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ReBovno 19399
HARVARD UNIVERSITY.
LEB:RARA
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MUSEUM OF COMPARATIVE ZOOÒLOGY
LIBRARY OF
SAMUEL GARMAN
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A MONSIGNORE
D.GIUSEPPE MARIA PILO
DELL’ORDINE CARMELITANO
Fescovo di Uselli, e di Terralba , Èc. Go.
Francesco Cetti
U na imputazione molto frequente suol
farsi al Clero Cattolico dagli scrittori etero-
dossi; ed è attribuirgli di impedire la tem-
porale felicità de’ popoli. Incolpano costoro
il cattolico clero come spopolatore. de paesi
mercè del celibato ; come fomentatore. della.
ignavia, mercè l’ozio proprio , € quello che.
cagiona in altrui colle medesime sue carita-
revoli larghexxe 3 come oppressore della ra-.
gione, mercè la libertà di. pensare , che to-.
glie co’ suoi terribili tribunali. A questi va-
ni accusatori chieggo io, se essi si terrebbo-
no contenti di vedere le-loro patrie fatte in
prosperità temporale uguali alla Italia ? sa-
rebbono essi contenti di vedere.le ra patrie
ornate di ampie e ricche e popolate città,
guanto Italia ne è piena ? di vedere nelle
loro campagne un perpetuo intreccio di po-
polazione e di coltivazione, come in Italia
si vede? di vedere la loro terra fruttifica-
re in ogni genere de più preziosi frutti sì
riccamente, come fruttifica la terra italiana?
di possedere le più nobili arti, come Italia
ne è maestra? di aver dato nascimento al-
le più nobili scienze, come Italia il diede ?
eppure in questa medesima sì fiorente Ita-
lia non solo esiste, ma più che in altra
parce qualunque regna il Cattolico Clero.
Tanto è inconsiderata Ia imputazione, che
il Clero cattolico è stato sempre l'uno dei
più forti strumenti della prosperità ancora
temporale de popoli ; l'uno de più beneme-
riti promotori delle scienze e delle arti. Non
e forse il cattolico clero quello , il quale nel
fervore di accrescere il culto di Dio ha fat-
to. rinascere al mondo le del tutto perdute arti
di Prassitele, di Apelle, di Timoteo, e di
Vitruvio? Nonè egli il cattolico clero. quel-
lo, a cui si debbono la maggior parte delle
pubbliche e delle private biblioteche ? di quan-
te e cattedre e accademie intiere non è stato
fondatore il clero cattolico in ogni parte ?
QUEL che io dico dei clero cattolico
in generale, si è verificato sempre, 0 MON-
SIGNORE; ancora in particolare del Prestan-
cissimo Clero Sardo. Se esso è un Clero fa-
coltoso , un Ciero riccamente dorato d’ entra-
te, egli è altresì un Clero, da cui il pubbli-
eo oltre agli esempj di virtà, è i soccorsi
di spirito, ha ricevuto costantemente i mag -
giori benefizi per i medesimi suoi temporali
progressi. E non contate vo1 medesimo fra
i vostri predecessori un Michele Beltrando,
il più benemerito uomo della agricoltura sar-
da, mercè i monti granatici da lui fonda-
ti, istituzione maravigliosa, di fresco ri-
messa in vigore, e al zelo de Prelati dalla
Reale providenza saggiamente appoggiata?
Quanti non si veggono or tuttavia sorgere
per opra de’ Prelati di questo Regno splen-
didissimi edifizi destinati alla edncazione
pubblica ?. non è forse colle facoltà del clero
in gran parte, che sonosi pur ora ristorate
le lettere? non è forse dalla mano dè Pre>
lati, che la studiosa gioventà , a misura che
essa spicca in sapere, riceve con raro esem=
pio pecuniarj assegnamenti perquanto campa»
MA fra quanti il Clero Sardo conterà
Prelati benemeriti del pubblico per ogni
verso, Prelati, li quali nella sollecitudine
delle loro chiese avranno abbracciata ogni
prosperità del popolo loro, vO1 certamente,
O MONSIGNORE , non sarete ricordato fra
gli ultimi. Collo stesso fervore e zelo, con
cui vegliate e faticate per lasantità del co-
stume del vostro Gregge, VOI pensate ad
ogni maniera di sollevarne la vita € miglio-
rarne la condizione. Indefesso distributore
siete VOI del pane evangelico mediante la
divina parola, la quale vOI personalmen-
re amministrate al vostro popolo ogni dì del
Signore; e ugualmente premuroso vi trova
il popolo vostro a procacciargli l' abbondan=
za delle messi. Se ogni settimana presiedere
la istruzione del rustico popolo ne rudimen=
i della fede, per questo medesimo popolo
vor raunate vostro consiglio, e deliberate
èome accrescerne le raccolte se nelle rustiche
mani si veggono con industria moltiplicate
per opera vostra facili.istruzioni cristiane;
stringono queste mani medesime manipoli di
biade a voi unicamente dovute. Stringono
agualmente le bisognose mani soccorsi pe-
cuniari continui e copiosi, mediante la sot-
tilissima porzione delle vostre entrate, che @
voI medesimo concedete, del resto alimen-
tate mendici, abilitate o industriosi al lavo-
ro, 0 elette coppie alla benedizion nuziale.
Colle vostre renditevoI promovete in olere ad
antempo medesimo l’onor di Dio e le arti;
allora! quando con munificientissima spesa
fate trarre marmi e occupate maestri a cre-
scere magnificenza al vostro tempio di Ales;
pensate al decoro e alla incolumità episco-
pale , e insieme abbellite la diocesi, allora
quando un nobilissimo edifizio ergete in Vil-
lacidro per un sano soggiorno vescovile esti-
vo; provedete alla cultura del vostro clero;
e insieme promovete le scienze, allora quan-
do a*grandissimo costo ristorate l’ alloggio
destinato alla educazione e ammaestramen=
to del vostro giovin clero, e di elettissimi
soggettiil popolate. Al progresso delle scien-
ze avete pure cooperato co’ valevoli stipendj
procacciati ai dotti maestrij e ci coopera-
te tuttavia conoscendo personalmente ogni
mese gli avanzamenti in esse de’ vostri dolci
alunni; ma più che in altra maniera coope-
rata all’ aumento delle scienze co' personali
vostri esempj di dottrina e di applicazione.
Saggio chiarissimo non men di zelo pasto-
rale, che di dottrina avete vOI dato. nelle
vostra preclarissima Sinodo diocesana, sta=
ta ricevuta conammirazione in tutta Italia ;
ma nondimeno quelli, che più da vicino vi
conoscono , non veggono colà dentro derivato
se non un sottil filo del vasto sapere vostro
in ogni genere di scienza sacra e profa-
na ; © pure di nuova scienza sempre sitibon-
dò nella vostra eletta biblioteca spendete
quante ore gli affari della diocesi lasciano
in poter vostro. Con questi esempj ognino
s° infervora di sapere; cresce l applicazione
e la dottrina. Per una tale condotta, ©
MONSIGNORE, se siete un vero lume del-
la Chiesa Sarda, sieve insieme una prova
di quanto il pubblico sia debitore a° Prelazi
cattolici, e guanto inconsiderato sia l’irre»
ligioso astio di coloro, che al clero cattolico
detraggono sì grossolanamente.
CoNTRO costoro si leverebbono le grida
de medesimi sinceri popoli cattolici, se aves-
sero a parlare , smentendogli come calunnia-
tori mal avvisati; ma nessun popolo richia-
merebbe più fervidamente del vostro popolo, il
quale sommamente vi venera per la vostra
virtù, e teneramente vi ama perla vostra be-
neficenza. Venera egli in voI un Prelato di
vita incontaminata, un Prelato irreprensibile
in ogni adempimento della sua gravissima
carica } ama un pastore vigilante e zelante
bensì, ma insiem prudente e soave; ama un
padre, che non ha limiti nella beneficenza
verso la sua famiglia. Ah non contristate
questo popolo con un vostro santo, ma ad
ognuno fuorche a vOI funesto pensiero! se-
guire ad abbellire il vostro rempio con ric-
che pietre e preziose opre di scalpello; ma
perche volerci porre ancora quella urna fu-
resta? a.che gioverà a vor la vista d’essa?
della brevità de giorni dell’uomo non foste
VOI convinto infin da giovinetto, allora
quando per ispenderli santamente fuggisie
dalla nobiltà della casa paterna a racchiu-
dervi nel chiostro ? bisognate vOI della vista
d'un muto avello per ricordorvi delle tre-
mende verità eterne, vOI che sì altamente.
le meditate ogni giorno, e di esserne. pro-
fondamente penetrato cotanto. il. mostrate
nella vostra condotta? A che varrà adunque
l’urna funesta, se non a contristare il vo-
stro popolo, ricordandogli che un dì avra
arimanere privo di vor? Che se pure persi-
stere a voler dare ancora quel segno. della
vostra cristiana intrepidezza e disinganno ,
deh! cardi quell’urna tanto a ricevervi, che
prima essa medesima si strugga e si disfac-
cia. Sono questi î voti del vostro popolo;
sono questii miei, 0 MONSIGNORE, nell’at-
ro, che umilmente vi presento queste poche,
carte, ancora per istimolo di vostra approva-
zione da me novellamente vergate ad illustra-
zione della naturale storia.di questo Regno.
GLI
ANFIBI
Î
Tee ST ite
E TV To intendo la parola Anfibio se.
Re condo la significazione sua an-
AIR: 1a SE
la. quale essa parola
tica, nel
significava un animale atto a vivere ugual-
mente in terra e in acqua; ma ricevendo
una significazione più moderna , intendo
per Anfibio un animale, in cui la strur-
tura del quadrupede c dell’uccello si altera
già notabilmente, e principia a compa-
rire la struttura propria del pesce. Intendo
pertanto per Anfibio un animale, per
mezzo del quale la lenta natura dai qua-
drupedi e dagli uccelli va ai pesci grada-
2
4
tamente, seguendo sempre la maravigliosa
sua catena, ossia legge di continuità; leg-
ge; la quale non sarà mai posta in luce
bastantemente, acciocchè in essa l'intelletto
‘mano trovi riposo e ragione di molte
cosevesistenti, delle quali forse non com-
prenderebbe il motivo; e. trovi-lai dimostra-
zione di molte altre, che esistono, ma non
si veggono; e di molte altre non iscoperte
trovi l’indizio, e la speranza di scoprirle.
LA alterazione della struttura, che suc-
cede negli anfibi, risguarda il cuore. Qua-
drupedi e uccelli hanno nel cuore doppio
ventricolo, e doppia orecchietta ossia tas-
chetta hanno pure attaccata al cuore. Non
più che un ventricolo, e non più che una
orecchietta sola hanno i pesci al cuor lo-
ro; e questa semplicità di orecchio e di
ventricolo si principia già a trovare negli
anfibj. Non sono però questi anfibi tuttavia
pesci, perchè altri di loro al modo dei
quadrupedi e degli uccelli hanno verace
polmone, collocato nella cavità del torace,
5
ne
fresca, e assottiglia il loro sangue nell’or=
gano polmonare ; altri bensì in vece di
polmoni sono corredati di branchie da pe-
sce, collocate presso la superficie del cor-
po in vicinanza di spiragli per i quali
respirano, ma pure non hanno ancora reste,
e sono forniti di ossa cartilaginee; e inol-
tre propagano tuttavia la loro spezie per
mezzo di congiungimenti al modo de’qua-
drupedi e degli uccelli, e degli anfibi primi,
I primi anfibi sono più vicini agli uccelli
e dalla bocca ricevono il fluido, che ri
e a quadrupedi, i secondi si avvicinano
assai più a'pesci, e ne annunziano l’immi-
nente arrivo. Così il passaggio da’ quadru-
pedi e dagli uccelli ai pesci si fa più gra-
datamente ; la organizzazione dell’un estre-
mo si smarrisce più a poco a poco, e
poco a poco si fa luogo a quella dell’ altro.
Tra gli anfibi primi e i secondi collocò
medesimamente la sottile natura anfibi me-
diani, cioè la Lainpreda, la quale ne’ pol-
moni si assomiglia agli anfibi primi, e negli
spiragli laterali sì assomiglia a’ secondi.
(Sr deve pertanto per anfibio intendere
un animale fornito di sangue, fornito al
cuore d’un ventricolo e d’una orecchietta
sola, fornito d’ossa o di cartilagini; res-
pirante con polmoni o con branchie, e pro-
pagante la sua spezie per via di congiun-
gimenti. In conseguenza'di questa definizio=
ne si schierano fra gli anfibi le Testug-
gini, le Lucertole; le Rane, le Serpi; in-
oltre gli appellati Pesci carzilaginei, e ciò
tanto i Piazzi, che sono la Torpedine, le
Razze:, ile«Ferracce:;; la:Rana ‘Pescatrice,
detta ancora Diavolo marino; quanto i
Tondi, che sono i Cani marini. Nell’inter-
vallo che succede ‘alle serpi; e precede i
cartilaginei si trova la Lampreda come
anello, che aggruppa; e in grazia delle
sue. ossa. cartilagince e de suoi spiragli la-
terali chiude la schiera degli anfibi lo Sto-
rione. Di tutti questi animali nello ottima-
mente da Linneo ideato linguaggio chiamati
anfibi renderò io conto , per quanto risguat-
do ad essi si trova e si osserva in Sardegna,
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LE TESTUGGINI
APECISA MEI A DITA DIA DICI MEI
è) x . . LI] °
o) NoN ggonovI in Sardegna Testuggini di
Yao terra, Testuggini di acqua dolce,
e Testuggini di mare.
TESTUGGINE DI TERRA.
Ti Testuggini di terra si trovano nell’
Asinara; e ve ne sono pure nella Nurra
dalla banda più vicina all’ Asinara cioè ‘al
Capo Falcone. Esse testuggini sono testug-
gini di terra a tutto rigore, in quanto me-
nano la loro vita totalmente lontan dall’
acque; e perciò ne loro piedi, non hanno
esse membrana alcuna fra dito e dito, co-
me hanno le testuggini acquatiche ; anzi
3
pe pure ci è luogo di sì fatta membrana,
poiche non hanno queste testeggini dita
ne piedi, e solamente vi si veggono ugne;
e perciò sarà questa spezie di testuggine
probabilmente quella, che Linneo chiama
Graca, la quale è mal proveduta di dita,
pedibus subdigitazis. @ Cinque ugne tro-
vai regolarmente ne’ piedi dinanzi, e quat-
tro ne’ piedi posteriori di queste testuggini;
dico regolarmente: poiche con frequenza
pute ho trovato di queste testugeini terre-
stri, nelle quali le ugne ne'piedi dinanzi
erano ugualmente quattro, che ne’ piedi di
dietro. Anzi una intera e ben numerosa co-
lonia ho io veduto delle testuggini dell’ Asi-
mara, ove ne pure una si potè trovare, per
quanto io ed altri insieme diligentemente
le rivedessimo tutte, la quale avesse le cin-
que rigne in quisticne, e tutte quante ne
ebbero quattro sole, o maschi o femmine
che esse fossero; fossero testuggini vecchie,
o pure allora nate. L’orto botanico di
(a) In sysr. nan.
9
s. Pierro:in Sassari fu, ed è tuttavia il luogo
di tal.colonia. Da questa varierà nel nume-
ro. delle ugne d'una. spezie medesima si
vede quanto <il numero delle ugne sia un
segno equivoco per. differenziare fra. loro
le'varie spezie di testuggini; e. nondimena
Liuineo. per indicare ‘un. carattere. proprio
della:spezie presente. si appigliò al numero
dellesugne, descrivendola. così: corpus cau-
datum, palmis unguibus. quinque ;. pluntis
vero quacuor (2), ll. guscio di questa testug-
gine terrestre è disefigura elittica senza in-
taccature nel contorno, ed è ben rilevato
nella. sua» parte convessa , e variato di co
lor. giallo e nero; de’ quali colori è pur va-
riata ila pelle medesima, dell'animale. Quar,
tro libbre pesano de maggiori restuggini di
questa spezie, ed hanno sei pollici e mezzo
di lunghezza nel. massimo! asse della por-
zion: piatta. del loro ‘guscio; tanto peso €
tal miswra:almeno trovai in una testuggine,
la quale già da sessanta anni viveva. in una
sasa; amatavi perciò come un servidore di
fe) 1 b i di B
18
lungo servigio ; ed era.essa inoltre femmina,
che sono maggiori de’ maschi , per femmina
riconoscendosi alla: porzien inferiore. del
suo guscio, totalimente piana, e non infossa»
ta, come è 1 piastron de’maschi. Benchè
l'inverno sardo sia dolce, non è però:dolce
abbastanza, perehè le testuggini non s'in-
tanino, Infin dal novembre cercano esse le
buche e vanno sotterra, e quivi raccolte
devtro. il loro guscio intormentiscono. Alla
fine di febbrajo il-nuovo tempore viene a
risvegliarle, ed esse tornano a farsi vedere.
Verso il finire dì giugno fanno le uova,
quattro in cinque di numero, e: candide
quanto. le nova de'colombi. La testuggine
trova a tal bisogno il luogo più. solario;
vi scava co piè di dietro una fossa, e ri-
postevi le uova le cuopre con terra , e del
resto ne lascia il pensiero al gran lumina-
re del mondo. Alle prime piogge: di settem>
bre si vesgono comparire le testuggini no»
velle grosse auanto un guscio di noce; che
la "ve bialici del mond d
sOnO ia più VEZZOosa cosa ali geonao a ve Cie.
VESTUGCINE di FIUME.
Rus Testusgini di fume non* arrivano per
avventura ‘ad uguagliare la quarta parte
della mole delle testuggini di terra. Quat=
tro soli pollici di lunghezza si trovano
nell’asse massimo. della parzion piatta del
loro guscio, e a propotzione scemano tut-
te le altre dimensioni. La figera e il color
del guscio sono nella testuggine, fiumatica
conformi a quelli della testuggine terrestre,
se non che le tinte sono più vigorose, e
il nero vi domina. maggiormente, e mag-
giormente domina pure il nero nella mede-
sima: pelle dell'animale, di maniera, che
alcuni Sardi chiamano esse testuggini fiu-
matiche testuggini nere. Non ugne sota-
mente, ma dita. ben. articolate. spiega la
| testuggine fiumatica in ciaschedun piede,
cinque ne piedi anteriori, e quattro ne
posterioti s collegare fra loro con una mem-
brana. fino alfa estremità. La coda pure
«ella testugginve di fiume è notabilmente.
Da
«a
I2
più lunga di quella della testuggine terre-
stre; poichè laddove la coda della testug-
gine terrestre di poco eccede la sesta parte
della lunghezza del suo guscio, la coda
della fiumatica arriva fino alla metà della
lunghezza del guscio suo. Invanita mede-
simamente sembra questa testuggine fiuma-
tica della sua sì ricca coda; cammina non
tenendola rinfoderata dentro del guscio,
come fa la testuggine terrestre, ma spiegan-
dola alteramente, e cammina con una pre-
stezza, che in paragone della testuggine ter-
restre essa è un achille. Ogni fiume sardo
è fornito di testuggini sì fatre, e abbon-
dano esse in modo, che è facile nella ‘sta-
gione estiva colmarne un sacco.
TESTUGGINE di MARE.
(BD due ugne è fornita la testuggine ma-
rina a ciascheduno de’ suoi piedi, 0, se più
piace, pinne; due ugne ha essa a' piedi po-
steriori ugualmente, che agli anteriori; e
il suo guscio è dentato nel lembo, e rende
13
all’acuto dalla banda della coda. Secondo
questi caratteri la restuggine del mare sar=
do viene ad essere quella spezie di testug-
gine marina, a cui Linneo diede il nome
«di Caretta @). I luoghi più abbondanti
della sua pesca sono i mari di Cagliari, e
i mari di Castel Sardo presso il canale di
Bonifacio; ne’ quali luoghi atriva essa talo-
ra a tanta mole, che pesa ben quattrocento
libbre sarde.
a
#3
(a) In syst. nata
4
LE LUCERTOLE.
APICI DEMEFCAUE EE (C]I A sta
REALI ar
3 IKEA (7 î :
3 *M£ “|E! pare una spezie di fenomeni,
RR
Serra che in Sardegna, non si trovi
la vera e propriamente derta
Lucertola. Esistono almeno quattro spezie
di quel genere medesimo, a cui la vera
lucertola appartiene ciò sono una spezie
di Ramarro, lo Srellione, la Cicigna, ed
una spezie da’ Sardi chiamata dove Til
gugu, dove Tilingonive -per qual ragio-
ne non ci csisterebbe la lucertola, essa
che d'altra parte è sì comune altrove, e
che medesimamente secondo gli scrittori di
cose naturali alligna a preferenza ne’ paesi
situati al meriggio ()> Di tale mancanza
(a) Vedi Bomare alla voce Zezard,
*5
hon sirebbe facile addurit una spiegazio-
ne ragionevole; «perciò ‘mi basterà ‘avere
signifcito, che ‘in Sardegna la propria»
sente detta Incerebla non esiste
'‘LA‘TILIGUERTA 0 CALISCCORTULA.
Ao tun animale medesimo si da dii Sat+
di il nome di Tiliguerta, e il nome di Ca-
liscertula. Caliscerrula è'il ‘nome del Cam-
pidano , e Tiliguerta è il nome del Ca-
po di sopra. Questo animale io chiamo
tina spezie di ramarro, perchì esso è vi-
vameste verde come il ramarro; non ‘però
senza mischianza di nero, talora in forma
di macchie, talora in forma di lunghe
linee solcanti tutto il dorso: e tali Tili-
guerte compariscono del tutto fosche, le qua-
li si credono femmine, ed in fatti aven=
done io aperta una la trovai con le usva.
Alla maniera del ramarro si veggono pure
în questo animale quei bozzoletti pertagiati
disposti in fila in ognuna delle cosce di
+
16
dietro, già diligentemente osservati dal
Duverney } c finalmente ha anch'esso ques
sto animale, come il ramarro, cinque dita,
e cinque graffi a ciaschedun piede. Una no-
tabile differenza trovo nondimeno fra l’ani-
mal sardo, e 1 ramarro descritto dagli
autori. Una coda attribuiscono gli autori
al ramarro lunga quanto è lungo il restante
del suo” corpo senza più: Lacerra; così
descrive. Linneo il ramarro, cauda tereti
verticillata, longitudine corporis (9; e con
poca differenza in quest altro modo la de-
scrive: Gronovio nel suo Museo : Lacerza
cauda corpore parum longiore. Or la tili>
guerta sarda è ben. più ricca di coda: la
sua coda arriva ad essere infin doppia della
lunghezza del carpo. Tal. eccesso ho io
trovato costantemente cin quanti ramarti
sardi misurai; due pollici e mezzo trovai
dalla estremità della testa infino al principio
della coda; e dal principio della coda infino
(a) In svsr. pan.
17
alla estremità della medesima pollici cin-
que; e per assicurarmi di non prendere
per ‘coda se non ciò, che fosse veramente
coda; ridussi alcune tiliguerte. a scheletro;
misurai la estensione delle vertebre ciuda-
li, e le trovai veramente estese per la quan-
tità indicata. La lucertola e’ ramarro han-
no in verità una grande virtà germinativa
nelle loro code; chi:se loro si taglia via la
coda; hanno per nulla rimetterne tosto un
altra; e chi se loro si fende, d’ogni pezzo ne
rifanno una coda: intiera. Non. pate per-
tanto, che l'eccesso della coda del ramar-
ro sardo sopra la coda del .ramarro co-
mune d'Europa indichi diversità di spezie;
e ben potrebbe attribuirsi tal eccesso a
circostanze più favorevoli in Sardegna; per
le quali la medesima: virtù germogliatrice
men' prosperante altrove, quì si arrivasse
più, e si dispiegasse con più successo. Non»
dimeno non ardirei decidere, che sì fatto
eccesso discoda fosse accidentale atteso che
i naturalisti fanno pure entrare ne’ caratteri
18
propri} delle diverse spezie di lucertole è
di ramarri la diversa proporzione delle lo-
ro code a’loro corpi. Chi descrive il ramar=
ro d'Europa, il caratterizza, come è det-
to, dalla coda uguale in lunghezza al re-
stante suo corpo; chi descrive cert' altro
ramarro americano chiamato Ameiva presso
Linneo, il caratterizza dalla sua coda tre
volte più longa del corpo restante, come
fa Gronovio descrivendo essa ameiva con
questi termini : Zacerra cauda tereti corpore
rriplo longiore (2). Non è adunque la 7i-
liguerta ossia caliscereula ‘sardà un ramar-
ro; benchè al ramarro molto si assomigli;
e chi la volesse descrivere dovrebbe nella
descrizione sua adoperare questi termini:
lacerta cauda tereti corpore duplo longiore.
Con questi termini nelle Amenità accade-
miche si descrive in verità la ameiva; la
quale ha pure i bozzoletti pertugiati nelle
cosce al. modo della tiliguerta ; e quindi
potrebbe sospettarsi non fosse la tiliguerta
{a) In Museo.
19
‘sarda uno stesso animale colla amneiva ame-
‘ticana; nè sarebbe maraviglia, che un ani-
inale creduto proprio della America si sco-
‘risse ancora in Europa, dacchè scavando
la terra in Irlanda vi si sono trovati i pal-
“tchi dell'alce canadese, ‘segno che il mede-
simo alce vi fu anticamente in Irlanda pu-
te, onde Tommaso Molineux passò ad in-
ferire, che anticamente la Irlanda dovette
essere appiccata all’ America in un conti-
‘nente medesimo (@. Mz oltrechè della ret-
titudine della descrizione fatta nelle Ame-
nità academiche ‘si può sospettare in vista
della descrizione di Gronovio, trovo un
altra ragione per non credere la tiliguerta
sarda una stessa cosa colla ameiva, e sono
quelle piastrelle o laminette, che armano
l’addottine ugualmente nella ameiva, che
nella ziliguerta; non più che trenta lami-
nette sì fatte si contano nella ameiva, e
nella tiliguerta ne ho contato da ottanta
‘disposte. in sei ordini. Sarà pertanto la
(3) Tiansattiers abridged. Vol, 1.
20
tiliguerta un' animale simile all’ameiva, co-
me è simile al ramarro, ma come essa non
è ramarro, così pure non è essa amciva;
e sarà un animale di cui converrà ricrescere
Ja lista di questi ‘anfibi. Presso Linneo con-
verrà porlo fra le lucertole a coda crespa,
cauda verticillara.
Animate innocente quanto il ramar-
ro è questo anfibio sardo; soggiorna per i
cespugli, c per le muraglie campestri; nè
si asconde nel verno, se non accadendo
giornate aspre e tristi. Si trova esso in as-
sai grande quantità, e in copia molto mag-
giore di quel che si vegga il vero ramarro
cin Italia.
LO STELLIONE.
Auto Stellione si da in buona parte del-
la Sardegna il medesimo nome, che in
Toscana, ein altre parti d’Italia, cioè il
nome di Tarantola. I Campidanesi però
il chiamano Piscilloni, e gli Algheresi
Ascurpì. Meno di tre pollici di lunghezza
i
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Ta NT
IL “DILIGUEU
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hanno questi stellioni; ‘a ciaschedun piede
cinque dita, la loro ‘coda è guernita in
tutta la sua longhezza di armille ossia gi
relli, e tutta la pelle per la testa, per lo
dorso, per l’addomine è rilevata in pun>
terelle. Frequentemente ‘si incontrano € nel-
le case cittadinesche e nelle rustiche que-
sti animali schifosi,
IL: TILIGUGU:
Au animale, che i Sardi. chiamano 7i-
lisugu © Tilingoni noti'si può dare! altro
nome fuorchè il satdo; poichè l’animale
per quanto parmi è un anîmale sconosciuto
altrove. La sua figura è la consueta delle Ju-
certole, ma la sua grossezza è” considera-
bile in paragone della lungezza. Otto pél-
lici incirca ha questo animale di lunghezza
dalla estremità del muso a quella dellarco-
da, c infin a due pollici attiva il perime-
tro del suo corpo; di‘tutta la lunghezza
del corpo la coda ne piglia ‘quasi tre pol-
lici e mezzo, c questa è ‘tanto grossa al
22
suo principio, che più d'un pollice si ris
chiede per circondarla. I piedi e tutto il
restante apparato inserviente al moto pro-
gressivo sono piccoli. Cinque dita a cias-
chedun piede ben formate e ben unghiate
ha il tiligugu; ma poi prendendo il dito
di maggiore estensione, il quale si trova
ne’ piedi posteriori, tutta. la. sua lunghezza
compresa medesimamente l’ugna, appena
giugne alle quattro. linee; e mettendo in-
sieme le dita, e i. due articoli, che forma-
no la gamba, appena compiono la lun-
ghezza d'un pollice nella gamba posterio=
re, che pure è la più grande. La pelle
dell'animale è tutta quanta scagliosa ; le
squame sopra la testa sono grandi, e di
figura simile a quella. de’ramarri; ma in
tutto quanto il rimanente del corpo le squa-
me sono minute, e. della medesima sostan=
za e configurazione, che le squame d'un
pesce; di maniera, che come si scaglia il
pesce, così si potrebbe scagliare il tiligugu.
