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Full text of "Il Mio Diario Di Guerra"

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LI RE DIECI 




BENITO MUSSOLINI 



/AW'ORO 


IL MIO 

DIARIO DI GUERRA 


■ 1915 • 


• 1917 • 


Seconda edizione raccolta e ordinata da 
ARNALDO MUSSOLINI e DINO GRANDI 


MILANO - CASA EDITRICE IMPERIA - 1923 

Edizione per gli abbonati del " POPOLO D'ITALIA „ 





























































IL MIO DIARIO DI GUERRA 























BENITO MUSSOLINI 


Biblioteca 
angro TASCA 


Il mio 


diario di guerra 


( 1915 - 1917 ) 

con 10 illustrazioni 


SECONDA EDIZIONE 



IMPERIA 

Casa Editrice del Partito Nazionale Fascista 
Milano - Via Settata 22 



















Proprietà Letteraria 

I diritti di xiprodùzione e di traduzione sono riservati per 
tutti J paesi, compresi la Svezia, la Norvegia e l’Olanda. 

Copyright Febbraio 1923 by Casa Editrice Imperia 


2 e. XII - 1923. (P. I.). 


BENITO MUSSOLINI 

cMla classe del 1883, richiamato alle 
armi il 31 agosto 1913, assegnato 
aU'll 0 bersaglieri, fu mandato al 
fronte il 2 settembre successivo. 
















A CHI... 


4 voi miei comminimi del fortissimo 11° bersa¬ 
glieri dedico queste cronache di guerra. Sono mie 
e vostre. C’è in queste pagine la mia e la vos i a 
vita: la vita monotona ed emozionante, semplice 
ed intensa che abbiamo insieme trascorso nelle in¬ 
dimenticabili giornale della trincea. 

Serbo di voi tutti il più profondo ricordo. Che 
voi mi avete offerto una consolante certezza tari- 
dove non esisteva che una speranza e un atto di 
fede: sulle aspre cime delle Alpi contese — nella 
dura e pur tanto eroica guerra d assedio — avete 
dimostrato che la vecchia stirpe italiana non e 
esaurita, ma reca nel suo grembo i tesori eli una 
giovinezza perenne. 

M. 









SETTEMBRE — NOVEMBRE 





















In trincea coi soldati d’Italia 


9 Settembre. 

Da stamani circola la notizia della nostra pros¬ 
sima. quasi immediata partenza per la linea del 
fuoco. Dove andiamo? Nessuno lo sa dire con esat¬ 
tezza. Non importa. L’essenziale è di muoversi. Il 
pensiero di passare alcuni mesi in guarnigione mi 
sgomentava. La notizia della partenza si è diffusa 
tra i plotoni, ma non ha sollevato una grande emo¬ 
zione. E’ tempo di guerra : si va alla guerra. E’ 
naturale! D’altra parte lo stato d’animo di questi 
richiamati dell'84 non è negativo. Uomini di tren¬ 
tanni comprendono certe necessità. Vi sono molti 
interventisti anche all’infuori dei milanesi : ne ho 
conosciuto un altro, un caporale di Crespino, in 
quel di Rovigo. Gli elementi di lievito non man¬ 
cano. Una grata sorpresa mi attende. Ricevo un bi¬ 
glietto che" dice : « L’ex-linolipista deW Avanti !, 
Adolfo Girello', ora residente a Rovigo, per mezzo 
dell’amico Bavaglini, le manda i saluti più affet¬ 
tuosi, ricordandolo ». Un caporale milanese che era 
stato destinato al deposito, se n’è tornato con 
zaino e fucile in compagnia per andare insieme 
cui) tutti noi al fronte. Rei gesto ! Il caporale 

















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BENITO MUSSOLINI 


si chiama Mario Morani. Giornata melanconica 

l rima pioggia autunnale. Sottile, silenziosa, insi- 
stente. 


11 Settembre.. 


Stamani, insieme con altri dodici soldati, sono 

dl 8 ' uardia al Tribunale di Guerra 
do 3 corpo d Armata. Ho assistito - come senti¬ 
ne Ila d onore — allo svolgimento di due processi 
poco importanti. Primo. Un territoriale di 39 anni 
imputato di abbandono di posto. Faceva il mu- 
gnaio. Un povero diavolo che è livido di paura. Il 
1 - M. chiede un anno di reclusione, ma il Tribu¬ 
ni ?»f?°! V % S?COndo processo: quattro imputati 
^ a f !, 1 scar P e - E una storia complicata e 
noiosa 11 Tribunale condanna. Credevo, in verità 

morir r' ; USllZia Mllltare fosse Più sbrigativa, som¬ 
mai la t invece minuziosa, analitica. Mi è appar¬ 
sa piu melme all’indulgenza di quella civile per 
H e lo, orse, di quella specie di impr.mteraWic 
solidarietà professionale che si stabilisce fra uo¬ 
mini Tarme 0 


T2 Settembre. 


Siamo stati richiamati il 31 agosto e la nostra 

,nl ,?m gU f n K gl ° ne è già fini,a - Si annunc ia in for¬ 
ma ufficiale che partiremo domattina alle 7. Si an¬ 


IL MIO DIARIO Dl GUERRA 


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nuncia anche, che verso mezzogiorno il colonnello 
ci passerà in rivista c ci terrà una « morale ». So¬ 
no le undici quando la tromba alla porta suona 
Vattenti: è il colonnello che entra in caserma, li¬ 
sciamo nel cortile, armati senza zaino. Formiamo 
una specie di quadrato. Suona un’altra volta Yot- 
tenti. Il lenente colonnello parla. Discorso terra 
terra. Bisogna trovare altri accenti quando si è 
dinanzi a uomini di trenta e più anni. Bisogna con¬ 
siderare i soldati come uomini, non come matri¬ 
cole. Pei graduati c’è un supplemento di morale, 
fatto dal tenente Izzo. Io, che sono soldato sem¬ 
plice, me ne vado fuori. 


13 Settembre. 


Ore due: sveglia e in rango. C’è da ricevere la 
cinquina, un paio di scarpe di fatica, una coperta 
da campo e una scatoletta di carne da consumare 
durante il viaggio. Quest’operazione dura un paio 
d’ore. I bersaglieri si pigiano dinanzi alla fureria. 
Chi fa lutto, dentro, è il sergente Fogli, ferrarese. 
Grida, lavora c suda come un facchino. E’ l’alba 
- Zaino in spalla ! — 

In marcia verso la stazione. Il treno è pronto, 
ma si parte con un lieve ritardo. Siamo 351, com¬ 
presi i tre ufficiali — un lenente e due sottotenenti 
— che ci accompagnano. Occupiamo i vagoni. Nel- 
Pattesa, una donna, completamente vestita di nero, 
taglia i gruppi delle persone raccolte attorno al 






















16 


BENITO MUSSOLINI 


treno e si gella fra le braccia del marito che parte*. 
Il marito, col ciglio asciutto, si divincola dolce¬ 
mente dalla stretta affettuosa e incuora la donna 
che si allontana — adagio — con le mani sulla 
faccia, per nascondere le lacrime. E’ runico epi¬ 
sodio patetico della partenza. Il nostro vagone è 
adornato di rami. Una prima scossa. Un fischio 
breve. Ecco: il treno va. Addio! Addio! Un agitare 
convulso di mani fuori dai finestrini e un gridare 
tumultuóso: Addio! Addio! Poi canti a voce spie¬ 
gala. I miei amici gridano: Viva l'Italia! Attra¬ 
versiamo la campagna bresciana Vasta distesa di 
verde che impallidisce sotto il sole autunnale. La- 
uo di Garda. Non Uho mai visto così bello! Peschie¬ 
ra. Cittadella grigia. Mi ricorda un anno di vita 
militare. Addio,'vaga penisola di Sirmione incan¬ 
tevole! Siamo alle campagne veronesi, melanconi¬ 
che, sassose. Fa caldo. Sosta a Verona. Sosia più 
lunga a Vicenza. A Treviso grande movimento di 
soldati. Un treno di feriti. Altri vagoni pieni di 
soldati di fanteria si accodano al nostro treno, che 
diventa lunghissimo e deve rallentare la marcia. 
Stazioni: Conegliano, Pordenone. Sacile. 

Crepuscolo serale. Nel cielo che incupisce vol¬ 
teggia un Farman. A Casarsa lunga tappa. Si ag¬ 
giungono al nostro treno vagoni di artiglieri. Un 
vagone scoperto porla un cannone di proporzioni 
spettacolose. E’ tutto circondato di fronde verdi. 
Uno dei serventi agita una grande bandiera trico¬ 
lore. Entusiasmo generale. Saluti fra i soldati del¬ 
le varie armi. Udine — quando vi giungiamo alle 





Mussolini. - Il mio diario di guerra. 




























IL MIO DIARIO DI GUERRA 


19 


19 — c buia. Interminabili treni per i rifornimenti 
sono immobili lungo chilometri e chilometri di bi¬ 
nari. Quale somma enorme di sforzi richiede il ri- 
fornimento e vettovagliamento di un esercito che 
combatte ! Cividale. È’ notte alta e non vedo nulla. 
Ci rechiamo agli accantonamenti. Copilo coi miei 
amici nel solaio di un contadino. Sonno profondo. 


14 Settembre. 


Sveglia alle cinque. Sento che le mie ossa sono 
un po’ ammaccale. Un’ora di marcia, con uno zai¬ 
no che pesa trenta chili, mi rimetterà in [orma- 
Siamo, nel cortile dell'accantonamento e attendia¬ 
mo l’ordine di partire per Caporetlo. I T n bambino 
attraversa la strada gridando: 

— Un aeroplano! Un aeroplano! — 

C’è infatti un velivolo austriaco, altissimo. Im¬ 
mediatamente entrano in azione le batterie antiae¬ 
ree. Si ode distintamente il loro crepitio. Le nuvo¬ 
lette verdognole degli shrapnels punteggiano l’o¬ 
rizzonte. 

Ma il velivolo nemico, che si è tenuto sempre a 
una quota altissima, torna indietro. 

Cividale: città simpatica. D’interessante: il mo¬ 
numento ad Adelaide Ristori. Qui più ancora che 
a Udine si ha l’impressione della guerra vicina. 
File interminabili di camions automobili e di carri 
d'ogni specie vanno e vengono incessantemente.* 
Scrivo queste linee nel cortile di una fattoria, 
durante un all. 































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BENITO MUSSOLINI 


Qualcuno dei miei compagni dorme. Qualcun 
altro scrive. Sotto un pergolato si gioca alla morra. 
Giunge da lontano il rombo del cannone. Io amo 
questa vita di movimento, ricca di umili e di gran¬ 
di coso. 


15 Settembre. 

Tappa a San Pietro al Xatisone. Primo dei selle 
Comuni in cui si parla il dialetto sloveno. Incom- 
prensibile per me. 

Il tenente Izzo ci ha invitati ieri sera a bere un 
bicchiere di congedo con lui. Egli ci accompagna 
-ino alla linea del fuoco, poi ritornerà a Brescia, 
per entrare come osservatore nel corpo aviatori. 
Riunione fraterna, simpatica. Son con me Busce- 
ma, Morani, Tal'uri, Bocconi. Stamani, sveglia alle 
-ei. In marcia! Sole cocente. Il polverone sollevato 
continuamente dai camions e dalle colonne delle 
salmerie ci acceca. 

Ecco Stupizza, l’ultimo paese italiano prima del¬ 
la guerra. Troviamo della birra eccellente a un 
prezzo discreto. 

Di lì a poco giungiamo alla linea del vecchio 
contine. A lato della strada ce una casa e un posto 
di guardia. Le insegne austriache sono scomparse. 

Momento d’emozione per me che mi ricordo di 
essere stato nell’ottobre del 1909 sfrattato da « tut¬ 
ti i paesi e regni dell’Impero austriaco ». 

il tenente grida : 

— Viva l'Ttalin ! — 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


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Io che mi trovo in testa alla colonna ripeto il 
grido, ed ecco quattrocento voci gridare in coro: 

— Viva l’Italia ! — 

Giungiamo dopo una marcia faticosa a Robich. 
primo villaggio ex-austriaco. A Robich. tappa di 
alcune ore. Ci precipitiamo nell’unica osteria. No¬ 
to un bambino di sei o sette anni che si atterra al 
braccio di una pompa e ci serve di acqua. Gli do¬ 
mando : 

—.Come li chiami? 

— Stanko. 

— E poi ? — 

Il bambino non capisce e non risponde. Lo do¬ 
mando a una ragazza che attraversa il cortile. 

— Si chiama Robancich. — 

Nome prettamente slavo 

Nel prato, poco lungi, un caporale, il milanese 
Bascialla, fa circolo. Ha ritagliata e l’ha conser¬ 
vata nel portafoglio una cartina della zona di guer¬ 
ra. Col dito teso, egli indica il famoso e misterioso 
Monte Nero. 

Iscrizione trovata, due chilometri prima di Ca- 
porelto. su di una cappella votiva al ciglio della 
strada : 


Nikdar Noben se ni Bit zapuscen 
Kiv varilo Marjis Bit izzocien. 

Caporelto. Non ho visto che un campanile 
bianco con una guglia grigio-verde, sottile. Una 
moltitudine di soldati si affolla attorno a noi per 
cercare i compaesani. Ci accampiamo poco lungi 
dall’Isonzo, sulla nuda terra. Miei compagni di 
























22 


BENITO MUSSOLINI 


tenda: caporale Buscema, caporale. Tafuri, capo- 
ral maggiore Bocconi. Nella notte romba il canno¬ 
ne, verso Gorizia. Nell’accampameli lo — vigilalo 
dalle sentinelle — silenzio alto. Si sente la guerra. 


16 Settembre. 

Mattinata fredda. Sull'Isonzo è un velo di neb¬ 
bia. La notizia del mio arrivo a Caporetto si è dif¬ 
fusa. Discorsi e impressioni. Due soldati d’arti¬ 
glieria. Accidenti! A sentirli, il nostro esercito è 
quasi interamente distrutto ; l’Inghilterra dorme: 
la Francia è spezzata; la Russia finita. 

Discorsi odiosi e imbecilli che io ho sentilo ripe¬ 
tere tante volte.- I due compari — che non sono 
mai siati al tuoco — la piantano in tempo giusto 
per evitare una energica cazzottatura. Ma ecco tre 
bolognesi. Il loro; morale è infinitamente migliore. 

Durante la distribuzione del rancio, un capitano 
medico mi cerca tra le file. 

— Voglio stringer la mano al Direttore del Po¬ 
polo d’Italia. 

Pomeriggio di chiacchiere. Episodi di guerra. 
Esaltazione unanime degli alpini. L’Isonzo! Non 
ho mai visto acque più cerulee di quelle dell’Ison¬ 
zo. Strano ! Mi sono chinato sull’acqua fredda e 
ne ho bevuto un sorso con devozione. Fiume 
sacro ! 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


23 


17 Settembre. 

Partenza. Andiamo aggregali non più al 12° ber¬ 
saglieri, ma all’11°, che si trova sulla catena del 
Monte Nero. Un sottotenente medico rodigino che 
sta al comando di tappa, vuole conoscermi e salu¬ 
tarmi. Mi offre una eccellente lazza di caffè. Siamo 
in rango. Il tenente Izzo ci fa alcune raccomanda¬ 
zioni. Ci dice clic a un certo punto della strada 
saremo a tiro del cannone nemico. 

— Guai ai ritardatari ! — 

Il battaglione non sembra affatto preoccuparsi. 

— Classe di ferro, 184 ! — 

Il « morale » è ancora più elevato. I discorsi stu¬ 
pidi che erano rari prima, non si odono più. C’è 
dell’allegria. Un artigliere di Corticella. tale ^lon¬ 
goni, mi accompagna per un tratto di strada. 

Attraversiamo gli attendamenti delle salmerie e 
degli alpini. L’artigliere bolognese di quando in 
quando mi precede per annunciare a gruppi di 
suoi amici il mio passaggio. Molti mi salutano con 
simpatia. Auguri! Valichiamo risona». A Magozo 
— piccolo paese sloveno, dove non sono rimaste 
che due vecchie, le quali si nutrono col rancio dei 
soldati — incontriamo una colonna di prigionieri. 
Li circondiamo. Sono 46. Un intero plotone, con 
un cadetto e un sott’ufficiale. Il loro equipaggia¬ 
mento è buono. Siedono su due file per terra. Mol¬ 
li fumano. Hanno, specie gli anziani, l’aria soddi¬ 
sfatta. Ma il cadetto, clm sta dietro agli altri, è ner¬ 
voso. Si morde le labbra. Trattiene a stento le 
lacrime. Il caporale Tafuri gli dice: 
















24 


BENITO MUSSOLINI 


— Non temete, in Italia sarete trattalo bene. 

— Glauben Sie? — interroga dubitoso il cadetto. 

E’ giovane. Non arriva ai ventanni. 

l r n bersagliere di scorta mi racconta come furo¬ 
no catturati. Di fronte alle posizioni del 33° batt. 
dell 3 11° bersaglieri e T era una trincea dall’aspetto 
formidabile. La notte scorsa è stata ordinata l'a¬ 
vanzata. Una squadra di bersaglieri si è spinta 
inosservata fin sotto i reticolati e ha fatto brillare 
un tubo di gelatina, seguito da un assalto irrom¬ 
pente alla baionetta. Gli austriaci non se raspolla¬ 
vano, non sono riusciti a sparare che qualche fu¬ 
cilata. Hanno levate le braccia. Si sono arresi. 

— Bono [aliano , rispellare prigioniero ! 

Riprendiamo la nostra marcia. Dobbiamo rag¬ 
giungere la quota 1270. Siamo sulla mulattiera che 
va al Monte Nero. Incontriamo dei feriti. Alcuni 
leggeri che fumano e sorridono. Altri più gravi. 
Uno di essi ha il volto coperto da un giornale. 
Sotto si vede la faccia tumefatta e insanguinata. 
Due feriti austriaci. Uno leggero. Un altro più 
grave : deve aver le braccia spezzate. Sono diretti 
alUinfermerià — sezione della Sanità di Ma- 
goso. 

Colonne lunghissime di salmerie. Senza i muli 
non sarebbe possibile la guerra in montagna. I più 
stanchi di noi caricano gli zaini sui muli. 

Verso sera giungiamo nella zona battuta dal- 
Tartiglieria austriaca. Fischiano nell aria — col 
loro sibilo caratteristico — le granate. Sono for¬ 
midabili. Gualche bersagliere è un po’ emozionato. 




IL MIO DIARIO DI GUERRA 


23 


Io che marcio in fondo alla colonna, incoraggio 
coloro che mi stanno vicini. 

Passala la prima e comprensibile emozione, la 
marcia faticosa con zaino completamente affardel¬ 
lato riprende, sotto il fuoco abbastanza accelerali) 
dell'artiglieria nemica. Una granala scoppia vicino 
a una colonna di muli, ma non fa vittime. Un’altra 
cade e scoppia in prossimità di un gruppo di ber¬ 
saglieri c solleva un turbine di schegge. 

Un bersagliere grida che è ferito. Ha avuto la 
clavicola frantumata. Un’altra granata scoppia ac¬ 
canto a un altro gruppo nel quale mi trovo io. 
Spezza diversi gro-si rami di un albero. Siamo 
coperti di foglie e di terriccio. Nessun ferito. Crii 
austriaci tirano a caso. Imbruna quando giungiamo 
al comando. Siamo attesi da un maresciallo. Sia¬ 
mo da dodici ore in marcia. Nessuno è rimasto 
indietro. E si tratta di soldati dei distretti di Cre¬ 
mona, Rovigo, Ferrara, Mantova, nati e vissuti 
nelle più basse pianure d'Italia. \ ecchia e sempre 
giovane stirpe italica! Un bersagliere mantovano 
mi avvicina e mi dice: 

— Signor Mussolini, giacché abbiamo visto che 
lei ha mollo spirilo (coraggio) e ci ha guidati nella 
marcia sotto le granale, noi desideriamo di essere 
comandati da lei... — 

Scinda simplicilas ! 

Ci contano e ci dividono nei tre battaglioni del- 
1 ’ 11° bersaglieri. 

E’ l’ora della separazione. Il tenente lzzo. che 
torna a Brescia insieme con l’ottimo caporale Bia¬ 
gio Biagi di Cento, ci saluta. Noi, assegnati al 



















26 


DEXITO MUSSOLINI 


33° battaglione, riprendiamo la marcia in fila in¬ 
diana. Sono le dicci. Sotto a un costone fumano le 
marmitte delle cucine. Ci preparano il rancio. I n 
po’ scarso, ma eccellente. Pasta, brodo, un pèzzo 
di carne. Ma molli assetali chiedono invano del¬ 
l'acqua. Ci stendiamo fra i macigni, all’aria aper¬ 
ta. Non fa freddo. Notte stellata, plenilunare. 

Silenzio. Spettacolo fantastico. Siamo* in allo ! 
Siamo in alto! Già battezzati dal fuoco dei cannoni. 
Cosi si chiude la prima giornata di guerra! 


Sabato, 18 Settembre. 

Stamani ci hanno diviso nelle Ire compagnie del 
battaglione. L'operazione è stala lunga. Alcuni ca¬ 
porali e sergenti ci hanno fatto passare il tempo, 
raccontandoci episodi gloriosi dell’ 11° bersaglieri 
durante i primi mesi di guerra. 

Sono assegnato all’8*. Sono con me Buscema, 
Morani, Taf uri. Verso sera ci muoviamo per rag¬ 
giungere la nostra posizione. Invece di andare per 
la mulattiera, diamo la scalala — quasi verticale — 
al costone. Dobbiamo giungere a quota 1870. Una 
discreta altitudine, come si vede. L’ascensione ci 
abbrevia di almeno tre ore il cammino, ma è fati¬ 
cosa, tanto più che non abbiamo il bastone da 
montagna e portiamo lo zaino. Gli uomini dei 
" posti di collegamento » ci hanno guidato. Nes¬ 
suno è rimasto indietro, ma siamo giunti a notte 
inoltrata. Prima di giungere alla mèta, passiamo 
accanto a fosse di soldati italiani. Quattro- o cin¬ 


1L MIO DIARIO DI GUERRA 


27 


que. Mi sono chinato su una rozza croce di legno 
e ho letto. 


Oscar De Lucia, sergente 
morto il 13 settembre 1915. 

Le altre croci non recano nomi. Sono fosse col¬ 
lettive. 

Poveri morti, sepolti in queste impervie e soli¬ 
tarie giogaie! Io porto nel mio cuore la vostra me¬ 
moria! 

Gi siamo accovacciati fra i sassi, sotto le stelle. 

I n ufficiale è passato fra noi e ci ha ordinato di 
caricare i fucili e di innaslare le baionette. Nes¬ 
suno. per nessun motivo, deve abbandonare il pro¬ 
prio posto ! 

Alle dieci è incominciala l’azione. Ecco il pam 
secco e fragoroso dei fucili italiani. I fucili austria¬ 
ci affrettano il loro ta-pum. Le « motociclette della 
morte » incominciano a galoppare. Il loro la-ia- 
la-ta ha una velocità fantastica. Seicento colpi al 
minuto. Le bombe a mano lacerano l’aria. Dopo 
mezzanotte il fuoco è di una intensità infernale. 
Pazzi luminosi solcano ininterrottamente il cielo, 
mentre si spara disperatamente su tutta la linea. 
Raffiche di pallottole scrosciano sulle nostre leste. 

— A terra! A terra! — si grida. 

Ma io debbo alzarmi per cedere il mio posto a 
un ferito che ha le braccia massacrate dallo scop¬ 
pio di una bomba. Mi chiede con voce lamentosa 
dell'acqua, ma il soldato portaferiti mi prega di 
non dargliene. Copro il ferito con la mia coperta 
di lana. Fa freddo. Dopo mezzanotte una esplosio- 





















28 


BFNITO MUSSOLINI 


ne formidabile ci fa balzare in piedi. Una mina 
austriaca ha fatto saltare parte del cocuzzolo occu¬ 
pato da un plotone dell’S 1 compagnia. Un grande 
baleno solca il cielo tempestoso e un boato pro¬ 
fondo riempie la valle. Passano altri feriti lievi 
che si recano senza aiuto al posto di medicazione, 
11 fuoco di fucileria diminuisce. Verso l’alba cessa. 
Ua prima notte di vita in trincea è stata movimen¬ 
tata ed emozionante. Di buon mattino, i nostri 
cannoni tempestano di proiettili le posizioni nemi¬ 
che. Poi, anche i cannoni tacciono. Nella valle è 
la nebbia. Sulla cima dove ci troviamo, il sole. 
Nell’accampamento, il silenzio pieno e pensoso dei 
soldati all’indomani di una battaglia. 


Tra il Monte Nero, 
il Vrsig e lo Jaworcek 


19 Settembre. 

Dopo la distribuzione del caffè, adunata. Il mag¬ 
giore Cassola, comandante del battaglione, ci tie¬ 
ne un breve discorso di saluto e di incoraggiamen¬ 
to. Parole affettuose e toccanti. Vicino al posto di 
medicazione, dal quale ci parla il maggiore, è un 
ferito, con una gamba spezzata da una scheggia dt 
bomba. Faccia serena. Profilo delicato. Chiede un 
sorso di caffè. Una sigaretta, fi lo portano via. 
Fuoco stracco di fucileria tra *le vedette. Nuova 
adunata. E’ il capitano della compagnia, Vestrrni, 
che viene a salutarci. Ha la testa fasciata. Stanot¬ 
te, mentre in piedi da prode e valoroso dirigeva il 
combattimento, una pallottola nemica lo ha ferito 
alla faccia. Per fortuna, non è grave. Egli ci dice : 

— Il comando del battaglione vi ha destinati alla 
mia compagnia. Da due giorni voi appartenete a 
un Reggimento eroico che qui, su queste rocciose 
cime, ha compiuto gesta memorabili. Queste terre, 
che erano e sono nostre, le abbiamo riconquistale. 
Non senza spargimento di sangue. Anche stanotte. 


















30 


BENITO MUSSOLINI 


una maledetta mina austriaca ha seppellito molti 
dei miei bersaglieri, ma i nemici l’hanno pagata 
cara. Le nostre mitragliatrici, come avete sentito, 
non sono state inoperose. Voi siete qui a compiere 
il più sacro ed il più aspro dei doveri che un cit¬ 
tadino ha verso la Patria. Ma io- conto su di voi. 
Siete uomini già temprati alle lolle della vita. 
Oliando sarete amalgamati ed attintati cogli an¬ 
ziani, voi sarete animati daìlo slesso entusiasmo e 
dall’identica volontà di vincere. Voi troverete in 
me, non solo il superiore, ma il padre, ma il fra¬ 
tello. Dove potrò agevolarvi, lo farò. Fidatevi di 
me. Auguri ! — 

11 capitano ha finito. Le sue parole, franche e 
commosse, sono scese nel profondo dei nostri cuo¬ 
ri. E’ un uomo che ispira molta fiducia e molta 
simpatia. Un tenente fa un passo innanzi e grida: 

— Bersaglieri dell’ottava compagnia, al vostro 
capitano Yesfrini, hurrà ! 

— Hurrà! Hurrà! Hurrà! — rispondiamo noi, a 
gran voce. 

I portaferiti stanno ora raccogliendo i cadaveri 
dei soldati caduti stanotte. Sei, finora. Vengono 
deposli ai margini della mulattiera, nell’attesa di 
essere identificati e sepolti. Ce fra loro un magni¬ 
fico tipo di abruzzese, che ho conosciuto ieri. Ha 
la testa avvolta in un telo da tenda. 1 morti sono 
coperti. Non si vedono che le mani irrigidite, nere 
per il fango della trincea. I soldati anziani passano 
e non guardano. 

Ho notato — con piacere, con gioia — che tra 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


31 


ufficiali e soldati regna la più cordiale camara- 
derie. 

La vita di rischi continui lega le anime. Più che 
superiori, gli ufficiali mi appaiono come fratelli. E’ 
bello! Tutto il formalismo disciplinare della caser¬ 
ma è abolito. Anche l’uniforme ò quasi abolita. 
Proibito — anche nei ripari — di portare il berci¬ 
lo fez. Abolito il pennacchio tradizionale al cap¬ 
pello. Caschi di lana, invece, che i soldati fregiano 
esteticamente di una stelletta. Si può parlare con 
un ufficiale, senza bisogno di impalarsi sul Vallenti. 
E’ difficile, in montagna, star sull 5 allenti... 

Con questi ufficiali, coloro che parlano di un 
rafforzamento del militarismo, con la inevitabile 
vittoria italiana, si divertono a inseguire dei fanta¬ 
smi. li militarismo « rnadc in Germany » non ha 
attecchito in Italia. D'altronde questa guerra, falla 
dai popoli e non dagli eserciti di caserma, segna la 
fine del militarismo di casta o professionale. 

L’enorme maggioranza degli ufficiali italiani è 
venuta, con la mobilitazione, dalla vita civile. Tut¬ 
ta l’ufficialità dei subalterni è formata di lenenti e 
sottotenenti di complemento che si battono e muo¬ 
iono da prodi. 

Alcuni ufficiali mi vogliono conoscere. Ecco il 
sottotenente Lohengrin Giraud. Giovane e valoro¬ 
so. Proposto per la medaglia d’argento al valor 
militare. 

— Ho un nome tedesco, o piuttosto wagneriano 
— mi dice — ma detesto i tedeschi. 

^ Mi narra. L’11 selleinbre, la 3* compagnia ebbe 
l ordine di attaccare il cocuzzolo dell’ X^rsisr di 















32 


BENITO MUSSOLINI 


conquistarlo e di gettare in basso — dall altra parte 

_ orli austriaci. La compagnia era comandata da 

Umberto Villani. Un audace. Un uomo che non 
sapeva nè ridere, nè sorridere. Scoccata 1 ora, 
mezzogiorno e dieci, il Villani si lanciò all’assalto 
fra i primissimi, alla testa del « plotone d’onore » 
che egli aveva costituito fra i migliori elementi del¬ 
la compagnia. Appena iniziato il combattimento, il 
Villani — che stava ritto in piedi per ordinare la 
disposizione delle squadre che avanzavano — tu 
ferito da una fucilata. Non se ne curò. Di li a pochi 
minuti, fu abbattuto dallo scoppio di una bomba. 
Ebbe appena il tempo di gridare : 

— Bersaglieri della settima, avanti ! A destra 1 
Stendetevi a destra! Viva l’Italia! — • 

E’ morto. Allora il comando della compagnia fu 
assunto dal sottotenente milanese Girami. In pie¬ 
di, anche lui, ferito anche lui,, non però grave¬ 
mente, incurante del pericolo e della morte, dires¬ 
se la furiosissima battaglia, che durò venti ore. 
Esaurite le bombe, si ebbe un a corpo a corpo mi¬ 
cidiale e indescrivibile. Ma l’azione fu coronata da 
successo. Gli austriaci furono rigettati dall’altra 
parte del cocuzzolo. Molti cadaveri nei burroni. 

— Mi piacerebbe di averti nella settima compa¬ 
gnia — mi dice Giraud. 

Tenente Cauda, dei carabinieri, venuto a com¬ 
battere volontario. E’ un sardo. Coraggio e sangue 
freddo ecccezionali. Parla lento, all’inglese. Te¬ 
nente Corbelli, romagnolo, di Russi. 

Una voce : 

— C'è qui il bersagliere Mussolini ? 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


33 


— Sono io. 

— Vieni che voglio abbracciarti. — 

E ci abbracciamo. E’ il capitano Festa della 
10 a compagnia .del 157° fanteria, che occupa le no¬ 
stre posizioni. 

— La tua campagna giornalistica per l’inter¬ 
vento onora le e il giornalismo italiano! — aggiun¬ 
ge, alla presenza ilei bersaglieri disseminati nei 
ripari. 

— Questa, caro Mussolini, è una guerra terri¬ 
bile. Abbiamo di fronte dei barbari che ricorrono 
a tutte le insidie... Ma — e si volge anche agli altri 
— coraggio e, soprattutto, religione del do¬ 
vere! — 

Se ne va. E’ basso, tarchiato, barbuto. Porta 
gli occhiali. I suoi soldati parlano di lui con vene¬ 
razione. 

La mia compagnia è comandata ai posti avan¬ 
zati, di guardia. 

1 ramonto. Il caporale Claudio Tommei — ro¬ 
mano — mi offre un passamontagna e un numero 
del Rugantino. Grazie. Quando, in Italia, si par¬ 
lava di trincee, il pensiero correva a quelle inglesi, 
scavate nelle pianure basse di Fiandra e munite 
di tutto il comfort, non escluso — si dice — il ter- 
mosifone. Ma le nostre, qui, a quasi 2000 metri 
sul livello del mare, sono ben diverse. Si tratta di 
buche scavate fra le rocce, di ripari esposti alle 
intemperie. 

Tutto provvisorio e fragile. E’ veramente una 
guerra di giganti quella che i soldati d’Italia — 
fortissimi — combattono. 

Mfssot.tnt. - Il mio diario di ouevra. 












34 


BENITO MUSSOLINI 


Non dobbiamo espugnare delle fortezze, dobbia¬ 
mo espugnare delle montagne. Qui, il macigno < 
un’arma e micidiale quanto il cannone! 

il vento della sera porta in allo il freddo e il 
fetore dei cadaveri dimenticali. 

Notte chiara, di stelle. 

20 Settembre. 

Appena è giorno, il capitano mi chiama. Vado 
con lui alla trincea più avanzala. Riparato da duo 
sacchetti di terra, posso guardare, con una rela¬ 
tiva tranquillità, il luogo conteso. E’ uno spiazzo 
di forse 150 metri quadrati. Non più. Il « cocuz¬ 
zolo » ha perduto i suoi connotati. E stato spia¬ 
nato, livellato dalle bombe e dalle mine. Macigni 
frantumati, grossi pali, fili di ferro, stracci di uni¬ 
forme, zaini, borracce : segni delle tempeste. Gli 
austriaci sono a trenta metri — appena — da noi. 
Non si fanno vedere. 

Le nostre mitragliatrici non scherzano. Chi s 
scopre, è fulminato. 

Un siciliano coraggiosissimo, tal Failla, sta ol¬ 
tre la trincea e getta bombe. Gli mancano, a un 
certo punto. Il caporale Morani gliele porta volon¬ 
tariamente. E’ appena giunto che una bomba au¬ 
striaca gii cade vicina. Per un momento non lo 
vedo più. Trepidazione. Ala ecco che si rialza e 
viene di corsa verso di noi. Mi cade tra le braccia. 
E’ soltanto ferito. Ila il volto sporco di polvere e 
di sangue. Le ferite sono alle gambe. Vuole che 



3a*ini« «tossii 















































IL 1110 DIARIO DI GUERRA 


37 


10 lo accompagni al posto di medicazione. Lo pol¬ 
liamo' in barella, io e il portaferiti Greco. Il Mo- 
rani è calmo, tranquillo. Non un grido, non un 
gemito. Contegno da vero soldato. Il tenenle me¬ 
dico gli fa una prima sommaria medicazione e mi 
assicura che le ferite non sono gravissime. Ci ab¬ 
bracciamo. Il Morani è portato via in barella, io 
torno al mio posto. Giunge un ordine scritto : 

— Il bersagliere Mussolini deve presentarsi, ar¬ 
malo, al Comando del Reggimento ! — 

Zaino in spalla. Un’ora di marcia. La sede del 
Comando è in lina modesta e rozza baracca di 
legno. 

— Prima di lutto — mi dice il.colonnello — ho 

11 piacere di stringervi la mano e sono lieto di 
avervi nel mio Reggimento: poi, avrei un incarico 
da affidarvi. Voi dovreste rimanere con me. Siete 
sempre in prima linea, esposto, anche, al fuoco 
dell’artiglieria. Dovreste sollevare il tenente Pa¬ 
lazzeschi di una parte del suo lavoro amministra¬ 
tivo e dovreste scrivere, nelle ore di sosta, la storia 
del Reggimento, durante questa guerra. E’ una 
proposta quella che vi faccio, beninteso; non un 
ordine ! — 

Il colonnello Giuseppe Barbieri è un romagnolo, 
di Ravenna. Ha infatti la « linea » del romagnolo. 

Gli rispondo : 

— Preferisco rimanere coi miei compagni in 
trincea... 

— E allora non se ne parla più. Accettate un 
bicchiere di vino. — 


















38 


EENITO MUSSOLINI 


Non è buono il vino del colonnello, ina in man¬ 
canza di meglio... 

Ho chiesto e ottenuto di passare alla 7 a compa¬ 
gnia per essere insieme col tenente Giraud. 

Alcuni bersaglieri, addetti al Coniando, mi ma¬ 
nifestano' le loro meraviglie per il mio riliuto. 

_ Sono alla guerra per combattere, non per 

scrivere ! — 

Risalendo il monte, passo vicino alle cucine. Cè 
un enorme 305 non espulso. Poco lungi un cada¬ 
vere di austriaco. Abbandonato. 11 morto stringe 
ancora fra i denti un lembo di bavero della sua tu¬ 
nica che — strano! — è ancora intatta. Ma sotto, 
attraverso la carne in putrefazione, si vedono le 
ossa. Gli mancano le scarpe. Si capisce ! Le scarpe 
degli austriaci sono mollo migliori delle nostre. 
Poco prima di arrivare alla trincea, incontro Gi¬ 
raud col mio nuovo capitano, Adolfo Mozzoni. Gli 
riferisco il mio colloquio col colonnello. Si congra¬ 
tula del mio rifiuto che giudica « nobilissimo ». 

— Anch’io sono un po’ giornalista, — mi dice, 
— e faremo insieme un giornale delle trincee... 


21 Settembre 

Sono andato a salutare gli amici dell’8* com¬ 
pagnia. Trovo il capitano Vestrini, ferito una se¬ 
conda volta da pallottola che gli ha attraversato 
la guancia. Se ne va alfiinf ermeria. 

Tornando dal Comando del battaglione, mi con¬ 
segnano un giornale vecchio di quattro giorni. Po¬ 


IL M IO DIARIO DI GUERRA 


sa 


sta dall’Italia, niente ancora. Pazienza. Ma un 
guardatili mi passa una missiva a mano. E ? la 
lettera scritta a matita di un soldato, che incon¬ 
trai per la prima volta, durante la marcia verso la 
linea del fuoco, a Planina Za-Plecan. Volle allora 
che firmassi una cartolina. Si è ricordato di me. 
E’ certo Rusconi Francesco, dimorante in via Mal¬ 
pensata, 2, a Lecco, e ora soldato di fanteria. 

E’ un documento interessante, nella sua commo¬ 
vente semplicità, e dimostra da quali spiriti siano 
sorretti gli umili soldati d’Italia. Dice : 

<( Caro Mussolini, sono un povero operaio sol¬ 
dato. Tratto dagli studi a tenera età per le gravi 
condizioni di famiglia, venivo posto nella grande 
fiumana proletaria e da essa coinvolto. Tanto fu 
il mio dolore a lasciare le scuole elementari; ma 
il pensiero- di portare un non lieve contributo di 
sollievo* alle tristi condizioni della mia famiglia, 
mi rendeva orgoglioso. Per gli studi, pensavo, de¬ 
dicherò le ore libere: così feci ». 

Dopo aver parlato delle lotte fra neutralisti e 
interventisti, prosegue : 

« Poco tempo dopo, era per me fiora di aggiun¬ 
gere l’opera al pensiero. Son oggi, otto mesi ». 

Parla del nostro incontro e continua : 

« Mi lasciò la sua firma, ma più ancora sento, 
nel mio cuore c nell’anima mia, una luce viva ed 
un contento che giammai scorderò e che mi ac¬ 
compagneranno fino al compimento del destino 
della Patria... ». 

Non è semplice e non è grande il linguaggio di 
questo ignoto soldato operaio? 






























40 


BENITO MUSSOLINI 


E' venuto l’ordine di dare il cambio alla 9 1 com¬ 
pagnia che occupa uno dei costoni avanzati del 
Vrsig. Si parte. Marcio in testa alla colonna, in¬ 
sieme col tenente Giraud. Tragitto lungo e fati¬ 
coso. Al traversiamo due passaggi pericolosi. Nel¬ 
l’uno c’è il pericolo delle mitragliatrici; nell’altro 
c’è il rischio di essere schiacciali dai macigni che 
gli austriaci rotolano continuamente dall’alto. Il 
mio caposquadra è il calabrese Lorenzo Pinna di 
Nicastro. studente volontario. Suo padre è un in¬ 
gegnere del Genio Civile. 

— Chi avrebbe mai pensato che mi sarei trovato 
con Mussolini soldato semplice ! Lo scrivo subito 
a mio padre, che spesso mi parlava di lei. — 

Nel primo-passaggio scoperto, che attraversia¬ 
mo — mollo distanziati gli uni dagli altri e di cor¬ 
sa — c’è il cadavere di un soldato austriaco. E 
voltalo con la faccia contro terra. Rotolando dal¬ 
l’alto, l’uniforme è andata in brandelli. La schiena 
è nuda e nera come l’inchiostro. Fetore. Il tenente 
Giraud ci precede sempre. Nelle sue parole, mi 
sembra di scorgere qualche oscuro presentimento. 

