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Full text of "Alcune indicazioni per servire alla topografia di Bergamo nei secoli IX.o e X.o"

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945.24 

M459a 


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ttf  V 


S:      ALEXJPTORI     M3ÌORIS.    ÀyTO^^CATH:  ECCL  : 


berg: 


ALCUNE  INDICAZIONI 

PER    SERVIRE 
ALLA 

TOPOGRAFIA  DI  BERGAMO 

NEI  SECOLI  IX:  E  X. 

ABBOZZATE 

DA 

ANGELO    MAZZI 


BERGAMO 

Dalla  Tipografìa  Pagnoncelli 
1870, 


"7-45.24 
A\453a. 


Avvertenza 


Siamo  stati  in  forse  se  al  presente  scritto 
dovessimo  aggiungere  anche  una  carta  Topogra- 
fica a  maggiore  schiarimento  delle  cose  dette  :  in 
fine  ci  decidemmo  ad  abbozzarla  in  qualche  modo, 
e  per  segnare  alcuni  punti  di  richiamo  al  lettore, 
e  per  non  trovarci  obbligati  ad  ogni  passo  a  di- 
scendere a  nojose  spiegazioni  e  ad  inutili  digres- 
sioni. Quanto  poi  al  giro  delle  vecchie  muraglie 
tracciate  in  quella  carta,  noi  non  lo  presentiamo  al 
lettore  come  certo  in  tutti  i  suoi  particolari:  non 
lo  è  che  nel  suo  complesso,  e  la  ragione  di  ciò 
la  troverà  agevolmente  in  quella  parte,  nella  quale 
trattiamo  di  questo  argomento,  ognuno  che  ab- 
bia la  pazienza  di  svolgere  questi  fogli.  Abbiamo 
poi  credulo  tanto  più  necessario  di  fare  questa 
avvertenza,  in  quanto  che  se  alcuno  trovasse 
delle  differenze  fra  i  due  Tipi,  che  rechiamo  in 
fine,  nella  delineazione  del  nostro  muro  nella 
parte  occidentale  ov'  è  ora  la  Cittadella,  non  vo- 


4 

glia  incolparci  di  inesattezza  senza  aver  prima 
sentite  le  nostre  ragioni:  una  differenza  là  in 
quel  punto  vi  era  senza  dubbio:  quella  segnala 
da  noi  non  è  che  approssimativa,  perchè  non 
abbiamo  sgraziatamente  indizii  sufficienti  per  giu- 
dicare precisamente  come  in  questo  lato  stesse 
la  cosa. 

Non  abbiamo  neppure  creduto  necessario  di 
cercare  di  far  iscomparire  certi  pregiudizii,  che 
corrono  generalmente  sulla  estensione  della  no- 
stra Città  nei  tempi  di  mezzo,  e  di  indagarne  la 
origine.  Quanto  a  noi  abbiamo  documenti  tali 
che  ci  dimostrano  1'  andamento  generale  delle 
nostre  fortificazioni  all'epoca  che  abbiamo  preso 
in  esame,  che,  siamo  convinti,  nessuno  ci  sareb- 
be tenuto  se  avessimo  voluto  allungare  queste 
ricerche  con  una  speciale  discussione  su  di  un  tale 
argomento,  che  non  ha  niun  fondamento  di  vero. 
Donde  poi  abbiano  avulo  origine  quei  pregiudi- 
zii, sarebbe  un  tema  da  trattarsi,  quando  inda- 
gini della  natura  delle  nostre  si  volessero  esten- 
dere anche  ai  secoli  seguenti. 

Le  fonti  alle  quali  abbiamo  attinto  sono  due 
principali  :  il  Codice  Diplomatico  del  Lupi,  e  i 
nostri  Statuti.  Non  parleremo  né  dell'  uno  né 
degli  altri.  Del  primo  non  può  far  senza  alcuno 
che  voglia  un  po'  addentrarsi  nello  studio  de' 
tempi  di  mezzo  :  sui  secondi  possediamo  già 
due  monografie  abbastanza  esatte.  Piuttosto  av- 
vertiremo che  dei  noatri  Statuti    non    ci   siamo 


serviti  che  per  quella  parte,  ove  si  descrivevano 
i  confini  delle  vicinie  cittadine,  e  ce  ne  siamo 
servili  come  un  anello  di  congiunzione  tra  V  e- 
poca  della  quale  trattiamo  e  la  presente.  Noi  con- 
fessiamo il  vero,  che,  senza  i  nostri  Statuti,  al- 
cuni cenni  trovati  nei  documenti  pubblicati  dal 
Lupi  ci  sarebbero  riusciti  inesplicabili  :  e  se  a 
taluno  parrà  che  troppo  sovente  abbiamo  ricorso 
agli  stessi,  risponderemo  che  in  pari  tempo  ab- 
biamo sempre  avuto  cura  anche  di  tener  fisso  lo 
sguardo  alle  diverse  epoche  a  cui  risalivano  quelle 
due  sorgenti  principali  alle  quali  attingemmo,  e 
che  cercammo  sempre  di  non  lasciarci  trascinare 
da  illusioni  o  da  ipotesi  troppo  avventale,  con- 
fondendo le  notizie  date  dagli  uni  con  quelle  date 
dagli  altri.  Che  se,  malgrado  ogni  nostra  avver- 
tenza, talvolta  non  ci  attenemmo  strettamente  a 
quella  importante  distinzione,  noi  ne  chiediamo 
scusa  come  di  fallo  involonlario,  e  lasciamo  che 
vi  supplisca  il  buon  senso  del  lettore,  che  avrà 
ad  esercitarsi,  e  forse  non  poco,  anche  in  molte 
altre  parli. 

E  giacché  siamo  in  sul  confessare,  noi  pre- 
vediamo che  a  molti  non  parrà  ragionevole  la 
stessa  divisione  del  nostro  lavoro  in  tre  parti. 
La  prima  dovrebbe  certo  essere  compenetrata 
nella  seconda,  e  starvi  come  vi  stanno  tutti  gli 
altri  argomenti  trattati  in  questa:  e  noi  confes- 
siamo che  non  fu  che  dopo  molte  esitazioni  che 
lasciammo  correre  la  cosa  com'  è.    Se   la   Topo- 


6 

grafia  della  nostra  Città  nei  secoli  nono  e  deci- 
mo fosse  conosciuta  in  tutti  i  suoi  particolari, 
nulla  di  più  facile  che  fissare  un  punto  di  par- 
tenza nel  centro  della  Città  stessa,  e,  pigliato  per 
mano  il  lettore,  guidarlo  a  fargli  fare  conoscenza 
colle  sue  vie,  coi  suoi  edificj,  colle  sue  porte 
ecc.  ecc.  :  ma  sfortunatamente  la  cosa  non  è  co- 
sì :  a  noi  restavano  troppi  punti  buii  da  schia- 
rire, troppe  discussioni  da  fare:  e  poi  dobbiamo 
aggiungere  che,  se  abbiamo  potuto  dire  alcunché 
su  questo  argomento  e  formarci  un  concetto  ap- 
prossimativo della  condizione  materiale  della  no- 
stra Città  a  quell'epoca,  lo  dobbiamo  in  princi- 
pal  modo  ai  cenni  che  sui  nostri  edificj  pubblici 
trovammo  nei  documenti  pubblicati  dal  Lupi,  per 
la  qual  cosa  credemmo  che  non  sarebbe  slato  fuor 
di  proposito  lasciare  al  nostro  lavoro  quell'ordine 
affatto  naturale  con  cui  cominciammo  e  proce- 
demmo nelle  nostre  indagini:  esso  poi  ci  schi- 
vava non  poche  ripetizioni,  e  ci  forniva  il  mezzo 
di  stabilire  fin  da  principio  qua  e  colà  dei  punti 
di  richiamo  che  ci  sarebbero  riusciti  utilissimi, 
quando,  a  cagion  d'esempio,  avremmo  avuto  a 
parlare  dell'andamento  delle  nostre  mura,  delle 
nostre  vie,  e  così  di  seguito. 

Non  ci  perderemo  a  spiegare  come  abbia 
avuto  origine  il  presente  lavoro,  che  sarebbe  co- 
sa assai  nojosa  e  di  niun  giovamento  al  lettore: 
diremo  piuttosto  che  sarebbe  necessario  che  molti 
si  occupassero  a  schiarire  varii  dei  punti  più  in- 


7 

tralciati  che  presenta  la  nostra  storia  munici- 
pale, coordinando  i  tanti  materiali  che  possedia- 
mo, all'unico  scopo  di  gettare  le  fondamenta  di 
una  storia  dei  nostri  padri  che  sia  degna  di  essi, 
dei  nostri  tempi,  del  progresso  dei  nostri  studj  ; 
e  se  noi,  o  bene  o  male,  ci  occupammo  in  que- 
sto, non  fu  che  per  aprire  una  via  ove  altri  po- 
tesse mettersi  con  più  lena  e  con  un  corredo  di 
cognizioni  maggiore  di  quello  che  abbia  potuto 
recare  la  pochezza  dell'ingegno  nostro. 


■<■ 


Parte  L 

€SjLt  ÉEMBMJFM€fMi  PEJliiif.BCM* 

Avvertenza.  —  So  nel  trattare  questo  argo- 
mento, noi  pigliamo  le  mosse  dalle  Chiese,  egli 
è  per  ciò,  che  vi  siamo  indotti  da  una  specie  di 
necessità.  E  da  capo  :  memorie  più  certe  e  più 
abbondanti  noi  non  possediamo  che  intorno  ad 
esse;  poi,  come  vedremo  più  innanzi,  è  da  esse 
che  noi  trarremo  gli  indizii  più  sicuri  per  de- 
terminare anche  il  ricinto  della  nostra  città  a 
quest'epoca.  Distinzione  adunque,  la  quale,  nel 
trattare  questo  subbietto,  diventava  altrettanto 
necessaria,  che  opportuna,  era  di  porre  sotto  il 
titolo  di  Chiese  interne  quelle  che  si  trovavano 
entro  la  città:  sotto  quello  di  Chiese  esterne  tul- 
le l'altre  che,  sebbene  poste  fuori  delle  mura 
cittadine,  servirono  in  certo  modo  di  centro  in- 
torno a  cui  si  raggrupparono  quelle  abitazioni, 
che  nei  secoli  futuri  vennero  a  formare,  se  non 
La  parte  storica,  certo  la  più  industre  e    la    più 


8 

importante  della  nostra  cilta.  —  Un'altra  cosa  ci 
preme  di  avvertire.  Se  noi  ci  fossimo  attenuti 
alla  maggior  parte  dei  nostri  Storici  municipali, 
quasi  tutte  le  Chiese,  che  esistono  attualmente, 
e  il  molto  maggior  numero  di  quelle,  che  esi- 
stevano nei  secoU  passati,  doveano  esser  state 
erette  fin  dai  primi  secoli  del  Cristianesimo,  o 
per  lo  meno  doveano  essere  state  fondate  da 
Carlo  Magno  e  consecrate  dair  arcivescovo  Tur- 
pino.  A  costo  però  di  vedere  notate  nel  nostro 
lavoro  delle  dimenticanze,  a  costo  di  sentirci  ac- 
cusati come  troppo  esclusivi,  abbiamo  voluto  sta- 
re unicamente  a  quello,  che  ci  sembrava  più 
certo  e  più  indiscutibile  :  ed  ecco  il  motivo  per 
il  quale  non  abbiamo  creduto  occuparci  che  di 
quelle  Chiese,  la  cui  esistenza  ci  sembrava  atte- 
stala dai  più  attendibili  documenti. 

A.  CHIESE  INTERNE. 

§.  1.  Cattedrale  di  S.  Vincenzo. 

(V\  il  N.   i   della  Caria    Top.) 

È  la  stessa  attuale  Cattedrale,  che  dai  1638 
porta  il  titolo  di  S.  Alessandro  (1). 

La  fondazione  di  questa  chiesa  dovea  risa- 
lire certo  oltre  al  settimo  secolo,  poiché  in  oc- 
casione di  questioni  insorte  fra  i  canonici  di  S. 
Alessandro  e  quei  di  S.   Vincenzo,    questi    pre- 


9 

sentarono  dei  documenti  nei  quali  è  detto:  «  al 
€  tempo  in  cui  Giovanni  vescovo  della  chiesa 
«  bergamasca,  uomo  santo,  reggeva  l'episcopato, 
«  durante  il  regno  di  Cuniberto ,  egli  e  il 
a  Re  predetto,  riteneva  questa  chiesa  del  beato 
«  Vincenzo  martire  per  sola  matrice  di  tutte  le 
«  altre  chiese  della  Diocesi,  come  si  può  vedere 
«  dai  documenti  di  quel  tempo  (2).  »  Questa 
chiesa  si  teneva  adunque  per  cattedrale  fin  dal- 
l'epoca di  Re  Cuniberto  e  del  vescovo  Giovanni, 
cioè,  fino  dalla  seconda  metà  del  secolo  settimo, 
e  ciò  è  tanto  più  importante  a  stabilirsi,  in 
quantoche,  prescindendo  anche  dalla  piena  fede 
che  meritano  le  indicazioni  date  da  quei  cano- 
nici, i  nostri  storici  municipali  —  anteriori  però 
al  Lupi  —  ripetono  concordemente  che  nell'an- 
no 887  sulle  rovine  della  piccola  chiesa  di  S. 
Agnese,  fu  dal  Vescovo  Adalberto  eretto  questo 
tempio  a  S.  Vincenzo.  (3)  Che  ciò  non  sia  vero, 
quand'anche  si  volesse  ritenere  per  meno  accet- 
tabile la  asserzione  di  quei  canonici,  lo  si  rileva 
da  un'altra  testimonianza,  non  meno  importante, 
giacché  per  essere  di  circa  un  secolo  anteriore 
all'  epoca  fissata  dagli  storici  per  l' innalzamento 
della  cattedrale,  dimostra  a  chiare  note  a  quanto 
labile  fondamento  fosse  appoggiata  quella  tradi- 
zione. Noi  parliamo  del  testamento  del  gasindo 
Tuidone,  fatto  nel  774,  e  il  cui  apografo,  sul 
quale  il  Lupi  condusse  la  sua  edizione,  or  si 
conserva  nella  nostra  Biblioteca  (4).  Tuidone  lega 


10 

delle  terre  alla  Chiesa  di  S.  Vincenzo  posta  en- 
tro la  città  :  e  non  sarà  senza  importanza  il  ri- 
levare, come  alla  chiesa  di  S.  Alessandro  si  dia 
il  titolo  di  «  Basilica  »  a  quella  di  S.  Vincenzo 
di  «  Ecclesia,»  sulla  quale  distinzione,  che  mo- 
strerebbe essere  stato  il  fonte  battesimale  pres- 
so quest'  ultima,  rimettiamo  il  lettore  al  diligen- 
tissimo  Lupi  (5)*  È  assai  poco  credibile  che  qui 
si  intendesse  parlare  di  qualche  altro  edificio  sacro 
posto  sotto  lo  stesso  titolo  nella  nostra  città,  in 
quantochè  primieramente  non  v'è  tradizione  al- 
cuna, per  non  dire  che  non  v'  è  scrittore  alcu- 
no, che  di  questo  faccia  la  benché  menoma 
menzione  ;  poi  perchè  si  può  di  leggeri  assegna- 
re una  probabile  origine  alla  tradizione  da  noi 
riportala  nelle  cure  che  appunto  si  vede  avere 
avuto  il  vescovo  Adalberto  per  questa  cattedrale, 
sia  coir  innalzarvi  un  altare,  sia  coll'arrichirla 
in  varie  guise  ed  istituirvi  la  canonica  >  come 
vedremo  in  seguito. 

A  noi  mancano  dati  d'  ogni  maniera  per 
poter  dire  alcunché  di  preciso  su  questo  edificio 
alla  noslr' epoca.  Come  si  sa,  questa  cattedrale 
si  cominciò  ad  ampliare  ed  a  rifabbricare  verso 
la  metà  del  secolo  decimoquinto,  per  cui  fu  im- 
posta anche  una  generale  elemosina  alla  città; 
laonde  a  noi  non  è  dato  neppure  colla  immagi- 
nazione ricostruirla  in  qualche  parte  (6).  Non  sa- 
ranno però  fuori  di  luogo  alcune  indicazioni  at- 
tinenti a  questa  cattedrale,  che  avremo  cura  de- 
sumere da  testimonianze  attendibili. 


li 

Sarebbe  lontano  dal  vero  chi  dall'attuale  vo- 
lesse desumere  l' ampiezza  di  questa  cattedrale  alla 
nostra  epoca.  A  voler  esser  larghi  non  poteva  in  lun- 
ghezza oltrepassare  la  croce  della  fabbrica  attuale, 
giacché  sappiamo,  che  tanto  il  presbiterio  che  il 
coro  furono  aggiunti  posteriormente.    Non   man- 
cano memorie  che  ricordano  questo  fatto.    I  no- 
stri più  antichi  statuti    fanno    menzione    ancora 
di  edificii  posti  a  mezzodì  della  porta  della    ca- 
nonica (nella  contrada  delle  Beccherie  )  dove  era 
la  Sacristia,  e  che  erano  a  un  di  presso  ove  oggi 
appunto  sono  e  il  coro  e  la  sacristia  della  catte- 
drale. Lo  statuto  del  1331  descrivendo  i  confini 
della  Vicinia  di  S.  Cassiano  si  esprime  in  questo 
modo:   «  Che  quella  Vicinia  cominci  dalla    porla 
«  della  Curia  di  S.  Vincenzo  e  dalle  scale  di  pietra, 
«  le  quali  sono  tra  la  casa  di  Bonaventura  d' Al- 
«  menno,  e  la  casa  degli  eredi  di  Pagano  primi- 
«  cerio,  venendo  in  su  verso  mezzodì  da  ambe 
t  le  parli  della  via  fino  alla  piazza  grande  di  S. 
«  Vincenzo:   comprendendo   nella  stessa  Vicinia 
«  questa  piazza   e  la   casa   degli   eredi  del   so- 
«  pradetto  Pagano.    E   similmente  comprenden- 
t  do  nella  stessa  Vicinia  tutte  le  case  e  botteghe 
«  (staciones)  e  la  sacristia  di  S.    Vincenzo    che 
«  sono  a  mezzodì  della  porta  della   curia   di   S. 
«  Vincenzo  (7).»  Queste  indicazioni  adunque  non 
lasciano  dubbio  di  sorta:  a  mezzodì  della    porta 
della  Curia  di  S.  Vincenzo,  e  precisamente  nella 
direzione  che    da    quella    porta   conduceva    alla 


12 

«  Piazza  grande  di  S.  Vincenzo  »  (  ora  mercato 
del  Pesce  )  vi  erano  tutte  «  le  case,  botteghe  e 
sacristia  di  S.  Vincenzo,  »  ed  a  conferma  di  ciò 
si  potrebbe  anche  citare  il  fatto  che  ai  13  di 
Marzo  del  145G,  quando  si  trattò  della  prima 
ampliazìone  di  questo  tempio,  la  città  nostra 
«  fece  alla  cattedrale  di  S.  Vincenzo  magnifico 
«  dono  d'  una  casa  et  reggio  posti  vicino  alla 
a  chiesa,  e  ciò  perchè  si  potesse  in  ampia  et 
«  maestosa  forma  detta  cattedrale  rifabbricare  (8).» 
Vi  erano  pertanto  delle  case  addossate  a  questa 
chiesa  dalle  sue  parti  di  mattina  e  mezzodì,  e 
queste  poche  indicazioni  son  sufficienti  per  dare 
un'idea  approssimativa  della  sua  ampiezza:  tanto 
più  che  la  cimerchìa,  ricordata  nello  statuto  del 
1331,  è  probabilissimo  sia  rimasta  sempre  nello 
stesso  luogo  fin  dalla  sua  origine:  il  Cimiarca,o 
Cimeliarca,  apparteneva  all'ordine  dei  canonici,  e 
di  esso,  che  era  il  custode  delle  suppellettili 
destinate  al  culto,  troviamo  menzione  fin  dal 
928  (0). 

La  chiesa  in  origine,  com'  era  antico  costu- 
me, avrà  avuto  un  solo  altare  ;  dal  documento 
or  ora  citato  veniamo  a  sapere  che  il  vescovo 
Adalberto  vi  avea  consacrato  un  altare  speciale 
alla  Trinità,  legando  dei  beni  perchè  sei  sacer- 
doti vi  officiassero  in  perpetuo,  ed  esprimendo 
il  volere  che  il  suo  corpo  fosse  inumato  davanti 
a  questo  aliare  (10). 


13 

§  2.  Basilica  di  Santa  Maria  Maggiore. 

( P.  il  N.  o  della  Carta   Top.) 

I  nostri  storici  municipali  —  intendo  anche 
qui  una  volta  per  sempre  quelli  anteriori  al  Lu- 
pi ed  al  Ronchetti,  che  lo  seguì  passo  passo  — 
indicano  l'anno  1137  come  quello  in  cui  fu  fon- 
data questa  Chiesa  (11).  Può  averli  confermati  in 
siffatta  sentenza  la  iscrizione  che  è  sculta  sull'ar- 
co del  portico  di  quella  Basilica  verso  mezzodì, 
e  che  suona  come  segue  : 

«  Nel  nome  di  Cristo,  amen.  Nella  parte 
«  superiore  dell'entrala  nella  Chiesa  della  Beata 
«  Vergine  Maria  nella  Città  di  Bergamo  si  leg- 
«  geva  che  la  detta  Chiesa  fu  fondata  per  mae- 
«  stro  Fredo,  nell'  anno  della  incarnazione  del 
«  Signore  1130,  sotto  Innocenzo  II  Papa,  sotto 
«  Roggerio  Vescovo,  regnando  il  re  Lolario(12).» 

Come  si  vede,  questa  iscrizione  è  il  compen- 
dio di  una  più  antica,  che  rimase  coperta  dal 
nuovo  atrio  costrutto  nel  1360,  e  a  quella  si 
rapporta  interamente.  A  ragione  nondimeno  par- 
ve al  Lupi  che  siffatto  compendio  non  sia  troppo 
esatto,  e  che  vi  sieno  incorsi  alcuni  errori,  i  quali, 
ammessa  quella  data,  sarebbero  inescusabili:  e 
primieramente  perchè  a  quell'epoca  era  vescovo 
Gregorio  non  già  Ruggiero:  Lotario  da  alcuni 
anni  portava  già  il  titolo  di   Imperatore,   non  il 


14 

semplice  di  re:  poi  il  «  fundata  »  non  s'accor- 
derebbe troppo  coi  varj  argomenti  che  abbiamo 
per  ritenere  che  questa  Chiesa  fosse  di  alcuni 
secoli  più  antica  dell'  anno  assegnato  alla  sua 
fondazione,  la  quale  noi  non  possiamo  ritenere 
che  per  una  riedificazione:  per  cui  il  Lupi  ebbe 
ad  esprimere  la  sua  opinione  che  quella  parola 
non  si  trovasse  nella  iscrizione  originale. 

Ciò  risulta  da  giurate  testimonianze  che  si 
conservano  nell'Archivio  capitolare,  che  risalgono 
al  1187  una  delle  quali,  riportata  dal  Lupi, 
è  di  questo  tenore:  «  Lanfranco  Mazocchi  teste 
«  giurato...  disse  inoltre  che  la  Chiesa  della  Bea- 
<  ta  Maria  e  del  beato  Vincenzo  sono  una  sola 
«  chiesa  matrice:  interrogato  in  qual  modo  sap- 
«  pia  che  sono  una  sola,  risponde:  perchè  pri- 
t  ma  che  fosse  stata  distrutta  per  essere  rieàx* 
«  ficata  più  bella,  i  canonici  celebravano  nella 
«  Chiesa  di  Santa  Maria  i  loro  Ufflzii  durante 
«  l'inverno,  e  in  quella  di  S.  Vincenzo  durante 
«  la  state,  e  dopo  le  riparazioni  fatte  ma  non 
«  per  anche  compile,  vi  celebrano  le  festività  di 
«  Maria,  ed  in  quaresima  a  nona  vi  cantano  messa, 
«  ed  inoltre  perchè  alcuni  redditi,  che  furono  dati 
«  alla  Chiesa  di  Santa  Maria,  sono  posti  in  una  certa 
«  prebenda  della  Chiesa  di  S.  Vincenzo.  »  Poi  lo 
stesso  testimonio  aggiunge,  che  se  il  Vescovo  il 
sabbato  santo  celebra  il  divino  ufficio  nella  Cat- 
tedrale «  va  in  processione  alla  chiesa  di  Santa 
«  Maria  a   benedire    il  fonte   ed  a  celebrare  il 


15 

e  battesimo.  »  Questa  testimonianza  è  importan- 
tissima :  ciò  che  pei  nostri  scrittori  è  una  fon- 
dazione, per  questo  teste  non  è  altro  che  una 
riparazione  od  una  riedificazione;  e  se  si  bada 
al  fatto  che  i  Canonici  di  S.  Vincenzo  alterna- 
vano nelle  due  chiese  i  loro  officii,  che  il  Ve- 
scovo vi  andava  il  sabbato  santo  processionalmen- 
te  a  benedire  il  fonte  battesimale  (che  fino  al 
secolo  XVII  rimase  in  questa  Chiesa  (18))  si  fa- 
ranno chiare  le  espressioni  del  documento  che 
stiamo  per  citare. 

Questa  chiesa  esisteva  già  fin  dell'  ottavo 
secolo  ;  Y  insigne  Testamento  del  gasindo  Tuido- 
ne  ce  n'offre  una  prova  indubitata.  In  esso  fino 
da  principio  troviamo  questa  espressione  «  La 
«  Basilica  del  beatissimo  martire  di  Cristo  S. 
«  Alessandro...,  e  del  beatissimo  martire  ed  apo- 
«  stolo  S.  Pietro,  entro  il  cortile  di  S.  Alessan- 
«  dro,  e  la  chiesa  della  beatissima  Maria  sempre 
«  vergine  e  genitrice  di  Dio  e  di  S.  Vincenzo, 
«  chiese  bergamasche  (14).  »  Che  qui  si  intenda  la 
chiesa  di  cui  ora  ci  occupiamo  e  non  altra,  vi 
sono  molti  argomenti  per  ritenerlo,  e  primamen- 
te perchè,  per  le  ragioni  addotte  più  sopra,  ab- 
biamo veduto  che  questa  chiesa  non  era  per 
nulla  stata  fondata  soltanto  nel  1137,  ma  risali- 
va ad  una  maggiore  antichità  ;  poi  perchè  esi- 
stevano bensì  due  altre  chiese  poste  sotto  que- 
sto titolo,  ma  nelle  nostre  carte,  come  vedremo, 
Vuna  si  chiamava  Santa  Maria  della  Torre,  V  al- 


16 

tra  Santa  Maria  del  Monastero  vecchio,  le  quali 
non  sono  da  confondersi  per  nulla  colla  nostra, 
come  si  scorge  che,  con  queste  distinte  appella- 
zioni, non  si  voleano  confuse  neppure  a  quell'e- 
poca; infine,  giacché  il  gasindo  Tuidone  ha  posto 
assieme  nella  sua  enumerazione  la  Chiesa  di 
S.  Alessandro  e  la  cappella  di  S.  Pietro  che  e- 
rano  affatto  contigue,  e  che  tali  rimasero  fino 
all'epoca  della  loro  distruzione  nel  secolo  deci- 
mosesto 5  si  può  credere  che  non  senza  ra- 
gione abbia  posto  insieme  anche  la  Basilica  di 
Santa  Maria  colla  Cattedrale  (15),  primamente  per 
la  loro  vicinanza,  poi  perchè  non  v'  ha  nulla  che 
si  opponga  a  credere  che  anche  in  queir  epoca 
qui  si  trovasse  il  fonte  battesimale  della  Città, 
e  che  qui  in  tempo  determinato  si  portasse  il 
Vescovo  a  benedirlo  ;  indizio  non  insignificante 
della  qual  cosa  si  potrebbe  trovare  nel  fatto  del- 
l'avere Tuidone  nel  suo  testamento  accomunato 
alle  due  ultime  chiese  il  titolo  di  «  ecclesia  » 
in  antilesi  alle  due  prime  indicate  soltanto  come 
«  basilicae.  »  Quella  contiguità  materiale  poi  era 
maggiore  alla  nostr'epoca,  in  quanto  che  le  con- 
dizioni Topografiche  del  luogo  erano  allora  assai 
diverse  delle  presenti,  e,  come  procureremo  me- 
glio di  chiarire  in  seguito,  non  esistendo  la 
piazza  ora  circoscritta  dal  Vescovado,  dalla  Basi- 
lica di  Santa  Maria  Maggiore,  dalla  Cattedrale  e 
dal  palazzo  della  Biblioteca,  Cattedrale,  Vescova- 
do e  chiesa  di  Santa  Maria  formavano  un  corpo 


17 

solo.  Ecco  perchè  il  teste  Lanfranco  Mazzocchi 
asserisce  che  ancora  al  suo  tempo  la  Cattedrale 
e  questa  chiesa  formavano  come  una  sola  matri- 
ce di  tutte  le  altre:  ecco  perchè  in  un'epoca 
anteriore  persino  a  quella  di  cui  abbiamo  intra- 
preso a  trattare,  poteva  benissimo  il  gasindo 
Tuidone  unire  assieme  quelle  due  chiese  ne' suoi 
legati,  porgendoci  così  argomento  a  confermare 
quel  rapporto  fra  di  esse,  quell'esistenza  più  di 
tutto  di  una  di  esse,  che  non  potevamo  fondare 
su  semplici  supposizioni. 

|  3.  San  Cassiano. 

(  F.  il  N.   li  della  Carta  Top.) 

Allorquando  il  Vescovo  Adalberto  nel  897 
gettò  le  fondamenta  della  istituzione  della  Cano- 
nica di  S.  Vincenzo,  perchè  quei  chierici,  che  e- 
rano  destinati  ai  divini  Uffizii  nella  Cattedrale, 
avessero  di  che  sostentarsi,  conferì  alla  canonica 
stessa  la  basilica  di  S.  Cassiano  con  tutti  i  beni 
che  le  appartenevano  e  che  erano  sparsi,  a  quel 
che  sembra,  in  molle  parti  del  nostro  contado(16). 
Le  espressioni  del  documento  che  contiene  que- 
sta notizia  dimostrano  la  esistenza  della  basilica 
di  S.  Cassiano  alla  nostra  epoca  e  la  sua  posi- 
zione vicino  alla  Canonica  («  ibi  prope  »),  pre- 
cisamente com'  è  ai  nostri  dì. 


»*'*. 


18 

§.  4.°  Sa»  Giovanni  in  Arena. 

(  F.  il  N.  3   della  Carla   Top.) 

Questa  Chiesa  era  posta  alla  estremità  del 
colle  sul  quale  è  fondata  la  città,  ove,  tutte  le 
più  accreditale  induzioni,  ed  il  nome  rimasto  fino 
ad  ora  a  quella  località,  fanno  credere  che  a' 
tempi  romani  s' innalzasse  l'anfiteatro  cittadino. 
La  prima  menzione  di  questa  chiesa  cade  nel- 
nell'anno  806,  vale  a  dire  «  nella  donazione  in- 
ter  vivos  »  del  Vescovo  Tachimpaldo  colla  quale 
assegnava  ad  essa  una  vigna  posta  pure  in  Are- 
na colle  seguenti  espressioni  «  Io  Tachimpaldo 
€  vescovo,  voglio  che  per  rimedio  dell'anima  mia, 
«  la  basilica  del  bealo  apostolo  ed  evangelista 
«  Giovanni  edificata  entro  questa  città  di  Ber- 
«  gamo  abbia  un  piccolo  pezzo  di  terra  coltivato 
«  a  vile,  che  io  posseggo  entro  questa  stessa 
é  città  di  Bergamo  nel  luogo  chiamalo  Arena,  e 
«  che  è  posto  fra  questi  confini  :  a  mattina  Deus- 
fi  dedit  di  Bonate,  a  tramontana  la  via  che  corre 
«  a  Perelassi,  a  mezzodì  ed  a  sera  i  confini  della 
«  nostra  basilica  di  S.  Giovanni  (17).»  La  espres- 
sione di  «  nostra  basilica  »  usata  da  Tachimpaldo 
dimostra,  come  rettamente  avvertì  il  Lupi,  che 
egli  non  aveva  sopra  di  essa  soltanto  quella  ge- 
nerale giurisdizione  che  gli  competeva  su  tutte  le 
cljiese  della  Diocesi,  ma  bensì  che  dovea  fodere 


1!) 
di  qualche  speciale  diritto,  ad  esempio  di  giuspa- 
tronato,  come  se  egli  o  qualcuno  de'  suoi  prò* 
genitori  ne  fosse  stalo  il  fondatore;  il  che  si 
conferma  tanto  più  pel  fatto  che,  essendo  vicina 
a  questa  basilica  una  vigna  di  privala  proprietà 
di  Tachimpaldo,  essa  potrebbe  benissimo  essere 
slata  edificala  pure  sopra  un  terreno  di  sua  privala 
proprielà(1 8).  Si  dovrà  quindi  rigettare  col  Ronchet- 
ti (19),  P  opinione  dei  nostri  scrittori  che  questa 
chiesa  sia  stata  eretta  per  opera  di  Carlo  Magno;  non 
però  per  ritenerla  più  antica  come  fe  quel  dotto, 
poiché  essa  pelea  facilmente  essere  stata  fondata 
nello  spazio  dei  trenta  e  più  anni,  corsi  dacché 
i  Franchi  s'erano  stanziati  in  queste  nostre  con- 
trade. Al  che  però,  come  a  cosa  grandemente 
incerta,  non   aggiungiamo  più  altro  (20). 

Sulla  carta  Topografica  che  serve  di  schia- 
rimento a  queste  indicazioni  noi  abbiamo  segna- 
lo ai  N.  3  la  probabile  posizione  di  questa  chie- 
sa. La  fabbrica  della  Cittadella  nel  XIV  secolo, 
delle  mura  nel  XVI  hanno  talmente  mutato  l'  a- 
spetto  dei  luoghi,  che  ogni  più  piccolo  indizio 
uon  può  che  riuscire  preziosissimo* 

|.  5,  &  Agnta* 

{  V.  il  N.  4  delia  Carta   Tofj.  ) 

Il  Calvi,  a  proposito  di  questa  chiesa  scrive 
sotto  il  1.°  gennaio:  «Si  rinnovano    in    questo 


20 

a  stesso  giorno  le  antiche  memorie  della  consa- 
«  orazione  della  chiesa  parrocchiale  di  S.  Agata 
«  di  Bergamo  hor  dai  padri  Teatini  degnamente 
«  posseduta  et  santamente  officiata.  V  anno  et 
«  Vescovo  che  la  consagrò  son  andati  in  obli- 
«  vione;  et  la  sola  rimembranza  del  fatto  a  noi 
«  per  tradilione  è  passala (21).»  Ciò  è  verissimo: 
ma  per  dire  alcunché  di  certo  su  questo  argo- 
mento possiamo  asserire  di  trovare  la  prima  me- 
moria dell'esistenza  di  questa  chiesa  nei  primi 
anni  del  secolo  X.°  e  più  precisamente  nel  908, 
in  una  carta  di  permuta  ove  abbiamo  questa 
espressione:  «un  pezzo  di  terra  a  vile  posto 
«  entro  la  slessa  città  nel  luogo  detto  sotto  S. 
«  Agata  (subtus  sancle  Adiate  )  (22).  » 

La  seconda  menzione  cade  nel  924.  In  un' 
altra  carta  di  permuta  abbiamo  pure:  «  una  ca- 
«  sa  con  corte  di  proprietà  della  chiesa  di  S. 
«  Alessandro  posta  entro  la  città  di  Bergamo, 
«  vicino  a  S.  Agata  (23).  » 

Qui  non  abbiamo  che  a  fare  alcune  consi- 
derazioni. E  primamente  che,  sebbene  non  si 
abbia  altra  memoria  dell'esistenza  di  questa  chie- 
da prima  del  908,  tuttavia  non  vi  ha  nulla  che 
si  opponga  a  credere  che  abbia  esistito  anche 
nel  secolo  antecedente  se  da  essa  avevano  già 
ricevuta  una  denominazione  i  luoghi  circostanti 
«  (subtus  sancte  Achate)  »  e  se  tale  denomina- 
zione s'era  radicala  nell'uso  comune  di  espri- 
mersi. Appare  in  secondo  luogo  dai    brani   che 


21 

abbiamo  citali  che  le  mura  da  questa  parie  re- 
stavano un  po'  lontane  dalla  chiesa  di  S.  Agata, 
in  modo  che  fra  questa  e  quelle  trovasse  posto 
una  piccola  vigna.  Forse  questa  sarà  stata  occu- 
pala in  seguito  dal  monastero  dei  padri  Teatini: 
ma  ad  ogni  modo  gli  indizii  che  ci  somministra 
questa  notizia  combinali  ad  altri,  dei  quali  par- 
leremo a  luogo  opportuno,  sono  sufficienti  per 
lasciarci  intravedere  con  bastante  certezza  l'an- 
damento delle  nostre  mura  in  questa  parte 
della  città. 

§.  6.   S.  Matteo. 

(  Vedi,  la  Carta  Topografica.) 

Non  sappiamo  quanto  vi  sia  di  vero  nella 
tradizione,  che  la  chiesa  di  S.  Matteo  sia  stata 
fondata  da  Carlo  Magno,  ma  essa  è  così  costante 
nei  nostri  scrittori,  che,  se  non  altro,  si  può  ac- 
cettare in  parte  come  argomento  della  antichità 
di  questa  chiesa  e  in  pari  tempo  della  sua  esi- 
stenza alla  nostra  epoca  (24).Nei  nostri  documenti, 
è  vero,  non  rinveniamo  una  diretta  menzione  di 
essa  se  non  nel  1110,  in  occasione  che,  per  suo 
conto,  erano  acquistati  case  e  terreni  in  Levate  (25); 
ma  una  testimonianza  giurata  del  1187,  la  quale 
però  si  rapporta  a  falli  successi  nel  1112,  ci  fa 
conoscere  che  in  quest'anno  presso  S.  Matteo 
esisteva  già  una  collegiata  di  canonici,   i    quali 


22 

cogli  altri  canonici  delle  due  cattedrali,  a  quello 
che  pare,  concorrevano  alla  elezione  del  vescovo 
(20); e  questa  peculiarità,  come  pure  l'altra,  cioè, 
di  alcuni  speciali  privilegi  de'  quali  godeva  que- 
sta chiesa  (27),  ci  rende  meno  esitanti  a  riconoscer- 
ne la  antichità  e  ad  annoverarla  fra  quelle,  la 
cui  esistenza  ci  pare  sufficientemente  provata  da 
queste  indicazioni. 

|.  7.  Santa  Eufemia. 

(  V.  il  N.  G  delia   Carta   Top.  ) 

À  stretto  rigore  noi  non  dovremmo  parlare 
di  questa  Chiesa,  perchè,  a  dire  il  vero,  nei  no- 
stri documenti  non  ne  troviamo  menzione  che 
dopo  il  decimo  secolo.  Ad  ogni  modo  è  così  u- 
nanime  nei  nostri  Scrittori  la  opinione,  che  la 
fondazione  di  questa  chiesetta  andasse  a  perdersi 
nel  buio  dei  secoli  più  lontani,  che  non  possia- 
mo esimerci  dal  parlarne,  tanto  più  poi,  che  la 
troviamo  ricordala  pochissimi  anni  dopo  l'epoca 
di  cui  noi  ci  occupiamo.  Da  un  documento  del 
1006  noi  veniamo  a  sapere  che  oggetto  di%una 
vendita  fu  una  vigna  posta  «  vicino  alla  città  di 
«  Bergamo  nel  luogo  detto  Sotto  il  muro  della 
«  slessa  città,  presso  il  campo  di  Santa  Eufemia 
(29).»  A  noi  non  pare  di  discoslarci  gran  fatto  dal 
vero  ammettendo  che  quella  vigna  si  trovasse  pre- 
cisamente sotto  il   muro    orientale   della  Rocca, 


23 

che  allora  era  il  muro  della  città,  e  che  il  cam- 
po, al  quale  essa  era  vicina,  avesse  pigliato  quel- 
la speciale  denominazione  dall'essere  forse  pro- 
prietà di  questa  chiesa.  Fino  al  1141  non  ab- 
biamo più  menzione  di  Santa  Eufemìa  (29;.;  ma 
non  crediamo  però  inutile  di  notare,  che,  dallo 
Statuto  del  1331,  il  quale,  come  è  opportuno  av- 
vertirlo, attingeva  in  questa  parte  a  fonti  di  qua- 
si un  secolo  anteriori,  appare  che  la  vicinia  di 
Santa  Eufemia  si  estendeva  anche  al  di  fuori 
del  recinto  cittadino;  anzi  dalle  sue  espressioni 
risulterebbe,  che  una  più  minuta  descrizione  dei 
confini  esterni  di  essa  diventasse  inutile,  dai 
momento  che  una  consuetudine,  senza  dubbio 
inveterata,  li  avea  già  abbastanza  designali  (30). 
Che  il  tempietto  di  Santa  Eufemia  fosse 
sorto  nei  primi  secoli  dell'era  cristiana  sulle  ro- 
vine dell'antico  tempio  degli  Dei  Capitolini,  è 
opinione  alla  quale  non  saremmo  tentati  né 
di  accedere,  né  di  contrastare,  ma  alla  quale 
tuttavia  potrebbe  aggiungere  qualche  lume  il  fat- 
to, che  non  pare  infondata  la  asserzione  di  chi 
volle,  che  in  questa  località  esistesse  una  rocca 
(forse  l'antico  Capitolium),  prima  che  al  tempo 
di  Giovanni  di  Boemia  nel  1331  venisse  ordinato 
l'innalzamento  dell'  attuale  fortilizio,  la  quale 
chiamavasi  «Castello  di  Santa  Eufemia  (31),  »  e 
della  quale  al  Rota,  dopo  un  minuto  e  diligente 
esame,  parve  di  scorgere  conservati  i  resti  in  una 
parte  del  muro  occidentale  della  Rocca,  qual'è  og- 


24 

gidì  (32).  Ora,  il  Calvi,  il  quale  polè  vedere  senza 
dubbio  ancora  intatta  quella  chiesa,  asseriva  che  era 
«  piccola,  in  rotondo  perfetto,  con  portico  avanti 
«  assai  antico,  et  un  solo  altare  (34);  »  ed  il  Rota, 
acutissimo  indagatore  delle  cose  nostre,  e  il  qua- 
le, per  quanto  a  noi  vicino,  non  ebbe  però  la 
sorte  di  vederne  gli  ultimi  avanzi  tramutali  in 
celle  carcerarie,  dalla  sua  forma,  dalla  sua  angu- 
stia, e  più  di  tutto  dalla  sua  struttura  confron- 
tata con  quella  di  altri  consimili  edifici  argomen- 
tava fosse  opera  dei  cristiani  dei  primi  secoli  (34). 
Al  quale  giudizio  non  parendoci  di  opporci  in 
niuna  maniera,  noteremo  soltanto,  che,  a  chi  sa- 
rà concesso  e  quindi  basterà  il  cuore  di  pene- 
trare nell'attuale  fortilizio,  vincendo  il  ribrezzo 
che  destano  ad  ogni  passo  le  memorie  di  una 
aborrita  dominazione  e  il  triste  soggiorno  a  cui 
l'ha  destinalo  l'opera  dell'uomo,  troverà  ancora 
una  parte,  sebbene  disformata,  di  questo  anti- 
chissimo tempietto,  quasi  rasente  al  vecchio  mu- 
ro di  cinta  della  nostra  cillà,  e  meraviglierà  non 
poco  scorgendo  la  piccolezza  di  quel  monumento, 
che  forse  pei  nostri  padri  avrà  segnato  una  delle 
vittorie  più  contrastate,  che  su  questi  colli  beati, 
abbia  mai  riportato  la  nuova  contro  l'antica  civiltà. 

|  8.  S.  Pancrazio. 

(  V.  il  N.  5  della   Carta   Top.  ) 

Noi  non  sappiamo  nulla  del   tempo  in  cui 
sorse  questa  chiesa,  ma    documenti   irrefragabili 


25 

né  accertano  l'esistenza  alla  nostra  epoca.  In  una 
carta  del  888  nella  quale  oggetto  di  permuta  ò 
«  un  campo  posto  fuori  del  muro  della  città  di 
«  Bergamo  nel  luogo  detto  Prato  lungo  »  vi  ha 
tra  i  confinanti  «  a  sera  sancii  Brancatii  :  » 
vale  a  dire  una  proprietà  della  chiesa  di  S.  Pan- 
crazio o  di  S.  Brancazio,  come  già  fin  d'allora  si 
chiamava  (35);  ma  noi  non  saremmo  tanto  corrivi, 
come  il  Ronchetti  (36),  ad  ammettere  che  qui  si 
intenda  proprio  parlare  della  chiesa  cittadina,  se 
non  ci  occorressero  due  documenti  del  secolo 
seguente,  che  ci  porgono  argomento  per  ritenere 
che  qui  non  si  accenni  veramente  che  alla  sud- 
detta chiesa.  Diffatti  trovando  soscritti  in  una 
carta  del  952  :  «  Giovanni  ed  Adalberto,  padre 
«  e  figlio,  di  Bergamo  dalle  parti  di  S.  Pancra- 
«  zio  (qui  dicitur  da  Sanclo  Pancratio)  »  in  al- 
tra del  962  trovandosi  di  bel  nuovo  un  «  Adal- 
€  berto  di  S.  Pancrazio  (37)»  ci  conferma  nella 
nostra  opinione,  che  siffatta  denominazione  locale 
non  avrebbe  potuto  pigliar  piede  fra  il  popolo, 
quando  già  da  un  certo  lasso  di  tempo  non  fos- 
se esistita  la  chiesa  che  serviva  a  contraddistin- 
guere e  luoghi  e  persone  ad  essa  vicini.  I  due 
documenti  del  952  e  del  961,  a  nostro  vedere, 
concordano  perfettamente  con  quello  de;  888 , 
ma  le  conclusioni  che  saremo  per  trarre  dai  due 
primi,  si  faranno  chiare  quando  tratteremo  delle 
vie  cittadine. 


26 


|  9.  Santa  Maria  della  Torre. 

(V.  il  N.  7  della  Carta   Top.) 

Di  questa  chiesa  e  dei  luoghi  ad  essa  cir- 
convicini noi  non  abbiamo  menzione  che  nel  se- 
colo decimo:  riporteremo  quindi  in  ordine  di 
tempo  i  brani  dei  documenti  che  ad  essa  si  ri- 
feriscono, facendoli  susseguire  da  alcune  osser- 
vazioni, che  non  reputiamo  affatto  inutili. 

Ann.  928.  Nel  Testamento  del  Vescovo  A- 
dalberto:  «  infine  quelle  case,  fondi  e  famiglie 
«  che  ho  in  Aulene  (ora  Oleno,  che  forma  co- 
fi  munita  con  Sforzatica):  quella  vigna  di  mia 
«  proprietà  che  ho  entro  la  città  di  Bergamo  nel 
«  luogo  detto  Montizello,  vicino  a  quella  torre 
«  che  chiamasi  di  Santa  Maria  ecc.  ecc.  (38).  » 

Ann.  982.  Tra  i  confini  di  un  campo  posto 
nelle  circostanze  di  S.  Tommaso  de' Calvi  (allora 
dello  Calfe),  e  che  forma  oggetto  di  una  per- 
muta, vi  ha:  «  da  sera  sancte  Marie  de  Turre  » 
(39)  cioè  una  proprietà  di  Santa  Maria  della  Torre. 

Anno  1049.  E  per  sorpassare  di  alcun  poco 
i  confini  dell'epoca  che  abbiam  preso  in  esame, 
in  una  permuta  del  Vescovo  Ambrogio  si  trova: 
«  una  pezza  di  terra  di  diritto  episcopale  e  che 
«  appartiene  alla  Cappella  di  Santa  Maria  che  si 
«  dice  della  Torre  (40).  » 

Sulla  posizione  di  questa  Cappella,  quanto  a 


27 
noi,  riteniamo  abbia  pienamente  cólto  nel  segno 
il  Lupi  quando  osservava  :  «  intorno  alla  Cap- 
«  pella  di  Santa  Maria  in  Torre  già  sopra  avver- 
«  timmo  doversi  stimar  quella,  che  in  un  anti- 
«  chissimo  calendario  viene  ricordata  in  questa 
«  guisa  :  ///.  Kalend.  Juniì.  Dedicatio  S.  Mariae 
«  Rosariae  in  Turre  :  quella  cioè  che  esiste 
«  ancora,  che  si  chiama  S.  Maria  di  Rosate  ed 
«  alla  quale  è  annesso  il  Monastero  delle  piissi- 
«  me  Clarisse  (41).»  Era  posta  adunque  ove  ora  è 
il  Liceo  nel  luogo  detto  di  Rosale;  il  che  basta 
per  rigettare  le  fole  di  cui  riboccano  gli  scrittori 
nostri  sulla  origine  di  questa  chiesa. 

Gli  indizi  datici  dalle  Carle  che  abbiamo 
citate,  benché  pochi,  meritano  uno  speciale  ri- 
guardo. E  dapprima,  quanto  al  nome  di  «  Torre 
«  di  Santa  Maria  »  assegnatole  nel  documento 
del  928,  noi  crediamo  che  sarà  stalo  nell'uso  di 
quel  tempo  di  attribuire  alle  torri  cittadine  qual- 
che appellativo,  sia  dalla  vicinanza  di  qualche 
Chiesa  o  di  qualche  illustre  casa,  sia  da  altra 
particolarità,  come,  a  cagion  d'  esempio,  nelle 
nuove  fortificazioni  vi  era  la  «  piattaforma  di 
S.  Grata  »  e  la  «  tanaglia  di  S.  Agostino;  » 
poi,  che  questa  torre  appartenesse  al  muro  citta- 
dino, si  persuaderà  chiunque  avendo  la  pazienza 
di  tener  dietro  alle  indicazioni  che  saremo  per 
dare  a  suo  luogo,  scorgerà  che  esso  muro  dovea 
passare  vicino  a  questa  chiesa.  11  documento  a* 
dunque  del  928  e  gli  altri  due   del    982   e  del 


28 

1049  come  pure  l'antichissimo  Calendario  citato 
dal  Lupi  si  illustrano  a  vicenda,  giacché  può 
benissimo  la  torre  cittadina,  dalla  vicina  cappella 
essere  stata  chiamala  «  torre  di  Santa  Maria  » 
come,  quella  chiesa  stessa,  a  differenza  dell'altra 
dello  stesso  nome,  di  cui  abbiamo  già  constatala 
la  esistenza,  può  aver  pigliato  il  suo  appellativo 
dalla  torre  che  pure  ad  essa  era  vicina.  Che  se 
del  resto  non  si  volesse  ammettere  che  questa 
chiesa  esistesse  fino  dal  nono  secolo  -  (al  che 
veramente  non  abbiamo  accennato,  e  sul  che  ef- 
fettivamente noi  non  insistiamo  gran  fatto,  per- 
chè non  v'hanno  argomenti  che  lo  confermino 
o  lo  rigettino,  né  ha  tale  importanza  che  meriti 
il  prezzo  di  porre  in  campo  sottili  investigazio- 
ni per  provare  una  cosa  che  torna  lo  stesso  la- 
sciarla in  dubbio)  -  vi  ha  tuttavia  nel  documen- 
to del  928  una  particolarità,  che  non  vogliamo 
intralasciare  di  far  notare,  ed  è,  che,  la  deno- 
minazione di  «  Monticello  »  data  al  luogo  dove 
erano  questa  chiesa,  questa  torre,  ed  il  vigneto 
ad  esse  contiguo,  non  parrà  strano  a  chiunque 
ponga  mente  (nonostante  i  grandissimi  mutamenti 
a  cui  andò  soggetta  questa  parte  della  città)  al 
pendio  che  separa  questa  chiesa  di  Rosate  (ora 
unita  al  Liceo)  dalla  vicina  basilica,  che  da  secoli 
si  chiama  Santa  Maria  Maggiore. 


29 
B.  CHIESE  ESTERNE. 

§.  \0.  Cattedrale  di  S.  Alessandro. 

(  V.  il  N.   i   della  Carta   Top.  z=  a  parte.  ) 

Questa  chiesa,  la  cui  posizione  è  ora  indi- 
cata da  una  colonna  in  principio  di  Borgo  Cana- 
le, era  nei  secoli  nono  e  decimo  fuori  delle 
mura,  come  deve  essere  stata  anche  prece- 
dentemente. È  bensì  vero  che  nel  Testamento 
del  gasindo  Tuidone  si  trova  scritto  :  «  la  basi- 
fi  lica .  ..  di  S.  Alessandro  entro  (intra)  questa 
«  città  di  Bergamo  (42),  »  ma  questa  asserzione 
merita  una  speciale  considerazione,  vale  a  dire, 
rende  necessario  che  noi  esponiamo  qualche 
nostro  dubbio  sul  significalo  secondo  il  quale 
va  accettala.  E  innanzi  tutto  per  la  tradizione, 
della  quale  troviamo  per  la  prima  volta  menzio- 
ne nel  citato  testamento,  la  quale  voleva  che 
questa  chiesa  fosse  stata  eretta  sul  luogo  ove 
era  stalo  sepolto  il  corpo  di  Alessandro,  e  la 
quale,  unita  al  fatto  che  i  cadaveri  si  seppelli- 
vano fuori  del  ricinto  cittadino,  ci  lascierebbe 
credere  che  fuori  di  esso  ricinto  dovea  trovarsi 
fin  dai  primordii  anche  questa  chiesa.  Ecco  ora 
lo  stato  delle  testimonianze  posteriori  all'anno  774: 

Ann.  816.  «  La  basilica  di  S.  Alessandro 
•  ove  riposa  il  suo  santo  corpo  vicino  al  muro 
«  della  città  di  Bergamo  (43).  » 


30 

Ann.  856.  «  La  chiesa  di  S.  Alessandro  sì* 
«  tuata  fuori  della  porta  vicino  al  muro  della 
a  città  di  Bergamo  (44).  » 

Ann.  856  bis  «  La  chiesa  di  S.  Alessandro 
«  posta  fuori  del  muro  della  città  di  Bergamo(45).» 

Ann.  901  circa  è  detta  :  «  vicino  alle  mura 
«  della  città  di  Bergamo  (46)»  e  così  di  seguito 
per  gli  anni  905,  908  e  915  ...  in  breve  per 
tutto  il  secolo  decimo  e  pei  susseguenti. 

Lo  slato  adunque  di  tutte  le  testimonianze 
e  induzioni  è  cosiffatto,  che,  cioè,  prima  dell'ot- 
tavo secolo  questa  chiesa  era  esterna,  e  così 
pure  nei  secoli  nono  e  decimo,  mentre  per  lo 
meno  nel  secolo  ottavo  parrebbe  che  fosse  rin- 
chiusa nel  ricinto  cittadino.  Ma  è  questo  appun* 
to  ciò  di  cui  non  sappiamo  capacitarci,  perchè 
noi  riteniamo  che  da  quella  parte  le  mura  non 
abbiano  mai  potuto  allargarsi,  appunto  perchè 
mancavano  le  due  ragioni  principali  per  le  quali 
ciò  potesse  succedere;  e  primamente,  non  per  la 
floridezza  ed  aumento  materiale  della  città,  in 
quantochè  tre  secoli  di  guerre,  di  invasioni, 
di  malcerti  dominii  e  di  spaventose  condizio* 
ni  economiche  erano  atti  più  a  far  ispopolare 
una  città  che  a  farla  rifiorire  —  e  noi  vediamo, 
per  citare  un  esempio  solo,  appunto  in  questa 
parte  della  città,  verso  la  metà  del  nono  secolo, 
non  rimanere  più  che  il  nome  dell'  edificio  del- 
l' anfiteatro  romano  ;  —  in  secondo  luogo  non 
per  ragione  di  difesa,  giacché  quanto  più  si  ad- 


31 

dossavano  al  colle  di  S.  Giovanni,  le  mura  si 
rendevano  difficili  alle  offese  nemiche  più  che 
se  non  fossero  slate  fondale  vicino  al  ripido  e 
sovrastante  pendio  del  monte  S.  Vigilio  (47).  È 
probabile,  almeno  a  nostro  vedere,  che  nel  te- 
stamento di  Tuidone  sia  incorso  un  lapsus  ca- 
lami, o,  quando  non  si  voglia  ammettere  ciò, 
non  sarebbe  lontano  dal  vero  il  ritenere,  che, 
senza  dover  pigliare  alla  lettera  la  frase,  si  vo- 
lesse indicare  quella  di  S.  Alessandro  come 
chiesa  cittadina  in  antitesi  alle  molte  altre  no- 
minale in  quel  documento  che  erano  sparse 
nel  nostro  ed  in  altri  contadi.  Che  il  «  prope 
muro  »  della  caria  dell'anno  816  si  debba  in- 
tendere dalla  parte  esterna  del  recinto,  resta 
provato  dall'  uso  linguistico  di  quell'epoca,  giac- 
ché la  chiesa  di  S.  Lorenzo,  la  quale,  come  ve- 
dremo, era  notoriamente  ed  incontrastabilmente 
fuori  della  città,  nel  879  era  detta  «  prope  mu- 
«  ro  civitate  Bergamo  (48),  »  mentre  invece  le 
chiese  di  S.  Giovanni  e  di  S.  Matteo  che  erano 
vicinissime  alle  mura  della  città  slessa,  ma  dalla 
parte  interna,  in  documenti  del  809  e  del  1110 
son  delle,  l'una:  «  infra  hac  civitate  Bergamo  » 
l'altra:  «  edificata  intra  civitate  Bergomi  (49).  » 
Si  noli  pur  anco  che,  volendo  accettare  alla 
lettera  il  senso  dato  dai  nostri  documenti,  la 
esclusione  di  questa  chiesa  dal  recinto  cittadino 
avrebbe  dovuto  succedere  tra  1'  anno  774  e  il 
816:  ma,  anche   prescindendo   dalle   considera- 


32 

zioni  falle  più  sopra,  prescindendo  dalle  condi- 
zioni del  luogo,  le  quali,  come  già  avvertimmo,  por- 
tavano che  le  mura  riuscissero  meglio  difendi- 
bili quanto  più  si  addossavano  al  colle  di  S. 
Giovanni,  vi  ha  una  testimonianza  sincrona  alla 
presa  di  Bergamo  per  opera  di  Arnolfo  nel  894, 
la  quale,  dalla  parie  appunto  del  Castello  donde 
mosse  F  attacco,  fa  menzione  di  un  «  muro  an- 
«  ticamenie  fondalo  (50):»  e  che  tale  potesse  chia- 
marsi un  muro  innalzalo  non  più  di  un  secolo 
innanzi;  che,  dopo  non  più  di  un  secolo,  un 
muro  di  una  fortezza  potesse  appena  reggere 
per  poche  ore  ad  un  primo  assalto,  quanto  a 
noi  noi  possiamo  credere  tanto  facilmente.  Per 
il  che  noi  qui  ci  discostiamo  a  malincuore  dal 
parere  del  chiarissimo  Lupi  —  seguilo  alla  let- 
tera dal  Ronchetti  (51) —  di  ammettere  alternati 
allargamenti  e  restringimenti  delle  mura  cittadine 
per  far  concordare  la  testimonianza  del  774  col- 
le posteriori,  e  colle  induzioni  che  essi  stessi 
ammisero  per  un'epoca  assai  anteriore  a  quella  (52): 
ma  quand'anche  il  compilatore  del  testamento  di 
Tuidone  non  abbia  erralo,  quand'  anche  abbia 
usala  la  parola  «  intra  »  nel  suo  più  stretto 
significalo,  quand'anche  le  sagacissime  supposi- 
zioni del  nostro  Lupi  siano  vere,  pel  nostro  as- 
sunto però  ci  basti  sapere,  che  tutte  le  più  con- 
cordi ed  incontrovertibili  testimonianze  ci  accer- 
tano, che  questa  basilica,  nei  secoli  nono  e  de- 
cimo, era  fuori  delle  mura  cittadine. 


