un ritorno del malumore. E se mai la collera taceva e il cattivo umore non si ri- destava da sé: erano gli assalti di tosse, i lunghi deliqui, che toglievano al povero Sandro l'ultima speranza di gioia.

Ad offni occasione, ella ricominciava le sue

1.^5 -

eterne querimonie. Per lui era ridotta in (juello stato! Perché 1' aveva tradita, abbandonata! Per lui, che essendo stanco di lei e incapricciato della sua giovine moglie, voleva finirla cosi ! Ah ! era un bel vigliacco !

Perché non l'aveva detto subito? Ella avreb- be capito ; si sarebbe rassegnata : non avrebbe preteso nulla. Di che aveva avuto paura? Che lo volesse per forza forse . . .

Sandro, che non poteva stare a sentire questi discorsi, la pregava di smettere, di tacere. Non le aveva domandato perdono? E quante volte ! . . . E quante volte lei aveva promesso di perdonar- gli e di non parlarne più! Si, lui era stato de- bole, ne conveniva; non però, come lei fingeva di credere, perché fosse incapricciato della moglie la povera Maria, quantunque bella e giovine non gli era mai piaciuta, a lui ma per la compassione di vederla deperire a quel modo: e poi anche perché si era confessato e don Giorgio gli aveva toccato il cuore. Una debolezza, certo. Ma non meritava di essere disprezzato per questo.

Non era ritornato a lei quasi subito?...

Non si era messo a rischi incredibili?

- 156 -

Non aveva calpestato i giuramenti fatti a Dio, le promesse fatte alla moglie e al confes- sore? . . .

Non era stato abbastanza traditore, abba- stanza vigliacco ?

Che cosa voleva di più da lui? Lo dicesse, egli era pronto a tutto. Ma finisse di tormen- tarlo e di crucciarsi lei stessa !

E piangeva il povero contadino, l'antico sol- dato, i cui bei capelli neri cominciavano ad es- sere brizzolati ; piangeva come un fanciullo.

Disperando, a sua volta, di farlo tacere, ella rimaneva con le spalle voltate, turandosi le orecchie con le mani, per non ascoltarlo.

Ma tutto a un tratto scattava.

Già! lui, era un gran brav'uomo! Lui, an- dava in chiesa, voleva salvare l'anima, e rac- contava i suoi affari e quelli degli altri, e com- prometteva una maritata la vera sua moglie^ come diceva nei momenti di trasporto quando le voleva bene davvero la comprometteva con un prete pettegolo che poi raccontava ogni cosa alla ganza! Oh! si, lui, era un bravo uomo!... Aveva compassione della moglie e si

- 157 -

pentiva di averla tradita!... Ma andasse, an- dasse via, una buona volta, andasse dalla sua Scaramelli ! . . .

Si vantava di essere ritornato?... Ahi Ah! Ah ! La faceva ridere davvero ! Non^si ricordava com'era ritornato?... Chiamato, invitato, da quel buon diavolo di Pietro, che non poteva vivere senza vederlo e aveva bisogno di un aiuto per vangare il campo grande !

Poi una volta in casa, si sa: si erano tro- vati soli, seduti vicini, e il capriccio di riaverla gli aveva messo il diavolo in corpo : tutti a una maniera gli uomini!... E lei, lei che gli voleva bene per davvero, si era tutta commossa, e non aveva trovata la forza di gridare, di chia- mare al soccorso ; e si era lasciata prendere . . . piangendo però! Se ne ricordava, lui?... Oh! non r avesse mai fatto ! Non 1' avesse mai fatto ! . . .

Uno scoppio di tosse, spaventevole, le tron- cava la parola; poi le veniva un singhiozzo tormentosissimo, una specie di convulsione che la faceva diventar tutta livida. Pareva in punto di morte; ma non si arrendeva. Appena passato

- 138 -

l'assalto, ancora tutta smorta e tremante, gli occhi umidi, il viso chiazzato, le labbra imbrat- tate di schiuma, ella ricominciava con la voce strozzata, le sue eterne e volgari accuse.

A che punto l'avevano ridotta!... Potevano vantarsi di averla ammazzata.

Si ! lui e le Saramelli l' avevano ammaz- zata I . . Si, abbandonandola cosi, epperò con- dannandola a quel lavoro insoffribile, a zappare, a mondare il riso, con 1' acqua fino al ginocchio, lei che non e' era avvezza ! con quel sole in quei campi scoperti che parevano di fuoco. E poi, le malignità della gente, i sarcasmi, le canzona- ture! Quanto aveva patito e che smangiature di rabbia! Lei sola poteva dirlo. E tutto perché r aveva resa la favola del paese. Oh ! quelle ca- naglie di donne, quante gliene avevano dette, credendo che non sentisse ! . . .

Cosi si era buscata il male, così le era ve- nuta l'infiammazione quel fuoco che le bru- ciava il petto le arrabbiature 1' avevano consumata di dentro, e a forza di sudore era diventata debole debole e aveva preso quella ma- ledetta tosse ! Tutto per lui e per la sua cara

159

moglie sacrificata. Altro che dire che lei ci aveva la tendenza alla tisi. Ma si, eh! Non avevano altro da inventai^?... Bianca, rossa e grassa come lei era! Volerla far passare per tisica, lei ?.. . Carogne ! . . . Delicata era; sicuro ; deli- cata; non nasceva da villani come loro, per questo. Lei era nata un pochino meglio : e aveva sempre vissuto in casa dei padroni, che 1' ado- ravano . . . Per sua disgrazia . . . era capitata in quel paese da cani... Per finire marcia... Dio, Dio! morire!... Finire!... Le toccava morire... cosi ... E nessuno voleva salvarla . . . Nessuno ! . .

Un altro scoppio disperato, e nuovi lunghi assalti di tosse la riducevano finalmente al si- lenzio, esausta, annientata. Ma il suo corpo ab- bandonato sulla rozza panca presso al focolare, si disegnava ancora armoniosamente, con .delle linee morbide, eleganti. E 1 bei capelli di un biondo scuro che le si arrovesciavano sulla nuca in una massa pesante, molle, ondulata, mette- vano uno strano fascino voluttuoso intorno a quella faccia pallida, segnata dalla morte.

Cessata la convulsione dei singhiozzi, pian-

- 160 -

geva sommessamente, come una bimba oppressa dalle ingiustizie degli uomini.

Sandro non si stancava dal contemplarla, e dimenticava le ingiurie, e avrebbe dato la metà del suo sangue per rianimare la fiamma della vita in quel corpo adorabile.

Intanto le oro fuggivano ; si faceva tardi : egli doveva andarsene, col cuore stretto, la testa arroventata, implorando un bacio che non sempre pii era concesso.

CAPITOLO XIII. Decomposizione.

L'estate torrida di quell'anno, l'afa che prostra le forze, i copiosi sudori, il nutrimento manchevole e il progredire della malattia, ridus- sero la Virginia tanto debole da non potersi muovere di camera. E poco andò che non le fu possibile neppure di levarsi.

I suoi rancori e le recriminazioni acquista- rono nel medesimo tempo un carattere più acre ed insopportabile. Una vera ripugnanza si ma- nifestò in lei per l' uomo che era stato il suo amante; e con la ripugnanza, non più interrotta da ritorni di passione, ingigantì l' odio sorda- mente covato. La decomposizione morale e fìsica non si arrestò più.

11

- lt)2 -

E Pietro Rampoldi, V ignaro testimone del tradimento e del lungo supplizio del traditore; l'uomo semplice, onesto, sano, incapace di so- spettare il fratello e capace di resistere al veleno della tubercolosi; Pietro Rampoldi soggiacque rapidamente al contagio della decomposizione morale. In lui pure il cupo risentimento divenne odio; e quest'odio ebbe improvvisi aneliti di ferocia: bramiti di fiera che fiuta il sangue.

Le circostanze esteriori recarono la loro cieca contribuzione allo svolgimento funesto del terri- bile germe.

Se le Scaramelli fossero state li sotto a' suoi occhi, offrendo uno sfogo all' amara passione, forse Pietro non avrebbe odiato il fratello. La memoria dell' antica affezione, e la riconoscenza pei recenti quotidiani servigi, lo avrebbero forse fatto resistere all'attacco oscuro dell'assorbito veleno.

Ma nessun altro nemico si presentava; nes- sun capro espiatorio era là. E la sua esaspera- zione saliva, saliva fino a quel punto, ove non é possibile che un uomo rozzo, passionato, impo- tente contro le sventure che lo colpiscono, non sia trascinato a sfogarla su qualcheduno.

- 168 -

Anche nell' aspetto esteriore egli si mutava in modo rapido e doloroso. L' alta statura, le spalle grosse, le gambe solidamente piantate, la faccia larga dalla folta barba, dalla fronte di- ritta, che una foresta di capelli ancora neri in- corniciava severamente, tutti questi segni di salute e di forza deperivano giorno per giorno ; e la robustezza generale degenerava in una in- cipiente obesità flaccida, stracca.

Una sera di luglio, dopo una giornata tra le più accascianti, nella camera bassa, sotto le te- gole, calda come un forno, la Virginia aspet- tava ansiosamente una mano pietosa che la sollevasse su quel largo letto di piuma grande ambizione dei contadini lombardi dove il suo corpo in sudore, aflbndava penosamente come in una buca vischiosa.

Sandro, occupato per conto del padrone, non s' era fatto vedere in tutto il giorno.

Pietro rincalzava il formentone appena finito di zappare.

Le vicine, poco curanti della Virginia, si di- cevano occupate in mille faccende.

164

Ella li avvolgeva tutti nel medesimo cor- luccio angoscioso; e a tutti imprecava.

Maledetti! Perché non crepano tutti?...

Perché il sole non si decide a incendiare ogni cosa?. . .

Ma al parossismo seguiva l'abbattimento che la faceva rimanere immobile, senza pensiero, senza volontà, in un prolungato torpore.

Era distrutta adesso: un vero scheletro. Il viso, un tempo delicatamente ovale, appariva lungo e stretto con la bocca e gli occhi enormi. Pure, quegli occhi profondi di tisica, quei po- melli accesi, quella massa di capelli, quei denti bianchi, le davano ancora una singolare parvenza di bellezza.

Il sole cominci(S finalmente, a nascondersi dietro alla solita fumana serale. Una brezzolina sottile volò via pei campi. Anche nella camera della malata penetrò il frescolino. Ma lei non ne ebbe sollievo ; che il sudore le si diacciò subito sulla pelle e un lungo brivido la scosse tutta.

Un passo greve fece scricchiolare la scaletta che dalla cucina metteva in camera per mezzo di una bòtola. testa grossa e le spalle curve

- lOó

di Pietro apparvero quasi subito sopra il livello del pavimento.

Quando egli fu presso al letto, la Virginia che voleva rampognarlo, ammutolì vedendogli la faccia sconvolta, gli occhi gonfi di lagrime. La sua indifferenza di egoista e di malata, fu scossa da quella inesprimibile disperazione.

Che hai? mormorò.

Egli volle rispondere, ma non potè subito; e solo un gorgoglio confuso gli uscì dalla strozza. Si lasciò cadere su uno sgabellotto che era accanto al letto, e stentamente, con voce sorda pronunciò queste poche parole:

Il padrone mi ha fatto chiamare. Si ripi- glia il podere ! . . . Ha già fatto il contratto con Giovanni Cappella di Gu che ha due figliuoli grandi e quattro ragazze ! . . .

E tacque, incapace di commentare un fatto così eloquente.

La Virginia restò un momento sbalordita ; ma poi, con tetro cinismo, la sua voce quasi fìschiante uscì in questa esclamazione :

A san Martino io non ci sarò più I . . .

L' ha detto anche a te? si lasciò sfug- gire Pietro.

Itìò

Chi?! Il dottore?! Dunque è vero?. . . Non ci sarò più? I . . .

E la sua testa, che pure aveva trovato V e- nergia di rialzarsi, quasi per isfuggire a quella mazzata brutale: la sua povera testa deformata dalla magrezza, ricadde sul guanciale pesante- mente, come cosa morta.

Pietro^ non intendendo che a metà, sentendo però l'orrore di quella situazione, rimaneva a bocca aperta, spaventato, intontito: le spalle curve, il mento sul petto, le mani penzoloni. Non poteva parlare, pensava a stento.

Annottava.

Nella piccola camera, che il largo letto ma- trimoniale, il canterano e una vecchia guarda- roba occupavano quasi interamente, le ombre si addensavano.

Nella stanza accanto, abitata in addietro da Sandro e Maria, una giovine sposa, venuta da poco in Val Mis'cia, addormentava il suo primo- nato con una monotona canzone.

A poco a poco Pietro vedeva chiaro dentro di sé. Dallo sbigottimento opprimente, in cui l'a- vevano gettat(^ quei due colpi improvvisi, si an-

167

dava svolgendo distinta e terribile la coscienza della immane sventura che lo minacciava. Due separazioni, del pari strazianti per lui, lo atten- devano: due perdite irreparabili: il grande po- dere, largamente fruttuoso, coltivato con tanto amore, e la bella donna, la brava massaia: ciò che'egli aveva di più caro al mondo. Tra pochi mesi egli se ne sarebbe andato da quella casa che a lui sembrava bella perché vi era entrato fanciullo coi suoi una famiglia numerosa e gagliarda 'che sapeva difendersi dalla miseria se ne sarebbe andato, chi sa dove : senza un soldo, indebitato e solo, senza quella donna, senza la sua Virginia ! . . .

