Hi St è } ii / i ì i U DI VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA DEL MEDESIMO AUTORE Pubblicazioni scientifiche: Nuova osservazione di saldatura immediata dei talami ottici. Estratto dal « Giornale dell'Ass. dei Medici e naturalisti » Anno X, 1900. Gangli nervosi compresi nella spessezza della « muscolaris mucosae » dell’in- testino. Estratto dagli « Atti della R. Acc. Medico-Chirurgica di Napoli ». Anno LVI, 1902. Le glandole duodenali di Brunner. Studio anatomo-istologico con vai tavole e xx figure. Napoli, 1903. Topografia delle glandole di Brunner nella scimmia. Estratto dagli « Atti della R. Acc. Medico Chirurgica di Napoli ». N. 1, 1906. Guida allo studio della Anatomia topografica. Un volume in 8. di pag. 400. Napoli, L. Pierro, 1908. Contributo alla conoscenza della commessura molle o trabecola cinerea del terzo ventricolo cerebrale. Estratto dagli « Atti della R. Acc. Medico-Chi- rurgica di Napoli ». N. 2, 1907. Il ventricolo del setto lucido e quello del Verga (fatti anatomici e conside- razioni critiche). Estratto dagli « Atti della R. Acc. Medico-Chi- rurgica di Napoli ». Napoli, 1908. Noduli linfatici nella spessezza dei villi intestinali. Estratto dagli « Atti della R. Acc. Medico-Chirurgica di Napoli». N. 1, 1909. ‘1 gangli nervosi delle pareti intestinali. Estratto dagli « Atti della R. Acc, Medicg-Chirurgica di Napoli». N. 1, 1909. ‘Anatomia del Sistema locomotore. Un volume in 16. di pag. 300 (ad uso della gioventù studiosa). Tip. S. Morano, 1910. Leonardo da Vinci, anatomico. Tip. S. Morano, 1910. ANTONINO ANILE VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA BARI GIUS. LATERZA & FIGLI TIPOGRAFI-EDI'TORI-LIBRAI 1911 PROPRIETÀ LETTERARIA QU 3A INS FEBBRAIO MCMXI - 26774 sa INDICE PREFAZIONE L'anima della scienza . Il Genio della Specie . La realtà di noi stessi VALLATA Per la gloria di un anatomico (P. Poirier) L’elogio degli alberi Il valore dell’organizzazione umana Napoleone e Pasteur SALTARE L’orecchio ed il senso dello spazio di von Cyon L'anima delle piante . . . . MESSO La teoria dell’evoluzione — Jean de Lamarck Carlo Darwin . Ugo de Vries . René Quinton . La scuola e la scienza La vita prima della vita . Il piecolo Museo di uno scienziato . Un eroe del mare (A. Dohrn) . L'educazione delle madri La poesia e la scienza dei fiori A Jaadi Pensieri di un biologo vegetale (F. Delpino) Libertà di scienza L'età gloriosa della nostra scienza (a. A. Bo- relli) di L'opera di Filippo Cavolini. . . . | La concezione scientifica della vita . Lodge contro Haeckel . . . . . Werra Madre GS NI e AI Società di istinto e società di coscienza . Gl’indagatori del sistema nervoso (Golgi e LI RO LIE I SAP RETE gl La legge dell’ Euthanasia INDICE DEI NOMI. . . . Pea “ai PREFAZIONE Gli articoli, in parte noti ed in parte inediti, che compongono questo volume vivono di un’u- nica idea fondamentale che li mantiene connessi come i capitoli d’una sola opera. Nel rileggerli, nel riordinarli ho rivissuto i momenti ideali donde nacquero ed ho risentito in me le stesse emozioni che mi sono sforzato di fermare nella parola. Ben poco, per questa ragione, ho dovuto togliere o modificare anche dove parrà che più strida la protesta contro alcune comode e false concezioni scientifiche, che, per quasi un mezzo secolo, impedirono il cammino fatale e dolorante del pensiero umano. Queste vigilie anzi, per quanto non siano ancora l’espressione definitiva di un pensiero Che sente di dover chiedere altro a se stesso, mi sono care per il primo movimento di ribel- lione del mio spirito che le anima. Una ribel- lione che si è andata maturando nella consuetu- dine quotidiana, per anni non pochi, con uomini e cose del mondo scientifico, e che, per altro, non mi ha impedito e non m’impedisce tuttora di svolgere il mio non lieve compito verso quella VIII VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA particolar scienza (Anatomia umana) che io col- tivo. Che anzi la coscienza dei limiti nei quali noi siamo costretti a rinchiudere per scopi pra- tici la complessa organizzazione umana non ha scemato l’ardore del mio insegnamento e non ha mutato le sorti della scuola affidatami. Amo e fo amare sempre più la mia scienza per quanto mi riesce d’integrarla in me e di ridurla in una disciplina di doveri: e niuno spettacolo è per me più doloroso che assistere all’annaspare di alcuni scienziati, o meglio scienzioidi, nei campi nebulosi d’una cosidetta filosofia biologica. Se in Italia fosse possibile quel ch’è accaduto in Ger- mania per lo Schenk, che, nel trarre frettolo- samente da minute conoscenze istologiche una teoria arbitraria per la determinazione dei sessi, sì vide tolta la facoltà di diffonderla dalla cat- tedra, noi assisteremmo ad una vera e benefica epurazione della nostra coltura superiore. La scienza nostra degenera lentamente per gene- ralizzazioni. Il lungo e severo tirocinio scientifico mi è valso anche a constatare che gl’idolatri dei fatti, gl’improvvisatori di verità concrete sono quelli che meno si sono piegati ad un ordine qualsiasi di ricerche. Si predica più facilmente in nome della scienza quando meno la si conosce. Molti che riducono la comprensione del pensiero alla conoscenza del nostro sistema nervoso non hanno di questo che un’idea molto sommaria se non falsa del tutto. Altri che parlano con sicumera dell’uomo, non ne conoscono che poche linee PREFAZIONE IX essenziali dello scheletro. Taluni che affidano l'educazione della psiche a quella dei nostri or- gani dei sensi non si sono mai preoccupati di conoscerne la struttura. Il contenuto scientifico di quel positivismo che folleggia per le piazze è cosa che fa semplicemente pena. Il fenomeno più prevalente della coltura con- temporanea, che dà già un carattere speciale all’attività spirituale del nuovo secolo, è la di- stinzione che si compie sempre più netta tra l’em- pirismo dei fatti, onde si alimentano le scienze naturali, e la ricerca di ordine superiore che rompe l’apparente uniformità del mondo esteriore e sospinge il nostro pensiero a mettere in valore le sue segrete e profonde energie. Sono in errore o, peggio ancora, in mala fede coloro che gridano al pericolo d’una nuova resurrezione della me- tafisica. Al contrario la nuova coltura si mette di contro alla metafisica di quella filosofia natu- rale che resiste perchè è alla portata di tutti e risolve senza sforzo alcuno ogni problema. Se si grida a preferenza contro le orgie del pensiero astratto è perchè si ignorano o si finge d’igno- rare le orgie del cosidetto pensiero concreto, ch'è, in realtà, più astratto dell’altro. La scienza, rientrando nei suoi confini, ac- quista una dignità maggiore come le acque che diventano trasparenti se strette nell’alveo di un fiume, Quando la nostra coltura si sarà li- berata dalle scorie del naturalismo, e tra la scienza e la filosofia, tra l’evoluzione biologica e la storia, tra l’animalità e l’umanesimo, tra X VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA l’arte e l'esperimento, tra l'istinto e l'intelligenza, tra il rigidismo dei fatti e la libertà del pensiero, tra il meditare e l’intuire vi sarà quella di- stinzione che non importa contrasto, ma esatta valutazione del mondo che è fuori e dentro di noi e conoscenza più serena delle proprie atti- tudini e delle ragioni del proprio lavoro, allora soltanto potremo dire di aver guadagnato in sin- cerità e in moralità. Il trionfo della teoria dell’evoluzione ci ha te- nuti troppo lungamente legati alla cieca anima- lità per non sentire oggi il bisogno di rompere il freddo contatto e di riconoscere che la nostra vita in tanto è umana in quanto è manifesta- zione di attività libera del nostro spirito. Noi abbiamo troppo avvilito le qualità umane con- finandole nella nostra materialità organica e separandole dal sacro tumulto sociale. Non in opposizione a questa, ma oltre di questa, v'è una manifestazione più alta dell’homo sapiens, che si sottrae ad ogni determinismo e si rivela in ordine di fenomeni storici e freme nella fan- tasia dei poeti e nel pensiero del filosofo e si raccoglie tutta in quegli atti di eroismo per ideali che sorpassano i bisogni immediati e le contin- genze della specie. L’avvilimento morale del- l'epoca in cui viviamo devesi pure a tale misco- noscenza di virtù umane. Noi oggi, per fortuna dell'umanità che segue alla nostra, assistiamo con commozione ad un ritorno di beni perduti. La mia ambizione è di contribuire a susci- tare in quelli che mi leggeranno un’ansia di ng RA PREFAZIONE XI conoscersi e di conoscere più profondamente. La realtà che si contiene nelle formole scientifiche è un risucchio d’onda; e non è certo un male rialzare gli occhi di tanto in tanto per riaprirli con gioia dinanzi al mare infinito della vita. Se ne avvantaggerà la stessa ricerca partico- lare, la quale tanto più si perverte per quanto più facilmente si appaga di sè. Noi non dobbiamo lasciare più oltre adagiato il nostro pensiero nei comodi giacigli che alcune teorie scientifiche ci forniscono, ma risvegliarlo, incalzarlo e sospingerlo verso sentieri erti sopra abissi. Noi dobbiamo rimeditare il patrimonio di coltura, del quale, per una frequente illusione, ci sentiamo ricchi. Ci accorgeremo allora facilmente che il contenuto di qualunque teoria positiva è ideale; e che la scienza, quando è seriamente intesa, non si oppone ad alcuna attività del nostro spirito. In qualche capitolo di questo libro si legge come gl’indagatori dell’età gloriosa della no- stra scienza abbiano avuto netto il senso del limite tra l’extraspezione e l’introspezione, e quale dànno sia venuto al nostro sapere da co- loro che hanno voluto confondere o, tanto peg- gio, opporre tra di loro le due attività. Assai facile mi è riuscito far palese come il mondo esteriore muti meno per sè quanto per le qua- lità mentali di chi osserva. Le cose che ci cir- condano dicono sempre quel che noi vogliamo che dicano. È sopratutto non ho tralasciato di notare come, sotto una ricerca scientifica che XII VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA sia persistente e non si stanchi di andare oltre le forme comuni, il fatto più definitivamente sistemizzato si trasmuti e riveli un’anima in cui v'è qualche cosa della nostra. L’obiettività più rigorosa ci riconduce alla subiettività; ed il pro- blema della conoscenza è un solo, ed è tutto nei valori che sono dentro di noi. ANTONINO ANILE. Napoli, gennaio, 1911. " si L’ANIMA DELLA SCIENZA Lo sviluppo straordinario, direi quasi fantastico, degli strumenti della scienza; i metodi rigorosi che impiega nelle sue molteplici indagini; la tendenza a specializzarsi sempre più; l’addensarsi di un tecni- cismo quasi sempre barbaro nelle forme dell’espres- sione e, più ancora, la mentalità caratteristica della 5massima parte degli scienziati, che diventano facil- mente intolleranti di qualunque movimento dello spirito che sorvoli dal fatto, rappresentano insieme un complesso di cause che può valere a spiegarci, come sia stato possibile, per molti anni, tracciare netta una distinzione tra l’attività del pensiero volta alla severa analisi e la virtù sintetica della imma- ginazione, e, quei ch'è più, sentir proclamare che quella, come mezzo di conquista sul mistero che ci circonda, debba prevalere su questa. Certo colui, che chiude la propria vita nel breve Ambito della specialità scientifica che coltiva, riduce anche il cerchio della propria anima e finisce per trasformare se stesso, come direbbe il Nietzsche, in un oscuro lavoratore e per impoverirsi d’energia. Nella stessa guisa l’artista, che pensi che la ispira- zione che lo domina non abbia bisogno di alcun ali- mento di coltura, renderà, senza accorgersene, meno intensa la propria produzione e finirà anch'egli ad impoverirsi d’energia. (9) VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA Qual’è l’anima che freme nel fondo di tutte le ricerche scientifiche e le coordina e le sospinge verso un fine superiore? Anche recentemente, per la morte del Berthelot, sono ricomparse a fior di carta alcune vecchie defi- nizioni, e si è detto che la scienza è pagana ed, a proposito dell’intimità che legava il Berthelot col Renan, si sono ripetute alcune vieta distinzioni. La scienza non è cristiana, nè pagana. È qualche cosa di più e di meglio: è la manifestazione più alta del- l’energia spirituale dell’uomo che ama conoscere e conoscersi. Quando la si vuol rinchiudere nel campo della esperienza, essa, con un colpo d’ala di intuizione, lo sorpassa a volo; quando la si connette strettamente al fatto, questo, come la pietra sotto l’abbraecio di Pigmalione della favola, vive, si trasforma e rompe i cancelli d’ogni nostra determinazione; quando la si considera come assertrice del reale si scopre che tutta una nuova idealità del mondo viene da lei; quando sotto la sua fredda ragione indagatrice si vede cadere ogni idolo ed ogni bisogno di religione, essa, per la prima, si affretta a smentirsi prociamando l’adora- zione di sè medesima. Non bisogna giudicare la scienza dalle singole conquiste e da singoli cultori che possiede in un momento storico. Si può, in un dato ordine di ricerche, usare a preferenza le qualità analizzatrici del proprio pensiero; e, sotto questo vigore di analisi, affinata nell’uso, scoprire nuovi aspetti di cose non mai prima intravisti, sprigionare nuove forze latenti e credere, per una immediata inevitabile illazione, che tutto il mondo esteriore sia sotto il dominio della propria critica. Da tale stato di animo sogliono nascere le illusioni della scienza. di f i rail eee pr = 206 den ) é ae | ha L'ANIMA DELLA SCIENZA 3 Ma quando quest’opera, per quanto portentosa, di uno scienziato venga esaminata, logicamente, nel tempo e nello spazio: ossia la si colleghi, da una parte, all’opera precedentemente compiuta da altri ricercatori ed a quella svoltasi dopo, e, dall’altra, si abbia cura di estendere il concetto della nuova verità faticosamente determinata mettendolo in rapporto con quello di altre verità emerse da nuovi campi di osservazione; quando cioè l’anello di un pensiero scientifico, che pare possa abbracciare il mondo, si ricollega cogli altri già saldati e con quelli che il tumulto della vita contemporanea sta per trarre dalla fucina ardente del lavoro umano, si constata facil- mente che la lunga catena che ne risulta non basta più a comprendere una sola parvenza del mondo. Valgami, per ora, qualche esempio. La nuova teoria energetica della materia, come venne formulata dall’Ostwald, richiama in luce al- cune antiche intuizioni, delle quali non pochi cultori di chimica avevano finora sorriso; e, riducendo a manifestazioni di forza tutte le proprietà generali della materia, dà alla stessa una significazione che attenua di molto il valore dei nostri esperimenti secolari e trasmuta in una di quelle finzioni così necessarie al nostro pensiero il concetto che finora avevamo avuto di alcune qualità tra le più comuni dei corpi. La trasformazione dei metalli, per cui giu- dicammo folli gli alchimisti, ricompare nella chimica. La scoperta del radio e della radio-attività scuote la teoria dell’atomo, che fu, come tante altre, una con- cezione ipotetica della nostra mente, la quale, per trovare un punto di partenza, non fa che partire da un’arbitraria limitazione della realtà. Nelle scienze biologiche la legge dell’evoluzione, così come venne concepita dal Lamark, svolta dal bag” P P ar E I ATEI Si i) O "TANO VT 4 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA Darwin e definita dallo Spencer e dall’ Haeckel, ri- mane ancora per quel che porta di elemento intui- tivo, non pratico. Voglio dire che i fatti e le ragioni addotte per integrare la legge vengono, giorno per giorno, contraddetti e sostituiti da altri fatti, che, alla loro volta, cadranno per dar posto ad altri; e, cosa strana, quel che rimane di meno mutevole in questo avvicendarsi di interpretazioni non è che il concetto del divenire, che balenò già nel pensiero dei nostri primi filosofi. Tuttavia in questa legge di evoluzione del mondo organico v’è tanto di straor- dinario che, alla frase proclamata nei primi fervori darwinistici, da uno dei più brillanti ingegni che abbia avuto la scienza medica del Mezzogiorno: « evolu- zione o miracolo », io non avrei alcuna reticenza ad opporre quest'altra: « l’evoluzione è un miracolo ». Senza dire che anche il punto di partenza (l’« ete- rogeneo » per Spencer, l’« indistinto » per Ardigò) è meno eterogeneo ed indistinto di quel che si creda; ed il semplice in quanto dà il complesso è più complesso del complesso. L’investigazione scientifica che ci fa seguire lo svi- luppo che lega l’uomo ai primi abitatori delle ver- gini foreste e questi a progenitori più lontani non ancora eretti sulla colonna vertebrale, i quali, a loro volta, sono congiunti a forme ancestrali più sem- plici sino alle amebe; l’investigazione che riattacca la vita animale a quella vegetale ad entrambe le lussureggianti manifestazioni alle materie inorga- niche della crosta terrestre poi che il nostro pianeta dallo stato fluido ad incandescente passò, per oscuro succedersi di millenni, a quello solido e raffreddato, non può in ultimo che confermarci l'intuizione filo- sofica di un grande Spirito del mondo, Le leggi del sistema di Copernico, confermate da L'ANIMA DELLA SCIENZA 5 Galileo ed intuite già da Pitagora, non risolvono che un problema molto piccolo in paragone dell’altro, che si para oggi dinanzi, minaccioso direi quasi nella sua inconcepibile vastità, cioè quello del moto del Sole attraverso lo spazio insieme col suo corteggio di pianeti grandi e piccoli, di satelliti e di comete. La dimanda già rivolta da Edipo alla Sfinge noi pos- siamo oggi ripeterla con un brivido più profondo. «Dov'è che andiamo, dove ci trasporta il Sole? » Io non voglio togliere una sola corona di alloro dal tempio della Scienza. L'umanità si trasforma, si rinnova e progredisce per questo inesausto stimolo d’indagine che l’agita; e lo scienziato che indaga ha qualche cosa di sacro come un antico sacerdote. Non importano gli errori se, con essi e per essi, noi riusciamo a sollevare un lembo d’Iside. D'altra parte v’è troppo nella vita, che noi oggi viviamo, di sano, di forte, di libero, prodotto dalla scienza, perchè alcuno possa lamentarsene. Quel che mi preme, per la dignità stessa della scienza, è di oppormi a coloro che le danno uno scopo definito particolare e perfino partigiano, e le negano quel che più freme nel fondo del suo spi- rito: l’ansia dell’ideale e l’ardore del sentimento. È contro i faziosi della scienza che bisogna alzare, ogni tanto, una voce di protesta, se si vuole, come direbbe il Weiss, che tutti ne proclamino la tacita e cosciente adorazione. i Il nuovo meraviglioso risveglio di studi filosofici trae origine dal fervore degli studi scientifici, ed il problema della conoscenza s’illumina dei risultati degli uni e degli altri. Le nuove calde correnti d’idea- lismo, che hanno pervaso e disciolto nell’ anima umana il ghiaccio del positivismo, si alimentano, per quanto ciò possa parere una contraddizione, della 6 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA scienza. Uno dei più grandi biologi della nostra epoca, il Weismann, non dice che tutta la lussureg- giante efflorescenza di sentimenti, che rampolla dalla coscienza umana, non può avere per solo obbiettivo la conservazione della vita organica dell’individuo e della specie? La scienza come la storia, la frase è di Hegel e vale a ripeterla, concorre alla spiritua- lizzazione dell’argilla umana. Chi direbbe più che il « vero è arido »? Se è ne- cessario che al poeta il mondo si riveli oltre le forme cui già videro gli occhi di Omero, non vi è oggi che la scienza che possa dischiudere nuove sorgenti di poesia. Il cielo, il mare, le stelle, l'aspetto d’una foresta che freme al vento, di un’acqua che s’inal- vea, di un bimbo che sorride dalle pupille ignare debbono oggi dire ben altro a chi guarda con occhi commossi. Il verso deve erompere spontaneo da un pensiero nutrito di coltura come il fiore della cima tremula di un ramo per il lavoro lungo e segreto delle linfe del tronco. Noi non dobbiamo soltanto « vedere », ma, come voleva Leonardo da Vinci, « saper vedere ». L’intuizione artistica è una forma della materia psichica, ed ha ala più vasta se è più saldo il sostegno donde si slancia a volo. Sarebbe strano che l'ignoranza, che è infeconda più della sabbia, dovesse produrre soltanto poesia. La scienza non è argomento di poesia per sè stessa, ma solo per le commozioni che può indurre ad uno spirito, se questi non è chiuso al senso della meravi- glia. Poetizzare le conquiste metodiche della scienza, riferire in versi qualcuno dei suoi procedimenti è un errore, che ha prodotto soltanto della cattiva dida- scalia, non mai della poesia. Il poeta crea, non ripete. Chi bene intese ciò fu il Whitmann quando nella prefazione ai suoi « Canti» ci lasciò detto: « La scienza 7 ene "o L'ANIMA DELLA SCIENZA 7 esatta ed i suoi pratici indirizzi non sono ostacoli ai grandi poeti, ma incoraggiamento e sostegno. Il marinaio, il viaggiatore, l’anatomico, il chimico, l’astronomo, il geologo, il matematico, lo storico ed il lessicografo non sono poeti, ma sono i legislatori dei poeti; e le costruzioni loro sono il sottosuolo su cui poggia l’edifizio di ogni perfetto poema. Non im- porta quello che si agiti o susurri, sono essi che suscitano il seme del concepimento di tutto, e le prove visibili degli spiriti sono loro e da loro...» Vietor Hugo, dopo di aver letto i canti del Bau- delaire, esclamò: « Io conosco ora un nuovo brivido ».. La scienza, a chi può intenderne l’anima, dà anche di questi brividi nuovi. IL GENIO DELLA SPECIE Salutiamo la Primavera che viene. Non ancora si effonde trionfalmente nell’aria, ma già le radici de- gli alberi sono turgide di nuove linfe e nelle gole degli uccelli si tessono nuove canzoni ed, a volta a volta, tra gli spiragli delle ultime fosche nuvole randagie, s’aprono occhi luminosi di cieli puri. Niuna gioia è più grande della gioia ch’è per venire. I mandorli sono già dischiusi, e sulla ramescenza aspra dell’albero, non ancora fornito di foglie verdi, tutti quei fiori rosei compongono un sorriso solo in- numerevole. I rami più esili e più riechi di corolle vengono divelti perchè la sovrabbondanza non dan- neggi la fioritura; e l’albero, rabbrividendo agli ul- timi soffi del vento occidentale, abbandona al suolo una pioggia di petali. Sono tanti i fiori che l’albero per conservare pochi frutti deve spogliarsi di gran parte della sua ricchezza; e se ne spoglia, per la gioia de’ nostri occhi, sorridendo. La Natura dona a noi, che ci contendiamo ed ar- rovelliamo per piccoli effimeri acquisti, lo spettacolo d’una ricchezza inesauribile, che, in massima parte, va perduta. Per dieci corolle, che riescono a trasformarsi in frutti, ogni albero produce moltitudini di fiori che muoiono sulle ali dei venti. Dove basterebbe un rivolo d’acqua per abbeverare il suolo fecondo, la Natura sprigiona di sè un fiume immenso, che non 10 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA ha alveo, un fiume interminabile, senza sponde, che cinge il mondo come l’antico fiume omerico. Avete osservato alcune nuvole gialle salire dense dai pendii di un mondo popolato di conifere? La nu- vola sale, si espande nell’aria, s’indugia, si colora al sole, e poi si versa in una pioggia che pare di zolfo. Sono onde di polline che si espandono dagli alberi, e vanno disperse. E non forse la parte maggiore delle infinite ener- gie procreative, che sono in noi, va perduta? Noi, non diversamente di quel che avviene nel mondo vegetale ed animale, che e’ è sommesso, mettiamo in uso un soffio solo, un piecolo soffio del respiro im- menso delle nostre energie fecondanti. Eppure per così piccolo soffio il problema messo innanzi e per la prima volta dal Malthus ci preoccupa. Declina ogni anno la nostra materialità organica, ma il Genio della specie non ci lascia per questo ed, anche nella vecchiezza più tarda, apparteniamo a lui e (non sembra vero!) anche dopo morti. È noto che i nostri tessuti germinali mantengono vivo il loro prodotto anche dopo quaranta ore dalla morte; e, se questo prodotto venisse estratto dalla nostra spoglia e messo in uso, noi potremmo procreare anche fuori della vita, dall’ombra. Le cellule ovariche d’una sola donna sono in tal numero che, se tutte si svilup- passero e si fecondassero, basterebbero a popolare una città grande quanto Roma. Ma è nel mare che la meraviglia si compie sotto i nostri occhi. Il popolo che fece emergere Venere dalle acque aveva intuito la verità, che noi soltanto oggi conosciamo. Il mare è tutto un tumulto di fecondazione, e pare che le acque siano distese sopra un solo ampio ta- lamo nuziale. Gli esseri muliebri della fauna marina IL GENIO DELLA SPECIE 1i versano le uova in proporzioni tali che il mare per un buon tratto nelle sue profondità diventa opalescente. Al richiamo di questa nube, che vaga fluttuante nelle acque, gli esseri maschili corrono versando una nube di liquido seminale, che si congiunger: ben presto con l’altra pel trionfo perenne della vita. Questa maniera di fecondazione, così diversa da quella che impone l’intimo rapporto dei due sessi, prevale nel mare. Cosa avvertono gli esseri maschili che li spinge a seguire la nube in mezzo a cui pas- sano gli esseri muliebri? E per quali sensi occulti tanto gli uni che gli altri percepiscono le vibrazioni del mare ed attendono le condizioni più propizie per effondere la ricchezza ch’è in loro? Alcune forme primitive di organizzazione animale, come, per esem- pio, i ricci e le stelle di mare, spiano, direi così, la superficie delle acque se non sia perturbata dai venti prima di esprimere la loro parola d’amore. Le nuove conoscenze sulla vita del mare sono quasi tutte uscite dalla Stazione zoologica di Napoli, che ha ripreso la sua attività sotto la nuova direzione di Riccardo Dohrn. Io amo spesso intrattenermi con gli amici, che ivi lavorano nel silenzio, e col pro- fessor S. Lo Bianco, a cui tanto devono le scienze biologiche. Egli preferisce non parlare delle sue mol- teplici ed interessantissime ricerche, e non è facile vincere la sua modestia ('). (1) Avevo da poco seritto questo articolo quando il Lo Bianco, an- cora valido negli anni, venne repentinamente rapito dalla morte al- l’affetto dei suoi ed all’estimazione dei cultori di biologia animale. La storia di questa vita, così crudelmente troncata, meriterebbe di essere conosciuta. Il Lo Bianco, da oscura condizione sociale, seppe da solo formarsi una vasta e profonda coltura scientifica e divenire il più efficace collaboratore di Antonio Dohrn. Per una commemora- zione, promossa dalla solerte Associazione dei Naturalisti di Napoli, disse degnamente di lui il prof. Federico Raffaele. 12 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA Alcuni piccoli organismi sviluppano energie pro- creative in tal numero che noi siamo costretti a par- lare di polvere di uova, come per alcune plaghe ce- lesti gli astronomi sono costretti a parlare di polvere di stelle. E, se sottoponiamo al mieroscopio una parte minima di liquido seminale, quella che può essere presa dal tocco rapido d’una punta di spillo, vediamo milioni di elementi vivi, ciascuno dei quali è capace per sè solo di fecondare un uovo. Possiamo sotto le lenti microscopiche seguire il fenomeno stesso della fecondazione: le cellule ovariche, tratte da alcuni animali marini, si mantengono vive per un certo tempo, e verso ciascuna di esse vediamo correre, quasi ebbro di gioia, un esercito di piccoli elementi seminali maschili. Uno solo di questi elementi, il primo che riesce a penetrare nel protoplasma ova- rico, determina la formazione dell’embrione. Gli altri innumerevoli, non fortunati nella corsa, muoiono. Per mari più profondi le uova, che non possono raggiungere il fondo, vengono emesse con un appa- recchio speciale di galleggiamento. Ogni cellula ova- rica porta con sè una goccia di sostanza oleosa, che non partecipa all’attività del protoplasma, ma per- mette che questo galleggi. Appena dal protoplasma si compone la larva animale natante, la goccia oleosa divenuta inutile, si riassorbe. Il. seno di ogni onda è colmo di uova galleggianti. Le specie non si perpetuano soltanto per questa produzione esuberante continua di materia viva, di- nanzi alla quale l’ala della fantasia umana è tanto breve, ma per una serie di cautele previggenti, di cure pensose rivolte a preservare il prodotto sessuale. Gli sforzi per intendere con leggi fisiche i fenomeni della nostra psiche, anche se fossero coronati di successo, lascerebbero intatto il problema, anzi lo IL GENIO DELLA SPECIE 13 renderebbero più vasto, giacchè noi dovremmo di- mandarci subito dopo quanto di pensiero abbiano le stesse energie fisiche per rientrare così armonica- mente nelle leggi della vita e produrre la realtà imponderabile del nostro immaginare. Nella famiglia dei selacei vi sono specie, che, nel- l’emettere l’uovo, lo incapsulano in una guaina resi- stente translucida, di forma ovalare, che porta agli estremi dei filamenti liberi. L’uovo già fecondato scende lentamente nei gorghi, e, scendendo, svolge i filamenti, che paiono simili ai viticei delle viti, per modo che, giunto a livello della vegetazione del fondo, si attacca facilmente per le sue estremità ai rami di alberetti di corallo, e rimane per il suo corpo so- speso in guisa che, quando l’embrione incomincia a manifestarsi, non sarà trascinato dalle correnti ma semplicemente cullato, come fanno le madri per i loro bambini. Alcune famiglie di teleostei, che vivono a grandi profondità, vengono a frotte in vicinanza delle co- ste a deporre le uova perchè i nuovi nati si trovino in acque che possano fornir loro maggior copia di alimento. A queste migrazioni periodiche noi dob- biamo la pesca del tonno. Caratteristica la migra- zione delle anguille, che dai fiumi dolci continentali raggiungono le grandi profondità del mare. L’abisso glauco le attira ed i loro piccoli occhi diventano grandi con tutte le note anatomiche degli occhi abis- sali. Quivi depongono le uova, e le piccole larve, che ne escono, risalgono dagli abissi e guadagnano a poco a poco le foci dei fiumi. I pesci, che vivono chiusi dentro le braccia dei porti, non emettono uova nelle stagioni estive quando le acque più o meno putrescenti ne ostacolerebbero lo sviluppo, ma solo nei mesi invernali quando il 14 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA mare del porto è più puro. Eccoci dinanzi ad una straordinaria facoltà di adattamento non congenita, ma acquisita. Tutte le famiglie marine, che possono usufruire di periodi favorevoli per la fecondazione, aspettano questo periodo per maturare i loro germi. Ma dove mancano questi periodi di calma la vicenda nella funzione sessuale non esiste, e l’animale è sempre pronto a dare prodotti fecondanti. Gli organismi che vivono nei mari tempestosi non hanno epoche deter- minate per la riproduzione di sè e sono sempre atti ad approfittare delle brevi pause della tempesta per emettere uova. Le condizioni esteriori di ambiente sono quelle che determinano la funzione, ed è per questo rapporto dinamico che si preserva la specie. Animali d’una stessa specie, posti in condizioni diverse, trasformano forma ed attività così da non riconoscersi più. Le meduse trasmigranti per gli alti mari maturano le loro uova in tutti i mesi dell’anno; le meduse che vivono presso le coste compiono la maturazione solo nei mesi in cui le acque riviera- sche sono tranquille. Il pesce ago della costa si riproduce durante il buon tempo; lo stesso genere, che vive in un mare largo, si riproduce alla prima occasione propizia. Il Genio della specie per trionfare usufruisce della plasticità della materia vivente; e la Natura, che pur sembra matrigna agli umani, è madre amorevolis- sima per la famiglia più ampia di tutte le cose che esultano nella luce. Non è l’individuo che importa alla Natura, ma la fiamma della vita che passa da individuo ad individuo. A er. LA REALTÀ DI NOI STESSI È tempo, per servirmi d’una felice frase orsiniana, che si « aprano i vetri » anche per la scienza e l’aria si rinnovi dappertutto. Direi anzi ch’ è assolutamente necessario che le più controverse questioni, che si agitano nel campo della scienza; ed i problemi più ardui che gli studiosi si propongono di risolvere; e gli entusiasmi e gli scoraggiamenti, che esaltano e deprimono l’animo del ricercatore, vengano cono- seiuti dal pubblico, che non è più il pubblico pro- fano di Orazio. Il propagarsi dei mezzi di istruzione (e tra questi prevalentemente il giornale) è tale che non v'è argomento di coltura speciale che non si possa rendere accessibile a tutti, ove per poco sì ab- bia cura di ridurre in proporzioni minime il barbaro tecnicismo del linguaggio scientifico e non si dimen- tichi che si può scrivere in italiano anche parlando di logaritmi e di calcolo sublime. Non credo d’ingannarmi, ma io penso che, ogni tanto, la preoccupazione di rendere chiare le proprie idee e di esporle in modo che vengano intese fuori i muri della scuola metta nella mente rigida dello scienziato un soffio di calore, direi quasi un soffio primaverile come quelli che stemperano le nevi delle giogaie e sprigionano per le fertili pianure sottoposte nuovi rivoli fecondatori. I nostri più grandi scienziati, quelli della Rinascenza, che lanciarono i germi di tutta la coltura scientitica, che oggi fiorisce pel mondo 16 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA civile, questo sapevano; e scrivevano e parlavano, meno per i loro scarsi discepoli, e più per l’umanità. D’altra parte nei nostri locali scientifici v’è da pa- recchio, troppa aria chiusa, che non fa certo bene ai polmoni di chi vi sta dentro. L’abito della fredda ed esclusiva ricerca scientifica, che si sviluppa in sè e per sè, crea una mentalità speciale che non è certo la più completa, ed il parlare dalla cattedra ad udi- tori, che vengono sempre in qualità di discepoli, dà allo spirito una visuale ristretta, che non sorpassa mai l’Ambito della disciplina, che si coltiva. Gli ele- menti di errori che il più delle volte inquinano una verità scientifica non vengono intravisti ed il risul- tato di molte ricerche, che portato alla luce del sole si feconderebbe meravigliosamente, si perde isterilen- dosi a poco a poco come avviene di aleune semenze di fiori che, conservate a lungo, perdono la facoltà di germogliare. La scoperta delle onde di Hertz do- vette passare per la mente vivida del giovane Mar- coni prima di diventare telegrafo senza fili. La produzione scientifica, già enorme, si accresce di giorno in giorno mettendo in serio imbarazzo ogni ricercatore che voglia tenerne conto. Non v’è freno alcuno, nè controllo per l'indagine speciale. In arte ed in filosofia v'è dibattito di critica. Nella scienza soltanto si diventa facilmente inviolabili; e si è dato alla verità scientifica tale un carattere di esattezza ch’è diventato termine di paragone per ogni fatto che sia definitivamente stabilito. * *x * Una delle scienze che parve fino a pochi anni fà più comodamente adagiata su basi sicure è quella che ha per campo di indagine la realtà umana. Prima ancora che l’uomo venisse studiato nel suo divenire \ ida LA REALTÀ DI NOI STESSI 17 sociale e nei suoi rapporti col mondo esteriore e si sviluppasse l’ Antropologia, una schiera non esigua di scienziati con nobile pertinacia si preoccupò di determinare l’architettura del nostro corpo nei suoi sistemi, nei suoi organi, nelle sue minime parti com- ponenti. Ora, dopo parecchi secoli, da quando i nostri grandi anatomici proclamarono che « non si dovesse stu- diare l’anatomia scritta da Galeno, ma quella creata dall’ Onnipotente » ed iniziarono quel sistema di ri- cercare che ancora perdura, possiamo dire di cono- scerci, non dico nella nostra essenza, ma almeno nelle forme onde si rivelano al nostro sguardo le parti- colarità del nostro corpo? La dimanda a qualcuno può parere anche superflua, ma io non temo di es- sere audace affermando che ancora molto ci resta a conoscere, e di quanto conosciamo gran parte è falso ed artificiale. Il corpo umano è sfuggito e sfugge ancora ai limiti che arbitrariamente gli anatomici vollero assegnargli. Dalla storia degli studi di bio- logia, per chi sappia abbracciarla sinteticamente, vi è da trarre non pochi insegnamenti d’indole filosofica. Parve fino a pochi anni or sono che, tra le scienze naturali, Anatomia umana, a preferenza delle altre, dovesse considerarsi come una scienza d’indiscu- tibili risultati, di conquiste sicure. Le si assegnava il compito di raccogliere e deserivere le forme del- l’organizzazione umana nel loro periodo direi così statico, a sviluppo completo. Il materiale di osser- vazione, fatto di spoglie mortali, non lasciava sup- porre dispareri e controversie nei risultati. Una specie di pedestre geografia del corpo umano privo di vita. Gli anatomici tuttavia, pur rinchiudendo la loro at- tività in limiti così brevi, non portarono mai un con- tributo coneorde. Sembra a prima vista impossibile, ANILE A. 2 18 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA ma la descrizione di un organo fatta da un autore non coincide mai esattamente con quella fatta da un altro; e due libri di anatomia non corrispondono tra loro neanche nella esposizione delle cose meno com- plesse che sono in noi. Già il più antico trattatista di Anatomia, Mondino dei Luzzi, nel riferire le proprie osservazioni fatte sui primi cadaveri dissecati, ci de- scrive piuttosto quel che era stato già visto da Galeno e dagli Arabi anzichè quel che videro i suoi occhi (‘). Le cause di tanti dispareri in una scienza pura- mente descrittiva derivano in parte da condizioni subbiettive ed in parte da condizioni obbiettive. Le prime s’intendono di leggieri se si riflette che per l’Anatomia, come per tutte le altre scienze biologi- che, il presupposto dell’infallibilità dell’osservazione che si trova riferita non ha valore. Chi indaga non scinde mai sè stesso dall’oggetto esterno e quel che si descrive è meno quel che è e più quel che ap- pare. Ancora una volta trova conferma la verità intuita dal filosofo di Kénisberga per cui la cono- scenza della realtà esterna è relativa alla nostra na- tura. Le seconde, ossia le condizioni obbiettive, si riferiscono ad una verità già intuita dal Goethe, quando scrisse che nelle forme organiche non v’ha nulla di fisso, d’immobile e di assoluto, e tutto è coinvolto in continuo movimento. Gli antichi anatomici, dissecando il corpo umano, ebbero già a notare con sorpresa che il ripetere un’os- servazione non riusciva quasi mai di conferma alla precedente. Di sovente un muscolo, un’arteria, già (1) Mondino lavorò a Bologna nel 1316. La sua opera, a cura dei discepoli, fu stampata nel 1478. Per citare un esempio dei suoi errori, ricorderemo che egli, in presenza del fegato umano a quattro lobi, non sa rigettare la nozione dei cinque lobi attribuita da coloro che dissecarono soltanto animali. LA REALTÀ DI NOI STESSI 19 definiti nel loro sito e nei loro rapporti, apparivano in condizioni diverse. Queste differenze dal tipo ar- tificialmente stabilito vennero classificate come va- rietà o anomalie. Ed è accaduto che per qualche formazione la serie delle anomalie è tale che la de- serizione tipica, che d’ordinario ci viene offerta, non ha proprio nulla che meriti di stare a