33 
Vi  ha  un'  altra  quistione  la  quale^  sebbene 
strettamente  non  si  connetta  coir  assunto  no- 
stro, è  necessario  che  sia  posta  in  luce  per 
giustificare  se  non  altro  in  qualche  modo  il  ti- 
tolo di  cattedrale  attribuito  a  questa  chiesa 
in  principio  del  presente  paragrafo.  La  poseremo 
in  due  parole,  giacché  è  già  stala  pienamente 
risolta  dal  Lupi.  Abbiamo  già  accennato  in  prin- 
cipio di  questo  scritto  ad  alcune  dissenzioni  fra 
i  canonici  di  S.  Alessandro  e  quei  di  S.  Vincen- 
zo (v.  sopra  §.  1).  Che,  in  un'  epoca  anteriore 
alla  nostra,  la  chiesa  di  S.  Vincenzo  fosse  stata 
la  sola  cattedrale  e  matrice  delle  altre  chiese  è 
molto  dubbio:  e  primamente  perchè  anche  3, 
Alessandro,  come  vedremo,  aveva  il  collegio  dei 
canonici,  che  cogli  altri  formavano  il  clero  mag- 
giore della  città  :  il  che,  per  quanto  si  voglia 
esser  ampli  nelle  deduzioni,  è  però  sempre  un 
argomento  di  dignità  maggiore  di  questa  chiesa 
per  rispetto  alle  altre,  e  di  un  certo  uguaglia- 
mento di  essa  colla  cattedrale  :  in  secondo  luogo 
perchè  la  più  alta  antichità  della  chiesa  di  S. 
Alessandro,  ed  il  fatto  di  essere  stata  questa  — 
almeno  si  riteneva  per  certo  —  fondata  sul  luo- 
go dove  fu  sepolto  quel  martire,  doveano  con- 
correre a  farvi  porre  la  sede  episcopale;  e  che 
là  fosse  in  origine,  lo  indurremmo  dalle  appel- 
lazioni che  sempre  furono  in  uso  di  «  vescova- 
ti do  di  S.  Alessandro  »  e  di  «  vassalli  di  S. 
«  Alessandro  »   per  indicare  i  vassalli  del  vesco- 

3 


34 

vo  (53).  Questa  dupplicità  di  cattedrali  non  era  nuo- 
va neir  Italia  langobarda,  ed  il  sagacissimo  Lu- 
pi, applicando  alla  interpretazione  di  questo  fat- 
to un  passo  di  Paolo  Diacono  (54),  dal  quale  noi 
sappiamo  che  quasi  in  ciascuna  città  vi  erano 
due  vescovi,  uno  Ariano,  e  l'altro  Cattolico,  e  che 
per  conseguenza  vi  saranno  state  due  cattedrali 
per  le  due  diverse  credenze  che  esistevano  l'una 
accanto  all'altra,  argomentò  giustamente,  che 
presso  la  Basilica  Alessandrina  risiedesse  il  ve- 
scovo cattolico,  presso  la  Vincenziana  Y  Ariano. 
Ne  indusse  quindi,  che,  convertiti  i  Longobardi, 
per  esser  la  chiesa  di  S,  Vincenzo  posta  nel 
centro  della  città,  per  una  certa  deferenza  ai 
dominatori,  colà  si  trasportasse  anche  la  sede 
vescovile:  il  fonte  battesimale  posto  nella  vicina 
Basilica  di  S.  Maria  servisse  per  la  città  e  suo 
circondario:  mentre  per  lo  contrario,  nella  chie- 
sa di  S.  Alessandro  per  rispetto  alla  sua  anti- 
chità ed  al  suo  titolare  soltanto  le  insegne  di 
cattedrale  venissero  conservate  (55). 

Comunque  si  sia,  noi  abbiamo  già  detto 
ove  si  trovava  questa  basilica:  una  colonna  di 
pietra  (che  è  segnata  sulla  nostra  carta  =  a  parte 
=  al  N.  1)  ne  indica  il  luogo  in  modo  indubi- 
tato. Per  voler  dire  alcunché  di  questa  chiesa, 
noi  non  possiamo  rapportarci  che  agli  scrittori 
che  ci  precessero.  Ma  è  necessario  innanzitutto 
avvertire  due  fatti.  Il  primo,  che,  in  occasione 
della  presa  della  nostra  città  per  opera   di   Ar- 


35 
nolfo,  pare  indubitato  elio  anche  la  chiesa  di  S. 
Alessandro  abbia  sofferto  gravissimi  danni.  L'as- 
salto, che  era  mosso  dalla  parte  del  monte  S, 
Vigilio,  la  rovina  di  una  parte  del  muro  citta- 
dino, il  furor  soldatesco  che  non  risparmiò  niun 
luogo  sacro  o  profano,  erano  cause  più  che  suf- 
ficienti perchè  non  pochi  guasti  venissero  recali 
a  questa  chiesa.  E  di  questo  fallo  ne  rimase  co- 
stante tradizione,  sebbene  i  nostri  scrittori,  in- 
dotti in  errore  da  non  sinceri  documenti,  e  dif- 
fetlando  di  critica,  ne  esagerassero  i  danni  e  ne 
errassero  l'epoca.  Il  secondo  fatto  è,  che  nel 
1561,  quando  si  diede  principio  alla  nuora  for- 
tificazione, con  tanta  fretta  si  pose  mano  alla 
demolizione  di  questa  chiesa,  che  non  si  poterò- 
.  no  salvare  che  le  reliquie,  trasportale  nella  cat- 
tedrale di  S.  Vincenzo  :  il  resto  andò  disperso, 
perduto,  come  suole  avvenire  in  siffatle  circo- 
stanze. Tuttavia  per  adempiere  in  qualche  modo 
all'  assunto  nostro,  non  sarà  discaro  che  ripor- 
tiamo qualche  passo  del  Lupi  e  di  altri  nostri 
scrittori  riguardante  questo  edificio. 

Il  Lupi  (dopo  avere  espressa  la  opinione  che 
questo  tempio  fosse  fondato  nel  IV  secolo,  dopo  che 
Costantino  ebbe  dato  pace  alla  chiesa ,  ed  in  seguilo 
alle  sue  ordinanze ,  perchè  con  ogni  diligenza  e 
cura  si  riparassero  i  luoghi  destinati  al  culto,  si 
ingrandissero,  ovvero  se  ne  innalzassero  di  nuovi) 
pensa  che  la  nuova  fabbrica  possa  essersi  giovata 
anche  delle  imperiali  elargizioni  stabilite  a  questo 


36 

scopo.  «  cosi  che  allora  primamente,  egli  scrive, 
«  e  non  dopo  (  come  pensa  Pinamonte  )  fu  ri- 
«  dotta  a  quella  magnificenza  ed  a  quello  splen- 
«  dorè  che  colla  bellezza  degli  ornali  corrispon- 
«  desse  alle  cure  imperiali,  e  in  fine  la  feceam- 
«  mirata  dai  posteri:  e  questo  mi  sembra  ac- 
«  cerlato  dalle  molte  colonne  di  marmi  prezio- 
«  sissimi  e  pellegrini  sulle  quali  poggiava  il 
«  tempio  prima  che  nel  '1561  fosse  distrutto, 
«  imperocché  palesano  liberalità  e  spesa  da  im- 
«  peratore,  e  ne"  secoli  posteriori,  come  avvisa- 
«  no  gli  eruditi,  non  si  potevano  facilmente 
«  procacciare.  Anzitutto  accusano  la  medesima 
«  antichità  gli  epistilii  delle  colonne  stesse  fcg- 
«  giati  alla  maniera  elegante  di  quella  prisca 
«  architettura  che  già  nel  quinto  secolo  inclinò 
«  alla  barbarie;  ad  ogni  modo  non  si  possono 
«  attribuire  né  al  decimo  secolo,  in  cui  vuoisi 
«  ristaiiralo  dal  vescovo  Adalberto,  né  al  cleci- 
«  moquinto  in  cui  fu  dai  canonici  ornato;  quel- 
«  lo  poi  che  nei  secoli  successivi  fu  per  la 
«  maggior  parte  fatto,  non  a  volta,  ma  a  palco, 
«  credo  abbiasi  a  riferire  ai  ristauri  fatti  da 
«  Adalberto  dopo  le  ruine  e  le  devastazioni  pa? 
«  lite:  perciò  non  rettamente  un  autore  Bollan- 
te dista,  seguito  dissennatamente  nell'opuscolo 
«  manoscritto  sopra  nominato,  dubitò  dell' anli- 
«  chissima  sua  costruzione.  (56)»  Ed  in  altro  luogo, 
parlando  ancora  dello  stesso  argomento,  fa  que? 
sle  osservazioni   a   conferma    delle    precedenti  ; 


«  Allorquando  nciranno  15G1  la  chiesa  Alessan- 
«  drina  fu  atterrata,  restavano  ancora  molti  se- 
«  gnì  dell'  antichissimo  splendore  e  della  roma- 
«  na  magnificenza;  e  testimoni!  avveduti,  i  quali 
«  scrivevano  mentr'  era  ancora  in  piedi,  affer- 
«  mano  che  rendeva  immagine  dell'  antichissima 
«  basilica  Costantiniana  della  città  di  Roma.  (57)» 
Pigleremo  dallo  slesso  altre  notizie  affine 
di  completare  maggiormente  questo  subbietto. 
Egli  scrìve:  «  Adalberto  pertanto,  magnanimo  e 
«  munificentissimo  antistite.,.,  sludiosissima- 
«  mente  e  con  grandi  spese  ebbe  cura  di  ripa- 
«  rare  e  di  ornare  V  antichissimo  e  magnifico 
«  tempio  di  S.  Alessandro  crollante,  e,  come 
«  dimostrai,  nella  espugnazione  della  città  per 
<(  opera  di  Arnolfo  in  parte  diruto  ed  abbrucia- 
«  to.  Quindi  sopra  I'  epistilio  di  una  delle  mi- 
«  neri  parti  del  tempio  fu  posta  ia  marmorea 
«  immagine  dello  stesso  vescovo,  e  solf  essa, 
«  sul  medesimo  epistilio  furono  incisi  questi 
«  versi  : 
«  Quisquis  Alexandri  properas  ad  limina  Sancii 
«  Semper  Adelberti  praesulis  esto  memor.  » 
«  Vi  coslrusse  inoltre  la  cripta,  o,  come  si  di- 
«  ceva,  la  Confessione,  ed  in  essa  trasportò  ed 
«  onorevolmente  con  grande  solennità  collocò  il 
«  corpo  del  gloriosissimo  martire  Alessandro,  e, 
«  coni'  è  assai  verisimile,  le  reliquie  dei  due 
«  primi  vescovi:  e  questo  luogo  fu  pure  dal 
«  Guarnerio,  oculato  testimonio,  descritto    nella 


3S 

«  vita  di  Adalberto:  egli  vivea  prima  che  queHa 
«  celebre  basilica  nel  1561  venisse  rasa  dalle 
«  fondamenta  tanto  miseramente.  In  quella 
«  parte  del  tempio,  egli  dice,  che  guarda  ad 
«  oriente  vi  era  il  maggiore  altare  di  magnifico 
«  lavoro,  e  circondato  da  una  parete,  ed  ivi  sta- 
ff vano  i  canonici  quando  recitavano  le  solite 
«  preci  e  le  laudi  divine;  era  chiamato  Coro. 
«  Abbassalo  sotto  questo  altare  di  sette  piedi  e 
«  fatto  a  volta  vi  era  un  altro  luogo,  che  in 
«  lunghezza  misurava  quaranta  piedi,  in  larghez- 
«  za  sette.  Questo  si  chiamava  Confessione.  Ivi 
«  coir  intervento  di  Re  Berengario  furono  con 
«  grande  venerazione  trasportate  e  nposle  fé  re- 
«  fiqaie  di  uomini  santi:  nel  destro  lato  è  col- 
«  locato  Narno,  nel  sinistro  Viatore,  nel  mezzo  poi 
«  è  posto  S.  Alessandro  patrono  e  custode  (58).» 
La  chiesa  era  pertanto  volta  verso  oriente;  essa 
era  costrutta  a  tre  navi,  e  sei  colonne  di  finis- 
simi marmi,  delle  quali  il  Lupi  potè  vedere  gli 
avanzi,  ne  sostenevano  la  volta.  Il  tipo  dell'  an- 
tica facciata  di  questa  chiesa  si  trova  unito  alle 
opere  dei  Pellegrino,  del  Celestino  e  del  Calvi, 
e  quello  rappresenta  meglio  che  a  parole  quale 
ne  era  P  aspetto  esteriore  per  lo  meno  poco  pri- 
ma della  sua  distruzione  ;  in  conseguenza  di  ciò 
abbiamo  reputato  anche  noi  necessario  di  unirlo 
alla  presente  operetta  insieme  al  disegno  di  un» 
antica  moneta  bergamasca,  nella  quale  forse  si  è 
immaginato  di  rappresentare  quel  tempio  sorgen- 
te sopra  le  mura  cittadine. 


39 
|  11.  Chiesa  di  S.  Pietro. 

Il  testamento  più  volte  citato  di  Tuidone 
nel  774  ci  porge  sicura  notizia  di  una  chiesa  od 
oratorio  dedicalo  a  S.  Pietro  e  contiguo  affatto 
alla  basilica  di  S.  Alessandro  colle  seguenti  pa- 
role: «  la  basilica...  del  beatissimo  martire  ed 
•  apostolo  S.  Pietro  (posta)  entro  la  Corte  di 
t  S.  Alessandro  (59)  ».  Siccome  perle  leggi  stesse 
di  Costantino  alle  maggiori  Chiese  andavano  an* 
nessi  degli  edifiej,  che  si  chiamavano  «  domus 
ecclesiae  »  (60),  e  siccome,  trattandosi  di  edifici, 
nell'uso  linguistico  delle  nostre  carte,  la  «  Cur- 
«  tis  »  è  quello  spazio  scoperto,  che  si  trova  in 
essi,  né  più  né  meno  dei  nostri  «  corte  »  o 
«  cortile  »,così  si  potrà  comprendere  in  qualche 
modo  dalle  indicazioni  di  Tuidone  in  quale  con- 
nessione topografica  stesse  questa  piccola  chiesa 
colla  maggiore  di  S.  Alessandro.  Essa,  ampliata 
poi  nel  1495,  fu  distrutta  nel  1529,  in  occasio- 
ne dell'  innalzamento  di  certe  fortificazioni  alle 
quali  era  vicina.  Questa  chiesa  ci  serve  anche  di 
termine  di  confronto  per  ammettere,  come  ab- 
biamo fatto,  la  esistenza  della  Basilica  di  Santa 
Maria  ed  il  suo  stretto  rapporto  coll'attigua  Cat- 
tedrale di  S.  Vincenzo  (61). 

|  12.  Santa  Grata  inter-vites. 

Di  questa  Chiesa,  posta  fuori  della  Città,  ed 
ora  parrocchia    del    Borgo  Canale,  si   ha   sicura 


40 

memoria  nel  testamento  di  Tuidone,  più  volte 
citato,  dell'anno  774,  nel  quale  si  legge:  «  la 
«  basilica  della  beatissima  S.  Grata  ove  riposa  il 
«  di  lei  corpo,  e  che  è  vicina  alla  Città  di  Ber- 
«  gamo  » .  In  esso  si  legano  a  questa  Chiesa  dei 
fondi  posti  nel  contado  Bresciano.  Altra  menzio- 
ne di  essa  abbiamo  nel  879  come  confinante  per 
alcune  sue  proprietà,  insieme  alla  Chiesa  ora 
detta  di  S.  Martino  della  Pigrizia,  con  «  una  pezza 
«  di  terra  a  vile..,  posta  nelle  circostanze  di 
«  (borgo)  Canale,  nel  luogo  dello  Teuderata.  » 
Rimettiamo  per  tutto  ciò  e  per  Y  epoca  della 
esistenza  di  S.  Grata,  ai  luoghi  qui  citali  (62). 

|  13.  S.  Lorenzo. 

(V.  il  N.    i3  della   Caria   Top.) 

La  prima  menzione  di  questa  Chiesa  è  sot- 
to il  regno  di  Ariberto,  che,  anche  ammettendo 
sia  il  secondo  di  questo  nome,  devesi  quindi 
porre  necessariamente  tra  gli  anni  701  e  712. 
In  seguilo  viene  essa  ricordata  nel  755  in  un 
diploma  di  re  Astolfo  che,  confermando  la  con- 
cessione fatta  a  questa  Chiesa  di  una  casa  tri- 
butaria posta  in  Calcinate,  ha  quindi  dovuto 
accennare  al  «  praeceptum  »  di  Ariberto,  che  è 
perduto  e  che  noi  non  conosciamo  che  per  la 
menzione  fatta  dal  suo  successore.  Nel  diploma 
del  755  la  posizione  di  questa  Chiesa  è  benissimo 


41 

delineata  dalle  seguenti  parole,  vale  a  dire  :  «  la 
«  basilica  di  S.  Lorenzo,  beatissimo  Levita  e  mar- 
«  tire  di  Cristo,  posta  fuori  delle  mura  della  no- 
ci stra  fortezza  (castri)  di  Bergamo.  »  Nella  Car- 
ta del  879  questa  Chiesa  è  detta  «  vicina  alle 
mura  della  Città  di  Bergamo;  »  e  sebbene  un 
po'  tarda,  può  giovare  nullameno  una  testimo- 
nianza dell'anno  1044,  secondo  la  quale  questa 
Chiesa  era  «  fuori  ma  non  mollo  lontana  dalla 
«  stessa  città  di  Bergamo.  »  Fu  atterrala  anche 
essa  in  occasione  dell'  innalzamento  delle  nuove 
mura  e  slava  in  fianco  all'attuale  porta  cittadina 
che  da  essa  ebbe  il  nome  (63).  È  questa  senza 
dubbio  la  chiesa  di  cui  abbiamo  la  più  antica  e 
la  più  sicura  menzione. 

|  14.   S.  Andrea. 

(Y.   il  N.    i4  della    Carla    Top) 

Tutto  quello  che  possiamo  dire  di  questa 
chiesa  è,  che  di  essa  abbiamo  memoria  sotto 
l'anno  785,  in  occasione  della  vendita  fra  privati 
di  un  piccolo  vigneto  ad  essa  vicino.  Merita  di 
essere  riportato  il  brano  del  documento  che  la 
riguarda,  giacché  da  esso  si  comprende  di  leg- 
geri che  questa  chiesa  era  fuori  del  ricinto  ciU 
tadino.  «  A  te  Guidoaldo,  che  abili  fuori  ma  vi- 
«  cino  alla  Città  di  Bergamo  presso  la  basilica 
«  di  S.  Andrea,  (vendo)  la  mia  porzione  di  una 


42 

«  vignetta  (viticellas)  che  posseggo  sotto  il  mu- 
«  ro  di  questa  Città.  »  Questa  testimonianza  ci 
riuscirà  preziosissima  quando  cercheremo  di  de- 
terminare più  precisamente  il  circuito  delle  vec- 
chie mura  cittadine  (64). 

|  15.  S.  Michele  al  Pozzo  Bianco. 

{  V.  il  N.    i5  delia   Carta    Top.) 

Ancora  nell'insigne  testamento  di  Tuidone 
del  774  noi  troviamo  il  primo  ricordo  di  questa 
Chiesa.  Inutile  dire  che  dovea  essere  esterna 
dacché,  come  vedemmo,  Io  era  anche  quella  di 
S.  Andrea,  e  la  testimonianza  che  noi  arrechia- 
mo, tratta  da  quel  documento,  lo  prova  lumino- 
samente: «  la  basilica  del  beatissimo  S.  Arcan- 
ti gelo  Michele  fuori  delle  mura  delia  città  di 
«  Bergamo.  >  La  prima  volta  in  cui  si  trova 
contraddistinta  questa  chiesa  coir  epiteto  «  del 
Pozzo  »  è  nelT  anno  905,  ma  ciò  non  toglie 
che  T  abbia  portato  anche  assai  tempo  prima, 
cioè  nel  secolo  nono.  La  carta  del  1075,  sebbene 
d'alcun  poco  posteriore  ai  limili  di  tempo  im- 
postici in  questo  lavoro,  merita  tuttavia  uno 
speciale  ricordo,  perchè  ci  fa  conoscere  in  qual- 
che modo  i  contorni  di  questa  chiesa  colla 
rispettiva  denominazione.  Eccone  il  brano.  Si 
tratta  di  una  permuta  di  terreni  fra  il  Ve- 
scovo   Aitone    ed    il   cittadino    Adalberto.    Pel 


43 

primo   Àltone  diede  a  questi   «  un   vigneto  di 
«  diritto  dello  slesso  Vescovado  e  che   appartie- 
«  ne  alla  cappella  di  S.  Michele  detta  del  Pozzo  (de 
«  Puzo),  il  qual  vigneto  è  posto  fuori  e  vicino 
«  alla  città  di  Bergamo  presso    la  stessa    chiesa 
«  di  S.  Michele  nel  luogo  che  si  chiama  Monli- 
«  cello...  ed  è   per  giusta   misura   cento    tavole 
«  legittime.  »  Vi  erano  adunque  attorno  a  que- 
sta Chiesa  delle  vigne,  presso  a  poco  come  ora, 
e  la  località  in  cui  è  posta  non  potevasi  meglio 
indicare  che  col  nome  di   «  Monlieello  »  giacché 
forma  un  piccol  colle  a  sé,  che  si  stacca  dal  vi- 
cin  colle  di  S.  Eufemia  (65). 

(a)  MONASTERI  E  CHIESE  ANNESSE. 
§.  16.  Monastero  e  Chiesa  di  S.  Salvatore. 

(V.   il  A7.  8  della   Carta    Top.) 

Questo  monastero  ebbe  probabilmente  ori- 
gine sul  finire  del  Regno  longobardo  (66).  Il  Lupi 
suppose  con  qualche  probabilità  che  il  monaco 
Maginardo,  spedito  dal  vescovo  Aganone  di  Ber- 
gamo a  quello  di  Brescia  perchè  fosse  fatto  aba- 
te del  monastero  di  S.  Faustino,  appartenesse 
appunto  al  monastero  di  S.  Salvatore,  che  si  po- 
trebbe supporre  contiguo  al  vescovado  dalla  e- 
spressione  usata  nella  lettera  d'  accompagnamen- 
to dell'  anno  841  :  «  imperciocché  dalla  di  lui 
«  (di  Maginardo)  compagnia  ritraevamo  non  piceo- 
«  lo  diletto  (67);  »  il  quale  argomento  è  lutt'altro 


44 

che  fortissimo,  sebbene  non  esistano  neppure 
delle  prove  per  rigettare  l'antica  esistenza  di  que- 
sto monastero.  Nell'anno  89S  il  Re  Arnolfo  con- 
cesse al  vescovo  Adalberto  ed  alla  Chiesa  Bergo- 
mense  «  il  monastero  di  S.  Salvatore  posto  nella 
«  medesima  città  vicino  alla  cappella  di  S.  An- 
«  tonino  (68).  »  Quantunque  vi  sia  molta  pro- 
babilità che  fosse  posto  nel  luogo  ov'è  ora  la 
chiesa  di  egual  nome,  nullameno  non  vi  sono 
prove  per  accertarlo,  e  la  stessa  indicazione  da- 
taci dal  diploma  di  Arnolfo  è  tult' altro  che  con- 
cludente, giacché  ignoriamo  perfettamente  la  po- 
sizione della  cappella  di  S.  Antonino  ivi  nomi- 
nata. Per  il  che  qui  noi  lasciamo  la  cosa,  come 
è,  affatto  incerta,  bastandoci  l'averne  affermata 
1'  esistenza  in  questo  secolo.  Neil'  anno  901  Lo- 
dovico III.  confermò  ad  Adalberto  la  concessione 
di  questo  «  monasterio  posto  entro  la  medesima 
«  città,  e  dedicato  in  onore  di  S.  Salvatore  (69).  » 
Nel  911  poi  abbiamo  memoria  di  una  permuta 
falla  fra  il  vescovo  Adalberto  ed  un  certo  Gio- 
vanni figlio  di  Randigone  milanese,  colla  quale 
questi  riceve  una  quantità  di  beni  posti  in  Cor- 
singo,  che  appartenevano  alla  basilica  di  S.  Salva- 
tore, la  quale  era  forse  unita  al  monastero  (70). 
Ma  le  considerazioni  che  fa  il  Lupi  nel  vedere 
in  questo  documento  nominata  la  sola  basilica 
meritano  di  essere  qui  riportate,  «  Neil'  antece- 
«  dente  volume,  egli  scrive,  fu  pubblicato  un 
«  diploma  di  Re  Arnolfo  col  quale  si  donava  al 


15 

«  vescovo  Adalberto  il  monastero  S.  di  Salvato- 
«  re,  al  principio  poi  di  questo  un  altro  diplo- 
«  ma  di  Lodovico  imperatore,  col  quale  si  con- 
«  ferma  quella  donazione:  credo  che  in  questa 
«  permula  si  tratti  di  poderi  ad  essa  spellanti. 
«  Ma  non  si  chiama  più  monastero,  sibbene  ba- 
«  silice.  Sarei  per  affermare  pertanto  che  fin  da 
«  quando  questo  monastero  fu  assegnato  al  vesco- 
«  vado  fosse  quasi  vuoto  di  monaci,  ovvero,  che  in 
«  questo  tempo  fosse  slato  dagli  stessi  inlera- 
«  mente  abbandonato;  perciò  si  appella  non  più 
«  monastero  ma  soltanto  basilica.  Del  resto  vi  era 
«  anticamente  in  Bergamo  un'altra  basilica  sotto 
«  il  titolo  di  S.  Salvatore,  la  quale  forse  spet- 
«  tava  ugualmente  al  vescovado  per  diritto  di 
«  proprietà  insieme  co'  suoi  possessi  come  lo 
«  dichiara  questa  forinola  :  »  la  quale  basilica  è 
«  noto  essere  posta  sotto  la  potestà  della  chiesa 
«  bergomense  e  dell'episcopato:»  ed  indi  «  del- 
«  la  detta  basilica  di  S.  Salvatore  e  del  mede- 
«  simo  Episcopato  e  chiesa  bergomense  (71).  » 
Nel  1136  il  vescovo  Gregorio  donò  ai  mo- 
naci di  Vali'  Alta  la  cappella  di  S.  Salvatore  con 
tutte  le  sue  possessioni  (72). 

|  17.  Monastero  e  Chiesa  di  S.  Michele. 

(V,  il  N.  9  della   Carta   Top.) 

Lungo   lutto   il  secolo  nono   non    abbiamo 
memoria  del  Monastero  posto  sotto  questo  titolo, 


46 

ina  sibbene  della  sola  Chiesa.  Però  nei  primi 
anni  del  seguente,  cioè  nel  905,  trattandosi  dei 
confini  di  un  pezzo  di  terra  a  vite  contiguo  alla 
Citlà,  si  nomina  anche  una  «  proprietà  di  S.  Mi- 
«  chele  del  Monastero  nuovo  (73)  ».  L'uso  dei 
Langobardi  di  dedicare  di  preferenza  a  S.  Michele 
le  loro  chiese  lascerebbe  supporre,  che  anche 
questa  abbia  potuto  avere  origine  durante  la  loro 
denominazione:  ma  che  ad  essi  spelli  pure  la  fon- 
dazione del  Monastero,  come  riterrebbe  il  Ron- 
chetti (74),  noi  crederemmo,  giacché  ci  parrebbe 
difficile  lo  spiegare  ancora  dopo  un  secolo  e 
mezzo  l'appellativo  di  «  Monastero  nuovo  »  attri- 
buito a  questo  solo,  mentre  per  l'identica  ragione 
si  sarebbe  forse  potuto  dare  a  quello  di  S.  Sal- 
vatore e  di  S.  Maria:  poi  sta  il  fatto  che,  nell'at- 
to di  costituzione  della  Canonica,  troviamo  a  set- 
tentrione di  essa  «  una  terra  di  S.  Michele  (75)  » 
senz'altro  distintivo,  il  che  basta  per  lasciarci 
supporre  che  sia  la  chiesa  di  cui  trattiamo  at- 
tualmente, non  la  esterna  delta  «  del  Pozzo  »  la 
quale,  come  vedemmo,  otto  anni  più  lardi  portava 
già  il  titolo  «  de  Puleo  »,  e  che  con  questo  o 
con  altro  distintivo  non  si  sarebbe  mancato  di 
indicarla,  molto  più  trovandosi  vicinissima  al 
luogo,  del  quale  si  descrivevano  i  confini,  una 
chiesa  omonima,  e  polendovi  essere  interesse  a 
che  le  due  chiese  non  venissero  insieme  confu- 
se. Per  combinare  meglio  la  cosa  si  può  ammet- 
tere bensì  che  la  chiesa  abbia  potuto   avere  ori- 


47 

gine  al  tempo  longobardo,  mentre  il  monastero 
ad  essa  congiunto  può  benissimo  essere  stalo 
fondato  sul  finire  del  secolo  nono  o  sul  principio 
del  seguente.  È  poi  degno  di  nota,  che  sebbene 
si  supponga  che  questa  chiesa  si  chiamasse  «  San 
Michele  dell'Arco  »  da  un  arco  di  Nerone  che 
dovea  essere  là  vicino,  tuttavia  questa  distintiva 
appellazione  non  compare  che  nei  nostri  Statuti 
e  quindi  nel  secolo  decimoquarto  (76;;  men- 
tre nel  987  si  chiamava  semplicemente  «  S.  Mi- 
chele: »  in  principio  del  secolo  decimo,  per  di- 
stinguerla dal  S.  Michele  del  Pozzo  bianco  si  ap- 
pellava, come  vedemmo,  «  S.  Michele  del  Mona- 
stero nuovo  »:  oppure  nel  secolo  undecimo  so- 
lamente «  Monastero  di  S.  Michele  (77):  »  il  che 
però  abbiamo  voluto  semplicemente  notare  per 
debito  di  cronisti,  e  null'allro,  perchè,  a  dire  il 
vero,  non  potrebbe  esser  forse  argomento  suffi- 
ciente a  voler  infirmare  del  lutto  quella  creden- 
za. Ravvicinando  pertanto  i  due  documenti  del 
897  e  del  905,  ponendo  mente  in  quest'  ultimo 
alla  espressione  «  S.  Michele  del  Monastero  nuo- 
vo »  che,  quando  le  nostre  induzioni  fossero  on- 
ninamente erronee,  avrebbe  per  lo  meno  dovuto 
suonare;  «  nuovo  Monastero  di  S.  Michele  », 
crediamo  si  confermi  quanto  abbiamo  più  sopra 
ammesso,  cioè,  che  la  Chiesa  di  S.  Michele  ab- 
bia bensì  potuto  essere  stala  fondala  all'  epoca 
langobarda,  ma  che  il  monastero  sia  stato  an- 
nesso più  tardi,  cioè»  secondo  un   possibile  rav- 


48 

vicinamenlo  dei  due  citali  documenti,  tra  Tanno 
897  ed  il  905.  La  comparazione  poi  dei  docu- 
menti del  905  e  del  1051  mette  fuori  di  dubbio 
d'altra  parte  che  nell'uno  e  nell'altro  si  tratti  di 
una  stessa  chiesa,  di  quella  che  nei  secoli  più 
tardi  die  nome  ad  una  piccola  piazza  la  quale  fu 
come  il  nucleo  della  spaziosa  Piazza  vecchia 
ora  Garibaldi. 

§18.  Monastero  Vecchio  di  S.  Maria. 

(V,  il  N.    io  deità   Carta    Top) 

Qui  dobbiamo  procedere  in  senso  contrario 
di  quello  che  abbiam  fatto  nel  precedente  para- 
grafo. Là  dall'aggiunta  di  «  Monastero  nuovo  » 
alla  Chiesa  di  S.  Michele  abbiamo  indotto  che 
mentre  la  Chiesa  poteva  esistere  dall'epoca  Lan- 
gobarda,  il  monastero  dovea  esserle  stalo  u- 
nito  sui  finire  del  nono  o  sul  cominciare  del 
susseguente  secolo  :  qui  dal  vedere  lungo  il  se- 
colo decimo  attribuito  al  monastero  di  S.  Maria 
il  titolo  di  «  vetere  »  noi  siamo  indotti  ad  am- 
mettere per  esso  un'antichità  assai  più  alta  di 
quella  in  cui  per  la  prima  volta  ne  appare  la 
menzione.  E  per  cominciare:  nella  vendita  di  un 
prato  vicino  al  Brembo  fatta  nel  911  troviamo 
senz'altro  tra  i  confinanti  anche  il  «  Monastero 
di  S.  Maria  »  che  certo  dovea  essere  quello  di  cui 
ora  trattiamo;  ad  ogni  modo  ventisene  anni  do* 


49 

pò,  cioè  nel  938  troviamo  accennata  una  «  vigna... 
«  posta  sul  monte  della  stessa  città  di  Bergamo, 
«  nel  luogo  detto  sotto  il  Monastero  nomalo  di 
«  S.  Maria,  e  che  appellasi  vecchio:  »  e  tra  i 
confinanti  vi  ha  «  a  sera  una  proprietà  dello 
«  stesso  monastero  di  S.  Maria,  a  settentrione  il 
«  muro  della  città:  »  nel  953  abbiamo  identiche 
indicazioni:  nel  1000  Giovanni  prete  lega,  fra 
altri  beni,  alla  Canonica  di  S.  Vincenzo:  «  entro 
«  !a  stessa  città  di  Bergamo  un  pezzo  di  terra 
«  su  parte  del  quale  si  innalza  un  edificio  a  cui 
«  è  unita  una  corte,  in  luogo  vicino  al  mona- 
«  stero  vecchio....  della  misura  di  quattro  tavole 
«  legittime:  »  il  che  è  confermato  anche  da  una 
carta  del  1038  (78).  Si  vede  da  queste  indicazioni 
che  quel  monastero  era  in  quel  tempo  adossato 
alle  mura  della  Città.  Fu  poscia  chiamato  Mona- 
stero di  S.  Grata  dall'esservi  stato  trasportato  il 
corpo  di  quella  santa  :  il  che,  quando  sia  avve- 
nuto è  incertissimo:  bastandoci  notare  che  ciò 
non  deve  essere  stato  prima  del  1038. 

SENODOCHII. 

Avvertenza.  =  Sebbene  fin  dai  bei  tempi  ro- 
mani si  conoscessero  questi  Senodochii,  od  ospi- 
zii  di  Pellegrini  (da  %*»**  e  ^^<*<)  e  sebbene, 
secondo  una  tradizione  probabile,  quest'istituzio- 
ne  abbia  avuto  origine  in  Palestina  (Hieronym. 
ep.  66  n.  11),  nullameno  le  fondazioni  di  questi 

4 


50 

luoghi  di  beneficenza  crebbero  d' assai  quando 
Costanlino  ebbe  dalo  la  pace  alla  nuova  creden- 
za (Murat.  a.  i.  m.  ae.  diss.  37);  per  lo  che  furono 
bene  scarsi  i  monasteri  e  le  Chiese,  i  quali  non 
avessero  un  luogo  speciale  destinato  ai  forestieri 
(v.  a  cagion  d'  esempio  Hieron,  in  reg.  s.  Pa- 
chom.  51).  Anche  nei  borghi  delle  Città  si  co- 
struirono di  questi  ospitali  perchè  i  pellegrini, 
còlti  dalla  notte  ed  obbligati  a  restare  fuori  delle 
mura,  avessero  ove  ricovrarsi.  Di  tali  ne  trovia- 
mo uno  nel  suburbio  di  Mantova,  fuori  della 
porta  detta  dell'  Ospitale  (Murat.  a.  1.  e),  un  al- 
tro nella  nostra  Città,  che,  dalla  vicina  basilica, 
era  detto  di  S.  Alessandro.  —  Quantunque,  co- 
me già  avvertimmo,  il  nome  di  Senodochio  non 
significhi  propriamente  che  Ospizio  di  Pellegrini, 
nuilameno  è  lecito  credere,  che,  a  quest'  epoca, 
esso  indicasse  già  quelli  edificj  che  volgarmente 
noi  chiamiamo  ospitali,  ove  unicamente  si  rac- 
certano gli  infermi;  ed  alle  tante  prove  addotte 
da  Muratori  (a.  1.  e),  noi  possiamo  aggiungere 
che  questo  nuovo  significato  attribuito  ad  una 
tale  denominazione  si  trova  già  in  alcune  leggi 
di  imperatori  romani  (Cod.  Just.  I.  Ili,  46  §  1. 
Ibid.  VII,  VI,  1.  un.  |  4.).  Se  poi  quei  Senodochii, 
dei  quali  conosciamo  la  esistenza  in  Bergamo, 
servissero  esclusivamente  all'uno  od  all'altro  sco- 
po, od  in  pari  tempo  a  tulli  e  due,  è  ciò  che 
non  sappiamo:  per  il  che  noi  lasciamo  sussiste- 
re il  titolo  di  Senodochii,  che    abbiamo   veduto 


51 

essersi  usato  fino  abantico  ad  indicare  runa  e  l'al- 
tra specie  di  ospizii. 

§19.   S.  Cassiano. 

(P\  il  N.   ti   della  Carla   Top.) 

Di  questo  Senodochio  si  trova  menzione  fi- 
no dall'anno  772.  Un  certo  Liminone  prete,  a- 
vendo  nel  747  ottenuto  dal  Re  Rachi  fondi  e 
case  in  Sorisole  ed  Ursianica,  ne  fece  dono  nel 
772  a  questo  Senodochio.  Controversie  sorte  co- 
gli eredi  di  quel  prete  a  proposito  di  questi 
beni  donati,  diedero  occasione  ad  un  Placito,  che 
si  tenne  in  Ghisalba  nell'  anno  843  nel  quale, 
contro  le  loro  pretensioni,  venne  riconfermata  la 
donazione  di  Liminone.  Quando  nel  897  il  Vesco- 
vo Adalberto  ridusse  a  comunanza  di  vita  i  Ca- 
nonici, assegnò  loro  bensì  la  chiesa  di  S.  Cas- 
siano con  tutti  i  beni  ad  essa  appartenenti,  ma 
ne  eccettuò  i  fondi  di  Sorisole  ed  Jussianica 
(od  Ursianica)  come  quelli  che  erano  stali  in 
perpetuo  assegnati  a  questo  Senodochio  (79). 

Separata  coir  atto  di  costituzione  della  Ca- 
nonica la  chiesa  di  S.  Cassiano  dall'  ospitale  o- 
monimo,  è  probabile  che  questo  cominciasse 
d'allora  a  pigliare  il  nome  di  ospitale  di  S.  Vin- 
cenzo :  il  certo  si  è,  che,  nel  secolo  decimoquar- 
to, una  tale  denominazione  era  in  pieno  vigore  (80), 
Che  poi  l'ospitale  di  S,  Vincenzo  non  fosse  altro 


che  l'antichissimo  di  San  Cassiano,  Io  desumia- 
mo da  un  documento  importantissimo  inedito 
del  1457,  in  cui,  stabilendosi  dal  Vescovo  Baroz- 
zi  i  capitoli  che  doveano  regolare  il  maggior  o- 
spilale  della  città,  e  quindi  annoverandosi  quei 
piccoli  ospitali  che  erano  sparsi  in  Bergamo  e 
fuori,  e  che  per  conseguenza  vennero  aboliti, 
quello  di  S.  Vincenzo  è  descritto  con  queste  e- 
spressioni  :  «  ospitale  di  S.  Vincenzo,  che  è  si- 
«  tuato  in  città,  nella  vicinia  di  S.  Cassiano, 
5  dietro  alla  chiesa,  ossia  davanti  alla  nostra 
«  Canonica  di  S.  Vincenzo  (81).  »  Era  posto  adun- 
que in  contrada  delle  Beccherie  a  sinistra  di  chi 
dal  Gombilo  muove  verso  il  Mercato   del  Pesce. 

|  20.  Casanova  in  Arena. 

Non  sapremmo  se  soltanto  nel  decimo,  op- 
pure nel  secolo  antecedente  sia  stato  fondato 
questo  Senodochio.  Ad  ogni  modo  noi  ne  tro- 
viamo menzione  la  prima  volta  nel  913  e  ve- 
niamo a  sapere  che  ad  esso  presiedeano  i  Cano- 
nici di  S.  Vincenzo.  Come  si  comprende  dal  do- 
cumento che  ci  serve  di  guida,  i  canonici  da 
parte  di  questo  Senodochio,  che  era  «  posto  en- 
«  tro  la  città  nel  luogo  chiamato  Arena  e  si  de- 
«  nominava  Casanuova  »,  in  cambio  di  fondi  ri- 
cevuti in  Albegno  e  Treviolo  diedero  al  Vescovo 
Adalberto  «  la  detta  casa  edificata  entro  la  città 
«  in  Arena,  come  si  disse,  che  è  chiamata  Casa- 


83 

«  novo,  colla  corle  e  l'area  sulla  quale  è  fabbri- 
«  cala,  coll'uniio  brolo,  col  muro  da  cui  è  cir- 
«  condala,  cogli  alberi  e  colle  pietre,  la  quale 
«  per  confine  ha  da  ogni  parte  delle  vie  e  da 
«  mezzodì  un  po' di  terra  di  proprietà  di  S.  Ales- 
«  Sandro,  e  misura  una  superficie  di  duecento 
•  sessantotto  tavole  (82)  ».  Ommettendo  per  ora 
alcune  osservazioni,  che  troveranno  miglior  posto 
altrove,  ci  limitiamo  a  riportare  questa  sola  del 
Lupi:  «  agevolmente  crederei,  egli  scrive,  che 
«  Adalberto  abbia  lasciato  all'episcopato  la  casa 
<(  che  ricevette  con  diritto  di  proprietà  in  questa 
«  permuta:  imperciocché,  come  vedremo,  consta 
«  che  nei  secoli  susseguenti  vi  abbiano  talvolta 
«  abitato  i  Vescovi  bergamaschi.  »  Nel  923  i 
Canonici  di  S.  Vincenzo,  quali  rettori  di  un  Se- 
nodochio,  di  cui  non  si  dice  il  nome,  fanno  un' 
altra  permuta  di  terreni  posti  in  Albegno  con 
altri  posti  nella  stessa  località  (83).  Che  questo  e 
l'antecedente  detto  di  «  Casanova  »  fossero  un 
solo  ed  identico  Senodochio,  lo  dimostrerebbe  il 
fatto,  che  ambedue  si  dicono  retti  dai  Canonici 
di  S.  Vincenzo.  Se  si  badi  poi  alla  circostanza 
che  il  primo  per  lo  avanti  si  chiamava  «  Seno- 
«  dochio  di  Casanova  :  »  che  questa  casa  fu  data 
al  Vescovo  in  cambio  di  altri  terreni ,  non  è  a 
meravigliare  che  abbia  perduto  quel  titolo,  e  che 
dieci  anni  dopo  siasi  chiamato  Senodochio  e  nulla 
più,  quantunque  niente  si  opponga  a  che  si 
creda,  che,  almeno  volgarmente,  si  dicesse,   per 


54 

distinguerlo  dagli  altri,  «  Senodochio  di  Arena:  » 
distinzione  questa  del  resto  non  gran  fatto  ne- 
cessaria, poiché  bastava,  o  pare  bastasse,  appunto 
il  patronato  che  vi  esercitavano  i  Canonici  per 
riconoscerlo  a  prima  vista.  Il  Lupi  ha  posto 
mente  ad  un'altra  circostanza,  che,  a  nostro  ve- 
dere, è  decisiva  sotto  questo  rapporto.  «  Gli  è 
«  indubitato,  egli  scrive,  che  qui  si  tratta  del 
«  Senodochio  ricordalo  neir  altra  permuta  del- 
«  l'anno  913  pubblicata  di  sopra;  nell'una  e 
«  nell'altra  infatti  si  tratta  di  fondi  posti  in  Al- 
«  begno,  ed  ambedue  parimenti  erano  retti  da- 
«  gli  Ordinarj  della  Città,  vale  a  dire  dai  Cano- 
«  nici  della  Cattedrale  di  S.  Vincenzo.  »  E  que- 
sto ci  pare  basti  per  togliere  ogni  dubbio,  se 
non  restasse  il  più  importante,  ma  che  dichia- 
riamo immediatamente  di  essere  impossibilitati 
a  scioglierlo ,  di  sapere  cioè  ove  fosse  posto 
questo  Senodochio. 

|  21.    Senodochio  di  S.  Alessandro. 

Da  chi  e  quando  fosse  stato  fondato  questo 
Senodochio  noi  possiamo  dire:  soltanto  nel  958 
in  un  atto  di  permuta  di  fondi  in  Azzano,  tro- 
viamo nominalo  il  Senodochio  e  la  Canonica  di 
S.  Alessandro,  ai  quali  come  custode  presiedeva 
il  Prevosto  di  S.  Alessandro  (84).  Il  vedere  che  la 
Canonica  e  questo  Ospitale  aveano  fondi  in  co- 
mune (85),  che  ad  essi  presiedeva  la  stessa  per- 


55 

sona,  il  sapersi  frequentissime  presso  le  Chiese 
alla  nostra  epoca  siffatte  istituzioni,  darebbe  già  a 
divedere  che  questo  Ospitale  dovea  essere  conti- 
guo alla  basilica  di  S.  Alessandro  ;  ad  avvalorare 
la  qual  congettura,  anzi  a  portarla  al  grado  di 
certezza,  concorre  una  carta  di  donazione  del  1093 
nella  quale  troviamo:  «  l'ospitale  di  S.  Alessan- 
«  dro  che  è  posto  nel  cortile  di  quella  Chiesa, 
«  fuori  e  vicino  alla  stessa  Città  (86).  »  Nelle 
«  aedes  »  adunque  di  questa  Chiesa  era  posto 
queir  ospitale,  e  dobbiamo  credere  che  fossero 
molto  estese,  se  unito  ad  esse  abbiamo  già  tro- 
vato T  Oratorio  di  S.  Pietro  e  fra  breve  trovere- 
mo anche  la  Canonica.  Noi  ommeltiamo  altre 
considerazioni,  perchè  crediamo  bastino  queste 
sole  al  nostro  soggetto,  cioè  di  stabilire  la  esi- 
stenza e  la  posizione  di  questo  Senodochio. 

LE  DUE  CANONICHE. 

Avvertenza.  —  Se  non  si  può  stabilire  1'  e- 
poca  in  cui  ebbe  origine  la  istituzione  delle  Ca- 
noniche, tuttavia  queste  si  diffusero  talmente  in 
Italia  nei  secoli  nono,  decimo  ed  undecimo,  che, 
se  non  avessimo  altre  prove  che  ci  accertano  del 
contrario,  noi  saremmo  quasi  tratti  ad  ammette- 
re che  una  siffatta  istituzione  fosse  anteriormente 
sconosciuta  in  questo  paese  (Murat.  a.  i.  m.  ae. 
diss.  62).  Bisogna  nondimeno  notare,  che  la  dif- 
fusione della  vita  regolare  fra  i   chierici  addetti 


5G 

specialmente  alle  Cattedrali,  si  deve  in  molta 
parte  alle  cure  di  Lodovico  Pio  e  del  Concilio 
di  Aquisgrana  (Murat.  a.  1.  e):  e  noi  vedremo, 
parlando  della  canonica  di  S.  Vincenzo,  che  lo 
scopo  che  indusse  il  Vescovo  a  volere  che  que- 
sti Chierici  avessero  comuni  il  vitto  e  la  abita- 
zione, fu  perché  si  trovassero  in  ogni  ora  del 
giorno  e  della  notte  pronti  agli  ecclesiastici  uf- 
ficii.  Collo  andare  del  tempo  i  collegi  dei  cano- 
nici si  istituirono  anche  in  altre  più  illustri  chie- 
se delle  città  :  nella  nostra  vi  era  la  Canonica 
addetta  alla  basilica  di  S.  Alessandro  (la  cui  fon- 
dazione è  certo  da  ritenersi  posteriore  a  quella 
di  S.  Vincenzo),  ed  alla  chiesa  di  S.  Matteo.  Di 
quest'ultima  non  possiamo  occuparci  perchè  sen- 
za dubbio  ebbe  origine  dopo  l'epoca  della  quale 
abbiamo  impreso  a  trattare. 

|  22.  Canonica  di  S.  Vincenzo. 

Essa  è  posta  a  settentrione  dell'attuale  Cat- 
tedrale, di  fianco  alla  piazza  vecchia,  o  Garibal- 
di, nel  luogo  che  anche  oggidì  si  chiama  «  la 
«  Canonica  >  volgarmente  «  Calonga.  »  La  isti- 
tuzione della  vita  in  comune  fra  i  chierici  ad- 
detti al  servizio  della  Cattedrale  ebbe  origine  nei 
897  per  opera  dei  vescovo  Adalberto.  Nel  docu- 
mento dal  quale  caviamo  questa  notizia,  si  leg- 
ge :  «  Mentre  Adalberto  venerabile  vescovo  della 
«  santa  Chiesa  di  Bergamo  sedeva  in  sinodo  nel 


87 

«  Vescovado  coi  suoi  sacerdoti  e  tulio  il  clero 
«  di  delta  chiesa  e  con  al  tri  nobili  personaggi 
«  che  intervennero  alla  medesima  sinodo,  tral- 
ci tando  delle  condizioni  della  detta  chiesa,  tutti 
«  i  sacerdoti  e  i  chierici  a  una  voce  chiesero  al 
«  loro  Pastore,  che,  per  1'  amore  di  Dio  e  dei 
«  santi  Vincenzo  ed  Alessandro  martiri  di  Gri- 
fi sto,  instituisse  una  Canonica  dove  i  sacerdoti 
<*  e  i  chierici  addetti  al  servizio  della  Chiesa 
«  fossero  alloggiali  e  nutriti.  Il  quale,  conside- 
«  rando  la  loro  domanda,  e  trovando  giusto  che 
«  chi  serve  all'altare  viva  dell'altare,  doman- 
«  dò  qual  fosse  il  luogo  più  vicino  alla  Chiesa 
«  nel  quale  sotto  gli  occhi  del  vescovo  essi  po- 
«  tessero  avere  abitazione  conveniente.  I  quali 
«  ad  unanimità  scelsero  e  cercarono  il  chiostro 
«  presso  la  chiesa  di  S.  Vincenzo,  come  quello 
«  che  preslavasi  a  permettere  loro  di  ristorarsi 
«  quando  avessero  compili  gli  uffizi  divini,  e 
«  nottetempo  di  poter  più  facilmente  agli  stessi 
«  uffizi  intervenire.  Pertanto  avuto  riguardo  alla 
«  loro  comodità,  concesse  loro  integralmente  il 
«  predetto  chiostro  colla  sala  ed  altri  edifizi  an- 
«  nessi,  coll'orto  e  col  cortile  fin  dove  ha  per 
«  confini  a  mattina  la  via,  a  mezzodì  la  detta 
«  Chiesa  di  S.  Vincenzo,  a  sera  il  cinto  del  Ve- 
«  scovado,  e  a  monte  un  pezzo  di  terra  di  pro- 
fi  prietà  di  S.  Michele  e  di  Giovanni  prete  :  in 
«  tutto  tavole  legittime  seltanlasei  (87).  »  —  Le 
conseguenze  che  si  potrebbero  trarre  da   queste 


58 

indicazioni  saranno  da  noi  accennate  quando  si 
parlerà  delle  vie  e  delle  piazze  della  città  :  qui 
noteremo  soltanto  che  molta  parte  degli  edifici 
di  questa  Canonica  fu  atterrata  nel  secolo  XVII0 
allorquando  la  Cattedrale  ingrandita  assunse  fi- 
nalmente l'aspetto  attuale. 

|  23.  Canonica  di  S.  Alessandro. 

A  noi  manca  l'atto  col  quale  fu  costituitala 
Canonica  di  S.  Alessandro  :  è  perciò  che  dobbia- 
mo, fino  a  prova  contraria,  attenerci  ai  più  che 
probabili  argomenti  che  ha  addotti  il  Lupi  per 
dimostrare  che  essa  deve  aver  avuto  orìgine  negli 
ultimi  anni  del  vescovo  Reccone,  il  quale  pontificò 
dal  938  al  953  (88).  Nulla  di  più  probabile  che, 
come  nella  Cattedrale  di  S.  Vincenzo  per  luogo 
opportuno  a  ridurre  a  vita  comune  quei  canoni- 
ci si  scelse  il  t  clauslrum  »  vicino  alla  chiesa, 
così  anche  qui  si  sia  approfittato  degli  edificj 
che  forse  fino  dalla  sua  fondazione4  erano  annes- 
si a  questa  basilica.  La  prima  memoria  che  noi 
abbiamo  di  questa  Canonica  cade  nel  954  :  è  una 
donazione  ad  essa  fatta  dal  vescovo  Odelrico  di 
una  masseria  posta  in  Sabio  e  lavorata  da  uomi- 
ni liberi  (89).  Nel  959  abbiamo  memoria  anche  del 
Prevosto,  che  presiedeva  a  questa  Canonica,  per 
una  permuta,  da  esso  fatta  con  un  certo  Pietro, 
di  terre  poste  in  Àzzano  (90);  e,  per  non  uscire 
di  troppo  dai  limiti  del  nostro  soggetto,   citere- 


59 

mo  in  ultimo  la  donazione  fatta  a  quella  Cano- 
nica dalla  contessa  Rotruda  di  fondi  posti  in 
Isione  sull'Adda  (91). 

In  questa  epoca  adunque  la  chiesa  di  S. 
Alessandro,  quella  di  S.  Pietro,  il  Senodochio, 
la  Canonica  ed  altri  ediflcj  formavano  un  gruppo 
solo.  Questa  Canonica  ebbe  in  seguito  una  pro- 
pria celebrità  :  ospitò  Arcivescovi,  Cardinali,  Le- 
gati pontificii,  Arcicancellieri  imperiali  e  così  via. 
Il  vescovo  slesso  vi  avea  stanze  per  suo  uso  (92). 

ALTRI  EDIFICI. 

|   24.   //    Vescovado. 

(V.  il  N.   12  della  Carta   Top.) 

Noi  abbiamo  memoria  dell'esistenza  del  Ve- 
scovado e  della  sua  posizione,  corrispondente  al- 
l'attuale, nell'anno  897.  Nell'atto  di  costituzione 
della  Canonica  troviamo  tra  i  confini  di  essa 
verso  occidente  «  la  clausura  della  sede  episco- 
pale (93)  »,  e  che,  sotto  la  espressione  qui  usata 
di  «  ipsius  sedis  »,  si  intenda  veramente  il  vesco- 
vado, lo  confermerebbe  un  atto  di  donazione  del 
vescovo  Adalberto  del  911  nel  quale  leggiamo: 
«  instituì  la  Canonica  nella  chiesa  del  beato  Vin- 
«  cenzo  martire  presso  la  casa  della  stessa  sede 
«  (episcopale)  (94).  »  Da  ciò  si  vede  che  il  Ve- 
scovado si  spingeva  sull'attuale  Piazza  Vecchia  o 


60 

Garibaldi  fino  a  chiudere  ad  occidente  la  Cano- 
nica: altre  osservazioni  troveranno  miglior  posto 
altrove. 

