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Full text of "Anfibi e pesci di Sardegna"

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ReBovno 19399 


HARVARD UNIVERSITY. 


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MUSEUM OF COMPARATIVE ZOOÒLOGY 


LIBRARY OF 


SAMUEL GARMAN 


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Safsari I777 Mella Stamperia di Gincegpe Pattoli .— 


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Soprenmder Li, (2% 


A MONSIGNORE 


D.GIUSEPPE MARIA PILO 
DELL’ORDINE CARMELITANO 
Fescovo di Uselli, e di Terralba , Èc. Go. 


Francesco Cetti 


U na imputazione molto frequente suol 
farsi al Clero Cattolico dagli scrittori etero- 
dossi; ed è attribuirgli di impedire la tem- 
porale felicità de’ popoli. Incolpano costoro 
il cattolico clero come spopolatore. de paesi 
mercè del celibato ; come fomentatore. della. 
ignavia,  mercè l’ozio proprio , € quello che. 
cagiona in altrui colle medesime sue carita- 
revoli larghexxe 3 come oppressore della ra-. 
gione, mercè la libertà di. pensare , che to-. 
glie co’ suoi terribili tribunali. A questi va- 
ni accusatori chieggo io, se essi si terrebbo- 
no contenti di vedere le-loro patrie fatte in 
prosperità temporale uguali alla Italia ? sa- 
rebbono essi contenti di vedere.le ra patrie 


ornate di ampie e ricche e popolate città, 
guanto Italia ne è piena ? di vedere nelle 
loro campagne un perpetuo intreccio di po- 
polazione e di coltivazione, come in Italia 
si vede? di vedere la loro terra fruttifica- 
re in ogni genere de più preziosi frutti sì 
riccamente, come fruttifica la terra italiana? 
di possedere le più nobili arti, come Italia 
ne è maestra? di aver dato nascimento al- 
le più nobili scienze, come Italia il diede ? 
eppure in questa medesima sì fiorente Ita- 
lia non solo esiste, ma più che in altra 
parce qualunque regna il Cattolico Clero. 
Tanto è inconsiderata Ia imputazione, che 
il Clero cattolico è stato sempre l'uno dei 
più forti strumenti della prosperità ancora 
temporale de popoli ; l'uno de più beneme- 
riti promotori delle scienze e delle arti. Non 
e forse il cattolico clero quello , il quale nel 
fervore di accrescere il culto di Dio ha fat- 
to. rinascere al mondo le del tutto perdute arti 
di Prassitele, di Apelle, di Timoteo, e di 
Vitruvio? Nonè egli il cattolico clero. quel- 
lo, a cui si debbono la maggior parte delle 


pubbliche e delle private biblioteche ? di quan- 
te e cattedre e accademie intiere non è stato 
fondatore il clero cattolico in ogni parte ? 

QUEL che io dico dei clero cattolico 
in generale, si è verificato sempre, 0 MON- 
SIGNORE; ancora in particolare del Prestan- 
cissimo Clero Sardo. Se esso è un Clero fa- 
coltoso , un Ciero riccamente dorato d’ entra- 
te, egli è altresì un Clero, da cui il pubbli- 
eo oltre agli esempj di virtà, è i soccorsi 
di spirito, ha ricevuto costantemente i mag - 
giori benefizi per i medesimi suoi temporali 
progressi. E non contate vo1 medesimo fra 
i vostri predecessori un Michele Beltrando, 
il più benemerito uomo della agricoltura sar- 
da, mercè i monti granatici da lui fonda- 
ti, istituzione maravigliosa, di fresco ri- 
messa in vigore, e al zelo de Prelati dalla 
Reale providenza saggiamente appoggiata? 
Quanti non si veggono or tuttavia sorgere 
per opra de’ Prelati di questo Regno splen- 
didissimi edifizi destinati alla edncazione 
pubblica ?. non è forse colle facoltà del clero 
in gran parte, che sonosi pur ora ristorate 


le lettere? non è forse dalla mano dè Pre> 
lati, che la studiosa gioventà , a misura che 
essa spicca in sapere, riceve con raro esem= 
pio pecuniarj assegnamenti perquanto campa» 
MA fra quanti il Clero Sardo conterà 
Prelati benemeriti del pubblico per ogni 
verso, Prelati, li quali nella sollecitudine 
delle loro chiese avranno abbracciata ogni 
prosperità del popolo loro, vO1 certamente, 
O MONSIGNORE , non sarete ricordato fra 
gli ultimi. Collo stesso fervore e zelo, con 
cui vegliate e faticate per lasantità del co- 
stume del vostro Gregge, VOI pensate ad 
ogni maniera di sollevarne la vita € miglio- 
rarne la condizione. Indefesso distributore 
siete VOI del pane evangelico mediante la 
divina parola, la quale vOI personalmen- 
re amministrate al vostro popolo ogni dì del 
Signore; e ugualmente premuroso vi trova 
il popolo vostro a procacciargli l' abbondan= 
za delle messi. Se ogni settimana presiedere 
la istruzione del rustico popolo ne rudimen= 
i della fede, per questo medesimo popolo 
vor raunate vostro consiglio, e deliberate 


èome accrescerne le raccolte se nelle rustiche 
mani si veggono con industria moltiplicate 
per opera vostra facili.istruzioni cristiane; 
stringono queste mani medesime manipoli di 
biade a voi unicamente dovute. Stringono 
agualmente le bisognose mani soccorsi pe- 
cuniari continui e copiosi, mediante la sot- 
tilissima porzione delle vostre entrate, che @ 
voI medesimo concedete, del resto alimen- 
tate mendici, abilitate o industriosi al lavo- 
ro, 0 elette coppie alla benedizion nuziale. 
Colle vostre renditevoI promovete in olere ad 
antempo medesimo l’onor di Dio e le arti; 
allora! quando con munificientissima spesa 
fate trarre marmi e occupate maestri a cre- 
scere magnificenza al vostro tempio di Ales; 
pensate al decoro e alla incolumità episco- 
pale , e insieme abbellite la diocesi, allora 
quando un nobilissimo edifizio ergete in Vil- 
lacidro per un sano soggiorno vescovile esti- 
vo; provedete alla cultura del vostro clero; 
e insieme promovete le scienze, allora quan- 
do a*grandissimo costo ristorate l’ alloggio 
destinato alla educazione e ammaestramen= 


to del vostro giovin clero, e di elettissimi 
soggettiil popolate. Al progresso delle scien- 
ze avete pure cooperato co’ valevoli stipendj 
procacciati ai dotti maestrij e ci coopera- 
te tuttavia conoscendo personalmente ogni 
mese gli avanzamenti in esse de’ vostri dolci 
alunni; ma più che in altra maniera coope- 
rata all’ aumento delle scienze co' personali 
vostri esempj di dottrina e di applicazione. 
Saggio chiarissimo non men di zelo pasto- 
rale, che di dottrina avete vOI dato. nelle 
vostra preclarissima Sinodo diocesana, sta= 
ta ricevuta conammirazione in tutta Italia ; 
ma nondimeno quelli, che più da vicino vi 
conoscono , non veggono colà dentro derivato 
se non un sottil filo del vasto sapere vostro 
in ogni genere di scienza sacra e profa- 
na ; © pure di nuova scienza sempre sitibon- 
dò nella vostra eletta biblioteca spendete 
quante ore gli affari della diocesi lasciano 
in poter vostro. Con questi esempj ognino 
s° infervora di sapere; cresce l applicazione 
e la dottrina. Per una tale condotta, © 
MONSIGNORE, se siete un vero lume del- 


la Chiesa Sarda, sieve insieme una prova 
di quanto il pubblico sia debitore a° Prelazi 
cattolici, e guanto inconsiderato sia l’irre» 
ligioso astio di coloro, che al clero cattolico 
detraggono sì grossolanamente. 