Pur non volendo, correva col pensiero al fra- tello, che l'aveva abbandonato, ed era quindi la colpa di tutto, secondo lui.

Uu'altra volta la scaletta della bòtola scric- chiolò. Un altro uomo saliva.

Lui! mormorò la Virginia scuotendosi. Lui ! Il demonio della tua casa, povero Pietro!... Tutto rimescolato dal senso di quelle parole, e più dall'accento con cui la Virginia le aveva pro- nunciate, Pietro ebbe un sobbalzo, ma non disse parola.

1(58

Sandro entrò, come il solito, premuroso, e scusandosi dell'involontario ritardo.

Allora il fratello maggiore, scambiate appena le poche frasi indispensabili , si allontanò : do- veva cambiar lo strame alle bestie e metter dell'altro fieno nelle mangiatoie, e approfittava di quel momento che la Virginia aveva com- pagnia.

Appena sola con l'amante, costei gridò sin- ghiozzando :

Vammi via ! . . . Muoio ... e tu sarai ca- pace di vivere . . . Vammi via! ... ti odio . . .

¥W¥

CAPITOLO XIV. Vendetta.

L' alba si annunziava appena nel cielo cali- ginoso. Sulla campagna rovinata dalla grandine soffiava un vento freddo che pareva di novembre.

Tutto il poco raccolto della cattiva annata, distrutto, portato via !

Così finiva quella terribile estate.

Le donne uscivano dalle case ai primi lu- cori, dopo avere passata gran parte della notte ài piedi delle sante immagini, bruciando l'olivo portato a casa nella domenica delle palme; fa- cendo ardere delle candele benedette. Molte pian- gevano; altre parevano istupidite; poche avevano la forza di parlare, di sfogarsi.

Gli uomini giravano i campi al fioco lume: incalzati dalle ultime speranze che andavano man mano morendo.

Tutto ! tutto I . . . Proprio tutto ! mor- moravano disperati.

Il formentone, già alto, pareva battuto con le verghe: la canape, fatta a brandelli e portata via dallo straripare dei fossi: poiché, dopo la grandine, era venuta giù un'acqua diluviale. Il riso, già pronto per la raccolta, distrutto pur esso, perduto !

Tutta la campagna desolata ; un anno di fame e di patimenti. Unica speranza per non morire, le anticipazioni del padrone: vale a dire la mi- seria fissa in casa e l' impossibilità di rifarsi, chi sa per quanti anni di fila!

Un uomo alto, adusto, già grigio un la- voratore famoso che aveva una grossa fa- miglia, si strappava i capelli, con un gesto quasi inconsapevole, da demente!

Il figliuolo della Meroni e quello della Me- nica parlavano di emigrare. Altri giovani li ascoltavano con torva attenzione. Ma le donne inorridivano a quei discorsi.

- 171

Chi resta qui dovrà mangiare 1' erba come le vacche! diceva il vecchio Melica, il padre della povera Giulia, con quella sua faccia di fauno.

Altri concedevano uno sfogo ai nervi irritati picchiando i ragazzi che sgambettavano mezzo ignudi nel fango, raccattando le panocchie lat- tiginose sui gambi spezzati, per farle cuocere sulla brage.

Qua e si trovavano certi chicchi di gran- dine, che a tener calcolo della parte già disciolta, dovevano essere come noci quando venivano giù.

Allo spuntar del giorno arrivò il fìttabile stralunato, ringhioso ; e tentò di gettare una parte di colpa sui contadini che non si erano affrettati a raccogliere il riso melone, già ma- turo: come se non fosse toccato a lui a dare gli ordini !

Ma il Melica^ vecchio e sparuto com'era, mi- nacciò di strozzare quel prepotente, se non la finiva. E lo scacciasse pure ! Tanto, morir di fame qua o era lo stesso !

Il sole, appena comparso, veniva coperto dalle nuvole nel cielo cupo e tempestoso.

17z

Dopo il campo la casa dicevano alcuni contadini alludendo alla piena dell' acque che poteva portarsi via quelle loro casupole.

Venivano intanto notizie dei dintorni. Il danno era vasto. Il temporale aveva battuto una larga zona; risparmiando, tuttavia, certi posti, appena sfiorando certi altri : mentre sulT « isola » s'era proprio accanito.

Il grosso podere dei Rampoldi era special- mente rovinato ; neppure un pezzetto sano ; niente I Un bel saluto per 1' ultima annata.

Appena liberato da quella carcassa, Pietro farà bene a emigrare diceva il figliuolo della Menica che si scaldava con l'emigrazione.

Per me andate dove volete (magari al- l'inferno) borbottava il fittabile ghignando nell'ira.

Ma dov'è Pietro? domandò un conta- dino che aveva un campo vicino al podere.

Non s'è ancora visto rispondeva un altro.

Come mai?. . Non aveva sentito tutto quel buscherio?. . .

La finestra è spalancata disse una ra-

17o -

gazza che veniva da quella parte. Ma lui non si vede.

La Nunziata Meroni arrivò di corsa sulla testata del vasto appczzato di granoturco, dove pareva che un battaglione di cavalleria avesse galoppato in lungo ed in largo tutta la notte.

È morta la Virginia! gridò quasi al- legramente. E poi, a mezzavoce :

Sarà contento T asino ! . . .

E tu, quando crepi, stregacela? scro- sciò una voce che tutti riconobbero per quella del Melica.

Improvvisamente, come sbucato di sotto terra, Pietro Rampoldi si trovò li.

Si fece silenzio. Neppure la Meroni osò ri- battere l'insolenza del \ecchio Melica.

Pietro era irriconoscibile. Pareva più alto del vero, perchè le grosse spalle gli si erano come assottigliate, ed egli camminava diritto, un poco intirizzito, coi ginocchi rientrati. Nel volto aveva un pallore terreo ; le labbra quasi nere ; gli occhi torvi, socchiusi ; e in quella selva di ca- pelli scuri, arruffati, spiccavano certi ciuffi grigi, che nessuno si ricordava di avergli visto. In

174 -

mano teneva il forcone col quale aveva portato fuori il letame di sotto alle bestie. Guardava la campagna rovinata, senza proferir parola; gli altri, però, guatavano in viso a lui.

Ei se ne addiede, essendo in sospetto.

A un tratto afferrò il Melica per un braccio, e con una voce che fece correre un brivido nelle vene degli astanti, gli chiese:

--- Perchè mi guardate cosi !

Preso alla sprovvista, il vecchio s' impapinò. Che ne sapeva lui, dedinal Che ne sapeva?... Oh bella! non era lecito guardare in faccia un cristiano ?

Ora si strozzano mormorò la Meroni con febbrile interesse.

Pietro, tornato in silenzio, guardava il suo interlocutore con gli occhi stralunati. Dopo al- cuni momenti ripigliò:

Sapete che mi é morta la moglie?. . . Sta- notte durante la tempesta, nello spavento di quelle saette!... È una gran disgrazia per me!

E mentre diceva cosi, volgeva gli occhi in giro, scrutando le faccie chiuse, atteggiate a una indefinibile espressione di scherno.

I/o

Qualcuno sospirò; qualche femmina mormorò a mezza bocca : Poveretto ! . . . sicuro ! . . Ma gli altri chinarono le fronti, per non mostrare il lampo maligno degli occhi.

Melica, incapace di frenarsi, disse:

Guardate il podere piuttosto! Di femmine non v'ha penuria, ma di formentone, ne pati- remo tanta, quest' anno I

E vero mormorò Pietro con la voce cavernosa: é vero I Ma anche la mia povera moglie non 1' avrò più . . .

Non v'inquietate! Ne troverete un'altra.

Non come quella però!

Ve r auguro ! . . . Ve V auguro ! . . .

Il senso palesemente satirico di queste pa- role sembrò sfuggire al bifolco. Ma il fìttabile che passava di non si trattenne dal ridergli sulla faccia.

Pietro restò imperturbato; e voltate le spallo s' allontanò senza dire una parola.

Andò verso casa. Entrò un moménto nella stalla: guardò le sue bestie a una a una, come se avesse voluto portarne con l' immagine. Mise del fieno fresco nella mangiatoia della

- 17H -

^ acca nera che aveva finita la sua razione e le accarezzò la schiena con un gesto automatico, Tornò a guardare i bovi, aggiunse un po' di fieno anche a loro, tanto che ne avessero abba- stanza per tutta la giornata. Depose il forcone; usci; accostò l'uscio. Attraversò Torto e entrò per la piccola porta posteriore, nella cucina, quasi buia e tutta in disordine, per il gran tempo dacché nessuna donna se ne occupava. Egli non vi badò; ci era avvezzo.

Staccò dal muro un vecchio fucile a una canna che suo fratello gli aveva regalato anni addietro; lo esaminò: lo ripulì. E senza affret- tarsi, calmo, freddissimo, cercò la munizione in un cassetto della credenza. Ve n' era abbastanza per una carica. Un lampo di soddisfazione gli balenò negli occhi. Si mise a caricare l' arma con molta cura.

Quand' ebbe finito salì nella camera della morta. Quella grande calma sembrò abbando- narlo, allorché, appena uscito dalla bòtola, i suoi sguardi si fermarono istintivamente sul let- to, dove la Virginia giaceva come se dormisse. Tremò e inciampò.

177

Sacr ... ! Se mi scatta il grilletto ! . . . balbettò trasalendo. Fece qualche passo per la camera, sempre con gli occhi rivolti alla morta.

Andò alla finestra e restò un momento a respirare l' aria, perché si sentiva un peso sul petto, e stentava molto a tirare il fiato.

Il tempo pareva nuovamente sul cambiare. Un vento forte spazzava le nubi e il sole mat- tutino tingeva il cielo di rosa.

Alcuni contadini ritornavano alle loro case, la testa bassa, le braccia penzoloni. Altri conti- nuavano a girare pei campi, all' impazzata.

Pietro si ritrasse dalla finestra e fece ancora qualche passo a caso, tentennando. Il suo viso color della cenere aveva dei solchi profondi sotto agli occhi, intorno al naso.

Sentiva la febbre martellargli i polsi e una arsura insopportabile in gola. Cercò la secchia dell'acqua che aveva portato su nella notte. Era quasi piena. Se V accostò alle labbra e bevve, bevve. Provò qualche sollievo, ma i ginocchi, pesanti, gli si piegavano per la stanchezza.

Volle sedere un poco e andò a mettersi ac- canto al letto, dalla parte dove dormiva lui, su

1?

ima seggiola di paglia. Appoggiò la spalla si- nistra al letto; tenendo sempre lo schioppo con la mano destra. La morta, che nel delirio della notte si era buttata adosso a lui, pendeva tutta da quella parte, tanto vicina, che gli pareva di sentirla ancora sopra di sé, come in quelle ore angosciose. Rabbrividiva.

Crescendo l'oppressione, celò il viso contro il guanciale e pianse lungamente. Le lagrime scor- revano sulle guancie flosce e inzuppavano la biancheria del letto formando una larga macchia.

Virginia I... Virginia mia! balbettava quasi senza sapere.

A un tratto si scosse; guardò la morta da vicino e continuò a guardarla sempre più in- tensamente, negli occhi vitrei rimasti aperti, velati appena dalle lunghe palpebre.

Senza rendersene conto, senti eh' era sempre bella: si chinò su lei; la baciò. Ah! Com'era fredda! Nuove lagrime gli offuscarono la vista. Tornò a fissarla negli occhi. Quegli occhi morti serbavano nella eterna immobilità una espres- sione terribile.

Dicevano quegli occhi :

- 179 -

Ammazzalo ! Ammazzalo I come ave- vano detto le labbra nel delirio dell' agonia. Am- mazzalo! È stato il demonio della tua casa! .. Ti ha tradito, te, suo fratello ! . . . Io? . . . Io?. . . Si; perdonami!... Mi ha voluta... é stata una debolezza... Perdonami! Ho sempre voluto bene a te, sempre ! . . . Ammazzalo , quel cane ! . . . Ammazzalo, ci ha traditi tutti due.

Pietro ripeteva dentro di le spaventose parole. Gli pareva di risentirle nel silenzio pau- roso di quella camera. E pensava eh' ella era morta in peccato, con quel pensiero di vendetta, soffiandogli sul viso con la voce spenta quella parola: ammazzalo. Dannata, certo. La povera anima doveva essere già nelle fiamme eterne. E lui pure andava incontro alla dannazione. Si sarebbero incontrati, laggiù...

Ma anche 1' altro doveva esserci ! . . . Epperó voleva ammazzarlo subito, perché non gli re- stasse il tempo di pentirsi. Oh! il fucile era buono, ed egli mirava bene !

Si trovava seduto di fronte alla bòtola. Un balzo; un colpo. Uno solo. Guai se falliva! Ma il braccio era saldo: il colpo avrebbe colto nel segno.

- 18(}

Sandro doveva arrivar presto perché era do- menica, e perché sapeva la Virginia tanto ag- gravata; più presto ancora per vedere i danni della grandine. Poi, forse qualcuno l'avrebbe avvertito della morte di Virginia; ed egli sa- rebbe accorso per vederla e baciarla un' ultima volta.

Cane ! . . . Assassino ! . . . Baciarmi la mia donna! Portarmi via la dolcezza di quella carnei Godermi quel corpo , mio, mio ! E dopo , come niente fosse, piantarmi qua col grosso podere sulle braccia, vedendo che non potevo bastare ai lavori ! E spogliarmi di quella poca roba con

la scusa della spartizione ! Cane ! . . . No.