Per tali. scaglie il tiliguge apperisce ben
23
brunito e lucido; biancheggia in tutta la
sua parte inferiore; ma nella superiore è
di colore scuro punteggiato di spessissime
macchie nere. Amendue le mascelle sono
corredate di denti, e la lingua è ampia
€ carnosa.
Nette ben quarantatre spezie diverse,
che Linneo annoveta sotto il genere /acerra,
non ho potuto scoprite il tiligugu. In quat-
tro classi divide Linneo le sue lucertole;
alla classe prima spettano le lucertole a
coda schiacciata, cauda compressa, fra le
quali si trova il cocodrilio; e a questa clas-
se non appartiene il tiligugu, poichè la
sua coda nell'atto di venirsi sempre più
assottigliando fino a terminare in una punta
acutissima, pur si mantiene sempre tonda
in modo, che dovunque si tagliasse con
sezione parallela alla base, ne risulterebbe
sempre una sezione circolare.
Netta classe seconda sono te lucertole
a coda guernita di ciespe, cauda vercicilla-
za, € ne pure a questa classe appartiene il
24
tiligugu, atteso che la sua coda è tutta
liscia. Le rimanenti due classi contengono
le lucertole a coda tonda e scagliosa, cau-
da tereti imbricata, e a queste classi ap-
partiene veramente il tiliguga. per la sua
scagliosa coda. Non appartiene però. alla
classe ultima; nella quale sono comprese
quelle lucertole, la cui coda è più longa
del restante corpo, poichè la coda del ti-
ligugu del restante corpo è più breve. Ri-
mane pertanto la classe delle lucertole a co-
da tonda; scagliosa e più breve del corpo,
cauda teretiimbricata corpore breviore (2),
c a questa classe propriamente spetta .il
tiligugu; ma fra gli ‘annoverati in essa da
Linneo nol ritrovo: trovansi in essa il ca-
maleonte, la salamandra, la. scinco, e la
vera lucertola, ma il tiligagu non visi trova.
Assai s'assomiglia in verità il tiligugu nella
grandezza, nella figura, e nelle sue. sca-
glie al medicinale scinco , e per lo scinco.
(a) Nella mia edizione veramente stà scritto,
corpore ‘ongiore ) ma non può essere che errore di
Stampa.
25
facilmente si prenderebbe a prima vista;
nondimeno non è esso lo scinco. Qualora
fosse vero, che lo scinco non avesse ugne,
ciò basterebbe per conchiudere, che il tili-
gugu non è lo stesso animale che lo scinco,
essendo esso tiligugu ottimamente unghiato
ad ogni suo dito; ma negli scinchi da me
osservati presso gli speziali, scinchi fatti
venire d'oriente per le manipolazioni del
mitridate e della teriaca, io ho trovato
ugne ugualmente che ne tiligughi, nè per-
ciò finisco d’intendere, come altri descri-
vendo lo scinco l'abbia fatto senza ugne (4).
Conviene pertanto cercare la differenza tra il
tiligugu e lo scinco altrove, che nelle ugne» *
Chi potesse confrontare insieme questi due
animali amendue freschi, forse scoprirebbe
facilmente molte discrepanze fra loro; ma
io non sono stato a portata di osservare se
non se scinchi secchi, ne’ quali si può teme-
se, che la forma fosse di non poco alterata.
(a) Lacerra cauda tereti mediocri apice compressa;
dligiuis muticis marginatis, Lina. syst. nat,
€
26
In tale stato dello scinco ho osservato que-
ste differenze : nello scinco la mascella
superiore è notabilmente più lunga della
inferiore, nel tiligagu esse mascelle sono
uguali; nello scinco non ho potuto trovare
apertura d’orecchi, il tiligugu ha due ampi
forami per udire collocati agli angoli del-
le mascelle; la più sensibile differenza mi
è paruta dal canto delle gambe, e de’ piedi.
Il tiligugu ha cortissime gambe come è
detto , le anteriori sono appena lunghe cin-
que linee, le posteriori sono appena lunghe
linee sei; lo scinco al contrario, benchè fos-
se minore in grandezza di esso tiligugu,
ha gambe tanto lunghe,. che sono lunghe
il doppio di quelle del tiligugu. Le dira
inoltre del tiligugu sono tonde, assai di-
suguali fra loro in grandezza, come sono,
le dita del ramarro, e le dita dello scinco
poco differiscono in grandezza le une dal-
le altre, e paiono quasi schiacciate, e sono
corredate e orlate d’una pellicola come per
nuotare } e se lo scinco ama le acque, come
27
si scrive, sarà questa una opposizione non
di figura ma di indole col tiligugu, poichè
‘il tiligugu è onninamente animale di terra
e di secco. Conviene pertanto che i natu-
ralisti, dopo avere fatto fare luogo alle
lucertole per ammettere tra loro il ramar-
ro sardo, le inquietino di nuovo per far
loro ricevere ancora il tiligugu; lo spazio,
che rimarrà vuoto, dovrà essere accanto
allo scinco, e accanto allo scinco prenderà
posto il tiligugu (2),
SN
(a) Le figure, che si fanno incidere per maggiore
intelligenza, sovente conducono ad un effetto del
tutto opposto; e non servono se non ad ingannare,
quando l'incisione non rappresenta con giustezza. Così
è avvenuto nella incisione del Tiligugu. L’incisorne
parcendosi dalla esattezza del disegno ha allungato a
dismisura le’ gambe dell’ animale; allungamento tanto
più vizioso, che altera l’animale appunto in uno de’
suoi principali caratteri, che è la grandissima brevità
delle sue gambe.
2
28
LA CICIGNA.
Mei Cicigna è la Seps de’naturalisti, da
altri chiamata /acerca chalcidica , animale ce-
lebre per la sua fama di reità, e animale
proprio solo de’ paesi più meridionali, e
per questo medesimo non bene conosciuto.
La Sardegna ne abbonda quasi altrettanto
che dell’ erba secca. A due capi si riduco-
no i lamenti di quelli, li quali vorrebbono
conoscere la cicigna a dovere: dicono, che.
non possono sapere il netto nè della forma
dell'animale, nè della sua possanza; chi
il fa una lucertola, chi una serpe; chi ve-
lenoso, chi innocente (). L’ambiguità so-
pra la sua forma non è senza fondamento,
‘e si può in realtà dire, che la cicigna è
una lucertola, e si può dire parimente,
che essa è una serpe, in quanto essa par-
tecipa dell'uno e dell'altro aniinale. Di ser-
pe ha essa Pallongamento del corpo, il
moto, e le posture; di lucertola ha i pie-
‘di, gli orecchi, la dentatura, e la lingua»
(a) Vedi Bomare alla voce Sepsa
29
I suoi piedi sono sì piccoli, che uom non
vi bada; e quindi non comparendo se non
il tronco del corpo, c i movimenti, che
sono da serpe, l’uom volgare ne fa tosto
una serpe; ed io medesimo istando alle
relazioni de’ contadini, prima di avere ve-
duto l’animale , eredetti fermamente di
dover avere nel Lanzinafenu, o Schili-
gafenu, come i Sardi il chiamano, un ani-
male da registrare fra’ serpenti. Dodici pol»
lici e tre linee ho misurato in una cicigna
delle massime dalla estremità della testa
infino all'estremità della coda, e di circui-
to-ivi, ove il corpo mi parve più grosso,
trovai linee non ben dodici. Di tutta que-
sta estensione la metà in circa è dalla estre-
mirà della testa infino all’ano; il restante lo
prende la coda; la quale si va sempre at-
tenuando fino a terminare in una sottilissi-
ma punta. In quanto ai suoi movimenti,
la cicigna serpeggia nell’andare così ap-
punto, come fa la serpe, € riposa pure,
come fa la serpe, avvolta in se stessa per
30
mille svariate maniere. Ma laddove poi le
serpi non hanno nè apertura d'orecchi, nè
piedi; la cicigna ed ha aperture per udire
collocate dietro le mascelle, e per cam-
minare è fornita di quattro piedi, con che
viene essa a prendere le sembianze di lu-
certola. I due suoi piedi anteriori sono vi»
cinissimi alla testa; i posteriori sono all’ori-
gine della coda; i denti guerniscono amene
due le mascelle con un semplice ordine; e
la lingua è carnosa, lunga, niente divisa.
Scaglie minute e tonde vestono tutto quan-
to il corpo, con righe altre verdelle, altre
color di rame, altre nericce tirate per tut-
ta la lunghezza della parte superiore; la
parte inferiore biancheggia tutta. La cicigna
pertanto a dire giustamente è un animale di
mezzo fra la lucertola e la serpe; essa è
uno di quelli anelli, che gli osservatori van-
no si studiosamente cercando per iscoprire
i dolci passaggi della natura di genere in
genere senza mai precipitarsi, nè venire a
salti. Si vede chiaramente nella cicigna,
3
siccome la natura avendo fabbricata la lu-
certola, và maturando un’altra idea, e
preparando un animale di alkra foggia di
progredire , e di altre membra; si scorge,
che essa pensa a serbare il capo, la for-
ma del tronco, e la coda della lucertola,
ma che ne vuol tor via e gambe e piedi.
A vedere a che punto sono ridotti gambe
e piedi nella cicigna, evidentemente si co=
nosce, che quelle membra fra poco non
vi saranno più. Non ostante la lunghezza
di oltre a dodici pollici di tutto l’anima-
le, non più che due linee di lunghezza
hanno la gamba e ‘1 piede presi insieme ,
e ancora le dita de’piedi non sono che tre,
Non sono però sì piccoli strumenti oziosi,
nè inutilmente posti dalla provida matura:
nell'atto, che la cicigna cangia di luogo ,
si veggono le sue gambe pure in azione,
e valorosamente cooperare alla trasla-
zion locale.
In quanto alla possanza velenosa della
gicigna non posso se non uniformarmi al
se.
sig. Sauvage, il quale scrisse sopra gli anî=
mali velenosi della Francia, e ne fu co-
ronato dall’ academia di Roano. Come que»
sto autore cercando tutta la Linguadocca
non ha trovato esempio di danno alcuno
recato mai dal morso della cicigna, così
io pure non ho trovato vestigio di tal dan-
no intutta la Sardegna, ove ognuno s’ ac
corda a dichiarare la cicigna o di morso
nullo, o di morso innocente. Dicono uni=
camente, che se il bue o il cavallo la ro=
dono insieme coll’erba, c la trangugiano,
il ventre loro ne enfia stranamente con
pericolo di morire, se non si soccorre fa-
cendo lore inghiottire una bevanda prepa-
rata d'olio, aceto e solfo. Non è facile
conciliare sì fatta innocenza della cicigna
con quanto della cicigna si trova scritto
presso gli antichi autori sotto il nome di
Seps. Un animale del più atroce veleno è
la sepa presso questi autori; il suo morse
induce issofatto putrefazione nella parte
morduta, e in capo a tre o quattro giorni
33
tette a morte il paziente. Conviene per»
tanto che la velenosa sepa degli antichi fos=
se diversa della sepa moderna; e quindi @
anticamente più animali avevano nome se=
pa, o sonosi scambiati i nomi, e antica-
mente sepa si chiamava un animale, oggi
così si chiama un altro. Che la sepa mo-
derna sia diversa dalla sepa antica, almen
dalla velenosa, si fa manifesto dalle de-
scrizioni, poichè Aezio fa la sua sepa lun-
ga due gombiti, e tutta picchiettata di bian-
co; Pausania la fa color di cenere, con ca-
po lungo, collo sottile, e coda corta, le qua-
li cose per niente non convengono alla
sepa ossia cicigna presente.
Teme la cicigna il freddo, e il teme,
per quanto sembra, più che la testuggine ;
poichè essa ancora prima della vestuggine si
asconde, e va sotterra; infin dal principio
d’ ottobre si veggono scomparire le cicigne,
e si trovano sotterrate. A primavera già
incominciata si fanno rivedere per i luo-
ghi erbosi, ove perseverano ancora quando
34
le (erbe sotto il calore estivo sono già
inaridite (2).
Non vi è quasi in Sardegna chi non
abbia udito parlare dello Scu/rore, e nol
tema mortalmente. Un animale grosso ta-
lora come la metà del braccio è lo scultore,
lungo due spanne, con corta ma grossissima
coda, ricoperto di scaglie, colorito di fos-
co, fornito di quattro gambe, e di gran-
dissimi mustacci, un animale in sostanza
simile nella figura al tiligugoe. Non ama
esso i luoghi erbosi, nè i coltivati; ama i
diserti e le aride rupi, e buon per l’uomo,
che così ami; altrimenti ben più dannoso
nemico sarebbe esso che non è. Il solo suo
sguardo , se previene quello dell’uomo,
basta a far cadere l’uomo morto. Ecco in
brieve la descrizione e la storia dello scultore
(a) La Cicigna ha avuta la stessa sfortuna che il
Tiligugu è cadura nelle mani d’ un incisore infedele ;
l’uomo non si è avveduro, che nel disegno la cici-
gna aveva gambe, e però l’ha incisa senza gambe,
e prendendo nel disegno, per corpo ciò che era ombra,
''ha ancora fatta più grossa del dovere.
35
quali esse corrono per la bocca del volgo,
Vidal autore Sardo, il quale scrisse contro
Vico sostenendo che in Sardegna vi sono
animali pessimi e nocivi, attribuisce me-
desimamente allo scultore ali, e ne parla
come di aniìmal soggiornante nell’ Oliastra.
In quanto a me non posso parlare, che
per altrui relazione; poichè sì temuto ani-
male non ho potuto vedere mai in perso-
na; e perciò, e ancora perchè tra sardi
medesimi assai più-sono quelli, che ne par-
lano, che non quelli, i quali il viddero;
inclinerei non poco ad avere esso scu/zone
per un animale favoloso ugualmente che il
drago e ’l basilisco; mondimeno per favo-
lose non ardisco di tacciarlo, per ragione,
che molti asseriscono pure averlo veduto,
e medesimamente ucciso. Potrà pertanto
benissimo succedere in avvenire, che dello
scultone si dia una provata relazione, e
che in esso si scuopra alcun lucertolone
afiicano.
LERANE.
{DIL )}<e © }Cosp(di® 4 >(dId}<- od DICI (di) Add
Faggi VELLA spezie di Rana, che si usa
: 10; f comunemente in cibo, e la qua-
Birrevaili le fra le mani d’un dotto cuoco
sale infino a diventare un manicare ghiot-
to, c una miniera di sughi preziosi, quel-
la non esiste in Sardegna. Non contento
di averne cercato per me stesso, mi sono
per saperne indirizzato ad una spezie di
persone, le quali mi parvero dovessero es-
re informate sopra tutte le altre, cioè ai
soldati. Essi per occasione de’loro presidj
percorrono tutta l'isola, e in ciò che può
giovare alla loro economia la conoscono
infino all’ultimo pelo. La ristretta paga,
di cui una non piccola porzione è dovuta
al ristoro della bevanda gli obbliga a soc-
corrersi coll'industria. Conoscono pertanto
quanto in campagna vi alligna a proposito
per la loro camerata; e i primi pensieri
37
dopo l'arrivo a’castelli e alle guernigioni
sono andare alla scoperta di quanto cresca
e alligni mel contorno a proposito da far-
ne piatto senza spesa. Mi pare adunque,
che nessuno meglio de’ soldati industriosi
potesse sapere della rana in quistione. E in
fatti trovai siccome non avevano ‘essi om-
messe diligenze, e attentamente cercato ogni
fiume, ogni stagno, ogni acqua in traccia
della rana; nessuno però l’ha potuta sco-
prire giammai. Da tale attestato militare
‘ per se solo mi sono trovato convinto non
esservi in Sardegna la comun rana mangia-
tiva, quanto ‘sarei stato convinto, se in
persona avessi asciugato ogni acqua dal
Tirso infino al più sottil rigagnolo. Ho
fatro medesimamente venire le rane di Tos-
cana, € mostratele a’ mugnai, a pescatori,
a quant altri per ufficio mi parvero obbli-
gati ad essere informati dell’ acque; ma essi
tutti vedendo quella riga ‘gialla, la quale
partendo dalla estremità del muso corre
lungo tutto il dorso , accompagnata da due
38
altre righe simili laterali; veduti in oltre
quei due grandi forami d’orecchie tonde,
con tesavi sopra wna membrana” che paio-
no due tamburri: concordemente dissero,
che rane di tal foggia non ne avevano ve-
duto maî. La comun rana mangiativa non
esiste adunque in Sardegna.
LA RANA ACQUAJUOLA.
Crranps quanto la rana mangiativa è
questa rana, che io chiamo acquajuola; ed
è essa pure ugualmente che la mangiativa
screziata di color varii, ma non ha righe
gialle per il dorso, nè per i lati; nè nella
sua testa si scuoprono aperture di orecchi,
e i denticelli, che sono nel suo palato, vi
sì distendono per più lunga lista, che non
nella mangiativa rana. Quattro dita ha que-
sta rana ne’ piedi anteriori, cinque ne po-
sreriori, e sono questi ultimi corredati di
membrana fra dito e dito. La chiamo acqua-
jaola, perchè a me pare quella spezie, a
cui Gesnero. diede il nome di Rara aqua
39
eica innoxia (2, e Rajo la chiamò sempli»
cemente Rara aquatica (; che è pure
quella spezie, a cui piacque a Linneo di
dare il nome di Rana temporaria. (e). Sta
essa copiosamente per le acque sarde, e
vi gracida nella notte con quanto strepito
vi graciderebbe la rana mangiativa; lascia
però essa ancora le acque, e. si mette per
la campagna secca, priacipalmente duran-
te l’estate, I sàrdi la tengono per veleno-
sa, non ne mangierebbero per tutto loro
del mondo, raccontano medesimamente sto-
rie di soldati, che ne morirono; ma atte-
stano altri soldati di averne mangiato, e
che fece loro buon pro.
IL RANOCCHIO VERDE.
(A Ranocchio verde, a cui i naturalisti
danno il nome di rana arborea , è la se-
conda spezie di rane esistenti in Sardegna.
Le frondi degli alberi ne sono bastevol-
mente guerniti.
(a) Ovip. 46. (6) Quadr. a 47. (c) In S. N.
40
LA BOTTA.
“f
Non hanno i sardi diversi nomi per le
diverse spezie di rane; tutto si chiama da
essi rana, e sotto questo generico nome di
rana si comprende medesimamente la Bot-
ta; i Tempiesi soli situati nella parte della
Sardegna più avanzata verso l’Italia, hanno
mome proprio pet la botta, ed è quel no-
ime medesimo, con cui l animale in Italia
pure ottimamente si denomina, cioè il no-
ime di Rospo. Sono le botte giudicate dai
Sardi velenose ancora al semplice contatto;
e ciò che si racconta altrove dello affasci-
mare, che la botta fa alla donnola, si asse-
risce pure in Sardegna, ove molti preten=
dono avere veduto co propri occhi la don»
nola andare strascinata, senza vedersi da
qual forza, nelle fauci della botta. I rac-
contatori di questo fatto sono gente cam-
pestre le quali certamente non l’avran let»
to nel libro sopra i Rospi di Francesco
Paullini; e perciò sembra, che vi sia ragio-
ne di dar loro qualche fede, nè si possa
repurare un tal fatto del tutto falso.
LE SERPI.
SDUDITIC AME dio Dt DAD Ad dj e
Ep” SUOI
Po) Gi fg vuo Solino al capo sedicesimo
li del suo Polyhistor afferma, che
RAR in Sardegna non vi sono serpi:
Sardinia est absque serpentibus. Forse al
tempo di Solino il sistema delle cose in Sarde:
gna ere diverso dal sistema presente; forse
Solino per Serpe intese una spezie di ser-
pi particolare; forse Solino non fu bene
informato. Ma che che sia dè Solino, oggi
certamente vi sono serpi in Sardegna, €
ve ne sono di quattro spezie. Due spezie
sono da' Sardi chiamare Colubri, e duc
altre sono chiamate Vipere,
IL COLUBRO UCCELLATORE.
duoinno uccellatore chiamo la prima spe-
zie delle serpi sarde, poichè così la chiama-
D
4L
no i Sardi medesimi, li quali chiamandola
Colora puzonargia altto non vogliono di
re, se non se Colubro Uccellatore. La ap-
pellazione proviene dal costume di questa
serpe di farsi per gli alberi cercando i ni-
di degli uccelli per divorarne le uova ec i
pulcini. Questa spezie di serpe è la più
frequente nell'isola, ed è altresì la più
grande. Ne ho misurato alcune, le quali di
lunghezza avevano oltre a quaranta pollici;
e di giro nella maggiore grossezza. oltre a
pollici due, nè questeerano delle massime.
In quanto alnumero di quelle lainine, le qua-,
li guerniscono il petto e il ventre delle. serpi,;
e dalla quantità delle quali alcuni autori st
sono messi a differenziare le varie spezie;
di serpi, ne contai in questo colubro uc
| cellatore fino a dugento. dicianove; e. cento.
due paja contai di quelle altre laminet-
te minori, le quali guerniscono la coda
sotto. Non parmi però di avere sempre.
trovato il numero delle lamine sia cau-
dali sia addominali uguale e costante nei.
4
siversì individui di questa spezie, ca
mm'applicassi a contarle colla maggiore di-
ligenza. Tutta la parte inferiore di questo
colubro è gialla; la parte superiore è nera
brizzolata di giallo, quasi come se fosse
tempestata di granellini di miglio. Si po-
trebbe quindi avere esso per il Cencro; se
non che il cencro presso Dioscoride è serpe
di gran veleno, non inferiore all’ aspido;
el colubro uccellatore è serpe innocente,
non facendo altra offesa agli uomini, se non
di rispondere loro con percosse, quando lo
intoppano.
IL COLUBRO NERO:
LIM seconda spezie di colubro si chiama
Colora niedda , che è quanto a dire Colu-
bro nero: col qual nome si chiama essa
serpe, perchè è tutta nera. Questa serpe è
minore della precedente, più rara, e non
solo non remuta, ma amata, e accarezzara,
Maravigliose cose di dette serpi nere sì. rac-
contano ne cenventicoli delle donnicciuole:
44
si racconta, che esse già furono donne
fatidichc consapevoli dell'avvenire. Mi gio=
va credere; che queste storie si raccontino
dalle donnicciuole medesime per ischerzo»
îma nondimeno un oggetto di apprezza»
mento e di affezione sono le serpi nere
seriamente per molti fra la gente rusticana.
Se alcuna serpe nera apparisce ‘nella ca-
panna del pastore, e nel casolare del vil
lano , si piglia ciò per segno di buona
fortuna; di maniera che il disturbare il
colubro nero, si terrebbe per lo stesso;
che disturbare la buona fortuna già in pro-
cinto di entrare in casa. Si pigliano quindi
le donnicciuole la cura di conservare il co-
lubro colla inaggiore premura: ponendogli
quotidianamente da mangiare presso la sua
buca; e wvebbe già tal femmina, che pet
due anni continuò sì fatto ministerio.
LA NATRICE.
i
RELA Serpe d'acqua, ossia Natrice viene
da’Sardi chiamata nel Campidano Piyere
d'acqua, e Pivera d'aba nel Capo di e
pra, che è quanto dire Vipera d'acqua,
Il suo colore è cinerizio, variato ne’ lati
di belle macchie bianche e nere, per le
quali probabilmente fu essa appellata Vi-
pera. Innocente è questa biscia, lunga cir-
ca due piedi, armata di denti, in amendue
«le mascelle, e d’una doppia filza pur di
denti diretti verso la gola armata nel palato,
LA $SERPE derta VIPERA di SECCO.
verra, che i Sardi chiamano Vipera
di secco, è tenuta comunemente per un’ani-
male terribile e mortale; al solo nominar-
lo ognuno se ne raccapriccia; nè si trova chi
pure ardisca di accostarsegli; e in tale per-
suasione ho trovato i più degli speziali me-
desimi, nelle cui officine per altro la Vi-
pera è uncapo sì usitato, Tale persuasione
€ tanto orrore sono nondimeno un cetror
puro. La vipera sarda è innocentissima, sen-
za embra di veleno, e può ognuno ma-
neggiaria colla sicurezza d'un Marso o di
46
vin agnato di san Paolo. Parrà questa as-
serzione un paradosso; ma la asserzione è
certa per esperienza. Non solo non vi è
esempio in Sardegna di persona stata per-
niciosamente ferita da vipera, caso inevi-
tabile a lungo andare, dovunque vi sono
vipere mortifere: ma sonosi messe le vi-
pere sarde alle più sicure prove, e sonosi
messe senza effetto alcuno. Sonosi spiumati
i petti di piccoli colombi, e fatti ben bene
addentare dalle vipere ancora irritare. Era»
no i colombi morduti in dovere di mo+
rire tra pochi momenti; ma essi dopo il
morso vissero, € si mossero vegeti, come
se non fossero stati punti più, che dai lo-
ro pollini. Così fatta mancanza però di
veleno nelle vipere sarde non è uno stra-
no fenomeno, per la cui spiegazione con*
venga andare in traccia di sottili argomen=
ti; la mancanza del veleno nelle vipere sar-
de è del tutto naturale; poichè le vipere
sarde in sostanza non sono vipere. La sola
mole ne mette tosto il sospetto: laddove
la verace vipera è una serpe lunga-non sì
di pollici ventiquattro incirca, di queste
vipere sarde ne ho misurato tale, che giun-
geva a pollici trentatre, e nondimeno le
mancavano la testa e parte della coda; e
în questa coda così tronca contai ben qua>
rantaquattro di quelle laminette, delle qua>
li la coda intera della verace vipera ne ha
Solamente. un trenta o trentaquattro. Ma
ciò che decide principalmente la quistio>
ne, sono i denti. Di quei fieri denti ca-
mini, li quali nella verace vipera sono tut-
to insieme e lo strumento, per cui essa nei
suoi accessi di collera si apre la strada all’
altrui sangue, e il reo canale, percui il ve-
ieno all’ altrui sangue infonde, di quei den-
ti non vi è vestigio nella vipera sarda. La
vipera sarda ha la sua mascella inferiore
guernita di denti, e due filze di denticelli
ha essa pure nel ciel della bocca diretti ver>
so il gorgozzule, nel che essa concorda cor
altre serpi, e colla verace vipera; ma lad>
‘dove poi la verace vipera nella estremirà
48
della mascella superiore è armata di terri
bili sanne ivi presso ai denti del palato;
sanne quattro volte maggiori degli altri den.
ti, vuote di dentro e accanalate sino all’
ultima punta, le quali }' animale raccoglie
e spiega ad arbitrio, come il gatto fa la
zampa: la vipera sarda invece di tali san
ne è fornita di altri ordinarj denticelli pian=
tati per tutta la mascella. Non è pertanto’
la vipera sarda verace vipera; e mancando
essa precisamente degli arnesi, onde la ve=
race vipera è fatale, non è da maraviglia=
re, che essa sia innocente. Il colore, a cui
per altro convien credere sì poco , è stata
l'origine dell'errore e del terrore. Il co-
lore di questa biscia sarda è veramente vi=
perino; tutta la sua parte inferiore è ne-
riccia, la superiore è di color di terra ca-
ricato di macchie nere, al tutto come si
wede nella verace vipera.