Che  vi  fossero  altri  edificj,  noi  possiamo  né 
affermare,  né  negare  per  mancanza  di  documenti. 
Dove  risiedessero  il  conte  della  «  Civitas  bergo- 
mensis  »  od  i  suoi  officiali;  dove  coloro  ai  quali 
pare  fossero  affidate  molte  di  quelle  cure  che , 
ora  chiameremmo  municipali,  noi  lo  ignoriamo 
affatto  :  e  piuttosto  che  arrischiare  ipolesi,  alle 
quali  nulla  farebbe  piede,  se  non  induzioni  ap- 
poggiate a  tempi  assai  posteriori,  preferiamo  ta- 
cere. 


Gì 
CITAZIONI   B  NOTE 


1.  «,...  unique  S.  Altxandro  (anno  scilic.  1688),  su!) 
«  cujus  etiam  nomine  iaan  anlea  saeculi  XV.  reaedifieari  coet>- 
«  tum  fuerat  )  suppresso  pontificia  maxi  mi  Decreto  beati  Vin- 
te centii  titillo,  fui!  prò  bono  pacis  nuncupalum.  »  Lup.  Cod. 
Dipi.  I.  3o6.  Quando  nel  1 4^9  Sl  era  cominciato  a  riedificare 
o  ad  ampliare  la  Cattedrale,  la  prima  pietra  fu  benedetta  sot- 
to il  doppio  titolo  di  Vincenzo  ed  Alessandro.  Calvi,  Eff.  II. 
i5.  Id.  I.  36i. 

2.  ap.   Lup.  I.  3of>.  5o2  —  Ronchet.  Meni.  Stor.  I.  77.  79. 

3.  Calvi.  Eff'.  I  ,  lai.,  che  si  rapporta  al  Muzio,  al  Ce- 
Itstino  ecr.  V.  anche  Lupi   e  Ronchetti  aa.  11.  ce. 

3.  Lup.  I.  527  seg. 

5.  Il  Lupi,  coll'aver  posto  in  sodo  con  tanta  dottrina  la 
distinzione  nell'uso  linguistico  di  quel  tempo  fra  a  ecclesia  » 
e  «  basilica  w,  ci  autorizza  a  questa  illazione.  V.  il  suo  Cod. 
Diplom  passm.  e  I.  3 10,  e  l'insigne  opera  De  Parodi,  ante 
an.  Chr.  millesim.,  p.  68  seg. 

6.  Per  tuttociò  ci  rimettiamo  al  Calvi,  Eff'.  I.  4T>  3 io, 
II.  i5.  Ili,  378.  che  ebbe  tra  mano  deliberazioni  prese  al  suo 
tempo,  ed  al  quale  perciò  possiamo  affidarci. 

7.  Stat.  mss.  an.   1 33 1 .  collat.    IL,    §.    46    nella    civica 
^Bibl.  gabin.  A.  F.  IX.  4. 

8.  Calvi,  Eff.  I.  3 io  che  si  rapporta  al  Libro  delle  rec- 
chie  deliberazioni  della  Città.  Si  aggiunga  poi  il  fatto,  a 
cui  si  accenna  pure  nel  testo,  che,  per  ridurre  questa  Chiesa 
allo  stato  attuale,  si  dovette  verso  settentrione  demolire  anche 
una  piccola  parte  della  Canonica,  e  si  comprenderà  la  veracità 
delle  nostre  indicazioni.  Lup.  I.  io65-66.  Nel  n54(ap.  Lup- 
II.  1117),  si  dona  ai  Canonici  «  casa  una  terranea  que  est 
«  inter  portam  S.  Vincentii  et  brolitum  de  campanile  *  tutta 
edificata  a  spese  dei  donatori.  Nel  Necrologio  di  S.  Vincenzo 
(ap.  Lup.  II.  1 35 1  )  troviamo:  «  Nonis  Julii  1220  d.  Joan- 
«  ncs  de  la  Scala  Archipresbyter  edificavit  domum  a  porta 
«  usque  ad  campanile.  »  —  Ronchetti,  o.  e.  III.  177. —  Una 
carta  inedita  del  1207  (  N.  65o  nella  Bibl.)  fa  menzione  di 
una  »  statione  episcopatus  que  est  justa  portam  de  domino 
«  (  duomo  ).  » 


62 

9-  Lup.  II.   1 65. 

io.  Id.  ibid.   i65  e  seg. 

il.  Ciliamo  anche  qui  per  tutti  il  Calvi,  Eff.  II.  ?.63 
che  si  rapporta  interamente  ad  essi. 

12.  Avvertiamo  che  quanto  siam  per  dire  lo  prendiamo 
quasi  interamente  dal  Lup.  II.  ioli  seg.  —  Ronchetti,  III. 
65.  seg. 

i3.  La  licenza  per  far  demolire  il  battisterio  posto  nel 
centro  di  questa  basilica,  e  che  ora  si  vede  nel  Cortile  della 
Canonica,  i'u  data  dalla  Città  ai  Presidenti  della  Misericordia 
il  i5  Gennajo  1660.  Calvi,  Eff.  I.  93.  256.  Era  stato  innal- 
zato nel  1340  da  Giovanni  Campione.  Id.  I.  5oi.  —  Ron- 
chetti,  V.  82. 

14.  ap.  Lup.  I.  527.  533.  —  Ronchet.  I.    120. 

i5.  Ad  esempio,  nel  1078  e  nel  1086  si  (anno  donazioni 
a  queste  due  chiese  unite  insieme,  ap.  Lup.  II.  71 3.   749. 

16.  ap.  Lup.   I.   1059. 

17.  Ibid.  I.  643. 

18.  Ibid.  I.  646. 

19.  Ronchetti   I.    i49*5o. 

20.  Il  Lupi  parlando  della  probabilità  che  il  primo  fonte 
battesimale  fosse  presso  S.  Alessandro,  soggiunge  :  t<  quorum 
«  (  sacrorum  nempe  fontium  )  indicium  mihi  videtur  depre- 
di hendisse  in  quibusdam  ebarlis  seriptis  imtio  saeculi  XIII., 
«  in  quibus  mentio  habetur  de  (ontibus  saniti  Johannis,  et  ex 
«  ipsis  colligi  tur  illos  silos  in  aede,  eidem  dicala,  quae  pro- 
ci xima  fuisse  videtur  portae  urbis  S.  Alexandri  r.oocupatae, 
«  ideoque  eidem  insigni  basilicae  vicina.  «  Lup.  I.  3 11. 

2i.  Calvi.  Eff  1.  2. 

22.  ap.  Lup.  II.  59. 

23.  Ibid.  II.   137. 

24  V.  per  tutti  il  Pellegrin.,  vinea  herg.,  II.  i3.  — 
Calvi,  Eff.  I.    s37.   144. 

25.  ap.  Lup.  II.  863.  Si  notino  le  espressioni  del  docu- 
mento :  a  Ecclesia  S.  Malhei  apostoli  que  est  edificata  intra 
«  civitatem  Bergomi.  >? 

26.  Jllegaz.  ap.  Lup.  II.  877. 

27.  Lup.  in  nota  al  doc.  dd   ino,  ibid.  II.  863. 

28.  ap.  Lup.  II.  443. 

29.  Ibid.  II.   io35. 

30.  Lo  Statuto  del  1 33 1  (coli.  II.  40  non  usa  cne 
questa  espressione  :  «  et  extra  suprascriptum  murum  civitatis 
«  sicut  est  et  esse  consaevit  ipsius  vicinie    sit    et    esse    dcbcal 


63 

«  ipsiu9  vicinie  S.  Heufumic.  »  —  È  probabile,  a  nostro  giu- 
dizio, che  questo  Statuto  abbia  desunto  le  descrizioni  delle 
Vicinie  cittadine  da  altro  compilato  dopo  il  ia5o  e  prima  del 
1277.  In  esso  (coli.  II.  52  )  non  si  tace  menomamente  que- 
sta circostanza  di  avere  attinto  ad  uno  Statuto  più  antico  le 
sue  indicazioni,  e,  a  cagion  d'esempio,  ove  tratta  delle  quat- 
tro «  factae  portarum  «  della  città,  nota  persino  la  Collazione 
ed  i  Capitoli  che  ha  copiato.  Se  si  osserva  dapprima,  che  in 
questo  Statuto  si  fa  menzione  di  Filippo  Tommaso  di  Asti 
(  p.  e.  coli.  II.  27  ),  il  quale,  come  è  noto,  fu  podestà  nel 
i25o  (Ronchetti,  IV.  82.  VI.  p.  XIV.),  poi,  che  in  pari 
tempo,  dove  parla  della  vicinia  di  S.  Pancrazio  (coli.  II.  39  ), 
non  fa  cenno  alcuno  della  chiese  di  S.  Francesco,  ovvero  dei 
Frati  minori,  i  quali  la  occuparono  nel  1277  (  Ronchetti,  IV. 
157  seg.  )  —  menzione  fatta  del  resto  da  tutti  gli  Statuti  po- 
steriori —  crediamo  che  le  nostre  induzioni  non  siano  senza 
fondamento.  Vi  ha  poi  un'altra  circostanza,  la  quale,  unita 
alle  precedenti,  ha,  secondo  noi,  un  certo  valore.  Lo  Statuto 
del  1 33 1  parla  della  casa  di  un  certo  Aydo  (od  Aidino  )  del 
Grumeilo  come  della  proprietà  di  un  vivente  (coli.  II.  36), 
mentre  tulli  i  posteriori  non  si  dipartono  mai  da  questa  for- 
inola :  «  domus  quondam  d.  Aydi  (  vel  Aidmi  )  de  Grumeilo.  » 
Ora,  questo  Aydo  doveva  vivere  intorno  al  1264,  poiché  due 
carte  inedite,  una  del  1252,  l'altra  del  1254  (  nn.  703,  4§2 
nella  Bibl.  )  parlando  di  alcuni  pezzi  di  lerra  in  Paderno,  ci- 
tano parecchie  volle  fra  i  confinanti  «  d.  Aydini  de  Grumeilo 
«  civitalis  Pergami.  »  Questi  pochi  indizii,  raccolti  quasi  a 
stento,  crediamo  però  bastino  a  confortare  in  qualche  modo 
la  nostra  osservazione,  la  quale  qui  intendiamo  sia  fatta  una 
volta   per  sempre. 

3i.  Documento  del  1182  ntWArch.  della  Misericordia, 
Fase.  I.  instrum,  vet.,  citato  dal  Rota,  Sior,  ant.  di  Berg. 
p.   1 19,  nota  3. 

32.  Rota,  o.  e.  ibid.  nota  4* 

33.  Calvi,  Eff.  II.  242. 

34.  Rota,  o.  e.  p.   123. 

35.  a-\  Lup.  I.   993. 

36.  Ronchetti,   I.   229. 

07.  Lup.  II,  221.  267.  Si  noli  che  i  due  Alti  sono  ro« 
gali  in   Bergamo. 

38.  Lup.   II.   i65. 

39.  Ibid.  II.  36i. 

40.  Ibid.  II.  627.  —  Ronchetti  II.  27.   1.57. 


04 

4i.  1 1  > i 1 1 .  II.  G-iy-S.  Ancora  presso  il  Lupi  (IL  i3?o)  è 
riportato  un  brano  dui  Necrologio  di  S.  Vincenzo  nel  quale 
si  legge  :  «  Tertio  Kaltndas  Novembri*  ann.  MCLXXXVII  d. 
ce  Guala  episcopus  dedil  nobis  capellas  sanciti  Marie  in  Tuire.  n 
Nel  famoso  registro  dei  censi  dovuti  alla  Chiesa  romana  com- 
posto nel  1192  da  Cencio  Camerario,  in  quella  parte  che  ri- 
guarda le  Chiese  e  i  monasteri  bergamasrhi,  troviamo  pure 
«  Ecclesia  S.   01  a  ria  e  in  Tu  ni.  »  V.   Rondici.  HI.   201-2. 

42.  ap.  Lup.   I.  627. 

43.  Ubiti.   I.  667. 

44.  Ibid.  I.   781. 

45.  Ibid.   I.   733. 

46.  Ibid.  II.    u. 

47.  E  difficile  comprendere  come,  essendo  entro  le  mura 
la  chiesa  di  S.  Giovanni,  ed  esistendo  degli  argomenti  per  ri- 
tenere che  a  una  eert'Vpoca  lo  fosse  ani  he  quella  di  S.  Ales- 
sandro, il  Sai vioni  abbia  detlo  (he  la  muraglia  antica  bcende# 
va  direttamente  dal  palazzo  Sozai  (ora  incorporato  nel  Semi- 
nario )  e  dall'anfiteatro  alla  porta  del  Pantano  (  della  Fort. 
ani.  e  nuova  p.  7  ).  Qui  vi  ha  senza  dubbio  un  errore,  come 
quello  di  confondere  la  porta  del  Pantano  colla  porta  di  S.  Ales^ 
sandro,  le  quali,  sin  dove  giungono  le  nostre  memorie,  come 
vedremo,  erano  perfettamente  distinte  (  ibid.  p.  6  ).  Ma  di 
ciò  più  avanti. 

48.  ap.   Lup.   I.  891. 

49.  Ibid.  I.  643.  II.  863. 

50.  Cont.  an.  fuld,  ap.  Murai,  r,  L  s.  II.  II.  119.  — 
Lup.  I.   1023. 

5i.   Lup.   I.   53 1.  seg.  —  Ronchetti   I.    121, 

52.  «  Supra  tumulum  enim  beatissimi  tnariyris  (Abxan- 
a  dri  )  fnit  excitat.*  (  haec-basilica  ):  defunctorum  autem  eorpora 
a  extra  urbes  quarto  sacculo  proietto  sepeliebantur  ».  (  Lup. 
a  1.  532).  Identiche  parole  ha  il  Ronchetti,  a.  1.  e.  «  ncque 
«  enim  intra  pomerium  romanis  temporibus  cadavera  sepelie* 
«  bantur.  »  (  Lup.  I.  3o8  ).  Quista  usanza  risaliva  per  lo 
meno  all'epoca  della  redazione  delle  XII  tavole,  nelle  quali 
il  seppellire  in  Cit'à  era  severamente  vietato:  «  Hominem 
«  mortuum  in   urbe  ne  seppellito  neve  urito. 

53.  Su  questo  argomento  vedi  alcune  allegazioni  (ap.  Lup. 
II.   1028.) 

54.  Paul.   Disc.  (L  g.   L.  4.   44. 

55.  Ho  compendialo  il  Lup.  I.  3o3-3ii.  -*r  Ronchetti 
J.  6.   —  Un  esempio  che   potrebbe  avere  in   parte  analogia  coi 


65 

fatti  atrennRti  più  sopra  !o  troviamo  in  Arezzo  (Murat.,  a.  i. 
m.  ae.  diss.  32),  ove  sappiamo  che  la  Cattedrale,  il  Vesco- 
vado e  la  Canonica  tirano  fuori  della  Citta,  nel  luogo  ov'era 
sepolto  il  corpo  di  S.  Donato.  Fu  dopo  Carlo  il  Calvo,  anzi 
sulle  istanze  di  questo  imperatore  e  sulle  concessioni  da  lui 
fatte  che  si  pensò  di  fondare  entro  la  Città  una  Cattedrale* 
colla  casa  del  vescovo  e  l'abitazione  dei  Canonici  (  Murat.  a.  1.  e). 

56.  Lnp.  I.   55.  seg. 

57.  Iti.  I.    io36.  seg. 

58.  Id.  II.  176.  —  11  nostro  Castello,  nella  sua  Cronaca 
(  ap.  Murat.,  r.  1.  s.  XVI.  925),  dice  che  l'altare  sotto  il 
quale  era  il  corpo  ili  S.  Narno  era  a  mattina,  quello,  sotto  il 
quale  era  S.  Vialore,  era  a  sera  della  Chiesa.  V.  anche  Ron- 
chetti, VJ.  9.  Calvi  Ejf.  11.  488,  5o5.  =:  11  Ronchetti  poi  il. 
29.  seg.  ha  volgarizzato  e  nnlla  più  i  brani  da  noi  citati  del  Lupi. 

59.  V.  per  tutto  ciò  Lup.  I.  57,  58,  527,  532,  533. 
Ronchetti.  !..   20. 

60.  Lup.  J.   54. 

6».  Una  carta  del  1 1 49*  (  ap-  Lup.  II.  1091  ),  prlando 
di  questa  chiesa  dice  :  «  Ecclesia  S.  Peti i  sita  ante  basilicam 
«  S.  Alexandii  ».  E  difficile  comprendere  se  la  parola  »  ante  *» 
si  riferiva  a  chi  si  trovava  iuori,  od  entro  la  città  :  ne  la 
carta,  essendo  stata  rogata  «  apud  ecclesiam  S.  Alexandri,  » 
basta  a  metterci  a  un  di  presso  nella  posizione  dei  contraenti 
per  indovinare  in  qualche  modo  il   valore  di   «  ante  ». 

62.  Lup.  I.  527,  539,  893,895.  —  Ronchet.  I.  122,211. 
—  Abbiamo  ancora  una  testimonianza  abbastanza  antica  per 
ritenere  che  questa  Chiesa  non  fosse  di  una  grande  capacità. 
Il  Pinamonti  nella  vita  di  S.  Grata  (  §.  37.  ap.  Boìland.  s.  d. 
IV.  Sepl.  II.  25o)  la  chiama  «  oratorio  humili  et  a  civibus 
«  satis  remoto  »,  ed  il  contrapposto  di  «  nobili  tempio  et 
«  decenti  »  per  indicare  il  nuovo  tempio  ove  fu  portato  it 
corpo  di  Grata,  non  è  fatto  certo  per  darci  un  buon  concetto 
ne  della  capacità,  ne  della  magnificenza  di  quella  chiesa. 

63.  V.  Lup.  I.  369,  437,  891.  II.  6i3.  —    Ronchet.    I. 

99.     111.    211. 

64.  Lup.  I.  599,  601.  —  Ronchet.  I.   1 38. 

65.  Lup.  I.  529,  543.  II.  37,  695.  —  Ronchet.  I.  123. 
II.  9,  187. 

66.  Ronchet.  I.    108. 

67.  Lup.  I.  694.  che  interpreta  con  «  societate  »  il 
«  collegio  »  della   lettera  di   Aganone.  —  Ronchet.  I.    1 63. 

6^ò,  Lup-  I.   1039,   io45.  —  Ronchet.  1.  245. 

5 


66 

69.  Lup.  II.  7,  8. 

70.  Lup.  IL  75.  questi  fondi  misurano  una  superficie  di 
Ettari  3i,  21. 

71.  Id.  IL  77.  —  Ad  ogni  modo  è  duopo  convenire  che, 
quando  fossero  topograficamente  contigui  questa  Chiesa  e  que- 
sto monastero,  la  spiegazione  più  probabile  sarebbe:  o,  I.°  che 
dopo  la  concessione  di  Arnolfo  il  Vescovo  innalzasse  una  Chiesa 
sotto  lo  stesso  titolo  :  ovvero,  II.°  che  alla  Chiesa  di  S.  An- 
tonino fosse  dal  Vescovo  mutato  il  titolo  in  quello  di  S.  Sal- 
vatore. Questa  seconda  ipotesi  però  è  la  meno  probabile.  Per- 
chè il  vescovato  avesse  dei  diritti  speciali  su  questa  Cappella, 
era  necessario  che  nel  diploma  di  Arnolfo,  non  si  accennasse 
soltanto  alla  sua  jricin^n/.a  al  monastero,  ma  benanro  alla  con- 
cessione di  essa  cappella  di  S.  Antonino  insieme  col  monastero. 
Per  noi,  data  la  condizione  già  accennata,  stiamo  alla  [rima 
ipotesi  :  sebbene  non  sia  difficile  ravvisare  che  gli  argomenti 
per  segnare  a  un  di  presso  la  posizione  del  Monastero  vadano 
pigliati  ed  adoprati  con  molti  riguardi. 

72.  Id.   IL    1007. 

73.  Id.  IL  37-40.  --  Ronchet.  il.  9. 

74.  Fioncbet.  I.    108. 

75.  Ap.   Lup.   I.    1059. 

76.  Parliamo  dello  Statuto  del  i33i;  il  più.  antico  è 
troppo  mutilo  per  poterne  cavare  un  costrutto. 

77.  Ann.  io5i  «  intus  eadem  civitate  Bergamo  prope 
«  monasterio  S.   Michaelis  «  ap»   Lup.  IL  637. 

78.  Lup.  IL  79,  198.,  225 j  4^5,  5g3  -  596.  —  Ronchet. 
IL  36,  49,  93,   i33. 

79.  Lup.  1.  509  -  5 12,  699  -  704»  1059  -1066 —  Ronchet.  I. 
107,   1 15,  167,  260. 

80.  NN.  35r,  43o,  463  delle  Pergamene  inedite  in  Biblioteca. 

81.  Capitoli  per  V istituzione  dell'Ospitale  in  Bergamo, 
§.  I.   presso  la  segretaria  dell'Ospitale  Maggiore. 

82.  Lup.  IL  87-90.  —  Ronchet.  IL   11.  seg. 

83.  Lup.  IL   i3i  -33. 

84.  Id.  IL  239-242. 

85.  Per  citare  un  solo  esempio,  oltre  ai  fondi  già  nomi- 
nati in  Azzano,  la  Canonica  e  questo  ospitale  ne  aveano  in 
comune  anche  a  Paladina.    Carta  del   1014  ap.   Lup.   IL  4?3. 

S6.  Lup.  IL-  781  784.  —  Ronchet.  IL  222.  seg.  Credo 
per  semplice  errore  quest'ultimo  abbia  posto  questa  carta  sot- 
to il   1095.  Il  lesto  del  Lupi  non  lascia  dubbio  di  sorta. 


G7 

87.  Lup.  I.  1059.  e  scg.  e  le  importanti  note  che  fa  se- 
guire a  questo  documento. 

88.  Lup.  II.  23o.  —  Ronchet.   II.  48.  seg. 

89.  ap.    Lup.  II.  227.  —  Ronchetti  ibid. 

90.  ap.   Lup.  II.  239. 

91.  Ibid.  247  -  262.  V.  anclie  una  carta  del  975  (  ibid. 
II.  319.),  ove  si  dice:  «  quod  stare  videtur  Canonica  ipsa 
foris  prope  ci  vitate  Bergamo    >?. 

92.  Lup.  I.  23 1.  —  Ronchet.  II.  49- 
93-    ap.  Lup.  I.   1069. 

94.  Ibid.  II.  Su 


Fine  della  parte  prima. 


Parte  ll.a 

SL  /fi     CITTA" 

§  1.    //  nome  della  Città. 

Prima  che  la  nostra  Citlà  avesse  il  nome 
che.  dopo  tanti  secoli ,  conserva  quasi  inalte- 
rato, era  chiamata  «  Parrà  »  (1):  probabilmente 
dall'uccello  auspicale  che  s'era  mostrato  favore- 
vole alla  sua  fondazione,  e  che,  come  tale  era 
tenuto  verisimilmente  da  quelle  schiatte,  che 
prima  si  stanziarono  su  questi  colli,  e  le  quali, 
lottando  colle  acque,  che  doveano  allagare  tutto 
il  piano,  cominciarono  a  ridurra  a  coltura  le  sot- 
toposte campagne  (2).  Sopravvenute  le  invasio- 
ni galliche,  i  Cenomani  che  pare  fossero  una 
schiatta  mollo  affine  alla  Cimbrica,  forse,  come 
pretende  Catone,  distrussero  questo  villaggio; 
forse,  sebbene  ci  siano  altamente  dipinti,  prefe- 
rirono, alla  pianura  dominata  ancora  in  molta 
parte  da  stagni  e  paludi ,  queste  alture  dal- 
l'aria purissima  e  si  accomodarono  nell'  antica 
Parrà:  ovvero  —  giacché  per  quante  supposi- 
zioni si  facciano,  si  aggirano  pur  tutte  intorno 


70 

ad  un  unico  punto  —  sulle  rovine  di  quelle  abi- 
tazioni, o  poco  di  là  discosto,  essi  si  unirono 
insieme,  e  diedero  origine  a  quel  centro,  al 
quale  fu  dato  nome  dalla  sua  posizione.  Comin- 
ciò quindi  allora  a  suonare  il  nome  di  questa 
«  abitazione  montana  »  (3),  che  pei  nuovi  abi- 
tatori significava  qualche  cosa  più  che  non  l'an- 
tico di  Parrà  ;  e  quando  le  armi  romane  si  furo- 
no stabilite  in  questi  paesi,  trovarono  appena  al- 
cune reminiscenze  del  doppio  nome  che  avea 
portato  questa  città,  le  quali  ci  furono  conser- 
vale dal  vecchio  Catone.  Ad  ogni  modo  e'  pare  — 
e  ciò  sarebbe  consentaneo  anche  a  tutti  gli  indizii 
storici  che  abbiamo  sulla  conquista  di  questi  paesi 
-  che  i  Romani  abbiano  avuto  la  prima  notizia  della 
esistenza  di  questa  città  e  della  conseguente  sua 
denominazione  dalle  tribù  galliche  circonvicine, 
poiché  la  forma  del  nome  «  Bergomum  »  ad  es- 
sa attribuito,  qui  non  prese  mai  piede  ;  ed  infatti 
nei  primi  documenti  locali  del  medio  evo,  noi 
vediamo  ricomparire  il  nome  di  questa  città  sotto 
la  forma  «  Bergamum,  Bergamo  »  (4),  e  mante- 
nersi tale  fino  ai  nostri  giorni.  Cominciando  per- 
tanto dall'anno  772,  e  seguendo  tutti  i  nostri 
documenti  del  nono  e  del  decimo  secolo,  noi 
troviamo  in  tutti  —  salve  poche  eccezioni  che 
diremo  —  la  nostra  città  chiamata  «  Bergamo  »: 
la  forma  «  Bergomo  »  appare  due  o  tre  volte 
al  più,  una  delle  quali  per  lo  meno  è  assai  dub- 
bia:   quanto  a    «   Pergamum   »  lo  abbiamo  in 


71 

cinque  o  sei  documenti:  ma  se  si  badi  che  due 
di  essi  sono  diplomi  rilasciati  dalla  Cancelleria 
imperiale,  talché  non  si  prestano  a  farci  cono- 
scere la  forma  locale  di  questo  nome:  che  gli 
altri  quattro  sono  copie  autentiche  fatte  nei  se- 
coli seguenti,  quando  per  l'uso  comune  era  in- 
valsa anche  nei  nostri  documenli  questa  forma, 
si  comprenderà  di  leggieri  che  anche  di  siffatte 
eccezioni  non  è  a  farsi  niun  conto  (5). 

L'addiettivo  che  serviva  ad  indicare  la  per- 
tinenza alla  città,  e  quindi  anche  il  cittadino 
stesso,  ove  si  eccettui  il  diploma  di  Astolfo  del 
755  nel  quale  leggiamo  «  Bergomalis  »  e  forse 
«  Bergamatis  »  nei  nostri  documenli  è  sempre  «  Ber- 
gomensis  »  e  tre  o  quattro  volte  al  più  «  Bergamen- 
sis  ».  Noi  troviamo  pure  la  forma  «  Pergamensis  » 
ma  soltanto  nei  casi  o  nelle  circostanze  che  si  rap- 
portano a  «  Pergamum  »,  sul  che  sono  inutili  altre 
considerazioni.  La  parola  «  civis  »  per  indicare 
l'abitante  della  città  in  antitesi  a  quello  del  con- 
tado, non  è  forse  mai  usata  nei  nostri  documen- 
ti :  spesse  volte  abbiamo  la  espressione  «  habita- 
«  tor  de  Bergamo  »  (6)  senza  che  sia  necessario 
ammettere  in  essa  una  speciale  condizione  giuri- 
dica; però,  generalmente  parlando,  la  preposizio- 
ne «  de  »  bastava  ad  indicare  la  provvenienza 
o  l'attuale  domicilio  di  coloro  che  intervenivano, 
sia  come  interessali,  sia  come  testimoni^  agli 
atti  che  pervennero  sino  a  noi. 


72 

|  2.  Posizione  della  Città. 

Nel  punto  dove,  tra  le  due  valli  del  Brembo 
^  del  Serio,  le  montagne  del  Bergamasco  digra- 
dano in  poggi,  che  vanno  a  perdersi  nella  vasta 
pianura  di  Lombardia,  nella  direzione  da  mae 
stro  a  scirocco,  e  diviso  dai  monti  da  angusti 
piani,  s'innalza  un  gruppo  di  colline,  varie  d 
forma  e  d'altezza,  che,  unite  dalla  parte  d'orien 
te,  si  disgregano  poi,  spingendo  due  braccia  quas 
a  toccare  la  riva  sinistra  del  Brembo.  Verso  set 
tenlrione  sono  coperte  da  folti  castagneti  ;  ivi 
però  né  la  scena  del  Luvrida  e  del  Canto  con  le 
lor  falde  popolale  di  vigneti  e  di  polite  ville,  né 
le  ignude  e  maestose  vette  dell'  Albenza,  né  la 
punta  boscosa  dell'  Ubione  valgono  a  rallegrare 
lo  sguardo  dello  spettatore  rattristato  dalla  soli- 
tudine del  luogo  quasi  incolto,  né  d'altro  variato 
che  da  seni  e  da  vallette  umide  ed  uggiose,  do- 
ve a  dicembre,  sulle  brine  intempestive  dell'ot- 
tobre, cadono  ed  invecchiano  le  nevi.  —  Ma  dal 
lato  di  mezzodì  lo  sguardo  si  gode  nel  lucido 
sereno  d'un  vasto  orizzonte,  nell'aspetto  d'una 
pianura  seminata  di  villaggi  e  di  casali,  irrigala  da 
acque  fecondatrici,  ricca  d'ogni  coltura  e  chiusa 
in  lontananza  dalle  nembose  catene  dell'Appen- 
nino e  dell'Alpi  Cozie  e  Graie.  Qui  amene  val- 
lette dove  l'umano  lavoro  educò  ogni  maniera 
di  piante  fruttifere:  qui  miti  inverni,  qui  limpi- 


73 
de  fonti,  non  copiose  a  dir  vero,  ma  bastevoli 
al  bisogno  degli  industri  agricoltori  e  dei  citta- 
dini :  qui  innumerevoli  strade  che  con  dolce  pen- 
dio scendono  al  sottoposto  piano  :  qui  insomma 
la  bella  e  la  dovizia  onde  la  mano  benefica  delM 
natura  fa  caro  agli  uomini  il  loro  soggiorno  sul- 
la terra.  —  A  quasi  uguale  distanza  dal  punto 
più  elevalo  di  queste  colline  scorrono  i  due 
maggiori  fiumi  che  bagnano  il  contado:  a  le- 
vante il  Serio,  a  ponente  il  Brembo  ;  rinserrato 
questo  per  la  maggior  parte  del  suo  corso  fra 
ripe  scoscese,  allargantesi  quello  sulle  contigue 
campagne  con  ruinosa  baldanza. 

Sull'estrema  punta  a  scirocco  di  questo  grup- 
po di  alture,  forse  fino  dai  tempi  più  remoti  era 
collocala  la  italica  Parrà,  o,  quando  questa  ipolesi 
paia  meno  accettabile,  là  certo  fin  da  principio 
si  stanziò  una  tribù  Cenomana,  e  vi  pose  la  sua 
«  abitazione  montana  ».  La  dominazione  roma- 
na, che  pare  non  fosse  tanto  grave  ai  Cenoma- 
ni(7),  nulla  non  immutò  nella  postura  di  questa 
Città,  né  era  agevole  il  farlo  :  avvegnacchè  solo 
la  lenta  opera  del  tempo,  e  rivoluzioni  più  deci- 
sive e  forse  più  terribili  potevano  creare  ai  piedi 
dell'antico  nuovi  centri  e  nuova  vita.  Quindi  nel 
punto  più  culminante  della  città,  ove  ora  è  la 
Rocca,  vi  era  il  «  Capitolami  »  o,  per  usare  le 
parole  di  Livio,  e  in  pari  tempo  di  un  nostro 
marmo  votivo  scavato  in  quel  luogo,  «  la  sede 
a  di  Giove  ottimo  massimo  e  degli   Dei  e  delle 


74 

«  Dee  immortali,  »  ed  appiedi  di  esso  si  rag- 
gruppavano le  abitazioni  cittadine,  i  templi,  gli 
archi,  l'edifìcio  dei  bagni,  come  a  Pompei,  con- 
tiguo al  Foro,  e  un  po' più  ad  occidente  s'in- 
nalzava l'anfiteatro,  di  severo  stile  loscanico,  ove 
trovavano  pascolo  1'  ambizione  dei  Decurioni,  e 
l'animo  dei  cittadini  reso  feroce  dal  lungo  abito 
di  una  educazione  pervertita,  e  dove,  fino  ancora 
attorno  alla  metà  del  terzo  secolo,  per  cortesia 
(  «ex  indulgenza»  )  di  Gordiano  —  il  cantore 
delle  virtù  degli  Antonini  —  i  nostri  quatrum- 
viri  davano  alla  Città  spettacoli  di  combattimen- 
ti umani  (8). 

I  motivi,  che  indussero  i  primitivi  abitatori 
a  collocare  qui  le  loro  sedi,  devono  avere  operato 
almeno  in  parte,  pel  corso  dei  secoli  a  farvele 
mantenere;  e  se  ora  si  volesse  immaginare  che 
soltanto  la  felicità  della  posizione,  la  temperanza 
del  clima  e  la  ubertosità  del  suolo  siano  con- 
corse a  far  prescegliere  queste  alture  per  fondar- 
vi un  centro  di  abitazioni,  non  si  andrebbe  troppo 
vicino  al  vero  del  pari  che  coli'  ammettere  che 
solo  un  inalterabile  ed  inflessibile  rituale  ne  de- 
signasse il  luogo.  Le  cause  per  le  quali  hanno 
origine,  fioriscono  e  si  conservano  le  città  sono 
molto  complesse,  e  spesse  fiate  non  ci  è  dato  di 
compiutamente  indagarle  e  di  porle  in  piena  luce: 
giacché  molli  elementi,  ed  anche  i  più  impor- 
tanti, ponno  talmente  sfuggire  allo  esame  della 
più    attenta    analisi,    da    far   quasi   credere  che 


75 
quanto  ci  si  para  innanzi  allo  sguardo  meravi- 
gliato, non  sia  avvenuto  che  per  effetto  del  puro 
caso.  Nondimeno,  rispetto  a  Bergamo,  noi  possia- 
mo argomentare,  che,  collocata  sovra  un'altura, 
sulla  quale  poteva  difendersi  ugualmente  e  dalle 
innondazioni  frequenti  che  nei  tempi  remoti  de- 
solavano il  piano,  e  dagli  orrori  di  una  guerra 
e  di  un  assalto  improvviso  :  situata  allo  sbocco 
di  valli  industri,  nelle  quali  per  lo  meno  fin 
dall'epoca  romana,  per  quanto  il  consentono  le 
più  scrupolose  induzioni,  si  doveano  esercitare 
le  arti  minerarie  di  estrazione  del  ferro  e  del 
rame,  e  della  prima  e  più  rudimentale  elabora* 
zione  di  questi  metalli:  posta  frammezzo  a  due 
importantissime  città,  Brescia,  cioè,  e  Milano,  le 
quali  né  erano  troppo  vicine  perchè  la  adugias- 
sero  al  suo  nascere  e  la  riducessero  allo  stalo  di 
un  semplice  villaggio,  né  erano  troppo  lontane 
perchè  non  mantenessero  vivi  gli  scambi i  reci- 
proci ed  un  utile  commercio  :  porgendo,  per  co- 
sì esprimerci,  la  mano,  verso  mezzodì  alla  pia- 
nura coi  molteplici  suoi  prodotti,  verso  oriente 
ed  occidente  ad  una  serie  di  altipiani,  di  apriche 
colline  fertilissime  di  vino,  verso  settentrione  a 
tre  valli  ricche  pei  loro  metalli,  per  le  loro  la- 
ne, per  la  inesauribile  miniera  delle  loro  legne, 
dovea  farsi  un  centro  naturale  di  tutti  questi 
prodotti,  un  mercato  a  cui  tulli  concorressero 
pei  loro  scambii,  e  quindi  trovare  in  ciò  una 
ragione  della  florida  sua  esistenza.  Questa   con- 


76 

dizione  di  cose  avrà  avuto  per  naturale  conse- 
guenza una  notevole  attività  nel  nostro  munici- 
pio e  nel  nostro  contado,  e  ne  abbiamo  un  indi- 
zio in  una  lettera  che  Plinio  indirizzava  ad  un 
nostro  concittadino ,  nella  quale  lo  pregava  di 
tenerlo  ragguagliato  delle  cose  nostre,  che  qual- 
cosa di  osservabile  era  solito  di  accadere  in  que- 
sta città  (9):  ne  abbiamo  altri  indizii  nel  fiorirvi 
delle  corporazioni  dei  Fabri,  dei  Centonarii  e  dei 
Dendrofori,  e  nel  vederle  ricevere  legati,  ed  e- 
ìeggersi  illustri  Patroni:  nel  trovarsi  erette  delle 
are  alla  Dea  protettrice  dell'  arte  di  filare  la 
lana,  a  Minerva,  in  molte  parti  del  nostro  conta- 
do (IO),  e  finalmente  nella  memoria,  giunla  fino 
a  noi,  di  agiati  negozianti  che  risiedevano  in  que- 
sto territorio.  —  Ma  le  condizioni  economiche 
che  nella  loro  realtà  mostravano  la  più  spaven- 
tosa decadenza,  l'influsso  dissolvente  del  dispo- 
tismo, i  continui  pesi  che  gravavano  sui  muni- 
cipii,  e  che  dal  dispotismo,  impotente  a  portarli, 
erano  però  con  forza  bastante  addossati  ad  al- 
tri, e  fatti  accettare  dal  giovane  cristianesimo, 
avranno  influito,  come  sulle  altre  città,  anche 
sulla  nostra;  non  tanto  però  da  annientarla  del 
tutto,  poiché  la  benefica  influenza  delle  cause, 
che  abbiamo  più  sopra  enumerate,  più  che  altro 
trovava  una  ragione  di  permanente  esistenza  nelle 
condizioni  fra  le  quali  viveva  questa  Città,  e  nel- 
la sua  stessa  posizione;  talché  se  mancano  me- 
morie per  poter  con  certezza  definire  le    condì- 


77 
zioni  di  essa  sotlo  i  primi  barbari,  vi  vediamo 
però  fin  dalla  mela  del  quarto  secolo  stabilito 
il  primo  Vescovo;  i  Longobardi  farla  sede  di 
un  Duca,  ed  essa  prendere  parte  non  piccola 
alle  commozioni  interne  di  quel  regno  :  sotto  i 
Franchi  un  Conte  della  nostra  città  con  genti 
levate  in  questo  contado  strenuamente  combattere 
contro  i  Saracini  dell'Italia  Meridionale:  qui  di- 
rigere Arnolfo  e  Berengario  i  loro  eserciti,  e  la 
sua  caduta  determinare  la  sottomissione  dell'al- 
tre città  dell'Alta  Italia. 

Naturalmente,  sebbene  questa  Città  avesse 
conservata  una  certa  importanza,  le  sue  condi- 
zioni topografiche  avranno  subilo,  non  nel  com- 
plesso, ma  nei  particolari,  le  più  notevoli  modi- 
ficazioni. La  sorte  dei  municipii  ed  il  loro  stato 
finanziario  erano  caduti  si  in  basso  negli  ultimi 
tempi  dell'impero,  che  sarà  stalo  già  molto,  se, 
quando  sopravvennero  i  primi  Barbari,  i  pubblici 
edifici  si  trovassero  ancora  in  piedi.  Vi  erano  i- 
noltre  due  cause  potenti  ed  affatto  opposte,  le 
quali  nullameno  agivano  in  uno  slesso  senso, 
concorrendo  a  far  cancellare  persino  la  memoria 
di  quegli  stessi  monumenti,  i  quali  soltanto  ci 
potrebbero  render  conto  del  nostro  passalo.  Da 
una  parte  i  Barbari  non  si  saranno  astenuti  dal 
distruggere  questi  edificj  dei  quali  essi  non  po- 
teano  comprendere  lo  scopo,  né  ammirare  il 
bello;  e  per  quanto  i  racconti  degli  antichi  sia- 
no  esagerali   specialmente   riguardo  alle   prime 


78 

invasioni,  tuttavia  non  è  difficile  credere  che 
delle  distruzioni  senza  un  fine  determinato,  e  per 
puro  capriccio,  ve  ne  saranno  state  e  non  poche. 
Dall'altra  parte,  forse  nel  primo  e  più  naturale 
bisogno  della  difesa,  molli  di  quei  monumenti 
saranno  stati  convertiti  a  quest'uso;  ed  è  ciò 
che  noi  pensiamo  sia  avvenuto  per  lo  meno  del 
nostro  Anfiteatro,  del  quale  nel  806  non  rima- 
neva già  più  che  il  nome:  eppure  dovea  essere 
stabile  ed  in  pietra,  se  poniamo  mente  all'abbon- 
danza dei  materiali  che  presenta  la  nostra  Città, 
ad  alcuni  avanzi  scoperti  sul  luogo,  ed  al  fatto 
che  non  si  sarebbe  voluto  perpetuare  con  iscri- 
zioni in  marmo  la  memoria  di  combattimenti  av- 
venuti in  un  anfiteatro  di  legno,  e  quindi  sol- 
tanto temporaneo.  Cambiata  la  destinazione  di 
tali  edificj,  non  è  difficile  accorgersi  che  avreb- 
bero malagevolmente  potuto  resistere  ad  un  at- 
tacco, e  si  sarebbero  mutati  in  un  ammasso  di 
ruine  :  la  legittimità  della  difesa,  e  forse  una  di- 
fesa disperata  poteva  giustificare  in  qualche  mo- 
do dinanzi  agli  occhi  degli  assalitori  la  offesa 
spinta  fino  agli  estremi  e  la  necessità  di  togliere 
ogni  riparo  a  coloro,  che  voleano  frapporsi  alle 
loro  marcie  trionfali. 

Si  deve  inoltre  tener  conto  di  un'  altra  ca- 
gione non  meno  importante.  Quando  cominciò 
ad  estendersi  il  Cristianesimo  e  fu  donata  la  pa- 
ce a  questa  nuova  credenza  fu  una  gara  nelle 
città  d' innalzare  delle  chiese  ai   primi    martiri. 


79 
e  se  non  anteriormente  a  Costantino,  certo  dopo 
di  lui  si  incominciarono  a  spogliare  gli  antichi 
templi  dei  loro  ornamenti  e  delle  loro  colonne 
per  decorare  le  nuove  chiese.  Che  quelli  si  tras- 
formassero in  queste  non  era  gran  fatto  possi- 
bile, poiché  il  tempio  pagano  non  rispondeva  per 
nulla  al  concetto  della  Chiesa  cristiana  :  là,  e- 
scluso  il  volgo,  pochi  assistevano  al  sacrificio: 
qui  dovea  trovarsi  riunita  la  universalità  del  po- 
polo credente  per  assistere  ai  nuovi  riti;  e  la 
maggiore  ampiezza  non  era  certo  una  delle  con- 
dizioni meno  esenziali.  —  Non  bisogna  dimenti- 
care infine  che,  oltre  a  questo,  anche  il  fanatismo 
religioso  avrà  avuto  parte  non  piccola  in  questa 
opera  di  distruzione,  o  per  lo  meno  di  trascu- 
ranza:  tutlociò  che  sapeva  di  pagano,  che  ricor- 
dava le  antiche  credenze  religiose,  ossivero  la 
mollezza  degli  antichi  costumi,  sarà  parso  a  ta- 
luni cosa  affatto  innocente  —  quand'  anche  non 
sembrasse  loro  mollo  meritoria  —  il  distruggerlo 
ed  impiegarne  quindi  i  materiali  in  altra  guisa 
più  conforme  alle  nuove  idee:  e  sapendosi  che 
il  battistero  cristiano  fu  modellato  sulla  forma 
degli  edificj  balnearii  dell'epoca  romana:  veden- 
do che  Tunica  memoria  che  ci  rimanga  di  un 
nostro  concittadino,  il  quale  provvide  dei  bagni 
e  dell'acqua  necessaria  la  nostra  città,  era  infis- 
sa nel  muro  dell'attuale  Cattedrale,  e  fu  rinve- 
nuta ne'  suoi  contorni,  a  noi  pare  di  essere  ab- 
ìastanza  giustificati  se  ammettiamo   in   questo 


80 

fallo  un'opera  di  distruzione,  che  ci  è  dalo  per- 
fettamente immaginare,  sebbene  sia  andata  smar- 
rita ogni  memoria:  forse  la  munificenza  del  no- 
stro Cluvieno  avrà  prestato  i  marmi  pel  fonte 
battesimale  collocalo  nella  basilica  di  S.  Maria, 
e  forse,  come  sembra  più  probabile,  in  un'epoca 
anteriore  avrà  contribuito  per  la  sua  parie  allo 
innalzamento  della  Chiesa  eli  S.  Vincenzo,  od 
all'edificazione  di  quella  basilica  stessa.  Questo 
stato  di  cose,  al  quale,  ove  si  aggiunga  la  deso- 
lante miseria  dei  cittadini  sul  finire  dell'  impero, 
i  quali  per  isfuggire  le  cariche  municipali  ormai 
divenute  insopportabili  abbandonavano  patria  e 
famiglia,  lasciando  che  il  fisco  imperiale  sten- 
desse la  mano  rapace  sulle  loro  sostanze,  per- 
suaderà ognuno,  che  necessariamente  l'aspetto 
materiale  della  città  dovea  presentare  la  più  mi- 
seranda decadenza  :  edifici!  pubblici  e  privati  rui- 
nati  e  devastati;  l'antica  basilica,  il  foro,  le  vie, 
ogni  luogo  insomma  ove  si  manifestava  la  vita 
cittadina  ridotto  alla  più  squallida  condizione: 
ed  un  indizio  significante  di  questo  stato  di  co- 
se V  abbiamo  nel  fatto  che  sonsi  trovati  pavi- 
menti a  mosaico  ove  ora  poggiano  le  fondamenta 
delle  nostre  case,  e  che  la  via,  la  quale  passava 
pel  mezzo  della  città,  e  che,  per  quanto  si  può 
giudicare  dalle  poche  indicazioni  pervenute  fino 
a  noi,  presentava  tulli  i  caratteri  elei  tempi  ro- 
mani, verso  il  1600  si  trovava  ad  una  certa  pro- 
fondità sotterra.  Indizii  simili  a  questi  pur  trop« 


81 
pò  sono  anelali  perduti,  e  potrannosi  soltanto  e- 
stenclere  con  notevoli  rimescolamenti  del  suolo 
attuale;  ora  ci  basti  notare  che  solamente  poche 
iscrizioni  ci  lasciano  divinare  alcunché  della  cit- 
tà nostra  all'epoca  romana  ;  ma  a  quante  doman- 
de noi  moviamo  con  ansia  quasi  febbrile,  non 
risponde  che  il  più  cupo  silenzio  !  —  La  città 
adunque,  rispetto  alla  sua  posizione,  rimase  an- 
che sotto  i  Regni  Longobardi,  Franchi  e  tutti 
i  successivi  fino  al  presente  qual'era  sotto  i  Ro- 
mani e  i  Cenomani  ;  e  sarebbe  a  meravigliare 
che  ciò  non  fosse.  Essa  si  prestava  tanto  bene 
alla  difesa  —  che  per  dura  necessità  era  e  do- 
vea  essere  lo  scopo  precipuo  in  que' tempi  — 
che  si  può  credere  che  né  i  Goti,  né  i  Longo- 
bardi principalmente,  si  saranno  trattenuti  dal 
mantenervi  accuratamente  le  mura,  che  la  cir- 
condavano come  cerchio  di  ferro,  e  che,  unite 
all'altre  condizioni  tutt'altro  che  propizie,  ne  im- 
pedivano ogni  espandimento. 

|.  3.  //  Monte  della  Città. 

Che  nei  tempi  più  antichi  il  colle  sul  quale 
era  posta  la  Città  avesse  un  nome  proprio,  o  di- 
verse denominazioni,  non  oseremmo  né  affer- 
mare ,  né  negare  del  tutto.  Il  fatto  è  che  alla 
nostra  epoca  noi  vediamo  attribuirsi  a  questa  al- 
tura la  appellazione  di  «  Monte  della  Città  »  sen- 
z'altro, e  ciò  perla  prima  volta  nell'anno  904  (11). 

G 


82 

Non  è  sì  facile  il  segnare  i  limiti  di  questa  de- 
nominazione. Abbiamo  già  veduto,  parlando  della 
Chiesa  di  S.  Maria  della  Torre  e  di  quella  di 
S.  Michele  al  Pozzo,  come  alcune  località  portas- 
sero il  nome  di  «  Monticello  »  in  antitesi  ai 
monte  principale  sul  quale  era  collocata  la  no- 
stra Città;  ma  ciò  non  toglie,  che  quando  si 
indicassero  pezzi  di  terreno  posti  a  piedi  o  sui 
pendio  di  questo  colle,  a  cagione  d'esempio,  in 
Pignolo  od  in  Fontana,  non  si  dicessero  situati 
«  sui  monte  (in  mons)  »  ovvero  «  vicino  al  mon- 
«  te  della  stessa  città  (iusta  mons  ipsius  civita- 
«  tis)  (12)  » ,  il  che  è  indizio  sufficiente  per  ammet- 
tere questa  sola  e  generale  denominazione.  La 
quale  inoltre  si  estendeva  al  contiguo  colle,  seb- 
bene questo  simultaneamente  portasse  anche  il 
nome  di  Monte  S.  Vigilio.  Così  in  documento 
del  957  abbiamo  :  «  un  vigneto  che  è  sul  monte 
«  della  stessa  Città  di  Bergamo  nel  luogo  chia- 
<l  mato  S.  Vigilio;  »  in  altro  del  1032:  «  un 
«  pezzo  dì  terra  fuori  e  non  lungi  dalla  stessa 
((  città  nel  luogo  che  si  chiama  Monte  S.  Vigi- 
«  lio;  »  in  altro  del  1058:  «  tre  pezze  di  ter- 
«  ra  fuori  della  Città  una  delle  quali  sul  mon- 
«  te  che  si  dice  S.  Vigilio  ;  »  e  finalmente  in 
uno  del  1142:  «  una  vigna  sul  monte  di  questa 
t  città  ove  si  chiama  la  Cappella  (13)  ».  La  con- 
nessione in  cui  si  trovano  il  colle  di  S.  Vigilio 
e  quello  della  città  fa  credere  che  anche  a  quel 
primo  siasi  esteso  il  nome  di  «  monte  della  cit- 


83 
là  »  e  che  non  sia  stato  che  in  un'  epoca  assai 
più  tarda  che  abbia  preso  piede  la  indipendente 
denominazione  di  «  Monte  S.  Vigilio  ».  Se  nelle 
nostre  carte  anche  questo  si  chiama  monte  della 
città,  non  vuol  già  dire  che  fin  là  si  estendesse 
la  città  stessa,  perchè  altrimenti  sarebbero  ine- 
splicabili tutti  gli  indizii  storici  che  in  questi  e 
nei  susseguenti  secoli  abbiamo  sul  giro  delle 
mura  nostre  da  questa  parte  (14):  vuol  dire  sol- 
tanto che,  sebbene  fin  dall'anno  727  fosse  stata 
t'ondata  sulla  sommità  di  quel  colle  la  chiesa  di 
San  Vigilio,  tuttavia  in  due  e  più  secoli  non  era 
ancora  invalso  fuso  di  chiamarlo  esclusivamente 
dal  titolo  di  quella  chiesa:  e  ciò  non  parrà  stra- 
no a  chi  consideri,  sembrare  la  città  nostra,  a  ehi 
da  lontano  la  riguardi,  posta  sulla  china  dello 
stesso  monte  S.  Vigilio,  piuttosto  che  sulla  cima 
di  un  colle  quasi  da  esso  interamente  staccato. 

|  4.  Le  Mura  della  Città. 

Avvertenza.  —  Della  esistenza  di  fortifica- 
zioni, che  cingevano  la  nostra  città  anche  in  una 
epoca  anteriore  a  quella  di  cui  ora  ci  occupiamo, 
alcune  notizie  troviamo  negli  storici  e  nei  croni- 
sti di  quel  tempo.  Cosi,  duranti  alcune  guerre 
intestine,  che  turbarono  la  quiete  del  regno  Lon- 
gobardo, noi  sappiamo  che  intorno  all'anno  591 
«  Gaidulfo....  si  fortificò  nella  sua  città  di  Berga- 
«  mo  (15)  :  »  nel  701,  quando  il  nostro  Duca  Ro- 


84 

tari  si  ribellò,  sappiamo  dallo  stesso  storico  che 
«  il  re  Ariperlo....  assediò  Bergamo,  e  cogli  arieti 
«  e  diverse  altre  macchine  militari  in  breve  tem- 
«  pò,  senza  alcuna  difficoltà  la  espugnò  (16).  » 
Risulta  di  qui  che  all'epoca  Longobarda  questa 
città  era  cinta  di  mura,  le  quali,  aggiunte  alla 
posizione  montuosa,  si  prestavano  ad  una  certa 
tal  quale  difesa:  il  che  è  confermalo  anche  dal- 
l'uso linguistico  di  quel  tempo,  giacché,  come 
vedemmo,  il  re  Astolfo  nel  735,  parlando  della 
basilica  di  S.  Lorenzo  la  dice  «  collocata  fuori 
«  delle  mura  della  nostra  fortezza  (castri)  di  Ber- 
«  gamo(17).  »  Il  titolo  di  «  castrum  »  attribuito 
alla  città,  che  già  per  sé  stesso  indica  un  luogo 
posto  in  alto  e  fortificato,  unito  alla  circostanza 
della  somma  cura  che  ponevano  i  Longobardi  nel 
mantenere  le  mura  delle  loro  città  (talché  al  mi- 
nimo indizio  di  ruina  il  vicario  del  luogo  provve- 
deva con  ogni  sollecitudine)  (18),  ed  al  fatto  ancora 
che  essi,  sia  nelle  loro  guerre  coi  Franchi,  sia,  a 
cagion  d'esempio,  nella  invasione  degli  Avari  ri- 
conobbero la  loro  salvezza  nel  riparare  nelle  città 
munite  (19),  dimostra  apertamente,  che  non  è  du- 
rante il  loro  regno  che  la  nostra  città  poteva  ve- 
nire smantellata,  o  che  potevan  esser  lasciate,  per  lo 
meno,  andare  in  ruina  le  sue  fortificazioni.  Che 
queste  mura  esistessero  anche  nei  secoli  seguenti, 
nonostante  forse  una  certa  trascuratezza  per  parte 
dei  Franchi  nel  riparare  ai  guasti  più  inevitabili, 
e,  quel  che  più  importa,  per  ragione  di  difesa,  e 


85 
che  alla  difesa  o  bene  o  male  servissero,  lo  sap- 
piamo per  testimonianze  irrefutabili  di  fatti  esi- 
ziali alla  nostra  città,  che  successero  appunto  sul 
finire  del  nono  secolo.  Nell'occasione  della  presa 
della  nostra  città  per  opera  di  Arnolfo  nel  894 
noi  sappiamo  dal  Continuatore  degli  Annali  di 
Fulda,  che,  nel  luogo  ove  successe  F  assalto  vi 
era  un  «  muro  fondato  anticamente  (20):»  Liut- 
prando  accenna  in  pari  tempo  ai  «  fortissimi  ripari 
«  del  luogo  (21),  »  e  l'Anonimo  nel  Panegirico 
di  Berengario  racconta  che  Arnolfo  e  Berengario 
«  Pergami  adveniunt  urbem,  quam  detinet  ultra 
«  Munitam  jaculis  nimium,  sudibusque  praeustis, 
«  Natura  tribuente  locum  satis  arcibus  aptum...» 
e  inoltre  che: 

«  Urbis  ad  excidium  properat  germana  Juventus 
«  Undique  luctifico  sonitu  compulsa  tubarum. 
«  Hie  fossas  implent  alii,  muroque  propinquant, 
«  Pars  scalis  etiam  tendunt  conscendere  turres (22).» 