Caino ! . . . Tu possa morire senza dire « Gesù » e bruciare per 1' etei'nità.

Batteva i denti, gli occhi gli si iniettavano di sangue, il petto gli si gonfiava. Sentì il bi- sogno di scattare in piedi sotto l' impulso for- midabile dell' uragano che si scatenava dentro di lui.

Vieni ! Vieni presto, perdio !

Nessuno ancora. Ricadde sulla sedia. Cercava di ricomporsi: di aspettare pazientemente.

- 181 -

La lunga attesa non doveva stancarlo; la vendetta sarebbe stata più saporita. Nella mat- tinata sarebbe venuto certo quel Giuda ... sa- rebbe venuto. Nessuno sospettava che lui volesse fargli male: nessuno poteva avvertirlo. Sarebbe arrivato come sempre, con quell'aria di soldato, con quella faccia d' ipocrita.

Erano fratelli loro?. . . Fratelli! . ... Da molto tempo si era abituato a non vedere che il ne- mico in quell'uomo. L'odiava tanto!

Voleva ucciderlo come una bestia malvagia. Non gli avrebbe detto neppure una parola: avrebbe tirato il colpo e amen.

E tornava a guardare la morta, quasi per chiederle la sua approvazione. La guardava con indicibile amore e rimpianto. Non gli passava neppure per la mente eh' ella potesse essere la principale colpevole.

La facoltà di ricostruire plasticamente nel pensiero un fatto noto, ma non veduto questa facoltà tanto sviluppata in alcuni mancava od era debolissima nel povero bifolco. L'imma- gine di quella donna, sana, fiorente, stretta al petto dell' amante in un trasporto di passione

182

immagine che avrebbe fatto impazzire un'altro in quelle circostanze non si aflacciava peranco alla sua mente confusa e lenta.

>yé la memoria lo serviva meglio : non ricor- dava le moine, i sorrisetti, le pose procaci della bella donna davanti al cognato. Forse non ave- va neppure osservato codesti fatti ; certo , non capiti.

D' altra parte, impressionato dagli ultimi av- venimenti e da queir astio accanito della mori- bonda per il suo complice, Pietro non poteva supporre ch'ella avesse amato un giorno quel- r uomo, come non poteva discernere, sotto le cause palesi , le occulte cause psicologiche e fi- siologiche di queir astio implacabile.

Per lui la colpa di sua moglie non poteva essere che una debolezza; egli non poteva che figurarsela riluttante, vittima quasi di una vera violenza. E da questo intimo convincimento al- l' assoluzione completa della seducente creatura, le cui dolci carezze non l'avrebbero mai più rallegrato nella misera vita, il passo era breve assai. In ogni modo questi non erano che mo- vimenti inavvertiti dell' animo, chiarori ere-

- 183 -

muscolari della coscienza j i quali contribuivano, forse', ad acuire V odio per il traditore e ad af- fermare la volontà nel pensiero della vendetta.

Difatti, non una incertezza su questo punto : non un dubbio.

Il suo animo era preparato di lunga mano. Soltanto la istintiva ripugnanza all' omicidio e un resto di tenerezza fraterna avevano resistito fino a quel punto alla terribile spinta. Ma dopo la confessione della Virginia, allorché il fratricidio gli balenò distintamente, in quella cocente febbre di vendetta: allorché il piano fe- roce andò svolgendosi con rapidità spaventosa, nel suo pensiero di solito così tardo, egli non provò stupore, ribrezzo, tanto la co- scienza si era già abituata a considerare quel delitto siccome inevitabile e quindi giusto. Con tuttociò, prima di mettersi all'opera, egli aveva cercato una specie di controprova, che i visi beffardi e i discorsi equivoci dei suoi compae- sani gli avevano fornito. Ora sapeva che la gente lo aveva anche deriso per la sua buona fede ; che Sandro lo aveva esposto in tutte le guise alle beffe, allo scherno : sapeva, e l' odio saliva, saliva.

- 184

Il SUO grosso orologio segnava le otto e dieci minuti, allorché, dal posto dove sedeva, guardando intensamente fuori dalla finestra, egli vide Sandro uscire dal fìtto dei gelsi e prendere ì»er la viottola che metteva direttamente al pic- colo orto della casa.

Sandro camminava adagio, a testa alta, come il solito. Era serio, ma non troppo abbattuto. Sull'orlo del fosso aveva incontrato la Meroni.

Guardandolo con insistenza, costei gli aveva detto :

Vostra cognata é morta stanotte I

Si era fatto pallido il povero Sandro, e non aveva potuto altro che balbettare:

Morta?!... Morta?!... soffocando i sin- ghiozzi per non farsi scorgere dalla vecchia che lo esaminava con gli occhi pieni di malizia.

Ma a poco a poco quel primo sgomento aveva fatto luogo a un vago senso di sollievo e quindi alla coscienza della riconquistata libertà; co- scienza prima oscura ed incerta; poi limpida. Ora egli pensava:

Povera Virginia! Morire cosi, a soli ven- tott'anni! Povera Virginia, ti ho voluto tanto bene, non ti dimenticherò mai . . . mai ! . . .

- 185 -

Era sincero.

Ma insieme a questi rimpianti, espressi libe- ramente, con soddisfazione della coscienza, una voce interna andava mormorando sommessa- mente questa insinuazione consolatrice: Non disperarti tanto I Bisognava bene che morisse, malata cosi ! . . . Chi sa quanto avrebbe sofferto quest' inverno con la miseria che si prepara. È un bene che sia marta, un bene per lei . . . e per gli altri . . .

Egli rimaneva come impaurito, e cercava di allontanare la voce importuna. Ma il sollievo interno, quel senso di liberazione, diveniva ognora più distinto e vivo : s' imponeva.

La passione che tanto lo aveva torturato moriva con la bella donna : il fascino che ema- nava da quel corpo sarebbe scomparso con esso; dileguato nel regno delle ombre.

... Oh ! si, era un bene che fosse morta I . .

La povera Maria avrebbe rifiatato finalmente.

Egli sarebbe ritornato con Pietro ... e Maria sarebbe stata contenta . . .

Avrebbero lavorato d'amore e d'accordo... come un tempo . . .

- 186 -

E risparmiato un po' di denaro per le annate cattive . . .

E Maria sarebbe guarita...

Che fortuna che Pietro non avesse sospettato mai di nulla ! . . .

Potevano ricominciare come una vita nuova... Potevano dimenticare . . .

Questi brani di pensieri staccati emana- zioni di un lento lavorio della mente si al- largavano, si maturavano con una rapidità straordinaria.

Ma allorché entrò nelP orto, le mille imma- gini del suo lungo amore lo assalirono tumul- tuando, i'savi consigli della ragione e dell'egoismo tacquero sgominati.

Là, vicino al pozzo, si erano visti la prima volta, otto anni addietro. Lui aveva appena la- sciato il reggimento; lei era sposa da dieci mesi. Che bella sposa! Aveva le carni morbide e bianche come certi fiori dai petali grassi che egli aveva ammirati nei giardini di Firenze e di Palermo.

187

Mettendo il piede nella grande cucina si sentì sopraffatto da un senso insormontabile di an- goscia e di orrore.

La commozione gli serrava la gola come in una morsa. Volle fuggire. Tutto parlava dei loro amori, dei dolci peccati , . . tutto ; il camino specialmente.

Ed ora. . . doveva rivederla . . . stecchita. . . su quel letto ! . . .

Gli avrebbe fatto troppo senso: avrebbe pianto troppo disperatamente... e Pietro che già forse sospettava, avrebbe capito . . .

Meglio fuggire : andare via, lontano : non ri- tornare mai più.

Fece alcuni passi verso 1' uscita. Ma sentì il passo pesante del fratello che andava su e giù per la stanza, impaziente.

Pensò ch'ei forse l'aveva veduto entrare e provò un senso di vergogna.

Doveva essere in uno stato orribile, povero Pietro, dopo quella notte; con la morta al fianco e il raccolto distrutto ! Sarebbe stata una vi- gliaccheria lasciarlo, cos'i : farsi vedere a fug- gire ...

188 -

Prese il suo coraggio a due mani e cominciò a salire la scaletta gridando :

Pietro ! son io . . .

Un sordo ruggito gli rispose.

E quasi subito uno scoppio formidabile scosse tutta la casa.

Sandro, fulminato, mandò un urlo che mori in un rantolo. Il suo corpo sanguinolento, con la faccia orridamente deformata, precipitò, come una massa inerte fin sul lastrico fangoso della cucina.

-■.■Mk->-

CAPITOLO XV. Sola.

Dopo tre anni di sacrifizio il dottor Carlo Chiari aveva finalmente la prospettiva di nu posto più degno di lui.

Sfidando il freddo, il vento, la pioggia di un brutto giorno di novembre, la cavallina attac- cata al vecchio calesse, andava andava per la campagna malinconica, sommersa nella fiumana. Le ultime visite!

Già il nuovo medico condotto aveva preso il suo posto ; e da buon collega, egli lo aveva accompagnato da un luogo all' altro, presentan- dolo ai diversi clienti.

Adesso faceva una corsa per conto proprio, volendo salutare alcuni vecchi amici.

Un buon diavolaccio pensava egli rian-

Ì'M

dando su i discorsi fatti col suo successore. Starà qui meglio di me 5 ha famiglia e nessuna ambizione. Io vado, finalmente, vado ! . . . Il mio destino si allarga; la fortuna comincia a sorri- dermi . . . Sono io contento ? . . .

Aveva tutte le ragioni per esserlo. Un bel paese lo aspettava ; un discreto stipendio , e molte probabilità di guadagni accessori.

(^on tutto questo, egli non sapeva rispondere alla domanda che si era fatta.

Guardava in fondo alla strada, un po' a si- nistra, le case della Cascina Grande: una larga macchia nerastra

Che tempaccio ! mormorò gettando il mozzicotto di un cattivo sella, e pensando a tut- t' altro.

La malinconia della partenza penetrava an- che la sua anima di gaudente ambizioso; quella piccola parte di se medesimo, quei tre anni di vita con le annesse abitudini e i tenui affetti, gli mettevano addosso, al momento di spogliar- sene, un senso fastidioso di rimpianto. E acco- standosi alla Cascina Grande, questo malessere cresceva, diveniva acuto, pungente.

191

Maria!

Gli pareva che avrebbe quasi fatto meglio a non rivederla.

Il sole tramontava nel cielo grigio dietro alle nuvole. A un tratto una buffata di vento fece uno strappo in quella massa di bambagia sudicia: il disco d'oro sfolgorò su un fondo verdastro. Alcune nùvole nere si tinsero di por- pora agli orli. Le vecchie case della Cascina si illuminarono: una vite selvatica, ancora coperta di pampini gialli e sanguigni , che adornava Torto del fìttabile, brillò nel sole. I vetri di alcune finestre scintillarono come bracieri accesi.

Oh ! la campagna ! La campagna aveva essa pure le sue civetterie ... Gli pareva quasi bello quel brutto paese al momento di lasciarlo^'

Sorrise, probabilmente di sé.

Trasse dall' astuccio di pelle un altro sigaro e l'accese. . . Poi, arrovesciando il capo sui guan- ciali della calessina, restò un momento assorto, spingendo in alto il fumo , in bianche spire sottili.

La nuova « condotta » lo avrebbe messo a contatto di veri signori , di gente colta , di

1U2

(jualclie bella donnina... Certo. Il suo spirito, l'ingegno arguto, avrebbero trovato fìnalmente le occasioni di farsi valere...

Sbadigliò. Si drizzò con un movimento bru- sco. Scosse la cenere agglomerata in cima al

elegante della sua mano aristocratica, una vera mano di operatore, mano' felice, specialmente per certe operazioni : come gli aveva detto il suo successore la sera innanzi , complimentan- dolo: una mano degna di una clientela signorile.

Mah ! . . . Tutto arrivava fuori di tempo nella sua vita ! . . . Quei tre anni lo avevano invec- chiato, 0, almeno, reso precocemente maturo. Come avrebbe goduto, tre anni addietro, di quella fortuna, che ora gli appariva scialba, in- sufficiente. . .

Davanti al cancello del vasto recinto la ca- valla rallentò il passo spontaneamente. Egli non ebbe che a muovere un momento le redini per farle intendere che doveva entrare.

Il breve sfolgorìo del tramonto era scom- parso. Le uuvolaccie si riaddensavano, copri- vano tutta la volta del cielo. Le vecchie casu-

- 193 -

pole riapparivano nel loro colore naturale, con i muri sudici, a/fumicati, rosi da vecchia lebbra.

Ricominciava a piovere.

Il dottore saltò dalla calessina e raccomandò al garzone di stalla, venutogli in contro, di met- terla al riparo dell'acqua. Poi si avviò quasi correndo verso la stanzuccia, o meglio la cucina, a terreno, dove abitava la vedova del povero Sandro.

L'uscio era socchiuso, secondo il solito. Lo spinse e entrò dicendo allegramente :

Permetti a un vecchio amico di salutarti prima di partire ? . . .

La giovine donna, curva davanti al focolare dove stava preparando quella poca cena, si drizzò e si voltò di botto.

Oh ! signor dottore ! . . .

Avrebbe voluto dire qualche altra cosa ma non trovò le parole e rimase li confusa e tutta rossa in viso.

Egli la esaminò un istante in silenzio. Poi le stese la mano.

È un pezzo che non ci vediamo I . . . Come stai?... Meglio mi pare.