Ar. vedere come in Sardegna si è pre-
so per vipera ciò, che vipera non era, sì
può diffidare ancora d’altrove, ec può tes
49
inersi con ragione non sieno sempre vipere
quelle, che per vipere si spacciano; e al.
ora si temerà con più ragione, quando al.
la vipera vada congiunta la straordinaria
qualità di hon essere velenosa. Così scrisse
Pausania, che nella Arabia felice non so-
no velenose le vipere, le quali dormono
ne balsameti. Non trovo in verità ripu-
gnante, che alcuna circostanza di luoga
possa frastornare nella vipera la ingenera-
zione del malnato liquore, il quale per il
canale del dente cola nella ferita, e fa rap-
prendere il sangue; ma pure ancora quelle
vipere de balsameti, se non eraio velenose,
non saranno state vipere. Le Isole princi-
palmente sono cadute in questa pretensione
di possedere vere vipere, ma spogliate di
ogni veleno. Di così fatta possessione si
vantano molte, e molte più si vanterebbo-
no, se si ponessero a raccontare le foro
imaraviglie. Con ciò sono esse venute dan-
do occupazione agli scrittori, e occasione a
strani pensamenti per ispiegare il fenomeno»
59
Chi disse che fe vipere delle isole immuni
non ‘discendono da quella vipera infelice;
del cui corpo ammantatosi il nemico sedus-
se la prima donna a mangiare del frutto
vietato, la quale vipera ne fu perciò ma-
tadetta, cioè condannata ad essere rea e ve:
tenosa in tutta la sua discendenza. Chi cer-
cò ragion più naturale, e credette trovarla
nell’ aura marina, dicendo, che aura sì fat=
ta bevuta dalla vipera è un freno agli ele-
menti velenosi, perchè non si raunino a
piè delle fatali sanne: ‘chi pensò altre cosé
peggiori. Questi autori probabilmente si
presero briga d’una chimera, e prima di
stancarsi spiegando, avrebbono dovuto as-
sicuratsi del fatto: la qual cosa facendo ;
probabilmente sarebbe cessato il bisogno
di spiegare, e avrebbono essi trovato, ché
le credute vipere non erano vipere; e pet
avventura avrebbono trovato quella mede-
sima spezie di biscia, che in Sardegna pus
re si crede vipera.
5Ir
FRATTANTO non esistendo in Sarde»
gna la velenosa vipera, viepiù si conferme-
ranno nella opinion loro quelli, li quali
affermano ; che in Sardegna non esiste ani-
mal velenoso alcuno. A questa pretensione
pure sono assai soggette le isole, molte la
armano, € fra le isole che hanno sosteni*
tori di immunità sì fatta, si trova la Sar-
degna (4. Anzi la Sardegna e la Irlanda
si fanno camminare del pari presso alcuni
scrittori: di maniera che la Sardegna è im-
mune da ogni animal velenoso, non solo
secondo la asserzione di qualche scrittore
nazionale, ma medesimamente secondo la
opinion pubblica. Non ho fondamento ba-
stevole per contradire alla prerogativa del-
la Irlanda: anzi mi parrebbe strano, se la
Irlanda non fosse così immune come uom
dice; da tanti scrittori si asserisce essa im»
munità , e da scrittori non solamente anti-
(a) Cosa maravillosa es; que en todo el reyno de Sar-
degna ni sus islas non se halla niungun animal ponzonoso»
Carillo Relagion, $. vi
sz
chi, ima moderni, e vicinissimi alla Irlane
da, e non molto disposti a favorirla, cioè
da scrittori Inglesi. Poichè adunque costane
temente sì asserisce, credero che l'Irlanda
sia un paradiso di immunità; che non vi
alligni alcun animal velenoso, neppure delia
piccola schiatta degli insetti; crederò che
non vi sia nè serpe, nè botta, né scor=
pione, nè pure ranocchi; e crederò che
non solo animali sì fatti non vi nascono,
ma che neppure vi reggono, qualora d’al-
trove vi si introducono; e che medesima-
mente quella terra benefica trasportata al-
crove uccide, ove si spande, ogni velenoso
animale (e). Ma alla Irlanda malamente si
accoppia la Sardegna, e tra le isole immu-
ni da ogni velenoso animale la Sardegna
non si può annoverare con verità. Passione
o inconsiderazione fu di chi ve la annoverò.
Fara medesimo serittore sardo, da me al-
trove già lodato, ma uom sincero, € uni-
(e) Giraldus Cambrensis in Topograchia Hibernias
53
camente premuroso della verità non della
meraviglia, combattè nella manoscritta Co-
rografia immunità tale, e la combatte con
ragione; poichè non sono pochi gli anima-
li, che vi si oppongono, E primieramente
senza. parlare nè di zecche , nè di vespe,
nè di altrî insetti simili, sonovi pure in Sar-
degna il rospo, e lo scorpione. Ma quan»
do ancora nè il rospo ci fosse, nè lo scor-
pione, sono forse favolose le due spezie di
Solifughe? non sono esse saputissime in tut-
ta l'isola? non conviene forse soccorrere
contro il loro morso col potentissimo ri-
medio del letaimajo e del forno? e se il
soccorso tarda, non convien forse morirne,
o rimanerne offeso per quanto si campa?
per la qual cosa avvisò già Solino, che la
Sardegna soffre dal canto della solifuga quel
veleno, di cui essa va esente dal canto del.
le serpi (@), Sarà pertanto la Sardegna una
invidiabile isola per molti capi; sarà una
(a) Quod aliis locis serpens, hoc solfuga sardois agris»
s4
isola felice di messi e di nettari; una isola
ricca di frutti, di metalli, e di animali.
Sarà una isola immune da molti e gravi
sconvolgimenti e meteore (4); una isola me-
desimamente immune da molte infeste fie=
re: ma non si potrà dire con verità, che
sia una isola immune da ogni animale ve-
lenoso.
(2) Dei tremuoti appena vì è memoria; la gran-
dine, e ituoni seno rarissimi,
LE LAMPREDE.
MIETPEVIRTE 77: "or dis )<+ dA did) a DI por porn
MATT
3 L Se Lamprede di fiume non esisto-
Wwf 2° in Sardegna; e sono perciò
le lamprede a’Sardi un oggetto
di sorpresa ugualmente che le rane, quan-
do arrivati la prima volta in Italia le veg-
gono mangiare sì ghiottamente; non rarda-
no però a convertirsi, e coll’altrui esena-
pio divengono in brieve lodatori. anch'essi
non meno. di quelli apparenti lombrichi , che
di quelli apparenti rospi; e ritornati nelle
loro patrie non lasciano insieme. agli odo-
rosi tartufi di Piemonte di ricordarne le sa=
porite lamprede..
“LA Lampreda di mare non manca, e
suol trovarsi fortemente appiccara colla bog
ca alle feluche di fresco spalmare.
(a) Petromizon, Lin. in sysu nat.
x
I CARTILAGINEI PIATTI
scor: cho: 10D0o- «»{ diede Cpo++=Doar +e: tot pot anpor +)
LA TORPEDINE. (9)
È
PINE:
{C) OPIOSAMENTE sì pesca da ogni
® fangoso fondo marino la Tor-
pedine; benchè alcuni pescatori
affermano, che in maggiore quantità se ne
pesca nella parte orientale della Sardegna»
Sonoci torpedini occhiute , cioè aventi mac°
chie a guisa d’occhi sopra il dorso; € so=
noci torpedini schiette senza macchia. al-
cuna; e di schiette solamente ne ho io ve-
dute; delle quali il colore è quasi un co-
lor di rubrica per tutto il dorso; e perciò
quando nel dizionario di storia naturale del
sig. di Bomare si trova scritto, che il dor-
so della torpedine è del tutto bianco,
(a) Raja sora levis. Ibid.
57
dos del'animal est. tour a fuit blanc. @); si
deve ciò avere per un errore di penna, es-
sendo così bianco non il dorso, ma il ventre,
Poco misurata è altresì l’espressione
dell’ autor medesimo, quando. egli dice,
che la pelle della torpedine è senza squa-
ine. sensibili : sa peaz ese, sans ecailles sen-
sibles 5 poichè la. pelle della torpedine non
ha squama alcuna nè sensibile, nè insensi-
bile; la sua pelle è pelle pienamente sguer-
nita e senza difesa; e non solo sprovvedu-
ta. di squame, ma spogliata d’ogni pungo-
lo, perfino d'ogni asprezza; di maniera
che la torpedine cela la sua rea possanza
di intormentire, chi la tocca, sotto la più
innocente, apparenza.
‘DELLA sua carne non si fa grande sti-
ma in Sardegna, e a torto per avventura:
piuttosto che carne sembra essa una dili-
cata gelatina, la quale fritta diviene un
mangiare leggiero e sano; e in fatti la tor-
(a) Vedi alla voce Torpille,
58
pedine si trova fra i cibi per leggerezza e
per soavità lodati dal medico Galeno (A.
LE RAZZE. (0)
Aura Torpedine danno 1 Sardi il nome
di Tremolosa; tutele altre spezie analo-
ghe alla torpedine sono confuse sotto un
nome solo, e vengono chiamate indifteren-
temente Zirulie ; ‘nome venuto nell’isola
non so da qual parte, e forse foggiato nell”
isola medesima, atteso una spezie di so-
miglianza, che si trova dalle razze e dalle
ferracce al vispistrello; il quale in alcuni
luoghi si chiama 7irio/.
Sono le razze detestate da' Sardi nella
comestione; spiace l'odore feridamente sal-
vatico della toro sostanza, e spiace la me-
(e) Lib. 3. alim.
{b) Per Razze s'intendono quei cartilaginei piatti,
li quali hanno bensì la coda piena di pungiglioni, ma
non vi hanno ferro, col qual nome di ferro întendono
pescatori un lungo osso dentaro come una sega; €
quei cartilaginei, che di simile osso sono corredati alla
coda, si chiamano Ferracce.
59
desima loro sostanza stopposa; poco per-
tanto s’ accosta. loro la gente ne’ mercati,
nè s' accostano se non bisognosi o economi.
Per velenosi sono altresì tenuti i pungiglio»
ni delle razze: perciò i pescatori recidono
loro issofatto la coda e ?l muso ; altrimenti
sarebbono senza remissione multati. La leg-
ge di mutilare questi animali in sul posto
medesimo della pesca, facendoli arrivare
dal mare così sfigurati impedisce non poco
il verificare a dovere, quante spezie ve ne
abbia in questi mari sardi, Tra le code del-
le razze procuratemi altre ne ebbi, nelle
quali non si vedeva se non un semplice or-
dine di fortissimi denti disposti nel mezzo
della coda da capo a fondo; altre ne ebbi,
ove olrre alla serie di mezzo ve ne aveva
due altre laterali; ma queste due serie. la-
terali non furono uniformi in tuite le co-
de: in alcune code queste serie laterali non
giungevano se non alla metà della coda; in
altre arrivavano fino al fine ugualmente che
la serie di mezzo. Nei corpi delle razze mu-
2
60
tilati altri ne ho osservati d’un fondo cine=
rizio or ondeggiato di nero, or di nero
semplicemente punteggiato: la quale spezie
deve essere la ra;ja undulata di Ronde-
ezio (4: altri ne ho osservati macchiati
variamente di verdastro e di fosco; altri ne
ho trovati colla pelle tutta liscia; altri col-
la pelle aspra, ed anche essa armata come
la coda or più or meno di sanne o denti.
Più oltre non posso dire di questi pe-
sciacci mercè la insuperabile difficoltà pro-
Vata in procurarmene degli interi, Era non-
dimeno il desiderio e l'impegno di procu-
rarmene interi grandissimo , atteso che le
razze mi parevano un campo tuttavia biso-
gnoso dello studio de’ naturalisti, non an-
Cora messo in netto, e pieno di confusione.
Tra chi parla di razze non v'è concordia
nè intorno al numero delle foro diverse spe-
zie, nè intorno alle diverse forme de loro
corpi. Rondelezio, il quale sul punto delle
razze si può avere per il più solenne mae-
(a) Rond. 1. Pisc. 436.
GI
stro, ne annovera e ne descrive da quindici
spezie, e Linneo riduce tutta quella molutu-
dine ad un terzo, non annoverandone se
non cinque spezie (2). Aldrovandi afferma
che alcune razze non hanno denti: alie cos
(dentes) Aabene, alie carene (), e Linneo
dividendo come fa le sue razze precisamen-
re secondo la diversità dei, denti, ponendo
in una classe le razze a denti acuti, nell’
altra le razze a denti ottusi: suppone che
tutte ne abbiano. Ad una medesima razza,
cioè alla razza ondeggiata, Rondelezio at-
tribuisce tre ordini di denti ossia pungiglio-
ni piantati nella coda, in cauda sunt eriplici
ordine disposita (©, e Linneo non le accor-
da se non un ordine solo: cauda unico acu-
feorum ordine (@). Vergherei ancora due pa-
gine, se volessi proseguire le contradizio-
ni, le quali risguardo alle razze si trovano
{a) In syst. nat.
{) De Pisc. lib. 3. c. 48
(c) Apud Aldrov. Lib, 3. de Pisc. È 50»
(d) In syst. nar-
62
presso altissimi naturalisti; per le quali sì
vede, che il tratto di storia naturale oc-
cupato dalle razze, è tuttavia involto di te-
nebre e poco saputo.
LE FERRACCÈ.
a carne delle Ferracce è detestata dai
Sardi ugualmente che la carne delle razze,
e ugualmente ne sono temute le code. Perciò
la sua carne pure è a vil prezzo, e l’ani-
male uscendo dal mare viene di presente
mutilato. Posso nondimeno affermare, che
tutte le varie spezie di Ferracce conosciu-
te nel meditertanco si pescano pure nei
mari sardi.
Si pesca primieramente quella spezie;
la quale a cagione della sua coda lunga,
tonda, e di color gialliccio somigliandosi
alla radice pastinaca , più propriamente che
le altre ferracce sì deve chiamare pastinaca.
St pesca inoltre quella spezie di fer-
taccia a coda corta, la quale i Napoleta-
ni chiamano A/tavela, e Cuccio i Genovesi.
63
A questa ferraccia Linneo attribuisce dop-
pio ferro ossia sega, ma solo posticamente
dentata: aculeis duobus postice serratis. lo
però ne’soggetti da me osservati non ho
trovato se non una sega sola, e questa den-
cata da capo a fondo in amendue i lati.
Sr pesca il pesce Aquila, chiamato da
alcuni pesce racco, ferraccia anch'esso, si-
mile alla pastinaca; se non che la sua te-
sta tondeggia più e s' assomiglia a quella
del rospo,
. Gesnero € Aldrovandi descrivono la
coda d'una quarta ferraccia, la quale oltre
all'essere accompagnata da due seghe, è
tutta quanta orridamente seminata di stelle
spinose; e di questa spezie di ferracce si
parla per avventura in quei versi di Ceri-
fco Calvaneo.
» Era il suo legno quasi carovelle
E come anfesibena , potea andare
Innanzi e indietro, ed'ogni parte ha stelle,
Sicché quel pesce pastinaca pare,
CA
Or che di queste ferraccè pure ve ne
abbia ne’ mari sardi, ne posso far fede;
poichè d’una coda simile alla descritta dà
Aldrovandi ne fui già ‘presentato per usar
la in luogo di frusta contro il cavallo.
Sono le seghe delle ferracce veramente
atte ad aprire c vincere qualanque fortis-
simo legno; ma una molto più maravigliosa
virtù ho udito attribuire loro da’ pescatori
superstiziosi: le credono abili a vincere gli
animi; perciò le si mettono indossò, dicen=
do certe parole; e con ciò si tengono sicuri
di conciliarsi qualunque animo vogliono. ‘
LA RANA PESCATRICE (l°.
Que pesciaccio cartilagineo piatto, ché
pare composto semplicemente di coda e di
una testaccia immensa, chiamato Razza pes>
catrice , sì estrae da’ mari sardi di tal gran
dezza, che facilmente oltrepassa il pese
d’un rubbio. La sua carne è detestata ugual.
(a) Lophius depressus capite torundatio. Lin, syst. nati
65
mente che la carne delle razze e delle fer-
racce; e riòn và essa pure se non nelle
pentole della plebe. Per quanto ho osser-
vato ;, assai bene è stato generalmente des-
critto quest animale da varj autori; Linneo
però merità alcuna correzione per risguardo
al nùmero delle verghe , delle quali quest'ani-
male è provveduto afline di pescare e man-
tenersi; due sole gliene attribuisce Linneo:
piscatur tentaculis binis capitis tanquatr
linea } ed io talora ne ho trovato fino a
‘cinque; tre lunghissime di queste verghe ho
veduto uscire dal capo fra occhio ed occhio
ciascheduna colla sua carnosità in cima per
adescare ; e dietro a queste ne ‘sorgevano
altre due minori.
ro squanro ll).
Prisca ondsiata e spesso veduta ne mer-
cati sardi è quella spezie di cartilagineo ,
ehe aggtuppa insieme le razze c i cani, par
Ca) Squalus pinna ani nulla, ore terminali, Li.sy, nata
66
tecipando della forima d'amendue, cioè Jo
Squadro. il quale realmente si può dire,
che nel principio e nel fine del suo corpo
è un cane, ed è una razza nel mezzo;
poichè la squarciatura della sua bocca è
collocata non sotto la testa, come. nelle
razze, ma nella parte anteriore della testa,
come ne'cani, ed in oltre la sua coda è ron-
da e carnosa come quella de’ cani; ma poi
dalla coda infuori il suo corpo è schiacciato
quanto quello delle razze. Squadra o Squa=
dro si chiama quest anfibio ancora da' Sardi.
I CARTILAGINEI TONDI ossia CANE
MARINI:
LE grandissima quantità si trovano ne' ma-
si sardi quei piccoli cani marini, li quali
da’naturalisti vengono chiamati Carz/. Una
sola spezie nondimeno è quella, la quale
copiosamente si piglia, benchè i naturalisti
più spezie ne contino, ed è quella spezie;
la quale è colorata e macchiata quasi una
vipera, c la quale da’ Toscani si chiama
Gattuccio.
67
Tr Cane propriamente detto, quella
‘spezie cioè, la quale da' naturalisti si chia-
ima Canis Galeus, e la quale facilmente si
‘può distinguere ad una apertura lineare fat-
tale dalla natura dietro l'occhio, insidia gli
uomini presso le spiagge sarde ugualmente
che altrove; e le storie di persone improv-
visamente addentate da simili cani, e altre
tirate a fondo, altre infelicemente mutilate,
altre miracolosamente salvate si raccontanò
pure in Sardegna; ed a' mercati viene pure
in copia la trista piattanza di questo animale.
IL Mustelus levis, chiamato da'Sardi
musola abita esso ancora in quantità per
questi mari,
Rare volte sì piglia il Pesce Porco,
chiamato da’ naturalisti Centriza ; rare volte
pure si pigliano lo Spinello chiamato Ga/eus
Spinax, e il Nocciuolo detto Galeus Levis
DeLLA sua presenza in questi mari dà
molti segni il Cane carcaria (), e spesso
(a) Squalus dorso plano, dentibus serratis. L. în 5y. Re
68
si mostra in persona. Î segni, che fanno
fede della sua esistenza. si trovano in terra
in compagnia di quegli altri monumenti, li
quali fanno fede, che la Sardegna giacque
già un tempo sotto acqua, e dove ora sol-
ca l’aratro e sorgono vigne, nuotavano una
volta pesci, e s'artaccavano l’ancore; ossia
la Sardegna alla maniera di non poche altre
parti del globo sorta improvvisamente dai
fondi marini fra lo strepito di lampi e tuoni;
ovvero sia essa venuta alla luce al tempo
che cessando il diluvio il mare si prese a
ritenere per se quello, che anticamente era
stato terra, e agli uomini abbandonò quel-
lo, che era già stato fondo marino (@,
Conchiglie, ricci, granchi, ed altri corpi
(a) La moltitudine incredibile di corpi marini, deî
quali la Sardegna è piena , prova ad evidenza, che questà
Sardegna un tempo non ci fu, e giaceva sotto acqua.
Nella Storia de’ quadrupedi mostrai già per alcune os-
servazioni, che la Sardegna doveva esser stata un tempo
parte di continente, Si può pertanto dire con fondamento;
che la Sardegna è srara un rempo fondo di mare; poi
diventò continente, poi isola.
69
propri del mare si trovano in Sardegna nelle
sue parti più rimote dai mari, e incassati
nel cuor delle pietre, anzi fatti elementi di
fortissimi marmi. Or fra questi moltiplici
corpi marini si incontrano con frequenza
quelle, che il volgo sardo ugualmente che
il volgo maltese risguarda per lingue di
serpenti impictrite, e le quali non sono
alero fuorchè denti di cani marini; ve ne
hia di diverse fogge, ma fra le altre glosso-
petre ve ne sono delle grandi, triangolari ,
e dentate, le quali sono i meri denti del
Cane Carcaria. Da queste spoglie rimaste
si conosce, che quel Re de’ Cani soggiorna
in queste acque. Ma una prova più imme-
diata forniscono le tonnare, le quali, non
rade volte pigliano il Carcaria, e sempre
il temono. Il conoscono sotto il nome di
Lamia, col qual nome pure l'appellano al-
cuni naturalisti. Or le lamie sono l’ un degli
oggetti più remuti da’ pescatori del tonno;
talora però nell’atto di inseguire il tonno,
rimangono esse medesime immagliare, e
70
coll’abbondante olio, che forniscono, com-
pensano riccamente i pescatori, della paura.
avuta. Lamie si pigliano in queste tonnare,
che avran tre in quattro mila libbre di pe-
so; nè minor mole si richiede, per ingojarsi
un otto o dieci tonni interi per volta,
come fanno.
Detto Sturione l non ho altro mo-
tivo di parlare, se non quel medesimo, che.
ebbi di parlare della lucertola; cioè per di-
re, che esso è incognito alla Sardegna. La
piccolezza de’ fiumi sardi, che nelle loro
foci medesime sono poveri e si disseccano,
sarà non inverisimilmente la cagione, per
cui questo sì lodato anfibio , intanto che
esso fa liete di se le foci de’ fiumi italiani,
del tutto si nieghi alle spiagge sarde,
(a) Acipenser citris 4, squamis dorsalibus 11. Lin. sy. m.
PR), À, n € da i
I K |2 res 1 della Sardegna. provengono
Ema di fiumi, dagli stagni, e dal
mare. Quella spezie di gran ser
batoi d'acque, che tramezzano il corso
de’ fiumi, e. ‘che si chiamano. laghi, non
è conosciuta in Sardegna; in Sardegna non
v'è lago alcuno.
ti PESCI DI EIUME.
Meo di fiume sono proporzionati a’fit-
mi medesimi: sono piccoli di mole, e po-
chissimi di spezie, come i medesimi fiumi
sono piccoli ed ignobili. Le spezie de'pesci
GE
£
74
fiumali non sono più che due, ciò sono la
Trota ‘e l'Avguilla. | dA
LA Trota sarda s assomiglia alla trota
svizzera, in quanto le sue macchie non so-
no rosse, ma nere; € spessissime, con solo
talora alcuna rossa piccolissima frapposta
alle nere; la sua coda è biforcata, ed il
color del ventre è sommamente argentino,
quasi fosse di metallo. Duc libbre sono il
massimo pesu di queste trote, ma comu-
nemente una trota di mezza libbra è già
tiputata. una trota grande. IH tempo della
sua bontà è giudicato. quel mese, in cui
tutta la natura è in vigore e in fiore, il
mese di maggio, ® fra tutte le trote dell’
isola sono celebrate quelle di Ozieri. Ma
in qualunque rempo, e in qualunque luogo
si piglino, le trote sarde sono secondo la
mia esperienza sempre esposte a sapere al-
cuna cosa di fango.
L’ Anguilla pure se giugne a due libbre,
è una grossa anguilla; l’anguilla di Lbbre
quattro è una sorprendente anguilla. Sonosi
75
nondimeno prese talora anguille di dodici
e più libbre ;* ma allora st riguardano co-
me un prodigio, € quasi si teme di pur
mangiarne. L’ordinaria piccolezza di que-
ste anguille le rende allo stomico di facile
smaltimento ; e la loro grassezza e consi-
stenza le rende di sapore eccellente. Ogni
fiume sardo ne è proveduto, e in ogni rem-
po sì pescano; ma nondimeno il tempo del-
te gran catture viene al tempo delle piene?
Allora il pescatore da ciascheduna riva del
fiume fa partire due argini convergenti fra
loro, e alla bocca rimasta fra due argini
mantiene la nassa, ove le anguille traspor=
tate dalla corrente vanno ad insaccarsi. Di
wna intera stagione tarda pertanto la gran
cattura delle anguille in Sardegna a parago-
ne d'italia; poiche d'una intera stagione
tardano le piene, non succedendo esse in
Sardegna se non nelle vicinanze dello sol
stizio jemale, mentre in Italia accadono
presso l’equinozio d’aurunno. Fuori de'fu-
mi ancora si pigliano anguille in certe poz-
2
96
Pai
ze ossia: acque stagnanti; © succede mede-
simamente a' lavoratori nello zappare la ter»
ra di abbattersi in certi palloni di anguille
aggomitolare insieme, che i Sardi chiamano
mole. Ma e le anguille delle pozze, e le
anguille delle 720/e non si debbono avere
se non per anguille iscappate da’ fiumi; giac-
che le anguille si dilettano di camminare
per terra, e passare da luogo a luogo,
ALLe pazze origini delle anguille pen-
sate in conseguenza della oscura loro gene-
tazione, va annoverata quella, che corre
fra’ pescatori sardi, non inferiore di merito
a quella, che allegò Plinio, facendo nasce-
re le anguille dalla rastiatura della loro pel-
le (4); nè a quella, che mise in campo
Rondelezio facendole nascere da’ cadaveri
de’ cavalli (0); nè a.tante altre ideate nel tem-
po, in cui era lecito far nascere le più bel-
le e le più gentili fatture di Dio dalla pu-
(a) Anguilla atterunt se scopulis , & strigmenta vivee
scunt , ‘nec alia est earum fpeneratio,
(5) Vide Aldrov. de Pisc. db. 4. cap. 14a
7
tredine. Uno scarafaggio di quel I;
che Linneo chiama Dyeiscus, e di cui fa-
rò la descrizione nella storia degli insetti,
soggiorna per i fiumi sardi; or questo viene
da’ pescatori chiamato la madre delle an-
guille: sa mamma de sas ambiddas (@,
Corra trota e colla anguilla finisce
tutta la ennumerazione de’ pesci rigorosa-
mente fiumali; laonde in materia di pesci
fiumali la Sardegna è veramente poverissi-
ma, per un destino assai comane alle isole;
delle quali alcuna, comunque maggiore del-
ta Sardegna, nè pure giugne ad avere la
anguilla, e si riduce alla sola trota. 0).
A soccorrere tanta inopia de’ fiumi vie-
ne alcun pesce dal mare; ciò sono il Mug-
gine e la Laccia; ma de’ mugili non entrano
ne fiumi se non i piccoli, e pochi; sicchè
1’ unico pesce avveniticcio di conseguenza
è la Laccia ossia Chieppa. I Sardi non
hanno altro nome per questo pesce, se non
(«). Le anguille sono oggi riconosciute per vivipare.
{£) La Islanda. Vedi la storia d’ Anderson.
7$
il nome spagnuolo di Sadoga, segno per
avventura, che dagli Spaguuoli appresero
essi a conoscerlo, o ad apprezzarlo. Cinque
sono i fiumi sardi, che ricevono la laccia:
il fiume di Oristano , quel di Coguinas, il
Flumendoso, il fiume di Utta, e quel di
Bosa. L'ingresso si fa in marzo, e la uscita
succede in giugno j; di maniera, che la lac-
cia soggiorna ne’ fiumi sardi quasi il preci-
so trimestre della primavera. Nega Aldro-
vandi, che la laccia si scarichi delle uova
ne’ fiumi, e s’appoggia della autorità di
Strabone ‘); Willugbeio e Baltner attesta-
no il contrario (©), e ’l contrario pure si ve-
de in Sardegna, ove le lacce entrate ne’fiu-
mi in marzo colle ovaje piene, si pigliano
‘ne fiumi medesimi già vuote in maggio,
e molto più in giugno, e le uova stesse si
(a) Pariunt in fine astatis non in ffuminibus , sed in
mari, quemadmodum Strabo testatur, & usus compro=
bat : in fuvus enim neque recens nata , neque effata ulle 3
sed majores omnes in utero habentes famina , aut mares
seimne pleni capiunturo De iisc. lib.1V. Ca, 14
(b) Geofroy. de Mat med
79
vedono ondeggiare, seminate per i fiumi.