CoNTRO costoro si leverebbono le grida 
de medesimi sinceri popoli cattolici, se aves- 
sero a parlare , smentendogli come calunnia- 
tori mal avvisati; ma nessun popolo richia- 
merebbe più fervidamente del vostro popolo, il 
quale sommamente vi venera per la vostra 
virtù, e teneramente vi ama perla vostra be- 
neficenza. Venera egli in voI un Prelato di 
vita incontaminata, un Prelato irreprensibile 
in ogni adempimento della sua gravissima 
carica } ama un pastore vigilante e zelante 
bensì, ma insiem prudente e soave; ama un 
padre, che non ha limiti nella beneficenza 
verso la sua famiglia. Ah non contristate 
questo popolo con un vostro santo, ma ad 
ognuno fuorche a vOI funesto pensiero! se- 
guire ad abbellire il vostro rempio con ric- 
che pietre e preziose opre di scalpello; ma 
perche volerci porre ancora quella urna fu- 


resta? a.che gioverà a vor la vista d’essa? 

della brevità de giorni dell’uomo non foste 
VOI convinto infin da giovinetto, allora 
quando per ispenderli santamente fuggisie 
dalla nobiltà della casa paterna a racchiu- 
dervi nel chiostro ? bisognate vOI della vista 
d'un muto avello per ricordorvi delle tre- 
mende verità eterne, vOI che sì altamente. 
le meditate ogni giorno, e di esserne. pro- 
fondamente penetrato cotanto. il. mostrate 
nella vostra condotta? A che varrà adunque 
l’urna funesta, se non a contristare il vo- 
stro popolo, ricordandogli che un dì avra 
arimanere privo di vor? Che se pure persi- 
stere a voler dare ancora quel segno. della 
vostra cristiana intrepidezza e disinganno , 
deh! cardi quell’urna tanto a ricevervi, che 
prima essa medesima si strugga e si disfac- 
cia. Sono questi î voti del vostro popolo; 
sono questii miei, 0 MONSIGNORE, nell’at- 
ro, che umilmente vi presento queste poche, 
carte, ancora per istimolo di vostra approva- 
zione da me novellamente vergate ad illustra- 

zione della naturale storia.di questo Regno. 


GLI 
ANFIBI 


Î 


Tee ST ite 


E TV To intendo la parola Anfibio se. 
Re condo la significazione sua an- 
AIR: 1a SE 


la. quale essa parola 


tica, nel 
significava un animale atto a vivere ugual- 
mente in terra e in acqua; ma ricevendo 
una significazione più moderna , intendo 
per Anfibio un animale, in cui la strur- 
tura del quadrupede c dell’uccello si altera 
già notabilmente, e principia a compa- 
rire la struttura propria del pesce. Intendo 
pertanto per Anfibio un animale, per 
mezzo del quale la lenta natura dai qua- 
drupedi e dagli uccelli va ai pesci grada- 
2 


4 
tamente, seguendo sempre la maravigliosa 


sua catena, ossia legge di continuità; leg- 
ge; la quale non sarà mai posta in luce 
bastantemente, acciocchè in essa l'intelletto 
‘mano trovi riposo e ragione di molte 
cosevesistenti, delle quali forse non com- 
prenderebbe il motivo; e. trovi-lai dimostra- 
zione di molte altre, che esistono, ma non 
si veggono; e di molte altre non iscoperte 
trovi l’indizio, e la speranza di scoprirle. 

LA alterazione della struttura, che suc- 
cede negli anfibi, risguarda il cuore. Qua- 
drupedi e uccelli hanno nel cuore doppio 
ventricolo, e doppia orecchietta ossia tas- 
chetta hanno pure attaccata al cuore. Non 
più che un ventricolo, e non più che una 
orecchietta sola hanno i pesci al cuor lo- 
ro; e questa semplicità di orecchio e di 
ventricolo si principia già a trovare negli 
anfibj. Non sono però questi anfibi tuttavia 
pesci, perchè altri di loro al modo dei 
quadrupedi e degli uccelli hanno verace 
polmone, collocato nella cavità del torace, 


5 
ne 
fresca, e assottiglia il loro sangue nell’or= 
gano polmonare ; altri bensì in vece di 
polmoni sono corredati di branchie da pe- 
sce, collocate presso la superficie del cor- 
po in vicinanza di spiragli per i quali 
respirano, ma pure non hanno ancora reste, 
e sono forniti di ossa cartilaginee; e inol- 
tre propagano tuttavia la loro spezie per 
mezzo di congiungimenti al modo de’qua- 
drupedi e degli uccelli, e degli anfibi primi, 
I primi anfibi sono più vicini agli uccelli 


e dalla bocca ricevono il fluido, che ri 


e a quadrupedi, i secondi si avvicinano 
assai più a'pesci, e ne annunziano l’immi- 
nente arrivo. Così il passaggio da’ quadru- 
pedi e dagli uccelli ai pesci si fa più gra- 
datamente ; la organizzazione dell’un estre- 
mo si smarrisce più a poco a poco, e 
poco a poco si fa luogo a quella dell’ altro. 
Tra gli anfibi primi e i secondi collocò 
medesimamente la sottile natura anfibi me- 
diani, cioè la Lainpreda, la quale ne’ pol- 
moni si assomiglia agli anfibi primi, e negli 
spiragli laterali sì assomiglia a’ secondi. 


(Sr deve pertanto per anfibio intendere 
un animale fornito di sangue, fornito al 
cuore d’un ventricolo e d’una orecchietta 
sola, fornito d’ossa o di cartilagini; res- 
pirante con polmoni o con branchie, e pro- 
pagante la sua spezie per via di congiun- 
gimenti. In conseguenza'di questa definizio= 
ne si schierano fra gli anfibi le Testug- 
gini, le Lucertole; le Rane, le Serpi; in- 
oltre gli appellati Pesci carzilaginei, e ciò 
tanto i Piazzi, che sono la Torpedine, le 
Razze:, ile«Ferracce:;; la:Rana ‘Pescatrice, 
detta ancora Diavolo marino; quanto i 
Tondi, che sono i Cani marini. Nell’inter- 
vallo che succede ‘alle serpi; e precede i 
cartilaginei si trova la Lampreda come 
anello, che aggruppa; e in grazia delle 
sue. ossa. cartilagince e de suoi spiragli la- 
terali chiude la schiera degli anfibi lo Sto- 
rione. Di tutti questi animali nello ottima- 
mente da Linneo ideato linguaggio chiamati 
anfibi renderò io conto , per quanto risguat- 
do ad essi si trova e si osserva in Sardegna, 


7 


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LE TESTUGGINI 


APECISA MEI A DITA DIA DICI MEI 
è) x . . LI] ° 
o) NoN ggonovI in Sardegna Testuggini di 


Yao terra, Testuggini di acqua dolce, 
e Testuggini di mare. 


TESTUGGINE DI TERRA. 


Ti Testuggini di terra si trovano nell’ 
Asinara; e ve ne sono pure nella Nurra 
dalla banda più vicina all’ Asinara cioè ‘al 
Capo Falcone. Esse testuggini sono testug- 
gini di terra a tutto rigore, in quanto me- 
nano la loro vita totalmente lontan dall’ 
acque; e perciò ne loro piedi, non hanno 
esse membrana alcuna fra dito e dito, co- 
me hanno le testuggini acquatiche ; anzi 


3 

pe pure ci è luogo di sì fatta membrana, 
poiche non hanno queste testeggini dita 
ne piedi, e solamente vi si veggono ugne; 
e perciò sarà questa spezie di testuggine 
probabilmente quella, che Linneo chiama 
Graca, la quale è mal proveduta di dita, 
pedibus subdigitazis. @ Cinque ugne tro- 
vai regolarmente ne’ piedi dinanzi, e quat- 
tro ne’ piedi posteriori di queste testuggini; 
dico regolarmente: poiche con frequenza 
pute ho trovato di queste testugeini terre- 
stri, nelle quali le ugne ne'piedi dinanzi 
erano ugualmente quattro, che ne’ piedi di 
dietro. Anzi una intera e ben numerosa co- 
lonia ho io veduto delle testuggini dell’ Asi- 
mara, ove ne pure una si potè trovare, per 
quanto io ed altri insieme diligentemente 
le rivedessimo tutte, la quale avesse le cin- 
que rigne in quisticne, e tutte quante ne 
ebbero quattro sole, o maschi o femmine 
che esse fossero; fossero testuggini vecchie, 
o pure allora nate. L’orto botanico di 


(a) In sysr. nan. 