13

- 194

S), SÌ. . . Ho ricominciato a lavorare. Vado alla canapa.

-- Alla canapa? Fai malissimo. Non é lavoro per te ancora.

Oh ! ... Mi sento tanta forza ! E sorrise.

Stai meglio, si , vedo. Ma non devi stra- pazzarti.

Ella tornò a sorridere, e si chinò per rav- viare i sarmenti che si sparpagliavano. Poi andò in fondo alla cucina a prenderne degli altri e li gettò sul mucchio per ravvivare la lìamma.

Si accomodi un pochino qui, signor dot- tore ; si scaldi ; deve far freddo fuori.

Un tempo da cani ! esclamò il giovine, mettendosi a sedere, visibilmente contento di queir invito.

Dunque, lei se ne va?...

Domani , Maria cara ! domani ! e mi di- spiace !

Come?... Non è dunque vero, come mi hanno detto, che va in un posto tanto bello?...

È vero. Ma, sai, quando ci si allontana da un paese, dopo tanto tempo, si ha sempre

- 195 -

il cuore grosso ... E a te, non importa proprio niente che io vada via?.,.

E una disgrazia per tutti noi altri, poveri contadini rispose Maria chinando la fronte. Un dottore come lei non l'avremo mai più!...

Egli protestò. Il dottore Fortini che lo rim- piazzava era un ottimo uomo.

Lo credo . . . ma lei . . . Non disse altro.

Siediti un pochino qui ! fece il dottore, coi nervi irritati dal vederla sempre in piedi. Cosi ! . . . Si sta bene, soli, vicini, seduti accanto al fuoco ... Se tu avessi voluto ! . . .

S' interruppe riflettendo quanto Maria avrebbe sofferto nel separarsi da lui, se avesse dato retta a quel capriccio.

Ma era veramente un capriccio?

Non poteva esser altro.

E tuttavia, provava una tenerezza... uno struggimento . . .

Perché non hai voluto?. .. le domandò bruscamente.

Maria lo guardò coi grandi occhi pieni di stupore e d'angoscia.

196

Non parliamo di queste cose mormorò tristamente facendo l'atto di alzarsi.

No, no!... Sta qui. Parleremo d'altro Sii buona: é l'ultima volta!... Senti, devo farti tanti saluti da parte di una persona, anzi di due.

A me !

Si, a te. Sai che sono stato a Milano, la settimana passata?

Ella scrollò il capo. Si scusò. Viveva sempre così rintanata: non sapeva mai niente.

Se avessi saputo, l'avrei pregato di an- dare un momento a casa di don Giorgio . . . Son già tre mesi che la Cristina mi ha mandato i denari perché andassi a trovarla, e non ho mai potuto.

Hai fatto male.

Santo Dio ! come si fa !.. . Prima, il pa- drone non mi ha dato mai il permesso : poi s' è malato il bambino della mia vicina, il povero Gigino, e mi voleva sempre alla culla, povero angelo ! . . . Volevo appunto mandarle a dire alla Cristina, che oramai andrò per le feste ...

Sarà troppo tardi, figliuola mia!...

- 197

Troppo tardi?... Oh Dio!... Non mi metta questa paura addosso! E forse malata?.. Dio! Dio...

No no, sta tranquilla. Non é malata, anzi. . .

Dunque l'ha vista?

Sicuro. Non t' ho detto che avevo dei sa- luti a farti?. . .

Ah! me n'ero scordata. E dove l'ha vista? Si sono incontrati?. ..

Si, ci siamo incontrati . . ! Ma se tu mi fai quella faccia non ti dico niente.

Oh ! signor dottore ! . . .

Calmati. Ho visto tua sorella...

E il Castellani, non l'ha visto!... L'ha abbandonata?! . . .

Non vuoi finirla di tormentarti?... Il Castellani é sempre con lei. Non sai che si sono sposati? . . . Non te 1' hanno scritto ? . . .

Si si ... é vero. Ma non mi posso con- vincere che sia un matrimonio per davvero. Mi pare un sogno.

Invece é la verità: e si vogliono molto bene e sono felici . . . Ma . . .

- 198 -

Ma?.. .

Senti, ascoltami con tutta la calma. Scen- devo alla stazione di Pavia e siccome sapeva che nel treno avviato per Genova erano circa dugento emigranti che non avevo potuto ve- dere alla stazione di Milano mi fermai un momento per salutare quelli che conoscevo. A un tratto vedo un uomo, una specie d'operaio, robusto e giovane, che si sporge da un fine- strino, agitando le braccia verso di me, e sento una voce sonora che mi chiama . . . Guardo meglio, mi accosto . . . Figurati ! Riconosco il Castellani ... e dietro le sue spalle la bella testa di tua sorella . . .

Oh ! gridò Maria scoppiando in un pianto dirotto. Vanno in America!... Po- vera sorella mia ! . . . In America ! . . . Non la vedrò mai più ! . . .

11 dottore che aveva preveduto questo scoppio, lo lasciò passare. Poi a poco a poco, cercò di consolare la povera Maria. Non doveva dispe- rarsi cosi. La Cristina aveva buonissimo aspet- to.. . Erano tutti e due assai ben vestiti, e poi felici, innamorati avevano l'amore negli occhi» facevano invidia . . .

199 -

La più disgraziata sei tu , non capisci ? . . Tu che resti qui sola, in questa miseria, dopo tutto quello che ti é toccato ! . . .

Ella non era disposta a intenerirsi sopra se stessa. Alzò le spalle. Che le importava mai di sé?;.. Ma sua sorella... oh! era tutt' altra cosa ! . . .

E raccontava che appunto la settimana pas- sata, avendo assistito alla partenza di sette po- veri uomini, che lasciavano il paese per recarsi a Milano e di a Genova, e da Genova lon- tano lontano, tanto che loro non potevano nep- pure farsi un' idea di quella lontananza, si era sentita così sgomenta che aveva pianto, per degli estranei. Ed ora le toccava di sentire che sua sorella pure, e quel povero don Giorgio... andavano laggiù ... oh !.. . una cosa da morire . . E si rimetteva a singhiozzare.

Ma il medico non voleva che si disperasse cosi. Doveva consolarsi invece. A Milano stavano poco bene. Il Castellani non poteva adattarsi a fare l'impiegato: Cristina era come un pesce fuori dell' acqua. In America avrebbero vissuto in campagna. Il Castellani non aveva preso

- "200 -

T]nella risoluzione alla cieca: andava a dirigere i fondi di un ricco possidente dell'Argentina, un italiano che aveva dato l' incombenza a una casa milanese di trovargli un uomo cosi e cosi. Una vera fortuna.

Non poteva capitargli meglio.

Ma cosi all' improvviso ! gemeva Maria. Se avessi saputo sarei andata a Pavia avrei

abbracciato mia sorella.

Hai ragione. Ma é stata urna cosa improv- visa davvero. Il vapore partiva, da Genova la sera appresso, il posto era pagato. Due giorni soli per prepararsi! La Cristina piangeva, per- deva la testa. Avrebbero forse potuto scriverti di trovarti alla stazione di Pavia, ma il Castel- lani ebbe paura che fosse peggio, tanto per te che per la Cristina. Vedersi un momento solo é orribile. Ti scriveranno da Genova e da Mar- siglia. E quando la gli andrà bene, si ricorde- ranno anche di te, sta sicura.

A poco a poco. Maria si lasciò distrarre : rasciugò le sue lagrime.

Hai sentito che tuo cognato é fuori ? domandò il dottore per cambiar discorso.

- 201 -

No. Come! . . Ha già finito la condanna?. ,

Sicuro; é un anno...

È vero. Ma io non ho mai capito perché gli hanno dato cosi poco. Non é un grande delitto ammazzare un fratello?...

Si : ma lui ha avuto le circostanze atte- nuanti ; si é riconosciuto che doveva averlo am- mazzato per una forza quasi irresistibile... Sai bene, perché Sandro lo tradiva...

E chi andò a dirlo a quei signori?...

Tutti i testimoni. Tu non ti ricordi perché eri tanto ammalata e non sei potuta andare ai dibattimenti.

Ella fece un gesto d' orrore. Non poteva comprendere che la giustizia si facesse cosi : nessuno aveva secondo lei, il diritto di accusare Sandro, un morto, uno che non poteva difen- dersi !

Il dottore la lasciava dire; non cercava di spiegarle il complicato organamento della legge: un po' perché pensava eh' ella non avrebbe compreso; molto più perché quel sentimento in- genuo, quella maniera di giudicare le cose, da un punto vista cosi inaspettato, lo interessava profondamente, e lo inteneriva.

202 -

•Povera Maria ! . . . Come erano forti i suoi sentimenti, e che strano istinto di elevatezza era nell'animo suo!

La guardava sempre più commosso: l'ammi- rava.

Maria ! mormorò accostando il suo viso al viso di lei. Maria vuoi venire con me ?

Ella alzò la testa con impeto. Lo guardò di sfuggita, impallidì e chinò gli occhi.

Noti so fare a servire disse finalmente con un filo di voce. Sono troppo contadina.

Oh! Maria! Chi ti parla di servire?... S' interruppe, e non potè ripigliarsi. I grandi

occhi ingenui lo fissavano ed ei si sentiva scon- certato.

Avrebbe voluto dirle una parola capace di commoverla e di convincerla; ma non trovava quella parola; e sotto l'indagine di quegli occhi, non poteva dire una cosa non vera, non profon- damente sentita.

Avrebbe voluto dirle:

Sarai la compagna della mia vita. Ti amerò sempre.

203

Ma non era vero. Quegli occhi gli dicevano che non era vero.

Che cosa provava veramente per lei?

Una grande attrazione, un desiderio ardente, intenerito dall'affetto e dalla pietà. Avrebbe vo- luto stringerla fra le sue braccia, prendersela...

E poi?...

Portarsela via.

E poi?...

E poi, io non so pensava, irritandosi con se stesso: la vita é la vita: l'oggi non risponde del domani. Non l'abbandonerei mai però; le farei uno stato.,.

Maria mormorò incoraggiato da questo proponimento che gli pareva onesto.

Maria! ti voglio bene. Vieni con mei Ella crollò il capo tristamente.

No)i so fare a servire ripetè con quella pertinacia contadinesca che formava un lato del suo carattere.

Ma chi ti parla di servire? ri batté lui.

Ella ebbe un momento di sospensione. Lo fissò ancora: sembrò riflettere. Poi si riscosse, e

- 204 -

con la voce rotta da una profonda commozione, disse :

Capisco... Ma io, stando con lei... in qualunque maniera, sarei sempre la sua serva. Anche se, per un poco, fossi altro . . . tornerei presto la serva. K non so fare a servire: sono troppo contadina!

Egli chinò la fronte. Quanta verità nelle rozze parole, e che profondo sentimento ! Ella aveva tutto compreso, e tutto sintetizzava, senza studio esperienza, nella sua sublime igno- ranza, guidata dal solo divino intuito dell'anima femminile.

Era una creatura superiore quella povera donna; ed egli, qualunque cosa facesse, non po- teva che abbassarla. Fatalità della vita.

Restarono qualche tempo in silenzio.

Il fuoco si spense.

Maria si turbò. Chinata sul focolare cercò di ravvivare la fiamma con le poche bacchette più che a metà consumate.

Ma vedendo che non le riusciva, uscì dalla cucina e ritornò con un fascetto di legna meno sottile, ma assai più umida, che empi la stanza di fumo.

205

Il dottore le andava dicendo di non darsi pena. Ma lei si disperava di non poter essere ospitale come voleva. Per fortuna trovò un poco di paglia secca, e con quest' aiuto il fumo fu vinto e la legna cominciò ad ardere.

Il giovine si levò per andarsene. Non e' era altro da fare.

Ti ricorderai di me qualche volta?

Oh! signor dottore! Ho tanti obblighi verso di lei; non me ne scorderò finché vivo.

Egli rimase ancora. La interrogò minuta- mente sulla sua malattia, senza farla arrossire. Le raccomandò certe cure: non lavorasse troppo; e continuasse a prendere le medicine che le avrebbe mandate, come prima.

Ella diceva sempre di si, ringraziandolo ri- petutamente.

Erano in piedi presso alla porta. Ora egli doveva andarsene: esauriti i pretesti.

Ma gli pareva di non potersi staccare dal pavimento.

Il cuore gli diceva:

È l'unica vera felicità questa che tu ab- bandoni. La vita non ti offrirà mai più qualche cosa di simile.

- 206 -

Quasi senza sapere, trascinato dalia commo- zione interna, disse ancora:

- Risolviti vieni con mei

E ancora ella crollò il capo tristamente senza rispondere.

Ma dopo alcuni istanti di silenzio, temendo di averlo mortificato, balbettò con la voce ve- lata:

Non si affanni per me. Non resto sola. Ho la bimba laggiù ... e la Giulia e Sandro . . . tutti morti male . . . Devo pregare per loro . . .

Povera Maria ! taci . . . taci ! . . . esclamò il medico rabbrividendo.

Una mano di ferro gli serrava la gola.

Addio ! Addio ! . . .

Si chinò un momento su lei, la baciò in fronte e fuggi nelT oscurità.

La calessina aspettava. Ancora un saluto, e via.

Pioveva. Il freddo umido gli calmò la febbre.

Sferzò la cavallina, pensando di omettere le alcune visite che gli rimanevano ancora e che gli seccavano in quel momento. S'avviò verso Gel.

