LI RE DIECI
BENITO MUSSOLINI
/AW'ORO
IL MIO
DIARIO DI GUERRA
■ 1915 •
• 1917 •
Seconda edizione raccolta e ordinata da
ARNALDO MUSSOLINI e DINO GRANDI
MILANO - CASA EDITRICE IMPERIA - 1923
Edizione per gli abbonati del " POPOLO D'ITALIA „
IL MIO DIARIO DI GUERRA
BENITO MUSSOLINI
Biblioteca
angro TASCA
Il mio
diario di guerra
( 1915 - 1917 )
con 10 illustrazioni
SECONDA EDIZIONE
IMPERIA
Casa Editrice del Partito Nazionale Fascista
Milano - Via Settata 22
Proprietà Letteraria
I diritti di xiprodùzione e di traduzione sono riservati per
tutti J paesi, compresi la Svezia, la Norvegia e l’Olanda.
Copyright Febbraio 1923 by Casa Editrice Imperia
2 e. XII - 1923. (P. I.).
BENITO MUSSOLINI
cMla classe del 1883, richiamato alle
armi il 31 agosto 1913, assegnato
aU'll 0 bersaglieri, fu mandato al
fronte il 2 settembre successivo.
A CHI...
4 voi miei comminimi del fortissimo 11° bersa¬
glieri dedico queste cronache di guerra. Sono mie
e vostre. C’è in queste pagine la mia e la vos i a
vita: la vita monotona ed emozionante, semplice
ed intensa che abbiamo insieme trascorso nelle in¬
dimenticabili giornale della trincea.
Serbo di voi tutti il più profondo ricordo. Che
voi mi avete offerto una consolante certezza tari-
dove non esisteva che una speranza e un atto di
fede: sulle aspre cime delle Alpi contese — nella
dura e pur tanto eroica guerra d assedio — avete
dimostrato che la vecchia stirpe italiana non e
esaurita, ma reca nel suo grembo i tesori eli una
giovinezza perenne.
M.
SETTEMBRE — NOVEMBRE
In trincea coi soldati d’Italia
9 Settembre.
Da stamani circola la notizia della nostra pros¬
sima. quasi immediata partenza per la linea del
fuoco. Dove andiamo? Nessuno lo sa dire con esat¬
tezza. Non importa. L’essenziale è di muoversi. Il
pensiero di passare alcuni mesi in guarnigione mi
sgomentava. La notizia della partenza si è diffusa
tra i plotoni, ma non ha sollevato una grande emo¬
zione. E’ tempo di guerra : si va alla guerra. E’
naturale! D’altra parte lo stato d’animo di questi
richiamati dell'84 non è negativo. Uomini di tren¬
tanni comprendono certe necessità. Vi sono molti
interventisti anche all’infuori dei milanesi : ne ho
conosciuto un altro, un caporale di Crespino, in
quel di Rovigo. Gli elementi di lievito non man¬
cano. Una grata sorpresa mi attende. Ricevo un bi¬
glietto che" dice : « L’ex-linolipista deW Avanti !,
Adolfo Girello', ora residente a Rovigo, per mezzo
dell’amico Bavaglini, le manda i saluti più affet¬
tuosi, ricordandolo ». Un caporale milanese che era
stato destinato al deposito, se n’è tornato con
zaino e fucile in compagnia per andare insieme
cui) tutti noi al fronte. Rei gesto ! Il caporale
14
BENITO MUSSOLINI
si chiama Mario Morani. Giornata melanconica
l rima pioggia autunnale. Sottile, silenziosa, insi-
stente.
11 Settembre..
Stamani, insieme con altri dodici soldati, sono
dl 8 ' uardia al Tribunale di Guerra
do 3 corpo d Armata. Ho assistito - come senti¬
ne Ila d onore — allo svolgimento di due processi
poco importanti. Primo. Un territoriale di 39 anni
imputato di abbandono di posto. Faceva il mu-
gnaio. Un povero diavolo che è livido di paura. Il
1 - M. chiede un anno di reclusione, ma il Tribu¬
ni ?»f?°! V % S?COndo processo: quattro imputati
^ a f !, 1 scar P e - E una storia complicata e
noiosa 11 Tribunale condanna. Credevo, in verità
morir r' ; USllZia Mllltare fosse Più sbrigativa, som¬
mai la t invece minuziosa, analitica. Mi è appar¬
sa piu melme all’indulgenza di quella civile per
H e lo, orse, di quella specie di impr.mteraWic
solidarietà professionale che si stabilisce fra uo¬
mini Tarme 0
T2 Settembre.
Siamo stati richiamati il 31 agosto e la nostra
,nl ,?m gU f n K gl ° ne è già fini,a - Si annunc ia in for¬
ma ufficiale che partiremo domattina alle 7. Si an¬
IL MIO DIARIO Dl GUERRA
15
nuncia anche, che verso mezzogiorno il colonnello
ci passerà in rivista c ci terrà una « morale ». So¬
no le undici quando la tromba alla porta suona
Vattenti: è il colonnello che entra in caserma, li¬
sciamo nel cortile, armati senza zaino. Formiamo
una specie di quadrato. Suona un’altra volta Yot-
tenti. Il lenente colonnello parla. Discorso terra
terra. Bisogna trovare altri accenti quando si è
dinanzi a uomini di trenta e più anni. Bisogna con¬
siderare i soldati come uomini, non come matri¬
cole. Pei graduati c’è un supplemento di morale,
fatto dal tenente Izzo. Io, che sono soldato sem¬
plice, me ne vado fuori.
13 Settembre.
Ore due: sveglia e in rango. C’è da ricevere la
cinquina, un paio di scarpe di fatica, una coperta
da campo e una scatoletta di carne da consumare
durante il viaggio. Quest’operazione dura un paio
d’ore. I bersaglieri si pigiano dinanzi alla fureria.
Chi fa lutto, dentro, è il sergente Fogli, ferrarese.
Grida, lavora c suda come un facchino. E’ l’alba
- Zaino in spalla ! —
In marcia verso la stazione. Il treno è pronto,
ma si parte con un lieve ritardo. Siamo 351, com¬
presi i tre ufficiali — un lenente e due sottotenenti
— che ci accompagnano. Occupiamo i vagoni. Nel-
Pattesa, una donna, completamente vestita di nero,
taglia i gruppi delle persone raccolte attorno al
16
BENITO MUSSOLINI
treno e si gella fra le braccia del marito che parte*.
Il marito, col ciglio asciutto, si divincola dolce¬
mente dalla stretta affettuosa e incuora la donna
che si allontana — adagio — con le mani sulla
faccia, per nascondere le lacrime. E’ runico epi¬
sodio patetico della partenza. Il nostro vagone è
adornato di rami. Una prima scossa. Un fischio
breve. Ecco: il treno va. Addio! Addio! Un agitare
convulso di mani fuori dai finestrini e un gridare
tumultuóso: Addio! Addio! Poi canti a voce spie¬
gala. I miei amici gridano: Viva l'Italia! Attra¬
versiamo la campagna bresciana Vasta distesa di
verde che impallidisce sotto il sole autunnale. La-
uo di Garda. Non Uho mai visto così bello! Peschie¬
ra. Cittadella grigia. Mi ricorda un anno di vita
militare. Addio,'vaga penisola di Sirmione incan¬
tevole! Siamo alle campagne veronesi, melanconi¬
che, sassose. Fa caldo. Sosta a Verona. Sosia più
lunga a Vicenza. A Treviso grande movimento di
soldati. Un treno di feriti. Altri vagoni pieni di
soldati di fanteria si accodano al nostro treno, che
diventa lunghissimo e deve rallentare la marcia.
Stazioni: Conegliano, Pordenone. Sacile.
Crepuscolo serale. Nel cielo che incupisce vol¬
teggia un Farman. A Casarsa lunga tappa. Si ag¬
giungono al nostro treno vagoni di artiglieri. Un
vagone scoperto porla un cannone di proporzioni
spettacolose. E’ tutto circondato di fronde verdi.
Uno dei serventi agita una grande bandiera trico¬
lore. Entusiasmo generale. Saluti fra i soldati del¬
le varie armi. Udine — quando vi giungiamo alle
Mussolini. - Il mio diario di guerra.
IL MIO DIARIO DI GUERRA
19
19 — c buia. Interminabili treni per i rifornimenti
sono immobili lungo chilometri e chilometri di bi¬
nari. Quale somma enorme di sforzi richiede il ri-
fornimento e vettovagliamento di un esercito che
combatte ! Cividale. È’ notte alta e non vedo nulla.
Ci rechiamo agli accantonamenti. Copilo coi miei
amici nel solaio di un contadino. Sonno profondo.
14 Settembre.
Sveglia alle cinque. Sento che le mie ossa sono
un po’ ammaccale. Un’ora di marcia, con uno zai¬
no che pesa trenta chili, mi rimetterà in [orma-
Siamo, nel cortile dell'accantonamento e attendia¬
mo l’ordine di partire per Caporetlo. I T n bambino
attraversa la strada gridando:
— Un aeroplano! Un aeroplano! —
C’è infatti un velivolo austriaco, altissimo. Im¬
mediatamente entrano in azione le batterie antiae¬
ree. Si ode distintamente il loro crepitio. Le nuvo¬
lette verdognole degli shrapnels punteggiano l’o¬
rizzonte.
Ma il velivolo nemico, che si è tenuto sempre a
una quota altissima, torna indietro.
Cividale: città simpatica. D’interessante: il mo¬
numento ad Adelaide Ristori. Qui più ancora che
a Udine si ha l’impressione della guerra vicina.
File interminabili di camions automobili e di carri
d'ogni specie vanno e vengono incessantemente.*
Scrivo queste linee nel cortile di una fattoria,
durante un all.
20
BENITO MUSSOLINI
Qualcuno dei miei compagni dorme. Qualcun
altro scrive. Sotto un pergolato si gioca alla morra.
Giunge da lontano il rombo del cannone. Io amo
questa vita di movimento, ricca di umili e di gran¬
di coso.
15 Settembre.
Tappa a San Pietro al Xatisone. Primo dei selle
Comuni in cui si parla il dialetto sloveno. Incom-
prensibile per me.
Il tenente Izzo ci ha invitati ieri sera a bere un
bicchiere di congedo con lui. Egli ci accompagna
-ino alla linea del fuoco, poi ritornerà a Brescia,
per entrare come osservatore nel corpo aviatori.
Riunione fraterna, simpatica. Son con me Busce-
ma, Morani, Tal'uri, Bocconi. Stamani, sveglia alle
-ei. In marcia! Sole cocente. Il polverone sollevato
continuamente dai camions e dalle colonne delle
salmerie ci acceca.
Ecco Stupizza, l’ultimo paese italiano prima del¬
la guerra. Troviamo della birra eccellente a un
prezzo discreto.
Di lì a poco giungiamo alla linea del vecchio
contine. A lato della strada ce una casa e un posto
di guardia. Le insegne austriache sono scomparse.
Momento d’emozione per me che mi ricordo di
essere stato nell’ottobre del 1909 sfrattato da « tut¬
ti i paesi e regni dell’Impero austriaco ».
il tenente grida :
— Viva l'Ttalin ! —
IL MIO DIARIO DI GUERRA
21
Io che mi trovo in testa alla colonna ripeto il
grido, ed ecco quattrocento voci gridare in coro:
— Viva l’Italia ! —
Giungiamo dopo una marcia faticosa a Robich.
primo villaggio ex-austriaco. A Robich. tappa di
alcune ore. Ci precipitiamo nell’unica osteria. No¬
to un bambino di sei o sette anni che si atterra al
braccio di una pompa e ci serve di acqua. Gli do¬
mando :
—.Come li chiami?
— Stanko.
— E poi ? —
Il bambino non capisce e non risponde. Lo do¬
mando a una ragazza che attraversa il cortile.
— Si chiama Robancich. —
Nome prettamente slavo
Nel prato, poco lungi, un caporale, il milanese
Bascialla, fa circolo. Ha ritagliata e l’ha conser¬
vata nel portafoglio una cartina della zona di guer¬
ra. Col dito teso, egli indica il famoso e misterioso
Monte Nero.
Iscrizione trovata, due chilometri prima di Ca-
porelto. su di una cappella votiva al ciglio della
strada :
Nikdar Noben se ni Bit zapuscen
Kiv varilo Marjis Bit izzocien.
Caporelto. Non ho visto che un campanile
bianco con una guglia grigio-verde, sottile. Una
moltitudine di soldati si affolla attorno a noi per
cercare i compaesani. Ci accampiamo poco lungi
dall’Isonzo, sulla nuda terra. Miei compagni di
22
BENITO MUSSOLINI
tenda: caporale Buscema, caporale. Tafuri, capo-
ral maggiore Bocconi. Nella notte romba il canno¬
ne, verso Gorizia. Nell’accampameli lo — vigilalo
dalle sentinelle — silenzio alto. Si sente la guerra.
16 Settembre.
Mattinata fredda. Sull'Isonzo è un velo di neb¬
bia. La notizia del mio arrivo a Caporetto si è dif¬
fusa. Discorsi e impressioni. Due soldati d’arti¬
glieria. Accidenti! A sentirli, il nostro esercito è
quasi interamente distrutto ; l’Inghilterra dorme:
la Francia è spezzata; la Russia finita.
Discorsi odiosi e imbecilli che io ho sentilo ripe¬
tere tante volte.- I due compari — che non sono
mai siati al tuoco — la piantano in tempo giusto
per evitare una energica cazzottatura. Ma ecco tre
bolognesi. Il loro; morale è infinitamente migliore.
Durante la distribuzione del rancio, un capitano
medico mi cerca tra le file.
— Voglio stringer la mano al Direttore del Po¬
polo d’Italia.
Pomeriggio di chiacchiere. Episodi di guerra.
Esaltazione unanime degli alpini. L’Isonzo! Non
ho mai visto acque più cerulee di quelle dell’Ison¬
zo. Strano ! Mi sono chinato sull’acqua fredda e
ne ho bevuto un sorso con devozione. Fiume
sacro !
IL MIO DIARIO DI GUERRA
23
17 Settembre.
Partenza. Andiamo aggregali non più al 12° ber¬
saglieri, ma all’11°, che si trova sulla catena del
Monte Nero. Un sottotenente medico rodigino che
sta al comando di tappa, vuole conoscermi e salu¬
tarmi. Mi offre una eccellente lazza di caffè. Siamo
in rango. Il tenente Izzo ci fa alcune raccomanda¬
zioni. Ci dice clic a un certo punto della strada
saremo a tiro del cannone nemico.
— Guai ai ritardatari ! —
Il battaglione non sembra affatto preoccuparsi.
— Classe di ferro, 184 ! —
Il « morale » è ancora più elevato. I discorsi stu¬
pidi che erano rari prima, non si odono più. C’è
dell’allegria. Un artigliere di Corticella. tale ^lon¬
goni, mi accompagna per un tratto di strada.
Attraversiamo gli attendamenti delle salmerie e
degli alpini. L’artigliere bolognese di quando in
quando mi precede per annunciare a gruppi di
suoi amici il mio passaggio. Molti mi salutano con
simpatia. Auguri! Valichiamo risona». A Magozo
— piccolo paese sloveno, dove non sono rimaste
che due vecchie, le quali si nutrono col rancio dei
soldati — incontriamo una colonna di prigionieri.
Li circondiamo. Sono 46. Un intero plotone, con
un cadetto e un sott’ufficiale. Il loro equipaggia¬
mento è buono. Siedono su due file per terra. Mol¬
li fumano. Hanno, specie gli anziani, l’aria soddi¬
sfatta. Ma il cadetto, clm sta dietro agli altri, è ner¬
voso. Si morde le labbra. Trattiene a stento le
lacrime. Il caporale Tafuri gli dice:
24
BENITO MUSSOLINI
— Non temete, in Italia sarete trattalo bene.
— Glauben Sie? — interroga dubitoso il cadetto.
E’ giovane. Non arriva ai ventanni.
l r n bersagliere di scorta mi racconta come furo¬
no catturati. Di fronte alle posizioni del 33° batt.
dell 3 11° bersaglieri e T era una trincea dall’aspetto
formidabile. La notte scorsa è stata ordinata l'a¬
vanzata. Una squadra di bersaglieri si è spinta
inosservata fin sotto i reticolati e ha fatto brillare
un tubo di gelatina, seguito da un assalto irrom¬
pente alla baionetta. Gli austriaci non se raspolla¬
vano, non sono riusciti a sparare che qualche fu¬
cilata. Hanno levate le braccia. Si sono arresi.
— Bono [aliano , rispellare prigioniero !
Riprendiamo la nostra marcia. Dobbiamo rag¬
giungere la quota 1270. Siamo sulla mulattiera che
va al Monte Nero. Incontriamo dei feriti. Alcuni
leggeri che fumano e sorridono. Altri più gravi.
Uno di essi ha il volto coperto da un giornale.
Sotto si vede la faccia tumefatta e insanguinata.
Due feriti austriaci. Uno leggero. Un altro più
grave : deve aver le braccia spezzate. Sono diretti
alUinfermerià — sezione della Sanità di Ma-
goso.
Colonne lunghissime di salmerie. Senza i muli
non sarebbe possibile la guerra in montagna. I più
stanchi di noi caricano gli zaini sui muli.
Verso sera giungiamo nella zona battuta dal-
Tartiglieria austriaca. Fischiano nell aria — col
loro sibilo caratteristico — le granate. Sono for¬
midabili. Gualche bersagliere è un po’ emozionato.
IL MIO DIARIO DI GUERRA
23
Io che marcio in fondo alla colonna, incoraggio
coloro che mi stanno vicini.
Passala la prima e comprensibile emozione, la
marcia faticosa con zaino completamente affardel¬
lato riprende, sotto il fuoco abbastanza accelerali)
dell'artiglieria nemica. Una granala scoppia vicino
a una colonna di muli, ma non fa vittime. Un’altra
cade e scoppia in prossimità di un gruppo di ber¬
saglieri c solleva un turbine di schegge.
Un bersagliere grida che è ferito. Ha avuto la
clavicola frantumata. Un’altra granata scoppia ac¬
canto a un altro gruppo nel quale mi trovo io.
Spezza diversi gro-si rami di un albero. Siamo
coperti di foglie e di terriccio. Nessun ferito. Crii
austriaci tirano a caso. Imbruna quando giungiamo
al comando. Siamo attesi da un maresciallo. Sia¬
mo da dodici ore in marcia. Nessuno è rimasto
indietro. E si tratta di soldati dei distretti di Cre¬
mona, Rovigo, Ferrara, Mantova, nati e vissuti
nelle più basse pianure d'Italia. \ ecchia e sempre
giovane stirpe italica! Un bersagliere mantovano
mi avvicina e mi dice:
— Signor Mussolini, giacché abbiamo visto che
lei ha mollo spirilo (coraggio) e ci ha guidati nella
marcia sotto le granale, noi desideriamo di essere
comandati da lei... —
Scinda simplicilas !
Ci contano e ci dividono nei tre battaglioni del-
1 ’ 11° bersaglieri.
E’ l’ora della separazione. Il tenente lzzo. che
torna a Brescia insieme con l’ottimo caporale Bia¬
gio Biagi di Cento, ci saluta. Noi, assegnati al
26
DEXITO MUSSOLINI
33° battaglione, riprendiamo la marcia in fila in¬
diana. Sono le dicci. Sotto a un costone fumano le
marmitte delle cucine. Ci preparano il rancio. I n
po’ scarso, ma eccellente. Pasta, brodo, un pèzzo
di carne. Ma molli assetali chiedono invano del¬
l'acqua. Ci stendiamo fra i macigni, all’aria aper¬
ta. Non fa freddo. Notte stellata, plenilunare.
Silenzio. Spettacolo fantastico. Siamo* in allo !
Siamo in alto! Già battezzati dal fuoco dei cannoni.
Cosi si chiude la prima giornata di guerra!
Sabato, 18 Settembre.
Stamani ci hanno diviso nelle Ire compagnie del
battaglione. L'operazione è stala lunga. Alcuni ca¬
porali e sergenti ci hanno fatto passare il tempo,
raccontandoci episodi gloriosi dell’ 11° bersaglieri
durante i primi mesi di guerra.
Sono assegnato all’8*. Sono con me Buscema,
Morani, Taf uri. Verso sera ci muoviamo per rag¬
giungere la nostra posizione. Invece di andare per
la mulattiera, diamo la scalala — quasi verticale —
al costone. Dobbiamo giungere a quota 1870. Una
discreta altitudine, come si vede. L’ascensione ci
abbrevia di almeno tre ore il cammino, ma è fati¬
cosa, tanto più che non abbiamo il bastone da
montagna e portiamo lo zaino. Gli uomini dei
" posti di collegamento » ci hanno guidato. Nes¬
suno è rimasto indietro, ma siamo giunti a notte
inoltrata. Prima di giungere alla mèta, passiamo
accanto a fosse di soldati italiani. Quattro- o cin¬
1L MIO DIARIO DI GUERRA
27
que. Mi sono chinato su una rozza croce di legno
e ho letto.
Oscar De Lucia, sergente
morto il 13 settembre 1915.
Le altre croci non recano nomi. Sono fosse col¬
lettive.
Poveri morti, sepolti in queste impervie e soli¬
tarie giogaie! Io porto nel mio cuore la vostra me¬
moria!
Gi siamo accovacciati fra i sassi, sotto le stelle.
I n ufficiale è passato fra noi e ci ha ordinato di
caricare i fucili e di innaslare le baionette. Nes¬
suno. per nessun motivo, deve abbandonare il pro¬
prio posto !
Alle dieci è incominciala l’azione. Ecco il pam
secco e fragoroso dei fucili italiani. I fucili austria¬
ci affrettano il loro ta-pum. Le « motociclette della
morte » incominciano a galoppare. Il loro la-ia-
la-ta ha una velocità fantastica. Seicento colpi al
minuto. Le bombe a mano lacerano l’aria. Dopo
mezzanotte il fuoco è di una intensità infernale.
Pazzi luminosi solcano ininterrottamente il cielo,
mentre si spara disperatamente su tutta la linea.
Raffiche di pallottole scrosciano sulle nostre leste.
— A terra! A terra! — si grida.
Ma io debbo alzarmi per cedere il mio posto a
un ferito che ha le braccia massacrate dallo scop¬
pio di una bomba. Mi chiede con voce lamentosa
dell'acqua, ma il soldato portaferiti mi prega di
non dargliene. Copro il ferito con la mia coperta
di lana. Fa freddo. Dopo mezzanotte una esplosio-
28
BFNITO MUSSOLINI
ne formidabile ci fa balzare in piedi. Una mina
austriaca ha fatto saltare parte del cocuzzolo occu¬
pato da un plotone dell’S 1 compagnia. Un grande
baleno solca il cielo tempestoso e un boato pro¬
fondo riempie la valle. Passano altri feriti lievi
che si recano senza aiuto al posto di medicazione,
11 fuoco di fucileria diminuisce. Verso l’alba cessa.
Ua prima notte di vita in trincea è stata movimen¬
tata ed emozionante. Di buon mattino, i nostri
cannoni tempestano di proiettili le posizioni nemi¬
che. Poi, anche i cannoni tacciono. Nella valle è
la nebbia. Sulla cima dove ci troviamo, il sole.
Nell’accampamento, il silenzio pieno e pensoso dei
soldati all’indomani di una battaglia.
Tra il Monte Nero,
il Vrsig e lo Jaworcek
19 Settembre.
Dopo la distribuzione del caffè, adunata. Il mag¬
giore Cassola, comandante del battaglione, ci tie¬
ne un breve discorso di saluto e di incoraggiamen¬
to. Parole affettuose e toccanti. Vicino al posto di
medicazione, dal quale ci parla il maggiore, è un
ferito, con una gamba spezzata da una scheggia dt
bomba. Faccia serena. Profilo delicato. Chiede un
sorso di caffè. Una sigaretta, fi lo portano via.
Fuoco stracco di fucileria tra *le vedette. Nuova
adunata. E’ il capitano della compagnia, Vestrrni,
che viene a salutarci. Ha la testa fasciata. Stanot¬
te, mentre in piedi da prode e valoroso dirigeva il
combattimento, una pallottola nemica lo ha ferito
alla faccia. Per fortuna, non è grave. Egli ci dice :
— Il comando del battaglione vi ha destinati alla
mia compagnia. Da due giorni voi appartenete a
un Reggimento eroico che qui, su queste rocciose
cime, ha compiuto gesta memorabili. Queste terre,
che erano e sono nostre, le abbiamo riconquistale.
Non senza spargimento di sangue. Anche stanotte.
30
BENITO MUSSOLINI
una maledetta mina austriaca ha seppellito molti
dei miei bersaglieri, ma i nemici l’hanno pagata
cara. Le nostre mitragliatrici, come avete sentito,
non sono state inoperose. Voi siete qui a compiere
il più sacro ed il più aspro dei doveri che un cit¬
tadino ha verso la Patria. Ma io- conto su di voi.
Siete uomini già temprati alle lolle della vita.
Oliando sarete amalgamati ed attintati cogli an¬
ziani, voi sarete animati daìlo slesso entusiasmo e
dall’identica volontà di vincere. Voi troverete in
me, non solo il superiore, ma il padre, ma il fra¬
tello. Dove potrò agevolarvi, lo farò. Fidatevi di
me. Auguri ! —
11 capitano ha finito. Le sue parole, franche e
commosse, sono scese nel profondo dei nostri cuo¬
ri. E’ un uomo che ispira molta fiducia e molta
simpatia. Un tenente fa un passo innanzi e grida:
— Bersaglieri dell’ottava compagnia, al vostro
capitano Yesfrini, hurrà !
— Hurrà! Hurrà! Hurrà! — rispondiamo noi, a
gran voce.
I portaferiti stanno ora raccogliendo i cadaveri
dei soldati caduti stanotte. Sei, finora. Vengono
deposli ai margini della mulattiera, nell’attesa di
essere identificati e sepolti. Ce fra loro un magni¬
fico tipo di abruzzese, che ho conosciuto ieri. Ha
la testa avvolta in un telo da tenda. 1 morti sono
coperti. Non si vedono che le mani irrigidite, nere
per il fango della trincea. I soldati anziani passano
e non guardano.
Ho notato — con piacere, con gioia — che tra
IL MIO DIARIO DI GUERRA
31
ufficiali e soldati regna la più cordiale camara-
derie.
La vita di rischi continui lega le anime. Più che
superiori, gli ufficiali mi appaiono come fratelli. E’
bello! Tutto il formalismo disciplinare della caser¬
ma è abolito. Anche l’uniforme ò quasi abolita.
Proibito — anche nei ripari — di portare il berci¬
lo fez. Abolito il pennacchio tradizionale al cap¬
pello. Caschi di lana, invece, che i soldati fregiano
esteticamente di una stelletta. Si può parlare con
un ufficiale, senza bisogno di impalarsi sul Vallenti.
E’ difficile, in montagna, star sull 5 allenti...
Con questi ufficiali, coloro che parlano di un
rafforzamento del militarismo, con la inevitabile
vittoria italiana, si divertono a inseguire dei fanta¬
smi. li militarismo « rnadc in Germany » non ha
attecchito in Italia. D'altronde questa guerra, falla
dai popoli e non dagli eserciti di caserma, segna la
fine del militarismo di casta o professionale.
L’enorme maggioranza degli ufficiali italiani è
venuta, con la mobilitazione, dalla vita civile. Tut¬
ta l’ufficialità dei subalterni è formata di lenenti e
sottotenenti di complemento che si battono e muo¬
iono da prodi.
Alcuni ufficiali mi vogliono conoscere. Ecco il
sottotenente Lohengrin Giraud. Giovane e valoro¬
so. Proposto per la medaglia d’argento al valor
militare.
— Ho un nome tedesco, o piuttosto wagneriano
— mi dice — ma detesto i tedeschi.
^ Mi narra. L’11 selleinbre, la 3* compagnia ebbe
l ordine di attaccare il cocuzzolo dell’ X^rsisr di
32
BENITO MUSSOLINI
conquistarlo e di gettare in basso — dall altra parte
_ orli austriaci. La compagnia era comandata da
Umberto Villani. Un audace. Un uomo che non
sapeva nè ridere, nè sorridere. Scoccata 1 ora,
mezzogiorno e dieci, il Villani si lanciò all’assalto
fra i primissimi, alla testa del « plotone d’onore »
che egli aveva costituito fra i migliori elementi del¬
la compagnia. Appena iniziato il combattimento, il
Villani — che stava ritto in piedi per ordinare la
disposizione delle squadre che avanzavano — tu
ferito da una fucilata. Non se ne curò. Di li a pochi
minuti, fu abbattuto dallo scoppio di una bomba.
Ebbe appena il tempo di gridare :
— Bersaglieri della settima, avanti ! A destra 1
Stendetevi a destra! Viva l’Italia! — •
E’ morto. Allora il comando della compagnia fu
assunto dal sottotenente milanese Girami. In pie¬
di, anche lui, ferito anche lui,, non però grave¬
mente, incurante del pericolo e della morte, dires¬
se la furiosissima battaglia, che durò venti ore.
Esaurite le bombe, si ebbe un a corpo a corpo mi¬
cidiale e indescrivibile. Ma l’azione fu coronata da
successo. Gli austriaci furono rigettati dall’altra
parte del cocuzzolo. Molti cadaveri nei burroni.
— Mi piacerebbe di averti nella settima compa¬
gnia — mi dice Giraud.
Tenente Cauda, dei carabinieri, venuto a com¬
battere volontario. E’ un sardo. Coraggio e sangue
freddo ecccezionali. Parla lento, all’inglese. Te¬
nente Corbelli, romagnolo, di Russi.
Una voce :
— C'è qui il bersagliere Mussolini ?
IL MIO DIARIO DI GUERRA
33
— Sono io.
— Vieni che voglio abbracciarti. —
E ci abbracciamo. E’ il capitano Festa della
10 a compagnia .del 157° fanteria, che occupa le no¬
stre posizioni.
— La tua campagna giornalistica per l’inter¬
vento onora le e il giornalismo italiano! — aggiun¬
ge, alla presenza ilei bersaglieri disseminati nei
ripari.
— Questa, caro Mussolini, è una guerra terri¬
bile. Abbiamo di fronte dei barbari che ricorrono
a tutte le insidie... Ma — e si volge anche agli altri
— coraggio e, soprattutto, religione del do¬
vere! —
Se ne va. E’ basso, tarchiato, barbuto. Porta
gli occhiali. I suoi soldati parlano di lui con vene¬
razione.
La mia compagnia è comandata ai posti avan¬
zati, di guardia.
1 ramonto. Il caporale Claudio Tommei — ro¬
mano — mi offre un passamontagna e un numero
del Rugantino. Grazie. Quando, in Italia, si par¬
lava di trincee, il pensiero correva a quelle inglesi,
scavate nelle pianure basse di Fiandra e munite
di tutto il comfort, non escluso — si dice — il ter-
mosifone. Ma le nostre, qui, a quasi 2000 metri
sul livello del mare, sono ben diverse. Si tratta di
buche scavate fra le rocce, di ripari esposti alle
intemperie.
Tutto provvisorio e fragile. E’ veramente una
guerra di giganti quella che i soldati d’Italia —
fortissimi — combattono.
Mfssot.tnt. - Il mio diario di ouevra.
34
BENITO MUSSOLINI
Non dobbiamo espugnare delle fortezze, dobbia¬
mo espugnare delle montagne. Qui, il macigno <
un’arma e micidiale quanto il cannone!
il vento della sera porta in allo il freddo e il
fetore dei cadaveri dimenticali.
Notte chiara, di stelle.
20 Settembre.
Appena è giorno, il capitano mi chiama. Vado
con lui alla trincea più avanzala. Riparato da duo
sacchetti di terra, posso guardare, con una rela¬
tiva tranquillità, il luogo conteso. E’ uno spiazzo
di forse 150 metri quadrati. Non più. Il « cocuz¬
zolo » ha perduto i suoi connotati. E stato spia¬
nato, livellato dalle bombe e dalle mine. Macigni
frantumati, grossi pali, fili di ferro, stracci di uni¬
forme, zaini, borracce : segni delle tempeste. Gli
austriaci sono a trenta metri — appena — da noi.
Non si fanno vedere.
Le nostre mitragliatrici non scherzano. Chi s
scopre, è fulminato.
Un siciliano coraggiosissimo, tal Failla, sta ol¬
tre la trincea e getta bombe. Gli mancano, a un
certo punto. Il caporale Morani gliele porta volon¬
tariamente. E’ appena giunto che una bomba au¬
striaca gii cade vicina. Per un momento non lo
vedo più. Trepidazione. Ala ecco che si rialza e
viene di corsa verso di noi. Mi cade tra le braccia.
E’ soltanto ferito. Ila il volto sporco di polvere e
di sangue. Le ferite sono alle gambe. Vuole che
3a*ini« «tossii
IL 1110 DIARIO DI GUERRA
37
10 lo accompagni al posto di medicazione. Lo pol¬
liamo' in barella, io e il portaferiti Greco. Il Mo-
rani è calmo, tranquillo. Non un grido, non un
gemito. Contegno da vero soldato. Il tenenle me¬
dico gli fa una prima sommaria medicazione e mi
assicura che le ferite non sono gravissime. Ci ab¬
bracciamo. Il Morani è portato via in barella, io
torno al mio posto. Giunge un ordine scritto :
— Il bersagliere Mussolini deve presentarsi, ar¬
malo, al Comando del Reggimento ! —
Zaino in spalla. Un’ora di marcia. La sede del
Comando è in lina modesta e rozza baracca di
legno.
— Prima di lutto — mi dice il.colonnello — ho
11 piacere di stringervi la mano e sono lieto di
avervi nel mio Reggimento: poi, avrei un incarico
da affidarvi. Voi dovreste rimanere con me. Siete
sempre in prima linea, esposto, anche, al fuoco
dell’artiglieria. Dovreste sollevare il tenente Pa¬
lazzeschi di una parte del suo lavoro amministra¬
tivo e dovreste scrivere, nelle ore di sosta, la storia
del Reggimento, durante questa guerra. E’ una
proposta quella che vi faccio, beninteso; non un
ordine ! —
Il colonnello Giuseppe Barbieri è un romagnolo,
di Ravenna. Ha infatti la « linea » del romagnolo.
Gli rispondo :
— Preferisco rimanere coi miei compagni in
trincea...
— E allora non se ne parla più. Accettate un
bicchiere di vino. —
38
EENITO MUSSOLINI
Non è buono il vino del colonnello, ina in man¬
canza di meglio...
Ho chiesto e ottenuto di passare alla 7 a compa¬
gnia per essere insieme col tenente Giraud.
Alcuni bersaglieri, addetti al Coniando, mi ma¬
nifestano' le loro meraviglie per il mio riliuto.
_ Sono alla guerra per combattere, non per
scrivere ! —
Risalendo il monte, passo vicino alle cucine. Cè
un enorme 305 non espulso. Poco lungi un cada¬
vere di austriaco. Abbandonato. 11 morto stringe
ancora fra i denti un lembo di bavero della sua tu¬
nica che — strano! — è ancora intatta. Ma sotto,
attraverso la carne in putrefazione, si vedono le
ossa. Gli mancano le scarpe. Si capisce ! Le scarpe
degli austriaci sono mollo migliori delle nostre.
Poco prima di arrivare alla trincea, incontro Gi¬
raud col mio nuovo capitano, Adolfo Mozzoni. Gli
riferisco il mio colloquio col colonnello. Si congra¬
tula del mio rifiuto che giudica « nobilissimo ».
— Anch’io sono un po’ giornalista, — mi dice,
— e faremo insieme un giornale delle trincee...
21 Settembre
Sono andato a salutare gli amici dell’8* com¬
pagnia. Trovo il capitano Vestrini, ferito una se¬
conda volta da pallottola che gli ha attraversato
la guancia. Se ne va alfiinf ermeria.
Tornando dal Comando del battaglione, mi con¬
segnano un giornale vecchio di quattro giorni. Po¬
IL M IO DIARIO DI GUERRA
sa
sta dall’Italia, niente ancora. Pazienza. Ma un
guardatili mi passa una missiva a mano. E ? la
lettera scritta a matita di un soldato, che incon¬
trai per la prima volta, durante la marcia verso la
linea del fuoco, a Planina Za-Plecan. Volle allora
che firmassi una cartolina. Si è ricordato di me.
E’ certo Rusconi Francesco, dimorante in via Mal¬
pensata, 2, a Lecco, e ora soldato di fanteria.
E’ un documento interessante, nella sua commo¬
vente semplicità, e dimostra da quali spiriti siano
sorretti gli umili soldati d’Italia. Dice :
<( Caro Mussolini, sono un povero operaio sol¬
dato. Tratto dagli studi a tenera età per le gravi
condizioni di famiglia, venivo posto nella grande
fiumana proletaria e da essa coinvolto. Tanto fu
il mio dolore a lasciare le scuole elementari; ma
il pensiero- di portare un non lieve contributo di
sollievo* alle tristi condizioni della mia famiglia,
mi rendeva orgoglioso. Per gli studi, pensavo, de¬
dicherò le ore libere: così feci ».
Dopo aver parlato delle lotte fra neutralisti e
interventisti, prosegue :
« Poco tempo dopo, era per me fiora di aggiun¬
gere l’opera al pensiero. Son oggi, otto mesi ».
Parla del nostro incontro e continua :
« Mi lasciò la sua firma, ma più ancora sento,
nel mio cuore c nell’anima mia, una luce viva ed
un contento che giammai scorderò e che mi ac¬
compagneranno fino al compimento del destino
della Patria... ».
Non è semplice e non è grande il linguaggio di
questo ignoto soldato operaio?
40
BENITO MUSSOLINI
E' venuto l’ordine di dare il cambio alla 9 1 com¬
pagnia che occupa uno dei costoni avanzati del
Vrsig. Si parte. Marcio in testa alla colonna, in¬
sieme col tenente Giraud. Tragitto lungo e fati¬
coso. Al traversiamo due passaggi pericolosi. Nel¬
l’uno c’è il pericolo delle mitragliatrici; nell’altro
c’è il rischio di essere schiacciali dai macigni che
gli austriaci rotolano continuamente dall’alto. Il
mio caposquadra è il calabrese Lorenzo Pinna di
Nicastro. studente volontario. Suo padre è un in¬
gegnere del Genio Civile.
— Chi avrebbe mai pensato che mi sarei trovato
con Mussolini soldato semplice ! Lo scrivo subito
a mio padre, che spesso mi parlava di lei. —
Nel primo-passaggio scoperto, che attraversia¬
mo — mollo distanziati gli uni dagli altri e di cor¬
sa — c’è il cadavere di un soldato austriaco. E
voltalo con la faccia contro terra. Rotolando dal¬
l’alto, l’uniforme è andata in brandelli. La schiena
è nuda e nera come l’inchiostro. Fetore. Il tenente
Giraud ci precede sempre. Nelle sue parole, mi
sembra di scorgere qualche oscuro presentimento.
