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Full text of "Alessandro Poerio a Venezia"

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ETTEREeDoCUMENTI 

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YlTTOKIO  TmBRIANI 

Editure  Domeiiiro  Morano 
IV  A  P  OLI 


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ALESSANDRO  POERIO 


VENEZIA 


UTTEE  E  DOCIENTI  DEL  1848  IllIlSTRATl 


DA 


VITTORIO  IMBRUNI 


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NAPOLI 

DOMENICO  MORANO  LIBRAJO  -  EDITORE 
Strada  Quercia  14,  Cisterna  deir  Olio  36. 

M.DCCaLXXXIV. 


1/ 


HARVARD  COLLEGE  LIBRARY 
H.  NELSON  GAY 

USORGIMINTO  COLLfXnON 

GOOU06E  FUND 

1031 


S*  intendono  riservati  tutti  quanti  i  diritti  di  proprietà  let- 
teraria dell*  Editore  Domenico  Morano,  in  conformità  delle 
leggi  sulle  opere  dell*  ingegno,  essendosi  adempito  quanto 
esse  prescrivono. 


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TIPOGRAFIA    DI    V.    MORANO 
nell'Istituto  Casanova. 


PREFAZIONE 


Nel  volume  presente,  contiensi  il  carteggio  di  Ales- 
sandro Poerio,  dal  giorno,  in  cui  lasciava  Napoli,  con 
Guglielmo  Pepe  (4  maggio  1848),  alla  sua  morte  (3 
novembre):  cioè,  quasi,  tutte,  le  lettere  indirizzategli; 
e,  quasi,  tutte ,  le  scritte ,  da  lui ,  alla  famiglia.  Po- 
chissime, invece,  (due  o  tre,  appena),  di  quante  egli 
ne  diresse,  ad  amici  o  conoscenti.  E  si,  ch'io  non  ho 
pretermessa  diligenza,  per  rintracciar,  anco,  queste. 
Ma  le  più  sono  state ,  sembra ,  distrutte,  da'  destina- 
tari ,  che  le  reputa van  compromettenti  o  che  non  vi 
annettevan  pregio.  Altri,  a  vantarsi ,  meco  o  con  gli 
ambasciadori  miei,  di  possederne ,  tuttavia ,  parecchie: 
ma  par ,  che  sia  impresa  disperata  il  mettervi  su  la 
mano ,  tra  le  farragini    delle   lor  carte.  Me  le  han 
fatte  sperare  ;  ma  ho  sperato ,  indarno.  Ad  un  solo 
de'  corrispondenti  del  Poerio,  che  vive,  ancora,  repub- 
blicano, mazziniano,  cairolino,  non  ho  avuto  stomaco 
di  rivolgermi,  io,  che  goder  di  tai  bestie  non  soglio. 

Ho  volsuto  pubblicar  questo  epistolario,  parendomi, 
che  specchi ,  ingenuamente,  que'  tempi.  Leggendolo, 
o  ch^io  sbaglio,  si  rivive,  in  essi;  si  penetra,  negli  ani- 
mi degli  attori.  A  Tizio ,  molta  roba  sembrerà  sover- 
chia. E  Gajo  si  meraviglierà:  ch'io  non  abbia  soppresse 
le  missive  di  minore  o  nessun  conto;  ed  amputato,  qua 


e  là.  Ma,  io,  il  mestiere  del  Norcino  mi  piace  poco. 
E  ritengo,  che  i  carteggi  non  debban  ridursi  ad  opere 
d'  arte  ,  anzi  lasciarsi,  come  la  realtà  li  ha  prodotti:  ■ 
sint  ut  sunt,  aul  non  sinl.  Ogni  emenda,  ogni  pota 
ò  una  falsificazione.  Per  lo  ombre,  risaltano  i  lumi.  I 
più  vili  particolari,  si  trova  chi  n'  è  ghiotto,  ed  a  ra- 
gione. Se,  fra  le  epistole  di  Marco  Tullio  Cicerone  o  le 
lettere  della  Maria  di  Rabutin-Chantal ,  marchesana 
di  Sévigné  ,  e'  imbattessimo  in  note  di  bucato  ,  forse, 
anzi  senza  forse,  molti  eruditi  valuterebber  quegli  elen- 
chi, assai  più  degli  sproloqui  ad  Attico  e  delle  moine 
con  la  contessa  Francesca-Margherita  di  Grignan. 

Tre  figure  campeggiano,  in  questo  quadro:  la  ba- 
ronessa Poerio  ed  i  suoi  figliuoli,  Alessandro  e  Carlo. 
Non  mi  s'addice,  il  lodar  l'avola  mia  materna  ed  i 
zii.  Solo ,  una  cosa  voglio  aver  detta.  Eran  persone, 
signoreggiate  dal  concetto  del  dovere.  Devote  alla  pa- 
tria, pronte  a'  sacrifizi,  non  isfoggiavano,  teatralmente, 
sentimenti  ed  abnegazione.  Ned  Alessandro,  che,  in 
età  matura,  fu  sincero  cattolico  e  zelante,  che  tal  mo- 
ri, faceva  pompa  del  suo  fervor  religioso.  Davan,  con 
semplicità,  vita  e  tutto.  Nulla,  in  que'  due  petti  virili, 
(spesso ,  anche ,  discrepanti)  del  ciarlatano  politico 
dello  avventuriere.  Non  eran  de'  tanti,  che  pospo 
gono  l'interesse  pubblico  al  privato;  o  che  (se,  pur 
servono  il  paese  o  gli  consacrano  tempo ,  sostanza 
6  sangue)  son  mossi,  dalla  speranza  secreta  d'un  sala- 
rio, ed,  0  prima  o  poi.vengono  a  pitoccarlo,  sotto  una  od 
altra  forma.  Nessuna  ostentazione  di  patriotismo,  nes- 
suna smanìa  di  pubblicità,  in  quella  donna:  non  aveva  a 


I 


mendicare  un'  aureola  civica ,  per  obumbrar  magagne 
della  vita  domestica.  Non  che  fosse,  stupidamente,  in- 
conscia, lei,  che,  dal  1799,  soffriva,  per  la  virtù  de' 
suoi.  Anzi,  era  conscia  e  vereconda.  Cosi,  conscia, 
scriveva,  alla  cognata,  nel  1848: — «Io  sono  contenta, 
«  anzi  orgogliosa ,  che  tutto  ciò ,  che  ha  nome  Poerio, 
€  si  adopri,  per  la  buona  causa.  Vostro  marito,  Ales- 
«  Sandro  ed  Enrico ,  in  Lombardia;  Carlo,  in  Napoli  ; 
€  e  Carlotta,  per  mezzo  di  suo  marito,....  rappresenta 
€  la  sua  parte.  »  —  Cosi,  conscia,  non  molto  dopo,  al 
figliuol  Carlo,  sottoposto  a  processo  capitale,  ella  scri- 
veva : 

Carissimo  figlio, 

Spero ,  che ,  questa  mane ,  sarai  chiamato ,  per  fare  il  tuo 

coitituto;  il  quale,  senza  dubbio,  sarà  quello  delPuomo  di  onore, 

come  dev*essere  il  figlio  di  Giuseppe  Poerio  e  mio.  Ti  abbraccio 

e  benedico. 

A/f.wa  madre 

Carolina 

Afa,  i  savi  ed  i  verecondi,  la  piazza  non  li  ama.  Le  turbe 
concorrono,  invece,  ad  applaudire  que'  dissennati,  che 
le  adulano  e  le  sovreccitano  e  le  sfrenano;  ad  applaudire 
gli  sguajati  pagliacci,  innanzi  a'  quaU  si  batte  la  gran 
cassa.  E  sia!  ned  invidierò  l'ammirazione  del  volgo, 
ammiserì,  ignari  delle  gioje,  che  procaccia  l'adempimen- 
to del  dovere.  Valga  quel  vii  premio,  per  castigo  loro. 
Due  anni  e  mezzo  fa,  iniziando  la  stampa  di  queste 
lettere,  era  intendimento  mio  lo  illustrarle,  per  benino. 
Volevo  dar  contezza  sufficiente  d'ogni  persona  mento- 
yata,  ancorchò  oscurissima;  riportare  i  documenti, 
ciUtad  ora  ad  ora,  accennano;  e  testimonianze,  per  ogni 


—  n  — 
fatto  ricordato.  Arduo  lavoro  e  lungo.  Ma  creclor 
gli  epistolari  s'abbiano  ad  illustrare,  in  tal  modo.  Credo, 
che,  sol  quando  illustrati  così,  dalla  lor  lettura,  si  ri- 
cavi e  piacere  e  frutto.  Credo,  che  i  più  belli,  senza 
illustrazioni  cotali,  sfigurino  e  stanchino:  giacché  nes- 
sun lettore  è,  mai,  in  grado  di  aupplble,  del  tutto;  e, 
senz'esse,  di  frequente,  e'  brancola  fra  tenebre  fitte. 
Ecco,  per  esempio,  neUa  prima  lettera  di  questo  volu- 
me, Niccolò  Tommaseo  scrive,  ad  Alessandro  Poerio: — 
«  Salutatemi  Donna  Lucia.  »  —  Quanti  lettori  sapranno 
od  indovineranno,  chi  fosse  questa  Donna  Lucia?  E,  per; 
chi  non  la  conosce,  nulla  dice  lo  inciso.  M' industriavo, 
insomma,  a  riunir,  qui,  tante  notizie,  che,  malagevol- 
mente, si  raccapezzano,  sparpagliate,  altrove.  E,  se  non- 
altro,  queste  postille  dovevano  invogliare  altri,  a  dif- 
fonder luce,  sul  nostro  passato  aneddotico. 

Dunque,  nello  incominìnciar  la  stampa,  io  apponeva 
una  chiamata,  ad  ogni  nome:  nel  solo  primo  foghetto, 
ce  ne  ha  settantaseì.  Rimandavo  le  annotazioni 
calce  al  volume,  e  per  decoro  tipografico  e  per  aver  più 
tempo  da  raccoglier  notizie.  Ma  (  quasi,  . 
con  questa  impressione)  era  cominciata  la  infermità  in- 
sanabile, che  mi  prostra.  Disperai  di  finire,  ammodo, 
il  libro  ;  e ,  per  pur  terminarlo,  andai , 
mano  a  mano ,  che  procedevo ,  le  chiamate  :  sicché 
negli  ultimi  fogli,  non  ce  n'è  punte.  Ecco,  perchè  le  note 
superano,  sol  di  poco,  le  quattrocento;  ed  occupano, 
a  stento  ,  da  censessantotto  pagine.  E  le  forze  mi 
mancarono,  afi'atto,  quando  si  trattò  di  stenderle 
per  circa  un  anno ,  il  testo  aspettò  le  chiose.  E,  se. 


I 

I 


—  vn  — 

ora ,  ho  volsuto  ,  comechessia ,  abborracciarle  ,  m'  è 
stato  d'  uopo  dettarle.  E ,  certo ,  quali  avrei  bramato 
e  potuto  compilarle,  se  fossi  stato  sano  e  spedito  ed 
in  grado  di  muovermi,  non  sono. 

Pure,  se  non  mi  appagano  in  tutto,  non  in  tutto 
mi  rincrescono.  Di  non  aver ,  mai ,  errato ,  di  non 
aver  presa  chicchera  alcuna ,  d' aver ,  ognora ,  im- 
broccato il  versaglio,  trattando  di  tante  e  tante  per- 
sone, di  tanti  e  tali  fatti,  io  non  ardisco  affermare.  So, 
non  poter  essere.  Ma,  per  rintracciare  il  vero,  io,  sem- 
pre, ho  fatto  quanto  era  in  me.  Ed  ho  giudicato,  sem- 
pre,  rigido  sì,  aspro  si,  ma  sereno:  applicando,  ad  ogni 
caso,  ad  ogni  uomo,  ad  ogni  parte,  i  medesimi  criteri 
semplici,  con  logica  costante.  Ben  so,  che  la  esposizione 
non  fucata  de'  fatti  e  che  i  miei  criteri,  nel  giudicare, 
debbono  dar  noja,  a  moltisshni.  Direi  la  bugia,  se  asse- 
verassi di  non  curarmene.  Anzi,  Tho  caro  e  Y  ho  cerco 
con  cura.  Primo  avviamento  al  retto  giudicare  (e  con- 
dizione sine  qua  non  di  esso)  è:  il  narrare  senza  or- 
pellare ,  chiamando  le  cose,  co'  nomi  più  propri,  sen- 
z'adornar le  miserie  moraU,  con  cenci  retorici.  Ed  il 
giudicare,  secondo  criteri  etici  ferrei,  secondo  criteri  ra- 
zionali, non  perdonando  a  nessuna  ipocrisia,  a  nessun 
sofisma,  smascherando  ogni  travisamento,  rimprove- 
rando ogni  traviamento,  dichiarando  ogni  ambage,  par- 
mi  dovere,  ne'  paesi,  com'  è  il  nostro,  in  pieno  sfacelo 
morale  ed  intellettuale.  Non  è  tempo  questo  d' indul- 
genza. Non  eh'  io  mi  creda  solo  buono  e  solo  savio  : 
nessuno,  più  convinto,  di  me,  della  insufficienza  mia. 
Ma,  qui,  non  avevo  a  giudicar  me  ;  e,  poi,  io,  mi  do. 


—  vin  — 
sempre,  per  giudicato  e  condannato.  Ma,  o  che  il  sen- 
so della  pochezza  mia  doveva  accecarmi  o  rendermi 
muto,  sulla  dappocaggine  e  sulla  indegnità  altrui?  Ci 
colpo,  forse,  io,  se  molti  pretesi  eroi  e  patrioti  e  gran- 
di uomini  e  venerandi,  bene  esaminati,  a  conti  fatti,  si 
trovano  d' ingegno  scarso  e  di  virtù  fiacca  ?  Quando 
glltaliani,  abbattuti  gì'  idoli  del  fango,  cui,  ora,  si  pro- 
strano, frugheranno,  austeri,  vita  ed  opere  di  chiun- 
que ne  ha  sollecitato  o  ne  sollecita  attenzione  o  plau- 
so, allora,  saranno,  già,  sul  rigenerarsi.  Tanto  vale  un 
popolo,  quanto  valgono  gl'ideali  suoi,  gli  eroi  suoi.  G  lai, 
alla  nazione,  che  venera  malfattori  ed  ammira  cap- 
pochi  !  che  erge  monumenti,  a'  falsi  profeti  ed  a'  mali 
poeti,  a'  Mazzini  ed  agli  Aleardi! 

E,  qualche  amarezza,  me  la  costerà,  per  avventura, 
r  aver  parlato,  adesso,  cosi ,  franco  ed  aperto.  Ho  a 
dirla  ?  Me  l'aspetto;  e  non  la  temo.  Prossimo  alla  mia 
fine,  rassegnato  a'  nessi  causali ,  sola  una  cosa  io  pa- 
venterei :  che  altri,  mai,  credesse ,  aver  io  consentito, 
ne'  vaneggiamenti  e  letterari  e  politici ,  nelle  matte 
adorazioni,  che  viziano  questa  gente  nostra,  onde  au- 
guravamo, superbamente,  quando  s' unificò,  che,  me- 
glio d'ogni  altra,  incarnerebbe  l'idea  dello  Stato.  Poco 
sono,  letterariamente;  e  nulla,  politicamente.  Ma,  ora, 
dissento,  dalle  turpi  maggioranze  ed  inette  :  e  me  ne 
tengo.  Dissentir,  dalla  moltitudine!  Gran  presunzione  è 
questa  d'avvicinarsi  alla  buona  via,  se  non  di  calcarla. 

Napoli,  Domenica,  18  maggio  1884. 

Vittorio  Imbriani 


I.  Niccolò  Tommaseo  (1)  ad  Alessandro  Poerio 

Caro  Poerio, 

Non  vi  parlo  di  versi,  né  d'  ombre  o  d'  acque;  vi 
parlo  d'  un  vapore  da  guerra,  che  ci  fa  di  bisogno. 
Vostro  fratello  (2),  consorte  mio  nella  carcere  e  nel 
miìiistero,  vegga,  se  può  farcene  avere  uno  in  pre- 
stito ,  perchè  la  Repubblica  è  povera.  I  marinai,  li 
metteremo  di  nostro.  Rispondete  presto.  E  ditemi  del- 
la ;jfostra  salute  ;  e  salutatemi  donna  Lucia  (3)  ;  e 
mandatemi  de'  versi  vostri. 

Addio  di  cuore.  Vostro 


23  aprile  48,  Venezia. 

Ad  Alessandro  Poerio, 

Napoli. 


Tommaseo. 


II.  Alessandro  Poerio  a  Niccolò  Tommaseo 

Napoli,  4  Maggio  1848. 

Caro  Tommaseo, 

La  vostra  de '25  (scorso  Aprile)  mi  giunse  ier  l'al- 
tro, 2  Maggio.  Mi  affrettai,  non  solo,  di  farne  cono- 
scere il  contenuto  agli  attuali  Ministri  (4)  (  mio  fra- 
tello è  fuori  dal  Ministero  da  più  d'un  mese):  ma,  an- 
cora, di  dare  ad  essa  Lettera  la  più  grande  pubbli- 
cità, perchè  ciò  fosse  di  sprone  a'governanti,  od  al- 
manco li  facesse  vergognare  (5).  Fin  da  quindici  giorni 
fa,  il  Giornale  delle  Due  Sicilie  annunziò  pomposa- 

1 


—  2  — 

mente,  che  una  flottiglia  napolitana  sarebbe  subito  an- 
data nell'Adriatico,  per  isbarcare  quattromila  uomini 
di  truppa  di  linea  in  sul  Veneto,  ed  oprerebbe  a  danno 
dell'Austria  (6).  Poi,  non  se  ne  fece  altro;  ed,  invece, 
i  nostri  vapori,  che,  a  quest'ora,  avrebber  dovuto  mi- 
nacciare Trieste  e  Pola,  son  iti  a  sbarcar  le  truppe 
a' confini  del  Regno,  donde,  per  terra,  andranno  a 
prender  posizione  sul  Mincio  (7).  Oggi,  s'imbarca  il 
Generale  Guglielmo  Pepe,  che  ha  il  supremo  comando 
di  queste  truppe  (8).  Ed  io  lo  accompagno,  volendo  fare 
anch'  io  il  debito  mio  verso  la  patria;  e  sperando  anco 
guarire  o  migliorare  del  mio  mal  di  nervi;  ormai  chia- 
rito incurabile  in  Napoli,  e  venuto  a  tale,  da  render- 
mi disutile  ad  ogni  cosa.  Come  l'altra  volta,  che  an- 
dai a  Roma,  spero  anche  questa,  uscito  che  sarò  dal 
Regno,  aver  sollievo  al  mio  spasmodico  soflfrire  (9). 
Oh  quanto  vorrei,  non  solo,  che  vi  fosse  conceduto 
un  vapore,  ma  che  tutte  le  forze  del  Regno  si  ado- 
prassero  in  sostegno  della  risorta  Venezia  e  d'Ita- 
lia ;  che  trattasi  di  causa  comune  e  santissima.  Ma 
qui  abbiamo  che  fare  con  un  Borbone  de' più  mal- 
vagi ed  inetti,  che  sieno  mai  stati.  Il  quale  a  ma- 
lincuore allontana  da  sé  i  soldati:  poiché  teme  de'  li- 
berali; e  solo  fida  ne'  cannoni  contro  il  popolo.  E  ter- 
giversa, e  crede  guadagnar  tempo,  e  fa  invece  più 
grave  e  pericolosa  la  condizione  sua  (10).  I  più  caldi 
ed  animosi  di  qua  insisteranno  molto,  perchè  i  vapori 
sieno  messi  a  disposizione  del  Generale  Pepe,  il  quale, 
così,  potrebbe  accorrere  in  aiuto  de' punti  più  deboli. 
Ma  non  è  certo,  che  ciò  si  ottenga,  se  già  non  na- 
sca una  commozione  violenta,  che  forzi  il  Re.  Qui  cor- 
rono voci  contraddittorie.  E  chi  dice  Zucchi  vittorio- 
so (11);  chi  Nugent  entrato  in  Udine  (12).  Saprete 


—  3  — 

il  subbuglio  di  Roma.  Iddio  protegga  la  causa  d'Ita- 
lia (13).  Frattanto,  perchè  il  Governo  provvisorio,  di 
cui  fate  parte,  non  ha  mandato  a  Napoli  un  agente 
suo,  per  insistere  appresso  il  Re  ?  Milano  l'ha  fatto: 
ed  i  suoi  due  agenti,  Toflfetti  (14)  e  Bossi  (15)  ,  si 
sono  adoperati  assai  ,  perchè  questa  spedizione  di 
truppe  si  facesse;  anzi  desideravano,  che  una  parte 
di  esse  sbarcasse  verso  le  foci  dell'Isonzo,  in  aiuto 
del  Generale  Zucchi.  Se  a  questa  promessa  il  Gover- 
no napolitano  (ossia  il  Re)  ha  mancato,  almeno  si 
dee  molto  alle  loro  istanze.  Chi  sa  quanti  altri  ritardi 
vi  sarebbero  stati,  senza  loro  ed  il  conte  Rignon  (16), 
incaricato  del  Re  Carlo  Alberto  !  Non  diflferite  ulte- 
riormente r  invio  di  un  agente.  Io  vi  scriverà  di 
nuovo  da  Ancona  o  da  Bologna;  e  voi  scrivete  colà. 
Addio.  Caramente  vi  abbraccia 

Il  v.o  aff.mo, 

Alessandro  Poerio. 

P.  S.  Poiché,  tra  tanto  turbine  di  cose,  mi  parla- 
te de'  versi  miei,  sappiate,  che  gli  ultimi,  che  scrissi, 
furono  in  occasione  della  prigionia  vostra.  Li  vedrete, 
credo  ,  nell'  Ausonio  (17).  Tanti  riverenti  saluti  di 
mio  fratello. 


ni.  Versi  dì  Alessandro  Poerio 
PRIGIONIA  DI  NICCOLÒ  TOMMASEO 

(FEBBRAJO  M.DCCC.XLVm.) 

Oggi,  il  sospir  del  core 
Vola,  0  Venezia,  a  te;  ma  le  memorie 

Del  vetusto  splendore 
Non  cerca,  o  donna  d*  Italiche  glorie. 


—  4  - 

Là  vola,  ove  il  mio  dolce 
Amico,  invitto  confessor  'dei  Vero, 

L*  empio  carcere  molce 
Con  la  conscia  virtù  del  suo  pensiero. 

Per  te,  cui  T  esecrato 
Tedesco  ancor  funesta  (ahi  piii  non  fosse!) 

Come  guerriero,  armato 
Da  Dio,  lo  strai  della  parola  ei  mosse. 

Ardir,  di  fede  viva. 
Senza  orgoglio  nessun,  con  larga  vena, 

Sul  labbro  a  lui  veniva: 
Quindi,  un  lieto  soffrir  lo  rasserena. 

D'  Adria  per  V  onde ,  guata 
I  lidi  nostri....  il  lido,  ov'  egli  nacque: 

L'  anima  innamorata 
Sempre  d*  Italia,  come  sua,  si  piacque. 

Ei,  nel  petto  profondo, 
Più  genti  abbraccia  e  più  sventure  accoglie  : 

Ma  qual  terra  nel  mondo 
La  gloria  del  dolore  a  questa  toglie! 

Ricca  d*  antichi  affanni, 
Feconda  or  è  di  rediviva  speme 

Italia;  e  s*  apre  agli  anni 
Di  sua  nuova  possanza,  ed  armi  freme. 

Fulse  Roma:  e  al  Toscano 
E  al  Subalpin  raggiò  celesti  cose; 

L'uno  e  T altro  vulcano 
Foco  spirò,  che  a  quel  fulgor  rispose. 

Ma  della  gioja  il  canto 
Non  sbalzi  ancora,  che  saria  menzogna; 

Né  de*  fratelli  il  pianto 
(  Sarebbe  infamia  )  in  vile  obblio  si  pogna. 


—  5  — 

Scende  e,  a  stuoli  più  spessi, 
Ingombra  Lombardia  V  irto  Alemanno  ; 

Sui  non  domiti  oppressi 
Raggrava  il  giogo  il  trepido  tiranno. 

Venir  per  V  aere  io  sento 
Flebile  un  grido,  che  nel  cor  mi  suona: 

È  funereo  lamento 
Dal  Ticin,  dalla  Brenta  e  da  V  Olona. 

Inermi  eroi  co'  petti 
Pugnaro  e  il  dritto  sigillar  col  sangue. 

Su,  su,  moviam,  costretti 
Da  queir  ira,  che  puote  e  mai  non  langue; 

Moviam,  da  quante  il  sole 
Piagge  saluta  deir  ausonia  terra; 

Come  un  sol  uom,  che  vuole. 
Moviamo  a  certa,  sacra,  ultima  guerra  ! 

Quando  tutta  la  bella 
Contrada  di  stranier  libera  fia, 

L' Italica  favella 
Sarà  tutta  di  gioja  un'armonia  (18). 


IV.  La  Carolina  Poerio-Sossisergio  (19)  e  la  Luisa  Parrilli- 
Sossisergio  (20)  ad  Alessandro  Poerio 

Mio  carissimo  figlio, 

Dopo  che  sei  partito,  ho  preso  un  boccone  e  sono 
andata  da  tua  zia  ,  per  vederti  partire  (21).  Sono 
stata  dietro ie  lastre  del  balcone,  fintantoché  sei  par- 
tito. Ti  ho  accompagnato  con  le  mie  benedizioni.  II 
cielo  possa  proteggerti  !  Tuo  fratello  è  ritornato  a 
casa,  mentre  io  era  ancora  assente;  ma  il  domestico 
mi  ha  detto  tutte  le  attenzioni  del  Generale  per  te, 
di  cui  lo  ringrazierai  in  mio  nome  (22).  Domani  l'ai- 


—  6  — 

tro  ,  ti  scriverò  a  Bologna.  Intanto  ,   ricevi  la  mia 
raaterna  benedizione. 

Napoli,  4  maggio  1848. 

Tua  aff.ina  madre, 

Carolina. 

Mio  caro  Alessandro, 
Io  ti  ho  seguito  con  gli  occhi  e  col  cuore,  in  unione- 
di  tua  madre.  Spero,  che  giungerai  bene,  e  che  avre- 
mo presto  le  tue  nuove.  Ossequio  il  tuo  Generale  ; 
ed,  abbracciandoti,  sono 

tua  aff.ma  [da, 

Luisa. 

Al  Nobile  Uomo 

Signor  Barone  Alessandro  Poerio, 

Ancona* 


V.  Alessandro  Poerio  alla  Carolina  Poerio -Sossisergio 

ed  a  Carlo  Poerio 

Carissima  madre,  carissimo  fratello. 

Siccome  vi  sarà  occasione  di  far  partire  delle  let* 
tere  da  Messina,  alla  quale  ci  stiamo  avvicinando,  co- 
si profitto  di  questa  occasione,  per  darvi  le  mie  nuo- 
ve. Appena  venuto  a  bordo,  mi  sentii  sollevato;  e  con- 
tinuo a  star  benino. 

Il  Capitano  in  secondo  del  Vapore  è  V  uffiziale  di 
marina  Giovanni  Vacca  (23),  ch'è  assai  gentile  per 
me.  Egli  riverisce  distintamente  Carlino.    * 

Il  movimento  del  vapore  produce  il  tremolio  della 
mano,  che  mi  fa  scrivere  poco  intelligibilmente. 

Tutt'i  miei  compagni  han  portato  anche  la  roba 
da  paesano;  ed,  in  più  d*una  occasione,  può  aversene 
bisogno.  Abbiate  dunque  la  bontà,  di  spedirmi  a  Bo- 


—  7  — 

logna  il  bauletto,  con  dentro:  l'abito  nuovo  nero  ed 
i  corrispondenti  pantaloni,  due  soprabiti,  il  pantalo- 
ne a  quadrine  e  1'  altro  bigio  con  le  staffe;  infine, 
l'abito  bleu  più  vecchio  ed  il  più  vecchio  de'  panta- 
loni di  colore.  Aggiungete  a  ciò,  la  cartiera  o  por- 
tafoglio, rimasto  sul  mio  cassettone,  ed  il  volume  de' 
quattro  classici  Italiani,  e,  se  v'è  luogo,  il  Tacito  di 
Elzeviro,  legato  in  bianco,  due  volumi;  esso  è  nello 
scaffale  n.*^  10  od  11.  Mandate  anche  i  cappelli  nel- 
le cappelliere.  Il  tutto  alla  direzione  di  Savino  Sa- 
vini  (24)  0  della  Gozzadini  (25). 

Aspetto  vostre  nuove  in  Ancona  o  Bologna.  Scri- 
vete in  entrambi  i  luoghi.  Il  Generale  vi  riverisce, 
e  sta  bene. 

Addio ,  carissima  madre  :  vi  bacio  la  mano  e  vi 
chieggo  la  materna  benedizione;  abbraccio  Carlino  e 
Carlotta  (26);  saluto  caramente  Luisa,  Antonia  (27), 
Peppino  (28)  ed  Emilio  (29). 

Da  bordo  lo  Stromboli,  li  5  Maggio  1848. 

Vostro  aff.mo  figlio, 

Alessandro. 
A.  S.  E. 

La  Signora  Baronessa  GaroUna  Poerìo 

Strada  del  Salvatore  d.^  5. 
Napoli, 


VI.  La  Carolina  Poerìo  •  Sossìsergio  ad  Alessandro  Poerìo 

Napoli,  6  Maggio  1848. 

Mio  carissimo  figlio, 

Giovedì  stesso  ti  scrissi;  e  mandai  la  lettera  ad  An- 
cona. Ma  credo,  che  tu  giungerai  prima,  perchè  il 


\ 


fatto  ricordato.  Arduo  lavoro  e  lungo.  Ma  credo,  che 
gli  epistolari  s'abbiano  ad  illustrare,  in  tal  modo.  Credo,i 
che,  sol  quando  iUustrati  cos\,  dalla  lor  lettura,  si  ri- 
cavi e  piacere  e  frutto.  Credo,  che  i  più  belli,  senza 
illustrazioni  cotali,  sfigurino  e  stanchino:  giacché  nes- 
sun lettore  è,  mai,  in  grado  di  supplirle,  del  tutto;  e, 
senz'esse,  di  frequente,  e' brancola  fra  tenebre  fitte. 
Ecco,  per  esempio,  nella  prima  lettera  di  questo  volu- 
me, Niccolò  Tommaseo  scrive,  ad  Alessandro  Poerio: — 
«  Salutatemi  Donna  Lucia.  »  —  Quanti  lettori  sapranno 
od  indovineranno,  chi  fosse  questa  Donna  Lucia?  E,  par 
chi  non  la  conosce,  nulla  dice  lo  inciso.  M' industriavo, 
insomma,  a  riunir,  qui,  tante  notizie,  che,  malagevol- 
mente, si  raccapezzano,  sparpagliate,  altrove.  E.  se  nott' 
altro,  queste  postille  dovevano  invogliare  altri,  a  dif- 
fonder luce,  sul  nostro  passato  aneddotico. 

Dunque,  nello  incomininciar  la  stampa,  io  apponeva 
una  chiamata,  ad  ogni  nome:  nel  solo  primo  foglietto, 
ce  ne  ha  settantasei.  Rimandavo  le  annotazioni ,  in 
calce  al  volume,  e  per  decoro  tipografico  e  per  aver  più 
tempo  da  raccoglier  notizie.  Ma  {  quasi,  ad  un  tempo,, 
con  questa  impressione)  era  cominciata  la  infermità  in- 
sanabile, che  mi  prostra.  Disperai  di  finire,  ammodo, 
il  libro  ;  e ,  per  pur  terminarlo,  andai ,  diradando,  a 
mano  a  mano ,  che  procedevo ,  le  chiamate  :  sicché ,. 
negh  ultimi  fogli,  non  ce  n'è  punte.  Ecco,  perchè  le  note 
superano,  sol  di  poco,  le  quattrocento;  ed  occupano, 
a  stento ,  da  censessantotto  pagine.  E  le  forze  mi 
mancarono,  affatto,  quando  si  trattò  di  stenderle  ;  e ., 
per  circa  un  anno,  il  testo  aspettò  le  chiose.  E,  se, .. 


I 


—  vu  — 

ora ,  ho  volsuto  ,  comechessia ,  abborracciarle ,  m'  è 
stato  d'  uopo  dettarle.  E ,  certo ,  quali  avrei  bramato 
e  potuto  compilarle,  se  fossi  stato  sano  e  spedito  ed 
in  grado  di  muovermi,  non  sono. 

Pure,  se  non  mi  appagano  in  tutto,  non  in  tutto 
mi  rincrescono.  Di  non  aver ,  mai ,  errato ,  di  non 
aver  presa  chicchera  alcuna ,  d' aver ,  ognora ,  im- 
broccato il  versaglio,  trattando  di  tante  e  tante  per- 
sone, di  tanti  e  tali  fatti,  io  non  ardisco  affermare.  So, 
non  poter  essere.  Ma,  per  rintracciare  il  vero,  io,  sem- 
pre, ho  fatto  quanto  era  in  me.  Ed  ho  giudicato,  sem- 
pre,  rigido  sì,  aspro  si,  ma  sereno:  applicando,  ad  ogni 
caso,  ad  ogni  uomo,  ad  ogni  parte,  i  medesimi  criteri 
semplici,  con  logica  costante.  Ben  so,  che  la  esposizione 
non  fucata  de'  fatti  e  che  i  miei  criteri,  nel  giudicare, 
debbono  dar  noja,  a  moltissimi.  Direi  la  bugia,  se  asse- 
verassi di  non  curarmene.  Anzi,  Tho  caro  e  V  ho  cerco 
con  cura.  Primo  avviamento  al  retto  giudicare  (e  con- 
dizione sine  qua  non  di  esso)  è:  il  narrare  senza  or- 
pellare ,  chiamando  le  cose,  co'  nomi  più  propri,  sen- 
z'adornar le  miserie  morali,  con  cenci  retorici.  Ed  il 
giudicare,  secondo  criteri  etici  ferrei,  secondo  criteri  ra- 
zionali, non  perdonando  a  nessuna  ipocrisia,  a  nessun 
sofisma,  smascherando  ogni  travisamento,  rimprove- 
rando ogni  traviamento,  dichiarando  ogni  ambage,  par- 
mi  dovere,  ne'  paesi,  com'  è  il  nostro,  in  pieno  sfacelo 
morale  ed  intellettuale.  Non  è  tempo  questo  d' indul- 
genza. Non  eh'  io  mi  creda  solo  buono  e  solo  savio  : 
nessuno,  più  convinto,  di  me,  della  insufficienza  mia. 
Ma,  qui,  non  avevo  a  giudicar  me  ;  e,  poi,  io,  mi  do. 


i 


fatto  ricordato.  Arduo  lavoro  e  lungo.  Ma  credo,  che 
gli  epistolari  s'abbiano  ad  illustrare,  in  tal  modo.  Credo, 
che,  sol  quando  illustrati  cos'i,  dalla  lor  lettura,  si  ri- 
cavi e  piacere  e  frutto.  Credo,  cbe  i  più  belli,  senza 
illustrazioni  cotali,  sfigurino  e  stauchiuo:  giacché  ues- 
sun  lettore  è,  mai,  in  grado  di  supplirle,  del  tutto;  e, 
senz'esse,  di  frequente,  e' brancola  fra  tenebre  Atte. 
Ecco,  per  esempio,  nella  prima  lettera  di  questo  volu- 
me, Niccolò  Tommaseo  scrive,  ad  Alessandro  Poerio: — 
«  Salutatemi  Donna  Lucia.  »  —  Quanti  lettori  sapranno 
od  indovineranno,  cbi  fosse  questa  Donna  Lucìa?  E,  par 
chi  non  la  conosce,  nulla  dice  lo  inciso.  M' industriavo, 
insomma,  a  riunir,  qui,  tante  notizie,  cbe,  malagevol- 
mente, si  raccapezzano,  sparpagliate,  altrove.  E,  se  non 
altro,  queste  postille  dovevano  invogliare  altri,  a  dif- 
fonder luce,  sul  nostro  passato  aneddotico. 

Dunque,  nello  incomininciar  la  stampa,  io  apponeva 
una  chiamata,  ad  ogni  nome:  nel  solo  primo  foglietto, 
ce  ne  ha  settantasei.  Rimandavo  le  annotazioni ,  in 
calce  al  volume,  e  per  decoro  tipografico  a  per  aver  più 
tempo  da  raccoglier  notizie.  Ma  (  quasi,  ad  un  tempo, 
con  questa  impressione)  era  cominciata  la  infermità  in- 
sanabile, che  mi  prostra.  Disperai  di  finire,  ammodo, 
il  libro  ;  e ,  per  pur  terminarlo,  andai ,  diradando,  a 
mano  a  mano  ,  che  procedevo ,  le  chiamate  :  sicché ,  ■ 
negh  ultimi  fogli,  non  ce  n'è  punte.  Ecco,  perchè  le  note 
superano,  sol  di  poco,  le  quattrocento;  ed  occupano, , 
a  stento ,  da  censessantotto  pagine.  E  le  forze  mi 
mancarono,  affatto,  quando  si  trattò  dì  stenderle  ;  e , 
per  circa  un  anno ,  il  testo  aspettò  le  chiose.  E,  sa, 


I 


—  vn  — 

ora ,  ho  volsuto  ,  comechessia ,  abborracciarle ,  m'  è 
stato  d'  uopo  dettarle.  E ,  certo ,  quali  avrei  bramato 
e  potuto  compilarle,  se  fossi  stato  sano  e  spedito  ed 
in  grado  di  muovermi,  non  sono. 

Pure,  se  non  mi  appagano  in  tutto,  non  in  tutto 
mi  rincrescono.  Di  non  aver ,  mai ,  errato ,  di  non 
aver  presa  chicchera  alcuna ,  d' aver ,  ognora ,  im- 
broccato il  versaglio,  trattando  di  tante  e  tante  per- 
sone, di  tanti  e  tali  fatti,  io  non  ardisco  affermare.  So, 
non  poter  essere.  Ma,  per  rintracciare  il  vero,  io,  sem- 
pre, ho  fatto  quanto  era  in  me.  Ed  ho  giudicato,  sem- 
pre,  rigido  sì,  aspro  sì,  ma  sereno:  applicando,  ad  ogni 
caso,  ad  ogni  uomo,  ad  ogni  parte,  i  medesimi  criteri 
semplici,  con  logica  costante.  Ben  so,  che  la  esposizione 
non  fucata  de'  fatti  e  che  i  miei  criteri,  nel  giudicare, 
debbono  dar  noja,  a  moltissimi.  Direi  la  bugia,  se  asse- 
verassi di  non  curarmene.  Anzi,  Tho  caro  e  Y  ho  cerco 
con  cura.  Primo  avviamento  al  retto  giudicare  (e  con- 
dizione sine  qua  non  di  esso)  è:  il  narrare  senza  or- 
pellare ,  chiamando  le  cose,  co'  nomi  più  propri,  sen- 
z'adornar le  miserie  morali,  con  cenci  retorici.  Ed  il 
giudicare,  secondo  criteri  etici  ferrei,  secondo  criteri  ra- 
zionali, non  perdonando  a  nessuna  ipocrisia,  a  nessun 
sofisma,  smascherando  ogni  travisamento,  rimprove- 
rando ogni  traviamento,  dichiarando  ogni  ambage,  par- 
mi  dovere,  ne'  paesi,  com'  è  il  nostro,  in  pieno  sfacelo 
morale  ed  intellettuale.  Non  è  tempo  questo  d' indul- 
genza. Non  eh'  io  mi  creda  solo  buono  e  solo  savio  : 
nessuno,  più  convinto,  di  me,  della  insufficienza  mia. 
Ma,  qui,  non  avevo  a  giudicar  me  ;  e,  poi,  io,  mi  do. 


-.  12  — 

P.  S.  Questa  lettera  vi  sarà  ricapitata  dal  signor 
Leone  Serena,  veneziano  (51),  ottimo  giovane  e  cal- 
do di  amor  patrio,  il  quale  riparte  domani.  Ho  fatto 
con  piacere  la  sua  conoscenza;  e  Tho  pregato,  di  vo- 
lervi consegnar  la  presente  lettera.  Egli  mi  ha  rac- 
contato, come  a  Venezia  fosse  aspettata  la  flotta,  e 
quale  accoglienza  fraterna  fosse  preparata  a'Napoli- 
tani;  e  mi  ha  proprio  trafitto  l'anima.  Non  dimen- 
ticate, di  mandare  un  agente  presso  il  Governo  di 
Napoli;  servirà,  se  non  altro,  a  metterlo  sempre  più 
dalla  parte  del  torto;  e,  frattanto,  aprendosi  le  Ca- 
mere, la  cosa  potrebbe  riscaldarsi  di  nuovo.  Non  per- 
dete tempo. 


IX.  Alessandro  Poerio  aUa  Carolina  Poerio-Sossisergio 

ed  a  Carlo  Poerìo 

Ancona,  a  di  9  Maggio  1848. 

Carissima  madre. 

Sono  stato  alla  posta,  ma  non  ho  trovato  vostre 
lettere;  spero  averne  dimani.  Frattanto,  non  voglio 
mancare  di  scrivere,  per  rendervi  conto  del  viaggio 
e  dell'arrivo.  Il  primo  giorno,  avemmo  bellissimo  tem- 
po. Ma,  nel  passare  i!  golfo  di  Taranto,  il  mare  in- 
grossò; ed  il  Capitano,  prevedendo  che  vi  sarebbe  ri- 
tardo di  cammino,  avvedutamente  fermò  a  Brindisi 
per  rifornirsi  di  carbone.  Il  vento  durò  poi  sempre 
contrario;  e  tutti  quanti  soflfrimmo,  chi  più,  chi  meno. 
Io  però  non  tanto  da  render  tributo  al  mare;  e  man- 
giai sempre  di  buon  appetito,  ma  non  digerendo  bene. 
Finalmente,  ieri,  alle  due  e  mezzo,  toccammo  Ancona, 


—  13  — 

bella  e  graziosa  Città,  ma  stretta  da  colli,  cosicché 
poco  spazio  piano  vi  si  trova.  Il  porto,  ampio  e  ricur- 
vo, fa  di  sé  magnifica  mostra  a  chi  giunge.  Trovam- 
mo qua  le  due  fregate  a  vele  napolitane,  ed  i  vapo- 
ri. Il  Generale  Pepe  col  Generale  Statella  (52),  i  Bri- 
gadieri, il  Capo  dello  Stato  Maggiore,  ed  i  due  Com- 
missari civili  (53)  abitano  in  un  superbo  Palazzo  det- 
to V  Appanaggio  (54),  che,  posseduto  da  alcuni  Prin- 
cipi romani,  è  nobile  ed  ospitale  ricetto  a'  viaggia- 
tori più  cospicui  per  grado.  Ulloa,  due  altri  uffizia- 
li  di  Stato  Maggiore  ed  io  abitiamo  in   una   buona 
locanda,  detta  la  Pace,  destinataci  per  alloggio.  Ho 
una  stanza  con  ampia  veduta  sul  porto.  Sto  benino;  e 
spero  andar  sempre  meglio  in  salute  ,   inoltrandoci 
dentro  terra.  È  doloroso  peraltro  il  vedere,  come  il  Go- 
verno contraria  in  tutt'i  modi  la  spedizione,  con  mala 
fede  insigne:  non  vo'  dire  ne'  Ministri,  ma  in  chi  li 
nomina.  Di  ciò  il  Generale  Pepe  è  dolentissimo  :  ed  io 
ne  scrivo,  per  suo  desiderio,  non  solo  a  mio  fratel- 
lo, ma  al  Presidente  del  Consiglio  Carlo  Troya  (55). 
Spero,  che  voi  stiate  bene;  e  cosi  Carlotta,  Luisa,  e 
tutt'i  parenti.  So,  che  il  mio  allontanamento  ha  do- 
vuto dispiacervi;  ma,  tanto,  dopo  i  miei  lunghi  pa- 
timenti, chiaritasi  incurabile  la  mia  malattia  in  Na- 
poli, era  impossibile  che  io  rimanessi  costà;  e  voi  me- 
desima soffrivate  assai  del  mio  stato,  e  di  rimbalzo 
io  pativa  del  dolore,  che  vi  cagionava.  Scrivetemi  spes- 
so. Non  so  ancora  quanti  giorni  staremo  qui,  ma  non 
molto;  indirizzate  dunque  le  vostre  lettere  a  Bologna. 
Vi  bacio  la  mano;  e,  chiedendovi  la  materna  benedi- 
zione, mi  ripeto 

Yostro  aff.mo  figlio, 

Alessandro. 


—  U  - 

P.  S.  Mi  rimetto  alla  lettera,  scrittavi  da  Messi- 
-na,  per  quello,  che  concerne  il  pronto  invio  della  roba 
da  paesano  a  Bologna,  comprese  le  cappelliere  e  le 
cravatte,  all'  indrizzo  Gozzadini  o  Savini. 


Carissimo  fratello. 

Del  viaggio  el  arrivo  ti  dirà  nostra  madre.  Il  Ge- 
nerale Pepe  ,  appena  giunto  qui  ,  è  stato  amareg- 
giato nel  vedere,  che  il  Governo,  sotto  bugiarde  ap- 
parenze ,  contraria  la  spedizione.  Che  vituperio  !  Il 
Generale  Nicoletti  (56)  arrivato  a  Pescara,  è  subi- 
to tornato  a  Napoli  ;  le  truppe  son  senza  Generali  ; 
tutto  va  con  lentezza,  ed  a  nulla  si  provvede.  Pepe 
insiste,  poiché  Nicoletti  si  è  ritirato,  per  aver  Pro- 
nio  (57),  il  luogo  del  quale  potrebbe  essere  occupa- 
to da  Palma  (58).  Di  più  ha  bisogno  di  uno  o  due 
Brigadieri  di  fanteria,  e  di  uno  di  cavalleria.  Desi- 
dera, che  io  scriva  a  tal  uopo  a  Carlo  Troya;  ed  io 
ti  accludo  una  letterina  per  lui,  che  ti  prego  fargli 
ricapitare  subito. 

Quando  si  sapranno  le  definitive  elezioni  ?  Quando 
si  raduneranno  queste  benedette  Camere?  De'  legni 
austriaci  son  iti  a  minacciar  Venezia;  qui  sono  dei 
Veneti,  spediti  ad  invocar  soccorso ,  ancorché  sia 
sparsa  la  voce,  che  i  legni  austriaci  siano  stati  ri- 
cevuti energicamente,  e  costretti  ad  allontanarsi.  Di 
qui  si  vede  quanto  fosse  bene  indicato  uno  sbarco 
di  truppe  nostre  in  Venezia. 

Almeno  operi  la  flotta.  Si  dà  per  certa  una  vit- 
toria del  General  Durando  su  Nugent  al  Taglia- 
mento.  Dicono    anche    assai    maltrattati  i  Tedeschi 


—  15  — 

in  un  combattimento  sulF  Adige  co*  Piemontesi;  ma 
nulla  vi  ò  di  ufficiale. 
Addio,  caramente  ti  abbraccio. 

Tuo  affezionatissimo  fratello, 

Alessandro, 

P.  S.  Per  maggior  sicurezza ,  porta  tu  stesso  la 
lettera  a  Carlo  Troya.  Le  notizie  sono  incerte.  Oggi, 
5e  ne  aspettano;  non  potrò  scrivertele,  prima  di  do- 
mani. 

A.  S.  E. 

La  Signora  Baronessa  Carolina  Poerio 

nata  Sossi^Sergio. 

Strada  del  Salvatore ,  n.°  5 

Napoli, 


X.  La  Carolina  Poerio -Sossisergio  ad  Alessandro  Poerio 

Napoli,  9  maggio  1848. 

Quantunque,  mio  carissimo  figlio,  si  sieno  avute  le 
nuove  del  vostro  arrivo  in  Ancona,  pure,  non  ancora 
ho  veduto  tuoi  caratteri:  spero,  col  prossimo  corrie- 
re, riceverne.  Spero,  che  tu  avrai  trovata  la  mia  in 
Ancona  e  troverai  l'altra  in  Bologna.  Noi  stiamo  be- 
ne. Le  nomine  dei  Deputati  per  Napoli  son  fatte;  te 
ne  darò  la  nota  qui  dietro.  Quelle  delle  Provincie  non 
sono  ancora  giunte.  Mi  auguro,  che  il  vostro  viaggio 
sia  stato  felice,^  il  teApo  buonissimo,  il  legno  ottimo; 
tutte  le  persone  di  mare  dicono,  che  non  ci  avrete 


—  16  — 

messo  che  84  ore.  Tua  sorella  col  suo  Giorgio  va 
bene.  Domenica,  fui  a  pranzo  da  tua  zia,  dove  venne 
anche  Carlo,  dopo  finita  l'elezione.  Ti  prego  di  dire 
tante  cose  alla  cara  Contessa  ed  al  suo  consorte,  e 
di  dare  un  abbraccio  alla  bambina  (59).  Sono  ritornati 
i  nostri  diplomatici  da  Roma  (60).  Quello,  che  doveva 
andare  a  Firenze,  ha  procrastinata  la  sua  partenza 
ed  il  suo  giuramento  sino  all'altro  ieri:  ma  poi  V  ha 
dato  e  si  ha  presa  una  somma.  Il  giorno  di  ieri,  ha  ri- 
cevuto notizia,  che  forse  sarà  nominato  deputato  nella 
sua  provincia:  e  non  vuol  più  partire  (61).  Pare,  che 
le  nuove,  che  ci  giungono  dall'alta  Italia,  sieno  buo- 
ne ;  speriamo  nella  Provvidenza.  Certamente  ,  mille 
volte  l'abbiamo  detto,  che  ciò,  che  succede  da  qualche 
tempo  in  Italia,  è  cosa  provvidenziale:  ma,  finché  non 
finirà  (e  ci  vorrà  tempo)  questa  tremenda  lotta,  si 
starà  agitati.  Tua  zia  fa  preghiere  per  Pio  IX  e  per 
la  libertà:  intendo  parlare  di  Antonia,  la  quale,  dopo 
48  ore,  voleva  lettere  tue.  Luisa  ti  abbracQia  cara- 
mente. Eccoti  la  nota  de'  deputati  di  Napoli:  Roberto 
Bavarese  (62);  Brigadiere  Gabriele  Pepe  (63);  Dome- 
nico Capitelli  (64)  ;  .Giacomo  Bavarese  (65)  ;  Fran- 
cesco Paolo  Ruggiero;  Antonio  Scialoja  (66);  Pao- 
lo Emilio  Imbriani  ;  Andrea  Ferrigni  (67)  ;  Luigi 
Blanch  (68)  ;  Colonnello  degli  Uberti  (69)  ;  Miche- 
langelo  Ruberti,  Brigadiere;  Raffaele  Conforti  (70); 
Barone  Callotti  (71);  Camillo  Cacace  (72);  Samuele 
Cagnazzi  (73);  Vincenzo  Lanza  (74);  Carlo  Poerio; 
Consigliere  Cianciulli  (Luigi)  (75)  ;  Capitano  Giro- 
lamo Ulloa  ;  Conte  Ferretti  (76).  Di  questi ,  però  , 
parte  non  possono  entrare  per  legge,  parte  vogliono 
rinunziare,  parte  son  nomine  doppie:  non  ne  reste- 
rà neanche  la  metà;  ed  allora  entreranno  altri  no- 


—  17  — 

atri  amici.  In  Puglia  hanno  nominato  Giuseppe  Ric- 
ciardi (77)  ;  a  Taranto,  Vincenzo  de  Thomasis.  Ad- 
dio, carissimo  figlio.  Pironti  non  mi  ha  fatto  sape- 
re altro  per  le  pistole;  ci  manderò  di  nuovo.  Carlo 
ti  abbraccia.  Enrico  mi  ha  scritto  da  Modena,  il  di 
30.  Stava  bene;  anzi,  mi  dice,  che  la  vita  del  Cam- 
po gli  ha  giovato  immensamente.  Addio  ,  ca  rissimo 
figlio;  possa  il  Cielo  benedirti  come  fo  io.  Tanti  sa- 
luti al  Generale. 


Isenza  firma] 


Al  Nobil  Uomo 

Barone  Alessandro  Poerio, 

Bologna, 

O  pure  al  Quartiere  Generale, 
presso  il  Generale  Pepe^  Napolitano. 


XI.  Alessandro  Poerio  alla  Carolina  Poerio-Sossisergìo 

ed  a  Carlo  Poerio 

Ancona,  a  di  11  Maggio  1848. 

Carissima  madre, 

Vi  scrissi  ier  Taltro  per  la  posta;  ed  il  Generale  ac- 
cluse la  mia  lettera  al  fratello,  perchè  ve  la  facesse 
subito  ricapitare.  Ieri,  egli  ebbe  lettera  di  Florestano; 
ed  io  sperava  riceverne  parimenti  da  voi.  Fui  alla 
posta,  ma  non  trovai  nulla:  il  che  mi  dispiacque 
tanto  maggiormente,  in  quanto  che  voi  mi  avevate 
accennato  di  volermi  scrivere  la  sera  stessa  di  gio- 
vedì; ma,  ancorché  non  aveste  ciò  fatto,  e  mi  aveste 
scritto  invece  il  seguente  sabato,  la  lettera  avrebbe 
ovuto  giungermi,  poiché  quella  di  Florestano  porta 

2 


—  18  — 

appunto  la  data  di  sabato,  6  corrente  mese.  Spero, 
che  questa  mancanza  di  notizie  sia  derivata  da  ri- 
tardo neir  impostare,  non  da  indisposizione;  ovvero, 
che  abbiate  creduto  troppo  breve  il  mio  soggiorno 
in  Ancona  ,  ed  abbiate  perciò  indrizzata  la  lettera 
a  Bologna.  Ad  ogni  modo,  sono  impazientissimo  di 
ricever  vostre  nuove;  e,  prima  di  chiuder  la  presente, 
tornerò  alla  posta  per  p^ter,  in  caso  trovi  lettere, 
accusarvene  ricezione. 

Vi  parlerò  di  me,  della  mia  salute,  e  dell'  impiego 
del  mio  tempo;  le  notizie,  le  scriverò  nell'altro  mezzo 
foglio  a  Carlino. 

Io  continuo  a  star  benino.  Ed ,  avuto  rispetto  ai 
tanti  e  cosi  lunghi  e  feroci  patimenti  nervosi,  posso 
contentarmi,  ancorché  vegga,  esservi  bisogno  di  un 
po'  di  tempo ,  per  ripigliar  le  mie  forze.  Confido  di 
andar  sempre  meglio,  soprattutto  inoltrandomi  dentro 
terra. 

Ancona  é  graziosa  ed  allegra  città,  e  popolosa, 
ed  animatissima.  Le  sovrastano  colli  d'  ogni  parte , 
cosicché  poco  spazio  piano  le  resta  in  riva  al  mare. 
I  colli  sono  ameni  e  verdeggianti,  e  solcati  da  strade 
e  sentieri.  A  destra,  sopra  un'  altura,  è  la  Cattedrale; 
la  fortezza  sopra  un'altra:  entrambe  a  cavaliere  del 
porto,  ampio  e  sicuro.  Il  quale  è  praticato  dentro  un 
seno  di  mare,  che  da  un  lato  termina  con  esso  porto, 
ma  dall'  altro  si  distende  lungo  la  costiera  bellissima, 
in  cui  sono  le  Città  di  Sinigaglia  ,  Fano  e  Pesaro. 
Questa  è  l'ultima,  chiudendosi  quivi  la  vista  di  terra, 
perchè  la  costa  si  ripiega.  Questa  via  faremo  nel- 
r  andare  a  Bologna ,  il  che  sarà  probabilmente  do- 
mani, ler  r  altro,  fui  con  gli  uffiziali  dello  Stato 
Maggiore  a  vedere  il  Duomo  e  la  fortezza;  ieri  poi 


—  19  — 

andai  solo  a  passeggiare  sul  molo,  dov'è  l'Arco  traja- 
no  tutto  di  marmo,  assai  ben  conservato,  e  di  svel- 
tissime proporzioni  (78;. 

Vi  raccomando  il  pronto  invio,  a  Bologna,  del  bau- 
letto con  roba  da  paesano,  compresi  gli  scolli,  e  delle 
cappelliere;  io  sono,  fra  tanti,  che  accompagnano  il 
Generale,  il  solo,  che  non  abbia  abiti  borghesi.  Ma 
confido,  che  l'invio  sarà  stato  già  fatto,  poiché  que- 
sta preghiera  vi  diedi  nella  lettera,  scrittavi  a  bordo 
e  mandatavi  da  Messina. 

Spero,  che  Carlotta,  Luisa,  Antonia,  Peppino,  E- 
milio  e  tutt'  i  parenti  stiano  bene;  a  Carlino  scrivo 
direttamente. 

Vi  bacio  la  mano;  e,  con  filiale  tenerezza,  chieden- 
dovi le  materna  benedizione,  mi  ripeto 

v.**  aff.mo  figlio, 

Alessandro  Poerio. 

P.  S.  Son  tornato  alla  posta  ed  ho  trovato  le  vo- 
stre letterine  del  4  maggio,  giunte  fin  da  ieri.  Vi 
scrivo  anche  due  righe  pel  corriere. 

P.  S.  Se  questa  lettera  sarà  recata  dal  Signor  Ca- 
pitano Vacca,  vi  prego  ringraziarlo  delle  gentilezze, 
usatemi  a  bordo. 

Ancona,  11  Maggio  1848. 

Carissimo  fratello, 

Quasta  lettera  ti  sarà  recata  dal  Capitano  di  fre- 
gata Giovanni  Vacca,  fratello  del  Coadjutore  (79), 
ottimo  giovane,  il  quale  mi  ha  colmato  di  gentilezze 
a  bordo  dello  Stromboli,  vapore  da  lui  comandato  in 
secondo.  Egli  mi  dice  esser  tuo  amico.  Ad  ogni  modo. 


—  20  — 

ringrazialo.  Vorrebbe  esser  destinato  alla  immedia- 
zione del  Generale  Pepe ,  in  caso  che  la  flotta  re- 
sti neir  Adriatico  a  disposizione  di  lui.  Giunti  qua, 
abbiamo  trovato  entusiasmo   pe'  Napolitani,  ma  in- 
degnazione contro  il  Governo,  per  aver  abbandonato 
i  Veneti,  dopo  che  la*  spedizione  era  stata  uflScialmente 
annunziata.  Un  giovane  Veneto,  mandato  a  pregare 
il  Generale,  di  soccorrere  Venezia  con  la  flotta,  mi 
ha  raccontato,  come  si  fossero  preparate  colà  grandi 
e  festose  accoglienze  a'  Napoletani  ,  e  come  rima- 
nessero delusi  pel  mutato  proponimento.  ler  sera  mi 
si  assicurò,  esser  partito  alla  volta  di  Napoli  il  signor 
Toffoletti  (80)  ,  agente  del   Governo  Provvisorio  di 
Venezia.  Frattanto  l'Austria,  imbaldanzita  dalla  iner- 
zia del  Governo  di  Napoli,  ha  dichiarato  il  blocco  ; 
e,  con  due  fregate  e  pochi  legni  minori,  impedisce  il 
commercio.  La  nostra  flotta  (sola  salute  in  siffatta 
condizione  di  cose)  potrebbe,  alquanto  rinforzata,  ed 
unita  alla  sarda,  facilmente  distruggere  tutta  la  ma- 
rina austriaca,  la  quale,  impotente  ad  assalire  Vene- 
zia ,  le  fa  peraltro  gran  danno  con  V  intercettare  il 
traffico.  Il  Generale  fece  fare  -subito  una  comunica- 
zione telegrafica  a  Napoli;  e  ier  sera  mi  disse,  esser 
giunta  risposta  che  la  flotta  soprattenesse  in  Ancona. 
Ciò  non  basta;  bisogna  rinforzarla,  e  sbloccare  Ve- 
nezia; altrimenti  rimarremo  con  carico  ed   infamia 
grande,  di  aver  tradito  la  causa  Italiana,  dopo  tanti 
pomposi  annunzi.  La  mia  lettera  del  9  ti   giungerà 
dimani  o  diman  Y  altro.  Dà  subito  la  letterina  mia 
a  Troya,  la  quale  è  urgente,  e  scritta  per  desiderio 
di  Pepe. 

Siamo  impazienti  di  conoscere  le  elezioni.  Spero, 
che  non  fallirà  la  tua,  sia  in  Terra  di  Lavoro,  sia 


—  21  — 

in  Napoli,  od  anche  in  entrambe  le  Provincie.  Spero, 
che  i  Deputati,  appena  riuniti,  si  convinceranno:  che 
le  sorti  d' Italia  si  decidono  ne'  campi  lombardi,  sui 
monti  friuliani  e  tirolesi,  e  sulle  acque  dell'  Adriatico; 
e  che  ogni  altro  obbietto  divien  secondario  a  fronte 
della  guerra  sacra  della  Italiana  indipendenza.  È  in- 
credibile quante  contrarietà,  sotto  mendaci  apparenze 
di  animo  volonteroso ,  vengano  a  questa  spedizione 
dal  Ministro  della  Guerra  (81),  o  più  veramente  dal 
Re.  Il  Nicoletti,  ito  a  Pescara ,  se  n'  è  turpemente 
tornato  a  Napoli.  Mancano  uffiziali  inferiori  e  supe- 
riori. Pepe  insiste  per  aver  Pronio  ,  invece  di  Ni- 
coletti;  e  Pronio  stesso  potrebbe  esser  sostituito  da 
Palma  nel  comando  delia  fortezza  di  Messina.  La 
mezza  batteria  di  artiglieria  a  cavallo  ,  la  quale  si 
è  chiesta,  sarebbe  utilissima. 

Tostochè  giungerà  il  signor  Tofifoletti,  vallo  a  tro- 
vare; e  cerca  di  agevolarlo  presso  il  Ministero.  Il  qua- 
le (se  non  ripara  al  mal  fatto)  sfigurerà  e  scapiterà 
nella  opinione  universale  molto  più  dell'  altro  (82). 
Leggerai  ne'  fogli  le  notizie  del  teatro  della  guerra. 
Il  Re  di  Piemonte  ha  battuto  gli  Austriaci  a  Pa- 
strengo  ,  a  Bussolengo,  dove  1500  uomini  deposero 
in  massa  le  armi,  ed  a  Ponton  di  là  dell'  Adige,  dove 
fu  ucciso  il  Principe  Thurn  e  Taxis  (83),  ferito  gra- 
vemente il  Generale  d'  Asper  (84)  (  lo  stesso  ,  che 
venne  a  Napoli  nel  1818  e  1821),  fatto  prigione  il 
Principe  di  Lichtenstein  (85)  e  poco  mancò  che  non 
restasse  preso  anche  Radetzki  (86)  con  tutto  il  suo 
Stato  Maggiore.  La  perdita  degli  Austriaci  somma, 
tra  morti,  feriti  e  prigioni,  a  tremila  uomini.  Di  Du- 
rando non  si  hanno  notizie  precise  ;  era  giorni  fii 
«alla  Piave,  ed  aspettava  un  attacco  di  Nugent.  Ieri, 


-  22  — 

si  sparse  voce,  ch'egli  fosse  entrato  in  Udine:  il  che 
facea  supporre,  che  avesse  rotto  il  nemico;  ma  la  no- 
tizia non  si  è  confermata.  Anzi,  par  certo,  che  anche 
Belluno  abbia  dovuto  capitolare  ai  Tedeschi  (87). 

Fa  subito  ricapitar  l'acclusa  a  Peppino  del  Re  (88). 
Gli  accludo  un  ordine  del  giorno,  il  quale  Pepe  de- 
sidera, che  sia  subito  inserito  ne'pubblici  fogli.  Ca- 
ramente ti  abbraccia 

il  tuo  aff.mo  fratello, 

Alessandro, 


XII.  Alessandro  Poerio  alla  Carolina  Poerio  ed  alla  Luisa  Parrilli, 

nate  Sossisergio 

Ancona,  11  Maggio  1848. 

Carissima  madre, 

Tornato  alla  posta,  ho  trovato  la  vostra  lettera, 
scritta,  poco  dopo  la  mia  partenza,  nella  sera  mede- 
sima; ed  assai  mi  hanno  commosso  le  vostre  materne 
ed  affettuose  espressioni.  Conservatemi  la  vostra  te- 
nerezza, che  è  il  più  prezioso,  anzi  il  solo  e  vero  be- 
ne, che  io  mi  abbia  al  mondo.  La  vostra  lettera  era 
giunta  ieri,  e  forse  anche  prima,  ma  l' impiegato  non 
capi  bene  il  mio  nome,  come  mi  ha  confessato  egli 
stesso  pocanzi.  Resto  inteso,  che  il  Sabato  6  Maggio 
alitiate  scritto  a  Bologna,  per  dove  partiremo  /"forse) 
domani,  al  più  tardi  (credo)  domani  Y  altro.  Ora  mi 
contento  di  farvi  queste  due  righe,  avendovi  scritta 
più  a  lungo  (ed  anche  a  mìo  fratello);  e  la  lettera  vi 
sarà  recata  o  fatta  ricapitare  dal  Capitan  di  fregata  D» 
Giovanni  Vacca,  fratello  del  Coadjutore  del  Ministe- 
ro di  Grazia  e  Giustizia,  ottimo  ufficiale,  che  mi  ha 


—  23  — 

colmato  di  gentilezze  a  bordo.  Se  viene,  fategli  buo- 
ne accoglienze  e  ringraziatelo.  Tante  cose  per  parte 
di  D.  Guglielmo,  col  quale  ho  fatto  le  parti  vostre. 
Addio,  carissima  madre.  Vi  bacio  la  mano;  e  mi  ri- 
peto, chiedendovi  la  benedizione, 

V.®  aff.mo  figlio, 

Alessandro. 
Soggiungo  due  righe  per  Luisa. 

Cara  zia  Luisa, 
Vi  ringrazio  dell'  afifezione,  che  mi  dimostrate.  In 
quanto  a  mia  madre,  vi  farei  ingiuria,  raccomandan- 
dola a  voi,  che  tanto  1'  amate.  Io  sto  bastantemente 
bene;  e,  respirando  da  patimenti  cosi  lunghi ,  cosi 
atroci  e  così  disperati,  debbo  contentarmi.  Le  forze 
torneranno  a  poco  a  poco;  e,  quanto  più  tempo  pas- 
serà, le  conseguenze  della  mia  terribile  malattia  sul 
mio  organismo  nervoso  spariranno  ,  spero ,  o  dimi- 
nuiranno di  molto.  Tante  cose  a  Don  Michelangelo  (89) 
ed  a  Peppino.  Credetemi  sempre 

\.^  aff.mo  nipote, 

Alessandro  Poerio» 
Cara  madre, 

Vi  raccomando  il  pronto  invio  della  roba  da  bor- 
ghese a  Bologna ,  se  non  è  già  partita ,  poiché  vi 
scrissi  da  Messina,  dandovi  questa  preghiera.  Per  fa- 
cilitare, mettete  T  indirizzo  Conte  Gozzadini  o  Sa- 
vino  Savini.  Non  dimenticate,  di  grazia,  i  cappelli 
nelle  cappelliere  e  le  cravatte. 

A.  S.  G. 
La  Signora  Baronessa  Carolina  Poerio. 

Strada  del  Salvatore  n.^  5, 
Napoli. 


~  24  — 

XIII.  La  Carolina  Poerio-Sossìsergio  ad  Alessandro  Poerio 

Napoli,  11  maggio  1848. 
Speravo,  questa  mane,  avere  tue  lettere:  ma  è  tardi 
e  non  ancora  si  vede  la  posta.  Intanto,  voglio  farti 
un  rigo,  per  dirti,  che  stiamo  tutti  in  buona  salute. 
Io,  caro  figlio ,  quando  penso ,  che  il  viaggio  ed  il 
veder  le  cose  più  da  vicino  possono  influire  al  tuo 
benessere,  mi  sento  veramente  consolata.  Non  avendo 
più  veduto  Pironti,  ho  mandato  questa  mane  da  lui; 
ma  era  andato  in  Salerno.  Qui  sempre  i  più  tristi  ed 
i  più  retrogradi  fanno  più  chiasso:  V  esempio  di  fare 
dimostrazioni  si  è  messo  anche  nelle  Case  Religiose. 
I  Monaca  dicono  abbasso  al  Priore,  che  non  li  ammi- 
nistra bene  (90).  L'  esempio  di  Emilio  è  stato  seguito 
dal  Ferretti  e  dal  Ruggiero.  Sarai  sorpreso  di  sentire 
Manna,  Ministro  di  Finanza  (91).  Qui  ci  è  stato  uno 
scandalo:  che  uno  de'  fratelli  Abatemarco  ha  prefe- 
rito di  essere  direttore  dell'Interno  e  non  accettare 
la  deputazione  (92).  Caro  figlio,  è  tardi;  lettere  tue 
non  mi  son  venute.  Addio  ,  speriamo  domani.  Tuo 
fratello,  le  tue  zie,  sorella,  cognato  e  nipoti  ed  in 
fine  tutti  gli  amici  ti  salutano.  Federico  Golia  (93) 
mi  ha  detto,  di  salutarti  particolarmente.  Ti  benedico. 

Aff.ma  madre, 

Carolina. 

P.  S.'Qui  si  dicono  tante  bugie;  spero  sapere  da 
te  la  verità. 

Al  Nobil  Uomo 

Barone  Alessandro  Poerio, 

Bologna. 

Oppure  al  Quartier  Generale 

del  Generale  Pepe. 


—  25  — 
XIV.  Alessandro  Poerio  a  Niccolò  Tommaseo 

Caro  Tommaseo, 

Vi  scrivo  per  mezzo  del  signor  Camillo  Campa- 
na (94),  il  quale  torna  a  Venezia.  Il  General  Pepe  fece 
conoscere,  per  telegrafo,  al  Governo  di  Napoli,  la  vera 
situazione  delle  cose  e  l'infamia  grande,  in  cui  sa- 
rebbe incorso  esso  Governo,  se  avesse  abbandonato  i 
Veneti,  ossia  la  causa  italiana.  Fu  risposto  anche  te- 
legraficamente, che  la  flotta  (ch'era  partita  con  l'or- 
dine di  tornare  a  Napoli)  dovesse  soprattenere  in  An- 
cona. Stamani  poi  è  giunto  un  Corriere,  col  quale  ci 
si  annunzia,  che  domattina  si  avranno  istruzioni  pre- 
cise circa  le  operazioni  della  flotta  nell'  Adriatico,  e 
che  si  stanno  armando  altri  legni.  Si  spera,  che  il 
Governo  autorizzerà  il  Generale,  a  far  partire  la  flotta 
per  Venezia;  nel  qual  caso  io  verrò  ad  abbracciarvi, 
e  a  discorrere  delle  cose  Italiane;  e,  dopo  tre  giorni 
di  fermata  costà,  raggiungerò  il  Generale  in  Bolo- 
gna. Siamo  avvezzi  a  tante  contrarietà  da  parte  del 
Governo  di  Napoli,  che  appena  osiamo  credere  a  que- 
sta buona  nuova.  Se  poi  la  flotta  ricevesse  ordine  di 
incrociare  nell'Adriatico  o  di  avvicinarsi  a  Trieste  o 
ad  altri  posti  nemici  senza  entrare  nella  laguna,  io 
non  verrei;  e  resterebbe  diflferito  il  piacere  di  riabbrac- 
ciarci, ch'è  uno  de'più  vivi,  che  io  sappia  desiderare 
ed  immaginare.  Si  dà  per  certo,  che  la  guerra  sarà 
dichiarata  solennemente  dal  nostro  Governo  all'  Au- 
stria; anzi  il  Corriere  lo  ha  affermato,  come  cosa  già 
fatta.  Ma  non  abbiamo  ancora  avviso  officiale  di  ciò  ; 
speriamo  riceverlo  domattina  (95). 

Addio,  caro  Tommaseo;  Iddio  protegga  la  nostra 


—  26  -^ 

Italia  !  E  voi  credete  alla  inalterabile  devozione  ed 
amicizia  del 

Ancona,  12  Maggio  1848. 

v.°  aff.mo, 

Alessandro  Poerio, 


XV.  Alessandro  Poerìo  alla  Carolina  Poerio -Sossisergio 

ed  a  Carlo  Poerio  e  la  Luisa  Parrilli-Sossisergio 

alla  Carolina  Poerio- Sossisergio 

COMANDO 

DEL  CORPO  d'armata 

Napolitano 

Ancona,  13  Maggio  1848. 

Carissima  madre. 

Non  ho  avuto  più  vostre  lettere,  poiché  ci  siamo 
trattenuti  in  Ancona  più  a  lungo,  che  non.  credeva- 
mo, e  voi  mi  avete  scritto  a  Bologna;  ma,  ieri,  per 
mezzo  del  corriere  straordinario,  mandato  da  Napoli 
al  Generale,  ebbi  una  letterina  di  mio  fratello,  in  data 
del  di  8.  corrente  mese,  dalla  quale  rilevai  con  pia- 
cere il  buono  stato  della  vostra  salute. 

Al  solito,  vi  parlo  di  me,  sapendo  di  non  tediar- 
vi; delle  altre  cose  scrivo  a  Carlino.  Quantunque  io 
non  abbia  potuto  sperimentare  questa  volta  un  su- 
bitaneo ristabilimento,  come  quello  dell'anno  scorso 
in  Roma  »  sto  mediocremente  :  il  mio  soffrire  è  più 
tollerabile;  e,  quando  m'inoltrerò  dentro  terra,  confi- 
do sentirmi  anche  meglio.  Ma  è  probabile,  che,  se  la 
nostra  flotta  va  a  Venezia ,  io  vada  colà  per  tre  o 


—  27  — 

quattro  giorni,  raggiungendo  poi  il  Generale  in  Bo- 
logna. 

Stamane,  sono  stato  al  telegrafo,  ch'è  sopra  il  con- 
vento de'  Cappuccini,  in  altura,  con  orizzonte  assai 
vasto  e  be'prospetti  del  porto,  della  città,  della  for- 
tezza, e  della  costiera  di  Sinigaglia,  Fano  e  Pesaro. 
Nel  convento,  ho  fatto  la  conoscenza  di  un  Padre 
siciliano  (  propriamente  di  Caltanissetta  )  e  di  due 
altri,  che  son  calabresi  ed  entrambi  del  distretto  di 
Catanzaro  :  tutti  tre  molto  gentili ,  e  che  mi  han 
fatto  gran  festa. 

Stamane  sono  partiti  i  Dragoni,  comandati  da  Cu- 
trofiano  (96);  e  domattina  partiranno  i  Lancieri  col 
Colonnello  Caracciolo  (97).  Stamane,  è  entrato  nel 
porto  un  Vapore  inglese.  Le  forze  navali  austriache 
sono  assai  scarse  ;  e  la  nostra  flotta  ,  anche  nello 
stato  attuale,  basterebbe  a  distruggerla. 

Qui  tutti  portano  il  nastro  [?]  o  la  croce  tricolore; 
dappertutto  bandiere  tricolori,  senz'altro  stemma  od 
insegna,  sventolano  ne'luoghi  più  frequentati;  financo 
le  donne  ed  i  bambini  parlano  della  cacciata  degli 
Austriaci  ;  a'  soldati  di  Napoli  le  donne  anconitane 
distribuiscono  corone  di  fiori;  insomma,  v'è  il  più  vivo 
entusiasmo  per  la  causa  Italiana;  cinquecento  Anco- 
nitani son  iti  a  soccorrere  i  Vicentini. 

Si  aspettano  nuove  del  quartier  generale  di  Carla 
Alberto;  e  si  spera,  ch'egli  abbia  continuato  a  ripor- 
tar vantaggi  sul  nemico.  Il  General  Ferrari  (98)  è 
con  Durando,  il  cui  corpo  d'esercito  era  quasi  a  vi- 
sta di  Nugent;  e  si  aspettava  ogni  giorno,  che  ve- 
nissero alle  mani. 

Son  certo,  che,  a  quest'  ora,  la  mia  roba^da  paesa- 
no, con  le  cravatte,  le  cappelliere  ed  i  pochi  libri  da 


—  28  — 

me  desiderati  (cioè,  i  quattro  classici  italiani  in  un 
volume  ed  il  Tacito  di  Elzeviro  in  due)  sono  già  in 
via  per  Bologna. 

È  qui  uno  de'fìgli  di  Capocci  (99),  fattosi  volon- 
tario nei  Lancieri;  disirapegna  le  funzioni  di  foriere: 
v'è  parimenti  uno  de'  Casanova  (100). 

Ieri  giunse  l'Ordinatore  Claudio  Talva  (101)  mio 
antico  conoscente.  Questa  lettera  giungerà  presto  in 
Napoli,  poiché  parte,  fra  un'ora  o  due,  cioè,  a  mez- 
zogiorno od  all'una,  col  corriere  giunto  ieri,  il  quale 
riparte  per  costà.  Saluto  caramente  Carlotta  ,  Lui* 
sa,  Antonia  e  tutti  i  parenti.  Vi  bacio  la  mano;  e, 
chiedendovi  la  materna  benedizione  ,  con  filiale  te- 
nerezza mi  ripeto 

vostro  affezionatissimo, 

Alessandro. 

Carissimo  fratello, 

Ieri,  col  corriere  spedito  al  Generale,  ebbi  la  tua 
del  di  8  Maggio.  Mi  rallegro  delle  tue  doppie  no- 
mine ,  e  di  quelle  di  Emilio.  Fa  anche  le  mie  con- 
gratulazioni con  Ruberti,  Silvio  Spavento,  e  de  Tho- 
masis.  Tu,  forse,  il  dì  8,  nulla  sapevi;  ma  pare,  che 
il  Ministero,  veduto  lo  stato  delle  cose  e  la  impor- 
tanza del  momento  attuale ,  si  sia  alquanto  scosso. 
Abbiamo  notizie,  che  altri  legni  a  vele  si  stanno  ar- 
mando; la  flotta  rimarrà  nell'  Adriatico.  Ma  temia- 
mo sempre,  che  si  prendan  mezze  misure;  pare,  che 
si  voglia  mandare  i  bastimenti  in  crociera,  senz'as- 
sediare i  porti  nemici.  Forse  i  Vapori  andranno  a 
Venezia:  nel  qual  caso  andrò  anch'  io  colà,  per  tre 
giorni;  e  raggiungerò  poi  il  Generale  in  Bologna.  Il 
Generale  scrive  lettere  sopra  lettere ,  per  iscuotere 
la  inerzia  del  Ministero;  insistendo  per  aver  Pronio, 


—  29  — 

e  perchè  si  disponga  la  partenza  di  una  batteria  di 
artiglieria  a  cavallo.  Grande  è  in  tutta  Italia  la  a- 
spettazione  del  soccorso  napolitano,  e  non  vorrem- 
mo riuscire  inferiori  alle  speranze  concepite.  Dinian 
l'altro,  ti  perverrà  una  lunga  mia  lettera,  con  un'ac- 
clusa per  del  Re  :  te  la  reca  1'  ottimo  Capitano  di 
fregata  Giovanni  Vacca.  Avrai,  certo,  già  dato  la 
mia  letterina  a  Carlo  Troya.  Te  ne  accludo  una  del 
nostro  Ulloa. 

Saluto  caramente  Emilio  e  Poppino.  Enrico,  pare 
che  sia  in  Bologna  col  battaglione  di  RossaroU  (102). 

Giungono  avvisi ,  che  le  forze  navali  austriache 
non  sono  tante  da  opporsi  alle  nostre;  se  il  nostro 
Governo  volesse,  distruggerebbe  la  marina  imperiale. 
Addio.  Caramente  abbracciandoti,  mi  ripeto 

tao  afTezionatissimo  fratello, 

Alessandro, 

Alla  Nobil  Donna 
La  Signora  Baronessa  Carolina  Poerio. 

Strada  del  Salvatore  n.^  5, 
Napoli, 

Ho  letto  questa  lettera  e  te  la  rimando. 

[Luisa  Parrilli] 


XVI.  La  Carolina  Poerio -Sossisergio  ad  Alessandro  Poerio 

Napoli,  13  Maggio  48. 

Mio  carissimo  figlio, 

Non  prima  di  ieri,  ricevetti  la  tua  carissima  let- 
tera de'  5  maggio,  scritta  da  mare  e  spedita  per  terra. 


—  30  -. 

per  la  via  di  Reggio.  Puoi  immaginare  di  quale  con- 
solazione mi  sia  stato,  il  sentirti  già  ristorato  nell'in- 
cominciato  viaggio:  da  ciò  vedi,  che  i  presentimenti 
del  cuore  di  madre  si  verificano  sempre.    Ti  avrei 
spedito  al  momento  la  roba,  che  mi  chiedi:  ma  ieri 
era  tardi,  quando  ricevetti  la  lettera;  e  non  credo,  che 
vi  fossero  stati  vapori.  Oggi,  non  ne  partono.  Sicché, 
prima  di  domani,  non  posso  spedirla  in  Livorno,  rac- 
comandandola al  nostro  console,  per  fartela  perveni- 
re, raccomandata  a  Savino  Savini,  in  Bologna.  Non 
posso  negarti,  che  son  rimasta  dolente  di  non  avere 
ancora  ricevuto  tua  lettera  di  Ancona.  Questa  è  la 
quinta,  che  io  ti  scrivo:  spero,  che  tutte  le  riceverai. 
Il  Contemporaneo,  venuto  ieri,  porta,  che  siete  giunti 
e  stati  benissimo  accolti  (103).  In  punto  viene  l'amico 
Pironti;  dice,  che  l'armiere  gli  ha  assicurato,  che  le 
pistole  sono  buone;  ci  manca  una  piccola  cosa,  che 
ora  si  è  portata  ad  accomodare.  Se  le  avrò  per  que- 
sta sera,  te  le  manderò  domani,  altrimenti  con  un'al- 
tro vapore,  che  parte  nell'entrante  settimana.  Questa 
mane,  sono  stata  a  vedere  le  Camere.  Sono  cosi  pic- 
cole, che  pochissima  gente  ci  entrerà;  sono  elegan- 
temente addobbate  (104).  Mi  trovo  contenta  di  aver- 
le vedute,  perchè  difficilmente  ci  anderò.  Lunedi,  si 
darà  il  giuramento  nella  chiesa   di   S.   Lorenzo  ;   e 
credo,  che  sarà  l'apertura  della  Sessione.  Ieri,  fui  da 
tua  sorella,  per  farle  leggere  la  tua  lettera  :   Emi- 
lio non  vi  era.  Altri  ministri  hanno  seguito  il   suo 
esempio,  come  il  Ferretti,  il  Ruggiero  e  il  degli  li- 
berti... perdo  tempo  a  ripeterti  quello,  che  saprai  già 
dai  fogli.  Troya  è  occupato,  a  fare  il  discorso  della 
Corona  (105).  Le  tue  zie  ti  dicono  tante  cose ,  come 
ancora  gli  amici  e  parenti.  Donna  Giovanna  poi  parti- 


—  81  — 

colarmente  fa  preghiere  per  te;  ed  è  dolente,  di  non 
averti  baciata  la  mano,  quando  partisti.  In  Catanzaro, 
non  hanno  scelto  né  il  Generale  Guglielmo,  che  era 
uno  dei  primi  candidati,  né  tuo  fratello:  il  primo,  per- 
chè era  partito;  e  1  il  secondo,  perchè  avevano  saputo 
«ssere  stato  scelto  in  Napoli  ed  era  candidato  di  Terra 
di  Lavoro ,  oltre  essere  stato  scelto  in  Napoli.  Spe- 
rava, che  Carlo  fosse  di  ritorno,  per  aggiungere  un 
rigo:  ma  è  tardi,  né  si  vede.  Ti  prego  de'  miei  cor- 
diali saluti  alla  Contessa;  e,  salutando  il  Generale, 
ti  abbraccio.  E  mi  dico,  benedicendoti. 


aff.ma  madre, 

Carolina. 


Al  Nobil  Uomo 
Barone  Alessandro  Poerio, 
Bologna. 
O  presso  il  GM  Pepe,  al  Campo. 


XVn.  Alessandro  Poerio  a  Carlo  Poerio 

Carissimo  fratello. 

Ti  scrivo  due  righe  in  fretta.  Il  corriere  parte 
fra  mezz'ora;  il  Generale  lo  spedisce  per  informare 
il  Governo  di  un  dispaccio  del  Governo  Provvisorio 
della  Repubblica  Veneta,  giuntogli  questa  notte  per 
espresso,  e  di  cui  ti  accludo  copia  (106). 

Nel  tempo  stesso,  il  Generale  ha  diretto  due  ener- 
gici uffizi,  r  uno  al  Presidente  del  Consiglio,  l'altro 
al  Ministro  della  guerra.  Bisogna  far  subito  inseri- 
re ne'  giornali  il  dispaccio  veneto,  affinchè  il  nostro 
Ministero  si  scuota  e  si  vergogni.  La  flotta  parte  fi- 
nalmente questa  notte  per  .Venezia  ;  io  m' imbarco 


—  32  — 

sopra  di  essa  per  conferire  colà  coi  membri  del  Go- 
verno Provvisorio;  vengono  anche  due  ufflziali  d'ar- 
tiglieria, Musti  (107)  e  Mezzacapo  (108),  destinati  per 
istruttori  de' volontari  veneti.  Io  non  rimarrò  in  Ve- 
nezia che  tre  giorni  ;  e  raggiungerò  il  Generale  in 
Bologna. 

Mi  duole,  non  avere  oggi  il  tempo,  di  scrivere  alla 
nostra  ottima  madre,  cui  bacio  la  mano;. ma  ieri  le 
scrissi,  per  mezzo  del  corriere  straordinario  del  Go- 
verno, ripartito  per  Napoli. 

Addio ,  carainente  ti  abbraccio  ;  mi  dispiace ,  che 
non  troverò  nuove  della  famiglia ,  se  non  in  Bo- 
logna. 

Ancona,  14  Maggio  1848. 

Tuo  affezionatissimo  fratello, 

Alessandro  Poerio, 
Urgente. 

A.  S.  E. 

Il  Signor  D.  Carlo  Poerìo, 

Membro  della  Camera  de'Deputati. 

Strada  del  Salvatore  n.^  5, 

Napoli. 


XVm.  La  Carolina  Poerìo-Sossisergio  ad  Alessandro  Poerio 

Napoli,  14  Maggio  1848. 

Mio  caro  figlio, 

Questa  letterina,  la  riceverai  insieme  con  le  tue 
robe,  delle  quali  troverai  la  nota  nel  baule.  Ieri,  ri- 
cevetti, per  mezzo  degli  Affari  Esteri,  la  tua  lette- 


—  33  — 

ra,  che  mi  consolò,  per  sentirti  bene.  Tuo  fratello  e 
tutti  gli  altri  deputati  sono  da  questa  mane  in  se- 
duta permanente  :  siamo  vicino  mezza  notte  e  non 
si  vede  nessuno.  Pare,  che  l'imbarazzo  sia  la  formola 
del  giuramento  (109).  Questa  lettera  ti  sarà  inviata 
da  Livorno;  ed  il  baule,  coi  mezzi  di  trasporto,  che 
ci  sono  per  Bologna.  Ieri,  portai  io  medesima,  in  casa 
Troya,  la  tua  lettera  (110).  Ora  vengo,  con  tua  zia, 
da  tua  sorella,  la  quale  ti  abbraccia.  Tante  cose  al 
Generale.  Ti  benedico. 

Aff.raa  madre, 

Carolina, 

Al  Nobil  Uomo 
Barone  Alessandro  Poerio, 

Bologna. 
RaccomaDdata  al  Sig.  Savino  Savini. 


XIX.  Carlo  Poerio  e  la  Carolina  Poerio-Sossisergio 
ad  Alessandro  Poerio 

Carissimo  fratello, 

Ti  scrivo  dalla  sala  delle  nostre  adunanze  prepa- 
ratorie. Da  ieri,  siamo  in  seduta  permanente.  L'in- 
qualiflcabile  imperizia  del  Ministero  ci  ha  condotto  a 
tale,  che  una  collisione  tra  la  Corona  e  la  Camera 
è  inevitabile  ,  poiché  esso  Ministero  ha  dimenticato 
nientemeno  che  stabilire  la  formola  del  giuramento. 
La  Guardia  Nazionale  ci  circonda  e  ci  difende.  Le 
barricate  sono  sorte  questa  notte,  come  per  incanto. 
Peraltro ,  tutto  terminerà  pacificamente  ;  poiché  la 
truppa  ha  avuto  ordine  di  non  tirare.  Questa  notte 
scorsa,  il  Ministero  ha  data  la  sua  dimissione;  e  (il 
crederesti?)  oggi  l'ha  ritirata.  Sono  de'miserabili,  che 
muovono  a  schifo  ed  a  pietà  (111).  La  Camera  è  di- 


—  34  — 

spostissima  a  concorrere,  virilmente  alla  guerra  di 
Lombardia:  e  troverà  i  mezzi  opportuni  ed  efficaci  e 
pronti  e  potenti.  Riverisco  il  Generale  ed  abbraccio  i 
comuni  amici.  Ti  stringo  al  cuore;  e  sono,  per  la  vita, 

15  Maggio  1848. 

tuo  aff.mo  fratello, 

Carlo, 
Caro  figlio, 

Tutto  è  tranquillo.  Speriamo  subito  essere  orga- 
nizzati. Don  Martino  (112),  qui  presente,  ti  saluta. 
Addio;  ti  abbraccio  e  benedico. 

Aff.raa  madre, 

Carolina, 

Al  Nobile  Uomo 
Barone  Alessandro  Poerìo, 
Al  Campo  del  G^^  Pepe, 
Bologna. 


XX.  Carlo  Poerìo  e  la  Carolina  Poerìo-Sossisergio 
ad  Alessandro  Poerìo 

Caro  fratello, 

Ieri,  dopo  un  fuoco  vivo  di  sei  ore,  tra  la  Guardia 
Nazionale  e  l'Esercito,  furono  sciolte  le  Camere  e  di- 
chiarato lo  stato  d'assedio.  Non  posso  dirti  il  numero 
delle  vittime  di  questa  tremenda  collisione.  Io  sono 
salvo  ed  in  luogo  di  piena  sicurezza.  Così  nostro  cogna- 
to (113).  Non  ho  rimorsi,  poiché  ho  fatto  di  tutto,  per 
aprir  gli  occhi  a'nostri  dissennati  fratelli.  Si  dice:  che 
saranno  Ministri  Bozzelli  (114;,  Cariati  (115),  Carasco- 
sa  (116);  e  che  il  Re  dichiarerà,  di  voler  mantenere 
la  Costituzione,  che  ha  concessa  a'suoi  popoli.  Spero, 
che  il  Governo  giungerà  a  reprimere  gli  eccessi  della 


—  85  — 

nostra  sfrenata  plebe  (117).  Nostra  madre  sta  bene; 
©,  per  suo  mezzo,  ti  rimetto  la  presente.  Addio  di  nuo- 
vo. Ti  abbraccio  con  tutta  l'anima. 

16  Maggio  1848. 

Tuo  aff.o  fratello. 

[^Manca  la  firma]. 

P.  S.  Non  pensare  in  nessun  caso  a  tornare,  fin- 
ché io  non  te  ne  scrivo. 

addi  18. 
Carissimo  figlio, 

Questa  lettera  doveva  partire  col  vapore,  che  non 
partì  ieri  l'altro;  e,  sin'ora,  non  se  n'è  annunziato  un 
altro.  Per  ora,  tr  scrivo,  per  assicurarti,  che  stiamo  be- 
ne, tutti  gl'individui  delle  tre  famiglie  (118),  che  ci  ap- 
partengono. Io  sono  stata  tranquillissima  in  casa  mia. 
Ma,  caro  figlio,  molte  famiglie  hanno  sofferto  sacco  e 
fuoco.  Tra  i  più  belli  palazzi  di  Napoli,  quelli  di  Lieto, 
di  Girella  e  di  Ricciardi  sono  stati  incendiati:  ma  que- 
st'ultimo ha  bruciato  sino  a  questa  mane.  L'apparta- 
mento di  Donna  Lisetta  è  sfondato,  ed  essa  salva  per 
miracolo  (119).  Non  ti  dico  le  morti,  che  si  dicono, 
perchè,  mano  mano,  quelli,  che  credevo  estinti,  mi 
vengono  a  vedere.  Dirai  al  Generale,  che  Don  Flo- 
restano sta  bene.  Il  foglio  di  ieri  portava  il  seguen- 
te Ministero  :  Bozzelli ,  Interno  ed  Istruzione  Pub- 
blica; Cariati,  Presidenza  ed  Affari  Esteri;  Ruggie- 
ro ,  Finanza  e  Grazia  e  Giustizia  ;  Torella  (120)  , 
Agricoltura  e  Commercio  ed  Affari  Ecclesiastici  ; 
Carascosa ,  Lavori  Pubblici  ;  Principe  d' Ischitel- 
Ia.(121),  Guerra  e  Marina.  Ieri,  pure,  vi  fu  una  Pro- 


—  36  — 

clamazione,  con  la  qaale  S.  M.  convocava  una  nuo- 
va Camera  (122).  Io  spero,  che  tuo  fratello  non  sarà 
scelto;  e  cosi  tenerti  quella  parola,  che  ti  ho  data,  pri- 
ma che  partissi.  Quindi,  caro  mio,  non  pensare  a  ve- 
nire, ma  attendici  più  tosto,  perchè  alla  mia  età  ho 
bisogno  di  quiete  e  qui  non  se  ne  puole  avere,  perchè 
spiriti  indomiti  e  scissi.  E  uscito  un  racconto  molto 
veridico,  che  ti  farò  pervenire  (123).  Per  ora,  tutto  è 
rientrato  nell'ordine;  ma  poche  ore  di  conflitto  hanno 
fatto  più  di  una  battaglia  campale.  Ieri,  ebbi  le  tue  del- 
ril  e  del  13;  ed  una  del  6,  di  Enrico.  Ti  ho  spe- 
dito tutto  quello,  che  mi  avevi  chiesto,,  all'  indirizzo 
al  nostro  Console  a  Livorno,  con  l'incarico  di  spe- 
dire il  tutto  al   signor  Savino  Savini   in   Bologna. 
Dirai  ad  Enrico,  che,  da  molti  giorni,  gli  ho  spedito 
i  trenta  ducati;  e  la  persona  mi  ha  fetto  sapere,  che 
già  li  aveva  ricevuti.  Non  ti  parlo  di  altro;  sabato,  ti 
scriverò  un'  altra  volta.  Addio  ,  caro  figlio.  Donna 
Giovanna  ti  dice  tante  cose.  Ti  benedico,  con  tutta 
la  tenerezza  materna. 

Carolina. 
Saluto  il  Generale. 

Al  Nobil  Uomo 

Barone  Alessandro  Poerio, 

Bologna. 

XXI.  Alessandro  Poerio  alla  Carolina  Poerìo-Sossisergio 

Venezia,  a'  17  Maggio  1848. 

Carissima  madre, 

Vi  scrivo  assai  più  brevemente,  che  non  vorrei, 
poiché  la  posta  non  tarderà  a  partire;  e  non  voglio 


—  37  — 

tralasciare,  di  darvi  mie  nuove  da  questa  città.  M'im- 
barcai, la  sera  del  14,  sul  Ruggiero  (124),  un  de'va- 
pori  della  flotta;  ma  non  salpammo,,  che  il  15  alle 
otto.  Andammo  assai  lentamente:  parte,  perchè  tre 
de'vapori  rimorchiavano  legni  a  vela;  parte,  perchè 
il  Retro-Ammi raglio  così  giudicò  opportuno.  Giun- 
gemmo, ieri,  alle  due  e  mezzo,  a  Malamocco,  donde 
passammo  sopra  un  piccolo  vapore  veneziano  :  due 
uflSziali  d'artiglieria,  il  figlio  dell'Ammiraglio  (125), 
gli  uffiziali  Acton  (126)  e  Flores  (127),  ed  io.  Non 
potrei,  ancorché  volessi,  descrivervi  il  giubilo  di  que- 
sto buon  popolo  veneziano,  e  le  accoglienze,  e  gli  ev- 
viva, ed  il  concorso  del  popolo  sotto  le  finestre  del 
Palazzo  del  Governo  (128).  Ora,  essendo  venuti  al- 
tri uffiziali,  si  sta  replicando  la  stessa  scena  (129).  I 
Veneti  avean  gran  bisogno  del  nostro  soccorso,  poi- 
ché la  flotta  austriaca,  ancorché  non  mqlto  forte,  era 
tale  da  impedire  il  commercio  ;  ed  i  bastimenti  non 
si  avventuravano  più  ad  uscire. 

Riabbracciai,  ieri,  con  gran  piacere,  Tommaseo;  il 
quale,  poveretto,  è  oppresso  della  fatica.  Stamane,  mi 
sono  lungamente  tr.attenuto  con  Manin  (130).  Tutte 
le  speranze  de'  Veneti  son  nei  Napoletani:  hanno  ri- 
pugnanza invincibile  per  Carlo  Alberto ,  e  costui  si 
conduce  male  con  essi  (131).  Il  Durando ,  generale 
della  truppa  pontificia  ,  dipendente  dal  Re  di  Pie- 
monte ,  non  volle  soccorrere  il  Ferrari  ,  che  ,  alla 
testa  de'  volontari,  era  alle  prese  co'tedeschi  a  Tre- 
viso (132).  Se  i  quattromila  uomini  di  truppe  na- 
politano fossero  stati  spediti  ,  secondo  le  promesse  , 
su'vapori,  i  Tedeschi  sarebbero  stati  certamente  re- 
spinti. Non  posso  oggi  scrivere  a  Carlino ,  ma  lo 
farò  presto.  Il  Governo  veneto  manderà  subito  un 


—  88  — 

agente  a  Napoli.  La  flotta  austriaca  si  è  riparata  a 
Pola;  ed  esegue  de'piccoli  sbarchi  di  Croati,  per  al- 
tro a  molta  distanza  da  Venezia.  Questa  città  è  for- 
tificata in  modo,  da  renderla  sicurissima.  I  Croati  son 
pessima  truppa,  saccheggiatori  più  che  soldati.  Sta- 
rò qui  tre  altri  giorni;  poi  andrò  a  Bologna,  dove 
troverò  il  Generale  Pepe,  e  lettere  vostre,  e  la  roba, 
che  vi  ho  pregato  mandarmi.  Abbraccio  Carlo  e  Car- 
lotta ;  saluto  Luisa  e  tutti  i  parenti.  Sto  mediocre- 
mente ;  credo,  che  Y  aria  di  Venezia  mi  gioverebbe 
più  di  quella  d'Ancona  e  Bologna;  spero  stare  anche 
meglio.  Vi  bacio  le  mani:  e,  chiedendovi  la  materna 
benedizione,  sono 

v.o  aff.mo  figlio, 

Alessandro. 
A.  S.  E. 

La  Signora  Baronessa  GaroUna  Poerio, 

Strada  del  Salvatore  N.®  5.  Napoli. 


XXn  e  XXIII.  Alessandro  Poerio  a  Niccolò  Tommaseo 
e  Carlo  Ben  aparte  a  Litigi  Masi 

Desiderava  parlarvi;  ma,  essendo  voi  impedito,  tor- 
nerò più  tardi.  Frattanto,  vi  lascio  una  lettera  del 
Principe  di  Canino  (133)  pel  Tenente  Colonnello  Ma- 
si (134),  che  egli  vi  prega  di  aprire,  leggere  e,  poi, 
mandar  subito. 

^Venezia']  17  Maggio  1848. 

V.o  aff.mo, 

Alessandro  Poerio. 


—  39  — 

Ancona,  14  maggio  1848. 
Carissimo  Masi  , 
Sono  in  Ancona;  ed  ho  avuto  lungo  colloquio  col- 
l'ottimo  ItalianissJmo  Generale  Pepe.  Parte  la  flotta 
alle  quattro  col  Barone  Alessandro  Poerio,  del  quale 
tutti  possiamo  fidarci.  Potenti  ragioni  riterranno  an- 
cora qualche  giorno  l'esercito.  Intanto,  ho  ottenuto 
dal  generale,  che  la  prima  divisione  si  concentri  al 
più  presto  in  Ferrara  con  uno  dei  magnifici  reggimenti 
di  Cavalleria  ed  una  batteria  di  otto  bocche  da  fuoco: 
cosi  i  nostri  Svizzeri  potranno  passare  il  Po.  Viva 
r  Italia  !  !  !  In  piena  fretta. 

Affmo  e  dev.mo, 

(7.  P.  Bonaparte. 

XXIV.  L'  Annamaria*****  a  Paolo*****  (135) 

Napoli,  17  Maggio  1848. 

Io  ti  ho  diretto  altre  due  lettere:  una  ad  Ancona, 
come  tu  mi  avevi  detto;  e  l'altra,  prima,  a  Venezia. 
Mi  son  consolata  sentirti  bene.  Ti  lagni,  che  io  non 
ti  ho  scritto:  io  ti  scrivo  ogni  giorno,  altra  occupa- 
zione non  ho,  che  scrivere  a  te,  mio  caro  ed  amato 
Paolo.  Per  mezzo  di  Don  Camillo  in  Ancona,  li  ho 
scritto  una  lunga  lettera:  spero,  che  ti  arrivi,  acciò 
non  ti  lagni  di  me.  Io  non  ho  la  divagazione  dei 
paesi  ed  altro....  Il  solo  pensiero  dei  figli  e  tuo  oc- 
cupa il  mio  cuore  ,  caro  Paolo.  Noi  stiamo  in  una 
massima  desolazione,  per  Y  accaduto  di  lunedì:  una 
immensità  di  morti,  una  immensità  di  arrestati,  tutto 
Toledo  distrutto,  tutti  i  palazzi  incendiati;  noi  stiamo 
in  una  paura  terribile.  Caro  Paolo  mio,  io  son  perdu- 
ta: la  tua  lontananza  mi  ha  reso  stupida;  i  figli  prega- 


—  40  — 

no  con  me,  sera  e  mattina,  per  la  tua  salute  e  pel  tuo 
ritorno.  Ritirati,  caro  Paolo;  venditi  tutto,  con  questa 
occasione.  Salva  la  tua  vita.  Quella  povera  Mamma 
piange  sempre  la  tua  lontananza.  Tutti  i  tuoi  ed  i 
miei  stanno  bene  per  grazia  di  Dio.  Il  timore  è  per 
la  Santa  Fede.  Quanto  pagherei  stare  con  te  !  I  figli 
ti  baciano,  ti  cercano,  non  capiscono  il  tuo  allonta- 
namento. Enrico  dice:  perchè  ci  ha  lasciati  il  mar^ 
chese?  Paolo  mio  caro,  non  ti  alienare:  pensa  a  noi! 
Non  fare,  che,  dovunque  ti  trovi,  ti  adatti.  Io  capisco 
bene ,  che  tu  ci  ami  ;  ma  V  amore  alienato  diventa 
più  di  minor  forza  di  quello,  che  era.  Tu,  in  Napoli, 
andavi  cercando:  e  poi  ti  ritiravi  e  ti  si  rinnovava 
l'amore  e  mio  e  dei  figli;  ma,  con  tanta  lontananza, 
quando  ti  ritiri,  chi  ti  ricorderà  di  noi?  basta,  fido 
in  Dio.  I  tuoi  figli  son  miserabili,  altro  non  tengono 
che  te:  se  tu  li  saprai  amare ,  saranno  felici ,  uniti 
a  me;  altrimenti,  saranno  infelici,  infelici  uniti  alla 
madre.  Son  sette  anni,  da  che  ti  amo;  e  morirò,  col 
tuo  nome  in  bocca.  Tutti  ti  salutano:  chi  sa,  se  ci 
trovi  vivi?  Achille  è  tornato.  Io  q'  figli  ti  baciamo 
stretto  stretto  al  cuore  ;  e  ti  abbraccio  e  al  cuore 
ti  stringo  fra  le  mie  braccia  e  mi  dico....  Caro  Pao- 
lo, fiientre  scrivo,  la  truppa,  ch'è  stata  per  tre  giorni 
in  piede  di  guerra,  si  ritira.  I  francesi  hanno  dato 
legge  al  Re,  che  in  tre  ore  si  doveva  decidere,  che 
avesse  cacciati  i  100  prigionieri:  si  spera,  che  sia  tut- 
to finito.  Così  spero ,  che  tu  ritorni  di  nuovo.  Ad- 
dio; ti  abbraccio  e  ti  bacio.  La  tua 

aff.ina, 

Annamaria, 

A  Sua  Eccellenza  • 

Il  Marchese  D.  Paolo  ***** 
Capitano  del  Secondo  Battaglione  dei  Volontarii 
Napolitani  in  Venezia. 


—  41  — 

XXV.  Alessandro  Poerìo  alla  Carolina  Poerio-Sossisergio 

ed  a  Carlo  Poerìo 

Venezia,  a'  18  Maggio  1848. 

Carissima  madre , 

Scrissi,  ieri,  in  gran  fretta;  oggi,  un  po'  più  ripo- 
satamente posso  raccontarvi  l'accoglienza,  fatta  dai 
Veneti  a'Napolitani.  Giunti  che  fummo  il  16  al  porto 
di  Malamocco,  venne  da  Venezia  un  piccolo  vapore, 
che  aveva  a  bordo  tre  Membri  del  Governo  Prov- 
visorio (136):  Paolucci  (un  nipote  del  Generale  e  del- 
l'Ammiraglio  di  questo  cognome,  ma  di  ben  altro 
pensare)  (137);  il  signor  Castelli,  Ministro  della  Giu- 
stizia (138)  ;  il  signor  Pinkerle,  Ministro  del  Com- 
mercio (139).  Essi  complimentarono  il  Comandante 
della  flotta.  Barone  de  Cosa.  Poi,  montammo  sul  pic- 
colo vapore  :  i  due  uffiziali  di  Artiglieria ,  Mosti  e 
Mezzacapo,  mandati  per  istruttori;  il  figlio  di  de  Co- 
sa; ed  altri  due  uffiziali  di  marina,  Flores  ed  Acton; 
ed  io.  Secondo  che  ci  avvicinavamo  a  Venezia,  cre- 
sceva il  numero  delle  gondole,  cariche  di  gente  ;  e, 
d' isoletta  in  isoletta,  ci  venivano  incontro  festose 
grida  ;  ed ,  a  qualche  distanza  dalla  città ,  trovam- 
mo un  altro  piccolo  vapore  con  numerosissima  ban- 
da di  suonatori ,  il  quale  voltò  indietro  per  accom- 
pagnarci. In  quella  bellissima  parte  di  Venezia,  ch'è 
tra  la  piazzetta  ed  il  palazzo  Ducale,  la  chiesa  della 
Salute  e  quella  di  S.  Giorgio ,  Y  affollamento  delle 
barche  fu  tale,  che,  camminando  di  barca  in  barca, 
si  sarebbe  potuto  passare  da  una  riva  all'  altra ,  se 
non  che  quello  delle  persone  impediva  il  muoversi. 


—  42  — . 

Sbarcati  alla  fine,  con  grande  stento ,  non  è  da  de- 
scrivere lo  spettacolo  di  quella  magnifica  piazza  di 
S.  Marco,  che  voi  conoscete,  e  che  so  esservi  rima-^ 
sta  così  profondamante  impressa  nella  memoria  ;  di 
quella  piazza,  dico,  tutta  gremita  di  guardie  nazio- 
nali, di  giovani,  vestiti  alla  Italiana  con  abito  stret- 
to di  velluto  e  cappello  a  piuma,  di  popolo  esultante, 
e  tutti  col   nastro  ,  o  coccarda  ,  o  croce  tricolore  ; 
tre  colossali  stendardi  tricolori  in  cima  alle  anten- 
ne delle  piazze  ;  e  poi,  su'  balconi  delle  Procuratìe, 
dame  elegantissime;  ed  un  fragoroso  batter  le  mani, 
ed  uno  sventolar  di  fazzoletti  ,    e  più  di  ogni  altra 
cosa,  la  gioja  sincera,  che  sfavillava  su  tutt'  i  volti. 
Condotti  al  palazzo  del  Governo  ,  dove  ci  aspetta- 
vano gli  altri  membri  di  esso,  ad  eccezione  del  Pre- 
sidente Manin ,  eh'  era  fuori  Venezia ,  fu  forza  af- 
facciarsi, per  rispondere  a'ripetuti  applausi  di  quella 
folla  ondeggiante;  ed,  almeno  per  tre  quarti  d'  ora,, 
quella  commozione  d'entusiasmo  continuò.  Ieri,  poi, 
quanti    uffiziali  della  flotta  vollero  venire  in  città  , 
si  ebbero  permesso  dal  Retro- Ammiraglio;  e  iersera, 
alle  otto  e  mezza ,  un  banchetto  di  cento  coverte  , 
settanta  in  una  sala  e  trenta  in  un'altra,  affratellò 
sempre    più   gli  animi   de'  Veneti  e  de'  Napoletani. 
Manin  presedeva  la  tavola  più  numerosa,  Tommaseo 
l'altra.  Accrebbe  la  gioja  comune  l'arrivo  di  un  di- 
spaccio al   Console  ,  e  di  un'  altro  all'  Ammiraglio  , 
fatti  per  dissipare  i  dubbi,  nati  pur  troppo  dalle  tergi- 
versazioni e  lungaggini  del  Ministero:  poiché  cpnte- 
neano   1'  ordine  ,  che  la  flotta  rimanesse  a  disposi- 
zione del  Governo  Provvisorio  per  tutti  quei  servi- 
gi ,  che  avesse  potuto  rendergli.  Spero ,  che  presto 
sarà  fiaccata  la  baldanza  di  questi  tedeschi,  che  a- 


—  43  - 

veano  già  impedito  tutto  il  commercio  veneziano,  e 
non  ancora  si  rimangono  dal  mostrarsi  in  sul  mare, 
come  convinti,  che  la  nostra  flotta  non  opererebbe 
ostilmente.  Confido,  che  presto  saranno  disingannati. 
Il  22,  conto  esser  in  Bologna;  o,  tutto  al  più  tardi, 
il  23.  Ivi  troverò  vostre  nuove.  Soggiungo  due  ri- 
ghe per  Carlino;  e,  baciandovi  la  mano  e  chieden- 
dovi la  materna  benedizione,  mi  raffermo 

vostro  aff.mo  figlio, 

Alessandro. 
Carissimo  fratello, 

Ho  trovato  i  Veneti  mal  disposti  verso  Carlo  Al- 
berto, il  quale  finora  si  conduce  indegnamente  con 
loro.  Il  Generale  Durando ,  piemontese,  il  quale,  ben- 
ché comandi  le  truppe  pontificie,  nulla  fa  senza  gli 
ordini  del  Re,  fu  più  volte  pregato  dal  nostro  Ferra- 
ri di  soccorrerlo  ,  poiché  questi  trovavasi  ,  nelle  vi- 
cinanze di  Treviso  ,  con  soli  volontari  a  fronte  dei 
tedeschi  ;  ma ,  sotto  vari  pretesti ,  lo  lasciò  in  ab- 
bandono. I  volontari,  la  maggior  parte,  si  batterono 
bene,  anzi,  in  modo  superiore  a  ciò,  che  poteva  aspet- 
tarsi da  loro;  ma,  in  alcuni  battaglioni,  vi  fu  disor- 
dine. È  ......  .  peraltro  cosa  passaggiera:  ed  i 

nostri  han  ripreso  ardire  contro  i  Croati,  che  sono  da 
più  di  settemila  da  quella  parte  ;  e,  se  fosse  qui  un 
polso  di  truppe  di  linea  (  i  quattro  mila  napolitani 
promessi  venti  giorni  fa  con  la  flotta)  il  nemico  sa- 
rebbe distrutto. 

Ter  sera ,  si  dicea ,  che  Durando  (il  quale  è  tor- 
nato a  Mestre)  volesse  finalmente  marciare  a  Trevi- 
so. Le  simpatie  de'  Veneti  son  tutte  pe'  Napolitani; 
questo  convien  che  sappiano  le  Camere  ed  il  paese: 
aspettano  con  desiderio  grande  le  truppe  sotto  Pe* 


—  44  — 

pe.  È  necessario ,  che  se  ne  mettano  in  moto  anche 
altre,  che  possano  servire  di  appoggio  e  riserva  al 
suo  corpo  d'esercito.  Confido,  che  i  Deputati  avran- 
no tanto  senno  ,  da  comprendere  ,  che  i  destini 
d'Italia  si  decidono  in  Lombardia,  dove  i  Piemontesi 
bastano  a  battere  gli  austriaci  ,  e  qui  nel  Veneto  , 
dove,  per  mancanza  di  milizie  regolari,  la  cosa  è  più 
dubbia.  Forse  Nugent  perverrà  ,  con  qualche  mi- 
gliajo  di  uomini,  a  congiungersi  con  Radetzki.  Du- 
rando, finora,  par,  che  si  aggiri  incerto;  ed  aspetti, 
per  operare  gagliardamente,  che  i  Veneti  si  diano  in 
braccio  al  Re  di  Piemonte.  Ma  il  Governo  Provvi- 
sorio, ancorché  volesse,  non  potrebbe  pronunziar  que- 
sta riunione,  tanto  il  popolo  tutto  è  alieno  da  quel 
Re.  Ferrari  (come  mi  disse  ieri  l' incaricato  del  Go- 
verno sardo  Signor  Rebizzo)  (140)  ha  lasciato  Trevi- 
so, affidando  ad  un  altro  il  comando  de'volontari;  e 
va  a  trovar  Pepe  a  Bologna.  E  urgente,  che  il  nostro 
Governo  lo  nomini  Generale,  e  gli  dia  a  comandare 
una  brigata  o  anco  una  divisione.  Egli  non  è  uomo 
da  guidar  volontari  ,  ma  vera  truppa  (141).  Nella 
guerra  di  partigiani,  si  distinse  assai,  presso  Treviso, 
il  tuo  amico  Zambeccari  (142).  Il  Marchese  Alessan- 
dro Guidotti,  ferito  gloriosamente,  mentre  avanzavasi 
alla  testa  della  guardia  nazionale  di  Bologna,  mori 
poche  ore  dopo  (143).  Addio.  Caramente  ti  abbraccio. 

Venezia,  18  Maggio. 


Tuo  affni3  fratello, 

Alessandro, 


A.  S.  E. 

La  Signora  Baronessa  Carolina  Poerio 

nata  Sossi -Sergio, 

Strada  del  Salvatore  N.  5. 
Napoli. 


— .  45  — 

XXVI.  Alessandro  Poerio  a  Niccolò  Tommaseo 

Caro  Tommaseo, 

Il  Colonnello  Cresci,  inviato  degli  Anconitani  (144), 
mi  ha  detto,  aver  saputo  dal  Generale  Paolucci  (145), 
che,  questa  sera,  l'affare  de'cannoni  sarà  proposto  in 
Consiglio.  Egli  teme,  che,  invece  del  prestito  di  molti 
cannoni,  il  Governo  Provvisorio  inclini  ad  offrirne 
pochi  in  dono:  atto  di  generosità  sempre  lodevole, 
ma  che  non  provvederebbe  a'  bisogni  di  quella  città. 
Vedete,  se  sia  possibile,  senza  danno  di  Venezia,  con- 
tentare gli  Anconitani  (146). 

Ho  trovato  il  libro  ed  i  versi;  ed  ho  cominciato  a 
legger  questi.  Mi  pajono  pieni  di  alto  affetto,  vena  in 
voi  larga  e  profonda;  e  nell'affetto  è  poesia  vera  (147). 

Riamate 

20  Maggio  1848. 

il  v.<*  aff.mo, 

Alessandro  Poerio/ 


XXVII.  Alessandro  Poerìo  a  Carlo  Poerio 

Carissimo  fratello. 

Due  righe,  sole  per  raccomandarti  Don  Giuseppe  del 
Balzo  da  San  Martino  nella  Valle  Caudina,  il  quale, 
come  maggiore  de'  volontari  napolitani,  si  è  battuto 
nel  Tirolo  con  grandissimo  valore  e  tale  da  eccitar 
Tammirazione  di  tutti  (148).  Viene  ora  a  Napoli,  a 
dimandare,  a  nome  di  questo  Governo  Provvisorio, 
offiziali  istruttori,  de'quali  è  qui  gran  penuria. 


—  46  - 

I  Tedeschi,  da'  contorni  di  Treviso,  lasciativi  solo 
duemila  uomini,  si  son  rivolti  a  Vicenza.  Durando 
{uomo  di  Carlo  Alberto)  dice  di  volerli  incontrare; 
«  si  è  mosso  verso  Bassano.  Speriamo,  che  faccia  dav- 
vero :  ma  finora  non  si  è  veduto  effetto  alcuno  di 
lui,  benché  abbia  cinquemila  soldati  pontifici.  Dicono, 
che ,  se  continua  a  questo  modo  ,  il  Ministero  Ma- 
miani  lo  destituirà. 

La  nostra  flotta,  per  ora,  incrocia  tra  Lido  e  Mala- 
mocco.  Frattanto,  gli  Austriaci  fanno  sbarchi  a  Caor- 
le.  Frattanto,  è  urgente,  che  i  nostri  legni  vadano 
ad  impedir  questi  atti  di  baldanza  del  nemico.  Pel 
dippiù  mi  rimetto  alla  lettera ,  scritta  per  la  posta 
alla  nostra  carissima  madre  ed  a  te ,  ed  a  quella , 
che  ti  presenterà  il  conte  Dolfin-Boldù  (149).  Addio. 

Venezia,  20  Maggio  1848. 

Tuo  aff.mo  fratello, 

Alessandro. 

Al  Nobil  Uomo 
n  Signo  Carlo  Poerìo  Deputato 
in 

Napoli. 


XXvm.  Alessandro  Poerìo  a  Carlo  Troya 
e  Postula  di  Carlo  Troya 

Venezia,  20  Maggio  1848. 

Carissimo  Amico, 

Ti  recherà  questa  lettera  il  signor  Giuseppe  del 
Balzo,  il  quale,  come  capitano-aiutante ,  e  poi  mag- 
giore de'volontarl  napoletani ,  si  è  battuto  nel  Tirolo 


--  47  — 

<;on  valore  sommo  e  tale  da  eccitare  Tammirazione 
di  tutti.  Egli  viene  ora  a  Napoli,  per  chiedere,  a  nome 
di  questo  Governo  Provvisorio  ,  Uffiziali  istruttori, 
di  cui  Venezia  ha  penuria.  Piacciati,  favorire  cosi 
onesta  dimanda  ;  e  far  si  ,  che  il  Ministro  della 
Ouerra  provveda  a  ciò  prontamente.  La  nostra  flotta, 
sulla  quale  m' imbarcai  per  venir  qua,  con  animo  di 
andar  fra  pochissimi  giorni  a  Bologna  e  raggiunge- 
re il  Generale  Guglielmo  Pepe,  fu  accolta,  come  già 
saprete,  con  riconoscente  e  vivo  entusiasmo.  Finora, 
non  ha  fatto,  che  incrociare  tra  Lido  e  Malamocco. 
Si  aspetta  molto  più;  e,  dopo  l'ultimo  dispaccio,  che 
dicesi  giunto  al  Retro-Ammiraglio,  è  da  credere,  che 
egli  seconderà  efficacemente  il  desiderio  di  questo 
Governo  Provvisorio,  ed  impedirà  ulteriori  sbarchi 
di  Croati  in  Caorle,  dove,  con  incredibile  baldanza, 
gli  Austriaci  mandan  truppe  ed  anche  artiglieria.  Il 
Veneto  è  sempre  in  grandissimo  bisogno  di  soccorso 
eziandio  per  terra:  il  Generale  Durando  (il  quale  è 
uomo  di  Carlo  Alberto)  non  avendo  tìnora  renduto 
alcun  servigio  essenziale  ,  e  non  avendo  anzi  mai 
affrontato  il  nemico,  benché  abbia  parecchie  migliaja 
di  soldati  pontifici  sotto  il  suo  comando.  Ieri,  si  av- 
viò a  Bassano,  per  incontrare  (gl'incontri  finalmen- 
te) gli  Austriaci,  che  da  Treviso  par  che  si  rivolgano 
verso  Vicenza.  Molta  è  la  simpatia  de'  Veneti  pei 
Napolitani.  Il  Governo  potrebbe  trarne  gran  par- 
tito. Scrivo  a  Carlo  Troya;  e  non  occorre,  che  io 
moltiplichi  in  parole.  Qui,  tutti  mi  dimandano  di  te, 
con  riverenza  ed  aflfetto,  essendo  le  tue  Storie  tenu- 
te in  quel  conto,  che  meritano.  Fa,  che  come  Presi- 
dente del  Consiglio  in  Napoli ,  sia  anche  benedetto 
il  tuo  nome  da  queste  popolazioni,  così  ardenti,  co- 


—  48  — 

sì  vivaci,  cosi  veramente  Italiane.  Oh  questa  Vene- 
zia è  un  incanto  !  È  proprio  la  città  della  fantasia; 
anzi,  qualunque  più  fervida  fantasia  rimane  indietro 
alla  sua  realtà.  Amami  ;  e  ,  ringraziandoti  di  quel, 
che  farai  pel  mio  raccomandato,  o,  per  meglio  dire, 
per  Venezia  ,  che  aspetta  con  impazienza  uffiziali 
istruttori,  e  pregandoti  di  porgere  i  miei  distinti  os- 
sequi a  Donna  Giovannina  (150),  mi  raffermo 

tuo  aff.mo, 

Alessandro  Poerio. 

Ultima  lettera,  scrittami  dal  troppo  caro  Alessan- 
dro Poerio,  mancato  alle  speranze  d'Italia,  combat- 
tendo ,  nel  di  5  novembre  1848 ,  in  Venezia  (151). 
Vale,  cuor  generoso,  anima  eroica  ed  Italiana;  vale.... 
Oh  Dio  !  qual  perdita  è  stata  mai  questa  ! 

Carlo  Troya, 

Questa  lettera  sarà  da  me  custodita  come  un  sa- 
cro tesoro  (152). 


XXIX.  6.  Campana  (153)  a  Giuseppe  Boscaro  (154) 

Venezia,  20  Maggio  1848. 

Signor  Avvocato  gentilissimo, 

Porgitore  di  questa  mia  sarà  il  signor  Poerio ,  sog- 
getto conosciutissimo  per  i  suoi  peregrini  talenti.  Nel 
suo  passaggio  per  codesta  città,  non  saprei  a  chi 
meglio  raccomandarlo,  che  a  V.  S.,  per  tutto  quello, 
che  gli  occorre  alla  sua  causa.  Sono  sicuro,  che  V. 


~  49  — 

S.,  nel] 'usare  al  mio  raccomandato  delle  attenzioni, 
con  quella  gentilezza,  che  La  distingue,  si  troverà  El- 
la pure  contento,  di  averne  fatto  la  conoscenza.  A- 
vanzandole  pertanto  i  miei  ringraziamenti,  mi  pre- 
gio raffermarmi,  con  verace  stima  e  perfetta  consi- 
derazione, 

Suo  aff.mo  servo, 

G.  Campana. 

All'Illrao  Signore, 
n  Sigr    Dre  Boscaro,  * 

Avvocato,  ai  Servi, 
Padova, 


XXX.  Niccolò  Tommaseo  a  Carlo  Leoni  (155) 

Caro  Leoni, 

Il  barone  Poerio,  autore  di  caldi  versi  e  pensati, 
promotore  de'  sussidii  napoletani,  non  ha  di  bisogno 
d' esservi  raccomandato  ;  ma  raccomanderà  egli  me 
all'amor  vostro. 

Venezia,  20  Maggio  1848. 

Tommaseo. 

Al  Conte  Carlo  Leoni, 
Porta  Savonarola, 


.  Niccolò  Tommaseo  a  Giovanni  GittadeUa  (156) 

Caro  Cittadella, 

Le  sarà  certamente  grato,  conoscere  il  Barone  A- 
lessandro  Poerio,  uomo  d' ornatissimo  ingegno  e  di 
cuore  Italiano,  la  cui  parola  autorevole  aflfrettò  ver- 


—  50  — 

so  noi  i  soccorsi  di  Napoli.  La  sua  raccomandazio- 
ne è  in  questo  cenno,  e  nella  persona  sua  stessa.  Mi 
creda  di  cuore 

20  Maggio  1848,  Venezia. 

Suo  aff.mo, 

Tommaseo. 

Al  Conte 
Giovanni  GittadeUa, 

Padova. 


XXXn.  Versi  di  Alessandro  Poerio  (157) 

0  Venezia ,  mai  più  rintimo  canto 
Sgorgommi,  come  in  te ,  da  vivo  affetto  ! 
Mai  più  sentii  la  voluttà  del  pianto  , 
Come  al  tuo  dolce  aspetto  ! 

Tu  occorri  a  me,  quasi  benigna  amica, 
Conscia  gentil  d'ogni  dolor  secreto 
Dell'anima  profonda;  e  par,  che  dica: 

—  "  Ancora  esser  puoi  lieto  !  „  - 

Una  quiete  nel  mio  cor  s' induce, 

Ch*  io  perduta  credei  ne*  lunghi  affanni; 

E  mi  circonda  una  serena  luce 

Al  tramontar  degli  anni. 

Correva  il  mio  pensier,  libero  e  vago, 
Pe'  campi,  intatti  ancor,  di  Fantasia: 
Ma  teco,  sempre,  ogni  più  dolce  imago 
Venne,  o  Venezia  mia. 

Benchò  nato  colà,  dove  più  ride 
Sotto  limpido  ciel  Tonda  tirrena, 
E  inghirlandata  Napoli  s'asside, 
Città  della  Sirena: 


—  51  - 

Ebbi  di  te,  che  di  Natura  sei 
D'Arte  e  Gloria  e  Sventura  eletta  cosa, 
Desio  supremo;  e  altrove  non  potrei 
Trovar  ricetto  o  posa! 


XXXm.  Carlo  Poerio  e  la  Carolina  Poerìo-Sossisergio 

ad  Alessandro  Poerio 

Napoli,  20  Maggio  1848. 

Carissimo  fratello, 

Ho  ricevuto  esattamente  le  due  tue  lettere  del  di 
li  e  14  corrente.  Ma  non  ho  veduto  il  gentile  uf- 
fiziale,  che  ha  recato  quest'ultima,  poiché,  dal  15,  io 
sono  a  dimorare  presso  un  amico,  per  cambiamento 
diaria  (158).  Veggo  spesso  la  nostra  buona  e  cara 
tnadre,  che,  ieri  sera  appunto,  si  trattenne  meco,  uni- 
tamente a  nostra  zia.  Non  ho  relazione  con  alcuno; 
quindi  non  posso  eseguire  la  commissione  dell' otti- 
mo tuo  Generale,  che  ossequio.  Veggo  giornalmen- 
te l'ottimo  Generale  Florestano,  il  quale  va  alquan- 
to meglio.  Ti  abbraccio  affettuosamente;  e  mi  ripeto, 
per  la  vita, 

tuo  aff.mo  fratello, 

Carlo. 

Mio  carissimo  figlio, 

Il  signor  Vacca  mi  ha  mandato  la  tua  lettera  de- 
gli li;  e  quella  del  14,  Y  ho  ricevuta  per  altro  mez- 
zo (159).  Ti  ringrazio  dei  ragguagli ,  che  mi  dai , 
sulla  situazione  fisica  di  Ancona  e  sul!'  incontro  del 
monaco  catanzarese.  Noi  stiamo  bene.  Carlo,  quan- 


—  52  — 

tunque  assente,  lo  veggo  spesso.  Ti  replico  quello,  che 
ti  ho  scritto  in  altra  mia,  cioè,  di  non  pensare  a  ve- 
nire. Piuttosto  ti  terrò  la  promessa:  cioè,  di  raggiun- 
gerti. Il  giorno  15,  ti  spedii  il  baule  con  la  roba. 
Spero,  che  sia  giunta  in  Bologna.  Siamo  tornati  nella 
calma;  ma  il  paese,  cioè,  per  meglio  dire,  le  case  di 
Toledo,  di  Monteoliveto,  di  avanti  S.  Ferdinando  han 
sofferto.  Qui  siamo  stati  tranquilli,  come  a  S.  Gio- 
vanni Maggiore  ed  a  Chiaja  (160).  Tante  persone,  che 
si  credevano  morte,  vengono  fuori  mano  mano.  Que- 
sta mane,  ho  mandato  a  vedere,  se  partono  vapori; 
e  domani  forse  ne  parte  uno,  o  tutto  al  più  doma- 
ni l'altro.  È  tardi:  finisco,  abbracciandoti  e  benedi- 
cendoti. 

AfT.ma  madre, 

Carolina, 

Al  Signore 
Sigp  Alessandro  Poerio. 
Presso  il  Generale  Guglielmo  Pepe,  • 
in  Bologna. 


XXXIV.  Luigi  de  Tschudy  (161)  ad  Alessandro  Poerìo 

Gentilissimo  signor  Alessandro, 

Le  rimetto  una  valigia  e  due  cappelliere,  che  mi 
sono  state  inviate  da  Napoli  dalla  signora  Baro- 
nessa Carolina  Pcerio.  Io  ho  consegnato  il  tutto  al- 
l' ufficio  di  questa  diligenza ,  che  s' incarica  di  fare 
ricapitare  questi  tre  oggetti  al  suo  destino.  Mi  vo- 
glio augurare,  ch'Ella  sollecitamente  riceverà  i  suoi 
efietti;  della  qual  cosa  mi  sarebbe  grato  esserne  in- 


—  53  — 

formato.  E,  pregandola  a  volermi  comandare,  sono 
di  Lei 

Livorno,  li  23  Maggio  1848. 

devotissimo  servo  ed  amico 

Luigi  de  Tschudy. 

Al  Nobil  Uomo 
Il  Sigr  Alessandro  Poerio, 
in  Bologna, 
Racr;omandata  al  Signor  Savino  Savini, 
con  un  baule  e  due  cappelliere. 


XXXV.  Savino  Savini  ad  Alessandro  Poerio 

Rovigo.  —  23 ,  ore  1  p.  m. 

Caro  Poerio, 

Da  questo  Comitato  (162),  imparo:  che  i  Napoletani, 
da  Ferrara  ,  all'un'ora  di  questa  notte ,  si  ritiravano 
verso  Bologna  fino  al  Battifrè  ;  e  che  vi  ritorna- 
vano questa  mattina.  Un  foresto  ,  che  or  ora  pas- 
sava di  Ferrara,  mi  diceva,  che  gli  Austriaci  del  For- 
te avevano  protestato  contro  il  passaggio  di  qualunque 
truppa  al  tiro  di  cannone  (163).  Vi  scriverò  anche 
da  Ferrara.  Pepe  e  Statella ,  mi  assicurano  altre 
persone,  che  tuttavia  trovansi  a  Bologna. 

Vostro, 

Savini, 

Corre  voce,  che,  a  Napoli,  non  sia  definitivamente 
la  vittoria  al  Re.  Dicesi,  persino,  che  cadesse  nelle 
mani  de'  nostri;  e  che  il  palazzo  ne  fosse  incendia- 
to. Ma  non  ci  lusinghiamo  (164),  Addio. 


—  54  — 
XXXVI.  Carolina  Poerio-Sossisergio  ad  Alessandro  Poerio 

Napoli,  24  Maggio. 

Mio  carissimo  figlio, 

Non  voglio  mancare  di  scriverti  con  ogni  occasio- 
ne, che  si  presenta,  per  dirti,  che  stiamo  bene,  tutte  le 
tre  famiglie.  Solo  ho  inteso  con  dispiacere  dai  fogli, 
che  Enrico  è  stato  ferito.  Non  ho  lettera  sua  dal  gior- 
no sei  corrente  (165).  Spero,  che,  a  quest'  ora,  avrai 
ricevuto  l'avviso,  che  le  tue  robe  sono  in  Bologna. 
Domani,  avrò  occasione  di  scriverti  di  nuovo.  Tuo 
fratello  è  sempre  in  campagna,  ma  vicino:  ieri,  ci  fui; 
ed  era  uscito.  Ti  raccomando  di  pensare  alla  tua  sa- 
lute. E  non  pensare  di  ritornare,  perchè,  se  Carlo 
non  sarà  eletto  una  seconda  volta,  faremo  anche  noi 
risoluzione  di  respirare  altr'aria.  Tutt'i  parenti,  gran- 
di e  piccini,  ti  salutano:  il  piccolo  Michelangelo  ha  il 
vajuolo  anzatìcOj  ma  assai  benigno  (166).  Il  nostro 
amico  Generale  finalmente  ha  ottenuto  di  essere  tolto 
dal  comando  del  forte;  cosa,  che  desiderava  arden- 
temente (167).  Ti  abbraccio  e  benedico. 

Aff.ma  madre 

[manca  la  firma'] 
Dà  le  nostre  nuove  ad  Enrico. 

Al  Signor 
Barone  Alessandro  Poerio. 
Al  Campo  del  Generale  Pepe, 


—  55  — 

XXXVn.  Alessandro  Poerìo  a  Niccolò  Tommaseo 

Carissimo  Tommaseo, 

Il  General  Pepe  scrive  al  Presidente  Manin,  per 
mezzo  del  Capitano  Musti,  ch'egli  rimanda  a  Vene- 
zia, per  ottenere  da  cotesto  Governo  Provvisorio  scar- 
pe ed  altre  cose,  necessarie  alle  nostre  truppe.  Dipoi,  il 
Musti  andrà  a  Padova,  ad  eseguire  altra  commissione, 
per  la  quale  abbisognerà  forse  di  munizioni,  che  siete 
pregati  di  somministrargli  dall'Arsenale  di  Venezia. 
Voi  intendete  bene,  che,  oltrepassando  il  Po,  l'esercito 
napolitano  divenendo  veramente  italiano,  è  in  aperta 
rivolta  contro  l'amico  dell'Austria,  l'atroce  Ferdi- 
nando ;  è  dunque  indispensabile,  che  la  Repubblica  a 
faccia  qualunque  sacrificio ,  perchè  nulla  manchi  ai 
soldati,  che  accorrono  ad  aiutarla.  Vi  r|iccomando  par- 
ticolarmente il  Capitano  Musti,  uomo  di  animo  Ita- 
lianissimo  e  d'intrepidità  singolare,  come  lungamente 
mostrò  nella  guerra,  combattuta  per  la  Grecia,  che 
risorgeva  a  libertà^»  quanto  più  non  farebbe  per  l'I- 
talia,  sua  patria  !  (168)    . 

Mio  fratello  è  in  salvo,  grazie  a  Dio;  ma  pare,  che 
stia  nascosto,  non  ancora  uscito  di  Napoli.  Scriverò, 
insistendo  ,  perchè  egli  e  mia  madre  non  tardino  a 
lasciar  Napoli.  Si  hanno  notizie,  che  sembran  certe, 
di  essere  Avellino  in  rivolta,  con  arresto  di  tutte  le 
autorità.  Salerno  già  romoreggia,  e  la  Calabria  in- 
sorge (169).  Ora,  quel  che  veramente  preme,  è,  che 
la  flotta  non  vada.  Avrete  veduto  il  Leopardi  (170) 
ed  il  Masi.  Non  posso  scrivere  più  a  lungo;  ma  di- 
mani 0  diman  V  altro  supplirò.  Addio. 

Bologna,  a' 25  Maggio  1848. 

V.o  Aff.mo 

Alessandro  Poerio. 


—  56  — 

XXXVIII.  Carolina  Poerio-Sossisergio  e  Carlo  Poerio 

ad  Alessandro  Poerio 

Napoli,  25  Maggio. 

Mio  carissimo  figlio, 

Questa  mane,  per  la  posta,  ho  ricevuta  la  tua  ca- 
ra lettera  da  Venezia,  che  attendevo  con  tanta  an- 
sietà. Grazie  al  cielo,  hai  riveduto  il  tuo  caro  Tom- 
maseo. Io  spero,  che  ora  sia  di  ritorno  presso  il  Gene- 
rale; ed  avrai  ricevuto  tutte  le  mie  lettere:  dal  gior- 
no della  sanguinosa  catastrofe,  quasi  tutti  i  giorni  ti 
ho  scritto.  Tuo  fratello,  che  è.  stato  qualche  giorno 
da  un  amico,  questa  mane  ha  pranzato  con  me.  Il  Go* 
verno  spinge  la  legge  elettorale.  Siamo  sempre  nel- 
lo stato  di   assedio.  Godiamo   di  tranquillità  al  pre- 
sente. Tutti,  parenti  ed  amici,  stiamo  bene.  La  tua 
roba,  spero,  che  l'avrai  trovata  in  Bologna:  se  ciò 
non  è,  scrivi  subito  al  nostro  console.  Di  Enrico,  do- 
po la  sua  piccola  ferita,  nulla  più  ho  saputo.  Saba- 
to, ti  scriverò  più  a  lungo.  Antonia  ti  abbraccia:  in 
questi  giorni,  ha  soflFerto  il  solito  male  di  orecchio. 
Addio,  caro  figHo  mio;  scrivimi  sempre,  che  puoi.  Sa- 
lutami gli   amici:  il  Generale  particolarmente  ,   con 
la  cara  Con|:essa,  col  Conte  e  col  Sa  vini.  Carlo  vuol 
farti  un  rigo.  Ti  abbraccio  e  benedico. 

Aff.ma  madre 

Carolina. 

Carissimo  fratello. 

Mi  sono  assai  consolato,  nel  leggere  là  tua  lette- 
ra, datata  da  Venezia  il  17.  Spero,  che,  a  quest'ora, 
anche  costà  sia  seguito  il  voto  di  adesione  al  Re- 


—  57  — 

gno  Costituzionale  dell'alta  Italia  (171).  Ieri,  fu  pubbli- 
cata la  legge  elettorale;  ossia,  si  è  fatto  ritorno  all'an- 
tica, qualificando  come  sovversivo  della  Costituzione  il 
Programma  del  5  Aprile  (172).  Le  novelle  elezioni  a- 
vranno  luogo  il  16  Giugno.  Credo,  che,  in  generale, 
torneranno  i  medesimi  Deputati.  Tutti  gli  atti  del.  Go- 
verno sono  in  senso  apertamente  retrogrado.  Ma  il 
paese  è  tutto  deciso  a  mantenere  la  libertà.  Riverisco 
il  Generale  e  gli  amici;  e  ti  abbraccio  di  cuore. 

Tuo  aff.o  fratello, 

Cario. 

Al  Signore 
n  Sig.  Alessandro  Poerio  , 
presso  il  Generale  G.  Pepe,  Comandante 
dell'Esercito  Napolitano, 
in  Bologna. 


XXXIX.  Savino  S&vini  ad  Alessandro  Poerio 

26  Maggio. 
Caro  Poerio, 

Fra  poco,  gl'inviati  di  Milano  (173)  faranno  un  gi- 
ro in  città  colla  vettura,  come  intendevi  di  far  tu.  E 
però,  se  vorrai  essere  loro  compagno,  rispondimi  su- 
bito. 


Tuo 

S,  Sa  vini. 


Alloggiano  al  Pellegrino. 

Al  Barone  Poerio 
N.*  40,  Grande  Albergo, 
0  presso  S.  E.  il  Generale  Pepe. 


—  58  — 

XL.  Giuseppe  del  Re  ad  Alessandro  Poerio 

Mio  carissimo  Alessandro 

Poche  parole,  per  dirti,  che  io  sono  a  Roma:  e  puoi 
bene  intenderne  il  perchè.  Quanti  orrori,  quante  in- 
famie, quante  sciagure  !  Pure,  fra  tante  tristezze,  è 
venuta  ieri  a  consolarmi  la  nuova  di  un'azione  gene- 
rosa, eroica.  Evviva  il  General  Pepe!  evviva  i  no- 
stri prodi  soldati  !  Con  te,  poi,  mi  congratulo  di  cuo- 
re assai  più ,  pensando  quanta  parte  hai  tu  dovuto 
avere  a  cosi  magnanima  risoluzione.  Iddio  protegga 
ora,  con  le  armi  Italiane,  le  nostre.  All'  ottimo  Ge- 
nerale i  miei  ossequi  ed  auguri;  e  porgine  altrettan- 
ti da  parte  dell'amico  Massari  (174).  A  te,  poi,  mando 
mille  abbracci,  ed  una  preghiera  ardentissima:  di  man- 
darmi sempre,  che  puoi,  tue  nuove  e  de'nostri  soldati. 
Pensa  con  che  ansia  noi  ne  aspettiamo,  ogni  gior- 
no ,  ogni  momento.  Io  ti  mando  invece  una  lettera 
del  nostro  Pontefice,  pubblicata  or  ora  (175).  Non  è 
quanto  desideravasi;  ma  essa  è  tale,  che  ha  conten- 
tato almeno  taluni,  ed  ha  acquetato  molte  appren- 
sioni. Addio  ;  mio  caro  Alessandro ,  addio  di  cuore. 
Salutami   Damiano  (176)  ed  Ulloa. 


Roma,  27  Maggio. 


lì  tuo  afllroo 

G.  del  Re. 


All'Egregio 
Signor  Alessandro  Poerìo. 
(Presso  il  Generale  Pepe)  Posta  Restante, 

Bologna: 


—  59  — 

ZLL  Luigi  de  Tschudy  ad  Alessandro  Poerio. 

Pregiat.  sig.  Barone , 

Le  rimetto  una  lettera  della  Baronessa,  Sua  ma- 
dre; come  pure  L'avverto,  averle  spedito  una  valigia 
e  due  cappelliere,  per  mezzo  della  Diligenza:  il  tutto, 
diretto  a  Lei,  ma  raccomandato,  pel  sicuro  ricapito, 
al  Signor  Savino  Savini.  E ,  pregandola  a  volermi 
comandare,  sono,  di  Lei, 


Livorno,  li  27  Maggio. 


dev.mo  servo  ed  amico , 

Luigi  de  Tschudy. 


All'Egregio  Uomo 
n  Sig.  Barone  Alessandro  Poerio. 
Raccomandate,  pel  sicuro  ricapito, 
al  signor  Savino  Savini, 
Bologna. 


ZLII.  La  Carolina  Poerio -Sossisergio  e  Carlo  Poerio 

ad  Alessandro  Poerio 

Napoli,  27  Maggio  1848. 

•     Mio  carissimo  figlio, 

Spero,  che,  col  tuo  arrivo  in  Bologna,  avrai  ri- 
trovata la  tua  roba  ed  una  decina  di  lettere.  Io, 
caro  figlio  ,  specialmente  dopo  il  15  ,  ti  ho  scritto 
spessissimo,  per  farti  stare  al  corrente  circa  la  no- 
stra buona  salute.  Questa  lettera,  la  porterà  un  a- 


-  60  — 

mico  in  Livorno;  e  la  metterà  alla  posta  per  Bolo- 
gna (177).  Son  persuasa,  che  tutti  i  tuoi  godimenti, 
a  Venezia,  sono  stati  amareggiati  dalle  nuove  del,  di- 
sastro di  Napoli.  Qualche  volta,  temo ,  che  qualche 
reazione  ci  sia  stata  sii  i  Napolitani.  Qui,  la  truppa  si 
è  portata  da  cannibali,  tanto  la  Guardia  Reale  quanto 
gl'infami  Svizzeri  (178).  È  vero,  che  il  partito  de'pazzi 
hanno  spinto  le  cose  a  tale  eccesso;  e  tutto  ciò,  per 
pochi  sciocchi,  che  hanno  creduto,  che  bastava  grida- 
re per  ottenere,  anche  le  cose  al  di  là  del  possibile. 
Poche  centinaja  si  sono  battute  per  nove  ore;  e  di 
quelli  che  erano  più  esaltati,  rari  erano  quelli,  che  si 
battevano  (179).  Il  campo  di  battaglia  fu  da  Palazzo, 
S.  Ferdinando,  Largo  del  Castello,  Fontana  Medina, 
Monteoliveto.  Li  finiva  la  strage.  Il  palazzo  Ricciardi 
fu  l'ultimo  olocausto;  il  resto  di  Napoli  era  tranquil- 
lo ,  meno  che  S.  Lucia,  i  cui  marinari  fecero  mos- 
sa (180).  Quando  si  entrava  in  una  casa ,  gli  Svizzeri 
0  la  Guardia  Reale  prendevano  tutto  il  prezioso;  e  poi 
chiamavano  i  lazzari  per  la  mobilia  grossa.  Quanto 
0  quanto  ho  ringraziato  la  Provvidenza  di  non  es- 
serti trovato  in  Napoli!  I  primi  giorni  si  dicevano 
tanti  morti ,  ma  man  mano  vennero  risuscitando  e 
te  li  vedi  comparire.  Credo,  che  ai  Veneziani  sarà 
passata  la  simpatia  verso  di  noi,  quando  hanno  inteso 
questa  piccola  iS.  Barthélémy,  con  la  differenza,  che 
quella  sagrificò  i  suoi  nemici  e  questa  ha  trucidato 
gl'innocenti  ed  i  suoi  propri  partigiani.  Qui  si  vo- 
ciferano i  fatti  di  Vienna  :  si  spera  imminente  la  di- 
soluzione dell'  esercito  (181).  Qui  si  è  molto  sdegnati 
verso  Cosa,  perchè  dicono,  che  non  aveva  ordine  di 
andare  a  Venezia  (182).  La  tua  descrizione  mi  ha  fat- 
to veramente  piacere.  Nulla  mi  hai  detto  però  della 


—  61  — 

strada  di  ferro.  Addio.  E  mezza    notte.  Ho   dovuto 
scrivere  ad  Enrico.  Ti  benedico. 

A.fr.ma  madre, 

Carolina. 

28  Maggio  1848. 

Carissimo  fratello, 

Ti  scrivo  due  righe,  per  dirti  la  posizione  delle  co- 
se. Il  paese  (mi  duole  il  dirlo)  si  è  mostrato  molto  al 
di  sotto  della  sua  situazionp.  Le  Provincie,  dopo  vani 
clamori  e  superbe  e  gonfie  minacce,  per  ora,  non 
han  nulla  fatto.  Cosenza  ha  fatto  di  peggio:  poiché 
ha  sciolto  finanche  un  Comitato  di  sicurezza,  prese- 
duto dairintendente  e  di  cui  era  uno  de'  membri  il 
Comandante  della  Provincia  (183).  Di  Salerno  non 
ti  parlo,  giacché  i  quarantamila  uomini  di  Carduc- 
ci sono  iti  in  fumo  (184).  Lecce  poi  ha  stomacato 
tutti,  poiché,  dopo  aver  proclamato  balordamente  la 
repubblica,  non  ha  saputo  resistere  ad  una  mossa  con- 
trorivoluzionaria, e,  dopo  ventiquattro  ore,  si  é  sot- 
tomessa al  Governo  (185).  Il  quale ,  dal  canto  suo, 
è  in  aperta  reazione  di  uomini  e  di  cose.  Con  tutto 
ciò  ,  la  massa  della  nazione  pare  ,  che  voglia  final- 
mente seguire  il  consiglio  degli  uomini  sapienti,  af- 
finché le  camere  possano  riunirsi  al  più  presto,  e  ri- 
guadagnino il  perduto  ascendente  morale,  usando  con 
arte  ed  opportunamente  dei  suoi  diritti.  Io  sono,  qui, 
sulla  breccia,  con  Emilio,  con  Bavarese  (186),  con 
Capitelli  e  con  tutt'i  buoni,  che  non  abbiam  voluto 
disertare  il  posto  di  onore  in  tanto  pericolo.  Tutti 
abbiam  dichiarato  aperta  guerra  al  Bozzelli  ed  al 
Ruggiero;  e  facciam  ogni  sforzo  ,  perchè  il  paese  si 


—  62  — 

ricordi  di  essere  Italiano.  Se  le  cose  andranno  (come 
spero)  bene  nell'alta  Italia,  persuaditi,  che  qui  risor- 
geremo. Ma  ci  vuole  tempo  e  prudenza.  Qui,  la  opi- 
nione liberale  è  rappresentata  da  un  partito;  e  parti- 
to poco  numeroso.  Quando  io  lo  diceva  ,   e  racco- 
mandava la  temperanza  civile,  non  mi  volevan  cre- 
dere. Ora  rhan  veduto,  l'han  toccato  con  mano;  ed 
i  più  avventati  han  ricorso  alla  fuga,  come  estremo 
rimedio,  lasciando  il  paese  nella  più  tremenda  posi- 
zione, da  essi  in  gran  parte  provocata  con  le  esor- 
bitanze  d'  ogni  maniera.   D'  altra  parte   il  Governo 
s'  era  preparato  da  lunga  pezza  ;  ed ,  in  qualunque 
evento,  al  primo  atto  di  energia  del  Parlamento,  si 
sarebbe  corso  alla  violenza,  al  sangue  ed  alla  rapi- 
na (187).  Addio:  cura  la  tua  salute,  e  non  pensare  a 
venire,  per  ora.  Ti  abbraccio  di  cuore , 


Tuo  aff.mo  fratello, 

Carlo. 


Al  Signor 

Il  Sigr  Alessandro  Poerio. 

Presso  il  Tenente  Generale^ 

Comandante  del  Corpo  Napoletano, 

Bologna, 


XLm.  Alessandro  Poerio  alla  Carolina  Poerio-Sossisergio 

Carissima  madre , 

Finalmente,  questa  mattina,  mi  è  giunta  un'  altra 
vostra  lettera,  in  data  de'  24;  lettera,  che  io  aspet- 
tava con  grande  impazienza,  perchè,  dopo  quella  del 
di  20,  non  ne  avea  ricevuto  alcuna. 


-  63  — 

Mi  consolo  nel  sentire,  che  voi,  mio  fratello  e  gli 
altri  parenti  stiate  bene.  Resto  inteso  di  quanto 
soggiungete.  E  facile,  che  fra  un  pajo  di  giorni  io 
lasci  Bologna  col  Generale  ,  che  è  in  buona  sa- 
lute. 

Anch'io,  lode  al  Cielo,  fra  tante  contrarietà,  pos- 
so lodarmi  della  salute  mia.  Credo,  che  saranno  con 
noi  tutt'i  nostri  compagni  di  viaggio,  od  almeno  la 
.  massima  parte.  Vi  scrivo  per  lo  stesso  mezzo  ,  pel 
quale  voi  avete  scritto  a  me. 

Ebbi  la  roba  puntualmente  ,  e  vi  ringrazio.  Sa- 
vino Savini  mi  dimostra  molta  amicizia  e  vi  sa- 
luta. La  Contessa  Gozzadini  vi  dice  tante  cose;  essa 
mi  colma  di  attenzioni,  se  non  che  mi  manca  il  tem- 
po di  accettarle  tutte.  Ieri,  desinai  da  lei. 

Abbiate  cura  della  vostra  salute,  voi  e  Carlo.  Io 
credeva  ricevere  lettere  vostre  e  sue  da  altro  luo- 
go. Ad  ogni  modo,  scrivete  quanto  più  spesso  po- 
tete; ed  io  esattamente  risponderò. 

Rassicuratevi  sul  conto  di  Enrico.  La   sua  ferita 
fn  cosa  leggiera;  e  so,  eh' è  già  fuori  letto.  Trovasi 
ora  a  Coito.  Egli  si  è  molto  distinto;  e  più  volte  è 
stato  mentovato  con  meritata  lode  ne'  pubblici  fogli. 
Il   Generale  ha  ricevuto  in  questo   momento  una 
lettera  del  22;  e  gli  duole  molto  sentire,  che  [suo 
fratello]  non  istà  bene  (188). 
Come  vi  ho  accennato  di  sopra,  seguirò  il  Gene- 
.  rale,  ch'è  fermo  di  varcare  il  Po:  ma,  le  lettere,  piac- 
ciavi sempre  dirigerle  a  Bologna,  donde  mi  saranno 
fedelmente  mandate,  dove  sarò. 

Addio,  carissima  madre;  a  rivederci  in  tempi  mi- 
gliori ;  a  me  piacerebbe,  peraltro,  saper  voi  e  Carlo 


—  64  — 

fuori  [Regnò],  Serbatemi  il  vostro  afifetto  ;  e  cre- 
detemi 

Bologna,  29  maggio  1848. 

v.o  aflfmo  figlio, 

Alessandro. 

Alla  Nobil  Donna 
La  Signora  Baronessa  Carolina  Poerio. 

Strada  del  Salvatore  n.^  5. 
Napoli, 


XLIV.  La  Teresa  Gozzadini-Serego-AUighieri 
ad  Alessandro  Poerio 

Pregiat.  sig/®  ed  amico, 

Se  domani,  a  2  ore  pomeridiane,  Ella  è  in  libertà 
d'  altre  occupazioni,  sarò  al  Suo  albergo  a  prenderla, 
per  visitare  la  Contessa  Martinetti  (189)  e  la  Marche^ 
sa  Mariscotti  (190)  ,  come  abbiamo  concertato  ieri. 
Mi  creda, 

(Martedì  sera).  (191) 

Sua  aff.ma, 

Gozzadini. 


XLV.  La  Carolina  Poerio^ossisergio  ad  Alessandro  Poerio. 

Mio  carissimo  figlio, 

Dopo  la  tua  del  18  da  Venezia,  sono  al  buio  sol 
tuo  conto  ,  essendo  anche  l'amico  Flqrestano  privo 
di  lettere  del  fratello.  Ignoro  ,  se  ti  sei  trovato  in 
Bologna,  allorché  la  truppa  è  partita  di  11  per  pas- 


—  65  - 

sare  il  Po,  quel  fiume,  che  dev'essere  spettatore  di 
tremende  lotte.  Io,  tuo  fratello  e  la  nostra  famiglia 
ed  i  conoscenti  stiamo  bene.  Tuo  fratello  è  nel  tuo 
appartamento ,  perchè  più  fresco.  Giorni  sono ,  ti 
scrissi  a  lungo,  per  mezzo  di  un  amico,  che  partì  per 
Livorno.  Ora,  al  momento,  mi  si  presenta  un'altra 
occasione;  e  ne  profitto.  Qui,  si  sta  in  calma,  di  quel- 
la calma,  eh'  è  de'  morti.  Tutti  gli  amici,  che  di  te 
s' interessano,  ti  salutano.  Carlo  è  fuori  casa,  perciò 
non  ti  scrive.  Non  so  il  numero  delle  lettere,  che  ti 
ho  scritte,  dal  18  in  poi.  Addio,  ti  abbraccio  e  be- 
nedico. Tante  cose  al    Generale.  Sono  tua 


Napoli,  31  Maggio  1848, 


Al  Sig.  Barone 
Alessandro  Poerìo. 

Al  quartiere  generale 

del  Generale  Guglielmo  Pepe, 

Bologna. 


aff.ma  madre, 

Carolina, 


XLVI.  Alessandro  Poerio  aUa  Carolina  Poerio-Sossisergio 

ed  a  Carlo  Poerio 

Bologna,  31  maggio  1848. 

Carissima  madre, 

Dopo  la  lettera  del  20,  ho  ricevuto  le  altre  due 
del  24  e  del  25.  Alla  prima,  ho  risposto  con  lo  stesso 
mezzo,  pel  quale  mi  pervenne;  mando  la  presente  con 
occasione  sicura. 

Se  ho  motivo  di  consolarmi,  sentendo,  che  state 
bene,  come  anche  il  mio  caro  fratello  e  Carlotta  e 

5 


—  66  — 

tutt'  i  parenti ,  ad  eccezione  di  Antonia  ,  non  posso 
tacervi,  che  mi  tiene  in  grande  ansietà  e  non  mi  la- 
scia riposo  alcuno ,  il  mutato  vostro  proponimento. 
Secondo  quel ,  che  accennavate  nella  vostra  lettera 
de'  20  ,  io  sperava  riceverne,  fra  pochissimi  giorni, 
un'  altra  da  Civitavecchia  o  da  Livorno.  A  che  ri- 
maner più  a  lungo  nel  Regno?  Costà ,  per  legge  e- 
terna  di  storia  ,  si  prepara  una  serie  inevitabile  di 
avvenimenti  luttuosi.  Venite  via  ,  per  carità ,  voi  e 
Carlino  ,  venite  via  al  più  presto  possibile.  Altret- 
tanto vorrei,  che  facessero  Emilio  e  Carlotta.  Non  vi 
giunga  invano  questa  mia  lettera  ;  non  isperate  tran- 
quillità in  cotesto  paese.  Il  Generale  si  unisce  meco, 
nel  darvi  questa  preghiera.  Egli  è  in  una  posizione 
difficilissima;  ma,  fra  tante  contrarietà,  mostra  forza 
d'animo  e  perseveranza  di  volere  meravigliose.  Anco 
la  salute  è  migliore,  che  non  dovrebbe  poter  essere, 
in  mezzo  a  cosi  vivi  e  continui  dispiaceri.  Solo,  di 
scrivere  al  fratello,  non  ha  coraggio;  se  potete,  fate 
saper  voi  a  Florestano,  che  Guglielmo  sta  bene.  Con 
molti  0  con  pochi,  tra  i  quali  sarò  io,  egli  passerà  il  Po 
certamente.  La  prima  divisione,  datasi  alla  indiscipli- 
na ed  incamminatasi  a  Ravenna,  in  aperta  disubbi- 
dienza agli  ordini  ricevuti,  ha  forzato  il  Colonnello  e 
gli  uffiziali  a  guidarla  nella  turpe  fuga.  Parecchi  uf- 
fiziali  sono  giunti  a  mettersi  in  libertà ,  e  son  tor- 
n  nati  a  Bologna.  Il  Colonnello  Lahalle  (qualunque 
;  fosse  il  suo  pensare  in  politica  )  indegnato  da  tanta 
turpitudine  delle  truppe,  è  morto  alla  romana,  ucci- 
l  dendosi,  per  non  farsi  strumento  di  così  estremo  di- 
tf  sonore.  Qui,  chi  più  assicurava  il  Generale,  di  esser 
1  pronto  col  suo  reggimento  a  partire,  più  gli  manca 
i     air  uopo  ;  parlo  del  dispregevole,  del  turpissimo  06- 


—  67  — 

lonnello  Cutrofiano,  il  quale,  con  subdole  arti  di  rag- 
giro, nelle  quali  è  a  meraviglia  valente ,  era  giunto 
a  far  credere  a  Guglielmo  Pepe,  ch'egli  fosse  il  più 
volenteroso  di  passare  il  Po  (192).  I  volontari  non 
mancheranno  certamente  ;  e  molti  uffiziali  di  caval- 
leria e  d'artiglieria  verranno  anch'essi.  Potete  imma- 
ginare quale  impressione  faccia  ai  Bolognesi  la  igno- 
minia di  questi  nostri  sgherri,  che  usurpano  il  nome 
di  soldato  (193). 

La  Gozzadini  vi  saluta  caramente:  essa  mi  mor- 
tifica, colmandomi  di  gentilezze.  Ieri,  fui  a  pranzo  dal 
Marchese  Calcagnini  di  Ferrara,  da  più  anni  sta- 
bilito in  Bologna.  Egli,  sempre  memore  dell'amicizia 
con  la  felice  memoria  di  mio  padre,  vi  dice  molte  cose 
amichevoli  (194). 

Vi  rammento  il  ritratto  ed  il  calamajo  della  felice 
memoria ,  ed  un  portafoglio  di  nastri  a  scacchi ,  il 
quale  è  nel  mio  segretario  ,  e  dentro  il  quale  è  una 
carta,  che  contiene  i  capelli  del  mio  buon  padre.  Por- 
tateli con  voi. 

Vi  bacio  la  mano;  e,  chiedendovi  la  materna  bene- 
dizione, mi  ripeto, 

V.®  aff.mo  figlio, 

Alessandro  Poerio, 

Carissimo  fratello, 

Leggerai  quel,  che  scrivo  a  nostra  madre  ,  e  saprai 
la  situazione  del  Generale  e  mia.  Ad  ogni  modo,  non 
mancheremo  al  certo  a  noi  stessi.  Di  quella  del  Re- 
gno non  ho  notizie  precise;  ma,  dagli  atti  del  Governo, 
stampati  ne'pubblici  fogli,  e  da'  pochi  cenni  delle  let- 
tere tue,  ne  raccapezzo  abbastanza,  per  intendere,  che 
la  cosa  non  va.  Che  fiducia  può  esservi  più ,  dopo  le 


—  68  — 

stragi  commesse  ?  Che  vuol  dire  il  procedere  a  nuove 
elezioni  ?  Non  sono  stati  forse  i  Deputati  dispersi  dalla 
più  iniqua  violenza,  prima  che  fossero  costituiti  in  ca- 
mera effettiva  ?  Se  il  paese  acconsentisse,  ad  elegger 
di  nuovo  i  Deputati,  secondo  la  legge  bozzelliana,  da- 
rebbe causa  vinta  al  Governo.  Dio  noi  voglia.  Tu  ed 
i  buoni  serbatevi  a  tempi  migliori.  Dammi  la  consola- 
zione, di  ricevere  presto  tue  lettere  e  della  nostra  otti- 
ma e  veneranda  madre,  da  Civitavecchia  o  da  Livorno. 
Potreste  venir  qui,  dove  trovereste  amici  veri  ne'con- 
jugi  Gozzadini.  Anco  il  Marchese  Calcagnini  mi  mo- 
stra benevolenza  somma.  Addio.  Ho  scritto  oggi  ad 
Enrico,  il  quale  è  a  Coito.  Si  è  molto  distinto.  Della 
ferita  è  quasi  risanato  ;  ma  pare,  che  la  sua  salute  sia 
indebolita,  come  mi  dice  Leopardi.  Ha  ricevuto,  pel 
suo  valore,  una  decorazione  da  Carlo  Alberto.  Addio 
di  nuovo.  Ti  abbraccia  caramente 


il  tuo  aff.mo  fratello, 

Alessandro, 


Alla  Nobil  Donna 
La  Signora  Baronessa  Carolina  Poerio. 

Napoli, 


XLyn.  Alessandro  Poerio  a  Niccolò  Tommaseo 

Bologna,  31  Maggio  1848. 

Caro  Tommaseo, 

Dapprima  non  vi  scrissi,  sperando,  che  presto  a- 
vremmo  passato  il  Po;  in  appresso,  mi  son  taciuto, 
per  vergogna  delle  infamie  di  questi  sgherri,  che  usur- 
pan  nome  di  soldati;  ma  la  colpa  è  degli  ufficiali,  i 
più  di  loro  atrocemente  devoti  alla  tirannide,  e  tanto 


—  69  — 

stolti,  da  credere,  ch'essa  sia  per  trionfare  ultima- 
mente. Ricorderete,  come  io,  in  Venezia,  stentassi  a 
credere,  che  questa  sbirraglia,  contro  gli  ordini  Fer- 
dinandei,  combatterebbe  per  la  causa  Italiana;  poi, 
le  notizie  di  Bologna,  che  voi  deste,  mi  fecero  spe- 
rar meglio  ;  ora,  ogni  illusione  è  svanita.  Un  de'  Co- 
lonnelli, forzati  dalle  truppe  ribellate,  a  guidarle  nella 
turpe  fuga  verso  Ravenna,  sì  è  (benché  fosse  tenu- 
to un  accanito  realista)  per  punto  d'onore  militare, 
ucciso  con  un  colpo  di  pistola  (195).  Temo  forte,  che, 
alla  fine,  il  Pepe  non  avrà  seco,  per  passare  il  Po, 
che  i  volontari  (circa  cinquecento  giovani)  ed  un  certo 
numero  di  uflSziali  e  sotto-uffiziali  di  cavalleria  e  di 
artiglieria  ,  a'  quali  l' infamia  de'  loro    compagni  fa 
ribrezzo  ,  ed  aggiunge  animo  per  la  causa  buona  e 
santa  d' Italia. 

Non  moltiplico  in  parole:  il  resto  saprete  da  Za- 
netti (196).  Ossequio  i  membri  del  Governo  Prov- 
visorio, segnatamente  il  Manin.  Ed,  abbracciandovi, 
mi  raffermo 

v.<*  aff.mo, 

Alessandro  Poerio. 

P.  S.  Date,  di  grazia,  l'acclusa  al  signor  Camillo 
Campana,  nipote  del  Console  napolitano. 


XLVIII.  Giuseppe  Del  Re  ad  Alessandro  Poerio. 

Roma,   2  Giugno  1848. 

Mio  carissimo  Alessandro , 
Ho  ricevuto,  stamane,  una  tua  lettera;  e  puoi  bene 
immaginare  di  quanta  consolazione  mi  sieno  riusciti. 


—  70  — 

i  tuoi  caratteri ,  come,  per  contrario ,  son  rimasto 
rattristato  ,  sentendo  le  tante  perversità  di  coloro  , 
a'quali  più  doveva  cuocere  V  onore  del  nostro  di- 
sgraziato paese.  E  quel ,  eh'  è  peggio ,  apprendo  or 
ora  da  Sterbini  (197),  che  nessuno  de'nostri  voglia 
più  partire  per  la  guerra.  Possibile  tanta  infamia? 
Dunque,  saremo  noi  svergognati  in  faccia  all'Italia, 
in  faccia  ali*  Europa  ?  Meno  male ,  che  i  nostri  ma- 
rini siansi  decisi,  sol  essi,  a  non  ritornare.  Questa, 
almeno,  è  la  nuova,  giuntaci  iersera,  per  mezzo 
di  staffetta  ;  Dio  faccia,  che  sia  vera  !  (1 98)  Dopo 
tante  sciagure,  dopo  tante  apostasie,  l'animo  è  chiu- 
so ad  ogni  buona  speranza.  Avrai  saputo  ,  a  que- 
st'ora, le  notizie  del  nostro  paese,  fino  al  giorno  30: 
che. vi  fu,  cioè,  in  quel  giorno,  una  nobile  manife- 
stazione di  più  centinaja  di  persone,  vestite  a  bruno, 
per  la  via  di  Toledo;  che,  la  sera,  voleasi  uscir  di 
teatro  alla  comparsa  del  Re  ;  che ,  per  ciò ,  non  vi 
fu  spettacolo;  che  la  squadra  francese  non  fece  la 
salva  di  onore;  che  ogni  giorno  si  arrestano  nostri 
amici;  che  il  povero  Alessandro  Marini  (199)  è  te- 
nuto sotto  chiave  ;  che  il  General  Ruberti  è  stato 
dimesso  dal  suo  posto,  per  non  aver  tirato  il  giorno 
15  sopra  la  città.  Come  vedi  :  lo  spirito  pubblico  è 
buono;  il  governo  imperversa  sempre  più.  Le  Pro- 
vincie ,  poi ,  sono ,  presso  che  tutte ,  in  agitazione  : 
specialmente  le  Calabrie,  Basilicata  e  Salerno.  Esse 
sonosi  staccate  dalla  capitale;  e  si  preparano  ad  u- 
na  vigorosa  resistenza.  Degli  Abruzzi ,  quel ,  che 
so,  è  questo:  che  il  castello  è  in  mano  della  guar- 
dia Nazionale,  e  che  quattromila  uomini  erano  stati 
spediti  dal  Governo  verso  Solmona  e  poi  richiama- 
ti (200).  A  quel,  che  pare,  Y  in  fame  fa  capitale  sulle 


—  71  — 

forze,  che  tornano  da  Bologna,  per  reprimere  i  moti 
degli  Abruzzi.  Ma  la  sbaglia,  per  Dio!...  Ho  ricevu- 
to, questa  mattina,  lettera  del  nostro  amico  di  Aqui- 
la (Marchese),  il  quale  mi  scrive,  che  mi  attende  in 
Rieti  (201);  ed  io  partirò  domani,  in  compagnia  d'un 
altro  amico.  Questa  notte,  partono  sette  altri  de'no- 
stri,  per  la  volta  di  Sicilia:  e  tutti  con  la  stessa  in- 
tenzione. È  fra  questi  mio  cognato,  il  quale  ti  ab- 
braccia caramente  (202).  I  Siciliani  sono  bene  di- 
sposti per  noi;  e.  faran  causa  comune.  Or  Dio  prov- 
vegga! Se  le  nostre  condizioni  sono  triste,  quelle  del 
nostro  trucidatore  sono  anco  peggiori;  ed,  ormai,* 
la  sua  sentenza  è  firmata  (203).  Mi  consola  assai 
sentire,  che  il  nostro  Enrico  facciasi  onore.  Oh  lui 
beato,  che  spende  le  sue  forze  per  una  causa  san- 
tissima !  Se  riceverai  altre  sue  nuove ,  dammele  ; 
e  così  degli  amici  tutti,  che  sono  ancora  per  noi  e 
con  noi.  Dirigimi  le  tue  lettere  a  Rieti  (posta  re- 
stante); e  non  dimenticare  chi,  abbracciandoti  mille 
volte,  si  ripete  di  cuore 

il  tuo  affezionatissimo 

P.  Beppino  Del  i?^] 

P.  S.  Sento  or  ora  le  notizie  di  Milano.  Che  altra 
calamità  !  (204)  =  Mi  dimandi  nuove  degli  amici,  fug- 
giti da  Napoli.  Eccotene.  Son  qui:  Carducci,  SaU- 
ceti  (205);  Bellelli  (206);  Romeo  (padre  e  figlio)  (207); 
Salofia  (208);  Zuppetta  (209);  Petruccelli  (210);  i  due 
Curioni  (211);  de  Agustinis  (212);  de  Vincenzi  (213); 
Dorotea  (214);  de  Blasiis  (215);  Porcaro  (216);  e  Mi- 
randa (217),  di  Ariano  (218)  ecc.  ecc.  ecc. 

Qui,  quanti  sono  Italiani  non  fanno,  che  benedire 
il  nome  del  Generale  Pepe.  Io  fo  altrettanto,  con  tutti 


—  72  — 

i  nostri.  Avevamo  preparato  un  indirizzo  per  lui  : 
ma  fu  opera  perduta.  Tanti  rispetti,  intanto,  da  par- 
te di  tutti,  e  specialmente  di  me ,  che  onoro  in  lui 
r  ottimo  cittadino.  =  Mi  dimenticavo  dirti ,  che  il 
nostro  Carlo  non  è  stato,  fin  qui,  molestato  affatto. 
Ricevetti,  ier  l'altro,  lettera  di  mio  padre,  il  quale 
mi  diceva  di  aver  ricevuto  una  sua  visita.  =  L'ot- 
timo Massari  ti  rende  tanti  carissimi  saluti;  e  si  rac- 
comanda alla  tua  amicizia,  della  quale  si  onora  al- 
tamente. 

Non  iscrivo  al  mio  carissimo  Damiano  ;  per- 
chè il  tempo  è  nemico  a  questo  mio  desiderio.  In- 
tanto, abbraccialo  caramente,  per  me,  e  da  parte  an- 
che di  Massari.  Fa  lo  stesso  con  l'amico  Ulloa. 


XLIX.  Alessandro  Poerio  alla  Carolina  Poerio-Sossisergio 

ed  a  Carlo  Poerio 

Bologna,  a  di  3  Giugno  1848. 

Carissima  madre, 

Dopo  la  vostra  del  25  scorso  maggio,  non  mi  era- 
no pervenute  altre  vostre  lettere;  ed  era  molto  in- 
quieto, quando,  stamane,  sulle  insistenze  del  mio  amico 
Savini ,  fatto  diligenza  tra  le  lettere  de'  militari,  ne 
ho  avuto  sette  ad  un  tempo:  le  altre  arretrate,  l'ul- 
tima in  corrente,  essendo  de'28  maggio. 

Se  mi  consola,  da  una  parte,  il  sentirvi  tutti  bene, 
mi  desola,  dall'  altra,  la  risoluzione  di  rimanere  nel 
Regno;  e  più  lungamente  scrivo  di  ciò  a  Carlino.  La 
Contessa,  la  quale,  unitamente  al  marito,  caramente 
vi  saluta,  s'incarica  di  far  si,  che  questa  vi  sia  ri- 
capitata in  mani  proprie. 


—  73  — 

Domattina,  partirò  per  Ferrara  con  gli  uffiziali  di 
Stato  Maggiore;  e,  forse,  anche  iji  Generale  si  avvierà 
a  quella  volta,  nel  corso  della  giornata.  Vi  ho  già 
scritto  (parimenti  con  sicuro  ricapito)  della  ritirata , 
0  piuttosto  fuga,  della  prima  divisione  verso  il  Re- 
gno: il  che  è  dovuto  al  contrordine,  venuto  da  Na- 
poli, circa  il  passaggio  del  Po;  ma  la  cosa  è  stata 
anche  più  precipitata,  per  la  inettezza  del  Cardinal 
Ciacchi,  il  quale  insistè,  perchè  quelle  truppe  uscis- 
sero di  Ferrara  (219).  Di  cinquemila  uomini  ,  soli 
trecento  circa  son  riusciti  a  tornare  indietro  verso 
il  Po:  molti  e  molti  altri  ben  disposti,  essendo  trat- 
tenuti dalla  massa.  Al  Colonnello  Lahalle,  che  non 
volle  sopravvivere  all'onta,  di  esser  costretto  a  capi- 
tanare questa  turpissima  fuga,  ieri,  il  2.°  battaglio» 
ne  de'  volontari  celebrò  solenni  funerali  nella  Chiesa 
di  S.  Francesco  (220). 

Cerillo  non  è  ancora  tornato  (221);  siamo  in  som- 
ma incertezza ,  parlo  per  gli  altri  ,  che  ,  in  quanto 
a  me,  non  credo  sia  per  venire  l'ordine,  da  noi  de- 
siderato. Con  pochi  0  molti,  il  Generale  e  noi  altri, 
che  siamo  con  lui,  passeremo  il  Po.  Chi  avrebbe  detto, 
che  i  tempi  ,  i  quali  pareano  destinati  a  riabilitarci 
nel  cospetto  dell'Europa,  dovessero,  invece,  esser  tem- 
pi di  nuova  infamia  napoletana  (222)? 

Saprete  le  nuove  del  campo  di  Carlo  Alberto;  gran 
vittoria  da  lui  riportata,  a  Coito,  sopra  circa  trenta- 
mila Austriaci.  Cosi  furono  vendicati  i  Toscani,  che, 
il  giorno  prima,  assaliti  alle  Grazie,  sotto  Mantova, 
da  forze  quadruple,  furono  rotti  con  mortalità  gran- 
de, specialmente  nel  battaglione  universitario.  Il  no* 
giro  Pilla  (223)  fu  ucciso,  e  ferito  il  Professor  Mossot- 
ti  (224).  Ma ,  s' è  vero,  come  fermamente  si  crede , 


—  Te- 
che sia  morto  anche  il  mìo  caro  Montanelli,  è  que- 
sto uno  de'  più  vivi  dolori ,  che  io  potessi  provare. 
La  mia  salute,  in  mezzo  a  tanti  dolori,  è  bastante- 
mente buona.  Scrivete.  Vi  bacio  la  mano;  e,  chie- 
dendovi la  materna  benedizione,  mi  ripeto 

v.o  afT.mo  figlio, 

Alessandro. 

Carissimo  fratello, 

Resto  inteso  di  quanto  mi  dici ,  nella  tua  lettera 
de'28;  ma,  francamente,  ti  dirò,  che  non  posso  ap- 
provare ,  anzi  neppure  intendere  quel ,  che  tu  ed 
Emilio  e  gli  altri,  che  mi  nomini,  state  facendo.  Ti 
ripeto  quel,  che  ti  ho  già  scritto  ;  che  l'acconsentire 
alla  nuove  elezioni  è  un  darla  vinta  alla  tirannide. 
Soli  Deputati  legittimi  della  nazione  son  quelli,  che, 
il  15  maggio,  furono  sciolti  dalla  violenza,  prima  di 
esser  definitivamente  radunati.  Non  veggo,  che  coloro, 
i  quali  si  sono  allontanati,  debbano  esser  tacciati  di 
viltà;  non  veggo,  che  lo  star  sulla  breccia,  come'dici, 
sia  utile  al  paese  :  anzi,  l'accettare  una  rielezione  è 
lo  stesso,  che  vulnerare  i  diritti  nazionali,  fatti  salvi 
dalla  protesta.  Vieni  via,  per  carità,  con  nostra  ma- 
dre ;  lo  stesso  dico  ad  Emilio  ed  alla  sua  famiglia. 
Ti  prego  e  scongiuro,  quanto  so  e  posso,  di  lasciar 
cotesto  misero  paese  ;  non  sarà  diserzione,  per  Dio, 
ma  più  efficace  difesa. 

Intorno  a  questo  punto,  non  vi  sono  due  opinioni 
dal  Garigliano  in  qua.  Ne'  campi  di  Lombardia ,  si 
decidono  le  sorti  di  tutta  Italia.  Fa  sapere  a  Flo- 
restano, che  il  fratello  sta  bene,  e,  fra  tante  contra- 
rietà, serba  l'animo  costante  e  sereno.  Continuate  a 


-  75  — 

scrivermi  a  Bologna,  con  raccomandazione  di  rica- 
*pito  a  Savino  Savini,  che  avrà  cura  di  farmele  per- 
venire. Di  Enrico  non  ho  nuove  recenti  ;  gli  scrissi 
giorni  fa.  II  24,  seppi  da  Leopardi,  eh*  egli  era  al- 
quanto malandato  in  salute;  della  ferita  era  presso- 
ché guarito.  Spero,  riceverne  nuove  in  breve.  A  Par- 
rilli  ed  Imbriani  tante  cose  amichevoli.  Se  mi.  ami, 
fa,  che  io  riceva  presto  lettere  tue  e  di  nostra  ma- 
dre da  fuori  Regno.  Ti  abbraccia 

il  tuo  aff.mo  fratello, 

Alessandro, 

Alla  Nobil  Donna, 
La  Signora  Baronessa  Carolina  Poerio, 

Strada  del  Salvatore  n.^  5,  2.°  piano 
NapolL 


L.  Carlo  Poerio  a  Raffaele  Poerio 

Napoli,  8  Giugno  1848. 

Carissimo  zio, 

Mentre,  da  una  parte,  mi  ha  riempito  di  gioja  la 
notizia  del  vostro  felice  arrivo  in  Marsiglia,  sono  ri- 
masto estremamente  dispiaciuto,  nel  sentire,  che  non 
vi  era  pervenuto  alcun  mio  foglio.  Io  vi  ho  scritto 
non  appena  mi  giunse  la  vostra  cara  lettera,  in  cui 
mi  annunziavate  la  vostra  determinazione,  di  accet- 
tare l'onorevole  invito  del  Governo  Lombardo,  e  mi 
richiedevate,  se  la  vostra  famiglia  poteva  sicuramente 
yenire  in  Napoli.  Nel  mio  foglio ,  io  vi  diceva  : 
che  la  famiglia  poteva  liberamente  venire;  che  i  vostri 
figli  avrebber  trovato  ogni  naaniera  di  ajuti,  per  i- 


—  76  — 

struirsi;  e  prendere  una  carriera;  e  che  aveva  pre- 
parato in  casa  due  ottime  stanze,  per  ricevere  la  cara 
zia  e  la  famiglia,  con  quell'afifetto  e  quella  espansione, 
per  parte  della  mia  buona  madre,  che  li  ama  di  tutto 
cuore...  Posteriormente  ho  tornato  a  scrivere;  e  sem- 
pre per  mezzo  del  Ministero  degli  Affari  esteri,  che, 
allora,  era  occupato  dal  mio  ottimo  amico  Marchese 
Dragonetti.  Immaginate  dunque  il  mio  cordoglio,  nel- 
l'apprendere,  che,  alla  vostra  partenza  da  Aìgieri,  non 
vi  erano  ancora  giunte  le  mie  lettere.  Se,  come  debbo 
supporre  dietro  la  prevenzione  ricevuta  per  mezzo 
di  codesto  ottimo  console  de  Martino  (225),  zia  Maria 
Teresa  è  rimasta  in  Africa,  le  lettere,  a  quest'ora,  le 
saranno  certamente  pervenute.  Ad  ogni  modo,  se  la 
medesima  è  in  viaggio  co' figli,  potete  ben  credere 
con  quanta  premura  noi  V  attendiamo. 