parte e di non rientrare nell’eleneo comune delle anomalie. Ogni anatomico, che voglia oggi per conto proprio ripe- tere l'osservazione fatta dagli altri, si trova a dover stabilire fatti nuovi; ed in questi ultimi anni v'è negli anatomici una gara a correggere gli errori del- l’anatomia classica. Non è da dubitare che gli ana- tomici dell’avvenire faranno lo stesso per questi d’oggi, che avranno soltanto il conforto di ridiven- tare classici anche essi. E non basta. La termino- logia anatomica è la più bizzarra che si possa im- maginare: il significato d’una stessa parola varia da autore ad autore; e la descrizione di un organo in rapporto alle tre sole dimensioni, che noi assegniamo allo spazio, è uno sforzo continuo di violare la realtà multiforme. L’uso, poi, invalso in parecchi, di non controllare le citazioni bibliografiche permette che un errore si ripeta imperturbabilmente di generazione in generazione. Sotto questo riguardo in anatomia y’ è tutto da rifare e sarebbe preferibile che i maestri consigliassero ai giovani meno lavori originali e più lavori di controllo. Tentativi di unificare il linguag- gio, di mettere un po’ d’ordine nella baraonda delle parole non sono mancati; e di recente in Germania si è riunita una Commissione a scopo di scegliere una terminologia da adottarsi generalmente. Lo sforzo della Commissione è stato, come è facile intendere, inane, giacchè è impossibile un accordo sulle parole se prima non intervenga un accordo sulle idee. 20 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA Dinanzi a questa enorme varietà di fatti vien vo- glia di dimandarsi cosa rappresenta ciò che noi tro- viamo riferito dai più coscienziosi osservatori: e se non si debba credere che la realtà raccolta nei no- stri libri sia piuttosto, in massima parte, prodotto di un arbitrario concetto di limitazione, di uno di quei « pseudo concetti », a cui, secondo il Croce, si ispi- rano le scienze naturali (*). * *x * Ora, dopo Lamark, Darwin ed Haechel e dopo il trionfo della teoria del trasformismo e lo sviluppo delle indagini nel campo dell’anatomia comparata e della embriologia, gli studi, che mirano alla conquista della realtà umana, sono per acquistare vera dignità di scienza, intesa non solo come notizia di fatto dello stato presente, ma anche come previsione dello stato futuro e revisione dello stato trascorso. S’incomincia ad intendere che il corpo umano ha ben poco d’im- mutabile e che ha certo una struttura più complessa di quella che non abbia una roccia, che lascia ai venti, che l’investono, qualche cosa di sè e, muta la sagoma della sua figura nel tempo. Le varietà od anomalie non vengono più conside- rate come capricci di natura, ma come apparenze che hanno ragione di essere. Infatti, se ci ricordano disposizioni consuete in animali di specie a noi sot- toposta, debbono farci pensare che il limite che divide l’organizzazione umana dalle altre rimaste indietro non è così netto come prima immaginavasi (1) Altre considerazioni in rapporto alla stessa questione, trovansi riferite nel proemio messo ad una mia recente pubblicazione scienti- fica: Guida allo studio dell'anatomia topografica, edit. L. Pierro; libraio depositario cav. Pasquale Napoli, 1906. LA REALTÀ DI NOI STESSI 21 e tra le forme superiori e inferiori della vita è una vicenda continua di alternative. Se poi stanno a rivelarci caratteri di perfettibilità acquisita, forme assunte in un individuo per gradi di evoluzione maggiore confermano in noi il concetto del divenire continuo non solo della nostra spiritualità, ma anche della nostra materialità organica. Il corpo umano, come qualunque altra espressione di vita che si svolge sotto il Sole, non è, ma diviene per gradi più o meno percettibili; e gli anatomici che credettero di descrivere le forme da noi defini- tivamente assunte descrissero soltanto un momento delle stesse. L’uomo nel suo sviluppo embrionale (ontogenesi) passa per fasi che riassumono brevemente la storia della vita animale (filogenesi). Può questa teoria evo- lutiva, intravista prima dal Serres e da Geoffroy-Saint- Hilaire e confermata più di recente dall’Haeckel, mostrare oggi qua e là delle lacune e non apparire accettabile in ogni particolare, ma è fuori di dubbio che in noi, nel breve periodo di nove mesi necessario al nostro svolgersi, si riassume rapidamente il dive- nire secolare della vita animale sulla terra. Di questa sintesi meravigliosa che si compie in noi, e che pare piuttosto una grande concezione poetica e rende la comparsa dell’uomo più miracolosa che non sia nella tradizione biblica, non è possibile stabilire limiti netti. Quando il nostro sviluppo si compie e veniamo alla luce noi portiamo dentro tracce variabili del cam- mino percorso attraverso le altre forme per raggiun- gere la nostra. Ogni individuo sotto questo riguardo differisce dall’altro; e queste differenze rappresentano la massima parte delle varietà, che modificano il tipo architettonico che gli antichi anatomici ebbero del corpo umano, Pi x de VIRNA SAINT 29 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA xx Ma quel che importa notare è questo: che noi, nel corso della nostra vita, non cessiamo di modificarci. Queste nuove modificazioni che non possono non rien- trare nel dominio degli studi anatomici, danno a que- sta scienza un valore dinamico, che prima non aveva. Io non posso qui diffondermi in esempi, ma le no- stre ossa, le nostre articolazioni, per parlare degli apparecchi più solidi, si adattano alle abitudini della nostra vita giornaliera, e mutano forma e rapporti più di quel che non si possa immaginare. Il tessuto connettivo, che intercede fra i nostri organi, si ad- densa in varia guisa in lamine od in fasce, più o meno robuste, a seconda del lavoro che noi chie- diamo ai nostri muscoli. È a spese del connettivo che la Natura, eterna Penelope, tesse e ritesse in noi le sue tele: e nulla noi avvertiamo dell’intimo lavorio. Ogni individuo ha così una trama propria. Modifiche più essenziali ancora vengono indotte negli apparecchi di vita di relazione. I nostri organi di senso si trasformano in sè, e, più ancora, nei rap- porti che assumono col sistema nervoso, onde noi percepiamo. L’occhio nostro, così precocemente pie- gato sulle scritture e precluso dalle città, in cui d’or- dinario viviamo, agli ampi orizzonti, si adatta alle nuove civili funzioni perdendo sempre qualche cosa della squisitezza del suo congegno fisico; e quel che perde noi cerchiamo riparare con le lenti. Guadagna invece nei suoi rapporti col mantello cerebrale, per cui diventa maggiore il suo valore psichico. Tutta la nostra sensorialità è una onda che si estende sem- pre più nel campo della nostra coscienza. Il sistema nervoso, ossia il dominatore di tutte le nostre funzioni, non ha nulla di statico. Noi, sotto LA REALTÀ DI NOI STESSI 23 questo riguardo, creiamo noi stessi. Dal bambino, che atteggia le labbra al primo sorriso e compie gl’in- certi tentativi del cammino, allo adulto, che ripetendo per mestiere un gruppo di movimenti li organizza in sè, è tutta una evoluzione che si compie in noi e che non si arresta che nella estrema decrepitezza. Nel venire alla luce noi portiamo nel nostro sistema nervoso la materia onde, vivendo, plasmiamo la no- stra personalità. Le fibre nervose si rendono pervie a poco a poco e come si determinano i nostri biso- gni. V’è anche una ragione anatomica nel fatto che Goethe solo a tarda età, potette compiere la seconda parte del « Faust »; e Giuseppe Verdi la musica dell’ « Otello ». Non poche conseguenze storiche e sociali si po- trebbero dedurre da questo enorme potere dinamico che è in noi. Già il Colajanni nel suo magnifico libro « Latini e Anglosassoni », dimostrò quanto debba ritenersi falso il presupposto della superiorità d’una razza su l’altra. È superiore soltanto quella razza che si educa a divenir tale; e per gl’individui come per le nazioni non vi è che un solo problema da imporsi: quello del sapersi educare. PER LA GLORIA DI UN ANATOMICO (PAUL POIRIER) Con la morte di Paul Poirier, testè avvenuta in Parigi, scompare uno di quegli anatomici che più si mantenne fedele alla tradizione classica della scuola francese, la quale, pure accogliendo in sè e tesoreg- giando i risultati delle scienze affini, non ha creduto ancora di dovere abbandonare lo studio del corpo umano. A questa tradizione, che si vanta di nomi quali il Richet, il Sappey, il Farabeuf, noi dobbiamo una serie non interrotta di ricerche, a cui il Poirier, con i suoi studi sui linfatici e con le sue lezioni di anatomia topografica, ha portato un contributo di alto valore. Io non posso qui diffondermi intorno alia produ- zione speciale di questo giovine anatomico, che volle anche essere un chirurgo e seppe vincere tante volte, operando sugli altri, la morte. V’è nell’opera del chirurgo qualche cosa di saro, giacchè egli solo sente sotto le sue dita pulsare l’arteria nuda ed egli solo sente il soffio divino che turbina nei nostri tes- suti vivi e sa il fremito del tendine reciso, Nella vita che palpita è il mistero più alto; e nel simbolo degli antichi àuguri che traevano, dinanzi alle turbe attonite, gli auspici dalle viscere fumanti degli ani- mali immolati, si nasconde una significazione più profonda di quel che non sembri. Il Poirier divenne chirurgo dopo un lungo tiro- cinio anatomico ed egli, come già il Billroth, dovette 26 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA a questa preparazione, che oggi si ha il torto di tra- scurare, i rapidi successi della sua attività profes- sionale, per cui, tra i chirurghi francesi, venne scelto ad operare Waldeck-Rousseau. Disceso dalla Norman- dia egli, nel glauco sguardo profondo e nei folti capelli precocemente argentei, portava piuttosto le traccie di un figliuolo delle terre del Sole. Ricordo la visita che egli fece all’Istituto anatomico dell’ Uni- versità di Napoli ed il compiacimento che mostrò al prof. Antonelli nel constatare che le tradizioni di questa scuola rispondevano a quelle della sua in Francia. Nelle inflessioni della sua voce metal- lica era qualche cosa di caldo che conquistava gli animi. D’improvviso, nella pienezza della sua balda vi- rilità, mentre tutte le sue energie erano volte a fon- dare un’associazione scientifica di lotta contro il cancro, egli si accorge di essere colpito al fegato da un male invincibile, probabilmente della stessa na- tura di quello che si apparecchiava a combattere negli altri. Cosa egli vide nel lampo di questa fatale intuizione di sè? Ai discepoli che cercavano alimen- tare in lui quella illusione, che a nessun uomo è contesa, e per cui si muore ancora sperando di vi- vere, egli mostrò sapientemente nel suo corpo i se- gni palesi del morbo che non perdona e, con uno stoicismo ignoto agli antichi, ne seguì, giorno per giorno, le fasi e, comprimendo le fitte del dolore, ne parlò fino agli ultimi istanti da maestro che sa e sente in sè ad una ad una le resistenze irrepara- bilmente cedere. * *x * Se l’attività chirurgica del Poirier dilegua con l’irrigidirsi della sua mano, non è così per la sua di PER LA GLORIA DI UN ANATOMICO 27 attività anatomica che, raccolta in volumi, conserva un carattere speciale, su cui vale la pena d’ insistere, Da parecchio l’ indirizzo degli studi, che mirano alla conoscenza della complessa organizzazione umana, è, sotto un certo aspetto, fuorviato. È parso che il corpo umano non avesse più nulla a rivelarci ed i giovani anatomici hanno preferito l'indagine sul ter- reno vergine degli animali inferiori. È questa una indagine più elegante e più secura di risultati con i nuovi mezzi che fornisce il lavoro microscopico. Oggi si può essere anatomico senza avere alcun rap- porto col cadavere umano. Ora, senza volere insi- stere sui danni immediati che da questo indirizzo derivano all'insegnamento anatomico, che suole d’or- dinario impartirsi nelle nostre Facoltà medico-chi- rurgiche, ossia a giovani che debbono sul corpo umano esercitare la vigile intelligenza, non sembrerà audace affermare che la realtà umana è la meno conosciuta se di tutte le altre n’è la sintesi mera- vigliosa. Coloro i quali pensano ancora in buona fede che il cadavere umano sia stato già abbastanza ana- lizzato e nulla possa più dirci non hanno mai visto da vicino come la morte compone la nostra vita e come questa si plasmi variamente in ogni individuo. Io rammento ad una ad una le sorprese avute. La mia giovinezza fioriva di canti e d’illusioni quando, per compiere un severo tirocinio scientifico, dovetti interrompere ogni dolce consuetudine d’arte e rinchiudermi nelle fredde sale di un teatro ana- tomico. , Le giornate trascorrevano fredde, monotone, ma a poco a poco un nuovo mondo di meraviglie mi si rivelava. È mia intenzione raccogliere, quando che sia, le impressioni a cui soggiacque allora il mio spirito. # 28 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA Non di rado, quando un raggio di sole irrompeva d’improvviso nella cella mortuaria, a me pareva che sui cadaverì nudati si stendesse benigna una coltre d’oro, ed interrompevo per poco la paziente disse- zione. Qualche altra volta, nelle fredde mattinate in- vernali, se la pioggia batteva violentemente contro le vetrate, a me pareva che m’interrogasse, che chie- desse ragione del mio lavoro, che fosse l’interroga- zione continua pertinace del cadavere ripetutami dal di fuori come un’eco moltiplicata per i vari tortili meandri d’una caverna. Altre volte in certi occhi vitrei sbarrati io vedevo fermato il riflesso d’una verità eterna come la comprensione fugace istan- tanea, nell’attimo del morire, del destino umano. Nello stesso paziente lavoro di dissezione per scoprire ed isolare un plesso nervoso, una ramificazione arte- riosa, entravano elementi perturbatori, poichè in alcuni intrecci di fibre nervose sono rispettate in modo meraviglioso le leggi dell’armonia come nelle sottili venature delle foglie, nel succedersi concentrico delle lamine legnose nel libro di un tronco arboreo; e nella distribuzione ramescente delle arterie, che si espandono in reti capillari v'è un ritmo segreto che si ode, v'è un’ascensione che tende miracolosamente ad espandersi come avviene per le chiome degli alberi nell’aria. Senza dire che alcune spoglie di lavoratori usi allo sforzo conservano, nella rigidità delle loro masse muscolari che si disegnano in dolci salienze sotto la cute, un aspetto, direi cosi, ancora vitale come di una energia che sia per rivelarsi in altra guisa. È qualche cosa di palpitante che abbia voluto per poco fermarsi; è come un variare di onde mute- voli che si sia rapidamente congelato per poi ridiscio- gliersi e disperdersi nel mare dell’essere; è l’attimo fuggente fermato per un attimo. La morte prima di PER LA GLORIA DI UN ANATOMICO 29 decomporle fissa meravigliosamente le forme, e la bellezza del corpo umano può rivelarsi in tal maniera più ancora che per i capolavori dell’arte. Quante volte un aggruppamento di muscoli non mi fece comprendere il grido entusiastico del pittore Ingres: «les musceles, ils sont tous mes amis >». A queste impressioni dello spirito, per cui anche una cella mortuaria può essere argomento di poesia, ne seguirono ben presto altre nell’ordine del pen- siero. Procedendo nel lavoro io constatavo che non una delle descrizioni, lette nei libri e qualificate di fedelissime, delle particolarità del nostro corpo cor- rispondeva a quanto io vedevo con i miei occhi. Non pochi degli osservatori hanno visto quello che hanno voluto vedere; altri si sono imposti uno schema che ha falsato la loro visione; altri, e sono i più, si sono contentati di serivere di anatomia ripetendo le os- servazioni altrui e risparmiandosi la pena di ogni controllo diretto. Avviene così che la boscaglia de- gli errori nelle scienze esatte è più folta di quel che si possa immaginare e per un tronco, che un colpo audace di ascia abbatte, cento nuovi germogli ir- rompono. i I tipi di anatomici che, come l’Hyrtl, si accingono a scrivere un manuale raccogliendo e vagliando le proprie osservazioni e tenendo dinanzi i preparati, coscienziosamente eseguiti per un lungo ordine di anni, non sono oggi molto frequenti. 2a * * Paolo Poirier fu uno di questi. Egli, pure racco- gliendo i dati del nuovo indirizzo morfologico che impone all’anatomico la conoscenza di tutte le altre forme di vita, in quanto sono ed in quanto divengono, seppe contenere la sua indagine più specialmente 30 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA intorno all’organizzazione umana. Nella breve pre- fazione al suo trattato di « Anatomia umana », ch’ è ancora uno dei migliori libri che possono servire ai bisogni della gioventù studiosa, egli determinò i limiti entro i quali deve svolgersi l’attività del- l’anatomico che ha di mira sovratutto i bisogni della pratica medico-chirurgica. Niuna delle scienze, che concorre a spiegarci una particolarità del nostro corpo, deve essere esclusa dalla propria coltura, ma niuna deve prevalere in guisa da farci trascu- rare l'osservazione diretta del corpo umano, che porta in sè, per gradi variabili, le tracce dei suoi rapporti innumerevoli con gli animali inferiori ed ha nella compagine dei suoi tessuti e dei suoi organi materia che si plasma variamente durante la vita e le abitudini a cui ci pieghiamo. Considerare l’uomo come qualche cosa di statico, di divenuto significa ridurre la legge dell’evoluzione soltanto alle forme inferiori della vita e rinchiudere in limiti assai me- schini il concetto dell’uomo, a cui il poeta greco dell’« Antigone » rivolse il verso immortale: « Vi sono molte cose meravigliose, ma l’uomo è la più mera- vigliosa di tutte ». Il Poirier raccogliendo i suoi studi sulle ossa, sulle articolazioni, sui muscoli, sulle arterie, ossia sulle parti del nostro corpo, che parvero sempre le più note, ci lascia una miniera di osservazioni originali, le quali, in gran parte, rappresentano un contributo non indifferente alla conoscenza di noi stessi. E se al lavoro di lui si aggiunge quello dei suoi migliori discepoli e quello di non pochi anatomici tedeschi contemporanei, quali il Waldayer, il Toldt, lo Zu- ckerkandl, che non mai disdegnarono di ripiegarsi sul cadavere, si resterà vivamente sorpresi di con- statare come, dopo tanti secoli di pertinace indagine, sli 1 SA LA d PER LA GLORIA DI UN ANATOMICO 31 questa piccola parte di creazione, ch’ è il nostro corpo, tanto poco di sè ci abbia rivelato e tanto altro pro- mette di rivelarci. Proprio un microcosmo nel ma- crocosmo. Uno studio diligente sui metodi che, prevalendo or più or meno, si sono alternati nelle scienze bio- logiche avrebbe un indubbio valore filosofico, evi- terebbe il perpetuarsi di alcuni errori che hanno ritardato e ritardano la conquista di alcune verità e gioverebbe non poco alla soluzione del problema della nostra scuola. Si è pensato (e v’è traccia di ciò nei nuovi regolamenti universitari) che se sia oggi indispensabile una tal quale coltura biologica negli studiosi di materie letterarie e filosofiche; ma non si è pensato se, per caso, non fosse di maggior necessità l’ inverso, ossia una coltura filosofica, anche ridotta alla comprensione dei grandi sistemi, che si sono avvicendati nella storia del pensiero umano, a quanti si dànno alle scienze. Quale scienziato, nell’iniziare un esperimento, si preoccupa delle con- dizioni che possono togliere valore di verità al risul- tato che si propone di raggiungere? L’ interessante è di sperimentare; non altro. Mentre la filosofia moderna, da Bacone a Kant, è un ammonimento continuo sul problema della no- stra conoscenza e sulle condizioni immanenti che la perturbano; noi continuiamo a far della scienza, spez- zettandola perchè sia pasto di chiunque, disehiuden- dole dei sentieri invece che delle vie maestre, senza mai preoccuparsi d’una visione superiore che la in- tegri, che la districhi dalle piccole esperienze, che la componga ad unità e la pervada di quel soffio immortale che mantenne acceso il fuoco rapito al- l'Olimpo nel pugno di Prometeo. st KE | L’ELOGIO DEGLI ALBERI Anche senza sapere con qual segreto ritmo pul- sino le linfe sotto la dura cortice, l’albero, nel sem- plice suo aspetto, è una di quelle meraviglie vegetali che la natura offre alla gioia dei nostri sensi. Mentre il primaverile sorriso, chiusosi sui rosei mandorli, indugia ancora sulle cime tremule dei peschi bian- cofioriti, non parrà strano che io distolga per poco l’attenzione dalle quotidiane cure per dischiudere ai lettori un orizzonte verde rigato da linee di alberi tanto più alti nel cielo per quanto più profondo le oscure radici s’immergono nella terra. Per questa doppia espansione l’albero raffigura l’ansia dell’alto, che-è tanto più viva per quanto più dolora la nostra anima. I popoli lontani dalla storia, non scemati ancora dalla verginità dell’intuito, usavano consolare l’ani- ma dei loro morti sotterrandone la spoglia a piè di un albero. Essi sapevano che il corpo, discioglien- dosi in umori, passava nelle provvide radici e quindi nel tronco e nei rami, i quali, protendendosi nell’aria, risvegliavano loro l’immagine di braccia paterne ria- pertesi per proteggere ancora. Con poetica illusione, agli alberi più longevi si affidavano i cadaveri più diletti affinchè qualche cosa del bene perduto s’im- medesimasse nell’albero ed il vento, stormendo tra le foglie, ridestasse un’eco della parola preclusa ed i fiori aperti sorridessero del sorriso dell’anima amata. ANILE A. 3 34 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA L’albero e l’uomo sono le due meraviglie della vita. Un albero adolescente è come un bambino; e, quando si veste di sole e mette le prime foglie ed apre le prime gemme floreali, diffonde attorno la stessa dolcezza che viene dagli occhi infantili lucidi tra i petali rosei delle palpebre. Per la morte del suo unico figliuolo il Carducci non serisse che una lirica sola indimenticabile, fatta di poche strofe, dove è intesa la corrispondenza tra l’albero ed il bambino. Ricordate? « L’albero a cui tendevi La pargoletta mano...». Poi l'albero si rafforza, espande i suoi rami; si riveste di un’ampia capigliatura e mormora le prime parole e freme e canta nei venti con voci sinfoniche, che Beethoven giovinetto amava sentire correndo per le patrie foreste. Quando i continenti emersero dal mare, gli alberi ne composero stabilmente le forme. Le primitive fo- reste di felci arboree plasmarono la superficie della Terra e ne infrenarono le acque e, nello scomparire sotto nuove vicende cosmiche, si irrigidirono in fo- reste di carbon fossile, donde deriva la ricchezza e la forza dei nostri usi civili. Ancora le nazioni più ricche sono quelle che conservano nel proprio seno tracce di foreste antiche ed espandono al sole l’am- pio onduleggiare di chiomate foreste nuove. I Numi tutelari d’una stirpe albergano sulle montagne co- ronate di foreste. La parola più alata di Cristo fu detta nel sermone della montagna tra gli alberi. * x * Presso di noi si sa ancora ben poco dell’ impor- tanza economica, igienica e sociale che hanno gli alberi e le foreste. Un articolo per questo argomento vastissimo è come un letto di Procuste. La nostra patria, se non avesse gran parte della sua colonna ia dt pr di te ‘ . 4 do * pr n L'ELOGIO DEGLI ALBERI 35 vertebrale appenninica completamente denudata, sa- rebbe dieci volte più produttiva, più ricca e più salubre di quel che non sia; ed il problema della malaria, che sul doppio versante infesta i piccoli nuclei di abitazione, sarebbe già risoluto senza il chinino di Stato. È un abito mentale tutto nostro preoccuparci degli effetti immediati, affaticarci a correggerli, sciupando tesori di energia, senza mai risalire alle vere cause produttrici. D'altra parte è per questo che i ministri, che si avvicendano, hanno sempre qualche cosa da fare, ed il nostro Parla- mento risuona di parole. Un paese che disbosca, muore. La Svizzera senza le sue foreste di conifere sarebbe un deserto sab- bioso, e plaghe estese dell’Austria e della Germania non sarebbero abitabili. Chi vuol darsi ragione perchè alcune zone della Terra, che furono un giorno focolai di civiltà, siano ora dei deserti infecondi, non deve che pensare allo scomparire degli alberi. L’Oriente e la Palestina, finehè vennero protetti dai cedri del Libano e dalle foreste dell’ Hermon, furono paesi meravigliosi di bellezza. Nella Scozia disboscata l’au- mento delle brine tardive e delle gelate primaverili ha interamente distrutta la produzione delle frutta. L’assottigliarsi delle immense foreste dell’ America non è estraneo alla maggiore frequenza e violenza dei cicloni devastatori. La romantica valle di Trento è divenuta inabitabile da quando le alte montagne, che la circondano, sono diventate calve. Le foreste conservano il carattere generale del clima di una regione e ne diminuiscono gli sbalzi. Gli alberi favoriscono il liquefarsi delle prime nevi autunnali e delle ultime primaverili, ed abbreviano la durata dell’inverno e diminuiscono il pericolo delle inondazioni. Gli alberi conservano quel grado È 36 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA di umidità dell’aria che è abituale di una contrada e che, entro certi limiti, è necessaria alla salute degli uomini e degli animali. Gli alberi proteggono, a guisa di alte barriere, le piantagioni basse. La pineta di Ravenna, che temperò l’ardore di Dante fuggiasco, difende dall’amaro vento adriatico le fer- tili campagne della forte Romagna. Le foreste diminuiscono la frequenza delle grandi- nate nelle valli e nelle pianure e regolano in ma- niera meravigliosa la distribuzione delle acque. Gli alberi resinosi coniferi hanno nei loro aghi mezzi onde si compie lo scambio dell’elettricità tra cielo e terra, e, come fa il mare, attraggono e producono nuvole. Le foreste agevolano il gonfiarsi delle sorgenti e delle acque sotterranee e alimentano perennemente l’andare dei fiumi. La siccità delle Puglie, della Basi- licata meridionale e di parte della Calabria sta in rapporto a deficienze di boschi. Il Nilo ch’è il san- gue dell’ Egitto, trae alimento perenne dalle foreste dell’Africa centrale. Il sistema radicale degli alberi cementa l’ « humus » e lo rinsalda. I populei fiumi hanno un alveo natu- rale per i filari di pioppi che s’inseguono lungo le rive. Perchè un torrente non danneggi più bisogne- rebbe soffocarlo tra le mille braccia d’una foresta. Secondo un naturalista francese il nostro doloroso | primato nell’analfabetismo dovrebbe mettersi anche in rapporto con la scarsa nostra ricchezza forestale. Certo è che presso tutte le altre nazioni è una preoccupazione continua per il rimboschimento delle montagne. La Francia in pochi anni ha speso oltre. 50 milioni e più ancora la Germania, che moltiplica i suoi Istituti di coltura forestale. Chi avesse va- ghezza di sapere quel che si fa altrove, sul propo- sito, dovrebbe riaprire il prezioso volume del Cantani L'ELOGIO DEGLI ALBERI 37 « Pro Sylvis ». L’illustre clinico consacrò gli ul- timi anni di sua vita a risvegliare negl’italiani la religione degli alberi, e serisse un’opera piena di fede e di scienza che dedicò (ahimè inutilmente!) alle Camere dei nostri deputati e senatori, che ignorano forse ancora tale omaggio. * x * L’Italia ha un solo Istituto di coltura forestale: Vallombrosa. Ivi, attorno all’antica Abbazia, si di- svolge la magnifica foresta di giganteschi abeti, che rendono sì amena la valle. Al fosco verde degli abeti segue il verde più gaio dei sottostanti castagni e dei faggi. La foresta di abeti è opera secolare dei frati vallombrosiani, che pare abbiano fissato l’ele- vazione spirituale delle loro anime in questi tronchi diritti, che, benehè bianchi, amano avvolgersi d’om- bra e di concederla. Fin dal 1869 nel grandioso edifizio dell’ Abbazia ha sede l’Istituto forestale con i suoi laboratori, con le sue preziose raccolte di sezioni di tronchi, col suo museo xilologico e teenologico e con i suoi gabinetti di silvicoltura. Le tradizioni di questa scuola sono tra le più gloriose. Ne vennero fuori i nostri mi- gliori uffiziali forestali, la cui opera ignorata e mal retribuita è valsa, più d’una volta, a riparare danni funesti per le nostre provincie meridionali. Le pre- ziose raccolte della scuola, offerte in parecchie esposi- zioni all’amministrazione degli stranieri, procurarono al nostro inglorioso Ministero di agricoltura, auree onorificenze. Un numero notevole di pubblicazioni di argomento forestale attesta l’attività scientifica della scuola, donde mossero i primi passi aleuni tra i nostri più valenti biologi vegetali, quali il Delpino, il Borsì, il Cavara. 38 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA All’Istituto è annesso un arboreto, rieco di più che tremila essenze legnose, a cui, da quasi un trentennio il prof. Perona spende ogni sua cura. Il vivido arbo- reto è diviso in tre sezioni, ed in ciascuna di esse le piante sono state così educate da proteggersi vicen- devolmente contro le brusche variazioni del clima e l’ira dei venti. Le condizioni del terreno e dell’aria sono state studiate in rapporto ad ogni albero. E come una popolazione docile che si sia lasciata gover- nare paternamente e che risponde ogni anno con gratitudine di rifioriture e di nuove foglie. Due diret- tori del Ministero dell’agricoltura, il Miraglia ed il Semoni, furono larghi di aiuto e d’incoraggiamento all’opera del Perona. Poi le cose mutarono, ed il Pe- rona, che era riuscito a riparare i suoi alberi dalle violenze atmosferiche, non potè far nulla contro il malvolere e l’insipienza altrui. Nel 1895 un conces- sionario di stabilimento idro-terapico ottenne che una parte dell’alboreto scomparisse per dar sede al nuovo edifizio. Si dovette sgombrare in fretta e in furia e molti alberi giovanetti dovettero essere sradicati e trasportati altrove. Nel trasporto, non pochi rari esempi di conifere perirono. Non era trascorso un anno, ed un nuovo lembo dell’alboreto venne tolto per la costruzione d’una strada. Pure quella colle- zione di alberi, tra indigeni ed esotici, era il vanto migliore della scuola, ed i più illustri dendrologi francesi e tedeschi non furono parchi di lode per l’opera paziente del Perona. Per ragioni non certo scientifiche vennero impe- diti i tagli rasi, o a turni, nella foresta di abeti, la quale, non potendosi più rinnovare, sarà destinata, in un lungo volger di tempo, a scomparire. Ora, mentre le altre nazioni creano nuovi Istituti forestali e qui da noi si constatano ogni giorno le unta Se fl at L’'ELOGIO DEGLI ALBERI 39 conseguenze irreparabili del cieco disboscamento delle nostre montagne, un più oscuro pericolo grava su questa unica scuola di coltura superiore forestale che abbiamo. La scuola costa allo Stato parecchio, gli studiosi che la frequentano diminuiscono di anno in anno, non v'è dunque ragione che impedisca annet- terne gl’insegnamenti ad un centro popoloso di studi, di più facile accesso, che potrebbe essere Fi- renze. Apparentemente il ragionamento non ha una grinza. Ma una coltura forestale non può assumersi al di fuori della foresta e, finchè quella di Vallombrosa non si muoverà con tutti i suoi tronchi, come la fo- resta di Shakespeare nel « Macbeth », si potrà par- lare d’insegnamenti accessori o magari d’ ingegneria, ma non di quello forestale. Dove e come si impar- tirà l’esercizio pratico della silvicoltura che comporta i tagli a diradamento, la semina, il trapianto, le ope- razioni di tutela e di tassazione ed i lavori di topo- grafia con strumenti delicati non facilmente traspor- tabili? Si affiderà forse l’arboreto ad un giardiniere? Si svolgerà il corso di botanica forestale su quadri naturali? Presso le altre nazioni le scuole forestali sono tutte in mezzo a boschi, e in massima parte hanno il carat- tere di scuole speciali autonome. L'Italia conserva ancora una legislazione forestale che è stata giudicata come semplicemente barbara. Persino la Spagna ed il Portogallo hanno fatto più di noi per ridistendere il mantello arboreo sulle loro montagne. Nel Giappone v’è questa legge: per un albero che si estirpi un nuovo se ne pianti. L'Istituto di Vallombrosa si spopola, non per ra- gioni di ubiquità, ma perchè il nostro Ministero di agricoltura, in tutte altre faccende affaccendato, non 40 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA ha fatto nulla perchè la carriera degli ufficiali fore- stali avesse qualche richiamo; ed i pochi volente- rosi, che ancora rimangono, trovano ostacoli insor- montabili nello svolgimento del loro dovere. Quel Ministero è stretto in un cerchio ferreo di influenze politiche. Un albero non vale certo un voto. Pure è necessario che il problema della nostra legi- slazione forestale si affronti una buona volta; e que- st’opera, che segnerà l’inizio di un rinnovamento economico e sociale, dovrà svolgersi non con i soliti criteri di dilettantismo parolaio, che prevalgono, pur troppo, nella nostra vita politica, ma con larga partecipazione di coltura scientifica speciale, che, per fortuna, non manca più tra noi. Gli alberi debbono ridiventare, come furono già per i nostri padri, sacri. I IL VALORE DELL’ORGANIZZAZIONE UMANA Se fosse possibile scioglierci dai vincoli delle no- stre abitudini e separarci, per poco, dalla vita che viviamo e riaprire quindi gli occhi novellamente alle cose e riportare l’anima vergine dinanzi allo spet- tacolo del mondo, niuna forma tra quelle che si mani- festano sotto il sole, potrebbe darci un senso di mera- viglia più profondo quanto la forma viva del nostro corpo. Chi di noi immagina più quale miracolo sia l’uomo sulla terra? Noi finiamo troppo presto col sentire il fastidio di noi e dei nostri simili e per- diamo, coi giorni che passano, ogni facoltà di entu- siasmo per le bellezze che la natura ci offre, ed i volgari bisogni ci stringono così e ci sorpassano come fanno i fiumi sulle basse vegetazioni. Tutto ci egua- glia, si adegua sotto un orrizzonte grigio. Ai poeti dovrebbe essere serbato il compito di trarci dalla morta gora. Ma quanti sono tali in mezzo alla falange di versaiuoli, più o meno industri in cercar rime preziose, che abbiamo? Ancora se vogliamo sentire un soffio vivo di poesia per la bellezza della forma umana non ci resta che riaprire Omero e rileggere i canti dove i Numi, che hanno divine sembianze umane, si contendono la protezione dei cadaveri di Patroclo e di Ettore. Tutta la civiltà greca non è che un inno alla bellezza della specie umana. Tra i poeti moderni non v’è che la musa selvaggia di Whitmann che ha dell’entusiasmo 49 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA dell’uomo e quella dionisiaca del Swinburne e quella serenamente olimpica del Goethe, che amò su tutte le cose sè stesso per la bellezza fidiaca del suo corpo. Anche lo Shelley dalle virginee forme, ha nel suo « Prometeo » impeti di gioia per quanto fiorisce in noi. Certo, poi che gli uomini portano in sè l’ impronta della vita che vivono, ben poco rimane oggi del tipo eroico del nostro corpo. Noi, guadagnando in facoltà di piccoli adattamenti, corrompiamo non solo la nostra linea spirituale, ma anche quella somatica. Le nazioni più commerciali sanno ciò, ed impon- gono ai loro giovani un’educazione fisica, di cui non abbiamo idea, e che dà ragione degli slanci di con- quista della loro razza. Noi, appena da qualche anno, come desti da un lungo letargo, pensiamo a fare qualche cosa di simile; ed è bene augurante che un fisiologo ed un anatomico, il Mosso ed il Todaro, abbiano speso la loro opera per lo sviluppo delle nostre nascenti associazioni ginnastiche. Qualsiasi forma, anche la più comune ai nostri occhi, riacquista un nuovo fascino se procediamo a conoscerla più intimamente. Un’apparenza non è che un velame che ne copre altre. Leonardo da Vinci nel disegnare una mano intese, per la prima volta, il bisogno di vederne anche la struttura che si na- sconde sotto la cute; e divenne così un precursore di studi anatomici. Una conoscenza, anche superficiale, della nostra organizzazione non dovrebbe mancare in ogni spe- cie di coltura. L’evoluzione organica, trionfando in noi, riassume in modo mirabile tutte le forme prece- dentemente percorse e le adatta e le compone in una sintesi viva. Nelle meraviglie e nelle armonie che sono in noi v'è nutrimento per ogni pensiero. Lo stu- dio più proprio dell’uomo dovrebbe essere l’uomo. ian pei IL VALORE DELL’ORGANIZZAZIONE UMANA 43 Le scienze, che studiano l’uomo, sono parecchie, ma così malamente distribuite che ormai s'impone una riforma delle medesime. Per i bisogni pratici è nelle Facoltà di medicina che più si studia l’uomo: e l’Italia ha oramai buone scuole di anatomia, ed anatomici, quali il Romiti, il Chiarugi, l’Antonelli, per citare i meglio noti, che hanno educato più d’una generazione all’indagine scientifica del corpo umano. Attorno a questi maestri è una schiera di giovani, veri epigoni spirituali, che, seguendo vario indirizzo, tendono ad un fine unico; quello di portare un con- tributo sempre più notevole alla conoscenza di noi medesimi. L'organizzazione umana è cosa sì complessa che a noi non resta, per intenderla in certo qual modo, che salire dalle forme più semplici a quelle più evolute. Nel percorrere in tal guisa la scala zoolo- gica, noi, giungendo all’uomo, riusciamo a darci ra- gione di alcune particolarità di forma, e riconosciamo subito che la descrizione classica, lasciataci dagli antichi osservatori, è manchevole, dove non del tutto arbitraria. Gli è che il nostro occhio tanto più vede per quanto maggiore è il nostro contenuto psichico, ed è così che organi descritti nella maniera più sem- plice dagli studiosi che ci hanno preceduto ci rive- lano ora a noi quasi un nuovo loro aspetto. La realtà muta non solo per sè stessa quanto per le trasfor- mazioni che avvengono nei nostri sensi, e non v'è nulla di strano nel prevedere che le stesse forme già pel nostro lavoro mentale sì ben determinate, appa- riranno diverse agli occhi degli osservatori futuri. D’altra parte se noi passiamo allo studio degli animali inferiori, dopo aver avuto una conoscenza dell’architettura del nostro corpo, riconosciamo molto più complesse le organizzazioni, che, in sè stesse 44 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA potevano sembrarci elementari. Soltanto colui che può percorrere nell’un senso e nell’altro la scala zoologica è in grado di compiere quella serie di espe- rimenti introspettivi, per cui si riesce ad intendere un verso solo, un’idea della vasta concezione co- smica, che è davvero il poema più sublime che si sia mai affacciato al nostro immaginare. Per il risul- tato di questi, diciamoli pure, esperimenti introspet- tivi, giacchè si compiono con i valori del nostro pen- siero, le scienze di osservazione hanno assunto una dignità che le mette al disopra delle scienze pura- mente sperimentali. Ma non basta. Un organo non è che un aggre- gato di elementi anatomici (cellule) che non appaiono ad occhio nudo. La cellula è il rifugio ultimo della forma ancora definibile pei nostri sensi, oltre di cui non riusciamo a concepire configurazione di materia organizzabile. Quel che esiste di là dalla cellula è l’infinitamente piccolo, in cui il nostro pensiero nau- fraga come nell’infinitamente grande. Sono le colonne di Ercole che, da una parte e dall’altra, 1’ Incono- scibile alza di contro all’ansia della nostra indagine. Gli elementi anatomici diventano più piccoli come si sale nella scala