— Vedi, Mussolini, qui si può morire e si muore,
senza combattere... —
Abbiamo appena occupalo il ripidissimo pendìo
del monte, che una triste notizia si diffonde fra noi.
11 tenente Giraud è rimasto ferito gravemente dal¬
la fucilala di una vedetta austriaca, mentre si re¬
cava insieme col capitano e il sergente a ispezio¬
nare la posizione. La pallottola gli è entrata dalla
spalla. Vedo venire verso di me il portaferiti Al¬
berto De Rita che mi dice:
IL MIO DIARIO DI GUERRA
41
— Il tenente Giraud mi manda a salutarvi... —
La notizia ha rattristato profondamente tutti i
bersaglieri che amano molto il loro ufficiale e ad¬
dolora me, in parlicolar modo. E’ sera. Ci sten¬
diamo accanto agli alberi sulla nuda terra. Razzi
luminosi e pioggia di bombe.
# -
22 Settembre .
Calma. Qualche cannonata, qualche fucilata del¬
le vedette. Giornata meravigliosa di sole. Il capi¬
tano Mozzoni mi chiama alla sua tenda. Trovo con
lui il sottotenente Fava, del 27° battaglione. Lun¬
ga, amichevole conversazione.
23 Settembri 3 .
Siamo a 1897 metri d'altezza. Il pendio della
montagna è del 75-80 %. Una vera parete. Guai a
rotolare un sasso! Per salire e scendere ci giovia¬
mo di una corda che, legata agli alberi, va dal
Cornando della compagnia al posto estremo di col¬
legamento, in fondo valle. Ieri sera, pioggia ecce¬
zionale di bombe. Sono bombe che. si annunciano
con un sibilo curiosissimo. Quasi umano. Sono
lanciate col fucile. Se trovano il terreno molle, non
scoppiano. Ma ieri sera sono scoppiate quasi tutte.
Nessuno di noi ha potuto chiudere occhio. Un mor¬
to e un ferito. Il morto è tal Bertelli, richiamato
dell 5 84, contadino di Migliarino (Ferrara). La boni-
42
BENITO MUSSOLINI
ba gli è scoppiala sopra e gli ha squarciato il pol¬
lo. Il ferito non è grave. Si distribuisce la posta.
Il mio compagno di trincea, l'abruzzese Giacob¬
be Petrclla, di Pescasseroli (Aquila), lavora furio¬
samente di vanghetta e piccozzino per rendere un
pochino più solido il nostro riparo. Accanto a me
alcuni bersaglieri giocano tranquillamente a sette
e mezzo. E’ quell’indemoniato di Marcamo che tie¬
ne il banco.
Mi metto a giuocare anch’io e perdo. Se non
tuonasse il cannone, non sembrerebbe di essere in
guerra.
24 Settembre.
t
Giornata di grande sole.
Nel bosco è un lento cadere di foglie. Si diffon¬
dono tra le squadre le prime notizie. Non sono
liete.
Ieri sera, sull’imbrunire, un richiamato che si
recava di corvée a prendere il pane, nell’attraver¬
sare la solita posizione scoperta, è stato fulminato
da una fucilata. Si chiama Biagio Benati, dell’84,
ferrarese anche lui.
Vedo passare gli zappatori. Il porta-mensa degli
ufficiali, tal Rossi Giuseppe, manca. Ferito? Mol¬
lo? Disperso? Bombe, bombe, bombe tutta la notte,
sino all’alba. Nessun morto, alcuni feriti. Matti¬
nala di sole e di cannoneggiamento. Passa un Tau-
IL MIO DIARIO DI GUERRA
43
be altissimo. Bianco: A tremila metri. La posta.
Per noi, richiamati dcll’84, nulla. E’ triste!
2.3 Settembre.
Stanotte dalle 2,30 alle 4,1/4 sono montalo di ve¬
detta per la nostra squadra che si trova a un posto
avanzato. Era con me, altra vedetta, Barnini Wa¬
shington, certaldese. Vero toscano del paese di
Boccaccio : ogni parola, due bestemmie. Sono sta¬
lo con orecchi ed occhi spalancati, ma nessuno si
e visto. Quattro bombe sono scoppiate a pochi me¬
tri dal nostro poslo. Luna velata da nubi bianche.
Veniva dal burrone il tanfo dei cadaveri djssepolti.
Il bel tempo è finito. Ieri, ancora il sole — un po’
stanco — del settembre; oggi la nebbia, la piog¬
gia, il freddo dell’inverno. Turbinio di foglie che
radono con rumore secco sui nostri teli da tenda.
I miei compagni, della prima squadra, Pinna, Pe-
rella, Barnini, Simoni, Parisi, Di Pasquale, Bol¬
lerò. Pecore, accovacciati come me sulla nuda ter¬
ra, nel cavo di una roccia, dalla quale filtra l'ac¬
qua, sono silenziosi. Qualcuno dorme. Piove.
26 Settembre.
Piove sempre. Da ventiquattro ore. Io sento
l’acqua fredda che mi lava la pelle e finisce nelle
scarpe. Stanotte un nostro posto di collegamento
di quattro uomini e un caporale è stato catturato
44
BENITO MUSSOLINI
dagli austriaci truccati da bersaglieri. Nessuna
nuova del porta-mensa Rossi. Il sergente Simonelli
lo dà per « disperso ». Stanotte nessun ferito. Gra¬
zie all’umidità del terreno, poche bombe sono
scoppiate. Il capitano Mozzoni, che ha ricevuto in
dono due bottiglie di cognac, lo ha fatto distribuire
ai bersaglieri. L’atto indica il cuore e la gentilezza
dell’uomo.
Mentre scrivo, la pioggia è diventala nevischio
che batte sonoramente e rabbiosamente sulla no¬
stra tenda. 11 che non impedisce a Pinna e Barnini
di intonare una canzone nella quale si parla di una
« regina che si vorrebbe incoronare ». Romba,
a intervalli, il cannone. Ora cantiamo tutti in¬
sieme :
E la bandie-era
Dei ire colo-ori
E’ sempre siala la più bella, bella, bella
Noi vogliamo sempre quella
Noi vogliamo la libertà ...
Distribuzione gratuita di tabacco, sigari, siga¬
rette. Parisi m insegna : « Non bisogna accendere
in tre con lo stesso fiammifero. Altrimenti muore
il niù piccolo dei tre ».
Superstizioni delle trincee. Accendiamo in due.
Fumo.
Come si vive e come si
muore nelle linee del fuoco
27 Settembre.
Da ieri mattina non abbiamo in corpo che un
sorso freddo di caffè. Piove sempre. Da due gior¬
ni, ininterrottamente. Stanotte non ho chiuso oc¬
chio. Mi trovavo sotto la tenda con un tal Jannaz-
zone, un contadino del Beneventano, il quale, in¬
zuppato fradicio, come me, e un po’ febbricitante,
gemeva :
— Madonna mia bella ! Madonna mia bella !
— Basta, basta Jannazzone ! — gli ho detto.
— Non credete in Dio, voi? —
Non ho risposto.
Io, invece, ingannavo il tempo, le dodici ore in¬
terminabili della notte, rimemorando le poesie im¬
parate nel bel tempo felice e lontano della mia
giovinezza. Effetto delle circostanze climateriche,
la poesia che mi è tornata alla memoria, è La ca¬
duta del Parini. Strofa a strofa sono giunto sino
ai versi :
« Ed il cappello e il vano
« Boston dispersi nella via, raccoglie ».
46
BENITO MUSSOLINI
Poi non mi sono ricordato piu.
Cambiamo posizione. Andiamo in fondo valle
alle sorgenti dello Slalenik, un torrente clic sbocca
nell’Isonzo, nella conca di Plezzo. Nei ripari che
gli austriaci hanno abbandonato, troviamo un po’
più di comfort. In questa zona sono ancora visi¬
bili i segni della travolgente avanzata degli ita¬
liani.
Sul terreno tormentato e sconvolto .sono disse¬
minali, in disordine, bossoli di proiettili d’ogni ca¬
libro, giberne, scarpe, zaini, pacchi di cartuccie,
fucili, cassette di legno sventrate, tronchi d’alberi
abbattuti, reticolali di ferro travolti, scatolette di
carne vuote con diciture tedesche e ungheresi, faz¬
zoletti, teli da tenda. Qua e là sono degli austriaci
morti e malamente sepolti. Tra gli altri, un uffi¬
ciale.
Qui furono distrutti due reggimenti di bosniaci
e erzegovinesi.
La posta : pacchi e lettere, ma per me e per tutti
i richiamati dell'S-4, niente ancora. Soffia un vento
impetuoso e freddo. Distendiamo sui cespugli, a!
sole, le nostre mantelline e coperte, inzuppate di
acqua.
29 Settembre.
Due giorni e due notti di pioggia. Tempesta.
Veniva dal Monte Nero. Sono, siamo fradici si¬
no alle ossa. I bersaglieri preferiscono il fuoco at-
Tacqua. Fuoco di piombo, si capisce. Ma stamani,
IL MIO DIARIO 1)1 GUERRA
47
lepido fa dimenticare le giornate piovose. Lo Sla¬
lenik — ingrossato — urla in fondo al vallone.-Si
distribuisce la posta. Finalmente, dopo quindici
giorni, c’è qualche cosa anche per me. Nel trin-
eerone che occupiamo si può accendere il luocu.
Ogni tenda ha il suo. Oui, runico pericolo — oltre
a (niello delle cannonate e delle pallottole vaga¬
bonde — è dato dai macigni che rotolano dal
Vrsig. Di quando in quando si sente gridare:
— Sasso! Sasso! —
Guai a chi non lo evita a tempo !
ini 0 bersaglieri è stato rudemente provato, ma
il « morale » dei soldati c eccellente. Anche i poi -
lus dell’84 stanno cambiando psicologia. Diventa¬
no soldati. Sembrano già lontanissimi i primi gior¬
ni, quando bastava il rombo del cannone, il fischio
di una pallottola o la vista di qualche cadavere per
emozionarli. Distribuzione di alcuni indumenti in¬
vernali. Sono ottimi.
30 Settembre.
Ilo portato — poiché li desiderava — alcuni
numeri arretrati del Popolo al mio capitano Moz¬
zoni. Era aiutante in prima; ha preferito riassume¬
re il comando della compagnia. Uomo che conosce
gli uomini, soldato che conosce i soldati. I bersa¬
glieri gli vogliono mollo bene. Non ha bisogno di
ricorrere a misure disciplinari per ottenere che
ognuno adempia il proprio dovere. Mi offre biscotti
48
BENITO MUSSOLINI
e tre pacchetti di sigarette. E' con lui il tenente
Morrigoni, romano, simpaticissimo e fortunato. E’
giunto, dal 12°, un cadetto destinato al comando
del primo plotone della nostra compagnia : Fanel¬
li, di Bari. Giornata tranquilla.
T Ottobre.
Piove. Il mio capitano, in un rapporto indiriz¬
zato al colonnello, fa vivi elogi del mio spirito mi¬
litare e della mia resistenza alle prime e più gravi
fatiche della guerra.
Verso sera, intenso fuoco di fucileria e di mitra¬
gliatrici alle falde delf.Jaworcek. Che gli altri bat¬
taglioni abbiano impegnato un combattimento?
2 Ottobre .
Sono giunti altri ufficiali. J cadetti Barbieri e
Raggi. Ora i quadri della nostra compagnia sono
al completo.
Cdi austriaci bombardano con granate incendia¬
rie il villaggio di Cezzoga.
3 Ottobre.
Il piantone della fureria, Lamberti, mi reca un
biglietto del capitano, che dice :
« Sarebbe mio desiderio che ai bersaglieri della
IL MIO DIARIO DI GUERRA
40
compagnia fosse espresso nel modo più sentito alla
loro anima semplice e buona, il mio vivo compia¬
cimento per la fusione già stabilitasi fra i vecchi e
ì giovani bersaglieri ; ciò che dimostra quale spi¬
rito di cameratismo animi il loro cuore. La serena
giocondità, il sentimento di disciplina, la disinvolta
resistenza ai disagi cui sono sottoposti, vengono
da me così apprezzali, tanto da sentirmene fiera¬
mente orgoglioso. Tutto ciò è indice di alto senti¬
mento del dovere e dà affidamento della più salda
compagine qualora a nuovi cimenti si possa essere
chiamali. Al bersagliere Mussolini affido fincarico
di scrivere un ordine del giorno di compagnia che
in una sintesi concettosa e bersaglieresca esprima
tali miei apprezzamenti, con Tesortazione a perse¬
verare, e con la visione di quegli Ideali fulgidissi¬
mi di Patria e di famiglia, che costituiranno a suo
tempo il premio più sensibile per il sacrosanto-do¬
vere compiuto ».
Io mi domando: « Ma non è già questo un ordi¬
ne del giorno bellissimo? Che cosa posso dire, io,
di meglio e di più? ». Tuttavia, obbedisco. Fra an¬
ziani e richiamali, si cominciano a stabilire rap¬
porti di amicizia. Nel primo plotone, di richiamati
non ci sono che io. Tutti gli altri sono anziani che
si trovano al reggimento dal principio della guerra.
Spesso mi raccontano episodi interessantissimi.
L’avanzata su Plezzo, le azioni sul Vrsig. I capo¬
rali hanno riunito le squadre e leggono Bordine
del giorno.
Mttssot.int. - TI mio diario di guerra.
4
50
BENITO MUSSOLINI
4 Ottobre.
Cielo stellato sino a mezzanotte. Stamane nevi¬
ca. Ci esercitiamo al lancio di bombe.
5 Ottobre.
Stanotte sono stato quattro ore di vedetta. Pio¬
veva.
6 Ottobre.
— Zaino in spalla! —
E ; giunto l’ordine di raggiungere sullo Jaworcek
gli altri battaglioni. Ci mettiamo in marcia. II ca¬
pitano ci precede. Porta lo zaino e la caramella.
Sosta al Comando del reggimento. Discorso' del
colonnello, seguilo dalla lettura di un lungo elen¬
co di bersaglieri della 7 a proposti per una ricom¬
pensa al valor militare.
— Bersaglieri della settima, al colonnello del-
111°, hurrà !
— Hurrà !
Pulizia al fucile. Distribuzione di scarpe. Duran¬
te queste operazioni; faccio la conoscenza di un
sergente degli alpini, di Monza, ferventissimo in¬
terventista, entusiasta della nostra guerra.
Giunge 1 8 a compagnia. Qualcuno mi annuncia
che il caporale Buscema è rimasto ferito da una
IL MIO DIAHIO DI GUERRA
51
cannonata, il 26 settembre. Il colonnello ripete il
discorso ai bersaglieri dell’8 8 . Crepuscolo. Si parte.
7 Ottobre-
La marcia di stanotte fra tenebre fittissime, per
una mulattiera scoscesa e fangosa, entro un bosco,
è stata dura.
Parecchie volte i plotoni hanno perduto il colle¬
gamento. Alcuni bersaglieri sono caduti e non han¬
no potuto proseguire. Anch’io — come lutti — so¬
no caduto varie volte, ma l’unico danneggiato è
l’orologio che porto al polso. Non va più.
Dieci ore di marcia. Siamo giunti alle due del
mattino. Per fortuna, non pioveva e cerano le
stelle. Ci siamo rintanati fra i macigni, nell’atte-a
dell’alba.
S Ottobre.
Sveglia alle cinque. Ci spostiamo verso l’alto
di un altro centinaio di metri. Ci troviamo sotto
una delle «(pareli» ripidissime dell’Jaworcek. Dal¬
la cima le vedette austriache sparano continua¬
mente. Mi metto a lavorare accanitamente di van¬
ghetta e piccone, per farmi un buon riparo. Pe-
trella mi aiuta. Ritrovo il lenente Fava, che mi
presenta al capitano della sua compagnia. Janno-
ne. Gli amici degli altri battaglioni — appena sa¬
puto del nostro arrivo — mi vengono a cercare.
52
BENITO MUSSOLINI
Rivedo il caporal maggiore Bocconi, barbuto e un
po’ dimagrito, il caporal maggiore Strada ex vim-
\e milanese, sempre pieno d’entusiasmo: il caporale
oiladini che mi racconta la straordinaria avven-
lura toccatagli. Doveva andare di guardia, con una
squadra, al quarto boschetto. Giunto a un passag¬
gio obbligalo e scoperto, sul quale gli austriaci ro¬
llavano continuamente sassi e macigni, il Corra-
dini volendo appunto evitare un macigno, mise un
piede in fallo e rotolò giù, in fondo'al burrone.
na notte intera rimase laggiù, nel fango sotto la
pioggia, ritenendosi orinai perduto.
— Fu il pensiero della mia piccina, che mi diede
il coraggio — egli mi dice. — A giorno fatto ri¬
salii il pendio del monte. Nella caduta avevo per¬
duto tutto: zaino, fucile, mantellina. Giunsi a un
piccolo posto di fanteria. La vedetta mi intimò
all. Quando il caporale del piccolo posto mi eb¬
be riconosciuto come appartenente all’esercito ita¬
liano, mi lasciò passare. Potei riguadagnare — sa¬
no e salvo — la mia compagnia. _
Ecco Rampoldi, ex cuoco del Restaurant Casa¬
nova. Lo chiamavamo Rampoldo, Rainpoldino...
Ritrovo ancora vivi e in gamba i milanesi Spa-
f a, Pi igei io, Sandri. Viene anche a trovarmi per
conoscermi, il caporale Giustino Scianca, di Iser-
ma. Ha una curiosa barbetta a punta, rossigna
Cordialità, simpatia, auguri. Si parla di un’avan¬
zata imminente.
IL MIO DIARIO DI GUERRA
55
9 Ottobre.
Dormito profondamente tredici ore. La stan¬
chezza è passata. C’è un ferito dell’8 a compagnia
che viene portato in barella. Una pallottola lo ha
colpito mentre si scaldava al fuoco. Canticchia e
fuma. Gli scelti tiratori austriaci sparano sempre.
Un forte gruppo di ferraresi viene alla mia tenda
e mi prega di porgere un saluto collettivo da man¬
darsi a un giornale di Bologna. Fatto.
Corvée di riattamento alla mulattiera. Il capo¬
rale milanese Bascialla, ch’è stato stanotte di guar¬
dia ai posti più avanzati, mi narra un episodio sin¬
golare. Si è trovato — in un riparo — accanto a
un bersagliere che pareva dormisse. Egli ha pro¬
valo a chiamarlo. A richiamarlo. A scuoterlo. Non
rispondeva. Non si moveva. Era morto. Il Bascial¬
la ha passata tutta la notte accanto al cadavere.
Ore quindici. Raffica di artiglieria austriaca.
Crepitio di proiettili. Schianto di rami. Turbine di
schegge. Un grosso ramo, stroncato da una gra¬
nata, si è abbattuto sul mio riparo. Ci sono due
feriti nella mia compagnia. Passa un morto del
39° battaglione. Un altro morto degli Alpini. Il
bombardamento è finito. E 5 durato un’ora. I bersa¬
glieri escono dai ripari. Si canta. Lunga conver¬
sazione col capitano Bono della 4 a compagnia. Ar¬
gomento : i colpi di scena balcanici.
Il capitano Bono è un ingegno versatile e di va¬
sta coltura.
Non dimenticherò il tremito della sua voce,
quando — me presente — essendogli giunto uno
56
BENITO MUSSOLINI
di quei moduli speciali coi quali s , chiedono ai
Hepar" notizie di mililari, dovette scrivere ™ „a
rola: morto! cie ia P a ~
vieu” %chT% 0ualC '; e '“ cilala soW “ ria delle
elia. d quando 111 quando nella bosca-
10 Ottóbre.
di 30l? ' OrtoonK Itami-
soldato "deve at™ T °*"J
traSMrrono C ^ a,1 ^° SaI * e 110 ,r ^ie^I^flh'^on
a. conono cinque minuti, che un secondo -dir-m
nel scoppia con immenso fragore a tre metri" di
[j* tenda del mio capilo. kr 0 %
I.™ a™,'S:! C0 ^ 0 4Ì?f ° d “ «he seno
— Le barelle! Le barelle! —
et sotan!
enlrala dal pe,T„ e ^“ S”
IL MIO DIARIO DI GVERRA
57
Gliel’hanno trovala fra la pelle e il farsetto a ma¬
glia.
— Tenente, mi abbracci! — ha detto Janarelli.
— Per me è finita ! —
Vedo il tenente Morrigoni, cogli occhi luccicanti
di lacrime.
— Era tanto bravo e tanto buono! —
Lo Janarelli sembra dormire. Solo attorno alla
bocca c'è una grossa rosa di sangue. L'altro è un
richiamato dell’84. Una scheggia gli ha spezzato
il cranio. -
Una riga rossa gli divide a metà la faccia. I feriti
sono nove, dei quali tre gravissimi e due disperati.
— Zappatori, in rango colle vanghette. —
Gli zappatori si riuniscono eoi loro strumenti.
Adagiano i morti su barelle falle con rami d’albero
e sacelli e se ne vanno. Qui non si può fare un ci¬
mitero. Bisogna seppellire j caduti qua e là, nelle
posizioni più riparate. L’emozione della compagnia
e stala fugacissima. Ora *i riprende il chiacchierìo.
Si fischierella. Si canta.
Quando lo spettacolo della morte diventa abi¬
tudinario, non fa più impressione. Oggi, per la
prima volta, ho corso pericolo di vita. Non ci
penso.
Dopo un mese mi lavo e mi pettino. Schampoing
al marsala.
Passa il tenente Francisco della 15* compagnia,
il quale mi racconta :
« Ieri sera srii austriaci hanno inscenato una di-
58
BENITO MUSSOLINI
mostrazione antitahana. Hanno cantato in coro il
loro inno nazionale. Poi hanno gridalo:
— Kicchirichi, kicchirichi ! —
« Hanno aggiunto :
— Bersaglieri dell’ 11°, vi aspettiamo! —
" Alla fine, una voce di ufficiale ha urlalo al me¬
gafono :
— Italiani farabutti, lasciateci le nostre terre ! ».
11 Ottobre.
Meravigliosa mattinala di sole, li secondo, il
terzo, il quarto plotone della mia compagnia le¬
vano le tende e si spostano per essere defilati dai
tiri degli shrapnels. Noi restiamo al nostro posto.
Passa un morto della 13* compagnia. Bombarda¬
mento di un'ora a shrapnel. Conversazione col ca¬
pitano Bono.
La vita in trincea è la vita naturale, primitiva.
Ln po monotona. Ecco l’orario delle mie giorna¬
te. Alla mattina non c’è sveglia. Ognuno dorme
quanto vuole. Di giorno- non si fa nulla. Si può
andare — con rischio e pericolo di essere colpiti
dall’implacabile « Cecchino » — a trovare gli ami¬
ci delle altre compagnie: si gioca a sette e mezzo
o, in mancanza di carte, a testa e croce: quando
tuona il cannone, si contano i colpi. La distribu¬
zione dei viveri è l’unica variazione della «noma¬
ta : di liquido, ci danno una tazza di caffè, una di
vino e un poco di grappa: di solido, un pezzo di
formaggio che può valere venti centesimi e mezza
IL MIO DIARIO DI GUERRA
59
scatoletta di carne. Pane buono e quasi a volontà.
Di rancio caldo, non è questione. Gli austriaci —
tempo fa — hanno bombardato coi 305 le cucine
e hanno falto saltar per aria muli, marmitte e cu¬
cinieri.
C’è un’ora nella giornata, che i bersaglieri at¬
tendono sempre con impazienza e con ansia: fora
della posta che comincia a giungere regolarmente.
Ci pensa Jacobone, per il Reggimento. Nostro
« postino » è il calabrese Suraci. Quando 1 si grida
« posta! », tutti escono dai ripari e si affollano at¬
torno al distributore. Nessuno pensa più alle fuci¬
lale e agli shrapnels.
Ho scritto una lettera per Jannazzone e una per
Marcanico. Non si negano questi favori a uomini
che possono morire da un momento all’altro. La
fidanzata di Marcanico si chiama Genoveffa Paris.
Questo nome mi riporla, chissà perchè, al tempo
dei « Reali di Francia ».
12 Ottobre.
Pulizia al fucile. Sole pallido. Poi, non c’è nulla
da fare. Passano i solili feriti. C’è il bersagliere
Itonadonibus che si spidocchia al sole..
— Cavalleria a destra ! Cavalleria a sinistra ! —
grida e ride, di un riso che sembra quello di un
uomo completamente felice.
Pioggia e pidocchi, ecco' i veri nemici del sol¬
dato italiano. Il cannone vien dopo.
Uno dei feriti dello shrapnel è morto prima di
arrivare all’infcrmeria reggimentale.
60
BEXITO MUSSOLINI
Altra notizia triste : la fucilala di una vedetta ha
colpito a morte tal Mambrini, mantovano, mentre
-faxa lavorando a fortificare il suo riparo.
La guerra di posizione esige una forza e ima
resistenza morale e fisica grandissime: si muore
senza combattere!
13 Ottobre.
Stanotte, sulle 23, improvviso e intensissimo
fuoco di fucileria e di mitragliatrici ai nostri avam¬
posti. Siamo balzati dai nostri ripari. Un quarto
d ora d! fuoco e poi quiete sino all’alba. Mattinala
suigia. Vado di corvée colla mia squadra e mi ca¬
rico di un sacco di pane. Passa un morto del 39°
battaglione, colpito da fucilata e da sassata Si
di t. onde, tra le squadre, la notizia che presto ci
•aia « azione ». La notizia non deprime, ma sol¬
leva gli animi. E’ la prolungata inazione che
snerva il soldato italiano. Meglio, infinitamente
meglio, affuoco, che sotto al fuoco. I bersaglieri
SStoSf*". vendicare 1 com,,as " i ™ d “ ii «
\ mino a me si canta. E’ un inno bersaglieresco :
Piume, baciatemi
Le guance ardenti.
Piume, riditemi
Pi gioia e canti:
E ripetetemi :
Avanti! Aranti!
Guerra in montagna,
tra la neve e il fango
14 Ottobre.
Slamane, solito passaggio di feriti non gravi.
Le vedette austriache, implacabili, non cessano un
minuto solo di sparare.
(Ore quindici. L’artiglieria austriaca, dal Lipnik,
io credo, comincia a bombardare la nostra posi¬
zione. Venti colpi da 280 che scoppiano in fondo
valle. Quattro non scoppiano. Grida di gioia e di
scherno partono dai nostri ripari.
Cessa il 280 e comincia il cannoncino. Lo chia¬
miamo cosi, col vezzeggiativo, perchè, sparando
quotidianamente ci è diventato ormai familiare:
ma si tratta di un cannone da montagna da 75.
E credo' che ce ne sia più d’uno. Quasi tutti gli
shrapnels battono la zona occupata dal nostro bat¬
taglione. Ci mettiamo in quattro, testa a testa, con¬
tro un grosso tronco d’albero che ci ripara magni¬
ficamente. E’ con noi un alpino sorpreso dalla raf¬
fica mentre andava a prendere acqua. Scrosciano
le pallette, cadono le ramaglie, turbinano le foglie.
E’ finita. Troviamo qualche palletta, qualche
62
BENITO MUSSOLINI
scheggia ancora calda. Adesso sono i nostri can¬
noni che cominciano a sparare.
Gli austriaci tacciono. Allegria, per noi. Passano
Ire feriti, di cui uno solo relativamente grave, per¬
chè ha una gamba spezzata. In fondo valle, il 280
ha fatto qualche vittima. Ci sono alcuni morti —
fantaccini e bersaglieri — dei « posti di collega¬
mento ». Serata di calma. Qua e là si levano delle
voci che cantano. Ma non sono canzoni del reper¬
torio patriottico. Sono del repertorio soldatesco e
popolare. Bisogna distinguere. Salvo una che ha
un ritornello che dice :
Trento e Trieste
Ti renderò
le altre canzoni sono ben lontane dagli avvenimenti
attuali. L’immortale Violetta tiene ancora il primo
posto.
E la Violetta
La va , la va...
Alcuni, che devono essere reduci dalla Libia,
cantano invece :
f
Da Tripoli a Gargaresch
Si marcia in ferrovia...
E non manca la canzonetta scollacciata, anzi
oscena :
AlVosteria del numero uno...
Dammela ben , biondina
Dammela ben , biondaaaa...
IL MIO DIARIO DI GUERRA
63
Il soldato italiano è allegro, particolarmente
quando non piove. E anche quando piove, accetta
la bagnura con molta filosofia.
25 Ottobre.
Notte di burrasca. Il vento mugghiava d'ai Monte
Nero alla Conca di Plezzo e andava a schiantarsi
contro la parete altissima e già bianca del Rom-
bon.
Mattinala grigia, incerta. Passano due bersaglie¬
ri morti. Devono essere caduti stanotte ai piccoli
posti. Noi li vediamo passare, portati dai portafe¬
riti *e seguiti dagli zappatori che devono scavare
la fossa . Nessuno di noi domanda chi siano. Si
preferisce ignorare. Alcune ore di lavoro per riac¬
comodare il,nostro riparo, sconquassato dalla tem¬
pesta di stanotte. Fuoco stracco di fucileria tia
le vedette. Lno dei nostri spara con un fucile au¬
striaco.
Tutte le mattine, al momento della distribuzione
del caffè, sorgono discussioni e battibecchi fra ber¬
saglieri e bersaglieri e soprattutto fra bersaglieri e
caporali. Strano! Sono uomini che potrebbero mo¬
rire da un momento all’altro e si bisticciano per un
sorso di caffè. Ma il fatto si spiega : anzitutto' il
caffè è Punico liquido che il soldato desideri e beva
con piacere e vantaggio; poi, nessuno crede di do¬
ver morire e infine per un senso' profondo di giu-
64
GENITO MUSSOLINI
slizia distributiva. Quando le razioni non sono
uguali per lutti, si grida :
— Camorra! Non fare camorra! —
Purtroppo la camorra, nel senso soldatesco del¬
la parola, c’è. Al soldato che sta nelle prime linee,
e dovrebbe essere « sacro », non giunge che la mi¬
nima parte di ciò che gii spetta, giusta il regola¬
mento di guerra. Caffè, cioccolata, vino, grappa
passano per troppe mani di conducenti, caporali,
piantoni. La « camorra » sembra essere un fatto
normale, ma irrita grandemente i soldati, specie
in gueiia. C è il caso di sentirli dire: « Governo
ladro ! ». La camorra finisce per esercitare influen¬
za deprimente su quello che si chiama il «morale»
delle truppe. Io penso che se, per rendere contenti
questi soldati, occorre eliminare gli abusi della
piccola camorra e distribuire razioni abbondanti e
giuste di caffè, il problema è di facile soluzione.
Importate, se occorre, tutto il caffè del Brasile...
Sono giunti gli elmetti per gli shrapnels. Sei,
per compagnia, finora. Recano sul davanti queste
due iniziali R. F. : Republique Francaise
* * *
L’ll° bersaglieri è il reggimento italiano per ec-
lenza. Tutti o quasi i distretti d’Italia vi sono
rappresentati. C’è qualche sardo, ci sono dei si¬
ciliani di Cefalù, dei calabresi, dei pugliesi di Bari
e Lecce, degli abruzzesi di tutte e quattro le pro-
vmeie, dei napoletani di Napoli e Caserta, dei ro¬
mani, dei toscani di Siena, Firenze, Massa-Carra¬
IL MIO DIARIO DI GUERRA
65
ra, dèi marchigiani di Ancona, Ascoli-Piceno, Pe¬
saro, degli emiliani di Ferrara, dei lombardi di
Milano, Brescia, Cremona, Bergamo, Lecco, Son¬
drio, Mantova; dei veneti di tutte le provincie, ad
eccezione di Udine e Belluno.
In guerra, si disprezza il denaro. Chi ne ha, lo
manda a casa. Non si sa nemmeno come spendere
la cinquina. C’è il vivandiere, ma sta molto lontano
e non ha che delle scatole di sardine. Giunge d'i
notte e di giorno se ne va. Il valentuomo ha paura
delle granate e degli shrapnels. Se io fossi nel co¬
lonnello, lo costringerei a rimanere — con noi —
in prima linea.
16 Ottobre.
Notte eccezionalmente calma. Anche la vedetta
austriaca ha riposato. Niente ta-pum. Stamani,
sole. Passano sulle nostre teste — in alto, molto
in alto — dei proiettili d’artiglieria, ma non si ca¬
pisce di dove vengano, nè dove siano diretti. Il te¬
nente Morrigoni, di complemento, mi annuncia la
sua promozione a capitano, di complemento. La¬
scierà la compagnia. Il tenente Fanelli se ne va
all’infermeria. Ha i piedi rovinati dal freddo e dal¬
l’umidità. Due feriti di pallottole. Distribuzione di
cioccolato, mandato da un ignoto amico.
— C’è qualcuno che si ricorda di noi! —
La Libera Stampa di Locamo mi giunge con un
articolo dedicato alla memoria di Giulio Barni, ca¬
duto sul campo di battaglia. Povero ed eroico ami¬
co! I superstiti, fra noi, t.i ricorderanno sempre!
Mussolini. - II mio diario di guerra.
5
66
BENITO MUSSOLINI
^
Cader prigionieri in mano agli austriaci : ecco
un’eventualità che spaventa i miei commilitoni.
— Piuttosto morire ! — dicono tutti.
Questo spiega il numero esiguo di prigionieri
italiani fatti dall’esercito austriaco. Quelli del no¬
stro reggimento non arrivano alla decina e sono
stati sempre colti di sorpresa.
# * *
Oui, nessuno dice : « Torno al mio paese! ». Si
dice: « Tornare in Italia ». L’Italia appare, così,
forse per la prima volta, nella coscienza di tanti
suoi figli, come una realtà una e vivente, come la
Patria comune, insomma.
17 Ollobre.
Domenica. La mattinata si annuncia calma. C’è
in alto un sole meraviglioso. Ma, improvvisamen¬
te, verso le nove, un proiettile da 280 austriaco,
passa sulle nostre leste, col suo sibilo feroce. Scop¬
pia lontano, giù, verso lo- Slatenik. Di li a poco,
un secondo colpo,, accorciato. Un terzo, 200 metri
più giù dal posto che occupiamo. Un quarto, dietro
a noi. Gli austriaci tirano a caso. Battono la zona.
'< Tiro di sfottimento » come lo chiamiamo noi.
Ecco il sibilo del sesto colpo. Lo sento sopra di
me. Vicino, vicino, vicino, a sessanta centimetri
IL MIO DIARIO DI GUERRA
6.7
passa sopra le nostre teste. Io e Petrella siamo
immobili, a terra. Il minuto d’attesa ci è parso
lunghissimo. Il proiettile è scoppiato a meno di tre
metri dal punto in cui ci troviamo. Con la sola cor¬
rente d’aria ha scoperchiato tutto il nostro riparo.
Detonazione formidabile. Grandinare di schegge
enormi e di sassi. Un albero è stato sradicato.
Alcuni macigni frantumati. Ci troviamo letteral¬
mente coperti dalla testa ai piedi di terriccio, sassi
e ramaglie.
— Sei vivo?
— Vivo! —
La cinghia del mio fucile è stata tagliata netta¬
mente da una scheggia. Gavetta e tascapane sono
crivellati di proiettili. Il fucile di Petrella ha la
cassa spezzata. Tutti gli alberi vicini presentano
la corteccia lacerata.
Noi siamo miracolosamente incolumi.
Passa di corsa da un riparo all’altro l’attendente
del maggiore Cassola, il milanese podista Terzi, il
quale grida :
— Bersaglieri del 33° ! Ordine del maggiore, riti¬
rarsi armati sotto al costone ! —
Obbediamo, rutto il battaglione e, ora, riunito
sotto una roccia al riparo dei colpi del 280. Passo
dinanzi al comando del battaglione. C’è il mag¬
giore, il capitano Mozzoni, il capitano Vestrini. Ho
la faccia nera di terriccio.
— Che cosa ti succede, Mussolini? — mi doman¬
dano.
— L ultimo 280 mi è scoppiato vicino.
— L’hai scampata bella... —
BENITO MUSSOLINI
6b
Per la seconda volta, a distanza di sette giorni,
ho corso serio e immediato pericolo di vita. Ba¬
stava che il proiettile fosse scoppiato soltanto un
passo indietro, per ridurmi a brandelli.
Jannazzone mi dice:
— Si [ussi in voi, porterei un cero a Montever¬
gine! —
11 bombardamento non è continualo 1 . 11 mio, è
stalo l’ultimo colpo. Ritorniamo ai nostri ripari.
Nel pomeriggio calmo, molti si fermano ad osser¬
vare la buca enorme, prodotta dallo scoppio del
280. Io trovo una scheggia ancora tepida che pe¬
serà un paio di chilogrammi. La metto fra i miei
cimeli di guerra. L’artiglieria di grosso calibro fa
meno vittime, forse, di quella di medio e piccolo
calibro, ma esercita una influenza deprimente sul¬
lo spirito dei soldati. Il soldato di fanteria si sente
disarmato, impotente contro il cannone. Quando
l’artiglieria batte le nostre posizioni, ognuno di noi
è come un condannato a morte. Il sibilo annuncia
il proiettile e ogni soldato si domanda: « Dove
scoppierà? ». Contro il cannone non c’è alcuna di¬
fesa possibile, all’infuori di quella costituita dai
« ripari » che sono poco profondi e pochissimo con¬
sistenti. Si tratta di sassi ammucchiati insieme con
zolle di terra. Bisogna restare immobili, contare i
colpi e attendere che il bombardamento finisca. Per
un’altra ragione il cannone impressiona il soldato,
ed è il genere di ferite ch’esso produce. Le pallot¬
tole di fucile o di mitragliatrice non straziano, co¬
me un proiettile di cannone.
C è un solo morto : un caporal maggiore degli
IL MIO DIARIO DI GUERRA
69 '
zappatori del 27° battaglione. Un milanese, a quan¬
to mi dicono. E’ stato decapitato da una scheggia
del 280. Verso sera vado a cercar dell’acqua e pas¬
so accanto al luogo dove l’hanno sepolto 1 . E’ in un
angolo, sotto una roccia, vicino a un tourniquet
della mulattiera. Sulla croce, sotto al nome e co¬
gnome, c’è un’epigrafe breve e affettuosa. Era un
valoroso. A piè della croce ci sono alcune carto¬
line illustrale. Sulla terra fresca, qualcuno ha spar¬
so delle foglie. Alle Casette — si tratta di due ca^
panne di legno — ritrovo il caporal maggiore mi¬
lanese Garbugliati. E’ addetto ai viveri. Mi offre
da bere. C’è una colonna di muli che arrivano. Si
sentono da lontano, per il batter dèi ferri sui ciot¬
toli del sentiero. Serata tranquilla.
18 Ottobre.
Notte calma. Mattinata di sole. Nel pomeriggio
comincia la sinfonia dei nostri cannoni. Sparano
da tutte le cime. Noi ignoravamo Resistenza di tan¬
te batterie. Ecco i 75 nostri. Hanno 1 un sibilo e uno
scoppio secco e rabbioso.