Lagrime amare scorrevano in fondo al suo

- 207 -

cuore, ma gli occhi rimanevano asciutti, bru- centi. 1/ oscurità quasi completa della campagna s'addiceva alle disposizioni de' suoi nervi: l'aria fredda penetrandogli sotto le palpebre gli recava un senso di refrigerio.

Si sentiva diverso. Gli pareva che l' anima sua piccolina si fosse ingrandita smisuratamente; come quella pianura monotona e fastidiosa a cui la notte dava il carattere solenne e tragico di una landa sterminata.

Maria I . . . Povera Maria! . . .

Era sdegnato con se medesimo. Eppure non poteva negarsi una certa stima. Si trovava^ forte e vigliacco.

Forte, per averla rispettata; vigliacco, per non aver saputo convincerla dell' amor suo.

Povera Maria! Che destino perverso la in- calzava nella vita! Creatura sacra, destinata dalla natura ad un altissimo fine; perfetta di corpo, senza quella bellezza procace che turba i sensi e^ offusca lo spirito ; perfetta nell' anima, e ignara del proprio valore: la vera madre: la vera compagna dell' uomo semplice e saggio. Ed egli che l'aveva compresa, ammirata, amata

- 208 -

da scienziato che sa e pesa il valore di un essere; da poeta che aspira all'ideale felicità; da nomo, anelante alla gloria di dare quella madre ai suoi figli, egli pure l'abbandonava!

Perché?

Perché non possedeva un cuore semplice ; perché non era un uomo saggio. Perché inten- dere non serve a nulla! concretava sorri- dendo del suo vecchio sorriso pieno di amari sottintesi.

Beati quelli che non ragionano : beati quelli che si lasciano condurre da un istinto af- fettuoso, da un concetto semplice della vita!... . . . Beato don Giorgio emigrante in America con la sua Cristina al fianco ! . . .

Cristina !

Meno perfetta di Maria, tanto nell'anima che nel corpo; ma più seducente, più femmina, più voluttuosa. Come l'aveva desiderata!.,.

Era egli certo di non desiderarla ancora?...

Ah ! Ah !.. . Ah ! . . .

Sferzò la cavalla, che già correva fiutando da lontano la domestica stalla.

Ah! il male era nel cuore, reso impotente

2)i)

dal cervello analizzatore e dalla sensualità do- minante.

Compiangeva Maria, ma avrebbe speso me- glio il tempo a compiangere se stesso. Maria, sola, attaccata alla tomba della sua bimba, alla memoria del marito infedele, Maria, col cuore lacerato per la sorella che emigrava, per lui stesso, forse: Maria, mezzo malata, e povera tanto da essere costretta a faticare come una bestia per isfamarsi : Maria era ricca in con- fronto di lui.

Che cos' era lui in fine?. . .

Un gaudente povero, pieno di voglie inacer- bite; un goloso dallo stomaco guasto, tormen- tato da inappetenze intermittenti. Capace di mu- tar gusti ed affetti per un cambiamento di luce, 0 di prospettiva. Capace, se avesse preso Maria con sé, di non amarla più affatto, di trovarla volgare, fuori della sua bella cornice di infeli- cità e di miseria! Capace di preferirle, al pari di Sandro campagnuolo sciupato dalla caserma una prostituta nata, come la Virginia.

Oh ! se si conosceva !

Era destinato a impazzire vecchio impe- li

- 210 -

nitente per qualche femminuccia abituata a trastullarsi con le debolezze dei maschi: de- stinato a far morire di crepacuore la donna amante che gli avesse fatto realmente un grande sacrifìcio. Natura di belva e di gaudente raf- finato.

Rise, sbadigliò, e si stirò tutto.

Niente da cambiare, del resto!

Eredità. Effetti dolorosi di vecchie cause, non sempre facili a rintracciare.

Una volta dicevano: fatalità.

Mutano i nomi

Arrivato a Gel, il dottore scese davanti alla farmacia dov' erano riuniti ad attenderlo i suoi pochi amici. E la viva luce, l'aria calda e le chiacchiere clamorose fugarono ben presto i fantasmi della notte le chiaroveggenze del- l'anima.

Soltanto nel coricarsi, tra la veglia e il sonno, per un ritorno quasi meccanico della memoria, egli ripensò :

Beati i cuori semplici ! Se v' ha felicità al mondo, non é che per loro.

- 211 -

E più tardi, nelT ultimo crepuscolo della co- scienza:

Povera Maria... Povero me!... Tutti e due senza amore ! . . . Soli ! . . .

La mattina, si risvegliò come un uomo nuovo.

Il sentimento della realtà, P ambizione e il desiderio indistruttibile di vivere e di godere lo avevano ripreso con nuova forza.

Finito il vecchio libro !

Inutile pensarci su.

Una pagina bianca stava dinanzi a lui e chi sa che belle cose, e se non belle curiose certo, ci avrebbe scritte il destino !

Vi è un genere di miseria che si dissimula 0 si dimentica, tanto più facilmente, quanto più é squallida.

Quella stessa mattina Maria si alzò con Pau- rora per andare al lavoro della canape.

Lavorando il suo pensiero viaggiava, viag- giava coi lontani, coi morti . . .

Rievocava la imagine della povera Giulia già da tre anni sepolta. E rivedeva il suo Sandro e la Cristina ... e la perversa Virginia . . .

- 212 -

Ma un'altra immagine s'imponeva al suo pensiero . . . quella del giovine medico . . . partito Tenche lui! E si sentiva così sola, così sola, che le si stringeva il cuore. Come avrebbe fatto a vivere così sola?. . .

Intorno a lei bisbigliavano sommessamente di fatti inauditi. Il vecchio Melica, acceso in volto, narrava che i contadini erano stanchi di soffrire, che si ribellavano, scioperavano, ucci- devano ! . . .

Dove?... Quando? chiedevasi da voci strozzate.

Poco lontano. . .

Più lontano . . .

Nel Mantovano . . .

Più in qua. . .

Sul Comasco. . .

... a Gallarate . . .

... da per tutto . . .

Tutti parlavano: il lavoro languiva.

Un guardiano passò: poi il padrone stesso, pallido, arcigno.

Nessuno fiatava: la macchina sola si era inessa a strepitare come un uragano.

213

Cantiamo! mormorò la Meroni, im- paurita.

Cantiamo le lodi della Beata Vergine.

Cominciate voi, Maria, cominciate!... supplicò la Menica, povera donna, con quella faccia di febbre.

Non posso rispondeva Maria. Non posso.

Aveva un peso sul cuore, un peso che le mozzava il respiro.

Nessuno apri bocca, neppure il padrone, che si allontanò ben presto con un ronzìo negli orecchi.

La macchina continuava il suo verso.

Maria pensava : I contadini si ribellano I . . . Sono stanchi di soffrire ! . . . Ma che speranze possono avere ? . . . Cosa vogliono fare ? . . . Cosa, in nome di Dio ? ! . . . Saranno schiacciati, pu- niti . . . Siamo nati per lavorare e soffrire , noi poveretti : é cosi da per tutto ... lo diceva anche il povero Sandro ! . . .

Ma nel medesimo tempo, ella provava per la prima volta in vita sua un bisogno strano di gridare, di strepitare, di picchiare i suoi pugni

214

{tesanti su qualcheduno, di sfogarsi in qualche maniera.

Quasi senza sapere, per una ispirazione ini- l>rovvisa le vennero sul labbro alcune strofe del Canto dei lavoratori^ che certi giovinetti ave- vano sentito a Pavia e subito imparato, e inse- gnato agli altri. Il canto le sgorgò dal petto l)ieno di schianti e di lagrime.

« Su fratelli, su compagne, su, venite- in fìtta schiera; sulla libera bandiera splende il sol dell' avvenir. »

« Nelle pene, nell'insulto ci stringemmo a mutuo patto; la gran causa del riscatto niun di noi vorrà tradir. »

Tutti ascoltavano sbigottiti, non osando se- guire quella voce profonda e appassionata, che li rimescolava.

Ma quando Maria cominciò il ritornello

« Il riscatto del lavoro de' suoi figli opra sarà ; 0 vivremo del lavoro 0 pugnando si morrà! »

- 21:

le donne, trascinate da una forza arcana, si slanciarono. Alla seconda ripresa gli uomini le seguirono, tutti d'accordo.

Le pareti tremarono ; il rumore della mac- china fu soverchiato.

E il padrone che già s' allontanava, sostò in mezzo alla strada, ascoltando a denti stretti.

XqK

I N D I e

Capitolo I In Val Mis'cia Pag. 1

» II L'asino dei Rampoldi » 19

» ITI Primavera , . » 20

» IV In confessione , j) 45

» V Zappando »

» VI Vinto ù

« VII Alla Cascina Grande « 85

» VIII Nuove lotte « 95

» IX La Cristina o 107

» X Il destino ((123

» XI Il medico ;) 133

» XII Il germe dell'odio » 149

» XIII Decomposizione » 161

)) XIV Vendetta » 169

» XV Sola » 189

ALCUNI GIUDIZI DELLA STAMPA ITALIANA

su i Homanzi di BRUNO SPEEANI

Neir Ingranaggio, 1885.

Bruno Sperani ha dettato va romanzo che riraarrà, malgrado qualche imperfezione di forma, gradito e ricercato, specialmente pel finissimo e completo studio della Gilda Mauri e che rivela come solo uno spirito superiore di donna poteva plasmare il concetto e tradurlo in persona, vivificandolo per- fino nelle sue minime particolarità.

(Dal Convegno). Il conte Arundello.

Ho tracciato l'intreccio perchè svela gli inten- dimenti della scrittrice. La favola modesta, lo svi- luppo dato in balìa al cuore che cede ed al fato che trascina. Una scrittrice quasi sempre accurata, simpatica sempre. Delle pagine robuste, senza ricer- catezze e senza l'indomita ambizione, che hanno altre scrittrici, oggi sul piedestallo, di farsi credere, forti come un uomo.

15

Tutta una condotta che può parer povera ed è semplice. Tutta una storia la quale al di dei suoi capitoli d'amore, di ansie e di morte, svela la morale che libera gli umani da colpe, pur troppo segnate nel loro destino. NelV Ingranaggio non vi sono tesi. Questo diciamolo pure un bene, per i tempi che corrono, propizi alla cattedra. La morale viene ineluttabile dai fatti. In quel sciupio dei liberi slanci, delle onestà fiere, degli affetti primi e dei doveri sacrosanti, voi vedete la gran lotta che si sfascia dinanzi alle fila del caso. Tutto va nell' in- granaggio e per gridi che innalzi la vittima, o per odio che ammassi il colpevole, ogni cosa esce da quei denti di ferro, come vogliono le forze e i misteri del destino nostro.

{DàllsL Loììihardia). Ugo Cape ni.

Quest'imperfetta e sommaria analisi del romanzo basta però ad indicare che esso è un romanzo in- timo dove il dramma scaturisce dalla passione ar- dente. Pochi personaggi principali, disegnati, nelle loro linee generali, con arditezza di tocco; molte macchiette, fra le quali alcune felicissime, massime le piccole fotografie dal vero degli artisti del Teatro Milanese. Qua e là, come del resto in tutti i romanzi della Sperani, si riscontrano ineguaglianze e slega- ture, ma l'interesse non langue mai. È soltanto a rimpiangere che V egregia scrittrice, o per soverchia fretta o per noncuranza, non abbia dato l'ultimo ritocco al suo lavoro , non ne abbia meglio curata la forma; non abbia meglio approfondito i carat-

- 3 -

teri dei suoi personaggi sorvolando su più di un punto psicologico di capitale importanza, come ad esempio, la caduta di Gilda; si sia limitata, in una parola, a darci un buon romanzo, non una vera opera d'arte. Eppure poco ci sarebbe voluto!

Ad ogni modo, KeW Ingranaggio, a malgrado del titolo non troppo felice, meritava una tutt'altra edizione. Io non esito ad annoverarlo fra i più in- teressanti romanzi italiani di questi ultimi tempi. (Gazzetta Letteraria"^. Deponis.

Bruno Sperani ha scritto un libro di dolore e di verità. Verità, non intendo soltanto nel senso di quella esatta e più o meno fotografica o nota- rile — riproduzione di ambienti, di caratteri, di particolari, che è tanta e così sostanziale parte del romanzo moderno positivista. Dico che il libro ciò che sfuggi a tutti i critici, toltone l'acuto Ca- raeroni che io ha intraveduto è una battaglia pugnata per la veritcà e l' interezza della vita e delle sue forme, per la coerenza di queste con quella, per lo spastoiarsi da quello aggrovigliaraento malsano di tradizioni, di convenzioni, di convenienze, di artifici, d' imposture, di vigliaccherie che avvolgono come in una rete di ferro, e comprimono e perver- tono e fanno più frivola e corrotta e crudele, la già tanto frivola e crudele e corrotta vita della borghesia moderna.

E la battaglia è tanto più efficace perchè non è fatta in forma di predica, l'argomento è torto alle esigenze, incompatibili con l'arte, di una tesi propriamente detta.

4

Ogni libro d'arte, che ha un valore, prova qualche cosa; proverà o la vita o la morte, o il bene o il male, o un particolare aspetto di queste cose, 0 il dubbio, lo scetticismo, l'impossibilità di provare alcuna legge costante nella versatile com- plessità della vita.

Ma un libro, e sia pure un romanzo, onde non emerge un' impressione netta e coerente ossia una conclusione sarà un centone di descrizioni più o meno abili e di fattarelli di cronaca più o meno piccanti non sarà romanzo libro.