— Vedi, Mussolini, qui si può morire e si muore, 
senza combattere... — 

Abbiamo appena occupalo il ripidissimo pendìo 
del monte, che una triste notizia si diffonde fra noi. 
11 tenente Giraud è rimasto ferito gravemente dal¬ 
la fucilala di una vedetta austriaca, mentre si re¬ 
cava insieme col capitano e il sergente a ispezio¬ 
nare la posizione. La pallottola gli è entrata dalla 
spalla. Vedo venire verso di me il portaferiti Al¬ 
berto De Rita che mi dice: 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


41 


— Il tenente Giraud mi manda a salutarvi... — 
La notizia ha rattristato profondamente tutti i 
bersaglieri che amano molto il loro ufficiale e ad¬ 
dolora me, in parlicolar modo. E’ sera. Ci sten¬ 
diamo accanto agli alberi sulla nuda terra. Razzi 

luminosi e pioggia di bombe. 

# - 

22 Settembre . 

Calma. Qualche cannonata, qualche fucilata del¬ 
le vedette. Giornata meravigliosa di sole. Il capi¬ 
tano Mozzoni mi chiama alla sua tenda. Trovo con 
lui il sottotenente Fava, del 27° battaglione. Lun¬ 
ga, amichevole conversazione. 


23 Settembri 3 . 

Siamo a 1897 metri d'altezza. Il pendio della 
montagna è del 75-80 %. Una vera parete. Guai a 
rotolare un sasso! Per salire e scendere ci giovia¬ 
mo di una corda che, legata agli alberi, va dal 
Cornando della compagnia al posto estremo di col¬ 
legamento, in fondo valle. Ieri sera, pioggia ecce¬ 
zionale di bombe. Sono bombe che. si annunciano 
con un sibilo curiosissimo. Quasi umano. Sono 
lanciate col fucile. Se trovano il terreno molle, non 
scoppiano. Ma ieri sera sono scoppiate quasi tutte. 
Nessuno di noi ha potuto chiudere occhio. Un mor¬ 
to e un ferito. Il morto è tal Bertelli, richiamato 
dell 5 84, contadino di Migliarino (Ferrara). La boni- 















42 


BENITO MUSSOLINI 


ba gli è scoppiala sopra e gli ha squarciato il pol¬ 
lo. Il ferito non è grave. Si distribuisce la posta. 

Il mio compagno di trincea, l'abruzzese Giacob¬ 
be Petrclla, di Pescasseroli (Aquila), lavora furio¬ 
samente di vanghetta e piccozzino per rendere un 
pochino più solido il nostro riparo. Accanto a me 
alcuni bersaglieri giocano tranquillamente a sette 
e mezzo. E’ quell’indemoniato di Marcamo che tie¬ 
ne il banco. 

Mi metto a giuocare anch’io e perdo. Se non 
tuonasse il cannone, non sembrerebbe di essere in 
guerra. 


24 Settembre. 

t 

Giornata di grande sole. 

Nel bosco è un lento cadere di foglie. Si diffon¬ 
dono tra le squadre le prime notizie. Non sono 
liete. 

Ieri sera, sull’imbrunire, un richiamato che si 
recava di corvée a prendere il pane, nell’attraver¬ 
sare la solita posizione scoperta, è stato fulminato 
da una fucilata. Si chiama Biagio Benati, dell’84, 
ferrarese anche lui. 

Vedo passare gli zappatori. Il porta-mensa degli 
ufficiali, tal Rossi Giuseppe, manca. Ferito? Mol¬ 
lo? Disperso? Bombe, bombe, bombe tutta la notte, 
sino all’alba. Nessun morto, alcuni feriti. Matti¬ 
nala di sole e di cannoneggiamento. Passa un Tau- 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


43 


be altissimo. Bianco: A tremila metri. La posta. 
Per noi, richiamati dcll’84, nulla. E’ triste! 


2.3 Settembre. 

Stanotte dalle 2,30 alle 4,1/4 sono montalo di ve¬ 
detta per la nostra squadra che si trova a un posto 
avanzato. Era con me, altra vedetta, Barnini Wa¬ 
shington, certaldese. Vero toscano del paese di 
Boccaccio : ogni parola, due bestemmie. Sono sta¬ 
lo con orecchi ed occhi spalancati, ma nessuno si 
e visto. Quattro bombe sono scoppiate a pochi me¬ 
tri dal nostro poslo. Luna velata da nubi bianche. 
Veniva dal burrone il tanfo dei cadaveri djssepolti. 
Il bel tempo è finito. Ieri, ancora il sole — un po’ 
stanco — del settembre; oggi la nebbia, la piog¬ 
gia, il freddo dell’inverno. Turbinio di foglie che 
radono con rumore secco sui nostri teli da tenda. 
I miei compagni, della prima squadra, Pinna, Pe- 
rella, Barnini, Simoni, Parisi, Di Pasquale, Bol¬ 
lerò. Pecore, accovacciati come me sulla nuda ter¬ 
ra, nel cavo di una roccia, dalla quale filtra l'ac¬ 
qua, sono silenziosi. Qualcuno dorme. Piove. 


26 Settembre. 

Piove sempre. Da ventiquattro ore. Io sento 
l’acqua fredda che mi lava la pelle e finisce nelle 
scarpe. Stanotte un nostro posto di collegamento 
di quattro uomini e un caporale è stato catturato 




















44 


BENITO MUSSOLINI 


dagli austriaci truccati da bersaglieri. Nessuna 
nuova del porta-mensa Rossi. Il sergente Simonelli 
lo dà per « disperso ». Stanotte nessun ferito. Gra¬ 
zie all’umidità del terreno, poche bombe sono 
scoppiate. Il capitano Mozzoni, che ha ricevuto in 
dono due bottiglie di cognac, lo ha fatto distribuire 
ai bersaglieri. L’atto indica il cuore e la gentilezza 
dell’uomo. 

Mentre scrivo, la pioggia è diventala nevischio 
che batte sonoramente e rabbiosamente sulla no¬ 
stra tenda. 11 che non impedisce a Pinna e Barnini 
di intonare una canzone nella quale si parla di una 
« regina che si vorrebbe incoronare ». Romba, 
a intervalli, il cannone. Ora cantiamo tutti in¬ 
sieme : 


E la bandie-era 
Dei ire colo-ori 

E’ sempre siala la più bella, bella, bella 
Noi vogliamo sempre quella 
Noi vogliamo la libertà ... 

Distribuzione gratuita di tabacco, sigari, siga¬ 
rette. Parisi m insegna : « Non bisogna accendere 
in tre con lo stesso fiammifero. Altrimenti muore 
il niù piccolo dei tre ». 

Superstizioni delle trincee. Accendiamo in due. 
Fumo. 


Come si vive e come si 
muore nelle linee del fuoco 


27 Settembre. 

Da ieri mattina non abbiamo in corpo che un 
sorso freddo di caffè. Piove sempre. Da due gior¬ 
ni, ininterrottamente. Stanotte non ho chiuso oc¬ 
chio. Mi trovavo sotto la tenda con un tal Jannaz- 
zone, un contadino del Beneventano, il quale, in¬ 
zuppato fradicio, come me, e un po’ febbricitante, 
gemeva : 

— Madonna mia bella ! Madonna mia bella ! 

— Basta, basta Jannazzone ! — gli ho detto. 

— Non credete in Dio, voi? — 

Non ho risposto. 

Io, invece, ingannavo il tempo, le dodici ore in¬ 
terminabili della notte, rimemorando le poesie im¬ 
parate nel bel tempo felice e lontano della mia 
giovinezza. Effetto delle circostanze climateriche, 
la poesia che mi è tornata alla memoria, è La ca¬ 
duta del Parini. Strofa a strofa sono giunto sino 
ai versi : 


« Ed il cappello e il vano 
« Boston dispersi nella via, raccoglie ». 


















46 


BENITO MUSSOLINI 


Poi non mi sono ricordato piu. 

Cambiamo posizione. Andiamo in fondo valle 
alle sorgenti dello Slalenik, un torrente clic sbocca 
nell’Isonzo, nella conca di Plezzo. Nei ripari che 
gli austriaci hanno abbandonato, troviamo un po’ 
più di comfort. In questa zona sono ancora visi¬ 
bili i segni della travolgente avanzata degli ita¬ 
liani. 

Sul terreno tormentato e sconvolto .sono disse¬ 
minali, in disordine, bossoli di proiettili d’ogni ca¬ 
libro, giberne, scarpe, zaini, pacchi di cartuccie, 
fucili, cassette di legno sventrate, tronchi d’alberi 
abbattuti, reticolali di ferro travolti, scatolette di 
carne vuote con diciture tedesche e ungheresi, faz¬ 
zoletti, teli da tenda. Qua e là sono degli austriaci 
morti e malamente sepolti. Tra gli altri, un uffi¬ 
ciale. 

Qui furono distrutti due reggimenti di bosniaci 
e erzegovinesi. 

La posta : pacchi e lettere, ma per me e per tutti 
i richiamati dell'S-4, niente ancora. Soffia un vento 
impetuoso e freddo. Distendiamo sui cespugli, a! 
sole, le nostre mantelline e coperte, inzuppate di 
acqua. 


29 Settembre. 

Due giorni e due notti di pioggia. Tempesta. 
Veniva dal Monte Nero. Sono, siamo fradici si¬ 
no alle ossa. I bersaglieri preferiscono il fuoco at- 
Tacqua. Fuoco di piombo, si capisce. Ma stamani, 


IL MIO DIARIO 1)1 GUERRA 


47 


lepido fa dimenticare le giornate piovose. Lo Sla¬ 
lenik — ingrossato — urla in fondo al vallone.-Si 
distribuisce la posta. Finalmente, dopo quindici 
giorni, c’è qualche cosa anche per me. Nel trin- 
eerone che occupiamo si può accendere il luocu. 
Ogni tenda ha il suo. Oui, runico pericolo — oltre 
a (niello delle cannonate e delle pallottole vaga¬ 
bonde — è dato dai macigni che rotolano dal 
Vrsig. Di quando in quando si sente gridare: 

— Sasso! Sasso! — 

Guai a chi non lo evita a tempo ! 
ini 0 bersaglieri è stato rudemente provato, ma 
il « morale » dei soldati c eccellente. Anche i poi - 
lus dell’84 stanno cambiando psicologia. Diventa¬ 
no soldati. Sembrano già lontanissimi i primi gior¬ 
ni, quando bastava il rombo del cannone, il fischio 
di una pallottola o la vista di qualche cadavere per 
emozionarli. Distribuzione di alcuni indumenti in¬ 
vernali. Sono ottimi. 


30 Settembre. 


Ilo portato — poiché li desiderava — alcuni 
numeri arretrati del Popolo al mio capitano Moz¬ 
zoni. Era aiutante in prima; ha preferito riassume¬ 
re il comando della compagnia. Uomo che conosce 
gli uomini, soldato che conosce i soldati. I bersa¬ 
glieri gli vogliono mollo bene. Non ha bisogno di 
ricorrere a misure disciplinari per ottenere che 
ognuno adempia il proprio dovere. Mi offre biscotti 
















48 


BENITO MUSSOLINI 


e tre pacchetti di sigarette. E' con lui il tenente 
Morrigoni, romano, simpaticissimo e fortunato. E’ 
giunto, dal 12°, un cadetto destinato al comando 
del primo plotone della nostra compagnia : Fanel¬ 
li, di Bari. Giornata tranquilla. 


T Ottobre. 

Piove. Il mio capitano, in un rapporto indiriz¬ 
zato al colonnello, fa vivi elogi del mio spirito mi¬ 
litare e della mia resistenza alle prime e più gravi 
fatiche della guerra. 

Verso sera, intenso fuoco di fucileria e di mitra¬ 
gliatrici alle falde delf.Jaworcek. Che gli altri bat¬ 
taglioni abbiano impegnato un combattimento? 


2 Ottobre . 

Sono giunti altri ufficiali. J cadetti Barbieri e 
Raggi. Ora i quadri della nostra compagnia sono 
al completo. 

Cdi austriaci bombardano con granate incendia¬ 
rie il villaggio di Cezzoga. 


3 Ottobre. 

Il piantone della fureria, Lamberti, mi reca un 
biglietto del capitano, che dice : 

« Sarebbe mio desiderio che ai bersaglieri della 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


40 


compagnia fosse espresso nel modo più sentito alla 
loro anima semplice e buona, il mio vivo compia¬ 
cimento per la fusione già stabilitasi fra i vecchi e 
ì giovani bersaglieri ; ciò che dimostra quale spi¬ 
rito di cameratismo animi il loro cuore. La serena 
giocondità, il sentimento di disciplina, la disinvolta 
resistenza ai disagi cui sono sottoposti, vengono 
da me così apprezzali, tanto da sentirmene fiera¬ 
mente orgoglioso. Tutto ciò è indice di alto senti¬ 
mento del dovere e dà affidamento della più salda 
compagine qualora a nuovi cimenti si possa essere 
chiamali. Al bersagliere Mussolini affido fincarico 
di scrivere un ordine del giorno di compagnia che 
in una sintesi concettosa e bersaglieresca esprima 
tali miei apprezzamenti, con Tesortazione a perse¬ 
verare, e con la visione di quegli Ideali fulgidissi¬ 
mi di Patria e di famiglia, che costituiranno a suo 
tempo il premio più sensibile per il sacrosanto-do¬ 
vere compiuto ». 

Io mi domando: « Ma non è già questo un ordi¬ 
ne del giorno bellissimo? Che cosa posso dire, io, 
di meglio e di più? ». Tuttavia, obbedisco. Fra an¬ 
ziani e richiamali, si cominciano a stabilire rap¬ 
porti di amicizia. Nel primo plotone, di richiamati 
non ci sono che io. Tutti gli altri sono anziani che 
si trovano al reggimento dal principio della guerra. 
Spesso mi raccontano episodi interessantissimi. 
L’avanzata su Plezzo, le azioni sul Vrsig. I capo¬ 
rali hanno riunito le squadre e leggono Bordine 
del giorno. 


Mttssot.int. - TI mio diario di guerra. 


4 















50 


BENITO MUSSOLINI 


4 Ottobre. 

Cielo stellato sino a mezzanotte. Stamane nevi¬ 
ca. Ci esercitiamo al lancio di bombe. 


5 Ottobre. 

Stanotte sono stato quattro ore di vedetta. Pio¬ 
veva. 


6 Ottobre. 


— Zaino in spalla! — 

E ; giunto l’ordine di raggiungere sullo Jaworcek 
gli altri battaglioni. Ci mettiamo in marcia. II ca¬ 
pitano ci precede. Porta lo zaino e la caramella. 
Sosta al Comando del reggimento. Discorso' del 
colonnello, seguilo dalla lettura di un lungo elen¬ 
co di bersaglieri della 7 a proposti per una ricom¬ 
pensa al valor militare. 

— Bersaglieri della settima, al colonnello del- 
111°, hurrà ! 

— Hurrà ! 

Pulizia al fucile. Distribuzione di scarpe. Duran¬ 
te queste operazioni; faccio la conoscenza di un 
sergente degli alpini, di Monza, ferventissimo in¬ 
terventista, entusiasta della nostra guerra. 

Giunge 1 8 a compagnia. Qualcuno mi annuncia 
che il caporale Buscema è rimasto ferito da una 


IL MIO DIAHIO DI GUERRA 


51 


cannonata, il 26 settembre. Il colonnello ripete il 
discorso ai bersaglieri dell’8 8 . Crepuscolo. Si parte. 


7 Ottobre- 

La marcia di stanotte fra tenebre fittissime, per 
una mulattiera scoscesa e fangosa, entro un bosco, 
è stata dura. 

Parecchie volte i plotoni hanno perduto il colle¬ 
gamento. Alcuni bersaglieri sono caduti e non han¬ 
no potuto proseguire. Anch’io — come lutti — so¬ 
no caduto varie volte, ma l’unico danneggiato è 
l’orologio che porto al polso. Non va più. 

Dieci ore di marcia. Siamo giunti alle due del 
mattino. Per fortuna, non pioveva e cerano le 
stelle. Ci siamo rintanati fra i macigni, nell’atte-a 
dell’alba. 


S Ottobre. 

Sveglia alle cinque. Ci spostiamo verso l’alto 
di un altro centinaio di metri. Ci troviamo sotto 
una delle «(pareli» ripidissime dell’Jaworcek. Dal¬ 
la cima le vedette austriache sparano continua¬ 
mente. Mi metto a lavorare accanitamente di van¬ 
ghetta e piccone, per farmi un buon riparo. Pe- 
trella mi aiuta. Ritrovo il lenente Fava, che mi 
presenta al capitano della sua compagnia. Janno- 
ne. Gli amici degli altri battaglioni — appena sa¬ 
puto del nostro arrivo — mi vengono a cercare. 















52 


BENITO MUSSOLINI 


Rivedo il caporal maggiore Bocconi, barbuto e un 
po’ dimagrito, il caporal maggiore Strada ex vim- 
\e milanese, sempre pieno d’entusiasmo: il caporale 
oiladini che mi racconta la straordinaria avven- 
lura toccatagli. Doveva andare di guardia, con una 
squadra, al quarto boschetto. Giunto a un passag¬ 
gio obbligalo e scoperto, sul quale gli austriaci ro¬ 
llavano continuamente sassi e macigni, il Corra- 
dini volendo appunto evitare un macigno, mise un 
piede in fallo e rotolò giù, in fondo'al burrone. 

na notte intera rimase laggiù, nel fango sotto la 
pioggia, ritenendosi orinai perduto. 

— Fu il pensiero della mia piccina, che mi diede 
il coraggio — egli mi dice. — A giorno fatto ri¬ 
salii il pendio del monte. Nella caduta avevo per¬ 
duto tutto: zaino, fucile, mantellina. Giunsi a un 
piccolo posto di fanteria. La vedetta mi intimò 
all. Quando il caporale del piccolo posto mi eb¬ 
be riconosciuto come appartenente all’esercito ita¬ 
liano, mi lasciò passare. Potei riguadagnare — sa¬ 
no e salvo — la mia compagnia. _ 

Ecco Rampoldi, ex cuoco del Restaurant Casa¬ 
nova. Lo chiamavamo Rampoldo, Rainpoldino... 

Ritrovo ancora vivi e in gamba i milanesi Spa- 
f a, Pi igei io, Sandri. Viene anche a trovarmi per 
conoscermi, il caporale Giustino Scianca, di Iser- 
ma. Ha una curiosa barbetta a punta, rossigna 
Cordialità, simpatia, auguri. Si parla di un’avan¬ 
zata imminente. 







































IL MIO DIARIO DI GUERRA 


55 


9 Ottobre. 

Dormito profondamente tredici ore. La stan¬ 
chezza è passata. C’è un ferito dell’8 a compagnia 
che viene portato in barella. Una pallottola lo ha 
colpito mentre si scaldava al fuoco. Canticchia e 
fuma. Gli scelti tiratori austriaci sparano sempre. 
Un forte gruppo di ferraresi viene alla mia tenda 
e mi prega di porgere un saluto collettivo da man¬ 
darsi a un giornale di Bologna. Fatto. 

Corvée di riattamento alla mulattiera. Il capo¬ 
rale milanese Bascialla, ch’è stato stanotte di guar¬ 
dia ai posti più avanzati, mi narra un episodio sin¬ 
golare. Si è trovato — in un riparo — accanto a 
un bersagliere che pareva dormisse. Egli ha pro¬ 
valo a chiamarlo. A richiamarlo. A scuoterlo. Non 
rispondeva. Non si moveva. Era morto. Il Bascial¬ 
la ha passata tutta la notte accanto al cadavere. 

Ore quindici. Raffica di artiglieria austriaca. 
Crepitio di proiettili. Schianto di rami. Turbine di 
schegge. Un grosso ramo, stroncato da una gra¬ 
nata, si è abbattuto sul mio riparo. Ci sono due 
feriti nella mia compagnia. Passa un morto del 
39° battaglione. Un altro morto degli Alpini. Il 
bombardamento è finito. E 5 durato un’ora. I bersa¬ 
glieri escono dai ripari. Si canta. Lunga conver¬ 
sazione col capitano Bono della 4 a compagnia. Ar¬ 
gomento : i colpi di scena balcanici. 

Il capitano Bono è un ingegno versatile e di va¬ 
sta coltura. 

Non dimenticherò il tremito della sua voce, 
quando — me presente — essendogli giunto uno 


















56 


BENITO MUSSOLINI 


di quei moduli speciali coi quali s , chiedono ai 

Hepar" notizie di mililari, dovette scrivere ™ „a 
rola: morto! cie ia P a ~ 

vieu” %chT% 0ualC '; e '“ cilala soW “ ria delle 
elia. d quando 111 quando nella bosca- 


10 Ottóbre. 


di 30l? ' OrtoonK Itami- 

soldato "deve at™ T °*"J 

traSMrrono C ^ a,1 ^° SaI * e 110 ,r ^ie^I^flh'^on 
a. conono cinque minuti, che un secondo -dir-m 

nel scoppia con immenso fragore a tre metri" di 
[j* tenda del mio capilo. kr 0 % 

I.™ a™,'S:! C0 ^ 0 4Ì?f ° d “ «he seno 

— Le barelle! Le barelle! — 
et sotan! 

enlrala dal pe,T„ e ^“ S” 


IL MIO DIARIO DI GVERRA 


57 


Gliel’hanno trovala fra la pelle e il farsetto a ma¬ 
glia. 

— Tenente, mi abbracci! — ha detto Janarelli. 
— Per me è finita ! — 

Vedo il tenente Morrigoni, cogli occhi luccicanti 
di lacrime. 

— Era tanto bravo e tanto buono! — 

Lo Janarelli sembra dormire. Solo attorno alla 
bocca c'è una grossa rosa di sangue. L'altro è un 
richiamato dell’84. Una scheggia gli ha spezzato 
il cranio. - 

Una riga rossa gli divide a metà la faccia. I feriti 
sono nove, dei quali tre gravissimi e due disperati. 

— Zappatori, in rango colle vanghette. — 

Gli zappatori si riuniscono eoi loro strumenti. 
Adagiano i morti su barelle falle con rami d’albero 
e sacelli e se ne vanno. Qui non si può fare un ci¬ 
mitero. Bisogna seppellire j caduti qua e là, nelle 
posizioni più riparate. L’emozione della compagnia 
e stala fugacissima. Ora *i riprende il chiacchierìo. 
Si fischierella. Si canta. 

Quando lo spettacolo della morte diventa abi¬ 
tudinario, non fa più impressione. Oggi, per la 
prima volta, ho corso pericolo di vita. Non ci 
penso. 

Dopo un mese mi lavo e mi pettino. Schampoing 
al marsala. 


Passa il tenente Francisco della 15* compagnia, 
il quale mi racconta : 

« Ieri sera srii austriaci hanno inscenato una di- 


















58 


BENITO MUSSOLINI 


mostrazione antitahana. Hanno cantato in coro il 
loro inno nazionale. Poi hanno gridalo: 

— Kicchirichi, kicchirichi ! — 

« Hanno aggiunto : 

— Bersaglieri dell’ 11°, vi aspettiamo! — 

" Alla fine, una voce di ufficiale ha urlalo al me¬ 
gafono : 

— Italiani farabutti, lasciateci le nostre terre ! ». 

11 Ottobre. 

Meravigliosa mattinala di sole, li secondo, il 
terzo, il quarto plotone della mia compagnia le¬ 
vano le tende e si spostano per essere defilati dai 
tiri degli shrapnels. Noi restiamo al nostro posto. 
Passa un morto della 13* compagnia. Bombarda¬ 
mento di un'ora a shrapnel. Conversazione col ca¬ 
pitano Bono. 

La vita in trincea è la vita naturale, primitiva. 
Ln po monotona. Ecco l’orario delle mie giorna¬ 
te. Alla mattina non c’è sveglia. Ognuno dorme 
quanto vuole. Di giorno- non si fa nulla. Si può 
andare — con rischio e pericolo di essere colpiti 
dall’implacabile « Cecchino » — a trovare gli ami¬ 
ci delle altre compagnie: si gioca a sette e mezzo 
o, in mancanza di carte, a testa e croce: quando 
tuona il cannone, si contano i colpi. La distribu¬ 
zione dei viveri è l’unica variazione della «noma¬ 
ta : di liquido, ci danno una tazza di caffè, una di 
vino e un poco di grappa: di solido, un pezzo di 
formaggio che può valere venti centesimi e mezza 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


59 


scatoletta di carne. Pane buono e quasi a volontà. 
Di rancio caldo, non è questione. Gli austriaci — 
tempo fa — hanno bombardato coi 305 le cucine 
e hanno falto saltar per aria muli, marmitte e cu¬ 
cinieri. 

C’è un’ora nella giornata, che i bersaglieri at¬ 
tendono sempre con impazienza e con ansia: fora 
della posta che comincia a giungere regolarmente. 
Ci pensa Jacobone, per il Reggimento. Nostro 
« postino » è il calabrese Suraci. Quando 1 si grida 
« posta! », tutti escono dai ripari e si affollano at¬ 
torno al distributore. Nessuno pensa più alle fuci¬ 
lale e agli shrapnels. 

Ho scritto una lettera per Jannazzone e una per 
Marcanico. Non si negano questi favori a uomini 
che possono morire da un momento all’altro. La 
fidanzata di Marcanico si chiama Genoveffa Paris. 
Questo nome mi riporla, chissà perchè, al tempo 
dei « Reali di Francia ». 

12 Ottobre. 

Pulizia al fucile. Sole pallido. Poi, non c’è nulla 
da fare. Passano i solili feriti. C’è il bersagliere 
Itonadonibus che si spidocchia al sole.. 

— Cavalleria a destra ! Cavalleria a sinistra ! — 
grida e ride, di un riso che sembra quello di un 
uomo completamente felice. 

Pioggia e pidocchi, ecco' i veri nemici del sol¬ 
dato italiano. Il cannone vien dopo. 

Uno dei feriti dello shrapnel è morto prima di 
arrivare all’infcrmeria reggimentale. 


























60 


BEXITO MUSSOLINI 


Altra notizia triste : la fucilala di una vedetta ha 
colpito a morte tal Mambrini, mantovano, mentre 
-faxa lavorando a fortificare il suo riparo. 

La guerra di posizione esige una forza e ima 
resistenza morale e fisica grandissime: si muore 
senza combattere! 


13 Ottobre. 


Stanotte, sulle 23, improvviso e intensissimo 
fuoco di fucileria e di mitragliatrici ai nostri avam¬ 
posti. Siamo balzati dai nostri ripari. Un quarto 
d ora d! fuoco e poi quiete sino all’alba. Mattinala 
suigia. Vado di corvée colla mia squadra e mi ca¬ 
rico di un sacco di pane. Passa un morto del 39° 
battaglione, colpito da fucilata e da sassata Si 
di t. onde, tra le squadre, la notizia che presto ci 
•aia « azione ». La notizia non deprime, ma sol¬ 
leva gli animi. E’ la prolungata inazione che 
snerva il soldato italiano. Meglio, infinitamente 
meglio, affuoco, che sotto al fuoco. I bersaglieri 

SStoSf*". vendicare 1 com,,as " i ™ d “ ii « 

\ mino a me si canta. E’ un inno bersaglieresco : 


Piume, baciatemi 
Le guance ardenti. 


Piume, riditemi 
Pi gioia e canti: 
E ripetetemi : 
Avanti! Aranti! 


Guerra in montagna, 
tra la neve e il fango 


14 Ottobre. 

Slamane, solito passaggio di feriti non gravi. 
Le vedette austriache, implacabili, non cessano un 
minuto solo di sparare. 

(Ore quindici. L’artiglieria austriaca, dal Lipnik, 
io credo, comincia a bombardare la nostra posi¬ 
zione. Venti colpi da 280 che scoppiano in fondo 
valle. Quattro non scoppiano. Grida di gioia e di 
scherno partono dai nostri ripari. 

Cessa il 280 e comincia il cannoncino. Lo chia¬ 
miamo cosi, col vezzeggiativo, perchè, sparando 
quotidianamente ci è diventato ormai familiare: 
ma si tratta di un cannone da montagna da 75. 
E credo' che ce ne sia più d’uno. Quasi tutti gli 
shrapnels battono la zona occupata dal nostro bat¬ 
taglione. Ci mettiamo in quattro, testa a testa, con¬ 
tro un grosso tronco d’albero che ci ripara magni¬ 
ficamente. E’ con noi un alpino sorpreso dalla raf¬ 
fica mentre andava a prendere acqua. Scrosciano 
le pallette, cadono le ramaglie, turbinano le foglie. 
E’ finita. Troviamo qualche palletta, qualche 

















62 


BENITO MUSSOLINI 


scheggia ancora calda. Adesso sono i nostri can¬ 
noni che cominciano a sparare. 

Gli austriaci tacciono. Allegria, per noi. Passano 
Ire feriti, di cui uno solo relativamente grave, per¬ 
chè ha una gamba spezzata. In fondo valle, il 280 
ha fatto qualche vittima. Ci sono alcuni morti — 
fantaccini e bersaglieri — dei « posti di collega¬ 
mento ». Serata di calma. Qua e là si levano delle 
voci che cantano. Ma non sono canzoni del reper¬ 
torio patriottico. Sono del repertorio soldatesco e 
popolare. Bisogna distinguere. Salvo una che ha 
un ritornello che dice : 

Trento e Trieste 
Ti renderò 

le altre canzoni sono ben lontane dagli avvenimenti 
attuali. L’immortale Violetta tiene ancora il primo 
posto. 

E la Violetta 
La va , la va... 

Alcuni, che devono essere reduci dalla Libia, 
cantano invece : 

f 

Da Tripoli a Gargaresch 
Si marcia in ferrovia... 

E non manca la canzonetta scollacciata, anzi 
oscena : 

AlVosteria del numero uno... 


Dammela ben , biondina 
Dammela ben , biondaaaa... 




IL MIO DIARIO DI GUERRA 


63 


Il soldato italiano è allegro, particolarmente 
quando non piove. E anche quando piove, accetta 
la bagnura con molta filosofia. 


25 Ottobre. 


Notte di burrasca. Il vento mugghiava d'ai Monte 
Nero alla Conca di Plezzo e andava a schiantarsi 
contro la parete altissima e già bianca del Rom- 
bon. 

Mattinala grigia, incerta. Passano due bersaglie¬ 
ri morti. Devono essere caduti stanotte ai piccoli 
posti. Noi li vediamo passare, portati dai portafe¬ 
riti *e seguiti dagli zappatori che devono scavare 
la fossa . Nessuno di noi domanda chi siano. Si 
preferisce ignorare. Alcune ore di lavoro per riac¬ 
comodare il,nostro riparo, sconquassato dalla tem¬ 
pesta di stanotte. Fuoco stracco di fucileria tia 
le vedette. Lno dei nostri spara con un fucile au¬ 
striaco. 

Tutte le mattine, al momento della distribuzione 
del caffè, sorgono discussioni e battibecchi fra ber¬ 
saglieri e bersaglieri e soprattutto fra bersaglieri e 
caporali. Strano! Sono uomini che potrebbero mo¬ 
rire da un momento all’altro e si bisticciano per un 
sorso di caffè. Ma il fatto si spiega : anzitutto' il 
caffè è Punico liquido che il soldato desideri e beva 
con piacere e vantaggio; poi, nessuno crede di do¬ 
ver morire e infine per un senso' profondo di giu- 


























64 


GENITO MUSSOLINI 


slizia distributiva. Quando le razioni non sono 
uguali per lutti, si grida : 

— Camorra! Non fare camorra! — 

Purtroppo la camorra, nel senso soldatesco del¬ 
la parola, c’è. Al soldato che sta nelle prime linee, 
e dovrebbe essere « sacro », non giunge che la mi¬ 
nima parte di ciò che gii spetta, giusta il regola¬ 
mento di guerra. Caffè, cioccolata, vino, grappa 
passano per troppe mani di conducenti, caporali, 
piantoni. La « camorra » sembra essere un fatto 
normale, ma irrita grandemente i soldati, specie 
in gueiia. C è il caso di sentirli dire: « Governo 
ladro ! ». La camorra finisce per esercitare influen¬ 
za deprimente su quello che si chiama il «morale» 
delle truppe. Io penso che se, per rendere contenti 
questi soldati, occorre eliminare gli abusi della 
piccola camorra e distribuire razioni abbondanti e 
giuste di caffè, il problema è di facile soluzione. 
Importate, se occorre, tutto il caffè del Brasile... 

Sono giunti gli elmetti per gli shrapnels. Sei, 
per compagnia, finora. Recano sul davanti queste 
due iniziali R. F. : Republique Francaise 

* * * 

L’ll° bersaglieri è il reggimento italiano per ec- 
lenza. Tutti o quasi i distretti d’Italia vi sono 
rappresentati. C’è qualche sardo, ci sono dei si¬ 
ciliani di Cefalù, dei calabresi, dei pugliesi di Bari 
e Lecce, degli abruzzesi di tutte e quattro le pro- 
vmeie, dei napoletani di Napoli e Caserta, dei ro¬ 
mani, dei toscani di Siena, Firenze, Massa-Carra¬ 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


65 


ra, dèi marchigiani di Ancona, Ascoli-Piceno, Pe¬ 
saro, degli emiliani di Ferrara, dei lombardi di 
Milano, Brescia, Cremona, Bergamo, Lecco, Son¬ 
drio, Mantova; dei veneti di tutte le provincie, ad 
eccezione di Udine e Belluno. 

In guerra, si disprezza il denaro. Chi ne ha, lo 
manda a casa. Non si sa nemmeno come spendere 
la cinquina. C’è il vivandiere, ma sta molto lontano 
e non ha che delle scatole di sardine. Giunge d'i 
notte e di giorno se ne va. Il valentuomo ha paura 
delle granate e degli shrapnels. Se io fossi nel co¬ 
lonnello, lo costringerei a rimanere — con noi — 
in prima linea. 


16 Ottobre. 

Notte eccezionalmente calma. Anche la vedetta 
austriaca ha riposato. Niente ta-pum. Stamani, 
sole. Passano sulle nostre teste — in alto, molto 
in alto — dei proiettili d’artiglieria, ma non si ca¬ 
pisce di dove vengano, nè dove siano diretti. Il te¬ 
nente Morrigoni, di complemento, mi annuncia la 
sua promozione a capitano, di complemento. La¬ 
scierà la compagnia. Il tenente Fanelli se ne va 
all’infermeria. Ha i piedi rovinati dal freddo e dal¬ 
l’umidità. Due feriti di pallottole. Distribuzione di 
cioccolato, mandato da un ignoto amico. 

— C’è qualcuno che si ricorda di noi! — 

La Libera Stampa di Locamo mi giunge con un 
articolo dedicato alla memoria di Giulio Barni, ca¬ 
duto sul campo di battaglia. Povero ed eroico ami¬ 
co! I superstiti, fra noi, t.i ricorderanno sempre! 


Mussolini. - II mio diario di guerra. 


5 















66 


BENITO MUSSOLINI 


^ 

Cader prigionieri in mano agli austriaci : ecco 
un’eventualità che spaventa i miei commilitoni. 

— Piuttosto morire ! — dicono tutti. 

Questo spiega il numero esiguo di prigionieri 
italiani fatti dall’esercito austriaco. Quelli del no¬ 
stro reggimento non arrivano alla decina e sono 
stati sempre colti di sorpresa. 

# * * 

Oui, nessuno dice : « Torno al mio paese! ». Si 
dice: « Tornare in Italia ». L’Italia appare, così, 
forse per la prima volta, nella coscienza di tanti 
suoi figli, come una realtà una e vivente, come la 
Patria comune, insomma. 


17 Ollobre. 

Domenica. La mattinata si annuncia calma. C’è 
in alto un sole meraviglioso. Ma, improvvisamen¬ 
te, verso le nove, un proiettile da 280 austriaco, 
passa sulle nostre leste, col suo sibilo feroce. Scop¬ 
pia lontano, giù, verso lo- Slatenik. Di li a poco, 
un secondo colpo,, accorciato. Un terzo, 200 metri 
più giù dal posto che occupiamo. Un quarto, dietro 
a noi. Gli austriaci tirano a caso. Battono la zona. 
'< Tiro di sfottimento » come lo chiamiamo noi. 
Ecco il sibilo del sesto colpo. Lo sento sopra di 
me. Vicino, vicino, vicino, a sessanta centimetri 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


6.7 


passa sopra le nostre teste. Io e Petrella siamo 
immobili, a terra. Il minuto d’attesa ci è parso 
lunghissimo. Il proiettile è scoppiato a meno di tre 
metri dal punto in cui ci troviamo. Con la sola cor¬ 
rente d’aria ha scoperchiato tutto il nostro riparo. 
Detonazione formidabile. Grandinare di schegge 
enormi e di sassi. Un albero è stato sradicato. 
Alcuni macigni frantumati. Ci troviamo letteral¬ 
mente coperti dalla testa ai piedi di terriccio, sassi 
e ramaglie. 

— Sei vivo? 

— Vivo! — 

La cinghia del mio fucile è stata tagliata netta¬ 
mente da una scheggia. Gavetta e tascapane sono 
crivellati di proiettili. Il fucile di Petrella ha la 
cassa spezzata. Tutti gli alberi vicini presentano 
la corteccia lacerata. 

Noi siamo miracolosamente incolumi. 

Passa di corsa da un riparo all’altro l’attendente 
del maggiore Cassola, il milanese podista Terzi, il 
quale grida : 

— Bersaglieri del 33° ! Ordine del maggiore, riti¬ 
rarsi armati sotto al costone ! — 

Obbediamo, rutto il battaglione e, ora, riunito 
sotto una roccia al riparo dei colpi del 280. Passo 
dinanzi al comando del battaglione. C’è il mag¬ 
giore, il capitano Mozzoni, il capitano Vestrini. Ho 
la faccia nera di terriccio. 

— Che cosa ti succede, Mussolini? — mi doman¬ 
dano. 

— L ultimo 280 mi è scoppiato vicino. 

— L’hai scampata bella... — 




















BENITO MUSSOLINI 


6b 


Per la seconda volta, a distanza di sette giorni, 
ho corso serio e immediato pericolo di vita. Ba¬ 
stava che il proiettile fosse scoppiato soltanto un 
passo indietro, per ridurmi a brandelli. 

Jannazzone mi dice: 

— Si [ussi in voi, porterei un cero a Montever¬ 
gine! — 

11 bombardamento non è continualo 1 . 11 mio, è 
stalo l’ultimo colpo. Ritorniamo ai nostri ripari. 
Nel pomeriggio calmo, molti si fermano ad osser¬ 
vare la buca enorme, prodotta dallo scoppio del 
280. Io trovo una scheggia ancora tepida che pe¬ 
serà un paio di chilogrammi. La metto fra i miei 
cimeli di guerra. L’artiglieria di grosso calibro fa 
meno vittime, forse, di quella di medio e piccolo 
calibro, ma esercita una influenza deprimente sul¬ 
lo spirito dei soldati. Il soldato di fanteria si sente 
disarmato, impotente contro il cannone. Quando 
l’artiglieria batte le nostre posizioni, ognuno di noi 
è come un condannato a morte. Il sibilo annuncia 
il proiettile e ogni soldato si domanda: « Dove 
scoppierà? ». Contro il cannone non c’è alcuna di¬ 
fesa possibile, all’infuori di quella costituita dai 
« ripari » che sono poco profondi e pochissimo con¬ 
sistenti. Si tratta di sassi ammucchiati insieme con 
zolle di terra. Bisogna restare immobili, contare i 
colpi e attendere che il bombardamento finisca. Per 
un’altra ragione il cannone impressiona il soldato, 
ed è il genere di ferite ch’esso produce. Le pallot¬ 
tole di fucile o di mitragliatrice non straziano, co¬ 
me un proiettile di cannone. 

C è un solo morto : un caporal maggiore degli 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


69 ' 


zappatori del 27° battaglione. Un milanese, a quan¬ 
to mi dicono. E’ stato decapitato da una scheggia 
del 280. Verso sera vado a cercar dell’acqua e pas¬ 
so accanto al luogo dove l’hanno sepolto 1 . E’ in un 
angolo, sotto una roccia, vicino a un tourniquet 
della mulattiera. Sulla croce, sotto al nome e co¬ 
gnome, c’è un’epigrafe breve e affettuosa. Era un 
valoroso. A piè della croce ci sono alcune carto¬ 
line illustrale. Sulla terra fresca, qualcuno ha spar¬ 
so delle foglie. Alle Casette — si tratta di due ca^ 
panne di legno — ritrovo il caporal maggiore mi¬ 
lanese Garbugliati. E’ addetto ai viveri. Mi offre 
da bere. C’è una colonna di muli che arrivano. Si 
sentono da lontano, per il batter dèi ferri sui ciot¬ 
toli del sentiero. Serata tranquilla. 