I 149 sono imponenti. La detonazione dei loro
proiettili è quasi gioviale, nella sua profondità. I
210 hanno un boato breve e sordb. Poi, c’è il no¬
stro simpaticissimo 1 305. Vien di lontano, di là dai
monti, come un pellegrino. Passa sulle nostre te¬
ste lento e solenne. Lo si può seguire colludilo
lungo il tragitto. Il colpo di partenza non si sente,
tanto è lontano, ma sentiamo quello d’arrivo. Lo
70
BENITO MUSSOLINI
scoppio di un 305 italiano fa tremare la monta¬
gna. Se l’artiglieria nemica deprime, l’artiglieria
nostra solleva. Quando i nostri cannoni sono in
funzione, , bersaglieri si danno alla pazza gioia,
tirano da riparo a riparo, fischiano, cantano! Ac¬
compagnano i proiettili con grida, con auguri.
Il soldato di fanteria non ha che un desiderio:
quello di sentir sempre la voce dei nostri cannoni
sempre, di notte e di giorno. Oliando sono i can¬
noni austriaci che sparano e i nostri tacciono i
lersaglie'ri impazienti... protestano contro la. no¬
stra artiglieria che... risparmia le munizioni. L’a¬
zione della nostra artiglieria è durata un paio
d ore. ^
Passano delle corvées cariche di munizioni Ci
sono delle casse di bombe sulle quali sta scrit¬
to: Haul, Bas. Eviter Ics choc*. L'avanzata sem-
bia imminente. Sintomatico! I bersaglieri non di¬
cono: combattimento, azione, battaglia: no - dico¬
no: avanzata. Sembra, per loro, già assiomatico,
nluitivo, necessario che una battaglia nostra deb¬
ba, risolversi in un’avanzata. Non è sempre cosi
IV a 1 uso generale e unico di questo vocabolo è un
altro sintomo dello spirito di aggressività che ani¬
ma . soldati italiani e della loro certezza di vi,,-
cere.
Ciò che più mi ha stupito e commosso in questo
primo mese di trincea, è lo stoicismo incredibile
di cui danno prova i soldati italiani feriti II mio
straT T S H Ia mulaMiera - Ho - la fi ^stra sulla
aiada. Tutto passa sotto i miei occhi. Ho veduto
decine e decine di feriti. I lievi, quelli colpiti a un
IL MIO DIARIO DI GUERRA
71
braccio, per esempio, vanno all’infermeria da soli.
Qualcuno, che pur aveva le carni lacerale da scheg¬
ge d : i proiettili, fumava tranquillamente una siga¬
retta. Non un lamento. E’ straordinario ! E’ ammi¬
revole ! Un mantovano, con un braccio quasi ta¬
glialo da una scheggia, si reca da solo al posto di
medicazione. E dice al tenente che si affretta attor¬
no a lui, per la medicazione:
•— Tenente, tagli il resto ! E mi faccia dare un
po’ di pagnotta ! —
Questo stoicismo è il prodotto dell’atmosfera in
cui si vive. Nessun soldato ferito vuol mostrarsi
debole c pauroso del proprio sangue, dinanzi ai
compagni. Non solo. C’è una ragione più profon¬
da. Non si geme per una ferita, quando si corre
continuamente il rischio di morte. La ferita è il
meno peggio. Comunque, il silenzio superbo di
questi umili figli d’Italia dinanzi al dolore della
carne straziala dall'acciaio rovente, è una prova
della magnifica solidità della nostra stirpe.
19 Ottobre.
Notte agitata. Bombardamenti lontani e profon¬
di. Dicono che è in direzione di Tolmino e Gorizia.
L’« azione » sembra fìssala per domani. Sole. Co¬
mincia il concerto maestoso, formidabile delle no¬
stre artiglierie. Chi sta — anche per una giornata
sola — sotto il bombardamento di un centinaio di
cannoni che sparano simultaneamente, riporta una
72
BENITO MUSSOLINI
impressione indimenticabile, sbalorditiva. Alla se¬
ia, si è intontiti. I nervi non rispondono più.
* * *
Alcune voci del gergo di guerra, in voga, nel
mio reggimento :
baule = cretino;
scalcinato = soldato debole;
fifa = paura;
svirgola = cannonata;
omnibus — proiettile da 305:
pizzicare = ferire;
spicciarsela = trovarsi nell’imbarazzo;
pallottola intelligente = pallottola che ferisce
soltanto;
pipa = rimprovero;
girare la matricola = idem;
far scrivere a casa = togliere qualcosa a un
soldato;
far fesso = idem;
far camorra = farsi la parte del leone;
essere fuori, uso => inabile alle fatiche di
guerra;
marcar visita = recarsi dal medico;
vedere il mago = rimanere indietro;
avanzare verso le cucine = retrocedere;
tagliar la corda = fuggire;
portare a casa la ghirba = tornare a casa sano
e salvo.
(La ghiiba è un recipiente di tela impermeabile
che serve per portare acqua, vino, caffè).
A MIO DIARIO DI GUERRA
73
* * *
E’ giunto il colonnello. Anche Padre Michele,
il cappellano del reggimento; è arrivato. Ma gli
scotta il terreno sotto i piedi.
Ieri sera sono stato di corvée. Mi sono successi¬
vamente caricato di cento sacchetti vuoti che do¬
vranno poi — riempiti di terra — servirci per i
nostri ripari; di una cassa di bombe e di uno scu¬
do d’acciaio che d’ora innanzi proteggerà coloro
che devono tagliare i reticolati. Ma pesa molto :
tredici chilogrammi e mezzo. Finito di lavorare a
mezzanotte. Stanchissimo. Il fuoco di fucileria de¬
gli alpini sul Vrsig mi ha svegliato verso l’alba.
Tuonano i nostri cannoni, ma l’attacco, si dice, è
rinviato a domani.
Le nostre truppe avanzano
su Riva e oltre Monfalcone
21 Ottobre.
Ieri gli austriaci hanno sparato sui portaferiti
che passavano per la mulattiera in fondo alla val¬
le. Un portaferiti è stato mortalmente colpito. E’
nella zona di Tolmino-Monte Nero che romba —
da stamani — più profondamente il cannone. Fra
un’ora dovrebbe iniziarsi l’azione del nostro reg¬
gimento. Il mio battaglione è di «rincalzo» fra il
27° e il 39°. Il capitano mi ha proposto — con
motivazioni assai lusinghiere — per ìa promozione
a caporale. Mezzogiorno. Una voce ci grida, dal¬
l’alto :
— Tutti nei ripari ! —
Io tardo un poco, ma due granate che sfiorano
il nostro riparo mi spingono nella tana. S’inizia
il concerto delle artiglierie. Ore lunghe di attesa e
di immobilità. 1 nostri cannoni tuonano sempre
per proteggere l’avanzata di alcune squadre del
27° battaglione. Ore cinque. Usciamo dalla buca, a
dispetto del solito cannoncino austriaco che ci batte
a shrapnels. Passano, nel crepuscolo, i feriti del-
76
BENITO MUSSOLINI
l’« azione ». Un sergente è il primo. Vengono due
capitani : il Morozzo e il Mirto. Quest’ultimo ha
la testa bendata. Passa fumando, tranquillamente,
una sigaretta. Il 39° battaglione ha avuto 54 feriti
e nemmeno un morto. Intanto gli austriaci hanno
incendiato il « boschetto » per impedire la nostra
avanzata. Le fiamme altissime arrossano l’oriz¬
zonte.
22 Ottobre.
Tre mine di proporzioni colossali sono stale fal¬
le scoppiare dagli austriaci sulla cima delI’Jawor-
cek, sollevando un turbine di macigni e di sassi.
Nessuna vittima.
Oggi, secondo giorno dell’azione. Tuonano sem¬
pre i cannoni. Alla nostra sinistra, sul Piccolo Ja-
worcek, fuoco vivissimo di fucileria.
23 Ottobre.
Ieri sera — a notte fatta — quattro colpi da 280.
Poi, a due riprese, fuoco intenso di fucileria au¬
striaca e di cannoni di piccolo calibro. Dopo, du¬
rante la notte, calma. La Divisione ha mandato un
fonogramma d’augurio alili 0 bersaglieri, nella ri¬
correnza, tragica e gloriosa ad un tempo, di Scia-
i a-Sciat. Il mio vice-squadra Mario Simoni, d'i Ca¬
merino, che si trovava in Libia ed era attèndente
del colonnello Fara, mi racconta spesso come si
svolse l’episodio di Sciara-Sciat.
IL MIO DIARIO DÌ GUERRA
Circa i risultati della nostra « azione » non sap¬
piamo nulla di preciso. E’ rimasto ferito il tenente
colonnello Albarelli. Passa — fasciato al capo —
il caporal maggiore Corradini. Non è grave. Ecco
due morti, vittime del 280. Uno di essi è ridotto un
informe ammasso, avvolto in un telo di tenda. Co¬
mincia in questo momento, ore dieci, la quotidiana
.sinfonia dei nostri cannoni. Volo basso di corvi.
Nel pomeriggio, gii austriaci hanno bombardato,
per tre ore, la posizione occupata della mia com¬
pagnia. Sono gli incerti dei « rincalzi ». Ci siamo
<( ingrottati » in tempo. Alcuni feriti.
Non comprendo perchè si faccia una distribu¬
zione quotidiana di grappa ai soldati. In quantità
minima, è vero, ma si dà ai soldati una pessima
abitudine. Il «sorso» d’oggi predispone al bic¬
chierino di domani. Inoltre, c’è chi riesce qualche
volta a berne troppa e offre uno spettacolo poco
edificante. L’unica punizione che sia a mia cono¬
scenza è stata inflitta appunto a un caporale che,
avendo abusato di grappa, è stato retrocesso.
La nostra guerra, come tutte le altre, è una
guerra di posizioni, di logoramento. Guerra gri¬
gia. Guerra di rassegnazione, di pazienza, di te¬
nacia. Di giorno si sta sotto terra: è di notte che
si può vivere un po’ più liberi e tranquilli. Tutta
la decorazione della vecchia guerra è scomparsa.
Lo stesso fucile sta per diventare inutile. Si va
all’assalto di una trincea colle bombe, colle mici¬
dialissime granale a mano. Questa guerra è la più
78
BENITO MUSSÓLIN1
antitetica al « temperamento » degli italiani. Ep¬
pure con le nostre meravigliose facoltà di adatta¬
mento ci siamo abituati alla guerra delle trincee,
alla guerra del fango, dell’insidia continua, che
pone il sistema nervoso a una prova durissima. E’
straordinaria la resistenza ai disagi e al freddo
dell’alta montagna, in uomini che vengono da
paesi dove non nevica mai ! Molle volle ho sorpre¬
so nei discorsi dei miei commilitoni questa affer¬
mazione :
— Se fossimo in pianura e in campo aperto, gli
austriaci sarebbero presto spacciati ! —
24 Ottobre.
Notte di calma assoluta. Mattinata deliziosa di
sole. Il primo colpo di cannone è italiano. E’ finita
l’azione? Non ne so nulla. Il Rampoldi, passando
dalla mia trincea, mi dice che alcuni dei nostri
reparti sono giunti sino al cimitero degli ufficiali
austriaci, ma non mi sa dire se ci siano restati.
Non tarderò a saperlo, perchè il nostro battaglione
darà fra poco il cambio al 39°. Anche il pomerig¬
gio è calmo. Sono chiamato alla tenda del tenente
Giuseppe Pianu, comandante interinale della 82 1
compagnia alpini che sta per ritirarsi a quota 1270.
Il Pianu è un sardo e non gli mancano le qua¬
lità fìsiche e morali dei sardi. Nella tenda ci sono
altri ufficiali. Fra gli altri il sottotenente medico
Scalpelli. Chiacchiere. Posiamo tutti insieme per
un gruppo fotografico. Io tengo, nella destra, una
IL MIO DIARIO DI GUERRA
7à
bomba. Il 'Pianu — ufficiale valorosissimo — mi
narra episodi ignoti o poco noti delle prime avan¬
zate italiane nella zona del Monte Nero. Accetto
il suo invilo e resto a cena con lui e cogli altri.
Menù da grande ristorante : risolto, carne arrosto,
frittata, frutta, dolce. Vini : Chianti da pasto e
Grignolino in bottiglie. E’ la cena di commiato. Gli
alpini, che si sono preparati — silenziosamente —
alla partenza, sfilano già per la mulattiera. Pianu
fa levare la sua tenda. Ci salutiamo, con fraterna
cordialità.
25 Ottobre.
Cielo di tempesta. Il sole non riesce a rompere
la cortina di nuvole che nasconde il Monte Nero.
Ecco : gli austriaci ricominciano a bombardarci.
Sono in funzione cannoni di molli calibri : (55,
75, 155, 280. Nel pomeriggio un colpo solo di can¬
none ha ucciso quattro dei nostri. Ordine di levare
le tende e di occupare la posizione tenuta dalla 9”
compagnia che va agli avamposti.
26 Ottobre.
Ci siamo spostati di alcune decine di metri, a
destra, ifì alto. Siamo ora a quota 1300 circa. Il
mio riparo è molto meno solido di quello che ho
abbandonalo. Inutile fortificarlo : non resteremo
qui che due o tre giorni.
BENITO MUSSOLINI
HO
27 Ottobre.
Nevica. La neve Ultra dal nostro riparo, dove
siamo in cinque. Accendiamo il fuoco. Ora è per¬
messo. Ma. il fumo ci acceca. Il cannoncino inizia
la sua solita quotidiana sfottitura. Totale: colpi
50 a shrapnel. Tiro stracco ed inefficace. Alcuni
leriti. Il 4° plotone della nostra compagnia si è re¬
cato di guardia agli avamposti.
28 Ottobre.
La nostra artiglieria bombarda le posizioni de¬
gli austriaci. Giunge una triste notizia. Il nostro
plotone di guardia è stato « provato » duramente
dall'artiglieria austriaca.
29 Ottobre.
Neve in quantità. L’aspirante ulliciale Raggi è
venuto nel mio ricovero e mi ha parlato dell’epi¬
sodio di ieri. Egli è rimasto miracolosamente in¬
colume. Gli austriaci prodigano le cannonate, an¬
che quando il bersaglio è costituito da un soldato
solo e non meriterebbe uno spreco di munizioni.
Fatto si è che gli austriaci hanno sparato 47 colpi
da 75 contro un riparo dove stavano rannicchiati
cinque bersaglieri e l’aspirante Raggi. La penul¬
tima cannonata è stata micidiale. Uno dei bersa¬
glieri ha avuto braccia e gambe spezzate. Un altro
è stato ferito meno gravemente. Infine, il caporal
maggiore Camellini, della classe dell’84, ha avuto
IL MIO DIARIO DI GUERRA
81
un braccio nettamente asportalo da una scheggia.
Solo ieri sera, dopo una iniezione di caffeina, pra¬
ticatagli al posto di medicazione, riprese i sensi.
Volle abbracciare e baciare il capitano. Gli au¬
striaci sparavano a granata. Aizo zero. Distanza
300 metri.
1 miei commilitoni ignorano compleLamente le
vicende e i successi dell’offensiva italiana sugli al¬
tri punti del fronte. Siamo in due a leggere i gior¬
nali. Io e il caporale Vismara, che riceve VItalia.
Mi domando: « Perchè non si pubblica e non viene
diffuso fra le truppe combattenti — composte oggi
di soldati in grandissima maggioranza alfabeti —
un Bollettino degli Eserciti d'Italia? Risetlimanale
o trisettimanale, il Bollettino dovrebbe contenere
ì Comunicati del nostro Esercito e quelli delle Na¬
zioni Alleate, unitamente a qualche articolo e rac¬
conto di episodi di valore, alti a tenere elevato il
morale delle truppe ».
30 Ottobre.
Nolte agitata. Ieri sera gli austriaci hanno fatto
esplodere una mina di proporzioni enormi. Pareva
che tutta la montagna dovesse « saltare ». Le si¬
gnorine impiegate del Credito Italiano — Sezione
di Milano — mi hanno mandalo due grossi pacchi
di indumenti di lana. Prima novità gentile di que¬
sta mattinala grigia di pioggia a raffiche.
Mussolini. - Il mìo diario di guerra.
e
L’inverno nelle trincee
dell’alta montagna
* —.—
31 OUobre.
Giornata di sole e di calma. Corre voce che pre¬
stissime il nostro battaglione andrà per qualche
tempo in riposo a Ternovo, siili’Isonzo. La notizia
rende allegri i miei commilitoni, ma io ho ragione
di ritenerla infondata. Non turbo la loro gioia. E’
giunto un battaglione di fanteria del 120° reggi¬
mento; ecco l’origine della voce. Nei « ricoveri » si
canta, si fuma, si scrive. Nessuno bada al mono¬
tono, insistente stillicidio della vedetta austriaca.
Il portaferiti De Rita, di Frosinone, narra le sue
avventure americane. E’ stato sei anni nel Nord-
America. Si dichiara repubblicano.
— E perchè? — gli ho chiesto.
— Perchè sono stalo a New-York... —
In lealtà, non sa nemmeno il significato della
parola « repubblica E’, fra l’altro, quasi anal¬
fabeta. Ma è coraggioso, resistente alle fatiche. I
suoi battibecchi con l’altro portaferiti tengono alle¬
gra la brigata. Un’altra voce: Tolmino è caduta...
Nel pomeriggio ricevo un invito dal caporale Giu-
84
BENITO MUSSOLINI
stino Sciarra, di Isernia, della 13 a compagnia.
Egli è stato all’Infermeria per farsi visitare dal
capitano- e gli è riuscito di portare in trincea un
paio di bottiglie di Asti spumante. Beviamo alla
salute del Reggimento e alle fortune d’Italia. La
giornata non finisce bene. Verso le cinque fischia
uno shrapnel. Uno solo. Da un riparo si leva un
grido di dolore : ci sono tre feriti, ma, fortunata¬
mente, non gravi.
1° Novembre.
Comincia — per me — il terzo mese di guerra.
Che cosa mi porterà? Notte di quiete e di sogni.
Da qualche giorno, salvo la cannonata di ieri sera,
l’artiglieria nemica tace. Anche il « cannoncino »
riposa. Che significa? Sono stale trasportale altro¬
ve le batterie che tiravano sulla nostra posizione?
0 si prepara con una copiosa .scorta di munizioni
un bombardamento in piena regola di qualche
giorno? Chissà. Nei ripari si lavora accanitamente.
Ogni tenda ha il suo fuoco. Si annuncia che Pa¬
dre Michele dirà la messa al Comando. Ma, della
mia compagnia nessuno si muove. Pomeriggio. Il
cielo incupisce. Pioggia a raffiche.
— E’ la burrasca del giorno dei morti, — mi
dice qualcuno. Accanto a me, Rizzati, Massari e
Sandri, tutti di Ferrara, parlano tranquillamente
di canapa, di mediazioni, dei mercati, di barba-
bietole, come se non avessero altra preoccupa¬
zione.
i
IL MIO-DIARIO DI GUERRA
85
Nella tenda vicina i cremonesi Balista e Schizzi
cantano una parodia del tantum-ergo. Ora la
pioggia è diventata nevischio. Terzi, l’attendente
del tenente colonnello Cassola, mi dà — passan¬
do — una notizia tristissima : la morte di Corei-
doni !
Attendo 1 , con ansia, il giornale. L’ingegnosità
dei soldati italiani si rivela nelle trincee. Avere
una candela in trincea è un privilegio, consentito
soltanto agli ufficiali, e non sempre. Ma i bersa¬
glieri hanno risolto — con la massima economia
di mezzi e con la più grande semplicità di appa¬
recchi — il problema della illuminazione serale.
Le notti sono ora cosi lunghe! Si prende una sca¬
tola di carne in conserva vuota. Si versa dentro
un po’ d’olio di scatola di sardine, insieme a un
po’ di grasso liquefatto della scatoletta di carne,
('olle pezze da piedi — debitamente sfilacciate —
si fa lo stoppino che si immerge nell’interno, men¬
tre una delle sue estremità esce fuori da un buco
praticato verso il fondo della scatola. Si accende
e se lo stoppino è bene inzuppato, si ottiene una
luce un pochino più scialba di quella di una lam¬
pada ad arco, ma sufficiente per leggere e scrivere
una lettera. Provare per credere.
2 Novembre.
Co'rridoni è caduto sul campo di battaglia. Ono¬
re, onore a Lui ! Scrivo alcune righe per il Po¬
polo dedicate alla sua memoria. Ro comunicato la
86
BENITO MUSSOLINI
notizia al mio commilitone, il gasista milanese Pec-
chio. Sulle prime era incredulo. Quando gli ho
mostrato la prima pagina del Popolo , ha creduto
ed ha pianto.
Nevica rabbiosamente. Tulli i monti sono già
bianchi. Ordine di affardellare gli zaini e di tenersi
pronti per partire. La nostra compagnia deve so¬
stituire la 9‘, che si trova già da cinque giorni ai
posti avanzati.
Dopo due mesi comincio a conoscere i miei com¬
militoni e posso esprimere un giudizio su di loro.
Conoscere è torse troppo dire. Le mie conoscenze
sono limitate al mio plotone e — un poco_alla
mia compagnia. La trincea nell’alta montagna co¬
sti inge ogni soldato a vivere da solo o con qualche
compagno, nella propria lana. Cerco di scrutare
la coscienza di questi uomini, fra i quali, per le
vicende guerresche, io debbo vivere e, chissà!...
morire.
Tl loro « morale ». Amano la guerra, questi uo¬
mini / No. La detestano? Nemmeno. L’accettano
come un dovere che non si discute. Il gruppo de¬
gli abruzzesi, che ha per « capo » o « comparo » il
mio amico Petrella, canta spesso una canzone che
dice :
E la guerra s’ha da fà,
Perchè il Re accussì vuol.
Non mancano coloro che sono più svegli e colti¬
vati. Sono quelli che sono stati aìl’estcro, in Eu¬
ropa e in America. Hanno letto prima della guerra
IL MIO DIARIO DI GUERRA
89 *
qualche giornale. In guerra sono antitedeschi e
belgofili. Quando il soldato brontola, non è più per
il fatto « guerra », ma per certi disagi o deficienze
ch'egli ritiene imputabili ai « capi» . Io non ho mai
sentito parlare di neutralità e di interventismo.
Credo che moltissimi bersaglieri, venuti da remoti
villaggi, ignorino resistenza di queste parole. I
moti di maggio non sono giunti fin là. A un dato
momento un ordine è venuto, un manifesto è stato
affisso sui muri : la guerra! E il contadino' delle
pianure venete e quello delle montagne abruzzesi
hanno obbedito, senza discutere.
Nei primi mesi della guerra, i bersaglieri hanno
varcato il confine, cogli inni sulle labbra e la fan¬
fara alla testa dei battaglioni. Dopo due mesi di
sosta a Serpenizza, venuto finalmente l’ordine di
riprendere l'avanzata, i bersaglieri hanno conqui¬
stato — al passo di corsa, malgrado un turbine di
cannonate — la Conca di Plezzo e si sono trincerati
a quattrocento metri oltre la città, che gli austriaci
hanno poi, quasi completamente, distrutta colle
granate incendiarie. Quando i bersaglieri narrano
gli episodi di quell'avanzata, vibra ancora nelle
loro parole la soddisfazione e l’entusiasmo della
conquista.
La vita di trincea — monotona e aspra — con¬
trassegnata soltantoi dallo stillicidio quotidiano dei
morii e dei feriti, indurisce i soldati. Parlar loro,
non si può. Riunire gli uomini in prima lineo, per
lener loro un discorso, significa esporli a un sicu¬
ro immediato massacro da parte dell'artiglieria
nemica. E’ il « nemico », la presenza del « nemi-
90
BENITO MUSSOLINI
co » che spia e spara a cinquanta, cento metri, ciò
che tiene elevato il « morale » dei soldati : non i
giornali che nessuno legge; non i discorsi che nes¬
suno tiene...
Sono religiosi questi uomini? Non credo troppo.
Bestemmiano spesso e volentieri. Portano quasi
tutti al polso una medaglia di santo o di madonna,
ma ciò equivale a un porte-bonheur. E’ una specie
di « mascotte » sacra. Chi non paga il suo tributo
alle superstizioni della trincee? Tutti: ufficiali e
soldati. Lo confesso: porto anch’io nel dito mi¬
gnolo un anello fatto con un chiodo di ferro da ca¬
vallo...
Questi soldati sono nella loro grandissima mag¬
gioranza solidi, sia dal punto di vista fìsico che
morale. Se il vecchio Enotrio Romano tornasse al
mondo, dinanzi a questi uomini meravigliosi nella
loro tenacia, nella loro resistenza, nella loro ab¬
negazione, non direbbe più come un tempo :
La nostra Pairia è vile !
Quale altro esercito terrebbe duro in una guerra
come la nostra?
3 Novembre.
Ieri sera ci siamo spostati di duecento metri più
in alto, a destra. Ora comprendo l’obbiettivo della
nostra azione. Bisognerebbe occupare la depres¬
sione fra il Vrsig e lo Jaworcek, per tagliare_io
credo — la linea della difesa austriaca. A squadre
e plotoni, abbiamo impiegato, per spostarci, quasi
IL MIO DIARIO DI GUERRA
fri
due ore. Non pioveva, per fortuna. Il mio riparo
è relativamente buono. Da stamani pioggia e neve.
La mitragliatrice austriaca spara, ma siamo « de¬
filati » e finora nessuno dei nostri è rimasto ferito.
Ci troviamo in mezzo al fango. Camminare nella
mulattiera significa immergersi nella melma fino
al ginocchio. Fra i ripari corre un vero torrente
di mota. Qui, siamo più raccolti.
I cannoni austriaci tacciono sempre. 1 nostri
pure riposano. Anche se piove, anche se nevica o
tempesta, quando i cannoni nemici tacciono, c’è
allegria fra noi.
4 Novembre.
Ieri sera il mio plotone — il primo — è stato co¬
mandato ai piccoli posti. Siamo partili alle diciot¬
to. Pioggia a scrosci. Buio pesto. Siamo montati
a uno a uno — in fila indiana — per un cammi¬
namento franalo e pieno di fango. Quando i razzi
luminosi degli austriaci solcavano il cielo, ci get¬
tavamo di colpo a terra. Giunti alla posizione, non
è stalo facile trovarmi un riparo. Non un barlume
di luce, all’infuori di quella dei razzi, spenti i qua¬
li, le tenebre erano più dense di prima. Finalmente
ci siamo, cacciali, io e il mio capo-squadra Mario
Simoni, dietro a un masso roccioso.
Ho chiesto al mio capo-squadra :
— In caso di un attacco austriaco, qual’è la no¬
stra fronte?
— Quella a destra... —
92
BENITO MUSSOLINI
La risposta non mi ha convinto. La responsa¬
bilità delle guardie avanzate sulle linee del fuoco è
terribile. Devono costituire una garanzia e una pri¬
ma difesa per coloro che stanno dietro. Per for¬
tuna, gli austriaci non prendono mai l’offensiva
per i primi. Possono contrattaccare, ma «attacca¬
re », no.
Verso mezzanotte, dopo sei ore di pioggia e di
tuoni, si fa un grande silenzio bianco. E’ la neve.
Siamo sepolti nel fango, fradici sino alle ossa. Si-
moni mi dice :
— Non posso muovere più le punte dei piedi. —
E la neve cade lenta, lenta. Siamo bianchi an¬
che noi. Il freddo ci è penetrato nel sangue. Siamo
condannati all’assoluta immobilità. Muoversi si¬
gnifica « chiamare » la mitragliatrice austriaca.
Vicino a me c’è qualcuno che si lamenta. Il tenente
Fanelli lo redarguisce, con voce sommessa, ma il
bersagliere risponde e c’è nella voce una invoca¬
zione .quasi disperata :
— Tenente, sono gelato. Non mi « fido » più. —
E’ un meridionale. Ma anche il tenente, che è
di Bari, deve trovarsi in critiche condizioni. Poco
dopo, infatti, chiama me e il Siraoni c ci manda
insieme dal capitano' per chiedere il cambio della
guardia. Sono le quattro. La nostra guardia do¬
vrebbe durare ancora quattordici ore.
I rovo il capitano nel suo riparo. Egli, insonne,
veglia. Fuma. Si trovano in sua compagnia i sot¬
totenenti Raggi e Daidone.
— Ebbene?
— Signor capitano, il tenente Fanelli mi man¬
ie MIO DIARIO DI GUERRA
93
da a dirle che i bersaglieri di guardia non resi¬
stono più. Dopo sei ore di pioggia, quattro ore di
neve... —
Il capitano mi fa qualche altra domanda e poi,
volgendosi al sottotenente Raggi, gli dice :
— Lei va a dare il cambio con una squadra del
terzo plotone.
— Benissimo, capitano. Le chiedo, però, un fa¬
vore: mi dia una sigaretta... —
Sono tornato al mio riparo. L’ho trovato ancora
in piedi, mentre mollissimi altri erano franati. E’,
finalmente, l’alba. E’ stata la notte più dura dei
miei due mesi di trincea.
5 Novembre.
A giorno fatto:
— Primo plotone, zaino in spalla... —
Scendiamo — per asciugarci un poco — alla
posizione che occupavamo prima. Il nostro pas¬
saggio viene subito notato dalle vedette austriache.
Ta-pum. Ta-pum. Ta-pum. Sette feriti cadono unq
dopo l’altro. Di gravi non ce n’è che due. Giunti
al luogo indicato, accendiamo dei grandi fuochi.
Anche il sole viene a salutarci. Il sereno nel cielo
riconduce la gioia fra noi. Il 'fuoco non asciuga
soltanto i nostri indumenti infangati, ci rallegra.
Pietroantonio, un abruzzese, tornato volontaria¬
mente dall’America, insieme ad altri 2000 per ser¬
vire la Patria, ci racconta episodi interessanti sul¬
la vita delle nostre colonie d’oltre Oceano. Immen-
94
BENITO MUSSOLINI
so Penlusiasmo col quale fu accolta la nostra di¬
chiarazione di guerra all’Austria. Moltitudini di
uomini assediavano i Consolati per la visita mili¬
tare e il rimpatrio.
— Ho visto — dice Pietroantonio — alcuni scar¬
tati mordersi per la rabbia. —
Si comprende. I milioni e milioni di italiani —
in particolar modo meridionali — che negli ultimi
venti anni hanno battuto le strade del mondo, san¬
no per dolorosa esperienza che cosa vuol dire ap¬
partenere a una nazione politicamente e militar¬
mente svalutata.
Ho asciugato al fuoco anche le pagine di questo
diario. Alcune, coll’acqua, sono diventate indeci¬
frabili.
6 Novembre.
Tornando ieri sera dalla posizione dove ci era¬
vamo asciugati e rifocillati, ho trovato il mio ri¬
paro occupato da altri. Gli artiglieri della Sezione
che è con noi mi hanno offerto ospitalità sotto la
loro tenda. Sono stati gentilissimi. Hanno voluto
dividere con me il loro rancio. C’è fra essi un vo¬
lontario, tal Cecconi, vicentino. Stamani, cielo
buio, di tempesta. Al lavoro ! Bisogna costruirsi il
« ricovero ». Tre ore di fatica. Grande fuoco per
asciugare il terreno sul quale dovremo stenderci.
E’ giunto dalla Divisione, per telefono, l’ordine
IL MIO DIARIO DI GUERRA
95
di partenza per il plotone accelerato degli Allievi
Ufficiali. Del mio Reggimento siamo soltanto in
cinque: io, Lorenzo Pinna, Vismara, di Milano,
Moscatello e Inglese, di Napoli.
Lascio la compagnia. Saluto il capitano e gb
ufficiali. Tutti i bersaglieri mi gridano il loro af¬
fettuoso saluto e il loro augurio. Addio! Addio!
Non sono contento. Mi ero ormai abituato alla
trincea. Scendiamo allo Slatenik. Tre ore di mar¬
cia faticosa. In certi punti la mulattiera è tutta un
pantano. A quota 1270, o Trincero,ne, tappa. 11
maresciallo Zanotti deve farci il foglio di via. Al
Trmcerone c’è il 27° a riposo. In tutti i reparti
ardono grandi fuochi. Qua e là si canta a gran
voce. Piove. Ci ripariamo nella baracca del can¬
tiniere. Come letto; il rivestimento di paglia delle
bottiglie. Dormire? Niente. Poco lungi è Jacobone,
napoletano, che dirige un coro di milanesi. Si can¬
ta a «voce spiegata la canzone della « povera Ro¬
setta »:
Ai ventisette agosto
Era una notte oscura,
Commisero un delitto
Gli agenti della Questura...
7 Novembre.
Prima di scendere a Caporetto, ci siamo recati
alle cucine del nostro battaglione, dove i nostri
amici ci hanno regalalo un caffè, come si dice in
gergo militare, « fuori d’ordinanza ». Il tempo non
96
BENITO MUSSOLINI
e malvagio. In marcia! E’ la strada di circa due
mesi fa. Ecco il laghetto di Za Ivraju. Ecco il Ci¬
mitero del 6° bersaglieri. Un piccolo muro di cin¬
ta. In mezzo una grande croce, con tenaglia, mar¬
tello, chiodi e un gallo più abbozzato che scolpito.
Attorno, attorno, le fosse. Quante? Un centinaio
e più. Una è coperta da un grosso macigno. Mi
avvicino e leggo':
Sottotenente Conte Luigi Alberti.
Su un grosso macigno c’è una bella epigrafe,
deturpala, però, da un errore grafico. Invece di
nuova, è scritto nuoja. Un altro masso indica una
fossa collettiva. C’è scritto sopra :
• Qui tutti riuniti.
La vista di questo Cimitero solitario, a piè dei
costoni ripidi del Monte Nero, ci rende melanco¬
nici e silenziosi. Incontriamo una lunga colonna
di muli che viene da Ternova. Ecco Tresenga, for¬
micolante di soldati. Le campane della chiesa —
bella e grande — che suonano mezzogiorno, mi
fanno una strana impressione. A Tresenga si la¬
vora. Sorgono da ogni parte baracche. Da Tre¬
senga a Caporetto pochi chilometri. Bella strada.
Carrozzabile. Cominciano i segni dell’«altra vita».
Incontriamo degli ufficiali dàll’ùniforme impecca¬
bile. Attendenti pasciuti e rubicondi, a cavallo. I
soldati hanno una cera, molto, molto meno sel-
v aggi a della nostra. La guerra, vista nelle retrovie,
non è simpatica. Ecco l’Isonzo impetuoso e ceru-
IL MIO DIARIO DI GUERRA
97
leu. Caporetlo. S’è — in questi due mesi — in¬
grandito, abbellito. Sempre lo stesso formidabile
movimento di camions e di carri d’ogni genere. I
paesani guardano con una certa curiosità i nostri
abili laceri r infangati, le noslre mani e i nostri
olii sudici c annerili. Noi siamo — modestamen-
le! — un po’ fieri, di essere oggetto della curiosità
della gerite.
14 Novembre .
Uopo sei giorni passali a Vernazzo — ambiente
mediocre — stamani, domenica, un ordine è ve¬
rnilo, perlaio da un motociclista della Divisione.
E rondine dice: « Il bersagliere Mussolini torna
al reggimento ». Non domando perchè.
La notizia non mi sorprende c non mi addolora.
Dò un'occhiaia al Monte Nero, tutto incappuccialo
di neve, e mi dico: « Domani sarò a quota 1270 ».
Da San Pietro Natisene si vede nettamente sta¬
gliarci sul fondo de IT orizzonte il famoso «Naso rii
\ (ipoleone ». 1 miei amici del plotone si mostrano
non meno sorpresi e mollo più addolorati di me.
La trincea non ha fascino per loro, sebbene fossero
quasi lutti allogali nei » posti ufficiali » e quindi
lontani dal pericolo immediato.
Pochi saluti, in fretta. Zaino in spalla. Mi pre¬
sento in In reria. II maresciallo c'è. Mi paga la cin¬
quina. ini consegna la « bassa » di marcia e una
scatoletta di carne.
Sono nella strada. Mi fermo a San Pietro, al Co-
Mussot.txt. - 77 mio di (trio di ytierrn
98
GENITO MUSSOLINI
mando di Tappa, por attendere un camion aulo-
mobile elio mi trasporti a Caporelto. Ma qui faccio
un incontro inatteso. Trovo Alberto Mescili, ex se¬
gretario della Camera del Lavoro di Carrara, sol¬
dato della territoriale. Egli mi dà un recapito per
< aporetto: si tratta di certo Oreste Guidoni, che
ha piantato a Caporetlo un negozio di tessuti e
pannine. Ma mentre passeggiamo lungo il marcia¬
piede, ecco giungere il Ghidoni su di un carro. Mi
presenta. Il Ghidoni è un mantovano, traslocatosi
a Carrara. E’ già sera. Ci fermiamo a Pilifero,
villaggio a 10 chilometri da San Pietro. All’osteria
troviamo — naturalmente — dei soldati. Ci sono
degli alpini che tornano dal fronte e si recano a
Target lo per il plotone allievi-caporali: ci sono dei
fanti del distretto di Cremona e della classe de IL 8.'!
ohe vanno a Caporelto. Uomini maturi, ma solidi e
pieni di buon umore. Essi ini dicono che nel Cre¬
monesi- non r’è miseria e la popolazione attende
con fiducia l’esito della guerra.
15 Novembre.
Oggi è il primo anniversario della fondazione
del Popolo d’Italia. Ricordi, nostalgie. Mattinata
grigia. Partiamo da Pùlfero alle 9. Per giungere
a Caporelto ci vogliono tre ore. Solito enorme mo¬
vimento di camions e di carri. Si dice che il fronte
mangia per le retrovie, ma le retrovie mangiano
il Ironie. Nelle retrovie c’è un vero, formidabile
esercito, mentre la linea del fuoco è un sottile velo
IL MIO DIARIO DI GUERRA
99
che sembra sfumare nella lontananza. Durante il
tragitto, il Ghidoni mi racconta i « casi » della po¬
litica carrarese. Sono interessanti. Passo le ore li¬
bere ilei pomeriggio a Caporelto. La cittadina è
sempre piena zeppa di soldati. Sono sorti qua e là
grandi baraccamenti e qualche edificio in pietra.
Verso sera, mi reco al Camposanto militare. Il nu¬
mero delle croci è aumentalo. Saranno quattro¬
cento. Quelle degli ufficiali, una quarantina. Primo
di questi, il colonnello Negrotto. Sulla sua tomba
c’è una grande corona di bronzo degli irredenti.
Ora vado leggendo alcuni nomi sulle croci. V’è
anche qualche austriaco.
L'unica fossa che abbia dei fiori è quella di un
-oblato austriaco e sulla croce sta scritto: Joseph
W'allha, dell’esercito nemico. Il fatto è sintoma¬
tico.
In un angolo del Cimitero pei civili, ci sono due
fosse senza croce e senza nome, Un soldato mi
spiega che si tratta di due gendarmi austriaci fuci¬
lali dai nòstri all’inizio delle ostilità.