Ali cempo che la laccia è in uoya viene essa
da’ Sardi pure giudicata un eccellente pesce;
e vVebbe già, chi la pagò tre paoli e mez-
«zo la libbra; spesa enorme in un pae-
se, ove il pesce è vilissimo , € paragona-
bile ‘agli ottomila nummi da Asinio Celere
profusi, per una triglia. Vico giudica le
lacce del fiume di Utta le più saporite del-
Ta Sardegna, e le antipone a quelle di Tor-
tosa in Catalogna, le quali secondo esso so-
no d'altra parte assai vantate in Europa (9),
Certamente in quanto aila grossezza sem-
brano notabili le lacce ‘sarde; arrivano
esse a pesate ben dieci libbre, e le lacce
del grandissimo Reno d'Allemagna non pas-
sano le quattro libbre secondo Lodovico
Baltnero (5).
(a) En este rio (de utta) se crian les mojores sabogos
que en atro niuguno, .. , y con tener fama de muy buenas
Tas que se pescan en Tortosa de Cacaluna , afirmarè dezir
que no liegan de mucho estas a las del rio de Wira, Hisc.
de Sard. Par. 1. C. 4»
(5) Apud Gcofroy. de Mat. mo
fo)
I PESCI di STAGNO.
x LI stagni coronano intorno intorno tutta
quanta la Sardegna; e se per una parte sono
essi alla Sardegna cagione di non poca in-
salubrità per effetto delle loro putride esa-*
lazioni estive: riescono però i medesimi di
altra parte di non poca amenità, e fornis-
cono una abbondanza grandissima di cac-
ciagione € di pesca. D’ogni maniera pesci
accorrono dal mare agli stagni; ma i prin-
cipali sono lo Sparo, la Orata, l’Anguil- .
la, il Lupo, il Muggine; e quale stagno
si vanta più dell'uno di questi pesci, e
quale più dell’ altro. Lo stagno di Cagliari è
celebrato per i suoi Spari in ottobre; il Ca-
ligo d’ Alguer vanta le sue Orate in autun-
no. Lupi ortimi e grossissimi fino a libbre
dodici si pigliano nel Caligo pure, c negli
stagni oristanesi; gli stagni oristanesi sono
i più ricchi in anguille. 11 Muggine abbonda
in ogni stagno; € si può. esso muggine in
ragione di abbondanza e di consumo chia-
maie il primo pesce di Sardegna, Ogni ma
SK
te, ogni fiume, ogni stagno somministra
muggini; il muggine da ognuno si consuma
in ogni tempo, presso mare e dentro ter-
ra; si logora fresco; e sì serba profumato.
La maggiore copia nondimeno ne proviene
dagli stagni, e dagli stagni oristanesi prin-
‘cipalmente per tal maniera, che pesce di
Oristano e Muggine sono quasi voci sino-
nime presso a’ Sardi. Fra gli stagni oristanesi
medesimi il più ricco di muggini è lo, stagno
di Cabras in quel suo accesso, ossia posto
avvanzato, che si chiama Mare Pontis.
Fra Mistras e la torre partono dal mare
più canali, che vanno a mettere capo nello
stagno di Cabras; e in questi canali prima
che essi arrivino allo stagno di Cabras, si
trova Mare Pontis, che altro non è fuor-
che abitazione di pescatori, ponti sopra i
fossi, e ne fossi medesimi steccati e labirin-
ti piantati di cannucce, ove il pesce viene
da se stesso a imprigionarsi; Ora in questo
posto principalmente regna la abbondanza
del muggine; la fiera vi è aperta tutto l'an-
32
no; tutto l'anno vi concorrono vetturali &
caricare muggine, che per tutto il regno si
divide alle città medesime più lontane, e
sedute in riva al mare, ove spesso arriva
come un soccorso d'una piazza affamata,
allor quando esse non ostante la vicinanza
del mare, si trovano prive de’ suoi prodotti.
La Peschiera di Mare Pontis forma quindi
ana attuale ricca entrata della Casa Vivaldi,
riguardevolissima famiglia di questo regno,
e prima formava parte del real patrimonio;
ma se ne privò Filippo Quarto , allora quan-
do non ostante il dominio del vecchio e
del nuovo mondo trovò il suo erario sì vua-
to, che per combattere i Catalani dovet-
te impegnare i suoi stabili (@). Non solo
per l'abbondanza, ma ancora per la gros-
sezza e per la bontà de muggini prevale
Mare Pontis. I suoi muggini arrivano ad ol-
trapassare le libbre venticinque; e sono di
(a) Fu nell’anno 1652, che Girolamo Vivaldi acquistò
le peschiere di Mare Pontis e di S. Giusta per il preze
zo di scudi 143099
8;
miglior sapore, e di facile smaltimento,
per ragione che sono muggini fimmediata-
mente vegnenti dal mare, e non ancora
guasti dal lungo soggiorno ne’ fangosi stagni.
Benchè la estate sia la stagione del maggio-
te impinguamento del muggine, nondime-
no non è allora il tempo della miglior sua
comestione, almeno del muggine, che si
piglia fuor del mare; poiche non è facile
a concuocere, e s infetta del sapore degli
stagni; ne mesi d'inverno è un pesce di
buon sapure, sodo, e leggiere allo stoma-
co; nè si costuma di mangiarlo con altra
preparazione , se non di arrostirlo alla gra-
ticola e bagnarne i bocconi in salamoja.
OLtrE alla grandissima quantità del
muggine , che in Sardegna si consuma fres-
co, il muggine si secca, e fassene l'aringa
affumata per i bisogni della quaresima. La
preparazione per cio usata è quella mede-
sima, che gli Inglesi di Yarmourt pratti-
cano colla vera aringa. Il imuggine si lascia
prima in sale; poi sospesolo in baracche
ben chiuse, vi sì fa gian fumo per più
4
giorni; e allora il muggine seecandosi cat>
gia come l’aringa il suo colore d’argento
in oro. Non sogliono però i Sardi nè sven»
rare il muggine, nè strapparli le branchie,
come coll’aringa costuimano gh Inglesi. La
Yarmout della Sardegna è santa Giusta; € da
santa Giusta esconole gran provisioni di mug-
gine secco , che i Sardi chiamano Mugheddu.
UNA seconda pieparazione si fa del
muggine , preparazione preziosa, a cui noî
arriva la aringa; ed è la preparazione del-
le sue nova. Dai muggini più grossi si trag-
gono esse uova, € lasciatele nel loro natù-
rale ‘amnio, ossia sacco, si aspergono di
sale; poi si tengono compresse fra due ta-
vole; nè in prepararle interviene punto
il famo. Un vivo color rosso è il segno
della loro perfezione; e il nome, che pi-
gliano così preparate’, èil nome di Forrarga.
Botrarga significava già presso a Greci ogni
spezie di salume; ma oggi questo: nome si
dà per eccellenza alle uova del muggine
insalate; e in realtà non sono esse indegne
di essere chiamate salume per eccellenza;
85
le uova del tonno, e il caviale (4) sono pre-
parazioni di gran lunga inferiori alle uova
del muggine. Risguardano pertanto i Sardi
con ragione la loro bottarga siccome un
frutto da potersi con onore presentare ad
altrui; e perciò trasmettendo a'loro amici
esteri i presenti di paste, di melarance, e di
moscati, con successo. vi uniscono pure le
bottarghe. Il tempo di questa raccolta prin-
cipia alla metà di luglio; ‘e dura infino ‘al
la metà di settembre; perchè in detto tem=
po le uova del muggine sono più piene,
siccome il muggine medesimo è più pros-
pero e più pingue. Quasi in ogni luogo,
ove si piglia il muggine, si fanno bottar-
ghe in Sardegna, e quasi ogni luogo pre-
tende avere le più eccellenti; la palma non-
dimeno si deve ad Alguer; Alguer cede a
Bosa il vanto della malvagia, contende colf
Oliastra per l’eccellenza del vino, ma su,
pera .ogni altra parte. della Sardegna per il
zibibbo, e per le sue botrarghe.
(a) Questo nome si dà alle uova dello storione ,
salare in botti, che vengono di Moscovia»
I PESCI DI MARE.
ob DIC GAB oplodit dc ep did toa To scatti iio DI
ASCA
È DI 9 L mare sardo non ha veruna spezie
SENIO di pesce sua: propria co e hanno
per avventura altre parti del mediterraneo;
e delle medesime spezie comuni del medi-
terraneo alcuna ne manca nel mare sardo.
Ma generalmente parlando i comun pesci
del mediterraneo si pigliano pure in Sar-
degna, e cid in quantità grandissima: il Ton-
no poi forma un grande articolo nella sto-
ria de pesci sardi, e dona al sardo mare
attualmente una grandissima preminenza.
Ecco in brieve abbozzata la storia dei
pesci sardi marini; alla quale verrò dando
compimento seguitando l'ordine e distribu-
zione di Linneo. Hanno i pesci oltre alle
loro pinne del dorso, de’lati, e della coda,
due altre pinne appiccate al ventre, le qua-
7
li Linnco chiama pied? de pesci, perche il
pesce sopra esse punta, e si regge, e stà,
quando tocca fondo. Or secondo le varie-
tà occorrenti ne’ pesci per riguardo a cotai
loro piedi, schiera Linneo tutti quanti i
pesci in vari ordini, di maniera che se-
condo esso Linneo altri pesci sono Apodi,
altri Giugulari , altri Toracici, altri Addo-
minali ; ai quali aggiunge per quinto ordine
ì pesci Branchiostegi. Pesci Apodi , cioè,
pesci senza piedi, chiama Linneo quei pesci;
li quali non hanno pinne appiccate al ven-
tre; pesci Giugu/ari chiama esso quelli altri
pesci, ne’quali le pinne del ventre non
istanno sotto le pinne lateralmente appicca-
te al torace, chiamate g/e, ma sono col.
tocate più innanzi verso la. gola ; Toracici
chiama quelli, ne'quali le pinne del ven-
tre sono sotto esse ale; e quelli, ne”quali
le pinne del ventre sono più indietro delle
ale, sono detti da Linneo Addominali. Quei
pesci finalmente, che non hanno operculi
alle branchie, nè certa membrana correda-
88
ta or di maggiore or di minore mumero di
spine solita. ad essere interiormente attaccata
agli operculi branchiali, vengono da esso
appellati Branchiostegi (©). Secondo questa
distribuzione Linneiana verrò adunque trat-
tando de’ marini pesci sardi.
PESCI APODI:
Rua Murena , il Grongo, la Serpe mari»
na, il Miro sono pesci del mar sardo. La
murena si piglia in copia grandissima da
ogni lato, or fra gli scogli con forcina,
or con cestelle in più alto mare; e giugne
essa a pesare «talora ben dodici libbre, ed è
di sapore ottimo principalmente in no-
vembre. Non convien credere a Bomare,
che questo pesce abbia le spine del suo cor-
(a) Apertura instru@a opesculis pinnaque branchiali :
dum Pinna ventrales vel nulle omnino, APODES. I:
ante pinnas pe&orales, JUGULARES. 2.
sub pinnis pe&oralibus, THORACICI 3.
pone pinnas pe@orales, ABDOMINALES. 4.
Desticuta operculis pinnisve branchialibus. BRANCHI.
OSTEGI. 4, In sysr. nar.
So
po collocate, al rovescio di tutti gli altri
pesci, cioè dirette non verso la coda, ma
verso il capo /es. areres, qui dans tous les
autres poisons sons penchées vers la queue,
sone rebroussées dans celui-ci (2); Que-
sta notizia è ben essa al rovescio della
verità. E poichè Bomare pure, ed alcuni
altri autori fanno questo pesce macchiato
di bianco , forse perchè così è macchiato
nei mari loro: sa peau est lisse et vachetée
de blanc, dirò che le murene sarde sono mace
chiate di giallo. Bomare chiede inoltre se le
murene sono ovipare , o pure vivipare,
incarica gli osservatori presso al mare di
decidere questo punto; ed io a ciò rispon-
dendo dico, che non ho trovato nè pesca-
tore nè cuoco alcuno, il quale abbia mai
trovato in corpo alla murena i figliuoli vi-
vi, come si trovano in corpo delle vipere,
de’cani, ed altri simili animali.
(a) V. il Diz, alla voce Murene,
go:
In minore quantità della murena si
pesca il meno della murena stimabile Gron-
go, contro esso. pure. si calano cestelle in
alto mare con entrovi l'adescatrice sepia,
e vi si. pigliano Gronghi maggiori d'un
terzo. delle. massime murene.
lr Serpente marino, benche si peschi
ne' mari sardi, non sembra però bene co-
nosciuto da’ Sardi; poiche viene esso riputa-
to un anguilla, e anguilla di mare si chiama,
Due segni per altro assai.visibilmente il distine
guono dall'anguilla; pilmieramente i suoi.
occhi. sono grandissimi, di maniera che le
loro periferie per poco non. arrivano a. toc-
carsi; in secondo luugo laddove. nella an-
guilla la mascella inferiore. è lunga più del-
la superiore , questo eccesso nel serpente si
trova al contrario nella mascella superiore.
Di questo. secondo carattere vorrei, che si:
facesse uso a. correggere la descrizione del
serpente presso Linneo. Per quanto parmi
la descrizione del serpente presso questo
autore è identica con quella dell’immediata-
91
mente precedente Ophis. L’ophis viene des-
critro così: Murena cauda aptera cuspidata,
corpore tereti ; ed il serpente così si descri-
ve: murena cauda aptera acuta, corpore
sereti. (4), Qualora si dicesse: murena ma-
xilla superiore longiore, parmi che il ser-
pente nostro sarebbe assai meglio divisaro.
Cor nome di pesce Fico mi è srato pre-
sentato il Miro, 0 Simiro pesce delicato, con
sue barberte appiccate al mento, e orlato di
nero in tutta quella sua pinna, la quale
partendo dalla nuca corre tutta in un pez-
zo fino alla estremità della coda, e ivi dan-
do volta prosiegue fino al ventre. Non è
molto copiosa la pesca di questo pesce, e
quest’ anno in primavera si è esso per av-
ventura pigliato in maggiore quantità del
solito; nè a me è avvenuto di vederne se
non de lunghi circa mezzo piede parigino,
OLTRE ai quattro esposti pesci e la
anguilla, comprende Linneo. sotto il ter-
{e) In syst. na,
93
mine di Murena, primo genere de'suoi apodi,
due altri pesci, l'Ophis, e la Ceca. Dello
ophis non ho cognizione in questi mari;
nè della ceca; la quale per avventura sarà
quella spezie di curiosissime, e finissime an
guillette , che i Toscani pescano a Pisa, e a
Viareggio, e le quali essi chiamano Cieche,
che che in realtà si debba dire della vera-
ce cecità loro.
Doro il genere AMurena sei altri gene=
ti di apodi, ma contenenti non più di
spezie otto, rimangono presso Linneo. Di
queste otto spezie due sole siccome cognite
nel mediterraneo, si pottebbono presumere
famigliari ancora alla Sardegna; ciò sono la
Fiattola, e lo Spada. Ma la Fiattola, pet
quanto io so, è quì incognita, e lo Spada
è raro. La fiattola piccol pesce, ma dilica-
to di carne e gentile di colori abbonda nel
mare romano, e per poco non è proprio
del solo mare roinano per quanto testifica
Rondelezio. Sicche la mancanza della fiat-
tola non sarebbe punto nuova in Sardegna.
h i 93
Nuova bensì potrebbe parere la-rarità del-
lo spada. Lo spada in tutto il mediterra-
neo si pesca, e si pesca in ogni stagione, e
nella vicina Sicilia se ne fa grandissima cat-
tura, di cui si trova menzione infin da
quando Ulisse era errabundo per i mari
Pare propriamente, che quel pesce guerrie-
ro ami i tumulti, e le mischie, e che per-
ciò tanto avidamente accorta al Faro. Im
mezzo a questa pesca, che dello spada si
fa ne vicinati della Sardegna, la Sardegna
nol piglia se non al tempo, che passano î
tonni, e .il piglia in quantità pochissima.
Ai tempo che i tonni passano, passa pure
lo spada, ma.alla maniera d’uno sviato,
‘che ha smarrito il suo vero cammino. Quasi
temo di dire troppo, dicendo, che le spade,
quante annualmente se ne piglia in tutta
l’estensione del mar sardo, arriveranno for-
se a due dozzine. Sono pertanto le spadé
considerate quasi un accidente, e una fortu-
na; e perciò chi dispone alla tonnara, ne
fa presente a chi giudica, siccoine di cosa
94
rara; e sono essi în realtà presenti stimabili
più per la rarità, che per altro, essendo or-
dinariamente spade grosse, arrivanti a tre
quintali di peso, e perciò spade, che di
molto hanno già oltrepassato il vero segno
della loro delicatezza, propria soltanto del-
le spade piccole.
Lo spada, di cui parlo, è quel pesce
apodo, la cui mascella superiore s' allonga
in figura d'un potentissimo pugnale, pesce
chiamato \Yiphias, ovvero G/adius da' natu-
ralisti, e ottimamente conosciuto da ognuno.
Perciò mi rimango dal farne veruna descrizio-
ne, benche una descrizione sembrerebbe ne-
cessaria a vedere quanto riguardo a questo pe-
sce occorre in iscrittori recentissimi, e dottis-
simi. Non sì potrebbe parlare peggio, se lo
spada fosse un pesce stato pur ora scoperto in
qualche mondo scoperto anch'esso di nuovo.
La chiarissima Enciclopedìa ne ha fatto inci-
dere la figura nella tavola cinquantesima
prima insieme colle figure del pesce Sega,
del Can marino, e del pesce Balestra; e di
i 95
uîti le quatfro ‘questi pescì, dice ‘essa, che
sono pesci cartilaginei, cioè pesci, li quali
invece di ossa e di spine sono forniti di mol-
li cartilagini: /es quartre poissons de cette
\planche sont dù genre des poissons cattila-
gineux,c est a dire, qu'au lieu d'os & @'aré-
tes ils n'ont que des cattilages souplesj;
e -più oltre, dice essa, che tutti e quattro
questi pesci sono vivipari: /es poissons car-
vilagineux de cette planche sont vivipares,
Che la Sega, il Cane, la Balestra sieno car-
tilaginei e vivipari, ciò è benissimo detto;
ma cartilagineo nè viviparo non fu mai lo
Spada; spinoso è lo spada; i suoi maschi
banno datti, e vivipare sono le femmine;
ed è veramente un gran peccato, che in
una opera destinata ad essere il fondaco di
ogni vero sapere si introducano errori nè
pure stati mai pensati prima. E che dirò
del dizionario del sig. Bomiare, ancora cor-
retto e ricresciuto sino a nove volumi? dello
spada, pesce così noto, nè pure ci si fa
menzione, Ho trovato nell'indice di questa
210)
opera i nomi di Xiphias, di Spada, di Pe-
sce Imperadore, nomi tutti che significano
il vero spada; ma poi l’autore per la des-
crizione dell'animale corrispondente a' detti
nomi rimanda all’arricolo della balena; ed
ivi il pesce Imperadore or si distingue, or
sì confonde collo spada; poi per pesce Im-
peradore si descrive un pesce Gronlandese
tutt'altro dallo spada, e per pesce spada
{espadon) si descrive il pesce Sega; sicche
per il vero spada non v’è luogo, nè men-
zione ne’ nove volumi.
PESCI GIUGULARI:
DI i
CW n pesce giugulare bene conosciuto e fa-
migliare alla Sardegna è quel pesce, acuila
collocazione de’ suoi occhi nella più alta
cima della testa, quasi fossero sempre di-
retti al cielo, ha fatto dare i più orrevoli
nomi. Gli antichi Greci appellandolo Ura-
noscopo, cioè osservatore del firmamento,
lo hanno riguardato come un astronomo;
‘e i moderni Italiani lo hanno trattato da
ad
divoto, chiamandolo Pesceprete. I Sardi il
‘chiamano con meno onore cuccu, cioè cuculo,
La temuta Ragana è pesce sardo anch’
essa, conosciuta col nome di Ragno. L' Al-
drovandi e l’Artedi contano al numero di
cinque le velenose spine, ‘le quali sono
collocate alla prima pinna dorsale di que-
sto pesce; a me è avvenuto di contarne
alcuna volta quante ne contò Gronovio ,
cioè sei, altra volta quante ne contò Arte-
di; dal che si vede che le spine nelle pin-
ne de’ pesci sono come le vertebre ne' corpi
degli altri animali soggette a variare di nu-
mero ne diversi individui d’una spezie me-
desima.
Der genere de’ Naselli, chiamato Ga-
dus presso a Linneo, la Sardegna è assai
scarsa ancora in confronto di altre parti del
mediterraneo; nè è maraviglia, poiche que-
sto genere di pesci si fa sempre di mano
in mano più scarso, a misura che cresce
l’allontanamento dal Norte. Il Norte è la
regia de’ naselli: ivi nella aquilonare Islan-
98
da, e nella contigun Notvegia i naselli
sono l' occupazione, l’ alimento, l'unica
ricchezza de’ popoli (2); e nel settentrio-
ne americano () formano i medesimi un
oggetto della avidità de popoli d’ Europa.
Forte quasi altrettanto, che i metalli del
Perù ; e sono stati il tizzon della gucr-
ra fra le più possenti nazioni Europee, e
l'articolo delle più dolorose cessioni nei
trattati di pace (©). Trenta e più mila uomi-
ni s occupano annualmente alla cattura dei
(a) Sconefeldio riguarda i naselli conceduti al sette»
trione come un'riro della providenza divina per supe
plire alla mancanza del fromento e di altri generi ne-
gati a que’popoli per l’asprezza del clima.
(6) La immensa secca, lunga quattrocento ottanta
rbiglia situata rimpetto all’isola di Terra - nova presso
al Canadà, è la principale stazione de’ naselli in Ame-
rica. Un selo pescatore ariiva a pigliarne coll’ amo quar-
tro cento in un giorno.
(c) Alla pace di Utrecht cedette la Francia all’ In-
hilcerra la rotale possessione dell’ Isola di Terra-nova
insieme colla Acadia. I Francesi per rifarsi di tal per
dita presero l’anno 1713 possesso di Capo Breton, e vi
fondarono la pesca de’ naselli; ma Capo Breton preso due
volte dagli Inglesi con forza , è rimasto esso pure in
poter loro alla pace.
va
roli maselli americani (4), la metà del mon-
do li riceve variamente preparati; e le na-
zioni padrone della loro pesca si rifanno
con essi di quanto ‘alle altre nazioni sono
‘obbligate di sborsare per le produzioni lo-
ro più preziose (5). Questa abbondanza e
ricchezza de’ settentrionali naselli è formata
principalmente della spezie chiamata in lin-
guaggio settentrionale Cadellau, la quale
voce piacque ad Aldrovandi tradurre Cape/-
lano ; spezie di fecondità sì prodigiosa, che
in un solo pesce quasi dieci milioni d’uova
contò assistito da suoi maravigliosi micros-
copj il veramente pazientissimo Olandese
Leewenokio (©. Il capellano insalato o sec-
cato va per ogni lato dell’ America e dell’
Europa (4). Al capellano molte altre spezie
(a) Sedici mila pescatori franzesi s’occupavano alla
pesca de’ naselli prima della perdita di Capo Bretone,
dieci e più mila Inglesi; senza contare altre nazioni.
(6) La sola Spagna riceve annualmente merluzzi pet
il valore di 437500 piastre. Ustariz Teoria del Comm.
(c) NÈ osservò 9344000.
(4) Baccalà , Merluzzo , Stochefisch, Laberdon sono
tutti nomi d’ uno stesso Cabelìau diversamente preparate.
Too
di naselli a moi sconosciute fanno corte iù
que mati: vi abbonda lo Scheltiscio, chia-
‘mato da’naturalisti Agiefinus, esca ghiot-
tissima per attrappare il medesimo cabeliau;
vi abbonda il Merlano (ase/lus \candidus) +
il Drosch (asellus varius), il Carbonajo
(asellus niger) ed altri ancora. Tutte que-
ste spezie durano infino dl mare germanico;
ma sempre scemando di quantità a misura
che cresce l'allontanamento dalla regione
‘polare; e nell'oceano franzese non si0trova
più se non il mertlano, e nel mediterraneo
il medesimo meilano cessa. I naselli del
mediterraneo si riducono al verace Nasello,
alla Tinca marina, alla Mustela, e per
quanto ‘io so, ad'un ‘altro maselletto a tre
pinne sopra il dorso. Per verace nasello in-
tendo quel pesce, che fu già dagli antichi
Greci chiamato Onos, e Asellus dagli anti-
chi latini; e questo come anticamente si tro-
vava nel mediterraneo, così oggi pure vi si
deve trovare, e non può essere altro se noîì
quel pesce appunto; che oggi in Italia si
IOL
chiama nasello, come evidentemente mostra
la identità del nome presente col nome an
tico. Non trovo questo pesce fra i Gadi di
Linneo: due pinne sopra il dorso ha il na-
sello italiano ; ha la mascella inferiore più
longa della superiore; ma non ha barbette
al mento; e con questo complesso non ci è
Gadus alcuno presso Linneo; sarebbe il
Merluccius di esso autore il nasello in
quistione, e ciò ancora atteso il numero
delle spine, che si contano nelle diverse
sue pinne, nel quale il mer/uccius di Linneo
e'l nostro pesce concordano pienamente insie»
me; ma il rerluccius è barbato, e barbaro non
è il nasello. Linneo adunque sbagliò ap-
piccando barbetre al mer/uccius, o il nasel-
lo del mediterraneo non è stato da lui re-
gistrato.' Nè pure la Tinca marina, o co-
me altri il chiama, il Pesce Molle trovo
io presso Linneo. Parebbe d'esso il Gadus
Molva; ma osta primieramente il troppo
diverso numero delle spine piantate nella
prima pinna dorsale, delle quali il A0/va
ro?
ne ha quindici, e le tinche da me os-
servate ne ebbero dieci a} più, sono in
secondo luogo nel molva distinte luna
dall’ altra la pinna anale, e la pinna cau-
dale; e nella rinca una sola pinna corre dal-
lo sfogo anale infino alla estremità della
coda. La Mustela si trova registrata presso.
Linneo col suo nome medesimo di mustela;
e potrebbe bene il piccolo nasello da me
conosciuto essere il Gadus minutus di esso
autore, Or di questi pochissimi naselli co-
nosciuti nel mediterraneo la Sardegna anco
ra meno ne conosce, che le parti del me-
diterraneo più settentrionali. L'Italia pesca
il vero naselio con bastevole quantità da
poterne ancora trasmettere spesso dentro.
terra, e rare volte e piccolo il pesca la Sar-
degna, di maniera che apparendo ne’ mer-
cati, esso vi diviene un soggetto di quistio-
ne chi egli si sia, e un campo da farsi
onore a più periti dicendo, che è un mer-
luzzo. Rara pure è la mustela, e raro è pu-
re i piccol: nasello fornito di tre pinne al
10}
dorso, e d’una barbetta al mento, che ho
giudicato poter essece il Gadus minutus di
Linneo. La tinca marina è l'unica spezie.
de naselli, la quale in convenevole quanti»
tà si tragga dal mare sardo, e si trae gros-
sa fino al peso di libbre cinque. 1 Sardi la
chiamano Mollia con voce forse originata
dal nome m0//e, con cui esso pesce si chia»
ima nell Adriatico, atresa la reale mollezza
della sua carne, per la quale questo pesce
medesimo in alcuni luoghi si chiama pesce
Fico quasi esso fosse un fico appassito. La
sua mollezza scompagnata da ogni altra pre
rogativa il rende comunemente poco sti-
mato fra’ Sardi, siccome è per tutto altro-
ve poco apprezzato.
FrA° pesci giugulari venutimi alle mani
non ho mancato di trovare il B/eazius ocel-
laris; pescetto di scoglio, e facile a distin-
guersi ad un bellissimo occhio nero, cit-
condato d’ un cerchio bianco, di cui và
insignita la sua prima pinna dorsale. Mi è
ancora capitato il pescetro da’ naturalisti ac-
104
compagnato al Blennius e da loro appellato
Pholis, 1 pescetti piccoli poco interessano i
pescatori, e però difficilmente si veggono
e facilmente sfuggono alle ricerche de’ filo-
sofi. Perciò, comunque io non abbia vedu-
to le tre spezie presso Linneo, comprese sot-
to il genere Ophidion, non ardirei dire;
che di loro sia digiuno il mare sardo.