E a me, leggendo « NeW Ingranaggio » questa storia piana e penosa del povero amore del- l'Istitutrice , amore sano ed intero e legittimo in- nanzi alla natura ed ai fatti, che si scioglie logica- mente nell'abbandono e nel suicidio, spintovi dalle energie congiurate della legalità e dell'ipocrisia, che piglia nome decoro a me s'imponeva un ravvicinamento che parrà per lo meno curioso ai lettori superficiali: il ravvicinamento di questo ro- manzo senza tesi e tutto concreto, con quel volume tutto tesi e disquisizioni astratte, meraviglioso per impeto di logica distruggitrice malgrado la legge- rezza con cui maltratta taluni argomenti, che il Dumolard pubblicò non ha guari : le Menzogne convenzionali del Max Nordau.

(DsiìV Italia). Filippo Turati.

Bruno Sperani, col suo Neil' Ingranaggio , viene a mettersi in prima fila nel plotone, anche troppo sottile, de' romanzieri italiani.

Ugo Sogli ani.

Numeri e Sogni, 1887.

Fin da quando leggevo certe sue corrispondenze ai giornali, sentivo in Bruno Sperani un'intelli- genza superiore, una fibra robusta, come una eco di lotte sostenute. NeWIncubo, e specialmente Nel- V Ingranaggio , buon libro di poco inferiore al Numeri e Sogni , questa caratteristica dell' artista si manifesta chiaramente; tutte le sue qualità si affermano nella originalità della sua personalità propria, espandono rigogliose, suo malgrado, nella serenità della sapiente esperienza e della robusta forza intellettuale bene equilibrata. (Dalla Sceìia Illustrata).

Bruno Spekani fa classe da sé, perchè nei molti pregi e nei pochi difetti non rassomiglia a nessuno. Il fondo del suo temperamento artistico mi pare sia appassionato e delicato, tutto slancio e sincerità, temprato nell' energia virile e nella esatta comprcnsività della vita cui deve, se lo scetti- cismo da cui ora mostra d'essere penetrata, non sopraffatta, non le inasprisce cuore e mente e il dubbioso sconforto si mantiene pietoso e indulgente, per le miserie umane.

Se dovessi qualificare Bruno Sperani con poche parole, la direi: sentimento, verità, vita.

Fu scritto come dogma che la donna giudica l'uomo o troppo bene, se con amore, o male, se con odio; quasi mai con giustezza. In quanto alla Sperani Nell'Ingranaggio come nel Numeri e Sogni

ha trovato la nota giusta, anzi umana; gli uomini che descrive sono veramente, umanamente uomini. Uno dei pregi che più ammiro nell'autrice è il senso di intima, assoluta realtà sangue e muscoli del suo ingegno al punto che i fatti, i personaggi non li leggiamo, li vediamo, li sentiamo, viventi e veri, immedesimati nella nostra vita come esistenti insieme a noi; e li conosciamo tanto a fondo come se li avessimo frequentati per anni ed anni.

Silvio Cigerza.

Leggendo un romanzo di Zola, potete chiedervi quanto l'autore, per iscrivere quel libro, ha veduto, ha notato, ha coordinato, ha riassunto. Nel romanzo della Sperani vi chiedete quanto, per farlo, le è bisognato della sua propria vita, quante lagrime, quanti sconforti, quante amare voluttà le è costato. (La Cronaca Rossa). Filippo Turati.

La signora Speraz che si nasconde sotto lo pseudonimo, bene ormai noto, di Bruno Sperani, ha contrapposto in questo suo nuovo romanzo la idealità della vita alla realtà; come indica il titolo.

Che tutto il romanzo sia condotto con pari felicità, non oserei affermare; certo è che vi si leggono pa,:^ine molto buone, che l'intendimento ne è sano ed alto, che vi sono figure ben tratteggiate, come quella della moglie del pittore. Filomena, che vìve modello di virtù e di rassegnazione tutta de- dita alle cure della famiglia Anche merita lode la egregia autrice per avere osato condurre il romanzo

in uno svolgimento ampio e pur logico di casi onde l'animo del Superti , dall' amore per la Mariuccia a quello non meno infelice per l'Eugenia, si mostra intero al lettore; e per la fine non volgare con cui ha chiuso tale svolgimento.

(Dalla Nuova Antologia).

Io vorrei che questo lavoro della gentile autrice si leggesse assai: troppo frequente è nella vita la lotta dei Numeri coi Sogni perchè non riesca utile lo studiare a quali risultati essa può condurre. Se è vero che la letteratura deve pur servire a qualcosa nell'educazione morale e intellettuale d'un popolo, io credo che quando questi romanzi avranno più lettori delle appendici quotidiane dei nostri gior- nali, si potrà dire con un arguto scrittore contem- poraneo che « il termometro della coltura generale avrà lasciato le temperature invernali per salire ai gradi più alti della primavera e poi di quella di estate che matura i frutti. »

(Dalla Letieraturo di Torino). Valaijreg \.

Bruno Spekaxi è un' osservatrice e una pen- satrice — qualità e pregio raro quest'ultimo, in mezzo a tante scrittrici e scrittori, che sono meie macchine fotografiche, più o meno esatte, più o meno perfette, ma senza coscienza cerebrale. Nei lavori della Speraz vi è sempre, non una tesi, ma un concetto, eh' è rilevato dal punto di veduta in

8

cui pone la scrittrice, dalle cose che scorge, da quello che sottrae, dalle ombre e dai lumi; insomma, non da quello che essa dice intromettendosi non richiesta nelT azione ma da quello che mostra, e sa vedere, dell'azione stessa. Così l'obbiettività non è mai violata, ma la produzione artistica non è più un lavoro fotografico, è un quadro: non ci una parte fortuita e inanimata, slegata, del vero ma la riproduzione del vero in un disegno orga- nico che lo riattiva e lo anima; così, e non altri- menti, intendiamo noi l'opera d'arte; così, e non altrimenti, noi abbiamo sempre inteso il realismo.

(Da Cuore e Critica). A. Ghisleri.

Queste 619 pagine, che io dichiaro d'aver lette senza interruzione, portano V impronta di una lunga, paziente ricerca nella vita dell'arte, e d'un delicato gentile amoroso sentimento della vita comune. Qua e là, quando questo romanzo si alza fino alla spe- culazione filosofica della vita, e vi tace l'idilio, e la passione vi è temperata dal ragionamento, e l'ala del destino vi batte robusta, nessun sospetto vi prende che l' opera della donna vi . sia abilmente celata: ma in. molte parti essa si risela, in più di un contrasto si afi'erma; in qualche figura rimane e risplende. Qui sta la doppia vittoria che la signora Bice Speraz riporta con questo frutto dell'esperienza sua di donna e di artista.

(Dal Diritto). 0. Grandi.

Cercai già di mettere in evidenza l'eccezionale importanza di Numeri e Sogni di Bruno Sperani, come fisiologia della vita dei nostri giorni fra i pittori Lombardi e come studio sociale contro le menzogne ed i pregiudizi, tuttora dominanti nelle famiglie borghesi. La lettura degli ultimi suoi ca- pitoli mi ha rivelato un profondo sentimento di tolleranza, anzi di pietà, verso le debolezze, le contraddizioni, le colpe umane. Bisognerebbe esser miopi d'intelligenza, o senza cuore per non com- prendere la confortante conclusione di Numeri e Sogni. Con essa si eleva la Sperani ai vasti e ge- nerosi ideali altruistici del Tolstoi. Aiutare i soffe- renti e perdonare gli errori di quelli, che inconscia- mente fanno softVire.

(Dal Sole). Cameroni.

Numeri e Sogni un romanzo senza alcun dubbio vigoroso ed audace: e, nella terza parte specialmente, virilmente efficace.

(Dalla Gazzetta Letteraria di Torino) Depanis.

Se esaminiamo la produzione letteraria italiana di quest' anno , dovremo ad ogni costo riconoscere che i due migliori romanzi sono di due donne, sono cioè: Teresa di Neera e Numeri e Sogni della Sperani.

(Dal Piccolo di Napoli). Vittorio Pica.

lu

Invece d'inforcare le lenti dell'anatomico e stancare la nostra pazienza a furia di verbali l'au- trice stimò meglio cogliere il lato caratteristico dei fatti umani, lasciando che questi parlassero da soli. In luogo di seguire le orme de' pseudo-naturalisti francesi , preferì attenersi al metodo de' grands maitres del romanzo russo e inglese, che consiste appunto nel cercare e ottenere grandi effetti con la massima sobrietà di mezzi

Questa tendenza che io aveva già notata in Neil' Ingranaggio , spicca ancor più chiara nell' ul- timo romanzo della scrittrice dalmata.

Tutto sommato un libro vigoroso, attraente, e^ fra le odierne produzioni del genere, senza dubbio un libro hors ligne.

{X)à.\V Indqìendente di Trieste). Mauco Zar.

L'Avvocato Malpieri, 1888.

In tutto il romanzo di questo spostato Malpieri, il. tipo è sviscerato con molto acume e vigore. Una tinta bigia di amarezza predomina in tutto il libro e da essa, a stento, si salva qualche tipo gaio, come quel povero bambino di Amilcare. L'impressione generale è profonda e ci fa sempre piìi convincere che la Sperani à una forza ed un'audacia nella concezione artistica e nello svolgimento del suo concetto che pochi scrittori posseggono. Io per parte mia, auguro alla nostra letteratura molti romanzi

- 11

cosi fortemente pensati e trattati come questo Av- vocato Maìpieri della valorosa signora Sperani.

Onorato Fava.

^(ì\V Avvocato Malphri non è un politicante che critica, è un psicologico, un filosofo che giu- dica, che non condanna od applaude alle azioni per se stesse, ma ne ricerca l'intime cause e colla analisi morale giunge perfino a spiegare la vigliac- cheria e a farla compatire, mentre fa biasimare quel coraggio che desta l'ammirazione del volgo,

(Dalla Cronaca Rossa).

In tutto e per tutto, anche quest'ultimo ro- manzo di Bruno Sperani è tolto dalla vita con- temporanea. L'azione s'agita intorno ad un gior- nalista di parte radicale, transfuga fra i conservatori, per sete di vivere largamente, per ambizione, per disgusto della democrazia retorica. Si illude che la felicità consista nei godimenti della vita materiale e nel vendicarsi dell'amore respinto e del rivale fortunato. Sfida cinicamente gli ex correligionari politici, che coprono di fango il suo disonore. Di- viene passo a passo un mercenario della penna e finisce col vergognarsi della propria infamia, con- frontando la prostituzione dell'opera sua alla fie- rezza della donna amata, che col lavoro libero aveva redenta la propria coscienza. La psicologia di questi due esseri e le tempeste nel loro cranio fanno ÓlqW Avvocato Maìpieri un'opera di valore eccezionale.

(Dal Sole]. F Cameroni.

« La mancanza di generosità e di ideale di- strugge la vita di certi esseri come la mancanza di cibo, o la rende intollerabile, come la mancanza d'amore... »

È questo il concetto del romanzo di Bruno Sperani. Malgrado l'apparente scetticismo, l'autrice ha un alto ideale di nobiltà, di libertà, di giustizia, che nelle ultime pagine del libro ottiene la sua ri- vincita e consola delle miserie, delle doppiezze, delle vergogne rappresentate nelle parti precedenti.

Come metodo d'arte, la scrittrice si serve di preferenza dell'analisi e della narrazione; se questa riesce necessariamente poco animata, l'altra è molto penetrante; quantunque, in qualche punto, non vada esente da artificiosità.

Le figure che spiccano al primo piano, in piena luce, sono quelle dell'avvocato Malpieri e della Giuseppina; le altre sono tutte episodiche, ma non per questo meno efficacemente ritratte. L' ambiente giornalistico, i maneggi politici, la vita pubblica d'un grande centro sono riprodotte dal vero con grande maestria.

Tutto sommato, tenendo nel dovuto conto certe ineguaglianze di stile e di condotta, e il conven- zionalismo di qualche passaggio , il romanzo di Bruno Sperani ha un valore notevole, si logge con piacere e fa pensare. Scritto in francese, a quest'ora conterebbe una mezza dozzina di edizioni e sarebbe riprodotto nelle appendici di tre o quattro gior- nali (1).

Federico de Roberto.

(1) Ora il romanzo è stato tradotto in francese, e fu pub- blicato nel Progrés du Nord di Lille, presto uscirà in volume ; il traduttore è M.r J. B. Cottcaux.

13

Comincia con un comizio nel teatro Castelli di Milano, sul suffragio universale, scena riprodotta stupendamente.

In tutto il lavoro le quistioni sociali e politiche, trattate con una sicurezza ed un'esperienza che pare impossibile possa avere acquistato una donna

poiché già voi sapete, che sotto il robusto nome di Bruno Sperani, si nasconde una figura muliebre

sono in tutto il racconto così bene incatenate e collegate con la vita giornaliera dei personaggi, che r aridità dell' argomento sparisce e la lettura del libro è sempre piacevole e interessante.

Nel leggerlo mi è accaduto spesso una cosa curiosa. Alternativamente con questo leggevo Il mistero del poeta di Antonio Fogazzaro , già pubblicato nella Nuova Antologia, e di sovente mi veniva fatto di confondere gli autori per modo di credere Il mistero del poeta racconto idea- lista, tutto sfumature di sentimenti, lavoro di una delicatissima intelligenza femminile; e V Avvocato Malpieri frutto di lungo e serio studio di costu- mi, di un forte ingegno maschile.