A IL estremi là del Cimitero militare, che è cintato
da un semplice filo di ferro, giunge un carro, ri¬
coperto e trascinato da due soldati zappatori. Ci
sono due casse da morto. Aiuto a scaricare la pri¬
ma. E’ pesante. Sono due soldati morti all’ospeda-
letlo da campo. Crepuscolo. Melanconia. Ritorno
in piazza. Compero il Resto del Carlino e trovo la
prima notizia del bombardamento di Verona. Croc¬
chi di soldati leggono. Molti altri vanno in chiesa.
Vado anch’io. La chiesa- di Caporetlo ha ai lati
due gallerie, dalle quali si sporgono i fedeli, come
100
SEX ITO .MUSSOLINI
dalle loggetle di un teatro. Banchi, gallerie sca-
STemi,i di sodati. C’è anche qualche
>- , ' . J 1C s0no f ^ ei vecchi e dei giovanissimi.
In territoriale degli alpini, accanto a me ha neMi
CC " lucc,c °re di lacrime. All’altare officia un
corc> e ' Or" 10 "" ,e K laUdÌ ’ 1 S ° ldati ris Pondono in
toro. ■< (Jra prò nobis... ».
r, V r'T ìa , , f Ì! 1C ’ aC(0m pagnati dalle note gravi e
poolonde dell organo, i soldati cantano un inno TI
coio, s, leva solenne .e riempie la chiesa. Io laccio -
gnoro I aria e le parole. Il ritornello dice:
Iteli, benedici , o madre ,
L’italica virtù ;
Fa' che trionfine, le nostre squadre
A'c/ nome santo del tuo Gesù.
B coro è lindo con un lungo gemito dell’organo
I soldati slollano.
Mi Novembre.
Sono l’unico bersagliere dell’ll» che torni al reg¬
gimento. In marcia. Vicino a Tresenza passo d-
in>nz, a una polveriera. La sentinella mi guarda e
i -, onr !T r ~ ^ un s °ldato romagnolo del PO 0
Ah eff" u v- dal M ° n,e Nero un vento di neve.
) U . affretto. Niente tappa a Rawna. Oui ci sono
tu .ei^agiieri del mio battaglione venuti in cor-
iee M dicono che il 33° battaglione si trova a
quota 12/0 e non sull’Jaworcek. Notizia conso-
IL MIO DIARIO DI GUERRA
101
laute. Sei ore di marcia di meno. Lunga fila di
muli carichi di soldati coi piedi congelali. A Za
Kraju incontro una barella coperta. C’è un morto
che viene portato a Caporelto. Segue un caporale
die piangi'. Lo conosco. E’ del1*8* compagnia. Mi
dice singhiozzando :
— Il morto è il sottotenente Mario Botligeìli,
milanese. E’ stato fulminato da una pallottola, ieri
sera, mentre disponeva il suo plotone di guardia.
Ora lo portiamo al Cimitero di Caporelto. —
Al Cimitero del 6 C bersaglieri, mi sferza la fac¬
cia una prima folata di nevischio. Il Molilo Nero
non si vede più. Neve. In trincea, dove sono giun¬
to dopo Ire ore di marcia sotto la neve, ho ritro¬
vato i miei amici, soldati e ufficiali, che mi hanno
accolto festosamente.
Nolle di uragano. Eravamo nel ricovero in un-
dii i. Mal riparati. Freddo siberiano. Ala stamani
r é il -mie.
Dalle falde dell’Jaworcek
alle vette del Rombon
lo Febbraio.
Capore Ilo. E ; la quarta rolla ohe passo da que¬
sta piccola città slovena, che i nostri occuparono
appena varcato il confine. Al Comando di tappa
trovo ancora lo stesso capitano e i sottufficiali
che c'erano nel settembre. Nulla di cambialo. La
città mi appare più pulita, oserei dire ringiova¬
nita, ma più silenziosa e deserta. Pochi soldati,
pochi carri. Il vertiginoso movimento dei primi me¬
si di guerra esiste ancora, ma è stato deviato alla
periferia dove è sorta la città militare con strade
larghe e ampie piazze. Anche la popolazione non
è cambiala. Entro in alcuni negozi e trovo ancora
le facce enigmatiche che notai la prima volta. No.
Questi*sloveni non ci amano ancora. Ci subiscono
con rassegnazione e con malcelata ostilità. Pensa¬
no che noi siamo di « passaggio », che non reste¬
remo: e non vogliono compromettersi, nel caso in
cui ritornassero, domani, i padroni di ieri.
Pomeriggio grigio. Mi dirigo verso il Cimitero
10G
BENITO MUSSOLINI
militare. C’erano nel novembre trecento fosse ora
ce ne sono settecento. La siepe di filo di ferro è
sostituita da un muro di cinta. La cappella reca
nella sua parete esterna questa epigrafe :
PUR RIVENDICARE 1 TERMINI SACRI
CHE NATURA POSE A CONFINE DELLA PATRIA
AFFRONTARONO impavidi
MORTE GLORIOSA.
ir. LORO SANGUE GENEROSO
RENDE SACRA
QUESTA TERRA REDENTA
2 NOVEMBRE 1915
Si scavano altre fosse laggiù... Ritrovo sulle
croci i nomi di alcuni miei compagni deir 11°. Esco
dal Cimitero e mi reco al Tribunale Militare. C’è
udienza. Si discute il processo contro il sergente
j.icelli di un reggimento di fanteria, impalato di
diserzione. II P. M. chiede l’ergastolo, ma il Tri¬
bunale esclude la diserzione e condanna Nicelli
per abbandono di poslo, a venti anni di reclusione
previa degradazione. I! Nicelli ascolta il verdetto
con indifferenza e se ne va fra i carabinieri. Senne
un soldato semplice, siciliano, imputato di un de-
litio analogo, e viene assolto.
il mio diario di guerra
107
76 Febbraio.
Zaino in spalla, di buon mattino. A piedi sino a
Ternova, in camion da Ternova a Sepenizza. Oui
mi vien detto che la mia compagnia si trova alla
destra dell’Isonzo, in una località detta Sorgente.
In marcia! Ecco V Isonzo sempre impetuoso,
sempre ceruleo, ma, giungendo alle sue rive, vici¬
no alla passerella, vengo accolto da alcune canno¬
nate da 280. Vecchia conoscenza. E come non ba¬
stasse il 280, entra in azione un 305. Sosta di un'o¬
ra. Passaggio elei fiume. A pochi metri dalla pas-
sarella c’è un 305 inesploso e monumentale come
il carabiniere di guardia. Alcuni minuti di strada e
sono ai baraccamenti invernali occupali dalla mia
compagnia. I vecchi commilitoni, che avevano avu¬
to qualche notizia del mio arrivo, mi salutano e mi
abbracciano con effusione vivissima. Pelrella, mio
compagno di trincea, mi bacia. Conoscenza di al¬
cuni ufficiali nuovi, fra i quali il lenente Danesi,
giovanissimo, appena uscito dalla scuola di Mo¬
dena. I vecchi amici sono quasi tutti presenti. La
compagnia è in rango, armata. Sono proprio ar¬
rivato al momento opportuno. E’ giunto l’ordine
improvviso di salire nella zona del Rombon c pre-
èisamente sul Kukla che gli alpini hanno perduto
dopo un attacco di sorpresa. E’ già notte quando
la compagnia si mette in marcia. Notte di stelle!
Camminiamo — in silenzio — per qualche chilo¬
metro, lungo la strada imperiale di Plezzo; poi,
giunti’ dopo Osteria al Ponte Rotto, prendiamo a
sinistra e cominciamo a salire.
108
BENITO MUSSULINI
Panorama meraviglioso. Abbracciamo con lo
sguardo tutta la Conca di Plezzo, inondata da!
plenilunio. Otto ore di marcia. Attraversiamo Plu-
f na > ra * a al suo, ° dagli austriaci, e giungiamo alla
tappa. In una baracca angustissima, capace di ap¬
pena venti persone, troviamo posto in tre plotoni.
acciaino mucchio. E’ accanto a me un bersaglie¬
re nuovo venuto cogli ultimi complementi e" un
contadino umbro, tale Arcioni, un tipo posato e
tranquillo, che sembra disorientato e smontato
Mi domanda :
— Fratello, è vero che siamo venuti qui poi-
mi avanzata? 1
Non lo so. E se anche fosse?
Lo domando, per curiosità..
— Non. so nulla. Coràggio ! _
boiio stanchissimo e, appena disteso a terra mi
addormento.
17 Febbraio.
Nevica. Corvée: tavole per le baracche e pali di
‘ eiro P er (( cavalli di Frisia ». Zaino in spalla! La
compagnia si sposta tutta in prima linea nell’ul¬
tima trincea. Si fa ancora una buona màrcia per
una mulattiera quasi impraticabile. Monto di ve¬
detta alla estrema destra della trincea. Sono ripa¬
rato da sacchetti di neve gelata e da uno scudo di
erro. lutto il parapetto della trincea è di sacchetti
riempiti di neve : fragilissimo. Dinanzi alla nostra
trincea c’è un reticolato in gran parte sommerso
IL MIC DIARIO DI GUERRA
10!)
dalla neve; un centinaio di metri più in su, si pro¬
fila il semicerchio del reticolato austriaco. Fra i
due reticolali ci sono delle masse grige informi :
-ono cadaveri abbandonati. Notte serena, di ple¬
nilunio. Siamo in mezzo alla neve. L’occhio ab¬
braccia un cerchio vastissimo di montagne che mi
sono familiari. Alla mia destra si profilano il Mon¬
te Nero, il Vrata, il Vrsig, il Grande e Piccolo Ja-
vvorcek. Spettacolo fantastico. Ordine di innastare
le baionette e di sparare qualche colpo, intermit¬
tentemente. Il capitano Bondi, che ha il comando
interinale del battaglione, passa verso la mezza¬
notte in ispezione la trincea.
— Nessuno deve dormire! — egli ci dice. —
Non impressionatevi per le bombe a mano. —
Freddo acuto. Siamo completamente all’aria
aperta. La trincea non offre ripari di sorta. Ilo
sparato durante la notte mezza dozzina di carica¬
tori Gli austriaci hanno risposto fiaccamente. C’è
un ferito, fra noi, ma leggero.
Venerdì 1S Febbraio.
Giornata serena, ma freddissima. Guardando
verso l’Italia, si vede tutta la pianura di Udine e
in lontananza, oltre le lagune, la linea azzurra, ap¬
pena percettibile, dell’Adriatico.
Tre shrapnels austriaci, provenienti forse dallo
Jaworcek, battono sulla trincea degli alpini, sot¬
tostante alla nostra. Vedo passare, di corsa, alcuni
110
EENITO MUSSOLINI
feriti leggeri. Altri vengono trasportati in barella.
Cominciano a tuonare i nostri 149. I proiettili sibi¬
lanti passano sulle nostre teste a pochi metri d’al¬
tezza e piombano sulla trincea austriaca. Guar¬
dando contro il sole, si vede giungere il proiettile:
sembra una bottiglia nera con un leggero movi¬
mento di oscillazione. Tutti i proiettili scoppiano:
ciottoli e pali vengono a cadere sino nella nostra
trincea. Stormi di corvi volano descrivendo ampi
cerchi sulla Conca di Plezzo. Sotto alla nostra trin¬
cea c’è la fossa di due .soldati caduti nei primi com¬
battimenti. Tutta la compagnia è rimasta per ven¬
tiquattro ore consecutive di vedetta alla trincea.
19 Febbraio..
La solita corvée. Bisogna andare a prendere *
viveri al Comando di Brigata. Un’ora di marcia,
faticosa. Chi ha i chiodi aguzzi o i ferri, può cam¬
minare. I bersaglieri mettono i piedi nei sacchetti
per la terra e non scivolano più. Durante il tra¬
gitto, Tartiglieria nemica ha bombardato la posi¬
zione, ma la mulattiera è sotto a un costone, che
forma un angolo morto bellissimo. Sotto quelle
rocce si è sicuri e si può — come facciamo — as¬
sistere tranquillamente allo scoppio fragoroso dei
proiettili nemici. Passa un generale. Lo seguono
molti ufficiali. Un sergente dell’S a compagnia, tal
Peruzzone, genovese, è stato colpito mortalmente
da una fucilata al petto. E’ caduto senza un gemilo.
Gli scavano una tossa sotto la neve. Sole grandis¬
IL MIO DIARIO DI GUERRA
ni
simo, quasi primaverile. Si lavora a preparare
« cavalli di Frisia » e reticolati. I soldati, nelle ba¬
racche, scrivono, scrivono... Mi fermo con un
gruppo di giovani ufficiali che fraternizzano con
ine. C’è il tenente medico Musacchio, il « quasi-
awocato » Pecmoli che mi ricorda le manifestazio¬
ni e le barricate romane del maggio; il già avvo¬
calo Rapetti, pure romano: Santi e Barbieri della
mia compagnia. Altre conoscenze: l’avv. Righini.
volontario negli Alpini, avvocato bolognese. Or¬
dine di servizio per la mia compagnia : il primo e
>econdo plotone vanno di guardia alla trincea; il
terzo e quarto devono spostare avanti i reticolati.
r\ vestono di hianco. Appena giunto al mio posto
di vedetta, all’estremità destra della trincea, la ve¬
detta austriaca mi tira una dietro l’altra due fuci¬
late che si spezzano contro lo scudo. Metto la can¬
na del mio fucile alla feritoia e rispondo. L’au¬
striaco a sua volta risponde. Il duello dura alcuni
minuti. Lo spostamento dei reticolati avviene sen¬
za incidenti e senza vittime. Notte freddissima e
niellata. Siamo completamente all’aperio. Quindici
gradi sotto zero. Se si resta immobili, le scarpe
gelano r aderiscono al suolo duro e sonoro come
mi metallo.
Domenica 20 Febbraio.
Stile. Poche e rade fucilate tra le vedette delle
squadre in trincea. Alcune cannonate, innocue.
Uon una bottiglia di « Barbera amabile » che il
112
BENITO MUSSOLINI
bersagliere Moroni Tomaso di Osimo mi ha rega¬
lalo e con 1 0 scaldarancio, facciamo un eccellente
vino brulé che ristora i miei compagni. Ora, i can¬
noni austriaci di grosso calibro tirano nella Conca
di Plczzo, verso la stretta di Saga per colpire le
nostre batterie di 149. 1 280 c i 305 scoppiano in¬
nanzi e indietro, sollevando nuvole di fumo. E’ un
pezzo che gli austriaci « cercano » la nostra balle¬
ria, ma non Thanno ancora trovata. Verso sera il
sottotenente Barbieri mi dice che il colonnello
vuole vedermi. Il nostro colonnello, venuto a co¬
mandare il reggimento in sostituzione di Barbiani.
si chiama Beruto cav. Giuseppe. Un uomo di me¬
dia statura, asciutto, di poche parole. Capelli bian¬
chi e un pizzelto pure bianco alla Lamarmora. E’
sialo feri.lo sul Carso. Mi presento, saluto.
Una cordiale stretta di mano.
— Ho voluto conoscervi, nel momento in cui,
compiuto il vostro dovere per un giorno e una not¬
te di guardia alla trincea, siete disceso per un po’
di riposo. So che siete un buon soldato. Non ne
bo mai dubitato. —
Il colonnello passa ad altro e mi dice :
— Sono stalo parecchie volte di picchetto a Mi¬
lano, per causa vostra e dei vostri amici.
— Altri tempi! — rispondo.
Il colonnello vive la nostra vita, soffre degli stes¬
si disagi di un semplice soldato. Egli poteva re¬
stare in seconda linea con uno degli altri battaglio¬
ni, ma ha voluto essere col battaglione più esposto
al pericolo. Ciò è molto simpatico e i bersaglieri
apprezzano questo gesto. Il colonnello dorme su
IL MIO DIARIO ni GUERRA
118
alcune tavole in una specie di cuccetta alta un me¬
tro da terra. Sotto di lui, a terra, dorme il suo aiu¬
tante, il sottotenente milanese Olinto Fanti, mio
buon amico.
Da un altro lato dell’angusta baracca che serve
anche da « posto di medicazione » degli alpini,
dormono i tenenti medici Gargiulo e Congiu. Il
primo meridionale, Tultimo sardo. C’è anche Don
Giovanni; cappellano degli alpini, un pezzo d’uo¬
mo dall’aria assai mite.
# * *
A proposito: la medaglieria religiosa è in dimi¬
nuzione. Nei primi tempi era un imperversare di
immagini sacre. I soldati ne portavano al collo, al
polso, sul berretto, nelle dila a foggia di anello.
Tutto ciò va cadendo in disuso. La tragica espe¬
rienza delle prime linee ha insegnato che un amu¬
leto vale l’altro, che il cornetto vale una medaglia;
e un gobbo d’avorio un Sant’Antonio. L’ultima
trovata in materia di « scongiuri » è quella di toc¬
carsi le stellette (forse per analogia collo « stello¬
ne?») o di portare questa cabalistica epigrafe:
B I P ZI R 16
C eh. ZI P. S. S.
Migliaia di soldati l’hanno ricevuta passando pe:
i paesi della vallata del Natisene.
Sono incapace di decifrarla.
s
Mussolini. - II mio din rio di guerra.
Ì14
BENITO MUSSOI.iNl
21 Febbraio.
Nolte di vento violentissimo e gelato. Veniva dai
Monte Nero, La tela della nostra fragile baracca
si gonfiava, mentre le traverse di legno stridevano
e pareva dovessero rompersi da un momento al¬
l’altro’. Pigiati gli uni su gli altri. Per muoversi
dal fondo della baracca alla porta, si cammina sui
compagni, colle ginocchia e le mani a guisa di
quadrupedi. Nessuno ha chiuso occhio. Alle quat¬
tro, sono stato chiamato per la corvée dei viveri,
che bisogna andare a prendere dove si fermano i
muli, nella posizione dove si trova il Comando di
Brigala. Anche nel Rombon i nostri morti sono
disseminati qua e là, dove è stato possibile di sep¬
pellirli. Sette croci allineate sorgono vicino al Co¬
mando di Brigata: due più in alto; qualche altra
nei pressi della mulattiera. Mattino di calma. Il te¬
nente Rapetti mi narra un episodio che dimostra
quanto 1 giovi ad incuorare i soldati, l’esempio de¬
gli ufficiali..
— II 12° bersaglieri — mi dice Rapetti — era a
quota 1270, alle falde del Monte Nero. La nostra
trincea veniva battuta da parecchie ore da un vio¬
lento fuoco di artiglieria. Il sergente Brenna aveva
avuto un momento di panico. Piuttosto che rim¬
proverarlo 1 , io mi misi in piedi sulla trincea, men¬
tre granate e shrapnels fischiavano da ogni parte.
11 gesto mio, temerario, incuorò i bersaglieri, più
di qualunque punizione od eccitamento. Quando,
di lì a poco tornai, trovai il sergente Brenna, che,
impassibile e fresco tra rinfuriare dei proiettili ne¬
il. MIO DIARIO DI GUERRA
115
mici, si mise sull’attenti e disse : — Niente di nuo¬
vo, signor tenente. Presenti, diciannove come pri-
ma. —
Il colonnello ha chiesto una copia del mio «Gior¬
nale di Guerra» dello Jaworcek. Ordine di servi¬
zio per la notte : il primo plotone è comandato a
porre i « cavalli di Frisia » oltre la nostra trincea
Della prima squadra andiamo volontariamente io
e Reali Oreste, milanese. Ci vestiamo di bianco e
andiamo su. Prima che spunti la luna, lisciamo
dalla trincea insieme col tenente Santi. Strisciamo
per alcuni metri... Ad un certo momento, il tenente
avverte un rumore di passi sulla neve gelata. E’
una pattuglia di austriaci. Sosta. Tutto intorno è
silenzio. Ma le nostre vedette non dormono ed ecco
crepita il fuoco della nostra fucileria. La pattuglia
nemica si ritira in buon ordine.
22 Febbraio.
Notte di luna, serena, ma freddissima. Si dice:
dai quindici ai venti gradi sotto zero. Ma nessuno
si sente male. Malati in lutto : quattro, e, più che
malati, indisposti. Cominciamo a « sfottere » gli
austriaci. Sopra a un lungo bastone piantiamo
una pagnotta di pane, e sopra a un altro 1 issiamo
un cappello da bersagliere. Agitiamo, per qualche
tempo, i due bastoni al disopra della trincea, ma
gli austriaci non sparano. Una novità : il nostro
capitano Mozzoni è tornato dalla licenza invernale.
Passa fra di noi salutandoci tutti. Mi annuncia che.
ne
BENITO MUSSOLINI
con molta probabilità, il reggimento cambierà
fronte e andrà in Carnia. Distribuzione di caffè,
cioccolato, burro, castagne secche. Si beve molto
cognac e molto rhum. I liquori eccitano contro il
freddo e soprattutto tengono desti. Da notare : alle
quattro e a mezzanotte, ci viene distribuito caffè e
latte. E’ un record a quest’altezza! La distribuzio¬
ne dei viveri è regolare e abbondante : non abbia¬
mo il rancio caldo, ma tant’altra roba lo sostitui¬
sce : anche il prosciutto che talvolta è veramente
squisito. Il tenente medico Musacchio mi offre la
fotogralia deH’Jaworcek, con questa dedica:
AWamico Benito Mussolini
offro
'affinchè gli ricordi il luogo
ov’ebbe il battesimo del fuoco
e la gioia suprema
di constatare nel cuore dei suoi commilitoni
le nobili qualità della stirpe italica.
Dormiamo sotto a una baracca, ma sulla neve.
Ci contenteremmo di un pochino di paglia, ma
non c’è.
Mercoledì 23 Febbraio.
Notte di guardia alla trincea. Dodici ore sotto a
una implacabile bufera di neve. Verso le due si è
udito un vivo fuoco di fucileria alla nostra destra,
nelle posizioni tenute dagli alpini. Siamo balzati
IL MIO DIARIO DI GUERRA
117
lutti in piedi. Coperti di neve, sembravamo tanti
fantasmi usciti da una fossa. Si trattava di un at¬
tacco austriaco più simulato che attuato. 11 fuoco
è duralo una quindicina di minuti. Stamani, al¬
l’alba, l’8* compagnia è venula a darci il cambio.
Durante l’operazione, una pallottola sola di una
vedetta austriaca ha ucciso due dei nostri : Mas¬
sari, un richiamato ferrarese dell’84 — un soldato
bravo, disciplinato, volonteroso, che era stato con
me in trincea sullo Jaworcek — e Manucci. So¬
no caduti senza un grido, sul margine inferiore del
camminamento. Colpiti entrambi alla testa. Dai
buchi uscivano fiotti di sangue che invermigliava
la neve.
Fatalità !
Il Manucci era cià partilo per la licenza inver¬
nale ed era giunto a Ternova. Qui aspettò sei gior¬
ni, perchè le licenze erano state sospese nel settore
dell’Alto Isonzo. Dopo sei giorni, ricevette l’ordine
di tornare in compagnia. Giunse ieri sera. Stama¬
ni è morto. Il Massari era miracolosamente scam¬
pato allo shrapnel del 10 ottobre che uccise i suoi
due compagni di tenda, i ferraresi Mandrioli e
Melloni.
— Portaferiti! —
Ecco De Rita e Barnini. Adagiano in una co¬
perta di lana i due morti e li trascinano piano sulla
neve... Un trasporto colla barella è impossibile,
data la ripidità e il gelo del camminamento. La no¬
stra trincea è fatta di neve. I sacchetti non conten¬
gono che neve gelata. Le pallottole passano come
118
BENITO .MUSSOLINI
attraverso la carta velina. Bisogna camminare a
schiena curvata.
Nevica sempre.
Una valanga si è schiantala sulla baracca dove
dormono alcuni sottotenenti, le loro ordinanze,
Reali ed io. Sotto l’urto, la baracca si è chiusa co¬
me un libro. Per fortuna, nessuno di noi è rimasto
ferito. Ho aiutato il tenente Malascherpa — cre¬
monese — a liberarsi dai rottami e dalla neve, che,
sfondando la tela della baracca, lo aveva quasi se¬
polto.
24 Febbraio.
Le solite dodici ore di guardia alla trincea. So¬
no', colla mia squadra, capitato proprio nel punto
dove caddero ieri Manucci e Massari. La neve è
ancora rossa di sangue. Scendendo — a servizio
ultimato — dalla trincea, porto al maggiore Ten-
tori, comandante il battaglione Bassano degli al¬
pini, una copia del Popolo , col trafiletto dedicato
al Volontari di Monza. Il maggiore mi ricostruisce
le vicende della notte tragica — 14 febbraio —
nella quale fu tentata la riconquista delle posizioni
perdute .sul Kukla. L’avvocalo Alfredo Volonteri
— volontario — morì colpito da una palla in fron¬
te, mentre gridava : — Alpini del battaglione Bas¬
sano, avanti, sempre avanti ! —
Il maggiore Tentori mi racconta anche la fine
eroica di un caporal maggiore che, colpito al veq-
IL >riO DIARIO DI GUERRA
ns?
tre, è morto dicendo : — Mi za me moro, ma moro
contento' per l’Italia! Viva l’Italia! —
Nelle parole del maggiore — un uomo alto, dal
portamento nobile e marziale — vibra ancora un
intenso affetto pei’ i caduti.
Ho 1 assistito a sera inoltrata a una scena maca¬
bra. Una cassa da morto, fatta rozzamente, è stata
caricata su un mulo. Gli alpini lavoravano in si¬
lenzio. Dentro ci dev’essere — ho pensato — la
salma del povero Volonteri, che la pietà di un
amico ha dissotterrato per farla portare in giù, in
uno dei cimiteri dei pressi dell’Isonzo.
Venerdì 25 Febbraio.
Notte di tormenta. Stamani nebbia e neve si al¬
ternano. Abbiamo lavoralo intensamente. E’ la
guerra dei braccianti. La vanghetta vale il fucile.
Ora il nostro camminamento è profondo. Si può
stare in piedi senza pericolo di ricevere qualche
micidiale pallottola. Abbiamo rinforzato la trin¬
cea con sacchetti di terra. In poche ore ne abbia¬
mo riempito qualche centinaio. E’ giunto il nuovo
comandante del nostro battaglione, cav. Galassini,
modenese.
# * *
Il lenente medico Musacchio mi parla di uno
strano tipo di ammalato, ch’egli ha visitato stama¬
ni. Si tratta di un siciliano che afferma di essere
sialo « fatturato », cioè stregato, durante la licenza
120
BENITO MUSSOLINI
invernale. Sintomi della « fattura » : debolezza,
inappetenza, dolori vaghi e nostalgia. Comprendo
che un siciliano soffra di nostalgia, nostalgia del
sole, fra tanto gelo e tanta neve !
* * *
Gli ufficiali subalterni del rpio battaglione sono
tutti giovanissimi e ci trattano col « tu » confiden¬
ziale. La notte scorsa, secondo quanto mi dice il
tenente Azzali della 6 a compagnia, gli austriaci —
in vesti bianche — si sono mossi per il solito at
lacco, ma i bersaglieri del 33°, che non hanno l’a¬
bitudine disastrosa di dormire in trincea, hanno,
con cinque minuti di fuoco, sventato il tentativo.
Sabato 26 Febbraio.
Nottata di guardia. Tormenta di neve sino a
mezzanotte. Il capitano ha vegliato tutta la notte
insieme con noi. Ha declamalo un brano del Ne¬
rone di Coss'a. Per ingannare il tempo, abbiamo
canticchiato. A mezzanotte, Reali, chef de cuisine
della squadra, ci lia preparato una specie di punch
che bruciava gli intestini; poi ci ha intrattenuti su
gli usi e costumi nord-americani. Le notizie da
Verdun hanno suscitato grande interesse fra noi.
Verso le quattro, si è udito gridare alla nostra si¬
nistra :
— All’armi ! All’armi ! —
Siamo usciti immediatamente dalle nostre bu-
1
IL MIO DIARIO DI GUERRA
123
che — quattro in tutta la trincea — e ci siamo
messi in linea. Tutto 1 ciò è avvenuto con la rapidità
del baleno.
— Le bombe ! Le bombe ! —
In questo momento il nevischio ci frusta violen¬
temente la faccia. Ecco le bombe. Il sacco era in
consegna alla nostra squadra.
— Fuoco ! —
Ho sparato tre caricatori. Poi mi sono scaldato
le mani alla canna tepida del fucile. Gli austriaci
non hanno sparato nemmeno un colpo.
All’alba ho visto un fenomeno strano, dovuto
certamente all’azione dell’elettricità. La punta dello
nostre baionette brillava come se fosse uscita dal
fuoco. Anche il capitano ha osservato il fenomeno.
Stamani, sole. Il bianco della neve abbacina. So¬
lito bombardamento 1 degli austriaci, contro le no¬
stre irreperibili batterie della stretta di Saga.
27 Febbraio.
Breve sole. Adesso nevica ininterrottamente da
quindici ore. Di guardia alla trincea. Se continua
a nevicare, la nostra situazione può diventare dif¬
ficile. Oggi, per la prima volta, siamo rimasti sen¬
za pane.
* # *
La posizione della nostra trincea non ci permet¬
te, in caso di un serio attacco austriaco, nessuna
possibilità di scelta; bisogna resistere sino all’ul-
124
BENITO MUSSOLINI
limo uomo. La trincea è scavata proprio all’orlo
di uno .scoscendimento del Kukla, che precipita
quasi a picco, per alcune centinaia di metri, sino
al pianoro dove c’è il Comando di Brigata. Riti¬
rarsi, significa precipitare, rotolare nell’abisso.
Resistere, dunque, e siamo pronti !
28 Febbraio.
Oggi abbiamo lavorato di vanghetta e badile.
Ce solite fucilate tra vedette. Nessun ferito.
29 Febbraio.
Domani avrò i galloni da caporale. Un piccolo
avvenimento nella mia vita di soldato. Il capitano
ha motivato cosi la proposta :
« Per Fattività sua esemplare, l’alto spirito ber¬
saglieresco e serenità d’animo. Primo sempre in
ogni impresa di lavoro o di ardimento. Incurante
dei disagi , zelante e scrupoloso nell’adempimento
dei suoi doveri ».
* * *
Dialogo colto a volo ieri sera :
— Tenente Barbieri, quant’è la forza della com¬
pagnia montata stasera di guardia alla trincea?
— Centosette uomini.
IL MIO DIARIO DI OUERRA
125
— Ma lassù non ce ne sono che sellaulaquatlro
contati da me.
— Si vede che i «disponibili» non sono di più. --
Fra i cosiddetti « disponibili » c’è sempre qual¬
che « imboscato » che « sbafa » la guardia, cioè,
non la fa.
2° Marzo.
Notte di guardia alla trincea. Nevica. Sono sce¬
so all’alba. Battaglia a pallate di neve. Giungono,
verso mezzogiorno, alcune bombe austriache. Una
vittima. Un alpino del battaglione Bassano. Lo
portano in barella al posto di medicazione, ma ci
restano un attimo. Brutto segno ! L’alpino è mor¬
talmente ferito. Sulla mulattiera c’è una striscia di
sangue e di materia cerebrale. Padre Michele mi
racconta che al 27° battaglione, che trovasi alla
nostra destra, ci sono stati due morti e due feriti
da pallottole delle vedette. Anche il tenente Ra-
petti è ferito, ma non gravemente.
Giovedì, 2 Marzo.
Stanotte di guardia. Neve. Neve. Sono ubriaco
di bianco. Era con noi il capitano. Si è allogato
alla meglio nella nostra tana, gocciolante da tutte
le parti e ci ha Ietto moltissime pagine del libro
del povero Lucatelli : Come ti erudisco il pupo. Mi
sono divertito. Sull’alba il sonno mi ha preso. Per
126
BENITO MUSSOLINI
vincerlo ho ingoialo mezza bottiglia di rhum che,
come dice p etichetta, contiene tanto « alcool pari
al 21% del suo volume ». Novità. Stamani, presto,
una valanga ha travolto quattro alpini e un mulo.
Altra novità. Son riaperte le licenze invernali.
Spetta anche a me, di diritto. Foglio rosso, tra¬
dotta N. 1.
Partono con me Reali, Morano, 'l ineila, Morani,
il lenente Barbieri di Modena. Terza novità. An¬
che il battaglione scende stasera e va a Serpenizza.
Onesta notizia mi fa piacere. Il pensiero di lascia¬
re i miei compagni sul Rombon turbava un po’ la
mia gioia. Durante il tragitto, gli austriaci ci spe¬
discono tre shrapnels. Qualche altra cannonata
scoppia su noi, in prossimità di Osteria, sulla stra¬
da maestra imperiale di Plezzo. Notte di sosta a
Serpenizza.
3 Marzo.
Le compagnie del mio battaglione sono discese
la notte scorsa. Partenza. Poco olire Serpenizza,
passiamo davanti ai baraccamenti dove hanno per¬
nottato i miei commilitoni. Auguri e saluti. Piove
a dirotto. Sosta a Ternova per il bagno e la visita
medica. Tappa notturna a-Svina, a cinque minuti
da Caporetto'. Svina è un villaggio di poche case.
Notte in un solaio, sulla paglia. Non siamo molti.
E’ una delle ultime tradotte. I permissionaires ten¬
gono un contegno dignitoso e corretto. Non grida,
IL MIO DIARIO DI GUERRA 127
non schiamazzi : la gioia c’è, ma è contenuta nei
cuori. Si formano dei crocchi, dove vengono nar¬
rati episodi di guerra. E passano nel racconto il
Monte Nero, il Vrala, il Vrsig, l’Jaworcek, il
Rombon, le montagne dell’Alto Isonzo, santificate
dal sangue italiano.
Un mese fra le
montagne della Carnia
25 Marzo.
Cerco da cinque giorni il mio battaglione.
L’ho lascialo a Serpenizza a riposo. So che è
rimasto dieci giorni a Pinzano sul Tagliamento.
Poi è parlilo per la Carnia, ma per destinazione
ignota. Giro da cinque giorni, in lungo e in largo,
la Carnia, a piedi e in ferrovia. Da Tolmezzo a
Paluzza. La colonna dei bersaglieri che tornano
dalla licenza invernale è scortata da due carabi¬
nieri a cavallo. Attraversiamo il ponte del But che
« irrompe e scroscia ». Si marcia in ordine. Ecco
Terzo, Cedarchis, Enemonzo, Arta. Ho appena il
tempo di leggere l’epigrafe che ricorda il soggior¬
no di Giosuè Carducci in questi luoghi.
Un po’ di sole. La strada s’inoltra fra abetaie
foltissime e odoranti. C’è nell’aria il tepore della
primavera. I torrenti ingrossati dal disgelo urlano
tra le gole dei monti. Verso Paluzza, la valle del
But si allarga. A Paluzza, il maggiore degli alpini,
che sla al Comando di tappa, mi dice, finalmente,
dove si trova il mio battaglione. Lo raggiungerò
Mussolini. - Il mio diario di guerra
9
130
BENITO MUSSOLINI
domani. Passo la serata a Paluzza, popolata da
soldati di ogni arma. Il paese è intatto. L’artiglie¬
ria nemica non lo ha mai raggiunto. Timau, inve¬
ce, secondo quanto mi dicono abitanti di Paluzza,
è una rovina. Timau è l’ultimo abitato che si trova,
prima di raggiungere le posizioni ormai famose del
Pai Piccolo, Pai Grande, Freikofel.
26 Marzo.
Giunge dal Freikofel il rombo ininterrotto del
cannone. Sì combatte. Ma l’eco della battaglia vi¬
cina non sembra turbare eccessivamente i citta¬
dini di Paluzza.. La caratteristica chiesetta, dinanzi
alla fontana, rigurgita di gente che ascolta la mes¬
sa. Gruppi, fra i quali sono molti soldati, stanno
davanti alla porta principale e a quelle laterali. Un
sergente maggiore del Comando di tappa mi in¬
tornia che da Timau si sono chieste « tulle le am¬
bulanze disponibili ». Ciò dà un’idea della gravità
del combattimento.
. Alle undici ci raduniamo per partire. Siamo ac¬
compagnati dal sottotenente Menini, lombardo.
Addio Paluzza ! Attraversiamo il Bui e tocchiamo
Gercivento. Segue Ravasclelto, dove troviamo la
neve. Siamo a 947 metri. Vecchi e donne sono
nelle strade a goaersi il sole e il riposo domeni¬
cale. Un particolare significativo che denota il pa¬
triottismo di queste popolazioni. A Ravasclelto —
paese di poche centinaia di anime — sono state
sottoscritte ben 25 mila lire per il terzo prestito
IL MIO DIARIO DI GUERRA
131
nazionale. Sosta per il rancio che confezioniamo
in casa di un contadino che ci offre le marmitte.
In marcia ! Ora la strada riscende. Il panorama
che si offre allo sguardo è sempre incantevole.
Gamia pittoresca e ospitale!! Breve tappa a Pau-
laro: un villaggio. Entriamo in una casa — che
ha una certa grazia di villetta signorile — per bere
un sorso d’acqua. Ci viene offerta, con gentilezza,
dalle donne di casa. Tre ragazze : Mina, Antoniet¬
ta, Maddalena. Noto un grande ritratto di Bene¬
detto Cairoli e uno piccolo di Gabriele d’Annun-
zio. Donne italianissime. Cantiamo insieme l’inno
di Oberdan. Saluti e auguri.
Ecco Gomeglians, da dove comincia la valle del
Degano. Tappa serale a Rigolato, pieno di alpini
del 3°. Sono giovani del ’96 provenienti da Tori¬
no. Le osterie sono affollate di soldati. Nelle stra¬
de non ci sono fanali. Buio pesto. Ma da un accan¬
tonamento, non lungi dalla strada principale, si
leva un coro :
Al 27 maggio
Al tramonto del sol,
Affondavasi una barca
Nel Lago Maggior.
Bella che dormi
Sul letto dei fior,
Svegliati e poi ricevi
Un bacio d’amor...
11 coro lento a tre voci si diffonde con una certa
solennità nella notte stellata.
132
BENITO MUSSOLINI
2? Marzo.
Da Rigolato a Forni ci sono 7 km. e mezzo di
strada maestra. A Forni c’è il Comando del mio
battaglione. Lungo la strada, il solito movimento
delle retrovie : biciclette, carri, carnions.
Incontriamo una piccola automobile della Croce
Lossa inglese, guidata da uno chauffeur coli’incvi-
labile pipa corta in bocca. A Forni, dove giungia¬
mo verso le 11, ci dicono dove si trova la mia
compagnia. Ci mettiamo al seguito della colonna
ilei muli che portano i viveri. Di rimarchevole a
borni non ho visto che un palazzo delle scuole ele¬
mentari, quasi grandioso. Siamo una decina di
bersaglieri. E’ con noi l’aspirante ufficiale Baldesi,
toscano. Tre ore di marcia lungo una mulattiera
che atlraversà un’abetaia cosi folla, che impedisce
al sole di giungere a terra.