zoologica ed in generale la loro dimensione varia da un millesimo ad 80 millesimi di millimetro. Come questi elementi si raggruppano a falangi, ad eserciti per comporre le trame dei nostri tessuti e come attingono vittorie più alte negli organi e come mutualmente vivono e quali intime rispondenze passano tra loro e quale segreto lavorìo compiono ed a quali leggi ubbidiscono per darci una manifestazione di energia, è argomento suscitare di nuove meraviglie. La nostra corteccia cerebrale, per calcoli che sono certamente molto al disotto del vero, contiene un pe IL VALORE DELL’ORGANIZZAZIONE UMANA 45 miliardo e duecento milioni di sole cellule nervose; ed entro ciascuna di queste v'è un mondo di partico- larità minute, a conquistare le quali si frange ancora l’indagine pertinace degli istologi. Se Atlante, nel mito, sosteneva faticosamente su le sue spalle il Cielo, noi oggi sappiamo di sostenere dentro di noi, senza accorgercene, non un cielo solo, ma i cieli di tutti gli astri che si sono accesi e si accenderanno nel Tempo. Attorno ad ogni nostra cellula v’è un alone di sostanza intercellulare, che ne deriva, come attorno ad ogni astro, che si rassodi, si compone una: fascia propria di atmosfera. Occorre altresì che la nostra forma organica si studi nelle trasformazioni che subisce nel suo dive- nire. Ed ecco un nuovo campo vastissimo di ricerche aperto all’anatomico, il quale conserva un nome che non risponde più al contenuto della sua scienza pas- sata in prima linea tra le biologiche. Per molte idee che si trasformano e si espandono noi eonserviamo ancora delle parole che non si adattano più come vestiti di bimbi per un adulto. Gli studi embriolo- gici sono in pieno fervore ed è per essi che il nostro corpo, poi che plasmandosi compone e ricompone le forme inferiori della vita e riassume, durante nove mesi in segreto tumulto la storia millenaria dell’or- ganizzazione animale, ci rivela nuove armonie non mai prima intese. Possiamo ora meglio intendere l’esclamazione del Goethe: il cuore dell’uomo è il centro dell’universo. Gli studi embriologici, valendosi del metodo spe- rimentale, tendono oggi ad uno scopo ancora più alto: carpire il secreto dello sviluppo della forma organica, intendere le leggi naturali meccaniche, per cui da un comune protoplasma informe tanto tu- multuar vario di forme esulti sotto il Sole. Non è 46 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA possibile prevedere quali sorprese ci darà questa scienza anatomo-fisiologica dell’avvenire; che appena da pochi anni, per opera di Guglielmo Roux, è com- parsa audacemente nel campo della biologia. Forse un ostacolo non anco previsto ne renderà più diffi- cile lo svolgimento, ed è questo: che a noi sfugge, in maniera assoluta, la determinazione di influenze che non capitano sotto i nostri sensi, e quelle che possiamo produrre sperimentalmente sono quasi sem- pre perturbatrici. Perchè soltanto il mare dovrebbe sentire nel suo largo palpito le influenze di condi- zioni meteoriche? Ogni manifestazione di vita, oltre le segrete ragioni che ha in sè stessa e che noi pos- siamo lusingarci d’intendere, ha ragioni superiori per legami invisibili che legano la vita di un filo d’erba alla vita del Tutto. * * * Io non ho fatto che accennare brevemente a quale dignità sono assunte le scienze che studiano l’Uomo. Per una riforma degli studi universitari, che dovrà presto seguire alla economica (sarebbe stato certo più utile per gli studi fondere le due riforme in una sola) è necessario raggruppare queste scienze in ma- niera più conforme agli scopi che si propongono. Nelle Facoltà di medicina gli studi di anatomia umana non possono non conservare un indirizzo prevalen- temente pratico. È necessario un insegnamento pa- ziente di anatomia sistematica, che deve integrarsi da una parte in quello di anatomia microscopica e dall’altra in quello di anatomia topografica o delle regioni del corpo. Lo studio della forma, che precede quello della funzione, è la migliore disciplina per le intelligenze giovanili, che vogliano severamente educarsi. IL VALORE DELL’ORGANIZZAZIONE UMANA 47 Ma è sopratutto nella Facoltà di scienze naturali che importa dare una conoscenza anatomo-fisiologica della nostra organizzazione. Dove più di proposito si studiano gli animali inferiori e se ne comparano le forme e gli apparecchi strutturali, è strano che manchi ancora la visione del termine piu alto di para- gone ch’è l’uomo. Ogni scienza biologica, che non tenda alla comprensione dell’uomo, perde qualche cosa di sè. Senza dire che alcune scienze, dove più folto è il numero dei dilettanti rumorosi, come l’antropologia e la psicologia, acquisterebbero altro valore se si preoccupassero di possedere intera la conoscenza anatomica dell’organizzazione veramente superiore e dinamica ch’è in noi: quella del sistema nervoso. È per questo sistema che l’uomo sta solo al sommo delle specie animali come innalzato da un soffio di- vino; ed è qui che l’anima umana immerge le sue radici perchè il pensiero si dischiuda e l’immagine voli con ala fatidica. NAPOLEONE E PASTEUR Ho visto le due tombe, che sono ai confini op- posti di un medesimo « boulevard », in una chiara giornata di un dolcissimo autunno, in cui l’oro delle foglie, che cadono turbinando dagli alberi del Bois de Boulogne e dai giardini propinqui, pare che si trasmuti e si disciolga in qualche cosa di fluido, che colora e riscalda l’aria della grande città. La tomba di Napoleone, chiusa nel severo mo- numento che l’accoglie, dà l'impressione che si potrebbe avere trovandosi soli nel mezzo d’una vastissima necropoli. Oltre le concave pareti della cappella degl’ Invalidi l’anima vede una serie infi- nita di tombe. Non fo romantici rimpianti; e penso anch’io che gli uomini delle nuove falangi, che per- corsero trionfalmente l'Europa, sarebbero a quest’ora morti egualmente, e noi non avremmo avuto l’epopea napoleonica. Ma nel monumento stesso del primo Imperatore la polvere scolora già i nomi e le date delle battaglie memorabili, e le bandiere hanno così attenuato nel tempo i loro colori fiammanti e mostrano così sfi- lacciato negli orli, non più mossi dai venti liberi, il canavaccio della loro trama che noi si sente che qualche cosa di giorno in giorno continua a morire dentro la tomba dell’uomo che tante volte serrò nel ANILE A, 4 50 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA pugno la chioma della Vittoria. A comporre la no- stra vita intima e la sociale sono entrati fattori sì diversi che il tumulto della storia napoleonica, da noi distante appena di un secolo, ci sembra già con- finato in un’atmosfera di leggenda. Ben diversa è l'impressione che si prova visitando la tomba della gloria più fulgida che abbia avuto la Francia dopo Napoleone: quella di Pasteur. In una cripta dello stesso Istituto, che da lui s’ intitola, chiusa in un sarcofago di granito purpureo, sta la spoglia di colui che ottenne il maggior numero di vittorie contro la morte. Lungo le pareti della cripta coperte da un aureo e fine mosaico, si leggono incisi i nomi delle battaglie vinte, ed a sommo dell’ar- chitrave, che sovrasta la soglia, v’ è questo pensiero : che bisogna imporre all’anima un ideale per cen- tuplicare le proprie intime energie. Al di sopra e al di fuori della cripta non v'è un museo di cose invalide e di bandiere sdrucite, ma un fervore inin- terrotto di lavoro di discepoli e di seguaci che sen- tono ammonitrice, più che non fosse viva, la parola del maestro. Pare che il cuore di Pasteur palpiti ancora nel yasto edifizio, dove si perseguono le in- dagini da lui iniziate e si contendono giorno per giorno nuove prede alla morte e si respira il riflesso della idealità di un avvenire più equo e meno do- lorante per la stanca famiglia umana. Nella prima tomba eroica, per ogni giorno che passa, qualche altra cosa muore; nella seconda più modesta, per ogni ora che volge, si accende un nuovo soffio di vita. NAPOLEONE E PASTEUR 51 5 * * L’opera compiuta da L. Pasteur è veramente straor- dinaria ed unica nella storia delle scienze. Egli diede alle industrie nuovi poteri ed alle scienze mediche i soli mezzi possibili per debellare la coorte dei morbi che e’ insidia. Bisogna rievocare con la fantasia la descrizione manzoniana della peste e quella tol- stoiana degli ospedali da campo prima della medica- tura alla Lister, e pensare, poi, quali barriere in- sormontabili noi ora abbiamo eretto contro le più micidiali epidemie e come riesca oggi perfino ad un fanciullo rendere innocuo il processo di guarigione d’una ferita, per rimanere sgomenti dell’ efficacia esercitata dall’opera di un uomo solo. La vita di Pasteur, per le propaggini che ha diffuso nelle varie attività dello spirito, ha già una storia che non cape nei limiti della nostra mente; e certo non peccò di esagerazione chi disse che egli, in pochi anni, era riuscito a ridare alla Francia i miliardi versati dopo la disfatta di Sedan. Fin dai suoi primi studi di pura chimica apparve la tendenza del suo ingegno ad operare da sè. L’om- bra dei suoi maestri gli accendeva l’ansia della luce. Pervenne così sollecitamente a gittare le basi della nuova teoria della dissimetria atomica, per cui un altro carattere differenziale veniva a stabilirsi tra le sostanze organiche e le inorganiche. Ma una serie di dimande battono già nel suo pen- siero: com’è che scompare il materiale degli esseri organizzati quando si conelude il cerchio della loro vita? Poi che l’attività della morte non ha tregua di contro a quella della vita, cosa avverrebbe della superficie terrestre se il materiale morto non dovesse * ALITO 52 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA scomparire? Dove trovare l’esplicazione della scom- parsa del cadavere e della pianta caduta? E quali ignoti processi si compiono perchè il mosto della ven- demmia bollisca nei tini e la pasta di farina s’in- turgidisca e si renda acre ed il latte si cagli ed il sangue si putrefà e la paglia delle ariste e le foglie disfatte ridiventino « humus » fecondo? Pasteur, a grado a grado, serenamente, affronta l’enigma di ciascuna di queste dimande, e, provando e riprovando, sperimentalmente, le risolve. Dapprima lo Stato gli è avaro di mezzi, ed egli spende quanto è suo e della sua compagna degna di lui a crearsi un laboratorio. In questo ordine di ricerche il primo lavoro di Pa- steur riguarda la fermentazione lattica. Egli scopre in questa l’azione di un essere organizzato vivente pic- colissimo, del diametro di un millesimo di millimetro, e con una facoltà enorme di riproduzione. Compare così nella scienza la prima idea del fermento orga- nico. Poco dopo scopre un nuovo fermento organico; quello dell’acido butirrico. Portato da idea in idea e da esperimento in esperimento, egli ferma il « primum movens » della putrefazione nella presenza di un vi- brione microscopico. La putrefazione non è che una fermentazione di materie animali. La differenza tra i due processi è solo nella diversa composizione chi- mica delle materie fermentanti; ed insieme non rap- presentano che la prima fase del ritorno all’atmosfera ed al Sole di tutto ciò che ha vissuto. È dunque ancora la vita quella che presiede al lavorio della morte. Esseri infinitamente piccoli, prime forme di orga- nizzazione appena affacciantesi sul limitare dellavita, abbozzi di vegetalità e di animalità (funghi, bacteri, monadi, microbi, protozoi, protofiti) soddisfano il grave compito di ristabilire l’equilibrio della vita NAPOLEONE E PASTEUR 53 rendendole, in perenne circolo, quando essa ha for- mato. Le manifestazioni viventi più alte e più perfette vengono distrutte dalle più infime, se distruggersi può dirsi il trasmutarsi che fa il palpito di un cuore nel palpito della luce solare. Questo nuovo ordine di fatti, vittoriosamente sta- biliti contro le diffidenze degli scenziati di allora e contro l’autorità del tedesco Liebig, non mettono tregua nel pensiero di Pasteur. Egli si domanda ancora come finiscono questi piccoli esseri, quale sia il loro cielo vitale. Un fermento organico, che ha compiuto la sua opera, diviene a sua volta un am- masso di materie organiche morte, che, ai primi tepori dell’està, viene investito da vibrioni e da germi di batteri, i quali assorbendo, per svilupparsi, l’0s- sigeno dell’aria determinano lente combustioni e riducono la materia in gas. I fermenti dei fermenti, come egli dice, sono semplicemente dei fermenti. Se, per poco, mancasse l’azione di questi piccoli esseri, la superficie del nostro globo diverrebbe inabitabile per l'ingombro delle materie organiche. Pasteur non perde mai di vista il lato pratico delle sue ricerche. Egli sa che la scienza non ha altro valore che questo; e passa a studiare il problema della trasformazione del vino in aceto e le altera- zioni dei liquori e le malattie della birra e quelle del baco da seta. La Francia vinta dalla Germania riguadagna, in quegli anni, il primo posto nel campo dei commerci e delle industrie. Ma gli avversari di lui non ancora si danno per vinti. Memorabile è il suo dibattito con Pouchet, il quale con ripetute esperienze credeva di aver di- mostrato che i fermenti vengono, non dal di fuori, 54 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA ma dalla materia stessa per generazione spontanea. La lotta tra i due ricorda quella già dibattutasi, un secolo prima, tra il prete cattolico Needham ed il prete italiano Spallanzani : il primo convinto fautore della generazione spontanea, il secondo fiero e te- nace oppositore. Pasteur invita l'avversario a ripe- tere pubblicamente le sue esperienze. Tutta Parigi intellettuale s’interessa alla contesa. Nell’ampia sala dell’Accademia delle Scienze, Pouchet con ogni cau- tela si prova a dimostrare il suo asserto. D’un tratto Pasteur chiede che si faccia il buio nella sala, ed ottenutolo, lo rompe bruscamente con un fascio di luce. Allora nei piccoli granuli di polvere, a mi- riadi danzanti e turbinanti nel pulviscolo del raggio luminoso, egli indicò i germi di vita che ci avvol- gono da ogni parte, e la cui azione l’esperimentatore più accorto non può evitare. La generazione spon- tanea dileguò quel giorno tra le chimere. Le scoperte di Pasteur interessano ormai tutto il mondo scientifico e spingono in Inghilterra il Lister a formulare il suo metodo antisettico. Si apre una nuova èra per la chirurgia e la figura spettrale della Cancrena abbandona gli ospedali. Il successo del Lister spinge a sua volta il Pasteur a studiare l’origine delle malattie. Egli non è nè medico, nè veterinario, ma pensa che i concetti sulla fermentazione possono trasportarsi allo studio dei morbi infettivi. L’agente infettivo, « virus », deve essere anche una forma viva come il fermento; un microbio, che, moltiplicandosi nei corpi animali, causa la malattia, come il fermento la fermentazione. A ciascuna malattia infettiva deve corrispondere un « virus » specifico. La malattia virulenta non è spon- tanea, ma ha causa, come per la fermentazione, al di fuori; e sarà certo possibile evitarne il contagio, NAPOLEONE E PASTEUR 55 Pasteur studia così il carbonchio, ed incomincia una. novella istoria per la medicina. La Francia perdeva ogni anno migliaia di uo- mini, e le mandrie di bovini dei piani della Nor- mandia venivano irreparabilmente decimate. Pasteur conferma gli studi precedenti del Davaine su l’agente unico produttore della malattia, e scopre inoltre il vibrione settico, da cui deriva la setticemia che si accompagna all’infezione carbonchiosa. Poco dopo riesce a stabilire la virulenza dell’elemento miero- scopico, già intravisto dal nostro Peroncito, che dà il colera dei polli. E, molto riflettendo sui nuovi fatti, pensa al modo come attenuare e forse vincere del tutto il potere micidiale di questi piccoli esseri che si propagano nel sangue. Quando acuiva la sua attenzione dinanzi ad un nuovo problema da risolvere la sua faccia si trasfigurava, e l’anima grande si raccoglieva nel- l’occhio lampeggiante come l’energia diffusa dai cieli nel bagliore della folgore. Poi, dopo il tumulto, sor- rideva vittoriosamente come sorridono i cieli dopo la tempesta. aa Se nella più parte dei morbi infettivi non si ha recidiva, e la scoperta empirica del Jenner valse a combattere il vaiuolo, vuol dire che la malattia pre- serva sè stessa. Pasteur dischiude pel primo la via alla preparazione artificiale dei « virus attenuati » o « vaccini »; e, dopo difficoltà enormi serenamente superate, annunzia la scoperta del vaccino dell’ in- fezione carbonchiosa. Le mandrie ridiventano folte, e la Francia conta un’altra vittoria sul mondo civile. Pasteur riposa passando da un lavoro all’altro, ed ecco un nuovo ordine di studi per combattere 56 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA la febbre puerperale. Dai suoi concetti derivano i recenti mezzi di cura, per cui le madri, non più trepidanti di sè, possono ora sorridere alla nuova creatura, che nasce dal cuore del loro cuore. Gli ospedali e le sale anatomiche opprimono lo spi- rito di Pasteur, non uso a questi spettacoli, ma egli è fortemente consapevole della missione da compiere e non teme pericoli e sente in sè moltiplicarsi le energie. Una giovane esistenza muore dinanzi a lui tra le convulsioni spasmodiche della rabbia. Egli ne rimane profondamente colpito, e rivolge da quel giorno la sua attenzione a studiare la oscura e ter- ribile malattia. Basta che la sua attenzione si rivolga ad un problema perchè questo si risolva, come il metallo che si fonde contro la fiamma che gli è di- retta. Nacque così la cura antirabbica, per cui mi- gliaia e migliaia di vite umane sono state e sono ogni giorno sottratte alla morte. Compie nel suo labo- ratorio la prima analisi batteriologica delle acque potabili, e preserva popolazioni intere da infezioni oscure, di cui prima nulla si sapeva. Non sembra possibile (non poche altre scoperte di lui ho tralasciato) che io finora abbia detto dell’at- tività di un solo uomo. L’opera di Pasteur contiene gloria per cento generazioni. L’Istituto Pasteur, ricco ora di nuovi edifizi ed accresciuto di mezzi per generose largizioni private e fornito di ospedali per ogni specie di malattie in- fettive, rappresenta, nella vasta e tumultuosa me- tropoli, una piccola e tranquilla città scientifica, dove si mantiene ardente come nel tempio delle Vestali la lampada della vita. Un discepolo prediletto di Pa- steur n’è alla direzione: il Roux, e con lui lo slavo Elia Metchnikoff. Attorno ad entrambi una schiera di giovani di tutte le nazioni, votati al sacrifizio. Mi è NAPOLEONE E PASTEUR 5T dolce tra questi fare il nome del nostro Alessandro Salimbeni, che colpito, più volte, nelle sue ricerche, dalle stesse infezioni contro cui egli combatteva, non cedette nell’ardore, e volle guarire soltanto per ri- tornare al suo posto. Io conosco la vastità della sua produzione scientifica, ma egli non ama parlare delle cose sue, e preferisce ricordarmi qualcuno dei suoi compagni, come il Thullier morto di colera in Egitto. So anche che contro questa terribile epidemia il Sa- limbeni ha già compiuto una serie di esperienze ori- ginali, per cui, tra breve, potrà proclamarsi un’altra grande vittoria della scienza della vita contro la morte. Io insisto per saperne qualche cosa, ma egli mi risponde che le sue esperienze, per quanto riu- scite, non sono ancora in numero tale da permet- tergli di formulare una conclusione definitiva. Passeggiamo insieme per i viali alberati dell’Istì- tuto, ed egli m’indica aleune aiuole di viole da lui coltivate. — I fiori sono una grande gioia per gli cechi che s’alzano stanchi su da le lenti microscopiche — mi dice; ed io penso quanta poesia è nell’anima di que- sto scienziato, che onora in Francia il nome d’Italia. — Ancora — egli aggiunge — abbiamo molto lavoro da compiere per adempiere il testamento lasciatoci da Pasteur. Parecchie delle più gravi malattie in- fettive non esistono più. Anche la difterite, per opera del Roux e del Behring, può dirsi debellata. Ma i più fieri nemici dell'umanità, quali la Tubercolosi, la Sifilide, il Canero, non hanno fatto un passo in- dietro. Riusciremo a vincerli? Certamente sì, perse- verando ed ispirandoci alle idealità dell’ iniziatore di tutti questi studi, il cui spirito ci aleggia d’in- torno. Guarda, sotto questo albero soleva il Pasteur riposare in qualche ora del giorno, ed è quella laggiù les e I Ari a I VII IENE RR E SI ARE ORE 58 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA la casa che egli abitò e dove ora la vedova super- stite, che fu anche sua collaboratrice, raccoglie i cimeli della esistenza di lui. — Io, nell’ascoltarlo, pensavo che non diversamente i primi discepoli di Cristo dovettero parlare del loro Maestro. E certo, dopo Cristo, l’umanità non può ri- cordare che un altro solo grande benefattore: Pasteur. L’ORECCHIO ED IL NUOVO SENSO DELLO SPAZIO DI VON Cron Viel Gabriele D’ Annunzio, nell’alzarsi da terra in areo- plano, non è riuscito, neanche questa volta, ad infre- } nare le ali più vaste della sua immaginifica fantasia. ; A parecchi attoniti giornalisti che ne seguirono lo È slancio, egli, rimesso il piede sul suolo, ha detto la i nuova verità: «la facoltà speciale dell’equilibrio ri- | siede nell’organo dell’udito ». La frase espressa così inattesamente, parve avere la semplicità di un’in- ì tuizione immediata, d’una immagine balzata su in \ uno di quei fervori spirituali, in cui si aprono per incanto le linee dell’orizzonte che attorno a noi si chiude; e si comprende come sia stata ripetuta, e come sia subito apparso il desiderio che intorno alla nuova verità si porti un po’ di luce. Ma il D'Annunzio non ha fatto altro che ripetere in un’occasione propizia, l’ impressione di un’ultima lettura fatta. Avvenne lo stesso per la teoria del superuomo dopo la lettura di qualche frammento del Nietzsche. Questa pronta impressionabilità, se ci conforta nel rivelarci che il suo spirito di poeta è ancora vigile, non è certo la qualità migliore per intervenire con frase definitiva in questioni scien- tifiche e filosofiche, dove ben altre virtù occorrono per elevare qualehe dubbio. e. 60 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA Questa volta non si tratta nemmeno d’una verità proclamata da uno spirito superiore. Siamo sempli- cemente dinanzi ad alcune ricerche scientifiche, che hanno valore, non per le deduzioni filosofiche, che se ne son volute, con incomposta sollecitudine, trarre, ma per il nuovo problema che viene ad offrirsi all’at- tenzione degli studiosi di cose naturali. * * Io dovrei incominciare col dire cos’è il laberinto del nostro orecchio, su cui il von Cyon ha compiuto i suoi esperimenti. Ma non è facile trovare un filo d’Arianna che ne guidi per gl’intricati meandri di questo organo, che, nel breve ambito di poco meno che due centimetri, comprende una delle costruzioni anatomiche più meravigliose del nostro corpo. Da una parte v'è l’asprezza irriducibile del linguaggio scientifico, e, dall’altra, il fatto doloroso che gli studi anatomici, da noi, non sono tanto in onore da nu- trire la speranza che, almeno lo schema essenziale della organicità di noi stessi, sia noto ai più. Pre- vale oggi nelle scienze biologiche un indirizzo, direi così, metafisico (avrò occasione di parlare di questa nuova metafisica), per cui si ama generalizzare, ed alla disciplina delle lunghe pazienti ricerche si ribel- lano coloro cui preme arrivar presto. È possibile così far della fisiologia umana a base di scarsissime e defi- cienti cognizioni anatomiche, e scrivere dei libri di psicologia riducendo la cognizione del nostro sistema nervoso al semplicismo comune dell’« arco riflesso ». Ben altro ci vorrebbe per parlare dell’uomo e della vita! Il nostro orecchio, come organo dell’udito, non è un congegno che si apprende facilmente. Il laberinto ne rappresenta la parte più complessa, e per il posto L’ORECCHIO ED IL NUOVO SENSO DELLO SPAZIO 61 recondito che occupa nella spessezza di un osso del cranio (il temporale) e per la lunga fatica che di- manda nel metterlo allo scoperto, si preferisce, invece che studiarlo direttamente, rimirarlo sopra alcuni più o meno fedeli modelli commerciabili. Eppure noi pos- sediamo le tradizioni migliori su questo argomento; e devesi ai lavori di Scarpa di Cotugno di Spallan- zani e del Venturi (non si dovrebbe dimenticare il Galvani) se un po’ di luce n’è venuta fino a noi. Il Cyon stesso (e di ciò dobbiamo essergli certamente grati) dichiara di aver fatto largo tesoro delle ri- cerche dei nostri fisiologi; ed è in omaggio alla me- moria dello Spallanzani e del Venturi, che egli ha voluto istituire un premio biennale perpetuo presso l'Accademia delle Scienze di Bologna per l’autore della migliore esperienza fisiologica sul laberinto acu- stico. Ecco uno straniero che ci richiama cortesemente alle gloriose tradizioni, che noi stessi ignoriamo, per imitare pedissequamente ciò che si fa in Germania, bene o male che sia. Il laberinto, con cui noi raccogliamo l'armonia del mondo, ci appare a prima vista come una di quelle piccole bianche lucide conchiglie per i cui tortili giri passa J’armonia del mare. Ad un primo esame ci mostra una piccola cavità centrale (vestibolo), che, da una parte, si prolunga in un canalino ritorto su sè medesimo (chiocciola) e, dall’altra, in tre canalini distinti, ciascuno dei quali si svolge a guisa di un semicerchio (canali semicircolari). Questi canali sono disposti secondo le tre direzioni dello spazio: uno è superiore con direzione nel piano sagittale, l’altro è laterale con direzione nel piano trasversale, e l’ultimo posteriore svolgente la sua curva nel piano verticale. Questo organo così fatto, a pareti ossee sottilissime, costituisce il « laberinto osseo », ed è internamente 62 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA rivestito da una membranella viva, tappezzata da cellule a cui si dà il nome di « laberinto membra- noso ». Queste cellule in alcuni punti assumono una disposizione speciale ed emettono prolungamenti de- licatissimi i quali vanno conosciuti col nome di « peli acustici » 0 « ciglia ». Contro queste cellule vengono a terminare una quantità di fibrille nervose del nervo acustico. Nella cavità del laberinto mem- branoso v’ è del liquido (endolinfa), il quale, ad ogni onda sonora dell’aria, che, irrompendo nel nostro condotto acustico fa vibrare la membrana del tim- pano, si agita. E per le mille”’gradazioni di suono che, nel medesimo istante, giungono a noi, possiamo im- maginare che avvenga qualche cosa di simile a quel che avviene in un lago quando dall’alto vi facciamo cadere delle pietre: cerchi di acqua concentrici in un largo brivido si propagano fino alle rive; e, se per poco, le pietre vi piombassero ininterrottamente, nuovi cerchi si formerebbero gli uni conelusi negli al- tri, ed il lago si commuoverebbe tutto in un tremolio, e la moltitudine de’ cerchi non ancora dileguati non impedirebbero la formazione d’una nuova serie di cerchi. Ogni commovimento del liquido del laberinto agita le ciglia acustiche come si agitano alla corrente del fiume i giunghi esili del fondo. Queste ondulazioni di ciglia, visibili soltanto a forti ingrandimenti di microscopio (i lettori pensino che noi per misurare usiamo qui il millesimo di un millimetro) vengono raccolte dalle fibre nervose del nervo acustico e por- tate al nostro cervello, dove diventano percezioni di suono; e tutto il nostro essere n’ è commosso. La- scio immaginare quel che avviene in noi quando « Wagner possente mille anime intona ai cantanti metalli ». L'’ORECCHIO ED IL NUOVO SENSO DELLO SPAZIO 63 Delle tre parti che compongono il laberinto (vesti- bolo, canali semicircolari, chiocciola) pare che sol- tanto le teterminazioni nervose della chiocciola, de- seritte per la prima volta dal nostro Corti (organo del Corti), siano devolute a raccogliere i suoni. Ai tre canali semicircolari, anche essi pieni di endolinfa e non privi di ciglia acustiche in rapporto col nervo vestibolare, quale compito spetta? Le opinioni sono molte e discordi; ed è su questo argomento che verte il lavoro del von Cyon: « Das Ohrlabyrinth als Organ des mathematischen Sines fiir Raum un Zeit. — Ber- lin, 1908 ». Gli studi di questo scienziato tedesco, di origine slava, s' impongono per la pertinacia metodica delle ricerche e per una indipendenza di giudizio. Ciò che ad essi nuoce è la preoccupazione filosofica, il volere ad ogni costo stabilire una teoria dello spazio su base di fatti abbastanza incerti. Conviene, parlando seria- mente di lui, isolarne l’attività scientifica, ch'è la sola che merita considerazione. Per il Cyon quella porzione del laberinto, che cor- risponde ai canali semicircolari, non è acustica, ma rappresenta un organo nuovo specifico per il senso dello spazio. Ecco quindi ai cinque sensi classici ag- giungersene un altro: il sesto per la facoltà di orien- tarci nelle tre direzioni spaziali. La disposizione ana- tomica dei tre canali, che s’incurvano seguendo cia- scuno un asse dello spazio, sembra fatta per dargli ragione. Gli esperimenti, che egli ci riferisce, non sono pochi; e gli animali, in massima parte sacrificati, sono i colombi viaggiatori, i quali, come sappiamo, poi che con il loro volo giungono ad un’altezza enorme così da sembrare un punto, s’indugiano alquanto nello spazio immensurato, per scomparire d’un tratto come una freccia, e raggiungere, senza 64 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA mai ingannarsi, la patria anche lontanissima della loro colombaia. Egli estirpa da ambo i lati i tre canali semicircolari, ed ottiene la perdita assoluta della facoltà di orientamento. Anche le rane, così sacre alle scienze sperimentali, gli offrono argomenti validi; egli ne sottrae le due paia di canali, disposti nel senso orizzontale; e l’animale, dopo, non riesce che a muoversi soltanto intorno ad un asse verticale. Alcuni pesci, che possiedono solo due paia di canali, non sanno muoversi che in due direzioni. Vi è nel Giap- pone una specie di topo, che, fornito del solo canale sagittale, non cammina che in questa direzione. Il Cyon critica quindi le teorie che non sono concordi colla sua, mostrando piena la conoscenza della let- tura fisiologica sul riguardo. Si sofferma inoltre lun- gamente a dimostrare il rapporto. tra la funzione visiva e quella del suo nuovo senso, e sull’armonia e sulla disarmonia delle due preziose attività. I mu- scoli che imprimono il movimento al nostro globo oculare sono dominati dai canali semicircolari, giac- chè un’eccitazione dei nervi del laberinto non acu- stico determina, insieme con la sensazione di una direzione, un movimento degli occhi, che dirigono la linea visuale nella direzione percepita. Più intimi rapporti esistono tra l’audizione ed il senso geometrico dello spazio. Contro l’opinione di Hansen, che ammette ia possibilità di stimoli per i canali semicircolari fuori delle onde sonore, il Cyon sostiene che, tutti gli stimoli normali al laberinto, siano le vibrazioni che vi giungono per la via aerea del condotto uditivo; ed è per lui evidente che la per- cezione della direzione de’ suoni, la direzione dei tre canali e quella dei movimenti volontari dei nostri gruppi muscolari siano fra loro in intima connessione. Ecco le tre idee fondamentali della sua teoria: Coen A ha dr L’ORECCHIO ED IL NUOVO SENSO DELLO SPAZIO 65 1) Noi ci formiamo la rappresentazione dello spa- zio a tre dimensioni per sensazioni generate da sti- moli che giungono ai tre canali semicircolari, i quali possono considerarsi come un sistema di coordinate cartesiane ottagonali, a cui si riferiscono le nostre impressioni esterne. Ad origine del sistema la nostra coscienza è nulla. 2) La coordinazione dei nostri centri nervosi, necessaria a trovare e a mantenere la direzione, dipende dalle funzioni di questo organo. 3) L’influenza del laberinto è anche avvertita dai centri nervosi, da cui dipendono l’equilibrio ed i movimenti del nostro corpo. Con questa teoria riesce facile al Cyon trovare l’ori- gine psicologica di tutti i postulati della geometria euclidea: la linea retta; perchè due rette non pos- sono chiudere uno spazio, cos’ è il punto ecc. Le defi- nizioni di Euclide non sono postulati, ma espressioni di concetti, che si formano direttamente in seguito a percezioni sensitive, provenienti da uno speciale organo sensorio. Ed anche per la geometria non eucli- dea non manca un ingegnoso fondamento fisiologico. x Possiamo quindi parlare oggimai di un nuovo senso a cui appartenga una speciale struttura anatomica? Parrebbe di sì, se le cautele, che in questo ordine di studi non sono mai sufficienti, non ci spingessero a rivelare il lato manchevole delle ricerche del Cyon. La posizione, che hanno i canali semicircolari nel- l’orecchio, è tale che non è veramente possibile spe- rimentare su di essi senza ledere formazioni vicine non meno importanti, e senza produrre fatti irrita- tivi cospicui, a cui l’organismo di qualunque ani- male non rimane indifferente. La determinazione del ANILE A. 5 66 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA nostro corpo nello spazio deriva altresì, e non in pro- porzioni minori, da altri sensi e precipuamente da quello della vista. Il Cyon si accorge della difficoltà di separare le due funzioni o di metterle in dipen- denza l’una dall’altra, ma non riesce a vincerle. Egli stesso ci confessa: «la possibilità di influenzare la coordinazione delle contrazioni muscolari e di man- tenere l’equilibrio non è compito eselusivo del labe- rinto, giacchè le immagini sensibili, che ci vengono dalla pelle, dalle nostre connessioni ossee, dai mu- scoli e specialmente dagli occhi esercitano la mede- sima influenza sulla coordinazione. Queste immagini possono sostituire del tutto i canali semicircolari ». Altrove, ripetendo alcuni esperimenti sui piccioni, è costretto a conchiudere che l’orientamento per le piccole distanze è in questi animali dominato dai canali semicircolari, e quello per le grandi distanze dalla vista. Il topo del Giappone, fornito di un ca- nale, ha realmente il cammino in una sola direzione se si trova al buio, non così se è nella luce. Inco- minciamo, come i lettori veggono, a perdere un po’ anche noi il sesto senso. V’è poi la formidabile obbiezione che viene dai sordomuti, i quali conser- vano benissimo la facoltà dell’equilibrio ed il senso di orientamento senza possedere il laberinto acustico e tanto meno il non acustico. E non credo inutile ricordare che in Napoli furono testè compiuti esperi- menti dal professor Montuori e dal dottor Capaldo, intesi a dimostrare che l’anestesia dei canali semi- circolari, procurata con la stovaina, non induce aleun effetto sui movimenti e sull’equilibrio del corpo. Non mancano adunque, (potrei riferirne ancora molti altri) gli argomenti in contrario; o almeno quelli che, dinanzi alla recisa affermazione del D’Annunzio in favore del nuovo senso, ci permettono di rispon- dere: « forse che sì, forse che no», L'ORECCHIO ED IL NUOVO SENSO DELLO SPAZIO 67 La preoccupazione, poi, di circoscrivere le funzioni del nostro spirito in territori ben limitati, a cui si accede per ciascuno dei sensi che noi conosciamo, risponde certo, ai bisogni schematici delle nostre scienze esatte e può anche avere un valore peda- gogico. Ma nulla di più. Noi erriamo nell’attribuire ai singoli congegni fisici dei nostri apparecchi periferici di senso le facoltà speciali della nostra anima, la quale arde e fiam- meggia, meno per i suoi rapporti col mondo este- riore, quanto per le energie intime che possiede, a cui la nostra esperienza non arriva. Se il senso della vista può darci percezioni sonore, quello dell’ udito percezioni visive e quello del tatto, sparso per la nostra cute, può raccogliere le une e le altre, biso- gna pur confessare che ben poco rimane degli schemi eleganti che facciamo per catalogare le nostre varie sensorialità. I nostri sensi sono più al di dentro degli apparec- chi terminali, dove anatomicamente sogliamo collo- carli, sono, cioè, nella nostra anima, che sente attra- verso tutto l’involuero del nostro corpo. Ricordate le parole della cieca e sorda Elena Keller: « Mi sem- bra talvolta che tutte le mie fibre siano occhi aperti a percepire l'immensa moltitudine dei commoventi di questo mare di vita nel quale siamo immersi »? Il Cyon dice che all’origine del sistema la nostra coscienza è nulla; e non ha pensato che, se così fosse, egli non avrebbe mai potuto distinguere perchè i ca- nali semicircolari del nostro oreechio siano tre e con direzione diversa. La materia, senza l’attività aprio- ristica del nostro spirito, è inconcepibile. i et a AI petti ie agli L’ANIMA DELLE PIANTE IMPORTANZA DEGLI STUDI DI FISIOLOGIA VEGETALE Quando giunsi all’Orto Botanico in uno di questi pomeriggi-invernali, che, qui in Napoli, hanno già la dolcezza ineffabile d’una gioia che viene, della pri- mavera imminente, i vecchi platani, allineati lungo il magnifico prospetto, avevano già abbandonato la ricchezza del fogliame. Nell’aria si disegnava nitido lo scheletro della loro folta ramescenza e, sospesi ai rami più esili, apparivano, in guisa di piccole bacche sferiche, i frutti dell’albero pronti a disciogliersi in miriadi di semi, di achenii sulle ali dei primi venti tiepidi. Per terra, lungo i simmetrici sentieri e sulle erbe delle brevi radure e sulle piante delle circoseritte aiuole, era un tappeto di foglie appassite, che dava, qua e là, sotto la luce obliqua del sole, dei riflessi aurei. | Attraverso un largo viale fiancheggiato da cocchi, da jubee, da datteri, cioè dai migliori esemplari di palme, che qui crescono e fruttificano senza prote- zione alcuna, m’interno nell’Orto, che conserva, nella disposizione delle piante e dei viali qualche cosa del- l’antica magnificenza. L’Orto fondato nel 1809, sotto la dominazione francese, ebbe a suo primo direttore l’illustre botanico Michele Tenore, a cui le autorità cittadine furono larghe di aiuti. Per la natura del suolo e per il clima’ speciale della città, diceva il 70 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA Tenore, noi possiamo coltivare all’aria libera, senza alcuna difesa, piante dell’Olanda Nuova, del Capo di Buona Speranza, dell’Affrica boreale e molte del Messico ed altre dell'America meridionale. Uscendo infatti da un boschetto di camelie m’incontro in un alto albero di bignonia catalpa, che vive liberamente e si riveste, ad ogni nuova primavera, di foglie. Più in là, tra molte conifere, un magnifico cedro del Li- bano spande orizzontalmente nell’aria i suoi rami. Procedo tra tronchi diritti di eucalipti, ed ecco, al mio fianco, un raro campione di mimosea brasiliana, che non pare che senta la nostalgia del paese natio. E poi rari esempi di pini descritti dal Tenore ed un grosso albero di canfora, che, toccato appena, mi rivela il profumo sottile della sua essenza. Veggo un verde boschetto di bambù che mormora al vento le strofe di un’antica poesia orientale, e, verso il con- fine nordico dell’Orto, folti cespugli di chimonanti, di fiori d'inverno che mi avvolgono del loro odore soave come in una carezza. Pochi sanno cosa rappresenti un Orto Botanico e verso quali fini tenda l’attività degli studiosi, che, dentro quel verde recinto, indagano i fenomeni della biologia vegetale. La botanica pare ancora ai più una scienza di ordine inferiore, il cui compito si riduca a catalogare delle piante ed a conservare, tra le compresse di un erbario, fiori