Noi  ommetliamo  qui,  per  non  invadere  il 
campo  della  storia,  tuttociò  che  dagli  stessi  è 
narrato  sulla  ruina  di  una  parte  di  questo  muro. 
Naturalmente  non  si  potrebbe  ricercare  di  più 
per  islabilire  questo  fatto  nel  modo  più  positivo  ; 
ma  vi  ha  appunto  una  questione ,  che  tutte  le 
arrecate  testimonianze  non  bastano  a  sciogliere 
e  che  pure  è  per  noi  della  massima  importanza: 
qual'era  l'ambito  di  queste  mura?  È  ciò  che  dob- 
biamo indagare  negli  scarsi  documenti  di  questa 


86 

epoca:  a  fare  il  che  riporteremo  nella  nota  qui 
appresso  richiamata,  in  ordine  di  data,  i  brani 
di  quei  documenti,  nei  quali  ci  sarà  dato  trovare 
qualche  indicazione  anche  lontana  (23).  Sono  però 
necessarie  due  osservazioni  ;  e  primamente,  che, 
sebbene  le  nostre  mura  siano  state  danneggiate, 
ed  una  parte  di  esse  sia  crollata  nell'assalto  da- 
to da  Arnolfo,  nondimeno  questa  mina  deve  es- 
sere stata  affa t lo  parziale,  giacché  l'attacco  mosse 
dalla  parte  del  Monte  S.  Vigilio  e  del  sovrastan- 
te Castello,  e  quando  nel  riedificarle  i  nostri  cit- 
tadini non  si  fossero  attenuti  ai  limiti  delle  pri- 
me, almeno  la  chiesa  di  S.  Alessandro,  che,  co- 
me vedemmo,  era  posta  vicinissima  al  luogo  don- 
de i  Tedeschi  penetrarono  nella  città,  avrebbe 
potuto  venire  inclusa  nella  nuova  fortificazione  : 
ma  invece  questa  chiesa,  incominciando  per  lo 
meno  dall'  anno  806,  è  sempre  delta  fuori  del 
muro  cittadino,  per  lo  che  possiamo  ritenere  che, 
anche  dove  gli  avvenimenti  luttuosi  succeduti 
sul  finire  del  secolo  nono  potevano  indurre  qual- 
che modificazione,  nulla  non  si  alterò  dal  primi- 
tivo assetto,  ed  il  giro  delle  mura  rimase  lo 
stesso.  In  secondo  luogo,  chiunque  abbia  avuto 
od  avrà  lo  pazienza  di  scorrere  anche  superfi- 
cialmente i  brani  da  noi  citati,  è  impossibile  non  si 
accorga  a  primo  tratto  come  le  indicazioni  dateci 
da  essi  siano  scarse  ed  insufficienti  a  farci  se- 
guire ne' suoi  più  minuti  particolari  l'andamento 
delle  nostre  mura:  bastano  però  a  darci   in  gè- 


87 
nenie  un'idea  dell'estensione  che  avevano  le 
stesse,  ed  a  lasciarci  stabilire  se  non  altro  un 
punto  di  confronto  fra  la  condizione  materiale 
della  città  in  quel  tempo  e  l'attuale.  Intanto  co- 
minciamo a  notare,  che  i  documenti  del  755,  785, 
816,856  (bis)  e  958  ci  danno  tre  punti  slabili 
di  partenza  per  le  nostre  ricerche,  vale  a  dire, 
ci  fanno  sapere  che  le  chiese  di  S.  Alessandro, 
S.  Lorenzo  e  S.  Andrea  erano  fuori  della  città. 
La  posizione  dell'ultima  di  dette  chiese  tutti  a 
un  di  presso  la  conoscono:  quanto  alla  prima, 
come  già  avvertimmo,  è  indicata  da  una  colonna 
in  principio  del  Borgo  Canale  :  la  seconda  dovea 
trovarsi  all'  incirca  di  fianco  all'attuale  porta  che 
ha  lo  stesso  nome,  dalla  parte  del  borgo  pure 
omonimo.  Ora  su  questi  dati  e  sui  pochi  indizii 
che  andremo  mano  mano  raccogliendo  nella  no- 
stra peregrinazione,  tentiamo  di  ricostruire  in 
qualche  modo  l'antico  circuito  delle  nostre  mura. 


Partendo  adunque  dal  punto  più  orientale 
della  città,  e  cominciando  verso  il  mezzo  dell'at- 
tuale contrada  di  Porta  Dipinta  nel  punto  ove 
in  essa  mette  capo  il  vicolo  degli  Anditi,  le  mu- 
ra salivano  sul  colle  di  S.  Eufemia,  ov'è  la  Roc- 
ca, non  in  tutto  direttamente  -  che  vi  si  oppo- 
neva il  ripido  pendio  -  ma,  giunte  quasi  all'al- 
tezza delle  case  ora  incluse  nella  Rocca,  ne  se- 


88 

guivano  ad  un  dipresso  il  contorno  da  esse  se- 
gnalo in  guisa  da  raggiungere  da  una  parte  il 
ricinto  orientale  della  Rocca  stessa  e  dall'altra  da 
proteggere  fortemente  e  da  fiancheggiare  la  sotto- 
posta porta.  Che  nella  costruzione  della  Rocca 
fatta  da  Giovanni  di  Boemia  nel  1331  non  si  re- 
cassero innovazioni  di  sorta  dallato  orientale  di 
quel  fortilizio,  quanto  a  noi,  agevolmente  lo  cre- 
deremmo; poiché  evidentemente  la  fortificazione 
occupava  la  parte  più  alla  di  questo  colle,  il  più 
elevato  della  città,  in  modo  da  dominarne  per- 
fettamente tutto  il  declivio  co'  suoi  notevoli  avvalla- 
menti  (24):  cosa  di  non  poca  importanza  a  quei 
tempi,  e  dalla  quale  si  comprende  perchè  tulli 
gli  indizii  concorrano  a  farci  ritenere,  che  da 
questo  lato  la  noslra  città,  nei  diversi  assalti  a 
cui  andò  soggetta,  non  venne  mai  battuta  ;  il 
colle  di  S.  Eufemia  discende  ripidamente  su 
quello  della  Fara,  e  da  questo  al  piano  ove 
scorre  la  Moria.  Inoltre  noi  possediamo  ancora  il 
testo  delle  deliberazioni  che  furono  prese  quan- 
do Giovanni  di  Boemia  si  trovava  in  questa  Cit- 
tà ;  e  la  proposta  fatta,  che  era  passata  a  grande 
maggioranza,  e  la  quale  suonava  in  questi  termini, 
«  che  le  mura  di  Bergamo,  prescelta  però  una 
«  parte  nella  quale  si  costruisse  una  fortezza  re- 
«  gale  e  nella  quale  potessero  avere  stanza  i  Reg- 
*  gilori  e  i  soldati,  venissero  spianate  (25),»  dimo- 
stra che  era  disegno  di  Galvaneo  dei  Gargani 
e  dei  nostri  concittadini,  che,  nell'  innalzare  que- 


S9 
sto  fortilizio,  si  approfittasse  di  parte  del  muro 
della  città,  il  quale  in  tal  modo  veniva  a  for- 
marne il  ricinto  orientale  ed  esterno;  e  che  ciò 
siasi  fatto,  lo  vedremo  fra  breve  risultare  da  al- 
cuni brani  dei  nostri  Statuti,  dai  quali  si  può 
argomentare,  che  verso  F  interno  della  città  si 
dovettero  bensì  abbattere  dalle  case  private  per 
far  luogo  a  quella  fortezza,  ma  che  il  muro  cit- 
tadino non  fu  tocco  per  nulla,  poiché  le  indicazioni 
che  lo  riguardano  sono  le  stesse  nel  più  antico  come 
nel  più  recente  Statuto.  Il  ricinto  orientale  della 
Rocca  servì  di  muraglia  della  città  anche  quando  da 
oltre  tre  lustri  s'era  posto  mano  alle  nuove  for- 
tificazioni, e  quando  quasi  tutta  la  città  era  guar- 
dala dai  nuovi  baluardi  (26),  poiché  ai  Capitani  qui 
inviati  dalla  veneta  Repubblica  il  sito  parve  ga- 
gliardissimo in  modo,  che  non  fosse  urgente 
chiuderlo  di  preferenza  a  molti  altri  più  scoperti 
(27).  Ma  se  però  si  volesse  fondare  un  giudizio 
sullo  stato  attuale  di  quel  ricinto  per  iscovrirvi  le 
traccie  della  sua  antichità,  a  nostro  vedere  do- 
vrebbe riuscire  ben  difficile  trovarvi  punti  di 
confronto  cogli  altri  tratti  che  sopravvissero  al- 
l' epoca  dissolvitrice  del  tempo,  in  quanto  che 
non  bisogna  dimenticare,  che,  quando  venne  fab- 
bricata la  Rocca,  non  si  sarà  mancato  di  ristau- 
rarlo  e  di  ringagliardirlo  ove  la  necessità  lo  ri- 
chiedeva, e  che  sul  finire  del  secolo  scorso  la 
cinta  della  Rocca  slessa  minacciava  di  ruinare  in 
modo,  che  la  veneta  Repubblica  dovette  pensare 


90 

seriamente  e  rimetterne  tutto  il  muro (28).  -Oltre- 
passato quel  fortilizio,  le  mura  si  portavano  al- 
l'altezza dell'antico  convento  di  S.  Francesco  e 
lo  giravano  in  parte.  In  questa  località  anche  nei 
tempi  antichi  erano  succeduti  cambiamenti,  che 
non  ci  permettono  di  segnare  con  tutta  precisio- 
ne il  luogo  ov'era  poggiato  questo  muro.  A  ca- 
gion  d'esempio  nello  Statuto  del  1331,  nella 
descrizione  della  «  Porta  »  di  S.  Lorenzo  e  del- 
le vicinie  di  S.  Pancrazio  e  di  S.  Eufemia,  tro- 
viamo la  seguente  espressione  «  andando  diret- 
«  tamente  per  contrada  Solata  fino  al  muro  del- 
«  la  città  di  Bergamo  e  per  la  stretta  che  è  tra 
«  la  casa  gli  Albarini  e  le  case  di  Nantelino  che 
«  dicesi  Brugalo  e  di  Nigro  dei  Mazzocchi  della 
«  Ripa  (29);  »  ma  in  questo  frattempo  si  era  posto 
mano  alla  costruzione  della  Rocca:  almeno  dalla 
parte  interna,  come  accennammo,  si  erano  do- 
vute abbattere  delle  case,  per  il  che  nello  Statuto 
del  1391  e  nei  susseguenti  troviamo  invece: 
«  andando  in  su  per  via  Solata....  fino  al  muro 
«  della  cillà  di  Bergamo  rasente  la  chiesa  dei 
«  Frali  minori,  lasciando  dalla  parte  di  sera 
«  quella  chiesa,  la  quale  è  in  capo  alla  stretta 
«  che  è  tra  le  case  un  tempo  di  Nantelino  di 
a  ser  Sozio  della  Ripa  ed  ora  del  Comune  di 
«  Bergamo,  e  la  casa  del  signor  Raimondo,  che 
«  fu  poscia  di  Albarino  degli  Albarini,  le  quali 
«  case  furono  gettate  a  terra  a  cagione  della 
«  Rocca  (30).  »  Risulla  da  queste  allegazioni,  che, 


91 

partendo  dall'attuale  Mercato  delle  Scarpe,  ed 
andando  per  contrada  Solala,  si  raggiungeva  il 
muro  cittadino:  che.  atterrate  alcune  case  per 
l'innalzamento  della  Rocca,  l'unica  indicazione 
che  rimase  in  seguito,  era  che  questo  muro  si 
trovava  rasente  alla  chiesa  dei  Francescani. 
Non  bisogna  però  ,  nel  seguire  l' andamento 
dell'  antica  fortificazione  ,  partire  dalla  base 
della  forma  attuale  di  quel  Convento  e  della 
chiesa  ad  esso  unita,  ed  ora  quasi  distrutta.  Fi- 
no dal  1455  la  chiesa  ed  il  convento  minacciava- 
no di  ruinare  per  la  loro  vetustà  (31),  e  nel  1502 
si  pose  mano  a  rifabbricarli  sopra  una  base  più 
vasta  che  non  fosse  l'antica (32).  Le  indicazioni  date 
adunque  dai  nostri  Statuti  non  bisogna  adattarle 
alla  lettera  alle  attuali  condizioni  del  luogo:  se 
l'antica  chiesa  era  assai  più  piccola  della  nuova 
—  e  non  si  durerà  fatica  a  crederlo,  —  e  se 
essa  si  trovava  rasente  al  muro  cittadino,  biso- 
gna necessariamemte  indurne,  che  questo  pas- 
sasse pel  corpo  dell'attuale  edificio,  e  lo  girasse 
in  parte,  fino  a  raggiungere  la  porta  di  S.  Lo- 
renzo, nel  punto  ove  s'incrociano  la  contrada 
del  Seminario  e  la  stretta  di  S.  Francesco  colla 
via  di  Borgo  S.  Lorenzo  (33).  -  Oltrepassata  la  pre- 
detta Porta,  le  mura  seguivano  un  andamento, 
quale  è  segnato  dall'attuale  contrada  del  Semi- 
nario, e  dall'edificio  dello  stesso  Seminario  vec- 
chio, e  quale  lo  esigevano  le  ragioni  della  dife- 
sa, e  le  condizioni  stesse  del  pendio.    La  nuova 


92 

chiesa  adunque  di  S.  Lorenzo  ed  il  contiguo 
fonte  del  Lantro  restavano  fuori  della  città,  e 
ciò  è  confermato  anche  da  testimonianze  ante- 
riori ai  nostri  Statuti,  e  quindi  vicinissime  all'e- 
poca della  quale  ci  occupiamo.  Ne!  1032  in  un 
atto  di  permuta  nel  quale  si  enumerano  varii 
pezzi  di  terreno,  posti  in  parte  dentro,  e  in 
parte  fuori  della  città,  fra  gli  esterni  ve  ne  ha 
uno  posto  «  nel  luogo  che  si  dice  Lantro  (34).»  In 
altra  carta  del  1044  parlasi  di  un  altro  pezzo 
di  terra  situalo  «  ove  si  dice  Lantro...  ove  corre 
«  lo  slesso  Lantro...  non  molto  lungi  dalla  stessa 
«  città  (35):»  e  nello  Statuto  del  1331,  trattan- 
dosi dei  confini  della  vicinia  di  S.  Matteo,  si  ac- 
cenna alla  casa  di  un  certo  Manfredo  Mallio,  la 
quale  poneva  capo  «  nella  vicinanza  di  S.  Lo- 
«  renzo  sul  muro  della  città,  che  è  sopra  il  Lan- 
«  tro  (36).  »  Siffatta  indicazione  pone  fuori  di 
dubbio  la  direzione  da  noi  segnata  delle  nostre 
mura,  le  quali,  girando,  come  dicemmo,  l'edificio 
del  Seminario  vecchio,  e  chiudendo  nel  loro  àm- 
bito l'antica  chiesa  di  S.  Matteo,  della  quale  co- 
me di  chiesa  interna  abbiamo  memoria  per  la 
prima  volta  nel  MIO  (37),  con  rapida  risvolta  verso 
mezzodì  risalivano  il  colle  nella  direzione  del 
fonte  del  Vasine,  sotto  il  convento  de'  frati  Car- 
melitani, ove  sussistono  ancora  non  pochi  avan- 
zi, e  d'  onde,  riprendendo  la  prima  direzione 
verso  occidente,  raggiungevano  direttamente  l'at- 
tuale edificio  della  Cittadella. 


93 

Qui  sono  necessarie  alcune  considerazioni, 
affine  di  convalidare  meglio  le  nostre  indicazioni. 
E  dapprima,  anche  all'  epoca  della  compilazione 
del  nostro  Stalulo  del  1331,  il  fonte  della  Boc- 
cola era  esterno:  la  descrizione  della  vicinia  di 
S.  Matteo  non  ci  può  lasciare  alcun  dubbio  (38). 
Poi  vi  è  il  fatto,  che  gli  archi  della  muraglia  dei 
Vasine,  inoltrandosi  per  un  certo  tratto  lungo  la 
così  detta  strada  del  Vasine,  non  poteano  con- 
giungersi col  restante  muro  verso  S.  Matteo,  che 
lasciando  fuori  del  loro  àmbito  il  fonte  e  1'  at- 
tuale strada  della  Boccola.  Naturalmente  il  muro 
che  risaliva  da  S.  Matteo,  congiungendosi  a  quel- 
lo che,  pel  fonte  del  Vasine,  andava  verso  l'at- 
tuale edificio  della  Cittadella,  avrà  formato  un 
angolo  :  e  questa  circostanza  ci  spiega  la  deno- 
minazione di  «  Cantone  del  Vasine  »  che  nel 
1196  troviamo  in  una  investitura,  per  indicare 
appunto  un  pezzo  di  terra  posto  in  questa  loca- 
lità entro  le  mura  stesse  (39).  Gli  archi  che  costi- 
tuiscono il  fonte  del  Vasine,  e  che,  nascosti  dalle 
case,  si  protendono  da  una  parte  e  dall'altra  di 
esso  fonte,  appartengono,  come  dicemmo,  all'an- 
tica muraglia.  Le  indicazioni  che  ne  danno  tutti 
i  nostri  Statuti,  cominciando  da  quello  del  1331 
—  che,  come  già  avvertimmo  più  volte,  in  que- 
sta parte  attingeva  le  sue  descrizioni  ad  un'epo- 
ca assai  anteriore  —  e  giù  giù  fino  a  quelli 
compilati  quando  era  qui  stabilita  già  la  Signo- 
ria Veneta,  non   ne   lasciano  alcun   dubbio.  In 


94 

essi  —  nella  descrizione  della  Porta  di  S.  Ales- 
sandro —  noi  troviamo  concordemente  queste 
espressioni  :  «  ed  andando  in  giù  per  la  via  del 
«  Vasine  (partendo  cioè  dall'attuale  Piazza  Nuo- 
ce va)  fino  alla  pietra  lavorata,  che  è  nel  muro 
«  della  città,  nella  qual  pietra  sono  scolpile  le 
«  insegne  del  signor  Filippo  di  Asti,  un  tempo 
«  podestà  del  comune  di  Bergamo,  e  la  quale  pie- 
ce tra  è  nel  bel  mezzo  del  fonte  del  Vasine  (40):» 
È  chiaro  dunque  che  lo  stesso  fonte  del  Vasine 
non  è  altro  che  l'antico  muro  della  citlà  ;  e  qui 
deve  essere  successa  la  stessa  cosa  che  pel  mo- 
nastero di  S.  Francesco,  cioè  che  verso  il  finire 
del  secolo  XV  essendo  le  nostre  fortificazioni  e- 
slremamente  trascurate,  o  meglio,  avendo  già  lo 
stesso  muro  prese  altre  direzioni,  i  Frati  Carme- 
litani estesero  Siili'  antico  la  rinnovata  fabbrica 
del  loro  monastero  (41).--  Continuando  così  la  sua 
direzione  verso  occidente,  il  muro  raggiungeva 
l'attuale  edificio  della  Cittadella  e  lo  circondava 
in  quasi  tutta  la  sua  parte  settentrionale;  poi, 
giunto  al  luogo  dove  a  un  di  presso  è  ora  1'  u- 
scila  dalla  Cittadella  stessa  verso  il  Colle  Aperto, 
volgeva  verso  mezzodì  (42),  addossandosi  al  colle 
di  S.  Giovanni  in  Arena,  e  seguendo  appresso  a 
poco  la  direzione  ora  segnata  dall'ampia  strada, 
che  corre  dalla  Porta  attuale  di  S.  Alessandro  al 
bastione  di  S.  Giovanni.  In  questa  parte  però  il 
muro  presentava  delle  angolosità  volute  dalle 
condizioni  locali  :  e,  girato  il  colle  di  Arena  fino 


95 

all'altezza  del   nuovo   Seminario,   volgeva   verso 
Scirocco.  Qui  le  tracce  dell'antica  muraglia  sono 
un  po'  più  frequenti  :  ad  oriente  di  quella  parte 
del  basso  Seminario,   che  guarda   sulle   mura  e 
che  nella  sua  costruzione  appalesa  di  essere  for- 
mata da  duo  torri  contigue,  in  un  giardinetto  e 
sostenuti  da  piccoli  barbacani  si  veggono  ancora 
evidenti  avanzi  della  vecchia   nostra  fortificazio- 
ne: sotto   il    monastero   di  S.  Grata  e   precisa- 
mente nell'attiguo  giardino  restano   ancora  dieci 
archi  di  quella  muraglia  :    archi    consimili   sono 
quelli  che  sostengono   la    parte   superiore   della 
strada  che  dalla  mura  nuova  conduce  sul  mon- 
ticello  di  Rosate,  ov'  è   ora   il   Liceo.  Sappiamo 
che  la  chiesa  di  S.  Lorenzino  poggiava  sull'  an- 
tico muro  della  città,  poiché   nel  1462  la   Città 
concesse  alla  compagnia  dei  disciplini  di  S.  Lo- 
renzo di  fabbricare  la  loro  chiesa  «  sopra  il  mu- 
«  ro  della  città  medesima,  ferma  la  via  restante  e 
«  senza  verun  pregiudizio  (43):  «  e  questa  notizia 
ci  è  tanto  più  preziosa,  in   quanto   che,  coinci- 
dendo a  un  di  presso  coll'epoca  dell'ampliamento 
dei  conventi  di  S.  Francesco  e  del  Carmine,  di- 
mostra che  in  questo    tempo    si    cominciava  ad 
usare  e  ad  abusare  forse  delle   nostre  mura  per 
tutl'  altro   fine    di  quello,  pel  quale  erano  state 
innalzate  :  al  che  si  prestava  la  città  stessa  colle 
sue  concessioni.  Questi  indizii  ai  quali   abbiamo 
accennato,  ed  ai  quali  ognuno  può   porre  atten- 
zione, ci  fanno  vedere,  che  l'antica  fortificazione, 


di  molto  più  interna  della  nuova,  passava  :  I.°  sotto 
il  Seminario  nuovo;  II.0  per  lo  mezzo  del  mo- 
nastero di  S.  Grata;  III.0  che,  giunta  presso  a 
poco  ove  ora  un  vicolo  chiuso  separa  dalla  parte 
orientale  quel  monastero  dalle  restanti  case,  do- 
vea  abbassarsi  di  alcunché  sull'  attuale  strada 
delle  mura  sino  a  porsi  all'altezza  degli  archi 
superstiti  sotto  il  Liceo;  IV.0  che  la  strada  det- 
ta tuttora  di  S.  Lorenzino  correva  rasente  alle 
mura,  anzi  sulle  mura  stesse  della  città;  V.°  e 
finalmente,  che  1-  area  occupata  dal  palazzo  un 
tempo  Brembati  dovea  restare  fuori  dell'  antico 
ricinlo;  del  qual  fatto  si  avea  notizia  certa  fin  dai 
primi  anni  del  secolo  XYI  (44).  —  Oltrepassata 
la  contrada  di  S.  Giacomo,  il  muro  continuava 
nell'altro  lato  della  città  (vòlto  verso  ostro-sci- 
rocco) conformandosi  alla  linea  segnata  in  parte 
dell'attuale  vicolo  degli  Ànditi.  Anche  qui  ne  ri- 
mangono degli  avanzi,  ancora  ben  conservati,  in 
archi  identici  a  quelli,  che  ricordammo  entro  il 
monastero  di  S.  Grata.  Il  ricinto  delle  mura  si 
chiudeva  allo  sbocco  del  vicolo  prenominalo  nel- 
la contrada  attualmente  detta  di  Porta  dipinta, 
donde  abbiamo  prese  le  mosse  in  questa  nostra 
rapida  descrizione  (45).  —  Tale  a  un  di  presso  era 
il  ricinto  di  Bergamo  in  questi  secoli.  Noi  l'ab- 
biamo seguito  a  passo  a  passo  cautamente,  ed  è 
perciò  che  talvolta  siamo  riusciti  un  po' dubbiosi 
nelle  nostre  induzioni.  Abbiamo  segnato  tre  punti 
estremi  della  nostra  città^  che  in  quei  secoli  e- 


97 

rano  fuori  delle  mura,  cioè  le  chiese  di  S.  Ales- 
sandro, di  S.  Lorenzo  e  di  S.  Andrea:  abbiamo 
segnato  altri  punti  affatto  opposti,  nei  quali  tro- 
vammo ancora  pochi  avanzi  di  quest'antica  mu- 
raglia: ecco  lutto  ciò  che  ci  resta  di  quel  tem- 
po. Potrà  un  gruppo  di  case  essere  stato  incluso 
in  posteriori  accerchiamenti  :  dove  rileniamo  se- 
guisse una  linea  reità,  costretto  dalle  condizioni 
del  luogo,  il  muro  potrebbe  forse  essere  stato  sog- 
getto a  sinuosità  più  o  meno  spiccate:  ma,  pre- 
sa nel  suo  complesso  la  cosa,  non  può  rimaner 
dubbio  di  sorla  sulle  indicazioni  da  noi  date.  Si 
accorci  la  contrada  di  S.  Andrea  e  di  Porta  dipinta 
sino  al  vicolo  degli  Anditi:  si  tagli  il  borgo  di 
S.  Lorenzo  fino  all'altezza  della  chiesa  attuale 
posta  solto  lo  stesso  titolo,  o  meglio,  fino  all'  in- 
crociamento dello  stesso  colla  contrada  del  Se- 
minario e  col  vicolo  di  S.  Francesco,  e  si  vedrà 
designarsi  da  se  intorno  a  questo  gruppo  di  ca- 
se il  contorno  delle  sue  fortificazioni.  Quando 
anche  ci  mancassero  quelli  scarsi  indizii  che  l'è- 
dacilà  del  tempo  e  l'imperizia  degli  uomini  non 
giunse  a  rapirci,  quand'anche  tutte  le  memorie 
fossero  spente,  noi,  gettando  uno  sguardo  sulla 
configurazione  della  nostra  città,  saremmo  co- 
stretti a  dire  che  tale,  e  non  altro,  ne  dovea 
essere  il  ricinto.  I  nuovi  mezzi  di  offesa,  costrin- 
gendo a  cercare  nuovi  mezzi  di  difesa,  allarga- 
rono questo  ricinto:  ma  il  corpo  della  città  ri- 
mase, quale  fu   sempre,    strettamente    insieme 

7 


98 

rannodato  :  si  collegò  bensì  per  poche  vie,  forse 
in  principio  quasi  deserte,  ai  diversi  gruppi  di 
abitazioni,  che  sorgevano  a'  suoi  piedi,  ma  man- 
tenne sempre  intatta  la  sua  configurazione,  la 
quale  in  ultima  analisi  non  andò  mai  soggetta 
a  notevoli  mutamenti.  La  forma  slessa  del  colle, 
sul  quale  è  posta,  fissava  quasi  preventivamente 
i  limiti  della  sua  estensione:  non  poteva  allar- 
garsi in  un  senso  o  nell'altro  senza  mettere  a 
pericolo  il  bisogno  della  difesa  prepotente  a' quei 
tempi,  i  quali  del  resto  non  erano  i  più  propi- 
zii  a  questo  ingrandimento.  Ma  quando  le  sorti 
mutarono,  quando,  oltrepassato  il  secolo  decimo, 
cominciarono  a  manifestarsi  i  segni  di  una  vita 
cittadina  piena  di  gioventù  e  di  forze,  di  una 
vita  attivamente  libera,  non  fu  già  la  città  che 
si  estendesse  al  piano,  ma  essa  stessa  dovette 
alfine  porgere  la  mano  ed  abbracciare  in  un  àm- 
bito solo  quei  disgregati  centri,  i  quali,  se  da 
lei  non  potevano  riconoscere  in  modo  assoluto 
la  loro  esistenza,  ad  essa  però  si  collegavano 
per  la  comunanza  degli  interessi,  per  la  vicinan- 
za del  luogo,  pei  santi  legami  del  sangue,  e  da 
essa  ricevettero  da  ultimo  l'augusto  battesimo 
di  un  nome  onorato. 

§.  5.  Le  Torri  Cittadine. 

Ognuno  comprenderà  di  leggieri  che,  se  ap- 
pena rimangono   alcune  traccie   dell'  andamento 


99 
che  avea  il  nostro  muro,  tanto  più  deve  essere 
difficile  il  voler  determinare  ove  si  trovassero 
le  Torri ,  che  servivano  a  renderne  più  age- 
vole la  difesa.  Ci  accontenteremo  perciò  di  alcu- 
ne generali  indicazioni,  appoggiale,  per  quanto 
è  in  noi,  a  lutti  gli  indizii  più  probabili,  che  ci 
si  faranno  innanzi.  — È  indubitato  che  il  nostro 
muro  sarà  stato  interrotto  a  quando  a  quando  da 
alle  Torri  ;  ma  se  queste  poi  fossero  più  o  meno 
frequenti,  se  conservassero  fra  di  loro  quella  di- 
stanza, quale  la  pretendevano  gli  antichi,  e  che 
era  richiesta  dalla  portata  delle  loro  armi  (46),  è 
ciò  che  non  sappiamo  nel  caso  nostro.  Tuttavia  è 
lecito  credere,  che,  essendo  la  città  nostra  posta 
sopra  un  colle,  che  da  tre  parti  discende  con 
ripido  pendio  sovra  il  piano,  e  molto  più,  che 
le  condizioni  locali  costringendo  il  nostro  muro 
a  seguire  un  andamento  piuttosto  tortuoso,  in 
modo  che  i  fianchi  degli  assalitori  restavano  u- 
gualmente  scoperti,  senza  ricorrere  ad  altri  arti- 
ficii,  le  Torri  non  saranno  slate  né  necessaria- 
mente, né  utilmente  molto  frequenti.  Nel  diploma 
di  Berengario  del  904  troviamo  in  vero  concessa 
facoltà  ai  nostri  cittadini  di  riedificare  «  mura  e 
torri  (47):  »  ma  qui  Y  indicazione  è  troppo  generale, 
molto  più  poi,  che,  trovandosi  le  identiche  espres- 
sioni in  un  diploma  di  Rodolfo  del  922  (48),  si  può 
credere  che  si  usasse  una  formola  generale  invalsa 
allora  nelle  Cancellerie  regali  per  la  necessità 
delle  cose,    e  nulla   più.  —  Nella   descrizione 


100 

della  presa  della  Città  per  opera  di  Arnolfo  nel 
894  troviamo  pure  menzione  speciale  di  una 
Torre,  ove  nella  fuga  riparò  il  Conte  Ambrogio: 
per  esempio  nel  Continuatore  degli  annali  di 
Fulda  abbiamo  :  «  il  Conte  Ambrogio,  autore  di 
«  quella  guerra  contro  il  Re,  cercando  nella  fu- 
ti ga  uno  scampo,  sali  sovra  una  certa  Torre:  » 
nell'Anonimo  panegirista  di  Berengario: 
*  Ambrosius  auctor  sceleris,  fomesque  malorum, 
«  Ut  tandem  vkJet  immites  dominarier  hostes 
«  Arcibus  adscensu  celeri  petit  ardua  turris,  » 
ma  ognuno  comprende  come  anche  questa  indi- 
cazione sia  troppo  generale,  e  importi  ben  poco 
al  caso  nostro,  perchè  non  serve  che  ad  attestarci 
l'esistenza  di  queste  Torri,  del  che  non  avevamo 
la  minima  ragione  di  dubitare.  —  Piuttosto  no- 
teremo, che  abbiamo  sicura  memoria  dell'esisten- 
za di  una  torre  sotto  il  Liceo,  la  quale,  come 
vedemmo  già,  era  detta  Torre  di  S.  Maria,  dalla 
vicinanza  di  mna  cappella  cosi  intitolata:  che 
forse  apparteneva  alla  noslr'epoca  quella  «  Torre 
«  rotonda  che  è  sul  muro  cittadino  (49),»^  situala 
nella  vkinia  di  S.  Giovanni,  poco  discosto  dalla 
Porta  di  S.  Alessandro:  che  la  denominazione  di 
«  Turresella  »  che  si  trova  riguardo  al  muro 
della  città  sotto5  S.  Matteo  e  sopra  la  Boccola,  se 
non  risaliva  proprio  alla  nostra  epoca  (50),  dovea 
Tuttavia  accennare  ad  una  piccola  torre  che  fino 
■dai  nostri  tempi  poteva  trovarsi  in  quella  loca- 
lità, e  che  sarebbe  quasi  a  meravigliare  non  fos- 


101 

se  esistila,  perchè  là  il  muro,  che  discendeva 
dalla  Porla  di  S.  Lorenzo  e  girava  la  chiesa  e  le 
«  domus  »  di  S.  Matteo,  dovea  formare  una  cèrta 
angolosità  sporgente,  la  quale,  per  ragione  di  di- 
fesa, richiedeva  la  costruzione  di  questa  Torre. 
Non  vorremmo  asserire  che  la  Torre  de'  Gru- 
melli,  ia  quale  crollò  nel  1404,  possa  essere  uri 
tempo  appartenuta  al  muro  cittadino,  sebbene 
non  ne  potesse  essere  neppure  di  molto  disco- 
sta (51):  ad  ogni  modo  per  dare  una  indicazione 
generale,  la  quale  per  lo  meno  giustificherà  chiun- 
que sulle  traccie  da  noi  indicate  vorrà  segnare 
qua  e  colà  qualche  Torre  senza  poter  citare  qual- 
che documento  che  ne  assicuri  l'esistenza,  dire- 
mo, che,  quando  le  antiche  fortificazioni  non  e- 
rano  affatto  regolari,  in  modo  da  dare  norme 
quisi  stabili  alia  collocazione  di  quesii  mezzi  di 
difesa,  non  si  può  andare  errati  nel  supporre, 
che  per  lo  meno  agli  angoli  fossero  poste  delle 
Torri,  per  quell'antica  massima,  la  quale  per  es- 
sere troppo  ragionevole,  dovea  sopravvivere  a 
tutte  le  età,  cioè,  che  «  in  quelle  fortificazioni 
«  nelle  quali  si  protendono  degli  angoli,  la  di- 
«  fesa  è  malagevole ,  perchè  essi  proteggono 
«  meglio  il  nemico  che  non  il  cittadino  (52):  »  e 
dove  queste  fortificazioni  si  mantennero,  si  confer- 
ma pienamente  V  asserto  nostro.  Naturalmente 
poi,  ove  il  muro  correva  in  una  linea  più  diret- 
ta, come,  a  cagion  d'esempio,  dal  lato  di  mezzo- 
di  della  nostra  città,  queste  Torri  saranno  state 


102 

collocate  a  tratto  a  tratto,  secondo  regole  pres- 
soché stabili;  e  questo  ci  pare  basti  al  nostro 
argomento  (§3). 

§.  6.  Le  Porte  della  Città. 

Avvertenza.  —  Quali  e  quante  fossero  le 
Porte  della  nostra  Città  a  quesl'  epoca,  noi  non 
possiamo  determinarlo  che  per  via  di  induzioni. 
Nel  Diploma  di  Berengario  del  904(54),  col  quale 
si  concede  che  siano  rifatte  le  mura  in  parte  ca- 
dute per  opera  dell'armi  sue  e  di  quelle  di  Ar- 
nolfo, si  parla  di  «  Porle  della  Città  »  ;  ma  in 
qual  numero  fossero  esse  e  dove  poste,  sarebbe 
inutile  il  pur  ricercarlo,  mollo  più  che,  come 
osservammo  nel  paragrafo  precedente,  qui  si  sa- 
rà naturalmente  impiegala  qualche  formola  in 
uso  nelle  Cancellerie  di  quel  tempo,  senza  che 
si  avesse  uno  speciale  riguardo  alla  effettività 
della  cosa.  Le  Porte  potevano  essere  due,  come 
quattro  o  sei  :  Berengario  concedeva  la  facoltà 
di  rifabbricare  mura,  porte  e  torri  e  nulla  più 
in  termini  affatto  generali  ;  per  il  che  è  facile 
vedere  quanto  piccolo  fondamento  possiamo  fare 
su  questo  semplice  dato.  —  Piuttosto  diremo, 
che  della  «  Porta  di  S.  Alessandro  »  abbiamo 
menzione  nel  secolo  nono,  e  precisamente  nel 
856,  in  una  carta,  ove,  accennandosi  alla  Basi- 
lica di  S.  Alessandro,  è  scritto  che  questa  era 
«  posta  fuori  della  Porta,  vicino  al   muro    della 


103 
«  Città  di  Bergamo  (55);»  e  sebbene  da  questo 
documento  non  risulti  appuntino  che  già  fin  d'al- 
lora questa  Porta  avesse  la  sua  denominazione 
dalla  basilica  che  le  era  vicina  :  sebbene  ciò  non 
risulti  neppure  da  un'altra  Carta  del  958  nella 
quale  si  legge:  «  la  canonica  della  Chiesa  di  S. 
•  Alessandro,  che  è  posta  fuori  del  muro  non 
«  molto  lungi  dalla  Porta  della  Città  di  Bergo- 
li mo  (56)  :  »  tuttavia  possiamo  accertare  che  quella 
denominazione  abbia  comincialo  ad  introdursi 
verso  la  fine  di  questo  slesso  secolo  decimo,  poi- 
ché in  documento  del  982,  noi  troviamo  :  «  la 
«  chiesa  (di  S.  Alessandro)  fuori  della  Porla  che 
«  dicesi  di  S.Alessandro  non  molto  lontano  dalla 
«  Città  di  Bergamo  (57).  »  Ecco  le  uniche  memo- 
rie delle  porte  cittadine  che  abbiamo  in  questo 
tempo  :  ma  a  chi  ben  guardi  la  configurazione 
della  nostra  città  :  a  chi  osservi  che  le  prime 
memorie,  che  appajono  nei  nostri  Statuti  —  ed 
anche  anteriormente  ad  essi  —  sono  di  «  quat- 
«  tro  Porte  »  le  quali,  se  da  una  parte,  obbe- 
dendo ad  un  certo  rituale,  erano  rivolte  alle 
«  attro  plaghe  celesti,  dall'altra  però,  conforman- 
dosi alle  esigenze  del  luogo,  non  erano  che  l'es- 
pressione di  un  bisogno  urgentissimo,  quale  do- 
vea  essere  quello  di  porsi  in  immediata  comuni- 
cazione con  tulli  i  punti  del  contado,  parrà  chia- 
ro, che  queste  quattro  porte,  qualunque  fosse  la 
loro  denominazione,  avranno  dovuto  esistere  per 
lo  meno  fin  dall'epoca  romana.   Il   nostro    Mosè 


104 

del  Brolo,  che  deve  aver  scritto  intorno  al  1112 

le  sue  Lodi  di  Bergamo,  cantava  : 

«  Quatuor  Urbs  oris,  portis  patet  ipsa  quaternis, 
«  Interiusgrummis,  ceu  diximus,  edita  ternis (58),» 

e  il  nostro  più  antico  Statuto,  che  contiene  dis- 
posizioni fin  dai  primi  anni  del  secolo  decimo- 
terzo, ha,  fra  le  altre,  l'ordinanza  «di  assettare 
«  e  di  migliorare  le  vie  delle  Porte  di  S.  Stefano, 
a  S.  Andrea,  S.  Lorenzo,  e  S.  Alessandro  (59)  ;  » 
e  sebbene  della  Porta  di  S.  Andrea,  se  non  e' in- 
ganniamo, non  vi  sia  memoria  anteriore  alle  ar- 
recate, e  non  per  questo,  come  osservammo,  sia 
a  rigettarsene  la  sua  esistenza  in  epoca  anterio- 
re, dell'altre  due,  cioè  di  quella  di  S.  Stefano  e 
di  S.  Lorenzo,  vi  ha  qualche  cenno  in  documen- 
ti precedenti  ;  cioè  per  la  prima  in  carte  del 
1012, 1032, 1058  (60),  nelle  quali,  a  cagion  d' esem- 
pio, troviamo  :  «  la  Basilica  di  S.  Stefano  co- 
«  struila  presso  la  stessa  Città  di  Bergamo  ver- 
«  so  la  Porta  di  mezzodì,  »  ed  ove.  apprendia- 
mo per  lo  meno,  che,  in  un'  epoca  anteriore  al- 
l'erezione di  quella  Chiesa,  questa  porta  si  chia- 
mava non  altro  che  «  Porta  di  mezzodì  »;perla 
seconda  pure  in  carte  del  1030,1031,1062  (61), 
nelle  quali,  verbigrazia,  troviamo:  »  non  lungi 
«  dalla  stessa  Città  di  Bergamo....  verso  la  Porla 
«  di  S.  Lorenzo  :  »  ovvero  «  due  pezzi  terra 
«  entro  la  città,  dalle  parti  della  Porla  di  S.  Lo- 


105 
«  renzo.  »  —  Che,  prima  dell'erezione  di  queste 
basiliche,  ed  anche  per  un  certo  tempo  dopo  la 
loro  esistenza,  le  nostre  Porle  si  denominassero 
dalle  regioni  celesti  alle  quali  erano  rivolte,  an- 
ziché da  altra  circostanza  speciale,  è  cosa  che 
noi  proponiamo  senza  volercene  assumere  la  re- 
sponsabilità ;  il  documento  del  856  non  parla 
già  di  una  Porta  di  S.  Alessandro  come  quello 
del  892,  ma  di  una  Porta  a  cui  era  vicina  la 
chiesa  di  S.  Alessandro  ;  quello  del  1032,  scrit- 
to mentre  già  esisteva  la  chiesa  di  S.  Stefano, 
parla  ancora  della  porla  cittadina  di  mezzodì. 
—  Sebbene  queste  testimonianze  siano  un  po' 
tarde,  sarebbe  un  disconoscere  la  natura  stessa 
delle  cose,  negando  l'esistenza  di  queste  quat- 
tro Porte  anche  all'  epoca  di  cui  trattiamo,  o 
volendone  alterare  il  numero.  Questa  esisten- 
za, e  la  ragione  di  essa,  anche  nei  primi  albóri 
della  nostra  vita  municipale,  erano  radicate  più 
di  quel  che  si  creda  nella  coscienza  del  nostro 
popolo.  Che  nella  divisione  del  nostro  contado 
fatta  per  le  quattro  *  Factae  Portarum  »  vi  pos- 
sa essere  stato  anche  alcunché  di  arbitrario,  non 
si  potrebbe  né  asserirlo,  né  negarlo  con  certez- 
za ;  ma  tuttavia  sarebbe  malagevole  supporre  che 
quando  si  immaginò  una  tale  partizione  non  si 
pigliassero,  almeno  in  parte,  per  base  anche  le 
vie  di  comunicazione  che  istintivamenle  le  diver- 
se parti  del  nostro  contado  mantenevano  colla 
Città  ;  che  tale  partizione  (per  lo  meno   indirei- 


106 

tenente)  non  rappresentasse  un  bisogno,  che  in 
siffatte  comunicazioni  era  già  stato  sentito  e  da 
secoli  certamente  effettualo,  che  infine  in  questa 
divisione,  che  era  fondamento  del  reggimento  e 
della  uguaglianza  municipale,  non  si  avesse  uno 
speciale  riguardo  anche  alle  condizioni  topogra- 
fiche e  storiche  dell'annesso  contado.  Sarebbe 
inoltre  assai  difficile  sostenere  che,  uno  il  quale 
abitava  nel  nostro  piano  dovesse  risalire  fino  al- 
la Porta  di  S.  Alessandro  o  di  S.  Lorenzo  per 
recarsi  nel  cuore  della  Città  ;  come  non  vi  sarà 
chi  creda  che  un  abitatore  dei  contorni  di  S. 
Andrea  non  potesse  recarsi  ai  mercati  cittadini 
che  per  vie  obblique,  egli  che  era  già  vicinissi- 
mo al  centro  della  città.  Queste  Porle  non  era- 
no più  di  quattro,  perchè  non  vi  ha  memoria 
alcuna  che  lo  fossero  a  quest'epoca  ;  perchè  lo 
scarso  ricinto  non  ne  richiedeva  di  più;  perchè 
in  fine  il  bisogno  della  difesa  non  ne  avrebbe 
comportato  di  più  ;  ma  sarebbe  puranco  affatto 
irragionevole  il  supporne  un  numero  inferiore, 
giacché  vi  si  opporrebbero  e  tutte  le  tradizioni 
e  tutte  le  memorie  più  certe,  per  lacere  della 
configurazione  stessa  della  nostra  città. 


Di  due  delle  nostre  Porte  noi  possiamo  de- 
terminare la  posizione  nel  modo  più  certo.  — • 
La  porta  di  Levante  era,  come   già   dicemmo,   a 


107 
mezzo  della   contrada    di   Porta  Dipinta,  ali*  in- 
circa dove  il  vicolo  degli  Anditi   mette   capo  in 
essa.  Fu  demolita  al  principio  di  questo   secolo 
(62),  ed  era,  come  tutte  le  altre,  sormontata  da  un 
torrione.  Forse  cominciò  già  alla  noslr'epoca  ad 
essere  chiamata  porla  di  S.  Andrea.  Essa  restava 
un  po' al  di  fuori  delle  mura,  come  a  un  dipres- 
so l'antica  Porta  di  Nola  ;  ma  questo  non  recava 
verun  pregiudizio  alla  sua  difesa,   perchè,   come 
osservammo,  il  muro  che  saliva   sul  colle  di  S. 
Eufemia  la  fiancheggiava  validamente.  —  L'altra, 
vòlta  a  settentrione,  era  nel  luogo  ove   la   con- 
trada del  Seminario  ed  il  vicolo  di  S.  Francesco 
sboccano  nella  contrada  di   S.   Lorenzo  :  fu  de- 
molila a  memoria  d'uomo,  ma  rimangono  ancora 
i  segni  del  luogo  ove  poggiava  l'arco  della  Por- 
ta nel  muro  di  cinta  dell'  attuale   Penitenziario. 
Anch'essa  era   sormontata    da  una  torre   —  La 
Porla  di  mezzodì  dovea  essere  un  po'  più  inter- 
na della  nuova  porta  di  S.  Giacomo  (63).  Le  in- 
dicazioni che  noi  abbiamo  date  sulla  direzione  del 
muro  cittadino  da  questo  lato,  ed  il  fatto  incon- 
testabile che  la  strada  così  detta   di  S.  Lorenzi- 
no  era   una   strada    interna    ed  appoggiata    alla 
vecchia  fortificazione,  indica  da  sé  la    posizione 
di  questa  Porta,  nel  punto  cioè  ove  a  un  dipres- 
so quella    strada    mette  capo   nella    contrada  di 
S.  Giacomo.  —  Abbiamo  riservato  per  ultimo  la 
Porla  di  S.  Alessandro,  perchè  qui,   oltreché   ci 
mancano  certi  indizii,  ci  è  mestieri  procedere  più 


108 

cauti  affine  di  togliere  alcuni  malintesi  propagati 
su  questo  argomento.  Il  Salvioni,  che  nel  1829 
Sesse  nel  nostro  Ateneo  un  discorso  «  SuW  ori- 
«  gine  delle  antiche  e  nuove  fortificazioni  di 
«  Bergamo,  »  parlando  di  questa  Porta  dice  : 
«  l'altra  (Porta)  posta  all'occidente  era  detta  Por- 
€  ta  di  S.  Alessandro,  perchè  metteva  all'  anti- 
«  chissimo  tempio  di  questo  santo,  che  fu  la 
«  nostra  prima  Cattedrale:  più  anticamente  si 
«  disse  con  nome  latino  Porta  pultatii,  ora  porta 
«  del  Pantano:  »  e  più  sotto,  indicando  gli  a- 
vanzi  di  queste  Porte,  come  più  sopra  abbiamo 
fatto  pur  noi,  aggiunge  :  «  quelle  poi  del  Pan- 
«  tano  e  di  S.  Lorenzo  si  veggono  ancora....  la 
«  prima  sta  all'angolo  settentrionale  in  fondo  a 
«  Piazza  nuova  (64).  »  Il  Celestino  già  prima,  par- 
lando della  vicinia  di  S.  Grata,  avea  identificato  la 
Porta  del  Pantano  con  l'antica  di  S.  Alessandro 
(65);  né  sappiamo  se  altri  ancora  l'abbia  fatto, 
avvegnaché  basti  al  nostro  assunto  l'aver  messo  in 
chiaro  questa  opinione.  —  In  lutti  i  nostri  do- 
cumenti pubblicati  dal  Lupi  noi  non  abbiamo 
memoria  che  della  «  Porta  di  S.  Alessandro  » 
ma  con  espressioni  tanto  vaghe,  da  riuscirci  im- 
possibile di  poterne  anche  solo  a  un  dipresso 
determinare  la  posizione.  Ciò  fino  al  1176:  ma 
in  quest'anno,  in  una  carta,  nella  quale  il  Ve- 
scovo Guala  stabilisce  i  confini  della  vicinia  di 
S.  Grata  inter  vites,  vi  ha  questa  espressione:  fuo- 
«  ri  della  Porta  di  S.  Alessandro  e  fuori  della  Pu- 


f©9 

t  sterla  fino  ai  confini  del  sobborgo  (Canale)  (66).» 
Nella  parte  occidentale  del  nostro  muro  adunque, 
oltre  la  Porta  di  S.  Alessandro,  vi  era  la  «  Pu- 
«  sterla  »  o,  come  diremmo  noi,  una  «  porta  di 
«  soccorso  »  ovvero,  come  direbbero  i  Francesi, 
una  «  fausse-porte  (67);  »  ma  mentre  nel  Codice 
Diplomatico  a  questa  circostanza  non  si  pon  men- 
te, il  Ronchetti  fa  seguire  al  cenno  sul  citalo 
documento  questa  osservazione:  «  questa  porta 
«  della  Città,  detta  Pusterla,  come  si  ha  negli 
«  Statuti  del  Re  di  Boemia,  fu  poi  chiamala 
«  Porta  del  Paltano,  e  conduceva  verso  S.  Got- 
«  tardo  (68;.  »  Quando  il  Ronchetti  avesse  portato 
un  esame  più  accurato  sui  nostri  Statuti  avreb- 
be veduto  che  questa  Pusterla  non  era  già  la 
così  detta  Porta  del  Pantano,  quale  attualmente 
si  vede,  ma  che  reslava  in  altra  posizione  ;  in 
qualunque  modo,  per  quanto  riguarda  la  asser- 
zione del  Salvioni,  la  questione  resta  già  risolta 
in  un  senso  sfavorevole  a  quest'ultimo;  poiché, 
anche  ammettendo  che  la  «  Pusterla  »  del  117C 
fosse  la  Porta  del  Pantano,  si  scorge  chiaramen* 
te  che  questa  era  cosa  del  tutto  diversa  dalla 
vera  Porta  di  S.  Alessandro.  —  Effettivamenk 
il  documento  del  1176  non  ci  porge  alcun  indi 
zio  per  determinare  in  quale  posizione  stessei 
Tuna  rispetto  all'altra,  queste  due  Porte:  ne 
non  sappiamo  altro,  che  sulla  facciala  occidentale 
del  nostro  muro,  il  quale  da  queslo  lato  ave, 
una  direzione  da  settentrione    a  mezzodì,  Y  un: 


no 

potea  trovarsi  più  a  settentrione  o  più  a  mezzo- 
dì dell'altra;  i  dati  non  ci  sono  per  pronunciare 
un  esalto  giudizio.  È  qui  che  ci  è  duopo  ricor- 
rere ai  nostri  Statuti.  In  quello  del  1331  questo 
problema  è  risolto  luminosamente.  In  esso,  de- 
scrivendosi i  confini  della  stessa  vicinia,  leggia- 
mo: «  che  questa  vicinanza  cominci  presso  la 
&  porla  della  Pusterla,  e  sia  limitata  dalla  via 
«  che  va  dalla  stessa  Puslerla  alla  Piazza  di  Ga- 
«  naie....  E  cominciando  di  nuovo  presso  la  Pu- 
«  sterla  (il  confine)  vada  verso  mezzodì,  presso 
«  e  fuori  del  muro  cittadino  fino  alla  Porta  di 
«  S.  Alessandro  (69).»  Su  questo  brano  ogni  com- 
mento sarebbe  inutile;  è  chiaro  che  la  Pusterla 
era  più  a  settentrione  della  Porta  di  S.  Alessan- 
dro, poiché  da  quella  per  venire  a  questa,  rasen- 
tando il  muro  cittadino,  bisognava  prendere  una 
direzione  verso  mezzodì.  Siffatte  indicazioni,  che, 
ommetlendo  il  fatto  della  più  recente  costruzio- 
ne della  Porta  del  Pantano,  quadrano  perfetta- 
mente colla  osservazione  fatta  dal  Ronchetti,  non 
potevano  però  bastare  per  porre  in  sodo  la  iden- 
tità della  Pusterla  del  1176  colla  Porta  del  Pan- 
tano; tanto  più  poi  che  in  questa  parte  della 
Città  essendo  avvenuti  notevoli  cambiamenti  in 
grazia  dell'innalzamento  della  Cittadella  nel  1355, 
il  quale  era  stato  cagione  che  venissero  atterrate 
non  poche  case  private  insieme  a  pubblici  edifi- 
ci, come  a  cagion  d'  esempio  il  €  Portico  di  A- 
rena,  »  dovea  lasciar  dubbio  che  anche  in  quella 


ili 

Pusterla  non  si  fosse  recala  veruna  innovazione, 
sia  nel  ricostruirla,  sia  nel  riaprirne  un'  altra  in 
luogo  della  più  antica.  Queste  considerazioni  do- 
veano  bastare  già  per  sé  stesse  a  renderci  cauti 
neiraccetlare  completamente  la  asserzione  stessa 
del  Ronchetti,  ed  a  convalidarle,  o  a  dimostrare 
con  tutta  evidenza  che  la  Porla  del  Pantano,  non 
è,  né  l'antica  Porta  di  S.  Alessandro,  né  l'antica 
Pusterla,  ci  soccorre  fortunatamente  lo  slesso 
Statuto  del  1331,  ove,  nella  descrizione  della 
vicinia  di  Arena,  troviamo:  «  le  case  e  torri 
«  della  Famiglia  della  Crotla,  che  sono  presso 
«  il  muro  della  Città,  a  settentrione  della  Puster- 
«  la  e  della  via  di  Arena  (70).  »  Chiunque  sia  un 
po' pratico  delle  condizioni  topografiche  del  luo- 
go, è  impossibile  non  comprenda  al  primo  sguar- 
do come  mal  si  conformi  la  supposizione  del 
Ronchetti  con  questa  preziosissima  indicazione. 
Quando  la  Pusterla  dei  nostri  documenti  fosse 
stata  né  più  né  meno  che  la  Porta  del  Pantano 
non  si  saprebbe  comprendere  come  le  case  della 
famiglia  Crotta,  che  erano  vicine  al  muro  della 
Città,  potessero  trovarsi  a  settentrione  di  essa, 
e  ciò  pel  semplice  fatto  che  noi  sappiamo  stori- 
camente che  le  case  di  quella  famiglia  furono  da 
Bernabò  Visconti  incluse  nella  Cittadella  ;  che  esse 
formavano  il  lato  di  tramontana  delle  abitazioni  di 
quel  fortilizio,  ove,  ai  tempi  del  Celestino,  da  quel- 
la parte  si  indicava  ancora  lo  stemma  dei  Crotti; 
e  che  infine  le  stesse  si  trovavano  quindi  a  mez- 


112 

zodì  della  Porla  del  Pantano  e  non  a  settentrio- 
ne, il  che  è  precisamente  V  opposto  di  quanto 
indica  il  nostro  Statuto  (71).  —  Per  non  allungarci 
di  troppo  in  questa  digressione,  accenneremo 
soltanto  come  )o  Statuto  del  1391,  trattando  an- 
cora della  vicinia  di  S.  Grata,  usi  questa  espres- 
sione:... «  la  Porta,  che  di  solito  chiamavasi  Porta 
«  della  Pusterla,  ed  ora  è  detta  Porla  della  Cit- 
«  tadella  verso  il  Borgo  Canale  (72):»  la  quale 
espressione  si  potrebbe  pigliare  sotto  due  aspetti: 
o  che  l'antica  Pusterla  venne  incorporata  nella 
Cittadella  e  quindi  servì  ancora  a  questa  di  u- 
scita  verso  il  contiguo  sobborgo;  oppure  che, 
distrutta  coli'  innalzamento  di  quel  fortilizio  la 
vera  Pusterla,  si  pigliasse  poi  per  base  di  par- 
tenza nella  designazione  dei  confini  di  quella 
vicinia,  la  nuova  Porta,  che  certo  non  corrispon- 
deva più  all'antica.  Nell'un  caso  e  nelP  altro  — 
sebbene  il  secondo  sia  il  solo  accettabile  (73)  —  le 
nostre  indicazioni  rimangono  però  le  stesse.  — 
Questa  digressione  era  necessaria  non  tanto  per 
combattere  la  opinione  del  Salvioni  e  metterne 
in  luce  la  erroneità,  quanto  anche  per  darci  un 
filo  affine  di  ritracciare  la  posizione  della  Porta 
di  S.  Alessandro.  Se  questa  era  più  a  mezzodì 
della  Pusterla,  la  quale,  come  vedemmo,  si  tro- 
vava all' incirca  nel  corpo  stesso  della  Cittadella, 
bisogna  dire  che  fosse  sul  fianco  sinistro  del 
baluardo  di  S.  Alessandro,  a  un  dipresso  ove 
ora  corre  l'ampia  strada  che  conduce  dall'attuale 


113 

porta  di  S.  Alessandro  alla  strada  delle  mu- 
ra di  S.  Grata,  e  sulla  diritta  imboccatura  della 
strada  detta  di  S.  Giovanni  in  Arena,  insomma 
dov'  è  segnala  anche  sull'antica  carta  della  no- 
stra Città,  che  oramai  è  per  le  mani  di  tutti  (74), 
e  dove  per  conseguenza  fu  segnata  anche  sulla 
nostra  Carta.  La  quale  posizione  è  confermala 
anche  dai  nostri  Statuti,  là  dove  descrivono  i 
confini  della  vicinia  di  S.  Giovanni  :  giacché  vi 
è  detto  che  dal  lato  di  mezzodì,  seguendo  il  no- 
stro muro,  si  raggiungeva  la  detta  Porta  (75)  :  il 
che  indica  che  questa  era  tanto  vicina  all'angolo 
che  faceva  la  muraglia  per  discendere  a  S.  Grata, 
che  di  questa  risvolta  verso  settentrione  non  se 
ne  teneva  neppur  conto:  risulta  poi  dagli  stessi 
nel  modo  più  positivo,  che  dà  alle  nostre  indu- 
zioni l'aspetto  della  maggiore  certezza,  ponendo 
mente  al  fatto,  che  la  vicinia  di  S.  Giovanni, 
abbracciando  il  colle  pure  di  S.  Giovanni  (ove 
ora  è  il  Seminario)  colla  contrada  de'  Colleoni  : 
e  la  vicinia  di  Arena,  occupando  l'attuale  Citta- 
della colla  Piazza  Nuova  e  la  stretta  di  Loreto 
fin  presso  a  S.  Agata,  i  nostri  Statuti  include- 
vano nella  prima  la  Porta  di  S.  Alessandro,  nel- 
la seconda  la  Pusterla  (76).  —  Questa  posizione  è 
la  più  confacente  anche  alle  condizioni  locali.  Era 
impossibile  che,  partendo  dalla  Cittadella,  col 
muro  si  affrontasse  direttamente  il  ripido  pendio 
del  sovrastante  Colle  di  S.Giovanni:  e  la  Chiesa 
stessa  posta  sotto  questo  titolo  e  la  quale  vedem- 

8 


114 

mo  che  alla  nostra  epoca  era  enlro  la  Città,  di- 
mostra che  qui  il  muro  dovea  sporgere  un  po' 
all' infuori,  non  discendere  direttamente  dal  mez- 
zo del  nostro  Seminario  alla  Porta  del  Pantano, 
come  pretende  il  Salvioni;  il  che  sarebbe  con- 
trario a  tutte  le  più  autentiche  indicazioni  che 
noi  possediamo  (77).  —  Che  poi  in  questo  lato  del 
nostro  muro  esistesse  anche  alla  nostr'  epoca  la 
Pusterla,  non  vorremmo  decidere.  Secondo  noi  è 
possibile  che  essa  fosse  un'  opera  posteriore  al 
decimo  secolo,  quando  la  Città  cominciando  a  ri- 
destarsi ad  una  nuova  esistenza,  sentì  forse  pre- 
potente il  bisogno  di  aprirsi  una  nuova  via  ver- 
so occidente,  ove,  oltre  a  tutto  il  resto,  la  trae- 
vano reminiscenze  religiose  fondate  sopra  un 
ciclo  di  leggende  già  quasi  interamente  com- 
piuto. 