A quota 15/G, alla destra del torrente Borda¬
glia, che nasce dal laghetto omonimo, trovo il 1°
plotone della mia compagnia. Sono arrivato. Il
plotone è ricoverato — insieme con altri bersa¬
glieri ciclisti del 10° — in una baracca di legno
a tre piani. Di fianco c’è la cucina e uno sgabuz¬
zino, sulla cui porta mal connessa sta scritto pom¬
posamente : Sala convegno per fumatori. C’è il fu¬
mo, ci sono i fumatori, ma quanto alla sala è...
un esagerazione. La stanchezza mi concilia rapi¬
damente il sonno.
IL MIO DIARIO DI GUERRA
133
28 Marzo.
Alba grigia. Qualche raffica di nevischio, atte¬
nuata da ondate di sole. Bizzarria della montagna.
II Comando della nostra compagnia è 300 metri
più in alto. Vi salgo per presentarmi al capitano.
Nel tragitto ho modo di orientarmi sulle nostre poi-
sizioni. Siamo fortificatissimi! Tutta la neve, vici¬
no e lontano, è punteggiata dai pali dei nostri reti¬
colali. Di qui, non passeranno mai !
29 Marzo.
Stamani, ricognizione volontaria. Sono disceso
nella valle, sino alla confluenza del Bordaglia col
Volaja. Laggiù una squadra di alpini schyatori si
esercitava. Pomeriggio insignificante. La prima
squadra è di guardia all’accantonamento. Sono
capoposto. Notte tranquilla.
30 Marzo.
Nevica da sedici ore. Tutto è‘bianco. La mulat¬
tiera è sommersa. Pomeriggio: nevica sempre. La
posta non è giunta. Ore lunghe. Nella baracca,
al primo, al secondo, al terzo piano — totale al¬
tezza quattro metri o giù di lì — si gioca a carte,
si fuma, si canta. Io, col ventre a terra, scrivo
queste note. Tipi di soldati: Meiosi Piacentino,
lucchese, tornato dall’America. Classe 1893. E’ il
134
BENITO MUSSOLINI
l'ero tipo del toscano medio: asciutto, intelligente
e provvisto di una buona lingua snodata.
— Sono tornato in Italia per Vonore — egli mi
dice, iniziando la nostra conversazione._Cinque
anni or sono andai in America e quando fu chia¬
mata la mia classe, non essendomi presentato fui
dichiarato disertore. In America, a Richmond,’ ca¬
pitale dello Stalo di Virginia, avevo un piccolo
commercio di confettiere. Gli affari non andavano
male. Scoppiò la guerra europea. Quando l’Italia
entrò in campo, sentii che non potevo più oltre re¬
stare lontano dalla mia Patria e sono tornalo. Po¬
tei u entrare nella Sanità, ma ho preferito un’arma
combattente e sono qui a fare il mio dovere._
E un fatto, che i soldati tornati dall’America
costituiscono la parte migliore delle truppe al
fronte. * 1
i Domattina, sveglia alle quattro. Dopo gli attac¬
chi al Pai Piccolo, bisogna vigilare. Tale è l’or¬
dine telefonico del capitano.
L eventualità di un’azione lusinga i soldati.
Nevica sempre. Sono cadute due valange con
un boato tremendo. Non si ha notizia di vittime.
I molli in seguito a valanghe non sono stati molti
in questa zona : cinque e alcuni feriti.
31 Marzo.
Dopo tanta neve, ecco una mattinata meraviglio¬
sa di sole. Nella chiarità diafana, trasparente del¬
l’orizzonte, si stagliano netti i profili e le merlet¬
1L MIO DIARIO DI GUERRA
135
tature delle montagne bianchissime. Lontano si
vedono le guglie dolomitiche del Cadore.
Una linea sottile di porpora annuncia il sole.
Se fossi un poeta !
Intanto, al lavoro. La mulattiera è colma di
neve. Anche i sentieri d’accesso alle « ridotte »
della prima e della seconda linea sono ostruiti. Dai
costoni quasi perpendicolari dei monti di Vas e
Omladet che ci stanno di fronte, si staccano fre¬
quenti valanghe. Da lontano sembrano cascate
mugghianti. Turbinìo di neve sulle cime. Pare che
la montagna fumighi. Pomeriggio solatìo e calmo.
Qualche fucilata solitaria. Verso le tre, abbiamo
notato due palloni bianchi, altissimi, che il vento
spingeva verso di noi, dalle linee nemiche. Si trat¬
ta di uno dei solili trucchi austriaci; il cesto del
pallone recava una poesia contro Cadorna — scrit¬
ta in italiano — e due cartine geografiche : Ciò
che otteneva l'Italia senza la guerra e ciò che ha
ottenuto in dieci mesi di guerra.
Il Comando austriaco che ci fronteggia e rima¬
sto alla tesi del « parecchio » di giolittiana, nonché
ignobile memoria.
— Ma se i tedeschi — commenta un arguto ber¬
gamasco — non hanno altri « balloni » da sparare,
presto son fritti. —
T Aprile.
Sono capoposto della guardia al <• blockhouse »
N. 2 dei posti avanzati d'i prima linea, oltre il vai-
136
BENITO MUSSOLINI
loncello della valanga. Il « blockhouse » N. 3 è
stato travolto e sommerso da una valanga. Per for¬
tuna, era stato abbandonato in tempo e non ci sono
state vittime. Ho con ine i bersaglieri Reali Oreste
di Milano, Alcenzo Memore di Fiume Marina Ma¬
rano Arturo di Codroipo, Buggeri Pietro dì Fa¬
briano, Mastromonaco Giuseppe del Molise Scac-
chelti Ezio nato a Costantinopoli da genitori man-
tO'vani, e Tonini, piacentino.
I quattro « blockhouses » o ridotte, costituiscono
la nostra prima linea. La consegna è di difenderli
sino all arrivo dei rinforzi della seconda linea e se
1 rinforzi non arrivano, difenderli egualmente sino
all ultima cartuccia. Sono ridotte costruite con
grossi tronchi d’albero, resistenti a granate di pic¬
colo calibro. Per giaciglio, un tavolaccio ricoperto
e reso un po’ soffice da uno strato di fronde d’a¬
bete che emanano l’odore grato e resinoso delle
coni ere. Nel pomeriggio, intermittente e innocuo
bombardamento a shrapnels. Passa un Taube al¬
tissimo, oltre il tiro possibile dei nostri fucili Fila
veloce in direzione della Valle del Degano.
2 Aprile.
Sole Appena giorno, muoviamo in ricognizione
verso le posizioni austriache.
Siamo in cinque. La neve poco resistente ci im¬
pedisce di camminare con velocità. Siamo giunti
in prossimità del Passo di Giramondo, dominato
alla sinistra, per chi sale lungo il Rio Volaja, dal
IL MIO DIARIO DI GUERRA
137
Picco- di Giramondo che appare come un « Termi¬
ne » gigantesco posto dalla natura per segnare i
confini d'Italia. Verso le 10 il solito Taube è ve¬
nuto sulle nostre posizioni.
Quantunque fosse molto alto, abbiamo fatto fuo¬
co egualmente. Dopo il secondo rancio, quando
scendono dai monti le prime ombre della sera,
mentre sulle cime si attarda la luminosità del cre¬
puscolo, i soldati si riuniscono e cantano in coro.
Sono vecchie canzoni semplici di parole e di melo¬
dia, che si prestano al canto a più voci.
Ieri nel mio « blockhouse » venne cantato il La¬
mento del soldato per la morie della fidanzala.
Ecco le parole. 1 versi sono rozzi, ma c'è in essi
una fresca vena di sentimento :
Trenta mesi che faccio il soldato
E una lettera mi vedo arrivar.
Sarà forse la mia amorosa
Che ho lasciata nel letto ammalò.
.4 rapporto , signor capitano ,
Se in licenza mi vuole mandar.
in licenza li manderia
Purché ritorni da bravo soldà.
Glielo giuro signor capitano ,
Che ritorno da bravo soldà ,
Quando giungo vicino al paese ,
La campane io sento a suonar.
138
BENITO MUSSOLINI
Sarà, forse, la mia amorosa
Che la portano a sotterrar.
O becchino, che porti la bara
Per favore, riposati un po'.
Se da viva , non l’ho mai baciala,
Or eh’è morta , la voglio baciar!
La sua bocca, ora, sente di terra,
Mentre prima odorava di fior!
Sono le canzoni sgorgate dall’anima primitiva
del popolo. Sono passate da generazione a gene¬
razione e i soldati se le sono trasmesse da una
classe all’altra.
Ore quindici. Riapparizione del Taube nemico,
che vola altissimo. Verso il tramonto, duello strac¬
co delle opposte artiglierie. Distribuzione del ta¬
bacco governativo, con le relative Ire cartoline in
franchigia.
Si scrive. Si fuma. 11 fumo è una distrazione.
3 Aprile.
Grande sole. Stamani nella solita « ricognizio¬
ne » ci siamo spinti ancora più in là. Erano con me
i caporali Pietroantonio, un giovane abruzzese tor¬
nalo dall’America per lare il soldato, e Serrato
Antonino, un valido e animoso siciliano del di¬
stretto di Cefalù. Verso le 11, l’artiglieria nemica
ha battuto con granate-shrapuels le nostre posizio¬
IL MIO DIARIO DI GUERRA
139’
ni della Selletta fra il But e l’Omladel. Le granate,
scoppiando, chiazzavano di nero la neve. Pome¬
riggio di silenzio alto, interrotto soltanto dal rom¬
bo delle valanghe. Le quali non sono le valanghe
dirò così « classiche » che si formano col « sasso
che dal vertice » rotola giù nella valle. Sono, in¬
vece, grandi strati di neve che slitta dai costoni
più ripidi, per effetto dei vento o del peso della
neve stessa. Qua e là, la montagna comincia a mo¬
strare le sue rocce. E’ la primavera? Un tenente
del battaglione ciclisti mi regala, come suo ricor¬
do, una fotografìa delle posizioni del Passo di Gi¬
ramondo e del Volaja. Ieri, mentre gli alpini ope¬
ravano il « cambio » dei piccoli posti in Bordaglia
Alta, furono scoperti dalle vedette austriache. Tre
morti dei nostri sono caduti nel camminamento,
fra la neve.
4 Aprile.
Ricognizione mattutina al valico del Volaja. Sia¬
mo ridiscesi per il torrente omonimo sepolto sotto
la neve. Nel pomeriggio, nuova ricognizione su
Bordaglia Alta. Siamo saliti per un pendìo ripidis¬
simo. Erano con me il tenente Santi e tre alpini
della compagnia volontari alpini. Indossavano il
camice bianco. Questi volontari sono in gran par r
te carnioli e friulani. Gente del paese. Di tutte le
età. Di tutte le condizioni sociali. Sbarrando i pas¬
si ai confini d’Italia, essi difendono le loro case,
le loro famiglie, i loro villaggi che sarebbero i
140
BENITO MUSSOLINI
primi a subire le violenze dell’invasore. Gente sim
patica. Siam giunti al laghetto di Bordaglia, com¬
pletamente gelato. Dal laghetto ha origine il tor¬
rente omonimo che si getta a Pierabech nel Fleons
o Degano, dopo aver ricevuto, come confluente, il
Volaja.
Il tenente Santi — che oltre ad essere il mio
superiore, è un mio amico carissimo — ci ha fatti
sostare per alcuni minuti in posizione conveniente
per vedere, senza essere visti, le linee nemiche
Col binocolo si vedono benissimo, anche nei det¬
tagli, i « blockhouses » austriaci che presidiano il
Passo di Giramondo.
11 tenente Barnaba, territoriale, della compa¬
gnia dei volontari alpini, è stato lieto di incontrar¬
mi, e ci ha offerto un sorso di cognac. Di lassù,
lo sguardo abbraccia un panorama di montagne
meraviglioso. Le Dolomiti della sinistra del Cadore
lanciano al cielo le loro guglie sottili. L’anima —
dinanzi a questa visione — si dilata e si esalta. La
montagna, come il mare, fa « sentire » l’immensità.
5 Aprile.
Nebbia, maltempo. Mattinata grigia. Nessuna
ricognizione. I soldati hanno brevi momenti di te¬
traggine, seguiti da esplosioni di gioia e di alle¬
gria talvolta fanciullesca. La neve se ne va. I bu¬
caneve — primi fiori della montagna — comincia¬
no a tappezzare i tratti scoperti. Oggi, non una
cannonata e nemmeno fucileria. Quiete assoluta.
IL MIO DIARIO DI GUERRA
141
Divaghiamo. Tipi di soldati. Ascenzo Memore, del
distretto di Savona, marinaio di mestiere. Basta
mostrargli una cartolina illustrata con una barca,
per fargli sentire tutte le acute nostalgie del mare.
Nato a Final Marina. I suoi racconti della vita
marinaresca m’interessano. Fa il soldato volen¬
tieri e odia i tedeschi. Lo chiamiamo marinai-elio.
Abbiamo invece affibbiato il soprannome di ara-
betto a Ezio Lucchetti che è nato e vissuto a Co¬
stantinopoli, dove la famiglia sua è rimasta sotto la
protezione degli Stati Uniti, mentre lui tornava vo¬
lontariamente in Italia per la guerra. Ha un po’ la
silhouette del turco. Calmo, flemmatico, parla in
italiano con un leggero accento esotico un po' tur¬
co e un po’ francese. Fuma... come un turco. Una
sigarétta gli pende continuamente dalla bocca e
un’altra sta, di riserva, .sull’orecchio destro.
Oliando Ascenzo vuole « sfottere » 1 ’Arabelto, lo
chiama « aggregato all’Italia ». E allora VArabel-
to perde la sua calma abituale e « scatta » per pro¬
clamarsi « italiano » di razza e di sentimento.
Pomeriggio. Arriva la posta. Tutta roba in ri¬
tardo. La posta nuova non ha ancora, come dicia¬
mo nel nostro gergo, « trovala la strada ».
6 Aprile.
Giornata movimentata quella d’oggi. Scrivo
queste righe, a notte alta, nel « blockhouse » illu¬
minato da un mozzicóne di candela. I miei com¬
pagni dormono. Stamani ho compiuto la solita ri-
142
BENITO MUSSOLINI
cognizione. Siamo giunti sino al costone che per
la sua strana conformazione viene chiamato « spi¬
na di pesce ». In quel punto la neve è alta oltre
dieci metri. Ha colmato gli scoscendimenti e for¬
mato una specie di pianoro.
Durante tutta la mattinata, violento duello delle
artiglierie di medio e grosso calibro. All’una del
pomeriggio ho ricevuto un ordine-fonogramma di
intensificare la vigilanza e di lavorare attorno al
« blockhouse » essendoci probabilità di un attacco
nemico. Ci siamo messi immediatamente al lavoro.
Mentre le artiglierie ricominciavano il loro bom¬
bardamento reciprocò, abbiamo scavato una trin¬
cea a destra e una a sinistra della ridotta. Qui
opporremo la prima resistenza. Poi ci chiuderemo
nel « blockhouse » che ha tante feritoie quanti so¬
no gli uomini di guardia. La consegna è semplice
e categorica. I « blockbouses » devono resistere a
oltranza, sino all’ullima cartuccia. Abbiamo infatti
un’abbondante dotazione di munizioni.
— Il lenente ci ha detto :
In caso di attacco, voi siete i « sacrificati »
se i rinforzi non giungono in tempo. —
Posa di reticolati. Oltre i posti di vedetta, i fili
di ferro dentato sono intricatissimi.
Il bombardamento nemico sul Volaja è durato
sino a notte. Due granate sono cadute poco lungi
da noi, ma senza scoppiare.
— Vigilare! Occhi aperti, stanotte, e orecchie
spalancate! —
IL MIO DIARIO DI GUERRA
143
7 Aprile.
Solita ricognizione. Ci siamo spinti oltre il co¬
stone Lambertenghi, così chiamato in onore del
tenente degli alpini, che scendendo dal Volaja in
ricognizione, vi fu colpito a morte da una fucilata
austriaca. Qui, alcuni mesi fa, venne catturata dai
bersaglieri una piccola pattuglia nemica. Cielo nu-
biloso. Pochi colpi di cannone nel pomeriggio.
* * *
11 « morale ». Posso scriverne dopo tanti mesi
di consuetudine coi soldati ? Che cosa è il « mora¬
le »? Definirlo in maniera precisa, racchiuderlo’ in
un breve giro di frasi come un ordine di servizio
è impossibile. 11 « morale » appartiene alla cate¬
goria degli « imponderabili » : non lo si misura, lo
si sente, lo si avverte, lo si intuisce. Il « morale »
è il maggiore o minor senso di responsabilità, il
maggiore o minore impulso al compimento del
proprio dovere, il maggiore o minore spirito di
aggressività che un soldato possiede. Il « morale »
è relativo, variabile da momento a momento ; da
luogo a luogo. Questo stato d’animo che si rias¬
sume globalmente col termine « morale » è il coef¬
ficiente fondamentale della vittoria, preminente in
confronto dell’elemento tecnico o meccanico. Vin¬
cerà chi vorrà vincere ! Vincerà chi disporrà delle
maggiori riserve di energia psichica volitiva. Cen¬
tomila cannoni non vi daranno la vittoria, se i sol¬
dati non saranno capaci di muovere all’assalto;
144
BENITO ÌITJ3S0L1NI
se non avranno il coraggio — a un dato momento
— di « scoprirsi » e di affrontare la morte. Non si
può giudicare il « morale » dei soldati da un sem¬
plice episodio o da un contatto occasionale. 11 ge¬
sto di un soldato vi può far credere che tutto l’esei-
cito sia composto di eroi, la parola di un altro vi
può far pensare esattamente il contrario. L’errore
della « generalizzazione » è quello nel quale cado¬
no coloro che parlano di « morale » senza aver vis¬
suto coi soldati ed essendosi limitati, invece, ad
una rapida visita o ad un fugace colloquio. 11 «mo¬
rale» dei soldati in prima linea è diverso da quello
dei soldati delle retrovie; le classi anziane e le
classi giovani hanno un « morale » diverso; i sol¬
dati contadini presentano differenze di « morale »
in confronto dei soldati nati e vissuti nelle citta.
Il « morale » dei soldati che hanno battute le vie
del mondo, è più alto di quello dei soldati che non
mossero mai piede oltre la cerchia del borgo na-
tìo; le sfumature sono infinite, come innumerevoli
sono i tipi umani. Rivendico il diritto di trattare
la questione, perchè ho « studiato » coloro che mi
circondano, che dividono meco il pane, il ricovero,
i disagi, i pericoli; ho « sorpreso » i loro discorsi,
fissati i loro atteggiamenti spirituali e nelle più
svariate contingenze di tempo e di luogo che la
guerra impone al soldato: in prima linea e in se¬
conda linea; in trincea e in riposo; durante il mu¬
ro, prima e dopo il fuoco; nel treno attrezzato;
all’ospedale, nelle tradotte; al deposito di monu¬
mento, durante le marce di giorno e di notte; sot¬
to la pioggia, sotto la neve, sotto la milraglia ..
IL MIO DIARIO DI GUERRA
143
E la mia conclusione è questa: il «morale» dei sni¬
dali italiani è buono: i soldati italiani sono disci¬
plinati, coraggiosi, volonterosi. Sapendoli pren¬
dere per il loro verso, considerandoli capaci di ra¬
gionamenti e non semplici numeri di matricola, si
può ottenere dai soldati italiani lutto ciò che si
vuole; dal lavoro oscuro della corvée all’assalto
irruente e micidiale della baionetta. » 5
Una compagnia in guerra ha circa 250 uomini.
Dal punto di vista del « morale » si possono divi¬
dere in gruppi nella maniera seguente.
Ci sono 25 soldati — artigiani, professionisti e
volontari italiani — che sentono le ragioni della
nostra guerra e la combattono con entusiasmo.
Altri 25 sono quelli tornali volontariamente dai
paesi d’Europa o da quelli d’olire Oceano. Gente
che ha vissuto: gente che ha acquistato una cella
, esperienza sociale. Sono soldati ottimi sotto ogni
rapporto. Ci sono una cinquantina d’individui —
giovani — che fanno- la guerra volentieri. Il gros¬
so della compagnia — un centinaio — è rappre¬
sentato da coloro che stanno fra i rassegnati e ì
volonterosi : accettano il fatto compiuto, senza di¬
scuterlo. Sarebbero rimasti volentieri a casa, ma
ora la guerra c’è e sanno compiere il proprio
dovere.
Ci sono in ogni compagnia una quarantina di
individui indefinibili, che possono essere valorosi o
vigliacchi, a seconda delle circostanze. 11 rimanen¬
te si compone ili refrattari, di incoscienti, di qual¬
che canaglia che non sempre ha il coraggio di ri¬
velarsi, per la paura del Codice Militare.
Mussolini. - li mio diario di qverrà.
146
BENITO MUSSOLINI
Queste cifre possono variare, ma la Proporzione
e quella In definitiva, il « morale » dei soldati di
pende da quello degli ufficiali che li comandano.
Non è il caso — ora — di dire ciò che si e tatto
per tenere allo il « morale »> dei soldati italiani e
ciò che non si è fatto. Verrà il tempo anche per
questo discorso.
S Aprile.
Sono smontato di guardia dai « posti avanzati >>.
Nel pomeriggio, le solite cannonate. Chi ci bada
più?
10 Aprile.
Niente di nuovo. La nostra fatica consiste ades¬
so nel rintracciare e scoprire i sentieri che la neve
ha sepolto. Squadre di operai borghesi lavorano
attivamente a costruire nuove « ridotte » e formi¬
dabili sbarramenti con « tagliale » di abeti.
* * *
1 n volontario ilalo-inglese così scrive al fratello
Marano Arturo, della mia squadra; è un documen¬
to interessante :
« Caro fratello, sono sette mesi che mi trovo sot¬
to le armi inglesi, ma ancora non sono stalo in
battaglia, ma se mi toccasse di andare sarei coii-
il MIO DIARIO DI GUERRA
147
tento di andare a combattere con quei barbari ger-
manesi, sarei contento di morire, ma prima vorrei
che qualche germanese mi passasse fra le mani,
f aro fratello, tu mi dici perchè non ho raggiunto
le nostre armi italiane. Se avessi potuto sarei ve¬
nuto. Ho scritto al Consolato italiano a Vancouver
in Canada e non mi ha mai risposto. Cosi raggiun¬
si le armi inglesi e per la verità non si sta male.
Io non parlo l’inglese, ma mi « rangio » per bene.
Diamoci coraggio tutti e tre i fratelli sino alla
vittoria e dopo raggiungeremo la casa paterna tutti
e Ire insieme, per non più abbandonarla ».
11 Aprile.
Fatto due trincee e un sentiero clic unisce tutta
la linea delle nostre << ridotte ». Nel pomeriggio,
dodici cannonate a shrapnels.
12 Aprile.
Questa è la guerra del buio, della notte. Le
giornate trascorrono in una grande tranquillità;
le notti invece sono sempre movimentate. Si co¬
mincia a combattere nel crepuscolo c si continua
a tenebre alte. Stanotte fuoco vivo di fucileria in
Bordaglia Alta. Lo scoppiettare secco dei fucili
era, di quando in quando, coperto dal fragore del¬
le bombe a mano.
Stamani una leggera nevicata. Poi, sole. Siamo
118
BENITO MUSSOLINI
aiutali ad ultimare le trincee. Quando si tratta di
((iiesli lavori, i soldati non « ballona la fiacca ». Le
due trincee dominano tutte la valle del Volaja.
Campo di tiro vastissimo, efficace, inibitorio. Me
lo ha detto il capitano Ricellieri, dei bersaglieri
ciclisti, che conosce a meraviglia queste posizioni.
Poiché l’ultima trincea in alto è stala disegnala
da me e scavata sotto la mia direzione, il capitano
Ricchieri mi tributa un piccolo elogio. Ho prepa¬
rato su due tabelle di legno, che abbiamo inchio¬
dato su due tronchi mozzati, i nomi delle trincee.
La più lunga, che è quella più in basso, sarà chia¬
mata d’ora in poi il « Trincerone dei bersaglieri »,
quella in allo « Trincea Cadorna » in onore del
nostro generalissimo.
Voci del gergo di guerra :
trottapiano = pidocchio:
spazzolino = attendente:
sigarette = cartucce fucile modello 1891:
cartolina in franchigia = soldato buffo:
una busta con quattro carabinieri = lettera
assicurata.
13 Aprile.
Mattinata e pomeriggio di calma. A sera l'atta,
quando eravamo già distesi sui nostri giacigli di
paglia ormai triturata, siamo stati svegliali dal
fuoco. Le nostre mitragliatrici e quelle austriache
cantavano a gola, cioè... a « nastro » spiegalo e la
fucileria crepitava intensa su Bordaglia Alta e Na-
IL MIO DIARIO DI GUERRA
149
vagnist. Silenzio tatto d’attesa. Poi una voce ha
gridalo :
— All’armi ! —
Alzarci, armarci, riempire il tascapane di car¬
tucce è stato l’affare di un minuto primo. Siamo
discesi in attesa di ordini. Mentre i minuti passa¬
vano senza ordini, io osservavo i miei commilitoni.
1 giovani tradivano una certa emozione, erano im¬
pazienti e temevano di giungere in ritardo a por¬
tare soccorso ai « fratelli » attaccati in prima linea,
ma i vecchi, invece, se ne stavano calmi, quasi
impassibili e forse un po’ scettici... Più previdenti
dei giovani, non avevano dimenticato il pane, e
nemmeno la cicca. Falso allarme?
Già : falso allarme. Ci rigettiamo a terra, arma¬
ti. per essere pronti al primo appello.
1-1 Aprile.
Pomeriggio di intenso bombardamento. Proiet¬
tili di lutti i calibri infuocano l’aria. Gli austriaci
si svegliano. La psicologia del vecchio soldato
dinanzi al cannone è in queste espressioni. Se è
un colpo isolato, il soldato si limita ad osservare:
L’ il buon giorno! Il buon appetito! La buona
sera! —
Se i colpi sono frequenti, vi presta una certa
attenzione. Di dove vengono? Ad ogni scoppio si
dice : -ii,
— E’ un 75 ! Un 155 ! Un 280 ! Un 305 ! _
Difficile sbagliare. L’orecchio è abituato
150
BENITO MUSSOLINI
Infine .se il bombardamento è continuo, ininter¬
rotto per ore e ore, una vaga inquietudine afferra
l’anima del soldato, che si domanda :
— Che cosa succede? —
Oggi il cannone non sosta. A sera ci giungono
notizie incerle sugli effetti del bombardamento. La
più provata è stata la sesta compagnia clic occupa
posizioni laterali alle nostre, sul Paralba. Un
« blockhouse » avanzato è stato preso di mira. Una
granata da 155 è scoppiata in pieno sul « block¬
house ». Dei nove bersaglieri che lo difendevano,
sei sono morti, tre gravemente feriti. Si sono .sal¬
vate le due vedette perchè stavano quindici metri
più innanzi.
15 Aprile.
Sole, ma soffia un vento di tramontana gelidis¬
simo. Esplorazione sulle propaggini del Volaja.
Siamo investiti da bufere di neve. Nelle ore pome¬
ridiane, intenso bombardamento. Ci sono alcuni
feriti leggeri, nella mia compagnia.
I monti che ci circondano sono quasi tutti alti
più di 2000 metri :
Monte Coglians, 2781;
Passo di Giramondo, 1930:
Monte Creta Verde, 2519;
Paralba, 2693;
Pizzo di Monte Carnico 1363:
Pizzo ^iraau. 2221:
Monte Crostis, 2251.
IL MIO DIARIO DI GUERRA
151
Stanotte sono stato posto di guardia con sci w -
mini al « blockhouse » n. 2 bis. Notte plenilunare,
ma freddo cane. Il vento che veniva dalle gole del
Volaja ci tagliava la faccia.
17 Aprile.
Stamani, violento, reciproco bombardamento.
Nel pomeriggio, una ventina di granate sono scop¬
piate sulla linea dei nostri « blockhouses » di se¬
conda linea, ma senza far danno.
IS Aprilr.
In seguilo al bombardamento di ieri, il cambi »
della guardia ai posti avanzati è stato eseguito pri¬
ma dell’alba. Sveglia alle tre. Mattinata grigia.
La «ridotta» N. 8 che occupo io ò stata la più ber¬
sagliata dalla artiglieria nemica. Abbiamo raccol¬
to dei cimeli. Schegge, alcune pallette di slirap-
nels, un bossolo da 125 e due spolette di shrap-
nels graduate a 64 ettometri. Neve per dodici ore
di seguito. Gli abeti incappucciati nuovamente di
bianco dànno alla zona Paspelto di un paesaggio
potare, come se ne vedono nelle vecchie illustra¬
zioni di Natale. Freddo. Silenzio. Malinconia.
Questa guerra è il grande crogiuolo che mischia
fonde tutti gli italiani. Il regionalismo è finito.
Degli uomini che compongono la mia squadra, il
Reali è milanese, il Balisti mantovano, il Tonini
BEI?ITO MUSSOLINI
35*2
è piacentino, Meiosi lucchese, Buggeri marchigia¬
no. Maslromonaco del Molise.
Verso sera, un po 3 di sole. Ma poi la neve ri¬
prende...
20 Aprile.
Una notte di plenilunio nell’alta, montagna tutta
bianca di neve è uno spettacolo magico, indimen¬
ticabile. Ho appreso dal Popolo , che mi arriva ab¬
bastanza regolarmente, la notizia della morte di
Gaetano Serrani. Povero amico! Era buono e bra¬
vo : non poteva non essere valoroso. Ricordi. Tri¬
stezza. Stamani, i soliti innocui colpi di cannone.
Pomeriggio invernale. Il vento fischia dal Volaja
a Navagnist. Nella « ridotta » la conversazione
gela. I miei commilitoni sono attorno alla stufa.
22 Aprile.
Vigilia di Pasqua. Un vento sciroccale improv¬
viso ha cambiato la neve in pioggia. L’acqua filtra
a guisa di stillicidio. Fragore di valanghe che ro¬
vinano tra il Vas e l’Omladet. Il Bordaglia non è
più coperto dalla nevé e fa sentire fra le rocce la
sua voce urlante. La cantilena delle sue cascale
predispone al sonno. E 3 giunta la posta. Molle car-
1L MIO DIARIO DI GUERRA
153
loline illustrate. Domani è Pasqua. Senza le car¬
oline illustrate, nessuno si sarebbe ricordato del¬
la solennità.
Pasqua del 11)10.
Quando, prima dell’alba, mi sono alzalo per
ispezionare la vedetta, pioveva. Poi, la pioggia è
diventata nevischio e neve. Nella « ridotta » è tutto
uno sgocciolamento'. Sul piancito c’è già un bel
guazzetto.
— Fra poco si va in buca... — dice qualcuno.
Le ore trascorrono lente, interminabili. Si can¬
ticchia :
Ed anche la Ten ibile.
Dice eh’è siala in guerra :
E siala a Serpenizza
A ramazzar la terra.
Non attacca. Mezzogiorno: nevica sempre. Po¬
nici iggio. nevica ancora. Ln giornale. L’annuncio
dell’arrivo dei soldati russi in Francia, la conqui¬
sta del Col di Lana e la conquista di Trebisonda
sollevano gli spiriti. Crepuscolo. Nevica sempre.
Pasqua bianca.
26 Aprile.
Notte un po J agitata. Verso le due le mitraglia¬
trici austriache hanno incominciato a « cantare »:
154
UENITO MUSSOLINI
nove bombe sono cadute in prossimità della nostra
< ridotta » ed anche alcuni shrapnels.
Corre voce che abbandoniamo questa posizione,
per recarci in altra del fronte, ma sempre in zona
Cantica. Smontato di guardia.
# * *
Quando si è costretti a vivere in molli, bisogna
abbrutirsi quel tanto che basii per sopportare gli
inevitabili inconvenienti, d’ordine materiale, ma
soprattutto spirituale, della promiscuità.
# * *
Ael pomeriggio, una valanga enorme di neve
si è, staccata da pendìi dell’Omladel e ha imboccalo
due canaloni : a un certo punto, la massa bianca
faceva un salto di un centinaio di metri, e riempiva
col suo fragore la valle. Finalmente il Volaja mo¬
stra la sua gobba nuda e non più circondala da
nebbia e nuvole.
Verso sera violento bombardamento delle nostre
posizioni, sulla selletta, tra il Vas e l’Omladel.
Ce l’ordine di movimento. Si parte !
28 Aprile.
Sveglia di buon’ora. Il Volaja ci ha voluto re¬
galare — a. guisa di addio — un’ultima bufera di
nv
Regio Esercito Italiano
li* REGGIMENTO BERSAGLIERI
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£0 t-t4i */tA f /Zy c- /f//
IL MIO DIARIO DI GUERRA
157
neve. Giungono j primi soldati di fanteria che ci
danno il cambio. Zaino in spalla-. Scendiamo. Pri¬
ma lappa al bivio *di Pierabech-Navagnist, per al-
lendere gli altri plotoni della compagnia. Giii nella
valle non c’è più neve e fa caldo. Seconda tappa a
Forni, per l’adunata di tutte le compagnie del bat¬
taglione. Due ore di libertà. Colazione all’albergo
della. Corona. E’ con me Reali. Una stanzetta al
piano superiore chiara e pulita. Alla parete un bel
ritratto a penna di Camillo Cavour, con questa
dicitura in francese : Premier Ministre da Boi de
Sardaigne. Una vecchia — di età assai avanzata,
ma ancora arzilla — sta agucchiando, vicino alla
finestra. Le domando:
— Il confine e mollo lontano di qui?
— Aon molto. Due ore o più.
— E come -i chiama il primo paese tedesco do¬
po il confine?
— Lackau.
— Ci siete stata?
1 na volta sola. A Luckau c’è un grande San¬
tuario e tutti gli anni, prima della guerra, si face¬
vano dei pellegrinaggi. Ci vogliono cinque ore di
cammino. Si passa da Pierebech e si rimonta il
Fleons.
La vecchia mi racconta, poi, l’episodio dello
sgombro di Forni, avvenuto alcuni mesi fa, solfo
la minaccia di una incursione del nemico.
— Un giorno, all’improvviso, il Sindaco ci die¬
de I oidinc di andar via. Nessuno restò nel paese.
Tulle le case furono chiuse e abbandonate. Che
confusione ! Clic disperazione ! Le famiglie povere-
15<?
BES1T0 MUSSOLINI
non sapevano come fare, nè dove recarsi. Noi ci
fermammo à Ivaro, altri a Rigolata. Donne e bam¬
bini piangevano. Scene da piangere. Siamo rima¬
sti lontano quaranta giorni che mi sono sembrati
quarantanni. Ma se tornassero un’altra volta, io
non partirei più, anche se fossi sicura di morire
fucilata da quei cani. Sono tanto vecchia! —
Ma il caso non si ripeterà. Le nostre difese nella
zona dell’Alto Degano sono semplicemente formi¬
dabili. Scendere, significa votarsi all’inutile mas¬
sacro.
Partenza per Comeglians. Nel prato sono rima
sii alcuni bersaglieri ritardatari. Due sono ubria¬
chi fradici. Li portano via in barella. Lungo la
strada, oltrepassiamo altri soldati, che il soverchio
vino bevuto ha gettato a terra. Spettacolo non edi¬
ficante ! La guerra nelle retrovie è cosi. In prima
linea il soldato è sobrio e schietto. Giunto nelle
retrovie, riprende le vecchie abitudini della bettola
mistificatrice. Ecco Comeglians. Grazioso. I suoi
dintorni sono, certo, fra i più panoramici di tutta
la Carnia. Questa regione afferra il cuore.
29 Aprile.
Mattinata di sole radioso. I boschi offrono al¬
l’occhio tutte le più delicate sfumature del verde
primaverile. C’è della gioia nella chiarezza diafana
dell’orizzonte, nel Degano che rompe le sue acqui'
impetuose fra i sassi, nel bianco della chiesa soli-
IL MIO DIARIO DI GUERRA
150
laria che dall’alto di una rupe scoscesa domina il
paese, nel fumo delle nostre cucine apprestate die-
Iro un costone perpendicolare, che forma — come-
ini dice un competente — un angolo morto totale.
Oggi, nel paese, c’è più silenzio e più ordine. Lo
sentinelle vigilano agii accantonamenti. Anche Co-
meglians — come tutti gii altri paesi della Carnia
— è senza uomini giovani. Si vede qualche vec-
cìuol molti bambini e donne. Ho avuto occasiono
di conoscere il Sindaco che è proprietario di un
albergo.
— Sono lieto — egli mi dice — di averlo avuto
mio ospite e conio di rivederlo a guerra finita. —
Parlo con un innamorato della montagna:
— Quando — egli dice — sono giunto alla più
alla vetta, ini par di essere il re dei re...
30 Aprile.
Sveglia prestissimo. E’ ancora notte. Zaino in
spalla. Da Comeglians a Villa Santina ci sono 13
km. e 800 metri. Arriviamo a Villa Saniina verso
le sei e ci fermiamo in un prato nelle vicinanze
della stazione per consumare il rancio unico. Il
sottotenente avv. Antonino Isola, catenese, viene a
cercarmi. Ci vediamo per la prima volta, ma ci
conosciamo — epistolarmente -— da molto tempo.
E’ ufficiale al 3° fanteria, composto esclusiva meni e
di siciliani.
— Ottimi elementi, e non lo dico per regiona¬
lismo! I miei piccoli siciliani hanno dato e darmi-
160
BENITO MUSSOLINI
rss. 1 ”?' Non desidm ”« <*• i’»««cco
senza fermarci ’ canta. Passiamo,
sta^ria^r.: ?r *
forte - m ^ a Degna, a
Primo Maggio.
inulattiei'a 0 /navoro 0n sUr teVa ^ primi,iva
pania di organizzazione e di tenacia n 1IP P'i^'
da che, domani costituirà Z n Q la * tra '
ciale fra Degna’ e Tm.vm a Vla commer-
"Itra delia modernità. Ad 'ZnZvoZ t ^
le nella roS «,Sf, ‘“"“"•l «•»«* scava-
1000. ci fermiamo c “ lln °’ 1 glUnl1 a c f llot a 900-
compagnia si accantona P °" l °- Par,e dt>lla
accantona m un gruppetto di case
IL- MIO DIARIO DI GUERRA
161
coloniche abbandonate, il mio plotone e il secondo
piantano le tende.
Il capitano fa adunare i graduali della compa¬
gnia e ci comunica che dal Comando del settore
dell’Allo Degano sono pervenuti due elogi alla lio-
'■tra compagnia per il servizio di guerra compiuto
lassù. ' 1
* * *
Qui, le montagne sono più scoscese di quelle
che abbiamo lascialo. Abbiamo di fronte la vera
parete del Monlasio, la cui cima tocca i 2754 me¬
tri ed è incappucciata di bianco.