18 Ottobre. 

Notte calma. Mattinata di sole. Nel pomeriggio 
comincia la sinfonia dei nostri cannoni. Sparano 
da tutte le cime. Noi ignoravamo Resistenza di tan¬ 
te batterie. Ecco i 75 nostri. Hanno 1 un sibilo e uno 
scoppio secco e rabbioso. 

I 149 sono imponenti. La detonazione dei loro 
proiettili è quasi gioviale, nella sua profondità. I 
210 hanno un boato breve e sordb. Poi, c’è il no¬ 
stro simpaticissimo 1 305. Vien di lontano, di là dai 
monti, come un pellegrino. Passa sulle nostre te¬ 
ste lento e solenne. Lo si può seguire colludilo 
lungo il tragitto. Il colpo di partenza non si sente, 
tanto è lontano, ma sentiamo quello d’arrivo. Lo 





















70 


BENITO MUSSOLINI 


scoppio di un 305 italiano fa tremare la monta¬ 
gna. Se l’artiglieria nemica deprime, l’artiglieria 
nostra solleva. Quando i nostri cannoni sono in 
funzione, , bersaglieri si danno alla pazza gioia, 
tirano da riparo a riparo, fischiano, cantano! Ac¬ 
compagnano i proiettili con grida, con auguri. 

Il soldato di fanteria non ha che un desiderio: 
quello di sentir sempre la voce dei nostri cannoni 
sempre, di notte e di giorno. Oliando sono i can¬ 
noni austriaci che sparano e i nostri tacciono i 
lersaglie'ri impazienti... protestano contro la. no¬ 
stra artiglieria che... risparmia le munizioni. L’a¬ 
zione della nostra artiglieria è durata un paio 
d ore. ^ 

Passano delle corvées cariche di munizioni Ci 
sono delle casse di bombe sulle quali sta scrit¬ 
to: Haul, Bas. Eviter Ics choc*. L'avanzata sem- 
bia imminente. Sintomatico! I bersaglieri non di¬ 
cono: combattimento, azione, battaglia: no - dico¬ 
no: avanzata. Sembra, per loro, già assiomatico, 
nluitivo, necessario che una battaglia nostra deb¬ 
ba, risolversi in un’avanzata. Non è sempre cosi 
IV a 1 uso generale e unico di questo vocabolo è un 
altro sintomo dello spirito di aggressività che ani¬ 
ma . soldati italiani e della loro certezza di vi,,- 
cere. 

Ciò che più mi ha stupito e commosso in questo 
primo mese di trincea, è lo stoicismo incredibile 
di cui danno prova i soldati italiani feriti II mio 

straT T S H Ia mulaMiera - Ho - la fi ^stra sulla 
aiada. Tutto passa sotto i miei occhi. Ho veduto 

decine e decine di feriti. I lievi, quelli colpiti a un 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


71 


braccio, per esempio, vanno all’infermeria da soli. 
Qualcuno, che pur aveva le carni lacerale da scheg¬ 
ge d : i proiettili, fumava tranquillamente una siga¬ 
retta. Non un lamento. E’ straordinario ! E’ ammi¬ 
revole ! Un mantovano, con un braccio quasi ta¬ 
glialo da una scheggia, si reca da solo al posto di 
medicazione. E dice al tenente che si affretta attor¬ 
no a lui, per la medicazione: 

•— Tenente, tagli il resto ! E mi faccia dare un 
po’ di pagnotta ! — 

Questo stoicismo è il prodotto dell’atmosfera in 
cui si vive. Nessun soldato ferito vuol mostrarsi 
debole c pauroso del proprio sangue, dinanzi ai 
compagni. Non solo. C’è una ragione più profon¬ 
da. Non si geme per una ferita, quando si corre 
continuamente il rischio di morte. La ferita è il 
meno peggio. Comunque, il silenzio superbo di 
questi umili figli d’Italia dinanzi al dolore della 
carne straziala dall'acciaio rovente, è una prova 
della magnifica solidità della nostra stirpe. 


19 Ottobre. 

Notte agitata. Bombardamenti lontani e profon¬ 
di. Dicono che è in direzione di Tolmino e Gorizia. 
L’« azione » sembra fìssala per domani. Sole. Co¬ 
mincia il concerto maestoso, formidabile delle no¬ 
stre artiglierie. Chi sta — anche per una giornata 
sola — sotto il bombardamento di un centinaio di 
cannoni che sparano simultaneamente, riporta una 
























72 


BENITO MUSSOLINI 


impressione indimenticabile, sbalorditiva. Alla se¬ 
ia, si è intontiti. I nervi non rispondono più. 

* * * 

Alcune voci del gergo di guerra, in voga, nel 
mio reggimento : 

baule = cretino; 
scalcinato = soldato debole; 
fifa = paura; 
svirgola = cannonata; 
omnibus — proiettile da 305: 
pizzicare = ferire; 

spicciarsela = trovarsi nell’imbarazzo; 
pallottola intelligente = pallottola che ferisce 
soltanto; 

pipa = rimprovero; 
girare la matricola = idem; 

far scrivere a casa = togliere qualcosa a un 
soldato; 

far fesso = idem; 

far camorra = farsi la parte del leone; 
essere fuori, uso => inabile alle fatiche di 
guerra; 

marcar visita = recarsi dal medico; 
vedere il mago = rimanere indietro; 
avanzare verso le cucine = retrocedere; 
tagliar la corda = fuggire; 

portare a casa la ghirba = tornare a casa sano 
e salvo. 

(La ghiiba è un recipiente di tela impermeabile 
che serve per portare acqua, vino, caffè). 


A MIO DIARIO DI GUERRA 


73 


* * * 

E’ giunto il colonnello. Anche Padre Michele, 
il cappellano del reggimento; è arrivato. Ma gli 
scotta il terreno sotto i piedi. 

Ieri sera sono stato di corvée. Mi sono successi¬ 
vamente caricato di cento sacchetti vuoti che do¬ 
vranno poi — riempiti di terra — servirci per i 
nostri ripari; di una cassa di bombe e di uno scu¬ 
do d’acciaio che d’ora innanzi proteggerà coloro 
che devono tagliare i reticolati. Ma pesa molto : 
tredici chilogrammi e mezzo. Finito di lavorare a 
mezzanotte. Stanchissimo. Il fuoco di fucileria de¬ 
gli alpini sul Vrsig mi ha svegliato verso l’alba. 
Tuonano i nostri cannoni, ma l’attacco, si dice, è 
rinviato a domani. 



























Le nostre truppe avanzano 
su Riva e oltre Monfalcone 


21 Ottobre. 

Ieri gli austriaci hanno sparato sui portaferiti 
che passavano per la mulattiera in fondo alla val¬ 
le. Un portaferiti è stato mortalmente colpito. E’ 
nella zona di Tolmino-Monte Nero che romba — 
da stamani — più profondamente il cannone. Fra 
un’ora dovrebbe iniziarsi l’azione del nostro reg¬ 
gimento. Il mio battaglione è di «rincalzo» fra il 
27° e il 39°. Il capitano mi ha proposto — con 
motivazioni assai lusinghiere — per ìa promozione 
a caporale. Mezzogiorno. Una voce ci grida, dal¬ 
l’alto : 

— Tutti nei ripari ! — 

Io tardo un poco, ma due granate che sfiorano 
il nostro riparo mi spingono nella tana. S’inizia 
il concerto delle artiglierie. Ore lunghe di attesa e 
di immobilità. 1 nostri cannoni tuonano sempre 
per proteggere l’avanzata di alcune squadre del 
27° battaglione. Ore cinque. Usciamo dalla buca, a 
dispetto del solito cannoncino austriaco che ci batte 
a shrapnels. Passano, nel crepuscolo, i feriti del- 






















76 


BENITO MUSSOLINI 


l’« azione ». Un sergente è il primo. Vengono due 
capitani : il Morozzo e il Mirto. Quest’ultimo ha 
la testa bendata. Passa fumando, tranquillamente, 
una sigaretta. Il 39° battaglione ha avuto 54 feriti 
e nemmeno un morto. Intanto gli austriaci hanno 
incendiato il « boschetto » per impedire la nostra 
avanzata. Le fiamme altissime arrossano l’oriz¬ 
zonte. 


22 Ottobre. 

Tre mine di proporzioni colossali sono stale fal¬ 
le scoppiare dagli austriaci sulla cima delI’Jawor- 
cek, sollevando un turbine di macigni e di sassi. 
Nessuna vittima. 

Oggi, secondo giorno dell’azione. Tuonano sem¬ 
pre i cannoni. Alla nostra sinistra, sul Piccolo Ja- 
worcek, fuoco vivissimo di fucileria. 

23 Ottobre. 

Ieri sera — a notte fatta — quattro colpi da 280. 
Poi, a due riprese, fuoco intenso di fucileria au¬ 
striaca e di cannoni di piccolo calibro. Dopo, du¬ 
rante la notte, calma. La Divisione ha mandato un 
fonogramma d’augurio alili 0 bersaglieri, nella ri¬ 
correnza, tragica e gloriosa ad un tempo, di Scia- 
i a-Sciat. Il mio vice-squadra Mario Simoni, d'i Ca¬ 
merino, che si trovava in Libia ed era attèndente 
del colonnello Fara, mi racconta spesso come si 
svolse l’episodio di Sciara-Sciat. 


IL MIO DIARIO DÌ GUERRA 


Circa i risultati della nostra « azione » non sap¬ 
piamo nulla di preciso. E’ rimasto ferito il tenente 
colonnello Albarelli. Passa — fasciato al capo — 
il caporal maggiore Corradini. Non è grave. Ecco 
due morti, vittime del 280. Uno di essi è ridotto un 
informe ammasso, avvolto in un telo di tenda. Co¬ 
mincia in questo momento, ore dieci, la quotidiana 
.sinfonia dei nostri cannoni. Volo basso di corvi. 
Nel pomeriggio, gii austriaci hanno bombardato, 
per tre ore, la posizione occupata della mia com¬ 
pagnia. Sono gli incerti dei « rincalzi ». Ci siamo 
<( ingrottati » in tempo. Alcuni feriti. 

Non comprendo perchè si faccia una distribu¬ 
zione quotidiana di grappa ai soldati. In quantità 
minima, è vero, ma si dà ai soldati una pessima 
abitudine. Il «sorso» d’oggi predispone al bic¬ 
chierino di domani. Inoltre, c’è chi riesce qualche 
volta a berne troppa e offre uno spettacolo poco 
edificante. L’unica punizione che sia a mia cono¬ 
scenza è stata inflitta appunto a un caporale che, 
avendo abusato di grappa, è stato retrocesso. 

La nostra guerra, come tutte le altre, è una 
guerra di posizioni, di logoramento. Guerra gri¬ 
gia. Guerra di rassegnazione, di pazienza, di te¬ 
nacia. Di giorno si sta sotto terra: è di notte che 
si può vivere un po’ più liberi e tranquilli. Tutta 
la decorazione della vecchia guerra è scomparsa. 
Lo stesso fucile sta per diventare inutile. Si va 
all’assalto di una trincea colle bombe, colle mici¬ 
dialissime granale a mano. Questa guerra è la più 






















78 


BENITO MUSSÓLIN1 


antitetica al « temperamento » degli italiani. Ep¬ 
pure con le nostre meravigliose facoltà di adatta¬ 
mento ci siamo abituati alla guerra delle trincee, 
alla guerra del fango, dell’insidia continua, che 
pone il sistema nervoso a una prova durissima. E’ 
straordinaria la resistenza ai disagi e al freddo 
dell’alta montagna, in uomini che vengono da 
paesi dove non nevica mai ! Molle volle ho sorpre¬ 
so nei discorsi dei miei commilitoni questa affer¬ 
mazione : 

— Se fossimo in pianura e in campo aperto, gli 
austriaci sarebbero presto spacciati ! — 


24 Ottobre. 

Notte di calma assoluta. Mattinata deliziosa di 
sole. Il primo colpo di cannone è italiano. E’ finita 
l’azione? Non ne so nulla. Il Rampoldi, passando 
dalla mia trincea, mi dice che alcuni dei nostri 
reparti sono giunti sino al cimitero degli ufficiali 
austriaci, ma non mi sa dire se ci siano restati. 
Non tarderò a saperlo, perchè il nostro battaglione 
darà fra poco il cambio al 39°. Anche il pomerig¬ 
gio è calmo. Sono chiamato alla tenda del tenente 
Giuseppe Pianu, comandante interinale della 82 1 
compagnia alpini che sta per ritirarsi a quota 1270. 

Il Pianu è un sardo e non gli mancano le qua¬ 
lità fìsiche e morali dei sardi. Nella tenda ci sono 
altri ufficiali. Fra gli altri il sottotenente medico 
Scalpelli. Chiacchiere. Posiamo tutti insieme per 
un gruppo fotografico. Io tengo, nella destra, una 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


7à 


bomba. Il 'Pianu — ufficiale valorosissimo — mi 
narra episodi ignoti o poco noti delle prime avan¬ 
zate italiane nella zona del Monte Nero. Accetto 
il suo invilo e resto a cena con lui e cogli altri. 
Menù da grande ristorante : risolto, carne arrosto, 
frittata, frutta, dolce. Vini : Chianti da pasto e 
Grignolino in bottiglie. E’ la cena di commiato. Gli 
alpini, che si sono preparati — silenziosamente — 
alla partenza, sfilano già per la mulattiera. Pianu 
fa levare la sua tenda. Ci salutiamo, con fraterna 
cordialità. 


25 Ottobre. 

Cielo di tempesta. Il sole non riesce a rompere 
la cortina di nuvole che nasconde il Monte Nero. 
Ecco : gli austriaci ricominciano a bombardarci. 

Sono in funzione cannoni di molli calibri : (55, 
75, 155, 280. Nel pomeriggio un colpo solo di can¬ 
none ha ucciso quattro dei nostri. Ordine di levare 
le tende e di occupare la posizione tenuta dalla 9” 
compagnia che va agli avamposti. 

26 Ottobre. 

Ci siamo spostati di alcune decine di metri, a 
destra, ifì alto. Siamo ora a quota 1300 circa. Il 
mio riparo è molto meno solido di quello che ho 
abbandonalo. Inutile fortificarlo : non resteremo 
qui che due o tre giorni. 
















BENITO MUSSOLINI 


HO 


27 Ottobre. 

Nevica. La neve Ultra dal nostro riparo, dove 
siamo in cinque. Accendiamo il fuoco. Ora è per¬ 
messo. Ma. il fumo ci acceca. Il cannoncino inizia 
la sua solita quotidiana sfottitura. Totale: colpi 
50 a shrapnel. Tiro stracco ed inefficace. Alcuni 
leriti. Il 4° plotone della nostra compagnia si è re¬ 
cato di guardia agli avamposti. 

28 Ottobre. 

La nostra artiglieria bombarda le posizioni de¬ 
gli austriaci. Giunge una triste notizia. Il nostro 
plotone di guardia è stato « provato » duramente 
dall'artiglieria austriaca. 

29 Ottobre. 

Neve in quantità. L’aspirante ulliciale Raggi è 
venuto nel mio ricovero e mi ha parlato dell’epi¬ 
sodio di ieri. Egli è rimasto miracolosamente in¬ 
colume. Gli austriaci prodigano le cannonate, an¬ 
che quando il bersaglio è costituito da un soldato 
solo e non meriterebbe uno spreco di munizioni. 
Fatto si è che gli austriaci hanno sparato 47 colpi 
da 75 contro un riparo dove stavano rannicchiati 
cinque bersaglieri e l’aspirante Raggi. La penul¬ 
tima cannonata è stata micidiale. Uno dei bersa¬ 
glieri ha avuto braccia e gambe spezzate. Un altro 
è stato ferito meno gravemente. Infine, il caporal 
maggiore Camellini, della classe dell’84, ha avuto 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


81 


un braccio nettamente asportalo da una scheggia. 
Solo ieri sera, dopo una iniezione di caffeina, pra¬ 
ticatagli al posto di medicazione, riprese i sensi. 
Volle abbracciare e baciare il capitano. Gli au¬ 
striaci sparavano a granata. Aizo zero. Distanza 
300 metri. 

1 miei commilitoni ignorano compleLamente le 
vicende e i successi dell’offensiva italiana sugli al¬ 
tri punti del fronte. Siamo in due a leggere i gior¬ 
nali. Io e il caporale Vismara, che riceve VItalia. 
Mi domando: « Perchè non si pubblica e non viene 
diffuso fra le truppe combattenti — composte oggi 
di soldati in grandissima maggioranza alfabeti — 
un Bollettino degli Eserciti d'Italia? Risetlimanale 
o trisettimanale, il Bollettino dovrebbe contenere 
ì Comunicati del nostro Esercito e quelli delle Na¬ 
zioni Alleate, unitamente a qualche articolo e rac¬ 
conto di episodi di valore, alti a tenere elevato il 
morale delle truppe ». 

30 Ottobre. 

Nolte agitata. Ieri sera gli austriaci hanno fatto 
esplodere una mina di proporzioni enormi. Pareva 
che tutta la montagna dovesse « saltare ». Le si¬ 
gnorine impiegate del Credito Italiano — Sezione 
di Milano — mi hanno mandalo due grossi pacchi 
di indumenti di lana. Prima novità gentile di que¬ 
sta mattinala grigia di pioggia a raffiche. 


Mussolini. - Il mìo diario di guerra. 


e 






































L’inverno nelle trincee 
dell’alta montagna 


* —.— 

31 OUobre. 

Giornata di sole e di calma. Corre voce che pre¬ 
stissime il nostro battaglione andrà per qualche 
tempo in riposo a Ternovo, siili’Isonzo. La notizia 
rende allegri i miei commilitoni, ma io ho ragione 
di ritenerla infondata. Non turbo la loro gioia. E’ 
giunto un battaglione di fanteria del 120° reggi¬ 
mento; ecco l’origine della voce. Nei « ricoveri » si 
canta, si fuma, si scrive. Nessuno bada al mono¬ 
tono, insistente stillicidio della vedetta austriaca. 
Il portaferiti De Rita, di Frosinone, narra le sue 
avventure americane. E’ stato sei anni nel Nord- 
America. Si dichiara repubblicano. 

— E perchè? — gli ho chiesto. 

— Perchè sono stalo a New-York... — 

In lealtà, non sa nemmeno il significato della 
parola « repubblica E’, fra l’altro, quasi anal¬ 
fabeta. Ma è coraggioso, resistente alle fatiche. I 
suoi battibecchi con l’altro portaferiti tengono alle¬ 
gra la brigata. Un’altra voce: Tolmino è caduta... 
Nel pomeriggio ricevo un invito dal caporale Giu- 


























84 


BENITO MUSSOLINI 


stino Sciarra, di Isernia, della 13 a compagnia. 
Egli è stato all’Infermeria per farsi visitare dal 
capitano- e gli è riuscito di portare in trincea un 
paio di bottiglie di Asti spumante. Beviamo alla 
salute del Reggimento e alle fortune d’Italia. La 
giornata non finisce bene. Verso le cinque fischia 
uno shrapnel. Uno solo. Da un riparo si leva un 
grido di dolore : ci sono tre feriti, ma, fortunata¬ 
mente, non gravi. 


1° Novembre. 

Comincia — per me — il terzo mese di guerra. 
Che cosa mi porterà? Notte di quiete e di sogni. 
Da qualche giorno, salvo la cannonata di ieri sera, 
l’artiglieria nemica tace. Anche il « cannoncino » 
riposa. Che significa? Sono stale trasportale altro¬ 
ve le batterie che tiravano sulla nostra posizione? 
0 si prepara con una copiosa .scorta di munizioni 
un bombardamento in piena regola di qualche 
giorno? Chissà. Nei ripari si lavora accanitamente. 
Ogni tenda ha il suo fuoco. Si annuncia che Pa¬ 
dre Michele dirà la messa al Comando. Ma, della 
mia compagnia nessuno si muove. Pomeriggio. Il 
cielo incupisce. Pioggia a raffiche. 

— E’ la burrasca del giorno dei morti, — mi 
dice qualcuno. Accanto a me, Rizzati, Massari e 
Sandri, tutti di Ferrara, parlano tranquillamente 
di canapa, di mediazioni, dei mercati, di barba- 
bietole, come se non avessero altra preoccupa¬ 
zione. 


i 


IL MIO-DIARIO DI GUERRA 


85 


Nella tenda vicina i cremonesi Balista e Schizzi 
cantano una parodia del tantum-ergo. Ora la 
pioggia è diventata nevischio. Terzi, l’attendente 
del tenente colonnello Cassola, mi dà — passan¬ 
do — una notizia tristissima : la morte di Corei- 
doni ! 

Attendo 1 , con ansia, il giornale. L’ingegnosità 
dei soldati italiani si rivela nelle trincee. Avere 
una candela in trincea è un privilegio, consentito 
soltanto agli ufficiali, e non sempre. Ma i bersa¬ 
glieri hanno risolto — con la massima economia 
di mezzi e con la più grande semplicità di appa¬ 
recchi — il problema della illuminazione serale. 
Le notti sono ora cosi lunghe! Si prende una sca¬ 
tola di carne in conserva vuota. Si versa dentro 
un po’ d’olio di scatola di sardine, insieme a un 
po’ di grasso liquefatto della scatoletta di carne, 
('olle pezze da piedi — debitamente sfilacciate — 
si fa lo stoppino che si immerge nell’interno, men¬ 
tre una delle sue estremità esce fuori da un buco 
praticato verso il fondo della scatola. Si accende 
e se lo stoppino è bene inzuppato, si ottiene una 
luce un pochino più scialba di quella di una lam¬ 
pada ad arco, ma sufficiente per leggere e scrivere 
una lettera. Provare per credere. 


2 Novembre. 

Co'rridoni è caduto sul campo di battaglia. Ono¬ 
re, onore a Lui ! Scrivo alcune righe per il Po¬ 
polo dedicate alla sua memoria. Ro comunicato la 



















86 


BENITO MUSSOLINI 


notizia al mio commilitone, il gasista milanese Pec- 
chio. Sulle prime era incredulo. Quando gli ho 
mostrato la prima pagina del Popolo , ha creduto 
ed ha pianto. 

Nevica rabbiosamente. Tulli i monti sono già 
bianchi. Ordine di affardellare gli zaini e di tenersi 
pronti per partire. La nostra compagnia deve so¬ 
stituire la 9‘, che si trova già da cinque giorni ai 
posti avanzati. 


Dopo due mesi comincio a conoscere i miei com¬ 
militoni e posso esprimere un giudizio su di loro. 
Conoscere è torse troppo dire. Le mie conoscenze 

sono limitate al mio plotone e — un poco_alla 

mia compagnia. La trincea nell’alta montagna co¬ 
sti inge ogni soldato a vivere da solo o con qualche 
compagno, nella propria lana. Cerco di scrutare 
la coscienza di questi uomini, fra i quali, per le 
vicende guerresche, io debbo vivere e, chissà!... 
morire. 

Tl loro « morale ». Amano la guerra, questi uo¬ 
mini / No. La detestano? Nemmeno. L’accettano 
come un dovere che non si discute. Il gruppo de¬ 
gli abruzzesi, che ha per « capo » o « comparo » il 
mio amico Petrella, canta spesso una canzone che 
dice : 

E la guerra s’ha da fà, 

Perchè il Re accussì vuol. 

Non mancano coloro che sono più svegli e colti¬ 
vati. Sono quelli che sono stati aìl’estcro, in Eu¬ 
ropa e in America. Hanno letto prima della guerra 


































IL MIO DIARIO DI GUERRA 


89 * 


qualche giornale. In guerra sono antitedeschi e 
belgofili. Quando il soldato brontola, non è più per 
il fatto « guerra », ma per certi disagi o deficienze 
ch'egli ritiene imputabili ai « capi» . Io non ho mai 
sentito parlare di neutralità e di interventismo. 
Credo che moltissimi bersaglieri, venuti da remoti 
villaggi, ignorino resistenza di queste parole. I 
moti di maggio non sono giunti fin là. A un dato 
momento un ordine è venuto, un manifesto è stato 
affisso sui muri : la guerra! E il contadino' delle 
pianure venete e quello delle montagne abruzzesi 
hanno obbedito, senza discutere. 

Nei primi mesi della guerra, i bersaglieri hanno 
varcato il confine, cogli inni sulle labbra e la fan¬ 
fara alla testa dei battaglioni. Dopo due mesi di 
sosta a Serpenizza, venuto finalmente l’ordine di 
riprendere l'avanzata, i bersaglieri hanno conqui¬ 
stato — al passo di corsa, malgrado un turbine di 
cannonate — la Conca di Plezzo e si sono trincerati 
a quattrocento metri oltre la città, che gli austriaci 
hanno poi, quasi completamente, distrutta colle 
granate incendiarie. Quando i bersaglieri narrano 
gli episodi di quell'avanzata, vibra ancora nelle 
loro parole la soddisfazione e l’entusiasmo della 
conquista. 

La vita di trincea — monotona e aspra — con¬ 
trassegnata soltantoi dallo stillicidio quotidiano dei 
morii e dei feriti, indurisce i soldati. Parlar loro, 
non si può. Riunire gli uomini in prima lineo, per 
lener loro un discorso, significa esporli a un sicu¬ 
ro immediato massacro da parte dell'artiglieria 
nemica. E’ il « nemico », la presenza del « nemi- 





















90 


BENITO MUSSOLINI 


co » che spia e spara a cinquanta, cento metri, ciò 
che tiene elevato il « morale » dei soldati : non i 
giornali che nessuno legge; non i discorsi che nes¬ 
suno tiene... 

Sono religiosi questi uomini? Non credo troppo. 
Bestemmiano spesso e volentieri. Portano quasi 
tutti al polso una medaglia di santo o di madonna, 
ma ciò equivale a un porte-bonheur. E’ una specie 
di « mascotte » sacra. Chi non paga il suo tributo 
alle superstizioni della trincee? Tutti: ufficiali e 
soldati. Lo confesso: porto anch’io nel dito mi¬ 
gnolo un anello fatto con un chiodo di ferro da ca¬ 
vallo... 

Questi soldati sono nella loro grandissima mag¬ 
gioranza solidi, sia dal punto di vista fìsico che 
morale. Se il vecchio Enotrio Romano tornasse al 
mondo, dinanzi a questi uomini meravigliosi nella 
loro tenacia, nella loro resistenza, nella loro ab¬ 
negazione, non direbbe più come un tempo : 

La nostra Pairia è vile ! 

Quale altro esercito terrebbe duro in una guerra 
come la nostra? 


3 Novembre. 

Ieri sera ci siamo spostati di duecento metri più 
in alto, a destra. Ora comprendo l’obbiettivo della 
nostra azione. Bisognerebbe occupare la depres¬ 
sione fra il Vrsig e lo Jaworcek, per tagliare_io 

credo — la linea della difesa austriaca. A squadre 
e plotoni, abbiamo impiegato, per spostarci, quasi 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


fri 


due ore. Non pioveva, per fortuna. Il mio riparo 
è relativamente buono. Da stamani pioggia e neve. 
La mitragliatrice austriaca spara, ma siamo « de¬ 
filati » e finora nessuno dei nostri è rimasto ferito. 
Ci troviamo in mezzo al fango. Camminare nella 
mulattiera significa immergersi nella melma fino 
al ginocchio. Fra i ripari corre un vero torrente 
di mota. Qui, siamo più raccolti. 

I cannoni austriaci tacciono sempre. 1 nostri 
pure riposano. Anche se piove, anche se nevica o 
tempesta, quando i cannoni nemici tacciono, c’è 
allegria fra noi. 


4 Novembre. 

Ieri sera il mio plotone — il primo — è stato co¬ 
mandato ai piccoli posti. Siamo partili alle diciot¬ 
to. Pioggia a scrosci. Buio pesto. Siamo montati 
a uno a uno — in fila indiana — per un cammi¬ 
namento franalo e pieno di fango. Quando i razzi 
luminosi degli austriaci solcavano il cielo, ci get¬ 
tavamo di colpo a terra. Giunti alla posizione, non 
è stalo facile trovarmi un riparo. Non un barlume 
di luce, all’infuori di quella dei razzi, spenti i qua¬ 
li, le tenebre erano più dense di prima. Finalmente 
ci siamo, cacciali, io e il mio capo-squadra Mario 
Simoni, dietro a un masso roccioso. 

Ho chiesto al mio capo-squadra : 

— In caso di un attacco austriaco, qual’è la no¬ 
stra fronte? 

— Quella a destra... — 






























92 


BENITO MUSSOLINI 


La risposta non mi ha convinto. La responsa¬ 
bilità delle guardie avanzate sulle linee del fuoco è 
terribile. Devono costituire una garanzia e una pri¬ 
ma difesa per coloro che stanno dietro. Per for¬ 
tuna, gli austriaci non prendono mai l’offensiva 
per i primi. Possono contrattaccare, ma «attacca¬ 
re », no. 

Verso mezzanotte, dopo sei ore di pioggia e di 
tuoni, si fa un grande silenzio bianco. E’ la neve. 
Siamo sepolti nel fango, fradici sino alle ossa. Si- 
moni mi dice : 

— Non posso muovere più le punte dei piedi. — 

E la neve cade lenta, lenta. Siamo bianchi an¬ 
che noi. Il freddo ci è penetrato nel sangue. Siamo 
condannati all’assoluta immobilità. Muoversi si¬ 
gnifica « chiamare » la mitragliatrice austriaca. 
Vicino a me c’è qualcuno che si lamenta. Il tenente 
Fanelli lo redarguisce, con voce sommessa, ma il 
bersagliere risponde e c’è nella voce una invoca¬ 
zione .quasi disperata : 

— Tenente, sono gelato. Non mi « fido » più. — 

E’ un meridionale. Ma anche il tenente, che è 

di Bari, deve trovarsi in critiche condizioni. Poco 
dopo, infatti, chiama me e il Siraoni c ci manda 
insieme dal capitano' per chiedere il cambio della 
guardia. Sono le quattro. La nostra guardia do¬ 
vrebbe durare ancora quattordici ore. 

I rovo il capitano nel suo riparo. Egli, insonne, 
veglia. Fuma. Si trovano in sua compagnia i sot¬ 
totenenti Raggi e Daidone. 

— Ebbene? 

— Signor capitano, il tenente Fanelli mi man¬ 


ie MIO DIARIO DI GUERRA 


93 


da a dirle che i bersaglieri di guardia non resi¬ 
stono più. Dopo sei ore di pioggia, quattro ore di 
neve... — 

Il capitano mi fa qualche altra domanda e poi, 
volgendosi al sottotenente Raggi, gli dice : 

— Lei va a dare il cambio con una squadra del 
terzo plotone. 

— Benissimo, capitano. Le chiedo, però, un fa¬ 
vore: mi dia una sigaretta... — 

Sono tornato al mio riparo. L’ho trovato ancora 
in piedi, mentre mollissimi altri erano franati. E’, 
finalmente, l’alba. E’ stata la notte più dura dei 
miei due mesi di trincea. 


5 Novembre. 


A giorno fatto: 

— Primo plotone, zaino in spalla... — 
Scendiamo — per asciugarci un poco — alla 
posizione che occupavamo prima. Il nostro pas¬ 
saggio viene subito notato dalle vedette austriache. 
Ta-pum. Ta-pum. Ta-pum. Sette feriti cadono unq 
dopo l’altro. Di gravi non ce n’è che due. Giunti 
al luogo indicato, accendiamo dei grandi fuochi. 
Anche il sole viene a salutarci. Il sereno nel cielo 
riconduce la gioia fra noi. Il 'fuoco non asciuga 
soltanto i nostri indumenti infangati, ci rallegra. 
Pietroantonio, un abruzzese, tornato volontaria¬ 
mente dall’America, insieme ad altri 2000 per ser¬ 
vire la Patria, ci racconta episodi interessanti sul¬ 
la vita delle nostre colonie d’oltre Oceano. Immen- 


























94 


BENITO MUSSOLINI 


so Penlusiasmo col quale fu accolta la nostra di¬ 
chiarazione di guerra all’Austria. Moltitudini di 
uomini assediavano i Consolati per la visita mili¬ 
tare e il rimpatrio. 

— Ho visto — dice Pietroantonio — alcuni scar¬ 
tati mordersi per la rabbia. — 

Si comprende. I milioni e milioni di italiani — 
in particolar modo meridionali — che negli ultimi 
venti anni hanno battuto le strade del mondo, san¬ 
no per dolorosa esperienza che cosa vuol dire ap¬ 
partenere a una nazione politicamente e militar¬ 
mente svalutata. 


Ho asciugato al fuoco anche le pagine di questo 
diario. Alcune, coll’acqua, sono diventate indeci¬ 
frabili. 


6 Novembre. 

Tornando ieri sera dalla posizione dove ci era¬ 
vamo asciugati e rifocillati, ho trovato il mio ri¬ 
paro occupato da altri. Gli artiglieri della Sezione 
che è con noi mi hanno offerto ospitalità sotto la 
loro tenda. Sono stati gentilissimi. Hanno voluto 
dividere con me il loro rancio. C’è fra essi un vo¬ 
lontario, tal Cecconi, vicentino. Stamani, cielo 
buio, di tempesta. Al lavoro ! Bisogna costruirsi il 
« ricovero ». Tre ore di fatica. Grande fuoco per 
asciugare il terreno sul quale dovremo stenderci. 


E’ giunto dalla Divisione, per telefono, l’ordine 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


95 


di partenza per il plotone accelerato degli Allievi 
Ufficiali. Del mio Reggimento siamo soltanto in 
cinque: io, Lorenzo Pinna, Vismara, di Milano, 
Moscatello e Inglese, di Napoli. 

Lascio la compagnia. Saluto il capitano e gb 
ufficiali. Tutti i bersaglieri mi gridano il loro af¬ 
fettuoso saluto e il loro augurio. Addio! Addio! 
Non sono contento. Mi ero ormai abituato alla 
trincea. Scendiamo allo Slatenik. Tre ore di mar¬ 
cia faticosa. In certi punti la mulattiera è tutta un 
pantano. A quota 1270, o Trincero,ne, tappa. 11 
maresciallo Zanotti deve farci il foglio di via. Al 
Trmcerone c’è il 27° a riposo. In tutti i reparti 
ardono grandi fuochi. Qua e là si canta a gran 
voce. Piove. Ci ripariamo nella baracca del can¬ 
tiniere. Come letto; il rivestimento di paglia delle 
bottiglie. Dormire? Niente. Poco lungi è Jacobone, 
napoletano, che dirige un coro di milanesi. Si can¬ 
ta a «voce spiegata la canzone della « povera Ro¬ 
setta »: 

Ai ventisette agosto 
Era una notte oscura, 

Commisero un delitto 
Gli agenti della Questura... 

7 Novembre. 

Prima di scendere a Caporetto, ci siamo recati 
alle cucine del nostro battaglione, dove i nostri 
amici ci hanno regalalo un caffè, come si dice in 
gergo militare, « fuori d’ordinanza ». Il tempo non 


























96 


BENITO MUSSOLINI 


e malvagio. In marcia! E’ la strada di circa due 
mesi fa. Ecco il laghetto di Za Ivraju. Ecco il Ci¬ 
mitero del 6° bersaglieri. Un piccolo muro di cin¬ 
ta. In mezzo una grande croce, con tenaglia, mar¬ 
tello, chiodi e un gallo più abbozzato che scolpito. 
Attorno, attorno, le fosse. Quante? Un centinaio 
e più. Una è coperta da un grosso macigno. Mi 
avvicino e leggo': 

Sottotenente Conte Luigi Alberti. 

Su un grosso macigno c’è una bella epigrafe, 
deturpala, però, da un errore grafico. Invece di 
nuova, è scritto nuoja. Un altro masso indica una 
fossa collettiva. C’è scritto sopra : 

• Qui tutti riuniti. 

La vista di questo Cimitero solitario, a piè dei 
costoni ripidi del Monte Nero, ci rende melanco¬ 
nici e silenziosi. Incontriamo una lunga colonna 
di muli che viene da Ternova. Ecco Tresenga, for¬ 
micolante di soldati. Le campane della chiesa — 
bella e grande — che suonano mezzogiorno, mi 
fanno una strana impressione. A Tresenga si la¬ 
vora. Sorgono da ogni parte baracche. Da Tre¬ 
senga a Caporetto pochi chilometri. Bella strada. 
Carrozzabile. Cominciano i segni dell’«altra vita». 
Incontriamo degli ufficiali dàll’ùniforme impecca¬ 
bile. Attendenti pasciuti e rubicondi, a cavallo. I 
soldati hanno una cera, molto, molto meno sel- 
v aggi a della nostra. La guerra, vista nelle retrovie, 
non è simpatica. Ecco l’Isonzo impetuoso e ceru- 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


97 


leu. Caporetlo. S’è — in questi due mesi — in¬ 
grandito, abbellito. Sempre lo stesso formidabile 
movimento di camions e di carri d’ogni genere. I 
paesani guardano con una certa curiosità i nostri 
abili laceri r infangati, le noslre mani e i nostri 
olii sudici c annerili. Noi siamo — modestamen- 
le! — un po’ fieri, di essere oggetto della curiosità 
della gerite. 


14 Novembre . 

Uopo sei giorni passali a Vernazzo — ambiente 
mediocre — stamani, domenica, un ordine è ve¬ 
rnilo, perlaio da un motociclista della Divisione. 
E rondine dice: « Il bersagliere Mussolini torna 
al reggimento ». Non domando perchè. 

La notizia non mi sorprende c non mi addolora. 
Dò un'occhiaia al Monte Nero, tutto incappuccialo 
di neve, e mi dico: « Domani sarò a quota 1270 ». 
Da San Pietro Natisene si vede nettamente sta¬ 
gliarci sul fondo de IT orizzonte il famoso «Naso rii 
\ (ipoleone ». 1 miei amici del plotone si mostrano 
non meno sorpresi e mollo più addolorati di me. 
La trincea non ha fascino per loro, sebbene fossero 
quasi lutti allogali nei » posti ufficiali » e quindi 
lontani dal pericolo immediato. 

Pochi saluti, in fretta. Zaino in spalla. Mi pre¬ 
sento in In reria. II maresciallo c'è. Mi paga la cin¬ 
quina. ini consegna la « bassa » di marcia e una 
scatoletta di carne. 

Sono nella strada. Mi fermo a San Pietro, al Co- 


Mussot.txt. - 77 mio di (trio di ytierrn 





























98 


GENITO MUSSOLINI 


mando di Tappa, por attendere un camion aulo- 
mobile elio mi trasporti a Caporelto. Ma qui faccio 
un incontro inatteso. Trovo Alberto Mescili, ex se¬ 
gretario della Camera del Lavoro di Carrara, sol¬ 
dato della territoriale. Egli mi dà un recapito per 
< aporetto: si tratta di certo Oreste Guidoni, che 
ha piantato a Caporetlo un negozio di tessuti e 
pannine. Ma mentre passeggiamo lungo il marcia¬ 
piede, ecco giungere il Ghidoni su di un carro. Mi 
presenta. Il Ghidoni è un mantovano, traslocatosi 
a Carrara. E’ già sera. Ci fermiamo a Pilifero, 
villaggio a 10 chilometri da San Pietro. All’osteria 
troviamo — naturalmente — dei soldati. Ci sono 
degli alpini che tornano dal fronte e si recano a 
Target lo per il plotone allievi-caporali: ci sono dei 
fanti del distretto di Cremona e della classe de IL 8.'! 
ohe vanno a Caporelto. Uomini maturi, ma solidi e 
pieni di buon umore. Essi ini dicono che nel Cre¬ 
monesi- non r’è miseria e la popolazione attende 
con fiducia l’esito della guerra. 


15 Novembre. 

Oggi è il primo anniversario della fondazione 
del Popolo d’Italia. Ricordi, nostalgie. Mattinata 
grigia. Partiamo da Pùlfero alle 9. Per giungere 
a Caporelto ci vogliono tre ore. Solito enorme mo¬ 
vimento di camions e di carri. Si dice che il fronte 
mangia per le retrovie, ma le retrovie mangiano 
il Ironie. Nelle retrovie c’è un vero, formidabile 
esercito, mentre la linea del fuoco è un sottile velo 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


99 


che sembra sfumare nella lontananza. Durante il 
tragitto, il Ghidoni mi racconta i « casi » della po¬ 
litica carrarese. Sono interessanti. Passo le ore li¬ 
bere ilei pomeriggio a Caporelto. La cittadina è 
sempre piena zeppa di soldati. Sono sorti qua e là 
grandi baraccamenti e qualche edificio in pietra. 
Verso sera, mi reco al Camposanto militare. Il nu¬ 
mero delle croci è aumentalo. Saranno quattro¬ 
cento. Quelle degli ufficiali, una quarantina. Primo 
di questi, il colonnello Negrotto. Sulla sua tomba 
c’è una grande corona di bronzo degli irredenti. 
Ora vado leggendo alcuni nomi sulle croci. V’è 
anche qualche austriaco. 

L'unica fossa che abbia dei fiori è quella di un 
-oblato austriaco e sulla croce sta scritto: Joseph 
W'allha, dell’esercito nemico. Il fatto è sintoma¬ 
tico. 