9 
s. Pierro:in Sassari fu, ed è tuttavia il luogo 


di tal.colonia. Da questa varierà nel nume- 
ro. delle ugne d'una. spezie medesima si 
vede quanto <il numero delle ugne sia un 
segno equivoco per. differenziare fra. loro 
le'varie spezie di testuggini; e. nondimena 
Liuineo. per indicare ‘un. carattere. proprio 
della:spezie presente. si appigliò al numero 
dellesugne, descrivendola. così: corpus cau- 
datum, palmis unguibus. quinque ;. pluntis 
vero quacuor (2), ll. guscio di questa testug- 
gine terrestre è disefigura elittica senza in- 
taccature nel contorno, ed è ben rilevato 
nella. sua» parte convessa , e variato di co 
lor. giallo e nero; de’ quali colori è pur va- 
riata ila pelle medesima, dell'animale. Quar, 
tro libbre pesano de maggiori restuggini di 
questa spezie, ed hanno sei pollici e mezzo 
di lunghezza nel. massimo! asse della por- 
zion: piatta. del loro ‘guscio; tanto peso € 
tal miswra:almeno trovai in una testuggine, 
la quale già da sessanta anni viveva. in una 
sasa; amatavi perciò come un servidore di 


fe) 1 b i di B 


18 
lungo servigio ; ed era.essa inoltre femmina, 


che sono maggiori de’ maschi , per femmina 
riconoscendosi alla: porzien inferiore. del 
suo guscio, totalimente piana, e non infossa» 
ta, come è 1 piastron de’maschi. Benchè 
l'inverno sardo sia dolce, non è però:dolce 
abbastanza, perehè le testuggini non s'in- 
tanino, Infin dal novembre cercano esse le 
buche e vanno sotterra, e quivi raccolte 
devtro. il loro guscio intormentiscono. Alla 
fine di febbrajo il-nuovo tempore viene a 
risvegliarle, ed esse tornano a farsi vedere. 
Verso il finire dì giugno fanno le uova, 
quattro in cinque di numero, e: candide 
quanto. le nova de'colombi. La testuggine 
trova a tal bisogno il luogo più. solario; 
vi scava co piè di dietro una fossa, e ri- 
postevi le uova le cuopre con terra , e del 
resto ne lascia il pensiero al gran lumina- 
re del mondo. Alle prime piogge: di settem> 
bre si vesgono comparire le testuggini no» 
velle grosse auanto un guscio di noce; che 


la "ve bialici del mond d 
sOnO ia più VEZZOosa cosa ali geonao a ve Cie. 


VESTUGCINE di FIUME. 


Rus Testusgini di fume non* arrivano per 
avventura ‘ad uguagliare la quarta parte 
della mole delle testuggini di terra. Quat= 
tro soli pollici di lunghezza si trovano 
nell’asse massimo. della parzion piatta del 
loro guscio, e a propotzione scemano tut- 
te le altre dimensioni. La figera e il color 
del guscio sono nella testuggine, fiumatica 
conformi a quelli della testuggine terrestre, 
se non che le tinte sono più vigorose, e 
il nero vi domina. maggiormente, e mag- 
giormente domina pure il nero nella mede- 
sima: pelle dell'animale, di maniera, che 
alcuni Sardi chiamano esse testuggini fiu- 
matiche testuggini nere. Non ugne sota- 
mente, ma dita. ben. articolate. spiega la 
| testuggine fiumatica in ciaschedun piede, 
cinque ne piedi anteriori, e quattro ne 
posterioti s collegare fra loro con una mem- 
brana. fino alfa estremità. La coda pure 
«ella testugginve di fiume è notabilmente. 


Da 
«a 


I2 

più lunga di quella della testuggine terre- 
stre; poichè laddove la coda della testug- 
gine terrestre di poco eccede la sesta parte 
della lunghezza del suo guscio, la coda 
della fiumatica arriva fino alla metà della 
lunghezza del guscio suo. Invanita mede- 
simamente sembra questa testuggine fiuma- 
tica della sua sì ricca coda; cammina non 
tenendola rinfoderata dentro del guscio, 
come fa la testuggine terrestre, ma spiegan- 
dola alteramente, e cammina con una pre- 
stezza, che in paragone della testuggine ter- 
restre essa è un achille. Ogni fiume sardo 
è fornito di testuggini sì fatre, e abbon- 
dano esse in modo, che è facile nella ‘sta- 
gione estiva colmarne un sacco. 


TESTUGGINE di MARE. 


(BD due ugne è fornita la testuggine ma- 
rina a ciascheduno de’ suoi piedi, 0, se più 
piace, pinne; due ugne ha essa a' piedi po- 
steriori ugualmente, che agli anteriori; e 
il suo guscio è dentato nel lembo, e rende 


13 
all’acuto dalla banda della coda. Secondo 
questi caratteri la restuggine del mare sar= 
do viene ad essere quella spezie di testug- 
gine marina, a cui Linneo diede il nome 
«di Caretta @). I luoghi più abbondanti 
della sua pesca sono i mari di Cagliari, e 
i mari di Castel Sardo presso il canale di 
Bonifacio; ne’ quali luoghi atriva essa talo- 
ra a tanta mole, che pesa ben quattrocento 
libbre sarde. 


a 


#3 


(a) In syst. nata 


4 


LE LUCERTOLE. 


APICI DEMEFCAUE EE (C]I A sta 


REALI ar 

3 IKEA (7 î : 

3 *M£ “|E! pare una spezie di fenomeni, 
RR 


Serra che in Sardegna, non si trovi 

la vera e propriamente derta 
Lucertola. Esistono almeno quattro spezie 
di quel genere medesimo, a cui la vera 
lucertola appartiene ciò sono una spezie 
di Ramarro, lo Srellione, la Cicigna, ed 
una spezie da’ Sardi chiamata dove Til 
gugu, dove Tilingonive -per qual ragio- 
ne non ci csisterebbe la lucertola, essa 
che d'altra parte è sì comune altrove, e 
che medesimamente secondo gli scrittori di 
cose naturali alligna a preferenza ne’ paesi 
situati al meriggio ()> Di tale mancanza 


(a) Vedi Bomare alla voce Zezard, 


*5 


hon sirebbe facile addurit una spiegazio- 
ne ragionevole; «perciò ‘mi basterà ‘avere 
signifcito, che ‘in Sardegna la propria» 
sente detta Incerebla non esiste 


'‘LA‘TILIGUERTA 0 CALISCCORTULA. 


Ao tun animale medesimo si da dii Sat+ 
di il nome di Tiliguerta, e il nome di Ca- 
liscertula. Caliscerrula è'il ‘nome del Cam- 
pidano , e Tiliguerta è il nome del Ca- 
po di sopra. Questo animale io chiamo 
tina spezie di ramarro, perchì esso è vi- 
vameste verde come il ramarro; non ‘però 
senza mischianza di nero, talora in forma 
di macchie, talora in forma di lunghe 
linee solcanti tutto il dorso: e tali Tili- 
guerte compariscono del tutto fosche, le qua- 
li si credono femmine, ed in fatti aven= 
done io aperta una la trovai con le usva. 
Alla maniera del ramarro si veggono pure 
în questo animale quei bozzoletti pertagiati 
disposti in fila in ognuna delle cosce di 


+ 


16 

dietro, già diligentemente osservati dal 
Duverney } c finalmente ha anch'esso ques 
sto animale, come il ramarro, cinque dita, 
e cinque graffi a ciaschedun piede. Una no- 
tabile differenza trovo nondimeno fra l’ani- 
mal sardo, e 1 ramarro descritto dagli 
autori. Una coda attribuiscono gli autori 
al ramarro lunga quanto è lungo il restante 
del suo” corpo senza più: Lacerra; così 
descrive. Linneo il ramarro, cauda tereti 
verticillata, longitudine corporis (9; e con 
poca differenza in quest altro modo la de- 
scrive: Gronovio nel suo Museo : Lacerza 
cauda corpore parum longiore. Or la tili> 
guerta sarda è ben. più ricca di coda: la 
sua coda arriva ad essere infin doppia della 
lunghezza del carpo. Tal. eccesso ho io 
trovato costantemente cin quanti ramarti 
sardi misurai; due pollici e mezzo trovai 
dalla estremità della testa infino al principio 
della coda; e dal principio della coda infino 


(a) In svsr. pan. 