2 Maggio.
Dopo tanti mesi, ho dormilo nuovamente sotto
la tenda. La prima volta, dopo il mio richiamo, fu
a La parelio, nel settembre. Sonno dolce, profon¬
do, riparatore. Stamani, grande sole. In fondo,
scroscia il Dogna. La valle è angusta : meglio 1 , non
esiste. Le montagne, a destra e particolarmente a
sinistra, scendono a picco. Poche ore di lavoro in¬
tenso e abbiamo trasformato l’accampamento. Sot¬
to la tenda abbiamo messo uno strato di fronde
di abete e di muschio profumalo. Ai Iati abbiamo
piantato degli alberi per nasconderci alla vista
dall’alto. Si respira. Vita semplice. Penso a Rous¬
seau c al suo « ritorno alla Natura ».
Mussolini. - II mio diario dì guerra.
Il
BENITO MUSSOLINI
162
3 Maggio.
Un Taube ci ha fallo una prima visila, ma vo¬
lava allissimo. Conoscenza di alcuni soldati del
(Jenio minatori. Sono interventisti. Uno di essi,
Nicola Pretto, di Valdagno (Vicenza) mi ha dato
da leggere un volume degli « Scritti » di Giuseppe
Al azzini. Pomeriggio di calma assoluta. Ho letto la
/Vili/, de Rimini. Peccalo che il testo sia lardellato
di errori di stampa. Mazzini vi afferra. Ho divo¬
rato la Lettera a Carlo Alberto, l/avevo letta da
studente. C’è in questo scritto di Mazzini qualche
cosa di profetico. Ho trascritto sul mio taccuino -
« Non v’è guerra possibile per la Francia ow
non sia nazionale; ove non s’appoggi sulle passioni
delle moltitudini, ove non s’alimenti d’uno slancio
comunicato ai 32 milioni che la compongono ».
E più oltre :
« Le grandi cose non si compiono coi protocolli,
bensì indovinando il proprio secolo. Il segreto del¬
la Potenza è nella Volontà... ».
E più oltre ancora, nello scritto intitolato: Di
alcune cause che impedirono finora lo sviluppo
della libertà in Italia (1832) :
" Mancano i capi; mancarono i pochi a t»ì>• -
i molti, mancarono gli uomini forti di fede e di
sacrificio, che afferrassero intero il concetto fre¬
mente delle moltitudini — che ne intendessero ad
un tratto le conseguenze — che, bollenti di tutte
le generose passioni, le concentrassero in una sola,
quella della vittoria — che calcolassero tutti odi
dementi diffusi, trovassero la parola di vita e di
IL MIO DIARIO DI GUERRA
163
ordine per tutti — che guardassero innanzi, non
addietro — che si cacciassero tra il popolo e gii
ostacoli con la rassegnazione di uomini condan¬
nali ad essere vittime dell 3 uno o degli altri; che
scrivessero sulla loro bandiera riuscire o morire T
e mantenessero la promessa ».
Non c’è — in questi brani — la divinazione de¬
gli eventi odierni? Ouaie meraviglioso «viatico»,
per un soldato combattente, gli scritti di Mazzini !
Ma chi li conosce fra questi miei 250 com¬
militoni ?
fi Maggio.
Il reggimento, dopo dieci mesi passali nella zo¬
na deir Alto Isonzo, è venuto qui a riposo. Ne
aveva bisogno. Ma riposo, non significa ozio. Ri¬
poso, se significa non combattere, vuol dire lavo¬
rare. .Strade, baracche, trincee, spostamento di
cannoni.
Stanotte, tempesta. Pareva che la nostra fragile
casa di tela dovesse venir spazzata via dal vento
.impetuoso che mugghiava. La pioggia scrosciava
sulla tela, ma dentro non una goccia. Bisogna non
toccare la tela. Oggi, dopo cinque giorni di attesa,
la posta. Ho ricevuto fra l’altro una cartolina con
questo indirizzo: Cap. B. Mussolini — Armée Ita-
liennc — Zona di Guerra (Italia). Ha impiegato un
mese giusto a trovarmi. Leggo:
Uh
BENITO MUSSOLINI
Du jroril belge, le 18-4-916.
immense servicefo^mìutout™
" adrniranon. S "! ^ f éUcit <*ons
ventsvoeuxpourle,^2V S<>S pU,s ^
et noble Italie Un nel il ™ ™ ee * la grande
pense bien sonvenl vinsi siminZ^) qui VOus
nrmee ». ' ; mule mire grande
3.eme Seclion Armée Bdge* B. 132.
devo ^ da l Rombon^^T^^ja Ch ° nnn rive -
Aon per catechizza rei ’ r; i ? ° a a nos,ra fenda.
di eccellenti sigarette brasili J^^! 0 due P acci ^tli
l’opuscolo di Giorgio Del \ ' 7 ° acuno C0 P ie del-
v *>„„ j "rL®" z mo 'r
z ">ni m latino e in franreso v ~ h,n S h <‘ ci»a-
denza e di contingenza " parto . di *•**,,-
delle Università non ner i °"°iJ^ e . r d P l, bblico
ranza dei ainli oer-' soldati, la maggio-
famiglia * ^ rive ^malamente alla pro^S
Voci del gergo soldatesco :
IO Maggio.
IL MIO DIARIO DI OTTERRÀ
165
che ora. Si chiama Simoni. Piemontese, un anti-
gioliltiano e interventista fervente. Mi ha narrato
le vicende guerresche di questa zona clic è la più
tranquilla — forse — dell’intera, fronte. Mi ha par¬
lalo d’una compagnia di alpini, conosciuta in tutta
la zona del Fella, col nomignolo di « Compagnia
dei Briganti. >>. ■
Questa compagnia non si compone affatto di ex
inquilini delle patrie galere o di gente particolar¬
mente feroce. Si tratta di individui dal fegato sa¬
no. Hanno conquistato delle posizioni dominanti
e ci sono rimasti, malgrado i coni rat tacchi ostinali
degli austriaci. Al 18, 19, 20 ottobre — mi raccon¬
ta il capitano Simoni — i « briganti » dovettero
sostenere una dura battaglia. Dopo tre giorni di
intenso bombardamento, gli austriaci pronuncia¬
rono un violento attacco. La proporzione delle for¬
ze, nel tratto di fronte dei « briganti » era questa :
123 alpini contro almeno un migliaio di nemici.
Questi mossero all’attacco, con lo zaino in spalla
e ricoperti di fronde, per dissimularsi. Dopo aver
resistilo a lungo, i nostri alpini chiesero un rin¬
forzo c andò in linea una compagnia di minatori.
— La mia ! — mi dice con vivo e legittimo orgo¬
glio il capitano Simoni. — La rotta degli austriaci
fu completa. Abbiamo contato, dico contato, 46')
cadaveri nemici.
Le nostre perdite furono quasi insignificanti.
Avemmo poche decine di uomini fuori combatti¬
mento. Dall’ottobre gli austriaci rinunciarono ad
ogni azione.
166
BENITO MUSSOLINI
i 4 Maggio.
accetta a fratSni1* n P ° rUenggI . 0 P ien< > di gioia e di
I commiJiioTdel 1 Genk>^ ^ daI noslro '
banchetto quasi sontuoso i ”" 0 preparal ° un
bellissime Abbiamo naH a i *!? trascorso setle ore
di vittoria Alla r paual ° dl guerra, di politica,
bel a Srnali Vn 3 -- per f^ggelUre il ricordo do,là
" ornata e il vincolo nuovo dell’aminVìa
l'cTcl^non lo’Vford'**'' N “'' ,rascriv ° «mi»
‘[«■elio dei miei oornmmionfdM 6 ?g~ì* • nporl,re
Eccolo : *
n,l„u ™,'S d“re±; Chc in ! ese h «e
■“» “Urlio di oammS,"T" r,m "" r
C T r , n ma f § - N l cola Prcll ° - Un,mila
p p ansl ° ~ Giuseppe Campavi — De
^ardi Edoardo - Sera Salva
dori Alerò _ Cecca,; ^eooc -
Vincenzo Maffei.
L un documento che conservarvi <~,
ricordi della mia vita. erve, ° f) a i piu cari
Mussolini... al fronte interno
/Vei partilo socialista, è in uso un luogo comune :
„ gli eroi del fronte interno! ». E ciascuno scrittore
di giornaletti di provincia scrive la frase con un
compiacimento tra il cattivo e l’idiota : a proposi-
io. raramente : a sproposito, quasi sempre.
Una manìa anche questa! Della quale è affetto
anche il grande Gaetano Zirardini, il quale ha ti al¬
lato Benito Mussolini da «eroe del fronte interno ».
Ora Mussolini mi. invia una lettera personale non
destinala alla pubblicazione. Ed io — anche a ri¬
schio d’una reprimenda — la stampo. Son già per
Zirardini , che non conta; ma per i non pochi Zi-
rardini più grossi r più piccoli ond’è popolala
l’Italia!
Perchè si sappia su quale fronte combatta Re¬
nilo Mussolini.
cl. f.
18 Luglio 1916-
Caro De Falco.
Torno iu questo momento da un’«azione» nella
zona dell’Alto Fella, che mi ha tenuto in movi-
BENITO MUSSOLINI
166
melilo (lue trinrn,-
™ .™
? l,e lòdi dTweliJZoJJ uT C0uii " ci,: '
fece appena sentire fili Uxori J Uc,Ie, ' la àrnica si
11 "ostro e il „ ] oro „ Cannf °/ U ’ tome al solito,
Sl avvidero delia nostra ,,, r austriaci
che fronteggia immedia àmp"^ Un cer, ° l,osc,)
cominciarono a bombardarci hf * ,0ro posizioni .
erano grossi calibri (credo r P ' eJ ! a re £°' la - Non
1^0 e qualche !55 e ma r er ° b ° Cche da 75,
- letteralmente - a ri n i? 6 granale Pievano
ena|lt > d i uno o due minìdj 7’Z r’ COf * un
f'ugò e bucò — cosi __ J arf pileria nemica
0 ,re < lutto il bus™ dal ’VTi 10 "" pai ° d’ore
uulu da 120. scoppiata fra " ° b8s »°- ( 'la gra-
st’uUimo, itfa non gravemente T feri T' 0 '
E d pomeri<rm,, filli • ’ a u n braccio.
* ‘«e d„SSi” »•*» «ima. che
di pattuglie richiamarmi i r a ’ ‘Retine lucilatp
mica. Ricominciò il Xl* J" 0C0 1 >a »'lisrlieria ne-
Spettacolo fantastico f ,t^ a ™ ento a ^napnels
eravamo ali’addiacdò in grande «Me. Noi
! esca . riparati contro il Jro^o"? PI °* g Ì 0 lcmpo ™-
lo e l’amico Reali lesi.? f° lronc o di un abete.
™«» „„„ S^Yaimf *■ «« mter-
finente di piccozzino e di r ’ - 1 lawrava furio-
buca sempre più profonda II P ®,'- scavarci la
metteva sull’avviso. L’oitel „ P ? * partenza ci
^ueva in quale direzione ^n " abl , tuato .» distili-
quando sì diceva :_Óueslo * a ' 9 * Proiettile e
la testa... ' ° e P e r noi! — gip co p
IL MIO DIARIO DI GUERRA
16?
La fiamma dello scoppio incendiava il bosco per
un atlirno e poi era il solito vasto scrosciare di
pallette, di ramaglie, ('erte spolette avevano nel
sibilo qualche cosa di umano.
Sette shrapnels si abbatterono sul solo nostro
albero e non ci ferirono. Alcune pallette vennero
a schiacciarsi contro il nostro « elmo » o cagnoni,
come diciamo noi, nel gergo di guerra. Alla mal-
lina, spostandoci altrove, gettammo un’occhiata
d’addio all’albero che ci aveva salvalo e che ora
profila — melanconico — il sito lronco spoglialo.
.Mussolini.
NOVEMBRE 1916 — MARZO 1917.
ita,;*-—_
NOTA BENE
Ilo al mio oiliro , come soldato, i primi mesi di
trincea nella zona deìVAito Isonzo, nrll’autunno-
inverno del 1915. Coloro che , con me o dopo di
me , sono passati sui costoni tragici dei Vrsig , del-
UJaworcek e del Kitkh, con venti gradi sotto zero
— come nel febbraio del 1916 — non dimentiche¬
ranno facilmente quelle durissime giornale. Ho
trascorso la seconda fase della guerra netta Car¬
ina. Zona relativamente tranquilla , ma di grandi
disagi , specie neW inverno. La prima neve ci visitò
il HO settembre. Poi siamo venuti sulle quote famo¬
se del Bassissimo Isonzo. lì primo periodo di trin¬
cea sul Carso è già passalo. Gli eventi più notevoli
sono consegnati nelle pagine che il Popolo puh-
blicherà.
E' la guerra aspra sul Carso asprissimo, E % hi
vita e la morte nelle trincee , che segnano le nostre
tappe , sulla si inda di Trieste...
Le trincee fangose e insanguinale oggi inghiai -
tono gli uomini , ma TEuropa di domani vedrà
spuntare da quei solchi tragici i fioii purpurei ci
una più grande libertà.
)
M.
Oltre il lago di Doberdò
30 Novembre.
Mi hanno detto che per ritrovale il mio reggi¬
mento debbo andare a Strassoldo. Parto da Udine
alle 17. E’ sera inoltrata quando arrivo a Stras-
soldo. Paese deserto, poco piacevole. Per questo
i soldati lo hanno ribattezzato: Tresoldi. E, forse,
non vale di più. Nessuno mi sa dir niente di pre¬
ciso. Trovo da dormire in una rimessa. Mi spro¬
fondo nel fieno e trovo il sonno.
Più innanzi saprò qualche cosa di ^positivo. Me
lo assicura un compagno di viaggio, che trovo lun¬
go la strada. E’ un bombardiere, che porta al
braccio il distintivo di « militare ardito ». [/ha ot-
lenulo — egli mi narra — per il coraggio di cui
diede prova, sul monte Cimone, dopo lo scoppio
della mina austriaca. Cammin facendo, il discorso
cade sulla guerra.
— Hanno fallo male, gli austriaci, a dichiararci
la guerra. Li ridurremo alla « mendicazionc ». —
Al Comando di tappa mi mandano in una pic¬
cola località vicina. Strada lunga e pesante. Per
fortuna c’è un grande sole.
Giungo ad Aquileja, città dalla eterna impronta
176
GENITO MUSSOLINI
romana, a sera larda. Non nn dimentico di viA.
faro la cattedrale.
* 1* Dicembre.
Ma non trovo tracce del mio reggimento R* s | ;l .
10 m . n P°so, in questi paraggi, mentre io mi tro¬
vavo in licenza invernale, ma da qualche giorno è
lmea - 0llre Isonzo saprò qualche cosa di pre-
ciso. Nelle strade larghe e diritte del basso Isonzo
11 movimento è semplicemente formidabile supera
la mia immaginazione. Al bivio di Pieris trovo
conduttore di un camion, un amico interventista
oeMa vigilia. Monto sul camion.
Ecco l’Isonzo. Ampio, ceruleo, chiarissimo. Ro
' hi, quasi intatto. Trovo alcuni sottufficiali miei
amici che ni. invitano a dividere la loro mensa
Mentre si mangia, gli austriaci mandano quat¬
tro granate dirette alla stazione. Grande sintonia
di slirapnels contro un velivolo nemico. Alle ore
quattro, partenza. Seguo il mulo che porla la
r™, ag ,'' l,rriciali ,1Hia mia, compagnia. Al bivio
Selz-Monfaicone, una grande colonna, fatta con
pietre appena scheggiate, reca un’epigrafe che non
mi è possibile copiare. I muli vanno in fretta II
movimento, .salvo in alcuni punti, non è congestio-
nato. Passo sotto le cave di Selz. Ora comprendo
le difficolta enormi che dovettero essere superate
per espugnare quel primo grande bastione dell’al-
opiano carsico. I «ostri cannoni tuonano sempre,
segni delle battaglie sono ancora evidenti. Il ter¬
reno è laceralo. Trincee sconvolte. Casupole rovi¬
nale, alberi divelli. Xulla è in piedi-. La guerra è
passata qui, col suo terribile rullo compressore.
Negli angoli, croci solitarie e collettive. E’ il cre¬
puscolo. Mi volto, per guardare la pianura delTT-
sonzo. Laggiù, è una striscia di mare.
Doberdò è un nome. Del villaggio non restano
che mucchi di macerie. Passiamo vicino ai due
laghi o, meglio, due grossi stagni morti. Alcune
veci: è la nostra quota. Tumulto di voci. Un ca¬
mion r fermo: ha portato d’acqua. Trovo i bersa¬
glieri della mia compagnia. Affettuosissime strette
di mano. Mi attendevano.
— Si parlava proprio di voi, in questo momenti»
— mi dice un bersagliere amico, di Vernole, pro¬
vincia di Lecce. Ricordo che egli mi volle portare
lo zaino da Quel Taront a Minigos. Non dimenti¬
cherò tale alto di affettuosa simpatia da parte di
questo umile contadino pugliese.
Salgo ai nostri baraccamenti o ricoveri. « Pren¬
do posizione » nel baracchino del sergente.
Sera di stelle e di luna. Mi presento al colon¬
nello, che si trova in primissima linea.
Nella nostra compagnia ci sono siali quadro fe¬
riti da scoppio di granala. Uno dei carabinieri ad-
delli al Comando de! reggimento è morto, l’altro
ferito.
Il « inorale » dei bersaglieri ini sembra elevato,
certamente superiore» a quello della zona Gamica.
— Abbiamo tanti cannoni! Avanzare sarà facile! —
Un senso di fiducia è diffuso in lutti. Andremo
Mussolini. - Il mio diario di guerra.
12
178
GENITO MUSSOLINI
innanzi. La parola d’ordine che circola fra noi
e questa : ’
- 0 Du “ Mj : man »ia i bersaglieri o i bersaglieri
mangiano Dumo!_ *
Ore 10 di sera.
^ e "tre «rivo, i nostri cannoni urlano senza Ire-
lov,' NÓI” T' é un ba * Uore di n «g‘ e <1, proiel-
muli f° COme nassumere Je impressioni tu-
C ’ tU0S c dl <iuesta P rima giornata di trincea sul
i-o. Sono prolonde, complesse. Oui la guerra
limano 61 ^ 9 ? S P eUo ^ randioso d ‘ cataclisma
umano. Oui si ha la certezza che l’Italia passerà
Arriverà a Trieste e oltre t H
- Dicembre ',.
-Volte tempestosa di bombardamento intenso. I
nostri cannoni non hanno avuto un momento di
regua. Stamani piove. Sono le undici. Tre «rosse
granate austriache. Continua il bombardamento da
alcune ore. Passano sulle barelle i nostri feriti
Non sono molti e nemmeno gravi. Ma c’è un morto
lassù Una granata lo ha schiacciato sotto una roc¬
cia. Alcune granate sono cadute nel lago solle¬
vando colonne di acqua. Verso sera, sono entrati'
in azione le nostre batterie. Da qualche ora gli
austriaci tacciono. I nostri cannoni tambureggia¬
no. Mentre scrivo sono giunte tre grosse granate
austriache e uno shrapnel. Altre quattro. Nel mio
ricovero si gioca tranquillamente a treiette
Lungo le rive del lago ci sono dei frammenti di
IL MIO DIARIO DI GUERRA
179
membra umane. Nella selletta due cadaveri di au-
diiaci stanno decomponendosi. Poco lungi, un
altro morto insepolto. Giungono, col vento della
Isera, ondale di tanfo di cadaveri. Nella selletla ci
sono due cimiteri: uno austriaco e Paìtro italiano.
Ieri una grossa granata disseppellì alcuni morti.
Macabro. Ora comprendo come il solo nome di
Doberilo terrorizzi gli honvecl ungheresi. Espu¬
gnare queste rocce: quale meravigliosa, pagina di
eroismo latino!
3 Dicembre.
Ho lavoralo come un mulo per costruirmi il mi »
ricovero blindato. Ho un socio che mi aiuta e che
dividerà con me il posto alPalbergo! Fuoco in¬
tenso delle artiglierie per tutta la giornata. Nel
pomeriggio, sette Caproni sono passati su di noi.
A sera fatta, incursione di velivoli nemici.
4 Dicembre .
Pioggia, stanotte. Mattinala livida e tranquilla.
Mentre scrivo passano quelli che hanno « marcalo
visita ».
Il tempo è indubbiamente allealo dei ledeschi.
La pioggia ci costringe a dei « rinvìi» che permet¬
tono agli altri di fortificarsi. La pioggia ci demo¬
ralizza. Noi siamo figli del sole ! La terra del Carso
e attaccaticcia. Non v’è modo 1 di liberarsene. E'
BENITO MUSSOLINI
loO
rossa più del sangue umano. Sono sialo a far.-
una visita al Cimitero ungherese o ilalo-umrherese.
bu una tavola della porta sia strillo :
exoriare aliquis ex ossibus noslris ulloq.
Ch sono molle croci, ma cpicllc del f indierò i!a-
lif.no sono più numerose. Di feriti, finora, quattro
soltanto per io scoppio di una granala: uno solo
01 questi, grave, ina non .riale
Pomeriggio quasi calmo.
Nel crepuscolo della sera, le gobbe delle quote
, . Carso s. presentano come divorate, lacerate
dalla scabbia. Cielo mibiloso. Solilo reciproco e
abbastanza innocuo cannoneggiamento serale
Stasera, niente posta.
Una voce: il bombardamento per l’avanzata co-
mincera stanotte. Vedremo e sentiremo. Mentre
scrivo, sulle creste dietro a noi è lutto un vampeg¬
giare e un tuonar di cannoni. Che sia il preludio?
5 Dicembre.
Ciclo buio o terra più livida ancora. Finito il
mio ricovero. E venuto l'ordine di spostarci Stic-
ce.le sempre così. Ora mi (rovo in trincea sui mar¬
gini del lago di Doberdò. Radi uccelli bianchi e
neri volano sulle acque cbe.il vento mattinale in¬
crespa appena. Io lavoro a farmi una nuova lana.
Lago di Doberdò!. Chi vive t, lungo presso te tue
rive, perde l’abiludine umana del riso. Olii la tra¬
gedia, prima ancora di essere negli uomini, è nel
terreno. Da tre ore i cannoni austriaci ci bombar¬
IL MIO DIARIO DI GUERRA
181
da no. 1 nostri rispondono. Gualche volta inni si
capisce quali siano i colpi in partenza e quali quel¬
li in arrivo. Nel cielo è tutto un sibilare di granate
che vanno e che vengono. Durante un bombarda¬
mento, io non amo la compagnia. Mi piace di star¬
mene solo. Ho la superstizione che .sia più difficile
trovarmi.
Un lembo di azzurro verso Duino. \ pali metal¬
lici che conducevano l’energia elettrica da Mon-
f al co rie a Gorizia, si rincorrono per lungo (l'alto e
\ isti in lontananza, di notte, sembrano croci gigan¬
tesche di un cimitero sterminalo.
Guanto sangue ha bevuto e berrà questa terra
rossa del Carso?
Un tenente, che viene a trovarmi, mi dà le pru¬
ine notizie sugli effetti del bombardamento di sla¬
marli.
I cannoni coni innano ad urlare. Sono le quattro,
fi tenente che comanda la mia compagnia mi in¬
vila a dividere la mensa serale degli ufficiali. Sono
con lui vari sottotenenti, di cui uno ha il comando
del mio plotone.
\\ ricovero è così basso, che non .si può stare
nemmeno seduti. Notte. Raffiche di vento c di
pioggia. Dalle ( .) alle 10 intensissimo bombarda¬
mento alla nostra sinistra. E 5 un mugghiare inin¬
terrotto di grossi calibri. Un tambureggiamento
sordo clic giunge alle orecchie come il boato di un
uragano. Piove, ma io e il mio compagno siamo
abbastanza bene riparati nel ricovero-nuovo che ci
siamo costruiti in poche ore di lavoro. Anche sta¬
sera, niente posta. Meglio cercare ri sonno.
182
BENITO MUSSOLINI
6 Dicembre.
Stanotte, il mio compagno mi ha svegliato bru¬
scamente.
— « Crisliga->! Siamo in mezzo all’acqua!—
Accendo un mozzicone di candela. Il ricovero
è inondalo e l’acqua vien giù a catinelle. Ci pro¬
viamo a vuotare la lana con le gavette, ma è fa-
lica mutile. Ci decidiamo a mettere Ire tavole in
allo c lì ci distendiamo — bagnati fradici _ ad
attendere l’alba. D’ora in ora, si accendeva un
Uammifero, per constatare la crescita delPacqua.
Finalmente, l’alba. V erso Aquileja, c’è un vasto
trailo di sereno, ma dietro a noi, verso l’Austria il
cielo è cupo. Se venisse il sole ! Il buon giorno ci
è stalo dato stamane dai cannoni austriaci: In¬
colpi di piccolo calibro Qnora. Comincia il solito
marlellamento dei nostri. Quando piove, nelle lin ¬
cee del lago di Doberd'ò, si sta peggio che sull’A-
damcllo in una notte di tormenta. Queste sono Irin-
cee costruite sotto il fuoco d'ei cannoni e risentono
del] improvvisazione. Sono muretli di sassi. I di-
•spei>i: ce n’è uno, nostro: un bersagliere ciclista
caduto colla faccia protesa in avanti mentre anda¬
va all assalto. Vicino a lui, il moschetto con la ba¬
ionetta ìnnastata. E’ là, solitario. Perchè nessuno
h cura di seppellirlo ? Forse per conservare alla fa¬
miglia un’ultima illusione su) « disperso »? Un po’
di sole. Bombardamento pomeridiano inevilabile.
Loro tirano'sul Kri-Kri, sul rovescio di quota 208,
e nella selletta fra prima e seconda linea nostra.
Wso la pianura s’inalzano adagio adagio (re
IL MIO DIARIO DI GUERRA
183
grandi palloni-drago. Qualche colpo dei loro fa
cilecca. Specie i grossi calibri.
Passano in alto, lentamente, quasi ansimando e
gemendo, i grossissimi proiettili che vanno molto
lontano, lo, lutto solo, fuori della mia tana — a
mio rischio e pericolo — mi godo lo spettacolo
auditivo e visivo-. Rombo di un velivolo nostro che
(ila verso Gorizia. Dal Golfo di Panzano s’adden¬
sano nuove nubi temporalesche. Finché dura lo
scirocco non farà bel tempo. Crepuscolo tran¬
quillo. Sono andato a trovare un amico tenente,
romano, che ora comanda una sezione di mitra¬
gliatrici. Non lo vedevo più dal Rombon. Egli mi
ha narrato che i disertori austriaci hanno- manife¬
stato lutti un sacro terrore dell’artiglieria italiana.
Molti di loro venivano dalla Galizia.
— Là, è un paradiso a paragone del Carso —
dicono. — L’artiglieria russa fa pum-pum-pum a
lunghi intervalli, ma non fa il fuoco a tamburo
come l’italiana. —
Il rancio giunge alla sera. E’ l’unica distribu¬
zione dei viveri in 24 ore. La razione è ridotta.
L’appetito è sempre quello. Serata movimentata.
Verso le nove, un attacco- nemico si è delineato
alla nostra sinistra, su quota 208'. Dopo un vivo
fuoco di fucileria, sono entrati in azione i nostri
piccoli calibri. Sono uscito dal ricovero per vedere
di che si trattava. Un nostro proiettore illuminava
la selletta fra la quota 208 e la nostra. Tutto il
costone era punteggialo dallo scoppio ininterrotto
dei nostri shrapnels e delle nostre granale. Il tam¬
bureggiare riolento era di quando in quando so-
184
BENITO MUSSOLINI
\erchialo dallo scoppio dei grossi proiettili Tutto
il costone era avvolto in una nube di fumo rassi-
sna, squarciala spesso dai raggi. Tutti i bersa-
gberi, armati, sono usciti dai ricoveri. Il fuoco
(lei nostri cannoni ci elettrizza. Una quarantina
u nnnuli e durato il tambureggiamento. Ora è li-
Piando dai ricoveri, ho raccolto le impres-
moiu dei miei commilitoni.
- Qui si vede la forza degli italiani!
— Non è più come sull’Jaworcek t
- Adèsso sono loro che si « spicciano » !
- Devono avere avuto una buona scopoia !
Hanno fatto male «muoversi i tedeschi mol¬
tissimo male !_ ’
Passa un nostro forilo, colpito da una scheggia
di granala al.piede.
Alla 6* compagnia c’è stalo un morto. Ora è
silenzio. Soltanto le vedette sparano straccamente.
\ icino a ine, i mitraglieri di una «sezione» lavo¬
rano a farsi i ricoveri. Canticchiano sommessa-
mente :
Bella bambina 3
Capricciosa garibaldina.
Tu sei la sieda,
Tu sei la sieda di noi salda.
La voce dei nostri cannoni: ecco l’argomento
travolgente per tenere elevatissimo il «morale»
dei soldati. Cielo velato dalla foschia. Attorno alla
luna è un cerchio.
— Cerchio lontano, pioggia vicina, — mi dice
IL MIO DIARIO DI GUERRA
185
un tenente e aggiunge : — Me ne rincresce, perchè
ciò rimanda la nostra avanzata. —
C’è un po’ d’impazienza in lutti, anche nei più
negativi! Avanzare! La lotta, col suo apparato
avventuroso, emozionante, e malgrado i suoi ri¬
schi, affascina il soldato. La siasi debilita. L’azio¬
ne rinfranca. Stanotte bisogna dormire con un
occhio aperto.
7 Dicembre.
Tanto per cambiare, piove a dirotto. Il nostro
ricovero è un guazzetto di acqua e di tango. Sta¬
mani. in un’ora di sosta, le nostre artiglierie ave¬
vano aperto un fuoco violentissimo sulle posizioni
nemiche. Ora tacciono. Quelle austriache bronto¬
lano alla nostra sinistra. La pioggia è il quinto ne¬
mico nostro ed è, forse, il più massacrante di tulli.
Gli automobilisti non sono imboscati perchè so¬
no indispensabili. Quelli che tutte le sere ci pol¬
lano acqua e viveri a duecento metri di distanza
dalle nostre trincee di prima linea, rischiano la
pelle come noi. Non è mollo che un camion con
dii carico di granate è sialo colpito in pieno, lungo
la strada di Debordò, da un proiettile nemico. Co¬
loro che lo guidavano sono andati in pezzi.
Mezzogiorno: piove sempre e più forte. Iersera,
dopo sei lunghi giorni di privazione, mi è giunto
il Popolo , primo numero dopo lo sciopero tipo¬
grafico milanese.
186
BENITO MUSSOLINI
S Dicembre.
Ieri 'era, sull’imbrunire, ci siamo spostati alla
lincea estrema della nostra linea. Pioveva forte
i siamo allogati in una lana fangosa. Rada fuci-
cna. Sciupio di razzi. Gli austriaci sono a 30-50
metri da noi. Ieri sera lavoravano intensamente
bl udlva lo spicconare e il battere delle mazze. Sta-
iiian, non piove, ma l’orizzonte è grigio. Le arti-
glene lavorano, ma senza impegnarsi troppo. Nei
v bba ndonati dagli austriaci sul rovescio
«lei Debeli, abbiamo trovalo delle mazze ferrate
La nostra trincea ha qui un Icacciato cosi bizzarro
che potremmo essere colpiti di fronte e di fianco’.
Ala tra noi e i tedeschi c convenuto una specie
di tacilo accordo, per cui non ci spariamo. Noi li
vediamo e lasciamo inoperosi i nostri fucili • essi
ci vedono (e noi ci facciamo vedere anche troppo!)
ed «essi» non tirano. Siamo qui, in queste buche
«li tango, inchiodati, immobili nell’attesa del no¬
stro destino.
La pioggia di questi giorni ha abbassato un po’
jl hvello del << morale » bersaglieresco. Siamo tutti
lagna i, ladici, non abbiamo che una coperta e
i cappotto: siamo privi degli zaini e non li riavre¬
mo se non tornando a riposo. Non un lembo di
azzurro : cielo uniforme, bigio, come il saio di un
Irate, e sgocciolante.
Gergo di guerra :
sj)azzola = fame :
fifhaus = rifugio sotterraneo blindato
La nostra trincea cinge il campo dell’ultima bai¬
li, MIO DIARIO DI GUERRA
187
taglia del novembre. Nelle buche dei 305 abbiamo
raccolto e sepolto i cadaveri degli austriaci. Attor¬
no, un po’ di calce bianca.
9 Dicembre.
Pioviggina. Però, sembra che l’orizzonte voglia
finalmente schiarirsi. Comincia la sinfonia quoti¬
diana dei grossi calibri. Gli austriaci sparano poco
con calibri piccoli. Tambureggiamento dei nostri.
Stanotte un prigioniero austriaco si è dato spon¬
taneamente alle vedette della T compagnia. Egli
ha raccontato che il nostro fuoco dell’altra sera ha
cagionalo gravi perdite agii austriaci. Il prigio¬
niero è l’unico superstite di un posto colpito in pie¬
no. Gli altri Ire sono morti. Una nostra pattuglia
si è recala al piccolo, posto ed è tornata con tre
zaini tirolesi e sette fucili.
Pomeriggio. Un raggio melanconico di sole. Uno
granata austriaca è caduta nella «loro» trincea.
Immediatamente hanno levato tre razzi per avver¬
tire dell’errore. Fetore di cadaveri insepolti o mal
sepolti. Sereno? Un raggio di sole ha squarciato
la fìtta tendina nuvolosa che ci mortificava e adug-
giava da parecchi giorni. Ne approfittano le arti¬
glierie. Un nostro 280 apre nei reticolati della loro
trincea un varco di almeno dieci metri. « Loro »
ci battono a shrapnels. C’è un ferito alla 7* com¬
pagnia, ma non è grave. 11 cielo si rasserena e si
rasserenano gli animi. Il concerto continua.
Un grosso proiettile è calato in pieno su alcuni
I 8 S
BENITO MUSSOLINI
battimeli lo'. Cl 80110 U<9 “ ini fuari di c0,n '
10 Dicembre.
, P '^® nla un as P elk> fantesUco. Non si vedono nel
« ihiio sconvolto e frantumalo, che detriti e’rol
ledoJl 1 - °! gm SpeCÌe ' 0ndate di lezzo cadaverico. I
t eh/ lavorano inde fessa me ole ogni nolle dalle
so. delia sera alle se. del mattino VX mazze
piediiano le basammo e cento mine scoppiami nel
1 Z 1 \T ,av " n .? d '"'/"«Giorni eccessi-
mente Ani sappiamo che nulla resisterà ill’a
ZV^r nostre artiglierie. Stamani Saio g.t
rilihr? TI ^ : r pP ? Sa un P°’ "'anca dei grossi
si Sfera " aCCCn, “ !l ' »«■»'" l’ori»,onie
J»"!iìh\ r,r SC Che r *»iunlo e a),band,,.
lidio nella noslia avanzata del novembre non disi-.
•10Ò che li Ine; ' d ’ ar ' a ’ }>h '' ,!i 500-700 metri. Un
; C as * a °*? m quindici minuti - regolarmen-
'omeri“ iT ll ‘ e ^ nU ‘^ a C011ie un tranvai.
t «meriggio di pioggia sottile, implacabile' Nella
i..p U f°’ > ! enZ '°' ° uaIcuno canticchia, ma som¬
messamente, senza convinzione.. Onalche colpo n
riSJLT 0 , arlÌgh T' e aumenfa la '«elanco-
• L dttaCCO austriaco dell’altra notte a quota 208
Mussolini ed iiJ plotone da lui comandato.
Qui combatteva Mussc/llini tneil invemo 1917.
IL MIO DIARIO DI GUERRA
1S1
è stato riferito nel Bollettino del Comando Supre¬
mo in questi termini : « Sul Carso continuò ieri
l’attività delle artiglierie. La sera, l’avversario,
dopo violenta preparazione di fuoco, tentò due suc¬
cessivi attacchi contro le nostre linee a nord-est
della quota 20<S sud e fu nettamente arrestato e
respinto ».
n Dicembre.
Teri sera siamo rientrati, dagli avamposti, all’ac¬
campamento. Pioveva forte. Molli sino alle ossa,
abbiamo atteso pazientemente il cambio. Nell’atto
di cedere il mio... appartamento al nuovo venuto
— l’ospite ignoto, — questi mi ha chiesto :
— Dove sono i tedeschi ?
— Lì, a venti metri.
— Tirano col cannone?
— No, perchè siamo troppo vicini a loro.
— Con le bombe?
— Nemmeno. —
Mezzanotte. La pioggia è cessala e il vento im¬
petuoso fa galoppare le nubi. E’ terminato adesso
un violento attacco austriaco di sorpresa, contro
la nostra linea. Dormicchiavo. Sono stato svegliato
dagli scoppi striduli delle bombarde. Poi la fuci¬
leria ha iniziato il fuoco. Violento. Sembra il tic¬
chettio di una gigantesca macchina da scrivere.
Sono con me, nella nuova tana, alcuni bersaglieri.
Qualcuno mi dice.
— Picchiano?
1SI2
BENITO MUSSOLINI
Pare ! E forte ! _
gore. Gli sh^apifeN^scroscian 11110 ''' auine,lli ' di vf -
è tutta una niooo, a T Do ?l " rico '’er, e, poi,
d’attesa. W dl * chf ^' e e d * sassi. Silenzio
L n grido, vicino lacera l’aria •
— Porla ferii i ! Portaferiti t __
or^o C TZX7 mat ^ 6 lei,efevi ! -
urlando- ente COrTendo da rip«ro a riparo,
cover/; 0 — aSl ' en ’ armalevi . ma lmn uscite dai ri-
crescendo Savobìto Ta?'"'’/* . contim ia, con un
,e esplosioni, non si t nte C S la V <i0praJTal ! d di¬
grossi proiettili fa sns-'„u L "' SC0 PP 10 dei
-obili^tendi^^^ ,a C ° ,lln - Noi, ,m-
E finita. Passa un feri In ilio i i
grave. Cammina senza , 'arn! ? -*’ ma ,10n è
landò verso il noslo d^ 3 ’ SUl fan g°. saltel-
di feriti alle gambe Un ' In IC!l/IOne - Tre barelle
ferito a) braccio n. ? . ° por,ato a spalla. U„
lamento. ' *‘ e " on ° g ravi - Vanno senza un
E’ colla 1accia a a S terJa e . Un0 ° he n ° n S ' muove P iù
— E' morto?
Non lo so.
memo'' 0 ""' 0 " P ° rlami " «i rie 0n0Sfl ,
wma s s
IL MIO DIARIO DI GUERRA 193
— E - morto. E’ il romano. —
Un gruppo di bersaglieri è raccolto attorno al
cadavere. E’ slato fulminato da una palletta di
shrapnel, mentre usciva dal ricovero. Appello
delle squadre. Xel mio plotone nessun ferito. Nelle
•dire compagnie ci sono alcuni uomini fuori di
combattimento.
Mattinala temporalesca. Burrasca. Le artiglierie
tacciono. Mezzogiorno solatio. Usciamo tutti al
sole, malgrado gli shrapnels. Ci asciughiamo uri
po’. Nel pomeriggio i loro cannoni tirano qua e
là. Mentre scrivo, tirano sulla nostra lerza linea,
ma le granate cadono nel lago sollevando colonne
ili acqua. Da! punto dove nn trovo si vede un pic¬
colo tratto di mare. Una domanda che i bersaglieri
mi rivolgono .spesso:
— Quanto siamo lontani da Trieste?_
Il lenente che comanda la mia compagnia è
■-tal;) promosso capitano. Gli mando le mie felici¬
tazioni.