In un angolo del Cimitero pei civili, ci sono due 
fosse senza croce e senza nome, Un soldato mi 
spiega che si tratta di due gendarmi austriaci fuci¬ 
lali dai nòstri all’inizio delle ostilità. 

A IL estremi là del Cimitero militare, che è cintato 
da un semplice filo di ferro, giunge un carro, ri¬ 
coperto e trascinato da due soldati zappatori. Ci 
sono due casse da morto. Aiuto a scaricare la pri¬ 
ma. E’ pesante. Sono due soldati morti all’ospeda- 
letlo da campo. Crepuscolo. Melanconia. Ritorno 
in piazza. Compero il Resto del Carlino e trovo la 
prima notizia del bombardamento di Verona. Croc¬ 
chi di soldati leggono. Molti altri vanno in chiesa. 
Vado anch’io. La chiesa- di Caporetlo ha ai lati 
due gallerie, dalle quali si sporgono i fedeli, come 
























100 


SEX ITO .MUSSOLINI 


dalle loggetle di un teatro. Banchi, gallerie sca- 
STemi,i di sodati. C’è anche qualche 
>- , ' . J 1C s0no f ^ ei vecchi e dei giovanissimi. 

In territoriale degli alpini, accanto a me ha neMi 

CC " lucc,c °re di lacrime. All’altare officia un 

corc> e ' Or" 10 "" ,e K laUdÌ ’ 1 S ° ldati ris Pondono in 
toro. ■< (Jra prò nobis... ». 

r, V r'T ìa , , f Ì! 1C ’ aC(0m pagnati dalle note gravi e 
poolonde dell organo, i soldati cantano un inno TI 
coio, s, leva solenne .e riempie la chiesa. Io laccio - 
gnoro I aria e le parole. Il ritornello dice: 

Iteli, benedici , o madre , 

L’italica virtù ; 

Fa' che trionfine, le nostre squadre 
A'c/ nome santo del tuo Gesù. 

B coro è lindo con un lungo gemito dell’organo 
I soldati slollano. 


Mi Novembre. 

Sono l’unico bersagliere dell’ll» che torni al reg¬ 
gimento. In marcia. Vicino a Tresenza passo d- 
in>nz, a una polveriera. La sentinella mi guarda e 
i -, onr !T r ~ ^ un s °ldato romagnolo del PO 0 

Ah eff" u v- dal M ° n,e Nero un vento di neve. 
) U . affretto. Niente tappa a Rawna. Oui ci sono 

tu .ei^agiieri del mio battaglione venuti in cor- 
iee M dicono che il 33° battaglione si trova a 
quota 12/0 e non sull’Jaworcek. Notizia conso- 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


101 


laute. Sei ore di marcia di meno. Lunga fila di 
muli carichi di soldati coi piedi congelali. A Za 
Kraju incontro una barella coperta. C’è un morto 
che viene portato a Caporelto. Segue un caporale 
die piangi'. Lo conosco. E’ del1*8* compagnia. Mi 
dice singhiozzando : 

— Il morto è il sottotenente Mario Botligeìli, 
milanese. E’ stato fulminato da una pallottola, ieri 
sera, mentre disponeva il suo plotone di guardia. 
Ora lo portiamo al Cimitero di Caporelto. — 

Al Cimitero del 6 C bersaglieri, mi sferza la fac¬ 
cia una prima folata di nevischio. Il Molilo Nero 
non si vede più. Neve. In trincea, dove sono giun¬ 
to dopo Ire ore di marcia sotto la neve, ho ritro¬ 
vato i miei amici, soldati e ufficiali, che mi hanno 
accolto festosamente. 

Nolle di uragano. Eravamo nel ricovero in un- 
dii i. Mal riparati. Freddo siberiano. Ala stamani 

r é il -mie. 














































Dalle falde dell’Jaworcek 
alle vette del Rombon 


lo Febbraio. 

Capore Ilo. E ; la quarta rolla ohe passo da que¬ 
sta piccola città slovena, che i nostri occuparono 
appena varcato il confine. Al Comando di tappa 
trovo ancora lo stesso capitano e i sottufficiali 
che c'erano nel settembre. Nulla di cambialo. La 
città mi appare più pulita, oserei dire ringiova¬ 
nita, ma più silenziosa e deserta. Pochi soldati, 
pochi carri. Il vertiginoso movimento dei primi me¬ 
si di guerra esiste ancora, ma è stato deviato alla 
periferia dove è sorta la città militare con strade 
larghe e ampie piazze. Anche la popolazione non 
è cambiala. Entro in alcuni negozi e trovo ancora 
le facce enigmatiche che notai la prima volta. No. 
Questi*sloveni non ci amano ancora. Ci subiscono 
con rassegnazione e con malcelata ostilità. Pensa¬ 
no che noi siamo di « passaggio », che non reste¬ 
remo: e non vogliono compromettersi, nel caso in 
cui ritornassero, domani, i padroni di ieri. 
Pomeriggio grigio. Mi dirigo verso il Cimitero 

























10G 


BENITO MUSSOLINI 


militare. C’erano nel novembre trecento fosse ora 
ce ne sono settecento. La siepe di filo di ferro è 
sostituita da un muro di cinta. La cappella reca 
nella sua parete esterna questa epigrafe : 


PUR RIVENDICARE 1 TERMINI SACRI 
CHE NATURA POSE A CONFINE DELLA PATRIA 
AFFRONTARONO impavidi 
MORTE GLORIOSA. 


ir. LORO SANGUE GENEROSO 
RENDE SACRA 
QUESTA TERRA REDENTA 


2 NOVEMBRE 1915 


Si scavano altre fosse laggiù... Ritrovo sulle 
croci i nomi di alcuni miei compagni deir 11°. Esco 
dal Cimitero e mi reco al Tribunale Militare. C’è 
udienza. Si discute il processo contro il sergente 
j.icelli di un reggimento di fanteria, impalato di 
diserzione. II P. M. chiede l’ergastolo, ma il Tri¬ 
bunale esclude la diserzione e condanna Nicelli 
per abbandono di poslo, a venti anni di reclusione 
previa degradazione. I! Nicelli ascolta il verdetto 
con indifferenza e se ne va fra i carabinieri. Senne 
un soldato semplice, siciliano, imputato di un de- 
litio analogo, e viene assolto. 


il mio diario di guerra 


107 


76 Febbraio. 

Zaino in spalla, di buon mattino. A piedi sino a 
Ternova, in camion da Ternova a Sepenizza. Oui 
mi vien detto che la mia compagnia si trova alla 
destra dell’Isonzo, in una località detta Sorgente. 

In marcia! Ecco V Isonzo sempre impetuoso, 
sempre ceruleo, ma, giungendo alle sue rive, vici¬ 
no alla passerella, vengo accolto da alcune canno¬ 
nate da 280. Vecchia conoscenza. E come non ba¬ 
stasse il 280, entra in azione un 305. Sosta di un'o¬ 
ra. Passaggio elei fiume. A pochi metri dalla pas- 
sarella c’è un 305 inesploso e monumentale come 
il carabiniere di guardia. Alcuni minuti di strada e 
sono ai baraccamenti invernali occupali dalla mia 
compagnia. I vecchi commilitoni, che avevano avu¬ 
to qualche notizia del mio arrivo, mi salutano e mi 
abbracciano con effusione vivissima. Pelrella, mio 
compagno di trincea, mi bacia. Conoscenza di al¬ 
cuni ufficiali nuovi, fra i quali il lenente Danesi, 
giovanissimo, appena uscito dalla scuola di Mo¬ 
dena. I vecchi amici sono quasi tutti presenti. La 
compagnia è in rango, armata. Sono proprio ar¬ 
rivato al momento opportuno. E’ giunto l’ordine 
improvviso di salire nella zona del Rombon c pre- 
èisamente sul Kukla che gli alpini hanno perduto 
dopo un attacco di sorpresa. E’ già notte quando 
la compagnia si mette in marcia. Notte di stelle! 
Camminiamo — in silenzio — per qualche chilo¬ 
metro, lungo la strada imperiale di Plezzo; poi, 
giunti’ dopo Osteria al Ponte Rotto, prendiamo a 
sinistra e cominciamo a salire. 


























108 


BENITO MUSSULINI 


Panorama meraviglioso. Abbracciamo con lo 
sguardo tutta la Conca di Plezzo, inondata da! 
plenilunio. Otto ore di marcia. Attraversiamo Plu- 
f na > ra * a al suo, ° dagli austriaci, e giungiamo alla 
tappa. In una baracca angustissima, capace di ap¬ 
pena venti persone, troviamo posto in tre plotoni. 

acciaino mucchio. E’ accanto a me un bersaglie¬ 
re nuovo venuto cogli ultimi complementi e" un 
contadino umbro, tale Arcioni, un tipo posato e 
tranquillo, che sembra disorientato e smontato 
Mi domanda : 

— Fratello, è vero che siamo venuti qui poi- 

mi avanzata? 1 

Non lo so. E se anche fosse? 

Lo domando, per curiosità.. 

— Non. so nulla. Coràggio ! _ 

boiio stanchissimo e, appena disteso a terra mi 
addormento. 


17 Febbraio. 

Nevica. Corvée: tavole per le baracche e pali di 
‘ eiro P er (( cavalli di Frisia ». Zaino in spalla! La 
compagnia si sposta tutta in prima linea nell’ul¬ 
tima trincea. Si fa ancora una buona màrcia per 
una mulattiera quasi impraticabile. Monto di ve¬ 
detta alla estrema destra della trincea. Sono ripa¬ 
rato da sacchetti di neve gelata e da uno scudo di 
erro. lutto il parapetto della trincea è di sacchetti 
riempiti di neve : fragilissimo. Dinanzi alla nostra 
trincea c’è un reticolato in gran parte sommerso 


IL MIC DIARIO DI GUERRA 


10!) 


dalla neve; un centinaio di metri più in su, si pro¬ 
fila il semicerchio del reticolato austriaco. Fra i 
due reticolali ci sono delle masse grige informi : 
-ono cadaveri abbandonati. Notte serena, di ple¬ 
nilunio. Siamo in mezzo alla neve. L’occhio ab¬ 
braccia un cerchio vastissimo di montagne che mi 
sono familiari. Alla mia destra si profilano il Mon¬ 
te Nero, il Vrata, il Vrsig, il Grande e Piccolo Ja- 
vvorcek. Spettacolo fantastico. Ordine di innastare 
le baionette e di sparare qualche colpo, intermit¬ 
tentemente. Il capitano Bondi, che ha il comando 
interinale del battaglione, passa verso la mezza¬ 
notte in ispezione la trincea. 

— Nessuno deve dormire! — egli ci dice. — 
Non impressionatevi per le bombe a mano. — 

Freddo acuto. Siamo completamente all’aria 
aperta. La trincea non offre ripari di sorta. Ilo 
sparato durante la notte mezza dozzina di carica¬ 
tori Gli austriaci hanno risposto fiaccamente. C’è 
un ferito, fra noi, ma leggero. 


Venerdì 1S Febbraio. 


Giornata serena, ma freddissima. Guardando 
verso l’Italia, si vede tutta la pianura di Udine e 
in lontananza, oltre le lagune, la linea azzurra, ap¬ 
pena percettibile, dell’Adriatico. 

Tre shrapnels austriaci, provenienti forse dallo 
Jaworcek, battono sulla trincea degli alpini, sot¬ 
tostante alla nostra. Vedo passare, di corsa, alcuni 
























110 


EENITO MUSSOLINI 


feriti leggeri. Altri vengono trasportati in barella. 
Cominciano a tuonare i nostri 149. I proiettili sibi¬ 
lanti passano sulle nostre teste a pochi metri d’al¬ 
tezza e piombano sulla trincea austriaca. Guar¬ 
dando contro il sole, si vede giungere il proiettile: 
sembra una bottiglia nera con un leggero movi¬ 
mento di oscillazione. Tutti i proiettili scoppiano: 
ciottoli e pali vengono a cadere sino nella nostra 
trincea. Stormi di corvi volano descrivendo ampi 
cerchi sulla Conca di Plezzo. Sotto alla nostra trin¬ 
cea c’è la fossa di due .soldati caduti nei primi com¬ 
battimenti. Tutta la compagnia è rimasta per ven¬ 
tiquattro ore consecutive di vedetta alla trincea. 


19 Febbraio.. 

La solita corvée. Bisogna andare a prendere * 
viveri al Comando di Brigata. Un’ora di marcia, 
faticosa. Chi ha i chiodi aguzzi o i ferri, può cam¬ 
minare. I bersaglieri mettono i piedi nei sacchetti 
per la terra e non scivolano più. Durante il tra¬ 
gitto, Tartiglieria nemica ha bombardato la posi¬ 
zione, ma la mulattiera è sotto a un costone, che 
forma un angolo morto bellissimo. Sotto quelle 
rocce si è sicuri e si può — come facciamo — as¬ 
sistere tranquillamente allo scoppio fragoroso dei 
proiettili nemici. Passa un generale. Lo seguono 
molti ufficiali. Un sergente dell’S a compagnia, tal 
Peruzzone, genovese, è stato colpito mortalmente 
da una fucilata al petto. E’ caduto senza un gemilo. 
Gli scavano una tossa sotto la neve. Sole grandis¬ 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


ni 


simo, quasi primaverile. Si lavora a preparare 
« cavalli di Frisia » e reticolati. I soldati, nelle ba¬ 
racche, scrivono, scrivono... Mi fermo con un 
gruppo di giovani ufficiali che fraternizzano con 
ine. C’è il tenente medico Musacchio, il « quasi- 
awocato » Pecmoli che mi ricorda le manifestazio¬ 
ni e le barricate romane del maggio; il già avvo¬ 
calo Rapetti, pure romano: Santi e Barbieri della 
mia compagnia. Altre conoscenze: l’avv. Righini. 
volontario negli Alpini, avvocato bolognese. Or¬ 
dine di servizio per la mia compagnia : il primo e 
>econdo plotone vanno di guardia alla trincea; il 
terzo e quarto devono spostare avanti i reticolati. 
r\ vestono di hianco. Appena giunto al mio posto 
di vedetta, all’estremità destra della trincea, la ve¬ 
detta austriaca mi tira una dietro l’altra due fuci¬ 
late che si spezzano contro lo scudo. Metto la can¬ 
na del mio fucile alla feritoia e rispondo. L’au¬ 
striaco a sua volta risponde. Il duello dura alcuni 
minuti. Lo spostamento dei reticolati avviene sen¬ 
za incidenti e senza vittime. Notte freddissima e 
niellata. Siamo completamente all’aperio. Quindici 
gradi sotto zero. Se si resta immobili, le scarpe 
gelano r aderiscono al suolo duro e sonoro come 
mi metallo. 


Domenica 20 Febbraio. 

Stile. Poche e rade fucilate tra le vedette delle 
squadre in trincea. Alcune cannonate, innocue. 
Uon una bottiglia di « Barbera amabile » che il 































112 


BENITO MUSSOLINI 


bersagliere Moroni Tomaso di Osimo mi ha rega¬ 
lalo e con 1 0 scaldarancio, facciamo un eccellente 
vino brulé che ristora i miei compagni. Ora, i can¬ 
noni austriaci di grosso calibro tirano nella Conca 
di Plczzo, verso la stretta di Saga per colpire le 
nostre batterie di 149. 1 280 c i 305 scoppiano in¬ 
nanzi e indietro, sollevando nuvole di fumo. E’ un 
pezzo che gli austriaci « cercano » la nostra balle¬ 
ria, ma non Thanno ancora trovata. Verso sera il 
sottotenente Barbieri mi dice che il colonnello 
vuole vedermi. Il nostro colonnello, venuto a co¬ 
mandare il reggimento in sostituzione di Barbiani. 
si chiama Beruto cav. Giuseppe. Un uomo di me¬ 
dia statura, asciutto, di poche parole. Capelli bian¬ 
chi e un pizzelto pure bianco alla Lamarmora. E’ 
sialo feri.lo sul Carso. Mi presento, saluto. 

Una cordiale stretta di mano. 

— Ho voluto conoscervi, nel momento in cui, 
compiuto il vostro dovere per un giorno e una not¬ 
te di guardia alla trincea, siete disceso per un po’ 
di riposo. So che siete un buon soldato. Non ne 
bo mai dubitato. — 

Il colonnello passa ad altro e mi dice : 

— Sono stalo parecchie volte di picchetto a Mi¬ 
lano, per causa vostra e dei vostri amici. 

— Altri tempi! — rispondo. 

Il colonnello vive la nostra vita, soffre degli stes¬ 
si disagi di un semplice soldato. Egli poteva re¬ 
stare in seconda linea con uno degli altri battaglio¬ 
ni, ma ha voluto essere col battaglione più esposto 
al pericolo. Ciò è molto simpatico e i bersaglieri 
apprezzano questo gesto. Il colonnello dorme su 


IL MIO DIARIO ni GUERRA 


118 


alcune tavole in una specie di cuccetta alta un me¬ 
tro da terra. Sotto di lui, a terra, dorme il suo aiu¬ 
tante, il sottotenente milanese Olinto Fanti, mio 
buon amico. 

Da un altro lato dell’angusta baracca che serve 
anche da « posto di medicazione » degli alpini, 
dormono i tenenti medici Gargiulo e Congiu. Il 
primo meridionale, Tultimo sardo. C’è anche Don 
Giovanni; cappellano degli alpini, un pezzo d’uo¬ 
mo dall’aria assai mite. 

# * * 


A proposito: la medaglieria religiosa è in dimi¬ 
nuzione. Nei primi tempi era un imperversare di 
immagini sacre. I soldati ne portavano al collo, al 
polso, sul berretto, nelle dila a foggia di anello. 
Tutto ciò va cadendo in disuso. La tragica espe¬ 
rienza delle prime linee ha insegnato che un amu¬ 
leto vale l’altro, che il cornetto vale una medaglia; 
e un gobbo d’avorio un Sant’Antonio. L’ultima 
trovata in materia di « scongiuri » è quella di toc¬ 
carsi le stellette (forse per analogia collo « stello¬ 
ne?») o di portare questa cabalistica epigrafe: 

B I P ZI R 16 
C eh. ZI P. S. S. 

Migliaia di soldati l’hanno ricevuta passando pe: 
i paesi della vallata del Natisene. 

Sono incapace di decifrarla. 


s 


Mussolini. - II mio din rio di guerra. 




















Ì14 


BENITO MUSSOI.iNl 


21 Febbraio. 

Nolte di vento violentissimo e gelato. Veniva dai 
Monte Nero, La tela della nostra fragile baracca 
si gonfiava, mentre le traverse di legno stridevano 
e pareva dovessero rompersi da un momento al¬ 
l’altro’. Pigiati gli uni su gli altri. Per muoversi 
dal fondo della baracca alla porta, si cammina sui 
compagni, colle ginocchia e le mani a guisa di 
quadrupedi. Nessuno ha chiuso occhio. Alle quat¬ 
tro, sono stato chiamato per la corvée dei viveri, 
che bisogna andare a prendere dove si fermano i 
muli, nella posizione dove si trova il Comando di 
Brigala. Anche nel Rombon i nostri morti sono 
disseminati qua e là, dove è stato possibile di sep¬ 
pellirli. Sette croci allineate sorgono vicino al Co¬ 
mando di Brigata: due più in alto; qualche altra 
nei pressi della mulattiera. Mattino di calma. Il te¬ 
nente Rapetti mi narra un episodio che dimostra 
quanto 1 giovi ad incuorare i soldati, l’esempio de¬ 
gli ufficiali.. 

— II 12° bersaglieri — mi dice Rapetti — era a 
quota 1270, alle falde del Monte Nero. La nostra 
trincea veniva battuta da parecchie ore da un vio¬ 
lento fuoco di artiglieria. Il sergente Brenna aveva 
avuto un momento di panico. Piuttosto che rim¬ 
proverarlo 1 , io mi misi in piedi sulla trincea, men¬ 
tre granate e shrapnels fischiavano da ogni parte. 
11 gesto mio, temerario, incuorò i bersaglieri, più 
di qualunque punizione od eccitamento. Quando, 
di lì a poco tornai, trovai il sergente Brenna, che, 
impassibile e fresco tra rinfuriare dei proiettili ne¬ 


il. MIO DIARIO DI GUERRA 


115 


mici, si mise sull’attenti e disse : — Niente di nuo¬ 
vo, signor tenente. Presenti, diciannove come pri- 
ma. — 

Il colonnello ha chiesto una copia del mio «Gior¬ 
nale di Guerra» dello Jaworcek. Ordine di servi¬ 
zio per la notte : il primo plotone è comandato a 
porre i « cavalli di Frisia » oltre la nostra trincea 
Della prima squadra andiamo volontariamente io 
e Reali Oreste, milanese. Ci vestiamo di bianco e 
andiamo su. Prima che spunti la luna, lisciamo 
dalla trincea insieme col tenente Santi. Strisciamo 
per alcuni metri... Ad un certo momento, il tenente 
avverte un rumore di passi sulla neve gelata. E’ 
una pattuglia di austriaci. Sosta. Tutto intorno è 
silenzio. Ma le nostre vedette non dormono ed ecco 
crepita il fuoco della nostra fucileria. La pattuglia 
nemica si ritira in buon ordine. 


22 Febbraio. 

Notte di luna, serena, ma freddissima. Si dice: 
dai quindici ai venti gradi sotto zero. Ma nessuno 
si sente male. Malati in lutto : quattro, e, più che 
malati, indisposti. Cominciamo a « sfottere » gli 
austriaci. Sopra a un lungo bastone piantiamo 
una pagnotta di pane, e sopra a un altro 1 issiamo 
un cappello da bersagliere. Agitiamo, per qualche 
tempo, i due bastoni al disopra della trincea, ma 
gli austriaci non sparano. Una novità : il nostro 
capitano Mozzoni è tornato dalla licenza invernale. 
Passa fra di noi salutandoci tutti. Mi annuncia che. 

























ne 


BENITO MUSSOLINI 


con molta probabilità, il reggimento cambierà 
fronte e andrà in Carnia. Distribuzione di caffè, 
cioccolato, burro, castagne secche. Si beve molto 
cognac e molto rhum. I liquori eccitano contro il 
freddo e soprattutto tengono desti. Da notare : alle 
quattro e a mezzanotte, ci viene distribuito caffè e 
latte. E’ un record a quest’altezza! La distribuzio¬ 
ne dei viveri è regolare e abbondante : non abbia¬ 
mo il rancio caldo, ma tant’altra roba lo sostitui¬ 
sce : anche il prosciutto che talvolta è veramente 
squisito. Il tenente medico Musacchio mi offre la 
fotogralia deH’Jaworcek, con questa dedica: 

AWamico Benito Mussolini 
offro 

'affinchè gli ricordi il luogo 
ov’ebbe il battesimo del fuoco 
e la gioia suprema 

di constatare nel cuore dei suoi commilitoni 
le nobili qualità della stirpe italica. 

Dormiamo sotto a una baracca, ma sulla neve. 
Ci contenteremmo di un pochino di paglia, ma 
non c’è. 


Mercoledì 23 Febbraio. 

Notte di guardia alla trincea. Dodici ore sotto a 
una implacabile bufera di neve. Verso le due si è 
udito un vivo fuoco di fucileria alla nostra destra, 
nelle posizioni tenute dagli alpini. Siamo balzati 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


117 


lutti in piedi. Coperti di neve, sembravamo tanti 
fantasmi usciti da una fossa. Si trattava di un at¬ 
tacco austriaco più simulato che attuato. 11 fuoco 
è duralo una quindicina di minuti. Stamani, al¬ 
l’alba, l’8* compagnia è venula a darci il cambio. 
Durante l’operazione, una pallottola sola di una 
vedetta austriaca ha ucciso due dei nostri : Mas¬ 
sari, un richiamato ferrarese dell’84 — un soldato 
bravo, disciplinato, volonteroso, che era stato con 
me in trincea sullo Jaworcek — e Manucci. So¬ 
no caduti senza un grido, sul margine inferiore del 
camminamento. Colpiti entrambi alla testa. Dai 
buchi uscivano fiotti di sangue che invermigliava 
la neve. 

Fatalità ! 

Il Manucci era cià partilo per la licenza inver¬ 
nale ed era giunto a Ternova. Qui aspettò sei gior¬ 
ni, perchè le licenze erano state sospese nel settore 
dell’Alto Isonzo. Dopo sei giorni, ricevette l’ordine 
di tornare in compagnia. Giunse ieri sera. Stama¬ 
ni è morto. Il Massari era miracolosamente scam¬ 
pato allo shrapnel del 10 ottobre che uccise i suoi 
due compagni di tenda, i ferraresi Mandrioli e 
Melloni. 

— Portaferiti! — 

Ecco De Rita e Barnini. Adagiano in una co¬ 
perta di lana i due morti e li trascinano piano sulla 
neve... Un trasporto colla barella è impossibile, 
data la ripidità e il gelo del camminamento. La no¬ 
stra trincea è fatta di neve. I sacchetti non conten¬ 
gono che neve gelata. Le pallottole passano come 



























118 


BENITO .MUSSOLINI 


attraverso la carta velina. Bisogna camminare a 
schiena curvata. 

Nevica sempre. 

Una valanga si è schiantala sulla baracca dove 
dormono alcuni sottotenenti, le loro ordinanze, 
Reali ed io. Sotto l’urto, la baracca si è chiusa co¬ 
me un libro. Per fortuna, nessuno di noi è rimasto 
ferito. Ho aiutato il tenente Malascherpa — cre¬ 
monese — a liberarsi dai rottami e dalla neve, che, 
sfondando la tela della baracca, lo aveva quasi se¬ 
polto. 


24 Febbraio. 

Le solite dodici ore di guardia alla trincea. So¬ 
no', colla mia squadra, capitato proprio nel punto 
dove caddero ieri Manucci e Massari. La neve è 
ancora rossa di sangue. Scendendo — a servizio 
ultimato — dalla trincea, porto al maggiore Ten- 
tori, comandante il battaglione Bassano degli al¬ 
pini, una copia del Popolo , col trafiletto dedicato 
al Volontari di Monza. Il maggiore mi ricostruisce 
le vicende della notte tragica — 14 febbraio — 
nella quale fu tentata la riconquista delle posizioni 
perdute .sul Kukla. L’avvocalo Alfredo Volonteri 
— volontario — morì colpito da una palla in fron¬ 
te, mentre gridava : — Alpini del battaglione Bas¬ 
sano, avanti, sempre avanti ! — 

Il maggiore Tentori mi racconta anche la fine 
eroica di un caporal maggiore che, colpito al veq- 


IL >riO DIARIO DI GUERRA 




ns? 


tre, è morto dicendo : — Mi za me moro, ma moro 
contento' per l’Italia! Viva l’Italia! — 

Nelle parole del maggiore — un uomo alto, dal 
portamento nobile e marziale — vibra ancora un 
intenso affetto pei’ i caduti. 

Ho 1 assistito a sera inoltrata a una scena maca¬ 
bra. Una cassa da morto, fatta rozzamente, è stata 
caricata su un mulo. Gli alpini lavoravano in si¬ 
lenzio. Dentro ci dev’essere — ho pensato — la 
salma del povero Volonteri, che la pietà di un 
amico ha dissotterrato per farla portare in giù, in 
uno dei cimiteri dei pressi dell’Isonzo. 


Venerdì 25 Febbraio. 

Notte di tormenta. Stamani nebbia e neve si al¬ 
ternano. Abbiamo lavoralo intensamente. E’ la 
guerra dei braccianti. La vanghetta vale il fucile. 
Ora il nostro camminamento è profondo. Si può 
stare in piedi senza pericolo di ricevere qualche 
micidiale pallottola. Abbiamo rinforzato la trin¬ 
cea con sacchetti di terra. In poche ore ne abbia¬ 
mo riempito qualche centinaio. E’ giunto il nuovo 
comandante del nostro battaglione, cav. Galassini, 
modenese. 

# * * 

Il lenente medico Musacchio mi parla di uno 
strano tipo di ammalato, ch’egli ha visitato stama¬ 
ni. Si tratta di un siciliano che afferma di essere 
sialo « fatturato », cioè stregato, durante la licenza 






















120 


BENITO MUSSOLINI 


invernale. Sintomi della « fattura » : debolezza, 
inappetenza, dolori vaghi e nostalgia. Comprendo 
che un siciliano soffra di nostalgia, nostalgia del 
sole, fra tanto gelo e tanta neve ! 

* * * 

Gli ufficiali subalterni del rpio battaglione sono 
tutti giovanissimi e ci trattano col « tu » confiden¬ 
ziale. La notte scorsa, secondo quanto mi dice il 
tenente Azzali della 6 a compagnia, gli austriaci — 
in vesti bianche — si sono mossi per il solito at 
lacco, ma i bersaglieri del 33°, che non hanno l’a¬ 
bitudine disastrosa di dormire in trincea, hanno, 
con cinque minuti di fuoco, sventato il tentativo. 


Sabato 26 Febbraio. 

Nottata di guardia. Tormenta di neve sino a 
mezzanotte. Il capitano ha vegliato tutta la notte 
insieme con noi. Ha declamalo un brano del Ne¬ 
rone di Coss'a. Per ingannare il tempo, abbiamo 
canticchiato. A mezzanotte, Reali, chef de cuisine 
della squadra, ci lia preparato una specie di punch 
che bruciava gli intestini; poi ci ha intrattenuti su 
gli usi e costumi nord-americani. Le notizie da 
Verdun hanno suscitato grande interesse fra noi. 
Verso le quattro, si è udito gridare alla nostra si¬ 
nistra : 

— All’armi ! All’armi ! — 

Siamo usciti immediatamente dalle nostre bu- 


1 






























IL MIO DIARIO DI GUERRA 


123 


che — quattro in tutta la trincea — e ci siamo 
messi in linea. Tutto 1 ciò è avvenuto con la rapidità 
del baleno. 

— Le bombe ! Le bombe ! — 

In questo momento il nevischio ci frusta violen¬ 
temente la faccia. Ecco le bombe. Il sacco era in 
consegna alla nostra squadra. 

— Fuoco ! — 

Ho sparato tre caricatori. Poi mi sono scaldato 
le mani alla canna tepida del fucile. Gli austriaci 
non hanno sparato nemmeno un colpo. 

All’alba ho visto un fenomeno strano, dovuto 
certamente all’azione dell’elettricità. La punta dello 
nostre baionette brillava come se fosse uscita dal 
fuoco. Anche il capitano ha osservato il fenomeno. 
Stamani, sole. Il bianco della neve abbacina. So¬ 
lito bombardamento 1 degli austriaci, contro le no¬ 
stre irreperibili batterie della stretta di Saga. 


27 Febbraio. 

Breve sole. Adesso nevica ininterrottamente da 
quindici ore. Di guardia alla trincea. Se continua 
a nevicare, la nostra situazione può diventare dif¬ 
ficile. Oggi, per la prima volta, siamo rimasti sen¬ 
za pane. 

* # * 

La posizione della nostra trincea non ci permet¬ 
te, in caso di un serio attacco austriaco, nessuna 
possibilità di scelta; bisogna resistere sino all’ul- 
























124 


BENITO MUSSOLINI 


limo uomo. La trincea è scavata proprio all’orlo 
di uno .scoscendimento del Kukla, che precipita 
quasi a picco, per alcune centinaia di metri, sino 
al pianoro dove c’è il Comando di Brigata. Riti¬ 
rarsi, significa precipitare, rotolare nell’abisso. 
Resistere, dunque, e siamo pronti ! 



28 Febbraio. 

Oggi abbiamo lavorato di vanghetta e badile. 
Ce solite fucilate tra vedette. Nessun ferito. 


29 Febbraio. 

Domani avrò i galloni da caporale. Un piccolo 
avvenimento nella mia vita di soldato. Il capitano 
ha motivato cosi la proposta : 

« Per Fattività sua esemplare, l’alto spirito ber¬ 
saglieresco e serenità d’animo. Primo sempre in 
ogni impresa di lavoro o di ardimento. Incurante 
dei disagi , zelante e scrupoloso nell’adempimento 
dei suoi doveri ». 

* * * 

Dialogo colto a volo ieri sera : 

— Tenente Barbieri, quant’è la forza della com¬ 
pagnia montata stasera di guardia alla trincea? 

— Centosette uomini. 


IL MIO DIARIO DI OUERRA 


125 


— Ma lassù non ce ne sono che sellaulaquatlro 
contati da me. 

— Si vede che i «disponibili» non sono di più. -- 
Fra i cosiddetti « disponibili » c’è sempre qual¬ 
che « imboscato » che « sbafa » la guardia, cioè, 
non la fa. 


2° Marzo. 

Notte di guardia alla trincea. Nevica. Sono sce¬ 
so all’alba. Battaglia a pallate di neve. Giungono, 
verso mezzogiorno, alcune bombe austriache. Una 
vittima. Un alpino del battaglione Bassano. Lo 
portano in barella al posto di medicazione, ma ci 
restano un attimo. Brutto segno ! L’alpino è mor¬ 
talmente ferito. Sulla mulattiera c’è una striscia di 
sangue e di materia cerebrale. Padre Michele mi 
racconta che al 27° battaglione, che trovasi alla 
nostra destra, ci sono stati due morti e due feriti 
da pallottole delle vedette. Anche il tenente Ra- 
petti è ferito, ma non gravemente. 


Giovedì, 2 Marzo. 

Stanotte di guardia. Neve. Neve. Sono ubriaco 
di bianco. Era con noi il capitano. Si è allogato 
alla meglio nella nostra tana, gocciolante da tutte 
le parti e ci ha Ietto moltissime pagine del libro 
del povero Lucatelli : Come ti erudisco il pupo. Mi 
sono divertito. Sull’alba il sonno mi ha preso. Per 

























126 


BENITO MUSSOLINI 


vincerlo ho ingoialo mezza bottiglia di rhum che, 
come dice p etichetta, contiene tanto « alcool pari 
al 21% del suo volume ». Novità. Stamani, presto, 
una valanga ha travolto quattro alpini e un mulo. 
Altra novità. Son riaperte le licenze invernali. 
Spetta anche a me, di diritto. Foglio rosso, tra¬ 
dotta N. 1. 

Partono con me Reali, Morano, 'l ineila, Morani, 
il lenente Barbieri di Modena. Terza novità. An¬ 
che il battaglione scende stasera e va a Serpenizza. 
Onesta notizia mi fa piacere. Il pensiero di lascia¬ 
re i miei compagni sul Rombon turbava un po’ la 
mia gioia. Durante il tragitto, gli austriaci ci spe¬ 
discono tre shrapnels. Qualche altra cannonata 
scoppia su noi, in prossimità di Osteria, sulla stra¬ 
da maestra imperiale di Plezzo. Notte di sosta a 
Serpenizza. 


3 Marzo. 


Le compagnie del mio battaglione sono discese 
la notte scorsa. Partenza. Poco olire Serpenizza, 
passiamo davanti ai baraccamenti dove hanno per¬ 
nottato i miei commilitoni. Auguri e saluti. Piove 
a dirotto. Sosta a Ternova per il bagno e la visita 
medica. Tappa notturna a-Svina, a cinque minuti 
da Caporetto'. Svina è un villaggio di poche case. 
Notte in un solaio, sulla paglia. Non siamo molti. 
E’ una delle ultime tradotte. I permissionaires ten¬ 
gono un contegno dignitoso e corretto. Non grida, 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 127 


non schiamazzi : la gioia c’è, ma è contenuta nei 
cuori. Si formano dei crocchi, dove vengono nar¬ 
rati episodi di guerra. E passano nel racconto il 
Monte Nero, il Vrala, il Vrsig, l’Jaworcek, il 
Rombon, le montagne dell’Alto Isonzo, santificate 
dal sangue italiano. 






































Un mese fra le 
montagne della Carnia 


25 Marzo. 

Cerco da cinque giorni il mio battaglione. 

L’ho lascialo a Serpenizza a riposo. So che è 
rimasto dieci giorni a Pinzano sul Tagliamento. 
Poi è parlilo per la Carnia, ma per destinazione 
ignota. Giro da cinque giorni, in lungo e in largo, 
la Carnia, a piedi e in ferrovia. Da Tolmezzo a 
Paluzza. La colonna dei bersaglieri che tornano 
dalla licenza invernale è scortata da due carabi¬ 
nieri a cavallo. Attraversiamo il ponte del But che 
« irrompe e scroscia ». Si marcia in ordine. Ecco 
Terzo, Cedarchis, Enemonzo, Arta. Ho appena il 
tempo di leggere l’epigrafe che ricorda il soggior¬ 
no di Giosuè Carducci in questi luoghi. 

Un po’ di sole. La strada s’inoltra fra abetaie 
foltissime e odoranti. C’è nell’aria il tepore della 
primavera. I torrenti ingrossati dal disgelo urlano 
tra le gole dei monti. Verso Paluzza, la valle del 
But si allarga. A Paluzza, il maggiore degli alpini, 
che sla al Comando di tappa, mi dice, finalmente, 
dove si trova il mio battaglione. Lo raggiungerò 


Mussolini. - Il mio diario di guerra 


9 

























130 


BENITO MUSSOLINI 


domani. Passo la serata a Paluzza, popolata da 
soldati di ogni arma. Il paese è intatto. L’artiglie¬ 
ria nemica non lo ha mai raggiunto. Timau, inve¬ 
ce, secondo quanto mi dicono abitanti di Paluzza, 
è una rovina. Timau è l’ultimo abitato che si trova, 
prima di raggiungere le posizioni ormai famose del 
Pai Piccolo, Pai Grande, Freikofel. 


26 Marzo. 

Giunge dal Freikofel il rombo ininterrotto del 
cannone. Sì combatte. Ma l’eco della battaglia vi¬ 
cina non sembra turbare eccessivamente i citta¬ 
dini di Paluzza.. La caratteristica chiesetta, dinanzi 
alla fontana, rigurgita di gente che ascolta la mes¬ 
sa. Gruppi, fra i quali sono molti soldati, stanno 
davanti alla porta principale e a quelle laterali. Un 
sergente maggiore del Comando di tappa mi in¬ 
tornia che da Timau si sono chieste « tulle le am¬ 
bulanze disponibili ». Ciò dà un’idea della gravità 
del combattimento. 

. Alle undici ci raduniamo per partire. Siamo ac¬ 
compagnati dal sottotenente Menini, lombardo. 
Addio Paluzza ! Attraversiamo il Bui e tocchiamo 
Gercivento. Segue Ravasclelto, dove troviamo la 
neve. Siamo a 947 metri. Vecchi e donne sono 
nelle strade a goaersi il sole e il riposo domeni¬ 
cale. Un particolare significativo che denota il pa¬ 
triottismo di queste popolazioni. A Ravasclelto — 
paese di poche centinaia di anime — sono state 
sottoscritte ben 25 mila lire per il terzo prestito 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


131 


nazionale. Sosta per il rancio che confezioniamo 
in casa di un contadino che ci offre le marmitte. 
In marcia ! Ora la strada riscende. Il panorama 
che si offre allo sguardo è sempre incantevole. 
Gamia pittoresca e ospitale!! Breve tappa a Pau- 
laro: un villaggio. Entriamo in una casa — che 
ha una certa grazia di villetta signorile — per bere 
un sorso d’acqua. Ci viene offerta, con gentilezza, 
dalle donne di casa. Tre ragazze : Mina, Antoniet¬ 
ta, Maddalena. Noto un grande ritratto di Bene¬ 
detto Cairoli e uno piccolo di Gabriele d’Annun- 
zio. Donne italianissime. Cantiamo insieme l’inno 
di Oberdan. Saluti e auguri. 

Ecco Gomeglians, da dove comincia la valle del 
Degano. Tappa serale a Rigolato, pieno di alpini 
del 3°. Sono giovani del ’96 provenienti da Tori¬ 
no. Le osterie sono affollate di soldati. Nelle stra¬ 
de non ci sono fanali. Buio pesto. Ma da un accan¬ 
tonamento, non lungi dalla strada principale, si 
leva un coro : 

Al 27 maggio 
Al tramonto del sol, 

Affondavasi una barca 
Nel Lago Maggior. 


Bella che dormi 
Sul letto dei fior, 

Svegliati e poi ricevi 
Un bacio d’amor... 

11 coro lento a tre voci si diffonde con una certa 
solennità nella notte stellata. 

























132 


BENITO MUSSOLINI 


2? Marzo. 

Da Rigolato a Forni ci sono 7 km. e mezzo di 
strada maestra. A Forni c’è il Comando del mio 
battaglione. Lungo la strada, il solito movimento 
delle retrovie : biciclette, carri, carnions. 

Incontriamo una piccola automobile della Croce 
Lossa inglese, guidata da uno chauffeur coli’incvi- 
labile pipa corta in bocca. A Forni, dove giungia¬ 
mo verso le 11, ci dicono dove si trova la mia 
compagnia. Ci mettiamo al seguito della colonna 
ilei muli che portano i viveri. Di rimarchevole a 
borni non ho visto che un palazzo delle scuole ele¬ 
mentari, quasi grandioso. Siamo una decina di 
bersaglieri. E’ con noi l’aspirante ufficiale Baldesi, 
toscano. Tre ore di marcia lungo una mulattiera 
che atlraversà un’abetaia cosi folla, che impedisce 
al sole di giungere a terra. 