§.  7.  Le  Vie  interne  della  Città. 

In  questi  brevi  cenni  noi  non  possiamo  pro- 
cedere che  per  via  di  induzioni.  È  già  molto  se 
negli  scarsi  documenti  di  questi  secoli  noi  troviamo 
due  o  tre  volte  fatta  menzione  di  strade  nell'in- 
terno della  Città;  menzione  che  del  resto  non 
può  giovarci  gran  fatto,  avvegnaché,  in  parte 
l'aspetto  dei  luoghi  mutatosi  nelle  sue  condizio- 
ni topografiche,  in  parte  un  semplice  cenno  sen- 
z'  altri  indizii  che  valgano  a  farci  conoscere  di 
quali  vie  effettivamente  si  tratti  in    quei  docu- 


ÌVÓ 

menti,  ci  lasci  appena  ravvisare  alcunché  di  pro- 
babile. Ad  ogni  modo,  per  non  lasciare  imperfet- 
to il  nostro  argomento,  anche  qui  intraprende- 
remo una  breve  peregrinazione  neir  interno  del- 
la nostra  Città,  raccogliendo  tutte  quelle  no- 
tizie che  ci  è  possibile,  affine  di  meglio  compren- 
derne la  struttura  interiore.  Partendo  dal  punto 
in  cui  abbiamo  cominciato  nel  delineare  l'antica 
fortificazione,  cioè  dalla  porta  orientale  o  di  S. 
Andrea,  diremo  che  naturalmente  e  necessaria- 
mente vi  sarà  stata  anche  allora  la  contrada  ora 
detta  di  Porta  Dipinta,  la  quale  conduce  al  Mer- 
cato delle  Scarpe.  Qui  succedeva  un  incrociamen- 
lo  notevole  di  vie  :  e  primieramente  vi  era  quella 
da  cui  abbiamo  preso  le  mosse:  poi,  nel  senso 
opposto,  la  via  che  dalla  Porta  di  Mezzodì  saliva 
al  detto  Mercato:  più  ad  occidente  la  contrada 
ora  detta  di  S.  Cassiano,  la  quale  denomina- 
zione deve  per  lo  meno  avere  esistito  fin  dalla 
nostra  epoca,  se  da  tempo  esistevano  e  il  Se- 
nodochio  e  la  Chiesa  sotto  lo  stesso  titolo  : 
poi  la  contrada  Solata,  una  delle  più  antiche  del- 
la Città,  e  la  quale  conduceva  direttamente  al  mu- 
ro cittadino  e  in  fine  quella  via  che  ora  si  dice 
di  S.  Pancrazio.  Che  nell' incrociamento  già  ac- 
cennato di  queste  vie  esistesse  una  Piazza,  vi 
sono  alcuni  indizii  per  ritenerlo:  e  primieramen- 
te per  la  slessa  condizione  topografica  del  luogo  ; 
poi  perchè,  fin  dai  più  antichi  nostri  Statuti,  qui 
troviamo  il  «  Mercato  della  Biada  (78)  »  della  no- 


f  16 

stra  Città,  e  non  sarebbe  fuor  di  luogo  il  sup- 
porre che  qui  appunto  fin  da  antichissimo  si 
tenesse  quel  mercato,  i  cui  proventi  furono  dal 
Vescovo  Adalberto  lasciati  ai  Canonici,  giacché, 
luogo  più  acconcio,  vicino  a  due  Porte,  che  con- 
ducevano a  due  plaghe  fertilissime  del  nostro 
contado,  non  si  sarebbe  potuto  trovare.  —  Da 
una  parte  la  via  proseguiva  per  quella  attual- 
mente detta  di  S.  Pancrazio,  che  ebbe  tal  nome 
fino  dalla  nostra  epoca.  L'aver  trovata  l'esisten- 
za di  questa  Chiesa  fino  dal  888  ci  avrebbe  scu- 
sati se  avessimo  presupposto  che  d'allora  potes- 
se aver  dato  nome  alla  via  cittadina  che  le  pas- 
sava vicina;  ma  fortunatamente  a  convalidare  le 
nostre  induzioni  ci  soccorrono  due  documenti 
del  952  e  del  962,  nel  primo  dei  quali,  fra  le 
soscrizioni,  troviamo:  *  Giovanni  ed  Adalberto 
«  padre  e  figlio,  dell'infrascritta  Città  di  Berga- 
«  mo,  che  diconsi  da  S,  Pancrazio:  »  e  nell'al- 
tro pure  nelle  sottoscrizioni:  Adalberto  da  S.  Pan- 
«  crazio  (79).»  — Continuando  così  la  via,  si  giun- 
geva all'attuale  incrociamento  di  vie  al  Gombito, 
che  tutte  le  induzioni  portano  a  credere  esistes- 
se già  da  molto  tempo  innanzi  anche  alla  nostra 
epoca.  E  dapprima  queste  induzioni  si  fondano 
sul  nome  stesso  locale,  che  non  è  altro  che  il 
latino  «  compitum  »  il  luogo  dove  s'incrociano 
le  vie:  nome  che  senza  alcun  dubbio  gli  fu  at- 
tribuito fin  dall'epoca  romana,  e  che,  corrotta- 
mente bensì,  gli  può  essere  rimasto  assai  più  a 


ììl 

lungo  per  Fuso  che  i  Romani  slessi  aveano  di 
rendere  sacri  tai  luoghi.  Vi  ha  in  secondo  luogo 
una  circostanza  che  è  decisiva  :  da  oriente,  come 
vedemmo,  metteva  capo  in  questo  punto  la  con- 
trada di  S.  Pancrazio;  da  tramontana  la  via  che 
veniva  dalla  porta  Settentrionale  o  di  S.  Loren- 
zo; ad  occidente  vi  era  certamente  la  continua- 
zione di  questa  via.  giacché  era  uno  sfogo  ne- 
cessario per  tutta  la  parte  della  Città  che  resta 
verso  ponente;  a  mezzodì  in  fine  esisteva  indub- 
bitatamente  la  contrada  ora  detta  delle  Beccherie; 
(e  che  quest'ultima  esistesse  già  fino  d'allora, 
ne  è  per  prova  il  fatto  che,  nella  descrizione  dei 
confini  della  Canonica,  troviamo  a  mattina  una 
via,  che  non  può  essere  altra  da  quella  di  cui 
ora  ci  occupiamo);  la  quale  circostanza  ci  spie- 
ga il  nome  che  portava  e  che  porta  questa  loca- 
lità ;  ci  conferma  in  modo  assoluto  la  esisten- 
za anche  alla  nostra  epoca  di  codesto  quadrivio: 
le  quali  induzioni  si  confortano  anche  con  una 
delle  più  antiche  denominazioni,  che,  per  questa 
località,  si  trova  nei  nostri  Statuti,  cioè,  di  «  Cro- 
ci ce  del  Gombilo  (80)»  la  quale  ci  persuade  anche, 
che,  perdutasi  col  tempo  la  coscienza  del  primi- 
tivo significato  di  questo  nome,  si  pensò  di  so- 
stituirvi quello  di  «  croce  »  che  non  ripeteva 
che  in  un  modo  più  determinato  la  stessa  idea  (81). 
Finalmente  (  per  esaurire  più  che  ci  è  possibile 
questo  argomento  )  vi  ha  il  fatto ,  il  quale , 
sebbene  attestatoci  da  un   documento  del   1187. 


118 

tuttavia  è  altendibilissimo ,  che  in  un'  epoca 
non  guari  lontana  da  quella  che  ora  ci  occu- 
pa, cioè  al  tempo  del  vescovo  Attone  (  tra 
il  1058  ed  il  1075),  fu  arciprete  della  Catte- 
drale di  S,  Vincenzo  un  Celso  «  de  Compi- 
to (82):  »  e  qui  abbiamo  nella  più  pretta  forma 
latina  questo  nome,  il  quale  ci  indica  di  più,  che 
a  questo  tempo  si  distinguevano  le  persone  an- 
che coi  nomi  parziali  delle  località  slesse  poste 
entro  la  Città.  —  À  sinistra  della  strada  che  da 
questo  «  Compitum  »  conduceva  alla  Chiesa  di 
S.  Michele,  almeno  sul  finire  del  secolo  nono, 
non  vi  erano  case,  ma  bensì  un  pezzo  di  terra 
di  proprietà  in  parte  di  S.  Michele  ed  in  parte 
di  un  prete  Giovanni.  Questo  fatto  ci  è  attesta- 
to esso  pure  dalla  descrizione  dei  confini  del- 
la Canonica  già  da  noi  riportati:  e  che  questa 
isola,  formata  attualmente  dalle  contrade  delle 
Beccherie  e  del  Gombito,  dalia  Piazza  Garibaldi, 
e  dal  così  detto  vicolo  della  Canonica,  non 
fosse  molto  popolata  di  case,  non  solo  nel  se- 
colo decimo,  ma  anche  nei  susseguenti,  lo  pro- 
verebbe una  carta  d'investitura  del  1179  nel- 
la quale  leggiamo:  «  nella  Città  di  Bergamo, 
«  nell'orto  di  S.  Vincenzo  col  legno  che  teneva 
«  in  sua  mano  il  signor  Adelardo  Arcidiacono 
«  della  chiesa  di  S.  Vincenzo  investi  Canzanico 
«  notaio  di  un  pezzo  di  terra  vicino  alla  casa  dei 
«  Consoli,  in  capo  del  predetto  orto  (83).  »  In 
questa  località   adunque  dopo   quasi   tre   secoli 


119 

vi  erano  ancora  degli  spazii  coltivati.  —  La  via 
proseguiva  così,  lasciando  a  sinistra  lo  spazio  ove 
è  ora  la  Piazza  Garibaldi  o  vecchia,  a  destra  il 
monastero  di  S.  Michele  colla  contigua  contra- 
da Rivola,  della  quale  abbiamo  la  più  certa  men- 
zione in  un  documento  del  1051  (84),  e  la  qua- 
le fino  dalla  compilazione  dei  primi  nostri  Statuti 
è  chiamata  «  Via  de  Rivola  vegia  (85)  »  ed  entrava 
nella  contrada  ora  detta  di  Corserola.  Qualnome 
portasse  questa  via  alla  nostra  epoca  sarebbe  dif- 
ficile a  definire;  cercheremo  tuttavia  qualche  in- 
dicazione nei  nostri  Statuti.  —  In  quello  del  1331, 
nella  descrizione  della  «  Porta  di  S.  Alessan- 
«  dro  »  troviamo:  «  Che  quella  Porta  cominci 
«  presso  la  porla  del  Vescovado,  andando  per 
«  la  via  retta  verso  la  Chiesa  di  S.  Michele  del- 
«  l'Arco,  fino  al  cantone  della  casa  gli  Ruggerii, 
«  che  è  in  mezzo  alla  Piazza  della  Chiesa  di  S. 
«  Michele  dell'Arco  a  mezzodì  della  via  che  va 
a  in  su  pel  Grumello  e  per  Arena,  fino  nel  mez- 
«  zo  della  detta  via.  E  tuttociò  che  vi  è  a  mano 
«  sinistra  fino  alla  Piazza  che  è  presso  al  Porti- 
ti co  di  Arena....  appartenga  a  quella  Porta  (8G).  » 
Lo  Statuto  del  1391,  a  definire  la  posizione  di 
quel  portico,  aggiunge;  «  il  qual  Portico  fu  gua- 
«  sto  e  poi  distrutto  in  occasione  che  si  scavò 
«  la  fossa  della  Cittadella  di  Bergamo  (87).  »  In 
quello  del  1331,  ove  si  parla  della  vicinia  di  S. 
Agata,  vi  ha:  «  che  quella  vicinanza  cominci 
a  sulla  via  o  strada  pubblica  del  Comune  di  Ber- 


120 

«  gamo  per  la  quale  si  va  per  la  contrada  di 
«  Grumello  e  di  Arena  (88).  »  In  quello  del 
1391,  ancora  ove  si  tratta  di  quella  vicinia,  abbia- 
mo: «  cominciando  sulla  via  per  la  quale  si  va 
«  dalla  casa  un  tempo  di  Baldino  milite  de'  Suar- 
«  di,  ed  ora  di  Giovanni  suo  figlio  al  portico 
«  di  Arena,  ora  distrutto,  verso  la  chiesa  dei  Car- 
«  melitani  (89).  »  Ancora  nello  Statuto  del  1331 
troviamo  che  le  case  della  famiglia  Crotta  era- 
no «  a  settentrione  della  Pusterla,  e  della  via 
«  di  Arena  »  e  finalmente  in  quello  del  1391, 
per  istabilire  la  posizione  del  «  Portico  di  Are- 
fi  na,  »  si  dice  che  era  «  rasente  alla  via  per 
«  la  quale  si  va  alla  chiesa  di  S.  Salvatore,  e  la 
«  via  per  la  quale  si  entra  nell'edificio  grande 
«  della  Cittadella  di  Bergamo  (90).  »  Risulta  nel 
modo  più  evidente  dal  parallelismo  delle  arrecate 
testimonianze,  dapprima  il  fatto  che,  all'  epo- 
ca della  compilazione  dei  nostri  Statuti,  la  Con- 
trada ora  detta  di  Corserola  era  chiamala  «  di 
«  Grumello  e  di  Arena  ;  »  questa  contrada  era 
quella  che  conduceva  dalla  Chiesa  di  S.  Miche- 
le al  Portico  di  Arena  distrutto  per  l' innalza- 
mento della  Cittadelta;  era  quella  che  menava 
anche  alla  Chiesa  dei  Frati  Carmelitani;  risulta 
inoltre  un  altro  fatto,  che  questa  via  non  mette- 
va direttamente  alla  Porta  di  S.  Alessandro,  ma 
bensì  alla  Pusterla,  e  più  precisamente,  come 
vedemmo  al  Portico  di  Arena;  perchè,  quando 
ciò  non  fosse    stato,  i  nostri  Statuti    nelle  loro 


121 

minuziose  indicazioni  non  avrebbero  mancato  di 
accennarlo.  Che  quella  denominazione  di  Gru- 
mello  poi  esistesse  fino  dalla  nostra  epoca,  noi 
almeno  in  parte  lo  ammettiamo.  È  difficile  che 
fin  da  principio  non  si  ponesse  mente  al  pie- 
colo  rialzamento  che  soffre  la  stessa  via  di 
Corserola  andando  verso  Arena,  e  che  è  formato 
dal  Monticello  di  S.  Salvatore:  e,  quanto  al  no- 
me di  questo  monticello,  non  dovea  essere  nep- 
pure straniero  alla  nostra  epoca,  giacche  abbia- 
mo nel  nostro  contado  antichissimi  villaggi , 
denominati  Gromo,  Grumello  ecc.  e  fino  dal  875 
troviamo  il  paese  di  Grumello  del  Piano  appellato 
«  Grumulo  (91)  »  che  non  è  altro  che  una 
forma  diminutiva  identica  al  «  Grumello  »  dei 
nostri  Statuti.  Ma  quand'anche  non  sembrasse 
sufficientemente  provato  che  questa  via  potesse 
esser  chiamata  fin  d' allora  «  via  de  Grumulo  » 
nella  sua  parte  inferiore,  abbiamo  però  degli  in- 
dizii  per  ritenere  che,  almeno  fin  da  questo  tem- 
po, cominciasse  per  la  sua  parte  più  occidentale 
ad  usarsi  quello  di  «  via  de  Arena  » .  In  un  do- 
cumento del  842  troviamo  sottoscritto  un  domi- 
fi  natore  «  de  Arena  (92):  »  in  altro  del  982  sono 
sottoscritti  pure  un  Martino  ed  un  Alberto  «  de 
«  Arena  (93):  »  una  carta  del  847  porta  «  acto  Are- 
fi  na  (94):»  abbiamo  già  veduto  la  esistenza  di 
«  una  Casa  che  è  edificata  entro  la  stessa  Città, 
«  nel  luogo  di  Arena  e  dicesi  Casanova:»  infine 
osserveremo,  che  quella  via  che   correva   a   set- 


122 

tentrione  di  una  casa  con  vigna  posta  in  questa 
parte  della  Città  era  forse  la  slessa  «  via  di  Arena  » 
della  quale  ora  ci  occupiamo  (95)  ;  ad  ogni 
modo,  se  uomini  e  cose  si  contraddistinguevano 
alla  nostra  epoca  coll'appellalivo  di  questa  loca- 
lità, ci  pare  lecito  poterne  inferire  a  tutta  ragio- 
ne, che  anche  la  via  principale,  che  passava  per 
essa,  sarà  stala  chiamata  né  più  ne  meno  che 
a  via  de  Arena.  »  —  Bisogna  credere  che  qui 
succedesse  un  incrociamenlo  di  vie  più  o  meno 
importante,  giacché,  come  vedemmo,  Casanova 
in  Arena  col  suo  cortile  ed  il  suo  brolo  era  cir- 
condata per  ogni  parte  da  strade  ;  e  di  ciò  pos- 
siamo forse  trovare  una  ragione  nel  fatto,  che, 
restando  la  Porta  di  S.  Alessandro  più  a  mez- 
zodì, e  non  esistendo  ancora  la  Pusterla,  tutte 
le  case  addossate  lungo  la  via  di  Arena  e  quelle 
che  si  trovavano  dal  lato  settentrionale  della 
Città  avranno  cercato  uno  sfogo  necessario  sul- 
l'unica via,  che  conduceva  fuori  della  Città  stes- 
sa. Naturalmente  queste  strade  avranno  avuto 
una  destinazione  ed  una  denominazione  propria: 
per  esempio,  nel  806  troviamo  a  settentrione 
della  basilica  di  S.  Giovanni  una  via  che  mena- 
va a  Perelassi  (96):  nei  nostri  Statuti  troviamo, 
prima  dell'erezione  della  Cittadella,  una  stretta, 
che  allora  si  diceva  degli  Spinelli  (97),  e  così  via: 
ma  sarebbe  troppo  il  pretendere,  che,  su  queste 
semplici  indicazioni,  noi  potessimo  arrischiare  ulte- 
riori congetture.  —  Questa  che  abbiamo  seguilo 


123 

sin  qui,  e  che  ora  è  la  contrada  principale  della 
nostra  Città,  è  lecito  congetturare  non  lo  fosse 
almeno  alla  nostr'epoca  ed  all'epoca  romana.  —  Par- 
tendo ancora  dal  Mercato  delle  Scarpe,  verso  occi- 
dente saliva  la  via  ora  detta  di  S.  Cassiano,  la  quale 
era  forse  così  chiamata  già  in  quel  tempo,  poi- 
ché fino  dal  772  abbiamo  memoria  dell'  ospitale 
posto  sotto  lo  stesso  titolo.  Giunta  quindi  ove  è 
ora  il  Mercato  del  Pesce,  per  mezzo  della  con- 
trada ora  detta  delle  Beccherie  e  attraverso  il 
«  Compitum  »  si  poneva  in  comunicazione  colla 
Porta  di  S.  Lorenzo:  e,  lasciatasi  a  destra  la  Cat- 
tedrale di  S.  Vincenzo  colla  basilica  di  S.  Maria 
Maggiore,  a  sinistra  il  Monticello  di  Rosale  col 
suo  vigneto  e  colla  modesta  Cappella  di  S.  Ma- 
ria della  Torre,  raggiungeva  la  contrada  ora  detta 
di  S.  Grata.  Questa  forse  sarà  stata  chiamata 
«  via  del  Monastero  vecchio  »,  dall'antico  Mo- 
nastero che  vi  era  stato  fondato:  forse  anche 
«  via  della  Porta  di  S.  Alessandro  »  come  si 
trova  nel  nostro  più  antico  Statuto:  e  diciamo 
forse,  perchè  nella  prima  e  più  antica  menzione 
che  abbiamo  di  questa  contrada,  essa  è  detta 
«  via  »  e  nulla  più  (98).  Ma  che  questa  avesse  un 
tempo  maggiore  importanza,  ne  abbiamo  alcuni 
indizii  :  e  primamente  nel  fatto  che  in  questa 
via  furono  scoperti  avanzi  di  un  arco  grandio- 
so, per  quanto  si  può  giudicare  dalla  grandez- 
za delle  poche  lettere  sopravvissute  (99):  poi  in 
questo,  che    verisimilmente   le   piccole    colonne 


124 

poste  vicino  al  monastero  di  S.  Grata,  e  delle 
quali  vi  ha  ripetuta  menzione  nei  nostri  Statuti 
(100),  facessero  parte  di  un  antico  tempio  forse  in- 
nalzato al  «Dio  Invitto»  in  questa  località;  indi 
nell'altro  fatto  che  un  pezzo  di  marmo  con  let- 
tere dell'epoca  romana,  che  scorgesi  tuttora  in- 
fisso nella  base  del  Campanile  di  S.  Maria,  do- 
vea  appartenere  ad  un  arco  posto  in  queste  cir- 
costanze e  con  molta  verosimiglianza  all'estre- 
mità della  maggior  Piazza  Cittadina  dove  met- 
teva capo  questa  via  principale  (101).  A  questi  fatti 
di  un'epoca  più  remota  aggiungeremo  alcuni  indi- 
zìi  di  un'epoca  più  recente  :  e  in  primo  luogo  la 
tradizione  slessa  conservataci  dal  Celestino  (102)  — 
senza  che  per  altro  egli  ne  comprendesse  l'im- 
portanza —  che,  per  giungere  alla  Torta  ed  alla 
Cattedrale  di  S.  Alessandro,  si  entrava  per  la  Porta 
della  Cittadella,  la  quale  era,  ove  un  arco  pone 
ora  in  comunicazione  le  due  parti  del  Semina- 
rio, precisamente  all'estremità  della  via  di  Santa 
Grata  ed  in  principio  di  quella  di  S.  Giovanni 
in  Arena,  e  l' indicazione  da  lui  data  che  al  suo 
tempo  quella  Porta  della  Cittadella  (e  quindi  la 
via  corrispondente)  era  al  tutto  «  disusata  »: 
poiché  infatti,  coli'  innalzamento  delle  nuove  mu- 
ra, il  passaggio  all'esterno  dalla  parte  occiden- 
tale della  Città  avea  pigliato  quella  direzione, 
che  tuttora  mantiene:  arroge  in  secondo  luogo 
il  fatto  indubitato  che,  quando  i  canonici  anda- 
vano processionalmente    dalla   Cattedrale    di    S. 


125 

Vincenzo  a  quella  di  S.  Alessandro,  o  viceversa, 
passavano  per  questa  via,  perchè  era  l'unica  che 
direttamene  conduceva  alla  Porta  della  Città;  e 
di  questo  fatto  ne  è  rimasta  memoria  nella  leg- 
genda stessa  dalla  traslazione  di  S.  Grata  (103). — 
Oltre  a  queste  vie  principali,  eranvi  senza  alcun 
dubbio  delle  diramazioni  secondarie.  Così  pos- 
siamo senza  esitanza  ascrivere  alla  nostra  epoca 
la  esistenza  della  contrada  del  Seminario  che 
conduce  a  S.  Matteo,  quella  del  Salvecchio  (  la 
«  via  de  Tovo  »  dei  nostri  Statuti),  la  stretta 
di  S.  Salvatore,  quella  via  «  Vallis  surdae  »  che 
dal  vicolo  degli  Anditi,  o  meglio  dalle  mura  cit- 
tadine, metteva  capo  a  circa  il  mezzo  dell'attuale 
contrada  di  S.  Giacomo,  e  la  cui  denominazione 
certo  antichissima,  ci  richiama  ad  un'  epoca  in 
cui  qui  non  erano  abitazioni,  ed  il  colle  presen- 
tava forse  profondi  avvallamenti,  colmati  dalla 
industria  de'  nostri  cittadini  collo  andare  dei  se- 
coli, e  cosi  di  seguito.  Naturalmente,  come  ve- 
demmo, in  Arena  vi  erano  vie,  delle  quali  non 
ci  è  dato  con  sicurezza  presumere  la  direzione: 
una  via  avrà  congiunto  la  Chiesa  ed  il  mona- 
stero di  S.  Michele  al  Vescovado  ed  alla  Catte- 
drale, senza  bisogno  di  dover  discendere  sino 
alla  contrada  delle  Beccherie.  In  ultima  analisi 
noi  possiamo  ritenere  che  per  lo  meno  il  prin- 
cipale ed  interno  intreccio  delle  vie  cittadine 
abbia  sofferto  nel  complesso  ben  poche  modifi- 
cazioni sino  al  presente.  La  via  di  S.  Grata  sarà 


126 

slata  allora  più  frequentata  che  non  quella  di 
Corserola  ;  la  contrada  delle  Beccherie  avrà  avuto 
allora  una  importanza,  che  ora  è  diffìcile  anche 
solo  il  supporre;  ma  in  generale  le  principali 
vie  della  nostra  Città  corrispondono  così  bene, 
per  così  esprimerci,  alP  economia  materiale  di 
essa,  che,  come  dicemmo,  sarebbe  quasi  assurdo 
l'ammettere  per  esse  delle  profonde  modificazio- 
ni. Queste  vie  però,  come  in  tutte  le  antiche 
Città,  erano  strettissime,  ed  oltre  a  questo  vi 
saranno  stati  indubitatamente  angusti  chiassuoli 
privi  della  luce  e  dell'aria  purissima  di  un  mon- 
te. E  ciò  era  affatto  naturale,  e  perchè,  attese  le 
condizioni  topografiche  del  luogo,  e  la  piccolezza 
dell'  àmbito  delle  mura  che  guardavano  la  Città, 
il  terreno  doveva  essere  molto  prezioso,  e  le  case 
in  conseguenza,  addossate  le  une  alle  altre, 
avranno  dovuto  lasciare  alla  interna  circolazione 
niente  di  più  del  puro  necessario,  e  perchè,  in 
secondo  luogo,  in  un'epoca  di  malferme  signorie 
e  di  ripetute  invasioni  il  bisogno  della  difesa 
dovea  farsi  sentire  prepotentemente,  e  quand'an- 
che le  mura  fossero  slate  prese  dal  nemico,  pel 
modo  di  combattere  e  per  l'armi  usate  in  quei 
tempi,  ogni  via  poteva  diventare  una  tomba  per 
l'ardito,  che  avesse,  a  mano  armata,  violati  i  sa- 
cri limiti  della  Città. 


127 


8.  Le  Piazze  Cittadine. 


Trovandosi  in  due  Carte,  l'una  dell'anno 
854,  l'altra  del  860  «  acto  Foro  (104)  »  il  Lupi  fa 
seguire  queste  considerazioni:  «  essendo  questa 
«  la  terza  vendita  d'una  piccola  porzione  di  ter- 
«  reno  situato  in  Canale  (o,  come  abbiam  detto, 
«  nel  sobborgo  che  ancora  porta  lo  stesso  no- 
«  me)  stipulata  fra  contraenti  del  luogo,  e  di- 
«  cendosi  che  ciascuna  è  stata  fatta  nel  Foro 
«  (il  qual  vocabolo,  anche  nei  documenti  del 
«  medio  evo,  adoprasi  spesso  per  indicare  i  luo- 
«  ghi  destinali  alla  vendita  delle  merci),  sarei 
«  per  credere  che,  per  la  vicinanza  della  celebre 
«  Cattedrale  di  S.  Alessandro,  in  qualche  luogo 
«  opportuno  vi  si  tenesse  mercato  in  certi  gior- 
«  ni  stabiliti,  e  che  vi  sieno  slate  stipulate  que- 
>  ste  vendite;  quel  sobborgo  era  assai  popolato 
«  di  case  e  di  abitanti.  »  In  altra  carta  poi  del- 
l'anno  879  si  trova:  «  acto  Foro  cives  Berga- 
mo, «  e  qui  lascieremo  seguire  ancora  le  osserva- 
zioni che  vi  fa  sopra  il  Lupi:  «  forse  questo  (cioè 
«  Foro  della  Città  di  Bergamo)  fu  aggiunto  per 
«  distinguere  questa  Piazza  situata  in  Città,  da 
«  quella:  o,  come  mi  sembra  più  verisimile, 
«  quantunque  la  piazza  nominata  in  questa  car- 
«  ta  esistesse  in  quel  sobborgo,  nondimeno  ven- 
«  ne  chiamala  della  Città  allo  stesso  modo  che 
«  è  detta  Fiera  della  Citlà  di  Bergamo  quella 
«  che  si  tiene  nei  suoi  borghi  intorno  alla  festa 


128 

«  di  S.  Alessandro.  E  questo  mi  viene  confer- 
«  malo  da  ciò,  perchè  eziandio  in  questa  Carta 
«  i  contraenti  son  detti  «  de  Canale  »  cioè  abi- 
*  tanti  di  quel  sobborgo:  né  mi  ricorda  d'aver 
«  veduto  alcun  istromento  fatto  nel  Foro,  ec- 
a  cetto  quelli  stipulati  dagli  abitanti  di  quel 
»   luogo  (105). 

Un  esame  attento  dei  nostri  documenti,  a 
dire  il  vero,  ci  obbliga  nostro  malgrado  a  non 
attenerci  alla  opinione  espressa  dal  dottissimo 
Lupi.  Effettivamente  l'unico  argomento  da  lui 
addotto  per  sostenerla  è,  come  vedemmo,  che  in 
ultima  analisi  compare  questa  formola  «  acto 
«  Foro  »  soltanto  là  dove  i  contraenti  erano  di 
quel  sobborgo  o  si  trattava  di  terreni  posti  là 
vicino.  Potrebbe  ciò  valere  sino  ad  un  certo  pun- 
to, se  non  possedessimo  esempi  della  formola 
usata  in  quell'epoca,  quando  i  contratti  succede- 
vano effettivamente  in  borgo  Canale  o  ne'  suoi 
contorni  ;  così  in  carta  del  842  (106)  abbiamo  : 
«  acto  in  Canalis;  »  in  altra  del  856  troviamo 
pure:  «  acto  ad  Sancto  Alexandro  (107)  »  per 
indicare  come  in  altre,  che  fu  redata  «  avan- 
ce ti  la  porta  »  ovvero  «  nel  Chiostro  »  di  S. 
Alessandro  :  e  nel  primo  di  essi  documenti,  ap- 
punto in  antilesi  ai  due  contraenti  che  erano  del 
borgo,  figurano  come  testimoni  un  Dominatore 
di  Arena,  ed  un  Vitale  «  della  stessa  Città:  » 
il  che  ci  indica  che  alla  nostra  epoca,  material- 
mente,   non    politicamente    parlando,    l' appel- 


129 

lativo  di  «  Cives  »  o  «  Civilale  »  (108)  si  restrin- 
geva al  corpo  delle  abitazioni  circondato  dalle 
mura,  e  quindi,  per  lo  meno  nei  nostri  documenti, 
non  veniva  mai  esteso  al  contiguo  sobborgo  oppure 
ad  altri  luoghi  circonvicini.  A  conferma  di  che, 
ed  a  solo  titolo  di  esempio,  si  protrebbe  citate 
la  espressione  anche  di  una  carta  dal  933  (109), 
nella  quale  il  «  loco  Canalis  »  è  detto  «  prope 
«  hac  civilate  Bergamo  »  cioè  «  vicino  a  questa 
«  Città  di  Bergamo  »  e  di  un'altra  del  953, 
nella  quale,  dopo  essersi  usata  la  identica  espres- 
sione, si  pone  anche  una  notevole  differenza  fra 
le  sostanze  possedute  da  un  testatore  «  entro  la 
«  Città  di  Bergamo  *  ed  «  in  Canale  »  (110).  Ora, 
che  in  tre  carte  successive  pel  corso  di  quaran- 
tacinque anni  non  si  trovi  mai  «  acto  Foro  de 
«  Canale  »  ma  che,  nell' ultima  specialmente,  si 
trovi  invece  «  acto  Foro  cives  Bergamo  »  cioè, 
nel  mercato  della  Città  di  Bergamo,  e  che  si 
voglia  dedurne  ciò  non  ostante,  che  qui  si 
intenda  un  mercato  fuori  della  Città  pel  solo 
fatto,  che  i  detti  contraenti  non  sono  della  Città, 
ci  pare  tale  interpretazione  che  pecchi  di  soverchia 
sottigliezza,  che  si  opponga  troppo  direttamente 
all'uso  linguistico  di  quell'epoca,  e  che  quindi 
non  possa  assolutamente  venire  accettata  sino 
ad  una  prova  in  contrario  la  più  decisiva.  Sono 
tante  le  cause,  che  possono  aver  indotto  questi 
abitanti  a  portarsi  nel  centro  stesso  della  Città 
pei  loro  affari,  che  dovrebbe    in   caso   contrario 

9 


130 

diventare  inesplicabile,  come  si  trovino  rogate  in 
Bergamo  carte,  che  riguardavano  persone,  le  qua- 
li abitavano  ne'  luoghi  più  disparati  del    nostro 
territorio.  La  presenza   stessa  di   testimoni   che 
erano  di  Àzzano,  di  Curno,  di  Brignano  ecc.  pro- 
va che  ben  poco   fondamento  si    può  fare   sulla 
provenienza  di  quelle    persone  per    determinare 
anche  il  luogo  ove  fu  redato  l'atto,  e,  quanto  ai 
terreni  che  erano  oggetto  di  contratto,  si  dovreb- 
be estendere  la  denominazione  di  «  civitate  Ber- 
«  gamo  »   anche  al  borgo  Canale,  perchè  trovia- 
mo talvolta  con   «  acto  civitate  Bergamo  »  delle 
carte,  nelle  quali  si  contenevano  delle  stipulazio- 
ni riguardanti  pezzi  di  terra  posti  in  questa  lo- 
calità.   E   non    può   esser    accettalo    neppure   a 
chius'occhi  l'argomento,  addotto  ancora  dal  Lupi, 
della  consuetudine,  cioè,  di  chiamare  Fiera  del- 
la Città  di  Bergamo,  quella,  che  effettivamente  si 
tiene  ne'    suoi   bórghi.    Siffatta    argomentazione 
potrebbe  avere  il  suo  valore,   quand'  egli  avesse 
dimostrato  che  una  tale  denominazione  cominciò 
a  pigliar  vigore  all'epoca  in  cui  furono  scritti   i 
documenti,  che  sono  obbietto  della  presente  con- 
troversia, o  per  lo  meno  in  un   tempo  ad  essa 
vicino:  ma  oltreché  abbiamo  dimostralo  che   al- 
lora il  concetto   di   «  Città  »    si   restringeva    al 
corpo  delle  abitazioni  chiuso  entro  le  mura;ol- 
trecchè  non  v'  è  argomento  alcuno  che  possa  far 
piede  a  siffatta  congettura,  abbiamo  anche  delle 
prove  dirette  per  dimostrare,  che,  la   denomina- 


131 

zione  di  «  Fiera  della  Cillà  di  Bergamo  »  non 
cominciò  ad  usarsi  che  in  un'epoca  di  mollo  più 
recente.  Cosi  nella  concessione  del  Vescovo  Adal- 
berto del  911  abbiamo  semplicemente:  «  il  Mer- 
«  calo....  che  si  dice  di  S.  Alessandro  (111):  » 
nella  donazione  di  Lanfranco  di  Gradiniano  (Ghi- 
gnano) del  996  troviamo  pure  :  «  il  Mercato  che 
«  chiamasi  di  S.  Alessandro  (112):  »  infine  nel 
diploma  dell'imperatore  Federico  del  1158  si 
accenna  ai  mercati  entro  la  Città  «  ed  a  quello 
«  che  fuori  di  essa  si  tiene  nella  festa  di 
«  S.  Alessandro  (113).  »  La  prima  volta  che 
compare  la  denominazione  tratta  in  campo  dal 
Lupi  è  nel  1189  (cioè  oltre  tre  secoli  dopo  la 
data  delle  carte  citate  in  principio  di  questo  pa- 
ragrafo )  in  una  sentenza  nella  quale  si  legge  : 
«  il  mercato  o  fiera  di  S.  Alessandro  della  pre- 
detta Cillà  (114):  »  ma  se  si  pon  mente  a  ciò, 
che  in  quest'epoca  il  ricinto  delle  mura  com- 
prendeva già  la  massima  parte  dei  nostri  bor- 
ghi e  che  quindi  s'erano  in  certo  modo  dile- 
guati quei  piccoli  centri,  dei  quali  conoscere- 
mo più  avanti  l'esistenza,  inquantochè  erano 
stali  compresi  per  la  maggior  parte  in  una  sola 
individualità,  non  è  a  meravigliare,  che  anche 
nell'uso  comune  fossero  cominciate  a  sparire  le 
loro  speciali  denominazioni,  e  che  quindi  il  con- 
cetto di  Città,  se  non  giuridicamente,  almeno  in 
fatto  venisse  esleso  fuori  del  primitivo  ricinto, 
e  per  conseguenza  comprendesse  tutti   i  luoghi 


332 

chiusi  nelle  nuove  fortificazioni,  fra  i  quali  vi 
era  già  forse  anche  quello  ove  si  teneva  la  detta 
fiera.  —  Se  pertanto  nelle  carte  citate  non  si 
tratta  di  una  piazza  situala  nel  vicino  borgo  Ca- 
nale, dov'era  dunque  la  piazza  principale,  il  «  Fo- 
rum »  della  nostra  Città?  Qui  ci  è  duopo  af- 
frontare una  questione,  la  cui  soluzione,  ne  sia- 
mo certi,  andrà  contro  a  molle  idee  preconcette. 
—  L'esame  però  che  istituiremo  dei  nostri  do- 
cumenti giustificherà,  crediamo,  abbastanza  le 
nostre  induzioni. 

Il  Rota  nella  Storia  antica  di  Bergamo  (115) 
credette  che  il  «  Forum  »  della  nostra  Città 
all'epoca  romana  fosse  né  più  né  meno  che  dove 
è  l'attuale  Piazza  vecchia;  quindi  la  «  Basilica  » 
fosse  situata  nel  luogo  ove  è  l'antico  palazzo  del 
Comune,  ora  della  Biblioteca:  che,  più  a  setten- 
trione, si  trovasse  l'arco  innalzato  a  Nerone,  che 
ha  lasciato  fino  ad  oggi  la  denominazione  alla 
Chiesa  di  S.  Michele,  e  così  via.  Veramente  nei 
nostri  Scrittori  non  v'  è  indizio  alcuno,  dal  quale 
si  possa  argomentare,  che  il  centro  della  nostra 
Città  abbia  sofferto  grandi  mutamenti  (116),  ed 
in  fatti  il  nome  stesso  di  «  Piazza  vecchia  »  dato 
alla  maggior  piazza  della  nostra  Città,  pareva  do- 
vesse attribuirle  una  remotissima  antichità.  Ma  il 
Lupi,  colla  potente  intuizione  che  lo  dislingue, 
già  nelle  note  al  documento  di  istituzione  della 
Canonica  di  S.  Vincenzo,  ed  in  conseguenza  della 
descrizione  dei  confini  della  Canonica  slessa,  avea 


133 

osservato:  «  se  adunque  questa  chiusura  del 
«  Vescovado,  com'è  verisimile,  giungeva  fin  do- 
«  ve  è  la  casa  del  Capitolo,  vale  a  dire  fino  al- 
«  la  piazza  ed  al  palazzo  ove  si  rende  giustizia, 
«  è  chiaro  che  in  questo  secolo  non  vi  saranno 
«  stali  né  questo  Palazzo  né  quella  Piazza,  ma 
«  soltanto  uno  spazio  chiuso  di  proprietà  epi- 
«  scopale.  Infatti  la  Piazza  attuale,  la  quale,  dopo 
«  che  ne  fu  fatta  un'  altra  dinanzi  al  Fortilizio 
«  di  Cittadella,  si  dice  vecchia,  in  antiche  carte  del 
«  secolo  XIII  veniva  chiamata  nuova  (117).  » 
Queste  considerazioni  non  hanno  bisogno  di  com- 
mento :  la  Piazza  vecchia  o  Garibaldi  non  esiste- 
va nel  secolo  nono  e  decimo,  non  esistette  fino 
al  secolo  decimoquarto,  ed  a  dimostrare  ciò  non 
abbiamo  che  a  ricorrere  ai  nostri  Statuti.  In  quel- 
lo del  1331  nella  «  adequatone  et  deffinilione  » 
della  Porta  di  S.  Alessandro  vi  ha  questa  espres- 
sione: «  quella  Porta  incominci  presso  la  porta 
«  del  Vescovado  di  Bergamo,  che  è  in  mezzo 
«  alla  piazza  piccola  di  S.  Vincenzo,  andando 
«  per  la  via  retta  sino  alla  Chiesa  di  S.  Mi- 
«  chele  ecc.  (118):  »  e  che  qui  non  si  inten- 
da una  «  via  retta  »  affatto  ideale  lo  dimostra 
la  descrizione  della  vicinia  di  S.  Salvatore  ove 
si  legge  :  «  andando  verso  mattina  fino  alla 
«  via  pubblica  per  la  quale  si  va  da  S.  Michele 
«  dell'arco  al  Palazzo  del  Comune  di  Bergamo:  » 
e  più  sotto:  «  e  poscia  venendo  per  la  sopra- 
«  detta  via  verso  mezzodì  fino  alla  porta   della 


134 

«  Curia  Episcopale  (119):  »  e  ciò  è  confermalo 
anche  dalla  descrizione  della  vicinia  di  S.  Mi- 
chele dell'arco  ove  abbiamo:  «  quella  vicinia  in- 
«  cominci  presso  la  camera  pitturala  del  Comu- 
«  ne  di  Bergamo  venendo  direttamente  per  la  via 
«  pubblica  presso  la  piazza  di  S.  Michele  (120).  » 
Non  può  rimaner  dubbio  di  sorta  adunque,  che 
a  quest'epoca  una  via  congiungeva  il  palazzo  del 
Comune  ed  il  Vescovado  colla  Chiesa  di  S.  Mi- 
chele; e  quando  quesle  espressioni  sembrassero 
ancora  incerte,  ci  soccorre  lo  Statuto  del  1391, 
che,  nella  descrizione  della  stessa  vicinia  di  S. 
Michele,  è  così  esplicito,  da  confermare  nel  mo- 
do più  luminoso  le  nostre  induzioni.  In  esso  si 
legge:  «  quella  vicinia  incominci  presso  l'angolo 
«  di  un  brenio  (121),  che  esisteva  un  tempo 
«  e  nel  quale  vi  era  la  casa  del  Comune  di  Ber- 
«  gamo  o  della  Chiesa  di  S.  Vincenzo,  nella  qual 
«  casa  stavano  una  volta  gli  officiali  delle  bullette, 
«  e  nel  qual  angolo  era  infissa  una  catena;  e  i 
«  quali  brenio  e  casa  ora  sono  distrutti,  e  vi  è 
«  soltanto  ano  spazio  vuoto,  nel  quale  ora  è  la 
«  Piazza  grande,  in  cui  oggidì  si  tiene  il  Merca- 
«  to  della  biada:  e  quella  catena  era  di  rimpetto 
«  all'abitazione  un  tempo  di  Gentilino  de'  Suar- 
«  di  (122).  t>  Nella  seconda  metà  adunque  del 
secolo  decimoquarto,  ovvero  (giacché  qui  lascia- 
mo la  cosa  in  bianco  se,  cioè,  lo  Statuto  del  1331, 
come  pare  anche  per  altri  argomenti,  abbia  at- 
tinto le  sue  indicazioni  ad   un'  epoca  di   mollo 


135 

anteriore),  nella  sua  prima  mela  s'  era  formala 
questa  Piazza,  la  quale  anzi,  fino  al  principio  del 
secolo  decimoquinlo,  si  continuava  a  chiamarla 
«  Piazza  nuova  (123).  »  —  Non  è  da  questa  parte 
adunque  che  bisogna  cercare  l'antico  «  Forum  » 
della  nostra  Città  :  e  che  ad  ogni  modo  questo  esi- 
stesse, ne  danno  indizio  certo  i  documenti  del  854, 
860  e  879  :  ne  danno  altri  indizii  due  carte,  l'una 
del  1033  ove  troviamo  menzione  d'una  «  casa  po- 
ti sta  entro  la  città  di  Bergamo  vicino  al  Foro,  che 
«  chiamasi  Mercato  (124)  :  »  l'altra  del  1180,  nella 
quale  troviamo  pure  memoria  di  un  certo  Dulcio 
«  del  Mercato  della  Città  di  Bergamo  (125).  » 
Ora,  la  più  antica  Piazza  di  cui  rimanga  memo- 
ria nello  Statuto  più  antico,  è  la  «  Piazza  gran- 
«  de  di  S.  Vincenzo.  »  Della  «  Piazza  piccola  » 
che  era  quella,  che  ora  sarebbe  circoscritta  tra  il 
Vescovado,  la  basilica  di  S.  Maria,  la  Cattedrale,  il 
Palazzo  della  Biblioteca  e  la  Pretura,  e  che  nel 
14G3  fu  per  decreto  pubblico  tramezzala  dal  muro 
attuale  del  Vescovado  (120),  noi  non  crediamo 
occuparci  per  la  semplice  ragione,  che  il  Vesco- 
vado stesso  si  spingeva,  come  vedemmo,  col  suo 
chiuso  fin  contro  la  Canonica.  Mala  «  Piazza  gran- 
de »  deve  avere  avuto  una  antichità  assai  remota. 
Essa  era  il  punto  al  quale  mettevano  capo  le 
vie,  che,  dalle  Porte  di  mezzodì,  di  levante  e  di 
settentrione  conducevano  alla  Porla  di  S.  Ales- 
sandro: vicino  ad  essa  troviamo  l'edificio  dei  ba- 
gni a' tempi  romani;  di  essa  insomma  non  vi  ha 


136 

memoria  alcuna  quando  siasi  formata  (127).  Que- 
sta Piazza  corrispondeva  precisamente  all'attuale 
Mercato  del  Pesce,  giacché,  venendo  a    mezzodì 
della  Porta  della  Canonica  per  la  contrada  delle 
Beccherie,  si  entrava  in  essa,  come  ne  fa  fede  lo 
Statuto  del  1331,  ove,  parlandosi  della  vicinia  di 
S.  Cassiano,  si  legge  :   «  quella  vicinanza  cominci 
«  dalla  Porta  della  Curia  di  S.  Vincenzo  e  dalle 
«  scale  di  pietra,  le  quali  sono  tra  la  casa  di  Bo- 
«  naventura  d'Almenno,  e  quella   degli  eredi  di 
«  Pagano  primicerio,  venendo  in  su  verso  mezzodì 
«  fino  alla  Piazza  grande  di  S.  Vincenzo  (128).» 
Questa  alla  nostr'  epoca  era  senza    dubbio    assai 
più  ampia  e  dovea  spingersi    fino    all'  estremità 
della  via  di  S.  Grata,  giacché  le  posteriori  e  gran- 
diose  fabbriche   della  Cattedrale  e  della  basilica 
di  S.  Maria  non  ne  aveano  ancora  occupalo  tanta 
parte.  —  Nel  Testamento  del  Vescovo  Adalberto 
del  928  fra  gli  altri  legati  assegnati  ai  Canonici 
di  S.  Vincenzo,  troviamo  anche  «  quel  mercato  di 
«  mia  proprietà  che  lutti  i   sabbati  si    tiene  en- 
te tro  la  stessa  Città  di  Bergamo.  »  Abbiamo  già 
accennato  alla  probabilità  che  il  luogo  destinato 
a  quel  Mercato  fosse  ov'  è  l'attuale  Mercato  delle 
Scarpe  ;  ed  una  reminiscenza  di  questo  fatto  si  può 
rinvenire  forse  nella  denominazione   di    «  corno 
del  Foro  »,  che  noi  troviamo  unicamente  nel  no- 
stro Statuto  del  1331,  e  che  appunto  vigeva  in  que- 
sta località  (129).  — Aggiungiamo  a  titolo  di  ipo- 
tesi alcune  induzioni  desunte  dall'esame  dei  no- 


137 

stri  Statuti.  In  quello  del  1331,  nella  descrizione 
della   «  Porta  »  di  S.  Alessandro,    noi    troviamo 
menzione  di  una   «  Piazza  che  è  presso  il  Portico 
«  di  Arena  (130).  »   Dal  complesso  delle  indica- 
zioni date  da  esso  si  comprende,  che  questa  Piaz- 
za   e   questo    Portico   doveano    trovarsi  a  un  di 
presso  ove  ora  è  la   «  Piazza  nuova  »  e  precisa- 
mente il   «  Mercato  del  Lino  »;  e  ciò  risulta  an- 
che più  chiaramente  dalla  descrizione  che  abbia- 
mo di  questa  località  quando  era  già  stala  innal- 
zata la  Cittadella,  e,  per  conseguenza,  quando   le 
condizioni  del  luogo  avevano  assunto  un'aspetto, 
che  all'  indigrosso  non  dovea  differire  molto  dal 
presente.  Lo  Statuto  del  1391,  alle  brevi  indica- 
zioni date  da  quello  del  1331,  aggiunge:   «  fino 
«  alla  piazza  che  è,  e  che  era   solita   essere   presso 
a  al  Portico  di  Arena:  il  qual  Portico  fu  distrut- 
«  to  in  occasione  dello  scavo  della  fossa  della  Cit- 
«  tadella  di  Bergamo.    E  quel  portico    di  Arena 
«  era  rasente  alla  via    per  la   quale    si    va    alla 
«  Chiesa  dì  S.  Salvatore,  ed  alla  via  per  la  quale 
«  si  entra  nell'edificio  grande  della  Cittadella  di 
«  Bergamo  (131).  »   Ora,  sono  necessarie  alcune 
considerazioni.  E    primamente,    per   definire   la 
posizione  di  questa  piazza,  non  ò   difficile  com- 
prendere a  primo    aspetto   come  lo    Statuto  del 
1391,  accennando  alla  esistenza  ancora  della  Piaz- 
za, ed  alla  sola  distruzione  del  Portico  in  causa 
della  fossa  di  quel  fortilizio  (platea....  quae  est, 
et  solita  erat  esse  ),  la  piazza  stessa   non   potea 


138 

essere  che. una  parte  dell'attuale  Piazza  Nuova; 
perchè  poi  il  Portico,  che  era  in  questa  piazza, 
confinasse  da  una  parte  colia  via  che  metteva 
neir  «  Hospilium  magnum  »,  cioè  nel  maggior 
corpo  delle  abitazioni  della  Cittadella,  (  ove  era 
la  Prefettura),  dall'altra  parte  colla  via  che  met- 
teva a  S.  Salvatore,  la  quale,  partendo  da  questo 
punto,  non  poteva  esser  altra  dall'attuale  contra- 
da de'  Colleoni,  era  necessario  che  si  trovasse  ad 
un  dipresso  dov'è  ora  la  casa  Roncalli  e  quella 
parte  della  Cittadella  che  è  a  mezzodì  della  por- 
ta d'ingresso  e  fa  angolo  colla  predetta  casa; 
anzi  probabilmente  il¥  Portico  stesso  —  come  lo 
lasciano  supporre  le  indicazioni  da  noi  citale  — 
avrà  formato  quest'angolo,  e  per  conseguenza  avrà 
abbraccialo  due  lati  della  piazza  di  Arena.  Seb- 
bene non  abbiamo  argomenti  per  asserirlo,  non 
v'ha  tuttavia  nulla  di  più  probabile  che  quel 
Portico  appartenesse  all'epoca  romana,  posciachè, 
infatti,  non  è  a  pensarsi,  che  un'opera  di  tal 
natura  fosse  stata  eseguila  nel  tempo,  che  scor- 
se dalie  prime  invasioni  al  secolo  duodecimo;  e 
quando  dopo  quest'epoca  si  fosse  pensato  ad  a- 
dornare  una  piazza  con  un  portico  che  la  circon- 
dava per  lo  meno  da  due  parti,  pare  impossibile 
non  ne  sia  rimasta  la  minima  memoria  nei  do- 
cumenti o  negli  Statuti  di  quel  tempo.  Noi  non 
conosciamo  sgraziatamente  nulla  della  condizione 
materiale  della  nostra  Città  all'epoca  romana  per 
potere,  anche  solo  con  una  certa  probabilità,  se- 


139 

gnare  ove  fosse  il  centro  della  vila  cittadina  in 
quei  tempi;  e  quando  anche  solo  il  più  pic- 
colo indizio  su  ciò  fosse  sopravvissuto,  non  sa- 
rebbe difficile  trarne  anche  altre  induzioni  non 
meno  importanti  ;  ma  giacché  sfortuna  vuole  che 
noi  restiamo  perfettamente  al  buio  di  tutto  que- 
sto, diremo  soltanto,  che  non  è  inverisimile,  che 
anche  qui  si  trovasse  uno  dei  mercati  cittadini; 
che  il  luogo  scarso  di  abitazioni  avrà  prestato 
uno  spazio  sufficiente  a  ciò,  e  in  pari  tempo  fatto 
sentire  la  necessità  di  ripararlo  in  qualche  mo- 
do, e  dagli  ardori  del  sole,  e  dagli  incomodi 
della  pioggia.  —  Ecco  tutto  ciò  che  noi  possiamo 
dire  su  questo  argomento,  sul  quale  desidere- 
remmo che  altri  portasse  maggior  luce  a  costo 
anche  di  vederci  interamente  smentiti. 

§.  9.  Le  Fonti. 

È  difficile  che  fin  dai  primi  tempi  non  si 
pensasse  di  provvedere  la  nostra  Città  dell' acque 
che  nascevano  sui  sovrastanti  colli,  e  di  mettere, 
a  prefitto  quelle  poche  che  scaturivano  vicino 
ad  essa.  Se  un  complesso  di  circostanze,  da  noi 
enumerate  in  parte,  avea  fatto  si,  che  sulla 
sommità  di  questo  colle  si  formasse  un  gruppo 
ragguardevole  di  abitazioni,  è  naturale  il  presup- 
porre, che  si  sarà  innanzi  tratto  pensato  a  giovarsi 
di  lutto  ciò  che  vi  ha  di  più  necessario  alla  esislen- 
7,i  mPiipnHn  a.i-u  quia  liciiii  posizione  di  appro- 


140 

fìtlare  dei  beni  che  largiva  la  natura  del  luogo, 
e  senza  dei  quali  diventava  inutile  il  riparare 
dietro  a  mura,  le  quali,  per  questa  ragione  sles- 
sa, rendeansi  indifendibili.  Durante  la  signoria 
romana  può  forse  datare,  almeno  perla  massima 
parte,  il  bel  sistema  di  canali,  che  rende  la  Cit- 
tà nostra  più  ricca  di  acque,  di  quello  che  a  pri- 
mo aspetto  non  parrebbe,  e  sembra  tanto  più 
difficile  il  non  ammettere  ciò,  inquantochè  un 
nostro  concittadino  non  avrebbe  pensato  a  trar- 
re le  acque  pei  bagni,  che  sono  utili,  fino  sul- 
l'attuale Mercato  del  Pesce,  quando  non  vi  fosse 
già  slata  copia  di  acque  per  altri  usi,  che  sono 
troppo  necessari.  Aggiungi  a  luttociò,  che  alcune 
fonti  scaturivano  vicinissime  alla  Città,  od  entro 
la  città  slessa;  come,  a  cagion  d'esempio,  quella 
della  «  Bocola  »  sotto  S.  Matteo  (132),  quella 
del  «  Lantro  »  sotto  l'attuale  Casa  di  Pena,  per 
cui  già  fin  d'allora  si  sarà  usalo  delle  loro  non 
iscarse  acque.  Questo  elemento  era  troppo  neces- 
sario perchè  venisse  trascurato  del  tutto  duranti 
le  dominazioni  barbariche,  molto  più  che,  que- 
sta Città  avendo  una  certa  importanza  come  luo- 
go fortificato,  si  avrà  avuto  cura  di  i  revenire  o- 
gni  causa,  che  avrebbe  potuto  agevolare  le  con- 
seguenze anche  del  più  breve  assedio.  —  Effetti- 
vamente scarsissimi  sono  gii  indizi  diretti  che 
abbiamo  per  ammettere  questo  fatto  alla  nostra 
°^^.  ma  crediamo  che  anche  questi  pochi  pos- 
sano bastare,  atmeno  m  F«.i^,  r.«  iws  ritpnp.rp 


141 

non  infondale  le  osservazioni  che  abbiamo  pre- 
messe. 