Dopo  la  funesta  catastrofe  del  15  Maggio,  e  la 
carneficina  ed  il  sacco,  che  ne  seguirono,  lo  stato  del 
paese  è  divenuto  spaventevole.  Io  ho  dovuto  assi- 
stere a  tutta  l'orrida  scena,  poiché,  nella  qualità  di 
Deputato  (per  la  doppia  nomina  di  Napoli  e  di  Terra 
di  Lavoro)  dopo  avere  assistito  alla  seduta  prepara- 
toria, che  si  prolungò  fino  alle  5  dopo  la  mezzanot- 
te, fui  destinato  con  Capitelli,  Imbriani  e  Pica  (226),  a 
trattar  col  Ministero,  per  ottenere,  che,  secondo  la  pro- 
messa, il  Re  aprisse  o  facesse  aprire,  per  mezzo  di 
un  Commissario  Regio,  le  Camere,  per  quello  stesso 
giorno,  alle  due.  Ci  recammo  al  nostro  destino,  at- 
traverso le  barricate,  eh'  erano  state  costruite  nella 
notte;  e,  giunti  in  Consiglio  ed  esposto  il  nostro  mes- 
saggio, tutto  ottenemmo  con  un  Decreto  Reale.  Ma 
ersL  fatale,  che  si  versasse  il  sangue  cittadino;  poiché, 
in  quello  stesso  momento,  cominciò  la  fucilata  e  la 


—  77  — 

mitraglia.  Certamente,  le  barricate  furono  una  im- 
perdonabile imprudenza  ed  una  provocazione  intem- 
pestiva, poiché  la  Guardia  Nazionate,  che  era  scissa, 
non  rispose  in  gran  parte  air  appello,  ed  il  popolo 
era  apparentemente  indifferente;  e  fu  poi  una  osti- 
nazione  colpevole  quella,  di  non  voler  togliere  le  bar- 
ricate, disconoscendo  la  voce  del  General  Comandante 
(jabriele  Pepe,  e  de'suoi  Colonnelli  de  Conciliis  (227), 
Piccolellis  (228),  Letizia  (229;  e  Gallotti,  che  tutti  fu- 
ron  trattati  da  traditori  da  que'  furiosi,  che  impugna- 
rono i  fucili  per  disfarsene  (230);  e  fu  doppiamente 
colpevole  quel  rifiuto  ,  quando  la  Camera  ,  con  un 
suo  aflSsso  in  istampa,  comandò,  che  le  barricate 
fossero  tolte  ,  giacché  tutto  era  stato  accomodato 
col  Governo  (231).  Io  riconosco  tutto  questo.  Ma, 
d'  altra  parte,  osservo:  che  l'aggressione ,  per  parte 
de' soldati,  era  preparata  di  lunga  mano;  ch'essi  e- 
rano  ferocemente  aizzati  contro  la  Guardia  Nazio- 
nale; che  nulla  si  fece  per  impedire  il  fuoco,  o  per 
mettervi  un  termine ,  o  almeno  per  impedire  il  be- 
stiale furore  di  quei  cannibali  ;  che  il  popolo  era 
già  preparato,  per  dare  addosso  a'  liberali  ;  che  si 
eran  raccolti  in  Napoli  oltre  ventimila  uomini  ;  che 
invece  e  lungi  di  punire  i  colpevoli  di  si  nefandi  ec- 
cessi^ sono  stati  sfacciatamente  premiati  con  deco- 
razioni, promozioni  e  pensioni.  Il  peggio  si  è,  che  il 
novello  Ministero,  mentre  proclama  l'inviolabilità  del- 
lo Statuto,  lo  fa  ogni  giorno  a  brani,  e  sospende  tutte 
le  guarentigie.  Disonora  il  Paese,  richiamando  la  flotta 
e  l'esercito  spediti  in  sostegno  della  causa  Italiana  ; 
conculca  ogni  principio,  sciogliendo  la  Camera  non 
ancora  aperta;  si  dà  ad  ogni  specie  di  reazione,  nelle 
leggi  e   nel  personale  :  in  somma ,  prepara  a  tutta 


—  78  — 

possa  l'anarchia,  sciogliendo  la  Guardia  Nazionale,  e 
lasciando  i  cittadini  a  discrezione  di  una  truppa,  avida 
di  sangue ,  e  di  -un  popolaccio,  avido  di  rapina.  Le 
novelle  elezioni  debbono  farsi  tra  otto  giorni;  ed,  in- 
tanto, il  Governo,  con  ogni  mezzo  più  inverecondo, 
cerca  espellere  dalla  candidatura  gli  uomini  indipen- 
denti e  capaci,  e  sostituirvi  persone  indegne  e  ser* 
vili;  e  si  mette  di  accordo  co'Vescovi,  per  falsare  la 
pubblica  coscienza.  Inoltre,  prolunga  l'illegale  stato 
di  assedio  della  Capitale,  per  impedire  la  stampa  in- 
dipendente e  non  riordinare  la  Guardia  Nazionale. 
Atterrisce  il  Re  con  mille  voci  sinistre;  e  lo  tiene  as- 
sediato in  Palazzo.  Per  conchiudere:  il  Ministero  pre- 
para ,  con  tutt' i  mezzi,  l'estrema  rovina  di  questo 
infelice  Paese.  Nelle  Provincie,  l'Autorità  governa- 
tiva è  quasi  spenta;  i  tributi  non  si  pagano;  i  con- 
gedati non  tornano  ;  la  leva  nuova  non  si  fa.  Da  per 
tutto  si  creano  Comitati  di  sicurezza  e  poi  si  disfan- 
no. In  Calabria  s' istituiscono  dieci  Governi  provvi- 
sori ;  tutto  è  confusione  ed  anarchia.  Una  setta  anar- 
chica s' impadronisce  delle  proprietà  de'  privati,  e 
quindi  irrita  ed  allarma  i  ricchi,  e  li  rende  devoti 
a  qualunque  governo,  che  prometta  sicurezza.  Anche 
noi  ci  siamo  capitati;  e,  mentre  la  nostra  famiglia  fa 
tanti  sacrifici  per  la  patria  e  tutti  a  proprie  spese, 
mentre  Alessandro  ed  Enrico  combattono  in  Lom- 
bardia, mentre  voi  abbandonate  la  vostra  onorevole 
posizione  per  pugnare  a  prò  della  indipendenza  Ita- 
liana, mentre  io  combatto  col  coraggio  civile  contro 
un  Potere  divenuto  formidabile,  i  nostri  coloni  non 
pagano,  e  la  guardia  nazionale  di  Policastro  s'im- 
padronisce della  Sila  e  la  divide  tra  i  suoi  abitan- 
ti !  Altri,  poi,  sognano,  in  mezzo  a  tanti  impuri  eie- 


—  79  — 

menti,  di  stabilire  la  repubblica.  Altri  parteggiano  per 
Carlo  Alberto.  Altri  aspettano  il  soccorso  de'Siciliani. 
I  fedelissimi  aspettano  il  Russo  ed  il  Turco  ;  gli  an- 
glomani sperano  nella  Regina  Vittoria  ;  i  democra- 
tici, nel  soccorso  francese.  Insomma,  siamo  nella  Torre 
di  Babelle;  e,  se  il  pietoso  Iddio  non  ci  ajuta,  certo 
noi  non  ci  ajuteremo.  L'animo  non  regge  al  crucio 
di  vedere,  che,  in  mezzo  a  tanta  gloria  Italiana,  noi 
senopre  più  ci  copriamo  di  vergogna. 

Il  novello  Ministero  aveva  brutalmente  destituito 
Luigi  Vercillo,  Intendente  di  Chieti  (232).  La  sua  sola 
colpa  era  quella,  di  aver  dileguata  una  manifestazione, 
di  tre  in  quattromila  persone,  con  bandiera  bianca,  a 
favore  del  Re  assoluto  ;  e  gli  avevano  dato  per  suc- 
cessore il  celebre  Valla,  antico  gendarme,  e  rinne- 
gato del  1828  (233).  Ma  quelle  popolazioni  si  sono 
opposte;  Valla  prudentemente  non  ha  voluto  andare; 
ed  il  Governo  ha  fatto  di  necessità  virtù.  Salvatore 
Ferrari  non  ha  voluto  esser  Deputato.  Il  Ministero 
ha  quindi  creduto  di  doverlo  premiare,  e  l' ha  scelto 
per  Intendente  di  Catanzaro;  ma  spero,  anzi  son  cer- 
to, che  non  accetterà  (234;. 

Mia  madre^  in  mezzo  a  tante  angustie,  sta  lodevol- 
mente bene.  Cosi  anche  zia  Antonia.  La  famiglia  Par- 
rilli  gode  buona  salute:  D.  Michelangelo  era  nominato 
ano  de'  50  pari.  Imbriani,  scelto  anch'  egli  Deputato 
in  due  Provincie,  aveva,  fortunatamente,  rassegnato 
il  portafoglio,  pochi  giorni  prima  della  tremenda  ca- 
tastrofe. Zupi  (235),  qui  presente,  vi  riverisce;  il  Go- 
verno gli  aveva  offerto  di  rientrare  nell'esercito  da 
basso  ufficiale.  Fra  tutti  i  Ministri  il  più  furioso  è 
quello  della  Guerra,  Principe  d'Ischitella.  Carrascosa 
ò  tornato  [?];  il  fratello  Raffaele  è  Ministro  de' la- 


—  80  — 

vori  pubblici.  Bozzelli  lo  è  dell' Interno,  e  s' immor- 
tala. Scrivetemi  subito;  e  ditemi,  dove  debbo  dirigere 
la  lettera. 

V.  affez.mo  nipote, 

Carlo  Poerio. 

P.  S.  Vi  prego:  di  riverirmi  il  Conte  Toffetti  di 
Milano,  che  è  stato  inviato  del  Governo  Provvisorio 
in  Napoli ,  e  domandargli ,  se  ha  ricevuto  due  mie 
lettere. 


LI.  Alessandro  Poerio  alla  Carolina  Poerìo-Sossisergio 

Ferrara,  a  di  10  Giugno  1848. 

Carissima  madre, 

Per  quanto  io  possa  immaginare  le  difficoltà,  che, 
ne'  tempi,  che  corrono,  accompagnano  la  nostra  cor- 
rispondenza epistolare,  non  so  esser  tranquillo,  ve- 
dendomi affatto  pri^vo  di  lettere  vostre  e  di  mio  fra- 
tello. L'ultima,  eh'  ebbi,  fu  la  letterina  vostra  de'  31 
Gennaio.  Il  Generale,  oltre  quella  del  31  stesso,  ne 
ricevette  una  di  Florestano  sotto  la  data  de'  4  Giu- 
gno ,  ma  non  vi  si  facea  menzione  della  mia  fami- 
glia. Io  vi  ho  scritto  più  volte  ;  vi  ho  pregata,  stra- 
pregata, supplicata  e  scongiurata,  non  meno  voi  che 
Carlo,  di  lasciar  cotesto  infelicissimo  paese.  Io  me- 
desimo non  mi  valgo  del  mezzo  ordinario  della  po- 
sta, ben  conoscendo,  come  sia  rispettato,  ad  onta  del 
famoso  articolo  apposito  della  costituzione  de' 10  Feb- 
braio ,  il  segreto  delle  lettere. 

Ma  ho  scritto  più  volte,  raccomandando  le  lettere 


—  81  — 

mie  pel  ricapito  a  persone,  che,  certamente,  han  tro- 
vato modo  di  farvele  pervenire.  Non  mi  fate  dunque 
stare  in  ansietà  continua  ;  e  datemi,  jBnalmente,  voi 
e  Carlo,  la  consolazione ,  di  veder  giungere  lettere 
vostre  da  Roma,  da  Livorno,  da  Firenze,  da  qualun- 
que città ,  che  non  sia  Napoli.  Il  corso  delle  cose 
porta  seco,  che  il  Regno  debba  esser  sempre  più  in- 
quieto ;  questo  è  tanto  inevitabile,  che  può  dirsi  fa- 
tale, e  la  quistione  di  costi  è  divenuta  quistione  Ita- 
liana. Frattanto,  si  spinge  vigorosamente  la  guerra 
contro, gli  Austriaci.  Radetzki  con  Walmoden  (236), 
Schwartzenberg  (237),  Thurn  e  Taxis,  d'Asper,  e  coi 
due  figli  del  Viceré  (238),  dopo  la  famosa  rotta,  avuta, 
il  di  30  Maggio,  a  Goito,  ha  ripassato  l'Adige,  ed,  in 
tre  colonne,  marcia  dal  Polesine,  (ier  Y  altro  era  a 
Montagnana)  mostrando  di  voler  minacciare  or  Pa- 
dova, ora  Vicenza;,  ma  pare,  che  il  suo  vero  intento 
sia,  o  di  rientrare  in  Verona,  se  può,  o  di  aprirsi  un 
varco  alla  ritirata  pel  Friuli  o  pel  Tirolo.  Il  calcolo 
più  esatto  gli  attribuisce  circa  sedicimila  uomini. 
Se  r  esercito  napoletano  fosse  già  passato  di  là  del 
Po,  quegli  sarebbe  già  incalzato  alle  spalle,  in  modo 
da  dover  forse  arrendersi,  poiché  ha  a  fronte  i  Pie- 
montesi ed  il  Generale  Durando  co 'Pontifici.  Ma  spe- 
riamo, essere  ancora  in  tempo.  Il  Generale  fece,  ier 
l'altro,  varcare  il  fiume  a  Francolino  (luogo,  che  voi 
ricorderete  bene)  da  due  battaglioni  di  volontari  na- 
politani, a'quali  se  ne  aggiunse  uno  bellissimo  di  Mi- 
lanesi, la  maggior  parte  combattenti  delle  cinque 
giornate;  e,  ieri,  furono  raggiunti  da  un  battaglione 
bolognese.  Ma  ciò,  ch'empiè  di  gioia  le  popolazioni 
di  qua  e  di  là  da  quel  maestosissimo  fiume,  si  fu  il 
simultaneo  passaggio  della  batteria  d'artiglieria  na- 

6 


—  82  — 

poletana,  con  entusiasmo  indicibile  per  la  causa  Ita- 
liana. Io  mi  trovai  presente;  e  fu  spettacolo  vera- 
mente magnifico.  Oggi,  (fra  poche  ore)  il  Pepe,  col  suo 
stato  maggiore,  passa  anch'  egli ,  per  trasportare  il 
quartier  generale  a  Rovigo  ;  e ,  nel  tempo  stesso , 
dà  ordini  precisi  a'  vari  corpi  di  cavalleria  e  di  fan- 
teria, che  sono  sparsi  ed  alloggiati  in  luogo  diverso, 
di  recarsi  in  quella  città.  Si  spera ,  che  non  saran- 
no sordi  alla  voce  dell'onor  militare,  e  faranno  am- 
menda delle  turpe  defezione  della  prima  divisione, 
che  ormai  si  avvicina  a'  confini  del  Regno.  Anco 
fra  que'disertori  sono  pertanto  molti,  che  si  vergo- 
!  guano,  di  esser  forzati,  ad  accompagnare  una  cosi  vi- 
j  tuperevole  fuga.  L'  artiglieria  ,  soprattutto  ,  ha,  più 
j  volte,  tentato,  di  tornare  indietro  ;  ma  la  fanteria  la 
tiene  come  prigioniera.  Sperasi,  peraltro,  che,  prima 
di  giungere  a'  confini  del  Regno,  quella  turba  indi- 
sciplinata si  sbandi^  e  così  i  buoni  restino  in  'libertà 
di  raggiungere  la  bandiera. 

Checché  ne  sia,  il  General  Pepe  avrà  fatto  il  do- 
ver suo;  e,  se  mai  fosse  disubbidito  (il  che  si  crede, 
per  altro,  improbabile,  ora,  che  le  truppe  sono  dister- 
minate in  vari  siti  e  non  han  seco  artiglieria)  l'in- 
famia sarà  tutta  de'  ricalcitranti  ;  e,  forse,  non  pas- 
serebbero impuniti  fra  popolazioni  irritate  ed  ener- 
giche. Speriamo  il  meglio,  per  l'onore  del  nome  na- 
poletano e  la  salute  d' Italia. 

Lascio  detto,  che  mi  mandino  le  vostre  lettere  die- 
tro ;  abbiate  l'avvertenza  di  aggiunger  sempre,  sulla 
sopraccarta:  al  Campo  del  General  Guglielmo  Pepe. 
Del  ricapito  di  questa  lettera,  s'incarica  il  Conte  Roc- 
chi (239)  il  quale  ha  tutt'  i  mezzi  di  far  sì ,  che  vi 
sìa  ricapitata  puntualmente.  Cercherò,  in  Rovigo  ed 


—  es- 
ili Padova,  altra  buona  occasione;  e^  non  trovandone, 
accluderò.  la  lettera  al  Conte  o  ad  altra  persona,  in 
Ferrara  o  Bologna. 

Ho  avuto  un  forte  dolore:  la  nuova  della  morte 
di  Montanelli,  ucciso  nel  combattimento  delle  Gra- 
do ;  poi ,  se  n'  è  dubitato  ;  poi,  si  è  data  di  nuovo 
per  certa  ;  appresso,  si  è  una  seconda  volta  rivocata 
in    dubbio ,  asserendosi   esser  semplicemente   ferito. 
Quest*  alternativa  di  forti   emozioni ,  trattandosi  di 
una  cosi  nobile  vita  e  cosi  importante  all'  Italia  ed 
a  me  si  cara,  potete  immaginare,  quanto  mi  abbia 
scosso.  Ad  ogni  modo,  è  conforto  il  pensare,  ch'egli 
(  s'è  morto)  è  caduto  gloriosamente,  per  la  salute  e 
libertà  d' Italia  ;  e  dicono,  che,  nel  cadere ,  indriz- 
zasse queste  parole  al  Capitano  Malenchini  (240):  Fa 
fede  9  che  muojo  con  la  faccia  volta  al  nemico. 
Anima  grande  e  tenera  e  buona  ,  abbiti    pace    nel 
Cielo,  e  culto  perpetuo  nel  cuore  d'  ogni  vero  Ita- 
liant)  !  Di  Enrico  ho  saputo,  che,  rimesso  già  della 
sua  ferita,  combattè  anch'egli  alle  Grazie;  ma,  lode 
al  Cielo,  non  riportò  alcun  danno.  Cosi  mi  si  rife- 
risce, da  persona,  la  quale  vien  di  Toscana.  In  quella 
giornata  memorabile,  i  Toscani,  uniti  a'  Napoletani, 
fecero  una  resistenza  eroica  ;  e  non  furono  sopraf- 
fatti, che  dal  numero  esorbitante  degli  assalitori;  ep- 
pure ,  la  perdita  di  costoro  fu  senza  paragone  più 
grave  :  i  soli  morti  Austriaci  furono  duemila.  Mori 
anche  de'  nostri  il  povero  Pilla   e   un   Calabrese  a 
nome  Vollaro  (241)  ;  tra  i  feriti  sono   il   Professor 
Biossotti ,  il  Colonnello  Laugier  (242),   e  tanti,  che 
sarebbe  lungo  a  dire. 

Rafiaele,  mio  zio ,  è  giunto  in  Milano,  col  grado 
di  Generale,  conferitogli  dal  Governo  Provvisorio  di 


—  84  — 

Lombardia,  per  assumere  il  comando  di  una  brigata. 
Oggi  stesso  gli  scrivo  (243).  Aspetto  con  impazienza 
vostre  lettere  e  di  Carlo  e  nuove  di  Luisa,  Carlotta, 
e  rispettive  famiglie.  Per  carità,  scrivetemi;  e  le  let- 
tere vostre  sieno  da  fuori  Regno.  Vi  bacio  le  mani; 
e,  t;on  filiale  tenerezza,  mi  ripeto 

▼ostro  aff.mo  figUo, 

Alessandro. 

P.  S.  In  mezzo  a  tanti  dolori  ed  emozioni  ed  an- 
sietà, non  posso  dolermi  della  salute. 


Ln.  La  Carolina  Poerio-Sossisergio  e  Carlo  Poerìo 
ad  Alessandro  Poerio 

Napoli,  10  Giugno  1848. 

Mio  carissimo  figlio. 

Mentre  meno  me  Y  aspettavo,  ho  ricevuto  la  tua 
cara  lettera  del  31,  rimessa  a  mia  sorella.  Mi  sono 
assai  consolata  della  tua  buona  salute.  Non  ricevo 
più  tue  lettere  per  la  posta;  fai  male,  perchè  le  oc- 
casioni son  rare;  ed  io  sono  in  pena  per  la  tua  sa- 
lute. Dunque,  caro  figlio,  scrivimi,  sempre  che  puoi, 
per  la  posta,  parlandomi  solo  di  tua  salute,  perchò 
le  altre  cose  si  sanno  dai  fogli.  Intendo  le  tue  sol- 
lecitudini per  noi;  ma,  grazie  al  cielo,  ora,  siamo 
tranquilli.  Tuo  fratello  non  potrebbe  lasciare  Napoli, 
ora,  che  è  candidato;  e  poi,  senza  un'assoluta  ne- 
cessità, senza  poter  disporre  di  una  forte  somma  al 
momento,  non  potremmo  avventurarci.  Ma  sta  pur 


—  85  — 

tranquillo:  non  pensare  a  noi,  ma  pensa  alla  tua  sa- 
lute. Di  Enrico  non  ho  ricevuto  più  lettere,  dal  di 
20  (scorso  mese).  Mi  spiace  sentire,  che  non  si  sia 
rimesso  ancora;  spero,  che,  se  si  è  trovato  nell'ultimo 
afiare,  si  sia  portato  bene.  Sono  stata  assai  dispia- 
ciuta per  Montanelli.  Capisco  il  tuo  dolore.  Lascio 
laogo  a  Carlo.  Questa  mia  ti  serva  solo,  per  sapere 
la  nostra  buona  salute,  come  quella  di  tutte  le  nostre 
famiglie  parenti.  Addio.  Ti  abbraccio  e  benedico. 


Aff.ina  madre, 

Carolina, 


Al  generale,  tante  cose  amichevoli. 


Carissimo  fratello, 

Godo,  che  la  tua  salute  sia  buona.  Florestano  ha 
ricevuta  la  lettera  del  fratello,  del  giorno  2.  Egli  sta 
nello  stesso  modo.  La  mia  salute  è  ottima.  Ti  man- 
derò, per  una  occasione,  il  mio  memorandum  con- 
tro lo  scioglimento  della  Camera,  dimostrando  la  il- 
legalità di  questa  misura,  violenta  e  dissennata  (244). 
Con  tutto  ciò  ,  siccome  il  Ministero  ,  tra  gli  altri 
suoi  pregi,  ha  quello  della  più  matta  caparbietà,  ed 
il  paese  ha  bisogno  urgentissimo  della  Camera,  per 
non  cader  neir  anarchia,  così  tutt'i  buoni  fanno  ogni 
sforzo ,  perchè  le  elezioni  abbiano  luogo  e  v'  inter- 
vengano gli  onesti,  per  rinominare  i  medesimi  Depu- 
tati, tranne  pochissime  meritate  eccezioni.  Capitelli, 
Imbriani,  i  Bavarese,  Pepe,  Avossa  (245)  ecc.  ecc. 
siamo  tutti  candidati  per  invito  di  parecchi  Collegi. 
Onesto  è  il  nostro  campo  di  battaglia.  Questa  mat- 
tina, mi  hanno  letto  una  lettera,  datata  da  Franco- 


—  ge- 
lino sul  Po  ,  dove  si  parlava  di  te.  La  data  è  del 
quattro  (246).  —  La  disgrazia  di  Pilla  e  di  Mon- 
tanelli ha  afflitto  tutti.  Riverisco  la  Gozzadini  e  il 
marito.  Dammi,  se  puoi,  nuove  di  Ferdinando  Fonse- 
ca  (247) ,  che  è  prigioniero.  Come  ancora  di  un 
Regio  Giudice,  Enrico  Amante  (248),  che  milita  col 
nostro  Enrico.  Saluto  caramente  il  Generale,  Assanti 
ed  Ulloa.  Gl'Imbriani  ed  i  Parrilli  stanno  bene.  Cura 
la  tua  salute;  e  non  pensare  ad  altro.  Ti  abbraccio 
di  cuore. 

Tuo  aff.mo  fratello, 

Carlo. 

Al  Nobil  Uomo 

Barone  Alessandro  Poerio 

in  Bologna 

[Roì>igo\ 


un.  Carlo  Gazola  (249)  ad  Alessandro  Poerio 

Di  Bologna,  a  di  16  Giugno  48. 

Carissimo  Poerio, 

Ecco  quanto  mi  scrivono,  da  Roma,  intorno  la  vo- 
stra lettera  —  «  Riguardo  alla  lettera  del  signor  Ba«* 
«  rone  Poerio,  figlio  al  grande  Oratore,  le  cui  dife- 
«  se  criminali  furono  Tammi razione  e  lo  studio  de- 
«  gli  anni'  piii  cari  della  mia  carriera  (250),  sappia, 
«  che  fu  da  me  raccomandata  pel  pronto  e  sicuro 
«  recapito,  a  Monsignor  Nunzio  di  Napoli.  »  — 
Spero ,  che,  a  quest'ora  ,  ne  avrete  ricevuto  rispo- 
sta. Qui  siamo  afflittissimi  del  disastro,  accaduto  a 
Vicenza  ;  altro  danno  gravissimo  ,  sofferto  per  col- 


—  87  — 

pa  delle  truppe  napolitane  ,  non  accorse  oltre  Po  , 
secondo  gli  ;ordini  del  General  Pepe.  Giunse  qui , 
ieri  sera,  da  Roma,  il  General  Ferrari,  partito  que- 
sta mattina  pel  Quartiere  Generale  di  Carlo  Alber- 
to. Mi  disse,  che  erano  giunti  a  Roma  i  Deputati 
di  Napoli ,  per  convenire  sui  mezzi  di  sostenere  una 
rivoluzione,  divenuta  ormai  inevitabile  colà  (251). 
I  Reggimenti  di  Cavalleria  Napolitana  si  provaro- 
no, ieri,  a  partire  dalla  provincia  di  Bologna  ;  ma, 
giunti  a  poche  miglia  da  Minervio ,  videro  cadere 
morti  otto  di  loro,  trafitti  da  palle  di  fucili;  e  si  tor- 
narono indietro  spaventati.  I  Bolognesi  fremono  e 
minacciano  ;  e  ,  senza  il  Cardinale,  ieri  V  altro  sa- 
rebbero corsi  a  costringerli  a  passare  il  Po ,  o  a 
massacrarli.  Il  manifesto  del  Correnti  e  compagni, 
io  credo  ,  sortirà  pieno  effetto  ,  se  mai  questi  vi- 
li satelliti  della  servitù  si  arrischiano  di  pigliare  la 
via  di  Napoli  (252).  Degli  altri  ,  che  retrocessero 
pei  primi,  ne  arrivano  sempre,  ogni  di,  nuovi  drap- 
pelli ,  che  ,  deposta  la  napolitana  ,  hanno  preso  la 
coccarda  pontificia.  Si  diceva  ieri ,  che  tornavano 
qui  anche  tre  pezzi  d'artiglieria;  ma,  forse,  non  sarà 
vero.  Saprete  ,  che  V  uniforme  ,  ordinata  dal  Re 
alla  Civica  di  NapoU  ,  è  quella  ,  che  è  sempre  sta- 
ta usata  dalla  Guardia  d'Interna  Sicurezza  (253); 
e  i  capi  nominati  da  Lui  sono  il  Principe  di  Fon- 
di (254),  il  Cavalier  D.  Antonio  Donnorso  (255),  e 
D.  Gennaro  Pandolfetti  (^6).  Per  la  causa  Italiana, 
si  torna  a  parlare  di  diplomatiche  negoziazioni;  e, 
ad  Inspruck,  sono  i  ministri  di  tutte  le  potenze,  com- 
preso l'inviato  di  Pio  IX,  Monsignor  Monchini  (257). 
Si  dice,  volersi  la  cessione  del  Veneto  all'Austria, 
e  sarà  ceduto  il  Milanese  al  Piemonte.  Povera  Ita- 


^  —  88  — 

lia!  speriamo,  che  ciò  non  avvenga  (258).  Il  Gene- 
rale Ferrari  mi  disse ,  ieri  sera ,  che ,  secondo  lui , 
distribuendo  una  trentina  di  scudi  a  ciascun  milita- 
re napolitano  a  cavallo,  sarebbe  facile  guadagnarli 
tutti  alla  causa  d'Italia;  e  trenta  scudi,  per  cavallo, 
armi  e  soldato,  sarebbe  una  spesa  assai  mite.  Se  il 
bravo  Correnti  volesse  approvare  la  cosa  ,  potreb- 
be intendersela  collo  stesso  Generale,  dopo  che  sarà 
tornato  dal  Quartiere  Generale  di  Carlo  Alberto 
costì  ,  a  raggiungere  la  sua  divisione  (259).  Mille 
ossequi  al  rispettabile  Generale  Pepe  ,  e  all'  ottimo 
Leopardi;  tante  cose  ai  chiarissimi  signori  Assanti  e 
Ulloa  e  Correnti  e  Fabrizi  (260)  e  Zanetti.  La  con- 
tessa Gozzadini  sta  bene.  Addio. 

Il  vostro  e  tatto  di  caore 

(7.  Gazala. 


LIV.  La  Carolina  Poerio-Sossìsergio  e  Carlo  Poerio 

ad  Alessandro  Poerio 

Napoli,  18  Giugno  1848. 

Mio  Carissimo  figlio , 

Non  prima  di  ieri ,  il  signor  del  Balzo  venne  a 
portare  la  tua  lettera  del  20  (scorso  Maggio).  Quel- 
la, che  dici  di  aver  mandata  per  mezzo  di  un  Con- 
te Dolfin-Boldù ,  non  si  è  ricevuta.  In  fine  ,  ca- 
rissimo figlio,  io  so  le  tue  nuove  dal  Lampo  (261), 
che  ci  parla  di  Pepe  e  del  suo  seguito.  Ieri,  final- 
mente, portò,  con  la  resa  di  Vicenza,  episodio  spia- 
cevole ,  il  passaggio  del  Po  di  tutte  le  truppe  Na- 


—  89  — 

politane;  ti  assicuro,  che  allora  lo  crederò  ,  quando 
le  sentirò  all'altra  sponda;  e,  poi,  non  ho  fiducia  nei 
capi.  Basta  ,  salutami  il  Generale.  Carlo  vide  Flo- 
restano ieri  sera  :  sta  al  solito.  Per  quanto  mi  af- 
flìssi per  la  morte,  sebbene  gloriosa,  del  nostro  caro 
Montanelli,  altrettanto  mi  sono  rallegrata,  nel  sen- 
tire smentita  la  triste  nuova.  Se  mai  ti  riuscisse  di 
scrivergli,  fagli  sapere  tutta  la  parte,  che  io,  mia 
sorella ,  mia  figlia  ,  abbiamo  preso  per  lui ,  prima 
affliggendoci,  e  poi  rallegrandoci  dei  suoi  casi.  Ma 
la  povera  Parrà  ha  perduto  il  figlio,  spero  che  non 
sia  r  ammogliato;  quanti  dolori,  povera  donna!  Ti 
scrìssi,  il  giorno  13;  ti  promisi,  di  scriverti  il  20; 
ma,  ora,  mi  si  presenta  Y  occasione,  per  mezzo  del- 
la Maria  Antonietta  (262)  e  ti  scrivo  di  nuovo. 
Ieri  r  altro  ,  fui  a  trovare  le  signore  del  Genera- 
le (263),  le  quaU  hanno  preso  un  appartamento  nel- 
la casa  di  Pietracatella  (264).  Il  Generale  è  amma- 
lato e  non  in  Napoli  :  pare ,  che  sarà  nominato  de- 
patato ,  come  quasi  tutti  quelli ,  che  lo  erano  stati 
altre  volte.  Sconfitta  ministeriale,  che  avrebbero  po- 
tuto risparmiarsi ,  ritenendo  la  stessa  Camera.  Ma 
i'  nostri  Franceschi  Paoli  (265)  non  veggono  al  di 
là  del  naso.  Fui  anche  dalla  famiglia  Ricciardi:  Li- 
setta mi  raccontò  la  sua  miracolosa  liberazione,  per 
cui,  salva  la  vita,  non  cura  la  roba.  Ti  prego,  es- 
sere tranquillo  sul  nostro  conto.  Per  tua  consola- 
zione ,  ti  dico  ,  che  tanto  io  ,  che  Carlino  ,  stiamo 
bene  in  salute;  mi  sono  ingrassata  molto.  Lascia 
fare  alla  sorte!  Speriamo  di  vederci,  sani  e  conten- 
ti Tutte  le  altre  famigUe,  nostre  congiunte,  stanno 
bene.  Antonia  anche  sta  bene,  e  così  curiosa  di  nuo- 
ve, che  mi  mette  alla  disperazione.  La  lettera  del 


—  90  — 

31  scorso  ,  diretta  a  mia  sorella  ,  gliela  mandò  il 
Nunzio;  non  so,  se  fu  acclusa  a  lui,  o  pure  qualche 
persona  gliela  diede,  per  ispedirla  alla  suddetta.  Io 
non  lascio  occasione,  senza  scriverti.  Ti  scrissi  due 
^ighi,  per  mezzo  del  console.  Addio;  e e,  dan- 
doti la  materna  benedizione,  mi  dico 

afr.ma  madre 

Carolina. 
Napoli,  18  Giugno  1848. 

Carissimo  fratello , 

Ieri,  ci  giunse  l'infausta  nuova  della  resa  di  Vi- 
cenza ,  e  dell'  uscita  del  presidio,  comandato  da  Du- 
rando, con  r  obbligo  di  non  militare  per  tre  mesi. 
Stando  alle  notizie  della  Patria  del  14  ,  Durando 
erasi  ritirato  ad  Este  ;  ed  il  General  Pepe ,  era,  il 
di  11,  a  Padova.  Avevo  già  letto  il  suo  ordine  del 
giorno  da  Rovigo.  Quanta  truppa  è  passata  ?  Dim- 
melo con  precisione,  ed  indicami  i  capi.  Qui  le  co- 
se sempre  più  s' imbrogliano  pel  Governo.  L' oppo- 
sizione armata  si  mantiene  nella  stretta  legalità.  In- 
tanto, avendo  bisogno  il  paese,  ad  ogni  costo,  di  un 
Parlamento ,  si  son  fatte  le  elezioni  con  protesta  ; 
e  sono  stati  rinominati ,  per  la  maggior  parte  ,  i 
medesimi  deputati.  Lo  spoglio  della  votazione,  per 
Napoli  e  suo  Distretto,  non  è  ancora  ben  conosciu- 
to; ma  i  candidati  antiministeriali  hanno  avuto  la 
maggiorità,  e  sono:  G."  Bavarese;  Blanch;  Ruberti; 
Galletti  ;  Cacace  ;  Capitelli  ;*  R.  Bavarese  ;  C.  Poe- 
rio  ;  Imbriani  ;  Lanza  ;  Ferretti  ;  e  Cagnazzi.  I  do- 
dici candidati  del  Ministero  erano  :  Gigli  (266);  Car- 


—  91  — 

rascosa;  Ruggiero  ;  D'  Agostino  (267)  ;  Sannicandro 
(268)  ;  Palermo  (269)  ;  Campagna  (270)  ;  CaBero  ; 
Lacaita  (271);  Lefebvre  (272);  d'Amato  (273); 
Pagnetti  (274)  ;  e  tutti  sono  andati  allo  storno. 
In  punto  conosco  le  elezioni  del  Distretto  di  Gae- 
ta y  dove  io  e  due  altri  antichi  deputati  siamo  sta- 
ti eletti,  con  gran  concorso  di  Elettori ,  alla  quasi 
unanimità,  poiché,  in  3500  votanti,  abbiamo  avuto 
3400  voti.  I  candidati  ministeriali  hanno  avuto  una 
sessantina  di  voti.  Scialoja  (275)  è  stato  rieletto  a 
Pozzuoli;  Imbriani  ad  Avellino;  G.  Capuano  (276)  a 
Casoria.  Probabilmente  risulterò  anche  Deputato  a 
Caserta,  e  forse  anche  in  un  altro  Distretto.  Non  ti 
posso  dire  tutte  le  porcherie,  che  ha  fatto  il  Mini- 
stero, per  impedire  la  nostra  rielezione.  Ora  si  dice, 
che  il  Sire,  vedendo,  che  si  trova  sopra  un  vulcano, 
si  farà  fare  delle  rimostranze  dal  Cardinale  e  dal 
Corpo  Decurionale  e  da  altri  ,  per  tornare  al  pro- 
gramma del  3  Aprile.  Allora,  tutta  la  colpa  sarà  get- 
tata sopra  Bozzelli,  che  si  farà  fuggire.  Credo,  che 
questa  buffonata  avrà  luogo  ;  ma  è  troppo  tardi. 
Ti  abbraccio  di  cuore. 

Tuo  aff.mo  fratello, 

Carlo. 

Signore 

Barone  Alessandro  Poerio 

Bologna  [  Venezia  ] 


—  92  — 

LV.  Alessandro  Poerio  alla  Carolina  Poerio-Sossisergio 

ed  a  Carlo  Poerio 

Venezia,  19  Giugno  1848. 

Carissima  madre,  carissimo  fratello, 

Vi  scrissi ,  due  volte  da  Bologna  ed  una  da  Fer- 
rara ,  raccomandando  il  sicuro  ricapito  a  persone , 
che  ne  aveano  il  mezzo;  e  significandovi,  nelle  due 
ultime  lettere,  il  mio  dolore,  di  non  ricevere  vostre 
nuove.  E,  da  questo  medesimo  lamento,  mi  conviene 
cominciare  la  presente.  Se  foste  usciti  dal  Regno  , 
come  più  volte  ve  ne  ho  vivamente  pregati,  sareb- 
be stata  una  vera  consolazione  per  me.  Ora,  non  "so 
che  pensare;  e  vivo  in  somma  inquietudine. 

La  infamia  della  nostra  truppa  ha  danneggiata 
grandemente  la  causa  Italiana,  facendo  cader  Vicen- 
za; ma  non  tanto,  che  non  sia  per  risorger  presto. 
Venezia  è  inespugnabile;  Carlo  Alberto,  stato  un  pò* 
lento  per  soverchia  prudenza ,  tostochè  riceverà  i 
rinforzi ,  che  aspetta ,  assalirà  con  vigore  gli  Au- 
striaci. 

Mi  rimetto,  pel  dippiii  delle  notizie,  alla  lettera, 
che  il  Generale  Guglielmo  scrive  a  Florestano ,  e 
dentro  alla  quale  è  acclusa  questa  mia.  Dopo  aver 
pianto  amarissimamente  per  morto  il  mio  caro  Mon- 
tanelli, ho  saputo,  esser  egli  prigioniero  in  Mantova,  e 
ferito  ,  ma  senza  pericolo.  La  povera  Parrà  perde 
nel  combattimento  delle  Grazie  uno  de'suoi  figli ,  il 
quale  cadde  accanto  a  Montanelli  (277).  Di  Enrico, 
non  ho  potuto  avere  notizie  dirette;  ma  so,  da  altra 
parte,  che,  in  quel  fatto,  non  sofferse  ferite,  né  pri- 
gionia. 


—  93  — 

Carissima  madre,  spero  ricevere,  presto,  lettere  vo- 
stre e  di  Carlo  da  Roma.  Vorrei,  che  anche  Emilio 
e  Carlotta  colà  si  recassero.  Luisa  che  fa?  Ed  An- 
tonia ?  E  Peppino  ?  Dio  buono  !  Che  pena  non  potere 
aver  nuove  delle  persone  più  care.  Ma  la  mancan- 
za, poi,  delle  lettere  vostre  e  di  Carlino  mi  è  un  cru- 
cio. Mi  auguro,  che  sia  difficoltà  di  comunicazioni 
e  di  occasioni  particolari,  non  altro.  Per  incidenza. 
Florestano,  parlava,  in  una  sua  lettera  del  7  Giu- 
gno, di  mio  fratello. 

Vi  ripeto,  che  non  sarò  tranquillo,  iSnchè  non  mi 
scriverete  voi  ed  egli  da  fuori  Regno. 

Vi  bacio  la  mano,  chiedendovi  la  materna  benedi- 
zione. 

Vostro  aff.mo  figlio, 

Alessandro. 

P.  S.  Sono  alloggiato  in  casa  del  Signor  Giusep- 
pe Mondolfo  (278),  amicissimo  di  Carlino  in-  Trie- 
ste (279),  ma  stabilito  in  Venezia  dal  1828. 

Alla  NobiI  Donna 
La  Signora  Baronessa  Carolina  Poerio 

Napoli. 


L7I.  La  Carolina  Poerio  *Sossisergio  ad  Alessandro  Poerio 

Napoli,  19  Giugno. 

Ti  scrissi,  carissimo  figlio,  ieri  l'altro,  lungamen- 
te; ora,  profitto  del  vapore,  che  parte  domani ,  per 
darti  le  nostre  nuove.   Per  la  salute ,   sono  ecce!- 


—  94  - 

lenti  ;  perchè  stiamo  tutti  bene.  Siamo  anche  tran- 
quilli. Tuo  fratello  è  andato  alle  elezioni;  ed  è  sta- 
to fatto  segretario,  come  l'altra  volta.  In  questo  mese, 
ti  ho  scritto  il  di  6,  il  di  iO,  il  di  13,  Mi  pare,  che 
le  mie  non  ti  pervengano  tutte;  ed  è  perciò,  che  le 
moltiplico,  per  non  fartene  mancare.  Il  di  10,  ti  ho 
scritto  per  la  posta:  questo  è  il  mezzo  più  infedele. 
Questa  mia  partirà  domani ,  il  di  20.  Ti  scriverò 
un'altra  volta,  col  vapore,  che  partirà  il  21.  Io,  dai 
fogli ,  attingo ,  almeno ,  dove  ti  trovi.  Ho  ricevuto 
lettera  del  povero  Enrico  :  non  si  è  trovato  all'  a- 
zione,  perchè  malato.  Finisco,  perchè  voglio  andare 
da  Lisetta  Ricciardi .... 
Ti  benedico. 

Aff.ma  madre, 

Carolina. 
Tante  cose  al  Generale. 

Al  Nobil  Uomo 

Signor  Barone  Alessandro  Poerio. 

Presso  S,  E,  il  Generale  Pepe 

Bologna  [Venezia] 

Raccomandata,  pel  sollecito  recapito, 

al  signor  Savino  Savini, 


LVn.  La  Carolina  Poerio-Sossisergio  ad  Alessandro  Poerio 

Napoli,  23  Giugno  1848. 

Mio  carissimo  figlio. 

Ti  scrivo  un  solo  rigo,  per  dirti ,  che  noi  stiamo 
bene,  tutte  le  famiglie  parenti.  Tua  sorella,  con  tut- 
ti di  sua  casa ,  se  n*  è  andata  in  campagna  (280)  : 


—  95  — 

stanno  tutti  bene.  Si  son  fatte  tutte  le  elezioni  :  e 
sono  stati  quasi  confermati  i  medesimi  deputati;  in 
quelle  provincie,  però,  nelle  quali  si  son  fatti.  Le  Ca- 
labrie non  sono  nel  numero.  Noi  siamo  tranquilli , 
per  quanto  i  timori  de'deboli,  le  mene  della  Polizia 
ed.i  vari  pareri  dei  cittadini  facciano  correre  delle 
voci  allarmanti,  che,  disgraziatamente,  si  propaga- 
no nell'Estero.  Io  non  ho  ricevuto  tue  lettere,  dopo 
quella  del  31  scorso  Maggio ,  datata  da  Bologna  ; 
dai  fogli,  ho  saputo,  che  eravate:  a  Francolino,  il  di 
4;  il  10,  a  Rovigo  ;  ed,  ora,  in  Venezia.  Altri  han- 
no scritto:  ma  tu  nulla  mi  fai  sapere  della  tua  sa- 
lute. Io  e  Carlo,  come  già  ti  ho  detto,  stiamo  bene. 
Questa  sera,  forse,  ti  scriverò  un'altra  volta.  Ho  ri- 
cevuto lettere  di  Enrico:  il  quale  sta  meglio  con  la 
febbre,  ma  la  ferita  ancora  aperta.  Io  dirigo  le  let- 
tere sempre  in  Bologna ,  come  mi  dicesti  :  tenta  di 
mandarmene  qualcuna  per  altri  mezzi.  Carlo  ed  E- 
milio  hanno  avuto  doppia  nomina.  Rubarti  ha  avuto 
voti  ad  esuberanza  ;  ma  è  così  ammalato ,  che  ha 
già  rinunziato.  Le  sue  Signore  vennero  ieri  l'altro 
a  vedermi;  esse  ti  dicono  tante  cose  amichevoli;  so- 
no contente  di  aver  lasciato  il  casino  solitario  (281). 
Ho  ricevuto  lettere  di  Maria  Teresa  ;  chi  sa ,  se  ti 
sei  già  iscontrato  con  tuo  zio.  Addio ,  caro  figlio. 
Temo,  che  sia  tardi,  per  mandarti  questa  mia.  Il  cie- 
lo ti  benedica.  Tuo  fratello ,  essendo  segretario  di 
un  Collegio  Elettorale  e  veduto  per  nominarsi  tra 
deputati,  che  non  erano  arrivati  alla  metà  più  uno 
[?]...  Si  portano  tre  dei  liberali  e  tre  dei  ministeria- 
li. Speriamo ,  che  sieno  battuti  come  al  solito.   Di 


—  96  - 

nuovo  tante  cose.  La  gente  di  servizio  ti  bacia  le 
mani,  io  mi  dico 

afT.ma  madre, 

Carolina, 

Al  Nobir  Uomo 
Barone  Alessandro  Poerio 
Bologna, 


LVin.  Alessandro  Poerio  alla  Carolina  Poerio-Sossisergio 

ed  a  Carlo  Poerio 

Venezia,  a  di  21  Giugno  1848. 

Carissima  madre, 

Finalmente,  ieri,  ricevetti  la  vostra  lettera  de'  10 
corrente  mese,  il  che  potete  immaginare,  se  dovesse 
farmi  piacere,  dopo  essere  stato  privo  di  vostre  no- 
tizie, dal  31  Maggio  in  poi  ;  e  mi  rallegrai  molto, 
nell'aver  certezza  della  vostra  buona  salute  e  di 
quella  di  Carlo  e  Carlotta ,  e  de'  nostri  congiunti  ; 
ma  questa  consolazione  mi  fu  amareggiata,  dal  sa- 
pervi fermi  nel  proponimento,  di  rimanere  costà  ;  e 
di  ciò  più  particolarmente  scrivo  a  mio  fratello. 

La  infamia  delle  nostre  truppe  è  stata  cagione  della 
perdita  di  Vicenza  ;  ed  ha  renduto  inutili ,  per  tre 
mesi ,  migliaia  di  combattenti ,  1  capitolati  essendo 
ripassati  oltre  Po.  Né  Padova,  che  gira  sei  in  sette 
miglia,  fu  potuta  difendere,  per  mancanza  di  valida 
e  numerosa  guarnigione  (282);  cosicché  le  Provincie 
venete  sono  ormai  tutte  in  mano  agli  Austriaci  ad 
eccezione  di  Venezia,  la  quale  è  di  sua  natura  (ag^ 
giuntevi  le  opere  dell'arte)  una  fortezza  tale,  ch'essi 


—  97  — 

sprecherebbero  tempo  e  fatica  a  volerla  tentare.  Non- 
dimeno ,  per  bravata ,  il  nemico  si  spinge  iSn  sotto 
Mestre.  Se  il  Generale  avesse   maggior  numero  di 
truppe  di  linea,  si  sarebbe  già  fatta  qualche  spedi- 
zione; e,  su  di  ciò,  molto  insiste  questo  Governo  Prov- 
visorio  ;  il  Generale,  invece,  vuole  aspettare  qualche 
rinforzo  da  Lombardia,  ed  il  decimo  di  linea,  che  ha 
chiesto  a  Carlo  Alberto  ;  ma  questi  difficilmente  gliel 
manderà.  Dentro  le  lagune,  sono  circa  diciottomila 
uomini,  divisi  tra  Chioggia,  Venezia,  Murano,  Lido, 
Malghera  ed  altri  luoghi ,  quasi  tutti  volontari,  al- 
cuni battaglioni  più  esercitati,  altri  meno.  Chi  ve- 
desse questa  città  (bellissima,  come  ben  vi  ricorde- 
rete) tutta  dedita  alle  sue  consuete  occupazioni,  e, 
fino  ad  un  certo  punto,  anco  a'divertimenti,  non  cre- 
derebbe mai ,  che  il  Tedesco  fosse  cosi  vicino.  Ma 
ciò  devesi  alla  unica  ed  inespugnabile  situazione  di 
Venezia,  che  la  rende  sicura  in  modo,  da  ridersi  di 
ogni  nemica  minaccia. 

Della  salute ,  attesi  i  continui  dispiaceri ,  che  ho, 
86  non  posso  pienamente  lodarmi,  non  posso  neppure 
dolermi.  In  quanto  al  danaro,  avendone  dovuto  spen- 
der molto,  quando  il  Generale  mi  mandò  qui  da  An- 
cona, ed  essendo  questo  paese  carissimo,  mi  avanzano 
solo  sessanta  Ducati,  più  della  metà  de'  quah  sarà 
assorbita  da  spese  di  vestiario,  essendo  sprovveduto 
di  roba  da  state  (ed  il  caldo  di  Venezia  ne  disgrada 
quello  di  Firenze)  e  di  altri  oggetti,  cosicché  presto 
rimarrò  asciutto.  Potrò  pregare  il  Generale  di  an- 
ticiparmi del  danaro,  di  cui  sarà  rimborsato  Flore- 
stano ;  ma  preferirei,  che,  per  la  metà  di  Luglio,  mi 
mandaste  una  cambiale  sopra  questa  città,  preve- 
dendo io  troppo  bene,  che,  per  molte  ragioni,  le  quali 

7 


_  98  — 

è  inutile,  che  io  dica,  ma  che  voi  potete  indovina- 
re, mi  troverò,  forse,  in  una  situazione  falsa.  Raffaele 
è  in  Milano,  per  comandare  una  brigata  lombarda; 
gli  scrissi,  ma  non  ancora  ho  sua  risposta.  Di  En- 
ricp,  neppure;  mi  aveano  detto,  ch'egli  era  stato  al 
combattimento  dalle  Grazie;  ma  il  Maggiore  Oliva 
del  decimo  di  linea  (283),  uffiziale  giunto  ier  l'altro 
dal  campo  di  Carlo  Alberto,  mi  assicura,  che  Rossa- 
roll  ed  Enrico,  infermi  ancora  per  le  ferite  ricevute, 
non  si  erano  trovati  colà.  Di  Pilla  è  pur  troppo  vera 
la  morte;  non  così   del   mio  caro  Montanelli.  Egli 
scrive,  ad  un  amico,  da  Mantova:  ch'è  prigioniero, 
e  ferito  ;  ma  senza  pericolo.  Immaginate  la  mia  eoa- 
solazione,  per  questa  nuova,  ormai  certa.  L'ho  pianto 
per  morto;  poi,  lo  davano  per  vivo;  poi,  di  nuovo, 
ne  accertavano  la  perdita  ;  finché,  alla  fine,  se  n^  ò 
chiarita   la  salvezza.  Quante  emozioni!  La  povera 
Parrà  ha  perduto  un  figlio,  il  quale  cadde  accanto 
a  Montanelli.  Vi  ho   scritto  il  19,  accludendovi   la 
lettera  del  Generale  a  Florestano.  Egli  vi  ossequia, 
e  cosi  pure  Damiano.  Saluto  caramente  Carlotta,  hwr 
sa ,  Emilio ,  Antonia ,  Peppino  e  tutt'  i  parenti.  Vi 
bacio  la  mano;  e,  chiedendovi  la  materna  benedizione, 
mi  ripeto 

V.  affei-^*  figlio 

Alessandro. 

P.   S.   Dirigete  le  lettere  :    Venezia ,  presso  il 
General  Pepe. 

Carissimo  fratello. 

Godo,  che  la  tua  salute  sia  buona.  Mi  è  stata  graiu 
dissima  consolazione,  ricever  tue  lettere,  dopo  tanti 


—  99  — 

giorni  di  silenzio,  poiché  mi  mancavano  dal  31  Mag- 
gio ;  ma  non  ti  dissimulo,  che  il  veder  te  e  parec- 
chi nostri  amici  entrati  in  una  via,  che,  a  me  ed  a 
quanti  qaà  siamo,  pare  del  tutto  falsa,  mi  è  stata 
cagione  di  gravissimo  dolore.  Leggerò  volentieri  il 
tuo  memorandum;  ma,  se  lo  scioglimento  della  Ca- 
mera,  anzi  la  sua  dispersione,  fu  un  atto  violento  e 
tirannico,  e  se  T  alterazione  della  legge  elettorale  fa 
una  violazione  apertissima  dello  Statuto,  come  mai 
poter  acconsentire  alle  nuove  elezioni?  Come  mai 
potere,  senza  contraddizione  flagrante,  da  una  par 
te,  sostenere,  che  il  primo  mandato  era  legittimo,  dal- 
l'altra accettare  il  secondo  ?  I  Deputati  della  nazione 
sono  quelli,  che  uscirono  dalle  elezioni,  costituzional- 
mente eseguite;  né  i  rieletti,  in  virtù  di  una  legge 
incostituzionale ,  possono  accettare,  senza  implicita- 
mente sancire  la  violenza,  contro  di  essi  adoperata. 
Leggemmo  la  protesta:  e,  del  non  trovarvi  parecchi 
nomi  conosciutissimi,  non  ci  meravigliammo,  poiché 
Raggiungeva,  che  molti  Deputati  erano  stati  spediti^ 
daDa  Camera,  in  missioni,  donde  non  erano  tornati 
ancora,  quando  fu  stesa  la  protesta.  Ma,,, ora,  ve- 
diamo battere,  da  una  parte  di  essi,  una  via,, eh' è 
aflEatto  antilogica.  Ma  si  faranno ,  poi ,  le  elezioni  ? 
8i.£Euranno  in  tutto  il  Regno,  o  soltanto  nelle  Pro- 
vincie suburbane?  Io  non  resto,  dal  pregarti,  sempre 
pib,  di  recarti,  con  nostra  madre,  a  Roma. 

Contro  la  nostra  cavalleria,  avviatasi  per  tornare 
in  Regno,  furono  tirati  colpi  di  fucile  vicino  Minerbio, 
nel  Bolognese }  ed  otto  individui  caddero.  Dicono  Ici. 
Bomagne  in  gran  fermento;  se  già  le  autorità  pon- 
tiftoie  non  calmeranno  la  effervescenza.  Quante  vèr* 


V 


—  100  — 


gogne  sul  nome  napoletano  !  Se  le  truppe  avessero 
a  tempo  varcato  il  Po,  l' Italia  sarebbe  salva. 


Tuo  fratello 

Alessandro. 


LIX.  Carlo  Poerìo  eMa  Carolina  Poerio-Sossisergio 
alla  Teresa  Poerio-De-Nobili 

Napol^  23  Giugno  1848, 

Carissima  zia, 

La  fortuna,  che  mi  contraria  in  tutto,  ha  fatto  giun-- 
gere  cosi  tardi  la  mia  lettera  costà.  Non  v'è,  che  fare. 
Son  certo,  che  ne  avrete  dato  avviso  a  zio  Raffaele. 
Io  seppi,  per  mezzo  del  Console  signor  de  Martino,  fl 
suo  arrivo  a  Marsiglia,  e  la  sua  partenza  per  Mila- 
no. Gli  ho  scritto  colà,  e  ne  attendo  risposta.  So, 
per  altro ,  da'  pubblici  fogli ,  eh'  egli  è  stato  rice- 
vuto onorevolissimamente ,  che  è  Generale  di  Bri- 
gata, e  comanda  otto  battaglioni.  Alessandro  è  col 
Generale  G.  Pepe  in  Venezia,  dopo  lo  sgombro  del 
Veneto,  per  parte  dell'Esercito  Italiano.  Questi  sono 
i  supremi  momenti,  per  la  causa  dell'  Indipendenza 
Italiana,  che  finirà  col  trionfar  di  tutti  gli  ostacoIL 
Enrico  è  tuttavia  ferito  e  convalescente,  al  campo 
sotto  Mantova.  Mia  madre  ed  io  stiamo,  come  si  può 
stare,  in  mezzo  a  tanto  tumulto  di  passioni.  Si  son- 
fatte  le  elezioni  ;  e  tutti  gli  antichi  Deputati  sono 
stati  confermati.  Imbriani  ed  io  lo  siamo  stati  in  doe 
luoghi.  Il  parlamento  dovrà  aprirsi  il  primo  luglio. 
La  Nazione  l'attende  con  grande  ansia;  e  spero,  che- 


j 


—  101  — 

gjastificherà  la  sua  aspettativa.  Yercillo  era  stato 
bratalmentd  destituito  ;  ma  il  Ministero  ha  dovuto 
{negare  al  grido  di  tutta  la  Provincia  di  Chieti,  che 
non  ha  voluto  perdere  queir  ottimo  Intendente.  Vi 
ripeto  e  confermo ,  che  il  piccolo  appartamento  è 
preparato  per  Voi;  ma,  con  franchezza,  debbo  dirvi, 
che  non  vi  consiglio  di  venire,  per  ora.  Attendiamo, 
die  le  cose  interne  prendano  un  aspetto,  meno  tristo 
e  più  regolare.  La  Calabria  è  minacciata  dalla  guerra 
civile.  Faccia  il  Cielo,  che  si  possa  trovare  un  qual» 
che  accomodamento  ;  altrimenti ,  molto  sangue  e 
grandi  sventure  ci  sovrastano.  Curate  la  vostra  sa- 
hite,  preziosa  pe'  vostri  figli ,  e  cara  a  tutta  la  fa- 
miglia. Abbracciate-  per  me  i  cugini  ;  datemi  spesso 
la  vostre  nuove;  e  credetemi,  per  la  vita,  con  la  più 
sentita  affezione, 

(Voltate) 

vostro  aff.mo  nipote, 

Carlo  Poerio. 

Mia  cara  cognata, 

Pare,  che,  nella  nostra  corrispondenza,  da  qualche 
tempo,  ci  si  sia  messo  il  demonio.  Raffaele  è  cor- 
rivo col  nipote;  ed  io  son  corriva  con  lui,  perchè, 
qoando  Enrico  era  in  Marsiglia,  gli  rimisi  una  lunga 
lettera  per  mio  cognato ,  ma  non  ci  ho  avuto  mai 
risposta.  Basta:  ora,  avrà  j*icevuta  la  lettera  di 
Carlo  e  lo  sdegno  sarà  finito.  Io  mi  ero  fatta  una 
festa,  di  ricevervi  in  casa  mia  con  la  vostra  fami- 
glia; avreste  rianimata  la  mia  solitudine...  Ma  sarebbe 
VI  pensiero  egoista.  Si  può  dire  di  Napoli  quello,  che 
&e  il  Poeta  [?]:  chi  ci  è,  vi  stia,  ma  non  c'entri, 
chi  non  vi  è.  Per  noi  è  diverso.  La  posizione  della 


—  102  - 

mia  famiglia,  senza  risorse  pecuniarie,  sia  per  la  trists 
amministrazione,  che  ne  fa  don  Gregorio  (284),  ed  ora 
per  le  vicende  politiche  della  Calabria,...  e,  poi,  mio 
fifflioera  deputato  e  si  teneva  tale,  anche  dopo  sciolta 
la  Camera.  Ed  in  fatti,  dopo,  essendosi  fatta  una 
nuova  elezione,  son  risultati  quasi  tutti  gh  stessi,  Io 
son  contenta,  anzi  orgogliosa,  che  tutto  ciò,  che  ha 
nome  Poerio,  si  adopri  par  la  huona  causa.  Vostro 
marito,  Alessandro  ed  Enrico  in  Lombardia;  Carlo, 
in  Napoli;  e  Carlotta,  per  mezzo  di  suo  marito  (che 
anche  è  stato  rieletto)  rappresenta  la  sua  parte.  Fi- 
nisco di  parlar  di  politica,  e  parliamo  di  quelli,  che 
t'  interessano.  Prima  di  tutto,  parliamo  della  vostra 
degna  sorella,  dalla  quale  ieri  ho  ricevuto  una  lunga 
lettera  da  Chieti  (285).  Il  Governo,  come  Vercillo  è  un 
galant'uomo,  l'aveva  ringrazialo.  Ma  tutta  la  pop< 
lazione  chietina  ha  mandato  una  deputazione  in  N; 
poli,  per  pregare  il  Ministero,  di  lasciar  loro  un  cof 
buono  e  bravo  Intendente.  Dunque,  per  ora,  sono  sei 
pre  là,  tutta  la  famiglia,  meno  che  Matteo  con 
moglie,  la  quale  fi  sempre  ammalata  (386).  Con  la  postati 
di  domani,  le  scriverò  le  vostre  nuove.  Ho  mandato 
la  vostra  lettera  a  D.  Rachele  (287)  per  mezzo  di  An- 
tonia, che  si  trovava  presente,  qui  da  me,  quando  ri- 
cevetti la  vostra  lettera.  D.  Emanuele  Riso,  qui  pre- 
sente, vi  ossequia  (2S8).  La  mia  salute  e  quella  di  Carlo 
è  mediocre;  dopo  tante  sofferenze,  sembra  un  mira- 
colo specialmente  la  mìa  esistenza.  Di  Alessandro  ed 
Enrico,  ne  avrete  notizie  da  Raffaele. 

Carlotta  è  andata  in  una  sua  campagna ,  vicino 
Napoli.  Essa  è  diventata  una  matrona;  per  ora,  ha 
sei  figli:  ò  maschi  e  una  femmina.  In  dieci  anni  di 
matrimonio,  avendoli  nutriti  tutti  da  sé,  mi  pare,  che 


un      I 

I 

>taH 


J 


—  103  — 

non  ci  è  male.  Suo  marito  sta  meglio  in  salute.  Dopo 
tanti  anni  di  cure>  di  cambiamenti  di  aria,  si  co- 
minciò a  rimettere  con  la  cura  omiopatica  ed  idro- 
patica.  Se  fossero  state  queste  o  la  cessazione  di  altri 
rimedi  violenti  non  lo  so ,  ma  certamente  si  è  ri- 
messo alquanto ,  da  poter  lavorare  per  la  sua  cre- 
scente famiglia  e  per  la  sua  infelice  patria.  Antonia 
si  lagna  sempre/  ma,  se  la  vedeste,  non  gli  dareste 
{^i  anni,  che  ha:  tutt'i  capelli  neri,  e  la  solita  vi- 
vacità di  agire  e  di  parlare.  Se  verranno  in  tempo  la 
saa  lettera  e  quella  di  vostra  sorella,  ve  le  rimet- 
terò ;  in  altro  caso,  sarà  con  T  altro  vapore.  Mi  fa 
mille  anni,  di  sentirvi  in  Italia.  Speriamo,  che  le  no- 
stre cose  prendano  una  piega  più  tranquilla  e  legale; 
e,  se  non  potremo  dirci  felici,  almeno,  non  essere 
il  ludibrio  del  resto  d'Italia.  Mia  sorella  ParrìUivi 
saluta  con  Raffaele. 

Addio ,  cara  cognata.  Tanti  abbracci  ad  i  vostri 
figli,  specialmente  alla  cara  Nina.  Essa  porta  il  nome 
della  nostra  cara  e  rispettabile  suocera  ,  donna  in- 
comparabile .  e  rara.  La  figlia  di  mia  figlia  anche  si 
chiama  Nina,  ma  è  diminutivo  di  Caterina  e  non  di 
Gaetana:  la  sua  ava  paterna  cosi  si  chiamava  (289). 
Tante  cose  a  Raffaele,  da  parte  di  tutti.  Giuseppino 
è  sempre  al  nostro  servizio  e  gli  bacia  le  mani. 

A£r.ma  cognata 

Carolina  Poerio. 

Signora 
Maria  Tarssa  Poerìo,  nata  de  Nobili. 
BUdah. 
Algeria. 


—  104  — 

LX.  Niccolò  Tommaseo  ad  Alessandro  Poerio 

.  Caro  Poerio, 

Vedete,  che  il  Pepe  trovi  modo,  di  mettere  ad  e- 
same  Tabilità  degli  uffiziali  sinora  eletti  e  gli  inde- 
gni allontanare.  Sospingetelo,  a  far  qualche  mossa. 
Parlatene  con  TUlloa. — Vi  riprego  de' vostri  versi. 
Abbiatevi  cura  ;  e  credete  ali*  affettuosa  mia  stima. 

Giugno  24,  48,  Venezia. 

Vostro  aff.mo, 

Tommaseo. 

Al  Barone  Poerio. 


Giuseppe  Gatterinetti  (290)  ad  Alessandro  Poerio 

Chioggia,  24  Giugno  1848. 

Carissimo  amico, 

Ebbi  dal  Tenente  Sabbatini  (291),  la  cordialissima 
vostra;  la  quale  mi  recò  un  gran  piacere:  prima  di 
tutto,  per  sapervi  in  discreta  salute ,  e  poi ,  per  a- 
vervi  cosi  a  me  vicino,  dopo  tanti  avvenimenti  Ita^ 
liani.  La  Nina  Gozzadini  mi  aveva  mandati  i  vostri 
saluti  ;  mi  avea  informato ,  eh*  eravate  dello  Stato 
Maggiore,  col  General  Pepe,  vostro  prezioso  amico; 
io  speravo  sempre,  di  vedervi  presto;  ma,  il  giorno 
dopo,  che  Pepe  fu  in  Venezia,  il  mio  secondo  Reg- 
gimento fu  spedito  quiy  e  non  ebbi  tempo  a  ricer- 
care di  voi.  Di  Chioggia,  fui  poscia  mandato,  con  un 
distaccamento  di  tre  compagnie,  al  posto  avanzato  del 


—  m  — 

Forte  di  Brondolo.  Son  cinque  notti ,  che  non  mi 
spoglio.  Questa  mane,  fui  chiamato  qui,  per  un  Con- 
siglio militare;  ma,  oggi,  ritornerà  al  Forte  di  Bron- 
dolo. Questa  vita,  piena  di  entusiasmo,  abbenchè  fa- 
ticosa e  pericolosa,  mi  garba  assai;  e  vi  assicuro, 
che,  il  giorno  dodici  maggio,  eh'  ero  Capoposto  alle 
barricate  di  Treviso,  vi  stetti  con  un  sangue  freddo, 
a  far  maravigliare  me  stesso.  Ora,  il  battesimo  del 
faoco,  r  ho  avuto;  e  mi  pare,  di  esser  più  degno  della 
vostra  amicizia,  appunto  perchè  ancor  voi  vi  esponete 
alla  guerra,  per  amor  della  santissima  causa  Italia- 
na.—  Oh,  si  !  Napoli  deve  decidere,  colla  sua  esplo- 
sione, deirintera  e  duratura  nostra  sorte  !  Io  aspetto, 
però,  sempre  la  presa  di  Verona,  fatta  da  Carlo  Al- 
berto; altrimenti,  la  guerra  sarà  lunga  e  maggior- 
mente penosa. —  Spero,  che,  fra  pochi  giorni,  potrò 
tradurmi  a  Venezia,  e  non  vedo  Fora,  per  stringervi 
caramente  al  cuore  e  parlarvi  lungamente  sul  futuro 
d*  Italia ,  secondo  il  mio  modo  di  vedere ,  che  non 
credo  tanto  eteroclito.  Addio.  Amate  e  credete 

air  aff.mo  vostro  amico 

Giuseppe  Catterinetti  F.  Cap. 

Al  Chiarissimo 

Bignor  Barone  Alessandro  Poerio. 

Aitaccfito  allo  Stato  Maggiore 

del  General  Pepe  in 

Venezia. 


—  106  — 
LXn.  Niccolò  Tommaseo  ad  Alessandro  Poerio 

Caro  Poerio, 

Leggete.  Parlate  caldamente  al  Pepe  e  airUUoa. 
n  Ferrari  è  uomo  animoso;  e,  con  l'esperienza  e  il 
senno  dello  Zucchi ,  potrebbe  far  cosa ,  da  salvare 
Venezia  e  mutar  faccia  alla  guerra.  Questo  è  ra- 
stremo consiglio,  preghiera,  speranza.  Poi,  bisognerà 
ire  a  Malghera,  a  ricevere  una  scheggia  di  artiglieria 
austriaca  nel  petto.  (292)  Addio. 

25  Giugno  1848,  Venezia. 

Tommaseo. 


LXm.  Carlo  Poerio  e  la  Carolina  Poerio- Sossisergio 

ad  Alessandro  Poerio. 

Napoli,  26  Giugno  1848. 

Carissimo  fratello, 

Finalmente,  mi  giunge,  con  gran  ritardo ,  una  tua 
lettera,  del  3  corrente.  Godo,  che  la  tua  salute  sia 
piuttosto  buona,  in  mezzo  a  tanti  travagli  di  animo 
e  di  corpo.  Siamo  certi ,  che  sei,  ora,  in  Venezia  ; 
ma,  secondo  le  tue  istruzioni,  continuo  a  spedire  le 
lettere  in  Bologna,  raccomandandole  a  Savino  Sa- 
vini.  Le  tue  riflessioni  sono  giuste ,  poichò  vedi 
le  cose  da  lontano.  Ma,  chi  le  vede  dappresso,  come 
noi,  porta  tutt'  altra  opinione.  Vedi  bene,  che  niuno 
degli  uomini  di  conto  (a  meno,  che  non  siasi  cre- 
duto fortemente  compromesso)  si  è  allontanato  dal 


—  107  — 

Regno;  e.  come  ti  dissi,  Capitelli,  Avossa,  Imbriani, 
Troya,  i  due  Bavarese,  Ferretti,  Spaventa,  Giardi- 
ni (293),  Tupputi  (294) ,  Ortale  (295) ,  Giannatta- 
sio  (296)  sono  stati  tutti  concordi,  nel  rimanere.  Né 
io  potrei  separarmi  da  questi  degni  Golleghi,  senza 
dar  manifesti  segni  di  pusillanimità;  mentre  credo, 
di  aver  dato  pruove  di  coraggio  civile,  in  tutta  la 
mia  vita,  né  voglio  smentirla.  A  questa  ragione  po- 
litica, se  ne  aggiunge  una  tutta  familiare;  poiché, 
atteso  la  mancanza  di  communicazioni  colla  Cala- 
bria, e  la  violenta  occupazione  dei  terreni,  per  parte 
de*  predoni  di  comunisti,  mi  mancano  assolutamente 
i  mezzi;  né  voglio  avere  il  rimorso,  di  andare,  volon- 
tariamente, incontro  ad  un  esìlio,  che  potrebbe  esser 
breve,  ma  potrebbe  anche  prolungarsi,  senza  mezzi 
sufficienti.  Nel  distretto  di  Napoli ,  le  elezioni  sono 
terminate.  Il  Ministero  é  stato  completamente  disfatto, 
poiché  nessuno  dei  suoi  candidati  ha  ottenuta  la  mag- 
giorità. Eccoti  i  nomi  dei  dodici  prescelti.- I.  Giaco- 
mo Savarese.  -  II.  Generale  Michelangiolo  Ruberti.  - 
m.  Barone  Giuseppe  Gallotti.  -  IV.  Luigi  Blanch.  - 
V.  Camillo  Cacace.  -  VI.  Domenico  Capitelli.  -  VII. 
Carlo  Poerio.  -  VIII.  Roberto  Savarese.  -  IX.  Paolo 
Emilio  Imbriani. -X.  Vincenzo  Lanza.- XI.  Conte  Pie- 
tro Ferretti. -XII.  Carlo  Troya.  Come  vedi,  gli  undici 
primi  sono  tutti  antichi  Deputati;  l'ultimo  è  l'autore 
del  programma  de'  tre  Aprile,  che  è  invocato  da  tutto 
il  Regno.  E  questo  programma  trionferà,  mercé 
r  opposizione  legale,  che  si  fa  colle  armi  in  Calabria, 
e  r  opposizione  parlamentaria,  che  si  farà  alla  tri- 
bona.  La  posizione  è  difficile,  per  noi;  ma  è  molto 
jiìx  difficile,  pel  Governo.  In  Calabria,  sono  comin- 
eiati  gli  scontri,  colla  peggio  delle  truppe  Regie.  I 


—  108  — 

Generali  sono  tutti  rinchiusi  nelle  città,  e  vi  si  sono 
fortificati.  Lanza  (297)  a  Lagonegro  e  Busacca  (298) 
a  Castrovillari  ;  Nunziante  (299)  a  Monteleone  e 
Nicoletti  a  Reggio.  I  Generali  Longo  (300)  e  Ri- 
botti (301)  sono  sbarcati,  con  duemila  siciliani  e  con 
otto  pezzi  di  artiglieria.  Il  primo  è  in  Cosenza  ,  il 
secondo  è  in  Catanzaro.  Emilio  è,  con  la  famiglia,  in 
Pomigliano;  è  stato  rieletto  anche  in  Avellino,  come 
io  a  Gaeta.  Egli  viene  ogni  giorno  in  Napoli;  e  tor- 
nerà definitivamente,  il  primo  Luglio,  per  l'apertura 
delle  Camere.  Riverisco  il  Generale  ;  abbraccio  gli 
amici;  e  sono,  per  la  vita, 

tao  aff.mo  fratello, 

Carlo. 

Mio  carissimo  figlio. 

La  lettera,  qui  acclusa,  non  potè'  partire.  In- 
tanto, ricevei  la  tua  lettera  del  tre,  alla  quale  ha 
risposto  lungamente  tuo  fratello.  Ora,  so,  che  sei  in 
Venezia:  il  cielo  ti  assista.  La  lotta  è  terribile  ed 
europea:  speriamo,  vederne  la  fine,  come  noi  desi- 
deriamo. Molti  amici  ti  abbracciano.  Per  timore» 
di  non  giungere  in  tempo,  ti  lascio.  Ti  scriverò,  tra 
pochi  altri  giorni.  Addio.  Afif.ma  madre,  che  ti  be- 
nedice, 

Carolina. 

Al  Signor 
n  Sig.  idessandro  Barone  Poerìo, 

in  Bologna. 

Raccomandata  per  ricapito 

al  sig.  Savino  Savini. 


—  109  — 

LXIV.  Alessandro  Poerìo  alla  Carolina  Poerio-Sossisergio 

ed  a  Carlo  Poerio. 

Venezia,  a  di  27  Giugno  1848. 

Carissima  madre, 

Finalmente ,  ricevo  vostre  lettere  e  di  Carlo  :  la 
prima,  scritta  da  voi  sola;  da  entrambi,  la  seconda; 
runa,  in  data  de'  15,  l'altra,  de'  18,  corrente  mese; 
e  ciò,  dopo  lunga  privazione,  poiché,  dopo  la  vostra 
de'  31  maggio ,  nessun'  altra  me  n'  era  prevenuta , 
fuorché  quella  de'  10  Giugno.  Potete  immaginare, 
con  quanta  consolazione,  io  abbia  avuto  buone  nuove 
della  salute  vostra  e  di  Carlo  e  delle  famiglie  con- 
giunte; io  stava  in  grande  ansietà,  per  la  mancanza 
di  lettere.  Mi  rallegro,  poi,  sommamente,  che  le  cose 
del  nostro  paese,  cosi  ìmmeritamente  infelice,  proce- 
dano meglio  ;  di  ciò  ,  io  non  dubitava ,  dacché  mi 
Tenne  alle  mani  un  giornale  calabrese ,  e  propria- 
mente cosentino,  de'  12  Giugno.  Il  12  é  la  data  del- 
l'ultima lettera,  scritta  da  Florestano  al  fratello;  mi 
duole,  sentire,  adesso,  da  voi,  che,  nella  sua  salute, 
non  si  manifesta  miglioramento. 

Pur  troppo,  le  vostre  lettere  non  mi  pervengono 
tutte;  quindi,  fate  bene  a  moltiplicarle.  Si  aggiunge» 
ora,  che  il  servizio  della  posta  (  occupata  dagli  Au- 
striaci la  via  di  terra)  si  fa  in  barca ,  per  Comac- 
chio  e  Chioggia,  talvolta  per  Ravenna  e  tragetti  di 
strade  di  montagna,  finché,  poi,  si  prenda  la  via  di 
mare;  insomma,  è  lento  ed  irregolare  assai.  Queste 
sono  le  conseguenze  della  caduta  di  Vicenza;  cadu* 
ta,  che  devesi  unicamente  alla  infamia  dal  nostro 


—  110  — 

Governo,  e  delle  truppe,  negatesi  (come  ormai  sa- 
pete) a  passare  il  Po,  con  rivolta  aperta  contro  il 
General  Pepe,  e  vergognosa  dichiarazione  di  voler 
retrocedere .;   la  macchinazione  fu  condotta  da .  pa- 
recchi capi  di  corpo ,  fra  i  quali   primeggiò  V  infa- 
missimo  Cutrofiano ,  che ,  mentre  fingeasi   animato 
da  sentimenti  di  onore,  e  punto  da  stimolo  di  glo- 
riosa  ambizione   militare ,  avea  preparato  la  turpe 
defezione,  che  sarà  incancellabile  macchia  delle  no- 
stre milizie.  Vi  assicuro,  carissima  madre,  ch'essendo 
pur  Napolitano ,  mi  è  durissima  cosa ,  il  veder  cosi 
insozzato  il  nome  delle  nostre  truppe.  Si  distingua, 
quanto  si  vuole ,  tra  nazione  ed  esercito  ;   bisogna, 
pure,  arrossire  e  macerarsi,  per  tanta  pertinacia  nella 
infamia.  Passarono,  il  di  8  Giugno,  coMue  battaglioni 
di  volontarii,  una  batteria  di  artiglieria  ed  una  com- 
pagnia di  minatori;  il  10,  un  battaglione  di  cacciar 
tori.  Alla  spicciolata,  poi,  e  di  varii  corpi,  son  ve- 
nuti circa  trecento  altri.    Numerosi  drappelli  della 
prima  divisione,  che  disertò  da  Ferrara,  son  rimasti 
in  varie  città  della  Romagna  e  delle  Marche  ;  e  , 
lasciata  la  coccarda  napolitana ,  si  vanno   incorpo- 
rando nelle  truppe  pontificie.  Il  General   Pepe  co- 
manda, ora,  in  capo  tutte  le  milizie,  raccolte  in  Ve- 
nezia. La  quale  città  è,  come  vi  ho  già  scritto,  una 
tale  fortezza,  per  natura  e  per  arte,  da  sfidare  ogni 
sforzo  degli  Austriaci .  benché  questi  si  vadan  mo- 
strando a  Mestre,  a  Fusina ,  a  Brondolo,  a  Treporti 
ed  in  altri  luoghi ,  più  per  bravata ,  che  per  altro. 
Speriamo,  che,  presto,  Carlo  Alberto,  ricevute  le  ri- 
serve e  le  nuove  leve  lombarde,  già  in  marcia  per 
raggiungerlo,  soccorra  il  Veneto.  Il  3  Luglio,  sarà 
tenuta  V  adunanza  generale ,  per  deliberare  intorno 


—  Ili  — 

alla  unione  col  Piemonte;  e  credesì,  fermamente,  che 
questa  opinione  prevarrà. 

Ne'  giorni  scorsi,  feci,  col  Generale,  una  escursione 
a  Malghera  (principalissima  fortezza,  vicinò  al  ponte 
sulla  laguna)  ed  a  Treporti.  Ieri,  fummo  a  Chioggia 
e  Brondolo.  Il  Generale  ha,  per  queste  gite ,  il  cui 
obbietto  è  Y  ispezionare  le  fortificazioni ,  un  vapore 
piccolo,  ma  velocissimo,  a  disposizione  sua.  Se  non 
vi  è  giunta  ancora,  vi  giungerà,  in  breve,  una  mia 
lettera ,  che  vi  porterà  personalmente  il  corriere  , 
spedito,  giorni  fa,  dal  Generale.  Vi  rinnovo  la  pre- 
ghiera, di  mandarmi  del  danaro,  per  la  metà  di  Lu- 
glio; scrivete  direttamente  a  Venezia.  Il  caldo  è  ec- 
cessivo, in  questa  città;  ho  preso  due  bagni,  finora. 
Ola  sarà  necessario,  che  ne  prenda  spessissimo.  Tante 
<^se  a  Carlotta,  Antonia,  Luisa.  Il  Generale  vi  ri- 
verisce; egli  sta  bene  in  salute.  Della  mia,  sottoso- 
pra, non  sono  scontento.  Scrivetemi,  quanto  più  spes- 
so potete;  serbatemi  il  vostro  affetto.  E,  baciandovi 
la  mano,  e  chiedendovi  la  materna  benedizione,  mi 
raffermo 

vostro  aff.mo  figlio, 

Alessuìidro. 

P.  S.  Pur  troppo,  mi  manca  la  occasione,  di  scri- 
vere a  Montanelli:  se  mi  si  presenta,  non  mancherò, 
di  far  menzione  di  voi.  Di  Enrico  non  ho  lettere , 
DÒ  di  Raffaele,  quantunque  io  abbia  scritto  air  uno 
ed  air  altro. 

Carissimo  fratello. 

Puoi  facilmente  immaginare,  come,  dopo  lungo 
silenzio  ,  mi  sia  giunta  gradita  la  tua  del  18  cor- 


—  112  — 

rente  mese.  Godo  grandemente,  che,  nella  rielezione 
tua,  abbi  ottenuto  la  maggiorità  in  parecchi  distretti;, 
ed ,  in  generale ,  godo ,  che  le  scelte  siano  'cadute 
sugli  antichi  deputati,  con  esclusione  di  alcuni,  fra 
cui  r  infamìssimo  Ruggiero.  Mi  fa  meraviglia,  veder 
fra  gli  antiministeriali  quel  frigido  ed  inconcludente 
Luigi  Blanch.  A  dirti  il  vero ,  a  me  ed  a  parecchi 
altri,  sembrava  ,  che  V  acconsentire  alle  nuove  ele- 
zioni ,  fosse  un  vulnerare  la  causa  nazionale  ;  ma , 
poiché  le  nomine ,  o ,  per  meglio  dire,  le  conferme 
sono  state  accompagnate  da  protesta,  veggo  bene,' che 
la  nazione,  dove  non  ha  potuto  prender  le  armi,  ha 
voluto  dare  una  lezione  al  governo,  per  quelle  stesse 
vie  di  costituzionale  ipocrisia ,  alle  quali  erasi  esso 
appigliato.  Ma  non  crederò  mai,  che  il  nuovo  par- 
lamento possa  adunarsi,  atteso  lo  stato  di  parecchie 
Provincie  ;  né  credo  tanto  gonza  la  nazione  ,  che  , 
dopo  cosi  trista  esperienza  di  assoluta  incorreggibilità 
e  d' inaudita  perfidia,  voglia  entrare,  di  nuovo,  nella 
pericolosa  situazione,  dalla  quale  sta  uscendo,  con 
isforzi  magnanimi.  In  una  parola,  le  nomine  de*  de- 
putati stessi,  spiacenti  al  Governo,  come  scoppio  e 
manifestazione  della  opinion  pubblica ,  sono  da  lo- 
dar grandemente;  ma,  per  Dio,  non  producano  scis- 
sione alcuna  tra  i  buoni,  ì  quali,  con  unanimità  ed 
infaticata  perseveranza ,  debbono  assicurare  la  li- 
bertà del  paese ,  e  riparare  V  iniqua  defezione,  che 
ha  compromesso ,  almeno  per  quanto  dipendea  da* 
traditori ,  la  causa  della  indipendenza  d' Italia  !  To- 
stochè  sarà  tentata  qualche  fazione  di  guerra  o  qui 
0  dalla  parte  di  Carlo  Alberto ,  non  mancherò  di 
tenertene  informato.  Bellissimo  spettacolo  ò  quello  di 
Roma,  che,  come  si  addice  al  vero  capo  della  Penisola, 


—  113  — 

soccorre  alle  membra,  con  efScacia.  Due  milioni  di 
scudi,  per  le  spese  della  guerra  santa,  ed  una  leva 
di  ventimila  uomini  sono  un  bel  contrapposto  alla 
politica  bozzelliana.  Mamiani  e  Bozzelli*  viveano  esuli 
in  Parigi,  allora  concordi  nelFamore  d'Italia  e  della 
libertà;  ma  il  potere  è  gran  pietra  di  paragone  de- 
gli animi.  Addio;  abbraccio  Emilio  e  Poppino;  e  sa- 
lato i  comuni  amici.  Scrivi  spesso.  Di  a  Florestano, 
che  il  fratello  sta  bene;  ma  desidera  sue  nuove  più 
frequenti.  E  credimi 

tuo  aff.mo  fratello, 

Alessandro. 


P.  S.  Ti  prego ,  nel  rispondere,  di  far  due  righi 
per  Giuseppe  Mondolfo,  ricco  banchiere,  in  cui  casa 
io  sono  alloggiato ,  e  che  mi  colma  di  gentilezze. 
Egli  è  il  tuo  antico  intimo  amico  di  Trieste.  La  Pel- 
l^rini  (302)  vive  e  sta  bene. 

Mandami  del  danaro,  per  la  metà  di  Luglio,  affinchè 
io  non  sia  costretto,  a  farmene  prestare  dal  Gene- 
rale. 


Al  Nobile  Uomo 

n  Signor  Carlo  Poerio. 
Strada  del  Salvatore  al  Corpo  di  Napoli,  n.  5, 2.  piano 

Napoli, 


8 


—  114  — 
LXV.  Federico  Bellazzi  (3o3)  ad  Alessandro  Poerio 
GOVERNO  PROVVISORIO 

DELLA.  LOMBARDIA 

Milano ,  il  29  Giugno  1848. 

Carissimo  signor  Poerio, 

Includo,  in  questa  mia,  una  lettera,  diretta  a  S.  E. 
il  Generale,  che  V.  S.  favorirà  trasmettere,  al  più 
presto  possibile.  —  Mi  rincresce,  di  non  aver  potuto, 
finora,  scriverle  qualche  cosa,  relativamente  alle  co- 
se nostre  di  Lombardia;  e  di  non  poter  far  ciò  nean- 
che adesso,  perchè  assediato  da  tutte  parti.  —  Cor- 
renti la  saluta  caramente.  Forse,  ci  rivedremo  pre- 
sto in  Venezia.  Mi  creda 

1*  affezionatìssimo  sao 

Federico  Bellazzi. 

P.  S.  Le  scriverò  di  più ,  un'  altra  volta.  Se  le 
abbisogna  qualche  cosa,  mi  scriva,  che  la  soddisferò 
subitamente.  Addio.  Mi  saluti  Ulloa,  di  cui  tanto 
bene  si  dice  anche  qui,  Mezzacapo,  ecc.  ecc. 

Dalla  Segreteria  Generale  del  Governo  Provvi- 
sorio. 

Al  Preg.**  Signore 
n  Sig.  Barone  Poerio. 

Presso  S.  E.  il  Generai  Pepe. 
Yenezia, 


—  115  - 

LIVI.  Alessandro  Poerìo  alla  Carolina  Poerio-Sossisergio 

ed  a  Carlo  Poerìo 

Venezia,  a  di  1.  Luglio  1848. 

Par  fatale,  carissima  madre  mia,  che  io  non  debba 
ricevere  vostre  lettere,  se  non  ad  intervalli  assai  lun- 
ghi; quella,  che  promettevate  nella  vostra  de'  18 
Giugno,  di  volermi  scrivere  il  20,  non  mi  ò  poi  giun- 
ta; eppure,  siamo  a  Luglio;  eppure,  altri  hanno  avuto 
lettere  del  23^  e,  se  non  erro,  anche  del  24.  Questa 
privazione  dì  vostre  nuove  mi  tiene  afflittissimo. 
Alla  vostra  de'  18 ,  risposi  subito.  Debbono  esservi 
state  ricapitate  altre  mie  precedenti ,  fra  le  quali 
una,  affidata  al  corriere  signor  Longo,  che,  forse,  ve 
l'avrà  recata  personalmente  (304). 

Benché  siano  circa  18  mila  uomini  in  Venezia , 
nulla  si  è  tentato  contro  gli  Austriaci,  che  ci  strin- 
gono da  Fusina,  Mestre,  Brondolo  e  Treporti.  Ve- 
ro ò|  che  la  massima  parte  son  volontari,  ne' quali 
nò  il  General  Pepe ,  né  il  General  Ferrari  hanno 
gran  fiducia,  per  far  delle  sortite  gagliarde;  ma,  forse, 
qualche  cosetta  si  sarebbe  potuto  tentare.  Finora, 
non  è  accaduto,  che  un  cannoneggiamento,  per  lo  più, 
vano,  e  due  o  tre  riconoscenze  di  poco  momento. 
Del  campo  di  Carlo  Alberto,  nulla  si  sa,  oggi,  di  pre- 
dsp;  ma,  giorni  fa,  venne  avviso,  che  diecimila  (altri 
dicono  quattordicimila)  Piemontesi ,  avesser  passato 
r  Adige,  sopra  Rivoli ,  e  combattessero  contro  gli 
Austriaci,  nel  Tirolo.  Si  é,  poi,  sparsa  voce,  che  il 
Re  voglia  assalire  il  forte  di  Legnago,  anco  sul- 
r  Adige ,  e  così  minacciare,  anco  da  un  altro  lato, 
Verona,  in  cui  consiste  la  somma  di  tutta  la  guerra. 
Cosi  l'avesse  fatto  prima;  od,  almeno,  lo  facesse  pre- 


—  116  — 

sto.  Allora,  i  nemici  sarebbero  costretti,  di  allargarsi 
da  intorno  Venezia,  o,  se  non  altro,  di  diminuire 
assai  le  loro  forze,  da  questa  parte. 

Saprete  le  novità  di  Francia;  solo  rimedio,  ammali 
interni  di  quel  paese,  sarebbe  la  guerra.  Ma  il  co-> 
munismo  è,  dicesi,  vinto,  si  a  Parigi  che  a  Marsi- 
glia. Ma  risorgerà ,  e  nasceranno  nuovi  disordini , 
flnchò  ai  pessimi  umori  non  si  trovi  scolo.  La  guer- 
ra di  liberazione  della  Polonia  sarebbe  oltremodo 
nazionale;  e  la  sola  minaccia  di  volerla  fare^  darebbe 
occasione,  a'  popoli  di  Germania,  di  forzare  i  loro 
governi,  ad  intraprenderla.  In  quanto  alla  Italia,  a- 
merei  meglio ,  che  fosse  preservata  da'  forestieri , 
anco  amici.  Purché  veramente  voglia,  farà  da  sé. 

Diman  V  altro ,  sarà  qui  tenuta  V  adunanza ,  per 
decidere  l'unione  col  Piemonte.  L'affermativa  pre- 
varrà, certamente  ;  né  Venezia,  Repubblica  isolata, 
potrebbe  sostenersi.  Ma  la  cosa  pò  tea  farsi  piti  de*' 
cerosamente;  ed  é  indegno  il  procedere  di  questa 
guardia  civica,  che  va  gridando,  per  le  strade:  Viva 
Carlo  Alberto,  alla  vigilia  di  un'  assemblea  nazio- 
nale (305). 

Il  caldo  é  eccessivo;  a  me  pare  il  doppio  di  quello 
di  Napoli,  e,  da  qualche  giorno,  spira  uno  scirocco, 
che  mi  tiene  abbattuto.  Si  aggiungono  non  poche 
amarezze;  e  vi  ripeto  quel,  che  vi  ho  già  scritto, 
che  mi  trovo  in  una  posizione  difficile,  anzi  falsa.  Vi 
prego,  quanto  so  e  posso,  di  farmi  aver  del  danaro, 
per  la  metà  di  luglio. 

Delle  cose  politiche  dì  costà,  scrivo,  nella  facciata 
seguente,  a  mio  fratello.  Spero,  che  Luisa,  Carlotta, 
Antonia ,  Emilio ,  Peppino  e  tutt'  i  parenti  stiano 
bene.  Di  Enrico  nulla  so  ,  né  ho  mai  ricevuto  sua 


—  117  — 

risposta.  Lo  stesso  debbo  dire  di  Raffaele,  se  non  che, 
da' fogli  milanesi,  rilevo,  trovarsi  egli  in  Cremona, 
dove  sta  ordinando  la  brigata  lombarda ,  affidatagli. 
11  Generale  vi  saluta  distintamente.  Anche  Da- 
miano vi  riverisce.  Per  carità,  scrivete;  bisogna  dire 
che  le  persone,  le  quali  voi  incaricate,  d'impostar  le 
lettere  in  Livorno  od  in  Roma,  trascurino  l'adem- 
pimento. Vi  bacio  rispettosamente  la  mano;  e,  pre- 
gandovi di  custodir  con  cura  la  vostra  salute,  mi 
ripeto 

v.^'  affino  figlio, 

Alessandro. 
Carissimo  fratello. 

Nostra  madre  ti  dirà,  come  la  mancanza  di  lettere,  sue 
e  tue,  mi  tenga  afflitto,  massime  nello  stato  inquieto, 
in  cui  ora  trovasi  il  Regno,  e  che  non  può,  se  non 
crescere.  A  me  pare,  che  il  dado  sia  tratto.  Se  Na- 
poli e  le  altre  città,  che  hanno  riconfermati ,  sotto 
protesta ,  i  deputati  antichi,  col  rieleggerli,  si  sono 
condotte  non  senza  dignità,  meglio  assai  han  fatto 
Bari,  Foggia  e  quante  han  protestato  assolutamente, 
di  non  poter  rieleggere  alcuno,  perchè  i  veri  e  soli 
deputati  della  nazione  sono  quelli ,  •  che  la  violenza 
disperse  a' 15  maggio.  Ottimamente,  poi,  fanno  Te- 
roiche  e  vindici  Calabrie.  Gran  danno  sarebbe,  se 
si  adunassero  Deputati  in  Napoli,  sotto  gli  auspici 
di  un  cosi  nefando  Governo ,  capace  di  rinnovare 
qualunque  eccesso.  A  me  pare ,  che  i  Deputati  rie-  * 
letti  debbano  assolutamente  dichiarare,  di  non  rico- 
noscersi tali,  se  non  in  virtù  del  primo  mandato.  Ma 
spero,  che  tutti  avranno  dignità,  senno  e  costanza. 
Non  è  più  tempo  di  transazioni;  ricomincerebbe  una 
serie  infinita  di  mali.  Fa  d'uopo,  assicurare  le  sorti 


—  118  — 

del  paese,  che  sono  tanta  parte  di  quelle  d'Italia;  e 
r  Italia  ciò  aspetta ,  con  fiducia ,  come  sola  e  lar- 
ga ammenda  alla  turpe  defezione  delle  truppe  na- 
politane,  voluta  dall'  iniquo  governo  nostro.  Questa 
lettera  ti  perverrà  in  modo  sicuro  ;  tutt'  i  migliori 
Italiani  pensano,  come  io  ti  scrivo.  Ci  si  fa  sapere, 
che,  nella  Puglia  e  negli  Abbruzzi,  la  viva  e  potente 
agitazione  sta  per  iscoppiare  in  sollevazione  aperta. 
In  Roma,  saprai,  che  il  Ministero  e  le  Camere  ga- 
reggiano di  energia  ;  e  che],  malgrado  i  retrogradi, 
che,  mettono  scrupoli  indegni  nell'animo  del  Papa, 
le  cose  andranno  bene.  Se  noi  sai  già,  sappi,  che  il 
Governo  Provvisorio  di  Lombardia  ha  decretato  :  — L 
Un  esercito  di  riserva. — H.  Un  comitato  d'armamento, 
in  sussidio  del  Ministero  della  guerra. — III.  Soccorsi 
alla  Venezia;  ed  incorporamento  de'  profughi  veneti 
nell'esercito  lombardo,  ove  il  vogliano. -^IV.  Prestito 
di  dodici  miUoni  di  lire,  con  ipoteca  sui  beni  dei 
principali  signori,  a  ciò  offertisi. — V.  Ricognizione  de' 
militari  napolitani,  rimasti  fedeli  alle  bandiere  d*I- 
talia ,  come  militari  lombardi.  —  VI.  Mobilizzazione 
della  guardia  nazionale. 

Vedi,  che  il  rimanente  d'Italia  non  manca  al  do- 
ver suo;  ma,  finché  essa  non  avrà  sicure  le  spalle, 
vi  sarà  pericolo.  Abbraccio  Emilio.  Leggiamo  il  Gior- 
nale ufficiale  ed  il  suo  degno  confratello  1'  Omni" 
bus  (306).  Quante  menzogne  !  Credimi  sempre 

Venezia,  1  Luglio. 

il  tuo  aff.mo  fratello, 

Alessandro  Poerio. 

Alla  Nobil  Donna 
La  Sig.  Baronessa  Carolina  Poerio. 

Strada  à%\  Salvatore  al  Corpo  di  Napoli  n.^  5,  2.^  piano 

Napoli, 


—  119  ^ 
LXVn.  Nicola  Fabriz!  ad  Alessandro  Poerio 

Amico  carissimo, 
Ti  prego  di  dire  ad  Ulloa  di  regolarizzare  la  mia 
posizione  presso  Tintendenza  Militare ,  che  gliene  sa- 
rò obbligato,  giacché  i  Tedeschi  che  a  momenti  sa- 
ranno a  Modena  mi  metteranno  al  verde,  per  la  se- 
conda volta  d'ogni  mio  avere,  e  chi  sa  per  quanto. 
Ti  prego  pure  di  vedere^  se  mi  sia  stato  portato  da 
Ferrara  un'  involto  [sic!']  con  lettere,  e  nel   caso 
raccoglierlo  tu  stesso,  e  tenerlo  per  darmelo  al  mio 
arrivo.  Le  notizie  le  dò  al  Generale.  Qui  si  è  nel 
terrore,  e  l'^eccitamento  ;  e  tutto  si  deciderebbe  per 
questo  se  ci  fossero  uomini  a  volerlo,  e  saper  cosa 
si  può  farne.  Vedremo.  Molto  si  fida  per  Venezia 
sul  General  Pepe,  che  ha  nome  assai  confidato  nel- 
le multitudini  [sidl.  Qui  si  manca  d'Ufficiali.  Che 
dico!  di  Caporali.  Addio 

Roma  1.**  Luglio  1848. 

Tao  aff.mo 

Nicola  \Fahrizt\ 

Bada  a  ciò  che  ti  dico  per  Ulloa.  Te  ne   [sic!'\ 
raccomando. 


Barone  Alessandro  Poerio 

Yenezia 


—  120  — 

LXVni.  La  Carolina  Poerìo-Sossisergio  e  Carlo  Poerio 

ad  idessandro  Poerio 

Napoli,  2  Luglio  1848. 

Mio  Carissimo  figlio, 

Ho  ricevuto  la  tua ,  del  19,  da  Venezia.  Già,  in 
una  del  venti  del  Generale,  avevo  letto  il  tuo  nome 
e  le  tue  lagnanze,  perchè  credevi ,  che  noi  non  ti 
avessimo  scritto.  Le  tue  lettere  sono  giunte,  qui,  con 
ritardo  ;  ma  ,  finalmente ,  tutte  sono  giunte.  Spero  , 
che,  per  le  nostre,  anche  sarà  cosi.  Tutto  ciò,  che 
mi  scrivi  di  affari  pubblici,  lo  sapevo  già  dai  fogli. 
Sono  adirata,  però,  con  detti  fogli,  per  ciò,  che  ci 
riguarda.  Hanno  certamente  cattivi  corrispondenti  ; 
perchè,  essendo  mendaci,  danno  adito  al  più  bugiar- 
do giornale  del  mondo  (quale  è  il  nostro)  di  confu- 
tarli; mentre  ci  sarebbero  tante  verità  a  dire  !  Ieri, 
si  sono  aperte  le  Camere  per  procuratore,  o  sia  de- 
legato: tutto  riuscì  tranquillamente,  anzi  silenzio^ 
samente  (307).  Domani,  si  raduneranno  le  Camere , 
qui  vicino,  dove  furono  gli  scienziati;  poiché,  ieri,  fu- 
rono aperte  alla  gran  Biblioteca  degli  Studi.  Di 
Montanelli  ti  ho  scritto,  in  molte  mie  lettere:  il  do- 
lore, dì  quando  giacque,  ed  il  contento,  di  quando 
risorse.  Pel  figlio  della  Parrà,  ho  inteso  molto  do- 
lore, pensando  a  quella  infelice  madre.  Carlotta  era 
andata  in  campagna  contro  sua  volontà;  ma  credo, 
che  tornerà  subito.  Mia  sorella  anche  è  in  Napoli, 
giacché  D.  Michelangelo  è  Pari.  Da  Don  Grego- 
rio, nulla  più  riceviamo.  Intanto,  pare,  che  le  cose 
sieno  confuse,  come  sempre  le  cose  nostre:  Fun  dit 


—  121  — 

blanc ,  V  autre  noir.  Ma  io  confido  nella  Provvi- 
denza. Sei  in  errore,  di  credere  Enrico  al  campo  al- 
le Grazie,  nell'ultinia  azione:  esso  era  ancora  con  la 
ferita  aperta ,  perchè  la  malattia  avuta  ne  aveva 
impedito  la  guarigione.  Mi  scrisse,  in  data  del  12 
scorso,  sempre  da  Modena.  Spero.,  che  ora  sia  del 
tatto  sano,  e  ne  attendo  lettere.  Se  mi  avessi  detto, 
dov'è  la  casa  del  tuo  albergatore,  con  la  fantasia, 
ti  vedrei  al  terrazzino  o  sia  pergola  :  per  ora  ,  ti 
veggo  su  la  Piazza^  in  gondola  sul  Canal  Grande  , 
a  Palazzo  Ducale ,  e  nelle  sale  delle  Procuratie. 
Molte  volte,  ti  abbiamo  scritto  il  motivo,  per  cui  re- 
stiamo qui.  Sta  tranquillo  sul  nostro  conto:  le  cose, 
da  lontano,  non  si  veggono,  come  da  vicino.  I  no- 
stri domestici,  buona  gente,  ti  baciano  le  mani.  Zia 
Antonia  stanca  tutti  i  Santi  del  Paradiso.  Ma  è  di 
sangue  Poerio.  Ti  dice  tante  cose.  Spero ,  con  la 
prima  tua  lettera,  che  mi  parlerai  di  tuo  zio;  spe- 
ro,  che  faccia  cose  tali,  non  solo  da  serbare  la  sua 
riputazione  (sia  come  militare ,  sia  come  vero  Ita- 
liano) ma  di  accrescerla.  Ti  abbraccio  e  benedico. 

Àff.ma  madre. 

Carolina. 

P.  S.  Ti  prego,  di  dire  tante  cose  al  Generale,  da 
mia  parte. 

Napoli,  3  Luglio  1848. 

Carissimo  fratello, 

Ieri,  ebbi,  indirettamente,  le  tue  nuove,  in  una  let- 
tera ,  scritta,  in  data  del  25  scorso ,  dal   Generale 


—  122  — 

Guglielmo  a  suo  fratello.  Non  so  comprendere,  co- 
me vada  la  faccenda  della  mancanza  di  nostre  let- 
tere. Io  ti  ho  scritto,  spessissimo;  e  la  nostra  buona 
madre,  in  ogni  ordinario,  e,  straordinariamente,  per 
occasioni  particolari.  Le  tue  lettere ,  alla  fin  fine  , 
giungono  fino  a  noi.  Come  mai  le  nostre  non  giun- 
gono fino  a  te?  Del  rimanente,  ogni  qualvolta  per- 
viene al  generale  una  lettera  del  fratello,  fa  conto, 
di  ricevere  anche  le  nostre  nuove,  poiché  io  veggo 
il  Generale  Florestano,  ogni  sera.  La  presente  giun- 
gerà immancabilmente,  poiché  affidata  ad  un  uffi- 
ciale del  Vapore  Francese,  che,  dopo  averci  recate 
le  funeste  nuove  di  Parigi  del  25,  salpa  questa  notte 
per  Venezia  (308).  Ieri  l'altro,  primo  Luglio,  furono 
aperte  le  Camere,  nella  gran  sala  della  Biblioteca , 
dal  Duca  di  Serracapriola,  Regio  Delegato.  Poteva- 
mo essere  un  cinquanta  pari,  ed  un  settanta  Depu- 
tati; ma,  domani,  saremo  in  numero  legale  (oltre  ot- 
tantatrè  ),  poiché  ne  sono  giunti  molti  in  giornata. 
Diman  Taltro,  giungeranno  Lanza,  Scialoja,  del  Re, 
Dorotea  e  Bellelli,  ch'erano  in  Roma,  poiché  sono 
stati  tutti  rieletti.  La  cerimonia  si  passò  nel  più  cu- 
po silenzio.  Il  discorso  della  Corona  fu  degno  del 
Ministero  Bozzelli  ;  e  fu  degnamente  accolto  dal- 
l'assemblea. La  risposta  non  si  farà  attendere:  e  sa- 
rà linguaggio  di  uomini  liberi,  ma  dignitoso  e  calmo. 
I  forestieri,  che  sono  in  Napoli,  ammirano  la  fer* 
mezza  degli  elettori,  che  ha  rieletto  i  medesimi  de- 
putati, ed  il  coraggio  civile  de'  Deputati,  che,  per 
salvare  la  patria  dalla  imminente  anarchia,  non  han 
temuto  di  riunirsi,  in  Napoli,  stanza  di  ventiquat- 
tromila uomini  di  truppe  mercenarie,  sotto  il  can- 
none di  quattro  castelli,  ed  in  mezzo  ad  una  plebe 


—  123  — 

stupida,  feroce  e  rapace.  Con  la  costanza,  con  la  fer- 
mezza e  con  la  temperanza,  ho  fede,  che  supereremo 
tutti  gli  ostacoli;  e,  forse,  non  è  lontano  il  giorno, 
in  cui  ,  non  una  o  due  divisioni ,  ma  la  metà  del 
nostro  esercito,  potrà  varcare  il  Po,  per  combatte- 
re l'eterno  nemico  d'Italia. 

Ma ,  per  raggiungere  questo  santissimo  scopo  ,  è 
indispensabile,  che  sia  ristorata  la  pubblica  tranquil- 
lità, e  riordinata  la  finanza,  ch'è  nerbo  di  ogni  guer- 
ra. E  la  sola  vìa  legale  può  condurci  alla  deside- 
rata meta.  Tu  sai,  ch'io  ho  fatto  le  mie  prove  co- 
me cospiratore;  ma,  quando  ogni  altra  via  era  chiu- 
sa. Ora,  bisogna  invocare  la  legalità;  e  chi  fa  altri- 
menti, non  ha  coscienza  del  suo  buon  diritto.  Il  ri- 
correre alla  forza  brutale,  come  unico  mezzo  di  sa- 
lute, è  mettere  al  repentaglio  l'avvenire  del  paese  , 
è  un  giuocare,  al  tristo  giuoco  della  guerra  civile, 
le  sorti  della  patria.  Alcuni,  accecati  dall'odio  e  da 
fiero  e   giustissimo  sdegno,  non  veggono  ,  che ,  per 
guadagnare  questa  lite,  bisogna  guadagnare  tempo. 
L'iniquo   Governo  non  può  distruggere  la  Costitu- 
zione, di  fronte  ad  un'opposizione  legale.  Ma,  s'egli 
trionfa  della  opposizione  armata  (e  con  settantami- 
la combattenti  questo  non  è  difficile)  non  potrà  mai 
opporsi,  anche  volendo,  alla  tremenda  reazione  del 
suo  partito;  e  questo  paese  sarà  crudelmentò  insan- 
guinato, peggio  della  Spagna  e  del  Portogallo.  So, 
che  gli  oppressi  e  le  vittime  avranno  le  simpatie  e 
le  lacrime  de'  fratelli  Italiani,  che  celebreranno  per 
gli  estinti  delle  messe  di  requie;  ma  ciò  non  impe- 
dirà il  martirio  di  sei  milioni  di  uomini.  Verrà,  poi, 
(Dio  sa  quando)  la  Spada  d'Italia,  che  libererà  noi 
dalla  tirannide,  come  ha  liberato  il  Veneto  dallo  stra- 


—  124  — 

niero  oppressore.  In  verità,  io  non  comprendo  que- 
sto grande  amore  de'  nostri  fratelli  Italiani  per  noi. 
Essi  desiderano  il  nostro  aiuto,  per  cacciar  lo  stra- 
niero; ed,  intanto,  fanno  di  tutto,  per  impedire,  che 
un  Governo,  ragionevole  e  decisamente  Italiano,  si 
formi  in  Napoli.   Bel   modo    di  aiutare  la  vittima  , 
aizzando,  di  continuo,  con  le  più  turpi  contumelie,  i 
potenti  sacrificatori!  apponendo,  al  Governo,  fatti  sup- 
posti di  bestiale  brutalità,  come  se  le  sue  vere  col- 
pe  non  fossero  sufacienti,  a  chiarirlo  oppressore,  qua- 
si  per  offrirgli  una  propizia  occasione,  per  gridare 
alla  calunnia  !   ÀI   dir   de'  giornalisti ,  gli  eroi  del 
giorno    sono    Mauro  il  comunista  (309) ,  Ricciardi 
r  ateo ,  il  socialista  Mussolino  (310)  ed  altra  gente 
di  simil  fatta.  Io  non  so,  che  razza  di  libertà  possa 
attendersi  da  costoro;  ma  so  bene,  che  tutti  gli  uo- 
mini eminenti  di  Calabria,   che   stavano   formando 
una  vasta  confederazione  di  tutte  le  Provincie,  per 
costringere  il  governo  a  rientrare  nella  via  legale, 
all'apparire  di  costoro,  si  son  ritirati  e  non  han  vo- 
luto più  saperne.  Lo  sbarco  dei  Siciliani  ha,  poi,  fi- 
nito di  discreditarli.  I  Siciliani  (come  sai)  non  hanno 
mandato  un  solo  uomo,  a  combattere  per  la  causa 
Italiana;  poiché  non  deve  tenersi  conto  di  cinquanta 
volontari,  iti  con  La  Masa  (311).  Ora,  sono  stati  sol- 
leciti, d'inviare  quasi  tre  mila  uomini  in  Calabria;  e 
ciò ,  pel  triplice  vantaggio:  di  disfarsi  dei  più  faci- 
norosi tra'  Bonachi;  di  sovvertire  il  nostro  Regno 
ed  allontanare  ogni  tema  d'invasione,  per  parte  del 
nostro  Governo;  d' impadronirsi  del  forte  di  Scilla, 
per  dominare  lo  stretto,  impedire,  che  la  cittadella 
di  Messina  sia  soccorsa  ,  e  farla  cadere  per  fame. 
Intanto,  il  loro  arrivo  ha  dato  il  carattere  della  più 


—  125  — 

truce  ferocia  a  quella  guerra  civile;  e  Dio  sa,  come 
la  cosa  andrà  a  finire.  Questa  mattina,  si  è  confer- 
mato il  sacco  del  Pizzo,  con  la  morte  di  due  fratelli 
di  Mussolino  (312) ,  ed  il  disarmo  di  Monteleone,  che 
si  era  mossa  alle  spalle  di  Nunziante.  Questa  ma- 
ledetta ed  intempestiva  mossa  ha  reso  indispensa- 
bile il  nostro  sacrificio,  di  andare  a  sedere  in  Par- 
lamento, poiché  il  nostro  supremo  mandato  è  quello,  di 
salvare,  ad  ogni  costo,  il  paese  dal  despotismo  e  dal- 
l'anarchia. —  Fra  i  nuovi  eletti,  vi  è  Carlo  Troya, 
scelto  da  tre  Collegi,  G.  Capuano,  il  Duca  Proto  (313), 
Centola  (314),  Muratori  (315).  —  Capitelli  sarà  for- 
se il  Presidente,  perchè  la  salute  di  Troya  non  gli 
permette  tanta  fatica.  Donna  Lucia  saluta  Tomma- 
seo. Mi  congratulo  con  UUoa,  Tenente-Colonnello  e 
capo  dello  Stato  Maggiore.  Lo  abbraccio  con  As- 
santi.  E  riverisco  il  Generale;  e  mi  congratulo  con 
lui  della  bella  difesa.  EmiUo  e  la  famiglia,  i  Parrilli, 
Zia  Antonia  e  gli  amici  ti  salutano.  Io  ti  abbrac- 
cio, con  tutto  il  cuore. 

Tao  aff.mo  fratello 

Carlo. 


LXIX.  Federico  BeUazzi  ad  Alessandro  Poerio 

Reverbella,  4  Luglio  1848. 

Carissimo  signor  Poerio, 

Siamo,  per  partire  di  qui ,  alla  volta  di  Brescia  ; 
e  Correnti  m' incarica,  di  scrivere  a  V.  *  S.,  che  lo 
saluta  caramente,  mentre  Le  raccomandai  di  riverire, 
in  suo  nome,  S.  E.  il  Generale.  Quanto  prima,  o  Ce- 


—  126  — 

sare  stesso  o  alcun  altro,  delegato  da  lui,  si  recherà 
a  Venezia.  Con  tutta  la  stima ,  mi  creda ,  di  tutta 
fretta, 

l*affos.mo  sao, 

Federico  Bellazzi. 

Al  Signor 
Barone  Poerìo 
Venezia 
preuo  S.  E.  il  generale  Pepe. 


LZX.  Girolamo  Sfòrza-Bissari  (316)  ad  Alessandro  Poerìo. 

Milano,       Luglio  1848. 

Distinto  Amico! 

Dopo  le  ultime  notizie,  raccolte,  sul  vostro  conto, 
da  un  ufficiale  napoletano ,  che  io  stesso  presentai, 
in  Este,  al  Generale  Durando,  mandandovi,  per  quel 
mezzo,  i  miei  più  cordiali  saluti ,  io  non  ho  saputo 
altro  di  voi,  se  non  che  eravate  a  Venezia,  coU'ot- 
timo  Pepe.  Ora,  perdonatemi,  se  vi  distraggo,  per 
poco,  da  cose  di  maggiore  importanza,  pregandovi, 
d'occuparvi  d'una  cosa  affatto  personale;  ma,  abbi- 
sognandomi un  buon  consiglio  ,  in  cosa  per  me  di 
tutta  importanza,  non  saprei  a  chi  meglio  ricorrere, 
che  al  vostro  senno  e  alla  vostra  preziosa  amicizia. 
Mio  caro,  dei  fatti  di  Vicenza  non  vi  parlo,  che  vi 
saranno  troppo  noti;  né  del  supremo  dolore  dell'a- 
nima mia,  quando  ho  veduto  invadere,  perfino  i  pa- 
cifici domicili  di  famiglia,  da  queir  orde  barbariche, 
che,  nella  stupida  loro  ferocia,  non  sentono,  che  un 
prepotente  bisogno,  di  distruggere  tutto  ciò,  che  è 
gentile.  Compreso  nella  capitolazione ,  perchè  Offi- 
ciale d'Ordinanza  del  Generale  Durando,  uscii  di  Vi- 


—  127  — 

jjenza;  e,  con  lui,  me  ne  venni  a  Ferrara.  Io  sarò 
sempre  affezionato  al  Generale,  per  quanto  ha  fatto 
per  la  mia  Patria  ;  ed  io  ,  che  Y  ho  accompagnato 
quasi  per  tutto ,  dov'  erano  maggiori  e  il  bisogno  e 
il  pericolo,  non  lo  potrò  certo  accusare  delle  tristis- 
sime conseguenze  dell'abbandono  di  tutti  quelli,  che 
hanno  tradito  la  causa  Italiana.  Durando,  abbando- 
nato alle  sole  sue  forze,  senza  materiale  da  guerra, 
cosa  poteva  fare  a  Vicenza  ,  contro  quaranta  mila 
austriaci  con  cento  bocche  da  fuoco  ?  Io  credevo  , 
che  il  Governo  Pontificio  e  Pio  IX,  rinsennato  egli 
pure,  avesser  valutato  di  più  il  cuore  e  la  mente  di 
questo  bravo  Italiano;  e  che,  approfittando  delle  ot- 
time sue  intenzioni,  avrebber  voluto  si  organizzasse 
un  esercito  di  trentamila  uomini  almeno,  sotto  la 
disciplina  militare  più  rigorosa  e  con  tutto  il 
materiale  da  guerra  occorrente^  approfittando,  per 
r  istruzione ,  dei  tre  mesi  della  capitolazione.  Il  mio 
giudizio  fu  erroneo.  A  Durando,  venne  l'ordine,  di 
trasmettere  ad  altro  il  comando  d'operazione,  senza 
né  anche  un  cenno  sulla  sua  destinazione  futura,  senza 
un  ringraziamento.  Intanto,  un  mese  è  passato  ;  e 
nessuna  cosa  s*è  fatta.  Ora ,  Durando ,  persuaso  da 
tutti  noi ,  se  ne  è  andato  a  Roma.  Io  credo ,  che 
tutte  le  accuse  cadranno ,  per  la  parola  dell'  uomo 
giusto.  Noi  tutti,  suoi  aiutanti  di  campo,  fummo  li- 
cenziati ,  con  tali  parole  di  affetto ,  che  di  più  non 
avrebbe  potuto  dirci  ;  e  colla  promessa ,  di  '  richia- 
marci ,  se  mai  fosse  tornato  in  campagna.  E ,  spe- 
cialmente per  me ,  esternava  rincrescimento ,  per  la 
mia  posizione  ben  più  affliggente ,  in  confronto  dei 
sadditi  pontificii.  Dietro  suo  consiglio,  mi  portava  a 
Milano,  dove  sono  dall'  altro  ieri.  Qui ,  mi  sembra , 


—  las- 
che le  cose  non  procedano  cosi  bene,  come  sarebbe 
desiderabile.  Il  Governo  Provvisorio,  accusato  di  len- 
tezza, di  poca  avvedutezza,  anche  di  ambizioni  troppo 
personali;  il  partito  repubblicano,  più  esteso,  che  mai, 
ma  diviso  in  due  sezioni.  L'una  ottima,  composta  di 
tutti  quelli,  che  lo  sono  di  buona  fede,  che  agiscono 
per  intimo  convincimento;  e  questa  meno  numerosa, 
per  disgrazia ,  dell'altra ,  composta  di  gente ,  che  o 
velano  le  proprie  passioni,  o  mercanteggiano  Ja  pro- 
pria coscienza,  rendendosi  compri  strumenti  dell'Au-' 
stria,  nel  proclamare,  adesso,  un  principio,  che,  al- 
meno, non  è  opportuno.  Vi  aggiungi  un  altro  partito 
dell'opposizione,  composto  di  gente,  avversa  alle  per- 
sone del  Governo,  che  si  valgono  di  tutti  i  mezzi, 
per  suscitar  brighe  a  queste,  onde  {sic!'}  farle  cadere. 
Io  avrei  desiderato,  di  servire  ancora  la  patria;  ma, 
oltreché  io,  cosi  subito,  non  potrei,  forse,  battermi,  per 
causa  della  capitolazione  (317),  a  dirvi  il  vero,  vorrei 
vedervi  dentro  un  po'  più  chiaro,  prima  di  dedicare, 
il  mio  braccio  a  Carlo  Alberto,  dal  quale,  inSne,  iO' 
ripeto,  in  gran  parte,  la  caduta  del  Veneto.  Perciò, 
tornandomi,  più  di  tutto,  pesante  ,  il  restarmene 
ozioso  ,  quando  la  Patria  trovasi  nel  maggiore  biso- 
gno, mi  è  venuta  un'idea.  E  sarebbe:  di  rivedere  il 
mio  ottimo  amico  Mariano  d'Ayala  (318);  e,  arruo- 
landomi alle  generose  schiere  delle  Calabrie,  combat- 
tere l'oppressione  e  il  tradimento  dell'iniquo  Borbone. 
Vi  dirò ,  che  questa  guerra  ha,  per  me,  un  partico- 
lare attraente,  perchè  vendicherei,  in  parte  ,  l'infor- 
tunio delia  misera  Vicenza  ,  di  cui ,  forse  ,  precisa 
causa  fu  la  infame  diserzione  delle  truppe  napoUta- 
ne  (319).  Ho  scritto,  perciò,  a  Gaetano  Grano  a  Messi- 
na (320),  includendovi  una  lettera  per  il  bravo  Maria- 
no. Spero,  che  avrà  mezzo  di  spedirla,  e  di  farmi  tenere 


I 
I 


—  129  — 

risposta.  Ad  ogni  modo ,  voi  potreste  indicarmi  la 
strada,  che  dovrei  tenere,  per  arrivare  sicuramen- 
te, per  quanlo  è  possibile,  fino  a  lui;  e,  prima  di 
tutto  ,  darmi  un  consiglio  in  proposito.  A  me  sem- 
bra ,  che  la  causa  dell'  Indipendenza  Italiana  tanto 
si  tratti  sull'Adige  e  sul  Mincio,  come  in  Aquila  e 
nelle  Calabrie.  Lo  stradale,  che  io  direi  di  tenere, 
sarebbe,  di  arrivare,  prima,  a  Palermo,  o  a  Messina — 
quale  vi  sembra  più  adatto  ?  Nel  caso  mi  decidessi 
a  questa  risoluzione,  voi  mi  sarete  compiacente  di 
qualche  lettera,  anche  per  Palermo  e  per  Reggio  o 
Cosenza.  Ho  letto  la  risposta  di  Mariano  alla  Cir- 
colare Bozzelli.  Che  mai  è  divenuto  il  nostro  amico! 
Non  è  vero.^  quanto  fa  male  il  dover  ritirare  la 
propria  stima,  da  chi  la  godeva  pienissima  !  Abbia- 
mo parlato  di  voi,  con  la  Gozzadini,  a  Bologna.  El- 
la si  conserva  vera  Italiana.  E  il  bravo  Ruberti! 
Viva  r  onorevole  vecchio  !  E  cosa  ne  è  divenuto , 
prima  di  tutti,  del  nostro  buon  Carlo  e  dell'  ottima 
madre  vostra  ?  e  di  Ruggero  Bonghi  e  di  Peppino 
del  Re  e  di  Gemelli  (321)  ?  E,  ditemi,  anche,  dove  si 
trova  Luigi  Scovazzo  (322)...  ?  Mio  caro,  io  non  po- 
trò mai  dimenticare  la  cordialità  di  tutti  voi,  e  le 
ore  beate,  che  ho  passate  con  voi.  Quante  volte  ab- 
biamo inaugurato,  co'  più  fervidi  nostri  desideri,  la 
liberazione  d' Italia  !  ma  nessuno  di  noi ,  quando  ci 
siamo  separati,  credeva,  che  tanto  vicino  ne  fosse 
per  essere  l'istante.  Maledizione  a  coloro,  che  han- 
no tradito  la  patria ,  nel  momento  più  fortunato  ! 
Addio ,  mio  indelebile  amico  ;  non  dimenticate  un 
istante,  chi  è 

tatto  vostro, 

Girolamo  Sforza^Bissari, 
Scrivetemi  tosto,  a  Milano,  ferma  in  posta. 

9 


—  130  — 


LXXI.   Alessandro  Poerìo  alla  Nina  Gozzadini-Serego-Allighieri 


[senza  data] 


Qui  sono  moltissimi  Bolognesi;  e  meritano  somma 
lode,  per  l'alacrità,  con  la  quale  disimpegnano  il  ser- 
vizio militare,  per  l'esatta  disciplina,  e  per  l'arden- 
te amore  alla  causa  Italiana.  Ma  nessuna  occasione 
di  combattere  si  presenta.  Noi  siamo  in  mano  alla 
diplomazia,  antica  sacrificatrice  di  popoli.  Ma  l'Eu- 
ropa è  troppo  mossa,  perchè  un  assetto  politico,  il 
quale  non  abbia  per  base  la  nazionalità,  possa  riu- 
scire durevole.  Lunga  lotta,  nuovi  dolori,  ineffabili 
angosce  ;  ma  Y  Umanità  dee  progredire  ,  è  decreto 
di  Dio. 

Mi  dia  sue  nuove  ;  e  scriva,  se  ne  ha  occasione, 
a  mia  madre;  la  quale  mi  par  che  mi  accennasse,  di 
averle  diretta  una  lettera,  e  di  essere  mancante  di 
sue  nuove  ed  inquieta  sul  suo  conto. 


Suo  dev.mo  afT.mo, 

Alessandro  Poerio, 


P.  S.  Se  vede  Savino  Savini,  abbia  la  gentilezza 
di  rammentarmi  a  lui.  Nulla-  ho  più  saputo  di  que- 
sto comune  amico. 


—  131  - 

LXXII.  Alessandro  Poerio  alla  Carolina  Poerio-Sossisergio 
ed  a  Carlo  Poerio,  con  postilla  di  Florestano  Pepe 

Venezia,  a  di  10  Luglio  1848. 

Carissima  madre,  carissimo  fratello, 

Torno  in  punto  della  posta ,  dove ,  al  solito ,  ho 
inutilmente  fatto  ricerca  di  vostre  lettere.  Vi  ripe- 
to, che  l'ultima  vostra,  pervenutami,  è  del  18  Giu- 
gno. Immaginate  ,  in  quale  inquietudine  ed  ansietà 
io  mi  viva.  Ieri  ,  acclusi  una  mia  lettera  per  voi , 
ad  un  amico  mio  di  Bologna,  il  quale,  tempo  fa,  ve 
ne  fece  ricapitare;  e  confido,  che,  anche  questa  vol- 
ta, si  presterà  volentieri.  Ma,  presentandomisi  occa- 
sione di  scrivervi,  nel  plico  del  Generale  al  fratello, 
non  voglio  trascurarla.  Non  so  intendere,  come,  an- 
corché mancasse  ogni  altra  opportunità,  voi  non  vi 
appigliate  al  partito,  di  consegnar  la  lettera  vostra 
a  Florestano.  Il  quale  ha  mezzi  efficaci,  di  far  per- 
venire le  sue  al  fratello;  e  scrive,  non  molto  spesso, 
ma,  ad  ogni  modo,  ad  intervalli,  non  pivi  lunghi  di 
otto  0  dieci  giorni.  A  me,  invece,  tocca  il  rimanere 
senza  notizie  vostre,  per  mesi. 

Vi  ripeto,anche,  le  istanze  pel  danaro.  Esso  potrà 
bastarmi,  tutto  al  più,  fino  a  tutto  luglio  ;  ma  non 
ne  son  certo,  occorrendo,  massimamente  ora,  che  si 
fa  qualche  cosa  ,  or  l'una ,  or  l'altra  spesa  straor- 
dinaria. 

Vi  ho  già  descritto  il  combattimento  de'sette  corren- 
te, dove  mi  trovai  con  Ulloa,  che  dirigeva  l'artiglie- 
ria, sull'argine  sinistro  dell'Adige,  dirimpetto  le  Ca- 
vanelle.  Tutt'  i  quattro  battaglioni  di  volontari  (lom- 


-  132  — 

bardo,  napoletano ,  bolognese  e  trevigiano)  si  con- 
dussero con  molto  valore.  Solo,  fu  dispiace  voi  cosa, 
che  i  lombardi  ed  alcuni  napoletani,  male  interpre- 
tando l'ordine  della  ritirata,  e  messi  su  da  chi  vo- 
lea  dar  loro  ad  intendere ,  che  la  presa  del  forte 
Cavanelle  fosse  facile,  trasmodassero  fino  ad  insul- 
tare il  general  Ferrari.  Oggi,  i  Lombardi,  venuti  a 
resipiscenza,  preparano  un  indirizzo  di  scuse  al  Ge- 
nerale, cui  si  mostrarono  così  avversi  e  sconoscenti. 
I  Napoletani  essendo  stati  pochissimi  ,  non  credo  , 
che  sia  per  esservi  disdetta  del  corpo  (323). 

Ieri,  9,  al  forte  Malghera,  cominciò  uri  cannoneg- 
giamento; e,  la  cosa  riscaldandosi  a  poco  a  poco,  fu 
fatta  una  sortita,  nella  quale  i  nostri  (soldati  di  li- 
nea, raccozzati  da  più  reggimenti,  e  volontari  ponti- 
fici, ma  specialmente  i  primi  )  fecero  meraviglie.  Si 
continuò  il  fuoco  dal  forte;  la  cavalleria  nemica  sof- 
ferse molto  da  bombe  e  granate;  e  tre  case,  occu- 
pate dagli  Austriaci,  fra  Mestre  e  Malghera,  furono 
riprese,  con  grave  loro  perdita,  e  distrutte.  Man  ma- 
no, questi  giovani  si  vanno  agguerrendo;  e,  sicco- 
me si  aspettano  duemila  Piemontesi  di  truppe  rego- 
lari ,  potrà  intraprendersi  qualche  cosa  di  più.  La 
notizia,  scritta  da  Ferrara,  dell'  arrivo  di  ottomila 
Piemontesi,  non  si  avvera.  Hanno  esagerato  il  nu- 
mero, stranamente.  Un  forte  corpo  entrerà  nel  Ve- 
neto ;  ma  passando  V  Adige  tra  Zeno  e  Legnago  : 
così  scrive  Leopardi  precisamente.  È  qui  il  mag- 
giore Rossaroll;  il  quale  verrà,  co' residui  del  suo 
battaglione ,  che  sono  ora  in  Brescia  ,  a  mettersi 
sotto  gli  ordini  di  Pepe.  Cosi  rivedrò  Enrico  ,  che 
ora  è  rimesso,  come  il  Rossaroll  mi  assicura.  Questi 
saluta   te   cordialmente ,   mio  caro  Carlino  ;  altret- 


—  133  — 

tanto  fa  il  mio  padron  di  casa,  Giuseppe  Mondolfo, 
cui  vorrei,  che  scrivessi  due  righe. 

In  quanto  agli  affari  politici  di  cotesto  paese,  ri- 
peterò, per  la  trentesima  volta,  che  non  è  possibile, 
che  sieno  accomodati  con  le  buone.  Chi  crede  po- 
ter andare,  per  la  via  della  legalità,  con  un  governo 
ferino,  espone  sé  stesso,  senza  giovar  punto  alla  pa- 
tria. Iddio  protegga  cotesta  parte  d'  Italia,  da  cui 
dipende  l'assicurare  le  sorti  di  tutta  la  Penisola. 

Vostro  affino, 

A  lessandro. 

AUa  NobiI  Donna, 
La  signora  Baronessa  Carolina  Poerio. 

Napoli. 

Con  mille  ossequi,  da  F.  P,  —  Ischia,  21  Luglio. 


LXXm.  La  Carolina  Poerio- Sossisergio  e  Carlo  Poerio 

ad  Alessandro  Poerio 

Napoli,  11  Luglio  1848. 

Mio  carissimo  figlio, 

Ho  ricevuto  due  tue  lettere,  in  questi  giorni:  una, 
del  21;  e  l'altra,  del  27.  Il  dirti  quanto  sono  dolen- 
te per  le  mie,  che  ti  mancano,  è  indicibile;  dal  31 
Maggio  al  10  Giugno,  per  lo  meno  te  ne  mancano 
tre  e  forse  quattro  ;  dal  10  al  18  ,  quelle  del  13 
e  del  15  o  16.  Infine,  viene  lo  scoraggiamento,  quan- 
do penso,  che  tutte  le  espansioni  del  cuore  di  una 


—  134  — 

madre  ,  e  tutti  i  più  intimi  pensieri  ,  tutte  le  cose 
più  intime  della  famiglia  debbono,  forse,  essere  og- 
getto di  riso  e  di  scherno  ,  a  qualche  birbante  !  Le 
tue,  grazie  al  cielo,  mi  sono  giunte  tutte;  e  le  ul- 
time, col  suggello  intatto. 

Caro  figlio,  mi  scrivi,  essere  la  tua  posizione,  ver- 
so il  Generale,  molto  delicata  e  falsa  ;  vorrei  una 
spiega  di  queste  parole.  In  tutti  i  fogli,  tu  passi  co- 
me appartenente  allo  Stato  Maggiore  suo.  Tu  sai, 
quanto  io  e  tuo  fratello  ti  amiamo;  ora  ,  la  nostra 
posizione  è  disastrosa  ;  pure,  faremo  tutto  ciò,  che 
potremo ,  per  te.  Le  nuove  di  Calabria  sono  tristi , 
pe'  proprietari;  tanto  più  perchè  i  nostri  cari  Cala- 
bresi hanno  interpretata  la  Costituzione  per  Comu- 
nismo ,  ed  hanno  invaso  le  terre  de'  proprietari 
Per  molti,  hanno  avuto  ragione,  perchè  erano  terre 
prese  da'  patrizi  \f\  su  le  Comuni.  Ma,  per  noi,  non 
abbiamo  nulla  di  nessuno  ;  e  speriamo,  che,  presto, 
si  ritorni  all'ordine.  Intanto,  dopo  molti  mesi.  Don 
Gregorio  mi  ha  mandato  cento  ducati  :  de'  quali 
quaranta,  li  ho  ritenuti  per  la  famiglia;  e  sessanta, 
avevo  disposto  di  averne  cambiale  per  Venezia.  Ma 
il  fatto  si  è,  che  ho  fatti  girare  tutti  i  negozianti,  e 
non  è  stato  possibile  di  averne ,  essendo  chiuso  il 
commercio.  Allora  ,  ti  acchiuderò  un  bigliettino  pel 
Generale,  affinchè  ti  passi  detta  somma.  Io,  già ,  la 
sera,  che  gli  andiedi  a  dare  il  buon  viaggio,  lo  pre- 
venni ,  che  ,  forse  ,  poteva  darsi  il  caso,  che  avessi 
bisogno  di  danaro:  e,  gentilmente,  mi  disse ,  che  te 
ne  avrebbe  dato  ,  ed  io  l'avrei  rimborsato  al  fra- 
tello. 

Questa  mia  lettera,  l'avrai  per  via  di  Roma,  man- 
dandola li,  ad  un  amico,  che  avrà  cura,  di  spedir- 


—  135  — 

la  pel  corriere  militare.  Enrico  mi  ha  scritto  da 
Brescia.  Mi  scrive,  che  Raffaele  passò  la  sera  prima 
da  Cremona,  dove  passò  lui  dopo  ventiquattr' ore  ; 
lo  Zio  gli  aveva  lasciato  una  lettera;  era  dolente  di 
non  averlo  incontrato.  Addio  ,  caro  figlio  ;  fidiamo 
nella  Provvidenza.  Manteniamoci  in  buona  salute  , 
perchè  le  altre  cose  si  possono  accomodare.  Carlot- 
ta, con  tutta  la  famiglia,  Luisa,  idem^  e  Zia  Anto- 
nia ti  abbracciano.  Donna  Peppina  Guaccci  è  ammala- 
ta :  sta  alla  Barra  per  cambiamento  di  aria  (324). 
Addio  ti  abbraccio  e  benedico. 

Tua  afiT.ma  madre 

Carolina 

Caro  fratello, 

L'ottimo  deputato  Massari,  che  è  subito  accorso, 
per  seder  tra  noi,  mi  ha  recato  la  tua  cara  lettera 
del  27.  Io  sto  bene;  ma  molto  affaticato ,  pe'  lavo- 
ri della  Camera.  Abbiamo  già  verificato  i  poteri. 
Capitelli  è  Presidente  ;  Roberto  Savarese  è  Vicepre- 
sidente; Tarantini  (325),  Devincenzi  (326),  Imbriani 
e  Ciccone  (327) ,  Segretari  ;  San  Giacomo  (328)  e 
Cacace  ,  Questori.  Si  è  scelta  la  Commissione  del- 
'indirizzo;  anche  quella  della  Guardia  Nazionale  e 
del  regolamento.  Tutte  son  buone  ;  ed  han  posto 
mano  all'  opera.  Ieri,  vi  fu  la  prima  discussione,  in 
comitato  segreto,  co'  Ministri.  Cominciò  cupamente; 
e  fini  romorosamente.  Il  Parlamento  è  animato  da 
ottimi  spiriti;  e  potrai  leggere  le  discussioni  nel  no- 
stro foglio  uflSziale  (se  costà  giunge),  che  le  ripor- 
ta a  parola,  coli'  opera  degli  stenografi.  Tolti  tre  o 
quattro,  può  dirsi,  che  non  vi  è  partito  ministeria-" 
le.  Le  condizioni  del  paese  sono  gravi,  specialmen- 


—  136  — 

te  dopo  i  funesti  casi  della  Calabria.  Ma  non  voglio 
rinunciare  alla  speranza,  che  le  cose  possano  esser 
ricondotte  sulla  via  della  legalità;  solo,  ci  vorrà  tem- 
po, fatica  ,  prudenza  ed  arte.  Ieri ,  Bozzelli  (che  io 
non  vedeva  da  tre  mesi)  s' incontrò  meco ,  per  la 
prima  volta,  a'  piedi  della  tribuna.  Egli  parlò  lun- 
gamente e  (  bisogna  confessarlo  )  con  molta  arte  e 
somma  industria  ;  ma  schivò  affatto,  di  rispondere, 
ad  una  mia  interpellazione,  colla  quale  lo  pregavo, 
di  dichiarare  le  origini  de'moti  calabresi.  Troya,  che 
s'intese  punto  da  una  frase  di  Bozzelli,  lanciò  con- 
tro lo  stesso  una  espressione  poco  parlamentare. 
Di  qui  il  tumulto,  e  la  necessità  di  sciogliere  l'adu- 
nanza (329).  Vorrei,  che  Troya  separasse  la  causa 
del  programma  del  3  aprile,  dalla  difesa  del  suo  Mi- 
nistero; ma  non  possiamo  spogliarci  del  vecchio  A- 
damo.  Ho  inteso  la  votazione  di  Venezia;  e  me  l'a- 
spettavo. In  verità,  con  buona  pace  di  codesti  signo- 
ri ,  quella  repubblica  improvvisata  ha  ritardato  e 
compromesso  il  risorgimento  d' Italia.  Ma  è  meglio 
metter  senno  tardi,  che  mai  (330).  E  come  va  Car- 
lo Alberto?  Quale  è  il  motivo  della  sua  inazione? 
Sono  vere  le  pratiche  per  la  pace?  Qui  siamo  con- 
fusi, per  tante  notizie  contraddittorie.  Dopo  quaran- 
ta giorni,  ieri,  finalmente,  giunse  la  posta  di  Cala- 
bria; e  recò  la  conferma  delle  tristissime  notizie  di 
Calabria.  I  Regi  sono  in  Cosenza  ed  in  Catanzaro. 
Di  RicciaQrdl,  de  Riso  (331),  Mussolino,  Marsico  (332) 
e  Mauro ''non  si  hanno  nuove.  Carducci  è  prigionie- 
ro ed  è  ferito.  Petruccelli  è  stato  arrestato  dalla 
Guardia  Nazionale  dì  Scalea,  mentre  fuggiva  (333). 
Ha  subito  scritto  alla  Camera,  di  cui  è  membro;  noi 
l'abbiamo  reclamato;  ed  il  Ministero,  per  telegrafo. 


—  137  — 

ha  dato  l'ordine,  che  fosse  condotto  in  Napoli.  Noi 
dovremo  esaminare,  se  ci  è  luogo  ad  accusa;  e,  nel 
caso  affermativo ,  sarà  giudicato  dalla  Camera  de' 
Pari.  Gli  attentati  contro  la  proprietà  privata  si 
moltiplicano,  ih  modo  spaventevole.  Campobasso  è 
venuto,  per  reclamare  alla  Camera,  sulla  illegalità 
della  sua  espulsione  dal  Regno  (334).  Il  Generale 
Ruberti  ha  rinunziato  ad  essere  deputato.  Ciò  ha 
fatto  dispiacere.  Ma  già  conosci,  quanto  questo  otti- 
mo amico  sia  stravagante,  in  alcune  cose.  Addio. 
Ti  abbraccio  di  tutto  cuore. 

Napoli,  12  Luglio  1848. 

Tuo  aff.mo  fratello, 

Carlo. 

Signor 
Alessandro  Poerio, 
presso  il  Tenente  Generale  Guglielmo  Pepe. 

Yenezta. 


LXXIV.  Alessandro  Poerio  a  Raffaele  Poerio 

Venezia,  a  di  12  Luglio  1848. 

Carissimo  zio , 

Saputo ,  eh'  ebbi  il  vostro  arrivo  in  Milano  ,  per 
prendere  il  comando  di  una  brigata  dell'esercito  lom- 
bardo ,  non  mancai  di  scrivervi ,  per  congratularmi 
con  voi  del  vostro  ritorno  in  Italia,  dopo  ventiset- 
te anni,  ora,  che,  su*  campi  di  battaglia,  si  agitano 
le  sorti  della  nazione.  Così  non  avesse,  da  lunga 
mano,  ordito  i  suoi  tradimenti  il  Re  di  Napoli,  chè^ 


—  138  — 

passandosi  il  Po,  a  tempo,  da'dodicimila  uomini,  de- 
stinati a  combattere  in  prò  della  causa  Italiana,  Vi- 
cenza non  sarebbe  caduta,  ed  altro  indirizzo  avreb- 
bero preso  le  cose,  in  tutto  il  Veneto.  Per  la  libe- 
razione di  queste  Provincie,  sperasi  neirefficace  aju- 
to  deir  esercito  lombardo  e  piemontese.  Sento  ,  che 
le  truppe  sotto  i  vostri  ordini  son  raccolte  in  Cre- 
mona; anzi,  che,  fino  airarrivo  del  General  Perro- 
ne  (335),  il  comando  di  tutta  la  sua  numerosa  di- 
visione, è  affidato  a  voi.  Ignoro,  se  abbiate  mena- 
to con  voi  la  vostra  famiglia,  ovvero,  se  V  abbiate 
lasciata  in  Francia.  Vi  prego ,  di  scrivermi ,  diri- 
gendo la  lettera,  qui,  in  Venezia,  con  l'aggiunta  pres- 
so il  General  Pepe,  a  maggiore  sicurezza  di  reca- 
pito. Non  avendo  ricevuto  vostra  risposta,  alla  mia 
prima  lettera,  sospetto,  che  non  vi  sia  giunta  ;  ep- 
pure la  consegnai,  perchè  vi  fosse  puntualmente  re- 
cata, al  signor  Gonsalez  (336),  Commissario  del  Go- 
verno lombardo  nelle  Provincie  Venete,  da  me  co- 
nosciuto in  Ferrara. 

Vivo  in  grande  ansietà  ,  per  le  cose  di  Napoli. 
Sono  affatto  privo  di  lettere  della  mia  famiglia;  l'ul- 
tima, pervenutami,  essendo  in  data  del  18  Giugno; 
ancorché,  in  quella,  mia  madre  mi  assicurasse,  che 
solea  scrivermi  almeno  ogni  tre  giorni.  Conosco  la 
infedeltà  della  posta,  o,  per  meglio  dire,  la  perfidia, 
essendovi  ordine  di  quell'infame  di  Bozzelli  (il  qua- 
le si  vantava,  di  aver  costituzionalmente  proclama- 
ta la  inviolabilità  delle  lettere)  di  aprirne,  quante 
sono  dirette  a  persone,  che  a  lui  non  piacciono.  Ma 
mia  madre  e  mio  fratello  non  le  impostano  in  Na- 
poli; le  mandano  ad  impostare,  in  Roma  od  in  Li- 
vorno, per  mezzo  di  amici  o  di  viaggiatori.  Non  so 


—  139  — 

intendere ,  dunque ,  a  che  si  debba  attribuire  tanta 
scarsezza  o,  più  veramente,  mancanza  di  lettere.  So- 
spetto, peraltro,  che,  anche  nello  stato  pontificio,  es- 
sendo r  amministrazione  delle  poste  piena  d'  impie- 
gati retrogradi,  se  ne  ritengano  molte. 

Rilevo,  da'  giornali ,  V  intervento  di  mio  fratello 
nella  camera  de'  deputati,  ed  il  di  1.®  ed  il  di  3  Lu- 
glio. A  me,  sarebbe  piaciuto,  che  i  deputati  si  fos- 
sero astenuti ,  poiché ,  sotto  gli  auspici  ferdinandei , 
nulla  può  avvenire  di  buono.  Se  i  deputati  si  rico- 
noscono tali  in  virtù  del  secondo  mandato,  vengono 
a  perdere,  logicamente,  il  diritto,  d'impugnare  quanto 
si  è  fatto ,  dal  15  maggio  in  qua  ;  poiché  la  legge 
elettorale  bozzelliana  fu  per  V  appunto  una  delle  più 
flagranti  violazioni,  allora  commesse.  Era  cosa  più  sag- 
gia, il  tenersi  dal  canto  degli  insorti,  e  tentar  di  propa- 
gare il  moto  nelle  altre  Provincie.  Quello  di  Calabria 
è  certo  assai  forte;  e,  dalle  stesse  relazioni  ofBciali, 
si  raccoglie,  che  Nunziante  è  stato  battuto  e  costretto 
a  retrocedere  al  Pizzo,  tanto  più,  che  Monteleone  gli 
era  insorta  alle  spalle.  Se  la  Basilicata  ed  il  Cilento 
si  sollevano,  Busacca,  che  fu  battuto  a  Castro villari, 
può  esser  presto  distrutto. 

Questa  lettera  vi  sarà  recata  dal  maggiore  Ros- 
saroll,  Comandante  il  1.®  battaglione  di  volontari  na- 
poletani, nel  quale  Enrico  è  capitano.  Io  ve  lo  rac^ 
comando  quanto  so  e  posso,  concorrendo  in  lui  le 
migliori  qualità,  che  costituiscono  un  buon  militare 
ed  uno  zelante  cittadino;  e  vi  sarò  veramente  obbli- 
gato, di  quanto  potrete  fare  per  lui. 

Il  General  Pepe  vi  saluta  caramente.  La  guarni- 
gione di  Venezia  è  sufBcientissima  alla  difesa,  ed  an- 
che a  far  qualche  riconoscenza  e  sortita^  ma,  senza . 


—  140  - 

l' ajuto  piemontese  ,  non  può  fare  sgombrare  le  Pro- 
vincie agli  Austriaci.  Mi  trovai,  con  Ulloa,  alle  Ca- 
vanelle  ,  sotto  il  General  Ferrari.  Se  fossimo  stati 
meglio  informati  e  provveduti  di  obici,  forse,  il  forte 
sarebbe  stato  preso;  dovemmo  ritirarci,  ma  la  per- 
dita del  nemico  fu  grave  ,  e  mori  anche  il  Coman- 
dante. Credetemi 

v.®aff.°  nipote, 

Alessandro  Poerio. 

Al  Nobil  Uomo 
Il  signor  Raffaele  Poerio, 

Ufficiale  della  Legione  d'Onore,  Generale  di  Brigata 
neir  esercito  lombardo, 
Cremona. 


LXXV.  Cesare  Correnti  e  Federigo  Bellazzi  ad  Alessandro  Poerio 

Milano,  13  luglio  1848. 

Carissimo  Poerio, 

Il  non  avere  io  scritto  a  voi,  dopo  tanti  giorni, 
forse,  vi  avrà  fatto  credere,  che  mi  fossi  dimenticato 
delle  anime  generose,  che  ebbi  V  indicibile  consola- 
zione di  avvicinare,  in  Bologna,  Ferrara  e  Venezia. 
L'  avvicendarsi  non  interrotto  d'  avvenimenti ,  che 
richiedevano  saggi,  pronti,  energici  provvedimenti, 
mi  impedì ,  di  render  consapevoli  i  miei  amici ,  di 
quanto  pur  troppo  sarebbe  stato  necessario.  Spero, 
che  questi  mi  vorranno  condonare  questa  apparente 
dimenticanza  e  negligenza,  considerati  i  motivi,  che 
ne  furono  cagione.  Ho  scritto  a  S.  E.  il  Generale, 
che  egli  è  mestieri,  sospendere,  per  ora,  quelle  ope- 


—  141  - 

razioni,  di  cui  anche  voi  siete  consapevole;  e  ciò,  per 
una  dolorosa  necessità,  imposta  dallo  stato  poco  flo- 
rido, a  confronto  delle  ingenti  spese,  in  cui  versa- 
no le  nostra  finanze.  Ricordatevi  di  me  e  credete- 
mi sempre 

tutto  vostro, 

Cesare  Correnti. 

P.  S.  Abbiatevi,  Poerio  mio  ,  una  parola  dall'  a- 
nima.  Io  combatto ,  combatto  ,  combatto.  Dio  salvi 
la  patria!  Ispirate  energia  a  Pepe;  fate,  che  il  suo 
nome  rimanga  storico,  come  egli  desidera.  Perdona- 
temi, se  vi  scrivo  anche  qualche  cosa  di  personale. 
In  Venezia ,  sta ,  da  molti  giorni ,  il  giovane ,  ma 
espertissimo  uflSciale  Giovanni  Noghera  (337).  Rac- 
comandatelo a  Pepe,  come  fareste  di  un  fratel  mio. 


♦  ♦ 


Ricordatevi  anche  di  Bellazzi,  che  vi  ama  assai. 

Bellazzù 

D'Uffizio. 
Al  Signor 

Barone  Alessandro  Poerio, 

Venezia: 

LXXVI.  Giuseppe  del  Re  ad  Alessandro  Poerio 

Roma,  13  luglio  1848. 

Mio  carissimo  amico. 

Latore  di  questa  mia  è  il  signor  Luigi  Pesce  (338), 
il  quale ,  vergognando  di  più  servire  nelle  armi  na- 


—  142  — 

poletane ,    viene   a  prendere  servizio   tra  quelle  di 
Carlo  Alberto.   E ,  dove  meglio  spendere  il  proprio 
valore ,  che  a  difesa  della  infelice  Venezia  ,  e  sotto 
gli  ordini  dell'ottimo  nostro  General  Pepe?  È   per 
questo,  che  io  V  ho  consigliato  a  muovere  per  costì; 
ed,  ora,  lo  raccomando  a  te  caldamente,  perchè  tu 
lo  raccomandi  all'  egregio  Generale  ,  procurandogli 
cosi  un  posto  neir  esercito.   Questa  mia  preghiera 
valga  pure  per  il  vecchio  suo  zio ,   antico  ed  ono- 
rato ufBziale,   che  tu  conoscerai,  se  non  di  persona, 
certo  per  nome.  È  questi  il  signor  Bernardo  Rug- 
giero (339),  il  quale  è  desideroso,  ancor  esso,  di  ver- 
sare il  suo  sangue,  a  prò  della  santa  causa  dell'in- 
pendenza.  E  questo  nobilissimo  desiderio,  in  un  uo- 
mo ,  venuto  già  innanzi  con. gli  anni,  ma   vegeto 
ancora  e  robusto,  serva  a  cancellare,  in  parte,  tan- 
te ignominie  de'nostri  prodi  campioni  !  Quel,  che  ora 
scrivo  a  te,  volea  scrivere  ad  Assanti  ed  Ulloa;  ma, 
poiché  tra  voi  non  e'  è  differenza  d' intenzioni  e  di 
opere ,  cosi  bastami  essermi   rivolto  a  te  solo.  Ma 
ciò  non  toglie,  che  tu  abbia  a  ricordarmi  a  quegli 
ottimi   amici ,   ed   abbracciarli    caramente ,   da   mia 
parte.  Io  sono  tuttavia  in  Roma;  e  vi  resterò  qual- 
che altro  giorno ,  sperando   poter  effettuare  alcuni 
nostri  disegni.  Se  i  Romani  vorranno  soccorrerci , 
forse,  gli  Abruzzi  si  desteranno  dal  loro  vergognoso 
letargo.  Delle  Calabrie,  potrei  raccontarti  cose  me- 
ravigliose ;  ma ,  con  questa  mia ,  ti  giungeranno  i 
giornali  ;  e  il  mio  racconto  tornerebbe  inutile.  Mio 
cognato  è  in  Calabria,  all'immediazione  di  Ribotti. 
Il  Cilento  è  tutto  in  rivolta;  e  cosi,  pure,  una  por- 
zione della  Basilicata.  La  Camera  s'è  costituita;  ed 
ha  inaugurate  le  sue  tornate  con  atti,  degni  di  lei. 


—  143  — 

Intanto  ,  il  Governo  infellonisce  sempre  più  ;  e  lo 
stato  della  Capitale  è  più  che  desolante.  Imagina  le 
angustie  e  le  oppressioni  de'  nostri  più  cari.  Questo 
pensiero  mi  tormenta  assaissimo;  e  di  questo  cordo- 
glio, ch'è  il  maggiore  d'ogni  altro,  faremo  sacrifi- 
cio, a  quella  causa  santissima,  per  la  quale  combat- 
tiamo. Addio ,  mio  carissimo  Alessandro.  Dammi , 
subito ,  tue  nuove  e  degli  amici.  Presenta  i  miei  ri- 
spetti al  signor  Generale.  Ed,  abbracciandoti  con  Da- 
miano ed  Ulloa,  mi  ripeto,  di  cuore. 


Al  N.  U. 

Il  Signor  Barone  Alessandro  Poerio, 

Venezia . 

[^Sconosciuto  ai  yortalettere\ 
29.  7. 


il  tuo  afiT.mo, 

Giuseppe  del  Re, 


LXXVn.  Savino  Savini  ad  Alessandro  Poerio 

Bologna,  13  luglio  1848. 

Caro  Poerio, 

E  credete,  ch'io  abbia  potuto  starmi,  tanto  tempo, 
senza  scrivervi  e  mandarvi  un  saluto?  Più  volte  ho 
pregato,  nelle  mie  lettere.  Correnti  a  darmi  le  vostre 
nuove,  a  ricordarmi  a  voi.  Particolarmente  scrissi  al 
signor  colonnello  Ulloa  (inviandogli  l'indirizzo  aPepe, 
sottoscritto  da  centinaia  di  Bolognesi  e  Ferraresi,  il 
quale  non  so  d'  altronde ,  se  fosse  bene  accetto)  e 
pregai  quel  colonnello,  a  voler  essere  cortese,  di  dir 
tante  cose  per  me  a  voi,  mi  buon  amico.  Avrete  an- 


—  144  — 

che  ricevuto  alcuni  opuscoletti,  che,  per   mezzo  di 
mio  fratello  ,  vi  ho  mandati  (340).  Anzi,  vi  racco- 
mando questo  mio  ottimo  fratello,  che  già  mi  scrive, 
di  avere  per  me  visitato  Uiloa.  Egli  è,  credo,  un  buon 
uflSziale;  e  il  suo  colonnello  Bignami    (341)   so  che 
lo  stima.  Tuttavia,  avrò  per  alta  prova  dell'  amicizia 
vostra,  se  lo  vorrete  particolarmente  raccomandare 
al  vostro  Tenente  Colonnello.  Colla  marchesa  Gozza- 
dini,  ho  pranzato  domenica;  e  si  parlò  molto  cordial- 
mente di  voi.  Mi  rallegro,  che  abbiate   assistito    al 
fuoco  delle  Cavanelle ,  sul!'  Adige.  Mio  fratello ,  che 
pure  vi  si  trovò  al  centro,  mi  scrive  un  lungo  det- 
taglio della  ricognizione.  In  Calabria,  sembra,  le  cose 
procedano  bene.  La  Camera  di  Napoli,  nella  seconda 
seduta,  non  contava  un  numero  suflSciente  di  depu- 
tati: e  pare,  che,  nel  partito  stesso  della  corte,  sorga 
taluno  a  metter  in  dubbio,  che  la  mente  del  Re  sia 
più  sana.  Ma  coraggio,  coraggio.  Perdio!  cosi  la  non 
può  durare.  Il  7.°  di  linea,  tornato  da  Giulianova  a 
Pizzo,  ha  messo  a  ferro  questo  povero  luogo,  come 
vedrete  dall'  articolo  del  Popolo  di  Siena  ,  che  in- 
chiudo. Ricordatemi  al  Generale  ed  a  quanti  sapete, 
che  m' abbiano  conosciuto  volentieri.   Scrivetemi   di 
Tommaseo,  che  ora  si  è  fatto  anche  più  degno  del- 
l' universale  amore.   Circa  un  mese  fa ,  ho  trovato, 
alla  posta,  una  lettera  per  voi,  alla  quale  feci  la  di- 
rezione per  Venezia ,  raccomandandola  al  Comando 
in  Capo.  Era  di  Napoli;  e  spero  sia  quella,  che  mi 
accennate,  delli  18  Giugno.  Le  molte  migliaia  di  pie- 
montesi, che  vi  si  annunziano,  a  Ferrara  sono  anche 
aspettate.  Ottocento  soli  vi  erano,  tre  giorni  fa;  ma 
cresceranno,  forse,  a  soli  duemila.  Ragguagliatemi 
delle  cose  importanti»  che  volete  siano  note,  perchè. 


—  145  — 

delle  cose  del  Veneto,  riferisco  io  all'  Italia  del  Po- 
polo,  il  foglio  più  severo  d' Italia.  Mia  moglie  soffre, 
da  parecchi  giorni,  di  una  tosse  forte,  che  mi  tor- 
menta r  anima.  Io  sto,  qui,  ozioso,  annoiato;  eppure, 
mi  credo  buono  a  qualche  cosa. 
Addio,  caro  Poerio,  scrivetemi. 

Vostro  aff.®  amico, 

S.  Savini. 

N.U. 
Signor  Barone  Alessandro  Poerio, 

Ufflziale  dello  Stato  Maggioro 
di  S.  E.  il  General  Pepe, 

Yenezia. 


LXXVin.  Alessandro  Poerio  alla  Carolina  Poerio-Sossisergio. 

Carissima  madre. 

Continuo  ad  esser  privo  di  vostre  lettere  ;  ed  ,  il 
18  corrente,  sarà  compiuto  per  V  appunto  un  mese, 
dalla  data  dell'  ultima,  che  ricevetti.  Come  vada  que- 
sta faccenda,  non  so,  né  posso  immaginare.  I  mezzi , 
che  avete,  di  scrivermi ,  son  tanti  e  poi  tanti ,  che 
non  mi  cape  in  mente,  come  non  vi  serviate  di  al- 
cuno di  essi.  Carlino  vede  spesso  Florestano;  e  perchè 
non  accludere ,  nelle  lettere  di  quello  a  Guglielmo 
Pepe,  le  proprie  lettere  e  le  vostre?  Né  vi  mancano 
amici  in  Livorno,  né  in  Roma,  né  in  Bologna;  ed, 
insomma,  é  inconcepibile,  che,  mentre  tutti  gli  altri 
Napoletani  ricevono  lettere  dalle  loro  famiglie  ,  io 
solo  debba  esserne  privo  affatto.  Di  Carlino,  raccolgo 
da'  fogli  la  presenza  nella  Camera:  cosicché  debbo 
supporre,  che  stia  bene,  come  anche  Emilio.  Ma  di 

10 


—  146  — 

voi  non  ho  il  menomo  barlume  di  notizia.  È  impos- 
sibile lo  scacciare  pensieri  molesti;  mi  va  per  mente, 
che  siate  ammalata;  e  che,  non  volendo,  che  io  lo  sap- 
pia ,    vi  attenghiate  ad  un  perfetto  silenzio  ,   voi  e 
Carlo.  Per  carità,  traetemi,  presto,  d'aiTanno,  scriven- 
domi, facendomi  scrivere  ,  rispondendo  alle  tante  e 
tante,  che  vi  ho  dirètte.  Io  ,  tra  questa  privazione 
di  lettere,  ed  il  dolore  pel  cattivo  andamento  delle 
cose  pubbliche  costà,  me  ne  vivo  in  grande  angoscia. 
Oltre  i  tanti  modi,  che  avete,  di  farmi  accluder  let- 
tere da  amici ,    di    farle    impostare    in  Roma  o  Li- 
vorno 0  Civitavecchia,  vi  sarebbe  l'espediente,   di 
scrivermi  sotto  altro  nome.    Tentate  anche  questo. 
Dirigetemi  le  lettere  cosi:  Al  signor  Fì^ancesco  Bel- 
Unga,  in  Venezia,  Volete  un  altro  modo?   Acclu- 
detele al  signor  Giuseppe  Mondolfo,  negoziante  e 
banchiere,  in  cui  casa  io  sono  alloggiato.  Che  posso 
dirvi  altro,  che  questo,  che  desidero,  con  ansietà  som- 
ma, le  vostre  nuove  ? 


Venezia,  15  luglio  1848. 


V.o  aflf.o  figlio, 

Alessandro  Poerio. 


Alla  Nobil  Donna, 
La  signora  Baronessa  Carolina  Poerio, 

strada  del  Salvatore  al  Corpo  di  Napoli,  n.o  5,  8.°  piano. 

Napoli. 


—  147  — 

LXXIX.  La  Carolina  Poerio-Sossisergio  e  Carlo  Poerio 

ad  Alessandro  Poerio 

Napoli,  18  Luglio  1848. 

Mio  carissimo  figlio, 

Ieri  sera,  ebbi  una  vera  consolazione,  nel  sentire, 
dal  Commissario  di  Guerra  Pirella  o  Pirelli  (in  fine, 
persona,  che  manca  da  soli  otto  giorni  da  Venezia), 
che  ti  aveva  veduto  e  che  stai  bene  (342).  Anzi , 
mi  soggiunse,  che  egli  ti  aveva  dato  l'alloggio,  dove 
sei;  e  che,  dopo  qualche  giorno,  eri  andato  a  ringra- 
ziarlo ,  perchè  ,  nel  tuo  albergatore ,  avevi  trovato 
un  amico  di  tuo  fratello.  Io ,  dopo  la  tua  del  27 , 
non  ho  ricevuto  altra  tua;  solo,  ho  saputo,  dal  fra- 
tello di  Ulloa  (343),  che  aveva  scritto  il  giorno  4; 
e  che  stavate  tutti  bene.  Io,  caro  figlio,  nel  leggere 
le  feste  date  a  Venezia ,  ti  ho  veduto  in  chiesa ,  ti 
ho  veduto  in  Piazza,  ti  ho  veduto  nel  cafi'è:  infine, 
nella  mia  fantasia,  è  dipinta  tutta  Venezia;  e  ti  veg- 
go da  per  tutto  (344).  Ti  scrissi  una  lunga  lettera, 
con  un  bigliettino  per  il  Generale  ,  onde  ti  avesse 
passati  ducati  sessanta.  Ti  dissi,  pure,  le  circostanze 
di  Calabria.  Noi  stiamo,  ora,  allo  scuro  di  tutto  quello, 
che  accade  li,  meno  che  la  cattura  di  cinque  o  sei 
cento,  tra  signori  e  militi  siciliani,  fatti  prigioni,  nelle 
acque  di  Corfù,  per  cui  ci  è  stata  una  nota  del  Mi- 
nistero Inglese,  come  violazione  di  territorio.  Speriamo, 
che  saranno  salvati  e  rilasciati.  Intanto,  l'offerta  della 
Sicilia  al  secondo  figlio  di  Carlo  Alberto  complica, 
sempre  più,  gli  affari.  I  Calabresi  sono  sempre  gli 
stessi:  molte  ciarle  e  pochi  fatti.  In  mezzo  a  tutto 


—  148  — 

ciò,  miracolosamente,  io  e  Carlo  ed  il  resto  de'  con- 
giunti stiamo  bene.  Io  sono   tanto  ingrassata  ,  che, 
quasi,  mi  dà  fastidio,  Qualche  volta,  dico  a  me  me- 
desima: —  «  Sarà  fortunaì  sarà  disgrazia  questa  mia 
«  buona  salute?  debbo  vedere  tristi  o  buone  cose?  »  — 
Pare  la  guerra  generale  inevitabile;  speriamo,  la  lotta 
tra  Popoli  e  Sovrani  sia,  alla  fine,  decisa  favorevole, 
a  chi  meritasi  la  protezione  divina,  perchè  orrori  si 
commettono  da  ambo  i  lati.  Io  ti  scrivo,  per  mezzo 
dell'  ambasciata  francese  :  tu  potrai  scrivere,  per  lo 
stesso  mezzo,  o  addirittura,  o  pure  in  Roma  al  Dot- 
tor Vincenzo  Lanza;  il  suo  figlio  ora  ha   la  bontà 
d' incaricarsi  di  questa  mia  (345).  Verrà  in  Venezia 
il  Generale  del  Giudice,  a  riprendersi  la  batteria  na- 
poletana; dicono,  che  sarà  accompagnato  dal  Cutro- 
fiano.  Figlio  caro,  ogni  uomo  onesto  ha  bisogno,  di 
scendere  nel  suo  cuore,  e,  sotto  1'  usbergo  di  sen- 
tirsi  puro,  sostenere  i  mali,  che  soffre  V  umanità  dai 
tradimenti,  dai  cambiamenti  di  opinione  e  dalla  man- 
canza di  fede.  Non  finirei  mai  su  questo   proposito. 
Carlo  è  andato  dal  Generale  Ruberti;  e,  poi,  scen- 
derà al  parlamento;  mi  ha  detto,  che  veniva,  per  farti 
un  rigo.  Tua  sorella  e  tutta  la  sua  famiglia  ti  ab- 
bracciano: i  bambini  hanno  una  governante  francese 
da  tre  mesi,  e  già  parlano  tutti  bastantemente  bene, 
tra  gli  altri  Vittorio.  Addio,  caro  figlio.  I  nostri  do- 
mestici ti  baciano  la  mano.  Donna  Giovanna  e  Don- 
n'  Antonia  pregano  sempre  tutti  i  santi.  Di   Enrico 
nulla  so,  dopo  la  lettera  del  dì  2.  Addio;  ti  abbraccio 
e  benedico. 

Aff.aia  madre, 

Carolina, 


—   149  — 

P.  S.  Ho  letto  la  lettera  del  caro  Montanelli,  in 
favore  dell' ufBziale  Boemo,  che  ha  assistito  1  pri- 
gionieri; ed  ho  versato  lagrime  di  tenerezza.  Che  de- 
lizia, quando  si  trova  una  bell'anima,  in  mezzo  al  fan- 
go del  mondo  (346). 

Caro  fratello, 

Due  soli  righi,  per  dirti,  che  sto  bene.  Scendo  dal 
Vomero,  dove  sono  andato  da  Ruberti,  che  caramente 
ti  saluta;  ed,  ora,  vado  alla  Camera.  Le  mie  previ- 
sioni pe'  malaugurati  moti  di  Calabria,  pur  troppo,  si 
sono  verificate.  Leggerai,  nei  fogli,  i  particolari  dei 
tristissimi  casi.  Perchè  dare  a'  nemici  del  nostro  paese 
facile  occasione  di  trionfo?  Dio  perdoni  agli  autori 
de'  nostri  malanni  !  Saluto  carissimamente  Mondolfo; 
gli  dirai ,  eh'  io  serbo  e  serberò  sempre  gratissima 
memoria  del  tempo,  passato  insieme  così  fraternamente. 
La  sua  squisita  cortesia  mi  è  troppo  nota;  laonde, 
non  mi  reca  punto  meraviglia ,  eh'  egli  ti  colmi  di 
gentilezze.  Lo  abbraccio  di  tutto  cuore.  La  commis- 
sione sta  lavorando  all'  indirizzo:  esso  «ara  dignitoso 
e  fermo,  ma  prudente  e  temperato,  nella  forma;  grave, 
nella  sostanza.  Abbiamo  notizie  da  Venezia,  fino  al- 
l' 8  corrente;  e  sappiamo  l'assalto  di  Brondolo,  ener- 
gicamente respinto.  Ti  abbraccio  di  cuore. 

Tuo  aff.ino  fratello, 

Carle. 

Air  Ornatissimo 

Signor  Barone  Alessandro  Poerìo, 

in  Venezia, 


—  150  — 

LXXX.  Raffaele  Poerìo  ad  Alessandro  Poerio 
Dal  Campo  di  Pietola,  20  Luglio  1848. 

Mio  caro  Alessandro, 

La  vigilia  della  mia  partenza  da  Milano,  ho  avu- 
to il  piacere  d'intrattenermi,  ed  a  lungo,  con  Paolo 
Correnti  (347);  speravo  rivederlo  in  Cremona;  ma,  poi, 
non  ho  avuto  più  notizie  di  lui.  Dopo  aver  trasfe- 
rito il  mio  Quartier  Generale,  da  quest'ultima  città, 
in  Bozzolo,  la  divisione  Lombarda  mosse,  il  13  an- 
dante ,  per  investire ,  unitamente  ad  una  divisione 
piemontese,  Mantova,  sulla  riva  destra  del  Mincio. 
Il  14,  la  prima  Brigata  Lombarda,  ch'io. comando , 
si  portò  sul  territorio  di  Pietola,  occupando  Laven- 
se,  la  Maddalena,  la  Martinella  e  la  Parma.  La  pre- 
sa di  possessione  ci  attirò  un  cannoneggiamento  di 
più  ore;  e  che  ci  fu  dannoso,  più  per  l'effetto  mora- 
le ,  prodotto  su  giovani  truppe ,  che  per  la  perdita 
sofferta.  Metà  della  mia  brigata  è  passata  in  secon- 
da Hnea;  e  mi  è  stata  rimpiazzata,  da  quattro  bat- 
taglioni piemontesi,  fcon  tre  sezioni  d'artiglieria,  una 
compagnia  del  Genio  ,  una  di  Bersaglieri  ed  uno 
squadrone  di  Lancieri.  Il  nemico  costruisce  molte 
opere  avanzate;  e  piazza  delle  batterie  in  avanti.  Il 
diciannove ,  dopo  aver  riconosciuto  il  terreno,  ho 
occupato  con  un  battaglione  la  Virgiliana,  dove  mi 
sto  barricadando.  Ma  il  nemico  piazza  molti  mortai 
nelle  opere  avanzate;  e  mi  attendo,  da  un  momento 
all'altro,  ad  un  infernale  bombardamento,  il  mede- 
simo, essendo  incomodato  del  mio  vicinato.  Cosi,  io 
occupo  l'estrema  dritta,  poggiandola  sulla  Virgilia- 


-  151  — 

na;  e  stringo  il  forte  di  Pietola,  da  dove  può  sol- 
tanto eflfettuire  delle  sortite  il  nemico  sulla  riva  de- 
stra del  Mincio.  La  Parma  è  il  punto  principale,  su 
cui  potremo  essere  attaccati,  ed  è  la  chiave  di  que- 
sto sistema:  quindi,  io  mi  sono  stabilito,  a  500  passi 
dietro  alla  Martinella;  e  la  mia  sinistra  occupa  la 
Maddalena,  e  si  lega  colla  2.*  Divisione  piemontese, 
postata  in  Cevese ,  avendo  una  linea  di  posti  sulla 
strada  postale,  che  mena  a  Mantova.  Ieri,  è  venuto 
il  Re:  ha  visitato  tutto  ed  è  rimasto  soddisfattissi- 
mo; ma  temo,  che  saremo  costretti,  a  portare  le  no- 
stre linee  più  indietro.  Le  truppe   Piemontesi  sono 
eccellenti  ed  animate  del  migliore  spirito;  ma,  all'  ec- 
cezione di  pochi,  i  Generali  sono  dei  cacadubbi,  se«- 
za  idee  pratiche  del  mestiere,  privi  d'energia,  e  non 
osando  nulla.  Non  v'è  un  solo  Generale,  capace  d'un 
piano  di  campagna.  Tutti  ne  convengono;  ma  niuno 
vorrebbe  accettare,  per  Generale  in  Capo,  un  Gene- 
rale straniero;  e  la  guerra  anderà  per  le  lunghe.  E, 
se  l'anarchia  non  si  fosse,  per  fortuna,  impadronita 
dell'  Impero  Austriaco,  cosa  sarebbe  avvenuto  ?  Ma 
basta  su  ciò ,  che  non  ho,  né  tempo,  nò  carta,  per 
dirne  di  più.  Ti  spedisco  una  lettera,  che  de  Mar- 
tino, Console  di  Napoli  in  Marsiglia,  m'ha  ricapitato 
per  te.  Ho  avuto  Enrico  due  giorni  con  me,  in  Cre- 
mona. Mi  dicono,  sia  partito  per  Firenze:  a  che  fa- 
re? La  mia  famiglia  è  in  Genova;  Guglielmo  ha  sem- 
pre le  febbri.  Penso,  farla  avvicinare  di  Milano  ,  o 
di  Cremona.  Non  ho  ricevuto  risposta  alla  lettera, 
che  ti  scrissi  da  Milano;  e  neppure  di  Pepe.  Ti  pre- 
gava, dirmi,  dove  era  Ferrari.  Spero,  che  la  tua  sa- 
lute sia  buona.  Io  sto  benissimo.  Ti  ho   raccoman- 
dato, colla  precedente  mia,  e  ti  raccomando  di  nuovo, 


—  152  — 

e  vivamente,  il  volontario  Giuseppe  Vignati  di  Mi- 
lano (348),  giovane  studente,  che  s'è  arruolato  nel 
Battaglione  della  Guardia  Nazionale  mobile,  coman- 
data dal  Maggiore  Novara  (349) ,  a  cui  bisogna  rac- 
comandarlo particolarmente  dal  Generale  Pepe,  che 
salutò.  Se  ha  bisogno  di  qualche  danaro,  daglielo;  ed 
avvisami,  per  rimborsartene.  Addio. 

Tuo  afT.mo  zio, 

R.  Poerio. 

Spedito  dal  quartiere  generale  di  Valenza 
sotto  Mantova,  dal  Signor  Generale  Poerio. 

Al  Signor 
Il  signor  Alessandro  Barone  Poerio. 

Venezia, 


LXXXI.  La  Carolina  Poerio -Sossisergio  ad  Enrico  Poerio 

Napoli,  21  Luglio  1848. 

Mio  carissimo  Enrico, 

Rispondo  alle  due  tue  lettere,  del  22  scorso  mese 
e  del  2  corrente.  Ho  mandate  l'accluse,  una  a  di  Ce- 
sare (350)  e  l'altra  a  tua  zia.  Sono  stata  tanto  sor- 
presa della  domanda,  che  mi  fai,  nella  tua  ultima,  cioè, 
se  ne'sessanta  ducati,  che  ti  mandai,  ci  erano  inchiusi 
quelli  del  Signor  Arditi  (351)..  Io  mandai  30  ducati 
per  te  e  30  per  Amen  te  [?].  Arditi  non  sapeva  che  esi- 
stesse. Poi,  è  venuta  la  madre  qui,  ma  danaro  non  me 
ne  ha  dato;  né  io  mi  sarei  incaricata,  di  fare  la  spedi- 
zioniera  di  tutt'  i  crociati.  Avranno  fatto  qualche  im- 


—  153  — 

broglio,  mentre  D.  Luigino  (352)  era  ammalato.  Mi 
duole  assai,  che  non  ti  sei  incontrato  con  tuo  zio:  se 
sei  tanto  scontento  de'tuoi  compagni,  perchè  non  an- 
dartene con  Raffaele?  Basta,  questo  è  fatto,  che  ti  ri- 
guarda. Qui  era  corsa  voce,  che  tu  eri  il  Brigadiere 
Poerio  al  servizio  di  Milano.  Il  crociato  delle  Mu- 
ra (353)  è  già  di  ritorno;  non  ti  parlo  di  tanti  altri, 
che  son  venuti  per  aver  nuove  de'  loro,  perchè  forse 
saranno  già  ritornati.  Caro  Eurico,  sei  nuovo  in  que- 
sto genere  di  affari  !  Tutta  l'Europa  è  in  trambusto  ! 
la  lotta  sarà  orrenda ,  universale  e  lunga  :  bisogna 
aver  coraggio,  e  fidare  alla  Provvidenza.  Noi,  certo, 
non  istiamo  bene;  ma  le  menzogne  de'fogli  esteri  ci 
fanno  gran  male.  Le  malaugurate  cose  di  Calabria!... 
con  quelle  teste  direttrici,  con  la  miseria  universale, 
un  pugno  d'oro,  in  poche  ore,  ha  fatto  quello,  che  i 
giornali  della  insulsa  opposizione ,  non  si  avrebber 
mai  creduto.  Sono  persuasa,  che,  in  ciò,  ci  colpano 
le  teste  (anzi  direi  meglio  le  lingue)  riscaldate  del 
nostro  infelice  paese.  Il  Parlamento  è  tutto  unito,  ad 
agire  con  prudenza.  Le  cose  nostre  dipendono  dalle 
altre.  Le  stragi  di  Parigi,  di  Praga,  di  Berlino  fan- 
no fremere  Y  umanità  ;  dunque,  ripeto,  che  solo  la 
Provvidenza,  con  la  sua  assistenza,  ci  puole  aiutare. 
Dicono  il  nostro  Don  Gregorio  Capo  della  Guardia 
Nazionale*  di  Catanzaro.  Dopo  un  mese,  ho  ricevuto 
tre  sue  lettere  attrassate  :  mi  aveva  promesso  una 
sommetta  per  te;  ma  non  me  ne  parla  più.  Tornerò 
a  scrivere,  perchè  il  sarto  mi  assedia  di  un  assedio 
più  feroce  di  quello,  che  abbiamo  avuto  militarmen- 
te. Tua  zia  sta  molto  afflitta;  voleva  risponderti  su- 
bito: ma,  siccome  avrebbe  mandata  una  delle  solite 
lettere   sue ,  grossa  grossa ,  e  dovendo  io  mandare 


—  154  — 

questa  in  Roma  per  mezzo  particolare,  non  ho  vo- 
luto incaricarmene.  La  famiglia  di  d'Ayala  è  ritorna- 
ta in  Napoli.  Io  non  l'ho  ancora  veduta;  ma  Carlo 
ci  è  andato;  io  ci  anderò,  per  far  loro  vedere,  che 
non  sono  donnicciuola,  come  sono  esse.  Carlotta  ti 
saluta:  sta  bene  con  la  mezza  dozzina  di  figli.  La 
famiglia  di  mia  sorella  anche  sta  bene  :  non  sono 
andati  in  campagna,  perchè  D.  Michelangelo  è  pari. 
Addio  ,  caro  Enrico ,  scrivimi  spesso  di  tua  salute. 
L'altre  cose,  le  so  dai  fogli. 

Aff.raa  Zia, 

Carolina. 

P.  S.  Carlo  ti  saluta:  è  molto  occupato  col  Par- 
lamento. 


Al  Nobil  Giovane, 
Signor  Enrico  Poerio, 

Capitano  di  una  Compagnia  di  truppa  napoletana, 
volontaria  in  Lombardia. 
Brescia. 


LXXXII.  Carlo  Poerio  e  la  Carolina  Poerio-Sossisergio 

ad  Alessandro  Poerio 

Napoli,  22  Luglio  1848. 

Carissimo  fratello. 