A quota 15/G, alla destra del torrente Borda¬ 
glia, che nasce dal laghetto omonimo, trovo il 1° 
plotone della mia compagnia. Sono arrivato. Il 
plotone è ricoverato — insieme con altri bersa¬ 
glieri ciclisti del 10° — in una baracca di legno 
a tre piani. Di fianco c’è la cucina e uno sgabuz¬ 
zino, sulla cui porta mal connessa sta scritto pom¬ 
posamente : Sala convegno per fumatori. C’è il fu¬ 
mo, ci sono i fumatori, ma quanto alla sala è... 
un esagerazione. La stanchezza mi concilia rapi¬ 
damente il sonno. 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


133 


28 Marzo. 

Alba grigia. Qualche raffica di nevischio, atte¬ 
nuata da ondate di sole. Bizzarria della montagna. 
II Comando della nostra compagnia è 300 metri 
più in alto. Vi salgo per presentarmi al capitano. 
Nel tragitto ho modo di orientarmi sulle nostre poi- 
sizioni. Siamo fortificatissimi! Tutta la neve, vici¬ 
no e lontano, è punteggiata dai pali dei nostri reti¬ 
colali. Di qui, non passeranno mai ! 


29 Marzo. 

Stamani, ricognizione volontaria. Sono disceso 
nella valle, sino alla confluenza del Bordaglia col 
Volaja. Laggiù una squadra di alpini schyatori si 
esercitava. Pomeriggio insignificante. La prima 
squadra è di guardia all’accantonamento. Sono 
capoposto. Notte tranquilla. 

30 Marzo. 


Nevica da sedici ore. Tutto è‘bianco. La mulat¬ 
tiera è sommersa. Pomeriggio: nevica sempre. La 
posta non è giunta. Ore lunghe. Nella baracca, 
al primo, al secondo, al terzo piano — totale al¬ 
tezza quattro metri o giù di lì — si gioca a carte, 
si fuma, si canta. Io, col ventre a terra, scrivo 
queste note. Tipi di soldati: Meiosi Piacentino, 
lucchese, tornato dall’America. Classe 1893. E’ il 

























134 


BENITO MUSSOLINI 


l'ero tipo del toscano medio: asciutto, intelligente 
e provvisto di una buona lingua snodata. 

— Sono tornato in Italia per Vonore — egli mi 

dice, iniziando la nostra conversazione._Cinque 

anni or sono andai in America e quando fu chia¬ 
mata la mia classe, non essendomi presentato fui 
dichiarato disertore. In America, a Richmond,’ ca¬ 
pitale dello Stalo di Virginia, avevo un piccolo 
commercio di confettiere. Gli affari non andavano 
male. Scoppiò la guerra europea. Quando l’Italia 
entrò in campo, sentii che non potevo più oltre re¬ 
stare lontano dalla mia Patria e sono tornalo. Po¬ 
tei u entrare nella Sanità, ma ho preferito un’arma 
combattente e sono qui a fare il mio dovere._ 

E un fatto, che i soldati tornati dall’America 
costituiscono la parte migliore delle truppe al 
fronte. * 1 

i Domattina, sveglia alle quattro. Dopo gli attac¬ 
chi al Pai Piccolo, bisogna vigilare. Tale è l’or¬ 
dine telefonico del capitano. 

L eventualità di un’azione lusinga i soldati. 

Nevica sempre. Sono cadute due valange con 
un boato tremendo. Non si ha notizia di vittime. 

I molli in seguito a valanghe non sono stati molti 
in questa zona : cinque e alcuni feriti. 


31 Marzo. 

Dopo tanta neve, ecco una mattinata meraviglio¬ 
sa di sole. Nella chiarità diafana, trasparente del¬ 
l’orizzonte, si stagliano netti i profili e le merlet¬ 


1L MIO DIARIO DI GUERRA 


135 


tature delle montagne bianchissime. Lontano si 
vedono le guglie dolomitiche del Cadore. 

Una linea sottile di porpora annuncia il sole. 
Se fossi un poeta ! 

Intanto, al lavoro. La mulattiera è colma di 
neve. Anche i sentieri d’accesso alle « ridotte » 
della prima e della seconda linea sono ostruiti. Dai 
costoni quasi perpendicolari dei monti di Vas e 
Omladet che ci stanno di fronte, si staccano fre¬ 
quenti valanghe. Da lontano sembrano cascate 
mugghianti. Turbinìo di neve sulle cime. Pare che 
la montagna fumighi. Pomeriggio solatìo e calmo. 
Qualche fucilata solitaria. Verso le tre, abbiamo 
notato due palloni bianchi, altissimi, che il vento 
spingeva verso di noi, dalle linee nemiche. Si trat¬ 
ta di uno dei solili trucchi austriaci; il cesto del 
pallone recava una poesia contro Cadorna — scrit¬ 
ta in italiano — e due cartine geografiche : Ciò 
che otteneva l'Italia senza la guerra e ciò che ha 
ottenuto in dieci mesi di guerra. 

Il Comando austriaco che ci fronteggia e rima¬ 
sto alla tesi del « parecchio » di giolittiana, nonché 
ignobile memoria. 

— Ma se i tedeschi — commenta un arguto ber¬ 
gamasco — non hanno altri « balloni » da sparare, 
presto son fritti. — 


T Aprile. 

Sono capoposto della guardia al <• blockhouse » 
N. 2 dei posti avanzati d'i prima linea, oltre il vai- 

















136 


BENITO MUSSOLINI 


loncello della valanga. Il « blockhouse » N. 3 è 
stato travolto e sommerso da una valanga. Per for¬ 
tuna, era stato abbandonato in tempo e non ci sono 
state vittime. Ho con ine i bersaglieri Reali Oreste 
di Milano, Alcenzo Memore di Fiume Marina Ma¬ 
rano Arturo di Codroipo, Buggeri Pietro dì Fa¬ 
briano, Mastromonaco Giuseppe del Molise Scac- 
chelti Ezio nato a Costantinopoli da genitori man- 
tO'vani, e Tonini, piacentino. 

I quattro « blockhouses » o ridotte, costituiscono 
la nostra prima linea. La consegna è di difenderli 
sino all arrivo dei rinforzi della seconda linea e se 
1 rinforzi non arrivano, difenderli egualmente sino 
all ultima cartuccia. Sono ridotte costruite con 
grossi tronchi d’albero, resistenti a granate di pic¬ 
colo calibro. Per giaciglio, un tavolaccio ricoperto 
e reso un po’ soffice da uno strato di fronde d’a¬ 
bete che emanano l’odore grato e resinoso delle 
coni ere. Nel pomeriggio, intermittente e innocuo 
bombardamento a shrapnels. Passa un Taube al¬ 
tissimo, oltre il tiro possibile dei nostri fucili Fila 
veloce in direzione della Valle del Degano. 


2 Aprile. 

Sole Appena giorno, muoviamo in ricognizione 
verso le posizioni austriache. 

Siamo in cinque. La neve poco resistente ci im¬ 
pedisce di camminare con velocità. Siamo giunti 
in prossimità del Passo di Giramondo, dominato 
alla sinistra, per chi sale lungo il Rio Volaja, dal 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


137 


Picco- di Giramondo che appare come un « Termi¬ 
ne » gigantesco posto dalla natura per segnare i 
confini d'Italia. Verso le 10 il solito Taube è ve¬ 
nuto sulle nostre posizioni. 

Quantunque fosse molto alto, abbiamo fatto fuo¬ 
co egualmente. Dopo il secondo rancio, quando 
scendono dai monti le prime ombre della sera, 
mentre sulle cime si attarda la luminosità del cre¬ 
puscolo, i soldati si riuniscono e cantano in coro. 
Sono vecchie canzoni semplici di parole e di melo¬ 
dia, che si prestano al canto a più voci. 

Ieri nel mio « blockhouse » venne cantato il La¬ 
mento del soldato per la morie della fidanzala. 

Ecco le parole. 1 versi sono rozzi, ma c'è in essi 
una fresca vena di sentimento : 

Trenta mesi che faccio il soldato 
E una lettera mi vedo arrivar. 

Sarà forse la mia amorosa 
Che ho lasciata nel letto ammalò. 

.4 rapporto , signor capitano , 

Se in licenza mi vuole mandar. 

in licenza li manderia 
Purché ritorni da bravo soldà. 

Glielo giuro signor capitano , 

Che ritorno da bravo soldà , 

Quando giungo vicino al paese , 

La campane io sento a suonar. 

















138 


BENITO MUSSOLINI 


Sarà, forse, la mia amorosa 
Che la portano a sotterrar. 

O becchino, che porti la bara 
Per favore, riposati un po'. 

Se da viva , non l’ho mai baciala, 

Or eh’è morta , la voglio baciar! 

La sua bocca, ora, sente di terra, 

Mentre prima odorava di fior! 

Sono le canzoni sgorgate dall’anima primitiva 
del popolo. Sono passate da generazione a gene¬ 
razione e i soldati se le sono trasmesse da una 
classe all’altra. 

Ore quindici. Riapparizione del Taube nemico, 
che vola altissimo. Verso il tramonto, duello strac¬ 
co delle opposte artiglierie. Distribuzione del ta¬ 
bacco governativo, con le relative Ire cartoline in 
franchigia. 

Si scrive. Si fuma. 11 fumo è una distrazione. 


3 Aprile. 

Grande sole. Stamani nella solita « ricognizio¬ 
ne » ci siamo spinti ancora più in là. Erano con me 
i caporali Pietroantonio, un giovane abruzzese tor¬ 
nalo dall’America per lare il soldato, e Serrato 
Antonino, un valido e animoso siciliano del di¬ 
stretto di Cefalù. Verso le 11, l’artiglieria nemica 
ha battuto con granate-shrapuels le nostre posizio¬ 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


139’ 


ni della Selletta fra il But e l’Omladel. Le granate, 
scoppiando, chiazzavano di nero la neve. Pome¬ 
riggio di silenzio alto, interrotto soltanto dal rom¬ 
bo delle valanghe. Le quali non sono le valanghe 
dirò così « classiche » che si formano col « sasso 
che dal vertice » rotola giù nella valle. Sono, in¬ 
vece, grandi strati di neve che slitta dai costoni 
più ripidi, per effetto dei vento o del peso della 
neve stessa. Qua e là, la montagna comincia a mo¬ 
strare le sue rocce. E’ la primavera? Un tenente 
del battaglione ciclisti mi regala, come suo ricor¬ 
do, una fotografìa delle posizioni del Passo di Gi¬ 
ramondo e del Volaja. Ieri, mentre gli alpini ope¬ 
ravano il « cambio » dei piccoli posti in Bordaglia 
Alta, furono scoperti dalle vedette austriache. Tre 
morti dei nostri sono caduti nel camminamento, 
fra la neve. 


4 Aprile. 

Ricognizione mattutina al valico del Volaja. Sia¬ 
mo ridiscesi per il torrente omonimo sepolto sotto 
la neve. Nel pomeriggio, nuova ricognizione su 
Bordaglia Alta. Siamo saliti per un pendìo ripidis¬ 
simo. Erano con me il tenente Santi e tre alpini 
della compagnia volontari alpini. Indossavano il 
camice bianco. Questi volontari sono in gran par r 
te carnioli e friulani. Gente del paese. Di tutte le 
età. Di tutte le condizioni sociali. Sbarrando i pas¬ 
si ai confini d’Italia, essi difendono le loro case, 
le loro famiglie, i loro villaggi che sarebbero i 












































140 


BENITO MUSSOLINI 


primi a subire le violenze dell’invasore. Gente sim 
patica. Siam giunti al laghetto di Bordaglia, com¬ 
pletamente gelato. Dal laghetto ha origine il tor¬ 
rente omonimo che si getta a Pierabech nel Fleons 
o Degano, dopo aver ricevuto, come confluente, il 
Volaja. 

Il tenente Santi — che oltre ad essere il mio 
superiore, è un mio amico carissimo — ci ha fatti 
sostare per alcuni minuti in posizione conveniente 
per vedere, senza essere visti, le linee nemiche 
Col binocolo si vedono benissimo, anche nei det¬ 
tagli, i « blockhouses » austriaci che presidiano il 
Passo di Giramondo. 

11 tenente Barnaba, territoriale, della compa¬ 
gnia dei volontari alpini, è stato lieto di incontrar¬ 
mi, e ci ha offerto un sorso di cognac. Di lassù, 
lo sguardo abbraccia un panorama di montagne 
meraviglioso. Le Dolomiti della sinistra del Cadore 
lanciano al cielo le loro guglie sottili. L’anima — 
dinanzi a questa visione — si dilata e si esalta. La 
montagna, come il mare, fa « sentire » l’immensità. 


5 Aprile. 

Nebbia, maltempo. Mattinata grigia. Nessuna 
ricognizione. I soldati hanno brevi momenti di te¬ 
traggine, seguiti da esplosioni di gioia e di alle¬ 
gria talvolta fanciullesca. La neve se ne va. I bu¬ 
caneve — primi fiori della montagna — comincia¬ 
no a tappezzare i tratti scoperti. Oggi, non una 
cannonata e nemmeno fucileria. Quiete assoluta. 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


141 


Divaghiamo. Tipi di soldati. Ascenzo Memore, del 
distretto di Savona, marinaio di mestiere. Basta 
mostrargli una cartolina illustrata con una barca, 
per fargli sentire tutte le acute nostalgie del mare. 

Nato a Final Marina. I suoi racconti della vita 
marinaresca m’interessano. Fa il soldato volen¬ 
tieri e odia i tedeschi. Lo chiamiamo marinai-elio. 
Abbiamo invece affibbiato il soprannome di ara- 
betto a Ezio Lucchetti che è nato e vissuto a Co¬ 
stantinopoli, dove la famiglia sua è rimasta sotto la 
protezione degli Stati Uniti, mentre lui tornava vo¬ 
lontariamente in Italia per la guerra. Ha un po’ la 
silhouette del turco. Calmo, flemmatico, parla in 
italiano con un leggero accento esotico un po' tur¬ 
co e un po’ francese. Fuma... come un turco. Una 
sigarétta gli pende continuamente dalla bocca e 
un’altra sta, di riserva, .sull’orecchio destro. 
Oliando Ascenzo vuole « sfottere » 1 ’Arabelto, lo 
chiama « aggregato all’Italia ». E allora VArabel- 
to perde la sua calma abituale e « scatta » per pro¬ 
clamarsi « italiano » di razza e di sentimento. 

Pomeriggio. Arriva la posta. Tutta roba in ri¬ 
tardo. La posta nuova non ha ancora, come dicia¬ 
mo nel nostro gergo, « trovala la strada ». 


6 Aprile. 

Giornata movimentata quella d’oggi. Scrivo 
queste righe, a notte alta, nel « blockhouse » illu¬ 
minato da un mozzicóne di candela. I miei com¬ 
pagni dormono. Stamani ho compiuto la solita ri- 




































142 


BENITO MUSSOLINI 


cognizione. Siamo giunti sino al costone che per 
la sua strana conformazione viene chiamato « spi¬ 
na di pesce ». In quel punto la neve è alta oltre 
dieci metri. Ha colmato gli scoscendimenti e for¬ 
mato una specie di pianoro. 

Durante tutta la mattinata, violento duello delle 
artiglierie di medio e grosso calibro. All’una del 
pomeriggio ho ricevuto un ordine-fonogramma di 
intensificare la vigilanza e di lavorare attorno al 
« blockhouse » essendoci probabilità di un attacco 
nemico. Ci siamo messi immediatamente al lavoro. 

Mentre le artiglierie ricominciavano il loro bom¬ 
bardamento reciprocò, abbiamo scavato una trin¬ 
cea a destra e una a sinistra della ridotta. Qui 
opporremo la prima resistenza. Poi ci chiuderemo 
nel « blockhouse » che ha tante feritoie quanti so¬ 
no gli uomini di guardia. La consegna è semplice 
e categorica. I « blockbouses » devono resistere a 
oltranza, sino all’ullima cartuccia. Abbiamo infatti 
un’abbondante dotazione di munizioni. 

— Il lenente ci ha detto : 

In caso di attacco, voi siete i « sacrificati » 
se i rinforzi non giungono in tempo. — 

Posa di reticolati. Oltre i posti di vedetta, i fili 
di ferro dentato sono intricatissimi. 

Il bombardamento nemico sul Volaja è durato 
sino a notte. Due granate sono cadute poco lungi 
da noi, ma senza scoppiare. 

— Vigilare! Occhi aperti, stanotte, e orecchie 
spalancate! — 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


143 


7 Aprile. 

Solita ricognizione. Ci siamo spinti oltre il co¬ 
stone Lambertenghi, così chiamato in onore del 
tenente degli alpini, che scendendo dal Volaja in 
ricognizione, vi fu colpito a morte da una fucilata 
austriaca. Qui, alcuni mesi fa, venne catturata dai 
bersaglieri una piccola pattuglia nemica. Cielo nu- 
biloso. Pochi colpi di cannone nel pomeriggio. 

* * * 

11 « morale ». Posso scriverne dopo tanti mesi 
di consuetudine coi soldati ? Che cosa è il « mora¬ 
le »? Definirlo in maniera precisa, racchiuderlo’ in 
un breve giro di frasi come un ordine di servizio 
è impossibile. 11 « morale » appartiene alla cate¬ 
goria degli « imponderabili » : non lo si misura, lo 
si sente, lo si avverte, lo si intuisce. Il « morale » 
è il maggiore o minor senso di responsabilità, il 
maggiore o minore impulso al compimento del 
proprio dovere, il maggiore o minore spirito di 
aggressività che un soldato possiede. Il « morale » 
è relativo, variabile da momento a momento ; da 
luogo a luogo. Questo stato d’animo che si rias¬ 
sume globalmente col termine « morale » è il coef¬ 
ficiente fondamentale della vittoria, preminente in 
confronto dell’elemento tecnico o meccanico. Vin¬ 
cerà chi vorrà vincere ! Vincerà chi disporrà delle 
maggiori riserve di energia psichica volitiva. Cen¬ 
tomila cannoni non vi daranno la vittoria, se i sol¬ 
dati non saranno capaci di muovere all’assalto; 


























144 


BENITO ÌITJ3S0L1NI 


se non avranno il coraggio — a un dato momento 
— di « scoprirsi » e di affrontare la morte. Non si 
può giudicare il « morale » dei soldati da un sem¬ 
plice episodio o da un contatto occasionale. 11 ge¬ 
sto di un soldato vi può far credere che tutto l’esei- 
cito sia composto di eroi, la parola di un altro vi 
può far pensare esattamente il contrario. L’errore 
della « generalizzazione » è quello nel quale cado¬ 
no coloro che parlano di « morale » senza aver vis¬ 
suto coi soldati ed essendosi limitati, invece, ad 
una rapida visita o ad un fugace colloquio. 11 «mo¬ 
rale» dei soldati in prima linea è diverso da quello 
dei soldati delle retrovie; le classi anziane e le 
classi giovani hanno un « morale » diverso; i sol¬ 
dati contadini presentano differenze di « morale » 
in confronto dei soldati nati e vissuti nelle citta. 

Il « morale » dei soldati che hanno battute le vie 
del mondo, è più alto di quello dei soldati che non 
mossero mai piede oltre la cerchia del borgo na- 
tìo; le sfumature sono infinite, come innumerevoli 
sono i tipi umani. Rivendico il diritto di trattare 
la questione, perchè ho « studiato » coloro che mi 
circondano, che dividono meco il pane, il ricovero, 
i disagi, i pericoli; ho « sorpreso » i loro discorsi, 
fissati i loro atteggiamenti spirituali e nelle più 
svariate contingenze di tempo e di luogo che la 
guerra impone al soldato: in prima linea e in se¬ 
conda linea; in trincea e in riposo; durante il mu¬ 
ro, prima e dopo il fuoco; nel treno attrezzato; 
all’ospedale, nelle tradotte; al deposito di monu¬ 
mento, durante le marce di giorno e di notte; sot¬ 
to la pioggia, sotto la neve, sotto la milraglia .. 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


143 


E la mia conclusione è questa: il «morale» dei sni¬ 
dali italiani è buono: i soldati italiani sono disci¬ 
plinati, coraggiosi, volonterosi. Sapendoli pren¬ 
dere per il loro verso, considerandoli capaci di ra¬ 
gionamenti e non semplici numeri di matricola, si 
può ottenere dai soldati italiani lutto ciò che si 
vuole; dal lavoro oscuro della corvée all’assalto 
irruente e micidiale della baionetta. » 5 

Una compagnia in guerra ha circa 250 uomini. 
Dal punto di vista del « morale » si possono divi¬ 
dere in gruppi nella maniera seguente. 

Ci sono 25 soldati — artigiani, professionisti e 
volontari italiani — che sentono le ragioni della 
nostra guerra e la combattono con entusiasmo. 

Altri 25 sono quelli tornali volontariamente dai 
paesi d’Europa o da quelli d’olire Oceano. Gente 
che ha vissuto: gente che ha acquistato una cella 
, esperienza sociale. Sono soldati ottimi sotto ogni 
rapporto. Ci sono una cinquantina d’individui — 
giovani — che fanno- la guerra volentieri. Il gros¬ 
so della compagnia — un centinaio — è rappre¬ 
sentato da coloro che stanno fra i rassegnati e ì 
volonterosi : accettano il fatto compiuto, senza di¬ 
scuterlo. Sarebbero rimasti volentieri a casa, ma 
ora la guerra c’è e sanno compiere il proprio 
dovere. 

Ci sono in ogni compagnia una quarantina di 
individui indefinibili, che possono essere valorosi o 
vigliacchi, a seconda delle circostanze. 11 rimanen¬ 
te si compone ili refrattari, di incoscienti, di qual¬ 
che canaglia che non sempre ha il coraggio di ri¬ 
velarsi, per la paura del Codice Militare. 




Mussolini. - li mio diario di qverrà. 



















146 


BENITO MUSSOLINI 


Queste cifre possono variare, ma la Proporzione 
e quella In definitiva, il « morale » dei soldati di 
pende da quello degli ufficiali che li comandano. 

Non è il caso — ora — di dire ciò che si e tatto 
per tenere allo il « morale »> dei soldati italiani e 
ciò che non si è fatto. Verrà il tempo anche per 
questo discorso. 


S Aprile. 

Sono smontato di guardia dai « posti avanzati >>. 
Nel pomeriggio, le solite cannonate. Chi ci bada 
più? 


10 Aprile. 

Niente di nuovo. La nostra fatica consiste ades¬ 
so nel rintracciare e scoprire i sentieri che la neve 
ha sepolto. Squadre di operai borghesi lavorano 
attivamente a costruire nuove « ridotte » e formi¬ 
dabili sbarramenti con « tagliale » di abeti. 

* * * 

1 n volontario ilalo-inglese così scrive al fratello 
Marano Arturo, della mia squadra; è un documen¬ 
to interessante : 

« Caro fratello, sono sette mesi che mi trovo sot¬ 
to le armi inglesi, ma ancora non sono stalo in 
battaglia, ma se mi toccasse di andare sarei coii- 


il MIO DIARIO DI GUERRA 


147 


tento di andare a combattere con quei barbari ger- 
manesi, sarei contento di morire, ma prima vorrei 
che qualche germanese mi passasse fra le mani, 
f aro fratello, tu mi dici perchè non ho raggiunto 
le nostre armi italiane. Se avessi potuto sarei ve¬ 
nuto. Ho scritto al Consolato italiano a Vancouver 
in Canada e non mi ha mai risposto. Cosi raggiun¬ 
si le armi inglesi e per la verità non si sta male. 
Io non parlo l’inglese, ma mi « rangio » per bene. 
Diamoci coraggio tutti e tre i fratelli sino alla 
vittoria e dopo raggiungeremo la casa paterna tutti 
e Ire insieme, per non più abbandonarla ». 


11 Aprile. 


Fatto due trincee e un sentiero clic unisce tutta 
la linea delle nostre << ridotte ». Nel pomeriggio, 
dodici cannonate a shrapnels. 


12 Aprile. 

Questa è la guerra del buio, della notte. Le 
giornate trascorrono in una grande tranquillità; 
le notti invece sono sempre movimentate. Si co¬ 
mincia a combattere nel crepuscolo c si continua 
a tenebre alte. Stanotte fuoco vivo di fucileria in 
Bordaglia Alta. Lo scoppiettare secco dei fucili 
era, di quando in quando, coperto dal fragore del¬ 
le bombe a mano. 

Stamani una leggera nevicata. Poi, sole. Siamo 






















118 


BENITO MUSSOLINI 


aiutali ad ultimare le trincee. Quando si tratta di 
((iiesli lavori, i soldati non « ballona la fiacca ». Le 
due trincee dominano tutte la valle del Volaja. 
Campo di tiro vastissimo, efficace, inibitorio. Me 
lo ha detto il capitano Ricellieri, dei bersaglieri 
ciclisti, che conosce a meraviglia queste posizioni. 
Poiché l’ultima trincea in alto è stala disegnala 
da me e scavata sotto la mia direzione, il capitano 
Ricchieri mi tributa un piccolo elogio. Ho prepa¬ 
rato su due tabelle di legno, che abbiamo inchio¬ 
dato su due tronchi mozzati, i nomi delle trincee. 
La più lunga, che è quella più in basso, sarà chia¬ 
mata d’ora in poi il « Trincerone dei bersaglieri », 
quella in allo « Trincea Cadorna » in onore del 
nostro generalissimo. 

Voci del gergo di guerra : 
trottapiano = pidocchio: 
spazzolino = attendente: 
sigarette = cartucce fucile modello 1891: 
cartolina in franchigia = soldato buffo: 
una busta con quattro carabinieri = lettera 
assicurata. 

13 Aprile. 

Mattinata e pomeriggio di calma. A sera l'atta, 
quando eravamo già distesi sui nostri giacigli di 
paglia ormai triturata, siamo stati svegliali dal 
fuoco. Le nostre mitragliatrici e quelle austriache 
cantavano a gola, cioè... a « nastro » spiegalo e la 
fucileria crepitava intensa su Bordaglia Alta e Na- 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


149 


vagnist. Silenzio tatto d’attesa. Poi una voce ha 
gridalo : 

— All’armi ! — 

Alzarci, armarci, riempire il tascapane di car¬ 
tucce è stato l’affare di un minuto primo. Siamo 
discesi in attesa di ordini. Mentre i minuti passa¬ 
vano senza ordini, io osservavo i miei commilitoni. 
1 giovani tradivano una certa emozione, erano im¬ 
pazienti e temevano di giungere in ritardo a por¬ 
tare soccorso ai « fratelli » attaccati in prima linea, 
ma i vecchi, invece, se ne stavano calmi, quasi 
impassibili e forse un po’ scettici... Più previdenti 
dei giovani, non avevano dimenticato il pane, e 
nemmeno la cicca. Falso allarme? 

Già : falso allarme. Ci rigettiamo a terra, arma¬ 
ti. per essere pronti al primo appello. 


1-1 Aprile. 

Pomeriggio di intenso bombardamento. Proiet¬ 
tili di lutti i calibri infuocano l’aria. Gli austriaci 
si svegliano. La psicologia del vecchio soldato 
dinanzi al cannone è in queste espressioni. Se è 
un colpo isolato, il soldato si limita ad osservare: 

L’ il buon giorno! Il buon appetito! La buona 
sera! — 

Se i colpi sono frequenti, vi presta una certa 

attenzione. Di dove vengono? Ad ogni scoppio si 
dice : -ii, 

— E’ un 75 ! Un 155 ! Un 280 ! Un 305 ! _ 

Difficile sbagliare. L’orecchio è abituato 
















150 


BENITO MUSSOLINI 


Infine .se il bombardamento è continuo, ininter¬ 
rotto per ore e ore, una vaga inquietudine afferra 
l’anima del soldato, che si domanda : 

— Che cosa succede? — 

Oggi il cannone non sosta. A sera ci giungono 
notizie incerle sugli effetti del bombardamento. La 
più provata è stata la sesta compagnia clic occupa 
posizioni laterali alle nostre, sul Paralba. Un 
« blockhouse » avanzato è stato preso di mira. Una 
granata da 155 è scoppiata in pieno sul « block¬ 
house ». Dei nove bersaglieri che lo difendevano, 
sei sono morti, tre gravemente feriti. Si sono .sal¬ 
vate le due vedette perchè stavano quindici metri 
più innanzi. 


15 Aprile. 

Sole, ma soffia un vento di tramontana gelidis¬ 
simo. Esplorazione sulle propaggini del Volaja. 
Siamo investiti da bufere di neve. Nelle ore pome¬ 
ridiane, intenso bombardamento. Ci sono alcuni 
feriti leggeri, nella mia compagnia. 

I monti che ci circondano sono quasi tutti alti 
più di 2000 metri : 

Monte Coglians, 2781; 

Passo di Giramondo, 1930: 

Monte Creta Verde, 2519; 

Paralba, 2693; 

Pizzo di Monte Carnico 1363: 

Pizzo ^iraau. 2221: 

Monte Crostis, 2251. 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


151 


Stanotte sono stato posto di guardia con sci w - 
mini al « blockhouse » n. 2 bis. Notte plenilunare, 
ma freddo cane. Il vento che veniva dalle gole del 
Volaja ci tagliava la faccia. 


17 Aprile. 

Stamani, violento, reciproco bombardamento. 
Nel pomeriggio, una ventina di granate sono scop¬ 
piate sulla linea dei nostri « blockhouses » di se¬ 
conda linea, ma senza far danno. 


IS Aprilr. 

In seguilo al bombardamento di ieri, il cambi » 
della guardia ai posti avanzati è stato eseguito pri¬ 
ma dell’alba. Sveglia alle tre. Mattinata grigia. 
La «ridotta» N. 8 che occupo io ò stata la più ber¬ 
sagliata dalla artiglieria nemica. Abbiamo raccol¬ 
to dei cimeli. Schegge, alcune pallette di slirap- 
nels, un bossolo da 125 e due spolette di shrap- 
nels graduate a 64 ettometri. Neve per dodici ore 
di seguito. Gli abeti incappucciati nuovamente di 
bianco dànno alla zona Paspelto di un paesaggio 
potare, come se ne vedono nelle vecchie illustra¬ 
zioni di Natale. Freddo. Silenzio. Malinconia. 
Questa guerra è il grande crogiuolo che mischia 
fonde tutti gli italiani. Il regionalismo è finito. 
Degli uomini che compongono la mia squadra, il 
Reali è milanese, il Balisti mantovano, il Tonini 


















BEI?ITO MUSSOLINI 


35*2 


è piacentino, Meiosi lucchese, Buggeri marchigia¬ 
no. Maslromonaco del Molise. 

Verso sera, un po 3 di sole. Ma poi la neve ri¬ 
prende... 


20 Aprile. 

Una notte di plenilunio nell’alta, montagna tutta 
bianca di neve è uno spettacolo magico, indimen¬ 
ticabile. Ho appreso dal Popolo , che mi arriva ab¬ 
bastanza regolarmente, la notizia della morte di 
Gaetano Serrani. Povero amico! Era buono e bra¬ 
vo : non poteva non essere valoroso. Ricordi. Tri¬ 
stezza. Stamani, i soliti innocui colpi di cannone. 
Pomeriggio invernale. Il vento fischia dal Volaja 
a Navagnist. Nella « ridotta » la conversazione 
gela. I miei commilitoni sono attorno alla stufa. 


22 Aprile. 

Vigilia di Pasqua. Un vento sciroccale improv¬ 
viso ha cambiato la neve in pioggia. L’acqua filtra 
a guisa di stillicidio. Fragore di valanghe che ro¬ 
vinano tra il Vas e l’Omladet. Il Bordaglia non è 
più coperto dalla nevé e fa sentire fra le rocce la 
sua voce urlante. La cantilena delle sue cascale 
predispone al sonno. E 3 giunta la posta. Molle car- 


1L MIO DIARIO DI GUERRA 


153 


loline illustrate. Domani è Pasqua. Senza le car¬ 
oline illustrate, nessuno si sarebbe ricordato del¬ 
la solennità. 


Pasqua del 11)10. 

Quando, prima dell’alba, mi sono alzalo per 
ispezionare la vedetta, pioveva. Poi, la pioggia è 
diventata nevischio e neve. Nella « ridotta » è tutto 
uno sgocciolamento'. Sul piancito c’è già un bel 
guazzetto. 

— Fra poco si va in buca... — dice qualcuno. 

Le ore trascorrono lente, interminabili. Si can¬ 
ticchia : 

Ed anche la Ten ibile. 

Dice eh’è siala in guerra : 

E siala a Serpenizza 

A ramazzar la terra. 

Non attacca. Mezzogiorno: nevica sempre. Po¬ 
nici iggio. nevica ancora. Ln giornale. L’annuncio 
dell’arrivo dei soldati russi in Francia, la conqui¬ 
sta del Col di Lana e la conquista di Trebisonda 
sollevano gli spiriti. Crepuscolo. Nevica sempre. 
Pasqua bianca. 


26 Aprile. 

Notte un po J agitata. Verso le due le mitraglia¬ 
trici austriache hanno incominciato a « cantare »: 














154 


UENITO MUSSOLINI 


nove bombe sono cadute in prossimità della nostra 
< ridotta » ed anche alcuni shrapnels. 

Corre voce che abbandoniamo questa posizione, 
per recarci in altra del fronte, ma sempre in zona 
Cantica. Smontato di guardia. 


# * * 


Quando si è costretti a vivere in molli, bisogna 
abbrutirsi quel tanto che basii per sopportare gli 
inevitabili inconvenienti, d’ordine materiale, ma 
soprattutto spirituale, della promiscuità. 

# * * 

Ael pomeriggio, una valanga enorme di neve 
si è, staccata da pendìi dell’Omladel e ha imboccalo 
due canaloni : a un certo punto, la massa bianca 
faceva un salto di un centinaio di metri, e riempiva 
col suo fragore la valle. Finalmente il Volaja mo¬ 
stra la sua gobba nuda e non più circondala da 
nebbia e nuvole. 

Verso sera violento bombardamento delle nostre 
posizioni, sulla selletta, tra il Vas e l’Omladel. 

Ce l’ordine di movimento. Si parte ! 


28 Aprile. 

Sveglia di buon’ora. Il Volaja ci ha voluto re¬ 
galare — a. guisa di addio — un’ultima bufera di 


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Regio Esercito Italiano 

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IL MIO DIARIO DI GUERRA 


157 


neve. Giungono j primi soldati di fanteria che ci 
danno il cambio. Zaino in spalla-. Scendiamo. Pri¬ 
ma lappa al bivio *di Pierabech-Navagnist, per al- 
lendere gli altri plotoni della compagnia. Giii nella 
valle non c’è più neve e fa caldo. Seconda tappa a 
Forni, per l’adunata di tutte le compagnie del bat¬ 
taglione. Due ore di libertà. Colazione all’albergo 
della. Corona. E’ con me Reali. Una stanzetta al 
piano superiore chiara e pulita. Alla parete un bel 
ritratto a penna di Camillo Cavour, con questa 
dicitura in francese : Premier Ministre da Boi de 
Sardaigne. Una vecchia — di età assai avanzata, 
ma ancora arzilla — sta agucchiando, vicino alla 
finestra. Le domando: 

— Il confine e mollo lontano di qui? 

— Aon molto. Due ore o più. 

— E come -i chiama il primo paese tedesco do¬ 
po il confine? 

— Lackau. 

— Ci siete stata? 

1 na volta sola. A Luckau c’è un grande San¬ 
tuario e tutti gli anni, prima della guerra, si face¬ 
vano dei pellegrinaggi. Ci vogliono cinque ore di 
cammino. Si passa da Pierebech e si rimonta il 
Fleons. 

La vecchia mi racconta, poi, l’episodio dello 
sgombro di Forni, avvenuto alcuni mesi fa, solfo 
la minaccia di una incursione del nemico. 

— Un giorno, all’improvviso, il Sindaco ci die¬ 
de I oidinc di andar via. Nessuno restò nel paese. 
Tulle le case furono chiuse e abbandonate. Che 
confusione ! Clic disperazione ! Le famiglie povere- 


















15<? 


BES1T0 MUSSOLINI 


non sapevano come fare, nè dove recarsi. Noi ci 
fermammo à Ivaro, altri a Rigolata. Donne e bam¬ 
bini piangevano. Scene da piangere. Siamo rima¬ 
sti lontano quaranta giorni che mi sono sembrati 
quarantanni. Ma se tornassero un’altra volta, io 
non partirei più, anche se fossi sicura di morire 
fucilata da quei cani. Sono tanto vecchia! — 

Ma il caso non si ripeterà. Le nostre difese nella 
zona dell’Alto Degano sono semplicemente formi¬ 
dabili. Scendere, significa votarsi all’inutile mas¬ 
sacro. 

Partenza per Comeglians. Nel prato sono rima 
sii alcuni bersaglieri ritardatari. Due sono ubria¬ 
chi fradici. Li portano via in barella. Lungo la 
strada, oltrepassiamo altri soldati, che il soverchio 
vino bevuto ha gettato a terra. Spettacolo non edi¬ 
ficante ! La guerra nelle retrovie è cosi. In prima 
linea il soldato è sobrio e schietto. Giunto nelle 
retrovie, riprende le vecchie abitudini della bettola 
mistificatrice. Ecco Comeglians. Grazioso. I suoi 
dintorni sono, certo, fra i più panoramici di tutta 
la Carnia. Questa regione afferra il cuore. 


29 Aprile. 

Mattinata di sole radioso. I boschi offrono al¬ 
l’occhio tutte le più delicate sfumature del verde 
primaverile. C’è della gioia nella chiarezza diafana 
dell’orizzonte, nel Degano che rompe le sue acqui' 
impetuose fra i sassi, nel bianco della chiesa soli- 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


150 


laria che dall’alto di una rupe scoscesa domina il 
paese, nel fumo delle nostre cucine apprestate die- 
Iro un costone perpendicolare, che forma — come- 
ini dice un competente — un angolo morto totale. 
Oggi, nel paese, c’è più silenzio e più ordine. Lo 
sentinelle vigilano agii accantonamenti. Anche Co- 
meglians — come tutti gii altri paesi della Carnia 
— è senza uomini giovani. Si vede qualche vec- 
cìuol molti bambini e donne. Ho avuto occasiono 
di conoscere il Sindaco che è proprietario di un 
albergo. 

— Sono lieto — egli mi dice — di averlo avuto 
mio ospite e conio di rivederlo a guerra finita. — 

Parlo con un innamorato della montagna: 

— Quando — egli dice — sono giunto alla più 
alla vetta, ini par di essere il re dei re... 


30 Aprile. 

Sveglia prestissimo. E’ ancora notte. Zaino in 
spalla. Da Comeglians a Villa Santina ci sono 13 
km. e 800 metri. Arriviamo a Villa Saniina verso 
le sei e ci fermiamo in un prato nelle vicinanze 
della stazione per consumare il rancio unico. Il 
sottotenente avv. Antonino Isola, catenese, viene a 
cercarmi. Ci vediamo per la prima volta, ma ci 
conosciamo — epistolarmente -— da molto tempo. 
E’ ufficiale al 3° fanteria, composto esclusiva meni e 
di siciliani. 

— Ottimi elementi, e non lo dico per regiona¬ 
lismo! I miei piccoli siciliani hanno dato e darmi- 





















160 


BENITO MUSSOLINI 


rss. 1 ”?' Non desidm ”« <*• i’»««cco 

senza fermarci ’ canta. Passiamo, 

sta^ria^r.: ?r * 

forte - m ^ a Degna, a 


Primo Maggio. 

inulattiei'a 0 /navoro 0n sUr teVa ^ primi,iva 

pania di organizzazione e di tenacia n 1IP P'i^' 
da che, domani costituirà Z n Q la * tra ' 
ciale fra Degna’ e Tm.vm a Vla commer- 

"Itra delia modernità. Ad 'ZnZvoZ t ^ 
le nella roS «,Sf, ‘“"“"•l «•»«* scava- 

1000. ci fermiamo c “ lln °’ 1 glUnl1 a c f llot a 900- 

compagnia si accantona P °" l °- Par,e dt>lla 
accantona m un gruppetto di case 


IL- MIO DIARIO DI GUERRA 


161 


coloniche abbandonate, il mio plotone e il secondo 
piantano le tende. 

Il capitano fa adunare i graduali della compa¬ 
gnia e ci comunica che dal Comando del settore 
dell’Allo Degano sono pervenuti due elogi alla lio- 
'■tra compagnia per il servizio di guerra compiuto 
lassù. ' 1 

* * * 


Qui, le montagne sono più scoscese di quelle 
che abbiamo lascialo. Abbiamo di fronte la vera 
parete del Monlasio, la cui cima tocca i 2754 me¬ 
tri ed è incappucciata di bianco. 