e foglie appassiti. Niente di più erroneo. Lo studio delle piante, con i mezzi che sono oggi in uso, comprende in sè le questioni più vive che si dibattono nel campo delle scienze biologiche e coinvolge non pochi problemi d’indole artistica e sociale. Nell’ordine delle scienze, per cui l’uomo si propone di conoscere la natura che eli BCE RO PREMIER PA AE MaI td IL L'ANIMA DELLE PIANTE 71 lo circonda, quella che indaga quanto vien su dalla terra in tronco in stelo in erba ha senza dubbio il primato. Il problema della vita ha radice nella prima radice che trasse alimento da un grumo di humus fecondo. La vita animale e quella vegetale hanno ormai in comune lo studio dei propri tessuti, e l’ele- mento cellulare venne dapprima scoperto nella com- page delle piante, e poi nella nostra. Le due vite compongono una vita sola che trionfa nel fiore più alto ch’è il pensiero. Nel mondo vegetale la materia di esperimento, per chi ricerca, è, direi così, più pronta, più immediata, non facilmente mutevole e quindi meno generatrice di errori. Le forme vege- tali godono offrirsi a noi, non solo per il godimento dei nostri sensi, ma anche per l’appagamento della nostra ansia di sapere. Sono le forme che più ci sono vicine, che il nostro oechio più facilmente coglie; e che dovremmo cercar di conoscere prima di cono- scere noi stessi, se non forse il solo mezzo di cono- scerci non sia nel discoprire qualcuna delle piccole verità che ci sono dinanzi. Se le cose sono in noi e noi nelle cose, l’anima umana tende all’alto con la medesima ansia del fiore. Le pupille umane che prima si rivolsero a guardare le stelle, fiori dei cieli, intesero la gioia istessa delle corolle che si aprono. Avete mai osservato come le piccole piante, le erbe che nascono lungo i greti sco- scesi, o lungo i ripidi pendii di un colle roccioso, si piegano ad angolo su dal proprio germe e radono per un buon tratto, con una superficie del loro stelo, la fiancata del terreno per tendere liberamente in alto? La pianta, dice Maurice Maeterlinek, condan- nata all’immobilità, sa meglio di noi, che disper- diamo i nostri sforzi, contro che cosa deve prima insorgere, essa si tende tutta in un proposito solo: sfuggire dall’alto alla fatalità del basso. ut cd 712 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA Il mondo vegetale esiste prima che il mondo ani- male; e però alla composizione della nostra anima parteciparono impressioni di alberi di foglie di fiori e di messi mareggianti ai venti. Nel fondo di ogni nostro sentimento non è difficile sentire rivivere qualcuna di quelle impressioni. Nella stessa guisa, dal lato materiale, non v'è chi non sappia che la materia organica prodotta dai vegetali viene, in gran parte, usufruita immediatamente dagli animali. Niuna storia, come quella della scienza delle piante, è più generosa di insegnamenti per noi. Anzi, prima ancora che esistesse una scienza delle piante, 1’ uomo commosso le adorò e ne ascoltò la parola ammoni- trice. Il loto fu sacro agli egizi come il deodora e il fico delle pagode agli indiani e l’albero del ginko ai giapponesi. Gli Elleni animarono le foreste di Driadi e di Orcadi. Il popolo romano, sacro alle armi, ci lascia pure, lungo le mura dei viridari e dei triclini di Pompei dissepolta, una glorificazione di festoni e di ghirlande di fiori. Nel sentimento della natura, così come si svolge da Omero a Dante, e da Dante a Shelley, è la storia di tutta la poesia dell’umanità. Oggi, nel nuovo fiorire del metodo sperimentale inteso a ricercare le leggi che regolano le manife- zioni della vita, la botanica è in prima linea. La fisiologia vegetale dischiude le vie per cui passa la fisiologia animale. Il problema, onde dall’energia solare le cellule verdi derivano materia organica, implica le questioni più ardue della chimica e dà lume ad intendere quanto tumultua in forma di vite. Recenti studi stabiliscono stretta relazione tra la materia colorante delle fo- glie (clorofilla) e quella del sangue (ematina). È al- tresì alle piante che bisogna chiedere la genesi del n" L'ANIMA DELLE PIANTE 73 processo, per cui si avviene alla formazione dei corpi proteici, che sono i costituenti della sostanza vivente. E di quali pratiche applicazioni non sarà feconda la verità, portata dal prof. Hellriegel al Congresso dei naturalisti tedeschi, intorno al modo con cui aleune piante utilizzano l’azoto libero dell’aria, la rivela- zione cioè della oscura attività di speciali microrga- nismi, che vivono in mutua simbiosi con le radici immerse. Occorre un volo ben arduo di fantasia per immaginare quali trasformazioni si compiranno nel- l'economia sociale quando si riuscirà facilmente a fissare nel suolo l’azoto dell’aria. A pochi anni dalla scoperta dell’Hellriegel sono già comparse in com- mercio « le Nitragine », ossia le colture di batteri da impiegarsi a scopo di promuovere lo sviluppo dei tubercoli radicali nelle leguminose e trasformare in giardini lande sterili. Quasi contemporaneamente il dottor Moore mette a disposizione del Ministero di agricoltura degli Stati Uniti i suoi preparati di bat- teri per la fissazione dell’azoto; ed ora il Bottomley, professore di botanica al King’s College di Londra, offre una soluzione pratica del problema per cui al. l’agricoltura sarà dato un mezzo facile affinchè ogni plaga sterile si fornisca di azoto e si rinnovi e si rinverda. La scienza compie il miracolo di Mefisto- fele pel vecchio Faust: dona alla terra una giovi- nezza perenne. Cosa ora dovrei dire dei miracoli compiuti da Lu- tero Burbank nei suoi grandiosi vivai di California con la creazione di nuove piante, di nuovi frutti e di nuovi fiori? È il nuovo mondo che ha risolto il problema della sua ricchezza per l’opera di un uomo solo, che si è piegato alla terra. Noi ci contentiamo invece di fare delle inchieste burocratiche per il nostro Mezzogiorno. T4 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA Sotto l’aspetto scientifico sono oltremodo notevoli le odierne applicazioni fisico-chimiche nello studio dell’ascensione delle linfe nel corpo delle piante e le trasformazioni dei materiali assorbiti dalle radici. Nei progressi della fisico-chimica, applicata alla biologia, il posto d’onore spetta proprio ad Enrico Dutrochet, un geniale botanico, che, verso il principio del se- colo scorso, gittò le basi della teoria dell’osmosi. Più recenti sono le ricerche sperimentali intese a scoprire nelle piante manifestazioni di senso. Ricor- date la sensitiva dello Shelley? La continuità in essa della sostanza vivente, mediante ponti di protoplasma cellulare, la rendono davvero viva e vibrante come parve all’occhio del poeta. Io non so, ma pure qual- che cosa di simile potremmo pensare per chi, privo degli organi della vista e dell’udito, trae dai suoi stessi tessuti impressioni visive ed acustiche. Ancora, per l’opera di un abate, Giorgio Mendel (i nostri professori delle scuole secondarie non lo vorrebbero a collega), che, con mirabile pertinacia, durante otto anni, compì diecimila esperienze di incrocio, la botanica si avanza a scoprire il segreto dei problemi più oscuri della biologia e più spe- cialmente di quelli inerenti la funzione sessuale, la ereditarietà dei caratteri e le varietà delle razze. L’opera del Mendel è una pietra miliare nel cam- mino della scienza. Sulle stesse orme Hugo De Vries, direttore del- l'Orto Botanico di Amsterdam, riesce, provando e riprovando, a sorprendere la comparsa dei caratteri’ nuovi sopra un esemplare di « Oenothera Lamar- chiana », e proclama che le specie non si producono solo per una selezione lenta di variazioni individuali, ma anche per mutazione istantanea, improvvisa. Alle medesime conclusioni perviene Sljalmar Nilsson L'ANIMA DELLE PIANTE 75 direttore della stazione agricola di Svalòf in Svezia. Ecco la botanica diventata rivoluzionaria. Achille Loria ha riassunto testè, sotto questo titolo, nella « Nuova Antologia », i lavori del De Vries per il riscontro che le nuove conclusioni della scienza dei fiori hanno nell’orbita dei rapporti sociali, poi che anche qui l’evoluzione si compie per bruschi tra- passi, per rivoluzioni. Mercè il De Vries, egli con- chiude, la botanica capovolge i dogmi della storia, e vi impone la fatalità dei drammi ricorrenti e delle luttuose catastrofi. Par A questi e a molti altri problemi, tanto di ordine pratico che scientifico si rivolgono quanti lavorano dentro gli Orti Botanici, che, insieme con le Scuole Agrarie, dovrebbero considerarsi come focolai di rin- novamento economico per la nostra nazione. L'Italia deve infatti a studiosi di botanica, quali il Comes e l’Angeloni, se da importatrice di tabacco si appa- recchia a diventare esportatrice. L’ istituto speri- mentale per la coltura dei tabacchi in Scafati è una delle poche cose che gli stranieri c’invidiano. Nel libro del Cantani, « Pro silvis », è la visione più ful- gida di quel che potrebbe diventare la nostra patria se s’intensificasse la coltura dei boschi. Presso le altre nazioni è ben diverso il concetto che si ha della scienza delle piante. L’Orto Botanico di Berlino ha infatti una dotazione che supera, da sola, la somma di tutte le dotazioni che la nostra Minerva concede ai vari Orti Botanici annessi alle maggiori nostre Università. Questo di Napoli, pel vantaggio del clima e per le gloriose tradizioni, dovrebbe meritare una consi- derazione speciale da parte del Governo centrale e, 76 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA più ancora, da parte delle nostre autorità cittadine. L’avvenire della città di Napoli, e quindi del Mez- zogiorno, e dell’ Italia intera, è intimamente connesso allo sviluppo delle scienze naturali. Non altrimenti potremo salvarci dall’oppressione economica delle altre nazioni, che non è forse men dolorosa della oppressione politica, da cui, dopo sforzi secolari, ci siamo liberati. è resa LA TEORIA DELL’EVOLUZIONE JEAN DE LAMARCK Parigi, l’anno scorso, con la partecipazione dei cultori di biologia del mondo scientifico, innalzò, nel vecchio « Jardin des Plantes », un austero monu- mento a Jean de Lamarck, l’autore della « Filo- sofia zoologica » e il primo assertore della teoria del- l'evoluzione. La glorificazione di Lamarek coincise con quella fatta dall'Università di Cambridge per festeggiare il primo centenario della nascita di Carlo Darwin, giacchè lo stesso anno, 1809, vide la pub- blicazione del pensiero di Lamarck e la nascita del- l’autore dell’« Origine delle specie ». Quanto diversa la storia dei due uomini, cui una fortunosa coincidenza unì ad un secolo di distanza in una sola apoteosi! Darwin vide il trionfo imme- diato clamoroso, più alto della sua stessa speranza, delle sue teorie, e, se un’ombra amareggiò gli ul- timi anni della sua vita gloriosa, fu il constatare come la severità della sua concezione non sia valsa a trattenere gli entusiasmi settari di un volgo fa- cinoroso; Lamarck, declinante negli anni, intese restringersi attorno a sè il cerchio ferreo della dif- fidenza e vide, giorno per giorno, l’abbandono degli amici e dei discepoli, e, divenuto cieco, dopo aver 78 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA tanto osservato e meditato sul mondo dei fenomeni, non ebbe altro conforto che quello della sua figliuola Cordelia, la quale, vegliando al capezzale di codesto re Lear della scienza, ebbe, per un miracolo d’ intuito; la visione della gloria del padre susurrandogli, nelle ore più oscure di angoscia, col calore che hanno sol- tanto le voci filiali: « la postérité vous admirera et vous vengera, mon père ». cs L’opera di Lamarck è veramente straordinaria, e la Francia ha in lui il vanto più puro nel campo delle scienze naturali. Egli fu il primo a designare sotto il nome di « biologia » la scienza della vita. La sua personalità s’integra nell’epoca in cui visse: la seconda metà del secolo xvII, quel periodo prerivo- luzionario di storia, in cui, attorno all’opera di Dide- rot e di Alembert, gli enciclopedisti scuotono poten- temente le vecchie tradizioni, fronteggiano i diritti secolari, accendono fiamme di nuove libere idee, e preparano quel fermento di energie che sgretolò le mura della Bastiglia. La caduta dell’ « Antico regime » è preceduta e seguita da un tumulto di pensiero che ha pochi riscontri. Noi ne conosciamo soltanto il va- lore letterario e filosofico quando ci sforziamo di con- tenerlo nelle opere del Voltaire, del Montesquieu e del Rousseau. Ma nello stesso periodo Lavoisier creò la nuova chimica e Laplace diede alla luce la sua « Meccanica celeste » e Carnot concepì la « Teoria meccanica del calore ». Le scienze naturali parteci- parono efficacemente al rinnovamento della coltura. Lamarck è della stessa epoca; e non è priva di significazione la comparsa del pensiero che diede il primo largo significato storico ai fenomeni naturali, mentre una nuova storia sociale incomincia. Attorno REA RI © L° de eeÀ LA TEORIA DELL'EVOLUZIONE (LAMARCK) 79 allo scienziato, che, modificando la sistematica del Linneo, propone nuovi criteri per una classifica più razionale delle piante, e scopre nuove forme di vita vegetale, e, con la stessa pertinacia di indagine e se- renità di osservazione, allarga il concetto del mondo animale e vi separa i vertebrati dagl’ invertebrati, e di questi ultimi ne scrive in parecchi volumi la storia naturale — il consentimento fu unanime e per- dura immutato. L’opera analitica di Lamarck non soffrì mai ingiuria. Ma quando, dopo tutta un’esistenza vissuta nel descrivere piante ed animali, egli meditò su le leggi supreme dell’organizzazione ed espresse coraggiosa- mente il suo pensiero originale in pieno contrasto con le idee dominanti, niun dolore gli venne rispar- miato. Quale fu questo pensiero? Quanto esiste in Natura è un prodotto di energie fisiche. La vita passa dalla vegetalità all’animalità ed attinge il trionfo dell’intelligenza umana solleci- tata dalle medesime energie. Non v’è alcun fluido vitale misterioso. La materia vivente ha la medesima origine delle altre sostanze che si offrono ai nostri occhi, e si riscontrano in essa fenomeni di calore e di elettricità come dovunque. Gli esseri viventi si evolvono da forme semplicissime a forme più com- plesse per l’esercizio stesso della vita e per le con- dizioni diverse che si sono realizzate sulle varie parti del globo. Come l’irritabilità delle organizzazioni ele- mentari dipende da agenti esteriori, così i rapporti intimi tra gli organi delle organizzazioni più alte sono un prodotto di rapporti esterni. Ciascuna specie vi- vente possiede una struttura propria ch’è in armo- nia stretta con il mezzo in cui vive. Vi sono alcune piante acquatili che hanno foglie sommerse trasfor- mate in una fine capigliatura, e foglie emerse a fior 80 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA d’acqua distese in un unico lembo mollemente gal-. leggiante. Non pochi tipi di animali sono forniti di branchie per quando respirano nell’acqua e di pol- moni per quando ne riescono fuori; e, se si prolunga la permanenza in uno dei due mezzi, si vede scom- parire l’uno o l’altro dei due diversi apparati respi- ratori. L’aria in cui vivono gli uccelli ed alcuni mammiferi rampicanti; l’oscurità, in cui si svolgono specie sotterranee; il clima temperato o glaciale o tropicale rappresentano fattori di mille modificazioni negli organi motorii e sensorii, in quelli di protezione di aggressione ed anche nei visceri occulti. Una stessa pianta od uno stesso animale, messi in condizioni di- verse, non tardano a distinguersi dal genere a cui appartengono. La vita si plasma giorno per giorno sotto l'influenza di forze che si agitano nell’ambiente che ci circonda. È questo il trasformismo di Lamarck. * Ed Le condizioni che modificano le specie viventi e ne perpetuano il ritmo sono molteplici: l'influenza del clima; Vuso ed il disuso di alcune parti del pro- prio corpo; la costanza di abitudini o l’interruzione, brusca o graduale che sia, delle stesse: l’ereditarietà, per cui conquiste strutturali o funzionali d’una spe- cie non vanno perdute peri discendenti; l’inerocia- mento tra specie non affini; la distruzione d’una specie per ostilità naturali e per il sopravvenire d’una specie rivale più forte. Queste condizioni, non tutte certo del medesimo valore, vengono dal Lamarek discusse e dimostrate con un corredo straordinario di esempi e di fatti colpiti nel suo lungo osservare. Questa progressione di vita, svolgentesi in serie graduale, come s’inizia e dove tende? Al sommo art LA TEORIA DELL'EVOLUZIONE (LAMARCK) 81 della scala zoologica sta l’uomo, alla base la mate- ria inorganica. L’uomo proviene dagli animali a lui prossimi? Gli organismi più semplici derivano dalla materia inorganica? La catena della vita è rotta in qualche suo anello? L’inorganico è nettamente separato dall’organico, e la materia inerte non mostra tendenza alla vita. Tuttavia la materia, pervasa da energie esteriori, quali il calore e l’elettricità, può scuotersi e vitaliz- zarsi. Per Lamarek esiste una generazione sponta- nea di forme viventi all’origine della serie vegetale ed animale. La concezione odierna del protoplasma originario non differisce molto da questa di Lamarck. Saldato questo anello, egli affronta il problema della discendenza dell’uomo. Riconosce che l’uomo è un essere privilegiato e che quanto di ragione è in lui non si ricollega con altri fenomeni, ma l’or- ganizzazione umana non è meno plastica delle altre e non è minore la virtù dell’adattamento. Egli me- dita lungamente sul problema, e conchiude che la specie umana bimane non è che una derivazione di una specie perfezionata di quadrumani molto proba- bilmente scomparsa, e di cui qualche traccia può rintracciarsi nei fossili. Non manca, nell’esposizione del suo meditare, uno schema di psicologia biologica, a cui oggi ben poco potremmo aggiungere. Pur Questo pensiero di Lamarcek si poneva nettamente di contro all’origine biblica della vita; e, nello stabi- lire la lenta continua progressione delle specie, scuo- teva la concezione in voga, difesa con ardore dal Cuvier, dell’alternarsi di grandi catastrofi nella storia della terra. Non era possibile che trionfasse di un tratto, e, forse, non sarebbe mai trionfato se Darwin, ANILE A. 6 82 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA più di recente, non avesse pubblicato l’ « Origine delle specie ». Anche adesso, poi che nella nostra cultura contemporanea fa difetto la conoscenza del divenire delle idee, la teoria dell’evoluzione non si concepisce, da molti, al di fuori dell’opera di Darwin. V’è pure chi persiste ad opporre l’un pensatore all’altro. In realtà, le due concezioni si compenetrano l’una nell’altra. Il grande biologo inglese mise a profitto l'enorme sua esperienza per sviluppare un nucleo di verità, che era già nell’opera del naturalista fran- cese. Per Darwin, come diremo più oltre, il fattore precipuo nell’evolversi della vita vegetale ed ani- male è la lotta, la selezione naturale con la soprav- vivenza del più forte e del più adatto a vivere. Per Lamarck, come abbiamo visto, i fattori sono diversi, e tra questi non manea quello della distruzione di specie in rivalità con altra più forte. Darwin, d’al- tronde, non ci dice nulla intorno alle cause che in- fluiscono a produrre il più adatto: la sua concezione, sotto questo aspetto, è meno storica di quella di Lamarcek, la cui preoccupazione costante è di sco- prire i fattori iniziali del trasformarsi delle forme vi- venti. È facile, però, comprendere come non siano mancate ragioni nel campo della scienza perchè un vivace antagonismo si stabilisse tra i fautori del- l’uno e dell’altro, ed in questi ultimi anni tra neo- lamarckiani e neo-darwiniani. Oggi queste ragioni impallidiscono sempre più, e lo stesso figliuolo di Carlo Darwin, il botanico Fran- cesco Darwin, professore a Cambridge, pensa che il problema della vita è più facile ad intendersi con la combinazione delle due dottrine, anzichè con la pre- valenza dell’una sull’altra. E, anche associando gli sforzi dei due più grandi pensatori che abbiano avuto le scienze naturali, gran LA TEORIA DELL'EVOLUZIONE (LAMARCK) 83 parte del problema rimane insoluto. Il mondo dei fenomeni si rivela grado per grado; e, quando sem- bra a noi di averlo per intero compreso, un’improvvisa manifestazione di un’energia non mai sospettata, una deviazione repentina nell’uniformità apparente, fa riprendere il cammino all’ebreo errante del nostro pensiero, il cui destino è di non avere tregue. Avviene spesso che quando, dietro sforzi secolari, noi ci sentiamo paghi per un momento di avere sal- damente intessuto una teoria per intendere noi ed il mondo che ci circonda, subito dopo ci accorgiamo che molta parte della verità lungamente meditata riesce dalle maglie e si perde come la sabbia tra le dita del pugno che si stringe per contenerla. La vita non cape nel cerchio delle nostre anguste teorie. Ogni teoria è grigia, diceva Goethe, mentre la vita è verde. CARLO DARWIN È possibile ad un secolo di distanza dalla nascita di questo uomo, che diede un nuovo indirizzo alle scienze naturali ed informò di sè la mentalità di pa- recchie generazioni e tenne per non pochi lustri un dominio incontrastato sopra ogni attività dello spirito, dire una parola serena, direi quasi storica, intorno alla sua figura di scienziato pertinace e di pensatore? Veramente la sua opera fondamentale « L’origine delle specie per selezione naturale » pubblicata nel 1859, riduce questo periodo ad un solo cinquantennio, ma il numero dei seguaci e dei contraddittori è così folto e le opere scritte pro e contro le sue teorie sono così sovrabbondanti, che l’accingersi a dire qualche cosa di lui dà l’impressione come se si dovesse parlare di tutta l’attività spirituale del secolo trascorso, un’impressione di sgomento. Gli è che l’opera di Carlo Darwin uscì ben presto dai confini nei quali egli stesso pensava dovesse rima- nere; ed il darwinismo, salutato come l’avvenimento più prodigioso del secolo decimonono, invase non solo le scienze affini, ma anche l’arte e la filosofia, e parve che potesse bastare a riempire anche le menti prive di qualsiasi altra coltura. I darwinisti più feroci, quelli che più hanno nociuto all’opera serena del maestro, sono stati e sono tuttora gli ignoranti gli scienziati gli acclamatori di ogni facile teoria, rumorosi così come gli stipiti vuoti delle canne 86 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA ad ogni soffio di vento. Ma il danno e la confusione maggiore sono venuti da parte di coloro che innal- zarono la teoria evoluzionista come un nuovo dogma da opporsi al dogma della genesi biblica; e più ancora da parte di quelle accomodanti coscienze, che, non dubitando della saldezza delle nuove dottrine, com- pirono sforzi enormi per metterli in armonia con le antiche concezioni, capovolgendo i valori della ra- gione e quelli del sentimento. Par” Per liberare la figura di Carlo Darwin dalla densa nebbia di tante false ed affrettate interpretazioni ed avvicinare il proprio spirito al suo occorre prima di tutto leggere le sue opere. Questo consiglio, che può sembrare anche inutile, non è stato seguìto che molto raramente. Si è quasi sempre preferito parlarne senza conoscerlo. Eppure la lettura delle sue principali opere è dav- vero rasserenante. Voi avvertite subito di essere dinanzi ad un uomo, che serive dopo di aver lunga- mente osservato e meditato, che non ignora il lavoro degli osservatori che l’ hanno preceduto, e molto spera, meno a conferma delle proprie conelusioni quanto a vantaggio della conoscenza degli ardui problemi della vita, dalle osservazioni di quelli che verranno. Vi è in lui quasi un’istintiva riluttanza alle affer- mazioni decisive, assolute. Nella introduzione alla prima edizione dell’opera sua più nota: « L’origine delle specie », egli ha premura di dichiarare che il problema lo affatica da oltre venti anni, durante i quali nulla ha tralasciato per raccogliere osservazioni di ogni genere e nuovi fatti e promuovere esperimenti che potessero lumeggiare meglio la sua idea forma- tasi la prima volta nel constatare la distribuzione A LA TEORIA DELL'EVOLUZIONE (DARWIN) 87 degli esseri organizzati che popolano l'America me- ridionale ed i rapporti geologici esistenti tra gli abitanti scomparsi e gli attuali di quel continente. Il iungo paziente lavoro compiuto non lo trattiene dal dire che la mole dei fatti raccolti non è suffi- ciente per dare base valida alle sue conclusioni ed aggiunge: « so bene che non v’è passo nel mio vo- lume al quale non si possono opporre argomenti contrari ». Con le medesime cautele procede nel- l’opera sull’ « Origine dell’uomo », dove trovo questa frase, che può anche spiegarci l’esaltazione di tanti darwinisti: « l'ignoranza frequentemente ingenera fiducia più che non il sapere ». Cita inoltre i filosofi classici con ammirazione, e quando riferisce le parole indimenticabili di Kant sul dovere, non si vanta certo, come lo Spencer, di non averlo letto. Comprendere Carlo Darwin nelle sue opere e nella sua vita rappresenta una delle più fattive educazioni spirituali ehe io mi conosca. Egli trasse dai suoi antenati e più specialmente da Erasmo Darwin, che fu medico e poeta e precursore delle stesse teorie evoluzioniste, la passione non mai stanca di indagare i fenomeni della natura. E quando, ancora giovi- netto, si accinse a compiere, in qualità di naturalista, il viaggio attorno al mondo sulla nave « Beagle », non aveva altra preparazione scientifica che quella fattasi spontaneamente osservando con gli occhi ingenui il mondo esteriore, in cui si svolse la sua già pensosa fanciullezza. Un libro solo aveva medi- tato: la descrizione dei viaggi dell’ Humboldt. Con l’animo aperto e libero, senza alcun velame di idee preconcette o di scuola, egli osservò la vita vegetale ed animale sparsa sul mondo; e, quando ritornò dal lungo viaggio, tenne fisse nel proprio cer- vello visioni di foreste vergini, di montagne emerse, 88 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA di fiumi lenti tra sponde invisibili, e di verdi silenzi. Egli si educò per tal guisa sul libro che la Natura a noi squaderna; e l’opera sua più duratura è pro- prio la relazione fedele delle cose che i suoi occhi videro. Per un quarantennio, dopo il viaggio, ritiratosi nel piccolo villaggio di Down, in una quiete opportuna perchè intera rivivesse in lui la serie innumerevole dei fenomeni osservati, egli attese a riordinare il materiale raccolto ed a pubblicare ad uno ad uno i volumi non pochi delle sue opere, che hanno rap- porti complessi con tutte le scienze naturali. Ma il fastigio del suo pensiero è nell’ « Origine delle specie per selezione naturale ». La pubblicazione di questa opera produsse un fenomeno spirituale stra- nissimo: l’appagamento immediato di ogni ansia del pensiero; e parve allora che alle eterne dimande di Edipo alla Sfinge: « chi siamo », « donde veniamo », « dove andiamo », si fosse finalmente trovato una risposta. Nacque così la nuova filosofia evoluzionista capace di risolvere ogni dubbio dello spirito. In Italia uno degli ingegni più brillanti che abbiano avuto le scienze mediche, il Tommasi, esclamò, nel fervore del suo entusiasmo: « o evoluzione o miracolo », senza pensare che i due termini, invece di essere antitetici, potevano anche essere fusi uno nell’altro. Lo stesso Darwin incominciò a non riconoscersi più nel darwinismo ormai trionfante e dilagante, ed è nota la sua protesta contro le esagerazioni di Haeckel ed il suo rinerescimento per vedere il suo nome fatto bandiera di congreghe settarie peggiori delle an- tiche. Il successo clamoroso di Darwin, così in con- trasto con il freddo silenzio chiusosi attorno a La- marck, trova ragioni nelle mutate condizioni degli spiriti. Il tempo era, come si suol dire, maturo per Aaa e dd a e. / LA TEORIA DELL'EVOLUZIONE (DARWIN) 89 l'estensione della concezione storica oltre i confini particolari dell’incivilimento umano già definitiva- mente stabilito come evoluzione. Dopo il tumulto na- poleonico, dopo la battaglia di Waterloo è un ricco fiorire di studi storici, specie in Germania, quasi che lo sbalordimento di quella rapida epopea fosse valso a risvegliare più vivo il desiderio di guardarsi attorno e di conoscersi. La dottrina dell’evoluzione nei fenomeni naturali trae origine, come giustamente osserva il Royce, dallo sforzo compiuto dall’umanità per scrivere la propria autobiografia. Come suscitatore immediato dell’opera di Darwin non bisogna inoltre dimenticare il geologo inglese Lyell, le cui ricerche sostituirono all’avvicendarsi di catastrofi nella for- mazione del nostro pianeta, lenti processi naturali. Quale fu la nuova verità enunziata nell’origine delle specie? Che le specie vegetali ed animali, invece di essere definite distinte ed immutabili, dipendes- sero da un ceppo comune e si trasformassero lenta- mente; che l’opera enorme del Linneo di classificare gli organismi viventi non doveva essere fine a sè Stessa ma mezzo per conseguire uno scopo più alto, risultava già dagli studi dei grandi zoologi del prin- cipio del secolo decimonono quali il Goethe, Owen, l’Oken, il Geoffroy-Saint-Hilaire, ed il Lamarck. Alle conclusioni degli evoluzionisti, che furon prima di lui, Darwin non aggiunse che il fattore della se- lezione naturale, della sua « struggle for life ». Poi che la caratteristica universale di tutti i corpi che vivono consiste in una facoltà di riproduzione così eccessiva che una qualsiasi forma animale o vege- tale, lasciata libera, potrebbe in breve tempo inva- dere la terra e colmare il mare; poi che questo potere 90 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA immanente di moltiplicazione fa sì che una pianta, pei pochi frutti che matura, produce una fioritura innumere che si perde in pioggia di petali, ed i di- scendenti di un solo di alcuni bacilli infinitamente piccoli si riproducono in tali proporzioni che in pochi giorni potrebbero riempire l’oceano sino alla pro- fondità di un miglio, Darwin fa intervenire la lotta per l’esistenza, che falcia i più deboli ed i meno adatti alle condizioni del mondo esteriore, e preserva i migliori che riescono dalla lotta con modificazioni tali da adattarsi facilmente alla vita. Queste modifi- cazioni, trasmesse per eredità, dànno sempre tipi più evoluti. Si comprende di leggieri, anche per quel che ho detto nel capitolo precedente, come questa teoria non si opponga a quella di Lamarck, e l’una e l’altra lasciano insolute le domande che affiorano subito alle labbra: cosa possiede in sè l’organizzazione ve- getale ed animale perchè si trasmuti in armonia con i fattori e con le energie interiori ed esteriori che la urgono? Tra quali limiti fluttua il fatale divenire delle cose che vivono sotto il Sole? In qual maniera componesi la struttura anatomica in quel ch’è per- chè divenga perennemente? E gli organismi sem- plici sono veramente tali quando in sè racchiudono le ragioni del più complesso? Ed anche volendo tralasciare queste dimande, che sorpassano di molto l’Ambito delle possibili ricerche scientifiche, noi non possiamo esimerci dal considerare le manchevolezze dell’ipotesi darwiniana. Nè a Darwin, nè tanto meno agli esaltatori di lui riuscì determinare esattamente forme di passaggio tra una specie e l’altra. L’osser- vazione del botanico Naegeli che la selezione natu- rale non può agire in rapporti morfologici di strut- tura, ma solo sopra l'adattamento a destini fisiologici LA TEORIA DELL'EVOLUZIONE (DARWIN) 91 determinati da parte di organi già definiti morfolo- gicamente, mentre la differenza delle specie rimane di natura essenzialmente morfologica, non ha per- duto d’importanza fin da quando fu emessa. E non bisogna dimenticare che lo stesso Darwin, negli ultimi anni di sua vita, dinanzi ai lavori meravigliosi di Fabre intorno alla vita ed alle abitudini degli insetti, ebbe a dire che il problema dell’istinto era una tra le più gravi difficoltà del sua sistema (4). xa Ora siamo in un periodo di tumultuaria reazione e di critica incessante. La teoria dell’evoluzione, spoglia della limitazione scientifica, ridiventa un con- cetto più largo e più puro quale apparve ai primi filosofi di quella primavera del pensiero che fu la civiltà ellenica: Talete di Mileto, Democrito ed Em- pedoele. Il darwinismo, ridotto nei suoi veri termini di lotta per l’esistenza, viene” sospinto di giorno in giorno contro le sue ultime trincee; e nuovi fatti vengono messi in luce che ci fanno dubitare assai di ogni legge fondamentale stabilita da Darwin e tentano perfino di farci smettere l’ idea di specie per sostituire quella di individuo. Non è possibile, nei limiti di un articolo, riferire le molte questioni che si dibattono in questo momento nella scienza. La teoria che oggi pare debba prevalere è quella della « Mutationtheorie » formulata dal botanico di Amster- (1) Non posso dispensarmi dal ricordare che già Francesco De San- etis, in epoca di pieno e cieco fervore darwinistico, seppe determinare serenamente, in un breve studio sul Darwinismo nell'arte, il valore del- l’uomo è quello della sua teoria; e, più recentemente, Alfredo Oriani nella sua Rivolta ideale, in uno articolo smagliante, smantella con pieno vigore di logica la concezione della lotta naturale nei suoi ri- ferimenti alla storia sociale. 92 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA dam, Ugo De Vries, il quale si ricollega agli studi compiuti dall’abate Giovanni Mendel. Per il Vries, come vedremo nel prossimo capitolo, la creazione di nuove specie non sta in rapporto di lente trasfor- mazioni costituzionali, ma al manifestarsi improv- viso di mutazioni brusche e decisive. La figura di Carlo Darvin rimane ora nell’ombra così che il Driesch può meravigliarsi del fenomeno per cui il darwinismo abbia potuto « menar pel naso » una generazione di naturalisti, ed il Dreyer non si perita di definirlo una malattia inglese, della quale è necessario che ognuno di noi guarisca. Ma l’opera di Carlo Darwin non è tutta, per for- tuna, nella teoria della selezione naturale. V’è qualche cosa di più e di meglio nei suoi lavori e nella sua vita, contro cui sarà vano ogni tentativo di demolizione. Darwin fu il primo a mostrare nei procedimenti degli orticoltori e degli allevatori la via da seguire per compiere un’analisi sperimentale del problema della specie; ed è su questa medesima via che si sono messi il Mendel ed il Vries nel ritentare un nuovo ordine di ricerche sul medesimo problema. E rimangono classici gli studi di Darwin sulle di- sposizioni mediante le quali le orchidee vengono impollinate dagli insetti. La grande legge delle nozze incrociate (dicogamia) venne chiaramente dimostrata e definita da lui, che riuscì in tal modo a dare una base scientifica all’immaginare dei poeti che esal- tarono i piccoli insetti attratti a suggere il nettare dei fiori. Così le sue indagini pazienti sulle piante rampicanti e sui movimenti delle stesse non possono trascurarsi neanche oggi da chi voglia ripiegare l’at- tenzione su fatti analoghi. E quale miniera di preziose osservazioni sono ancora i suoi volumi sulle varietà degli animali e delle piante allo stato domestico! LA TEORIA DELL'EVOLUZIONE (DARWIN) 93 Ed al disopra di tutte le sue ricerche, che possono anche essere sorpassate con nuovi mezzi d’indagine, giacchè la scienza procede come un succedersi di onde, di cui l’una s’inarca su l’altra che si adegua, ‘rimane qualcosa che non verrà mai sorpassato: l’esempio nobilissimo della sua vita. Carlo Darwin, che chiuse nel giro del suo sguardo la vita universa, vola come aquila sugli scienziati contemporanei, cui l’ invadente particolarismo scien- tifico rende sempre più esiguo il campo visivo del proprio occhio e della propria anima. Un soffio dello spirito di Leonardo da Vinci rivisse in lui, se dalle indagini del fondo dei mari e delle stratificazioni delle montagne passò a quelle delle piante e degli animali e da queste pervenne allo studio dell’uomo. Il mondo intero si svolse attraverso le sue pupille; e, forse per questo, la sua anima non si appagò dei fatti e mantenne viva in sè la luce dell’ ideale. Egli fu coscienziosamente uomo e come tale, direbbe il cantore del Faust, merita anche di essere onorato come poeta. Uco DE VRIES L’editore Remo Sandron è davvero benemerito degli studi. Egli sa, come si siano mutate nell’ul- timo decennio le condizioni della nostra coltura, e come ad un periodo di piccole ricerche empiriche sia seguìta un’ansia profonda di intendere i problemi dello spirito ed un interessamento sempre più vivo per le questioni superiori di critica scientifica. E mentre prepara una serie di medaglioni dei classici della filosofia, allarga con criteri abbastanza liberali il contenuto della preziosa collezione « L'indagine moderna ». Nella quale, dopo il volume del Ruta in- torno all’unità di origine e di fine della psiche so- ciale, compaiono in due grossi volumi le famose lezioni di Ugo De Vries intorno alle specie ed alle varietà naturali. Non si può non salutare con piacere la comparsa in un’elegante e fedele traduzione italiana fatta dal prof. Federico Raffaele, dell’opera più nota del ce- lebre botanico di Amsterdam, il quale, in omaggio al traduttore, ha voluto anche introdurre alcune mo- dificazioni all’ultima edizione americana del suo libro. Abbiamo così l’espressione più genuina del pensiero del De Vries, la cui fama oggi può solo paragonarsi a quella ottenuta dal Darwin nella seconda metà del secolo scorso. Le nuove teorie di questo pertinace sperimentatore interessano già filosofi e sociologi, ed il cerchio 96 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA di vita si allarga ogni giorno intorno al centro del suo pensiero. Da quando, per distoglierlo dall’in- carico che gli era stato offerto di dirigere la scuola superiore di agricoltura in Berlino, il Governo di Olanda gli diede la direzione dell’Orto Botanico di Amsterdam, egli si chiuse in una severa disciplina di lavoro sperimentale sui più dibattuti problemi che riguardano le origini delle specie viventi. E quel mo- desto orto botanico, dove egli lotta quotidianamente per preservare dalle influenze nocive del clima im- mite le sue piante ed i suoi fiori, è diventato un faro luminoso, a cui si rivolgono gli occhi di quanti indagano le leggi della vita. * Qual'è la nuova parola che ci viene da lui? È questa parola così alta da affievolire ancora più l’eco di quella di Darwin, che risuonò nel mondo come quella di un Nume creatore? Alla teoria della evolu- zione bisogna sostituire la fatalità delle rivoluzioni ricorrenti? Iside ci solleva ormai un lembo dei suoi settemplici veli? Occorrerebbe certo più di un articolo per rispon- dere adeguatamente a queste dimande, ma se noi, spogli di ogni preconcetto e dimentichi delle affret- tate e per lo più false interpretazioni che corrono intorno a queste rinnovantisi teorie della vita, ci av- viciniamo direttamente allo spirito dei due sperimen- tatori, che si sono seguìti a distanza di mezzo se- colo, ci accorgiamo subito che molte delle tante, proclamate divergenze non esistono, e che l’opera dell’uno rivive in quella dell’altro e che le due con- cezioni, che sembrano in antagonismo, possono be- nissimo integrarsi in una sola. Il De Vries stesso rivendica nobilmente l’opera del Darwin come un ° LA TEORIA DELL'EVOLUZIONE (DE VRIES) 97 figliuolo memore a cui sia stata offesa la memoria del padre; e questa rivendicazione, nell’ora