Riceviamo,  quasi  contemporaneamente,  le  due  tue 
lettere  del  1.^  e  del  10  corrente.  Sono  desolato,  di 
saperti  privo  delle  nostre  lettere;  ma  ti  prego,  di  cal- 
marti, e  di  star  di  buon  animo.  Qui,  tutto  va  rego- 
larmente, per  quanto  lo  consentono  i  tempi  diflScilis- 


—  155  — 

simi,  ne'  quali  viviamo.  La  Camera  de'Deputati  pro- 
cede con  dignità  e  con  prudenza;  e,  doman  l'altro,  in- 
comincerà a  discutere  il  progetto  dell'indirizzo,  in  ri- 
sposta al  discorso  della  Corona.  La  diflScoltà  non  è 
di  far  cadere  il  Ministero;  ma,  sibbene,  di  comporne 
un  altro,  mentre  vi  è  una  feroce  reazione  sanfedista, 
nelle  provinole,  dove  vi  era  stata  mossa.  Caro  fra- 
tello, bisogna  veder  le  cose  da  vicino,  per  ben  giu- 
dicarle. Veggo  bene,  che  tu  ritieni,  come  vere,  tutte 
le  sporche  bugie  della  stampa,  sedicente  liberale;  che 
fa  di  tutto,  per  finire  di  rovinare  questo  misero  Regno. 
In  Calabria  (credimi  pure)  pochissimi  han  preso  le 
armi,  poiché  gli  uomini  del  movimento  non  avevano, 
nò  meritavano  di  avere,  influenza.  La  rapina  ed  i  ri- 
catti delle  bande  armate  avevan  finito  di  disgustare 
la  massa  de'  proprietari  e  degli  onesti  cittadini.  Nel 
Cilento,  poi,  gli  sciagurati,  che  si  sono  mossi,  formano 
una  setta  antisociale  e  bestiale,  che  non  si  occupa  di 
altro,  fuorché  di  mettere  a  sacco  ed  a  ruba  tutto  il 
paese.  Né  altrimenti  ha  proceduto  la  cosa  in  Calabria. 
Dapprima,  le  masse,  in  nome  del  principio  liberale, 
invasero  e  si  spartirono  mezza  Sila;  ora,  l'altra  metà 
è  stata  invasa  e  suddivisa,  in  nome  dell'  assolutismo. 
Noi  abbiamo  perduto  tutta  la  rendita  di  quest'anno. 
A  Barracco,  sono  stati  ammazzati  diecimila  animali, 
ed  incendiati  cinque  casini,  dopo  averli  saccheggiati. 
L'esercito,  poi>  compie  l'opera,  con  le  sue  sfrenatezze. 
Reggio  ha  sofferto  il  sacco,  per  parte  dei  villici,  aiu- 
tati dalla  truppa.  Anche  le  guardie  nazionali,  in  al- 
cuni luoghi,  si  son  date  al  saccheggio.  In  somma,  il 
Regno  é  in  tale  stato,  che,  per  riordinarsi,  ha  bisogno 
di  tempo  moltissimo.  Assicurati,  che,  se  sparisse  que- 
sta larva  di  costituzione,  noi  torneremmo  allo  stato 


—  156  — 

ferino,  e  daremmo  il  più  miserando  spettacolo  all'  Eu- 
ropa civile  (354).  Ma  questa  larva,  col  tempo ,  può 
divenire  sostanza.  Avrai  saputo,  dai  fogli,  la  cattura 
deìV  esercito  liberatore,  inviatoci  dalla  Sicilia:  cioè, 
645  individui.  I  capi,  in  numero  di  trenta,  sono  stati 
condotti  in  Napoli.  Fra  questi  vi  è  Ribotti  Generale, 
il  Longo  (355)  ;  il  delli  Franci  (356)  ;  il  Principe 
Grammonte  (357)  ;  il  Marchese  Fardella  (358)  ;  il 
Cav.  Landi  (359);  il  Cav.  Burgio  (360);  il  Principe 
del  Plico  (361)  ed  altri  Colonnelli  (362).  I  rimanen- 
ti 615  sono  stati  condotti  a  Nisita,  ad  Ischia,  ed  a 
Gaeta.  Ieri  notte ,  fu  tenuto  il  Consiglio  di  Guerra 
subitaneo,  pei  quattro  Napoletani,  accusati  di  diserzio- 
ne al  nemico,  cioè:  Longo,  delli  Franci,  Coccione  (363), 
ed  Angherà  (364).  Il  consiglio  si  è  tenuto  in  Sant'Elmo. 
Il  castello  era  pieno  di  drappelli  di  tutti  i  corpi;  ed  i 
Bianchi  eran  pronti  (365).  Io  mi  presentai  al  consiglio, 
come  difensore  spontaneo  del  mio  amicissimo  Longo; 
il  Marini-Serra  (366)  fu  destinato  dalla  famiglia  di- 
fensore di  delli  Franci;  e  Tarantino  ebbe  1'  incarico 
di  difendere  Coccione,  che  ha  per  moglie  una  suddita 
Inglese  (367).  Angherà,  antico  basso-ufflziale  conge- 
dato, fu  difeso  da  Egidio  (368).  Dopo  gì'  interroga- 
tori, che  durarono  dieci  ore ,  fummo  chiamati ,  alle 
cinque,  per  leggere,  in  due  ore,  i  processi  e  presen- 
tar le  difese  :  ma  questo  tempo  fu  prolungato  ,  per 
ordine  del  Maggiore  Nunziante  (369).  Ci  fu  anche 
concesso,  finalmente,  di  parlare  co'  clienti.  Tutti  man- 
tennero il  più  dignitoso  contegno.  Alle  dieci,  comin- 
ciò il  dibattimento ,  dopo  che  il  Consiglio  rigettò  la 
nostra  domanda  d'incompetenza,  pe'  primi  tre,  giacché 
rimandò  Angherà  al  potere  ordinario,  avendo  avuto  il 
congedo  in  Dicembre  1847  (370).  Il  pubblico  Mini- 


—  157  — 

stero  chiese  la  morte  per  tutti  e  tre;  e,  dopo,  ci  fu 
concessa  la  parola.  Credo,  che  mai  vi  sia  stata  una 
difesa  più  difficile  di  quella  di  Longo  e  di  deUi  Franci; 
ma  Iddio  e'  inspirò,  e,  senza  compromettere  il  loro  de- 
coro, presentammo  una  difesa  piena  e  legale  (371). 
Tarantino  aveva  assai  miglior  causa,  poiché  Coccio- 
ne  era  stato  fatto  prigioniero  alla  Mongiana;  ciò  fu 
confermato  in  dibattimento  da  Ribotti  e  da  Fardella, 
ascoltati  come  testimoni;  né  appariva,  da  alcun  pro- 
clama 0  ordine  del  giorno,  che  egli  avesse  accettato  un 
grado,  0  preso  servizio.  Alle  3  dopo  la  mezzanotte, 
il  Consiglio  si  chiuse;  ed,  all'alba,  fu  pronunziata  la 
sentenza:  Coccione  posto  in  libertà;  Angherà  inviato 
alla  G.  C.  Criminale  ;  Longo  e  delli  Franci  a  mor- 
te (372).  Ma,  siccome  spuntava  l'alba  del  Venerdì, 
(giorno  ,  in  cui  nor^  si  eseguono  le  sentenze  capita- 
li) furono  rimandati  i  Bianchi  e  la  truppa,  che,  mor- 
morando, discese.  Sceso  da  S.  Elmo  ,  affranto  dalla 
fatica  e  dal  dolore,  corsi  a  casa,  per  formulare  una 
supplica  in  grazia,  e  chiedere  un'udienza  al  Re  (373). 
Contemporaneamente,  diedi  notizia  dell'  avvenuto  al 
Presidente  del  Parlamento.  Mentre  Marini-Serra  ed 
io  attendevamo  1'  udienza,  fu  spedita  a'  Ministri  una 
commissione  di  Deputati  (  cioè  Savarese ,  Imbriani  , 
Bellelli  e  Massari  )   per  implorare  la    grazia   (374). 
Tutti  dissero,  che  la  desideravano  e  la  speravano, 
ma  che  dipendeva  dal  Re.  Bozzelli  fu  più  esplicito,  e 
disse:  che,  se  si  voleva  versar  sangue  su'patiboli,  il 
Ministero  si  sarebbe  ritirato  (375).  Alle    tre  p.  m., 
fummo  ammessi  alla  presenza  del  Re,  Marini-Serra, 
io ,  il  padre  di  delli  Franci  ed  il  fratello  di  Longo. 
Il  Re  ci  lodò  e  ringraziò  della  energica  e  dignitosa 
difesa;  disse,  che,  come  uomo,  aveva  già  perdonato, 


—  158  — 

ma,  come  Re  e  custode  della  disciplina,  aveva  altri 
obblighi  ad  adempiere  (376).  Alle  mie  insistenze,  per- 
chè permettesse,  che  i  condannati  vedessero  le  fami- 
glie, rispose:  —  «  Poerio,  voi  siete  maestro;  e  sapete, 
«  che,  in  questi  solenni  momenti,  non  bisogna  essere 
«  distratti  da  affetti  mondani,  e  conviene  pensar  solo 
€  alla  salute  dell'anima.  Mi  duole  di  non  poter  con- 
«  sentire.  »  —  Tentai  di  nuovo,  ma  fu  invano.  Il  Re, 
dopo,  abbracciò  delli  Franci  e  Longo,  che  si  strugge- 
vano in  lagrime;  ed  era  visibilmente  commosso  e  com- 
battuto. Marini-Serra  ed  io  ci  ritirammo  alquanto  in- 
dietro; ma,  dopo  pochi  istanti,  fummo  tutti  congedati. 
Io  scesi  da  palazzo,  con  lo  sconforto  nel  cuore;  tanto 
più,  che  seppi,  esser  decisamente  contrario  alla  grazia 
Filangieri  (il  figlio  di  Gaetano!),  che  ora  esercita  tanta 
influenza  (377).  Ieri  sera,  poi,  ci  fu  una  riunione  di 
Generali  da  Selvaggio  (378);  ed,  all'unanimità,  deci- 
sero: che  non  era  caso  di  grazia,  e  che  l'esercito  chie- 
deva la  punizione  de'  traditori,  che  volevano  disono- 
rare la  nobile  divisa  militare.  Questa  mane,  però,  non 
vi  è  alcun  preparativo  di  esecuzione;  ma  ciò  deve  at- 
tribuirsi alla  ricorrenza  della  gala,  per  la  nascita  di 
non  so  qual  Principe  (379).  Come  vedi,  tutto  è  tinto  di 
nero;  ma,  con  tutto  ciò,  io  he  ferma  speranza,  che  quei 
carissimi  giovani  otterranno  la  grazia.  Da  questo  fat- 
to, che  ho  voluto  narrarti  a  distesa,  potrai  argomen- 
tare il  vero  stato  delle  cose,  e  la  precisa  situazione  del 
paese.  Cessino,  per  Dio!  i  fogli,  che  io  credo  in  parte 
prezzolati  dall'Austria,  di  attizzare  continuamente  il 
fuoco  (380).  Pensino,  che  ogni  loro  parola  costa  umano 
sangue,  purissimo  e  generoso;  e  che  le  loro  parole,  se 
producono  incendio ,  lo  producono  in  un  senso  con- 
trario, ed  espongono  il  paese  a  tale  spaventevole  rui- 


—  159  — 

na,  che  la  mente  ne  rimane  spaurita  al  solo  pensarvi. 
Verranno,  poi,  i  gazzettieri  liberatori,  ad  assistere  ai 
funerali  di  un  popolo;  e  qualche  poetastro  canterà  il 
martirio  di  tutta  una  generazione.  Bisogna  persua- 
dersi, che,  qui,  la  causa  liberale  non  ha,  per  sé,  né  l'e- 
sercito, né  le  masse;  colpa,  non  degli  uomini,  ma  di 
tanti  secoli  di  brutale  e  stupido  servaggio.  Quindi,  ci 
vuol  tempo ,  pazienza  e  perseveranza,  per  ritornare 
questo  popolo  al  senso  della  umana  dignità.  In  punto, 
viene  Brocchetti  (381),  in  tutta  fretta,  per  darmi  la 
lietissima  notizia  della  grazia.  Corro  a  Sant'  Elmo  , 
per  recarla  al  mio  amico.  Ti  abbraccio  di  tutta  fret- 
ta; e  sono,  per  la  vita, 

tuo  aff.mo  fratello, 

Carlo  Poerio. 

Carissimo  figlio. 

Ieri  un  Tenente,  per  nome  Musti  (382),  mi  ha  re- 
cato la  tua  del  1.°  Luglio;  e,  dopo  poche  ore,  Flore- 
stano mi  ha  mandato  la  tua  del  10.  Non  capisco , 
veramente,  come  sono  disgraziata  nella  nostra  cor- 
rispondenza. Ti  scrissi  col  vapore  francese;  e  crede- 
vo, che,  il  di  7  0  8,  avresti  avuto  la  lettera.  Ti  ho 
scritto  per  altri  mezzi.  Insomma  ,  nel  corso  di  22 
giorni,  ti  avrò  scritto  sei  lettere.  Non  potetti  trova- 
re cambiale  per  Venezia;  scrissi  al  Generale,  di  pas- 
sarti 60  ducati;  ho  mandato  a  dire  al  fratello,  che 
ho  questa  somma  alla  sua  disposizione.  Noi  siamo 
stati  in  grande  afflizione,  per  questi  infelici,  che  so- 
no già  salvi;  Io  ti  farò  un'altra  lettera  e  la  man- 
derò a  Pepe,  per  accluderla  nella  sua;  ma  spero,  che, 
a  quest'ora,  avrai  ricevuta  qualcuna  delle  mìe  tan- 
te lettere.  Ti  ripeto,  che,  tanto  io,  che  tuo  fratello  e 


vV'- 


_  .  1 


—  160  — 

tutte  le  famiglie  parenti,  stiamo  bene.  Lo  stato  del- 
le Calabrie  è  orrendo;  e  il  comunismo  ,  le  vendette 
sono  al  loro  colmo.  Abbiamo  avuto  un  foglio  di  Ve- 
nezia: la  sopraccarta  della  fascia  pare  tuo  carattere 
ed  è  gratis.  Ci  erano  gli  attacchi  ed  un  proclama 
del  Generale.  Ti  prego,  di  fare  spesso  simili  spedizio- 
ni; e  scrivimi  di  tua  salute,  anche  con  la  posta;  di 
sola  salute,  però,  aflSnchè  non  sia  trattenuta  la  lettera. 
Enrico  mi  scrive  da  Milano:  aspetta  risposta  di  As- 
santi,  per  venire  in  Venezia;  tuo  Zio  è  in  Cremona. 
Credo,  che  ti  sei  ricordata  la  mia  profezia  circa  la 
repubblica  francese.  Ma  credevo  una  ragazzata ,  non 
il  comunismo.  Ti  benedico. 

Carolina. 


Al  Signor 
Barone  Alessandro  Poerio. 

Presso  il  Tenente  Generale  Quglielmo  Pepe,  in 

Yenezia 


LXXXm.  La  Luisa  Parrilli-Sossisergio  ad  Alessandro  Poerio. 

Mio  carissimo  Alessandro, 

Le  tue  lettere  e  le  nuove,  che  abbiamo  avuto  da 
varie  persone,  hanno  al  sommo  consolato  tutti  noi, 
per  sentirti  ben  rimesso  in  salute,  ch'era  ciò,  che  si 
desiderava  ardentemente.  Noi  siamo  anche  bene;  e 
mio  cognato  e  mio  figlio  ti  dicono  tante  cose.  I 
miei  piccoli  nipotini  vorrebbero  venirti  a  vedere,  per- 
chè dicono,  che,  da  tanto  tempo,  non  ti  veggono:  e 
questa  è  cosa  facile,  come  vedi.  Ti  prego  far  gradi- 


—  161  - 

re  i  miei  complimenti  all'ottimo  Grenerale  Pepe;  ed, 
abbracciandoti  con  trasporto,  sono  la  tua 

Napoli,  23  Luglio  1848. 

aff.naa  zia, 

Luisa. 


LXXnV.  Alessandro  Poerìo  alla  Carolina  Poerìo-Sossisergio 

ed  a  Carlo  Poerìo 

Venezia,  a' 23  Luglio  1848. 

Carissima  madre, 

Ho,  finalmente,  avuto  il  piacere,  di  ricevere  una 
vostra  lettera:  ed  è  quella  del  di  11,  continuata  da 
Carlino  il  12,  impostata  in  Roma  il  17.  Quantun- 
que un  poco  attrassata,  mi  è  riuscita  di  gran  con- 
forto, dandomi  notizie  della  vostra  buona  salute.  Per 
disperazione,  io  mi  era  ridotto,  a  pregarvi,  di  scri- 
vermi sotto  altro  nome:  Francesco  Belltnga,  E  fa- 
telo pure;  e,  insomma,  cercate  tutt'i  mezzi ,  perchè  io 
abbia  lettere  vostre.  Ci  è  la  via  di  Livorno.  Ci  è 
quella  di  Genova,  di  cui  si  serve  il  General  Flore- 
stano; potrebbe  egli,  accluder  le  vostre  lettere,  nel- 
le sue  al  fratello.  —  Guglielmo,  al  quale  ho  dato  il 
foglioUno  vostro  e  di  Carlo ,  sta  bastantemente  bene 
in  salute;  e  vi  riverisce  distintamente.  In  quanto  al- 
la mia  situazione  difficile ,  anzi  falsa  presso  di  lui , 
se  io  volessi  specificare  i  particolari,  sarei  infinito; 
ma  la  sostanza  è  questa.  Io  non  son  altro,  che  un 
semplice  individuo  della  guardia  nazionale  di  Napoli 

(buona  memoria!)  addetto  al  suo  Stato  Maggiore. 

11 


—  10;^  — 

Ma  non  ho  grado  alcuno,  né  soldo,  né  attribuzioni 
speciali.  Il  Generale  mi  usa,  certamente,  molti  ri- 
guardi; io  gli  do  qualche  consiglio,  ch'egli  non  sem- 
pre segue;  e,  frattanto,  mi  si  ascrive,  da  tutti,  in- 
fluenza, molto  maggiore  di  quella,  che  io  ho.  Ne'dif- 
ficili  frangenti,  ne'  quali  ci  siamo  trovati  e  che  po- 
trebbero rinnovarsi,  io  ho  sempre  detto  il  vero,  se- 
condo l'animo  mio;  né  mai  spoglierò  la  mia  natura 
schietta  e  sincera.  È  sperabile ,  che  io  possa  rima- 
nere con  lui,  salva  la  mia  dignità  ;  che ,  a  questa  , 
io  debbo,  certamente ,  provvedere.  Della  sua  amici- 
zia non  ho,  che  a  lodarmi  ;  ma ,  a  chi  sente ,  non 
ignobilmente ,  di  sé  stesso ,  ciò  non  può  bastare;  fa 
d'uopo,  che  vi  sia  congiunto  il  decoro.  Lungi  di  a- 
busare  menomamente  della  sua  bontà  per  me,  io  mi 
tengo  in  disparte,  il  più,  che  posso;  né  ho  consenti- 
to, ch'egli  mi  nominasse  (come  volea  fare)  nell'ordine 
del  giorno  della  fazione  di  Cavanelle,  poiché  nessu- 
na occasione  io  aveva  avuta,   di   distinguermi.   Io  , 
come  gli  altri  dello  Stato  Maggiore,  pranzo  dal  Ge- 
nerale; ed  ho  l'alloggio  mihtare.  Per  dippiù,  accetto 
da  lui ,  quando  si  esca  in  campagna  ,  T  uso  di  uno 
de' suoi  cavalli,  doveché  tutti  gli  altri  (senza  ecce- 
zionfi)  hanno  il  cavallo  proprio.  Basta   così  ;  al  ri- 
manente delle  spese ,  che  non  son  poche  (massime 
per  la  continua  necessità,  or  di  uno,  or  di  un  altro 
oggetto  di  vestiario  militare)  debbo  provvedere   del 
mio.  Del  resto,  io  non  getto  il  danaro;  l'ho  econo- 
mizzato in  modo,  che  quello,  che  ho,  mi  basterà  tut- 
to il  mese.  Non  prenderò  i  sessanta  Ducati  ,  di  cui 
ringrazio  voi  e  Carlo,  che  a'  principii  dell'entrante 
mese;  e  di  un'  altra  rimessa  di  danaro  non  avrò  bi- 
sogno, che  in  settembre. 


—  163  — 

Lo  stato  del  nostro  paese  mi  tiene  inquieto.  Fin 
dal  principio,  io  aveva  compreso  tutta  la  contraddi- 
zione ,  che  v'  era,  da  noi,  tra  il  guasto  prodotto  da 
una  lunga  servitù,  ed  i  tempi  rapidi  e  grossi  ed  a- 
nelanti  a  libertà  piena.  Chi  crede  ,  peraltro,  che  si 
possa  tornare  indietro,  s* inganna  a  partito.  Questo 
è  moto  europeo.  E  deplorabile ,  che  si  commettano 
eccessi  contro  le  proprietà  private,  triste  conseguen- 
ze di  un  sistema  di  governo,  arbitrario  e  fiacco  ad 
un  tempo.  I  mali  ,  che  Tiniquo  Bozzelli  ha  fatti  al 
suo  paese  ,  saranno  scritti  dalla  storia  in  caratteri 
d'infamia.  Io  non  veggo,  come  egli  e  la  Camera  dei 
Deputati  possano  staile  insieme.  In  tutta  Italia,  il  suo 
nome  desta  un  abbominio,  maggiore  di  quejlo  di  Dei- 
carretto. 

Godo,  che  Carlotta,  Luisa  ed  Antonia  stieno  be- 
ne, e  così  pure  i  bambini  in  casa  Imbriani  e  Par- 
rilli.  Questo  clima  non  mi  è  avverso;  e  sto  benino. 
Abbiate  gelosa  cura  della  vostra  salute.  Scrivete  , 
spesso  e  per  molte  vie ,  affinchè  alcuna  delle  molte 
lettere  mi  giunga.  Vi  bacio  riverentemente  la  mano; 
e,  chiedendovi  la  materna  benedizione,  con  filiale  te- 
nerezza, mi  ripeto 

v.«  affo, 

Alessandro. 

P.  S.  Ieri,  ebbi  anche  lettere  dall'ottima  contessa 
Gozzadini. 

Caro  fratello, 

Le  notizie ,  che  mi  dai  del  nostro  paese ,  mi  ad- 
dolorano. Quantunque  alcuni ,  fra  i^  capi  del  Co- 
mitato cosentino,  fossero  uomini  più  avventati,  che 


—  164  — 

abili ,  avrei  desiderato  la  prospera  riuscita  di  que' 
moti,  per  una  buona  lezione  alla  tirannia.  Veggo  ^ 
che  la  Camera  è  piena  di  generose  intenzioni  ;  so  , 
che  procederà  con  vigore,  con  risolutezza,  con  co- 
raggio civile,  tanto  più  raro  del  militare,  tanto  più 
alto  e  più  degno;  ma  che  ne  uscirà?  Fa  orrore,  che 
un  Bozzelli  osi,  presentarsi  alla  Camera,  osi,  difen- 
dere il  nefando  sistema,  che  lo  ha  renduto  più  ab- 
bominevol  nome  ,  che  non  è  quello  di  Delcarretto  ; 
non  so  ,  se  Troya  sia  uscito  dai  termini  parlamen- 
tari; a  me  pare,  che  Francesco-Paolo  l'apostata,  ab- 
bia trapassato  tutt'i  termini  costituzionali  da  un  pez- 
zo. Che  vuoi,  che  io  pensi,  quando  leggo:  che  Sil- 
vio Spaventa  è  insultato  da  uflSziali  in  un  caffè  ; 
che  a  nome  deWesercito  si  dichiara  non  volersi  li- 
bertà della  stampa;  che  i  militari  entrano  nelle  stam- 
perie e  spezzano  i  torchi  (383)?  Sta  bene,  che  sieno 
nominate  le  tre  Commissioni,  che  tu  dici  ;  ma  tro- 
verete appoggio,  nella  Camera  de'Pari  ?  A  me  sem- 
bra ,  che  abbiate  da  fare ,  con  chi ,  assolutamente  , 
la  libertà,  non  la  vuole.  Parli  il  Bozzelli,  con  quanta 
industria  può  usare  il  più  artifizioso  sofista  ;  come 
potrà  giustificare  tante  infamie?  e,  segnatamente,  il 
proditorio  abbandono  della  causa  Italiana?  Ma,  già, 
la  sua  iniqua  e  stolta  politica  sta  dando  i  frutti,  che 
se  ne  potevano  aspettare.  I  tempi  ingrossano;  gli  av- 
venimenti incalzano.  Tu  mi  scrivevi  a'  12.  Ora,  sa- 
prai, che  ogni  pratica  di  pace  è  rotta;  che  gli  Au- 
striaci han  violato  il  territorio  del  Pontefice;  che  co- 
stui,  se  vuole  evitare  una  rivoluzione  compiuta,  dee 
far  la  guerra  con  vigore;  che  il  Duca  di  Genova  è 
proclamato  Re  di  Sicilia;  che  il  nuovo  Regno  è  rico- 
nosciuto solennemente  dalla  Inghilterra  e  dalla  Fran- 


—  165  — 

eia  (384).  Tu  dici,  che,  con  tempo,  prudenza,  arte  e 
fatica,  si  camminerà  per  le  vie  legali.  Ed  io  ti  ripeto: 
che  avete  che  fare,  con  chi  non  conosce  altra  legge, 
che  l'arbitrio;  e  che,  nel  risorgimento  d' Italia,  vi  è 
solidarietà  tra  le  diverse  parti  della  penisola,  si  vo- 
glia 0  non  si  voglia.  Saluto  ,  caramente,  Emilio  e 
Peppino. 

Ieri,  è  giunto  un  altro  battaglione  piemontese.  Se 
ne  aspetta  anco  un  altro;  allora,  saranno  2400  uo- 
mini. Carlo  Alberto,  par,  che  voglia  uscire  dalla  sua 
inerzia;  stringe  Mantova,  sotto  cui  dev'essere  anche 
zio  Raffaele  ;  si  fa  più  vicino  a  Verona  ;  minaccia 
Legnago.  A  Governolo,  giorni  fa,  gli  Austriaci  fu- 
rono battuti;  e  lasciarono  400  prigionieri,  in  mano 
a'nostri.  È  tempo  di  muoversi,  poiché  il  nemico  riceve 
sempre  nuovi  rinforzi. 

Caramente,  ti  abbraccia 


il  tuo  aff.mo  fratello, 

Alessandro. 


A.  S.  E. 

La  Signora  Baronessa  Carolina  Poerio 

Strada  del  Salvatore,  n.^  52.°  piano  nobile 
Napoli 


LXXXV.  La  Carolina  Poerio-Sossisergio  e  Carlo  Poerio 

ad  Alessandro  Poerio 

Napoli,  23  Luglio  1848. 

Mio  caro  figlio. 

Ieri,  tuo  fratello  ti  scrisse  una  lunga  lettera;  nella 
quale  ti  dava,  specialmente,  ragguaglio  del  processo, 
fatto  ai  militari,  catturati  mentre  fuggivano  da  Ca- 


—  166  — 

labria,  uniti  a  cinque  o  seicento  siciliani,  tra  i  quali 
ci  sono  gl'infimi  del  popolo  e  le  cime  dell'aristocra- 
zia. Sicché^  la  plebe  è  a  Nisita  o  Ischia;  e  i  nobili,  a 
Sant*  Elmo.  Si  fece  una  corte  militare,  per  giudica- 
re i  militari,  che  erano  quattro.  Tao  fratello  si  offri 
difensore  volontario  di  Longo,  suo  amico;  Marini- 
Serra  difese  Delli  Franci  (fratello  di  quelPuffiziale  di 
Stato  Maggiore,  che  hai  conosciuto  in  Bologna);  Ta- 
rantini, Coccione;  e  de  Marco,  il  sergente  Arcarà  o 
un  nome  presso  a  poco  come  questo.  Il  risultato,  per 
i  due  primi,  morte;  pel  terzo,  non  costa;  pel  quarto, 
delitto  comune,  rimesso  alla  Corte  Criminale.  La  sen- 
tenza non  si  esegui,  perchè  giorno  di  Venerdi ,  es- 
sendo finita  la  causa  all'alba.  Il  fratello  del  signor 
Longo,  il  padre  del  Delli  Franci,  gli  avvocati  cor- 
sero a  Palazzo.  Il  Re  fece  molte  carezze;  ma  disse, 
che  doveva  dare  un  esempio.  Avendo  tuo  fratello 
insistito,  aflSnchè  avessero  veduto  gl'infelici  (come  es- 
si desideravano)  i  parenti,  il  Re  disse:  —  «  che  non 
«  bisognava  turbare  gli  ultimi  momenti,  con  mondani 
«  pensieri.  »  —  Io,  da  questo  rifiuto,  incominciai  a 
sperare;  perchè  mi  parve  essere  una  inumanità  troppo 
grande,  se  non  avesse  avuto  il  pensiere  di  salvarli;  e 
questa  inumanità  inutile,  con  persone,  che  aveva  al- 
l'attuale suo  servizio,  mi  parve  impossibile.  Intanto, 
passato  il  Venerdi  senza  nessun  risultato,  anzi  con 
voci  contradittorie,  venne  l'alba  d'  ieri,  nascita  d'u- 
na figlia  del  Conte  dell'Aquila:  ed  era  anche  inibita 
la  fucilazione.  Ma,  con  l'alba,  si  sparsero,  per  Napoli, 
le  assicurazioni  della  grazia.  Bozzelli  1'  aveva  assi- 
curata, alla  deputazione  di  deputati,  composta  da  E- 
milio,  Scialoja  e  Pisanelli;  il  confessore,  zio  di  De 
Simone  (385),  l'aveva  assicurata,  ad  un  nostro  amico. 


—  167  — 

Finalmente,  tuo  fratello,  ieri,  ti  scrisse,  che  Brocchetti 
era  venuto  per  dirgliela.  Ma  Carlo,  sempre  diffidente 
delle  voci,  andò  sopra  Sant'Elmo;  ed  il  Comandante, 
oltre  di  avergli  mostrato  l'ordine,  lo  fece  parlare  con 
Longo  medesimo.  Ora,  poi,  è  venuto  D.  Carlo  Lon- 
go,  per  prendere  tuo  fratello  ed  andare  a  ringra- 
ziare il  Re.  Ma  D.  Carlo  già  l'aveva  veduto;  ed  il  Re 
gli  aveva  detto:  Uho  fatto  a-  vostro  riguardo.  Ora, 
Alessandro  mio,  con  voi,  ci  è  l'altro  fratello  Longo: 
ti  prego,  fargli  sapere  tutto  l'accaduto;  e  quanto  io 
mi  reputo  fortunata,  che  mio  figlio  abbia  potuto  fa- 
re qualche  cosa,  per  suo  fratello;  quando  non  fosse 
altro,  che  dargli  la  consolazione,  che  volontariamen- 
te andava  a  difenderlo.  E  quell'ora  di  conversazione, 
avuta  con  lui,  dovette  essere  un  balsamo  alle  sue 
ferite.  Gli  dirai,  pure,  che  D.  Carlo,  questa  mattina, 
era  tanto  contento ,  che  aveva  cambiato  fisonomia. 
Ti  replico,  che  questa  è  stata  una  grande  gioia,  per 
tutt'i  buoni. 

Caro  figlio,  a  quest'ora,  avrai  dovuto  ricevere  mol- 
te mie  lettere;  e  spero,  che  il  Generale  ti  avrà  pas- 
sato i  ducati  60.  Ieri,  fui  da  tua  sorella,  la  quale  sta 
bene.  L'ultimo  bambino  è  veramente  bellino  ;  se  va 
di  questo  passo,  il  duodecimo  sarà  un  Adone.  Tua 
zia  Antonia  ha  fatte  gran  preghiere,  per  questi  in- 
felici; ed  è  contentissima  del  risultato.  Zia  Luisa  ti 
scriverà  un  rigo.  Ad  essa,  non  ho  detto,  che  ti  sei 
esposto  su  la  batteria.  Non  ti  dico,  il  mio  cuore  co- 
me palpita  . . , .  Ieri,  ricevemmo  l'altro  foglio  di  Ve- 
nezia, del  14,  con  tutti  gli  ordini  del  giorno.  Abbia- 
mo saputo,  anche,  l'occupazione  di  Ferrara  e  la  par- 
tenza precipitosa  dei  Tedeschi.  Si  erano  sparse,  an- 
che, nuove  di  una  battaglia,  a  Legnago;  ma  pare. 


—  168  — 

•ieno  ciarle.  Non  ho  ricevuto  l'altra  tua,  per  mezzo 
del  corriere  Longo ,  che  ,  mi  passa  per  mente  ,  sia 
quello  stesso,  che  portò  la  grazia  di  Antonelli  (386);  ne 
farò  fare  ricerche,  all'uffizio  della  posta.  Ho  ricevu- 
ta lettera  di  Enrico,  da  Genova;  partiva  per  Livor- 
no e  Firenze.  Vuole  la  sua  roba;  e  pare,  che  voglia 
cercare  a  fare  un  altro  battaglione  volontari  tosca- 
ni; ma  credo,  che  verrà  in  Venezia. 

P.  S.  Carlo  mi  ha  tolto  tutto   il    luogo.   Addio  , 
caro  figlio.  Saluto  il  generale;  e  sono 

aff.ma  madre 

Carolina. 


Caro  fratello, 

Ieri ,  ti  scrissi  a  lungo,  narrandoti  le  crudeli  an- 
gustie, in  cui  mi  sono  trovato,  per  salvare  la  vita  di 
Giacomo  Longo.  Ora,  ti  dico,  che  torno  da  Palazzo, 
dove  sono  stato,  a  ringraziare  Sua  Maestà  col  fra- 
tello del  mio  amico.  Ti  prego,  di  dirlo  all'altro  fra- 
tello Roberto,  che  è  costà  colla  batteria.  I  Generali 
tutti  erano  contrari  alla  Grazia;  ma  il  Re,  loro  mal- 
grado, ha  voluto  farla.  Qui,  nulla  di  nuovo.  Dopo 
domani,  incominceremo  a  discutere  l'indirizzo.  Vuoi 
ridere  delle  umane  miserie?  Giacomo  Savarese  ha 
preferito  di  esser  Pari,  come  anche  il  Barone  di  Po- 
lizzi,  Giuseppe  de  Biasio  (387).  Per  contrarlo,  Lavel- 
lo e  Sangiacomo  (388)  han  preferito  di  esser  deputati. 
Abbiamo  saputo  la  fuga  precipitosa  degli  Austriaci  da 


—  169  — 

Ferrara.  Spero,  che  Pio  si  scuota.  Ti  abbraccio  di 
cuore;  e  sono,  per  la  vita, 

tuo  aff.mo  fratello, 

Carlo. 

Al  Signor 
Barone  Alessandro  Poerio 

Presso  il  Generale  D.  Guglielmo  Pepe 
Venezia. 


LXXXVI.  Savino  Savini  ad  Alessandro  Poerio 

Bologna,  24  Luglio  1848. 

Caro  amico, 

V'avrete  già  una  mia,  raccomandata  al  fratello, 
insieme  ad  alcuni  libretti.  Con  questa,  voglio  avvi- 
sarvi, che,  nel  Tempo,  giornale  di  Napoli  (18  Luglio), 
si  legge  una  lettera  di  un  ufficiale  napoletano  di 
artiglieria,  data  di  Venezia,  28  Giugno,  in  cui  tante 
cose  contro  Pepe  e  tutti  i  buoni.  Non  è  di  Pedri- 
nelli  (389).  Date  nota  di  ciò  ad  UUoa.  Io  credo,  che 
fareste  molto  bene,  a  imbarcare  tutta  quella  carne 
guasta  e  spedirla  a  Napoli,  tenendo  le  armi.  Addio, 
caro  Alessandro.  Vi  consiglio,  a  non  leggere,  mai, 
le  sedute  delle  Camere  di  Napoli.  —  Fratellanza. 


Tutto  vostro, 

S.  Savini. 


-♦Jf  Crociato. 

N.  U. 
Signor  Barone  Alessandro  Poerio, 

Ntllo  Stato  Maggiore  di  S.  E.  il  General  Pepe, 
Venezia. 


—  170  — 

LXXXVn.  Carlo  Gazola  ad  Alessandro  Poerio 

Di  Bologna,  25  Luglio  1848. 

Carissimo  Poerio, 

Ho  spedito,  pel  solito  mezzo,  la  vostra  a  Napoli  ; 
e,  spero,  sarà  stata,  a  quest'ora,  già  ricevuta.  Saprete, 
che  Re  Sacripante  ha  doma,  coli'armi,  la  rivoluzione 
in  Calabria;  e  minaccia,  dai  confini  d'  Abruzzo ,  gli 
Stati  Romani.  Qui,  intanto,  si  dorme;  e  il  Ministero 
Mamiani  sta  per  cedere  il  potere ,  a  un  Ministero , 
che  i  buoni  hanno  tutta  ragione  di  temere,  sia  o  es- 
ser possa,  conforme  al  Ministero  Bozzelli  di  Napoli.  Si 
parla  di  Orioli  (390)  e  Farini  (  391  ).  I  retrogradi 
sono  giunti  a  impedire  gli  arrolamenti  militari,  spac- 
ciando carte  e  stampe,  dove  si  dice  e  s^insinua:  che 
il  Papa  non  vuol  la  guerra;  e  che  i  liberali  grida- 
no guerra,  contro  l'espresso  volere  del  S.  Padre. 

Dei  tre  mesi  della  capitolazione,  sono  passati  già 
45  giorni;  e,  dopo  altrettanti,  si  riaprirà  la  campa- 
gna pei  nostri.  Or  bene,  quanti  credete,  che  potran- 
no 0  vorranno  marciare?  I  corpi  civici  e  volonta- 
rii  sono  in  gran  parte  sciolti;  quelli  di  linea  (eccet- 
tuati gli  Svizzeri,  i  Carabinieri  e  l'artiglieria)  sono 
vili  0  poco  e  male  istruiti,  né  conoscono  disciplina. 
Reclute  non  si  fanno ,  benché  decretate  dal  Mini- 
stero, perché  non  si  presentano  persone.  Dunque,  im- 
maginate, come  saranno  pochi  i  nostri.  E  fosser  pur 
molti!  Potrebbero,  oggi,  ripassare  il  Po,  e  ritornare 
al  campo?  Eccovi  un  problema  insolubile.  Gli  Au- 
striaci, intanto,  sono  al  di  qua  del  Po;  ed  hanno  co- 
stretto Ferrara,  a  incaricarsi  del  mantenimento  quo- 


—  171  — 

tidiano  della  guarnigione  austriaca,  residente  nella  for- 
tezza. Il  Papa  ha  protestato;  ha  conceduto  al  Ministero, 
di  usare  ogni  mezzo  di  difesa,  ma  non  di  portar  guerra 
oltre  ai  confini.  Le  Camere  gridano  guerra,  il  Ministero 
guerra  ;  ma,  ove  non  sia  voluta  dal  Papa,  difficil- 
mente il  popolo  si  condurrà  a  volerla  fare.  L'anti- 
co entusiasmo  è  dileguato  ;  le  sofferenze ,  cagionate 
da  questo  stato  penoso  di  guerra,  crescono;  gli  Au- 
striaci insolentiscono.  Io  tengo,  che,  senza  aiuti  fran- 
cesi, è  impossibile  di  redimerci;  ed,  oggi,  le  cose  sono 
ridotte  a  tale,  che,  pel  meglio  dell'  Italia  e  per  assi- 
curarne la  indipendenza,  conviene  implorare  soccor- 
si stranieri.  Se  Napoli,  se  Roma  fossero  state  unite 
al  Piemonte,  forse,  potevamo  fare  da  noi;  oggi,  non  è 
più  possibile,  né  giova  illudersi.  L'America,  la  Gre- 
cia, il  Belgio  acquistarono  indipendenza  cosi;  e,  cosi 
l'acquisteremo  noi  pure.  E  indarno,  ricorrere  alle  ra- 
gioni arcadiche  di  coloro,  che  chiamano  indegno  di 
libertà  quel  popolo,  che  non  sa  conquistarla  da  sé. 
Sono  bei  discorsi,  ma  privi  di  senso.  Oggi,  la  nostra 
salute  non  può  venire  da  Carlo  Alberto  solo;  con- 
vien  derivarla  pur  dall'  armi  di  Francia.  A  Roma, 
sono  acquistati  i  cavalli  per  un  nuovo  reggimento 
di  Cavalleria  dragoni,  ma  si  stenta  a  trovare  i  sol- 
dati; tutto  per  le  gesuitiche  arti  dei  retrogradi.  Vi 
prego,  di  ossequiarmi,  ben  caramente,  il  General  Pepe, 
Assanti  e  UUoa;  e  sarò  gratissimo,  se  vorrete  salu- 
tarmi il  bravo  Pichat  (392),  che  é  il  Maggiore  del  2.* 
Battaglione  Bignami  di  Bologna.  Egli  era  l'esten- 
sore, qui,  del  giornale  liberissimo  Vitaliano,  che  facea 
si  caldamente  la  causa  della  indipendenza  e  della  li- 
bertà. Vedete,  di  conoscere  il  bravo  Pichat,  per  mez- 
zo del  nostro  Commissario  Aglebert  (393),  che  vi  pre- 


—  172  — 

gherò,  pure,  di  volermi  salutare.  Se  valgo,  in  cosa 
di  vostro  genio,  vi  rammenti,  che  sono,  sempre, 

tutto  vostro  di  cuore 

C.  Gazala, 

P.  S.  La  Gozzadini,  spesso,  mi  chiede  vostre  nuo- 
ve; e,  più  di  una  volta,  mi  ha  imposto  di  riverirvi, 
se  mai  vi  scrivessi.  Ella  sta  bene;  ed  ha  conosciuto 
d*  Azeglio,  per  mezzo  mio.  La  ho  io  introdotta  da 
questo  illustre  Italiano,  che  trovasi  qui,  obbligato  a 
letto  dalla  ferita,  riportata  a  Vicenza,  dove  una  pal- 
la gli  scheggiò  lo  stinco- di  una  gamba  (394). 

Al  N.  U. 

n  signor  Barone  Alessandro  Poerìo 
Ufficiale  presso  S.  E.  il  General  Pepe 

Yenezia, 


LXXXVni.  Guglielmo  Pepe  ed  Alessandro  Poerìo  alla  Carolina  Poerìo 
Sossisergio  ed  a  Carlo  Poerìo  con  postilla  di  Damiano  Assanti 

Venezia,  il  26  luglio  48. 

Rispettabile  e  cara  signora, 

Alessandro  sta  bene  ;  ammira  le  rarità  di  questa 
capitale  classica;  è  amato  da  tutti;  e  fu  battezzato  al 
fuoco,  dirimpetto  ad  un  luogo  forte  del  nemico  sul- 
l'Adige. Egli,  che  ha  tempo  di  esser  lungo,  vi  dirà, 
almeno  in  parte,  ciò  ,  che  concerne  questo  esercito, 
composto  di  Napolitani,  Romani,  Lombardi  e  Piemon- 
tesi. Io  mi  limito  a  pregarvi  ,  che  gradiate  i  miei 
rispettosi  saluti. 

Guglielmo  Pepe, 


—  173  — 

Mio  caro  Carlino  , 

Le  condizioni  del  Regno  sono  tali,  da  affliggere  an- 
che gli  animi,  poco  suscettivi  d'amor  patrio.  L'ab- 
bietta corruzione,  che  avvilisce  gli  uomini,  altra  volta 
stimati  nella  capitale^  addolorare  debbe  ogni  napoli* 
tano.  Se  Talta  Italia  sarà  libera  ed  indipendente,  è 
impossibile,  che  le  nostre  provincie  restino  umiliate, 
come  si  vedono  in  questo  momento  ;  ed  io  sono 
quasi  che  sicuro,  di  vedere  scacciati  gli  austriaci  ol- 
tre le  Alpi.  Questa  idea  mi  consola,  in  mezzo  alle  non 
poche  difficoltà  ,  che  mi  circondano ,  e  che  non  i- 
stenteresti  a  conoscere  ,  ove  leggessi  la  mia  corri- 
spondenza co'  governi  di  Roma  e  di  Lombardia  ,  e 
col  Re  Sardo. 

Leggerò  sempre,  con  sommo  piacere,  le  tue  lette- 
re; ed,  intanto,  ti  saluto  caramente. 

Guglielmo  Pepe. 

Eccovi ,  carissima  madre ,  carissimo  fratello ,  due 
righe  di  risposta  del  Generale;  profitto  di  questa  oc- 
casione, per  darvi  mie  nuove,  avendovi  già  scritto, 
a  lungo,  il  23,  cioè,  lo  stesso  giorno,  in  cui,  final- 
mente, ricevetti,  dopo  un  mese,  una  vostra  lettera^ 
arretrata  anch'essa,  poiché  portava  la  data  de'  12. 
Siamo  a'  28,  e  non  m'è  pervenuta  altra  lettera  vo- 
stra; il  che  mi  dispiace  tanto  maggiormente,  in  quanto 
sembrami  deplorabile  lo  stato  di  cotesto  Regno.  Co- 
stà, come  ben  veggo,  trionfa  la  forza  brutale.  Il  ci- 
vile coraggio  non  mancherà,  ne  son  certo;  ma  quale 
sarà  il  risult amento  ?  Iddio  soccorra  il  nostro  infe- 
lice paese;  e  gli  dia  forza  dignitosa,  negli  animi  alti 


—  174  — 

e  severi,  che,  nel  giudizio  della  storia,  lo  redimano 
dalle  tante  infamie  ,  ond'è  contaminato.  Gl'interessi 
europei  si  agitano,  cosi  vari  ,  così'  procellosi  e  cosi 
complicati,  ad  un  tempo,  ch'è  difficile,  prevedere  anco 
l'avvenire  più  prossimo.  Temo,  peraltro,  che,  anche 
questa  volta,  possa  toccare  all'Italia  l'infausto  ajuto 
straniero.  I  Piemontesi  e  gli  Ausfriaci  sono  alle  mani, 
da  più  giorni,  a  Rivoli,  a  Somma  Campagna,  a  Vil- 
1  afranca,  su  tutta  la  linea,  dalla  parte  di  Verona;  Te- 
sito  definitivo  di  questi  combattimenti  accaniti  ,  ne' 
quali  importanti  posizioni  sono  state  prese  e  riprese, 
non  sì  conosce  ancora.  Non  mi  stendo  di  più,  per- 
chè manca  lo  spazio;  e  la  mia  lunga  lettera  del  23 
è  stata  spedita,  per  la  via  di  Livorno^  con  sicurez- 
za di  ricapito,  dal  signor  Giuseppe  Mondolfo,  in  cui 
casa  alloggio;  e  iiel  quale  aspetto,  sempre,  due  righe 
di  Carlino.  A  mia  sorella,  a  zia  Luisa,  ad  Antonia, 
non  che  ad  Emilio  e  Peppino,  tante  cose.  Vi  bacio 
la  mano,  carissima  madre. 

Vostro  &fL9  figlio 

Alessandro, 

P.  S.  Raffaele  mi  scrive  da  Pietola,   sotto  Man- 
tova, dov'è  con  la  sua  brigata. 


Damiano   Assanti.    Mille  e  mille  ossequi ,   e   con 
Carlo,  Carlotta  ed  Emilio  Imbriani. 

Baronessa  Carolina  Poerio 


—  175  - 
LXXZIX.  La  Carolina  Poerio-Sossisergio  ad  Alessandro  Poerio 

Napoli,  26  luglio  1848. 

Mio  carissimo  figlio , 

Ti  ho  scritto,  nella  scorsa  settimana,  due  lunghe 
lettere  ;  ieri  V  altro,  ne  inviai  un'  altra  al  Generale 
Florestano,  il  quale  mi  avea  fatto  pervenire  la  tua 
del  10  ;  allo  stesso,  ho  già  rimesso  i  ducati  60,  che 
ti  avrà  passato  il  fratello.  Io  non  ho  altro  da  ag- 
giungere a  quello  già  scritto,  senonchè  stiamo  bene 
in  salute.  Tu  già  saprai,  prima  di  me,  come  si  son 
salvati  alcuni  de'  nostri  amici ,  tra'  quali  il  nostro 
Peppino.  Ieri,  fui,  con  Luisa,  a  consolarmi  con  la  fa- 
miglia; e  trovai,  che  la  sua  moglie  era  partita,  per 
andare  a  raggiungerlo  ad  Ancona,  lasciando  le  due 
figlie  alia  Contessa;  la  quale,  per  verità,  le  ama  come 
sue  proprie;  ed  esse  chiamano  lo  zio  e  la  zia,  papà 
e  mammà  (395).  Fummo,  ancora,  dal  buon  Generale 
Ruberti:  di  aspetto  mi  parve  che  stesse  bene,  ma  si 
lagna  di  essere  ammalato.  Tanto  lui  che  le  Signore 
ti  dicono  tante  cose  amichevoli.  Ti  scrissi,  come  il 
signor  Longo  aveva  buttato  tutte  le  carte,  meno  che 
i  dispacci;  e  ciò,  ad  insinuazione  del  Comandante  del 
Vapore.  Anzi,  in  talune  lettere,  ci  erano  degli  oggetti, 
come  ritratti ,  spille  :  questi  furono  salvati  e  man- 
dati a  chi  erano  diretti.  In  questo  momento,  ricevo 
lettere  di  Enrico,  da  Livorno.  Va  in  Toscana,  per 
naturalizzarsi;  e  spera,  essere  ammesso,  ne'Volontari 
Toscani.  Pare  assai  disgustato  dei  suoi  compatrioti: 
e,  veramente,  è  cosa  dolorosa  l'accaduto  in  Calabria. 
Aveva  ragione  Monsieur  Guizot !  Del  resto,  caro 


—  176  -^ 

figlio,  ognuno  risponde  delle  sue  proprie  azioni;  an- 
zi, è  tenuto  più  meritevole  colui,  che,  in  mezzo  alla 
corruzione  ,  si  mantiene  puro  e  non  somiglia  agli 
altri.  Io  non  ho  avuto  più  lettere  di  Calabria:  l'ul- 
tima era  di  32  giorni  fa.  Si  sono  sfrenate  tutte  le 
ire,  gli  odt  e  gli  sdegni  privati;  e  cercano,  col  pre- 
testo del  liberalismo,  vendicarsi  degl'inimici.  A  ciò,  si 
unisce  la  truppa  ladra,  invereconda  e  mal  guidata.  So, 
che  i  buoni,  nel  vedere  a  chi  si  erano  fidati,  si  sono 
assai  rammaricati,  di  essersi  uniti  a  tal  gente. 
Addio,  lascio  luogo  a  tuo  fratello;  ti  benedico. 

Aff^  madre 

Carolina. 

P.  S.  La  persona  è  venuta  a  prendere  la  lettera; 
e  Carlo  non  è  venuto. 

Al  Signor 
Barone  Alessandro  Poerio 

Presso  il  Generale  D.  Guglielmo  Pepe 
Yenezia, 


XG.  Nicola  Fabrìzi  ad  Alessandro  Poerio 

Roma  28  Luglio  1848. 

Caro  Alessandro, 

Impegno  la  tua  terribile  perseveranza  presso  Ul- 
loa,  ond'egli  si  sovvenga  ,  e  non  lasciandolo  tran- 
quillo sino  a  che  non  si  sia  sovvenuto  di  intendere 
dal  Generale,  se  nel  caso  che  le  cose  potessero  ren- 
dere non  del  tutto  inopportuna  una  mia  apparizio- 


—  177  — 

ne  a  Messina,  egli  sarebbe  per  giudicare  di  inviar- 
mivi,  collo  spedirmi  un  passo  che  me  ne  autorizzi, 
e  tale  da  poter  valermene  ,  o  no  »  a  secondo  che  i 
casi  mi  consigliano,  cosicché  andandovi,  possa  non 
interrompere   il    mio    servizio.  Le   circostanze  sono 
queste.  Là  è  sorto  un  pieno  disaccordo  tra  Sicilia- 
ni e  Galabri;  ciascuna  delle  parti  imputando  all'al- 
tra responsabilità  della  rovina.  So  bensì  che  a  Mes* 
Sina  i  più  intelligenti  avevano   calmata   V  opinione 
contraria  a'  Calabresi;  e  qui  purè  tra'  Calabresi  in 
generale  si   conviene    che  le  ricriminazioni  a   nulla 
valgono    tra'    sventurati   mentrecchè  [sic/I  invece 
la  vera  colpa  è  in  chi  non  agi  e  molto  dell'inerzia 
generale  si  attribuisce  al  parlamento  che  si  mise  a 
capo  della  opposizione  legale,  e  diversa  dalla  rivo- 
luzionaria.   Pertanto  a  Messina  si  è  pur   composto 
un  che  di  nuova  direzione   alla    propaganda   Cala- 
brese, mentrecchè  \_sic!']  qui  pur   si    vanno  racco- 
gliendo de*    migliori   che  vi  si  tengono  d'  accordo. 
Un  cento  e  più  Calabresi  poi  sono  in  Messina,  che 
ove  si  verificasse  l'aggressione  della  truppa   napo- 
letana, potrebbero  anche  sul  luogo  e  nella  sola  di- 
fesa del  suolo  Siciliano  rimoralizzare  assai  la  buona 
armonia,    ed    ove  le  cose  in  Sicilia  si  sostenessero 
per  bene  servire  a  perno  d'altra  per  di  qua  del  fa- 
ro. —  A  Napoli  tutto  va  alla  peggio  di  fatto;  ma 
lo  spirito  non  vi  è  si  abbattuto  che  potrebb'  essere 
fatto  r  impero  della  forza  fisica  ,   con  un  tentativo 
mancato  come  quello  delle  Calabrie,  e  lo  spettaccolo 
[^sic  /]  di  una  Camera  impotente,  e  mista  di  servili 
(396). —  Io  non  partirei  per  Messina  senzacchè  [sidj 
apparisse   prossima  e  certa   1'  aggressione    de'  sol» 
dati  Napoletani  e  senza  essermi  bene  inteso  con  co- 

12 


—  178  — 

desti  nostri  amici  che  rimarrebbero  da  questo  lato. 
Qui  sono  Ricciardi,  due  Plotino,  tre  Romei,  Musso- 
lino  di  cui  fu  massacrata  [sic!'\  la  famiglia  al  Pizzo, 
Achille  Parisi  di  Napoli,  Torricelli  che  si  è  assai  di- 
stinto ne*  fatti  in  Calabria,  ed  altri  molti,  la  Ceci- 
lia etc.  etc.  (397)  —  Si  manca  di  Ministero  a  Roma  e 
continua  il  dimissionario,  non  so  se  per  compiacenza,  o 
per  gusto.  Ho  creduto  e  credo  utilizzare  il  tempo  di 
cui  dispongo,  specialmente  per  ciò  che  tocca  la  nostra 
tendenza  nel  Regno.  Dio  ce  la  mandi  buona! 

tao 

Nicola. 

P.  S.  Neppur  per  Napoli  si  può  essere  ormai  re- 
pubblicano per  ora. 


XCI.  La  Carolina  Poerìo-Sossisergio  ad  Alessandro  Poerio. 

Napoli,  29  Luglio  1848. 

Mio  carissimo  figlio. 

Voglio  fare  un  ultimo  tentativo,  per  farti  perve- 
nire mie  nuove.  In  pochi  giorni,  ti  avrò  scritto  quattro 
0  cinque  lettere;  ne  mandai,  anche,  una  a  D.  Flore- 
stano, al  quale  ho  mandato  i  docati  60  sino  ad  Ischia. 
Questa  mia  letterina,  l'accludo  al  tuo  Padrone  di  casa; 
e  prendo  questa  occasione,  per  ringraziarlo  delle  cor- 
tesie, che  ti  usa.  Carlo  ha  fatto  lo  stesso,  in  una  tua 
lettera.  La  mia  salute  è  sempre  buona,  come  quella 
di  tuo  fratello.  Non  è  poco,  in  questi  tristi  tempi.-— 
Enrico  è  giunto  in  Firenze.  Mi  aveva  detto,  che  sa- 


—  179  — 

rebbe  venuto  in  Venezia;  ma,  essendo  interrotte  le 
comunicazioni,  si  è  diretto  in  quest'ultima  città.  Pare, 
che  non  abbia  più  intenzione  di  essere  alla  ventura; 
né,  tampoco,  di  arruolarsi  per  anni.  Ma,  volentieri, 
farebbe  il  volontario,  durante  la  guerra,  rimanendo- 
gli il  grado  nella  truppa,  finito  il  bisogno.  Io  gli  ho 
scritto,  che  approvo  tutto  ciò,  che  farà,  inclusivamente 
il  naturalizzarsi  toscano;  ma  quella  di  non  tornare  al 
campo  mi  sembra  indegno  del  suo  nome.  —  In  pun- 
to, viene  persona,  che  riceve,  esattamente,  le  lettere 
del  suo  fratello:  questi  ti  consegnerà  questa  mia  let- 
terina. Martedì,  poi,  ti  scriverò  per  il  mezzo  del  tuo 
padron  di  casa.  Ti  prego,  poi,  di  rispondermi,  per  lo 
stesso  mezzo,  col  quale  riceverai  questa.  Sono,  già,  di- 
ciannove giorni  dalla  data  della  tua  ultima,  del  10  cor- 
rente; ma  i  fogli  danno,  sempre,  nuove  di  Venezia;  e, 
poi,  dal  di  13,  D.  Florestano  mi  fece  sapere,  che  stavate 
tutti  bene.  Sono  tempi  angosciosi,  sia  per  il  fisico,  che 
per  il  morale;  fa  caldo  eccessivo  e  siamo  in  pena  per 
tante  cose,  ma  io,  poi,  la  finisco,  dicendo:  fidiamo  in 
Dio!  —  Abbiamo  ricevuto  due  fogli  di  Venezia;  uno 
del  5  e  r  altro  del  14.  Scrivimi,  anche  tu ,  qualche 
volta,  per  la  posta,  dirigendo  la  lettera  a  mia  so- 
rella. Ti  abbraccio  e  benedico. 


AfT.ma  madre, 

Carolina. 


Tutti  i  parenti  bene. 

Al  signor 
Barone  Alessandro  Poerio, 
Venezia. 


—  180  — 
XCn.  La  Carolina  Poerìo-Sossisergio  ad  Alessandro  Poerio. 

Napoli,  31  Luglio  1848. 

Mio  carissimo  figlio, 

In  una  settimana,  ti  ho  scrito  cinque  o  sei  lettere: 
spero,  che,  alla  fine,  te  ne  perverranno.  Questa,  te  la 
darà  Tamico  Àssanti,  dal  quale  ho  saputo,  che  sei  in 
grandissima  pena  per  noi.  Grazie  al  cielo^  noi  stiamo 
bene  in  salute,  cosa  miracolosa  in  questi  momenti: 
ma,  qualche  volta,  l'orgasmo  morale  assorbisce  tutto 
e  la  parte  animale  resta  in  pace.  Tua  sorella,  che  vidi 
ieri  sera,  ti  abbraccia,  come  fanno  i  tuoi  nipoti.  Cep- 
pino mi  consigliò  di  scriverti  in  tedesco,  perchè,  così, 
là  polizia  non  avrebbe  capito.  Noi  abbiamo  uno  spet- 
tacolo marittimo:  13  Bastimenti  inglesi  si  sono  piaz- 
zati a  tiro  di  fucile,  per  conseguenza ,  in  contegno 
ostile.  Le  cose,  che  si  dicono  per  Napoli,  sono  infi- 
nite. Iddio  solo  le  saprà!  Si  crede,  per  avere  inden- 
nità ,    per  i  guasti  di  Messina.  Si  teng  ono  Consigli 
lunghi,  lunghi  di  molte  ore;  ma,  sin'ora,  si  sta  all'o- 
scuro. II  nostro  D.  Salvatore  Ferrari  è  Intendente  di 
Catanzaro.  Era  stato  ammalato,  da  molti  mesi;  aveva, 
perciò,  rinunziato  alla  deputazione:  poi,  ha  fatto  come 
Sisto  V.  Speriamo,  che  non  faccia  ulteriore  male  alla 
provincia  sua.  Sono  trentasei  giornj,  che  non  ho  lette- 
ra di  D.  Gregorio.  Gli  ultimi  100  ducati,  che  mi  mandò, 
te  ne  mandai  60,  pregando  D.  Guglielmo  di  passar- 
teli; ed  io  gli  ho,  già,  passati  a  D.  Florestano.  Tua 
zia  Antonia,  qui  presente,  ti  abbraccia;  Luisa,  dove 
fui  ieri  al  giorno,  per  vedere  l'imponenza  della  flotta^ 
ti  dice  tante  cose. 


—  181  — 

Caro  figlio,  ti  scrissi,  sabato,  quello,  che  avevo  detto 
o,  per  meglio  dire,  scritto  ad  Enrico,  cioè,  che  non 
approvavo,  che  si  fosse  ritirato  dal  servìzio  militare; 
vuol  essere  volontario  e  va  bene,  ma  ritirarsi  no.  I 
fogli  portano  notizie  sino  al  20  corrente;  ti  prego 
scrivermi,  almeno  una  volta  la  settimana,  consegnando 
la  lettera  a  Fonseca.  L'ultima  tua  era  del  10.  Addio. 
Tuo  fratello  è  cosi  impicciato,  che  non  ti  scrive.  Ti 
abbraccia,  per  mio  mezzo  ;  ed  io  ti  benedico  e  sono 

mff.ina  madre, 

Carolina. 

Al  Signor 

Barone  Alessandro  Poerio, 

Yenezia» 


XGin.  La  Carolina  Poerio-Sossisergio  ad  Alessandro  Poerio. 

Napoli,  1  Agosto  1848.  —  iV.°  1. 

Mio  carissimo  figlio, 

Sono,  da  molto  tempo,  priva  di  tue  lettere;  e,  cer» 
tamente,  non  posso  dubitare  della  tua  esattezza  nello 
scrivermi.  Dopo  tante  prove,  prendo  il  mezzo  della 
posta;  e,  siccome  ti  scrissi  sabato,  per  mezzo  di  Fon- 
seca, ieri,  per  mezzo  di  Assanti,  ti  scrivo,  oggi,  diri- 
gendo la  lettera  al  sig.  Giuseppe  Mondolfo.  Domani, 
ti  scriverò,  per  mezzo  del  vapore  francese,  per  via 
di  Roma.  E,  per  farti  conoscere  quante  volte  ti  scrivo 
in  un  mese,  ho  incominciato  il  numero  d' ordine  in 
questa  mia.  Da  ieri  ad  oggi,  non  ho  nulla  di  nuovo 
a  dirti;  solo,  che  la  venuta  della  flotta  inglese  è  stata 
per  affari  mercantili,  per  l'indennità  delle  perdite,  fatte 
dai  negozianti  inglesi  per  i  bombardamenti  delle  di- 


—  182  — 

verse  città  delle  due  Sicilie.  Questa  mattina,  abbiamo 
ricevuto,  dalla  posta,  il  ragguaglio  dell'affare  del  Forte 
Marghera;  ma,  già,  si  sapeva  dai  nostri  giornali.  Ora, 
si  attende,  con  ansia,  il  risultato  della  battaglia  sotto 
Verona.  Ieri,  mi  venne  a  vedere  Àjello;  e  mi  disse  di 
ringraziarti,  in  suo  nome,  della  brochure,  che  crede 
essergli  stata  mandata  da  te,  perchè  egli  non  conosce 
nessuno  in  Venezia,  né  de*  naturali  né  de'  nostri,  che 
avesse  potuto  pensare  a  lui.  Mi  ha  promesso,  di  por- 
tarmela a  leggere.  Ti  prego,  di  presentare  ì  miei  ri- 
spetti al  sig.  Tommaseo.  Io  Tamo  senza  conoscerlo. 
Io  pregai  D.  Lucia  di  scrivergli;  ma  essa  si  ricusò, 
dicendo,  che  l'amico  aveva  finito  di  corrispondere  seco, 
da  molto  tempo:  quindi,  non  voleva  essere  nojosa.  Io , 
se  fosse  possibile,  vorrei  avere  il  piacere  di  recarle 
un  bigliettino  dell'amico,  onde  si  persuada,  che...  è 
obblio.  Io,  questa  sera,  comincerò  a  scrivere,  come,  già, 
avevo  incominciato,  le  memorie,  che  tu  sai^  salvo  a 
voi  di  accomodarle  grammaticalmente  (397).Carlo  ti  ha 
scritto  tante  lunghe  lettere,  e  non  ti  riscriverà,  se  non 
riceve  qualche  tua  risposta;  sta  affaticato  e  (quel,  che 
è  peggio)  annojato  assai,  perchè  tutti  quelli,  che  vole- 
vano essere  impiegati  al  ministero,  vogliono  esserlo 
alla  Camera:  figurati  che  assedio  !  D.  Peppina  Guacci 
seguita  ad  essere  inferma:  le  ho  scritto  varie  volte. 
Ora ,  attendo  una  sua  risposta.  —  Addio  ,  carissimo 
figlio.  Il  cielo  ti  benedica,  come  fa  la  tua 

afE.roa  madre 

Carolina. 
Tutti  stiamo  bene  di  salute. 

Al  Signor 
Alessandro  Poerio, 
Venejtia. 


—  183  — 

XGIV.  La  Carolina  Poerio-Sossisergio  ad  Alessandro  Poèrio 

Napoli,  2  Agosto.  —  N.""  2, 

Mio  carissimo  figlio, 

Ti  scrissi,  ieri;  ti  riscrivo,  oggi,  perchè  mi  si  pre- 
senta l'occasione;  spero,  che,  finalmente,  ti  sia  capitata 
una  si  gran  quantità  di  mie  lettere,  che  ti  sarai  messo 
al  corrente.  La  flotta  inglese,  dopo  avere  incassato 
il  danaro,  è  partita.  Cosi,  ha  tolto,  a  tutti  i  partiti, 
il  divertimento  di  fare  delle  supposizioni,  una  con- 
traria alle  altre.  Ieri  sera,  fui  da  tua  sorella:  sta  bene 
con  tutta  la  famiglia.  Tuo  fratello,  anche,  sta  bene; 
ma  la  Camera  è  una  tale  stufa,  che  torna  come  in 
un  bagno.  Prima  di  andare,  va  a  bagnarsi  a  mare. 
Stiamo  con  grandissima  ansia,  aspettando  la  conferma 
della  battaglia.  Se  oggi  non  si  saprà  nulla,  è  segno, 
che  era  una  bubbola. 

Addi  3  Agosto. 

Caro  figlio,  il  mio  presentimento  si  è  avverato; 
anzi,  con  la  giunta  di  essere  Taffare  contrario  a  quel, 
che  si  diceva.  Temo  molto,  che  l'ultimo  verso  di  quella 
tua  ode  non  si  verifichi.  Basta,  confidiamo  nella  Prov- 
videnza. Il  mondo  non  è  stato,  mai,  tanto  imbrogliato, 
come  lo  è  ora.  Questa,  te  la  mando  per  il  solito  ca- 
nale francese.  Noi  stiamo  tutti  bene;  spero  Io  stesso 
di  te.  Ora,  riuscirà  più  diflScile  il  nostro  commercio 
di  lettere;  ora,  sarà  più  difficile.  Viene  la  persona  a 
prendere  la  lettera.  Ti  abbraccio  e  benedico. 

Aff.ma  madre, 

Carolin  a. 

Al  Signor 
Alessandro  Poerio, 

Venezia. 


XCV.  Alessandro  Poerio  alla  Carolina  Foerio-SoBsisergio  ed  a 
Carlo  Poerio,  eoo  postilla  di  Florestano  Pepe. 

Venezia,  4  Agnato  1848. 

Carissima  madre,  carissimo  fratello, 
Scrivo  due  righe,  in  fretta,  poiché,  soltanto  pocanzi, 
ho  saputo,  che  il  Generale  scrive  al  fratello;  e  voglio 
profittare  della  occasione. 

Ebbi  le  vostre  de'  18  e  23  Luglio;  inoltre,  due  let- 
tere attrassate:  l'una  del  26  Giugno,  l'altra  del  2  Lu- 
glio; finalmente,  una  del  26,  la  quale  mi  giunse,  ieri. 
Mi  rallegro,  che,  fra  tanti  dolori  ed  ansietà,  la  vostra 
salute,  almeno,  sia  buona,  come  anche  quella  de'aostrì 
parenti.  Mi  rimetto  alla  lunga  lettera,  scrittavi,  in 
data  de'28  Luglio,  per  la  via  di  Livorno.  Del  danaro 
ho  indugiato  a  far  uso,  restandomi  qualche  cosa  di 
ciò,  che  aveva;  cosicché  l'altra  rimessa  non  sarà  ne- 
cessaria, che  nel  Settembre.  Vi  ringrazio  delle  molte 
auiorevolezze,  che  mi  dite.  Lo  stato  deplorabile  del 
nostro  paese  mi  contrista  assai.  L'orizzonte  politico 
imbrusca  sempre  più.  Avrete,  ormai,  sapute  le  per- 
dite, sofferte  dall'esercito  piemontese,  sloggiato  dalle 
posizioni,  acquistate  con  tre  mesi  di  fatica;  e  questo 
è  danno  gravissimo,  ancorché  le  perdite  degli  Au- 
striaci, fra  morti,  feriti  e  prigionieri,  siano  di  gran 
lunga  maggiori.  In  sostanza,  nella  guerra,  il  vinci- 
tore è  colui,  che  rimane  padrone  del  campo  di  bat- 
taglia. Ma  le  cose  non  rimarranno  qui.  I  Francesi 
sono  stati  chiamati;  e  par,  che  vadano  d'accordo  eoa 
gl'Inglesi.  Abbiamo  nuove  da  Milano,  che  un  agente  i 
inglese  si  è  recato  al  campo  austriaco,  por  ottenere*] 
nna  Bospension  d'armi;  negata  la  quale,  sarà,  subitt^^ 


-  185  — 

proceduto  ali*  intervento.  Milano  arma,  potentemen- 
te; Genova  manda  guardie  nazionali  a  soccorrerla; 
Brescia  fa,  anche,  formidabili  preparativi;  Tentusia- 
smo,  che  parea  freddato,  si  riaccende  sotto  la  nuova 
«ventura.  Se  l'Austria  non  cede,  (né  par,  che  voglia 
cedere,  nella  ebbrezza  de*  presenti  trionfi  ) ,  avremo 
guerra  universale. 

Io  sto  mediocremente;  Taria  di  questo  paese  non 
mi  è  avversa;  e  starei,  anche,  meglio,  se  il  caldo  non 
fosse  intollerabile. 

Aspetto  due  righe  da  Carlo ,  dirette  a  Mondolfo 
(Giuseppe),  mio  padron  di  casa. 
^  Saluto  caramente  Carlotta,  Luisa,  Emilio.  Vi  bacio 
la  mano,  cara  madre,  ti  abbraccio,  caro  fratello,  e 
jnì  ripeto 

rostro  afif.mo, 

Alessandro. 

D.  S.  Raffaele  è  partito  per  Brescia,  con  la  sua 
brigata. 


* 


Con  gli  ossequi  di  F.  P.  Ora,  in  punto,  arrivata. 

Alla  Nobil  Donna 
La  Signora  Baronessa  Carolina  Poerio, 

Struda  del  Salvatore,  N.o  5. 

Napoli, 


XGVI.  La  Carolina  Poerio-Sossisergio  ad  Alessandro  Poerio 

Napoli,  5  Agosto  1848.  —  2V.*»  5. 

Mio  carissimo  figlio. 

Finalmente  (esclamo  come  fai  tu)  ho  ricevuto  una 
.tua  lettera,  dopo  tanti  giorni  di  angustie.  Grazie  al 


—  186  — 

cielo,  la  tua  salute  è  buona  !  questo  è,  per  me,  l'affare 
principale.  Che  posso  dirti  di  altre  cose?  Il  mondo 
è  sottosopra;  speriamo,  con  Tajuto  di  Dio,  che,  final- 
mente, si  quieti.  Capisco,  ora,  tutte  le  difficoltà  della 
tua  posizione,  ma  sappi,  che  il  Generale  ti  stima  assai; 
in  ogni  sua  lettera,  ne  parla  con  vantaggio.  Io,  questa, 
te  rinvio  alla  direzione  del  sig.  Bellinga.  Martedì, 
ti  scriverò  per  mezzo  dello  stesso,  che  mi  ha  man- 
dato la  tua,  che,  se  non  è  giunta  celeremente,  pure, 
mi  è  giunta.  Tu,  peraltro,  pare,  che  non  mi  abbi^scritto^ 
dal  dieci  al  23.  Il  genero  di  Giuseppino  è  venuto 
come  corriere  dal  Campo  di  Carlo  Alberto,  portando 
dispacci  per  il  nostro  Governo,  della  non  accetta- 
zione del  Duca  di  Genova  al  Trono  di  Sicilia.  E,  ve- 
ramente, oltre  i  suoi  imbarazzi,  mettersi  anche  que- 
sto addosso!...  Tuo  cugino  doveva  mandare  varie  copie 
del  suo  dizionario  di  Marina:  per  disperazione,  li  ha 
mandati  per  la  strada  di  Puglia.  Si  trovò  qui,  quando 
ricevetti  la  tua  lettera,  ieri  mattina;  ti  saluta  cara- 
mente. Questa  mane,  è  venuto  Àssanti.  per  aver  no- 
tizia del  fratello.  Io  V  ho  assicurato,  che  mi  avevi 
scritto,  che  stavate  tutti  bene,  ma  non  mi  avevi  par^ 
lato  in  particolare  di  Damiano. —  Addio,  caro  figlio. 
Martedì,  ti  scriverò  più  a  lungo.  Carlotta,  che  vidi 
ieri  sera,  ti  abbraccia.  D.  Giovanna  e  Zìa  Antonia 
pregano  tutti  i  santi  per  la  tua  salute.  Scrivendo 
alla  Contessa,  dille  tante  cose  da  mia  parte.  Sono  tua 

aff.mii  madre, 

Carolina. 
Tuo  fratello  ti  risponderà  martedì. 

Al  Signor 

Francesco  Bellinga, 

Yenexia* 


—  187  — 

XCVII.  Niccolò  Tommaseo  ad  Alessandro  Poerio. 

Caro  Poerio, 

Vi  mando,  anco,  la  sopraccarta;  veggiate,  che  fu 
stracciato  il  sigillo  un  po',  non  aperto. 

Barone  Poerio. 


XCVin.  La  Carolina  Poerio-Sossisergio  ad  Alessandro  Poerio. 

Napoli,  7  Agosto  1848.  —  iV.^  5. 

Mio  carissimo  figlio, 

Ieri,  fu  una  giornata  felice  per  me;  ricevetti  due 
tue  lettere,  una  del  15  e  Tjaltra  del  28.  La  prima, 
credo  che  la  rimettesse  il  sig.  Cirillo,  perchè  una 
mia  amica  mi  disse,  che  costui  aveva  una  lettera  per 
me,  e  voleva  consegnarla  in  mani  mie  proprie.  La 
seconda,  me  la  mandò  l'ottimo  General  Florestano, 
per  mezzo  del  quale  ti  rimetto  questi  pochi  righi.  Non 
scrivo  al  tuo  Generale,  per  non  togliergli  il  tempo, 
che,  per  lui,  è  prezioso;  solo,  gli  dirai  da  mia  parte, 
che  non  poteva  toccare  una  corda,  che  avesse  risuo- 
nato più  sonora,  per  il  cuore  di  una  madre,  come 
quella  di  fare  il  tuo  elogio.  Non  conoscendolo  per  adu- 
latore, credo,  che  siano  cose,  da  te  meritate.  È  molto 
dolorosa  la  dispersione  delle  mie  lettere:  in  esse,  ti  apro 
tutto  il  mio  cuore,  ti  dico  tutti  i  miei  più  intimi  pen- 
sieri. Ora,  spero  di  avere  assodata  una  corrispondenza 
più  diretta.  Senza  che  tu  me  l'avessi  scritto,  siccome 
dovevo  dei  ringraziamenti  al  sig.  Mondolfo,  gli  ho 
scritto,  anche,  dandogli  una  lettera  per  te;  altra  ho 


—  188  — 

diretta,  per  mezzo  di  Fonseca;  altra,  per  via  di  Roma; 
questa,  per  mezzo  di  Pepe  e,  domani,  un'altra,  per  mez*- 
zo  del...  negoziante»  che  mi  rimise  la  tua  del  28.  In 
una  delle  mie  lettere  perdute»  ci  dev*  essere  quella, 
con  la  quale  ti  pregavo  di  dirmi  il  luogo  della  tua 
abitazione.  Ora,  mi  dicono,  che  Venezia  non  ha  quasi 
più  che  il  Canal  Grande.  Non  posso  negarti,  caro 
figlio,  che  sono  in  gran  pena,  per  te.  Non  ti  ripeto 
le  nuove,  che  corrono,  qui,  una  contraria  all'  altra: 
ma  la  certa  pare  Vintervento.  Io  sono  assediata  da 
tutte  le  famiglie  de'  Crociati,  che  partirono  con  En- 
rico :  ora,  è  venuta  una  signora  Cicalese ,  il  cui 
fratello  era  in  Brescia  col  Battaglione.  Informati  cosa 
fa;  ora,  dev'essere  con  voi.  Caro  figlio,  questa  lettera, 
la  debbo  mandar  subito  al  negoziante,  perchè  è  lo 
stesso,  che  manda  la  lettera  del  Generale  Pepe:  e  mi 
ha  fatto  dire,  che  mandassi  al  momento.  Carlo  è  as- 
sente. Ti  scriverò,  per  mezzo  del  Nunzio,  poichò  la 
lettera  del  12,  che  hai  ricevuta,  la  mandai  per  suo 
mezzo.  Tutti  stiamo  bene:  le  tre  famiglie,  Donn' An- 
tonia. Addio;  ti  abbraccio  e  benedico. 

Afif.roa  madre 

Carolina, 

Al  Signor 
Barone  Alessandro  Poerìo, 

yenezia. 


XdX.  Alessandro  Poerìo  alla  GaroUna  Poerìo-Sossisergio. 

Venezia,  a  di  8  Agosto  1848. 

Carissima  madre, 

Ieri,  ebbi  due  lettere  vostre  :  Y  una  de'  29  scorso 
Luglio,  per  mezzo  del  fratello  del  nostro  amico,  pri- 


—  189  — 

gioniero  degli  Austriaci  (ed  a  lui  medesimo»  che  gen- 
tilmente se  ne  incarica,  consegno  la  presente);  1*  al- 
tra, poi,  mi  fu  data  dal  mio  buono  e  cordialissimo 
padron  di  casa,  al  quale  ho  piacere^  che  abbiate 
scritto  di  ringraziamento  per  le  molte  cortesie,  che 
mi  usa. 

Mi  è  di  somma  consolazione  il  sentire,  che  la  vo* 
stra  salute  e  quella  di  Carlo,  come  pure  de' nostri 
parenti,  è  buona.  Di  mio  fratello  non  ho,  poi,  rice- 
vute tutte  le  lettere,  che  voi  mi  dite;  Tultìma,  che 
mi  pervenne,  in  data,  se  non  erro ,  del  26  Luglio, 
parlava  della  causa,  da  lui  difesa,  nel  consiglio  su- 
bitaneo di  guerra.  Altre  sue  notizie,  le  ho  lette  nel 
Giornale  Costituzionale  de'28  Luglio.  Mi  duole,  che 
siate  stata  19  giorni  senz'  alcuna  mia  lettera.  Il  che 
mi  sembra  tanto  più  inconcepibile,  che  io  non  sono, 
mai,  stato  più  di  quattro  giorni  o  cinque,  al  massi- 
mo, senza  scrivere;  e,  sempre,  con  mezzi,  che  offri- 
vano ogni  guarentigia  di  fedele  ricapito;  e,  segnata- 
mente, più  volte ,  accludendo  le  mie ,  in  quelle  del 
generale  a  suo  fratello  Florestano.  Moltiplicherò  le 
lettere;  e  scriverò,  anche,  per  la  posta,  come  voi  mi 
*  suggeritef.  Frattanto,  è  una  buona  idea  quella,  di 
mettere  alle  vostre  il  numero  d' ordine;  cosi,  quando 
ne  viene  una,  saprò,  almeno,  quante  altre  se  ne  sie- 
no  disperse. 

Obbietto  di  questa  mia  è  parlarvi,  principalmente, 
di  me,  poiché  so,  che,  come  madre,  e  madre  affet- 
tuosissima,  v'  interessate  a  tutto  ciò,  che  mi  risguarda. 
La  mia  salute  è  mediocre.  Quest'aria  non  mi  è,  punto, 
avversa;  anzi,  credo,  che,  alla  lunga,  mi  gioverebbe 
assai.  E,  se  non  ne  ho  ricavato,  ancora,  tutto  il  van- 
taggio, che  me  ne  verrebbe,  si  dee,  da  una  parte. 


—  190  — 

attribuire  a!  caldo  umido,  che,  qui,  regna  la  state  e 
che  fa  male  anco  a*  sani ,  dall'  altra,  alle  ansietà  di 
animo,  che  non  possono  non  esercitare  la  influenza 
loro  sul  corpo.  Speriamo,  per  altro,  tempi  migliori. 
Ma  vi  ripeto,  che ,  della  salute ,  io  mi  contento  ;  e 
che  confido  di  potermi ,  a  poco  a  poco ,  ristabilire 
pienamente.  Poiché,  ad  onta  di  tante  vicende,  e  sotto 
gli  stessi  incomodi,  che  ho  ancora,  sento  fortificata 
la  fibra  ed  i  nervi,  alquanto,  calmati. 

Il  Generale  sta  benino;  e  meglio  starebbe,  se  fa- 
cesse una  vita  più  sistemata.  Figuratevi ,  che,  alle 
volte,  si  pranza  alle  undici  della  sera;  mai,  prima 
delle  otto  !  Egli  lavora  molto;  ed  è,  certamente,  be- 
nemerito di  questo  paese,  per  aver  introdotto  un  pò 
di  disciplina  tra  i  volontari,  e  migliorati  gli  ordina- 
menti di  guerra. 

Addio.  In  quanto  al  danaro,  vi  ho,  già,  scritto,  che, 
sebbene  io  avessi  urgente  bisogno  di  molte  cose , 
avrei  indugiato  sino  a'  principi  di  questo  mese ,  a 
prender  la  somma  di  ducati  sessanta,  tirando  innanzi, 
alla  meglio,  affinchè  non  vi  fosse  necessità  di  altre 
rimesse,  che  dentro  Settembre. 

Abbraccio  Carlo  e  Carlotta;  saluto  caramente  Luisa, 
Antonia  e  Peppino;  e,  baciandovi  la  mano,  con  filiale 
rispetto ,  mi  ripeto 

▼o.  affo, 

Alessandro» 

P.  S.  In  quanto  ad  Enrico,  non  mi  ha,  mai,  risposto; 
ma  ho  ricevuto  i  suoi  saluti  in  una  sua  lettera  ad 
Assanti.  Sono,  anch'  io,  del  parer  vostro. 

P.  S.  Sono  dolente,  che  la  Guacci  continui  ad 
essere  inferma.  Fatele  dire  tante  cose,  da  mia  parte. 


—  191  — 

Ad  Ajello  direte,  che  lo  ringrazio  della  memoria, 
che  serba  di  me.  Ed  io,  certo,  penso,  spesso,  a  lui;  ma 
non  ho  avuto  parte  alcuna  nell*  invio  fattogli.  Il  suo 
nome  è  conosciuto  da  molti. 


Alla  Nobil  Donna 
La  Signora  Baronessa  Carolina  Poerio. 

Strada  del  Salvatore,  lu  5. 
Napoli 


G.  La  Carolina  Poerio-Sossisergio  e  Carlo  Poerio 
ad  Alessandro  PArio. 

Napoli,  8  Agosto  1848.  —  NJ"  6. 

Mio  carissimo  figlio, 

Sono,  già,  sei  volte,  che  ti  scrivo,  in  questo  mese: 
neirultiraa  mia,  ti  avevo  detto,  che  ti  avrei  scritto 
giovedì,  ma  non  posso  resistere  al  desiderio  di  trat- 
tenermi teco;  e,  poi,  son  certa  di  darti  una  consola- 
zione e  non  voglio  trascurarla.  —  Noi  stiamo  bene: 
ieri  sera,  fui  da  tua  sorella.  Capisci  bene,  che  lieti 
non  possiamo  essere,  nelle  posizioni  attuali  ;  non  ò 
poco,  però,  di  mantenere  la  salute,  in  mezzo  a  tanti 
urti  morali;  ma  lasciamo  fare  alla  Provvidenza!  — 
II  mio  unico  divertimento  è  la  lettura.  Questi  giorni 
passati,  ho  letto  de'  numeri  del  giornale  di  Parigi  la 
lllustration.  Vi  è  un  bellissimo  articolo  di  un  gio- 
vane pittore  francese,  che  parla  istericamente  di  Ve- 
nezia  circa  le  due  fazioni,  che  servivano  a  dare  i 
campioni  per  la  Regata;  descrive,  poi,  Tultima,  fatta 
al  tempo  del  Congresso,  Tanno  scorso.  Vi  è  la  stampa, 
dove  vi  è  un  pezzo  del  Canal  Orando;  ed  io,  ad  ogni 


—  192  — 

easa,  mi  figuro,  che  sia  quella,  dóve  abiti,  e  ti  veggo 
sul  pergola  (398).  Ora,  questi  fascicoli  li  ho  dati  a  leg- 
gere ai  miei  nipotini.  I  quali,  non  puoi  figurarti,  in  me- 
no di  quattro  mesi,  che  progresso  hanno  fatto  nella 
lingua  francese:  leggono  e  parlano,  certamente  non 
benissimo,  ma  bastantemente  bene;  Vittorio  ha  miglior 
pronunzia.  Mia  sorella  s'  occupa  molto  de*  suoi  ni- 
potini. I  quali  non  crescono  mai;  tanto  che  gì*  Im- 
briani,  che  sono  cresciuti  molto,  vedendo  i  cugini, 
esclamarono  a  coro:  come  siete  diventati  piccini! 
Di  Enrico ,  dopo  che  gli  ho  mandato  la  roba ,  non 
ne  ho  avuto  più  le^ra;  se  non  avessi  saputo,  che 
ha  scritto  ad  altri,  sarei  in  pensiero.  In  punto,  si  ri- 
tira  Carlo  dal  Parlamento,  con  la  nuova  di  un  ar- 
mistizio di  due  mesi.  —  Caro  figlio,  amami  e  ti  be- 
nedico. 

aff.ma  madre 

Carolina. 
Al  Generale,  i  miei  rispetti.  » 

Carissimo  fratello, 

Le  notizie  di  Lombardia  ci  hanno  tenuto  e  ci  ten- 
gono nella  massima  agitazione.  Questa  mattina,  final- 
mente, si  è  saputo  l'armistizio  di  due  mesi,  conchiuso 
per  mezzo  deirinviato  Inglese,  giacché  l'ajuto  francese 
era  condizionato  alla  invasione,  per  parte  degli  Au- 
striaci,  de*domint  della  Casa  di  Savoja,  ossia  al  pa»* 
saggio  del  Ticino.  Si  aggiunge,  per  altro,  che  Milano 
è  seriamente  minacciata,  poiché  Radetzky  si  é  por- 
tato, col  grosso  dell'  esercito ,  tra  Milano  e  Brescia, 
ed  impedisce  i  mutui  soccorsi.  Qui,  le  cose  vanno 
al  solito.  Se  vi  fosse  senno  per  parte  de*  Governanti 


—  193  — 

e  dei  governati,  le  nostre  condizioni  potrebbero  mi» 
gliorare.  Ma  la  voce  della  ragione  resta  muta,  in 
mezzo  al  tumulto  delle  passioni.  Aggiungi  la  crassa 
ignoranza  e  1'  accidia  vergognosa  di  quella  classe, 
che,  in  ogni  paese,  forma  il  nerbo  della  nazione.  Per 
^òpràssoma ,  vi  è  la  licenza  di  alcuni  militari ,  che 
disonorano,  con  le  loro  violenze,  l'onorata  divisa  del 
soldato.  Tutto  ciò,  come  vedi,  non  promette  un  av- 
venire ridente;  ma  bisogna  combattere,  virilmente  e 
sapientemente^  per  tema  di  peggio.  Ad  onta  del  vo- 
to di  censura,  il  Ministero  Bozzelli,  che  aveva  dato 
la  sua  dimissione,  resta  al  potere.  Doveva  suri*ogarlo  il 
lilinistero  Filangieri,  Carrascosa  (Michele),  Fortunato,. 
Nicolini  ecc.  È  il  vero  caso  dei  sonetti,  presentati  a 
Nicola  Capasso  (398).  Emilio  sta  bene;  ed  è  il  relato- 
re alla  commissione  per  la  legge  sulla  guardia  naziona- 
le, che  sarà  discussa  quanto  prima.  Altre  importantis- 
sime leggi  si  stanno  preparando;  e,  tra  breve,  saremo 
occupatissimi.  Riverisco  l'ottimo  Generale;  e  lo  rin- 
grazio di  vivo  cuore.  Abbraccio,  poi,  caramente,  Da  - 
miano  ed  Ulloa.  Ti  raccomando  un  milite,  che  chia- 
masi Giuseppe  de  Giuseppe.  Vedi,  se  il  Generale  pu  ò 
prenderlo  con  sé.  Egli  (in  confidenza)  è  figlio  natu- 
rale del  March.  Giuseppe  Ruffo.  È  istruito  e  docile.  D  i 
nuovo  ti  abbraccio  di  tutto  cuore. 

Tuo  aff.mo  fratello 

Carlo  Poerio 

Al  Signor 

Sig.  Francesco  BeUìnga 

Yenexia. 


13 


—  194  — 


CI.  La  Carolina  Poerio  Sossisergio  ad  Alessandro  Poerio. 


Napoli,  10  Agosto  1848.  iV.^  7. 


Mio  carissimo  figlio, 

Profitto  del  mezzo  del  Nunzio,  per  mandare  la  pre- 
sente in  Roma.  Ora,  che  tutto  è  scombussolato  nell'alta 
Italia,  la  nostra  corrispondenza  sarà  più  difficile;  vo- 
glio credere  di  trovare  qualche  mezzo  per  Ancona: 
da  quella  città,  sarà  più  facile  arrivare  a  Venezia. 
Puoi  figurarti,  caro  figlio,  come  io  stia  intenta.  Di 
Venezia,  su  i,  fogli,  non  se  ne  parla,  dopo  la  intiaia- 
zione,  fatta  dal  Generale  Austriaco.  Qui,  si  sta  tran- 
quilli; e  di  salute  stiamo  bene,  specialmente  io:  mi- 
racolo delia  Provvidenza  !  Qui,  si  vocifera,  che  le  no- 
stre truppe,  che  son  pronte  per  la  Sicilia,  partiranno, 
invece,  per  unirsi  ai  Tedeschi,  sbarcando  in  Roma- 
gna oppure  attaccando  Venezia  per  mare.  I  nostri 
fogli  !  Il  Tempo  dice,  che  i  Francesi  non  interver- 
ranno; e  La  Libertà  Italiana  dice  di  si:  a  chi  cre- 
dere? Carlo  ti  scrisse,  ieri,  per  la  posta;  di  tuo  zio 
nulla  si  dice.  Di  Enrico,  ieri,  ho  ricevuto  lettera  del 
4  corrente.-  Sta  bene;  ma,  al  momento  di  dover  com- 
binare qualche  cosa  sul  suo  afifare,  è  caduto  il  Mi- 
nistero Toscano  e  si  sta  ricomponendo.  È  un  atroce 
destino  quello  della  povera  Italia,  ma  io  confido  nella 
Provvidenza.  Tu,  intanto,  sta  pure  tranquillo  sul  no- 
stro conto:  pensa  alla  tua  preziosa  salute.  Tutte  le 


—  195  — 

famiglie  stanno  bene;  tutti  gli  amici  ti  salutano  ;  ed 
io  ti  abbraccio  e  benedico. 

Aff.m»  madre 

Carolina. 

Al  Signor 
Barone  Alessandro  Poerio 

Allo  Stato  Maggiore  del  General  Pepe 
[Servizio  Militare) 

Venezia 


CI.  Alessandro  Poerio  a  Carlo  Poerio. 

Venezia,  10  Agosto  1848. 

Caro  fratello, 

Ieri,  scrissi  a  nostra  madre  ;  ora,  ti  accludo  due 
rigbe,  nella  lettera,  che  il  Generale  manda  a  Flo- 
restano. I  militari  napoletani,  spinti  dalle  continue  in- 
sistenze del  Governo,  se  ne  son  voluti  tutti  andar 
via.  Si  assicura,  che  il  nostro  Governo ,  con  ordine 
del  giorno  del  18  passato  mese,  abbia  destituito  il 
Generale.  Fa  maraviglia,  che  di  ciò  non  si  sia  parlato 
nella  Camera;  dico  in  quella  de'  Deputati,  poiché  Tal- 
tra  è  venduta  al  Governo. 

Il  Generale  è  risoluto  a  non  accettar  gradi  né 
onori;  ed  a  ritirarsi  nella  vita  privata,  dopo  la  guer- 
ra della  indipendenza:  benché,  presso  Carlo  Alberto, 
non  potesse  mancargli  il  più  alto  favore.  Egli  é  fer- 
mo in  questa  risoluzione  ;  ed,  ora  più  che  mai,  at- 
tende alla  difesa  di  Venezia.  Par  vero,  che  i  Tede- 
schi sien  entrati  a  Milano;  ma  è  vero,  ugualmente. 


—  196  — 

che  i  Francesi  calano  in  difesa  d*  Italia.  La  guerra 
generale  è  imminente;  né  dubito  dell'esito.  Addio. 

Tuo  afT.mo  fmullo 

Alessandro. 

P.  S.  Ringrazia  Florestano,  di  avere  scritte  tante 
cose,  in  mio  favore,  a  suo  fratello. 

Al  Signor 
Sig.  Carlo  Poerio,  Deputato, 
in  Napoli, 


Gn.  Alessandro  Poerio  alla  Carolina  Poerio-Sossisergiò 

e  a  Carlo  Poerio. 

Venezia,  14  Agosto  1848. 

Carissima  madre,  carissimo  fratello, 

Vi  ho  scritto,  oggi  stesso,  più  a  lungo,  per  la  via 
di  Livorno;  questa,  la  mando  per  la  posta,  facendo 
rindirizzo  a  Zìa  Luisa,  la  quale  caramente  saluto  e 
riverisco.  Obbietto  della  presente  è  il  dirvi,  che  la 
mia  salute  è  mediocre,  e  che  non  crediate  alle  tadte 
dicerìe,  che  vanno  attorno.  Il  Generale  sta,  anch*e- 
gli,  benino;  come  Assanti,  che  è  dolente  di  sentire^ 
che  Cosimo  non  avesse  ricevuto  sue  lettere.  L'  ul- 
tima vostra ,  pervenutami ,  è  quella  del  5  corrente. 

II  caldo  è  grande;  tanto  più,  che,  da  un  pezzo  in 
qua ,  non  è  caduta  una  stilla  di  pioggia.  Continue- 
remo a  stare  in  questa  Venezia,  eh'  è  pur  bella.  An- 
che, in  mezzo  ad  ansietà  e  sollecitudini,  una  corsa  pel 
Canal  grande,  una  visita  a  grandiosi  ediflzt,  solleva 


—  197  — 

e  conforta.  Godo,  che  la  vostra,  salute  sia  soddisfa- 
cente. Ad  Antonia,  tante  cose.  Abbraccio  Carlotta;  e 
saluto  i  suoi.  Vi  bacio  le  mani;  e  mi  raffermo,  con 
filiale  tenerezza  e  fraterno  amore, 

Y.^  aff.m.o  figlio  •  frauUa 

Alessandro. 

Alla  Nobil  Donna 
La  Signora  Baronessa  Luisa  Parrilli. 

Strada  Banchi  nuovi,  N.<>  13. 
Napoli. 


Cm.  Giuseppe  Mondolfo  ad  Alessandro  Poerio. 

Venezia,  17  Agosto  1848. 

Amico  Pregiatissimo, 

Affari  importanti,  cioè  vari  miei  crediti  in  grande 
pericolo,  mi  obbligano  allontanarmi,  per  qualche  gior- 
no, da  Venezia.  Quantunque  vi  dissi,  varie  volte,  che 
dovete  calcolarvi  padrone  di  casa  e  non  far  compli- 
menti, pure,  ve  lo  replico,  in  questa  circostanza,  or^ 
dìnando  a  tale  oggetto  la  servitù  di  casa,  onde  vi 
riguardino  come  un  altro  me  stesso.  — -  Nel  deside- 
rio di  rivedervi  presto,  vi  rinnovo  le  sincere  espres- 
sioni di  stima  ed  amicizia. 

L*  aff.mo  amico,    • 

Oius.  Mondolfo. 

Pregiatissimo 
Barone  Sig.  Alessandro  Poerio 


CIV,  La  Carolina  Poarìo-Sassisergìo 
ad  Alasaandro  Poerìo. 


Mio  carissimo  I 
In  punto,  ricevo  la  tua  letterina,  in  data  dell'otto 
corrente,  vale  a  dire,  ignara  di  tutta  la  catastrofe 
di  Carlo  Alberto.  Noi  ti  abbiamo  scritto,  in  data  del 
13;  ti  abbiamo  detto  il  nostro  sentimento.  Qui,  stiamo 
tranquilli.  Non  ti  dico  altro,  perchè,  forse,  questa  mia 
non  ti  troverà  in  Venezia.  Spero,  subito,  ricevere  al- 
tre tue  lettere.  Quel,  che  mi  dici  della  tua  salute,  ò 
veramente  miracoloso,  in  mezzo  a  tante  angustie,  come 
la  tua  salute  si  mantenghi  più  tosto  bene.  Sento,  però, 
che,  da  ora  innanzi,  la  stanza  di  Venezia  è  malsana. 
Ieri  sera,  fui  da  tua  sorella,  che  è  in  pena  per  te; 
subito,  le  farò  sapere  le  tue  nuove.  Non  ti  parlo  di 
nulla,  perchè  son  quasi  certa,  che  questa  mia  non  ti 
troverà  in  Venezia:  ad  ogni  modo,  penso  questa  mia 
farla  partire  per  la  posta,  con  la  soprascritta  al  tuo 
Padron  di  casa.  Le  nuove  della  Guacci  sono  meno  tri- 
sti, da  qualche  giorno:  un'angina  sopravvenuta,  pare, 
che  abhia  sgombrati  un  po'  i  polmoni.  Dirò  ad  ^ello 
la  tua  imbasciata.  AI  momento,  che  ti  scrivo,  sono 
assordata  dal  rimbombo  delle  carrozze  de'  Pari,  per- 
che prendono  possesso  cinque  nuovi  nominati.  Addio, 
carissimo  figlio,  ti  abbraccio  e  benedico.  Tanti  com- 
plimenti al  tuo  Padron  di  casa:.  Sono 


Zia  Luisa,  Antonia  ti  salutano. 


—  199  — 

Napoli,  17  Agosto  1848. 
Carissimo  fratello, 

*  Ci  giunge,  finalmente,  la  tua  carissima  del  di  otto 
corrente;  e  godo,  che  la  tua  salute  sia  buona.  Noi 
stiamo  bene ,  come  anche  gli  Imbriani  e  i  Parrilli. 
Ti  scrissi,  in  passata,  che  attendeva  conoscere  quale 
era  la  tua  determinazione,  dopo  i  disastri  dell'eser- 
citó  piemontese;  se,  cioè,  avresti  seguito  l'ottimo  tuo 
Generale,  ovvero  ti  fossi  condptto  in  Toscana,  per 
godere  di  un:  poco  di  riposo.  Colà,  hai  molti  amici;  e 
potrai  utilmente  occuparti.  Qui  ,   le  cose  vanno   al 

solito.  La  Camera  è  occupata  del di  molte  leggi 

iiàpbftanti,  Emilio  è  relatore  di  quella  sulla  Guar^ 
dia  Nazionale.  Ma.  forse,  ìa  Camera  sarà  prorogata. 
Leggerai,  nel  foglio  uflSciale,  come  il  Generìale  Nun- 
ziante abbia  creduto  di  dovere  atlaccare  me  e  Mu- 
ratori'. Domani,  che  avrà  luogo  la  prima  tornata  dopo 
la  suddetta  pubblicazione,  risponderò,  dalla  tribuna, 
coti  moderazione  e  dignità.  La  Guacci  sta  alquanto 
meglio.  Non  cosi  il  Marchese  Ruffo.  Ti  ricordo  a  que- 
sto proposito,  che  ti  ho  raccomandato  il  Sig.'  Giu- 
seppe di  Giuseppe,  che  è  figlio  naturale  del  suddetto 
Marchese;  é  ti  ho  rimessa  una  lettera  per  lui.  Questo 
ottimo  giovane  serve  come  volontario.  Se  hai  no- 
tizie della  Gozzadini,  non  defraudarmene.  Ho  saputo, 
che  la  magnifica  armeria  antica  del  marito  è  andata 
dispersa.  Saluto,  caramente,  Mondolfo  ed  i  tuoi  com- 
pagni. Riverisco  l'ottimo  Generale;  ed,  abbraccian- 
doti di  tutto  cuore ,  mi  ripeto ,  per  la  vita , 

tuo  aff.mo  fratello, 

Carlo. 

Signor 
Barone  Alessandro  Poerio 

in  Venezia 


—  200  — 


GV.  La  Carolina  Poerio  Sossisergio  ad  Alessandro  Potrio. 

Napoli,  19  Agosto  1848.  — iV.°  10. 

Mio  carissimo  figlio. 

Dopo  la  tua  del  di  8,  non  ho  avuto  più  tue  nuove; 
e  pare,  'che  gli  avvenimenti  sieno  tali ,  che  avresti 
dovuto  farmi  sapere  le  tue  risoluzioni.  Quando  gli 
avvenimenti  umani  superano  la  preveggenza  de*  più 
s^vl,  bisogna  dire,  cristianamente:  Iddio  così  ha  vo- 
luto !  Nessun  foglio  parla,  se  siete  usciti  o  pur  no 
da  Venezia.  Non  s^,  se  hai  seguito  o  pur  no  il  Ge- 
nerale. Infine,  siamo  alFoscuro  di  tutto.  Io  sarò  in- 
discreta col  tuo  Padron  di  casa,  ma  gli  fo  un  altro 
rigo,  accludendogli  questi  pochi  righi  per  te,  che  potrà 
inviarti,  dove  ti  trovi.  Noi  stiamo  tutti  bene.  Spero , 
che  la  tua  salute  non  abbia  sofferto.  Carlo  ti  scrisse 
in  passata.  Amami  e  credimi 

tHa  aff.tna  madre, 

Carolina. 

P.  S.  In  punto,  ricevo  la  tua  del  di  14  corrente, 
diretta  a  mia  sorella.  Scrivimi,  sempre,  per  la  posta« 
come  farò  io  :  avessimo  fatto,  sempre,  cosi  !  Addio. 

Al  Signor 
Il  Signor  Alessandro  Poerio. 

Yenezia 


—  201  — 
evi.  Enrico  Poerio  ad  Alessandro  Poerio. 

Firenze,  19  Agosto  1848^ 

Carissimo  Alessandro, 

Finalmente,  ricevo  una  tua  lettera;  degli  11  Luglio; 
e  vi  rispondo,  subito,  acciocché  tu  non  dica,  come  ho 
sentito  da  Gas^on,  che  non  ti  scrivo  mai.  Io  ti  ho 
scritto,  molte  volte;  e  tu  non  avrai  ricevute  le  mie 
lettere,  come  io  non  ho  ricevute  le  tue.  In  quanto 
alle  nuove  di  casa,  posso  dirti,  che  Zia  Carolina  mi 
scrive,  sempre.  Dalle  sue  lettere,  benché  apparisca 
deploràbilissimo  lo  stato  del  paese,  pure,  si  conosce, 
che  essi  non  sono  tormentati  e  che  stanno  in  buona 
salute.  Carlino  non  mi  ha  scritto,  mai;  egli  è  depu- 
tato alla  Camera.  Hai  ragione  in  quanto  dici  del 
Regno.  Per  me,  vi  ho  rinunziato;  e,  se  sono  venuto 
in  Toscana,  é  stato,  per  trovarvi  quel  ricovero  antico 
e  vecchio  della  famiglia  nostra.  Seppi,  che  qui  si  for- 
mava una  nuova  leva;  e  ci  venni,  sperando  di  en- 
trarvi, essendo  passata  alle  Camera  la  leggQ ,  che 
preferisce  coloro,  che  si  sono  distinti  sul  campo  di 
battagha.  Ho  chiesta,  anche,  la  naturalizzazione  to- 
scana; e  l'otterrò.  Credo,  che  approverai  il  mio  pen- 
siero. Voglia  Iddio,  che  la  guerra  cominci  con  tutto 
Tardore  possibile;  ed,  allora,  ritornerò^  come  militare 
vero,  sul  campo  dell'onore.  Non  ti  parlo  dell'esito,  che, 
finora,  ha  avuto  la  guerra;  non  potrei  dirti,  che  quello, 
che  tu  senti:  dolore  e  vergogna!  Misera  Italia  1  Ho 
saputo,  che,  dapprima ,  disapprovasti  Y  esser  io  ve- 
nuto via  dal  battaglione,  e  il  non  avervi  tutti  rag- 
giunti a  Venezia.  Ma  sento,  che,  ora,  convieni,  che 


doveva  io  regolarmi  cosi.  Infatti,  non  era  più  deco- 
roso restare  fra  quella  canaglia,  che  rimaneva  del 

battaglione.  Avrei  voluto  venire  a  Venezia;  e  scrissi 
a  Damiano,  il  quale  mi  rispose,  che,  se  volevo  venire, 
doveva  venire  col  battaglioDe,  non  potendo,  staccato 
da  esso,  ottener  nulla,  per  il  gran  numero,  che  c'era, 
a  Venezia,  d'ufBziatì  :  quindi,  mi  sono  attenuto  alla 
risoluzione  di  rimanermi  in  Toscana,  che  per  me  è 
seconda  patria.  Saluta  il  Generale  ,  Ulloa,  Cosenz  e 
tutti  gli  amici  ;  mentre  ,  abbracciandoti  caramente  , 
mi  dico 

tua  ftir.iDO  cuEÌno  •  trxmik 

Enrico  Poerio. 
P.  S.  Ti  prego  di  dare  l'acclusa  a  Roaaroll. 


Signor  AleBsaudro  Poerio, 

pres-w  il  Generale  Pepe. 


cm.  Girolum  Sfbnà-BiiMri  ad  Ueisandro  Paarfo. 

Vercelli,  21   Agosto  18481  :l 

Egregio  Alessandro, 

I  luttuosi  avvenimenti  di  Milano,  dei  quali  fui  testi- 
mone, (e,  per  poco,  non  ne  rimasi  vittima,)  mi  getta- 
rono nell'anima  tanta  costernazione,  che  non  avrei 
potuto  prima  d'ora  raccogliere  due  idee  per  metterle 
insieme.  Quanto  è  accaduto,  in  Vicenza,  sotto  ai  miei 
occhi,  non  6  che  una  debolissima  imagine  dei  casi  ifi.  j 
Milano.  Già,  fino  dall'annunzio,  avere  t'esercito  i 


ne  dei  casi  <&■ 
esercito  pa»^H 


—  203  — 

sato  TAdda,  si  sparse  tale  un  terrore  per  la  città,  che 
quasi  tutti  i  ricchi  ed  i  nobili^  vigliaccamente,  pensa- 
rono a  mettersi  in  salvo,  parte  trasportando  sé,  le 
famiglie  e  gli  effetti  in  Svizzera,  parte  in  Piemonte; 
e,  ai  più  atterriti,  non  parve  d'essere  garentitì,  fino 
a  che  non  avessero  frapposto,  fra  loro  ed  i  tedeschi, 
i  mari  e  i  monti.  Tutti  i  membri  del  Governo  Prov- 
visorio, tutti  quelli  de*  Comitati,  V  istesso  Generale 
Lochi,   perfino  due  membri  del  Gomitato  di  Difesa  , 
Maestri  e  Rastelli,  abbandonarono,  vergognosamente, 
il  loro  posto.  La  città  rimase  in  preda  al  popolaccio. 
LMstessa  Guardia  Nazionale  si  disciolse;  e  fece  chiu- 
dere tutti  i  corpi  di  guardia.  I  Milanesi  hanno  oscu- 
rato, per  sempre,  la  gloria  delle  loro  cinque  giornate. 
Nel  palazzo  del  Governo  al  Marino ,  non  si  trovò , 
fermo  al  suo  posto,  che  il  Generale  Fanti;  ed  io,  che 
era  divenuto  suo  ajutante,  assieme  ai  due  miei  col- 
leghi Menotti  e  Beaufort,  non  lo  abbandonammo.  Ti 
assicuro,  che  passammo  un  brutto  rischio,  perchè  il 
popolo,  che  tu  sai  come   ragioni  sempre,  se  V  avea 
pigliata,  proprio  con  noi,  per  non  aver  altri,  su  odi 
sfogare  la  giusta  sua  ira.  Si  chiamava  tradito;  e  ad- 
ditava, in  noi,  i  traditori.  Dopo  avere  trionfato,  pella 
nostra  franchezza,  delle  minacce,  ripetuteci  sulla  piazza 
colla  punta  della  bajonetta,  fummo  costretti  di  rima- 
nerci, quattr'ore,  in  Palazzo,  mentre  quella  sfrenata 
moltitudine  pretendeva,  che  il  Generale  assumesse  il 
poter   dittatorio  e  proclamasse  la  difesa  della  Città 
ad  ogni  costo,  quando  il  Re  avea  capitolato  e,  quin- 
di^ l'esercito  non  voleva  più  battersi  e  tutto  era  ca- 
duto nelFanarchia  più  completa.  Basta,  quando  a  Dio 
piacque,  ce  ne  andammo  di  là,  per  ricadere  in  una 
prigione,  ancora  più  stretta.  Dovemmo  trasferirei  al 


—  204  — 
ite  di  Carlo  Alberto;  da 
fu  più  permesso  l'uscire,  per  parte  di  una  luoltilu- 
dine  di  gente,  tutta  dell'infima  plebe,  e  che,  certo,  non 
avea  nessun  colore  politico.  La  quale,  dopo  avere  tu- 
multuato ed  invaso ,  perfino  ,  l'  atrio  e  le  scale  del 
Palazzo,  minacciando  il  Re  e  chi,  innocente  o  colpe- 
vole, s'era,  in  quel  momento,  lasoiato  cogliere  presso 
luì,  si  discìolse,  venendo  la  sera,  riducendosi  a  circa 
20  persone.  Queste,  però,  bastarono  a  cominciare  un 
fuoco ,  eccellentemente  nutrito,  di  circa  quattr"  ore, 
cercando,  perfino,  alla  fine,  di  incendiare  la  porta  dt 
strada;  e,  se  non  sopragyiungeva  un  battaglione  di 
linea  ,  in  mezzo  al  quale  ce  ne  andammo  ,  io  non 
so  altro,  se  non  che  sì  sarebbe  finita  assai  male. 
Presentemente,  io  mi  trovo  in  Vercelli,  dove  si  ria- 
niscono  e  si  riorganizzano  t  resti  dell'armata  lon]>- 
barda:  miserabile  cosa  in  vero;  e  tanto  disordinati, 
ohe  fa  male  il  vederli.  Che  si  fa rÀ  dopo  l'armistizio, 
non  so:  ma  lo  non  ho  più  coraggio  dì  sperar  bene 
pella  nostra  causa.  Ora,  l'esercito  è  demoralizzato; 
Generali,  giustamente  discreditati;  il  Re,  incapace  dì 
levarseli,  una  volta,  d'attorno  e  circondarsi  di  pochi 
e  buoni;  l'officiaììtà,  minimamente  compresa  di  ver- 
gogna per  il  male  esito  delle  armi,  ma,  piuttosto, 
stolidamente  contenta  dì  aversi  finalmente  la  pace  e 
dì  potere  mostrare  il  bel  personcino  pei  caffè  e  pei 
passeggi;  il  partito  aristocratico,  più  che  mai  inca- 
ponito a  volere  la  pace.  Che  vuoi  fare  con  simile 
materiale?  Impossibile  rientrare  in  campagna,  quando 
la  Francia  non  intervenga;  ma  troppo  tempo  si  è 
concesso  ai  maneggi  diplomatici ,  per  poter  sperare 
questo  soccorso  ,  certo  non  molto  onorevole  per  la 
nazione,  ma,  alfine,  necessario;  e  troppo  i  realisti,  ch»J 


,  ch«H 


—  205  — 

sono  tre  terzi  dello  stato,  paventano  la  venuta  dei 
francesi  repubblicani.  Vedremo  Tesito  della  missióne 
di  Tommaseo:  è  Tunica  speranza  rimasta,  che  Venezia 
repubblicana  confonda  la  vecchia  diplomazia  nelle  te- 
nebrose sue  operazioni.  Io,  se ,  qui ,  non  si  dovesse 
continuare  la  guerra  e  se,  in  qualche  maniera,  Ve- 
nezia si  sostenesse ,  ho  intenzione  di  riparare  nelle 
sue  lagune.  Garibaldi,  dopo  aver  messo  una  contri- 
buzione di  14000  franchi  ed  averne  ricevuti  metà 
dalle  Monache  di  Àrona,  risalì  il  lago,  impadronen- 
dosi dei  battelli  a  vapore  e  di  tutte  le  barche;  e  battè 
400  austriaci,  a  Como  o  in  quelle  vicinanze.  Io  credo, 
che,  ora,  si  sia  unito  con  d'Apice,  che  deve  avere  sette 
mila  uomini.  Durando  è,  già,  venuto  in  Vercelli  colla 
sua  truppa,  circa  4000  uomini.  Tutto,  oramai,  ha  cedu- 
to: Peschiera,  Brescia,  Rocca  d'Anfo,  tranne  Venezia. 
Essa  è  rimasta  il  propugnacolo  della  libertà  Italiana. 
Chi  sa,  che,  da  essa,  non  si  estenda,  di  nuovo,  Tindi- 
pendenza  su  tutti  gli  altri  territori;  e,  questa  volta, 
per  consolidarvisi.  Di  Napoli  hai  notizie?  e  della  tua 
famiglia  ?  Tu  mi  risponderai  in  Vercelli,  al  mio  indi- 
rizzo, ferma  in  posta...  Perdona  il  cattivo  carattere; 
e  vivi  persuaso  della  stima  ed  amicizia  immancabile 

del  tao  aff.mo 

G,  Sforza-Bissari. 

Mi  scriverai  dello  spirito,  dal  quale  sono  animati 
i  Veneziani  e  le  truppe,  che  vi  si  trovano;  e,  se,  anche 
nel  caso,  che  la  flotta  Piemontese  si  ritirasse,  avete 
credenza  di  sostenervi. 

Onorevole  Signore 
il  Éarone  Alessandro  Poerio, 

Presso  S.  E.  il  Generale  Pepe, 
Yenesia. 


CVm.  Alessandro  Poeiio  alla  Caialina  Poerio-SosaiBergio 
ed  a  Carlo  Foerio. 


Venezia,  a  di  30 


Carissima  madre,  carissimo  fratello, 
Non  avendo  occasione  particolare  di  scrivervi,  mi 
valgo  del  mezzo  della  posta,  come  feci,  anche,  quattro 
0  cinque  giorni  fa,  dirìgendo  la  lettera  a  Zia  Luisa, 
ctie,  caramente,  saluto.  Delle  nuove  politiche  è  inu- 
tile, che  io  vi  parli,  rilevaniiole  voi  da  fogli.  Avrete 
saputo  i  disastri  dell'  esercito  sardo  e  la  conven- 
zione de'  9  Agosto,  ch'equivale  ad  un  abbandono 
delle  Provincie,  insorte  contro  l'Austria.  Venezia,  per 
altro,  è  risoluta  a  difendersi ,  dovessero  anche  par- 
tire, si  la  truppa  di  terra,  che  la  flotta  del  Re  di 
Sardegna.  Finora ,  benché  la  convenzione  sia  stata 
comunicata  officialmente,  l'ordine  positivo  non  è,  aib- 
cor,  giunto;  ma  può  giungere,  da  un  giorno  all'al- 
tro. Si  spera,  che,  almeno,  qualche  vapore  francese 
sia  per  venire  in  queste  acque,  per  impedire  il  bloc- 
co da  mare,  che  la  flotta  austriaca  farebbe,  tosto- 
chè  si  allontanasse  la  sarda.  Mu,  anche  bloccata  da 
mare,  Venezia  è  atta  a  resistere  più  mesi;  e  ,  del- 
l' armistizio  stipulato  per  sei  settimane  ,  sono ,  già, 
corsi  dieci  giorni.  E,  poi,  impossibile,  che  le  cose  non 
si  chiariscano  in  breve.  Il  linguaggio  della  Francia  è 
molto  energico  ;  ed,  io  caso  che  le  sue  proposizioni 
sieno  rigettate  dall'Austria,  la  guerra  è  inevitabile. 
Io  credo,  che  l'Austria  non  cederà.  Lettere  del  Pift- 
monte  annunziano  grandi  armamenti.  Da  Milano,  poi, 
l'emigrazione  è  tanto  considerevole,  che  la  città  pa^ 


—  207  — 

dirsi  deserta.  Se  Brescia,  Como  e  Bergamo  saranno 
occupate  dagli  Austriaci,  avverrà  lo  stesso.  È  caso 
miserando  ed  unico  nelle  storie  moderne.  Noi  stiamo, 
qui,  di  buon  animo;  e,  finora,  non  abbiamo  sofferto 
alcuna  privazione,  avendo  anco  i  gelati.  Il  caldo  ò 
oppressivo.  Ed  a  questo  ed  alle  ore  troppo  tarde  del 
desinare  del  Generale,  attribuisco  Tesser  poco  bene 
di  stomaco.  Ma  è  piccola  cosa;  per  rimettermi,  so- 
no ,  spesso,  obbligato,  ad  astenermi  di  desinare  con 
lui,  prendendo  una  zuppa  ed  un  arrosto  più  per  tem- 
po. Lo  sciupo  della  biancheria,  proveniente  dal' mo- 
do di  lavare  in  questa  città,  è  incredibile.  Dovetti, 
poi,  prendere  i  sessanta  ducati;  e  li  economizzo,  ma 
ho  di  bisogno  di  parecchi  oggetti  di  vestiario  e  cal- 
zatura. Li  farò  durare  più  che  posso;  dentro  Settem- 
bre, prenderò  una  egual  somma  dal  Generale;  e  voi 
avrete  la  bontà,  di  passarla  a  Florestano.  Il  Generale 
vi  ringrazia  di  ciò,  che  avete  scritto  per  lui.  Tutta 
Targenteria  è  stata,  qui,  depositata  alla  Zecca.  La  guar- 
dia civica  s' istruisce,  al  servigio  de'  forti.  Gli  Au- 
striaci, peraltro,  da  parecchi  giorni,  nulla  hanno  ten- 
tato. Conservatevi  in  salute;  vi  ripeto/  che  stiamo 
allegramente ,  per  quanto  si  può ,  in  mezzo  a  tanti 
contrattempi.  Saluto  Emilio,  Peppino,  Luisa,  Antonia; 
abbraccio  Carlotta;  e  mi  ripeto,  baciandovi  la  mano, 
cara  madre,  e  stringendoti  al  cuore,  caro  fratello, 

▼.<^  aff.mo  figlio  e  firatellò 

Alessandro  Poerio, 

P.  S.  n  mio  padrone  di  casa  ha  dovuto  assentarsi, 
per  qualche  giorno,  a  cagion  di  affari  commerciali. 
Ha  disposto,  che  la  servitù  mi  considerasse  come  lai 


■  208  - 
.  Gli  SODO  obbligatissìmo  di  tanta  gentilezza;  'itM 
potete  ben  credere,  che  non  ne  abuso. 

Le  ultime  vostre  sono  de!  7  e  dell"  8  agosto. 

Ij 
Alla  Nabi!  Donna 
la  Sig.ra  Baronessa  Luisa  Parrilli 


Napoli. 


.»13. 


CIX,  La  Carolina  Poerìo-Sossìsergio  e  Cario  Poerio 

ad  Alessandra  Poeno. 


Napoli,  23  agosto  '. 


-N."  11. 


Mio 

Sabato,  ti  ceonai,  soltanto,  di  aver  ricevuto  la  tua 
del  14,  per  mezzo  di  tua  Zia.  Carlo  ne  fece,  subito, 
consapevole  D.  Florestano;  ed  io,  Cosimo:  perchè  sia- 
jno  in  accordo,  che,  chiunque  dì  noi  avesse  nuove 
ile'  suoi  ,  sia  comunicato  alle  altre  famiglie.  La  tua 
lettera  mi  lece  vero  piacere,  si  per  sentirti  in  me- 
diocre salute,  che  per  sentirti,  sempre,  in  Venezia. 
Aveva  ragione  Barcher!  Del  resto,  non  voglio  anti- 
cipare il  mio  giudizio;  voglio.  In  questo,  seguire  il  tuo 
consiglio,  di  non  credere  alte  ciarle,  che  corrono  per^ 
il  mondo.  Qui,  stiamo  tranquilli.  Sono  assai  in  penaJ 
per  la  nostra  Contessa  Gozzadini  ;  voglio  scriverle 
e  mandare  la  lettera  ad  Enrico,  Ieri,  ho  veduto  Fon- 
seca,  il  quale  mi  ha  portato  tue  nuove  verbali.  Mi 
ha  detto,  che  risolvette  di  partire  al  momento,  che 
ti  offri  di  scrivere  ,  ma  non  ci  fu  tempo.  Ad  ogni 
modo,  ijuesto  fu  il  giorno  dieci;  ed,  avendo  tue  nuove 
posteriori,  non  m»  sono  allarmata.  Spero,  che  non 
facciate  mancare  le  provvisioni,  ora,  che  potete  prov- 


1 


—  209  — 

vedervene,  per  non  fare  come  Milano.  Io  non  posso 
peffsare  a  quel,  che  è  accaduto,  senza  rabbrividire  ! 
ma  speriamo ,  che  la  scintilla  elettrica  non  perisca. 
No,  non  puoi  perire:  Iddio  ha  messe  queste  scintil- 
le nel  cuore  e  nella  mente  dell*  uomo  !  Di  Raffaele  e 
della  sua  famiglia  nulla  so.  Non  hanno,  più,  scritto; 
di  modo ,  che  non  so ,  se  Maria  Teresa  si  è  mossa 
dall'  Afifrica ,  e  dove  sta ,  per  dirigerle  qualche  let- 
tera. Caro  figlio  ,   un  bottegajo  del  nostro   vicinato 
ha  un  fratello,  impiegato  alla  segreteria  del  Generale: 
si  chiama  Crispino   Vitale.  Mi  ha  pregato    tanto  di 
raccomandartelo  e  raccomandarlo  anche  al  Generale. 
Io  lo  fo,  con  tutto  il  cuore;   perchè  tutti  quelli  del 
vicinato  sono  buona  gente,  e  li  ho  provati,  in  tempi 
e  giorni  difficili.  Dunque,  se  potete  far  cosa  per  lui,  ve 
ne  sarò  obbligato.  Un'  altra  persona  vuol  sapere,  se 
Tommaso  Pulsinella,  volontario,  che  era  in  Venezia, 
sia  vivo  0  morto.  Non  puoi  credere,  quante  seccature, 
che  ho,  per  questi  crociati.  Caro  figlio,  ho  ricevuto, 
per  mezzo  di  Carlo,  due  tue  lettere,  del  4  e  del  10. 
Vedi  quante  lettere  mie  hai  ricevuto,  in  pochi  giorni? 
Ed  io  pure!  Dunque,  non  ci  stanchiamo  di  scrivere, 
per  ogni  occasione.  Quest'oggi,  il  giornale  il  Tempo 
ha  messi  degli  articoli,  con  la  data  di  Venezia,  ve- 
ramente indegni  per  il  Generale.  Io  credo  tutto  men- 
zogna; e,  siccome  tu  mi  dici  di  non  credere  alle  ciarle 
che  corrono,  non  credo,  certamente,  al  Tempo:  ma  bi- 
sognerebbe risponderci,   perchè  sono  delle  indegnità. 
Domani,  soggiungerò  qualch'  altra  cosa.  Addio. 

Addi  24.  —  Questa  notte ,  non  ho  punto  dormito, 
pensando  al  Tempo.  Son  vari  giorni,  che  non  veggo 
Carlotta;  ma  so  che  sta  bene.  Sabato,  ti  scriverò  ad- 
dirittura. Domenica,  è  il  giorno  della  tua  nascita:  come 

14 


—  210  — 

passa  il  tempo!  Addio,  caro  figlio,  lascio  luogo  a  tuo 
fratello.  Le  tue  zie  ti  dicono  tante  cose.  Antonia  de- 
sidera nuove  di  Raffaele.  Addio,  ti  benedico.  Tante 
cose  al  Generale;  e  tanti  ringraziamenti,  per  l'affetto, 
che  ti  dimostra. 

Affezionatissima  madra 

Carolina. 

Carissimo  fratello, 

Il  Tempo  (che,  come  sai,  è  il  foglio  semi-officiale) 
ci  ha  dato,  ieri  sera,  un  lungo  racconto  della  par- 
tenza de'  Napoletani  da  Venezia,  e  notizie  dell'attacco 
a  Malghera  del  di  16.  Credo,  che  quel  racconto  non 
sia  genuino.  Pare  ,  che  1'  intervento  francese  non 
avrà  più  luogo.  Io  n'era  persuaso.  Qui,  le  cose  vanno, 
sempre,  allo  stesso  modo.  Il  partito  reazionario  si  agita, 
in  tutt'  i  modi;  ma  spero,  che  i  suoi  colpevoli  tenta- 
tivi riescano  infruttuosi.  Questa  mattina,  Imbriani  leg- 
gerà il  rapporto  sulla  Guardia  Nazionale;  e,  fra  tre 
giorni,  si  aprirà  la  pubblica  discussione.  Intanto,  tutto 
è  sospeso  e  paralizzato ,  con  gran  detrimento  del 
paese.  Ma  come  impedirlo,  in  così  tristi  condizioni? 
La  Guacci  sta,  alquanto,  meglio.  Manna  è  stato  am- 
malato; ma,  ora,  sta  bene  e  ti  saluta.  Troyse  è  di- 
venuto Pari;  ed  è  uno  dei  più  retrogradi.  Palermo 
si  è  dato,  perdutamente,  alla  reazione;  ed  ha  rotto 
con  tutti  gli  antichi  suoi  amici.  Ogni  giorno,  si  hanno 
novelli  disinganni.  Ma  non,  per  questo,  bisogna,  dispe- 
rare. Anche  altrove,  accade  lo  stesso;  ed  è  giusto,  che 
i  popoli  scontino  le  colpe  degli  avi  ed  i  propri  errori. 
Riverisco  il  Generale;  ed  abbraccio  Assanti,  Ulloa, 


—  211  — 

Mezzacapo,  Cosenz  ed  il  tuo  padron  di  casa.  Sono, 
per  la  vita, 

tuo  afif.mo  fratello 

Carlo. 

Al  Signor 
Sig.  Alessandro  Poerio, 

Yenezia. 


ex.  La  Carolina  Poerio-Sossisergio  ad  Alessandro  Poerio. 

Napoli,  26  Agosto  1848.  —  iV.^  12. 

Mio  carissimo  figlio, 

*  Ti  scrissi,  a  lungo;  e  ti  promisi,  di  scriverti,  oggi. 
Oggetto  della  mia  lettera  è  per  farti  gli  auguri,  per 
domani,  giorno  tuo  natalizio:  come  oggi,  principia- 
rono i  dolori,  e  come  domani,  al  mezzogiorno,  ti  diedi 
alla  luce.  Dopo  qualche  giorno,  venne  a  vedermi  il 
•Generale,  con  D.  Titta  suo  fratello.  Ecco,  da  che  e- 
poca  egli  ti  conosce,  cioè,  da  che  sei  nato.  Io  non 
era  solita  di  farti  regalo;  ma,  quest'anno,  come  sei 
lontano,  ho  pensato  di  fartene  uno.  Ti  manderò  una 
cosa  di  poco  costo,  ma  di  gran  prezzo  per  te.  La  spe- 
dirò, il  giorno  4  Settembre.  Io,  dopo  la  tua  del  14 
e  le  due  attrassate  de'  4  e  del  10,  non  ho  ricevute 
altre  tue;  sono  certa,  che  mi  hai  scritto.  Attenderò, 
pazientemente,  che  giungano  ;  se  pure  potrò  avere 
tanto  sangue  freddo.  Basta,  farò  come  meglio  potrò. 
L'altra  sera,  vidi  tua  sorella  con  tutti  i  suoi  figli,  i 
quali  vanno  molto  bene;  il  marito  anche  sta  benis- 
simo. Ieri  l'altro,  ebbi  occasione  di  vedere  un  mo- 
naco della  Cava  e,  precisamente,  quello,  che  ti  accom- 
pagnò alla  gita  di  Amalfi,  insieme  con  quel  letterato 


—  212  — 

straniero;  mi  premurò  tanto,  che  ti  avessi  salutata 
in  suo  nome.  Noi,  qui,  stiamo  tranquilli;  ma  combat- 
tuti tra  tante  nuove  contraddittorie.  Io  finisco,  sem- 
pre, col  dire:  lasciamo  fare  alla  Provvidenza!  Ad- 
dio, caro  figlio;  ho  avute  delle  lunghe  visite,  per  cui, 
se  voglio  mandare  questa  lettera,  debbo  essere  breve. 
Tuo  fratello  tornerà  tardi.  Addio.  La  zia  ti  abbrac- 
cia, i  nipoti  ancora.  —  Sono  tua 

aff.  ma  madre,  che  ti  abb..  e  ben  ed  ice- 

Carolina. 

Al  Signor 
Sig.  Francesco  Bellinga, 

Venezia. 


GXI.  La  Luisa  Parrilli-Sossisergio  e  la  Carolina  Poerio-Sossisergio^ 

ad  Alessandro  Poerìo. 

Mio  carissimo  Alessandro, 

L'altro  ieri,  fu  il  tuo  giorno  natalizio;  e  ne  par- 
lammo, molto,  con  tua  madre.  Ti  auguro  gli  anni  av- 
venire meno  tormentosi  dei  passati;  ed  è  tutto  ciò,  che 
posso  augurarti  di  meglio.  Godo  tanto ,  di  sentirti 
bene,  dalle  tue  lettere  e  da  persone,  che,  da  poco,  ti 
hanno  veduto.  Io  assisto,  il  più,  che  posso,  la  mia 
cara  e  buona  sorella,  per  poterla  sollevare;  e  ti  as- 
sicuro essere  un  prodigio,  come  si  trova  in  buona 
salute  ed  ingrassata.  Mio  cognato,  che  si  trova  Pa- 
ri, è  molto  affaticato  ;  e  ti  dice  tante  cose ,  come  ^ 
anche,  mio  figlio.  Il  quale  ti  prega  di  procurargli  le 
nuove  dell'uflSziale  di  Marina  Sig.  Luigi  Fingati,  col 
quale  era  in  corrispondenza,  mentre,  avendogli  scritto- 
più  lettere,  non  ne  ha  avuto  risposta;  come,  anche. 


—  213  — 

d*una  scatola,  con  molti  volumi  dell'opera  sua,  che 
gli  ha  diretto,  per  mezzo  d'  un  trabacolo  pugliese: 
sicché,  ti  prega  di  darti  la  pena  di  fargli  saper  cosa. 
Farai  gradire  al  signor  Generale  i  miei  complimenti, 
assicurandolo  della  stima  annosa,  ch'io  ho  per  lui. 
Carlo  sta  bene,  ma  affaticato  assai;  come,  anche,  Emi- 
lio. Carlotta  sta  bene,  come  i  figli;  e  ti  dice  tante  cose 
affettuose.  Ed  io,  abbracciandoti  di  tutto  cuore,  mi 
dico  la  tua 

aff.ma  zia 

Luisa, 

Napoli,  29  Agosto  1848. 

P.  S.  Le  lettere,  che  mi  dirigi,  mi  vengono  esat- 
tamente. I  miei  Bambini  domandano  spesso  di  te;  e 
vogliono  venire  a  vederti. 

Mio  caro  figlio. 

Poiché  il  tuo  padrone  di  casa  é  partito,  mi  servo 
del  solito  sig.  Bellinga,  per  farti  pervenire  questa  mia. 
Ti  scrissi,  in  data  del  26;  e,  dopo  avere  mandata  la 
lettera  alla  posta,  mia  sorella  mi  mandò  la  tua.  Per 
quello,  che  ho  potuto  interpetrare  della  tua  lettera, 
mi  sono  consolata,  che  state  tanto  tranquilli  per 
quanto  si  può.  Ti  dico  di  non  avere  tutto  interpre- 
tato, perché  lo  scritto  é  fatto  in  fretta  e  l'inchiostro 
talmente  bianco,  da  non  potersi  leggere.  Ieri  sera, 
viddi  un  chirurgo,  che  ti  vedeva  spesso  in  Venezia. 
La  notizia  non  è  recente,  perché  é  di  30  giorni  fa; 
ma,  pure,  mi  ha  fatto  piacere.  Non  ti  parlo  di  nuove 
pubbliche:  esse  sono  tanto  incerte  e  varianti,  come 
la  fantasia  di  una  bella  e  capricciosa  fanciulla.  La 


—  214  — 

mia  salute  e  quella  di  tuo  fratello  sono  buone;  Io 
stesso,  domenica,  fu  a  pranzo  in  campagna.  Di  D.  Pep- 
pina,  nulla  so;  ma  stava  un  pochino  meglio.  Ti  ri- 
metto una  lettera  di  Cosimo,  il  quale  non  riceve  più 
lettere  del  fratello.  Io  ti  scriverò,  il  giorno  3  o  4, 
perchè  avrò  occasione.  Spero,  aver  pronto  il  regalo 
destinatoti ,  perchè  questo  oggetto  sarà  pronto  tra 
giorni.  Antonia  fa,  sempre,  novene  per  te;  come,  an- 
cora, D.  Giovanna.  Io  ti  abbraccio  e  benedico  e  sono 
la  tua 


aff.raa  madre 

Carolina. 


Al  Signor, 
Signor  Francesco  Bellinga, 
Yenezia. 


CHI.  Alessandro  Poerìo  ad  Enrico  Poerìo  (399). 

Venezia,  29  Agosto  1848. 

Caro  Enrico, 

Ti  scrissi,  giorni  fa,  accludendoti  una  lettera,  per 
mia  madre,  pregandoti  di  procurarle  sicuro  ricapito 
per  la  via  di  mare.  Profitto  della  partenza  dell'ot- 
timo Mordini,  il  quale  viene  a  Firenze,  con  incarico 
speciale  di  procacciare  soccorsi  pecuniari  a  Venezia, 
per  accluderti  un'altra  lettera,  per  mia  madre.  Fammi 
l'amicizia  di  spedirla,  parimenti,  subito  e  con  sicuro 
mezzo.  Sono  stato  poco  bene,  in  questi  giorni;  ora, 
mi  vo   ripigliando.   Dammi   tue   nuove.  Dello  stato 


—  215  — 

nostro,  qui,  non  te  ne  parlo;  poiché  Mordini  ti  rag- 
guaglierà  di  tutto,  a  voce.  Addio. 


Tuo  aff.mo  cugino 

Alessandro  Poerio. 


Airornatissimo 
Signor  Enrico  Poerio, 
Firenze. 


CXni.  Alessandro  Poerio  alla  Carolina  Poerio-Sossisergio 

ed  a  Carlo  Poerio. 

Venezia,  a'  29  Agosto  1848. 

Carissima  madre,  carissimo  fratello. 

Vi  ho  scritto,  il  26  e  ieri  28,  per  la  posta,  facendo 
l'indirizzo  a  Luisa.  Nella  prima  di  quelle  lettere^  il 
General  Pepe  avea  soggiunto  due  righe,  per  te,  caro 
fratello.  Fummo,  egli  ed  io  e  tutti  quanti  ciò  seppero, 
assai  mortificati,  che,  in  Napoli,  si  credesse,  univer- 
salmente, Venezia  obbediente  alla  infame  e  proditoria 
convenzione  de'  9  Agosto.  Come  ?  Una  città,  ch'è  una 
vera  fortezza  naturale,  rinforzata,  egregiamente,  dal- 
l'arte, una  città,  dalla  Provvidenza  renduta  alla  Ita- 
lia, per  la  cacciata  miracolosa  degli  Austriaci,  avrebbe 
riammessi  i  suoi  più  crudeli  nemici,  ad  un  sol  cenno 
di  Carlo  Alberto?  La  fusione,  tanto  voluta  da  costui, 
era,  dunque,  un  preparamento  alla  rifusione  nell'Au- 
stria ?  Venezia  si  terrà  ;  Venezia  sarà  saldo  e  glo- 
rioso propugnacolo  della  Italiana  indipendenza.  Da 
Trieste,  son  venuti,  per  mezzo  di  un  uffiziale  tedesco, 
ordini  precisi,  sottoscritti  dal  nuovo  Ministero,  all'Am- 
miraglio Albini,  di  lasciare  le  acque  di  Venezia,  im- 


—  216  — 

barcando  le  truppe  piemontesi  e  quanti  altri  voles- 
sero andar  via  ;  ma  questo  generoso  Italiano  ha  in- 
terpetrato  gli  ordini  da  vero  patriotta,  ossia  non  gli 
ha  eseguiti.  Speriamo,  che,  da  parte  del  Governo  Sar- 
do, non  vi  sieno  maggiori  insistenze:  speriamo,  che, 
ancorché  ci  siano ,  V  Albini  perseveri  nel  patriotti- 
co proponimento.  Ma,  dovesse,  anco,  la  flotta  sarda 
ritirarsi,  dovesse,  anco,  l'Austriaca  venire  e  bloccare 
la  città,  da  mare,  non,  perciò,  la  popolazione  e  la  guar- 
nigione si  perderanno  d'  animo.  Gli  Austriaci,  frat- 
tanto, costruiscono  opere:  ma  fuori  tiro  del  cannone 
delle  fortezze;  e  più  (a  quel,  che  sembra)  per  trince- 
rarsi essi  medesimi,  che  con  intenzione  di  assaltar  la 
Venezia.  Pare,  che,  non  ostante  le  trattative  di  pa- 
ce ,  si  aspettino  alla  guerra  :  ingrossano  molto  sul- 
l'Adige; intorno  a  tutta  Lombardia  han  fatto  un  cor- 
done impenetrabile;  e  sono  spaventati  dalla  pertina- 
cia, con  la  quale  i  rifugiati  sulle  montagne  cercano 
di  organizzare  la  insurrezione.  Quello,  di  che,  qui, 
si  difetta,  assai,  è  il  danaro.  Si  è  data  tutta  l'argen- 
teria alla  Zecca;  si  son  fatti  e  si  fanno  continui  sa- 
crifici pecuniari  ;  ma  le  spese  sono  ingenti.  Un  ap- 
pello, a'Governi  Italiani  (s'intende,  già,  escluso  il  no- 
stro) ed  alle  popolazioni,  darà,  speriamo,  larga  mes- 
se. Oggi ,  partono  diversi  incaricati  di  una  speciale 
missione,  a  tal  uopo.  In  Toscana,  va  il  Sig.  Antonio 
Mordini,  giovane  d' ingegno  e  patriottismo  grande  ; 
per  suo  mezzo  ,  ho  scritto  a  Gino  Capponi.  Ver- 
so il  10  settembre ,  vi  prego  passare  a  Florestano , 

sessanta  ducati,  perchè  io  possa  farmeli 

dal  fratello.  Degl'incomodi,  sofferti  in  questi  ultimi 
giorni,  mi  vado,  a  poco  a  poco,  ripigliando.  Spero,  che 
la  vostra  salute  sia  buona.  Mi  duole  non  aver  vostre 


—  217  — 

lettere  correnti,  V  ultima  essendo  quella  de'  19  ago- 
sto. Sono  inquietissimo,  per  la  Guacci:  datemi  pre- 
sto sue  nuove  e  più  rassicuranti.  Mi  affligge,  anche, 
lo  stato  del  Marchese  Ruffo;  scrivetemi,  se  si  è  sal- 
vato. Abbraccio  Carlotta;  saluto,  caramente,  Luisa, 
Antonia,  Emilio  e  Peppino.  Vi  bacio  la  mano,  cara 
jmadre,  ti  abbraccio^  caro  fratello,  e  sono 

Vostro 

Alessandì'o. 

P.  S.  Questa  la  mando  ad  Enrico;  cui  scrissi,  an- 
•che,  il  24,  accludendogli  una  lettera,  per  voi. 

Alla  Ornatissima 
Signora  Baronessa  Carolina  Poerio, 

Napoli. 


GXIV.  Errico  Poerio  ad  Alessandro  Poerio. 

Firenze,  30  Agosto  1848. 

Caro  Alessandro , 

Ho  ricevuta  la  tua  lettera  de'  25  corrente.  Credo, 
con  te,  che  Venezia  sia  1'  ultimo  propugnacolo  del- 
rìndipendenza  d*  Italia;  ma  non  credo,  disgraziata- 
mente, che  le  trattative  diplomatiche  vengano  sven- 
tate. Credo,  che  la  guerra  non  s'abbia  a  far  più,  poi- 
ché mi  pare,  che  sia  dell'interesse  delle  potenze,  che 
-ci  sono  di  mezzo,  il  far  la  pace,  temendo  esse  una 
guerra  generale  e  temendone,  vieppiù,  le  conseguenze. 
Ripeto:  questo  io  credo;  e  con  dolore.  L'attitudine 
de*  governi  è  molle  ed  incerta,  ne  convengo  ;  ma 
Don  convengo,  che  si  possa  supplire,  a  questo  difetto. 


—  218  — 

con  lo  zelo  delle  popolazioni.  Le  popolazioni,  mio  ca- 
ro, dopo  gli  esempi,  che  ci  hanno  dato,  ci  hanno  mo- 
strato quanto  poco  si  possa  contare  su  loro.  I  Lom- 
bardi, che,  a  Milano,  nelle  cinque  giornate,  han  fatto 
prodezze ,  son  fuggiti   dinanzi  al  fuoco  regolare  del 
nemico:  e,  poi,  non  mi  scorderò  mai,  quando  ero  al 
campo,  che  i  contadini  ci  vedevano   correre  contro 
il  nemico  e  ci  stavano  a  guardare,  come  stupidi,  allo 
stesso  modo,  che  non  si  trattasse  di  loro.  Qui,  si  è 
chiamati  i  cittadini  ad    una  nuova  sottoscrizione  di 
volontari:  e  nessuno  ha  risposto.  Si  è  detto,  di  far 
la  leva  forzata:  e  i  contadini  han  risposto,  che  avreb- 
bero tirato,  prima,  contro  quelli,  che  sarebbero  an- 
dati a  prenderli.  É  vero,  per  esempio,  che  i  Bolo- 
gnesi han  respinto,  col  più  gran  valore ,  il  nemico, 
quando  era  alle  porte  della  città.  Ma,  scacciato  quel- 
lo, il  popolo  armato  ha  organizzato  un  vero  brigan- 
taggio ;  e  così  ha  inteso   1*  indipendenza   Italiana.  È 
vero  ,  che  i  Livornesi ,  di  tratto  in  tratto  ,  fan  del 
rumore.  Ma  senza  scopo,  senza  causa  e  guidati  (ciò, 
eh' è  peggio)  da  gente  ambiziosa,  subdola,  maligna. 
E,  poi,  i  Livornesi  furono  i  primi,  a  darci,  sul  campo, 
il  malo  esempio  d'un  còrpo  di  volontari,  che  si  scio- 
glieva; e  gridavano,  spaventati:  Ohe  !  Madonna,  tu 
vano  a  mitraglia!  parole,  udite  da  me.  Di  Napoli, 
non  ne  voglio  parlare.   Bisogna  pregare  Iddio,  che 
qualcuno  sorga,  non  ambizioso,  né  malvagio,  a  gui- 
dar la  plebe.  Bisogna  pregare  Iddio,  che  nasca  quel- 
l'unione, che  non  ci  è  stata,  finora;  che  i  partiti  per- 
sonali cessino:  ed,  allora,  potremo  contare  sulle  po- 
polazioni. 

Caro  Alessandro,  io  ti  dico  questo,  con  le  lagrime 
agli  occhi,  col  core,  che  mi  sanguina,  perchè  sento 


—  219  — 

tutta  la  vergogna,  che  pesa  sul  nome  Italiano.  E  prega 
il  Signore,  che,  dopo  Tarmistizio,  possa  ricominciare 
la  guerra  ;  ma  tale,  da  vincere  o  morire  tutti  sul 
campo ,  affinchè  sì  cada  ,  almeno  ,  con  onore.  Ri- 
guardo alle  collette,  in  soccorso  di  Venezia,  non  ti 
saprei  dir,  precisamente,  nulla;  ma  mi  pare,  se  non 
sbaglio,  che  non  ce  ne  sia  il  principio.  Io,  puoi  im- 
maginarti, farò  quel,  che  potrò,  come  cerco  sempre 
di  predicare  unione,  calcando  la  mano  su'  malvagi^ 
che,  ammantandosi  del  santo  nome  di  repubblicani, 
vorrebbero  soddisfare  alle  loro  particolari  mire.  Godo, 
che  tu  approvi  la  mia  idea  di  chiedere,  qui,  la  natu* 
ralizzazione.  Infatti,  a  Napoli,  che  mi  aspetterebbe? 
Persecuzione,  o  la  necessità  di  morire  di  crepacuore» 
Ho  ricevuto  lettere  di  casa  :  stanno  tutti  bene.  Ho 
mandato  la  tua  lettera  a  tua  madre.  So,  che  Poppino 
del  Re  deve  venir,  qui,  come  ci  è  venuto  Ricciardi 
(Peppino)  e  Zuppetta...  Mariano  è  a  Pisa.  Le  condizio- 
ni di  Napoli,  mi  dice  Zia,  sono  particolari;  ed  essi 
sono  in  mezzo  ad  un  mare  di  contraddizioni.  Povero 
paese!  Le  Targioni  ti  salutano.  Giusti,  tutti  gli  amici 
di  qui;  ed,  anche,  Ruggiero  Bonghi,  che  è  qui,  da  un 
mese.  Tu,  salutami  il  Generale,  Ulloa,  Assanti,  Ros- 
saroll  e  Cosenz  ;  mentre  io ,  abbracciandoti  cara- 
mente, sono 

Tuo  aff.ino  cugino, 

Enrico  Poerio. 

P.  S.  Ricevei,  tempo  fa,  lettera  da  Zio  Raffaele,  da 
Vercelli.  Gh  risposi  ;  ma  non  ho  avute  sue  nuove* 
Dimmi  tu,  se  ne  hai. 

Al  Signor 

Barone  Alessandro  Poerio, 

Venezia. 


—  220  — 
€XV.  Cesare  RosaroU-Scorza  ad  Alessandro  Poerìo. 

Gentilissimo  Signor  D.  Alessandro, 

Profitto  della  di  lei  bontà,  pregandola  di  far  per- 
venire Tacclusa  al  mio  carissimo  Enrico;  e,  siccome 
vivo  sicuro  de* suoi  favori,  cosi,  anticipandole  i  do- 
vuti ringraziamenti ,  ho  V  onore  dichiararmi  di  Lei 
Signore 

Marghera,  2  7.bre  1848. 

L*  Obb.mo  Devotis.mo  .Servo 

Cesare  Rosaroll  Scorza. 
A.  S.  E. 

Il  Signor  Barone  D.  Alessandro  Poerìo, 

Yenezia» 


GXVI.  Alessandro  Poerìo  alla  Carolina  Poerìo-Sossisergio 

ed  a  Carlo  Poerìo. 

Venezia,  a'  2  Settembre  1848. 

Carissima  madre,  carissimo  fratello, 

Vi  scrissi,  il  24;  poi,  il  26;  poi,  il  29  Agosto.  Son 
inquieto,  mancandomi  lettere  vostre;  poiché  Y  ultima 
•è  de'  19,  scorso  mese. 

Vi  scrivo,  ora,  da  un  trattore,  dove  sto  facendo 
compagnia  a  Cesare  Correnti,  passato  Segretario  del 
Governo  provvisorio  di  Milano,  il  quale  parte  ,  fra 
mezz'ora,  per  procurare  armi,  danaro,  munizioni  e 
■soccorsi  d'ogni  genere,  per  Venezia.  Del  resto,  siamo. 


—  221  — 

qui,  tranquilli;  né  i  Tedeschi  c'inquietano.  Pare,  che  la 
flotta  sarda  partirà  con  le  truppe  piemontesi;  ma  an- 
drà, solo,  sino  ad  Ancona;  invece,  dicesi,  che  ver- 
ranno,  subito,  vapori  francesi,  in  apparenza  per  pro- 
teggere i  negozianti  di  quella  nazione,  ma,  in  so* 
stanza,  per  impedir  il  blocco,  che  la  flotta  austriaca 
potrebbe  voler  fare.  Di  salute,  sto  alquanto  meglio,, 
che  ne'giorni  scorsi;  il  Generale  sta,  anche,  mediocre- 
mente. Ha  rinunziato  alla  metà  de'  suoi  soldi,  cosa,, 
ch'è  stata  gradita,  assai,  dal  governo  e  dal  pubblico. 
Noi  stiamo  di  buon  animo.  Lo  spirito  nazionale,  che 
si  va  svegliando,  specialmente,  in  Bologna,  nella  Ro- 
magna ed  in  Liguria,  estendendosi,  anche,  a  buona 
parte  del  Piemonte,  non  che  la  piccola  guerra,  che 
sta  facendo  Garibaldi,  con  tanto  successo,  contro  gli 
Austriaci,  manderanno  a  vuoto,  appoggiato  alla  re- 
sistenza di  Venezia,  tutti  gl'intrighi  diplomatici.  Vi 
bacio  la  mano,  cara  madre;  ti  abbraccio,  caro  fra- 
tello; saluto  tutt'  i  parenti;  e  mi  ripeto,  pregandovi 
di  non  farmi  restar,  tanto  tempo,  senza  vostre  let- 
tere, 

yo.  aff.o 

Alessandro. 

Alla  Nobil  Donna 
La  Signora  Baronessa  Carolina  Poerìo, 

Strada  del  Salvatore,  N.o  5. 

Napoli. 


—  222  — 
GKVII.  M.  A.  PapadopoU  ad  Alessandro  Poerio. 

Cariss.^  Barone, 

Nel  ringraziarvi,  di  avere  accettato  di  venire  a 
passare  un'  ora  da  noi ,  vi  pregherei  di  cambiare  il 
giorno  di  domani  in  quello  di  giovedì,  perchè,  do- 
mani, il  Papà  Mazarachi  non  può.  Scusate  questa  mia 
indiscretezza;  e  tenetemi,  sempre,  per 

Vostra  aff.a  amica, 

Af.  A.  PapadopoU, 
Lunedi  mattina. 

Ài  signor 
Barone  Alessandro  Poerio^ 
Casa  Mondolfo. 


GXVUI.  La  Carolina  Poerio-Sossisergio  e  Carlo  Poerio 

ad  Alessandro  Poerio. 

N.^  1.  Questa  è  la  prima  lettera  di  Settembre.  Ti 
prego,  di  fare  lo  stesso,  anche  tu. 

Napoli,  4  7mbre  1848. 

Mio  carissimo  figlio, 

Ieri,  da  tua  Zia,  ricevetti  la  tua  cara  lettera  del 
di  28;  non  giunse  inattesa,  perchè  l'aspettavo.  Quella, 
che  dici  avermi  scritto  il  26,  non  Tbo  ancor  rice- 
vuta: ma  so,  che,  di  simile  data,  ne  ha  ricevute  il 
medico  de  Luca.  Infine,  mi  pare,  che  la  via  del  cor- 
riere sia  la  più  spicciativa,  quando  non  le  tratten- 
gono alla  posta.  Oggi,  ti  scrivo  per  mezzo  del  Va- 
pore Francese.  Per  questo  istesso  mezzo,  ti  scrissi  il 


—  223  —   . 

14  ed  il  24  dello  scorso  mese;  questa  mane,  ho  avuto 
riscontro,  che  le  lettere  sono  state  mandate.  Volevo 
mandarti  il  dono,  che  ti  ho  promesso,  bielle  mie  del 
26  e  29;  ma,  se  prima  non  mi  assicuro,  che,  per  questo 
mezzo,  giunge   sicuro  quel,  che  si  manda,  non  l'az- 
zarderò certo.  Il  dono,  caro  figlio,  è  la  copia  del  ri- 
tratto di  tuo   padre,  un  pochino  più  piccolo,  per  es- 
sere più  facile  a  spedirlo;  più  tardi  l'avrò.  Me  lo  ha 
copiato  l'amico   Golia:  mi  dice,  che  gli  è  riuscito  dif- 
ficilissimo, per  la    delicatezza  de'tratti  com'è  maneg- 
giata la  matita.  Caro  figlio  mio  ,  temo  ,    che  tu  sii 
stato  più  incomodato  di  quel,  che  mi  dici;  allora,  non 
stiamo  più  ai  patti,  di  scrivermi,  tutto  e  sempre,  il 
vero.  Non  posso  nasconderti,  che  sono  in  pena  per 
te;  ma,  poi,  quella  speranza,  che  ho  avuto,  sempre,  in 
cuore,  mi  consola;   e,  poi.  Iddio  non  puoi  lasciar  im- 
punita la  iniquità.   Questa  mane,  ho  avuta  la  visita 
de'  miei  tre  nipoti,  di  mia  figlia,  D.  Rosina  e  la  loro 
governante.  Carlotta  ti  dice  tante  cose;  tutti  gli  al- 
tri parenti  ti  salutano  ed  abbracciano.  Enrico  sta  be- 
ne; solo  di  Rafl*aele  non  so  nulla.  Domani,  li  scriverò, 
per  la  posta.  È  partita  la  spedizione  per  Sicilia.  Chi 
dice,  che  tutto  è  combinato,  con  l'intervento  della 
Francia  e  l'Inghilterra;  altri  dicono,  che  l'Isola  sarà 
ridotta  con  la  forza:  infine,  nulla  di  certo.  Non   ti 
parlo  dello   nostre  cose  interne,  esse  sono  al  solito. 
Di  D.*  Peppina  non  so  nulla,  da  qualche  giorno,  per 
che  non  ho  veduto  Ajello.  Ho  mandato  a  casa,  alla 
specola:  non  viene,  mai,  nessuno  in  Napoli.  Ti  rimetto 
una  lettera,  per  Damiano,  del  fratello;  un'altra,  te  l'ac- 
clusi giorni  fa.  Di  Enrico  ho  buone  nuove,  da  Firenze. 
Molte  persone  ti  salutano;  molte  altre  hanno  dichia- 
rato inimicizia:  se  il  mondo  è  brutto,  in  generale,  il 


—  224  — 

nostro  paese  è  bruttissimo.  Ma  dico  quello,  che  ti  ho 
detto,  altre  volte;  contentiamoci  di  mantenere  il  carat- 
tere individuale.  Al  Generale,  tante  cose,  da  parte  mia» 
Pasqualino  ti  bacia  la  mano.  In  punto,  ho  avuto  il 
ritratto,  al  quale,  per  maggior  sicurezza,  farò  mettere 
il  cristallo.  Addio,  caro  figlio;  farò  quel,  che  dici, 
per  il  danaro.  Tutti  tutti  i  parenti,  ti  dicono  tante 
cose;  la  gente  di  servizio  ti  fa  i  suoi  rispetti.  Sono 
la  tua  affezionatissima  madre ,  che  ti  benedice ,  con 
tutta  la  potenza  delF  anima  sua, 

Carolina. 

Caro  fratello. 

Abbiamo  ricevuto,  regolarmente,  la  tua  lettera  del 
28,  spedita  col  corriere  ordinario.  Mi  piace  di  sen- 
tire, che,  costà,  tutto  vada  regolarmente.  Dopo  gli 
accordi  coir  Inghilterra  e  le  dichiarazioni  del  Gene- 
rale Cavaignac,  qui,  il   Governo  ha  fermato  di  ese- 
guire la  spedizione    di  Sicilia.  Filangieri  comanda  in 
capo  24  mila  uomini;  e  la  spedizione  è  .partita.  Spe- 
riamo, che  si  venga  ad  un  accordo,  senza  effusione 
di  sangue.  Le  offerte  del  Governo  sono  le  stesse  del 
6  Marzo,  cioè:  Parlamento  ed  amministrazione  sepa- 
rata; lista  civile,  esercito  e  diplomazia  comune.  La 
condotta  del    Governo   Francese   ha   d.Uo   baldanza 
ai  nemici  del  novello  ordine  di  cose;  e  tutto  è  nel 
massimo  disordine.  Il  Ministero  non  ha  forza;  la  Ca- 
mera de'  Deputati ,  ad  onta  del  buon  volere ,  è  in- 
ceppata in  tutt'  i  suoi  movimenti.  Lo  crederesti  ?  il 
Ministero,  abitualmente,  non  assiste  alle  nostre  tor- 
nate, se  non  quando  è  chiamato  per  qualche  inter- 
pellazione.  Allora,  viene;  ma  risponde,  sempre,  evasi- 
vamente. Ti  prego  di   leggere  il   mio   discorso    del 


—  225  — 

26  caduto  Agosto.  Lo  troverai,  nella  Libertà  Italiana 
del  29.  Leggi,  ancora,  una  lettera  di  Baldacchini,  nello 
stesso  foglio  del  28;  e  la  mia  risposta,  in  quello  del 
31.  L'intera  tornata,  poi,  la  troverai,  per  esteso,  nel 
Giornale  Officiale  del  2  Settembre.  Leggi,  ancora, 
il  rapporto,  fatto  da  Emilio,  per  la  Legge  sulla  Guar- 
dia Nazionale.  Ringrazia,  per  me,  l'ottimo  Generale; 
ma  digli,  che  non  ho  ricevuta  la  lettera  col  suo  po- 
scritto. Ho  letto  i  suoi  proclami;  e  la  Libertà  Ita- 
liana li   ha  riportati.   E   giunto  il   Conte  Griffoii  , 
con  una  missione  del  Governo  Toscano.  Lo  accom- 
pagna il  signor  Gori-Pannilani,  che  dice,  che  io  cono- 
sceva sua  madre.  Non  ho  potuto  vederlo,  ancora,  poi- 
ché sono  stato  occupatissimo.  Credo,  ch'egli  mi  con- 
fonda con  te;  poiché  suppongo,  che,  essendo  Senese, 
la  madre  ha  dovuto  conoscerti ,  quando  fosti  colà. 
Ti  rimetto  una  lettera,  pel  signor  Goffredo,  che  deve 
essere  nel  forte  Malghera.  Egli  à fratello  di  Carlotta, 
che  sta  da  D.*  Lucia.  Ieri  sera,  ci  fui,  per  darle  no» 
tizia  di  Tommaseo,  che  è  giunto   in  Parigi.  Questa 
degna  amica  ti  saluta,  cordialmente.  Il  Marchese  Ruffo 
mi  assicura,  che  Giuseppe  di  Giuseppe  (e  non  di  Peppe) 
è  costà  e  serve  fra'  volontari.  La  Guacci  sta  meglio; 
ma  io  non  l'ho  veduta,  perchè  mi  manca  il  tempo, 
nò  posso  perdere  una  mezza  giornata.  Ci  andrò»  se 
saremo  prorogati,  come  credo.  Il  Generale  Florestano 
sta  molto  meglio.  Ti  abbraccio  di  tutto  cuore. 

Tuo  aff.roo  fratello^ 

Carlo, 

Al  Signor 

U  Sig.  Barone  Alessandro  Poerìo, 

Yenezia, 

15 


—  226  — 


Raccomandata,  pel  sicuro  ricapito,  al  Sig.  Direttore  delle 
Poste  della  Repubblica  Francese  in  Livorno. 


GXEC.  Guglielmo  Pepe  a  Carlo  Poerio  ed  Alessandro  Poeria 
alla  Carolina  Poerio-Sossisergio. 


Venezia,  il  5  Settembre  48. 

Ti  prego ,  mio  caro  Carlino ,  di  ossequiarmi  tua 
madre ,  di  darmi  ragguaglio  della  salute  di  Flore- 
stano, dopo  i  bagni  d'Ischia,  ed,  infine,  di  mandar- 
mi, sotto  fascia,  il  foglio  del  Tempo  del  23  Agosto, 
in  cui  detto  giornale  semi-uffiziale  diceva  orrori  di 
me.  Farò  rispondere  (non  già  per  desiderio  di  giu- 
stificarmi: ma  per  dimostrare  questa  nuova  infamia 
del  governo;  ed  accrescere,  sempre  più,  la  sua  rab- 
bia contro  di  me ,  )  esponendo  la  situazione  attuale 
della  Venezia,  la  quale  sfida  le  forze  Austriache,  ad 
onta  della  partenza  della  squadra  e  delle  truppe 
Sarde,  le  quali  ci  abbandoneranno,  dimane.  Sono 
stato,  altresì,  minacciato  dell'abbandono  de' quattro 
reggimenti  Romani;  ma  spero,  che,  invece,  a  dispetto 
di  quel  turpe  governo ,  lungi  di  partire  essi ,  ver- 
ranno, qui,  tre  battaglioni  da  Bologna,  di  quelli,  che 
avevano  incontrato,  altra  volta,  gli  Austriaci  nella 
Provincie  Venete.  In  tutti  i  casi,  quando,  anche,  ri-* 
manessi  senza  una  sola  Compagnia  pontificia,  ho  messo 
in  ordine,  talmente,  tre  brigate  venete ,  compresi  i 
mille  Napoletani,  che,  (con  esso,  un  battaglione  Lom- 
bardo e  queste  guardie  nazionali ,  )  la  classica  La- 


—  227  — 

guna  resisterebbe  agli  assalti  dello  straniero,  invi- 
tando a  libertà  le  altre  provincia  della  cascante  Italia. 

Qmo  Pepe. 

P.  S.  Ti  prego  d' inviarmi  il  suddetto  giornale, 
sotto  fascia,  diretto  alla  Contessa  Rachele  Soranzo, 
Venezia. 


«  * 


Cara  madre. 

Profitto  del  luogo,  che,  gentilmente,  mi  lascia  il 
Generale,  nella  sua  lettera,  per  soggiungere  due  ri- 
ghe, quantunque  vi  abbia,  recentemente,  scritto,  e  lun- 
gamente; ed  alle  molte  mie  lettere,  in  tutto,  mi  ri- 
ferisco. Questa,  la  mandiamo  a  Roma,  affinchè  per- 
venga, in  mano  a  mio  fratello,  in  modo  sicuro;  impor- 
tando al  Generale,  com'era  naturale,  di  conoscere  le 
infamie,  fatte  pubblicare  dal  Governo  di  costà,  sul  suo 
conto,  e  smentirle;  meno  per  difesa  alla  sua  fama, 
che  per  rispetto  alla  verità. 

Della  salute  vi  ho  scritto,  che  mi  andava  ripi- 
gliando. Son  ricaduto  alquanto;  ma  ho  fiducia,  di  ri- 
mettermi. 

Pel  danaro,  vi  ho  pregato  di  passare  a  D.  Flore- 
stano ducati  sessanta,  che  mi  farò  dare  dal  fratello. 
Di  una  somma,  da  tenere  a  mia  disposizione,  per  ogni 
eventualità,  in  questi  procellosi  tempi,  vi  ho  scritto, 
più  particolarmente,  per  la  via  di  Livorno. 

Cara  madre,  la  costanza  dell'animo  non  ci  abban- 
dona; la  coscienza  di  fare  il  dover  nostro  rasserena 
noi  tutti ,  in  questo  difficile  frangente.  Il  Generale 
provvede,  il  meglio,  che  per  lui  si  può,  alla  difesa; 
è  bastantemente  secondato  dal  Governo ,  ma  si  di- 


—  228  — 

fetta  di  danaro.  II  Generale  ha  rinunziato  alla  metà 
del  soldo.  Ogni  Italiano,  degno  di  questo  nome,  ed, 
anche,  solo,  non  indegno,  dovrebbe  contribuire  l'obolo    ' 
sacro,  alla  difesa  di  queste  classiche  lagune. 

Veggo,  spesso,  in  casa  della  Contessa  Soranzo,. 
dove  alloggia  il  Generale,  la  Contessa  Papadopolr, 
figlia  deir  Angelica  Àldobrandini ,  signora  piena  di 
amabilità  e  di  spirito.  Abbracciando  mio  fratello  e 
mia  sorella;  e  dicendo  tante  cose  a  Luisa,  Antonia,. 
Emilio  e  Peppino;  sono 

V.  aff.roo  figlio, 

Alessandro. 

Mi  piace,  sentir,  ch^la  Guacci  stia  meglio.  Quanto 
desidero,  ch'ella  si  rimetta  perfettamente!  Fatele 
dire,  o  ditele,  se  l'andate  a  trovare,  tante  cose  affet- 
tuose, da  mia  parte. 

In  quanto  alla  Contessa  Gozzadini,  da  un  pezzo» 
non  ho  sue  lettere.  Intendo  scriverle.  So,  che,  nelle 
giornate  di  Bologna ,  se  n'  era  andata  ad  Imola. 
Credo,  che,  ora,  sia  tornata  a  Bologna.  Scrivetele,  che, 
certamente ,  la  lettera  vostra  le  farà  piacere. 


GXX.  La  Carolina  Poerio  -  Sossisergio  e  Carlo  Poerio 

ad  Alessandro  Poerio. 


Napoli,  5  7mbre  1848. 

Mio  carissimo  figlio. 

Ieri,  dopo  spedita  la  mia  lettera,  ricevetti  la  tua 
attrassata  del  23.  Mi  consolo  della  tua  migliorata 
salute;  e  non  posso  pregarti  abbastanza  di  prenderne 


—  229  — 

trura  ed  essere  sincero  meco,  perchè  sarei  infelice,  se 
pensassi,  che  tu  mi  nascondi  qualche  cosa,  riguardo 
a  ciò.  Ti  scrissi,  ieri,  che  il  dono,  che  ti  facevo,  era 
la  copia  dei  piccolo  ritratto  di  tuo  padre,  in  un  sesto 
più  piccolo,  per  avere  più  facilità  d'inviartelo.  Carlo, 
ora,  che  sta  un  po'  libero,  anderà  a  respirare  un  pò* 
d^'aria  campestre.  Questa  mane,  si  è  prorogato  il  Par- 
lamento, per  Novembre.  Tutte  le  nostre  famiglie  stan- 
no bene;  Luisa,  anche,  profitterà  di  questa  reldche^  per 
andare  in  campagna.  Addio,  caro  figlio;  amami  e  cre- 
dimi tua  afiezionatissima  madre,  che  ti  benedice, 

.  Carolina* 

Carissimo  fratello. 

Ieri,  ti  scrissi,  lungamente,  rispondendo  alla  tua 
del  28.  Ieri  sera,  poi,  mi  giunse  la  tua  del  25;  alla 
quale  risponderò  colla  prima  occasione.  Ti  dirò,  solo, 
da  adesso,  che  l'articolo,  dal  quale  hai  desunte  le  no- 
tizie sul  mio  conto,  è  un  ammasso  di  stomachevoli 
e  perfide  bugie.  Il  discredito  di  quel  giornale  è  giunto 
al  colmo  ;  ed  il  dizionario  delle  sue  ingiurie  muove 
la  nausea,  ad  ogni  onesto.  Il  tempo,  ne  son  certo, 
svelerà  grandi  cose,  sul  conto  del  direttore  di  quel 
foglio.  A  quest'ora,  avrai  letto  le  ultime  nostre  di- 
scussioni ed  il  mio  carteggio  col  Baldacchini,  che 
è  nella  Libertà  Italiana  del  28  e  del  31.  Questa 
mane,  le  Camere  sono  state  prorogate,  al  30  Novem- 
bre. Tutto  si  è  passato  colla  massima  dignità.  Non 
appena  il  Commissario  del  Governo  (il  Ministro  Rug- 
giero) ha  letto  il  Decreto  Reale  di  proroga,  il  Pre» 
sidente  ha  dichiarata  prorogata  la  Sessione ,  tutt*  i 
deputati  si  sono  alzati  e,  silenziosamente,  hanno  sgom- 
brata la  sala.  Oggi ,  vi  è  stata  una  dimostrazione 


—  230  — 

di  pochi  lazzari  assolutisti.  Dopo  aver  percorso  To- 
ledo, impunemente,  mentre  vi  erano  molte  pattuglie^ 
sono  andati  ad  assalire  i  lazzari  costituzionali  del 
quartiere  Montecalvario.  Ma  hanno  avuto  la  peggio; 
e  se  ne  sono  tornati  malconci.  Novella  gloria  pel  Mi- 
nistero del  16  Maggio!  E  osservabile,  che  alla  testa 
dell'attruppamento  (due  o  trecento  persone  del  vol- 
go )  vi  erano  due  Cappellani  della  Real  Marina  ed 
il  celebre  Ispettore  Cioffi ,  che  è  stato  rimesso  dà) 
Ministro  Bozzelli.  Ora,  che  son  disoccupato,  andrò,  per 
qualche  giorno,  ad  Ischia,  dall'  ottimo  Generale  Flo- 
restano. Ti  abbraccio  di  tutto  cuore. 


V» 


Tuo  affino  fratello, 

Carlo. 

Signore 

Francesco  Bellinga, 

in  Venezia, 


GXXI.  Nicola  Attanasio  ad  Alessandro  Poerio. 

Napoli,  9  Settembre  1848. 

Mio  cariss.**  Alessandro, 

Le  premure  di  un  amico  mi  costringono  a  pren- 
dere la  penna,  per  pregarvi,  acciò  vi  adoperiate  in 
favore  di  Eduardo  e  Ludovico  Masoli,  Crociati  Na- 
poletani del  2^  Battaglione,  sotto  gli  ordini  di  Mata- 
razzo  ed,  ora,  a  Chioggia.  II  padre,  avanzato  in  età 
e  malsano,  desidera  vedere  questi  suoi  figli,  scampati 
ad  onorevoli  perigli.  Io,  ai  suoi  voti,  aggiungo  le  mie 
preghiere;  e,  quindi,  vi  raccomando  adoperarvi  presso 


—  231  — 

cotesto  Generale  Pepe,  onde  gli  sia  permesso  venire 
in  Napoli.  Ciò,  per  altro,  nelle  debite  riserve;  poiché 
io  credo  raccomandarli  solo  nei  sensi  del  dovere,  vai 
dire,  quando  la  causa  Italiana  non  soffrisse  di  nulla; 
poiché,  se  dessa  richiede,  che  restino,  io  vi  raccoman- 
derei farli  rimanere.  Ma  suppongo,  che  il  loro  mo- 
mentaneo allontanamento  sia  cosa,  che  non  possa  re- 
care il  menomo  pregiudizio  alla  causa  nostra,  anche, 
pei  soccorsi  vicini  degli  stranieri.  I  ruderi  di  Mes- 
sina, sottoposti  alla  Cittadella,  son  caduti  in  mano  ai 
regii;  e  questa  occupazione  é  costata,  ad  essi,  immensi 
morti  e  feriti,  che,  da  3  fregate  a  vapore,  sono  stati 
trasportati  a  Reggio ,  oltre  4  cannoniere  perdute. 
L*armata  sicula  è  accampata  sulle  alture  di  Messina; 
ed  i  legni  da  guerra  siciliani  sono  a  Milazzo.  Pare, 
che  vogliono  chiamare  i  Regii  ad  un  attacco,  fuori 
il  tiro  della  Cittadella.  Vi  abbraccio,  cordialmente; 
e,  nella  speranza  di  poterlo,  in  breve,  fare  fra  le  mi- 
gliori fortune  d*  Italia,  mi  dico 

Tutto  vostro, 

Nicola  Attanasio. 
A  s.  E. 

Sig.  Barone  Alessandro  Poerio, 

,   in  casa  del  Generale  Pepe, 
Yeriezia» 
2°  Battaglione  Volontario  Napoletano. 


—  232  — 

CXXII.  La  Carolina  Poerio-Sossisergio  e  Carlo  Poerio 

ad  Alessandro  Poerio. 

N.**  3. 

Napoli,  9  Settembre  1848. 

Mio  carissimo  figlio, 

Ho  atteso,  sin'  ora,  che  son  le  sei,  per  prender  la 
penna  per  iscriverti,  sperando,  sempre,  di  aver  tue  let- 
tere; ora,  incomincio  a  perdere  la  speranza  e  non  vo- 
glio ridurmi  più  tardi.  L'ultima  tua  era  del  28,  scorso 
mese.  Vi  è  chi  ha  ricevuta  quella  del  31;  ma  io  ho 
ricevuta,  invece,  quella  del  28.  Giorni  sono,  cioè  il 
quattro  ed  il  cinque,  ti  ho  scritto  per  diversi  mezzi; 
per  conseguenza,  questa  ò  la  terza  lettera  del  mese.  Noi 
stiamo  bene.  Le  piccole  inquietudini  si  sono  calmate. 
Le  tue  zie,  tua  sorella,  tuo  fratello,  i  tuoi  nipoti,  tutti 
stiamo  bene.  Passeremo  il  denaro,  come  tu  dici.  Forse, 
avrai,  già,  veduto  una  persona,  che  ti  deve  aver  re- 
cati i  miei  saluti:  parti  di  fretta,  per  un  affare  pres- 
sante, per  cui  non  venne  a  prendersi  la  lettera,  che 
ti  avevo  destinata.  Il  povero  Poppino  Ferrari,  dopo 
tre  anni  di  consunzione,  è  morto:  i  zìi,  pare,  che  non 
si  siano  condotti  molto  delicatamente  verso   di   lui. 
Povera  madre!  Lascio  luogo  a  tuo  fratello,  che  vuole 
scriverti  di  varie  cose.  Sento,  che  le  febri  terzane  af- 
fliggono molti,  in  questa  stagione.  Puoi  credere,  se  sto 
in  pensiero  !  Ma  so,  pure,  che  i  nervosi  non  sono  sog- 
getti a  tali  febbri.  Basta:  mi  raccomando  ali*  Essere 
Supremo  I  Addio  ,   carissimo  figlio ,  ti  benedico  con 
tutte  le  forze  dell'anima  mia,  le  quali  crescono,  con 
gli  anni.  E  ti  saluto. 

Tiaaff.ma  madra, 

Carolina. 


—  233  — 

Carissimo  Fratello, 

Non  abbiamo  avuto  tue  lettere,  dopo  quella  del  28 
agosto.  Ma  ne  ho  letto  una  del  31 ,  scritta  da  co- 
stà. Noi  tutti  stiamo  bene.  Non  ho  potuto  andare 
dall'ottimo  Generale  Florestano,  in  Casamicciola,  poi- 
ché Gaetano  Zyr,  col  quale  ho  fissato  di  andare  in- 
sieme, non  ha  potuto,  finora.  Vi  andrò,  nella  prossi- 
ma settimana.  Ieri  V  altro,  essendo  andato  a  far  vi- 
sita, in  compagnia  de'  Capecelatro,  al  Marchese  Dra- 
gonetti,  che  è  molto  ammalato  con  gli  emorroidi,  il 
Marchese  m'incaricò  di  pregare  l'ottimo  Generale  Gu- 
glielmo, affinchè  desse  un  congedo,  di  qualche  tempo, 
a'  suoi  due  figli,  per  curarsi.  Entrambi  sono  andati 
soggetti  alla  recidiva  della  terzana;  ed  il  padre  teme, 
giustamente,  che  non  si  sviluppi  qualche  febbre  perni- 
ciosa. La  nostra  città  è  perfettamente  tranquilla , 
dopo  due  giorni  di  lievissime  agitazioni.  Le  Camere 
sono  state  prorogate,  al  30  Novembre.  Emilio,  la  mo- 
glie ed  i  figli  stanno  tutti  bene  ;  egualmente  i  Par- 
rilli  e  zia  Antonia.  Vidi  il  padre  Tosti,  di  Monte- 
cassino,  il  quale  ha  scritto  un  bel  libro,  sulla  Lega 
Lombarda.  Egli  m'  incaricò  di  salutarti.  Se  il  tuo 
ottimo  padrone  di  casa  è  tornato ,  ti  prego  di  sa- 
lutarlo, caramente.  Ti  abbraccio,  infanto,  di  tutto  cuo- 
re; e  sono,  per  la  vita, 

Napoli,  Q  Settembre  1848. 

Tao  aff.mo  fratello, 

Carlo  Poerio. 

Signore 
Giuseppe  Mondolfo,  banchiere, 
Venezia, 


—  234  — 
CXXin.  Maria-Teresa  Poerio-De  Nobili  ad  Alessandro  Poeria 


Mio  caro  nipote  Alessandro, 

Prendo  la  libertà,  di  scrivervi  pochi  righi,  onde 
raccomandarvi  il  giovane  Olivieri,  che  viene  in  Ve- 
nezia, figlio  d'un  amico  di  mio  cognato  Vercillo,  il 
quale  ce  lo  ha  raccomandato,  come  se  fosse  nostro 
figlio.  Egli  viene  in  Venezia,  per  combattere  per  là 
santa  causa  della  Libertà.  Ve  lo  raccomando,  dun- 
que, caldamente;  e  ve  ne  sarò  veramente  obbligata, 
della  buona  accoglienza ,  che  li  farete.  Mio  marito 
vi  ha  scritto,  già,  due  volte;  ed  un'  altra  al  nostro 
congiunto  signor  General  Pepe.  Ma  è  stato  dolente, 
di  non  aver  ricevuto  vostro  riscontro.  Amerei,  gran- 
demente, ricevere  vostre  notizie;  e  sentir  tanto  voi, 
come  il  Generale,  in  buona  salute.  Rispondetemi,  in 
Genova,  ove  mi  trovo,  da  due  mesi.  Intanto,  vi  au- 
guro perfetta  salute;  e  che  la  causa,  che  voi,  santa- 
mente, difendete,  sia  per  essere  vittoriosa.  Tali  sono  i 
sinceri  voti,  che  il  mio  cuore  forma,  per  l'indipen- 
denza del  nostro  paese.  Mio  figlio  e  figlia  vi  salu- 
tano, affettuosamente.  Fate  le  nostre  parti,  col  Ge- 
nerale; e  credetemi,  per  la  vita, 

Genova,  li  7  Settembre  1848. 

Vostr*  aff.ma  Zìa 

Maria-Teresa  Poerio. 

Airillmo  Signore, 
n  Signor  Alessandro  Poerio. 
Yenezia. 


—  235  — 

CXXIV.  Alessandro  Poerìo  alla  Luisa  Parrilli-Sossisergio 
ed  alla  Carolina  Poerio-Sossisergio. 

Venezia,  a  di  10  Settembre  1848. 

Carissima  zia. 

Rispondo  alla  vostra,  de'29  scorso  Agosto,  piena 
di  affettuose  espressioniv  per  me,  e,  proprio,  dettata 
dal  cuore.  Vi  ringrazio  degli  auguri ,"  che  mi  fate. 
In  quanto  alla  salute,  io  me  ne  lodava ,  nelle  prime^ 
settimane  del  mio  soggiorno,  in  questa  città.  Dipoi, 
essa  ha  subito  qualche  alterazione  :  la  bile  (e  come 
non  accumularne  molta ,  fra  tanti  avvenimenti  in- 
fausti ?)  ed  un  forte  catarro,  avendomi  di  nuovo  irri- 
tato i  nervi.  Ciò  nondimeno,  anche  nel  presente  sta- 
to, debbo  chiamarmi  contento,  in  paragone  de' miei 
patimenti  spasmodici  di  Napoli.  Il  singhiozzo^  ch'era 
abituale,  non  si  è  riaffacciato  ;  se  non  che,  a*  tristi 
annunzi,  massimamente,  se  improvvisi,  me  ne  soglioa 
venire  alcuni  colpi.  Ma,  subito,  cessa.  Da  qualche  gior- 
no, sto  meglio  ;  e  spero,  a  poco  a  poco,  rimettermi 
bene.  Godo ,  che  i  vostri  nipotini  crescano  sani  ed 
allegri.  Ringrazio  D.  Michelangelo  della  memoria,  che 
serba  di  me.  Non  oso  congratularmi  della  sua  di- 
gnità di  Pari.  Dio  buono  !  Che  Camera  alta!  Mai,  non 
fu  veduta  la  più  bassa.  Veggo ,  da'  fogli  pubblici , 
ch'egli  è  molto  occupato,  come  relatore,  in  materie 
non  politiche,  cioè,  nella,  verifica  de'  poteri,  per  le  no- 
mine  de' Pari  nuovi.  Direte,  a  Peppino,  che  ho  ve- 
duto il  Capitano  Fingati,  UfSzialè  molto  stimato,  qui,, 
per  coraggio  e  cognizioni  militari.  È,  anche,  pieno  di 
cortesia.  Mi  disse,  aver  risposto,  puntualmente,  alle- 


—  236  — 

lettere  di  mio  cugino.  Menochè  a  quella  de'  15  o  25 
e(non  ricordo  bene)  del  mese  di  Luglio,  pervenutagli, 
dopo  il  suo  ritorno  dalla  prigione ,  sofferta  in  Lu- 
biana. E  ciò,  in  parte,  perchè  cercava  un'  occasione 
particolare,  per  iscrivere  con  sicurezza  maggiore  di 
ricapito,  occasione,  che  non  si  è  presentata.  In  par- 
te, perchè  aspettava  l'arrivo  degli  esemplari  del  Di- 
zionario di  Marina.  Or ,  questi  esemplari  non  sono 
giunti.  Peppino  ne  prenda  conto  da  quel  Salimbeni, 
per  mezzo  del  quale  intendea  spedirli,  com'egli  scrisse, 
allo  stesso  Fingati.  Il  certo  si  è ,  che  questi  non  li 
ha  ricevuti  ;  è  pronto,  tosto  che  giungano,  a  farne 
la  distribuzione,  tra  quelli  Uffiziali,  che,  dal  saggio 
veduto,  si  erano  invogliati,  di  posseder  l'opera.  Ecco, 
guanto  posso  dire  in  proposito,  al  mio  caro  Peppino, 
•circa  la  commissione  datami.  Serbo ,  carissima  zia , 
vivissima  memoria  e  gratitudine  del  vostro  affetto. 
Il  quale  vigilò  sulla  mia  infanzia  e  mi  seguì  negli 
esili  della  mia  giovinezza  ;  di  cui  novelle  prove  mi 
deste,  negli  anni  più  maturi,  passati  in  Napoli;  e  che, 
ora ,  in  questo  declinare  della  mia  vita  ed  in  que- 
43ta  forzosa  lontananza,  a  cui  mi  condannano  la  mia 
povera  salute  e  le  condizioni  de'tempi,  mi  accompa- 
gna, ancora.  E,  specialmente,  vi  ringrazio  delle  tante 
cure,  che  avete  per  l'ottima  vostra  sorella  e  mia  ma- 
dre, della  cui  buona  salute,  (miracolosa,  come  voi  ben 
•dite,  fra  tante  avversità)  sono  riconoscente  alla  Prov- 
videnza, e  che  accetto,  come  largo  compenso  di  molti 
dolori.  Scrivetemi,  qualche  volta;  e  dite,  a'  vostri  ni- 
potini, che,  quando  saranno' più  grandicelli,  zio  A- 
lessandro  li  aspetta.  Addio.  Credetemi,  immutabil- 
mente. 

Vostro  aff.mo  nipote, 

Alessanchv. 


—  237  — 

Carissima  madre, 

Sono  inquieto,  pel  vostro  silenzio  ;  Tultima  lette* 
ra,  che  ho  ricevuta,  essendo  quella  de'  29,  scorso  mese^ 
scritta  da  voi ,  da  zia  Luisa  e  da  Carlo.  In  quanto 
alla  salute,  mi  rimetto  a  quanto  scrivo  a  Luisa.  Ri- 
spetto a' sessanta  Ducati,  da  passare  a  Florestano,  vr 
prego,  di  consegnarli  subito,  essendo  in  fine  del  da- 
naro. Vi  ho,  anche,  scritto  del  modo,  come  aprirmi 
uh  credito  di  200  Ducati,  per  ogni  caso  straordina- 
rio, ne'  tempi,  che  corrono,  grossi  e  difficili  :  mi  ri* 
metto  al  foglio ,  scrittovi  a'  5  Settembre.  In    quella 
stesso  giorno,  soggiunsi,  anche,  due  righe,  in  una  let- 
tera del  Generale  a  Carlino.  Vi  avea,  già,  preceden- 
temente ,  scritto  ,  a'  2  del  corrente    mese.  La  flotta 
sarda,  con  le  truppe  di  Carlo  Alberto,  ci  ha  lasciati,, 
per  Ancona  ;  ma  è  giunto  avviso  ufficiale,  che,  pre- 
sto, saranno,  qui,  due  vascelli  di  linea  francesi  q  due 
vapori,  che  li  rimorchiano.  Una  lettera  di  Tomma- 
seo, (giunta  ier  l'altro,  e  che  leggerete  ne'  giornali,) 
dà  buone  speranze;  ma  lascia  travedere,  che,  se  Ve- 
nezia non  avesse  resistito ,  la  Francia  avrebbe  ac- 
consentito  ad  un  nuovo  trattato  di  Campoformio.  La 
resistenza  di  Venezia  può  essere,  anzi,  ho  fede,  che 
sarà  la  salute  d'Italia.  La  guarnigione,  benché  assot* 
tigliata  dalle   malattie,  è  sufficiente;  la  popolazione,, 
ottimamente  disposta.  Aspettiamo,  da  Romagna,  un 
altro  migliajo  di  giovani. 