Come in tutti i romanzi moderni, anche in quetto manca o quasi sfugge il fatto, V intreccio ^ come si diceva una volta: nessuna scena a sensa- zione, nessuna ficelle. tutto si svolge naturalmente e logicamente,

(Dal Caffaro).

Quadro o bozzetto semplicemente, ogni lavoro dell'autore di Numeri e Sofjni conserviamo il

- 14

genere mascolino in omaggio della firma reca l'impronta d'una mano sicura, sprezzatrice d'ogni convenzione nella sua arte inesorabile come la ve- rità. Essa forma il soggetta) che la impressiona, com'è, più meno, senza caricarne le tinte, alterare le proporzioni. L'eifetto ne sia più o meno vivo, non se ne preoccupa, non va alla ricerca di esso, nel suo scrivere.

Agli adoratori del colore e delle minuziosità, fjuesta mano d'artista può parer arida. Ma nelle linee ferme, fossero anche dure, de' suoi lavori, c'è (juella intelligenza, quel sentimento, quella profon- dità, per cui soltanto l'opera d'un artista, d'uno scrittore, ha suggello proprio, e rivela l'ingegno innato, e non formato, su modello più o meno felice, da una semplice attitudine ad imitare.

Elda Gianelli.

È un'opera che s'impone fin dalle prime pa- gine; chi non si contenta di leggere superficialmente ma leggendo studia, vi scorge profusi tesori d'in- gegno. Come fu notato da altri, la Sperani, slava di origine, deriva in parte dai romanzieri russi; ricordai questo nel leggere lo splendido studio su Dostolvsky ehe il Depanis pubblicò nella Gazzetta Lettei^aria, dove dice che: « Per i romanzieri russi in genere... il romanzo non è uno scopo, ma un mezzo; il loro intento é sociale, non estetico. » Un'asserzione cosi recisa stonerebbe riguardo alla Sperani; pure un fondo di verità l'ha anche per

- 15 -

lei. Difatti V Avvocato Malpieri non ha solo il va- lore di un'opera d'arte, che, come in tutti i libri della valorosa autrice, anche in questo sono stu- diate con grande amore e grande acume talune delle più importanti questioni sociali.

V. OLPI^K MONIS.

La storia invero è quella li un individuo , ma «ssa compendia in la vita di chi sa quanti spostati. Presi separatamente spariscono, ma messi in un de- terminato ambiente si trasformano , se in meglio o in peggio poco monta : il fatto sta che allora vivono e sentono di vivere, quando vinti quando vincitori, sempre però tali che nella lotta ci lasciano un brano della loro carne, una traccia del loro sangue

E l'ambiente allora diventa non più la cornice del quadro, ma parte integrante del quadro stesso : personaggio ed ambiente si immedesimano, si com- pletano. E questa doppia rappresentazione che deve correre parallela, staccata cosi che l'una non so- prafaccia l'altra, non è facile riesca a chi non abbia intelletto d'artista. 0 io m'inganno o Bruno Sperani in questo suo lavoro è riescita maestrevol- mente; il personaggio e l'ambiente non potevano avere una riproduzione meglio riuscita meglio ^ all'uno e all'altro poteva riuscire ad imprimere lapropria fisonomia.

L. Besevenia.

- 16

Nella Nebbia, 1889.

Sono semplici intermezzi, abbozzi buttati giù alla lesta, con molta bravura, che si leggono tutti con interesse e che commuovono spesso. Un desinare^ ad esempio, è uno schizzo che nella sua succosa brevità vale molte e molte novelle di centinaia e centinaia di pagine. La Sperani al vigore mascolino della dipintura unisce l'acutezza dell'osservazione femminile: donde il fascino singolare, quasi pauroso, che emana da certe sue pagine trasudanti la realtà e pure vibranti di intima emozione. Giova quindi sperare che questa raccolta di scritti disseminati nei vari periodici letterari della penisola sia come la prefazione di un lavoro di maggior lena

(Dalla Gazzetta Letteraria}. Depanis.

Si capisce che non sono inventate, ma prese dal vero Un caso lugubre avvenuto al rimpianto Ponchielli (caso successogli realmente a Bergamo) farebbe credere alle predestinazioni... La storia di una miserabile popolana milanese, il cui marito, pessimo soggetto, le toglie tutti i figli, gettandoli all'ospizio, è una figura degna di Domenico Induno. L'ambiente milanese, in cui quella digraziata pa- tisce, la malignità e la pietà falsa e tarda delle donnicciuole sue coinquiline, sono ritratte con verità.

Vedo che i romanzi di Bruno Sperani otten- gono l'onore di essere attentamente studiati da qualche pregiato critico francese. Ne godo, perchè,

1(

se ne persuadano alcuni, in J'rancia se ne inten- dono... ancora.

(Dal Corriere della Sera). Raffaello Barbiera.

Due Case, l'ultima delle undici novelle, ecco l'ambiente vivo come solo la mente di fortissimo artista sa dipingerlo!

Quell'angolo remoto, solitario, sulle coste della Dalmazia, sorge dinanzi agli occhi di chi legge, appassionando. E dietro, il paesello con la vita della casa, caduta nella più trista miseria: quella che non vuole svelarsi per orgoglio patrizio, che si nasconde, rinserrandosi fra le mura del vecchio palazzone no- bilesco, altezzosamente vergognosa, è una mera- viglia.

E lì, che dipintura, a grandi tratti efficaci, dei dolori d'una povera madre, tutta concentrata nella desolazione delle memorie d'un suo povero figliuolo di vent'anni morto lontano, in America; ove T au- tocrazia paterna l'aveva mandato. E quegli eterni rimproveri muti al vecchio, che mena la vita dispe- rata dei rimorsi, sentendosi la cagione quasi diretta della morte del figlio!...

Infine lei, lei l'A... con quanta schiettezza di impressioni narra dei suoi primi anni e la potente emozione che la fece, di balzo, uscire dalla pue- rizia: la scoverta sotto la tettoia, riposta tra vecchi arredi di casa della cassa contenente tutto che servì ai funebri del povero morto, riposta li per esser dimenticata!...

ì6

18

Assolutamente in quest" ultima novella e' è tutto Bruno Sperani, ed io suo ammiratore, non ho altro ^d aggiungere.

{Rivista Contemporanea). A. Lacria.

Il Romanzo della Morte, 1890.

Titolo grave, tetre pagine, dense di una semi- oscurità, faticosa alla mente del lettore. Favola pressoché nulla, immaginazione forte, razionale del sentimento, serena noncuranza di tutto ciò che non è pura anatomia del cuore. Opera di donna, ma non letterariamente femminile, vigorosa anzi e sen- tita, evidentemente dovuta ad un forte ingegno e ad una salda coscienza letteraria. Bruno Sperani (nessuno ignora più il nome reale dell'autrice) ci ha da qualche anno abituati a quel genere speciale d'arte spregiudicata, della quale la donna che l'ha adottata si fa banditrice, più presto talvolta e con più vibrato accento dell'uomo. Nel brusco, scabroso argomento del suo romanzo, l'autrice è entrata di pie fermo, senza esitanze, senza falsi pudori, l'ha vigorosamente afferrato, lo ha reso, denudandolo. È facile avvertire eh' essa non teme quello strano fatto determinante eh' è ad un tempo l' intreccio dell'opera e il nodo della (juestione. Sin dalle prime pagine, lo accampa, determinata, motte di fronte ad una vittima che non si osa chiamare colpevole, un'al- tra vittima innocente, e questa deve esser partecipo dell' ingiusta punizione. È tutta una cieca congiura

IP

di circostanze; le volontà, fatte inerti dalla ferrea brutalità di quelle, obbediscono alla prepotenza di una falsa ma invincibile logica, alle esigenze dispo- tiche di un pregiudizio , contro il quale la ragione si ribella, ma che il sentimento subisce. Lo studio ò convinto, sincero, s' addentra e scende nella mal- fida regione dei substrati del cuore, facendosi strada faticosamente, in mezzo alla tristezza quasi ripu- gnante dell'argomento.

Una vaga incertezza erra per tutte le pagine di quel libro sincero ed oppressivo, ove si intuisce un' originalità che si spende coscienziosamente, una forza più latente che espressa. Non si può mandarlo confuso colla farragine dei volgari romanzi; è d'uopo leggerlo attentamente, anche provando un bisogno impulsivo di combatterlo, di muovergli contro ob- biezioni e critiche. Si possono non amare i libri di Bruno Sperani, e il Romanzo della Morte non è certo il pii!i amabile fra questi, ma torna impossibile lo sconoscere il robusto e virile ingegno dell'autrice, la sua rara e forte intesa delle cose umane, la sua poderosa energia di pensatrice.

Il Fanfulla della Domenica,

Il Romanzo della Morte in mezzo alle sue arditezze, è un libro di carità, il quale dice sem- plicemente: « Fratelli, si muore; fate senno; but- tate via i pregiudizi che vi impediscono di gu- stare questo po' di sole ! Siate felici e cercate di rendere felici gli altri, come meglio potete! » È

- ?0

cosi confortante l'idea conclusionale del Romanzo della Morte, che dovrebbe convincere persino quei timidi lettori, i quali rimasero perplessi avanti lo spirito ribelle d'altri volumi della stessa Sperani. Non si spaventino, questa volta! Se le ipocrisie, le menzogne e le ingiustizie sociali del tutto non hanno in loro inaridito il sentimento della pietà, dovranno persuadersi che il Romanzo della Morte è un'opera di pace.

(Dal Sole). P. Camerom.

11 Romanzo della Morie, così concepito è la storia della lotta dei sensi alleati all'intelletto forte e alla vigorosa saldezza dell' animo, contro le mas- sime tradizionali, succhiate col latte, sui pregiudizii necessariamente assorbiti, sull'istinto autocratico del maschio. È il romanzo della rivincita. Lotta titanica invero, cui soltanto un'organizzazione ec- cezionale è dato combattere. [Scintille di Zara).

Bruno Sperani è veramente italiana; e nel suo lavoro lo spirito sereno e bene equilibrato della nostra nazione si afferma contro le esagerazioni, pur geniali, dei nostri fratelli d'oltr'alpi.

Ella si riconnette, così, alla sana tradizione manzoniana, alla quale, largamente intesa e accet- tando tutte quante le modificazioni e i perfeziona- menti che dai tempi mutati sono richieste, tornerà, probabilmente, a poco a poco, la vera arte italiana. (Dalla Vita Nuova). Angelo Orvieto.

21

Come pare evidente da questi rapidi cenni che ne ho fatto, il libro della Bruno Sperani è inte- ressante, pieno di forza, ricco di sentimento dram- matico.

Resterebbe a risolvere se in una fanciulla onesta ed eletta come Argia, sia naturale e verosimile la vertiginosa caduta, per il fascino di un estraneo, visto la prima volta, il quale tuttavia è riuscito a dominarla e vincolarla così tenacemente al pro- prio volere.

Anche ammettendo la suggestione ipnotica, a cui l'autrice sembra alludere. più volte, io non com- prendo a sufficenza la brutalità del misfatto e per parte dello straniero e per parte della fanciulla; giudico inoltre che esso è troppo impreparato dagli avvenimenti che precedono ed affermo che non se ne potrebbe così facilmente riscontrare un esempio nella realtà. Ad ogni modo l'argomento in generale ci è svolto con brillante forma e trattato con vi- gore, con ampiezza, con sicurezza di scrittrice abi- tuata a tentar di frequente si difficili prove. L'analisi poi mi sembra più sottile e convincente nelle pagine che dipingono l' amarezza di Fausto quando si co- nosce rovinato da una colpa altrui ; veramente bella e perfetta, nel capitolo ove scorgiamo Argia che, sul principio animata da une» spavento, da avver- sione, da un odio amaro, da una ripugnanza invin- cibile per r ignoto essere che nelle viscere le vive, a poco a poco si calma, si fa giusta, si lascia preda a quell'indefinita beatitudine di cui la natura empie il cuore delle madri.

(Dal Resto del Carlino) Avancinio Avancini.

22 -

L'autore volle cosi e rispettiamo la sua volontà, ed io lo faccio volontieri , tanto più che il libro possiede le migliori qualità tecniche. È d'un inte- resse che non si abbassa mai, è d'una lettura facile ed attraente. Pagine da valoroso artista non man- cano, anzi abbondano: quelle in cui è descritta l'escursione di Fausto Lamberti alla ricerca del luogo più adatto al suicidio sono davvero forti, potenti: l'agonia del Lamberti, la cerimonia nuziale letteralmente commuovono. Gentile e passionato è l'ultimo capitolo, in cui è narrato il viaggio dj nozze: e sarebbe perfetto se il lettore non si do- mandasse a che punto sia la gestazione di Argia Pisani: gestazione troppo lunga, eh' è l'incubo di questo romanzo e che non è necessaria per la ragione artistica per la ragione morale dell'opera.

È inutile eh' io auguri molti lettori al Romanzo della Morte: il nome dell'autore è una guarentigia e il libro é degno di lui.

(Dal Corriere della Sera). Domenico Oliv.\.

Per un pezzo Fausto resta cosi sospeso tra la vita e la morte ; un giorno che stava peggio e quasi ogni speranza svaniva, come il padre di Argia viene a scoprire d'un tratto ch'ella è madre. Fausto di- chiara di essere lui il seduttore, e di volere offrire a lei, avanti di morire, la riparazione del matri- monio

Così si celebrano queste nozze che hanno la tetra solennità d'una esequie, e che forse non sa- ranno consumate mai.