presente, non certo propizia al darwinismo, fatta da uno spi- rito sì alto, che ha rivolto a sè tutti gli omaggi della scienza contemporanea, è cosa che ha una signifi- cazione veramente nobile e che ci fa pensare agli intimi e non perituri legami che passano tra le grandi anime. V'è una preoccupazione costante nelle pa- gine del De Vries di rivelare nitida l’opera del suo predecessore e di farla apparire, quale fu veramente, detersa dalle deturpazioni dei facili epigoni e dei rumorosi sicofanti, quasi che in lui fosse il presen- timento di un simile imminente danno. I problemi, su cui Darwin richiamò l’attenzione dei naturalisti, non sono di quelli che possono ri- solversi da un uomo, nè da una generazione sola. Essi investono l’essenza stessa della vita, giacchè se l'origine delle specie vegetali ed animali ed il loro perpetuo divenire fossero cose a noi note, il mondo ci avrebbe dischiuso una delle sue pagine più segrete e cesserebbe un nostro eterno dimandare. Darwin ebbe il merito di stabilire i termini della ricerca e di raccogliere una serie enorme di fatti. La teoria dell’evoluzione era prima di lui; ma egli per un qua- rantennio piegò l’alacrità del suo pensiero a scoprire qualche fattore essenziale del ritmo infaticabile della materia vivente. Il mondo organico non è una superficie uniforme ed immota, ma ha l’aspetto d’una immensa foresta dalla quale emergono, a varia altezza, tronchi ve- tusti di alberi, ed i rami nell’alto e le radici nel basso s'intrecciano in mille guise, e, di tra gli spi- ragli del folto, nuove cime di alberi giovanetti s’af- facciano con ansia vibrante al sole. Le forme sono innumeri. Non v'è nell’interminato fogliame una ANILE A. 7 a de Mila e TA a. Gi n a “sl LA DÀ, se 98 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA foglia che sia simile ad un’altra anche sullo stesso ramo; e quelle che vengono dopo un autunno non sono del tutto simili a quelle cadute nel soffio del vento. Come intendere tanto tumulto di vita in continuo ondeggiamento? Il primo enorme sforzo di raccoglierlo in termini verbali e di descriverlo, almeno per le apparenze più comuni, fu compiuto dal Linneo, ed ecco comparire nelle scienze naturali i generi le specie le varietà. Il Darwin volle invece darsi ragione di tanta varietà di forme. Il De Vries ha una conoscenza esatta dell’opera del naturalista inglese ed un dispetto contro i dar- winisti che hanno tanto nociuto al maestro. « La mia opera — egli confessa candidamente — vuole essere pienamente d’accordo coi principi posti dal Darwin e dare una completa e precisa analisi di aleune idee sulla variabilità, l'eredità, la selezione e la muta- zione, che al tempo del Darwin erano ancora vaghe. È un semplice dovere di giustizia il dichiarare che il Darwin stabilì una base così larga per le ricerche scientifiche su questi soggetti che, dopo mezzo se- colo, molti problemi d’interesse capitale rimangono ancora da esaminare ». Ed altrove non si trattiene dal dargli anche il merito di aver pensato, nello spie- gare i singoli gradi dell’evoluzione, alle brusche tra- sformazioni. Insomma il De Vries stesso, con una sincerità ignota ai piccoli scienziati, ripone nel Dar- win il nocciolo della teoria delle repentine muta- zioni. Ecco le sue parole: « Nel considerare come si svolgono i singoli gradi dell’evoluzione, Darwin ammise due possibilità: una fonte di trasformazione sta nel prodursi brusco e spontaneo di nuove forme dal vecchio ceppo: l’altra nell’accumularsi graduale delle variazioni sempre esistenti e sempre fluttuanti, cui si riferisce la nota asserzione che due individui £. te LA TEORIA DELL'EVOLUZIONE (DE VRIES) 99 d’una data razza non sono mai identici, Il Darwin riconobbe tutti e due i processi evolutivi, ma fu il Wallace con i più ferventi darwinisti che traseu- rarono le mutazioni improvvise, e ritennero essere le fluttuazioni l’unico fattore delle modificazioni ». Par La teoria delle brusche mutazioni come origine di nuove specie, accennata appena dal grande natura- lista inglese, trionfa ora per gli esperimenti del De Vries su alcuni esemplari di rapunzie, e più special- mente su l’« Oenothera lamarckiana ». È questa una pianta a fusto ben saldo ed a grandi fiori importata dall’ America in Europa, e coltivata, verso il prin- cipio del secolo scorso, nel giardino del « Museum d’Histoire Naturelle «a Parigi, dove il Lamarck, pel primo, la notò distinguendola subito come una specie non ancora descritta. « Così — dice il De Vries — volle il caso che il Lamarcek inconsciamente sco- prisse e descrivesse la pianta che, un secolo dopo, doveva servire da strumento per la dimostrazione delle sue geniali idee intorno alla comune origine di tutti gli esseri viventi. Questa pianta ha la particolarità di produrre, ad intervalli non lunghi, un certo numero di nuove spe- cie, che il botanico di Amsterdam descrive morfo- logicamente e fisiologicamente, e raggruppa in dodici tipi. L'importanza del problema è enorme, ed il De Vries non risparmia ricerche per garentire me- glio l’esattezza dei suoi risultati; e riesce a sco- prire gli stessi fenomeni in altre piante e, ogniqual- volta una nuova specie si rivela, egli gode che ciò sia avvenuto sotto i suoi occhi vigili. Per anni ed anni egli non ha tregua nell’indagine; e può così determinare le leggi di queste repentine mutazioni, 100 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA che non hanno forme intermedie. Compulsa la let- teratura orticola e botanica e trova conferme alle sue deduzioni. Sicuro ormai di sè, egli mette in luce i metodi con i quali è facile a chiunque ricerchi sco- prire altri esempi. Se queste mutazioni hanno tanta importanza nella produzione di nuove specie, perchè sono piuttosto rare a verificarsi? La rarità dipende, da una parte, dalla lotta per l’esistenza; la quale non è altro se non la morte prematura di tutti gli individui, che si allontanano tanto dal tipo comune della loro specie da non potersi sviluppare nelle circostanze domi- nanti; e dall’altro dal fatto che migliaia di muta- zioni possono effettuarsi, ogni anno, tra le piante che ci circondano, senza che ci sia aleuna possibilità di seoprirle. « Noi — dice il De Vries, e con ciò di- mostra anche di quale acume critico sia dotata la sua intelligenza — siamo abituati a valutare le ca- ratteristiche differenziali delle specie sistematiche così come le abbiamo apprese. Quando siamo riusciti a distinguere quelle contenute nel catalogo della nostra flora locale ci stimiamo soddisfatti. Siamo anzi così contenti di questa conoscenza che non sentiamo alcun desiderio di sapere di più, Ci accade così di notare alcune spiccate deviazioni, ma vi attribuiamo una importanza secondaria. La nostra mente non si ferma sui tratti delicatamente sfumati, che differen- ziano le specie elementari. Io, solo dopo aver messo in evidenza una mutazione, potetti, con più attento esame, vedere che ve n’erano in buon numero ». La teoria del De Vries colma molte lacune della teoria dell’evoluzione darwiniana, e toglie valore ad una delle obiezioni più formidabili, a quella cioè che le viene dagli assertori della fissità delle specie. Noi siamo costretti, dinanzi al vario significato dei fatti sim Roana LA TEORIA DELL'EVOLUZIONE (DE VRIES) 101 che la natura ci offre, a dimandarci ancora se le specie sono incostanti o costanti. Vi sono tipi di ani- mali che paiono davvero immutati ed immutabili, e vi sono piante, che, pur avendo un’estesissima di- stribuzione geografica ed essendo sottoposte a diverse condizioni di ambiente, non sono riuscite a svilup- pare una particolarità nuova. La teoria della mutazione ci dà modo di combinare le due opposte idee. Se riduciamo infatti la trasfor- mabilità delle specie a periodi distinti e probabil- mente brevi, noi ci spieghiamo d’un tratto, come la stabilità delle specie si trovi in perfetta armonia col principio della discendenza mediante modificazioni. Le leggi del De Vries ammettono l’attuale costanza della massima parte delle forme viventi, e richieg- gono solo che, eccezionalmente, si producano cam- biamenti definitivi. RARA # Evoluzione, dunque, o rivoluzione? La seconda teoria ha certamente più numerosi elementi di ve- rità e maggiori lusinghe per la corrispondenza nel mondo inorganico e nel sociale. Anche l’evoluzione del pensiero umano procede per improvvisi trionfi che si distanziano per lunghi periodi di evi oscuri, che hanno la durata del tratto che intercede da Omero a Dante, e da Socrate a Kant. Che se fosse monotono ed eguale il ritmo delle energie spirituali la specie umana annegherebbe definitivamente nella mediocrità. Ma cos’è una rivoluzione se non il prodotto d’una evoluzione lenta, che a noi si nasconde? Una mon- tagna crolla per le scissioni secolari della sua com- page; un libero ordinamento sociale trova nella sto- ria remota, che lo precede, le idee originarie; e le nuove specie, comparse sotto gli occhi del De Vries, 102 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA mancano, è vero, di forme intermedie apparenti, ma non è detto per questo che le specie madri non ab- biano gelosamente, con cura materna, conservato nella loro intima struttura le ragioni dell’ improvviso germoglio. Io penso che la gloria maggiore del De Vries sia di avere aggiunto altre prove alla plasticità del mondo vegetale ed animale dimostrata prima dal Lamarck e poi dal Darwin. E come i fattori dell’evoluzione la- marckiana e darwiniana non appagano più, accadrà certo che anche le rigorose dimostrazioni che ci dà il De Vries (e già non mancano accenni di questa op- posizione) vengano sostituite da altre, che avranno un significato diverso. Ma non per questo il merito dell’uno e dell’altro perderà qualche cosa. Per la gloria di uno scienziato importa meno scoprire una verità, quanto indicare nuove vie di esperimento. Tra la Natura e l’uomo che l’indaga è eterno il simbolo di Atalanta, con questo di meno, che la Natura non si volta a racco- gliere i tesori, che noi lasciamo per via, di pensiero e di sentimento. RENÉ QUINTON L’opera di René Quinton (« L’eau de mer milieu organique ». Masson et C., éditeurs) è poco e mal nota in Italia. Pure, dopo Darwin, non v’ è nella storia delle scienze organiche, se ne togli forse l’opera del De Vries, uno sforzo più pertinace ed intenso di co- desto compiuto dal Quinton per abbracciare, in una sintesi rigorosamente logica, l’innumerevole tumulto della vita, il poema delle cose viventi. Noi, che ab- biamo nei fogli anteriori analizzato il pensiero dei predecessori del Quinton, ci sforzeremo, anche questa volta, di riassumere in linee essenziali la nuova vi- sione del mondo che ci viene offerta. Non importa se la nuova verità è del tutto diversa dalle altre, che pur ci parvero inconfutabili. Le verità scientifiche hanno, diremo così, il fascino delle verità sfuggenti. Coloro che veramente debbono sentirsi a disagio dinanzi a questo fluttuante stato di cose sono i co- struttori di teorie morali ed estetiche a base di un fondamento scientifico. Per quanto siamo ormai lon- tani, se non per misura di. tempo per misura ideale, dagli anni in cui il massimo della coltura era rap- presentato dalla comprensione dei « Primi Principi » dello Spencer, non sarà certo inutile aggiungere an- cora una dimostrazione dell’errore, in cui la gene- razione che ci ha preceduto è vissuta, di credere cioè che i fatti empirici possano alimentare una più salda 104 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA filosofia. Sui dati positivi, forniti dalla teoria dell’evo- luzione, si è costruito un mondo, che ha. gittato l’ombra di sè su tutte le attività dello spirito. Ora eccoci dinanzi ad uno scienziato, che viene a pro- clamarci ed a dimostrarci la fissità del fenomeno della vita. * x * La teoria dell’evoluzione, col suo punto di partenza incerto e col suo divenire perpetuo verso un fine, che non -sappiamo quale possa essere, lascia molti pro- blemi insoluti. La nuova teoria del Quinton è più quadrata, più chiusa in sè, più matematicamente e rigidamente esatta. Egli incomincia con lo stabilire che la vita animale, apparsa primieramente allo stato di cellula, tende a mantenere, contro le variazioni dell’ambiente che la urgono, attraverso tutta la serie zoologica, le sue condizioni originarie. Comparsa nel mare la materia vivente si trasforma, si svolge, si plasma nella varietà delle forme, che si illuminano al Sole, per una sola necessità: quella di mantenere intorno a sè il mezzo marino in cui nacque. La ma- teria vivente non è altro che un aggregato di ele- menti anatomici, di cellule; e ciascuna di queste ha il valore di un organismo distinto. Ogni questione riferentesi alla vita, non deve farci astrarre dalla cellula. Il mezzo vitale, in cui ogni cellula vive, dalla più bassa forma animale alla più alta, è un liquido (plasma del sangue, linfa) che imbeve tessuti. Prima ancora di determinare le qualità marine di questo li- quido il Quinton ci fa sapere che non v'è cellula che non abbia un’origine acquatica. Il protoplasma cel- lulare possiede infatti una proporzione d’acqua uguale ai tre quarti circa del suo volume; e messo a secco LA TEORIA DELL'EVOLUZIONE (QUINTON) 105 muore. Nei gruppi di animali, che hanno oggi una respirazione aerea o tracheale, non è difficile riscon- trare residui ancestrali di respirazione acquatica. Per il Quinton importa ancora più dimostrare che questa origine acquatica sia inoltre marina. A questo scopo egli ci fa riflettere che, nell'epoca « cambriana » del nostro pianeta, il mare aveva già una fauna quando non vi potevano essere, per la mancanza di continenti emersi, acque dolci. Le nubi salienti dalle acque amare ripiombavano in pioggia di acqua dolce per riconfondersi col mare. La vita, vale a dire la cellula vivente, comparve nel mare quando niun altro mezzo poteva accoglierla. Ma come provare che questa cellula abbia potuto, attraverso tutte le trasformazioni degli esseri, lungo gli evi, mantenere attorno a sè condizioni identiche a quelle nelle quali nacque? Il Quinton a questo scopo sommette ad una severa investigazione i vari gruppi animali. Le meno complesse organizzazioni che vivono nel mare (« sponzoarii », «idrozoarii », qualche « echinoderma ») hanno la cavità del loro corpo anatomicamente aperta nel mare che vi gor- goglia dentro; e, quando questa cavità si chiude, come in qualche invertebrato marino di più alto potere organico, i rapporti tra i liquidi interni del corpo ed il mare, non per questo cessano, ma diventano sem- plicemente osmotici. Un invertebrato marino, infatti, messo in acqua priva di sale, perde sale; e, vice- versa, messo in acqua satura di sale aumenta il tasso salino del suo plasma sanguigno. Questo esperimento, ripetuto più volte, ci significa che la cellula vivente, anche se lontana dalla periferia del corpo, anche se approfondata nella parte più recondita dell’organi- smo, continua a vivere come se fosse direttamente immersa nel mare. La permeabilità della superficie bei. 106 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA del corpo per cui si compie l’osmosi, aggiunge il nostro autore, cessa bruscamente se il mezzo in cui vive l’animale non è più un mezzo marino: il gam- bero d’acqua dolce, per esempio, non comunica più per osmosi con l’esterno, ma conserva, nell’acqua che lo circonda, le qualità saline del suo plasma, qualità che non modifica anche se noi artificialmente modifichiamo la costituzione chimica dell’acqua che gli è attorno. L’artificio che l’animale ha dovuto com- piere per resistere alle leggi dell’osmosi, a scopo di proteggere la resistenza dei suoi intimi tessuti, è a noi ignoto; ma eccoci dinanzi ad un fatto che ci rileva una reazione inattesa contro l’ambiente e si oppone non poco alle nostre cognizioni ordinarie; eccoci dinanzi ad una sostanza che, invece di adattarsi alle circostanze esteriori che la premono, lotta eroica- mente, come se possedesse una volontà direttiva, contro le ostilità del di fuori e si premunisce di con- gegni di difesa e si chiude in sè e si corazza e diventa in tal guisa immune ad ogni influenza contraria. Dagli invertebrati il Quinton trasporta le sue in- dagini nel mondo, a noi meglio noto, dei vertebrati, in cui da forme di pesci, non più comunicanti nè direttamente, nè per osmosi con il mezzo acqueo, si giunge agli animali più lontani dall’origine marina, quali i mammiferi e gli uccelli; e qui la nostra cu- riosità si rende più viva ed attendiamo con una certa ansia le prove che l’autore ci fornirà. Egli tranquil- lamente comincia a dirci: se io porto, mediante una iniezione endovenosa, una quantità considerevole di acqua di mare in contatto immediato delle cellule di un organismo superiore, non vi verifico alcun feno- meno tossico; se io sottraggo parte non lieve di san- gue dal corpo di un animale e mi affretto a sosti- tuirlo con un equivalente d’acqua salsa l'esperimento LA TEORIA DELL'EVOLUZIONE (QUINTON) 107 mi riesce e l’animale continua a vivere fin quasi al completo dissanguamento; se io, in ultimo, per for- nire ancora una prova, estraggo i corpuscoli bianchi del sangue, che sogliono, appena estratti, morire, e li metto in acqua pura di mare, m’acecorgo che riacquistano sollecitamente i movimenti ameboidi. L’acqua, di cui si serve il Quinton nei suoi esperi- menti, è l’acqua dei grandi oceani. Quest’acqua, analizzata chimicamente, ci rileva una proporzione dell’84 per cento di eloruro di sodio; i liquidi organici dei vertebrati più alti ci rilevano presso a poco la medesima proporzione. Eguali pro- porzioni, con analisi più delicate, possiamo consta- tare per gli altri sali componenti, da una parte, l’onda oceanica (zolfo, magnesio, potassio, calcio, fosforo, ecc.) e, dall’altra, i liquidi del nostro corpo. I componenti chimici dei due mezzi, il marino e l’or- ganico, sono identici. Dopo di ciò, se noi consideriamo l’evoluzione delle forme animali, dalla ameba agli organismi più com- plessi, e ci sforziamo con la nostra fantasia a se- guire il fatale divenire e il moltiplicarsi degli esseri - sopra ogni plaga terrestre, quel che sorprende è che la vita, raccolta nel suo primo refugio, nella cellula vivente, ha mantenuto sempre, attraverso gli aspetti più vari, tra le circostanze più impreviste, sotto vi- cende più tumultuose, il suo carattere fondamentale primitivo, e non si è modificata se non per mante- nere attorno a sè le condizioni originarie. La legge della costanza marina, per cui ogni organismo può considerarsi come un acquario, in cui vivono im- merse le cellule che lo costituiscono, non ha che qualehe eccezione nel campo della vitalità più bassa, e di poca importanza. La volontà della cellula ani- male di conservare attorno a sè un ricordo fluido del 108 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA mare, in cui nacque, è manifestazione d’una energia incoercibile, d’una potenza che vuole ad ogni costo affermarsi. La vita fin dal suo primo apparire si ma- nifesta come volontà nietzschiana di dominio. * *x * La fissità chimica del mezzo in cui vive la cellula come si concilia col variare incessante e prodigioso di forme? Perchè la cellula nata nel mare non vi è rimasta? Come spiegarci la vita terrestre e la vita aerea? Queste dimande sollecitano il Quinton verso un nuovo ordine di ricerche e di riflessioni. Studi di astronomia e di geologia, indagini su documenti pa- leontologici gli fanno dedurre che la soluzione del nuovo problema debba riporsi nel raffreddamento pro- gressivo del nostro globo, contro cui gli animali si oppongono con un potere più o meno intenso di ele- vare la temperatura del loro corpo. Questo antago- nismo tra due fenomeni inevitabili conferma, da una parte, la legge della costanza marina, e, dall’altra, ci spiega la necessità che ha la vita di modificare le forme anatomiche che la comprendono. Il Quinton formula così la nuova legge: « Di contro al raffred- damento del globo la vita, apparsa in un dato mo- mento e sotto una data temperatura come cellula, tende a mantenere, per le sue alte funzioni lungo la serie degli organismi, la temperatura delle origini». Le acque oceaniche della Terra dovettero abbassarsi da temperature altissime a quella di 44 o 45 gradi perchè in esse fosse possibile una manifestazione di vita animale, giacchè è noto che una temperatura oltre questi gradi disorganizza il protoplasma. Tra 44 e 45 gradi la temperatura non è solo confacente, ma ottima per la vita. LA TEORIA DELL'EVOLUZIONE (QUINTON) 109 Il Quinton, confortato dai risultati geologici, pro- segue così il suo ragionamento: al raffreddamento progressivo del globo dovette corrispondere l’appa- rizione di specie dotate del potere di elevare la tem- peratura interna al di sopra di quella del mezzo esteriore; ed è chiaro che questo potere dovrà essere tanto più alto ed intenso per quanto la specie è più recente. Con la comparsa dei mammiferi e degli uc- celli si compie, in rapporto alla temperatura, il ciclo eroico della cellula. Ai gradi decrescenti della scala termometrica corrispondono organismi che hanno un potere più alto di calore a profitto della cellula or- ganica. Potremo così stabilire una nuova classifica animale, in cui le classi cronologicamente più anti- che sono quelle che avranno la temperatura più bassa. Tra i mammiferi, per esempio, alcune classi di mo- notremi con la temperatura a 25° sono più antiche dei marsupiali che conservano il calore interno a 33%; e l’uomo che ha 37° e !/, è più antico dei carnivori e dei ruminanti che stanno tra i 39° e 40° ed assai più lontano degli uccelli, che hanno il massimo di calore (40° e 44°). Io non posso dilungarmi nelle minute analisi che fa l’autore. Noto soltanto che viene in tal guisa a cadere il concetto che l’uomo sia apparso ultimo nella serie animale e che a formar lui si sia svolta la serie evolutiva degli esseri. Veramente studi recenti intorno all’antichità dell’uomo confermano le dedu- zioni del Quinton. E poichè la cellula più ricca di slancio vitale è quella che è riuscita a conservare la temperatura originaria, noi dobbiamo concludere che gli uccelli siano le creature più perfette e dare ragione al Leopardi che nella mirabile prosa dell’ «elo- gio degli uccelli » aveva questa verità intuito. Il volo degli uccelli ed il canto, che si espande da quelle 110 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA piccole gole vibranti, sono infatti le cose più mira- bili che la Natura offra ai nostri sensi. sa Al Quinton basta concepire un’ipotesi, perchè si vegga il mondo dei fenomeni piegarsi docilmente alle esigenze del suo concetto come l’umida creta sotto il pollice dello scultore. Rare volte accade che egli trova qualche resistenza fuori di sè. È il pensiero delle cose che ama sentirsi all’unisono con il nostro; o il nostro che, violando le indifferenti apparenze esteriori, ritrova se stesso nell’intimo dei fatti? Certo è che, dopo avere stabilito con vigore di logica e pertinacia di esperimenti la legge della costanza ma- rina e quella termica, egli passa a risolvere un nuovo problema, quello della costanza osmotica, ossia il grado di concentrazione salino dei liquidi vitali in rapporto a quello del mare nelle varie epoche della Terra. E non basta perchè subito dopo si preoccupa ancora di metter su la legge della costanza luminosa, per cui la cellula vivente, dovunque si trovi, anche nelle profondità più oscure dei glauchi abissi, riesce a produrre luce. Le conclusioni ultime a cui perviene il Quinton si mettono audacemente di contro alle conoscenze più salde che abbiamo nelle scienze naturali. Noi sape- vamo che la vita si modifica incessantemente sotto l’impero delle circostanze esteriori; ora ci si dice e ci si dimostra che la cellula rimane perennemente simile a se stessa. La vita diventa un fenomeno fisso; e, messa nel turbine delle forze cosmiche che la ur- gono da ogni parte, non fa che costruirsi abilmente, con industre attività fisiologica, degli apparecchi di protezione, mediante i quali le riesca possibile, nel va- riare del Tutto, mantenere la sua integrità originaria. LA TEORIA DELL'EVOLUZIONE (QUINTON 111 Il mutamento riguarda soltanto questi apparecchi esteriori, non il sacrario geloso, dove l’ostia della vita rimane inviolata ed intangibile come una cosa sacra. Dobbiamo anche smettere di credere che la nostra vita tenda senza tregua ad una perfezione più alta. L'elemento vivo di noi raggiunse la più alta perfezione nel momento stesso in cui comparve; ed ora, per non decadere, non fa che compiere sforzi enormi allo scopo di serbare la primitiva perfezione. La cellula originaria, che nuotò isolata nel fondo degli oceani, è la stessa che oggi circola nel sangue degli uccelli. Le molteplici complicazioni degli orga- nismi lungo la scala animale e la stessa intelligenza umana con i suoi meravigliosi prodotti, invece che farci pensare al raggiungimento di un lontano e sco- nosciuto destino, hanno una significazione più razio- nale nell’assicurarci uno «statu quo» che si opponga validamente ad una dissoluzione. L'evoluzione non è che la reazione che la cellula vivente compie ad ogni istante contro le minaccianti forze cosmiche, non è che un movimento fatto per neutralizzare un altro affinchè venga garentita la propria stabilità. Tutta la storia dell’evoluzione può ridursi ad un seguito di pazienti ed avvedute misure, di meditate discrezioni, di opportuni consigli presi dalla materia vivente per conservarsi; e la biologia è una scienza il cui cerchio è interamente chiuso. L’avvento della vita ne comprende anche, nel me- desimo istante, il principio e la fine. sFa V’è certamente una parte di vero in questa inge- gnosa teoria, ma le manchevolezze non sono poche, e gli sforzi per costringere la realtà nel cerchio d’una concezione «a priori» sono evidenti. Ma messa 112 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA di contro alle altre, che dominano nella scienza, non le si può negare il merito di essere la più rigoro- samente concepita e la meno ingombra di elementi metafisici. La parte più deficiente del sistema è quella che riguarda la significazione da darsi all’intelligenza umana. Se l’uomo non è più al sommo della scala animale, come spiegare questo straordinario potere che è in lui? Mentre l’evoluzione, per quanto si con- nette alla vita plastica, prosegue oltre l’uomo, e vi sono ulteriori perfezionamenti riguardanti lo stomaco, i polmoni e l’apparecchio circolatorio, i quali permet- tono l’elevazione della temperatura a 483°, l’uomo, rimanendo nell’impossibilità di elevare la propria temperatura oltre il 37 grado, produce con la sua intelligenza il fuoco e costruisce case e tesse vesti- menta per utilizzare a profitto della propria cellula vivente gli elementi cosmici. Le difese che la fisio- logia animale oppone alle minacce esteriori con di- sposizioni organiche e con nuovi congegni anatomici, l'intelligenza umana le compie con mezzi più indi- retti, più complessi, che possono anche agire a di- stanza sulla materia, ma che hanno egualmente lo scopo di preservare la cellula vivente. Svaniscono per il Quinton tutte le concezioni ideologiche intorno alle nostre facoltà spirituali e cadono ad una ad una le illusioni religiose e morali. L'intelligenza per lui non ha che un solo scopo, il biologico, scopo che realizza ad ogni momento nel ritmo costante dell’evo- luzione. Anche gli ideali più alti che ebbe l’umanità rientrano nello scopo comune: quello di mantenere condizioni più favorevoli alla prosperità della cellula organica. Il Quinton, nel rigore logico del suo sistema, può anche non aver torto. Ma egli non si accorge di LA TEORIA DELL'EVOLUZIONE (QUINTON) 113 cadere nell’errore comune agli scienziati, che hanno ereduto e eredono tuttavia di potere dai fatti risalire alla comprensione dell’idea. Non è la Natura che offre a noi gli elementi per intenderci; è il nostro spi- rito che coinvolge in sè l'Universo. Può l’animalità, ch'è in noi, rientrare in alcune leggi comuni; ma, quando l’uomo diventa Prometeo, riesce dalla bio- logia per entrare nella storia, ch’è la sola e la vera nostra natura. Continui pure la scienza ad indagare la nostra materialità organica, ma non pretenda per questo d’intendere quel ch’è in noi di umano e nel medesimo tempo di divino. Il pensiero intende qual- che cosa di sè lacerandosi a sangue come il mitico pellicano, non misurando e calcolando comodamente le nostre sensazioni organiche di origine inferiore, che stanno al pensiero come la pietra grezza al Par- tenone. Chi, come Giovanbattista Vico, intravide e deter- minò per il primo la storicità dello spirito, ci offrì le leggi ineluttabili della sola evoluzione che riguarda noi, uomini. ANILE A. 8 LA SCUOLA E LA SCIENZA Io non ho competenza sufficiente per intervenire nel dibattito fra i seguaci della scuola classica e quelli che non paiono tali. Dirò solo, per propria e non lieta esperienza, che gli studi classici, così come ora si svolgono nelle nostre scuole secondarie, sono inefficaci e falliscono del tutto allo scopo che si pro- pongono. i Quel che il mondo classico ha di grande e di veramente educativo rimane fuori dalle anime giova- nili oppresse sotto il gravame di sterili studi gram- maticali. I metodi filologici tedeschi, importati trion- falmente presso di noi, rappresentano troppo per se stessi un termine di vasta coltura perchè ne diven- tino modesto principio in teneri ingegni. Voglio dire che si è dimenticato che nel processo per cui la nostra mente si educa v’è qualche cosa che ricorda il divenire storico del sapere. Basta aprire una gram- matichetta, anche di quelle scritte per le scuole pri- marie, e leggervi adesso una qualunque delle defi- nizioni ivi accolte per rimanere sorpresi dell’intimo valore filosofico che hanno le parole, che dovrebbero di primo acchito essere comprese da fanciulli. I libri seolastici antichi, che oggi giudichiamo puerili, erano invece, sotto il rapporto didattico, superiori ai nostri; e questa non è l’ultima fra le ragioni che valgono a spiegarci perchè i nostri padri seppero le lingue classiche meglio di noi. 116 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA Ma se il dibattito ferve ancora tra classici e non classici, non meno dubbio è il concetto che si ha intorno allo studio delle scienze naturali e del modo come meglio e più razionalmente distribuirle. In generale la scienza in Italia viene ancora giu- dicata da alcune manifestazioni, che non sono certo le più belle. Tra queste ricorderò, per ora, soltanto quelle che sono inerenti alla persona dello scien- ziato, che, tranne qualche rara eccezione, se ha la coscienza di quel che sa, non ne ha il sentimento. La cultura prettamente scientifica, che per se stessa dovrebbe allargare i confini del mondo esteriore e renderne più intensa la visione, restringe invece il più delle volte il campo visivo di chi la possiede alle sole particolarità di.cui è fatta la propria scienza. Si vien così formando un particolarismo scientifico che rende monche e fredde le intelligenze e non giova per nulla ai progressi della coltura nazionale. Se a questo si aggiunge la leggerezza caratteristica in parecchi scienziati d’Italia di invadere i campi dell’attività letteraria e filosofica e mietere quivi facilmente senza alcuna di quelle riserve, che pure dovrebbero essere il corredo necessario di ogni stu- dioso, si comprenderà il discredito che è caduto sopra gran parte della nostra produzione scientifica. Io non ripeterò qui quanto, or non è molto, due fervidis- simi ingegni toscani, il Prezzolini ed il Papini, seris- sero a proposito della coltura nazionale, intorno ai nostri scienziati che vanno per la maggiore, e del danno che è venuto alla gioventù nostra dal confu- sionismo e dal disordine abituale di tante opere di volgarizzamento classico. Ma non voglio esimermi dal notare che, se ogni scienza, anche chiusa in brevi limiti, importa un periodo di preparazione e di tirocinio perchè la si conquisti, è cosa poi davvero LA SCUOLA E LA SCIENZA 117 stranissima vedere che, per trinciare giudizi in let- teratura e filosofia, che sono del pensiero umano le manifestazioni più nobili e più complesse, basta sol- tanto averne la velleità. I libri, inoltre, che di recente sono stati seritti per diffondere nelle seuole secondarie la coltura scien- tifica non sono pur troppo fatti per ispirare delle simpatie a questo ordine di studi. Ho qui dinanzi, mentre serivo, un manuale di scienze naturali pre- parato per le scuole tecniche, e di cui finora si sono fatte parecchie edizioni. Ebbene, io trovo in questo libro i capitoli, riguardanti gli animali e le piante, iniziarsi con la classifica degli uni e delle altre, anzi con l’esposizione di vari tentativi di classifiche. È inutile che io mi soffermi a notare quale enorme “errore didattico sia questo e quale vano sforzo rap- presenti per le menti giovinette questa necessità di apprendere a memoria parole parole parole. La elas- sifica non è che il tentativo più alto compiuto da alcuni scienziati, che, dopo avere lungamente osser- vato le innumerevoli forme della vita, pensarono di poterla raccogliere insieme per i caratteri più emer- genti. Ogni classificazione naturale acquista così il valore di un prodotto più subiettivo che obiettivo e porta così netta l'impronta di chi la concepì e del clima storico in cui nacque che, a distanza di pochi anni, basta che un nuovo osservatore si metta da un punto diverso di vista perchè senta la necessità di proporre un’altra, la quale varia non poco dalla pre- cedente. E tutte le classifiche proposte e quelle da proporsi lasceranno sempre al di fuori di sè una parte non lieve della realtà, che rimane inclassificabile. Non è certo con libri così fatti e con insegna- menti così impartiti che si risolve in qualehe modo il problema della nostra educazione. 118 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA * *x * Se invece le scienze naturali venissero serena- mente considerate nella significazione intima che le sospinge e le collega insieme ogni dissidio fra col- tura classica e scientifica finirebbe. Ove lo studio delle scienze si fermasse meno sui metodi effimeri dell'indagine e sulle particolarità esteriori e fosse piuttosto rivolto a risvegliare nelle anime adolescenti il sentimento della natura ed a renderlo più intenso, diverrebbe parte integrante e direi quasi indispen- sabile della coltura classica. La quale, a sua volta, se non fosse aridamente ammannita con manuali dai quali esula del tutto lo spirito classico e con commentari ove non un solc riflesso s’accoglie della prima luminosità del mondo, apparirebbe anch'essa come un fenomeno naturale, come un fenomeno di bellezza, giacchè la grande arte non imita la natura, ma la continua. Quel che si oppone alla fusione delle due colture sta nella parte contingente, mutevole, caduca delle stesse; sta nella falsità dei metodi e dell’opera di chi non ha inteso lo spirito nè del- l’una, nè dell’altra. Io qui non posso diffondermi in esempi, ma l’idea del primo capitello corintio e dei caulicoli che l’ador- nano nacque da un fascio di fiori riversi con dolce curvatura sugli alti steli. E quando le donne ateniesi scioglievano i veli del loro bellissimo corpo dinanzi a Prassitele meditante Venere, compivano un atto memorabile e davano, senza saperlo, la traccia del primo vero insegnamento di anatomia artistica. Tutta la civiltà ellenica, che anche ora pare un miracolo, è animata da un sentimento vivissimo che quel po- polo ebbe della bellezza del corpo umano — bellezza LA SCUOLA E LA SCIENZA 119 che noi oggi, con tanto sviluppo di studi anatomici, non sentiamo più. Per il modo col quale nelle nostre scuole, mala- mente arredate, svolgesi lo studio delle scienze na- turali vengono precluse alle anime dei giovani le impressioni le più profonde, le più fattive. Lo studio delle piante vien fatto sopra erbari secchi, ove non appaiono che scheletri di foglie consunte e spoglie di fiori compressi scoloriti; e quello degli animali sopra qualche difforme esemplare ottenuto da una cattiva imbalsamazione. E questo profanamento con- tinuo impunito delle bellezze naturali si compie, il più delle volte, in ambienti chiusi e con parola che sa catalogare, ma non accendere una sola fiamma di entusiasmo nell’animo di chi ascolta. Quando invece lo studio delle scienze naturali venisse fatto con lo scopo precipuo di mettere in comunione le anime giovanili con i fenomeni molteplici della vita, che irrompe da ogni zolla della nostra terra; e non s’igno- rasse che la meraviglia non è solo la sorgente di ogni poesia ma la sorgente di ogni educazione dello spirito, che, nel dischiudersi, porta con sè le facoltà poetiche dei primi popoli erranti, allora solo le nostre scuole potrebbero considerarsi come veri focolai di coltura e fecondatrici di energie, e la lezione fatta dal professore di scienze parrebbe il miglior com- mento alla lezione fatta dal professore di lettere. Le qualità eterne della bellezza di un canto omerico hanno solo riscontro nelle qualità eterne delle bel- lezze naturali; ed una giovane mente, che sa quel che si compie sotto la cortice di un tronco ed intende il polso delle linfe che ascendono silenziose a pre- parare la gloria del fiore, è nelle migliori condizioni per intendere il divenire della poesia degli uomini. Una cantica dantesca ha la severità di un albero 120 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA secolare, che non crolla per furia di venti e rispetta, nella disposizione dei rami e nell’ordine con cui s’impiantano le foglie, le leggi immutabili dell’ar- monia. Nella struttura delle montagne v’è qualche cosa che ricorda la struttura di un poema antico; e vi sono marmi che hanno venature di tinte inde- finibili che brillano come i colori nei quadri del Giorgione. * *x * Nei nostri già logori ordinamenti scolastici ciò che manca, sopratutto, è la comprensione dello spirito classico da una parte, e dall’altra la conoscenza della vita intima che informa le scienze naturali, le quali sono in continuo sviluppo e pervadono ormai di sè ogni attività sociale. Per questa mancanza deplore- vole, ancora più se si riflette quanto di organico è stato già fatto presso le altre nazioni, la scuola presso di noi fallisce al suo scopo e si perpetua un dis- sidio fra tendenze, che paiono diverse, quando do- vrebbero fondersi in una tendenza sola: quella di plasmare delle coscienze. I fautori della scuola classica dovrebbero soltanto preoccuparsi di rendere più fecondo il loro insegna- mento, ed intanto i nostri Musei dovrebbero aprirsi non solo per i forestieri del Nord, ma anche, come già da tempo si compie nel Giappone dove ogni inse- gnamento è pratico, per i giovani delle scuole, per i quali lo studio dell’antichità classica avrebbe ben altro valore se fosse assunto nelle menti non solo per le vie della percezione acustica, ma anche per quelle della percezione ottica. D’altro canto, i cultori di scienze naturali dovrebbero sovente condurre la scolaresca fuori lo stretto ambito della scuola; e gli Orti botanici ed i Musei zoologici e mineralogici e LA SCUOLA E LA SCIENZA 121 gli Istituti scientifici delle nostre università dovreb- bero anche, volta a volta, aprirsi per i giovani delle scuole secondarie, a cui una cosa vista partecipa alla formazione del pensiero più che una cosa udita. E le escursioni a scopo istruttivo, sotto il cielo italico, per le vie fiorite dei campi, guidate da chi può rivelare le meraviglie, che ad ogni passo la natura, in perenne rinnovamento, offre a noi in una foglia, in un bocciuolo, in un insetto, in un volo, in un cal- càre dovrebbero diventare abituali. Le forme statiche e le forme dinamiche della bel- lezza si alternerebbero così dinanzi all’occhio gio- vanile, ch'è lo spiraglio per cui il mondo esteriore trapassa in noi e diventa idea. li a ” l a | oli Potea VARIE dir avec ARIA A a si ri i SE «SÉ (a 43 to A, ara 2 y LA VITA PRIMA DELLA VITA L’ansia di sapere quel che sarà di noi, dopo che la nostra vita mortale ci circonclude, avanza di certo il desiderio, che pur dovrebbe essere vivo ed ansioso nel nostro spirito, di conoscere quel che fu di noi prima che si accendesse la fiamma della no- stra coscienza. Noi riduciamo di molto il valore ed il significato della vita raccogliendola nel fenomeno della nostra breve esistenza cosciente. Un albero non è soltanto nel tronco e nei rami che la luce a noi rivela; ma più ancora nelle folte propaggini delle radici, che si affondano nella terra oscura, ed anche nel profumo imponderabile dei suoi fiori, che si di- sperde ad ondate nell’aria. Noi viviamo di una vita non meno tumultuosa prima ancora che si aprano le nostre palpebre ed assai prima che intervenga un bagliore anche pal- lido di volontà. Quel che avviene nell'ombra, che precede l’aurora della nostra comparsa nel mondo, è così altamente armonico e meraviglioso che noi siamo costretti a dimandarci se la parte migliore della no- stra vita non sia forse quella già vissuta prima di nascere, quando ogni attimo che passa determina un trionfo della nostra organizzazione. Nel mondo, invece, noi viviamo morendo in ora in ora; e la nostra ragione viola la pura visione delle cose che sono in noi e fuori di noi. 124 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA * * * E Il nostro cuore incomincia a pulsare appena si determinano le prime tracce del nostro organismo animale, ch’è già tutto in potenza nel germe. che passa. Nella breve cellula germinale y’ è qualche cosa del pensiero dei nostri padri ed una scintilla del pensiero che rifulgerà nell’avvenire. Trasvola attra- verso i nostri tessuti un soffio della vita universa; e quel ch’è di noi nei nostri figli e nella generazione immediata che ci segue è ben poco in paragone delle energie proprie, indipendenti da quelle dei padri, che ciascun nato possiede. La natura alimenta in noi l’illusione che i nostri figli siano del tutto nostri, perchè da noi nulla si risparmi di cura per sorreg- gere la gracile puerizia. La nostra cara illusione dura oltre l’ istinto degli animali che nutriscono i loro nati per dimenticarli appena potranno bastare a se stessi; ma quante volte siamo costretti, dinanzi al- l’improvvisa manifestazione di un’energia che non fu mai in noi, dinanzi ad una non prevista deviazione di carattere e di sentimento riconoscere che noi non abbiamo riprodotto un modello di noi, ma una vita diversa e libera, che si ricollega per fili invisibili all'umanità che fu o quella che verrà. Noi non siamo che tramiti per il flusso delle specie. Niuna parte del pensiero di Dante visse prima di lui, nei suoi. padri; e niente di lui passò nei figli del suo corpo, che pure riprodussero nel viso la sa- goma del severo profilo paterno. L'armonia di Bee- thoven vince di mille secoli il silenzio, ma niun’eco risuonò prima di lui. Le leggi dell’evoluzione, se hanno qualche valore per la parte somatica di noi, non ne hanno alcuna per la parte spirituale. I veri figli di un uomo di eo | LA VITA PRIMA DELLA VITA 125 genio possono ricomparire dopo parecchie generazioni | passando attraverso una serie più o meno lunga di uomini mediocri. Chi determina il primo palpito del cuore, ch’è già manifesto al sopravvenire della terza settimana di vita embrionale? Dal piccolo elemento anatomico, dalla piccola cellula, che risulta dalla fusione del germe maschile con il germe femminile, si svolgono in proporzione geometrica altre cellule; e queste, ‘ moltiplicandosi a loro volta, si dispongono in ordine mirabile per comporre i tessuti onde si formeranno i nostri organi. Gli eserciti, le falangi dei piccolissimi anatomici elementi corrono gli uni verso gli altri, s’attardano, riprendono il cammino, si trasformano, soccombono, si separano, rivivono, si riaggruppano, e da questa attività straordinaria, inconcepibile per il nostro pensiero come è inconcepibile l’attività delle molecole in una nebulosa celeste, si formano tubi, canali, membrane, ramescenze di fibre, si gittano ponti, s’innalzano archi, si determinano linee agili di costruzioni fantastiche; e ciascuna di queste parti non è che un aggregato architettonico di cellule mantenute strettamente insieme. Nulla di questo tumulto perviene alla coscienza della madre, la quale mostra soltanto negli occhi delle luminosità strane come certi mari in fondo dei quali si compiono nozze feconde. Il cielo di questa vita si chiude in nove mesi, ma ogni ora che passa è piena di secoli. Noi tocchiamo la soglia della specie umana ripercorrendo il cam- mino fatto nei secoli, di forma in forma, di orga- nizzazione in organizzazione, attraverso le vicende della storia millenaria della Terra. Pare un sogno di Edgardo Poe. L’utero materno, appena l’embrione vi giunge, si prepara a contenere la vita dell’universo. 