Si  sta  trattando,  co'  principali  signori  di  Venezia,  un 
prestito  di  cinque  milioni  di  lire,  (pel  quale  sarà  e- 
messa  carta  monetata,)  oltre  le  somme,  che  si  racco- 
glieranno, da  soscrizioni,  in  altre  Città  d' Italia,  ed 
il  prestito  più  considerevole,  che  quattro  Commissari 


—  238  — 

«tanno  procurando.  Un  recente  discorso  di  Carlo 
(cui,  per  mancanza  di  spazio,  oggi,  non  scrivo)  è  sta- 
to lodato,  da  chiunque  lo  ha  letto.  Ma  non  è  iute* 
ro,  la  Gazzetta  di  Venezia  avendone,  solo,  riportato  i 
brani  principali.  L'  ho  cercato ,  finora ,  invano,  nel 
Giornale  delle  Due  Sicilie.  Qualche  espressione  è 
piaciuta  meno  ;  ma  s'  intende  ,  che  ne  han  colpa  i 
tempi  deplorabili  e  la  posizion  falsa  della  Camera. 
Una  recente  promozione  è  la  risposta  dell'  assoluti- 
smo. Con  maraviglia,  ho  veduto  il  nome  di  Emilio, 
(che,  caramente,  saluto,)  tra  quelli  de' dissenzienti.  Ab- 
braccio Carlotta  ed  i  suoi  vispi  e  spiritosi  bambini, 
massimamente  Fra  Vittorio  ;  e  mi  rallegro  de'  loro 
progressi. 

Ringrazio  Antonia  delle  novene ,  che  fa  per  me. 
Qualunque  ne  sia  l'efi'etto  ,  vengon,  certo,  da  afie- 
zione  per  me.  Saluto  D.*  Giovanna  ed  il  domestico 
e  Giuseppina.  Aspetto  ,  con  impazienza ,  il  vostro 
dono.  Immagino,  che  sia  il  vostro  ritratto.  Son  cer- 
to, che  avrete  preso  ogni  precauzione ,  per  la  sicu- 
rezza del  ricapito.  Oggi,  vi  è,  qui,  gran  rivista  della 
Ouardia  civica.  Stringo  al  cuore  mio  fratello;  e,  ba- 
<jiandovi  la  mano,  mi  ripeto, 

Vostro  aflf.mo  figlio, 

Alessandro. 


Alla  Nobil  Donna 
La  Signora  Baronessa  Luisa  Parrilli. 

Strada  Banchi  nuovi,  N.*^  13. 

Napoli. 


—  239  — 
GXXV.  Enrico  Poerio  ad  Alessandro  Poerio. 

Firenze,  11  Settembre  1848. 

Carissirao  Alessandro, 

Ho  ricevuta,  con  molto  piacere,  la  tua  de'  5  cor- 
rente. Ti  assicuro,  che  le  riflessioni,  che  ti  ho,  già,  fat- 
te, le  faceva  con  moltissimo  dolore. 

Non  è,  che  venga  meno  la  fede  in  me.  Io  ho  fede 
nella  causa:  ma  mi  duole,  di  vedere,  che,  forse,  non 
siamo  corrisposti,  come  dovremmo.  In  quanto  a  me, 
io  correrò  la  mia  via,  fino  in  fondo;  già,  anche  la 
morte  non  mi  fa  senso  :  Y  ho  affrontata  al  campo. 
Non  negherò,  che  Firenze  siasi  alquanto  accasciata: 
ma  spero,  che,  al  momento  del  bisogno,  la  si  voglia 
ridestare,  a  tutta  la  vita  del  Settembre  passato.  In 
quanto  a  Livorno ,  assicurati,  che  coloro,  che  sono 
alla  testa  di  questi  movimenti,  è  feccia:  ti  basti,  che 
lo  stesso  Guerrazzi  è  stato  fischiato,  essendovi  andato, 
per  calmare.  L'Italia,  sono  con  te,  risorgerà;  tanto 
più,  ora,  che  par  certo,  essere  stata  accettata  dall* Au- 
stria la  mediazione  anglo-francese.  La  Francia,  sono 
sicuro,  in  tutti  i  casi,  sarà  pronta  a  prender  l'armi. 
Le  cose  di  Sicilia,  par,  che  non  vadano  bene.  Mes- 
sina è  stata  costretta  a  cedere.  A  Napoli,  è  seguito, 
anche,  del  rumore.  Le  camere  sorìo  state  prorogate, 
al  30  Novembre.  I  lazzaroni,  che  tenevano  dal  Re, 
han  creduto  di  fare  allegria,  per  questo  avvenimen- 
to; e  sono  andati  ad  insultare  i  lazzaroni,  che  ten- 
gono dalla  parte  liberale.  Carlo  mi  scrive,  che  il  Go- 
verno gli  ha  lasciati  fare.  Ma,  per  altra  via,  si  dice, 
che  il  Re,  al  solito,  ha  fatto  uscire  la  truppa  ed  ha 


—  240  — 

fatto  far  fuoco,  indistintamente,  sugli  uni  e  sugli  aU 
tri.  Riguardo  alle  collette  per  Venezia ,  non  ti  sa 
dire  nulla,  nessuno  me  ne  ha  saputo  informare.  La 
mia  naturalizzazione  par,  già,  ottenuta  ;  e  ho  c^uasi 
certezza  d*un  posto  nella  milizia.  Zio  Raffaele  mi  ha 
scritto  da  Vercelli.  Egli  si  lagna  della  diversità  di 
sentimenti,  che  è  fra  i  capi  de'  corpi  lombardi.  Se 
egli  potrà  avere  il  comando  isolato  d'un  corpo,  re- 
sterà; in  altro  caso,  anderà  in  Romagna;  o  verrà  a 
Venezia.  Da  Napoli,  mi  scrivono,  sempre;  ed  io  ri- 
metterò, subito,  la  tua  lettera  a  Zia.  Spero,  che,  a 
quest'ora,  sarai  guarito  del  tuo  accesso  bilioso:  man- 
tienti  in  salute,  mio  caro  Alessandro.  Salutami  Ul- 
loa,  Cosenz,  Assanti,  il  Generale  ;  mentre  io ,  salu- 
tandoti da.  parte  di  Bonghi  e  di  tutti  gli  amici  di 
qua,  ti  abbraccio,  caramente,  e  sono 


tuo  a£f.mo  cugino, 

Enrico. 


Al  Nobil  Uomo 
n  Sig.  Bar.ne  Alessandro  Poerìo, 

presso  il  Generala  Pepe, 

Yenezia, 


GXXVI.  Enrico  Poerio  ad  Alessandro  Poerio. 

Firenze,  12  Settembre  1848. 

Caro  Alessandro, 

Ti  ho  risposto,  già,  alla  tua  del  5  corrente.  Ti 
scrivo,  di  nuovo,  cogliendo  l'occasione,  che  parte,  di 
qui,  Nicola  Pierni  per  Venezia.  Le  nuove  di  Messi- 
na sono  dolorosissime.  Pare,  che  l'abbiano  bombar- 


—  241  — 

data;  e  che  la  Cittadella  abbia  fatto  uii  fuoco  vivo. 
lìa.  i  Messinesi,  (quando  han  veduto,  che  non  era,  più, 
possibile  di  resistere)  hanno  incendiato  ciò,  che  re- 
stava della  città,  ed  hanno  emigrato.  Così,  non  hanno 
ceduto;  ed  han  rinnovati  gli  alti  esempi  della  Gre- 
cia. Del  resto,  nella  truppa,  ci  è  stata  grandissima 
strage.  Anelo  di  sapere,  quanto  più  presto  si  possa, 
ciò,  che  deciderà  la  diplomazia,  dacché  è  stata  ac- 
cettata la  mediazione  anglo-francese  dall'  Austria. 
Le  condizioni  della  pace,  Dio  voglia  sian  onorevoli! 
Oppure,  e  questo  mi  auguro  più  che  altro,  possa  la 
guerra  ricominciare,  con  tutto  l'ardore  e  l'entusia- 
smo, di  cui  è  d*uopo.  Tanti  saluti  a  tutti  gli  amici; 
mentre,  abbracciandoti,  caramente,  mi  dico 

Tuo  affm.^  cugin<^ 

Enrico. 

Al  Signore 

Signore  Alessandro  Poerio, 

Venezia, 


CXXVn.  Alessandro  Poerio  alla  Carolina  Poerio-Sossisergio 

ed  a  Carlo  Poerio. 

Venezia,  a  di  13  Settembre  1848.— iV.**  4. 

Carissima  madre. 

Secondo  il  vostro  comando,  segno,  con  numero  d'or- 
dine, le  lettere  in  ciascun  mese.  In  questo,  la  pre- 
sente è  la  quarta  ,  oltre  la  mia  ,  soggiunta  in  una 
lettera  del  Generale  a  Carlino.  Non  siate  in  appren- 
sione sul  conto  della  mia  salute  ;  nò  crediate ,   che 

io  vi  taccia  cosa   alcuna ,  in  tal  proposito.  Vi  ho  , 

16 


—  242  — 

sempre,  scritto  il  vero.  Ho  sofferto;  ora,  sto  alquanto 
meglio.  Sotto  impressioni  cosi  dolorose,  è  un  mira- 
colo, che  io  non  abbia  fatta  una  grave  malattia.  La 
mia  salute  ha  continui  alti  e  bassi.  Ma  non  sono, 
mai,  ricaduto  in  uno  stato  tanto  deplorabile  quanto 
in  Napoli.  Cosicché,  in  pieno,  debbo  contentarmi,  sop- 
portare, pazientemente,  gl'incomodi  e  rallegrarmi, 
quando  i  nervi  mi  dalino  tregua.  Ma ,  da  qualche 
giorno,  anche  a  traverso  delle  osrillazioni  della  mia 
salute,  sento,  che  vado  meglio.  Ed,  ora,  che  l'aria  è 
alquanto  rinfrescata ,  confido ,  che  questa  miglioria 
voglia  progredire. 

Dovrò  prendere,  fra  pochi  giorni ,  i  sessanti  Du- 
cati; i  quali  credo,  che  abbiate  fatto  o  farete,  subito, 
passare  a  Florestano.  Per  la  somma  straordinaria , 
di  cui  abbisogno,  vi  ho  scritto,  circostanziamente,  il  5 
settembre.  Fra  un  mese,  bisognerà  pensare  a  vestirsi, 
pel  verno;  e,  tra  le  altre  cose,  il  mio  cappotto,  fatto  in 
principio  del  1835,  è  fuori  stato  di  prestare  ulterior 
servizio,  e  prende  congedo.  Economizzo  quanto  posso; 
e  vi  dirò  (con  vostra  e  mia  maraviglia),  che  passo 
per  molto  misurato  nello  spendere.  Poiché  dovete 
sapere,  che,  se  la  vita,  in  Venezia,  non  è  cara,  ne' 
tempi  ordinari  e  per  chi  si  stabilisce  qui,  è  carissi- 
ma, pe'forestieri  e,  massimamente,  ora.  Tutti  gli  Uf- 
fiziaU,  venuti  con  Pepe,  non  bastando  loro  il  soldo, 
sono  obbligati  a  gravare  le  loro  famiglie,  tanto  più 
che  alcuni  di  essi,  seguendo  l'esempio  del  Generale, 
hanno  rinunziato  alla  metà  de'  loro  averi.  Fra  que- 
sti, è  Ulloa. 

La  mia  principale  distrazione,  in  questa  città ,  è 
Tandar  vedendo  gli  obbietti  d'arte,  de'quali  abbonda, 
ed  il  visitare  le  isolette  più  amene,  che  fan  coro- 


—  243  — 

na  a  Venezia.  È  ,  certamente  ,  una  Città  d'  incan- 
to; ed  i  riflessi  degli  edifizi,  nelle  acque,  sono  i  più 
<5hiari  e  netti,  che  io  mi  abbia,  mai,  veduti.  Il  canal 
grande,  poi,  ed  il  Canale  della  Giudecca,  al  chiaro  di 
luna,  son  cosa,  veramente,  magica.  La  sola  privazio» 
ne,  per  chi  ama  la  campagna,  è  quella  de'prati,  de* 
boschi,  della  verdura  e  delle  acque  correnti  de'fiu* 
mi.  Intendo  dire,  adesso,  che  le  comunicazioni,  con 
la  terra  ferma,  sono  interrotte;  poiché,  quando  la  strada 
ferrata  è  in  attività,  Venezia  è  il  più  bel  soggiorna 
del  mondo ,  le  campagne  circonvicine  essendo  della 
più  ricca  vegetazione,  e  sparse  di  ville  magnifiche, 
tanto  verso  Padova  e  Vicenza ,  quanto  verso  Tre- 
viso. Ho  la  fortuna  di  conoscere  le  famiglie  Papado- 
poli  e  Galvagno,  che  posseggono,  in  Venezia,  i  due 
più  belli  giardini  ,  vasti  abbastanza  ;  ed  ,  il  prima 
soprattutto,  ben  tenuto  e  pregevolissimo,  per  un  bel- 
vedere e  per  un  terrazzo  sul  Canal  grande.  Entro  in 
questi  particolari,  perchè  so,  che,  al  vostro  cuore  ma- 
terno, fa  piacere  ogni  cosa,  che  mi  conforta  Tanimo 
stanco  ed  addolorato.  Delle  cose  pubbliche,  scrivo  a 
Carlino.  Il  Generale  e  Damiano  stanno  benino.  Ab- 
braccio Carlotta;  saluto  Luisa,  (cui  scrissi  il  10,  nella 
stessa  lettera,  in  cui  scrissi  a  voi),  Antonia,  Peppino 
ed  Emilio  co' bambini.  Le  vostre  ultime  son  quella  del 
4  e  r  altra  del  5.  Vi  bacio  la  mano;  e,  con  filiale 
tenerezza,  mi  ripeto 

v.°  aff.m.o  figlio, 

Alessandro. 
Carissimo  fratello. 

Ho  avuto  le  lettere  del  4  e  del  5  Settembre.  L'ar- 
ticolo, di  cui  mi  parli,  io  non  l'ho  mai  letto,  né  so 
indovinare  in  qual  giornale  sia;  non  hqW  Omnibus^ 


—  244  — 

che  il  Generale  riceve.  Spiegati  più  chiaro.  Del  re- 
stOy  in  questi  calamitosi  tempi,  nulla  mi  fa  maravi- 
glia. Ho  letto  la  discussione  de'26  Agosto.  Ed  il  tuo 
discorso  mi  è  piaciuto  assai:  ed  ho  avuto  la  soddi« 
sfazione,  di  sentirlo  lodato,  da  tutti.   Ma  le  tue  let* 
tere  e  quella  di  Baldacchini  mi  sono  perfettamente 
ignote,  né,  qui,  viene  il  giornale  La  Libertà  Italia* 
na.  Mandami,  dunque,  piuttosto,  quel  numero,  sotto, 
fascia.  li  deplorabile  andamento  delle  cose ,  in   Nà- 
poli, mi  tiene  afflittissimo,  benché  mi  conforti,  dal- 
l'altra parte,  la  buona  piega,  che  piglia  le  mediazione 
di  Francia,  mediazione,  che,  ove  V  Austria  non  ce- 
da, si  muterà,  infallibilmente,  in  intervento  armato. 
Parecchi   bastimenti   da    guerra  francesi ,    diretti  a 
Venezia,  sono  sulle  coste  d'Istria,  aspettando  venti 
favorevoli,  per  venire  in  qua;  e  saranno,  in  breve^ 
raggiunti  da  parecchi  altri.  Se  l'assemblea  nazionale 
germanica  si  chiama  fuori  la  quistione  Italiana,  co- 
me dovrebbe  fare,  l'Austria  non  può,  sola,  affrontare 
la  Francia.  Quantunque  il  Governo  della  Repubblica 
proceda,  con  minore  energia  di  quel,  che,  alle  circo- 
stanze presenti,  si  richiederebbe,  V  opinione  pubblica 
si  è  manifestata  così  gagliarda,  che  non  può  dispen- 
sarsi dall'esigere  lo  sgombro  tleiritalia.  Questo  è  il 
vero;  e  se  ci  è  [chi]  crede,  che  l'Austria  possa  con- 
servare il  Regno  lombardo -veneto,  é  nel  più  com- 
piuto errore.  Sento  i  ragguagli  di  coteste  risse,  tra  laz- 
zari. Qui,  corrono  voci  tristissime,  sulla  sorte  di  Mes- 
sina; si  dice  la  Città  occupata  da'  Regi  e,  pressoché, 
distrutta.  Lettere  del  6,  da  Napoli,  specificano,  sol- 
tanto, ch'eran  cominciate  le  ostilità,  con  accanimen- 
to; spero,  che  il  risultamento,  che  dicesi  aver  avutOv 
luogo,  sia  una  esagerazione. 


—  245  — 

Aspettiamo  nuove  in  proposito ,  con  somnaa  im- 
pazienza. È  egli  vero,  come  leggo  ne'fogli,  eh' è  u- 
scito ,  a  nome  dell'  esercito  ,  un  indirizzo,  in  cui  la 
Camera  de'Deputati  è  attaccata,  inverecondamente:  e 
tu,  segnatamente,  Emilio,  Silvio  Spaventa  e  Mas- 
sari ?  Addio.  11  Generale  ti  saluta.  Ti  auguro  buona 
villeggiatura,  presso  Florestano,  in  Ischia. 

P.  S.  Ieri,  giunsero,  a  Chioggia,  da  Ravenna,  otto- 
cento volontari  de'  capitolati  di  Vicenza  e  Treviso* 
Formano  due  battaglioni,  uno  de'  quali  è  comandato 
dall'  egregio  nostro  amico  Livio  Zambeccari.  Oggi  ^ 
si  aspettano  in  Venezia. 

Tuo  Aff.mo  fratello 

*•  Alessandro. 

Alla  Nobil  Donna, 
La  Sig.ra  Baronessa  Luisa  Parrilli. 

Strada  Banchi  Nuovi,  n.^  13, 
Napoli, 


CXXVm.  Carlo  Poerìo  e  la  Carolina  Poerìo-Sossisergio 

ad  Alessandro  Poerio. 

Napoli,  13  Settembre  1848 

Carissimo  fratello. 

Manchiamo  di  tue  lettere,  dopo  il  28;  ma  non  di 
tue  notizie,  poiché  Ulloa  ha  ricevuto  lettere,  dal  fra- 
tello, in  data  del  2.  Attendiamo,  con  ansia,  tue  no- 
tizie dirette.  Ti  scrissi,  a  nome  del  March.  Dragonetti, 
affinchè  l'ottimo  Generale  concedesse,  a'due  suoi  figli, 
un  permesso  temporaneo,  per  curare  la  loro  salute, 
dopo  una  recidiva  di  terzana.  Ti  raccomando  questo 


—  246  — 

afifare ,  poiché  il  povero  padre  è  afflittissimo.  Dopa 
la  proroga  delle  Camere,  qui,  la  reazione  continua» 
Dicesi:  che  la  Camera  sarà  sciolta;  e  che  verrà  pub- 
Wicata  una  terza  legge  elettorale,  con  un  censo  al- 
tissimo, per  assicurare,  al  Ministero,  una  larga  mag- 
giorità. Insomma,  bisogna,  ohe  il  Paese  si  accomodi 
alle  vedute  del  Ministero,  non  già  questo  si  unifor- 
mi a' desideri  di  quello.  Io  non  so,  se  sarò  rieletto, 
poiché  sono  in  cima  della  lista  di  esclusione ,  tra* 
quali  Imbriani,  Avossa ,  Troya ,  Scialoja  ,  Massari, 
Spaventa,  Pica,  Dragonetti,  Muratori,  Ferretti  ecc* 
insomma,  oltre  cinquanta  membri.  Il  Ministero  ha  per 
principio,  che  non  ci  dev'essere  opposizione.  Se  sarò 
rieletto,  continuerò  a  fare  il  mio  dovere,  con  coscien- 
za ,  con  coraggio  e  perseveranza.  Se  no,  mi  occu- 
però, esclusivamente,  de'  miei  rovinati  interessi.  Ti 
abbraccio  di  tutto  cuore. 

Tuo  aff.mo  fratello, 

Carlo  Poerio. 

Mio  carissimo  figlio, 

Sono  in  grande  agitazione,  per  non  aver,  più,  ri- 
cevute tue  lettere.  Altri  hanno  scritto.  Se  ti  fosse 
accaduto  cosa ,  sarebbe  andata  su  1'  ala  dei  venti  : 
questo  solo  mi  tranquillizza.  Noi  stiamo  bene.  Carlo 
andrà,  per  qualche  giorno,  in  campagna  ;  io  starò 
con  mia  sorella.  Sono  sorpresa,  che,  di  tre  lettere,  in- 
viate per  mezzo  della  posta  francese,  delle  due  pri- 
me, avrei  dovuto  avere  risposta.  Questa  mia  ti  sarà 
consegnata,  da  un  amico.  Attendo  la  scatolina  del 
ritratto,  per  inviartelo,  per  questo  mezzo  sicuro,  sicu*" 
rissimo.  Domani,  ti  scriverò  per  mezzo  di  Livorno, 
accludendo  la  lettera  ad  Enrico.  Ho  ricevuto  lettera 


\ 


—  247  — 

attrassata  da  Maria  Teresa,  la  quale  sta,  in  Genovaj 
con  la  famiglia,  senza  mezzi.  Io  non  ho  potuto  far 
nulla  per  lei;  le  sorelle  si  son  prestate.  Qui ,  si  sta 
imitando  il  sistema  della  Repubblica  Francese,  ossia 
del  dittatore  Cavaignac.  Ma  speriamo,  che  il  Cielo 
ci  prot*^gga.  La  mia  salute  e  quella  di  tutti  i  pa- 
renti è,  buona.  Tutti  gli  amici,  che  ci  son  rimasti,  ti 
abbracciano.  Paladini,  qui  presente,  Anastasio,  Fe- 
derico, infine,  tutti  i  buoni.  In  punto,  viene  il  ritratto; 
non  è,  proprio,  come  l'originale,  da  cui  è  preso,  ma  vi 
è  molta  somiglianza.  Mi  viene  avviso,  che  debbo  spe- 
dire la  lettera  ed  il  ritratto.  Ti  abbraccio  e  bene- 
dico ,  e  sono 

AfT.ma  madre, 

Carolina, 

P.  S.  Non   posso  mandarti  né né  ritratto , 

perchè  non  parte ,  ancora ,  il  vapore  per  Venezia. 
Rimisi  il  Tempo  del  23  ,  per  la  posta.  Ti  rimetto 
due  fogli  della  Libertà  Italiana, 

Al  Signor 
Signor  Alessandro  Poerio, 

Yenezia, 
[con  una  scatoletta  d:  latta]. 

Addi,  22  settembre  1848. 

Carissimo  figlio, 

Questa  lettera,  scritta  il  13,  non  parti.  Partirà,  for- 
se, domani,  per  mezzo  di  un  amico,  che  ti  consegnerà 
il  ritratto  e  tutta  quella  roba,  di  cui  ha  potuto  in- 
caricarsi. Ed  è:  il  soprabito  forte;  due  calzoni,  uno 


\ 


—  248  — 

nero  ed  uno  di  colore;  tre  gilè;  ed  il  paracqua.  Ieri, 
dopo  mandata  la  mia  lettera  alla  posta ,  mi  giunse 
la  tua  del  13.  Lettera  carissima,  per  Taffezione,  che 
mi  dimostri  e  per  i  ragguagli,  che  mi  dai.  Solo,  non 
mi  dici,  dove  abiti.  Desidero  saperlo  effettivamente, 
poiché,  vedendo  qualche  stampa  di  Venezia,  mi  posso 
figurare,  dove  tu  sei.  Basta,  ti  veggo,  sempre,  sul  Ca- 
nal grande.  Questa  notte,  ho  sognato,  che  eri  entrato 
nella  mia  stanza.  Ti  sei  seduto  sul  mio  letto.  Mi  pa« 
revi  di  perfetta  salute;  ma,  solo,  afflitto  e  piangente, 
per  una  lettera,  che  avevi  in  mano.  Ti  sei  accinto  a 
leggerla,   mettendo  gli  occhiali  fissi.  Io  ti  confortavo 
a  tranquillarti,  dicendoti,  che,  nei  tempi  presenti,  biso- 
gnava essere  superiore,  a  qualunque  dispiacere.  Il  mio 
discorso  è  stato  tanto  energico,  che  mi  ha  fatto  de- 
stare, senza  poter  sapere,  cosa  conteneva  la  lettera: 
ma  tu  stavi  bene  ed  eri  curioso,  con  gli  occhiali  fis- 
si. Ti  ho  scritto,  ieri,  di  aver  passati  i  ducati  60  al 
Generale;  e  che,  nel  corso  di  ottobre,  avrai  la  creden- 
ziale. Non  ti  parlo  di  cose  pubbliche.  La  strage  in 
Sicilia  è  cannibaliana  da  ambo  le  parti.  Ti  accludo 
un  numero  del  Finimondo,  dove  si  parla,  vantag- 
giosamente, di  tuo  fratello.  Carlo,  in  pochi  giorni,  ad 
Ischia,  si  è  ingrassato  molto.  Ti  benedico. 

Aff.ma  npadre, 

Carolina. 


CXXIX.  Carlo  Poerio,  Luigi  Scovazzo  e  Giacomo  Tofano 

ad  Alessandro  Poerio. 

Caro  Alessandro, 
Questa  lettera  ti  sarà  recata  da  Gioacchino  Ma* 


—  249  — 

glielta,  cugino  de'Romano,  che  recasi,  costà,  per  fug- 
gire le  dolcezze  della  Polizia  Partenopea.  Egli  ha  un 
fratello,  costà,  che  serve  come  ufficiale  de' volontari. 
Entrambi  sono  egregi  giovani  e  miei  amici.  Non  sog- 
giungo altro.  Ti  scrivo,  da  Ischia,  dove  mi  son  re- 
cato, da  ieri,  per  passare  qualche  giorno,  con  l'egre- 
gio Generale  Florestano  Pepe.  L'ho  trovato  molto 
meglio.  Ho  lasciato  benissimo  la  nostra  cara  ma- 
dre. Ieri  la  sera,  le  ho  scritto.  Io  tornerò  domenica 
o  lunedi.  Si  dicey  che  le  Camere  saranno  disciol- 
4e.  Tanto  meglio:  la  posizione  sarà  più  netta. 
Ti  abbraccio  di  cuore;  e  sono,  per  la  vita, 

Ischia,  14  Settembre  1848. 

Tuo  aff.roo  Fratello, 

Carlo  Poerio. 

P.  S.  Luigi  Scovazzo,  presente,  ti  abbraccia,  con 
.tutto  il  sentimento  di  amistà.  Addio. 

D.  S.  Giacomo  Tofano  abbraccia  il  caro  Alessan- 
dro e  tutti  i  prodi. 

Signor 

Alessandro  Barone  Poerio 

in  Venezia 


GXXX.  Alessandro  Poerio  aUa  Carolina  Poerio-Sossisergio. 
Venezia,  a'  15  Settembre  1848.— iV.'^  5. 

Carissima  madre, 
Vi  scrissi,  ier  l'altro,  per  la  posta,  dirigendo  la 


/ 


—  250  — 

lettera  a  zia  Luisa;  la  presente,  Taccludo  ad  Enrico, 
acciocché  la  faccia  pervenire,  sicuramente,  in  mana 
vostra.  Vi  ripeto,  di  non  essere  in  ansietà,  circa  la 
mia  salute.  Essa  aveva,  alquanto,  sofferto.  Ma,  ogni 
giorno,  va  meglio;  e,  cessato  il  caldo,  spero,  adesso, 
rimettermi  bene.  E,  se,  anco,  il  mal  di  nervi,  ora,  sotto 
una  forma,  ora,  sotto  un'altra,  m'inquieta,  non  sono, 
mai,  ricaduto  nello  stato  spasmodico  e  deplorevole, 
in  cui  era,  costà.  Fa  d'uopo,  dunque,  contentarsi;  ed 
io  mi  contento.  E,  quando  il  soffrire  non  è  tale,  che 
tolga  la  forza  d'  animo  necessaria  a  sopportarlo ,  è 
un  gran  vantaggio.  Questo  è  lo  stato  mio,  questa  è 
la  pura  verità;  non  ho  più  di  quelle  irritazioni  rab- 
biose, di  que'  sgomenti  profondi,  di  que'  tedi,  cupi  e 
terribili,  che  mi  rendeano  tanto  infelice.  Anco  sof- 
frendo, ho  rassegnazione,  pazienza,  fede  di  miglio- 
rare. Vi  ripeto,  dunque,  che  siate  tranquilla  intorno 
a  ciò:  né  crediate,  mai,  che  io  voglio  tacervi  il  ve- 
ro, avendovi  promesso  di  scrivervelo,  senapre.  Quel- 
lo, a  che  debbo  pensare,  si  è  il  premunirmi  bene  pel 
verno. 

Finché  io  non  riceva  una  somma  straordinaria  , 
non  posso  vestirmi;  oltre  abiti  e  sottabiti,  ho  bisogno 
di  cappotto,  quello  ,  che  feci,  in  Parigi,  nel  1835, 
essendo,  ormai,  divenuto  inservibile.  Per  ora,  prov- 
vedere, alla  meglio,  ad  alcune  cose  urgenti,  come  ad 
una  giacchetta  di  casa  ed  a  qualche  sottoveste  più 
forte.  Ma,  ricordo,  che,  in  Napoli,  dev'esser  rimasta 
altra  roba  di  verno;  e,  precisamente,  parecchie  sot- 
tovesti, alcune  delle  quali  nuove,  ed  un  abito  tur- 
chino, con  bottoni  lavorati,  da  potersi,  ancora,  met- 
tere. Tutto  ciò,  ch'é  rimasto  e  ch'è,  tuttora,  servi- 
vibile,  fareste  bene  di  spedirmelo,  qua,  perchè  sarà 


—  251  — 

tanto   di  risparmiato  ,  a  meno  che  il  trasporto  non- 
costasse  eccessivamente.  Siccome  Damiano  ha  scritto 
a  Cosimo,  suo  fratello,  di  mandargli  la  sua  roba  di 
verno:  cosi,  vi  prego,  d'intendervela  con  Cosimo  stes- 
so, poiché,  unita  a  quella,  sia  spedita,  anche,  la  mia. 
Abbiate  la  bontà,  di  far  parlare,  di  ciò,  a  Cosimo  ^ 
tostochè    riceverete  la  presente.   Domani ,   prenderò 
dal  Generale  i  sessanta  Ducati,  che  ritengo,  già,  pas- 
sati a  Florestano.  Scrissi,  nell'ultima  mia,  a  Carlino,, 
in  risposta  alla  vostra  e  sua  de*5corr.  mese.  Non 
me  n'è  giunta  alcun'  altra;  e,  più  tardi,  andrò  alla 
posta,   nella  speranza  di   trovarne;  e  lascio  aperta 
questa  letterina^  con  animo  di  accusarvene  ricezione 
e  soggiungere    due  altre  righe.  A  Carlino ,   questa 
Tolta,  non  iscrivo,  poiché,  accludendo  la  lettera  ad 
Enrico,  non  ho  preso,  che  un  mezzo  foglio.  Spero,, 
che  la  gita  in  Ischia,  dove  volea  recarsi,  a  far  com-^ 
pagnia  all'ottimo  General  Florestano,  gli  abbia  re- 
cato sollievo. 

Zambeccari  e  Ceccherini  son  giunti,  con  circa  un 
migliajo  di  capitolati  di  Vicenza  e  di  Treviso.  Le 
nuove  erano,  ieri,  alla  guerra.  Ma,  par,  che  l'ingresso 
de'Francesi  sia  sospeso  di  nuovo,  avendo,  finalmente, 
l'Austria  accettato  la  oflFerta  mediazione.  Ma  io  ho 
pochissima  fede,  nella  diplomazia;  né  credo;  che  l'Au- 
stria voglia  lasciar  la  sua  preda  ;  nò  credo ,  che  la 
Francia,  ancorché  il  suo  governo  fosse  a  ciò  inclinato,, 
possa,  mai,  consentire  ad  un  nuovo  trattato  di  Cam- 
poformio.  Di  Leuchtenberg  si  parla  meno.  La  voce, 
che  circola,  ora,  é:  che  la  Lombardia  sarà  aggregata 
al  Piemonte;  il  Veneto  formerà  uno  stato  a  parte, 
sotto  un  Arciduca  Austriaco  italianizzato;  e  Venezia 
sarà  uiia  Città  libera  ed  anseatica,  sotto  la  prote» 


—  252  — 

^ione  delle  grandi  Potenze.  Sarebbe  un  pasticcio,  che 
non  potrebbe  durare  a  lungo.  Ma  nulla  v'è  di  certo. 

Che  dirvi  dello  stato  deplorabile  di  cotesto  pae- 
se ?  La  Camera  prorogata  sia  come  sciolta ,  se, 
nell'intervallo  fra  e  tutto  Novembre,  la  tirannide  è 
altrettanto  fortunata,  ne'suoi  disegni,  quanto  è  stata, 
iinora.  Nel  caso  d'un  intervento  armato  francese,  le 
cose  muterrebbero  aspetto.  Noi  siamo  stati  tutti  e 
siamo,  ancora,  in  grave  inquietudine,  sulla  sorte  di 
Messina.  Un  vapore  francese,  giunto,  con  dispacci 
pel  Console,  e  passato  pel  Faro,  assicurò,  il  giorno  11, 
che  la  Città  era  stata  distrutta  da'  Regi.  Ma  la  data 
non  corrispondeva  con  le  lettere  di  Napoli  del  6,  anzi 
del  7,  che  nulla  dicono  di  ciò.  Speriamo,  che  non  sia 
vero.  Vado,  or  ora,  alla  posta,  per  saper  qualche  cosa. 

Alcuni  legni  da  guerra  francesi  son  sulle  coste 
d'Istria,  trattenuti  dal  vento,  eh 'è  stato  contrario,  que- 
sti giorni.  La  flotta  austriaca  si  è  ritirata  a  Fola, 
di  cui  vi  dovete  ricordare,  poiché  dopo  le  [tempeste  ?] 
sofferte,  nel  1821,  nel!'  Adriatico ,  ci  riparammo  in 
^uel  porto. 

P.  S.  La  posta  non  è  giunta.  È  il  terzo  giorno, 
che  manca.  Attribuiscono  questa  mancanza  al  tempo, 
poiché,  da  alcuni  giorni,  soffia  un  vento  gagliardo  e 
contrario. 

Abbraccio  Carlo  e  Carlotta  ;  saluto  Luisa,  Anto- 
nia, Emilio  e  Peppino.  Vi  bacio  la  mano;  e,  con  fi- 
liale rispetto,  mi  ripeto 

V.o  aff.mo 

Alessandro 

Alla  Nobil  Donna 
La  Signora  Baronessa  Carolina  Poerio. 

Strada  del  Salvatore,  n.  5.  Secondo  piano. 

Napoli. 


—  253  — 

CXXXL  Filippo  Cicognani  alla  Carolina  Poerio-Sossiserglo. 

Roma,  16  Settembre  1848. 

ViadeTréfettiN.o22. 

Signora  Baronessa  veneratissima , 

Non  so  esprimerle  quanto  grata  mi  riuscisse  la 
pregiatissima  sua,  recatami  dai  padre  De  Riso  :  gra- 
tissima,  perchè  vi  trovai  la  prova ,  che,  dopo  tanti 
anni  e  tante  vicende,  io  viva,  ancora,  nella  sua  me- 
moria; e  gratissima,  pure,  perchè  mi  procurava  il  pia- 
cere della  conoscenza  di  un  soggetto,  che,  essendo 
congiunto  a  lei.,  non  poteva  non  essermi  caro.  lo^vrei 
desiderato  di  legare,  con  lui,  una  relazione  più  ìnti- 
ma; ma  esso,  dopo  una  breve  dimora  in  questa  no- 
stra città,  se  ne  partì  per  il  Ritiro  di  Subiaco,  e  mi 
lasciò  col  desiderio  di  sé. 

Io  rammento,  sempre,  con  compiacenza,  la  sua  in- 
teressante famiglia  ;  e  mi  sono  procurato  dal  padre 
De  Riso  le  più  minute  notizie  di  tutti.  Vorrei,  però, 
rivedere  tutti  e,  specialmente,  Lei,  signora  Baronessa 
veneratissima,  per  cui  nutro  e  nutrirò,  sempre,  la  più. 
viva  e  rispettosa  affezione;  né  voglio  rinunciare  alla 
speranza  di  vedere,  un  giorno,  realizzato  questo  mio 
desiderio. 

Ella  avrà,  già,  sentito  le  mie  notizie  dall'ottima 
Don  Alessandro.  Ed  io  altro  non  le  dirò,  se  non  che 
sono  in  possesso  della  domestica  beatitudine,  avendo 
una  compagna  impareggiabile  e  nove  figli ,  tutti  di 
ottima  salute  ed  amorosissimi  per  i  loro  genitori  ; 
onde  non  posso  che  chiamarmi  contentissimo  della 
mia  sorte. 


—  254  — 

Faccia  gradire  gli  affettuosi  miei  saluti,  ai  cari  suoi 
'figli  ;  mi  conservi  la  sua  benevolenza  ;  e  mi  creda 
quale  sono  e  sarò,  sempre, 

Suo  Dev.mo  Servo  ed  Amico  Aff.mo 

F,  Cicognani. 

Alla  Nobil  Donna, 
La  Signora  Baronessa  Carolina  Poerio, 

Napoli, 


CXXXn.  La  Carolina  Poerio -Sossisergio  ad  Alessandro  Poerio. 
[Bollo  postale  di  Firenze,  18  Settembre  1848.] 

Caro  figlio. 

Ti  scrivo,  come  ti  avevo  promesso,  anche  oggi.  Ieri, 
•ti  rimisi  il  ritratto  di  tuo  padr-e  per  mezzo  partico- 
lare. Io  ho  ricevuto  le  tue  del  20,  26,  28;  e,  daH9, 
4;i  ho  scritto,  in  data  de'  24,  27,  29.  Ieri,  ricevetti  la 
tua  del  2.  Scrivimi,  qualche  volta,  per  la  posta.  Non 
ti  parlo  di  affari  politici.  Questi  cambiano  da  un  mo- 
mento air  altro.  Beati  gli  abitanti  del  nuovo  mondo! 
Essi  soli  sono  uomini,  perché  uniti.  Noi  siamo  tutti 
divisi  ;  per  òui ,  per  nostra  disgrazia ,  saremo  op- 
pressi. Ho  ricevuto  lettera  di  Maria  Teresa  e  di 
Enrico.  Addio,  carissimo  figlio.  In  questo  mese,  ti 
ho  scritto,  il  4,  il  9,  il  13  ed  il  14.  Non  mancherò, 
mai,  nessuna  occasione,  per  farti  sapere  mie  nuove. 
La  povera  Sicilia!  Addio,  ti  abbraccio  e  benedico- 
Tutti  i  parenti  ti  salutano. 

AtT.ina  madre, 

Caro  Un  a. 

Al  Signor 
Barone  Alessandro  Poerio 
^/€nezia 


—  '^fòo  — 

CTXYìTì.  Alessandro  Poerìo  alla  Carolina  Poerìo-Sossìsergio 

ed  a  Carlo  Poerìo. 

Venezia,  a  di  18  Settembre  1848.— A".^  6. 

Carissima  madre. 

Vi  scrissi,  il  15,  per  la  via  di  Toscana;  oggi, 
scrivo,  direttamente,  per  la  posta,  con  Tindirizzo  a 
Luisa.  Mi  duole,  che  il  9  corr.  mese  (data  delPuIti- 
ma  vostra  pervenutami)  non  avevate  ricevuto,  che 
la  mia  del  28  agosto.  Mi  pare  ricordarmi,  di  aver- 
vene  diretta  un'altra,  il  giorno  30.  Ma,  in  tanta  ir- 
regolarità di  servizio  postale,  non  siamo,  al  postut- 
to, i  più  disgraziati,  essendovi  degli  ufBziali  napo- 
*letani,  che  non  hanno  lettere ,  da  mesi ,  e  vivono, 
perciò,  in  grande  angòscia.  Mi  affligge  assai  la  no- 
tizia, che  mi  date,  della  morte  di  P'eppino  Ferrari, 
Della  indelicatezza  de'  suoi  zii,  non  mi  meraviglio, 
punto.  Non  so  intendere,  chi  sia  la  persona,  venuta 
qua,  come  dite,  per  affari  urgenti,  e  partita,  così  di 
fretta  ,  che  non  potè  prendere  le  lettere,  a  me  de- 
stinate. Sentii  dire  ,  che  un  mìo  carissimo  amico , 
tornato,  non  è  molto  tempo,  da  Roma  a  Napoli,  era 
intenzionato  di  venir  qua,  ma,  poi,  non  ho  saputo 
altro. 

Godo,  che  in  tempi,  cosi  difficili  e  dolorosi,  alme- 
no, la  salute  vostra  e  di  tutti  i  parenti  sia  buona, 
il  che  mi  è  conforto  di  molte  amarezze.  In  quanto 
alla  mia  salute,  ho,  già,  scritto  quanto  basta ,  per 
tranquillarvi.  Vado,  di  giorno  in  giorno,  meglio.  Bi- 
sogna, che  mi  premunisca  bene  contro  il  freddo.  Poi- 
ché, qui,  la  mezza  stagione  è  brevissima;  ed  il  verno 


—  256  — 

sopravverrà,  ad  un  tratto.  Già,  in  questi  giorni,  dopo- 
un  caldo  estuante,  1'  aria  è  rinfrescata  molto.  Fre- 
quentissime sono  le  febbri,  per  l'aria  malsana,  ne*^ 
forti  dell'  estuario.  Ma  io,  stando  presso  Pepe  ed  ia 
Venezia,  non  corro  alcun  rischio,  di  prendere  di  tali 
malattie.  Il  mio  amico  conte  Catterinetti ,  il  quale 
è  stato,  un  pezzo,  a  Brondolo,  era  ricaduto  nella  ter- 
zana ;  ma,  ora,  mediante  il  chinino,  se  n'  è  libera* 
to.  Egli  mi  dimostra,  sempre,  grande  amicizia;  è  al- 
loggiato  presso  la  contessa  Mosconi -Papadopoli,  sua 
concittadina  (son  Veronesi  ambidue),  la  quale  viene 
ad  esser  nipote  della  Papadopoli- Aldobrandini,  di  cui 
vi  ho  parlato  nell'  ultima  mia.  Questa  Signora  Ve- 
ronese è  molto  benemerita  di  Venezia,  poiché  pre- 
siede il  comitato  delle  dame,  che  provvedono  ai  bi- 
sogni urgenti  di  vestiario  e  di  altri  oggetti  de'  mi-* 
liti,  destinati  alla  difesa  delle  lagune.  Vidi,  ieri,  una 
altra  signora,  venuta  da  Verona,  la  quale  raccontò, 
dello  stato  di  quel  paese ,  cose ,  da  far  piangere  e 
fremere.  Inoltre ,  stava  in  continui  palpiti ,  per  le 
tante  menzogne,  sparse  dagli  Austriaci,  sul  conto  di 
Venezia:  nientemeno  che  colera,  anarchia,  omicidi, 
saccheggi.  Il  vero  si  è ,  che  V  ordine  ,  la  pace ,  la 
tranquillità  e  la  civiltà  somma  di  questa  popolazio- 
ne sono  mirabili. 

Oggi,  prendo  i  sessanta  Ducati;  che  avrete,  già,, 
passati  a  Florestano.  Una  parte,  se  ne  andrà,  subito, 
per  provvedermi  di  qualche  oggetto  di  vestiario  in- 
vernale più  necessario,  mancando,  del  tutto,  di  giacca 
per  casa  e  di  sottovesti.  Vi  ho  pregato ,  di  unire 
tutta  la  mia  rimanente  roba  d' inverno,  ancora  ser- 
vibile, a  quella,  che  Damiano  ed  il  Generale  si  fanno 
spedire,  da  Napoli.  Per  ordinare  il  resto  di  ciò,  che 


—  257  — 

mi  bisogna ,  aspetterò ,  che  mi  venga  una  somma 
straordinaria.  Tra  le  altre  cose  indispensabili,  vi  è  il 
cappotto:  quello,  che  fu  fatto,  in  Parigi,  nel  1835,  es- 
sendo ,  dopo  tredici  in  quattordici  anni  di  servizio, 
passato  agi'  invalidi.  Nulla  mi  avete,  più,  accennato 
della  Guacci.  Maria  Teresa,  eh'  è  a  Genova,  mi  ha 
scritto,  per  mezzo  di  un  uffiziale,  venuto,  qua.  Il  ma- 
rito è  a  Vercelh';  non  par  certo,  ch'egli  sia  per  ri- 
manere nell'esercito  piemontese-lombardo.  Forse  (mi 
scrive  la  moglie)  verrà  in  Venezia.  Io  non  gli  con- 
siglierei di  farlo,  se,  prima,  non  gli  verrà  affidato  un 
comando;  nel  qual  caso,  potrebbe  rendere  eminenti 
servigi.  Abbraccio  Carlotta;  saluto,  caramente,  Luisa, 
Antonia,  Emilio  e  Peppino  ;  e  soggiungo  due  righe 
per  Carlo. 

P.  S.  Ho  riveduto,  con  gran  piacere,  Livio  Zam- 
beccari,  ch'è  giunto,  col  suo  battaglione.  Ve,  anche, 
il  battaglione  universitario;  comandato  dal  Ceccherini; 
e  si  aspetta,  da  Romagna,  altra  gente. 

Carissimo  fratello , 

Nel  tempo  stesso,  sono  giunte,  qua:  lettere  dell'Am- 
basciatore francese  in  Roma,  annunzianti  la  partenza, 
per  Venezia,  di  una  flotta,  con  quattromila  uomini  da 
sbarco;  e  le  notizie  del  contrordine,  dato,  in  conse- 
guenza della  mediazione ,  accettata  dall'  Austria.  A 
me,  duole,  grandemente,  che,  mentre  la  guerra  stava 
per  iscoppiare,  a  salute  d'Italia,  siamo  ricaduti,  in  mano 
alla  subdola  diplomazia.  Se  lo  sgombro  degli  Austriaci 
non  ha  luogo,  immediatamente,  le  trattative  potranno, 
tirando  le  cose  in  lungo,  dar,  all'Austria,  il  tempo, 

di  riaversi  de'disordini  interni,  che  sono  gravissimi, 

17 


—  258  — 

d'intrigare  e  di  conservare,  in  qualche  modo,  la  sua 
influenza,  in  Italia.  In  breve,  cadranno  le  nevi;  e  diffi- 
cilissimo sarà  il  varcare  le  Alpi.  Dicono,  che  questa 
risoluzione  dell'Austria,  di  accettare  la  mediazione  of- 
ferta, sia  stata  motivata,  dalla  ripugnanza  dell'As- 
semblea nazionale  di  Francoforte,  a  far  causa  comune, 
con  essa,  nella  quistione  Italiana. 

Parlasi  di  lega,  conchiusa:  tra  Carlo  Alberto,  Leo- 
poldo ed  il  Pontefice. 

Il  nostro  misero  paese,  già,  s'intende,  è  come  non 
fosse  in  Italia.  Ho  saputo  le  carneficine  di  Sicilia;  se 
metà  di  quell'accanimento  fratricida  si  fosse  adoperato 
contro  gli  Austriaci,  sarebbero  stati,  già,  cacciati,  ol- 
tre l'Alpi.  Noi  siamo,  qui,  volenterosi  e  sereni;  e  fare- 
mo il  dover  nostro. 

Crispino  Vitale  serve,  effettivamente,  nella  Segre- 
teria del  Comando  supremo.  Per  ora,  dice  esser  con- 
tento;  e  non  desidera  nulla.  Giuseppe  di  Giuseppe  (te 
lo  ripeto,  perchè  tu  lo  dica  al  xVlarchese  Ruffo)  non  si 
è,  mai,  veduto.  Se  si  presenterà,  lo  raccomanderò,  al 
Generale.  Ma,  siccome  egli  segue  la  regola,  di  non  usar 
favore,  ad  alcuno,  e  di  operare  le  strette  regole  di 
giustizia,  cosi  vi  è  poco  da  fondare  su  di  ciò.  In  quanto 
a'figliuoli  dell'ottimo  Dragonetti,  uno  di  essi,  a  nome 
Alfonso,  assai  malandato  in  salute,  chiese  un  permes- 
'so:  e  l'ottenne.  Dev'essere,  già,  partito,  da  più  giorni. 
L'altro,  essendosi  ristabilito,  sufficientemente,  non  ha 
insistito,  per  andar  via.  Il  Generale  mi  ha  detto,  che, 
in  caso  di  recidiva  e  di  determinazione  di  partenza,  non 
mancherà  di  facilitarlo;  e  saluta,  caramente,  il  Marche- 
se. Ti  dice  mille  cose  amichevoli;  e,  cosi,  pure,  Assanti 
ed  Ulloa.  I  fogli  parlano  di  agitazione  grande,  costà, 
e  di  risse  sanguinose   tra  lazzari;  tu  mi  dici  esser 


—  259  — 

stata  cosa  leggiera.  La  Gozzadini  scrive  a  Cattarì- 
netti,  da  una,  villa  vicino  Bologna;  e  si  mostra,  assai, 
sconfortata.  Colpa  del  marito,  eh'  ella  ama  molto . . 

Addio.  Caramente,  abbracciandoti,  mi 

ripeto 

Tao  Aff.mo  fratello 

Alessandro. 

Alla  Nobil  Donna 
La  Sig.  Baronessa  Luisa  ParriUi  nata  Sossi-Sergìo 

Strada  Banchi  Nuovi,  u^  13. 
In  casa  di  D.  Michelangelo  ParriUi,  Pari  del  Regno. 

Napoli, 


CXXXIV.  Federico  Bellazzi  ad  Alessandro  Poerio. 

Genova,  19  Settembre  1848. 

« 

Pregiat.mo  Signore  e  Amico, 

Spero,  che  la  S.  V.  non  si  sarà  dimenticata  di  me, 
-dopo  i  giorni,  che  passammo,  insieme,  a  Bologna,  a 
Ferrara  e  a  Venezia ,  quand'  io  era ,  presso  Cesare 
Correnti,  in  qualità  di  Segretario.  In  quel  tempo,  (in 
cui  le  nostre  speranze ,  per  la  sventurata  e  tradita 
Italia,  non  vedevano  una  nube  sulforizzonte  dell'av- 
venire, che  ci  attristasele  e  ci  facesse  fremere  d'indi- 
gnazione,) io  conobbi,  in  Lei,  un'anima  tanto  generosa 
quanto  ingenua  e  cara;  e  mi  fu  dolce,  allo  spirito,  il 
pensiero,  che  di  Lei  grata  memoria  avrei  conserva- 
ta. E  cosi  fu.  Ma  mi  duole,  che,  per  provarle  la  mia 
stima  e  il  mio  aflFetto,  debba,  per  la  prima  volta,  ca- 
gionarle qualche  incomodo.  Latori  della  presente  sono: 
Achille  Correnti,  fratello  di  Cesare,  V  ingegnere  Guar- 


—  260  — 

sieri  e  il  medico  Amadeo,  che  accompagnano,  com« 
capi,  quei  pochi  animosi,  che  a  Venezia  si  recano,  co- 
me martiri,  per  la  patria,  e  come  apostoli  di  conforta, 
presso  i  loro  fratelli.  Io  Le  raccomando,  caldamente^ 
questi  tre  ottimi  giovani,  onde  li  assista  e  li  proteg- 
ga. Certo ,  che  il  suo  buon  cuore  non  mi  negherà 
tale  favore ,  non  aggiungo  altro.  Cesare  Córrenti 
e  gli  altri  della  Commissione,  per  il  prestito  Nazio- 
nale, sono  a  Torino;  e  lasciarono  me,  in  questa  città», 
come  loro  Segretario,  onde  disimpegnare  alcune  fac- 
cende. Genova  è  ancora  Italiana,  di  azione  e  di  pen- 
siero; e  farà,  quanto  è  in  lei,  per  soccorrere  la  so- 
rella Venezia.  Si  dice ,  questa  mattina ,  che  Bedeau 
abbia  accettato  di  condurre  Tarmata  Piemontese,  a 
patto,  però,  che  il  Re,  in  caso  di  guerra,  stia  a  casa 
sua.  Nella  speranza,  di,  presto,  rivederla  a  Venezia,. 
La  riverisco;  e  mi  pregio  sottoscrivermi,  di  V.  S. 

A f fez.  ino  e  Devotiss.mo 

Bellazzi  Federico. 

Al  Signor 
Barone  Alessandro  Poerio. 

Presso  S.  E.  il  Generale  Pepe, 
Yenezia, 


GXXXV.  Alessandro  Poerio  alla  Carolina  Poerio-Sossisergio 

ed  a  Carlo  Poerio. 

Venezia,  a  dì  21  Settembre. 
^.^  6  {bis). 

Carissima  madre, 
Vi  scrissi,  il  18  corr.  mese,  per  la  posta,  dirigenda 


—  261  — 

la  lettera  a  zia  Luisa;  questa  Taccludo,  per  maggior 
sicurezza  di  recapito,  ad  Enrico,  in  Firenze.  Da  due 
giorni ,  manca  il  corriere  ;  T  ultima  vostra  è  quella 
del  9  settembre.  Damiano  non  ha  ricevuto  lettera 
alcuna,  dopo  quella,  in  data  del  31  agosto.  Il  Gene- 
rale n'ebbe,  ier  l'altro,  una  di  Florestano,  per  mezzo 
del  Console  francese,  ma  senza  data,  piena  di  buone 
speranze  di  soccorso,  per  parte  della  Francia,  e  con 
l'annunzio  positivo,  che  sarebbe,  subito,  arrivato,  in 
Venezia,  un  incaricato  di  quel  Governo.  Finora,  nulla 
si  è  avverato.  Io  la  credo,  dunque,  una  lettera  attras- 
sata,  scritta,  prima,  che,  per  l'accettazione  della  of- 
ferta mediazione  anglo-galla,  fosse  dato  contrordine 
alla  divisata  spedizione  nell'Adriatico.  Ma,  delle  cose 
politiche,  scriverò,  nell'altro  mezzo  foglio,  a  Carlino. 

Non  ho  ricevuto  il  ritrattino  della  felice  memoria 
di  mio  padre,  che  mi  diceste  avere  spedito.  Mi  dor- 
rebbe ,  infinitamente ,  che  si  fosse  smarrito.  Pren- 
dete conto,  se,  eflFettivamente,  sìa  partito. 

In  quanto  alla  salute  ,  vi  ho  scritto  la  verità  : 
tranquillatevi.  Mi  vado,  sempre  più,  ripigliando;  e  con» 
fido,  di  star  bene.  Ed,  anche,  gl'incomodi,  che  si  riaf- 
facciano, li  sopporto,  animosamente:  certo,  come  mi 
tengo,  di  non  più  ricadere,  in  quello  stato  spasmo- 
dico d'irritabilità  nervosa,  che  m'affliggeva  e  pro- 
strava, costà.  Per  questa  parte,  non  siate,  dunque, 
punto,  inquieta;  e  abbiate  voi  cura  della  vostra  cara 
salute,  ch'è  la  cosa  più  preziosa,  che  io  mi  abbia  al 

mondo. 

Parliamo,  ora,  del  danaro,  cosa  sostanzialissima.  Al- 
tra novità!  Il  Generale,  nel  passarmi,  ultimamente,  i 
sessanta  Ducati,  mi  disse,  che,  non  volendo,  io  gli  re* 
cava  danno.  Poiché,  quantunque  voi  diate,  anticipa- 


—  2»i2  — 

temente,  a  Florestano,  le  somme,  ch'egli,  qui,  mi  pas- 
sa, egli  non  può  ripeterle  dal  fratello,  il  quale  tanta 
largheggia  verso  di  lui,  rimettendogli  vistosa  quan- 
tità di  danaro.  E,  così,  quel,  che  io  prendo  da  esso 
Guglielmo,  viene  ad  esser  tanto  di  meno,  su  quel,  cho 
il  fratello  gli  manda.  La  cosa  è  vera.  Ma  vi  confesso^ 
che  la-  osservazione,  mentre  noi  procediamo,  con  tanta 
delicatezza,  e  dopo,  che,  in  Napoli,  fu  concordato,  con 
lui,  che  si  sarebbe  tenuto  questo  modo,  non  ha  man- 
cato di  mortificarmi.  Ecco,  dunque,  la  necessità,  che 
il  danaro  mi  sia  rimesso,  direttamente.  Vi  ho  scritto 
la  urgenza,  io  cui  sono,  di  roba  d'inverno.  Vi  ho 
pregato  di  concertarvi,  con  Cosimo,  perchè  io  abbia, 
qui,  tutto  ciò,  che  lasciai,  in  Napoli,  ancora,  in  tol- 
lerabile stato.  Ricordo,  poi,  che  le  sottovesti  inver- 
nali eran  molte  ed,  alcune,  nuove.  Ma  ho  bisogno  di 
molti  altri  oggetti;  ed  il  solo  cappotto  (più  necessa- 
rio di  ogni  altro  )  è  spesa  non  piccola.  Perciò ,  vi 
ho  pregato  di  una  somma  straordinaria,  per  vestir- 
mi; oltre  la  solita,  pel  mantenimento.  Vi  ho  fatto, 
anche,  osservare,  che,  in  tempi  così  procellosi  e  dif- 
ficili, in  cui,  anche,  il  prossimo  avvenire  non  si  può 
prò  vedere,  il  trovarsi  sprovvisto  di  danaro,  per  qual- 
che emergenza  subitanea,  è  ben  triste  cosa.  Dopo  il 
discorso,  fattomi  dal  Ge/ierale,  non  posso  rivolgermi, 
a  lui.  Soltanto,  posso  pregarlo,  di  raccomandarmi,  a 
qualche  banchiere,  qui,  per  trarre  a  vista  su  voi  e 
su  Carlino.  Ma  vorrei  evitare,  anche,  questo;  e,  s'è 
possibile,  che  mi  mandiate,  direttamente,  una  somma 
proporzionata  alle  suddette  necessità ,  sarà  molto 
megho.  So  che  Cesare  Berretta,  cui  Carlino  mi  rac- 
comandò, Fanno  scorso,  in  Romay  ha  casa  di  com- 


—  263  — 

mercio,  eziandio,  in  Ancona;  e  quella  avrà,  certamen- 
te, relazioni,  anche,  a  Venezia. 

Conosco  la  deplorabile  situazione  della  famiglia. 
Perciò,  vi  ho  pregato  di  vendere  una  parte  de'libri, 
che  potrebbero,  a  me,  spettare.  Penetratevi  della  mia 
situazione  :  io  non  ho  soldo ,  non  essendo,  neppure, 
caporale;  di  sopra,  vi  ho  esposto  quel,  che  il  Gè-» 
nerale  mi  ha  detto  ;  il  verno  sopravviene;  e  gli  e- 
venti,  che  si  preparano,  sono  incertissimi.  Scrivete, 
dunque,  subito,  se  i  dugento  Ducati,  che  ho  chiesti, 
potete  mandarli,  direttamente,  o  se  debbo  cercar,  di 
averli ,  qui,  da  un  banchiere ,  traendo  a  vista.  Ab- 
braccio Carlotta  ;  saluto  Emilio  ,  Luisa  ,  Antonia  e 
Peppino.  Vi  bacio  la  mano  e,  con  filiale  tenerezza, 
mi  ripeto 

Il  v.o  Aff.mo 

Alessandro. 

P.  S.  La  posta  è,  finalmente,  giunta.  Damiano  ha 
avuto  una  lettera  del  fratello,  del  di  10;  io,  nulla. 

Carissimo  fratello, 

I  casi  di  Sicilia  mi  hanno ,  assai ,  funestato.  Per 
quanto  la  Inghilterra  sia  perfida,  non  parea  possi- 
bile, ch'ella  volesse  rimanere  spettatrice  di  tante  a- 
trocità.  È,  poi,  vero,  che  la  Francia  e  l'Inghilterra 
abbiano  interposta,  dopo  l'eccidio  messinese,  la  loro 
mediazione?  Io  stento,  a  crederlo;  poiché,  se  avessero 
avuto  senso  di  umanità,  que' Governi  avrebbero  im- 
pedito il  male.  Tutto  ciò  è  di  pessimo  augurio,  per 
la  povera  Italia.  Tante  belle  promesse  son  gite,  a 
vuoto.  La  spedizione  navale  francese,  nell'Adriatico, 
è  contromandata.  Circolano  voci  contraddittorie.  Chi 


—  264  — 

dice,  che  l'armistizio  sarà  prolungato  di  dritto,  per  le 
trattative  cominciate.  Chi  dice  ,  per  contrario,  che, 
(l'Austria  insistendo,  perchè  il  Lombardo- Veneto  re- 
sti aggregato  all'Impero,  quantunque  sotto  un'  am- 
ministrazione separata;  e  la  Francia  non  potendo,  su 
ciò,  acconsentire,)  le  ostilità  cominceranno,  presto.  Non 
sappiamo  più,  che  pensare.  Certo  è,  che  non  abbia- 
mo veduto  un  sol  legno  francese;  né  la  Repubblica 
manda  un  obolo,  a  Venezia.  Dall'  altra  parte,  è  un 
fatto,  che  un  vapore  austriaco  ,  avendo  predato  un 
bastimento,  su  cui  erano  imbarcati  cencinquanta  mi- 
liti romagnoli,  i  legni  francesi  ed  inglesi,  che  sono 
in  Trieste,  lo  forzarono  a  rilasciare  la  preda.  Eccoci, 
in  ansietà  grande.  La  città  è  risoluta  a  difendersi; 
e  non  teme  gli  assalti  austriaci,  ma  piuttosto  le  in- 
sidie e  perfidie  diplomatiche;  e,  siccome  il  danaro  non 
può  bastare,  alla  lunga,  il  vero  pericolo  è,  che  que- 
sto Governo  dell'unica  città,  che,  ancora,  resiste  allo 
straniero,  muoja  d'inedia.  Lessi  la  tua  animosa  mo- 
zione, per  la  immediata  presentazione  dello  stato  di- 
scusso. La  risposta  è  stata  la  proroga  delle  Camere. 
Manca  la  posta ,  da  due  giorni.  Puoi  immaginare , 
quanto  ciò  tenga  contristati  gli  animi ,  che  vivono, 
qui,  di  continue  speranze ,  di  ricevere,  di  giorno  in 
giorno,  qualche  nuova  migliore. 

Ebbi  una  lettera  di  Nicola  Attanasio,  il  quale  sa- 
luterai, caramente,  da  mia  parte.  Gli  dirai,  che  sono 
dolente ,  di  non  aver  potuto  far  nulla ,  pe*  fratelli 
Masoli,  suoi  raccomandati.  H  Generale  non  dà  con- 
gedo, se  non  in  caso  di  malattia  certificata.  L'  uno 
de'Dragonetti  partì.  L'altro  sta  meglio;  e  non  pensa, 
ad  andar  via.  Aspetto,  con  impazienza,  tue  lettere. 
Della  mia  situazione  imbarazzante ,  ho  scritto  ,  lun- 


—  265  — 

gaiDente,  a  nostra  madre.  Provvedete,  al  più  presto 
possibile.  Ti  abbraccia  il  tuo 

Aff.mo  firatello, 

Alessandro. 

Alla  Nobil  Donna, 
La  signora  Baronessa  Carolina  Poerio, 

Strada  del  Salvatore  N.o  5 
Napoli. 


GXXXVI.  La  Carolina  Poerio-Sossisergio  e  Carlo  Poerio 

ad  Alessandro  Poerio. 

Napoli.  21  Settembre  1848. 

Mio  carissimo  figlio, 

Alla  tua  del  5,  risposi;  e  ti  mandai  II  Tempo,  sotto 
fascia.  Ora,  rispondo,  brevemente,  alla  tua  del  10,  per- 
chè domenica  ti  scriverò  a  lungo,  e  ti  manderò  qual- 
che cosa  d'inverno,  avendone  l'occasione.  Mi  duole,  as- 
sai, l'agitazione  dell'animo  tuo.  Ed  io  e  tuo  fratello 
vorremmo  fare  tutto,  dal  canto  nostro,  per  contentar- 
ti: ma  l'imperiosa  necessità  c'impedisce,  di  fare  tutto 
•ciò,  che  vorremmo.  Per  altro,  nel  corso  di  Ottobre,  ti 
<5ontenterò,  per  la  credenziale.  Ma  sappi,  che,  per  Vene- 
zia, non  è  possibile  averla;  poiché  non  ci  è  commercio, 
col  Regno.  Perciò,  dimmi,  più  o  meno,  le  città,  su  le 
quali  vorresti  essere  accreditato.  Per  il  progetto,  che 
mi  fai,  di  vendere  i  libri,  non  ti  rispondo  altro:  che,  in 
piazza,  non  si  trova,  neanche,  a  vendere  argento  ed  oro, 
^1  suo  giusto  valore.  Certo,  è  un  momento  di  crisi, per 
l'intera  Europa:  dunque,  i  particolari,  bisogna,  che  se  ne 
<^vino,  come  meglio  possono.  Tuo  fratello  è  tornato 


—  266  — 

dalla  campagna,  da  dove  ti  scrisse:  ora,  soggiungerà 
un  rigo.  Ho  fatto  capitare  i  ducati  60,  al  Generale^ 
qualche  giorno  più  tardi.  Credevo  incassare  una 
somma,  qualche  giorno  prima;  ed  essere,  appunto, 
per  il  di  dieci  ed,  anche,  prima,  pronta.  Ma  dimmi,  se 
i  calcoli  e  i  desideri  degli  uomini  vanno,  mai,  a  se- 
conda ?  Quel,  che  ti  prego,  è  di  tranquillarti,  prima  di 
tutto,  sul  nostro  conto;  e  fidare  nell'avvenire.  Qui,  ha 
fatto  un  freddo  di  dicembre,  tutto  ad  un  tratto,  al- 
lorché faceva  un  caldo  di  luglio ,  non  di  settembre. 
Tua  zia  ti  saluta;  ed  è  stata  molto  intenerita  dalla 
tua  lettera.  Tuo  cugino  ti  ringrazia,  di  quanto  hai 
fatto  ,  per  cavare  il  netto  della  spedizione  de'  suoi 
libri.  Tua  sorella,  cognato  e  nipoti  e  zia  Antonia  ti 
dicono  tante  cose.  Maria  Teresa  si  lagna ,  che  suo 
marito  non  riceve  tue  risposte,  alle  lettere,  che  ti  ha 
scritto.  Addio ,  figlio  mio,  amami;  e  credimi  la  tua 
afifezionatissima  madre,  che  ti  benedice 

Carolina. 

Carissimo  fratello, 

Ieri  l'altro,  sono  tornato  da  Ischia,  dove  mi  son 
trattenuto,  cinque  giorni.  Ho  trovato  l'ottimo  Gene- 
rale Florestano,  molto,  migliorato  la  salute,  sebbene 
egli  non  ne  convenga.  Egli  si  tratterrà,  tutto  questo 
mese;  e,  se  mi  riesce,  tornerò  a  visitarlo.  Il  mio  di- 
scorso del  26  si  trova,  per  esteso,  con  tutta  la  di- 
scussione, nel  Giornale  Ufficiale  del  2  Settembre.  Non 
mi  dici,  di  aver  letto  la  lettera  del  Baldacchini  e 
la  mia  risposta.  Entrambe  trovansi  nella  Libertà 
Italiana^  periodico,  che  si  stampa,  in  Napoli  ;  e  che 
credo,  che  venga  costà.  Procurati,  dunque,  i  due  nu- 
meri del  28  e  31  Agosto.  In  ogni  caso ,  te  li  spe- 


—  267  — 

dirò,  con  un  amico,  che  viene  costà.  A  quest'ora,, 
avrai  ricevuta  una  mia  lettera,  datata  da  Ischia.  Il 
Segretariato  dell'Assemblea  si  sta  occupando  del  ren- 
di-conto  de'  lavori  della  Camera  e  delle  leggi  in  pro- 
posta. Subito,  che  sarà  stampato,  te  lo  rimetterò^ 
Cicognani  scrisse  alla  nostra  buona  madre.  Ora,  egli 
è  Ministro  di  Giustizia.  Io  non  gl'invidio  la  compa- 
gnia di  Pellegrino  Rossi.  Saluto,  caramente,  il  tuo 
padrone  di  casa,  se  è  tornato.  Ossequio  il  Generale; 
e  saluto,  aflfettuosamente,  i  compagni.  Dammi  notizie 
di  Cosenz;  mi  dicono,  che  sia  infermo.  L'ottimo  An- 
druzzi,  che  accompagnò  Enrico,  quando  fuggiva  da 
Napoli,  un  anno  fa,  è  stato  ucciso,  combattendo,  con- 
tro i  Messinesi.  L'ottimo  ufficiale  Pellegrino  ha  avuto 
la  stessa  sorte.  Deplorabili  effetti  delle  guerre  civi- 
li! Ti  abbraccio,  di  cuore. 


Tuo  aff.mo  fratello 

Carlo  Poerio. 


Al  Signore 

Sig.  Francesco  BeUinga 

in  Venezia. 
[Sconosciuto  dai  Portalettere] 


CXXXVn.  Enrico  Poerio  ad  Alessandro  Poerio. 

Firenze  21  Settembre. 

Carissimo  Alessandro, 

Ho  ricevuto  la  tua  diletta,  de'  15  corrente  mese; 
e  vi  rispondo.  Per  mezzo  di  Zanardini  non  ti  scrissi, 
avendoti,  già,  mandata,  per  la  posta,  un'altra  mia  let- 
tera. Qui,  è  accluso  un  foglio  a  RosaroU;  al  quale 
ho  risposto.  La  lettera,  a  tua  madre,  è  andata,  come 
sono^  sempre,  andate,  anche,  le  altre.  Eccomi  a  ri- 


—  268  — 

schiarare  le  notizie,  che  avete  intorno  a  Livorno  ed 
a  Napoli.  Livorno  è,  sempre,  staccato  dal  Governo; 
e  si  governa  da  sé.  Ma  non  sanno ,  al  solito ,  quel 
che  vogliono.  Ti  ripeto  ciò,  che  mi  pare  averti  detto, 
un'altra  volta:  cioè,  che,  a  Livorno,  erano,  alla  testa 
delle  cose ,  gente  ambiziosa  e  perniciosa.  Il  movi- 
mento non  era,  forse,  del  tutto  liberale;  era  incerto 
e  debole.  E  il  governo,  (che,  da  bel  prima,  avrebbe, 
con  una  certa  tal  quale  energia,  potuto  sperdere  i 
cattivi,  e  che,  invece,  per  paura,  è  venuto,  a  patti,  con 
ruffiani  e  spie,  che  venivano  in  deputazione,)  è  tra- 
scorso, poi,  troppo  tardi,  a  misure  sciocche  ed  irrita- 
trici,  come,  per  esempio,  a  quella,  di  far  chiudere  i 
circoli  popolari.  Non  posso  trovare  migliore  espres- 
sione, per  dipingere  gli  affari  di  Livorno,  che  quella, 
usata  da  Ruggiero  Bonghi,  in  una  lettera,  ad  un  amico; 
ed  è  questa:  Allo  sbadiglio  del  moto  Livornese, 
che  non  sa  essere  o  non  essere,  s'apre  lo  sbadi-- 
gito  del  Governo,  che  non  sa  vincerlo  né  ceder^ 
vi.  In  quanto  a  Napoli,  saprai,  che,  dopo  la  proro- 
ga delle  Camere  ,  vi  fu  una  zuffa ,  tra'  lazzaroni  di 
S.*  Lucia  e  quelli  del  Largo  delle  Barracche.  Ora,  (ed 
è  De  Cesare,  che  me  lo  scrive),  soltanto,  sono  rima- 
sti,  al  Re,  i  due  quartieri  di  S.*  Lucia  e  di  Mercato: 
gli  altri  dieci  sono  per  la  nostra  causa  e  sono  pa- 
gati da'  circoli  nazionali.  Pare,  che  preparino  qual- 
che cosa.  Ma  voglia  Iddio,  che  faccian  bene  e  dav- 
vero; e  diano,  all'infame  Ferdinando,  una  di  quelle 
lezioni,  che  basta  per  tutte.  Si,  è  vero,  si  è  messa 
assieme  una  somma,  per  Venezia;  anzi,  Taltra  sera, 
ci  fu,  al  Cocomero,  una  beneficiata,  per  l' eroica  città 
di  Venezia.  Non  è  vero,  per  altro,  che  Firenze  sia 
fredda,  né  le  altre  parti  della  Toscana.  Se  hanno 


—  269  — 

mostrato  avversione,  al  movimento  Livornese,  è  sta- 
to ,  perchè  lo  vedevano  diretto  da  gente  di  nessun 

costume,  di  nessuna  morale,  di  nessuna  influenza.  E, 
poi,  temevano,  che  quest'  interno  agitarsi  potesse  nuo- 
cere, alla  causa  generale;  ed  amavano  meglio,  d'es- 
sere tutti  uniti,  per  provvedere  alle  cose  d'una  guer- 
ra,  che,  forse,  si  potrebbe  subito  ripigliare,  termi- 
nando in  breve  l'armistizio.  Convengo,  con  te,  che 
non  si  sa  nulla,  ancora,  di  quello,  che  si  farà,  se  la 
pace  o  la  guerra.  Degli  ordini  e  contrordini,  di  cui 
mi  parli,  nella  tua  lettera,  se  ne  parla,  anche,  qui;  né 
si  sa,  a  qual  giudizio  appigliarsi.  La  mediazione  d'una 
potenza,  come  la  Francia,  che  potrebbe,  anche,  inter- 
venire a  mano  armata  ,  deve  imporne  all'  Austria  ; 
ma,  d'altra  parte,  l'Austria,  ebbra  della  vittoria,  si 
piegherebbe,  a  sgombrare  dalle  possessioni  lombarde? 
È  un  gran  problema.  Dio  voglia ,  che  ricominci  la 
guerra  :  questa  è  V  àncora  di  salvezza.  I  Gabinetti 
mi  fan  paura.  Montanelli  è  tornato;  io  non  vado  a 
Pisa,  perchè  so,  che  egli,  fra  giorni,  viene  a  Firenze- 
Appena,  lo  vedrò,  l'abbraccerò  per  te.  Sì,  egli  può 
essere,  molto,  utile.  Giusti  è  occupato  alle  Camere; 
ma  non  è  di  quelli,  che  vi  figuri.  Sai,  che,  tra  le  al- 
tre cose,  non  ha  il  dono  della  parola.  Per  adesso,  non 
ha  scritto  altro;  almeno,  per  quello,  ch'io  sappia.  Ho, 
sempre,  lettere  da  Napoli;  ma,  da  zio  Raffaele,  è  un 
pezzetto,  che  non  ne  ricevo.  Ho  scritto,  a  Genova 
a  zia  Teresa,  perchè  mi  desse  sue  nuove.  Io  ho,  già,, 
ottenuta  la  naturalizzazione  toscana:  ho  meco  il  re- 
scritto del  Granduca.  Vedremo,  ora,  il  Ministro  della 
Guerra,  che  farà.  Egli  mi  promise  di  far  caso  di  me, 
per  un  posto  militare,  appena  fossi  stato  riconosciuto 
toscano.  Non  mi  trovo  il  numero,  che  chiedi,  della 


—  270  — 

Libertà  Italiana;  né,  finora,  l'ho  potuto  trovare.  Ma 
farò  di  tutto;  ed,  appena  l'avrò,  te  lo  manderò,  sotto 
fascia.  Vieusseux,  tutti  gli  amici  di  qua,  Ruggiero 
Bonghi  ti  salutano;  mentre  io,  pregandoti  di  salu- 
tarmi il  Generale,  Assanti,  Ulloa,  Cosenz,  t'abbrac- 
cio e  sono 


Tuo  aff.mo  cugino, 

Enrico  Poerio. 


Al  Nobile  Uomo 
Il  Sig.  Barone  Alessandro  Poerìo 

presso  il  General  Pepe. 
Yenezia. 


GXXXVIII.  Alessandro  Poerio  alla  Carolina  Poerio-Sossisergio. 

Venezia,  a  di  25  Settembre  1848. 
N!"  7. 

Carissima  madre. 

Dopo  una  serie  di  lettere  vostre,  giunte,  piuttosto, 
con  regolarità,  esse  cominciano,  di  nuovo,  a  man- 
carmi, con  mio  forte  dispiacere.  L'  ultima,  che  siami 
pervenuta,  è  del  di  9  corr.  mese.  E  sarei  in  grande 
apprensione,  se  una  lettera  de'14,  dettata,  da  Flore- 
stano, a  Carlino,  in  Ischia,  ed  un'altra  di  Cosimo  As- 
santi, in  data  del  16,  in  cui  si  parla  di  tutti  voi,  non 
mi  avessero  tranquillato.  Io  scrivo,  spesso;  e  vedete, 
che  la  presente  è  la  settima,  che  vi  dirigo,  nel  corr. 
Settembre,  oltre  due  righe,  che  v'aggiunsi,  in  una  del 
General  Guglielmo  a  Carlino,  il  di  5. 

Mi  rimetto  alle  mie  antecedenti,  per  quel,  che  ri- 
guarda: il  danaro,  che  attendo;  la  spedizione  della 
roba  d'inverno,  ancora,  servibile;  il  mandarmi  i  fondi, 
direttamente,  qua,  (poiché  il  Generale  non  può  ripe- 


—  271  — 

tere  dal  fratello  le  somme,  che  gli  passate,  per  conto 
mio),  ovvero  rautorizzazione  di  trarre  a  vista,  pren* 
dendo  il  danaro,  da  qualche  banchiere,  che,  sotto  le 
raccomandazioni  del  Generale,  vorrà  anticiparmelo. 
Il  verno  è  imminente  ;  e  bisogna,  ben,  provvedersi. 
Della  salute,  in  pieno,  vado  meglio;  e,  poi,  vi  ripeto, 
che,  anche  soffrendo,  in  paragone  di  quel,  che  pa- 
tiva in  Napoli,  debbo  chiamarmi  contento. 

Delle  cose  pubbliche,  carissima  madre,  che  dirvi  ? 
Circolano  mille  voci  diverse.  Stiamo  a  vedere,  che 
sia  per  fare  la  Diplomazia;  io  ne  auguro  poco  bene. 
Ad  ogni  modo,  ecco  il  nostro  motto,  (e  credo,  che,  da 
Francia,  non  avremo  altro,  per  ora):  Fais  ce  que  tu 
dots,  advienne  que  pourra.  Non  ostante  il  preteso 
blocco  da  mare,  in  Venezia,  è  grande  abbondanza  di 
tutto;  spesso,  abbiamo,  anche,  il  gelato.  Presto,  giun- 
geranno seimila  fucili.  Il  Morandi  (uomo  di  valore, 
che  combattè  a  Treviso  e  sul  Sile)  è  venuto,  con  cin- 
quanta volontari,  ben  ordinati. 

RajQfaele  è  incaricato  ,  con  due  altri  generali  ;  di 
riorganizzare  i  Lombardi,  rimasti  in  Piemonte.  Maria 
Teresa  mi  scrisse ,  da  Genova ,  per  mezzo  del  pri- 
mo tenente  Olivieri ,  giovane  napolitano,  che  si  è, 
assai,  distinto;  ha  ottenuto,  qui,  il  brevetto,  che  de- 
siderava. 

Ho  scritto,  a  Montanelli,  che,  con  immensa  gioja, 
ho  saputo  liberato  e  ripatriato.  Non  ho  avuto,  ancora, 
risposta. 

Credo  Carlo  tornato,  da  Ischia  ;  abbraccio  lui  e 
Carlotta.  Saluto,  caramente,  Luisa,  Antonia,  Emilio, 
Peppino  ed  i  bambini  delle  due  famiglie.  Domani, 
desinerò  in  casa  della  Contessa  Papadopoli  Aldobran- 
dini,  la  quale  ha  due  bambini,  che  mi  ricordano,  prò- 


—  272  — 

prio,  Vittorio  e  Matteo.  Addio,  carissima  madre;  il 
Generale  e  Damiano  vi  riveriscono.  Io,  vi  bacio  la 
mano;  e,  con  filiale  tenerezza  e  rispetto,  mi  rafferma 

V.o  Aff.mo 

Alessandro. 

Alla  Nobil  Donna 
La  Signora  Baronessa  Luisa  ParriUi  nata  Sossi-Sergio. 

Strada  Banchi  uuoyì,  d.^  13  2.°  piano, 
in  casa  di  D.  Michelangelo  ParriUi^  Pari  del  Regno. 

Napoli, 


CXXXIX.  Il  Circolo  Italiano  di  Venezia  ai  Socii. 

I 

Cittadino  Socio, 

Il  Circolo  Italiano ,  nella  sua  tornata  del  giorno 
25  andante,  nominò  una  Commissione,  composta  dei 
sottoscritti,  onde  invitare  ad  alcuna  largizione  i  socii, 
che,  non  essendo  presenti,  nulla  avevano  potuto  con- 
tribuire, per  supplire  alle  spese  del  cambiamento  di 
sala.  Assunto  dalla  Commissione  l'incarico,  ha  tro- 
vato suo  primo  dovere  quello  di  verificare,  presso 
r  Amministrazione  del  Circolo,  lo  stato  della  cassa, 
mentre  non  è  possibile  di  incontrare  spese,  per  pas- 
sare nelle  sale  del  Ridotto,  senza  che  siano  pareg- 
giate quelle  dell'allestimento  della  sala  CampJoy,  per 
le  quali  il  Circolo  ha  emesso  un  voto  9i  piena  ac- 
clamazione e  delle  quali,  in  parte,  si  spera  un  sol- 
lievo, da  chi  aspirerà  ad  ottenere  la  cessione  del  no- 
stro contratto.  Emerse  dalla  verificazione,  che,  pa- 
reggiata a  tutto  settembre  la  contribuzione  mensile, 
la  quale,  comunque  leggera,  unita  ai  buoni  ingressi 
di  settembre,  fu  sufficiente,  però,  a  coprire  le  spese 
ordinarie  e  quelle  della  prima  istituzione,  rimangono 


—  273  — 

insolute  correnti  lire  3000;  e  che  un  altro  migliajo 
ne  occorre,  per  indispensabili  riparazioni  ed  affìtto 
anticipato,  al  Ridotto.  Ora,  (ponendo  a  calcolo:  i  ri- 
sparmi,  che  possono  aver  luogo  sulFordinaria  tassa, 
tosto  che  siasi  il  circolo,  stabilmente,  collocato;  i  van- 
taggi, che  si  cercherà  d'ottenere,  nella  cessione  della 
sala  Camploy  ;  la  sperabile  aggiunta  di  socii,  nel 
nuovo  locale)  la  Commissione  è  certa,  che,  se  ogni 
socio  volesse  portare  Y  oblazione  spontanea ,  a  sole 
correnti  lire  otto,  la  tramutazione,  al  Ridotto,  po- 
trebbe avvenire,  immediatamente,  ed  il  Circolo  sa- 
rebbe sicuro  di  non  avere  più  d'uopo  di*  suffragare 
la  Cassa.  A  tenore  di  questo  progetto,  ognuno  dei 
socii,  che  si  firmò,  nel  foglio  delle  oblazioni,  al  Ban- 
co della  presidenza,  il  23  corrente,  per  meno  di  lire 
8 ,  non  avrebbe  che  a  supplire  alla  differenza  ;  gli 
altri  firmerebbero  V  unita  oblazione:  pagando ,  ver- 
rebbe loro  rilasciata  relativa  ricevuta,  firmata  da 
un  membro  della  Commissione.  Se  il  decoro  d' un 
Circolo ,  che  ha  per  iscopo  la  cooperazione  al  ben 
essere  della  patria,  in  appoggio  alle  sagge  mire  del 
Governo,  ha  suggerito,  ai  sottoscritti,  la  proposizione, 
che  vi  fanno,  egregio  cittadino;  questo,  per  altro,  non 
toglie,  che  la  vostra  oblazione,  appunto  perchè  serba 
il  carattere  di  spontanea ,  non  possa  essere  meno- 
mata. Salute  e  fratellanza. 

La  Commissione  per  le  oblazioni  : 

Giuriaii,  presidente 
Bollarti, 
Rossetti. 
Peroni, 

18 


—  274  — 

Venezia  il        settembre  1848. 

II  sottoscritto  si  obbliga  di  pagare,  il  giorno 
correnti  lire  per  oblazione  spontanea,  onde  pa- 

reggiare le  spese  dei  due  tramutamenti  di  sala  del 
Circolo  Italiano  per  la  stabile  sua  residenza  al  ridotto. 

Cittadino 
Poerio  Barone  A. 
presso  il  Generale  Pepe. 


CXL.  La  Garolìjia  Poerio-Sossisergio  ad  Alessandro  Poerio. 

Napoli,  23  settembre  1848. 

Mio  carissimo  figlio, 

Ieri  l'altro,  dopo  averti  scritto,  al  solito  indirizzo 
del  sig.  Francesco,  ricevetti  la  tua  lunghissima  del 
13.  Ti  avevo,  già,  scritto:  di  aver  mandato  il  danaro; 
e,  per  la  credenziale,  che  vuoi,  di  darmi  qualche  gior- 
no di  tempo. 

Ho  pronta  una  lettera,  per  te,  del  giorno  14;  ci  fe- 
ci una  soggiunta,  ma  nemmeno  è  partita,  ancora.  Que- 
sta, la  mando  ad  Enrico.  Il  quale  mi  dice,  che  il  suo 
affare  della  naturalizzazione  va  a  compirsi.  Ho  rice- 
vuto lettera,  da  Maria  Teresa,  del  di  13,  da  Genova: 
pare  che  vorrebbe  muovere  in  Regno,  ma  io  non  pos- 
so consigliarglielo.  Tuo  fratello  ti  scrisse.  Giovedì;  ora, 
ti  abbraccia  e  ti  saluta.  Non  ancora  ho  veduto  Car- 
lotta, perchè  mi  sono  fatta  una  legge  di  non  uscire, 
quando  il  tempo  è  rigido.  Ho  ricevute  tutte  le  altre 
lettere,  che  mi  hai  scritto.  La  tua  ultima  è  stata,  ve- 


—  275  — 

ramente,  un  balsamo,  per  me.  Ho  ricevuto  un'affet- 
tuosissima  lettera,  da  Cicognani,  ora,  Ministro;  ci  sono 
tante  cose  amichevoli,  anche,  per  te.  Addio,  caro  fi- 
glio, amami.  Ossequia  il  Generale,  da  parte  di  tutti. 
Non  ti  parlo  di  politica:  qui,  stiamo  al  bujo  di  tutto. 
Peppino,  tuo  cugino,  le  tue  zie  ed,  in  fine,  gli  amici, 
tra  i  quali  Amodio,  il  Tenente  ed  altri....  Ti  abbrac- 
cio e  benedico 

A  ff.  ma  madre 

Carolina. 

Ad  Alessandro 

"Venezia. 


GXLI.  Da-Bois  ad  Alessandro  Poerio. 

Il  Distintissimo  signor  Poerio  è  riverito,  dal  signor 
Du  Bois,  il  quale  si  è  recato,  due  volte,  al  di  lui  al- 
loggio, senza  avere  l'onore  d'incontrarlo.  Siccome, 
però,  avrebbe  da  conferire,  con  lui,  sopra  certo  argo- 
mento, lo  prega,  a  volergli  indicare  Tgra  ed  il  luogo, 
ove  potrebbe  avere  il  bene  di  trovarlo. 

Venezia,  S.  Polo,  24  settembre  1848. 


GXLII.  Cesare  RosaroU-Scorza  ad  Alessandro  Poerio. 

Gent.mo  sig.  D.  Alessandro, 

Il  latore  della  presente  è  il  signor  D.  Peppino  Tri- 
solini,  che  io  vi  raccomandai,  quando  fusto,  qui,  onde, 
vi  avreste  cooperato,  presso  S.  E.  il  General  Pepe, 
per  farlo  avanzare.  Il  mio  raccomandato  è  un  ottimo 


—  276  — 

giovinetto.  Ed  appartiene,  ad  una  famiglia,  che,  sempre, 
ha  pensato  bene;  ed  alla  quale  io  ho  delle  obbligazioni: 
perchè  il  chirurgo  D.  Vincenzo  Trisolini  fu  l'unico^ 
che,  finché  visse,  assistè  e  soccorse  la  famiglia  del- 
l'infelicissimo mio  compagno  di  causa,  Angelotti.  Perciò^ 
a  voi,  che  siete  tanto  buono,  raccomando  il  di  Lui  ni- 
pote, onde  saldare  un  debito,  che,  fin  ora,  non  ho  potu- 
to, come  avrei  voluto,  pagare.  Se  avete  notizie  del  ca- 
ro Enrico,  datemene;  e,  pregandovi  di  darmi  dei  coman- 
di, ed  in  attenzione  de'medesimi,  ho  l'onore  dichiarar- 
mi, di  voi, 

Marghera,  li  24  settembre  1848. 

L*  Obb.ino  Devotis.mo  Servo 

Cesare  RosaroU- Scorza. 
A.  S.  E. 

n  Signor  Barone  D.  Alessandro  Poerio, 

Venezia, 


GXLin.  La  Carolina  Poerio-Sossisergio  e  Carlo  Poerio 

ad  Alessandro  Poerio. 

Napoli,  26  settembre  1848. 

Mio  carissimo  figlio. 

In  data  dei  24,  ti  scrissi  una  lettera  corrente  e  ti 
mandai  quella,  che  doveva  partire,  per  occasione,  per- 
chè mi  dispiaceva,  di  averti  detto  tutto  quello,  che  a- 
vevo  pensato,  che  sentivo,  senza  che  ti  fosse  capitata. 
Ti  mandai,  pure,  i  fogli,  che  desideravi.  Il  Tempo,  te- 
lo mandai,  sotto  fascia,  al  signor  Francesco,  il  giorno- 


—  277  — 

16.  Di  modo  che,  a  quest'ora,  l'avrai,  già,  ricevuto 
tutto. 

Il  Generale,  nel  rispondere,  alla  mia  del  21,  mi  ha 
mandato  questo  bigliettino,  che  ti  compiego;  ed  una 
tua  lettera,  in  data  del  5,  per  la  posta:  poi,  ne  ho  ri- 
cevute due  del  15  e  18.  Mi  consolo,  per  la  tua  mi- 
gliorata salute;  spero  che,  finito  il  caldo,  starai  me- 
glio. Per  il  danaro,  prima  di  ottobre,  (e  siamo  vicini) 
non  posso  servirti.  Per  il  tuo  progetto  di  vendita,  non 
bisogna  pensarci,  perchè  non  si  trova  a  vender  nulla; 
e,  quasi,  argento  ed  oro,  ci  si  perde,  se  si  vuole  mo- 
neta. Ma  non  dubitare,  che  ti  compiacerò. 

Cosa  posso  dirti  di  nuovo  ?  Certo,  nuove  de'nostri 
vicini,  ne  saprete  più  voi  che  noi;  esse  sono  desolanti. 
Feroci,  inumani,  da  ambo  i  lati.  Le  potenze  sono  inter- 
venute, quasi,  per  dileggio.  Il  Tempo,  dice,  che  son 

menzogne,  che  Messina  è  intatta Sta  a  vedere, 

che,  oggi  0  domani,  dirà,  che  i  cannoni  e  le  bombe  han- 
no fatto  sorgere  (come  per  incanto)  i  belli  palazzi,  a 
Messina.  Quel,  ch'è  certo,  è,  che  il  mondo  è  in  tale  sta- 
to, che  qualche  cosa  ne  deve  uscire.  Buona  o  cattiva? 
Iddio  lo  sa.  Per  la  tua  roba,  è  pronta.  Ho  due  oc- 
casioni. Una,  che  te  la  recherà  quello  istesso,  al  qua- 
le sarà  consegnata;  Taltra,  per  mezzo  del  primo  ba- 
stimento francese,  che  verrà,  in  Venezia. 

Mi  combinerò,  con  Cosimo;  e  vedremo  quel,  che  si 
puoi  fare.  Ti  manderò  la  roba  migliore,  s'intende.  E- 
milio  è  andato,  per  qualche  giorno,  in  Pomigliano,  per 
affari;  ma  la  moglie  è  rimasta,  qui,  con  4  figli,  per- 
chè due  sono  andati,  con  il  padre  e  la  zia.  Tua  so- 
rella, pure,  è  abbattuta,  per  le  cose  pubbliche.  Ti  pre- 
go di  dire  tante  cose  amichevoli,  al  signor  Generale. 
Se  si  dasse  credito  ,  al  bugiardo    Contemporaneo , 


—  278  — 

già,  4  mila  francesi  sarebbero  in  Venezia.  Ma ,  in 
Terità,  cosa  detta  da  un  giornale,  tanto  discredita- 
to, per  le  sue  menzogne,  non  merita  fede.  Ora,  molti 
credono,  che  sia  pagato,  per  ciò.  Giovedì,  ti  scriverò 
addirittura;  questa,  te  la  mando,  per  Enrico. 

li  buon  Enrico  à  tanto  contento  di  appartenere  ad 
un  popolo  civilizzato  !  Spera,  ora,  di  aver  l'impiego. 
Mi  sono  offerta,  se  crede,  che  qualche  mia  lettera,  ad 
antichi  amici  della  famiglia,  gli  potessero  essere  utili: 
subito,  gliene  farei;  gli  voglio  bene',  come  un  mio  terzo 
figlio.  Tua  Zia  non  puole  leggere  le  tue  lettere,  per- 
chè scritte  con  un  inchiostro  tanto  bianco,  che  io,  che, 
per  leggere  la  stampa,  non  ho  più  bisogno  di  lente,  la 
prendo,  per  leggere  le  tue.  Sapevo,  già,  che  la  Si- 
gnora Contessa  Papadopoli  sfa  una  delle  più  graziose 
e  vivaci  di  Venezia.  Mi  ricordo,  di  averla  conosciuta^ 
molto  bambina;  e  prometteva,  molto.  Mentre  ero  in 
Firenze,  conobbi  il  suo  dotto  e  bel  cognato,  morto,  an- 
ni sono,  per  il  quale  Saverio  Baldacchini  scrisse  quel- 
la bella  lettera.  A  proposito  di  Saverlo,  ho,  già,  ri- 
messo, in  passata,  due  fogli  della  Libertà  Italiana^ 
ad  Enrico,  affinchè,  sotto  fascia,  te  li  facesse  perve- 
nire; vi  è,  SLUCOfS Araldo. 

In  Venezia,  ci  dev'essere  il  Marchese  Montemajor: 
ti  prego  di  dirgli  tante  cose  amichevoli,  da  mia  parte. 
Tua  Zia,  Peppino,  Antonia,....  D.  Giovanna,  Giovanni, 
Giuseppino,  tutti  ti  baciano  la  mano.  Amami;  e  sono, 
benedicendoti 

Affezionatiasima  madre, 

Carolina. 

Caro  fratello, 

Ci  giunge  la  tua  lettera  del  18;  e  godo  dell'arrivo 
del  carissimo  Livio  Zambeccari,  che  abbraccio,  di  tut- 


—  279  — 

to  cuore.  Qui,  nulla  di  nuovo.  Il  Governo  non  pub- 
blica bollettini  di  Sicilia;  ma  sembra  indubitato,  che  le 
ostilità  sieno  ricominciate,  poiché  gli  Ammiragli  Fran- 
cese ed  Inglese  si  sono  limitati,  ad  impedire  il  bom» 
bardamento  per  mare.  La  spedizione  prosegue,  dunque, 
per  terra;  ma  (dicesi)  con  poco  frutto.  È  uno  spet- 
tacolo straziante  quello,  di  vedere,  con  che  ferocia,  si 
combatta  da  Italiani  contro  Italiani,  mentre  il  comu- 
ne nemico  insulta,  colla  sua  presenza,  tutta  la  Nazione. 
Ti  ho  mandato  i  fogli,  che  chiedi;  e  spero,  che,  a  que- 
st'ora, gli  avrai  ricevuti.  Emilio  sta  bene;  ed  è  a  Po- 
migliano.  Il  piccolo  Michelangelo  è  ammalato,  con 
riscaldamento  viscerale;  ed  è  a  cura  di  latte  d'asina. 
Ieri,  ho  scritto,  al  Generale  Florestano,  in  risposta  ad 
una  sua.  Pare,  che  voglia  trattenersi,  altri  15  gior- 
ni, in  Ischia. 

Riverisco  la  Contessa  Papadopoli.  Non  so,  se  si  ri- 
cordi di  me;  ma  io  sono  stato  intimo  della  sua  buona 
madre.  Ti  abbraccio  di  cuore. 


Tuo  aff.mo  fratello, 

Carlo. 


Al  signor 
Barone  Alessandro  Poerio, 

presso  il  General  Pepe. 
Yenezia. 


CXLIV.  Ultimi  versi  di  Alessandro  Poerio. 

VOCE  dell'anima 

27  Settembre  1848. 


Quasi  lene  aura  d'Aprile 
Vien,  talor,  nel  mio  pensiero. 
Fra  i  silenzi ,  a  quello  amico  . 
Un  susurro  lusinghiero; 


—  280  — 

Che  Tu'  infonde  una  gentile 
Di  speranze  voluttà  : 
ProDoiettendo ,  alle  mie  chiome , 
Già  y  canute ,  allor  felici  ; 
Promettendo  eterno  il  nome, 
Fra  la  gente,  che  verrà. 

Ma  terribile  una  voce, 
Come  tuon,'che,  in  valle,  echeggi, 
Empie  r  alma  ;  e  ,  dal  profondo  , 
A  me ,  grida:  —  «  Che  vaneggi  ? 
«  Tutto ,  qui ,  passa  veloce  ; 
«  Ed  il  nome  ,  anch'  esso  ,  muor  > 
«  E  la  morte ,  a  Dio ,  ti  chiama , 
«  Spirto  ignudo  e  tremebondo  ! 
<  Non  v'  è  gloria  ,  non  v'  è  fama  , 
«  Nel  cospetto  del  Signor  ! 

«  A  superba  vanitade , 
«  Non  ti  dar ,  perdutamente  ; 
«  Da  la  vita ,  che  declina  , 
«  Leva  il  guardo  de  la  mente, 
«  Ne  la  vera  eternitade  : 
«  Pensa  il  carco  del  peccar.  »  — 
Così,  questa ,  in  me ,  rimbomba 
Voce  libera  e  divina  ; 
E  mi  preme ,  inver  la  tomba , 
Perch'  io  possa ,  al  Ciel ,  volar. 

GXLV.  Enrico  Poerio  ad  Alessandro  Poerio. 

Firenze,  27  settembre  1848. 

Caro  Alessandro, 
Ti  spedisco,  in  fretta,  due  lettere  di  Napoli,  che  ho 
ricevuto,  stamane,  con  2  numeri  della  Libertà  Ita^ 


—  281  — 

liana  ed  uno  àeW  Araldo.  Non  ti  scrivo,  a  lungo, 
perchè  ti  voglio  spedire,  subito,  ogni  cosa,  per  mezzo 
del  Conte  Marco  Sugana,  che  parte,  fra  due  ore,  per 
Venezia.  Ti  scrivo,  più  a  lungo,  un'altra  volta.  Sa- 
luto tutti  gli  amici  ed  il  Generale;  mentre,  abbrac- 
ciandoti, caramente,  mi  dico 

Tuo  aff.mo  eogino, 

Enrico  Poerio. 

P.  S.  Ho,  già,  avuto  il  rescritto  della  mia  natura- 
lizzazione; e  pare,  che,  nella  milizia,  mi  conserveran- 
no il  grado  di  capitano.  Addio. 

Al  Nobile  Uomo 
Il  signor  Barone  Alessandro  Poerio, 

presso  il  General  Pepe 

Yenezia, 

Raccomandata,  alla  boutà  del  conte  Marco  Sugana. 


CXLVI.  La  Carolina  Poerio-Sossisergio  ad  Alessandro  Poerio. 

Mio  carissimo  figlio, 

Ieri  l'altro,  risposi,  a  tutte  le  tue  lettere,  perchè,  in 
una  giornata,  ne  avevo  ricevute  tre.  Questa  serve, 
solo,  per  dirti,  che  stiamo  bene  di  salute.  Tuo  fratello 
è  andato  a  fare  una  visita  di  S.  Michele  (al  solito, 
sopra  il  Vomero).  Quell'amico  manda,  spesso,  a  pren- 
dere le  tue  nuove;  e  ti  dice  tante  cose.  Ho  scritto,  a 
Cosimo,  per  combinare  l'invio  della  tua  roba.  Per  il 
denaro,  mi  rimetto,  alle  mie  antecedenti.  Spero,  che 
abbi  ricevuto  il  giornale  desiderato;  gli  altri,  li  avrai, 
da  Firenze.  Maria  Teresa  non  mi  ha  risposto:  per  cui, 
avendo  un'  altra  somma  da  rimetterle,  me  ne  sono 


—  282  — 

astenuta,  se  prima  non  mi  risponde.  Qui,  si  sta  in  per- 
fetto silenzio.  Questa  mane,  è  venuto  il  Solitario  di 
Molise,  per  congedarsi.  Ha  avuto  il  permesso  di  as- 
sentarsi, sino  ali*apertara  delle  Camere;  ti  saluta,  ca- 
ramente. Pare,  che  il  mondo,  non  sia  stato,  mai,  in 
una  maggiore  agitazione  di  questa.  La  mia  salute 
e  quella  di  tutte  le  nostre  famiglie  è  buona.  Gredo,^ 
che  mia  sorella  anderà,  presto,  in  campagna;  tanto 
più,  che  il  piccolo  Michelangelo  è  un  poco  emaciata 
ed  ha  bisogno  di  aria  campestre.  Spero,  sabato,  aver 
tue  lettere  del  22  e  23.  Addio,  carissimo  figlio.  Con- 
serva la  tua  salute;  e  credimi,  dandoti  la  mia  ma- 
terna benedizione, 

aff.ma  madre 

Carolina. 
Napoli,  28  settembre  1848. 

Al  Signor 
Sig.  Francesco  BeUinga, 

Venezia, 


CXLVII.  Alessandro  Poerio  aUa  Carolina  Poerio-Sossisergio 

ed  a  Carlo  Poerio. 

Venezia,  a  di  30  Settembre  1848.  -r.  N.""  8. 

Carissima  madre. 

Le  vostre  lettere  del  13  e  del  14  cadente  mese ,. 
delle  quali  fate  menzione ,  in  quella  de'  21,  non  mi 
sono,  mai,  giunte.  Questa  ed  un'altra,  senza  data, 
(ma  che  congetturo  scritta  il  dì  16)  sono  le  sole,  che 
io  abbia  avute,  dopo  la  lettera  del  9.  Veggo,  esser, 
di  nuovo,  grandissima  la  irregolarità  della  posta:  par- 


—  283  — 

te^  a  cagione  de*  nefandi  modi  d'  inquisizione,  tanto 
cari,  al  nostro  costituzionalissimo  Governo  ;  parte , 
pe'  ritardi .  che,  ora,  il  cattivo  tempo,  ora,  la  man- 
canza di  vapori  cagiona,  facendosi  il  trasporto  della 
corrispondenza,  di  Ravenna  a  Venezia,  per  mare. 

Della  salute,  quantunque  mediocre,  io  debbo  con- 
tentarmi, atteso:  i  continui  dolori  e  disinganni,  che 
ci  piovono  addosso,  da  Principi  Italiani  e  Repubbli- 
che straniere;  la  mancanza  di  prati,  boschi,  colli  e 
campi  (che  sono  a  vista,  ma  in  mano  all'Austriaco); 
e  le  forti  sciroccate,  che,  qui,  abbattono  i  «ani,  non 
che  i  malaticci.  Ma  Tanimo  è  saldo  ;  ed  ho  fede  in 
sorti  migliori,  per  l'Italia.  La  diplomazia  ci  venderà; 
l'ostinato  odio  allo  straniero  ci  riscatterà.  L'Austria 
ha  dichiarato  il  blocco.  I  bastimenti  francesi  non  si 
oppongono.  Ma  il  blocco  è  nominale:  parte,  pe*  tempi 
grossi,  che,  soprattutto  nell'  Adriatico,  sono  Serissi- 
mi; parte,  per  la  scarsezza  delle  forze  marittime  au- 
striache. Il  Vulcano^  vapore  nemico,  alle  volte,  pre- 
da trabaccoli  ed  altri  piccoli  legni.  Ma,  se  il  Pio  IX^ 
Vapore  nostro,  gli  va  sopra,  abbandona  la  preda;  e 
scappa.  Le  malattie  (febbri  intermittenti  soprattutto) 
continuano  ;  la  mortalità  è  poca,  ma  il  numero  de- 
gl'  infermi  è  grandissimo.  Si  spera ,  che ,  nel  mese 
entrante,  spariscano  questi  tristi  effetti  della  mal'aria. 
Le  piogge  cadute  hanno  allagato  Malghera,  in  modo, 
che  le  piccole  opere,  alle  quali  gli  Austriaci  atten* 
devano,  sono  state  interrotte.  Venezia  non  può  rica-^ 
dere,  in  mano  loro,  finchò  ha  danari.  Ma  i  danari  ba- 
steranno, appena,  due  altri  mesi,  se  altri  non  ne  so- 
pravvengono. Si  ha,  peraltro,  fondatissima  speranza^ 
che  (oltre  alle  collette,  le  quali,  specialmente,  in  Ge- 
nova, saranno  abbondanti)  possa  conchiudersi  il  pre- 


—  284  — 

^tito  di  dieci  milioni,  che  si  sta  trattando,  per  mezzo 
di  Commissari,  spediti  dal  nostro  Governo. 

Non  ho  ricevuto,  ancora,  il  ritratto  della  felice  me- 
moria di  mio  padre.  Spero,  riceverlo  in  breve;  e  ben 
condizionato,  in  modo,  che  non  abbia  sofferto.  Sulle 
cose  di  Sicilia^  qui,  corrono  voci  diverse.  Chi  dice  le 
ostilità  sospese,  per  mediazione  della  Francia  e  della 
Inghilterra.  Chi  le  afferma  interrotte,  di  fatto,  per- 
chè le  forze  regie,  occupatrici  di  Messina  e  Milazzo, 
non  bastano  ad  intraprender  altro. 

Rispetto  a'miei  bisogni  pecuniari  (e  per  l'inverno 
imminente,  e  per  far  fronte,  alle  eventualità  di  una 
posizione  così  straordinaria,)  vi  ho  scritto  parecchie 
lettere;  ed  alcune ,  mandate  per  la  via  di  Toscana, 
peonie  verrà,  anche,  la  presente)  non  hanno  potuto 
andare  smarrite:  cosicché  ad  esse  mi  riferisco.  Dalle 
ultime  scrittevi ,  avrete  rilevato ,  come  non  sia  più 
possibile,  attenersi  al  modo,  seguito,  finora,  (cioè,  pas* 
sare  i  denari,  a  Florestano,  e  farmeli  dar,  qui,  dal  Ge- 
nerale,) avendomi  questi  fatto  osservare,  che,  così,  egli 
viene  a  perdere  queste  piccole  somme,  che  non  può 
ripetere  dal  fratello,  il  quale  lo  tratta,  assai,  genero- 
samente, e  con  cui  non  ha  conti.  Resta,  dunque,  uno 
Ai  questi  due  modi:  o  rimettermi  voi,  direttamente, 
il  danaro  (ed,  a  ciò,  non  mancano  mezzi  di  comu- 
nicazione: ed  il  Sig.  Dubois,  p.  e.,  banchiere  francese, 
qui,  stabilito,  è  corrispondente  diretto  di  Degas,  in 
Napoli,  come  egli  stesso  mi  ha  detto)  ovvero  trarre 
a  vista,  facendomi  dare  il  danaro,  da  qualche  ban-i 
chiere  veneziano,  nel  che  potrebbe  agevolarmi,  con 
le  sue  raccomandazioni,  il  Generale  medesimo.  Aspetto, 
con  impazienza,  la  roba  d*inverno;  c'eran  molte  sot- 
tovesti, c'era  un  soprabitone,  un  frac  nuovo  servi- 


—  285  — 

bile.  Credo,  che  la  occasione,  di  cui  vi  varrete,  sarà, 
la  stessa  di  Cosimo  e  di  Florestano ,  che  mandana 
roba,  a'  rispettivi  fratelli. 

Fui,  ieri  l'altro,  a  desinare  dalla  figliuola  dell'An- 
gelica Àldobrandini,  che  ha  due  bambini,  i  quali  mi 
rammentano  Vittorio  e  Matteo.  Abbraccio  Carlotta;, 
saluto,  caramente,  Luisa,  Antonio,  Emilio  e  Peppino. 
Vi  porgo  gli  ossequi  del  Generale  e  di  Damiano;  e, 
baciandovi  la  mano,  con  filiale  tenerezza,  mi  ripe- 
to  

Carissimo  fratello. 

Ho  avuto  il  piacere,  di  sapere,  che  molti  tuoi  ca- 
lunniatori sono  stati  costretti,  a  disdirsi  ed  a  dichia- 
rare, che  si  eran  ingannati,  sul  tuo  conto.  Lo  scrive, 
da  Livorno,  un  nostro  amico,  al  cui  figliuolo,  eh' è- 
in  Venezia,  consegno  la  presente,  affinchè,  per  la  via 
di  Toscana,  ti  pervenga,  con  sicurezza.  Quantunque 
cotesto  Regno  sia  tanto  infelice,  anzi,  per  l'appunto,. 
a  cagione  della  sua  tanta  infelicità  e  del  tirannico 
modo,  con  cui  è  trattato,  si  spera,  che  (com'è  il  so- 
lito  delle  cose  umane)  d^bba,  dall'  eccesso  del  male, 
nascere  il  bene.  La  Sicilia  sarà  osso  duro,  a'  veltri 
e  molossi ,  che  vi  si  son  gettati  sopra.  L'  Austria 
opprime,  sempre  più,  la  Lombardia;  perseguita,  car- 
cera, uccide.  Il  contadino,  spogliato  da  tutti,  cova  il 
rancore;  e  l'odio  si  accumula.  Tutte  le  diplomazie  dei 
mondo  non  faranno,  mai,  che  l'Italia  acconsenta  al  gio- 
go. Ma  la  salute  d'Italia  non  verrà,  al  certo,  né  da 
Re  Tentenna,  né  da  Pio  IX,  fatto  strumento  de're- 
trogradi:  sibbene,  dal  popolo.  Venezia  terrà,  finché  le 
resti  un  obolo;  il  fermento,  nel  Veneto  di  terra  ferma, 
cresce,  l'un  di  più  che  l'altro.  Gli  Austriaci  hanno 


—  286  — 

concentrato  la  massima  parte  delle  loro  forze ,    in 
Lombardia;  poiché,    quantunque  la  mediazione  sia 
stata  accettata,  (non  volendo,  a  niun  patto,  sgombrar 
r  Italia ,  e  temendo ,  che  il  partito  più  caldo  possa 
prevalere  in  Francia,)  si  tengon  pronti,  per  la  guerra. 
Il  Generale  sta  benino;  e  si  rallegra,  assai,  delle 
notizie,  che  mi  dai,  circa  la  migliorata  salute  dii^'lo- 
restano.  Cosenz  non  è  punto  infermo  ,  come  tu  sospet- 
ti. Lo  veggo,  ogni  giorno;  e  sta  bene.  Ti  accludo, 
anzi,  una  sua  letterina,  che  ti  prego,  di  far,  subito, 
pervenire,  al  suo  indirizzo.  Ti  prego,  di  dire,  in  mio  no- 
me, ad  Attanasio,  ch'ebbi  la  sua  lettera,  con  cui  mi 
raccomandava  i  due  fratelli  Masoli ,  volontari  napo- 
letani, desiderosi  di  avere  un  congedo,  per  riabbrac- 
ciare il  padre,  in  Napoli.  Ma  nulla  potei  fare.  Il  Ge- 
nerale non  dando  licenze  a  nessuno;  e  non  potendo, 
in  verità ,  atteso  il  bisogno  di  difensori  e  V  assotti- 
gliamento della  guarnigione,  per  le  continue  malat- 
tie. Tanto  più  è  necessario,  che  i  sani  rimangano,  al 
loro  posto.  Del  rimanente ,    la  raccomandazione  del 
nostro  ottimo  ed  Italianissimo  amico  (che  io,  caramen- 
te,  saluto  ed  abbraccio)  era  subordinata,  alle  esigenze 
della  causa  d' Italia:  cosicché,  egli  non  può  dispia- 
cersi. Non  ho  potuto,  procurarmi  il  numero  della  Lj- 
bertà  Italiana^  contenente  le  due  lettere,  tua  e  di  Sa- 
verio Baldacchini.  Scrissi,  ad  Enrico,  che  me  lo  man- 
dasse da  Firenze;  promise,  di  farne  ricerca;  ma,  non 
ancora,  me  lo  ha  spedito.  Il  discorso,  ch'è  stato,  gran- 
demente, lodato  (meno  qualche  espressione,  forse,  strap- 
pata, dalla  necessità  di  questi  tempi  tristissimi)  lo  lessi 
per  intero,  nel  Giornale  Ufficiale.  La  dichiarazione 
d^urgenza,  per  la  presentazione  dello  stato  discusso. 


—  287  — 

sulla  mozione  tua,  ha  tolto  al  Ministero,  il  quale  ha 
prorogato  la  Camera,  lultima  maschera,  dal  volto. 


Tuo  aflf.®  fratello. 


CXLVni.  Alessandro  Poerìo  alla  Carolina  Poerio-Sossisergio. 

Venezia,  30  Settembre  1848. 

Carissima  madre, 

Vi  ho  scritto,  oggi,  a  lungo,  perla  via  di  Toscana; 
la  presente,  la  metto  alla  posta,  facendo,  secondo  il 
consueto,  la  sopraccarta,  a  Zia  Luisa. 

Per  quanto  concerne  la 'rimessa  del  danaro,  vi  ho 
detto ,  quanto  occorre  ,  nella  summentovata  lettera; 
ma  questa  serve,  unicamente,  per  farvi  sapere,  che  il 
mio  amico  ,  il  sig.  Capitano  Musto  (Gaspare)  desi- 
deroso, di  rimettere,  al  sig.  Alessandro  Vitale,  suo 
parente,  in  Napoli,  la  somma  di  Ducati  cinquanta, 
rha  passata,  a  me,  poc'anzi.  Piacciavi  dunque,  tosto- 
chè  riceverete  la  presente,  far  pagare  essi  Ducati 
cinquanta,  al  sig.  Vitale,  che  abita  Strada  nuova 
Montoliveio,  w.^  29,  2."^  piano.  Per  regolarità,  io 
rilascio,  al  Capitano  Musto,  un  ricevo;  e,  parimenti, 
ne  ritirerete  voi  uno,  dal  sig.  Vitale,  Conoscendo,  che 
lo  scrivere,  per  la  posta,  va  soggetto  a  dispersione  o 
ritardi,  abbondo  in  precauzione,  consegnando  al  Ca- 
pitano una  mia  letterina,  dirótta  a  mio  fratello  Carlo, 
la  quale  egli  accluderà,  al  sig.  Vitale  medesimo. 

Questa  somma  di  Ducati  cinquanta,  unita  a  Du- 
cati quaranta,  che,  ancora,  mi  restano,  mi  serviranno, 
a  fornirmi  dei  vestimenti,  più  necessari,  ed  a  vivere, 
finché  mi  vengano  ulteriori  rimesse. 


—  288  — 

La  salute  è  mediocre;  i  tempi  calamitosi  e  difficili. 
Ma  l'animo  è  saldo;  ed,  in  mezzo  a  molti  dolori,  con- 
fortato dal  saper  voi  e  Carlo  ed  i  congiunti  in  buona 
salute.  Le  ultime  vostre  sono  del  16  (credo,  non  es- 
sendovi  data  in  quella  lettera)  e  del  21.  La  posta  non 
è  giunta,  ancora,  oggi.  Addio.  Vi  bacio  la  mano;  e 
mi  ripeto,  con  filiale  tenerezza  e  rispetto. 

Il  V.o  Aff.mo 

Alessandro. 

Alla  Nobil  Donna 
La  Signora  Baronessa  Luisa  Parrilli 

in  casa  di  D.  Michelaagelo  Parrilli. 
Strada  Banchi  Nuovi,  N.o  13 

Napoli. 


GXLIX.  Alessandro  Poerio  a  Carlo  Poerio. 

Carissimo  fratello, 

La  presente  ti  sarà  recata,  dal  signor  Alessandro 
Vitale,  parente  del  mio  ottimo  amico ,  signor  Capi- 
tano Musto,  il  quale  mi  ha  passato  Ducati  cinquanta, 
che  tu  rimetterai,  ad  esso  sig.  Vitale ,  ritirandone, 
per  regolarità,  un  ricevo ,  come  io  ne  rilascio  uno, 
al  sudd.  Capitano  Gaspare  Musto.  Ho  avvisato,  di  ciò, 
nostra  madre,  anche,  per  la  posta;  ma,  per  maggiore 
precauzione,  ^scrivo  questa  letterina,  affinchè  il  Mu- 
sto l'accluda,  al  Vitale  medesimo.  In  caso,  che  la  let* 
tera,  a  mia  madre,  giunga,  prima,  che  il  Vitale  ti  rechi 
la  presente,  ti  prego,  di  andare  subito,  da  lui,  per 
farle  un  tal  pagamento.  Egli  abita  Strada  Nuova 
Monioliveto  N,^  29,  2.^  piano.  Ho  scritto,  oggi  stes- 


—  289  — 

so,  a  lungo,  per  la  via  di  Toscana.  Ti  abbraccio,  ca- 
ramente; e  mi  ripeto 

Venezia,  30  settembre  1848. 

Tuo  aff.mo  firatello, 

Alessandro  Poerio. 

Al  Nobil  Uomo 
n  Sig.  Carlo  Poerio,  Deputato, 

Napoli. 


CL.  Federico  Bellazzi  ad  Alessandro  Poerio. 

Genova,  2  ottobre  1848. 

Pregiatissimo  signor  barone, 

Latore  della  presente  è  il  signor  Sedeboni  di  Bre- 
scia, uomo  assai  benemerito  della  causa  Italiana,  rac- 
comandatomi da  Correnti,  onde  lo  munissi  dì  qualche 
lettera,  presso  la  S.  V.,  e  perchè  me  ne  prevalessi^ 
qualora,  alcunché  avessi,  a  far  sapere,  intorno  agli  af- 
fari del  prestito  e  del  modo,  con  cui  procede ,  qui,  in 
Genova.  Correnti  si  trova,  ancora,  a  Torino,  in  compa- 
gnia degli  altri  Membri  della  Commissione.  La  quale, 
dovendo  stare,  ancora,  per  qualche  giorno,  colà,  per  la 
realizzazione  di  alcune  somme  ,  lasciò  me  ,  in  Genova , 
quale  suo  agente,  per  gFinteressi  di  Venezia.  In  questa 
qualità,  posso  dare,  alla  S.  V.,  alcune  nozioni  in  pro- 
posito. Ella  saprà,  che,  appena,  si  propose,  a  Genova, 
un  prestito  per  Venezia,  questa  generosa  città  votò,  nel 
primo  istante  d*6ntusiasmo,  un  milione.  Questo  voto  fa 
autorizzato,  dal  concorso  del  Municipio ,  che,  subito, 

19 


—  290  — 

scrìsse,  al  Ministero,  per  quelle  formalità,  che,  sebbene 
inutili  in  simili  faccende ,  diventano,  però,  essenziali, 
quando  un  Governo  intende,  di  non  favorire  l'inten- 
zione del  popolo.  E,  poiché  l'attuale  ministero  piemon- 
tese è,  appunto,  di  quelli,  che  sprezzano  le  intenzioni 
popolari,  così,  fatta  riconoscere,  per  lui,  la  necessaria 
concorrenza  delle  formalità  d'uso,  invece  di  adempirlo, 
subito,  e  di  porre,  in  tal  modo,  i  Genovesi  in  grado  di 
passare  un  milione  a  Venezia,  sta  silenzioso,  e  dà  nes- 
suna definitiva  risposta,  al  Municipio.  Anzi,  ha  agito,  a 
Torino  ,  in  modo  tale,  da  ingannare  i  Commissari;  e 
di  far  credere,  a  questi,  che  la  colpa,  di  non  essersi  e^ 
messe  le  cedole  del  valore  d*un  milione,  a  prò  di  Ve- 
nezia, è  tutta  del  corpo  decurionale  di  Genova. 

Quando  il  conte  Freschi  mi  scrisse  tal  cosa ,  da  To- 
rino, mi  recai,  colla  sua  lettera,  presso  il  Municipio.  E 
questo,  sdegnato  del  procedere  del  Ministero,  mi  pre- 
sentò, per  sua  giustificazione,  tutti  i  relativi  documenti. 
Onde,  io,  convinto  della  sua  lealtà,  mandai,  tosto,  un  e- 
spresso,  a  Freschi,  in  Torino,  per  renderlo  consapevole 
delle  cose;  e  per  far  si,  che  non,  più  a  lungo,  si  lasci 
raggirare,  dai  Ministri.  Ora,  attendo  l'effetto  di  questa 
operazione.  Ma  ho  molte  speranze,  che  riesca  a  bene; 
e  che,  quindi,  il  milione  passi,  all'eroica  Venezia. 
Fatta  astrazione  di  alcune  cedole  del  prestito,  che  si 
vendettero,  la  carità  pubblica  fa  di  tutto,  per  soccor- 
rere Venezia;  ed,  anche,  il  mendico  offre  il  suo  obolo, 
perchè  si  conservi  qual'è.  Egli  è  vero,  che  questi  mezzi 
sono  tenui.  Ma,  siccome,  in  molte  città,  si  praticano,  cosi, 
dall'  insieme,  qualche  frutto  se  ne  trarrà.  Spero,  che. 


—  291  — 

presto,  ci  rivedremo  a  Venezia.  I  miei  saluti  di  cuore, 
a  Lei  e  ad  Uiloa.  Salute  e  fratellanza. 


Aff.mo  De  votano  suo 

Bellazzi  Federico 


Per  favore 


Al  Signor 
Barone  Poerìo, 

presso  S.  E.  li  Generale  Pepe 
Venezia. 


GLI.  Antonio  Hordini  ad  Alessandro  Poerio  (400). 

Mio  caro  Poerio, 

Saprete,  già,  quanto  m' è  accaduto.  Avevo  incari- 
cato qualche  amico,  di  costà,  perchè  prendesse,  a  so- 
stenere   il    mio  aflFare.  Dalla   risposta   ricevuta,  or 
ora  ,  risulta ,  che  non  v'  è  speranza.  Pur,  tuttavia, 
persisto,  nel  ritenere ,  che  le  ragioni ,  che  mi  assi- 
stono, debbano  trovare  ascolto.  Né  so  rendermi  con- 
to, come  un  Potere  Sovrano ,  sebbene  dittatoriale , 
possa  punire ,  con    pena  straordinaria  e  arbitraria , 
un  cittadino,  che  ha,  solamente,  esercitato  i  diritti,  a 
lui,  competenti,  in  forza  delle  leggi  vigenti.  La  libertà 
della  parola  (e,  per  conseguenza,  la  facoltà ,  anche, 
di  criticare  gli  atti  governativi)  è  diritto,  di  cui  si 
gode,  a  Venezia.  Io  sono  rimasto,  ieri  sera,  in  que- 
sti limiti.  Perchè  debbo  essere  punito  ?  Se  ho  avan- 
zato delle  calunnie ,  mi  si  faccia  un  processo  re- 
golare! mi  si  metta  in  carcere,  anche!  sono  conten- 
to !  Né  avrei,  per  questo,  a  dolermi,  potendomi  as- 


—  292  — 

sumere  il  carico  di  giustificarmi.  Ma  violare  il  mio 
domicilio,  di  notte ,  obbligarmi,  ad  ipibarcarmi ,  per 
Ravenna,  sopra  un  bragozzo,  come  si  trattasse  di 
un  mariuolo  o  peggio,  sottoponendo,  così,  la  mia  par- 
tenza, da  Venezia ,  alle  più  sinistre  interpetrazioni ,. 
mi  pare  atto  indegno  di  Governo  libero ,  che  deve 
rispettare  la  libertà  personale  e,  solamente,  limitar- 
la,  in  ragione  di  quello,  che  può  richiedere  l'ordine 
pubblico.  Per  ciò,  che  mi  riguarda,  ammettendo,  an- 
che, che  avessi  l'intenzione  di  turbare  l'ordine  pub- 
blico, (ciò,  contro  cui  protesto)  il  Governo,  j«enza  di- 
venire, allo  sfratto ,  aveva  il  potere  di  assicurarlo, 
dai  miei  tentativi,  intimandomi  l'arresto.  Oltre  tutto 
ciò,  perchè ,  di  tutto  il  Comitato  Direttore  del  Cir- 
colo Italiano,  egualmente,  responsabile,  di  quanto  io 
dissi,  ieri  sera,  per  l'accordo  preventivo  e  per  la  pò» 
steriore  adesione  ,  dobbiamo  essere  favoriti ,  collo 
sfratto,  solamente.  Revere  ed  io  ?  Questa  è  un'altra 
ingiustizia,  contro  cui,  egualmente,  protesto. 

V  ho  scritto  la  presente ,  caro  Poerio ,  perchè 
prendiate,  a  cuore,  il  mio  affare;  e  preghiate  il  nostro 
buon  Generale,  a  spendere  una  buona  parola,  per  me. 
Comunicatela ,  anche ,  a  chi  credete  meglio  ;  e,  in- 
tanto, credetemi 

Vostro  aff.mo, 

Antonio  Mordini. 

P.  S.  Stasera,  andiamo  a  bordo  alla  Corvetta,  che 
stanzia  davanti  il  Lido.  Domattina,  ci  vien  detto, 
che  anderemo  a  Chioggia. 


—  293  — 
OLII.  Angelo  Civita  ad  Alessandro  Poerio. 

Angelo  Civita  di  Mantova,  già,  basso  ufSciale  nel 
Reggimento  Haugwitz,  rifiutato  il  promessogli  grado 
di  Tenente,  per  la  continuazione  del  servizio,  in  quel 
corpo,  Pofi'ri,  al  Veneto  Governo,  con  istanza,  per  es- 
sere addetto  alla  linea,  in  qualità,  almeno,  di  primo 
tenente,  carica,  di  cui  spera  disimpegnarsi  lodevol- 
mente, atteso  il  suo  zelo  e  la  sua  capacità  note, 
già,  per  informazioni  e  per  attestati,  all'onorevole 
Cittadino,  General  Cavedalis  :  ora,  bramerebbe  il  più 
sollecito  e  favorevole  riscontro,  a  sollievo,  ancora, 
delle  noje  e  dei  sacrifici  di  sì  lungo  esigilo. 

Air  onorevole  Cittadino  Poerio, 
presso    riUustre   Generale   Pepe. 


CLni.  Cesare  Rosaroll-Scorza  ad  Alessandro  Poerio. 

Gentilissimo  signor  D.  Alessandro  , 

Profitto  della  bontà  vostra  ;  e  vi  accludo  una  let- 
tera, pel  caro  Enrico,  onde  ce  la  facciate  pervenire. 
L'amico  latore  della  presente,  nostro  compatriotta, 
desidera  conoscervi  ;  ed  io  ve  lo  dirigo,  perchè,  es- 
sendo un  bravo  giovine,  è  meritevole  di  questo  ono- 
re. Vi  ossequio;  e,  pregandovi  darmi  de'  comandi,  ho 
l'onore  dichiararmi,  di  voi 

Marghera,  3  ottobre  1848. 

L'obb.ino  Devot.mo  serTO 

Cesare  Rosaroll  Scorza. 
A.  s.  E. 

n  Signor  Barone  D.  Alessandro  Poerio 
Venezia 


—  294  — 

CUV.  La  Carolina  Poerio-Sossisergio  e  Carlo  Poerio 

ad  Alessandro  Poerio. 

Napoli,  5  ottobre  1848. 

Mio  carissimo  figlio. 
Dopo  la  tua  del  18  scorso,  nulla  ho  ricevuto;  né 
altri  hanno  avuto  nuove,  al  di  là  del  19.  Intanto  le 
nuove  sono  molte  contradittorie,  su  Venezia.  Chi  dice 
stretto  il  blocco ,  chi  dice  di  no.  A  chi  credere  ?  mi 
auguro,  però,  nell'uno  e  nell'altro  caso ,  che  la  tua  sa- 
lute sia  buona.  D.  Florestano  è  tornato  da  Ischia. 
Ho  veduto  Cosimo ,  che  ti  saluta;  ed  abbiamo  combi- 
nato, per  fare  un  invio  della  robba.  Noi  non  sappia- 
mo nulla,  di  Sicilia:  solo,  che  molti  Siciliani,  qui,  stan- 
ziati, hanno  avuto  ordine  di  partire.  Anche,  da....  per- 
sone innocue  sono  state  costrette,  a  partire.  Caro  fi- 
glio, sono  tempi  tempestosi,  per  tutti:  per  chi  spera 
e  per  chi  teme.  Abbandoniamoci,  in  braccio  alla  Prov- 
videnza. Ma  non  trascurare  di  scrivermi,  il  più  spesso, 
che  puoi;  la  sola  attiva  corrispondenza  di  lettere  fa 
soffrire,  con  rassegnazione,  la  lontananza.  Io  ti  mando 
questa,  per  mezzo  di  Enrico,  poiché  veggo  bene,  che 
è  il  mezzo  più  sollecito.  Dopo  la  mia  del  9  e  che  è 
l'ultima,  che  hai  ricevuta,  te  ne  ho  scritto  il  13,  14, 
16,  mandando  il  Tempo  del  23  agosto,  il  21,  il  23^ 
24,  26,  28  :  sono  nove  altre  lettere,  che  hai  dovuto 
ricevere.  Di  ottobre,  questa  è  la  prima.  Tu  sai,  che,  il 
primo  di  questo  mese,  ho  finito  gli  anni:  siamo  alla 
zoppa  settanta,  come  dicono  i  Toscani,  più  uno.  Sto 
bene;  e  spero  vivere,  lungamente.  Tua  sorella  ti  ab- 
braccia, caramente.  Ora,  sta  facendo  l'istitutrice  asso- 
luta: perché  é  partita  quella,  che  aveva,  e  ne  aspetta 


—  295  — 

un'altra,  ed,  in  questo  intervallo,  si  occupa  lei  sola  di 
tutti  i  figli.  Emilio  è  andato,  per  i  suoi  affari,  in  cam- 
pagna: non  ha  voluto  muovere  la  famiglia  da  Napoli. 
Addio,  carissimo  figlio.  Quando  non  ricevo  tue  lette- 
re, non  posso  abbandonarmi,  a  scrivere,  lungamente. 
Addio.  Ti  abbraccio  e  benedico. 

AfT.ma  madre 

Carolina. 
Mille  cose,  al  Generale,  da  mia  parte. 

Carissimo  fratello, 

•  Manchiamo,  tutti,  di  vostre  lettere;  ma  abbiamo  no- 
tizie di  Venezia. del  24.  Spero,  che  avrai  ricevuto  i 
fogli.  La  mia  salute  è  ottima.  Emilio,  anche,  sta  bene: 
ieri  tornò,  da  Pomigliano;  e,  domani,  parte,  per  S.  Mar- 
tino. Il  degno  Generale  Florestano  è  tornato,  da  I- 
schia.  Egli  fa,  regolarmente,  la  sua  trottata;  e  sta,  suf- 
ficientemente, meglio.  Saluto,  caramente,  il  tuo  pa- 
drone di  casa,  Assanti,  Ulloa,  Mezzacapo  e  Cosenz. 
Il  March.  Dragonetti  ti  ringrazia;  egli  è,  tuttavia,  in- 
fermo. Riverisco  il  Generale;  e  ti  abbraccio  di  cuore. 

Tao  aff.o  fratello 

Carlo  Pcerio 


CLV.  Errico  Poerio  ad  Alessandro  Poerio. 

Firenze,  5  Ottobre  1848. 

Caro  Alessandro , 
Avrai  ricevuto,  a  quest'ora,  dal  Conte  Marco  Su- 
gana,  un  pacco,  che  ti  ho  mandato,  contenente  i  gior- 


—  296  — 

nali,  che  richiedevi,  e  due  lettere  di  tua  madre.  Avrai 
ricevuta,  anche,  un'altrJ  lettera  di  tua  madre ,  che  ho 
messa,  alla  posta.  Ora,  come  ti  ho  promesso,  ti  scri- 
vo, un  poco  più  a  lungo.  Comprendo,  che  le  cose  di 
Sicilia  e  dltalia,  in  generale,  ti  abbiano  fatto,  molto, 
soffrire  :  ma  spero,  che,  ora  starai  meglio.  Di  Napoli, 
ricevo,  sempre,  lettere.  Ma  i  nostri  di  casa  non  mi  di- 
cono, mai,  nulla  di  preciso,  intorno  ai  fatti  del  paese, 
perchè,  forse,  temono  della  posta;  ed,  ai  giornali,  non 
si  può  credere.  Quindi,  non  so,  nemmeno  io,  nulla  di 
veramente  certo,  riguardo  alle  cose  di  Napoli.  Pare, 
però,  da  quel,  che  si  dice,  da  tutti,  che  si  aspetti  qual- 
che movimento  popolare  di  qualche  consistenza.  Mi 
auguro,  che  facciano  ciò,  che,  solo,  può  farsi,  per  sal- 
vare Napoli  e  r  Italia  :  m' intendi.  Non  mi  mera- 
viglio della  Francia  e  dell'Inghilterra,  per  il  conte- 
gno serbato,  nelle  vicende  Siciliane.  Né  mi  meravi- 
glierei, che  facessero  il  peggio,  che  possono,  per  le  cose 
generali  d'Italia. Ma  spero,  che  l'Italia,  una  volta,  vo- 
glia capire  la  missione  d'un  popolo,  che  anela  di  ri- 
sorgere, interamente;  e  che  mandi,  a  vuoto,  tutte  le 
mene  dei  gabinetti.  Guerra  ci  vuole;  e  guerra  di  po- 
polo, insurrezionale.  Qui,  in  Toscana  ,  si  seguita,  allo 
stesso  modo:  senza  sapere  quale  sia  l'idea  politica,  che . 
vogliano  formulare  coloro,  che  fan,  sempre ,  rumore. 
A  Livorno,  si  sente  il  bisogno  di  avere,  per  Gover- 
natore ,  Guerrazzi  ;  e  (  quantunque  faccian  vedere ,  di 
qon  voler  dipendere  ,  dal  Governo  Centrale)  mandan, 
sempre ,  deputazioni ,  perchè  riconosca  il  Governo 
Guerrazzi,  per  Governatore.  Il  movimento,  vedi  bene, 
si  fa ,  per  una  persona.  E  questa  è,  generalmente,  la 
disgrazia  di  tutti  noi  Italiani,  che  ci  scordiamo  sem- 
pre gli  interessi  comuni  e  generali,  per  servire  a  pri* 


—  297  — 

vate  ambizioni.  Anche,  qui,  in  Firenze,  ci  è  stato  del 
rumore:  ma,  senza  sapere,  al  solito,  che  cosa  doman- 
dano. Ed  è  curioso  questo  fenomeno  !  S'urla,  si  gri- 
da; mentre,  se,  poi,  a'  Toscani,  presi  insieme,  toccano 
il  Granduca,  pare,  che  offendano  la  loro  più  cara  af- 
fezione. Che  c'è  da  sperare?  Montanelli,  l'ho  ve- 
duto; l'ho  abbracciato,  per  me  e  per  te.  Egli  ti  ab- 
braccia; e  ti  dice  tante  cose  affettuose.  Egli  ha  molte 
buone  idee;  e  propende,  per  una  dieta  nazionale,  che 
potrebbe  conciliare  e  riunire  l' Italia ,  in  modo  che 
sia  indipendente.  Zia  Teresa  mi  ha  scritto,  da  Ge- 
nova; e  ti  abbraccia,  caramente.  Zio  Raffaele  è  occu- 
patissimo, per  la  riorganizzazione  delle  truppe  lom- 
barde. Ti  dissi ,  già ,  che  sono  Toscano  adesso  ,  per- 
chè riconosciuto  tale.  Ho  saputo,  indirettamente,  (  da 
persona  del  ministero  ,  )  che ,  nel  lavoro  ,  che  fanno , 
della  riorganizzazione  della  milizia,  vi  è  il  mio  nome  ; 
e  che  mi  hanno  conservato  il  grado.  Staremo  a  ve- 
dere. Massari  è  a  Roma  ;  ma  verrà  a  Firenze.  Se 
il  Generale  scrive  alla  Bruckerte,  pregalo,  dei  miei 
saluti,  per  lei.  Tante  cose,  a  Rosaroll,  a  cui  scriverò, 
a  Pierni,  a  Cosenz,  Ulloa,  Assanti,  al  Generale;  men- 
tre, abbracciandoti,  con  tutto  lo  affetto,  sono 

Il  tuo  aff.mo 

Enrico. 

Al  Nobil  Uomo 
il^Sig.  Barone  Alessandro  Poerlo, 

presso  il  Oenerals  Pepe, 
Venezia, 


CLVI.  Alessandro  Poerio  alla  Carolina  Poerio-Sossisergio 

ed  a  Carlo  Poerio. 

Venezia,  a  di  5  Ottobre  1848. 

Carissima  madre, 
Ieri,  ebbi  la  vostra  gradita  lettera  de'26,  non  re- 
centissima. Avrei  potuto  riceverne,  anche,  del  28  o  29; 


—  298  — 

ma  bisogna  contentarsi,  poiché  il  ritardo  della  po- 
sta, si  è,  oramai,  fatto  frequentissimo;  e,  parte,  il  poco 
numero  de'vapori,  parte,  i  tempi  grossi,  ne  sono  ca-^ 
gione  inevitabile.  Godo,  che  la  vostra  salute  sia  buo- 
na. Mi  duole  di  sentire  Carlotta,  alquanto,  abbattuta; 
non  vorrei,  che  la  sua  salute  se  ne  risentisse.  Sperò, 
che  il  piccolo  Michelangelo  sia,  oramai,  ristabilito. 

Non  ho  ricevuto,  ancora,  il  ritrattino  della  felice 
memoria  di  mio  padre.  Non  vorrei*  che  fosse  andata 
disperso.  Ma,  forse,  la  persona,  cui  lo  consegnaste^ 
avrà  dovuto  fare  un  lungo  giro.  Resto  inteso ,  che 
mi  manderete  la  roba  d'inverno,  più  servibile.  Se  siete,, 
in  tempo,  aggiungete  due  camiciuole  di  maglia  di 
lana,  piuttosto  lunghe:  affinchè,  unite  a  quelle,  che 
ho,  mi  bastino;  ed  io  non  sia  obbligato,  a  farne  di  fla- 
nella, la  quale  costa  molto,  in  Venezia.  Ho  rimediato, 
per  ora,  alla  necessità  di  danaro  ;  e ,  se  non  avete,, 
ancor,  ricevuto,  riceverete,  presto,  altra  mia  lettera, 
del  25  settembre,  con  avviso,  di  aver  preso,  dal  Ca- 
pitano Gaspare  Musto,  Ducati  50,  da  pagarsi,  imme- 
diatamente, in  Napoli ,  al  sig.  Alessandro  Vitale,  do- 
miciliato Strada  nuova  Montoliveto  n.°  29,  seconda 
piano.  Con  questi  cinquanta  Ducati ,  provvederò,  al 
cappotto  e  ad  altri  oggetti  di  vestiario ,  più  neces- 
sari; pel  rimanente,  aspetterò  vostre  rimesse:  vivendo, 
frattanto  ,  con  quel,  che  resta ,  de'sessanta  Ducati , 
presi  dal  Generale,  veirso  la  metà  dello  scorso  mese. 
Spero,  che  la  rimessa  non  tarderà,  oltre  il  20  cor- 
rente. Vi  ho  scritto,  che,  tra  Venezia  e  Napoli,  non 
mancano  comunicazioni  dirette:  Degas,  ha,  qu),  per 
corrispondente,  il  sig.  Dubois  ;  Meuricoflfre  è,  in  re- 
lazione commerciale,  col  conte  Giovanni  Papadopoli, 
marito  della  sig.  Maddalena  Aldobrandino  Alla  quale,. 


—  299  — 

non  mancai,  ier  sera,  di  fare  i  vostri  saluti.  E  m'in- 
caricò di  contraccambiarli,  co'suoi  ringraziamenti.  Le 
pare,  di  ricordarsi ,  di  avervi  veduta,  in  casa  della 
madre. 

La  salute  è  mediocre;  le  notizie  cosi  incerte  e  con* 
tradittorie ,  che,  a  tener  dietro  ad  esse,  vi  sarebbe, 
da  perder  il  capo.  Le  malattie,  (non  ostante,  che  la 
temperatura  sia  rinfrescata,)  non  diminuiscono,  punto  ; 
e ,  senza  esagerazione  ,  più  di  una  metà  de'  militi  è 
inferma.  Il  mio  amico  Catterinetti  è  recidivo  di  feb- 
bre. Ciò  nondimeno ,  vi  è  grande  alacrità  d*  animo,^ 
per  la  difesa;  e,  solo,  si  desiderai  danaro.  Se  ne  sta 
raccogliendo,  in  parecchi  luoghi  d'Italia  e,  segnata- 
mente, in  Genova;  ma  le  collette  volontarie  non  pò* 
tranno  bastare.  Si  spera,  nella  conchiusione  d'un  pre- 
stito. Il  Governo  sta  trattando,  anche,  l'acquisto  di 
alcuni  vapori:  l'Austria  ridendosi,  delle  potenze  me- 
diatrici, (o,  per  dir  meglio,  essendo  d'accordo  con  l'In- 
ghilterra, che  sta  burlando  la  Francia,)  e  bloccando^ 
per  quanto  le  sue  scarse  forze  navali  lo  consentono^ 
Venezia,  da  mare.  I  viveri  incariscono,  bastantemen- 
te; pure,  entrano,  di  tempo  in  tempo,  piccoli  legni^ 
con  bestiame  e  generi. 

Saluto,  caramente,  Luisa,  Antonia,  Emilio  (che  cre- 
do tornato,  da  Pomigliano);  abbraccio,  caramente,  mia 
sorella;  a  Carlo,  soggiungo  due  righe. 

Carissimo  fratello. 

Non  ho  mancato,  di  consegnare  la  tua  letterina,  ai 
Generale,  che  si  è  molto  rallegrato,  di  sapere,  tanto» 
migliorato,  in  salute,  il  fratello.  Che  io,  distintamente, 
ossequio;  e  ringrazio  della  memoria,  che  serba  di  me. 

Il  Governo  Provvisorio  ha  risoluto,  di  convocar 


—  300  — 

l'Assemblea,  il  di  11  Ottobre,  atteso  la  gravità  della 
situazione,  massimamente,  per  la  parte  pecuniaria.  Si 
crede,  che  l'Assemblea  confermerà  i  poteri  dittatoriali 
del  Governo;  ma,  nel  tempo  stesso,  darà  provvedimenti 
e  norme  opportune.  La  diplomazia  ci  nuoce  molto  ; 
la  insurrezione  delle  Provincie  venete  (le  quali  son 
ben  disposte,  massimamente  il  Friuli)  potrebbe  aju- 
tarci,  assai.  Finora,  il  Governo  ha  creduto,  di  non  do- 
ver incoraggiare  queste  disposizioni  ed  accelerare  il 
movimento;  speriamo,  che,  a  tempo,  muti  opinione.  Sen- 
to, con  orrore,  il  procedere  della  Francia  e  dell'  In- 
ghilterra ,  nelle  cose  di  Sicilia.  I  Siciliani  non  deb- 
bono sperare,  che  in  sé  stessi;  e  la  loro  ostinata  di- 
fesa può  salvare  l'Italia,  come  la  loro  eroica  rivolu- 
zione fu  feconda  di  costituzioni,  in  tutti  gli  Stati  I- 
taliani.  Vidi,  ier  sera,  l'amico,  giunto,  qua,  da  pochi 
giorni;  e  lo  veggo  spesso.  Fui,  ieri ,  col  Generale,  al 
Lido;  ed  a  Malghera,  dove  trovasi  Livio  Zambec- 
cari,  col  suo  bellissimo  battaglione;  egli  ti  risaluta, 
quanto  più  affettuosamente  si  può. 

La  Contessa  Papadopoli-Aldobrandini  mi  dice,  che 
le  par,  di  ricordarsi,  di  averti  veduto,  in  casa  di  sua 
madre;  e  controcambia  i  tuoi  saluti.  Il  marito  ha,  per 
corrispondente,  in  Napoli,  il  Meuricoffre. 

Questa  la  mando,  ad  Enrico.  Spero  ricevere  tue  let- 
tere, in  breve;  e  scriverò  di  nuovo,  per  la  via  di  To- 
scana. 

Tao  aff.mo  fratello 

Alessandro. 

Alla  Nobil  Don  Da 
La  Signora  Baronessa  Carolina  Poerio. 

Str&da  del  Salvatore  N.^  5. 
Napoli, 


—  301  — 

GLVn.  Antonio  Hordini  ad  Alessandro  Poarìo. 

Caro  Poerio, 

Ricevei,  ieri ,  la  vostra  lettera ,  datata  del  5  ;  e  vi 
sono  grato  per  le  cure,  che  vi  siete  date,  per  Revere  e 
me.  Noi  continuiamo,  a  sperare,  che  il  Governo  di  Ve-^ 
nezìa,  riconosciuto  il  proprio  errore,  vorrà  darci  quella 
intiera  riparazione,  che^  sola,  può  cancellare  l'offesa, 
fatta  al  nostro  onore,  che,  col  mistero  e  collo  sfratto, 
è  stato  compromesso,  non  tanto  in  Venezia  quanto  in 
tutta  Italia.  Più  che  ci  pensiamo  e  meno  sappiamo 
trovare  la  ragione,  che  ha  indotto  il  Governo,  a  trat- 
tarci,cosi  immanemente, pel  fatto  del  primo  Agosto,[5ac/' 
corrige:  Settembre,]  di  cui,  d'altronde,  8,  non  2  indivi- 
dui soli,  erano  responsabili,  egualmente.  Un  tal  proce- 
dere rovescia  qualunque  idea  di  giustizia.  La  sola  scu- 
sa, che  potrebbe  avere  cotesto  Governo,  sarebbe  que- 
sta, che  fu  male  informato ,  sul  conto  di  Revere  e 
mio  e  sulla  parte,  che  prendemmo ^  al  Circolo,  nella 
sera  del  r  corrente.  Ma,  in  questo  caso,  parrebbe  giu- 
sto, che,  riconosciuto  l'errore,  venisse  il  medesimo  ri- 
parato. Lo  che  si  potrebbe,  benissimo,  fare,  senza  che 
vi  rimanesse  impegnato,  neppure,  troppo  grandemente, 
r  amor  proprio  di  cotesto  Triumvirato.  E,  poi,  è  così 
bello  e  nobile,  riconoscere  il  proprio  errore,  soprattutto 
quando  è  stato  causa  di  pena ,  a  uomini  di  fama  inte- 
merata e  immeritevoli,  sotto  ogni  rapporto,  della  scia- 
gura, in  cui  sono  stati  avvolti  !  Il  consiglio  del  Gene- 
rale Pepe  e  tuo,  intorno  alla  condotta,  che  Revere  ed 
io  dobbiamo  tenere,  nelle  circostanze  attuali,  è  ottimo; 
e,  bene,  risponde,  ai  sentimenti  di  patriottismo,  che  vi 


—  302  — 

distinguono,  ambedue,  e  che,  mai,  avete  smentiti,  du- 
rante la  vostra  vita.    . 

Ho  il  piacere,  intanto,  di  dirti,  che,  fino  dal  primo 
giorno  del  nostro   arresto,  io  e  il  mio  compagno  di 
sventure  abbiamo  deliberato,  di   patire,  con  religiosa 
rassegnazione,  Tofifesa  e  l'onta,  che  ci  ha  inflitta  il 
Governo   Provvisorio  di   Venezia,  senza   muoverne 
querela,  per  via  della  stampa;  e  abbiamo  rinunziato  e 
rinunziamo,  a  giustificarci,  dirimpetto  allltalia,  pel  so- 
lo amore  del  nostro  paese  e  dei  nostri  principi.  Non 
ci  ridurremo,  alla  pubblicazione  di  tutto  quello,  che  ci 
è  accaduto,  se  non  quando  saremo  arrivati,  alla  dura 
estremità,  (  che  non  si  verificherà,  almeno,  lo  speria- 
mo!) di  difendere  il  nostro  onore,  onde  aver  modo,  di 
^vivere  tranquilli  e  senza  essere  respinti,  dalla  Società 
Italiana.  Ti  prego,  di  comunicare  la  presente,  all'ot- 
timo Generale  Pepe,  cui  Revere  .ed  io  professiamo  la 
più  alta  gratitudine,  per  l'amorevolezza,  che  ci  ha  di- 
mostrata, intercedendo,  a  favor  nostro,  coi  suoi  buoni 
uffici,  nella  cui  continuazione  osiamo,  tuttora,  sperare. 
Saluta  gli  amici  tutti;  e  credimi,  sinceramente  ,   tuo 
amico  devoto  e  affìezionato. 


A.  MordinL 


Ravenna,  9  Ottobre  1848. 


Barone  Alessandro  Poerio, 

presso  il  Generale  Pepe, 
yenezia. 


—  303  — 
CLVin.  Alessandro  Poerìo  alla  Carolina  Poerìo-Sossisergio. 

Venezia,  a  di  9  Ottobre  1848.  —  NJ"  2. 

Carissima  madre, 

Nessuna  vostra  lettera ,  scritta  in  Ottobre ,  mi  è 
giunta,  finora:  avrei  dovuto  riceverne  del  2  o  del  3, 
almeno.  Vi  scrissi,  per  la  via  di  Toscana,  il  dì  5. 
Questa,  la  mando,  per  la  posta,  facendo,  secondo  il 
solito,  la  sopraccarta,  a  Zia  Luisa.  Pare,  che,  di  nuo- 
vo, la  infedeltà  o  negligenza  della  posta  si  faccia  sen- 
tire. A  quest'ora,  ha  dovuto  giungervi  la  mia  de' 30 
Settembre;  con  l'avviso  di  aver  preso  Ducati  cinquanta, 
dal  Capitano  Gaspare  Musto,  per  provvedere,  agli  og- 
getti più  urgenti  di  vestiario  d' inverno.  Somma,  da 
pagarsi,  immediatamente,  costà,  al  signor  Alessandro 
Vitale,  Strada  nuova  Montoliveto  n.  29,  2^  piano. 

La  salute  è  mediocre.  Dell'andamento  delle  tratta- 
tive diplomatiche,  non  abbiamo  nulla  di  certo;  è  un 
grande  imbroglio.  Enrico  mi  scrive,  da  Firenze,  in 
data  de'5.  Spera  far  parte  dell'esercito  toscano,  con- 
servando il  gradò  di  Capitano.  Di  Zio  Raffaele  non 
ho  notizie  dirette;  ma  sento,  eh* è,  molto,  occupato, 
nel  riordinare  le  truppe  lombarde.  Se  si  ripiglierà  la 
guerra,  son  certo,  che  si  farà  onore.  Ma  di  ciò  du- 
bito assai,  non  parendo,  ohe  i  preparativi,  in  Pie- 
monte, siano  abbastanza  gagliardi,  a  tal  fine. 

La  fiotta  Austriaca  blocca  Venezia,  quanto  può  e 
sa;  ciò  non  impedisce,  che,  tratto  tratto,  capitino  basti- 
menti, con  viveri.  I  prezzi ,  per  altro,  di  ogni  cosa, 
giàf  bastantemente,  alti,  son  saliti,  anche,  maggiormen- 


—  304  — 

te.  Le  malattie  non  diminuiscono,  secondo  che  il  rìn- 
frescamento  della  temperatura  fàcea  sperare. 

Il  Generale  sta  benino.  La  mia  salute  è  mediocre; 
l'appetito  mi  è  tornato  ;  speriamo,  che  venga,  anche, 
il  ben  essere.  Mi  sto  armando,  quanto  più  posso,  di 
filosofia.  Il  mondo  è  agitato,  in  sensi  cosi  opposti,  che, 
a  voler  seguire  questo  turbine  e  molinello  di  cose, 
ci  sarebbe,  da  perdere  il  capo. 

Aspetto  la  credenziale,  dentro  il  corr.  mese;  basterà, 
anche,  che  giunga,  verso  la  fine  di  esso.  Vi  ripeto,  che 
corrispondenze  dirette,  tra  Venezia  e  Napoli,  ve  ne 
son  molte.  E,  tra  le  altre,  Degas  è,  in  relazione,  col 
banchiere  Dubois;  e  Meuricoflfre,  col  Conte  Giovanni 
Papadopoli. 

Son  impaziente  di  ricever  vostre  nuove;  e  di  aver 
certezza  della  buona  salute  di  tutti  voi  :  essendo  io 
privo  di  vostre  lettere,  da  quella  Jel  28  Settembre,  in 
qua. 

Mi  giunge  un  plico,  da  Firenze,  con  dentro  due  let- 
tere vostre  e  di  Carlino^  bastantemente,  attrassate  : 
runa,  de'  13;  e  l'altra,  de'  25  Settembre.  Leggendole, 
mi  rallegravo  e  meravigliavo,  ad  un  tempo,  dell'invio 
del  ritratto  e  del  non  averlo,  ancora,  ricevuto;  ma  ho, 
poi,  trovato,  sulla  sopraccarta,  l'avviso,  di  non  esser 
più  partito  né  ritratto,  né  roba. 

In  quanto  alle  premure,  che  fa  il  March.  Drago- 
netti,  pe'suoi  figli:  l'uno  è,  già,  partito,  molto,  avendo 
sofferto,  in  salute;  l' altro,  è  in  molto  migliore  stato, 
anzi,  a  vederlo,  par  sanissimo.  Il  Generale,  a  malin- 
cuore, dà  congedi.  Con  tutto  ciò,  forse,  sopra  ulteriori 
insistenze  del  giovane ,  lo  avrebbe  compiaciuto  ;  ma 
il  giovane  stesso  ha  mostrato  desiderio  di  rimanere» 
È,  ora,  in  Venezia;  e,  forse,  sarà  messo,  alla  immedia- 


—  305  — 

zione  del  Generale  Conte  Sanfermo.  Pe*  fratelli  Ma- 
soli,  ho  scrìtto  a  Carlino,  che  dicesse,  ad  Attanasio, 
le  difficoltà  della  cosa. 

A  mio  fratello,  tostochè  riceverò  lettere,  non  man- 
cherò di  scrivere.  Abbraccio  lui  e  Carlotta  ;  saluto, 
caramente,  Luisa,  Antonia,  Emilio  e  Poppino;  vi  ba- 
cio la  mano;  e,  con  filiale  tenerezza  e  rispetto,  mi  raf- 
fermo 

V.o  Aflf.mo, 

Alessandro. 

P.  S.  Ho  lettere  dalla  Gozzadini,  che  mi  chiede  vo- 
stre nuove. 

Alla  Nobil  Donna 
La  Sig.  Baronessa  Lnisa  Panilli  nata  Sossi-Sergio 

In  casa  di  D.  Michelangelo  Parrilli,  Pari  del  Regno 
Strada  Banchi  Nuovi  N.<>  13 
Nmpoli. 


CUX.  Maria-Teresa  Poerìo-De  Nobili  ad  Alessandro  Poerìo. 

Genova,  il  10  ottobre  1848. 

Mio  caro  nipote, 

Ricevo,  in  punto,  una  lettera  di  vostra  madre,  la 
quale  si  lagna  di  non  ricever  vostre  lettere  né  dal 
nipote  Errico.  Vi  do  le  sue  nuove,  nel  caso,  che  ne 
siatiO,  da  lungo  tempo  ,  privo.  Il  signor  Olivieri  vi  re- 
cherà la  presente.  Egli  ci  ha  veduto,  quest'oggi;  e, 
partendo,  ora,  medesimo,  ho  profittato  della  sua  bontà, 
per  dirvi,  che  la  cognata  sta  bene,  e  ringraziarvi,  al 
tempo  medesimo,  della  bontà,  che  avete  avuto,  pel  mio 

raccomandato.  Rafiaele  voleva,  ancora,  scrivervi,  que- 

20 


—  306  — 

sfoggi;  ma  non  lo  puole,  a  causa  di  tanti  impicci,  che 
ha  avuto.  Ma  Io  farà,  quanto  prima. 

Pare,  che  il  gran  Duchino  di  Modena  sia  stato  ob- 
bligato a  fuggire,  per  la  guerra,  che  si  è  mossa,  tra 
gli  Ungheresi  e  Croati,  ed  a  cui  il  popolo  ha  preso 
parte  ,  per  gli  Ungheresi ,  gridando  :  —  «  Morte  al 
Duca  !»  —  Il  reggimento  Regina,  stazionato  a  Geno- 
va^ ha  fatto  una  dimostrazione  terribile  gridando  :  o 
la  guerra,  o  che  volevano  ritornare  a  casa.  Se  Tar- 
mata si  rivolta ,  bisogna  ,  bene  ,  far  la  guerra ,  onde 
contentarli.  Pare,  che  la  mediazione  anglo-francese 
sia  stata,  formalmente,  rifiutata  dalFAustria;  stiamo 
a  vedere.  Noi  partiamo,  oggi  medesimo,  per  Vercelli, 
onde  raggiungere  mio  marito.  Fate ,  col  signor  Ge- 
nerale Pepe,  i  miei  complimenti  e  quelli  di  Raffaele: 
egU  gh  scriverà  ,  di  bel  nuovo ,  quanto  prima ,  spe- 
rando, che  questa  lettera  avrà  migliore  fortuna  delle 
altre.  Speriamo  ,  che  il  Cielo  avrà  pietà  della  sorte 
del  nostro  povero  paese;  e  che  risorgerà,  dalla  catti- 
vità, sotto  la  quale  geme,  datanti,  anni,  e  che  sor- 
gerà una  ,  sola  ed  indipendente,  e  sarà  annoverata 
anch'essa,  la  povera  Italia,  fra  il  numero  delle  grandi 
nazioni.  Intanto ,  mio  caro  nipote,  conservatevi ,  in 
buona  salute.  Dateci  vostre  nuove  ,  sia  a  me  come  a 
mio  marito.  Oggi  medesimo,  avendo  scritto,  a  vostra 
madre,  le  ho  date  vostre  notizie.  Intanto,  conservate- 
mi il  vostro  aff'etto  ;  e  credetemi,  sempre. 

Vostra  aff.ma  Zia, 

Maria  Teresa  Poerio.  • 

Airill.mo  Signore 

Il  Signor  Alessandro  Poerio, 

Y erte  zia. 


—  307  — 

CLX.  La  Carolina  Poerio-Sossisergio  e  la  Carlotta  Imbriani- 

Poerio  ad  Alessandro  Poerio. 

Napoli,  10  ottobre  1848. 

Mio  carissimo  figlio, 

Rispondo,  a  due  tue  lettere,  del  25  e  del  30,  rice- 
vute, quasi,  contemporaneamente,  all'indirizzo  di  mia 
sorella.  La  tua,  rimessa  ad  Enrico,  esso  meTha  an« 
nunziata;  ma,  non  ancora,  è  giunta  la  persona,  che 
deve  portarmela. 

Mi  consolo,  che  la  tua  salute  ti  contenta.  Io  sto 
bene;  come,  anche,  tuo  fratello,  il  quale  è  assente,  per- 
chè è  andato  a  fare  una  campagnata,  con  vari  ami- 
ci. Sono  andati ,  ad  Airola  ,  a  trovare  Aceto.  In  pun- 
to, ho  consegnato  i  ducati  50  al  Signor  Vitale,  gen- 
tilissima persona,  il  quale  me  ne  ha  fatto  il  ricevo. 

Caro  figlio,  che  posso  dirti  di  affari  ?  I  particolari 
vanno  molto  male;  i  generali,  peggio  che  mai;  chi  sa 
cosa  ne  sarà  per  riuscirne?  La  mia  salute  è  buona; 
quella  di  tuo  fratello,  ancora.  Tua  sorella  mi  venne 
a  vedere,  ieri,  con  quattro  de'suoi  figli.  II  tuo  favo- 
rito, Vittorio,  è  di  due  dita  più  alto  di  Geppino.  Oggi, 
vado  a  pranzo,  da  loro;  la  giornata  è  non  solo  bella, 
per  Ottobre,  ma  è,  positivamente,  estiva.  Ieri,  mandai 
un  involto,  a  Cosimo,  contenente  il  soprabitone,  due 
calzoni  e  cinque  gilè,  una  cassettina  di  latta;  con  il 
ritratto  di  tuo  padre.  Questa  lettera,  la  finirò,  in  casa 
di  tua  sorella  ;  e  la  dirigo  a  Bellinga.  Le  lettere  di 
Enrico,  le  ricevo,  esattamente.  Ora,  tua  Zia  parte;  scri- 
vimi, direttamente:  se  le  lettere  di  Enrico,  le  ricevo, 
perchè  non  riceverei  le  tue  ? 

Ora,  sono,  da  tua  sorella,  circondata  da  tutti  i  miei 


—  308    - 

nipotini,  che  mi  fanno  festa.  Ed,  in  confidènza,  non 
essendo  avvezza,  a  questo  chiasso,  non  posso  conti- 
nuare, a  scrivere.  Tua  sorella  vuol  farti  un  rigo» 
Tua  Zia  Luisa,  Antonia,  Peppino,  gli  amici,  i  dome- 
stici, tutti  si  ricordano,  alla  tua  memoria.  Sono  a£fe* 
zionatissima  madre ,  che  ti  benedice. 

Carolina. 

Carissimo  fratello. 

Profitto  dell'occasione,  che  mi  ofi're  nostra  madre, 
per  scriverti  due  righi.  Mi  gode  Tanimo ,  che  tu  sei 
stato  meglio;  e  confido,  che  guarirai,  perfettamente. 
Io  e  la  mia  famiglia  godiamo  buona  salute.  Emilio 
è,  quasi,  del  tutto,  libero  del  suo  incomodo;  ma,  mo- 
ralmente, poi,  è  assai  oppresso  :  egli  è  andato,  per  i 
suoi  affari,  a  S.  Martino,  dove  si  tratterrà,  qualche 
giorno.  I  miei  bambini  domandano,  sempre,  del  loro 
caro  Zio;  e  sono  desiderosi  di  rivederti.  Tu,  forse,  ti 
sarai  sorpreso,  che  io  non  ti  abbia,  mai  scritto.  Ma  sap* 
pi,  che  il  mio  pensiero,  sempre,  ti  segue;  e  che  vorrei 
saperti  lieto  e  felice,  se,  nelle  presenti  condizioni  no- 
stre, questo  è  possibile.  Io  ho  il  coraggio  di  resistere^ 
a  tutte  le  sventure,  che  ci  circondano,  pel  pensiero, 
che  mi  debbo,  a'  miei  figli,  e  che  mi  corre  l'obbligo 
di  educarli,  virilmente,  di  renderli,  insomma,  uomini: 
merce,  Mi  cui  vi  è  difetto,  ne'tempi  presenti;  tempi  di 
corruttela  e  di  viltà.  Addio,  caro  Alessandro.  Fa  dì 
star  sano  e  di  confidare,  nella  Provvidenza,  che,  tosto 
0  tardi^  punisce  i  malvagi;  e  di  amare  la 

tua  aff.ma  sorella,. 

Carlotta. 


—  309  — 

P.  S.  Nostra  madre,  la  Dio  mercè,  sta,  assai,  bene; 
e  questo  è  un  gran  conforto,  per  tutti  noi. 

Al  Signor, 
Signor  Francesco  BeUinga, 
Vene^iia, 


GLXI.  Enrico  Poerio  ad  Alessandro  Poerio. 

Firenze,  11  Ottobre  1848. 

Caro  Alessandro , 

Ricevo  la  tua  de^5  corrente,  con  quella  di  Rosa- 
roll.  À  tua  madre,  ho  spedito,  già,  quella,  acclusami. 
Avrai  ricevuto,  spero,  i  giornali,  che  ti  mandai,  per 
mezzo  del  Conte  Sugana.  Qui,  ti  accludo  un  mezzo 
foglio  di  lettera,  che  ti  scrivono  da  Napoli.  Le  cose 
di  Livorno  durano;  ed  il  Governo  segue,  a  fare  er- 
rori. Nondimeno,  fra  tutti  questi  chiassi.  Montanelli 
è  stato  invitato,  da  una  deputazione,  ad  andare,  a  Li- 
vorno, come  governatore;  e  vi  è  andato.  Il  suo  pro- 
gramma politico  è  bellissimo.  Egli  comincia,  per  dire» 
al  popolo,  che  la  sua  professione  di  fede  politica  è 
democratica,  nazionale,  cristiana;  spiega,  quindi, 
queste  tre  idee,  non  contraddittorie,  ma  uniche,  nello 
scopo  e  nel  sentimento;  e  finisce,  per  proporre,  come 
mezzo  solo,  ad  ottenere  nazionalità  ed  indipendenza 
Italiana,  una  costituente,  formata  da  una  dieta  gene- 
rale Italiana,  a  cui  intervengano  non  solamente  i  rap- 
presentanti de'governi,  ma  quelli  del  popolo.  Monta- 
nelli, uomo  di  coscienza,  non  poteva  mancare,  a  so 
stesso  ed  al  paese.  I  Livornesi   vogliono,  assoluta- 


—  310  — 

mente,  abbasso  il  Ministero;  e  queste  grida  si  sono 
incominciate,  ad  udire,  anche,  a  Firenze.  Se  il  Mini- 
stero non  sarà  buttato  giù ,    i  Livornesi   intendono 
marciare,  su  questa  città.  Spero,  molto,  dalla  religione 
e  dalla  politica  di  Montanelli.  Egli,  te  Tho  detto,  ti 
abbraccia,  caramente.  È  vero,  ricevè  la  tua  lettera. 
Ma  mi  disse,  che  le  mille  occupazioni,  da  cui  era  af- 
follato, gì'  impedivano,  di  scriverti  ;  e  che  io  facessi, 
teco,  le  sue  parti.  Di  Napoli,  sempre,  buone  speranze 
e  grandi  preparativi:  ma  nulla  di  positivo,   nulla  di 
effettuato,  ancora.  Monsignor  Code  è  tornato.  In  Si- 
cilia ,  seguono  a  farsi  apparecchi.  Vedremo,  come  le 
cose  anderanno,  da  quelle  parti,  che  sono  interessanti 
tanto,  nella  bilancia  della  questione  Italiana.  Ho  vi* 
sto  Spaventa  e  Massari,  di  passaggio,  che  andavano 
a  Torino,  per  il  congresso  politico.  Delle  cose  gene- 
rali, non  ti  dico  nulla:  possiamo,  d'accordo,  lamentare 
il  contegno  lento  ed  incerto  delle  potenze  mediatrici, 
che,  nel  prolungare  le  effimere  loro  trattative,  ci  fanna 
un  gran   danno.  Ti  dirò,  solo,  che  ho  letto  un  pro- 
getto di  Costituzione,  fatto  da  una  Commissione  au- 
striaca, per  tirare,  a  se,  i  lombardi,  consoliti  zimbelli 
ed  allettamenti.  Esso  è  un  capolavoro  di  larghezze  e 
concessioni.   Credo ,  che   nessuna   repubblica   abbia 
avuto,  mai,  libertà  più  grande,  di  quella,  che  si  con- 
tiene, in  quel  progetto;  e  spero,  che  la  Lombardia  non 
sarà  tanto  cieca,  da  farsi  prendere,  all'amo.  Dì  Zio 
Raffaele  non  ho  avute  più  lettere.  Ma  mi  ha  scrìtto 
sua  moglie,  da  Genova,  dicendomi,  che  e  stato  molto 
occupato,  per  la  riorganizzazione  dei  corpi  lombardi. 
Ella  ti  fa  tanti  saluti.  Il  Ministero  toscano,  nel  suo 
vacillamento,  agisce,  lentamente:  perciò,  bisogna  aspet* 
tare,  per  la  decisione  del  mio  grado,  nella  milizia.  Dirai^ 


I 


—  311  — 

a  RosaroU,  che,  quest'altra  volta,  gli  scriverò  e  gli 
manderò  il  nastro,  che  mi  chiede. 

Tanti  saluti,  al  Generale ,  UUoa,  Assanti,  Cosenz, 
Pierni  e  Vollaro  ;  mentre,  abbracciandoti,  caramente, 
sono 

Tao  aff.aio  cugino  e  fratello, 

Enrico  Poerio. 

Al  Nobil  Uomo 
n  Signore  Barone  Alessandro  Poerio 

presso  il  General  Pepe 
Yenesia, 


GLXn.  La  Lauretta  Parrà  e  Giuseppe  Montanelli 
ad  Alessandro  Poerio. 

Livorno,  12  Ottobre  1848. 

Caro  Sandro, 

Fu  una  grande  consolazione,  per  Montanelli  e  per 
me,  il  ricevere  la  vostra  cara  e  desiderata  lettera. 
Eravamo  insieme,  assestando  alcune  carte,  quando  ci 
pervenne;  e  rileggevamo  un'antica  vostra  lettera,  con 
alcuni  bellissimi  versi,  che  ammiravamo,  insieme.  Mon- 
tanelli era  per  partire,  per  Firenze,  come  deputato  di 
Fucecchio;  e  avevamo  tutto  quel  gran  da  fare,  che 
si  ha,  il  giorno  d'una  partenza.  Era  nostra  intenzione 
di  scrivervi,  insieme,  giunti,  in  Firenze;  ma  egli  non 
ebbe,  per  sé,  un  momento  di  tempo  !  Io,  per  aspettare 
lui,  ho  indugiato,  fin  ora;  e  me  ne  pento.  Avrete  ve- 
duto, dai  fogli  Toscani,  come  esso  si  trova,  malgrado 
lui,  balzato,  al  posto  di  Governatore  di  questa  città. 
Povero  martire,  è  già  dimagrito  !  e,  di  più,  la  sua  fe- 
rita li  duole,  un  poco  più. 


—  312  — 

Egli  ha,  in  questo  posto,  un  triplice  lavoro;  la  si- 
tuazione di  questo  paese,  tutto  eccezionale,  è  un  mon- 
do da  portare.  Egli  ha  l'intenzione  di  scrivervi,  oggi: 
ma  è  capace  di  arrivare  stanco,  rifinito,  esaurito,  co- 
me li  succede,  quasi  sempre!  Voi  lo  saprete  compa- 
tire; saprete  indovinare  tutto  il  suo  affetto,  per  voi;* 
e  sentirete  il  suo  cuore,  che  è  sul  vostro.  Quanto  ci 
contristano  le  cose  di  Napoli,  non  ho  a  dirlo. 

Disgraziatamente,  non  v'è  un  angolo  di  questa  pò • 
vera  Italia,  su  cui  quietare  il  pensiero!  Si  piangerebbe, 
sempre,  se  non  ci  fosse  la  speranza  dell'avvenire.  La 
costituente  Italiana,  progettata  da  Montanelli,  può  e 
deve  salvarci,  costituendo  un'Italia  :  il  resto  verrà,  da 
sé.  Scriveteci,  su  questo  particolare.  M'immagino,  che 
leggerete  Y  Alba,  tutt'i  giorni.  E  voi,  Sandro  mio, 
non  vi  farete  vedere,  fra  noi?  come  lo  desidero  !!  Scri- 
veteci, che  venite,  presto.  Montanelli  sarebbe  nella 
gioja.  Intanto,  scriveteci;  e  non  aspetterete  le  rispo- 
ste. Godo,  che  la  vostra  madre  stia  bene  di  salute  e 

che  il  vostro  fratello  non  si  stanchi  mai,  mai 

La  mia  Emilia  e  suo  marito  sono,  per  qualche  giorno, 
a  Fivizzano.  Mio  figlio,  in  campagna.  Essi ,  tutti ,  vi 
amano.  Non  vi  parlo  di  me  meschina,  per  non  rat- 
tristarvi. Addio,  aspetto,  come  una  consolazione,  una 
vostra  lettera.  Parlateci  di  Venezia;  ma, sopratutto, 
venite,  presto,  qui.  Sono,  di  cuore,  l'amica  vostra  af- 
fezionatlssima, 

Lauretta  Parrà. 


—  313  — 

Caro  Sandro, 

Son  tanto  stanco,  che,  appena,  ho  forza,  per  darti 
«n  abbraccio. 

Tao, 

Montanelli. 

Al  Nobil  Uomo 
Il  Signor  Barone  Alessandro  Poerìo, 

presso  il  General  Pepe, 
Venezia, 


GLXin.  Alessandro  Poerìo  alla  Carolina  Poerìo-Sossisergio. 

Venezia,  a  di  13  Ottobre  1848.  —  N.""  3. 

Carissima  madre, 

La  mancanza  di  vostre  lettere  mi  tiene,  somma- 
mente,  inquieto:  Tultima,  che  ho  ricevuta,  essendo  de* 
28,  scorso  mese.  Vero  è,  che,  in  una  del  Generale  Flo- 
restano, al  fratello,  in  data  de' 5  Ottobre,  si  fa  men- 
zione di  voi:  e  ciò  mi  tranquilla,  un  poco.  Ma  come, 
mai,  le  lettere  vostre  mi  mancano,  da  tanto  tempo  ? 
Avete  molti  mezzi,  per  iscrivermi  :  accludere  la  let- 
tera, ad  Enrico;  o  far  la  sopraccarta,  a  Mondolfo,  il 
quale,  benché  sia  in  Trieste,  ha  lasciato,  qui,  gli  a- 
genti  suoi. 

Neppure,  al  nome  di  Bellinga,  ne  son,  più ,  venute. 
Insomma ,  trovate  modo,  che  io  abbia  vostre  nuove 
dirette. 

La  recentissima  rivoluzione  di  Vienna ,  ajuterà  , 
speriamo,  le  cose  nostre,  tanto  declinate. 


—  314  — 

Aspetto  la  roba  d'inverno  ed  il  ritratto;  ed,  alla 
fine  del  mese  corrente»  il  danaro. 

Scrivo,  in  fretta  :  dovendo  dare  queste  due  righe, 
a  Damiano,  che  le  accluderà,  a  Cosimo. 

V.o  aff.mo 

Alessandro. 


CLXIV.  La  Carolina  Poerio-Sossisergio  ad  Alessandro  Pperìo. 

Napoli,  14  Ottobre  1848. 

Mio  caro  Alessandro, 

Mando  questa  letterina,  ad  Enrico,  per  la  vìa  di 
Livorno,  cioè,  per  mezzo  del  vapore  francese.  Ho  ri- 
cevuto la  tua  lunga  lettera  del  30,  alla  quale,  rispon- 
derò, per  lo  stesso  canale,  a  lungo.  Questa  mia,  te  la 
scrivo,  a  solo  fine,  di  farti  sapere,  che  stiamo  bene. 
Carlo,  ieri,  si  ritirò  dalla  sua  piccola  gita.  Domani 
anderà  a  Santo-Jorio;  e,  così,  cercherà  di  distrarsi,  dal- 
le seccature.  In  punto,  è  giunto  Fonseca.  Io  ti  replico 
quello,  che  ti  ho  detto,  in  altra  mia:  subito  che  avrò 
il  danaro,  te  lo  manderò;  ma,  da  Calabria,  nulla  an- 
cora. Ho  pagato  i  ducati  50,  al  Signor  Vitale.  Spero, 
che  possi  riparare,  al  momento.  E,  poi,  cerca  di  fare, 
quanto  più  puoi,  economia ,  come  facciamo  noi,  qul> 
non  certo,  ma  pensa,  per  quanto  puoi,  alle  nostre  cir- 
costanze. Godo,  che  la  tua  salute  è  buona.  La  mia  è 
buonissima  ;  tanto,  che  ne  sono  spaventata.  Accludo 
questa,  ad  Enrico.  Spero,  che  abbi  ricevuto  tutt'i  fo- 
gli, che  ti  ho  mandati,  e,  anche,  V Araldo. 

Di  cose  pubbliche,  non  ti  parlo:  perchè,  qui,  tutto  è 


—  315  — 

segreto,  vi  è  una  tal  qual  catena.  Mi  dispiace,  assai^ 
che,  non  hai  ricevuto  le  nostre  lettere  del  13,  14  A- 
gosto ,  perchè  ti  dicevamo  molte  cose  interessanti 
(che,  ora,  già,  non  lo  sarebbero  più).  Fonseca  è  tor- 
nato bello  e  grasso,  dai  suoi  50  giorni  di  tappa  e 
d'ingiurie,  ricevute  dai  Croati,  ma,  invece,  di  applausi 
e  buon  volere,  delle  Croate  e  Boeme;  il  sesso  debole 
è  più  compassionevole.  Ti  benedico 

Aff.ma  madre. 

Carlotta,  martedì,  ti  scrisse,  nella  mia  lettera;  tutti 
quanti  ti  abbracciano. 


GLXV.  Alessandro  Poerio  alla  Carolina  Poerio-Sossisergio 

ed  a  Ciarlo  Poerio. 

Venezia,  a  dì  17  Ottobre  1848.  — iV.°  4. 

Carissima  madre. 

Pare,  che,  di  nuovo,  una  mano  dispettosa  intercetti 
la  nostra  corrispondenza  !  Poiché ,  se  voi,  a  di  5  Ot- 
tobre, non  avevate  lettere  mie ,  che  de' 18  Settembre, 
(quando  è  certo,  che  io  vi  ho  scritto,  spessissimo,  e 
propriamente,  otto  volte,  nel  corso  del  passato  mese,) 
io,  fino  a  ieri,  era  privo  di  lettere  vostre,  dal  28  Set- 
tembre in  poi.  Al  nome  di  Bellinga,  prima,  mi  ginn- 
geano,  con  sicurezza;  chi  sa,  che  non  abbiano  capito, 
nel  gabinetto  nero,  che  il  Bellinga  son  io  !  Usava  la 
prevenzione  di  dirìgere  (  scrivendo,  per  la  posta)  le 
lettere,  a  Zia  Luisa;  e  di  aggiungere,  sulla  sopraccarta, 
la  indicazione:  in  casa  di  D.  Michelangelo  Parrilli. 


i 


—  316  — 

Pari  del  Regno.  Ma  sembra,  che  ciò,  a  nulla,  giovi;  e 
che,  aperte  le  lettere  e  trovato,  che  venivano  a  voi, 
siano  state  soppreside.  Cercate ,  che  (oltre  quelle,  che 
mi  spedite,  per  mezzo  di  Enrico,)  io  ne  abbia,  per  I^  via 
di  Roma,  potendo  voi  farle  ricapitare,  a  Cicognani  p, 
e.  0  ad  altra  persona,  che  me  le  spedisse,  qui.  Pierni^ 
ch'è  in  Livorno,  ha  un  figlio,  in  Venezia;  ed,  a  lui,  ho 
consegnato,  due  volte,  lettere,  per  voi.  Egli  mi  ha  as- 
sicurato, che  il  fratello  ve  le  avrebbe  portate  di  per- 
sona ;  e  mi  ha  detto,  che,  incaricando  lui  del  ricapito 
delle  risposte ,  sareste  sicura,  di  farmele  avere.  In- 
gomma, trovate  modo,  che  io  abbia  nuove  più  fre- 
quenti. 

Della  saluta,  mi  debbo  contentare,  benché  non  sia 
quale  desidererei.  Queste  malattie  nervose  rivestono 
tante  forme  diverse,  son  veramente  indefinibili.  Ma, 
quando  ho  patimenti,  che  non  siano  spasmodici,  io  non 
mi  dolgo;  e  cerco  di  darmi  coraggio.  Dopo  la  rovina 
delle  cose  Italiane,  veramente,  mi  credea  ricaduto  in 
modo,  da  non  riavermi  ;  a  poco  a  poco,  mi  son  ve- 
nuto ripigliando. 

Poiché  desiderate  sapeTe,  dove  io  abiti,  vi  dirò,  che 
sto  di  casa,  due  porte  dal  Generale.  Si  entra,  da  un 
vicolo,  dietro  le  Procuratie.  Le  stanze,  che  io  occu* 
pò,  non  danno  sulla  piazza  ;  ma  T  appartamento  no- 
bile è  a  mia  disposizione,  sempre,  che  voglio  entrarvi. 
Dalle  finestre,  si  gode  tutta  la  piazza.  E  propriamente, 
la  vista  infila,  direttamente,  la  piazzetta  ;  e  si  vede 
r  isola  e  chiesa  di  S.  Giorgio.  Questo ,  come  dovete 
ricordarvi,  è  uno  de'.piii  bei  luoghi  di  Venezia.  Mon- 
dolfo  continua,  a  stare,  in  Trieste.  Ultimamente,  mi 
fece  dire,  che  sperava,  di  tornare,  in  breve.  Ma  io  ne 


—  317  — 

dubito,  assai;  tanto  più,  che  le  cose,  per  quanto  pare^ 
volgono  alla  guerra. 