17 
alla estremità della medesima pollici cin- 


que; e per assicurarmi di non prendere 
per ‘coda se non ciò, che fosse veramente 
coda; ridussi alcune tiliguerte. a scheletro; 
misurai la estensione delle vertebre ciuda- 
li, e le trovai veramente estese per la quan- 
tità indicata. La lucertola e’ ramarro han- 
no in verità una grande virtà  germinativa 
nelle loro code; chi:se loro si taglia via la 
coda; hanno per nulla rimetterne tosto un 
altra; e chi se loro si fende, d’ogni pezzo ne 
rifanno una coda: intiera. Non. pate per- 
tanto, che l'eccesso della coda del ramar- 
ro sardo sopra la coda del .ramarro co- 
mune d'Europa indichi diversità di spezie; 
e ben potrebbe attribuirsi tal eccesso a 
circostanze più favorevoli in Sardegna; per 
le quali la medesima: virtù germogliatrice 
men' prosperante altrove, quì si arrivasse 
più, e si dispiegasse con più successo. Non» 
dimeno non ardirei decidere, che sì fatto 
eccesso discoda fosse accidentale atteso che 
i naturalisti fanno pure entrare ne’ caratteri 


18 

propri} delle diverse spezie di lucertole è 
di ramarri la diversa proporzione delle lo- 
ro code a’loro corpi. Chi descrive il ramar= 
ro d'Europa, il caratterizza, come è det- 
to, dalla coda uguale in lunghezza al re- 
stante suo corpo; chi descrive cert' altro 
ramarro americano chiamato Ameiva presso 
Linneo, il caratterizza dalla sua coda tre 
volte più longa del corpo restante, come 
fa Gronovio descrivendo essa ameiva con 
questi termini : Zacerra cauda tereti corpore 
rriplo longiore (2). Non è adunque la 7i- 
liguerta ossia caliscereula ‘sardà un ramar- 
ro; benchè al ramarro molto si assomigli; 
e chi la volesse descrivere dovrebbe nella 
descrizione sua adoperare questi termini: 
lacerta cauda tereti corpore duplo longiore. 
Con questi termini nelle Amenità accade- 
miche si descrive in verità la ameiva; la 
quale ha pure i bozzoletti pertugiati nelle 
cosce al. modo della tiliguerta ; e quindi 
potrebbe sospettarsi non fosse la tiliguerta 


{a) In Museo. 


19 
‘sarda uno stesso animale colla amneiva ame- 


‘ticana; nè sarebbe maraviglia, che un ani- 
inale creduto proprio della America si sco- 
‘risse ancora in Europa, dacchè scavando 
la terra in Irlanda vi si sono trovati i pal- 
“tchi dell'alce canadese, ‘segno che il mede- 
simo alce vi fu anticamente in Irlanda pu- 
te, onde Tommaso Molineux passò ad in- 
ferire, che anticamente la Irlanda dovette 
essere appiccata all’ America in un conti- 
‘nente medesimo (@. Mz oltrechè della ret- 
titudine della descrizione fatta nelle Ame- 
nità academiche ‘si può sospettare in vista 
della descrizione di Gronovio, trovo un 
altra ragione per non credere la tiliguerta 
sarda una stessa cosa colla ameiva, e sono 
quelle piastrelle o laminette, che armano 
l’addottine ugualmente nella ameiva, che 
nella ziliguerta; non più che trenta lami- 
nette sì fatte si contano nella ameiva, e 
nella tiliguerta ne ho contato da ottanta 
‘disposte. in sei ordini. Sarà pertanto la 


(3) Tiansattiers abridged. Vol, 1. 


20 
tiliguerta un' animale simile all’ameiva, co- 
me è simile al ramarro, ma come essa non 
è ramarro, così pure non è essa amciva; 
e sarà un animale di cui converrà ricrescere 
Ja lista di questi ‘anfibi. Presso Linneo con- 
verrà porlo fra le lucertole a coda crespa, 
cauda verticillara. 

Animate innocente quanto il ramar- 
ro è questo anfibio sardo; soggiorna per i 
cespugli, c per le muraglie campestri; nè 
si asconde nel verno, se non accadendo 
giornate aspre e tristi. Si trova esso in as- 
sai grande quantità, e in copia molto mag- 
giore di quel che si vegga il vero ramarro 
cin Italia. 


LO STELLIONE. 


Auto Stellione si da in buona parte del- 
la Sardegna il medesimo nome, che in 
Toscana, ein altre parti d’Italia, cioè il 
nome di Tarantola. I Campidanesi però 
il chiamano Piscilloni, e gli Algheresi 
Ascurpì. Meno di tre pollici di lunghezza 


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hanno questi stellioni; ‘a ciaschedun piede 
cinque dita, la loro ‘coda è guernita in 
tutta la sua longhezza di armille ossia gi 
relli, e tutta la pelle per la testa, per lo 
dorso, per l’addomine è rilevata in pun> 
terelle. Frequentemente ‘si incontrano € nel- 
le case cittadinesche e nelle rustiche que- 
sti animali schifosi, 


IL: TILIGUGU: 


Au animale, che i Sardi. chiamano 7i- 
lisugu © Tilingoni noti'si può dare! altro 
nome fuorchè il satdo; poichè l’animale 
per quanto parmi è un anîmale sconosciuto 
altrove. La sua figura è la consueta delle Ju- 
certole, ma la sua grossezza è” considera- 
bile in paragone della lungezza. Otto pél- 
lici incirca ha questo animale di lunghezza 
dalla estremità del muso a quella dellarco- 
da, c infin a due pollici attiva il perime- 
tro del suo corpo; di‘tutta la lunghezza 
del corpo la coda ne piglia ‘quasi tre pol- 
lici e mezzo, c questa è ‘tanto grossa al 


22 

suo principio, che più d'un pollice si ris 
chiede per circondarla. I piedi e tutto il 
restante apparato inserviente al moto pro- 
gressivo sono piccoli. Cinque dita a cias- 
chedun piede ben formate e ben unghiate 
ha il tiligugu; ma poi prendendo il dito 
di maggiore estensione, il quale si trova 
ne’ piedi posteriori, tutta. la. sua lunghezza 
compresa medesimamente l’ugna, appena 
giugne alle quattro. linee; e mettendo in- 
sieme le dita, e i. due articoli, che forma- 
no la gamba, appena compiono la lun- 
ghezza d'un pollice nella gamba posterio= 
re, che pure è la più grande. La pelle 
dell'animale è tutta quanta scagliosa ; le 
squame sopra la testa sono grandi, e di 
figura simile a quella. de’ramarri; ma in 
tutto quanto il rimanente del corpo le squa- 
me sono minute, e. della medesima sostan= 
za e configurazione, che le squame d'un 
pesce; di maniera, che come si scaglia il 
pesce, così si potrebbe scagliare il tiligugu. 
Per tali. scaglie il tiliguge apperisce ben 


23 
brunito e lucido; biancheggia in tutta la 
sua parte inferiore; ma nella superiore è 
di colore scuro punteggiato di spessissime 
macchie nere. Amendue le mascelle sono 
corredate di denti, e la lingua è ampia 
€ carnosa. 

Nette ben quarantatre spezie diverse, 
che Linneo annoveta sotto il genere /acerra, 
non ho potuto scoprite il tiligugu. In quat- 
tro classi divide Linneo le sue lucertole; 
alla classe prima spettano le lucertole a 
coda schiacciata, cauda compressa, fra le 
quali si trova il cocodrilio; e a questa clas- 
se non appartiene il tiligugu, poichè la 
sua coda nell'atto di venirsi sempre più 
assottigliando fino a terminare in una punta 
acutissima, pur si mantiene sempre tonda 
in modo, che dovunque si tagliasse con 
sezione parallela alla base, ne risulterebbe 
sempre una sezione circolare. 