126 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA Le dimostrazioni fatte dall’Haeckel di questa verità, che ci riempie di meraviglia, possono in qualche punto sembrare deficienti; ma che si riproducono nel nostro sviluppo, sommariamente, i gradi percorsi nel tempo e nello spazio dalle specie animali per giungere all’uomo non è dubbio. La vita umana è cosa divina per questa sintesi che ha in sè di tutta la vita diffusa nel mondo. Vibrazioni di ali di uccelli, ansie di luce di forme marine migranti nei glauchi abissi agitano nel suo divenire la nostra materialità organica. Il nostro cuore quando incomincia a pulsare è un esile tubo leggermente inflesso su se medesimo; e l'embrione umano, a cui il cuore appartiene, non è che una piccola larva in cui appena qualche organo incomincia a disegnarsi. Il sistema nervoso non ha ancora acquistato il dominio del nuovo essere, ed il cuore, privo di qualunque connessione nervosa, pulsa con quel ritmo che non sa tregua e che cesserà solo con la morte. In noi il ritmo del cuore è regolato da un complesso congegno nervoso, di cui non e’ è traccia nell’embrione. Come si determinano allora le leggi del primo ritmo? Nell’uovo di pulcino la pulsazione cardiaca è già osservabile nel secondo giorno d’incubazione. Il primo ad ascoltare il doppio tono del cuore fe- tale fu Lejumeau de Kergaradec nel 1822. Il numero delle pulsazioni varia da 120 a 144 in ogni minuto: ed il succedersi dei battiti è indipendente dal polso della madre. L’embrione umano quando il cuore pulsa vive già d’una vita propria. Trae alimento dal sangue ma- terno, ne risente le perturbazioni, ma la vita del nuovo essere non è tutta in questo rapporto mate- riale come una fiamma che arde non è tutta nel LA VITA PRIMA DELLA VITA 127 vento che l’agita la piega e la sublima. Può una ala violenta di vento spegnere la fiamma, come una forte emozione della madre può deviare la traietto- ria vitale del nuovo essere e perfino sopprimerlo ma la fiamma vive sopratutto della sua segreta combustione e l’embrione, più che per la madre, vive per l’intime energie degli elementi anatomici attraverso i quali s’ infutura la specie. Nè l’embrione, nè la madre hanno coscienza di rapporti intimi che tra loro intercedono. La nuova vita, in cui già la forma umana è ma- nifesta, sta come rannicchiata nella cavità del vi- scere materno con le braccia inerociate sul petto e le gambe flesse e ripiegate a croce. Ondate di san- gue lo percorrono da un estremo all’altro ed il cuore nel maggior lavoro che compie rinsalda la sua strut- tura. I nervi si tessono e mandano propaggini sempre più vaste, ed il cervello compone di momento in mo- mento le corde che dovranno poi vibrare nel pensiero. Nel silenzio e nel buio che le sono attorno cosa sente, cosa sogna la gracile creatura? Di tratto in tratto sobbalza in movimenti strani improvvisi, che si traducono in un’onda rapida sull’addome della madre, che ha già la percezione dei primi richiami del proprio figliuolo. Il quale, in attesa di vedere la luce si dispone così che la fatica leopardiana del nascimento ed il rischio di morte gli riescano lievi. Superato il rischio del nascimento, la luce e l’aria penetrano di un fiotto nei suoi tessuti, e si deter- minano le prime indistinte sensazioni del mondo esteriore che lo compenetra di sè. Sulla coscienza, che rimane buia ancora per pochi mesi, s’inarca lentamente un crepuscolo luminoso, che annuncia l’irraggiarsi della consapevolezza e l’inizio della no- stra dolorosa vita mortale. 128 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA * * * Gli studi embriologici coinvolgono i problemi più ardui della biologia. Non v’è scienza sperimentale che non porti un contributo a cotesta pertinace inda- gine di sapere donde veniamo. Noi siamo costretti a fermare il flusso della vita per poterlo studiare e rac- coglierlo sotto le nostri lenti microscopiche. L’unità ci sfugge. Ma non per questo sono meno lodevoli gli sforzi che si compiono per sollevare un lembo della verità. L’Italia da pochi anni a questa parte porta un contributo notevole a questi studi. Le specie più semplici di animali ci offrono un prezioso materiale di ricerca. Non è mio compito riassumere i risultati ottenuti dai nostri professori di anatomia e di zoologia, nè sa- rebbe possibile in un articolo. Voglio solo ricordare un iniziatore di simili difticili ricerche: Giuseppe Bel- lonci. Educato alla scuola di un maestro, quale fu Salvatore Trinchese, il Bellonci visse in un ardore inestinguibile di sapere, ed in questo ardore consumò se stesso. L’università di Bologna non può averlo dimenti- cato, giacchè egli nel 1880 vi fu incaricato dell’ inse- gnamento di embriologia. Ho dinanzi, mentre serivo, le sue numerose pubblicazioni; e, tra queste non sono poche quelle che stampano un’orma indelebile della scienza della nostra organizzazione (‘'). Anche dove (1) Di Giuseppe Belloncei e delle sue opere scrisse in Bologna Cesare Facchini. Tra le opere del Bellonci vanno ricordate: Ricerche intorno . all’ intima struttura del cervello dei teleostei. — Sull’ intima struttura del cervello della rana esculenta. — Ricerche comparative sulla struttura dei centri nervosi dei vertebrati. — Contribuzione all’ istologia del cer- velletto. — Sulla regione ottica cerebrale dei pesci e degli anfibii. — Con- LA VITA PRIMA DELLA VITA 129 egli impiega mezzi di ricerca, che sono oggi superati, è ammirevole la serena coscienza dell’osservatore accoppiata ad una facoltà non comune di visione superiore. L’idealismo dell’insegnamento del De Meis non fu senza efficacia sugli scienziati di allora, che, pur rin- chiusi nei fatti, non sapevano abbrutirsi ed idealiz- zavano senza volerlo la materia. I primi positivisti che ebbe l’Italia furono quasi tutti Hegeliani. L’ac- cademia dei Lincei premiò il Bellonei per i suoi vari lavori intorno alla struttura ed alla morfologia del sistema nervoso. Questo sistema, in cui si determi- nano i fenomeni della coscienza, esercitò un fascino straordinario sul giovine biologo. Il quale pur tra le amarezze della vita, che non gli mancarono, man- tenne chiusa e viva in sè l’ansia dell’indagine e non alzò gli occhi dalle lenti mieroscopiche se non per ripiegarli sopra un libro d’arte e di filosofia. Poco più che trentenne egli sente venir meno le resistenze fisiche, mentre lo spirito si espande in concezioni più larghe. Concepisce una nuova dottrina della scienza e si dà a fermarla sulle carte mentre la morte gli è già sopra. La materialità organica cede di ora in ora al male ribelle, ma il suo pen- siero rifulge di lampeggiamenti nuovi. Egli misura i battiti del suo polso, egli sa quante ore di vita gli rimangono, e scrive gran parte dell’opera, stenografi- camente, nella fiducia di poterla condurre al termine. tribuzione all’istogenesi della retina. — Blastoporo e linea primitiva dei vertebrati. — L'apparecchio olfattivo e olfattivo-ottico del cervello dei teleostei. — Sulla spermatogenesi dei vertebrati. — Sistema nervoso e coscienza. — Sulla terminazione centrale del nervo ottico nei mammi- feri.— Intorno al modo di genesi di un globulo polare nell’ovulo ovarico di alcuni mammiferi. — Sistema nervoso e organi dei sensi dello Sphae- roma serratum.— L’opera rimasta incompleta per la morte prematura porta il titolo: La dottrina della scienza. ANILE A. 9 150 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA Per la prima volta la stenografia contende alla morte valori di idee. Nella lotta impari il Bellonci soccombette, ma quanto di lui ci rimane, come esempio nobile di vita e come produzione originale di ricerche, è più che valevole perchè il suo nome si ricordi. Dinanzi alla facile e rumorosa ammirazione per uomini, che sanno solo accumulare ricchezze e beni materiali, non è inutile ricordare, di tanto in tanto, qualche esempio di ardente virtù spirituale. Solo per queste virtù l’umanità ascende e giunge, come nel simbolo dan- tesco, a contemplare Iddio. IL PICCOLO MUSEO DI UNO SCIENZIATO Da Vienna passando per Liesing, ch’è una delle tante polle di birra che spumeggiano attorno alla capitale, si giunge, in meno di un’ora di ferrovia, al silenzioso villaggio di Perchtoldsdorf. Un piccolo aggruppamento di case bianche e linde, su cui s0- vrasta il campanile a sesto acuto della chiesa; ed alberi dappertutto, nella piccola piazza, lungo le strade, nelle aie dei villini e d’ognintorno. Che le grandi città dell'impero, a noi limitrofo, abbiano tutte una cura gelosa degli alberi e degli uccelli sorprende meno che non il constatare la stessa cura nei villaggi, nei sobborghi immersi per se stessi nel verde dei campi. Ogni casa, lassù, sia che accolga l’uomo ignaro o il pensatore, il povero o il ricco, bisogna che veda dalle sue finestre, a breve distanza, le chiome degli alberi e ne senta lo stormire. È un sentimento diffuso che non ha eccezioni e che dà a quegli uomini dall’aspetto rude e dal gesto tardo come un’aureola di poesia. Vienna è tutta verde e crea per ogni rione nuovi giardini e mantiene intatta, come cosa sacra, la foresta che la protegge da ogni lato e la chiude in un cerchio di armonia che l’anima di Beethoven serrò in sè. I pennoni, che sostengono al sommo i globi di luce elettrica, sono avvolti da anse di fiori che si arrovesciano in fuori come vivi caulicoli di un capitello; e tra i balconi e le finestre dei palazzi è una gara per ornarsi di piante fiorifere. 132 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA Il borgomastro della città, che ha per programma di Vienna rendere la città più bella tra quante il sole illumina dal Mare del Nord all’Adriatico, premierà i balconi meglio fioriti; ed io, che venivo da Napoli, dove ogni parvenza di verde viene sollecitamente soppressa e gli alberi distrutti col pretesto che la città deve diventare ricca ed industriale, non importa se brutta, penso con dolore alle ragioni con cui un simile programma di bellezza farebbe sorridere gli amministratori del nostro paese. Mi si perdoni la parentesi, e torniamo al piccolo villaggio, che, in quel giorno, annegava in un mare di luce chiara così che ogni oggetto, ogni filo d’erba pareva rendersi trasparente, e le montagne in lonta- nanza mostravano di sè ogni piega, ogni anfratto come anime che, nella gioia, sentono bisogno di rivelarsi. Il villaggio di Perehtoldsdorf conserva religiosa- mente la casa dove visse gli ultimi anni Giuseppe Hyrtl, ed i libri e le carte che a lui appartennero. Io, in compagnia dell’amico dottor Aldo Zaniboni, vi compivo un pellegrinaggio. Giuseppe Hyrtl non fu nè un poeta, nè un grande musicista, nè un eroe nel senso di Carlyle, ma fu (non si sorprenda il lettore) semplicemente un pro- fessore di anatomia umana all’ Università di Vienna. Non è questo il posto perchè io dica di lui come accademico e riveli quale impronta sia rimasta del- l’inesausta sua attività in questo ordine di studi e quante osservazioni originali siano raccolte nelle sue opere e quale efficacia abbia esercitato nel movi- mento scientifico contemporaneo, ma certo non è del tutto inutile sapere che egli fu un’anima imbevuta di latinità e che ebbe un culto d’amante per la no- stra arte antica. Niuna opera della nostra lettera- tura classica gli era ignota, e scriveva in latino con AT IL PICCOLO MUSEO DI UNO SCIENZIATO 133 la stessa facilità con cui scriveva in tedesco e ri- conosceva di aver tratto dallo studio della nostra lingua materna le attitudini precipue per emergere nella scienza. | Figlio di un contadino, egli ereditò dal padre una verginità sempre viva d’impressioni per gli spet- tacoli virgiliani e per le cose belle che sono in na- tura ed in arte. Quando, per limite d’età, chiuse il suo fecondo insegnamento universitario, egli volle ritirarsi in questo piccolo paese per darsi alle cure dei campi. Nel piccolo Museo sono raccolti gli umili abiti che egli indossò da agricoltore. Rivisse in lui, nella tarda vecchiaia, il gesto paterno, che le virtù ereditarie inerenti alle specie non vengono facil- mente vinte da sovrapposizioni di coltura e di nuove abitudini. Qualche cosa di noi, fuso alla nostra ma- terialità organica, passa immutato ed immutabile di generazione in generazione come il nucleo granitico di una roccia che non scompare per succedersi di vicende cosmiche. Il maestro elementare del paese, che ci fa da ci- cerone, racconta gli episodi più caratteristici della vita agreste di Hyrtl. Questo uomo, che credette la floridezza della sua esistenza all'indagine minuta e paziente della nostra compagine organica e trasse dal cadavere verità di scienza ed immagini di poesia ed intese tra le sue dita la fluente delicatezza dei fasci nervosi e l’ansia fuggitiva degli intrecci arteriosi, ebbe certo le medesime impressioni scoprendo la trama di un fiore o toccando le barbe di una radice arborea. In quante gocce di rugiada egli non vide, alla prima luce, gli stessi riflessi che ha il cristal- lino del nostro occhio; e nella segreta armonia che anima il silenzio delle notti lunari egli certo intese un’eco dei suoni impercettibili che fanno le liquide 134 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA correnti del nostro corpo ascendendo per gli alvi innumerevoli che sono chiusi in noi. « Les cadavres sont sales » soltanto per chi nulla sa delle meraviglie onde è tessuta la nostra vita. L’uomo primitivo, errante per la foresta, ebbe il primo brivido dell’infinito ed intese per la prima volta di possedere un’anima dinanzi alla spoglia immota del corpo del proprio simile. L'idea dell’immortalità nacque dal culto dei defunti, ed è dello Schopenhauer la frase che la Morte sia il musagete dell’arte e della filosofia. Noi ora non spinge più l’ansia che fece esclamare al Re Lear: « Su, su alla sezione del cadavere di Re- gana; vediamo cosa stia intorno al cuore crudele di costei ». Noi, anatomizzando, non sappiamo a chi ap- partenne la spoglia ch’è sotto la nostra indagine, e troppo piccole ci appaiono le azioni umane dinanzi al grande mistero ch’ è sotto ai nostri occhi. La Morte, nel chiuderci nei suoi veli, cancella le differenze di razza di casta di coltura, e noi tutti si diventa egualmente sacri. Noi spinge invece la medesima an- sia che tenne Leonardo da Vinci disseccando un cada- vere: scoprire nuove plaghe alla scienza ed alla poesia, alla verità ed al sogno. Sentiva Leonardo toccando una palpebra come il battito di un’ala e nello svi- luppo d’una mano muliebre su dal polso piccolo qualche cosa di floreale. Io non so quale posto verrà dato alla coltura ana- tomica nei nuovi programmi per la nostra gioventù studiosa, ma penso che ogni coltura scientifica è monca se non tende alla comprensione di noi. Giuseppe Hyrtl fu un anatomico geniale e trasse dalla sua vasta coltura classica le forze vive del suo intuito e la visione serena delle cose ed una facoltà di sintesi che non è comune in chi non ha l’uso — f Dl IAA x » è "cati È }, IL PICCOLO MUSEO DI UNO SCIENZIATO dD dell’analisi. Eccomi qui dinanzi alla sua biblioteca, e mi pare di avere dinanzi la sua anima. Le opere letterarie non sono numericamente mi- nori in confronto delle scientifiche: tra quelle è intera la collezione dei nostri classici latini e dei filosofi più remoti; tra queste prevalgono le opere antiche di anatomia umana e le fedeli deserizioni dei primi settori quale il Vesalio, lo Spigelio, il Mondino, il Monro ed il Fabrizio d’Acquapendente. L'Italia nel Rinascimento diede al mondo la luce dell’arte e della scienza. Gli studi anatomici ebbero quindi culla tra noi, e niuno più di Hyrtl riconobbe questa nostra gloria. Egli ebbe vivissimo il senso storico della scienza che coltivò; e s’intese latino e per l’arte, a cui concesse i suoi riposi, e per la scienza, a cui diede tutto se stesso. Oggi i titoli di storia della scienza non valgono più, e la produzione delle pic- cole tisicuccie memorie e dei grami fatti vien su con la facilità delle graminacee. In uno scaffale a parte veggo bellamente disposte le opere dettate da Hyrtl insieme con gli esemplari delle traduzioni che le diffusero per il mondo. Ecco « L’onomatologia anatomica » in cui segue le vicende storiche delle parole, che più sono in uso nella nostra scienza e ci dà un esempio di critica scientifica non più imitato. Ecco i suoi lavori di morfologia intorno alla cireolazione sanguigna e l’elenco e la tecnica dei suoi magnifici preparati a corrosione, per cui furono resi visibili le più esili ramificazioni arteriose e le folte arborescenze dei vasi capillari. Ecco il suo trattato di « Anatomia topografica », ed il suo « Ma- nuale di dissezione », ove è raccolta tutta la sua espe- rienza. Ecco il suo classico trattato di « Anatomia descrittiva » con a fianco la prima edizione della tra- duzione italiana fatta dal nostro prof. Antonelli. 156 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA L’Hyrtl si compiacque di questa traduzione, più che di ogni altra, non solo per le disposizioni favorevoli che il suo spirito conservò per le cose nostre, ma anche perchè vide trasfuso intero il suo pensiero ed in molte parti completato così che, nelle successive edizioni tedesche dell’opera, egli intese la necessità di tradurre il suo traduttore. Da questa collabora- zione di due spiriti, per non poche tendenze affini, venne fuori un trattato di istituzioni anatomiche che alimentò parecchie generazioni, e da cui ancora oggi tutti abbiamo da apprendere non poco. Le vicende della scienza sono ora tanto rapide che un libro fa presto ad invecchiare. Ma noi, se chiediamo ad opere più recenti e più ampie il risultato dei nuovi studi, ritorniamo sempre con amore costante all’opera di Hyrtl per quel sentimento di genialità che la pervade e la mantiene sempre viva. La preoccupazione ec- cessiva di mantenersi obbiettivi fa sì che molte nuove opere di scienza paiono dei zibaldoni; ed è proprio l’organizzazione che manca nella massima parte dei libri che si occupano di scienze organiche. Il deri- mere, il selezionare tra la farragine dei nuovi fatti, che l’attività di tanti studiosi afferma, è compito arduo che richiede una visione superiore e sopra- tutto una coscienza scientifica che si acquista con lunga disciplina. D'altra parte, pei concorsi che si bandiscono in Italia, importa solo la quantità dei titoli, non la qualità; e le cose dureranno così finchè, come per l’arte e la filosofia, non intervenga anche per la scienza un lavoro coraggioso di revisione e di critica da giovani che si preoccupino meno della propria carriera e più della dignità dei propri studi. Non è arduo sperare che anche in Italia la coltura superiore s’integri e si rinnovi. =L UN EROE DEL MARE (A. DOHRN) Napoli ha testè solennemente commemorato Anto- nio Dohrn, lo scienziato illustre ed il fondatore della grande Stazione Zoologica. Il prof. F. S. Monticelli, dinanzi alle autorità intervenute e ad un folto pub- blico, delineò magistralmente, in brevi tratti, la figura rappresentativa dell’uomo, che seppe contenere la fuggevole onda del mare perchè divenisse mate- riale di ricerca scientifica. La commemorazione per la scelta dell’oratore, ch'è uno dei più fervidi cul- tori di scienze biologiche, e per l'intervento della parte migliore della cittadinanza fu un doveroso tri- buto di omaggio verso chi seppe accendere, lungo la nostra riviera, un faro così luminoso di coltura. Dominato il mare coi poderosi navigli dal cuore metallico, che riescono dalla tempesta come da un ab- braccio, non resta all’uomo che il dominio del grande mistero di vita che palpita nell’onda. Ad una forma di eroismo ne succede un’altra non meno mirabile: al pugno, che tenne salda la scotta della vela tur- gida nel vento, ecco sostituirsi l'indagine chiusa del pensiero che vuole misurare gli abissi interminabili. Una profondità come quella del mare non può essere compresa che da una profondità più vasta: quella del pensiero. Da chi primo « spinse nel mar gli abeti » per la conquista di un vello d’oro lontano, ad Antonio Dohrn, 158 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA che istituì qui in Napoli il più grande Istituto bio- logico per la ricerca d’una verità, è un avvicendarsi di audacie umane per la medesima ansia dell’ignoto. E come il bacino mediterraneo e la plaga che s’ in- sinua nel golfo delle sirene e circonelude in ceruli abbracciamenti le isole di Capri, di Ischia e di Pro- cida attrasse le fragili carene di Ulisse così, per una coincidenza non priva di significazione, lo stesso mare attrae i nuovi navigatori cui sospinge un non diverso anelito odissèo. Se « navigare necesse est » per la navicella dell'ingegno umano, il mare da solcare non avrà termine mai. Napoli, commemorando degnamente Antonio Dohrn, ha impresso un suggello di nobiltà alla sua nuova vita civile. Questo scienziato tedesco fu vinto dal fascino del nostro golfo. Aveva egli, nelle sue prime indagini sopra alcune forme di vita marina, tentato di stu- diare il Mare del Nord, ma quando giunse in Italia e vide la glauca trasparenza delle acque là dove la penisola si fa più sottile, quasi per sentire più inten- samente la carezza del doppio mare, comprese che soltanto qui gli era possibile carpire qualche segreto alla vita. Dalle brume del litorale dell’ Iscozia egli nel 1868 venne a Messina. Le acque del breve stretto, che ebbero già richiami per altri zoologi, quali il Maclay, l’Haeckel, il Kleinenberg, ispirarono al Dohrn un nuovo ordine di ricerche e, più ancora, il pro- posito di istituire un laboratorio, dove il lavoro di osservazione e quello sperimentale presentasse minori difficoltà. La vita nel mare fluisce come il mare istesso. Le forme animali e quelle vegetali sono innumerevoli, UN EROE DEL MARE 139 e, nelle successive stratificazioni delle acque, si verifi- cano condizioni del tutto diverse, che determinano nuovi adattamenti. Siamo dinanzi ad un perenne divenire. Il mare non solo immagazzina la luce del sole, ma raccoglie riflessi di astri lontani, ed è per questa grande mobile trasparente pupilla che noi vediamo i cieli. Se il primo fiore di vita sì schiuse nel mare, solo per questo v’è qualche cosa di divino in noi. Le forme terrestri hanno caratteri più definiti. Nel mare la vita v’è diffusa in tal maniera, ch’è com- pito ben arduo sottoporlo all'indagine senza violarla. Possiamo dire, e non sembri un’esagerazione, che il mare sia lo stato fluido della vita, ed il suo ampio palpito sia il palpito di un cuore enorme. Avete notato nelle notti estive il fenomeno della fosforescenza delle acque? La scìa della barca sembra fatta d’argento ed i remi, nel tuffarsi, producono un scintillio innume- revole. Sono piccoli esseri, sono miriadi di protozoi, che vivono nelle acque, e, brillando come le luceiole, rendono tutto il mare fosforescente. Il Dohrn non sa fare della scienza per improvvi- sazione. Un problema scientifico non può effettuarsi senza le condizioni opportune e senza i mezzi neces- sari che centuplichino il potere della ricerca. Tanto più che egli si proponeva meno di descrivere le forme quanto di seguirne l’evoluzione. In quegli anni l’in- fluenza delle teorie darwiniane sulle scienze naturali era più che mai viva, ed ogni investigazione pareva futile se avesse per poco tralasciato il problema della lotta per l’esistenza e della selezione naturale che ne consegue. Diveniva quindi di necessità la erea- zione di un Istituto, dove il mare a larghi fiotti potesse entrare e soffermarsi sotto le lenti indagatrici. L’Isti- tuto doveva sorgere in cospetto del mare più ricco 140 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA di vita e di bellezza. Era già nella mente di lui il germe del nostro Acquario marino, il più grande ed il più perfetto laboratorio zoologico che sia oggi a disposizione degli scienziati del mondo. Le difficoltà superate dal Dohrn perchè il sogno si realizzasse in Napoli, dove la vita amministrativa ama svolgersi completamente estranea ad ogni pro- blema di coltura, furono enormi, e sarebbe lungo narrarle. Ma egli trasse aiuti imprevisti non solo dalle sue energie moltiplicantisi, ma dall’ interessamento che seppe suscitare in Germania per i suoi propositi e, più ancora, dal consentimento veramente affet- tuoso che gli venne dai professori più illustri del nostro Ateneo, quali Paolo Panceri e Salvatore Trin- chese. L’ Università di Napoli ha nelle scienze un periodo di vita veramente glorioso che meriterebbe di essere conosciuto; ed anche quando imperversò nelle province meridionali un regime politico che parve tirannia, gli studi prettamente scientifici ebbero concessa ogni libertà e furono generosamente sorretti. La prima cattedra di zoologia istituitasi in Italia venne aperta in Napoli da uno dei più prediletti discepoli di Lamarck: il Sangiovanni. Il Dohrn trovò ancora vive queste tradizioni, e ne trasse alimento fecondo per la sua iniziativa. Il Municipio di Napoli gli concede gratuitamente i suoli, un segretario comunale (cosa per davvero non frequente nella nostra città), Carlo Cammarota, gli agevola le intricate pratiche di burocrazia, un ingegnere napoletano di mente larga e di sentimento profondo, Oscar Capocci, gli traccia la linea del nuovo edifizio, e così verso il 1872 si buttano le prime fondamenta della Stazione Zoologica. Cresce la spe- ranza di Dohrn come cresce l’edifizio. Il danaro rac- colto non basta, ed egli vi profonde il suo e quello pr UN EROE DEL MARE 141 della moglie, ed anche questo esaurito, egli interessa alla grande impresa tutte le associazioni scientifiche delle varie nazioni e lo stesso Imperatore di Germa- nia. Ai caldi appelli del Dohrn non si sa non rispon- dere. Anche dall’ Inghilterra, Darwin, già vecchio, risponde contribuendo con larghi doni alla costru- zione dell’Aequario. Il quale ormai mostra la sua sagoma severa tra il verde degli alberi della mera- vigliosa villa, amata dal Taine, che si svolge lungo il mare partenopeo. Più volte la costruzione minaccia di essere sospesa, ma a niuno riesce possibile sospen- dere l’ardore del Dohrn; e le nuove difficoltà cedono come cedettero le prime, e la Stazione Zoologica, nel breve giro di due anni, si completa, Cos'è questo grande Acquario marino, al quale convergono gli studiosi da ogni parte del mondo? Il pubblico conosce soltanto le grandi vasche, attra- verso le cui pareti di cristallo ferve la vita del mare. Pochi sanno come tutta la scienza contemporanea metta radici in questo Istituto, e che non v’è oggi cultore di morfologia organica che non sia venuto a completare qui la sua educazione. Non solo dalle varie scuole biologiche sparse in Europa, ma dalle Ame- riche e dal Giappone vengono ogni anno e vecchi e giovani professori per completare una ricerca o per attingere gli argomenti per una nuova. L'Istituto concede ad ognuno libertà di esperimento. Non vi sono indirizzi che prevalgono, nè idee di maestri a cui inchinarsi. Nazionalità diverse, abitudini mentali in contrasto, tendenze varie, metodi disparati si ri- compongono in un’armonia sola: quella della ricerca serena del vero. La scienza non la si vincola che dandole la massima libertà. L'Istituto, mentre offre ad ogni studioso un ricco materiale di indagine, attende, anno per anno, a 142 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA completare la conoscenza della flora e della fauna del golfo di Napoli in pubblicazioni, che, per nitidezza di tipi e per riproduzione viva di figure e di disegni, non hanno eguali. A questo lavoro partecipano assidua- mente i migliori cooperatori del Dohrn, quali l’ Eisig, il Lo Bianco ed il Mayer. Gruppi nuovi di piante e di animali sono fermati su questi annali, ed il mare inesausto offre sempre nuove meraviglie. Il carattere di internazionalità che il Dohrn ha voluto dare alla sua Stazione fa sì che i frequentatori di ogni paese si sentono a loro agio, e nello scambio reciproco delle idee molti preconcetti spariscono e la scienza si spoglia dell'impronta personale di chi la coltiva per assurgere ad un’unità che viva dello sforzo collettivo delle varie intelligenze. Un ricerca- tore modesto di fatti particolari, trovandosi a con- tatto con un geniale indagatore di fenomeni generali, amplia le sue vedute, come questi raffrena alquanto le sue deduzioni a contatto di quello. Ogni fatto vive meno di sè quanto della nostra subbiettività che lo compenetra; e non sembra possibile come, per molti anni, i nostri filosofi positivisti abbiano potuto mettere i fatti a fondamento d’una qualche filosofia ostile alla metafisica. I fatti hanno anche una loro metafisica ch’è assai più incerta e volubile dell’antica. sx La produzione scientifica del Dohrn, per quanto notevole, seompare dinanzi al lavoro che da lui e per lui si è svolto. Egli appartenne alla categoria di quegli uomini, che, avendo la misura del poco che si può compiere nel breve giro d’una vita umana, si preoccupano di lanciare germi di idee perchè fe- condino nel succedersi e nel perpetuarsi della vita. Niuno più di lui ebbe il senso della universalità della ù 4 “ita UN EROE DEL MARE 145 scienza e dello sforzo perenne che fa il pensiero umano per intendere i fenomeni che l’ Universo a noi dis- vela. Agevolare questo sforzo pur distruggendo la propria personalità — ecco l’ideale eroico che nobi- litò la sua esistenza. E fu grande ventura per noi che egli abbia potuto attuare il suo programma qui in Napoli, che rac- coglie le energie più vive del Mezzogiorno d’Italia. Che se da qui, dalla patria di Vico, un nuovo fio- rire di studi speculativi pervade già e rinnova la coltura nazionale, perdutasi per tanti anni in qui- squiglie e vane logomachie, non è audacia sperare che, anche per il rinnovamento delle scienze biolo- giche, una qualche parola si esprimerà da noi. L'EDUCAZIONE DELLE MADRI Il giovine dottore, che richiamò la mia attenzione sul grave problema della educazione delle madri in rapporto alla salute fisica e spirituale della infanzia, non mi era ignoto. Sapevo non poche sue pregevoli ricerche di igiene sperimentale. Ma quando m’incon- trai con lui io ebbi una di quelle impressioni che non facilmente si dimenticano. «Io vivo — egli prese a dirmi — sotto il dominio assoluto della mia idea, e non avrò tregua se non la vedrò, almeno in parte, realizzata. Ho visto morire tanti bambini per defi- cienza di cuore, per ignoranza dei veri doveri ma- terni, che non ancora s’ è dileguato in me il rimorso di non aver fatto nulla, prima d’adesso, a vantaggio di queste piccole e tenere esistenze, in cui si perpetua la vita e fervono i nuovi destini della nostra patria. Un bambino che muore non è solo una vita che si spegne, ma anche una speranza che vien meno. Noi abbiamo il dovere, e non v’è dovere civile più alto di questo, di sorreggere le tenere piante perchè mettano radici e fioriscano ». Accenno timidamente che questa mortalità di bimbi, per quanto veramente dolorosa, non impedi- see al nostro Mezzogiorno di essere la regione più prolifica d’Italia. — « Ma è appunto per questo — egli prontamente m’incalza, — che la nostra azione deve essere qui ininterrotta perchè le nuove vite umane vengano su ANILE A, 10 146. VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA salde. Chè, per un bambino che muore, ve ne sono dieci che porteranno nel loro divenire le tracce incan- cellabili di un abbandono veramente colposo nei primi anni d’infanzia ». — Ma credete possibile tentare un’impresa simile in queste nostre province meridionali, dove ogni attività personale trova inciampi insormontabili? — « Io non ho solo tentato — egli mi risponde — ma compiuto un’opera della quale diverrete consape- vole scorrendo i documenti che vi farò tenere. Certo le difficoltà sono state enormi, ma comprendete che la mia volontà non era fatta per piegarsi. Fui preso anche per un esaltato, per un pazzo quasi, chè oggi non sembra possibile spendere una attività senza trarne alcun vantaggio materiale. Ma io m’inebriavo delle difficoltà. Non v’è villaggio attorno alla città di Capua che io non abbia visitato. I miei primi ten- tativi parvero perfino grotteschi: io correvo dove sen- tivo un vagito di bimbo e penetravo nelle più luride catapecchie. Più d’una madre mi fece resistenza, che io riuscivo a vincere appena il bimbo sorrideva tra le mia braccia. Detergere il roseo corpicciuolo; ritrarlo vibrante da un lavacro tiepido; avvolgerlo in tele così da non comprimerlo in niuna parte; e dire alla madre, nel ridarlo, i consigli più semplici perchè la nuova creatura si rialzi nella vita, era per me una gioia sufficiente a compensarmi del disdegno o della indifferenza degli amici ». Quale altro ascoltatore non sarebbe rimasto per- suaso? Quando poi mi ripiegai sui documenti e lessi le pubblicazioni inerenti all’argomento del dottor Erne- sto Cacace ed acquistai contezza dell’opera già da L'EDUCAZIONE DELLE MADRI 147 lui compiuta, mi parve un dovere seriverne di pro- posito. La madre, nei nove mesi di gestazione, prepara di sè il nuovo essere e tesse, nel silenzio, coi fili dei suoi tessuti, la trama della nuova vita. Ogni battito del cuore materno si trasmette al piccolo cuore in formazione, e ben presto i due cuori batteranno al- l’unisono. L’elaborazione del nuovo essere riassume tutta la vita, che fu nel tempo ed è nello spazio, in un ritmo che la coscienza non avverte, giacchè la nostra coscienza interviene nelle piccole cose che da noi derivano, non nelle grandi. La donna che diventa madre ha delle percezioni indistinte, che salgono dalla profondità della sua anima come sale impercettibile alla cima degli alberi il respiro delle radici occulte; e reca negli occhi delle trasparenze strane, delle luminosità improvvise simili a quelle che dovettero avere le acque del mare quando si organizzò in esse il primo protoplasma vivente. Nel mito antico ogni donna pregnante era sacra per l’intuito del miracolo che in lei si svolge. Oggi la scienza ben poco ha rivelato di questo miracolo, ma quel che già sappiamo ci riempie di meraviglia. V’è un periodo brevissimo in cui il germe, per quella parte di spiritualità, diffusa nel mondo, che contiene, vive di sè; ma subitamente, i tessuti materni lo av- volgono, lo proteggono; e vi sono adattamenti di for- mazioni anatomiche verso la piccola creatura che sembrano carezze, e disposizioni di vasellini arte- riosi, che si protendono a lembo, come le labbra nel bacio. La madre bacia la sua creatura prima di co- noscerla; e ne sente l’intimo tumulto e gli aneliti in una sensazione diffusa vaga, che non ha espressione verbale in niuna lingua. Il nostro linguaggio non è fatto che per la vita che viviamo alla superficie del nostro essere. 