PESCI TORACICI.
Rie spezie dell’ordine Toracico sono le
più abbondanti nel. mare sardo, € sarebbe.
maraviglia se fosse altrimenti; poiche es-
sendo le spezie toraciche le più abbondan-
ti in natura, a segno, che formano esse so-
le la metà dell’intiera razza de’ pesci, be-
ne è naturale, che ancora nel mare sardo
le spezie toraciche sieno le più copiose
Quel pescetto sì vagamente smaltato
di colori, che gli antichi Latini chiamarono
Rasoio (novacula) , forse perche ad ogni
cosa, che toccasse, appiccava al dir di
105
Plinio (@, odor di ferro, quel pescetto di-
co frequente ne’ mari di Rodi, di Sicilia €
di Sardegna, ma raro altrove (), forse è
raro ancora nel mar sardo, e perciò non
mi sarà avvenuto mai di vederlo,
Unito al Rasoio si trova presso Lin-
neo sotto il medesimo genere Coriphena il
Pompilo , ed è questo un effetto del me-
todo di Linneo di voler distribuire î suoi
ordini di pesci in generi secondo il nume-
ro di quelle spine, le quali si trovano nel-
le pinne branchiostege. Gli autori ei pes-
catori concordemente risguardano il pom-
pilo per una spezie somigliantissima al ton-
no; ed è la sua somiglianza col tonno così
grande, che qual chiedesse a’ pescatori al-
cuna descrizione del pompilo , dieci volte
gli risponderebbono, che esso altro non è
fuorchè un tonno, a riserva, che è più pic-
colo. Ciò fa vedere che la somma delle
somiglianze col tonno è assai maggiore, che
(a) Lib. 32. c.7.
(b) Aldr. de Pis. lib. 2.c. 27.
196
non quella delle somiglianze con altri pe>.
sci; ciò non ostante, perche esso pompilo
non ha nella spa membrana branchiostega
se non cinque:spine, o come dice Linneo,
raggi, e il tonno ve ne ha sette, conviene
al pompilo partire dal tonno, e andare a
porsi in fila col rasoio sotto la cartella Co-
riphena. Il sardo mare non ignora questo
pesce, ma il conosce solo in primavera,
come viaggiatore che passa; nè gli rende
agguati, e il lascia passare tranquillamente.
Ancora su questo punto si migliorerà la
Sardegna un tempo, e verrà stagione, in
cui popoli più orientali della Sardegna si
lagneranmo della decaduta loro pesca del
pompilo, e conosceranno di averne l'obli-
go alla Sardegna, fatta più accorta sopra i
vantaggi della sua situazione; per la quale
può essa salire nel mediterraneo al princi-
pato di molte pesche, come ora occupa il
principato. della pesca del tonno.
MazzoNE chiamano i Sardi quella
spezie di Giozzo nericcio, che i naturalisti
107
chiamano, Gobbius niger. La appellazione
sarda è veramente singolare, poiche max-
zone significa fra'Sardi in alcune patti vo/-
pes nè si vede per qual verso il ghiozzo
si debba meritare un tal nome. Non sarà
congltiettura improbabile il pensare, che
mazzone venga corrottamente da /issorî,
col qual nome il ghiozzo si chiama in al-
cune parti d'Italia; giacche i Sardi dalla
Italia generalmente hanno preso i nomi dei
loro pesci , siccome attualmente ancora ne
ricevono i pescatori. Questo ghiozzo si
pesca in ogni lato della Sardegna, ma scar-
samente, a riserva del mare di Cagliari, il
quale si distingue colla abbondanza di que-
sto non grande, ma buon pesce. Altri ghioz-
zi oltre al nero si troveranno per gli sco-
gli, e per gli stagni, ma la loro piccolezza,
e poco pregio li rende ignobili e sconosciuti.
Due pesci assai comuni nel’ mare sar-
do sono lo Scorpione, e quella che fu già
da Rondelezio e da altri autori malamen-
te creduta fafemmina dello Scorpione, cioè
108
la Scorpèna. Facilmente intenderanno i Sar-
di qual pesce si significhi col nome di Scor-
pèna, poiche essi pure con poca variazio-
ne il chiamano scorpiza; ma qual sia lo
Scorpione non intenderanno facilmente ,
poiche ad esso pesce danno essi un troppo
altro nome. Il chiamano pesce Capone,
mossi da quel suo veramente grandissimo
capo, traducendo allo Scorpione quel no-
me, che in alcune parti d’Italia si dà all’
Organo , pesce di grandissimo capo anch’
esso. Amendue questi pesci sono in questi
mari di buonissima carne; amendue sono
temuti per i colpi delle loro spine, nè sò
che la scorpèna si debba temere meno
dello scorpione , comunque Aldrovandi il
dica. La scorpèna certo è un crudel pesce:
alle altre crudeltà sue aggiunge essa an-
cora quella di divorarsi intieri i pesci del-
la medesima sua spezie.
Contro Lucio Columella, il quale
asserì , che nel solo mare atlantico alligna
il pesce Fabro (2), mille clamori sonosi ele-
fa) De re rust. lib. 8. ca. 16.
ÎIc9
vati dal mediterraneo, facendo richiamo
contro sì fatta prerogativa all’ atlantico ma-
re attribuita. Loro richiami hanno fatto la
Gtecia, l'Italia, la Gallia; dicendo, che
esse pure e posseggono il fabro ora, che esso
st chiama san Pietro, e il possedettero anti-
camente, quando aveva nome Giove (Zeus.)
A questi richiami si uniscono i richiami
della Sardegna; mon da tutte le bande però
richiaima la Sardegna ugualmente, dalla sua
banda settentrionale pochi richiami si fanno
contro Columella, perche il pesce contro-
verso poco ci si pesca; ma nella parte oc-
cidentale si richiama assai, ove il pesce san
Pietro è frequente, e grande, e buono. Ra-
ro però o nullo in ogni parte dev'essere que!
collega del pesce san Pietro colorato di
rosso, chiamato da’ naturalisti Aper; ben-
che il medesimo nel mediterraneo si pes=
chi nelle vicinanze d'’ Italia.
Come il mediterraneo è povero di
mnaselli in paragone dell'oceano settentrio»
nale, così in paragone dello stesso oceano
Irò
è esso pur povero di que pesci, che detti
altri Rombi, altri Passere, altri Sogliole,
vengono compresi tutti quanti presso gli
antichi scrittori sotto il general nome di
Pesci piani spinosi, e presso il moderno
Linneo sotto il nome P/euronecres ; pesci
di strana figura, ove ogni legge di simme-
tria è rotta, rotto è ogni ordine di collo-
cazione, e perfin sembra contrastato l’evi-
dentissimo assioma, che la metà è meno
del tutto (@). L’immenso F/ersaz non si mo-
stra fuor dell'oceano, e si fa gigantesco
presso gli Islandesi fino a pesare libbre
quattrocento. La Lima non esce essa pure
(a) 1 Plcuronetti pajono la metà d’ un pesce
spaccato giustamente per mezzo ; dall’un lato sono co-
lorati, dall’ altro ove pare seguita la spaccatura, sone
bianchi. Hanno inoltre la stravaganza di avere amendue
gli occhi da una parte medesima. Quelli, che hanno
gli occhi dalla loro parte sinistra, si chiamano Rombi;
e. quei che gli hanno dalla parte destra , se son di
figura bislunga , si chiamano Sogliole ; se la figura
tira al circolare , si chiamano Passere. In Latino di:
rassi Rhombus , Soleà, Passere
sù
‘dal imare settentrionale, e seccata al vento
pasce assai popoli di quelle regioni al mo-
do de'naselli. F/ez e Fleteler sono pure no-
mi di pesci sconosciuti a noi, e volgari fuor
dello stretto verso settentrione. Il medesi+
mo Rombo sì spesso lodato dai cantori ro=
mani, qual esso alligna nel mediterraneo,
non è che un tisico e meschin rombo in
confronto del rombo inglese e fiamingo
E. quando mai nel sì vantato Adriatico si
pigliò rombo da stare al paragone eo’rom-
bi dell’ oceano? Il vastissimo rombo, fat-
to degno di storia, preso a tempi dell’Im-
peradore Domiziano, che vista fà mai in
confronto del rombo dell'oceano veduto da
Rondelezio con venti cubiti di superficie,
e un piede di grossezza? Quanto però nella
sua scarsezza possiede in questo genere di
pesci il mediterraneo altrove, il possiede es-
so ancora in Sardegna. Il rombo, cioè il
verace rombo, quello che è liscio del tut-
to., che fu già per la bontà sua chiamato
Fagian di mare, si piglia in Sardegna, ma
il:
non con assai frequenza; e si pigliano pu-
te, ma scarsamente del pari, i rombi aspri
e pungenti.. Con assai frequenza si piglia
la sogliola chiamata da’ Sardi Palaja; e
singolarmente abbonda essa dalle bande di
Oristano e di s. Antioco, ove arriva a pe-
sare le due e ancora le tre libbre; e con
essa si confondono ne mercati ancora le
Dassere.
Ir mediterraneo si rifà della sua scar-
sezza in materia di naselli e di p/euronetri
colla abbondanza di quel genere di pesci
schiacciati per lo più,e sapotosi, che Lin-
neo intitola Sparus. Ventidue spezie ne ane
novera questo autore; e alla riserva d'un
cinque o sei spezie proprie delle Indie, e
d'una spezie propria del lago di Genezarette,
tutte le altre sono spezie principalmente
proprie del mediterraneo. La Sardegna con»
tribuisce in questo punto prodemente alla
prerogativa del mediterraneo , non mancans
do di veiuna di queste mediterranee spezie.
T13
Les Otate oltre agli stagni si pigliano
ancora nel mare; e comunque le orate degli
stagni medesimi sieno eccellenti in autun-
no, principalmente quelle dell’ algherese
Caligo, nondimeno le più famose Orare del
regno sono le orate del mare d' Iglesias,
In quel mare oltre alla bontà della sostan-
za , acquistano le orate una srandezza da
giungere perfino a pesare quasi libbre ven-
ti, grandezza la quale mi è paruta rara, e
da non tacere, allora quando lessi in Al-
drovandi, che le orate massime appena ar-
rivano a pesare libbre dieci: ad denas Zi
bras, cum maxime adolevie (aurata) vix
pervenie (@). Della orata di Linneo non so
che mi dire: la orata avuta sotto l’occhio
da questo autore aveva per macchia una
macchia nera alla coda: in meo exemplari
macula nigra ad caudam ©); e le orate sar-
de, come pure le orate di altre parti del
mediterraneo, non hanno macchia veruna
(a) De Pisc. lib.t. cc 850
(b) In eyst, nas.
DI4
alla coda; sono bensì macchiate, mala lo>
ro macchia è applicata agli operculi bran-
chiali, nè essa macchia è nera se non in un
piccolo segmento, e nel restante è rossa.
Questo pesce in tutta quanta la Sardegna
si chiama Canina, toltone in Alguer, ove
si chiama orada. |
DeLro Sparo già feci menzione pare
lando degli stagni.
SaRAGO chiamano i Sardi con po-
ca alterazione di parola il Sargo; e co-
piosamente ne sono popolati gli scogli
marini. Linneo colloca il Sargo fra gli Spa-
ri, e tutto insieme. fra i caratteri distintivi
del suo genere Sparus mette ancor questo
di avere cinque raggi o spine nella mem-
brana branchiale. A me esaminando qualche
sargo, è paruto trovarne sei di raggi sì fat-
ti, e sei ancora mi è paruto trovarne nel
Dentice, il quale è sparus anch'esso presso
Linneo; e simili discrepanze dal numero
di Linneo mi è paruto trovare ancora in
altri generi di pesces Non parlo della mia
115
osservazione, se non dubiîtando; perche
contro uomini della autorità di Linneo non
pare permesso se non di dubitare al più.
UN pesce assai simile al sargo di fi-
igura, e di colore, e uguale di grandezza sì
pesca in questi mari, non però frequente-
mente. L'ho udito chiamare da’ pescatori
genovesi Purcazz0; nè il trovo in Linneo,
alcui genere sparus dovrebbe appartenere.
Puntuto è il suo muso; la pinna appiccata
alla estremità della coda è semilunare, €
tutta nera nella parte concava.
Ir vergato Melanuro con suo occhio
nero alla coda, ossia la Occhiata copiosa-
mente sl pesca.
Ma fra quanti pesci abbondano nel
mare sardo si distingue tra gli altri in
quantità il Zerro, o come altri dicono,
Gerre, 0 se più piace lo Swzaride. Una evi-
dente prova della sua abbondanza è il po-
co prezzo, a cui si vende, non ostante che
esso pesce sia l'uno de’ più saporosi pesci
da poter contrastare colla sardina e colla
116
acciuga; e che in Sardegna esso si manten-
ga in tutta la perfezione della sua bontà.
Per tale sua bontà i Sardi ne sono estre-
mamente ghiotti, di maniera, che l’arrivo
dello smaride in casa rallegra la famiglia,
nè più ferocemente si pugna dai provve
ditori intorno alle corbé de’pescivendoli ;
se ron allorà quando hanno risaputo, che
là dentro v'è il giarretto, come il chiama-
no. Or questo buon pesce arriva talora a
mon valere più de’tristi gatti, e de tristissi=
mi cani; si è spacciato talora a due denari
la libbra, e il suo ordinario prezzo è dei
più infimi. Sassari il tassa a un soldo la
libbra, che è quanto dire a un sesto di
paolo; e a un soldo pure il tassa Alghero;
e di questa viltà di prezzo ne è cagione la
abbondanza. Non però in ogni parte della
Sardegna abbonda esso smaride ugualmen-
te; i più ricchi fondi sono dalla patte sets
tentrionale, e Porto Conde è forse di tutti.
il fondo più ricco. Tutto l’anno dura lo
smaride, e in ogni tempo si può pescarlo
1I7
in questi mari, nondimeno i mesi dell’ab-
bondanza e della bontà sono da ottobre
fino al termine di febbrajo; dura in mar-
zo tuttavia la abbondanza, ma scema la
bontà.
Insieme allo smaride si pesca ne’ ma-
ri sardi la Menola, ma in assai minore co-
pia; c come insieme si pescano, così in-
sieme si vendono, e tutto passa per sma-
ride, prevalendo la denominazione della
spezie più copiosa.
UN pesce e nella bontà, e nella ab-
bondanza rivale dello smaride in queste
acque è la sì riccamente d’oro e d’argento
vergata Boga. Si pesca essa pure in quan-
tità grandissima ne’ mesi freddi, ma essa
pure come lo smaride abbonda più dalla
banda settentrionale dell’isola, che non dal-
la meridionale. Ho veduto boghe, le quali
arrivavano a pesare once sei l'una ; co-
munque l’ordinario loro peso è di once
quattro. Questo pesce viene da Linneo col-
locato sotto il suo genere Sparus, e gli
118
spari secondo esso autore hanno il corpo
schiacciato, corpus compressum; frattanto
la boga lo ha ben pieno e tondo; la qual
cosa mostra, che i caratteri genetici di Lin-
neo non si debbono sempre intendere in
un senso rigoroso , In quanto convengano
a tutte le spezie, ma che basta intenderli
in un senso morale, in quanto convengono
alla parte maggiore,
Saro pesce è la Tanuga, non però
molto frequente; sardo pesce è pure la
piccola e veramente schiacciatissima Casta-
tagnola: sardo pesce, ma nè pure esso mol-
to frequente, è parimente il Mormiro. Sat-
do pesce finalmente, e copioso è la vaga
ma spregevole Salpa. Dico spregevole, per-
che alle Baleari, e nell’Egitto sarà forse
essa tollerabile pesce, poiche così lo affer-
ma Plinio. al capo 18 del suo libro 9, ma
ne' mari sardi la sua carne è una carne
qual essa è presso a tutti gli altri popoli,
c qual fu in tutti i tempi, una carne insi-
pida, e tigliosa, non degna di essere rive-
TI9
stita di livrea sì gentilmente listata di giat-
lo, come è la sua,
L'acceso Pagello, il simo. Pagro, il
sannuto Dentice sono qui pesci volgari, €
fra essi volgare più di tutti è il Pagello,
Come dentice si spaccia, e come den-
tice dagli inesperti si compra un altro pe-
sce, che pure non è dentice. Frattanto è
buono, che l'errore si tolga non solo per
amore della verità, ma ancora perche in
vece di un ottimo pesce non si faccia in-
cetta d’un mediocre. Il vero dentice, e que-
sto pseudodentice assai si rassomigliano nella
figura, nella grandezza, e nel rosseggiante
loro colore, e quindi è, che sì facilmente
si confondono; ma primieramente il pseudo-
dentice è macchiato di un grandissimo mac-
chione giallo agli operculi delle branchie;
in secondo luogo non è esso di gran lunga
armato di denti, come il dentice vero;
poiche oltre ad una strana moltitudine di
denti emisferici, quattro grandissimi denti
incisori mostra il vero dentice anteriormente
720
in ciascheduna delle sue mascelle, e in
quanti pseudodentici io ho osservato, non ho
veduto se non qualche dente maggiore e acu-
to irregolarmente piantato quà e la per le
mascelle. Chi baderà a questi segni facil-
mente schiverà l’errore, distinguerà il ve-
race dentice, e non piglierà per dentice la
Bufala; dico la bufala, poiche con que-
sto nome ho udito nominare da’ pescatori
Genovesi il falso dentice, di cui sì quistio=
na. Non è improbabile, che questo pesee
sia quello, il quale presso gli antichi Greci
si appellava già Sizagride, poiche la Si-
nagride appunto così si assomigliava al Si-
nodonte, che era il vero dentice, che Teo-
doro Gaza traslatando Aristotile non dubi-
tò usare tanto per la sinagride, quanto per
lo finodonte il medesimo vocabolo di der-
tex. Ma presso Linneo qual posto occuperà
questo pesce ? se il dentice stà bene sotto il
genere Sparus, sotto tal genere converrà
pure collocare la bufala; poiche ha essa
pure sei raggi nella membrana branchioste-
Izi
ga, quanti mi è accaduto di osservare nel
dentice vero; ed ha inoltre ta bufala cor-
po schiacciato, e denti robusti; e forse
sorto il suo genere Sparus la collocò già
Linneo col nome di Hurra. Il pesce da Lin-
neo chiamato Hurra certamente assai cone
corda col nostro falso dentice, ossia bufala,
ancora nel numero delle spine, di cui so-
no corredate le diverse pinne del suo cor-
po; e Linneo medesimo tacitamente fa com-
prendere, che essa. Hurta è assai simile al
dentice, dacchè si mette a chiedere, se det-
ta Hurta non sarebbe per avventura un
medesimo. pesce col dentice, az Denzex?
I Tordi e i Merli sono da’Sardì chia-
mati col nome o provenzale o genovese
che vogliam dire, di Roccali; e per tutte
quante le spezie di essi o merli o tordi,
non vi è, se non unnome solo; tutti sono
Roccali, sieno essi. merli o tordi, sien tordi
verdi, o rossi, o di qualunque altra tinta;
sien piccoli, o sien grandi. Questo genere di
pesci germina. assai. intorno agli scogli sar-
A
rat
di; e ve ne ha di molte spezie; ho avuto.
tordi variati de’ più bei colori azzurri, ver-
di, e rossi, li quali ben potrebbono essere.
il Pesce Pavone; altri tordi ho avuto pic-
coli, e con loro macchia nera alla coda;
ima le spezie più copiose sono i tordi ver-
di, c i rossi. La toro carne poco si apprez-
za, perche assai più che non del leggiere e
del morbido, si fa quì caso del sodo e del
resistente.
Sono andato con grandissimo impegno
in traccia di quel pesce, che Linneo insie-
me co’tordi, e co merli registrò sotto il
genere Zabrus; ea cui esso pure come al-
th naturalisti ateribuisce il nome di Zulis.
E non era egli convenevole di volere co-
noscere ad ogni modo questo pesce, dacchè
Linneo il chiama il più vago pesce fra
quanti ci vivono in Europa? Formosissimus
piscis Europeorum ob colores varios, L'au-
tor medesimo veramente il fa soggiornare
nel mar genovese, habitat. Genza ; ma i
luoghi di abitazione da Linneo assegnati, -
123
non sono sempre luoghi esclusivi di altri
luoghi abitati similmente. Perciò non dis-
perai di potere scoprire il bel /ulis anco-
ra ne mari sardi, e l’ ho scoperto in effetto,
Mi sono fatto a questa spedizione co’ pes-
catori genovesi di Camuglio, che sono i
corifei della pesca in non poca parte del-
la Sardegna; e colla loro direzione ho col-
to alla lenza il Zulis nelle marine della Nur-
ra. Ho colto, dico, il /ulis perchè cogliem-
mo la Zisurella j e zigurella dicono gli au-
tori, chei Genovesi chiamano il Zu/is. Ma
quando ancora nessuno il dicesse, sarà chia-
ro per se stesso, che la genovese zigurella
è il /elis de naturalisti. La zigurella è un
pesciolino lungo intorno a tre pollici; for-
nito di tutto quel numero di spine nelle
diverse. sue. pinne, che i naturalisti. attri-
buiscono. al. fulis.; ha essa in oltre una pin-
na. caudale indivisa come i tordi, l’ano in
mezzo al corpo, una iride vermiglia all’oc-
chio, e lista gialla tirata peri fianchi dal-
la testaalla coda; lineamenti tutti, che for-
2
124
mano la descrizione del Iz/is. Cogliemmo
adunque la zigure/la, e con ciò cogliem-
mo il sospirato Iulisj.e però il /uls oltre
al mare ligustico abita ancora nel mare
sardo. Ma laddove io mi aspettava di dover
rimanere incantato della bellezza di questo
pesce, e di doverci trovare stemperati ad-
dosso in tutta la loro vivacità, quanti co-
lori nel più perfetto spettro fa vedere il
più perfetto prisma inglese: rimasi stordi-
to di mon trovare nel medesimo, se non
una bellezza mediocre ,. assai inferiore a
quella, che si ammira in varie spezie di
tordi. Bella mi parve la vermiglia iride,
bella la macchia azzura appiccata agli oper-
culi branchiali, bella la laterale lista gialla;
ma oltre. a queste bellezze non ci trovai
altro da ammirare; bianco era il ventre,
bianca lista seguiva sopra la gialla, indi
veniva il dorso fosco, e un poco di rosso
o giallo sparutamante tingeva le pinne, Avrei
dubitato non fosse l’impressione dell’aria,
o l’estinzion della vita, che avesse alterata
i ì2
la beltà del pesce, se non avessi veduto i
pesce vivo e guizzante tuttavia, € nell’ar-
to d’ uscire dal mare; avrei ancora dubitato
‘non fosse la poca bellezza da me trovata
una accidentale imperfezione del pesce dà
me veduto, se un solo veduto ne avessi,
ma in quantità ne viddi, e li viddi tutti
cotanto inferiori alla aspettazione. Dubitai,
i10n fosse la imperfezion veduta effetto della
allora‘corrente stagione; poiche alcuni pesci
pure in mare, come altri animali in terra
cangiano livree e colori al cangiare delle
stagioni; ma poco credibile mi parve, che
nella allora corrente stagion di primavera
il pesce dovesse essere men bello; che in
altre stagioni men liete. Conviene adunque
dire, che siccome ci sono climi in terra,
così ci sono climi in mare, e come una
spezie medesima d’uomini, di quadrupedi,
e di uccelli in questa parte della terra si
conforma e si colora ad un modo, ed im
altra in altro : così in mare talora i pesci
second» Je diversità locali ricevano diver-
126
sità di apparenze: e converrà dire, che il
Iulis sia lun de pesci più soggetti a varia-
re secondo la varierà de' luoghi, che esso
abita: la qual cosa vieppiù si conferma ve-
dendo le svariate descrizioni, Je quali del
Iulis si fanno dai diversi autori (@);
onde è venuta la opinione, che vi fossero
diverse spezie di Iu/is , le quali proba-
bilmente non saranno che varietà d'una
spezie medesima. Converrà dire finalmen-
te, che in questa facilità di ricevere le im-
pressioni de’ diversi mari la zigurella è sfor-
tunata in Sardegna, che il mar sardo le è
nemico, che il sardo mare le cancella quasi
tutti i suoi colori dell’arco in cielo, che
perfino le sdenta-la sua laterale benda, fa-
cendola di ondeggiante e gentilmente denta-
ta, che essa è, rimanere diritta; tesa, e
senza grazia alcuna.
(a) Per prova delle varietà delle descrizioni si
confrontino solo queste due:
Lateribus cerulescentibus , vitta longitudinali fulva
utrinque dentata. Lin. syst. nat.
Lateribus . linea alba utringue sinuara varins, Grons
mus. 2. n.184,
127
Linneo fra i ‘caratteri distintivi del suo
genere Scieza annovera una fossetta sca-
vara nel dorso, la quale serve al pesce ad
uso di ‘adagiarvi dentro e inguainare la sua
pinna dorsale. Ame pare che questa fos-
setta non istia bene fra i caratteri distintivi
di esso genere Sciera, poiche in molti al-
tri pesci di molti altri generi si trova simil
fossetta, siccome io medesimo ho osserva-
to, e del ronno mi ramenta privcipalmen=
te, che la fossa è sì grande da farci tra-
vedere, e ‘cotanto vi si asconde dentro la
prima pinna dorsale per altro grande, ‘che
uom potrebbe credere ‘che in buona parte
non ci fosse.
CHÙe che sia di coral fossa, sotto que-
sto genere Sciena comprende Linneo col
nome di sciena cirrosa il pesce chiamato
da’ Genovesi Figaro, e questa è una spezie
di pesce sconosciuta nel mar sardo.
Comprenpe Linneo sotto il genere me-
desimo la Ombrina, e questa ne’ mari sardi
si piglia grande e ottima. Comunque il Di-
128
zionario di storia naturale del signore di
Bomare sia un lodevole ed utile dizionario,
non perciò lascierà esso di avere quà e là
alcun bisogno di correzione; e perche le
correzioni ci si facciano, e si renda il di-
zionario sempre più perfetto, non ho la-
sciato alle occasioni di oppormi a qualche
suo articolo; e per la stessa ragione non
tacerò quanto in esso dizionario mi è acca-
duto di osservare a proposito della Ombrina.
Bomare parla della ombrina alla voce om-
Bre, e a questa voce ombre appone esso la
versione latina: Umbra marina 5 al fine poi
dell’articolo e della descrizione di questa
umbra marina aggiugne di più Bomare, che
questa umbra marina è il Coregonus Thymal-
lus di Linneo: cerco Linneo nel suos. n., ci
trovo il TAyma/lus, ma vitrovo altresì, che
detro Thymallus soggiorna ne fiumi d'Eu-
ropa, habitat in Europa fluviis maritimis.
Or come possono conciliarsi insieme queste
due cose? come possono due pesci, l’un
fiuamale e l’altro marino, essere uno stesso
E A
129
pesce? Non perche al Temiolo in alcuni
paesi si dà il nome di ombrina, perciò il
Temolo è ogni ombrina: sonoci ombrine
di fiume, e sonoci ombrine di mare: il te-
imolo è l’una delle ombrine di fiume, e di
questa parla Linneo sotto il genere Sa/mo
al numero 16: ma dell’ombrina marina
egli quivi non parla, ma bensì ne parla
sotto al genere Sciena al numero 4, chia-
mandola coll’usaro nome Umbra.