Netta classe seconda sono te lucertole 
a coda guernita di ciespe, cauda vercicilla- 
za, € ne pure a questa classe appartiene il 


24 
tiligugu, atteso che la sua coda è tutta 
liscia. Le rimanenti due classi contengono 
le lucertole a coda tonda e scagliosa, cau- 
da tereti imbricata, e a queste classi ap- 
partiene veramente il tiliguga. per la sua 
scagliosa coda. Non appartiene però. alla 
classe ultima; nella quale sono comprese 
quelle lucertole, la cui coda è più longa 
del restante corpo, poichè la coda del ti- 
ligugu del restante corpo è più breve. Ri- 
mane pertanto la classe delle lucertole a co- 
da tonda; scagliosa e più breve del corpo, 
cauda teretiimbricata corpore breviore (2), 
c a questa classe propriamente spetta .il 
tiligugu; ma fra gli ‘annoverati in essa da 
Linneo nol ritrovo: trovansi in essa il ca- 
maleonte, la salamandra, la. scinco, e la 
vera lucertola, ma il tiligagu non visi trova. 
Assai s'assomiglia in verità il tiligugu nella 
grandezza, nella figura, e nelle sue. sca- 
glie al medicinale scinco , e per lo scinco. 
(a) Nella mia edizione veramente stà scritto, 
corpore ‘ongiore ) ma non può essere che errore di 


Stampa. 


25 


facilmente si prenderebbe a prima vista; 
nondimeno non è esso lo scinco. Qualora 
fosse vero, che lo scinco non avesse ugne, 
ciò basterebbe per conchiudere, che il tili- 
gugu non è lo stesso animale che lo scinco, 
essendo esso tiligugu ottimamente unghiato 
ad ogni suo dito; ma negli scinchi da me 
osservati presso gli speziali, scinchi fatti 
venire d'oriente per le manipolazioni del 
mitridate e della teriaca, io ho trovato 
ugne ugualmente che ne tiligughi, nè per- 
ciò finisco d’intendere, come altri descri- 
vendo lo scinco l'abbia fatto senza ugne (4). 
Conviene pertanto cercare la differenza tra il 
tiligugu e lo scinco altrove, che nelle ugne» * 
Chi potesse confrontare insieme questi due 
animali amendue freschi, forse scoprirebbe 
facilmente molte discrepanze fra loro; ma 
io non sono stato a portata di osservare se 
non se scinchi secchi, ne’ quali si può teme- 
se, che la forma fosse di non poco alterata. 


(a) Lacerra cauda tereti mediocri apice compressa; 
dligiuis muticis marginatis, Lina. syst. nat, 
€ 


26 

In tale stato dello scinco ho osservato que- 
ste differenze : nello scinco la mascella 
superiore è notabilmente più lunga della 
inferiore, nel tiligagu esse mascelle sono 
uguali; nello scinco non ho potuto trovare 
apertura d’orecchi, il tiligugu ha due ampi 
forami per udire collocati agli angoli del- 
le mascelle; la più sensibile differenza mi 
è paruta dal canto delle gambe, e de’ piedi. 
Il tiligugu ha cortissime gambe come è 
detto , le anteriori sono appena lunghe cin- 
que linee, le posteriori sono appena lunghe 
linee sei; lo scinco al contrario, benchè fos- 
se minore in grandezza di esso tiligugu, 
ha gambe tanto lunghe,. che sono lunghe 
il doppio di quelle del tiligugu. Le dira 
inoltre del tiligugu sono tonde, assai di- 
suguali fra loro in grandezza, come sono, 
le dita del ramarro, e le dita dello scinco 
poco differiscono in grandezza le une dal- 
le altre, e paiono quasi schiacciate, e sono 
corredate e orlate d’una pellicola come per 
nuotare } e se lo scinco ama le acque, come 


27 
si scrive, sarà questa una opposizione non 


di figura ma di indole col tiligugu, poichè 
‘il tiligugu è onninamente animale di terra 
e di secco. Conviene pertanto che i natu- 
ralisti, dopo avere fatto fare luogo alle 
lucertole per ammettere tra loro il ramar- 
ro sardo, le inquietino di nuovo per far 
loro ricevere ancora il tiligugu; lo spazio, 
che rimarrà vuoto, dovrà essere accanto 
allo scinco, e accanto allo scinco prenderà 
posto il tiligugu (2), 


SN 


(a) Le figure, che si fanno incidere per maggiore 
intelligenza, sovente conducono ad un effetto del 
tutto opposto; e non servono se non ad ingannare, 
quando l'incisione non rappresenta con giustezza. Così 
è avvenuto nella incisione del Tiligugu. L’incisorne 
parcendosi dalla esattezza del disegno ha allungato a 
dismisura le’ gambe dell’ animale; allungamento tanto 
più vizioso, che altera l’animale appunto in uno de’ 
suoi principali caratteri, che è la grandissima brevità 
delle sue gambe. 

2 


28 


LA CICIGNA. 


Mei Cicigna è la Seps de’naturalisti, da 
altri chiamata /acerca chalcidica , animale ce- 
lebre per la sua fama di reità, e animale 
proprio solo de’ paesi più meridionali, e 
per questo medesimo non bene conosciuto. 
La Sardegna ne abbonda quasi altrettanto 
che dell’ erba secca. A due capi si riduco- 
no i lamenti di quelli, li quali vorrebbono 
conoscere la cicigna a dovere: dicono, che. 
non possono sapere il netto nè della forma 
dell'animale, nè della sua possanza; chi 
il fa una lucertola, chi una serpe; chi ve- 
lenoso, chi innocente (). L’ambiguità so- 
pra la sua forma non è senza fondamento, 
‘e si può in realtà dire, che la cicigna è 
una lucertola, e si può dire parimente, 
che essa è una serpe, in quanto essa par- 
tecipa dell'uno e dell'altro aniinale. Di ser- 
pe ha essa Pallongamento del corpo, il 
moto, e le posture; di lucertola ha i pie- 
‘di, gli orecchi, la dentatura, e la lingua» 


(a) Vedi Bomare alla voce Sepsa 


29 
I suoi piedi sono sì piccoli, che uom non 


vi bada; e quindi non comparendo se non 
il tronco del corpo, c i movimenti, che 
sono da serpe, l’uom volgare ne fa tosto 
una serpe; ed io medesimo istando alle 
relazioni de’ contadini, prima di avere ve- 
duto l’animale , eredetti fermamente di 
dover avere nel Lanzinafenu, o Schili- 
gafenu, come i Sardi il chiamano, un ani- 
male da registrare fra’ serpenti. Dodici pol» 
lici e tre linee ho misurato in una cicigna 
delle massime dalla estremità della testa 
infino all'estremità della coda, e di circui- 
to-ivi, ove il corpo mi parve più grosso, 
trovai linee non ben dodici. Di tutta que- 
sta estensione la metà in circa è dalla estre- 
mirà della testa infino all’ano; il restante lo 
prende la coda; la quale si va sempre at- 
tenuando fino a terminare in una sottilissi- 
ma punta. In quanto ai suoi movimenti, 
la cicigna serpeggia nell’andare così ap- 
punto, come fa la serpe, € riposa pure, 
come fa la serpe, avvolta in se stessa per 


30 

mille svariate maniere. Ma laddove poi le 
serpi non hanno nè apertura d'orecchi, nè 
piedi; la cicigna ed ha aperture per udire 
collocate dietro le mascelle, e per cam- 
minare è fornita di quattro piedi, con che 
viene essa a prendere le sembianze di lu- 
certola. I due suoi piedi anteriori sono vi» 
cinissimi alla testa; i posteriori sono all’ori- 
gine della coda; i denti guerniscono amene 
due le mascelle con un semplice ordine; e 
la lingua è carnosa, lunga, niente divisa. 
Scaglie minute e tonde vestono tutto quan- 
to il corpo, con righe altre verdelle, altre 
color di rame, altre nericce tirate per tut- 
ta la lunghezza della parte superiore; la 
parte inferiore biancheggia tutta. La cicigna 
pertanto a dire giustamente è un animale di 
mezzo fra la lucertola e la serpe; essa è 
uno di quelli anelli, che gli osservatori van- 
no si studiosamente cercando per iscoprire 
i dolci passaggi della natura di genere in 
genere senza mai precipitarsi, nè venire a 
salti. Si vede chiaramente nella cicigna, 