A  quest'ora,  avrete  pagato,  ad  Alessandro  Vitale,  cor- 
rispondente del  Capitano  Musto,  i  ducati  cinquanta.. 
Questi  ho  spesi,  in  parte,  per  fornirmi  di  oggetti  di 
vestiario,  di  più  urgenza.  Aspetto,  con  impazienza,  la 
roba  d'inverno,  costà,  rimasta;  non  ho  neppure  una 
sottoveste;  insomma  ho  bisogno  di  vestirmi.  Soprat- 
tengo a  farmi  il  cappotto,  finché  mi  venga  il  danaro, 
che  non  tarderà,  certamente,  oltre  la  fine  del  mese. 
Fin  là,  posso  andare,  con  quel,  che  mi  rimane.  Ma,  ol- 
tre quel  termine,  mi  troverei,  nell'imbarazzo.  Mi  rac^ 
comando,  dunque,  sempre  più,  per  le  rimesse.  Vi  ripor- 
to, che  corrispondenze  dirette,  tra  Venezia  e  Napoli, 
non  mancano.  Degas  ha,  per  corrispondente,  il  signor 
Dubois  ;  Meuricoflfre,  il  Conte  Giovanni  Papadopoli^ 
marito  dell'Aldobrandini. 

Carissima  madre,  quanto  son  consolato,  nel  sentirvi 
di  buona  salute.  Iddio  vi  conservi,  lunghi  anni,  e  sce- 
vra di  acciacchi!  Abbraccio  Carlotta,  di  cui  sento,  con 
piacere,  le  infaticabili  cure,  pe'suoi  bambini.  Saluto^ 
caramente,  Luisa  ed  Antonia.  Aspetto  il  ritratto  ;  vi 
bacio  la  mano;  e  mi  ripeto 

V.o  aitmo  figlio, 

Alessandro. 

Carissimo  fratello. 

Sappi,  che,  di  tante  lettere,  che  nostra  madre  ac- 
cenna aver  mandate,  io  non  ho  avuto,  che  quelle  del 
13  e  del  23 Settembre,  (giuntemi,  con  incredibìl  ritar- 
do, )  un'altra  de'28  Settembre  e  l'ultima  de'5  Ottobre. 
Dovrei  averne  avuto  di  più  recenti.  Per  carità,  tro- 
vate modo,  che  io  abbia  le  lettere,  facendole  impostare. 


—  318  — 

in  Roma  o  Livorno,  od  accludendole  ad  Enrico.  Ebbi 
i  giornali  :  lessi  la  lettera  di  Saverio  e  la  tua ,  che 
mi  piacque  molto. 

Mi  gode  r  animo,  che  il  nostro  Montanelli  abbia 
avuto,  subito  dopo  il  ritorno  dalla  sua  gloriosa  pri- 
gionia, cosi  bella  occasione  d*esser  utile,  al  suo  pae- 
se; e,  con  tanta  ampiezza  di  concetto  e  felicità  di  pa- 
role, abbia  fatto  la  sua  professione  di  fede  ed  indi- 
cata  la  nuova  via,  che  ^e  percorrere  l'Italiano . . . 
• ....  Si  spera,  che  il  Gran  Duca  non  aspetterà,  che 
si  venga,  agli  estremi.  Il  voto  pubblico  chiama  Mon- 
tanelli, al  Ministero.  Egli  è  uomo  considerato  e  sag- 
gio, ma  non  da  mezze  misure ,  né  capace  di  tran- 
sigere su'  principi. 

Saprai  la  rivoluzione  di  Vienna.  Jellacic  non  ha, 
per  quanto  sembra,  forze  sufficienti  a  domarla;  e  gli 
Ungheresi  gli  saranno ,  presto ,  addosso. 

Tutti  gli  sforzi  della  diplomazia,  per  conservare  la 
pace,  torneranno  vani;  la  prepotente  necessità  della 
guerra  è  nelle  cose  e  negli  uomini.  Bisogna,  che  tutti 
gl'Italiani  si  preparino  alla  lotta.  L'intervento  fran- 
cese, sarà,  forse,  determinato  dagli  avvenimenti,  che 
si  svolgono  in  Europa.  Ma  noi  dobbiamo  farne,  pie- 
,  namente,  astrazione;  e  far  conto  di  esser  soli. 

Dicon  seri  disturbi  scoppiati,  tra  Ungheresi  e  Croa- 
ti, in  Mantova  e  Vicenza.  Iddio  faccia,  che  ciò  si 
avveri. 

Ieri,  si  andava,  in  barca,  per  la  piazza  di  S.  Marco: 
spettacolo  singolarissimo.  Il  Generale,  Assanti,  Ulloa, 
Cosenz  ti  salutano.  Io  ti  abbraccio  e  mi  ripeto 

Tuoa£f.mo  fratello 

Alessandro. 


—  319  — 

P.  S.  In  quanto  al  figlio  di  Dragonetti,  qui,  rima- 
sto, lo  raccomandai,  al  Generale,  come  tu  desideravi; 
ma  il  Generale  è  alquanto  alieno,  dal  concedere  per- 
messi a'  volontari.  Con  tutto  ciò,  si  piegava,  a  farlo 
partire,  allorché  il  giovane  stesso  manifestò  volontà 
di  restare ,  purché  avesse  tempo  di  rimettersi  in 
salute.  E,  ora,  in  Venezia,  addetto  al  Generale  Saa- 
fermo.  Del  resto,  la  sua  indisposizione  è  poca  cosa. 
Il  fratello  parti,  assai  malandato  in  salate.  Mi  duole, 
che  il  Marchese  sia  infermo.  Saluto  Emilio  e  Pap- 
pino. 

Alla  Nobil  Donna 
La  Signora  Baronessa  Carolina  Poerio 

Napoli. 


GLXVI.  Carlo  Poerio  e  la  Carolina  Poerio-Sossisergio 

ad  Alessandro  Poerio. 

Napoli,  17  Ottobre  a848. 

Mio  carissimo  fratello , 

Ho  ricevuto,  regolarmente,  le  tue  lettere  del  30  scor- 
so mese  e  del  4  fe  9  corrente.  Io  sono  stato,  per  brevi 
momenti,  in  Napoli;  e,  per  lo  più,  sono  stato  in  qualche 
vicina  campagna.  Fui,  dal  collega  Giovanni  Aceto,  in 
Airola,  in  compagnia  di  Sansone.  Venne,  anche,  Emi- 
lio, da  S.  Martino,  e  Crisci,  da  un  paese  vicino.  Di- 
modoché, nella  numerosissima  compagnia,  si  contavano 
cinque  deputati.  Non  puoi  credere  quanta  civiltà  sia 
in  Airola  :  vi  ho  passato,  piacevolissimamente,  otto 
giorni.  Ieri,  fui,  ad  un  eremo,  sopra  Maddaloni.  Que» 
sta  mane,  vado,  da  Starace;  e  giovedì,  dal  Presidantt 


—  320  — 

Capitelli.  A  proposito  della  Camera,  ieri  la  sera,  fi- 
nalmente, uscì  il  Decreto  di  convocazione  de*  Collegi 
Elettorali,  per  la  nomina  de'  43  deputati  mancanti. 
Le  elezioni  avranno  luogo,  il  13  Novembre.  Vedremo 
quali  nomi  usciranno,  dalFurna  elettorale.  Mi  scrisse 
Gioberti,  invitandomi  a  Torino;  egualmente,  ho  rice- 
vuto lettere  da  Leopardi,  Massari  e  Spaventa,  prima 
di  muovere  a  quella  volta.  Ma  io  non  accetto  le  basi 
stabilite,  dal  Gioberti, per  mascherare  Tambizione  di  un 
Principe.  Se  il  dovere  non  mi  ritenesse  in  Napoli,  co- 
stantemente, non  mi  recherei  in  Torino,  ma  altrove. 
Mamiani,  anche,  mi  ha  scritto,  da  Pesaro,  in  una  let- 
tera, diretta,  al  Generale  Florestano;  mi  dice  delle  cose 
affettuosissime  e  troppo  lusinghiere. 

Rilevo,  dalla  sua  lettera,  ch^egli  ignora,  che  tu  sii^ 
costà.  Il  caro  Montanelli  mi  ha  mandato  a  salutare,  per 
mezzo  di  un  amico.  La  sua  condotta  è  degna  di  un 
vero  Italiano;  ma,  a  me,  pare,  che  il  suo  generoso  prò* 
getto  non  sia  eseguibile.  L'ambizione  Piemontese  gua- 
sta tutto.  Il  Generale  Florestano  va,  sempre,  meglio; 
sebbene,  lentamente.  Ti  prego  de'miei  rispetti,  all'ot- 
timo suo  fratello,  e  de'cordiali  saluti,  per  Damiano,  Ul- 
loa,  Cosenz  e  Mezzacapo.  Dirai,  ad  Alfonso  Dragonetti, 
che  il  padre  è  partito  per  Aquila,  dove  è  giunto  l'al- 
tro fratello.  Riverisci  la  Contessa  Papadopoli,  che  io 
ho  conosciuto  graziosissima  bambina.  Mille  saluti,  al 
tuo  Padrone  di  casa.  Ti  abbraccio,  cordialmente. 

Tao  aff.mo  fratello, 

Carlo  Poerio. 

Mio  carissimo  figlio, 

Ti  giuro,  che,  quando  penso,  alle  quantità  di  mie  let- 
tere disperse,  mi  cadono  le  braccia.  Questa  è  la  quarta 


—  321  — 

lettera,  che  ti  scrivo,  in  questo  mese.  Ho  ricevuto,  io 
pure,  tutte  le  tue  lettere,  sino  al  cinque,  come  ti  ha  in- 
dicato tuo  fratello. 

Mi  consolo,  che  la  tua  salute  è  buona  ;  e  che  hai 
deciso,  di  non  adirarti,  tanto,  per  gli  affari,' in  generale: 
perchè  quello,  che  la  Provvidenza  vorrà,  quello  avver- 
rà. E,  siccome  io  fido,  assai,  nella  stessa,  così  mi  sono 
abbandonata,  intieramente,  in  essa.  Quindi,  non  leggo 
nessun  foglio,  tenendoli  tutti  (di  qualunque  colore  essi 
siano)  mendaci. 

Quando,  poi,  le  nuove  sono  vere,  vengono  confer- 
mate ;  ed,  allora,  le  so  io.  Ma  pei^dere  il  tempo,  per 
leggere  cose,  prive  di  senso  comune,  non  mi  ci  attrag- 
gono, più.  Appena,  ricevuta  la  tua,  mandai,  dal  signor 
Alessandro  Vitale;  ma  esso  veniva,  da  me.  Gli  conse- 
gnai i  ducati  cinquanta,  come  ti  scrissi.  Per  gli  altri 
denari,  gli  attendo,  da  un  momento  all'altro.  Io  penso, 
mandarli,  per  mezzo  di  Meuricoffre,  più  tosto  che  di  De- 
gas.  Ieri,  oltre  la  tua  lettera  del  5,  ricevetti  quella 
del  9;  e  Tattrassata,  per  mezzo  di  Fonseca,  il  quale  sta 
benone.  Ha  avuto  la  fortuna,  che  una  sua  domanda, 
fatta,  da  lui,  quattro  anni  fa,  di  entrare,  come  impie- 
gato, nel  Gabinetto  mineralogico,  si  è  decisa,  favore- 
volmente, nella  sua  assenza  ;  e,  ieri  stesso,  prese  pos- 
sesso. Mi  han  detto ,  che  si  è  tolto  il   blocco,  come 
cosa  inutile.  Ma  io  non  lo  crederò,  se  tu  non  me  lo 
scrivi.  Preparerò  le  due  altre  giacche  di  lana:  se  non 
sono  partiti  i  colli  del  Generale,  partiranno,  con  essi. 
Ho,  finalmente,  avuto  lettera  di  Maria  Teresa,  del  10. 
Era  su  le  mosse,  di  raggiungere  suo  marito,  in  Ver- 
celli, perchè  far  due  case  non  era  cosa.  li  figlio  Pop- 
pino è,  ancora,  in  Francia,  per  fare  gli  esami:  dice,  che 
è  buono,  studioso  e  timido.  OuglieUno  è  stato  messo, 

21 


—  322  — 

nel  Collegio  Militare,  in  Torino;  ma  la  madre  non  se 
ne  loda,  perchè  poco  studioso.  Speriamo,  che  si  acco- 
modi. Tutti  ti  abbracciano.  Zia  Antonia  è  furente, 
per  notizie;  crede  tutto  e  s'infelicita.  Ti  abbraccio  e 
benedico 

aff.ma  madre, 

Carolina. 

Signore 
Giuseppe  Mondolfo,  banchiere, 
Venejiia, 


GLXVn.  La  Carolina  Poerio-Sossisergio  ad  Alessandro  Poerio. 

Napoli,  24  Ottobre  1848. 

Mio  carissimo  figlio  , 

Ieri  sera,  ricevetti  il  tuo  fogliolino  del  dì  13.  Io 
non  ho  mancato  di  scriverti,  per  tutti  mezzi  possi- 
bili ed,  anche,  quello  della  posta.  Ieri  l\ìltro,  ti  scrissi, 
per  occasione;  ti  mandai  una  giubba  ,  un  soprabito 
e  due  camiciole  di  maglia,  le  più  lunghe,  che  ho  po- 
tuto trovare,  per  mezzo  della  persona.  Ti  scrissi,  fred- 
damente, perchè,  qui,  detta  persona  non  persuade  trop- 
po. Te  r  avviso,  affinchè  ne  faccia  parte,  a  chi  con-- 
viene.  Badate,  ai  suoi  andamenti.  Puoressere,  che  sia 
menzogna;  ma,  in  tempi  tanto  diffìcili,  bisogna  esser 
cauti.  Voleva,  che  io  avessi  dati  de'  consigli:  ma  me 
ne  sono  guardata,  bene.  Tenete  l'avviso,  per  voi  soli. 

Caro  figlio,  speravo,  oggi,  mandarti  il  danaro,  ma 
non  l'ho  avuto,  ancora  :  promesse,  si,  quante  ne  vo- 
glio. Ma,  certamente,  non  passerà  il  mese,  senza  che 
venghino:  dunque,  si  tratta  di  giorni  più  o  meno.  Ci 


—  323  — 

è  chi  ama  il  disordine,  affinchè  i  proprietari  si  rovi- 
nino. I  briganti  hanno  le  bandiere  costituzionali. 

Tuo  fratello  mi  scrive,  dalla  campagna:  si  diverto- 
no, in  buona  compagnia  ;  domani,  anderanno,  in  Bene  - 
vento.  Le  nuove ,  che  corrono,  sono  molto  somiglianti, 
ai  conti  di  Mille  ed  una  Notte,  incredibili  !  ed  io,  col  mio 
scetticismo^  non  credo,  ancora,  nulla.  Ti  replico  quel- 
lo, che  ti  scrissi  giorni  fa:  la  Provvidenza  ne  sa  più  di 
noi.  Ho  ricevuto,  finalmente,  lettera  di  Maria  Teresa. 
È  curioso:  non  sapeva,  che  le  lettere  si  dovevano  af- 
francare, per  cui  sono  rimaste,  alla  posta.  A  quest'ora, 
sarà  giunta,  in  Piemonte.  Mi  promette  di  scrivermi, 
appena  giunca,  per  mezzo  della  legazione  Sarda,  mez- 
zo, di  cui  mi  son  servita,  per  farle  pervenire  le  mie. 
Enrico,  ora,  è  pentito  di  non  essere  venuto  a  Vene- 
zia! è,  veramente-,  un  ragazzone,  che  in  Napoli  si  chia- 
ma Maccaro7ie.  Dimmi,  se  potresti  ajutarlo,  in  caso 
venisse,  ora,  che  si  organizzalo  le  compagnie  ?  Luisa 
mi  ha  scritto,  in  cinque  giorni,  quattro  lettere:  stan- 
no bene,  sopra  TEremo  di  Castiglione.  Ora,  che  non 
ci  è  Carlo  né  Luisa,  ho  fatto  venire  Giuseppino,  a 
stare,  qui,  la  notte.  L'ho  fatto,  per  te,  perchè  io  sto 
tranquillissima:  il  nostro  quartiere  è  pacifico,  sempre; 
anche,  quando  non  lo  sono  gli  altri.  Addio,  caro  fi- 
glio; amami  e  credimi 

tua  aff.ma  madre, 

Carolina. 

Di  tua  sorella,  da  due  giorni,  non  so  nulla.  Ti  ho 
mandato  il  tuo  ombrello. 

Al  Signor 

Sig.  Banchiere  Giuseppe  MondoUò 

Venezia 


—  324  — 
CLXVm.  Alessandro  Poerìo  alla  Carolina  Poerio-Sossisergio» 

Venezia,  [23  Ottobre  1848.] 

Carissima  madre. 

Ebbi,  pochi  giorni  fa,  la  vostra  del  di  10,  col  fo- 
gliolino,  scritto  da  mia  sorella,  che  ringrazio,  assai, 
della  memoria,  che  serba  di  me,  e  dell'amorevolezza^ 
che  mi  dimostra.  Le  scriverò,  separatamente,  uno  di 
questi  giorni,  accludendo  la  lettera,  a  voi.  Frattanto,, 
caramente,  l'abbraccio;  e  le  dico  tante  cose,  pel  marito 
e  pe'  bambini. 

Ques^  notte,  Ulloa  è  andato,  a  fare  una  riconoscen- 
za, con  cinquanta  uomini;  e  nulla  mi  ha  detto.  Tratto 
di  poca  amicizia.  Il  Generale,  (che,  pur,  sapeva,  pregato, 
da  me,  una  volta,  per  sempre,  quanto  volentieri  io  sa* 
rei  andato,)  neppure,  mi  ha  avvisato.  Non  ho  saputo 
la  cosa,  che  dopo  la  partenza.  Mi  tocca,  ad  avere  ogni 
specie  di  dolori.  Il  Generale  ha  allegato,  esser  questa 
una  piccolissima  spedizione;  speriamo,  che  sia  augurio 
di  cose  maggiori.  Più  tardi,  sapremo  il  risultamento; 
ma  non  può  essere  di  molta  importanza.  Solo,  è  bene, 
che  si  sia  ricominciato,  a  menar  le  mani,  perchè  l'as- 
soluta inerzia  demoralizza  i  soldati.  Ch^  dirvi,  delle 

m 

cose  politiche  ?  Mille  voci  contradittorie:  guerra,  pa- 
ce, intervento,  abbandono,  lega,  controlega.  Insomma,, 
e'  è  da  perdere  il  capo.  Chi  afferma,  Carlo  Alberto 
pronto  a  ripassare  il  Ticino.  Chi  dice  ,  che  fa  viste 
e  non  verrà ,  mai  ,  all'  atto.  Frattanto ,  un  con- 
gresso di  notabilità  Italiane,  in  Torino;  la  Costituente 
proclamata ,  in  Toscana.  Molte  agitazioni ,  nessuna 
concordia.  L'idea  di  Montanelli  è  quella,  che,  più,  mi 


—  325  — 

piace  :  ma  V  adunanza  torinese  le  sarà  di  ostacolo. 
Si  spera ,  che  il  nostro  amico  possa  salire,  al  Mini- 
stero. Io  Io  desidero:  purché  si  circondi  di  uomini» 
secondo  il  cuor  suo  ed  atti,  ad  affiancarlo.  Troppo,  mi 
dorrebbe,  che  la  sua  popolarità,  come  quella  di  tanti 
altri,  venisse  meno.  Ma  egli,  uomo  coscenzioso  e  retto, 
non  accetterebbe  il  potere,  che  a  condizioni  onore- 
voli; e  non  Io  riterrebbe,  se  le  vedesse  violate. 

Resto  inteso  della  roba,  che  mi  mandate.  Non  fate 
menzione  delFabito  bleu,  co' bottoni  di  metallo  lavo- 
rati; esso  era  servibile,  ancora. 

In  quanto  al  danaro,  spero,  che  Io  rimetterete,  alla 
fine  del  mese.  Io  ho  soprattenuto,  a  farmi  roba  da 
vestire;  non  ho  comprato,  che  due  paja  di  pantaloni 
di  strapazzo  ,  una  giacca  di  casa  ed  un  ombrello:  ap- 
punto, per  non  trovarmi  sprovveduto  di  danaro.  Indos- 
so, ancora,  la  sottoveste  d'estate.  Ma,  se  si  entra  in 
campagna,  non  posso  fare  a  meno,  di  comprar,  su* 
bito,  un  cappotto,  con  cappuccio.  Io  tirerò  innanzi,  con 
grande  economia;  non  credete,  che  io  getti.  Ora,  se 
le  vostre  rinjesse  tardassero  troppo,  mi  troverei  a- 
sciutto.  Fate,  dunque,  che  non  tardino,  oltre  la  prima 
decade  di  Novembre. 

Aspetto  lettere  di  mio  fratello,  che,  caramente,  ab- 
braccio; saluto,  assai  assai,  Luisa,  Antonia  e  Peppino. 
Vi  bacio  la  mano;  e,  con  filiale  tenerezza,  mi  ripeto 

V.o  Aff.mo 

Alessandro. 

P.  S.  Riapro  la  lettera,  già,  suggellata,  per  accusar- 
vi ricezione  della  vostra  de'14,  che  in  punto,  ricevo. 


—  326  — 

Godo,  che  stiate  tutti  bene;  scriverò,  fra  giorni,  più 
a  lungo. 

Alla  Nobil  Donna 
La  Signora  Baronessa  Carolina  Poerio, 

Strada  del  Salvatore,  N.<>  5. 
Napoli. 


CLXIX.  Il  Governo  Provvisorio  Veneto  ad  Alessandro  Poerio. 

Governo  Provvisorio  Veneto 
Dipartimento  della  Guerra 

Al  Barone  Alessandro  Poerio, 

Venezia. 

Dietro  relazione  di  S.  E.  il  Generale  in  capo,  che 
fa  conoscere  i  servigi,  da  Lei  resi,  per  Io  passato,  alla 
causa  Italiana,  ed  in  considerazione  airintrepidezza, 
da  Lei  dimostrata,  nella  sortita  e  presa  di  Mestre , 
il  Governo  provvisorio  le  conferisce  il  grado  di  Ca- 
pitano, concedendole,  in  pari  tempo,  lo  stato  di  riposo. 

Venezia,  li  28  Ottobre  1848. 

G.  Cavedalts 

Fontana 
L.  S. 

xTo   16980 

4708 

Al  Sig.  Capitano  Poerio 

dello  Stato  Maggiore.  Presso  S.  E.  il  Generale  in  capo. 

(D*aflElcio.) 

(Dal  Governo»)   Venezia. 


—  327  — 

CLXX.  Alessandro  Poerio  alla  Carolina  Poerio-Sossisergio 
ed  a  Carlo  Poerio;  e  Guglielmo  Pepe  alla  Carolina  Poe- 
rio-Sossisergio. 

Venezia,  28  Ottobre  1848. 

Carissima  madre,  carissimo  fratello, 

Dalla  lettera  del  Generale,  avrete  rilevato  quel,ch'è 
avvenuto.  Come  avrei  (401)  volentieri  la  mia  vita , 
per  la  patria,  cosi  non  mi  dorrò  di  restare,  con  una 
gamba,  di  meno.  Vi  scrivo,  perchè  veggiate,  che  sono 
fuori  pericolo.  Abbraccio  Carlotta  ;  saluto  Luisa,  An- 
tonia ,  Emilio  e  Peppino;  e  mi  ripeto 

V.o  aff.mo 

Alessandro. 

Il  nostro  caro  Alessandro,  mia  ottima  Baronessa 
Poerio,  si  è  condotto,  con  valore  ammirabile  :  il  suo 
patriotismo  ed  il  suo  sangue  freddo  non  si  possono 
superare.  Colpito,  leggermente,  da  una  palla  di  mo- 
schetto, alla  gamba,  continuava,  ad  avanzarsi,  allor- 
ché un  colpo  di  mitraglia,  al  ginocchio,  lo  stese  a  terra. 
Alcuni  infami  Croati,  onde  lasciarlo  morto,  il  ferirono, 
alla  testa.  Allorché,  cessato  il  combattimento,  fui  a 
vederlo,  le  sue  sentenze  erano  degne  di  un  eroe  di 
Plutarco;  e  circondato,  come  io  era,  da'  miei  uffiziali, 
non  giunsi  a  trattenere  il  pianto.  Egli  soffri  l'ampu- 
tazione, coraggiosamente;  e  chiedeva  scusa  del  solo 
grido,  che  gli  sfuggiva.  Trovasi,  ora,  nella  mia  abita- 
zione; in  ottima  camera,  che  occupava ,  per  Taddietro, 
Assanti.  La  Contessa  Soranzo,  mia  ospite ,  gli  ò  quale 
tenera  madre,  quale  voi  gli  sareste;  le  sue  camerie- 
re, il  mio  famiglio  parigino,  Taltro  di  Assanti,  hanno 


—  328  — 

tutti  cura  indefessa  di  Alessandro,  ch'io  vedo,  contì- 
nuamente, raccomandandolo,  a  due  ottimi  medici. 

La  fazione  di  ieri  onora  il  nome  Italiano.  La  for- 
tuna, contro  il  suo  3oIito,  mi  ha  favorito:  senza  di 
che  non  avrei  potuto  superare  grandissimi  ostacoli , 
sebbene  i  volontari  mostraronsi  bravissimi,  come  se 
fossero  stati  della  vecchia  guardia  di  Napoleone.  Trat- 
tavasi  di  assaltar  gli  Austriaci ,  superiori  di  nume- 
ro ,  ben  fortificati ,  muniti  di  artiglieria:  mentre  io, 
per  singolari  combinazioni  della  laguna ,  appena,  fui 
raggiunto,  da  un  pezzo  da  sei. 

n  nemico  ebbe  trecento,  tra  morti  e  feriti,  seicento 
prigionieri  ;  e  perde  sei  bocche  da  fuoco,  ammirate, 
molto,  dal  popolo  Veneziano,  per  la  loro  bellezza,  es- 
sendo esposte,  in  questa  piazza  senza  uguale. 

Abbraccio  Carlino,  cui  non  iscrivo,  in  questo  mo- 
mento, perchè  oppresso  da  faccende.  Gli  direte,  che  le 
condizioni  attuali  d*  Italia  mi  spinsero,  ad  eseguire 
Tesplorazione  di  Mestre,  onde  invogliare  i  Piemon- 
tesi, ad  imitare  i  volontari,  nella  Venezia.  Mi  dicono, 
che  non  erasi  ottenuto  un  tanto  vantaggio,  sul  ne- 
mico, d'Aprile  in  qua. 

Sono  astretto  ^di  lasciarvi,  mia  cara  Baronessa.  Se 
potete  far  leggere  questo  foglio,  che  scrivo  alla  cor- 
sa, a  Florestano,  mi  fate  un  regalo.  A  lui,  scriverò,  al 
primo  momento,  che  avrò  libero. 

Abbiamo,  a  vista,  la  flotta  Sarda;  esperiamo,  che 
sia  ciò  un  segno  di  buona  intenzione,  da  parte  di  Carlo 
Alberto. 

Guglielmo  Pepe. 
Fui,  talmente,  sdegnato,  al  trattamento  indegno  dei 


—  329  — 

Croati  verso  Alessandro,  che  molto  mi  costò,  il  non 
vendicarlo  sopra  i  600  prigionieri  (402). 


GLXXI.  Ordine  del  giorno  di  Guglielmo  Pepe. 
COMANDO  GENERALE 

ORDINE  DEL  GIORNO. 

I  triumviri  veneti  conoscer  fecero,  il  gioi:no  26,  a^ 
generale  in  capo,  che  era,  ormai,  tempo  di  lanciar,  sul 
nemico,  i  difensori  della  Laguna,  sicchò,  con  Tesem- 
pk),  invogliassero  gì*  Italiani  a  correre  alle  armi. 

La  mattina  del  27,  avanti  Talba,  il  generale,  cir- 
condato dal  suo  stato  maggiore,  dalla  lunetta  N.  12, 
nel  Forte  di  Marghera ,  osservava  le  mosse  delle  tre 
colonne ,  le  quali,  in  tutto,  contenevano  duemila  ba- 
jonette.  Quella  di  sinistra ,  di  450  uomini  della  quinta 
Legione  Veneta,  comandata  dal  suo  colonnello  d'A- 
migo,  ed  imbarcata  su  parecchi  battelli,  era  prece- 
duta da  cinque  piroghe  e  due  scorridoje,  sotto  gli  or- 
dini del  comandante  la  divisione  di  S.  Giorgio  in 
Alga,  capitano  di  fregata  Basilisco.  Questi  legni,  con 
le  loro  artiglierie,  facilitar  dovevano  lo  sbarco  de*no- 
stri,  in  Fusina. 

II  colonnello  aveva  istruzioni,  di  occupare  quel  pó- 
sto; e,  poscia,  dalla  parte  della  Boaria,  presso  la  città 
di  Mestre,  servir  qual  riserva^  alla  colonna  del  cen- 
tro. Questa  ,  di  900  uomini  ,  comandata  dal  colon- 
nello Morandi  e  composta  da*  volontari  Lombardi  e 
Bolognesi ,  aveva  il  carico,  di  sloggiare  il  nemico, 
trincerato  sulla  strada  ferrata  ;  e,  quindi,  occupar,  di 
viva  forza,  Mestre.  La  colonna  di  dritta,  di  650  uo« 


—  330  — 

mini,  formata  dal  Battaglione  Italia  Libera  e  Cac- 
ciatori Alto-Reno  ,  comandata  dal  colonnello  Zam- 
beccari,  forzar  doveva,  lungo  T argine  angusto  del 
canale  di  Mestre,  una  barricata,  difesa  da  due  boc» 
che  da  fuoco  e  da  molti  fanti ,  stabiliti  nelle  vicine 
case. 

Già,  albeggiava.  Le  piroghe,  verso  Fusina,  non 
avevano  principiato  il  fuoco,  a  cagion  della  nebbia, 
densa ,  oltre  Tusato  ;  i  quattro  pezzi  di  campagna,  de- 
stinati per  le  colonne  di  dritta  e  del  centro  «  non 
erano  giunti  dall'  isola  di  Lido.  Ma  ogni  ulteriore  * 
ritardo  sarebbe  stato  nocivo:  quindi,  bisognò  ese- 
guire la  mossa;  e  dar  principio  agli  assalti,  colla 
bajonetta. 

Il  nemico,  forte  di  2600  uomini  in  tutta  la  linea, 
ne  aveva  1500  trincerati  in  Mestre ,  difesa,  da  sei 
pezzi  da  campo  e  da*cacciatori ,  pronti  a  far  fuoco, 
dalle  case. 

La  colonna  del  centro  fu  arrestata,  da  vivi  fuochi 
di  artiglieria  e  di  moschetti,  dagli  Austriaci.  Il  gene- 
rale in  capo  vi  spedi  il  colonnello  Ulloa,  capo  del  suo 
stato  maggiore.  Egli  si  fece  seguire,  da  cento  gendar- 
mi di  riserva;  e,  con  questo  ajuto, riordinò  e  spinse 
a  passo  di  carica  la  colonna ,  la  quale  penetrò  den- 
tro la  città.  Arrestata,  una  seconda  volta,  a  mal- 
grado la  forte  resistenza,  che  incontrò ,  e  le  gravi 
perdite  sofiferte,  procede  oltre.  Il  nemico,  dopo  aver 
perduto  parte  delle  sue  artiglierie,  difendevasi  dalle 
case.  Il  capitano  Sirtori,  il  maggiore  Rossaroll  ed 
il  capitano  Cattabene,  arditi  sino  alla  temerità»  con 
un  pugno  di  bravissimi  Lombardi,  si  diedero  a  scac- 
ciare gli  Austriaci,  casa  per  casa,  ed  aprir  la  via» 
a*nostri»  che  occuparono  la  città,  militarmente. 


—  381  — 

Fu  in  questi  frangenti,  che  il  barone  Alessandro 
Poerìo,  volontario  allo  stato  maggiore  generale,  ri- 
cevè una  palla  di  moschetto,  alla  gamba.  Continuò 
ad  avanzare:  ne  ricevè  una  seconda,  al  ginocchio 
dritto  ;  e,  steso  a  terra,  i  nemici  lo  ferirono,  in  te- 
sta, colla  propria  daga.  Mentre  gli  veniva  amputata 
la  coscia  dritta ,  il  valoroso  Poerio,  con  calma,  di- 
scorreva della  sua  cara  Italia  ;  e  ne  discorreva,  con 
lo  stesso  affetto,  che  gli  eroi  di  Plutarco  avrebbero 
usato,  parlando  di  Atene  e  di  Sparta. 

Tra  queste  vicende ,  la  colonna  di  Zambeccari , 
seguendo  Targine  costeggiante  il  canale,  incontrava 
forte  barricata,  difesa  da  due  pezzi  da  sei;  e  se  ne 
rese  padrona  alla  bajonetta.  Ma  il  nemico ,  profit- 
tando delle  variazioni  del  terreno  a  canto  e  di  al- 
cune casipole,  offendeva,  grandemente,  la  coda  ed  il 
ratroguardo  della  colonna ,  in  modo  che  vi  fu  esita- 
zione, tra  parecchi  volontari.  Essi  vennero  riordi- 
nati, dal  bravo  colonnello  Paolucci  e  dal  maggiore 
Assanti,  i  quali,  nella  mischia,  trovavansi,  sovente, 
a  fianco  del  generale  in  capo. 

Il  colonnello  d'Amigo  ,  appena  le  piroghe  furono 
in  misura  di  far  fuoco,  sbarcò,  a  Fusina,  si  rese  pa- 
drone di  due  pezzi  da  dodici,  abbandonati  dagli  Au- 
striaci, di  cui  fece  alcuni  prigionieri;  ma  non  giunse 
a  tempo,  da  secondare  gli  assalti  su  Mestre. 

I  risultamenti  del  valore  prodigioso  delle  colonne 
del  centro  e  di  dritta,  furono  di  oltre  600  prigio- 
nieri ,  5  cannoni  di  brobzo ,  molti  cavalli  e  buona 
quantità  di  munizioni  da  guerra. 

Ma  ciò,  che  vai  meglio,  è  Tessersi  provato,  che  i 
volontari  d'Italia  batterono  gli  Austriaci,  superiori 
di  numero,  ben  fortificati,  ostinatissimi  a  difendersi» 


—  332  — 

preparati,  fin  dalla  notte,  a  riceverci ,  e  che  servi- 
vansi  delle  abitazioni,  come  seconda  linea  di  difesa. 
Desiderava  il  generale  in  capo,  che  coloro,  i  quali 
-sogliono  dire,  che  egli  ripone  fidanza,  più  del  dovere, 
ne' volontari  Italiani,  avessero  veduto  combattere  i 
Lombardi  ed  i  Bolognesi.  Avrebbero  osservato,  che 
^ue' bravi  impiegavano,  di  preferenza,  la  bajonetta; 
che  disprezzavano  ogni  ostacolo,  come  si  fa ,  da  chi 
è  deciso  a  vincere  od  a  morire.  Avrebbero  amoìi- 
rato,  in  essi,  la  calma,  l'ordine  e  Tardire,  da  onora- 
re i  più  esperti  veterani;  ed  avrebbero  ascoltato,  an- 
che, i  più  gravemente  feriti  salutar  V  imminente  li- 
bertà Italiana.  Allorché  una  nazione  possiede  Milano 
e  Bologna,  essa,  di  necessità,  romper  debbo  le  più 
jsalde  catene. 

La  guardia  nazionale  di  Venezia,  che,  al  generale 
in  capo,  ripugnò  condurre,  a  si  aspri  combattimenti, 
mostravasi,  su'  rainpari  di  Marghera,  implorando  il 
permesso  di  marciare  contr'  al  nemico. 

È  ardua  cosa  il  dover  far  cenno  di  coloro,  che  più 
si  distinsero,  nella  giornata  del  27,  dacché,  il  valore 
e  l'entusiasmo  patriottico  furono,  nel  petto  di  ognu- 
no. Ma  il  generale  in  capo  ha  cercato,  per  tutte  le 
vie,  di  far  conoscere  coloro,  che  mostraronsi  più  va- 
lorosi, in  mezzo  a  tanto  valore  (403). 

Venezia,  primo  novembre  1848. 

Guglielmo  Pepe, 


GLXXn.  Damiano  Assanti  a  Carlo  Poerìo. 

Mio  caris.™**  Carlo, 
Mercoledì,  V  9mbre,  ti  ho  scritto  una  lunga  rela- 


—  333  — 

zione  sulla  salute  di  Alessandro,  la  quale,  quantun- 
que migliorata ,  per  quanto  ci  assicurano  i  profes- 
sori ,  non  lascia,  perciò,  di  tenere  e  loro  e  noi,  in 
grave  dubbio.  In  quella,  ti  dava,  come  causa  finita 
e  perduta,  la  sua  guarigione;  in  questa,  ti  dico,  che 
ci  è  permesso  di  sperare  un  miglioramento.  La  sup- 
purazione della   ferita  si  è  presentata,  con  leggiero 
infiammo  e  con  inclinazione  airassorbimento:  ciò  ci. 
fa  tremare.  Egli  soffre,  pazientemente  e  rassegnata- 
mente, tutto.  Tutte  le  cure  possibili  abbiamo,  per  lui;. 
ed  egli  è  contentissimo    del  modo,  come  è  assistito.. 
Tutta   questa  popolazione  è  interessata,  per  la  sua 
disgrazia;  e,  nella  classe  alta,  che,  già,  lo  conoscevano 
nel  suo  vero  merito ,  sono  in  continua  agitazione. 

Ti  abbraccio,  mio  caro  Carlo  ;  e  ti  prometto  scri- 
vere tutti  i  giorni.  E  bacio  la  mano,  alla  Baronessa. . 


Venezia,  3  Ombre  1848. 


Tao  àff.mo  Amico 

Damiamo  Assanti. 


CLXXIII.  Damiano  Assanti  a  Cosimo  AssantL 

Mio  caris."**  fratello  Cosimo, 

Nella  scorsa  settimana,  ti  ho  scritto  due  lettere; 
e  due  ne  ho  scritte,  a  Carlo  Poerio.  In  tutte ,  vi  dava 
ragguaglio  dell'  andamento  della  salute  di  Alessan- 
dro; che,  dolorosamente,  fini  di  vivere,  venerdì  mat- 
tina, alle  ùndici.  Mori,  da  vero  uomo  forte  e  cristia- 
nissimo. Io  Tho  assistito,  sino  al  momento,  che  tornò 
alla  terra.  Con  me,  disse  le  ultime  parole,  ringrazian- 
domi. Non  ho ,  mai ,  sofferto  dolore  simile.  Il  nostro 


—  334  — 

paese  ha  fatto  una  perdita  inapprezzabile.  Ieri,  si  fe- 
cero le  pompe  funebri.  Il  Generale  ed  i  tre  del  Go- 
verno accompagnarono  il  cadavere.  La  bara  fu  por- 
tata, da  me,  da  Ulloa,  da  Carrano  e  da  Cosenz;  e 
tutti  gli  altri  uffiziali  Napoletani  attorno.  Tutti  gli 
uftìziali  della  guarnigione  e  grimpiegati  militari  del 
Governo  e  della  Piazza  facevano  corteggio.  Una 
compagnia  di  truppa  Veneziana  accompagnò  la  pro- 
cessione, con  due  bande  militari;  e,  finita  la  funzione, 
fecero  le  scariche,  dovute  al  grado  di  capitano,  che 
gli  conferi  il  governo,  il  giorno  28  8bre.  Io  e  tutti 
gli  uffiziali  dello  Stato  Maggiore  l'abbiamo  traspor- 
tato, al  camposanto,  in  una  Isoletta,  chiamata  S.  An- 
gelo. Li ,  ebbe  sepoltura ,  nella  cappella  di  un  suo 
amico  della  nobile  famiglia  Paravia.  Le  dame  Vene- 
ziane si  hanno  assunto  il  carico  di  mettere  una  la- 
pide con  iscrizione  in  caratteri  d'oro;  ed  un  altro 
monumento  sarà  eretto  da'Militari,  nel  forte  di  Mal- 
ghera,  da  dove  si  fece  la  sortita.  È  5<tato  pianto,  da 
tutto  il  paese,  dove  si  avea  fatto  apprezzare,  e  per 
mente  e  per  cuore.  Fu  scritta  e  letta  un'  orazione 
funebre,  ma  non  mi  ha  bastantemente  piaciuta  (404). 
La  sua  morte  era  inevitabile:  mentre,  co'suoi  incomodi 
nervosi,  non  poteva  resistere  ad  operazione  simile, 
che,  per  altro,  fu  fatta  esattissima,  da  eccellente  pro- 
fessore. Fu  assistito  da' sei  primari  chirurgi,  che,  in 
tutti  i  consulti,  sono  stati,  sempre,  d'accordo.  Ti  ripe- 
to, non  si  è  mancato  in  nulla,  e  prima  e  dopo  morto. 
I  Veneziani  sono  rimasti  edificati  deiraflfezione,  che 
il  Generale  ed  io  abbiamo  mostrato,  per  lui.  Il  mio 
cameriere,  che  lo  serviva  in  vita,  lo  assisti,  senza,  mai, 
riposarsi ,  per  otto  giorni.  Questi,  insieme  col  razio- 
nale della  nostra  Padrona  di  Casa,  hanno  avuto  il 


—  336  — 

carico,  di  fare  un  notamento  di  tutto  ciò,  che  si  avea 
d'  equipaggio;  onde,  dopo,  tutto  riunito,  si  rimettesse 
alla  famiglia.  Anche,  costoro  s*  incaricarono  di  fare 
tutte  le  spese  necessarie  ;  e  portarne  nota  al  Gene- 
rale. 

Finisco,  abbracciandoti  mio  caro  fratello  insieme 
con  Carlino ,  insieme  con  Guglielmo  ed  Alfonsinello; 
e  saluto  tutti  gli  amici. 


Venezia,  6  9mbre  1848. 


Per  Cosmo  Assanti. 


Tuo  sff.mo  fratello 

Damiano. 


CLXZIY.  H Jtimento  di  spese  e  latte  par  Poerìo. 

Esito. 
Per  funerali ,  cere,  cassa  mortuaria  ed  interro .  551,00 

Pagati  i  chirurgi  ed  infermieri 207,00 

Pagato  U  farmacista 138,00 

Regalia  a' domestici  di  Mondolfo    ....    75,00 

E^to  totale   .     .  L.  971,00 

Introito. 

Contante  rinvenuto  nel  tiratojo 190,00 

Esatto  da  Du  Bois 526,00 

Introito  totale.  L.  716.00 

Esito  superante  Introito.  L.  255,00 


pari  a  Ducati.    51,00 


—  336  — 
GLXZY.  Girolamo  Sfona-Bissari  ad  Alessandro  Poerio. 

Vercelli,  8  Novembre  1848, 

Ottimo  Alessandro, 

Avea,  già,  stabilito ,  di  rompere  il  mio  silenzio  e 
mandarvi  notizie  di  qui,  per  averne  in  cambio  le  vo- 
stre e  quelle  della  generosa  Venezia ,  quando  mi 
giunse,  a  consolare  la  tristezza  di  questa  inerzia  vi- 
tuperevole, Pannunzio  del  brillante  successo  delibarmi 
nostre,  nelle  vittoriose  sortite  ,  operate  su  Mestre  e 
Fusina.  Se  non  che ,  per  avvelenare ,  anche ,  quella 
gioja  tanto  giusta,  dovea  queir  annunzio  portarmi  la 
nuova  della  vostra  ferita  e  della  amputazione,  ope- 
ratasi in  conseguenza  di  quella.  Credetemi ,  mio  caro 
Alessandro ,  che  ne  rimasi  aiSEiittissimo ,  come  se  si 
fosse  trattato  d'un  fratello  mio;  perchè,  come  ben 
sapete,  senza  ripetervelo,  vi  professo  verace  stima  e 
amicizia  ;  le  quali,  ora,  se  è  possibile,  più,  ancora,  si 
accrescono,  dopo  che,  in  voi,  raflSguro  un  martire  della 
nostra  indipendenza.  Si ,  mio  amico ,  voi  avete  me- 
ritato della  Patria,  nel  maggior  modo  ;  e  avete  coro- 
nate le  vostre  sofferenze,  in  una  maniera,  che  non 
poteva  attendersi,  che  da  chi  aveva,  fin  dall'infanzia» 
durati  tanti  patimenti,  per  Lei.  Mi  lusingo,  che  la  vo- 
stra cura  prosegua  di  bene  in  meglio  ;  e  che  possa 
intendervi,  presto,  ristabilito.  Per  mia  tranquillità,  se 
non  vi  riesce  d'incomodo,  vi  pregherò,  di  farmi  scri- 
vere, almeno  ogni  settimana ,  due  righe,  sul  vostro 
stato.  Io  mi  trovo,  in  Vercelli,  a  metà  strada  tra  Mi- 
lano e  Torino,  come  officiale  d'ordinanza»  attaccato 


—  337  — 

al  Generale  Fanti,  il  fu  presidente  del  Comitato  di 
difesa  in  Milano ,  nei  giorni  dell'  estremo  pericolo  e 
dell'eterna  onta,  pelle  armi  di  Sardegna. 

Mi  rincresce  il  non  potervi  dare   notizie   troppo 
confortanti.  Specialmente,  dopo  una  mia  gita,  a  To- 
rino, in  questi  ultimi  giorni,  ho  dovuto  convincermi, 
che  è,  quasi,  sicuro,  che,  per  adesso,  non  si  farà  guer- 
ra. La  schifosa  aristocrazia,  da  cui  è  dominato  l'o- 
sercito,  la  società,  i  dicasteri ,  quattro  parti  si  può 
dire  della  popolazione  del  Piemonte  e  massime  della 
capitale,,  è  cosa  incredibile.  Tutta  questa  oflScialità, 
massime  nella  cavalleria  (avvezza  a  considerare  le  ca- 
riche, nell'esercito,  come  un  patrimonio  indubitato  dei 
cadetti  nelle  grandi  famiglie,  i  quali,  a  tutto  loro  agio, 
facendo  i  soldati  da  parata,  arrivavano  al  posto  di 
Grenerale,  per  aversi  dodici  mila  franchi,  all'anno,  pas- 
sando»  una  volta  all'anno,  rivista),  odiano  la  guerra, 
nella  quale  il  solo  valore  e  la  vera  scienza  possono 
farsi  strada,  agli  avanzamenti,  aggiungendo,  di  piti, 
che  sono  troppo  teneri  della  loro  persona,   per  im- 
molarla sull'altare  della  Patria,  parola  per  loro  d'i- 
gnoto significato.  La  popolazione ,  poi,  tutta  ,  in  ge- 
nere, è  tenerissima  del  suo  Re;  e,  cosa  quasi  inespli- 
cabile, unanimamente  animata,  dal  sentimento  nazio- 
nale, credendo   nulla  avere  di  comune,  con  noi,  cui 
apostrofa,  col  nome  di  Italiani,  chiamando,  sempre,  i 
suoi:  Piemontesi.  Con  tali  sentimenti,  io  domando  : 
cosa  v'è  da  sperare?  Il  Re  ha  protestato,  fino  adesso, 
di  volere  la  guerra.  Ma,  intanto,  ha  fatto,  costante- 
mente, ripetere,  ai  suoi  ministri,  che,  prima,  doveasi 
tentare  ogni  via,  di  ottenere  una  pace  onorevole  ;  e 
che,  ad  ogni  modo,  tale  indisciplina  regnava,  nell'e- 
sercito,  da  non  potere  imaginare,  per  adesso,  di  rien- 

22 


—  338  — 

trare  in  campagna.  Intanto,  poco  o  nulla  si  opera, 
per  riorganizzare  le  truppe;  e  vi  si  mantiene,  anzi,  il 
disordine,  onde  trarre,  da  questo,  argomento,  a  man- 
tenere lo  statu  quo  ignominioso  dell'armistizio  Sa- 
lasco.  Noi,  poi,  lombardi,  siamo  guardati,  con  occhio 
torvo  e,  quasi,  ci  negano  quello,  che  a  nessuno  uomo 
si  può,  le  cose  di  prima  necessità.  La  povera  divi- 
sione lombarda,  ultimo  pensiero  del  Ministero,  (  stre- 
mata di  numero,  per  i  continui  congedi,  domandati, 
quasi,  per  forza,  attesa  la  disperazione  del  soldato,)  è 
ridotta,  ad  ottomila  uomini,  tuttora,  laceri  e  scalzi  e, 
una  parte,  senza  armi.  Il  Generale  Fanti,  uomo,  ia 
tanta  penuria  di  buone  teste,  prezioso,  distinto  oflB- 
ciale  di  Stato  Maggiore  in  Ispagna,  stimato,  da  quanti 
hanno  il  bene  di  avvicinarlo,  è  lasciato,  tuttora,  in  un 
turpe  riposo  ;  perchè  non  vuole  avvilire  la  sua  di- 
gnità ,  collo  strisciarsi  davanti  a  questi  rettili. 
Quando  penso,  allo  sconvolgimento,  ben  più  formida- 
bile del  Marzo  trascorso,  in  cui  trovasi,  ora,  la  Mo- 
narchia Austriaca ,  agli  avvenimenti  di  Vienna  e 
d'Ungheria,  a  più  di  20,000  prodi,  rinchiusi  nella  la- 
guna; e  mi  vedo,  qui,  condannato  all'inazione,  men- 
tre avea,  sempre,  supposto  di  essere,  presentemente, 
coH'esercito,  nel  di  là  del  Ticino:  non  so  frenare  il 
mio  dispetto;  e  dubito,  d'esser  capace,  di  restarmene, 
tutto  Tinverno,  così. 

Io  credo,  che,  facilmente,  verrò,  a  Venezia:  almeno, 
vi  si  farà  più  che  qua.  Quasi,  tutti  i  miei  concitta- 
dini sono  ritornati,  a  Vicenza;  vergogna  a  loro,  che 
vollero,  così,  macchiare  la  gloria,  di  cui  s'era  coperta 
quell'eroica  città.  Io  ho  perduto  la  mia  povera  ma- 
dre, dopo  la  giornata  terribile  del  dieci  giugno  :  quel- 
l'infelice non  ha  saputo   sopravvivere,    alla  caduta 


—  339  — 

della  sua  patria,  all'esilio  dell'unico  suo  figlio.  Ades- 
so, non  vi  rimane  più,  che  mio  padre  ,  vecchio  più  che 
ottuagenario.  Sarei  stato  più  compatito  di  qualunque 
altro,  se  fossi  rientrato.  Ma,  fino  a  che  v'è  speranza 
di  scacciare  il  tedesco,  dalle  belle  contrade,  ho  giù* 
rato,  di  chiudere  il  petto,  a  qualunque  afietto  più  sa- 
cro, che  non  sia  quel  della  Patria  e  della  nostra  In- 
dipendenza. La  insurrezione  di  Chiavenna  e  Val  den- 
teivi, già,  avrete  udito,  come  fini  ?  Coli'  occupazione 
delle  truppe  del  Maresciallo  Hajnau  e  colla  fuga  del 
d'Apice  e  Mazzini:  il  quale,  pure,  colle  sue  poetiche 
supposizioni  e  co'suoi  proclami,  non  lieve  danno  ar- 
recò, alla  causa  della  Nazione.  Cosi,  si  convinceranno 
tutti:  che,  troppo,  ci  siamo  illusi  sulla  condizione  delle 
nostre  popolazioni,  le  quali,  pur  troppo,  (parlo  delle 
campagne)  non  sono  atte  alle  sollevazioni;  e  che  eser- 
cito e  cannoni  (non  parole  e  poesia)  richiedonsi,  a  li- 
berare il  nostro  paese.  Oggi ,  alle  otto  di  sera  ,  la 
Camera  dei  Deputati,  in  Torino,  si  deve  riunire,  in  co- 
mitato segreto,  per  ricevere  quelle  istesse  comunica- 
zioni, circa  l'operato  del  Ministero,  riguardo  alla  me- 
diazione, da  lui  fatte,  tre  giorni  fa,  alla  Commissione 
dei  quattordici.  Vedremo,  se  tutta  la  camera  vote- 
rà, col  relatore  della  commissione,  il  deputato  Buflfa, 
polla  disapprovazione  delle  operazioni  del  Ministero  e, 
quindi,  per  la  sua  caduta.  Dio  voglia,  che  se  ne  formi 
un  altro,  più  confacente  ai  tempi;  e  che  ci  mandi,  alla 
guerra.  Avrete  veduto  d'Ayala,  a  Firenze.  Ho  letto, 
il  suo  bel  proclama,  indirizzato  al  Gran  Duca.  Spe- 
riamo, che  Roma  e  Toscana  faccian  soldati ,  unico 
mezzo,  per  la  nostra  salute.  E,  di  Napoli  e  della  po- 
vera Sicilia,  cosa  mi  dite?  e  di  Carlo  e  di  vostra 
Madre  avete  buone  notizie?  Sapete  chi  ho  veduto,  a 


—  340  — 

Firenze?  Il  bravo  Ruggiero  Bonghi.  Vi  ricordate  la 
nostra  gita,  ad  Amalfi?  Quante  illusioni,  non  è  vero, 
si  formavano,  allora  ?  Amatemi;  fatemi  scrivere,  tosto; 
e  credetemi,  sempre, 

^  Il  Vostro 

Bissart. 

P.  S.  Ho  conosciuto,  credo,  un  vostro  Zio,  il  Ge- 
neral Poerio.  In  questo  punto,  sua  moglie  manda,  dal 
General  Fanti,  a  sapere  quale  Poerio  sia  stato  ferito^ 
in  Venezia. 

II  mio  indirizzo  : 

Girolamo  Sforza-Bissari  in  Vercelli.  Ibi  vel  ubù 

Al  Nobil  Uomo 

Il  Sig.  Bar.Dd  Alessandro  Poerio, 
Yenezia, 


GLXXVI.  Raffaele  Poerio  ad  Alessandro  Poerio. 


Torino,  li  11  Novembre  1848. 

Mio  carissimo  ed  amatissimo  nipote  Sandro, 

Ho  appreso,  con  orgoglio,  ma  con  vivissimo  dolore, 
a  un  tempo,  la  parte  gloriosa,  che  tu  hai  preso,  nelle 
sortite,  che  si  sono,  felicemente,  eflfettuite,  da  cotesta 
piazza,  con  tanto  danno  del  nemico,  e  le  gravissime 
ferite,  che  tu  ne  hai,  disgraziatamente,  riportato,  le 
quali  han,  poi,  per  colmo  di  sciagura,  reso  indispen- 


—  341  — 

sabile  V  amputazione  d'  una   gamba.  Non  ti  parlerò 
della  profonda  afflizione,  in  cui  mi  ha  immerso  que- 
sta tritissima  nuova,  né  della  desolazione  di  Maria 
Teresa  e  de*  tuoi  cugini ,  che  ne  sono  stati  istruiti , 
da  un  indiscreto,  senza  esservi  preparati.  Ma,  cono- 
scendo l'eccessiva  irritabilità  del  tuo  sistema  nervo- 
so, immagino  le  tue  sofferenze;  e  sono,  nella  massi- 
ma ansietà  ed  inquietitudine,  sulle  conseguenze  pos- 
sibili  d*una  così  difficile  e  pericolosa  operazione.  Giun* 
to,  oggi  stesso,  da  Si  vigliano,  dove  avea  appreso  la 
trista  ed  affliggente  nuova  di  quanto  t*  era  accaduto, 
ti  scrivo  questi  pochi  righi,  in  fretta,  che  soccarto, 
al  buono  e  degno  Generale  Pepe,  pregandolo,  istan- 
temente, di  darmi,  al  più  presto  possibile,  de*  raggua- 
gli precisi  e  circonstanziati,  sullo  stato  della  tua  sa- 
lute e  della  tua  posizione,  e  che  spero  non  tarderà 
a  darmi.  Desidero,  ardentemente,  mio    caro  nipote, 
conoscere,  minutamente;  quale  sia  lo  stato  attuale  della 
tua  ferita,  dietro    l'operazione  subita;  il  progresso 
della  miglioria  ;    le  probabilità  approssimative  della 
tua  guarigione  ;  se  hai  bisogno ,  se  hai  desiderio  di 
qualche  cosa,  ch'io  e  la  mia  famiglia  possiamo  so- 
disfare. Compiaciti ,   mio  caro  Sandro ,  di  farmi  ri- 
spondere ,  subito ,  dal  Generale  Pepe ,  e  da  qualche 
tuo  amico,  in  particolare,  onde  toglierci,  dalle  inquie- 
titudini,  in  cui  viviamo ,  sul  tuo  conto ,  ed  aver  la 
certezza,  che  sarai  conservato,  alla  tenerezza  della  tua 
rispettabile  e  degna  genitrice,  alla  patria,  all'amici- 
zia ,  air  affezione  ed  alle    cure    amorevoli  di  tutti  i 
tuoi.  In  presenza  di  tanta  disgrazia ,  che  t*  ha  col- 
pito, un'idea,  però,  mi  consola,  che  il  sangue,  che  tu 
hai  sparso,  che  quello ,  di  cui  hanno  inondato  il  cam- 
po tanti  altri  bravi  Italiani,  non  sarà,  certamente. 


—  342  — 

perduto;  e  che  contribuirà,  potentemente,  al  trionfa 
della  libertà  ed  indipendenza  d' Italia.  Addio ,  intan-* 
to,  mio  caro  ed  amato  nipote.  Ricevi  i  saluti  affet- 
tuosi e  le  amicizie  di  mia  moglie ,  di  Nina  e  di  Gu- 
glielmo ,  che  ti  scriveranno  ,  appena  ,  avremo  notizie 
della  tua  miglioria;  e  ciò,  per  risparmiarti  delle  emo- 
zioni intempestive.  Spero,  ricevere,  presto,  tue  nuove 
rassicuranti,  mio  caro  Sandro.  Addio,  intanto,  pensa 
a  guarire  presto.  Abbiti  cura  e,  soprattutto,  pazien- 
za. Ti  abbraccio,  affettuosamente,  come  fa  Maria  Te- 
resa ed  i  tuoi  Cugini.  Amami  ;  e  credimi 

tuo  aff.mo  rio, 

Raffaele  Poerio. 

Ainilmo  Signore, 

Il  Signor  Alessandro  Poerio. 

Yenezia, 


CliXXVn.  Niccolò  Tommaseo  ad  Alessandro  Poerio. 
Mio  caro  Poerio, 

Vi  compiango  e  v'invidio.  Per  la  libertà  deiritalia, 
avete  combattuto,  e  con  la  parola  e  con  l'opera.  L'e- 
silio, lo  spasimo  dei  cari  vostri;  da  ultimo,  le  ferite. 
Venezia  serberà  il  vostro  nome,  nelle  sue  memorie; 
io,  sempre,  o  Alessandro,  nel  cuore.  Addio. 

12  Novembre  1848,  Parigi. 

Tommaseo. 


—  343  — 
GLXXVUI.  Niccolò  Tommaseo  alla  Carolina  Poerio-Sossisergio. 

Parigi,  20  Novembre  1848. 
Signora, 

Di  poche  madri  il  dolore  può  essere  più  grande 
del  suo;  di  poche,  compensato,  da  si  alti  conforti.  Né 
io  tenterò  consolarla.  Ma  piangerò,  seco,  l'uomo,  che, 
da  molti  anni,  conoscevo;  e  col  quale,  ebbi  lunga  cor- 
rispondenza di  lettere  e  di  speranze;  la  cui  memoria, 
tutti  i  giorni,  ritornerà,  al  mio  pensiero.  Venezia,  alla 
quale  egli  ha  consacrata  la  vita,  conserverà,  nel  nu- 
mero dei  cittadini  più  benemeriti  e  cari,  il  suo  nome: 
e  Dio  buono  rimeriterà,  di  ben  più  alta  corona,  il  suo 
sacrifizio. 

Me  le  offro,  devotamente, 

Umilissimo  servo 

N.  Tommaseo. 


GLXXIX.  Niccolò  Tommaseo  a  Guglielmo  Pepe. 

Parigi,  22  Novembre  1848. 

•    Caro  Generale, 

A  voi,  che  amavate  Alessandro  Poerio,  giungerà, 
certo,  accetta  la  mia  preghiera.  Vorrei,  delle  cose  sue 
stampate  e  non  istampate,  fare  una  scelta;  e  accom- 
pagnarla, con  qualche  mia  parola  di  riconoscenza  e 
d'affetto.  De'fogli,  che  l'Amico  nostro  avrà  lasciato, 
costi,  fate,  prego,  trascrivere  versi  e  prose,  anche  in- 
corrette, che  sieno.  Spetterà,  alla  mia  cura  fraterna. 


—  344  — 

mettere  insieme  quelli,  che,  più,  fanno  onore,  al  suo 
nome 

JV.  Tommaseo 

GLXXX.  La  Carolina  Poerio-Sossisergio  a  Niccolò  Tommaseo. 
Mio  carissimo  amico,  signor  Tommaseo , 

Dico,  a  voi,  lo  stesso,  che  ho  detto,  al  signor  Gene- 
rale Pepe;  cioè,  che  ho  incominciate  molte  lettere  di  ri- 
sposta, alla  vostra,  e  non  ho  potuto  proseguirle.  Ma, 
questa  mane,  ho  forzata  la  mia  volontà;  ed  eccomi 
all'opera.  È  un  grande  ardire,  per  me,  di  scrivere,  ad 
un  letterato  di  primissim'ordine;  ma  non  ho  voluto 
confidare,  a  nessuno,  la  cura  di  rispondervi.  Comun- 
que sia  la  mia  Jettera  mal  scritta,  al  certo,  essa  e- 
sprimerà  i  miei  sentimenti. 

Debbo,  però,  prima  di  tutto,  chiedervi  scusa,  se,  sen- 
za avere  il  bene  di  conoscervi,  vi  scrivo ,  con  troppa 
confidenza.  Ma  voi  eravate  Tamico  di  mio  figlio;  esso, 
sempre,  mi  parlava  di  voi:  ora,  lo  rappresentate  nel 
mio  cuore  ;  vi  amo,  come  un  altro  mio  figlio.  Tutto 
quello,  che  mi  dite,  per  consolarmi ,  potrà  essere  uti- 
le ,  in  un  altro  tempo  ;  io,  però  ,  ve  ne  sono  tenutis- 
sima....  per  ora,  non  veggo,  che  la  mia  perdita;  per 
ora,  non  sono  che  madre  tènera,  debole,  inconsola- 
bile. Il  tempo  potrà  modificare  il  mio  dolore,  renderlo 
meno  atroce  ;  ed,  allora,  la  memoria  del  mio  Alessan- 
dro verrà,  come  una  cosa  sagra.  Anch'io,  dico,  spesso, 
a  me  stessa:— «Esso  è  in  cielo». — L'anima  sua  pura, 
scevra  da  ogni  pensiero  di  utilità  propria,  veritiera,  po- 
teva tacersi  sopra  i  suoi  sentimenti,  ma  non  mai  tradirli. 


—  345  — 

neanche  per  celia.  Ma  voi  lo  conoscevate,  da  vicino; 
per  conseguenza,  apprezzavate  le  sue  virtù  ;  e  compa- 
tivate i  suoi  difetti ,  che  ,  in  parte,  nascevano,  dalla 
sua  fisica  costituzione  e  dalla  sua  sensibilità  morbosa. 
Vi  prego,  di  presentare  i  miei  ringraziamenti,  al 
signor  Manin,  per  quello,  che  ha  fatto ,  per  la  me- 
moria di  mio  figlio.  Vi  prego,  di  ringraziare  le  buone 
Veneziane,  delle  parole,  che  han  messe  sotto  la  tomba 
di  Alessandro.  Vi  prego,  di  andare,  a  questa  tomba;  e 
baciarla,  in  mio  nome. 

Vostra 

.....  Poerio, 
La  mia  arnica^  D.  Lucia,  è  inconsolabile. 


GLXXXI.  Guglielmo  Pepe  a  Niccolò  Tommaseo. 

Venezia,  13  Dicembre  1848. 

L'aflfetto,  che  dimostrate,  per  la  memoria  del  fu  no- 
stro caro  Poerio,  è  una  novella  prova  del  vostro  bel 
cuore.  Ammirabile  fu  il  suo  valore;  ammirabile,  la  sua 
modestia  ;  ammirabili,  le  sentenze,  che  profferiva ,  an* 
che,  negli  ultimi  momenti  di  agonia.  È  opera  degna 
della  vostra  penna,  di  pubblicare  i  suoi  manoscritti  e 
far  ristampare  le  sue  produzioni,  che,  già,  avevan  ve- 
dute la  luce. 

Fra  giorni,  vi  spedirò  copia  di  tutti  i  suoi  lavori. 
E  chi,  meglio,  di  voi,  potrà  eseguire  le  correzioni,  che 
essi  meritano ,  e  che  mancò  il  tempo ,  all'  autore ,  di 
eseguire? 

Da  ogni  angolo  dellltalia,  qui,  giungono  notizie  de' 
preparativi  degli  Austriaci ,  contro  Venezia.  Lascia- 


—  346  — 

teli  fare!  Io  vorrei,  che  il  nemico  intraprendesse,  con 
tutte  le  sue  forze  disponibili,  V  assedio  di  Marghera: 
aflSnchè  spiccassero  il  valore  Italiano  e  veneto  ;  e  per- 
chè si  mostrasse,  all'Europa,  di  che  sono  capaci  i  po- 
chi Italiani,  nella  Laguna,  non  traditi  da  Principi,  pri- 
vi di  patriottismo  e  di  onore.  Addio,  caro  e  virtuoso 
amico.  Scrivetemi,  sempre;  e  credetemi  tutto  vostro 

Guglielmo  Pepe. 


GLXXXn.  Raffaele  Poerìo  alla  Carolina  Poerìo  Sossisergio. 

Torino,  li  13  Dicembre  1848. 

Mia  carissima  ed  affettuosissima  cognata, 

Oltre  alla  mia  lettera,  che  spinsi,  in  duplicata,  a 
Carlo,  in  data  del  18  dello  scorso  Novembre,  spero, 
ti  sia  pervenuta,  pure,  a  quest'ora,  l'altra  mia,  che  soo- 
cartavo,  al  medesimo,  del  29  dello  stesso  mese,  al  tuo 
indirizzo,  onde  esprimerti  il*  vivo  e  profondo  dolore, 
in  cui  ci  avea  immerso  la  funestissima  nuova  del- 
la amara  ed  irreparabile  perdita,  fatta,  dalla  nostra 
famiglia ,  nella  persona  del  mio  amatissimo  nipote , 
del  tuo  nobile  e  sventurato  figlio  Alessandro.  Vittima 
eletta  e  volontaria  dell'indipendenza  Italiana,  genero- 
so, egli  ofifriva,  in  tributo,  la  sua  esistenza,  pella  rige- 
nerazione.ed  il  riscatto  dell'amata  patria.  E,  combat- 
tendo da  forte ,  egli  cadea,  sai  campo  dell'onore,  uni- 
versalmente, compianto,  e  lasciando  cara,  ad  un  tem- 
po, e  dolorosa  memoria,  di  sé,  fra  i  più  distinti  figli 
d'Italia,  un  nome  glorioso,  e,  pella  sua  prematura  fine. 


—  347  — 

delle  amarissìnie  reminiscenze,  alla  sua  inconsolabile 
famiglia.  Comprendo,  pur  troppo,  mia  degna  e  rispet- 
tabile cognata  ,  che  sifiFatte  considerazioni  scemar  non 
possono  il  vivo  rammarico ,  il  profondo  ed  inespri- 
mibile dolore  del  tuo  cuore  materno;  e  che  tutt'altro 
sentimento  è  pallido,  tace  o  si  dilegua,  al  cospetto  di 
tanto  affanno,  d'una  sì  grande  sciagura.  Piangi,  o 
illustre  e  sventurata  madre  d'un  più  degno  e  nobile 
figlio,  piangi,  che  son  giuste,  necessarie  le  tue  la- 
crime, che  sole  esse  potranno  alleviare  il  tuo  immen- 
so aflfanno,  mitigare  il  tuo  santo  dolore. 

Ti  compiego,  in  questa,  una  lettera  di  Maria  Tere- 
sa, la  quale  è  venuta  a  raggiungermi,  da  due  settima- 
ne, circa,  in  questa  Capitale,  ed  ha  pagato,  fin  dal  suo 
giungere  in  questa,  tributo,  alla  severità  del  clima* 

Nina  non  sta  bene.  Ella  ti  bacia,  rispettosamente, 
le  mani;  ed  abbraccia,  afifettuosamente.  Ho  ritardato, 
di  qualche  giorno,  a  dar  corso,  alla  lettera  di  mia  mo- 
glie, onde  poterti  dar  nuove  d' Enrico,  che  attendea, 
ad  ogni  istante.  Finalmente,  è  giunto,  ieri,  a  Torino,, 
col  suo  amico  e  collega  Gaston.  In  quanto  ad  En- 
rico, io  avea  preso  delle  misure  preventive,  a  tempo; 
e  sarà  ammesso,  nell'armata  lombarda,  nella  quale  ia 
ho  potuto  farlo  comprendere  ;  ma  non  sono  sicuro, 
per  Gaston.  Però,  spero  molto,  dalla  benevolenza  dei 
miei  colleghi.  Conservo,  pure,  delle  speranze  di  poter 
far  impiegare,  in  attività,  Errico,  prima  che  cominci 
la  guerra,  se,  pure,  si  realizzano  alcune  mie  previsio- 
ni. Io  avrò  cura  di  lui. 

Spero,  che  Carlo,  Carlotta,  Imbriani  e  la  loro  fa- 
miglia godino  perfetta  salute.  Abbracciali  e  salutali, 
affettuosamente,  da  parte  «mia  e  de'miei.  Non  dimen- 
ticarmi, presso  Luisa,  D.  Michelangelo  e  Peppino  Par- 


—  348  — 

rilli,  siccome  ti  pregai^  con  la  precedente  mia.  Attendo, 
<son  ansia,  nuove  della  tua  salute  e  di  tutta  la  fami- 
glia. Guglielmo  ti  bacia  la  mani  ;  ed  abbraccia  i  cu- 
gini. 

Addio,  mia  buona  e  rispettabile  cognata.  Ti  abbrac- 
<$io,  affettuosamente;  e  ti  ripeto  l'omaggio  del  mio  ri- 
spetto e  della  mia  venerazione,  pelle  tue  tante  virtù, 
come  pella  dignità  e  coraggio,  con  cui  sopporti  le  tue 
«venture. 


All'Egregia 
Signora  Baronessa  Poórìo, 

N.o  5,  Strada  del  Salvatore,  in 
Napoli, 


Tuo  aff.mo  Cognato 

Raffaele  Poerio. 


NOTE 

(1)  Niccolò  Tommaseo ,  nato  a  Sebenico,  il  9  Ottobre  1802; 
morto,  poi,  a  Firenze,  il  primo  Maggio  1874.  Il  dirne  poco  sa- 
rebbe superfluo;  il  parlarne,  ammodo,  lungo  tema.  Alessandro 
Poe  rio,  che,  prima  del  1830,  non  lo  aveva  in  gran  conto,  avvi- 
cinatolo ,  in  seguito,  molto ,  a  Parigi  e  Yersaglia ,  ne  divenne 
amicissimo,  entusiasta.  Rimpatriato  il  Poerio,  nel  1836,  i  due 
ebber  continuo  carteggio  ed  affettuoso,  che,  in  gran  parte,  ò  sal- 
vo. Fra  le  liiiche  a  stampa  del  Poerio,  le  terzine:  Ad  un  ami" 
cOf  (che  incominciano:  Come,  indarno,  venutOf  a  questa  luce\  ^on 
dirette,  al  Tommaseo.  Il  quale,  senza  il  permesso  e  <;ontro  il  ve. 
lere  deir  amico,  ne  avea  pubblicati  larghi  squarci,  (senza ,  però, 
nominarlo^  nelle  sue  Scintille,  pag.  155.)  imperfetti,  ancora.  Per 
esempio,  il  primo  verso  vi  si  legge,  cosi:  In  secol  molle,  io  venni^ 
a  questa  luce.  In  uno  stracciafogli  del  Poerio,  ho  ritrovato  il  se- 
guente frammento  (inedito)  abbozzato,  appena  : 

A  Niccolò  Tojimaseo. 

27  Giugno  1847,  Napoli. 

E  salirà  tuo  canto, 
A  più  veggente  altezza: 
Perchè  Tanima  tua,  sempre,  si  schiude. 
In  più  schietta  virtude; 
Perchè,  nudrita  di  secreto  pianto, 
Del  cor  la  gentilezza 
Spira,  sempre,  più  santo  amor  di  vero, 
Al  fervido  pensiero.    - 

E  volerà,  più  lunge, 
La  possente  parola. 
Che,  meditata,  nel  profondo  petto, 
Con  recondito  affetto. 
Inaspettata,  in  sul  tuo  labbro,  giunge  ; 
E,  d*  armonia',  consola. 
Più  lunge,  volerà,  perchè  1  tuo  cuore 
S^apre,  in  più  largo  amore. 


—  350  — 

E  durerà,  loDtano, 
Il  suon  di  quella  voce, 
Nel  tempo,  che  prepara  ignoti  eventi, 
A  nasciture  genti. 
Perchè  te  vii  desio  di  plauso  vano , 
Che  se  ne  va  veloce, 
Non  corruppe:  e  dicesti,  ardito  e  puro. 
Sospirando  il  futuro. 

(2)  Carlo  Poerio  juniore  nato,  in  Napoli,  il  13  Ottobre  1803. 
Il  quale,  poi,  moriva,  in  Firenze,  11  28  Aprile  1867;  ed  è  se- 
polto, in  Pomigliano  d'Arco,  nel  sepultuario  degl' Imbriani. 

(3)  Lucia  de  Thomasis.  Nata,  nel  1793,  in  Mola  di  Gaeta, 
dov'era  comandante  il  padre,  Enrico  Gomez  di  Paloma;  moglie, 
nel  1811,  dell'abruzzese  Giuseppe  De  Thomasis,  (di  ben  ven- 
tisei  anni  maggiore  di  lei;  ed,  allora,  procuratore  regio  alla  Cor- 
te dei  Conti;  e  ministro,  poi,  della  Marina,  nel  1821);  morta,  il 
22  Dicembre  1858 ,  dopo  ventott'  anni  di  vedovanza.  Antonio 
Ranieri  {Scritti  Vari)  e  Niccolò  Tommaseo  (La  Donna,  Scritti 
vari  editi  ed  inediti)  ne  hanno  stampati  elogi,  che  insospetti- 
scono ,  per  la  stessa  loro  esageratezza.  Dovrei,  farvi  una  gran 
tara  !  Ma  lasciamola  requiescere,  in  pace  ;  ed  auguriamo ,  alla 
Italia,  donne,  che  vivan  solo  e  tutte,  per  la  famìglia. 

(4)  Il  Ministero  di  allora  era,  sempre,  quello  detto  del  3  A- 
prile  ;  composto,  cosi: 

Carlo  Troya,  presidente  del  Consiglio  ;  ed  ebbe,  poi,  1*  in- 
terim  della  Istruzione  pubblica  (in  surrogazione  di  Paolo  Emi- 
lio Imbriani.  Vedi,  pag.  8.) 

Luigi  Dragonetti,  affari  esteri. 

Pietro  Ferretti,  anconitano,  (che  fu,  poi,  sostituito  da  Gio- 
vanni Manna,)  finanze.  (Vedi,  pag.  24.) 

Gaetano  Del  Giudice,  brigadiere,  guerra. 

Giovanni  Vignale,  magistrato,  grazia  e  giustizia. 

Raffaele  Conforti,  (succeduto,  a  Giovanni  Avossa)  interno. 

Vincenzo  degli  Ubertj,  colonnello,  lavori  pubblici. 

Antonio  Scialoja ,  agricoltura  e  commercio  ;  ed  ebbe ,  poi 
r  interim  degli  affari  ecclesiastici  (  in  surrogazione  di  France- 
sco Paolo  Ruggiero.  Vedi,  pag.  24.)  ^ 

(5)  Procurò  questo  scopo  il  Poerio,  facendo  stampare  e  gri- 


—  351  — 

dare  e  distribuir,  per  le  Tìe,  un  foglio  Tolante  dì  millimetri  275 
per  188,  che  noi,  fedelmente,  ristampiamo,  qui. 

Lettera  di  Niccolò  Tommaseo. 

Niccolò  Tommaseo,  Membro  del  GoTemo  provrisorio  della 
Repubblica  veneta ,  uomo,  il  quale,  illustre,  per  ingegno ,  per 
iscienia  e  (più  alta  e  rara  cosa)  per  Tirtù,  mi  onora  delfami- 
cizia  sua,  credendo  mio  fratello,  tuttora,  Ministro,  mi  scriveva, 
a*  25  dello  scorso  Aprile ,  una  lettera ,  che  ho  ricevuta,  non 
prima  di  stamane.  Mi  sono  affrettato  di  parteciparla,  a*Mini- 
stri  attuali,  com*  era  mio  dovere.  Ma  dovere  più  sacro  io  sti^ 
mo,  il  comunicarla,  ali*  universale,  divulgandola,  per  le  stampe. 
Eccola  : 

e  Caro  Poerio, 

€  Non  vi  parlo  di  versi,  nò  d*ombre  o  d^acque;  vi  parlo  d*un 
€  vapore  da  guerra,  che  ci  fa  bisogno.  Vostro  fratello,  consorte 
e  mio,  nella  carcere  e  nel  Ministero ,  vegga,  se  può,  farcene 
€  avere  uno,  in  prestito,  perchè  la  Repubblica  è  povera.  I  ma- 
€  linai,  li  metteremo  di  nostro  ». 

Oh  quanto  si  racchiude,  in  queste,  così,  brevi  e  semplici  pa- 
role !  Ed  il  taciuto  rimprovero  accresce,  ad  esse,  efficacia,  a  noi, 
vergogna;  che,  fio  da  molti  giorni,  il  Giornale  officiale  delle  Due 
Sicilie  aveva  annunziato:  che  una  flottiglia  napolitana  andreb- 
be, subito,  a  Venezia ,  con  quattro  mila  nomini  di  truppe  da 
sbarco;  e  rimarrebbe,  nell'Adriatico,  vigile  contro  P Austria,  anzi 
operosa,  a  danno  di  quella.  Ma,  invece,  i  vapori  son  iti  a  sbar- 
care le  truppe,  a'confini  del  Regno;  e  tornano,  qua.  Or,  Vene- 
zia, che,  scacciati  gli  Austriaci,  n*è  minacciata,  di  nuovo,  chiede, 
a  Napoli,  quieta  e  sicura,  un  vapore,  un  solo,  ed  in  prestito; 
ed,  i  marinai,  li  metterà  di  suo!  Chiede,  che,  agli  ozi  delle  flot- 
te napolitane,  sia  tolto  un  sol  legno,  perchè  i  figli  di  lei,  an- 
tica dominatrice  de*  mari,  vi  si  slancino  sopra,  a  combattere 
contro  il  comune  nemico,  per  la  salute  della  patria  risorgen- 
te! (Chi,  neiranima  profonda,  non  sente  la  irresistibile  potenza 
di  questa  invocazione  solenne,  non  osi  chiamarsi  Italiano.  Se, 
come,  tuttodì,  veggiamo  accadere,)  non  ostante  le  buone  inten- 


—  352  — 

zioni  de*  Ministri,  quella  mano  occulta,  che,  qui.  comprime  ogni 
impeto  di  magnanimo  entusiasmo,  impedisce  ogni  opera  gene* 
rosa  e  lascia  passare,  fra  grette  dubbiezze  e  tergiversazioni 
codarde,  il  tempo  opportuno  e  supremo  de' redivivi  fati  d'Ita- 
lia, respingerà  od  eluderà  il  fidente  desiderio  de' Veneti,  prov- 
vegga la  pubblica  opinione,  con  un  di  que*  scoppi  d*  indegna- 
zione tranquilla,  a  cui  non  si  resiste.  Altrimenti,  l'idiooìa  di 
Dante  non  avrà  espressioni,  abbastanza,  energiche,  per  marchia- 
re d'infamia  un,  cosi,  proditorio  abbandono. 

Napoli,  2  Maggio  1848. 

Alessandro  Poerio, 

(6)  Giornale  Costituzionale  del  Regno  delle  Dice  Sicilie.  N.®  84 
(Sabato)  15  aprile  1848. 

É  giunto,  in  questa  nostra  Capitale,  da  Milano,  il  Signor  Tof* 
fetti,  da  quel  Governo  Provvisorio,  appostatamente,  qui,  inviato^ 
per  sollecitare,  da  questo  Real  Governo,  la  pronta  spedizione  di 
una  flotta,  nell'Adriatico,  collo  scopo  di  frapporre  impedimento, 
a  qualunque  possibile  tentativo  di  sbarco,  per  parte  di  milizie 
austriache,  sulla  orientale  costa  d'Italia. 
L'onorevole  Inviato  sarà,  domani,  ricevuto,  dalla  M.  S« 
Il  Ministero  frattanto ,  informato  del  fine  di  tal  missione  e 
compreso  di  tutta  l'importanza  della  domanda,  porrà  ogni  sua 
cura,  perchè  la  stessa  venga  soddisfatta. 

(7)  Giornale  Costituzionale  del  Regno  delle  Bue  Sicilie,  N.®  8& 
(Lunedì)  17  aprile  1848. 

Ministero  e  Real  Segreteria  di  Stato 
DEGLI  Affari  Esteri 

Ieri,  il  signor  Conte  di  Rignon,  incaricato  d'una  missione 
speciale  del  Re  Carlo  Alberto ,  ebbe  la  terza  udienza  di  Sua 
Maestà. 

La  Maestà  Sua,  prendendo  in  considerazione  le  qualità  del 
Signor  Conte,  lo  ha  decorato  della  Croce  di  Commendatore  del 
R.  Ordine  di  S.  Ferdinando  e  del  Merito. 


—  353  — 

Aderendo,  alle  richieste  del  Governo  Sardo,  espresse  dal  sul- 
lodato  signor  Conte  di  Rignon,  la  Maestà  Saa  ha  disposto,  che 
una  squadra  della  Real  Marina,  composta  di  quattro  Fregate 
a  Vapore,  con  a  bordo  quattromila  uomini  delle  Reali  truppe, 
comandate  dal  Tenente- Generale  Guglielmo  Pepe,  si  rechi^  im- 
mediatamente, nell*  Adriatico,  per  prender  parte,  con  le  truppe 
Piemontesi,  alla  guerra,  che  si  combatte,  in  Lombardia,  per  Tln- 
dipendenza  Italiana.  E,  per  aderire  ad  altro  desiderio  del  Go- 
verno Sardo,  spedisce,  in  Venezia,  parecchi  Uffiziali  e  Sotto-Uf- 
fiziali  esuberanti ,  che  potranno  servire,  sia  per  istruire  i  vo- 
lontari Veneti,  sia  per  guidarli  alla  pugna;  e,  specialmente,  Uf- 
fiziali  di  Artiglieria,  capaci  di  dirigere,  all*uopo,  le  batterie  di 
campagna,  che  ne  mancassero. 
17  Aprile  1848. 

(8)  Guglielmo  Pepe,  nato  a  Squillace,  nel  1782,  morto  a  To- 
rino, 1*8  Agosto  1855.  La  vita  pubblica  n*ò  sufficientemente 
cognita:  e  non  è  irreprensibile.  Il  pronunciamento  del  1820  par- 
rà, forse,  lodevole,  a  chi  crede,  il  fine  giustificare  i  mezzi  :  noi 
possiamo,  appena,  scusarlo  in  parte,  considerando,  che  la  tiran* 
nide  crea  antinomie  terribili  fra*  vari  doveri.  Ma  la  sua  mag- 
gior colpa  fu:  di  non  essere  una  gran  mente  e  di  pur  credere 
d'esser  tale  e  di  assumerne  le  parti. 

(9)  Questo  soffrire  spasmodico  trovasi  descritto,  nel  seguente 
certificato  medico: 

—  «  Certifico  io,  qui  sottoscritto,  dottore  in  medicina,  come 
€  il  signor  Barone  Alessandro  Poerio  soffre,  da  più  anni,  un  fe- 
€  roce  singhiozzo  nervoso,  contro  il  quale  son  tornati  fallaci 
4L  tutti  i  più  vantati  rimedi,  che  V  Arte  medica  gli  ha  prescritti. 
€  Nato  da  pervertita  azion  de*  nervi  pneumogastrici,  cotesto  suo 
«  spasmo,  non  che  scemare,  per  correr  di  tempo,  si  è  fatto,  anzi, 
c(  più  ardito,  associandosi,  ch*ò  peggio,  con  ogni  maniera  d*idee 
€  tristi.  E,  siccome,  dopo  le  tante  sciagure,  le  quali  han  col- 
€  pito  la  sua  Famiglia,  il  soffrente  ritrova,  fra  noi,  troppi  og- 
€  getti  e  rimembranze,  che  gli  svegliano  penose  emozioni;  cosi 
€  avviene:  che  gli  si  aggravi,  ogni  d)  più,  la  malinconia;  e  per 
4L  essa,  si  renda  maggiormente  inferma  e  deperisca  la  sua  sa- 
€  Iute.  Però ,  a  trovar  modo  di  alleviare  il  suo  fiero  patire , 
«  riuniti  in  varie  consultazioni,  con  me  sottoscritto,  i  più  rmo- 
4L  mati  Professori  di  questa  Capitale,  se  gli  è,  di  unanime  ac- 
4L  cordo,  consigliato,  come  il  più  sicuro  ed  efficace  espediente, 

23 


—  354  — 

<  che  or  gli  rimanga  a  tentare,  la  navigazione  ed  il  viaggiare 
€  per  lontane  contrade  ;  essendoché  il  variare  interamente  di 
€  clima,  di  usi  e  di  cose,  può:  rompere  la  morbosa  abitudine 
€  de' suoi  nervi;  modificarne,  in  bene,  la  condizione  vitale;  e  ri- 
«  tornarlo,  a  lungo  andare,  in  lodevole  stato  di  sanità.  Onde, 

<  per  il  vero. 

<  Napoli,  ventisei  gennaio  1847. 

<  Dottor  Alessandro  Lopiccoli.  »  — 

(10)  Ferdinando  II,  nato  ,  a  Palermo  ,  il  12  Gennsgo  1810, 
succeduto  al  padre  Francesco  I ,  sul  trono  delle  Due  Sicilie  \ 
rS  novembre  1830;  morto,  nella  Reggia  di  Caserta,  il  22  Mag- 
gio 1859.  Fu  soprannominato  Re  Bomba,  nel  1848-49,  per  a- 
ver  fatto  bombardare  alcune  città  ribelli  di  Sicilia,  il  che,  cer- 
to, nessun  giusto  uomo  gli  ascrive,  ora,  più,  a  colpa.  È  dovere 
del  capo  d'uno  stato  di  conservarne  l'integrità:  ma  il  capo  di 
uno  stato  è  inescusabile,  se  non  rende  il  vincolo  politico  caro 
a'  sudditi,  pe*  benefizi,  che  ne  vengon  loro.  E  Ferdinando  non 
ebbe  alcuna  degna  ambizione;  non  comprese  alcuno  deMoveri, 
ch'egli.  Re  Italiano,  avea  verso  i  suoi  popoli  e  Tltalia;  e  non 
seppe  rispettare  la  santità  del  giuramento.  Onde,  ha  lasciato 
fama  esecrata;  e  preparò  la  caduta  della  sua  dinastia. 

(11)  Carlo  Zucchi,  nato  in  Reggio  d'Emilia,  nel  1776,  servita 
la  repubblica  e  l' impero  francese  ed  il  Regno  d' Italia  e  lo 
impero  Austriaco,  fu  pensionato,  col  grado  di  tenente-mare- 
sciallo e  si  ritirò  in  patria.  Nel  1821,  imprigionato  dagli  au- 
striaci, rimase,  per  quattro  anni ,  nelle  carceri  di  Milano.  Aven- 
do partecipato,  nel  1831,  a'  moti,  che  represse  l'intervento  au- 
striaco, s'era  imbarcato,  in  Ancona,  per  emigrare  in  Francia; 
ma,  catturato,  dagli  Austriaci,  nell'  Adriatico,  tradotto  a  Vene- 
zia, quindi  a  Gratz  e  condannato  nel  capo,  l'intercessione  della 
Rtigina  de'  Francesi  gli  fece  commutar  la  pena  in  vent'anni  di 
prigionia.  Li  scontava,  nella  fortezza  di  Palmanova,  quando  la 
rivoluzione,  liberandolo,  nel  marzo  1848,  il  trasformò  in  go- 
vernatore di  essa  fortezza  e  comandante  generale  del  Friuli. 
Sventuratamente,  era,  allora,  un  povero  vecchio,  poco  man  che 
rimbambito,  come  dimostrò  in  seguito. 

(12)  Mcuni  membri  della  famiglia  Nugent,  oriunda  normanna, 
emigrarono  dalla  Gran  Brettagna,  quando  gli  Stuardi  ne  furono 
espulsi;  e  «i  stabilirono  in  Austria.  Lavai,  conte  Nugent  di  West- 
meath,  nacque,  nel  M.DCC.LXXX,  in  Praga,  dove  il  padre  era 


—  355  — 

comandante.  A  ventinove  anni,  era,  già,  colonnello  e  capo  di 
stato  maggiore  dell* Arciduca  Giovanni  ;  neU*andici,  andò  in  In- 
ghilterra, con  una  missione  secreta,  per  intavolar  trattative,  col 
governo  Inglese.  Nel  tredici,  comandava  da  Maggior*generale 
una  parte  dell'esercito  capitanato  dallo  Hiller;  occupò  Trieste  e 
coQchinse  la  convenzione ,  che  garentiva  la  corona  di  Napoli 
al  Murat.  Ristaurati  i  Borboni,  fu  nominato ,  nei  diciassette , 
generalissimo  dell'esercito  napolitano:  posto,  che  dovè  lascia- 
re, pe'moti  del  venti.  Rientrò,  come  Luogotenente-Maresciallo 
di  Campo  {Feldmarschalllveutenant)  neU*esercito  Austriaco;  fu 
promosso  a  General  d'Artiglieria  (Feldzeugmeister}^  ed  ebbe,  nel 
quarantotto,  il  comando  di  un  corpo,  col  quale  marciò^  al  soc- 
corso del  Radet^ky,  posto  alle  strette  dagl'Italiani. 

(13)  Allude  a'torbidi ,  che  seguirono  V  allocuzione  pontificia 
del  ventinove  Aprile.  Atto  funesto  per  la  causa  Italiana,  det- 
tato, alla  coscienza  del  Papa,  da  motivi,  certo,  nobilissimi,  ma 
che  dimostrò,  pur  troppo,  come  la  qualità  di  principe  tempo- 
rale Italiano  e  di  sommo  gerarca  cattolico,  fossero  incompa- 
tibili. 

(14)  —  €  Il  Conte  Tofifetti  era  un  bellissimo  originale;  aristo- 
€  cratico,  liberale  e  patriota;  la  sua  conversazione  fu  piena  di 

<  spirito  e  di  brio.  Il  Conte  Giuseppe  Durini,  che  lo  stimava 
«  ed  amava,  lo  propose  a' suoi  colleghi  del  Governo  Provvi- 
€  Borio,  per  inviato  a  Napoli.  Vi  andò  ;  fece  bene  quel  poco , 
€  che  poteva;  finché,  dopo  i  disastri ,  emigrò,  con  gli  altri,  \i- 
«  vendo,  molto,  a  Parigi.  Mi  ricordo  d'avergli  sentito  raccon- 
«  tare^  con  quel  suo  fare  da  grand  Seigneur,  che,  quando  l'Au- 

<  stria,  per  l'insano  tentativo  mazziniano  del  6  Febbrajo  1853, 

<  ci  sequestrò  i  beni,  a  tutti  noi,  notissimi  antimazziniani,  i  ric- 
«  chi  signori  milanesi ,  il  Duca  Litta ,  il  Duca  Yisconti-Mo- 
c  drone,  il  Conte  Vitaliano  Borromeo,  studiando  qualche  modo 
«  d'uscire  da  quel  duro  passo,  pensarono  di  pregare  il  Tof- 
«  fetti  d'andare  a  Vienna,  dov'egli  aveva  non  so  che  alte  pa- 
«  rentele,  per  dimostrarvi  l'iniquità  della  cosa  e  procurare,  che 

<  il  sequestro  fosse  levato.  Il  Borromeo  andò,  a  fargli  la  pro- 
«  posta.  Ma  il  Toffetti  se  l'ebbe  a  male.  Io  andare,  a  Vienna, 
€  per  questo?  Per  chi  mi  si  piglici  Accettai  d'andare,  a  Napoli^  in 
«  un  interesse  generale  e  patriotico  !  ma,  a  Vienna,  per  il  no- 
«  stro  particolare  interesse? ...  Fate,  anche  voi.  Signori,  quello  , 
€  che  ho  fatto  io.  Mandai,  a  Crema,  la  mia  procura,  al  mio  fat^ 


—  356  — 

a  tore:  e  queste  materie^  le  lascio  trattare,  dal  mio  fattore,  con 
a  casa  éPAicstria  >.  —  [Comunicazione  confidenziale  di  E.  B.]^ 

(15)  —  <  11  Bossi  fu  un  patriota,  non  so  bene,  se  fino  dal  21, 

<  certo  dal  31,  repubblicano  convinto:  vuol  dire, che  non  ave- 
a  va  una  gran  levatura  di  mente.  Fu,  anche  lui,  adoperato,  dal 

<  Governo  Provvisorio ,  in  qualche  missione  diplomatica  >.  — 
[Comunicazione  confidenziale  di  E.  B.}. 

(16)  —  €  11  Ministero  Sardo  spedii  a  Napoli,  il  conte  Rignon 

<  con  l'incarico  di  far  premura^  a  qael  governo,  perchè  man- 

<  dasse  sussidi  di  uomini  e  di  danari,,  alla  guerra,  che  si  com- 
<x  batteva  per  la  indipendenza  di  tutta  Italia.  Il  governo  prov- 
€  visorio  di  Milano,  con  lo  stesso  scopo,  inviava,  dal  canto  suo, 
«  il  conte  Toffetti,  diplomatico  abile  ed  esperto  e,  piii  d*ogni 

<  altro,  idoneo  all'ardua  missione.  Il  Rignon  ed  il  Toffetti  fé- 
«  cero  quanto  stava  in  poter  loro ,  per  raggiungere  1*  intento 
€  desiderato.  E  rinvennero,  nei  ministri^  tutta  la  buona  volontà 

<  possibile ,  la  brama  caldissima  di  far  la  guerra  per  davve- 

<  ro  >.  —  Cosi  Giuseppe  Massari.  Vedi  /  Casi  di  Napoli,  Cap. 
XII.  Vedi,  pure,  l'estratto  del  Giornale  Costituzionale,  ripoi  tato, 
per  errore,  nella  precedente  nota  settima. 

(17)  —  <  L' anno  appresso  [cioè  il  1845]  >  —  scrive  Pier  Sil- 
vestro Leopardi,  nelle  sue  Narrazioni  Storiche,  Cap.  XI  —  <  per 
€  cura  della  principessa  di  Belgiojoso  >  —  cara  gioja  !  —  <  e 
<c  del  Bizio  »  <—  italiano  infranciosato ,  che  fu ,  poi ,  ministro 
della  seconda  repubblica  francese  —  <  si  tentò,  a  Parigi,  la  pub- 
«  blicazione  di  una  Gazzetta  Italiana ,  intesa  a  dimostrare  ;ia 
4L  facilità  delle  riforme  in  Italia.  Io,  che  non  m'ero,  mai,  ristato 

<  dallo  scrivere,  il  più  che  potevo,  ne'giornali  francesi,  vi  con- 

<  corsi,  alacremente...  Quella  effdmeride  non  durò  molto,  a  ca- 
«  gione  delle  discordie  sorte  fra  gli  estensori  e  della  opposizione 
«  di  chi  volle  sostitairle  V Ausonio,  ibrido  periodico,  che  nacque 
<c  e  morì  senza  frutto  >.  —  L' Ausonio  fu  giornale  mazziniano, 
con  reverenza  parlando. 

(18)  Senza  dubbio,  in  que'mesi  d'ambasce  e  di  tumulti,  molti 
versi  avrà  cominciati  a  scrivere  il  Poerio;  ma,  senza  poterli 
condurre  a  perfezione.  Da  un  libro  d'appunti,  trascriverò  l'ab- 
bozzo informe  dello  esordio  di  un  inno,  per  le  cinque  giornate 
di  Milano,  principiato,  come  si  vede,  al  primo  annunzio  della 
vittoria  popolare  e,  poi,  lasciato  li  imperfetto:  la  strofa  non  avea 
neppure  pigliata  forma  determinata. 


—  357  — 

Fra  quante  altere  vanno 
Di  scacciato  tiranno  —  alme  cìttadi. 
Tu,  con  raggio  lontano  , 
'Generosa  Milano  , 
Più  splenderai  ne  le  future  efadi. 

Quattro  fiate  sorse 
Su  le  tue  pugne  e  si  nascose  il  sole; 
Poi,  recando  vittoria, 
Cinse  d'eterna  gloria 
La  tua  rinata  prole. 

Ond*  io,  che,  intento  vate  , 
Vigilo  l'opre  per  le  vie  degli  anni , 
Pien  de*  tuoi  lunghi  affanni  —  e  dell*  ardire  , 
Sento  il  carme  venire, 
Con  novella  esultanza, 
Vittoriosa  de  la  mia  speranza. 

(19)  La  Carolina  di  Niccolò  Sossìsergio^  (magistrato,  di  una 
:  famiglia  pugliese  e,  propriamente,  del  Poggiardo,  che  ebbe  alti 

uffici  ne'  cosi  detti  Prestata  morto  prima  del  1799)  e  della  Car- 
lotta Trompaur  da  Brusselle  (la  quale  era  stata  istitutrice  in 
corte  dei  Granduca  di  Toscana,  Leopoldo  I  ;  e ,  dopo  il  quarto 

*  figliuolo,  ne  fece  dieci  altri  morti»)  Vedi,  per  qualche  notizia 
intorno  a  lei,  nelle  vite  del  marito  Poerio  e  del  cognato  Feli^ 
ce  Parrilli ,  che  contengonsi  nel  libretto  intitolato;  Commemo- 

.  rajsione  di  Giureconsulti  Napoletani.  5  Marzo  i882,  Napoli, 
Cav.  Antonio  Mw^ano  Editore ,  37 i ,  Vìa  Roma ,  372.  i882. 
La  Carolina  Poerio- Sossisergio  dava  al  marito  tre  figliuoli:  A- 
lessandro,  Carlo  e  la  Carlotta,  che  fu  moglie  di  Paolo  Emilio 
Imbriani. 

(20)  La  Luisa  Sossisergio,  sorella  della  Carolina,  vedova  del 
Barone  Felice  Parrilli,  al  quale  die  due  figliuoli:  un  Giuseppe, 
che  ancor  vive  ;  e  la  Carolina,  morta,  suicida,  (come  pare),  nel 
1840.  Vedi,  per  qualche  notizia  intorno  a  lei,  nell'  opuscolo  in- 

<  dicato  nella  nota  precedente. 

(21)  I  Parrilli  possedevano  un  bel  quartiere,  nel  palazzo,  che 
porta  il  numero  13,  strada  Banchi  Nuovi.  Fra  le  altre  belle  cose, 
era  ornato  da  un  amenissimo  giardino  pensile,  che  si  stendeva 
sopra  tutta  la  copertura  della  contigua  chiesa.  Da  alcune  sue  fi- 

.  nestre,  si  ha  una  veduta  magnifica  del  golfo.  —  Scrive  il  Massa- 


—  358  — 

ri:— «Nel  partire  alla  Tolta  della  Lombardia,  il  generale  Gnglìel- 
«  mo  Pepe  venne  accompagnato  da  Alessandro  Poerio ,  anima 
€  generosa  e  gentile,  scrittore  di  liriche  stupende,  poeta  civile, 
€  Italiano  caldissimo  è  sviscerato.  Il  rammarico ,  col  quale  i 
€  Napoletani  lo  vedevano  partire ,  era  temperato  dal  pensiero 
€  de*  grandi  servizi,  che,  coi  suoi  lumi  e  col  suo  ingegno,  egli 
€  sarebbe  stato  per  rendere  alla  causa  nazionale.  Alessandra 
<c  Poerio,  in  tutti  i  suoi  versi,  in  tutte  le  sue  scritture,  predi- 
€  co  la  Italianità  :  e  ,  quando  suonò  lo  squillo  della  tromba 
€  guerriera,  nessuno  potè  frenare  la  sua  impazienza  di  accor- 
«  rere  sui  campi  della  guerra  santa.  Partiva,  acclamato  e  desi. 

<  derato  da  tutti,  benedetto  dalla  veneranda  madre....»— >Che,  mi 
sia  lecito  notare,  non  dava,  però,  teatrale  spettacolo,  come 
altre,  del  suo  sacrifizio;  i  sacrifici,  che  cercano  il  plauso  plebeo, 
non  hanno  merito  vero,  non  sono  sacrifici.  Attendite  ne  mstitiam 
vestram  faciatis  coram  hominibus,  ut  videamini  ab  eis,  alio^ 
quin  mercedem  non  hdbébiHs  apud  patrem  vestrum,  qui  in 
Coelis  est,  Cum  ergo  faeis  eleemosynarrij  noli  tuba  canere  ante 
tey  sicut  hypocritae  fUdunt  in  Synagogis  et  in  vids,  ut  honori- 
ficentur  ab  homintbus.  Amen  dico  vobis^  receperunt  mercedem 
suam.  (HLuTTE.  VI.  1-2). 

(22)  Guglielmo  Pepe.  Alessandro  Poerio  non  aveva  altra  qua- 
lità, se  non  quella  di  mìlite  della  Guardia  Nazionale  di  Napoli, 
addetto  allo  Stato  Maggiore  del  General  Pepe.  —  «  Tanto  di- 

<  sinteresse    e   tanta  modestia  erano  virtii  ammirabili,  direiv 

<  quasi,  incredibili,  in  un'epoca,  nella  quale  si  correva  al  pal- 

<  lio  degr  impieghi;  e  la  più  inetta  mediocrità  voleva,  ad  ogni 
€  costo,  cariche  e  pubblici  uffizi.  >  —  Cosi  il  Massari. 

(23)  Giovanni  Vacca  è  stato ,  poi ,  nel  Regno  d*Italia ,.  con- 
tr*ammiraglio  e  deputato  al  Parlamento  e  Consigliere  Comunale 
aNapoli.  Avrebbe  riparato  Tesito  infausto  del  primo  scontro  appo- 
Lìssa,  dove  comandava  una  divisione,  e  ricondotta  la  squadra  no- 
stra contro  Taustriaca,  se  il  Pensano,  ricomparendo,  non  avesse 
ripreso  il  comundo.  Sposò  una  figliuola  del  General  Cardamone;, 
un*  altra  avea  sposato  Ludovico  Bianchini.  Lasciò  una  figliuola 
Carolina:  ora,  maritata  con  un  Rocco,  ufficiale  de*  Pompieri. 

(24)  Savino  Sa  vini  nacque,  in  Bologna,  il  primo  Ottobre  1813,. 
da  Carlo  Antonio  Savini  e  dalla  Teresa  Carate.  Fu  laureato  in 
legge  ed  amante  infelice  delle  belle  lettere.  Si  provò,  piti  volte^ 
come  autore  teatrale:  ma  fece,  sempre,  fiasco.  Ho  letto  e  po8<^ 


—  359  — 

seggo  un  suo  Simone  de  Catix  \  o  \  Scienza  nuova  e  povera.  \ 
Dramma  storico  in  tre  atti  \  del  \  Dott.  Savino  Savini»  \\  Vene" 
sia  I  Tipografia  di  Alvisopoli  \  i845.  Scrisse  pure  un  Dada, 
un  Nuovo  Caino,  una  Emma  Liona.  Dal  Gennajo  1841  al  De- 
cembre  1844,  pubblicò,  in  Bologna,  uà  giornaletto,  quando  eb- 
domadario, quando  quindicinale,  quando  mestruo,  intitolato  la 
Parola.  Nel  1849,  fu  membro  della  Costituente  Romana;  ed,  il 
9  Febbrajo,  votò  le  proposte  Filopanti  (abolizione  del  poter  tem- 
porale ed  istituzione  della  repubblica).  Cercò,  quindi,  rifugio  in 
Piemonte,  dove  insegnò  filosofìa  positiva  ne*  Collegi  Nazionali 
di  Bobbio,  Cherasco,  Carmagnola,  Tortona;  e,  poi,  fu  adope* 
rato,  in  Torino,  come  segretario  alla  redazione  dei  Dizionario 
del  Tommaseo.  Rimpatriato  nel  1859,  ne*  primi  di  settembre, 
vi  mori.  Ne  vive,  ancora,  il  fratello  Francesco,  notajo,  la  ve- 
dova Teresa  Mondini  (  figliuola  delio  anatomico  Francesco  e 
moglie  del  Savini  dal  1837  ),  tre  figliuole  ed  il  figliuolo  avvo- 
cato, Virginio.  Presso  i  qu^di^  abbiamo  fatto  fare  ricerca  delle 
lettere  del  Poerio  al  Savini:  ma  nessuna  se  n'ò  ritrovata  esi- 
stente ancora.  Tutte  furono  abbruciate,  per  prudenza,  ne*tempi 
difficili,  dal  1849  al  1859. 

(25)  Intende  il  Conte  Giovanni  Gozzadini  e  la  moglie  Nina 
(Maria  Teresa  di  Serego-Allighieri).  Il  Gozzadini,  nato  nel  1810, 
archeologo  reputato,  vive,  ancora,  in  Bologna;  ed  è  senatore  del 
Regno.  Ed  egli,  testé,  commemorava,  largamente,  la  moglie  de- 
funta,  in  un  grosso  volume  in  sedicesimo,  intitolato  Maria  Tc' 
resa  \  di  Serego  Allighieri  \  Grozzadini  \\  Bologna  \  Tipografia 
Faiva  e  Qaragnani]  i882.  Fanne  ricerca. 

(^6)  La  Carlotta  del  barone  Giuseppe  Poerio  e  della  Carolina 
Sossisergio,  sorella  di  Alessandro  e  di  Carlo  Poerio,  nata,  in 
Napoli,  il  29  Giugno  1807;  moglie,  il  2  Maggio  1838,  di  Paolo  E- 
milio  Imbriani;  mancata  a*  vivi,  in  Napoli,  il  14  Gennaio  1868. 

(27)  L'Antonia  di  Carlo  Poerio  seniore  e  della  Gaetana  Poerio, 
sorella  del  barone  Giuseppe  Poerio. 

(28)  Per  Poppino,  intende  il  cugino  Giuseppe  Parrilli,  (Vedi  la 
vigesima  e  la  quadragesimaottava  di  queste  note)  che,  allora, 
era  vedovo  di  una  figliuola  del  generale  Michele  Carrascosa  (o- 
dioso  pe*  fatti  del  1814  e  del  1821),  dalla  quale  aveva  avuto  due 
figliuoli,  un  Felice  ed  un  Michelangelo.  È  autore  di  parecchie 
scritturelle  e  d*  un  "Vocabolario  militare  di  marineria  Francese 
Italiano^  in  due  volumi  in  quarto  (Napoli  1846-47). 


—  360  — 

(29)  Per  Emilio,  intende  il  cognato  Paolo  Emilio  di  Matteo 
Imbriani  juaiore  (da  Roccabascerana)  e  della  Caterina  De  Falco 
(da  Pomigliano  d*Arco)  nato,  in  Napoli,  il  31  Decembre  1808, 
mortovi  il  3  Febbrajo  1877,  senatore  del  Regno,  professore  di 
filosofia  del  Diritto  nella  R.  Università,  socio  della  R.  Accade- 
mia di  Scienze  Politiche  e  Morali. 

(30)  Giorgio  Ruggiero  Pio  di  Paolo  Emilio  Imbriani  e  della 
Carlotta  Poerio,  nato,  in  Napoli,  il  28  Aprile  1848,  morto,  sul 
campo  dì  Digìone,  il  21  Gennajo  1871,  per  una  causa,  che  non 
era,  ahimè!  quella  del  suo  paese:  tra  file,  dalle  quali  i  doveri  di 
cittadino  e  suddito  Italiano  avrebbero  dovuto  allontanarlo.  Onde 
il  dolore,  per  la  perdita  immatura  d'un  giovane  d'alto  ingegno, 
non  può,  neppure,  esser  lenito  dal  pensiero,  che  egli  è  caduto 
adempiendo  ad  un  dovere,  per  una  causa  onesta,  come  il  zio 
Alessandro  Poerio. 

(31)  Aveva  dato  le  dimissioni,  principalmente,  perchò—  <  la 
«  guerra  contro  V  Austria  era  debito  e  desiderio  d*  ogni  anima 

<  Italiana  ed  ufficio  impreteribile  di  ciascun  Principe  d' Italia; 

<  e,  frattanto,  invece  di  provvedersi,  con  potente  e  ben  capita- 
€  nato  esercito,  con  franco  e  bene  determinato  indirizzo,  ginn- 
a  gevasi  fino  a  cavillare  sul  diritto  di  farla,  quasiché  il  racqui- 
€  sto  deir  indipendenza  e  della  libertà  non  bastasse  a  giusti - 
€  ficarla,  senza  prescrizione  di  tempo.  >  —  Inoltre,  la  cerimonia 
d'un  cosiddetto  baciamano,  al  quale  aveva  dovuto  prender  parte, 
come  voleva  V  etichetta,  con  tutti  i  colleghi,  lo  avea  stomacato 
per  modo ,  eh'  egli  ebbe  a  starne  male  e  giurò  di  non  pren- 
dervi più  parte.  Non  accettandosi  le  dimissioni,  cessò,  col  fatto, 
di  andare  in  ufficio  ed  al  Consiglio.  Re  Ferrante,  che  gli  avea 
usate  molte  finezze,  a*  colleghi,  che  tuttavia  insistevano,  per- 
chò fosse  richiamato,  rispose:— -€  Non  lo  posso  far  condurre 
€  qui  da'  gendarmi.  >  — 

(32)  Non  si  tratta,  già,  dell'ottimo  Michele  Pironti,  ora  Se- 
natore del  Regno  e  procuratore  generale  presso  la  Cassazione 
di  Napoli,  creato  Conte  da  Vittorio  Emanuele.  Ma,  credo,  di 
un  Francesco  Pironti,  de'  duchi  di  Campagna,  ufficiale  di  ma- 
rina, destituito  nel  1820.,  poi  richiamato  al  servizio  e  morto  uffi- 
ciale superiore  al  ritiro.  Bizzarro  uomo,  che,  per  un  pezzo,  si  fe- 
ce vedere,  per  Napoli,  con  due  scimmiotti  sulle  spalle,  che  avea  ri- 
portati dall'America,  navigandovi,  da  capitano  mercantile,  du- 
rante la  sua  destituzione.  Giocatore  appassionato,  si  narra,  che. 


—  361  — 

una  sera,  tornasse  da  uoa  bisca  a  Foria,  con  le  tasche  intera- 
mente ripulite.  Giunto  a  Costantinopoli,  sotto  l'antico  arco,  ora 
rimosso,  fu  aggredito  da  un  grassatore.  Egli,  che  s'era  accorto 
dell'assalto,  come  robustissimo,  scosseli  ladro,  lo  stramazzò  a  ter- 
ra, gridando:  giusto  questo  andavo  cercando!  gli  tolse  le  armi;  e 
r  obbligò  a  consegnargli  quanto  aveva  nelle  saccocce:  trenta 
piastre,  due  fazzoletti,  un  orologio;  e  lo  congedò,  poi,  con  una  so- 
lenne caudata,  come  dicono  a  Napoli. 

(33)  Chi  fosse  quest'amica  bifronte,  ignoro.  Ned  il  Conte 
Gozzadini  ha  saputo  ricordarsene. 

(34)  Intende  il  cugino  Enrico  di  Leopoldo  Poerio  e  della  in- 
glese Elisa  Merida.  Leopoldo  Poerio,  fratello  minore  del  Ba- 
rone Giuseppe  Poerio,  giunse,  nel  decennio,  al  grado  di  Te- 
nente-Colonnello. Catturato,  dagl'Inglesi,  nel  Jonio,  passò  alcuni 
anni  prigione  sul  pontone  il  Canada,  non  essendoglisì  voluta  con- 
cedere la  libertà  su  parola  d'  onore,  percbò  lo  accusavano  di 
avere  fatto  avvelenare  da  quattrocento  persone,  quando  era  co- 
mandante di  Cerigo.  Accusa  calunniosa.  In  Inghilterra^  s'inna- 
morò della  giovine,  che,  poi,  sposò.  Moriva  esule,  in  Firenze, 
nel  1836.  La  vedova  mori,  suicida^  in  Napoli,  se  non  erro,  nel 
1841,  gittandosi  in  un  pozzo.  Gli  sopravvissero  due  figliuoli:  E- 
4uardo,  morto  giovane,  ed  Enrico.  Il  quale  molto  si  dilettò  di 
lettere  e  scrisse  versi  e  drammi.  Enrico  era  partito  luogotenente, 
con  un  battaglione  di  volontari.  Vive  ancora. 

(35)  Questi  tutti  erano,  allora:  la  Luisa  Parrilli  Sossisergio 
(vedi  la  20*  di  queste  note);  ed  il  figliuolo  Giuseppe  (vedi  la  28* 
di  queste  note);  ed  i  nipoti  Felice  e  Michelangelo;  ed  il  vecchio 
Don  Michelangelo  Parrilli,  fratello  del  barone  Felice  Parrilli , 
avvocato  e  scrittor  d'epigrafi  ed  impiegato  in  non  so  che  uffi- 
cio araldico,  che  fu,  pure,  Pari  del  Regno,  poco  dopo.  (Vedi  la 
89*  di  queste  note). 

(36)  Una  camerierai  per  nome  Giovanna  Lavizzari. 

(37)  Male  abbiamo,  qui,  stampato  Staffetta  in  corsivo,  scam- 
biandolo pel  nome  di  un  qualche  legno. 

(38)  Girolamo  Ulloa,  implicato  nel  processo  Rossaroll  (1834). 
Fatti  voli  meritati  a  Venezia,  e  scritte  opere  militari,  tenute 
in  pregio  ,  ricusò  il  comando  di  un  reggimento  de'  cacciatori 
•delle  Alpi,  nel  1859,  col  solo  grado  di  colonnello,  risponden- 
do al  Cavour  :  —  €  Chi  ha  fatto  il  cuoco ,  non  può  rasse- 
«  gnarsi  a  fare  il  guattero.  »  —  E  fu  spedito  a  comandare  lo 


—  362  — 

esercito  toscano.  Si  rese  impossibile,  parteggiando  pel  principe 
Girolamo  Napoleone,  che  vi  era  stato  mandato,  dal  cugino,  con 
alquanti  francesi  e  con  Tidea,  che  potesse  succedere  al  granduca. 
Tornato  a  Napoli,  divenne,  ad  un  tratto,,  borbonico  ed  autono- 
mista. Segui,  se  non  erro,  Francesco,  a  Roma;  vivacchiò^ fpoi,  a 
Firenze,  dove,  credo,  che  tuttora  si  mangi  la  pensione,  ottenuta 
dal  dabben  governo  Italiano. 

(39)  Florestano  Pepe,  uno  dei  ventuno  fratelli  maggiori  di: 
Guglielmo,  nato,  nel  1780,  in  Calabria,  era  luogotenente^  nel  1799. 
Servi  la  Repubblica  Partenopea;  e  stette,  quindi,  fino  alla  pace 
del  1801,  nella  legione  Italica;  e,  poi,  rimpatriò.  Nel  1806,  prese 
servizio  sotto  Re  Giuseppe;  che  segui  in  Ispagna,  capo  della 
Stato  Maggiore  della  Divisione  Napoletana,  nel  1810  e  nel  1811. 
Nel  1812,  condusse  una  Divisione  Napoletana  in  Danzica,  che 
difese,  (dopo  aver  coperta  la  ritirata  dei  Francesi,  alla  testa  della 
nostra  cavalleria)  ammalato  e  ferito,  per  quanto  potò,  contro  i 
Russi.  Liberato  dalla  prigionia,  represse  una  insurrezione,  negli 
Abbruzzi;  combatto  contro  gli  Austriaci;  fu  promosso  a  Luo- 
gotenente-Generale; e  mantenne  l'ordine  in  Napoli,  tra  la  fuga 
del  Murai  e  1*  ingresso  degli  Austriaci.  Rimase  estraneo  alla 
Rivoluzione  del  1820,  dalla  quale  fu  mandato  a  reprimere  Tin- 
surrezione  siciliana:  ma  il  Parlamento  non  ratificò  le  conces- 
sioni, da  lui  fatte  agrinsorti.  (Vedi  la  63.^  di  queste  note.)  Fu,  poi, 
escluso  dair  esercito;  e  visse,  quindi  innanzi,  da  ricco  privato,  ri- 
fiutando, persino,  la  nomina  a  Pari  del  Regno,  nel  1848.  Ferdinan- 
do II,  prima  di  quell'anno,  soleva  mandargli,  sposso,  della  cac- 
cia in  dono.  Il  Pepe  abitava,  nel  1848,  al  Palazzo  Galabritto. 
Francesco  Garrano  ne  ha  pubblicato  la  vita  (Genova ,  fratelli 
Ponthenier,  1851). 

(40)  I  fratelli  Andrea  e  Gaetano  Zjr  erano  proprietari  della 
Albergo  della  Vittoria  a  Chiaja.  Parenti  lontani  del  March.  Dra» 
gonetti.  La  madre  n*era  sorella  dell'albergatore  Magatti:  e  quel- 
le due  locande  eran  le  sole  buone ,  allora ,  in  Napoli.  Andrea 
sposò  una  figliuola  del  Santoro,  da  cui  si  divise.  I  mprigìonato 
più  volte  per  misura  di  polizia;  dopo  il  1860,  fu  nelle  poste 
come  ispettore.  Gaetano  ebbe  due  mogli.  La  prima  era  figlino- 
la del  Block ,  negoziante  di  oreficerie  a  Toledo  ,  cui  fece  il 
busto  Tito  Angelini.  E  da  questa  ebbe  due  figliuole;  una,  mari- 
tata, in  Firenze,  all'  avvocato  Carrozzini  ;  e  1'  altra,  Eleonora» 
che  al  presente  ò  moglie  del  Sacchi,  impiegato  superiore  di  Ca- 


—  363  — 

sa  Reale  a  Napoli.  La  seconda  moglie  era  sorella  del  famige- 
rato Beneventano  del  Bosco  e  vedova  di  un  Marchese  Bevila- 
cqua. E  da  questa  il  Zyr  ebbe  parecchi  figliuoli;  fu  bravissimo 
uomo  e  liberale  (nei  due  veri  sensi  del  vocabolo),  senz'ambizione 
personale. 

(41)  Francesco  Paolo  Ruggiero  di  Pietro,  medico,  da  Palo, 
nel  Barese  (1760-1837)  e  della  Matilde  Sancio,  nacque,  in  Na- 
poli, il  4  Aprile  1798:  fu  paglietta  piii  che  avvocato.  Ministro 
degli  affari  ecclesiastici,  nel  Ministero  del  tre  Aprile,  avversò 
ed  ostacolò  la  spedizione  militare  neirAlta  Italia,  tenendo  il 
sacco  al  Re.  Incerta  è  la  sua  condotta  nel  conflitto.  Dopo  il 
quindici  maggio,  prestò  la  mano  alla  reazione;  ma  Ferdinando, 
servitosene  ne*  tempi  dubbi,  lo  buttò  via  come  un  limone  spre- 
muto. E  lo  volle  persin  condannato  a  morte,  in  contumacia, 
dopo  averlo  fatto  confidenzialmente  avvertire  del  mandato  di 
cattura  ,  acciocché  fuggisse.  Ricoverò  in  Toscana ,  schivato 
come  appestato  dagli  altri  emigrati.  Egli  voleva  scusarsi  e  e*  ò 
chi  vorrebbe  scusarlo,  rappresentandolo  come  reo  solo  di  cre- 
dulità eccessiva  nella  buona  fede  di  Ferdinando.  E  può  am- 
mettersi, che  nò  lui,  né,  forse,  alcuno  de*  ministri  del   16 
Maggio,  credessero,  dapprima,  il  Re  fisso  a  spergiurare:  nò, 
forse,  il  Re  v'  era  fisso,  e  paure  materiali  e  scrupoli  religiosi 
il  trattenevano.  Ma  potrebbe  valer  la  scusa  al  Ruggiero ,  se 
si  dimostrasse  aver  egli  alacremente  atteso  a  mettere  in  pra- 
tica la  costituzione.  Ed  il  contrario  è  vero.  Noto  ò,  come  quel 
ministero  si  conducesse  verso  la  Camera,  come  non  le  presen- 
tasse nò  schemi  di  legge,  nò  bilanci  a  tempo,  come  non  desse 
corso  alle  leggi  da  essa  votate,  come  non  le  desse  retta,  nep- 
pur  quando  chiedeva,  che  si  lasciasse  libero  il  corso  alla  giu- 
stizia verso  assassini  notori.  Ed  il  richiamo   dell*  esercito  dal 
Veneto  ?  Non  fu  quell*  atto  infame,  che  dio  causa  vinta  alFAu- 
stria  nel  1848?  In  Toscana,  il  Ruggiero  diceva  essersi  rovinato 
con  una  vasta  speculazione  nel  commercio  del  mercurio  e  ri- 
fatto con  Tesercizio  di  una  cava  di  marmi,  presso  Serra vezza.  Rim- 
patriò nel  1860.  Trovò  un  collegio  elettorale  (Napoli,  San  Fer- 
dinando) per  mandarlo  anche  al  Parlamento  Italiano ,  ma  non 
vi  fece  figura  alcuna.  Ebbe  anche  velleità  letterarie.  Diede  in 
luce,  nel  1863,  il  Catalogo  di  una  scelta  biblioteca  da  vendere 
(2  voi.  in  8.®  a  due  colonne)  che,  bibliograficamente,  non  vai  nulla. 
E,  poco  prima  di  morire,  pubblicò,  nel  1881,  per  le  nozze  della  fi- 


—  364  — 

glinola  Matilde  Margherita  col  Cav.  Carlo  Fiorilli,  una  edizione 
del  Driadeo  di  Luca  Pulci,  senza  punta  critica,  testo  scorretto  e 
note  insipienti.  Volle,  fra  le  altre  cose  ,  impugnare  la  data  della 
morte  di  Luca^  fissata,  da  Salvatore  Bongi,  al  1470.  Ma  aveva 
torto  marcio.  (Vedi  Giornale  degli  Eruditi  e  dei  Curiosi»  Fasci- 
colo del  15  Dicembre  1883).  Un  fatto  poco  noto,  ma  che  io  so  di 
certa  scienza:  Francesco  Paolo  Ruggiero  fu  autore  di  parecchie 
Anacreontiche,  scritte  sul  fare  dell*Ingarrica  ed  in  apparenza  ia- 
Bulse,  come  le  cento  di  quel  povero  magistrato;  ma,  in  realtà, 
velenosissime.  Sue  sono,  specialmente,  quella  per  la  morte  della 
Maria  Cristina,  che  incomincia  Testamento  é  un  atto  grande, 
e  r  altra,  al  principe  ereditario,  ora  ex*Re  Francesco  II. 

0  Francesco,  sei  piccino 
Ma  mi  sembri  tanto  grande 
Che  Golia,  quel  gran  gigande  [sic!] 
È  pigmeo  vicino  a  te. 

Possa  il  cielo,  oh  possa  presto 
Farti  ascendere  sul  trono  ! 
Sarà  questo  il  più  gran  dono 
Che  può  farci  il  nostro  Re. 

(42)  Nell'autografo,  per  lapsus  calami  evidente,  è  scritto  sa- 
pere invece  di  piacere.  —  Il  Generale  Michelangelo  Ruberti  è 
rimasto  caro  a*Napolitani,  perchè  si  crede,  che,  nel  Gennaio  1848, 
rifiutasse  di  tirare,  sulla  città,  dal  castello  Sant'Elmo,  che  coman- 
dava. Ed,  il  15  Maggio,  quando  gli  Svizzeri,  nel  castello,  issarono 
bandiera  rossa  ed  ebbero  tirati  tre  colpi  a  palla,  egli  minacciò  di 
far  saltare  in  aria  il  forte,  se  non  desistevano.  Fu  destituito.  Mo- 
ri verso  il  1855.  Aveva  usate,  sempre,  molte  cortesie,  a'  pri- 
gionieri politici;  e,  nel  trattarli,  era  divenuto  liberale  anch'egli. 

(43)  Silvio  de  Laurentiis  Spaventa,  da  Bomba,  noto  sotto  il 
nome  di  Silvio  Spaventa,  che,  poi,  come  tutti  sanno,  è  stato 
Ministro  del  Regno  d'Italia  e  vive.  Consigliere  di  Stato,  in  Ro- 
ma. Uno  de'  pochissimi  uomini  pubblici  d' Italia,  che  abbiano 
mente  filosofica  e  pratica  e  che  possano  veramente  chiamarsi 
uomini  di  Stato. 

(44)  Vincenzo  de  Thomasis  fu  eletto  Deputato  dallo  Abbruz- 
zo  Citeriore.  Era  nipote  di  Giuseppe  (vedi  la  3.^  di  queste  note) 
giacché  figliuolo  del  fratello  Giacinto.  Era  nativo  di  Montenero- 


—  365  — 

domo.  Fu,  poi,  governatore  di  Chieti,  nel  1860;  e  Consigliere- 
delia  Corte  de'  Conti  dal  1862  al  1869  (credo).  Morì  a  Chieti. 

(45)  Parla  del  ministero  formato  dal  Mamiani  ed  annunziato^ 
dalla  Gazzetta  di  Roma,  giornale  ufficiale,  il  4  Maggio.  Era  cosi, 
composto: 

Presidente  del  Consiglio:  il  Cardinale  Ciacchi;  e  per  interim- 
il  Cardinale  Orioli. 

Affari  esteri  secolari:  conte  Giovanni  Marchetti: 

Interno:  Conte  Terenzio  Mamiani. 

Grazia  e  Giustizia:  Avv.  Pasquale  De  Rossi,  Consultore. 

Finanze:  Avv.  Giuseppe  Lunati,  Consultore. 

Armi:  il  Principe  D,  Filippo  Doria  Pamphili. 

Commercio  e  Lavori  Pubblici:  D.  Mario  Massimo,  Duca  di/ 
Rignano. 

Polizia:  Avv.  Giuseppe  Galletti. 

(46)  Non  mi  riesce  di  ritrovare  iu  questo  momento  la  data 
precisa  della  dichiarazione  del  blocco. 

(47)  Leggesl  nel  N.  52,  Anno  I.,  del  Mondo  vecchio  e  mondo 
nuovo,  Mercoledì,  26  Aprile,  1848:  —  «  La  squadra,  che  partì 
«  per  r Adriatico,  era  composta  di  cinque  fregate  a  vapore,  due 
«  fregate  a  vela  ed  una  corvetta,  sotto  il  comando  del  De  Cosa.  > 

—  E  nel  N.  94  del  Giornale  Costituzionale,  28  Aprile  1848,  pag. 
Il,  col.  Ili:  —  «  Ieri,  fra  grandi  applausi,  lasciarono  questo  porto 
«  le  nostre  navi  a  vela  ed  a  vapore,  con  sei  battaglioni  d'ordinanza 
«  a  bordo  ed  un  settimo  di  volontari.  A  Reggio,  s'imbarche- 
«  ranno,  su  questa  flottiglia,  un  altro  battaglione  di  fanteria  ed 
«  una  compagnia  di  Zappatori.  E  stato  ben  doloroso,  che  il 
«  prode  Generale  in  Capo,  S.  E.  il  Tenente  Generale  Barone  D. 
«  Guglielmo  Pepe,  colpito  da  importuna  indisposizione,  non  abbia 
<c  potuto, ancora,  partire;  ma,  ben  presto,  raggiungerà  i  suoi  corn- 
ac militoni.  A*  tre  reggimenti  di  Cavalleria,  che  per  disposizio- 
«  ne  di  S.  M.,  avrebbero  dovuto  passar  per  Roma,  non  è  stato 
«  possibile  di  tener  quella  via,  così  perchè  il  cammino  sarebbe 
«  stato  assai  più  lungo,  come  perchè  non  si  era  sicuri  di  tro- 
«  varsi  i  viveri  e  foraggi  sufficienti  nel  loro  cammino.  >  —  Se- 
condo PiERSiLvESTRO  LEOPARDI,  nelle  sue  Narrazioni  Storiche: 

—  «  La  flottiglia  »  —  napolitana  ,  spedita  nell'  Adriatico  — 
€  ebbe  due  fregate  a  vela:  la  Regina,  da  sessanta  cannoni;  la 
€  Isabella,  da  quarantasei;  un  brigantino,  il  Carlo,  da  sedici;  sei 
«  belle  fregate  a  vapore:  il  Carlo  III,  il  Roberto,  il  Guiscardo,  i 


—  366  — 

<  Ruggiero,  il  Sannita,  lo  Stromboli;  e  parecchi  altri  legni  mi- 
€  nori,  sotto  gli  orcUui  del  contrammiraglio  De-Cosa.  >  — 

(48)  n  Comandante  della  flotta  era  il  contrammiraglio  Raffae- 
le di  Leopoldo  De  Cosa  e  della  Carlotta  Cozzolino,  nato  il  24 
maggio  1T78,  morto  a'29  Febbrajo  1856.  Chi  ne  fosse  vago,  po- 
trà leggerne  la  vita,  scrìtta  dal  prenominato  Barone  Giuseppe 
Parrillì,  che  ebbe  la  malinconia  di  sposarne,  in  seconde  nozze,  una 
figliuola;  e  che  dedicava  essa  vita  al  Conte  di  Aquila,  nel  1856, 
mentre  i  suoi  congiunti  ed  affini  erano  in  esilio  od  in  galera  per 
causa  di  libertà. 

(49)  Raddoppieremo  gli  uffict.  Non  ho  potuto  procacciarmi  es- 
si uffici,  che,  da  queste  parole,  si  potrebbero  credere  minutati  dal 
Poerio. 

(50)  Grandissima  parte  de*  mali,  che  soffrimmo  nel  1848,  fu 
appunto  Tessersi  ritardata  la  convocazione  delle  Camere,  la  cui 
apertura  avrebbe  posto  un  fine  alla  agitazione  di  piazza  ed  alla 
posizione  anormale,  in  cai  si  era.  Forse,  appunto  per  questo,  né 
la  Camarilla,  ned  i  Tribuni  desideravano  veder  cominciata  l'opera 
efficace  della  macchina  costituzionale. 

(51)  Leone  Serena,  veneziano,  israelita.  Trovasi,  ora,  a  Londra, 
come  sensale  di  noleggio;  ha  circa  sessantasei  anni.  Nel  1848,  e- 
gli,  fra  le  altre  cose,  acquistò,  per  conto  del  governo  provvisorio 
due  vapori  in  Inghilterra,  uno  de*  quali  si  chiamava  il  Raven- 
na, Intrinseco  del  Manin,  fu  agente  del  governo  in  molte  faccende. 
Era  del  comitato  di  vigilanza.  Fu  tra  gli  esclusi  dair  amnistia, 
dopo  la  caduta  definitiva  di  Venezia.  Un  suo  fratello  è  in  Vene- 
zia e  fa  il  sensale  di  cambio,  sotto  le  procuratie  nuove. 

(52)11  Conte  Giovanni  Statella,  fu  fratello  carnale  dello  Statella, 
principe  del  Cassare,  e  ministro  degli  affari  esteri  al  tempo  della 
quistione  de*  zolfi,  e  rilegato  a  Foggia,  per  avere  scritto  al  mi- 
nistro inglese  Tempie,  che  il  Re  era  disposto  a  cedere.  Gio- 
vanni, luogotenente  generale,  era  stato  preposto  al  comando  del* 
la  prima  divisione  delle  truppe,  che  dal  Regno  eran  venute  ad 
Ancona.  Egli  doveva  comandare  in  secondo,  sotto  gli  ordini  del 
Pepe.  Si  buccinavano  orrende  cose  sul  suo  conto;  e  che  avesse 
uccìso  d'  una  pistolettata  un  marinajo,  che  lo  avea  riconosciuto 
ed  avrebbe  voluto  ricattarlo:  omicidio  noto  alla  polizia  ed  al  Re 
e  rimasto  impunito.  Sposò  una  sua  nipote,  figliuola  del  Prin- 
cipe del  Cassaro:  matrimonio  infelice.  Un  nipote  di  Giovanni, 
figliuolo  del  Maresciallo  Enrico  Statella,  per  nome,  anch*es8o 


—  367  — 

Enrico  ,  partito  da  Napoli  con  quella  cara  Belgiojoso  ,  fu 
fatto  ufficiale  dell'esercito  piemontese,  sulle  raccomandazioni 
del  Leopardi,  da  Carlo  Alberto.  Chi  crederebbe,  che,  richiamato 
dal  padre,  desse,  pochi  giorni  dopo,  le  dimissioni,  per  andare 
in  Calabria  a  combattere  contro  altri  Italiani?  e  chi  crederebbe 
che  dalle  Calabrie,  chiedesse  una  decorazione,  per  mezzo  del 
dabben  Leopardi,  al  buon  Carlo  Alberto,  che  la  concesse?  L*ho 
visto  emigrato  a  Genova,  nel  1849.  A  Torino  non  se  la  faceva 
con  gli  emigrati,  ma  sposò  una  titolata  ed  ho  letto  il  suo  nome 
nella  lista  dei  componenti  una  congregazione  di  spirito,  affisso 
in  una  Chiesa.  Colonnello,  poi,  dello  esercito  Italiano  nella  bri- 
gata Villarey,  morì,  eroicamente,  nella  giornata  di  Custoza,  in- 
sieme con  Nicola  Caracciolo  di  Turchiarolo. 

(53)  Scrive  il  Massari:  —  «  Il  Dottore  Camillo  Golia  accompa- 
«gnava  il  corpo  di  spedizione,  col  titolo  di  Commissario  Civile. 
«  Un  uffizio  consimile  veniva  affidato  all'egregio  giovane  Damiano 
«  Assanti,  nipote  del  General  Pepe,  e  già  compagno  di  carcere, 
«  nel  1844,  al  Bozzelli  ed  a  Carlo  Poerio.  >  —  Ed  il  Leopardi 
dice:  —  «  Alla  spedizione  s'aggiunsero  Damiano  Assanti  e  Ca*- 
«  millo  Golia,  come  Commissari  Civili.  Questi  uffici  erano  affatto 
«  superflui.  Ma,  dei  due  uomini,  il  secondo  amava  tanto  di  gran 
«  cuore  ritalia,  che,  quando  la  spedizione  fu  richiamata,  poco 
«  mancò  che,  dal  rammarico,  non  impazzasse;  e  il  primo  seppe 
€  meritarsi  molta  lode,  cambattendo  strenuamente  a  Venezia.  »— 
Nel  Giornale  Costituzionale  del  26  Aprile  1848  possono  leggersi 
le — €  parole,  che  il  Commissario  Civile  Camillo  Golia  indirizzava 
«  alle  truppe,  che  andavano  a  raggiungere  quelle  degli  altri  prin- 
<  cipi  in  Lombardia.  »  —  Camillo  e  Luigi  Golia,  gemelli,  alunni 
della  Nunziatella,  ne  furono  espulsi  nel  1821,  perchè  libera^; 
si  diedero  a  studiar  medicina  ed  han  pubblicate  insieme  pa- 
recchie versioni  dair  inglese.  Luigi  vive,  ancora,  ottuagenario. 
Ed  anche  1* Assanti  vive  ancora:  maggior  generale  al  riposo  e  Se- 
natore del  Regno.  Uomo  egregio.  Celebri  sono  i  suoi  duelli  e 
soprattutto  quello,  in  cui  allogò  una  palla  fra  il  cranio  e  la  dura 
madre  ad  un  tal  Soler,  che,  a  Torino,  avea  stampate  villanie  con- 
tro i  Napolitani,  difensori  di  Venezia.  11  Soler  sopravvisse,  ma 
melenso.  Celebre  anche  V  altro,  che  segui  i  due  solenni  schiaffi, 
da  lui  dati  a  Giovanni  Nicotera,  in  Firenze,  e  che  terminò  con  que- 
ste parole  del  generale  Angelini  al  Nicotera:— cStia  almeno  otto 
€  giorni  in  casa.  >  — 


—  868  — 

^54)  —  <  Il  palazzo  ora  è  in  proprietà  della  Banca  Nazionale. 
a  Nei  primi  anni  del  corrente  secolo,  fu  chiamato  Casa  Ducale 
a  Leuchtenberg,  perchè  faceva  parte  dell'appannaggio,  dato  da 
«  Napoleone  I  al  Principe  Eugenio.  In  seguito,  fu  venduto  a  di- 
<  versi  principi  romani.  In  questi  ultimi  tempi,  fu  ceduto  alla 
«  Banca  Nazionale;  ed,  ora,  vi  risiede  il  Tesoro  Provinciale  e  Go- 
«  vernativo.  La  piazza,  ove  sorge  il  palazzo,  chiamavasi  prima 
«  Piazza  Nuova;  ed,  oggi,  henchò  sia  stata  battezzata  per  Piajxza 
«  Garibaldi^  tutti  la  chiamano  Piazza  cavalli.  »  —  [Comunica^ 
zione  confidenziale  da  Ancona"] 

(55)  Carlo  di  Michele  Troya  e  dell'Anna  Maria  Marpacher  na- 
cque in  Napoli,  il  7  Giugno  1784;  e  vi  mori  il  28  Luglio  1858. 
Fu,  nel  Collegio  de'  Cinesi,  con  mio  nonno  ,  Matteo  Imbria- 
ni  iuniore.  Suo  padre,  Medico  della  Regina  Isabella  (che  tenne 
Carlo  a  battesimo  e  gli  diede  il  suo  nome)  e  devotissimo  a' 
Borboni,  li  segui,  con  la  ^simiglia,  nella  prima  fuga  in  Sicilia; 
ma  Carlo  non  volle  tornar  nell'isola,  nella  seconda  fuga.  Nel 
1815,  ritornati  i  Borboni,  fu  nominato  Avvocato  di  Casa  Reale 
e  capo  d'  un  ripartimento  del  Ministero  di  Casa  Reale  e,  poi, 
per  due  mesi,  Governatore  di  Basilicata.  Cominciò  dall'appas- 
sionarsi  per  la  storia  di  Francia:  né,  mai,  alcuno ,  meglio  di 
lui,  seppe  minutamente  e  raccontò  con  più  garbo  quanti  fatte- 
relli sì  sanno  intorno  alle  ganze  di  Ludovico  XIV,  del  Reggente 
e  di  Ludovico  XV;  intorno  a  tutti  i  cortigiani  e  le  dame  dis- 
solute di  que'  due  regni  e  del  seguente.  Poi ,  s' invaghì  delia 
Storia  Italiana  del  Medio  Evo.  La  munificenza  di  Ferdinando  II 
(  è  giusto  ed  onesto  il  ricordarlo  )  gli  permise  di  pubblicare , 
senza  alcuna  sua  spesa,  (e,  quel  che  piti  monta,  anche  dopo  il 
1848)  le  opere  voluminose,  sulle  quali  poggiala  sua  fama.  Opere, 
come  pure  i  suoi  due  Yeltriy  mirabili  per  dottrina,  ma  sventu- 
ratamente, senza  critica  alcuna.  A  Firenze,  si  gioiva,  quando  e- 
gli  e  Gabriele  Pepe,  non  meno  erudito  di  lui,  nelle  Storie  I« 
taliane  del  Medio  Evo,  consentivano,  in  società  a  giocare  fra  loro 
al  fatto  storico.  Non  vi  era  piccolo  fatto ,  di  oscura  repubbli- 
chetta  Italiana  ,  che  ciascuno  di  loro  non  indovinasse  prima 
di  aver  terminate  le  quindici  domande  cornute,  che  quel  giuoco 
concede.  Italianissimo  e  sincero  amante  di  libertà,  non  aveva, 
però,  nò  capacità  amministrativa,  ned  attitudine  ad  acquistarla: 
e  però  non  potò  fare  alcun  bene,  mentre  fu  Ministro  costituzio- 
nale, dal  3  Aprile  al  15  Maggio  1848.  Quando  egli  morì,  era  mi- 


—  369  — 

nistro  il  fratello  Ferdinando,  dissimile  affatto  da  lui,  per  pensie- 
ri e  carattere,  che  non  permise  gli  si  rendessero  solini  onori  fu- 
nebri, i  quali  avrebber  potuto  credersi  dimostrazione  politica. 
É  sepolto,  nella  Chiesa  de'  Santi  Severino  e  Sossio,  nella  cap  - 
pella  a  diritta  dell*  aitar  maggiore.  Vedi  le  Brevi  Notizie  della 
vita  e  delle  opere  di  Carlo  Troya,  che  pubblicò  Gaetano  Trevi- 
sani (Napoli  1858),  deputato  del  distretto  di  Lagonegro  nel  1848, 
promettendo  un*ampia  biografia  e  TEpistolario  di  esso  Troya. 
Vedi,  pure,  nell'opera,  citata  nella  vigesimaquinta  di  queste  note. 

(56)  Carlo  Nicoletti.  —  «  I  brigadieri,  Carlo  Nicoletti,  »  —  che 
comandava  la  seconda  divisione  del  corpo  di  spedizione,  —  «  e 
€  Ferdinando  Lanza,  »  —  Comandante  della  Cavalleria,  —  a  non 
«  vollero  partire  sotto  gli  ordini  del  Tenente  Generale  Pepe;  e  la 
«  mancanza  dissestò  tutto  il  comando  del  corpo  di  esercito.  »  — 
Cosi  Piersilvestro  Leopardi.  Il  Nicoletti  era  cosa  del  vecchio 
Nunziante,  che  il  mise  nelle  grazie  del  Re.  Valentuomo,  aveva 
un  fratello  indegno,  che  il  Santangelo  ministro  non  voleva  no- 
minar sottintendente.  Diceva  al  Re  —  <  Non  si  può;  >  —  ed  espo- 
neva Tindegnità  della  persona.  Ed  il  Re,  insìstendo:  facesse  que* 
sto  piacere  a  lui!  Che  Re!  chiedere  in  piacere  un  atto  iniquo! 

(57)  Questo  Pronio  (figliuolo  del  celebre  partigiano  e  guer- 
rigliero, che  il  Colletta  e  gli  altri  scrittori  liberali  chiamano 
brigante)  fu  tra*  generali  più  intemerati  di  Ferdinando  II.  Di- 
fese, eroicamente,  la  cittadella  di  Messina,  contro  gl'insorti  si- 
ciliani. Il  suo  intercalare  era:  Fatalità  !  Se  il  Re  lo  lodava,  per 
una  bella  manovra  della  sua  brigata,  s*  inchinava,  quasi  depre- 
cando la  lode,  con  un:  Fatalità!  Avrebbe  potuto  andar  male.  Se, 
in  vece,  il  Re  deplorava  qualche  irregolarità,  ed  egli:  fatalità! 
doveva  andar  male! 

(58)  Il  Palma  veniva  dall'esercito  murattino:  piccolo,  corto, 
con  gli  occhiali.  Inflessibile ,  domava  le  ciurmaglie  più  triste. 
Nella  campagna  di  Russia,  ebbe  il  comando  d*un  quarto  prov- 
visorio (battaglione  formato  dì  galeotti).  Sotto  Francesco  I,  fu 
Colonnello  del  12.®  reggimento,  composto  da  galeotti  siciliani, 
nel  quale,  essendo  venali  i  gradi,  il  presente  Generale  Pianell 
acquistò,  a  quindici  anni,  quello  di  capitano,  rimanendo,  tutta- 
via, a  terminare  gli  studi  alla  Nunzìatella.  Ed  un  tal  reggi- 
mento egli  seppe  rendere  il  più  ordinato  dello  esercito. 

(59)  La  Dina  Gozzadini,  figliuola  unica  del  Conte  e  della  Con- 

24 


—  370  — 

tessa  Gozzadini,  nata  il  1842;  maritata,  il  30  Maggio  1865,  al 
Conte  Àntoaio  Zucchini  di  Bologna. 

(60)  Per  trattare  della  lega  Italiana,  il  Troya  ed  il  Drago - 
netti  —  «  in  sulle  prime,  prescelsero  Alessandro  Poerio  ,  V  ex 

<  ministro  Giacomo  Savarese  ed  il  Principe  di  Luperano,  affi- 
«  dando  T  ufficio  di  Segretario  a  Ruggiero  Bonghi,  gìovanis- 
«  Simo,  ma  dottissimo  filosofo,  di  acuto  e  virile  intelletto,  di 
€  senno,  per  tutti  i  versi,  precoce  alla  verde  età.  Il  Savarese  ed 

€  il  Poerio  non  vollero  accettare Come  il  generoso  de- 

«  striero,  che,  al  clangor  della  bellica  tromba,  nitrisce,  s*ini- 

<  penna  ed  esulta  e  s'infiamma,  quell'anima  grande  e  magna- 
4  nima  di  Alessandro  Poerio  anelava,  al  fragore  delle  battaglie, 
«  al  cozzo  delle  armi;  e  non  curava  gli  onori  diplomatici.  Dopo 
€  altri  tentativi,  la  legazione....  fu  composta  dal  Principe  di 
«  Luperano,  da  Biagio  Gamboa  (Colonnello) ,  dal  Principe  di 
€  Colobrano,  dal  Duca  dell' Albaneta  e  da  Casimiro  de  Lieto. 
«  Al  Bonghi,  venne  aggiunto,  in  qualità  di  secondo  segretario, 
€  Alfonso  Dragonetti,  ardente  e  leale  giovanetto,  ottimo  fìgliuo- 
a  lo  dell'onorevole  Ministro  degli  Affari  Esteri.  Questi  diplo- 
<(  matici  furono  accreditati  presso  tutte  le  Corti  d' Italia  ;  od 

<  incominciarono  il  loro  viaggio,  recandosi  a  Roma.  Furono 
«  presentati,  dal  Conte  Ludolf,  al  Cardinale  Antonelli.  Il  quale 
€  li  accolse,  con  somma  gentilezza;  e ,  quindi,  alla  sua  volta, 
«  li  presentò,  al  Santo  Padre,  dal  quale  vennero,  parimenti,  ri- 
a  cevuti  con  singolare  affiibiiità  »  —  Cosi,  il  Massari.  —  La  no- 
mina del  Poerio  era  stata  sottoscritta,  dal  Re,  in  data  del  4 
Aprile.  Se  ci  era  persona  disadatta  alla  diplomazia ,  tal  era  , 
certamente,  il  Poerio.  Ma,  almeno,  sarebbe  stato  degno  dell'Uffi- 
cio, per  la  coltura,  per  la  mente,  pel  carattere. 

(61)  Scrive  il  Massari:  —  «  Il  Barone  Gennaro  Bellelli  fu  no- 
«  minato,  invece  del  Conte  Grifeo,  Ministro  plenipoteuziario«  a 
^  Firenze  »  —  Sposò  una  figliuola  del  banchiere  De  Gas.  — ■  A- 
lessandro  Poerio,  poco  prima  di  partire,  l'aveva  brutalisé,  sul- 
l'Uffizio di  non  so  più  qual  giornale,  ritenendolo  autore  di  arti- 
coli, ingiuriosi  al  fratello  Carlo.  Ne  segui  una  sfida:  ma  lo  scontro 
fu  rimandato,  a  dopo  la  guerra.  Il  Bellelli  ò  morto,  in  Napoli,  Sena- 
tore del  Regno  e,  se  non  isbaglio,  Direttore  Generale  delle  Poste. 
Una  sorella  sposò  il  generale  Vito  Nunziante;  e  se  ne  ha  un  ri- 
tratto, dipinto  da  Giuseppe  Mancinelli,  che  fé'  chiasso.  Un  fra* 
tello,  Federigo,  dopo  il  quindici  maggio,  insieme  con  Guglielmo 


—  371  — 

De-Sauget  —  «  ufficiali  di  artiglieria  a  cavallo....  ebbero  il  co- 
<  raggio  di  dichiarare  al  loro  capitano,  non  accetterebbero  deco- 
€  razioni,  per  aver  dolorosamente  compiuto  il  loro  dovere  mili- 
«  tare,  contro  1  propri  concittadini;  e,  poscia,  il  Bellelli  dava  le  sue 
€  dimissioni.  » — Così,  Nicola  Nisco,  nell'opera  Ferdinando  lied 
il  suo  Regno,  E,  per  caso,  stavolta,  non  nisca. 

(62)  Roberto  Bavarese  nacque  in  Napoli,  il  4  Dicembre  1805;  vi 
morì,  il  24  Maggio  1875.  Fu  Avvocato  e  Professore  privato  di 
Dritto;  e  Deputato  negli  anni  1848-49.  Ed  esule,  quindi,  dimorò, 
principalmente,  a  Pisa.  Rimpatriato,  nel  61,  non  volle  nò  cattedre, 
nò  la  Deputazione;  e  visse  tutto  al  foro  ed  alla  famiglia,  quasi  te- 
nesse il  broncio,  perchè  Napoli  aveva  perduta  la  qualità  di  capita- 
le. Nell'opuscolo  citato  nella  decimanona  di  queste  note,  si  legge 
una  sua  novella  in  ottava  rima  ed  un'altra  ne  fu  pubblicata  nel 
Qiomale  Napoletano  della  Domenica^  nell'anno  1882:  le  quali 
mostrano,  che,  se  egli  avesse  atteso  alle  lettere,  sarebbe,  facilmen- 
te, ora,  annoverato  fra  i  migliori  del  suo  tempo,  come  fu  tra'  som- 
mi giureconsulti.  E  sua  madre  e  sua  moglie  nacquero  Winspeare. 

(63)  Gabriello  di  Carlo  Marcello  Pepe  e  dell'Angela  Maria  Cuo- 
co nasceva,  il  7  Dicembre  1779,  in  Civitacampomarano  nel  Moli- 
se, dove  mori,  il  26  Luglio  1849.  Colonnello  e  Deputato  nel  1820, 
propose,  che  fosse  casso  il  trattato,  conchiuso,  da  Florestano  Pe- 
pe, co'Siciliani.— «Quel  parere»— scrive  il  Colletta — «seguito  dal 
«  Parlamento,  fu  decretato  dal  Vicario;  l'arringa  diede,  all'oratore, 
«  (diverso  dai  Generali  Pepe,  per  patria,  famiglia,  animo,  ingegno) 
«  fama  e  favor  popolare  e,  poco  appresso,  sventura.»— Fu  bandito 
dal  Regno  e  relegato  in  Moravia;  ottenne,  quindi,  di  recarsi  a  Fi- 
renze, dove  visse,  dando  le/ioni.  Ne  dio,  pure,  alla  principessa  Ma- 
tilde Bonaparte.  E  venne  in  fama,  scrivendo  n&M^ Antologia  e,  so- 
pratutto, per  un  duello  col  Lamartine,  (che  rimase  ferito,  T  8 
Febbraio  1826,  e,  poi,  sempre,  amicissimo  al  Pepe.)  Tornato  a 
Napoli,  visse  in  disparte  e  misero.  Generale  della  Guardia  Na- 
zionale, nel  1848,  si  mostrò  impari  all'Ufficio  arduo  allora,  forse 
perchò  la  vecchiaja  lo  avea  reso  minor  di  so  stesso.  Fu  deputato 
dei  distretto  di  Larino.  Fu  il  solo  a  dissertare  ragionevolmente 
sul  Veltro  di  Dante  ed  a  cogliere  nel  segno,  fra'  tanti,  che  se  ne 
occuparono,  nella  prima  metà  del  nostro  secolo. 

(64)  Domenico  di  Antonio  Capitelli  nacque  in  S.  Tammapo 
(Terra  di  Lavoro)  e  mori  di  colera,  in  Portici,  il  31  Agosto  1854, 
di  setiant'anni.  Rimandiamo,  per  notizie  intorno  a  lui,  a'  libri  in- 
titolati: 


—  372  — 

i.®  Opuscoli  I  di  I  Domenico  Capitelli  |  raccolti  e  nuovamente 
pubblicati  I  per  cura  del  figliuolo  \\  Napoli  \  Tipografia  di  Fran- 
Cesco  Giannini  |  Strada  MagnocavaUo,  i5  \  i86i, 

ir  Bella  vita  e  degU  studu  \  di  \  Domenico  Capitelli  \  Fresia 
dente  del  Parlamento  Napoletano  \  del  i848 1|  Napoli  \  StabiU^ 
mento  tipografico  di  Francesco  CHannini  \  vi<t  Museo  Nazionale 
31  I  i87i. 

Yeggansi,  pure,  Topuscolo  citato,  nella  decimanona  di  queste 
note;  ed  un  altro  intitolato:  Raccolta  \  degli  attestati  di  somma 
sUma  che  U  opere  dell'Avvocato  |  e  già  Professore  di  Dritto^  SUff. 
Domenico  Capitelli,  hanno  \  dalle  Accademie  e  da  distinti  per- 
sonaggi e  scrittori  dell'  Europa  riscossi,  (s.  I.  n.  d.  ma  Napoli, 
1835).  —  Fu  padre  di  Guglielmo  Capitelli,  che  ha  avuto  ronorey 
come  Sindaco  della  città  dì  Napoli,  di  tenere,  al  fonte  battesi- 
male, quel  Principe,  che,  speriamo,  più  tenero  che  non  si  sia 
mostrato  il  padre  delle  tradizioni  dinastiche,  abbia,  un  giorno, 
a  chiamarsi  Vittorio  Emanuele  III  e  non  già  Vittorio  Ema- 
nuele I. 

(65)  Giacomo  Savarese,  fratello  maggiore  di  Roberto,  si  dette 
agli  studi  economici.  Molto  più  ricco  del  fratello,  specialmente 
per  un  vantaggioso  matrimonio,  era  stato  negli  uffici  pubblici 
fin  dal  1836;  fu  Ministro  dei  Lavori  Pubblici,  il  6  Marzo  1848.  Non 
accettò,  come  abbiamo  detto  nella  sessantesima  delle  presenti 
note,  di  essere  agente  diplomatico  per  la  lega  Italiana.  Nomi- 
nato Pari  del  Regno,  il  2Ò  Giugno  1848,  preferì  questa  nomina 
al  posto  di  Deputato.  Rimase,  sempre,  in  Napoli  e  negli  uflSct 
pubblici;  e  fu,  successivamente,  membro  (16  Giugno  1848)  e  Pre- 
sidente della  Commissione  delle  Bonifiche  (80  Settembre  1850) 
ed  Amministrator  Generale  delle  Opere  di  Bonificazione  del 
Regno.  Caduti  i  Borboni,  ha  conservato  un  atteggiamento  o- 
stile  verso  le  nuove  cose;  e  lo  ha  manifestato,  in  molti  opuscoli 
e  volumi. 

(66)  Antonio-Giuda-Taddeo-Giuseppe-Mariano  Scialoja  na- 
cque, il  31  Luglio  1817,  in  S.  Giovanni  a  Teduccio,  da  Aniel- 
lo, Ispettore  di  Pubblica  Sicurezza,  e  dalla  Raffaella  Madia.  La 
famiglia  era  oriunda  spagnuola  e  stabilita  in  Precida.  Morirà 
il  13  ottobre  1877,  in  Procida.  Valente  economista,  aveva  con- 
seguita, giovanissimo,  una  cattedra  nella  Università  di  Tori- 
no. Fu  Ministro,  nel  1848,  a  Napoli;  e,  più  di  una  volta  e  di 
più  di  un  dicastero,  nel  Regno  d*  Italia.  Può  consultarsi,  io- 


—  373  — 

torno  a  lui  il  libro  intitolato:  La  vita,  i  tempi  \  e  le  Opere  \ 
di  I  Antonio  Scialoja  \  per  \  Carlo  de  Cesare  \  Senatore  del  Re- 
gno Il  Bxìma  I  Tipografia  del  Senato  \  di  Forzani  e  Comp.  \ 
iS79, 

(67)  Andrea  di  Diego  Ferrigni -Pisone  e  della  Margherita 
Si  mi  oli,  nacque  di  famiglia  barese,  in  Napoli,  il  24  Maggio  1799; 
morì  il  17  Settembre  1859.  Fu  dottore  in  Teologia,  Professore 
di  Teologia  Dommatica  e  di  Lingua  Ebraica  e  Greca  nel  Li- 
ceo Arcivescovile  ,  Canonico  Teologo  della  Metropolitana  di 
Napoli,  Professore  di  Sacra  Scrittura  nella  Regia  Università  de- 
gli Studi  e  Rettore  di  essa  Università  nel  biennio  1848-49,  Re- 
visore Regio  ed  Arcivescovile  dei  libri,  Componente  la  Com- 
missione Superiore  di  Revisione  nel  48,  Membro  della  Giunta 
di  Pubblica  Istruzione,  Consigliere  degli  Ospizi  della  Provin- 
cia di  Napoli,  ecc.  ecc.  Nominato  Vescovo  e  non  facendogli  conto 
di  lasciar  Napoli,  rinunziò.  Le  sue  scritture  di  maggior  mole  so- 
no: tre  volumi  in  8.**  di  Institutiones  Btblicae  (Napoli,  1844-59); 
e  quattro  volumi  in  12.**  di  Catechismo  Liturgico  (Napoli,  1857, 
3.^  edizione).  Egli  è  morto  totus, 

(68)  Scrive  il  Massari,  che,  durante  il  Ministero  Troya,  —  «  ac- 
€  canto  al  Re,  continuavano  a  stare  gli  uomini,  che,  coi  loro 

<  consigli  e  con  le  loro  arti,  avevano  contribuito,  non  poco,  a 
€  tener  fermo  in  sella  il  Bozzelli;  e,  vedendolo  sopraffatto  dal 

<  flutto  popolare,  intendevano  a  guadagnare  il  terreno  perduto, 
€  opponendo,  agli  atti  del  nuovo  Ministero,  quella  resistenza 
€  passiva,  che,  nella  sua  stessa  inerzia,  attinge  forza  smisura- 

<  ta  e,  purtroppo,  spesse  volte,  insuperabile.  Fra  cotesti  Con- 
€  siglieri  non  responsabili  del  Re  e,  quindi,  estra-costituzionali 
«  e,  però,  faziosi,  debbo  nominare,  con  gran  rincrescimento, 
«  due  uomini,  che.  per  Taltezza  deiringegno  e  per  la  maturità 
€  del  senno,  erano  obbligati  ad  intender  meglio  glMnteressi  del- 
«  la  patria  e  quelli  della  dinastia:  Carlo  CianciuUi  e  Luigi 
€  Blanch.  Entrambi  uomini  dottissimi,  ricchi  di  lumi  e  di  e- 
€  sperienza:  ma ,  per  mala  ventura,  imbevuti  della  tradizione 
€  municipale  del  1820  e,  quindi,  astiosamente,  avversi  al  gran 
«  movimento  nazionale  ed  Italiano.  Il  loro  intelletto  sovrasta, 
€  senza  alcun  dubbio,  alla  mediocrità:  ma  ò  immiserito  dalla 
€  grettezza  municipale.  Una  Carta  alla  francese,  una  buona  Ca- 
c  mera  di  Pari,  Deputati  con  pìngue  censo;  ecco  quarè,  a  sen- 
«  no  loro,  Tapice  del  progresso  politico.  Il  CianciuUi  ed  il  Blanch 


—  374  — 

<  yanno  annoverati  nella  categoria  di  quegli  uomini,  tenacissi- 
€  mi  delle  loro  idee,  i  quali  pretendono  tenere  stretto  lo  spi- 
€  rito  umano ,  eternamente ,  nella  cerchia  dei  loro  pensieri  ; 
€  e  fanno  delle  loro  opinioni  le  colonne  di  Ercole  d'ogni  prov- 
€  cedimento.  Questi  due  uomini,  che  io  so  essere,  per  ogni  ver- 
€  so,  onesti  e  ragguardevol!,  con  la  loro  pedanteria,  con  la  lo- 
«  ro  boria,  nocquero  alla  causa  patria,  assai  piti  che  se  fosse- 
€  ro  stati  malvagi.  »  — 11  Blanch,  de' Marchesi  di  Campolattaro, 
nato  in  Lucerà,  nel  1784,  morto  il  7  Agosto  1872,  ufficiale  sotto 
il  Murat,  escluso  dall'esercito^  dopo  il  1820,  era  valente  scrii - 
tor  di  cose  militari.  Ne  riempiva  il  Progresso.  Nell'Epistolario  del 
Giusti,  v'ò  la  minuta  di  un  esordio  di  lettera,  direttagli.  Negli 
Schizzi  di  Gius.  Ferrarelli,  (Napoli,  1871)  un  capitolo  s'intitola: 
Lista  di  molti  lavori  militari  di  Luigi  Blanch,  Ed  il  Ferrarelli 
ne  scrisse  una  necrologia  sul  Piccolo  deU'  8.  Vili.  1872. 

(69)  n  Colonnello  Vincenzo  degli  liberti  (nato,  in  Tauraso,  di 
una  famiglia,  che  pretende  discendere  dal  fiorentino  Farinata) 
era,  come  dice  il  Massari  —  «  d'indole  mite  e  di  sensi  italiana- 
«  mente  liberali,  distinto  uffiziale  del  Genio,  scrittore  di  libri 
a  accreditati  intorno  alla  Architettura  ed  all'  Idraulica  mili- 
€  tare.  >  —  Era  entrato,  come  Ministro  della  Guerra,  nel  rim- 
pasto del  6  Marzo;  e  faceva  parte  del  Ministero  Troja,  come 
ministro  de'  Lavori  pubblici.  Rinunziò  alla  deputazione.  Ha  tra- 
dotto dallo  inglese  il  Cosmos  di  Alessandro  di  Humboldt. 

(70)  Raffaele  Conforti,  Avvocato  Penale,  del  Principato  Ci- 
teriore, era  entrato,  nel  Ministero  del  3  Aprile,  in  surrogazione 
di  Giovanni  Avossa  e  reggeva  il  dicastero  dell'Interno:  impari, 
certo,  a  tanto  peso,  come  ha  dimostrato*  essendo,  poi.  Ministro 
di  Grazia  e  Giustizia  del  Regno  d' Italia,  in  uno  dei  Ministeri 
Rattazzi  d'infausta  memoiia:  nel  primo,  non  in  quello  detto 
de*  malmaritati.  È  morto  Senatore  del  Regno  e  Procuratore 
Generale  della  Corte  di  Cassazione  di  Firenze.  Dimostrò  co- 
raggio civile,  quando,  tenendo  fronte  al  La  Marmerà,  allora 
onnipotente,  fece  decidere,  dalla  Corte,  il  confliti^o  di  giurisdi- 
zione ,  sorto  fra  il  Tribunale  Supremo  Militare  e  la  Corte  di 
Cassazione  di  Napoli.  Il  Tribunale  Supremo  Militare  pretende- 
va giudicare,  quando  la  legge  Pica,  avea  cessato  d'  essere  in 
rigore,  su*  ricorsi  contro  le  sentenze,  profferite  da' Consigli  di 
Guerra  in  virtù  d'essa  Legge.  Questa  enorme  pretesa  avrebbe, 
forse,  trionfato,  se  il  Conforti  avesse  consentito  a  sostenerla  od 


—  375  — 

almeno  a  tacere.  Ma,  confortata  e  convinta  da  lui,  la  Cassazione 
Fiorentina,  rimise  que'  ricorsi  alla  Cassazione  Napoletana;  e  pa- 
recchie sentenze,  tumultuariamente  abborracciate  da'Consigli  di 
Guerra  in  extremis^  potettero  essere,  equamente,  riformate. 

(71)  Giuseppe  Gallotti,  amante  non  cosrisposto  delle  Muse , 
ha  dato  alla  luce  parecchie  novelle,  romanzi,  ecc.  E  morto  Se- 
natore del  Regno  d'Italia.  In  Napoh*,  era  famosissimo,  perchè 
ritenuto  uno  de'  più  terribili  jettatori,  che  immaginar  si  possa. 
Se  non  che,  essendo  egli  anche  spadaccino  di  prima  forza,  nes- 
suno, per  paura  del  suo  braccio,  osava  più  manifestargli,  co' 
gesti  la  paura  ,  che  inspiravano  i  suoi  occhi.  Suo  padre  era 
stato,  anche,  celebre  jettatore:  per  modo  che  il  Barone  Cosenza 
aveva  creduto  metterlo  in  iscena  come  tale.  Il  pubblico  rico- 
nobbe il  personaggio  e  lo  nominò:  ed  il  giovane  Gallotti,  che 
era  in  teatro,  adontato ,  affrontò  e  schiaffeggiò  T  autore  della 
commedia.  Il  Gallotti,  padre,  credendo,  forse,  anch^egli,  alla  sua 
potenza  jettatoria,  non  abbracciava,  mai,  i  figliuoli.  Pure,  aven- 
do un  d' essi,  per  nome  Giovanni,  sostenuto,  mirabilmente,  un 
esame  diplomatico,  si  narra,  che  il  padre  noi  sapesse  tratte- 
nersi, dallo  stringerlo  al  cuore  e  dal  dargli  un  bacio.  Il  gio- 
vanetto ebbe  a  farne  una  malattia  mortale.  Riavutosi,  imprese 
un  viaggio  per  l'Europa;  a  Ginevra,  ritrovò  un  amico  e  com- 
pagno di  Napoli,  che  vi. era  maritato  con  una  francese  alsa- 
ziana. Costei  fece  tant' inviti  al  povero  Giovanni,  il  quale  non 
volle  imitare  il  casto  Giuseppe,  da  irretirlo.  Ma,  essendo  egli 
uomo  di  alti  sensi,  gli  parve  cosa  così  orribile  lo  aver  tradi- 
to lo  amico,  che  impazzò:  ed  è  morto,  lì,  in  Isvizzera,  in  una 
casa  di  salute.  Ogni  qual  volta  quel  marito  il  visitava,  egli  gli  si 
buttava  piangendo  al  collo  e  gli  chiedeva  scusa  e  gli  diceva  :  — 
«  non  sono  stato  io,  è  stata  tua  moglie  ».  — -  Eppur,  quel  dabben 
uomo  non  ha  mai  capito  la  cosa,  neppure,  quando ,  anni  do- 
po, sua  moglie  scappò  di  casa  con  un  altro  amico  napolitano, 
M*****  C***  Principe  della  R****.  —  Giuseppe  Gallotf  i,  già  sene- 
scente ,   si  unì  in  matrimonio  secreto  (  solo  religioso  )  con  la 
Principessa  di  Villa  Cellammare  (Del  Giudice  Caracciolo). 

(72)  Camillo  Cacace  nacque  il  3  agosto  1784;  moriva,  il  2  a- 
gosto'  1856,  all'età  di  anni  settantadue  meno  un  giorno.  Fu  va- 
lente avvocato,  specialmente  commerciale,  in  modo  da  arricchire. 
Coltivò,  pure,  le  scienze  economiche,  stampando,  sulla  quistione 
del  Tavoliere  di  Puglia  un  volume  di  dialoghi  (1833),  che  ebbe 


—  376  — 

pue  edizioni.  Fu  spedito,  dal  Governo  delle  due  Sicilie,  a  Londra 
per  trattare  della  quistione  de' zolfi.  Dopo  il  periodo  costituzio- 
naie  del  1848,  lasciò  Tavvocheria  e  si  ritirò  in  campagna,  al  Pia- 
no di  Sorrento:  ma  mori  in  Napoli.  Il  Massari  scriveva  di  lui:  — 
€  Se  Camillo  Cacace  dimenticasse  le  consuetudini  del  foro  e  fosse 
€  più  avaro  di  distinzioni  e  di  sofistiche  sottigliezze,  sarebbe,  an- 
€  eh'  egli,  buono  oratore  politico  ».  —  Suo  fratello  Tito  è,  ora, 
Senatore  del  Regno. 

(73)  Luca  de  Cagnazzi  Samuele  da  Bisceglie,  Arcidiacono,  era 
quasi  nonagenario.  Morì,  verso  il  1853.  Srisse  molta  roba:  p.  e.: 
una  Morale  Evangelica,  un  sistema  delle  Monete  antiche  (dedicato 
ad  Isabella  di  Borbone),  Istituzioni  di  Statistica,  ecc.  ecc.  Avendo 
il  Blanch,  in  un  articolo  sul  Progresso,  nominati  CHoja  e  Ca- 
gnazzi come  economisti  e  statistici,  che  onoravano  Tltalia,  il  Ca- 
gnazzi se  ne  risentì,  assai;  voleva,  che  si  fosse  detto  Cagnazzi  e 
Gioja,  rivendicando  a  so  la  priorità.  Nel  1848,  deputato  per 
Altamura,  fu  intemperante:  dicevano,  pQr  dispetto  di  avere  spera- 
to e  sollecitato,  da*  Principi,  ricompense,  che  non  aveva  ottenute. 

(74j  Vincenzo  Lanza,  medico  sommo,  al  quale  è  stato  innalzato 
un  monumento  marmoreo,  nella  patria  Foggia,  lavoro  di  Beniami- 
no Cali,  con  questa  iscrizione  brodosa,  dettata  da  Antonio  Ra- 
nieri : 

Vincenzo  Lanza 
di  parenti  umilissimi 

PER  SOLA  FORZA  d'iNGEONO  E  DI  STUDII 
SI  LEVÒ  A  NOSOLOGO  E  CLINICO 

NON  PIÙ  AGGUAGLIATO 

PRESIDENTE  ALLA  SUA  FACOLTÀ 

NBL  CONGRESSO  SCIENTIFICO  DEL  MDCCCXLV 

E  DEPUTATO  NBL  MDCCCXLVHI 

ESULÒ  CONDANNATO  NEL  CAPO 

CON  INDEGNAZIONE  UNICA 

dell'  UNIVERSALE. 

NATO  IN  Foggia 

A  DÌ  Vn  DI  MAGGIO  MDCCLXXXIV 

MORÌ  IN  Napoli 

A  DÌ  XI  DI  APRILE  MDCCCLX 

(75)  Per  Luigi  Gianciulii,  vedi  la  sessagesimaottava  di  queste 
note.  Era  stato  Uffiziale  di  Cavalleria  del  Murat:  rinomato  pel 


—  377  — 

suo  valore,  giunse  al  grado  di  Maggiore.  Congedato,  nel  21, 
fu  richiamato,  al  30:  ma  non  volle  sottoporsi  ad  esami,  per  essere 
riammesso  in  attività.  Nel  1848,  fu  Pari  del  Begno  e  Consultore. 
Era  figliuolo  di  Michelangelo  Cianciulli,  Gran  Giudice  e  Mini- 
stro, a*  tempi  del  Murat,  e,  prima,  avvocato  fiscale  della  Gran 
Corte  di  Vicaria. 

(76)  —  e  II  Conte  Pietro  Ferretti,  Anconitano dopo  il  1831, 

€  astretto  a  cercar  scampo  dalla  persecuzione  gregoriana,  ottenne 
«  di  poter  soggiornare  in  Napoli.  Dove,  bentosto,  la  specchiata  il* 
«  libatezza  del  vìvere,  la  generosità  dei  sentimenti,  la  rara  abilità 
€  finanziaria  gli  fruttarono  la  stima  e  Taffetto  di  tutti.  »  —  (Cosi 
il  Massari).  Era  fratello  al  Cardinal  Ferretti;  e,  credo,  parente  di 
Pio  IX;  certo.  Tesser  creduto  tale  contribuì,  a  renderlo  popolare. 

(77)  Giuseppe-Napoleone  Ricciardi  fu  secondogenito  di  Fran- 
cesco Ricciardi  (  fatto  conte  di  Camaldoli  e  Ministro  e  ricco , 
dalla  benevolenza  di  Re  Gioacchino);  e  nacque,  il  19  luglio 
1808,  a  Capodimonte.  Del  padre,  egli  ha  vergata  una  biografia; 
ed  ,  inoltre,  su  di  esso,  può  trovarsi  qualche  indicazione,  nel- 
r  opuscolo  citato  nella  decimanona  di  queste  note.  Ma,  quan- 
to savio  e  pien  d*ingegno  fu  il  padre,  tanto  stolto  e  pazzo  si 
mostrò,  sempre,  il  figliuolo;  tutta  la  cui  vita  rappresenta  il 
contrasto  fra  le  velleità  di  gloria  e  di  ambizione,  ed  una  im- 
potenza ed  incapacità  assoluta.  Scrisse  infinita  roba ,  ma  non 
una  mezza  pagina  a  modo.  Nulla  lasciò  d*  intentato  ,  per  far 
chiasso:  schiccherò  istorie  profetiche  (nelle  quali  si  faceva  tra- 
scinar Carlo  Alberto,  a  coda  di  cavallo,  per  le  vie  di  Torino,  col 
cartellone:  traditore;  e  mandar  Papa  Gregorio  sul  patibolo  , 
dov*ei^  schiafifeggiato,  dal  manigoldo);  scombiccherò  tre  volu- 
metti sulle  Bruttezze  di  Dante^  pretendendo  correggerne  i  ver- 
si: ma  non  fu  rimunerato,  neppure,  con  la  riputazione  di  Tersite 
o  di  Zoilo.  Cospirò;  fece  parte  di  governi  provvisori;  apparten- 
ne, per  molte  legislature ,  al  Parlamento  Italiano  :  ma ,  dap- 
pertutto, suscitò,  solo,  le  risa  e  fece  la  parte  buffa.  Pur  pro- 
fessandosi repubblicano  e  non  avendo  se  non  due  figliuole  dal- 
la moglie  franzese,  alsaziana,  nata  Noth,  figliuola  d*un  medi- 
co militare,  implorò,  da  Vittorio  Emanuele,  il  titolo  di  Conte. 
Stampò,  a  Parigi ,  nel  1857,  la  propria  autobiografia,  sotto  il 
titolo:  Memorie  d'un  ribelle.  La  quale  mostra,  chiaro,  eom*e- 
gli  mancasse  di  sale  e  di  pepe.  La  copertina  ,  in  carta  luci- 
da, bianca,  verde  e  rossa,  che,  da  lungi,  sembrava,  appunto^ 


—    378  — 

una  fetta  di  cocomero,  era  simbolo  esatto  delle  mellonaggini 
contenute.  La  maggiore  delle  sue  ridicolaggini  fu  Tanti  conci- 
lio,  da  lui  bandito  e  presieduto,  in  Napoli,  nel  1869.  Ed  in 
Napoli  è  morto,  nel  1882. 

(78)  Vedi  :  Ancona  \  descritta  \  nella  Storia  \  e  \  nei  MonU" 
menti  \  per  \  F,  de  Bosis,  C.  Ciavarini,  C,  Gariboldi  |  G,  Bevi~ 
lacqua,  M,  Maroni  \  \  Ancona  \  pei  tipi  di  Guatavo  Chericbini.  | 
1870. 

(79).  Giuseppe  Vacca,  nacque,  in  Napoli,  il  6  Luglio  1808  d 
Emanuele  (che  ebbe  alti  uffizi  amministrativi)  e  della  Raffaella 
Marzano.  Datosi  alla  magistratura,  era,  nel  1848,  Procurator 
Generale  della  Gran  Corte  Criminale  di  Napoli.  In  queir-anno, 
fu  Coadiutore:  prima,  del  Ministero  dello  Interno  e,  poi,  del 
Ministero  di  Grazia  e  Giustizia.  Ed  i  Coadjutori  erano  una  specie 
di  Segretari  Generali,  pel  disbrigo  delle  faccende  correnti,  re- 
si necessari  dalPessere  i  Ministri  occupati,  interamente,  dalla  po- 
litica, dalla  ressa  de*  petenti;  ecc.  Pure,  la  istituzione  di  questo 
uffizio  fece  scandalo.  Scrive  il  Settembrini,  parlando  de*  Mini- 
stri del  6  Marzo;  —  <  Come  se  dieci  fossero  pochi,  alcuni  Mi> 
€  nistri  si  scelsero  loro  Coai^utori,  con  centocinquanta  ducati 
«  il  mese  [L.  It.  637,50];  e,  poi,  tutti  vollero  un  Cencinqtuat'^ 
€  ta.  »  -—Però,  ch*io  sappia,  i  Coadjutori  furon  due  soli:  TÀbate» 
marco  ed  il  Vacca.  E,  certo,  i  Ministri  della  Guerra  e  della  Istru- 
zion  pubblica,  non  ebber  Coadjutori.  Fu,  poi,  destituito,  impri- 
gionato e,  per,  alcun  tempo,  sbandeggiato.  Caduti  i  Borboni, 
fece  parte  di  alcun  ministero  luogotenenziale;  resse  il  dicastero 
di  Grazia  e  Giustizia,  nel  primo  periodo  del  gabinetto  Lamar  * 
mora,  pubblicando  i  codici  Civili,  di  Procedura  Civile,  di  Com- 
mercio e  della  Marina  Mercantile,  che  hanno,  con  tanta  sapienza, 
regalati  alla  Italia.  È  morto,  nelFAgosto  1876,  in  Napoli,  Se- 
natore del  Regno  e  Procurator  Generale  della  Cassazione  Na- 
poletana: ma,  pur  troppo,  colpito,  negli  ultimi  mesi,  di  vizio 
di  mente,  forse,  pel  rimorso  di  aver  prestato  mano,  in  Senato, 
air  imbroglio,  con  cui  si  fece  passare  la  legge  su*  punti  fran- 
chi. Nobile  carattere  quello,  che  tanto  può  accorarsi  d*una  colpa 
0  d*uno  errore!  Vedi  Alla  Memoria  \  di\  Giuseppe  Toccali 
Album  I  del   Giornale  giuridico  \  il  Filangieri  \\  Napoli  \  Dott, 
Leonardo  Vallar  di — Editore  \  Via  S,  Anna  dei  Lombardi^  27 
i  p.  I  i876, 

(80)  Non  mi  è  riuscito  procurarmi  notizia  alcuna  intorno  a 


—  379  -^ 

costui.  DaVenezia,  uno  mi  scrive,  che  —  «  nella  raccolta  di  tut- 
€  ti  gli  atti ,  fatti,  eventi,  pubblicazioni,  ecc.  di  quei  due  anni 
«  1848-49,  questo  nome  non  si  trova,  »  —  Un  altro:  —  «  Nes- 
«  sun  se  ne  ricorda  Non  contò,  mai,  nulla,  evidentemente.  >  — 

(81)  Ministro  della  Guerra  era  il  Brigadiere  Raffaele  del  Giu- 
dice. 

(82)  Per  la  composizione  del  Ministero  ,  vedi  la  quarta  di 
queste  note.  Il  precedente  era  quello,  uscito  fuori  dal  rimpa- 
sto del  6  Marzo,  così  composto: 

Il  duca  di  Serracaprìola,  Presidente. 

Il  Principe  di  Cariati,  Affari  Esteri. 

Francesco-Paolo   Bozzelli,  Interni. 

Giacomo  Bavarese,  Lavori  Pubblici. 

Carlo  Poerio,  Istruzione  Pubblica. 

Aurelio  Saliceti,  Grazia  e  Giustizia. 

Vincenzo  degli  Uberti,   Guerra  e  Marina. 

Delle  quali  persone  tutte,  si  parla,  qua  e  là,  in  queste  note. 

(83)  Accenna  a^  combattimenti,  sostenuti,  dal  Durando,  sotto 
Vicenza.  Non  ho  modo  di  ritrovare  il  nome  e  di  appurare  le 
gesta  di  questo  membro  della  famiglia  della  Torre  e  Taxis.  La 
quale,  sebbene  oriunda  Milanese,  è,  da  parecchi  secoli,  divenuta 
tedesca;  e  possedeva  il  privilegio  delle  poste,  come  feudo  imme- 
diato dallo  Impero.  L*amministrazione  postale  particolare  della 
Torre  e  Taxis  non  è  interamente  cessata,  se  non  dopo  la  Co- 
stituzione dello  Impero  tedesco,  e  dopo  il  1870.  Il  morto  do- 
veva appartenere  alla  linea  laterale,  che  è  stabilita  in  Boemia. 