2 Maggio. 

Dopo tanti mesi, ho dormilo nuovamente sotto 
la tenda. La prima volta, dopo il mio richiamo, fu 
a La parelio, nel settembre. Sonno dolce, profon¬ 
do, riparatore. Stamani, grande sole. In fondo, 
scroscia il Dogna. La valle è angusta : meglio 1 , non 
esiste. Le montagne, a destra e particolarmente a 
sinistra, scendono a picco. Poche ore di lavoro in¬ 
tenso e abbiamo trasformato l’accampamento. Sot¬ 
to la tenda abbiamo messo uno strato di fronde 
di abete e di muschio profumalo. Ai Iati abbiamo 
piantato degli alberi per nasconderci alla vista 
dall’alto. Si respira. Vita semplice. Penso a Rous¬ 
seau c al suo « ritorno alla Natura ». 


Mussolini. - II mio diario dì guerra. 


Il 

























BENITO MUSSOLINI 


162 


3 Maggio. 

Un Taube ci ha fallo una prima visila, ma vo¬ 
lava allissimo. Conoscenza di alcuni soldati del 
(Jenio minatori. Sono interventisti. Uno di essi, 
Nicola Pretto, di Valdagno (Vicenza) mi ha dato 
da leggere un volume degli « Scritti » di Giuseppe 
Al azzini. Pomeriggio di calma assoluta. Ho letto la 
/Vili/, de Rimini. Peccalo che il testo sia lardellato 
di errori di stampa. Mazzini vi afferra. Ho divo¬ 
rato la Lettera a Carlo Alberto, l/avevo letta da 
studente. C’è in questo scritto di Mazzini qualche 
cosa di profetico. Ho trascritto sul mio taccuino - 

« Non v’è guerra possibile per la Francia ow 
non sia nazionale; ove non s’appoggi sulle passioni 
delle moltitudini, ove non s’alimenti d’uno slancio 
comunicato ai 32 milioni che la compongono ». 

E più oltre : 

« Le grandi cose non si compiono coi protocolli, 
bensì indovinando il proprio secolo. Il segreto del¬ 
la Potenza è nella Volontà... ». 

E più oltre ancora, nello scritto intitolato: Di 
alcune cause che impedirono finora lo sviluppo 
della libertà in Italia (1832) : 

" Mancano i capi; mancarono i pochi a t»ì>• - 
i molti, mancarono gli uomini forti di fede e di 
sacrificio, che afferrassero intero il concetto fre¬ 
mente delle moltitudini — che ne intendessero ad 
un tratto le conseguenze — che, bollenti di tutte 
le generose passioni, le concentrassero in una sola, 
quella della vittoria — che calcolassero tutti odi 
dementi diffusi, trovassero la parola di vita e di 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


163 


ordine per tutti — che guardassero innanzi, non 
addietro — che si cacciassero tra il popolo e gii 
ostacoli con la rassegnazione di uomini condan¬ 
nali ad essere vittime dell 3 uno o degli altri; che 
scrivessero sulla loro bandiera riuscire o morire T 
e mantenessero la promessa ». 

Non c’è — in questi brani — la divinazione de¬ 
gli eventi odierni? Ouaie meraviglioso «viatico», 
per un soldato combattente, gli scritti di Mazzini ! 
Ma chi li conosce fra questi miei 250 com¬ 
militoni ? 


fi Maggio. 


Il reggimento, dopo dieci mesi passali nella zo¬ 
na deir Alto Isonzo, è venuto qui a riposo. Ne 
aveva bisogno. Ma riposo, non significa ozio. Ri¬ 
poso, se significa non combattere, vuol dire lavo¬ 
rare. .Strade, baracche, trincee, spostamento di 
cannoni. 

Stanotte, tempesta. Pareva che la nostra fragile 
casa di tela dovesse venir spazzata via dal vento 
.impetuoso che mugghiava. La pioggia scrosciava 
sulla tela, ma dentro non una goccia. Bisogna non 
toccare la tela. Oggi, dopo cinque giorni di attesa, 
la posta. Ho ricevuto fra l’altro una cartolina con 
questo indirizzo: Cap. B. Mussolini — Armée Ita- 
liennc — Zona di Guerra (Italia). Ha impiegato un 
mese giusto a trovarmi. Leggo: 






















Uh 


BENITO MUSSOLINI 


Du jroril belge, le 18-4-916. 

immense servicefo^mìutout™ 

" adrniranon. S "! ^ f éUcit <*ons 

ventsvoeuxpourle,^2V S<>S pU,s ^ 

et noble Italie Un nel il ™ ™ ee * la grande 

pense bien sonvenl vinsi siminZ^) qui VOus 
nrmee ». ' ; mule mire grande 

3.eme Seclion Armée Bdge* B. 132. 

devo ^ da l Rombon^^T^^ja Ch ° nnn rive - 
Aon per catechizza rei ’ r; i ? ° a a nos,ra fenda. 
di eccellenti sigarette brasili J^^! 0 due P acci ^tli 
l’opuscolo di Giorgio Del \ ' 7 ° acuno C0 P ie del- 

v *>„„ j "rL®" z mo 'r 

z ">ni m latino e in franreso v ~ h,n S h <‘ ci»a- 
denza e di contingenza " parto . di *•**,,- 

delle Università non ner i °"°iJ^ e . r d P l, bblico 
ranza dei ainli oer-' soldati, la maggio- 

famiglia * ^ rive ^malamente alla pro^S 

Voci del gergo soldatesco : 

IO Maggio. 


IL MIO DIARIO DI OTTERRÀ 


165 


che ora. Si chiama Simoni. Piemontese, un anti- 
gioliltiano e interventista fervente. Mi ha narrato 
le vicende guerresche di questa zona clic è la più 
tranquilla — forse — dell’intera, fronte. Mi ha par¬ 
lalo d’una compagnia di alpini, conosciuta in tutta 
la zona del Fella, col nomignolo di « Compagnia 
dei Briganti. >>. ■ 

Questa compagnia non si compone affatto di ex 
inquilini delle patrie galere o di gente particolar¬ 
mente feroce. Si tratta di individui dal fegato sa¬ 
no. Hanno conquistato delle posizioni dominanti 
e ci sono rimasti, malgrado i coni rat tacchi ostinali 
degli austriaci. Al 18, 19, 20 ottobre — mi raccon¬ 
ta il capitano Simoni — i « briganti » dovettero 
sostenere una dura battaglia. Dopo tre giorni di 
intenso bombardamento, gli austriaci pronuncia¬ 
rono un violento attacco. La proporzione delle for¬ 
ze, nel tratto di fronte dei « briganti » era questa : 
123 alpini contro almeno un migliaio di nemici. 
Questi mossero all’attacco, con lo zaino in spalla 
e ricoperti di fronde, per dissimularsi. Dopo aver 
resistilo a lungo, i nostri alpini chiesero un rin¬ 
forzo c andò in linea una compagnia di minatori. 
— La mia ! — mi dice con vivo e legittimo orgo¬ 
glio il capitano Simoni. — La rotta degli austriaci 
fu completa. Abbiamo contato, dico contato, 46') 
cadaveri nemici. 

Le nostre perdite furono quasi insignificanti. 
Avemmo poche decine di uomini fuori combatti¬ 
mento. Dall’ottobre gli austriaci rinunciarono ad 
ogni azione. 



















166 


BENITO MUSSOLINI 


i 4 Maggio. 


accetta a fratSni1* n P ° rUenggI . 0 P ien< > di gioia e di 
I commiJiioTdel 1 Genk>^ ^ daI noslro ' 

banchetto quasi sontuoso i ”" 0 preparal ° un 
bellissime Abbiamo naH a i *!? trascorso setle ore 
di vittoria Alla r paual ° dl guerra, di politica, 

bel a Srnali Vn 3 -- per f^ggelUre il ricordo do,là 
" ornata e il vincolo nuovo dell’aminVìa 

l'cTcl^non lo’Vford'**'' N “'' ,rascriv ° «mi» 

‘[«■elio dei miei oornmmionfdM 6 ?g~ì* • nporl,re 
Eccolo : * 

n,l„u ™,'S d“re±; Chc in ! ese h «e 

■“» “Urlio di oammS,"T" r,m "" r 

C T r , n ma f § - N l cola Prcll ° - Un,mila 
p p ansl ° ~ Giuseppe Campavi — De 
^ardi Edoardo - Sera Salva 
dori Alerò _ Cecca,; ^eooc - 
Vincenzo Maffei. 

L un documento che conservarvi <~, 
ricordi della mia vita. erve, ° f) a i piu cari 


Mussolini... al fronte interno 


/Vei partilo socialista, è in uso un luogo comune : 

„ gli eroi del fronte interno! ». E ciascuno scrittore 
di giornaletti di provincia scrive la frase con un 
compiacimento tra il cattivo e l’idiota : a proposi- 
io. raramente : a sproposito, quasi sempre. 

Una manìa anche questa! Della quale è affetto 
anche il grande Gaetano Zirardini, il quale ha ti al¬ 
lato Benito Mussolini da «eroe del fronte interno ». 

Ora Mussolini mi. invia una lettera personale non 
destinala alla pubblicazione. Ed io — anche a ri¬ 
schio d’una reprimenda — la stampo. Son già per 
Zirardini , che non conta; ma per i non pochi Zi- 
rardini più grossi r più piccoli ond’è popolala 
l’Italia! 

Perchè si sappia su quale fronte combatta Re¬ 
nilo Mussolini. 

cl. f. 

18 Luglio 1916- 

Caro De Falco. 

Torno iu questo momento da un’«azione» nella 
zona dell’Alto Fella, che mi ha tenuto in movi- 
























BENITO MUSSOLINI 


166 


melilo (lue trinrn,- 

™ .™ 

? l,e lòdi dTweliJZoJJ uT C0uii " ci,: ' 

fece appena sentire fili Uxori J Uc,Ie, ' la àrnica si 
11 "ostro e il „ ] oro „ Cannf °/ U ’ tome al solito, 
Sl avvidero delia nostra ,,, r austriaci 

che fronteggia immedia àmp"^ Un cer, ° l,osc,) 
cominciarono a bombardarci hf * ,0ro posizioni . 

erano grossi calibri (credo r P ' eJ ! a re £°' la - Non 

1^0 e qualche !55 e ma r er ° b ° Cche da 75, 

- letteralmente - a ri n i? 6 granale Pievano 

ena|lt > d i uno o due minìdj 7’Z r’ COf * un 
f'ugò e bucò — cosi __ J arf pileria nemica 

0 ,re < lutto il bus™ dal ’VTi 10 "" pai ° d’ore 
uulu da 120. scoppiata fra " ° b8s »°- ( 'la gra- 

st’uUimo, itfa non gravemente T feri T' 0 ' 

E d pomeri<rm,, filli • ’ a u n braccio. 

* ‘«e d„SSi” »•*» «ima. che 

di pattuglie richiamarmi i r a ’ ‘Retine lucilatp 
mica. Ricominciò il Xl* J" 0C0 1 >a »'lisrlieria ne- 
Spettacolo fantastico f ,t^ a ™ ento a ^napnels 

eravamo ali’addiacdò in grande «Me. Noi 

! esca . riparati contro il Jro^o"? PI °* g Ì 0 lcmpo ™- 
lo e l’amico Reali lesi.? f° lronc o di un abete. 

™«» „„„ S^Yaimf *■ «« mter- 

finente di piccozzino e di r ’ - 1 lawrava furio- 
buca sempre più profonda II P ®,'- scavarci la 
metteva sull’avviso. L’oitel „ P ? * partenza ci 

^ueva in quale direzione ^n " abl , tuato .» distili- 
quando sì diceva :_Óueslo * a ' 9 * Proiettile e 

la testa... ' ° e P e r noi! — gip co p 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


16? 


La fiamma dello scoppio incendiava il bosco per 
un atlirno e poi era il solito vasto scrosciare di 
pallette, di ramaglie, ('erte spolette avevano nel 
sibilo qualche cosa di umano. 

Sette shrapnels si abbatterono sul solo nostro 
albero e non ci ferirono. Alcune pallette vennero 
a schiacciarsi contro il nostro « elmo » o cagnoni, 
come diciamo noi, nel gergo di guerra. Alla mal- 
lina, spostandoci altrove, gettammo un’occhiata 
d’addio all’albero che ci aveva salvalo e che ora 
profila — melanconico — il sito lronco spoglialo. 


.Mussolini. 

















NOVEMBRE 1916 — MARZO 1917. 





















ita,;*-—_ 


NOTA BENE 


Ilo al mio oiliro , come soldato, i primi mesi di 
trincea nella zona deìVAito Isonzo, nrll’autunno- 
inverno del 1915. Coloro che , con me o dopo di 
me , sono passati sui costoni tragici dei Vrsig , del- 
UJaworcek e del Kitkh, con venti gradi sotto zero 
— come nel febbraio del 1916 — non dimentiche¬ 
ranno facilmente quelle durissime giornale. Ho 
trascorso la seconda fase della guerra netta Car¬ 
ina. Zona relativamente tranquilla , ma di grandi 
disagi , specie neW inverno. La prima neve ci visitò 
il HO settembre. Poi siamo venuti sulle quote famo¬ 
se del Bassissimo Isonzo. lì primo periodo di trin¬ 
cea sul Carso è già passalo. Gli eventi più notevoli 
sono consegnati nelle pagine che il Popolo puh- 
blicherà. 

E' la guerra aspra sul Carso asprissimo, E % hi 
vita e la morte nelle trincee , che segnano le nostre 
tappe , sulla si inda di Trieste... 

Le trincee fangose e insanguinale oggi inghiai - 
tono gli uomini , ma TEuropa di domani vedrà 
spuntare da quei solchi tragici i fioii purpurei ci 
una più grande libertà. 


) 


M. 























Oltre il lago di Doberdò 


30 Novembre. 

Mi hanno detto che per ritrovale il mio reggi¬ 
mento debbo andare a Strassoldo. Parto da Udine 
alle 17. E’ sera inoltrata quando arrivo a Stras- 
soldo. Paese deserto, poco piacevole. Per questo 
i soldati lo hanno ribattezzato: Tresoldi. E, forse, 
non vale di più. Nessuno mi sa dir niente di pre¬ 
ciso. Trovo da dormire in una rimessa. Mi spro¬ 
fondo nel fieno e trovo il sonno. 

Più innanzi saprò qualche cosa di ^positivo. Me 
lo assicura un compagno di viaggio, che trovo lun¬ 
go la strada. E’ un bombardiere, che porta al 
braccio il distintivo di « militare ardito ». [/ha ot- 
lenulo — egli mi narra — per il coraggio di cui 
diede prova, sul monte Cimone, dopo lo scoppio 
della mina austriaca. Cammin facendo, il discorso 
cade sulla guerra. 

— Hanno fallo male, gli austriaci, a dichiararci 
la guerra. Li ridurremo alla « mendicazionc ». — 

Al Comando di tappa mi mandano in una pic¬ 
cola località vicina. Strada lunga e pesante. Per 
fortuna c’è un grande sole. 

Giungo ad Aquileja, città dalla eterna impronta 



















176 


GENITO MUSSOLINI 


romana, a sera larda. Non nn dimentico di viA. 
faro la cattedrale. 


* 1* Dicembre. 

Ma non trovo tracce del mio reggimento R* s | ;l . 

10 m . n P°so, in questi paraggi, mentre io mi tro¬ 
vavo in licenza invernale, ma da qualche giorno è 

lmea - 0llre Isonzo saprò qualche cosa di pre- 
ciso. Nelle strade larghe e diritte del basso Isonzo 

11 movimento è semplicemente formidabile supera 
la mia immaginazione. Al bivio di Pieris trovo 
conduttore di un camion, un amico interventista 
oeMa vigilia. Monto sul camion. 

Ecco l’Isonzo. Ampio, ceruleo, chiarissimo. Ro 
' hi, quasi intatto. Trovo alcuni sottufficiali miei 
amici che ni. invitano a dividere la loro mensa 
Mentre si mangia, gli austriaci mandano quat¬ 
tro granate dirette alla stazione. Grande sintonia 
di slirapnels contro un velivolo nemico. Alle ore 
quattro, partenza. Seguo il mulo che porla la 

r™, ag ,'' l,rriciali ,1Hia mia, compagnia. Al bivio 
Selz-Monfaicone, una grande colonna, fatta con 
pietre appena scheggiate, reca un’epigrafe che non 
mi è possibile copiare. I muli vanno in fretta II 
movimento, .salvo in alcuni punti, non è congestio- 
nato. Passo sotto le cave di Selz. Ora comprendo 
le difficolta enormi che dovettero essere superate 
per espugnare quel primo grande bastione dell’al- 
opiano carsico. I «ostri cannoni tuonano sempre, 
segni delle battaglie sono ancora evidenti. Il ter¬ 



reno è laceralo. Trincee sconvolte. Casupole rovi¬ 
nale, alberi divelli. Xulla è in piedi-. La guerra è 
passata qui, col suo terribile rullo compressore. 
Negli angoli, croci solitarie e collettive. E’ il cre¬ 
puscolo. Mi volto, per guardare la pianura delTT- 
sonzo. Laggiù, è una striscia di mare. 

Doberdò è un nome. Del villaggio non restano 
che mucchi di macerie. Passiamo vicino ai due 
laghi o, meglio, due grossi stagni morti. Alcune 
veci: è la nostra quota. Tumulto di voci. Un ca¬ 
mion r fermo: ha portato d’acqua. Trovo i bersa¬ 
glieri della mia compagnia. Affettuosissime strette 
di mano. Mi attendevano. 

— Si parlava proprio di voi, in questo momenti» 

— mi dice un bersagliere amico, di Vernole, pro¬ 
vincia di Lecce. Ricordo che egli mi volle portare 
lo zaino da Quel Taront a Minigos. Non dimenti¬ 
cherò tale alto di affettuosa simpatia da parte di 
questo umile contadino pugliese. 

Salgo ai nostri baraccamenti o ricoveri. « Pren¬ 
do posizione » nel baracchino del sergente. 

Sera di stelle e di luna. Mi presento al colon¬ 
nello, che si trova in primissima linea. 

Nella nostra compagnia ci sono siali quadro fe¬ 
riti da scoppio di granala. Uno dei carabinieri ad- 
delli al Comando de! reggimento è morto, l’altro 
ferito. 

Il « inorale » dei bersaglieri ini sembra elevato, 
certamente superiore» a quello della zona Gamica. 

— Abbiamo tanti cannoni! Avanzare sarà facile! — 

Un senso di fiducia è diffuso in lutti. Andremo 


Mussolini. - Il mio diario di guerra. 


12 
























178 


GENITO MUSSOLINI 


innanzi. La parola d’ordine che circola fra noi 
e questa : ’ 

- 0 Du “ Mj : man »ia i bersaglieri o i bersaglieri 
mangiano Dumo!_ * 

Ore 10 di sera. 

^ e "tre «rivo, i nostri cannoni urlano senza Ire- 

lov,' NÓI” T' é un ba * Uore di n «g‘ e <1, proiel- 
muli f° COme nassumere Je impressioni tu- 
C ’ tU0S c dl <iuesta P rima giornata di trincea sul 
i-o. Sono prolonde, complesse. Oui la guerra 

limano 61 ^ 9 ? S P eUo ^ randioso d ‘ cataclisma 
umano. Oui si ha la certezza che l’Italia passerà 
Arriverà a Trieste e oltre t H 


- Dicembre ',. 

-Volte tempestosa di bombardamento intenso. I 
nostri cannoni non hanno avuto un momento di 
regua. Stamani piove. Sono le undici. Tre «rosse 
granate austriache. Continua il bombardamento da 
alcune ore. Passano sulle barelle i nostri feriti 
Non sono molti e nemmeno gravi. Ma c’è un morto 
lassù Una granata lo ha schiacciato sotto una roc¬ 
cia. Alcune granate sono cadute nel lago solle¬ 
vando colonne di acqua. Verso sera, sono entrati' 
in azione le nostre batterie. Da qualche ora gli 
austriaci tacciono. I nostri cannoni tambureggia¬ 
no. Mentre scrivo sono giunte tre grosse granate 
austriache e uno shrapnel. Altre quattro. Nel mio 
ricovero si gioca tranquillamente a treiette 
Lungo le rive del lago ci sono dei frammenti di 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


179 


membra umane. Nella selletta due cadaveri di au- 
diiaci stanno decomponendosi. Poco lungi, un 
altro morto insepolto. Giungono, col vento della 
Isera, ondale di tanfo di cadaveri. Nella selletla ci 
sono due cimiteri: uno austriaco e Paìtro italiano. 
Ieri una grossa granata disseppellì alcuni morti. 
Macabro. Ora comprendo come il solo nome di 
Doberilo terrorizzi gli honvecl ungheresi. Espu¬ 
gnare queste rocce: quale meravigliosa, pagina di 
eroismo latino! 


3 Dicembre. 

Ho lavoralo come un mulo per costruirmi il mi » 
ricovero blindato. Ho un socio che mi aiuta e che 
dividerà con me il posto alPalbergo! Fuoco in¬ 
tenso delle artiglierie per tutta la giornata. Nel 
pomeriggio, sette Caproni sono passati su di noi. 
A sera fatta, incursione di velivoli nemici. 


4 Dicembre . 

Pioggia, stanotte. Mattinala livida e tranquilla. 
Mentre scrivo passano quelli che hanno « marcalo 

visita ». 

Il tempo è indubbiamente allealo dei ledeschi. 
La pioggia ci costringe a dei « rinvìi» che permet¬ 
tono agli altri di fortificarsi. La pioggia ci demo¬ 
ralizza. Noi siamo figli del sole ! La terra del Carso 
e attaccaticcia. Non v’è modo 1 di liberarsene. E' 





















BENITO MUSSOLINI 


loO 


rossa più del sangue umano. Sono sialo a far.- 
una visita al Cimitero ungherese o ilalo-umrherese. 
bu una tavola della porta sia strillo : 

exoriare aliquis ex ossibus noslris ulloq. 

Ch sono molle croci, ma cpicllc del f indierò i!a- 
lif.no sono più numerose. Di feriti, finora, quattro 
soltanto per io scoppio di una granala: uno solo 

01 questi, grave, ina non .riale 

Pomeriggio quasi calmo. 

Nel crepuscolo della sera, le gobbe delle quote 
, . Carso s. presentano come divorate, lacerate 
dalla scabbia. Cielo mibiloso. Solilo reciproco e 
abbastanza innocuo cannoneggiamento serale 
Stasera, niente posta. 

Una voce: il bombardamento per l’avanzata co- 
mincera stanotte. Vedremo e sentiremo. Mentre 
scrivo, sulle creste dietro a noi è lutto un vampeg¬ 
giare e un tuonar di cannoni. Che sia il preludio? 

5 Dicembre. 

Ciclo buio o terra più livida ancora. Finito il 
mio ricovero. E venuto l'ordine di spostarci Stic- 
ce.le sempre così. Ora mi (rovo in trincea sui mar¬ 
gini del lago di Doberdò. Radi uccelli bianchi e 
neri volano sulle acque cbe.il vento mattinale in¬ 
crespa appena. Io lavoro a farmi una nuova lana. 
Lago di Doberdò!. Chi vive t, lungo presso te tue 
rive, perde l’abiludine umana del riso. Olii la tra¬ 
gedia, prima ancora di essere negli uomini, è nel 
terreno. Da tre ore i cannoni austriaci ci bombar¬ 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


181 


da no. 1 nostri rispondono. Gualche volta inni si 
capisce quali siano i colpi in partenza e quali quel¬ 
li in arrivo. Nel cielo è tutto un sibilare di granate 
che vanno e che vengono. Durante un bombarda¬ 
mento, io non amo la compagnia. Mi piace di star¬ 
mene solo. Ho la superstizione che .sia più difficile 
trovarmi. 

Un lembo di azzurro verso Duino. \ pali metal¬ 
lici che conducevano l’energia elettrica da Mon- 
f al co rie a Gorizia, si rincorrono per lungo (l'alto e 
\ isti in lontananza, di notte, sembrano croci gigan¬ 
tesche di un cimitero sterminalo. 

Guanto sangue ha bevuto e berrà questa terra 
rossa del Carso? 

Un tenente, che viene a trovarmi, mi dà le pru¬ 
ine notizie sugli effetti del bombardamento di sla¬ 
marli. 

I cannoni coni innano ad urlare. Sono le quattro, 
fi tenente che comanda la mia compagnia mi in¬ 
vila a dividere la mensa serale degli ufficiali. Sono 
con lui vari sottotenenti, di cui uno ha il comando 
del mio plotone. 

\\ ricovero è così basso, che non .si può stare 
nemmeno seduti. Notte. Raffiche di vento c di 
pioggia. Dalle ( .) alle 10 intensissimo bombarda¬ 
mento alla nostra sinistra. E 5 un mugghiare inin¬ 
terrotto di grossi calibri. Un tambureggiamento 
sordo clic giunge alle orecchie come il boato di un 
uragano. Piove, ma io e il mio compagno siamo 
abbastanza bene riparati nel ricovero-nuovo che ci 
siamo costruiti in poche ore di lavoro. Anche sta¬ 
sera, niente posta. Meglio cercare ri sonno. 






























182 


BENITO MUSSOLINI 


6 Dicembre. 

Stanotte, il mio compagno mi ha svegliato bru¬ 
scamente. 

— « Crisliga->! Siamo in mezzo all’acqua!— 

Accendo un mozzicone di candela. Il ricovero 
è inondalo e l’acqua vien giù a catinelle. Ci pro¬ 
viamo a vuotare la lana con le gavette, ma è fa- 
lica mutile. Ci decidiamo a mettere Ire tavole in 

allo c lì ci distendiamo — bagnati fradici _ ad 

attendere l’alba. D’ora in ora, si accendeva un 
Uammifero, per constatare la crescita delPacqua. 
Finalmente, l’alba. V erso Aquileja, c’è un vasto 
trailo di sereno, ma dietro a noi, verso l’Austria il 
cielo è cupo. Se venisse il sole ! Il buon giorno ci 
è stalo dato stamane dai cannoni austriaci: In¬ 
colpi di piccolo calibro Qnora. Comincia il solito 
marlellamento dei nostri. Quando piove, nelle lin ¬ 
cee del lago di Doberd'ò, si sta peggio che sull’A- 
damcllo in una notte di tormenta. Queste sono Irin- 
cee costruite sotto il fuoco d'ei cannoni e risentono 
del] improvvisazione. Sono muretli di sassi. I di- 
•spei>i: ce n’è uno, nostro: un bersagliere ciclista 
caduto colla faccia protesa in avanti mentre anda¬ 
va all assalto. Vicino a lui, il moschetto con la ba¬ 
ionetta ìnnastata. E’ là, solitario. Perchè nessuno 
h cura di seppellirlo ? Forse per conservare alla fa¬ 
miglia un’ultima illusione su) « disperso »? Un po’ 
di sole. Bombardamento pomeridiano inevilabile. 
Loro tirano'sul Kri-Kri, sul rovescio di quota 208, 
e nella selletta fra prima e seconda linea nostra. 

Wso la pianura s’inalzano adagio adagio (re 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


183 


grandi palloni-drago. Qualche colpo dei loro fa 
cilecca. Specie i grossi calibri. 

Passano in alto, lentamente, quasi ansimando e 
gemendo, i grossissimi proiettili che vanno molto 
lontano, lo, lutto solo, fuori della mia tana — a 
mio rischio e pericolo — mi godo lo spettacolo 
auditivo e visivo-. Rombo di un velivolo nostro che 
(ila verso Gorizia. Dal Golfo di Panzano s’adden¬ 
sano nuove nubi temporalesche. Finché dura lo 
scirocco non farà bel tempo. Crepuscolo tran¬ 
quillo. Sono andato a trovare un amico tenente, 
romano, che ora comanda una sezione di mitra¬ 
gliatrici. Non lo vedevo più dal Rombon. Egli mi 
ha narrato che i disertori austriaci hanno- manife¬ 
stato lutti un sacro terrore dell’artiglieria italiana. 
Molti di loro venivano dalla Galizia. 

— Là, è un paradiso a paragone del Carso — 
dicono. — L’artiglieria russa fa pum-pum-pum a 
lunghi intervalli, ma non fa il fuoco a tamburo 
come l’italiana. — 

Il rancio giunge alla sera. E’ l’unica distribu¬ 
zione dei viveri in 24 ore. La razione è ridotta. 
L’appetito è sempre quello. Serata movimentata. 
Verso le nove, un attacco- nemico si è delineato 
alla nostra sinistra, su quota 208'. Dopo un vivo 
fuoco di fucileria, sono entrati in azione i nostri 
piccoli calibri. Sono uscito dal ricovero per vedere 
di che si trattava. Un nostro proiettore illuminava 
la selletta fra la quota 208 e la nostra. Tutto il 
costone era punteggialo dallo scoppio ininterrotto 
dei nostri shrapnels e delle nostre granale. Il tam¬ 
bureggiare riolento era di quando in quando so- 































184 


BENITO MUSSOLINI 


\erchialo dallo scoppio dei grossi proiettili Tutto 
il costone era avvolto in una nube di fumo rassi- 
sna, squarciala spesso dai raggi. Tutti i bersa- 
gberi, armati, sono usciti dai ricoveri. Il fuoco 
(lei nostri cannoni ci elettrizza. Una quarantina 
u nnnuli e durato il tambureggiamento. Ora è li- 
Piando dai ricoveri, ho raccolto le impres- 
moiu dei miei commilitoni. 

- Qui si vede la forza degli italiani! 

— Non è più come sull’Jaworcek t 

- Adèsso sono loro che si « spicciano » ! 

- Devono avere avuto una buona scopoia ! 

Hanno fatto male «muoversi i tedeschi mol¬ 
tissimo male !_ ’ 

Passa un nostro forilo, colpito da una scheggia 
di granala al.piede. 

Alla 6* compagnia c’è stalo un morto. Ora è 
silenzio. Soltanto le vedette sparano straccamente. 

\ icino a ine, i mitraglieri di una «sezione» lavo¬ 
rano a farsi i ricoveri. Canticchiano sommessa- 
mente : 

Bella bambina 3 

Capricciosa garibaldina. 

Tu sei la sieda, 

Tu sei la sieda di noi salda. 


La voce dei nostri cannoni: ecco l’argomento 
travolgente per tenere elevatissimo il «morale» 
dei soldati. Cielo velato dalla foschia. Attorno alla 
luna è un cerchio. 

— Cerchio lontano, pioggia vicina, — mi dice 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


185 


un tenente e aggiunge : — Me ne rincresce, perchè 
ciò rimanda la nostra avanzata. — 

C’è un po’ d’impazienza in lutti, anche nei più 
negativi! Avanzare! La lotta, col suo apparato 
avventuroso, emozionante, e malgrado i suoi ri¬ 
schi, affascina il soldato. La siasi debilita. L’azio¬ 
ne rinfranca. Stanotte bisogna dormire con un 
occhio aperto. 


7 Dicembre. 


Tanto per cambiare, piove a dirotto. Il nostro 
ricovero è un guazzetto di acqua e di tango. Sta¬ 
mani. in un’ora di sosta, le nostre artiglierie ave¬ 
vano aperto un fuoco violentissimo sulle posizioni 
nemiche. Ora tacciono. Quelle austriache bronto¬ 
lano alla nostra sinistra. La pioggia è il quinto ne¬ 
mico nostro ed è, forse, il più massacrante di tulli. 

Gli automobilisti non sono imboscati perchè so¬ 
no indispensabili. Quelli che tutte le sere ci pol¬ 
lano acqua e viveri a duecento metri di distanza 
dalle nostre trincee di prima linea, rischiano la 
pelle come noi. Non è mollo che un camion con 
dii carico di granate è sialo colpito in pieno, lungo 
la strada di Debordò, da un proiettile nemico. Co¬ 
loro che lo guidavano sono andati in pezzi. 

Mezzogiorno: piove sempre e più forte. Iersera, 
dopo sei lunghi giorni di privazione, mi è giunto 
il Popolo , primo numero dopo lo sciopero tipo¬ 
grafico milanese. 






















186 


BENITO MUSSOLINI 


S Dicembre. 

Ieri 'era, sull’imbrunire, ci siamo spostati alla 
lincea estrema della nostra linea. Pioveva forte 
i siamo allogati in una lana fangosa. Rada fuci- 
cna. Sciupio di razzi. Gli austriaci sono a 30-50 
metri da noi. Ieri sera lavoravano intensamente 
bl udlva lo spicconare e il battere delle mazze. Sta- 
iiian, non piove, ma l’orizzonte è grigio. Le arti- 
glene lavorano, ma senza impegnarsi troppo. Nei 
v bba ndonati dagli austriaci sul rovescio 
«lei Debeli, abbiamo trovalo delle mazze ferrate 
La nostra trincea ha qui un Icacciato cosi bizzarro 
che potremmo essere colpiti di fronte e di fianco’. 
Ala tra noi e i tedeschi c convenuto una specie 
di tacilo accordo, per cui non ci spariamo. Noi li 
vediamo e lasciamo inoperosi i nostri fucili • essi 
ci vedono (e noi ci facciamo vedere anche troppo!) 
ed «essi» non tirano. Siamo qui, in queste buche 
«li tango, inchiodati, immobili nell’attesa del no¬ 
stro destino. 

La pioggia di questi giorni ha abbassato un po’ 
jl hvello del << morale » bersaglieresco. Siamo tutti 
lagna i, ladici, non abbiamo che una coperta e 
i cappotto: siamo privi degli zaini e non li riavre¬ 
mo se non tornando a riposo. Non un lembo di 
azzurro : cielo uniforme, bigio, come il saio di un 
Irate, e sgocciolante. 

Gergo di guerra : 
sj)azzola = fame : 

fifhaus = rifugio sotterraneo blindato 
La nostra trincea cinge il campo dell’ultima bai¬ 


li, MIO DIARIO DI GUERRA 


187 


taglia del novembre. Nelle buche dei 305 abbiamo 
raccolto e sepolto i cadaveri degli austriaci. Attor¬ 
no, un po’ di calce bianca. 


9 Dicembre. 

Pioviggina. Però, sembra che l’orizzonte voglia 
finalmente schiarirsi. Comincia la sinfonia quoti¬ 
diana dei grossi calibri. Gli austriaci sparano poco 
con calibri piccoli. Tambureggiamento dei nostri. 

Stanotte un prigioniero austriaco si è dato spon¬ 
taneamente alle vedette della T compagnia. Egli 
ha raccontato che il nostro fuoco dell’altra sera ha 
cagionalo gravi perdite agii austriaci. Il prigio¬ 
niero è l’unico superstite di un posto colpito in pie¬ 
no. Gli altri Ire sono morti. Una nostra pattuglia 
si è recala al piccolo, posto ed è tornata con tre 
zaini tirolesi e sette fucili. 

Pomeriggio. Un raggio melanconico di sole. Uno 
granata austriaca è caduta nella «loro» trincea. 
Immediatamente hanno levato tre razzi per avver¬ 
tire dell’errore. Fetore di cadaveri insepolti o mal 
sepolti. Sereno? Un raggio di sole ha squarciato 
la fìtta tendina nuvolosa che ci mortificava e adug- 
giava da parecchi giorni. Ne approfittano le arti¬ 
glierie. Un nostro 280 apre nei reticolati della loro 
trincea un varco di almeno dieci metri. « Loro » 
ci battono a shrapnels. C’è un ferito alla 7* com¬ 
pagnia, ma non è grave. 11 cielo si rasserena e si 
rasserenano gli animi. Il concerto continua. 

Un grosso proiettile è calato in pieno su alcuni 


























I 8 S 


BENITO MUSSOLINI 


battimeli lo'. Cl 80110 U<9 “ ini fuari di c0,n ' 


10 Dicembre. 


, P '^® nla un as P elk> fantesUco. Non si vedono nel 
« ihiio sconvolto e frantumalo, che detriti e’rol 

ledoJl 1 - °! gm SpeCÌe ' 0ndate di lezzo cadaverico. I 
t eh/ lavorano inde fessa me ole ogni nolle dalle 
so. delia sera alle se. del mattino VX mazze 
piediiano le basammo e cento mine scoppiami nel 

1 Z 1 \T ,av " n .? d '"'/"«Giorni eccessi- 

mente Ani sappiamo che nulla resisterà ill’a 

ZV^r nostre artiglierie. Stamani Saio g.t 

rilihr? TI ^ : r pP ? Sa un P°’ "'anca dei grossi 

si Sfera " aCCCn, “ !l ' »«■»'" l’ori»,onie 

J»"!iìh\ r,r SC Che r *»iunlo e a),band,,. 

lidio nella noslia avanzata del novembre non disi-. 

•10Ò che li Ine; ' d ’ ar ' a ’ }>h '' ,!i 500-700 metri. Un 
; C as * a °*? m quindici minuti - regolarmen- 

'omeri“ iT ll ‘ e ^ nU ‘^ a C011ie un tranvai. 
t «meriggio di pioggia sottile, implacabile' Nella 

i..p U f°’ > ! enZ '°' ° uaIcuno canticchia, ma som¬ 
messamente, senza convinzione.. Onalche colpo n 

riSJLT 0 , arlÌgh T' e aumenfa la '«elanco- 
• L dttaCCO austriaco dell’altra notte a quota 208 



Mussolini ed iiJ plotone da lui comandato. 



Qui combatteva Mussc/llini tneil invemo 1917. 



























IL MIO DIARIO DI GUERRA 


1S1 


è stato riferito nel Bollettino del Comando Supre¬ 
mo in questi termini : « Sul Carso continuò ieri 
l’attività delle artiglierie. La sera, l’avversario, 
dopo violenta preparazione di fuoco, tentò due suc¬ 
cessivi attacchi contro le nostre linee a nord-est 
della quota 20<S sud e fu nettamente arrestato e 
respinto ». 


n Dicembre. 

Teri sera siamo rientrati, dagli avamposti, all’ac¬ 
campamento. Pioveva forte. Molli sino alle ossa, 
abbiamo atteso pazientemente il cambio. Nell’atto 
di cedere il mio... appartamento al nuovo venuto 
— l’ospite ignoto, — questi mi ha chiesto : 

— Dove sono i tedeschi ? 

— Lì, a venti metri. 

— Tirano col cannone? 

— No, perchè siamo troppo vicini a loro. 

— Con le bombe? 

— Nemmeno. — 

Mezzanotte. La pioggia è cessala e il vento im¬ 
petuoso fa galoppare le nubi. E’ terminato adesso 
un violento attacco austriaco di sorpresa, contro 
la nostra linea. Dormicchiavo. Sono stato svegliato 
dagli scoppi striduli delle bombarde. Poi la fuci¬ 
leria ha iniziato il fuoco. Violento. Sembra il tic¬ 
chettio di una gigantesca macchina da scrivere. 
Sono con me, nella nuova tana, alcuni bersaglieri. 

Qualcuno mi dice. 

— Picchiano? 























1SI2 


BENITO MUSSOLINI 


Pare ! E forte ! _ 

gore. Gli sh^apifeN^scroscian 11110 ''' auine,lli ' di vf - 
è tutta una niooo, a T Do ?l " rico '’er, e, poi, 
d’attesa. W dl * chf ^' e e d * sassi. Silenzio 

L n grido, vicino lacera l’aria • 

— Porla ferii i ! Portaferiti t __ 

or^o C TZX7 mat ^ 6 lei,efevi ! - 

urlando- ente COrTendo da rip«ro a riparo, 
cover/; 0 — aSl ' en ’ armalevi . ma lmn uscite dai ri- 

crescendo Savobìto Ta?'"'’/* . contim ia, con un 
,e esplosioni, non si t nte C S la V <i0praJTal ! d di¬ 
grossi proiettili fa sns-'„u L "' SC0 PP 10 dei 

-obili^tendi^^^ ,a C ° ,lln - Noi, ,m- 

E finita. Passa un feri In ilio i i 
grave. Cammina senza , 'arn! ? -*’ ma ,10n è 
landò verso il noslo d^ 3 ’ SUl fan g°. saltel- 
di feriti alle gambe Un ' In IC!l/IOne - Tre barelle 
ferito a) braccio n. ? . ° por,ato a spalla. U„ 

lamento. ' *‘ e " on ° g ravi - Vanno senza un 

E’ colla 1accia a a S terJa e . Un0 ° he n ° n S ' muove P iù 
— E' morto? 

Non lo so. 

memo'' 0 ""' 0 " P ° rlami " «i rie 0n0Sfl , 




wma s s 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 193 


— E - morto. E’ il romano. — 

Un gruppo di bersaglieri è raccolto attorno al 
cadavere. E’ slato fulminato da una palletta di 
shrapnel, mentre usciva dal ricovero. Appello 
delle squadre. Xel mio plotone nessun ferito. Nelle 
•dire compagnie ci sono alcuni uomini fuori di 
combattimento. 

Mattinala temporalesca. Burrasca. Le artiglierie 
tacciono. Mezzogiorno solatio. Usciamo tutti al 
sole, malgrado gli shrapnels. Ci asciughiamo uri 
po’. Nel pomeriggio i loro cannoni tirano qua e 
là. Mentre scrivo, tirano sulla nostra lerza linea, 
ma le granate cadono nel lago sollevando colonne 
ili acqua. Da! punto dove nn trovo si vede un pic¬ 
colo tratto di mare. Una domanda che i bersaglieri 
mi rivolgono .spesso: 

— Quanto siamo lontani da Trieste?_ 

Il lenente che comanda la mia compagnia è 
■-tal;) promosso capitano. Gli mando le mie felici¬ 
tazioni. 