3 


siccome la natura avendo fabbricata la lu- 
certola, và maturando un’altra idea, e 
preparando un animale di alkra foggia di 
progredire , e di altre membra; si scorge, 
che essa pensa a serbare il capo, la for- 
ma del tronco, e la coda della lucertola, 
ma che ne vuol tor via e gambe e piedi. 
A vedere a che punto sono ridotti gambe 
e piedi nella cicigna, evidentemente si co= 
nosce, che quelle membra fra poco non 
vi saranno più. Non ostante la lunghezza 
di oltre a dodici pollici di tutto l’anima- 
le, non più che due linee di lunghezza 
hanno la gamba e ‘1 piede presi insieme , 
e ancora le dita de’piedi non sono che tre, 
Non sono però sì piccoli strumenti oziosi, 
nè inutilmente posti dalla provida matura: 
nell'atto, che la cicigna cangia di luogo , 
si veggono le sue gambe pure in azione, 
e valorosamente cooperare alla trasla- 
zion locale. 

In quanto alla possanza velenosa della 
gicigna non posso se non uniformarmi al 


se. 
sig. Sauvage, il quale scrisse sopra gli anî= 
mali velenosi della Francia, e ne fu co- 
ronato dall’ academia di Roano. Come que» 
sto autore cercando tutta la Linguadocca 
non ha trovato esempio di danno alcuno 
recato mai dal morso della cicigna, così 
io pure non ho trovato vestigio di tal dan- 
no intutta la Sardegna, ove ognuno s’ ac 
corda a dichiarare la cicigna o di morso 
nullo, o di morso innocente. Dicono uni= 
camente, che se il bue o il cavallo la ro= 
dono insieme coll’erba, c la trangugiano, 
il ventre loro ne enfia stranamente con 
pericolo di morire, se non si soccorre fa- 
cendo lore inghiottire una bevanda prepa- 
rata d'olio, aceto e solfo. Non è facile 
conciliare sì fatta innocenza della cicigna 
con quanto della cicigna si trova scritto 
presso gli antichi autori sotto il nome di 
Seps. Un animale del più atroce veleno è 
la sepa presso questi autori; il suo morse 
induce issofatto putrefazione nella parte 
morduta, e in capo a tre o quattro giorni 


33 
tette a morte il paziente. Conviene per» 


tanto che la velenosa sepa degli antichi fos= 
se diversa della sepa moderna; e quindi @ 
anticamente più animali avevano nome se= 
pa, o sonosi scambiati i nomi, e antica- 
mente sepa si chiamava un animale, oggi 
così si chiama un altro. Che la sepa mo- 
derna sia diversa dalla sepa antica, almen 
dalla velenosa, si fa manifesto dalle de- 
scrizioni, poichè Aezio fa la sua sepa lun- 
ga due gombiti, e tutta picchiettata di bian- 
co; Pausania la fa color di cenere, con ca- 
po lungo, collo sottile, e coda corta, le qua- 
li cose per niente non convengono alla 
sepa ossia cicigna presente. 

Teme la cicigna il freddo, e il teme, 
per quanto sembra, più che la testuggine ; 
poichè essa ancora prima della vestuggine si 
asconde, e va sotterra; infin dal principio 
d’ ottobre si veggono scomparire le cicigne, 
e si trovano sotterrate. A primavera già 
incominciata si fanno rivedere per i luo- 


ghi erbosi, ove perseverano ancora quando 


34 


le (erbe sotto il calore estivo sono già 
inaridite (2). 

Non vi è quasi in Sardegna chi non 
abbia udito parlare dello Scu/rore, e nol 
tema mortalmente. Un animale grosso ta- 
lora come la metà del braccio è lo scultore, 
lungo due spanne, con corta ma grossissima 
coda, ricoperto di scaglie, colorito di fos- 
co, fornito di quattro gambe, e di gran- 
dissimi mustacci, un animale in sostanza 
simile nella figura al tiligugoe. Non ama 
esso i luoghi erbosi, nè i coltivati; ama i 
diserti e le aride rupi, e buon per l’uomo, 
che così ami; altrimenti ben più dannoso 
nemico sarebbe esso che non è. Il solo suo 
sguardo , se previene quello dell’uomo, 
basta a far cadere l’uomo morto. Ecco in 
brieve la descrizione e la storia dello scultore 


(a) La Cicigna ha avuta la stessa sfortuna che il 
Tiligugu è cadura nelle mani d’ un incisore infedele ; 
l’uomo non si è avveduro, che nel disegno la cici- 
gna aveva gambe, e però l’ha incisa senza gambe, 
e prendendo nel disegno, per corpo ciò che era ombra, 
''ha ancora fatta più grossa del dovere. 


35 
quali esse corrono per la bocca del volgo, 


Vidal autore Sardo, il quale scrisse contro 
Vico sostenendo che in Sardegna vi sono 
animali pessimi e nocivi, attribuisce me- 
desimamente allo scultore ali, e ne parla 
come di aniìmal soggiornante nell’ Oliastra. 
In quanto a me non posso parlare, che 
per altrui relazione; poichè sì temuto ani- 
male non ho potuto vedere mai in perso- 
na; e perciò, e ancora perchè tra sardi 
medesimi assai più-sono quelli, che ne par- 
lano, che non quelli, i quali il viddero; 
inclinerei non poco ad avere esso scu/zone 
per un animale favoloso ugualmente che il 
drago e ’l basilisco; mondimeno per favo- 
lose non ardisco di tacciarlo, per ragione, 
che molti asseriscono pure averlo veduto, 
e medesimamente ucciso. Potrà pertanto 
benissimo succedere in avvenire, che dello 
scultone si dia una provata relazione, e 
che in esso si scuopra alcun lucertolone 
afiicano. 


LERANE. 


{DIL )}<e © }Cosp(di® 4 >(dId}<- od DICI (di) Add 


Faggi VELLA spezie di Rana, che si usa 


: 10; f comunemente in cibo, e la qua- 
Birrevaili le fra le mani d’un dotto cuoco 
sale infino a diventare un manicare ghiot- 
to, c una miniera di sughi preziosi, quel- 
la non esiste in Sardegna. Non contento 
di averne cercato per me stesso, mi sono 
per saperne indirizzato ad una spezie di 
persone, le quali mi parvero dovessero es- 
re informate sopra tutte le altre, cioè ai 
soldati. Essi per occasione de’loro presidj 
percorrono tutta l'isola, e in ciò che può 
giovare alla loro economia la conoscono 
infino all’ultimo pelo. La ristretta paga, 
di cui una non piccola porzione è dovuta 
al ristoro della bevanda gli obbliga a soc- 
corrersi coll'industria. Conoscono pertanto 
quanto in campagna vi alligna a proposito 
per la loro camerata; e i primi pensieri 


37 
dopo l'arrivo a’castelli e alle guernigioni 


sono andare alla scoperta di quanto cresca 
e alligni mel contorno a proposito da far- 
ne piatto senza spesa. Mi pare adunque, 
che nessuno meglio de’ soldati industriosi 
potesse sapere della rana in quistione. E in 
fatti trovai siccome non avevano ‘essi om- 
messe diligenze, e attentamente cercato ogni 
fiume, ogni stagno, ogni acqua in traccia 
della rana; nessuno però l’ha potuta sco- 
prire giammai. Da tale attestato militare 
‘ per se solo mi sono trovato convinto non 
esservi in Sardegna la comun rana mangia- 
tiva, quanto ‘sarei stato convinto, se in 
persona avessi asciugato ogni acqua dal 
Tirso infino al più sottil rigagnolo. Ho 
fatro medesimamente venire le rane di Tos- 
cana, € mostratele a’ mugnai, a pescatori, 
a quant altri per ufficio mi parvero obbli- 
gati ad essere informati dell’ acque; ma essi 
tutti vedendo quella riga ‘gialla, la quale 
partendo dalla estremità del muso corre 
lungo tutto il dorso , accompagnata da due 


38 

altre righe simili laterali; veduti in oltre 
quei due grandi forami d’orecchie tonde, 
con tesavi sopra wna membrana” che paio- 
no due tamburri: concordemente dissero, 
che rane di tal foggia non ne avevano ve- 
duto maî. La comun rana mangiativa non 
esiste adunque in Sardegna. 