La  prima  menzione  del  Lantro  l'abbiamo  nel 
1032,  quindi  pochi  anni  dopo  l'epoca  della  quale 
ci  occupiamo  (133):  non  ci  è  noto  però  se  l' indu- 
stria cittadina  avesse  approfittato  di  questa  sor- 
gente per  raccoglierne  le  acque  in  luogo  accon- 
cio, ed  in  conseguenza  per  renderne  più  agevole 
l'uso  tanto  ai  cittadini,  quanto  agli  abitanti  del 
contiguo  Fabriziano:  tuttavia  parrebbe  di  no,  per- 
chè, quali  che  siano  le  congetture  che  si  voglia- 
no fare  su  questo  argomento,  a  nostro  giudizio, 
è  necessario  tener  presente,  che  a  quest'epoca 
le  acque  del  Lantro  scorrevano  liberamente  lungo 
il  pendio  del  nostro  colle:  il  che  lascerebbe  fa- 
cilmente supporre,  che  niun  lavoro  di  qualche 
importanza  si  fosse  fatto  attorno  a  questa  scaturii 
gine  per  rendere  più  pregevole  il  dono  che  natu- 
ra avea  largito  agli  abitatori  di  questi  colli  (134). 
—  Piuttosto  diremo,  che  abbiamo  memoria  del 
Vasine  fino  dal  955  per  un  pezzo  di  terra 
che  gli  era  vicino.  Le  acque  del  Yasine,  le 
quali  scaturiscono  sotto  l'attuale  contrada  di 
Corserola,  sembra  che  fino  da  un'epoca  remola 
sieno  stale  tratte  al  punto  ove  la  fontana  cit- 
tadina porla  ancora  lo  stesso  nome,  vale  a  dire, 
sotto  le  vecchie  mura  della  Città.  La  poesia  ha 
bensì  còllo  l'occasione  di  magnificare  gli  arlifi- 
cii,  che  furono  messi  in  opera  affinchè  quest'a- 
cqua, resa  più  limpida  e  più   pura,  potesse  me- 


142 

glio  soddisfare  ai  bisogni  dei  cittadini,  ma  non  è 
men  vero  che  per  questi  deve  essere  stala  opera 
meravigliosa  quella  per  cui,  dal  punto  ove  sgorga- 
vano, si  trassero  quelle  acque  per  lungo  tratto 
sino  sulla  via  attualmente  detta  del  Vasine;  le 
tradizioni  poi  dei  primi  anni  del  secolo  duodeci- 
mo parlano  ancora  delle  condizioni,  in  cui  si  tro- 
vava questa  località,  prima  che  si  fosse  pensato 
di  costrurre  un  canale,  fatto  a  vòlta*  affine,  e  di 
poterlo  coprire  coi  materiali  tratti  dal  sovrastan- 
te vertice  del  colle,  e  di  poter  quindi  colmare 
queir  avvallamento  pel  quale  anteriormente  scor- 
revano le  acque  del  Vasine.  Noteremo  infine  che 
la  poesia,  non  meno  che  le  indicazioni  più  certe 
concordano  a  farci  conoscere  che  nel  punto,  ove 
mettevano  capo  quelle  acque,  vi  era  un  seno, 
entro  il  quale  era  stalo  costruito  un  vasto  serbato- 
io, a  cui  con  tutta  facilità  andavano  ad  attingere 
i  nostri  cittadini  (135).  —  Più  importante  per  noi  è 
il  Saliente.  Nella  carta  del  1029  si  comprende  chia- 
ramente che,  sotto  questo  nome,  si  intese  accen- 
nare un  pezzo  di  terra  posto  in  Castagnela  (136)  : 
ma  non  è  difficile  accorgersi,  che  una  tale  deno- 
minazione deve  essergli  stata  attribuita  dal  canale 
che  forse  gli  passava  vicino,  e  che  portava  l'acqua 
alla  Città  fino  dai  tempi  romani  (137).  Col  nome 
di  Saliente  era  altresì  chiamata  una  fontana  posta 
nelle  vicinanze  della  Porta  del  Pantano,  la  quale 
fu  distrutta  all'epoca  in  cui  si  innalzarono  le  nuo- 
ve fortificazioni  (138):  e   che   questa  fosse  ali- 


143 

mentala  dalle  acque  del  canale  omonimo,  non 
può  rimaner  dubbio  di  sorta,  come  pure  non  si 
potrà  negare,  che  l'acqua  del  Saliente,  la  quale 
era  stata  derivala  dai  «  vasi  »  di  Castegnela,  ol- 
trepassato questo  punto,  andasse  ad  espandersi  per 
tutta  la  città,  ove  appena  si  ponga  mente  a  questo 
fatto,  che  ancora  nel  1305  non  esistevano  nella 
nostra  città  che  soli  tre  pozzi  (139),  e  che  l'acqua, 
di  cui  essa  abbisognava,  non  poteva  per  necessa- 
ria conseguenza  essere  condotta  che  per  mezzo  di 
canali  dai  colli  vicini.  È  forse  pura  fantasia  di  poe- 
ta quella,  per  cui  sappiamo,  che,  sul  finire  del- 
l'undecimo,  e,  sul  principiare  del  duodecimo  se- 
colo, una  vena  di  gelida  acqua  alimentava  in  o- 
gni  parte  della  nostra  città  fonti  e  pozzi  (140)? 
ovvero  può  essere  avvenuto,  che,  nel  decimoterzo 
secolo  ordinatasi  meglio  la  distribuzione  delle 
acque  nella  città  colla  costruzione  di  nuovi  ser- 
batoi, i  pozzi,  come  quelli  che  erano  più  dispen- 
diosi e  meno  addatti  all' uso  giornaliero,  venisse- 
ro trascurali,  per  il  che  riuscisse  poi  più  agevo- 
le a  Costanzo  di  mettere  a  dura  prova  la  sicu- 
rezza della  nostra  Città?  Noi  qui  lasciamo  la  co- 
sa indecisa,  e  viemeglio  perchè  essa  riguarda 
più  direttamente  un'epoca  posteriore. 

§  10.  Alcuni  particolari  sulV  interno   della  Città. 

Pare  che  in  Arena  fino   dai  tempi   più   re- 
moti le  abitazioni  non  fossero  mollo  addensate: 


144 

là  troviamo  V  anfiteatro  nei  tempi  romani,  il 
quale  naturalmente  si  sarà  procurato  fabbricarlo 
in  un  luogo,  nel  quale  colla  sua  mole,  per  quanto 
piccola  si  voglia  ritenere,  non  avesse  ad  usur- 
pare uno  spazio  occupato  già  dalle  case  cittadi- 
ne, e  già,  come  vedemmo,  abbastanza  ristretto. 
Una  ragione  di  ciò  può  risiedere  nel  fatto,  che 
in  questa  parte  la  nostra  Città  era  assai  vulne- 
rabile: che,  per  quanto  fosse  piccola  la  portata 
delle  armi  antiche,  poste  a  confronto  colle  no- 
stre, tuttavia  questo  lato  della  Città  era  il  più 
debole  per  essere  dominalo  in  molta  parte  dal 
sovrastante  monte  S.  Vigilio,  per  cui  i  cittadini 
slessi,  quasi  istintivamente,  avranno  rifuggilo  da 
un  luogo,  che  era  il  più  esposto  agli  assalti,  ed 
il  primo  ad  essere  danneggialo  dalle  macchine  di 
guerra.  Quindi  è  che  fino  dall' 806  troviamo  qui 
in  Arena  un  vigneto,  appartenente  al  Vescovo  Ta- 
chimpaldo,  che  circondava  da  due  parti  la  proprie- 
tà della  basilica  di  S.  Giovanni  (141);  Casanova, 
nel  913,  col  suo  cortile  e  col  suo  brolo  occupa- 
va uno  spazio  di  quasi  settantaquattro  are  (142)  ; 
nel  969  sappiamo  pure  di  una  casa  a  cui  andava 
congiunta  una  vignetta  di  poco  meno  che  quattro 
are  (143).  Questo  slato  di  cose  durò  fino  al  tempo 
della  redazione  degli  Statuti,  e  dura  in  moltis- 
sima parte  sino  al  presente.  A  cagion  d'esempio 
gli  Acerbi,  i  Gargani  vi  avevano  i  loro  «  broli  » 
i  quali,  quando  si  eresse  la  Cittadella ,  diventa- 
rono proprietà  del  Comune  (144).   —  Sotto   la 


145 

Chiesa  di  S.  Agata  nel  908  vi  era  un  vigneto,  che 
era  stato  oggetto  esso  pure  di  un  cambio  con  un 
altro  pezzo  di  terra,  il  quale,  per  essere  posto  nel 
luogo  detto  «  a  muro  »  e  per  essere  di  proprietà 
della  basilica  di  S.  Alessandro,  probabilmente 
era  situato  nelle  parti  di  Arena,  ove  quella  basili- 
ca possedea  dei  terreni  (143).  Del  resto  non  deve 
far  meraviglia  il  trovare  una  vigna  in  quella 
parte  così  settentrionale  della  Città,  perchè  sap- 
piamo che,  nel  1331,  per  lo  meno  il  pendio  che 
è  tra  il  Yasine  e  la  Boccola  era  tulio  coperto  di 
viti  (146).  E  terra  coltivata  si  trova  nel  955  non 
molto  lungi  dal  Yasine  (147),  e  ancora  nel  1196 
abbiamo  veduto  un  atto  d'investitura  di  un  pez- 
zo di  terra  situato  in  questa  stessa  località.  — 
Sebbene  un  po'posteriormente  alla  nostr' epoca, 
tuttavia  non  crediamo  inutile  notare  che  nel 
1030  vi  erano  «  due  pezzi  di  terra  di  proprietà 
e  della  Canonica  di  S.  Vincenzo....  posti  entro 
«  la  Città  di  Bergamo....  verso  la  Porta  eli  S.  Lo- 
«  renzo...  (148)  »  e  quantunque  non  conosciamo 
la  precisa  posizione  di  questi  «  due  pezzi  di 
terra  »  nullameno  non  può  essere  fuori  di  luo- 
go il  notare,  che  anche  al  tempo  della  redazio- 
ne dei  nostri  Statuti,  da  queste  parti  trovia- 
mo il  «  Brolum  »  dei  Bonghi,  il  «  Viridarium  » 
dei  Suardi  (149)  e  così  via  —  Abbiamo  già  ve- 
duto come  la  Chiesa  di  Santa  Maria  della  Torre, 
ov'  ò  ora  il  Liceo,  fosse  posta  vicino  ad  un  vi- 
gneto; la  contrada  del  Gombilo  non  era  a  mez- 

10 


146 

zodì  fiancheggiata  da  case,  ma  bensì  da  un  pez- 
zo di  terra  coltivato;  alla  Canonica  stessa  era 
unito  un  orlo  :  e  di  orli  in  questa  località  abbia- 
mo memoria  ancora  nel  1179:  vicino  alla  Cat- 
tedrale nel  973  sappiamo  di  una  casa  pure  con 
orto  della  superficie  di  quasi  vent'otto  are  (150), 
e  similmente  questo  ci  è  noto  nel  977  per 
un'altra  casa,  la  quale  però  non  sappiamo  preci- 
samente ove  fosse  situata,  per  mancanza  di  più 
determinate  indicazioni  (151,).  —  Non  bisogna 
adunque  abbandonarsi  a  vanti  immaginarli  od  a 
ridicole  illusioni.  La  nostra  Città,  oltreché  a  que- 
st'epoca era  rinserrata  in  un  àmbito  assai  ristret- 
to, conteneva  anche  molti  spazii  affatto  inabitati. 
Ciò  può  essere  stalo  una  conseguenza  delle  con- 
dizioni politiche  ;  può  essere  stato  anche  una 
conseguenza  del  falto,  che  a' suoi  piedi  comin- 
ciavano a  formarsi  nuovi  centri  e  ad  ampliarsi, 
in  guisa,  che  la  Cillà  potesse  stentatamente  ri- 
farsi dal  grave  tracollo  che  avrà  subito  sotto  i 
primi  barbari.  La  popolazione  sarà  stata  forse 
addensata  nelle  abitazioni,  ma  per  quanto  queste 
si  immaginino  numerose  e  capaci,  almeno  a  no- 
stro vedere ,  sono  ben  lontane  dal  giustificare 
cifre,  che  si  sono  poste  innanzi  con  una  sicurez- 
za troppo  leggiera,  e  che  si  sono  da  taluni  accet- 
tale con  una  buona  fede  troppo  grossolana.  Non  è 
neppure  improbabile  che  molte  di  queste  abitazio- 
ni cittadine  fossero  di  legno,  e  che  di  quando  in 
quando  rovinassero  con  una  facilità  pari  a  quel- 


147 

la  con  cui  venivano  innalzate  (182):  nullameno 
è  lecito  anche  presupporre  che  la  maggior  par- 
te, per  l'abbondanza  dei  materiali  che  presentava 
il  luogo,  saranno  slate  in  pietra  (153):  ad  ogni 
modo  è  in  questo  fatto,  quasi  più  che  in  tutte 
le  successive  vicende,  che  deve  risiedere  la  causa, 
per  la  quale,  almeno  per  quanto  sappiamo,  ove 
si  eccettuino  brevi  traiti  di  mura,  non  riman- 
gono altri  avanzi  di  questi  secoli.  —  Solo  la 
vaghezza  della  posizione  avrà  contemperato  1'  a- 
spello  malinconico  e  severo  che  dovea  presenta- 
re la  nostra  Città  a  chi  la  riguardava  dal  piano. 
Le  mura  merlate,  e  dove  lo  richiedeva  la  ripi- 
dezza del  pendio,  con  saggio  intendimento  fatte 
ad  arco;  a  tratto  a  tratto  delle  torri  o  rotonde 
o  quadrate:  le  porte  della  Città  anguste  ;  le  case 
in  legno  o  in  pietra  addossate  le  une  alle  altre  e 
prive  di  quelli  ornamenti,  che  danno  una  grazio- 
sa varietà  allo  opere  fatte  anche  solo  per  soddis- 
fare ai  più  urgenti  bisogni  della  vita  ;  non  le 
vaghe  ville  disseminate  lungo  il  pendio:  piccoli 
e  radi  villaggi  ove  ora  ricchi  ed  industri  borghi 
fanno  corona  all'antica  Città  :  ecco  quale  a  un 
di  presso  ne  sarà  stalo  l'aspetto.  Eppure  là  in 
quelle  strelte  vie  e  in  quelle  buie  abitazioni  si 
svolgeva  una  rivoluzione  potente,  una  rivoluzio- 
ne feconda  quant'allre  mai,  perchè  ai  primi  al- 
bori di  una  civiltà  precoce  con  forza  irresistibile 
gettava  le  fondamenta  di  una  eguaglianza,  che 
su  questo  sacro  suolo  era  pur  troppo  senza 
esempio. 


148 


CITAZIONI  E  NOTE 


s.  Plin.  7i.  h.  3.  21. 

2.  Huschke,  Die  Igiwischen  Taf.  S.  66  flg. 

3.  Da  berg  (monte)  e  da  heim,  frane,  hameau  ( abita- 
zione J .  Che  le  due  radici  celtogertnaniche,  delle  quali  è  com- 
posto il  nome  della  nostra  città,  sopravvivano  ancora  nel  ter- 
ritorio occupato  un  tempo  dai  Ccnomani,  lo  provano,  più  che 
altro,  il  nome  di  Bergimo  rimasto  ad  un  colle  di  Valcamo- 
nica  (P.  Gregorio,  Trattenimenti  ecc.  ap.  Odorici,  Sior.  Bresc. 
I.  ii40*  il  nome  dei  villaggi  di  Cimberga,  Berzo,  della 
stessa  valle,  in  capo  alla  quale  è  un  monte  detto  ancora  Berg 
(Odorici,  o.  e.  I.  1 1 4  Seg-J:  Berso  di  Valcavallina  ,  posto 
in  luogo  alquanto  elevato,  e,  con  forma  più  genuina,  nel  te- 
stamento di  Tuidone  del  77^  chiamato  Bergis  (  Lup.  I.  53o.), 
infine  la  Ca  cV  Bèrghem,  una  frazione  posta  in  alto  sopra  il 
villaggio  di  Pradalunga,  ed  il  cui  nome  contiene  in  due  dif- 
ferenti lingue  la  parziale  ripetizione  dello  stesso  concetto.  Che 
poi  queste  induzioni  non  siano  senza  fondamento,  lo  confer- 
mano luminosamente  delle  iscrizioni  bresciane,  nelle  quali  tro- 
viamo menzione  di  voti  fatti  da  un  Nonnio  Seneciano  e  da  un 
Lucio  Vibio  Ninfiodoto  a  Bergimo,  e  più  di  tutto  il*  fatto  at- 
testato da  una  di  quelle  iscrizioni^  che  un  edile,  dietro  ri- 
chiesta del  popolo  di  quella  città,  ebbe  a  rialzare  un5  ara  a 
Bergimo  (Odorici,  o.  e.  p.  1 1 1  seg.  ).  Questa  era  senza  dub- 
bio una  gallica  divinità,  alla  cui  tutela  sembra  fossero  affidate 
le  montane  abitazioni  :  ed  il  rapporto  fra  il  suo  nome  e  quel- 
lo della  nostra  città  indica,  e  la  identità  del  significato,  e  in 
pari  tempo  che,  dal  nome  del  dio  protettore  del  luogo,  può 
darsi  anche  che  abbia  pigliato  nome  questo  gruppo  di  casolari, 
che  forse  sorgeva  sulle  rovine  della  italica  Parrà. 

4.  A  nostro  vedere,  l'attuale  forma  bergamasca  di  questo 
nome,  che  è  Bérghém,  ammetterebbe  una  forma  più  antica 
zn  Bergamum  e  non  Bergomum, 

5.  A  voler  ridurre  la  cosa  in  cifra  —  salva  qualche  ora- 
missione  —  cominciando  dal  772  sino  al  1000  noi  abbiamo  So 
documenti  in  cui  la  forma  «  Bergamo  »  si  trova  una  0  più 
volle  :  3  documenti  nei  quali  una  0  più  volte  si  ha  «  Bergomo  ^ 


149 

6  documenti  con  «  Pergamum.  »  Su  questi  ultimi  abbiamo  detto 
abbastanza. 

6.  V.  p.  e.  ap.  Lup.  I.  727.  II.  37,  57,  73,  223,  261, 
42  3,  ecc. 

7.  I  Cenomani  furono  cagione  che  si  distraessero  le  forze 
de'  Boii  quando  questi  invasero  1'  Etruria  (a.  a.  C.  224)  e 
ricevettero  la  terribile  sconfitta  di  Telamone  (  Polib.  2.  23). 
Nel  223  a.  C.  facilitarono  il  passo  al  console  Flaminio,  che 
movea  contro  gli  Insubri,  sebbene,  a  dir  vero,  il  console  non 
gli  ricambiasse  con  pari  fiducia  (Polib.  2.  32,  33).  Alla  Treb- 
bia i  Cenomani  formavano  la  sinistra  dell'  esercito  romano 
(  Liv.  21.  55,  56.  cfr.  Polib.  3.  73,  74 J •  Sebbene  nella  spedi- 
zione contro  Piacenza  del  200  a.  G.  i  Cenomani  fossero  uniti 
agli  Insubri  ed  ai  Boii,  tuttavia  nel  197  a.  C.  non  rifuggivano 
dalla  ribalda  vigliaccheria  di  assalire  sul  Mincio  alle  spalle 
gì'  Insubri  loro  alleati,  agevolando  così  a  Cornelio  Cetego  una 
delle  più  decisive  vittorie  contro  questi  popoli  (Liv.  32.  29,  3o.), 

8.  Per  chi  conosce  appena  la  Storia  antica  della  nostra 
Città  le  prove  di  questi  pochi  cenni  sono  affatto  inutili;  per 
tutti  gli  altri  sarebbe  uno  sfoggio  di  citazioni  e  di  argomen- 
tazioni collocate  molto  mal  a  proposito. 

9.  Plin.  ep.  4.   »  1  • 

io.  Più  che  alla  interpretazione  comune,  che  vede  nel 
(atto  delle  molte  are  dedicate  a  Minerva  un  culto  speciale  per 
le  scienze,  le  lettere  e  le  arti,  noi  crediamo  che  facciati  piede 
alla  nostra  V  Inno  che  va  tra  gli  Omerici  in  Vener.  i4  seg. 
Tibul.  eleg.  2.  !.  6i-65,  Virg.  aen.  7.  8o5,  806.,  Ovid. fast. 
3.  4*o,  41  !• 

1 1.  ap.  Lup.  II.  33-36. 

12.  Ibid.  II.  109,  195.  Citiamo  questi  due  soli  ad  esem- 
pio: del  resto  si  potrebbero  consultare  i  documenti  del  904. 
924.  953.  962.  966.   1020.   1021.   io5i.  ecc. 

i3.  Ibid.  IL  235,  569,  653,  1041.  —  Ronchetti,  II. 
5o.  III.  74. 

i4«  Si  confrontino  per  questa  opinione,  che  crediamo  del 
resto  inutile  di  prendere  in  serio  esame,  Lup.  II.  236,  1 04»  • 
—  Ronchetti  a.  1.  e. 

i5.  Paul.  Diac.  d.  g.  L.  4.  3. 

16.  Id.   o.  e.  6.  20. 

17.  v.  Lup.  I.  4^7.  445. 

18.  Veggasene  un  esempio  rispetto  a  Verona  in  Ughelli, 
1.  s.  V.  711. 

19.  v.  Hegel,   Stor.  della  Cost.  ecc.  p.  317,  3 19.  ed  ita). 


150 

20.  ap.  Murat.  r.  i,  s.  II.  II.   119. 
21  •  Liutpr.  antap.   1.   7. 

22.  Paneg.  Bereng.  ap.  Murat.  r.  i.  5.  II.  II.  397. 

23.  Ecco  i  brani  dei  nostri    documenti     nei    quali    vi    ha 
cenno  del  nostro  muro  :  essi  sono  disposti   in  ordine  di  data  : 

Ann.  ^55  :  «  basilice  beatissimi  levile  et  martyr.  Chr.  Laurentii 
«  sita  foris  muros  castri  nostri  Bergomatis  (  ap.  Lup.  I.  437).  » 

Ann.  774  :  "  basilice  beatis.  S.  Archangeli  Michaelis  foris 
«  muro  civitate  Bergomate  (ibid.  I.  529).  » 

Ann.  785  :  «  Gaidoaldi  commanenlem  foris  prope  cives  Ber- 
«  gamo  prope  basilica  S.  Andreae  ....  vites  subtus  civitatem 
«  Bergamo  subtus  muro   (ibid.  599).  » 

Ann.  816:  «.  ...  basilica  S.  Alexandri  ubi  eius.  s.  corpus 
«  requiescit   prope  muro  cives  Bergamo   (  ibid.   657  ).  » 

Ann.  856  :  «  ecclesia  beati  mart.  Chr.  Alexandro  sita  foris 
«  porta  prope  muro  civitatis  Bergamo  ( ibid.  781  ).  » 

Ann.  856  bis  :  «  ecclesia  S.  Alexandri  sita  foris  muro  civis 
«  Bergamo  (ibid.   783).  » 

Ann.  888  :  petia  de  terra  campiva  conslituta  foris  muro 
«  cives  Bergamo  loco  ubi  dicitur  Prato  lungo  (  ibid.  993J.  « 

Ann.  894  :  «  ecclesia  S.  Vincentii .  . .  quae  conslructa  esse 
«  cernitur  infra  moenia  Bergomensis  civitatis  (  ib.    1017).  w 

Ann.  904  •  u  Turres  quoque  et  muri  seu  portae  urbis  la- 
«  bore  et  studio  ipsius  Episcopi  et  concivium  ibidem  confu- 
«  gentium  sub  potestate  et  defensione  supradictae  Ecclesiae  et 
«  prenominati  Episcopi  suorumque  successorum  perpetuis  con- 
ce sistant  temporibus  :  domos  quoque  in  turribus  et  supra  muros 
«  ubi  necesse  fuerit  potestantem  habeant  edifìcandi  et  vigiliae 
«  et   propugnacula   non   ininuantur  (ap.   Lup.   II.   23).  « 

Ann.  905  :  «  pecia  de  terra  vitata  constituta  foris  prope  muro; 
«  de  eadem  civitate  loco  ubi  dicitur  Suptus  muro  (  ib.  37).  >> 

Ann.  908  :  «  Petia  clausuriba  conslituta  .  .  .  eadem  civitate 
«  loco  ubi  dicitur  a  muro  (ibid.  59J.  ?> 

Ann.  91 1  :  «  Vineam  quam  habere  videor  prope  muro  ipsius 
«  civitatis  a  meridie ,  inler  adfines ....  ab  uno  latere  vìa 
«  prope  muro  ipsius  civitatis  (ibid.  81  ).  » 

Ann.  922  :  «  È  un  diploma  di  Rodolfo  identico  a  quello  già 
«  riportalo  sotto  Tanno  904  (  ibid.   125).  » 

Ann.  909  :  «  pecia  vitata  foris  muro  loco  ubi  dicitur  Cor- 
«  nesello  —  tres  pecie  de  terra  constitute  foris  muro  cives 
«  Bergamo  —  Prima  pecia  loco  ubi  dicitur  Mercorina  :  secun- 
«  da  pecia  ibi  prope  :  tertia  pecia  loco  ubi  dicitur  Sancto 
«  Donato  (ibid.  67  ).  « 


131 

Ann.  9^3  :  «  Pecia  de  terra  vitata  . . .  posita  in  mons  foris 
«  muro  ipsius  civitatis  Bergamo  suptus  monasterio,  quod  eia- 
«  matur  vetere,  coheret  ei  fìnes .  . .  A  mons  muro  ipsius  civi- 
«  tatis  Bergamo.  —  falia^)  pecia  vitata  in  mons  foris  muro 
«  ipsius  civitatis  Bergamo  locus  ubi  dicitur  Fontana  Bertelli 
«  fibid.   223  ).  » 

Ann.  958  :  «  ecclesia  S.  Alexandri,  que  est  posita  foris 
«  muro  non  multum  longe  a  porta  civ.  Bergamo  ( ibid.  239J.  " 

Ann.  965  :  «  vinea  ....  suptus  muris  eadem  civilate  Ber- 
«  gamo  ad  locus  ubi  dicitur  Albariolo  (ibid.   279 ).  » 

Ann.  966.  «  Pecia  di  terra  vitata  in  mons  foris  muro  non 
«  multum   longe  eadem  civitate  Bergamo  (  ibid.   279J.  « 

24.  Erano  detti  «  Valloni  di  Rocca  »  e  furono  riempiti 
colla  nuova  fortificazione.  Calvi  Eff.   \.  3 16. 

25.  V.  Stat.  a.  i33i,  collat.  I.  =:  11  Ronchétti  (  o.  e. 
V.   57  ),    parlando    di    Re    Giovanni,    scrive  :  «  emanò  alcuni 

«  ordini  e  statuti .  .  .  . ,  e  furono che,     demolite  alcune 

ce  mura  della  Città,  fosse  fabbricata  una  fortezza  la  quale  fu 
«  nominata  Rocca.  »  La  espressione  è  per  lo  meno  dubbia. 
La  cosa  sta  in  questi  termini.  La  venuta  del  cavalleresco  Gio- 
vanni avea  infuso  tale  una  fiducia  che  potessero  aver  fine  le 
discordie  cittadine,  che  si  era  proposto,  ed  era  passato  a  grande 
maggioranza  ffactis  partitis  . .  . .  „  placuit  quasi  omnibus  )  che, 
ad  eccezione  di  una  piccola  parte  delle  mura,  ehe  servisse  per 
la  rocca,  tutto  il  restante  si  spianasse;  e  la  ragione  che  addu- 
ce di  questi  fatti  lo  Statuto,  cioè,  «  ut  omnis  materia  et  pre- 
«  sumptio  a  malignorum  cordibus  vel  receptaculli  (sic)  tolla- 
«  tur  omnino.  »  spiega  il  carattere  e  lo  scopo  delle  delibera- 
zioni prese. 

26.  «  Questa  fortezza  f  di  Bergamo )  ha  una  Rocca  nel 
«  centro  della  Città,  et  parte  di  essa  serve  al  presente  per 
a  cinta  della  fortezza  in  quella  parte  ove  si  dissegna  lare  il 
«  Baloardo  della  Fara.  »  Relaz.  mss.  del  Capit.  Tommaso 
Morosini  del  25  Settembre   1Ò78  nella  Biblioteca. 

27.  V.  per  esempio  la  Relazione  mss.  del  Capit.  Mar- 
cantonio Memo  del    1576. 

28.  Le  carte  e  i  disegni  relativi  alla  restaurazione  della 
Rocca,  colla  data  del  1762,  sono  in  Venezia  nell'Archivio  dei 
Frari.  —  Questa  notizia  mi  fu  gentilmente  comunicata  dal 
Sig.  Tommaso  Gar,  Direttore  di  quest'Archivio,  con  lettera 
8  Dicembre   1868. 

29.  Stat.  Mss.  a.   i33i,  collat.  II,  28,  39,  41. 

30.  Stai.  Mss.  a.  1391,  collat.  VII.  —  al  Stat.  mss. 
saecul.  XP.  nella  Bibliot.  Sala  I.  D.  Fil.  V.  9. 


152 

3i.  Reg.  Cane.  Due,  i7  ap.  Calvi  Eff.  III.  i5o  — 
Notae  et  meni.  S.  Frane,  ibid, 

32.  Lib.  Cons.  a.  i5o2.  —  Mem.  Monast.  S.  Frane. 
ap.  Calvi  Eff.  I.  3i2.  Queste  indicazioni  del  Calvi  riescono 
tanto  più  preziose,  inquantochè  l'archivio  del  Convento  andò 
disperso. 

33.  Riteniamo,  senza  tema  di  essere  smentiti,  tutti  i  no- 
stri Scrittori  trascuratissimi  nel  segnare  le  diverse  modificazioni 
apportate  alle  nostre  mura.  Il  fatto  è  che  verso  la  fine  del 
XV.  ed  il  principio  del  XVI.  secolo  il  Convento  di  S.  Fran- 
cesco puteva  espandersi  liberamente,  giacche,  o  le  mura  avea- 
no  già  pigliata  un'altra  direzione,  inchiudendo  tutto  il  borgo 
S.  Lorenzo,  od  erano  affatto  trascurate  e  nel  massimo  deperi- 
mento. Qui  ci  basta  aver  accennato  questo  fatto.  Il  Salvioni 
poi  che  ne  ha  trattato  ex  professo,  è  il  più  trasandato  di  tutti 
gli  altri.  Nel  quadro  iconografico  della  nostra  Città  copiato 
dall'Àlbrizzi,  ponendo  mente  al  ricinto  antichissimo  da  noi 
descritto,  si  possono  segnare  anche  nei  suoi  particolari  tutte  le 
posteriori  modificazioni,  sebbene  non  si  possa  determinarne 
l'epoca  con  tutta  precisione.  E  il  Salvioni  poteva  e  doveva 
farlo,  se  non  si  fosse  accontentalo  di  metter  sotto  l'egida  di 
un  pomposo  titolo  un  discorso  accademico,  che,  dopo  i  brevi 
cenni  del  Tassi  e  del  Rota,  era  affatto  inutile. 

34.  ap.  Lup.  II.  565. 

35.  Ib.  II.  6i3. 

36.  Stai.  a.   i33i.  coli.  II.  37. 

3n.  Lup.  IL  863.  Sebbene  questa  chiesa  possa  essere  an- 
tichissima, come  vedemmo  (  V.  sopra  parte  II.  §.  6.  )9  tuttavia 
sono  prette  invenzioni  quelle  spacciate  dai  nostri  storici  intor- 
no ad  essa,  i  quali  sanno  persino  che  ai  28  Gennajo  801  venne 
qui  a  consacrarla  l'Arcivescovo   Turpino.  Calvi  Eff.  I.   137. 

38.  Stai.  cit.  II.  37. 

39.  Ronchetti  0.  e.  III.  209. 

40.  Statuti  citati  ecc. 

4i.  1  nostri  storici  fPelIegr.  vin.  I.  53.  —  Calvi  Eff, 
IL  279  352  )  ammettono  sia  avvenuta  nel  Giugno  i45o  la 
introduzione  dei  Carmelitani  e  la  fondazione  della  loro  chiesa. 
Questa  poi  sarebbe  slata  rinnovata  nel  1489.  ( Calvi  0.  e.  III. 
205,).  In  ciò  vi  ha  senza  dubbio  un  equivoco,  poiché  lo  Sta- 
tuto del  1 3g  1  fcoll.  VII.  f.  71 J  parla  della  «  ecclesia  fra- 
«  trum  Carmelitarum  «  precisamente  nel  luogo  ov'  è  l'attuale. 

42.  Le  ragioni  di  questa  nostra  iuduzione  saranno  date 
più  avanti,  in  fine  della  nota  77. 


1S3 

43.  Pari,  vet.  eh,  ap.  Calvi,  op.  e.  III.  4?2«  Bisogna 
però  avvertire  che  una  parie  ili  queste  pile  fu  allargata  ancora 
a  memoria  d'uomo  pel  conseguente  allargamento  della  sovrap- 
posta  strada. 

44*  Lo  dice  il  Rota  (  Slor.  ant.  di  Bergamo  pag.  94 
n.  3)  sulla  fede  di  una  carta  mostratagli  dal   Mozzi. 

45.  In  complesso  le  nostre  indicazioni  concordano  perfet- 
tamente con  quelle  date  dal  Tassi  e  dal  Rota  e  in  parte  dal 
Salvioni. 

46.  V.  per  esempio  Vitruv.  drchit.  1,  5. 

47.  ap.  Lup.  II.  23. 

48.  ap.  Lup.  II.   125. 

49.  Stat.  a,   i33i.  collat.  II.   33. 

50.  La  forma  «  Turrisella  »,  per  indicare  una  piccola 
torre,  non  dovea  essere  strana  neppure  all'epoca  di  cui  ci  oc- 
cupiamo, dal  momento  che  fin  dal  785  abbiamo  «  viticellas  « 
per  indicare  un  piccolo  vigneto  f  ap.  Lup.  I.  599J  e  nel  856 
abbiamo  «  sortecella  «  per  indicare  una  piccola  sorte  fib.  783J. 

5i.  Castelli,  Chron.  ap.  Murai,  r.  i.  s.  XVI.  947. 

52.  Vitruv.   Arch*  1.  5. 

53.  Ai  tempi  di  Mosè  del  Brolo  per  lo  meno  molte  delle 
Torri  dell'epoca  nostra  doveano  ancora  esistere,  ed  è  perciò 
che  riesce  assai  preziosa  la  sua  testimonianza: 

«  Turribus  expositis  per  cunctas  undique  partes, 
"  Ut  nihil  hostiles  noceant  his  moenibus  artes.  =z  Perg.  23,  24. 
Che  Mosè,  sebbene  si   riferisca  ad     un'  epoca    anteriore,    nello 
scrivere  quelle  parole,  non  avesse  sott'occhio    lo    slato    attuale 
delle  mura  cittadine,  non  vi  sarà  chi  lo  creda. 

54.  ap.   Lup.  IL   23. 

55.  ap.  Lup.  I.  781. 

56.  ap.  Lup.  II.  239. 

57.  Ibi J.  II.  36i.  —  Liutpriando  (anlap.  1.  7.,)  par 
landò  del  Conte  Ambrogio  dice  che  fu  «  suspensus  ante  portai 
«  januam.  »  Ma,  oltreché  questo  cenno  è  troppo  generale»  v 
ha  anche  il  fatto,  che  le  circostanze  di  quell'assalto  fanno  ere 
dere,  che  anche  qui  non  si  tratti  che  della  Porla  di  S.  Ales 
Sandro;  il  che  non  aggiunge  nulla  ai  nostri  documenti  già  citati 

58.  Moys.  d.  Brolo.  Perg.   i85,   186. 
09.  Index  collat.  XV.   26. 

60.  ap.  Lup.   II.  453,   565,  653. 

61.  Ibid.  IL  56i,  565,  661. 

62.  Salvioni  o.  e,  p.  6.  che  potè  averla  veduta  ancora 
in  piedi. 


134 

63.  Per  la  determinazione  della  posizione  di  questa  Porta 
diventano  assai  preziose  le  indicazioni  date  dal  C?ipitano  Lo- 
renzo Donado  nella  sua  Relazione  mss.  3i  Dicembre  1 565  : 
«  La  Porta  vecchia  (di  S.  Giacomo^  per  la  quale  hora  si 
«  viene  nella  fortezza  è  cosi  accanto  il  fianco  del  baloardo  di 
«  S.  Dominico,  che  il  ponte  per  il  qual  si  viene  a  delta  Porta 
«  viene  ad  affrontarsi  nell'  istesso  fianco  del  bastione,  et  così 
«  propinquo  viene  a  levarvi  ogni  dilesa,  »  Si  vede  da  ciò  che 
il  ponte,  che  conduceva  a  questa  porta,  appoggiandosi  al  fianco 
dell'attuale  bastione,  essa  dovea  trovarsi  un  po'  a  sinistra  ,  ed 
un  po'  più  interna  dell'attuale;  a  un  di  presso  dove  l'abbiamo 
segnata  anche  noi  sulla  nostra  Carta  Topografica. 

64-  Salvioni  o.  e.  pp.  6,  7. 

65.  Celestino  h.  q.   1.   486. 

66.  ap.  Lup.  II.  1299.  ««*-  Abbiamo  detto  nei  documenti 
pubblicati  dal  Lupi,  perchè,  quanto  alla  Pasterla,  noi  la  tro- 
viamo ricordala  fino  dal  1  r^5  in  un  documento  inedito,  che 
conservasi   in   Biblioteca   (n.   Sy^  )• 

67.  Du  Cange,  gloss.  s.   v. 

68.  Ronchetti  o.  e.  III.  160.  —  La  distinzione  della 
Porta  del  Pantano  dalla  Porta  o  Portone  di  S.  Alessandro  la 
troviamo  anche  all'epoca  in  cui  si  era  appena  incominciato  a 
por  mano  all'erezione  delle  nuove  mura,  ed  in  cui  le  antiche 
sussistevano  ancora,  cioè  nella  relazione  del  20  Ottobre  i56i 
del  Capitano  Giulio  Gabriel  nella  quale,  parlandosi  dei  capita- 
ni posti  a  guardia  dei  varii  luoghi  della  Città,  si  legge  :  «  il 
«  strenuo  Rizzardo  al  Porton  di  S.  Alessandro  con  altri 
«  fanti  cento  et  dui,  il  strenuo  Zuan  Andrea  da  Pomo  con 
«  fanti  cento  et  dui  alla  Porla  del  Pantano  et  Piazza  Nnova.  » 
Questa  distinzione  del  resto  si  trovava  già  fatta  dal  Celestino 
(  0.  e.  lib.  9.  e.  21  )  ed  ammessa  dal  Calvi  (  o,  e.  II.  5io,), 
che  pure  si  riferisce  a  quest'ultimo,  là  dove  parlano  dello 
stesso  oggetto,  laonde  lanlo  più  si  rende  inesplicabile  la  stra- 
nezza delle  asserzioni  del  Salvioni,  le  quali  con  sua  pace,  sono 
prive  di  ogni  fondamento. 

69.  Stat.  a.   i33i.  col.  II.  3i. 

70.  Siat.  cit.  col.  II.  35. 

7?.  Ronchetti  o.  e.  V.  110.  —  Celestino  o.  e.  I.  4?5. 
—  Calvi  o.  e  III.  287.  —  Achil.  Mutii  Th.  P.  II.  f.  32  — 
Nello  Statuto  del  1 453  gentilmente  donato  dal  Senatore  Ca- 
mozzi  alla  Civica  Biblioteca  ,  abbiamo  :  «  domus  quondam 
Guielmi  militis  de  Lacrolta  et  modo  comunis  Pergami.  » 

72.  Stat.  a.   1391.  col.  VII. 


73.  Si  troverà  la  ragione  di  questo  nostro  giudizio  'più 
avanti  in  fine  della  nota   77. 

74.  V.  la  «  Ichonografica  descritione  dell'antica  magnifica 
«  Città  di  Bergamo  ecc.  »  che  ora,  riprodotta  colla  fotografìa, 
ognuno  può  averla  sotto  gli  occhi.  Anche  questa  è  una  copia 
di  altro  quadro  fatto  nel  1693  quando  era  ancor  fresca  la  me- 
moria de'  luoghi  prima  della  nuova  fortificazione. 

75.  Stat,  a,  i33i.  col.  II.  Si.  Altri  indizii  raccogliere- 
mo più  innanzi. 

76.  Stai.  cit.  col.  II.  33,  35. 

77.  E  necessario  in  questa  piccola  nota  (V.  sulla  nostra  carta 
Topografica  il  hrano  —  A  parte  — )  spiegare  un  po'  più  mi- 
nutamente le  modificazioni  recate  dalla  Cittadella  in  questa 
parte  della  Città,  le  quali  furono  cagione  di  tanti  abbagli,  nei 
descrittori  del  nostro  r»cinto  cittadino.  Cominciamo  dal  pre- 
mettere un  fatto,  ed  è,  che  in  una  carta  del  1 38 1  (porta  il 
N.  1 58  tra  quelle  da  noi  ordinate),  la  quale  si  conserva  nella 
pubblica  Biblioteca,  si  legge  :  «  Ecclesia  S.  Johannis  in  Civi- 
tadela  pergamensi.  »  La  ragione  per  cui  questa  Chiesa  si  dice 
inclusa  nella  Cittadella  è  semplicissima.  Questo  fortilizio  e 
conseguentemente  la  sua  denominazione  non  erano  ristretti  al 
semplice  corpo  degli  edificii,  che  esistono  tuttora,  ma  essendo 
questi  in  tutto  dominati  dal  Monte  S.  Giovanni,  la  Cittadella 
propriamente  detta  inchiudeva  anche  questo  nel  suo  ricinto 
con  una  linea,  che,  partendo  dalla  Porta  del  Pantano  ,  termi- 
nava al  palazzo  de'  Sozzi,  al  disopra  dello  sbocco  della  con- 
trada de'  Colleoni  nella  vja  chiamata  di  S.  Giovanni  :  e  ciò 
è  tanto  vero,  che  ancora  nel  1 56 1  il  Capitano  Giulio  Gabriel 
nella  sua  relazione  manoscritta  in  data  del  20  Ottobre  faceva 
la  distinzione  «  de  la  Cittadella  de  sopra  »  per  accennare  a 
quella  parte  di  essa  che  appunto  abbracciava  quel  colle,  in 
antitesi  alla  parte  bassa,  che  si  trovava  in  fianco  alla  Porla  del 
Pantano  e  di  fronte  a  Piazza  Nuova.  La  Cittadella  quindi  ve- 
niva ad  essere  appoggiala  da  tre  parti  al  muro  della  Città:  due 
comunicazioni  avea  essa  verso  l'interno  della  Città  stessa:  l'una 
per  la  via  di  Arena  (ora  di  Corserola)  dalla  parte  dell'attuale 
Piazza  Nuova,  per  quella  Via  che  nel  nostro  Statuto  è  detta  : 
«  via  ....  qua  itur  in  Hospitium  magnum  cittadelle  Pergami 
(Stat.  a.  1391,  coli.  VII.):  »  l'altra  per  l'attuale  di  S.  Giovan- 
ni in  Arena  per  mezzo  della  Torre  (o  Portone)  di  fianco  al 
palazzo  Sozzi,  nella  quale  era  posta  quella  iscrizione  che  indi- 
cava l'anno  della  sua  fondazione  e  che  si  vede  ancora  infissa 
nell'arco,  che  mette  in  comunicazione  le  due  parti    del   Semiv 


136 

nario.  Dall'altra  parie  la  Cittadella  comunicava  all'esterno,  pri- 
mamente per  mezzo  della  Porta  di  S.  Alessandro  ,  che  a  un 
dipresso  imboccava,  come  vedemmo,  l'attuale  strada  di  S.  Gio- 
vanni in  Arena,  e  in  secondo  luogo  più  a  settentrione  per  mez- 
zo di  un'  altra  piccola  porta  ,  la  quale,  come  si  legge  nello 
Statuto  {lei  i3gi  (a.  1.  e),  «  solita  erat  appellar!  porta  de 
a  Lapusterla  et  ounc  appellatur  porta  cittadelle  versus  burgum 
a  Canallem  «  e  la  quale  non  è  da  confondersi  coll'atluale  Por- 
ta del  Pantano,  imperocché  questa,  insieme  all'altra  che  le  fa- 
ceva riscontro  dal  lato  esterno  della  Città,  sebbene  evidente- 
mente costrutta  all'epoca  in  cui  fu  innalzata  la  Cittadella,  tut- 
tavia non  serviva  propriamente  a  mettere  in  communicazione 
la  Cittadella  stessa,  sia  coll'interno  della  Città,  sia  col  di  fuori, 
ma  non  era  che  uno  sfogo  necessario  per  tutta  quella  parte 
della  Città,  che  restava  lungo  la  via  di  Arena,  o  Corserola,  ed 
a  settentrione  di  questa,  precisamente  come  in  un'  epoca  an- 
teriore lo  era  stalo  la  così  detta  Puslerla  di  Arena.  In  conse- 
guenza d'i  questo  stato  di  cose,  mentre  un  tempo  la  chiesa  di 
S.  Giovanni  si  diceva  posta  a  intra  hac  civilale  »  si  indicò 
poscia  come  situata  «  in  civitadela  pergamensi  »  appunlo  per- 
chè questa,  per  necessità  deila  difesa,  dovea  abbracciare  lutto  il 
lato  occidentale  della  Città.  Quindi  mentre  in  un'  epoca  an- 
teriore all'erezione  di  questo  fortilizio,  troviamo  in  questa  par- 
te molli  «  Broli  s?  e  case  di  privata  proprietà,  come,  a  camion 
d'esempio,  la  casa  di  Federico  degli  Acerbi,  il  Brolo  di  Gui- 
smano  Lazario,  di  Mantenario  degli  Acerbi,  e  così  di  seguito 
(Stat.  a.  1 33 1  col.  II.  33.)  in  un'epoca  posteriore  noi  trovia- 
mo queste  significatili  espressioni  :  «  usque  ad  brolum  qui  fuit 
a  Mantenarii  dei  Acerbis  et  nunc  est  comunis  Pergami  :  — 
«  usque  ad  brolum  quondam  Johannis  qui  dicebatur  Crottus  de 
«  Acerbis  et  modo  est  comunis  Pergami  :  —  directe  per  quen- 
«  dam  murum  broli  ,  quod  erat  inter  brolum  quondam  d. 
«  Marini  de  Garganis  et  modo  est  terra  vacua  com.  Pergami:  — 
"  Brolum  d.  Aydini  de  Lanzis,  et  modo  com.  Pergami,  {stat. 
«  a.  1391  col.  VII.  — -  Stat.  cit.  a.  i4o3)  «  e  così  via.  Ber- 
nabò, per  render  questo  fortilizio  degno  del  nome  che  gli  ave- 
va imposto  di  «  Firma  Fides  «  avea  seguito  Tunica  via  che 
gli  era  rimasta,  di  escludere  cioè  ogni  proprietà  privala  da 
questa  parte  della  Città  :  e  lo  avea  fatto  non  sappiamo  se  con 
mezzi  de^ni  di  lui  e  de'  tempi  suoi.  Da  tultociò  si  comprende 
l'errore  del  Salvioni,  che,  pigliando  il  lato  della  Cittadella  che 
guardava  verso  la  Città  per  il  muro  slesso  della  Città,  non 
comprese  che  escludeva  lolalinente  dal  recinto  la  Chiesa  di    S. 


137 

Giovanni  :  con  quanta  ragione,  lasciamo  pensare  ad  allri  !  Se 
badiamo  poi  a  quello  che  dice  il  Celestino,  che  la  iscrizione 
di  Bernabò  (!a  quale  fu  lasciata  nel  luogo  dov'era  posta  ori- 
ginariamente) fu  messa  sopra  la  Porta  della  Cittadella  «  al- 
ee Tliora  più  frequentata  per  entrarvi,  per  cui  si  andava  all'an- 
ce tica  nobile  Cattedrale  di  S.  Alessandro,  hora  disusata  per 
a  essere  la  medesima  Cathedrale  et  la  Porla  per  cui  si  usciva 
«  atterrate  (  Celest.  o,  e.  ì.  47^  ),  »  è  giocoforza  convenire 
che  la  Porta  di  S.  Alessandro  fosse  ove  l'abbiamo  segnala  noi, 
e  che  l'attuale  contrada  di  S.  Grata  e  S.  Giovanni  in  Arena 
fosse  quella  via  che  conduceva  direttamente  alla  Porta  della 
Città  ,  quella  via  che  nel  nostro  più  antico  Statuto  è  detta 
«  Via  Porte  S.  Alexandri  (Stat.  Mss.  saec.  Xlll.  index  col. 
«  XV.  26).  »  Come  poi  il  Salvioni  che  a  p.  12  ripete  quasi 
le  stesse  cose  dette  dal  Celestino  rispetto  a  questa  Porla  ed  a 
questa  iscrizione  non  abbia  compreso  tutte  le  inconseguenze 
alle  quali  andava  incontro  colle  sue  strane  fantasie  della  «  Por- 
ta Pultatii  »  quanto  a  noi  non  sappiamo  spiegarcelo.  Il  fatto 
a  cui  ora  abbiamo  accennato,  troverà  maggiori  conferme,  sep- 
pure ne  ha  bisogno,  più  innanzi  in  fine  del  §.7  —  Che  poi 
la  salita  della  via,  che  ora  si  vede  avanti  il  Seminario,  e  che 
a  un  dipresso  comincia  allo  sbocco  della  Contrada  deJ  Colleoni, 
non  esistesse  neppure  in  un'  epoca  relativamente  assai  meno 
antica  ,  lo  provano  le  porte  ed  altre  aperture  ,  che  in  questa 
parte  si  veggono  mezzo  nascoste  sotto  la  superficie  della  via 
attuale  :  per  cui  è  lecito  credere,  che,  per  lo  meno  anticamen- 
te, la  via  qui  fosse  assai  più  piana,  in  conseguenza  di  che  la 
discesa  dalla  Porta  cittadina  alla  Cattedrale  di  S.  Alessandro 
non  sarà  stata  così  ripida  ,  come  per  avventura  potrebbe  cre- 
dere chi,  dalle  odierne  condizioni  locali,  volesse  senz'altro  de- 
sumere le  antiche.  — Noteremo  poi  in  fine,  che  nel  luogo  ove 
e  l'attuale  corpo  della  Cittadella  e  dalla  parte  esterna,  il  muro 
della  città,  in  occasione  della  erezione  di  questo  fortilizio,  deve 
senza  dubbio  essere  andato  soggetto  ad  alcune  modificazioni. 
Perchè  le  case  dei  Lacrotta,  le  quali  erano  «  apud  murum 
civitatis  »  fossero  in  pari  tempo  «  a  montibus  partibus  Pu- 
«  storie  et  vie  de  Arena  (Stat.  a.  1 33 1  col  II.  35J,  «  bisogna- 
va che  iì  muro  stesso  della  Città  non  giungesse  fino  all'altezza 
della  massiccia  torre  quadrata,  che  ora  si  vede  verso  la  Porta 
di  S.  Alessandro,  giacché  la  Puslerla  aperta  in  esso  si  sarebbe 
in  tal  caso  trovala  ad  occidente,  non  mai  a  mezzodì  delle  case 
della  famiglia  Lacrotta  ,  ma  era  necessario  che  rientrasse  nel 
corpo  stesso  dell'attuale  edificio,  a  un  di  presso,  ove  ora  esiste 


158 

l'uscita  verso  il  Colleaperto  :  il  che  risponderebbe  assai  meglio 
alle  condizioni  accennate  nei  brani  del  citato  Statuto.  L'antica 
Pusterla  adunque,  che  era  il  punto  di  partenza  nella  descri- 
zione della  vicinia  di  S.  Grata,  cessò  di  esistere  e  ad  essa  si 
sostituì  la  uscita  dall'  «  Hospitium  magnum  »  che  ora  è  chiu- 
sa da  una  cancellata  e  che  si  trovava  coperta  e  difesa  dalla 
sopradetta  Torre.  Q  lesta  uscita  allora  sì  chiamava  «  Porta 
«  Cittadelle  versus  burgum  Canallem  ;  «  ne  diversa  appella- 
zione potrebbe  portare  anche  oggidì,  quando  tutte  le  condizioni 
locali  si  fossero  mantenute  le  stesse. 

78.  Stat.  a.   1 33 1 .  coli.  II.  29,  39,  4T* 

79.  ap.   Lup.  II.  221,  267. 

80.  Stat.  a.   1 33 1  coli.  II     39. 

81.  Giacche  «  compilurn  »  può  essere  tanto  un  trivio, 
che  un  quadrivio  od  altro  (Porcellini  s.  v.),  coll'aggiunta  di 
«  cruce  »?  si  mostrava  che  questo  a  quel  tempo  era  un  qua- 
drivio e  non  altro. 

82.  ap.   Lup.   I.  5oi. 

83.  Ibid.  II.  i3i6.  Sull'orto  annesso  alla  Canonica,  vedi 
sopra  Parte  I.  §.  22. 

84.  Ibid.  II.  637.  —  Quanto  a  noi  crediamo  che  senza 
dubbio  vi  accenni  questo  documento.  Se  si  bada  al  fatto  che 
la  casa,  oggetto  della  permuta,  era  separata  dal  Monastero  di 
S.  Michele  soltanto  dalla  via;  se  si  pon  mente  inoltre  a  ciò, 
che  questa  casa  confinava  a  tramontana  ,  cioè  lungo  la  dire- 
zione della  via  stessa,  con  proprietà  dei  fratelli  Domenico  e 
Lanfranco  di  ftivola,  non  vi  ha  luogo  a  dubitare  che  qui  si 
tratti  appunto  di  quella  via  che  i  nostri  Statuti  chiamano  «  de 
«  Rivola  vegia  s>.  E  di  ciò  siamo  tanto  convinti,  che  non  du- 
bitiamo asserire.,  che,  eccettuate  le  Contrade  delle  Beccherie  e 
di  S.  Grata,  non  vi  ha  forse  altra  via,  di  cui  prima  della  re- 
dazione degli  Statuti,  possiamo  con  tanta  sicurezza  accertarne 
la  esistenza. 

85.  Stat.  a.   i33i.  coli.  IL  37,    38. 

86.  Stat.  cit.  col.   II,  27. 

87.  Stat.  a.   1391   col.  VII. 

88.  Stat.  a.   s33i   col.  IL  36. 

89.  Stat.  a.   1391.  col.   VII. 

90.  Ibid.  nella  «  Defiinitione  et  adequatione  »  della  Porta 
di  S.  Alessandro. 

91.  ap.   Lup.  I.  871. 

92.  Ibid.  I.  695. 

93.  Ibid.  IL  387,  390. 


159 

94.  Iblei.   I.  729. 

95.  Ibid.  II.  293.  E  dell'anno  969.  Una  carta  inedita  del 
1272  (n.  389  nella  BiblJ  parla  senz'altro  della  «  contrata  de 
«  Arena  »  che  è  forse  la  stessa  a  cui  accenna  altra  carta  ine- 
dita del  uo5  (n.  555  ibidj,  e  più  precisamente  quella  via  che 
correva  a  mezzodì  di  una  casa  che  era  posta  vicino  alla  Porta 
della  Pusterla  (n.  574  ibid.  è  dell'anno   xi25). 

96.  Ibid.  I.  643,  647. 

97.  Slat.  a.    1 33 1 .  col.  II.   33. 

98.  ap.   Lup.  II.  4^3. 

99.  Quanto  dice  il  Rota  su  questo  pezzo  di  arco,  (  Slor. 
ant.  di  Berg  p.  126.  nota  a.)  e  la  sua  congettura  che  possa 
essere  stato  trasportato  da  S.  Michele  dell'Arco  al  monastero 
di  S.  Grata  (che,  questi  avanzi.,  erano  posseduti  dalle  monache 
di  quest'ultimo  monastero)  si  fonda  sulla  erronea  supposizione 
che  l'antico  Foro,  la  basilica,  il  centro  insomma  materiale  e 
morale  dell'antica  città  fosse  ov' è  ora  la  Piazza  vecchia  o  Ga- 
ribaldi. Vedremo  coi  documenti  del  medio  evo  svanire  questa 
supposizione. 

100.  Per  es.  v.  Stat.  a.  i33i.  col.  II,  47. 
ioi.  Si  veggono  ancora  le  lettere  NVS. 
io*.   Celestino  o.  e.  I.  47$. 

io3.  Pinarnont.  vii,  s.  Gr.  37,  39.  —  Celestino  o.  e. 
II.  363. 

104.  Lup.  I.  759,  791,  792. 
io5.  Ibid.  893,  896: 

106.  Ibid.   I.  695. 

107.  Ibid.  I.   783. 

108.  Hegel,  Slor.  della  Cost.  ecc.  p.  3i6  seg.  344. 

109.  ap.  Lup.  II.  191. 
1  io.  Ibid.  II.   319. 

111.  Ibid.   IL  81   seg. 

1 12.  Ibid.   IL  4°7»  4*0» 
n3.  Ibid.  IL   1162. 

114.  Ibid.  IL   1401. 

11 5.  Rota  Star.  ant.  di  Berg.  p.   126  nota  2. 

116.  Se  si  eccettui  nel  Muzio  (Th.  VI.  L  118  ed.  Berg. 
a.   1696)  che  cantava  a  proposito  della  (amiglia  Bonghi  : 

«  Nunc  ubi  conveniunt  cives  loca  prima  plateae, 
«  Hujus,  gentis  erant,  quae  modo  dieta  vetus. 