Ma non avviene cosi. Lamberti guarisce, forse per via di quella dolcissima emozione che danno il perdono e la coscienza di fare del bene, che ha provocato una crisi salutare, e allora egli senza più ribellarsi, senza lottare contro un passato che non si può mutare, e che del resto non gli ha mutato Tarnore della sua Argia, si abbandona con lei al- l'amore e alla felicità.

L' ultimo capitolo del romanzo li sorprende in un coupé riservato del treno che va a Bordighèra,. rapiti insieme alla vista del mare, coi cuori trabboc- canti di amore e tenerezza, rinati a una esistenza nuova.

A me piace questa soluzione, i due vi arrivano dopo avere attraversato il calvario, dopo avere vissuto tutto il triste romanzo della morte, ed è vero, ed è umano questo istinto, superiore ad essi stessi, di attaccarsi alla vita e alla felicità, dacché il mare nel quale essi avevano voluto finire la morte li ha deposti, loro malgrado sulla riva.

(Dal (xiornale di Sicilia). De-Giorgi.

È questa la situazione, potentemente dramma- tica, sulla quale e per la quale. Bruno Sperani ha scritto un romanzo audace, pieno di verità e di passione; uno di quei romanzi che oggi si usa de- finire « forti ! »

Certo, chi ha preso le mosse di un'azione ro- mantica, d'un intreccio interessante da una situa- zione così spietatamente insolubile, ha dato prova

24

d'una forza di pensiero e di sentimento, e, d'una 'coscienza di queste forze così profonda e serena clie basta a dare tutta la misura d' un ingegno.

E quando l'opera risulta pari all'audace conce- 'pimento, forte e sereno, lo scrittore (e in questo ^aso è una scrittrice!...) può appagarsi nella legit-. tima soddisfazione di aver fatto cosa insolita e ammirevole.

' Il romanzo di Bruno Sperani, di cui non voglio raccontare la conclusione superiore alle premesse per sentimento profondo e vero, per nobile audacia, per singolare semplicità di forma; (piccolo artifizio innocente per costringere alla lettura anche le lettrici "più indolenti) il nuovo libro di Bruno Sperani è un Vero romanzo, come se ne vedono apparire pochissimi, nella presente miseria, e nel bizantinismo letterario che c'impone una ostentata e falsa erudizione ac- coppiata alle gonfiature, alle goffagini d'un chiac- chierio vano e scorretto che vuol parere stile, d' una vacuità di pensiero e esiguità di fantasia che vuol parere acutezza d'analisi.

È un romanzo che fa palpitare e fremere, che interessa il lettore alle situazioni, e lo lega ai per- sonaggi con un vincolo di simpatia e d'affetto . .

(Dal Don Chisciotte). Olga Ossani.

V'ha in II Romanzo de la Molate degli episodi e delle scene potenti, tutte le pagine in cui or Fausto ed ora Argia si tormentano nel pensiero de la morte cercata, formano un quadro magistral-

25 -

mente dipinto di questa condizione psicologica, e, nel suo genere, un vero capolavoro, e che solo trova un paragone nel romanzo russo, L' analisi è profonda, sicura, spietata par fatta dal coltello anatomico d'un valente chirurgo: nessuna traccia de la personalità de l'autrice, d'imitazione straniera o di riflessi altrui. L'analisi scaturisce dagli stessi personaggi, da le loro azioni, da' loro dialoghi. Leggete le pagine dove comincia a rivelarsi la sventura di Argia, e i tormenti di Fausto tutta quella storia di lacrime. Assistete a la passeggiata de' due amanti di notte ; al dialogo tra il professor Pisani e la figlia; al matrimonio cosi triste, e pure, a tratti d'un comìcismo finissimo; al dialogo in cui Fausto chiede ad Argia il racconto de la sventura d'una efficacia sorprendente e poi ditemi se questo romanzo senza tirades, senza lirismo, senza descrizioni smaglianti, non è una de le più forti ed efficaci pitture de la vita contemporanea ; non è un vero e gran dramma de l'amore, come può essere inteso nel nostro secolo agonizzante; non è una evidente e potente opera d'arte, d'una lucidità meravigliosa e d'una semplicità insuperabile, e per la forma e per la regolarità de la composizione.

E dicendo forma, intendo parlar de la lingua, de lo stile, in somma di tutto il complesso di mezzi artistici e di facoltà creatrice che serve a infondere in un libro il soffio divino de l'arte.

E ne la caratteristica speciale de la forma che si rivela la personalità, l'originalità, direi quasi la nota d'uno scrittore. Non forse la forma di Bruno Sperani, così suggestiva, vibrante, sprezzante a

26 -

volte, espressiva sempre, vigorosa, a trasparenze, a spezzature, a scatti, è la manifestazione de l'orga- nismo, de' sentimenti d'uno tra i più originali ro- nianzatori italiani ? Cosi in letteratura non abbiamo un tipo unico di stile, ma differenti stili, i quali sono un tutto co '1 contenuto d'un' opera d'arte: tal contenuto, tal forma anche '1 De Sanctis lo dice.

La Sperani non è stilista: scrive netto, reciso, sincero, con una forza d'espressione rara tra noi italiani, e non ha altra preoccupazione che di ren- der chiaro il suo pensiero profondo, fermo, preciso. E questa preoccupazione sua mi ricorda Shendhal, Duranty ed i romanzieri russi, a' quali amo riavvi- cinare la scrittrice nostra

Il suo metodo potrà piacere o dispiacere, potrà dar luogo a mille discussioni ma deve esser preso qual' è ed accettato. E così noi che non pos- siamo emulare questa potente romanzatrice pos- siamo almeno essere in grado di comprenderla ed amarla.

Il Romanzo de la Morte ha una personalità definita, un carattere di forma particolare, una onestà efficace che ci fan presto desiderare '1 novo li- bro di Bruno Sperani: La Fabbrica.

13. Emilio Ravenda.

Ecco un romanzo diversamente bello dagli altri due che ho letto, finora, della Sperani: Numeri e Sogni e l'Avvocato Malpieri.

Se in quelli v'ha la virile robustezza di scrit- trice — che tutti riconoscono nell'A... —la ninna

preoccupazione di tare un'opera d'arte dilettevole pel gran pubblico come la vecchia scuola co- mandava dovesse farsi se in quelli v' ha la stu- diosa propugnatrice di nuove e generose idee sociali, e l'osservatrice di caratteri moderni, in questo Ro- manzo della Morte cosa che non avrei mai supposto v'è una muliebre freschezza di passione, v'è, nel contesto, l'idea, il proposito di fare un delicatissimo romanzo, ed in gran parte, v'è riuscita. Il romanzo entra nella sua più bella fase al S'^ ed al 6^ capitolo. e' è tutta l'arte completa della Sperani: li le scene vere della vita, come può pre- sentarle un'osservatrice della sua potenza; e se fin non si sente Argia ad amare con islancio mu- liebre — idealmente, sensualmente, invece, è in quei due capitoli ch'ella principia a rivelarsi, con tutta la desolante prostrazione in cui 1' ha gettata l'infamia d'altri, accanto a Fausto, posseduto dalla disperazione dell'amore, col cuore arrovellato dalle spine di dolore acutissimo.

(Dalla Rassegna Critica). A. Lauria.

All'opera d'arte giova quello speciale procedi- mento dell'A... per cui dall'evoluzione ascenden- tale del concetto pessimista si conchiude a un co- rollario tanto più rilevante quanto più inaspettato, sicché, con grande vantaggio dell'interesse tenuto sempre desto, e dei moderni criteri positivi, invece della glorificazione della Morte, si ha la vittoria definitiva della Vita, la quale ci si afferma con tanto maggiore intensità quanto maggiore poteva sembrare nello svolgimento del racconto la tendenza

26

a negarla. È bene che nel romanzo moderno il con- cetto scientifico si faccia strada, e, abbandonatesi le vecchie rotaie del romanticismo, si concili l'uomo alla terra prosaica, all'umile esistenza quotidiana; la vita, in fondo, non è, ad onta de' mille e mille declamatori, così insopportabile peso; essa ha uno scopo che bisogna asseguire, e, concepita con se- renità d'animo, potrebbe perfino darci de' godimenti non mediocri. Ma sopratutto guardiamoci dal ren- derci schiavi del pregiudizio; e nel conflitto fra il pregiudizio e la Natura procuriamo di astenerci dal deplorevole orrore di comprimere quest'ultima. Essa non tarderebbe a prorompere impetuosa ripigliando i suoi diritti. Questo ha capito la signora Beatrice Speraz, anzi l'abate Don Paolo e Fausto vorreb- bero esprimere, a mio modo di vedere, come per simbolo le idee dell'egregia pensatrice. L'artista, valorosissima, parmi che abbia caricate perciò un pochino le tinte de' due personaggi, destinati a sim- boleggiare tali idee, pel resto non ho nulla da os- servare: si sente nel Romanzo della Morte^ e nei ritratti e nelle descrizioni, l'artista provetta che ha saputo infondere crescente interesse nello svolgi- mento di un caso cui i meno abili avrebbero ri- stretto ne' limiti brevi della novella.

Tra gli episodi che mi hanno fatto maggiore impressione noto il drammaticissimo dialogo nel giardino tra Fausto e Argia, l'afi'annosa corsa del Lamberti alla ricerca di un luogo meglio adatto al suicidio, la scena del matrimonio in extremis così commovente nella greca semplicità.

G. Pipitone-Fkderico.

- 29 -

Eterno Inganno, 1891.

Mentre sta attendendo ad un nuovo romanzo sociale la Sperani si ricorda ai lettori con un vo- lume di novelle, Eterno Inganno.

Avrò occasione di ritornare di proposito su di lei meglio che non possa ora, tanto più che tre delle sette novelle del volume videro già la luce in queste stesse colonne. Eterno Inganno si racco- manda per le stesse qualità dei precedenti volumi: un vivo alito di modernità vi spira per entro, in- sieme con una tendenza spiccata verso le questioni sociali ed umanitarie. Forse una certa trascuratezza di forma appare più sensibile nel breve àmbito della novella in cui la fattura tecnica assume una mag- giore importanza. Delle sette novelle, mi sembrano meno felici: Un uomo d'ordine ed Eterno Inganno. Una bella donna e Alla Jonction procedono ser- rate alla meta e si leggono con molto interesse per la drammaticità incalzante degli avvenimenti. Risve- glio è uno studio di carattere che si svolge in un ospedale dei pazzi. Ma le due novelle migliori sono incontestabilmente: Il primo ritratto che ha una chiusa eflScace ed originale e V Angelina che è un gioiello di osservazione e di sentimento.

(Dalla Gazzetta Letteraria). Giuseppe Depanis.

Fra i sette bozzetti dell'eterno Inganno^ il primo: Un uomo d' ordine ^ è il più drammatico nella sua stranezza. Queir uomo il quale, per un

- 30

concetto sbagliato della vita, un concetto ascetico alla TolstoT, distrugge la propria fericità e quella della moglie, ò un esempio veramente tragico della morbosità di sensazioni e di pensieri che predomina oggi. Una bella donna è lo studio ben riuscito d'una femmina sprovvista di cuore, tutta vanità e calcolo. ~ h' Angelina la triste fotografia d'una di quelle creature semplici nate per soffrire. Ma io riserbo le mie simpatie pel bozzetto : Alle Jonction in cui la pittura perfetta dell'ambiente risalto ad una scena intima, appassionata insieme e gen- tile, ad un quadro di felicità, direi quasi melanco- nica, che è di sommo effetto ed ispirata non a pes- simismo, ma a fede nella possibilità di amori puri e costanti, torna dolce e grata all'anima.

1j Eterno Inganno può star a pari dei suoi fratelli maggiori, e suscita il desiderio che tra poco Bruno Sperani ci dia qualche nuova opera di lunga lena, in cui siano illustrati altri tipi ed am- bienti moderni.

(Dalla Cronaca d'Arte). G. Palma.

La potenza rappresentativa della Sperani è veramente grande; con la parola semplice, nuda, colla frase rapida, vigorosa, asciutta, quasi scarna e bella di una certa severità indefinibile, ella vi rende netta, viva e parlante la figura, l'immagine, r idea vagheggiata nel suo pensiero. Nessuno studio in lei per la ricerca di epiteti preziosi; nessun giro involuto di frase; nessuna descrizione ()zi()sa. Con due tocchi da maestro ella vi fa vivere una persona,

31

un carattere, vi suscita un paesaggio. Io ricordavo d'aver letto altra volta con vivo interesse il boz- zetto che s'intitola alla « Jonction. » Ebbene, non vi so dire con quanto piacere l' ho riveduto in questo volume. Com' è bella quella descrizione del punto ove l'Arve ed il Rodano, lui azzurro e altezzoso, lei bionda e rigida, presso Ginevra confondono le loro acque! La vorrei trascrivere se non fosse lunghetta e se non bisognasse leggerla col resto del racconto per comprenderne tutto il valore. In essa i lettori vedrebbero con quanta parsimonia di co- lorito l'A . . sappia ottenere effetti stupendi. E quanto sentimento di natura in quelle due pagi- nette! A me pare, nel leggere, di sentire la frescura delle acque e delle selve. Difficilmente la parola potrebbe con maggior efficacia rievocare un pae- saggio e sostituirsi ai colori ed ai suoni vivi

(Dalla Posta Caprino di A. Ghislanzoni).

a. B. B.

W

1

I