LA RANA ACQUAJUOLA. 


Crranps quanto la rana mangiativa è 
questa rana, che io chiamo acquajuola; ed 
è essa pure ugualmente che la mangiativa 
screziata di color varii, ma non ha righe 
gialle per il dorso, nè per i lati; nè nella 
sua testa si scuoprono aperture di orecchi, 
e i denticelli, che sono nel suo palato, vi 
sì distendono per più lunga lista, che non 
nella mangiativa rana. Quattro dita ha que- 
sta rana ne’ piedi anteriori, cinque ne po- 
sreriori, e sono questi ultimi corredati di 
membrana fra dito e dito. La chiamo acqua- 
jaola, perchè a me pare quella spezie, a 
cui Gesnero. diede il nome di Rara aqua 


39 
eica innoxia (2, e Rajo la chiamò sempli» 
cemente Rara aquatica (; che è pure 
quella spezie, a cui piacque a Linneo di 
dare il nome di Rana temporaria. (e). Sta 
essa copiosamente per le acque sarde, e 
vi gracida nella notte con quanto strepito 
vi graciderebbe la rana mangiativa; lascia 
però essa ancora le acque, e. si mette per 
la campagna secca, priacipalmente duran- 
te l’estate, I sàrdi la tengono per veleno- 
sa, non ne mangierebbero per tutto loro 
del mondo, raccontano medesimamente sto- 
rie di soldati, che ne morirono; ma atte- 
stano altri soldati di averne mangiato, e 
che fece loro buon pro. 


IL RANOCCHIO VERDE. 
(A Ranocchio verde, a cui i naturalisti 
danno il nome di rana arborea , è la se- 
conda spezie di rane esistenti in Sardegna. 
Le frondi degli alberi ne sono bastevol- 


mente guerniti. 


(a) Ovip. 46. (6) Quadr. a 47. (c) In S. N. 


40 
LA BOTTA. 
“f 

Non hanno i sardi diversi nomi per le 
diverse spezie di rane; tutto si chiama da 
essi rana, e sotto questo generico nome di 
rana si comprende medesimamente la Bot- 
ta; i Tempiesi soli situati nella parte della 
Sardegna più avanzata verso l’Italia, hanno 
mome proprio pet la botta, ed è quel no- 
ime medesimo, con cui l animale in Italia 
pure ottimamente si denomina, cioè il no- 
ime di Rospo. Sono le botte giudicate dai 
Sardi velenose ancora al semplice contatto; 
e ciò che si racconta altrove dello affasci- 
mare, che la botta fa alla donnola, si asse- 
risce pure in Sardegna, ove molti preten= 
dono avere veduto co propri occhi la don» 
nola andare strascinata, senza vedersi da 
qual forza, nelle fauci della botta. I rac- 
contatori di questo fatto sono gente cam- 
pestre le quali certamente non l’avran let» 
to nel libro sopra i Rospi di Francesco 
Paullini; e perciò sembra, che vi sia ragio- 
ne di dar loro qualche fede, nè si possa 
repurare un tal fatto del tutto falso. 


LE SERPI. 


SDUDITIC AME dio Dt DAD Ad dj e 


Ep” SUOI 
Po) Gi fg vuo Solino al capo sedicesimo 
li del suo Polyhistor afferma, che 
RAR in Sardegna non vi sono serpi: 
Sardinia est absque serpentibus. Forse al 
tempo di Solino il sistema delle cose in Sarde: 
gna ere diverso dal sistema presente; forse 
Solino per Serpe intese una spezie di ser- 
pi particolare; forse Solino non fu bene 
informato. Ma che che sia dè Solino, oggi 
certamente vi sono serpi in Sardegna, € 
ve ne sono di quattro spezie. Due spezie 
sono da' Sardi chiamare Colubri, e duc 
altre sono chiamate Vipere, 


IL COLUBRO UCCELLATORE. 


duoinno uccellatore chiamo la prima spe- 
zie delle serpi sarde, poichè così la chiama- 
D 


4L 

no i Sardi medesimi, li quali chiamandola 
Colora puzonargia altto non vogliono di 
re, se non se Colubro Uccellatore. La ap- 
pellazione proviene dal costume di questa 
serpe di farsi per gli alberi cercando i ni- 
di degli uccelli per divorarne le uova ec i 
pulcini. Questa spezie di serpe è la più 
frequente nell'isola, ed è altresì la più 
grande. Ne ho misurato alcune, le quali di 
lunghezza avevano oltre a quaranta pollici; 
e di giro nella maggiore grossezza. oltre a 
pollici due, nè questeerano delle massime. 
In quanto alnumero di quelle lainine, le qua-, 
li guerniscono il petto e il ventre delle. serpi,; 
e dalla quantità delle quali alcuni autori st 
sono messi a differenziare le varie spezie; 
di serpi, ne contai in questo colubro uc 
| cellatore fino a dugento. dicianove; e. cento. 
due paja contai di quelle altre laminet- 
te minori, le quali guerniscono la coda 
sotto. Non parmi però di avere sempre. 
trovato il numero delle lamine sia cau- 
dali sia addominali uguale e costante nei. 


4 
siversì individui di questa spezie, ca 
mm'applicassi a contarle colla maggiore di- 
ligenza. Tutta la parte inferiore di questo 
colubro è gialla; la parte superiore è nera 
brizzolata di giallo, quasi come se fosse 
tempestata di granellini di miglio. Si po- 
trebbe quindi avere esso per il Cencro; se 
non che il cencro presso Dioscoride è serpe 
di gran veleno, non inferiore all’ aspido; 
el colubro uccellatore è serpe innocente, 
non facendo altra offesa agli uomini, se non 
di rispondere loro con percosse, quando lo 
intoppano. 


IL COLUBRO NERO: 


LIM seconda spezie di colubro si chiama 
Colora niedda , che è quanto a dire Colu- 
bro nero: col qual nome si chiama essa 
serpe, perchè è tutta nera. Questa serpe è 
minore della precedente, più rara, e non 
solo non remuta, ma amata, e accarezzara, 
Maravigliose cose di dette serpi nere sì. rac- 


contano ne cenventicoli delle donnicciuole: 


44 

si racconta, che esse già furono donne 
fatidichc consapevoli dell'avvenire. Mi gio= 
va credere; che queste storie si raccontino 
dalle donnicciuole medesime per ischerzo» 
îma nondimeno un oggetto di apprezza» 
mento e di affezione sono le serpi nere 
seriamente per molti fra la gente rusticana. 
Se alcuna serpe nera apparisce ‘nella ca- 
panna del pastore, e nel casolare del vil 
lano , si piglia ciò per segno di buona 
fortuna; di maniera che il disturbare il 
colubro nero, si terrebbe per lo stesso; 
che disturbare la buona fortuna già in pro- 
cinto di entrare in casa. Si pigliano quindi 
le donnicciuole la cura di conservare il co- 
lubro colla inaggiore premura: ponendogli 
quotidianamente da mangiare presso la sua 
buca; e wvebbe già tal femmina, che pet 
due anni continuò sì fatto ministerio. 