148 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA La madre acquista con il dolore del parto coscienza di quanto in lei si è compiuto. Il distacco in quel momento è soltanto materiale: il piccolo nato, per legami invisibili, rimane congiunto al cuore della madre; ed a lei rivolge la luce delle sue inconscie pupille aperte ed in lei si rasserena e da lei trae nuovo alimento. I primi anni della nostra vita sono ancora una manifestazione di quella della madre. Noi ineo- minciamo a vivere di noi al primo accendersi doloroso del nostro pensiero; e quanto più questo ci allontana da lei ed individualizza le nostre energie, tanto più ‘ l’anima ne sente lo strappo ed un’amara solitudine si chiude attorno a noi. Se tanto noi deriviamo dalle nostre madri, quale compito più nobile che quello di sorreggerne l’ istinto e di illuminarle nell’adempimento dei doveri che impone l’assistenza ai nuovi nati? Se mai la nostra materialità organica è così plastica come quando siamo sul limitare della vita, perchè non fornire di un con- siglio l’amore materno ? È un’opera di cuore e di mente quella cui si è accinto il dottor Cacace. Egli sa che sopra mille neonati quasi due terzi muoiono per deficienza di cure, quando più pronto e più valido dovrebbe essere l’aiuto. Le statistiche di questa mortalità sono spa- ventevoli. In Italia, nel termine di un solo anno, si giunge alla cifra di 336.033, circa la metà dei morti in genere nell’anno! Ed in Francia, nella sola città di Parigi, si giunge ad una cifra non meno rilevante, e lo stesso può dirsi per Vienna e per Londra. Veramente, da parecchi anni, la Francia, che non può contare sopra una fecondità come la nostra, sì è preoccupata del problema, ed ora è in prima linea «dans l’art de soin à donner aux petits enfants ». Sono sue le prime instituzioni a pro dell’infanzia, L'EDUCAZIONE DELLE MADRI 149 come le « Consultations des nourrisons » e la « Goutte de lait ». Le consultazioni ai lattanti, che dalla Francia si sono rapidamente diffuse presso le altre nazioni, hanno già dimostrato quali straordinari risultati si ottengono rendendo soltanto più regolare ed igie- nica l’alimentazione dei bambini nel primo anno di vita. Le malattie gastro-intestinali si riducono a pro- porzioni minime e la mortalità discende a cifre in- sperabili. Ma quanto ancora nella stessa Francia resta da fare! A Parigi si allevano ogni anno 40.000 bambini, di cui la metà è mandata nelle campagne. Ora le 25 « Gouttes de lait », che ivi esistono, non sorvegliano che 2000 bambini. Nelle altre nazioni le condizioni sono ancora più tristi. Heubner, in Germania, piange il non « risolto problema »; Rath lo definisce come una « macchia incancellabile del secolo » e Behring vede nei provvedimenti presi un « bisogno che invoca aiuto dal Cielo ». In Italia solo da pochi anni incomincia a farsi qualche cosa, ed il poco che finora si è fatto devesi all’attività instancabile del dottor Cacace, che dalla sua Capua squilla la diana del risveglio perchè tutti l’ascoltino ed ogni madre acquisti il senso della pro- pria responsabilità. Giacchè se migliaia e migliaia di bambini potrebbero essere salvati con una più chiaroveggente assistenza, non siamo tutti un po’ col- pevoli di questa ecatombe di pargoli, e di questa continua strage degl’innocenti, che si compie, nel silenzio, forse perchè le piccole creature non sanno protestare, e chinano le loro testoline in grembo della morte con la dolcezza tacita con cui alcuni fiori effimeri si staccano appena schiusi dai loro steli? 150 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA Il dottor Cacace, nell’invocare l'intervento dello Stato e nel rivolgere a sè l’attenzione di ogni uomo di cuore, ha tracciato non solo un programma ben definito di azione, ma egli stesso in quella provincia di Terra di Lavoro, dove le piccole contese politiche frustrano ogni energia di bene, è riuscito a creare un primo « Istituto Nipioigienico ». Il titolo, dap- prima un po’ ostico, ha un’origine greca che s’in- tende facilmente. Nell’Istituto, ch’è già in funzione da qualche anno, si svolge il seguente lavoro: 1) Ogni domenica s’impartiscono, con metodo pratico-dimostrativo, alle madri del popolo le nozioni più elementari d’igiene infantile, insistendo a pre- ferenza, sull’utilità dell’allattamento materno. I bam- bini inoltre si osservano, si pesano e si sottopongono alla misura delle dimensioni del corpo. 2) Ogni giorno si somministra latte di capra (rac- colto possibilmente sterile) ai bambini che ne hanno assoluto bisogno. 3) Nei casi di necessità si dànno alimenti alle madri e si tenta ogni mezzo per favorire l’allatta- mento materno. 4) Solo quando questo allattamento, per ragioni speciali, non offre risultati favorevoli, si affidano i bambini a nutrici bene scelte. 5) Si danno vesti per lo scopo precipuo di inse- gnare alle madri e di esigere da loro miglior modo di vestire i bimbi. 6) Quando i mezzi economici lo permettono, si ha cura delle donne incinte, a preferenza negli ultimi mesi di gravidanza, non solo con consigli, ma anche con sussidi alimentari e terapeutici. All’ Istituto è annessa una scuola d’igiene infan- tile e scolastica, che comprende corsi speciali per nà L'EDUCAZIONE DELLE MADRI 151 maestre, maestri e bambinaie. Le alunne, che appar- tengono ai vari paesi del Mezzogiorno d’Italia e che in fine del corso sostengono una prova dinanzi ad una Commissione di persone competenti, assistono e prendono parte alle osservazioni che si compiono sui bambini nel dispensario, e spesso sorvegliano a domicilio l’allattamento delle madri povere e diffon- dono di casa in casa idee feconde di bene. Il Cacace, inoltre, ha istituito cattedre ambulanti d’igiene dell’infanzia, con cui si propone di divul- gare il nuovo decalogo fra le donne di Terra di Lavoro e delle province limitrofe, e d’incitare, nel medesimo tempo, le pubbliche amministrazioni a mettere su istituti di protezione della prima età in- fantile. Le varie opere, il « Dispensario », la « Scuola d’igiene » le « Cattedre ambulanti », si completano reciprocamente, non solo allo scopo di fornire assi- stenza alla madre ed al figlio durante la gestazione e l'allattamento, ma più ancora per l’educazione della donna in rapporto alla diverse condizioni intel- lettuali e sociali. Questa grande unità di azioni spiega i confortanti risultati ottenuti in così breve tempo. L’Istituto Nipioigienico ha già meritato l’encomio del Re e sussidi, per quanto ancora scarsi, dal Mini- stero della pubblica istruzione, da parecchi Municipi e dalla Congregazione di Carità di Capua. La scuola di igiene infantile e scolastica è già folta di frequen- tatrici, che vi giungono da tutte le parti del Mez- zogiorno, ed anche dall'Italia media (*). (1) L’opera del Cacace, se incontra ancora ostacoli nella diffidenza de’ suoi concittadini, trae conforto dal plauso delle nazioni più civili, specie per il modo onde furono organizzate le varie mansioni igieni- che. L'esposizione di Bruxelles gli decretò la medaglia d’oro e quella di Buenos-Ayres il Gra» diploma, ch’ è il massimo delle onorificenze. 152 VIGILIEB DI SCIENZA E DI VITA Le donne, che riescono da questa scuola, portano un sentimento più alto della loro missione di madri. Per il Cacace ogni questione di femminismo si do- vrebbe ricomporre in quella della maternità. La donna è nata per essere madre; e se una sovrap- posta mentalità, riesce ad attutire in lei l'istinto naturale e qualche volta a pervertirlo del tutto, ben presto dalla sua stessa vita somatica, precocemente sfiorentesi, si eleva la più dolorosa delle proteste. La voluttà placa in qualche modo l’ansia di tutti i tessuti materni ad infuturarsi ed a perpetuare la spe- cie, ma non la sopprime. La voluttà non è che un richiamo quasi angoscioso di maternità. E per meritare il titolo di madre, importa meno portare a termine la gestazione, quanto raccogliere le proprie energie a saldare la vita incerta ed a svilupparla nobilmente nel nuovo nato da sè. Sotto il pollice della mano materna si plasma anche la nostra vita spirituale. Molte degenerazioni nervose, molti disquilibri hanno la loro origine in una man- cata carezza materna. Vi sono delle donne per cui, come direbbe il Mau- passant, è inconcludente l’educare i propri figli, ma è cosa comune constatare come esse stesse siano le prime vittime del loro egoismo. Chè al bisogno so- matico di perpetuarsi corrisponde un più intenso bisogno spirituale di riudire, quando in noi si affie- volisce il ritmo della vita, il nuovo canto in quelli che da noi derivano. Noi moriamo soltanto quando nulla di noi sopravvive, quando il palpito del nostro cuore non si è trasmesso in un altro. La fiaccola della vita brilla più viva nel passare di mano in mano. Ho voluto parlare diffusamente dell’opera del Ca- cace anche perchè essa ha un’importanza speciale, assai maggiore di quel che si possa credere, per il L'EDUCAZIONE DELLE MADRI 153 nostro Mezzogiorno. Un’incuria colpevole, una cieca opera di corruzione, che soltanto ora pare che si arresti, da parte delle autorità politiche e, quel ch’è peggio, un falso pregiudizio antropologico ha negato a queste popolazioni ogni benefizio di civiltà. Si par- lava fino a qualche anno fa, e si parla da qualcuno ancora, di razze inferiori; e non si è pensato che la vittoria economica d’Italia si deve proprio a queste diseredate popolazioni, che, costrette ad emigrare, hanno creato oltre l'Oceano nuove fortune nazionali, e, nel contempo, con i risparmi mandati alle proprie famiglie, hanno trasfuso un’onda viva di sangue alla patria originaria. Il potere intellettuale non si traduce in linee cra- niologiche; e, come il Giappone ha già smentito per sè questa piccola scienza dalle piccole misure, così avverrà del popolo meridionale se le energie mera- vigliose che già da lui si effondono, non saranno più oltre compromesse. L’Italia possiede nelle Puglie, negli Abruzzi, nella Calabria e nella Sicilia focolai vergini inesplorati di energie intellettuali, da cui appena ora qualche scintilla sprizza. Influssi di civiltà trascorse, riflessi di cieli chiari e di mari trasparenti si rieompongono e si trasformano in un pensiero forte ed agile, che, mentre sa inda- gare, non teme il volo delle altitudini speculative. Per ogni opera, che tende a preservare le propaggini di questa irrompente meravigliosa vitalità, la gra- titudine nazionale non sarà mai adeguata. st ASIA p ‘ LR Ù " z i V | LA POESIA E LA SCIENZA DEI FIORI P. B. Shelley e J. Keats, due giovinezze floreali, due anime così vicine come due fiori sullo stesso gambo, nutriti da una sola radice, non ebbero nella loro breve vita che un’unica grande gioia: lo spetta- colo dei fiori. Leggere la « Sensitiva » e 1’« Endi- mion » vuol dire risentire la primavera così come maggio la effonde per tutti i campi. I fiori, dice Shelley, fissano i propri occhi in fondo ai ruscelli sino a che muoiono della loro bellezza, il loro alito si confonde all’odore della terra come la voce allo strumento; i gelsomini dalle verande lan- guiscono di passione; i giacinti purpurei bianchi azzurri hanno nelle loro campanule un murmure di musica sì delicata che il senso la percepisce come profumo; la rosa, simile a ninfa nel bagno, si svela piega a piega sino a che rimane ignuda l’anima della sua bellezza e del suo amore, ed i gigli levano in alto, come Menadi, la loro coppa tinta di luce lunare. Ed, un anno prima di morire, il Keats scriveva ad un amico, da Roma: « Ho visto fiori esotici nelle serre; io non so che farne. Sono i fiori semplici della no- stra primavera che io sento il bisogno di rivedere ». * * * Con la stessa anima di poeta uno scienziato, che l’Italia ufticiale disconobbe in vita e che non ancora conosce abbastanza per gridarne alto il nome come 156 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA la gloria più pura che abbia avuto nel campo delle scienze biologiche — voglio dire Federico Delpino — descrisse i fiori. Io, quando egli, pochi anni or sono (14 maggio 1905), dopo un quarantennio di non interrotto lavoro e dopo di aver lasciato più di cinquecento memorie originali e di aver dischiuso agli studiosi di tutto il mondo, una nuova scienza: la «biologia vegetale», morì igno- rato nel silenzio dell’ Orto Botanico di Napoli, corsi a riconoscerlo nella stanza mortuaria. Giaceva egli serenamente, ed a me parve che tutti i fiori, ancora roridi di rugiada, che lo coprivano piegassero verso i suoi occhi chiusi, gli occhi ardenti delle loro corolle come per interrogare colui che avea tanto loro inter- rogato. Ora mi richiama quel ricordo una recente pubbli- cazione del prof. Michele Geremicca, che riassume in un volume, non vasto di proporzioni ma intenso di contenuto, l’opera botanica di Federico Delpino; ed io ho provato, leggendo e meditando il piccolo libro, quel che sente la nostra anima al contatto di un’anima superiore: l’impressione profonda indefi- nibile di un rinnovamento spirituale come per un lavacro di luce. Il Delpino sperimentava introspettivamente come i fondatori del metodo sperimentale: Leonardo da Vinci e Galileo Galilei. Noi oggi crediamo che la bontà di uno sperimentatore sia in rapporto alla ric- chezza dei mezzi esteriori e degli strumenti che im- piega e dimentichiamo di considerare il valore del mezzo essenziale intimo che domina gli altri: quello intellettuale. Le vie maestre dell’esperimento ogget- tivo, non bisogna dimenticarlo: sono state indicate da chi meno ne ha fatto uso. L’anatomia microsco- pica è nata con Bichat, che non seppe la tecnica del LA POESIA E LA SCIENZA DPI FIORI 157 microscopio; e certe delicate strutture che oggi di- stinguiamo sotto complessi apparecchi di lenti, come il disporsi in figure pentagonali od esagonali delle fibre dello smalto nei tagli trasversi di un dente, furono anche viste, e non sappiamo come, da occhi nudi come quelli di Eustachio. Federico Delpino non fece altro che guardare at- torno a sè e fermare semplicemente sulla carta quel che passava innanzi ai suoi occhi. Mancavano, per fortuna, a lui, che fu autodidatta, quelle preoccupa- zioni di scuola e di metodo che perturbano la visione. Non sono i fiori il primo sorriso delle cose che a noi si scopre? Chi non ha goduto dei colori delle torme e delle molteplici attitudini con cui primavera li esprime? Il Delpino ne gode anche egli, ma vuol darsi ragione di tanta varietà di colori e di odori, e, per una condizione eccezionale del suo spirito, man- tiene sempre viva la verginità delle sue impressioni. Ancora giovinetto, nel giardino di Chiavari, suo paese natio, egli, nel sorprendere il volo di un grosso pecchione nero (« Xilopaca violacea ») sui fiori ma- gnifici di una asclepiadea brasiliana, osserva atten- tamente il diportarsi dell’insetto, e scopre la maniera di fecondazione di quelle piante. Da quel giorno la sua attenzione non languì mai ed in pochi anni rac- coglie una quantità enorme di fatti nuovi, pei quali è costretto persino a creare il linguaggio scientifico che manca. Egli guarda e crea, poi che il creare in ultimo non è che ritrovare. Tutti i caratteri diffe- renziali che distinguono i fiori, egli dice, sono esclu- sivamente estetici ed organoleptici, ossia tali da agire sugli organi sensitivi degl’insetti pronubi (api, far- falle, ditteri, scarabei) destinati ad operare la impol- linazione tra i fiori delle varie piante. La natura per attirare da lungii pronubi utilizza il senso della vista 158 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA e dell’olfatto o entrambi ad un tempo o l’uno dei due soltanto, e per dirigere da vicino la loro azione si rivolge precipuamente al senso del gusto e prepara nel seno dei fiori cibo e bevande adeguate. Il colore del fiore non è che un vessillo di richiamo pei pronubi, ed ecco stabilita da Delpino la « fun- zione vessillare ». Se i fiori fossero dello stesso colore, i pronubi passerebbero indifferentemente da specie a specie di piante con inutile dispersione di polline. I fiori invece fanno una gara di colori per attirare più facilmente gl’insetti ed esserne i preferiti. Os- servate un prato libero, e vedrete, accanto a specie di fiori gialli, mostrarsi altre specie di fiori bianchi, rosei, violacei, azzurri. Sono in errore, aggiunge egli, coloro che assegnano la diversità dei colori a ragioni chimiche. S’intende benissimo che la condizione chi- mica in tutto ciò entra come mezzo di attuazione in quanto che generalmente la sostanza colorante ha diversa costituzione chimica secondo il diverso co- lore, ma non ha essa che vedere con lo scopo bio- logico, pel quale soltanto ha ragione di esistere la diversità del colore. Le foglie vegetative infatti sono tutte verdi, perchè questo colore è determinato da un’eguale funzione, e non esercitano sul nostro senso della vista quel fascino che ci viene dai fiori. E se v’è nella serie dei colori qualche fiore verde, quasi simile al verde delle foglie, egli giunge a percepirne la tenue differenza. « I fiori di « Anigosanthes Man- glesii » sono colorati in verde, ciò non ostante ecci- tano, almeno in me, una sensazione gradevole che non mi è data dal verde di nessuna foglia ». Si comprende ora come con questa delicatezza di senso visivo egli riesca a determinare la funzione cromatica del fiore e delle varie parti dello stesso per quasi tutte le piante finora conosciute. E non si le LA POESIA E LA SCIENZA DEI FIORI 159 contenta di classificare i colori, ma ne specifica anche il grado relativo di visibilità, e trova che il colore che agisce a maggior distanza e con maggiore efficacia sopra un fondo verde, massime quando splende il sole, è il bianco, e poi gradatamente il giallo, il rosso, il purpureo, il violaceo, e per ultimo l’azzurro. Ed osserva che la gradazione della potenza eromatica in un prato è ben differente da quella che si verifica in un campo di frumento in fiore, giac- chè in questo caso sono i colori rossi che hanno la supremazia, e poi seguono il porporino, il violaceo, l’azzurro ed in ultimo il bianco ed il giallo. E no- tate quest’altra osservazione: le specie pratensi a fiori gialli riescono generalmente a soverchiare quelle a fiori bianchi elevando maggiormente il fusto ed am- pliando le dimensioni delle corolle, onde suole avve- 'arsi il curioso fenomeno che se si guarda un prato a volo d’ucecello, a mo’ d’esempio da una torre, i fiori che spiccano di più sono i bianchi, mentre, guar- dando all’aitezza umana, le specie a fiori gialli’ si mostrano di gran lunga più cospicue. E per gli odori? Egli con osservazioni tutte pro- prie definisce quarantacinque specie di odori fiorali, e li raccoglie in cinque classi: soavi, aromatici, car- pologici, graveolenti e nauseosi. Nella sola classe dei soavi distingue diciassette specie, La potenza attrat- tiva degli odori è per gl’insetti di gran lunga su- periore a quella operata dai colori, ed è quindi anch’essa indirizzata al conseguimento delle nozze inerociate (« staurogamia »). V'è qualcuno che ne dubita? Ebbene per gl’insetti notturni vi sono dei fiori che olezzano solo di notte, e per gl’insetti, che riescono da sostanze in disfacimento, vi sono i fiori graveolenti dalle corolle rigate di macchie violacee. 160 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA Gli odori ed i colori attirano i pronubi su quei fiori nei quali si compie una « funzione adescativa ». Il Delpino definisce al riguardo ben undici specie di esca, dalle quali tre succiabili (« nettare, linfa dei tessuti sugosi, papule unicellulari »), cinque comme- stibili (« polline, cellule sciolte, creste carnose, calice incrassato, nuclei ovulari ») e tre commestibili e suc- ciabili insieme (« papille plericellulari, stami e petali, tessuti carnosi ed escrescenze varie »). E qui le sue osservazioni sono così numerose che si prova un senso di sgomento, e non pare possibile che gli occhi di un solo uomo abbiano potuto veder tanto. Ma v'è ancora altro. Egli determina il perchè delle innumeri forme dei fiori. Ogni fiore per lui è un’or- ganizzazione complessa, un mondo. I sepali, i petali, gli stami, le antere, gli stimmi, gli ovari, i nettari sono parti esercitanti una funzione viva, diremmo quasi, intelligente. La forma di un fiore sta in rap- porto alla forma del corpo dei pronubi ed alle abi- tudini di questi od al modo come si poggia la tromba succiante. Il polline sta raccolto nelle piccole antere che gli esili stami portano alla superficie del fiore; i nettari, che contengono il nettare, sono invece quasi sempre nascosti in fondo al calice. Quando primavera irrompe, i pronubi, che, se sono scarabei, volano per l’aria agitando in un ronzio dol- cissimo le tenui élitre, debbono, per raggiungere il nettare, immergersi nel fiore e scuotere, al loro pas- saggio, le antere che versano in tal guisa sul loro dorso il polline fecondante. Quando il pronubo riesce è già diventato messaggero d’amore, e, nel raggiun- gere un altro fiore della stessa specie (il colore e l’odore lo guidano) lascia cadere il polline sullo stimma donde poi passa nell’ovario. Tutto quindi è costruito LA POESIA E LA SCIENZA DEI FIORI 161 perchè il Genio della propagazione delle specie, come direbbe Schopenhauer, trionfi. Le variabilissime disposizioni attuate dai fiori per assicurare il passaggio del polline, dalle antere al corpo dei pronubi, sono state studiate dal Delpino con cura minuziosa. Sentite: il polline passa o per confricazione del corpo dei pronubi con gli organi polliniferi, o mediante scatto e percussione degli or- gani polliniferi contro il corpo dei pronubi, o mercè pioggia da vascoli polliniferi sul dorso degli anima- letti, o pure mediante viscosi e pinze sorreggenti masse polliniche. Ed ognuno di questi fatti viene da lui stabilito dopo centinaia di osservazioni originali, per cui siete costretti a domandarvi se tutti gli altri uomini prima di lui siano stati ciechi per non veder nulla. Studia inoltre, semplicemente osservando, quel che avviene perchè il polline aderisca al corpo dei pro- nubi, ed i modi vari per cui si compie la trasmis- sione dal corpo dei pronubi agli stimmi del fiore che deve essere fecondato e scopre leggi nuove e parla con una semplicità che vi rapisce come se le cose stesse parlassero. Egli svela, pel primo, che i fiori delle diverse piante secondo la speciale loro struttura, esigono, per po- tere essere fecondati, un determinato numero di visite; e distingue questo numero in minimo 0 « suf- ficiente », medio o « efficiente » e massimo o « perfi- ciente ». E determina così un nuovo aggruppamento di piante, e tutta la multiforme vita vegetale si plasma nelle sue mani come la cera in quelle di un artefice. Trova ancora che il numero delle visite dei pronubi è regolato dalla durata dei fiori, i quali possono essere effimeri e diuturni, ed in alcuni casi dalla declinazione dei pedicelli fiorali. ANILE A, 11 162 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA Se i pronubi hanno l'abitudine di posarsi, i fiori presentano loro un’adatta «superficie d’appulso » 0 parti a cui possano aggrapparsi; se invece sono stri- scianti la pianta presenta inflorenza a flosculi e, se sono volitanti e continuatamente librantisi sull’ali, i fiori sono « macrosifoni », forniti cioè di tubi co- rallini o di speroni nettariferi atti ad accogliere la lunga tromba degl’insetti. E qui la copia delle os- servazioni non ha limiti, ed egli riesce a definire quarantasette tipi di adattamento delle parti del fiore alle diverse specie degl’insetti visitatori, e per cia- scun tipo ne determina anche l’evoluzione. E passa a studiare i pronubi e, per la prima volta nella scienza, scopre l’ufficio dei piccoli uccelli impolli- natori, dei colibri. Si credeva che questi si nutrissero d’insettolini catturati nei fiori, egli invece li classi- fica come « mellisugi », e descrive il loro becco ed il modo come la piccola lingua si dispone a spugna per imbeversi del nettare. Hanno questi piccoli uccelli un volo potentissimo perchè sia loro possibile passare con rapidità da fiore a fiore e da pianta a pianta e sostenersi immobili innanzi all’apertura dei fiori predesignati, i quali brillano per i più splen- didi colori e per le più vaghe forme. Se Maeterlinek avesse conosciuto l’opera di Delpino avrebbe certo scritto un libro migliore sull’intelligenza dei fiori. A questi risultati del tutto originali (io non ne ho riferito che una minima parte) non si fece dapprima buon viso da parte degli scienziati. Delpino serena- mente rispondeva: guardate un prato costellato di fiori durante una sola bella giornata di maggio, e, se non vedete quello che io ho visto, vuol dire che siete ciechi. Il Plateau rimprovera al Delpino di aver preteso molto dalla semplice osservazione e di non avere sperimentato. E Delpino risponde con questa Lu RO O A s 1 LE POESIE E LA SCIENZA DEI FIORI 163 frase, che ha in sè tutta la critica filosofica del me- todo sperimentale: « conviene nell’esperimento imi- tare quanto è possibile le condizioni naturali, e sovente questo non è facile ». Pur Gli studi sui fiori sono semplicemente un capitolo e non dei più vasti dell’opera botanica di Federico Delpino. Ma egli non tralascia d’indagare altri fe- nomeni naturali, come la sessualità tra le piante, il divenire dei frutti, le segrete associazioni a difesa tra piante ed animali, la distribuzione geografica dei vegetali ed il nascere ed il succedersi armonico delle foglie sui rami. La sua teoria della fillotassi è stata giudicata dal celebre botanico di Amsterdam, Ugo De Vries, come la scaturigine d’una nuova scienza; e la gloria di Delpino deve alzarsi a livello di quella di Lamarcek e di Darwin. Nel volume pregevolissimo del Geremicca non vive che un riflesso dell’opera delpiniana, e tuttavia basta per darci una impres- sione non dileguabile di meraviglia. Federico Delpino, dopo aver tanto osservato e me- ditato, espresse anche una concezione filosofica del mondo réale, sulla quale, se ai lettori non dispiace, dirò nel seguente articolo. Il suo spirito, in cui la ragione pura e la pratica si fusero in una attività sola, si disvela per tal modo intero; e a noi pare che la bellezza cosmica delle cose possa anche, qualche volta, accogliersi in un’anima umana per riversarsi in luce di pensiero e di sentimento. 10” gf PRI PENSIERI DI UN BIOLOGO VEGETALE (FEDERICO DELPINO) L’osservazione della foscoliana « bella d’erbe fa- miglia» prepara facilmente nelle menti idee di or- dine superiore. Il protoplasma vegetale e l’animale sono identici, ma il divenire di questo fino al tu- multo del pensiero è assai più complesso del dive- nire di quello sino alla gloria del fiore. I problemi più ardui della vita sono risoluti in maniera per noi più accessibile nel mondo delle piante, in cui si tra- sfuse la prima scintilla rapita all’energia solare e s’attuò la prima viva trasformazione dell’ inorganico all’organico. I pensatori, di cui si vantano le scienze biologiche, iniziarono le loro esperienze su le piante, e le questioni della discendenza e quelle della ses- sualità, se oggi si dibattono più che mai, è ancora per opera di botanici quali il Mendel ed il De Vries. Federico Delpino nei suoi « Pensieri di biologia vegetale » pubblicati nel 1867, dopo avere esposto l’innumerevole serie dei nuovi fatti da lui osservati, non si trattenne dal proclamare un suo concetto idealistico della vita, ch'è come lo spirito vivo delle sue pazienti ricerche. In seguito, invitato a parlare per la solenne inaugurazione dell’anno accademico 1888-89 dell’ Università di Bologna, egli svolge con parola calda la sua visione del mondo persuaso che, quando si hanno delle profonde convinzioni in aperta 166 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA lotta contro idee ed errori dominanti, è necessario approfittare d’ogni buona occasione per esprimere i propri pensieri « con forte e libero accento ». Se come biologo vegetale il Delpino non si discute più, ed i nostri botanici sono oramai concordi nel proclamarlo maestro insuperato (notevoli le comme- morazioni che di lui hanno fatto i professori Borsì, Cavara, Briosi), non eguale consentimento si ha per le sue idee generali, anzi sì preferisce non parlarne. Il Geremicca ha fatto benissimo, nel ricostruirne l’opera scientifica, di concludere in un capitolo anche il credo filosofico. « Le forme dei corpi organizzati — dice il Del- pino — si sono tutte concretate sotto l’azione predo- minante di una causa intelligente, libera, arbitraria, teleologica, che sceglie e scarta..., anche le leggi naturali, che sembrano oggi dominate dalle neces- sità, non erano tali nell’epoca della loro comparsa ». Questo linguaggio, espresso nel pieno fervore del nostro positivismo, non potette certo trovare eco; la massima parte dei nostri biologhi ne rimasero invece scandalizzati. Contro questi concetti teleologici o di finalità campeggia nella scienza quello meccanico: le parti onde risulta una qualsiasi organizzazione, gli organi cioè, sono determinati dalla loro fun- zione. Niun altro fattore ci concorre. Dire in bio- logia che un organo è fatto per uno scopo significa ripetere un concetto vieto. La funzione fa l'organo — ecco il nuovo verbo. Io non so, ma, a riflettere ,bene, tra le due idee, che si contrappongono, non v'è quell’antagonismo che appare a prima vista. Se la funzione fa l’organo, niuno ci potrà impedire di pensare, dinanzi all’armonia del mondo quale a noi si rivela, che nella funzione stessa ci sia la fina- lità. Senza dire che la funzione è così immanente PENSIERI DI UN BIOLOGO VEGETALE 167 all’organo e questo a quella, che il separarli in due termini può avere soltanto un valore pratico didattico, ma non certo reale. Gli albori pallidi d’una funzione trovano già abbozzi elementari di organi, che hanno in sè, nel loro dinamismo, la potenzialità d’una fun- zione più alta, per cui vivere significa trasformarsi. E cosa vuol dire l'evoluzione meccanica della vita? Un meccanismo anche ben determinato nelle sue contingenze (e siamo ancora ben lontani da ciò) non esclude una finalità nel suo svolgimento, e d’altra parte non ci dice nulla intorno al comparire dei primi prodotti organici. Kant aveva già osservato che l’impulso, l’attività formatrice, che si suole in- vocare dove l’intervento meccanico non risponde più, è un avanzo bello e buono di metafisica. E di simili avanzi metafisici ne incontriamo ad ogni passo nelle opere dei ricercatori più ligi ai fatti, e non è un’esa- gerazione dire che la filosofia dei positivisti n’è tutta imbevuta. Date fondo, se vi riesce, al sistema del no- stro Ardigò e vi ritroverete puro l’abate di Mantova. Il principio meccanico nella natura implica e con- ferma quello teleologico, chè, se così non fosse, noi ricadremmo nel caos, nell’urto pazzo delle forze che agiscono indipendentemente le une dalle altre. Noi invece assistiamo al ritmo ampio e solenne della vita, dove ogni nota vibra per sè ed all’unisono con le altre, e nulla v’è di discorde, e l’armonia sale per fibre di alberi, per strutture di fiori e di nervi umani sino alle ultime costellazioni. La vita è un inno che mille voci cantano in coro. Per Delpino tutta la natura è animata ed egli guarda, come voleva Goethe che si guardasse, « con animo simpatico ». Devesi a questa speciale intima condizione se egli, senza sforzo alcuno, appena si affaccia nel mondo, dischiude nuovi orizzonti alla 168 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA scienza delle piante e coglie rapporti non mai visti tra il regno vegetale e l’animale. Al particolarismo scien- tifico in cui viviamo sfugge l’unità; egli la cercò in sè e fuori di sè. Che se dagli studi di biologia floreale passiamo a quelli che riguardano la biologia dei frutti, la mor- fologia e la sistematica delle piante, il divenire del- l’individualità vegetale, vediamo permanere il me- desimo indirizzo. A me duole che ragioni di spazio m’impediscano di ricordare i suoi studi originalis- simi sulle piante formicarie, dove, più che altrove, rifulgono le sue facoltà d’intuizione. La vita delle formiche è una sorgente di meraviglie più che non sia quella, tanto esaltata dal Maeterlinck, delle api; e vi si riscontrano fenomeni che sembrano non privi di un certo valore normativo. Già Dante in una meravigliosa terzina lo aveva intuito: Così, per entro loro schiera bruna s'ammusa l’una con l’altra formica forse a spiar lor via e lor fortuna, Il Delpino, con un linguaggio, che sembra fanta- stico, ci spiega le associazioni che fanno le piante, che hanno bisogno di difesa con alcune specie di formiche battagliere: le prime ostentano raccolte di succhi dolcissimi, le seconde se ne nutriscono e con gratitudine, certo più che umana, rimangono vigili a guardia perchè nulla di nocivo giunga alle piante; e si stabiliscono rapporti che paiono influenzati da leggi di coscienza. Gli studi del Delpino ebbero con- ferma da quelli del Belt nello Stato di Nicaragua e dalle osservazioni raccolte dal nostro Becari nella sua magistrale opera sulla « Malesia ». Le cose stesse suggeriscono al Delpino la conce- zione spiritualistica che egli ebbe del mondo. Non si PENSIERI DI UN BIOLOGO VEGETALE 169 appaga del monismo di Haeckel. Accetta la trasfor- mazione delle specie organiche, che variano perchè sono libere e sono libere perchè variano. Tutti i fe- nomeni biologici sono per lui di ordine vitale, e dominati da un principio immateriale intelligente, debbono considerarsi come il risultato di un piano preconcetto di creazione o almeno di evoluzione. Perchè un plasma embrionale di quercia non può dare che una quercia, e quello di pioppio un pioppo ? Cos’ è questa memoria perenne che non conosce osta- coli nel suo manifestarsi? Nel germe che resiste, messo anche nelle condizioni più impossibili di vita, cosa s’accoglie ? Piccoli semi di piante possono pas- sare indifferentemente per temperature altissime di- sgreganti qualunque organizzazione. Un chicco di grano, anche dopo secoli, germoglia se immerso in un grumo di « humus ». Quale principio fisico a noi noto può darci spiegazione di ciò? V’è dunque dif- fuso nel mondo qualche cosa dell’energia immate- riale indefinibile, ch'è in noi psiche? « La psiche, dice Delpino, ha due aspetti. Per un aspetto è rivolta verso le sue divine origini, per l’altro è rivolta verso la materia da lei vivificata. Metaforicamente parlando, l’anima per un lato è uranoscopica: guarda il cielo; per l’altro lato è geo- scopica: guarda la terra. Ne nascono due ordini di rapporti. I rapporti uranoscopici sono oggetto della filosofia, quelli geoscopici sono legittimo obietto delle scienze biologiche ».. Certo questa concezione pressochè hegeliana del mondo, esposta da un botanico, non è fatta per tro- vare larga accoglienza nelle scienze. Ma le dimande poste da Delpino rimangono, e, se le risposte che egli ci ha lasciato non appagano, non so quali altre potremmo scegliere. Forse è preferibile nelle scienze 170 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA esatte non farsi alcuna di queste dimande ed im- porre al proprio pensiero il sacrificio di Origene. Tanto le scienze non fanno d’ordinario che impie- gare soltanto le facoltà analizzatrici della nostra in- telligenza, che sono (e in ciò ha ragione il Bergson) le meno adatte ad intendere la vita, ch’è sintesi e flusso perenne. Ma, se tolto anche quel che ha di caduco, l’opera scientifica compiuta da Federico Delpino rimane come una delle più vaste e delle più feconde che sia stato mai possibile compiere nel breve giro di un’esistenza umana, e, d’altra parte, la sua vita chiusa in una severa disciplina di lavoro ed aliena da ogni intrigo e da ogni infingimento ci si rivela come esempio di una rara armonia morale, non sembrerà strano pen- sare che non sia inutile per chi indaga la realtà obbiettiva sentire la realtà di un mondo ideale. I fatti, per chi si rinchiude soltanto in essi, fanno allo spirito quel che le tele dei ragni fanno all’in- setto captivo: lo chiudono in fili sempre più stretti e densi fino a renderlo immobile ed a soffocarlo. La scienza, nel suo trionfante particolarismo, non si è finora preoccupata che di creare delle umili funzioni professionali. Per darle un compito più nobile e la dignità di un’alta missione civile occorre che il nostro occhio s’alzi verso luci ideali, e si ri- sentino di nuovo nella nostra vita i valori delle cose dello spirito. MR LIBERTÀ DI SCIENZA La Commissione, nominata dall’on. Daneo per la riforma universitaria, svolgerà - presto, a quel che sembra, i suoi lavori. Il materiale informe di tutti i progetti, che passarono per la mente dei vari mi- nistri, che si sono seguiti alla Minerva da parecchi anni in qua, sarà il primo ad essere vagliato; e, forse, ne verrà fuori qualche idea utile agli studi. Ma certo non minor vantaggio trarrà la Commis- sione dall’aiuto di quanti liberamente hanno un pen- siero, un suggerimento da esporre. L’elemento gio- vanile neilo insegnamento universitario non è nè scarso, nè trascurabile, e rappresenta, senza esage- razione, la parte più viva della nostra coltura su- periore. A me pare che sia questa l’occasione perchè s’affermi e dimostri ia vitalità che possiede. L’insegnamento superiore si trova in condizioni deplorevolissime per la boscaglia di disposizioni mi- nisteriali e regolamentari, contraddicentesi per lo più fra di loro, che lo soffoca; e, più ancora, per la trasformazione avvenuta nelle discipline delle scienze sperimentali, che richieggono oramai mezzi straordinari. Lo Stato non ha potuto, per le molte Università che abbiamo, dare questi mezzi in mi- sura adeguata, e però da noi le scienze, che hanno maggiori rapporti con le attività pratiche e che dovrebbero essere le vere sorgenti della ricchezza nazionale, languiseono. Noi abbiamo molte cattedre 172 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA ed un numero non esiguo di professori, ma centri di coltura scientifica, la cui operosità si irradii oltre i confini della nazione, e da cui lo Stato possa attin- gere alimento per lo slancio delle sue industrie, delle sue arti e dei suoi commerci, pur troppo, mancano del tutto. È vago ancora tra noi il concetto del valore pra- tico della scienza. I nostri scienziati preferiscono discutere di questioni superiori e fare della facile e falsa filosofia. Tra i danni che alle nazioni latine sono venuti dal positivismo di Augusto Comte bisogna contare anche questo: l’idea da lui bandita che lo scienziato sia un propulsore di verità e che possa intervenire in tutte le questioni e reggere i destini del mondo. Altrove (e più specialmente in Germania) il valore della scienza è soltanto pratico economico quale deve essere; ed i cultori di chimica di fisica di botanica ed anche di discipline biologiche, nel silenzio dei loro Istituti, si preoccupano di scoperte per cui aumenti la ricchezza della loro patria ed il benessere materiale delle popolazioni. I professori di idrologia in Francoforte, per citare un solo esempio, sì vantano non di aver scoperto l’anima fluida ed universa dell’acqua, ma di aver portato l’esporta- zione delle acque minerali della sola loro provincia a parecchi milioni. Da noi parrebbe un disonore un simile vanto. Quale è stata la preoccupazione più viva della nostra « Società », da pochi anni in vigore, per il progresso e la unificazione delle scienze?: creare dentro di sè una sezione filosofica. Nei vo- lumi degli Atti, finora pubblicati, non v’è un solo problema pratico posto e risoluto, quando le nostre anemiche condizioni industriali ed agricole chieg- gono invano da tempo un soffio di vita nuova. D'altra parte non mi sembra inutile far riflettere che le LIBERTÀ DI SCIENZA 173 scienze particolari non si uniscono e si compenetrano per la semplice volontà dei vari cultori, ma piut- tosto per la comparsa improvvisa, di quando in quando, di una mentalità sintetica, che possegga in sè quella non comune virtù di visione superiore onde un vasto dominio di coltura può essere abbrac- ciato di uno sguardo solo. Non basta certo avvici- nare cultori di scienze disparate per creare questa virtù sintetica. Ma lasciamo andare. Quel che importa è che le Università complete si mantengano soltanto dove possano efficacemente svolgersi, e le altre, non poche, che abbiamo, si sostituiscano con scuole particolari, con Istituti superiori speciali, che vivano delle tra- dizioni locali, del clima storico e delle condizioni peculiari di ambiente. In tutto il Giappone non vi sono che due sole Università ed attorno a queste, sparse per le varie province, una moltitudine di scuole speciali, dove si lavora per davvero. Noi siamo la nazione che possiede il maggior numero di Uni- versità, ma nessuna delle nostre Università è fornita di mezzi in proporzioni tali da seguire il progresso teenico delle scienze sperimentali. E perchè il nostro insegnamento superiore si di- sciplini realmente, è necessario altresì che si fecondi la scuola libera. I rapporti tra lo Stato e la coltura superiore debbono essere i meno intimi che sia pos- sibile. Lo Stato in Italia, specialmente nell’ora che volge, è come Siebel del « Faust »: fa intristire ogni fiore che tocca. Io, che scrivo da Napoli, non posso non ricordare quel che era questa Università quando attorno alle scuole ufficiali ferveva un vivaio di gloriose scuole libere. È storia di ieri, ma sembra oramai tanto lontana! 