— Por « bagnare » le stellette ci vorrebbe un 
barile di grappa... — commenta un bersagliere 
clic prima della guerra dimorava a Trieste. 


Mussolini. - Il mio diario -di 


guerra. 





















Dicembre in trincea 


12 Dicembre. 

Finalmente un po' di sole. Distribuzione delle 
maschere nuovo modello contro i gas asfissianti e 
lacrimogeni. Le nostre sono più estetiche di quelle 
austriache. I bersaglieri escono dai ricoveri. Si 
ripuliscono un po'. Molti barbieri piantano bottega 
fuori, a rischio e pericolo loro e del... cliente. Qua 
e là si gioca a carte. Nel pomeriggio, tambureg¬ 
giamento solito delle nostre artiglierie. 

Un caporal maggiore del 7° bersaglieri viene 
a Irovàrmi nella mia tana. Mi parla di Bonomi, di 
Codifava Tomaso e di altri più o meno noti per¬ 
sonaggi della politica mantovana. Mi si dichiara 
neutralista, ma non di quelli « arrabbiati ». Il 7° 
bersaglieri ha avuto sin qui perdite superiori alle 
nostre. Il 280 scoppiato giorni fa nei ricoveri ha 
fatto qualche vittima. 

— Io ho sempre creduto che lei fosse al fronte... 
Stasera scrivo del nostro incontro a Codifava..-. — 

Ci salutiamo con molta cordialità. 

Il generale che comanda la nostra brigata viene 
spesso fra noi e porla coi bersaglieri da uomo a 
uomo. Ciò gli procura vive simpatie. E 3 bene par- 













196 


BENITO MUSSOLINI 


^/ ess0 a t f uesl uin,le gente, cercare spesso di 
scendere verso queste anime semplici e primeve 
che costituiscono ancora, malgrado tutto uno 
•splendido materiale umano 

Battaglia di velivoli nella nostra quota L’au 
siriaco ha ta<Mic>fo la mrrU v 1 L au “ 
alla ruriiwiK? , ■ Non P° sso sottrarmi 

t -iZ d berSa ° Ilen aì reggimento che 
su, mia nostra Destra. Tre bersaglieri si fermano 

dinanzi alla noslra lana, un po’ esitanti Un cane 
ral maggiore mi dice: U cap0 " 

— Scusi la nostra curiosità. Lei è 
— Sono io. — 

I Ire commilitoni mi stringono la mano siedono 

ztone ’ìTloZ 0 ' «"l’amichevole inverso- 

Tientin ■ re ?" m,ento e stato quindici mesi nel 

iientmo occidentale, attorno a Bezzecca P ,l • -mi 

sr- ,f nle 

ss. 1 ; zt m 

nel Convitto Curioni. ’ L e spiegato 


13 Dicembre. 

. ' ~ 1 otro dire che anche lei è stato in noe 


l umv 


JL MIO DIARIO DI GUERRA 


107 


Mattinata ventosa. Il lago di Doberdò è buio. 
Senio sulla pelle la prima passeggiata dei pidoc¬ 
chi. Ci sono i corredini anti-p.arassitari. Già. Ma 
bisognerebbe averne uno ogni quindici giorni. La 
efficacia del « corredino » è limitata. Dopo quin¬ 
dici giorni, i pidocchi passeggiano tranquillamente 
su quel <( corredino » che avrebbe dovuto stermi¬ 
narli... Pidocchio più, pidocchio meno... Mattinata 
e pomeriggio di calma insolita. Sono le due e da 
stamani gli austriaci non ci hanno mandalo il quo- 
tidiano 305 e nemmeno uno shrapnel. Anche i « no- 
Mri» riposano. Il tempo è sempre nero, minac¬ 
cioso. I bersaglieri approfittano di queste ore di 
quiete per pulire i fucili 


14 Dicembre , 


Ogni tanto ci spostiamo da un trinceramento 
alfaltro. I cambi sono talvolta troppo frequenti. 
Ciò spiega qualche negligenza dei soldati nel mi¬ 
gliorare trincee e ricoveri. Per una dimora troppo 
breve non vale la pena di affaticarsi... Ieri fu, per 
me, una giornata di tetraggine. I miei nervi « sen- 
Iivano » il tempo? Pare, perchè ieri sera si scatenò 
un violento temporale. Tutta la notte ha piovuto. 
Nessuno ha chiuso occhio. Àncora prima dell’al¬ 
ba, profittando di una breve sosta, siamo usciti per 
migliorare un poco questi infelicissimi « baracchi¬ 
ni». Anche oggi piove. Torrenzialmente. Queste 
tre settimane di pioggia incessante hanno esercì- 



















19b 


ben ito mussolini 


lato un influenza depressiva sul « morale » dei soì- 
dali. Anche le condizioni di salute ne risentono. 

Non la freddo, ma il fango, l’umidità, il grigiore 
dei brevi giorni e il buio pesto delle notti funghis¬ 
ci 110 ’ sono altrettanti elementi che contribuiscono 
ad aumentare la musoneria di tutti. Siamo venuti 

Siv” nol T le - Le marce notturne, anche brevi, 
a faticano. Io stento mollo a camminare fra le tene 

m f' 0 di ,nchios,ro - Scarsa alUviU 
de e artiglierie. Le mie mani hanno ora il segno 

della piu grande nobiltà : sono sporche della terra 
rossiccia del Carso! 


15 Dicembre. 

IiTi sera, uno dei conducenti — j quali sono i 
nostri giornali parlati - ha diffuso la notizia 
— sul giornale «ci sta» la pace! 

c'i7Ìoni P d? R t0 H C u e d °T a lraltarsi dell e comuni- 
sovlrrh B ‘ H ° , Weg - La uotizJa a °n ha sollevalo 
soverchia emozione fra di noi. Pur sapendo che 

0 °ff° 1 am° rnal1 ’ nesSimo mi ha chiesto nulla. 
Questa indifferenza è sintomatica. Si è parlato 

troppe volte di pace perchè non esista un tal quale 
scetticismo, nell’animo dei soldati 

lor r N 2 , c /?° più , a nulla ' - ba *>«° di 

ihe s7l,: “, a c ’ Ua -° "°” VedrÒ le ba " diere '-»■ 

• N , 0tlata ^terminabile, di pioggia a raffiche Fuo 
co di bombe agli avamposti. 

Stamani, qualche colpo di cannone. 

J artiglieria austriaca tira a caso. Questa è la 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


199 


mia impressione. Un colpo qua, un colpo là. Una 
granata sulle trincee, uno shrapnel sulla strada di 
Doberdò, che molto spesso finisce nel lago. Ciò 
non turba il solito viavai. Solito e inevitabile. Ec¬ 
co la strofa di una canzone in voga fra noi ; 

O Gorizia, lu sei la più bella 
E il Ino nome risuona lontano ; 

Or sei passala al dominio italiano, 

Sarai protetta dal nostro valor! 

Oggi piove, come ieri, come sempre. Pare una 
maledizione. Pomeriggio di pioggia incessante. 
Nel mio ricovero è tutto uno sgocciolamento. Non 
c’è dubbio: il tempo' è il «loro» alleato e, forse il 
migliore. Ci sono in queste trincee dei topi feno¬ 
menali. Sembrano gatti e danno anch’essi l’assalto 
notturno... alle nostre pagnotte. Qua e là, per in¬ 
gannar la noia, si canticchia: 

Là ci vedrà la luna. 

La luna la spia non fa : 

L<) ci vedrai ? le stelle, 

Le stelle la spia non fan ! 

Tutte le sere, verso il crepuscolo, l’attività delle 
opposte artiglierie si rianima, e nell’aria è tutto 
un sibilo di « telegrammi », come diciamo noi nel 
nostro gergo. Stasera l’orizzonte è di fiamma, ver¬ 
so la vecchia Italia. Sento lungo la strada il rom¬ 
bo dell’automobile che ci porta l’acqua e lo sciac¬ 
quio sordo dei muli che vengono in lunga inter¬ 
minabile fila. Verso le linee nemiche è un continui» 
























200 


BENITO MUSSOLINI 


austriache che è ta^M^ripu te 

piene di morii Di a ,; il m' P ’ lanl ° pono 

; 51 b “ »<&* 


16 Dicembre. 

^oT^ s ZXZ7^ r ZT^ ' f cora|)e "- 

un paio di calze Tutti 1 - ,JLltcl!lc j e > una camicia, 
cambiati. sSm 0 SiJ < StaS* CÌ SÌ * mo 
l’argomento della n-u^ • ‘ ?• ani ’ nei nc °veri. 
predominante è lo "ceUiSsnm U?? , Ma Ia nota 
della prima notizia o Smo ’ ( ' ome aI giungere 

che stamani V«^3?E Zi TT 

"i, ma laggiù verso ,-i 11 no | 'o fronte, 

cupamente' Soliti shi-inne /' 0 v cannone brontola 
di nebbia. Freddo ? d,Straltl - Meriggio 


1~ Dicembre. 

^.sss;;“»*< • 

strada di Dolierdò. I condii- 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


tiOl 


cenli irustavano furiosamente i muli e correvano. 
Sbrapnels e granate piovevano a quattro a quattro. 
Ma. fortunatamente, pochissime facevano bersa¬ 
glio. () radevano nel lago o al di sopra, sul Debeli. 
Mentre l’artiglieria infuriava, noi ci siamo spostati 
lungo la grande strada maestra che costeggia e do¬ 
mina il lago alla sinistrale siamo venuti agli avam¬ 
posti. 1']' già notte. Nel cielo è un punteggiare 
timido di stelle. Io le guardo con la trepida adora¬ 
zione di un innamorato. E’ il sereno? Tornerà il 
sole? Alla nostra destra, lungo il costone di quota 
111. gli austriaci lanciano grosse bombe. Quando 
giungono a terra, sprizzano alcune scintille, poi è 
lo scoppio, talvolta fragorosissimo. Ina di queste 
bombe deve essere caduta in trincea, perchè si è 
udito urlare: 

— 0 Dio! O Dio! Portaferiti... — 

Poi, silenzio. Gli austriaci hanno continualo an¬ 
cora per molle ore. Le stelle sono scomparse. Il 
cielo è tornato buio. Nelle tenebre del cammina¬ 
mento, qualcuno, brancolando, mi afferra, lo gli 
dico : 

— Di là, di là ! 

— Chi sei? — 

Riconosco dalla voce il capitano. 

— Buona sera, capitano. 

— Buona sera, Mussolini. — 

Adesso i nostri piccoli calibri tempestano. Sta¬ 
mani. pioggia. Tutta la notte, sino all’alba di sta¬ 
mani, i nostri cannoni hanno bombardato le posi¬ 
zioni nemiche di prima e di seconda linea. Ieri se¬ 
ra. all accampamento, c’e stato un solo ferito del 
























202 


Nà TofcTk pa,fa ra p V o« H d a e ,“ a **»*» ««.U. 

r wt s s„:„t 

un sacrifici e più duri dj - ®.’ [ ll tarso, impone 
. gfi J° dl P ,0 ggia, sonile sottiS p- ^ u PPe. Pome- 
Sembra fiItra ' Y ‘ nelle anime ' Ch<? ne,,t ‘ ossa, 


7,5 Dicembre. 

JiAuf ^ ore cor,- 

umforme delle nubi sembr, ^ U si P a no 

promettente viene da Ine, e' K 11 ch '°rore 

cello freddo. Prime no S TT 1 " 6 a Un venti- 
se ff ha fatto due morti f • 3 homba dell’altra 
° P assa Per le nostra ^riti. 11 colon- 

~ Come va ? ncea 0 CJ domanda : 

Z u Gn f T ris P°ndiamo 
-Avete freddo? 

«B fMa±elto”di'^ > TOr 2 bie dl ‘ iuai «io in quando 
rj coIon »eI!o si allontana. 

P«s hioTlfl^Z broT ÌaC> ie ”<«>* 

nate su quota 20S una m Z 7 7' eg0,are - Pue gra- 
S , U * M i, due grosse rnarS d °* Zlna di shrapnel 
c le 280 sulla seconda w L SU q ” 0,a 144 - Quali 
zonte si chiarisce ma il '* ^ e/zo giorno. L’oriz- 
latitante. ’ ma " s < d e continua a f are -, 

P 1110 zappatore ci i 

Che U,,a gra »ata è caduta 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


203 


Ira due ricoveri del 7° bersaglieri. Ci sono quattro 
morti e sette feriti. 

Gualche discorso sulla pace tedesca. La sup¬ 
posta condizione che L Italia dovrebbe restituire 
le terre liberate all'Austria, suscita l’indigna¬ 
zione generale. Scommetto che se si facesse un re¬ 
ferendum, non si troverebbero dieci soldati pro¬ 
pensi ad accettare questa condizione. 

— Dopo tanto sangue e tanti sacrifici ! — 

Ora che il reggimento è tutto riunito, trovo dei 
commilitoni che non rivedevo più dal settembre 
dell’anno scorso, quando, giunti sullo Jaworcek, 
fummo riparlili nei diversi battaglioni. Un incori 
Ilo gradito è quello del sergente zappalore Tudori 
lui compreso la necessità della guerra nazionale. 
Modesto di Tirano (Sondrio). E’ un operaio che 

— La «pace tedesca», no. Tutti desideriamo la 
pace — mi dice — ma giusta e duratura. 

Mentre scrivo, gli austriaci hanno incominciato 
a bombardarci. 

La trincea « logora », perchè è una prigione di 
tango. Il nostro carceriere è il cannone nemico 
che ci costringe al silenzio e alla immobilità. So le 
trincee sono coperte, la prigionia è assoluta. Si 
vede il sole a scacchi, cioè attraveso una ferritoia. 
L esserci adattali a questo genere di guerra è una 
prova meravigliosa delle qualità individuali e com¬ 
plesse della stirpe italiana. 

Un tenente mi dice che il Duca D’Aosta ha tri¬ 
butalo un encomio solenne alla nostra Brigata Ber¬ 
saglieri, per il conlegno tenuto nelle due notti dei 
contrattacchi nemici e per i lavori di rafforzamento 
















204 


BENITO MUSSOLINI 


^.bersagliere dell» ,„i„ c€m|M . 
"! ! , S,hl ° F,,, PP' '1' Colle Val d’Elsa cho 
toitna : ^ m ' ernale ’ mi ™" da questa car- 

« rrovandomj m licenza non -manco di mandarle 

atuttiTmT 1 Sa,Ut -’ ramRientand °lo unito assie, 
j- .• miu dujlci , ove -ori rimasti molto sorpresi 

r , r ; re c . iie pure Iei de bba essere in trincea ai 
di lJ e T*uTX mÌiC S< ? ldaf0 - Non 1,0 mancato 

affetto ac-ò ti r ^"“V quaIe 11 lia con mollo 
. , accolti. Cesso, salutandolo, sperando di ri 

S: b m ° tii ™ -w. dì „ u óJIZ X: 

rano un colpo solo. ’ ' pa ' 

allo sfil C a°re°Ìi e m ? ern0 1 d ‘ quota 20S esistiamo 
ano stilare di mezzo plotone di austriaci Te loro 

rifila SI pr ° fllano nettamente, nell’ultima chia- 
a del giorno. Dalle nostre linee non parte nem 

19 Dicembre. 

Stanotte un gatto raspava presso i nostri reti 
'• bara un «disperso» di Jamano distrutta. 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


203 


lori sera, approfittando della serata — la prima 
non piovosa — ho girato un po’ sul campo di bat¬ 
taglia. Non vi è un metro quadralo, letteralmente, 
che non sia stato lacerato, sconvolto da quattro o 
cinque granate. Ci sono ancora dei morti abban¬ 
donali. Nostri e loro. 

All’alba di stamani due bersaglieri zappatori-mi¬ 
natori ci hanno recato la notizia della vittoria fran¬ 
cese. Gioia vivissima in tutti. Si discorre, meno 
d’ieri di pace. Intanto, per cambiare, piove. Tem¬ 
po assassino. I bersaglieri tutti laceri, barbuti. 
Infangati, scrivono le <; franchigie », dormono, si 
spidocchiano, giocano a carte 

Se si raccogliessero tulli i rollami di ferro — 
proiettili esplosi o da esplodere, pali di ferro dei 
reticolati, lamiere, arnesi, ecc., — che si trovano 
su questi campi di battaglia, si caricherebbero 
treni e treni a tonnellate. 

Verso sera, ''orizzonte ad ovest presenta una 
striscia di carminio. Non piove più. 

— A Venezia c'è il sole ! — sento dire con voce 
che tradisce u«a evidente nostalgia. 

Siamo tornati or ora ali’accampamento. Oggi 
l'artiglieria nemica è stata silenziosissima. Soltan¬ 
to due shrapnell distratti sono caduti nelle nostre 
linee. Dialogo colto a volo nell’oscurità: 

— Ritornare all’Austria le terre che abbiamo 
conquistato? Questo non sarà mai! 

— I nostri morti griderebbero vendetta! 

— E non i morii soltanto ; anche i vivi ! — 

Domani è l’a universa rio della impiccagione di 

Oberdan. 



























206 


EENITO MUSSOLINI 


20 Dicembre. 

Sianone, freddo. Ma nel cielo è tutta la chiarità 
cue annunzia una bella giornata. Finalmente il 
de, n sole il sole! Passano degli aeroplani nostri 
nemici. Le nostre artiglierie lavorano come 

ZurL?r l ° C °i 1PÌ ’ Un ° dl6tr ° 15aItr0 - SOno ’ c adut, 
sul trinceramento austriaco di quota 208 Gli au 

aiidnt! T hai T aspetlat0 altri e se ne sono 
andati fuggendo verso la terza linea. Parecchi 

bersaglieri scendono al posto di mediazione co, 
piedi congelati. Non è per il freddo, ma per Fumi¬ 
gò per 1 ac( * Ua deIle lincee. Tuttavia non sono 

Pordin5Ti ent -° deUa pace continua ad essere al- 

vr ol 'aneri glCfrfì0 ' ma « nessuno », dico nessuno. 
\uol sapere di una pace «tedesca». 

hanno°hiittof nS ° ^ n ° stri cannoni - Gli austriaci 

.riZitdiur Shr8Pne,S S “ ' WS,ri 

Serata di stelle! * 

21 Dicembre. 

- Lo stoicismo dei nostri feriti mi diceva ieri 
sera un lenente medico — è sorprendente r; 
gono o sono portati qui colla carne straziata e non 
un lamento esce dalle loro labbra I feriti addo 

^ suT7a Van ° r CO?CÌenz& fedissima. Una 
^era. sullo Jaworcek, m, fu portato un ferito che 

9 una gamba frantumata dallo scoppio in pie- 





















IL MIO DIARIO DI (GUERRA 


20 ® 


no di una bomba. Fu lui che mi disse: — Dottore, 
tagli ! — Gli feci un’iniezione e gli tagliai la gam¬ 
ba. Quel ferito, di cui ricordo ancora il nome, Fu¬ 
magalli, se ne andò come era venuto, senza un 
lamento. Le ferite più gravi sono quelle prodotte 
dallo scoppio di granate, specie se di grosso cali¬ 
bro. Quelle di pallottola — fucile, mitragliatrice, 
shrapnel — sono spesso intelligenti. — 

Oggi, primo giorno d’inverno, secondo l’astro¬ 
nomia, si annuncia con un sole scialbo. Verso il 
mare c’è una cortina di nubi temporalesche. Da 
qualche giorno l’artiglieria nemica è inoperosa. La 
nostra, invece, è sempre attivissima. Sono centi¬ 
naia e centinaia di granate che cadono quotidia¬ 
namente sulle posizioni nemiche. 

Pare ormai sicuro che l’avanzata è sospesa. Se 
si fosse potuto dare all’Austria una risposta sul 
genere di quella data dalla Francia alla Germania ! 


32 Dicembre. 


Gli austriaci ci bombardano regolarmente tutte 
le sere con cannoncini da trincea, che gettano bom¬ 
be dallo, scoppio formidabile come di un 305. 

Tempo nebuloso, ma non piove. Nella mattinata, 
silenzio delle artiglierie. Anche la nostra tace. Le 
bombe di ieri sera (ne hanno lanciate oltre trecen¬ 
to) hanno fatto alcune vittime 


Mussolini. Il mio diario di guerra 


14 





















210 


BENITO MUSSOLINI 


23 Dicembre. 

All-una stanotte siamo stati svegliali da un im¬ 
provviso e vivace fuoco di fucileria nella nostra 
trincea di avamposti. E’ duralo una diecina di mi¬ 
nuti. Falso allarme. Mattinata nebbiosa. Malgrado 
ciò, azione intensa delle nostre artiglierie. Ne] po¬ 
meriggio abbiamo seppellito — profittando della 
nebbia - un soldato del 21° fanteria. Apparteneva 
alia classe dell'86, sardo. Nelle lasche aveva un 
piccolo coltello e una lettera ricevuta che diceva : 

* b ! Jero presto di rivederli in licenza invernale... ». 
*' ,era di pioggia e di malinconia 
Una visita graditissima rompe la monotonia del¬ 
ta sera piovigginosa. 

Mi sento chiamare. Esco dalla tana e riconosco 
Benedetto Fasciolo, il redattore del Popolo e ora 
capitano di artiglieria, in compagnia di Amilcare 
„ Anibn *> sotto-capo di marina. I miei ospiti si 
allogano alla meglio nel mio sontuoso hólel illu¬ 
minalo da un mozzicone di candela. Sono venuti a 

*Zl T T St r a al di Ià del1 ’ **>"*>. Apprezzo 
C si merita questo gesto di viva amicizia Si 

parla d, tante cose vicine e lontane... Dopo alcune 

„' 1 l d l r J VerSaZ ' 0ne ’ 11 accor «pngno sulla strada 
maestra che conduce a Doberdó. 

h notte alla. Sul costone di quota 144 i tede- 
' l: n lanciano i soliti barilotti di esplosivo. Uno 
sprizzare di scintille, uno scoppio formidabile che 
unisce in un gemito alto e sottile • 

^ Qui à ^ guerra! — mi dice Fasciolo strin¬ 
gendomi la mano. 


IL MIO DIARIO DI OTERRA 


211 


2 4 Dicembre. 

La mia giornata. Al mattino non c’è «sveglia» in 
trincea. Il sonno non è misurato da un regolamen¬ 
to, come in guarnigione, perchè la sua maggiore e 
minore durata dipende dagli... eventi. Ore otto, 
piccola colazione. Poi leggo i giornali. Scrivo 
qualche « franchigia ». A mezzogiorno, cucina 
grassa : ventresca, formaggio, frutta. La propor¬ 
zione della frutta eccola: un arancio, due mele, 
quattro fichi, sei castagne. A turno, si capisce. Di¬ 
menticavo : un limone, e questo quasi tutti i gior¬ 
ni. Nel pomeriggio, niente. Se c’è la nebbia, me ne 
vado attraverso il campo di battaglia. Si fanno 
delle « trouvailles » spesso interessanti. Il cannone 
ci accompagna fino a sera. Rancio. Silenzio. Nòtte 
interminabile. All’indomani... è la stessa cosa. 

Vigilia di Natale. Chi ci pensa, . fra noi ? Cielo, 
plumbeo, nebbia che piove adagio adagio. Lungo 
la trincea è tutto un picchiettare sui bossoli delle 
granate esplose, per ricavarne i braccialetti di 
rame da portare ai paesi... E’ lo «chic» delle 
trincee ! Pomeriggio di tranquillità. L’argomento 
« pace » è in ribasso. Ognuno capisce e intuisce 
che non è suonata quell’ora... 

LI capitano mi ha dato l’incarico di portare una 
lettera di auguri al colonnello. Il colonnello è an¬ 
dato nelle trincee avanzate. Lo attendo al ritorno. 
Agli auguri del capitano aggiungo i miei. [I co¬ 
lonnello rni dice : 

— Sono stato in trincea a fare gli auguri ai ber- 
























21-2 


BENITO MUSSOLINI 


È '™" 0 è « »«<—. 

All’accampamento ho trovalo una certa ani,*-- 

I)ei'Sri la - lld ° Je "“ " eIlbla l,<,sss ' !lntl "’ o?g' ' 

vaio u„ bindolo da ^TSTeSS!^ D- 
auto tempo cercavo un binocolo. La strenna nata 
1-zia. mi è venuta da un ufficiale austriaco eh. 7 

damiano* S Z ancora 'Z\ 

=».©S«sS5 

. e stracci. £ dovunque buche e dannar 

il larrn a 1 K L pio £g ie hann o fatto crescere 

7ochS m u r olooipo Anche •• 


Natale 


25 Dicembre. 

Come ieri, come sempre, da un mese a questa 
parte, piove. Oggi è Natale. Proprio Natale. 25 
Dicembre. Terzo Natale in guerra. La data non 
mi dice niente. Ho ricevuto delle cartoline illustra¬ 
te coi soliti fanciulli e gli inevitabili alberelli. Per¬ 
chè io riprovi un’eco della poesia di questo ritor¬ 
no, debbo rievocare la mia fanciullezza lontana. 
Oggi il cuore s’è inaridito come queste doline roc¬ 
ciose. La civiltà moderna ci ha « meccanicizzati ». 
La guerra lui portalo sino alla esasperazione il 
processo di « meccanicizzazione » della società eu¬ 
ropea. Venticinque anni fa io ero un bambino pun¬ 
tiglioso e violento. Alcuni dei miei coetanei recano 
ancora nella testa i segni delle mie sassate. No¬ 
made d’istinto, io me ne andavo dal mattino alla 
sera, lungo il fiume, e rubavo nidi e frutti. Andavo 
a Messa. Il Natale di quei tempi è ancora vivo 
nella mia memoria. Ben pochi erano quelli che 
non andavano alla Messa di Natale. Mio padre e 
qualcun altro. Gli alberi e le siepi di biancospino 
lungo la strada che conduce a San Cassiano erano 
irrigiditi e inargentati dalla galaverna. Faceva 

























214 


BENITO MUSSOLINI 


lieddo. Le prime messe erano per le vecchie mal- 
miere. Quando le vedevamo spuntare al di là del¬ 
la Piana era il nostro turno. Ricordo: io seguivo 

rnezzJTSa'u C - hleSa cerano ,aute lllci e in 
mezzo all altare — m una piccola culla fiorita — 

il Bambino nato nella notte. Tutto ciò era pittore- 
f, c .° ed «PPap^va la mia fantasia. Solo l’odore del- 
“• P rovocava un turbamento che qual- 
, volta mi dava istanti di malessere insopporta¬ 
bile Finalmente una suonata dell’organo chiudeva 
la cerimonia. La folla sciamava. Lungo la strada 
"n chiacchierìo soddisfatto. A mezzogiorno fuma- 
'ano suda tavola i tradizionali e ghiotti cappelletti 
di Romagna Quanti anni o quanti secoli sono pas- 

n 3 tr°V ^ C ° lpo dl cai1 ™^ mi richiama 
alla realta. E’ Natale di guerra. 

staici e 8 ST è Un SÌIetlzio P ieno di segrete no- 
' ' it f. ‘ ^ ataIe magro. Dei doni mandati dal Co- 

dozzin 0 ; d 3 mi u C0mpagnia 50,10 'toccati mezza 
ozzina di panettoni e altrettante bottiglie II 

-^é è F!^Sf lteimo:1,acc8lài "' imid “ 


26 Dicembre. 

Mattinata insignificante. Nel pomeriggio im- 

Sr?loro SVe t gIÌ ° del ! e n '° Slre batterie - Un 'tratto 
della ><loio„ trincea di prima linea, è saltato Der 

aria. Li rimando, essi hanno lanciato alcune bom¬ 
be su quota 144. Mentre scrivo, i tedeschi lavora¬ 
no... per noi. Padre Michele è venuto a trovarci. 


L Min DIARIO Dl GUERRA 


215 


Gli ho accennato alle polemiche suscitale dalla 
mia licenza invernale e gli ho chiesto se sarebbe 
pronto a rendermi testimonianza 
— Prontissimo — egli mi ha risposto. — Direi 
la verità, che cioè, io l’ho visto dal primo giorno 
ad oggi, sempre in prima linea. — 

Erano presenti altri ufficiali. 

Scrivo queste righe alla luce fumosa di uno scal- 
darancio, nella più inverosìmile delle posizioni. 
Nel crepuscolo, si addensano le nubi sciroccali. 
Bombe. 


27 Dicembre. 


Stanotte abbiamo rinforzato la nostra linea di 
reticolati. Fra le 22 e le 23 c’è stato un bombarda¬ 
mento reciproco assai violento. Mattina nebulosa, 
ma chiara. Mi affaccio al parapetto della nostra 
trincea. Ci sono là, a poche diecine di metri, due 
soldati austriaci che conversano tranquillamente 
in piedi. Più lontano, un altro soldato, fa, non 
meno tranquillamente, la sua «toilette» mattinale. 
Si leva la giubba, il corpetto, la camicia ; si spi¬ 
docchia. A operazione ultimata, un lungo stira¬ 
mento di braccia, un’occhiata in giro, poi se ne 
torna lentamente alla tana. Io constato che da un 
mese non mi lavo la faccia. L’acqua del lago è 
sospetta. L’acqua che giunge colle ghirbe e che 
bisogna prelevare con un « bono », è troppo rara 
per sciuparla a lavarsi la figura. 

E’ finito or ora un bombardameli!o intensissimo, 
























216 


BENITO MUSSOLINI 


cin,ue 11 p-**» * 

144. Grossi calibri rhf ' C ° me sem P re > la quota 
ci “a di quota *144 era &™]?!,** 0 ! accoppiati. La 
biancastro delle esolo^ioni i 06 fumo nero e 
scendeva su! lacr 0 e annrhh' C ie ’ P ortato dal vento, 

Doberdò. Gli austriaci hann^ U , U ° , ’ altÌ P iano di 
bali per quasi un’ora Po' continuato indislur- 
stre batterie Per d l n^ f S ° n0 “ l . erven «*e le no- 
letta dove è i, nostra La sei- 

ho le vibrazioni rParìo , ^ un nmborn- 

eht abbiamo'™ le TS?“ ‘ 1“ da ^ 
Annate del m 1“ bi „“l ‘ e mi doh “ giravano 
nel fosso della trincea a ’im 1 S0 "°, messo m piedi 
un certo punto c’è stata g der . mi Io spettacolo. A 
breve. Sopraffatti dal n Una ripresa de i loro, ma 

«oatre baC Zf‘^Z7‘ Mh P ° taa de,le 

lacere. I no-fri hanrm ™ r ! s ? no rasse qnati a 
sino alle prime ombre JJ DUa °’ im placabilmente, 

"«hfe A» mSo cS^ epUSC0l °- N "" m * e 

detto m''bomLXrethV'illàva !>e, ' i ' iVO ’à~ ci h » 
un camminamento. ’ corrend o, lungo 

E’ sera. Le nuvole si strarciann e i 
pnmo quarto della luna nuo™ at p ?“*• ? are è 11 
qua e là, delle stelle. ~ N 0,el ° sono, 


28 Dicembre. 


iL MIO DIARIO DI OTTERRÀ 


217 


tori del 39° battaglione, ho chiesto notizie sugli ef- 
letti del bombardamento d’ieri a quota 144. 

— Insignificanti — mi ha risposto. — Quattro 
o cinque feriti al 7°, un ferito all’ 11°. Le gallerie 
tt ono state provvidenziali... — 

Mi dice anche che ieri sera, sull’imbrunire, un 
romeno si è arreso. Ma non è stato possibile in¬ 
terrogarlo, per mancanza di interprete. 

Mattinata di sole pallido. Due Caproni, scortati 
da un Nieuport, volteggiano su di noi. I cannoni 
urlano già la loro canzone di morte. Moltissime 
granate austriache di piccolo calibro che cadono 
presso la nostra seconda linea, non scoppiano. Ne 
abbiamo contate otto. Pomeriggio di sole. E’ il 
bel tempo ohe torna ? 


29 Dicembre- 


Notte agitola. Stamani, una nebbia bassa na¬ 
sconde allo sguardo il lago e la pianura di Dober¬ 
dò. Nel cielo è una nuvolaglia grigia che il sole 
non riesce a disperdere-. L’aspetto dei miei com¬ 
militoni dopo la permanenza nella trincea carsica, 
comincia ad essere lamentevole. 

Ci sono alcuni casi sospetti di gastro-enterite 
all’S’ 1 compagnia. La compagnia ha ricevuto l’or¬ 
dine di allontanarsi. Si credeva che ci precedesse 
nell’andata a riposo. Ecco : piuttosto che morire 
in un lazzaretto di colerosi, preferisco di essere 
sbrindellato in cento pezzi da un proiettile da 305. 

Oggi i cannoni austriaci hanno buttato qua e là 
























218 


BENITO MUSSOLINI 


i solili colpi innocui. Si sbadiglia. Chi per noia, 

chi per appetito.. Questa è la guerra dell’immobi- 

utà. 

Voci del gergo guerresco: 

benzina = vino ; 
lampione = fiasco di vino. 

30 Dicembre. 

Tempo accidioso ed insidioso, da colera. Difaiti 
il bacillo virgola deve aver fatto la sua comparsa, 
a giudicare dalle misure igieniche che si stanno 
prendendo, rutto Taccampamento è bianco di 
calce, che vieti gettata fra i baracconi, senza ri¬ 
sparmio. 

1 adre Michele è passato nelle trincee, offrendo 
un distintivo tricolore e un foglietto. Ho accettato 
d distintivo, poi mi sono fatto dare il foglietto Si 
tratta d'eila 

Solenne consacrazione 
dei soldati del Regio Esercito Italiano 
al Sacro Cuore di Gesù. 

lo non commento, trascrivo. Nell’interno del fo¬ 
glietto c è I « istruzione » che dice: 

« La devozione al Sacro Cuore di Gesù è la gran¬ 
de speranza dei tempi nostri. Tutto noi possiamo 
ottenere mediante la fede e l’amore al Cuore di 
Gesù. Egli stesso, apparendo alla Beala Marghe- 
lila Maiia in Francia, ha detto: «Voi non manche¬ 
rete di soccorso che quando io mancherò di poten¬ 


II, MIO DIARIO DI GUERRA 


219 


za ». Vedete i francesi alla battaglia della Marna : 
tutto pareva perduto, quando il generale Castelnau 
ebbe l’ispirazione d’invocare il Sacro Cuore e con¬ 
sacrargli l’esercito. E il risultato fu la meraviglio¬ 
sa vittoria che salvò la Francia. Vittoria vogliamo 
noi pure, duplice vittoria : una sui nemici politici, 
per la grandezza della patria nostra, l’altra su noi 
stessi per purificarci ed elevarci. Ma per entrambe, 
se le vogliamo grandiose, abbiamo d’uopo di mez¬ 
zi eccezionali. Ed ecco additata la devozione al 
Sacro Cuore di Gesù... ». 

Poi c’è anche « Un atto di Consacrazione » che 
finisce in un Credo.. Pater. .4re. Gloria. 

Ripeto: non commento: trascrivo, copio... il do¬ 
cumento 


\ 


31 Dicembre. 


Fine d’anno. Messa al 7° bersaglieri e discorso • 
del prete officiante. Non so chi sia. Non conosco il 
suo nome. Un mio vicino che ascoltava mi ha detto 
che è un abruzzese. Oratore dalla parola facile, 
dalla voce squillante e quel che è l’essenziale, un 
italiano nel più fervoroso senso della parola. Mi è 
piaciuto, nel suo discorso, l’accenno alla pace tede¬ 
sca che sarebbe «la pace del vincitore che pone 
il piede sul petto al vinto », mentre la nostra pace 
deve « consacrare la giustizia e la libertà dei po¬ 
poli » ed ha finito con queste parole : « L’Italia 
anzi tutto e sopra tutto ». 

Avrei voluto gridargli: « Bravo! ». Avrei voluto 
andare a stringergli la mano. Voglio qui ricordare 




















220 


BENITO MUSSOLINI 


il _ pruno discorso veramente ed accesamente pa¬ 
triottico che ho sentito in sedici mesi di guerra 
Giornata grigia. Il lenente generale che coman- 
la la nostra Divisione è fra noi. Sembra certa la 
nostra partenza a riposo, in un paese dell’ Oltre 
sonzo, nell’Haha redenta. Alcune settimane di 
quiete ci tempreranno per l’azione, quando il gior¬ 
no verrà. Gli amici interventisti che si trovano nei 
paraggi cercano di vedermi. Oggi è venuto a tro- 

:t: XLl* eliahm ’ MmM ' 

E un interventista entusiasta, un amico del Po¬ 
polo Dopo Cinque mesi di fronte, ha conservato 
intatto e accresciuto, anzi, il suo patrimonio ideale 
d interventista. Questi umili figli del popolo che 
hanno sentito la bontà della nastra causa e la san¬ 
tità della nostra guerra, meriterebbero di essere 
.'valorizzali» un po’ di più, ai fini della vittoria! 

-\el pomeriggio un sole pallido schiarisce l’oriz¬ 
zonte. La partenza è fissata per stasera. C’è l’or- 
dma Si compie oggi il mio primo mese di trincea 
■sul Carso. Io saluto il 1916 che muore e il 1917 clic 
comincia: Viva l’Italia! 

Gli austriaci si sono accorti del nostro movimen¬ 
to? Non so. Non credo. Certo è che a un dato mo¬ 
mento, le artiglierie nemiche si sono improvvisa¬ 
mente risvegliate. Un grosso proiettile è scoppiato 
m pieno su un ricovero, ma, fortunatamente que¬ 
sto era vuoto. Gli austriaci ci hanno dato la buona 
fine d’anno. 


Saluto, marciando, il 1917 


1° Gennaio 1917. 


Il 1916 è morto, mentre io marciavo sulla strada 
da Doberdò. Il 1917 l’ho salutalo marciando. Ciò 
è di buon auspicio... 

Primi dieci giorni, riposo a palazzotto, vicino 
ad Isola Morosini, in un deserto fangoso. Barac¬ 
camenti e brande. Bagno. Iniezioni anticoleriche. 
Esame delle feci. Segregazione contumaciale 
Noia. Dal 10 gennaio al 20, riposo nei baracca- 
menti di Santo Stefano presso Aquileja. Visita al 
Museo. Conoscenza dello scultore Furlan, mila¬ 
nese, e del pompiere Sala della [II Armata, un 
interventista milanese della vigilia, ancora entusia¬ 
sta. Notte dall’ 11 al 12, incursione di areoplani. 
Cinquantadue bombe innocue. Io pensavo alle ni¬ 
diate di bambini veduti ruzzare nelle strade di 
Aquileja. Lavori di trincea presso le xMura romane. 
Scoperta di ruderi. Istruzione del lancio delle bom¬ 
be. Maestro, un maresciallo di cavalleria. Mi dice 
di aver istruito anche Malusardi e Trerè, volontari 
milanesi. 


























222 


BENITO MUSSOLINI 


19 Gennaio. 

Ripasso l’Isonzo. Emozione. Grande fiume ce- 

de P Tcn 116 Vie del Tevere è «ala l’Italia, sulle vie 
eli Isonzo e rinata. Piens. Ancora popolata di 

rminres 6 Nella Pezzetta c’è una statua 

. appresentante una donna in piedi con un libro in 

Z„a ni f' en r a r dlCe : AW Aratrice Elisa- 
tano aL P fv° dl PlCns - 11 paese è intatto. Sol- 
fV 1 r a > nei muri delip ^se abbandonate 
I occhio di una granata. Nel cortile del nòstro ac- 

DÌamaT ment ° al<?UnÌ Soldati di s ^ilà hanno im- 

fra mas°ch? a f™ 01 *’ fr ® quentala da ™ centinaio 
frajnaschi e femmine. Domando a una bambina: 

1 cos.a bai imparato oggi a scuola? 

— Niente. 

— Vuoi un poco di pagnotta? 

— Màgnatela. _. 

Radi borghesi. 

20 Gennaio. 

Incontro con Guido Podrecca. A Ronchi per gb 
r . °^ ia menti. Lungo la strada, poco prima °di 
Roneh,, c è una tomba, che reca sulla croce : < Sol¬ 
dato sconosciuto ». Vento freddo. Sole. 


21 Gennaio. 

Bora di Trieste. Freddo. Giornata insignificante, 
he tempo di un <■ morale.» pessimo. Parlottano. 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


223 


11 colonnello Beruio se n’è andato a comandare la 
Brigata Cremona. Lo ha sostituito il tenente colon¬ 
nello Capanni, che ha mandato un vibrante saluto 
all’11° glorioso. 


'26 Gennaio. 