— Por « bagnare » le stellette ci vorrebbe un
barile di grappa... — commenta un bersagliere
clic prima della guerra dimorava a Trieste.
Mussolini. - Il mio diario -di
guerra.
Dicembre in trincea
12 Dicembre.
Finalmente un po' di sole. Distribuzione delle
maschere nuovo modello contro i gas asfissianti e
lacrimogeni. Le nostre sono più estetiche di quelle
austriache. I bersaglieri escono dai ricoveri. Si
ripuliscono un po'. Molti barbieri piantano bottega
fuori, a rischio e pericolo loro e del... cliente. Qua
e là si gioca a carte. Nel pomeriggio, tambureg¬
giamento solito delle nostre artiglierie.
Un caporal maggiore del 7° bersaglieri viene
a Irovàrmi nella mia tana. Mi parla di Bonomi, di
Codifava Tomaso e di altri più o meno noti per¬
sonaggi della politica mantovana. Mi si dichiara
neutralista, ma non di quelli « arrabbiati ». Il 7°
bersaglieri ha avuto sin qui perdite superiori alle
nostre. Il 280 scoppiato giorni fa nei ricoveri ha
fatto qualche vittima.
— Io ho sempre creduto che lei fosse al fronte...
Stasera scrivo del nostro incontro a Codifava..-. —
Ci salutiamo con molta cordialità.
Il generale che comanda la nostra brigata viene
spesso fra noi e porla coi bersaglieri da uomo a
uomo. Ciò gli procura vive simpatie. E 3 bene par-
196
BENITO MUSSOLINI
^/ ess0 a t f uesl uin,le gente, cercare spesso di
scendere verso queste anime semplici e primeve
che costituiscono ancora, malgrado tutto uno
•splendido materiale umano
Battaglia di velivoli nella nostra quota L’au
siriaco ha ta<Mic>fo la mrrU v 1 L au “
alla ruriiwiK? , ■ Non P° sso sottrarmi
t -iZ d berSa ° Ilen aì reggimento che
su, mia nostra Destra. Tre bersaglieri si fermano
dinanzi alla noslra lana, un po’ esitanti Un cane
ral maggiore mi dice: U cap0 "
— Scusi la nostra curiosità. Lei è
— Sono io. —
I Ire commilitoni mi stringono la mano siedono
ztone ’ìTloZ 0 ' «"l’amichevole inverso-
Tientin ■ re ?" m,ento e stato quindici mesi nel
iientmo occidentale, attorno a Bezzecca P ,l • -mi
sr- ,f nle
ss. 1 ; zt m
nel Convitto Curioni. ’ L e spiegato
13 Dicembre.
. ' ~ 1 otro dire che anche lei è stato in noe
l umv
JL MIO DIARIO DI GUERRA
107
Mattinata ventosa. Il lago di Doberdò è buio.
Senio sulla pelle la prima passeggiata dei pidoc¬
chi. Ci sono i corredini anti-p.arassitari. Già. Ma
bisognerebbe averne uno ogni quindici giorni. La
efficacia del « corredino » è limitata. Dopo quin¬
dici giorni, i pidocchi passeggiano tranquillamente
su quel <( corredino » che avrebbe dovuto stermi¬
narli... Pidocchio più, pidocchio meno... Mattinata
e pomeriggio di calma insolita. Sono le due e da
stamani gli austriaci non ci hanno mandalo il quo-
tidiano 305 e nemmeno uno shrapnel. Anche i « no-
Mri» riposano. Il tempo è sempre nero, minac¬
cioso. I bersaglieri approfittano di queste ore di
quiete per pulire i fucili
14 Dicembre ,
Ogni tanto ci spostiamo da un trinceramento
alfaltro. I cambi sono talvolta troppo frequenti.
Ciò spiega qualche negligenza dei soldati nel mi¬
gliorare trincee e ricoveri. Per una dimora troppo
breve non vale la pena di affaticarsi... Ieri fu, per
me, una giornata di tetraggine. I miei nervi « sen-
Iivano » il tempo? Pare, perchè ieri sera si scatenò
un violento temporale. Tutta la notte ha piovuto.
Nessuno ha chiuso occhio. Àncora prima dell’al¬
ba, profittando di una breve sosta, siamo usciti per
migliorare un poco questi infelicissimi « baracchi¬
ni». Anche oggi piove. Torrenzialmente. Queste
tre settimane di pioggia incessante hanno esercì-
19b
ben ito mussolini
lato un influenza depressiva sul « morale » dei soì-
dali. Anche le condizioni di salute ne risentono.
Non la freddo, ma il fango, l’umidità, il grigiore
dei brevi giorni e il buio pesto delle notti funghis¬
ci 110 ’ sono altrettanti elementi che contribuiscono
ad aumentare la musoneria di tutti. Siamo venuti
Siv” nol T le - Le marce notturne, anche brevi,
a faticano. Io stento mollo a camminare fra le tene
m f' 0 di ,nchios,ro - Scarsa alUviU
de e artiglierie. Le mie mani hanno ora il segno
della piu grande nobiltà : sono sporche della terra
rossiccia del Carso!
15 Dicembre.
IiTi sera, uno dei conducenti — j quali sono i
nostri giornali parlati - ha diffuso la notizia
— sul giornale «ci sta» la pace!
c'i7Ìoni P d? R t0 H C u e d °T a lraltarsi dell e comuni-
sovlrrh B ‘ H ° , Weg - La uotizJa a °n ha sollevalo
soverchia emozione fra di noi. Pur sapendo che
0 °ff° 1 am° rnal1 ’ nesSimo mi ha chiesto nulla.
Questa indifferenza è sintomatica. Si è parlato
troppe volte di pace perchè non esista un tal quale
scetticismo, nell’animo dei soldati
lor r N 2 , c /?° più , a nulla ' - ba *>«° di
ihe s7l,: “, a c ’ Ua -° "°” VedrÒ le ba " diere '-»■
• N , 0tlata ^terminabile, di pioggia a raffiche Fuo
co di bombe agli avamposti.
Stamani, qualche colpo di cannone.
J artiglieria austriaca tira a caso. Questa è la
IL MIO DIARIO DI GUERRA
199
mia impressione. Un colpo qua, un colpo là. Una
granata sulle trincee, uno shrapnel sulla strada di
Doberdò, che molto spesso finisce nel lago. Ciò
non turba il solito viavai. Solito e inevitabile. Ec¬
co la strofa di una canzone in voga fra noi ;
O Gorizia, lu sei la più bella
E il Ino nome risuona lontano ;
Or sei passala al dominio italiano,
Sarai protetta dal nostro valor!
Oggi piove, come ieri, come sempre. Pare una
maledizione. Pomeriggio di pioggia incessante.
Nel mio ricovero è tutto uno sgocciolamento. Non
c’è dubbio: il tempo' è il «loro» alleato e, forse il
migliore. Ci sono in queste trincee dei topi feno¬
menali. Sembrano gatti e danno anch’essi l’assalto
notturno... alle nostre pagnotte. Qua e là, per in¬
gannar la noia, si canticchia:
Là ci vedrà la luna.
La luna la spia non fa :
L<) ci vedrai ? le stelle,
Le stelle la spia non fan !
Tutte le sere, verso il crepuscolo, l’attività delle
opposte artiglierie si rianima, e nell’aria è tutto
un sibilo di « telegrammi », come diciamo noi nel
nostro gergo. Stasera l’orizzonte è di fiamma, ver¬
so la vecchia Italia. Sento lungo la strada il rom¬
bo dell’automobile che ci porta l’acqua e lo sciac¬
quio sordo dei muli che vengono in lunga inter¬
minabile fila. Verso le linee nemiche è un continui»
200
BENITO MUSSOLINI
austriache che è ta^M^ripu te
piene di morii Di a ,; il m' P ’ lanl ° pono
; 51 b “ »<&*
16 Dicembre.
^oT^ s ZXZ7^ r ZT^ ' f cora|)e "-
un paio di calze Tutti 1 - ,JLltcl!lc j e > una camicia,
cambiati. sSm 0 SiJ < StaS* CÌ SÌ * mo
l’argomento della n-u^ • ‘ ?• ani ’ nei nc °veri.
predominante è lo "ceUiSsnm U?? , Ma Ia nota
della prima notizia o Smo ’ ( ' ome aI giungere
che stamani V«^3?E Zi TT
"i, ma laggiù verso ,-i 11 no | 'o fronte,
cupamente' Soliti shi-inne /' 0 v cannone brontola
di nebbia. Freddo ? d,Straltl - Meriggio
1~ Dicembre.
^.sss;;“»*< •
strada di Dolierdò. I condii-
IL MIO DIARIO DI GUERRA
tiOl
cenli irustavano furiosamente i muli e correvano.
Sbrapnels e granate piovevano a quattro a quattro.
Ma. fortunatamente, pochissime facevano bersa¬
glio. () radevano nel lago o al di sopra, sul Debeli.
Mentre l’artiglieria infuriava, noi ci siamo spostati
lungo la grande strada maestra che costeggia e do¬
mina il lago alla sinistrale siamo venuti agli avam¬
posti. 1']' già notte. Nel cielo è un punteggiare
timido di stelle. Io le guardo con la trepida adora¬
zione di un innamorato. E’ il sereno? Tornerà il
sole? Alla nostra destra, lungo il costone di quota
111. gli austriaci lanciano grosse bombe. Quando
giungono a terra, sprizzano alcune scintille, poi è
lo scoppio, talvolta fragorosissimo. Ina di queste
bombe deve essere caduta in trincea, perchè si è
udito urlare:
— 0 Dio! O Dio! Portaferiti... —
Poi, silenzio. Gli austriaci hanno continualo an¬
cora per molle ore. Le stelle sono scomparse. Il
cielo è tornato buio. Nelle tenebre del cammina¬
mento, qualcuno, brancolando, mi afferra, lo gli
dico :
— Di là, di là !
— Chi sei? —
Riconosco dalla voce il capitano.
— Buona sera, capitano.
— Buona sera, Mussolini. —
Adesso i nostri piccoli calibri tempestano. Sta¬
mani. pioggia. Tutta la notte, sino all’alba di sta¬
mani, i nostri cannoni hanno bombardato le posi¬
zioni nemiche di prima e di seconda linea. Ieri se¬
ra. all accampamento, c’e stato un solo ferito del
202
Nà TofcTk pa,fa ra p V o« H d a e ,“ a **»*» ««.U.
r wt s s„:„t
un sacrifici e più duri dj - ®.’ [ ll tarso, impone
. gfi J° dl P ,0 ggia, sonile sottiS p- ^ u PPe. Pome-
Sembra fiItra ' Y ‘ nelle anime ' Ch<? ne,,t ‘ ossa,
7,5 Dicembre.
JiAuf ^ ore cor,-
umforme delle nubi sembr, ^ U si P a no
promettente viene da Ine, e' K 11 ch '°rore
cello freddo. Prime no S TT 1 " 6 a Un venti-
se ff ha fatto due morti f • 3 homba dell’altra
° P assa Per le nostra ^riti. 11 colon-
~ Come va ? ncea 0 CJ domanda :
Z u Gn f T ris P°ndiamo
-Avete freddo?
«B fMa±elto”di'^ > TOr 2 bie dl ‘ iuai «io in quando
rj coIon »eI!o si allontana.
P«s hioTlfl^Z broT ÌaC> ie ”<«>*
nate su quota 20S una m Z 7 7' eg0,are - Pue gra-
S , U * M i, due grosse rnarS d °* Zlna di shrapnel
c le 280 sulla seconda w L SU q ” 0,a 144 - Quali
zonte si chiarisce ma il '* ^ e/zo giorno. L’oriz-
latitante. ’ ma " s < d e continua a f are -,
P 1110 zappatore ci i
Che U,,a gra »ata è caduta
IL MIO DIARIO DI GUERRA
203
Ira due ricoveri del 7° bersaglieri. Ci sono quattro
morti e sette feriti.
Gualche discorso sulla pace tedesca. La sup¬
posta condizione che L Italia dovrebbe restituire
le terre liberate all'Austria, suscita l’indigna¬
zione generale. Scommetto che se si facesse un re¬
ferendum, non si troverebbero dieci soldati pro¬
pensi ad accettare questa condizione.
— Dopo tanto sangue e tanti sacrifici ! —
Ora che il reggimento è tutto riunito, trovo dei
commilitoni che non rivedevo più dal settembre
dell’anno scorso, quando, giunti sullo Jaworcek,
fummo riparlili nei diversi battaglioni. Un incori
Ilo gradito è quello del sergente zappalore Tudori
lui compreso la necessità della guerra nazionale.
Modesto di Tirano (Sondrio). E’ un operaio che
— La «pace tedesca», no. Tutti desideriamo la
pace — mi dice — ma giusta e duratura.
Mentre scrivo, gli austriaci hanno incominciato
a bombardarci.
La trincea « logora », perchè è una prigione di
tango. Il nostro carceriere è il cannone nemico
che ci costringe al silenzio e alla immobilità. So le
trincee sono coperte, la prigionia è assoluta. Si
vede il sole a scacchi, cioè attraveso una ferritoia.
L esserci adattali a questo genere di guerra è una
prova meravigliosa delle qualità individuali e com¬
plesse della stirpe italiana.
Un tenente mi dice che il Duca D’Aosta ha tri¬
butalo un encomio solenne alla nostra Brigata Ber¬
saglieri, per il conlegno tenuto nelle due notti dei
contrattacchi nemici e per i lavori di rafforzamento
204
BENITO MUSSOLINI
^.bersagliere dell» ,„i„ c€m|M .
"! ! , S,hl ° F,,, PP' '1' Colle Val d’Elsa cho
toitna : ^ m ' ernale ’ mi ™" da questa car-
« rrovandomj m licenza non -manco di mandarle
atuttiTmT 1 Sa,Ut -’ ramRientand °lo unito assie,
j- .• miu dujlci , ove -ori rimasti molto sorpresi
r , r ; re c . iie pure Iei de bba essere in trincea ai
di lJ e T*uTX mÌiC S< ? ldaf0 - Non 1,0 mancato
affetto ac-ò ti r ^"“V quaIe 11 lia con mollo
. , accolti. Cesso, salutandolo, sperando di ri
S: b m ° tii ™ -w. dì „ u óJIZ X:
rano un colpo solo. ’ ' pa '
allo sfil C a°re°Ìi e m ? ern0 1 d ‘ quota 20S esistiamo
ano stilare di mezzo plotone di austriaci Te loro
rifila SI pr ° fllano nettamente, nell’ultima chia-
a del giorno. Dalle nostre linee non parte nem
19 Dicembre.
Stanotte un gatto raspava presso i nostri reti
'• bara un «disperso» di Jamano distrutta.
IL MIO DIARIO DI GUERRA
203
lori sera, approfittando della serata — la prima
non piovosa — ho girato un po’ sul campo di bat¬
taglia. Non vi è un metro quadralo, letteralmente,
che non sia stato lacerato, sconvolto da quattro o
cinque granate. Ci sono ancora dei morti abban¬
donali. Nostri e loro.
All’alba di stamani due bersaglieri zappatori-mi¬
natori ci hanno recato la notizia della vittoria fran¬
cese. Gioia vivissima in tutti. Si discorre, meno
d’ieri di pace. Intanto, per cambiare, piove. Tem¬
po assassino. I bersaglieri tutti laceri, barbuti.
Infangati, scrivono le <; franchigie », dormono, si
spidocchiano, giocano a carte
Se si raccogliessero tulli i rollami di ferro —
proiettili esplosi o da esplodere, pali di ferro dei
reticolati, lamiere, arnesi, ecc., — che si trovano
su questi campi di battaglia, si caricherebbero
treni e treni a tonnellate.
Verso sera, ''orizzonte ad ovest presenta una
striscia di carminio. Non piove più.
— A Venezia c'è il sole ! — sento dire con voce
che tradisce u«a evidente nostalgia.
Siamo tornati or ora ali’accampamento. Oggi
l'artiglieria nemica è stata silenziosissima. Soltan¬
to due shrapnell distratti sono caduti nelle nostre
linee. Dialogo colto a volo nell’oscurità:
— Ritornare all’Austria le terre che abbiamo
conquistato? Questo non sarà mai!
— I nostri morti griderebbero vendetta!
— E non i morii soltanto ; anche i vivi ! —
Domani è l’a universa rio della impiccagione di
Oberdan.
206
EENITO MUSSOLINI
20 Dicembre.
Sianone, freddo. Ma nel cielo è tutta la chiarità
cue annunzia una bella giornata. Finalmente il
de, n sole il sole! Passano degli aeroplani nostri
nemici. Le nostre artiglierie lavorano come
ZurL?r l ° C °i 1PÌ ’ Un ° dl6tr ° 15aItr0 - SOno ’ c adut,
sul trinceramento austriaco di quota 208 Gli au
aiidnt! T hai T aspetlat0 altri e se ne sono
andati fuggendo verso la terza linea. Parecchi
bersaglieri scendono al posto di mediazione co,
piedi congelati. Non è per il freddo, ma per Fumi¬
gò per 1 ac( * Ua deIle lincee. Tuttavia non sono
Pordin5Ti ent -° deUa pace continua ad essere al-
vr ol 'aneri glCfrfì0 ' ma « nessuno », dico nessuno.
\uol sapere di una pace «tedesca».
hanno°hiittof nS ° ^ n ° stri cannoni - Gli austriaci
.riZitdiur Shr8Pne,S S “ ' WS,ri
Serata di stelle! *
21 Dicembre.
- Lo stoicismo dei nostri feriti mi diceva ieri
sera un lenente medico — è sorprendente r;
gono o sono portati qui colla carne straziata e non
un lamento esce dalle loro labbra I feriti addo
^ suT7a Van ° r CO?CÌenz& fedissima. Una
^era. sullo Jaworcek, m, fu portato un ferito che
9 una gamba frantumata dallo scoppio in pie-
IL MIO DIARIO DI (GUERRA
20 ®
no di una bomba. Fu lui che mi disse: — Dottore,
tagli ! — Gli feci un’iniezione e gli tagliai la gam¬
ba. Quel ferito, di cui ricordo ancora il nome, Fu¬
magalli, se ne andò come era venuto, senza un
lamento. Le ferite più gravi sono quelle prodotte
dallo scoppio di granate, specie se di grosso cali¬
bro. Quelle di pallottola — fucile, mitragliatrice,
shrapnel — sono spesso intelligenti. —
Oggi, primo giorno d’inverno, secondo l’astro¬
nomia, si annuncia con un sole scialbo. Verso il
mare c’è una cortina di nubi temporalesche. Da
qualche giorno l’artiglieria nemica è inoperosa. La
nostra, invece, è sempre attivissima. Sono centi¬
naia e centinaia di granate che cadono quotidia¬
namente sulle posizioni nemiche.
Pare ormai sicuro che l’avanzata è sospesa. Se
si fosse potuto dare all’Austria una risposta sul
genere di quella data dalla Francia alla Germania !
32 Dicembre.
Gli austriaci ci bombardano regolarmente tutte
le sere con cannoncini da trincea, che gettano bom¬
be dallo, scoppio formidabile come di un 305.
Tempo nebuloso, ma non piove. Nella mattinata,
silenzio delle artiglierie. Anche la nostra tace. Le
bombe di ieri sera (ne hanno lanciate oltre trecen¬
to) hanno fatto alcune vittime
Mussolini. Il mio diario di guerra
14
210
BENITO MUSSOLINI
23 Dicembre.
All-una stanotte siamo stati svegliali da un im¬
provviso e vivace fuoco di fucileria nella nostra
trincea di avamposti. E’ duralo una diecina di mi¬
nuti. Falso allarme. Mattinata nebbiosa. Malgrado
ciò, azione intensa delle nostre artiglierie. Ne] po¬
meriggio abbiamo seppellito — profittando della
nebbia - un soldato del 21° fanteria. Apparteneva
alia classe dell'86, sardo. Nelle lasche aveva un
piccolo coltello e una lettera ricevuta che diceva :
* b ! Jero presto di rivederli in licenza invernale... ».
*' ,era di pioggia e di malinconia
Una visita graditissima rompe la monotonia del¬
ta sera piovigginosa.
Mi sento chiamare. Esco dalla tana e riconosco
Benedetto Fasciolo, il redattore del Popolo e ora
capitano di artiglieria, in compagnia di Amilcare
„ Anibn *> sotto-capo di marina. I miei ospiti si
allogano alla meglio nel mio sontuoso hólel illu¬
minalo da un mozzicone di candela. Sono venuti a
*Zl T T St r a al di Ià del1 ’ **>"*>. Apprezzo
C si merita questo gesto di viva amicizia Si
parla d, tante cose vicine e lontane... Dopo alcune
„' 1 l d l r J VerSaZ ' 0ne ’ 11 accor «pngno sulla strada
maestra che conduce a Doberdó.
h notte alla. Sul costone di quota 144 i tede-
' l: n lanciano i soliti barilotti di esplosivo. Uno
sprizzare di scintille, uno scoppio formidabile che
unisce in un gemito alto e sottile •
^ Qui à ^ guerra! — mi dice Fasciolo strin¬
gendomi la mano.
IL MIO DIARIO DI OTERRA
211
2 4 Dicembre.
La mia giornata. Al mattino non c’è «sveglia» in
trincea. Il sonno non è misurato da un regolamen¬
to, come in guarnigione, perchè la sua maggiore e
minore durata dipende dagli... eventi. Ore otto,
piccola colazione. Poi leggo i giornali. Scrivo
qualche « franchigia ». A mezzogiorno, cucina
grassa : ventresca, formaggio, frutta. La propor¬
zione della frutta eccola: un arancio, due mele,
quattro fichi, sei castagne. A turno, si capisce. Di¬
menticavo : un limone, e questo quasi tutti i gior¬
ni. Nel pomeriggio, niente. Se c’è la nebbia, me ne
vado attraverso il campo di battaglia. Si fanno
delle « trouvailles » spesso interessanti. Il cannone
ci accompagna fino a sera. Rancio. Silenzio. Nòtte
interminabile. All’indomani... è la stessa cosa.
Vigilia di Natale. Chi ci pensa, . fra noi ? Cielo,
plumbeo, nebbia che piove adagio adagio. Lungo
la trincea è tutto un picchiettare sui bossoli delle
granate esplose, per ricavarne i braccialetti di
rame da portare ai paesi... E’ lo «chic» delle
trincee ! Pomeriggio di tranquillità. L’argomento
« pace » è in ribasso. Ognuno capisce e intuisce
che non è suonata quell’ora...
LI capitano mi ha dato l’incarico di portare una
lettera di auguri al colonnello. Il colonnello è an¬
dato nelle trincee avanzate. Lo attendo al ritorno.
Agli auguri del capitano aggiungo i miei. [I co¬
lonnello rni dice :
— Sono stato in trincea a fare gli auguri ai ber-
21-2
BENITO MUSSOLINI
È '™" 0 è « »«<—.
All’accampamento ho trovalo una certa ani,*--
I)ei'Sri la - lld ° Je "“ " eIlbla l,<,sss ' !lntl "’ o?g' '
vaio u„ bindolo da ^TSTeSS!^ D-
auto tempo cercavo un binocolo. La strenna nata
1-zia. mi è venuta da un ufficiale austriaco eh. 7
damiano* S Z ancora 'Z\
=».©S«sS5
. e stracci. £ dovunque buche e dannar
il larrn a 1 K L pio £g ie hann o fatto crescere
7ochS m u r olooipo Anche ••
Natale
25 Dicembre.
Come ieri, come sempre, da un mese a questa
parte, piove. Oggi è Natale. Proprio Natale. 25
Dicembre. Terzo Natale in guerra. La data non
mi dice niente. Ho ricevuto delle cartoline illustra¬
te coi soliti fanciulli e gli inevitabili alberelli. Per¬
chè io riprovi un’eco della poesia di questo ritor¬
no, debbo rievocare la mia fanciullezza lontana.
Oggi il cuore s’è inaridito come queste doline roc¬
ciose. La civiltà moderna ci ha « meccanicizzati ».
La guerra lui portalo sino alla esasperazione il
processo di « meccanicizzazione » della società eu¬
ropea. Venticinque anni fa io ero un bambino pun¬
tiglioso e violento. Alcuni dei miei coetanei recano
ancora nella testa i segni delle mie sassate. No¬
made d’istinto, io me ne andavo dal mattino alla
sera, lungo il fiume, e rubavo nidi e frutti. Andavo
a Messa. Il Natale di quei tempi è ancora vivo
nella mia memoria. Ben pochi erano quelli che
non andavano alla Messa di Natale. Mio padre e
qualcun altro. Gli alberi e le siepi di biancospino
lungo la strada che conduce a San Cassiano erano
irrigiditi e inargentati dalla galaverna. Faceva
214
BENITO MUSSOLINI
lieddo. Le prime messe erano per le vecchie mal-
miere. Quando le vedevamo spuntare al di là del¬
la Piana era il nostro turno. Ricordo: io seguivo
rnezzJTSa'u C - hleSa cerano ,aute lllci e in
mezzo all altare — m una piccola culla fiorita —
il Bambino nato nella notte. Tutto ciò era pittore-
f, c .° ed «PPap^va la mia fantasia. Solo l’odore del-
“• P rovocava un turbamento che qual-
, volta mi dava istanti di malessere insopporta¬
bile Finalmente una suonata dell’organo chiudeva
la cerimonia. La folla sciamava. Lungo la strada
"n chiacchierìo soddisfatto. A mezzogiorno fuma-
'ano suda tavola i tradizionali e ghiotti cappelletti
di Romagna Quanti anni o quanti secoli sono pas-
n 3 tr°V ^ C ° lpo dl cai1 ™^ mi richiama
alla realta. E’ Natale di guerra.
staici e 8 ST è Un SÌIetlzio P ieno di segrete no-
' ' it f. ‘ ^ ataIe magro. Dei doni mandati dal Co-
dozzin 0 ; d 3 mi u C0mpagnia 50,10 'toccati mezza
ozzina di panettoni e altrettante bottiglie II
-^é è F!^Sf lteimo:1,acc8lài "' imid “
26 Dicembre.
Mattinata insignificante. Nel pomeriggio im-
Sr?loro SVe t gIÌ ° del ! e n '° Slre batterie - Un 'tratto
della ><loio„ trincea di prima linea, è saltato Der
aria. Li rimando, essi hanno lanciato alcune bom¬
be su quota 144. Mentre scrivo, i tedeschi lavora¬
no... per noi. Padre Michele è venuto a trovarci.
L Min DIARIO Dl GUERRA
215
Gli ho accennato alle polemiche suscitale dalla
mia licenza invernale e gli ho chiesto se sarebbe
pronto a rendermi testimonianza
— Prontissimo — egli mi ha risposto. — Direi
la verità, che cioè, io l’ho visto dal primo giorno
ad oggi, sempre in prima linea. —
Erano presenti altri ufficiali.
Scrivo queste righe alla luce fumosa di uno scal-
darancio, nella più inverosìmile delle posizioni.
Nel crepuscolo, si addensano le nubi sciroccali.
Bombe.
27 Dicembre.
Stanotte abbiamo rinforzato la nostra linea di
reticolati. Fra le 22 e le 23 c’è stato un bombarda¬
mento reciproco assai violento. Mattina nebulosa,
ma chiara. Mi affaccio al parapetto della nostra
trincea. Ci sono là, a poche diecine di metri, due
soldati austriaci che conversano tranquillamente
in piedi. Più lontano, un altro soldato, fa, non
meno tranquillamente, la sua «toilette» mattinale.
Si leva la giubba, il corpetto, la camicia ; si spi¬
docchia. A operazione ultimata, un lungo stira¬
mento di braccia, un’occhiata in giro, poi se ne
torna lentamente alla tana. Io constato che da un
mese non mi lavo la faccia. L’acqua del lago è
sospetta. L’acqua che giunge colle ghirbe e che
bisogna prelevare con un « bono », è troppo rara
per sciuparla a lavarsi la figura.
E’ finito or ora un bombardameli!o intensissimo,
216
BENITO MUSSOLINI
cin,ue 11 p-**» *
144. Grossi calibri rhf ' C ° me sem P re > la quota
ci “a di quota *144 era &™]?!,** 0 ! accoppiati. La
biancastro delle esolo^ioni i 06 fumo nero e
scendeva su! lacr 0 e annrhh' C ie ’ P ortato dal vento,
Doberdò. Gli austriaci hann^ U , U ° , ’ altÌ P iano di
bali per quasi un’ora Po' continuato indislur-
stre batterie Per d l n^ f S ° n0 “ l . erven «*e le no-
letta dove è i, nostra La sei-
ho le vibrazioni rParìo , ^ un nmborn-
eht abbiamo'™ le TS?“ ‘ 1“ da ^
Annate del m 1“ bi „“l ‘ e mi doh “ giravano
nel fosso della trincea a ’im 1 S0 "°, messo m piedi
un certo punto c’è stata g der . mi Io spettacolo. A
breve. Sopraffatti dal n Una ripresa de i loro, ma
«oatre baC Zf‘^Z7‘ Mh P ° taa de,le
lacere. I no-fri hanrm ™ r ! s ? no rasse qnati a
sino alle prime ombre JJ DUa °’ im placabilmente,
"«hfe A» mSo cS^ epUSC0l °- N "" m * e
detto m''bomLXrethV'illàva !>e, ' i ' iVO ’à~ ci h »
un camminamento. ’ corrend o, lungo
E’ sera. Le nuvole si strarciann e i
pnmo quarto della luna nuo™ at p ?“*• ? are è 11
qua e là, delle stelle. ~ N 0,el ° sono,
28 Dicembre.
iL MIO DIARIO DI OTTERRÀ
217
tori del 39° battaglione, ho chiesto notizie sugli ef-
letti del bombardamento d’ieri a quota 144.
— Insignificanti — mi ha risposto. — Quattro
o cinque feriti al 7°, un ferito all’ 11°. Le gallerie
tt ono state provvidenziali... —
Mi dice anche che ieri sera, sull’imbrunire, un
romeno si è arreso. Ma non è stato possibile in¬
terrogarlo, per mancanza di interprete.
Mattinata di sole pallido. Due Caproni, scortati
da un Nieuport, volteggiano su di noi. I cannoni
urlano già la loro canzone di morte. Moltissime
granate austriache di piccolo calibro che cadono
presso la nostra seconda linea, non scoppiano. Ne
abbiamo contate otto. Pomeriggio di sole. E’ il
bel tempo ohe torna ?
29 Dicembre-
Notte agitola. Stamani, una nebbia bassa na¬
sconde allo sguardo il lago e la pianura di Dober¬
dò. Nel cielo è una nuvolaglia grigia che il sole
non riesce a disperdere-. L’aspetto dei miei com¬
militoni dopo la permanenza nella trincea carsica,
comincia ad essere lamentevole.
Ci sono alcuni casi sospetti di gastro-enterite
all’S’ 1 compagnia. La compagnia ha ricevuto l’or¬
dine di allontanarsi. Si credeva che ci precedesse
nell’andata a riposo. Ecco : piuttosto che morire
in un lazzaretto di colerosi, preferisco di essere
sbrindellato in cento pezzi da un proiettile da 305.
Oggi i cannoni austriaci hanno buttato qua e là
218
BENITO MUSSOLINI
i solili colpi innocui. Si sbadiglia. Chi per noia,
chi per appetito.. Questa è la guerra dell’immobi-
utà.
Voci del gergo guerresco:
benzina = vino ;
lampione = fiasco di vino.
30 Dicembre.
Tempo accidioso ed insidioso, da colera. Difaiti
il bacillo virgola deve aver fatto la sua comparsa,
a giudicare dalle misure igieniche che si stanno
prendendo, rutto Taccampamento è bianco di
calce, che vieti gettata fra i baracconi, senza ri¬
sparmio.
1 adre Michele è passato nelle trincee, offrendo
un distintivo tricolore e un foglietto. Ho accettato
d distintivo, poi mi sono fatto dare il foglietto Si
tratta d'eila
Solenne consacrazione
dei soldati del Regio Esercito Italiano
al Sacro Cuore di Gesù.
lo non commento, trascrivo. Nell’interno del fo¬
glietto c è I « istruzione » che dice:
« La devozione al Sacro Cuore di Gesù è la gran¬
de speranza dei tempi nostri. Tutto noi possiamo
ottenere mediante la fede e l’amore al Cuore di
Gesù. Egli stesso, apparendo alla Beala Marghe-
lila Maiia in Francia, ha detto: «Voi non manche¬
rete di soccorso che quando io mancherò di poten¬
II, MIO DIARIO DI GUERRA
219
za ». Vedete i francesi alla battaglia della Marna :
tutto pareva perduto, quando il generale Castelnau
ebbe l’ispirazione d’invocare il Sacro Cuore e con¬
sacrargli l’esercito. E il risultato fu la meraviglio¬
sa vittoria che salvò la Francia. Vittoria vogliamo
noi pure, duplice vittoria : una sui nemici politici,
per la grandezza della patria nostra, l’altra su noi
stessi per purificarci ed elevarci. Ma per entrambe,
se le vogliamo grandiose, abbiamo d’uopo di mez¬
zi eccezionali. Ed ecco additata la devozione al
Sacro Cuore di Gesù... ».
Poi c’è anche « Un atto di Consacrazione » che
finisce in un Credo.. Pater. .4re. Gloria.
Ripeto: non commento: trascrivo, copio... il do¬
cumento
\
31 Dicembre.
Fine d’anno. Messa al 7° bersaglieri e discorso •
del prete officiante. Non so chi sia. Non conosco il
suo nome. Un mio vicino che ascoltava mi ha detto
che è un abruzzese. Oratore dalla parola facile,
dalla voce squillante e quel che è l’essenziale, un
italiano nel più fervoroso senso della parola. Mi è
piaciuto, nel suo discorso, l’accenno alla pace tede¬
sca che sarebbe «la pace del vincitore che pone
il piede sul petto al vinto », mentre la nostra pace
deve « consacrare la giustizia e la libertà dei po¬
poli » ed ha finito con queste parole : « L’Italia
anzi tutto e sopra tutto ».
Avrei voluto gridargli: « Bravo! ». Avrei voluto
andare a stringergli la mano. Voglio qui ricordare
220
BENITO MUSSOLINI
il _ pruno discorso veramente ed accesamente pa¬
triottico che ho sentito in sedici mesi di guerra
Giornata grigia. Il lenente generale che coman-
la la nostra Divisione è fra noi. Sembra certa la
nostra partenza a riposo, in un paese dell’ Oltre
sonzo, nell’Haha redenta. Alcune settimane di
quiete ci tempreranno per l’azione, quando il gior¬
no verrà. Gli amici interventisti che si trovano nei
paraggi cercano di vedermi. Oggi è venuto a tro-
:t: XLl* eliahm ’ MmM '
E un interventista entusiasta, un amico del Po¬
polo Dopo Cinque mesi di fronte, ha conservato
intatto e accresciuto, anzi, il suo patrimonio ideale
d interventista. Questi umili figli del popolo che
hanno sentito la bontà della nastra causa e la san¬
tità della nostra guerra, meriterebbero di essere
.'valorizzali» un po’ di più, ai fini della vittoria!
-\el pomeriggio un sole pallido schiarisce l’oriz¬
zonte. La partenza è fissata per stasera. C’è l’or-
dma Si compie oggi il mio primo mese di trincea
■sul Carso. Io saluto il 1916 che muore e il 1917 clic
comincia: Viva l’Italia!
Gli austriaci si sono accorti del nostro movimen¬
to? Non so. Non credo. Certo è che a un dato mo¬
mento, le artiglierie nemiche si sono improvvisa¬
mente risvegliate. Un grosso proiettile è scoppiato
m pieno su un ricovero, ma, fortunatamente que¬
sto era vuoto. Gli austriaci ci hanno dato la buona
fine d’anno.
Saluto, marciando, il 1917
1° Gennaio 1917.
Il 1916 è morto, mentre io marciavo sulla strada
da Doberdò. Il 1917 l’ho salutalo marciando. Ciò
è di buon auspicio...
Primi dieci giorni, riposo a palazzotto, vicino
ad Isola Morosini, in un deserto fangoso. Barac¬
camenti e brande. Bagno. Iniezioni anticoleriche.
Esame delle feci. Segregazione contumaciale
Noia. Dal 10 gennaio al 20, riposo nei baracca-
menti di Santo Stefano presso Aquileja. Visita al
Museo. Conoscenza dello scultore Furlan, mila¬
nese, e del pompiere Sala della [II Armata, un
interventista milanese della vigilia, ancora entusia¬
sta. Notte dall’ 11 al 12, incursione di areoplani.
Cinquantadue bombe innocue. Io pensavo alle ni¬
diate di bambini veduti ruzzare nelle strade di
Aquileja. Lavori di trincea presso le xMura romane.
Scoperta di ruderi. Istruzione del lancio delle bom¬
be. Maestro, un maresciallo di cavalleria. Mi dice
di aver istruito anche Malusardi e Trerè, volontari
milanesi.
222
BENITO MUSSOLINI
19 Gennaio.
Ripasso l’Isonzo. Emozione. Grande fiume ce-
de P Tcn 116 Vie del Tevere è «ala l’Italia, sulle vie
eli Isonzo e rinata. Piens. Ancora popolata di
rminres 6 Nella Pezzetta c’è una statua
. appresentante una donna in piedi con un libro in
Z„a ni f' en r a r dlCe : AW Aratrice Elisa-
tano aL P fv° dl PlCns - 11 paese è intatto. Sol-
fV 1 r a > nei muri delip ^se abbandonate
I occhio di una granata. Nel cortile del nòstro ac-
DÌamaT ment ° al<?UnÌ Soldati di s ^ilà hanno im-
fra mas°ch? a f™ 01 *’ fr ® quentala da ™ centinaio
frajnaschi e femmine. Domando a una bambina:
1 cos.a bai imparato oggi a scuola?
— Niente.
— Vuoi un poco di pagnotta?
— Màgnatela. _.
Radi borghesi.
20 Gennaio.
Incontro con Guido Podrecca. A Ronchi per gb
r . °^ ia menti. Lungo la strada, poco prima °di
Roneh,, c è una tomba, che reca sulla croce : < Sol¬
dato sconosciuto ». Vento freddo. Sole.
21 Gennaio.
Bora di Trieste. Freddo. Giornata insignificante,
he tempo di un <■ morale.» pessimo. Parlottano.
IL MIO DIARIO DI GUERRA
223
11 colonnello Beruio se n’è andato a comandare la
Brigata Cremona. Lo ha sostituito il tenente colon¬
nello Capanni, che ha mandato un vibrante saluto
all’11° glorioso.
'26 Gennaio.
Lavoro di trincea su Dolina Berg, quota 70, pri¬
mo ciglione del Carso, sopra Selz. Il campo di
battaarlia. Impressionante ancora ! Atterramento
forzalo di un nostro velivolo vicino a Doberdò.