(84)  Costantino  von  Hoobreuck,  barone  d*  Aspre,  (e  non  di 
Asper)  lu  figliuolo  d*  un  tenente-maresciallo  di  campo,  che  mo- 
rì, nella  battaglia  di  Wagram.  Nacque  in  Brusselle,  nel  1789; 
entrò,  come  Alfiere,  nell'esercito  austriaco,  nel  1807;  prese  par- 
te alle  piti  campagne  contro  Napoleone.  Servì,  sotto  il  Nugent, 
(v.  la  12.^  di  queste  note)  nel  1815,  contro  Murat.  Nel  1821, 
contro  i- Costituzionali  di  Napoli.  Nel  1830,  comandò  un  reggi- 
mento, contro  grinsorti  Romagnoli.  Nel  1848,  era  tenente-ma- 
resciallo di  campo  e  Comandante  del  secondo  corpo  di  eserci- 
to, in  Italia.  Nel  marzo  1848,  cercò  di  unirsi  col  Badetzky;  ed 
entrò,  il  28  maggio,  in  Mantova,  dopo  che  questi  ebbe  presa  la 
offensiva  sul  Mincio  inferiore.  Era,  dunque,  falsa  la  notizia  del- 
la sua  grave  ferita,  che  davano,  allora,  i  fogli.  Prese  parte  im- 
portante alle  campagne  del  1848-49,  contro  i  Piemontesi,  alle 


—  380  — 

cui  disfatte  contribuì  principalmente,  guadagnandone  il  titolo 
di  Feldzeugmeisier.  Felicitò,  poi,  il  ducato  di  Parma»  e  partecipò 
ali*  intervento  in  Toscana.  E  ,  TU  maggio ,  prese  di  assalto 
Livorno,  dove  commise  crudeltà  senza  fine.  Nell'ottobre  1849, 
ebbe  il  comando  del  6®  corpo  di  esercito;  e  moriva,  nel  quartier 
generale  di  Padova,  il  24  maggio  1850.  La  salma  ne  è  stata 
dissotterrata,  nel  Gennajo  deiranno  corrente  1884,  e  trasportata 
in  Austria,  rendendole,  eziandio,  le  truppe  Italiane  gli  onori 
militari.  Èvn  gran  pacier  la  morte!  (Manz.  Carm.  V.  5.)  Ma  si 
avevano  da  dimenticare  e  perdonare,  anche,  le  crudeltà  ? 

(85)  Non  abbiamo  avuto  modo  di  procacciar  notizie^  su  que- 
sto Principe  di  Lichtenstein. 

(86)  Giuseppe  Yenceslao,  conte  Radetzky  di  Radetz,  nacque, 
il  5  novembre  1766,  a  Trzebniz,  in  Boemia;  entrò,  come  cadetto, 
in  un  reggimento  ungherese,  e  prese  parte  a  molte  campagne 
contro  i  Turchi  e  contro  i  Francesi.  Restrìngiamoci  a  ciò,  che 
fece  in  Italia.  V'era,  nel  1796,  capitano  di  cavalleria  ed  Ajutan- 
te  del  Beaulieu;  e,  poi,  come  Maggiore  e  Comandante  de*Zap- 
patori.  Nel  1799,  pe'  suoi  meriti,  quale  Ajutante  del  Melas,  fd  pro- 
mosso a  Tenente-Colonnello.  Ritornò  in  Italia,  nel  1805,  da  Mag- 
gior Generale.  Nel  1831,  era  Generale  di  Cavalleria;  e  fu  man- 
dato in  Italia  e  vi  prese  il  comando  delle  truppe  austriache,  in- 
vece del  Frimont.  Fu,  poi,  nel  1836,  nominato  Maresciallo  di 
campo.  Nel  marzo  1848,  battuto  dal  popolo  milanese,  dovette 
abbandonar  la  città,  il  23  marzo,  co'  suoi;  e  si  ritirò  a  Verona. 
Questa  ritirata  salvò  l'esercito  austriaco  e  l'impero.  Battuto,  a 
Goito,  dai  Piemontesi,  che  espugnarono  Peschiera,  il  Radetzky, 
rinforzato  dal  corpo  del  Nugent  (  che  sbaragliò  i  Romani  e 
non  vide  i  Napolitani  ),  dopo  parecchie  abili  operazioni,  vinse, 
il  25  luglio  1848,  la  battaglia  di  Custoza,  che  decise  delle  sor- 
ti della  guerra.  La  battaglia  di  Novara  (  23  marzo  dell'  anno 
seguente  )  rese  definitiva  la  sconfitta  del  Piemonte  :  Venezia 
gli  si  arrese,  nell'agosto.  Gli  atti  di  crudeltà  e  di  barbarie,  co* 
quali  macchiò  la  vittoria  e  che  resero,  per  sempre,  impossi- 
bile il  dominio  austriaco  nel  Lombardo-Veneto,  tutti  li  cono- 
scono. Il  28  Febbbraio  1857,  prese  il  riposo,  dopo  settantadue 
anni  di  servizio  militare;  e  moriva,  a  Milano,  il  5  Gennaio  del 
1858.  È  noto,  con  quanto  coraggio  civile,  il  Municipio  di  quella 
città  si  rifiutasse  di  prender  parte  alle  onorificenze  funebri,  che 
gli  rendevano  gli  oppressori. 


—  381  — 

(87)  Gli  Austriaci  si  accamparono,  fuori  Belluno,  il  4,  tementi 
di  entrare  in  città;  la  dimane,  il  Vescovo  e  gli  Onoraziori  si 
presentarono  al  Generale  Culoz,  pregandolo  di  occuparla,  per  sal- 
var Belluno  dal  saccheggio  e  dalla  violenza  di  molti  ladruncoli. 
Ed  il  Generale  vi  penetrò  la  sera  del  5,  con  seicento  soldati. 

(88)  Giuseppe  del  Re,  juniore,  era  de*  piti  cari  ingegni  e  de* 
migliori  uomini  di  Napoli.  Cultore  delle  lettere  e  figliuolo  del 
proprietario  della  stamperia  dell'Iride  (che,  poi,  diresse,  insieme 
col  fratello  Domenico)  pubblicò,  per  molti  anni,  quella  Strenna, 
chiamata  Viride:  la  cui  raccolta,  ancora,  si  scartabella,  con  pia* 
cere  e  frutto;  e  che  Ufissuna  strenna  posteriore,  ha  mai,  pareggia- 
to. Il  Settembrini  narra,  come  il  Del  Re  a*  incaricasse  di  fare 
stampare,  dal  Seguin^  nel  1846^  1&  famosa  protesta  del  popolo 
delie  Due  Sicilie.  Il  Seguin  aveva  la  sua  tipografia,  nel  palazzo 
a'  Banchi  Nuovi,  dove  era  il  quartiere  dei  Parrilli  (Vedi  la»21.* 
di  queste  note).  Ma  il  Settembrini  erra;  e  la  protesta  fu  fatta 
stampare,  da  Ferdinando  Mascilli,  a  sue  spese.  Amantissimo  di 
libertà,  corse  gravi  pericoli.  Dopo  le  catastrofi,  emigrò,  a  Genova 
ed  in  Piemonte  ;  e ,  fra  le  altre  cose ,  vi  pubblicò  la  prima 
traduzione  Italiana  dello  Intermezzo  dello  Heine,  ed,  a  Pineroio, 
una  versione  dei  Repubblicani  di  Napoli ,  romanzo  di  Adolfo 
Stahr:  poiché  egli  era  non  men  garbato  scrittore  Italiano,  che 
conoscitore  del  francese,  del  tedesco  e  dello  inglese.  Rimpatriato, 
nel  1860,  fu  Deputato,  del  Collegio  di  Gioja  del  Colle,  nella  Le- 
gislatura, che  proclamò  il  Regno  d*Italia;  imprese,  in  Napoli,  con 
Antonio  Ciccone  e  Stanislao  Gatti  (morto  Prefetto  di  Benevento) 
la  pubblicazione  di  una  Rivista  Napoletana;  e  potè,  finalmente, 
compiere  il  secondo  volume  de*  suoi  Cronisti  e  Scrittori  sincroni 
Napoletani.  Mori,  lasciando  desiderio  sommo  di  so,  negli  amici. 
Sua  sorella  era  moglie  di  Constabile  Carducci;  e  non  seppe,  mai, 
la  tragica  fine  del  marito,  assassinato,  a  tradimento,  dal  prete 
Peluso.  I  suoi  nipoti  mi  hanno  assicurato  di  non  possedere  al* 
cuna  delle  lettere,  scrittegli  dal  Poerio. 

(89)  Michelangelo  Parrilli,  avvocato,  del  quale  vedi  fatta  men* 
zione,  nelle  trigesimaquinta  di  queste  note.  Aveva  la  monoma- 
nia di  stampare  iscrizioni  latine,  con  la  versione  Italiana,  per 
ogni  avvenimento  pubblico  e  privato  di  qualche  importanza.  Ne 
riporteremo  le  due  seguenti,  che  ci  sono  capitate  fra  le  mani, 
concementi  fatti  del  1848: 


—  382  — 

FIDE  AC  VIRTUTIBUS   INNIXI 
TOTIUS  NEAPOLITANI  REGNI  CIVES 

PLUBiES  Regem  Ferdinandum  EXORAVERE 

AD  FORMAM    ItALAE  UNITATIS 

FOBDERIS  FACTUM  SPONTE   SECUM  INIRI 

INTER  MORAE   INDUQAS 

PROH  MIRUM 

OMNIPOTENS   LAEVA  INTONUIT 

ET  ILLICO  A  REGE  LUBENTE   ANIMO 

EXOPTATUM  PERENNE  FOEDUS 

INEFFABILI  OMNIUM  PLAUSU 

DIE  in,  KAL.  FEBR.  MDCCCXLVIII.  LARGITtM 

CONFICI  INTRA  DECEM  DIES  SANCITUM  EST. 

SCITOTB   ID   POSTERI  NAM  VESTRA  RES   AGITUR. 

M.  A.  Parrilli 

Devotionis  ergo  et  eoo  animo 
PATRI  AE  AC  REGI  DICAVIT. 

» 

PVERI  AC  IVVENES   VTRIVSQVE   SEXVS 

NVLLO   CONDITIONIS   DISCRIMINE 

NE  DVM  SENIO  CONFECTI  CIVES 

INNOCVA  HILARITATE  ìESTVANTES 

OB  PARTAM  DIVINITVS  ITALI  FOEDERIS  VNITATEM 

DIV  NOCTVQVE  PER  VRBEM  GRATES   AD   ìETERA  MITTVNT 

jo  Fernande  Rex  JO 

TIBI   PLAVDVNT   ITALAE  GENTES 

ET  PROPERE  QVI  IMPERANT  EIS 

MAGNANIMVM   lAM  TWM  /EMVLANTVR  EXEMPLVM 

SIC  REDEMPTiE   ItALIìE  FOEDVS   CONSTITVTVM 

FAVENTE  DEO 

SVB   VNICO   CRVCIS    VEXILLO 

FIAT   JEB.E  PERENNIVS  DVRATVRVM 

M.  A.  P. 

(90)  Per  quante  ricerche  abbìain  fatte,  ne'  giornali  del  tempo, 
per  quante  domande  abbiam  rivolte,  a  chi,  allora,  era  in  mezzo 
a^  trambusti,  nulla  abbiamo  potuto  sapere  di  determinato,  in- 
torno alla  insurrezione  monacale,  cui,  qui,  si  accenna. 


—  383  — 

(91)  Giovanni  Manna  fu,  allora,  Ministro  di  Finanza,  per  pochi 
giorni.  Uomo  profondo  nel  dritto  amministrativo,  del  quale  ha 
scritto  un  trattato  reputatissimo.  Fu,  poi,  ingenuo  inviato  a 
Vittorio  Eaimanuele,  insieme  con  Giacomo  de  Martino  (che  non 
era  ingenuo)  da  Francesco  II,  quando  questi,  troppo  tardi,  volle 
una  lega.  Senatore,  quindi,  del  Regno  dMtalia  e  Ministro  di 
Agricoltura  e  Commercio,  essendo  premorto  al  padre,  non  lasciò 
altra  eredità  se  non  lire  cento  di  assegno  mensile,  fattogli  dal 
padre,  appunto  in  occasione  del  suo  matrimonio.  Non  sempre 
avviene  cosi  degli  uomini,  che  sono  stati,  per  lunghi  anni,  im- 
piegati ed  hanno  esercitati  altissimi  uffici  ed  hanno  famiglia. 
Fu,  anche,  cultore  delle  belle  lettere;  ed  ho  ritrovato,  in  un  al- 
bum, di  proprietà  della  Signorina  Carolina  Just,  figliuola  del 
Console  Sassone  a  Napoli,  poi  maritata  Giordano,  Duchessa 
d' Orotino,  e  morta  da  lunghissima  pezza,  il  seguente  sonetto 
di  lui: 

Il  mio  ritratto 

Pensoso,  sempre,  e  non  irato,  mai; 

Pallido,  scarno  e  nell'andar  negletto; 

Di  rumor  schivo  e  taciturno  assai; 

La  calma  in  viso  e  non  la  calma  in  petto. 
Come  la  luce  1  mobili  suoi  rai 

Assidua  muta  di  uno  in  altro  aspetto, 

Tal,  sempre,  il  suo  pensiero,  or  tristi,  or  gai 

Sembianti  move,  or  uno  or  altro  affetto. 
Tra  speranza  e  timor  Palma  agitata 

Fugge  il  presente  e  l'avvenire  appella: 

D'altrui  scontento  e  di  so,  mai,  non  pago.  — - 
Ecco,  donna  gentil,  la  vera  immago 

Del  vate  ignoto,  eh'  or  teco  favella, 

Ferse  la  prima  e  l'ultima  fiata. 

1840,  25  Giugno 

(92)  Domenico  e  Gabriele  furono  figliuoli  di  Angelo  Abate- 
marco  da  Montesano  sulla  Marcellana  e  della  Giovanna  Tor- 
torella  da  Lagonegro,  dove  nacque  Domenico.  Angelo  emigrò, 
pe'fatti  del  1799;  onde  la  moglie  rimase  direttrice  dell'educazione 
de'  figliuoli.  Poi,  rimpatriato,  fu  magistrato  e  divenne  Giudice 


—  384  — 

d*  Appello.  Domenico  e  Gabriele  s*  addissero  al  foro.  Ma,  nel 
1821:  il  padre,  ch'era  stato  della  Giunta  di  Stìnto,  fu  destituito; 
ed  i  due  figliuoli,  emigrando,  passarono,  da  dieci  anni,  in  esi- 
lio, fra  Malta  (doTe  furono  amicissimi  del  Rossetti)  Parigi  (nel 
1822),  Firenze  e  Boma.  Rimpatriati,  nel  1830,  attesero  al  foro 
ed  alle  lettere.  Domenico,  nel  1848,  fu  nominato  Consigliere 
di  Cassazione  e  Pari  del  Regno.  Ma,  Tanno  dipoi,  venne  de- 
stituito. Nel  1860,  reintegrato  nella  Cassazione,  firmò  il  Pro- 
clama del  Plebiscito.  Nel  Gennaio  61,  fu  Consigliere  di  Stato 
in  Napoli;  e  rappresentò,  nel  1.^  Parlamento  Italiano,  il  Colle- 
gio di  Sala .  Soppresso ,  poi,  il  Consìglio  di  Stato  in  Napoli , 
tornò  alla  Cassazione,  finché  V  età  non  V  indusse  a  chiedere  il 
riposo.  Moriva,  il  Venerdì,,  29  Aprile  1872.  Fu  uomo  colto  nel 
le  lettere  e  faceto.  Ci  trovammo  seco,  compagni  di  viaggio  ma- 
rittimo, quando  egli  si  recava  al  Parlamento,  in  Torino;  e  ri- 
cordiamo, come,  travagliatissimo  dal  mal  di  mare  e  dovendo 
pur  cedere  a*conati  del  vomito,  dicesse,  sorridendo,  neirafifer- 
rar  Torinale:  —  «  se  é  bello  morir  per  la  patria,  sarà  bello,  an- 
€  che ,  il  vomitar  per  essa.  >  —  Gabriele  fu  Direttore  dell'In- 
terno (Coadjutore)  nel  Ministero  del  3  Aprile  1848.  Rimase  in 
utficio,  sino  al  7  Settembre  1848.  Moriva,  il  28  Marzo  18...,  nel- 
Tetà  di  anni  settantacinque.  Uno  de*  figliuoli  di  Domenico,  a 
nome  Angelo,  è,  ora,  consiglier  di  Cassazione,  a  Napoli;  un  altro, 
Carlo ,  esercita  V  avvocheria.  E  le  cose  son  cosi  ben  congegnate 
in  Italia,  che,  senz' alcun  dubbio,  i  guadagni. dell' avvocato  su- 
perano d' assai  lo  stipendio  del  magistrato. 

(93)  Federigo  Golia  di  Aversa,  fu  pittore;  stette  in  carcere, 
per  motivi  politici;  mori,  a  Ginevra.  Suo  fratello.  Cesare,  riusci, 
sventuratamente,  ad  insediarsi,  nel  Collegio  Elettorale  di  Aversa, 
invece  di  Francesco  Strongoli-Pignatelli;  e,  sventuratamente,  è, 
anche  adesso.  Deputato  della  2.'^  Circoscrizione  di  Caserta. 

(94)  Camillo  Campana  era  nipote  del  Console  Napoletano  a 
Venezia,  Altro  non  sapremmo  dirne. 

(95) Una  formale  dichiarazione  di  guerra,  all'Austria, non  ebbe, 
mai,  luogo  :  salvo  che  non  si  voglia  considerar,  come  tale,  il 
Proclama  di  Re  Ferdinando  a'  suoi  popoli,  del  7  Aprile. 

96)  La  vedova  del  Duca  della  Torre,  bruciato  vivo  da'  laz- 
zari, nel  1799,  Duchessa  ereditiera  di  Cutrofìano,  sposò,  in  se- 
conde nozze,  D.  Pietro  d'Aragon,  Conte  di  Fitou,  Uffiziale  di 
Marina,  francese  di  origine,  al  quale  portò  ricchezze  molte  e 


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titoli  assai.  Un  loro  figliuolo,  Giovanni,  fu  ucciso,  in  duello, 
verso  il  1831;  Gr.etano,  primogenito,  fu  principe  di  Squinzano; 
il  terzo,  Raffaele,  è  quello,  di  cui,  qui,  si  parla,  che,  nel  1848, 
si  trovava  colonnello  del  1®  Dragoni.  Egli  proveniva  dalla  Pag- 
goria;  e  fu  nominato  ,  come  di  diritto,  Alfiere,  al  reggimento 
Gavalleggierì-Guardia.  Ma  (scopertasi  una  sua  lettera  a  quel- 
la Principessa  Cristina,  che  doveva,  poi,  immortalarsi  in  Ispa- 
gna  e  che,  già,  faceva  prodezze  in  Napoli,  gittando,  alla  villa, 
fiori,  a'vagheggiator),  e  facendo  lor  cenno,  in  teatro,  dal  pal- 
chetto, che  il  padre  le  aveà  date  le  busse)  per  castigo,  fu  man- 
dato nella  Gendarmeria  a  cavallo,  in  Calabria;  e  vi  rimase,  fin- 
ché la  Cristina  non  fu  maritata  e  Francesco  I  morto.  In  Ca- 
labria ,  trattò  per  la  presentazione  di  nove  briganti,  che  ven- 
nero, co'  salva-condotto,  in  casa  sua.  Ma,  non  essendosi  con- 
chiuso r  accordo  ,    il  Ministro  Intontì  avrebbe  voluto ,  eh'  egli 
profittasse  dell'  occasione  e   sostenesse   que'  briganti  r    voleva , 
insomma,  rinnovare  l'infamia  commessa,  nel  1818,  dal  gene- 
rale Amato,  contro  i  Vardarelli  (Vedi  Colletta,  L.  Vili).  Di 
tanta  slealtà  il  Cutrofiauo  ricusò  macchiarsi;  anzi,  con  passa- 
porti e  danari,  facilitò  loro  l'uscir  dal  Regno.  Nel  1848,  qu  in- 
do il  Pepe,  richiamato  a  Napoli,  dopo  aver  ceduto,  in  Bologna, 
il  comando  allo  Statella,  (che,  per  l'effervescenza  popolare,  non 
osò  ordinare  la  ritirata)  l'ebbe,  poi,  ripreso  ed  ordinato  il  pas-   ' 
saggio  del  Po,  il  Ritucci  obbedì  co' suoi  cacciatori  ed  il  Cutrofia- 
no  si  preparava  ad  obbedire  ed  avea  dato  gli  ordini;  ma  uffiziali  e 
sott'  uffiziali  gli  rubaron  la  bandiera,  lo  fischiarono,  lo  sprio- 
rarono,  ed  impresero,  per  conto  loro,  il  ritorno  a  Napoli.  Tornò 
anch'egli,  a  Napoli,  per  conto  suo;  ed  accusò,  al  Re,  di  ribellione    -■ 
e  diserzione  il  suo  Reggimento.  11  Re  gli  die  ragione,  a  parole;    - 
ma  lo  mise  alla  4*  classe.  Nella  quale  stette,  finché  il  Filan-   i 
gieri  noi  volle  seco  in  Sicilia  ,    dove   ebbe  un   cavallo    ucciso 
sotto.  Fu,  quindi, Colonnello  Comandante  de'  Carabinieri  a  caval- 
lo, che  erano  gli  antichi  Gendarmi  scelti;  ed,  in  seguito.  Generale 
di  Brigata.  Nel  1861,  non  fu  compreso  nella  capitolazione  di 
Gaeta,  trovandosi  spedito  in  missione  diplomatica  a  Pietroburgo. 
Mori,  a  Londra,  verso  il  1868.  Ebbe,  per  moglie,  una  Madama . 
d'  Argy,  sorella  del  famigerato^Colonnello  de'  Zuavi  Pontifici. 
Molto  vagheggiata  dallo  scultore  Tito  Angelini,  che  affermava 
aver  dovuto  alla  sua  protezione  di  sfuggire  a  non  so  quali  per 
secuzioui  della  polizia.  Costei,  come  narra  Piersìlvestro  Leo- 

25 


—  386  — 

pardi,  dopo  il  15  Maggio,  scriveva  al  marito:  —  a  Non  isp erate, 
«  che  io  vi  accolga,  più  mai,  nelle  mie  braccia,  se,  prima,  non 
«  avrete  lavato,  col  sangue  de'nemici  d'Italia,  le  turpitudini,  di 
«  cui  si  sono  macchiate  le  truppe  napolitano  e,  più  ancora,  le 
«  svizzere.  »  —  Bello  quel  marito,  che  mostra  simili  lettere,  che 
sollevano  le  cortine  dell'alcova!  Certo  è,  che  il  Cutrofiano  tornò, 
a  Napoli,  senza  aver  nulla  lavato,  in  nessun  sangue.  Chi  sa,  se 
la  moglie  avrà  tenuto  parola? 

(97)  Questo  Caracciolo  di  Turchiarulo,  sendo  stato  nominato 
Tenente-Colonnello,  andò  (com'era,  allora,  d'uso  e  prammatica)  a 
ringraziare  il  Re,  che  gli  disse:  T*haggio  puosto  a  cavallo  ^ncoppa 
alli  mole.  Era  fratello  di  Paolo  Caracciolo  di  Turchiarulo,  San- 
fedista acerrimo,  comandante  delle  Guardie  del  Corpo  a  caval- 
lo, e  celebre  pe'molti  suoi  spropositi,  come  quando  annunziava 
prossima  la  venuta  della  flotta  svìzzera,  in  ajuto  del  Re. 

(98)  Il  colonnello  Andrea  Ferrari,  del  Napoletano,  era  stato 
fatto  generale  e  Comandante  le  guardie  Civiche  romano  ed  i 
volontari  mobilizzati,  cioè: 

1.*  Legione  Romana.  —  Colonnello:  Natale  del  Grande  (che 
fu  ucciso,  a  Vicenza,  il  10  Giugno  1848,  e  surrogato  da  quel 
Bartolomeo  Galletti ,  celebre  per  tanti  motivi  ed,  anche  ,  per 
un  volume,  intitolato:  Il  Giro  del  mondo  |  colla  Ristori  |  Note 
di  Yiaggio  \  del  Generale  \  Bartolomeo  Galletti \\  i?  ma  \  Tipo^ 
grafia  del  Popolo  Romano  \  Via  delle  Colonnette,  23  \  i876.) 

2.*  Legione  Romana.  —  Colonnello:  Marchese  Filippo  Pa- 
trizi. Questa  legione  si  sbandò,  dopo  il  fatto  di  CornuJa  ;  e 
qualche  avanzo  fu  incorporato  nella  terza. 

3.*  Legione  Romana.  —  Colonnello:  Giuseppe  Gallieno.  I 
militi,  dopo  il  combattimento  di  Vicenza,  rimpatriarono. 

4.*  Legione  Romana.  —  Colonnello:  Conte  Luigi  Pianciani. 

Battaglione  Universitario.  —  Colonnello:  Angelo  Tittoni,  che 
si  ritirò,  dopo  il  fatto  di  Vicenza;  e  fu  sostituito  dal  Maggiore 
Ceccarini. 

1.°  Reggimento  volontari.  —  Colonnello:  Duca  D.  Filippo 
Lante  Montefeltro. 

2.°  Reggimento  volontari.  —  Colonnello:  Cavaliere  Luigi 
JBartolucci. 

Artiglieria  cìvica  romana. — Capitano:  Federico  Torre  (ora, 
luogotenente  generale;  uomo  egregio). 

Comandante  in  capo  del  corpo  di  operazione  e  della  Di- 


—  387  — 

visione  di  linea  romana  era  il  Generale  Giovanni  Durando,  Pie- 
montese. 

(99)  Ernesto  Capocci  (nato  a  Picinisco,  il  27  Marzo  1798,  mop- 
to,  a  Napoli,  Senator  del  Regno,  il  6  Gennyjo  1864)  astronomo 
insigne,  ebbe,  dairAlmerinda  Farina,  figliuola  di  un  Consigliere 
di  Cassazione,  numerosa  prole:  ma,  nel  1848,  soli  quattro  figliuo- 
li erano  in  età  di  portar  le  armi:  Stenore,  Oscar,  Teucro  e 
Dermino.  Stenore  (ora  Impiegato  di  Casa  Reale,  a  Firenze)  e 
Dtìrmino(Gia  Consigliere  Delegato,  alla  Prefettura  di  Pisa)  par- 
tirono, con  la  Belgiojoso  (cara  gioia!)  sul  vapore  il  Virffilio^iì 
29  Marzo  1848.  Stenore  andò,  poi,  a  Venezia  e,  promosso  ser- 
gente, fu  tra  gli  ultimi  a  lasciar  Malghera,  nella  notte  del  26  al 
27  Maggio  1849.  Oscar  (ora.  Professore  airUniversità  di  Napoli) 
parti,  due  giorni  dopo,  sul  Lombardo,  per  raggiungerli.  Teu- 
cro, (che,  per  avere  già,  cosi  giovane  com'era,  calcolata  l'orbita 
di  una  cometa,  fu  nominato,  da  Gioberti,  nel  Primato  come 
esempio  di  virtii  d' ingegno  ereditaria)  si  arrolò  ne'  Dragoni  di 
Cutrofiano  (e  non  già  ne'  Lancieri,  come,  erroneamente,  seri  re 
il  Poerio).  Quando  ebbe  luogo  la  vergognosa  ritirata  de'  Napo- 
litani, egli  passò  il  Po,  con  un  Diaz,  Luogotenente  di  Cavalleria; 
e  segui  il  Pepe.  Fu  ferito,  a  Venezia,  il  25  Giugno  1849.  Nel 
lb66,  fu  Ufficiale  de'  volontari,  nel  Tirolo.  Nel  1878,  era,  in  Na- 
poli, Direttore  dell'Ufficio  di  Pesi  e  Misure;  ed  andava,  a  pòco 
a  poco,  perdendo  la  vista.  Il  22  Maggio,  poco  prima  del  mezzodì, 
entrò  nel  Caffè  di  Napoli,  dov'era  cognitissimo;  e  chiese,  al  pro- 
prietario, cinquanta  lire,  per  poche  ore.  Comprò,  quindi,  una  pi- 
stola a  sei  colpi;  sali  in  una  carrozzella;  e  disse,  al  cocchiere,  di 
condurlo  a  Fuorigrotta;  ma,  a  metà  della  Grotta  di  Posillipo, 
si  uccise  con  due  rivoltellate.  In  una  lotterà  pel  fratello  Oscar, 
che  gli  si  trovò  indosso,  dichiarava  di  aver  preso  le  cinquanta  lire, 
perchè  aveva  dimenticati,  a  casa,  i  suoi  denari.  Ma  torniamo 
al  1848,  quando  Ernesto  Capocci  era  Deputato   ed  i  suoi  fi- 
gliuoli giovanetti.  Dunque,  quattro  fratelli  in  età  di  portar  ar- 
mi e,  tutti  e  quattro,  in  guerra,  volontari!  E  parve,  a  loro  ed  a 
tutti,  cosa  naturalissima;  e  che  facessero  il  dover  loro,  come 
molti  altri.  Se  non  morirono,  non  fu  colpa  loro.  Dovevamo  ve- 
der, poi,  menar  grande  scalpore,  da  alcuni  ciarlatani  politici, 
come  di  cosa  eroica,  singolare,  unica,  che,  in  una  famiglia,  ci 
fossero  stati  tre  o  quattro  volontari;  ed  eternar,  con  monumenti, 


—  388  — 

la  memoria  del  fatto  l  E  si  !  che  si  trattava  di  buaccioli ,  e  non 
già  di  giovani  intelligenti  e  colti,  come  i  Capocci. 

(100)  Federico  della  Valle  di  Casanova,  condotto  ad  arrolar- 
si  ne'  dragoni,  insieme  col  Capocci,  da  Ferdinando  Carafa,  (ora, 
duca  d'Andria,  nipote  del  Cutrofiano.)  Questo  Federico  era  frar 
tello  di  queir  Alfonso,  che  ha  lasciato  cara  memoria  di  sé,  in 
Napoli,  per  le  cure  spese  negli  Asili  Infantili  ed  il  danaro  le- 
gato loro:  ned  il  zelo  imprudente  di  chi  ne  ha  pubblicati  due 
volumi  di  scritti,  immeritevolissimi  della  luce,  ha  potuto  ren- 
derlo  ridicolo.  Sì   copron  d'  un  oblio  pudico  le  sguajataggini, 
eh'  egli  schiccherò ,  e  se  ne  ricorda  la  carità.  Federico  fece , 
poi,  un  ricco  matrimonio;  e  stette  quasi  sempre  e  sta  nell'Alta 
Italia.  Fu,  per  breve  tempo.  Colonnello  Ispettore  della  Guardia 
Nazionale  nella  provincia  di  Benevento,  quando  lo  Spaventa  era 
segretario  generale  degl'Interni,  nel  primo  ministero  Minghetti. 
Volle,  quindi,  porre  la  sua  candidatura  nel  Collegio  di  Monte- 
sarchio;  ma  non  entrò  neppure  in  ballottaggio. 

(101)  Di  questo  Claudio  Talva,  Commissario  Ordinatore  (sus- 
sistenza, alloggi  ecc.)  nulla  ho  potuto  appurare, 

(102)  Il  Tenente  Francesco  Angellotti,  Vito  Romano  e  Cesare 
Rossaroll ,  caporali  nel  2.°  Reggimento  delle  Guardie,  ordirono 
una  congiura,  per  togliere  dal  mondo  Ferdinando  Ily  il  quale^  fa- 
cendo sperare  liberali  istituzioni ,  avea  impedito  la  rivolta  del 
1831;  e,  poi,  avea  dato  il  paese  in  mano  allo  sterminatore  del  Ci- 
lento. Denunziati  dal  porta-stendardo  Paoletti,  che  si  era  infinto 
di  voler  partecipare  all'opera  nefanda,  il  Romano  ed  il  Ros- 
saroll furon  sorpresi,  nel  Quartiere  del  Ponte  della  Maddalena, 
mentre  si  preparavano  al  regicidio.  I  due  risolvettero  di  ucci- 
dersi. E  la  pistolettata,  preparata  dal  Rossaroll  pel  Re,  spense, 
difatti,  il  Romano.  Ma,  dalla  pistolettata  di  lui,  il  Rossaroll  ri- 
mase solo  ferito;  e,  quindi,  indicò,  come  complici,  molti  altri, 
fra  i  quali  tre  suoi  fratelli  ,  caporali  anch'  essi,  e  gli  ufficiali 
di  Artiglieria  Antonio  e  Girolamo  UUoa,  Due  de'  fratelli  eb- 
bero il  consta  che  non;  un  altro  ed  i  due  UUoa,  il  non  consta;  fu- 
ron condannati  alla  forca  l'Angellotti  ed  il  Rossaroll:  e,  certo, 
se  la  meritavano.  Andando  il  Rossaroll  al  patibolo,  scalzo,  come 
parricida,  diceva:  Emo\^sto  catarro, pecche  me  Vhaggioapiglià'f 
Graziato  all'ergastolo  e,  poi,  liberalo,  nel  1848,  dovendo  partire 
come  capitano  ajutante  maggiore  di  un  battaglione  di  volonta- 
ri, per  la  Lombardia,  ed  essendo  ito  a  ringraziare  il  Re,  per 


^  889  — 

la  grazia,  questi  gli  disse:    Rossaroll^  mi  raccomando;  que - 
ste  sono  reclute;  bada  tu  ali* onore  del  tosone/ Ed  il  Rossa* 
roll ,  tomo  tomo,  gli  rispose  :   Vostra  Maestà  sa^  che  io  ho,  sem- 
pre^ fatto  il  mio  dovere  !  —  Il  Rossaroll  prese  parte  al  combat- 
timento di  Curtatone  e  Montanara,  dove  rimase  ferito;  si  recò, 
poi,  a  Venezia,  e  vi  mostrò,  sempre,  un  così  matto  coraggio, 
che  Guglielmo  Pepe  il  soprannominò  V Argante  della  laguna.  E, 
pel  suo  temerario  coraggio,  rimase  ucciso,  il  27  Giugno  1849. 
Era  uomo  religiosissimo,  devotissimo;  praticava,  assiduamente, 
i  Sacramenti  :  ma,  essendo  di  poca  coltura  e  levatura,  per  lui 
stava,  che  la  religione  non  vieti,  anzi  comandi  il  tirannicidio: 
per  la  fé,  per  la  patria,  il  tutto  lice.  Or  che  giovò  la  sua  congiu- 
ra ?  Ferdinando  II,  venuto  al  trono  con  non  cattive  intenzioni, 
fu  atterrito  dalle  riforme,  dalle  congiure  di  Frate  Angelo  Pelu- 
80,  e,  spedala. ente,  da  quella  del  Bossaroll.  E,  chi  ben  guarda, 
tutto  sommato,  la  figura  bella  non  la  fa  il  caporale,  che  vole- 
va assassinare  il  Re,  usurpando  le  funzioni  di  accusatore,  di  giu- 
dice e  di  esecutore,  e  che,  malgrado  V  animo  ben  temprato,  si 
avvilisce,  si  abbioscia  e  denuncia  a  drittaed  a  manca:  ma  bene 
il  Re,  che  risparmia  la  vita  del  caporale,  giustamente  condan- 
nato. Ma  lo  sgoverno  borbonico  era  tale,  da  far  parere,  anche 
a  galantuomini  e  valentuomini,  legittimi  e  lodevoli  i  tentativi 
di  Rossaroll  e  de*  Melano. 

(103)  Sembra  alludere,  alla  seguente  corrispondenza,  in  data 
di  Ancona,  6  Maggio,  pubblicata,  nel  Contemporanjso,  di  Martedì, 
9  Maggio,  1848:  — «  Trovansi,  in  questo  momento,  in  questo 
«porto,  quattro  fregate  a  vapore  napolitano,  il  Carlo  III,  il 

<  Sannita,  il  Guiscardo,  la  fregata  il  Ruggiero,  il  Robeì^to,  col 
«barone  Raffaele  de  Cosa,  brigadiere  Comandante  superiore. 
«  Sono,  inoltre,  giunti:  il  brick  PHncipe  Carlo  di  venti  cannoni; 
«  la  fregata  Isabella^  di  quarantaquattro;  e  la  Regina  di  ses- 
«  santa.  Questi  legni  portarono  un  battaglione  di  volontari , 
«  il  reggimento  del  1.^  e  del  12.^  di  Linea,  un  battaglione  di 
«  cacciatori,  un  battaglione  del  5.°  di  linea,  una  compagnia  di 
«  Zappatori  e  minatori;  in  tutto,  un  corpo  di  armata  di  circa  5000 
«  uomini.  Inoltre,  giunse,  per  la  via  di  terra,  il  treno  di  artiglie- 
«  ria,  composto  di  sei  cannoni  e  due  obici ,  con  una  quantità  di 
«  munizioni.  Una  deputazione  veneta,  è  giunta,  per  chiedere,  che 
«  questa  truppa  vada,  direttamente  e  subito,  a  Venezia,  ove  son 

<  necessari  i  soccorsi.  Dicesi,  che,  in  seguito  di  ciò,  il  comandante 


—  390  — 

<  abbia  spedito  una  staffetta,  a  Napoli,  per  istruzioni.  In  tanto,  una 

<  parte  della  truppa  è,  già,  partita  per  la  Lombardia;  e  Taltra  sta 
€  per  prendere  la  stessa  direzione  ». —  Ma,  o  la  scrittrice  ha  pre- 
so un  equivoco,  o  ,  forse  ,  alludeva  a  qualche  altro  artìcolo  ,  che 
chi  ci  ha  favorito  non  ha  saputo  ritrovare,  nel  Contemporaneo: 
giacché  il  Pepe  non  vi  giunse  se  non  V8  maggio,  nò  di  lui  e  del 
suo  arrivo  si  fa  parola,  in  questo  articoletto. 

(104)  Dice  il  Settembrini  :  —  «  Si  pensò ,  lungamente,  dove  al- 
€  legare  le  due  Camere  del  Parlamentofe,  dopo  molte  discas- 
€  sioni,  si  stabili  di  allogarle,  neirUniversità:  la  Camera  de*  De- 
€  putati,  nella  gran  sala  del  Museo  Mineralogico;  e  la  Camera 
«  de*  Pari,  nella  gran  sala  della  Biblioteca.  Io  mi  feci,  come  un 
€  serpente  :  Ma  cotesto  significa  chiudere  V  Università/  ma  chie~ 
€  se  e  conventi  non  ce  ne  sono  ?  Ma  non  avete  la  immensa  isola 
€  dei  Gesuiti,  dove  fu  il  Parlamento,  nel  1820,  e  dove  ce  ne  poS" 
€  sono  stare  dieci,  'non  utw  ?  Ma  i  nostri  antichi  e  tutti  gì  Ita- 
€  liani  non  tenevano,  nelle  Chiese,  i  loro  Parlamenti?  Chiudere, 
€  con  tavole,  gli  scaffali,  dove  sono  i  minerali,  ù,  certamente^  un 
4L  danno:  pure,  i  minerali  non  si  guastano.  Mai  libri,  ma  tanti 
€  preziosi  libri,  seppellirli,  così,  è  distmf/gerli,certamente.lo  ripe- 
€  tevo  queste  cose,  nella  sala  della  Biblioteca,  airArchitetto,  che 
€  dirigeva  i  lavori  e  che,  levando  le  spalle ,  mi  disse  queste  pro*- 
«  prie  parole  :  È  provvisorio!  Non  dura  molto!  Ognuno  lo  capp- 

€  sce\ Ed  era  vero,  pur  troppo:  questo  ci  era,  nella  coscienza 

«  della  moltitudine».  — 

(105)  Non  sappiamo,  se  il  Troya  giungesse  a  terminare  que- 
sto discorso,  che  non  fu  pronunziato.  Sarebbe  curioso  a  leg- 
gere. 

(106)  Di  questo  dispaccio  del  Governo  Provvisorio  della  Re- 
pubblica Veneta,  non  ho  trovato  la  copia,  che,  qui,  si  dice. 

(107)  Gaspare  Musto  combattè,  con  valore,  in  Grecia  (vedi  a 
pag.  55  del  pr.  volume).  Ed,  essendo,  poi,  tornato  a  Napoli,  andò, 
una  sera,  in  teatro,  con  Tuni forme  di  ufficiale  greco.  Il  Re  volle 
sapere  chi  fosse;  e  gli  fece  offrire  di  entrare  nell*  esercito  napole- 
tano. Era  capitano  fonditore,  nelFartiglieria.  L'ho  conosciuto 
nel  1850.  Abitava,  in  una  villa,  celebre,  perchè,  già,  ditnora  del 
Byron,  ad  Alvaro,  presso  Genova,  insieme  con  Domenico  Car- 
dente  e  con  alcuni  ufficiali  napolitani,  stati  alle  difese  di  Venezia 
0  di  Roma;  i  due  Mezzacapo ,  Camillo  Boldoni,  il  Virgilio,  ecc. 
Aveva,  per  moglie,  la  vedova  di  un  generale,  (se  non  erro,  di  un 


—  391  — 

general  francese),  che,  rimasta  in  Napoli,  andava ,  sempre ,  a 
piangere  miserie  col  Filangieri  e  col  Re.  Il  Re  le  fece  un  asse- 
gno; e,  poi,  permise  il  rimpatrio  del  marito  ,  che,  però,  non  fu 
riammesso  nell'  esercito,  e  si  vide  precluso  Tavvenire  brillante  , 
che,  senza  dubbio,  gli  sarebbe  spettato,  nel  Rtìgno  dMtulia.  Nella 
Cronaca  di  Carlo  Lwoni,  (Vedi  la  155/'*  di  queste  notule  )  si 
parla  di  lui,  ma  il  nome  ò  storpiato  in  Morti. 

(108)  Cario  Mezzacapo,  che,  poi,  nel  R'.»gno  d' Italia  ò  divenuto 
Luogotenente  Generale  e  Senatore  del  Regno ,  (come  pure  il 
fratello  Luigi,  che  per  giunta  ò  stato  Ministro,)  e  cui,  ora.  i  gior- 
nali danno  dfl  Conte.  I  due  Me/zacapo  furono  i  soli  emigrati,  in 
Piemonte,  che  propendessero  pel  Murattismo.  11  che  si  spiega, 
per  essere  Luigi  cognato  di  queir  Aurelio  Saliceti;  prima,  servi- 
tore de'Borboni;  poi,  ìuì\  48,  Ministro  ultra- liberale,  e  non  ulti- 
ma cagione,  c»)n  le  sue  improvvide  avventatezze  e  con  la  in- 
teozion  dichiarata  di  svolgere  la  costituzione,  prima  ancora,  che 
entrasse  in  atto  e  senza  il  concorso  delle  Camere  (atto  inco- 
stituzionale in  primo  grado  !),  delle  catastrofi  napoletane;  quin- 
di, triumviro  della  Re[)ubblica  Romana,  col  Mazzini  :  il  quale, 
venuto  a  Genova,  si  era  rasa  la  barba  ed  avea  chiesto  al  Go- 
verno sardo  un  ufficio  diplomatico;  rispostogli,  aspettaase  alcun 
po\  essere  troppo  recenti  i  fatti  di  Rorna^  si  fé' ricresce  re  la  bar- 
ba e  ridivenne  repubblicano;  e,  da  ultimo,  era  diventato,  a  Pa- 
rigi, famigliare  e  lancia  spezzata  di  Luciano  Murat.  Carlo  Mez- 
zacapo  ha  fama  di  ulRciale  dotto. 

(109)  La  formola  del  giuramento  fu,  difatti,  la  quistione,  per 
cui  avvennero  dissensi:  fra  la  Camera,  non  ancora  legalmente  co- 
stituita e,(|uindi,  illegalmente  adunata;  ed  il  Governo.  Questi  dis- 
sensi serviron  di  pretesto  a  quelle  barricate,  per  conseguenza 
delle  quali  scoppiò  il  conflitto  sanguinoso  del  15  maggio  1848. 

(110)  Questa  lettera  al  Troya  p.<ir  che  più  non  esista,  come 
tante  altre.  Di  quelle  ,  che  il  Poerio   gli  mandò,   da  Venezia, 
sembra  essere  avanzata,  solo,  V  altra  del  20  Maggio.  Fra  quelle, 
che  la  Vedova  ha  regalate  alla  Biblioteca  Nazionale  di  Napoli  , 
nessuna  è  del  1848. 

(Ili)  In  qud' momenti,  non  ò  da  stupire  se  penino  un  Carlo 
Poerio  perdesse  le  staffe.  Tutti,  più  o  meno,  erano  spostati.  Certo, 
r  incapacità  del  Ministero  Troya  fu  somma:  ma  si  può  essere  in> 
capacissimo,  neir  amministrare  e  nel  reggere  uno  stato,  mas- 


—  392  — 

aime  in  tempo  di  rivoluzione,  senza  meritiir,  per  questo,  l'epiteto 
di  mhcrabUc,  Quantunque  io  non  voglia  negar  essere  tra  le 
colpe  più  gravi  lo  stender  la  mano  al  potere,  quando  nc»n  si 
ha  forza  e  sapienza. 

(112)  Un  certo  D.  Martino  Cafiero,  oscura  persona,  verbosa 
nullità, che  stava,  sempre,  in  mezzo  a'iiberali,  facendo  chiacchie- 
re e  portando  notizie. 

(113)  Carlo  Poerio  si  ricoverò  in  casa  di  Florestano  Pepe.  Ma 
l' Imbriani  non  si  allontanò  pmito  dalla  casa  propria  (vico  Belle 
Donne  a  Chiaja  ,  palazzo  Anfora  di  Lirignano). — Uopo  essere 
stato  nella  Reggia  ,  dove  erasi  recato  in  deputazione  ,  durante  |il 
tempo  del  confitto,  fu,  a  sera,  accompagnato,  sino  a  casa ,  dal 
Generale  Raffaele  Carascosa,  il  quale  abitava  nello  stesso  pa- 
lazzo e  che  fu  de*  Ministri  della  dimane.  (Vedi  la  116.*  di  que- 
ste notule). 

(114)  Fraucesco-Paolo  Bozzelli  aveva  conseguita  gran  fama, 
non  tanto  pe'  suoi  leggiadri  versi,  quanto  per  gli  scritti  filosofici 
(era  un  sensista)  e  letterari  (specie  jìe'  tre  volumi  Bplla  Imita^ 
zione  tragica)^  per  lo  splendido  esercizio  dell'Avvocheria,  per  lun- 
go esilio  e  dura  povertà,  magnanimamente  sostenuti.  Quando  fu 
chiamato,  dapprima,  al  Ministero, da  Re  Ferdinando  ed  incaricato 
di  formolare  una  costituzione,  parve,  a  tutti  i  buoni ,  che  fosse 
stato  trascelto  T  ottimo.  Ma  ,  come  avn-bbo  dovuto  prevedersi  , 
(giacché,  di  rado,  avviene,  che,  da  un  avvocato  sessagenario,  sfar- 
falli, ad  un  tratto,  un  legislatore  ed  un  amministratore)  si  mostrò 
incapacissimo.  Rimase ,  inoltre  ,  offuscato  dalla  grazia  regia  e, 
non  volendo  piìi  soffrire  le  passate  miserie,  pensò  di  mettersi  dal 
lato  del  manico  della  scopa  ,  quando  si  trattò  di  spazzare.  Fu 
adoperato,  finché  parve  necessario;  e,  poi,  buttato  da  canto;  ma 
con  una  pingue  pensione,  che  lo  consolò  della  fama  perduta. 

(115)  —  «Gennaro Spinelli, principe  di  Cariati,  vecchio uffiziale 
€  di  Murat,  diplomatico  del  1820  e  uomo  di  maniere  affabili  e 
«  cortesissime,  un  cavaliere  compito,  un  vero  gentiluomo,  un 
«  accompìished  gentleman^  come  direbbero  gì*  inglesi.  Non  sorti 
«  dalla  natura  grande  intelletto;  ma  non  difetta  di  quella  sup- 
«  pellettile  di  astuzie  e  di  piccole  scaltrezze,  che  soleva  fare  il 
«  pregio  de*  diplomatici  della  scuola  di  Talleyrand.  Egli  posale- 
€  de  il  requisito,  in  tanto  pregio  tenuto  da  cotesti  diplomatici , 
«  di  parlar  molto,  senza  dir  niente;  e  di  farvi  credere  di  avere 
«  risposto  alle  vostre  interrogazioni,  senza  avere,  in  realtà,  ri- 


—  393  — 

«sposto  hulla.  Sceltico  ìq  tutto  e,  segnatamonte,  la  politica , 
«  con  le  labbra,  sempre,  composte  a  sorriso,  gentile  (nel  tempo 
«  stesso)  e  maliziosamente  beffardo,  lo  direste  il  tipo  della  mol- 
«  lezza  Napoletana,  il  modello  della  indolenza.  >  —  Così,  il  Mas- 
sari. —  Il  principe  di  Cariati  avea  fatto  parte  del  Ministero  del  6 
Marzo.  Egli  mori  pazzo;  ed  avendo,  una  volta,  incontrato  Ferdi- 
nando II,  gli  stese  contro  la  mano,  dicendogli:  Tu  ni*  hai  tradì' 
«  to/  M'hai  fatto  credere  di  esse^^e  un  galantuomo J  Ed  io  ti  ho 
«  secondato;  ed,  ora,  mi  trovo  disonorato,  per  te.  Nel  1820,  di- 
plomatico a  Vienna,  conferendo  col  Duca  di  Portella  [Metter- 
nich],  vedendo  questi  accavalciar  le  gambe,  ed  egli  alzò  le  sue  t 
le  appoggiò  al  davanzale  del  caminetto,  come  per  meglio  scaldarsi. 
Il  Metternich,  sorpreso,  disaccavalcìò  le  gambe;  ed  il  Cariati^  subi- 
to, rimisele  sue  sul  pavimento  e  si  ripose  a  sedere,  con  decenza.  E, 
cosi,  fece,  più  volte;  non  tollerando,  nel  Metternich,  l'oltraggiosa 
disinvoltura  e  sprezzante,  che  gli  era  solita. 

(116)  Raffaele  Carrascosa,  fratello  di  quel  Michele  C.arrascosa, 
che  tanto  male  si  condusse,  nel  1814  e  nel  1821.  Anche  il  Carra* 
scosa,  forse,  non  credette,  almeno  sul  principio,  che  il  Re  avesse 
intenzione  di  spergiurare;  né  si  accorgeva  della  gravità  degli  atti 
quotidiani.  Era  un  militaraccio  ignorante:  onde  può,  fino  ad  un 
certo  punto,  valer,  per  luì,  questa  scusa,  inammessibile  pel  Rug- 
giero (vedi  la  quadragesimaprima  di  queste  notule).  Quando  se 
ne  accorse,  volle  ritirarsi.  Ma,  il  Re  non  gliel  permise,  dicendogli: 
Se  occort^eyCe  ne  andremo  insieme.  Prevedeva  un  naufragio;  e  non 
voleva,  che,  nel  giorno  del  rcdderationem,  alcuno  de'  suoi  stru- 
menti potesse  svincolarsi  da  lui,  per  salvarsi.  Ed  il  Carrascosa 
non  era  di  quegli  eroi,  che,  pertinacemente,  fanno  getto,  anche, 
d'uD  portafogli  e  della  grazia  sovrana,  per  ossequio  al  dovere. 

(117)  Bisogna  riconoscere,  che,  dopo  gli  eccessi  avvenuti  il  15 
Maggio,  la  plebe,  i  lazzari  non  ne  commisero  altri.  Gli  abbienti, 
memori  del  1799,  temevano,  che  si  rinnovassero  tutti  i  guai  di  al  • 
lora:  ma,  cosi,  non  fu. 

(11<^)  Cioè,  le  famiglie  Poerio,  Imbriani  e  Parrilli.  La  tranquil- 
lità, goduta,  generalmente,  nella  capitale,  da  tutte  le  famiglia 
pili  invise,  certo,  a* realisti,  mostra,  come  gli  eccessi  parziali  non 
fossero  comandati  e  regolati  dall'alto. 

(119)  Certo,  gli  Svizzeri,  8opratntto,  e  parta  dalla  milv 
litane  si  condussero,  in  modo  feroce  e  brutale;  oarto|< 
il  saccheggio  non  sono  da  Bcnaara,  mai!  Ma  non 


■■* 


—  394  — 

disconoscere,  che  sono  conseguenze  necessarie  delle  guerre  ci- 
vili. Quindi,  rei  veri  non  chiamo  coloro,  che,  materialmente,  uc- 
cidono, abbruciano  e  saccheggiano;  bensì,  quelli,  che  han  reso 
inevitabile  il  conflitto.  I  veri  colpevoli  de'  guai  di  Napoli  furono 
gli  sciagurati  (come  i  La  Cecilia)  e  gli  sciocchi  (come  i  Luigi 
La  Vista), che  eressero  le  barricate  e  che  non  avevano,  nemmanco, 
provveduto  o  pensato,  non  dico  ad  assicurarsi  la  vittoria,  ma  solo 
a  procacciarsi  una  lontana  probabilità  di  vittoria.  La  maggior 
parte  de'  quali,  poi,  cansò  il  conflitto;  ed  il  più  i  morti,  furono 
uccisi,  non  combattendo,  ma  neir  arrendersi  o  dopo  essersi  ar- 
resi. No,  il  quindici  maggio  non  fu,  neppure,  una  dissennatezza 
eroica!  Che  diamine,  siamo  giusti!  Niun  governo  costituito  può 
tollerare  insurrezioni  armate;  ogni   governo,  anzi,  ha  il  dovere 
di  reprimerle.  E  dell'eccesso,  nella  repressione  immediata,  la  più 
gran  parte  di  responsabilità  morale  ricade  sugl'insort'.  Non  è  da 
condannare  Ferdinando  li,  pel  15  majrgio.  Ma  perchè  non  fu, poi 
leale  mantenitore  della  Costituzione  concessa  e  delle  amnistie  lar- 
gite; perchè  fu  spergiuro;  perchè  governò  ed  amministrò, con  mezzi 
iniqui. — Questa  donna  Lisetta  era  la  prima  delle  figliuole  del  Conte 
di  Camaldoli  [Vedi  la  77*  di  queste  note].  Moglie  del  principe  di 
Tricase  (Gallone;  che  la  sposò  vedovo),  sorella  della  Irene  (poe- 
tessa e  scrittrice,  che  sposò  il  Maestro  Vincenzo  Capecelatro),  eb- 
be la  gentil  virtù  di  non  iscombiccherar  quadri  e  di  non  ischicche- 
rar  versi.  Si  salvò,  nel  15  maggio,  dal  palazzo,  già.  Gravina,  allo- 
ra, Ricciardi,  ora,  sede  della  Posta  e  de'  Telegrafi  in  Napoli,  al 
braccio  del  Cardinal  Carafa,  morto  Arcivescovo  di  Benevento. 
(120)  Il  Principe  di  Torella  (genero  di  Cristoforo  Saliceti:  vedi, 
nel  Colletta,  passim)  era,  come  dice  il  Massari,  —  «  patrizio,  al- 
<  lora,  in  Napoli,  popolarissimo,  già  ufficiale  di  Ordinanza  di  Re 
«  Gioacchino  e  tutto  imbevuto  della  tradizione  Murattiana.  La 
€  sua  casa  era  il  ritrovo  degli  uomini  di  lettere  e  di  scienze  più 
«  ragguardevoli  di  Napoli,  ed  era,  sotto  Tassolutismo,  una  casa  di 
«  opposizione.  Il  suo  figliuolo  secondogenito,  Camillo,  era  stato  im- 
«  prigionato,  prima  del  29  gennajo;  ed  era  una  delle  vere  gemme 
a  del  patriziato  civile  Italiano  di  Napoli.  > — Che  razza  di  gemma! 
Dopo  breve  emigrazione,  ritornò  a  Napoli  e  strisciò  a  Corte.  Nel 
Regno  dltalia,  ò  stato  deputato.  La  deputazione,  si  sa,  dà  la 
scienza  infusa;  e  fu,  quindi,  prima,  ministro  plenipotenziario;  poi, 
prefetto;  e  si  è  sempre  dimostrato  leggiero  ed  incapace'.  Vive  in 
Roma,  dove  una  sua  figliuola  è  maritata;  ed  ò   senatore  del 
Regno. 


—  395  — 

(121)  Dice  il  Massari: — «1  due  nuovi  Ministri,  Ischitella  e  Car- 
€  rascosa,  soldati,  niente  altro  che  soldati,  rappreRentavano,  nei 
€  Consigli  del  Principe,  la  trionfante  forza  materiale;  ed  erano 
€  indizio  dell'ascendente,  il  quale,  già,  cominciava  ad  esercitar- 
«  si,  dalla  truppa.  11  principe  d'Ischitella,  antico  Ufficiale  di  Mu, 
«  rat,  è  soldato  coi'aggioso,  di  carattere  impetuoso,  di  modi  av- 
«c  ventati.  Avea  fama  di  patriota,  perchè,  nel  1821,  fu  destituito; 
«  e,  dopo  il  29  gennajo,  la  parte  liberale  lo  aveva  proposto  al 
€  Ministero.  » — Francesco  Finto,  sino  alla  morte  del  padre  (net 
1823)  portò  il  titolo  di  Marchese  di  Giuliano.  Nacque  nel  1788. 
Ciambellano  di  Re  Giuseppe,  il  10  marzo  1808;  luogotenente  ne* 
veliti  della  Guardia  di  Re  Gioacchino  (colonnello  Colbert),  Tan- 
no stesso;  capitano  e  maresciallo  d'alloggio  del  palazzo,  nel  1809; 
maggiore  negli  usseri  della  Guardia  (colonnello  Roccaromana), 
nel  1810;  ajutante  di  campo  di  Gioacchino,  nella  campagna  di 
Russia;  ferito,  alla  battaglia  della  Moscova,  e  decorato,  quindi, 
della  legion  d'onore  e  colonnello,  il  13  settembre  1812;  ufficiale- 
delia  legion  d'onore  e  gran  cordone  dell* ordine  delle  Due  Si- 
cilie, nel  1813;  comandante  degli  usseri  della  guardia,  nel  1814; 
maresciallo  di  campo,  onorario,  il  primo  gennajo  1815;  poi,  effet- 
tivo, accompagnò  Gioacchino,  da  ajutante  di  campo,  nella  sua 
fuga  in  Francia.  Ma  era  a  Parigi  (sollecitando,  dal  Fouchè,  pel 
Murat,  licenza  di  passar,  liberamente,  in  Inghilterra),  quando  il 
Re  andò  in  Corsica  e,  poi,  al  Pizzo.  Reintegrato,  nel  1818,  nel 
grado,  col  duca  di  Roccaromana,  per  grazia  speciale,  non  ebbe 
parte  a'  fatti  del  1820,  sebbene,  poi,  destituito;  il  20  gennaja 
1840,  il  Principe  di  Cariati  e  lui,  (che  non  erano  stati  richiamati 
al  servigio,  come  tutti  gli  altri,  all'esaltazione  di  Ferdinando  II) 
furono  autorizzati  ad  indossar  V  uniforme.  Ejrl^  ha  pubblicato 
un  opuscolo,  di  G4  pag.  in  8.°,  intitolato:  Mé'tnolres  \  et  souve^ 
nirs  I  de  ma  me\\  Paris  \  Imprimcrie  lìenou  et  Mcaulde  |  Ru€ 
de  Rivoli,  i44,  i864  \  .  (Dovè  scriverlo  in  Italiano;  e  me  ne  ac- 
corgo dallo  errore  del  traduttore,  che,  spesso,  traduce  Giuliano 
con  luUen,  quasi  fosse  il  nome  proprio  del  Finto  e  non  già  un 
nome  di  luogo  e,  quindi,  titolo  ed  intraducibil-f). 

In  esso,  tra  le  altre  cose,  dice,  che  i  ministri  del  15  maggio 
furono,  tutti,  liberali  moderati. — «  Le  roi  fut  de  bonne  foi,  ne  vou- 
€  iut  pas  abuser  de  la  victoire  sur  la  revolution,  conserva  la  Con- 
«  stitution;  et  nous  fùmes  tous  des  ministree  d*ordre  constitu- 
«  tionel.  » — Ma,  volendogli  mandar  buone  tutte  le  cose,  che  gli  ai 


—  396  — 

rimproverano,  una,  della  quale  si  accusava,  vantaiidosene,  nel  1864, 
0  che,  altrimenti,  non  conoscerebbe  nessuno,  non  può  perdonanù. 
Nel  1861,  un  pozzo  dopò  la  caduta  di  Gaeta,  egli  sollecitava,  con 
lettera,  presso  il  Walewski,  l'intervento  francese  in  quello,  che  egli 
chiamava,  ancora,  il  Reame  di  Napoli. 

(122)  Questo  scioglimento  di  una  Camera,  non  ancora  costi- 
tuita (cbè  altro  non  significa  Io  annullamento  delle  elezioni),  par- 
ve, a  molti,  pratica  poco  costituzionale.  Tale  volle  dimostrarlo 
•  Carlo  Poerio  in  un  Memorandum.  A  noi  non  pare.  Il  Re  può 
sciogliere  la  Camera,  o  costituita  o  non  costituita  che  sia,  anche 
secondo  il  nostro  Statuto  Italiano.  Certo,  se,  mai,  un  tale  prov- 
vedimento  parve  scusabile,  fu,  appunto,  allora,  trattandosi  di  Ca- 
mera, che  poteva  sembrar  macchiata  da  velleità  rivoluzionarie. 
Il  male  non  istette  nello  sciogliere  h  prima  Camera,  non  ancora 
costituita,  bensì:  prima,  nell"  alterare  arbitrariamente  la  legge 
elettorale;  e,  poi,  nel  non  governar  costituzionalmente  con  la 
seconda,  che,  malgrado  la  legge  elettorale  mutata,  risultò,  quasi, 
identica  alla  prima,  ed  era  la  più  mite  Camera  del  mondo.  Basti 
dire,  che  l'estrema  Sinistra  era  rappresentata  da  Silvio  Spaventa. 
Disse  benissimo  Guglielmo  Ewart  Gladstone:  —  €  La  condotta  . 
«  del  Parlamento  Napolitano,  nel  tutto  insieme,  prova  aperto,  che, 
4c  sia  esso  o  non  sia  stato  savio  in  ogni  passo,  fu,  però,  lealmen- 
«  te  intenzionato  verso  la  monarchia.  Ove,  poi,  si  chiederà  in 
«  futuro,  se  si  avanzò  abbastanza  ed  assunse  un'attitudine  suffi- 
«  cientemente  ferma  nel  difendere  le  franchigie,  solennemente 
«  stabilite,  i  posteri  potranno,  forse,  risponder  meno  favorevol- 
«  mente.  Ma,  certo,  non  possono  i  reazionari  rimproverarlo  di 
€  questa  mancanza  di  ardir  virile  ».  — 

(123)  Non  sapremmo  dire  quale  fosse  questo  racconto  molto 
veridico. 

(124)  La  fregata  a  vapore  Ruggiero,  costruita  in  Inghilterra,  del- 
la forza  di  320  cavalli,  era  comandata  dal  capitano  di  vascello, 
Giovan  Battista  Lettieri.  Il  Comandante  in  secondo  era  il  te- 
nente di  vascello,  Alfonso  Barone.  Guglielmo  Acton  era  tra  gii 
Ufficiali  dello  Stato  Maggiore. 

(125)  Questo  figliuolo  del  contrammiraglio  si  chiamava  Leo- 
poldo de  Cosa.  Il  quale,  poi,  comandò  un  bastimento  della  Re- 
gia Marina  Italiana,  nella  giornata  di  Lissa;  e,  per  la  sua  con- 
dotta, in  quella  giornata,  venne  imputato  di  codardia,  per  a- 
ver  tenuta  la  nave  ad  una  distanza  tale,  da  rendere  inefficaci 


—  397  — 

i  tiri  delle  artiglierie ,  ed  essersi,  perfino ,  opposto  alla  facile 
operazione  dello  investimento  di  una  piccola  cannoniera  in  le- 
gno. Il  Pubblico  Ministero,  capitano  Cappuccio,  ritirò  Taccu- 
sa;  ed  incuorò  i  giudici,  ad  assolvere  V  imputato.  Dopo  un  di- 
scorso del  capitano  di  fregata,  Ferdinando  Acton,  Deputato  al  ^ 
Parlamento,  il  quale  (  in  unione  col  capitano  di  vascello,  Bal- 
disserotto)  sosteneva  li  difesa,  il  Consiglio  di  Gui^rra  Maritti- 
mo, votò,  subito,  la  st  itenza,  che  fu  di  piena  assolutoria.  La 
pubblicazione  della  quale,  per  altro,  venne  eseguita,  solo,  nel 
giorno  successivo,  perchè  il  Consiglio  stimò  debito  suo  di  ot- 
tenerne, ^p  rima,  r  approvazione  dal  Ministero.  (Vedi:  Processo  \ 
del  capitano  di  vascello  \  Barone  Cav.  Leopoldo  de  Cosa  \  Co' 
mandante  la  Terribile  a  Lissa  |  davanti  \  il  Consiglio  di  Guer- 
ra Marittimo  \  in  Venezia  \\  Udienza  del  22  Luglio  1867  \\  Ve- 
nezia i867  I  dal  preì/i.  stubiL  tip.  di  P.  Naratvvich  \  S.  Apol- 
linare n.  i296).  Malgrado  questa  assolutoria,  Leopoldo  de  Co- 
sa fu,  però,  costretto  a  lasciare^il  servizio. 

(12G)  Guglielmo  Acton  è,  presentemente.  Ufficiale  Generale 
della  Regia  Marina  e  Comandante  il  dipartimento  marittimo  di 
■  Napoli.  Bizzarro  spirito,  che,  s'è,  quasi,  più  occupato  di  lingue, 
di  arti  e  di  altro,  che  del  suo  stesso  mestiere.  Vedi,  nella  Stren- 
na Album  delV Associazione  della  stampa  periodica  in  Italia  (an- 
no li,  1882)  la  Macchietta  Navale,  intitolato  VAìnmiraglio  Artista. 
In  cui,  lo  sì  piaggia,  smaccatamente.  Ha  fama  d'essere  il  migliore 
del  suo  cognome,  il  quale,  certamente,  non  può  sonar  bene  agli 
orecchi  de*  Napoletani  e  degritalidui,  quando  sì  pensa  a  quel,  che 
sono  stati,  ed  a  quel,  elio  han  fatto,  gli  Acton  ministri,  sotto  i 
Borboni  assoluti  e  sotto  i  Savoja  costituzionali. 

(127j  Carlo  di  Francesco  Flores  e  della  Vita  Montalbano,  sici- 
liani, nacque,  in  Napoli,  il  2  maggio  1821.  Nel  1848,  era  tenente 
di  vascello  e  segretario  del  Contrammiraglio  De  Cosa.  Nel  1860, 
si  dimise,  per  un  puntiglio  d'onore;  e  non  appartiene  più  alla  Re- 
gia Marina  Italiana,  ned  ha  liquidato  pensione.  Ora,  ò  Direttore, 
in  Napoli,  del  Convitto  Caracciolo, col  quale, ogni  anno,  imprende, 
felicemente,  un  viaggio  marittimo,  sopra  il  Daino,  legno  ceduto  dal 
Governo,  e  che  era  stato  dichiarato  inservibile  dai  nostri  Inge- 
gneri Navali.  E  si  che  la  cessione  del  Daino^  inservibile,  al  Mu- 
nicipio di  Napoli  avvenne  sin  dal  1869,  essendo  ministro  della 
Marina  il  Ribotti,  per  intercessione  deiregregio  Antonio  Cicoo- 
ne,  ch*era,  allorai  miDÌstro  di  Agricoltura  e  Commercio.  Il  Flores 


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Ila  un  fratello  maggiore  Giuseppe,  nato  a  Palermo,  che,  uffi- 
ziale  di  marina  anch*  egli,  nel  1848,  non  era  imbarcato;  e  che, 
nel  18fì0,  fu  destituito  arbitrariamente,  con  la  formola  in  omaff' 
gio  alla  pubblica  opinione^  per  non  avere  arreso  il  suo  legno,  in 
Palermo,  al  Garibaldi:  ha  però  potuto,  poi,  liquidar  la  pensione. 
Un  altro  fratello,  Ferdinando,  nato,  il  7  decembre  1824,  in  Napoli, 
ò  professor  ordinario  di  Letteratura  Greca,  nella  R.  Università 
di  Napoli. 

(128)  Queste  accoglienze  sono  descritte,  più  parti colareggia- 
mente,  dai  Poerio,  nella  lettera  del  18  maggio.  Neil*  opuscolo 
intitolato  :  Fatti  |  di  Venezia  \  degli  anni  1848-49  \  descritti 
con  imparzialità  e  dettagliatamente  \  con  ordine  cronologico  \\ 

Yenezia,  co*  tipi  di  Gio.  Acchini  \  1850;  e  firmato  N.  Forami- 
ti,  r  ingresso  della  flotta  napolitaua,  nel  poKo  di  Venezia,  è  ri- 
portato in  data  del  14  maggio:  ma,  dev'essere  un  errore,  coma 
si  vede,  chiaro,  da  questa  lettera  del  Poerio. 

(129)  L'indole  festajuola  degl'Italiani,  pur  troppo,  non  si  smen- 
tiva! Mi  dispiace  di  dover  notare  una  porcheria:  il  Governo  Prov- 
Tisorio  pagò,  all'  Albergo  Danieli,  ben  tremila  lire,  per  dare  un 
jfn^anzo  alV  Ufficialità  della  flotta  napoletana.  Denari  bene  spe- 
si ,  invero ,  in  champagne  e  sorbetti ,  in  mezzo  a  tanti  e  cosi 
gravi  ed  urgenti  bisogni  della  patria.  Se  il  Manin  ed  1  suoi 
coUegbi  avessero  pagato  del  loro,  applaudirei!  Ma  col  denaro 
pubblico  ! 

(130)  Di  Daniele  Manin  ci  siamo  occupati,  a  lungo,  in  un  ar- 
tìcolo, pubblicato,  anni  sono,  nel  Giornale  Napoletano  di  Filoso» 
^a  e  Lettere  (1876),  a  proposito  di  un  insulso  libro  e  sgramma- 
ticato  dello  ebreo  Alberto  Errerà.  Crediamo  di  essere  stati 
primi  e,  sin  qui,  soli  a  parlarne  senza  illusioni  e  senza  ira. 

(131)  Ingiustissimo  questo  rimprovero  a  Carlo  Alberto;  il 
quale  fece  quanto  poteva  con  le  forze,  di  cui  disponeva,  impa- 
ri all'ardua  impresa.  Nò 'la  reverenza  e  lo  affetto  verso  Ales- 
sandro Poerio  c'impediscono  dallo  scorgere  l'errore  suo.  Se  egli 
avesse  sopravvissuto  allo  assedio  di  Venezia,  sarebbe  diventato, 
senza  dubbio,  un  fautore  di  Casa  di  Savoja,  come  tutti  quelli, 

•  che,  davvero,  amavano  V  unità  ed  il  bene  della  patria. 

(132)  Il  Ferrari  si  lagnava  del  Durando:  il  Durando  si  la- 
gnava del  Ferrari;  il  vero  si  è,  che  1'  uno  e  1'  altro  eran  me- 
diocri Generali  e  che  i  loro  soldati,  in  massa,  salvo  la  pace 
de'  pochi  buoni,  non  valevano  gran  che.  Il  Durando  trovò  in 


—  399  — 

Bologna,  chi  ne  prese  le  difese,  con  uno  scritto,  intitolato:  Al' 
meno  due  parole  di  verità.  Egli  stesso  pubblicò,  in  Roma,  una 
apologia:  Schiarimenti  stilla  condotta  del  Generale  Durando ^ 
comandante  la  tru^^e  pontificie  nel  Veneto,  scritta  da  lui  me- 
desimo e  dedicata  a*  prodi  di  Vicenza  (Roma,  1  agosto  1848, 
volumetto  in  8.^  di  GO  pagg.).  Massimo  Tapparelli  {vulgo  il  d'A- 
zeglio), Ajutante  del  Durando,  scriveva  alla  moglie  Luisa  Blon- 
del, da  Vicenza,  il  22  maggio:  —  «  Mi  scrivono,  che  a  Milano  pen- 
«  sano,  che  non  operiamo  con  vigore.  Con  Tarmata  [sic!],  che 
«  Abbiamo,  non  sì  può  far  nulla.  Si  riduce  a  3500  Svizzeri.  Il 

<  resto  è  peggio  che  niente,  perchè  imbroglia  e  mangia.  Quando 

<  ci  rivedremo,  te  ne  avrò  da  dire.  Intanto,  pensa  tu  e  pensate 

<  tutti,  che,  per  giudicare,  bisogna  conoscer  tutto;  e,  perciò,  so- 
«  spendete  il  giudizio.  E  credetemi,  che  Durando  non  poteva  fare 
<L  più  di  quel,  che  ha  fatto;  e,  ritardando  il  nemico  e  coprendo  il 
«  Veneto,  dov'  è  Treviso,  Padova  e  Vicenza,  ha  fatto  assai.  »  — 
E'I,  il  25:  —  «  La  divisione  Ferrari,  mal  condotta,  si  battè  bene,  a 
«  Cornuda;  poi,  per  indisciplina,  si  ripiegò  a  Treviso.  Durando, 

<  onde  [sic!]  appo^^giar  la  Civica,  avea  ceduto  al  Ferrari  la  metà 
<«  della  Bua  liuea:  Ferrari  si  trovava  aver,  circa,  9000  uomini; 
«  e  Durando  non  arrivava,  in  tutto,  a  4000.  Sciolta  la  Divisione 

<  Ferrari,  ci  slam  trovati  a  dover  manovrare,  con  questa  forza, 
4  in  campagna  aperta,  a  fronte  di  quindicimila  uomini  e  trenta 
«  pezzi.  Per  piii  giorni,  ho  creduto,  che,  o  s'era  tagliati  a  pezzi, 
4  0  presi;  Durando  ha  saputo  salvare  il  suo  piccol  corpo,  ripie- 
«  garsi  dietro  la  Brenta  e  riannodarsi  alla  divisione  Ferrari, 
<(  che  parte  se  n*  era  andata,  parte  chiusa  in  Treviso,  e  parte 
«  si  uni  con  noi,  cioè,  circa,  4  battaglioni.  Con  questa  forza, 
«  siamo,  in  Vicenza,  attaccati  da  circa  16000  uomini....  I  Ve- 
«  neziani  hanno  detto,  che  Durando  tradiva  in  favore  di  Carlo 
«  Alberto  e  mille  infamie  simili.  Per  tradire,  avrebbe  preso 
4  un  bel  mezzo  !  Lasciar  passare  15000  uomini  di  soccorso  a 
«  Radetzky!  Cedjre  la  maggior  parte  delle  forze  a  Ferrari,  co- 
«  nosciuto  per  repubblicano  esaltato  !  E  restar  con  meno  di  4000 
4  uomini  !  L' imbecillità  di  questi  governanti  popolari  è  tale  da 

<  far  venir  voglia  della  Monarchia.  >  —  E,  il  2  giugno,  aggiun- 
geva: —  «  Sappiate,  ora,  quello,  che  non  vi  ho  detto  mai:  che 
«  la  linea  pontificia  è  peggio  dei  Napoletani!  Che,  a  Treviso, 
«  alla  prima  cannonata,  i  cavalli,  ch'erano  di  avanguardia,  ti 

<  soD  rovesciati,  addietro,  sulla  fanteria,  e  tutti  sono  scappati 


—  400  — 

«  come  ladri!  Che  T  ambulanza  ha  raccolti  60  uomini  e  non 
<  Te  n*  era  che  sei  feriti!  Che  due  sono  impazziti,  yarì  morti 
<L  del  tetano,  per  paura!  Che  più  di  dieci  ufficiali,  di  grana" 
€  tieri^  hanno  abbandonati  i  loro  posti  in  faccia  al  nemico!  Che 
«  un  ufficiale,  dei  dragoni,  arrivato  a  Padova,  non  fu  mai  pos- 
«  sibile  farlo  venire  avanti,  ed  è  ora  sotto  consiglio  di  Guerra, 
«  imputato  di....  paura!  Che,  il  giorno  della  sortita,  un  pelottone 
«  di  dragoni,  posto  trecento  passi  dietro  a  noi,  fu  abbandonato 
«  dall'ufficiale,  che  lo  comandava,  il  quale  andò  a  prendere  posi- 
«  zione  altri  trecento  passi  indietro!  Che  il  Colonnello  m'ha  detto 
«  che  tre  di  questi  ufficiali,  non  sa  più  come  maneggiarli,  tanta 
«  è  la  loro  paura!  Che  i  corpi  franchi,  ecc.  abbandonano  le 
4  posizioni,  senz'ordine!  e  non  si  è  mai  sicuri  dei  posti  coperti 
«  da  loro  !  Che  un  colonnello  di  loro,  la  sera,  in  cui  si  teneva 
«  per  certo  di  essere  attaccati,  scrisse,  che  era  troppo  esposto 
«  (ed  era  falsissimo),  e  che  dava  la  sua  dimissione.  E  si  era  in 
«  faccia  al  nemico!....  Dunque  il  General  Durando,  tutto  bene 
«  spremuto,  aveva:  tremila  e  cinquecento  svizzeri,  duecento  ca- 
«  rabinieri  a  piedi  e  un  centinajo  a  cavallo,  e  otto  pezzi.  E,  con 
«  questi,  ha  dovuto  operare.  »  —  Prospero  Merimèe,  in  una  let- 
tera del  5  agosto  1848,  ad  una  incognita,  scriveva:  —  «  Un  de 
«  mes  amis,  qui  revient  d' Italie,  a  été  pillé  par  des  volontaires 
«  romainp,  qui  trouvent  les  voyageurs  de  meilleure  composì- 
«  tion,  que  les  Croates.  Il  prétend   qu'  il  est   impossible    de 
«  faire  battro  les  Italiens,  excepté  les  Piémontais,  qui  ne  peu- 
«  vent  étre  partout.  »  —  Giudizio,  certo,  falso,  perchè  esagerato: 
ma,  pur  troppo,  gl'Italiani  non  fecero  tutto  il  dover  loro,  e  solo 
pochi  il  fecero.  (Vedi,  anche,  pag.  218  del  presente   volume). 
(133)  Carlo-Luciano-Giulio-Lorenzo  Bonaparte,  Principe  di 
Canino ,  figliuolo   di  Luciano  Bonaparte  ,  fratello  maggiore  di 
Napoleone  I,  principe  di  Canino  e  Musignano ,    e  della  Ales- 
sandrina Laurenza  di  Blcschamp,  vedova  del  banchiere  Jouber- 
thon  ,  nacque,  a  Parigi,  il  24  maggio  1803.  Viaggiò,  per  isco- 
pi  scientifici,  in  America,  dopo  studiato  in  Università  Italia- 
ne. Divenne  celebre  per  le  sue  opere  zoologiche;  e  prese  gran 
parte  a'  Congressi  degli  Scienziati.  Nel  47,  avendo  fatto  allusioni 
politiche,  in  un  discorso,  tenuto  in  quello  di  Venezia,  fu  espulso 
dalla  polizia  Austriaca.  Nel  48,  fu,  dapprima,  zelante  di  Pio  IX; 
poi,  disse  a  Carlo  Alberto:  Sire^  plus  de  d' Autrichiens,  plus  de 
prétreSj  plus  de  BonrhonSy  et  r Italie  est  à  vos  2^^^ds;  quindi,  di- 


—  401  — 

venne  uno  de'  capi  del  partito  repubblicano  e  fu,  più  volte,  Pre- 
sidente della  Costituente  Romana.  Entrati  i  Francesi  in  Roma, 
fuggi  in  Francia.  Ma  il  cugino  (allora,  Presidente  della  Repubbli- 
ca) ne  lo  fece  espellere;  e,  solo,  l'anno  dipoi,  ottenne  il  permesso 
di  stabilirsi  in  Parigi.  Schiaffeggiato,  da  un  figliuolo  di  Pellegrino 
Rossi,  che  il  riteneva  complice  dell'  assassinio  del  padre,  scam- 
biarono due  palle  di  pistola,  innocue. 

(134)  Luigi  Masi ,  mediocre  verseggiatore  e  segretario  del 
Principe  di  Canino,  divenne  Tenente-Colonnello  dei  volontari 
romani.  E  stato,  poi,  Generale,  nel  Regno  d' Italia.  Morì,  Mag- 
gior Generale,  in  Palermo.  Gli  avanzi  del  Reggimento  Caccia- 
tori del  Tevere,  da  lui  comandato,  hanno  formata,  in  Roma,  una 
Società  di  Mutuo  Soccorso. 

(135)  Ho  voluto  inserir,  qui,  questa  lettera,  che  ho  trovata 
tra  le  carte  di  mio  Zio,  pur  sopprimendo  il  nome  della  scrivente 
e  del  destinatario,  perchè,  mirabilmente,  ritrae,  nella  sua  rozza 
eloquenza,  i  sentimenti  di  una  donnicciuola,  che  non  vede  di  là 
dei  suoi  cari,  sbigottita  per  gli  avvenimenti  del  15  maggio. 

(136)  Il  governo  provvisorio  della  prima  delle  due  repubbli* 
che   Veneziane  del  1848  era,  così,  composto:  Daniele  Manin, 

Presidenza  ed  Esteri);  Niccolò  Tommaseo  (Culto  ed  istruzio- 
ne) ;  Antonio  Paolucci  (Marina);  Jacopo  Castelli  (Oiustizia); 
Francesco  Solerà  (Guerra);  Pietro  Paléocapa  (Interno  e  Co- 
■truzioni );  Francesco  Camerata  (Finanze);  Leone  Pincherle 
(Commercio);  ed  Angelo  Toffoli,  sarto  (Arti  e  Manifatture),  Que 
st'ultimo  fu  ammesso  nel  governo,  per  iscimmiottare  quel,  che 
s'era  fatto  in  Francia,  nominando  uno  Albert,  operajo,  mem- 
bro del  governo  provvisorio,  sorto  dalle  barricate  di  febbrajo. 
Non  sapevamo  essere  originali,  neppure  nelle  scioccherie  ! 

(137)  Non  mi  è  riuscito,  per  quanto  ne  chiedessi  con  insi- 
stenza, ad  avere  notizie  precise,  come  le  avrei  desiderate,  in- 
torno a  questi  tre  Paolucci.  Chi  mi  afferma,  che  Antonio,  il  Mi- 
nistro, fosse  de'  Paolucci  della  Róncole,  figliuolo  del  Generale 
e  nipote  dello  Ammiraglio  (morti,  prima  del  1848).  Chi  mi  nega 
ogni  consanguineità,  parentela  od  altro  rapporto  familiare,  fral 
Ministro  e  gli  altri  due  Paolucci,  uno  Ammiraglio  e  l'altro  Ge- 
nerale sotto  r  Austria.  Ricevo,  altronde,  la  seguente  comunica* 
zione: — eli  Paolucci,  al  momento  della  rivoluzione  del  22  marzo, 
4c  era  maggiore ,  comandante  V  artiglieria  di  marina.  Fu  mini- 

26 


*-j 


—  402  — 

«  stro  della  marina,  prima  di  Leone  Graziani;  e,  quindi,  Colon- 
«  nello  e  Generale  d'Artiglieria  marina,  sotto  il  Governo  ProT- 
<  visorio.  Uomo  onesto  e  valoroso;  mediocremente  istruito;  ca- 
«  rattere  bonario ,  ma  elevato  ;  disprezzatore  di  popolarità.  Ci 
«  fu  un  periodo,  nel  quale,  la  furia  veneziana ,  il  proclamava, 
«  quasi,  traditore,  perchè,  comandante  a  Malghera,  aveva  proi- 
«  bito  di  sprecare  munizioni,  tirando  sul  nemico  lontano  e,  quasi, 
«fuori  di  tiro.  Se  ne  rìse:  ma  passò  qualche  pericolo.  Entrò, 
a  nel  1855,  al  servìzio  Sardo,  capitano  di  porto  alla  Spezia.  Morì, 
a  contrammiraglio  della  Regìa  Marina  Italiana  (pensionato  uel 
«  18G6),  in  una  villa,  presso  Firenze.  Un  giorno,  si  lagnava,  con 
«  la  Rosa  Fambri  de  Toth  ,  della  quale  era  uno  degli  amici 
«  proprio  più  cari ,  di  certi  suoi  acciacchi.  Uno  de'  presenti 
«  suggeriva,  al  solito,  de*  rimedi.  Tutto  mutile,  diceva  il  Ge- 
«  nerale,  alludendo  alla  sua  vecchiaja,  ^/j^,  che  ho  troppe  qua- 
cresime  sulle  spalle.  Ed  ella,  pronta,  a  soggiungere:  Basta  ^ 
€  che  no*  sia  sta\  invece,  i  carnovali,  a  rovinarlo.  Il  Paolucci  fu 
«  suocero  del  notissimo  ufficiale  di  marina ,  Racchia  ».  — 

(138)  Jacopo  Castelli  nacque,  in  Verona,  nel  1781.  Si  dedicò 
al  foro,  in  Venezia;  sposò  la  Matilde  dall'Acqua.  Il  22   marzo 

1848,  cedette  alla  ressa,  che  gli  facevano  il  Manin  ed  il  Tom- 
maseo (allora,  suoi  amici) ,  di  prender  parte  al  Governo.  Fin 
dal  principio  della  rivoluzione,  aveva  capito,  che  Tunica  spe- 
ranza di  salvezza  era  nella  dedizione  a  Carlo  Alberto.  E  fece 
consentire  in  ciò  V  Assemblea,  il  5  luglio;  ed  assunse  la  Pre- 
sidenza del  nuovo  Governo.  E  quando,  con  legge  del  27  lu- 
glio, fu  accettata  Tunione  immediata  di  Venezia  al  Piemonte, 
egli,  co*  Piemontesi  Vittorio  Colli  e  Luigi  Cibrario  ,  fu  rap- 
presentante del  Governo  Regio.  Ma,  sopraffatto  Carlo  Alberto, 
ril  agosto,  una  folla  di  popolaccio  invase  il  palazzo  Nazio- 
nale; e,  gridando  caduto  il  governo,  offese  e  malmenò  i  rap- 
presentanti di  Carlo  Alberto.  Il  Manin  s*impossessò  del  potere. 
Poco  dopo,  il  Castelli  abbandonava  Venezia  ed  emigrò  in  Pie- 
monte. Carlo  Alberto  il  volle  Consigliere  di  Stato  ;  e,  per  con- 
fortarlo, soleva  dirgli:  Castelli,  noi  avremo  giorni  felici.  Ma,  i 
giorni  felici  non  vennero,  nò  pel  Castelli,  né  pel  Re.  Nel  marzo 

1849,  il  Castelli  moriva  di  mal  di  cuore;  poco  dopo,  il  Re,  scon- 
fitto a  Novara,  abdicava  e  partiva  per  Oporto. 

(189)  Leone  Pincherle,  nato,  in  Venezia,  nel  1810,  mori,  a  Pa- 


—  403  — 

rigi,nel  1882,  Segretario  delle  Assicurazioni  Generali.— «  Fu  ric- 
«  co  uomo  di  affari,  ebreo;  amico  del  Manin;  liberale  costante, 
«  come  il  de  Antoni,  e  prodigo  del  suo  per  la  causa.  Ingegno 
«  mediocre;  operosità  e  fede  assai  meglio  che  mediocri  ». — Cosi, 
una  comunicazione  confidenziale.  Su  lui,  scrisse  il  Pesaro-Mau- 
rogonato,  suo  correligionario  ed  amico  infimo.  Questi  tre  mi- 
nistri recavano,  al  de  Cosa,  l'ufficio  seguente  del  Governo  Prov- 
visorio, che  il  de  Cosa  donò,  poi,  alPufficiale  Carlo  Flores  (vedi 
la  127*  di  queste  notule)  e  che  la  gentilezza  del  Flores  ci  ha 
comunicato: 

Eccellenza, 

Mentre  questo  Governo  va  a  scrivere,  a  S.  M.  il  Re  vostro, 
ringraziandolo  del  soccorso  assentitoci,  e  giunto  così  a  pro- 
posito, per  liberare,  con  la  sola  sua  presenza,  la  nostra  città 
dalla  presenza  della  squadra  nemica,  non  può  a  meno  di  non 
esternare,  alla  E.  V.,  la  sua  riconoscenza,  per  1'  ardore  vera- 
mente fraterno,  col  quale  voleste  prender  a  cuore  le  nostre 
circostanze  ed  adoperarvi,  efficacemente ,  acciò  fossero  rimossi 
gli  ostacoli  ed  affrettata  la  vostra  venuta  a  questa  parte. 

Nò  Venezia  sola  e  questo  Governo  ve  ne  saranno  ricono- 
scenti; ma,  sì,  tutti  coloro,  che  sono  devoti  alla  causa  nazio- 
nale e,  nella  liberazione  della  città,  ma,  più  ancora,  nella  in- 
fluenza morale,  che  opera  la  vostra  armata  in  queste  acque, 
▼edono  un  sicuro  presagio  di  buon  successo  e  di  indipendente  e 
dignitosa  risoluzione  delle  cose  Italiane. 

La  piccola  divisione  de'  nostri  legni  da  guerra  sarà ,  tosto, 
riunita  alla  vostra  forza;  ed  opererà,  congiuntamente,  con  essa. 
Non  ò  vano  lo  sperare,  che  anderà  ad  aumentarsi,  ben  presto,  col 
ricupero  di  alcuni  di  que*  navigli,  che  la  nostra  arte  ed  il  nostro 
oro  costruivano,  ed,  ora,  sono  rivolti  contro  di  noi. 

Cos),  del  carbon  fossile,  che  fosse  occorrente  ai  vostri  vapori, 
avrete,  tosto,  quella  maggior  quantità,  che  possiamo  offerirvi  e 
valga  a  sopperire  ai  vostri  bisogni.  Larghe  ordinazioni  di  quel 
materiale  furono  fatte;  e  saranno,  quanto  prima,  in  nostra  mano. 

Tutte,  finalmente,  le  informazioni,  che  potessero  occorrervi, 
sopra  qualsivoglia  soggetto,  ti  saranno,  da  noi,  somministrate, 
per  quanto  sia  nella  possibilità  nostra,  con  la  maggiore  solleci- 
tudine ed  interezza. 


—  404  — 

Aggradite,  pertanto,  le  assicurazioni,  che  amiamo  ripetervi, 
di  particolare  gratitudine  e  considerazione. 
Venezia,  17  maggio.  1848. 

Bai  Goterno  Provvisorio  della  Kepubblica  Veneta 

21  Presidente 
Manin 

PlNCHERLE 

//  SvgretaHo 
A,  Zanetti 

A  Sua  Eccellenza 
Il  Signor  Retro  Ammiraglio^  Comandante  Superiore 
delle  Reali  forze  Marittime  Napoletane 
Barone  De  Cosa 

(140)  Nel  libercolo  del  Foramiti,  citato  nella  128*  di  queste  no- 
te, è  detto,  sotto  il  12  Aprile:  —  «  S.  M.  Carlo  Alberto,  volendo 
«  stabilire  relazioni  più  intime,  con  la  Repubblica  Veneta,  spedì, 
€  quale  Incaricato  provvisorio,  in  Venezia,  il  Signor  Lazzaro  Re- 
«  bizzo.  » — Da  Genova,  mi  si  scrive  esser  egli,  tuttor,  vivente.— 
«  E  che,  nel  1848,  fu  mandato,  dal  Marchese  Pareto  (allora  Mi- 
€  nistro  degli  Esteri,  in  Piemonte)  legato,  in  Venezia,  a  Daniele 
«  Manin,  per  ispingerlo  ad  unirsi  al  Piemonte.  Dicesi,  che  avesse 
€  una  fortuna  di  lire  25000  di  rendita  annua,  sciupata,  non  si  sa 
«  come,  ma  poco  alla  volta;  per  cui,  si  ridusse  a  vivere  con  Raf- 
«  faele  Rubattino.  Attualmente,  non  saprei  dirvi  come  e  di  che 
K  viva.  È  uomo  su'  settantacìnque  anni  circa». — Fu  marito  della 
celebre  anzi  famosa  Bianca  Rebizzo,  fatta  cantare,  da  Raffaele 
Rubattino,  sul  colascione  dell'  Aleardi. 

(141)  Preziosa  confessione  involontaria,  che  1  volontari  nulla 
valgono  contro  truppe  regolari  e  fanno  più  mal  che  bene. 

(142)  Ho  8  Ito  gli  occhi  un  opuscolo,  intitolato  Livio  Zamhec- 
cari  I  per  \  Errico  Spartaco  1 1  T(yrino  \  Tipografia  G.  Marzoy^a- 
ti  11  iS59,  di  70  pagg.,  in  4.®  piccolo,  più  una  tavola,  che  reca  un 
riratto  litografico,  sotto  cui  si  legge; 

Livio  Zambeccari 
Colonnello  e  Rappresentante  del  Popolo 
della  Repubblica  Romana. 


—  405  — 

L'opuscolo  (certamente,  dettato^  se  non  iscritto,  dal  Zambéc- 
cari,)  è  credibile,  almeno,  pel  giorno  della  sua  nascita,  che  a- 
vrebbe  avuto  luogo,  in  Bologna,  il  30  giugno  1802.  —  «  In  quel 
€  giorno  »— dice  Topuscolista— «  corre  la  festa  del  Piincipe  de- 
«  gli  Apostoli;  e  il  cannone  tuona,  in  tutte  lejcittà  pontificie,  in 
€  segno  di  festa.  Laonde,  chi  ricordò,  poi,  quando  il  nostro  Livio 
«  fu  cresciuto  ad  opere  guerresche  ,  il  giorno  del  suo  nascere, 
«  ebbe  ad  osservare  la  curiosa  combinazione,  cioè,  che  egli,  il 
«  quale  delle  cose  militari  doveva,  grandemente,  compiacersi, 
«  aprisse  gli  occhi  alla  luce,  fra  il  rimbombo  delle  artiglierie». — 
Buhm!  buhm! — A  credere  questo  Spartaco,  Livio  avrebbe  mac- 
chinato gran  cose,  ancor  giovanetto,  in  modo  da  esser  costretto 
a  fuggire,  nel  1823;  sarebbe  stato,  in  quell'anno,  ufficiale  di  ordi- 
nanza del  Generale  Riego,  in  Ispagna;  avrebbe,  nel  1826,  recitato 
il  Bruto  Primo  dell'Alfieri,  a  Buenos-Ayres,  con  incasso  di  quin- 
dicimila lire,  a  benefizio  de'  feriti  in  un  combattimento  navale;  ed 
avrebbe,  colà,  rifiutato  di  essere  Capitano,  per  arrolarsi  soldato. 
A  lui,  si  dovrebbe  tutta  l'insurrezione  del  Rio  Grande  e  la  procla- 
mazione della  repubblica.  Prigioniero  de' Brasiliani,  per  anni,  sa- 
rebbe stato  liberato  ,a  patto,  che  non  prendesse  più  parte  attiva, 
negli  avvenimenti,  durante  la  guerra,  e  si  ritirasse  in  Europa.  Ed 
in  Europa,  che  non  avrebbe  fatlo!  Egli  avrebbe  tenuta  l' Italia" 
sempre,  agitata,  fino  al  48;  e  nel  48,  poi!..  Fatto  sta,  che, in  quel- 
l'anno, fu  Capo  di  un  Corpo  di  volontari;  e  fece  la  campagna  del 
Veneto,  sino  a  Traviso.  Nel  49,  difese  Ancona,  come  Comandante 
della  città  e  fortezza,  in  nome  della  Repubblica  Romana.  Né  volle 
firmarne  la  resa  al  Maresciallo  Wimpffen.  Emigrò,  poscia,  a  Corfù, 
donde  si  fece  espellere;  a  Patrasso,  dove  si  fece  mettere  in  gat- 
tabuia; poi,  ad  Atene  ed  a  Torino.  Mori,  nel  18G1.  Tolgo,  da  una 
comunicazione  confidenziale  d'un  gentil  Bolognese,  quanto  segue: 
^€  Livio  pigliava  fuoco,  al  menomo  attrito,  come  un  zolfanello 
«  chimico:  non  si  trovava  bene,  se  non  congiurando  o  in  mezzo  a 
«  una  rivoluzione.  Si  esaltava,  facilmente,  anche,  quando  non  era 
«  più  giovine;  e,  allora,  scomponeva  la  sua  parrucca.  Il  disordi- 

<  ne  di  Hssa  annunziava  quello  del  suo  animo.  Era,  però,  buono 
«  e  cordiale  amico.  Fattomi  invito  di  entrare  nella  Massoneria , 

<  non  s'irritò  del  mio  rifiuto;  e  continuò  a  volermi  bene.  Nel  47, 
«  disgustato  del  non  aver  avuto  il  grado  militare ,  che  credeva 
«  competergli,  né  volendone  altri,  per  fare  opposizione,  fu  am« 
«  mansato,  da  mia  moglie,  e  indotto  ad  accettare  il  grado  di  Mag. 


—  406  — 

«  ^ore.  Credeva  di  essere  un  gran  capitaop,  e  non  era  se  noir 
«  uno  sfuriato  capobande.  Da  fiero  repubblicano,  dopo  il  60  e, 
«  già,  vecchio,  essendogli  stato  riconosciuto  il  grado  di  Colon- 
€  nello  dal  governo  Italiano,  s'infatuò  pel  Re  Vittorio  Emanuele^ 
€  che  chiamava,  puramente,  Vittoi'io,  come  un  amico  ».  — 

(143)   Veggasi  l'opuscolo  dell'Avvocato  Filippo  Martinelli, 
intitolato:  21  Generale  Gnidotti;  Cenni  biografici  (Bologna,  Tip. 
Sassi,  1848).  Il  Marchese  Alessandro  Guidetti  nacque,  a  Bo- 
logna, da  famiglia  senatoria  ,  nel  1790.  Paggio  di  Napoleone, 
nel  1806;  sergente  ne'  Veliti,  nel  1807;  in  Ispagna,  nel  1808 
è  all'assalto  di  Girona  e  promosso  ufficiale.  Nel  1812,  in   Bussia, 
è  ferito  ed  ha  la  Corona  ferrea.  Rimasto  ammalato  all'ospe- 
dale di  Marienwerder,  nella  ritirata,  cade  in  mano  de'  Russi, 
che  lo  internano  ad  Argaras,  dove  si  fa  b^n  volere,  insegnando 
il  francese.  Rimpatriato,  nel  14 ,  Gioacchino  il  nominò  capo- 
squadrone  e  suo  ajutante  di  campo;  e,  vedutolo  riuscire  in  una 
spedizione  malagevole,  ordinò,  al  Roccaromana,  di  staccarsi,  dal 
petto,  l'Ordine  delle  Due  Sicilie,  per  fregiarne  il  Guidetti.  Dopo 
le  restaurazioni,  viaggiò  all'estero;  ed  attese  alle  arti.  Nel  31, 
nominato  uno   de'  quattro  colonnelli  della  Guardia  Nazionale 
di  Bologna,  ebbe  il  comando  della  colonna  mobile,  che  s'inoltrò 
fino  ad  Otricoli.  Ed  emigrò,  poscia.  Rimpatriò  nel  37,  essen- 
done moriente  la  madre.  Dieci  anni  dopo  ,   Pio^  IX  gli  die  ad 
organizzare  e  comandare  la  Civica  di  Bologna.  Nel  48,  nomi- 
nato Generale  di  Brigata ,  marciò  a  Treviso.  Tribolato  da  in- 
vidiosi e  malevoli,  nel  fatto  di  Cornuda,  diede  di  piglio  ad  un 
fucile  e ,  prodigando   la  sua  vita  in  una  carica,  data  agli  au- 
striaci, fu  colpito,  da  una  palla,  al  cuore,  il  12  maggio.  Debbo 
poi,  la  seguente^  comunicazione,  ad  un  gentil  Bolognese:—»  Era 
«  uomo  di  alta  statura,  di  maniere  dignitose,  tutto  di  un  pezzo,  ■ 
«  nel  fisico  e  nel  morale;  una  infausta,  violenta  e  lunghissima 
<c  passione,  per  una  sua  cattiva  parente,  gli  fene  condurre,  ìn- 
a  felicemente,  gran  parte  della  vita.  Diventò  misantropo  e  convul- 
«  sionario.  Per  questa  passione  e  per  tristizia  di  malvagi ,  gli 
«  era  diventata  insopportabile  la  vita.  Quando   si  congedò  da 
«  me,  baciandomi,  il  giorno  della  partenza  per  Treviso,  lo  fece 
«in  modo,  che  io,  tornando  a  casa,  dissi  a  mia  moglie:  Non 
€  rivedremo  pìii  Guidoni;  egli  ha  deciso  di  morire.  La  sirena, 
€  che  lo  aveva  ammaliato,  portava,  poi,  addosso,  una  palla  di 
€  fucile,  cui  diceva  esser  quella,  che  aveva  ucciso  Guidetti  >.— 


—  407  — 

(144)  Il  Conte  Ferdinando  Cresci  Antiqui  di  Giuseppe,  nacque, 
in  Ancona,  il  31  Agosto  1810.  Studiò  in  patria.  Nel  1828,  fu 
ammesso  al  magistrato  centrale  di  Sanità  di  Ancona.  Nel  marzo 
del  1831,  fu  tenente  di  Guardia  Nazionale.  Nel  1835,  nominato 
Commissario  di  Sanità  marittima,  in  quel  porto.  Il  7  settem- 
bre 1847,  fu  fatto  colonnello  comandante  la  Civica  Anconitana. 
Ed,  in  tal  qualità,  V  anno  dipoi,  fece  parte  del  Comitato  di  di- 
fesa doUa  Città  e  littorale;  e  fu  spedito  a  Venezia,  per  chiedervi 
oggetti  di  difesa  ed  ottenne  pezzi  d'  artiglieria  in  ferro.  Nel- 
l'aprile 1849,  dichiarato  lo  stato  di  assedio  della  città  dal  Com- 
missario di  Governo  Felice  Orsini  (ilqual  potè  sembrar  buo* 
no  a  paragone  di  peggiori)  fu  del  Comitato  di  sicurezza  pub- 
blica. Durante  T  assedio,  fatto,  dagli  austriaci,  dal  25  maggio 
al  25  giugno  1849,  rese  grandi  servigi  civili  e  militari  (Vedi 
anche  V  opuscolo^  citato  nella  centesimaquadragesimaseconda 
di  queste  note).  Il  18  giugno  1859,  fu  chiamato,  dal  Municipio, 
a  far  parte  della  Giunta  Provvisoria  di  Governo,  per  mancanza 
di  autorità  governativa.  Ma  sette  giorni  dopo  ,  il  24  ,  fu  co- 
st rotto  a  porsi  in  salvo,  lasciando  famiglia  o\  impiego;  e,  per 
tale  incarico,  il  Tribunal  superiore  di  Sacra  Consulta,  con  sen- 
tL-nza  del  10  dicembre  1859,  il  condannava,  insieme  con  altri, 
alla  morte  di  esemplarità  ed  alla  perdita  di  ogni  diritto  sul 
suo  patrimonio.  Il  Regio  Commissario  straordinario  per  le  Mar- 
che, con  decreto  del  30  Settembre  18G0,  il  nominò  Colonnello  Co- 
mandante Provvisorio  della  G»  N.  di  Ancona  ;  ed  il  3  ottobre 
potè  ricevere  Re  Vittorio  Etnmanuele,  con  500  militi  in  tunica 
e  berretto.  La  dimane,  fu  crocifisso  :  vo'  dire,  eh'  ebbe  la  so- 
lita croce  de'  santi  Maurizio  e  Lazzaro.  Riebbe  V  antico  ufficio 
di  Commissario  di  Sanità  Marittima.  Comandò  la  Guardia  Na- 
zionale, fino  al  6  Giugno  1868;  fu  Consiglier  comunale  (dal  1860 
al  1869)  e,  nel  1868,  della  Giunta.  Nello  Aprile  1866,  fu  destinato 
Commissario  di  Sanità,  a  Brindisi  e,  poi,  a  Palermo,  come  di 
prima  Classe;  ed,  in  tal  qualità,  pensionato.  Moriva,  in  patria,  il 
20  Gennaio  1879. 

(145)  Il  Generale  Paolucci,  di  cui,  qui,  si  parla,  d»} v'essere,  sen- 
za dubbio,  il  Ministro. 

(146)  Proprio,  Venezia  era  in  condizioni, allora,  di  regalare  can- 
noni: e,  certo,  non  era  il  bisogno  più  urgente  ad  Ancona,  che  nel- 
la città  della  laguna.  L' idea ,  poi ,  del  prestito  è  più  comica  che 
altro.  Per  1'  esito  della  domanda,  vedi  la  144*  di  queste  notule. 


—  408  — 

(l  17) Non  so  a  quale  libro  ed  a  quai  versi  del  Tommaseo, qui, 
sì  alluda.  La  lode  è  molto  generica  e,  quindi,  molto  rimessa, 
massime  se  si  pensa  che  il  Poerio  era  proprio  fanatico  del  Tom- 
maseo. 

(148)  Giuseppe  del  Balzo  fu  primogenito  della  numerosa  prole 
dei  coniugi  Vincenzo  (da  S.  Martino,  Valle  Caudina)  e  della  Lui- 
sa Tagliatatela  (napoletana).  Vincenzo,  il  1815,  nello  entrare 
delle  armi  borboniche  in  Napoli,  fu  spento  a  Capodichino,  men- 
tre, capitano  della  Pubblica  Sicurezza,  forse,  cercava  contenere  la 
foga  della  plebaglia.  I  Borboni  ne  rimeritarono  la  famiglia  ,  col- 
locando i  maschi  nel  Collegio  del  Salvatore  e  le  femine  nell'Edu- 
catorio dei  Miracoli.  Succedette  alla  madre,  che  s*  era  rimaritata 
con  D.  Onofrio  Verna,  di  Cervinara,  nella  tutela  de'  fratelli  mi- 
norenni. Fu  rovinato,  da  una  lite,  con  l'Amministrazione  del  Tavo- 
liere di  Puglia;  e  gli  espropriarono  la  roba.  Nel  1848,  s'imbar- 
cò co'  volontari, reclutati, a  Napoli,  da  quella  donnina  a  modo  del- 
la Cristina  Trivulzio  ne'  Belgiojoso:  il  suo  nome  figura  nel  n.  118 
del  primo  anno  del  Lume  a  GaSy  nel  notamente  —  <Ldet  prodi  e 
«  generosi  nomini  partiti  volontari^  quesf  oggi  (Mercoledì,  29 
«  marzo  1848)  sul  vapor e^  il  Virgilio^  per  traì^e^  in  Lombardia,  a 
€  difesa  della  causa  Italiana  t*.  —  Nel  n.  145  dello  stesso  gior- 
nale, tra  le  Varietà  Costituzionali^  si  legge:  —  «  Ricaviamo,  dai 
€  giornali  di  questa  mattina,  che,  in  una  carica  alla  bajonetta, 
€  avvenuta  nel  Tirolo ,  si  è,  grandemente,  distinto  il  nostro  del 
€  Balzo,  che  stava  nell'  avanguardia  ».  —Si  seppe,  che,  dopo  il 
48,  andò  al  Cairo,  dove  esercitò  Tavvocheria:  forse,  prescelse  l'O- 
riente, perchè  un  suo  fratello,  Beltrano,  ci  aveva  fatto  fortuna, 
esercitando,  praticamente,  Is  medicina.  L'unica  figliuola  di  Giu- 
seppe del  Balzo ,  a  nome  Luisa,  sposò  un  avvocato  napolitano, 
chiamato  Carlo  Mausonio.  Dopo  il  1860,  il  del  Balzo  tornò,  dal 
Cairo,  come  si  disse,  molto  ricco;  e  mi  affermano  esser  egli 
morto,  in  Napoli,  ove  era  nato. 

(149)  Nella  Storia  della  Rivoluzione  di  Roma  e  della  RestaU'^ 
razione  del  Governo  Pontificio,  dal  i^  Giugno  1846  al  18  Lu^ 
glio  1849,  del  Comm.  Giuseppe  Spada^  trovo  la  seguente  noti- 
zia: —  «La  ressa,  che  facevasi,  al  Santo  Padre,  per  indurlo  a 

<  dichiarare  la  guerra  all'  Austria,  non  si  limitò  al  Ministero , 
€  al  Municipio,  alla  Civica  ed  ai  Circoli,  perchè  ci  si  associa- 

<  rono  i  Commissari  dei  Governi  di  Sicilia,  di  Lombardia  e  di 
€  Venezia,  i  quali  ciò  fecero,  non  a  voce,  ma,  ancora,  mediante 


—  409  — 

<  un  indirizzo ,  che  porta  la  data  del  2  maggio  (  vedi  V  indi- 

<  rizzo,  neir^jtjoca  dell'otto  maggio  1848).  Ecco  i  loro  nomi:  — 
a  Per  la  Sicilia:  Padre  Gioacchino  Ventura,  Pari  del  Regno; 
«  Emerico  dei  Conti  Amari,  Vice-presidente  della  Camera  dei 
«  Comuni;  Barone  Cr^sirairo  Pisani,  Segretario  della  Camera 
«  dei  Comuni;  Giuseppe  la  Farina,  Membro  della  Camera  dei 
«  Comuni. — Perla  Lombardia:  Tommasi  Piazzoni;  Alberto  Quin- 
«  terio.  —  Per  Venezia  :  Giovambattista  Castellani;  Delfin-Bol- 

<  dù  ».  —  Ho  fatto  qualche  indagine,  per  aver  notizie,  intorno 
a  questo  Conte  Dolfin-Boldù.  Chi  mi  afferma,  molti  i  Dolfin- 
Boldù ,  ma  questo ,  del  quale,  a  me,  preme  saper ,  non  esser 
pili  tra'  vivi.  Chi  lo  identifica  con  un  conte  Girolamo,  ancor 
vivo,  in  Padova.  Non  ho  tempo  di  assodare  il  punto. 

(150)  La  Giovanna  di  Filippo  d'  Urso,  moglie  di  Carlo  Troya, 
sposata  nel  1834,  avendo  egli,  già,  varcati  i  cinquant'anni.  Ella 
vive,  ancora,  vedova  fida,  in  Napoli.  Il  Troya  la  istituì  sua  ere- 
de universale,  con  testamento  olografo  del  2  ottobre  1851,  de- 
positato, il  6  Agosto  1858,  presso  il  Notajo  Certificatore  Gae- 
tano Tavassi,  facendo,  solo,  quattro  piccoli  legati:  delle  Opere 
del  Bossuet,  al  fratello  Ferdinando;  della  sua  ripetizione  di  oro, 
alla  costui  moglie  Giacinta  Botta;  di  sei  posate  di  argento,  al 
cugino  Francesco  Saverio  di  Saverio  Troya,  suo  Zio;  e  di  tre 
idem,  alla  costui  moglie  Amalia.  E,  finalmente,  di  parecchi  libri 
a  Gaetano  Trevisani,  che  fu,  poi,  suo  biografo.  (Vedi  Nota  55.*) 

(151)  Il  Troya  scrisse  5  noveìnhre  ed  io  5  worem tre  stam- 
po; ma  la  data  è  erronea. 

(152)  Questa  lettera,  del  Poerio  al  Troya,  postillata  da  esso 
Troya,  fu  donata,  dalla  vedova  di  lui,  a  Paolo  Emilio  Imbriani.  Il 
quale,  richiesto  dal  Professore  G.  Morelli,  Preside  del  Regio  Li- 
ceo Maurolico  di  Messina,  con  lettera  del  21  Settembre  1875,  di 
alcuno  scritto  inedito  del  Poerio,  perchè  il  Prof.  Bustelli  potesse 
farne  ino  prò,  nel  comporre  un  discorso  sul  Poerio,  da  recitarsi 
nella  festa  scolastica,  gli  fu  liberale  di  essa.  E  la  lettera  si  pub- 
blicava, dal  Bustelli,  ommettendo,  solo,  alcune  parole,  che  poteva- 
no sembrare  poco  rispettose  e  sono,  certamente ,  ingiuste  verso 
il  Durando  e  Carlo  Alberto. 

(153)  Il  Cav.  G.  Campana  era  il  Console  delle  Due  Sicilie  a 
Venezia.  Suo  nipote  di  fratello  è  il  vivente  Senatore  Bart.  Cam- 
pana, come  mi  viene  assicurato. 

(154)  L*  avvocato  Giuseppe  Boscaro,  nel  mano  1848  - 


—  410  -- 

gli  austriaci  abbandonavano  la  città  di  Padova,  venne,  dal  Pode- 
stà, invitato,  quale  Consultore,  ad  assistere,  co' propri  lumi,  quel 
Consiglio  Municipale.  Ed  egli  consigliò,  sempre,  di  stare  uniti  a 
Venezia;  vale  a  dire,  che,  per  le  sciocche  velleità  repubblicane, 
allora,  pur  troppo,  comuni  a  molti,  era  contrario  al  solo  coasiglio 
savio  ed  opportuno,  id  esty  alla  dedizione,  piena,  totale,  incon- 
dizionata, a  Ilo  Carlo  Alberto.  Il  Boscaro  soleva,  anche  ,  affer- 
mare, che  il  Generale  austriaco  Coroiiini,  Comandante  la  città  di 
Padova,  venuto  a  conoscenza  dclUsua  amicizia  con  Daniele  Manin, 
avesse  ,inutilmente,  tentato  la  sua  onestà  ed  il  suo  patriottismo, 
perchè  egli  si  facesse  mediatore  verso  l'amico  per  afirettare  la 
capitolazione  di  Venezia.  Fu  un  mediocre  causidico  di  poca  le- 
vatura. Ch'io  sappia,  n(»n  ebbe  a  sollrir  persecuzioni  dall'Austria. 
Moriva,  il  2  febbrajo  1868,  di  sessantasette  anni. 

(155)  Il  Conte  Carlo  Leoni  nacque,  in  Padova,  il  20  gennajo 
1812  dal  Conte  Niccolò  e  dalla  Antonietta  Verri,  La  Antonietta 
Verri  era  figliuola  del  celebre  Pietro  e  della  Vincenza  Melzi- 
D'Eril  (sorella  del  Duca  Melzi,  tanto  sollevato  e  beneficato  da  Na- 
poleone); ed  ebbe,  per  sorella,  la  madre  del  Palafox.  Non  partico- 
lareggio  parecchie  altre  illustri  parentele,  le  quali,  molto  pro- 
babilmente, accesero,  nel  Leoni,  il  desiderio  di  diventare  illustre, 
anch*  egli,  come  le  pitture  del  Pecilo,  che  non  facevano  dormire 
Temistocle.  Ma  con  «guanto  impari  effetti  !  Si  accese  d'un  amore 
per  le  Muse,  al  quale  esse  ritrose  e  gentili  mal  corrisposero.  For- 
tunatamente per  lui,  avendo  quattrini  assai,  potè  stampare  quan- 
to gli  piacque  e  ristampare;  e  non  gli  mancarono  le  lodi.  Del 
resto,  ogni. volta,  che  si  vede  uno  di  questi  ricchi  quartati  pen- 
sare ad  altro,  che  giuoco,  cavalli  e  bagasce,  va  lodato  ed  in- 
coraggiato. Più  volte,  dimostrò  coraggio  civile  ed  amor  di  pa- 
tria, senza  spinger,  mai,  però,  il  giuoco  troppo  in  là;  e  senza 
soffrire  guai  prrossi.  Ma,  avendo  poca  levatura  di  mente,  fu, 
sempre,  repubblicano.  Morì,  dopo  atroci  sofferenze,  il  14  lu- 
glio 1874.  Lasciò,  per  testamento,  agli  eredi,  l'obbligo  di  pub- 
blicare i  suoi  scritti  editi  ed  inediti,  indicando  gli  editori,  fra* 
quali  primeggiava  il  Tommaseo  ,  che  gli  premori.  Gli  altri 
tutti  ricusarono  lo  sgradito  incarico,  che,  finalmente,  gli  eredi 
addossarono  a  quello  imbratta-carte  di  Giuseppe  Guerzoni.  Vedi 
Epigrafi  e  Proso  \  edite  ed  inedite  |  del  Conte  Carlo  Leoni  \ 
con  prefazione  e  note  \  di  \  Giuseppe  Guerzoni  \\  Un  volume  Fi- 
renze I  Gr.  Barbera,  editore  ||  Ì879. — Il  Leoni  si  credeva  sommo 


—  411  — 

maestro  d*  epigrafìa,  sebbene  epigrafista  ampolloso,  vuoto,  pro- 
lisso; basti,  come  saggio  della  sua  valentia,  l'epigrafe  seguente 
per  Alessandro  Poerio ,  che  sta  tutta  neirindetermlnato  e  nel 
falso.  E,  certamente,  egli  conobbe  il  Poerio,  sebbene  questi  non 
avesse  potuto,  allora,  consegnargli  la  presente  commendatizia 
del  Tommaseo: 

Alessandro  Poerio 

virginale  fiero 

sferzò  retori  e  ipocriti 

precursore  a  riscossa 

con  penna  e  ferro 

guerreggiò  tiranni 

alla  patria  tenacemente  fido 

intenti  opre  vita 

Venezia  1848. 

(156)  Giovanni  Cittadella,  nato,  a  Padova,  il  7  marzo  1806, 
scrisse  versi  ed  attese  agli  studi  storici.  Nel  1848,  fu  inviato,  dal- 
la Repubblica  di  Venezia,  al  Quartier  Generale  di  Carlo  Alberto, 
per  esporre  lo  stato  delle  cose  e  per  sorvegliare  V  approvigiona- 
mento  dell'  esercito  al  di  qua  del  Mincio.  Sinistrata  la  fortuna 
delle  armi  Italiane,  osservò  tale  un  contegno,  che  S.M.  Imperiale 
Reale  Apostolica,  con  decreto  del  1851,  si  benignò  di  escluderlo 
dair  istituto  veneto  di  Scienze,  Lettere  ed  Arti,  al  quale  apparte- 
neva come  Membro  effettivo.  Sorvegliato  dalla  polizia,  non  temè, 
però,  di  far  parte,  dopo  la  pace  di  Viliafranca,  del  comitato  segre- 
to, istituitosi,  allora,  a  Padova.  È  morto,  di  recente,  Senatore  del 
Regno.  Parecchie  delle  sue  pubblicazioni  storiche,  specie  la  Sto- 
ria della  Dominazione  Carrarese  in  Padova  (voi.  due  in  8^,  1842), 
sono  molte  stimate. 

(157)  Di  questi  versi  a  Venezia  non  posso  indicare,  con  preci- 
sione, la  data:  li  ho  messi,  qui,  sembrandomi  ritrar  della  stes- 
sa disposizion  d'animo,  in  cui  il  Poerio  era,  nello  scriver  la  let- 
tera ni  Troya.  Ma,  forse,  sono  alquanto  posteriori,  perchè  mi 
par  diffìcile,  che,  in  quella  prima  e  tumultuosa  stanza  in  Yeneziai 
egli,  che  laboriosamente  componeva,  potesse  aver  tempo  ed  agio 
di  limare  queste  sei  strofe.* 

(158)  Una  o  due  notti,  come  abbiamo  dettOi  le  #.? 
le  non  erro,  in  casa  il  general  FlorettaDo  Pq^a^ 


—  412  — 

to.  Ma  queste  pa.'ole  avevano  per  Iacopo  di  tranquillare  il  fra- 
tello lontano. 

^159)  Non  saprei  indicare  quale  fosse  questo  altro  mezzo. 

(160)  Cioè:  le  famiglie  Parrilli  (che  abitava  a'  Banchi  Nuovi, 
presso  S.  Giovanni  Maggiore)  ed  Imbriani  (che tornava  al  vico 
Belle  Donne  a  Chiaja). 

(161)  Luigi  de  Tflchudv,  console  napoletano,  a  Livorno,  oltre  a 
fare  il  console,  negoziava.  Ed  ha  lasciato  ricchissimi  i  figliuoli. 
Il  che  non  accade,  a  chi  fa,  solo,  il  diplomatico,  rimettendoci  del 
suo.  Uno  de'  quali  figliuoli,  Marzio,  sposò  una  Larderei. 

(162)  Il  Comitato  Provvisorio  Dipartimentale  del  Polesine  , 
costituitosi,  a  Rovigo,  nel  maggio  1848,  era  composto  de*  si- 
gnori : 

I.  —  Conte  Domenico  Angeli,  Presidente. 

II.  —  Giuseppe  Maggi,  Membro, 
in.     —  Giuseppe  Ancona,  id. 

IV.  —  Domenico  Zona,  id. 

V.  —  Avv.  Alessandro  Cervesato,  id. 

VI.  — Angelo  Cavallaro,  id. 

VII.  —  Lorenzo  Gobbetti,  id. 

Vili.  —  Francesco  Greggia,  segretario. 

(163)  Gli  Austriaci  occuparono,  fin  dal  1815,  la  cittadella  di 
Ferrara,  in  virtù  del  trattato  di  Vienna;  e,  per  quarantaquat- 
tro anni,  cioè,  fino  al  giugno  1859,  vi  han  tenuto,  sempre,  guar- 
nigione. Nel  1848,  vi  concentrarono  le  truppe,  prima  accaser- 
mate in  città,  lasciando  solo  gli  ammalati  nell'  ospedale,  detto 
delle  Martiri.  Moltissimi  volontari  e  regolari  passarono  per  Fer- 
rara, recandosi  oltre  Po.  Il  Municipio  anticipò  le  spese  pe'  vi- 
veri e  trasporti  militati;  ma  (come,  ci  assicura  persona,  che 
gentilmente  s' incaricò  di  fare  ricerche,  intorno  a  questa  protes- 
ta ):  —  «  da'  suoi  atti,  non  costa  di  alcuna  protesta  del  comando 
«  austriaco,  che,  ove  pure  V  abbia  fatta,  V  avrà  diretta  al  Go- 
«  verno.  La  Gazzetta  Ferrarese^  giornale,  che,  ancora,  dura, 
«  nacque  il  1^  giugno  1848;  ed  è  muta,  ne' suoi  numeri  suc- 
«  cessivi,  intorno  a'  fatti  del  maggio.  Non  trovai,  neppure,  alla 
«  Biblioteca  Comunale,  alcuna  memori  arelativa.  Il  signor  Dot- 
«  tore  Eugenio  Righini,  allora  Gonfaloniere,  vive  ancora  (1882); 
€  e  conta,  quasi,  ottant'anni.  Egli,  interrogato,  disse  non  aver, 
€  mai,  saputo  di  protestazioni,  fatte  dall'  esiguo  presidio  mili- 
ti tare  austriaco,  nel  maggio  1848,  allorché  i  siciliani  (dice  lui) 


—  413  — 

«  passarono  il  Po,  col  Generale  Pepe,  essendo  il  Generalo  Sta- 
«  teila  retrocesso^  con  la  maggior  parte  delle  truppe,  in  obbe- 
«  dienza  agli  ordini  del  Re.  Ben  si  rammenta  il  Rigliini  d*es- 
«  sersi  recato,  con  V  Arcivescovo  Cadolini,  a  perorai'e ,  presso 
4(  il  Generale  Austriaco,  comandante  la  cittadella,  affinchè  de- 
«  sistesse  dalP  atteggiamento  minaccioso,  mentre,  appunto  per 
«  r  arrivo  de'  Napolitani ,  le  bocche  de'  cannoni  della  Gitta- 
te della  erano  rivolte  contro  alla  città.  Questa,  forse,  la  prote- 
<c  sta.  Il  signor  Liverani,  segretario  di  questa  Prefettura,  do- 
<  pò  molte  indagini,  ha  potuto  rinvenire,  negli  archivi,  il  do- 
«  cu  mento,  che  mi  affretto  a  trasmettere,  in  copia  conforme  »— 

i 

R.  Prefettura  della  Provincia  di  Ferrara 
N.  4945 

:?.?  Maggio  i818. 


Al  sig.  Comandante  la  Divisione  Napoletana 
in  ìuarcia  per  Ferrara. 

Malalbergo 

Sebbene  io  ritenga,  che  V.  S.  Ill.ma  sappia,  che  la  Truppa  da 
Lei  comandata,  debba  deviar  dalla  strada  postale,  per  non  pas- 
sare sotto  il  tiro  del  cannone  di  questa  Fortezza,  in  potere  de- 
gli Austriaci,  pure.  Le  dirigo  questa  mia,  per  farlene  la  preven- 
zione; e,  perchè  conosca  lo  stradale  da  tenersi,  incarico  il  si- 
gnor Capitano  Avvocato  Caroli  dello  Stato  Maggiore  di  que- 
sta Guardia  Civica,  che  n'  è  V  esibitore,  a  darle  ogni  nozione 
necessaria  ed,  anche,  ad  esserle  di  guida  e  di  scorta. 

(Omissis) 

Il  Cardinale  Legato 
Ciacchi 

(1G4)  E  pi-oprio  il  caso  di  ricordare  il  proverbio: 

Tempo  di  guerra— piii  bugie  che  terra. 

Ma,  ecco  un  galantuomo,  il  quale,  giustamente,  imprecava, 
al  Re  di  Napoli ,  per  gì*  incendi ,  avvenuti  in  Napoli  ;  eccolo 
esultare ,  per  la  falsa  notizia  dello  incendio  della  Reggia,  che 
sarebbe  stato,  certo,  un  fatto  assai  più  deplorevole,  che  non  lo 


—  414  — 

abbruciamento  del  palazzo  Girella  o  del  palazzo  Ricciardi.  Lo- 
gica delle  parti  ! 

(165)  I  giorni  13  e  14  maggio,  gli  austriaci  attaccarono  i 
due  campi  toscani  d'  osservazione  di  Curtatone  e  Montanara. 
Presor  parte,  in  questo  fatto  di  arme,  anche,  i  volontari  napo- 
letani, tra  i  quali  furon  feriti  il  Rossaroll  (vedi  la  102.*  di  que- 
ste note)  ed  i  capitani  Giuseppe  Cecconi  ed  Enrico  Poerio.  (Vedi 
la  34*  di  queste  notule).  Quest'ultimo,  da  una  scheggia  di  mi- 
traglia alla  gamba. 

(166)  Il  piccolo  Michelangelo  Parrilli,  per  distinguerlo  dal 
vecchio  D.  Michelangelo,  suo  prozìo.  11  vajuolo,  nel  dialetto 
napoletano ,  chiamasi,  per  eufemismo,  le  bone.  E  bone  nzateche, 
(cioè  vajuolo  salvatico)  vale  quanto  varicelle^  vainolo  benigno. 

(167)  Intende  del  Generale  Michelangelo  Ruberti  (  vedi  la 
42*  di  queste  notule). 

(168)  Nulla  possiamo  aggiungere  a  quello,  che  del  Musto  ab- 
biam  detto,  nella  nota  107*. 

(169)  Come  lavorava  la  fantasia  !  Il  rumoreggiare  di  Salerno 
fini  con  una  fetecchia  ;  e  V  insurrezione  di  Calabria  con  una 
cacata.  Dico,  i!  tutto  insieme.  Ci  fu  qualche  galantuomo  e  qual- 
che fatto  non  ignobile.  Ma  che  poteva,  insomma,  essere  un 
moto,  capitanato  da  un  Ricciardi,  da  un  Mauro?  una  insur- 
rezione, i  cui  capi  non  si  battono  e  non  muojono? 

(170)  Piersilvestro  Leopardi,  dell' Amatrice,  in  Abruzzo,  uomo 
egregio ,  che  era  inviato  di  Napoli  a  Re  Carlo  Alberto.  Per 
quanto  egli  fece,  allora,  veggansi  le  Narrazioni  storiche  \  di  | 
Piersilvestro  Leopardi  \  con  molti  documenti  inediti  \  Relativi 
alla  guerra  dell  indipendenza  d'Italia  \  e  alla  reazione  napoli- 
tana  \\  Torino  \  1856,  11  Leopardi  è  morto  Senator  del  Regno 
in  Firenze;  ed  è  sepolto  a  S.  Miniato.  Ne  ho  ripubblicati  alcuni 
be'  versi ,  scritti  in  morte  della  Malibran ,  nel  Giornale  degli 
eruditi  e  dei  curiosi,  n.  41.  Avendo  io,  però,  detto,  che  il  Leo- 
pardi avea  tradotto  in  francese  la  Storia  Universale  del  Cantù, 
esso  Cantù  volle  dichiarare,  che  questo  era  inesatto,  e  che  il  Leo- 
pardi era  stato,  solo,  incaricato,  da  lui,  di  assistere  il  traduttore 
[Aroux)  nei  dubbi  sulla  intelligenza  delV  Italiano,  Se  non  è  zuppa, 
è  pan  bagnato.  Ma,  il  Cantù  soggiunge  :  —  «  Vero  è,  che  egli 
«  produsse  i  venti  volumi  di  quella  traduzione,  come  titolo,  per 
«  essere  nominato  Senatore  ». — Ma  questa,  con  buona  pace  del 
Cantù,  è  una  sciocca  insinuazione.  Il  Leopardi,  come  antico  mi- 


—  415  — 

Distro  plenipotenziario  e  deputato,  tre  volte  eletto,  come  uomo, 
che  avea  reso  grandi  servigi  al  paese,  aveva  migliori  titoli  as- 
sai, per  esser  nominato  Senatore;  e  non  si  comprende  a  che  a- 
vrebbe  dovuto  giovargli  la  presentazione  della  versione  di  una 
indigesta  compilazione,  il  cui  originale  non  è  stato,  sinora,  sti- 
mato titolo,  per  far  concedere,  alFautore,  un  posto  in  Senato. 

(171)  Gli  avvenimenti  ed  i  disinganni  avevan,  già,  pereuaso 
ogni  avveduto,  che  l'Italia  dovesse  stringersi,  tutta,  intorno  alla 
dinastia  di  Savoja.  Le  velleità  repubblicane  di  Venezia  nocque- 
ro,  pur  troppo. 

(172)  Scrive  il  Massari:  —  «  Le  franchigie  elettorali,  concesse 
€  dal  Re,  il  3  aprile,  furono  dichiarate  (dal  Bozzelli)  sacver^ 
«  swe  ed  anarchiche;  e,  quindi,  annientate.  Fu  scarabocchiata 
«  una  nuova  legge  elettorale,  poco  diverea  da  quella,  già  corn- 
ee pilata  dallo  stesso  Bozzelli.  I  Collegi  elettorali  furono  con- 
«  vocati  al  di  15  giugno;  e  l'apertura  del  Parlamento  fissata 
«  al  giorno  1  del  seguente  luglio  ». — Ferdinando  II  non  osava 
ancora,  distruggere  lo  Statuto:  o,  perchè  temesse,  pur  tuttavia, 
delle  forze  rivoluzionarie;  o,  perchè  non  aveva,  peranco,  addor- 
mentata la  coscienza.  Ma,  ogni  giorno,  si  andava  più  addome- 
sticando con  ridea  dello  spergiuro. 

(173)  Fra  quest'inviati  di  Milano,  erano:  Cesare  Correnti  e 
Federico  Bellazzi.  Non  abbiamo  potuto  ritrovare  tutti  i  nomi. 
Abbiamo  fatto  fare  e  fatta  richiesta,  al  Correnti,  delie  lettere, 
a  lui  scrìtte,  da  Alessandro  Poerio.  Ma  par,  che  sia  opera  di- 
sperata il  ritrovarle  tra  la  farragine  delle  sue  carte. 

(174)  Giuseppe  Massari,  figliuolo  di  un  ingegnere,  nacque,  in 
Taranto,  V  11  agosto  1821.  Aveva  lasciato  Napoli,  prima  del 
1848;  ed  era  divenuto  amico  intimo  del  Gioberti.  Deputato  al 
Parlamento  napoletano,  fin  d'allora,  si  affermò,  primo  e  solo, 
come  Alhertista\  e,  chiaramente,  diceva:  l'Italia  non  potere  esser 
salva,  se  non  dalla  unità,  sotto  lo  scettro  della  dinastia  Sa- 
bauda. Prevedeva,  che  il  Borbone  non  avrebbe  rispettato,  né  lo 
Statuto,  nò  le  prerogative  parlamentari;  per  modo  che  il  De 
Vincenzi  ed  il  Leopardi  (  co'  quali  coabitava  al  Chiatamone  ) 
avevano,  scherzosamente,  coniato  il  verbo  massareggiare^  nel 
senso  di  temere  di  essere  incarcerato.  Emigrò  in  Piemonte,  do- 
ve vi^c  povero,  col  lavoro  della  sua  penna.  Nominato  Diret- 
tore della  Gazzetta  Ufficiale^  nei  primordi  del  Regno  dltt^' 
con  lauto  stipendio,  rinunziò,  per  rendersi  eleggibile:  e  air 


—  416  — 

di  que'  molti,  cui  la  Deputazione  fruttava.  E  morto,  in  Roma, 
il  13  marzo  1884,  quando  questa  nota  era,  già,  in  tipografia. 
Ne  hanno  trasportata,  solennemente,  la  salma  in  Bari,  ond^era 
oriundo.  In  Italia,  quando  un  valentuomo  crepa,  i  suoi  fané- 
rali ,  la  «uà  sepoltura  debbono  servir  di  pretesto  ,  perchè  mille 
naneròttoli  si  traggano  avanti  e  si  presentino  al  pubblico  e  fao- 
cian  parlare  i  giornali  e  telegrafino,  viaggino  e  mangino,  a  spe- 
se de'  bilanci  dello  stato  e  provinciali  e  comunali. 

(175)  Si  tratta  della  ingenua  lettera,  diretta,  da  Pio  IX,  in 
data  del  tre  maggio  (ma  pubblicata  solo  il  27),  allo  Impera- 
tore d'Austria,  per  esortarlo,  in  nome  della  pietà  e  della  reli- 
gione— €  con  paterno  affetto,  a  far  cessare  le  sue  armi,  da  una 
«  guerra,  che,  senza  potere  riconquistare  all'Impero,  gli  animi 
«  de'  Lombardi  e  de'  Veneti ,  trae  con  sé  la  funesta  serie  di 
€  calamità,  che  sogliono  accompagnarla  e  che  sono  da  Lei,  cer- 
ee tamente ,  aborrite  e  detestate  ».  —  Questa  lettera  compie  il 
pensiero,  che  aveva  ispirato  V  allocuzione  del  29  aprile.  Onesta, 
ma,  ripetiamo,  ingenua. 

(176)  Damiano  Assunti,  del  quale  vedi  nella  quinquagesima- 
terza di  queste  note. 

(177)  Chi  era  questo  amico?  Nulla,  che  lo  indichi. 

(178)  La  condotta  degli  Svizzeri,  i  quali,  pure,  avevan  giu- 
rata fedeltà  alla  Costituzione,  fu  cosi  scandalosa ,  che  il  Con- 
siglio Federale  credette  di  dover  mandare,  a  Napoli,  una  Com- 
missione d' inchiesta.  La  quale,  sebbene  cercasse  di  attenuare 
U  colpe  di  que'  mercenari  (e  mercenari  spergiuri),  nondimeno 
dovette  concedere,  nella  sua  relazione,  che  molti  fatti  orrendi 
e  disonoranti  erano  stati  commessi:  assassini  ingiustificabili  e 
rapine. 

(179)  Così  fu,  pur  troppo:  chi  più  aveva  urlato  non  si  bat- 
tette. E  que'  pochi,  che  si  batterono,  non  sapevano,  loro  stessi 
perchè  il  facessero.  (Vedi  la  119^  di  queste  note). 

(180)  I  lazzari  di  S.  Lucia  altro  non  fecero,  se  non  seguire 
la  truppa  e  piluccare  nelle  case,  già  vendemmiate  ,  ciò  ohe  i 
soldati  lor  concedevano.  Rammento  di  aver  visto,  nelle  ultime 
ore  del  pomeriggio,  passare,  pel  vico  Belle  Donne  a  Chiaja,  al- 
cuni lazzari,  portando  qualche  caldaja  di  rame,  di  poco  valore, 
che  dicevano  di  avere  avuta  donata  dagli  Svizzeri. 

(181)  Vana  speranza I  L'avere  resistito  alle  scosse  del  1848 
è  una  delle  pagine  piìi  gloriose  per  l'esercito  austriaco.  Piac- 


—  417  — 

eia  a  Dio,  che,  se  verranno  i  giorni  della  pruova,  Tesercito  Ita- 
liano mostri  la  decima  parte  di  quella  lealtà  e  compattezza. 
Serviva,  è  vero,  contro  ogni  aspirazione  liberale  e  nazionale: 
ma,  prima  di  tutto,  un  esercito  non  deve  farsi  giudice  delle 
cause,  per  cui  combatte;  e,  poi,  è  molto  dubbio,  che  la  disso- 
luzione dell'Austria  potesse,  allora,  o  possa,  anche  oggi,  contri- 
buire alla  felicità  de'  popoli,  che  formano  quello  stato,  od  al 
bene  dell'uman  genere.  Dove  era  iniqua,  anticivile,  impossibile, 
la  dominazione  austriaca?  In  Italia!  Checché  ne  paresse  al  Conte 
Ferdinando  dal  Pozzo,  il  quale  osò  stampare  un  libro,  intito- 
lato: Della  Felicità  \  che  gT Italiani  possono  e  debbono  \  dal  | 
Governo  Austriaco  \  procacciarsi  \  col  piano  di  un  associazio- 
ne per  tutta  Italia^  avente  \  per  og(jetto  la  di/fusione  della  pura 
lingua  I  italiana^  e  la  contemporanea  soppressione  \  de*  dialetti, 
che  si  parlano  nei  vari  |  paesi  de  Ila  2^01  isola  \\  Si  fa,  altresì  cenno 
in  questo  piano  della  inelegante  e  goffa  \  maniera  d*indirizjare 
il  discorso  a  qualcuno  in  terza  \  persona  ,  così  scrivendo^  come 
parlaìtdoy  la  qual  \  maniera  si  dovrebbe,  generaH:(zandosi  \  il 
VOI,  abolirsi  affatto  \\  Del  Conte  Ferdinando  dal  Pozzo  \  già  lie- 
ferendario  nel  Consiglio  di  Stalo  di  Napoleone  e  primo  Presiden- 
te  I  della  Corte  Imperiale  di  Genova  \\  Il  giusto,  il  ver,  la  libertà 
sos2)iro\\  Parigi  \  Presso  Ab.  Cherbuliez,  librajo  \  Rue  de  Seine 
Saint' Germain,  n.  57  \  i833.  Il  dal  Pozzo,  però,  capiva  di  a- 
verla  detta  un  po'  grossa,  come  può  rilevarsi,  anche,  dalla  se- 
guente sua  letterina,  in  data  di  Napoli. 

AL   BARONE   GIUSEPPE   POERIO. 

Ecco,  mio  carissimo  e  stimatissimo  baron  Poerio,  una  copia 
del  mio  libretto  Della  Felicità  ecc.,  che  voi  amate  di  leggere;  e 
che  io,  pur,  amo  che  leggiate.  Ma  che  vi  prego  di  restituirmi. 
fra  qualche  giorno;  nel  qual  caso,  vi  farò,  anche,  qualche  al- 
tra comunicazione.  Potrò,  se  vi  piace,  mandarvene,  tra  qual- 
che tempo,  una  copia,  che  potrete  ritenere.  —  Ponderatelo,  vi 
prego.  Voi  vedrete,  che,  alla  pag.  77  e,  quindi,  in  tutto  il  capo 
XXXVIII,  che  comincia  alla  pag.  155  ed  è  intitolato:  Consi- 
gli all'Austria  (i  quali  consigli,  come  è  chiaro,  si  risolvono  in 
cens^ira)  non  ho  risparmiato  il  governo  austriaco,  in  ciò,  che 
ha  di  riprensibile;  e  mi  sono,  anche,  ben  energicamente,  espres- 
so. Spero,  che  voi  vedrete,  in  tutto  il  libro,  un'intenzione  bue- 

27 


—  418  — 

na,  un  fine  retto.  In  somma,  se  ho  sbagliato,  posso  dire:  che, 
mai,  nessun  abbaglio  fu  più  sincero. 
Gradite  gli  atti  della  mia  alta  stima. 
Dall'Albergo  della  Gran  Brettagna, 
Martedì,  17  Febbrajo,  1835. 

Ferdinando  dal  Pozzo 

I 

(182)  Il  qui  del  periodo  precedente  indica  i  liberali  di  Na- 
poli. 11  qui  di  questo  periodo  indica  la  Camarilla  di  Corte, 
la  conventicola  austro- sanfedistica.  Intorno  alla  quale,  vedi,  nel- 
le Narrasioni  Storiche  dì  P.  S.  Leopardi,  passim  e,  specie,  a'ca- 
piXXII,  XXX,  LXXXVI.  L'avvicinarsi  della  flotta  oapolitana 
aveva  costretto  gli  austriaci  a  sbloccare  Venezia.  (Vedi  docu- 
mento, nella  139*  di  queste  note).  Il  22,  essa  fu  raggiunta  dalla 
flotta  sarda;  e  costrinse  T  austriaca  a  rinchiudersi  nel  porto  di 
Trieste. 

(183)  Dice  il  Settembrini:  —  «  In  Cosenza,  il  18  maggio,  fu 
«creato  un  Governo  provvisorio^  di  cui  fecero  parte  il  Coloa- 
«  nello  Spina,  comandante  le  armi  della  provincia,  e  il  Mag- 

<  giore  Pianell ,  che  comandava  un  battaglione  di  cacciatori  : 
«  e  disarmarono  i  gendarmi.  In  Catanzaro,  il  19,  fu  stabilito 

<  un  Comitato  di  ^sicurezza,  preseduto  dal  Barone  G.  Marsico, 

<  Intendente  della  Provincia.  E  questo  fecero,  per  difendere  la 
«  Costituzione,  che  credevano  manomessa  ». — Nel  curioso  libro, 
intitolato:  Gioacchino   Gaudio  \  e  \  gli  ultimi]  rivolgimenti  \  in 
Calabria  Citra  \  Note  e  profili  storici  e  biografici  |  per  \  G,  Ro- 
7neo  Pavone  \\  Cosenza  \  Dalia  Tipografia  Migliaccio  \  J 876,  co- 
si si  narra  de'fatti  di  Cosenza.  —  «  Un  gran  numero  di  citta- 
«  dini  si  radunò,  nelle  sale  dell'Intendenza.  Ove,  per  provvede- 
«  re  alla  patria  in  pericolo,  si  costituì,  subitamente,  un  Comi- 
«  tato  di  salute  pubblica,  sotto  la  presidenza  del  signor  Tom- 
«  maso  Cosentini.  E,  siccome  piena  fede  s'avea  nel  costui  pa- 
«  triotismo,  a  lui  fu  lasciata  la  cura  di  chiamarsi  a  colleghi 
«  quelle  persone,  che  più  avrebbe  creduto  adatte,  onde-  le  co- 
«  se  pubbliche  andassero,  con  la  maggiore  speditezza.  Ed  egli 
«  scelse:  il  tenentecolonnello  Spina;  il  maggiore  Giuseppe  Pia- 

<  nell;  ed  i  Signori  Stanislao  Lupinacci,  Raffaele  Vabntini, 
«  Carmine  Mazzei  fu  Luigi,  Francesco  De  Simone,  Domenico 
c(  Furgiuele,  Francesco  Federici,  Federico  Anastasio,  Pasquale 


—  419  — 

€  Palmieri  di  Cosenza ,' Luigi  Martucci ,   Giovanni   Mosciaro. 

<  (Vedi  pag".  255  e  seqq.)  »  — 

(184)  Il  Settembrini  narra,  come,  dopo  il  15  maggio,  egli  fug- 
gisse, a  Scafati:  —  «  Intanto,  correvano  molte  voci:  che  alcuni 
«  paesi  vicini  si  erano  levati  in  armi;  che  la  città  di  Salerno, 
«  il  Cilento  e  tutta  la  provincia  avevano  prese  le  armi;  e  le 
€  genti  venivano  sopra  Napoli;  e  le  guidava  Costabile  Carduc- 
«  ci,  che  aveva  fatta  la  rivoluzione  in  gennajo.  E  i  ragazzi  gri- 
«  davano,  per  le  vie:  Ma'  vene  Don  Costabile;  e  le  donne  dice- 
«  vano:  i/o'  arriva  Don  Costabile!  e  povere  noi!  E,  tutto  il  gior- 

<  no  e  gran  parte  della  notte,  io  non  udivo  altro,  che  Don  Co- 
€  Stabile^  il  gracidare  dei  ranocchi  e  il  rumore  dei  telai,  che, 
€  in  ogni  casa,  tessevano  tele  di  cotone,  delle  quali  c'è  gran 
€  fabbrica  in  Scafati  ». —  Il  Carducci,  Deputato  di  Principato 
Ulteriore  e  Colonnello  della  Guardia  Nazionale,  nella  sua  pro- 
vincia, dopo  il  15  maggio,  fuggi  sulla  flotta  francese.  Andò,  poi, 
a  Roma,  quindi  a  Malta,  donde  mosse  per  isbarcare  sulle  co- 
ste del  Regno,  con  pochi  compagni.  Dice  il  Settembrini,  par- 
lando dell'agosto  1848: — <  In  quei  giorni,  si  vide  passeggiare, 
«  innanzi  la  reggia,  tra  i  militari,  un  prete  grosso  della  per- 
«  sona  e  vecchio  e  brutto;  ed  io  lo  vidi  in  mezzo  a  due  uflS- 
«  ziali  della  Guardia,  che  cianciavano  con  lui  e  ridevano.  Quel 
«  prete,  Vincenzo  Peluso  di  Sapri,  aveva  ucciso,  di  sua  mano, 
€  il  Deputato  Costabile  Carducci,  che  sbarcava  ad  Acquafredda, 

<  tra  Sapri  e  Mara  tea;  e  gli  aveva  reciso  il  capo;  e,  fattolo  asciu- 
€  gare,  in  un  forno,  lo  aveva  presentato,  in  un  paniere,  al  Re.  E 
«  non  pure  non  fu  punito  deirassassinio,  ma  ebbe  una  pensione 
«  e  carezze  molte.  E  fu  punito  il  procuratore  generale  Pasquale 
€  Scura,  che  avea  dato  ordine  di  fargli  un  processo;  e,  se  non 
«  fuggiva  il  povero  Scura,  lo  avrebbero  arrestato.  La  moglie  del 
«  Carducci,  che  era  sorella  di  Giuseppe  del  Re,  non  seppe,  mai, 
€  della  morte  del  marito;  ed  era  una  pietà,  a  vederla  e  udirla, 

<  che  aspettava  lettere  dell' America,  dove  le  avevano  detto,  che 

<  si  era  fuggito  il  Carducci  ». — Il  visconte  di  Arlincourt,  apo- 
logista prezzolato  di  Ferdinando  II,  chiama  il  Carducci  un 
briffante;  e  tace  la  qualità  di  prete  nel  Peluso:  —  «  Et  quelle  fut 
«  la  fin  de  Carducci?  Revenant  des  Calabres,  après  une  nou- 

<  velie  défaite,  et  munì,  dit-on,  de  80000  fr.,  qu'il  avait  pris 
«  de  force  aux  receveurs  de  la  contrée,  il  fut  rencontró  dans 
«  la  montagne  par  un  nommó  Vincent  Peloso.  Il  y  eut  de  suita 


—  420  — 

«  entre  eux,  et  corps  à  corps,  une  lutte  effroyable  sur  l'escar- 
4  pement  d'un  rocher;  leur  bataille  avait  lieu  sous  les  ombres» 
€  Pelloso  terrassa  le  bandit,  et  sa  dague  fut  sans  pitie.  La  téte 
4  du  fameux  insurgó  fut  mise  dans  un  pot  de  sei,  et  ironi- 
«  quement  envoyóe  a  ses  corréligionnaires  de  Naples». — Il  Glad» 
•ione,  dopo  avere  (e  con  la  semplice  esposizione  del  fatto)  mo- 
strato quanto  fosse  orribile  l'uccisione  proditoria  del  Carducci 
inerme^  la  cui  testa  non  era  stata  messa  a  prezzo,  soggiunge: 
— 4  La  magistratura,  non  ancora  corrotta,  come  adesso  (1852) 
4  dalla  intimidazione,  si  scosse.  Il  Finto,  giudice  del  circondario, 
4  cominciò  l'istruzione.  Fu  rimosso;  e  Gaetano  Cammarota  man- 
4  dato,  in  sua  vece,  a  trattar  la  pratica.  Ma,  procedendo  egli 
4  in  essa  scrupolosamente,  fu,  anch'egli,  revocato.  Un  terzo  giu- 
4  dice,  il  de  Clemente,  gli  era  stato  aggiunto,  dal  Procurator 
4  Generale,  per  l'importanza  della  causa,  che  pur  coraggiosa- 
4  mente  prosegui  l'istruzione,  sostenuto,  onorevolmente  e  vi- 
4  rilmente,  da  esso  procurator  generale  Scura.  11  procurator  ge- 
4  nerale  fu  destituito;  ed  è,  ora,  in  esilio.  Il  de  Clemente,  solo,  in 
4  apparenza,  più  fortunato,  fu  promosso  a  giudice  regio  in  Po- 
4  tenza,  ma,  dopo  un  mese,  destituito  ». — Due  volte,  la  Camera, 
air  unanimità,  invitò  il  Ministero  a  curare  la  giustizia.  Ed  il 
Ministero  lasciò  il  fatto  non  investigato  e  non  punito. 

(185)  Questo  fatto  e  tutti  gli  avvenimenti  del  1848  mostrano 
aperto,  come  il  paese  volesse  ed  ordine  e  libertà,  né  si  trovas- 
te, mica,  in  uno  di  que'  duri  frangenti,  ne'  quali  bisogna  sa— 
grificare  uno  di  questi  beni,  per  salvare,  ad  ogni  costo,  l'altro: 
Et  propter  vitam  vivendi  perdere  caussas.  Gli  elementi  rivolu- 
zionari eran  pochi  e  di  poco  valore.  Bastava  un  po'  di  fermezza, 
nel  Governo.  La  dinastia  e  la  Monarchia  non  erano,  punto,  in 
pericolo. —  Un  mio  vecchio  amico  di  Lecce,  mi  racconta  i  fatti ^ 
come  pili  minutamente  può  ricordarseli,  riducendoseli  a  mente,, 
dopo  tanti  anni.  Ducimi,  che  lo  spazio  non  mi  consenta  di  ripor- 
tare, integralmente,  la  sua  lettera,  che  compendio  a  mio  modo. 
Dunque,  la  nuova  dello  eccidio  del  15  maggio  giunse  a  Lecce, 
non  per  via  ufficiale,  nò  pe'  giornali  o  per  la  posta,  la  quale 
ritardò,  da  oltre  quarantott'ore.  La  incertezza  accrebbe  lo  spa- 
vento della  città.  Un  Nicola  Schìavoni,  giovane  di  Manduria,  ar- 
ringò il  popolo,  nel  cortile  del  palazzo  dell'Intendenza,  ora  Pre- 
fettura; e,  mostrando  temer,  che  le  stragi  si  diffondessero  per  le 
Provincie,  conchiuse,  che:  a  salvar  la  Terra  di  Otrayito^  si  aveva 


—  421  — 

d'uopo  e  di  coraggio  e  di  fermi  propositi.  La  folla  scempia,  cui 
non  parve  vero  di  far  novità,  gridò:  al  Governo provvisoriol  Giu- 
seppe Colonna  di  Stigliano,  allora  Intendente,  chiamato  ad  in- 
tervenire a  quelle  deliberazioni,  rispose:  dimetterebhesi ,  eoe  si 
volesse  permanere  in  qt^lle  idee;  ed,  infatti,  ben  presto,  si  riti- 
rò nella  capitale.  Lo  Schiavoni  fu  portato,  in  trionfo,  sulla  piaz- 
za. Ed,  innanzi  al  piedistallo  della  colonna  di  S.  Oronzio,  fu 
proclamato  il  Governo  Provvisorio  e  ne  furono  eletti  i  membri, 
fra'  quali,  primo,  beninteso,  esso  Schiavoni,  che  non  so  quali  alte 
prove  avesse  date  del  valor  suo,  perchè  gli  si  ponesse  in  mano 
la  somma  delle  cose.  Frattanto,  manipoli  di  giovani  distrugge- 
vano i  telegrafi;  altri  andavano  in  cerca  di  cannoni,  ne'  forti- 
ni abbandonati,  lungo  le  rive  dell'  Adriatico.  Ne  trascinarono 
tre  pezzi  di  artiglieria  arruginiti  a  Lecce;  ma  la  brigata,  che, 
a  tal  fine,  s'  eran  recati  ad  Otranto,  per  poco  non  vi  rimasero 
uccisi.  A  Manduria  ed  a  Bava,  si  disarmavano  i  gendarmi;  che, 
a  Lecce,  si  asserragliarono  nel  quartiere,  aspettando.  Richiesto 
il  Ricevitor  Generale  a  non  ispedir  piti  denaro  alla  capitale,  si 
rifiutò.  Il  Tribunale  domandò,  sotto  qual  nome  intestare  le  sue 
decisioni:  ma  non  gli  fu  dato  risposta.  Le  velleità  rivoluzionarie 
si  estesero,  sino  a  Gallipoli  e  ad  Oria.  La  maggioranza  del  Go- 
verno Provvisorio,  però,  composta  di  buoni  patrioti  del  1821,  ap- 
pena riuniti,  invece  d'intitolarsi  dal  Governo  Provvisorio,  si  dis- 
sero di  Pubblica  Sicurezza.  Sotto  pretesto  di  allargare  il  movi- 
mento, indussero  lo  Schiavoni  a  ritirarsi  nel  suo  paese;  e,  quin- 
di, se  la  intesero  con  le  autorità  principali,  protestando  loro,  che, 
se,  malvolentieri,  si  erano  messi  nello  imbroglio,  l'avevan  fatto 
per  afirenar  le  plebi.  E, cosi,  rimasero  paralizzati  i  rivoluzionari; 
ed  il  Comitato  fu  sciolto,  dopo  trenta  o  quaranta  ore.  Il  mio 
amico  dichiara:  menzogna  l' asserzione  del  de  Sivo,  che  il  Co- 
mitato togliesse  danaro  dalle  pubbliche  casse;  e  svisati  i  fatti, 
in  parte,  nella  decisione  della  corte  speciale  di  Lecce,  con  cui, 
poi,  lo  Schiavoni  ed  altri  furono  condannati  a*  ferri. 

(186j  Intendi  Roberto  Bavarese  (vedi  la  62*  di  queste  note);  e 
non  confonderlo  col  fratello  Giacomo.  (Vedi  la  65*  di  queste  note). 

(187)  Considerazioni  giustissime  e  degne  di  chi  le  scriTeva. 
Solo,  invece  di  governo^  leggi  Camarilla\,  leggi   Convenikola 
austrosanfedista,  leggi  il  Re,  Giacché  il  governo  legale,  qxiaiido 
avvennero  i  fatti  del  15  maggio,  era  il  Ministero  Troja,  oh*' 
n*ebbe  colpa,  solo,  per  la  sua  incapacitèu 


—  422  — 

(188)  Le  parole  in  corsivo,  ho  dovuto  supplirle  io.  Il  Gene- 
rale è  Guglielmo  Pepe  (Vedi  V  8*  di  queste  note):  suo  fratello, 
l'altro  Generale,  Florestano  Pepe  (Vedi  la  39*  di  queste  note). 

(189)  Detta  la  bella  Cornelia,  nata  Rossi.  Di  questa  donna, 
molto  galante,  ecco  come  parla  il  Gozzadini,  trattando  delle  rela- 
zioni di  lei,  con  sua  moglie.  Maria  Teresa:  —  €  Questa,  come 
4  molti  sanno,  era  stata  una  celebrità  di  bellezza,  di  grazia, 

<  di  spirito;  ed,  anche,  ma  non  fortunata,  romanziera.  Ed  erasi 
a  conservata  avvenente,  fin  quasi  ai  sessant'  anni ,  che,  allora 

<  (1841),  appunto,  toccava.  Così,  quando  Maria  Teresa,  a  lungo 

<  andare,  e  col  tenerle  compagnia,  mentr'era  e  non  voleva  es- 
«  ser  cieca,  ne  aveva  guadagnata  la  confidenza,  mettevala  sul 

<  discorso  dei  molti  ed  illustri  suoi  adoratori ,  piacendosi  di 

<  sentirla  parlare  e  raccontare  aneddoti  del  Foscolo,  del  Monti, 

<  del  Leopardi,  del  Giordani,  del  Byron,  dello  Chateaubriand, 

<  dello  Scribe  e  di  Canova.  Del    quale   ricordava  ,   non    senza 

<  emozione,  questo  aneddoto,  sfuggito,  credo,  a'  biografi  della 
«  bella  Cornelia.  Il  grande  artista  aveva  detto  di  volerla  ri- 
€  trarre;  ed  ella,  che  avrebbe  posato.  Non  importa^  soggiunse 

<  Canova ,  quando  si  ha  avuta  la  fortuna  di  contemplare  i 

<  vostri  lineamenti,  non  é  piic  possibile  dimenticarli.  Ma ,  un 

<  di,  preso  da  gelosia,  entrò  nel  suo  studio,  afferi^  il  mazzuolo 
«  e  fece  in  pezzi  il  busto  della  Martinetti ,   che  aveva,  quasi, 

<  finito:  onde  le  belle  forme  di  lei  non  passarono,  più,  alla  tar- 

<  da  posterità.  »  —  Ne  esistono  parecchie  biografie  ;  tutti  gli 
scrittori  di  viaggi,  forestieri,  del  suo  tempo  ne  parlano.  Mi  di- 
cono, che  in  un  libro,  intitolato  Studii  e  Ritratti  di  Ernesto 
Masi,  pubblicato,  a  Bologna,  dal  Zanichelli,  nel  1881,  ci  sia  un 
lungo  ritratto  di  lei  (pag.  567  e  ss).  Il  pronipote  ed  erede  , 
conte  Rossi,  mi  ha  fatto  assicurare,  che,  nella  sua  eredità,  non 
si  ò  trovata  alcuna  missiva  del  Poerio.  Ella  distrusse  le  lettere 
tutte,  che  aveva  ricevute,  nella  sua  lunga  età,  tranne  quelle 
del  Giordani. 

(190)  La  Marchesa  Elena  Mariscotti,  sorella  del  Duca  Laute 
di  Montefeltro,  viveva,  ancora,  vecchissima,  a  Bologna,  nel  1882. 
fi,  di  là,  ci  si  scrisse:  —  «  Non  è  donna,  che  s'occupasse,  nò 

<  di  letteratura,  nò  di  politica;  e  non  ci  ha  meraviglia,  che  non 

<  abbia  conservate  le  poche  lettere ,  che  può  averle  scritte   il 
«  Poerio.  >  — 

(191)  Dev^essere  del  30  maggio,  perchè  il  23  maggio,  anche 


—  423  — 

esso  giorno  di  martedì,  il  Poerio  era  in  viaggio,  da  Venezia  a 
Bologna,  ed  il  6  giugno  n'era,  già,  ripartito,  col  Pepe.  Difatti, 
nel  N.°  100  della  Gazzetta  di  Bologna  (Lunedi ,  5  giugno 
1848),  in  fine  alla  prima  colonna  della  1*  pag.,  si  legge: 

—  €  Suir albeggiare  di  ieri,  partiva,  da  Bologna,  per  Ferrara, 
«e  l'ultimo  Battaglione  dei  Volontari  napolitani,  che  qui  aveva 
€  tenuto,  da  alcuni  giorni,  sua  stanza.  Esso  è  composto  di  in- 
«  dividui  pieni,  in  core,  di  vero  Italiano  sentire.  Essi  passeran- 
«  no,  veramente,  il  Po.  >  — 

—  «  Sua  Ecc.  il  signor  Generale  Guglielmo  Pepe  ,  già  no- 
<  minato  a  Comandante  in  Capo  del  Corpo  di  spedizione  na- 
€  politano,  lasciò,  ieri,  Bologna,  dirigendosi  a  Ferrara,  dove,  a 
«  titolo  d'onore,  fu  accompagnato  da  diversi  Ufficiali  della  no- 
4L  stra  Guardia  Civica.  »  — 

(192)  Pel  Colonnello  Cutrofiano,  vedi  la  96*  di  queste  note; 
e  quel,  che  ne  dice  il  Leopardi,  nelle  sue  Narrazioni  Storiche. 

(193)  Bisogna  tener  conto  de'  tempi  e  di  quelle  deviazioni 
morali,  che  essi  e  le  passioni  impongono,  anche  a'  migliori  ed 
a'  più  onesti.  A  noi,  pare,  che  la  posizione  non  fosse  tanto  sem- 
plice. Certo,  il  dovere  verso  la  patria,  che  poteva  essere  salva, 
allora,  dalla  dominazione  straniera,  se  tutto  l'esercito  del  Pepe 
avesse  preso  parte  alla  guerra ,  lo  stimolo  di  gloria  ,  il  desi- 
derio di  cancellare  tutte  le  macchie,  che  pesavano  sulla  ban- 
diera e  sul  nome  napolitano,  avrebber  dovuto  consigliare,  ad  uf- 
ficiali e  soldati,  di  passare  il  Po.  Stava,  però,  contro  il  giura- 
mento militare.  Il  Re  richiamava  l'esercito;  e  l'esercito  dovea 
obbedire,  ad  ogni  modo.  Non  può  ammettersi,  che  la  milizia 
discuta  gli  ordini  ricevuti.  Non  può  ammettersi,  che  neghi  di 
obbedirvi  ,  ancorché  sotto  pretesto,  che  sieno  poco  onorevoli  e 
contrari  al  bene  della  patria.  Ma  come  potrebbe,  d' altra  parte, 
biasimarsi, chi  rifiuta  l'obbedienza  ad  ordini  infami  ed  ingiusti? 
Lacerato,  fra  questa  terribile  antinomia,  il  Lahalle  (Vedi  nota 
195*)  si  uccise;  salutiamone,  reverentemente,  la  bara:  e,  forse, 
sarebbe  il  solo,  in  tutto  l'esercito,  la  cui  condotta  potesse  chia- 
marsi incolpabile,  se  il  suicidio  non  fosse,  anch'  esso,  una  colpa. 
La  passione  non  deve,  no,  dopo  quasi  quarant'anni,  farci  velo 
agli  occhi.  Non  può,  incondizionatamente,  lodarsi  chi  valicò  il 
Po,  mancando  alla  fede  militare;  non  può,  nemmeno,  lodarsi 
ehi  retrocesse,  di  fronte  al  nemico  della  patria,  per  andare  a 
casa,  a  servire  di  strumento  alla  tirannide.  Ed  ò  questa,  appun- 


—  424  — 

to  ,  la  caratteristica  ,  il  contrassegno  de'  governi  tirannici  ed 
iniqui:  creano  lo  sfacelo  morale;  creano  tali  posizioni,  in  cui 
è  impossibile  regolarsi,  come  che  sia,  senza  ledere,  in  qualche 
guisa,  un  dovere.  11  General  Pepe  era,  personalmente,  dispen- 
sato dal  tornare  a  Napoli,  dallo  stesso  ordine  di  richiamo;  e, 
quanto  ad  Alessandro  Poerio,  egli  non  era  militare,  né  vinco- 
lato da  nessun  giuramento,  ma,  solo,  un  milite  deMa  Guardia 
Nazionale  di  Napoli. 

(194)  Non  ho  potuto  saper  nulla,  su  questo  Marchese  Cal- 
cagnini  da  Ferrara;  e,  neppure,  quando  e  dove  stringesse  ami- 
cizia con  Giuseppe  Poerio. 

(195)  Carlo  Francesco  Lahalle  nacque,  nel  1795,  da    Carlo 
Francesco,  (colonnello  d'artiglieria,  venuto  in  Napoli  dalla  pa- 
tria Francia,  nel  1787,  per  riorganizzarvi  l'artiglieria,  e,  poi, 
naturalizzato)  e  dalla  Teresa  Montanaro  di  famìglia  messinese. 
Volontario,  nell'artiglieria,  a  16  anni,  fu  promosso  ufSziale, 
dopo  se'  mesi,  jia  Re  Gioacchino,  per  la  perizia,  dimostra  in 
un  simulacro  d' attacco  della  piazza  di  Capua.  Salì  di  grado 
in  grado,  finché,  nel  1841,  fu  promosso  Colonnello,  Comandante 
il  Reggimento  Re  Artiglieria,  ufficio,  che  tenne  sino  al  1848. 
(In  quel  corpo,  servivano:  gli,  ora,  tenenti  generali  Cosenz  e  De 
Sauget;  Girolamo  Ulloa,  ec.)  Nel  1848,  fu  destinato  al  comando 
di  una  delle  brigate  dello  esercito,  commesso  al  Pppe.  Quando  ne 
avvenne  il  richiamo,  quasi  tutti  i  corpi  iniziarono,  di  loro  ar- 
bitrio, la  ritirata,  rifiutando  obbedienza  a'  pochi  superiori,  che 
volevan  trattenerli  (Vedi  la  96*  di  queste  note).  I  soldati  della 
brigata  Lahalle,  che,  con  1'  altra  della  divisione,  già  trovavasi 
in  Ferrara,  aizzati  da  parecchi  subalterni  e  da  molti  sott'  uf- 
fiziali,  stretti  in  Comitato,  ruppero  ogni  freno  di  disciplina;  e, 
nonché  ubbidire  al  capo  ed  agli  uffiziali  superiori,  che  vole- 
vano aspettar  la  risposta  agli  uffici,  mandati  dal  Pepe  a  Na- 
poli, li  forzarono  a  seguirli  nella  ritirata.  (Vedi  la  97*  e  219*  di 
queste  note).  Che  strazio  per  un  antico  soldato!  Ritirarsi,  quando, 
già,  presso  al  nemico  !  veder  rotti  i  vincoli  della  subordinazione! 
La  mattina  del  30  maggio ,  mentre  la  colonna  trovavasi  tra  Lugo  e 
Bagnacavallo,  strada,  che,  altra  volta,  sotto  Gioacchino,  il  Lahal- 
le aveva  dovuto  percorrere  in  ritirata,  giunto  ad  un  ponte,  rup- 
pe il  cupo  silenzio,  nel  quale  era  chiuso,  esclamando:  —  €  E  la 
«  seconda  volta,  che  passo  questo  ponte,  con  disonore!  >  —  Ed, 
allontanandosi  di  pochi  passi  dal  suo  ajutante  di  campo,  si  pi- 


—  425  — 

stolettò,  sotto  il  mento.  Il  cadavere,  raccolto  da  un  fido  dome- 
stico e  da  pochi  soldati ,  fu  trasportato  a  Bagnacavallo.  La 
Giunta  Municipale  gli  rese  solenni  onoranze  e  lo  fece  deporre 
nella  tomba  gentilizia  della  famiglia  Montanaro.  Nel  giorno 
istesso  della  sua  morte,  era  diretto,  al  Colonnello  Laballe,  dal 
quartier  generale  di  Bologna,  un  officio,  nel  quale  era  ac- 
cluso il  suo  brevetto  da  Generale.  Negli  ultimi  giorni ,  avea 
distributo  parte  del  suo  peculio,  a' volontari,  aggregati  alla 
brigata,  i  quali,  sprovvisti  di  mezzi,  si  trovarono  esposti  a  pro- 
ve difficili,  pel  contegno  ostile,  assunto,  verso  di  essi,  dalle  trup- 
pe regolari  ed,  anche,  da'  cittadini,  che  gì'  incolpavano  de'  fatti, 
a'  quali,  invece,  era  lor  forza  sottostare.  (Cfr.  Nota  220). 

(196)  Non  saprei  dire  chi  fosse  questo  Zanetti.  Credo,  un  Ve- 
neziano. Ed  ho  conosciuto  esule,  a  Nizza  marittima,  un  Ales- 
sandro Zanetti ,  veneziano  ,  parente  del  Manin  (vedi  il  docu- 
mento, pubblicato  nella  159*  di  queste  note),  che  aveva  moglie 
e  tre^  figliuole.  La  seconda  delle  quali,  per  nome  Leopoldina, 
pittrice,  è  moglie,  ora,  del  pittore  Ulisse  Borzino,  che  dirige 
un  grande  stabilimento  oleografico,  Via  Borghetto,  a  Milano» 
ed  una  cui  figliuola,  ha,  da  poco,  sposato  il  pittore  Armenisi. 
Ma,  se  non  erro,  vi  fu,  anche,  un  Zanetti,  ufficiale  tra'  volon- 
tari bolognesi. 

(197)  Pietro  Sterbini,  da  Vico  di  Frosinone,  studiò  medicina 
e  fu  laureato  in  Roma.  Attrasse,  dapprima,  l'attenzione,  con  un'o- 
de, per  la'  battaglia  di  Navarino,  ed  una  tragedia^  la  Vestale, 
rappresentata  e  proibita,  nell'ottobre  del  27.  La  polizia  della 
Roma  papale  si  dispiacque,  che  i  sacerdoti  idolatri  fossero  rap- 
presentati, come  impostori  fraudolenti;  e  che  un  personaggio 
li  apostrofasse,  col  verso: 

0  furie,  vestite  col  manto  di  Giove! 

che  il  pubblico  applaudiva.  Nel  1829,  pubblicò  un  volumetto 
di  versi,  dove  sono  alcuni  inni  sacri.  Mandato  in  esilio,  in  con- 
seguenza de'  moti  del  1831,  diresse,  a  Marsiglia,  uno  stabili- 
mento di  bagni;  e  pubblicò,  a  Bastia,  nel  1835,  un  volume,  con 
tre  tragedie  (la  Vestale,  il  Tiberio  e  l' Ugolino)  e  venti  liriche: 
.  roba  scadente,  massime,  per  istile  e  verso.  Tornato,  per  l'amni- 
stìa di  Pio  IX,  fermandosi,  una  notte,  in  Anagni,  vi  declamò, 
in  teatro,  l'ode  del  ritorno: 


—  426  — 

Tra  le  sante  ruine  di  Roma, 
Ti  lasciai,  son  tre  lustri,  o  mia  lira! 
Come  fiore,  che  l'alba  sospira, 
Sospirava,  tre  lustri,  per  te! 

Pieno  di  buon  gusto  quel  paragone:  del  sor  medico  e  diret- 
tore di  stabilimenti  balneari,  con  un  fiore!  Per  mostrare  la  sua 
riconoscenza  al  Pontefice,  fu  a  capo  di  tutti  i  subbugli,  mae- 
stro d' eloquenza  piazzaiuola;  e  diresse ,  con  Cesare  Agostini  , 
il  Contemporaneo  ,  giornale  immoderato  e  celebre  per  le  sue 
bugìe.  Sotto  il  primo  triumvirato,  ebbe  cariche  di  polizia  e  mil- 
le altre  incombenze.  Fu,  poi,  triumviro,  anche  egli,  in  quella  car 
novalata  repubblicana  :  dove  un  attore  (  il  Modena  )  era  legi- 
slatore ,  ben  poteva  essere  triumviro  un  mediconzolo  ed  im- 
provvisatore, che  si  era  prodotto  sulle  scene!  Entrati  i  Fran- 
cesi, fuggi»  dopo  due  o  tre  giorni,  in  un  carro  di  paglia.  Nel 
1860,  si  stabili  a  Napoli.  Vi  scrisse  un  giornalaccio:  Roma  o 
morte;  ma,  sul  conto  di  Napoleone  III,  diceva,  a  tutti: — e  Pre- 
«  ghiamo  Dio,  che  campi  il  nostro  nemico!  » — Ammalatosi  di  cal« 
coli  orinari,  chiese,  a  Roma,  di  potere  andare  alle  acque  di 
Anticoli,  scortato  da*  carabinieri;  ma,  neppure  a  questa  con- 
dizione, ottenne  il  permesso  pontifìcio.  Mori,  non  ricordo,  se  nel 
1863,  0  dopo  0  prima:  ma,  certo,  in  quel  torno. 

(198)  La  notìzia  era  falsa.  Certo,  se  la  flotta  napolitana  fosse 
rimasta  in  ajuto  di  Venezia,  le  cose  avrebber  preso  altra  pie- 
ga :  ma ,  come  immaginare  ,  che  una  flotta  intera  si  ribelli, 
unanimemente,  e  venga  meno  alla  fede,  dovuta  al  capo  dello 
Stato?  La  flotta  napolitana  fece,  è  vero,  un  tale  atto,  o  qualche 
cosa  di  equivalente,  nel  1860;  e  si  può  scusare,  come  un  effetto 
della  demoralizzazione  profonda ,  prodotta  dalla  tirannide  ;  si 
può  ammirare,  come  efletto  della  nemesi  divina ,  che  una  di« 
nastia  sleale,  perisse  per  la  slealtà  de'  suoi  servitori.  Ma  qual 
moralista,  quale  ufficiale  di  onore  potrà,  mai,  lodare  il  conte- 
gno della  flotta  nel  1860?  Cui  non  sarà,  sempre,  infame  il  nome 
deirAnguissola  f 

(199)  Alessandro  Marini,  per  quanto  ho  potuto  appurare,  in- 
dagando, era  nipote  di  un  Consigliere  Marini,  Calabrese.  Av- 
vocato di  Professione,  mori  etico;  forse,  in  seguito  agli  strapazzi, 
sostenuti  in  prigione.  Un  Francesco  Marini  di  Alessandro,  da 
S.  Demetrio,  nato  verso  la  fine  del  secolo  scorso,  fu  Profes- 


—  427  — 

scredi  Lettere  Greche  e  Latine,  nel  Collegio  di  Cosenza;  e  morì, 
vecchio,  nel  1851.  Un  Salvatore  Marini,  da  S.  Demetrio,  te- 
nendo la  Presidenza  della  Gran  Corte  Criminale  in  Cosenza, 
a'  tempi  del  Manhòs,  venne  in  lotta  con  costui,  salvando,  nella 
competenza  ordinaria,  molti  imputati,  de'  quali  il  poter  mili- 
tare avrebbe  fatto  strazio.  Suo  fratello,  Cesare  Marini,  fu  De- 
putato, nel  48.  Giureconsulto  di  polso,  morì,  a  Napoli,  Con- 
sigliere della  Corte  de*  Conti ,  ufficio ,  al  quale  era  stato  as- 
sunto, nel  1860. 

(200)  Ammira  la  credulità  del  buon  Del  Re,  il  quale  si  beveva 
tutte  le  frottole  ed  apparteneva  a  quella  classe  di  liberali,  che, 
a  Napoli,  volgarmente,  si  dicevano:  speranzuoli. 

(201)  L'amico  era  il  Marchese  Luigi  Dragonetti.  Nato,  il  pri- 
mo ottobre  del  prira'anno  dell'ultimo  decennio  del  secolo  scorso, 
d'illustre  famiglia  aquilana,  studiò  nel  Collegio  Nazareno  a 
Roma.  Esordì  nella  vita  politica  e  letteraria ,  celebrando ,  in 
prosa  e  in  versi,  in  un'accademia,  tenuta  all'Aquila,  l'impre- 
sa, così  improvvidamente  tentata  dal  Murat  per  la  liberazion 
d'Italia.  Figurò  nel  Parlamento  napolitano  del  18*20;  e  fu,  con 
mio  avo  Matteo  Imbriani,  di  que'  ventisei,  che,  il  19  marza 
1821,  firmarono  la  protesta,  dettata  dall'altro  avolo  mio  Giu- 
seppe Poerio.  Fu  arrestato,  per  sospetti  di  congiura,  nel  1833  e 
nel  1842.  Dopo  quest'  ultima  prigionia,  che,  come  la  prima,  non 
fu  seguita  da  condanna  giudiziaria,  ma  che  ebbe  lo  strascico  di 
quattro  anni  di  domicilio  coatto,- nel  convento  di  Montecassino, 
si  stabilì  a  Roma,  con  la  famiglia.  Nel  1848,  era  stato  sopra* 
intendente  degli  Archivi;  e,  quindi,  ministro  degli  affari  este- 
ri, nel  Ministero  Troya ,  così  detto  del  3  Aprile.  Nel  giugno 
1849,  fu  incarcerato;  e,  nel  1853,  imbarcato,  con  un  passa- 
porto per  l'America.  Ma,  giunto  a  Malta,  mutò  indirizzo;  e 
si  ridusse:  prima,  a  Tolosa,  dov'eran  due  suoi  figliuoli  emi- 
grati; poscia,  a  Parigi;  e,  quindi,  in  Piemonte  e  Toscana.  Nel 
1860,  fu  restituito  alla  Soprantendenza  degli  Archivi  Napo- 
litani ;  fu  nominato  Senatore  del  Regno  e  passò ,  quindi ,  al 
Consiglio  di  Stato,  nella  sezione  rimasta  a  Napoli.  E,  quando 
questa  fu  abolita ,  ebbe  solo  una  modesta  gratificazione  (noQ 
contando  gli  anni  di  servizio  per  esser  pensionato)  e  la  crood  di 
uffìziale  dei  SS.  Maurizio  e  Lazzaro.  Moriva  il  £1  F 

1871.  Fu  molto  cattolico:  epperò,  non  yide  di  biior 
tutte  le  novità ,  che  hanno  rimutata  1*  Italia  ( 


—  428  — 

meglio)  dopo  il  1860.  Consulta  la  vita  di  luì,  scritta  da  P. 
Castagna  (Firenze  1878);  e  le  Spigolature  nel  Carteggio  lettera- 
rio e  politico  del  Marchese  Luigi  Dragonetti,  pubblicate,  dal  fi- 
gliuolo Giulio,  nel  periodico  fiorentino  La  Rassegna  Nazionale^ 
(Voi.  XII  e  sgg). 

Nel  proseguo  di  queste  lettere,  si  parlerà,  più  volte,  di  due 
ftuoi  figliuoli ,  de'  quali,  anticipiamo,  qui ,  alcune  notizie.  Al» 
fonso  Dragonetti  nacque,  nell'  Aquila,  il  6  settembre  1826,  da 
Luigi  e  dalla  Laura  de'  Marchesi  de  Torres.  Studiò,  in  Roma, 
nel  Collegio  Nazareno,  dal  1839  al  1843,  quando,  per  un  infer- 
mità sopraggiuntagli ,  recossi  a  Montecassino,  presso  il  padre. 
Nel  1844  e  45,  compì,  in  Roma,  lo  studio  delle  matematiche 
sublimi,  nella  Sapienza.  Nel  1846,  fé  ritorno  all'  Aquila,  ove 
pubblicò  le  vite  degli  illustri  Aquilani  descritte  (Aquila,  1847;  in 
8.^).  Nel  1848,  fu  secondo  segretario  de'  Commissari  Napolitani 
per  la  lega  (Vedi  la  60*  di  queste  note).  Partì,  quindi,  uffiziale 
de'  volontari  per  la  guerra.  A  Venezia ,  contrasse  febbri,  che, 
come  si  vedrà,  indussero  il  Pepe  a  concedergli  un  congedo,  per 
ristabilirsi.  Il  quale  era  accompagnato  da  una  lettera,  in  cui  si 
diceva: — <  E,  veramente,  mi  conforta  il  pensiero,  che,  ben  presto, 
€  farà  ritorno,  fra  noi,  ovunque  sia,  che  si  combatterà  per  la 
««  indipendenza  e  libertà  di  questa  nostra  carissima  Italia.  Io,  in- 

<  tanto,  nel  darle  tale  licenza,  le  assicuro,  che,  di  lei,  e  come 

<  caldissimo  patriota  e  come  buon  milite,  avrò  eterna  stima  e 

<  memoria.  »  —  Rimpatriato,  si  curò  e  guarì,  quasi,  in  Paga- 
nica.  Ma ,  nella  notte  di  Natale ,  scossa  l' Aquila  da  violento 
tremuoto,  prese  freddo,  correndo,  quasi  ignudo,  per  casa,  in 
cerca  de'  suoi.  Quindi  tosse  e  febbre  e  tubercolosi  e  perniciosa, 
che  lo  spensero,  in  Paganica,  il  27  maggio  1849,  di  ventidue 
anni  ed  otto  mesi.  Militò,  pure,  a  Venezia,  il  fratello  Giovam' 
battista^  vivente,  ohe  porta  il  titolo  di  Marchese  di  Torres,  e- 
reditato  da'  zii  materni.  Fu  ufficiale  nel  battaglione  de'  vo- 
lontari napolitani,  comandato,  dallo,  ora.  General  Matarazzo,  il 
quale  parla,  vantaggiosamente,  della  sua  condotta  in  quella  con- 
giuntura. Nel  1849,  rimpatriò,  travagliato  dalle  febbri  di  ma- 
laria, n  governo  borbonico  lo  incarcerò  sotto  una  imputazione, 
che  fu  distrutta  da  un  alibi  inoppugnabile.  Allora,  per  sot- 
trarsi a  nuove  vessazioni,  venne  a  ritrovare,  in  Francia,  il  fra- 
tello Giulio  (vivente  anch'  egli),  che  vi  era,  già,  esule.  Nel  1849, 
si  arruolò  nelle  milizie  dell'  Emilia;  e  fu  nominato  Commissa- 


—  429  — 

rio  di  Guerra:  impiego,  che  ritenne,  nell'esercito  Italiano,  sino 
al  1864,  quando  si  ritirò  nella  vita  privata. 

(202)  Cognato  del  Del  Re,  come  abbiam  detto,  nella  88*  di  que- 
ste note,  era  Constabile  Carducci.  Vedi,  per  lui  e  per  la  sua  fi- 
ne tragica,  la  184*  di  queste  note. 

(203)  Ecco  una  di  quelle  frasi  infelici,  ampollose,  che ,  per 
voler  parerà  aroane,  solenni,  bibliche,  sublimi,  potrebbero  in- 
durre in  un  concetto  falsissimo  di  chi  scriveva.  La  sua  sen- 
tenza è  firmata!  Un  procurator  generale  borbonico  avrebbe 
tratta,  da  questa  frase,  la  prova,  che  il  Del  Re  appartenesse  ad 
una  setta  misteriosa,  nella  quale  era  stato  deciso  il  regicidio. 
Il  Del  Re  era,  invece,  uomo  mitissimo;  e  non  avrebbe  ammaz- 
zata una  mosca.  E  la  frase  vuol,  semplicemente,  dire:  che,  nei 
decreti  di  Dio,  era  scritta  la  caduta  de*  Borboni;  che  le  necessità 
storiche  la  rendevano  inevitabile.  Ed,  in  questo,  il  Del  Re,  con 
Vagite  speme,  precorre  revento. 