Lavoro di trincea su Dolina Berg, quota 70, pri¬ 
mo ciglione del Carso, sopra Selz. Il campo di 
battaarlia. Impressionante ancora ! Atterramento 
forzalo di un nostro velivolo vicino a Doberdò. 
Croci con le corone di rosario appese. Rotoli di 
carta e cestini di vimini colla telaiatura di ferro. 
Morti isolati. Mucchi di cadaveri, appena ricoperti 
di sacelli a terra. Piedi che sporgono. Un teschio. 
Frammenti di ossa. « Pace , o fratelli » (14° fante¬ 
ria). Ferraglie in quantità. 11 mare. Laggiù, il cam¬ 
panile quadralo di Aquileja. Più in là un biancheg¬ 
giare di case : Cervignano. 


27-28 Gennaio 

Neve, freddo, noia infinita. 

Ordine, contrordine, disordine. 

30 Gennaio. 

1 soldati che tornano dalla licenza sono da qual¬ 
che tempo di un <« morale » pessimo. Parlottano 
a bassa voce del bordello che «ci sta» in Italia, 

























224 


BENITO MUSSOLINI 


.• ,e v„. 

110ad a Hro. a Roma c ’: u C J e ?il uffic,a !i pensa- 
Krn ° impotenza **? " el manic °- Oo- 


F Febbraio. 

fncitì I ornali nj r~r n i 

slioalo a formare il «• 'Sf*?. U mi » Plolone de- 

!" IW». Si è costiwta °” e ' 5 rota W m e„.e 
taxcia Baltica e me le ha ““ a “°' ld Vuoile di 

r^rclazioai al Poligono d° Ro n hf° 


9 Febbraio. 

Marcia alla trincea Tn m- • 
niluxuo. ' ' 1 posizione. Notte di pie- 

2 '«SSsCj due del ' 97 - 


10 Febbraio. 

«ii^.Tntipli™ df„ a ;°' Malli " a,a di ^ ra- 

al camminamento. Solito ,? lccoH lavori 

■-'olito passaggio di velimi' C ai^ G 6 artiglierie, 
granate sono cadute AIcune de »e loro 

« «"> de'l'arSlta neE° "t '° ro l ™« a 

mollo irregolare ed allrettanlo tanòc" m * d eSSCTC 























IL MIO DIARIO Dl'G UERRA 


227 





11 Febbraio. 

Cannoneggiamento. Gli austriaci ci hanno tirato 
con le loro bombarde, ma senza far vittime. Pochi 
colpi. Scoppio solenne. Quando la bombarda cade, 
sembra un gatto con la coda in alto. 


12 Febbraio. 

Lavorai al « camminamento del morto >» (austria¬ 
co). Sul cocuzzolo ci sono ancora una decina di 
cadaveri austriaci e due italiani, insepolli. Uno è 
senza lesla. Pomeriggio di pioggia. Vento sciroc¬ 
cale. Il lago di Doberdò sgela. Reciproco concen- 
trainenlo vivacissimo di fuochi d’artiglieria. 


13 Febbraio. 

Il lago di Doberdò, tulio ricoperto di canne pa¬ 
lustri, presenta l’aspetto miserevole di uno stagno, 
come il limitrofo « Pietra Rossa ». I giornalisti 
che lo hanno trovato «pittoresco» l’hanno vera¬ 
mente'visto? Violento fuoco. Qualche ferito. Un 
autoferito. Niente altro. Grande, lepido sole. 


14 Febbrai o. 


J 


Mattinala di sole. Passa un morto tutto ravvolto 
in un telo da tenda. Pochi commilitoni lo seguono. 





















228 


BENITO MUSSOLINI 


ljn prele ia q ualche gesto. J passanti si scoprono 

Hifhu Se . r ' e T no - Ien sera g |j austriaci hanno 
buttato alcune bombe nello nostra trincea Ai pie- 

sàcrLn UeS r 6 qU f te ’ d S ° n ° 1 cimileri <*e le con¬ 
sacrano. Il nostro si allarga... Il breve funerale 

non ha interrotto il Irafìioo e il movimenlo degli 

d’Italia c P .r° C ° n meSt ' Zla a q ,,eI1 ’'gnoto. soldato 
d Italia che se ne va sottoterra, mentre nel cielo 

s. annunzia coi suoi tepori la primavera. Il cZ 

-ione lavora. Il morto è del 531“ reparto mitraglio- 

. h 1 unica vittima della bomba di ieri sera 

1 «meriggio di cannonate. Una nostra granata è 

j adula in pieno nella loro trincea. Gridavano i 

l’oches e scappavano. Un loro portaferiti è accor- 

r*Concerto dei nostri grossissimi calibri sulla 

della P nosL e ^estrema destra 

• ella nostra trincea ho visto Duino. Di lassù si 

domina lutto il golfo di Panzane. Causa la foschìa 
del mare, non ho potuto vedere Trieste. Lanciale 

* tor P ed mi sui loro reticolali. Per rappresala 
gli austriaci hanno lanciato selle granate daV'' 


15 Febbraio. 


sole. Stanotte ho lavoralo sino alle quattro 
Quando mi sono levalo dai camminamenti per tor¬ 
nare al imo giaciglio, un quarto di- luna rossa illu¬ 
minava sinistramente il campo di battaglia. Nes- 


— 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


suna novità, stamani. Pomeriggio, solita sinfonia. 
Gergo di guerra : 

un telegramma = scheggia di granata ; 
attaccare un bottone = tenere un discorso 
noioso ; 

signorina = sigaretta : 
si gaietta = cartuccia da fucile : 
chioccia — mitragliatrice. 
andare alla riparazione = andare all’ospedale. 
Canzone in voga: 

Al 25 luglio , 

Quando matura il grano , 

M*è nata una bambina 
Con una rosa in mano. 

Non è una paesana 
E nemmeno contadina , 

E ' nata in un boschetto 
Vicino alta marina. 

Vicino alla marina 
Dove mi piace stare , 

Si vede i bastimenti 
A galleggiar sul mare. 

Per galleggiar sul mare, 

Ci voglion le barchette, 

Per far Vamor di sera. 

Ci vuol le ragazzetle. 

Le ragazzette belle 
L’amor non lo san fare ; 




















230 


BENITO MUSSOLINI 


A oialtn bersaglieri 
Glielo faremo fare,. 

Glielo faremo fare, 
Glielo fareni sentire , 

£ in capo a nove mesi 
Le vedremo partorire. 


i- TT con lr » 

aella guerra” '* P™*"™. » lontana, fi,,,. 




Sole grande. ‘Solito 'fuico” Nd "Jj ArlUro t 
ra to sino quasi ail ’alb-i Qni'i ■ lnceiw hato. Lavo- 

SeneaH ig \er i e. M :X^°S1^. ,U0C0 


17 Febbraio. 

stra'trincea avanzala’ n° Slat ° aI,arme nella no 
ha tentato una piccola sornres^ sf 18 ^ auStriaci 
reticolati. Lancio di hlh • e avvicina ta ai 
esplosione. Tubo di gelatina Una forte 

colati. Due cavalli di fS 2„J n T oslri . reli - 
bombe. Un nostro caporale feruS'u've ^'ȣ 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


231 


lavano. Fuoco di fucileria. Bombe Bcnaglia. Per 
rappresaglia, abbiamo gettato nove torpedini sulla 
loro linea. Si è sentito lo zoccolare di un rinforzo 
austriaco. Tutta la notte lancio di bombe e canno¬ 
nate. Lavorato per le piazzole di due cannoncini 
da bombe, per trincea. 


18 Febbraio. 

Mi accorgo che è domenica, perchè dinanzi al 
Comando del reggimento c'è messa. Pochi ascol¬ 
tatori. Solito discorso. Pomeriggio di fuoco abba- 
slanza vivace delle nostre artiglierie. Pomeriggio 
nubiloso. Le batterie austriache non hanno rispo¬ 
sto che fiaechissimamente. 


19 Febbraio. 

Fame. Il cantiniere si è circondato di cavalli di 
Frisia, per evitare ra'ssalto dei bersaglieri alle 
gerle di pane. Stamani cielo grigio. Fuoco tambu¬ 
reggiante dei nostri cannoni e dei loro. Non ho 
potuto dormire, perchè la terra sobbalzava e nel¬ 
l'aria era una vibrazione che scuoteva i nostri ri¬ 
pari sulle doline. Le bombarde sono bruciate. 
Sintomo. 

20 Febbraio . 

Ieri sera, sulFimbrunire, ho sparato il cannon¬ 
cino lanciabombe. Le bombe sono cadute in piena 























232 


BENITO MUSSOLINI 


trincea dei tedeschi. Soliti cannoneggiamenti uo- 

ro r L e J° r0 n f aUÌnata venlosa Grande messa al 
Comando II tenente medico Scalpelli se ne va in 
un ospedaletto da campo oltre Isonzo. Era in pri- 
ma linea dall inizio della guerra. 


21 Febbraio. 

Lavoralo gran parte della notte per la postazio- 
e di un cannoncino lanciabombe. Stamani, all’al- 

ho m L 0 p at °i • bU0I ‘ ?ÌOrno ai tedes chi, con una 
ipo B. che è caduta in pieno nel. 
o trincea. Il puntino rosso di una sigaretta 
accesa si è spenta e probabilmente anche if fuma¬ 
tore. Oggi ci hanno bombardato per parecchie ore 
ai seguito. Le nostre perdite non sono eravi. Tra 
gli uomini mori di combattimento ci sono due uffi¬ 
ciali, uno dei ffitali bombardiere. Ho aumenfalo la 

Ror^ao-r a r bn ° na Scra ' H " laDcia1 o due bombe. 

finite^ °n 9 f1 ' st>!e ‘ Le Postazioni sono 
fìmle. Stanotte conto di dormire a lunm» 


22 Febbraio . 

Sospese le licenze sia per gli ufficiali come per 
i bersaglieri. Altro sintomo Rivista alle scatolette 
c munizioni. Sole. Ore tre del pomeriggio. Giun¬ 
gono da lontano, e passano sulle nostre teste 
grossi proiettili destinati alle prime linee nemiche! 


IL MIO D1MU0 DI GUERRA 233 


Le nuvole delle esplosioni oscurano di quando in 
quando il sole. Sono diventato un fumatore. Con¬ 
seguenze della trincea. Le « macedonia « sono ec¬ 
cellenti. Gli austriaci rispondono con spring-gra- 
nate fra la prima e la seconda linea : due morti e 
cinque feriti della mia compagnia : la quinta. Un 
ferito al braccio fuma la sigaretta. Due sono gravi. 






























, . 


Feri to ! 


Nel pomeriggio del 23 febbraio 1917, verso le 
ore 13, si eseguivano a quota 144 dei tiri d’ag¬ 
giustamento con un lanciabombe da trincea. Era¬ 
no attorno a me venti uomini, compresi alcuni uffi¬ 
ciali. La squadra era composta dai soldati più 
ardii; della mia compagnia. Il tiro si era svolto 
senza il minimo incidente sino al penultimo proiet- 
blc. Questo, invece, — e ne avevamo spedite, due 
casse — scoppiò nel lanciabombe. Fui investito da 
'ma raffica di schegge e proiettato parecchi metri 
lonlnno. Non posso dire di più. So che venni rac- 
( ulto quasi subito da altri bersaglieri accorsi, ada¬ 
giato in una barella, trasportato a Doberdò per le 
pi ime cure, portalo più tardi in quest’Ospedaletto 
dove trovai un’assistenza affettuosa, premurosissi¬ 
ma. Il capitano medico dott. Giuseppe Piccagnorii, 
dii et t ore dell Ospedale di Busto Arsizio, ed i dot¬ 
tori, lutti e due tenenti, Egidio Calvini di San Re¬ 
mo e Luigi Scipioni di Rosolini (Siracusa) mi cu¬ 
rano come se fossi un fratello. 




















236 


BENITO MUSSOLINI 


* # * 

Durante la degenza di Mussolini nell ’ Ospeda- 

" '/ " em £?> colando ogni legge civile ed urna- 

nlnn b ?, b f rd ? 7 “ eZ ^ *' sofferenze con aero - 

n , Ì T!° COSi narra in una Pedina del suo 
Diano il doloroso fatto. 


Mattina del 1S Marzo. 

P °’ di S0le - 11 sol,l ° r °mbo degl, 

lo non T 1 ° fent ° " uovo è 8'mnto questa notte. 

10 n°n ho chiuso occhio. Stamani il termometro. 

- 1 ’ otasera, segnerà 40. 

Niente medicazione. Il sibilo di una «ranata F’ 

IVnHri 3 vicìno "lUOspedale. Un’altra °Una terza. 

•late ' --.IT 8 T T- a pochi metri dall’Ospc- 
e - L infermiere Parisi è tranquillo. 

r~ Posslblle — egli dice — che non vedano la 

n°J- r ° SS u SUl lett0? Non hanno mai tiralo in 
questi quattro mesi. Dunque! — 

Ancora un colpo II mio vicino, che ha le gambe 

11 acassale da una bomba, li confa: siamo a 15. 

..Oii pasticci dice un ferito alla clavicola, 
-e medicazioni continuano al pianterreno. Vedo 
dalla porta spalancata sfilare le barelle. Salgono 
dal basso, grida di dolore. Un rombo. Uno scroi 
sciare d, vetri nel corridoio, nelle camerale. I no- 
In lettucci hanno sobbalzalo. 

— Questa è caduta più vicina delle altre — dico 
a Parisi. 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


23-7 


Ma non ho finito di pronunciare queste parole, 
che un polverone bianco e denso si diffonde dalle 
camerale sulle scale. Dal polverone sbucano e cor¬ 
rono nella mia camerata, i feriti che possono cam¬ 
minare. Quelli inchiodali al letto si sono rovesciati 
giù, pazzi di terrore. I loro urli riempiono Tedi- 
ficio. Uno, nuovamente ferito, alla spalla, si è roto¬ 
lati» dalle scale. 

Tutti i feriti della camerata li hanno trasportati 
nella mia. Il doti. Piccagnoni era a pianterreno e 
stava operando un ferito gravissimo. Dopo lo scop¬ 
pio, ha lasciato il ferito agli assistenti ed è corso 
di sopra. Ha messo un po' d’ordine. Ha rincuorato 
tutti. E’ stato ammirevole di calma e sangue fred¬ 
do. Sistemati i feriti, è tornato giù a lerminare 
l’operazione. Per fortuna, i nuovi feriti non sono 
gravi. Il piu grave era ormai guarito. Ora una 
grossa scheggia gli ha rovinato una spalla ! Conti¬ 
nuano a fasciarlo. Perde tanto, tanto sangue! 
Quelli che possono parlare, commentano: 

— Sono dei vigliacchi! Degli assassini! Ci vo¬ 
gliono uccidere per forza ! — 

. Gli altri, che non possono parlare, fissano le 
pareti con gii occhi spalancali. Il sibilare delle 
granate — poiché gli austriaci continuano a spa¬ 
rare — provoca alcuni secondi di silenzio mortale. 
Ormai cadono lontano. 

Il doti. Piccagnoni, insieme col doti. Velia e gli 
altri due medici, ritorna nella nostra camerata ed 
annuncia che nel pomeriggio tutti i feriti saranno 
portati al di là dell' Isonzo. I volti si rischiarano. 

— E io? — domando. 
















238 


BENITO MUSSOLINI 


pagina? N ° n è lras l Jorlab,Ie - Mi farà coni- 

Pomeriggio. 

Tutti i miei compagni di dolore sono partili Noi 

“Esc 

de nel crepuscolo... ' ' ° ‘°’ Sllenzi ° ^au¬ 


lì Re visita Benito Mussolini 
e i suoi compagni feriti 

(Corrispondenza c/i Raffaele Garinei al Secolo) 


Oiiarfier Generale, 7 Marzo. 

Stamani il Re ha visitalo 1’ Ospedalelto da cam¬ 
po ove è ricoverato il caporal maggiore Benito 
Mussolini. Tornavo giù dalle trincee di Monfalcone 
■e mi recavo a chiedere notizie dell'amico ferito, le 
cui condizioni di salute negli scorsi giorni avevano 
avuto un notevole peggioramento, allorché l’auto¬ 
mobile grigia del Sovrano lasciava lo spiazzale che 
si distende a lato della palazzina dove ha sede 
i’ Ospedalelto che ospita Mussolini. 

Il Re era giunto mezz’ora prima, inatteso, aveva 
chiesto del Direttore dell’ Ospedalelto, il capitano 
Giuseppe Piccagnoni, ed aveva manifestato il desi¬ 
derio di visitare Benito Mussolini e gli altri feriti 
ivi ricoverati. 

Qualche istante dopo, il Sovrano entrava nella 
corsia dove Mussolini era stato trasportato allora 
allora, reduce da quella che è per lui la più stra¬ 
ziante operazione : la medicazione quotidiana. 























2-40 


BENITO MUSSOLINI 


Mussolini era leggermente abbattuto: la medica¬ 
zione era stala iorse più dolorosa del solilo. 

I Re ha domandato al capitano Piccagnoni nua- 
solinf 6 1 ett ° SUl <Tliale era ada £ iafo Benito Mus- 

- E’ lì sul secondo letto vicino alla finestra _ 
Mussolini aveva frattanto riconosciuto il Re' ed 
bovi ano aveva immediatamente scorto il ferito 

l'a domandato a 

Come sta, Mussolini ? 

— Non troppo bene, Maestà. — . 

11 capitano Piccagnoni, interrogato dal Sovrano 

ha aggiunto particolari precisi: ^oxrano, 

, La febbre si è manifestata otto giorni fa 
quando sorse una complicazione infettiva nelle fé’ 
rite alle gambe: la temperatura superò i 4 S "rad"' 

Ó .Ta febC Ò v Hi «l** in P^« » «rfe! 
la ld tebble e diminuita: 38 gradi Le achemw* 

^ono state tutte estratte e le ferite vanno rimarci 
nandosi Ma Mussolini soffre mollo. Figura™ et e' 
la superfìcie lineare di tutte le ferite eh! torturano 
corpo di Benito Mussolini raggiunge complessi 
vamente gli 80 centimetri. Le due ferite Se Se 
^ono cos, ampie, che, divaricate, possono acfoglie- 
ie un pugno di un uomo ! _ ® 

11 nevT^ f aVa ’ gl , lardando iJ volto del ferito. 

stwS ffni T lto ’ Iei > P ur c °sì forte in que- 
sta dolorosa immobilità r ' 7 1 

ziem*’™ SUPPUZÌ °’ MaeSlè ’ ma ci vuote pa. 

Poi il Re ha chiesto a Mussolini , particolari del 


IL MIO DIARIO MI GUERRA 


241 


doloroso episodio di guerra, cd il ferito li ha mu¬ 
rali con precisione. 

— Duale credo sia stala la causa dello scoppio? 
— ha chiesto il Re. 

— Il tubo di lancio era Ipoppo arroventato. 

— Eh, già, — ha aggiunto il Sovrano — forse 
il tiro era sialo troppo rapido. — 

E noi, mutando discorso: 

— Ricorda? To lo vidi, sei meri fa all' Ospedale 
di Cividale, 

— Ricordo perfettamente : allora ero in osser¬ 
vazione per malattia... 

— Ed oggi — interruppe il Re — dopo tanle 
prove di valore, è rimasto ferito. — 

Seguì un istante di silenzio. Tulli guardavano 
quel soldato valoroso, che, ammaestrando i suoi 
uomini sotto il fuoco austriaco, perchè essi potes¬ 
sero del nemico aver ragione, era caduto con pari 
eroismo del soldato che in trincea è sopraffallo 
dall’ impelo dell’avversario. 

Poi il Re continuò : 

— L’altro giorno, sul Deboli, il generale M... 
mi ha parlalo molto bene di lei... 

•— Ho cercato sempre di fare il mio dovere con 
disciplina, come ogni altro soldato: è mollo buono 
con me il mio generale. 

— Bravo Mussolini ! — interruppe il Re. — Sop¬ 
porti con rassegnazione l’immobilità ed il dolore. 

— Grazie, Maestà. — 

Il Re si volgeva allora verso gli altri feriti. 

Al lato sinistro di Mussolini era un valoroso mu¬ 
tilato, il sergente Gasperini, valtellinese, clic fu 

ìir 


Mussolini. - IJ mio diario di guerra. 




















BSNITO MUSSOLINI 


■2i-2 


Ierito dalla bomba di un aeroplano presso Do- 
herdò. Anche per lui il Sovrano ebbe parole di 
elogio e di incoraggiamento, e fece segnare il suo 
nome ad un aiutante di campo, insieme a quello 
di un altro mutilato: Antonio Bertola, siciliano. 

Il Re, quindi, dopo aver salutalo Benito Musso¬ 
lini, lasciò la corsia e visitò le altre sale dell’Ospe¬ 
dale, congratulandosi poi col Direttore capitano 
Piccagnoni per l’ordine che aveva trovato. 

Ilo avvicinato Mussolini qualche minuto dopo 
‘die il Re aveva lasciato 1’ Ospedaletto. 

— Sono assai contento — egli mi ha detto — 
della manifestazione di gentilezza avuta da parie 
del Sovrano, e delle buone parole che ha rivolto 
a me ed ai miei compagni. — 



M 





































Al capezzale di Benifo Mussolini 

{Corvixpondenza di Sandro Giuliani al Popolo d’Italia) 


Dal Carso , 1° Marzo. 

L'altra sera, dal Popolo ri 9 Malia , ho appreso il 
tragico incidente di guerra che per poco non costò 
la vita al nostro valoroso combattente. 

La mia trepidazione, il mio dolore furono il do¬ 
lore e la trepidazione vostra. Non occorre che ve 
ne scriva. , 

Poco più tardi potevo procurarmi dei giornali 
di Roma. Si diceva che le ferite di Mussolini erano 
molle, ma non gravi ; mi tranquillizzai un poco : 
non tanto però da saper rinunciare all’istintivo 
proposito di correre da Lui, di abbracciarlo, di 
avere una più esatta e sicura idea del suo male. 

Chiesi ed ottenni subito il necessario permesso . 
notevole cortesia della quale sono assai grato al 
Direttore della mia unità. 

Dove fosse V Gspedalettò 46 non fu possibile 
saperlo. Non risultava che esso esistesse. Pen¬ 
sammo ad un errore. Convenimmo nel credere che 
si trattasse del 046, in funzione presso Gormons. 
E la mattina dopo partii. 

























24(5 


BBNITn MUSCOLI NI 


- )ua, ‘ 519110 sl9tf> te delusioni e l’amarezza pro- 
vate arrivando, vi sarà facile immaginare. Trovai 
dspedaletlo, ma il ferito nostro non c’era ' Per¬ 
dei così, inutilmente, la mia giornata, riuscendo 
tuttavia a sapere che il 46 era molto lontano- ad 
Aquileja. 

Tornai alla mia residenza con l’anima in pena 
sconfortato, avvilito. Mi restava una sola speranza 

quella di avere un secondo permesso. E Io ebbi 
infatti. ~ 7 

Ripartito stamani per tempo, autorizzalo ad usu- 
fnure d ogni mezzo di trasporto, mi diressi ansio- 
sanimi le aita mèla. Marciai in lutti i modi, con tutti 
i mezzi : con camions. con carri d’artiglieria con 
carrelli carichi di materiale, in molli traili, ’perti- 
bu$ calcantibus. Ma marciai sempre. 

Alle quattro del pomeriggio, a Sacrario mi im¬ 
batto. m Manlio Morgagni _ il direttore ammini- 
sPativo del nostro giornale — e nel collega Gari- 
nei del Secolo. Tornavano da una visita a Muss»: 
hm Appresi da essi clic l’eroico soldato aveva 
mol a febbre e che 1’ Ospedalelto 46 non era più 
ad Aquileja, ma a Ronchi. 

Ma Sagrado a Ronchi — sei „ selle ehitemetri — 
non trovai alcun mezzo di trasporto. Giunsi lo stes¬ 
so, pero. E giunsi presto i 

All’ingresso dell’ Ospedale^ - situalo in una 
bella palazzina rimessa a nuovo dopo le « inmn- 
ne ,> delta guerra - mi si precluse‘il passaggio. 
?ol (ufficiale d’ispezione aveva una consegna 


TL MIO DIARIO HI GUERRA 


247 


precisa e non era disposto ad infrangerla* a nessun 
costo. 

— I medici hanno proibito ogni visita. Ce ne 
sono siate troppe! 11 ferito è molto sofferente. Ha 
la febbre a 'iO, stasera. Egli stesso desidera di es¬ 
sere lasciato in pace. Mi dispiace tanto, ma ò im¬ 
possibile. — 

Declinai la mia qualità di redattore del Popolo , 
dissi la mia angoscia per la sorte di Lui. parlai 
del inio affetto fraterno per il mio Direttore e Mae¬ 
stro... 

Nulla ! 

Domandai di parlare col Direttore dell’Ospo 
daletto, con qualche medico... Fui accompagnato 
dal lenente doli. Scipioni. Ripetei Tesser mio, lo 
scopo del mio viaggio: domandai se era solo con¬ 
cepibile che fossi venuto da tanto lontano per.... 
tornarmene via senza aver veduto Mussolini! 

L’ufficiale comprese.. 

— Aspetti ! Ma le raccomando : visita breve. — 

Promisi e... non mantenni. 

Due minuti dopo, ero vicino a Lui. Il nostro in¬ 
contro fu sinceramente commosso. Io lo baciai in 
fronte. Egli sorrise lietamente. I suoi occhi lumi¬ 
nosi facevano il posto alla parola. Dicevano chiaro 
die la mia apparizione inattesa era molto gradita. 
Per un poco tacemmo. Lui soffriva. Io non sapevo 
come cominciare.. 

— Tome stale? 

— Sio bene ! 

— Avete molta febbre? 





















BENITO MUSSOLINI 


248 


— Passerà f _ 

39 - 9 “- 

degli amici de°-Ji c-F 7’ '■ '° (l de * coni ' 
?' unesli , di tutti’i bulnf Z h n , SU0Ì ’ di lul,i 
,0 " sc s °Hecita e completa. ’ P h ° 9 ? uar '>ione 

^’afulai'TnSme'td ìlenle ? presto - ~ 

Posizione nel letto. Lo inZ^^'T’ ® carnb,ai 
scoppio. 1,31 sulle cause dello 

— Non le so bene ,• . 

11 [?«<> come è raccolto nef suTr?'’• P °‘ racconl * 
Domandai a Mussolini Diano. 
agnazione ad una squadraci f' Ve . ni f lc Ia sua as- 
- Nel modo più Imo,t Ianc,at «T>edini. 
• tfra | ndc serenità. __ j, ^ «spose con. 

andare in Italia per wn P 2£? * ej,hl ’ a *^ potevo 

meno lungo. Ho preferito ? Il tcmpo P 1 " « 

• ,,la ~ di passare al comando r f< ‘ ° d ' m,a v °- 
cia torpedini, agli ordini dì < ìr U . na sez,onR lan- 
m f; 0a * ^liana In, prefetto ' AHa *»*«** 

Più -già S tulfo° !!! « 

•j'd guanciale.°Gn^occhI°s! 3 [ ieveme,,l «‘ la lesta 
di più. - 1 spalancarono... anche 

- " iwi - m 

'■onosrel,; __ gli jj, . 6 cl >« voi be,, 

,mai sulla fronte, jj ° slo pallldo - Do acca- 
a\eva la febbre alla r -, •. 111 llco, ’dò che cali 

'uvolontariamente. un mar 7,> io Pr f e, ’5 a diventava, 

,0 - Lo fa ccvo parlar 


IL mio diario di otterrà 


249 


11 opp«». .Me ne accorsi. Glielo dissi J 0 esortai a 
1,011 sforzarsi. Poi soggiunsi: 8 ‘ 9 

- Darò notizie di onesta mia visivi ■ 

compagni, agli amici. * d 91 nosln 

- Su fatelo. E dite chiaro e forte che ner il 

I onf° deg), ideali di giustizia che guidano Mi eser 

della Quadruplice, avrei accettato, senza rim- 
palili anche Un più duro destino. Dite che sono 
or^ghoso di avere arrossato col mio sangue n 

,M rischi< *° ^ * 

^ eli liaillO CÌ altro O01* un nnon 13 * ' 1 

i™vo P uT a « l>aCCi Che mi c 4 P i1 »”» i“ mano. 
njsti- 7 'r assai premuroso c cordiale del m i- 
,,JS,| o (.omandini. .\ T e vedo. miinHt ,i; 

II ministro Comandini ha telegrafalo cosi: 

“ Commosso per il battesimo glorioso che ti tur 
" piagalo e fortificato „ manda i più lenirli r i 
“* mangione illecita e complJlZ 

D’eroica madre di Filippo Corridoni te’-» T ,r, ... 
Pai isola poche parole : " 91,1 ,l;> 

C^ZV ami ° ,ia i - 



























250 


BENITO MTSSOLINI 


Xellf! poche parole è tutta l’anima della donna 
semplice e stupenda. 

Margherita e ( osare Sari'atli si esprimono cosi : 

« Salutiamo il caro amico, l'eroico combattente, 
ammirali, trepidanti, auguranti ». 

E il Dottor Risi : 

“ Saluto le tue gloriose /erile che in idealità no - 
« buissima leniscono e guariranno ». 

E l’ou..Bossi, da Genova. 

« Personalmente e per il Comitato nazionale ardi- 
« tedesco, auguro fervidamente di rivederti presto 
«più che mai valida guida nelle lotte del fronte in- 
« terno, non meno importante del fronte esterno. 

« dove li temprasti ed emergesti tanto ». 

Ala uno spoglio completo è impossibile. 

Aedo, Ira gli altri, dispacci assai affettuosi del 
lenente medico dottor Alberto Moslari — ferito in- 
-001110 a Mussolini nel.tragico accidente di guer¬ 
ra —: del collega Uccelli del Corriere delta Sera 
dell’ a va’. Ermanno Jarach di Milano, del compagno 
baiassi, di Giampaolo Manfredi da Castel di San- 
gro. di un numeroso gruppo di amici di Roma; 
del Gruppo socialista torinese dissidente della Se¬ 
zione repubblicana milanese, dei socialisti dissi¬ 
denti di Firenze, della Lega antitedesca di Milano 
dei giornalisti romani e milanesi, della « Fralel- 
lanza bratti» di Forlì, della «Stampa periodica , 
dei « fascisti milanesi», clell’ing. Vaisecchi, di 


IL Mio DIARIO Iti GUERRA 


25 ( 


Clemente Finti, del Comitato delle Federazioni dei 
Gruppi autonomi di Milano, del Comitato di propa¬ 
ganda patriottica pure di Milano, dell’ex Consiglie¬ 
re comunale Luigi Bonomelli c di mollissimi c mol¬ 
tissimi allri. 

Il maggiore dei bersaglieri R. D.‘ dello stesso 
reggimento del nostro valoroso soldato, scrive 
cosi : 

« Curo Mussolini, non li raccomando di farli ani¬ 
ma. ri offenderci, perchè li conosco mio fiero l>er- 
sagliere. Ti auguro di cuore pronta guarigione per 
averli ancora tra i miei e presto. Arrivederci, mio 
buon camerata della trincea, e viva VItalia ! ». 

Alfonso Vaiana dice : 

« Le idee sopravvivono agli uomini: però quando 
le idee hanno assertori della vostra tempra, diven¬ 
tano altari sui quali gli uomini si immolarono volen¬ 
tieri. Per questo vi auguro la vita e la salute ». 

F il dottor Ambrogio Binda, capitano medico, 
da Milano: 

« Fervidissimi auguri ed un abbraccio. Ti aspet¬ 
to qui ! » 

Vedo poi lettere c telegrammi ben auguranti di 
Mante funi, di Giovanni Capodivacca, di Giselda 
Bnebbia, Ida Bacchi, da Milano ; Camillo ed Er¬ 
minia Guadarli da Cassano d’Adda, Luigi Boni da 
Folli, 1 editore Ferdinando Zappi da Verona, un 
gruppo di operai da Torino : prof. G. C. Ferrari 

























2Ò2 


BENITO MUSSOLINI 


da Imola; soldati G. B. Ronconi, Pietro Montani 
da Reggio Emilia, ecc. 

Mi pare di chiudere degnamente la manata dt 
auguri scelti a caso, con la trascrizione letterale di 
questo messaggio da Ferrara : 

'< Egregio, conte posso augurare bene a mio h~ 
"Olio, combattente sul Carso, auguro a Voi, sol- 
■<dafo Italiano socialista, una pronta guarigione. 
«Vostro Angelini Giovanni, umile lavoratore ». 

ricanta nobiltà e quanto cuore in queste podio 
ridile modelle ! 

Il lempo urge. Annotta. Mussolini è preso, via 
da un ne re n [nato torpore. Anziché a diminuire, 
la febbi e accenna ad aumentare. Gli sussurro quàl- 
riìe parola. Apre gli ocelli, mi tende la mano, sor¬ 
ride lievissimamente. 

Che dovizia di affetti in questi telegrammi, 
m queste lettere! 

— Veramente! — risponde il nostro eroico ber¬ 
sagliere. — Veramente! Ringraziate gli amici che 
sono stati con me in quest’ora. Ringraziatoli al 
grido di « Viva l’Italia ». — 

li volto di Mussolini, incorniciato dalle bende 
file gli fasciano la testa, ini appare assai più pnl- 
liUo. ora. Anche la fronle scotta. 

Mi chino su Lui. Ci scambiamo un bacio. Mi al¬ 
lontano volgendomi verso il letto. 1 ^uoi occhi 
scintillai.-i e neri — singolari e suggestivi tra il 
candore del viso, del fello, delle fasce, di tutto - 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


sono di strano contrasto con tanto bianco. Ma sono 
stupendamente sereni. 

Air uscita, mi intrallengo con i dottori Scipioni 
e ('alvini. 

— Le condizioni di Mussolini — essi mi dicono 
— non sono grava. Non sono neppure cosi lievi 
come qualcuno ha raccontato. TulUaltro. Egli ha 
molte ferite trapassanti e a fondo cieco, negli arti 
inferiori. Una di esse, alla coscia destra, è vasta 
circa dieci centi moiri. Altre ferite interessano iì 
capo, la spalla destra (la clavicola è rotta) e, 
pili grandemente, !a mano destra, nella (piale si 
riscontra la lesione del carpo. Le schegge trovale 
sul suo corpo, in seguilo ad esami radiografici, 
sommano a circa quaranta. Sono stale estratte 
quasi tutte in due successivi tempi (operazioni). La 
febbre alta che lo ha preso non deve preoccupare. 
Essa è dovuta ai processi infiammatori della ferita 
alla gamba, ove profilasi il pericolo di un flem¬ 
mone. Scemerà. In ogni modo, salvo ogni compli¬ 
cazione, Mussolini ne avrà per almeno una cin¬ 
quantina di giorni. Se scompare la febbre, potrà 
lasciare questo Ospedaletto tra circa una setti¬ 
mana. — 

Ho raccolto queste notizie per gli amici. Mi sono 
congedato con l’anima triste e sollevata insieme. 

A notte alta — splende la luna e tuona il can¬ 
none — butto giù queste note affrettate. Fa freddo. 

v rfc 

La mattina del 2 aprile Renilo Mussolini, accoro- 
]>agitalo dal Or. Piccagnoni , direttore delVOspe- 






















BENITO M r; SSOLINI 


:>54 


daletlo dei campo ove. era. stalo ricoverato appena 
fu ferito, giunse a Milano , accollo con vivissime at¬ 
testazioni di affetto da parte dei Redattori del Po¬ 
polo (TItalia e di molli amici che ne attendevano 
ansiosi barrivo. 

Con grandi precauzioni fu tolto dal tettuccio del 
freno, e trasportato all 3 Ospedale territoriale, della 
Croce Rossa di via Arena , ove fu ricevuto dal capi¬ 
tano doti. Ambrogio Binda , legato a Mussolini da 
vincoli di fraterna amicizia. 

Il Doli. Binda così parla del periodo in cui ebbe 
in cura il ferito. 

Lasciando il campo, Mussolini mi scriveva : 
« Sono stanco, ho bisogno di riposo. Trovami un 
ietto nel tuo ospedale». 

Ed entrò nel mio reparto la mattina del 2 aprile 

Mussolini era enormemente deperito, fortemente 
anemizzato e febbricitante. 

Venne ricoveralo in una modesta stanzetta al se¬ 
condo piano. Doveva sottostare, prima quotidiana¬ 
mente, poi a giorni alterni, a lunghe e dolorose 
medicazioni, che egli sopportò con uno stoicismo 
ed una forza d'animo impressionanti anche per noi, 
rotti a tutti gli orrori delle ferite prodotte dalle 
armi moderne. 

Non volle mai la narcosi, neppure quando si 
tratto di operazioni necessarie complementari. 

Era sopratutto la ferita alla gamba destra, che 
per la scopertura dei tendini e dei nervi rendeva 
spasimante la medicazione. 


IL MIu DIARIO DI GUERRA 


: 2d~> 


Una sola era la sua preoccupazione : « Dimmi, 
Binda, riprenderò le funzioni dell’arto? Potrò ritor¬ 
nare in trincea? ». 

Passava il suo tempo studiando il lusso e rin¬ 
glese e leggendo opere letterarie e politiche. 

Nelle ore pomeridiane aveva la costante compa¬ 
gnia della sua Signora, della buona e gentile si¬ 
gnora Rachele, c dei suoi figli Edda e Vittorio. 
Bruno non era ancora nato. 

Durante la sua degenza all 5 Ospedale, non vi fu 
uomo politico — italiano o- allealo — che, passan¬ 
do per Milano, non abbia sentito il dovere di por¬ 
gere un saluto ed un augurio al nostro mar¬ 
tire. 

Aveva una parola affettuosa per tulli i suoi com¬ 
pagni d'ospedale, sui quali non voleva avere pre¬ 
cedenza nell'attesa delle medicazioni. 

Non ricordo più chi — dei grandi clinici o pen¬ 
satori — ebbe a dire che la prima medicina per la 
guarigione è la volontà. Mai, come nel caso di 
Mussolini, ebbi a constatare la verità di questa al¬ 
le rrnazione. 

Voleva guarire, voleva che la sua gamba ripren¬ 
desse la funzione; e non c'erano dolori che Io fer¬ 
massero nei suoi sforzi. 

Nel suo corpo rimasero e tuttora vi sono, scheg¬ 
ge alPomero destro, alla coscia destra, alle ossa 
della gamba destra e alla mano sinistra. E qual- 
rhe volta si fanno sentire! 

Nell'agosto, Mussolini lasciò l'Ospedale sorreg¬ 
gendosi con Paiuto delle grucce. 
















256 


BENITO MUSSOLINI 


^ & # 

Tutta la slampa italiana di quel tempo ha puh . 
hlicala la notizia del ferimento di Mussolini con 
commenti di simpatia e di rammarico. 

E la slampa francese, poi. se ti' è pure occupata 
largamente ed ha ovulo per lui paiole cordialis¬ 
sime di solidarietà . 

I ra i giornali estei i ranno notali : Journal dos 
Débats, Le Figaro, Liberto, La France, Libre Pa¬ 
role. Homme Énehàiuè, L’Eveil, La Vicloire, Hu- 
mamlé, Balaiile, Action Francaise e Radicai. 


l " ) ™ ■ 


INDICE 

1. Settembre - Novembre 1915 

A chi . Pag. 7 

In trincea coi soldati d ltalia. » 23 

Tra il 'Monte Nero, il Vrsig e lo Jaworcek . . » 29 

Come sì vive e come si muore nelle linee del 

fuoco . » 45 

Guerra in montagna, tra la neve e il fango . » 61 

Le nostre truppe avanzano su Iti va e oltre 
Mon falcone .... ....... » 75 

P L'inverno nelle trincee dell'alta montagna . » 83 

II. — Febbraio - Maggio 1916 

Palle falde dell'Jaworcek alle vette del Rom¬ 
bo n .. ... » 105 

Un mese tra le montagne della Carni a . . » 129 

Mussolini al... fronte interno .» 167 

III. — Novembre 1916-Marzo 1917 

Nota bene .. » 173 

Oltre il lago di Doberdò. » 175 

Dicembre in trincea . . » 195 

Natale . » 213 

Saluto, marciando, il 1917. » 221 

Ferito !. » 235 

Il Re visita Benito Mussolini e i suoi compa¬ 
gni feriti . . » 239 

Al capezzale di Benito Mussolini . . . » 245 




























CASA EDITRICE «IMPERIA» 

MILANO (16): Via Lodovico Settala, 22. 


E’ pubblicato : 

BENITO MUSSOLINI 


I discorsi della Rivoluzione 

Prefazione di ITALO BALBO 


Elegante volume con copertina a due colori 
Fotografia dell Duce, fuori testo. 

Terza edizione, con l’aggiunta del primo discorso di 
Mussolini, Presidente del Consiglio. 

L. 3,— 


In preparazione : 

BENITO MUSSOLINI 


diuturna 


E uma scelta di scritti tracciati dalla vivida penna di 
Mussolini nel turbinoso periodo che dalla proclama¬ 
zione della neutralità del 1914 giunge fino ai recenti 
fatti della Patria nostra. 


Questa pubblicazione costituirà l'avvenimento 
1 : Più notevole del 1 924 : 


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