Croci con le corone di rosario appese. Rotoli di
carta e cestini di vimini colla telaiatura di ferro.
Morti isolati. Mucchi di cadaveri, appena ricoperti
di sacelli a terra. Piedi che sporgono. Un teschio.
Frammenti di ossa. « Pace , o fratelli » (14° fante¬
ria). Ferraglie in quantità. 11 mare. Laggiù, il cam¬
panile quadralo di Aquileja. Più in là un biancheg¬
giare di case : Cervignano.
27-28 Gennaio
Neve, freddo, noia infinita.
Ordine, contrordine, disordine.
30 Gennaio.
1 soldati che tornano dalla licenza sono da qual¬
che tempo di un <« morale » pessimo. Parlottano
a bassa voce del bordello che «ci sta» in Italia,
224
BENITO MUSSOLINI
.• ,e v„.
110ad a Hro. a Roma c ’: u C J e ?il uffic,a !i pensa-
Krn ° impotenza **? " el manic °- Oo-
F Febbraio.
fncitì I ornali nj r~r n i
slioalo a formare il «• 'Sf*?. U mi » Plolone de-
!" IW». Si è costiwta °” e ' 5 rota W m e„.e
taxcia Baltica e me le ha ““ a “°' ld Vuoile di
r^rclazioai al Poligono d° Ro n hf°
9 Febbraio.
Marcia alla trincea Tn m- •
niluxuo. ' ' 1 posizione. Notte di pie-
2 '«SSsCj due del ' 97 -
10 Febbraio.
«ii^.Tntipli™ df„ a ;°' Malli " a,a di ^ ra-
al camminamento. Solito ,? lccoH lavori
■-'olito passaggio di velimi' C ai^ G 6 artiglierie,
granate sono cadute AIcune de »e loro
« «"> de'l'arSlta neE° "t '° ro l ™« a
mollo irregolare ed allrettanlo tanòc" m * d eSSCTC
IL MIO DIARIO Dl'G UERRA
227
11 Febbraio.
Cannoneggiamento. Gli austriaci ci hanno tirato
con le loro bombarde, ma senza far vittime. Pochi
colpi. Scoppio solenne. Quando la bombarda cade,
sembra un gatto con la coda in alto.
12 Febbraio.
Lavorai al « camminamento del morto >» (austria¬
co). Sul cocuzzolo ci sono ancora una decina di
cadaveri austriaci e due italiani, insepolli. Uno è
senza lesla. Pomeriggio di pioggia. Vento sciroc¬
cale. Il lago di Doberdò sgela. Reciproco concen-
trainenlo vivacissimo di fuochi d’artiglieria.
13 Febbraio.
Il lago di Doberdò, tulio ricoperto di canne pa¬
lustri, presenta l’aspetto miserevole di uno stagno,
come il limitrofo « Pietra Rossa ». I giornalisti
che lo hanno trovato «pittoresco» l’hanno vera¬
mente'visto? Violento fuoco. Qualche ferito. Un
autoferito. Niente altro. Grande, lepido sole.
14 Febbrai o.
J
Mattinala di sole. Passa un morto tutto ravvolto
in un telo da tenda. Pochi commilitoni lo seguono.
228
BENITO MUSSOLINI
ljn prele ia q ualche gesto. J passanti si scoprono
Hifhu Se . r ' e T no - Ien sera g |j austriaci hanno
buttato alcune bombe nello nostra trincea Ai pie-
sàcrLn UeS r 6 qU f te ’ d S ° n ° 1 cimileri <*e le con¬
sacrano. Il nostro si allarga... Il breve funerale
non ha interrotto il Irafìioo e il movimenlo degli
d’Italia c P .r° C ° n meSt ' Zla a q ,,eI1 ’'gnoto. soldato
d Italia che se ne va sottoterra, mentre nel cielo
s. annunzia coi suoi tepori la primavera. Il cZ
-ione lavora. Il morto è del 531“ reparto mitraglio-
. h 1 unica vittima della bomba di ieri sera
1 «meriggio di cannonate. Una nostra granata è
j adula in pieno nella loro trincea. Gridavano i
l’oches e scappavano. Un loro portaferiti è accor-
r*Concerto dei nostri grossissimi calibri sulla
della P nosL e ^estrema destra
• ella nostra trincea ho visto Duino. Di lassù si
domina lutto il golfo di Panzane. Causa la foschìa
del mare, non ho potuto vedere Trieste. Lanciale
* tor P ed mi sui loro reticolali. Per rappresala
gli austriaci hanno lanciato selle granate daV''
15 Febbraio.
sole. Stanotte ho lavoralo sino alle quattro
Quando mi sono levalo dai camminamenti per tor¬
nare al imo giaciglio, un quarto di- luna rossa illu¬
minava sinistramente il campo di battaglia. Nes-
—
IL MIO DIARIO DI GUERRA
suna novità, stamani. Pomeriggio, solita sinfonia.
Gergo di guerra :
un telegramma = scheggia di granata ;
attaccare un bottone = tenere un discorso
noioso ;
signorina = sigaretta :
si gaietta = cartuccia da fucile :
chioccia — mitragliatrice.
andare alla riparazione = andare all’ospedale.
Canzone in voga:
Al 25 luglio ,
Quando matura il grano ,
M*è nata una bambina
Con una rosa in mano.
Non è una paesana
E nemmeno contadina ,
E ' nata in un boschetto
Vicino alta marina.
Vicino alla marina
Dove mi piace stare ,
Si vede i bastimenti
A galleggiar sul mare.
Per galleggiar sul mare,
Ci voglion le barchette,
Per far Vamor di sera.
Ci vuol le ragazzetle.
Le ragazzette belle
L’amor non lo san fare ;
230
BENITO MUSSOLINI
A oialtn bersaglieri
Glielo faremo fare,.
Glielo faremo fare,
Glielo fareni sentire ,
£ in capo a nove mesi
Le vedremo partorire.
i- TT con lr »
aella guerra” '* P™*"™. » lontana, fi,,,.
Sole grande. ‘Solito 'fuico” Nd "Jj ArlUro t
ra to sino quasi ail ’alb-i Qni'i ■ lnceiw hato. Lavo-
SeneaH ig \er i e. M :X^°S1^. ,U0C0
17 Febbraio.
stra'trincea avanzala’ n° Slat ° aI,arme nella no
ha tentato una piccola sornres^ sf 18 ^ auStriaci
reticolati. Lancio di hlh • e avvicina ta ai
esplosione. Tubo di gelatina Una forte
colati. Due cavalli di fS 2„J n T oslri . reli -
bombe. Un nostro caporale feruS'u've ^'ȣ
IL MIO DIARIO DI GUERRA
231
lavano. Fuoco di fucileria. Bombe Bcnaglia. Per
rappresaglia, abbiamo gettato nove torpedini sulla
loro linea. Si è sentito lo zoccolare di un rinforzo
austriaco. Tutta la notte lancio di bombe e canno¬
nate. Lavorato per le piazzole di due cannoncini
da bombe, per trincea.
18 Febbraio.
Mi accorgo che è domenica, perchè dinanzi al
Comando del reggimento c'è messa. Pochi ascol¬
tatori. Solito discorso. Pomeriggio di fuoco abba-
slanza vivace delle nostre artiglierie. Pomeriggio
nubiloso. Le batterie austriache non hanno rispo¬
sto che fiaechissimamente.
19 Febbraio.
Fame. Il cantiniere si è circondato di cavalli di
Frisia, per evitare ra'ssalto dei bersaglieri alle
gerle di pane. Stamani cielo grigio. Fuoco tambu¬
reggiante dei nostri cannoni e dei loro. Non ho
potuto dormire, perchè la terra sobbalzava e nel¬
l'aria era una vibrazione che scuoteva i nostri ri¬
pari sulle doline. Le bombarde sono bruciate.
Sintomo.
20 Febbraio .
Ieri sera, sulFimbrunire, ho sparato il cannon¬
cino lanciabombe. Le bombe sono cadute in piena
232
BENITO MUSSOLINI
trincea dei tedeschi. Soliti cannoneggiamenti uo-
ro r L e J° r0 n f aUÌnata venlosa Grande messa al
Comando II tenente medico Scalpelli se ne va in
un ospedaletto da campo oltre Isonzo. Era in pri-
ma linea dall inizio della guerra.
21 Febbraio.
Lavoralo gran parte della notte per la postazio-
e di un cannoncino lanciabombe. Stamani, all’al-
ho m L 0 p at °i • bU0I ‘ ?ÌOrno ai tedes chi, con una
ipo B. che è caduta in pieno nel.
o trincea. Il puntino rosso di una sigaretta
accesa si è spenta e probabilmente anche if fuma¬
tore. Oggi ci hanno bombardato per parecchie ore
ai seguito. Le nostre perdite non sono eravi. Tra
gli uomini mori di combattimento ci sono due uffi¬
ciali, uno dei ffitali bombardiere. Ho aumenfalo la
Ror^ao-r a r bn ° na Scra ' H " laDcia1 o due bombe.
finite^ °n 9 f1 ' st>!e ‘ Le Postazioni sono
fìmle. Stanotte conto di dormire a lunm»
22 Febbraio .
Sospese le licenze sia per gli ufficiali come per
i bersaglieri. Altro sintomo Rivista alle scatolette
c munizioni. Sole. Ore tre del pomeriggio. Giun¬
gono da lontano, e passano sulle nostre teste
grossi proiettili destinati alle prime linee nemiche!
IL MIO D1MU0 DI GUERRA 233
Le nuvole delle esplosioni oscurano di quando in
quando il sole. Sono diventato un fumatore. Con¬
seguenze della trincea. Le « macedonia « sono ec¬
cellenti. Gli austriaci rispondono con spring-gra-
nate fra la prima e la seconda linea : due morti e
cinque feriti della mia compagnia : la quinta. Un
ferito al braccio fuma la sigaretta. Due sono gravi.
, .
Feri to !
Nel pomeriggio del 23 febbraio 1917, verso le
ore 13, si eseguivano a quota 144 dei tiri d’ag¬
giustamento con un lanciabombe da trincea. Era¬
no attorno a me venti uomini, compresi alcuni uffi¬
ciali. La squadra era composta dai soldati più
ardii; della mia compagnia. Il tiro si era svolto
senza il minimo incidente sino al penultimo proiet-
blc. Questo, invece, — e ne avevamo spedite, due
casse — scoppiò nel lanciabombe. Fui investito da
'ma raffica di schegge e proiettato parecchi metri
lonlnno. Non posso dire di più. So che venni rac-
( ulto quasi subito da altri bersaglieri accorsi, ada¬
giato in una barella, trasportato a Doberdò per le
pi ime cure, portalo più tardi in quest’Ospedaletto
dove trovai un’assistenza affettuosa, premurosissi¬
ma. Il capitano medico dott. Giuseppe Piccagnorii,
dii et t ore dell Ospedale di Busto Arsizio, ed i dot¬
tori, lutti e due tenenti, Egidio Calvini di San Re¬
mo e Luigi Scipioni di Rosolini (Siracusa) mi cu¬
rano come se fossi un fratello.
236
BENITO MUSSOLINI
* # *
Durante la degenza di Mussolini nell ’ Ospeda-
" '/ " em £?> colando ogni legge civile ed urna-
nlnn b ?, b f rd ? 7 “ eZ ^ *' sofferenze con aero -
n , Ì T!° COSi narra in una Pedina del suo
Diano il doloroso fatto.
Mattina del 1S Marzo.
P °’ di S0le - 11 sol,l ° r °mbo degl,
lo non T 1 ° fent ° " uovo è 8'mnto questa notte.
10 n°n ho chiuso occhio. Stamani il termometro.
- 1 ’ otasera, segnerà 40.
Niente medicazione. Il sibilo di una «ranata F’
IVnHri 3 vicìno "lUOspedale. Un’altra °Una terza.
•late ' --.IT 8 T T- a pochi metri dall’Ospc-
e - L infermiere Parisi è tranquillo.
r~ Posslblle — egli dice — che non vedano la
n°J- r ° SS u SUl lett0? Non hanno mai tiralo in
questi quattro mesi. Dunque! —
Ancora un colpo II mio vicino, che ha le gambe
11 acassale da una bomba, li confa: siamo a 15.
..Oii pasticci dice un ferito alla clavicola,
-e medicazioni continuano al pianterreno. Vedo
dalla porta spalancata sfilare le barelle. Salgono
dal basso, grida di dolore. Un rombo. Uno scroi
sciare d, vetri nel corridoio, nelle camerale. I no-
In lettucci hanno sobbalzalo.
— Questa è caduta più vicina delle altre — dico
a Parisi.
IL MIO DIARIO DI GUERRA
23-7
Ma non ho finito di pronunciare queste parole,
che un polverone bianco e denso si diffonde dalle
camerale sulle scale. Dal polverone sbucano e cor¬
rono nella mia camerata, i feriti che possono cam¬
minare. Quelli inchiodali al letto si sono rovesciati
giù, pazzi di terrore. I loro urli riempiono Tedi-
ficio. Uno, nuovamente ferito, alla spalla, si è roto¬
lati» dalle scale.
Tutti i feriti della camerata li hanno trasportati
nella mia. Il doti. Piccagnoni era a pianterreno e
stava operando un ferito gravissimo. Dopo lo scop¬
pio, ha lasciato il ferito agli assistenti ed è corso
di sopra. Ha messo un po' d’ordine. Ha rincuorato
tutti. E’ stato ammirevole di calma e sangue fred¬
do. Sistemati i feriti, è tornato giù a lerminare
l’operazione. Per fortuna, i nuovi feriti non sono
gravi. Il piu grave era ormai guarito. Ora una
grossa scheggia gli ha rovinato una spalla ! Conti¬
nuano a fasciarlo. Perde tanto, tanto sangue!
Quelli che possono parlare, commentano:
— Sono dei vigliacchi! Degli assassini! Ci vo¬
gliono uccidere per forza ! —
. Gli altri, che non possono parlare, fissano le
pareti con gii occhi spalancali. Il sibilare delle
granate — poiché gli austriaci continuano a spa¬
rare — provoca alcuni secondi di silenzio mortale.
Ormai cadono lontano.
Il doti. Piccagnoni, insieme col doti. Velia e gli
altri due medici, ritorna nella nostra camerata ed
annuncia che nel pomeriggio tutti i feriti saranno
portati al di là dell' Isonzo. I volti si rischiarano.
— E io? — domando.
238
BENITO MUSSOLINI
pagina? N ° n è lras l Jorlab,Ie - Mi farà coni-
Pomeriggio.
Tutti i miei compagni di dolore sono partili Noi
“Esc
de nel crepuscolo... ' ' ° ‘°’ Sllenzi ° ^au¬
lì Re visita Benito Mussolini
e i suoi compagni feriti
(Corrispondenza c/i Raffaele Garinei al Secolo)
Oiiarfier Generale, 7 Marzo.
Stamani il Re ha visitalo 1’ Ospedalelto da cam¬
po ove è ricoverato il caporal maggiore Benito
Mussolini. Tornavo giù dalle trincee di Monfalcone
■e mi recavo a chiedere notizie dell'amico ferito, le
cui condizioni di salute negli scorsi giorni avevano
avuto un notevole peggioramento, allorché l’auto¬
mobile grigia del Sovrano lasciava lo spiazzale che
si distende a lato della palazzina dove ha sede
i’ Ospedalelto che ospita Mussolini.
Il Re era giunto mezz’ora prima, inatteso, aveva
chiesto del Direttore dell’ Ospedalelto, il capitano
Giuseppe Piccagnoni, ed aveva manifestato il desi¬
derio di visitare Benito Mussolini e gli altri feriti
ivi ricoverati.
Qualche istante dopo, il Sovrano entrava nella
corsia dove Mussolini era stato trasportato allora
allora, reduce da quella che è per lui la più stra¬
ziante operazione : la medicazione quotidiana.
2-40
BENITO MUSSOLINI
Mussolini era leggermente abbattuto: la medica¬
zione era stala iorse più dolorosa del solilo.
I Re ha domandato al capitano Piccagnoni nua-
solinf 6 1 ett ° SUl <Tliale era ada £ iafo Benito Mus-
- E’ lì sul secondo letto vicino alla finestra _
Mussolini aveva frattanto riconosciuto il Re' ed
bovi ano aveva immediatamente scorto il ferito
l'a domandato a
Come sta, Mussolini ?
— Non troppo bene, Maestà. — .
11 capitano Piccagnoni, interrogato dal Sovrano
ha aggiunto particolari precisi: ^oxrano,
, La febbre si è manifestata otto giorni fa
quando sorse una complicazione infettiva nelle fé’
rite alle gambe: la temperatura superò i 4 S "rad"'
Ó .Ta febC Ò v Hi «l** in P^« » «rfe!
la ld tebble e diminuita: 38 gradi Le achemw*
^ono state tutte estratte e le ferite vanno rimarci
nandosi Ma Mussolini soffre mollo. Figura™ et e'
la superfìcie lineare di tutte le ferite eh! torturano
corpo di Benito Mussolini raggiunge complessi
vamente gli 80 centimetri. Le due ferite Se Se
^ono cos, ampie, che, divaricate, possono acfoglie-
ie un pugno di un uomo ! _ ®
11 nevT^ f aVa ’ gl , lardando iJ volto del ferito.
stwS ffni T lto ’ Iei > P ur c °sì forte in que-
sta dolorosa immobilità r ' 7 1
ziem*’™ SUPPUZÌ °’ MaeSlè ’ ma ci vuote pa.
Poi il Re ha chiesto a Mussolini , particolari del
IL MIO DIARIO MI GUERRA
241
doloroso episodio di guerra, cd il ferito li ha mu¬
rali con precisione.
— Duale credo sia stala la causa dello scoppio?
— ha chiesto il Re.
— Il tubo di lancio era Ipoppo arroventato.
— Eh, già, — ha aggiunto il Sovrano — forse
il tiro era sialo troppo rapido. —
E noi, mutando discorso:
— Ricorda? To lo vidi, sei meri fa all' Ospedale
di Cividale,
— Ricordo perfettamente : allora ero in osser¬
vazione per malattia...
— Ed oggi — interruppe il Re — dopo tanle
prove di valore, è rimasto ferito. —
Seguì un istante di silenzio. Tulli guardavano
quel soldato valoroso, che, ammaestrando i suoi
uomini sotto il fuoco austriaco, perchè essi potes¬
sero del nemico aver ragione, era caduto con pari
eroismo del soldato che in trincea è sopraffallo
dall’ impelo dell’avversario.
Poi il Re continuò :
— L’altro giorno, sul Deboli, il generale M...
mi ha parlalo molto bene di lei...
•— Ho cercato sempre di fare il mio dovere con
disciplina, come ogni altro soldato: è mollo buono
con me il mio generale.
— Bravo Mussolini ! — interruppe il Re. — Sop¬
porti con rassegnazione l’immobilità ed il dolore.
— Grazie, Maestà. —
Il Re si volgeva allora verso gli altri feriti.
Al lato sinistro di Mussolini era un valoroso mu¬
tilato, il sergente Gasperini, valtellinese, clic fu
ìir
Mussolini. - IJ mio diario di guerra.
BSNITO MUSSOLINI
■2i-2
Ierito dalla bomba di un aeroplano presso Do-
herdò. Anche per lui il Sovrano ebbe parole di
elogio e di incoraggiamento, e fece segnare il suo
nome ad un aiutante di campo, insieme a quello
di un altro mutilato: Antonio Bertola, siciliano.
Il Re, quindi, dopo aver salutalo Benito Musso¬
lini, lasciò la corsia e visitò le altre sale dell’Ospe¬
dale, congratulandosi poi col Direttore capitano
Piccagnoni per l’ordine che aveva trovato.
Ilo avvicinato Mussolini qualche minuto dopo
‘die il Re aveva lasciato 1’ Ospedaletto.
— Sono assai contento — egli mi ha detto —
della manifestazione di gentilezza avuta da parie
del Sovrano, e delle buone parole che ha rivolto
a me ed ai miei compagni. —
M
Al capezzale di Benifo Mussolini
{Corvixpondenza di Sandro Giuliani al Popolo d’Italia)
Dal Carso , 1° Marzo.
L'altra sera, dal Popolo ri 9 Malia , ho appreso il
tragico incidente di guerra che per poco non costò
la vita al nostro valoroso combattente.
La mia trepidazione, il mio dolore furono il do¬
lore e la trepidazione vostra. Non occorre che ve
ne scriva. ,
Poco più tardi potevo procurarmi dei giornali
di Roma. Si diceva che le ferite di Mussolini erano
molle, ma non gravi ; mi tranquillizzai un poco :
non tanto però da saper rinunciare all’istintivo
proposito di correre da Lui, di abbracciarlo, di
avere una più esatta e sicura idea del suo male.
Chiesi ed ottenni subito il necessario permesso .
notevole cortesia della quale sono assai grato al
Direttore della mia unità.
Dove fosse V Gspedalettò 46 non fu possibile
saperlo. Non risultava che esso esistesse. Pen¬
sammo ad un errore. Convenimmo nel credere che
si trattasse del 046, in funzione presso Gormons.
E la mattina dopo partii.
24(5
BBNITn MUSCOLI NI
- )ua, ‘ 519110 sl9tf> te delusioni e l’amarezza pro-
vate arrivando, vi sarà facile immaginare. Trovai
dspedaletlo, ma il ferito nostro non c’era ' Per¬
dei così, inutilmente, la mia giornata, riuscendo
tuttavia a sapere che il 46 era molto lontano- ad
Aquileja.
Tornai alla mia residenza con l’anima in pena
sconfortato, avvilito. Mi restava una sola speranza
quella di avere un secondo permesso. E Io ebbi
infatti. ~ 7
Ripartito stamani per tempo, autorizzalo ad usu-
fnure d ogni mezzo di trasporto, mi diressi ansio-
sanimi le aita mèla. Marciai in lutti i modi, con tutti
i mezzi : con camions. con carri d’artiglieria con
carrelli carichi di materiale, in molli traili, ’perti-
bu$ calcantibus. Ma marciai sempre.
Alle quattro del pomeriggio, a Sacrario mi im¬
batto. m Manlio Morgagni _ il direttore ammini-
sPativo del nostro giornale — e nel collega Gari-
nei del Secolo. Tornavano da una visita a Muss»:
hm Appresi da essi clic l’eroico soldato aveva
mol a febbre e che 1’ Ospedalelto 46 non era più
ad Aquileja, ma a Ronchi.
Ma Sagrado a Ronchi — sei „ selle ehitemetri —
non trovai alcun mezzo di trasporto. Giunsi lo stes¬
so, pero. E giunsi presto i
All’ingresso dell’ Ospedale^ - situalo in una
bella palazzina rimessa a nuovo dopo le « inmn-
ne ,> delta guerra - mi si precluse‘il passaggio.
?ol (ufficiale d’ispezione aveva una consegna
TL MIO DIARIO HI GUERRA
247
precisa e non era disposto ad infrangerla* a nessun
costo.
— I medici hanno proibito ogni visita. Ce ne
sono siate troppe! 11 ferito è molto sofferente. Ha
la febbre a 'iO, stasera. Egli stesso desidera di es¬
sere lasciato in pace. Mi dispiace tanto, ma ò im¬
possibile. —
Declinai la mia qualità di redattore del Popolo ,
dissi la mia angoscia per la sorte di Lui. parlai
del inio affetto fraterno per il mio Direttore e Mae¬
stro...
Nulla !
Domandai di parlare col Direttore dell’Ospo
daletto, con qualche medico... Fui accompagnato
dal lenente doli. Scipioni. Ripetei Tesser mio, lo
scopo del mio viaggio: domandai se era solo con¬
cepibile che fossi venuto da tanto lontano per....
tornarmene via senza aver veduto Mussolini!
L’ufficiale comprese..
— Aspetti ! Ma le raccomando : visita breve. —
Promisi e... non mantenni.
Due minuti dopo, ero vicino a Lui. Il nostro in¬
contro fu sinceramente commosso. Io lo baciai in
fronte. Egli sorrise lietamente. I suoi occhi lumi¬
nosi facevano il posto alla parola. Dicevano chiaro
die la mia apparizione inattesa era molto gradita.
Per un poco tacemmo. Lui soffriva. Io non sapevo
come cominciare..
— Tome stale?
— Sio bene !
— Avete molta febbre?
BENITO MUSSOLINI
248
— Passerà f _
39 - 9 “-
degli amici de°-Ji c-F 7’ '■ '° (l de * coni '
?' unesli , di tutti’i bulnf Z h n , SU0Ì ’ di lul,i
,0 " sc s °Hecita e completa. ’ P h ° 9 ? uar '>ione
^’afulai'TnSme'td ìlenle ? presto - ~
Posizione nel letto. Lo inZ^^'T’ ® carnb,ai
scoppio. 1,31 sulle cause dello
— Non le so bene ,• .
11 [?«<> come è raccolto nef suTr?'’• P °‘ racconl *
Domandai a Mussolini Diano.
agnazione ad una squadraci f' Ve . ni f lc Ia sua as-
- Nel modo più Imo,t Ianc,at «T>edini.
• tfra | ndc serenità. __ j, ^ «spose con.
andare in Italia per wn P 2£? * ej,hl ’ a *^ potevo
meno lungo. Ho preferito ? Il tcmpo P 1 " «
• ,,la ~ di passare al comando r f< ‘ ° d ' m,a v °-
cia torpedini, agli ordini dì < ìr U . na sez,onR lan-
m f; 0a * ^liana In, prefetto ' AHa *»*«**
Più -già S tulfo° !!! «
•j'd guanciale.°Gn^occhI°s! 3 [ ieveme,,l «‘ la lesta
di più. - 1 spalancarono... anche
- " iwi - m
'■onosrel,; __ gli jj, . 6 cl >« voi be,,
,mai sulla fronte, jj ° slo pallldo - Do acca-
a\eva la febbre alla r -, •. 111 llco, ’dò che cali
'uvolontariamente. un mar 7,> io Pr f e, ’5 a diventava,
,0 - Lo fa ccvo parlar
IL mio diario di otterrà
249
11 opp«». .Me ne accorsi. Glielo dissi J 0 esortai a
1,011 sforzarsi. Poi soggiunsi: 8 ‘ 9
- Darò notizie di onesta mia visivi ■
compagni, agli amici. * d 91 nosln
- Su fatelo. E dite chiaro e forte che ner il
I onf° deg), ideali di giustizia che guidano Mi eser
della Quadruplice, avrei accettato, senza rim-
palili anche Un più duro destino. Dite che sono
or^ghoso di avere arrossato col mio sangue n
,M rischi< *° ^ *
^ eli liaillO CÌ altro O01* un nnon 13 * ' 1
i™vo P uT a « l>aCCi Che mi c 4 P i1 »”» i“ mano.
njsti- 7 'r assai premuroso c cordiale del m i-
,,JS,| o (.omandini. .\ T e vedo. miinHt ,i;
II ministro Comandini ha telegrafalo cosi:
“ Commosso per il battesimo glorioso che ti tur
" piagalo e fortificato „ manda i più lenirli r i
“* mangione illecita e complJlZ
D’eroica madre di Filippo Corridoni te’-» T ,r, ...
Pai isola poche parole : " 91,1 ,l;>
C^ZV ami ° ,ia i -
250
BENITO MTSSOLINI
Xellf! poche parole è tutta l’anima della donna
semplice e stupenda.
Margherita e ( osare Sari'atli si esprimono cosi :
« Salutiamo il caro amico, l'eroico combattente,
ammirali, trepidanti, auguranti ».
E il Dottor Risi :
“ Saluto le tue gloriose /erile che in idealità no -
« buissima leniscono e guariranno ».
E l’ou..Bossi, da Genova.
« Personalmente e per il Comitato nazionale ardi-
« tedesco, auguro fervidamente di rivederti presto
«più che mai valida guida nelle lotte del fronte in-
« terno, non meno importante del fronte esterno.
« dove li temprasti ed emergesti tanto ».
Ala uno spoglio completo è impossibile.
Aedo, Ira gli altri, dispacci assai affettuosi del
lenente medico dottor Alberto Moslari — ferito in-
-001110 a Mussolini nel.tragico accidente di guer¬
ra —: del collega Uccelli del Corriere delta Sera
dell’ a va’. Ermanno Jarach di Milano, del compagno
baiassi, di Giampaolo Manfredi da Castel di San-
gro. di un numeroso gruppo di amici di Roma;
del Gruppo socialista torinese dissidente della Se¬
zione repubblicana milanese, dei socialisti dissi¬
denti di Firenze, della Lega antitedesca di Milano
dei giornalisti romani e milanesi, della « Fralel-
lanza bratti» di Forlì, della «Stampa periodica ,
dei « fascisti milanesi», clell’ing. Vaisecchi, di
IL Mio DIARIO Iti GUERRA
25 (
Clemente Finti, del Comitato delle Federazioni dei
Gruppi autonomi di Milano, del Comitato di propa¬
ganda patriottica pure di Milano, dell’ex Consiglie¬
re comunale Luigi Bonomelli c di mollissimi c mol¬
tissimi allri.
Il maggiore dei bersaglieri R. D.‘ dello stesso
reggimento del nostro valoroso soldato, scrive
cosi :
« Curo Mussolini, non li raccomando di farli ani¬
ma. ri offenderci, perchè li conosco mio fiero l>er-
sagliere. Ti auguro di cuore pronta guarigione per
averli ancora tra i miei e presto. Arrivederci, mio
buon camerata della trincea, e viva VItalia ! ».
Alfonso Vaiana dice :
« Le idee sopravvivono agli uomini: però quando
le idee hanno assertori della vostra tempra, diven¬
tano altari sui quali gli uomini si immolarono volen¬
tieri. Per questo vi auguro la vita e la salute ».
F il dottor Ambrogio Binda, capitano medico,
da Milano:
« Fervidissimi auguri ed un abbraccio. Ti aspet¬
to qui ! »
Vedo poi lettere c telegrammi ben auguranti di
Mante funi, di Giovanni Capodivacca, di Giselda
Bnebbia, Ida Bacchi, da Milano ; Camillo ed Er¬
minia Guadarli da Cassano d’Adda, Luigi Boni da
Folli, 1 editore Ferdinando Zappi da Verona, un
gruppo di operai da Torino : prof. G. C. Ferrari
2Ò2
BENITO MUSSOLINI
da Imola; soldati G. B. Ronconi, Pietro Montani
da Reggio Emilia, ecc.
Mi pare di chiudere degnamente la manata dt
auguri scelti a caso, con la trascrizione letterale di
questo messaggio da Ferrara :
'< Egregio, conte posso augurare bene a mio h~
"Olio, combattente sul Carso, auguro a Voi, sol-
■<dafo Italiano socialista, una pronta guarigione.
«Vostro Angelini Giovanni, umile lavoratore ».
ricanta nobiltà e quanto cuore in queste podio
ridile modelle !
Il lempo urge. Annotta. Mussolini è preso, via
da un ne re n [nato torpore. Anziché a diminuire,
la febbi e accenna ad aumentare. Gli sussurro quàl-
riìe parola. Apre gli ocelli, mi tende la mano, sor¬
ride lievissimamente.
Che dovizia di affetti in questi telegrammi,
m queste lettere!
— Veramente! — risponde il nostro eroico ber¬
sagliere. — Veramente! Ringraziate gli amici che
sono stati con me in quest’ora. Ringraziatoli al
grido di « Viva l’Italia ». —
li volto di Mussolini, incorniciato dalle bende
file gli fasciano la testa, ini appare assai più pnl-
liUo. ora. Anche la fronle scotta.
Mi chino su Lui. Ci scambiamo un bacio. Mi al¬
lontano volgendomi verso il letto. 1 ^uoi occhi
scintillai.-i e neri — singolari e suggestivi tra il
candore del viso, del fello, delle fasce, di tutto -
IL MIO DIARIO DI GUERRA
sono di strano contrasto con tanto bianco. Ma sono
stupendamente sereni.
Air uscita, mi intrallengo con i dottori Scipioni
e ('alvini.
— Le condizioni di Mussolini — essi mi dicono
— non sono grava. Non sono neppure cosi lievi
come qualcuno ha raccontato. TulUaltro. Egli ha
molte ferite trapassanti e a fondo cieco, negli arti
inferiori. Una di esse, alla coscia destra, è vasta
circa dieci centi moiri. Altre ferite interessano iì
capo, la spalla destra (la clavicola è rotta) e,
pili grandemente, !a mano destra, nella (piale si
riscontra la lesione del carpo. Le schegge trovale
sul suo corpo, in seguilo ad esami radiografici,
sommano a circa quaranta. Sono stale estratte
quasi tutte in due successivi tempi (operazioni). La
febbre alta che lo ha preso non deve preoccupare.
Essa è dovuta ai processi infiammatori della ferita
alla gamba, ove profilasi il pericolo di un flem¬
mone. Scemerà. In ogni modo, salvo ogni compli¬
cazione, Mussolini ne avrà per almeno una cin¬
quantina di giorni. Se scompare la febbre, potrà
lasciare questo Ospedaletto tra circa una setti¬
mana. —
Ho raccolto queste notizie per gli amici. Mi sono
congedato con l’anima triste e sollevata insieme.
A notte alta — splende la luna e tuona il can¬
none — butto giù queste note affrettate. Fa freddo.
v rfc
La mattina del 2 aprile Renilo Mussolini, accoro-
]>agitalo dal Or. Piccagnoni , direttore delVOspe-
BENITO M r; SSOLINI
:>54
daletlo dei campo ove. era. stalo ricoverato appena
fu ferito, giunse a Milano , accollo con vivissime at¬
testazioni di affetto da parte dei Redattori del Po¬
polo (TItalia e di molli amici che ne attendevano
ansiosi barrivo.
Con grandi precauzioni fu tolto dal tettuccio del
freno, e trasportato all 3 Ospedale territoriale, della
Croce Rossa di via Arena , ove fu ricevuto dal capi¬
tano doti. Ambrogio Binda , legato a Mussolini da
vincoli di fraterna amicizia.
Il Doli. Binda così parla del periodo in cui ebbe
in cura il ferito.
Lasciando il campo, Mussolini mi scriveva :
« Sono stanco, ho bisogno di riposo. Trovami un
ietto nel tuo ospedale».
Ed entrò nel mio reparto la mattina del 2 aprile
Mussolini era enormemente deperito, fortemente
anemizzato e febbricitante.
Venne ricoveralo in una modesta stanzetta al se¬
condo piano. Doveva sottostare, prima quotidiana¬
mente, poi a giorni alterni, a lunghe e dolorose
medicazioni, che egli sopportò con uno stoicismo
ed una forza d'animo impressionanti anche per noi,
rotti a tutti gli orrori delle ferite prodotte dalle
armi moderne.
Non volle mai la narcosi, neppure quando si
tratto di operazioni necessarie complementari.
Era sopratutto la ferita alla gamba destra, che
per la scopertura dei tendini e dei nervi rendeva
spasimante la medicazione.
IL MIu DIARIO DI GUERRA
: 2d~>
Una sola era la sua preoccupazione : « Dimmi,
Binda, riprenderò le funzioni dell’arto? Potrò ritor¬
nare in trincea? ».
Passava il suo tempo studiando il lusso e rin¬
glese e leggendo opere letterarie e politiche.
Nelle ore pomeridiane aveva la costante compa¬
gnia della sua Signora, della buona e gentile si¬
gnora Rachele, c dei suoi figli Edda e Vittorio.
Bruno non era ancora nato.
Durante la sua degenza all 5 Ospedale, non vi fu
uomo politico — italiano o- allealo — che, passan¬
do per Milano, non abbia sentito il dovere di por¬
gere un saluto ed un augurio al nostro mar¬
tire.
Aveva una parola affettuosa per tulli i suoi com¬
pagni d'ospedale, sui quali non voleva avere pre¬
cedenza nell'attesa delle medicazioni.
Non ricordo più chi — dei grandi clinici o pen¬
satori — ebbe a dire che la prima medicina per la
guarigione è la volontà. Mai, come nel caso di
Mussolini, ebbi a constatare la verità di questa al¬
le rrnazione.
Voleva guarire, voleva che la sua gamba ripren¬
desse la funzione; e non c'erano dolori che Io fer¬
massero nei suoi sforzi.
Nel suo corpo rimasero e tuttora vi sono, scheg¬
ge alPomero destro, alla coscia destra, alle ossa
della gamba destra e alla mano sinistra. E qual-
rhe volta si fanno sentire!
Nell'agosto, Mussolini lasciò l'Ospedale sorreg¬
gendosi con Paiuto delle grucce.
256
BENITO MUSSOLINI
^ & #
Tutta la slampa italiana di quel tempo ha puh .
hlicala la notizia del ferimento di Mussolini con
commenti di simpatia e di rammarico.
E la slampa francese, poi. se ti' è pure occupata
largamente ed ha ovulo per lui paiole cordialis¬
sime di solidarietà .
I ra i giornali estei i ranno notali : Journal dos
Débats, Le Figaro, Liberto, La France, Libre Pa¬
role. Homme Énehàiuè, L’Eveil, La Vicloire, Hu-
mamlé, Balaiile, Action Francaise e Radicai.
l " ) ™ ■
INDICE
1. Settembre - Novembre 1915
A chi . Pag. 7
In trincea coi soldati d ltalia. » 23
Tra il 'Monte Nero, il Vrsig e lo Jaworcek . . » 29
Come sì vive e come si muore nelle linee del
fuoco . » 45
Guerra in montagna, tra la neve e il fango . » 61
Le nostre truppe avanzano su Iti va e oltre
Mon falcone .... ....... » 75
P L'inverno nelle trincee dell'alta montagna . » 83
II. — Febbraio - Maggio 1916
Palle falde dell'Jaworcek alle vette del Rom¬
bo n .. ... » 105
Un mese tra le montagne della Carni a . . » 129
Mussolini al... fronte interno .» 167
III. — Novembre 1916-Marzo 1917
Nota bene .. » 173
Oltre il lago di Doberdò. » 175
Dicembre in trincea . . » 195
Natale . » 213
Saluto, marciando, il 1917. » 221
Ferito !. » 235
Il Re visita Benito Mussolini e i suoi compa¬
gni feriti . . » 239
Al capezzale di Benito Mussolini . . . » 245
CASA EDITRICE «IMPERIA»
MILANO (16): Via Lodovico Settala, 22.
E’ pubblicato :
BENITO MUSSOLINI
I discorsi della Rivoluzione
Prefazione di ITALO BALBO
Elegante volume con copertina a due colori
Fotografia dell Duce, fuori testo.
Terza edizione, con l’aggiunta del primo discorso di
Mussolini, Presidente del Consiglio.
L. 3,—
In preparazione :
BENITO MUSSOLINI
diuturna
E uma scelta di scritti tracciati dalla vivida penna di
Mussolini nel turbinoso periodo che dalla proclama¬
zione della neutralità del 1914 giunge fino ai recenti
fatti della Patria nostra.
Questa pubblicazione costituirà l'avvenimento
1 : Più notevole del 1 924 :
33793