(204)  Calamità  è  un  po'  troppo.  Del  resto,  quando  il  Del  Re 
scriveva  questa  lettera,  eran,  già,  accadute  la  battaglia  di  Goito 
(30  maggio)  e  la  resa  di  Peschiera,  che  compensavano,  ad  usu- 
ra, la  calamità  di  Milano. 

(205)  Aurelio  Saliceti.  Veggasi  quel,  che  se  n'  è  detto,  nella 
108*  di  queste  note. 

(206)  Gennaro  Bellelli.  Se  n'è,  già,  parlato,  nella  61*  di  que- 
ste note. 

(207)  Giannandrea  e  Stefano  Romeo,  da  S.  Stefano,  pressa 
Reggio  di  Calabria ,  che  erano  stati  fra'  capi  della  sommossa 
di  Reggio,  del  1847. 

(208)  —  «  Il  Salafia  era  un  Calabrese  ,  non  so ,  se  di  Mor- 

<  naanno  o  Morano,  nemico  alla  famiglia  Mauro;  ma,  passa- 
le va ,  per  ardente  liberale.  Prima  del  1848 ,  era  studente ,  a 
€  Napoli  ;  e  si  distingueva  per  un*  alta  statura  ed  una  lunga 

<  zazzera.  Non  vorrei ,  che  la  memoria  mi  tradisse  sul  conto 
«  di  lui,  ma  questo  mi  pare,  eh'  egli  fosse  »  —  (Da  una  co- 
municazione confidenziale).  Anche  Cesare  Dalbono  se  ne  ri- 
corda il  nome.  Frattanto,  avendo  pregato  il  prof.  N.  P.,  eh'  è 
di  que'  luoghi,  di  far  fare  qualche  ricerca  sulla  persona,  egli 
ha  avuto  questa  risposta:  —  «  Sapete,  che,  nò  in  Mormanno  né 
«  in  Morano  esiste  il  cognome  Salafia  >....  —  Nò,  finora,  ho 
potuto  assodar  altro. 

(209)  Luigi  Zuppetta,  nato  in  Castelnuovo  della  Daunia  (Ca- 


—  430  — 

pitanata)  il  21  giugno  1810.  Mediocre  paglietta.  Autore  di  un 
Progetto  di  codice  penale  della  repubblica  di  S.  Marino^  di  una 
Chiave  della  raccolta  delle  leggi  e  di  un  Corso  completo  di  Di- 
ritto Comparato^  opere  di  nessun  conto.  Fu  tra'  più  dissennati 
agitatori  del  1848.  Né  senno  ha  messo,  ancora;  e  persevera, 
decrepito ,  a  bamboleggiare,  repubblicaneggiando. 

(210)  Ferdinando  Petruccelli,  (che  si  fa  chiamare  Petruccelli 
della  Gattina,  conosciuto,  fra'  suoi  coetanei,  col  nome  di  Qui-- 
busdam;  e  che  altri  ha  chiamato  Pierre  Oiseau  de  la  petite 
chatte)  nato  il  1816,  a  Lagonegro,  in  Basilicata.  Uomo  scan- 
dalosissimo. Nel  1848,  fu  tra  gli  scrittori  del  Mondo  vecchio  e 
Mondo  nMc>uo,  giornalaccio,  che  fece  infinito  male  a  Napoli.  Dopo 
il  1860,  Deputato  al  Parlamento  Italiano,  faceva  viaggiare,  col 
suo  biglietto  gratuito,  una  sua  druda,  travestita  da  uomo  e 
brutta  come  il  peccato:  circostanza  aggravante.  Scrive,  come 
un  cane,  in  francese  ed  in  Italiano,  articolesse,  libelli,  roman- 
zacci,  indecenti  sotto  ogni  aspetto,  e  storie,  anche  più  inde- 
centi. Timido  come  una  lepre  (Vedi  la  301  di  queste  note). 
Quando ,  a  Torino ,  per  servire  al  Raltazzi  infame ,  stampò  i 
suoi  Moribondi  del  Palazzo  Carignano,  chiamò,  in  quel  libello, 
vili  tutti  i  Romani.  Gli  fu  fatto  rimettere ,  da  un  deputato , 
un  biglietto  anonimo,  in  cui  un  collega  lo  avvertiva  dello  ar- 
rivo di  un  giovane  romano,  per  chiedergli  soddisfazione  delle 
parole  invereconde.  Io  era  in  una  tribuna,  conscio  dello  invio. 
Qutbusdam,  nell'aula,  riceve  il  biglietto;  si  turba;  richiama 
l'usciere  e  gli  parla,  vivacemente;  s'alza;  va  a  parlare  col  pre- 
sidente ed  a  mostrargli  il  biglietto;  poi,  infilza  la  porta;  e 

la  sera  stessa,  partiva  per  l'estero! 

(211)  I  fratelli  Cùrion  (e  non  Curioni) ,  per  quanto  io  mi 
sappia,  eran  più  di  tre:  non  posso  determinare  quali  due  di 
essi  andassero,  allora,  a  Roma.  Uno  era  nello  esercito.  Un  al- 
tro è  stato  fatto  Delegato  di  Pulblica  Sicurezza,  dopo  il  1860; 
e  lo  credo,  ancor,  vivo  ed  in  ufficio.  Il  terzo,  che  conobbi  una 
ventina  di  anni  fa,  membro  dell'  associazione  costituzionale  in 
Napoli,  era  zoppo,  ma  gentile  e  colta  persona.  L'  ho  perduto 
di  vista,  né  so  se  viva  ancora.  Di  lui  e  del  fratello  Delegato, 
si.  leggono  versi  ecc.  nelle  antiche  strenne ,  raccolte ,  gior- 
nali ecc. 

(212)  Matteo  de  Augustinis  nacque,  nel  Principato  Citerio- 
re, ne'  primi  anni  del  secolo.  Fu  avvocato;  e  si  occupò,  molto, 


—  431  — 

di  cose  economiche.  Nel  Progresso,  possono  leggersene  parecchi 
de'suoi  articoli.  Ma  c'è  chi  mi  afferma  esser  egli,  già,  morto, 
prima  del  1848;  e  doversi,  qui,  trattare  d'un  suo  figliuolo,  che, 
poi,  si  fece  gesuita. 

(213)  Giuseppe  de  Vincenzi  fu,  nel  1848-49,  Deputato  del  di- 
stretto di  Teramo,  (insieme  con  Michelangelo  Castagna  e  Bel- 
lisario Clemente)  ed  uno  de'  quattro  segretari  della  Camera  de' 
Deputati.  Poscia,  esulò.  Dimorò,  prima,  alcun  mese,  a  Ginevra, 
con  Antonio  Ciccone  e  P.  E.  Imbriani.  Poi,  si  trattenne,  prin- 
cipalmente, a  Parigi  ed  a  Londra,  dove  la  vita  elegante  non  gli 
fece  trascurare  gli  studi  economici  e  chimici:  ha  fatto  qualche 
scoverta  in  galvanotipia.  Nel  Regno  d' Italia,  è  stato  Deputato, 
Ministro  de'  Lavori  Pubblici  e  vive,  ancora,  Senatore  del  Re- 
gno e  valente  enologo. 

(214)  Leonardo  Dorotea  fu,  nel  1848-49,  Deputato  del  di- 
stretto di  Sulmona,  insieme  con  Piersilvestro  Leopardi  (Nota 
170*).  Chi  mi  asserisce,  eh'  egli  sia  morto  prima  del  1860.  E 
chi ,  eh'  egli  sia  morto ,  nel  Regno  d' Italia  ,  Direttore  delle 
acque  e  foreste;  e  dopo  essere  stato  Segretario  Generale  del  Mi- 
nistero di  Agricoltura  e  Commercio.  Fu  medico  e  naturalista; 
e  s'  occupò,  anche,  del  Tavoliere  di  Puglia.  Lasciò  due  figliuo- 
li, Sertorio  e  Scipione,  uno  de'  quali,  almeno,  è  ancor  vivo,  in 
Abruzzo:  ma  non  ho  potuto  saper,  proprio,  in  che  luogo,  per 
chiedergli  maggiori  e  piìi  autentiche  notizie. 

(215)  Francesco  de  Blasiis  fu,  nel  1848-49,  Deputato  del  di- 
stretto di  Penne,  insieme  con  Domenico  De  Caesaris.  Emigrato 
negli  Stati  Sardi ,  vi  sposò ,  molto  attempato ,  la  giovanetta 
Diomira  di  Francescantonio  Mazziotti,  (che  era  stato  Deputato 
del  distretto  di  Vallo.)  Si  tramutò,  quindi,  in  Toscana.  Nel  Re- 
gno d'Italia,  è  stato,  prima,  Deputato;  poi,  Consigliere  di  Stato; 
in  seguito,  Senatore  del  Regno  e,  persino.  Ministro  di  Agricol- 
tura e  Commercio ,  nel  detestando  e  ridicolo  Gabinetto  Rat- 
tazzi,  numero  due.  Gli  fu  rimproverato,  non  sappiamo  con  quan- 
ta verità,  di  aver  fatto,  allora,  raccomandare,  con  una  circolare 
del  Ministero,  l' acquisto  di  una  sua  arte  di  fare  il  vino. 

(216)  Il  Barone  Vito  Porcaro  fu  mescolato,  nel  1831,  nella 
congiura  di  Frate  Angelo  Peluso.  Vuoisi,  che  venisse  denun- 
ziato dal  proprio  padre.  Condannato,  non  so  se  ai  ferri  o  all'er- 
gastolo, rimase  chiuso  fino  al  1848.  Stette,  lungamente,  nel  Ba- 
gno di  Gaeta;  ed,  in  quella  città,  quantunque  forzato,  si  ammo- 


—  432  — 

gliò;  e  mi  assicurali,  che  la  moglie  viva,  ancora,  ad  Ariano.  Nel 
novembre  48,  fu,  di  nuovo,  arrestato;  e,  senza  giudi/io,  rimanda- 
to in  galera.  Poi,  gli  fu  fatto  il  giudizio  e  condannato,  di  nuovo, 
airergastolo.  Delle  crudelti\,  usate  contro  il  Porcaro,  parla,  a 
lungo ,  Guglielmo  Ewart  Gladstone.  Fu  liberato ,  insieme  col 
Poerio  e  col  Settembrini. 

(217)  Chi  fosse  questo  Miranda,  non  ho  potuto  rintracciare. 

(218)  Forse,  anzi  senza  forse,  questo  di  Ariano  non  ò,  come 
s'è  creduto  nello  stampare,  un  cognome;  anzi  V  indicazione  del- 
la patria  del  Miranda  e  del  Porcaro. 

(219)  Il  Leopardi  scriveva,  il  31  maggio,  al  Ministro  Sardo: 
—  4C 11  Colonnello  Zola,  che  comandava  le  due  brigate  di  fua- 
«  teria  napolitana,  a  Ferrara,  in  seguito  dell' ufficio,  da  mo 
«  direttogli,  da  Rovigo,  s'era  atfaticato,  di  tutto  cuore,  a  far 
4L  loro  valicare  il  Po  ,  ma  indarno.  Un  sedizioso  comitato  di 
«  molti  sotto  -  uffiziali ,  impadronitosi  dallo  spirito  dei  soldati, 
€  impediva  la  marcia.  11   Cardinale  Ciacchi,  dopo  avere  ton- 

<  tati  tutti  i  modi,  per  far  tornare  i  sediziosi  all'  obbedienza, 
4C  apaventato  dalla  loro  ostinata  insubordinazione  ed,  anche, 
«  per  consiglio  del  general^  Lamarraora ,  incontratosi  colà  di 
«  passaggio,  aveva  insistito,  perchò  le  due  brigate  uscissero 
«  dalla  città.  A  ciò  cooperarono,  di  buon  grado,  i  capi,  spe- 
4L  rando  di  ricondurle  a  Bologna;  ma,  pervenuto  ad  un  bivio, 
«  presso  Malalbergo,  il  comitato,  levando  il  grido  :  A  Napoli j 
«  dove  ci  richiama  il  Re  !  e  sostenendo,  quasi,  in  ostaggio,  i  loro 
<c  capi,  le  trascinò  verso  Lugo.  Il  Colonnello  di  artiglieria 
«  Lahalle,  anteponendo  alla  infamia  la  morte,  si  ucciso,  da  sé. 

<  Il  colonnello  di  fanteria.  Testa,  ebbe,  dall'angoscia,  uu  tocco 
«  apopletico.  >  —  (Cfr.  la  195*  di  queste  notule). 

(220)  Nel  N.°  99  della  Gazseita  di  Bologna  (Sabato,  3  giu- 
gno 1848)  leggesi,  incominciando  in  fine  alla  prima  colonna 
della  1*  pag.  e  proseguendo  per  la  seconda  colonna,  l'articolo 
seguente: 

—  «  Il  Colonnello  Lahalle,  che,  sventuratamente,  comandava 

<  le  truppe  Napolitane,  partite  da  Ferrara  e  smaniose  di  tor- 
<K  nare  nel  Regno,  al  servizio  e  agli  ordini  di  Ferdinando  II> 

<  avutone  comando  dal  Generale  in  capo,  tentò,  invano,  di  ri- 
«  condurre  quelle  truppe  al   proprio  dovere  ;  e,  in   presenza 

<  delle  medesime,  si  dio  la  morte,  presso  Lugo.  Sono  quello 
«  truppe  composte  di  otto  battaglioni  di  linea  ,  una  batteria 


—  433  — 

«  completa,  e  dne  compagnie  di  zappatori.  Il  Lahalle  era  un 
«  dotto  e  prode  colonnello  di  artiglieria.  Suo  padre  era,  esso 
€  pure.  Colonnello  di  artiglieria,  francese;  ed  era  stato  mandato, 
«  da  Luigi  XV J,  a  ordinare  e  a  istruire  le  artiglierie  di  Napoli. 
4L  Ammogliatosi,  in  Napoli,  nel  1799,  prese  servizio  sotto  la  Re- 
«  pubblica  Partenopea.  Emigrò;  e  servi  la  Francia,  co'  Napo- 
«  letanì  esuli,  fino  all'avvenimento  al  trono  di  Napoli  di  Giu- 
4c  seppe  Bonaparte;  e,  allora,  tornò  nel  Regno.  Il  di  lui  figlio, 
«  testé  perduto,  venne,  fra  noi,  con  Gioacchino  Murat,  nel  1815. 
«  Sfortunatamente,  erasi  voluto,  che,  dall'  artiglieria,  passasse 
«  alla  linea,  assumendo  le  funzioni  di  Generale;  e  gliene  era 
«  promessa  la  promozione.  Banchò  stimato  dall'armata,  la  per- 
«  suasione,  in  questa,  falsamente,  insinuatasi,  che  si  avesse  a  pro- 
«  pugnare  un  principio,  avverso  a  Napoli  e  al  Re,  rese  vani 
«  tutti  i  suoi  sfoi'zì.  Le  truppe,  rimaste  senza  il  loro  capitano, 
«  marciano  in  colonna  serrata;  bivaccano,  nei  brevissimi  loro 
«  riposi;  e  vanno  a  marce  forzatìssi me.  I  soldati  hanno,  sem- 
«  pre,  carichi  i  fucili;  e  gli  artiglieri  hanno  le  micce,  sempre, 
«  accese.  11  31  scorso,  quelle  truppe  erano,  già,  a  Cesenatico; 
«  e  si  proponevano  di  arrivare,  ben  presto,  alla  Cattolica. 

«  Il  cadavere  del  generoso  Lahalle,  trasportato  a  Bagnaca- 
«  vallo,  vi  ebbe  i  funebri  onori,  nella  parrocchiale  di  S.  Gi- 
«  rolamo,  dove  venne  recato,  preceduto  dal  clero,  da  confra- 
«  ternite  con  torce,  dai  civici  tamburi,  suonanti  a  lutto.  E  sor- 
«  reggevano  le  nappe  funerali  del  feretro  il  Tenente-Colon - 
€  nello  Graziani ,  già  Ufficiale  della  grande  armata,  il  Mag- 
€  giore  Bubani  e  i  Capitani  Tallandini  e  Biondi.  Dopo  i  quali, 
«  veniva  uno  stuolo  di  Uffiziali  Civici  ed  una  Compagnia  di 
«  Guardie,  che,  al  momento  dell'esequie,  eseguirono  una  tripli- 
«  ce  salva  di  moschetti,  secondo  le  militari  costumanze. 

«  E,  qui,  pure,  in  Bologna,  il  2.°  Battaglione  dei  Civici  Na- 
«  politani  volle,  ieri,  celebrate  solenni  esequie,  al  Lahalle,  nel 
«  grandioso  Tempio  di  S.  Francesco  de'  Conventuali.  Vi  as- 
«  sisteva  quel  Battaglione,  colla  ufficialità;  e  v'  intervennero  il 
«  corpo  degli  ufficiali  della  Civica  nostra  ,  con  molto  popolo. 
«  Il  P.  Alessandro  Gavazzi,  che,  da  alcuni  giorni,  ò  fra  noi, 
«  disse,  colla  sua  facile  eloquenza,  le  lodi  del  prode  defunto.  »— 

(221)  Dice  il  Leopardi  :  — -  <  Il  Generale  Pepe  ,  appena  io 
«  lasciavalo  a  sé  stesso,  il  23  maggio,  facevasi  indurre  a  spe- 
«  dire  a  Napoli  un  suo  ajutante  di  campo,  latore,  a  S.  M.  Si- 

28 


—  434  — 

«  ciliana,  di  una  lettera,  con  la  quale  esortavalo  a  rivocare  il 
€  richiamo  della  spedizione.  »  —  Carlo  Cirillo,  ufficiale  mu- 
rattino,  era  stato,  in  altri  tempi,  ajutaute  del  Pepe.  Destituito, 
dopo  il  20,  fu  richiamato,  dopo  il  30,  ma  con  lo  stesso  grado 
di  Capitano,  e  destinato  alla  piazza.  Il  Pepe  il  volle,  come  Mag- 
giore, alla  immediazione  del  suo  comando. 

(222)  Pur  troppo,  sembrava,  che  un  malvagio  destino  pe- 
sasse, sulle  armi  Napolitane!  che  tutte  le  imprese  nostre  doves- 
sero finire,  con  voi»gogna! 

(223)  Leopoldo  Pilla,  nato,  a  Venafro,  nel  1805,  valentissimo 
in  mineralogia  e  geologia,  fu  chiamato,  dal  Granduca  di  To- 
scana, ad  insegnare,  a  Pisa.  Nel  1848,  divenne  Capitano  del  Bat- 
taglione Universitario;  e  mori,  volgendo  la  faccia  al  nemico,  il 
29  maggio,  a  C urtatone.  Non  disse:  Armàmmoce  e  jate  ! 

(224)  Il  Mossotti  è  morto,  Senator  del  Regno  e  Pj-ofessore  di 
Meccanica  Celeste,  nella  Regia  Università  di  Pisa.  Gli  è  stato 
eretto  un  monumento,  nel  Camposanto  vecchio,  sulla  cui  base 
v*ò  un  medaglione,  col  ritratto  del  sepolto, fra  le  due  metà  penta- 
stiche  (l'una,  a  destra,  l'altra,  a  sinistra)  della  iscrizione  seguente: 

Alla  Memoria 

DI  Ottavl\no  Fabrizio  Mossotti 

NATO  IX  Novara  il  xviii  Aprile  mdcxci 

E  MORTO  IN  Pisa  il  xv  Marzo  mdccclxiii 

QUI  RENDE    ONORE  l/ ITALIA. 
La   SCIENZA   DA   LUI   PROFESSATA 

ne  attesta  i  meriti  eminenti 

e  la  perennità  della  gloria. 

Artefice  del  monumento 

FU  Giovanni  Duprè. 

E, sopra  esso  monumento,  è  sdrajata  una  sgualdrina,  seminuda, 
di  marmo,  con  una  stella  in  fronte,  aggomitata  sopra  tre  vo- 
lumacci:  che  deve  significare  l'astronomia.  La  quale  ostenta,  im- 
pudicamente, al  pubblico,  il  petto,  le  braccia,  il  ventre  ed  il 
fianco.  II  resto,  chiaramente,  traspare,  da  un  panneggio.  Queste 
figure  sconvenienti,  questi  ignudi  muliebri  piaceva  di  mettere 
in  evidenza,  e  sulle  tombe  e  sovra  i  monumenti  di  gloria,  a 
Giovanni  Dupré,  che,  pur,  faceva  il  cattolico  ed  il  timorato  uomo. 
Onde  altri  ebbe  a  dire,  aver  egli  piantato,  sopra  una  pir.rza 


—  435  — 

di  Torino,  Camillo  Benso,  tra  le  bagasce  di  un  lupanare.  E 
r  Italia  tollera,  anzi  applaude,  inverecondie  siffatte!  e  dal  mal- 
nato, che  scolpi,  per  sozza  cupidigia,  T  effigie  dello  Haynau! 

(225)  Giacomo  de  Martino,  allora,  Console,  a  Marsiglia,  fu, 
poi.  Ministro,  mandato,  da  Napoli,  a  Torino,  con  Giovanni 
Manna  (vedi  la  DI'*  di  queste  note)  da  Francesco  II,  troppo 
tardi.  Nel  Regno  d'Italia,  ò  stato  Direttore  Generale  delle  Fer- 
rovie Romane  [nel  quale  ufficio,  non  può,  certo,  dirsi,  eh'  egli 
abbia  fatto  mostra  di  gran  capacità  amministrativa]  e  Depu- 
tato al  Piirlamento,  [pe' Collegi  Elettorali:  prima,  di  Sorrento; 
e,  poi,  di  Foligno].  E  morto,  da  qualche  anno. 

(226)  Giuseppe  Pica  nacque,  all'Aquila,  il  9  settembre  1813. 
Cominciò  a  far  l'avvocato,  a  18  anni,  in  quel  foro,  dove,  al- 
lora, splendevano  il  Chiarizia ,  il  Migliorati  e  Gaetano  Giar- 
dini (Vedi  la  293.'*^  di  queste  note).  Nel  1843,  fu  arrestato,  con 
altri,  per  relazioni,  con  un  emissario,  spedito,  da  Rimini,  a 
sollecitare  un  moto,  negli  Abruzzi:  stette  in  carcere,  sette  mesi; 
e  fu,  quindi,  obbligato,  a  trasferirsi  in  Napoli.  Deputato ,  nel 
1848,  nelle  deplorando  adunanze  preparatorie,  tenute  aMontoli- 
veto,  il  13  ed  il  14  maggio,  propose  la  formola  del  giuramento, 
(che  dovea  conciliare  la  promessa  di  fedeltà  al  Re  ed  alle  istitu- 
zioni, con  lo  svolgimento  di  queste,  promesso  nel  programma 
Trova)  accettata  dalla  riunione  ed,  anche,  a  mezzanotte,  da' mi- 
nistri, in  nome  del  Re.  Era  in  deputazione,  presso  il  Ministero, 
la  dimane,  quando  cominciò  il  fuoco.  Rieletto  deputato,  dal  di- 
stretto dell'Aquila,  combattè,  strenuamente,  il  gabinetto  Bozzel- 
li. Sciolta  la  seconda  Camera,  fu  arrestato,  in  giugno  1849. 
Implicato  nel  processo  del  15  maggio^  profferì,  tra  le  altre,  una 
splendida  arringa  di  cinque  ore.  Non  tolse,  che  fosse  condannato 
a  25  anni  di  f3rri.  Stette,  nel  bagno  di  Procida,  a  Montefusco, 
a  ^lontesarchio.  Nel  1849,  fu  liberato,  ad  una  col  Poerio  e  col 
Settembrini.  É  stato,  nel  Regno  d'Italia,  deputato  nella  prima 
legislatura;  ed  è  Senatore,  dal  1875.  Esercita,  tuttavia,  l'avvo- 
catura. Dette  il  suo  nome  alla  leggo,  per  la  repressione  del  bri- 
gantaggio, che  non  fu  opera  sua. 

(227)  Lorenzo  di  Donato  de  Conciliis  e  della  Maddalena  Ge- 
novese nacque,  in  Avellino,  il  7**  di  del  7°  mese  dell'anno  1777. 
Fu,  prima,  soldato,  a  diciassette  anni;  poi,  cadetto  ed  alfiere,  nelle 
campagne,  dal  1794  al  1799;  fu  ferito  di  sciabola,  al  femore  de- 
stro, combattendo,  col  Roccaromana.  Sotto  la  repubblica  par- 


■  < 


—  430  — 

tenopea,  fu  capitano.  Seguì  il  Roccaromana,  nel  1800,  nella  spe- 
dizione di  Roma;  il  Damas,  nel  1801,  in  Toscana.  Capitano  de^ 
Volteggiatori  della  Guardia  e,  poi,  degli  Usseri,  sotto  Giuseppe, 
combattè  il  brigantaggio,  nelle  Puglie.  Nel  1815,  era,  sotto  il 
Macdonald  ;  dopo  il  trattato  di  Casalanza ,  servì  da  Tenente- 
Colonnello  nel  reggimento  Real-cavalleria;  e  fu  nominato  Co- 
mandante del  Principato  Ulteriore.  Nel  moto  del  1820,  ebbe 
parte;  e  non  ò  da  lodarne:  non  ho  simpatia  pe' soldati,  che 
promuovono  od  agevolano  i  pronunciamenti.  Fu,  anche,  Depu- 
tato al  Parlamento.  Poi,  dopo  gli  spergiuri  de'Borboni  e  l'in- 
vaaione  austriaca,  condannato  nel  capo,  fuggì  in  Ispagna;  e  yi 
combattè.  Riparò ,  quindi ,  in  Inghilterra ,  a  Malta ,  a  Corfù, 
donde  si  gittò  nelle  Ro magne ,  per  la  rivoluzione  del  1831. 
Salvato  dal  Console  inglese  ad  Ancona ,  riparò ,  nuovamente, 
a  Malta  ed  a  Marsiglia ,  dove  perde  la  moglie ,  Margherita 
Bellucci.  —  «  Dopo  quest'acerba  dipartita,  il  de  Conciliis, 
«  chiuso  nel  dolore,  divise  il  viver  suo,  col  Marchese  Nicolai, 
«  altro  esule  illustre,  in  un  cenobio  di  certosini,  da  più  tempo, 
€  destinato  a  pubblico  ospizio.  »  —  Mortogli  il  Nicolai,  che  il 
chiamava  erede  de'  suoi  scritti ,  si  ritrasse ,  a  Parigi.  Quegli 
scritti,  ei  li  affidava  a  Francesco- Paolo  Bozzelli,  che,  poi,  ne 
negò  la  restituzione,  dicendo  di  averli  distrutti.  Fu  Colon- 
nello della  Guardia  Nazionale,  nel  1848;  e,  poi,  si  ridusse  e 
chiuse  nella  modesta  sua  villa  suburbana,  pi-esso  Avellino.  Nel 
60,  più  che  ottuagenario,  proclamò,  in  Buonalbergo,  un  Go- 
verno Provvisorio.  Sotto  il  Regno  d'Italia,  ha  avuti  i  titoli  d 
luogotenente-generale  e  di  Senatore  del  Regno.  Moriva,  in  pa- 
tria, il  2  ottobre  1866.  Vedi  Ricordi  \  d'illustri  passati  \  per  \ 
A.  Santangelo  \\  Napoli  \  R,  Stab.  Tipogr.  del  Cav,  Francesco 
Giannini  |  Via  Cisterna  dell'Olio,  4  a  7  \  1883. 

(228)  Vedi  la  dichiarazione  del  de  Piccolellis  innanzi  alla 
Commissione  istruttoria  ,  ripetuta  innanzi  alla  Corte  speciale» 
Può  vedersi,  anche,  riportata,  nelle  Narrazioni  Storiche  di  Pier- 
silvestro  Leopardi.  Ottavio  de  Piccolellis,  Colonnello  del  Murat, 
non  trovandosi,  durante  la  campagna  di  Russia,  in  una  stazione, 
pel  gran  freddo,  chi  potesse  servire  di  postiglione  alla  carrozza 
di  Napoleone,  assunse  questo  uffizio;  e  si  buscò,  così,  la  Legion 
d' onore. 

(229)  Il  Marchese  Letizia,  (capitano  della  guardia  del  Murat, 
destituito  dopo  il  20),  nel  48,  fu  Colonnello  dello  Stato  Mag- 


—  437  — 

giore  della  Guardia  Nazionale.  Dopo  il  15  maggio,  chiese  ed 
ottenne  di  rientrare,  neir  esercito,  come  Maggiore  dello  Stato 
Maggiore.  Fu  all'  immediazione  del  Filangieri,  nella  spedizione 
di  Sicilia.  Ed,  asceso  di  grado  in  grado,  a  Generale  di  Brigata, 
firmò  la  capitolazione  di  Palermo,  col  Garibaldi.  Era  stato  un 
Don  Giovanni,  un  conquistatore  delle  belle;  e,  vecchio,  affac- 
ciava, ancora,  pretese  intempestive,  tutto  lindo  e  pinto.  Onde, 
Francesco  Puoti,  quantunque  volte  lo  incontrasse,  soleva  apo- 
strofarlo, con  questo  verso:  Della  flotta  d'amor  sciabecco  antico, 

(230)  Scrive  il  Settembrini:  —  «  In  questo,  vedo  avvicinarsi 
€  Gabriele  Pepe,  Generale  della  Guardia  Nazionale.  Io  gli  vo* 
«  incontro  e  gli  dico:  Generale,  peìxhà  la  Guardia  Nazionale 
€  non  ubbidisce^  agli  ordini  della  Camera  ?  Ed  egli:  L*ho  detto, 
€  a  questi  signori;  e  non  mi  vogliono  ascoltare.  Provate  voi! 
€  Diteglielo  voi!  —  E  che  sono  io,  o  Generale,  rispetto  a  Yoiì 
€  Qui,  entra  un  giovane,  che  io  conosceva;  e,  cogli  occhi  e  il 
«  collo,  come  di  un  matto,  dice:  Chi  parla  di  togliere  le  barri- 
ci cate  è  un  traditore  ;  ed  io  gli  tiro,  E  appunta  il  fucile  sul 
«  petto,  a  Gabriele  Pepe.  Il  quale,  come  chi  scaccia  una  mosca, 
«  lievemente,  spinse,  in  alto,  la  punta  del  fucile,  dicendo:  Non 
4L  fate  sciocchezze  !  e  voltò  le  spalle;  e,  messesi  le  mani  dietro 
«  le  reni ,  se  ne  andò  via ,  tranquillo  ecc.  ecc.  >  —  Domando 
un  po',  se,  a  questo,  doveva  restringetesi  il  Generale  della  Guar- 
dia Nazionale?  Se  egli  non  aveva  obbligo  strotto  di  mettersi 
alla  testa  de'  pochi  savi,  per  far  rimuovere  le  barricate  e  ri- 
stabilir l'ordine?  o,  se  savt  non  ve  n'era  più,  per  farsi  am- 
mazzare? Il  suo  posto  non  era  una  sinecura,  pe' giorni  di  pa- 
rata. Ducimi  di  dovere  adoperare  queste  gravi  parole,  verso 
un  uomo,  che,  certamente,  valeva,  in  complesso,  assai  più,  che 
io  non  valga.  Ma  il  vero  è  il  vero.  (Vedi  la  63^  di  questo  note). 

(231)  Questo  ò,  appunto,  il  tragico.  Tutte  le  difficoltà  erano 
state  rimosse.  Il  Re,  dubitando  delle  proprie  forze,  aveva  ceduto 
sopra  punti  essenziali.  L'apertura  del  Parlamento  doveva  aver 
luogo.  Ma  la  canaglia  facinorosa  non  volle  sgombrare  e  disfare 
le  barricate.  Perchò?  che  si  proponevano?  su  quali  ajuti,  fa- 
cevano assegnamento?  Non  mostrarono,  ripetiamo,  virtù,  nò  di 
senno  nò  di  braccio.  Vana,  puerile  è  la  ricerca,  donde  par- 
tisse il  primo  colpo.  Quando  due  forze  armate  stanno  a  fron* 
te,  un  primo  colpo  deve,  sempre,  fatalmente,  partire.  E  chi 
non  vuol,  che  parta,  deve  far  si,  che  si  rimuoTano  le  Ibne  ar- 


—  438  — 

Terse»  La  storia  delle  contese  civili  mostra  accader^  cost,  sem- 
pre, dappertutto. 

(232)  Luigi  Vercillo,  Barone  di  S.  Vincenzo,  in  Calabria  Ci- 
tra,  nacque,  il  4  maggio  1793,  a  Cosenza.  Educato  nella  Pag- 
geria,  fu  nominato  uffiziale,  quando  era,  ancora,  in  Collegio; 
ebbe,  giovanissimo,  il  grado  di  capitano,  negli  ultimi  anni  del 
Decennio;  e  lasciò,  presto,  il  servizio  militare.  Fu  autore  di  pa- 
recchi scritterelli,  fra  gli  altri  di  uno,  intitolato:  L'uomo  è  un 
ente^  per  natura^  benino.  Aveva  sposata  una  Isabella  de  Nobili , 
Catanzarese,  sorella  maggiore  della  Maria  Teresa  de  Nobili  , 
moglie  di  Raffaele  Poerio  (Vedi  la  285.*  di  queste  note).  Nel 
48,  fu  Intendente  di  Chieti.  Dopo,  confinato  a  Catanzaro,  col  fi- 
gliuolo Matteo,  (Vedi  la  286.*  di  queste  note);  mentre  un'  altro 
figliuolo  Ferdinando,  (o  Renato,  come  si  faceva  chiamare,  dopo 
il  15  maggio,  per  non  aver  nulla  di  comune,  col  Re)  tradut- 
tore di  Cornelio  Nepote,  emigrava.  — «  Doveva  aver  la  coda  di 
«  paglia!  »  —  rispose  Re  Ferdinando,  ad  un  venerando  suo  pa- 
rente, che  chiedeva,  per  esso,  licenza  di  rimpatriare;  e  negò 
concederla.  Vedi:  Terso  periodo  \  dei  \  pensieri  e  ricordi  |  sulla 
I  storia  contemporanea  d' Italia  \  La  reazione  dal  i849  al 
1856  I  per  \  Ippolito  De  Riso  \\  Catanzaro  \  Tipografia  dell'Or- 
faiXotrofio  I  1877,  Nel  1860,  il  signor  Garibaldi  il  fece  Gover- 
natore della  provincia  di  Calabria  Citra;  Vittorio  Emanuele  il 
creò  Senatore  del  Regno.  Luigi  Vercillo  è  morto,  in  Napoli, 
il  25  maggio  1872.  Era  cugino  del  Barone  Giuseppe  Poerio. 

(233)  Ho  sotto  gli  occhi  le  Parole  \  pronunziate  sul  fere^ 
irò  I  del  Commendatore  Giuseppe  Valia  \  Intendente  del  Prin- 
cipato Citeriore  |  nel  di  8  apnle  1855  in  Napoli.  \  Dal  Cav. 
Salvatore  Mandarini  |  Intendente  della  Calabria  Citeriore;  gen- 
tilmente, favoritemi,  dal  chiarissimo  avvocato  e  letterato  Luigi 
Landolfi,  che  gli  fu  genero.  Il  Valia  nacque,  in  Monteleone,  il 
12  gennajo  1785.  Abbracciò  la  carriera  delle  armi;  e  fece  la 
campagna  di  Russia,  donde  tornò  capitano  e  fregiato  della  Le- 
gion  d'Onore.  Nel  1828,  prese  parte,  molto  attiva,  alla  repres- 
sione de'moti,  nel  distretto  di  Vallo;  e  ne  fu  nominato  Sottin- 
tendente. Fu,  poi.  Segretario  Generale  della  Intendenza  di  Reg- 
gio; quindi,  Intendente  nello  Abruzzo  Teramano;  e,  finalmente 
dopo  essere  stato  fuori  ufficio  nel  48,  intendente  del  Principato 
Citeriore.  Il  Landolfi  mi  assicura,  che,  in  Salerno^  per  non  n- 
sponderg  alV intenzione  del  Peccheneda^  ebbe  persecuzioni,  che 


—  439  — 

lo  uccisero^  con  uno  scirro  al  fegato  ;  e  che  lasciò  la  lunga 
famiglia  in  poverissimo  stato;  buon  documento  della  inagrita 
della  vita, 

(234)  Della  famiglia  Ferrari  da  Catanzaro  tre  membri  ven- 
gono, specialmente,  ricordati,  in  queste  lettere.— I.  Antonio,  che 
*u  marito  della  Maria,  sorella  del  Barone  Giuseppe  Poerio  e  di 
Raffaele,  destinatario  della  presente  lettera,  zia,  quindi,  di  Ales- 
sandro e  dello  scrivente  Carlo.  Mai,  non  si  vide  il  più  pazzo 
uomo.  Firmava  Ferrari-Acciajuoli,  pretendendosi  discendente  de- 
gli Acciajuoli  fiorentini  (pretesa  comune  a'  Ferrerò  della  Mar- 
mora,  piemontesi;  ma  che,  in  ambo  i  casi,  poggia  solo  sopra  un 
bisticcio).  La  moglie  gli  spose  dieci  figliuoli.  (L'ultimo  superstite 
de'quali,  Antonino,  nato  il  17  decembre  1825,  venne  meno  il  13  a- 
prile  1842;  ed  è  commemorato  nel  volumetto:  Componimenti  \  in 
morie  \  del  cav,  Antonino  Ferrari  \  da  Catanzaro  \\  Napoli  \  al- 
Vinsegna  di  Aldo  Manuzio  \  1844;  in  cui  si  leggono,  anche,  ot- 
tave della  povera  madre.)  Ma  Antonio  professava  la  teorica  giu- 
daica, che,  quando  la  moglie  non  fa  più  figliuoli,  s'ha  a  darle 
una  supplente.  Ed  introdusse,  nel  domicilio  coniugale,  una  fe- 
mina,  dalla  quale  ebbe  molti  figliuoli,  alcuni  de*  quali,  da  lun- 
ghi anni,  sono  in  lite,  con  la  famiglia  Ferrari;  ed,  oggi,  una  grave 
causa  è  sub  judice ,  presso  la  Corte  di  Appello  di  Catanzaro. 
N*  ebbe,  fra  gli  altri,  una  figliuola  bellissima,  che  volle,  a  forza, 
di  piota,  ventenne,  lei  ripugnante,  affatto  ignuda,  dal  pittore  Mi- 
chele Lenzi  (ora,  sindaco,  di  Bagnoli-Irpina,  allora,  giovane) che 
non  sapeva  come  schermirsi  dall'incarico.  Ed  il  padre  chiu- 
deva pittore  e  modella  ignuda,  a  chiave,  in  una  camera,  dicen- 
do: —  «  So  che  gli  artisti  vogliono  essere  liberi  afiatto  !  »  — 
E  se  ne  andava,  frattanto,  a  comporre  un  sonetto.  —II.  Salva- 
tore. Fu,  parecchie  volte  sindaco  di  Catanzaro,  prima  del  48. 
U  secondo  Ministero  Bozzelli ,  come  qui  è  detto ,  il  nominò 
Intendente.  Gli  amici  suoi  pretendevano  scusarlo,  dicendo,  ch'e- 
gli aveva  accettato,  per  risparmiare,  a'  suoi  concittadini,  l'eser- 
cizio di  un  potere  feroce:  come  se  egli  non  avesse  tenuto,  ap- 
punto, il  sacco,  a  quella  ferocia  ed  immoralità!  Dopo  qualche 
tempo,  la  reazione  trovò  uno  strumento  migliore;  e  buttò  lui,  tra' 
ferri  vecchi.  Fu  uomo  di  qualche  studio  ;  si  occupò  di  ar- 
cheologia ed  ebbe  un  museucolo.  Attempato,  sposò,  la  CateriiiA. 
Gironda.  La  quale  essendogli  premorta  senza  prole,  egli  im- 
pazzò del  dolore;  o,  se  non  impazzò  del  tutto^  divenne  d*i 


—  440  — 

melancolico;  e  mori,  dopo  poco.— III.  Gregorio  (Vedi  la  284*  di 
queste  note)  che  amministrava  o  disamministrava  la  proprietà 
de'  Poerio,  fu  marito  della  Maddalena  Venturi,  che  lasciò  incin- 
ta, morendo.  Nacque  una  fanciulla,  Checchi na  Ferrari,  che  fa 
moglie,  in  prime  nozze,  di  Pasquale  De  Caria;  ed,  oggi,  tro- 
vasi congiunta,  in  seconde  nozze,  a  Riccardo  De  Riso.  Relata 

refero. 

(235)  Emanuele  Zupi  di  Pompeo  (ucciso,  nel  1806,  da'  bri- 
ganti) e  della  fuscaldese  Gaetana  Bugilo,  nacque,  in  Fiume- 
freddo,  nel  Bruzio.  Era  stato  uffiziale,  al  tempo  de*  Francesi; 
e,  come  tale,  nello  squadrone  sacro^  di  guarnigione  a  Monteforte, 
nel  1820.  Emigrò,  poi,  in  Inghilterra,  Belgio,  Spagna  e   Por- 
togallo ;  ed  iu  Portogallo,  ebbe  il  grado  di  tenentecolonnello 
(grosso  maggiore).  Fu  compagno  d'  armi  del  Cialdini,  il  quale 
il  visitò,  poi,  neir  ospedale  militare  di  Napoli,  ov'egli  moriva, 
dopo  il  1860,  avendo,  appena,  da  pochi  giorni,  ricevuto  il  g^rado 
di  Colonnello.  Emanuele,  dopo  aver  combattuto  in  Portogallo, 
passò  a  Parigi;  e  vi  sposò  la  figliuola  di  un  generale  Petit:  colta 
donna  e  gentile  e  non  priva  di  vena  poetica  (in  francese),  eh*  è, 
poi,  morta  tisica.  Ritornò,  a  Napoli,  per  grazia  ottenuta,  da  Fer- 
dinando II;  ed  implorata  dalla  sorella  Raffaella,  moglie  delFAI- 
dimari,  Intendente  di  Cosenza.  Ebbe  molti  fratelli  e  sorelle:  Lui- 
gi, Arcangelo,  Giacinto,  Francesco,  Carolina,  Bettina,  Raffaella; 
e  vivono,  tuttora ,  figliuoli  di  Arcangelo,  Giacinto,  Francesco  e 
della  Raffaella.  Quanto  a  Luigi  o,  per  dir  più  pieno,  Luigi-Ro- 
sario-Michele, (nato  in  Fiumefreddo,  il  27  settembre  1785,  e 
morto,  in  Napoli,  nel  1865,  in  una  casa,  in  istrada  Dogana, 
quartiere  Porto)  fu  Tenente  dei  Lancieri,  nel  decennio;  con- 
trolloro,  poi,  de*  dazi  diretti,  in  Paola,  Castrovillari,  Rossano  e 
Nicastro.  Morì  pensionato,  dopo  avere  sposato  una  Anna-Maria, 
che  gli  era  stata,  prima,  fantesca.  Fu  così  matto,  da  venire,  a  Co- 
senza, con  un  suo  compaesano,  cui  aveva,  anticipatamente,  fatto 
tingere  il  viso  e  che  chiamava  suo  schiavo;  e  da  fare,  in  pubblica 
strada,  esercizi  di  lancia.  E  diceva  di  aver  trovato  una  nuova  lancia. 
Mi  scrivono  di  Cosenza:  —  e  Nel  1848,  volle,  per  pura  bizzarria, 

<  seguire  il  Nunziante,  en  amateur.  Luigi  era  un  pazzo;  e, 

<  tante  volte,  scendeva  a  Cosenza,  a  fare  un  casa  del  diavo- 
le lo,  vestito  da  tenente  deUancieri.  Avuto,  allora,  non  so  corno, 
«  i  cavalli  del  Nunziante,  scappò  (senza  passare,  come  dice  il 

<  Nisco,  con  una  schiera  d'uomini  agVinsorti)  al  Pizzo,  a  dir, 


—  441  — 

€  che  Nunziante  era  stato  stretto,  come  in  una  cerchia,  e  di. 
a  sfatto.  Il  paese  insorse,  a  tale  notìzia;  ed  il  sottintendente  Mazza 
«  fu  ad  un  pelo  di  essere  ucciso.  Questo  fatto  raccontò  il  Mazza 
a  stesso,  che  fu,  poi,  intendente,  qui!  >  — 

(236)  Ludovico-Giorgio-Teodulo,  conte  di  Wallmoden-Gim- 
born,  nacque,  il  6  febbrajo  1769,  a  Vienna,  dove  il  padre  Gian- 
Ludovico  era  ambasciadore  della  Grambrettagna.  Egli  entrò,  pri- 
ma, nell'esercito  annoverese;  passò,  nel  1790,  nel  prussiano;  e, 
dopo  la  pace  di  Basilea ,  nelF  austriaco.  Capo  di  guerriglie , 
nelle  campagne  dal  1796  al  1801,  fu  adoperato,  pure,  in  missioni 
diplomatiche:  cosi,  per  esempio,  sottoscrisse,  nel  1809,  il  trattato 
pe'  sussidi,  a  Londra.  Promosso  a  Tenente  -  Maresciallo  di 
campo  e  Divisionario,  passò,  come  tale,  al  servizio  della  Russia, 
nel  1813;  ed,  a  capo  della  legione  tedesca,  tenne  in  iscacco  il 
Davoust  ed  obbligò  i  danesi  a  separarsi  da*  francesi.  Ridiven- 
tato austrìaco,  dopo  la  seconda  pace  di  Parigi,  surrogò,  nel 
1817,  nel  comando  delle  truppe,  rimaste  nel  Napolitano,  il 
Nugent,  che  passò  al  servizio  dì  Ferdinando  I  (Vedi  la  12^  di 
queste  note).  Nel  1821,  comandò  parte  dello  esercito,  incaricato 
di  ristabilire  V  assolutismo,  nelPItalia  meridionale;  ed  occupò  la 
Sicilia,  dove  rimase,  fino  al  1823.  Fu,  quindi,  comandante  dei 
primo  corpo  di  esercito,  nella  Italia  settentrionale;  e  di  Milano, 
fino  al  1848.  In  quell'anno,  fu  posto  al  riposo. 

(239)  Il  Principe  Felice-Ludovico-Gian-Federico  Schwarzen- 
berg  nacque,  a  Krumau,  in  Boemia,  il  2  ottobre  1800.  Entrò 
nell'esercito  ;  ed  era  capitan  dì  cavalleria ,  nel  1824  ,  quando 
passò  nella  diplomazia.  Nel  1848,  trovavasi,  ambasciadore,  a  Na- 
poli. 11  26  marzo ,  alla  nuova  delle  giornate  di  Milano ,  una 
dimostrazione,  cui  presero  parte  molte  guardie  nazionali  in  uni- 
forme ,  fischiò  r  ambasciata  austriaca  e  ne  abbruciò  lo  stem- 
ma. Scriveva,  nel  1849,  il  Massari:  — «  L* Ambasciatore  di 

<  S.  M.  I.  ed  apostolica  era,  allora,  il  prìncipe  di  Schwarzen- 
€  berg:  già,  rappresentante  del  suo  governo,  presso  il  Re  Carlo 
«  Alberto;  ed,  oggi,  uno  dei  componenti  il  ministero  Stadion, 
«  a  Vienna.  Egli  aveva,  sempre,  cordialmente,  aborrita  V  Ita- 
€  Ila  ed  esecrati  gU Italiani.  Nò  dissimulava,  nelle  conversa^ 
«  zioni  pubbliche  e  famigliari,  i  suoi  sentimenti.  La  naziona- 
€  lità  Italiana,  per  luì,  era  una  gofià  utopia;  i  suoi  difensori, 

<  canaglia;  tutti  i  liberali,  gente  da  capestro.  Lo  spettacolo 
«  delle  insegne  imperiali,  buttate,  giti,  dal  popolo»  e,  quindi, 


—  442  — 

€  bruciate,  lo  commosse^  a  sdegno  grandissimo.  Ne  domandò 
€  riparazione,  al  governo.  11  quale  gliela  avrebbe  data,  volen- 
«  tieri,  se  non  era  rattenuto,  non  da  pudore,  nò  da  n azionai 
€  verecondia,  ma  dalla  gran  paura,  che  i  liberali,  allora,  gl'in- 
«  cutevano.  Il  principe  di  Schwarzenberg  partì,  arrabbiatissimo; 
€  e  covando,  in  cuor  suo,  la  vendetta.  Nel  salire  in  carrozza, 
€  disse ,  con  piglio  sdegnato  :  Je  reviendrat  di'  tei  à  quelques 
€  mois.  »  —  Per  ritornare,  rientrò  nell'  esercito ,  col  grado  di 
maggior-generale,  conferitogli  dal  1842.  (Che  il  suo  avanzamen- 
to militare  non  stato  interrotta  dal  passaggio  in  diplomazia) 
CJombattè  a  Curtatone  ed  a  Goito;  fu  promosso  a  tenentemare- 
sciallo;  e  prese  parte  alla  battaglia  di  Custozza.  Il  22  novembre, 
messo  a  capo  della  amministrazione  austriaca,  s'adoprò  a  salvare 
Tintegrità  dello  Impero.  Moriva  di  gocciola,  il  5  aprile  1852.  Ce- 
lebri sono  le  parole,  che  gli  si  attribuiscono,  parlando  della  Rus- 
sia, al  cui  intervento,  in  Ungheria,  l'Austria  andò  debitrice  della 
sua  salvezza,  nel  1849:  Farò  stupire  il  mondo,  con  la  mia  in~ 
gratitudine.  Ciniche  parole,  che  dipingono  V  uomo  e  ce  ne  mo- 
strano, in  riassunto,  le  virtii  e  le  colpe. 

(238)  Il  Viceré  ora  l'Arciduca  Ranieri,  settimo  figliuolo  dello 
Imperadore  Leopoldo  II  e  della  Maria-Luisa  di  Spagna,  nato 
il  3  settembre  1783.  Stette  nella  milizia,  finché,  nel  1818,  fu 
nominato  Viceré  nel  Regno  Lombardo -Veneto.  Buon  uomo  , 
in  fondo ,  ma  inetto  ;  e ,  del  resto ,  ridotto  a  mera  comparsa , 
essendo  il  potere  nelle  mani  dell'autorità  militare  e  della  can- 
celleria di  Vienna.  Rimase ,  cosi ,  larva  di  Viceré,  ben  tren- 
t'  anni.  Per  gli  eventi  del  1848 ,  lasciò  la  vita  pubblica  e  la 
Lombardia.  Morì,  nel  cosiddetto  Tii-olo  meridionale,  (idest,  nel 
Trentino)  dove,  per  lo  più,  si  tratteneva,  il  16  gennajo  1853. 
Avea  sposato,  nel  1820,  la  Elisabetta,  sorella  del  nostro  Carlo  Al- 
berto. E,  di  questo  matrimonio,  gli  sopravvissero  cinque  maschi 
e,  per  poco,  V  Adelaide,  che  fu  moglie  del  nostro  Vittorio  Ema- 
nuele II. 

(239)  Il  Conte  Gaetano  Recchi  nacque,  in  Ferrara,  il  13  de- 
cembre  1798.  Perde  il  padre ,  da  fanciullo.  Studiò,  nel  Liceo 
di  Ferrara,  nel  Collegio  di  Bologna  ed  a  Siena.  A  sedici  anni, 
fa  mandato  a  Roma,  dalla  madre,  che  desiderava  farne  un  av- 
vocato. Ma  egli  non  sentivasi  inclinato  per  quella  professione; 
ed  ottenne  di  poter  attendere,  in  patria,  alle  pix)prie  faccende 
ed  a  riordinare  il  patrimonio  dissestato   Nel  1829 ,  promosse 


—  443  — 

le  scuole  popolari  e  tecniche.  Nello  istesso  anno ,  rivendicò,  al- 
ritalia,  l'invenzione  de' pozzi,  cosiddetti  artesiani.  Nel  1831, 
venne  nominato:  Segretario  della  Giunta  di  Governo;  e  Depu- 
tato, al  Congresso  di  Bologna.  Nel  1847,  consigliò,  al  Cardinal 
Ciacchi,  di  protestare,  con  atto  notarile,  contro  l'occupazione  di 
Ferrara  ,  fatta  dagli  Austriaci.  Protesta  ,  che  sorti  1'  effetto  ; 
giacché  le  truppe  austriache  ebbero  ordine  di  rincittadellarsi. 
Fu,  pure,  chiamato,  da  Pio  IX,  a  far  parte  della  Consulta.  Fu 
Ministro  degl'Interni;  ma  rinunziò,  subito  dopo  T  enciclica  del 
28  aprile  1848.  Fu  Presidente  del  Circolo  Nazionale  Ferrarese. 
Cessò  di  vivere,  il  12  aprile  1856,  nella  casa  del  Conte  Tancredi 
Mosti  (ora,  Vittorio  Emanuele);  e  fu  tumulato,  al  cimitero  co- 
munale, nell'arco  di  sua  famiglia.  E  fu  l'ultimo  di  tal  prosapia. 
Mi  assicurano,  che  il  suo  testamento  ne  pruovi  l'animo  buono. 
Molti  scritti  pubblicò,  dal  1829  al  1856. 

(240)  Vincenzo  di  Pietro  Malenchini,  commerciante,  e  della 
Veneranda  Chiellini,  nacque,  in  Livorno,  1*8  agosto  1813.  Si 
laureò  in  legge,  a  Pisa.  Giovanissimo,  si  ascris^^e  alle  sette  (del 
che,  non  voglio  lodarlo);  ed,  avendo  suscitato  qualche  sospetto, 
mentre  era,  a  Roma,  nel  1845,  fu  chiuso,  per  breve  tempo,  in 
Castelsantangelo.  Emigrò  ,  poscia ,  in  Inghilterra,  in  Francia  e 
nel  Belgio.  Nel  48,  capitanando  una  compagnia  di  bersaglieri, 
mostrò  bravura.  Rimpatriato,  fu  Deputato  al  Parlamento  to- 
scano. Il  Montanelli,  (Vedi  la  277*^  di  queste  note)  Ministro, 
il  nominò  Maggiore  di  un  battaglione  di  volontari;  ma,  egli 
preferì  recarsi  in  Piemonte ,  a  combattere ,  da  soldato  sem- 
plice, nel  Reggimento  del  Cucchiari.  Compiutasi,  in  Toscana, 
l'occupazione  austriaca,  venne  a  Firenze.  Ed,  insieme  con  Fer- 
dinando Zannetti ,  respinsero  al  Granduca  fedifrago ,  le  croci 
di  Cavalieri  di  S.  Giuseppe,  decretate  loro,  pe'  fatti  di  Curta- 
tone.  Da  quel  punto,  fu  promotore  della  Unità,  sotto  la  dina- 
stia Sabauda  ;  ed  organizzò  il  moto  annessionista  in  Toscana. 
Tacxìio  di  una  piccola  parte,  ch'egli  avrebbe  avuta,  in  Parigi, 
nel  tentativo  di  resistenza  al  colpo  di  stato  del  2  decembre  : 
cosa  c'entrava  lui.  Italiano,  nelle  faccenduole  interno  di  Francia? 
Vuoisi,  che ,  allora ,  traesse  in  salvo  il  retore  Vittorio  Hugo. 
Nel  1859,  organizzato,  segretamente,  a  sue  spese,  un  battaglione 
di  volontari,  in  Livorno,  il  condusse,  il  16  aprile,  negli  Stati 
Sardi.  Il  Cavour  nel  volle  Maggiore;  e  fu  il  primo  nucleo  de* 
Cacciatoli  degli  Appennini.  Tornato,  dieci  giorni  dopo,  in  To- 


—  444  — 

scana,  ebbe  parte,  nel  moto,  che  determinò  la  fuga  del  Grani 
duca.  Ma  non  rimase,  se  non  pochi  di,  membro  del  GoverncJ 
Provvisorio,  impaziente  di  raggiungere  i  suoi  volontari.  Dopo 
Villafranca,  entrò  nello  stato  maggiore  deirUlloa;  poscia,  in 
quello  del  Garibaldi.  Deputato  di  Livorno,  alla  Costituente  To- 
scana ,  propugnò  r  annessione;  e  fu,  quindi,  eletto  Deputato 
di  Livorno  al  Parlamento  Italiano;  e,  poi,  sempre,  rieletto, 
fino  al  1876.  Nel  1860,  s'imbarcò,  il  20  maggio,  a  Livorno,  con 
oltre  mille  volontari;  e  sbarcò  a  Trappito,  nel  golfo  di  Castellam- 
mare, avendo  garentito,  con  le  proprie  sostanze,  i  vapori,  al  Ru- 
battino,  pel  caso,  in  cui  fossero  stati  danneggiati  o  calati  a  picco. 
Fece  tutta  la  campagna,  fino  a  Maddaloni.  Nel  1866,  fu  Colon- 
nello, ajutante  di  campo  del  Generale  Nino  Bixio,  che  accompa- 
gnò, pure,  nella  ingloriosa  campagna,  che  ci  fruttò  Roma,  nel 
1870.  Fu  ajutante  di  campo,  onorario,  di  Vittorio  Emmanuele;  e, 
quando  rinunziò  alla  deputazione,  Senatore  del  Regno.  Morì,  in 
Collesalvetti,  nella  sua  villa  di  Badia,  il  21  febbrajo  1881.  Ho 
avuto  presente,  nel  compilar  questa  nota,  la  breve  biografia  del 
Malenchini,  scritta  da  Ugo  Chiellini  e  pubblicata,  pei"  incarico 
ed  a  spese  del  Municipio  di  Collesalvetti,  Di  siffatte  spese,  ese- 
guite da  consigli  comunali,  co'  denari  de'contribuenti,  ho,  già, 
detto  quello,  che  ne  penso. 

(241)  Pare,  che  questo  VoUaro,  capitano  della  4.*  comp.*  L^ 
batt.*  voi.  non  morisse,  ma  fosse,  solo,  ferito;  e,  che  si  chia- 
masse Saverio;  e  che  sia  quel  Saverio  Vollaro,  che  è  stato,  sino 
air  ultima  legislatura.  Deputato  di  Reggio  al  Parlamento.  Ap- 
parteneva alla  Sinistra.  Cara  gioia! 

(242)  Cesare  de  Laugier,  conte  di  Bellecourt,  nacque,  il  5 
ottobre  1789,  a  Portoferrajo;  mori,  a  Camerata,  presso  Fiesole, 
il  25  marzo  1871.  Entrò,  sedicenne,  nelle  truppe  toscane,  da 
cadetto.  Uscitone  per  un  duello,  si  arrolò,  due  anni  dopo,  ne' 
veliti  della  guardia  imperiale.  In  ispagna,  al  combattimento  di 
Esquirols,  guadagnò  la  Croce  di  onore.  Nel  1811,  Luogotenente; 
due  anni  dopo.  Capitano.  Segnalossi  in  Russia.  Fu  prigioniero 
degli  austriaci.  11  1  marzo  1815,  fu,  nello  esercito  del  Murat  , 
nominato  Maggiore.  L*anno  rientrò  in  Toscana;  e  vi  rientrò 
neir  esercito,  da  semplice  Capitano,  nel  1819,  facendo  carriera. 
Nel  1848,  ebbe  il  comando  delle  forze,  spedite  in  Lombardia. 
A  Curtatone,  lottò,  con  cinquemila  uomini  e  sei  cannoncini,  per 
sei  ore,  contro  lo  sforzo  di  30000  austriaci.  Costretto  a  riti- 


—  445  — 

rarsi,  fu  malconcio  e  corse  pericolo  di  vita;  ma  ricondusse  a 
Goito,  gli  avanzi  del  corpo  e  ne  ottenne  onorificenze  dai  Savoja 
e  dai  Lorenesi.  Capitolata  Milano,  si  ritrasse,  co'  suoi,  in  Toscana. 
Nella  insulsa  rivoluzione  dell'  anno  seguente,  tenne  pel  Gran- 
duca, fuggito  a  Gaeta,  contro  il  Governo  Provvisorio.  Dichiarato 
traditore ,  riparò ,  con  pochi  uomini,  presso  Leopoldo  II.  Con 
lui,  tornò;  e  no  fu  creato  ^linistro  della  Guerra:  ufficio,  dal  quale 
si  dimise,  nel  1851.  Fu  reputato  buono  scrittore  di  strategia  e 
d'altre  materie  militari.  Non  so,  se,  anohe  lui,  fosse  fra  que'  de 
Laugier,  le  cui  pretese,  per  dritti  ereditati,  ad  una  parte, 
nella  indennità  francese  di  un  miliardo  agli  emigrati,  furono 
sostenute,  con  una  arguta  memoria,  compilata  dal  Barone  Giu- 
seppe Poerio,  quale  avvocato  consulente,  ma  firmata,  se  non 
erro,  dal  Dalloz. 

(243J  Raffaele  di  Carlo  Poerio  seniore  e  della  Gaetana  Poerio 
(Vedi  la  289*^  di  quoste  note),  fratello  minore  del  Barone  Giu- 
seppe Poerio  e  del  Tenente-Colonnello  Leopoldo  (Vedi  la  34* 
di  queste  noto) ,  nacque ,  a  Catanzaro ,  il  29  settembre  1792. 
Dopo  i  fatti  del  1821,  dovè  lasciare  il  Regno  di  Napoli  ed  e- 
migrare:  nelle  isolo  Jonie ,  a  Malta,  in  Francia.  Prese,  poi, 
servizio,  in  Francia,  nella  legione  straniera;  ma  ricusò  di  se- 
guirne le  sorti,  quando  la  Francia  ebbe  a  venderla  alla  Spagna. 
Riammesso,  in  seguito,  nell'esercito  francese,  giunse  al  grado 
di  Colonnello,  combattendo,  sempre,  in  Africa,  e  meritando,  più 
volte,  di  esser  posto  all'ordine  del  giorno.  Tornò,  in  Italia,  nel 
1848;  ebbe,  dal  Governo  Lombardo,  il  comando  di  una  brigata 
della  divisione,  comandaci  dal  Perrone  (Vedi  la  335*  di  queste 
note).  Mori,  da  maggior-generale  al  ritiro,  in  Torino,  il  19 
decembre  1853.  Dalla  Maria  Teresa  de' Nobili ,  nata,  a  Catan- 
zaro, il  1.°  marzo  1801  (cognata  di  Luigi  Vercillo,  vedi  la  232.* 
e  285*^  di  questo  noto),  e  che  gli  sopravvisse,  fino  al  25  aprile 
1883,  ebbo  parecchi  figliuoli.  De'  quali  sono,  ancor,  vivi:  Giu- 
seppe (economo  della  Regia  Università  di  Napoli  ed  autore, 
fra  l'altre  cose,  d'una  grammatica  francese  stimatissima);  Gu- 
glielmo (Colonnello  di  Artiglieria,  ora,  al  riposo);  e  la  Gaetana. 

(244)  Sono  dolente  di  non  aver  potuto  ritrovar  copia  di  que- 
sto memorandum,  per  inserirlo,  qui;  tanto  più,  che,  forse,  la 
lettura  d'esso  m'avrebbe  indotto  a  ricredermi  di  quanto  ho  detto 
nella  122.*  di  queste  note. 

(245)  Giovanni  Avossa ,  avvocato  salernitano ,  era  stato  no- 


—  446  — 

minato  Ministro  deirinterno,  nel  Gabinetto  Trova  (3  aprile  1848). 
La  malferma  salute  gli  tolse  di  accettare  Tincarico;  e  fu  surro- 
gato, da  Raffaele  Conforti.  (Vedi  la  70*  di  queste  note).  Dopo  le 
catastrofi,  si  ricoverò  a  Malta;  e  vi  stette,  fino  al  60.  Fu,  quindi, 
consiglicr  di  Luogotenenza,  per  la  Grazia  e  Giustizia,  sotto  il 
Farini  (Vedi  391*  di  queste  note).  E  morto.  Presidente  di  Se- 
zione, alla  Cassazione  napolitana,  e  Senatore  del  Regno. 

(246)  Credo  debba  essere  una  lettera  di  Damiano   Assanti, 
al  fratello  Cosimo;  ma  è  questa  una  mera  supposizione. 

(247)  Ferdinando  Fonseca  (e  propriamente  Fonseca  Lopes  di 
Leone  d' Henriquez  Chavez  Pimentel)  di  Antonio  (Capitano) 
e  della  Emilia  Cortese  (cugina  di  Paolo,  che  è  stato  ^liuistro 
di  Grazia  e  Giustizia,  nel  ministero  Lamarmora)  nacque,  a  Po- 
tenza, nell'ottobre  1822.  Era  fratello  di  suo  nonno  Michele  quel 
Generale  Fonseca,  che  comandò  l'artiglieria  repubblicana,  nel 
17<,)9.  (Vedine  la  biografia,  in  D'Ayala:  Vite  de' più  celebri  capitani 
e  soldati  napolekini^  dalla  gi'/rnata  di  Bitonto  a*  di  nostri).  Prima 
del  1818,  egli  era  uno  degli  esecutori  degli  ordini  del  Comi- 
tato, presieduto  dal  Bozzelli  (vedi  la  114*  di  queste  note).  E, 
come  tale,  istituì,  nel  1844,  in  Basilicata ,  un  sotto-Comitato , 
composto  da  Emanuele  Viggiani ,  Pasquale  Amodio ,  Diodato 
Sansone  ed  un  tal  Branca.  Il  duca  della  Verdura,  Intendenti 
della  Provincia,  volea  farlo  arrestare.  Ed  egli  ricoverò,  a  Rionero, 
in  casa  de'  suoi  parenti  Fortunato;  e.  11,  scrisse  la  descrizione 
geologica  del  Vulture.  Il  14  gennajo  1848,  si  recò  a  Sarno, 
da  Filippo  Abignento  (allora.  Canonico)  ed  a  Salerno  ,  dallo 
avvocato  Ruotolo:  e,  li,  fu  discusso  ed  ordinato  il  moto  del 
Cilento.  Andò ,  col  Rossaroll ,  in  Lombardia ,  Tenente  della 
Compagnia,  onde  era  capitano  Enrico  Poerio.  (Vedi  la  34* 
di  queste  note  ).  Il  battaglione ,  che  era ,  quasi ,  aggiunto  al 
10.^  di  linea ,  fu  passato  in  rivista ,  sul  Molo ,  dal  Re ,  il  15 
aprile;  e,  11,  ebbe  luogo  quel  colloquio,  tra  il  Re  ed  il  Rossaroll, 
del  «jual  abbiam  fatto  cenno,  nella  102.*  di  queste  note.  Ebbe 
una  palla  fredda,  sul  fegato,  a  Curtatone.  Fu  fatto  prigioniero, 
il  29  maggio;  e  condotto,  in  quarantacinque  giorni  di  marcia, 
fino  a  Theresienstadt.  Riebbe  la  libertà,  per  l'armistizio  Salaaco. 
Ritornato  in  Italia,  trovò,  che  il  Bozzelli  lo  aveva  promosso,  da 
primo  ajuto  all'Università,  che  egli  era,  a  Professore  Coadja- 
tore  dello  Scacchi  (Mineralogia  e  Geologia).  Dopo  un  anno,  Fer- 
dinando Trova  il  destituiva  ,  con  sedici  altri,  fra'  quali  il  Ga- 


—  447  — 

sparrinì,  il  Melloni,  il  Costa,  il  Ciccone,  il  Tommasi.  Dava  le- 
zioni di  geologia  applicata  agringegneri:  ma  fu  chiamato  a  dar 
esame  di  catechismo  (che,  allora,  si  pretendeva,  da  chiunque  in- 
gnasse  qualunque  cosa)  e  non  si  presentò;  e  dovè,  quindi,  smet- 
tere ogni  insegnamento.  Avendo  saputo,  nel  1851,  cho  stava 
per  uscire  il  mandato  di  arresto,  per  lui,  chiese  un  passaporto, 
ad  un  Commissario,  che  gli  rispose:  A  voi,  tocca  la-  forca.  Al- 
lora,  andò,  dal  Marchese  Giustino  Fortunato,  Presidente  del 
Consiglio ,  tristo  ed  abjetto  arnese  di  reazione,  che  era  stato 
giacobino  accanito,  nel  1799;  il  quale,  essendogli  parente,  non 
gli  risparmiò  gli  ammonimenti  triviali  (come,  per  esempio:  — 
<  in  politica  o  si  riesce,  ed  uno  è  un  eroe;  o  non  si  riesce,  ed 
€  uno  è  un  assassino»);  —  ma  gli  procacciò  un  passaporto  ed 
agevolezza  d'imbarco,  dicendogli:  —  «  Pensa,  ora,  a  lavorare, 
«  che  i  tempi  vostri  verranno.  »  —  E  questo  è  quel,  che,  più, 
sdegna,  contr'  a'  sozzi  strumenti  della  tirannide  borbonica:  non 
eran  fanatici;  erano  in  mala  fede.  Operavano  il  male,  per  trarne 
frutto ,  sapendo ,  che  poco  poteva  durare  e  che  era  male.  Il 
Fonseca,  andatosene  a  Firenze,  v'esercitò  Tingegneria;  vi  tolse 
la  Giovanna  Bucellati;  vi  arricchì;  ed  è  stato  Deputato  di  Ace- 
renza,  per  la  nona,  la  decima  e  l'undecima  legislatura.  Vive  ed 
ha  numerosa  prole.  In  sua  casa,  via  Santa  Caterina,  numero 
otto,  abitava,  a  Firenze,  ed  è  morto  Carlo  Poerio.  Ho  sott'occhi 
due  suoi  scritti: 

I.  Geologia  \  della  \  Isola  d'Ischia  \  per  \  Ferdinando  JPon- 
seca  I  Deputato  al  Parlamento  \\  Riveduta  ed  accresciuta  di  una 
nuova  carta  geologica  \\  Firenze  \  Tipografia  Cavour  \  \ia  Ca- 
vour, oiumeì'O  56  \  1870. 

II.  Ddlle  condizioni  agricole  \  della  \  Pianosa  \  e  dell'ordina» 
mento  \  delle  colonie  agricole  penali  in  Italia  \  per  Fei'dinando 
Fonseca  \  ex  deputato  e  già  membro  del  Consiglio  superiore  di 
agricoltura  \  con  una  carta  topografico-agricola  della  Pianosa 

Il  Firenze  \  Tip,  e  Ut.  Carnesecchi  \  Piazza  d'Aì'ifio  \  1880, 

(248)  Enrico  Amante,  Caporale  della  terza  compagnia,  che 
era,  appunto,  quella  del  Fonseca,  fu  ferito,  nel  calcagno.  E 
morto,  non  ha  guari,  Senatore  del  Regno. 

(249)  Monsignor  Carlo  Gazola,  grande  entusiasta  di  Pio  IX, 
fu  tra' preti,  che  piìi  sbraitarono,  nel  1848.  Poscia,  incarcerato, 
fuggì,  a  Genova,  travestito  da  ufficiale  francese.  Ridotto  in  cat- 
tive acque  ,  m' assicurano,  si  rifugiasse  presso  un  Vescovo  di 


—  448  — 

Mondovi.  Ma  non  ho  potuto  avere  nessuna  notizia  precisa  sul 
suo  conto.  Mei  farebbe  diventar  simpatico,  il  sapere ,  eh*  egli 
era  antipaticissimo  a  quel  poco  di  buono  di  Mauro  Macchi,  il 
quale  scriveva,  a  queir  altra  buona  lana  di  Errico  Cernuscbi« 
da  Capolago,  il  12  ottobre  1850:  —  «Ho  visto  a  Genova,  il 

<  tuo  Gazola;  ma,  a  dirti  il  vero,  benché  in  collera,  con  alcuni 
«  altri  preti,  non  m'è  sembrato  meno  prete  degli  altri.  »  —  Non 
ho  potuto  procacciarmi  T  opera  intitolata:  21  prelato  Italiano, 
Monsignor  Carlo  Gazola^  ed  il  Yicariato  di  Roma ,  sotto  Papa 
Pio  IX,  1849-50.  (Torino,  1850,  in  12.^). 

(250)  Ignoro  chi  sia  T  autore  di  questo  frammento  di  lette- 
ra: certamente,  persona  addetta  al  foro.  La  più  celebre,  tra 
le  difese  criminali  del  barone  Giuseppe  Poerio,  è  quella  del  Lon- 
gobucco,  accusato  di  aver  fatto  assassinare  il  Sindaco  del  suo 
paese. 

(251)  Quante  stolte  illusioni!  Chi,  poi,  fossero  questi  Deputati  di 
Napoli  yMeV Si  pesca.  Probabilmente,  alcuni  di  quelli,  indi- 
cati, a  pag.  71  del  presente  volume. 

(252)  Par  di  sognare,  leggendo,  che  un  Italiano,  che  un  sa- 
cerdote possa,  così,  rallegrarsi  della  guerra  civile,  possa  esulta- 
re, così,  deir  assassinio  di  alcuni  soldati,  i  quali  non  facevano 
se  non  obbedire,  agli  ordini  del  loro  sovrano  1  Ma  lo  spirito  di 
parte  acceca  e  travia. 

(253)  La  Guardia  d' interna  sicurezza  era  una  specie  di  Guar- 
dia Nazionale,  molto  molto  anodina,  istituita  da  Ferdinando  II, 
ne*  primi  anni  del  suo  Regno. 

(254)  Il  principe  di  Fondi,  per  cognome  Sangro  (non  con- 
fonda il  lettore,  col  Principe  di  Sangro),  ò  morto,  poi,  senatore 
del  Regno  d'Italia.  Egli  era  figliuolo  di  quel  marchese  di  Genza- 
no,  il  quale,  nel  1799,  essendo  stato  tronco  il  capo  ad  un  suo 
figliuolo,  convitò,  a  lauto  pranzo,  i  membri  della  Giunta,  che  lo 
aveva  condannato. 

(255)  Il  Marchese  Antonio  Donnorso,  che  abitava  al  palazzo 
proprio,  strada  Monteoliveto. 

(256)  Leggasi:  Paudolfelli.  Pandolfetti  è  errore  di  stampa.  — 

<  D.  Gennaro  Pandolfelli  era  un  pallon  di  vento.  Non  era.  spia, 

<  ma  passò  per  tale,  per  la  smania  di  agitarsi,  di  volersi  far 
«  credere  potente,  presso  il  Re,  presso  i  Ministri.  »  —  Così,  mi 
dice  uno,  che  l'ha  conosciuto.  Morì,  nel  1874.  Il  padre  era  stato 
Intendente  (Prefetto);  e,  poi,Jfu  nominato  Consigliere  della  Corte 


—  449  -- 

dei  Conti.  Il  zio  era  Direttore  Generale  delle  contribuzioni  di- 
rette. Gennaro  non  ebbe  uffici.  Lasciò  un  figliuolo,  morto,  pazzo, 
da  pòco  tempo;  ed  una  figliuola,  che,  mi  dicono,  abbia  sposato  un 
figliuolo  del  fisico  Luigi  Palmieri. 

(257)  Monsigjiop  Monchini  era  partito,  verso  la  fine  di  mag- 
gio, come  Delegato  Apostolico  straordinario;  e  recava,  airim- 
peratore,  una  lettera  (onde  abbiamo  parlato,  nella  175*  di  queste 
note),  la  quale  non  potè  presentare  ,  se  non  verso  la  metà  di 
giugno. 

(258)  Le  solite  scioccherie  rivoluzionarie!  Già:  o  tutto,  o 
nulla!  Se  la  stessa  bestialità  fosse  stata  ripetuta,  nel  1859,  e 
Vittorio  Emanuele  ,  non  potendo  aver  tutto  il  Lombardo-Ve- 
neto ,  avesse  rifiutato  di  mangiarsi  quella  magnifica  foglia  di 
carciofo,  che  è  il  Milanese,  dove  sarebbe,  ora,  l'unità  d'Italia? 
Avrebbe  egli  potuto  mangiarsi  tutte  le  altre  foglie  del  carciofo 
Italiano  ? 

(259)  Isella  idea,  che  il  Ferrari  si  faceva  de'  soldati  Napo- 
litani !  Ma,  più  bello,  ancora,  che  soldati,  i  quali  egli  stimava 
capaci  di  voltar  casacca,  per  trenta  jscudi  a  tosta,  fossero,  poi, 
anche,  da  lui,  ritenuti  un  prezioso  acquisto,  per  la  causa  Ita- 
liana! Del  resto,  pare,  che  questi  mezzi,  allora,  non  sembrassero 
irregolari  e  reprensibili,  neppure  a'  migliori.  (Vedi,  p.  e.,  nelle 
yarrazioni  Storiche  di  P.  S.  Leopardi,  e.  XVII).  Andrea  Ferrari, 
antico  soldato  dell'impero,  fu  ferito,  a  Provins,  nel  1814,  e 
croci/isso,  da  Napoleone,  sul  campo  di  battaglia.  Pugnò,  poi,  in 
Africa  ed  in  Isp.ìgna;  dove,  nel  1837,  succedette,  nel  comando 
della  legione  straniera,  al  Colonn-^llo  Conrad,  ucciso  alla  bat- 
taglia di  Hu;^sca.  Fu  comandante  delle  Guardie  Nazionali  e  de* 
Volontari  Romani,  nel  1848  (Vedi  la  98'^  di  queste  note).  Mo- 
riva, a  Roma,  nel  1849. 

{2t\0)  Nicola  Fabrizi,  detto  il  Venerando  Fabrizi,  da'  dema- 
goghi presenti,  (ma  che  di  venerando  non  ha,  ch'io  sappia, 
.se  non  la  lunga  barba)  modenese,  mazziniano  sfegatato.  Il  qua- 
le, essondo  ministro  della  Guerra  di  non  so  qual  Prodittatore, 
in  Sicilia,  nel  1800,  si  promosse,  da  sé,  Maggior-Genarale.  Ora, 
percepisce  la  pensione  del  grado,  cosi  seriamente  acquistato,  e 
quella  di  commendatore  dell'Ordino  Militare  diSavoja,  non  meno 
seriamente  ac(£uistata,  come  capo  di  stato  maggiore  del  Ga- 
ribaldi, nel  1800.  Gli  stipendi  gli  sono  stati,  sempre,  a  cuore, 
come  può  vedersi,  dallo  sue  lettere,  nel  presente  volume.  K  De- 

2y 


—  450  — 

putato  al  Parlamento  (dove  non  ha  fatto,  mai,  mostra,  nò  di 
eloquenza,  ne  di  senno),  pur  perfidiando  a  repubblicaneg-giare. 
Egli  aveva  duo  fiatelli:  Paolo,  nv^dico;  e  Luijri,  che  conabattè, 
valorosaniante,  nel  1800,  ed  è,  se  non  erro,  morto,  appunto,  pel- 
le conseguenze  di  alcune  ferite. 

(2()\)  Il  Lampo  era  uno  de'  giornali,  sorti,  a  Napoli,  dopo  la 
promulgazione  della  costituzione. 

(i?()i?)  La  Maria- Antonietta,  era  un  piroscafo  commerciale,  se 
non  isbajrlio,  «lolla  Compagnia  Rabattino;  e,  così,  chiamato,  in 
onore  della  Granduchessa  di  Toscana. 

(;2G3)  Del  Generale  Michelang<lo  Ruberti.  (Vedi  la  42.''  di 
queste  note). 

(*2(U)  Credo  trattarsi  di  un  casino  di  PietracateDa  (Ceva-Gri- 
maldi)  al  Vomcro,  dirinipotto  alla  Floridiana;  ma, potrebbe,  an- 
che, essere  un  (luarticre  nel  palazzo  Pietracatella,  in  città.  Quel, 
che  ò  detto,  a  pag.  1)5,  non  escluderebbe  la  prima  interpretazio- 
ne: giacché,  lì,  per  casino  solitario,  evidentemente,  s'intende 
l'abitazione  del  Ruberti,  in  S.  Elmo.  E  quel,  che  si  liig-go,  a 
pag.  281,  la  conf-irma. 

(205)  Cioè  Franf  osco-Paolo  Bozzelli  e  Francesco -Paolo  Rug- 
giero (vedi  le  noto  114"^  e  4P).  Quel  nome  di  Francesco- 
Paolo  divenne  infamo  e  sinonimo  di  apostata,  nel  1848,  in  Na- 
poli, fra'  liberali. 

(2r)G)  Nicola  GìltH  fu  Ministro,  dopo  il  15  maggio.  Ecco  come 
ne  parla  il  Massari:  —  «Mancava  un  ministro  di  grazia  e  giu- 
«  stizia.  Nessun  magistrato  di  onore  volle  assumerne  il  carico. 
«  Finalmente,  si  trovò  un  tal  Nicola  Gigli,  meschinissimo  pe- 
«  dante  e  mediocrissimo  legulojo,  il  (juale,  oltre  ogni  dire  lieto 
«  di  essere  invitato  ad  ascendere  a  tanta  ed  inaspettata  al- 
<  tezza,  accettò  di  ess  ^r  collega  do' ministri  del  10  maggio  >.  — 

(2()7j  II  d'Agostino,  morto  Generale,  era  stato  Segretario 
particolare  del  Re,,  che  il  volle,  anche,  membro  dell'Accade 
mia  delle  Scienze,  riprovando  la  nomina,  fatta  in  Mariano  d'A- 
yala.  (Vedi  la  SIS.'"*  di  queste  note).  Dicono  fosse  un  uomo  di 
cattiva  lega.  La  sua  vedova  sposò,  poi,  l'avvocato  Gennaro 
Ciavarria:  e  corso  voce,  che  il  primo  matrimonio  potesse  con- 
siderarsi come  non  avvenuto. 

(268)  11  Principe  di  S.  Nicandro,  per  cognome  Cattaneo,  era 
gentiluomo  di  camera;  e  visse,  mi  dicono,  senza  infarnia  e 
senza  lodo. 


—  451  — 

(269)  Francesco  Palermo,  nato  ne'  primi  anni  del  secolo, 
morto  prima  dell'  80,  lasciò  Napoli.  Datosi  agli  studi  filologici, 
divenne  bibliotei^ario  della  Palatina  in  Firenze.  Fra  le  canto- 
nate, eh'  egli  ha  prese,  è  celebre  la  pretesa  scoperta  di  fram- 
menti della  Comedia^  ch'egli,  per  fas  et  nefas^  sosteneva  esser 
di  mano  di  Francesco  Petrarca.  Una  sua  prima  moglie ,  l'A- 
malia Paladini,  fu,  anche,  letteratessa;  e  pubblicò  imitazioni 
Italiane  del  Sanford  and  Merton  nonché  di  alcune  commediolo 
della  Contessa  di  Genlis.  Povera  roba  !  Il  Palermo  ebbe,  per 
seconda  moglie,  la  figliuola  *del   General  Trotti. 

(270)  Giusei)pe  Campagna  nacque ,  in  Pedace,  (come  leggo, 
nell'opera  di  Luigi  Accattatis:  Le  Biografie  degli  uomini  il- 
lustri delle  Cilabric) ,  villaggio  cosentino  ,  verso  la  fine  del 
secolo  scorso;  è  morto,,  non  so  se  a  Parigi  od  in  Austria,  nel 
1800.  Fu  mediocre  fabbro  di  versi;  ma  si  notarono,  specialmente, 
il  suo  Abate  Gìoacchiuo,  racconto  in  terza  rima,  e  le  tragedie: 
Ferrante  ed  il  Bosco  di  Dafne.  Ma  si  fregava  col  nobilume  e, 
per  un  suo  sozzo  matrimonio,  con  la  vedova  dello  ambasciadore 
Lebzeltern,  fu  scomunicato,  da  tutti  i  buoni. 

(271)  Girtconio  di  l)Ìpgo  Laoaita  fu  fratello  uterino  d^^lla  mo- 
glie di  Domenico  Capitelli  (pel  quale,  vedila  6P  di  questo  no- 
te), e  del  dottove  Alessandro  Lopiccoli.  (Vedine  un  certificato, 
nella  9*^  di  questo  noto).  Nato,  in  Manduria,  il  4  ottobre  1813. 
Orfano  del  padre,  noi  1817,  della  madre,  nel  1828,  recossi,  a 
Napoli,  nel  1832,  e  si  diede  all'  avvocheria.  Frequentava,  puro, 
molto,  lo  società,  specialmente  de'  forestieri,  bazzicando  in  casa 
del  principe  Luporano  (antico  amico  di  suo  padre,  la  cui  mo- 
glie era  figliuola  dol  maresciallo  Jourdan),  di  K.  M.  Throop 
(incaricato  di  affari  degli  Stati  Uniti  d'America)  e  di  Sir  Gu- 
glielmo Templi  (fratello  del  Palmerston  e  ministro  inglese  in 
Napoli).  Noi  1818,  fu, 'tra'  candidati  conservatori,  che  non  riusci- 
rono, ma  di  buona  fedo.  Nell'autunno  del  1850,  strinse  ami- 
cizia col  Gladstone,  ohe  svernava,  in  Napoli,  per  la  saluto  di 
una  sua  bambina.  Nel  decombre,  sospettato  di  essere  il  distri- 
butore de' denari,  co'  quali  Ferdinando  II  vaneggiava  suscitate, 
dal  Palmerston,  Tinsurrezione  Sicula  o  ragitaziono  napolitana, 
fu  arrestato  e  sottoposto  a  processo.  Puro,  ottenne,  in  breve, 
più  per  valide  protezioni  che  per  l'insussistenza  del  reato,  la 
libortt\.  Ma  il  Gladstono  fu  indotto,  dalla  prigionia  dell'amico,  a 
studiare  le  condizioni  del  paese;  e,  cosi,  nacquero  le  beneficilo 


—  452  — 

lettere  e  sante,  a  Lord  Aberdeen.  Ma  la  pubblicazione  di  esse 
rese  impossibile  la  stanza  del  Lacaita,  in  Napoli.  La  intercessione 
del  Tempie  gli  ottenne,  dal  marchese  Fortunato,  un  passaporto, 
nel  decembre  del  1851.  Andò,  in  Inghilterra,  dove  incontrò.  Ac- 
compagnò il  Gladstone,  nella  missione  nelle  Isole  Jonie.  In  In- 
ghilterra, pubblicò  il  Dante  Illustrato  del  Vernon  e  prese  mo- 
glie e  risiedette.  Fu  Deputato  per  Bitonto,  nel  primo  Parlanaento 
Italiano;  ed,  ora,  è  Senatore  del  Regno.  Vive,  gran  parte  del- 
Tanno,  a  Londra;  per  alcuni  mesi,  a  Vicenza  ed  a  Leucaspide 
(terra  di  Otranto),  in  certi  suoi  poderi.  Ha  un  figliuolo. 

(272)  Il  Lefebvre,  fabbricante  di  carta,  francese  naturalizzato, 
che  comprò  il  titolo  di  Conte  di  Balzorano.  Amico  del  Filan- 
gieri, fece,  poi,  nella  Camera  dei  Pari,  la  mozione  per  gli  affari 
di  Sicilia.  Non  so  trattenermi  dal  narrare  un  fatterello  molto 
caratteristico,  per  la  società  napolitana.  Mi  ricordo  di  aver  sen- 
tito, quando  aveva  undici  anni,  uno  della  più  alta  nobiltà  napo- 
litana, narrare,  a  mio  padre,  come  fosse  stato  in  trattative  di  ma- 
trimonio, con  una  figliuola  del  Lefebvre;  ma,  che  aveva  preferito 
un'  altra  giovanotta  di  famiglia  calabrese  :  —  «  La  dote  »  — 
diceva  lui— «  era  la  stessa.  Ma,  con  questa,  posso  buttarmi,  an- 
<  che,  se  mi  piace,  con  tutti  gli  stivali,  sul  letto;  e,  con  la  Lefeb- 
«  vre,  educata  alla  francese,  non  lo  avrei  potuto  »  —  Che  sin- 
goiar criterio,  per  la  scelta  della  moglie  l 

(273)  Chi  fosse  questo  di  Amato,  non  ho  saputo  trovare 
chi  mei  dicesse. 

(274)  Il  Pugnetti  era  Professore  della  facoltà  giuridica,  nella 
Regìa  Università  di  Napoli.  Fu  destituito,  da'  ministri  del  Ga- 
ribaldi ,  in  omaggio  alla  pubblica  opinione  :  formola  comoda , 
per  mascherar  lo  arbitrio!  Nò  T arbitrio,  per  esser  giusto  in 
alcun  singolo  caso,  cessa,  mai,  di  esser  cosa  iniqua.  Succeduta, 
poi,  la  luogotenenza,  importunava,  continuamente,  mio  padre, 
perchè  il  reintegrasse  in  ufficio.  E  mio  padre,  che  nulla  poteva 
per  lui,  a  dargli  dell'  erba  trastulla.  Finché,  un  giorno,  al  Pu- 
gnetti, scappò  detto:  — «  Vorrei  sapere,  chi  avrà  il  coraggio 
<t  di  salire,  su  quella  cattedra,  eh'  è  stata  occupata,  per  qua- 
«  rant'anni,  da  Gherardo  Pugnetti!  »  —  Gherardo  o  Gaudenzio, 
che  non  ricordo  bene  il  suo  nome;  ned  è  di  que*  nomi,  che  im- 
porta il  conoscere.  E  mio  padre:  —  «  Senta I  se.  in  quarant'anni, 
«  Ella  non  è  stato  in  grado  di  faro  uno  scolare,  che  sia  capace 


—  453  — 

4  di  succederle,  è  giustificato,  pienamente,  il  decreto,  che  lo  ha 
«  rimosso  ».  —  L'  amico  tacque;  e,  da  quel  giorno,  levò  V  as- 
sedio. 

(275)  Per  Antonio  Scialoja,  vedi  la  66*  di  queste  note. 

(276)  Gabriele  Capuano,  di  Giulio  Cesare  e  della  Angiola 
Bordini,  nacque,  in  Napoli,  il  28  ottobre  1817:  ed  è  vivo  e 
sano.  Alla  sua  famiglia,  già,  scritta  al  sedile  di  Portauova, 
apparteneva  quel  Gianluigi  Capuano,  che,  nel  1547,  perde  la 
vita,  per  essersi  opposto  alla  introduzione  della  inquisizione 
spagnuola  a  Napoli.  Fu  tra*  discepoli  prediletti  del  marchese 
Basilio  Puoti.  Nelle  prime  elezioni  per  provinole ,  del  1848 , 
entrò  in  ballottaggio,  ma  non  risultò.  Nelle  seconde,  per  di- 
stretto, fu  deputato  di  Casoria.  Nel  marzo  1851,  fu  imprigio- 
nato; ma  per  pochi  giorni.  Nel  settembre  1860,  fu  del  Decurio- 
nato  di  Napoli,  nominato  dal  Garibaldi  in  luogo  del  precedente 
disciolto;  ed  i  colleghi  lo  elessero  segretario.  Nel  novembre,  il 
Luogotenente  del  Re  Farini  il  volle  de*  ventiquattro  della  Con- 
sulta Generale.  Il  19  febbrajo  1861,  fu  nomhiato  Giudice  della 
Gran  Corte  Criminale  di  Napoli,  destinato  a  servire  nella  Gran 
Corte  Civile.  Nel  riordinamento  della  migistratura,  con  decreto  de* 
6  aprile  1862,  fu  Consigliere  della  Corte  di  Appello  di  Napoli; 
dal  1876  al  1878  presidente  della  sezione  di  accusa;  e,  dal  no- 
vembre di  queir  anno ,  è  Consigliere  di  Cassazione  in  Napoli. 

(277)  Giuseppe  Montanelli,  nato,  nel  1813,  in  Fucecchio,si  lau- 
reò, a  diciotto  anni,  in  Pisa.  Visse,  quindi,  a  Firenze,  occupandosi 
di  lettere  ed  esercitando  l'avvocatura.  Nel  1836,  pubblicava 
un  volume  di  mediocri  liriche.  Nel  1840,  andò  professore  di  Di- 
ritto Patrio  e  commerciale,  nello  Ateneo  di  Pisa,  dove  visse,  in 
istretta  relazione,  con  la  Luisa  Parrà.  Andò,  in  Lombardia,  col 
battaglione  universitario  pisano.  Ferito  ai  braccio,  a  Curtatona, 
passò  per  morto.  Ma  egli  era  tratto  prigioniero,  in  Austria;  e  fu 
liberato  dair  armistizio  Salasco.  Si  attuffò,  quindi ,  nella  ba- 
raonda rivoluziofiaria;  e,  con  le  sue  intemperanze,  con  la  sua 
dissennatezza,  con  la  sua  incapacità  amministrativa,  fu  non  ul- 
tima causa  de*  mali  della  Toscana.  Dimorò,  poi,  esule,  in  Parigi 
dove  fò  gemere  i  torchi,  per  certe  Memorie^  che  dovrebbero  essere 
Tapologia  sua;  e  per  un  poema  polimetro,  drammatico  e  fan* 
tastico,  in  nove  canti,  intitolato  la  Tentazione^  indigaito  pol- 
pettone. Vi  scrisse,  pure,  per  TAdelaide  Ristori,  più  mima  che  at> 
trice,una  Camma;  e  tradusse  la  mediocre  Medea  del  Legouvé.  HUt 


—  454  — 

1859,  rimpatriato  e  Deputato  alla  Costituente  Toscana,  perfidiai! 
do  in  un  ridicolo  repubblicaneggiare  federalista,  si  oppose  al- 
l'annessione  della^  Toscana  agli  Stati  Sardi;  e  non  assistè  alla 
seduta  del  20  agosto,  che  la  deliberava.  Si  mise  a  fare  dell'agi- 
tazione, nelle  Società  Democratiche:  il  che  non  gli  tolse  di  accet- 
tare la  cattedra,  che  gli  veniva  offerta,  a  Pisa.  Mori,  in  Fucecchio, 
il  17  giugno  1862.  Vedi  l'opuscolo  intitolato:  A//a  caramemoria  \ 
di  I  GiuseppeMontanelU\\  Livorno  \  Tipor/rafiaMinerva  \  iS62. 
Il  Montanelli  e  la  Parrà,  il  Montanelli  per  via  della  Parrà,  furono 
amicissimi  del  Poerio;  anzi  la  Parrà  era  stata,  forse,  più  che  ami- 
cissima, di  Alessandro,  a  Parigi,  storie  vecchie!  Se  si  potessero 
ritrovare  le  lettere^'del  Poerio  a  loro,  la  pubblicazione  di  esse, 
con  quelle,  da  loro  scritte,  al  Poerio,|formerebbe  un  importante  vo- 
lume. Il  figliuolo  della  Parrà,  morto  a  Curtatone,  chiamavasi 
Pietro.  Ecco  ,  come  un  certo  Aristide  Provenzal ,  con  triviale 
rettorica,  descrive  questo  fatte,  in  un  elogio  funebre,  letto,  nel- 
r esequie,  celebrate,  in  Livorno,  al  Montanelli,  nel  21  giugno 
1862,  nella   loggia   massonica  Unione.  —  «  Nella  giornata  di 

<  Curtatone,  memoranda  per  gloria  e  martirio,  ne*  fasti  toscani 

<  ed  italici,  è  noto,  come  egli  combattesse,  vaiolosamente,  in- 
«  coraggiando,  colla  parola  e  con  T  esempio,  i  prodi,  che  lo  at- 

<  torniavano,  tra  i  quali  emulava  V  intrepidità  di  lui,  il  gio- 
«  vane  Pietro  Parrà,  il  prediletto  dei  suoi  discepoli,  il  figlio 

<  del  cuore  ;  e  il  maestro  gli  facea  più  alto  scudo  del  pre- 
ce prio  corpo  ,    quando  più  fitto    si  faceva   il  grandinar    delle 

<  palle,  rinnovando  l'esempio  di  Socrate  proteggente  Alcibiade 
«  a  Delio.  Ritiravasi  uno  scarso  drappello  di  quegli  eroi,  alla 

<  pericolosissima,  anzi  disperata  posizione,  detta  del  Mulino: 
«  ad  un  tratto,  il  Parrà,  che  era,  sempre,  al  fianco  del  Mon- 
«  tanelli,  cade,  rotta  la  fronte,  da  un  colpo  di  fucile;  si  prostra 
«  a  sollevarlo  il  Montanelli,  ne  abbraccia  il  cadavere,  quando 

<  un  altro  colpo  atterra  lui  stesso,  aprendogli  larga  ferita, 

<  ove  il  braccio  si  congiunge  alla  spalla.  Vuol  continuare  a  com- 
«  battere;  ma  gli  si  velano  gli  occhi.  Non  potendo  vendicare  il 
«  suo  diletto  ,  gode,^che,  almeno,  a  lui  lo  ricongiunga  la  morte, 

<  ed  esclama  a  coloro,  che  erano  accorsi  ad  assisterlo  :  SentOy 
«  che,  per  me^  è  finita;  mi  farete  testimonianza^  cKio  non  cad- 
€  di,  fuggendo  il  nemico,  ma  soccorrendo  ramico,.  E,  a  Malen- 
€  chini,  che  lo  sorreggeva,  ripetè,  venendo  meno:  Cencio  mio  f„m 
a  non  è  vero  ?,.,»  Attesta  tu,  che  la  mia  ferita  é  onorata^  ch'io 


—  455  — 

«  nmt  lo  fuggia^  il  '^lemko.  Qual  fiamma  trememla  era  neces- 
«  saria,  a  dar  tanta  vigoria,  cui  la  natura  era  stata  sì  avara  di 
<  potenza  corporea!  »  — 

(278)  Giuseppe  Mondolfo,  israelita,  è  morto,  da  lungo  tempo. 
Ebbe  un  fratello,  a  nome  Davide.  Lasciò  una  fi;?liuola,  Nina,  che 
mi  si  dice,  brillasse,  nella  società  israelitica,  a  Torino  e  Vicenza. 
Ella  morì  giovane;  era  moglie  di  Giacomo  Levi  (della  ditta  Ja- 
cob Levi  e  figli),  ch'è  vivo  e  verde  e,  sebben  fresco  in  età,  nonno i 
da  parecchio.  Non  altro  ho  potuto  sapere  sul  suo  conto,  sebbene 
mi  rivolgessi,  a'suoi  congiunti;  uno  dei  quali  mi  ha  scritto: — «  lo 
«  non  conobbi  Giuseppe  Mondolfo,  per'chè  m'imparentai,  con  la 
«  sua  famiglia,  quand'egli  era,  già,  all'altro  mondo.  So,  che  fu 
«  uomo  dì  onestà  vera  e  di  credito  personale  inattaccato  e  inat- 
«  taccabile.  So,  che  era  caritatevole  e  filantropo,  verso  tutti,  senza 
((  distinzione  di  partito,  nazionalità  o  religione.  Ma  nulla  cono- 
«  8C0  di  saliente,  da  meritare  un  posto  in  una  biografìa.  »  — ■ 

(279)  Carlo  Poerio  era  stato,  in  Trieste,  nel  1821,  seguendo  la 
famiglia  ed  il  padre,  mandato,  dal  Governo  Napolitano,  a  domi- 
cilio coatto,  in  Austria.  Dopo  breve  soggiorno  a  Trieste,  il  Poerio 
fu  relegato,  insieme  con  Pasquale  Borrelli,  a  Gratz,  in  Istiria. 
Questo  sì,  che  il  Governo  Austriaco,  se  consentiva  a  far  da  car- 
ceriere, per  conto  del  Governo  Napolitano,  pretendeva,  però,  che 
questo  passasse,  a' relegati  [Giuseppe  Poerio,  Pasquale  Borrelli, 
(magistrati),  Pietro  Colletta,  Luigi  Arcovito,  Gabriele  Pedrinelli, 
(Tenenti  Generali),  Gabriele  Pepe,  (Colonnello)]  gli  stipendi,  a' 
quali  avevan  dritto.  Il  che  rincrescendo  a  Ferdinando  I,  con* 
sentì ,  che  que'  relegati  fossero  lasciati  liberi  di  tramutarsi , 
dove  piti  loro  piacesse.  Così,  il  Pepe,  il  Colletta,  il  Borrelli,  TAr- 
coYito  ed  il  Poerio  andarono  in  Toscana;  il  Pedrinelli,  ad  impian- 
tar  non  so  che  fabbrica,  in  Monaco  di  Baviera. 

(280)  La  famiglia  Imbriani  si  componeva,  allora:  Del  capo.  Pao- 
lo Emilio  (vedi  la  29^  di  queste  note).  Della  moglie  Carlotta  Poe- 
rio  (vedi  la  26*  di  queste  note).  De'  figliuoli:  Giuseppe-Caterino 
(nato  in  Napoli  l'il  marzo  1839,  morto,  celibe,  in  Pomìgliano 
d'Arco,  il  20  maggio  1868);  Vittorio  (che  detta  queste  note);  Nina 
ossia  Caterina  (nata,  in  Napoli,  il  6  giugno  1842,  morta,  celibe,  in 
Pomigliano  d'Arco,  il  2  ottobre  1860);  Matteo  (nato,  in  Napoli,  il 
28  novembre  1843,  vivente);  Giulio-Cesare  (nato,  in  Pozzuoli,  il  15 
febbrajo  1846,  morto,  in  Napoli,  il  15  febbrajo  1849);  e  Giorgio 
(pel  quale  vedi  la  30*^  di  queste  note).  E,  finalmente,  della  Rosa 


—  456  — 

Imbrigli,  sorella  di  Paolo  Emilio,  nata,  in  Napoli,  il  10  giugno 
1807,  vivente.  Il  casino,  di  cui,  qui,  si  parla,  era  ed  è,  in  Pomìglia- 
no  d'Arco. 

(281)  Vedi  la  204*  di  queste  note. 

(282)  Pe'  fatti  di  Padova,  vedi  la  Cronaca^  che  si  contiene,  nel 
volume  di  Epigrafi  e  prose  di  Carlo  Leoni  (Firenze,  1879),  ci- 
tato, nella  155.*  di  queste  note.  Ben  inteso ,  che  non  è  da  cre- 
dersi al  Leoni,  se  non  con  molta  prudenza. 

(283)  Ricordo  di  aver  conosciuto  questo  Oliva  (se  non  isba- 
glio,  si  chiamava  Lorenzo),  che  viveva,  emigrato,  a  Torino,  con 
la  moglie  ed  una  figliuola.  Vecchio  capitano,  proveniente  dallo 
esercito  murattino,  apparteneva  al  decimo  di  linea,  che  mani- 
festò sensi  Italiani  e  fu  imbarcato,  sulla  corvetta  il  Palinuro, 
e  sbarcato  a  Livorno.  Fu  promosso  a  maggiore,  nel  1848,  a 
Venezia,  dal  Pepe.  Non  aveva  nulla  di  comune  e  nessuna  pa- 
rentela, con  quel  Domenico-Simeone  Oliva,  scombiccherator- 
di  pessimi  versi,  che  fu  padre  della  scombiccheratrice  di  pes- 
simi versi,  Laura-Beatrice  (moglie  di  Pasquale-Stanislao  Mane 
Cini)  e  di  quel  Cesare,  soprannominato,  neir  emigrazione,  spi^ 
lapippe ,  ma  che  ,  pure  ,  abbiamo  visto  ,  nel  Regno  d*  Italia  , 
Procuratore  Generale,  (morto,  come  tale,  a  Milano,  nel  1883.) 
Vo*  ricordare  Domenico-Simeone  Oliva,  perchè  Mariano  D'  A- 
yala,  ne'  Cenni,  che  ha  scritti,  intorno  alla  Yita  di  Alessandro 
Poerio,  dice:  —  «  Studiò  il  latino,  sotto  Domenico-Simeone  0- 
«  Uva,  non  oscuro  letterato,  nobilissimo  cittadino  e. padre  egre- 
«  gio  della  Laura -Beatrice.  »  —  Di  queste  tre  lodi,  impugno 
le  due  prime.  L'Oliva  era  un  povero  diavolo  di  poetonzolo,  che 
scribacchiava,  in  latino  ed  in  Italiano;  e  soleva  mandare  i  suoi 
versi,  (quando  a  stampa,  quando  copiati,  con  bella  calligrafìa, 
dalla  figliuola),  a  coloro,  privati  o  principi,  da'  quali  si  augurava 
una  mancia.  Giuseppe  Poerio  riceveva,  spesso,  di  queste  stoccate. 
Come,  poi,  rOliva  fosse  adulatore  de' principi,  può  vedersi,  nel 
poema,  il  Natale  del  Messia,  (Napoli,  1816);  dove,  cosi,  si  rivolge, 
a  quel  mostro  del  Re  Nasone: 

E  tu,  che  imperi  al  bel  Sebeto,  e  mostri 
Volti  a  quel  trono  i  passi  e  '1  tuo  disio, 
E,  grave  ancor  de'  regi  velli  ed  ostri, 
11  pie  non  senti  a'  voti  tuoi  restio; 
Tu,  ch'invochi  la  pace  a'  giorni  nostri. 


—  457  — 

Pace  del  Ciel,  quella,  che  dà  sol  Dio; 
Mi  ascolta.  Io  ti  dirò,  dopo  aspra  guerra, 
Com^ella  scese  ad  albergare  in  terra. 
De'  pacifici  Regni,  ov'ella  è  duce, 
Mentre  un  nume,  per  me,  Talme  innammora, 
Se  a  quegli,  ancor,  l'esemplo  tuo  conduce. 
Canto  di  Te,  pio  Ferdinando,  ancora. 
Albeggia,  omai,  presso  al  tuo  mar,  la  luce. 
Che  '1  mio  giorno  immortai  da  prima  indora, 
E  se  splendon  gli  augùri,  e  s'io  di  tanto 
Favor  son  degno,  a  che  *ndugiar  più  il  canto  ? 

Né  meno  smaccate  sono  le  sue  adulazioni  latine  ed  Italiane, 
pel  nascimento  del  Principe  Ereditario,  che  fu,  poi,  per  sì  breve 
tempo,  Francesco  IL  Vedi  l'opuscolo:  Pel  fausto  nascimento  \ 
di  S,  A.  R.  I  //  Principe  Ereditario  delle  Due  Sicilie,  \  Prima 
Prole  delle  Loro  Maestà  \  Ferdinando  IL  \e\  Maria  Cristina  \ 
di  Savofa  |  Nostri  amabilissimi  Sovrani,  \  Carme  Italiano  e  La" 
tino,  ed  Inno  Pindarico  \  di  Do^nenico  Simeone  Oliva.  \\  Napoli^ 
I  Dal  Gabinetto  Bibliografico  e  Tipografico:  \  A'  16  Gennajo, 
1836.  In  questi  cattivi  esametri  e  pessimi  endecasillabi,  in 
questi  ottonari,  che  di  pindarico  non  han  proprio  nulla,  si  ri- 
vela il  potente,  che  stende  la  mano,  con  l'opuscolo,  per  ri  trarla 
a  sé,  con  la  mancia. 

Io  sorrisi  alla  gioja,  infra  '1  dolore 
D'orrenda  infermità,  dopo  il  quint'anno: 
E,  se  qui  non  abbonda  altro,  che  '1  core, 
Sien  larghi  a  perdoniar  quanti  ciò  sanno. 

Ricorda,  con  compiacenza,  d'aver  cantata  la  nascita  di  Fer- 
dinando II  (cara  gioja!): 

Ergo  age,  Fernando  quae  vovi  ego  munera  nato, 

Christina  pariente  sua,  bona  Musa,  feramus. 

Su  dunque,  o  Musa  mia,  rechiam  l'omaggio. 

Che  al  natal  di  Fernando  io,  già,  sacrai. 
Or  che  la  sua  Cristina  un  fior  dischiude. 

Io  comprendo  e  scuso  le  colascionate,  che  la  malestiada  fa'» 


—  458  — 

mes  detta  a*poetastri  (i  quali,  però,  veramente,  potrebbero  met- 
tersi a  fare  un  onorato  mestiere,  invece  di  perseverare  in  quella 
via  senza  scopo);  ma  non  comprendo  e  non  iscuso,  che,  dopo 
aver  uno  fatta  ogni  viltà  e  cortigianeria,  per  mance,  o  per  ciondo- 
li, se  ne  lodi  T  animo  alto  e  patriotìco.  Come  ognuno  scor- 
ge, fral  suocero  Domenico-Simeone  ed  il  genero  Pasquale  Sta- 
nislao, e* era  simpatia:  poiché  entrambi  scribacchiavano  cat- 
tivi versi  adulatori.  E  nota,  ch'io  ebbi  il  piacere  di  ristampar, 
anni  or  sono ,  con  illustrazioni ,  Tede  del  Mancini,  per  le  nozze 
di  Ferdinando  ^I  con  la  Maria-Teresa  d'Austria. 

(284)  D.  Gregorio  Ferrari,  fratello  di  Salvatore  ed  Antonio 
Ferrari.  (Vedi  la  234.*  di  queste  note). 

(285)  La  Isabella  de  Nobili ,  moglie  del  Barone  Luigi  Ver- 
cillo;  sorella  maggiore  della  Maria-Teresa  de  Nobili,  moglie  di 
Raffaele  Poerio.  L'Isabella  è  morta,  in  Napoli,  nel  1875.  (Vedi 
la  232.*  di  queste  note). 

(286)  Matteo  Vercillo,  ora,  barone  di  San- Vincenzo,  figliuolo 
di  Luigi  e  della  Isabella  de  Nobili.  É  stato  capo  di  riparti- 
mento  al  Ministero  dell'Interno,  dal  1860,  fino  a  che  durò,  in 
Napoli,  lo  stralcio  di  quel  Ministero,  (fine  del  1866  o  principio 
del  1867).  Non  avendo  voluto  recarsi  alla  capitale,  rinunziava 
al  posto.  Aveva  ed  ha,  per  moglie,  la  Lauretta  Arena,  figliuola  d*un 
cav.  Arena.  Ora,  vive  in  San  Fili,  in  Calabria  Citeriore,  con  tutta 
la  famiglia;  ed,  ivi,  attende  alle  cure  domestiche. 

(287)  La  Rachele  e  l'Amalia  Vercillo,  eran  due  figliuole  di 
Luigi  e  della  Isabella  de  Nobili.  Sono  entrambe  vive  e  nubili  e 
domiciliate  in  Napoli. 

(288)  Deve  leggersi  de  Riso  e  non  già  Riso.  Emanuele  De 
Riso,  del  Marchese  Girolamo  De  Riso,  ebbe  parte  nel  15  mag- 
gio 1848,  come  mi  scrivono  di  Calabria.  Fu,  poi,  arrestato, 
molti  mesi,  per  misura  di  polizia;  e,  quindi,  da  Napoli,  con- 
finato, in  Catanzaro.  Ora,  è  morto. 

(289)  La  Gaetana  Poerio ,  de'  baroni  di  Belcastro ,  moglie  di 
Carlo  Poerio  seniore,  al  quale  spose  numerosa  figliolanza.  Loro 
figliuolo  primogenito  era  stato  Giuseppe  Poerio,  che  fu  fatto 
Barone,  da  Re  Gioacchino.  Ecco,  perchè,  egli  e,  poi,  succes- 
sivamente, i  suoi  due  figliuoli,  Alessandro  e  Carlo,  hanno  por- 
tato il  titolo  di  Barone,  che  Carlo  Poerio  seniore,  mai,  non  ebbe; 
e  che  si  è  estinto  in  Carlo  iuniore.  Diamo  la  iscrizione,  posta 
a  Carlo  seniore  ed  alla  Gaetana  Poerio,  nella  chiesa  del  SS.  Ro- 


.     —  459  — 

sario,  in  Catanzaro,  sul  pilastro  a  sinistra,  fra  l'altare  del  Sal- 
vatore e  quello  di  Santa  Rosa.  Ne  curò  la  collocazione  la  Ca- 
rolina Poerio-Sossisergio,  andata,  in  Calabria,  nel  maggio  1829, 
come  Vicaria  generale  del  marito  esule.  E  ci  volle  il  bello  ed  il 
buono,  per  ottener,  dal  ministro  Intenti,  la  licenza  di  appor- 
vela,  non  volendo  l'intendente  Di  Liguori  permettere,  che  si 
mentovassero,  in  essa,  i  nomi  de'  due  figliuoli  Leopoldo  e  Raf- 
faele, banditi  dal  Regno: 

D.   o.  M. 

CAROLO   ET   GAETANAE  POERIO   PATRICIIS  CATACIENSIBUS 

EX  BARONIBUS   CHIONIEl 

QUI    AVITUM   GENERIS   DECUS 

OMNIUM   VIRTUTUM   LAUDE   CUMULARUNT 

IN  PRIMIS    OB   STRENUAM   OPERAM 

IN   EDUCANDA   AD   GLORIAM   SOBOLE 

FELICITER   NOVATAM 

lOSEPH,   LEOPOLDUS,  RAPHAEL,  MARIA   ANTONIA  POERIO 

FILII   AMANTISSIMI 

NE  AB   IPSORUM   ANI>nS   PATERNA  BENEFiaA 

EXCIDISSE   VIDERENTUR 

PARENTIBUS   OPTIMIS  AC   PROVIDENTISSIMIS 

LAPIDEM  MUTUI   AMORIS  TESTES 

UNANINES   P.   P. 

ANNO   M.D.CCC.XXI. 

Quanto,  poi,  alla  Nina  Imbriani,  vedi  la  280.^  di  queste  note. 

(290)  11  Conte  Giuseppe  Catterìnetti-Franco,  vive,  ancora,  nella 
sua  patria  Verona;  e  sta,  per  lo  più,  in  villa,  a  Cologne.  11  Cat- 
terinetti  era,. nel  1847,  a  Roma,  da  parecchi  anni],  facendo  il 
paesista;  e,  lì,  conobbe  il  Poerio,  per  mezzo  della  Contessa  Goz- 
zadiui.  (Vedi  la  25.*^  di  queste  note).  Capitano  della  Guardia 
Nazionale,  parti  col  General  Ferrari.  (Vedi  la  259.^  di  queste 
note).  Dopo  il  fiasco  di  quel  corpo ,  si  trovava  a  Chioggia. 
Copio  un  brano  di  una  lettera,  ch'egli  ebbe  la  cortesia  di  scri- 
vermi, due  anni  fa:  —  <  Io  mi  strinsi,  tosto,  in  amicizia,  col 
«  Poerio;  ed  egli  mi  aprì  tutto  il  suo  animo,  massime  una  not- 
€  te,  nel  Colosseo;  ed,  ivi,  mi  recitò,  declamando,  delle  sue  beile 
«  poesie  liberali  e  una  parte  de^  Sepolcri  del  Foscolo.  Mi  era, 
e  quasi,  dalla  Gozzadini  affidato ,  perchò  non  solo  miope,  ma. 


—  460  — 

«  anche,  nervoso  e  bisognevole  di  un  amico,  che  lo  guardasse  e 
€  ne  avesse  ogni  cura,  lo,  di  tutto  cuore,  mi  prestai,  in  que*po- 
«  chi  giorni,  por  lui;  Tamai,  religiosamente,  per  le  sue  doti  di 
«  cuore,  di  niente  e  pel  gran  patriotismo Poi,  partii,  per 

<  la  guerra,  col  Ferrari.  A  Napoli,  nacque  ciò,  che  nacque.  £ 

<  il  Poerio  seguì  il  General  Pepe,  a  Bologna;  e ,  poi  ,  passò  il 
«  Po;  e  fu  a  Venezia.  Quando  io  seppi  di  lui,  ero,  appunto,  a 

<  Ghioggia;  e,  da  me  desideratissimo,  gli  scrissi  la  lettera,  che 

€  Ella  pubblica Egli,  poveretto,  cercò  di  tutto  per  veder- 

€  mi;  e  venne,  su  un  vaporetto,  da  Venezia,  per  abbracciarmi, 
a  al  forte  delle  Quattro-Fontane,  eh*  io  comandavo  ,  mentre  il 
«Maggior  Mezzacapo  >  —  (Vedi  la  108*  di  queste  note)  — 
«  comandava  il  forte  di  Brondolo.  Oh!  su  quella  piattaforma* 

<  in  sul  tramonto,  al  cospetto  del  mare,  quanta  luce  8*ìrrag- 

<  giava  dalla  sua  fronte  !  Come  si  espandeva  il  suo  cuore,  ad- 
«  doloratissimo,  per  le  cose  di  Napoli!  E  quanto  io,  mai,  Pap- 

<  prezzavo,  perchè  il  suo  dolore  lo  consentivo  io  pure ,  come 
«  Italiano  e  come  patriota.  Purtroppo,  fu  l'ultima  volta,  ch'io 

<  lo  vidi Finisco  col  dirle,  che  non  posseggo  di  luì  let- 

«  tera  veruna.  »  —  Il  Catterinetti,  eletto  Capitano  della  Guardia 
Nazionale,  passò  nella  linea  col  Ferrari.  (Vedi  la  259^  di  que- 
ste note).  Dopo  un  affare,  che  ebbe  a  Brondolo,  ai  posti  avan- 
zati, fu  nominato  Comandante  un  Battaglione,  a  Lido.  Richia- 
mate le  truppe  romane,  che  eran  nel  Veneto,  a  Roma,  da  quella 
repubblica,  egli  fu  nominato  Maggiore  alla  battaglia  di  Velie- 
tri,  dove  il  Garibaldi  avrebbe  meritato  la  fucilazione,  per  la 
sua  indisciplina  ed  insubordinazione,  se  il  codardo  Re  Bomba 
non  avesse,  fuggendo,  dopo  il  vantaggio  de'  suoi ,  che  trascinò 
seco,  mutato  lo  scacco  de' repubblicani  in  trionfo.  11  Catterlnetti 
fu,  poi,  nello  Stato  Maggiore  del  Garibaldi;  e,  con  lui,  sul  Giani- 
colo,a  S.  Pancrazio,  a  S.  Calisto,  fino  il  di,  che  Roma  fu  dichiarata 
indifendibile.  Co'beni  sequestrati,  a  Verona,  dal  Radetzkj,  stette, 
a  Roma,  nascosto,  tre  mesi;  poi,  rimpatriò.  Visse  prudente;  ma, 
a  Milano,  nel  1852,  fu  arrestato,  quale  compromesso  politico; 
tradotto  a  Venezia,  nella  prigione  di  S.  Severo;  e,  dopo  alcuni 
mesi,  messo  in  libertà  senza  processo.  Si  occupò  di  pittura  e 
di  belle  lettere,  fino  al  59,  quando  si  recò,  a  Torino,  per  en- 
trare neir  esercito  sardo.  Non  gli  si  volle  concedere  se  non 
il  grado  di  sotto-tenente;  ed  egli,  per  patriotismo,  pur  di  com- 
battere, pur  di  servire  l'Italia,  accettò,  ricominciando  la  carriera, 


—  461  — 

a  quarantacinque  anni.  Stette  tredici  anni,  nell'esercito  Italiano; 
combattè,  a  Custoza,  nel  1866,  nella  Brigata  Re;  fu  tre  anni,  ca- 
pitano, in  Sicilia,  Brigata  Regina;  poi,  Ajutante  Maggiore,  Di- 
stretto di  Foggia;  poi,  al  distretto  di  Venezia;  ora  è  pensionato. 
Citeremo  di  lui  gli  scritti  seguenti: 

I  Scritti  Ariisiiri  (Roma,  1845,  iu  16.°  di  pagg.  84;  delle  quali 
le  ultime  tre  bianche). 

II.  U Italia  nel  1700,  Ca;-me  (Verona,  1874,  in  8.°,  di  pagg.  32; 
delle  quali,  le  ultime  tre  bianche). 

III.  Luce  e  Omlre,  Sfoghi  poetici.  (Verona,  1874,  in  I6.°  di  pagg. 
60;  di  cui  lo  ultime  due  bianche). 

IV.  U età  presente,  riflessioni  sopra  la  scienza  moderna  e  la  Arti, 
(Verona,  1880,  in  16.°,  di  pagg.  152;  di  cui  Tultima  bianca). 
Ha  pubblicato,  inoltre:  Versi  di  un   Veneto^  E?nma,  Roman- 
zo; il  Solitario,  Romanzo.  Scritture,  che  non  ho  viste. 

(291)  Questo  Tenente  Sabbatini  si  trovava  nel  2.°  reggimento 
di  fanterìa  leggiera  col  Catterinntti-Franco.  Il  quale  me  ne 
scrivo  :  —  «  Kra  Romagnolo  e,  molto,  esaltato.  Non  deve  aver 
«  fatta  carriera.  Non  so,  se  sia  morto  nella  difesa  di  Roma;  par- 
«  mi,  che  no.  Anzi,  essendo  di  qualche  setta,  sembrami-,  che  un 
«  Sabbatini  sia  nominato,  nel  furto  Parodi  di  Genova.  Forse, 
<(  sarà  lui;  ma  non  conobbi  il  processo;  si  voleva,  che  il  furto 
«  figurasse,  come  fritto  per  politica.  Non  seppi  più  nulla  del  sud- 
«  detto,  perchè  non  l'ebbi,  mai,  in  veruna  considerazione.  »  — 
Queste  informazioni  concordano,  con  quelle,  che  ho  raccolte,  al- 
tronde. 

(292)  Con  questa  lettera,  doveva  essere  accompagnato  un  prò 
memoria  del  General  Ferrari,  con  chi  sa  quali  stravaganti  pro- 
poste. A  ricevere  la  scheggia  di  artiglieria  austriaca,  ci  andò, 
bene,  il  Poerio;  ma  (e  sia,  qui,  detto,  senza  alcuna  intenzione  di 
biasimo)  il  Tommaseo,  no. 

(293)  Gaetano  Giardini  fu  Deputato,  pel  distretto  dell'Aquila, 
insieme  con  Luigi  Dragonetti  e  Giuseppe  Pica.  Mori ,  se  non 
erro,  in  emigrazione,  a  Genova;  dove,  se  non  isbaglio,  abitava, 
in  via  Portoria,  poco  lontano  dal  sasso  di  Balilla.  Il  Massari, 
passando  in  ra!«.segna  gli  oratori  del  Parlamento  Napolitano  , 
scriveva  :  —  «  Carlo  Trova,  Domenico  Capitelli,  Gaetano  Giar- 
«  dini  non  avrebbero  temuto  il  confronto  di  nessuno;  ma  non 
<i  ebbero,  mai,  occasione  di  salirò  alla  ringhiera  >.  — 

(294)  Ottavio  Tupputi  fu  Deputato,  pel  Distretto  di  Barletta, 


—  402  — 

insieme  con  Saverio  Baldacchini ,  Michele  de  Paci ,  Leopoldo 
Tarantini  e  Giuseppe  Ugente.  È  morto,  Senatore  del  Regno  e 
Luogotenente  Generale,  Comandante  (parmi)  la  Guardia  Nazio- 
nale di  Napoli.  Mio  padre  ne  lesse  T  orazion  funebre.  Veggasi, 
nel  Colletta,  libro  X,  il  racconto  della  sua  condanna  a  morte  e 
della  grazia,  nel  1822. 

(295)  Tommaseo  Ortale  era  nato,  in  Rogliano  ,  il  2  giugno 
1802,  di  Stefano  e  della  Fiorita  (Afrodite  ?j  Arcuri.  S*  addisse 
air  dvvocheria  ,  in  Cosenza  ;  e  difese  ,  officiosamente  ,  i  fratelli 
Bandiera,  innanzi  alla  Corte  Marziale,  nel  1844.  Fu  Sindaco  di 
Cosenza,  dal  1842  al  1847.  Nella  prima  elezione  del  1848,  fu  elet- 
to Deputato  ;  e  prese  parte  alla  riunione,  in  Monteoliveto.  Il 
Bozzelli  gli  offrì  il  posto  d'  Litendente,  la  dimane  del  15  maggio; 
ma  egli  rifiutò.  Rieletto  Deputato,  pel  distretto  di  Cosenza  ,  non 
si  presentò.  Riparò,  poi,  in  Toscana.  E  venne  condannato,  in  con- 
tumacia, a  morte,  nel  1852,  come  complice  della  insurrezione 
Calabra,  alla  quale  si  era  opposto,  con  tutto  l'animo.  La  moglie, 
Rosina  Fagli  usi,  di  poveri  e  oscuri  genitori,  lo  aveva  raggiunto 
neiresilio.  (E,  poi,  passata,  in  seconde  nozze,  col  Procurator  del 
Re,  Giuseppe  Sarda;  ed  è,  ancor,  viva,  e  domiciliata  in  Napoli). 
Gravemente  infermo,  si  tramutò  a  Genova,  dove  moriva,  dopo 
un  mese,  il  31  luglio  1854.  Ebbe  altri  fratelli:  Giuseppe,  mag- 
giore; e  Pietro  e  Luigi,  minori.  Pietro  vive,  tuttora,  in  Marzi. 
Ebbe,  anche,  due  sorelle,  la  Saveria  e  la  Teodora.  Non  lasciò 
figliuoli;  ma  chiamò  erede  suo  nipote,  Stefano  Ortale. 

(296)  Domenico  Giannattasio  nacque,  in  Salerno,  il  15  gen- 
najo  1798;  è  morto,  in  Napoli,  V  lì  novembre  1809.  Era  stato 
valentissimo  avvocato  del  foro  salernitano,  dove  divise  il  pri- 
mato con  Giovanni  Avossa  (Vedi  la  245*  di  queste  noto).  Fu 
Deputato,  nel  1848-49,  pel  distretto  di  Salerno.  Emigrò,  in  Fran- 
cia ed  altrove.  Fu,  dopo  il  1860,  presidente  della  Gran  Corte 
Criminale  di  Salerno  e ,  quindi ,  Consigliere  di  Cassazione ,  in 
Napoli.  —  «  La  provvidenza  »  —  disse  di  lui  Francescantonio 
Casella  —  «  aveagli  concesso,  con  raro  esempio,  che,  già  vec- 
ce chio,  si  vedesse  a  lato  la  vecchissima  madre;  e  quasi,  la  lunga 
«  ed  amorosa  consuetudine  lo  sospingesse  a  seguirla  in  un  mondo 
«  migliore,  appena  ebbe  la  sventura  di  perderla,  non  fu,  più, 
«  quel  desso;  ed  apparvero  i  primi  segni  della  sua  decadenza.  »— 
Vedi  In  morte  \  di  \  Domenico  Giannatta-^io  \  Consigliere  della 
Coìste  di  Cassazione  di  Napoli \\  Discor^si  ire  \  letti' sul  feretro 


—  463  — 

I  con  I  un  iscrizione  \  pel  suo  sepolcro  \\  Napoli  \  Tipografia  de 
gli  accattoncelli  \  1870,  Ecco  la  magra,  stecchita,  allampanata 
iscrizione,  che  ha  per  autore  Pirro-Giovanni  De  Luca: 

A  Domenico  Giannattasio 

Salernitano 

nell'  Avvocatura 

ne'  Magistrati 

nell'  amor  del  sapere 

della  libertà 

dell'  Italia 

de'  suoi 

ammirabile 

che  l'  undici  nov.  18G9 

QUI 

RAGGIUNSE  LA  MADRE 

POCO  INNANZI  SEPOLTA. 

Però,  debbo  dire ,  che  non  fu,  ugualmente,  ammirabile,  nello 
amor  di  Dante!  Giacché,  essendo  io  stato,  con  altri,  in  deputa- 
zione, da  lui,  per  invitarlo  a  contribuire,  pel  monumento  a  Dante 
in  Napoli,  come  capì,  che  gli  chiedevam  denari,  in  modo  più 
sollecito  che  cortese,  ci  congedò,  anzi  ci  mise  alla  porta,  bor- 
bottando:—  «  Farò  quel,  che  farà  1*  Avossa!  Farò  quel,  che  farà 
«  r  Avossa.  »  —  Ma  T  Avossa  avea  sottoscritto;  e  lui,  sebbene 
ci  sfiatassimo  a  ripeterglielo,  non  ci  dio  né  quattrini  né  firma. 

(297)  Del  Generale  Ferdinando  Lanza  si  è  detto  qualche 
cosa,  nella  56*  delle  presenti  note.  Non  godeva  fama  altissima. 
Comandava  l'esercito,  a  Palermo,  quando  il  Letizia  (Vedi  la  229* 
di  queste  note)  capitolò.  E ,  certo ,  un  militare  di  coraggio  e 
di  onore  non  avrebbe,  allora,  capitolato;  poteva  e  doveva  bat- 
tersi e  vincere.  Vivono,  ancora,  suoi  figliuoli;  e  si  buccina,  che 
abbiano  in  mano  curiosi  documenti. 

(298)  Il  Brigadiere  Busacca  fu  richiamato,  al  servizio  milita- 
re, nello  aprile  1848;  e  nominato  Comandante  del  4.°  e  5.°  Reg- 
gimento di  linea  (che  stabilivano  i  loro  depositi  a  Castellammare). 
Dalla  Basilicata,  entrò  nella  Calabria  Citeriore,  tendendo  a  con- 
giungersi, con  Ferdinando  Nunziante,  eh'  era  sbarcato,  al  Pizzo. 

(299)  Si  tratta  del  Generale  Ferdinando  Nunziante,  uno  de' 
figliuoli  del  Marchese  Vito  Nunziante,  beli'  uomo  della  perso- 


—  4G4  — 

na,  cbo  sposò  la  figliuola  del  Conte  Gaetaai.  Fratello  consaagni- 
neo  del  troppo  celebre  Alessandro  Nunziante,  Duca  di  Mignano, 
pel  quale  vedi  la  369'^  di  queste  note.  Ferdinando  era  dA  primo 
letto;  Alessandro,  del  secondo. 

(300)  Giacomo  Lougo  nacque,  a  Napoli,  il  9  giugno  1818,  dal 
messinese  Letterio  (terzogenito  del  Barone  Giacomo  Longo  della 
Corte)  0  dalla  casertana  Carolina  Diaz  (che,  suo  padre,  allora, 
tenente  di  vascello  della  marina  siciliana,  avea  sposato,  in  Pa- 
lermo, nel  1810.)  Per  iscriver  questa  nota,  sul  suo  conto,  m'av- 
valgo d'un  opuscolo  (intitolato  Giacomo  Longo  \  Cenn»  Biogra- 
fici I  per  I  Giovanni  Pisani  \\  Messina  \  Dalla  tipografìa   Ribe- 
ra  I  1865  ;)  pubblicato ,  all'  insaputa  del  Longo ,  in  occasione 
delle  elezioni  generali  del  1865,  da' suoi   fautori   di    Messina. 
Il  Pisani,  che  ne  fu  autore,  era  stato  ajutante  di   campo   del 
Longo  ;  condannato  a  morte ,  col   fratello   Carlo  Pisani  (ora , 
sottoprefetto  di  Alcamo)  passò  undici  anni  nelle  galere  di  Pre- 
cida ed  Ischia;  ed  è  morto,  il  27  Aprile  1882,  consigliere  di 
prefettura  al  ritiro.  L'opuscolo,  però,  formicola  di  esagerazioni 
e  di  errori:  ma  ne  ho  sott'  occhi,  per  la  gentilezza  del  Longo, 
un  esemplare,  da  lui  postillato.  E  le  postille,  delle  quali  ripi^- 
durrò  parecchie,  fanno  amare  ed  apprezzar  l'  uomo.  Dunque , 
Giacomo  Longo,  dal  novembre  1829  all'ottobre  1836,  studiò, 
nella  Nunziatolla.  Servì,  prima,  da  soldato,  pei,  da  ufficiale, 
noli'  ottavo  di  linea.  Dal  37  al  47,  appartenne  all'  artiglieria  : 
—  «  secondo  il  diritto,  che  gli  competeva,  per  gli  studi  fatti  e 
«  per  lo  esame  di  concorso,  con  impareggiabile  successo  soste^ 
«  nuto,  nel  medesimo  collegio,  appena  finiti  gli  studi  »  —  scri- 
veva il  Pisani.  Ma  il  Longo  avverte:  Fra  il  di  corso y  io  fui 
classificato,  soltanto,  il  sesto;  Carlo  Mezsacapo  (ora,  generale  co- 
mandante VYIIl  corpo)  ebbe  il  secondo  posto;  Orsini  (ora,  al 
ritirò)  il  settimo;  Pianell  [ora,  comandante  il  III  corpo)  il  de- 
cimo. Nel  47,  venne  arrestato,  come  cospiratore,  in  Palermo. 
(Vedi,  quanto,  in  seguito,  si  dirà,  nella  37P  di  queste  note). 
Scoppiata,  colà,  la  rivoluzione,  quando  ebbe  luogo  la  ritirata 
da'  Quattro  Yenti,  la  notte  dal  29  al  30  gennajo  1848,  il  Longo 
e  Vincenzo  Orsini,  tratti  fuori  dal  carcere  della  Quinta  Casa, 
riuscirono  a  fuggire,  trovandosi  in  arresto,  nel  campo,  non  senza 
gravi  pericoli.  Il  Longo  s'unisce  agl'insorti;  prende  parte  al- 
l'espugnazione di  Castellammare;  è  richiesto  nella  città  di  suo 
padre  da  una  deputazione,  della  quale  faceva  parte  il  barone 


—  405  — 

Natoli,  suo  cugino  (che,  poi,  è  stato  ministro,  nel  Regno  d'Ita- 
lia).  Il   Comitato   Generale  di   Palermo  vel    manda.   Ed   egli 
sbarca  a  Milazzo,  dove  il  forte  capitola,  in  mano  sua;  e  dirige 
le  operazioni  contro  la  cittadella  di  Messina.  Il  18  febbrajo  , 
il  Governo   provvisorio  il   nomina   Colonnello  Direttore  delle 
Artiglierie;  ed,  il  20  marzo,  Direttore  del  Ministero  di  Guerra 
e  Marina.  Divisata  la  spedizione  in  Calabria,  il  Longo  la  pre- 
corre, attraversando  lo  stretto,  sopra  una  barchetta  da  pasca, 
la  sera  del  10  giugno,  ed  approdando  a  Villa-San-Giovanni. 
Egli  scrive:  —  «  La  barca  era  guidata,  da  due  soli  marinai;  ed 
«  ero   accompagnato  dallo  avv.  Macaluso  di  Giigenti.  Mi   at- 
«  tendevano  Antonio  Fiutino  e  Casimiro  De-Lieto.  Fummo  a' 
«  cena,  io  una  villa  (credo,  del  Dc-Lieto);  e,  subito,  ripartii, 
«  in  una  leggiera  vettura  da  posta ,  in  compagnia  di  Achill  e 
«  Parise,  noto  maestro  di  scherma,  a  Napoli.  Avvertiti,  presso 
«  Bagnara,  eh'  eravamo  inseguiti,  e  letto  io  stesso,  sulla  porta 
«  della  casa  di  postii ,  un  manifesto  del  Nunziante,  col  quale 
«  si  metteva  una  taglia  di  duemila  ducati  sulla  mia  testa,  la- 
«  sciammo  di  correre  la  posta  e  e'  inselvammo,  fra  Oppido  e 
«  Seminara.  Trovammo  ricovero  e  ristoro,  il  giorno  seguente, 
«  per  qualche  ora ,  in  Polistene ,  presso  il  barone   di  questo 
«  nome;  corremmo,  di  nuovo,  i  boschi,  la  notte  seguente;  ed, 
«  infine,  il  19,  giungemmo,  dallo  Stocco,  al  campo  dell' An- 
«  gitola.  Non  fui  (come  dico  il  Pisani)  proclamato  capo  di  Stato 
€  Maggiore:  ero  utficiale  siciliano;  e  presentai  le  lettere  del  mio 
€  comandante,  generale  Ribolti.  Soltanto,  fui  capo  di  S.  M., 
€  dopo  la  ritirata  da  Cassano.  »  ' —  Tralasciamo  di  particola- 
re ggiare  i  fatti  di  quella  breve  campagna  e  misera.  Il  Lougo 
e  gli  altri  venuti  di  Sicilia  furon  catturati,  nelle  acque  di  Corfù, 
come  si  leggerà,  in  queste  lettere.  Il  Longo,  come  si  vedrà,  fu 
condannato  a  morte.  Ebbe  la  grazia  della  vita;  e  fu  tradotto, 
nel  Castel  di  Sant'  Elmo,  in  Gaeta,  do>e  rimase,  sino  alla  notte 
dal  2  al  3  luglio  1800.  Il  Pisani  parla  di  sevizie  indescrivibili. 
Ed  il  Longo:  —  «  Non  ebbi  a  soffrire  sevizie  di  sorta.  »  —  Di 
preti  ipocriti  o  scellerati.  Ed  il  Longo:  —  «  Niente  affatto.  Tre 
«  sacerdoti  ebbero,  in  diverso  tempo,  accesso,  nel  mio  carcere. 

<  Il  vecchio  Gallinari,  (un  vero  buontempone  e  tutt'altro  che 

<  ipocrita  e  scellerato); — il  giovane  Antonio  Castello,  della  coUe- 
«  giale  dell'  Annunziata,  al  pari  del  Gallinari,  (persona  colta  e 

<  che,  da^  1854  in  poi,  con  mille  rischi,  mi  procurava  la  let- 

30 


—  40(5  — 

«  tura  (li  gjoni.ili  injjlosi,  attrassiiti  di  molti  mesi);  —  e,  terzo, 
€  il  canonico  rernarelli.  »  — Questi  fu  incaricato  di  promet- 
tergli la  libertà,  contro  una  semplice  dichiarazione,  in  cui  ri- 
conoscesse illegittimo  Tatto  del  12  aprile  1848,  col  quale  il 
Parlamento  Siciliano  proclamò  decaduta  la  dinastia  borbonica; 
soggiungendogli,  fatta  una  dichiarazione  simile,  dal  Settimo  e 
da  molti  altii  e  dal  Padre  Ventura.  Ed  il  Longo:  —  «  Il  Per- 
«  narelli,  a  quinto  mi  parve,  allora,  e  come  penso,  ancora,  ese- 

<  gal  la  sui  commissione,  senza  perfidia  e  con  ogni  riguardo. 
«  Ned  io  gli  <lissi  (come  narra  il  Pisani),  che  ritenevo  calun- 
«  niosa  la  sua  assertiva,  (ili  dissi:  Che^  poro  a  punto,  conoscevo 
«  il  P.  Yen  fura,  tranne  le  sue  opere^  anteriori  al  48^  die  avevo 
«  lette;  che  conoscevo^  molto,  gli  altri^  segnatamente^  il  Settimo, 
^  in  co.<a  del  gitale  avevo  aiul)  domestichezza,  essendo  il  Set' 
«  tiiiw  amicissimo  e  compagiìo  di  tnio  padre,  nella  marineria 
€  di  guerra;  che  mi  pareva  difficile,  avessero  costoro  fatto  ri' 
€  trattaci  -ne;  ma  che,  ad  ogni  modo,  seguendo  i  dettati  della 

<  mia  coscienza  di  uohio  e  di  siciliano,  io  non  conosceva  altra 
«  autorità  Icgittlm  i,  che  quella  del  Parlauiento,  rappresentante 
€  la  nazitìie.  Il  Pernarelli  era  od  è  (non  no  ho  avuto  più  notizie, 
«  dappoi  ohe  seppi,  che  segui  i  Horboni  in  Roma,  dopo  la  ca- 
ie pitolazionc  di  Gaoti,  nel  febbrajo  1801)  un  buon  prete,  assai 
«  colto,  vissuto,  lun;jamente,  in  Toscana.  Era  di  piacevole  con- 
«  versazione.  Parlavamo  di  storia  e,  specialmente,  del  niovi- 
«  mento  d  ^gli  studi  storici,  in  Germania.  F'ui  dolente  del  modo, 
«  come  il  mio  amico  Pisani  rappresentò  un  fafto  vero;  ed  avrei 

<  voluto,  se,  mai,  fosse  stato  possibile,  chiedi-rne  scusa,  al  buon 
«  Pernarelli.»  —  Il  Longo,  liberato  ed  imbarcato  per  Marsiglia, 
nel  1860,  sbarrò,  invece,  a  Livorno;  e  si  recò,  quindi,  a  To- 
rino. !Ma  poco  vi  stette  a  rinfrancarsi  della  diuturna  cattività: 
anzi  riparli,  subito,  per  la  Sicilia.  Sbarcò  in  Palermo  il  domani 
della  battaglia  di  Milazzo  (21  luglio);  e  si  trovò  nominato  Mi- 
nistro della  Guerra.  Dimettevasi,  il  28  agosto;  e  correva  sul  con- 
tinente. E  pugnò  sotto  Capua;  ed,  il  primo  ottobre,  si  buscò  una 
larga  ft;rita,  alla  fronte.  Il  mese  seguenti,  fu  promosso  maggior- 
generale.  Noi  novembre  1801,  gli  fu  riconosciuto  il  suo  grado, 
nel  Corpo  dei  volontari  ;  ed  il  2  febbrajo  02  (  un  mese  e  più 
prima  della  fusione)  passò  neirartiglieria  dell'esercito  regolare. 
Fu  deputato  del  quartier  Montecalvario  di  Napoli;  e  non  seppe 
della  canditatura  se  non  ad  elezione  fatta,  da  un  giornale,  nel 


I 


—  467  — 

caffè  Fioiio,  a  Torino.  Egli  scrive  di  sé,  con  rara  modestia:  -^ 
«  Non  sono  stato  nò  sono  un  uomo  politico.  Volevo  rinunziare 
«  alla  deputazione,  ma  amici  siciliani  e  napolitani  (e,  segna- 
le tamento,  Carlo  Poerio)  me  no  dissuasero,  dicendomi  essere 
«  utile,  che,  in  quella  prima  legislatura  (l'VlII),  si  vedesse  un 
«  messinese,  fra'dodici  rappresentanti  di  Napoli.  Il  mio  passag* 
«  gio  alla  Cameia  non  lasciò  traccia;  ne  poteva.  Feci  poco,  per- 
«  che  poco  sapevo  e  potevo  fare.  Poco  uso  a  parlare,  ripugnante 
«  a  quelle  lotte,  mi  affaticai,  studiai,  molto,  negli  archivi  della 
«  Camera,  tanto  per  apprendere  qualche  cosa,  per  adempier  me- 
«  glio  il  nuovo  officio,  al  quale  era  chiamato:  ma  nulla  con- 
«  chiusi.  Manc.iva  la  stoffa.  Appartenni  ed  appartengo,  al  parti- 
le to  moderato,  che  fu  vinto  e  cadde,  il  18  marzo  1876.  Pochi 
«  giorni  prima  (nel  fobbrajo),  fui  nominato  senatore.  Al  Palazzo 
«  Madama,  Topera  mia  è  stata,  sinora,  e  sarà,  pur  sempre, 
«  assai  modesta.  E,  la  ragione,  Tho  detta  innanzi:  scarsezza  di 
«  mez^i;  ripugnanza  alla  parola  in  pubblico...  Votai  contro  la 
«  soppressione  degli  ordini  religiosi  e  l'incameramento  dei  beni 
«  delle  manimorte:  perchè,  a  mio  modo  di   pensare,   misure 
«  contrarie  alla  libertà  di  co.scienza  ed  al  dritto  di  proprietà. 
«  Malva  quanto  volete,  ma,  da  certi  principi,  non  nìi  scosterò, 
<  mai.  »  —  Giacomo  Lougo,  dopo  aver  comandato  le  artiglierie 
a  Firenze,  Piacenza,  Napoli  e  Verona,  è  rimasto  membro  del 
Comitato,  sino  al  1877,  e  Presidente  del  Comitato  di  Artiglie- 
ria e  Genio,  sino  a  tutto  r83.  Fu  promosso  a  teneniegenerale 
nel  1870.  Non  fece  né  la  campagna  del  6G  nò  quella  del  70. 
Ora,  è  pensionato  ed  abita,  a  Roma.  Vi  ha  sposato,  nel  1R77, 
rOlimpia  Scibona  da  Palermo;  e  ve  ne  ha  avuta  una  figliuola, 
la  Carolina,  nelT  81. 

Di  due  fratelli  di  Giacomo  Longo,  Carlo  e  Roberto,  si  par- 
lerà, nel  prosieguo  di  queste  lettere.  E  noi  ne  anticipiamo,  qui, 
le  notizie,  con  le  parole  .««tesse,  adoperate,  nel  trasmettercele, 
dalla  cortesia  di  Giacomo:  —  «  I.  Carlo,  nato  nel  1812,  seguì, 
«  dopo  gli  studi  fatti  nell'Accademia  di  marina,  la  carriera 
«  di  nostro  padre.  (11  quale  mori,  nel  1843,  essendo  capitano 
«  di  vascello  e  comandante  del  dipartimento  di  marina  in  Mes- 
«  sina,  ove  era  nato,  dal  Barone  Giacomo  e  da  Lauretta  dei 
«  marchesi  De  Gregorio ,  il  5  febbrajo  1783  ;  giorno ,  in  cui 
«  avvenne  il  famoso  terremoto.)  Carlo  era  tenente  di  vascello, 
«  nel  luglio  1848 Nel  18G0,  lo  trovai  capitano  di  vascello. 


—  4G8  — 

«  Entrato  nella  marina  Italiana,  fu,  successivamente,  contro- 
re amiiiii'iJglio  e  vice-ammiraglio.  Fu  comandante  in  secondo,  a 
4C  Genova  ed  a  Napoli;  poi,  comandante  in  capo,  a  Venezia  ed 
«  a  Genova;  due  volte,  segretario  generale  al  ministero  di  ma- 
«  rina,  coi  ministri  ammiraglio  Persano  e  generale  Cugia.  Fu 
<L  aju tante  di  campo  onorario  di  Vittorio  Emanuele.  Nel  1869, 
«  per  motivi  di  salute,  chiese  ed  ottenne  il  collocamento  a  ri- 
«  poso;  e  mori,  in  Napoli,  nel  1879.  Si  era  sposato,  nel  1850, 
«  con  la  signora  Luisa  Finizio  di  Napoli  ;  e  non  lasciò  che 
«  una  figlia.»  —  «II.  Roberto  nacque,  nel  IBIO.  Fece,  con 
«  me,  gli  studi  nella  Nuuziatella.  Nel  1848,  comandava  una 
«  batteria  del  corpo  del  generale  Pepe  ;  e  fu  tra  le  truppe , 
«  che  passarono  il  Po,  prima  che  giungesse,  al  Pepe,  l'ordine 
a  della  ritirata.  Si  ritirò,  da  Venezia  in  Napoli,  con  coloro, 
«  che  vollero  restare  ossequienti,  agli  ordini  del  Re.  Nel  1849, 
«  comandò  una  batteria,  nella  breve  ed  infelicissima  compagna 
«  di  Velie  tri.  Morì,  in  Napoli,  nel  1854,  col  grado  di  cm)  itane 
«  d'artiglieria,  addetto  alla  fabbrica  d'armi.  Non  ebbe  mo- 
«  glie.  »  — 

(301  j  II  Ribotti,  della  contea  di  Nizza,  uomo  di  coraggio,  ma  di 
poca  testa,  che  fu  in  mezzo  a  tutte  le  agitazioni  Italiane,  sino 
al  GO.  Nel  quale  anno,  essendo  egli,  a  Napoli,  col  Garibaldi,  e, 
standosene,  nel  Calle  di  Europa,  ecco  entrarvi  il  Petruccelli  ed 
essere  salutalo,  per  nome,  da  un  conoscente.  Allora,  il  Ribotti 
sta  su;  e  va  a  lui  ;  e  gli  chiede:  È  lei  quel  Petruccelli,  che  si 
fa  chiamare  deila  Gatlinal  L'autore  di  una  Storia  della  Hivolii^ 
ziunc  yapoUiana  del  i848ì  II  Petruccelli  rispose  di  si.   Ed  il 
Ri  botti  :   Oli  !  che  fortuna!  son  dieci  auìii,  clic  sospiro  d'  incon^ 
trarla^  pcr  aniinaz surla.  Ella  mi  ha  cahuininto,  in  quel  suo  li^ 
bellu;  e,  sventuratamente^  c'è  stato  chi  Vha  creduto.  Ed  aggiunse 
alle   parole,  una   ingiuria  materiale   solenne.  Il  Petruccelli  (o 
ilella  Gattina,  o  non  della  Gattina  che  sia)  consenti,  a  tenei-si 
lo  sihiallo  ed  a  fare  ampia  ritrattazione,  su'giornali,  di  quanto 
aveva  scritto  contro  il  Ribotti.  —  «  Ignazio  Ribotti  »  —  mi  scri- 
vo Giacomo  Longo  —  «  nacque,  a  Nizza;  e  fu  tenente  guardia 
<i  dei  corpo  di  Re  Carlo  Felice.  Nel  1831,  si  trovava  tenente  in 
<c  un  reggimento  di  fanteria,  comandato  da  Eusebio  Bava.  (Quel 
«  Kavu,  che  comandò,  nel  1848,  l'esercito  sardo;  e  fu  vincitore 
«  degli  austriaci  ,  a  Coito).  Mescolato  nelle  congiure  di   quel 
a  tempo,  il  Ribotti,  dopo  essere  stato  sostenuto  in  carcere  tre- 


—  469  — 

<  dici  mesi ,  venne ,  co'  compagni ,  esiliato.  Fu  in  Francia  ed 

<  in  Inghilterra;  ed  in  Portogallo  ed  in  Ispagna.  Nel  1845,  si 
«  trovò  (essendo  in  licenza  in  Italia)  mescolato  ne'  casi  di  Ro- 
«  magna;  ma  ne  usci  illeso.  Nel  1847,  (pur  sempre  tenen te- 
le colonnello  al  servizio  di  Spagna)  si  trovò,  di  nuovo,  in  To- 
«  scana  ed  a  Roma:  ma  n^azziniano,  come,  allora,  si  professava, 
«  prima  di  venire  in  Italia,  fu  a  conferire,  con  Mazzini,  a  Lon- 
«  dra,  e  co'  fratelli  Paolo  e  Nicola  Fabrizì,  a  Malta.  Venne, 

<  da  noi,  in  Sicilia,  alla  fino  di  febbrajo  1848,  dopo  essersi 
«  trattenuto,  in  Napoli,  ne'  giorni  delle  grandi  dimostrazioni, 
€  che  precedettero  la  pubblicazione  dello  statuto  costituzionale. 
a  Auspice  il  mio  amico  Giuseppe  La  Farina  da  Messina,  esule 
«  sin  dal  1837,  venne  accettato,  in  servizio,  col  grado  dì  gene- 

<  rale.  Buon  militare,  soldato  rotto  al  mestiere,  per  la  lunga 
€  pratica  di  guerra,  in  Portogallo  ed  in  Ispagna,  perfetto  gen- 
«  tiluomo,  mettendo  da  banda  ogni  preoccupazione  politica,  a 
«  nuli' altro  badò,  che  all'ordinamento  dello  truppe.  Uso  alla 

<  disciplina  militare,  abituato  ai  pronunciamentos  spagnuoli, 
«  che  presentano,  su  cento  rivoltosi,  almen  cinquanta  militari, 
€  credette,  dapprima,  facile  il  suo  compito  di  ordinatore  di 
«  truppe.  Ma,  non  trovando,  presso  noi,  alcuno  elemento,  8i 
«  trovò  a  disagio;  e  perdette  coraggio.  Con  tale   disposizione 

<  d'animo,  passò  in  Calabria.  E  non  è  da  fare  meraviglia,  adun- 

<  que,  se  addimostrasse,  in  quella  congiuntura,  quella  deficienza 
€  di  energia,  anzi  di  audacia,  che  sarebbe  stato  necessario 
€  spiegare.  Mi  affretto,  però,  a  dire,  che,  a  torto,  venne,  allora, 
«  accusato,  nel  bollore  delle  passioni,  da...  Giuseppe  Ricciardi; 

<  ed,  a  maggior  torto,  di  nuovo,  fatto  segno  ad  accuse,  come 

<  unica  cagione  della  non  riuscita  impresa  di  Calabria,  nella 
€  pubblicazione ,  che  fece  lo  stesso  Ricciardi,  nel  1873 ,  della 
€  Storia  documentata  della  sollevazione  delle  Calabrie  del  1848,.. 
«  Dopo  cinque  anni  di  durissima  prigionia,  in  S.  Elmo,  il  Ri- 
«  botti,  mercè  l'opera  efficace  di  Camillo  Cavour  e  di  Napo- 
«  leone  III,  ottenne  la  libertà.  Passò  alcuni  anni  in  Francia, 
«  ed,  al  1859,  fu,  fra  coloro,  che,  accettato  il  concetto  di  Ma- 

<  nin,  si  diedero,  con  tutta  1'  energia  del  loro  patriotisrao  ,  a 

<  seguire  la  politica  del  gran  Re  e  del  grande  suo  ministro. 

<  Da  Cavour  fu  inviato,  al  principio  della  guerra  del  testé  det- 
«  to  anno,  nell'Emilia,  co'generali  Fanti,  Cavalli  ecc.,  per  or- 
«  dinarvi  le  truppe,  levate  da  quei  governi  provvisori.  Fral 


—  470  — 

4L  maggio  od  il  giugno  del  60,  fu,  dallo  stesso  Cavour,  inviato» 

<?  in  Napoli,  por  confidenziale  missione  politica Fu  deputato 

«  alle  VII  ed  Vili  legislature,  pel  collegio  di  Santarcangelo 
<c  nelle  Romagne.  Mori,  nel  18G5  (o,  forse,  alla  fine  del  1864....) 
«  col  grado  di  tenente  generalo  e  comandante  la  divisione  ter- 
«  ritoriale  di  Modena.  Già  vedovo  di  una  signora  spagnuola, 
«  lasciò  due  figlie ,  delle  quali  non  ho  saputo  più  altro  ,  da 
«  molto  tempo.  Egli,  nizzardo,  fedele  alla  politica  di  Cavour, 
«  nella  VII  legislatura,  votò,  per  la  cessione  di  Nizza  alla  Fran- 
«  eia.  Per  me,  fu  superiore  benevolo  ed  amico  carissimo.  Nelle 
«  poche  oro  di  ozio,  che  potevamo  avere,  in  Sicilia,  durante 
«  la  guerra,  discorrendo  di  cose  militari,  eravamo  concordi,  per 
a  quanto  discordi  eravamo,  discutendo  di  politica.  Dopo  il  1860, 
«  fummo,  concordi,  in  politica;  e  militammo  nello  stesso  partito, 
<  il  moderato.  »  — 

(302)  Chi  fosse  questa  Pellegrini  (probabilmente,  qualche  anti- 
ca fiamma  giovanile  di  Cailo  Poerio)  non  ho  potuto  appurare. 

(303)  —  €  Federico  Bellazzi  era,  nel  184?,  entrato  ,  non  so 
«  come,  negli  uffizi  del  Governo  Provvisorio  di  Milano  ;  e  te- 
«  nova  il  protocollo  secreto.  Di  famiglia  povera  ,  era  stato 
«  messo,  in  un  seminario,  per  dargli  educazione;  e  ne  usciva, 
«  allora.  Giovanissimo,  pronto,  zelante,  il  Coote  Gabrio  Casati 
«  lo  vedeva  di  buon  occhio  ;  e ,  quando  sopraggiunsero  i  ro- 
«  vesci,  rincaricò  di  provvedere,  alla  sicurezza  delle  carte  go- 
«  vernative,  per  il  giorno  della  necessaria  tuga.  Parti,  dunque , 
«  da  Milano,  col  suo  deposito;  ma,  non  so  per  qual  motivo  ,  in- 
«  vece  dì  riparare,  come  avrebbe  dovuto,  a  Torino,  passò  a  Lu- 
«  gano,  dove  si  era  rifugiata  tutta  la  parte  repubblicana  ed  an- 
«  tipiemoutese  dell'  emigrazione  Lombarda.  Costi,  circuito  da 
«  costoro,  non  seppe  o  non  volle  resistere;  e,  tradendo  la  fiducia 
«  dei  Casati ,  consegnò  tutte  quelle  carte ,  a  Carlo  Cattaneo  , 
«  che  ne  cavò  una  bugiarda  sudiceria,  stampata  sotto  il  nome  di 
<c  Archivio  Triennale.  Naturalmente,  il  Bellazzi  fu,  per  noi,  uno 
«  scomunicato.  Appunto,  per  questo,  entrò  nelle  grazie  degli 
«  altri,  che  lo  presero  a  proteggere,  fino  a  farne  un  Prefetto:  mi 
«  pare,  a  Belluno.  Non  so,  come  si  comportasse;  so,  unicamente^ 
«  che  s'ammazzò.  I  giornali,  allora,  ne  avranno  parlato;  e  si  pò - 
«  tià,  con  di  molto ^rano  salis,  consultarli  ». — (Da  una  comuni- 
cazione confidenziale).  —  Il  Bellazzi ,  deputato  al  Parlamento  , 
nel  Regno  d*  Italia,  ancorché  spiantato  (ma,  tra  di  noi,  Tessere 


—  471  — 

spiautato  sembra  raccomandare  il  candidato  agli  elettori)  aveva 
preso,  per  suo  cavai  di  battaglia,  la  quistione  carceraria.  E, 
sulla  riforma  delle  prigioni,  abborracciò  volumi,  opuscoli  e, 
soprattutto,  articoli:  tutta  robaccia  da  dilettante  ed  orecchian- 
te, che,  della  materia,  nulla,  davvero,  sa.  Urbano  Rattazzi,  quan- 
do presedeva  il  Ministero,  detto  de'  malmaritati^  cel  nominò 
prefetto.  Dimessosi ,  poi ,  più  o  meno  volontariamente ,  vo- 
leva ritornare  a  fare  il  mestiere  di  deputato.  Ma ,  battuto , 
sul  campo  elettorale  ,  dallo ,  ora  ,  senator  Casati  (  figliuolo 
di  Gabrio) ,  vedendosi  senz*  arte  uè  parte ,  si  uccise,  con  una 
pistolettata.  Ho  saputo  ,  che  le  sue  carte  furono  vendute  ; 
e  che  la  maggior  parte  n'era  capitata,  in  mino  ad  un  Av- 
vocato Milanese,  il  quale  fa  raccolta  di  autografi.  E  me  gli  ri- 
volsi ,  per  chiedergli,  se  avesse  trovato  ,  fra  esse  ,  le  lettere  del 
Poerio.  Ma  egli,  gentilmente,  mi  rispose:  di  non  ayervene  rinve- 
nuta alcuna.  —  Giacché  m*  è  accaduto  di  nominare  quel  Carlo 
Cattaneo, che  i  democratici  Lombardi  vogliono  infinocchiarci  per 
una  gran  mente  ed  un  gran  carattere  ,  ed  io  ,  perchè  il  lettore 
si  faccia  una  idea  del  valore  intellettuale  e  morale  di  questo  re- 
pubblicanacpio  di  fango,  bramo,  ciregli  legga  un  aneddoto,  ri- 
ferito, nello  Memorie  à'^ì  Senator  Giovanni  Arrivabeue:  —  «Dirò, 
«  ora,  cosa  incredibile  e  vera.  Ne'  momenti  di  ansietà,  in  cui  si 
«  era,  a  Milano,  per  l'esito  della  guerra,  [1848],  incontro  Cat- 
«  tSineo,  Arrivabe ne j  mi  dice,  buone  nuove!  I  Pieoiontesi  sono 
«  stati  battuti!  Ora^sard no  padroni  di  noi  stessi!  Faremo ,  noi^  la 
«  guerra  pojìolare.  Cacceremo  gli  Austriaci  d* Italia;  e  faremo  la 
«  repubblica  federale.  Quale  fosse  la  mia  sopresa,  il  mio  dolore, 
«  all'  udire  tali  parola  ,  non  saprei  esprimere.  Le  ho  ,  tuttora  , 
«  impresse,  nella  mento.  Possibile,  dissi  a  me  stesso,  che  un  uo^ 
<  mo  di  cuore,  una  bella  intelligenza,  siu  sotto  il  dominio  di  una 
«  idea  preconcetta,  a  segno  di  porre  in  oblio  i  sagrifict,  che  Ita^ 
«  lUmi  facevano  per  Vltaliaì-»  —Possibile,  dico  io,  che  un 
uomo ,  capace  di  porre  in  obblio  tali  cose ,  venga  creduto  di 
cuore  e  d'intelligenza?  Alessandro  Manzoni  mi  raccontava,  che 
eran  venuti,  da  lui,  in  deputazione,  per  chiedergli,  che  contribuis- 
se ad  un  monumento,  da  innalzarsi  a  questo  Cattaneo,  a  Milano. 
Ma  egli  se  ne  schermi,  dicendo,  che  vi  avrebbe  sottoscritto,  solo^ 
se,  prima,  si  fosse  spianato  il  monumento  al  Cavour,  pel  quale 
aveva  dato,  anteriormente,  la  sua  simbola.  Giacché,  essendosi 
eretto  un  monumento  al  Cavour,  per  aver  propugnata  l'unità 


I 


—  412  — 

d'Italia,  sarebbe  stata  contraddizione  il  porne  un  altro  al  Cat- 
taneo ,  che  r  avea ,  sempre ,  avversata ,  professandosi  federa- 
lista. 

(304)  Questo  Longo,  corriere  di  Gabinetto ,  non  era  parente 
del  Longo,  di  cui  nella  300.'^  di  queste  note.  Si  badi,  pure,  eh'  e' 
v*fìraiio,  in  quel  tempo,  due  corrieri  Longo,  non  parenti:  V  uno 
vecchio;  Tattro  giovane,  non  napolitano.  Questo  era  il  giovane. 

(305)  Allude,  alla  dimostrazione,  fatta,  nel  senso  della  fusione 
immediata  di  Venezia  al  Piemonte ,  da  me*  che  milledugento 
Guardie  Civiche,  radunate  nel  campo  di  Marte,  per  una  rivista.  Il 
Manin  ed  il  Tommaseo  nicchiavano  e  perfidiavano,  nel  ritardare 
il  momento,  nel  quale,  rientrando  le  cose  in  un  assetto  normale^ 
il  loro  potere  tiibuuizio  sarebbe  ritornato  nel  nulla.  La  marina 
veneta,  dovè,  personalmente,  protestare  di  non  voler  più  entrare 
in  Venezia,  ove  questa  persistesse  nella  forma  repubblicana. 
Sempre  gli  stessi  1  democratici ,  anco  i  men  cattivi  !  e  dico  i 
men  cattivi^  perchè  di  buoni  non  credo  ve  ne  sieno.  CJosl,  pure,  il 
Garibaldi,  nel  1860,  voleva  ritardare  T  annessione  di  Napoli  al 
nuovo  Regno  Italico. 

(306)  L' Omnibus ,  fondato  dallo  albanese  Vincenzo  Torelli 
(che,  veramente,  avea  nome  Turiello),  il  quale  ò  morto,  ne*primi 
mesi  del  corrente  anno  1884.  Quanto  all'  Omnibus^  continua, 
credo,  la  sua  vita  ingloriosa,  diretto  da  uno  de' figliuoli  di  Vin- 
cenzo. In  quale  stima  fosse  tenuto  (od  a  dritto  od  a  torto)  quel 
giornale,  in  Napoli,  anche  prima  del  48,  potrà  argomentarsi,  dal 
seguente  epigramma  vernacolo  di  Giulio  Genoino.  Che  ripubbli- 
chiamo, quantunque  un  po'  indecente:  ma  l'indecenza  può  avver* 
tirsi,  solo,  da  chi  conosce  i  segreti  del  dialetto  napoletano  : 

Sse  tirano  li  cunte:  e  so'mappine 
L*  auture,  che  no'  pagano  lo  cienzo  ; 
E  chille,  che  n'  abbadano  a  carrine , 
Sse  sorchiano  l'addore  de  lo  'ncienzo. 
Pe'  stampa'  sti  ghiudizie  sopraffine, 
Nce  vo'  'na  cape  de  'nu  si'  Vicienzo. 
E  no'  può'  di',  eh'  è  cape  de  cocozza , 
Ca  chella  cape  lo  fa  ghl'  'ncarrozza. 

(307)  Scriveva  il  Massari:  —  «  Non  si  parlò,  più,  di  formolo  di 
<  giurameato,  né  di  solenne  cerimonia.  Il  Re,  che,  dopo  il  15 


—  473  — 

((  maggio,  non  uscì,  più,  dal  suo  palazzo ,  affidò  ,  al  Duca  di 
«  Serracapriola  (già,  Presidente  del  Ministero  del  29  gennajo 
«  ed,  ora,  Vice-Presidente  del  Consiglio  di  Stato)  la  cura  di  apri- 
le re  il  Parlamento,  in  sua  vece.  Spuntò  l'alba  del  1.°  luglio, 
«  non  pili  desiderata,  come  quella  del  15  maggio,  né  allegrata 
«  di  soavi  speranze,  ma,  quasi,  temuta  ed  attesa,  con  sinistri 
«  presentimenti ,  con  lugubre  aspettazione.  Forse,  si  temeva, 
«  non  avessero,  in  quel  giorno,  a  rinnovarsi  gli  orrori  e  le  car- 

<  nefìcine  ed  i  saccheggi.  Per  buona  ventura,  niente  avvenne. 
«  La  tricolore  bandiera  sventolò,  sul  castello  di  sani'  Elmo  ;  la 
«  popolosa  città  fu  taciturna  e  mesta,  come  per  lutto;  nell'uni- 
«  versale  squallore,  in  ogni  volto  aflfannato  e  malinconico,  leggevi 
«  la  fosca  memoria  del  sanguinoso  passito,  le  ansietà  del  pre- 
€  sente,  la  trepidazione  per  l'incerto  avvenire.  Ognuno  interro- 
«  gava  so  medesimo  e  chiedeva, al  proprio  presentimento,  se  què* 
«  deputati,  che,  per  sacro  dovere  civile,  convenivano  nel  palazzo 
«  degli  studi,  fossero  le  vittime  predestinate  al  macello.  La  sera, 
«  per  cura  del  municipio,  la  città  fu  illuminata.  Ma  né  sfarzo- 
se sa,  né  lieta  fu  la  luminaria  :  1*  incerto  e  scarso  chiarore  delle 
«  faci  simboleggiava  V  angosciosa  incertezza  della  nazione.  Al- 
«  Tuna  pomeridiana,  i  deputati  ed  i  pari  convennero,  nella  gran 
«  sala  delFa  biblioteca  borbonica,  nel  palazzo  degli  studi,  desti* 
«  nata  alla  inaugurale  cerimonia.  Giunse  il  regio  delegato  e, 
«  dopo  aver  cavato  un  pezzo  di  carta,  con  pallido  viso  e  con 
«  fioca  voce,  lesse  il  discorso  della  corona.  Terminata  la  lettu- 
«  ra,  Tadunan/a  si  sciolse,  col  medesimo  silenzio  dignitoso,  col 
€  quale  erasi  assembrata.  Se  il  ministero  avesse  voluto  far  di- 
sc menticar  le  sue  colpe  e  ravvivar,  negli  animi,  la  speranza  e 
a  la  fiducia,  T  occasione  era  propizia.  Egli  poteva  porre,  nella 
«  bocca  autorevole  del  Principe,  una  di  quelle  parole  consola- 
«  trici  e  solenni  ,  che,  distogliendo  il  pensiero,  dalle  memorie 
a  acerbe  del  passato,  lo  allegran,  con  la  speranza  di  un  avve- 
«  nire  migliore.  Quel  discorso,  invece,  (a  cagione  delle  sue  cal- 
ce colate  reticenze,  del  suo  tuono  severo  e  corrucciato,  degl'in- 
«  sipidi  luoghi  comuni)  esacerbò  ed  invelenì  le  piaghe,  che  do* 
a  vea  rimarginare  e  guarire.  Non  una  parola  di  clemenza  e  di 

<  pace!  non  un  indizio  di  amore  alle  libere  istituzionil  non  un 
«  cenno  degl'  intendimenti  politici  del  governo  !  Accresceva  la 
€  universale  mestizia,  la  vista  delle  verdi  uniformi  dell'  antica 

<  guardia  di  sicurezza,  rediviva  e  battezzata,  per  ironìa,  col  ti- 


—  474  — 

«  tolo  di  guardia  nazionale.  In  tal  guisa,  Bozzelli  ed  i  suoi  col- 
«  leghi  si  studiavano  di  conquistare,  al  trono,  Tossequio  e  Taf- 
«  fetto  degli  eletti  della  nazione  !  :&  — 

(308)  Non  ho  potuto  ritrovare  il  nome  di  questo  vapore  fran- 
cese. Le  funeste  nuove  di  Parigi  eran  quelle  della  esecranda 
insurrezione  socialista,  che  fu  repressa,  con  efferata  barbarie, 
dal  Generale  Eugenio  Cavaignac.  L'andava  da  gaelotto  a  ma- 
rinaro, come,  quasi,  sempre,  in  Francia.  Fra  chouans  e  hleus, 
fra  comunardi  e  versagliesi,  quali  erano  meglio  ? 

Devine^  si  tu  peux;  et  choisis^  si  tu  Voses  ! 

(309)  Domenico  Mauro  (albanese,  nato  in  San  Demetrio,  nel 
1812)  dopo  Tinconsulta  spedizione  de' Bandiera,  fu  sostenuto 
in  carcere  ,  per  due  anni.  Nel  1848  ,  si  condusse,  dissennata- 
mente, a  Napoli;  dissennatissimamente,  in  Calabria.  Fuggi,  poi, 
in  Albania  e,  quindi,  a  Roma.  Da  Roma,  ricoverò  negli  Stati 
Sardi.  Nel  1860  ,  prese  parte,  alla  spedizione  di  Sicilia.  Ed  è 
morto,  a  Firenze,  nel  gennaio  1873.  La  pretendeva,  anche,  a 
scrittore,  a  dantista,  a  poeta,  a  filosofo;  ed  ha  stampato  pa- 
recchia robaccia,  che,  a  dirla  pessima,  le  si  fa  un  onore  im- 
meritato. È  sepolto  a  S.  Miniato  al  Monte;  e  T  ora7Ìone  fu- 
nebre gli  fu  detta  da  Francesco  Curzio ,  degno  d*  essergli  a- 
mico.  Nell'emigrazione  e  dopo,  le  persone  per  bene  lo  scansa- 
van,  sempre. 

(310)  Chi  non  conosce,  almeno,  di  nome,  quel  capo  ameno  di 
Benedetto  Mussoline ,  che ,  quando  prendeva  ad  arringare  in 
Parlamento,  avrebbe  fatto  smascellar  dalle  risa  gli  uditori,  se 
non  si  fossero  allontanati,  per  paura  di  smascellarsi  dagli  sba- 
digli ?  Ma  è  una  vera  perla  d'  uomo ,  a  petto  del  suo  nipote 
di  sorella,  Giovanni  Nicotera.  Vedi,  intorno  a  lui,  anche,  nel- 
Tautobiografìa  settembriniana  e  la  312*  di  queste  note. 

(311)  Giuseppe  La  Masa  era  giunto,  a  Venezia,  il  13  maggio 
1848,  creatosi,  da  sé.  Colonnello.  È  quel  La  Masa,  appunto,  che, 
poi,  svenne,  alle  prime  fucilate,  a  Calatafimi.  Onde  il  Gari- 
baldi il  repulse  ;  e,  quando  si  fusero  1  volontari  con  l'esercito 
regolare,  fu  dichiarato,  da  un  Consiglio  di  Disciplina,  indegno 
di  star  nello  esercito  Italiano  e  di  portar  la  medaglia  de'  Mille. 
Venne,  in  Parlamento,  a  fare  una  lunga  orazione,  prò  domo 
sua;  fortunatamente,  pel  nostro  paese,  fu  fìato  sprecato.  Già,  il 


—  475  — 

Ministro  dichiarò ,  in  fatto  d'  onor  militare ,  il  giudizio  d'  un 
consiglio  di  disciplina  aver  ben  altro  peso,  del  voto  d'  una  Ca- 
mera de' deputati,  che,  quindi,  ancorché  favorevole  al  La  Masa, 
sarebbe  rimasto  sterile.  Dichiarazione  applaudita ,  da  tutti 
i  buoni,  che  la  stimarono  (a  torto,  ahimè  !)  un  primo  passo  nel 
negar  la  competenza  universale,  V  onniscienza  e  V  onnipotenza 
parlamentare.  Il  La  Masa  sposò,  pure,  la  famosa  Contessa 
Bevilacqua.  Ed  è  celebre  il  solenne  imbroglio  di  sei  milioni,  che 
è  il  prestito  a  premi  Bevilacqua-La  Masa.  Morì ,  a  Roma,  ne* 
primi  mesi  dell'  anno  1881 ,  in  una  villa ,  fuori  Porta  del  Po- 
polo. E  (sebbene  avesse,  sempre,  per  quanto  i*  mi  sappia,  fatta 
professione  di  ateismo)  furon  fatti  chiamare  i  frati  Agostiniani, 
che  officiavano  la  Parrocchia  di  Santa  Maria  del  Popolo,  per  ren- 
derp^li  gli  estremi  uffici. 

(312)  Traduciamo,  dalla  Istoria  della  Rivoluzione  d'Italia  del 
1848,  vergata, in  francese,  da  Peppino  Napoleone  Ricciardi,  la  de- 
scrizione de' fatti  del  Pizzo:  —  «La  mattina  del  30  giugno,  al- 
€  cune  compagnie  di  soldati  entrano  al  Piiffeo,  (città  marittima 
«  di  8000  anime,  tristamente  celebre  per  la  morte  del  Murat  e 
«  che  avea  fama  di  devotissima  a*  Borboni).  E,  difatti ,  aveva 
«  accolto, il  5 giugno,  i  soldati  del  Nunziante,  che  sbarcavano, con 
«  grida  di  :  Viva  il  Re.  Dalla  truppa,  si  sparò  una  fucilata  sulla 
«  piazza.  A  quel  segno,  i  soldati,  subito,  invadono  le  case;  si  sca* 
«  gliano,  furibondi,  sugli  abitanti;  e  li  scannano  in  quantità:  don- 
«  ne  stuprate  ed  uccise;  fanciulli  squ-irtati;  vecchi  lardellati 
<  con  le  bajonette.  Il  Musolino,  deputato  al  Parlamento  e  mem- 
«  bro  del  comitato  di  Cosenza,  perdette  quattro  della  famiglia,  in 
«  quest'  orrido  macello:  fra'  quali,  il  padre  ottuagenario ,  uc- 
a  ciso,  in  letto,  da'  sicari  di  Ferdinando.  Non  contenti  di  que- 
«  ste  crudeltà  ,  che  nulla  aveva  provocato ,  i  soldati  saccheg- 
«  giarono  e  bruciarono  buon  numero  di  case.» — Ma  andaron, 
proprio,  così,  le  cose?  Non  voglio,  intendiamoci  bene,  né  giu- 
stificare né  scusare  la  condotta  de'  soldati.  Il  soldato,  difensore 
dell'ordine,  tutela  della  sicurezza  sicurezza  pubblica,  non  é,  mai, 
scusabile,  quando  inveisce  contro  i  cittadini,  neppur  se  trasmo- 
dando in  una  repressione  giusta.  Ma,  da  quanto  è  detto  nella 
precedente  nota  235,  può  argomentarsi,  che  qualche  provoca- 
zione ci  sarà  stata. 

(313)  Francesco  Pallavicini  di  Proto,  Duca  dell'  Albaneta  (co- 
sì, almeno,  egli  si  fa  chiamare;  ma  altri  sorride  delle  sue  pre* 


—  476  — 

tese  patrizie) ,  il   quale ,  come   dicemmo  nella  60*   di   queste 
note,  era  stato  commissario  per  la  lega  Italiana.  Fu  eletto  De- 
putato, pel  distretto  di  Casoria,  insieme  con  Gabriele.  Capuano 
e   Carlo  Troya.  Fu  ridicolo  ed  intemperante  :  p.  e.,  nella  se- 
duta del   4   luglio  1848,  si  rivolse  al  presidente,  con    questa 
sparata,  che  il  colto  pubblico   applaudì:  —  «  Signor    Presi- 
€  deirtè ,  pregherei  il  signor  segretario  redattore  De   Cesare , 
4L  che  togliesse,  dal  bellissimo  rapporto,  il  titolo  di  duca  ap- 
«  posto  al  mio  nome,  amando  io,  meglio,  avere  quello  datomi 
«  dalla  nazione,  che  quello  datomi  da*  Re.  »  —  Dopo  le  cata- 
strofi, emigrò.  Era,  fin  d'allora,  ridicolo,  anche,  per  le  sue 
velleità  poetiche  e,  specialmente,  drammatiche;  e  malvisto,  per 
altre  tacce.  Mi  ricordo  della  lettura  di  un  suo  Andrea  d'Un» 
gheria,  (tragedia),  ch'egli  fece,  a  Genova,  nel  quartierino,  abitato 
dallo  emigrato  Domenico  Cardenie,  in  quella  rampa,  per  cui, 
da  Piazza  Fontane- Amorose,  si  scende  in  Vìa  Luccoli.  Pel  di- 
slivello fra  la  piazza  e  la  rampa,  le  finestre  del  mezzanino  del 
Cardeute  erano  a  paro  di  piazza  Fontane-Amorose.  E  ricordo 
Gennaro-Maria  Sambiase,  detto  il  duca  di  Sandonato,  che,  ap* 
poggiandosi  alla  ringhiera  di  ferro  della  piazza,  circondato  da 
un  nugolo  di  emigrati,  dava,  lazzarescamente,  la  baja,  al  Proto;  e 
gli  faceva  il  verso.  Che  decenza!  che  contegno!  in  uomini,  che 
la  pretendevano  a  seri!  in  esuli!  Dopo  non  molto,  il  Proto  re- 
pubblicano rimpatriò;  e  venne  a  piangere  i  suoi  errori,  a'piedi  di 
Ferdinando  II.  D'allora,  fu  borbonico.  Eletto  Deputato  al  Parla- 
mento Italiano,  vi  andò  a  fare  una  professione  di  fede  borbonica, 
una  profession  di  devozione  a  Francesco  II.  Ed,  almeno,  qu  ella 
volta  lì,  mostrò  un  certo  tal  qual  coraggio,  affrontando  intrepido 
le  fischiate.  Vive,  tuttora,  in  Napoli.  E  vi  fa  recitare,  di  tempo  in 
tempo,  opere  drammatiche  di  nessun  valore;  e  stampa,  anche,  libri. 
Fra'  quali,  va  notato  un  grosso  libello  contro  tutte  le  cose  Italia- 
ne, pubblicato  in  occasione  del  Centenario  di  Dante  ed  intito- 
lato: //  Conte  Durante.  Il  dicono  faceto,  nel  conversare;  e  gli 
attribuiscono    molti    epigrammi.  De'  quali  riporterò   uno  ,  su 
Giovanni  Florenzano,  che  prende  le  mosse  da  due  versi  di  quello 
imbrattacarte  ed  allude  al  soprannome  di  ciucciarOf  onde  insu- 
perbisce lo  animalista  Filippo  Palizzi: 


—  477  — 

Se  Iddio  fu  grande,  nel  crear  natura, 
Se  nel  formar  la  donna,  Ei  fu  poeta. 
Quando  Ei  plasmava  te  d'umana  creta, 
Fu  Filippo  Palizzi,  addirittura. 

(314)  Giovanni  Centola  fu  Deputato  del  distretto  di  Salerno. 

(315)  Domenico  Muratori  fu  Deputato  del  distretto  di  Palmi 
(Calabria  Ulteriore  prima). 

(316)  Il  Conte  Girolamo  Sforza-Bissari,  ultimo  della  sua  pro- 
sapia, prima  della  guerra  del  1859,  si  uccise,  non  so  se  a  To- 
rino od  a  Genova,  precipitandosi  dalla  finestra  di  un  albergo,, 
per  non  avere  ottenuto  la  nomina  ad  Ajutante  del  General 
Manfredo  Fanti,  come  era  stato,  nel  1848.  Mi  sono  rivolto,  e  di- 
rettamente ed  indirettamente,  al  signor  Cesare  Biego,  uno  tra 
gli  eredi  del  Bissari,  per  aver  comunicazione  delle  lettere,  che 
il  Poerio  aveva  scritte,  a  lui,  nel  1848.  Ma,  sventuratamente, 
nessuna  n'è  stata  ritrovata. 

(317)  Incredibile  quel  forse!  Ecco  un  uomo  d'onore,  che  ha 
dimostrato  di  esser  tale,  uccidendosi  per  un  puntiglio,  il  quale 
dubita,  se  la  capitolazione  sia  un  ostacolo  al  combattere,  prima 
do'  tre  mesi,  pattuiti  in  essa.  Tanto  lo  passioni  accecano  i  mi- 
gliori !  Basta:  consoliamoci  !  Altrove,  lo  sfacelo  morale  è,  non- 
ché uguale,  maggiore.  In  Francia,  è  stato  ministro  ed  è  tollerato 
nello  esercito  il  Thibaudin. 