«  Donarunt  celebres  aedes  patriaeque,  locisque, 
«  Majores  horum,  ruraque  laeta  piis.  » 

1 17.  Lup.  L    1066. 


ICO 

1 18.  Stai,  a.   1 33 1 .  II.   27. 

119.  Ibid.  II.  34. 
i?.o.  Ibid.  II.  38. 

121.  Traduciamo  «  brenio  »  per  brevità  e  per  non  impe- 
gnare una  discussione  sui  varii  significati  che  questa  parola  ebbe 
ed  ha  tuttora  (bregn)  nel  nostro  dialetto.  Essa  meriterebbe  una 
speciale  illustrazione,  e  v'ha  tra  noi  chi  la  potrebbe  far  comple- 
ta e  conscienzosa,  l'egregio  autore  del  Vocabolario  dei  dialetti 
bergamaschi,  il  nostro  Tiraboschi.  Avvertiremo  soltanto  che 
sembra  nei  nostri  Statuti  essersi  usata  la  parola  brenium  ad 
indicare  uno  di  quei  vólti  od  archi,  dei  quali  se  ne  scorgono 
alcuni  avanzi,  ad  esempio,  nella  contrada  del  Seminario. 

122.  Stat.  a,  1391.  coli.  VII.  —  La  casa  di  questo  Gen- 
tilino  Suardi  era  allo  sbocco  della  contrada  di  Corserola  nella 
Piazza  Garibaldi.  V.  Castell.  Chr.  ap.  Murat.  r.  i.  s.  XVI.  ioo3. 

123.  V.  lo  slesso  Castelli  (Chr.  mss.  Gabin.  T.  VI.  4) 
ove  chiama  «  Platea  nova  »  quella  che  era  «  scita  prope  pa- 
lacium  Comunis  Pergami.  »  —  V.  anche  nell'edizione  pubbli- 
cata dal  Muratori,  XVI.  855.   ioo3. 

124.  ap.   Lup.  II.  577. 

125.  Ibid.  II.   1327. 

126.  Lib.  part.  vet,  eh.  ap.  Calvi  o.  e.  I.  212. 

127.  Lo  Statuto  Mss.,  che  porta  la  data  del  1220,  ma  che 
contiene  disposizioni  anteriori,  ha  nell'Index  coli.  XV.  64: 
«  de  plateis  s.  Vincentii  magna  et  parva  sollandis  de  quadrel- 
«  lis.  »  La  cura  che  si  ebbe  perchè  venissero  ammattonate 
queste  piazze,  specialmente  la  grande,  non  indica  che  soltanto 
si  fossero  formate  allora,  ma  unicamente  che,  col  dirozzarsi  dei 
costumi,  si  pensò  di  togliere  un  grave  inconveniente,  quello  di 
avere  una  specie  di  pozzanghera  nel  centro  maggiore  della  Città. 

128.  Stat.  a.  1 33 1 .  II.  fò.  —  La  posizione  di  queste 
«  scale  di  pietra  »  e  benissimo  determinata  dallo  stesso  Sta- 
tuto, ove  si  parla  delle  vicinie  di  S.  Michele  e  di  S.  Pancra- 
zio. Per  la  prima  abbiamo:  «  usque  ad  viam  pubblicani  et  in 
«  viam  per  quani  itur  in  Gombetuun  sursum  per  portam  s. 
«  Laurentii.  Et  ab  ipsa  via  eundo  sursum  claudendo  versus 
"  sero  parte,  seu  manu  recta,  usque  ad  portam  curie  S.  Vin- 
«  centii ,  que  est  per  medias  scalas  lapideas  etc.  »  Dunque, 
venendo  in  su  per  la  via  di  S.  Lorenzo  e  pel  Gombito  verso 
la  Canonica,  a  mano  destra  vi  erano  queste  scale  di  pietra.  Per 
la  vicinia  di  S.  Pancrazio  abbiamo:  «  quod  ipsa  vie.  incipia- 
«  tur  iuxla  supraseriptas  scalas....  que  sunt  per  mediani  su* 
«  prascrìptam  portam  S.    Vincentii    veniendo    ab    ipsis    scalis 


161 

«  recte  per  viam  deorsum,  usque  in  crucem  de  Gombetto  :  » 
e  nel  chiudere  questa  descrizione  :  «  plaudendo  ipsam  vie.  a 
«  mawu  sinistra  usque  in  crucetn  Gombetti  prope  contonum 
«  Turris  d.  Bartolomei  de  Zoppo  (la  Torre  di  Gombito).  Et 
«  ab  ip«o  cantono  eundo  sursum  usque  ad  suprascriplas  sca- 
«  las.  »  La  spiegazione  sta  nel  significato  qui  usalo  di  «  sur* 
«  suoi  »  e  di  «  deorsuin.  »  Dal  Gornbilo  alla  porta  della  Ca- 
nonica si  saliva  (eundo  sursum):  da  questa  a  quello  si  discen- 
deva (eundo  drorsum)  precisamente  come  ora.  Da  quella  porta 
alla  Piazza  grande  g*i  S.  Vincenzo  si  saliva,  e  quindi  lo  Sta- 
tuto usa  «  insursum  ». 

119.  ap.  Lup.  11.  167.  —  Per  il  «  Cornu  de  Foro  9» 
v.  Stat    a,   i33i.   II.  42. 

i3o.  Stat.  a.    1 33 1 .  II.  27. 

i3i.  Stat.  a.    1391.  col.  VII. 

|32.  Che  questo  fonte  fosse  utilizzato  dall'epoca  romana 
Io  indiehen  hbe  il  suo  nome  evidentemente  latino  «  Buccula  », 
il  quale,  sebbene  fino  ad  ora  non  ci  appaja  usato  ad  indicare 
propriamente  il  modo  di  derivazione  di  un*  acqua  nascente, 
tuttavia  poteva  trovare  un'  analogia  strettissima  coli*  impiego 
rhe  di  queste  «  bmeulae  »,  dette  altramente  «  regulae  »,  si 
faceva  nelle  marchine  da  guerra  (Vitruv.  arch.  10.  lò-Forcell. 
S.  v).  La  stessa  disliozione  di  «  Buccula  vetus  o  vegia  »  Stat. 
vet.  col.  XV.  i3,  i5.  — Stat.  a.  1 33  f .  col.  II.  38.  —  che  si 
faceva  anticamente.,  concorre  a  confermare  le  nostre    induzioni. 

i33.  ap.   Lup.  II.   565. 

i34.  Ibid.  II.  61 3.  Questa  pergamena  parla  di  un  pezzo 
di  terra  «  ubi  dicitur  Lantro  ...  ubi  currit  ipso  Lantro  ...  non 
«  multimi  longe  ab  eadem  civilate.  » 

1 35.  Per  la  prima  menzione  del  Vasine  v.  il  documento 
ap.  Lup.  II.  a3i.  Per  il  luogo  ove  si  raccoglievano  quelle 
acque  v.   Moys  Perg.  vv.  219  e  seg.  ove  si   legge: 

«  Hic  inter  muros  sinus  est  in  concava  sectus 
«   Parietibus  cinctus  solidis,  et   fornice  tectUs.... 
«  Quo  trepidante  gradu   veniens  fons  il  le  receplus 
«  Gurgitis  ingentis  fil  ibi  lacus  undique  septus.  » 

Naturalmente  meno  poetico,  ma  in  compenso  assai  più 
esplicito  è  il  nostro  Statuto  più  vecchio  (coli.  XV.  11.)  ove 
parla  delf  se  introitum  erotte  illius  Vazinis  »  e  della  "  Lucca 
«  ipsius  erotte.  » 

'  36.  Ibid.  II.  559.  La  iscrizione  del  1329  (  ap.  Celest. 
o.  e.  I.  478  )  dice:  «  Salientem  Pergami  »  per  accennare  il 
fonte  della  Città;  indizio  che  il  nome  di  "  Saliente  »  lo  por- 

1 1 


162 

lava  anche  il  luogo  donde  scaturiva  quell'acqua  o  pel  quale 
passava. 

1 37  Era  detto  volgarmente  con  forma  prettamente  dialet* 
tale  «  Saiét  ».  —  Quanto  a  noi  non  dubitiamo  di  asserire.» 
che  questo  fonte  cittadino  ed  il  canale  che  vi  portava  le  acque, 
si  debbano  ascrivere  alla  epoca  romana.  Jl  suo  nome  è  tanto 
apertamente  latino,  che,  senza  tema  di  andare  errati,  si  può 
ritenére  che  l'opera  di  condurre  quest'acqua  in  Città  ci  prov- 
enga da  quell'epoca,  «  Saliens  dicitur  aqua  in  rivis,  quia,  la- 
te pillis  eursuin  interrumpentibus,  salii  potiui  quam  defiuat 
«  (Forcell.  s.  v.).  »  Non  fa  mestieri  ehe  noi  vogliamo  sotti» 
lizzare  sulla  ragione,  perchè  alla  nosti'  acqua  siasi  dato  il  nome 
di  Saliente  :  p  può  darsi,  che,  dal  luogo  donde  scaturiva  e  poco 
lontano  dal  quale,  ancora  si  vede  la  iscrizione  citata  nella  nota 
precedente,  essa  avesse  l'apparenza  di  salire  per  raggiungere  ed 
alimentare  le  cisterne  cittadine  :  ovvero,  e  questo  crediamo  miglio, 
ed  a  questo  sottoscriviamo  pienamente,  il  nome  di  «  Saliente  » 
ed  il  suo  significato  possono  corrispondere  perfettamente  al  si- 
gnificalo attribuitogli  da  un  nostro  corregionale,  Plinio  il  Gio- 
vane, in  que'le  parole,  che,  sebbene  si  riferiscano  a  Lorentino, 
pajono  tuttavia  scritte  appositamente  pel  caso  nostro  :  «  Haec 
«  amoenilas  deficitur  acqua  salienti,  sed  puteos,  ac  potius  fon* 
»  tes  habet  (Plin.  ep.  2.  17)  ».  Il  «  Saliente  »  è  adunque  l'acqua 
corrente,  in  antilesi  all'acqua  dei  pozzi  scavati  sul  nostro  colle 
ed  a  quella  che  scaturiva  vicinissima  alla  nostra  Città;  e  ciò 
è  tanto  evidente*  che  non  crediamo  intrattenerci  più  oltre  sa 
questo  argomento,  al  quale  può  bastare  il  solo  aver  accennato. 

i38.  Celestino  o.  e.  I.  478.  —  Achil.  Mucii ,  TheaL 
Pars  IV.  f.  71. 

139.  Ronchetti,  o.  e.  V.  26. 

i4o.  Moys.   Perg.   iq3  seg. 

1 4 1 .  ap.  Lup.  I.  643. 

i4a.  ibid.  II.  87. 

i43.  Ibid.  II.  093. 

i44.  V.  la  nota  77,  Parte  II.  §.  6. 

i45.  ap.  Lup.  II.  59.  Sulle  proprietà  di  questa  basilica 
in  Arena,  v.  i  confini  nelle  carte  citate  qui  sopra. 

146.  Stai.  a.   i33i.  col.  il.  3g. 

1^7.  ap.  Lup.   II.  q3i. 

148.  ap.   Lup.  II.  56i. 

149.  V.  gli  Stat.  del   i33i,  i353,  1391,  ecc. 
i5o.  ap.  Lup.   II.  3oq. 

i5i.  Ibid.  II.  345. 


163 

i52.  Hegel,  òlor.  della  Cost.  ecc.  p.  3^3,  noia  i.  pag. 
38 1.  —  Verri,  Stor.  di  {Milano t  1.  p.  49  e  seg.  ha  recalo 
molte  prove  di  un  Ul  fatto  per  questa  città.  £  utile  consultare 
pure  il  Giulini,  Memor.  ecc.  I.  p.  5io-5i5. 

1 53  Per  esempio  Casanova  in  Arena,  una  delle  poche  di 
cui  abbiamo  menzione  (ap.  Lup.  II.  67.),  era  in  pietra,  e  così 
forse  la  casa  di  cui  ibid.  II.  345.  È  decisiva  sotto  questo  ri- 
spetto la  testimonianza  di  Moisè  (Perg.  267-270)  il  quale  scri- 
veva non  più  di  un  secolo  dopo  la  nostra  epoca  e  il  quale 
asseriva 

«  Optima  quaeque  domus  multo  fundata  labore 

Saxea  materies  monlis  viscera  secta 

Circuit  omne  latita  decoratqae  micaulia  teda,  » 


Fine  della  parte  seconda- 


165 


Parte  HI.' 

E  COffTORIVM  DELLA    CMTTA9 

$.  I.  Il  Castello. 

Generalmente  i  nostri  scrittori  più  vecchi, 
come,  a  cagion  d'esempio,  il  Bellafino,  il  Cele- 
stino, il  Calvi,  credono  che  soltanto  nel  1345  sul- 
la sommità  del  Monte  S.  Vigilio  si  innalzasse  un 
Castello  a  tutela  della  sottoposta  Città  (1),  o  meglio, 
(giacché  erano  i  Visconti,  che  allora  qui  domina- 
vano) perchè  in  qualunque  caso  una  ribellione 
trovasse  in  esso  un  freno  potente.  In  effetto  pe- 
rò, la  iscrizione  stessa,  che  si  citava  a  conferma 
di  questo  fatto,  poteva  lasciare  in  dubbio  se  il 
podestà  Pirovano  avesse  innalzato  solo  una  parte, 
o  tutto  quel  fortilizio  (2):  ma,  in  mancanza  di  al- 
tri documenti,  era  agevole  attenersi  alla  interpre- 
tazione più  ovvia,  e  meno  controversa.  Tuttavia, 
quell'epoca  è  completamente  errata.  Pochi  mesi 
dopo  stretta  la  Lega  di  Ponlida,  i  nostri  Conso- 
li, affine  di  preservare  le  minacciate  libertà,  pen- 
sarono a  fortificare  questa  altura:  e  questo  è 
portato  da  documenti  sì  incontrastabili,  che  non 


crediamo  di  occuparcene  più  a  lungo  (3).  —  Ma  il 
Lupi,  da  un  esame  più  accurato  dei  nostri  docu- 
menti, fu  indotto  ad  ammettere  che,  per  lo  meno 
sul  finire  del  nono  secolo,  sulla  vetta  di  questo 
colle  esisteva  un  fortilizio,  che  in  quel  tempo 
era  chiamato  il  «  Castellum  bergomense.  »  Natu- 
ralmente egli  Tha  fatto  con  argomenti  di  tale 
evidenza,  che  noi  non  possiamo  scostarci  dalle 
indicazioni  da  lui  tracciate  (4).  In  un  diploma,  col 
quale  il  Re  Arnolfo  assegna  alla  Cattedrale  di  S. 
Vincenzo  tulli  i  beni  di  proprietà  di  un  chierico 
Gotefrido  veronese,  troviamo  questa  espressione  : 
«  lo  stesso  Gotefride  poi,  pigliato  a  stento  colla 
«  forza  il  Castello  Bergomense,  fu  ucciso  per  le- 
«  gale  giudizio  (5).  »  Sarebbe  difficile  determinare 
ove  si  trovasse  questo  «  Castello  »  se  non  ci 
soccoressero  due  circostanze  degne  di  nota;  la 
prima,  cioè,  che  il  diploma  porta  la  data  del  If 
febbraio,  e  la  seconda,  che  porta  «  V  actum  ber- 
gomensi  castello.  *  Ora,  l'assalto  alla  nostra  città 
essendo  stato  dato  il  giorno  seguente,  questo  ca- 
stello non  poteva  essere  molto  lontano  dalla  Cit- 
tà: e  che  effettivamente  la  cosa  stesse  così,  che 
il  primo  di  febbraio  i  Tedeschi  fossero  già  in 
possesso  del  Monte  S.  Vigilio,  e  che  solo  la  not- 
te separasse  la  mischia  impegnatasi  tra  assedian- 
ti  ed  assediati,  lo  prova  il  racconto  del  Continua- 
tore degli  annali  di  Fulda,  che  è  in  questi  ter- 
mini: 4  Arnolfo  ebbe  primieramente  notizia  che 
*  la  Città  di  Bergamo  eoi  conte  Ambrogio,  mes- 


467 

t  sovi  da  Guido,  s'era  ribellata.  Per  questo  com- 

*  mosso  il  Re,  comandò  che  l'esercito  venisse  tuU 
e  t'allinlorno  fatto  avanzare  sul  monte  fino  al 
t  muro  della  Città,  ove  cavalcò  egli  medesimo. 
«  Vennero  alle  mani  assalitori  ed  assaliti  sul 
«  punto  che  stava  per  cadere  il  giorno  (è  la  se- 
■«  ra  del  1°  febbraio),  sicché  il  resto  della  notte 
t  e  gli  uni  e  gli  altri  dovettero  vigilare  con  pa- 
•«.  ri  attenzione,  Allo  spuntare  dell'alba,  (è  il  gior- 
«  no  2  in  cui  fu  presa  la  città)  ecc.  »  Se  si  pon 
mente  poi  alla  circostanza  notata  negli  stessi  an- 
nali, che,  durante  la  pugna,  il  re  «  stava  sulla 
«  vetta  del  monte  coi  gonfaloni  a  recar  aiuto 
t  a  coloro  che  assalivano  il  muro,  »  si  compren- 
derà di  leggieri,  che  la  vetta  di  questo  monte 
non  poteva  esser  che  quella  del  colle  sul  quale 
è  posto  il  Castello,  ove  il  re  avea  collocala  la 
sua  provvisoria  residenza  e  donde  dirigeva  l'at- 
tacco. Potrebbe  confermare  almeno  in  parte  que- 
ste induzioni  il  fatto,  che,  fra  i  testimonii  in  u- 
i>a  carta  del  828  rogata  in  Bergamo,  troviamo 
sottoscritto  un  Rodperto  «  del  Castello  (6)  :  >  che  in 
altra  carta  del  918,  rogata  pure  in  Bergamo,  ab- 
biamo un  Rotepaldo  ed  un  Garimondo  t  del  Ca- 

*  stello  »,  che  entrano  in  una  permuta  di  pezzi 
di  terra  posti,  parte  vicino  al  borgo  Canale  al 
luogo  detto  Casa  Susana,  parte  «  in  fundo  Caslel- 
c  lo  •  ove  si  chiama  Vallegella  (7>:  nel  962  si  no- 
minano due  fratelli  t  del  Castello  (de  loco  Ca- 
«<  -stello)  vicino  alla,  città  di  Bergamo  (8):  »  infine 


168 

in  un  documento  del  1032,  troviamo  menzione 
di  un  «  orto  nel  luogo  che  chiamasi  Castello  vi» 
«  cino  a  Canale  (9).  »  Sono  indizi  questi  che,  uniti 
insieme,  hanno  non  poca  importanza  ;  e  benché 
fino  dal  1042  si  trovi  la  denominazione  di  «  Cap- 
«  pella  »  applicala  a  questo  luogo  (10)fe  si  vegga 
durare  nelle  diverse  scritture  de'  secoli  seguen- 
ti, pure  dal  sopravvivere  fino  ad  oggi  quella  di 
«  Castello  »  bisogna  concludere  che  essa  fosse 
talmente  in  uso  j>resso  il  nostro  popolo,  da  pas- 
sare d'una  in  altra  generazione  senza  punto  al- 
terarsi. —  Per  fare  qualche  congettura  si  può 
credere,  che,  dopo  la  vittoria  d'  Arnolfo,  questo 
Castello  restasse  smantellato:  e  se  si  pon  menta 
alla  poca  cura  che  in  generale  aveano  i  Franchi, 
in  confronto  ai  Langobardi,  nel  conservare  le 
fortificazioni  ond' erano  cinte  le  nostre  città,  ed 
alla  facilità  con  cui  è  presumibile  si  impadronis- 
se Arnolfo  di  questo  Castello,  non  ostante  la  di- 
fesa opposta  da  Gotefrido,  come  lo  lascierebbe  sup- 
porre il  silenzio  degli  Annali  di  Fulda  (11),  biso- 
gna credere  che  il  Castello,  almeno  per  sé  stesso  — - 
per  tacere  della  sua  posizione  —  non  fosse  tenuto 
di  quella  importanza,  che  meritava  :  per  il  che,  quan- 
do la  città  fu  autorizzata  da  Berengario  a  rifabbrica- 
re le  abbattute  mura,  a  queste  solamente  volgesse 
tutta  la  sua  attenzione.  Onde,  pur  rimanende 
al  luogo  il  nome  di  castello  per  tutte  le  succes- 
sive generazioni,  quel  fortilizio  fu  trascurato:  forse 
sulle  sue  rovine  sorsero,   insieme  alla   Cappella 


169 

di  S.  Maria  Maddalena,  anche  delle  abitazioni 
private,  sinché  in  un'epoca  gloriosa,  coloro  che 
aveano  in  mano  le  sorti  della  città,  volsero  lo 
sguardo  a  questa  vetta  e  vi  riedificarono  mura  e 
torri  (12)  che.  nel  loro  entusiasmo,  credettero  senza 
dubbio  dovessero  essere  baluardo  di  libertà,  igno- 
rando forse  che  inespugnabile  baluardo  della  li- 
bertà può  esser  soltanto  una  durevole  concordia. 

§.  2.  La  Chiesa  di  S.   Vigilio. 

Parrebbe  da  una  Iscrizione,  della  quale  non 
ci  fu  conservato  che  il  sunto,  che  questa  Chiesa 
sia  stata  fondata  nella  prima  metà  del  secolo  ot- 
tavo, cioè  nel 727,  e  consecrata  nell'anno  seguen- 
te (13).  Sebbene,  col  non  essersi  conservata  quella 
iscrizione  nella  sua  integra  forma  —  giacché  an- 
dò perduta,  —  lo  storico  un  po'  schifiltoso  po- 
trebbe metterne  in  dubbio  la  autenticità  e  ritenerla 
una  fattura  de'  tempi  posteriori,  nullameno,  per 
non  spingere  la  sottigliezza  fino  all'estremo,  ac- 
cettiamo volentieri  le  osservazioni  del  Lupi,  tan- 
to più,  che  certe  indicazioni  sono  di  una  esattezza 
storica  incontestabile  —  caso  molto  difficile  in 
siffatte  adulterazioni  —  e  che  alla  'nostra  epoca 
vediamo  questa  chiesa  aver  già  dato  la  sua  de- 
nominazione a  buona  parte  del  colle  sul  quale 
era  posta:  indizio  anche  questo  che  ne  conferme- 
rebbe la  sua  antichità.  Quindi  nel  957  sappiamo- 
di  un  «  vigneto  posto  sul  monte  della  stessa  cit- 


170 

«  tà  di  Bergamo  nel  luogo  detto  S.  Vigilio  (14)  :  ».. 
ed  alcuni  anni  dopo  la  nostra  epoca  la  denomi- 
nazione di  *  Monte  S.  Vigilio  »  si  trova  in 
pieno  uso  nei  nostri  documenti.  (V.  Parte  IL  §. 
3).  Noi  non  crediamo  di  intrattenerci  oltre  su 
questo  argomento,  né  molto  meno  di  segnare  le 
posteriori  vicende  di  questa  chiesa,  bastandoci 
di  averne  constatala  la  antica  esistenza. 

§.  3.  Borgo  Canale  e  suoi  Contorni. 

Il  più  antico  sobborgo  della  nostra  Città,  di 
cui  abbiamo  memoria,  è  quello  ora  detto  Borgo 
Canale.  Cosi  fino  dal  842  sappiamo  di  una  casa 
con  piccolo  orlo,  che  era  situata  «  in  fuudo  Ca- 
«  nales  (15),»  e  così  dicasi  per  gli  anni  854,  860, 
879,  933,  948  ecc.  (16).  Vicino  a  questo  borgo  vi 
erano  alcune  località,  che  portavano  speciali  deno- 
minazioni, e  che  noi  qui  diviseremo  a  parte,  seb- 
bene non  ci  sia  dato  di  determinarne  la  posi- 
zione. 

a.  Teuderata.  Ann.  879:  i  un  pezzo  di  terra 
t  coltivato  a  vite,  che  posseggo  in  Canale  nel 
«  luogo  detto   Teuderata  (\7).  h 

b.  Casa  Susana.  —  Ann.  933:  «  quel  vigneto 
a  posto  nello  stesso  borgo  Canale  nei  luogo  det- 
«  to  Casa  Susana;  »  Ann.  948:  t  un  pezzo  di 
«  terra  con  vite  posto  in  Canale  vicina  alla  Cit- 
«  tà  di  Bergamo  nel  luogo  detto  Ca  Susana  (18).  » 
Si  badi  alla  forma  già  dialettale  di  questo  nome. 


171 

e.  Oliveto.  —  Ann.  933:  «  due  pezzi  di  terra 
«  coltivati  a  vite,  situati  nella  campagna  del  sud- 
«  detto  Borgo  Canale....  il  secondo  de'  quali  chia- 
«  masi  Oliveta  ii9).  »  Abbiamo  riportato  tanto  più 
volentieri  questa  citazione,  in  quanto  che  potreb- 
be darci  un  indizio,  che  nei  tempi  antichi  su  que- 
sti colli  si  coltivassero  gli  olivi.  Non  sarà  stata,  lo 
ammettiamo,  una  coltivazione  generale;  si  saran- 
no scelti  i  luoghi  più  proprizii  in  alcuna  delle 
tante  insenature  di  questi  poggi,  ove  il  rigore 
degli  inverni  non  potesse  far  prova;  ma  la  so- 
pravvivenza di  questa  denominazione  in  una  lo- 
calità delle  più  grate  a  quell'arbore,  la  notizia 
tramandataci  dopo  non  più  di  due  secoli  dal  no- 
stro Mosè  del  Brolo,  che  a  Longuelo  si  coltivano 
gli  olivi  (20),  la  denominazione  pure,  di  «  Uliveto  » 
che  al  tempo  della  redazione  dei  nostri  Statuti 
troviamo  entro  la  stessa  città  nelle  circostanze  di 
Rosale  (21),  tuttociò  pare  confermi  sufficientemen- 
te le  nostre  induzioni. 

d.  Vitegari  Aldoni  — ,  Ann.  948:  «  Un  vigne- 
«  to  posto  nello  slesso  Borgo  Canale  nel  luogo 
«  detto   Vitegari  Aldoni  (22).  » 

e.  Fontana  Bertelli.  —  Ad  una  carta  del  953 
nella  quale  troviamo  questa  indicazione:  «  un 
€  podere  coltivato  a  vile  situato  sul  monte,  fuo- 
a  ri  del  muro  della  Città  di  Bergamo,  nel  luogo 
t  chiamato  Fontana  Bertelli  (23)  :  »  il  Lupi  fa  segui- 
re questa  nota:  «  dai  confini  dei  fondi  nominati  in 
«  questa  carta  si  può  agevolmente  conoscere  che, 


172 

«  specialmente  verso  l'occaso,  il  giro  delle  arili» 
«  che  mura  era  poco  diverso  dall'odierno,  il  che 
«  lascio  all' altrui  esame:  dalla  stessa  parie  vi 
«  era  anche  il  luogo,  che  si  appellava  Fontana 
«  Bertelli,  come  appare  da  altre  carte  (24).  » 
Questa  località  dovea  esser  vicina  anch'essa  al 
Borgo  Canale  (25)  e  ne  abbiamo  menzione  an- 
cora in  Carte  del  1023,  1083,  1081  (26). 

f.  Sudorno.  —  Sebbene  un  po'  dopo  la  nostra 
epoca,  tuttavia  crediamo  di  non  ommettere  anche 
questa  denominazione  locale,  che  si  trova  in  una 
Carta  del  1011  ove  si  legge:  «  un  castagneto  si- 
«  tuato  nel  luogo  detto  Sudorno  (27).  » 

§.  4.  Fabriziano. 

Pare  che  questo  fosse  alla    nostr'  epoca   un 

gruppo  di  abitazioni,  ma  non  sapremmo  dire  di 

quale  importanza.  Il  nostro  Mosè  ne  parla  in 
questo  modo  : 

t  Costruiti  con  divina  arte,  due  luoghi 

«  Qui  sorgono,  alla  cui  difesa  l'uomo 

«  Opra  alcuna  non  pose.  Ebbero  il  nome 

«  Dal  possessor  cui  piacque  in  prima  il  silo— 

«  L'un  da  Fabrizio  Fabrician  fu  detto 

«  E  di  Boote  il  tardo  plaustro  mira  (28).  » 

Il  sentenzioso  Salvioni,  che  pure  possedeva 
i  mezzi  per  indagare  la  posizione  di  questo  Fa- 
briziano, e  che,  scorrendo  anche  superficialmente 


173 

il  brevissimo  poema  di    Mosè,  poteva   compren- 
dere come   questi    nel   suo  «  Pergameno  »   non 
si  allontani  gran  fatto  dalla  Città,  esce   in  que- 
ste osservazioni:    «  dall' aver   poscia    Moisè   del 
«  Brolo  lodali  a  cielo  il  vico  Fabriciano,  il  Pom- 
t  piliano,  il  Pretorio,  il  Mudano,  che  erano  vil- 
«  laggi  o  Castella,  sparsi,  alcuni  non    si  sa  ben 
«  dove,  nel  nostro  territorio,  il  Calvi  ed  il  Cele- 
ri stino,  scrittori  troppo  coprivi  di  patria  istoria, 
«  gli  ebbero  per  borghi  antichi  uniti    alla    Città 
«  (29).  »  Se  il  Salvioni  avesse  badato  a  ciò,  che  non 
era  molto  difficile  avvertire,  che,  cioè,  Mosè  parla 
della   nostra    Città    e  de'  suoi  contorni,    se   per 
conseguenza  avesse  posto  attenzione  ai  versi  ar- 
recati, dai  quali  si  comprende  che  questo  Fabri- 
ziano  restava  a  settentrione  della  Città    e   fuori 
delle  mura  —  circostanza  questa,  che,  se  fu  no- 
tata, indica  che  era  tanto  vicino  alle    mura,  che 
poteva  anche  esservi  incluso  —  non  sarebbe  an- 
dato a  cercare  questi  borghi  pel   nostro    territo- 
rio,  ma    si   sarebbe    accontentato    di  fare  pochi 
passi  fuori  del  ricinto  della  aostra  Città.  Le  in- 
dicazioni che  ci  sono  date  da  due  carte,  1*  una  del 
911,  l'altra  del  1031  (30)  sono  preziosissime.  Nella 
prima  si  parla  di  una  selva  di  circa   otto   ettari 

posta  nel   luogo   detto  Monte  Bo osi  (il  nome 

è  corroso)  vicina  a  Fabriziano,  non  lontana  dalla 
Città  e  che  da  un  lato  toccava  la  Moria  :  la  se- 
conda parla  pure  di  un  pezzo  di  terra  vicino  alla 
Città,  fuori  di  Porta  S.  Lorenzo,  posto    nel  luo- 


174 

go  detto  Fabriziano  e  circondato  da  due  parli 
dalla  Moria.  Che  questo  Torrente  nel  suo  corso 
abbia  potuto  subire  qualche  modificazione,  non 
abbiamo  argomenti  né  per  asserirlo  né  per  ne* 
garlo:  ma  tuttavia  ci  pare  che  non  si  possa  a- 
gevolmente  ammettere  che  le  indicazioni  date  da 
questi  documenti,  unite  a  quelle  tracciate  dal 
nostro  Mosè,  non  valgano  a  persuaderci,  che  a 
un  dipresso  questo  Fabriziano  fosse  ave  ora 
è  la  piccola  contrada  di  Val  verde,  e  ohe  il  centro 
di  questa  località  si  trovasse  ove  ora  sorge  un 
piccolo  poggio  detto  il  Castello  Medolago.  Le 
indicazioni  del  luogo,  la  \icinanza  della  Città  e 
della  Porta  di  S.  Lorenzo  da  una  parte,  della 
Moria  dall'altra,  ci  sembra  siano  indizi  tali  da 
non  lasciarci  in  dubbio  di  porre  anche  sulla  no- 
stra carta  Topografica  in  questo  luogo  l'antico 
Fabriciano:  e  se  una  congettura  ci  è  permessa, 
diremo  che,  giacché  anche  ai  tempi  di  Moisè 
sembra  che  il  luogo  fosse  molto  popolato,  nulla 
vi  ha  di  più  probabile,  che,  sotto  qnella  denomi* 
nazione,  sia  stato  compreso  anche  quel  gruppo  di 
abitazioni  nel  cui  centro  innalzavasi  forse  la 
Chiesa  di  S.  Lorenzo,  e  che  fu  il  nucleo  del  bor- 
go che  da  questa  prese  nome  nei  secoli  seguenti. 

{.  5.   Plauriano. 

A  stretto  rigore,  noi  non  dovremmo  parlare 
di  questo  vico,  giacché  la   prima  sua  menane 


175 

cade  fuori  dei  limiti  dell'epoca  da  noi  prefinita. 
Ma  sarebbe  tanto  improbabile  che  questo  «  vico 
Plauriano  >  fosse  sorto  soltanto  dopo  il  mille, 
perchè  soltanto  nel  1020  (31)  lo  troviamo  ricordato 
in  un  nostro  documento,  che  noi  preferiamo  di 
essere  più  larghi  nelle  nostre  induzioni  ;  mollo 
più  che  la  forma  stessa  di  questo  nome  richiama 
all'  epoca  della  dominazione  romana  (32).  Ad  ogni 
modo  si  vede,  che,  pochi  anni  dopo  la  nostra  e- 
poca,  qui  esisteva  un  gruppo  di  abitazioni,  giac- 
che nella  carta  più  sopra  citata  porta  già  il  li- 
titolo  di  «  vico  Plauriano  »  :  una  ragione  di  più 
j>er  ammetterne  Y  antica  esistenza.  Dove  fosse 
posto  è  quasi  inutile  il  dirlo.  La  relazione  in 
cui,  in  un  documento  del  1036,  son  messi  la 
Noca  di  S.  Giovanni,  Mugazione,  Galgario  e  Plau- 
riano darebbe  già  a  sospettare  dovesse  trovarsi 
nelle  vicinanze  della  Città:  e  la  forma  «  Plauri- 
zanum  >  di  questo  nome  che  rinveniamo  in  un 
privilegio  concesso  nel  Ho3  da  Papa  Anastasio 
IV  alle  Monache  di  S.  Fermo,  ci  fa  comprendere 
che  qui  si  intende  parlare  del  «  Plorzanum  » 
dei  nostri  Statuti,  che  non  è  altro  che  l'attuale 
borgo  di  S.  Caterina.  Noi  possiamo  immaginare 
quale  sarà  stata  alla  nostra  epoca  la  condizione 
di  questo  piccolo  villaggio:  esso  non  avrà  avuto 
nessuna  attinenza  colla  città  propriamente  detta, 
dalla  quale  lo  separava  non  breve  tratto  di  ter- 
reno: avrà  avuto  ima  esistenza  propria.  Non  cre- 
diamo perciò  di  doverci  arrestare  più  a  lungo  su 


176 

questo   argomento,   sul  quale   ci   sembra  d'aver 

detto  quanto  basta  (33). 

§.  6.  La  Corte  Regia  della  Moria. 

Il  Borgo  Palazzo. 

Più  a  mezzodì  del  Vico  Plauriano  vi  era  la 
«  Corte  Regia  della  Moria.  »  La  menzione  di  un 
Gastaldo  in  Bergamo  accanto  al  Duca  (31)  avrebbe 
potuto  metterci  sulla  via  per  presupporre  la  esi- 
stenza di  una  Corte  regia  anche  nella  nostra 
Città;  e  le  nostre  induzioni  sarebbero  state  con- 
fermate nel  modo  più  chiaro  dai  documenti  del- 
l'epoca di  cui  ci  occupiamo.  La  posizione  di  que- 
sta Corte  è  cosi  delineata  in  un  diploma  di  Lo- 
dovico IH.,  che  deve  essere  del  901  circa:  t  la 
«  Corte  di  nostra  proprietà  che  si  chiama  Mor- 
ii gola,  situata  cioè  nel  contado  di  Bergamo,  lun- 
«  go  il  fiume  che  ha  lo  stesso  nome  (35)  :  »  ed  in 
altro  diploma  di  Berengario  leggiamo:  «  la  Corte 
«  di  nostra  proprietà  detta  Murgula  nel  territo- 
«  rio  bergamasco,  la  quale  giace  sotto  la  stessa 
«  città  (36).  »  Noi  non  indagheremo  qual  parte  nel- 
l'ordinamento politico  ed  amministrativo  di  quel 
tempo  avessero  queste  corti  regie,  né  quale  atti- 
nenza avessero  con  un  certo  tal  quale  servizio 
municipale  (37),  che  sarebbe  totalmente  opposto  al 
nostro  di visamento  >  non  possiamo  però  dispen- 
sarci  dal   notarne   alcune   vicende.  —  Nel  875 


177 

Lodovico  IL  concesse  questa  Corte  insieme  a 
quella  d'  Almenno  a  sua  nipote  Ermengarda  (38)  : 
T  imperatore  Carlo  il  Grosso  vi  risiedette  per  lo 
meno  dal  22  Giugno  al  30  Luglio,  poiché  ab- 
biamo ancora  quattro  Diplomi  che  portano  «  a- 
t  ctum  Murgula  curie  regia  (39)  :  »  l'Imperatore  Gui- 
do nel  894  ne  fece  un  dono  a  sua  moglie  Agel- 
truda  (40)  :  nell'anno  901  circa,  Lodovico  III  la  con- 
cede al  Vescovo  Adalberto  in  parte,  poiché  pare 
che  l'altra  parte  fosse  stata  dal  medesimo  già  con- 
cessa allo  slesso  Vescovo  (41):  e,  cosa  quasi  stra- 
na, nel  903  (o  904)  troviamo  pure  il  re  Beren- 
gario che  fa  una  concessione  ugualmente  limitata 
ancora  ad  Adalberto  (42)  :  del  quale  fatto  può  tro- 
varsi la  ragione  in  ciò,  che  né  Lodovico,  né  Be- 
rengario riconoscessero  queste  concessioni  da  lo- 
ro  rispettivamente  fatte,  per  il  che,  non  osando, 
o  non  piacendo  loro  annullarle,  le  sancissero  con 
un  nuovo  Diploma.  Laonde  può  darsi  benissimo 
che  Berengario  avesse  già  attribuito  una  parte 
di  questa  Corte  al  nostro  vescovo,  e  che,  sovrag- 
giunto Lodovico,  confermasse  a  questo  una  tale 
cessione  o  la  rinnovasse,  quasi  egli  medesimo  ne 
fosse  stato  l'autore.  Ad  ogni  modo  il  fatto  è  che 
dopo  il  903  il  fìsco  non  fu  più  in  possesso  di 
questa  Corte  ;  ed  il  Lupi,  nelle  Note  al  docu- 
mento del  875,  fa  seguire  questa  considerazione 
che  imporla  assai  al  caso  nostro  :  «  la  Corte 
«  Morgola....  non  solo  era  situata  nel  contado 
<  bergamasco,  ma  anche  vicino  alla  Città,  e  pres- 

12 


178 

«  so  al  fiume  che  fino  ad  oggidì  portalo  stesso 
€  nome,  in  quel   luogo  che  ora  è   detto   borgo 
e  Palazzo,  il  qual  nome  gli  è  derivato  forse  dal- 
t  le  regie  od  imperiali  abitazioni  che    vi  erano 
t  in  quella  corte,  come  consta  dai   diplomi   più 
t  sotto  pubblicali:  e  crederei    agevolmente,  che 
«  le  rustiche  case  ora  abitate  dai  coloni  del  Ve* 
t  scovado  occupino  l'area  dell' antichissimo    pa- 
t  lazzo  reale  (43).  »  —  Non  si  può  stare  alla  de- 
scrizione che  di  questa  Corte  ne  fanno  tanto  Lo- 
dovico, che  Berengario,  perchè  è  facile  accorgersi 
che  nei  loro  diplomi  si  saranno    serviti    di   for- 
inole in  uso  a  quel  tempo;  ma  d'altra  parte  non 
si  potrebbe  negare,  che  anche  questi  formularli, 
per  così  esprimerci,  abbiano  avuto  una  certa  ba- 
se nella  effettività  stessa  della  cosa.  Ora,  in  quei 
diplomi  si  parla  di  campi,  vigne,  prati,  selve,  e 
di  case;  e  che  la  Corte  regia  fosse  formata  an- 
che da  un  gruppo  di  case  più   o   meno   impor- 
tante a  seconda  della  importanza  di  essa,  si  com- 
prende dal  fatto,  che  là  risiedeva  il  Gastaldo  (44) 
cogli  «  actores  regii  »  suoi  dipendenti  :  che  le  don- 
ne libere,  le  quali  aveano  contratte  relazioni  con 
servi,  si  ponevano  tra  le  filatrici  della  Corte  re- 
gia ;  che,  essendo  a  questa  attribuita  per  lo  me- 
no la  esazione  dei  diritti  fiscali,  vi  erano  neces- 
sariamente locali  destinati  a  siffatto   ufficio;  che 
vi  saranno  state    abitazioni   per   gli   Aldi  e  pei 
servi  destinati  alla  coltivazione  dei  vasti  possessi 
ond'erano  circondate  queste  corti  ;  e,  per  discen- 


179 

dere  più  particolarmente  al  caso  nostro,  lo  si 
rileva  dal  fatto,  che  nella  Corte  della  Moria,  al- 
meno per  oltre  un  mese,  tenne  sua  residenza 
T  imperatore  Carlo.  Ora,  non  vi  ha  nulla  di  più 
probabile  che,  cessati  di  appartenere  al  Fisco, 
questi  possedimenti  diventassero  obbietta  di  pri- 
vale contrattazioni  ;  intorno  al  gruppo  di  case, 
che  formavano  l'antica  Corte  regia,  saranno  sor- 
te altre  case  di  privati  :  delle  permute  sì  sa- 
ranno fatte,  in  modo,  che  questa  vasta  tenuta  si 
restringesse  entro  limiti  più  angusti  ;  saranno 
stati  alienati  dei  diritti  che  andavano  annessi 
ad  alcune  parti  della  stessa,  onde,  per  quanto  è 
dato  indurre  da  argomentazioni  non  improbabili, 
si  può  credere  che  il  fondo  stesso  sul  quale  si 
teneva  l'antichissimo  Mercato  di  S.  Alessandro, 
i  cui  provventi  furono  dal  Vescovo  Adalberto  ce- 
duti ai  Canonici  di  S.  Vincenzo,  spettasse  a 
questa  Corte  regia  (45).  Provviene  da  ciò,  che,  un 
secolo  dopo  le  concessioni  di  Lodovico  e  di  Be- 
rengario, noi  troviamo  la  denominazione  delle 
vigne  del  borgo  Palazzo  distinta  dalle  «  brede  » 
della  Corte  della  Moria  (46)  :  e  che  nel  1021  vedia- 
mo permutare  colla  Chiesa  di  S.  Vincenzo  dei  ter- 
reni posti  nel  «  Vico  Palazzo  »  e  nelle  adiacenti  cam- 
pagne (47).  Sul  finire  adunque  della  nostra  epoca 
era  già  sorto  questo  t  Vico  »  intorno  all'antica 
Corte  regia:  e  noi  portiamo  la  convinzione, che, 
quando  maggior  numero  di  documenti  fosse  per- 
venuto fino  a  noi,  si   potrebbe   segnare   la   esi- 


180 

stenza  di  questo  e  degli  altri  borghi  anche  in  un 
tempo  assai  anteriore  a  quello  in  cui,  per  un 
solo  indizio  affatto  negativo,  si  soglia  fare.  — 
Il  nome  a  questa  Corte  regia  era  dato  da  un 
torrente  che,  prowenendo  dalle  alture  di  Ponte- 
ranica,  corre  vicino  alla  Città  dalla  sua  parte  o- 
rientale,  e  che,  se  non  è  infelice  esagerazione  di 
poeta,  si  può  credere  che  negli  antichi  tempi 
recasse  non  pochi  guasti  alle  vicine  campagne, 
giacché  di  esso  canta  il  nostro  Mosè: 

t  Prossimo  al  monte  cittadin,  trascorre 

«  Un  fiume  a  cui  di  Moria  han  dato  il  nome, 

«  E  crudelmente  le  campagne  innonda  (48).  » 

La  residenza  degli  Imperatori  in  questo  luo- 
go ha  originato  il  nome  di  «  Palazzo  »  che  tut- 
tora conserva  questo  vasto  sobborgo. 

§.  7.  Paltriniano. 

Al  Conventino  sorgeva,  a  quello  che  pare, 
all'epoca  di  cui  trattiamo,  un  piccolo  gruppo  di 
case,  che  era  detto  Paltriniano.  Quale  fosse  la 
sua  importanza,  è  inutile  affatto  l' investigarlo, 
posciachè  niuna  memoria  sia  rimasta  su  ciò:  e 
solo,  quanto  più  ci  avviciniamo  ai  di  nostri,  noi 
troviamo  che  questa  denominazione  abbracciava 
una  piccola  cappella  con  romitaggio,  e  campi 
coltivati  a  grano  ed  a  vite.  Ci  restringeremo  per- 
tanto a  dire,  che  la  prima  menzione   di   questo 


181 

luogo  noi  la  rinveniamo    in   un   documento   del 
879,  nel  quale,  in  occasione  di  una   permuta   di 
fondi,  si  tratta  anche  di  una  casa  con   altri  edi- 
ficii  e  con  terreni  annessi,  i  quali  erano  posti  in 
Pallriniano  (49).  Questo  nome  ritorna  in  seguito  a 
contraddistinguere  persone:  cosi    nel  9Ì 5  abbia- 
mo un  Paolo  di  «  Polterniano  (SO)  »  :  nel  1088,  an- 
noverandosi le  persone  presenti  ad  un  placito,  è 
pure  ricordato  «  fra  i    cittadini  »   un    Lanfranco 
Nozo  di  Polteriano  (51);  ed  in  una  carta  inedita  e 
corrosa  del   1481    troviamo    queste  espressioni: 
«  un  pezzo  di  terra  arativo  ed  a  vite  posto  nel- 
<  la  contrada  di  Pollrigniano   nelle  contrade   di 
«  Bergamo,  ove  si  dice  a  S.  Maria  di  Sopra.  11 
€  qual  pezzo  confina  a  mattina  con  beni  del  Ve- 
«  scovado,  a    mezzodì   colla    via   ed  inoltre   col 
«  letto  della  Guidana  (52).  »  Qui  ci  si  affaccia  una 
quistione,  la  quale  però,  nello  stato  attuale  delle 
nostre  investigazioni,  ci  è  giocoforza  lasciare  in- 
soluta, se,  cioè,  essendo  noto  che  la    Chiesa  del 
Convenlino    chiamavasi    un    tempo   S.    Maria  di 
Poltergnano   o  di  Sotto,  per    puro    errore    nella 
nostra  carta  siasi  tratta  in  campo  questa  S.  Ma- 
ria di  Sopra,  ovvero,  se   effettivamente  la  deno- 
minazione di  Poltriniano  si    fosse   col    tempo  e- 
stesa  di  tanto,  da    includere  qualche   altra   cap- 
pella posta  sotto    lo   slesso  titolo,  in    modo   da 
non  poter  contraddistinguere  i  due  santuarii  che 
coir  indicarne  la  rispettiva  posizione.  Sebbene,  a 
nostro  vedere,  questa  seconda    supposizione    sia 

alitai 


182 

la  sola  ammissibile,  tuttavia  osserveremo,  che  il 
nome  di  Poltergniano  mantenutosi  costantemente 
alla  località  detta  del  Conventino,  ci  obbliga  ad 
occuparci  di  questa  sola  ;  per  il  che  chiuderemo 
questo  cenno  notando  come  «  S.  Maria  del  Se- 
ti polcro,  detta  S.  Maria  di  Sotto,  fosse  da  gran 
«  tempo  una  cappella  con  romitaggio,  chiamata 
t  S.  Maria  di  Poltergniano:  tenuta  da  più  d'un 
«  secolo  da  un  romitello,  venisse  ceduta  dalla 
«  città  nel  1482  alle  istanze  di  fra  Alessandro 
«  Bonetti  de'  Minori  Osservanti,  e  a  questi  incor- 
«  porata  V  anno  1502  sotto  il  Vescovo  Lorenzo 
«  Gabrieli,  e  dai  medesimi  rifabbricata  ed  ag- 
t  grandita  sotto  il  titolo  di  S  Maria  del  Sepol- 
«  ero:  poi  passata  nei  Padri  Riformati,  fosse  nel 
e  secolo  scorso  finalmente  sottomessa  alla  parroc- 
t  chia  di  S.  Alessandro  in  Colonna  (53).  »  Ed  ec- 
co in  questi  brevi  cenni  chiarito  donde  a  questa 
località  fosse  derivato  il  nome,  che  porta  anche 
attualmente. 

§.  8.  Pompiniano. 

Il  sagacissimo  Lupi,  trovando  sottoscritto  in 
una  carta  del  856  rogata  in  Bergamo  un  Pietro  de 
t  Pumpiniano  (54)  »,  fa  la  seguente  osservazione: 
t  fra  questi  testimoni  abbiamo  Petroni  de  Pum- 
«  piniano  :  a  ciò  pongano  ben  mente  coloro,  i 
«  quali  riferiscono,  che  il  suburbio  ora  appellato 
a  Pompiano,  fosse  anticamente  chiamato  Pompi- 


183 

t  liano  «  da  Pompilio  »  affinchè  non  spaccino 
«  favole  contrarie  agli  antichi  documenti  (55).  »  Il 
Lupi  avea  dunque  scórto  che  sotto  questa  deno- 
minazione si  indicava  uno  dei  luoghi  vicini  alla 
Città  :  e  diffalti  questo  Pompiniano  ritorna  in  campo 
in  una  carta  di  permuta  del  870  (56)  ;  ed  in  altri  due 
documenti  del  905  e  del  938  (57),  sono  ricordati  due 
diaconi  Ansperto  ed  Anselmo  «  figli  del  giudice 
€  Lazzaro  di  buona  memoria,  del  borgo  di  Pom- 
f  piniano.  »  Nel  nostro  Mosè  troviamo  fra  i  luoghi 
vicini  alla  Città  «  Pompilianum  •:  ma  se  si  to- 
glie la  indicazione,  della  quale  non  guarentiamo 
la  esaltezza,  che,  insieme  con  Fabriziano,  era 
«  divina  conditus  arte  »,  che  non  era  fortificato, 
che  era  rivolto  a  mezzodì,  e  che  pure  insieme  a 
Fabriziano  poteva  a' suoi  dì  armare  un  dugento 
cavalieri  (58),  noi  null'altro  non  sappiamo  della  ma- 
teriale condizione  di  questo  luogo.  Che  alla  no- 
stra epoca  vi  fossero  abitazioni,  non  v'  ha  dubbio 
per  due  principali  ragioni;  la  prima  pei  docu- 
menti da  noi  citati  :  giacché  da  esso  (de  Pom- 
piniano) non  sarebbero  state  indicate  le  persone, 
delle  quali  abbiamo  memoria,  quando  non  vi  a- 
vessero  avuto  la  loro  residenza  :  la  seconda  per 
questo,  che  non  solo  a'  bei  tempi  della  latinità, 
ma  anche  alla  noslr'epoca  «  locus  »  e  e  vicus  » 
si  fanno  sinonimi;  per  cui  il  documento  del  938 
più  sopra  citato,  ove  vediamo  nominati  i  figli 
del  giudice  Lazzaro  «  de  loco  Pumpiniano  »  basta 
per  persuaderci  che  qui  esistesse  già  fin  d'allora 


184 

un  borgo.  È  quasi  fuor  di  dubbio  inoltre,  che 
la  forma  di  questo  nome,  tramandataci  da  Moisè 
del  Brolo,  sia  la  forma  di  transizione  fra  il  Pum- 
pinianum  della  nostra  epoca  (contrada  di  Brose- 
ta)  ed  il  Pompianurn  (od  il  Pampianum)  dei  no- 
stri Statuti  (59)  :  dalle  espressioni  dei  quali  ad  ogni 
modo  si  scorge,  che,  in  epoca  più  recente,  i  nomi 
di  Erosela  e  di  Pompiano  si  confondevano  as- 
sieme, giacché,  a  cagion  d'esempio,  nello  Statuto 
del  1331,  si  nominano  t  le  case  e  la  residenza 
«  dei  figli  del  signor  Alberto  Colleoni,  che  sono 
•  in  Pompiano:  »  e  poco  di  poi  si  accenna  alla 
«  via  ovvero  strada  delta  di  Pompiano  o  di 
«  Brosela  (60).  » 

|.  9.  Petrorio. 

A  mezzodì  della  Città  ed  a  greco  del  borgo 
di  Pompiniano  vi  era  il  vico  Petrorio.  La  prima 
menzione  di  esso  si  trova  nel  904  colla  espres- 
sione: «  in  fundo  Petrorio  prope  mons  ipsius 
«  civitatis  (61)  »;  ed  in  una  carta  del  905  troviamo 
usato  alternativamente  e  villa  Petrorio  »  e  «  fun- 
t  do  et  vico  Petrorio  (62)  ;  »  nel  970  abbiamo  que- 
sto nome  mutalo  in  *  Predorio  >  (63)  :  poi  nel  998 
viene  in  campo  la  forma  «  Pretorio  »  che  si 
conserva  nella  maggior  parte  dei  nostri  Statuti, 
e  la  quale  aprì  un  vasto  campo  alla  fantasia  dei 
nostri  Scrittori  per  novellare  di  residenza  di  Pre- 
tori romani  e  così  via  (64).  Non  è  tanto  facile  a  vo- 


185 
ler  precisare  con  tutta  certezza  la  posizione  di 
questo  vico:  le  indicazioni  dei  nostri  Statuti  ac- 
cennano a  troppi  punti  a  noi  affatto  sconosciuti, 
perchè  ci  sia  dato  trovare  con  certezza  il  filo  di 
questa  arruffala  matassa.  Ad  ogni  modo,  Moisè 
del  Brolo,  cantando  nel  suo  Poema: 

t  Nomato  dal  Pretore,  evvi  altro  borgo, 
«  Che  riguarda  il  meriggio,  e  sorge  in  loco 
«  Scosceso  al  quale  danno  adito  mille 
«  Tortuosi  sentieri,  onde  non  teme 
«  Insidia  o  aperta  guerra,  sì  il  difese 
«  E  la  Natura  e  de'  Prior  Y  ingegno  (65),  b 

ci  porge  un  indizio  per  ritenere  che  le  attuali 
contrade  di  S.  Carlo  e  del  Mattume  doveano  co- 
stituire questo  stesso  vico  (66);  e  la  espressione  del 
nostro  poeta,  che  per  opera  della  natura  e  del- 
l'arte era  al  sicuro  delle  ostili  insidie,  e  la  espres- 
sione delle  Carte  da  noi  citate,  che  era  sul  monte 
della  Città  e  vicino  alla  stessa,  dimostrano  aper- 
tamente, che  era  posto  sul  colle,  nel  luogo  che 
più  tardi  ebbe  nome  di  borgo  di  S.  Stefano. 

§.  10.  Credasio. 