Sogriono i pescatori chiamare la om-
brina ombrina di canale per distinguerla da
un altro pesce da loro chiamato ombrina
di scoglio per essere questo un pesce, che
stanzia fra scogli. Questa ombrina di scoglio
non è altro fuorchè il Coracinus di Aldro-
vandi, e di altri naturalisti, chiamato dai
Genovesi Crovo, e da Romani più corret-
tamente Corvo. Il nome italiano, e’ no-
me latino sono amendue fondati nel color
nero di questo pesce, per il quale esso si
assomiglia ancora alla ombrina, e perciò
per ombrina facilmente si spaccia. Ma più
130
dell'ombrina è esso nero nelle pinne del
suo corpo, le quali sono atre., e in que-
sto negrore delle pinne principalmente si
fonda il suo nome di corvo: la seconda
spina della sua pinna anale è una terribile
spina, delle maggiori che io abbia veduto
in pesce. A _me pare di non trovare in
Linneo questo nostro corvo: esso è pesce to-
racico, ed è guernito di sette raggi nella
sua membrana branchiale, ‘e perciò dovreb-
be trovarsi o sotto il genere Perca, o sotto
il genere Scomber, o finalmente sotto il
genere Trigla ; ma per poco che si consi-
derino questi due ultimi generi, si com-
prenderà, che il corvo nè si trova sotto
essi, nè vi si deve trovare : dove istarebbe
più ragionevolmente sarebbe sotto il genere
Perca, e ciò in quella porzione di Per-
ce, che hanno una sola pinna dorsale, e
la pinna della coda intiera come i tor-
di, poiche coda intieràa, e una pinna
dorsale sola ha appunto il corvo ; ma nep=
pure quivi il corvo si trova, € parmi on-
131
minamente, che il corvo sia stato da Lin-
neo omesso e ignorato. Non è per altro il
corvo pesce sì ignoto : il mediterraneo assai
comunemente il conosce, e l'apprezza a se-
gno da lasciarlo facilmente sostituire alla
ombrina, benche non arrivi mai alla sua
mole: e quanti scrittori prattici del medi-
terraneo han fatto menzione di pesci, han-
nopur fatto onorata menzione del corvo,
come Rondelezio, Bellonio, e Aldrovandi,
senza nominare gli antichi Greci e Latini,
Forse Linneo intende indicarlo col nome
Cappa sotto il genere Scieza, ma allora il
pesce sarebbe mal descritto e pessimamente
collocato. Che che sia della omissione di
Linneo questo Corvo è assai frequente nel
mar sardo, cresce al peso di molte libbre,
e quelle ombrine, che più comunemente sì
mangiano, non sono che corvi.
OLtRE al Lupo, pesce anch'esso pro-
prio de’ paesi australi, e insiem colla mu-
rena, col rombo e colla orata sì ghiotta-
mente ricercato da’ Romani al tempo, che
132 |
le austerità de’ Camilii e de’ Catoni era-
no andate in disuso, il quale ancora fuor
degli stagni si piglia grandissimo in mare
vivo: si pigliano in questi mari la Barcher-
ta, € il Mulasso come dicono i pescatori
genovesi. Appartengono amendue al genere
della Perca presso Linneo : la Barchetta,
pesce di poche once, ma nel ventre e nei
lati vagamente traversato di cilestro è forse
la Perca marina di esso autore: e forse il
Mulasso longitudinalmente rigato di bianco
e di giallo col capo scarabocchiato di gial-
lo e di azzurro è la Perca Scriba dell’au-
tore medesimo
Mi trovo condotto a quel genere di
pesci, che Linneo chiama Scomber, e con
ciò mi trovo condotto all'articolo più im-
portante di questa storia, cioè al Tonno, il
quale è l'una delle spezie comprese sotto
esso Linneiano termine generico Scombder.
Come il Tonno è l'uno de’ più importanti
articoli del commercio e della economia
della Sardegna, così è esso assolutamente
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133
il più importante articolo della storia dei
suoi pesci, Il commercio medesimo del ton-
no, e la grandezza della sua pesca ne ren-
dono la storia interessante, e pongono le
forestiere nazioni in diritto di chiederne al
mediterraneo informazione , come sono sta-
te informate dall’occano della Aringa, pesce
anch'esso viaggiatore, come il tonno, e
mercé ib viaggiare suo apportatore anch'esso
di gran pesche e ricchezze alle nazioni. Ta-
ciuto ha fin ora il mediterraneo, nè alla
aspettazione e inviti altrui ha punto rispo-
sto; poiche il poco dettone fin quì da alb
cun lontano geografo, e da qualche super-
ficiale scrittore siciliano, è altrettanto, che
averne tacciuto del tutto, Risponderà per-
tanto ora la Sardegna, poiche a lei più che
ad ogni altra parte del mediterraneo tocca
oggi patlare del tonno, e risponderà senza
economia, di maniera che rimanga piena-
mente esposto quanto risguarda il corpo,
l'indole, f agire del tonno, e quanto tocca
alla sua pesca e commercio.
134
IL Tonno è l’un de’grossi pesci del
mare: se. esso non arriva a pesare le cento
libbre, non è più, che uno scampiuro: se
non oltrepassa le libbre trecento non è più
che mezzo-tonno: dalle trecento libbre in-
manzi principia veramente ad essere l'onno:
ma tanto oltrepassa esso questo. segno , che
i tonni di mille libbre non sono rarissimi,
e talvolta si sono presi enormi tonni di
mille ottocento libbre. Dal che si vede quan-
to poco fossero informati della vera gran:
dezza del tonno molti li quali ne scrissero,
come il Savary nel suo dizionario, il quale
per indicare la grandezza del tonno, dice
che è grande quanto un Salmone, pesce
ignoto al mediterraneo e proprio dell’ oceca-
no dalle bande del baltico; e ciò dice egli
asserendo tutto insieme, come è vero, che i
grossi salmoni pesano da ventiquattro in
trenta libbre. Bomare a significare quanto
grossi tonni si piglino da Provenzali dice,
che e’ pigliano tonni, li quali arrivano infî-
no a cento venti libbre. Cotesti autori c
138
simili non ebbero notizia se non di scam-
pitri, di tonni golfitani, e non di tonni di
corsa, che sono veramente i buoni tonni,
e danno la giusta idea della grandezza di
questo pesce. Si potrebbe sospettare, che
in.questa spezie di pesci, contro il solito,
delle altre spezie (2), il maschio crescesse a
maggior mole delle femmine, poiche i più
grossi tonni, li quali si pigliano nel medi-
terraneo sono sempre con latti.
LA figura del tonno tondeggia in tut-
ta la sua ionghezza: ma la coda si fa sor-
tilissima, € termina in una ampia pinna
semilunare. Due pinne s’ alzano sulla schie-
na, delle quali la prima è lunghissima
guernita di quattordici fortissime spine, e si
estende infino a toccare la seconda, la qua-
le poco si allarga: d'una pinna è corredato
Yano: due sono appiccate al lati, e preci-
samente sotro esse due altre pinne vi sono
(a) Famine in omni cartilagineo genere major quam
mes est, quod idem fere velin careris generibus piscium
esse constar Artist. de Hist, An. lib. s. c. 5.
136
all’addomine. Oltre a queste pinne di es-
senza, due filari di pinnette gialle da Lin-
neo chiamate pinne spurie guerniscono la
coda, l'uno sopra e l’altro sotto, e nove in
dieci pinnette sì fatte parmi avere con-
tato sempre per parte: dico nove in dieci,
perche quelle scrupolose degradazioni, che
la natura prattica, bene spesso arrivano a
segno, che la natura vi lascia in mano con
core le quali non sapete cosa si sieno, €
pajono mezze entità, propriamente collocate
per dividere to spazio tra la cosa e'È nulla: e
così in queste pinnetre, le quali vanno impicco-
Jendo a misura che siavanzano verso la pun-
ta della coda, si-arriva nella estremità a tale,
che uom non sa più se sia pinnetta o nò:
e per questa ragione sono ancora nel nu-
mero di esse pinnette sì poco concordi gli
autori tra loro, che Linneo ne conta otto,
Artedi otto o nove, Leftingio assolutamen-
te nove, Brownio nove sopra, e otto sot-
to:edio malgrado mio mi veggo obbligato
di accrescere la discordia, dicendo nove 0 10:
137
ima parmi di meritare qualche fede avendo
fatte le mie osservazioni, ove tonni pen=
devano a migliaja. Aristotile chiama il ton-
no. pesce discio. (levis), e Plinio il chia-
ma lubrico, e liscio il chiama pure Lin-
neo; le quali espressioni sembrano indica-
re mancanza di squame, Nondimeno di
squame e di squame ben grandi è fornito
il ronno: ma sono esse sì strette al cuojo,
che quasi non appajono, e ciò diede per
avventura occasione di chiamare il pesce /i-
scio. Di spessi, sottilie acuti denti sono for-
nire amendue le mascelle del tonno, ma so-
no denticelli da pescetto , e niente propor-
zionati alla mole del resto. L'itide dell’oc-
chio è argentina: il colore del corpo sopra
il dorso è livido ossia piombino cupo, che
par nero , poi. si rischiara fino a diventare
tutto bianco nel. ventre. Non è credibile
quanta varietà di carni si trovi.in, questo
pesce: quasi ad ogni diverso luogo, ad ogni
diversa profondità, a.cui il:colrello la tenti,
si trova diversa: soda. in un luogo, morbi.
a
138
da in altro, quà sembra carne di vitello ,
la imita il porco. Cento svariate parti se
ne tanno quindi, € si condiscono scparata-
mente e ve un numero di vocaboli per
tutie esse da opprimerne la' memoria. La
piu apprezzata paite fra tutte nondimeno
si è quella medesima , la quale al tempo,
che ic Divinita mangiavano, fu. giudicata
degna «i essere messa innanzi al padre di
tutti i Dei, cioè la Pancia, che in termine
tonnaresco s1 deve dire Sorra. Questa è re.
almente una preziosa parte, dottata di mor-
bidezza; di sugosirà, di sapore, di sostan-
za, e meritamente per €ssa, tresca o sala.
ta che si spacci, si esige il aoppio del prez-
zo, che si paga per la messa, altro termi-
ne tonnafesco, con cui si significa la ‘car
ne di seconda qualità del tonno.
Verso la fin d’aprile apparisce il ton-
no repentinamente nel mediterraneo in gran-
dissima quantità dopo una quasi total. ne-
gazione preceduta per lo spazio di otto in-
rieti mesi, Potrebbe una apparizione sì
139
fatta essere non'altro, se non una emer-
sione, la quale il tonno facesse dai profon-
di gorghi, ove esso avesse svernato: come
mi sembra avere letto de’ naselli della im-
mensa .secca di Terranova. Che i tonni nel
verno soggiornino cheti, e profondamente
sott'acqua non è dubbio, e l’asserirono
già gli antichi naturalisti Aristotile e Plinio;
ina piu. che l'autorità il dimostra l'osser-
vazione fattibile ne’ medesimi mari sardi,
ove ne mesi iemali sonosi scoperti tonni
in grandi compagnie sepelliti nella maggio-
re profondità de’ golfi, e. perciò detti go/-
firani. Vero è pertanto, che il tonno raffred>
dandosi la region superiore dell’acqua và
a trovare la tepidità nel fondo, e vi dura
infinche la region superiore non si rattem-
pri da capo: emergono adunque i. tonni in
primavera, ene emergeranno pute nel me-
diterraneo, ma quei che formano la abbon-
danza, o come dicono i pescatori la manna
del mediterraneo, emergono. altrove, nell’
oceano, € sono avveniticci: nel. mediterra-
2
2,49
neo, e nel mediterraneo medesimo sone
viaggiatori. Il ronno adunque, di cui il me-
diterraneo si empie alla fin d’aprile, è ton-
no in corsa, € la corsa incomincia infin da
oltre allo stretto d'Ercole. A togliere ogni.
dubbio su questo punto basterebbe la. as-
serzione costante di tutti i pescatori di. tut-
ti i tempi; ma è facile dimostrarlo. dalla
osservazione. E primieramente, che il ton-
no di primavera sia nel mediterraneo tonno
in corso, si fa manifesto. dalla influenza.
d'una tonnara sopra l'altra. Si distinguono
le tonnare sopravenzo, e le tonnare sozza-
vento : coi quali vocaboli non si indica al-
tro, se non una relazione di sito d'una ton-
nara all'altra, di maniera che una tonnara
medesima è sopravento risguardo ad una
tonnara, e sottovento risguardo ad. altra.
La siruazione sopravento è quella, la qua-
le si giudica più. avanzata verso la venu-
ta del tonno, e quella situazione, la quale
si giudica avanzata meno, risguardo alla pri»
ma è sottovento. Così nella costa settentrio»
i i 141
nale della Sardegna Cala 77 ipnolaè tilievoni
to risguardo a Pedras de Fogu, e quindi Pe-
dras de Fogu.è sottovento risguardo a
Cala Vignola, ma Pedras de Fogu è poi
sopravento risguardo alle Salize. Or le
tonnare a misura, che sono sopravento, pre-
giudicano di fatti, e impediscono quelle,
che sono sottovento; e sono loro quindi
una spina nell'occhio , e un perpetto ogget-
ro di querele, e di tentativi per farle ces-
sare o con artifizi 0 con trattati; siccome è
avvenuto nella costa occidentale della Sar-
degna, ove Capo Pecora è giudicato da
alcuni il più vantaggioso posto per la pesca
de' tonni, ma Porto Scus per essergli esso
Capo Pecora sopravento , lo ha combat.
tuto , e obbligato a rimanersi inerte ;
Quindi i contratempi delle tonnare sopra»
vento sono la fortàna delle tonnàre sotto-
vento; se la borrasca straccia le reti sopra-
vento, 0 lo Spadà le fende sprigionanda
se eltonni, latonnara sottovento piglia di
presente, € s'empie di quello, di cui la
1:42
tonnara sopraventò si è Votata ; sòpravento
si grida, si corre, si rattoppa, si maldice
la soite: sottovento si fa festa:, e si ammaz-
za. Inoltre lo stato florido presente delle
tonnare sarde non è dovuto se non alla
decadenza delle tonnare spagnuole e por-
toghesi ; la qual cosa tutto insieme con-
ferma. che il tonno fa corsa nel mediter-
raneo ., e dimostra che la corsa viene dall
oceano per lo stretto, e siegue la direzio-
ne: da Ponente: a Levante.
Diverse sono le cagioni, alle quali
si è attribuita da diversi la venuta del ton-
no dall’oceano nel mediterraneo. Paolo
Giovio l’attribuisce al timore, di maniera
che la venuta del tonno nel mediterraneo
è una fuga, e il mediterraneo è al tonno
un asilo contro un fiero nemico, il quale lo
incalza. Il fiero nemico è lo Spada, da cui
racconta Giovio, si dà una sì crudel caccia
a’tonnilà nell'oceano atlantico, che i greg-
gi de’ tonni senza consiglio con folla e tu-
multo sisalyvano nel mediterraneo. Ad una
| 143
‘cagion simile ‘attribuiscono i Francesi lar-
rivo de merlani alie loro coste, attribuen-
dolo alla fuga dalla persecuzione de’ naselli
nel mare settentrionale (2), L'avviso di Gio-
vio forse gli nacque in capo leggendo in
Istrabone ,. che gli. Xifli, cioè Pesci Spada,
ingrassano de tonni. Ma onde il Giovio pes-
casse una sua sì fatta notizia, essa è falsa
evidentemente. Non la combatterò colla ra-
gione d'una persona per altro di grandissi-
ma autorità in tutto quello, che tocca il
tonno , cioè colla ragione di un Rass, li quali
farò vedere a suo tempo, che uomini sono
in una tonnara. Diceva questo Rais, ché
quanto il Giovio, da me nominatogli e da
lui pochissimo curato, asseriva non era pos-
sibile attesa la sola diversa natura dello spa-
da, e del tonno: per la quale essi sempre se-
guono cammini diversi, e da non doversi
mai trovare vicini; il tonno viaggia nel pro-
fondo, c lo spada nel sommo; laonde sono
(e) Pluche, spett, de la nat.
144
pesci di regioni diverse, esigenti di loro
natura, che fra l’uno c l’altro s interponga
sempre un grandissimo intervallo, equiva-
lente alla interposizione d' un muro. Con
questa ragione non mi opporrò già io al
Giovio; perche comunque de due pesci in
quistione l’uno ami il sommo, e l’altro limo,
non perciò si dirà, che all’occasione non
possa lo spada avventarsi all'imo; poiche
esso spada è pure l’un di que pesci, che
hanno il nuotatojo , cioè quella vescica pic=
na d’aria, mediante cui possono i pesci a
loro voglia scendere e salire nelle acque.
Meglio sarà combattere il Giovio colla os*
servazione totalmente opposta alla asser-
zione sua. La quale osservazione in sostan-
za è questa, che fra il tonno ec lo spada non
ci è nimistà, nè ostilità alcuna; nè il ton-
no si spaventa dello spada, nè lo spada ves-
sa il tonno; ciò si osserva bastevolmente in
que’ pochi spada, li quali insieme co’ tonni
arrivano in Sardegna, e insiem co’ tonni en-
trano nella rete; la loro vista, la loro pre-
145
senza, la loro compagnia non fa più spezie
a'tonni di quel che faccia la vista d'un altro
tonno; e ben lungi dall'essere nemici, sem»
brano conoscenti e compagnoni cari. In fat
ti, se lo spada fosse così fiero divorator
de tonni come dice Giovio, sarebbe lo spa-
da temuto da’ pescatori ugualmente che la
Lamia, e per la stessa ragione; il temercb-
bono anch'esso come un mostro, che me.
nando strage, e mettendo confusione e spa=
vento ne tonni gli svia, li dissipa; e perciò
del suo arrivo si porrebbono i pescatori
ugualmente in allarme, che dell’ arrivo del-
Je lamie, e avrebbono contro lo spada scon-
giuri terribili ugualmente; che i preparati
contro le lamie. Qualche inquietudine è
vero desta pure lo spada ne’ pescatoti; ma
non viene essa se non da quella appren-
sione medesima, per cui ancota antica-
mente i pescatori facevano voti a Nettu-
no, che lo spada non venisse nella rete
co’ tonni; temono non urti esso col suo pu-
gnale nella rete, e dilacerandola apra a' ton-
T46
‘ni il varco alla fuga; la qual cosa rion'è
gia temere, che lo spada faccia danno ai
tonni, ma bensì temere non faccia loro ser-
vizio-in danno de pescatori.
Hanno pensato altri; che il tonno
venisse nel mediterraneo spinto dal bisogno
di figliare, andando per tal bisogno infino
al mar nero., unico luogo acconcio alla
sua figliatura. Così accennò Aristotile, e
chiaramente l’ asserì Plinio. Ma che nel
mar nero unicamente figlino i tonni è gran-
demente falso, e forse neppure ci figliano.
E falso dico, che nel mar nero unicamen-
te figlino, poiche nel mare sardo pure si
scaricano essi delle uova; e uova loro si
trovano attaccate alle medesime reti, den-
tro le quali sono stati rinchiusi. Anzi piut-
tosto fuori del mar nero, che dentro esso
sembra, che i tonni figlino. Il maggio , quel
mese sì generalmente destinato dall'alma
matura al rifacimento delle spezie median=
te la nuova progenic, è pure il mese de-
stinato al rifacimento de tonni ; in maggio
147
le loro uòva sono più pienè, e bella per-
fezion del granare, € in giugno principian
tosto le uova a dechinare, come tutta la
sostanza del tonno. Or durante il maggio
sono i tonni ancora lontani dal mar nero;
poiche per tutto quel mese, e per una gran
parte del giugno si fa la cattura di essi nel
mare sardo e nel siciliano; sicche i ‘tonni
non sembrano ‘arrivare nel mar di Ponto
se non. in giugno, . quando la buona sta-
gione del figliare è già passata. Ma neppure
nel restatite del mediterraneo crederò io,
che i tonni vengano per figliare; ci figliano
perche ci vengono, ma non vengono pet
figliarci. Io consentirò , che dugento, e an-
cora tre o quattrocento mila tonni arrivino
annualmente dall’ oceano nel mediterraneo;
ma che tenue porzione è questa in parago-
ne degli innumerabili tonni, li quali esisto-
no, qualunque sia la parte dello stermina-
to oceano, in cui si debba collocare ia ve-
race loro sede? a vedere quanto piene e
sicclie sono le loro ovaje, io non dubiterei,
148
che l'occhio di Loevenock non ci dovesse tro-
vare una moltitudine forse prodigiosa ugual-
mente che quella trovata ne’ naselli; nè ame
pare punto esagerazione incredibile , che ad
Alessandro il Grande i tonni dessero già
gran Briga per passare co’suoi navigli, tan-
go ne trovò zeppato e aggrumato il mare
d'India. Or se tanti tonni esistenti possono
figliare, altrove, come potrà credersi, che
1 tonni vegnenti nel mediterraneo ci ven-
gono per bisogno di figliare? Richiamerò
piuttosto la venuta del tonno alla cagion
medesima, a cui ho attribuito il viaggiare
degli uccelli. L’esca;, i viveri mancheranno
forse in qualche luogo ai tonni troppo ivi
moltiplicati; e in traccia di viveri si distac=
cherà parte di essi dalla restante moltitu=
dine, e questa verrà a cacciarsi nel medi-
terraneo. Esca certamente, e molto cara
esca trovano i tonni nel mediterraneo ; tro=
vano le sardelle, trovano le acciughe, ghiot-
tissimo loro pascolo, e oltre a questi pesci
trovano ancora la Ghianda, Di questa ghian-
149
da parlò già Polibio Magolopolitano sic-
come di cibo, di cui il tonno grandemente
impingua, per modo, che Ateneo giudicò
potersi il tonno perciò chiamare a ragione
porco mazino, titolo ancor oggi spesso da-
togli da’ pescatori, non tanto, credo, pet
la ghianda, che mangia, quanto per lo
lardo , di cui si empie. Or questa ghianda,
di cui il sempre veritiero, Polibio scrisse ;
ed esiste in realtà, ed esiste nel mar medi»
terraneo, come ne fanno fede lo stomaco
del tonno e Je spiagge del mare; lo stoma=
co del tonno, perche in esso le ghiande
si trovano. belle e intiere ; le spiagge, perche
esse di dette ghiande spesso si veggono ri:
coperte, e l’anno 1765 fra gli altri le spiag-
ge sarde se ne viddero stranamente ingom-
brate. Sono ancora assicurato , che l’al-
bero producitore di simili ghiande alligna
in Sardegna e lascia cadere in mare i suoi
frutti, \
QuarunQue sia la cagione, per cui il
tonno passa lo stretto, esso, passato lo stret-
159
to. piglia ugualmente il cammin dell’ Africa,
e il cammin d'Europa. Che parte de’ tonni
venga radendo l'Africa, e infili a dirittura
il cammin di levante, il rendecerto l’irre=
fragabile autorità de’ Rais, e il conferma-
no i progetti. più: volte stati. in sul tapeto
di piantare ronnare in Barberìa, e la ton-
nata effettivamente da qualche anno esisten-
te presso.a Tunis: Ma pure il poco fiorire
delle ronnare africane, el totale dicadi-
mento delle levantine. dopo che a:pescare
si mise il’ Europa!, fa vedere; che il gros-
so de tonni alla uscita dello. stretto si
tiene più dalla, banda d’Europa. Come il
popolo delle. aringhe discendendo. ogni an-
no dal notte, si separa con divisioni e sud-
divisioni replicate in più squadre, alla gui»
sa, che fanno gli eserciti. per camminare
con minore disagio: così camminano i ton
ninel mediterraneo. alla.volta di levante in
diverse compagnie, e per vie diverse. Por-
zione de’'tonni passa la Spagna, la Francia,
la.Liguria, e imbocca il canal di Piombino.
l IST
contro. questi sono tesi nell'isola dell’ Elba
due possenti aguari ossia tonnare in forma
l'una a Marciana, l’altra a Porto-ferrajo.
1 tonni salvatisi da questo. passo con altri
forse varcati fra l'Elba e la Corsica prose=
guendo lungo l’Italia ritrovano un altro
passo armato contro di loro al Tarantel-
lo di Napoli ; ma il più terribile po-
sto è la costa siciliana da Melazzo infino.
a Trapani, tutta quanta ingombrata di ton-
nare per modo, che si impediscono fra lo-
ro. Que’ tonni i quali per sì malamente elet-
ta strada sono giunti salvi infino a dar volta a
Trapani, da indi prosieguono omai con
poco disturbo il loro pellegrinaggio al le-
vante, Malta non li tribola più, e qualche
tonnara levantina di Monza e Leva poco
li disturba.
ALTRI tonni, o perche camminarono
più lontano da terra, o perche alle coste di
Trancia e di Liguria, diedero volta ver-
so scilocco , vengono a scontrarsi. nella
gosta occidentale della Corsica, Contro que=
152
sti si tentò. già inutilmente di porre anni
sono una tonnara a Figari, nè so qual
esito avrà avuto quest anno la ideata. ton-
mara di san Fiorenzo. Questi tonni corsi
discendendo lungo la Corsica parte iscap-
pano per le bocche. di Bonifacio, parte
arrivano in Sardegna, ove hanno contro
di sei nomi di molte tonnare, Porto Vi-
gnola, Cala Agostina, Pedras de Fogu, Sa-
line, Trabuccadu, ma di fatti non sono
oggi predati se non dalle Saline, e dall’
ancora debole e mal sicuro Trabuccadu.
OLTRE a questi tonni, li quali discen-
dendo lungo la Corsica vengono a girare
nella parte settentrionale della. Sardegna;
altri e più copiosi; e più pronti tonni ven-
gono portati da maestro alla spiaggia della
Sardegna occidentale. Questi cessarono più
presto dal costeggiare la Spagna e la Fran-
cia, e più presto piegarono verso scilocco,
€ però vengono a fare liete di se le tonna-
re sarde occidentali, principalmente le sedu-
te giù all'angolo di Porto Scus; che gli angoli
153
sono sempre fatali a’ tonni, come mo-
stra oltre all’ angolo di Porto Scus an-
cora l’ angolo Siciliano di Trapavi . I
tonni sardi scampati dalle tonnare danno
volta verso oriente anch’ essi, e vanno a
toccare infin la Sorìa e i più rimoti seni
del mare nero.
UnA, osservazione fecero gli antichi
sopra il camminare dal tonno tenuto nel
mar ‘nero : osservarono , o almen cre-
dettero osservare , che il tonno entrando
nel mar nero si metteva sempre a costeg-
giare la riva destra, e ritornava per la
sinistra; con che veniva esso a tenere sem-
pre rivoltato alla riva |’ occhio destro ;
come se il succeduto nel loro mare Fus-
sino fosse |’ idea di quanto succede-
va in tutto il monde, si misero que’ vera-
mente leggieri Greci a dire, che il ronno
marciava sempre con l’ occhio destro ap-
poggiato alla riva; e per un altro passo della
leggerezza greca aggiunsero di più la con-
L;
154
seguenza, che il tonno ci vedeva più dall
occhio destro, che non dal sinistro; e quin=
di fabbricarono ancora un loro modo di si-
gnificare che altri civedeva meno dall'occhio
sinistro, che non dal destro, dicendo, che ci
vedea al modo de’ tonni. Lo specioso è,
che sì fatta dottrina greca dura ancora oggi
fra molti pescatori, i quali senza saper per-
che, dicono anch’ essi, che il ronno è buon
veditore dalla banda destra, ma meschino
dalla sinistra. Dal solo fondamento sopra
cui si è appoggiata sì farta inuguaglianza
della facoltà visiva, si vede che essa è po-
co credibile; ma di più ogni cosa la mostra
falsa: primieramente esaminando gli organi
della visione, si trovano amendue il destro
e’l sinistro similmente conformati, e per-
fettamente uguali; inoltre gli attenti pesca-
tori assicurano non essersi avveduti mai di
cosa , la quale potesse indicare una sìstrana
disuguaglianza ; e finalmente quando il ton-
no nella sua corsa costeggia la Spagna, la
Francia, l’Italia , la Corsica, la Sardegna
155
cammina pur esso allora dando alla terra
l'occhio sinistro ; di mivaniferà, che seconda
il ragionare de’ Gieci converrebbe dire, ché
il ronno costeggiando Europa ci vede più
acutamente dall'occhio Sinistio, ina quan-
do giugne al mar nero, l’acutezza lascia
l'occhio sinistro e' passa nel destro,
Aira metà di Luglio prifcipia il tonno 2
ricomparire in Sicilia di ritotno dal levante
incamminato da capo all'oceano; tonno lan
go ) magro, e meschino. Non ostante la tri-
sta condizion ‘sua |’ avaro uomo l’apposta
di nuovo, da capo il tribola' colle tonnare
di ritorno ; Sicilia ne ha molte; una sola
ne ha ora la Sardegna a Pulla, ma for-
se più ne avrebbe ancora la Sardegna, se
al tempo di pescare il tonno di ritorno non
girasse per la Sardegna medesima una Lamia
terribile: a” pescatori. più di quel che essi
possano essere avidi de' tonni, cioè l'intem-
perie. Altretonnare di ritorno si trovano pure
nella Spagna; e così il tonno perpetuamente
assalito, perseguitato, intaccato., smembra-
2
156
to arriva finalmente da capo all'oceano,
senza che la sofferta strage l’impedisca di
rivedere l’anno seguente il mediterraneo in
moltitudine uguale.