(318)  Mariano  d'Ayala,  nato,  sopra  un  legno,  nel  porto  di 
Messina,  il  14  giugno  1808.  Fu  alunno  nella  Nunziatella;  poi, 
Ufficiale  di  artiglieria  e  Professore,  nella  Nunziatella  stessa. 
Dovè  dimettersi;  e  fu  in  carcere  per  motivi  politici  (nel  1844  e  nel 
1847)  e  ricordo  avercelo  visto,  visitando  mro  zio,  in  S.  Maria  Ap- 
parente ,  nel  1847.  Occupandosi  di  storia  e  di  lingua  militare, 
acquistò  bella  fuma.  (Vedine  citata  un'opera,  nella  369*  d'està 
note.    Importante  ò  il  Dizionario  \  Militare  \  Francese  Italiano 

I  di  I  M,  D'  Ayala  \  Ufficiale  delle  artiglierie  \  Professore  di 
Geohìelria  descrittiva  e  di  balistica  nel  real  collegio  militare  — 
Socio  corrispondente  della  I.  R.  Accademia  de'  Georgofili  di  Fi- 
rcnse,  |  delU  real  Accademia  Peloritana,  e  di  quella  \  de"  Lin- 
cei  in  Roìiia.  \\  Kapod  \  Dalla  'Tipografia  di  Gaetano  No^ 
bile  I  Via  Concezione  a  Toledo  nwn.  3,  5  e  G  \  1841;  de- 
dicato a  Feixlinando  li,  pio,  animoso ,  veggente).  Questa  fama 
gli  fruttò  la  nomina  d'Intendente,  in  non  so  bene  quale  degli  Ab- 


—  478  — 

bruzzi  (parmi,  neir  Aquilano)  nel  1848.  Colà,  mostrò  patente 
la  sua  insipienza  amministrativa,  che,  però,  rifulse  di  mag- 
gior luce,  quando,  lasciato  il  Regno,  fu  ministro  della  guerra, 
in  Toscana,  nell'ottobre  di  quell'anno.  È  rimasto  leggendario 
l'ordine  del  giorno ,  con  cui,  annullando  la  sentenza  capitale, 
profferita  da  un  Consiglio  di  Guerra,  condannava  un  soldato, 
che  avea  percosso  il  superiore,  alla  vergogna  del  sito  misfatto. 
Non  sarà,  forse,  cosa  accaduta:  ma  è  piii  r<?ra,  che  se  fosse  vera. 
Fu  condannato  a  morte,  in  contumacia,  nel  1852.  Aveva  sposata 
la  Giulia  del  General  Gaetano  Costa:  e  le  nozze  furon  eanta 
te  dalla  Guacci.  Neil'  emigrazione,  visse,  stentatamente,  con  la 
numerosa  famiglia.  Fu  Direttore  della  biblioteca  del  Duca  di 
Genova  ,  a  Torino,  del  1855  al  1859;  professore  di  Storia  mi- 
litare, nello  Istituto  di  perfezionamento,  a  Firenze,  nel  1860; 
comandante  la  Guardia  Nazionale  di  Napoli,  il  7  Dicembre  1860. 
Poi,  nel  Regno  d'Italia,  è  stato  Deputato  e  Maggior  Generale: 
ma  i  suoi  stessi  amici  di  sinistra  ,  a'  tempi  del  Rattaz/i,  non 
potettero  far  meglio  per  lui ,  che  pensionarlo.  Non  so  qual 
giornale  di  Napoli  il  paragonasse,  allora,  a  Siccio  Dentato:  ma 
Siccio  Dentato  aveva  le  molte  ferite  in  più  e  la  pensione  di 
meno.  Era  un  gran  brav'  uomo  e  probo  e  pieno  di  buone  in- 
tenzioni e  di  nobili  fantasie:  ma  una  testa  disordinata  e  bislacca. 
Ha  lasciato  molte  opere,  alcune  delle  quali  mi  sarebbero  state 
utilissime  a  consultare,  anche  per  queste  note;  ma  non  si  sa 
dove  trovarle  e  sono  irreperibili  in  commercio.  E  sono  scritte  in 
una  lingua  nuova,  in  uno  stile  lambiccato  e  strano:  sicché,  per 
capirle,  uno  ha  a  tradursele,  di  continuo,  in  lingua  e  stile  volgare. 
A  Torino,  facean  ridere  certi  suoi  articoli  militari,  a' tempi 
della  guerra  di  Crimea,  in  cui,  tra  le  altre  cose,  chiamava, 
sempre, ^a//o^;o/e  lo  palle,  che  i  cannoni  d'assedio  lanciavano 
nella  città  di  Sebastopoli.  Moriva,  in  Napoli,  il  26  marzo  1877. 

(319)  Pare  un  matto,  che  scriva.  Che  colpa  avevano  i  poveri 
soldati  napolitani,  nell'obbedire  agli  ordini  ricevuti  da' loro  prin- 
cipi? Come  può,  giustamente,  chiamarsi  infame  diserzione  la  lo- 
ro obbedienza?  Ma  le  passioni  non  ragionano. 

(320)  Di  questo  Gaetano  Grano,  nulla  ho  potuto  sapere  di  certo 
e  sicuro.  Un  valentuomo  siculo,  che  ebbe  molta  parte  ne'  fatti 
del  1848,  mi  scrive:  —  «Fu  persona  aflatto  insignificante;  ed 
«  ebbe  pochissima  parte,  nel  lavoro  di  preparazione  alla  rivo- 


—  471)  — 

«  luzioae  di  Sicilia.    Nel  1818,    niente  fece,    ne  saprei  dirlo 

«  altro.  »  — 

(321)  Carlo  Gemelli  nacque,  nel  1811,  in  Messina.  Nel  Bizio^ 
nario  Biografico  degli  Scrittori  Contemporanei,  diretto  da  An- 
gelo De  Gubernatis ,  è  detto  di  famiglia  patrizia.  Figliuolo  di 
un  Commissario  di  Polizia,  fu  liberale  e  cospiratore.  Nel  1847, 
dovette  emigrare.  Nel  1848,  fu  Deputato  al  Parlamento  Sici- 
liano e  Pari  del  Regno;  e  fu  destinato  a  rappresentante  della 
Sicilia  presso  il  Granduca  di  Toscana.  Nel  1849,  esulò.  Dopo  il 
1859 ,  è  stato  professor  di  Storia,  nel  Collegio  Nazionale  d'I- 
vrea; poscia,  preside  nel  Liceo  di  Parma,  Regio  Provveditore 
in  Ancona  e,  dal  1806,  Vicebibliotecario  della  Biblioteca  Univer- 
sitaria di  Bologna.  Ha  scritto  molta  roba,  fra  la  quale  ve  n'ha, 
che  può  leggersi,  con  gusto  e  con  frutto.  Un  valentuomo  siculo 
mi  ha  scritto  ,  mentre  T  originule  di  queste  note  era,  già,  in 
tipografia:  —  «  Il  padre  di  Carlo  Gemelli  fu,  veramente,  corn- 
ac missario  di  polizia  :  questore ,  come ,  oggi ,  diciamo.  Ma 
a  questo  fatto  accidentale  non  fa  torto  a  Carlo,  il  quale  fu, 
«  sempre ,  un  vero  liberale ,  un  patriota  integerrimo ,  un'  a- 
<  nima  fiera  e  sdegnosa.  Niente  ebbe,  dalla  rivoluzione  trion- 
«  fante  ;  e  nulla  chiese.  Senza  i  tanti  amici ,  d'  ogni  parte 
«  d'Italia,  che  ne  apprezzano  il  valore  ed  il  carattere,  oggi, 
«  neppure  avrebbe  (dopo  perduto,  per  amor  di  patria,  ogni 
«  suo  avere)  il  modesto  posto,  che  tiene  a  Modena;  e,  senza 
«  il  quale,  gli  sarebbe  mancato  il  pane,  (alla  lettera:  il  pane  ^ 
«  per  sostentarsi,  negli  ultimi  suoi  giorni.  »  — 

(322)  Questo  Luigi  Scovazzo,  che  sì  vedi  à  ricordato,  anche, 
a  pagina  249,  fu  fratello  di  Gaetano  Scovazzo,  Ministro  della 
Pubblica  Istruzione,  nel  Ministero  Serracapriola.  Il  valentuomo 
sicuh) ,  di  cui  nelle  due  note  precedenti ,  mi  scrive:  —  «  Più 
«insignificante  di  Gaetano  Grano,  fu  Luigi  Scovazzo:  li- 
«  berale  a  parole.  Non  fu  altro,  che  il  fratello  di  Gaetano; 
«e  nessuno  si  è,  mai,  occupato  di  lui  ed,  oggi,  lo  rammen- 
«  terà,  fra  noi  vecchi.  Gaetiino  fu,  veramente,  persona  di  me- 
«  rito.  Impiegato  di  vaglia ,  fu  consultore  di  stato ,  prima 
«del  48;  e,  solo,  ebbe  il  torto  (torto,  in  faccia  a  noi)  di  ac- 
ce cettare,  egli  siciliano,  un  posto,  nel  ministero  del  sei  marzo. 
«  Si  è,  .sempre,  .scusato,  dicendo,  che  fu  quello  un  tentativo 
«  di  riconciliazione ,  che  noi  pensavamo  cosa  impossibile ,  coi 
«  Borboni.  11   fatto  ci  ha  dato   ragione  :   ma  ciò   non  iscema, 


—  480  — 

€  punto,  i  meriti  della  persona  di  Gaetano  Scovazzo.  »  —  Nel 
trascriver  questo  parole,  io,  napolitano,  sento  il  debito  di  ag- 
giungervene  qualcuna ,  per  deplorare  le  tendenze  autonomi- 
sticlie  della  Sicilia,  nel  1848.  Pur  troppo,  nocquero  alla  causa 
Italiana.  Bel  modo  di  affrettare  l'unità  d'Italia:  Io  scindere  il 
maggior  degli  Stati,  che  v'era!  Bel  modo  di  promuoverne  l'in- 
dipendenza e  di  favorir  la  cacciata  dello  straniero:  lo  accender 
la  guerra  civile!  Se  la  Sicilia  non  avesse  posto,  innanzi  ad 
ogni  cosa,  la  propria  autonomia,  piena  ed  assoluta,  ostinan- 
dosi a  rifiutar  qualunque  accordo,  quanti  guai  sarebbero  stati 
risparmiati,  ad  ossa,  alle  provincie  cisfariane  ed  a  tutta  l'Ita- 
lia !  Ferdinando  II  non  avea ,  poi ,  tanto  torto,  di  ripugnare 
allo  invio  delle  truppe  in  Lombardia ,  mentre  le  provincie  ai 
di  là  del  Faro  erano  in  piena  ribellione  ed  aperta.  E  chi  po- 
trà non  rammaricarsi,  ricordando,  che,  da  Messina,  furori  can- 
noneggiate le  navi  del  De  Cosa,  che  portavano  i  reggimenti 
napolitani  ad  Ancona?  Tanto  le  passioni  ottenebravano  le  men- 
ti !  Di  queste  tendenze  autonomistiche  e  regionali ,  la  Sicilia 
(ed   ò  splendida  gloria  sua)  mostrossi  purgata,  nel   1860. 

(323)  Ecco  come,  nell'opuscolo  di  N.  Foramiti,  si  rende  conto 
del  fatto: — «  I  veneti  vollero  esplorare  la  Cavanella  d'Adige,  lue- 
«  go  di  qualche  importanza,  a  sette  miglia  Ja  Brondolo,  dove 
«  avevano  ragiono  di  credere,  che  gli  austriaci  si  trovassero,  con 
«  presidio  non  molto  numeroso  e  con  opere,  ancora,  poco  inol- 
«  trate.  Le  ts'uppe  partirono,  da  Chioggia;  e,  giunte  a  Brondolo, 
«  passarono  il  canale  sopra  barche;  si  avviarono  a  S.  Anna,  don- 
«  de  marciarono,  in  tre  colonne,  sulla  Cavanella.  La  colonna  di 
«  manca,  composta  da  due  bocche  da  fuoco  e  dal  battaglione 
«  lombardo,  s'incamminò,  lungo  l'argine  sinistro  dell'Adige,  per 

<  varcare,  poi,  questo  fiume,  alla  Portesine.  La  colonna  di  mezzo, 
4  composta  da  un  battaglione  bolognese  e  da  un  battaglione  na- 
«  poletano,  si  diresse  per  la  strada  Romeo.  Il  battaglione   trevi- 

<  giano  procedette  lungo  l'argine  del  canale  della  Valle.  I  fuochi 
4  delle  tre  colonne  e  deU'artìglieiia  obbligarono  gli  austriaci  a 
«  rientrare  nel  forte.  Gl'Italiani  si  spinsero  innanzi,  a  meno  assai 

<  di  un  tiro  di  moschetto;  ma  gli  austriaci,  avendoli  vigorosa" 
«  mente  attaccati,  dovettero  ritirarsi.  Di  quattro  bittaglioni,  il 
4L  trevigiano,  sendosi  dovuto  avanzare  in  un  terreno  assai  svan- 
«  taggioso,  ebbe  le  maggiori  perdite.  Truppa  di  linea  non  ci  era; 


—  481  — 

«  fuorché  gli  artiglieri  napoletani,  i  quali  furono,  assai  energi- 

<  camente,  secondati,  da  parecchi  soldati  veneti  ».  — E  Mariano 
d'Ayala  narra,  così,  la  parte,  che  ebhe,  in  quel  fatto,  il  Poerio:— 
«  Suo  santissimo  ifttendimento  fu  di  versare,  alla  fìne,  il  suo 
«  sangue,  alla  difesa  di  quell'antico  baluardo  [Venezia],  contro 
«  alla  tirannide.  E,  colà,  era  nella  sua  letizia,  inspirandosi  alla 
«  grandezza  dell'arte,  di  cui  fu,  sempre,  amatore  e  cultore  pre- 
«  stantissimo ,  e  all'  altezza  de'  sensi  magnanimi.  Diedesi,  con 
«  alacrità,  ad  esaminare  la  maravigliosa  monumentale  città,  che, 
«  delle  sue  immense  e  peregrine  bellezze,  arricchiva  la  monte 
«  di  Alessandro,  per  modo  che  molto  e  molto  ei  scrisse,  in  pie- 
«  ciol  tempo.  Studiava,  in  tutte  le  ore  del  giorno,  nelle  chiese, 
€  nel  museo,  nell'accademia,  nelle  private  pareti  ;  rimanendo, 
«  quasi,  estatico,  per  lungo  tempo,  nell' osservare  i  dipinti  di 
«  quella  famigerata  scuola  veneziana ,  che  è  maraviglia  del 
<c  mondo  civile.  Innamorato  delle  abbondanti  tavole  e  tele  del 
«  Tiziano,  si  accingeva,  a  cantare  di  quel  principe  nell'arte. 

<  Nò  questo  solo;  ma,  con  quell'attitudine  straordinaria  a  im- 
«  parare  le  lingue ,  in  meno  di  tre  mesi,  avea  penato  poco  a 
«  saper  bene  e  a  raccoglier  le  bellezze  del  gentile  e  seducente 
«  dialetto  veneziano,  da  confondersi,  precisamente,  con  gli  abi- 
«  tanti  medesimi.  Ma,  se  gli  eruditi  Veneziani  assicuravano,  ch'ei 
€  conosceva,  di  Venezia,  quanto,  per  lungo  studio,  sapevan,  di 
«  certo,  i  più  forti  studiosi  della  storia  patria;  s'era  si  assiduo 
«  e  infaticabile,  ad  alimentare  il  suo  puro  ed  ardente  spirito; 
«  se  leggeva,  sempre,  ne'  massimi  nostri  politici  e  nella  politica 
4L  degl'innumerevoli  diarii:  lasciava,  pur  nondimeno,  il  libro  e 
«  la  penna,  al  rimbombo  del  cannone.  Anzi,  non  se  ne  stava  al 
«  detto;  e  non  mancava,  in  tutte  le  mattine,  di  far  la  sua  vi- 
€  sita,  al  generale ,  per  conoscere,  se  vi  fossero  cose  nuove;  e, 
«  soprattutto,  disposizioni  a  uscir  dalle  lagune,  per  ributtare  il 
«  nemico  e  distruggere  i  lavori.  E  quando  seppe,  non  ostante 
«  certo  segreto  per  lui ,  esser  pronta  una  fazione  di  guerra  , 
a  volle  impugnare  lo  schioppo;  e,  senza  accettare  posti  ed  of- 
«  ficii,  fece  parte  delle  schiere,  spedite,  il  dì  7  di  luglio,  contro 
«  il  forte  delle  Cavanelle  dell'Adige,  tenuto  da' Tedeschi.  Ag- 
<c  giunto  alle  milizie  lombarde,  comandate  dal  tenente-colon- 

<  nello  Ulloa,  (le  sole,  che  passarono  il  fiume,  sotto  il  governo 
€  principal  del  general  Ferrari)  valicò  l'Adige  alle  Portesine; 
€  passò  su  la  sponda  destra,  a  mez/o  tiro  di  moschetto  dalla 

31 


—  482  — 

«  gola  del  forte;  e  si  pose,  presso  i  due  cannoni,  menati  colà, 
€  i  quali  non  aveano,  come  gli  uomini,  il  riparo  deirargine.  Il 
«  comandante  Ulloa,  accortosi,  che  il  Poerio  avea  scelto  il  posto 
«  piìi  pericoloso  e,  perciò,  più  onorevole  (qtiello,  cioè,  de'  pezzi, 
«  dove  il  fuoco  nemico  era  piii  intenso  e  fitto)  lo  consigliò  di 
<  trarsi  indietro,  dicendogli:  Non  senti  tu,  Alessandro,  come 
€  le  palle  ti  fischiano  intorno  ì  Ed  egli,  sorridendo  :  No,  non 
«  sento  alcun  fischio;  sai,  che  io  difetto  nell'udito.  >  — 

(324)  La  Mariti -Giuseppina  Guacci,  maritata  allo  astronomo 
Antonio  Nobile,  verseggiatrice.  Il  Settembrini,  nelle  sue  Lezioni, 
la  dice:  —  «  tra  la  donne,  così,  grande,  come  il  Leopardi,  tra  gli 
((  uomini....  Nella  sua  casa,  convenivano,  spesso,  a  udire  le  sue 

«  poesie, quanti  amavano  gli  studi  e  la  patria:  Paolo- 

«  Emilio  Imbriani,  Alessandro  e  Carlo  Poerio,  Saverio  e  Mi- 
«  chele  Baldacchini,  Mariano  d'Ayala,  Giuseppe  d^l  Re,  Ge- 
«  sare  Dalbono,  Francesco-Paolo  l^ozzellì.  Ci  andava,  talvolta, 
«  Giacomo  Leopardi.  Ci  venne  Giuseppe  Giusti;  e  diede^   a  lei. 
«  scritto  di  sua  mano,  il  Gingillino.  Ricordo  quelle  sere,  quegli 
a  amici,  quei  ragionamenti,  quella  donna  !  »  —  Che  pasticcio  ! 
II  Leopardi  era  morto,  sette  anni  prima  della  gita  del  Giusti  a 
Napoli;  ed  il  Giusti  non  iscrisse  il  Gingillino,  se  non  dopo  essa 
gita.  Gli  elogi,  ne'  quali  il  Settembrini  si  diffonde,  sono  più  che 
esagerati.  La  Guacci,  w  dir  molto,  raggiunse,  nello  arring-o  let- 
terario, una  illaudabil  mediocrità,  che  è  la  meta  più  sublime,  che 
possan  toccarvi  le  femine,  a  furia  di  sforzi;  mentre,  invece,  age- 
volmente, toccano  V  eccellenza,  nel  far  crostate  e  nel  rinacoiar 
calze.  Sia,  poi,  detto,  a  lode  della  Guacci,  che,  anche,  nel  far 
crostate,  nel  rinacciar  calze  ed  in  tutti  gli  altri  degni  esercizi 
femminili,  riuscì  ottima,  a  detta  di  quanti  i'han  conosciuta.  Ed  io 
credo,  pure,  che  nessun'altra  Italiana  del  secol  nostro  sia,  lette- 
rariamente, neppur  da  lontano,  da  paragonarsi  alla  Guacci.  Ma 
parecchie  han  fatto  un  maggior  numero  di  buoni  figliuoli:  ed  il 
far  buoni  figliuoli  (non  già  il  solo  far  figliuoli,  come   diceva 
Napoleone  I)  è  il  gran  compito  della  donna,  il  suo  vero  ufficio. 
Nacque,  in  Napoli,  nel  1808;  mori,  il  25  novembre  1848.  Ab- 
biamo un  Breve  discorso  \  detto  nelle  esequie  \  di  Gius.  Gitacci- 
Nobile  I  da  \  Bruto  Fabbricatoì^e  \  [il  dì  26  di  novembre)  (j  In 
Napoli  I  dalla  stamjjeria  del  Vaglio  \\  1848,  cui  è  annesso  un 
sonetto  di  Francf^sno-Saverio  Arabia.  Abbiamo,  pure,  un  Dìscor^ 
so  I  di  I  Basilio  Puoti  \  per  la  morte  \  di  \  Giuseppina  Gitacci^ 


—  48S  — 

Nobile  II  Napoli  \  stamperia  dell* Iride  \  1847.  Ala  di  molto  mag- 
gior serietà  e  di  sommo  valore  è  la  serie  degli  articoli,  comin- 
ciati a  pubblicare,  da  Pietro  Ardito,  nel  J882,  sul  Giornale  Na-' 
poleiano  della  Domenica,  intorno  alle  lìime  di  essa  Guacci; 
pieni  di  senso  critico  e  di  scienza  estetica.  E  chi,  in  Italia,  può 
dirsi  superiore,  all' Ardito,  in  critica  estetica?  Sappiamo,  pure, 
che  Giambattista  Ajello  scrisse  una  necrologia,  per  la  Guacci. 
Le  cui  rime,  come  le  frondi  della  Sibilla,  si  sparpagliavano,  per 
istrcnne  e  raccolte.  Alcune  poche  furono  pubblicate,  in  un  fa- 
scicoletto,  nel  1832.  Il  fascicoletto  divenne  un  volumetto,  mercè 
molte  aggiunte  e  non  ostante  alcune  detrazioni,  nel  1839.  E, 
finalmente,  sdoppiossi  in  due  volumi,  con  molte  molte  aggiunte, 
malgrado  altre  detrazioni  e  parecchie  ommessioni,  nel  1847. 

(325J  Leopoldo  Tarantini  nacque,  in  Rutigliano,  il  25  mag- 
gio 1811.  Valente  e  facile  verseggiatore;  sommo  avvocato  pe- 
nale. Nel  1848,  fu  Deputato  del  distretto  di  Barletta  ed  uno  de' 
quattro  Segretari  della  Camera.  (Gli  altri  tre  erano:  Giuseppe 
De  Vincenzi ,  Antonio  Ciccone  e  Paolo-Emilio  Imbriani).  Nel 
Regno  d'Italia,  è  stato,  più  di  una  volta.  Deputato.  Moriva,  in 
Napoli,  il  9  maggio  1882.  Non  aggiungerò  altro,  su  di  lui,  perchè 
ho  manifestato  quanto  l'amassi  e  lo  riverissi,  in  uno  articolo, 
ch'ò  stato  ripubblicato,  nel  volume,  intitolato:  Onoranze  \  a  \ 
Leopmdo  Tarantini  \  Morto  il  IX  maggio  MDCCCLXX7ClI\ 
Napoli  I  Stabilimento  Giannini  \  1882. 

(326)  Giuseppe  de  Vincenzi  fu  Deputato,  pel  distretto  di  Te- 
ramo. Vedi,  intorno  a  lui,  la  213.*  di  queste  note. 

(327)  Antonio  Ciccone,  da  Saviano,  presso  Nola  ,  fu  Depu- 
tato, pel  distretto  di  Nola,  appunto,  con  Gaetano  Pesce  e  Gio- 
vanni Semmola.  Egli  si  era  dato,  dapprima,  agli  studi  giuridici, 
che  aveva,  poi,  disertati,  per  la  medicina.  Pubblicò  due  volumi 
di  Medicina  Legale;  e,  col  cognato  Felice  de  Renzis,  un  Trat- 
tato di  Operazioni  Chirurgiche.  Emigrato ,  prima,  a  Ginevra, 
poi,  in  Francia,  lasciò  la  medicina,  per  lo  studio  dell*  agricol- 
tura e,  spezie,  dell'allevamento  de' filugelli.  Sul  qual,  poi, 
stampò,  a  Torino,  presso  la  Tipografia  Botta,  un  prezioso  trat- 
tato. E,  con  l'ajuto  del  microscopio ,  molte  scoverte  fece ,  sul 
calcino;  ed  ottenne,  per  esse^  medaglie,  da  Accademie  francesi 
ed  Italiane.  Gli  occhi  malandati  avendolo  costretto  ad  abban- 
donare il  microscopio,  egli  si  appigliò  agli  studi  politici  ed  eco- 
nomici. Or,  vive,  tuttora,  Senatore  del  Regno,  Professoro  di  E- 


—    484  — 

conomia  Politica,  nella  R.  Università  di  Napoli,  e  socio  della 
Regia  Accademia  di  Scienze  Morali  e  Politiche ,  dopo  essere 
stato  membro  di  una  delle  amministrazioni  luogotenenziali , 
Deputato  al  Parlamento,  Segretario  Generale ,  alcun  tempo , 
nel  primo  Ministero  Minghetti ,  e  Ministro  di  Agricoltura  e 
Commercio,  nella  seconda  evoluzione  del  secondo  Ministero  Me- 
nabrea.  Rara  è  la  chiarezza  e  la  felicità  del  suo  ingegno. 

(3*28)  Francesco  Dentice  ,  principe  di  Sangiacomo  ,  fratello 
del  Principe  Dentice,  che  era  stato  Ministro  delle  Finanze,  nel 
Ministero  Serracapriola.  Era  molto  intelligente,  negli  affari  dì 
Commercio.  Quando  la  reazione  trionfò,  avendo  saputo,  spic- 
cato ,  contro  di  lui ,  il  mandato  di  cattura ,  si  recò ,  dal  Re , 
per  dimandargli ,  come,  mai,  questo  fosse  accaduto.  Il  Be  gli 
rispose  :  rincrescergli  la  cosa.  Fj  gli  offrì  alcune  stanze ,  nella 
Reggia,  dove  la  polizia  non  avrebbe  osato  inquietarlo  ;  dicen- 
dogli, ove  rimanesse  in  Napoli  libero:  non  aggio^  che  te  fa\  Il 
Sangiacomo  esulò,  quindi,  a  Parigi,  dove  è  morto. 

(329)  Questa  settima  tornata  della  Camera  ebbe  luogo,  in  co- 
mitato segreto.  Può  leggersene  il  verbale,  nella  pubblicazione, 
fattane  da  Carlo  Colletta.  Toìmaie  |  della  |  Camera  de*  Depu- 
tati I  del  I  Parlamento  Napoletano  \  nellasessione  1848-  i849  \ 
con  tutti  i  progetti  di  legge  in  essa  presentati  \  per  \  Carlo  Col- 
letta'W  Napoli  \  Dalla  stamperia  dell" Iride  \  20.  Strada  Magno- 
cavallo  I  1806. 

Il  Troya,  rispondendo  al  Ministro  di  Giustizia  (Nicola  Gigli, 
Vedi  Note  55.'*  e  260.*)  disse:  —  «  A  Lei,  che  parla  convenevol- 

«  mente,  non  arrogantemente >  —  Il  Ministro  dell'Interno, 

(Francesco-Paolo  Bozzelli,  Vedi  Nota  114.*),  dal  suo  posto:  — 
«  A  chi  arrogante?  a  me?  »  —  Molte  voci:  —  «  All'ordine.' 
«  all'ordine!»  —  Il  Presidente,  con  forza,  suonando  il  cam- 
panello: —  «  Signori,  il   Comitato  ò  sciolto.  »  — 

(330)  Il  Manin  non  mise  senno,  davvero,  so  non  parecchi  an- 
ni dopo,  quando,  esule ,  a  Parigi,  in  nome  del  partito  repub- 
blicano, abdicò,  nelle  mani  dì  Vittorio-Emanuele. 

(331)  Eugenio  d'Antonio  De  Riso  e  Caterina  Capocchiani 
nacque  ,  in  Catanzaro,  il  3.  V.  15.  Fu,  nel  48  ,  membro  del 
Governo  Provvisorio,  istituito  a  Catanzaro.  Vedi  i  Docwmenti 
storici  rigitardanfi  Vinsut^ezione  Calabra,  stampati,  dalla  Ti- 
pografia dell' Ara/f/o,  in  Napoli,  noi  1840,  a  cura  del  Governo 
Borbonico.  Mori,  rimpatriato  da  quaranta  giorni  appena,  il  10. 


—  485  — 

XI.  60,  giorno  dello  ingresso  di  Vittorio  Emanuele,  in  Napoli. 
Era  d'illustre  famiglia  catanzarese,  cui  appartengono,. anche, 
i  viventi:  senator  Tancredi  De  Riso;  Ippolito  (onde  citasi  uno 
scritto,  nella  232*  di  queste  note);  e  Bernardo  (che  si  troverà, 
pur,  mentovato  in  queste  lettere)  fratel  d'  Eugenio  e  d*Ippo- 
lito,benedettino.  Questi,  designato,  per  merito,  alPepiscopato,  non 
l'ottenne,  dicono,  per  Topposizione  della  corte  Borbonica,  anche 
a  Borboni  spodestati.  È  stato  canonico  di  San  Pietro,  a  Roma;  e, 
si  buccina,  confessore  della  nostra  Regina  Margherita.  Poi,  abate 
di  Perugia.  Leon©  XIII,  V  ha  voluto  vescovo  di  Catanzaro,  in 
quest'anno.  Nacque,  in  Catanzaro,  il  31.  XII.  23. 

(332)  Vincenzo  Marsico,  che  era  stato  Intendente,  a  Catan- 
zaro, nel  periodo  costituzionale.  Visse  poi,  emigrato,  a  Malta. 
Aveva  fama  di  valentuomo  e  galantuomo.  Da  non  confondersi , 
per  nulla,  col  sedicente  barone  Gaspare  Marsico.  Il  quale,  dopo 
essere  stato  rivelante  impunitario,  in  un  processo  politico,  ha 
fatto,  per  molte  legislature,  il  mestiere  di  Deputato  al  Parla- 
mento Italiano:  beninteso,  di  sinistra. 

(333)  Di  questo  fatto,  non  n'ho  potuto  ritrovar  traccia,  ne'  ver- 
bali della  Camera  ,  stampati  dal  Colletta  (Vedi  nota  329.*^). 
Duolmi  non  avere,  fra  le  mani,  il  libello  del  Petruccelli,  sugli 
avvenimenti  del  48,  nel  quale  chi  sa  come  lo  avrà  raccontato. 

(334)  Era  il  Campobasso  uno  de'  più  tristi  ed  esosi  Com- 
missari di  Polizia.  Uomo,  del  resto,  di  pessimi  costumi;  e  gio- 
catore appassionato  di  primiera.  Mori,  dopo  il  1850,  nel  palazzo, 
detto  della  Prefettura  vecchia  o  del  Gesso,  a  canto  della  chiesa 
dell'  Ospedaletto,  appunto  là,  dov'ò,  ora,  il  negozio  di  Giosuè 
de  Palma.  Eseguendosi  alcuni  lavori,  si  trovaron  murati  un  cra- 
nio ed  ossa.  Avvertito  il  Commissario  Campobasso,  accorse.  Men- 
tre osservava  il  reperto,  sprofondò  il  pavimento;  ed  egli  rimase 
schiacciato. 

(335)  Carlo-Giuseppe-Maurizio-Ettore  Perrone  di  San  Martino 
nacque,  il  14gennajo  1789,  in  Torino,  da  un  padre,  che  era  Gran 
Maestro  della  guardaroba  e  Maggior  Generale  di  Cavalleria.  La 
madre,  Paolina  Argenterò  di  Berzezio,  fu,  poi,  Dama  di  palazzo 
delle  Imperatrici  Giuseppina  e  Maria-Luisa.  A  sedici  anni,  si  ar- 
ruolò nella  legione  del  Mezzodì,  composta,  in  massima  parte,  di 
piemontesi,  e  divenuta,  poi,  il  32*  di  fanteria  leggiera  francese.  II 
12  ottobre  1806,  Napoleone  il  fece  hmmettere,  nella  scuola  di 
San-Ciro;  e,  l'I!  aprile  1807, ne  uscì  sottotenente,  nel  65*  di  li- 


—  486  — 

nea,  esordendo  nella  carriera,  colla  campagna  di  Prussia  e  di  Po- 
Ionia,  liuogotenente  nello  stesso  corpo,  prese  parte  a  quel  se- 
guito di  battaglie,  in  cui  rifulse  la  virtù  della  grande  armata, 
nel  1808  e  1809;  ed,  a  Wagram,  fu  fregiato  della  croce  della 
Legion  d'onore,  sul  campo.  Passato  al  4°  cacciatori  della  Gio- 
vine Guardia,  fece,  con  esso,  le  campagne  di  Spagna  del  1810 
e  1811.  Ma,  subito  dopo,  venne  trasferte,  al  1.**  reggimento 
granatieri  a  piedi  della  Vecchia  Guardia;  e,  con  questo,  fece  la 
campagna  di  Russia,  quantunque  avesse  una  gamba  fratturata, 
per  una  caduta;  ma  adoperava  le  grucce  ,•  quando  smontava 
di  cavallo.  Capitano,  nel  1813,  prese  parte  a' trionfi  di  Liitzen  e 
di  Bautzen.  Capo  di  battaglione  nel  24°  fanteria,  nel  1814,  fece 
la  campagna  francese;  e  fu  ferito,  a  Montmirail.  La  ristorazione 
il  pose  in  riserva.  Al  ritorno  deir  Imperadore  ,  dall'  Elba  ,  il 
Perrone  fu  de'  primi  a  chiedere  di  essere  riammesso  in  attività: 
per  cui,  nel  1815,  venne  confermato  nel  grado  di  capo -battaglione 
e  creato  ajutante  di  campo  del  generale  Gerard.  Nella  giornata 
di  Ligny,  ucciso  il  cavallo  di  quest'ultimo,  il  Perrone  gli  ce- 
dette il  proprio;  e  rimase,  nella  mischia,  a  piedi,  col  rischio  di 
cader  prigioniero  de'  prussiani.  Dopo  la  seconda  ristorazione, 
non  avendo  potuto  essere  ammesso,  col  suo  grado,  neiresercito 
sardo,  ei  si  rimase,  in  aspettativa,  in  Francia,  finché  non  venne 
richiamato  al  servizio  attivo  e  collocato,  come  capo- battaglione, 
nella  legione  dipartimentale  della  Manica.  Nel  1818,  chiese  le 
sue  dimissioni:  e  dimorò  in  Inghilterra  e,  poscia,  in  Piemonte, 
attendendo  all'agricoltura,  nel  suo  podere  di  Perola.  Arrestato 
e  rinchiuso  nella  cittadella  di  Torino  ,  quantunque  contrario 
a'  moti  del  1821,  ebbe  incarico,  dal  governo  costituzionale,  di 
formare  due  battaglioni,  chiamati  Cacciatori  d'Ivrea,  de'  quali 
fu  colonnello.  Fallita  la  rivoluzione,  ritornò  in  Francia;  e  venne, 
negli  stati  Sardi,  condannato  a  morte,  in  contumacia.  Riprese 
servizio ,  in  Francia ,  dopo  la  rivoluzione  del  1830  ;  e  fece  la 
campagna  del  Belgio,  sotto  il  Gerard,  divenuto  maresciallo;  e,  fu 
nominato  colonnello,  nel  1832.  Nel  1839,  il  promossero  generale 
di  brigata,  destinandolo  al  comando  del  dipartimento  della  Loira: 
ufficio,  che  esercitò,  per  sei  anni.  Nel  1848,  si  presentava  can- 
didato all'assemblea  Nazionale.  Ma,  al  primo  invito,  accorse  in  Ita- 
lia; e  fu,  dal  governo  provvisorio  di  Lombardia, incaricato  di  orga- 
nizzare il  novello  esercito.  In  queste  sue  funzioni,  incontrò  forti 
ostacoli,  per  parte  di  chi  avrebbe  dovuto  secondarne  gli  sforzi. 


—  487  — 

Duraste  la  campagDa  del  1848,  fece  il  blocco  di  Mantova,  colla 
divisione  lombarda.  La  cui  prima  brigata  era  comandata ,  da 
Raffaele  Poerio  (Vedi  la  243.*  di  queste  note).  Dopo  l'armistizio 
Salasco,  fu  fatto  ministro  degli  esteri,  nel  gabinetto  Revel;  e, 
dimostrando  poco  senno,  bramò  la  seconda  guerra,  quantunque 
avesse  contrari  i  suoi  colleghi  di  ministero.  Non  conservò,  lun- 
go tempo,  il  portafogli;  e,  denunciato  Tarmistizio  coli' Austria, 
ottenne  il  comando  della  S.*^  divisione  dell'esercito,  che  doveva 
entrare  in  Lombardia.  Alla  battaglia  di  Novara,  colpito,  in  fron- 
te, da  una  palla  nemica^  si  slogò,  giunta,  la  spalla,  stramazzando 
da  cavallo.  Raccolto,  da  due  soldati,  e  posto  iu  un  carro  d'ambu- 
lanza, volle  vedere  il  Re;  e,  fattoglisi  trascinar  dappresso,  gli 
rivolse  queste  parole:  Sire!  fai  voué  ce  dernier  bout  de  ma  vie 
à  vous  et  à  Vindépendance  de  7non  pays:  à  presenta  mon  devoir 
est  accompli.  Spirò,  a  Novara,  il  29  marzo  1849,  presso  la  mo- 
glie, nipote  di  figliuola  del  Lafayette.  Sul  Perrone,  c'è  un  libro, 
che  non  ho  potuto  vedere;  Cecini  sulla  vita  del  Barone  Perrone 
di  San  Martino^  offerti^  agli  Italiani^  da  G,  B.  C  capitano  nelle 
ti-nppe   lombarde,  durante  le  due  campagne  1848-49.  Torino 
1850,   Stabilimento  tipografico  di  Alessandro  Fontana, 

(336)  Mi  scrivono,  da  Milano,  che  questo  Gonsalez  passa,  per 
esser  stato  un  "^o^ guascone.  —  «  Ri  usci  a  farsi  mandare,  a  V«ne- 
«  zia,  quale  inviato,  dal  Governo  Provvisorio  lombardo  ;  e,  là, 
€  pa.sseggiando  in  piazza  S.  Marco,  con  una  sciarpa  tricolore, 
«  in  cui  stavano  stampate  le  sue  qualità ,  distribuiva  strette 
«  di  mano,  a  tutti,  spacciandosi  per  un  grande  e  donando,  al- 
«  la  folla,  dolci  e  frutta,  per  farsi  applaudire.  Oggi  è  un  X. 
«  Questi  particolari,  forse,  esagerati,  mi  provano,  che  non  fu, 
<   per  altro,  un  personaggio  importante.  »  — 

(337)  Giovanni  Noghera.  Mi  scrivono,  di  Milano:  —  «  Alcuni» 
«  del  1848,  ricordano  un  Noghera,  figliuolo  di  uno,  allora,  im- 
«  piegato  alla  Corte  Vicereale.  Oggi,  questo  Noghera  sarebbe 
«  Impiegato,  al  Ministero  dello  Interno.  »  — 

(338)  Se  non  erro,  questo  signor  Luigi  Pesce  era,  verso  il  1864, 
Tenente-Colonnello  dello  esercito  Italiano.  E  sua  moglie  fu,  per 
qualche  tempo ,  Direttrice  del  terzo  de'  Reali  Educandati  di 
Napoli,  che,  allora,  stava  sopra  Materdei,  (nel  fabbricato,  occu- 
pato, adesso,  da  Padre  Ludovico),  e  che,  ora,  è  in  Santa  Pa 
trizia.  (Non  so,  dove  il  trasporteranno,  se  avrà  luogo  lo  inau- 
spicato trasferimento  delle  cliniche  in  Santa  Patrizia!)  Se  non 


—  488  — 

ftrro.  ci  furon  ^ai.  f>er  avere  essa  accolto,  neU'<2d acaudato,  con 
troppa  espansione,  il  mari^>.  dopo  una  lunga  assenza.  Ma,  di 
tutto  ciò.  non  ho  se  non  confusa  reminisceaza;  e  potrebbe,  an- 
che, dariii,  che,  rotondamente,  errassi. 

(330)  De*fatti  di  qneato  signor  Bernardo  Ruggiero,  nulla  ho 
ItfìtuU)  appurare. 

(340;  Quali  fossero  qnesti  opascoletci,  ignoro.  Il  fratello  di 
Savino  Savini  (vedi  la  24.^  di  queste  note)  è,  ancor,  vivo.  Si 
chiama  Francesco.  £  notajo  e  Direttore  dell'Archivio  Notarile 
di  Bologna.  E  fu,  per  molti  anni,  Sindaco  di  Casalecchio.  Ed 
appartiene  al rAsnooi azione  Costituzionale. 

(341;  Carlo,  di  Palilo  Bignami  e  della  Maddalena  Marliani, 
nacque,  in  Milano,  il  1809.  Ma  la  sua  famiglia  si  trasferì  e 
stabili,  a  Bologna,  quando  egli  aveva,  circa,  quattro  anni.  Stu- 
diò, nel  Collegio  di  Hofviryl,  diretto  dal  Fellenberg.  fino  al  1825; 
e,  poi.  Filosofia  «  Matematica,  nella  Università  di  Bologna,  ove 
sì  laureò,  nel  1829.  Frese  parte  a*  moti  del  1831  ;  e  marciò 
nella  colonna  del  Colonnello  Guidotti  (vedi  la  143.^  di  queste 
notale),  col  grado  di  sottotenente;  e  ripatrìò,  dopo  la  capitola- 
zione di  Ancona  e  l'ingresso  degli  austriaci.  Nell'autunno  del- 
l'anno stesso,  riorganizzandosi  la  Guardia  Nazionale,  egli  fu 
Maggiore.  Ma,  nel  febbrajo  seguente,  rìoccupando  gli  austriaci 
Bologna  e  le  llomagne,  emigrò;  e  rimase  fuori,  sino  al  1836. 
Nella  formazione  della  Civica,  alFavvenimento  di  Pio  IX,  fu 
Maggiore,  poi  Tenente- Colonnello;  e,  con  tal  grado,  parti,  nel 
48 ,  con  un  battaglione,  pel  Veneto.  Dopo   la  capitolazione  di 
Vicenza,  ebbe  ordine:  di  ritirarsi  a  Venezia.  Vi  fu  raggiunto, 
da  un  secondo  battaglione  bolognese,  comandato  dallo   Scar- 
soUi  ;  0 ,  promosso  a  Colonnello  dal  Pepe,  ebbe  il  comando  della 
quarta  legione  (o  legione  bolognese),  composta  di  essi  due  bat- 
taglioni e  di  tre  compagnie  marchigiane.  Prese  parte,  alla  ri- 
cognizione verso  il  forte  Cavanella  d'Adige  (Vedi  la  324.*  di 
queste  note);  ed  alla  sortita  di  Mestre,  nella  quale  fu,  mortal- 
mente, ferito  Alessandro  Poerio.  Alla  fine  dell'  anno ,   tutti   i 
volontail  pontifici,  comandati  dal  Ferrari  (vedi  la  259.*  di  que- 
ste note),  che  avea,  per  capo  di  Stato  maggiore,  Luigi  Mezza- 
capo  (vedi  la  108.*  di  queste  note) ,  ebbero  ordine  di  rimpa- 
triare. Il  Bignami  andò  a  Bologna;  e,  poco  dopo,  vi  fu  Co- 
mandante della  Guardia  Nazionale.  L'8  maggio  1849,  attaccata 
Bologna  dagli  austriaci,   non  si  potò  fare   se  non  una  resi- 


—  489  — 

stenza  passiva.  I  reggimenti  svizzeri  erano  stati  sciolti;  e  molta 
truppa  e  cannoni  richiamati,  a  Roma ,  per  la  difesa  contro  i 
francesi.  A  Bologna ,  per  tanto,  non  rimase  se  non  un  can* 
none  di  ferro  senza  affusto ,  che  venne  adoperato ,  improvvi- 
sandogliene uno;  oltre  a  due  cannoncini,  di  cosi  piccol  calibro, 
da  sembrar  giocattoli.  Nel  1859,  fu  offerto,  reiteratamente,  al 
Bignami,  di  entrare  al  servizio;  ma  la  salute,  non  gli  permise 
di  accettare.  E  fu  delegato,  dal  Sindaco,  alla  Presidenza  del  Con- 
siglio di  ricognizione ,  per  la  Guardia  Nazionale  in  Bologna. 
Il  Bignami  vive,  ancora;  e,  per  ragioni  di  famiglia,  si  ò  stabi- 
lito, da  lungo  tempo,  a  Lucca.  La  sua  moglie  ha,  gentilmente, 
informato,  chi,  per  nostro  conto,  la  richiedeva  di  quelle  lettere, 
che  il  Poerio  avesse  potuto  scrivere  a  suo  marito,  che  il  car- 
teggio di  lui  fu  distrutto,  nel  1849. 

La  Maddalena  Marliani.  madre  del  colonnello,  aveva,  nel  48, 
due  figliuoli  ed  il  fratello  alPesercito.  Carlo,  come  s*è  detto,  era 
a  Venezia.  Enea,  ufficiale  d'ordinanza  del  Duca  di  Genova,  il 
segoni,  in  tutta  la  campagna  del  48;  trovandosi,  pure,  il  23  mar- 
zo 1849,  alla  battaglia  di  Novara.  Marcaurelio  Marliani,  poi 
era,  nel  48,  ajutante  di  campo  del  Generale  Durando;  e  fu 
ucciso,  VS  maggio  1849,  alla  porta  di  Galliera,  a  Bologna.  Ma, 
nel  1848 ,  in  Italia ,  non  eravamo  giunti  a  questo  :  di  trovare 
cosa  miracolosa,  eroica,  degna  di  monumenti,  che  più  persone 
d'una  famiglia,  volontariamente,  combattessero  per  la  patria! 

(342)  Sopra  questo  Commissario  di  Guerra  Pìrella  o  Pirelli, 
nulla  ho  potuto  sapere. 

(343)  Non  so  arzigogolare  di  quale  de*  fratelli  di  Girolamo 
UUoa,  qui,  si  parli. 

(344)  La  Carolina  Poerio  era  stata,  a  Venezia,  solo  pochi 
giorni,  reduce  dalla  relegazione  di  Gratz,  col  marito  e  con  la 
famiglia,  andando  a  Firenze.  (Vedi  la  nota  279.*^)  Ma  ella  aveva 
moltissima  memoria  locale. 

(345)  Non  so  di  quale  de'  figliuoli  di  Vincenzo  Lanza,  (Vedi 
la  nota  74.*^)  qui,  s'intenda  parlare.  Uno,  Pompeo,  ò,  ora, 
medico.  Un'altro,  Carlo,  ò  Professore  di  Latino  e  Greco  (nel 
Liceo  Antonio  Genovesi  di  Napoli)  e  Direttore  del  Convitto 
Giannone.  E,  se  non  erro,  non  sono  i  soli. 

(346)  Non  ho  potuto  ritrovare  questa  lettera  del  Montanelli, 
per  inserìrla  qui;  ma,  per  quanto  io  me  ne  ricordi,  era  piena 


^  490  — 

dì  quel  sentimentalismo  ed  umanitarismo  smaccato,  che  mi  rin* 
cresce,  come  lo  sciroppo. 

{347J  Credo,  che  Paolo  Correnti  sia,  qui,  lapstts  calami  per 
Cesare   Correnti. 

(348)  Su  Giuseppe  Vignati,  da  Milano ,  mi  scrive  un  cono- 
scente: —  «  Vignati  è  nome  comune  di  famiglia  milanese;  ma 
«  nessuno  mi  seppe  dire  nulla  intorno  al  Vignati ,  del  quale 
«  Ella  mi  parla,  che  avrebbe  militato,  nel  1848.  »  — 

(349)  Il  Maggiore  Novara  (o  Noaro  ?  che  non  so  l'esatta  orto- 
grafìa del  nome).  —  «  Questi  »  —  mi  si  scrive  —  nacque,  a  Bor- 
«  dighiera,  negli  Stati  Sardi;  servì,  come  furiere,  nella  brigata 
«  Aosta;  terminata  la  ferma,  ottenne  il  congedo;  ed  era  codo- 
ni: scinto,  a  Torino,  come  giuocatore  di  pallone  ecc.  ecc.  Nel  1848, 
«  comandò  il  battaglione  della  Guardia  Nazionale  Lombarda, 
«  in  Venezia ,  come  Maggiore.  Fu  nominato  Colonnello,  nella 
«  Emilia,  nel  1859;  e,  finalmente,  tenne  il  comandò  di  una 
€  brigata,  come  Maggior-Generale,  nel  Regno  d'Italia.  >  — 

(350)  Chi  sia  questo  di  o  de  Cesare  non  saprei  dire;  e  non  è  fa- 
cile indovinare,  essendo  il  cognome  comunissimo,  non  solo  neli^ 
Provincie  meridionali,  ma  in  tutta  Italia.  Forse,  si  tratta  di 
quell'Innocenzo  di  Cesare,  che,  nel  48,  fu  deputato,  pel  distretto 
di  Potenza;  suocero  di  Luigi  d'Egidio  (Vedi  la  SGS.**  di  queste 
note).   Fu  uomo  di  gran  valore  intellettuale. 

(351)  Questo  Arditi  deve  essere  stato  un  fratello  di  quel 
Giuseppe  Arditi,  che  è,  poi,  morto,  avvelenato,  dal  proprio  fi- 
gliuolo. 11  parricida  fu  difeso  da  Nicola  Amore,  con  isplendide 
orazioni:  ma  l'evidenza  lo  schiacciava.  Condannato  una  prima 
volta  ed  annullata,  poi,  la  sentenza,  mori,  in  carcere,  prima  che 
il  giudizio  fosse,  interamente,  espletato,  di  nuovo. 

(352)  Neppure  il  cognome  di  questo  D.  Luigino  ho  potuto 
scavare! 

(353)  Di  questo  crociato  Delie-Mura,  che  rimpatriava,  alle- 
gramente ,  prima  che  il  Santo  Sepolcro  fosse  stato  liberato  , 
lasciando*  ad  altri,  la  cura  di  dare  e  riceverne,  nulla  so;  né  vai, 
davvero,  la  pena  di,  studiosamente,  ricercarne. 

(354)  Questa  lettera  di  Carlo  Poerio,  senza  la  poscritta  del- 
la madre,  e  l'altra  d'ambo,  che  segue  (pag.  165-169),  sotto  il  nu- 
mero LXXXV,  furono,  già,  da  me,  pubblicate,  nella  Raccolta  \ 
di  I  scritti  vani  |  inviati  per  nozze  \  Beltrani-Jatta  \  e  pubblicati 

I  dall'Avvocato  |  Niccola  Festa  Campanile  \\  Trani  \  Tipografia 


—  491  — 

V.  Vecchi  e  C.  \  1880.  Le  intitolai  //  Processo  Longo  e  Belli- 
Franci.  E  vi  premisi  la  seguente  dedicatoria: 

A   G.  B.   BELTRANI. 

Caro  Amico, 

Nel  XXIII  capitolo  delle  Ricordanze  di  Luigi  Settembrini, 
si  legge  il  paragrafo  seguente:  —  <c  Era  il  giorno  xiij  Luglio 
«  f\LDCCC.XLVIII),  ed  io  vidi  molte  carrozze  chiuse,  che,  cir- 
«  condate  da  soldati,  a  cavallo,  con  le  pistole  in  pugno,  pre- 
«  sero  la  via  di  Castelsantelmo.  Erano  i  capi  delle  milizie  si- 
«  ciliane,  state  in  Calabria,  fatti  prigionieri,  che  andavano  ad 
€  essere  sepolti,  in  quel  castello.  Caduta  la  rivoluzione  di  Ca- 
a  labria ,  i  siciliani  fuggirono,  sopra  alcuni  piccoli  legni.  E, 
«  dopo  lunghi  travagli,  mentre  erano  a  poca  distanza  da  Corfù 
«  e  si  tenevano  salvi,  furono  sopraggiunti,  dal  vapore  napole- 
«  tanó,  lo  Stromboli y  comandato  dal  Salazar;  e  furono  fatti 
«  prigionieri.  Ed  erano  circa  seicento ,  tra  i  quali  il  Ribotti. 
«  Menati  a  Reggio ,  poi,  a  Napoli ,  i  capi  furono  gettati,  nei 
€  sotterranei  di  Santelmo;  gli  altri,  mandati  in  galera.  Giaco- 
«  mo  Longo  e  Filippo  [sic^  delli  Franci,  perchè  antichi  uffiziali 
«  delFesercito  napoletano,  furono  sottoposti,  al  giudizio  di  un 
«  Consiglio  di  Guerra.  Carlo  Poerio,  come  avvocato,  si  presen- 
«  tò,  a  difenderli;  e,  sebbene  si  vedesse  intorno  militari ,  che 
<c  lo  minacciavano  e  lo  schernivano  ,  egli  fece  il  suo  dovere. 
«  Furono  condannati,  a  morte:  per  grazia,  all'ergastolo.  Stet- 
te tero  sepolti,  in  un  sotterraneo  di  Torre  d'Orlando,  in  Gaeta, 
«  sino  al  M.DCCC.LX.  Giacomo  Longo,  come  ne  uscì,  corse,  a 
a  Capua,  dove  si  combatteva.  Fu  ferito,  nella  fronte;  e  cadde. 
«  Si  levò,  fasciò  la  ferita,  gridò:  Viva  V  Italia!  e  seguitò,  a 
€  combattere,  finche  fu  ritratto,  dagli  amici.  Il  Ribotti  penò, 
a  molti  anni,  in  Castelsantelmo:  gli  altri,  nelle  galere,  prima; 

<  poi,  sulle  isole.  I  deputati  Scialoja  e  Conforti  dicevano,  ai  mi- 
ic  nistri:  Se  i  Siciliani  sono  ribelli,  giudicateli;  se  sono  prigiO" 
€  nierì  di  guerra^  trattateli  come  prigionieri.  E  i  ministri  ri- 

<  spondevano,  con  ingiurie  ai  Siciliani,  ai  Calabresi,  ai  depu- 

<  tati,  chiamandoli  stolti  e  faziosi.  »  — 

Credo ,  che ,  a  te  ed  a  tutti  i  lettori  delle  Ricordanze  del 
Settembrini,  vale  a  dire,  a  quanti  uomini  colti  ci  ha  in  Italia, 


—  492  — 

debba  far  piacere  di  leggere  tre  lettere,  dirette,  ad  Alessandro 
Poerio  (allora,  volontario  a  Venezia,  dove  mori,  combattendo)  dal 
fratello  Carlo  e  dalla  madre  Carolina  Poerio  Sossisergio,  narran» 
dogli,  minutamente,  del  processo  contro  il  Longo  et  il  Dalli- 
Franci,  nonché  della  parte,  sostenutavi,  da  esso  Carlo.  Vi  si  ma- 
nifestano menti  serene ,  che  non  s*  illudevano  sull^  situazione 
e  sugli  uomini.  Io  rammento  que'giorni;  e  mia  madre,  inquie- 
ta sul  fratello,  che  s'era  andato  a  metter,  volontariamente,  in 
bocca  al  lupo  (cioè,  in  mezzo  alla  soldatesca  esasperata),  per 
difender,  piamente,  un  amico;  e  quanti  bazzicavano  in  casa,  ac- 
corarsi del  destino  de' prigionieri.  E,  per  quanto  l'età  puerile 
il  consentiva,  partecipavo,  a  que' sensi:  di  simpatia,  pe* sog- 
giaciuti ;  di  ammirazione ,  per  la  loro  intrepidezza  ;  di  odio , 
pel  tiranno,  che  faceva  assaporar  tutte  le  amarezze  della  morte 
a'condannati  e,  poi,  li  graziava,  con  tanta  malagrazia,  alPulti- 
mo  istante,  per  prolungarne  le  sofferenze  in  prigionie  dolorose. 

Ora,  però,  m'è  molesto  il  ripensare,  a  questo  fatto  ed  a  molti 
altri,  che,  pure,  hanno  preparato  la  fondazione  del  Regno  d'I- 
talia, ma  che,  moralmente,  non  possono  difendersi  del  tutto.  Se 
qualcuno,  nel  nostro  paese  e  contro  la  dinastia  sabauda,  fa- 
cesse quanto  il  Longo  et  il  Delli-Franci  fecero ,  nel  Regno 
delle  Due-Sicilie  e  contr'a'  Borboni,  mille  morti,  nonché  una, 
mille  strazi  mi  parrebbero  castigo  lieve.  Adesso,  la  via  del  do- 
vere è  chiara,  aperta;  non  c'è,  più,  bivi  imbarazzanti.  Obbeden- 
do e  servendo,  alla  Dinastia  ed  al  Re,  si  sa  di  obbedire  alla 
patria  e  di  servirla:  che  lo  Stato,  da  noi,  è  per  la  Dinastia; 
e  la  Dinastia  non  ha  nò  può  avere  interessi,  divergenti  o  dì- 
stinti,  da  quelli  dello  Stato.  Quindi,  dovremmo  essere  entrati 
in  condizioni  normali:  la  rivoluzione  dovrebb'essere  finita.  La 
jattura  somma  della  patria,  la  perversità  e  l'insipienza  de'go- 
verni,  la  signoria  straniera,  Tarbitrio  autocratico  de' Principi 
facevano  stimare,  se  non  lodevole,  almen,  lecito,  anche  a'  buoni, 
qualunque  mezzo,  che  sembrasse  adatto,  a  procacciarci  l'indi- 
pendenza o  l'unità  0  la  libertà.  Bisognava  pensar  a  creare  lo  Sta- 
to, prima  di  tutto,  ad  ogni  costo;  ed  a  far,  che  lo  Stato  fosse 
la  cosa  pubblica,  la  cosa  comune.  E,  certo,  non  potremmo,  senza 
ingiustizia  manifesta,  applicare,  a'  fatti  di  que'  tempi,  i  rigidi 
criteri  morali,  che,  giustamente,  debbono  applicarsi  a'  con* 
temporanei. 

A  noi,  caro  Beltrani,  i  quali  fondiamo  nuove  famiglie,  nel. 


—  493  — 

la  nuova  Italia,  spetta  di  educare  ì  fìgliuoli,  che  desideriamo, 
con  principi  morali  rigorosissimi,  abborrendo  dal  lassismo  vol- 
gare. Un  popolo  indulgente  è  un  popolo  corrotto,  anzi  perdu- 
to. Gli  applausi,  prostituiti  a'  Milano  ed  agli  Orsini,  suscitano 
i  Passannante.  I  monumenti  a*  Mazzini ,  a*  Cattaneo  ,  a*  Pi- 
sacane  ed  altri  indegni,  proponendo  falsi  ideali,  pervertiscono 
le  turbe.  Gli  uffici  e  gli  onori,  conferiti  a*  ribaldi,  compiono 
r opera.  Per  questa  scarsezza  del  senso  morale,  il  quale  non 
ha  potuto,  del  tutto,  ristabilirsi,  dalle  ferite,  che  tutte  le  parti 
gli  hanno  inflitte,  a  gara,  Tltalia,  pur  troppo,  chi  ben  guardi, 
pericola.  Ed,  al  pericolo,  può,  solo,  sottrarsi,  rinsavendo  e  pur- 
gandosi. Se  ne  avrà  la  forza,  so  saprà  por  termine,  alla  baraonda 
rivoluzionaria,  e  stabilire  un  bell'ordine  morale:  si  salverà  e  pro- 
spererà. Se  (quel,  che  non  voglio  credere)  non  sarà  da  tanto  da 
rigenerarsi  o  mancherà  chi  la  metta  in  carreggiata:  cadrà  e  si 
disgregherà.  E  sarà  poco  male;  ed  avrà  meritato  di  cadere  e 
disgregarsi. 

Pomigliano  d'Arco,  Ognissanti  del  m.dccc.lxxix. 

Vittorio  Imbruni. 

(355)  Per  Giacomo  Longo,  per  la  sua  famiglia,  po' suoi  fra- 
telli Carlo  e  Roberto,  vedi  la  300.''  di  queste  noto. 

(356)  Mariano  Dolli-Franci :  e  non,  già,  Filippo,  cjxae  si 
legge  nelle  Hkordame  di  Luigi  Settembrini  (Vedi  la  354.*  di 
queste  note).  Uscito,  poi,  dal  carcere  di  Gaeta,  segui  il  Longo, 
a  Torino  ed  a  Palermo.  Ebbe,  in  Sicilia,  il  grado  di  colon- 
nello d'Artiglieria.  Nel  18G1,  fu  trasferito,  con  lo  stesso  grado, 
neir artiglieria  dolio  esercito  regolare;  e  fu,  successivamente, 
comandante  locale  d'artiglieria,  a  Pavia,  e  direttore,  pur  d'ar- 
tiglieria ,  a  Bologna.  Ma  dobbo  ,  con  sommo  rincrescimento , 
aggiungere,  che  la  sua  condotta,  dopo  la  costituzione  del  Re- 
gno d'Italia,  non  è  stata  bella  e  pura.  Dovè  lasciar  lo  esercito, 
per  cagioni  ,  che  mi  piace  lasciar  nella  penna,  nel  1863.  Si 
tratteneva,  da  ultimo,  ne' dintorni  di  Napoli,  non  so  più  se 
alla  Cercola  od  a  Sant'Anastasijq  ed  ò  morto,  nello  Aprile  del 
corrente  anno  18S4»  quando  qu(;sta  nota  era,  già,  in  tipogra- 
fia. De'  tre  suoi  fratelli,  due  furon  militari,  nello  esercito  delle 
Due  Sicilie  e,  poi,  nello  Italiano;  ed,  oggi,  sono  al  ritiro.  Ne 


—  494  — 

ignoro  i  nomi;  e  quale  de'  due  si  trovasse  nel  Corpo  del  Pepe, 
nel  1848. 

(357)  Del  Principe  Grammonte,  da  Palermo,  poco  ho  potuto 
sapere.  Apparteneva  alla  nobile  famiglia  siciliana  ed  antichis- 
sima de'  Ventimiglia.  Non  era ,  punto  ,  conosciuto  ,  neir  alta 
società  di  Palermo,  nel  1846  e  nel  1847.  Si  fece  conoscere, 
combattendo,  sullo  barricate.  Passato,  in  Calabria,  col  grado 
di  colonnello  ,  segui  la  sorte  degli  altri  della  spedizione  Ri- 
botti. Dopo  la  prigionìa,  emigrò,  in  Francia.  Mi  scrivono,  di 
Sicilia,  che,  nel  1861.  egli  v'era,  artritico;  e  che  girava  in  una 
carrettella,  sospinta  da  un  domestico;  e  che  somigliava,  a 
Giuseppe  Ricciardi  (vedi  la  77.*  di  questo  note),  come  due  goc» 
ciole  d'acqua.  Altri  mi  dice,  che  morì,  a  Parigi,  dopo  il  1871. 

(358)  Il  cavaliere  (e  non  già  marchese)  Errico  Fardella  è 
fratello  minore  del  vivente  Vincenzo  Fardella ,  marchese  di 
Torrearsa,  cavaliere  dell'Annunziata  e  senatore  del  Regno.  En- 
rico nacque,  in  Trapani,  il  10  marzo  1821.  Prese  parte  attiva, 
alla  rivoluzione:  prima,  a  Trapani,  poscia,  a  Palermo.  En- 
trato nell'esercito,  combatto  a  Messina;  e  passò,  quindi,  in 
Calabria.  Rimase  prigioniero,  sino  al  dicembre  1849.  Ricordo 
di  averlo  visto  emigrato,  a  Genova, nella  fine  del  1849  o  ne' primi 
mesi  del  50.  Nel  1855,  fece  parte,  non  so  con  qual  grado,  della 
legione  anglo-italiana ,  formata  per  la  guerra  di  Crimea  ;  e 
che,  per  l'avvenuta  pace,  fu  sciolta  prima  d'entrare  in  cam- 
pagna (Cfr.  nella  370*  di  queste  note).  Nel  1860,  tornò  in  Si- 
cilia ,  non  ricordo  se  con  la  spedizione  Medici  o  con  la  spe- 
dizione Cosenz.  Reintegrato,  col  grado  di  colonello,  nello  eser- 
cito meridionale,  fece  tutta  la  campagna,  da  Milazzo  a  Capua, 
dove  comandava  un  reggimento.  Non  prese  servizio,  nello  eser- 
cito regolare,  dopo  la  guerra.  Militò,  col  grado  di  generale, 
porgli  Stati -Uniti,  contro  i  poveri  secessionisti,  che  ned  a  lui 
ned  all'Italia  avevan  fatto  male  alcuno  e  che  chiedevano,  per 
l'appunto  e  con  molta  pili  ragione,  quel,  che  i  Siciliani  pre- 
tendevano, nel  1848:  l'autonomia,  l'indipendenza.  Da  qualche 
anno  e  dopo  aver  prrisa  moglie,  in  America,  vive,  con  la  sua 
famiglinola,  in  Trapani. 

(359)  —  «  Tommaso  Landi  appartenne,  ad  un'  agiata  fami- 
«  glia  della  borghesia  di  Messina.  Non  fu  né  unitario,  né  fe- 
ce deralista,  né  monarchico,  né  repubblicano.  Egli  fu  liberale 
«  e  tutto  dato  alle  dottrine  dei  Sansimoniani;  ed,  al  1848,  ia 


—  495  — 

«  Messina,  come,  nel  1861,  1863  e  1868,  a  Parigi,  giurava  per 
€  il  padre  Enfantin ,   come  avrebbe  potuto  fare  un  allievo  di 

<  Ménilmontant ,  nel  1831.  Buono  amico,  integro  cittadino,  la- 
«  vorò,  molto,  per  la  rivoluzione,  non  perdonando  ned  a  fati- 
«  che ,  ned  a  spese.  Fu  uno  degl'  iniziatori  della  rivolta  del 
«  primo  settembre  1847,  in  Messina;  e  combattè,  con  bravura, 
€  nel  1848.  Dopo  la  prigionia  in  Sant'  Elmo  (ed  ignoro ,  se 
«  avesse ,  pur  ,  passato  qualche  tempo,  a  Nisida  od  a  Capua) 
«  fu  esule,  in  Francia.  Si  stabilì,  a  Parigi.  E,  cagionevole  di 
€  salute  e  tutto  dato  ai  suoi  favoriti  studi ,  ivi  rimase ,  sin 
«dopo  l'assedio  del  1871.  Dopo,  per  seguire  il  consiglio  dei 
«medici,  ritornò  in  patria,  ove  mori,  nel  1874.  Io  lo  rividi, 
«  per  l'ultima  volta,  a  Messina,  nel  1872;  e  Le  assicuro,  caro 
«  signor  Vittorio ,  che  1'  amico  Tommaso ,   dopo  i  fatti  della 

<  Comune,  era  non  poco  rinvenuto,  sulle  sue,  per  lunghi  anni, 
«.  accarezzate  dottrine  sociali.  »  —  [Da  una  comunicazione  con- 
fidenziale.] 

(360)  —  (f  Francesco  Burgio  di  Villafiorita,  da  Palermo,  fu, 
«in  gioventù,  ufficiale  nelle  Guardie  Reali.  Poi,  si  dimise 
«  dal  servizio  militare  ;  e  fu  percettore ,  a  Trapani  ,  verso  il 
«  1847.  Fu  tra  coloro,  che,  molto,  si  adoperarono,  prima  del 
«  1848,  per  la  rivoluzione.  Fu  membro  del  governo  provviso- 
<c  rio  ,  dopo  il  19  gennajo  ;  e  membro  della  commissione,  per 
«la  riforma  della  legge  elettorale  del  1812,  per  adattarla  ai 
«  nuovi  tempi,  prima  di  procedersi  alle  elezioni,  che  diedero 
«la  Camera  dei  Comuni  del  Parlamento,  che  si  riunì,  il  25 
«  marzo  1848.  Ebbe  il  grado  di. maggiore  d'artiglieria;  e,  dopo 
«  la  prigionia  per  li  fatti  di  Calabria,  emigrò  a  Genova,  ove 
«  morì,  prima  del  1860.  i*  — [Da  comunicazioni  confidenziali.] 

(361)  Di  questo  Principe  del  Plico  nulla  ho  potuto  sapere, 
per  quanto  ne  chiedessi,  a  destra  ed  a  manca.  Persino  il  ge- 
neral Longo  noi  conosce;  o  dice:  —  «È  un  nome  affatto  nuovo, 
«  per  me.  Deve  esserci  un  equivoco.  »  — 

(36i?)  Non  c'era  male,  per  un  esercito  di  seicantoquaran- 
tacinque  individui;  anzi  di  cinquecento  soli ,  se  dobbiamo  cre- 
dere a  Don  Giuseppe-Napoleone  Ricciardi.  E  parecchi  di  que' 
colonnelli  improvvisati  non  dovevano  essere  roba  molto  seria.  Il 
numero  strabocchevole  di  uffiziali  superiori  fuori  quadro  ed 
in  corca  de'  rispettivi  ipotetici  battaglioni,  reggimenti,  brigato 
e  divisioni,  forma  uno  de' distintivi  caratteristici,  de' caratteri 


—  496  — 

distintivi  degli  eserciti  rivoluzionari,  di  solito,  principalmente, 
intesi  e  destinati,  a  rivolgere  il  destino  de'  propri  componenti, 
a  crear  loro  una  posizione  sociale  od  a  soddisfarne  Tambi^ione 
e  la  vanità.  Salvo,  beninteso,  la  pace  de'  pochi  buoni  !  giacché, 
alle  rivoluzioni  più  giuste,  dan  mano,  sempre,  con  pochi  otti- 
mi, turbe  di  mediocri  e  di  pessimi. 

(363)  Vedi  la  367.*  di  queste  note.  Nota,  però,  che  questo 
infelice  è  chiamato,  dal  Tarantini,  Guccione  o  Giiggione  e  non 
Coccione, 

(364)  Per  Francesco  Angherà,  vedi  la  370*  di  queste  note. 

(365)  Congregazione  solita ,   da   secoli ,  ad   accompagnare , 
sul  patibolo,  i  condannati  a  morte.  Nel  Catalogo  |  di  Mss,  della 
Biblioteca  |  di  \  Camillo  Minieri-Riccio  \  volume  terzo  \  \  Napoli 
presso  Detken  e  Rocholl  \  1869^  possono  leggersi  molte  notizie 
intorno  alla  Compagnia  di  Santa-Maria-succure-miseris  de'  Bian- 
chi della  giustizia,  che  fu  fondata,  nel  1519,  da  Ettore  Vernaccia, 
gentiluomo  genovese,  e  D.  Calisto  Piacentino  dell'ordine  de*  Ca- 
nonici Regolari  di  S.  Agostino.  Vi  si  legge,  pure,  l'elenco  nu- 
merico de'giustiziati,  dall'anno  1556  al  1789.  In  questi  dugeD^(h 
trentaquattro  anni,  ascesero,  in  tutto,  a  3443.  Media:  14,  71  (co- 
me ognun  vede,  discretissima).  I  maxima  furono:  nel  1585  (82)^ 
nel  1584  (76);  nel  1674  (75).  Non  vi  furono  giustiziati:  negli 
anni  1562-63-64-93,   1711-18-25-27-31-33-35-67-74-85-86- 
88-89.  —  A  questa  Compagnia  di  Santa-Maria-succurre-mi- 
seris,  detta  de'  Bianchi  della  Giustizia,  si  ascrissero  sette  papi, 
molti  cardinali,  cinquantadue  arcivescovi,  ecc.  —  Questo  numero 
in  sé,  scarso  e,  sempre,  decrescente,  di  condanne  capitali,  in 
Napoli,  deve  attribuirsi  non  all'abuso  irrazionale  del   diritto 
di  grazia,  anzi  ed  alla,  sempre,  crescente,  mitezza  de'  costumi 
e  delle  leggi  ed,  in  parte,  anche,  ad  una  cagione,  che  indi- 
cherò, con  le  parole  del  barone  Giuseppe  Poerio,  nella  difesa 
di  Felice  De  Antonellis  (Vedi  nota  386.*)  —  «Uno  de'  vizi  ra- 
«  dicali  del  vecchio  processo   criminale  era  T  uso  delle  pene 
«  straord Inarie j  che  veniva  diOlV arbitramento  degVindist.  L'ac- 
«  cusato,  non  del  tutto  convinto,  era  condannato,  ad  una  pena 
<  minore  di  quella  stabilita,  dalla  legge.  E  la  scala  di  queste 
«  pene ,  invece   di  progredire  in  ragione  della   intensità   del 
«  dolo,  si  proporzionava,  alle  pruove,  più  o  meno  copiose  e  strin- 
ge genti.  Proporzione  ingiusta  ed  incomprensibile,  tra  cose  tan- 
«  to  eterogenee,  come,  assennatamente,  osserva  uno  de'  nostri 


—  497  — 

«  più  insigni  sentori.  Frattanto,  questo  sistema  (assurdo,  in 

<  teorica  )  risultava  ,  in  pratica  ,  un  temperamento,  piuttosto, 
€  umano:  al  che,  molto,  contribuivano  i  preclari  magistrati, 

<  de'  quali,  in  ogni  epoca,  è  stata  superba  la  nostra  patria. 
«  Ne'  giudizi  capitali  (indipendentemente,  dalla  scarsezza  delle 

<  pruove)  ogni  menda,  ogni  neo  del  processo  impediva  l' ap- 
«  plica/ione  della  pena  ordinaria.  E  rarissime,  pili  che  in  qua- 
«  lunque  altro  stato  di  Europa,  erano  divenute,  fra  noi,  le 
4C  condanne,  all'  ultimo  supplizio.  »  —       * 

(360)  Giuseppe,  di  Ferdinando  Marini-Serra  e  della  Pruden- 
za Ameudolara,  nacque,  in  Dipignano ,  villaggio,  prossimo  a 
Cosenza,  il  2  settembre  1801.  Si  addisse,  al  foro;  e  salì,  in  fa- 
ma grande ,  per  1'  eloquenza,  spiegata  contro  quel  Nicola  de 
^latteis,  che,  Intendente,  aveva  superate  le  infamie  di  Verrà, 
iiella  Calabria  citeriore.  Mori,  il  2  settembre  18G0.  Rimase, 
quasi,  sempre,  estraneo  alle  agitazioni  politiche.  Nondimeno, 
fci  arrischiò  a  sottoscrivere,  in  casa  de'  fratelli  Poerio,  la  pe- 
tizione, con  cui  si  domandava  la  costituzione,  a  Ferdinando  II; 
e  difese,  con  zelo,  alcuni  imputati  politici.  Ma  non  ebbe,  mai, 
molestie,  dalla  polizia;  e  non  avca,  certamente,  senso  d'Italia- 
nità. Vedi  il  giudizio  di  Leopoldo  Tarantini,  sulla  sua  eloquenza 
forense,  nella  nota  seguente. 

(oGTj  Quau<lo  pubblicai,  per  la  prima  volta,  questa  lettera, 
mi  rivolsi,  al  Tarantini,  per  averne  notizie,  sul  processo.  E  com- 
misi l'indiscrezione  di  stamparne  la  risposta,  e  per  le  notizie, 
che  conteneva,  e  per  farmi  bello  della  benevolenza,  di  cui  mi 
onorava.  11  Tarantini  chiama  il  suo  cliente,  quando  Guggione 
e  quando  Gucciyne.  —  «Mio  caro  Imbriani,  sissignore,  potrei 

<  darvi  molte  notizie  di  quel  memorabile  giudizio.  Ma  mi  co- 
«  glieto,  in  un  brutto  momento,  essendo  occupatissimo  e  sul  punto 
«  di  partirò,  por  liari,  ove  mi  chiama  la  discussione  di  una  gra* 
«  vis:>ima  causa.  Nel  processo  Dolli-Franci,  il  Marini-Serra  di- 
te fose  costui:  ed  egregiamente,  com'era  suo  costume.  (Il  Ma- 
<L  rini-Serra  dava,  proprio,  l'immagino  di  Cicerone,  a  chi  lo 
«  sentiva  discutere:  quella  niagnilO(iuenza,  quel  vigore,  quel- 

<  Yacfiis).  CdiV\o  Poerio  difese  il  Longo;  ed  io,  il  tenente  Oug- 
«  gione,  unico,  che  fu  assoluta);  o,  por  dir  meglio,  rimandato 
«  ad  una  più  ampia  istruzione ,  mentre  gli  altri  due  furono 
€  condannati:  ad  csaer  fucilati y  fra  tre  ore.  Il  giudizio,  o^sia 
«  l'istruzione   del  processo ,    cominciò ,  all'  alba.  Noi  avvocati 

32 


—  498  — 

«  fummo  ammessi,  verso  il  mezzodì;  e  cominciò  il  dibattimento, 

«  che  si  protrasse,  per  tutta  la  notte.  E  la  sentenza  fu  pub- 

«  blicata,  all'alba  seguente.  La  mia  arringa  cominciò,  mentre 

«  il  campanone  di   San  Martino    suonava  la  mezzanotte,  sul 

«  nostro  capo;  giacché  fu  nel  chiostro  di  San  Martino,  che  si 

«  celebrò  il  giudizio.  Il  Tribunale  era,  in  un  angolo  del  por- 

«  tico  ;  ed  ,  in  mezzo  al  quadrato  scoverto  ,  erano  due  reggi- 

«  menti,  sotto  le  armi,  che  spesso  cadevano  di  mano,  ai  soldati, 

«  sopraffatti  dal  sonno.  La  mente  correva,  proprio,  al  tratto  del 

«  discorso  PUÒ  milone:   Haec  novi  mdicli  nova   forma    terrei 

€  oculos ,  qui^  qitocumque  incidermi^  veterein  consuctiidinem 

«  fori  et  pristinutn  morem  iiidicìorwn  rcquirunt.  Undique  ar- 

«  mail,  eccetera.  Assisteva,  al  giudizio,  1'  attuale  general  Xun- 

«  ziaute ,  mandato,  espressamente,  dal  Re,  per  vigilarlo;  e  so- 

«  stoneva  l'accusa  legale  il  vecchio  e  bravo  maggiore  Felicetti, 

«  che  la  sostenne,  con  dignità  e  son/a  mancale  di  riguardo, 

4;  agli  accusati.  Non  ricordo,  chi  era  il  presidente.  Uno  dei  giu- 

«  dici  era  il  tenente  Gonzoni,  ajutante  di  campo  del  Miuisitro 

«  Ischitella,  il  cui  voto  decise  la  parità,  in  favore  del  mio  Guc- 

«  cione.  Or,  vedi  fatalità  !  Sei  mesi  dopo,  nella  ritirata  di  Vel- 

«  letri,  comandata  da  Ischitella,  e  mentre  il  Guccione  serviva, 

«  da  semplice  artiglici  v?,  per  riabilitarsi,  una  palla  di  cannone 

«  venne  dritta,  su  lui,  .na  fu  ricevuta,  in  vece,  da  Gonzone,  che 

€  se  gli  troA^ava  a  fianco  "e  che  lo  ajutava  t»  far  voltare  un  caii- 

«  none.  Sul  Guccione,  si  potrebbe  faro  un  romanzo:  per  cui  non 

«  vi  formalizzi,  se  io  ho  dotto,  che  voleva  riabilitarsi.  Era  mi- 

«  rito,  era  padre;   e  la  moglie  era  una  vera  eroina.   Quello, 

«  che  più  mi  restò  impresso   di  quel  giudizio ,   fu   il   sangue 

«  freddo  del  Longo ,  quando  attendeva  e  quando  sentì  legger 

«  la  sentenza  di  morte.  Avendo  io  annunziato,  sotto  voce,  a  Guc- 

«  cione,  la  sua  liberazione,  che  equivaleva  alla  condanna   del 

«  Longo,  costui,  che  aveva  udito,  si  rivolse;  e,  vista  la   mia 

a  costernazione,  cercò  egli  di  rincorarmi;    e,  datomi  un  suo 

«  biglietto  da  visita,  per  ricordo.  Prendete,  mi  disse.  Non  avrete, 

«  neppur,  la  noja  di  dovermelo  restituire,  giacché,  fra  tre  ore, 

«  non  sapreste,  più,  dove  trovarmi.  L'ultra  impressione  profonda, 

«  la  produsse,  in  me,  la  rabbia  si-lv;iggia  dei  soldati,  che,  senza 

«  curar  ordini  di  superiori,  avrebbero  voluto,  al  momento,  fu- 

«  cilare  i  condannati.  Il  Longo  passò,  sorridente,  in  mezzo  a 

«  codesti  cannibali,  che  imprecavan  contro  di  lui  ed  impugna^ 


—  499  — 

<t  vano,  ferocemeute,  i  loro  fucili,  come  se  passasse  in  mezzo 
«  ad  una  folla  plaudente.  Spuntava  il  sole  dietro  il  Vesuvio, 
«  quando  io  e  Carlo  Poerio  scendevamo,  per  le  rampe  di  San 
€  Martino,  (giacché  il  Marini  -  Serra  ,  dopo  le  arringhe,  era 
€  andato  via);  e  ci  dividemmo  al  palazzo  Cariati  (giacche,  al- 
«  lora,  non  vi  era  il  Corso) ,  egli,  per  audare  a  preparare  la 
«  domanda  di  grazia,  io,  per  andare  a  dar  nuova  dell'  esito, 
<(  alla  moglie  del  mio  cliente ,  che  avea  passata  la  notte,  alla 
et  sua  finestra,  sul  ponto  di  Chiaja;  e  che,  in  vedermi,  da 
4L  lungi,  svenne,  nò  potè  saper  questo  esito,  se  non  dopo,  circa, 
<c  mezz'ora.  Questo  è  quel,  che  ricordo.  I  particolari  della  di- 
«  scussione  non  li  ho ,  se  non  confusamente,  presenti  ;  nò  ho 
«  il  tempo  di  andar  a  cercar  gli  appunti,  tra  la  farragine  delle 
«  mio  carte.  Amate,  sempre,  il  vostro  affezionatissimo  Leopoldo 
<t  Tarantini.  »  — 

(368)  Luigi  d'Egidio,  da  Montefusco,  allora,  avvocato,  è  stato, 
dopo  il  1860,  sostituto  procurator  generale  presso  la  corte  di 
appello  di  Napoli,  della  quale  è  morto  consigliere,  pochi  anni 
or  sono.  Lasciò  vedova  la  figliuola  d' Innocenzio  Du  Cesare , 
che,  altamente,  ò  lodata,  da  quanti  conosco,  come  donna  egre- 
gia. Il  D  Egidio  mostrò  fermezza  o  coraggio,  da  presidente  della 
Corte  d'Assisie,  nel  celebre  processo  Dei  Giudice,  che  rimarrà 
una  pagina  vergognosa,  per  la  istituzione  de'  giurati  e  per  la 
moralità  pubblica,  nella  storia  del  foro  napolitano.  Odiatissimo, 
dalla  camorra  e  da'  sinistranti  d'ogni  risma,  fu  accusato,  una 
volta,  durante  le  elezioni  municipali,  di  leggere,  inesattamente, 
le  schede,  tutto  a  modo  suo  e  secondo  il  suo  desidciio.  Voglio 
sperare,  che  l'accusa  non  avesse  fondamento;  e,  certo,  la  par- 
te, che  la  moveva,  è  quella,  appunto,  che  s'è  resa  immortale, 
per  la  j^UàUtta  ed  i  blùcchi,  arricchendo  la  lingua  di  qut-sti  be' vo- 
caboli. Si  è,  persino,  raccontato,  che  il  D'Egidio,  parlando  di 
Napoleone I,  dicesse:  —  <i  Era,  così,  grande,  che  il  Manzoni  ha 
€  potuto  dir  di  lui:  Li  si  nutnò  Duc-Uccoii.'  »  —  Ma  sappiamo, 
con  quanta  facilità,  s' inventino  e  diUbmlauo  simili  ralunnie. 

(369)  Si  tratta  di  Alessandro  del  marchese  Vito  Nunziante. 
Il  Tenente-Generale  Vito  Nunziante  fu  la  piìi  notevole  figura, 
tra'Generali,  sorti,  nel  movimento  sanfedista  del  1790.  Nac<|ue, 
in  Campagna,  nel  Principato  Citeriore,  il  12  aprile  1775;  o 
mori,  il  22  settembre  1830,  in  Torre-Annunziata  (nel  decen- 
nio: Gioacchinopoli).  —  Possono  vedersi,  intorno  a  lui  : 


—  500  — 

I.  7^  I  Tenente  Generale  |    Vito  Nunziante  \\  In  Napoli  \ 

i83G.  Opuscolo,  che  ne  contiene  l'elogio,  dottato  da  Raf- 
faello Liberatore  ed  illustrato,  con  documenti. 

II.  —  Le  vite  I  dei  piii  celebri  \  capitani  e  soldati  \  napoletani  \ 
dalla  giornata  di  Bitonto  fino  a'  dì  nostri  \  scritte  \  da  \  Ma- 
riano  d'Ayala  \\  Napoli  \  Stamperia  dell' Iride  \  1843. 

III.  —  yita  e  fatti  \  di  Tito  Nunziante  \  per  \  Francesco  Pa» 
lermo  \\  Seconda  edizione  rimata  dalV autore  \\  Firenze  \  Sta- 
bilimento  Civelli  \  Via  Panicale,  39  \  i870. 

Alessandro  Nunziante  fu  figliuolo  di  secondo  letto  di  Vito  e 
della  Camilla  Barrcse,  da  Lipari.  (La  quale  morì,  in  Napoli,  il 
10  agosto  1840;  ed  una  cui  vita  può  leggersi,  in  calce  alP  ul- 
timo de'  lavori  succitati).  Ebbe  il  titolo   di  Duca  di  Mignano, 
dalla  moglie,  Teresa  Tuttavilla  de'Duclii  di  Calabritto.  Fa  tra' 
favoriti,  maggiormente,  da  Ferdinando  II,    nelle   cose   oneste 
e  nelle  disoneste;  e,  certamente,  il  favore  era  giustificato,  dalla 
devozione  della  famiglia, alla  dinastia  borbonica,  e  dalla  capacità 
di  lui,  la  quale  si  mostrò,  spcjcialmente,  nell'  organamento  de' 
battaglioni  di  cacciatori.  Ebbe,  in  dono,  un  vasto  suolo  edifica/»- 
rio,  presso  il  palazzo  Calabritto.  E,  per  somministrarg-Ii  mate 
rialida  costruzione,  si  cominciò  un  trafuro  della  collina  di  Pino- 
falcone,  praticamente  impossibile, por  le  differenze  di  livello,  fra' 
due  orififl;  ed  i  soldati,  adibiti  a  sbavarlo,  lavoravano  alla  co- 
struzione della  sua  c^sa.  Ottenne,  Qh^^  la  ferrovia  Napoli-Roma 
facesse  un  gran  gomito,  per  toccar  Mignano,  ecc.  ecc.  Dicono, 
che  s'adontasse,  fortemente,  per  non  essere  stato  fatto  maggior'^ 
domo  di  settimana^  nel  1850,  in  occasione  del  matrimonio  del 
Duca  di  Calabria,  sebbene  la  moglie  fosse  nominata  Dama  della 
Real  Corte.  Fatto  sta,  che  abbandonò,  nel  momento  del  pericolo, 
la  causa  de'Borboni;  foce  rinunziare,  alla  moglie,  il  titolo  di  DaiZ73 
di  Corto;  e  rinunziò  gradi  e  croci.  Nel  Regno  d'Italia,  ò  stato 
Tenente-Generale;  e,  nel  1866,  espugnò  Borgoforte  sul  Po.  Ma, 
indispettito  di  vedersi  poco  stimato,  malgrado  cho  si   ricono- 
scesse la  sua  capacità,   per  via  della  condotta  passata,   non 
bella,  nò  patrioticamente,  nò  dal  punto  di  vista  dell'onor  mi- 
litare, volle  acquistiire  popolarità.  Si  buttò  alla  sinistra.  E  pub- 
blicò un  opuscolo  sofistico,  intitolalo:  Ucoìiomia   senza  ridu" 
zione,  che  i  giornali  di  sinistra  vantarono,  corno  un  nuovo  van- 
gelo amministrativo.  Sperava  di  diventar,  cosi,  ministro.  Ma  il 
passato  ostava.  E  quando,  pur  trionfando  la  sinistra  ,    egli  si 


—  501  — 

vide  lasciar  da  parte,  la  sua  mente  si  annebbiò.  Cosi,  moriva, 
in  Napoli,  ne' primi  di  marzo  1881.  Un  suo  figliuolo  sposò, 
a  Milano,  una  certa  Antonelìi,  ricchissima,  orfana  di  un  pa- 
dre, credo,  salumajo.  Ella  si  lasciò  abbagliare,  dal  titolo.  I  Nun- 
ziante tiravano  alla  dote.  E  trattarono,  padre  e  figlio,  la  nuora 
e  moglie,  tanto  bene,  che  una  divisione  dovette  aver  luogo;  ed 
i  tribunali  occuparsi  della  faccenda.  E  lo  scandalo  durò,  un  pez- 
zo; ed  ebbe  lungo  strascico ,  anche,  per  opera  d'  un  giornalu- 
colaccio  pettegolo  torinese,  intitolato  il  Ficcanaso, 

(370)  Questa  decisione  fu  giusta  e  legale.  Il  Settembrini  di- 
ce: —  «  Fra'  prigionieri  era  Francesco  Angherà,  giudicato,  col 
«  Longo  e  il  Delli-Franci,  ma  assoluto  [?],  perchè  aveva,  già, 
«  preso  il  congedo  dalla  milizia,  quando  si  mosse  a  combattere 
«  per  la  rivoluzione.  Assoluto,  si;  ma  era  tenuto,  nel  carcere 
«  di  San  Francesco,  senza  speranza  di  uscirne.  Ond'egli,  che 
a  piacevole  uomo  era,  si  travesti  e  sfigurò,  in  modo,  che  usci, 
a  dal  carcere,  con  molta  franchezza  e  senza  essere  riconosciuto. 
€  Lo  sdegno  della  polizia  fu  grande;  e  grandissime  le  risa  dei 
«  liberali.  »  —  L'Angherà  nacque,  in  Potenzoni,  nel  Monteleo- 
nese ,  il  28  marzo  1820 ,  di  Antonio  e  della  Costanza  Stella. 
Entrò,  nel  1839,  da  volontario,  neir  Artiglieria  Napolitana;  e 
sarebbe  passato  uffiziale,  se  non  fosse  stato  incolpato,  ripetuta- 
mente, di  cospirazioni.  Il  12  febbrajo  1848,  fu  congedato:  per 
non  convenir  al  Real  servizio.  Capitano  di  una  Compagnia, 
sotto  lo  Stocco,  combattette  all'  Angitola.  Del  processo ,  da  lui 
sofferto,  allora,  ragguagliano  queste  lettere;  della  fuga,  il  brano 
surriferito  del  Settembrini.  Entrò,  poi,  come  alfiere,  nella  le- 
gione Anglo -Italiana,  assoldata  dall'Inghilterra,  durante  la  guerra 
di  Crimea,  (vedi  la  358.*  di  queste  note);  e  vi  divenne  luogote- 
nente. Ed  ebbe  a  correre,  anche,  qualche  pericolo,  poiché,  quando 
ottocento  Italiani  della  sciolta  legione  furono  imbarcati ,  alla 
volta  dell'Inghilterra,  egli  voleva,  invece,  scendere,  in  Sicilia,  con 
un  globo  di  compagni,  per  promuovere  una  rivoluzione.  Avrebbe 
dovuto  essere  appiccato:  ma  gl'Inglesi,  per  salvarlo,  il  dichiara- 
rono matto.  E,  fingendo  tenerlo  agli  arresti  di  rigore,  il  trat- 
tavano benissimo,  nella  cittadella  di  Plymouth.  Entrò,  poi,  da 
luogotenente  di  Artiglieria ,  noli'  esercito  della  Italia  centrale, 
nel  1859:  passò,  come  capitano,  nell'esercito  sardo,  dopo  l'an- 
neBsione.  Si  dimise,  per  correre,  dal  Garibaldi,  in  Sicilia;  e  di- 
venne Maggiore  di  Artiglieria.  Ed  è,  poi,  stato  Tenente-Co- 


^  502  — 


I 


lonollo  (leir  arma  stessa,  noi  Regno  d' Italia.  Egli  pubblicò,  a 
Malta,  se  non  erro,  il  racconto  della  sua  fuga,  ornato,  in  quella 
prima  edizione,  del  ritratto  proprio  e  di  quello  di  un  suo  zio 
Arciprete,  (ohe,  poi,  pretendeva  di  avere  scoperta  la  quadratura 
del  circolo;  e  si  era  costituito,  in  Napoli,  d'autorità  propria,  capo  I 
di  un  ordine  preteso  massonico.)  Ne  ho  sotto  gli  occhi  la  secon- 
da   oiliziono  (Napoli,   1H07),  col  solo  ritratto  di  Francesco. 

(*v^l)  Altro  che  difficilissima  dovotf  essere  la  difesa!   Certo, 
quando    uomini,  che   tutta  la  precedente  e  tutta  la  rimanente 
vita  mostra  essere  ben  temprati,  d'onore,  generosi,  prodi,  com- 
mettono, senza  esitazione,  con  la  compiacenza  e  col  plauso  de' 
migliori  della  nazione,  quo'  peccati  orrendi,  che  sono  la  cospi- 
razione, la  ribellione,  la  insurrezione,  la  violazione   del  giura- 
mento militare  e  la  diserzione  al  nemico,  noi  dobbiamo   confes- 
sare ,  di  avere,  innanzi  agli  occhi,  non  un  caso  di  perversità 
individuale,  anzi  un  sintomo  di  sfacelo  sociale.  R  dello  sfacelo 
sociale,  quasi  sempre,  la  colpa  massima,  penza  tema  di  errare, 
è  da  attribuirsi,  a'  capi  ed  a'  rettori  dello  Srato.  Una  delle  peg^ 
glori  e  cause  e  conseguenze  delle  rivoluzioni  è,  appunto,  lajw^ 
turbazione   generale  delle  coscienze,  che  induce  1  buoni  e  gli 
onesti:  ad  appigliarsi,  a  mezzi  improbi,  per  conseguire  il  fttke, 
che  lor  sembra  desiderabile;  ed  a  scusare  o  lodare,  chi  vi  s'  ap- 
piglia. Ma  queste  discolpe  si  possono  presentare,  con  isperanza 
di  vederlo  accolte,  innanzi  al  tribunale  dell'  Istoria,  non  innanzi 
a' tribunali  ordinari,  né, soprattutto,  innanzi  a' tribunali  militari. 
Sento,   però,  l'obbligo  di  stampar,  qui,  un  brano  importan- 
tissimo di  una  lettera  di  Giacomo  Longo,  in  data  del  6  Mag- 
gio del  corrente  anno  1884,  nel  quale  egli  chiarisce  la  posi- 
zione propria:  —  «Ella  mi  permetterà   un   fatto    personale, 
«  come  lo  si  direbbe,  alle  Camere.  11  mio  carissimo  Carlo  Poe- 
«  rio  disse  il  vero,  nella  sua  lettera  del  22  luglio   1848,  che, 
«cioè,  arduo  era  stato  il  compito  della  mia  dife.sa:    ma  non 
«  accennò,  alla  differenza,  che  v'era,  fra  la  posizione  di  Delli- 
«  Franci    e   la   mia.   Delli-Franci ,   trovandosi,  di  presidio,  a 
«  Reggio,  con  la  sua  compagnia  di  Artiglieria,  nei  primi  giorni 
«  di  giugno  1848,  abbandonò  il  suo  posto,  durante  lo  ostilità 
«  con  la  vicina  Sicilia.  Passò,  in  Messina.  E,  pochi  giorni  dopo 
«  s'unì,  ad  altri  napoletani,  prendendo  imbarco,  a  Milazzo,  sui 
«  piroscafi ,  che  trasportarono ,  in  Calabria ,  la  piccola  spedi- 
«  zione  siciliana.  Dal  Governo  Provvisorio,  istituito  a  Cosenzat 


—  503  — 

«  ebbe  il  grado  di  Colonnello;  e  combattè,  dbn  noi.  11  resto  è 
«  ben  conosciuto.  Io,  invece,  fui,  nell'agosto  1847  (trovandomi, 
«di  presidio,  a  Palermo),  incarcerato  e  sottomesso  alla  corte 
«  criminale  di   quella  provincia  (secondo  il   disposto  dal  de- 

<  creto  del  1844),  accusato  di  cospirare  contro  la  sicurezza 
«  dello  Stato.  In  Camera  di  Consiglio  e  conforme  alle  conchiu- 
«  sioni  del  Procurator  Generale ,  presso  quella  Gran  Corte 
«  (Roberti),  fu  emanata  sentenza:  di  non  darsi  luogo  a  proce- 
«  dere,  per  insussistenza  di  rento.  Ma,  dopo  che  il  Cancelliere 
«  della  Corte  ebbe  letta  la  sentenza  e  consegnato,  al  Direttore 
«  del  Cai'cere,  ove  io  ero  sostenuto  (Carcere  detto  della  Quinta 
«  CasUy  carcere  ordinario  e  non  militare),  l'ordine  del  Procu- 
«  ratore  Generale,  par  la  mia  immediata  messa  in  libertà,  il 
4C  Direttore  disse:  Ora,  Ella  è  libera,  secondo  la  sentenza  della 
«  Gran  Corte.  Ma  continuerà  a  restare  in  carcere^  {/insta  gli 
«  ordini  di  S,  E.  il  Ministro  della  Poli::ia  Generale  [Del  Car- 
«  retto].  E,  soltanto^  passerà,  da  tino  scompartimento  ad  un 
4L  altro  di  questa  stessa  prigione.  Lo  che  fu  eseguito.  Avendo, 
«  così,  termine  il  processo,  io  pensai,  esser  conveniente,  dare, 
«  senza  indugio,  le  mie  dimissioni  dal  servizio  militare,  facen- 
«  done  domanda,  in  iscritto,  al  General  Vial,  comandante  il 
«  presidio  di  Palermo.  Tutto  ciò,  alla  fine  di  novembre  1847. 
€  Non  ebbi  alcuna  risposta.  Ma ,  secondo  i  regolamenti ,  non 
«  ve  ne  era  bisogno  :  bastando  la  semplice  domanda  ,  da  me 
«fatta,  e  il  non  presentarmi,  al  corpo,  cui  apparteneva,  per 
«  venire  cancellato,  dai  ruoli  dell'esercito.,  notificandosi  tal  mu- 
«  tazione  air  oixiine  del  giorno  dell'esercito  stesso.  (Oggi,  si 
€  direbbe ,  da  noi ,  nel  bollettino  militare.)  E  le  cose,  cosi,  si 
€  passarono.  E  Carlo  Poerio,  nel  presentare  le  sue  eccezioni 
«  per  l'incompetenza  del  tribunale  militare,  diede  lettura  del 
a  detto  ordine  del  giorno.  Il  tribunale  si  ritirò  ,  per  delibe- 
«  rare.  Ma  ,  nel  riprendersi  il  dibattimento ,  espresse  parere 
<c  essere  competente  ;   e  si  procede,  oltre.  Com'  Ella  Vede ,  io , 

<  siccome  disse  il  mio  carissimo  Carlo ,  potevo ,  anzi  dovevo 
«  esser  condannato  a  morte,  secondo  le  leggi:  perchè  uno  dei 
a  capi  della  rivoluzione,  in  Sicilia,*  perchè  membro  del  Mini- 

<  stero,  che,  in  applicazione  dell'articolo  4.^  della  Costituzione 

<  del  Regno,  propose  ed  ottenne  il  voto,  dal  Parlamento,  per 
«la  decadenza  dei  Borboni.  (Costituzione,  che  il  Principe  E- 
«  reditario  avea  giurato,  nel  1812,  a  nome  del  Re  Ferdinan- 


—  504  — 

a  do  III  --  Ferdhiando  IV  di  Napoli).  Non  dovevo  ;  però ,  né 
«  potevo  essere  giudicato  e  condannato ,  dal  Tribunale  Mili- 
«  tare,  ma  dalla  Corte  Criminale.  Quanto  a  me,  rimasi,  del 
«  tutto,  passivo,  nel  dibattimento:  non  potendo  riconoscere,  nò 
€  il  governo  di  Ferdinando ,  qual  Governo  di  Sicilia ,  né  la 
€  giurisdizione  di  quel  tribunale.  Poerio  si  presentò  ,  sponta- 
«  neamento,  per  mio  difensore.  Ma  io,  abbracciandolo  e  rin- 
«  graziandolo,  gli  dissi,  che  non  poteva  accettarlo,  per  difen- 
«  sere  ;  prigioniero  di  guerra ,  non  poteva  oppormi  alle  vio- 
«  lenze,  che  mi  si  facevano;  ma  che  nessuno  atto  poteva  fare, 

<  che  indicasse  la  mia  sottomissione,  al  giudizio,  che  si  andava 

<  ad  aprire.  Tale  dichiarazione  avevo  ,  già ,  fatta ,  prima  ,  al 
a  cancelliere  del  tribunale  ,  che  venne  a  notificarmi  essersi 
«  presentato  T  avvocato  Poerio,  qual  mio  difensore.  Quando  il 
«mio  amico  tornò,  in  S.  Elmo,  per  vedermi,  l'ultima  volta, 
«  prima  della  mia  partenza  per  Gaeta,  mi  raccontò,  come  s'è- 
€  rano  passate  le  cose,  nella  giornata  del  venerdì  e  nella  mat- 
€  tina  del  sabato  ,  siccome  egli  stesso  e  la  madre  scrissero , 
€  ad  Alessandro,  in  Venezia,  nelle  lettere,  ch'Ella  mi  ha  me«> 
«  sott' occhio.  Ed  aggiunse,  che,  il  ministro  inglese  a  Napoli. 

«  allorché  si  trattò  di  sciogliere  il  dubbio,  se  le  acquo,  prean 
€  Corfù,  ove  fummo  catturati  dallo  Sty^omboli ,  erano  acque 
«  libere  o  comprese  nella  zona  delle  acque  inglesi,  nel  mentre 
4:  si  decideva,  con  la  scorta  dei  giornali  di  bordo,  che  la  cat- 

<  tura  aveva  avuto  luogo,  in  acque  libere ,  il  Re  aveva  pro- 
«  messo,  al  ministro  inglese,  che  (ove  alcuno  dei  prigionieri 
«  fosse  stato  tratto  innanzi  ai  tribunali  e  che ,  a  giudizio  di 
«  questi,  veniva  condannato  a  morte)  nessuna  pena  capitale 
«  sarebbe  stata  eseguita.  Ciò  ho  voluto  rammentare  :  non  per 
«invalidare,  in  alcun  modo,  il  valore  della  grazia  sovrana; 
«  ma,  solo,  per  esporre  la  verità  delle  cose,  siccome  me  le  disse 
a  il  mio  amico  Poerio ,  alla  presenza  del  buono  e  bravo  Co- 
«  lonnello'  Simonetti,  Comandante  il  forte  S.  Elmo.  »  — 

(372)  Ed,  anche,  questa  sentenza  fu  giusta  e  legale. 

(373)  Ecco  la  copia  della  minuta  di  questa  :  Supplica^  alla 
Maestà  del  Re.,  per  la  grazia  del  condannato  a  morte^  Giaco- 
mo  Longo,  A  tergo,  v'  è  scritto,  anche,  di  pugno  del  Poerio:— 
«  S.  M.  air  alba  del  22  (giorno  destinato  alla  esecuzione),  ha 
«  fatto  grazia  della  vita.  »  — 


—  505  — 

—  «  Sacì^a  Real  Maestà, 

<  Signore,  quando  la  Giustizia  ha  pronunziato,  è  obbligo  di 

<  ogni  buon  suddito  fedele,  chinar  la  fronte,  ai  suoi  decreti, 

<  con  riverente  rassegnazione.  Ma,  pel  difensore  del  misero , 
€  che  vien  colpito,  da  una  condanna  capitale ,  sorge,  in  pari 

<  tempo,  un  obbligo  santissimo:  quello  d'invocare,  con  tutte 
a  le  forze  della  piti  fervida  preghiera,  la  grazia  della  vita,  a 
«  prò  del  infelice  suo  cliente.  Perciocché  egli  non  potrebbe , 
«  senza  irceverenza  o  senza  ingratitudine,  dubitare,  un  solo 
«  istante,  della  inesauribile  clemenza  del  Principe.  Ed,  a  que- 
«  sto  sacrosanto  dovere,  adempie  il,  qui,  sottoscritto,  difensore 
«  spontaneo  di  Giacomo  Longo,  dannato  all'ultimo  supplizio» 

<  implorando,  o  Sire,  che  un  raggio  della  celeste  prerogativa 
«  della  Grazia  Sovrana  si  spanda,  su  quel  capo,  percosso,  dalla 
€  inesorabile  giustizia  degli  uomini.  Segua  la  Maestà  Vostra 

<  grimpulsi  generosi  del  suo  Real  Animo.  Risponda,  con  ripe- 
€  tuto,  anzi  supremo  benefìzio,  a'traviamenti  della  cieca  passione. 
«  S'innalzi,  sublime,  su'  tempi  e  sugli  uomini,  mostrando,  al 
€  mondo,  nella  serena  Maestà  dell'  Imperio:  ch'Ella  sa  vincere ^ 
«  con  V autorità  delle  leggi,  ma  preferisce  di  vincere,  con  la 
€  magnanimità  e  col  perdono.   Pronunzi   la   Maestà  Vostra, 

<  anche  una  volta,  quella  parola,  tanto  desiderata,  quella  pa- 
«  rola,  tutta  spirante  paterno  amore;  e  prepari  il  suo  generoso 
4  cuore,  alla  ineffabile  gioia,  di  veder  rifiorire,  ad  un  suo  Re- 
«  gio  cenno,  una  vita,  sì  giovane,  sì  piena  di  avvenire,  di  spe- 
«  ranza,  di  futura  eterna  gratitudine. 

€  Napoli,  21  Luglio  18^8. 

«  Avvocato  Carlo  Poerio  , 

«  Difensore  officioso  del  condannato  a  morte 
<  Giacomo  Longo»  >  — 

(374)  Roberto  Savarese,  vice-presidente  della  Camera  do'  De- 
putati (Vedi  la  62.*  di  queste  note);  Paolo-Emilio  Imbriani 
(Vedi  la  29.*  di  queste  note)  segretario  della  Camera  de'  Depu- 
tati; Gennaro  Bellelli  (Vedi  la  61.*  di  queste  note);  e  Giuseppe 
Massari  (Vedi  la  174.*  di  queste  note).  Questa  commissione  fa 
cosa,  meramente,  officiosa;  e  non  ne  venne  fatta  parola,  nelle 
riunioni  ufficiali  della  Camera  (che  tenne  seduta,  il  venti  ed  il 


—  506  — 

ventuno  luglio).  Vedi  Tornate  \  delia  Camera  dei  Deputati  \ 
del  Parlamento  Napoletano  \  nella  sessione  1848- d 849  |  con 
tutti  ijìvogettl  di  legtjc  in  essa  presentati  |  per  \  Carlo  Colletta  \\ 
Napoli  I  dalla  stamperia  dcW Iride  \  29,  Strada  Maffnocavallo  \ 
1806.  Secondo  quanto  scrive  la  Carolina  Pocrio  (Vedi  pag.  166 
di  questo  volume),  la  deputazione  sarebbe  stata,  invece,  composta 
da  Paolo-Emilio  Iiubriani ,  Antonio  Scialoja  e  Giuseppe  Pisa- 
nelli.  Non  ho  modo  di  verificare,  adesso,  quale  delle  due  ver- 
sioni sia  es'itta. 

(375)  \j\\  ministro,  il  quiile,  in  circostanze  simili,  osasse  od 
avesse  osato,  di  consigliare  o  di  proporre,  al  Re  d'Italia,  di  far 
grazia,  o  che,  anche,  solo  (cedendo  alla  irrazionai  volontà  del  Re, 
ad  un  suo  impeto  capriccioso  di   misericordia)  consentisse  od 
avesse  acconsentito,  a  controfirmare  un  decreto  di  grazia,  in  un 
caso  consimile,  io  lo  riterrei  e  lo  avrei  ritenuto,  per  traditore 
0  degno  di  morte,  anch'  egli,  solo  per  questo  consiglio   o   per 
questa  arrendevolezza   colpevole.  Ma  il  Regno   d'  Italia  è  un 
Regno  costituzionale:  libero,  cioè,  razionale  (od,  almeno,  si  pre- 
sumo tale.)  Ed,  invec  ',  un  g.ìvorno  assoluto,  tirannico  ,  è  Ja 
negazione  della  ragione.  Contro  Tirrazionalità  governativa,  di- 
venta  virtù  lo  insorgere.  La  razionalità  governativa,  poi,  non 
ha  il  diritto  di  perdonare,  per  mero  impulso  generoso  o  per 
istinto  di  misericordia,  a  chi  la  vorrebbe  sovvertire:  chò  grim- 
pulsi  <ì  gl'istinti,  ancorché  generosi  e  misericordiosi,  non  so- 
no razionali. 

(37G)  Il  pensiero,  giusto  in  se,  in  bocca  al  Re  Bomba,  che 
non  ebbe,  mai,  altro  movente ,  so  non  un  gretto  egoismo  ,  era 
pretta  ipocrisia.  Combattuto  dalla  ferocia  e  dagli  scrupoli  e 
dalle  paure,  egli  rifuggiva,  dal  versar  sangue,  nella  capitale  : 
ma  voleva  fare  a.ssaporare,  a'suoi  nemici,  tutte  le  amarezze  della 
morte.  Il  Re  Umberto,  da  Principe,  a  Giuseppe  Pisanelli,  che 
gli  faceva  ressa,  perchè  intercedesse  in  favore  d'un  condannato 
a  morte,  dicendogli  la  clemenza  esseì"  la  più  bella  virtii  dei 
Re,  rispose,  degnamente:  esserglisi  insegnalo,  a  considevure, 
come  primo  dovere  de*  Re,  il  rispettare  ed  il  far  rispettare  la 
legge,  AvessVgli  conservati  questi  regi  sensi,  dopo  cinta  la  co- 
rona! Difatti,  se  è  bello  e  cristiano  il  rimettere  le  offese  per- 
sonali, non  è  nò  cristiano  nò  bello  il  perdonare  le  offese,  in- 
flitte agli  altri.  E  si  diventa,  cosi,  complici  di  tutti  i  reati,  che, 
0  da*graziati  stessi  in  seguito,  o  da  altri,  pel  mancato  esempio» 


—  507  — 

BÌ  commettono.  Chi  fu  il  vero  colpevole  della  morte  del  Win- 
ckelmann  ?  Forse ,  V  Arcangeli  ?  No.  Ma  chi ,  abbreviando  la 
prigionia,  che  scontava  TArcangeli,  rese  possibile,  ch'egli  s'in- 
contrasse, col  Winckelmann,  a  Trieste.  La  sola  grazia  al  Pas- 
sannante  fa ,  davvero  ,  onoro ,  al  Re  nostix).  Le  altre ,  egli  le 
avrebbe  dovute  nt^gar  tutte. 

(377)  Carlo  di  Gaetano  Filangieri  e  della  CattJi'ina  Frendel, 
unghera,  nacque,  in  Cava,  il  10  maggio  1784.  Fu  educato,  in 
Francia.  Presentato  al  primo  Console,  questi,  mostrandogli  la 
Scienza  delia  legislazìom^  gli  disse:  Ecc-^  il  nostro  maestro,  ì^e\ 
1803,  fu  ufficiale.  Fu  ferito,  ne'combattimenti,  lungo  i  lidi  della 
Manica,  tra  francesi  ed  inglesi;  ed  a  MarienzcU  et  ad  Au- 
sterlitz  ed  in  un  duello,  con  un  Saint-Simon,  che  ingiuriava  i 
napolitani.  Tornato,  a  Napoli,  col  grado  di  capitano:  fece  parte 
dello  Stato-Maggiore  d»-!  Dumas,  Ministro  della  guerra;  fu 
all'assedio  di  Gaeta;  e,  nella  presa  di  Scilla,  meritò  la  Croce 
di  Cavaliere.  In  Ispagna,  alla  presa  di  Burgos,  ebbe,  due  volte» 
il  cavallo  ferito.  Nt?ir  Escurialo ,  sfidò  il  Generalo  Franceschi, 
Córso,  che  ingiuriava  i  Napolitani,  chiamandoli  botiffrcs;  e  l'uc- 
cise, in  ducilo.  Dovò,  quindi,  tornarsene  a  Napoli:  fuggendo  so- 
pra un  cavallo,  prestatogli  dal  suo  commilitone  e  compatriota 
Duca  di  Rivadebro.  Fece  prirto  del  corpo  di  spedizione,  con  cui 
si  tentò  di  conquistare  la  Sicilia.  Nella  campagna  di  Russia,  fu 
tra'  difensori  di  Danzi ra.  Nel  1815,  fu  ferito  al  Panaro.  (Su- 
perfluo, avvertire  i  bisticci  di  cattivo  gusto,  cui  diede  occasione, 
agli  sboccati  Napolitani,  il  nomo  di  quel  fiume).  Nel  1848,  ri- 
conquistò la  Sicilia;  ed  ebbe  il  titolo  di  Duca  di  Taormina, 
in  premio.  Ministro  di  Francesco  II,  mentre  si  a.spettavano  cose 
grandi  e  prowf^dimenti  savi,  uscì  fuori,  ad  occuparsi  delle  inon- 
dasioni  notturne  degli  orinatoi.  Mori,  il  IG  ottobre  1807.  Ebbe, 
per  moglie,  una  Paterno.  Della  quale  ha  lasciato  un  maschio, 
Gaetano ,  e  le  tre  Duchesse  di  Ravaschieri ,  Bovino  e  Terra- 
nova. Era  stimato  di  carattere  falsissimo.  Rammento  i  seguenti 
versi  di  una  satira  contro  di  lui  : 

Questo  figli  uol  d'Angerio 
Falso  ò  dal  capo  al  pie. 
Ricco  di  crino  il  credi, 
E  non  ha  pelo  in  zucca; 
Quel  crine,  che  tu  vedi, 
L  crine  da  parrucca. 


—  508  — 

(378)  MaBsimo  Selvaggio,  Napolitano  (fratello  a  D.  Gaspare 
Selvaggio,  liberale,  che  fu  Segretario  Generale  della  Pubblica 
Istruzione),  fece  tutta  la  sua  carriera,  da  Alfiere  a  Tenente-Ge- 
nerale, nella  Guardia  Reale:  caso  unico.  Aveva  moglie  Messi- 
nese; e,  di  essa,  un  maschio,  Michele,  o  quattro  femmine,  la 
Giulia,  TAmalia,  l'Elisabetta  e  la  Giuseppina.  Qu est*  ultime 
due  sono,  ancora,  in  vita.  In  casa  sua,  tutto  era  melomanìa  ed 
aoglomauia.  É  morto  centenario. 

(379)  Di  Luigi  Maria,  credo ,  figliuol  di  Luigi  Carlo  ,  Duca 
d'Aquila,  (fratel  di  Ferdinando  li,  nato,  il  31  luglio  1821,  e  spo- 
sato, il  28  aprile  1844,  a  Maria  Gennara,  principessa  brasiliana 
nata  Vìi  marzo  1822).  Ma  V  Alm.  di  Gotha  del  1884,  fa  na- 
scere il  padre  il  19  luglio  1824  ed  il  figliuolo  il  18  luglio  1845. 

(380)  Massimo  Tapparelli,  noto  sotto  il  nome  di  D'  Azeglio, 
della  stessa  genia  malefica,  diceva,  presso  a  poco,  lo  stesso,  in 
una  occasione  consimile,  scrivendo,  alla  moglie,  il  xxvij  set- 
tembre M.DCCc.xLVii:  —  «  E  questi  tribuni  de*  miei  stivali,  se 

<  non  son  pagati  dall'Austria  (che  non  credo),  la  servono  gratis, 
€  eh 'è  peggio.  E  il  giorno,  poi,  che  avranno  tolte,  all'Italia,  le 
a  alleanze,  che  la  salvano,  e  all'  ombra  delle  quali  sarebbe  ri' 
«  sorta;  il  giorno,  in  che  le  avranno  tirato,  addosso,  una  in- 
€  vasione,  che  ci  rimanderà,  alle  calende  greche:  quel  giorno, 
«  perdio  !  so  questi  tribuni  non  si  faranno  passar  le  ruote  de' 
«  cannoni  austriaci,  sulla  pancia,  voglio,  se  avrò,  ancora,  una 

<  lingua,  proclamarli  per  i  più  gran  canaglia  della  terra.  »  — 
Nota,  che  nessuno  di  que'  tribuni,  si  fece  passar  le  ruote  de' 
cannoni  austriaci,  sulla  pancia. 

(381)  Credo,  quel  medesimo  Brocchetti,  che  abbiamo  avuto, 
anche,  Ministro  della  Marina,  nel  Regno  d'Italia. 

(382)  Che  sia  il  Musto,   di  cui  nella  107.*  di  questa  note? 

(383)  Di  queste  violenze  de'soldati,  parla,  a  lungo,  il  Massari, 
nella  XVII  delle  sue  Lettere  su  :  Icasi  di  Napoli: — a  La  stampa 

<  periodica  oon  poteva  fare  a  meno  di  non  biasimare  le  im- 
«c  manità  del  15  maggio;  e  adempì,  all' obbligo  imperioso.  La 
«  truppa  se  ne  adirò,  oltre  ogni  dire;  e,  con  ogni  maniera  di 

<  violenza,  sfogò,  contro  i  liberi  scrittori,  lo  sdegno,  che  ave- 
€  vano  accumulate,  nel  suo  petto,  le  sciocche  ed  insulse  diatribe 

<  di  coloro,  che,  prima  del  15  maggio,  nell'insultare  i  soldati, 

<  non  sapevano  qua'  tristi  germi  di  rabbie  civili  e  di   civili 

<  furori  alimontaAsero  e  condannassero,  poscia,  i  buoni  a  patire 


—  509  — 

«  per  loro.  Io  sono  alienissimo,  dairaccagionare  tutto  T  esercito 
a  napoletano  delle  colpe  e  delle  infanoie  di  pochi.  I  soldati  na- 
«  poletani ,  checché  se  ne  dica,  sanno  battCi'si  e  fare  il  loro 
4:  dovere,  al  pari  dei  migliori  soldati  di  altre  parti  d' Italia  e 
«  d'Europa.  Il  decimo  di  linea  li;i,  ben,  mostrato,  a  Curtatone 
«  ed  alle  Grazie,  che  quei  soldati,  tanto  calunniati  e  cosi  stol- 
«  tamente  derisi  e  vituperati,  non  son,  poi,  tanto  ritrosi,  dal 
«  sentir  1'  odore  della  polvere;  e,  quando  occorre,  menano  le 
«  mani  a  meraviglia.  Gli  sciagurati,  che,  con  le  loro  pazze  e 
«  bestiali  violenze,  trascinarono,  nel  fango,  l'onore  della  divisa 
«  militare,  0  contaminavano  la  fama  delle  armi  napoletane,  non 
<L  possono  e  non  debbono  essere  considerati,  come  rappresentanti 
e  di  tutto  l'esercito.  L'esercito,  lo  affermo,  con  piena  cognizione 
«  di  causa,  riprovava,  in  cuor  suo.  quelle  stravaganti  e  chisciot- 
«  tesche  violenze.  Il  solo  suo  torto  fu  quello,  di  non  aver,  giam- 
«  mai,  manifestata  questa  sua  riprovazione.  Ciò  promesso,  io 
«  dirò,che  la  persecuzione, moss*ì,  da  alcuni  uffìziali  dell'esercito, 
«  contro  la  stampa  periodica,  fu,  v^MM^Tiento,  ignominiosa  e  scelle- 
«  rata.  Guai,  al  giornale,  cui  toccava  la  mala  sorte,  di  eccitar  il 

<  loro  sdegno!  Ad  un  tratto,  la  sua  officina  era  visitata,  da'non  de- 
«  siderati  ospiti,  i  quali  la  scompigliavano,  rompevano  i  torchi, 
«  bastonavano  chi,  prima,  si  faceva  loro  incontro;  e  non  si  ri- 
«  traevano,  se  non  dopo  aver  manomesso  uomini  e  cose.  Il  iVa- 

<  ^ioììfde  fu  prediletto  bersaglio  dei  soldateschi  furori.  11  povero 
a  Spaventa  fu  in.sultato,  in  un  caffè;  0  minacciato,  parecchie 
«  volte,  della  vita,  non  da  uno,  ma  da  molti  ufficiali.  Alla  pre- 
«  potenza  ed  al  sopruso,  il  valoroso  giovane  opponeva  il-xon- 
«  tegno  sereno  ed  imperturbabile  di  chi  sa  di  patire,  per  la 
«  causa  del  diritto  e  dt;lla  liberta.  La  narra/ione  dei  fatti  di 
a  Calabria  avea,  segnatamente,  il  privilegio  di  commuovere, 
«  a  fiero  sdegno, quegli  uffìziali.  Essi  non  sapevano  perdonare,  al 
«  giovane  scrittore,  la  franca  imparzialità,  con  cui  egli  giudi- 
«  cava  le  gr-sta  del  general  ì  Nunziante  e  de'  suoi  commilitoni. 
«  Ad  ognuno,  si  spezzava  il  cuore,  rammemorando,  che,  mentre 
«  siffatti  scandali  contristavano  Napoli ,  altri  soldati  Italiani 
€  spargiivano,  eroicamente,  il  sangue,  per  la  Italiana  nazionalità. 
«  Mentre,  nella  Calabria,  ferv+jva  la  guerra  civile»,  in  Lombar- 
«  dia,  i  Piemontesi  combattevano  lo  straniero.  \ai  pensiero  , 
«  però,  leniva,  di  qualche  conforto,  il  giusto  e  sacro  dolore: 

<  quello  del  glorioso  decimo  di  linea,  che  gareggiava  di  valore. 


—  510  — 

«  coi  soldati  di  Carlo  Alberto;  e  dei  valorosi  volontari,  guidati 
€  dal  prode  Rossaroll.  Ed  1  Napoletani,  con  amaro  compiaci- 
<  mento,  apprendevano,  che,  fra  i  martiri  della  Italiana  indipen- 
«  denza,  caduti  nella  pugna,  fosse  il  loro  concittadino,  Leopoldo 
€  Pilla,  ornamento  splendidissimo  della  Italiana  geologia.  Uomo 
€  di  nobili  atfetti  e  di  rara  virtù,  che,  mortalmente  ferito,  da 
«  palla  tedesca,  periva,  a  Curtatone,  quasi,  ad  attestare,  alTItalia, 
«  che  Napoli, al  numero,  riparava,  con  la  qualità,  e  dava,  alla  pa- 
€  tvìii  comune,  uno  de'  suoi  figliuoli  più  illustri  e  più  bene- 
€  meriti.  »  — 

(384)  Un  vero  e  formale  riconoscimonto  del  Regno  di  Sicilia, 
per  parte  di  Francia  o  d'Inghilterra,  non  ebbe,  mai,  luogo.  Vero 
è,  che  Mariano  Stabile,  per  indurre  il  Parlamento  Siciliano,  ad 
eleggere  il  Duca  di  Genova,  annunziò,  che  Francia  ed  Inghil- 
terra avevano  promes<:o  di  prontamente  riconoscer©  il  nuovo 
Regno  ed  il  nuovo  Re.  E  la  condotta  equivoca,  doppia,  degli 
Ammiragli  Parker  e  Bandi n,  che  facevan  trafsportare,  a  Geno- 
va, su  legni  da  guerra,  inglesi  e  francesi,  gl'inviati  a  Re  Carlo 
Alberto  ed  al  figliuolo,  doveva,  naturalmente,  suscitare  molte 
illusioni. 

(385)  Giuseppe  de  Simone  nacque ,  in  Napoli,  il  6  ApnVe 
1811,  da  Marco,  che  fu  Consigliere  della  Gran  Corte  de'Conù 
di  Napoli,  e  dall'Olimpia  Celebrano,  esercitò  ravvochoria,  pur 
attendendo  alle  lettere.  Giovano  di  sensi  libéralissimi ,  aveva 
fatto  stampare,  per  mezzo  della  Ilaria-Teresa  Oozzadini  (vedi 
l'opera,  citata,  nella  2ò^  di  queste  note,  a  pag.  290-92  della  se- 
conda edizione,  Bologna  1874),  suìV Ausonio  (Vedi  la  17.*  di 
queste  note),  un  suo  scritterello  :  Dc/la  moralità  politica^  nel 
Regno  delle  Bue  Sicilie.  Era  membro  del  comitato  liberalo,  pre- 
sieduto dal  Bozzelli  ;  e  fu  tra'  promotori  ed  organatori  della 
dimostrazione  del  29  gennajo  1818.  Dal  ministero  Trova,  fu 
nominato  Segretario  Generale  dell'Intendenza  di  Bari;  e,  po- 
scia, designato  Capodivisione  al  Ministero  dell'Interno.  Com- 
preso nel  processo  del  15  maggio  ,  fu  amnistiato ,  con  molti 
altri.  Imprigionato,  più  volte,  da  ultimo,  nel  1859,  benché  in- 
fermo, fu  imbarcato,  di  notte,  per  la  Toscana.  Rimpatriò,  nel- 
r  agosto  1860.  Il  19  ottobre ,  fu  nominato  consigliere  della 
Gran  Corte  de'  Conti  di  Napoli;  nell'agosto  18G2,  Consigliere 
della  Corte  de'  Conti ,  a  Torino;  il  27  settembre  (non  avendo 
potuto  restare  a  Torino,  per  ragion  di  salute)  Consigliere  della 


—  511  — 

Corte  d'Appello  dì  Napoli;  il  6  novembre  1872,  Sostituto  Procu- 
rator  Generale  reggente  nella  Corte  di  Cassazione  di  Napoli  ;  il 
22  dicembre  1872»  Consigliere  della  stessa  Corte  di^  Cassazione; 
il  12  giugno  1881,  Senator  del  Regno.  Ha  pubblicati  molti  la- 
vori e  di  vario  genere.  Suo  zio,  monsignor  Antonio  de  Simone 
(figliuol  di  Gregorio),  Arcivescovo  di  Eraclea  e  correttoi'e  della 
santa  casa  degf  Incurabili,  nel  1843,  trovavasi  antico  cappel- 
lano di  Camera  del  Re: -ed  era  stato  nominato  confessore  del 
Re,  dopo  la  cacciata  di  Monsignor  Code.  Cessò  di  vivere,  in 
età  molto  avanzata,  nel  1873. 

(386)  Felice  del  barone  Giovannantonio  de  Antonellis,  di  Pa- 
terno (Principato  Ulteriore)  reo  di  ussoricidio,  commesso  il  14 
febbrajo  1837 ,  dopo  diciassette  giorni  di  matrimonio ,  venne 
condannato  a  morte,  dalla  Gran  Corte  Criminale  del  Principato 
Ulteriore ,  nel  1838  :  la  vittima  avea  nome  Angiolina  del  fu 
Giuseppe  de  Rosa,  legale,  e  della  Marianna  Zarrillo  ed  era  dì 
Napoli.  Respinto  il  ricorso  per  annullamento,  il  Barone  Giuseppe 
Poerio,  suo  difensore,  sollecitò  ed  ottenne,  per  lui,  la  grazia 
della  vita,  nel  1839.  Ferdinando  II,  nell'udienza,  accordata  al 
Poerio,  in  un  giardino  (ma  non  rammento,  in  quale  residenza 
reale)  protestossi  di  far  la  grazia,  perchè  il  Poerio,  caldamente, 
la  desiderava,  senza,  però,  credere  ned  alla  innocenza  (ferma- 
mente propugnata  e  creduta  dal  Poerio)  ued  alla  scusabilità  del 
condannato.  Vedi  le  3egu:mti  stampe: 

I.  -^  Discorso  I  pronunziati  |  dall' avvocato  barone  Giuseppe  Poe^ 
rio  I  all'udienza  |  della  GranCor te critninale  del  Principato ul- 
tenore  \  sedente  in  Avellino  \  nella  tornata  del  io  settr,mhre 
1838  I  in  difesa  \  di  Felice  de  Antonellis  |  accusai)  di  conjiigi- 
cidio  premeditato.  \\  Napoli  \  Stabilimento  letf erario-tipografico 
dell'Ateneo  |  Sedile  Capuano  iV:°  2i.  \  MDCCCXXXIX. 

II.  —  Derisione  \  di  |  Condanna  alla  pena  di  morte  \  pronun- 
data  I  dalla  G.  C.  criminale  sede i ite  in  Avellino  \  cjntì'o  \  Fe^ 
lice  De  Antonellis  \  come  reo  di  omicidio  volontario  in  perso* 
na  del  conji'.ge  \  con  note  \  ad  uso  della  Corte  suprema  di 
giustizia  \\  ....[ut  supra]. 

III.—  Mi'morta  \  in  \  sostegno  del  ricorso  per  annullamento  \  di 

I  Felic'j  De  Antonellis  \  condannato  alla  pena  dimorfe  |  dalla 

Gran  Corte  criminale  del  Principato  ulteriore  \\  ...[ut  supra]. 

IV.  —  Arresto  \  della  \  Corte  suprema  di  Giustizia  \  Pronunzia- 
to il  dì  i9  Giugno  1839  \  nella  causa  \  di  Felice  De  Antonel- 


—  512  — 

lis  di  Patierno  \  Condannato  a  morte  \  dalla  \  Gran  Corte  Cri- 
minate  I  di  Principato  ulteriore  |]  Napoli  \  Presso  i  fratelli 
Manfredi  \  1839. 

(387)  Invece  di  Giacomo  Bavarese  ,  nel  distrati»  di  Napoli , 
fu  eletto  Rosario  Giura,  già.  Procuratore  generale,  naorto,  poi, 
esule,  a  Nizza  Marittima,  nel  1853  o  nel  1854.  Invece  del  De 
Biasio  ,  nel  distretto  di  Reggio ,  venne  eletto  Felice  Musitano. 

(388)  Lavello,  cioè:  Nicola  Caracciolo,  Duca  di  Lavello;  cioè: 
il  figliuolo  primogenito  del  Principe  di  Torella  (vedi  la  120.* 
d'este  note).  Ancora,  vive;  ed  è  succeduto,  da  un  pezzo,  al  padre, 
nel  titolo  di  principe  di  o  della  Torella,  che  dir  si  voglia. 

(389)  Ho  incontrato  insuperabili  difficoltà  a  procacciarnii  co- 
pia di  questa  letteia,  pubblicata,  allora,  sul  Tempo,  Le  colle- 
zioni di  quel  giornale,  che  si  conservano,  nella  biblioteca  mu- 
nicipale Gnomo  e  nella  biblioteca  Nazionale  di  Napoli,  mancano, 
tutt'e  due,  de' numeri  del  luglio.  Quella  della  Biblioteca  Cjftomo 
comincia,  col  settembre;  quella  della  Nazionale,  con  l'agosto.  — 
«  Il  Tempo  (fondato  da  Carlo  Troya,  da  Ruggiero  Bonghi,  da 
«  Camillo  Caracciolo,  da  Achille  Rossi  e  da  Saverio  Baldarcfii- 
«  ni)  fu  il  banditore,  coscienzioso  e  sagace,  de'yeri  principi  i/- 

a  berali,  finché  i  suoi  compilatori  non  V  ebbero  abbandonato. 
«  Dopo  il  15  maggio,  passò  nelle  mani  di  un  francese.  Il  quale 
«  accettò  di  difendere  ,  con  vistoso  emolumento  ,  la  causa  del 
«  Ministero.  E,  d'allora  in  poi ,  quel  periodico  fu  il  Monitore 
«  Ufficiale  di  tutte  le  rabbie  reazionarie;  l'Omero  della  Iliade 
<L  delle  incostituzionalità  ministeriali.  »  —  Cosi  il  Massari.  — 
Questo  francese  si  chiamava  Thomas  d'Agiout.  Non  so  se  lui 
od  un  suo  figliuolo  è  l'  autore  di  certi  cattivi  versi  francesi  : 
Les  Réves  \  Premicres  Poénies  \  par  |  Alexandre  Thcnas  d'A- 
giout\\NapIes  \  Ètablissement  Poligraphiquc  de  V  Italie  j,  26^ 
Rue  Nilo  I  i863.  Que  Thomas  è,  credo,  cognome;  e  quel  d' A- 
giout ,  aggiunto  ,  per  fregola  di  parer  nobiluomo  ,  coui'  ti^ezzo 
volgare  in  Francia.  D'Agiout:  non  d*AnjoUy  come  nisca  il  Nisco. 

(390)  Fraiicusco  Orioli,  da  Vallerano  nel  Viterbese,  ava,va  fi- 
gurato, come  uno  dei  capi  del  moto  del  1831,  in  Bolo£.j.a;  e, 
come  tale  ,  aveva  decretato  la  decadenza  del  papato.  Fù^  vio 
dei  trentatrè  eccettuati,  dall'  amnistia  di  que'  tempi;  ed  aveva 
vissuto  esule,  nelle  isole  Jonie,  fino  all'amnistia  del  1846,  quan- 
do, trattosi  a  Roma,  vi  aveva  posto  stanza,  con  la  famiglia. 

(391)  Luigi  Farini,  da  Russi.  Ognun  sa,  quanta  parte  avessa 


—  513  — 

ne*  rivolgimenti  Italiani.  Fu  dittatore,  neirEmilia;  e  ne  procac- 
ciò l'annessione,  agli  Stati  Sardi,  nel  1859-60.  E,  quando,  allora 
l'ass  smblea  dell'Emilia  gli  offrì  un  decente  appannaggio,  lo  re- 
spinée,  con  le  superbe  parole:  Lasciatemi  la  gloria  di  morir  po- 
vero. Ma,  quando,  dopo  essere  stato  luogotenente  del  Re,  nelle 
provincia  meridionali ,  ed  essendo  presidente  del  Consiglio  de* 
Ministri,  la  sua  intelligenza,  già,  tanto  splendida,  si  fu  spenta,  la 
famiglia  gliela  invidiò,  questa  gloria,  ed  accettò  la  larga  dona- 
zione, che  fu  proposta,  al  Parlamento,  dal  Minghetti,  suo  suc- 
cessore, nella  Presidenza  del  Consiglio.  Ecco,  come  e  perchè, 
ora,  il  signor  Domenico  Farini  si  trova  ricco.  Il  quale  ,  poi, 
avendo  dato  la  sua  dimissione  da  Maggiore  di  Stato  Maggiore, 
per  essere  stato  saltato,  in  una  promozione,  divenne,  come  suole 
accadere,  in  Italia,  di  ogni  persona  di  scarto,  membro  della  Si- 
nistra. E,  nella  Sinistra  e  sotto  il  governo  della  Sinistra,  è  di- 
ventato persona  importante.  Grande  Ufficiale  del  Regno,  come 
Presidente  della  Camera  de'deputati  (Ufficio,  che  ha,  sempre, 
retto,  con  prepotenza  e  parzialità,  ed  in  modo,  che,  solo ,  la  pe- 
coraggine innata  degl'  Italiani  ha  fatto  sopportare).  Ma  poggi 
quanfalto  vuole!  Diventi  Presidente  del  Consiglio!  Diventi  Pre- 
sidente della  futura  repubblica  Italiana!  Certo,  non  varrà,  mai, 
le  unghie  di  suo  padre. 

(392)  Carlo  Berti- Pichat  fu  Maggiore  di  un  battaglione  del 
Reggimento  Bignami.  (Vedi  la  341.*  di  queste  note).  Le  fi- 
gliuole dicono,  che  il  suo  carteggio  fu  distrutto,  nel  1849.  Scrisse 
d' agronomia.  Fu  ,  Deputato  nel  Regno  d' Italia  ;  ed  è  morto , 
Senatore  del  Regno,  nel  1877.  Può  vedersi  il  discorso  necrolo- 
gico ,  fatto ,  su  di  lui ,  dal  Presidente  del  Senato ,  Sebastiano 
Tecchio.  E  l'opuscolo,  pubblicato,  in  Bologna,  presso  i  suc- 
cessori Monti,  1879,  col  titolo:  In  memoriam.  Famiglia  Berti- 
Piehat  [sic].  Io  non  ho  potuto  procacciarmelo. 

(300)  Augusto  Aglebert  aveva,  al  solito,  distrutto  il  suo  car- 
teggio, nel  1849.  Mori,  vecchio,  in  Bologna,  il  29  marzo  1882. 
Ho,  sotto  gli  occhi,  il  discorso,  pronunziato,  nelle  sue  esequie,  dal 
aigno  Enrico  Panzacchi,  che  è  un  mucchio  di  frasi,  dal  quale 
noL  'ni  riesce  di  raccórre  nessuna  precisa  notizia  biografica.  Fu 
r  Aglebert  agitatore  disordinato,  nel  1848;  ebbe ,  poi ,  inge- 
renza molta,  nelle  amministrazioni  locali.  L'ho  conosciuto,  per- 
sonalmente, a  Firenze,  nel  I8G4:  anticlericale  smodato  e  fa- 

33 


—  514  — 

natico,  eli  quelli,  che  ti  riconcilierebbei'O,  persino,  sto  per  dire, 
col  governo  teocratico. 

(394)  Massimo  Tapparelli  d'Azeglio  è  tanto  noto,  che,  a  di- 
chiarar chi  egli  sia,  parole  io  non  ci  appulcro.  Il  Tapparelli,  co- 
me, più  esattamente,  si  avrebbe  a  chiamare,  fu  ferito,  sul  Monte 
Berico,  il  10  giugno.  Nelle  sue  lettere,  al  fratello  Roberto,  che 
abbiamo  presenti,  stampate,  a  Milano,  nel  1882,  ce  ne  ha  due, 
mandate  da  Bologna,  mentre  v'  era  ferito.  Una,  del  giugno, 
dettata  alla  sua  cara  moglie,  Luisa  Blondel;  Taltra,  dell' 11  lu- 
glio. Dopo,  si  ritirò,  per  finire  di  guarire,  nella  villa  Almanzi, 
presso  Firenze. 

(895)  Per  Lnisa^  intende  la  sorella,  Luisa  Parrilli-Sossiser 
gio.  (Vedi  la  20*  di  queste  note).  Pel  nostro  P^ppmo,  intende  Giu- 
seppe Ricciardi.  (Vedi  la  77.*  di  queste  note).  La  Contessa  è 
la  moglie  di  Giulio  Ricciardi ,  Conte  de'  Camaldoli  (figliuolo 
primogenito  di  Francesco)  che  era  figliuola  del  principe  di 
Cariati  (vedi  la  1 15;*  di  queste  note). 

(396)  Caro  questo  eroe,  libero  ed  emancipato,  soprattutto  dal- 
le leggi  dell'  ortografia  e  della  sintassi ,  il  quale  osa  far  rim- 
provero di  servilismo,  alla  Camera  Napolitana,  che  dette  cosi 
memorando  esempio  del  vero  coraggio  civile,  assai  più  à^^iwr 
giare,  che  non  sia  il  coraggio  militare,  del  quale  esso  prelo- 
dato eroe,  malgrado  il  suo  titolo  di  Generale,  non  ha,  mai,  ch'io 
sappia,  avuta  occasione  di  dare  splendide  pruove!  ^Ma,  alle  per- 
sone  temperate,  che  procedono,  secondo  coscienza,  senno  e  ra- 
gione, è  lode,  sempre,  l'insulto  degli  sconnessi  e  dappochi. 

(397)  [pag.  i78^  Giovanni  la  Cecilia,  uno  de'  piìi  disonesti  agi- 
tatori del  1848  e  più  intemperanti.  Uno  di  quelli,  che.  Capitano 
della  Guardia  Nazionale,  spinse  alla  costruzione  delle  barricate;  e 
non  seppe,  poi,  difenderle  o  morirvi.  E,  come  suole  accadere,  a  si- 
mil  gente,  che  è  mossa  da  istinti  bestiali,  da  passioni  o  da  cu- 
pidigie, non  da  ragione  e  da  coscienza,  dopo  aver  fatto  l'esal- 
tato repubblicano,  in  apparenza,  sino  alla  vecchiaia  (non  senza 
sospetto,  però,  di  appartenere,  talora,  alla  Polizia),  è  morto,  un 
tre  anni  fa,  scrivendo  gli  articoli  di  fondo,  pel  giornale  clerica- 
le-borbonico La  Discussione.  I  servili  della  Camera  sono  ri- 
masti, sempre,  costanti  e  fermi  nelle  loro  opinioni. 

(397  bis)  [pag,  i82\  Era  stato  antico  desiderio  del  barone 
Giuseppe  Poerio  di  scrivere,  minutamente  e  per  esteso,  le  sue 
Memorie  ,  che  sarebbero   riuscite   un  libro  attraentissimo  ed 


—  515  — 

importantissimo.  Morendo,  raccomandò,  nel  testamento,  a'  fi- 
gliuoli, di  compiere  questo  suo  desiderio,  raccogliendo  ogni  mi- 
nuta notizia,  dalla  bocca  di  colei,  che  gli  era* stata  compagna, 
per  quarantaquattro  anni,  e  per  la  quale  non  aveva  avuto,  mai, 
pensiero  alcuno  secreto.  Lui  morto,  il  figliuolo  Carlo  ne  scris- 
se una  breve  biografia,  che  può  leggersi,  nell'opuscolo,  indicato, 
nella  19.*  di  queste  note:  la  quale  accende  il  desiderio  di  esse 
memorie  ed  il  rimpianto ,  che  non  sieno  state  scritte.  Ma  la 
malattia  terribile  di  Alessandro  e  le  ripetute  prigionie  di  Carlo 
fecero  si,  che  il  pensiero  non  potesse,  mai,  incarnarsi.  Poi,  ven- 
ne il  48  :  Alessandro  mori  ;  Carlo  fu  tutto  assorto  dalla  vita 
pubblica  ed  andò,  poi,  in  galera.  Quando  egli  ne  fisci,  rotto 
nel  corpo  e  non  piii  capace  di  lavoro  assiduo  ,  la  madre  era 
morta,  da  molti  anni. 

(398)  [pag.  592]  Questo  articolo ,  firmato,  da  Adalberto  de 
Beaumont,  ed  intitolato  La  Regata  d'après  les  dessins  de  MM. 
Eugenio  Rosa  et  Adalbert  de  Beaumont^  può  leggersi,  a  pag. 
250-53  deir  XI  tomo  de  V  Ilustration  (marzo-agosto  1848)  e^ 
propriamente,  nel  numero  di  sabato,  17  giugno. 

(398  bis)  [pag.  193]  Si  racconta,  che,  a  Nicola  Capasso,  celebre 
giureconsulto  e  valoroso  verseggiatore  Italiano,  latino,  napo- 
litano e  maccaronico ,  un  tale  presentasse  due  sonetti ,  scritti 
sul  medesimo  argomento  di  non  so  che  matrimonio  o  mona- 
cazione, domandandogli,  che  decidesse,  quali  dei  due  aveva  da 
stampare.  Il  Capasso  ,  lettone  un  solo ,  rispose  :  —  «  Stampa 
4L  l'altro  !  >  —  «  Oh!  come!  o  se,  Taltro,  non  Tavete  letto?  »  — 
«  Peggiore  di  questo  non  può  essere.  »  —  Onde  la  frase:  stampa 
Valtro^  è  diventata  proverbiale,  in  Napoli. 

(399)  Per  Enrico  Poerio,  vedi  la  34.*  di  queste  note. 

(400)  Ho  fatto  richiedere,  or  son  due  anni,  al  signor  Antonio 
Mordini,  le  lettere,  scrittegli,  dal  Poerio.  Ed  egli  rispose,  al 
mio  ambaiciadore,  di  averle,  ancora;  ma,  nel  suo  paesello  natio, 
in  Toscana,  a  Barge,  se  non  erro.  Le  cercherebbe,  tornandovi, 
nella  state;  e,  poi,  me  le  farebbe  avere,  o  nell'originale  od  in 
copia.  Ma,  finora,  non  ho  avuto  nulla.  E  la  lunga  malattia, 
che  m'indusse,  prima,  a  diradare  il  numero  di  queste  note  e, 
poi,  a  sospendere,  per  un  anno,  l'estensione  di  esse  e,  finalmen- 
te ,  mi  obbligò  a  stenderle ,  per,  pur,  mandar  fuori  il  volume, 
in  pili  breve  forma  e  men  soddisfacente  di  quella  ,  che  aveva 
ideato,  mi  ha  tolto  di  rinnovare  le  istanze. 


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(401)  Èvideutementa,  un  dato  è  rimasto  nella  penna.  La  let- 
tera, del  resto,  è  scritta,  con  mano,  discretamente,  ferma,  non 
dissimile,  da  quella  delle  altre  sue  precedenti,  quando  tirava 
giù,  in  fretta,  sebbene  il  Poerio  fosse  stato,  allora  allora,  ancu 
putato  e  fosse  uomo  nervosissimo  e  dovesse,  indi  a  poco,  spirare^ 
nelle  atroci  sofferenze  del  tetano.  Sulla  copertina  del  presente 
volume ,  è  dato  un  discreto  facsimile  di  questa  letterina.  Lo 
stemma ,  che  vi  è,  pur,  disegnato,  è  quello,  concesso,  a  Giuseppe 
Poerio,  da  Re  Gioacchino,  con  diploma  del  25  marzo  1813;  e» 
cosi,  descritto,  in  esso  :  —  «  Uno  steccato  rosso,  colle  punte  di 

<  ferro,  in  campo  azzurro.  L'interno  dello  steccato,  diviso,  òriz- 
«  zontalnàente,  in  due  parti  ineguali,  da  una  fascia  d'oro:  nella 
€  parte  inferiore,  un  compasso  d'oro,  aperto;  fra  le  gambe  dello 
«  stesso, una  rosa  d'argento;  dai  lati,  due  stelle ,. parimente, 
«  di  argento.  Il  Capo  dello  scudo  dei  Baroni,  scaccato  argento 
€  e  vermiglio.  >  —  Le  caselle  dello  scaccato  sono  trentanove  » 
in  tutto:  tredici,  orizzontalmente,  e  tre,  verticalmente;  le  ango- 
lari, d'argento.  Ecco,  come  Mariano  d'Ayala,  sulle  relazioni, 
fattegli,  da'presenti,  narrava  il  fine  di  Alessandro  Poerio: — tSa- 
€  pendo  il  generale  supremo  i  pericoli,  cui  Alessandro  àespo- 
€  neva ,  temendo,  non  si  perdesse  una  vita,  tanto  preziosa  ai- 

<  l'Italia,  giudicò  risparmiarlo,  non  facendogli  saper  nulla  della 

<  seconda  uscita  del  22  di  ottobre,  contro  il  posto,  tenuto  da' 
«  Tedeschi,  nel  villaggio,  detto  il  Cavallino.  Poerio,  poi  che,  la 

<  sera  innanzi,  l'ebbe  saputo,  se  ne  dolse,  tanto,  con  Pepe,  che, 

<  in  pubblico  ritrovo,  ne  pianse.  Cosicché  non  ci  fu  verso  a  cai- 

<  marlo;  e  bisognò  promettergli,  condurlo  seco.  Alla  domane, 

<  arrivato  il  generale,  al  forte  Treponti,  da  dove,  già,  la  schie- 

<  ra  era  mossa,  Alessandro,  insieme  con  altri  due  compagini, 
«partirono,  per  raggiungerla.  Ma  era  tanta  la   foga   di    lui, 

<  perchè  giungesse,  a  tempo,  per  combattere,  cogli  altri,  che, 
€  non  guardando  il  diffìcile  terreno ,  che  percorrer  dovea ,  si 
€  frettolosamente,  s'inboltrò,  sopra  stretto  e  cretoso  argine,  che, 
a  mancandogli  il  passo,  precipitò,  nel  fiume  Sile  :  da  dove  fu 
«  tratto,  in  salvo,  dai  suoi.  Deplorava  egli  tale  incidente,  poiché 
€  \o  ritardava;  senza,  punto,  por  mente,  al  passato  pericolo.  Con- 

<  tontissimo  fu,  poi,  nel  sapersi  compreso,  fra  gli  ufiìziali,  che 

<  seguir  dovevano,  il  27  di  ottobre,  il  supremo  capitano,  nella 

<  gloriosa  irruzione  contro  Mestre.  E,  poiché  qualcuno  di  essi 

<  domandò,  per  favore,  di  uscire  e  raggiungere  la  schiera  di 


—  517  — 

<  destra,  per  trovarsi,  al  primo  assalto,  Alessandro,  profittando 
€  di  tal  permesso,  dal  generale  accordato,  lo  domandò,  anch'e- 
«  gli.  E  r  ottenne.  Cosi ,  in  compagnia  di  Damiano  Assanti , 
€  raggiunsero  i  combattenti,  quando,  già,  si  accendeva,  più  dav- 

<  vicino,  il  fuoco  dei  posti  avanzati.  Che,  essendo  stato  di  po- 
nchi ssima  durata,  per  l'impetuosa  violenza  de' nostri ,  Ales- 

<  Sandro  fu,  co'  primi,  a  saltar  suU'abbarrata  nemica,  la  quale 
€  era  difesa,  da  circa  700  Austriaci  e  da  due  cannoni,  vomi- 

<  tanti  la  gragnuola.  La  steccata  fu  presa,  per  bajonetta.  Ed 
«  il  nemico,  difeso,  da  serragli  e  da  mura,  si  salvò,  colla  fuga^ 
«  lasciando,  in  nostro  potere,  i  due  pezzi  d' artiglieria  e  molti 
€  morti  e  feriti.  Ma  fiero,  sempre,  ed  ostinato  e  valoroso,  volle, 

<  in  quel  giorno,  insegnar,  coll'esempio,  che  deve  saper  morire 
€  chi  vuol  viver  libero.  Ed  ognuno  ripeteva,  nel  vederlo,  do- 
€  v'era  più  atdente  la  zuffa,  i  suoi  versi  :  Non  fiorii  non  car' 

<  mi, Ma  il  suono  sia  d'armi, Ma  i  serti  sien  Vopre,  E, 

€  in  quell'ardimentoso  assalto,  Alessandro  venne,  per  la  prima 
«  volta,  colpito,  sotto  la  rotula  del  ginocchio  destro,  da  palla 
«  di  moschetto ,  la  quale,  perchè  fredda ,  non  gli  apportò  che 
€  forte  contusione.  Il  colonnello  Zambeccari  ed  Assanti,  che 

<  lo  videro  abbassarsi,  subito,  gli  tolsero,  lo  stivale ,  per  esa- 
€  minare,  se  ferito  fosse.  Ma  egli,  vedendo,  che  non  sanguinava, 
€  di  subito,  levossi,  gridando:  Avanti,  compagni!  Viva  l* Italia  \ 
€  Né  valsero  le  premurose  persuasioni  di  que'  due  suoi  intimi 
camici,  che,  vedendolo  soffrire,  ogni  studio  ponevano ,  per 
«  farlo  rientrare,  nel  forte.  Perocché,  sempre,  ostinato,  rispon- 
€  deva:  OrOy  che  superato  abbiamo  la  barricata,  sto  meglio,  di 

<  prima.  Cosi,  dicendo,  insieme  con  gli  altri,  avanzava,  celere- 
€  mente,  verso  il  punto,  dove  la  zuffa  «ra,  più,  ostinata,  doT6 
«  gli  Austriaci,  riuniti,  resistevano,  in  modo  indicibile,  serven- 

<  dosi  de'  soli  due  pezzi,  che  menavano  innanzi ,  con  cui  non 
€  desistevano  di  fulminare  la  scaglia.  Gii  Austriaci ,  anche 
-€  là ,  neir  ultimo  loro  ricovero  ,  furono,  da'  nostri  valorosi , 
«  snidati,  con  la  bajonetta;  e  si  salvarono,  a  gambe,  precipito- 
€  samente,  lasciando,  in  potere  de' nostri,  artiglierie,  munizioni, 
«cavalli  e  molti  prigionieri.  Ma,  là,  presso  il  ponte  della 
€  piazza  di  Mestre,  il  nostro  Alessandro,  tradito,  a  prova,  dalla 
«  sua  corta  veduta  e  dalla  nebbia  foltissima  notturna,  e  conti- 
€  nuando  ad  avanzare,  intoppò  il  nemico.  E  fu  colpito,  la  se- 

<  oonda  volta,  da  una  scheggia,  nel  medesimo  posto,  dove  l'avea 


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«  contuso  la  palla  di  moschetto.  Sventuratamente,  questa  fiata^ 
€  il  colpo  non  rispettò  il  prode  e  sommo  Italiano.  Egli  ne  riportò 
€  la  rottura  della  gamba  destra  e  la  totale  fratturazione  della 
€  giuntura ,  oltre  a  una  ferita,  in  testa,  per  fendente  di  scia- 
€  boia,  ch'ei  credeva  la  ferita  mortale.  Cadde,  tra'  combattenti, 
€  che  inseguivano  il  nemico,  gridando:  Viva  V  Italia  \  £  si  già- 
€  ceva,  nel  suo  sangue,  per  quasi  mezza  ora,  quando  venne  rac^ 
€  colto,  dal  generosissimo  colonnello  Cosenz,che,  in  quella  splen- 
€  dida  fazione ,  grande  pruova  diede  del  suo  sommo  ardire  e 
«del  suo  merito  militare.  Gli   furono,  subito,  intorno  tutti  i 
«compagni  d*armi,  chd   lo  amavano,  come  fratello  carissimo. 
«  E,  dolenti,  lo  circondavano,  presso  il  suo  letto.  Ma  egli,  si  or- 
«  ribilmente  ferito  ,  confortava  gli  astanti  con  lieto  aAimo,  di- 
«  cendo:  Mi  resterà  tanto,  da  montare  a  cavallo,  per  combattere, 
«  sempre,  insieme,  cori  voi,  miei  cari  e  prodi  compagni.  Il  chi- 
«  rurgo  maggiore,  professore  Bologna,  consultando  altri,  opinò 
«  doversi,  immediatamente,  operare.  E  Poerio,  senza  fare  alcuna 
«  opposizione,  si  assoggettò,  all'amputazione  di  tutta  la  coscia 
«  non  permettendo,  che  alcuno  lo  tenesse.  11  sangue  freddo^  h 
«  forza  inespugnabile  e  la  rassegnazione,  che  mostrò,  in  quella 
«  penosissima  e  lunga  operazione ,  destarono  maraviglia,  negli 
«  animi  più  forti,  che  eran,  lì,  presenti.  Appena  finito  il  ta^o^ 
«  che  riuscì,  mirabilmente  ,  domandò,  che  gli  si  portasse  la  sua 
«  gamba  tronca.  Ed  avutala,  la  tenne,  per  un  pezzo,  abbracciata. 
«  Poi,  la  ripose,  al  suo  fianco;  e  disse:  Riposa  in  pace.  Quin^, 
«  raccomandò,  al  chirurgo,  che  cercasse  di  ben  prepararla,  per- 
«  che  intendeva  tenerla,  con  sé,  per.  tutta  la  sua  vita.  E  si  con- 
«  tentò,  dimandargli:  Potrò,  cosi,  a  cavallo,  proseguire  la  guer- 
fl^r^\  Dopo  che  il  combattere  fu  finito,  e  le  nostre  armi  ripor- 
«  tjEU^no  compiuta  vittoria,  in  quella  giornata,  passaj.e  in  ras- 
«  segna  tutte  le  milizie,  che  vi  avean  preso  parte,  il  generale 
«  sapremOiu  dolente  della  disgrazia,  toccata,  al  suo  carissimo  A» 
a  lessandro,  si  recò,  a  vederlo,  neiralloggio,  dove  riposava.  Ed 
«  egli,  vedendo  il  generale,  gli  strinse  la  mano,  con  soave  sor- 
«  riso  di  compiacimento;  e  gli  disse:  Ora,  che  abbiamo  vinto, 
«  generale ,  son  contento  di  oMer  perduto  una  coscia.  Io  non 
«  credo  di  sopravvivere;  ma  vi  raccomando,  generale,  non  cre^ 
«  dete,  mai,  a*  Re,  Il  Governo  di  Venezia,  quando  seppe  la  sven- 
,  «  tura  di  Poerio ,  gli  mandò  il  brevetto  di  capitano ,  eh*  egU 
«  accettò,  con  molto  gradimento;  e  disse:  Non  riscuoterò^  mai, 


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<  soldo.  Il  Governo,  in  tutte  le  ore  del  giorno,  mandava  un 
€  usciere,  a  prender  conto  della  salute  di  Poerio.  Scrupolosa- 
«  mente,  adagiato  sopra  una  barella,  su  gli  omeri  dei  vitto- 
€  riosi  ma  esacerbati  compagni,  fu  menato,  come  in  religiosa 
€  processione,  insino  a  Venezia.  E  il  generale  volle,  affettuosa- 

<  mente,  ospitarlo,  sotto  il  proprio  tetto,  in  casa  della  generosa 
€  e  illustre  contessa,  Rachele  Londonio-Soranzo  di  Milano,  che 
€  gli  fu  larga  d'ogni  maniera  di  conforto  e,  poi,  amaramente 
€  e  con  molte  lagrime,  lo  pianse.  I  suoi  amici  e  commilitoni, 
€  che  lo  videro,  in  Mestre,  ferito,  e  in  Venezia,  si  crudamente, 
4L  smembrato,  narrano  tutti,  che,  in  mezzo  agli  spasimi,  intre- 
€  pido,  parlava  della  sua  Patria,  con  quel  forte  affetto,  col  quale 
€  gli  eroi  di  Plutarco  avrebbero   parlato  di   Atene'   e  Sparta. 
€  Ed  ebbe,  in  fatti,  tanta  forza  d'animo,  da  scrivere,  alla  madre, 
€  eh'  era  si  degna  di  cotanto  figlio.  E,  dopo  i  pochi  giorni  di 
€  dolori  atrocissimi,  vide  avvicinarsi  la  sua  fine,  con  la  serenità 
a  del  filosofo  e  dell'eroe,  che  sente  aver  compiuto  i  suoi  sacri 
€  doveri.  E  morì,  nella  certezza  del  vessillo  trionfante  d'Italia* 
<  benedicendo  il  suo  sangue,  dato  alla  libertà  della  sua  Patria 
a  diletta.  E  quando  egli,  pubblicamente,  confessatosi,  ebbe  in- 
€  teso  il  sacerdote,  che  ne  accompagnava  l'anima,  all'altra  Pa- 
«  tria  celeste  ,  e  gli  diceva  le  parole  del  perdono ,  confortane 
€  dolo  a  perdonare  altrui ,  rispose:  Ah  si  /  Io  amo  tutti  !  Amo 
€  r Italia;  odio,  soltanto,  i  nemici  di  lei\  e  spirava,  tranquillo,  il 
«  settimo  giorno  su  le  undici  del  mattino  del  3  di  novembre. 
€  La  quale  tristissima  novella,  portata  di  bocca  in  bocca,  com- 
«  mosse  tutto  il    popolo  culto   e  patriotico  di    Venezia,  dal 
€  quale  era,  universalmente,  conosciuto  e,  grandemente,  stimato 
€  Alessandro  Poerio.  Il  giorno  dopo,  fu  onorato  di  esequie  tc^ 
«  lenni,  alle  quali  intervennero  il  supremo  capitano,  i  dita- 
€  dini  del  governo,  gli  uffizi  ali  e  gran  folla  di  popolo.  >  — 

(402)  Questa  poscritta  è,  veramente,  indegna.. II  Pepe  do- 
veva conoscere  l' alta  donna ,  cui  scriveva  :  al  cui  dolor  ma- 
terno, non  sarebbe  stato  sollievo  un  atto  infame,  che  avrebbe» 
del  resto,  resa  esecrata  la  memoria  del  suo  figliuolo.  Ned  il  Pepe 
era  uomo,  da  commettere  un'  azione  cosi  nefanda  ;  nò  di  pen- 
sarvi, sul  serio.  Ma  le  nature  meno  elette  debbono  manifestar 
la  qualità  della  creta  loro,  almeno,  nelle  parole. 

(403)  Segue  la  lista  di  coloro,  che  si  erano,  più,  segnalati: 
fra' quali,  il  Poerio. 


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(404)  Ne  fu  autore  un  certo  abatino  Rambaldi,  che,  nel  48, 
orò,  anche,  pubblicamente,  a  Roma,  in  Campidoglio;  e  che  non 
dev'esser  morto,  da  lunga  pezza,  avendolo  io  conosciuto,  perso- 
nalmente ,  nel  1866 ,  a  Treviso ,  in  casa  del  Commissario  del 
Re,  Rodolfo  d'Afflitto.  La  sua  orazione  funebre,  ch'io  non  pos- 
seggo, trovasi,  nella  Marciana;  ed  ha  questo  titolo:  Sulla  salma 
del  prode  Alessandro  Poerio  di  Napoli,  cofonlÈlrtò  nello  Stato 
Maggiore,  questi  cenni  recitava  Vàb,  G.  B.  Ramhaldi  di  Tre- 
viso, il  mezzodì  del  4  Novembre  1848,  nella  chiesa  di  S.  Ste- 
fano, {Venezia,  coi  tipi  di  P.®  Naratovich,  1848),  È  un  discor* 
setto  di  cinque  pagine,   senza  il  menomo  particolare  sul  de- 
funto. Vi  si  ripete  la  frase  dell'ordine  del  giorno,  ch'egli  mori, 
come  un  eroe  di  Plutarco  (Alessandro  Poerio,  cristiano  !)  Del 
resto,  retorica  volgare;  le  solite  generaUtà  patriotiche,  proprie  del 
tempo.  Alessandro  Poerio  fu  sepolto,  nella  tomba  de'Paravia  (che 
avevan  conosciuto  il  Poerio,  in  casa  Papadopoli)  nel  camposanto 
di  Venezia.  E  gli  fu  apposta  la  iscrizion  seguente: 

Qui  •  RIPOSA  •  accolto  •  nell'  •  amica  •  tomba  •  i»ei  •  Paravu  • 
Alessandro  •  Bar.  •  Poerio  •  di  •  Napoli  •  che  *  dati  •  all'-Italm  • 

il  •  cuore  •  GLI  •  STUDI  *  LO  '  ESILIO  *  PER  *  ESSA  "    MILITB  * 
VOLONTARIO  '  MORÌ  *  DI  *  FERITE  '  TOCCHE  '  IN  *  MeSTRB  ' 

IL  •  XXVII  •  Ottobre  •  mdcccxlviii  •  di  •  anni  •  xlvi  • 
Alcune  •  veneziane  •  sorelle  •  allo  •  estinto  * 

NELL'  •  AMORE  •  della  *  PATRIA  *  CON  *  PIETOSO  '  DOLORE  * 
COMMISERANDO  *  LA  *  MADRE  *  LONTANA  * 
CHE  •  PIÙ  •  NON  •  LO  •  ASPETTA  *  POSERO  *  QUESTA  *  MEMORIA  ' 

Alessandro  Poerio,  uno  tra'  primi  lirici  del  secolo,  esempio 
raro  di  virtù  cittadine,  non  ha  monumento  alcuno  o  ricordo, 
in  quella  Napoli,  che  permeate  d'innalzarne,  nel  più  cospicuo 
luogo  della  sua  marina,  ad  uno  strimpellator  di  pianoforte  stra- 
niero (Thalberg).  Sarei,  quasi,  tentato  di  dir:  tanto  meglio  !  Per- 
chè le  onorificenze,  votate,  senza  criterio  ed  a  fascio,  da  co- 
siffatti epìgoni,  son,  quasi,  ingiuria.  Che   dico:  quasi?  Sono 
ingiuria  espressa.  Reste  plutot  non  plaint,  que  plaint  d^indi' 
gnes  larmes!  I  pochi  buoni  diranno,  però,  sempre,  di  lui,  che 
fece  tutto  il  suo  dovere,  più  che  lo  stretto  dovere  formale.  Cosa 
rara,  dovunque  ed  ognora. 


—  521  — 

Carlo  Poerìo  (Vedi  la  nota  2*)  è  sepolto,  in  Pomigliano  d'Arco: 
ma  il  cuore  di  lui  8Ì  conserva,  nel  camposanto  di  Poggìoreale 
a  Napoli,  dove  il  Municipio  lo  ha  raccolto,  in  un  monumentino, 
E,  nel  camposanto  istesso,  riposano  gli  avanzi  de*  genitori  di  en- 
trambi. Ma  nello  ipogeo  della  cappelluccia  Imbriani-Settem- 
brini,  comune,  un  tempo,  a*  Poerìo  (i  cui  dritti  son  passati,  per 
eredità,  negriàibriani)  ed  a*  Parrilli  (che  han  venduto  i  dritti 
loro,  al  figliuolo  di  Luigi  Settembrini,  portando  via  i  morti  loro). 
Ivi,  si  legge  r  iscrizione  seguente,  pel  barone  Giuseppe  Poerìo  : 

HBIC  JACET  lOSEPH  POERIVS,  DOMO  TABERNA  BRVTIORYM, 

NOBILI  GENERE  ORTVS 

NOBBLIORE  INGENIO  ATQVE  ANIMO  PRAEDITVS 

SVI  TBMPORIS  ORATORVM  PRINCEPS  CONSTANS  LIBERTATlS  ADSERTOB 

IN  SVOS  IN  AMICOS  IN  PATRIAM  PERPAYCORVM  HOBfINVM  HOMO 

N.   POSTRIDIE  NON.   JAN.   A.  MDCCLXXV. 

DEN.  XVin.  KAL.   SBPT.  A.  MDCCCXLni. 

j       DB  TANTO  NOMINE 

HAVD  PRIVATVS   TESTIS  NEDVM    BREVE   AG  RVDE  MABMOR 

SED  FIDES  PVBLICA   ET  TABVLARIA  POPVLI 

SOLLEMNESQYE  SVI  AEVI  ANNALES   CONSVLBNDi: 

SCIUGBT  PVDET  NECESSARIOS  DICERB  LAVDES 

DB  MAXVMIS   VIRIS  DIGNIS  VNICE  ET  POLLENTIBVS 

PVBLICI   TESTIMCNH  HONESTA  AVCTORITATE. 


PAVLLVS  AEMILIVS  IMBRIANI  SOCERO  ABI^iNTISSIMO 

SEOVNDO  ET  TRIGESIMO  AB  BXITV  EJVS  ANNO 

CIVILIBVS  DEMYM  VNDIS  EMERSVS  ITALIA  RESTITVTA  P.  0. 

DBVINCTVS  ADMIRATIONE  VIRTVTIS  ET  MEMOR  TESTIMONn  AMCHtIS 

QVOD  SVPREMAS  CONDENS  TABVLAS  DE  GENERO  ET  FILIA  PERHXBVTr* 

E  da  notare,  su  quel  domo  Tabema  Brutiorum  del  primo 
verso,  che  il  padre  di  Giuseppe  Poerio  era  patrizio  di  Taverna: 
ma  Giuseppe  Poerio  nacque,  proprìamente  ,  in  Belcastro,  pa- 
tria della  madre.  Ecco,  poi,  la  iscrizione  della  Qaroìina  Poe- 
rio-Sossisergio;  ch*ò  presso  quella  del  marito,  nello  stesso  ipo- 
geo della  cappella  Imbriani-Settembrini  : 


—  522  — 

HEIC    RELLIQVIAE    JACENT 

KAROLAE  SOSSISBBGIAE 

DBN.  ni  IDVS   SEPT.   A.   MDCCCLU 

SEPTVAGINTA  TEES  ANNOS  NATAB 

VIRVM  JOSEPHVM  POERIVM 

ATQVE  EGREOIOS  SOBTITAE  LIBEROS 

ALEXANDBYM  KABOLVM  ET  RABOLIVM 

ET  voto  ET  LIBEBIS  EGRE6I1S  ILLySTRA.TAE 

QVAE  LAVS  ILLICIT  ATQVE  VNICE  DECET 

FRVGI  MATREMFAMILIAS 


PAVLLVS  AEBULIVS  IMBRIANI 
HBCYRAM  SANCTISSVMAM 
QVAM  OLIM 
IN  EXSILIVM  OVM  VXSORE  ET  PimS   PEREGBE  PROFICISCENS 

AEGRE  BEUQVERAT 

PATRIAE  RBDDrrVS 

HEV,  HOC  VNVM  ADHVO  LICET  ! 

PIE  IVXTA  VIRVM  COMPONIT 

A.  MDCCCLXXV. 


—  523  — 


POSCRITTA 


La  grave  infermità,  che  ha  cominciato,  a  travagliarmi,  dopo 
iniziata  la  stampa  di  questo  libro,  stremandomi  di  forze ,  mi 
consigliò  di  andar  diradando  il  numero  delle  chiamate,  dopo 
1  primi  fogli.  Onde.  V  illustrazione  delle  lettere  è  rimasta  in- 
compiuta e  non  uniforme.  Ad  ogni  modo,  aggiungo,  qui:  alquan- 
te notizie,  sopra  persone,  ricordate,  nelle  lettere,  al  cui  nome  non 
fu  apposta  chiamata;  e  qualche  supplemento  o  rettifica,  ad  al- 
cune note.  Se,  mai,  questo  Epistolario  avrà  una  seconda  edi- 
zione ,  spero  potervi  aggiungere  nuove  lettere  e ,  soprattutto , 
compierne  la  illustrazione.  Sarò  grato ,  frattanto ,  a  chi  vorrà 
favorirmi;  notizie,  sulle  persone,  per  le  quali  me  ne  son  man- 
cate; 0  maggiori  notizie,  sulle  illustrate;  o  correggere  gli  errori, 
ne'  quali  posso  esser  caduto. 

—  Il  nobile  conte  Girolamo  Bola.ni  (e  non  Bollani)  abitava,  nel 
suo  palazzo,  a  S.  Mattia.  Caduta  Venezia,  lasciò  quella  città;  e 
stette,  nelle  sue  ville,  tra  il  Vicentino  e  il  Padovano,  ma  più 
presso  a  Padova.  La  cagione  di  questo  suo  ritiro  fu,  parte,  po- 
litica e,  parte,  domestica;  e  più  domestica  cbe  politica.  La  mo- 
glie si  conduceva,  in  modo,  ch'egli  fu  costretto  a  dividersene. 
Lei  rimase,  in  Venezia,  a  darsi  buon  tempo;  e  lui  prese  stan- 
za, a  Padova.  Nell'ultima  vita,  datisi,  tutti  e  due,  a  Cristo,  si 
riunirono;  e  furono,  insieme,  a  Padova.  Quivi,  mori,  verso  il  1870, 
senza  lasciare  gran  memoria  di  sé.  Era  buon  uomo,  mi  dico- 
no; e  non  incoltissimo.  Ma  si  atteggiava  a  repubblicano.  Anche 
le  sue  finanze  erano  andate  a  male,  assai,  tra  il  lusso  della  si- 
gnora e  le  vicende  politiche. 

—  II  Du  Bois  era  un  banchiere,  a  Venezia. 

—  Achille  Correnti  tornò,  da  Malghera,  in  Piemonte,  in- 
fetto da  febbri,  che  lo  lasciarono,  solo,  tre  o  quattro  anni  do- 
po; e  conviveva,  col  fratello  Cesare.  È  morto,  nel  1883,  inge- 
gnere delle  strade  ferrate. 

—  Pietro  Maestri,  medico  di  professione,  fece  parte  del  Co- 


—  524  — 

mitato  di  difesa,  surto,  a  Milano,  neir  agosto  del  1848,  dopo  la 
disfatta  di  Custoza.  Insieme  con  Cesare  Correnti  ed  altri,  pub- 
blicava V Annuario  Statistico  Italiano  (la  statistica  è  la  scienza 
fatta  apposta  per  chi  nulla  sa).  Nel  1859.  diresse  l'ambulanza 
de*Cacciatori  delle  Alpi.  (Poveri  cacciatori  feriti!  ho  paura,  che 
ne  abbiano  spacciati  più  il  Bertani  ed  il  Restelli,  che  le  palle 
austriache).  Mi  si  ieri  ve,  sul  suo  conto:—*  Il  Maestri  valeva , 

<  tutto  compreso,  pochi  quattrini.  Nel  1848,  faceva  il  repubbli- 

<  cane.  Dopo  Custoza,  a  forza  di  strillare  contro  Carlo  Alberto 
«  e  il  Piemonte,  riuscì,  a  farsi  nominare  membro  del  Comitato 

<  di  Salute  Pubblica  (mi  par,  bene,  che  questo  fosse  il  nome 

<  buffo  di  quel  momento  tragico)  insieme  col  Restelli  e  col  Fan- 

<  ti,  due  uomini,  così,  diversamente^  diversi,  da  lui.  Rifugiato,  a 

<  Lugano,  vi  stampò  un'insulsa  protesta,  vigliacco  oltraggio  con- 
€  tro  il  vinto  Re,  che  il  Restelli  ebbe  la  debolezza  di  firmare, 

<  il  Fanti,  no.  A  Torino,  amicissimo  del  Correnti,  lavorò,  con 

*  lui,  all'Annuario  di  statistica,  finché  diventò  Direttore,  diceva 
€  lui,  della  Statistica,  ma,  in  realtà,  Capo-Divisione,  al  Ministero 
€  di  Agricoltura,  Industria  e  Commercio.  Costi,  fu  coperto  di  de- 
€  corazioni,  dalla  testa  ai  piedi,  per  le  sue  statistiche  :  porans- 

<  simi  lavori ,  che  mandava,  rilegati  in  velluto  ed  oro,  a  Piiu- 

<  cipi  e  Ministri.  Pretendeva  essere  il  Pascià  della  statistica, 

*  facendo  tutto  lui.  Il  Broglio  pretese,  invece,  che    dovesse, 

<  dipendere  dal  ministro.  E,  quando  luì  ricalcitrò,  ostinata- 
«  mente,  agli  ordini,  lo  sospese,  per  un  mese,  senza  stipendio, 

<  lui  e  tutte  le  sue  decorazioni,  come  un  applicato  di  quarta. 

<  Morì,  qualche  anno  dopo,  a  Roma,  senza  odore  di    santità, 

*  per  quello,  che  se  ne  mormorò,  poi.  »  — 

—  Francesco  Restelli,  avvocato,  partecipò  al  Comitato  di 
Difesa  di  Milano  ,  nel  48  :  grave  colpa.  Poi,  tornò  in  patria 
e  vi  rimase  avvocato,  sotto  gli  austriaci:  colpa  peggiore.  Fu 
Daputato,  parecchie  volte,  nel  Regno  d' Italia;  ed,  anche,  Vi- 
ce-Presidente della  Camera.  Tolgo  quanto  segue,  da  una  co- 
municazione  confidenziale  :  —  «  Non  è  un    uomo  ,  fatto  per 
€  la  politica.  Primo:  perchè  ò  un  avvocato,  il  che,  salve  rare 
€  eccezioni,  è  un  impedimento  insuperabile.  Secondo:  perchò 
«  non  ha  energia  di  carattere,  tanto  che  fu  il  primo  lombardo, 
e  che  piegò  il  capo,  all'Austria,  dopo  il  bando  del  48,  chiedea- 
«  do  il  rimpatrio.  Ma  è  un  perfetto  onest'uomo.  >  — 

—  La  Sala  Camplot,  occupata  dal  Circolo  Italiano  ^  era  a 


—  525  — 

S.  Luca,  sul  campo  S.  Paternian  (ora,  piazza  Manin).  Non  ci  è 
più,  da  un  pezzo. 

—  Il  Giuri  ATI,  il  Robetti  ed  il  Peroni,  membri  del  circolo 
Italiano,  sono,  tutti,  morti.  Il  dottor  Giuseppe  Giuriati,  dopo  per- 
corsi vari  gradi,  fu  Generale  della  Guardia  Civica,  nel  1849. 
Abitava  in  Calle  S.  Marco.  Fu  padre  del  notissimo  avvocato 
Giuriati 

—  Alla  nota  243.*,  chef  concerne  Raffaele  Poerio  (pag.  445) 
si  aggiunga  la  iscrizion  sepolcrale  (dettata,  da  Paolo-Emilio  Im- 
briani)  che  ai  legge,  sulla  tomba  del  generale,  nel  camposanto 
di  Torino. 

A  Raffaele  Poerio  Generale 
Nato  in  Calabria  nel  1792,  mancato  in  Torino  nel  1853. 


ESCITO  D*UNA  TERRA  E  d' UNA  CASA 

antiche   nei   SAGRIFICJ  DI   PIETÀ   CIVILE 

FU  MIRACOLO   d'  ARDIMENTO  NEI  CAMPI 

MIRACOLO  d'affetto  NELLA  FAMIGLIA. 

Espiò  la  sua  costanza  politica 
coi  travagli  di  tutta  una  vita. 

Osò  IN  FIACCHI  TEMPI  CONFIDARE  NELL'  ONESTO  E  NEL  VERO 
•  E  FECONDÒ  DI  SPERANZE  E  DI  FATTI 

LA  STERILITÀ  DELL*  ESIGLIO 

ARDUO  ED  USATO  INCIAMPO  DEI  MIGLIORI. 

Per  NOBILI  PROVE  DI  GUERRA  SULLA   SPIAGGIA  d' AFRICA 

COMANDÒ  LA  MERAVIGLIA 

E  RINFRESCÒ  NEL  DIFFICILE   STRANIERO 

LA  REVERENZA  DEL  SOLDATO  d' ITALIA. 

Carità  di  patria  e  vaghezza  di  perigli 

lo  ritrassero  ai  cimenti  nazionali  del  1848. 

Poscia  impaziente  degl'  ingrati  riposi 

altero  di  sventura  di  povertà  di  fama 

riparò  nella  tomba. 


La  famiglia  inconsolata  p. 


—  526  — 

— «  Papa  Mazarachi.  Padre  Antimo  di  Cefalonia,  cappellano 

<  in  S.  Giorgio  de'  Greci,  in  Venezia;  amico  del  Tommaseo; 

<  dotto  ;  di  sentimenti  liberali;  autore  delle  Vite  de*  Cefale- 
€  ni  illustri,  scritte,  in  greco,  da  luì,  e  tradotte,  in  Italiano,  dal 

<  Tommaseo.  Essendosi,  nel  1849,  compromesso,  politicamente, 
€  fu  arrestato,  dagli  austriaci,  al  loro  ritorno;  e  rimandato,  a  Ce- 
€  falonia.  Di  dove,  passò,  maestro,  a  Galee,  isoletta,  presso  Co- 
€  stantinopoli.  Mori,  alcuni  anni  dopo,  Vescovo  di  Stauropo- 
«  li.  »  —  Cosi  mi  scrivono  :  relata  refero. 

—  «La  Contessa  Teresa  Mosconi-Papadopoli,  veronese,  mo- 
«  glie  di  Spiridione,  cugino  dei  viventi  conti  Papadopoli,  fu  dama 
«  colta,  compitissima;  ed  accoglieva,  nella  sua  società,  il  fiore  dei 
€  cittadini  veneziani  e  dei  forastieri.  Nacque,  il  4  agosto  1807; 
«  mori,  il  17  agosto  1854.  >  —  Cosi,  mi  scrivono,  da  Venezia. 
Noterò,  che,  nelP  Alta-ltalia,  stranamente,  le  signore  prepon- 
gono il  cognome  della  famiglia  di  origine,  a  quello  del  marito. 

—  La  Contessa  Aldobrandini-Papadopoli,  fiorentina,  fu  ma- 
dre de*  Papadopoli,  che  sono  stati  Deputati,  nel  Regno  d'Itaba. 

—  Alla  nota  23  pag.  358  aggiungasi  :  che  Giovanni  Vacca 
nacque,  in  Napoli,  il  12  marzo  1810, e  che  mori,  in  Portici, 
il  12  luglio  1879. 

—  Correggi  ed  aggiungi,  alla  nota  92,  pag.  383.  Angelo  Aba- 
temarco,  seniore,  non  ebbe  fratelli  e  sorelle  :  nacque  in  Mon- 
tesano  sulla  Marcellana,  circondario  di  Sala  Consilina,  nel  1758; 
mori,  a  Napoli,  il  3  novembre  1836.  Ebbe  tre  figliuoli  :  Do- 
menico (1796-1872)  e  Gabriele  (1798-1871),  nati  in  Lagoue- 
gro;  e  Pietrantonio,  nato,  in  Montesano,  nel  1803,  morto,  in 
Arienzo,  nel  1872.  Gabriele  e  Pietrantonio  morivan  celibi.  Di 
Domenico  e  dell'  Adelaide  de'  marchesi  di  Montemayor  riman- 
gono :  Angelo,  Carlo,  V  Emilia  (maritata  in  Rosica)  e  T  Olim- 
pia (moglie  al  barone  Negri). 

—  Mi  rincresce  di  non  poter  avvalermi  di  preziose  comuni- 
cazioni, che  ho  ricevute,  troppo  tardi,  su  Giambattista  di  Gi- 
rolamo Cavedalis  e  dell'  Angela  Diana,  nato,  in  Ispilimbergo, 
nel  Friuli,  nel  1794,  e  mortovi,  nel  1858,  che  ebbe  tanta  parte, 
nel  governo  di  Venezia,  nel  1848-1849.  Ma  la  importanza  stes- 
sa di  esse  mi  toglie  di  compendiarle,  in  poche  parole. 


ERRATA-CORRIGE 


Pag. 

359 

ver 

.  31  Gennaio  1868 

leffgi:  Gennajo  1867 

> 

363 

» 

4  nei  due  veri 
sensi 

leggi:  ne'  du'  vari  sensi 

366 

40  fìglÌTiolo  del 

leggi:  figliuol  naturale  del 

368 

14  Regina  Isabella 

leggi:  Regina  Carolina 

369 

25  Fatalità  ! 

leggi:  Combinazione  L 

» 

27  Fatalità  \ 

leggi:  Combinazione  \ 

> 

29  Fatalità  \ 

leggi:  Combinazione  l 

383 

31  Perse 

leggi:  Forse, 

394 

22  scrittrice 

leggi:  pittrice 

'i 


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