174 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA Nelle nazioni, in cui la scienza conta qualche cosa, permangono e si sviluppano quelle condizioni di li- bertà, che per noi, che ci moviamo tardigradi nel dedalo delle disposizioni ministeriali, sono semplice- mente un ricordo. Non posso dimenticare |’ impres- sione ricevuta, di recente, a Parigi, nello assistere ad una lezione del celebre neuropatologo Babinski. Egli insegnava, senza alcuna veste ufficiale, libe- ramente, in un ospedale secondario della grande città, ma attorno a lui si era raccolti da tutte le nazioni per udire la parola. Ogni branca della scienza ha in Francia cultori liberi che competono nobil- mente con i professori ordinari, ed i lavori degli uni vengono ricordati dagli altri senza diftidenze e gelosie. Il Widal è ancora un privato docente. Anche l'esercizio libero professionale concorre in misura non lieve all’ineremento scientifico della nostra s0- rella latina; e mi è caro a questo proposito ricor- dare i nomi di due italiani: il Guelpa e l’ Antonelli. Del primo sono oramai noti i concetti originali di terapia specie in rapporto alle malattie del ricambio materiale; del secondo sono ritenute come classiche, dalla stessa scuola oculistica francese, le scoperte sulle stigmate oculari nelle infezioni luetiche. L’ Isti- tuto Pasteur, ch’è un’istituzione scientifica che do- mina ogni altra congenere in Europa, non ha alcun rapporto con lo Stato. Le Accademie di scienza sono aperte a chiunque ha un concetto da esporre, una esperienza da compiere, un’osservazione da riferire; e nello scambio reciproco delle idee si mutano in- dirizzi manchevoli ed il sapere acquista il solo va- lore, che deve avere, quello dinamico. La facoltà di medicina di Parigi invita i medici delle province che più si sono distinti nell’esercizio pratico, a te- nere corsi liberi nelle scuole universitarie. LIBERTÀ DI SCIENZA 175 Maggiore ancora è la libertà che la scienza gode in Germania, dove è possibile che le Facoltà uni- versitarie scelgano, senza bandire concorsi, i loro professori in mezzo all'insegnamento libero. La (Ger- mania è all'avanguardia del sapere scientifico per la libertà di cui gode e per gl’incoraggiamenti spon- tanei che trova ogni attività di pensiero. Egualmente libero è l’ insegnamento superiore negli Stati Uniti. Mi basterà ricordare, per dare un’idea di quel che può una energia spirituale libera da vincoli, quel ch’è avvenuto a Rochester, piccolo vil- laggio del Nord-Ameriea. Venti anni or sono, al- cune suore di S. Francesco d’Assisi vi fondarono un piccolo ospedale, di pochi letti, che venne affi- dato a due giovani chirurgi; i fratelli Guglielmo e Carlo Mayo. I quali, mettendo in uso serenamente le loro intime virtù, riuscirono, dopo poco, ad in- grandire il piccolo ospedale in un’istituzione chi- rurgica modello a cui oggi convengono gl’infermi da ogni provincia della vasta repubblica. Il piccolo villaggio di Rochester si è trasformato in un’elegante città, ricca di alberghi e di pensioni, tutta raccolta attorno all’ospedale dei fratelli Mayo, la cui opera chirurgica non si svolge soltanto a benefizio degli infermi, ma investe altresì i problemi più ardui della scienza, che più da vicino lotta con la Morte. Quel- l’ospedale è diventato ora il più importante centro chirurgico dell'America del Nord, ed i più noti chi- rurgi della nostra vecchia Europa, quali il Mourphy, il Koker, il Martin, il Trandelemburg, il Pozzi, vi sono accorsi come in pellegrinaggio. La volontà li- bera di uno spirito può creare un mondo. Da noi il decadimento degli studi superiori, su cui vigila paternamente lo Stato, è giunto a tal punto che, per carità di patria, è preferibile non parlarne. - 176 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA Le ragioni di questo stato di cose sono parecchie, ma dipendenti da una sola che tutte le sovrasta: la mancanza di ogni attività libera. Da noi è im- possibile far nulla senza aggregarsi ad una scuola e sottomettere il proprio pensiero al giogo d’un altro riconosciuto, per soli attributi gerarchici, più auto- revole. Un pensiero che si piega ben di rado si rialza un’altra volta, anche perchè lo sforzo che costa il rialzarsi non farebbe guadagnar cammino, tut- t’altro. Io conosco giovani che, da più anni, morti- ficano il loro intelletto nella umiliazione quotidiana di trattenerne le vibrazioni in attesa di riuscire; quando che sia, vittoriosi da un concorso. Conosco altri che, giunti stanchi alla cattedra, non amano ricordare più la loro produzione scientifica degli anni passati in soggezione. I nostri concorsi universitari, per il modo come si svolgono, sono una sorgente inesausta di scandalo. I titoli ai concorrenti, che non fanno parte di alcuna chiesuola, vengono rimandati indietro vergini di lettura. L’attività didattica per cariche, che pure importano un insegnamento, non conta. E v’è ancora qualcuno che si lamenta che le nostre scuole non siano più affollate! Per fortuna, nel rinnovamento presente dell’anima nazionale, non mancano segni di vita nuova anche sotto questo riguardo. Qualche iniziativa libera in- comincia a sorreggersi per forza propria. Non senza vivo compiacimento ho in questi giorni assistito alla inaugurazione di «liberi Istituti clinici » in Napoli. Il discorso, tenuto in questa occasione dallo Spinelli, meriterebbe di essere letto e meditato dai commis- sari che si accingono ‘a riformare la nostra coltura universitaria. Vi spira dentro un soffio di libertà che rincuora il nostro spirito, e che non andrà perduto anche se il nobile tentativo dovesse fallire. E, fuori della libertà, per la scienza non v’è salvezza. L’ETÀ GLORIOSA DELLA NOSTRA SCIENZA (G. ALFONSO BORELLI) Le questioni che riguardano la nostra coltura su- periore sono molte ed ardue, ed è compito della nuova generazione preoccuparsene con spirito vigile e sollecitudine di pensiero. L’ammonimento, che mi sento sussurrare all’orecchio, che, nelle condizioni presenti, ogni protesta sia inutile, perde di valore se si riflette che il pubblico, che s’interessa a que- stioni di coltura, serra ed aumenta le sue file di giorno in giorno; e ne verrà presto, per il bene della nostra patria, una forza viva e fattiva che penetrerà come un cuneo nei nostri logori ordina- menti scolastici. È missione della stampa, a cui ba- lena dinanzi un ideale, preparare l’avvento di queste energie. A ragioni di conforto consideriamo come si siano mutate in questi ultimi anni le condizioni della no- stra coltura scientifica. Le riviste di frenatria e di antropologia erano le sole ad ammannire il sapere; e misurare un cranio o scoprire nell’albero genea- logico di un uomo illustre un ramo un po’ torto pareva lo sforzo più nobile a cui potesse tendere una giovane esistenza. L'arte, la filosofia, le grandi attività spirituali, per cui l’uomo veramente s’india, venivano sottoposte all’indagine con lo stesso com- passo con cui si determinano le sensibilità sulla no- stra superficie cutanea. E noi si assisteva a questo ANILE A. 12 178 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA spettacolo: l’esegesi critica di un’opera d’arte affi- data semplicemente ad un psicologo più o meno materialista, e le grandi concezioni del pensiero umano, che aprirono nuovi varchi a lo spirito, di- chiarate in fallimento in nome di quella semplice verità scientifica che si riduce all’arco riflesso del nostro sistema nervoso. Mai miseria simile di scienza pretese di demolire altezze così pure e granitiche, e mai fu visto un anfanare simile di pigmei contro giganti sereni. Appena da qualche anno la critica psichiatrica delle opere d’arte tace; e la scienza incomincia a ritrarsi dei suoi domini, dove niuno le contende un nobile compito da svolgere. Ancora, come dopo il ritirarsi di un dilagare di fiume, ci rimane attorno molta scoria e detrito, ma non così da impedirci il cammino. Vale, per un momento, rievocare il periodo più glorioso delle nostre scienze biologiche, quello che seguì immediatamente all’opera del Galilei. Ne trar- remo conforto e qualche consiglio fecondo. Noi ve- dremo quegl’ illustri primi nostri indagatori, che fu- rono maestri all'Europa, possedere il senso del limite tra la ricerca empirica e quella di ordine superiore. Immergersi nei fatti, intendere il fluttuare delle parvenze, scoprire qualche segreta legge, disehiu- dere un nuovo succedersi di forme oltre quelle sen- sibili non dava loro l’orgoglio cieco di sentirsi pos- sessori esclusivi della verità. Il Redi, il Borelli, il Malpighi, il Bellini e, più tardi, il Morgagni sco- prirono nuove e molteplici leggi nei fenomeni della vita, ma l’ansia della ricerca non fece scemare in loro la dignità umana, e, forse per questo, furono quasi tutti anche poeti, se, come dice il Goethe, è poeta colui ch'è coscientemente uomo. Stabilire il L'ETÀ GLORIOSA DELLA NOSTRA SCIENZA 179 meccanismo fino allora ignorato d’una funzione non vuol dire che la vita possa essere un meccanismo. Una facoltà sana di intuito rivelava ad essi che, per quanto le attività del nostro corpo possano ri- dursi a fenomeni fisici, il soffio, che anima codesti fenomeni, si sottrae ad ogni esperimento. Si piegava il loro spirito all’analisi dei fatti per rialzarsi a contemplazioni più vaste. I primi nostri biologi pensavano altresì di. non potere intendere le meraviglie della vita senza prima fornirsi d’una coltura di indole generale. Il Malpighi, per esempio, ringrazia in più lettere il Borelli per aver ricevuto da lui il consiglio di studiare logica e filosofia prima di sperimentare sulle cose. Il Bo- relli a sua volta compie i suoi studi di matematica e quelli di astronomia prima di passare allo studio del corpo umano. Già il metodo Galilei, a cui si ri- chiamano questi nostri sperimentatori, è cosa ben diversa dal recente metodo positivo. Il Galilei parla di «sensate esperienze » e di una « preconcezione » di leggi generali; e, qualche anno prima, il Bacone determinava le cause che perturbavano l’esperimento e ne rendono manchevoli i risultati con nitida pre- cisione di linguaggio. Soltanto oggi sembra possibile sperimentare senza null’altro sapere. La figura più caratteristica del nostro rinascimento scientifico è certo quella di Giovanni Alfonso Borelli. Uno studioso alacre di storia della medicina, il prof. Modestino Del Gaizo, ha recentemente, con parecchie notevoli pubblicazioni, rimesso in valore la vasta opera borelliana. Ripiegandomi su queste pubblicazioni ho inteso quale vantaggio verrebbe ai nostri studi pratici se la coltura storica delle nostre scienze non fosse te- nuta in non cale. Noi oggi siamo felici di chiudercei 180 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA nell’orbita della scienza tedesca perchè ben poco sappiaino delle nostre migliori tradizioni. Nel nostro passato scientifico vi sono tesori incalcolabili d’ idee, e, come da un fuoco che sia sempre ardente, vi si sprigionano bagliori di intuizioni che basterebbero ad illuminare il cammino della nostra e della gene- razione avvenire. È un vieto pregiudizio il credere che la preoccupazione del passato sia a scapito della propria originalità. Si diventa originali per la facoltà che ha l’ingegno di esserlo, non per il semplice e comodo disdegno del lavoro altrui. D’altra parte la storia dello spirito è del tutto fuori delle leggi spen- ceriane dell'evoluzione: noi abbiamo primavere im- provvise di pensiero in cui le virtù umane trionfano miracolosamente, e poi lunghi periodi di silenzio e di mediocrità. È necessario rituffarcei di tanto in tanto in queste primavere, in cui si effondono le qualità migliori della stirpe. I nostri primi indagatori vedevano, mediante pic- coli ingrandimenti, le strutture degli organi presso a poco come ora ci vengono rivelate dalle lenti mi- eroscopiche. I lavori del Malpighi sulla struttura del polmone e quelli del Bellini sul rene sorprendono anche oggi. Il Borelli vide, per la prima volta, la tessitura muscolare del cuore, e perfino il decorso a spirile delle fibre che ne compongono la parete. Non v’ è progresso scientifico che non si riallacci per qualche propaggine a questo nostro passato glo- rioso, che gli stranieri conoscono più di noi. Quando nel 1824 Alessandro Humboldt venne in Napoli chiese, dopo aver molto peregrinato per la città, che gl’in- dicassero la casa dove nacque il Borelli. Il quale, benchè non medico, inizia una nuova èra nelle scienze mediche, nella stessa guisa come il Pasteur, in qualità di semplice chimico, crea il L'ETÀ GLORIOSA DELLA NOSTRA SCIENZA 181 presente indirizzo batteriologico. I primi studi del Borelli furono di fisica e di matematica. Egli in com- pagnia di Evangelista Torricelli frequentò la seuola di P. Benedetto Castelli. L'armonia geometrica lo spinse a studiare l’armonia dei mondi, e a diventare valente astronomo. Conferma la scoperta di Ugenio sull’anello di Saturno e serive un’opera sui satelliti di Giove, dove si rivela un precursore di Newton. Dal 1656 al 1667 insegna a Pisa, ed intorno a lui si forma il primo nucleo dell’ Accademia del Cimento. Per incarico della Società Reale di Londra serive intorno all’eruzioni dell'Etna, e la sua memoria con- tiene in germe i lineamenti essenziali della vulca- nologia. T.e sue ricerche sugli astri e sulle stratificazioni del'a Terra gli accendono il desiderio di sapere cosù sia la vita umana. Egli pel primo ebbe il concetto dinamico della nostra esistenza, che si trasforma insensibilmente di ora in ora, come, nei vari mo- menti, non sono le stesse le acque di un ampio fiume che sembra immoto al nostro sguardo. Egli comprese il fluire della vita, e concepì il cuore dell’uomo come il centro dell’ Universo. La vivisezione di un cervo mise dinanzi ai suoi occhi, che avevano già indagato il palpitare delle stelle, un cuore pulsante. Quali le leggi di questo nuovo ritmo, e donde trae il cuore la forza per compiere l'enorme suo lavoro? Gli studi del Cartesio attri- buivano il moto del cuore alle variazioni di tempe- ratura; Borelli immerge un termometro nel ventri- colo sinistro del cuore e ne dimostra la temperatura costante ed eguale a quella degli altri organi. La sua casa in Pisa diventa una scuola libera, un laboratorio di biologia, e vi accorrono da tutte le nazioni; ed il Malpighi vi compie la massima 182 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA parte delle sue ricerche originali, tra cui memorabili la scoperta della cellula vegetale e la dimostrazione viva del circolo sanguigno nella lingua della rana. I mezzi d’indagine erano affatto insufficienti, ma gli ostacoli venivano superati dall’ardore della volontà, al cui appello non mancano di rispondere le energie latenti del nostro spirito. Quando tutti i mezzi sono a nostra disposizione noi lavoriamo con la superficie del nostro essere; la parte più viva e più profonda di noi non v’interviene. Il Borelli studia di proposito l’organismo animale, e si propone di rintracciare l’armonia delle funzioni. Egli pensa che le leggi cosmiche, stabilite da Keplero lungo le vie dei cieli, debbano anche verificarsi nel microcosmo della nostra organizzazione. Ogni cosa che vive si traduce in un movimento ritmico. Coor- dina le sue molteplici indagini e serive l’opera sua monumentale: « De motu animalium », ch'è il primo trattato di fisiologia animale che abbiano le scienze biologiche. Il Mosso ed il Patrizii hanno richiamata l’atten- zione sull’opera del Borelli, a cui bisogna riportare tutto il movimento contemporaneo della terapia fisica. Borelli è il vero fondatore della jatromeccanica. Scoperta la natura muscolare del cuore, egli in- daga le funzioni dei gruppi muscolari nei vari at- teggiamenti del corpo; e precorre il Miiller nello affidare ai cordoni nervosi il compito di determinare il movimento. Egli trasfonde nel cadavere immoto la vita del suo pensiero; e le masse carnose si dis- sociano in forze che agiscono armonicamente sulle leve ossee, e queste hanno punti di appoggio nelle articolazioni. Pensiamo noi quale tumulto di forze entra in gioco nel cammino? Il Borelli le determina ad una ad una mettendo a profitto la sua vasta "RA des] L'ETÀ GLORIOSA DELLA NOSTRA SCIENZA 183 coltura matematica, e le segue nell’incalzarsi e nel moltiplicarsi dei movimenti che facciamo nella corsa, nel salto ed anche nel moto. Il meraviglioso della nostra vita è nelle funzioni semplici ed abituali, di che si riempie la nostra giornata. Se di queste funzioni avessimo coscienza e se il nostro sistema nervoso non le rendesse auto- matiche e non le regolasse per conto proprio sot- traendole alla nostra consapevolezza, a noi ben poco rimarrebbe di energie libere da effondere. La nostra organizzazione è così fatta che noi nulla avvertiamo degli sforzi enormi, che compie la nostra materialità organica per svilupparsi; ed, anche quando ci edu- chiamo ad un movimento non ordinario, non tarda questo, dopo pochi esercizi, a rendersi automatico. La libertà nostra è soltanto nello spirito, che si sottrae ad ogni determinazione. La pedagogia, se vuol proporsi un compito di educazione, deve rifare per altra vita il suo cammino. L’opera del Borelli si presterebbe ad altre consi- derazioni. Ma il poco che ne ho detto basta a rive- larci quale vantaggio sia per noi ritornare, di tanto in tanto, al passato quando la nostra patria, non solo per le arti, ma anche per le scienze, fu domi- natrice spirituale delle genti. Nelle nostre Univer- sità, almeno nelle principali, dovrebbe rivivere lo insegnamento storico della medicina. Oggi, liberi politicamente, siamo curvi sotto il giogo del sapere altrui. Gli sforzi che, da qualche anno, facciamo per uscirne non saranno coronati di successo se non diamo alla nostra coltura superiore la massima libertà sottraendola ad ogni ingerenza del potere centrale e ricollegandola alle nostre pure e gloriose tradizioni. L’OPERA DI FILIPPO CAVOLINI Ho assistito, con vivo compiacimento, alla seduta inaugurale del nuovo convegno zoologico, che si svolge qui in Napoli, in coincidenza con le feste commemorative promosse, con infaticato ardore, dalla locale « Società dei Naturalisti » per il primo cente- nario della morte di Filippo Cavolini. Il presidente della « Unione Zoologica Italiana », prof. senatore Lorenzo Camerano, parlò, semplice- mente, del compito che spetta a quanti studiano in Italia il problema della vita di conoscere a prefe- renza le speciali manifestazioni della stessa lungo la nostra penisola circondata dal mare e dall’Alpe. Noi siamo, dice il Camerano, in una speciale fortu- nosa condizione: altitudini di monti suecedono a pianure disvolgentisi verso il litorale; silenzi di ombra di foreste s’interrompono bruscamente in val- late canore di acqua scroscianti; pascoli verdi si rincorrono per chiudersi a corona attorno a specchi di laghi chiari; colline lussureggianti si alternano come onde indurate; cime nevose gittano l’ombra su conche percosse da fiumi. A breve distanza si stabiliscono condizioni diverse di vita, che meritano di essere meglio conosciute in rapporto ai vari pro- blemi che offre la zoologia. Niuna nazione come la nostra si presta ad indagare la realtà vivente, anche perchè allo studioso di scienze naturali capita spesso di scoprire, sotto un tappeto verde, un rudere di 186 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA tempio, un caulicolo marmoreo di colonna e di sen- tire un’eco della nostra grandezza. Le sole civiltà morte sono quelle su cui oggi si distende il deserto. Al contrario non v’è plaga in Italia, non v’è zolla che non fiorisca. Noi abbiamo già iniziato lo studio della fauna alpina e ci prepariamo a studiare quella del nostro triplice mare. A questo compito, prosegue il Camerano, bisogna aggiungerne un altro, quello di acquistare il sentimento della nostra personalità scientifica. Noi, finora, per seguire pedissequamente tendenze estranee, abbiamo dimenticato le gloriose nostre tradizioni. È necessario farle rivivere perchè in esse vi sono lampeggiamenti di verità, che an- cora sorprendono, è tutto un materiale di osserva- zioni che deve essere rivagliato e ripensato. Nei nostri archivi e perfino nelle biblioteche private vi sono tesori di osservazioni, che noi abbiamo il torto di non conoscere. Era ancora viva l'impressione delle parole del Camerano quando il prof. Stefano von Apathy, l’ il- lustre istologo ungherese, a cui dobbiamo una nuova dimostrazione della nostra trama nervosa, volle sa- lutare in lingua italiana i numerosi cultori di bio- logia intervenuti, ed esprimere il consentimento suo e della sua nazione verso l’opera del Cavolini, che precorse di tanto le indagni recenti sulla vita del mare. Ecco una lezione di vero « nazionalismo » da- taci simpaticamente da uno straniero! La commemorazione del Cavolini, voluta fervoro- samente dal Monticelli, a cui non mancò l’ausilio de’ suoi colleghi della Facoltà di scienza, del rettore Del Pezzo, del senatore Paladino e delle autorità cittadine, può dirsi, sotto ogni aspetto, riuscita. Quel periodo di storia napoletana della seconda metà del 1700, che vide, per uno slancio memorabile L'OPERA DI FILIPPO CAVOLINI 187 di libertà, la proclamazione della Repubblica Par- tenopea, comprende un risveglio di studi scientifici quale non si ebbe più mai tra noi. Domenico Cirillo, Giuseppe Poli, Saverio Macri, Giovanni Torre, Do- menico Cotugno, in campi diversi d’indagine, hanno ‘ stampato impronte indelebili. Campeggia su tutti la figura del Cirillo, che, dentro il breye giardino an- nesso alla sua casa, sospinse gl’ingegni più fervidi del Mezzogiorno, che a lui convenivano, allo studio dei fenomeni naturali e più specialmente della ve- getalità. E certo lo studio dei fiori e delle tenere piante valse non poco a rendere adamantina quella coscienza, che non piegò nemmeno dinanzi al pati- bolo. La Natura educa chi la educa; e chi sa guardare scopre nelle cose esteriori una severità armoniosa di leggi non dissimile da quella che impone a noi il dovere. Il mondo mi si rivela come dovere, diceva Fichte. Gli scienziati di oggi, per lo più, sono racco- glitori di mozziconi di fatti (la frase è del Nietzsche); e, poichè sfugge loro il legame vitale che unisce l’in- fima manifestazione di vita con la più alta, non odono gli ammonimenti che salgono dalle cose, e perdono presto ogni pura energia spirituale e diventano irosi e settari. Ricordiamo invece come il Cirillo parlava di sè: « Abbandonarmi alle occupazioni che m’allet- tano, conoscere le piante che mi circondano è una gran saviezza ed anche una grande virtù. Questo è il mezzo per non lasciar germogliare nel mio cuore ‘ niun fermento di vendetta e di odio. Questo signi- fica vendicarmi dei miei persecutori alla mia ma- niera; non saprei punirli più crudelmente che con esser felice lor malgrado ». Filippo Cavolini fu alla scuola del Cirillo, e ne trasse tale amore per le scienze naturali che, la- sciati gli studi legali, si ritrasse nella sua villa di 188 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA Posilipo a meditare sui problemi viventi. Con una piccola barchetta ed in compagnia di due fidi ma- rinai, egli arava quotidianamente il mare, che, da Mergellina al capo estremo di Posilipo, si dispiana e s’insena con una trasparenza mobile d’acque, di cui non si ha esempio se non guardando alcune pu- pille di bambini sorridenti. La collina verde si svolge con la dolcezza di un braccio che s’inarchi attorno al corpo di persona amata; e le acque del mare, come pervase da un folle desiderio, s’ insinuano nella terra, rompono in anfratti, in botri il piè della col- lina, la quale, in giorni di tempesta, ne freme tutta. Quando l’aria è tranquilla le chiome degli alberi si riflettono a specchio delle acque, ed il tremolio delle foglie si traduce in un tremolio profondo che si pro- paga lontano. Nelle notti lunari il mare porta fin nelle grotte oscure il suo sorriso argenteo. In niun posto, come nella parte orientale del golfo di Napoli, questa corrispondenza di amore tra il mare e la terra è più tangibile; e forse per questo non v’è plaga marina che si presenti più feconda e più ricca di vita. Se oggi, a mezzo della curva del golfo, sorge, per la tenacia teutonica di A. Dohrn, il più grande ed organico istituto di biologia che esista in Europa, « la Stazione Zoologica », non bisogna dimenticare che la tradizione di sottoporre all’indagine scien- tifica le forme vive del mare è nostra e rimonta ad epoca lontana. Nella stessa guisa che a Porto Venere, presso Livorno, sorse, per opera di Lorenzo Spallanzani, un primo laboratorio per la investigazione marina, qui in Napoli, quasi contemporaneamente, il Cavolini trasformò la sua villa in un piccolo istituto speri- mentale di biologia. Con mezzi scarsissimi e del tutto primitivi egli compì osservazioni, a cui oggi ben L'OPERA DI FILIPPO CAVOLINI 189 poco possiamo aggiungere. Uno zoologo straniero, Simone Pallas, aveva rivolto agli italiani, abitatori di un tratto così lungo di coste, il rimprovero di trascurare lo studio della multiforme animalità acqua- tile; il Cavolini rispose inviandogli i propri lavori, ed il Pallas si affrettò a fare onorevole ammenda dell’avventato giudizio. Le arene del fondo del mare sono coperte da una strana e varinpinta vegetazione: madrepore, coralli, attinee in colori giallo, rosso, violaceo si dispongono in aiuole delicatissime, in foreste in miniatura, su cui grava il fondo del mare. Queste forme di vita, che hanno apparenza di piante, risultano invece di colonie di animali, che appartengono alla classe dei polipi. Cavolini ne descrisse la morfologia ed il modo di moltiplicarsi, e le riprodusse in disegni nitidi, che ancora si conservano. I disegni del Cavolini non sono schematici, ma vivi d’ombre e di chiaroscuri così che la riproduzione è artisticamente fedele. Pre- correndo le odierne ricerche, egli praticò i primi esperimenti sulla polarità di questi animali, cioè sulla facoltà di mantenere la direzione verso un dato senso. Descrisse esattamente le larve delle Ascidie, i parassiti dei Cefalopodi, il modo di riprodursi dei granchi e determinò il sistema circolatorio sanguigno dei pesci con una esattezza, a cui oggi ben pochi ricercatori si avvicinano. Al Cavolini spetta il me- rito di avere primieramente stabilito la scontinuità fra le arterie e le vene bronchiali e l’esistenza delle pseudobranchie opercolari. Rivelò inoltre le forme di passaggio nel divenire di quei piccoli animali, donde si sprigiona tanta energia elettrica: le Torpedini; e, correggendo alcune false osservazioni del Linneo, completò la morfologia della Lampreda. E poichè, 190 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA giustamente osserva il Monticelli, spetta al Cavolini di aver riconosciuto il nucleo negli oociti dei pesci, gli si dovrebbe anche attribuire il merito di avere scoperto il nucleo delle cellule. Io non posso qui diffondermi su altre ricerche di anatomia sistematica, nè su quelle di embriologia, che precorrono di non poco gli studi del Von Baez. Dirò solo che, passando dalla vita animale a quella vegetale, non meno degne di considerazioni ci ap- paiono le ricerche cavoliniane di botanica. Egli in- dagò la varia distribuzione dei sessi negli organi floreali del profico e del fico, e vide come, mediante l’intervento di insetti pronubi, il polline dell’uno riesce a fecondare gli ovuli dell’altro. La teoria così detta della « caprificazione », come venne determi- nata dal Cavolini, rimane il lume più vivido sulle controversie che ancora al riguardo si dibattono. Non pochi tra i suoi manoscritti, che ora per la prima volta, a cura della « Società napoletana dei Natu- ralisti », vengono raccolti in un grosso volume, si riferiscono a piante marine, di cui alcuni generi sono rimasti nella scienza con il nome di lui. Egli non si appaga di descrivere i caratteri esteriori della flora marina, ma si preoccupa sopratutto di sorpren- derne i vari momenti di sviluppo e d’intenderne la vita. La sua è sempre una ricerca superiore, bio- logica. Nel giudicare in complesso l’opera di questo scien- ziato, che morì piuttosto giovane, vittima della sua passione (l’inopportuno intervento di un doganiere fece capovolgere la fragile barchetta), non bisogna dimenticare l’epoca in cui visse e la esiguità dei mezzi di ricerca, dei quali egli potette giovarsi. Oggi è facile ostentare un altezzoso disdegno pei ricer- catori pazienti di tempi trascorsi, ma gran parte MR TA Ù he P e 4 L'OPERA DI FILIPPO CAVOLINI 191 della scienza contemporanea vale assai meno di quel poco che serenamente, con occhi ingenui, è stato visto e descritto dai nostri predecessori, che almeno coglievano la vita nel suo flusso prima di costrin- gerla nell’esperimento. Il grande entomologo pro- venzale J. H. Fabre, a cui il Maeterlinek chiese la ispirazione per scrivere la « Vie des Abeilles », non rimproverò la scienza odierna di preoccuparsi poco dell’animale vivente ed operante? Il rievocamento della figura del Cavolini ha altresì un’importanza speciale per Napoli, che deve essere veramente grata ai promotori instancabili della no- bile festa. Il mare che così dolcemente si chiude nell’ampia falce del golfo quasi per esporsi da sè all'indagine; l’emergenza di isole, dentro cui an- cora ribolle il fuoco di epiche vicende sismiche; il modo vario come i monti e le colline, che stanno a ridosso si ammantano di capigliature di alberi; la presenza a breve distanza di un vulcano spento e di un vulcano in attività; lo scaturire nelle zone propinque di molteplici acque lustrali ricche di strane energie radioattive; le tradizioni stesse di un pas- sato assai pieno di gloria, tutto concorre ad offrire un materiale prezioso a quanti s’affaticano intorno ai problemi della vita. Napoli può e deve ridiven- tare un centro di coltura scientifica. LA CONCEZIONE SCIENTIFICA DELLA VITA Il dottor A. Gemelli, libero docente di istologia ed ora frate dei Minori ed efficace propulsore della « Rivista Neo-Scolastica », che si pubblica in Firenze, raccoglie in un grosso volume — « L’enigma della vita» — una serie di osservazioni, non prive di valore critico e di forza persuasiva, intorno ai pro- blemi che più si dibattono nel campo delle scienze biologiche. La voce squillante e polemica non è di quelle che si può fingere di non ascoltare, anche perchè ci persegue insistentemente. Nel volume, in tavole nitide, vi sono riproduzioni di preparati mi- eroscopici e di pratiche sperimentali quali si usano nei laboratori più noti di biologia. Non si tratta questa volta di un orecchiante, ma di uno scienziato per conto proprio, che trae dallo stesso materiale, che alimentò per tanti anni la spensierata scorribanda contro ogni filosofia, nutrimento di idee per rimet- tere in valore una nuova metafisica. Forse è la prima volta che la rocca della Dea Ragione viene presa d’assalto con tanto vigore; ed a me sorprende meno l’assalto quanto il silenzio e la dedizione di coloro che sin ieri più hanno gridato a proclamare i diritti positivi della scienza. Incomincio a eredere che co- desti banditori non fossero in buona fede. La coltura scientifica del Gemelli ha il pregio di non essere unilaterale. Egli affronta questioni di ANILE A. 13 2% * br. 194 VIGILIE DI SCIENZA E DI VITA anatomia, di fisiologia, di psicologia e di antropo- logia con eguale competenza e con un corredo di coltura storica che contribuisce non poco a rendere più valide le sue argomentazioni. Non ha d’altronde l’uso d’inveire contro gli avversari. Quando giunge a dimostrare la manchevolezza d’una teoria scien- tifica, che parve ai più granitica, egli passa oltre a combattere un altro errore. Non importano a lui le persone, ma le cose ed i fatti, che, per parecchi anni, s’alzarono confusamente come una barricata a trattenere il cammino ideale dell’umanità. Come tutti i combattenti per un bisogno dello spirito, che sorpassa i bisogni materiali, egli, anche nel fervore della lotta, si mantiene sereno come un apostolo. Pur dissentendo da lui in non poche conclusioni, non si può non ammirare questo campione della scienza, che, dalla parte opposta, ci chiama a rimeditare le ragioni del nostro sapere. Donde viene la struttura organica ed in qual modo si conserva? Cosa è che spiega le manifesta- zioni caratteristiche della vita? Il Gemelli riesce facilmente ad aprire una larga breccia nella muraglia delle sempliciste spiegazioni meccaniche, secondo le quali l’organismo vivente è nient’altro che un aggruppamento di parti materiali dotate di energie fisico-chimiche. Lui soccorrono le esperienze più recenti e gli ammonimenti di biologi che rispondono ai nomi di H. Driesch, di J. Reinke, di Hertwig e di G. Roux, per citare i più illustri. V’è nei fenomeni vitali un principio intimo, re- golatore dello sviluppo, che controlla la sua stessa organizzazione, la quale è un tutto indivisibile, non un aggregato che possa suddividersi in parti. LA CONCEZIONE SCIENTIFICA DELLA VITA 195 Fattori fisico-chimici, quali la pressione osmotica, la tensione superficiale, le forze di adesione e di coe- sione, entrano certo in gioco nei fenomeni vitali, ma non bastano a darci ragione di qualcuna delle attività più comuni, onde un’organizzazione viva, come, per esempio, la elaborazione della clorofilla nelle piante e la divisione del nucleo nei tessuti animali. Il Driesch, più nettamente, proclama l’autonomia dei processi vitali, che vengono dominati, per lui, da qualche cosa che non è estesa ed ordinata nello spazio, ch’ è invece un principio d’attività che pos- siede un valore qualitativo non quantitativo, inten- sivo non estensivo. Per questo principio egli rievoca la parola di Aristotele « entelecheia »; ed eccoci di- nanzi ad un valoroso embriologo del nostro secolo che tuffa il suo pensiero nel « De Anima » dello Stagirita. Già tutta l’embriologia contemporanea e più spe- cialmente le ricerche iniziate dal Roux, che ora hanno ereato il corpo d’una nuova scienza, la « fisio- logia dello sviluppo », ci offrono ogni giorno sorprese, che scuotono l’ambio monotono delle nostre cogni- zioni faticosamente acquistate. Se isoliamo l'embrione di un animale inferiore nello stadio in cui risulta di sole quattro cellule, e quindi separiamo artificial- mente i quattro elementi, noi vedremo che ciascuno di questi dà origine ad un nuovo individuo. Se con un taglio noi dividiamo dal resto del corpo il sacco branchiale d’una ascidia marina, la « td BIBLIOTECA DI CULTURA MODERNA Elegante collezione in-8 Orano — Psicologia sociale (esaurito). . Kina E T. Okey — L'Italia e (3 edi- zione). ; . CICCOTTI — Pglocia del fevilianto socialista ° . AMADORI- VIRGILI — L Yetituta “fiale gliare nelle Società primordiali . MaRTIN — L’Educazione del carattere (esaurito). .DE Lorenzo — India e Buddhismo antico (2 edizione) . SPINAZZOLA — Le acigiui SÌ af cammino dell’Arte . DE GOURMONT — Fisica dell’ PERA A gio su l’istinto sessuale . CassoLa — I sindacati industriali. ban: telli - Pools - Trust . MARCHESINI — Le finzioni acilia Saggio di Etica pedagogica . Rerca — Il Successo delle Nazioni. . BARBAGALLO — La fine della Grecia an- tica . NOVATI — Aiiaverso. il Medio Îvo E. SPINGARN — La critica letteraria nel Rinascimento . . CARLYLE — Sartor Resartus a lune) . CARABELLESE — Nord e Sud attraverso i secoli . SPAVENTA -- Da ta a Hogol . LABRIOLA — Seritti vari di filosofia e politica a cura di B. Croce. . I. BaLFOUR — Le basi della fede GIUS. LATERZA & FIGLI - EpITORI 20. C. DR FREYCINET — Gera sulla nisi delle Scienze . 21. B. Croce — Ciò che è vivo e ciò sua è mor to della filosofia di Hegel CES 22, L. HEARN — Kokoro. Cenni ed echi dell'in: tima vita giapponese. 23. F. NieTrzscHE — Le origini della ‘agito 24. V. IMBRIANI — Studi letterari e bizzarrie satiriche. ; 25. L. HEARN — Spizpliarni nei campi i di Bud- dho 26. C. W. SALEEBY — la Pr docsaganinne ossia la malattia del secolo . ; 27. K. VossLER — Positivismo e idealismo ono scienza del linguaggio pa 28. G. ArcoLEoO — Forme vecchie, idee nuove 29. Il pensiero dell'Abate Galiani - Antologia di tutti i suoi scritti editi e inediti 30. B. SPAVENTA — La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea G. SoreL — Considerazioni sulla violenza 32. A. LABRIOLA — Socrate. Nuova edizione . 33. G. KoHLER — Moderni problemi del Diritto 34-1. K. VossLer — La Divina Commedia stu- diata nella sua genesi e interpretata — Vol. I - Parte I. Storia dello svolgi- mento religioso-filosofico . 5 34-11. — Vol. I - Parte II. Storia dello ISO gimento etico- politico . 85. G. GENTILE — Il Modernismo e i span tra religione e filosofia deg 36. G. B. Festa — Un galateo femminile ita- liano del trecento ‘ 37. S. SPAVENTA — La politica della dai 38-1. J. Royce — Lo spirito della filosofia mo- derna — Parte I. Pensatori e Problemi 38-11, — Parte II. Prime linee d’un sistema 39. 40. 4l. 42. 45. 44 45. 46. 47. GIUS. LATERZA & FIGLI - EDITORI RenieR — Svaghi critici GesHart — L'Italia mistica : . FARINELLI — Il romanticismo in dos: mania. . TARI — Saggi di Hsteticn e di o fisica . . ROMAGNOLI — Mii e Phicsia nell'av tica Grecia . . FiorENTINO — Studi e i vati . FERRARELLI — Memorie militari del Mezzogiorno d’Italia ; SPAVENTA — Principii di Filosofia 5 . ANILE — Vigilie di Scienza e di Vita s “ Le FCOZETIE NA BioMed PLEASE DO NOT REMOVE CARDS OR SLIPS FROM THIS POCKET UNIVERSITY OF TORONTO LIBRARY Ta I GT dA, La, ' LARA ATE si dee: se È,