ANTICAMENTE a tempi d Aristotile, di
Strabone , di Plinio, e di Eliano le famo-
se pesche de’ tonni si facevano alla punta
di Bizanzio, la quale perciò si chiamava
il Corno d’oro. Insieme alle arti, alle scien-
ze, alla libertà perì nella Grecia ancora la
pesca, e il nome d’oro non rimase alla
punta bizantina se non nel morto linguag-
gio de’ libri, Fiorirono appresso grandemen-
te le pesche di Portogallo, c di Spagna; ma
soffrirono anch'esse. l’ineluttabile vicenda
delle cose della terra, c perirono dopo mol-
ti secoli di fiorimento limprovisamente non
sono molti lustri. Salirono allora più che
mai in fiore Sicilia e Sardegna, c vi durano.
tuttavia; amendue queste isole sono in fio-
re, ma alla Sardegna si deve il. principato;
e l’antico corno bizantino passato già a.
1}7
risedere nella Conil'd’ Andaluzia, oggi risie-
de veramente in Sardegna.
Sei furono le ronnare sarde nella pri-
ma loro epoca dopo la scoperta verso la
fine del secolo decimosesto fatta da Pietro
Porta del passaggio de’ tonni in questi mari;
tre si aprirono nel lato settentrionale, ciò fu-
rono Porto Vignola, Cala Agostina, e le Saline
di Porto Torres, ed altrettante si aprirono
nel lato occidentale, l'una a Pittinuri, Val:
tra a Porto Paglia, la terza a Porto Scus.
Delle tonnare settentrionali le sole Saline
tono rimaste costanti; vicende perpetue han-
no sofferte le altre: Vignola e Cala Agosti-
na furono abbandonate; si armò invece lo-
to Pedras de Fogu, e Pedras de fogu or fu
Attiva, ©r oziosà, e al presente rimane so-
pressa per buoni patti avuti dalle saline, è
cui essa Pedras de Fogu è sopravento; di ma-
niera, che nel lato settentrionale peschereb-
bono or le saline sole, se non che l’antò
scorso si fece un tentativo di nuovà pesca
nell Asinara al Trèbuccadu; tentativo che
158
fè sperare assai fo scorso anno, e lascia con
molto dubbio l’anno presente. Miglior sor-
te. ha avuto il laro occidentale: le prime
tonnare , sonosi mantenute, e ne varj tenta-
tivi fatti: in seguito, altre nuove vi si sono
aggiunte. I tentativi sono stati infruttuosi a
Porticciuolo. e a Capo Galera; ma sono
riusciti ottimamente all'Isola Piana, a Ca-
lavinagra, e sonosi ancora aggiunte altre
tonnare.
IN virtù di queste tonnare maraviglio»=
samente si avvivano le spiagge sarde quan
do viene il tempo della pesca. Sonoci ad
ogni tonnara edifizj deve più , dove me-
no ampj e agiati. Fino ad aprile la tonnara
tace ed è diserta; ma principiato aprile ogni
tonnara diviene un luogo di strepito di
facende e di arti; un mercato, una popola-
zione composta di categorie diverse; e in
mezzo all'interesse e alla occupazione un
luogo di religione e di cortesia. La gente
vi arriva ugualmente dalla parte di terra,
e dalla parte. di mare; e come le case e le
159
baracche si empiono di gente di terra, così
la spiaggia si guernisce di bastimenti per ser-
vigio della pesca; li quali si rierescono coll’
arrivo delle varie nazioni, che vengono al
mercato del tonno. 1 bottai, e i ferrai for-
mano i più solenni strepiti alle tonnare;
la ciurma fermenta a stendere, rattoppa-
re, comporre la immensa rete; bastagi e fo-
raci sono in moto a trasportar sale e quan-
to altro occorre. Al padron della pesca u-
gualmente che il buon ordine della tonna-
ra ne lavori, e nella società della sua gen-
te, preme la osservanza della religione sic-
come articolo, da cui giudica dover dipen-
dere non poco il buon esito della pesca;
perciò esso adduce seco ancora ìl suo clero;da
cui si fonziona con una regolarità da far ono
re a qualunque ottimamente regolato popolo.
Conduce esso inolrre seco persone di mag-
giore sua confidenza e sicurezza; le quali
col nome di Ufficiali sovrastano, vegliano;
sollecitano ; fanno gli ordini eseguire.
169
MA il primo uomo, e il più impor=
tante pezzo per gli interessi del padrone si
è il Reis, che viene ad essere il direttore
della pesca. Quanto si può pensare di re-
lativo alla pesca del tonno, luogo, modo,
e tempo, tutto dipende dal Bais. Convie-
ne pertanto che il Rais sia primieramente
un uomo di una\incorrotta fede, incapace
di tradimento verso il suo principale, per
favorire alcuna tonnara vicina. Alla fede
deve aggiungere una pari intelligenza, sa-
gacità, e attività. Intelligenza per cui pie-
mamente conosca l'indole del tonno; saga»
cità in avvedersi d’ogni menoma cosa, di
una punta di terra, d'un rialto, d’un co=-
lere nel fondo del mare, che possa influire
nella pesca. Deve sapere istudiare tutto, e
dopo un ben maturato sistema di cose
pianterà con celerità e fermezza in alto
mare un vastissimo edifizio di rete atto a
reggere come uno scoglio contro le borrasche.
Piantata la rete sarà infaticabile a visitarla,
e a riconoscere l'avviamento della pesca.
67
Prevederà le procelle colla segacità di un
piloto per non impegnarsi in un atto di pesc&
mal a proposito; e nel dì che s' ha da ma-
cellare, saprà sbrigarsene in brieve ora, €
dentro la misura, che le circostanze richie-
dono. Da queste qualità del Rais dipende
in gran parte la buona fortuna; e però do-
po Domenedio l’esito della pesca si aspet-
ta dal Rais. Il Rais pertanto è l’uom più
accarezzato alla tonnara, siccome vi è il
più autorevole. Altro nome quasi non si
ode risonare se non quello del Rais, nè al-
tra voce vi si eleva più autorevolmente che
quella del Rais, Sì importante posto viene
oggi coperto in Sardegna da’ Genovesi o dai
Siciliani; Siciliani però sono i Rais più co-
munemente, siccome aventi una grande scuo-
ta nel loro paese, non solo della pesca dei
tonno, ma di ogni altra pesca, genere di
esercizio, in cui i Siciliani sono veramente al
sommo induscriosi e indefessi.
Turto aprile si spende in disposizio-
ni; il giorno tre di maggio si stringe più
162
l'affare, si.deve incrociare la tonnara. Tal .
funzione tocca al Rais, e non è essa altro
se non ;la manifestazione, la quale il Rais
fa del sistema da se fissato! intorno al luo-
go, ove vuol collocare la rete ;. ircrociare
la tonnara pertanto non vuol dire altro, se
non fare in mare una traccia, la qual serva
di norma alla collocazione della rete, sic-
come l’architetto segna in terra con pali e
funi la direzione, secondo la quale deve
sorgere l’edifizio. Se non che il Rais a trac-
ciare il suo disegno non-usa pali, ma due
corde chiamate inzizo/e, le quali egli ferma
a gala dell’acqua parallele fra loro, e rap-
presentano i due massimi lati del gran pa-
ralielepipedo della rete.
Ir giorno dopo l'incrociamento, se
ostacolo non vi si oppone, si dee mezzere
la rete a bagno; parte essa, benedetta pri»
ma solennemente dal clero della tonnara;
ripartita sopra più bastimenti. Dalla pianta
e profilo incisi si vedrà la forma e la vasti-
tà della retejla quale a ragione si può chia+
163
mare un.arditissimo edifizio piantato in mez-
zo al mare, incui paragone le pesche dei
naselli, c delle aringhe non sono che un
giuoco dafanciulli. Canne diciotto almeno
di profondità , cioè adire piedi parigini 108
deve avere il mare ivi ove la retesi pian:
ta, e allora alla rete stessa si danno canne
vensette ossia piedi parigini 162 di altezza;
essendo maggiore la profondità del mare a
proporzione aggiunge altezza alla rete,mag-
giore dovendo sempre essere l’altezza della
rete, che non la profondità del mare, per
ragione, che le camere non hanno fondo,
e di fondo serve loro il fondo del mare me-
desimo ; laonde conviene che la rete si am-
mucchi in fondo almare per serrar bene ;
e non distaccarsene mai per agitazioni €
ondeggiamenti; che succedano. Fondo però
ha la camera di morte, ossia il corpo, €
lo ha necessariamente per ragione, che essa
camera è quella; la quale si alza con entrovi
il tonno per ammazzarlo; e per ragione che
essa camera deve resistere nell atto di essere
7
alzata all'enorme peso de’tonni, € ‘moltà
più che al peso, a loto dibattimenti, e sfor-
zi cagionati dalle violenze, che si veggono
fatte , è essa tessuta di forte canape, e con
istrette maglie; laddove il resto della rete
è tessuto semplicemente di sparto d’alican-
te, e con maglie ampissime. L’aggregato
delle camere vien chiamato Isola, ed è
questo propriamente il luogo, ove il tonno
riman preso; la Coda ossia Pedale, e’ Co-
dardo, non servono se non a fermare il ton-
no; e guidarlo alla rete; la coda ferma è
guida il tonno, che passa fra la terra e l’ iso-
la; il codardo è teso contro il tonno, che
passerebbe in più alto mare. Tanto prende
di mare questo ingegno di pesca, che a me
é avvenuto in due luoghi diversi di spender-
ci tre quarti d'ora per arrivare all’isola so-
la, benche andassimo in agile legnetto a die-
ci remi.
Ner tempo the il mare è in calma,
non viaggia il ronno; il tempo di calma è
per esso tempo di posa; s'occupa allora a
165
scherzare e a cacciare; ma quando il mare
si riccomuove al vento, il tonno si rimette
in corso, e corre a norma del vento. Te-
mono perciò le tonnare dopo le borrasche
la calma; sospirano per il vento, e ognuna
sospira pet il vento suo. Tutte quante s'ac-.
cordano a sospirare da principio per il po-
nente; il fiato di questo caccia assai ronno
dall'oceano nel mediterraneo. S' accordano
ancora tutte le rtonnare sarde a sospirare
per il Maestro, e per la Tramontana : que-
sti venti allontanano il tonno dal continente
d’Europa c il mandano all’isole. Dei Maestro
“e della Tramontana song contente senza,
più le tonnare sarde occidentali: ma le set-
tsntrionali fanno ancora voti per il levan-
te: il levante si oppone al tonno fra l’Ita-
lia e la Corsica , e l’obbliga a discendere
lungo la Corsica occidentale ; il levante pu-
re si oppone al tonno alle bocche di Bo-
nifazio, e l’obbliga a girare nel golfo rac-
chiuso fra Longon Sardo, e l’Asinara; ove
siedono esse tonnare settentrionali.
166
A due o treinsieme catniminano. le più
volte i tonni: ciò che Eliano disse uno ac=
compagnarsi alla maniera de lupi: cammi-
nano nondimeno ancora alla foggia delle
capre, come pure disse Eliano, cioè în trup-
‘pa é mezza truppa: e v'ebbe volta, in cui
la truppa giunse a contenérhe un migliajo.
Non ho potuto verificare quella tanta di-
sciplina militare, colla quale asserisce Plu-
tarco, che i tonni camminano; cioè facendo
di se un battaglion quadrato, 0 per me-
glio dite cubico, così esatto, che chi nu-
merasse una sola filza di tonni, e poi la
cubasse, verrebbè ad avere la esatta soli-
dità del loro battaglione. Il qual fatto ad-
duce Plutarco in prova della intelligenza
de’ pesci in quel suo dialogo, ove prende
partito in favore della ragione degli anima-
li. Di molti e belli fatti è pieno tal dialo-
go, ché che sia della loro forza risguardo
al fin preteso: ma al battaglione de’ tonni,
per quanto mi sono informato, non è da
dare assai fede.
167
LA prima entrata ‘del tonno si fa in
quella, che chiamasi gran camera, il cuifo-
ratico è pienamente aperto; e bensi potrebbe
sopra quella porta ripetere l'infernale iscri-
zione di Dante : Lasciare ogni speranzavoi,
éh'entrate. Di là il tonno non si avvisa di
uscire più , benche il foratico rimanga sem-
pre aperto ; ben diverso in ciò dallo spada,
il quale entra, e torna fuori ,e va a farci
fatti suoi senza lasciarsi vedere più Corre
il tonno perpetuamente, ma corre intorno
nélla camera medesima; dalla quale non-
dimeno entra nelle camere vicine, cd ivi
pure la processione de’*tonni s'aggira con-
tinuamente.
I marinai di parte sono perpetuamens
ze rin alto. di guardia! all'isola, ispiando , e
osservarido quanto tonno va entrando nella
rete; € quotidianamente pure mattina e sera
wi si trasferisce il Rais col suo luogotenente
il sotro Raisper conoscere lo stesso. È. ma-
ravigliosa la acutezza, colla quale costoro
penetrano a distinguere il ronno sotto acqua,
168
benche il pesce vi dimori tanta profondità,
che nonostante l’ingrandimento della sua ima-
gine cagionato dalla rifrazione, non com-
parisce. spesso. maggiore d'una acciuga; €
pure costoro il distinguono, e arrivano a
contare i tonni ad uno ad uno, come il
pastore conta le sue pecore. Talora però pet
discernere meglio si richiedono soccorsi, €
consistono questi primieramente in un drap-.
po nero, di cui il Rais cuopre la sua filu-
ca, ce si fa ombra per allontanare i raggi
stranieri, che vengono a confondere la vi-
sione. Se ciò non basta, si manda giù un
osso di tonno, ovvero la /anterna , la qual
lanterna, è un sasso con appiccatovi il bian-
chissimo osso della sepia, il quale colla ri-
flession sua rischiara il bujo. Quando il Rais
s'avvede, che troppi tonni vi sono in alcu-
ma delle prime camere, di modo, che im-
pediscano l’accesso ad: altri tonni, allora è
suo dovere vuotare esse. camere, e far pas-
sare i tonni in altre più lontane; funzione
spesso fastidiosissima. Non può il Raisvenire
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169
dietro a’ronni, come fa il pastore, e con
un colpo di verga o una fischiata mandar-
gli ove gli piace. I tonni si mantengono pro-
fondi, e il Rais dimora in alto nella filuc-
ca, e di là conviene, che esso maneggi, e
faccia muovere il suo gregge ostinatissimo
talora a non voler ubbidire. L’artifizio or.
dinario, di cui il Rais si vale, aperte che
egli abbia le porte delle camere, si è que-
sto di mandare giù un pugno di sabbia, e
replicarlo inseguendo i tonni, fino ad aver-
li cacciati nella camera pretesa; poiche a
quei granelluzzi di sabbia il timidissimo
tonno si spaventa e fugge così, come se li
rovinasse addosso il cielo. Se } arena non
basta a spaventare, allora si manda giù l’or-
sibil faccia d'una nera pelle di pecora, e
ne casi estremi si usa il /ingiarro spezie di
rete, con cui si stringe la camera del ton-
no, e si obbligaa fuggire.
Ap ogni suo ritorno dall’ alto il Rais
s'abbocca in disparte col padron della pe-
sca ; gli fa rapporto dello stato delle cose,
M
170
del numero de’tonni esistente in rete, del-
le providenze da se prese, delle distribuzio-
ni de’ tonni fatte per le camere.
Quanpo vi sien tonni bastevoli nelia
rete, e mare tranquillo si viene al più so-
spirato dì; a quel dì, a cui ogni lavoro, e
ogni preghiera si indirizza, si viene alla
mattanza. Quel dì tiene in aspettazione non
solo le tonnare, ma quasi ogni luogo cit-
convicino, e di lontano le persone di mag-
gior distinzione per trovarsi a godere d'uno
de'-più giocondi spettacoti det mondo; su-
periore d’assai alle illusioni. sceniche delle
oziose città. La cortesia regna alle tonnare
per principio, di maniera , che il forastiere
venuto allo spettacolo, vi è accolto volen-
tieri e trattato, e nell’atto del partire me-
desimamente con isplendore regalato di par-
te della pesca.
ArLa camera di ponente manda il Rais
nelia vigilia della mattanza quella quantità
di tonni, che il padrone giudica destinare
a morte per il dì seguente; ec può quella .
171
camera di ponente. a. ragione chiamarsi
il vestibolo della morte, perche il tonno
colà entro è alla vigilia della morte; se non
che alcuni applicano alla camera di ponente
il nome dato dagli antichi alla punta di Bi-
zanzio, chiamandola camera dell’oro, per
ragione, che il tonno nella camera di po-
nente equivale ad altrettanto-oro in tasca.
LA sera di tal vigilia si cava-a- sorte
dall’urna il nome di quel Santo, che sarà
il protettore della giornata. seguente. Del
Santo che esce, unicamente si invoca il no-
. me in quella giornata.
Ir giorno della mattanza medesima prima
dell’alba parte il Rais per l’ isola, per far
fare a'tonni l’ultimo passo, e porgli dentro
la camera di morte; operazione la quale ra-
lora soffre grandi difficoltà, e metre il Rais
in punto di disperazione, quasi i tonni ca-
pissero di qual conseguenza sia per loro la-
sciar la camera di ponente, e trapassare
nella vicina camera.
172
InrANTOAterra si agguzzan gli occhi, si
puntan cannocchiali per iscoprire la chia-
mata dal Rais. Il rais adunque ordinato che
egli abbia tutto, si pone a sventolare una
bandiera bianca: a tal chiamata si desta
il tripudiare in terra, si dà de remi in ac-
qua, e partono i legni carichi qual di gen-
te per la pesca, qual di spettatori. A_mi-
sura che i bastimenti giungono, prendono
posto intorno alla camera di morte, Il Capo-
rais, lungo bastimento, ma senza alberi e
senza remi s’applica alla camera di morte
dal lato di ponente; il Paliscalmo , altro
lunghissimo bastimento e'puro scafo anch'
esso si pone rimpetto; altri legni minori si
applicano agli altri lati della camera; in mez-
zo alla camera prende posto il rais col suo
gozzo, e comanda l’azione, come fareb-
be un maliscalco in una giornata di guerra.
L'azione consiste primieramente nell’ alza-
mento della camera di morte, ossia nel ti-
ramento d’ essa fuor d’acqua. In questa azio-
ne il Paliscalmo non piglia parte; esso non,
173
fa che attaccare alle sue sponde il suo latò
della camera di morte, e nel resto non s'im-
paccia: la ciurma degli altri legni al coman-
do del Rais: Sarpa, principià a tirare fuori
la camera; la qual cosa per il peso si fa
lentamente, e quasi in cadenza al perpetuo
gridare Issa, Issa; che tutti i marinari fan-
no d'accordo; e si deve da ogni parte ti-
rare ugualmente; perciò il rais scorre per-
petuamente con quel suo gozzo innanzi e
indietro , chi sgrida, chi anima, a chi av-
venta un mal termine, a chi alla testa un
pezzo di sughero. A misura che la camera
sì tira fuor d'acqua , i bastimenti la raccol-
gono , il Capo-rais si va sempre avvicinan-
do al Paliscalmo, e lo spazio della camera
si rinserra in tutte le sue dimensioni; e i
tonni sono costretti salire in alto, e avvi-
cinarsi alla superficie. Un bollimento nell’
acqua, che vien via via crescendo, annun-
zia l'avvicinamento del tonno. Corrono al-
lora i forazici armati di crocchi (4) a ri
(a) Grosso bastone con incima un graffion di ferro,
174
partirsi negli stellari (©) del capo-raîs è
del paliscalmo, unici bastimenti dai quali
si ammazzi. Convien vedere l’ardore e l’im-
potenza con cui costoro anelano di vedet
comparire il tonno , e sentirsi dire di ferire:
ammazza grida il rais quando il bollicame
de’ tonni giugne a gala, ed è quello il vero
punto dello spettacolo: ecco una terribile
borrasca commossa dal violento correre e
dibattersi de’ grandissimi tonni, che si veg-
gono rinserrati , assordati, violentati, assa-
liti con graffi e cercati a morte: l'acqua schiu-
mante e levata in marosi lava ognuno d’in-
torno. I foratici sono furiosi a ferire, e
ben mostrano quanto voglia dire avere il
guadagno proporzionato alla fatica: perche
ogni stellato ritiene per se il più grosso dei
tonni, che esso afferra, perche i latti, le
(a) Così si chiamano le parti nelle quali medians
te legni traversi, rimangono divisi i bastimentiy
T75
uova, il cuore, é lo stomaco d'ogni tonno
toccano allo stellato, che il prende, perciò
sono quella gente veramente accaniti ad
aggraffiare quanti più in numero e quanto
più grossi tonni possono, accaniti in modo,
che ad altro non si bada, nè pure si dareb-
be soccorso ‘adun tom caduto in mare, 0
in altra mianiera pericolante, come in un
dì di battaglia non si bada, che a vincere.
Si grida, si arronciglia; si tira fuor d’acqua
con quanta forza e fretta si può, occupan-
dosi due o tre ‘uomini a stringere un tonnò
solo, d'altro nonsicura. Quando i tonni per
l’uccisione sono già fatti rari, l'uccisione
si sospende, si ripongono i crocchi, e nuo-
vamente vociferando Issa, Issa, si tira
fuori dell’acqua nuova porzione di camera:
il capo-rais si avanza più verso il paliscal-
mo, e lo spazio de’ tonni vieppiù si rinser-
ra: succede nuova borrasca,; e uccision nuo-
va, e così sì sarpa € si ammazza a vicen-
da; finchè il fondo della camera è a gala
anch'esso, e tonnò più non vi rimane. ll
376
mare sì fa vermiglio a grande distanza, quan
to forse non s'insanguinò nella giornata del»
la Meloria, che fè rimanere i Genovesi so-
pra i Pisani padroni del mar tirreno e del
mar sardo,
Dentro breve ora la mattanza è fini-
nita, ci bastimenti si fanno alla vela verso
terra: il paliscalmo el capo: tais che portano
il tesoro vengono a rimorchio. Come in Ispa=
gna si ricevono i galleoni apportatori del
metallo del Potosì, e in Olanda i. navigli
degli aromi, che vengono di Batavia, com
uguale solennità si ricevono spesso al lido
i tonni, col saluto del cannone. Giunti al-
la spiaggia, prima di scaricare i tonni, si
pigliano i foratici ciò che de’ronni loro
spetta. D'uno de’ più grossi vonni il padron
della pesca fa ancora dono al Santo uscito
dall’urna protettore di quella giornata, met=
tendolo all’ incanto, e facendone alla chie-
sa del Santo passare il ricavato. Dopo il
santo vogliono loro porzione della pesca ì
ladroni, e si può dire, che ognuno è ladrone
177
alla tonnara, di maniera, che volendo si-
gnificare una azienda, ove ognun ruba , si
suol dire oggi proverbialmente in Sardegna,
che quel luogo è una tonnara. Sono le.ton-
nare, riguardo al punto del furto, un oggetto
del tutto singolare. Il furto non vi è una
ignominia, nè un delitto soggetto a pene:
il rubatore colto col corpo del delitto sog-
giace solo a perderlo, nè questo perde, se
già il tiene dentro della baracca. Così pres-
so a Lacedemoni non era infamia il ruba-
re, nè si puniva: ma solo era vergognoso
e punito l’ essere colto rubando, cioè a di-
re il non saper rubare. I Lacedemoni in-
tendevano con sì fatta loro legge avvezza»
re sc stessi ad essere destri: ma alla tonna=
ra la permissione del furto procede da un
principio di equità. La mereede, che il pa-
drone accorda alla sua gente per patto, nom
corrisponde alla fatica: laonde a porre la
debita uguaglianza fra la fatica e la mer-
cede, conviene che alla mercede pattuita si
faccia alcuna giunta, e però il padrone per-
17$
mette la ruba, sotto la condizione di non
essere scoperta: € perciò coime a cosa mez-
zo lecita non le si dà l’ odioso nome di fur-
to, ma si chiama semplicemente busca. Quel-
la porzione del patto mutuò , per cui il pa-
drone salva la sua roba, se scuopre il ru-
bato, il tiene esso e i suoi ufficiali in una
terribile vigilanza, e ne fa veri argi; e quel-
la parte del patto, per cui il rubatore non
incorre ignominia nè pena, il fa esso stra-
namente coraggioso e destro; laonde non
a semplici pezzi di tonno, ma a tonni in-
tieri si estende la busca con mille artifizi
da non ridirsiin brieve; e colla prestezza
d’un giocolare si veggon quei nuovi spar-
tani fare scomparire un tonno, come altri
farebbe una acciuga. Si ripongono ancora
alcuni tonni in disparte a disposizione del
padron della pesca; che ne fa diversi do-
nativi.
Ciò che rimane de’ tonni dopo questi
piccoli snembramenti, spesso si spaccia fre-
sco e intiero agli avventori Catalani; Fran-
179
zesi, 0 Italiani; li quali sovente contratta-
no ancora prima della mattanza , rilevando
tutto'ìiltonno auntanto per ogni pesce, gros-
so o piccolo che riesca; sovente il rilevano
vedutolo ed esaminatolo per poi condir-
lo, e prepararlo a loro modo e spesa.
«Ir tonno, che non si spaccia fresco,
passa a formare ciò , che si chiama mactan-
ga di terra. Viene il tonno strascinato dal
mare al marfaragio luogo spazioso e 'om-
breggiato , ove i maestri con mannaje (0) gli
recidono il capo; e poi con coltelli da srar-
giare, gli levan le rarge ©. Il tonno così
troncato si carica sopra le spalle d'un. 4a-
stagio ()., nè può più d'un bastagio sot-
toporsi al tonno per enorme che sia, laon-
de in quell’atto si veggono talora rinnovati
i prodigi di Milon Crotoniate, e va il tonno
(a) Spezie di scure,
(b) Ossa con carne attaccate alla sommità del ve-
race , ove sono piantate le pinne pettorali.
(c) Facchino.
180
altancaro, ove per la coda si sospende alle
funi, chiamate in termin proprio dogali.
Indi il tonno si rorcz; cioè a dire, riceve
esso sei incisioni longitudinali; due dall’ano
fino alla estremità della coda, vicinissime
fra loro, e separate solo dalla spine/la biar-
ca, che sono le pinne spurie sotto la coda;
due altre per tutto il dorso fino alla coda
estrema, vicinissime fra loro anch’esse e
separate solo dal fil di mezzo della schie-
na, e dalla spizella nera; finalmente due
alcre laterali, una per parte. Con queste
incisioni, ed un'altra trasversale rimango-
no nel tonno segnate le diverse carni, che
distintamente , spolpandolo , se ne debbono
separare. Prima se ne spicca la sorra,e va essa
alla cianca() , ove si taglia in più piccoli pez-
zi e poi s’ insala. Alla sorra succedono il
dorso, e le due codelle bianca e nera (2);
le quali tre parti formano quella spe-
(a) Grandissimo tavolone,
(5) Garne della coda
183
zie di carne, che si chiama rezza. Le car-
ni del tonno. già salate si distribuiscono
in botti, e per ben imbeversi del sale vi
si lasciano otto o dieci giorni scoperte al
sole e alsereno, a riserva della sorra , la
quale nel metodo italiano si tiene all’om-
bra. Dopo tale spazio il tonno si ricava
dalle botti, e distribuito per le prance (4) si
mette a scolare. Dopo la scolatura si imbot-
ta da capo; un uomo quanto può calca coi
piedi, ciò che i Catalani fanno calzando
scarpe di legno, e ben calcato che sia, il
bottajo rimpagna, cioè mette il fondo ‘alla
botte. La botte si corica quindi in sul fianco;
si stura, e intorno alla buca si forma un rial-
to di sale chiamato doccale, ove si infon-
de salamoja , la quale dalla tonnina si vien
via via succiando; e di salamoja si mantien
sempre pieno il boccale, infinche non venga
il tempo di imbarcare la botte. Botti si fanno
(a) Tavole inclinate. l
182
pure della Businaglia, carnaccia infima det
tonno; e delle spinelle, de lampazzi (), degli
occhiali () , e d’ altre bagatelle, che nulla si
perde di quel pesce, facendosi infin olio del-
Je ossa e del cuojo dorsale. D’una botte di
sorra , tre di netta, ed una quinta di busi-
maglia e simili parti infime si compone ciò,
che in linguaggio catilano si chiama Gizoco.