Il  discorso  intorno  a  Petrorio  richiama  ne- 
cessariamente anche  quello  su  Credasio.  Che  que- 
sto fosse  vicinissimo  a  quello,  lo  dimostrano  le 
carte  della  nostra  epoca,  ove,  ad  esempio,  in  una 
del  905  noi  leggiamo  :   e  non    lungi    dal    borgo 


186 

t  Petrolio  nel  luogo  detto  Credasio  (67):  »  e  lo 
«dimostra  in  pari  tempo  la  espressione  usata  dal 
nostro  poeta,  il  quale,  dopo  aver  parlato  del  Pe- 
trorio  e  del  fonte  di  Cereto,  scrive: 

•t  Moviti  alquanto  verso  l'oriente 

«  E  del  ricco  Credazio  il  bel  verziere 

«  Ti  si  presenterà...  (V  propri  beni 

«  Credazio,  avo  di  Grata,  come  é  fama, 

«  Qui  una  villa  innalzò,  qui  fu  sepolto 

-«  Ed  al  loco  die'  nome.  Certa  fede 

«  Ne  fa  l'alta  colonna  che  a  ricordo 

«  Dell'estinto  signore  il  popol  pose  (68).  » 

L' indicazione  della  colonna  eretta  sul  tu- 
mulo di  Crotazio  (che  ora  si  vede  innanzi  alla 
Chiesa  di  S.  Alessandro,  e  che  nessuno  vorrà 
seriamente  connettere  ccn  quella  leggenda),  mo- 
stra senz'  altro  la  posizione  di  questo  borgo 
(borgo  S.  Alessandro).  Noteremo  poi  che  Pina- 
monte  Brembati,  il  quale  scriveva  nella  prima  metà 
<Iel  secolo  decimoterzo,  quando,  cioè,  le  antiche 
denominazioni  locali  doveano  essere  ancora  per 
la  massima  parte  in  pieno  vigore,  parlando  del 
luogo  ove,  secondo  la  leggenda,  fu  mozzato  il 
capo  ad  Alessandro,  dice  che  era  situato  e  nel 
«  borgo  chiamato  Credasio,  ove  ora  èia  chiesa 
*  eretta  in  onore  di  quell'inclito  martire,  e  la 
«  quale  appellasi  S.  Alessandro  in  Colonna.  • 
A  questo  aggiungeremo  da  ultimo,  che,  nel  se- 
colo decimoquinto,  sussisteva    ancora    in    questa 


187 
località  la  denominazione  di  Credano,  e,  per 
quanto  si  può  indurre  dalle  generali  espressioni 
dello  Statuto,  si  deve  credere  che  portasse  tal 
nome  una  via,  la  quale,  staccandosi  dalla  princi- 
pale del  borgo  S.  Alessandro  di  fronte  alla  chie- 
sa della  Maddalena,  andava  a  raggiungere  il  mu- 
ro cittadino  verso  la  strada  del  Lapacano  ;  que- 
sta via  dovea  corrispondere  indubitatamente  presso 
a  poco  all'attuale  vicolo  detto  di  S.  Giuseppe  (69  . 
—  Con  questo  e  coi  pochi  cenni  lasciati  da  Moi- 
sè  del  Brolo  la  posizione  di  Credasio  rimane  sta- 
bilita nel  modo  più  certo.  —  Sebbene  Mosè  siasi 
appagalo  di  descriverci  soltanto  il  miracoloso 
giardino  di  Grata  e  solo  per  incidenza  abbia  ac- 
cennato al  fatto,  che,  dal  ricco  Credazio,  ebbe  no- 
me il  borgo  che  stava  tntt'  intorno  alla  sua  prin- 
cipesca dimora,  nondimeno  è  lecito  credere  che 
egli  pure  nello  scrivere  ubbidisse  più  alla  pro- 
pria fantasia  ed  alle  leggende  che  correvano,  di 
quello  che  badasse  alla  vera  condizione  delle 
cose,  poiché,  se  nel  952  troviamo  persone  «  de 
«  fundo  Credacio,  »  e  se  nel  962  vediamo  a 
questa  località  applicato  il  titolo  di  «  vico  »  (70),  è 
necessario  indurne  che,  anche  qui  esistesse  un 
gruppo  non  piccolo  di  abitazioni:  tanto  più  poi 
che  dopo  il  mille,  o  meglio,  dopo  il  secolo  un- 
decimo  questi  borghi  cominciarono  a  crescere 
in  modo,  che  si  dovette  pensare  a  cingerne  una 
parte,  quella  almeno  che  reslava  più  vicina  alla 
vecchia  Città.  —  Per    quanto   adunque    è    dato 


188 

argomentarne,  se  allora  non  esistevano  i  Borghi 
propriamente  delti,  sorgevano  però  intorno  alla 
Città  dei  villaggi  più  o  meno  importanti,  che  ne 
formavano  il  nucleo.  Se  nelT  idea  di  borghi  si 
intende  inclusa  quella  di  una  speciale  relazione 
colla  Città,  nulla  di  più  esatto  del  dire  che  quelli 
non  sorsero  che  dopo  il  mille;  ma  d'altra  parte 
sarebbe  contrario  a  tutte  le  notizie  che  abbiamo; 
recate,  il  supporre  che  alla  nostr'epoca  in  questi 
contorni  esistessero  soltanto  sparsi  casali.  Sarà 
stata,  rispetto  alla  Città  di  quei  tempi,  una  con- 
dizione di  cose,  come  è,  rispetto  alla  Città  dei 
nostri,  l'esistenza  di  alcuni  piccoli  centri,  quali 
Boccaleone,  Campagnola  e  così  via;  i  quali  se, 
per  una  ipotesi  affatto  insussistente,  inconseguenza 
di  alcune  cause  speciali,  dovessero  espandersi  fino 
a  connettersi  alla  Cillà,  ne  formerebbero  nuovi 
borghi  per  I*  identica  ragione  per  la  quale  si  forma- 
rono gli  antichi.  —  Esistevano  già  adunque  a  questa 
epoca  i  centri  materiali  intorno  a  cui  si  sviluppò 
la  industre  attività  dei  secoli  posteriori  ;  ma  quale 
importanza  essi  avessero,  in  quali  rapporti  si 
trovassero  colTantica  Città,  è  ciò  che  assoluta- 
mente non  sappiamo:  solo  ci  basta  averne  posto 
in  sodo  la  esistenza. 

§.  li.  Le   Vie  esterne. 

È  più  che  naturale  l'immaginare,  che   tutti 
questi  gruppi    disgregati   di    abitazioni    saranno 


189 

stati  uniti  al  centro  principale  della  Città  con  un 
sistema  di  vie  più  o  meno  complesso,  a  seconda 
dei  bisogni  e  delle  stesse  esigenze  locali.  Noi 
tenteremo  colla  scarsissima  messe  dei  nostri  do- 
cumenti, di  confermare  almeno  in  parte  questo 
fatto:  giacché,  colle  indicazioni,  che  sono  rimaste 
fino  a  noi,  è  impossibile  gettare  una  splendida 
luce  su  questo  subbietto.  —  Verso  il  borgo  Ca- 
nale abbiamo  ripetuta  menzione  di  vie  runa  pas- 
sava a  settentrione  di  Teuderata  :  un'altra  a  mez- 
zodì di  un  luogo  detto  Platea:  una  terza  passa- 
va pure  a  mezzodì  di  un  pezzo  di  terra  posto  in 
Fontana  Bertelli  (71).  Noi  non  possiamo  stabilire  se 
qui  si  tratti  di  una  sola  via:  quando  noi  fosse, 
è  facile  che  una  di  quelle  abbia  condotto  a  Pon- 
te S.  Pietro  per  l'attuale  di  S.  Martino  della  Pi- 
grizia :  giacché  questa  era  la  via  più  diretta  per  chi 
dalla  Città  si  portava  in  quella  parte  del  nostro 
territorio  :  è  poi  anche  probabile  che  il  facile  pendio 
del  colle  verso  S.  Matteo,  e  in  pari  tempo  la  ce- 
lebrità che  acquistava  a  mano  a  mano  la  basili- 
ca di  S.  Alessandro,  siano  concorsi  a  rendere  il 
luogo  frequente  di  strade,  che  agevolassero  il 
prepotente  bisogno  di  comunicazioni.  —  Dalla 
Porta  di  mezzodì,  detta  poi  di  S.  Stefano  e  da 
noi  di  S.  Giacomo,  discendeva  una  via,  che  na- 
turalmente avrà  messo  in  comunicazione  questa 
Porta  della  Città  col  sottoposto  piano  forse  at- 
traverso ai  «  Campi  Calfaschi  »  nei  dintorni  dei- 
Fattuale  S.  Tommaso  de'Calvi  (72).  Questa  via  pas- 


190 

sava  ad  occidente  del  vico  Credasio  ed  a  levan- 
te del  vico  Petrorio:  e  bisogna  credere  che  qui 
succedessero  delle  diramazioni,  o  che  la  via 
stessa,  per  ragioni  che  non  possiamo  indovinare, 
subisse  una  rapida  svolta,  perchè  troviamo  in 
Credasio  un  pezzo  di  terra  cinto  da  due  parli 
da  questa  via  (73).  —  Coloro  che  dal  piano  saliva- 
no alla  Porta  di  mezzodì  potevano  recarsi  nel 
borgo  Canale  ed  alla  basilica  di  S.  Alessandro 
per  due  vie;  o  per  la  interna  del  Monastero 
vecchio  di  S.  Maria,  ovvero  per  una  via  esterna, 
la  quale,  a  quello  che  pare,  non  sempre  stava 
rasente  al  muro  della  Città,  ma  talvolta  lo  toc- 
cava, talvolta  se  ne  scostava  in  modo  da  lasciare 
tra  mezzo  delle  piccole  vigne  (74).  Forse  un  po'  più 
sotto  a  questa,  ma  ad  essa  parallela,  a  mezzo  il 
pendio  di  questo  lato  di  libeccio  del  colle  su  cui 
era  situata  la  Città,  correva  la  via  di  S.  Donato,  del- 
la quale  abbiamo  memoria  nei  nostri  Statuti  (75), 
e  che  può  essere  quella  stessa  accennata  in  un 
documento  del  909  ove,  tra  i  confini  di  un  pezzo 
di  terra  posto  a  S.  Donato,  vi  ha  a  levante  una 
via  (76).  —  La  Porta  d'Oriente,  o  di  S.  Andrea,  sa- 
rà stata  in  comunicazione,  oltreché  col  restante 
territorio,  anche  principalmente  colla  regia  Corte 
della  Moria,  diventata  in  seguito  il  Borgo  Palaz- 
zo. Questa  via  passava  per  Mucazone,  ora  Pi- 
gnolo (77),  ed  è  forse  sui  lati  di  essa  che  s'era  già 
formato  l' importante  borgo,  che  oggidì  è  detto 
di  Pignolo.  —  Infine,    dalla  Porta   di  S.   Loren- 


19f 

zo  sarà    partita  quella   «  via  rossa  »   della  quale- 
abbiamo  memoria  in  un  documento  del  928  (78)- 
Le  indicazioni  dateci  da  questo  documento  fanno 
supporre,  che  il  prato,  di  cui  in  esso  è  parola,  e 
che,    essendo  *  vicino  alle    mura    della    Città  > 
tuttavolta  confinava  a  mattina  colla  Moria,  si  tro- 
vasse a  un  di  presso  sotto  il    colle  della   Fara;, 
per  cui  la  strada   «  rossa  »  che    era   a   mezzodì 
di  quel  prato,  dove/}  metter  capo  da    una    parte 
alla  Porla  di  S.  Lorenzo,  dall'altra  al  vico  Plau- 
riano,  o  per  lo   meno   a    Marcianica,   Redona,  e 
cosi  via,  lasciandosi  alla  destra   quel  vico.   Con- 
fermerebbe la  nostra  induzione  il  fatto,  che,  nel 
più  antico  nostro  Statuto,  nell'indice  della  quin- 
dicesima   collazione    andata    perduta ,    troviamo 
questa  indicazione:  «  della  Via  che  correa  mat- 
€.  tina  della  Porta  di  S.  Lorenzo  (79)  :  »  e  la  dire- 
zione da  noi  segnata    per  la   «  via   rossa  »  con- 
corderebbe pienamente  con  quella  accennata  nel 
nostro  Statuto. 

.§.  12.  Altri  particolari  sui  contorni  della  Città. 

Abbiamo  già  veduto  (v.  Parte  I.  §.  14)  come  ap- 
pena fuori  della  Porta  orientale  della  Città  fino  dal 
785  vi  fossero  delle  abitazioni;  il  pendio  del  colle, 
ancora  attorno  al  mille,  era  tutto  coperto  di  vili, 
sulle  quali  prelevavano  la  decima  i  Canonici  di  S. 
Vincenzo  (80).  —  Un  documento  del  875  parla  di 
una  vigna  in  Gallinaria  ;  un  altro  del  1013  parla  di 


192 

un  pezzo  di  terra  «  posto  sul  monte  non  lungi 
t  dalla  città,  nel  luogo  detto  Gallinaria  (81).  •  Il 
Lupi  nelle  note  al  primo  documento  mostra  di 
credere  che  Fattuale  Gallinazza  del  borgo  San 
Leonardo  possa  essere  l'antica  Gallinaria  ;  nondi- 
meno, vedendo  come  questa  località  si  trovasse 
sul  monte  stesso  della  Città,  quando  almeno 
nella  forma  denominativa  vi  possa  essere  un'  at- 
tinenza fra  l'antica  Gallinaria  e  l'odierna  Gallinaz- 
za (il  che  però  non  crediamo  affatto)  (82),  noi  pro- 
penderemmo a  credere,  che  meglio  si  confacesse 
l'ammettere,  che  quella  località  si  trovasse  a  un 
di  presso  dove  nei  nostri  Statuti  troviamo  la 
piazza  della  «  Galinazia  »  la  quale  per  la  via 
dei  «  Tovi  »  era  in  comunicazione  col  «  fonte 
«  di  Pignolo  (83).  »  — E  di  una  vigna  in  Pignolo 
noi  troviamo  menzione  fino  dal  917  ;  ed  abbia- 
mo prove  sufficienti  per  ritenere  che  questa  de- 
nominazione non  si  estendesse  già  al  borgo,  che 
attualmente  porla  lo  stesso  nome,  ma  bensì  alla 
parte  inferiore  della  contigua  contrada  che  ora 
è  detta  di  S.  Tommaso,  il  che  crediamo  farà  me- 
ravigliare non  pochi  (84).  Quindi  è  che  troviamo  pel 
luogo  ove  è  posta  la  chiesa  di  S.  Alessandro,  la 
denominazione  distinta  di  Muchazone  o  Mugatio- 
ne.  Dal  testamento  del  vescovo  Adalberto  ve- 
niamo a  sapere,  che  egli  qui  possedeva  una  vigna 
la  quale  —  per  volgarizzare  esattamente  le  espres- 
sioni da  esso  usate —  è  detta:  «  fuori, non  molto 
«  lontano,  presso  alla  Città  di  Bergamo  (85).    r 


193 
Nel  1036,  fra  gli  altri,  si  legano  alla  Canonica  di 
S.  Alessandro  dei  fondi  posti  in  «  Plorzano  » 
(Plauriano),  in  Galgano,  nella  Noca  di  S.  Gio- 
vanni, ed  in  Mugazione  (86)  ;  ed  in  un  testamento 
del  1183  si  lasciano  dodici  denari  alla  Chiesa  di 
S.  Alessandro  in  «  Mugazone  (87)  » .  Il  nome  di  bor- 
go di  Mugazone  durò  per  lo  meno  fino  in  prin- 
cipio del  secolo  decimoterzo,  poiché  nel  1210  ab- 
biamo memoria  di  un  Lanfranco  Bono,  che  vi  a- 
bitava  (88),  e  di  qui  si  comprende,  che  la  deno- 
minazione di  Pignolo  rimase,  per  lo  meno  fino  a 
questo  tempo,  limitata  all'  altra  località,  di  cui 
abbiamo  parlato  qui  sopra  (89).  —  Più  ad  occiden- 
te di  questo  borgo  di  Muchazone  vi  erano  le 
vigne  del  Cornesello:  nome  questo,  che  è  so- 
pravvissuto ancora,  dopo  oltre  nove  secoli  e 
mezzo,  ad  indicare  una  via  quasi  deserta,  che 
mette  in  comunicazione  la  Contrada  della  Ma- 
sone  colla  Strada  Vittorio  Emanuele  (90).  —  Dal 
lato  di  libeccio  ed  occidentale  della  Città  tro- 
viamo parecchie  denominazioni  locali  che  non 
crediamo  inutile  riportare  :  per  esempio  :  «  Slip* 
tus  muro  »  (91)  «  Albariolo  »  che  era  una  vi- 
gna sotto  il  muro  cittadino  (92)  :  <  Mercori- 
na  »  (93),  «  Prato  lungo  »  (94),  «  S.  Donato  » 
di  cui  abbiamo  già  parlato  (v.  Parte  III.  §.  11)- 
—  Nel  933  abbiamo  memoria  di  «  Fontana  » 
in  borgo  Canale  :  nel  938  troviamo  pure  men- 
zione di  una  vigna  che  «  giace  vicino  al  Monte 
«  della  stessa  Città,  nel  luogo  detto  Fontana  (95j.  » 

13 


194 

Noi  crediamo  che  qui  si  tratti  della  stessa  loca- 
lità, alla  quale  accenna  una  carta  del  1030  ove 
si  legge:  «  un  prato....  che  è  fuori  e  non  molto 
«  lontano  dalla  stessa  Città  di  Bergamo  nel  luo- 
«  go  appellato  Fontana,  che  è  nella  Valle  detta 
«  Brolo  (96).  »  Le  indicazioni  date  combinano  tal- 
mente, che  noi  crediamo  che  qui  non  si  tratti 
che  di  una  stessa  località,  per  cui  non  ci  resta 
che  a  notare,  che  la  denominazione  di  «  Fontana 
Brolo  »  sopravvive  ancora  lungo  il  pendio  meri- 
dionale del  colle  sul  quale  è  posto  il  Borgo  Canale. 

§.  13.  Conclusione. 

Ecco  esaurito  il  nostro  compito  :  se  in  molte 
parti  restò  imperfetto,  la  colpa  non  è  in  tutto 
nostra,  perchè,  a  voler  far  conoscere  la  topografia 
di  una  città  coll'aiulo  soltanto  di  un  centinaio 
di  documenti,  che  non  se  ne  occupano  né  punto 
né  poco,  è  tale  opera,  che  necessariamente  non 
può  riescire  completa.  Molti  non  converranno 
in  parecchie  delle  nostre  induzioni,  ed  anche  di 
questo  la  colpa  non  può  esser  tutta  nostra  ;  e  se 
l'argomento  non  parrà  trattato  con  quella  vastità 
di  vedute,  con  quella  fantasia,  che  sola  potrebbe 
far  rivivere,  almeno  in  parte,  davanti  ai  nostri 
occhi  il  passato  della  nostra  Città  nei  secoli  dei 
quali  ci  siamo  occupati,  basti  a  salvarlo  da  sif- 
fatte accuse  il  modesto  titolo  sotto  il  quale  l'ab- 
biamo posto,  e  lo  scopo  nostro  di  non  porgere 


195 

che  i  materiali  sui  quali  altri  potesse  lavorare 
con  più  largo  intendimento  e  con  miglior  frutto. 
À  noi  basta  d'aver  dato  l'esempio  di  mietere  in 
un  campo,  in  cui,  almeno  fra  noi,  alcuno  non 
ha  ancor  posto  la  mano  ;  e  l'esempio  dato  colle 
più  oneste  intenzioni  non  sarà  sufficiente  discol- 
pa di  errori  commessi  affatto  involontariamente  ? 
Quanto  a  noi  non  desideriamo  altro  che  questo. 


197 


CITAZIONI  E  NOTE. 


i.  Citiamo  per  lutti  ii  Calvi.  Eff.  I.  5o2. 

2.  V.  la  iscrizione  nel  Calvi,  o.  e.  a.  1.  e,    e  nel  Ron- 
chetti, o.  e.  V.  87  e  seg. 

3.  Lup.  II.  ia3i-34  —  Ronchet.  0.  e.  III.  i33. 

4.  V.  il  Lup.  J.   1017.  1020. 

5.  Che  Gotefrido  fosse  veronese  e  figlio  di  Gislario  lo  si 
rileva  da  altro  diploma  di  Arnolfo,  ap.  Lup.  I.   io45. 

6.  ap.  Lup.  I.  673. 

7.  Ibid.  II.  in,  1 14. 

8.  Ibid.  II.  267. 

9.  Ibid.  II.  565. 
io.  Ibid.  II.   1041. 

lì.  Il  «  difficile  capto  «  del  diploma  di  Arnolfo  è  affatto 
relativo.  Per  la  ripidezza  del  pendio  anche  la  più  meschina 
bicocca  avrebbe  in  quel  tempo  opposto  una  discreta  resistenza: 
Arnolfo  poi  aveva  bisogno  di  giustificare  un  atto  di  severità 
esagerando  le  cause  che  l'arcano  provocato.  Insomma  quella 
espressione  può  riferirsi  anche  alla  posizione,  senza  che  sia  ne- 
cessario ammettere  che  il  forte  in  se  stesso  fosse  pure  di  eguale 
importanza. 

12.  «  in  qua  terra  hedificatum  est  castrum  et  turris  per 
*  comune  predicte  civitatis.  »  Doc.  an.  1167  ap.  Lup.  II. 
«  123 ij  anno  1167:  octavo  Idus  octob.  Caslrum  de  la  Ca-» 
a  pella  edificatum  fuit  per  Consules  qui  tunc  consulatum  gere* 
«  bant.  »  Arch.  cap.  Lib.  H.  fol.   35.  ap.  Ronchet.  HI.   1 33. 

i3.  Benal.  d.  g.  et.  a.  ss.  Berg.  2.    5.    mss.    ap.    Lup* 

I.  38i-2.    * 

i4-  ap.  Lup.  II.  235. 
i5.  Ibid.  I.  695. 

16.  Ibid.  I.  759.  791.  893.  —  lì.  191.  ali.  etc. 

17.  Ibid.  I.  89*3. 

18.  Ibid.  II.   191.  211. 

19.  Ibid.  II.    191 . 

20.  Moys.  d.  Brolo  perg.  8.  3-4» 

ai.  Vi  ha  «  la  volta  dell'Uliveto  »  fp.  e  Stat.  a.  i33i. 

II.  46)  che  dalle  indicazioni  date,  dovea  essere    senza   dubbia 


198 

vicina  alla  chiesa  ed  al  monastero  di  Rosate  ora  il  Liceo.  V. 
Stat.  a.  i453.  coli.  VII.  g4,  col  quale  se  ne  può  determinare 
la  posizione  con  bastante  esattezza. 

22.  ap.  Lup.  II.  21 1. 

23.  Ibid.   II.   223. 
24'    lbid.    II.    225. 

25.  Ronchetti  III.   174. 

26.  ap.  Lup.  II.  5w.  745»   i339. 

27.  Ibid.  II.  453. 

28.  Moysè  d.  Brolo,  perg.  47  e  seg. 

29.  Salvioni  delUant.  e  nuova  fori,  ecc.  p.  9,  —  Uni- 
che digressioni  di  Mosè  sono  ove  parla  del  Brembo  e  del  Serio, 
di  Mozzo  (  Ficus  Mucianus  )  di  Longuelo  e  di  Breno.  Del 
resto  si  limita  sempre  alla  Città  ed  a'  suoi  vicini  contorni;  è  ciò 
è  tanto  vero,  che  dopo  aver  detto  (V.  perg.  27-28    e  seg.): 

e«  Si  quis  forte  situm  nescis,  nomenque  locorum 
«  Saepe  brevem  summam  tibi  eie.  « 
aggiunge: 

«  Sed  memorabo  tamem  loca  prìmitus  exterioria  i  » 
cioè,  li  considerava  tanto  vicini  alla  Citta,  che  credeva  di  non 
potere  adequatamente  parlare  di  essa  senza  ricordarli.  Quanta 
poi  a  porre  il  «  Vico  Pretorio  »  o  «  Petrorio  »  tra  i  villaggi 
0  castella  sparsi  nel  nostro  territorio,  questa  è  una  delle  scap- 
pate, a  cui  pare  fosse  abituato  il  Salvioni,  poiché  se  egli  aves» 
se  badato  a  quei  versi  di  Moisè  (  Perg.  65  e  seg.  ),  ove  par- 
lando appunto  «  de  loco  Praetorii  »  scrive  : 

«  Unde  nec  insidias,  nec  vim  timet  ille  furorum, 
«  Munere  naturae  munitus  et  arte  Priorum,  » 
avrebbe  con  sua  somma  sorpresa  capito  che  ai  tempi  di  Moisè 
le  fortificazioni  cittadine  si  spingevano  fino  ad  includere  questa 
Vico  nel  loro  ricinto  ;  e  se  avesse  poi  badato  che  il  Pretorio, 
©,  diremo  meglio,  il  fonte  di  Cereto,  da  esso  non  molto  lon- 
tano, restava  un  po'  più  ad  occidente  della  colonna  di  Crota- 
zio,  che  è  conosciuta  fin  dai  bambini,  non  si  sarebbe  sbrac- 
ciato tanto  malaccortamente  contro  il  Celestino  ed  il  Calvi,  i 
quali  avevano  una  buona  parte  di  ragione,  mentr'egli  aveva 
tutto  il  torto.  Il  fatto  sta  cofà.  Sebbene  il  Vico  Petrorio  all'e- 
poca in  cui  scriveva  il  Moisè  fosse  incluso  nel  recinto  cittadino, 
nel  concetto  di  quell'epoca  però  non  faceva  parte  della  Città 
propriamente  detta,  ma  costituiva  sultanto  uno  dei  borghi  del- 
la Città  stessa,  e  ciò  è  tanto  vero  che  nel  più  antico  docu- 
mento ufficiale  in  cui  appaja  questa  distinzione  (è  del  r 1 71, 
«p.  Lup.  II.   1267-1-370),  troviamo  la  espressione  «  de  Perga- 


199 

mo  et  de  burgis  «  :  o  meglio  ancora,  troviamo  stipulalo  che 
gli  abitanti  di  Romano  nuovo  «  ad  mattata  burgi  debenl  stare 
«  et  esse  et  ita  debent  esse  liberi  ut  unus  ex  burgis  civitatis 
«  Pergami.  »  La  stessa  divisione  del  nostro  territorio  per  le 
quattro  «  Factae  porlarum  »  di  S.  Lorenzo,  cioè,  S.  Alessan- 
dro, S.  Stefano,  e  di  S.  Andrea,  anche  in  un*  epoca  in  cui  la 
maggior  parte  del  borgo  S.  Leonardo  era  circondata  di  mura, 
dimosfra  la  persistenza  nel  restringere  il  concetto  legale  di 
««città  »  alia  parte  antica  e  collocata  in  alto.  iVJoisè  del  Brolo 
adunque  nella  sua  descrizione  partiva  da  questo  concetto  :  chia- 
mava esterno  il  borgo  Petrorio,  perchè  infatti  era  fuori  del 
primitivo  ricinto  «Iella  Città,  e  si  trovava,  rispetto  ad  essa,  in 
quei  rapporti  giuridici,  in  cui  vedemmo  circa  un  mezzo  secolo 
di  poi,  essere  costituito  il  borgo  di  Romano  che,  da  essa  dista- 
va effettiva  nente  A\  parecchie  miglia. 
3o.  ap.  Lup.  Il  8i.  565. 
Si.  {Imi    II.  499. 

3i  E  evidentemente  un  addiettivo  colla  formazione  in 
anus  che  indica  somiglianza  o  pertinenza;  ma  l'etimologia  del 
s<-m pine  *  Plaurio  ci  sfugge,  sebbene  possa  trovare  molte  at- 
tinenze nelle  Irrigue  ar  oeuropee.  Come  poi  da  Plaurianum  sia 
sorto  Plorzanum  a  nostro  giudizio  si  può  spiegare  con  una 
particolarità  del  nostro  dialetto.  Premetteremo  intanto  a  titolo 
di  semplice  comparazione,  rln*,  sebbene  in  latino  la  semivocale 
j  in  rnez/o  a  parole  non  siasi  mantenuta  che  tra  due  vocali, 
tuttavia  è  noto,  t\it  quando  le  leggi  della  prusodia  lo  richie- 
devano, ricompariva  anche  dopo  consonante,  per  cui  a  cagione 
d'esempio,  in  quei   versi  di   Virgilio 

« nec  claustra,  nec  ipsi 

«  Cuslodes  suff  rre  valcnt.  Labal  ariete  crebro 

«  Janua  » Aen.   II.  49^. 

<e cujus  apertum 

«  Ad  versi   louga   transverberat  abiete  pectus.  » 

Ib.d.  XI.  667. 
la  /  di  ariete  e  di  abiete  ha  il  valore  della  semivocale  corri- 
spondente j  (  Raudry.  gram.  comp  §.  177  in  not.  ).  Che  que- 
sto dopo  la  r  ed  avanti  a  vocale,  succedesse  e  succeda  nel  no- 
stro dialetto,  è  foraa  ritenerlo,  poiché  in  diverso  modo  sarebbe 
inesplicabile,  come,  a  ragion  d'esempio,  possano  sussistere  for- 
me quali  sgarià  e  sgargia  (  frugare  )  ,  Maria  e  Margià 
(Mariano,  villaggio)  e  così  di  seguile)  a  noi  .pare  evidentr  per- 
tanto che  nella  pronuncia  di  Plaurianum  (  =  Pìaurjanum  ) 
debba    essere    succeduto    un    fenomeno    pressoché    identico,    vi 


200 

debba  essere  stata,  cioè,  per  attrazione  della  j,  una  forma  di 
transizione  *  Pìaurdjanum  (Curtius,  Gr.  Elym.  II.  187  194. 
—  Srhleicher,  Comvend.  ecc  §.  «45)  la  quale  fu  come  il 
funddiiit'iito  da  cui  sorse  la  g.  palatina,  che  alla  sua  volta  3'  è 
trasformata  nel  suono  z  ,  come  ^verbigrazia  si  trasformò  in 
zet  Ialino  gen(l)s,  in  zenocc,  lat.  genu,  it.  ginocchio,  in 
arzent.  lat  argentum  ecc.  —  La  forma  poi  P/or  per  l'origi- 
naria  Plaur  —  non  ha   bisogno  di   ulteriori  commini'. 

33.  V.  docum.   ap.  Lup.  II    499-  5o5.  565.  589.  653.  1 1  1 7- 

34.  Ibid.   I.  5o6. 

35.  Ibid.   II     li. 

36.  Ib.d.  II     19. 

37.  Hegel,  Star,  della  Cost.  ecc.  p,  3^5. 

38.  ap.   Lup.   I.  865 

39.  Ibid    I.  9^5.  939.  947.  957. 

40.  Ibid.   I.    io4«. 
4-1.   Ibid.    II.    1  1. 

42.  Ibid.   II.    i5. 

43.  ap.   Lup.   I    868. 

44-  Ad  «  Arnrhis  qui  fuit  Gastaldus  in  Bergamo,  »  ab- 
biamo già  accennato  più  indietro  in  questo  stesso  paragrafo  - 
nel  883  Carlo  il  Grosso  dona  del  le  masserie  a  «  Johanni 
«  Gastaldio  de  curte  nostra   Murgola  ;  »  ap.   Lup.   I.  925. 

45.  Una  pergamena,  ehe  porta  la  data  del  908  (ap.  Lup. 
II.  6»  seg.  ),  parlando  della  Corte  Morgola  e  del  Menato  di 
S.  Alessandro,  dice  che  questo  si  teneva  annualmente:  «  in 
«  prefatae  curtis  rure:  »  un'altra  di  91  1  invece  (ibid.  II  81  } 
dice  sempli»  emenie  «he  quel  Mercato  si  ttneva  «  iuxta  praefa- 
«  tam  urbem.  «  Sebbene  vi  sieno  tutti  gì»  argomenti  per  te- 
nere il  documento  del  908  per  una  finzione  di  un'epoca  po- 
steriore, tuttavia  avea  una  base  di  vero  ,  ed  era  abbastanza 
antico  per  poter  sapere  ancora  in  qual  luogo  si  teneva  quel 
Mercato.  È  probabile  fosse  nell'umica mo  o  duodecimo  secolo 
al  più  modellato  sulle  rimembranze  dell'originale  perduto,  su 
alcune  note,  e  su  a'tre  carte  allora  esistenti  :  e,  dato  ciò,  come 
non  dubitiamo  di  affermare,  sarebbe  chiaro  che  i  possessi  della 
Corte  Regia  si  spingevano  fin  dove  è  ora  la  Piazza  Cavour, 
la  Fura  ecc.  Insomma  il  documento  del  908,  non  è  un  do» 
eumento  aut?nt"0  ma  è  abbastanza  anti'o,  perchè  alcune  sue 
indirazioni   sieno  tenute   \t\  pregio. 

46.  ap.   Lup.  II.   4**5. 

47.  Ibid.   11.   5oi. 

48.  Moys.  perg,  43  e  seg.  Ora  per  una  contrazione  affat- 


204 

to  normale  del  nostro  dialetto,  provocata  dalla  caduta  della 
vocale  breve  non  accentuata,  è  detta  Moria. 

49.  ap.  Lup.  I,  891. 

50.  Ibid.  II.   89. 
5i.  Ibid.  II.  759. 

52.  N.  269  delle  Pergamene  nella   Bibl. 

53.  Questa  nota  la  tolgo  dal  Pasta,  Pitture  notabili  di 
Berg.  p.   107  nota   1. 

54.  ap.  Lup.   I.  781. 

55.  ap.  Lup.  I.  784. 

56.  Ibid    I.  85 1. 

57.  Ibid.  II.  37     195. 

58.  Moys.  perg.  47  e  seg. 

59.  Il  cambiamento  di  n  in  l  non  è  senza  esempio  nelle 
lingue  antiche  e  nelle  neolatine  (  Bopp,  vergi.   Gram.    §.    20. 

—  Baudry,  Gram.  comp.  §.  48.  ),  come  non  lo  è  nel  nostro 
dialetto,  se  badiamo  a  forme  quali,  ad  esempio  lumina  (no* 
minare  ),  calonga,  calònega  (  canonica  )  paltà  (  pantano  )  e 
quindi  Pompinianum  e  Pompilianum,  per  cui  il  Pompianum 
degli  Statuti  è  più  facile  sia  venuto  in  via  mediata  da  una 
forma   Pompilianum,  che  immediatamente    da    Pompinianum^ 

—  Ad  ogni  modo  non  ci  è  difficile  dimostrare  come  la  storia 
del  nostro  dialetto  ci  presenti  ragguardevoli  esempi,  i  quali  ci 
fanno  vedere  che  la  caduta  della  sillaba  -//,  -el  \  se  così  pos- 
siamo esprimerci)  in  parole  affini  nella  forma  a  Pompilianum 
segue  in  virtù  di  una  legge,  che  possiamo  ritenere  costante. 
Quindi  abbiamo  :  Cimeliarca,  Cimeliarchia,  poi  Cimiarca 
(ap.  Lup.  II.  1307.),  Cimiarchia  nei  nostri  Statuti:  Bunde- 
lione  (ap.  Lup.  II.  533. )  e  Bondione  :  Mareliano  e  Maria- 
no fdi  cui  possediamo  la  forma  media  Maritano  ap.  Lup., IL 
22!,  col  che  cadono  le  congetture  del  Rota  sulla  origine  di  questo 
nome  dai  Marii  :  Stor.  di  Berg.  p.  i3o.  nota  3.  )  :  Campìlioni 
e  Campioni  (ì\  nostro  Architetto,  del  cui  nome  la  forma  me- 
dia Campleono  si  trova  sulla  porta  di  S.  Maria,):  Spellano 
e  Piano  (di  Gaverina  )  :  Carpelioni  fap.  Lup.  IL  1 393, 
1395,  1397  e  pass.^  e  Carpioni,  e  quindi  necessariamente 
Pompinianum  per  Pompilianum  in    Pompianum. 

60.  Stat.  a.  1 33 1 .  col.  IL  li,  —  Del  resto  è  a  notare, 
che  non  abbiamo  citato  questo  brano,  che  per  mostrare  la  con- 
fusione che  in  una  certa  epoea  esisteva  fra  questi  due  nomi. 
La  strada  qui  citata  è  una  strada  esterna  che  da  S.  Grata 
ìnter-viles  conduceva  al  borgo  di  Pompiano,  e  che  appunto  per 
questa  sua  direzione  e  pel  luogo  a  cui   metteva  capo    avea    pi- 


202 

gliato  il  uome  ài  Pompiano  o  Broseta  :  è  rio  è  tanto  vero,  che, 
mentre  la  contrada  Broseta,  il  vero  borgo  di  Pompiniano,  avea 
ed  ha  una  direzione  da  oriente  ad  occidente,  questa  via  invece 
discendeva  da  settentrione  a  mezzodì  ( stat.  a.  1391.  col.  VII. 
nella  deff\  vie.  S.  Grat. ).  —  Ad  ogni  modo  la  denominazione 
di  Broseta  dovea  cominciare  a  preponderare  anche  all'epoca  in 
cui  scriveva  Moisè  del  Brolo  poiché  nel  1117  (ap.  Lup.  II.891J 
troviamo  un  prato  in  «  Broxeta  prope  Loiiijolasea  »  e  non  in 
«  Ponpiniano  ».  Qui  si  deve  ammettere  che,  od  il  nostro  poeta  ab- 
bia raccolto  qua  e  colà  qualche  nome,  che  gli  fornisse  il  pretesto 
di  tirare  in  campo  antiche  reminiscenze,  e  che  quindi  il  bar- 
barico Broxeta  ( che  forse  più  anticamente  suonava  Burxexida. 
—  ap.  Lup.  II.  1 39^  non  potesse  porgere  un  argomento  suf- 
ficiente alle  poetiche  sue  induzioni  piene  di  reminiscenze  del- 
l'epoca romana  :  ovvero  (a  qui  ci  duole  di  dover  dare  a  que- 
sta argomentazione,  la  quale  noi  accettiamo,  l'aspetto  di  una 
ipolesi,  che,  speriamo,  verrà  senza  dubbio  sufficientemente  rin- 
francata allorquando  parleremo  della  Topografia  della  nostra 
città  all'epoca  degli  Statuti ),  che  il  nome  di  Broxeta  non 
fosse  allora  applicato  all'attuale  contrada  cittadina,  ma  al  grup- 
po di  abitazioni,  ora  «hiamato  Loreto,  ed  agli  sparsi  casali  ed 
ai  terreni  circostanti.  Con  questo  si  intendono  meglio  i  confi- 
ni delle  vicinìe  cittadiue-:  si  comprende  come  il  riolus,  che 
partiva  dal  fonie  di  Cereto,  passasse  in  Broseta,  in  fine  si  co- 
nosce che  il  nome  di  Broseta  attribuito  alla  p<»rta  cittadina,  le 
derivò  non  dalla  contrada  che  ad  essa  mette  capo,  ma  dal  pic- 
colo villaggio  che  erale  vicino,  come  dal  più  prossimo  villagr 
gio  ebbero  nome  le  Porte  di  Colognola,  Osio  ecc.  In  tal  modo 
resta  chiarito,  come  all'attuale  contrada  di  Broseta  spettasse 
unicamente  e  propriamente  l'appellazione  di   Pompiniano. 

6r.  ap.  Lup.  II.  35. 

62.  Ibid.  II.  57. 
■      63.  Ibid.  II.  297. 

Mi  Ibid.  II.  421.  4^3.  555. 

65.  Moys.  perg.  63   è  seg. 

66.  Per  parlare  più  esattamente,  la  espressione  più  sotto 
citata  del  nostro  Moisè  «  Hinc  ubi  procedes  sce  »  per  accen- 
nare alla  posizione  di  Credasio,  deve  riferirsi  al  fonte  di  Cere- 
to e  non  al  borgo  Petrorio.  Combinerebbe  con  ciò  il  fatto,  che 
nella  descrizione  della  parte  esterna  della  vicinia  di  Antescoli 
(la  quale  entro  la  città  comprendeva  la  contrada  di  S.  Grata, 
col  Vescovado,  la  chiesa  di  S.  Maria  Maggiore  e  l'attuale  pa- 
lazzo della   Biblioteca^,  lo  statuto  del    % 33 1    (col.  ti.    fa)    ci 


203 

parla  di  una  via  fatta  per  «  le  Ortaglie  »  la  quale  metteva 
capo  in  altra  via  che  dal  fonte  di  Cereto  poneva  in  Predono. 
Il  ronfine  della  vinnia  volgeva  verso  quel  fonte  donde  partiva 
un  rigagnolo  («  riolus  »  ),  ebe  discendeva  in  Broscia  (  Loreto) 
e  scorreva  anzi  p?jr  Broseta.  Combinano  poi  insieme  queste 
indicazioni  con  quelle  date  ♦"ella  descrizione  delle  altre  V'cinie 
quando  si  badi  che  il  detto  fonte  s;  trova  a  un  di  presso  nei 
dintorni  di.  S.  Lucia  vecchia,  e  più  precisamente  a  circa  225 
metri  a  N.N.O.  da  questa  chiesa  nel  prato  detto  ancora  di 
Cereto,  per  cui  viene  ad  essere  ad  occidente  e  dello  colonna  di 
Credasio  e  in  pari  tempo  del  borgo  Petrorio  fle  contrade  di 
S.  Carlo  e  del   Mattarne  J. 

67.  ap.   Lup.   il.   57. 

68.  Moys.   Perg.   75-76,  81-86. 

69.  ap.  Lup.  II.  22»  267.  nelle  sottoscrizioni.  — Frale 
soscrizioni  ad  una  carta  del  982  troviamo:  «  Riprandi  qui  et 
«  Gunzo  germanis  fil.  quondam  item  Benedicti  de  loco  Creda- 
«  ciò,  isti  de  eadem  civitate  B«rgamo.  «  ap.  Lup.  IL  36i. 
Anche  qui  si  vede  che  quei  due  fratelli  aveano  abbandonalo 
la  casa  paterna,  per  trasportarsi  nella  città;  un  indizio  di  più 
an«he  questo  che  in  Credasio  vi  erano  abitazioni,  che  insomma 
questo  alla   nostra  epoca   era   già   un   borgo. 

70.  Pinamont.  Kit.  s  Grat.  cap.  VII.  ed.  Rovet.  1822. 
—  Stat.  a.  i453.  coli  VII.  87  —  La  vicinia  di  S  Stefano 
abbracciava  le  attuali  contrade  del  Mattume,  di  S.  Carlo  e  di 
S.  Ch'ara  fino  all'ospitale  della  Maddalena  da  una  parte,  e  dal- 
l'altra fino  ad  una  casa  degli  Umiliati  detti  di  Ciserano,  che 
poscia  era  passata  nelle  mani  di  privati.  Il  confine  di  questa  vi- 
einia  poi  correva  lungo  la  via  del  La  pacano  fino  a  certi  Mulini 
nuovi,  1  quali  nella  seconda  mela  del  secolo  decimoquarto  erano 
diventati  proprietà  della  Misericordia  Maggiore  di  Bergamo.  Il  resto 
poi  della  contrada  (ino  alle  Cinque  vie  (od  alla  contrada  di  Ga- 
linazza)  era  diviso  fra  due  vicinie  :  la  parte  orientale  spettava 
alla  vicinia  di  S.  Alessandro  in  Colonna,  la  occid«ntale  a  quella 
di  S.  Leonardo  L'ospitale  della  Maddalena  e  la  casa  degli  Umilia- 
ti venivano  adunque  a  trovarsi  sul  conline  di  tre  vicinie:  le  espres- 
sioni poi  dei  nostri  Statuti  ci  autorizzano  ad  ammettere  nel  modo 
più  cerio  che  questa  casa  degli  Umiliati  si  trovasse  di  fronte 
alla  Maddalena.  Ora,  da  una  parte  la  vicinia  di  S.  Alessan- 
dro cominciava  all'ospitale  ed  alla  chiesa  della  Maddalena:  ver- 
so mattina  si  dilungava  per  la  strada  di  Eorgofuro,  verso  mez- 
zodì correva  lungo  il  lato  di  levante  dell'attuale  borgo  S.  Ales- 
sandro fino  alle  Cinque  vie;  la  vicinia  di  S  Léonard-»,  dalla 
parte  opposta,  cominciava  dalla  casa  degli  Umiliati,  ed  andava 


204 

verso  occidente  p^r  la  via  di  Credano  fino  al  muro  delta  cit- 
tà ;  poi,  principiando  anrora  dalla  stessa  casa,  Terso  mezzodì 
abbracciava  la  parte  occidentale  delia  contrada  di  S.  Alessan- 
dro, per  cui  la  chiesa  di  S.  Leonardo,  topograficamente,  resta- 
va inclusa  nella  vininia  di  S.  Alessandro  :  ragione  ^er  la  qua- 
ve  i  nostri  Statuti,  dal  più  antico  al  più  recante,  non  omette- 
vano di  notare,  che  essa  ch'esa  andava  detratta  da  quella  vi- 
cinia.  Questo  abbozzo  che  abbiam  dato,  e  nel  quale  non  pre- 
tendiamo alla  più  minuta  esattezza,  speriamo  basterà  a  con- 
vincere ognuno,  che  la  via  di  Credarìo  dovea  trovarsi  a  un 
di  presso  di  fronte  alla  Chiesa  della  Maddalena  od  alla  con- 
trada di  Borgofuro,  il  che  combinerebbe  precisamente  colla  no- 
tizia tramandataci  da  Moisè  (  prescindendo  dalla  parte  leggen- 
daria ehe  la  infiora  ),  che  il  luogo.,  ove  il  ricco  Cretazio  avea 
innalzato  la  sua  villa,  ed  ove  i  suoi  sudditi  gli  eressero  l'alta 
colunna  ebbe  nome  da  lui  ( Perg.  v.  83  e  seg.  ):  si  vede  chia- 
ramente che  a  queste  abitazioni  raggruppate  intorno  alia  chiesa 
di  s.  Alessandro  nell'under  imo,  od  al  principio  del  duodecimo 
secolo,  si  era  conservato  il  nome  di  Credasio,  o  ,  the  è  lo 
stesso,  di  Credario  (il  Crotacio  della  favola ) '>  che  poi  nel: 
quindicesimo  secolo  una  tale  appellazione  s'era  ristretta  ad  una 
via,  che  metteva  capo  un  po'  al  disopra  di  quella  chiesa  nella 
contrada  maggiore  del  borgo  omonimo.  —  Per  qutsle  indica- 
zioni cfr.  Stat.  a.  1 33 1 .  coli.  II.  5o,  5i,  52.  Stai.  a.  1 353. 
eoli.  VII.  )»4,  n5,  116.  Stai.  a.  1391.  coli.  VII.  Stat.  a. 
i453.  coli.   VII.  86,  87,  88. 

71.  ap.   Lup.   I.  894.  II.  38.  223. 

72.  Ibid.   II.  35. 

73.  Ibid.  II.  58.  —  La  disposizione  del  nostro  più  anti- 
co Statuto  «  de  via  sive  slrata  de  Predorio  aptanda  »  (index 
col,  11.  29J,  indica  in  certo  modo  la  antichità  di  questa  via, 
se  si  era  creduto  riattarla  in  un'epoca,  in  cui  la  polizia  stra- 
dale era  tutt'allro  che  oculata. 

74.  Noi  poniamo  assieme  i  due  documenti  del  91 1  e  del 
938  fap  Lup.  II.  Si.  195);  la  vigna  di  Adalberto  ha  «  ab 
u  uno  latere  via  prope  muro  ipsius  civitatis  "  :  l'altra  invece> 
posta  sotto  il  Monastero  vecchio  di  S.  Maria,  ha  a  settentrio* 
ne    il  muro  cittadino,   a   mezzodì   la   via. 

75.  p.  e.  Stat.  a.    1 33 1 .  col.  II.  47> 

76.  ap.   Lup.  II.  67. 

77.  Ibid.   II.    109.    1 65. 

78.  Ibid.  II.    i65-i68. 
79    Index  col.  XV.  33. 
80.  ap.  Lup.  II.  4^5. 


205 

8i.  Ibid.  I.  873.  II.  4^3. 

82.  Il  rapporto  fra  «  GalinarJa  e  Galinazia  ,  Galinazza  » 
ci  sembra  molto  dubbio,  e  quanto  a  noi,  quando  pure  do- 
vesse indicare  una  medesima  località,  non  sapremmo  compren- 
dere come  le  due  ultime  forme  di  quel  nome  abbiano  potuto 
sorgere  dalla  più  antica,  la  quale,  nel  nostro  dialetto  avrebbe 
dovuto  suonare  «  Galinéra  »  non  mai  «  Galinazza  ».  Piutto- 
sto è  a  notare  che  la  espressione  del  documento  del  875  : 
«  Casa  vero  et  rebus  meis  infra  muro  Bergamo  seo  vinea  od 
«  ipsa  casa  pertinente  que  est  in  Gallinaria  »  (ap.  Lup.  I. 
873),  si  può  pigliare  in  due  sensi:  1 ,°  o  che  alla  casa  di 
quel  diacono,  la  quale  si  trovava  entro  la  città,  fosse  unita 
una  vigna,  e  che  quindi  casa  e  vigna  si  trovassero  in  una  me- 
desima località  detta  Gallinaria,  a  noi  del  resto  perfettamente 
sconosciute  :  2.0  ovvero,  che  soltanto  la  casa  si  trovasse  entro 
il  ricinto  delle  mura,  mentre  la  vigna  fosse  situata  fuori  di 
e9So,  e  che  il  rapporto  di  pertinenza  indicato  in  quel  Testa- 
mento, riposasse,  parte  sulla  unica  proprietà  dei  due  enti  le- 
gati, parte  sul  fatto  che  chi  coltivava  la  vigna,  non  {abitasse 
già  in  Gallinaria,  ma  nella  casa  stessa  del  testatore  entro  la 
città.  Quanto  a  noi  propendiamo  per  la  seconda  supposizione. 
Per  quanto  sia  ruzzo  il  linguaggio  di  quel  documento,  non  è 
tuttavia  difficile  il  comprendere  come  il  testatore  abbia  voluto, 
nel  mentre  ne  segnava  una  stretta  attinenza,  anche  indicare  il 
diverso  luogo  in  cui  erano  posti  e  la  casa  e  la  vigna  :  quella 
era  collocata  «  infra  muro  Bergamo  »  questa  «  in  Gallinaria  » 
e,  a  nostro  vedere,  non  è  a  dubitarsi  che  nella  prima  ipotesi 
da  noi  fatta,  un  semplice  giro  di  parole,  a  cagion  d'esempio 
questo  :  «  casa  vero  et  rebus  meis  in  Gallinaria  in  fra  muro 
«  Bergamo  seo  vinea  ad  ipsa  casa  pertinente  etc.  ».  od  altro 
somigliante  avrebbe  tolto  ogni  dubbio.  Conferma  poi  la  nostra 
induzione  il  fatto  che  nel  101 3  troviamo  un  pezzo  di  terra 
«  in  monte  non  longe  eadem  civitate  .  .  .  locus  ubi  Gallinaria 
«  dicitur  »  (  ap.  Lup.  II.  4^3  ),  da  cui  si  comprende  eviden- 
temente che  infatti  fuori  della  città  e  sul  monte  sul  quale  essa 
è  posta  vi  era  un  luogo  detto  «  Gallinaria  »  :  per  il  che,  om- 
messe  tutte  l'altre  ipotesi  sulla  posizione  di  questa  località,  è  a 
ritenersi  indubitata  la  nostra  induzione.  Il  Lupi  poi  (II.  876^ 
che  fa  quasi  le  medesime  considerazioni  ,  non  vide  però  la 
connessione  dei  due  documenti  del  875  e  del  ioi3  e  non  potè 
quindi  farne  risultare  la  più  soddisfacente  interpretazione  delle 
espressioni  del  diacono  Stefano,  e,  lasciando  la  cosa  in  dubbio 
richiamò  l'attenzione  dei  lettori  sul  più  antico  significato  di 
«  infra  »  che,  sgraziatamente  per  la  sua  ipotesi,  non  è  mai 
usato  nei  nostri  documenti. 


206 

83.  V.  p.  e  Stat  Mss.  Cartaceo  nella  Biblioteca.  Sala  L 
D.   Fila   V.  9.  ove   parla  della   vicinia  di   S.   Mi<  hele  del  pozzo. 

84-  ap.  Lup.  li.  109  Ciò  risulta  dall'esame  dei  nostri 
Statuti.  Quello  del  1 33 1  fll.  fa)  parla  della  Platea  de' Pi- 
gnolo :  «  il  più  recente,  che  è  quello  del  1 4^7  (  co\\,  VII. 
«  dono  Sozzi  )  nomina  la  «  plateam  de  la  Galmazia  que  quan- 
ta dam  apprllabatur  platea  Pignoli  ».  Or»,  e  noto  che  la  Piazza 
della  Galmazza  era  ad  una  estremità  dell'attuale  contrada  di 
S.  Tommaso,  la  cui  denominazione  le  è  derivata  da  una  chie- 
suola, che  pure  era  chiamata  S.  Tommaso  della  Galinasza,  e 
la  quale  era  posta  presso  a  poco  un  po'  al  disopra  e  dalla 
parte  opposta  della  caserma  del  Paradiso.  Ora  è  evidente  che 
all'epoca  della  redazione  degli  ultimi  nostri  Statuti  il  nome  di 
Pignolo  attribuito  a  questa  località  non  era  nulla  più  che  una 
lontana  rimembranza;  il  che  ci  porta  a  ritenere  che  qui  sen- 
z'altro dovesse  trovarsi  il  «  Pignolo  »  delle  nostre  più  antiche 
carte.  La  fontana  poi  dei  Gozzi  all'epoca  della  redazione  dello 
Statuto  del  1 353  si  chiamava  «  fons  de  Tovis  »,  ma,  come 
nota  questo  importante  Statuto,  u  quondam  appellabatur  fons 
«  de  Piniolo.  et  (  e$\  )  iuxla  ecclesiam  disciplinorum  S.  To- 
«  maxii  ».  —  Stat,  Mss.  a,   1 353.  coli.  XVI.    119. 

8*.  Ibid.  II.   i65. 

86.  ap.    Lup.  II.  689. 

87.  Ibid.  11.  i343.  Che  il  S.  Alessandro  di  Mugazione 
non  sia  il  S.  Alessandro  alla  Moria  fora  i  Capuccini),  come 
erroneamente  opinò  il  Ronchetti  (o  chi  compose  l'Indice  della 
sua  opera,  voi.  VJ,  p.  11.  ),  lo  dimostra  una  carta  inedita  del 
ia44  (  N.  439  m  Bibl.j)  nella  quale  leggiamo:  «  in  burgo  de 
s<  Mugazione  in  domo  ecclesie  S.  Alexandri  de  Lacruce  ».  •*- 
Cfr.  Pinam.  Vit.  S.  Grat.  8. 

88.  Ronchetti  o,  e,  III.  228. 

89.  £  inutile  avvertire  che  quanto  si  narra  dal  Pinamonte 
(  Vit,  S,  Grat,  8)  e  da  altri,  i  quali  vogliono  trarre  «  Mu- 
ti gazone  »  da  «  Mutatione  »  è  una  poco  spiritosa  invenzione 
fondata  sopra  una  leggenda  che  non  ha  nessun  carattere  storico 

90.  ap    Lup.   II.  67. 

91.  Ibid.  II.  37. 


92. 

Ibid. 

II.  279. 

93. 

Ibid. 

II.  67. 

94. 

Ibid. 

I.  993. 

95 

Ibid. 

li.  191. 

96. 

Ibid. 

11.  56i. 

195. 
Fine  della  terza  ed  ultima  parte. 


207 


INDICE 


Avvertenza Pag.      3 

PARTE  I.  —  Gli  Edifici  pubblici 

Chiese  interne* 


1.  Cattedrale  di  S.  Vincenzo 

8 

2.  S.  Maria  Maggiore    .    . 

,    »      13 

3.  S.  Cassiano       .    .    .    ,     . 

»       17 

4.  S.  Giovanni  in  Arena     . 

,     »      18 

5.  S.  Agata       

,    »      19 

6.  S.  Matteo 

.     »       21 

7.  S.  Eufemia 

.     »      22 

8.  S.  Pancrazio      .... 

.     »      24 

9.  S.  Maria  della  Torre 

.     »      26 

Chiese  esterne» 

10.  Cattedrale  di  S.  Alessandro 

11.  Chiesa  di  S.  Pietro    .     .     . 

12.  S.  Grata  inter-vites        .    . 

13.  S.  Lorenzo         .     .   '.     .     . 

14.  S.  Andrea 

15.  5.  Michele  al  Pozzo  bianco 


29 
39 
ivi 
40 
41 
42 


208 

Monasteri  e  Chiese  annesse. 

«  16. 

Monastero  e  Chiesa  di  S.  Salvai.   Pag. 

43 

«  17. 

Monastero  e  Chiesa  di  S.  Michele    » 

45 

<  18. 

Monastero   vecchio  di  S.  Maria    .    » 
Senodochll. 

48 

Avvertenza       »  49 

19.  S.  Cassiano »  51 

20.  Casanova  in  Arena    .,.,.»  52 

21.  Senodochio  di  S.  Alessandro     .    .     »  54 

Le  dne  Canoniche 


Avvertenza       

» 

55 

<  2^1.  Canonica  di  S.  Vincenzo 

5 

56 

«  23.  Canonica  di  S.  Alessandro 

» 

58 

Alivi  Edifici!. 

«  24.  //  Vescovado »  59 

Citazioni  e  Note    ....,.>  61 

PARTE  II.  —  La  Citta' 

ti.//  nome  della  Città »  69 

t  2.  Posizione  della  Città         .    ,    .    .  »  72 

«  3.  J7  Jl/ottte  della  Città »  81 

«4.  Le  Mura  della  Città        ....  »  83 


209 

«     5. 

Le  Torri  cittadine Pag. 

98 

«     6. 

Le  Porte  della  Città » 

102 

«     7. 

Le  Vie  interne  della  Città  .     .    .     » 

114 

«     8. 

Le  Piazze  cittadine » 

127 

«    9. 

Le  Fonti      • 

139 

«  10. 

Alcuni  particolari  sull'interno  della 

Città       » 

143 

Citazioni  e  Note        » 

148 

PARTE  III.  —  I  Contorni  della  Citta' 

1.  //  Castello p  165 

2.  La  Chiesa  di  S.  Vigilio       ...»  169 

3.  Borgo  Canale  e  suoi  contorni       .     »  170 

4.  Fabriziano »  172 

5.  Plauriano »  174 

6.  La  Corte  Regia  della   Moria.    —    Il 

borgo  Palazzo       »  176 

7.  Paltriniano »  180 

8.  Pompiniano »  182 

9.  Petrorio »  184 

10.  Credasio       »  185 

H.  Le  Vie  esterne       ....,.>  188 

12.  Altri  particolari  sui   contorni   della 

Città       »  191 

13.  Conclusale       »  194 

Citazioni  e  Note »  197 


ALCUNE  INDICAZIONI  PER  SERVIRE  ALIA  TOPOGRAFIA  DI  BERGAMO  NEI  SECOLI  IN  ,  N 


SPIEGAZIONE 

1    Cattedrale  t/i  .  f.  finca 

xo 

1 

9    S. )/„/„■/,  JclMonastero  nuovo 

2    S.Maria  Mano.ore 

10  Monastero  vecchio  eh.  S.Maria,. 

i    S.Gùrvaam  ,n  .Irma 

11   Ondale  e  CAiesa  ,/,  S.Cusiano 

4   S./a«ta 

12  Kscooaa'o 

5  s /;„„■„,„<, 

13  /estuane  .M/o  CAiesa  di.  S.  laren  .  o      n 

ru/laj 

O    S.Fufimla 

11  S.Jndrea 

7    S.Maria  dOla  Torre 

IO  S.MieèeZe.del&xxoXùuuo 

8    S.  Salvatore      >■'     ut 

roj 

ABCDE  Zuoy/a  dove  esistono  aaaiuUdel 

ro.ron.nro          | 

ALCUNE  INDICAZIONI 

PER    SERVIRE 


ALLA 


TOPOGRAFIA  DI  BERGAMO 

DEI   SEGOLI   IX.0   E   X.° 


Prezzo  L.  2.  50. 


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