St scabeccia pure il tonno prendendo
‘ perciò gli scampirri ; la carne si fa prima
bollire in acqua salata ; poi si imbotta.
con olio.
NELLA mattanza, se essa non è l’ulti-
ma, non si vuota mai la rete del tutto ;
per esca e quasi zimbello di altri. tonni
alcun centinajo di tonni vi lascia sempre il
provido Rais; e a misura che. nuovi tonni
sopravenendo si raunano in bastevole quan-
tità si ripetono i felici dì delle mattanze, in-
finchè dura la stagione del passaggio del tonno.
(a) Ossetti attaccati alla sorra,
(5). Carne intorno all’ occhio,
133
Questa stagione dura per la Sardegna infino
al. solstizio estivo : dopo esso. non’ si
vede più ronno alcuno; la camera di mor-
te si leva da bagno e si ripone ne magaz-
zini; il resto della rete si taglia, e si aba
bandona al mare.
Durante la stagione del passaggio, &
misura, che le tonnare sono buone, le mat-
tanze sono frequenti e forti. Le Saline di
Sassari, tonnara nè primaria nè infima, arriva
aotto mattanze l’anno di cinquecento tonni
luna; a diciotto mattanze convien calco»
lare Porto Scus di circa 850 tonni l'una,
ciò che fa la somma di tonni quindicimila;
rispettabile somma, poiche le Formiche di
Sicilia, prima tonnara di quel regno, in
dieci sue mattanze non oltrepassa iquattro-
mila tonni. Quindicimila tonni ho io aggiu-
dicato a Porto Scus per informazione di chì
n’ebbe longamente l'appalto; e non poco
ne arricchì. Dalla proporzione degli affitti
risulta, che tutte le altre tonnare insieme pi-
gliano presso a poco due volte cotanto, quanto
T84
Porto Scus: laonde quarantaciquemila ton-
ni restano secondo me annualmente preda»
ti dalla Sardegna: li quali calcolati indifie-
rentemente a non più di tre scudi l’uno (*),
formano la somma di scudi 135000. Di que-
sta somma porzione si deve alla Spagna per
la sparteria, porzione a’ Genovesi o Siciliani
per la camera di morte, porzione a Trapani
per il sale: alcuna spesa richiedono le fer-
ramenta, e alcuna porzione pure avanza-
ta della sua paga trasporta seco la ciur-
ma genovese e siciliana stata impiegata al-
la pesca. Fatta la detrazione di quanto per
servigio della pesca esce del regno parm;
però, che nel regno rimarran sempre lire di
Savoja 400000: somma non grande peruna
volta sola, ma somma importantissima , dac-
chè stabilmente e annualmente si viene a in-
fondere nel regno. In fatti, chi.calcolerà di
quanto l’asse pubblico sarà cresciuto in
grazia di detta somma dagli oltre a venti,
(a) Ho veduto quest'anno tonni venduti sette zec-
chini l'uno.
185
anni in quà, che le tonnare sarde sono in
fiore, troverà un aumento di dieci milioni.
Quindi come le proprietà delle tonnare so-
no oggi il più ricco redito delle famiglie più
illustri, e le renderebbono atte a comparire
con isplendore in qualunque parte ancora
fuor della loro patria: così gli appalti del-
le ronnare medesime sono oggi il più lucro-
so traffico, quello per cui si veggono na-
scere repentine e grandi fortune, formarsi
famiglie, edificar palagi, acquistar titoli e
Siguorie. Ho detto che le tonnare sarde so-
no in fiore da oltre a venti anni in quà
senza più: perche comunque la scoperta di
Pietro Porta sia antica di quasi due secoli,
nondimeno fino a questa ultima epoca il be-
neficio non fu grande: poco si pescava, dif-
ficilmente si spacciava, e le tonnare sarde
erano oscure. La ragione di ciò erano di-
ciasette ronnare piantate nelle coste di Spa-
gna, € fra esse la famosa di Conil, degna
di formar parte delle grandissime entrate
de Duchi di Medina Celi. Un giorno. solo,
N
186
per quanto si asserisce non senza fonda-
mento, bastò a fare la gran rivoluzione, e
tolse alla Spagna la ricca pesca de’ tonni,
e ne fe presente alla Sardegna; e fu quel
memorabile giorno, che abbattè Lisbona,
e tutto insieme scosse tanta parte della ter-
ra. Quel giorno fe cessare la pesca de’ton-
ni in Ispagna allontanando il tonno dalle
rive spagnuole; e accrebbe la pesca sarda
mandando il tonno alle sarde rive con più
abbondanza; e ditanto cambiamento in quel
giorno succeduto si rende una giusta ragione.
il tonno ama il profondo, e in primavera
imedesima ama esso di camminare sotto ac-
qua alla profondità di cento piedi; laonde
a quelle rive, che hanno poca profondità,
il tonno non si accosta. Ora in quel dì me-
morabile, che il tremuoto fe accorta la ter-
ra delia sua pochezza, e la scosse come un
atomo, una grandissima quantità d'arena
e d'altra materia si rovesciò dall’ Africa con-
tro, l'Europa; e s'alzarono quindi grande-
mente i fondi in Ispagna nell’atto, che in
137
Barberìa si vuotarono e nettarono i porti
di Tetuan e di Salè. Il tonno rivenendo dall’
occano in primavera trovò le spiagge di
spagna stranamente inarenate, e senza fon-
do; e quindi tanto se ne allontanò, che a
rattrapparlo si. richiederebbono reti d’una
impossibile lunghezza. Cessata la cattura dei
tonni in Ispagna, fu necessario che la quan-
tità de tonni si presentasse maggiore in Sar=
degna, ricresciuta di tutta quella moltitu-
dine la quale primg rimaneva predata dal-
le coste spagnuole. Ma che che sia della
precisa epoca della distruzione delle ronna-
re in Ispagna, la quale alcuni, benche men
autorevoli, fanno d’alcuna cosa anteriore
all'anno 1755, certamente se esse non si
strussero precisamente al tempo del tremuo-
to, intorno a quel tempo si strussero cessan-
do il passaggio de tonni per qualunque ra-
gione cessasse; e allora solamente, che le
tonnare spagnuole si strussero, e nelle co-
ste Andalne si mise il silenzio e la soli-
tudine, principiò lo. strepito, il concorso,
2
138
il fervore del commercio nelle coste sarde,
e divenne la Sardegna la prima sede della
pesca del tonno, per rimanerlo non può in-
dovinarsi fino a quando; giacche stabilità non
v'è nelle cose ancora in apparenza più fer-
me; ed ogni cosa migra dopo un certo tem-
po, infino le scienze e le virttà de’ popoli.
ERRORE CORREGGI.
Pag. 151 lin. 7 Tarantello Granatello.
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Stato delle Tonnare calate in Sardegna l’anno î778
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Trabuccadu n. Is. Asin,
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Affitto annuo. Appaliatori.
opl die }4o > DIE) +>£ die )<- (dit) Ta:
Signori,
Proprietari,
DCdit)o dedite
«Marchese Pasqua Fran. Rapallo e Belgrano
Duca dell’ Asinara
{ Sc. 5800 da paoli 8
Gratis pet 3. anni Franc. Rapallo. e Comp.
—
als p.100 della pesca
Marchese Pasqua Angelo Gagliardi e 'C.
Giulio Cesare Bayle.e C.
aree era gra area n Sa a pia a o o_o». a
«il Re 5 per. 100
Conte di Monteleone | Scudi 9000 Raimondo Belgrano.
March. Villamarina 20000 Franc. M. Viale e<C.
.Duca di s. Pietrò 25000 Franc. M. Viale e C.
Duca dis. Pictro 5000 Giuseppe Rapallo e C.
il Re Gratis Cap.Giovanni Porcili e C.
——————————6€€—“ L ______<
il Re $ per 100 Ignazio Romagnino.
il Re $ per 100 { Pao.Maurizio CIRO
«il Re 5 per 100 Franc. Nayarto di Camil.
L
-—_—_——_———_——mrtt———Zèé II
SWTENCTVTIZ DAI) VEWTEVENIT VIT VITTO MEV N LAT
190.
Insieme col tonno rimane talora presa
la Palamita; poco però si prende essa nei
mari sardi per mancanza di ingegni acconci.
Lo Scombro viaggiatore anch’ esso pro-
veniente dal lontanissimo norte, dividendo-
si a cento popoli dell'oceano, e parte en-
trando in corso ancora per il mediterraneo,
si presenta pure alle spiagge sarde, chiama-
to da’ Sardi Pisaro. Ma esso scombro poco
utilmente finora ingombra questi mari; al-
cuno ne incappa nelle ordinarie reti degli
altri pesci, e viene giustamente apprezzato
siccome buonissimo pesce; ma contro es-
so non si fanno patrticolari spedizioni, nè
sì pensa a rattrapparlo in quantità e con-
dirlo come fanno altre nazioni.
Insieme collo scombro viene a’ merca-
ti il Lacerto, più piccolo, e più vivamente
di verde e di azzurro colorato dello scom-
bro, ma nella figura allo scombro somi-
gliantissimo , laonde per iscombro si vende
e si compra. Ben noto è il lacerto a’ natu-
ralisti tanto antichi, Greci e Latini, quanto
191
ai moderni, appresso a’qualise ne trova men-
zione co’nomi di Colias e di Lacertus ; per
la qual cosa mi fa spezie di non trovarlo
presso Linneo, nè io saprei fra quale col-
locarlo de’ pesci Linneiani, non avendo iò
avuto comodo di attentamente esaminarlo.
Ben posso ripetere, che ognuno dice oggi
tuttavia, come si disse in ogni tempo, che
a riserva della mole quasi non si scuopre
differenza dal lacerto allo scombro:
CentoventI Alelunghe sonosi trovate
‘ quest'anno nella tonnara del Trabuccada,
e furono esse l’unica cattura fatta ‘nella se-
conda ed ultima mattanza di quello in que-
sanno ben poco fortunato posto. Se mi ha
fatto spezie il non trovare inenzione del
lacerto presso Linneo, ben più spezie mi
fa, che dell’Alalunga non vi sia menzio-
ne nè presso-Linneo, nè presso alcun altro
autore, nè ‘pure presso quelli, li quali
con somma diligenza scrissero de’ pesci del
mediterraneo, É forse essa alalunga un
pesce di nuova‘apparizione? forse come in
192
certi paesi tardatono più secoli a farsi ve=
dere certi uccelli, e poi vi si mostrarono
costantemente , così ancora in certi mari
solo dopo più secoli hanno principiato a
mostrarsi certi pesci, li quali poi non gli
abbandonarono mai più? Che che sia di
ciò, oggi certo l’alalunga è saputissimo
pesce in tutto il mediterraneo; anch'esso è
pesce di corsa, e corre insieme col tonno,
e marciain grandissime frotte di più migliaia.
I Siciliani ne fanno ricchissima pesca, e lo
insalano come il tonno. Passano pure le sue
truppe nelle tonnare sarde, ma non vi re-
stano prese, perche le maglie sono troppo
ampie, siccome semplici maglie da tonno,
non accompagnate da altre reti di maglie
più sottili, come costumano i Siciliani, per
prendere oltre a'tonni quanto altro inciampa
nelle loro tonnare. Non ho fatto incidere
la figura dell’alalunga, perche in poche
parole si può far capire. Si concepisca un
tonno d’un dieci in quindici libbre, corre-
dato di ale ossia pinne pettorali lunghissi-
I 193
me, che giungano fino a téccare Îa secon-
da pinna dorsale, e s’avrà la giusta idea
dell’alalanga; la quale perciò nel sistema
di Linneo si descriverebbe in poche parole
così: Scomber pinnis pectoralibus longissimis.
Ha essa inoltre le sue pinnette spurie, sette
sopra, e sette sotto la coda; e quando è cor-
ta mostra una bianchissima carne a differenza
del tonno, la cui carne sempre rosseggia.
Ar genere Sco:mber appartiene il Tra-
churus de’ naturalisti. I Sardi il -chiamano
Surellucon voce evidentemente derivata dal-
la voce francese Sieure/. Questo pesce ab-
benda nella state, ed è apprezzato da'Sardi.
Verissime sono le tre spezie di Triglie
ennumerate da Linneo, e tutte e tre si trova-
no nel mare sardo. Si trovano quelle triglie
minime, e di poco gentil sapore, che non han-
no barbette, o come dicono i pescatori, mar
giadori. Si trovano ancora ne’ fondi arenosi le
triglie di mezzana bontà, cioè quelle fornite
di barbette bensì, ma lateralmente vergate di
giallo, esono queste le più frequenti a vedersi?
194
e quasi Je uniche generalmente conosciute.
Pescando più in alto si pigliano pure le per-
fette triglie, quelle fornite anch'esse d’una
doppia barbetta al mento, ma rosse del tutto,
che furono già il famoso Mu/lus de' Romani,
solito comprarsi con altrettanto peso di ar-
gento purissimo. Una volta, che sì preziosa
rriglia mi venne in potere, ne ebbi ancora
un giocondissimo spettacolo fisico: poiche
tenendola al bujo, viddi in essa il fosforo più
bello e più vivo, che vedessi mai.
Derr’ultimo genere de’ pesci toracici da
Linneo chiamato Trig/a, con bastevele fre-
quenza si piglia il pesce Organo: rarissime vol.
tela Lucerna, e talora si veggono spiccarsi dal
mare e fare loro brevi voli per aria le Rondini.
c
| 195
ara
PESCI ADDOMINALI.
SIDICICA II AA Bd A PE >
Fate
pe, (È, oco mi occorrerà di dire di que-
FECIIN sto ordine di pesci. perde è
scarso per se stesso , ‘e di più la
maggior parte de’suoi generi soggiorna nel-
le acque dolci: comunque si debba spiega-
rc questa spezie di mistero, che i pesci
aventi le loro pinne ventrali assai indietro
verso la coda sieno stati comunemente esclusi
dal mare, e rilegati he laghi c ne fiumi.
CocnitA è nel mare sardo la Sfirena,
‘ossia Luccio di mare, da’ Genovesi appel-
lato Luzzaro. Non è cognito il Pesce Ar-
gentino , meritamente così appellato dal fi-
nissimo argento, di cui sono inargentate
infin le sue budella, pesce ottimo, e caris-
simo alle mense toscane. Abbonda per lo
contrario quel pescetto trasparente come
196
un vetro, con una benda d'argento Îate-
rale, pescetto simile alla acciuga, benche
più piccolo, che i naturalisti chiamano 4
herina, ei Genovesi Quennaro. I Sardi il
chiamano Sesrero.
Più spezie di Muggini distinguono in
questi mari non meno i pescatori Genovesi;
che i Napoletani. Quattro spezie me ne
hanno fatto vedere i Napoletani; primo il
Cefalo, che cresce più di tutti, ed ha un
grandissimo capo; secondo l'Ozzoze di ca-
po più acuto, e che saltando fuor dell’ac-
qua non fa che un salto solo; terzo la
Tumula ossia Lissa, la quale saltando gira
in aria descrivendo colla coda un arco di
cerchio intorno al capo quasi centro. Quar-
to la Concadita grossa al più di due libbre,
la quale guizza sopra l’acqua con molti
salti alla guisa di quelle pietruzze sottili,
è larghe, che i fanciulli gettano per trastul-
lo, c le quali hanno dato da meditare ai
fisici. Tre spezie sole ne ho udito distingue=
re da Génovesi; il muggine Nero, così detto
197
dal color suo più cupo; il Capo grosso, così
detto dalla grossezza della testa, e. il Sal-
tatore, così detto da’ salti. In quanto a me,
avendo osservato i muggini, non ci ho tro-
vato differenze da poterli giudicare di spezie
diverse.
Giuncenpo alla Sardina da Linneo com-
presa sotto il suo genere C/upea, ognuno
è in diritto di aspettarsi un grande articolo.
Il nome di sardiza mostra essere stato da-
to al pesce dalla Sardegna non per altro,
se non perche la Sardegna gli sia special-
mente patria, o perche esso ami la Sarde-
gna principalmente; e quindi perche la Sar-
degna sia la sua regia, la sede della sua ab-
hondanza. Così si crede assai dal pubblico,
e. così si afferma da alcuni autori, e dai
moderno Salmon fra gli altri, il quale in
parlando della Sardegna scrive.così: I/ me».
re intorno (alla Sardegna) somministra una
abbondante pescagione , e in particolare
sv0. delle Sardelle., che si vuole abbian da
x
tsa preso il nome. Adunque. si aspetterà
19$ i
ognuno, che all'articolo del tonno un quasi
ugualmente difiuso io soggiunga della Sar-
dina, descrivendo .e il tempo in cui le sar-
dine discendono al mar sardo, e quanti le-
gni vanno a incontrarle, c quante migliaja
d’uomini s'aftaccendano in salarle, e di quan-
te migliaja di scudi l'isola annualmente ne
arricchisca. Ma a tanta aspertazione non pos-
so corrispondere se non con sorpresa, di-
cendo, che altissimo silenzio risguardo alla
sardina regna in Sardegna. Non solo non
si strepita, nè si fermenta per essa, ma
essa appena.si pesca e si vede. Quanti luo-
ghi in tutto il circuito. della Sardegna. sie-
dono in riva al mare, ignorano la sardina;
Alguer è il luogo, ove essa si vede e. si
piglia alquanto più; ma in questo Alguer
medesimo si stà talora i due e i tre anni
senza vederne; c quando si fa buona pesca.
andrà il preso in tutta una stagione a quan-
to nell’ oceano se ne trae in poco più
d'una tirata di rete. Dico nell'oceano,
perche quivi in realtà si fanno oggi le
199
grosse pesche delle sardine, in modo, che
di là vengono esse salate e imbottate a
provvedere il mediterraneo infino all’ulti-
mo levante; nè, se la Sardegna pesca po-
che sardine, si può attribuire tutto a col-
pa sua. I Norvegi la pescano in quantità ; la
pescano gli occidentali Inglesi di Devon e
di Cornwall, e la sola francese Bretagna
ne pesca annualmente per il valore di ben
due milioni (@). Frattanto in vista di questa
scarsezza della sardina non solamente alle
spiagge sarde, ma ancora in tutto il me-
diterraneo in paragon dell’oceano, che di-
remo noi della etimologia del nome sardina ?-
Per qual ragione si denominerà. questo pe-
sce dalla Sardegna, se in Sardegna esso è
si scarso? malgrado la mia avversione alle
congetture, ecco una idea, con cui si po-
trebbe rispondere al quesito. I popoli del me-
diterraneo sono stati certamente industriosi ,
e navigatori assai secoli prima dei popoli dell’
(a). Diz. Savary.
200
oceano; e quando quei popoli dell'oceano,
quei medesimi che oggi pretendono essere
1} fior delle genti, erano tuttavia. cacciatori
puri, i popoli del mediterraneo erano già
da gran tempo inventori, artefici, commer-
cianti famosi. Siccome adunque anticamen-
te per la barbarie di quei popoli dovettero
le grandi frotte di sardine provenienti. dal
norte, passare impunemente dinanzi a Nor-
vegi, a’ Britanni, a Galli, e in tutta abbon-
danza infondersi nel mediterraneo: così le
nazioni del mediterraneo accorte dovettero
pigliarle in quantità, e la Sardegna eccel-
lentemente situata nel mediterraneo ben po-
verte farne presa e condirle in più copia, co-
me oggi fa del tonno; e quindi la, Grecia
sempre dotta nella imposizione de’suol no-
mi dovette al. pesce imporre il nome dalla
Sardegna, per significare il luogo della mag-
giore sua abbondanza. Si destarono. a poco
a. poco i popoli dell'oceano; s'accostarono al
imare, fabbricarono legni e reti, e principia-
rono aintercettare ciò, che prima stoltamente
201
lasciavano passare ; ciò mise nel meditertanco
la scarsezza delle sardine; ma alla sardina
rimase il nome del luogo della abbondan-
za antica.
LA Acciuga è tuttavia abbondante nel
mediterraneo, e dal mediterraneo medesi-
mamente passa cssa condita all'oceano a quei
popoli, che al mediterraneo forniscono le
sardine. La Catalogna e la Provenza pes-
cano acciughe copiosamente; riccamente ne
pescano Genovesi e Toscani; la sassosa Ca-
praja di sosco lire genovesi ne arricchisce
annualmente ; Bastia, san Fiorenzo, e Ajac-
cio ne traggon quantità dal mare corso, e
infino all’ultima Sicilia regna la cattura delle
acciughe. Nella Sardegna sola non v’è tal
ricchezza di pesca; tal anno si pesca, tal
altro no, a misura che si presentan pesca-
tori; e sempre si pesca scarsamente, perche
sempre scarsamente i pescatori si presentano.
PESCI BRANCHIOSTEGI.
PM FCI edi dtd TION TOLTI A die je
(E
g ELLE quaranta spezie di pesci,
4 È *
3:Di
21 FA 2a] A li li | li x
rv li quali non hanno operculi nè
visibile membrana alle bran-
ghie , spezie quasi tutte esotiche all’ Euro-
pa, non ho veduto mai in Sardegna quel-
la, che ancora nel mediterraneo è rara spe-
zie, e la quale per il suo lunghissimo ro-
stro fu già chiamata da’ naturalisti acceggia
di mare (scolopax); né pure ho veduto il
raro anch'esso Pesce Tamburro altrimenti
detto Luna di mare, pesce difforme, e che
sembra non più che la testa d'un pesce.
QuaTtTRO soli pesci conosco di quel
genere, che Linneo chiama Syguarhus, Co-
nosco |’ Aguglia, benche non assai frequen-
temente essa si peschi; conosco quell’ altro
pesce, il cui corpo è settangolare, ma la
203
‘coda è tetragona, chiamato da Linneò S ‘ygna=
thus pelagicus ; ne ebbi de’ presi nell’alga, e
de’ trovati in corpo ad altri pesci; e ne eb-
bi de lunghi un piede parigino. Conosco anè
cora quella spezie , il cui corpo non ha an-
goli, ma è tondo chiamato da Linneo Ophi-
dion; e finalmente conosco il Caval mari-
no, vero termine de' pesci e principio degli
Insetti,
DALLA passata esposizione de’ pesci sar=
di si manifesta quello, che infin. da princi>
pio avvisai, cioè che dî varj pesci cogniti
nel mediterraneo il mar sardo è privo. Ma
non ostante questa mancanza, rimane ve-
ro, che il mare sardo è assai pescoso. Que-
sto elogio fanno alla Sardegna comunemen=
te turti i geografi e descrittori di essa, ces
tebrando insieme alla abbondanza del fru-
mento la quantità de’ suoi pesci; ed è
un elogio giustissimo. Comunque alcuna
spezie manchi, le spezie esistenti sono tanto
più copiose, da non solo compensare le
mancanti spezie è ma rendere medesima-
2,
204
mente la Sardegna abbondante in confronto
di altre parti del mediterraneo, come i me-
desimi pescatori italiani confessano. E in fat=
ti non una volta mi è avvenuto di vedere
gittar le reti dentro un piccolissimo trat=
to di mare, e dopo poca aspettazione ve-
derle trarre fuori sì piene di pesci, che i
pescatori medesimi lasciavano libero il pren-
derne a chi ne voleva. Nè questa abbondan»
za sitrova in una parte sola; le bande dell?
isola di s. Pietro si giudicano veramente di
tutte le più ricche in pesce, ma ricca è re-
almente ogni parte, e dovunque il pesca=
tore in tutto il circuito dell’isola tenta la
pesca, è sicuro di rentarla utilmente. L'acer-
bo in mezzo a questa abbondanza si è, che
l'abbondanza si ferma in mare, e non ridon=
da in vantaggio pubblico; duro è, che es-
sendovi un mare sì pescoso , il pubblico pa-
tisca disagio di pesce. Non è credibile a qual
segno arrivi questo disagio; città non v'è in
tutto il regno, comunque seduta in riva al
mare, la quale non sia ad ogni tratto espo=
10f
sta a querelarsi della mancanza del pesce;
e dove l'acquisto d' alcuna porzione di pe-
sce peri privati non sia abitualmente un
oggetto d’impegni, di industrie, di ar-
tifizj, come se fosse un contrabando ;
e dove una buona parte de' cittadini, e ta-
lora la città intiera non debba rimanere di-
giuna di pesce del tutto, ancora nelle circo-
stanze di maggior bisogno. Sono da molti
anni testimonio delle abituali scene in tem»
po di quaresima in una delle primarie città
dell’isola: A salvare il pesce dalla vio-
lenza de’concorrenti conviene circondarlo
d’armati, e distribuirlo colla assistenza
d'un magistrato da entro a inferiate, al-
le quali vi è an fremito, un tenzonare, co-
me se là entro ci fosse il sommo bene; e chi
di lì può spiccare un pajo di libbre di pesce
và più contento d’un console romano colle
spoglie d'oriente. Per conseguenza chi non
ha forza o protezione all’inferiata è ridot-
to a passare cinquanta giorni con nissun al-
‘&ro pesce, se non il secco nasello d'Ame-
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rica. Entrino in questa città medesima tin
ottocento libbre di pesce: ve ne avrà allora
mezza oncia per abitante, e pur si grida
allora abbondanza; la qual cosa ben mostra
a qual grado sia la abituale scarsezza.
Di questo disordine la cagione è que-
sta, che i Sardi non pescano, e i pescatori
si aspettano d'Italia; ciò fa, che i pescatori
sono scarsi, e talora nulli. Sono scarsi, per-
che mal volentieri ognuno abbandona la pa-
tria, principalmente quando la tassa messa
al pesce rende il guadagno troppo tenue. IL
medesimo pescatore poi, che pursi fa animo
a venire, vuol anch'esso in qualche parte
dell’ anno rivedere il suo focolare : il Na-
poletano vuol ritornare alla torre di Greco;
il Camugliese vuol rivedere la riviera, ed
ecco allora i pescatori nulli in Sardegna,
e con essi nullo il pesce. *
A rimediare pertanto al disordine con-
verrebbe che i Sardi medesimi si dessero
alla pescagione. Felice epoca! non solo re-
gnerebbe allora la abbondanza del pesce a
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utile pubblico, ma sarebbe quella una epo-
ca di più alte cose: sarebbe l’ epoca d’ una
navigazione, sarebbe l’cpoca d’un commer-
cio, sarebbe l’epoca di vedere ancora la
bandiera dalle quattro teste approdare coi
suoi frutti alle. scale del mediterraneo,
passare co'suoi frumenti e vini lo stretto,
e condurre suoi sali infino all’ultima Svezia.
Sì bella epoca non è dificile. Non vè iso-
la, nazione non v'è in tutto il medirerra-
nco, la quale non abbia legni e non navi
ghi, e perche sarà il Sardo solo a non na-
vigare? Se i frumentosi campi, e la domesti-
ca abbondanza non impediscono il Siciliano
dall’ essere uom di mare, e perche simile ab-
bondanza impedirà il Sardo? mancherà forse
coraggio, forza, destrezza al Sardo? ad esa
so, che di valore, di robustezza, e di agili-
tà dona sì splendide mostre nella milizia ter-
restre? non altro adunque, che una felice
circostanza, o una opportuna provvidenza
si richiedono, e sarà il Sardo navigatore anch’
esso: una sola legge bastò a fare sì possenti
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e dotti navigatori, come oggi sono, quei me-
desimi, che per passare la Manica e guer-
reggiare in Fiandra ebbero gia bisogno un
tempo di assoldare Ammiraglio, e Orche Ge-
novesi; una sola vessazione bastò agli abi-
tatori de paduli Olandesi, perche repen-
tinamente divenissero conquistatori e Signo=
ri igfino del mare Asiatico»
CLIN E
V. si stampi. Sassari li 15 Giugno 1778.
Deliperi Vic. Gen.
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V. se ne permette la stampa. Sassari li 15
Giugno 1778.
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