LA NATRICE. 
i 
RELA Serpe d'acqua, ossia Natrice viene 
da’Sardi chiamata nel Campidano Piyere 


d'acqua, e Pivera d'aba nel Capo di e 
pra, che è quanto dire Vipera d'acqua, 
Il suo colore è cinerizio, variato ne’ lati 
di belle macchie bianche e nere, per le 
quali probabilmente fu essa appellata Vi- 
pera. Innocente è questa biscia, lunga cir- 
ca due piedi, armata di denti, in amendue 
«le mascelle, e d’una doppia filza pur di 
denti diretti verso la gola armata nel palato, 


LA $SERPE derta VIPERA di SECCO. 


verra, che i Sardi chiamano Vipera 
di secco, è tenuta comunemente per un’ani- 
male terribile e mortale; al solo nominar- 
lo ognuno se ne raccapriccia; nè si trova chi 
pure ardisca di accostarsegli; e in tale per- 
suasione ho trovato i più degli speziali me- 
desimi, nelle cui officine per altro la Vi- 
pera è uncapo sì usitato, Tale persuasione 
€ tanto orrore sono nondimeno un cetror 
puro. La vipera sarda è innocentissima, sen- 
za embra di veleno, e può ognuno ma- 
neggiaria colla sicurezza d'un Marso o di 


46 

vin agnato di san Paolo. Parrà questa as- 
serzione un paradosso; ma la asserzione è 
certa per esperienza. Non solo non vi è 
esempio in Sardegna di persona stata per- 
niciosamente ferita da vipera, caso inevi- 
tabile a lungo andare, dovunque vi sono 
vipere mortifere: ma sonosi messe le vi- 
pere sarde alle più sicure prove, e sonosi 
messe senza effetto alcuno. Sonosi spiumati 
i petti di piccoli colombi, e fatti ben bene 
addentare dalle vipere ancora irritare. Era» 
no i colombi morduti in dovere di mo+ 
rire tra pochi momenti; ma essi dopo il 
morso vissero, € si mossero vegeti, come 
se non fossero stati punti più, che dai lo- 
ro pollini. Così fatta mancanza però di 
veleno nelle vipere sarde non è uno stra- 
no fenomeno, per la cui spiegazione con* 
venga andare in traccia di sottili argomen= 
ti; la mancanza del veleno nelle vipere sar- 
de è del tutto naturale; poichè le vipere 
sarde in sostanza non sono vipere. La sola 
mole ne mette tosto il sospetto: laddove 


la verace vipera è una serpe lunga-non sì 
di pollici ventiquattro incirca, di queste 
vipere sarde ne ho misurato tale, che giun- 
geva a pollici trentatre, e nondimeno le 
mancavano la testa e parte della coda; e 
în questa coda così tronca contai ben qua> 
rantaquattro di quelle laminette, delle qua> 
li la coda intera della verace vipera ne ha 
Solamente. un trenta o trentaquattro. Ma 
ciò che decide principalmente la quistio> 
ne, sono i denti. Di quei fieri denti ca- 
mini, li quali nella verace vipera sono tut- 
to insieme e lo strumento, per cui essa nei 
suoi accessi di collera si apre la strada all’ 
altrui sangue, e il reo canale, percui il ve- 
ieno all’ altrui sangue infonde, di quei den- 
ti non vi è vestigio nella vipera sarda. La 
vipera sarda ha la sua mascella inferiore 
guernita di denti, e due filze di denticelli 
ha essa pure nel ciel della bocca diretti ver> 
so il gorgozzule, nel che essa concorda cor 
altre serpi, e colla verace vipera; ma lad> 
‘dove poi la verace vipera nella estremirà 


48 
della mascella superiore è armata di terri 
bili sanne ivi presso ai denti del palato; 
sanne quattro volte maggiori degli altri den. 
ti, vuote di dentro e accanalate sino all’ 
ultima punta, le quali }' animale raccoglie 
e spiega ad arbitrio, come il gatto fa la 
zampa: la vipera sarda invece di tali san 
ne è fornita di altri ordinarj denticelli pian= 
tati per tutta la mascella. Non è pertanto’ 
la vipera sarda verace vipera; e mancando 
essa precisamente degli arnesi, onde la ve= 
race vipera è fatale, non è da maraviglia= 
re, che essa sia innocente. Il colore, a cui 
per altro convien credere sì poco , è stata 
l'origine dell'errore e del terrore. Il co- 
lore di questa biscia sarda è veramente vi= 
perino; tutta la sua parte inferiore è ne- 
riccia, la superiore è di color di terra ca- 
ricato di macchie nere, al tutto come si 
wede nella verace vipera. 

Ar. vedere come in Sardegna si è pre- 
so per vipera ciò, che vipera non era, sì 
può diffidare ancora d’altrove, ec può tes 


49 
inersi con ragione non sieno sempre vipere 


quelle, che per vipere si spacciano; e al. 
ora si temerà con più ragione, quando al. 
la vipera vada congiunta la straordinaria 
qualità di hon essere velenosa. Così scrisse 
Pausania, che nella Arabia felice non so- 
no velenose le vipere, le quali dormono 
ne balsameti. Non trovo in verità ripu- 
gnante, che alcuna circostanza di luoga 
possa frastornare nella vipera la ingenera- 
zione del malnato liquore, il quale per il 
canale del dente cola nella ferita, e fa rap- 
prendere il sangue; ma pure ancora quelle 
vipere de balsameti, se non eraio velenose, 
non saranno state vipere. Le Isole princi- 
palmente sono cadute in questa pretensione 
di possedere vere vipere, ma spogliate di 
ogni veleno. Di così fatta possessione si 
vantano molte, e molte più si vanterebbo- 
no, se si ponessero a raccontare le foro 
imaraviglie. Con ciò sono esse venute dan- 
do occupazione agli scrittori, e occasione a 
strani pensamenti per ispiegare il fenomeno» 


59 

Chi disse che fe vipere delle isole immuni 
non ‘discendono da quella vipera infelice; 
del cui corpo ammantatosi il nemico sedus- 
se la prima donna a mangiare del frutto 
vietato, la quale vipera ne fu perciò ma- 
tadetta, cioè condannata ad essere rea e ve: 
tenosa in tutta la sua discendenza. Chi cer- 
cò ragion più naturale, e credette trovarla 
nell’ aura marina, dicendo, che aura sì fat= 
ta bevuta dalla vipera è un freno agli ele- 
menti velenosi, perchè non si raunino a 
piè delle fatali sanne: ‘chi pensò altre cosé 
peggiori. Questi autori probabilmente si 
presero briga d’una chimera, e prima di 
stancarsi spiegando, avrebbono dovuto as- 
sicuratsi del fatto: la qual cosa facendo ; 
probabilmente sarebbe cessato il bisogno 
di spiegare, e avrebbono essi trovato, ché 
le credute vipere non erano vipere; e pet 
avventura avrebbono trovato quella mede- 
sima spezie di biscia, che in Sardegna pus 
re si crede vipera. 


5Ir 
FRATTANTO non esistendo in Sarde» 


gna la velenosa vipera, viepiù si conferme- 
ranno nella opinion loro quelli, li quali 
affermano ; che in Sardegna non esiste ani- 
mal velenoso alcuno. A questa pretensione 
pure sono assai soggette le isole, molte la 
armano, € fra le isole che hanno sosteni* 
tori di immunità sì fatta, si trova la Sar- 
degna (4. Anzi la Sardegna e la Irlanda 
si fanno camminare del pari presso alcuni 
scrittori: di maniera che la Sardegna è im- 
mune da ogni animal velenoso, non solo 
secondo la asserzione di qualche scrittore 
nazionale, ma medesimamente secondo la 
opinion pubblica. Non ho fondamento ba- 
stevole per contradire alla prerogativa del- 
la Irlanda: anzi mi parrebbe strano, se la 
Irlanda non fosse così immune come uom 
dice; da tanti scrittori si asserisce essa im» 
munità , e da scrittori non solamente anti- 


(a) Cosa maravillosa es; que en todo el reyno de Sar- 
degna ni sus islas non se halla niungun animal ponzonoso» 
Carillo Relagion, $. vi 


sz 
chi, ima moderni, e vicinissimi alla Irlane 
da, e non molto disposti a favorirla, cioè 
da scrittori Inglesi. Poichè adunque costane 
temente sì asserisce, credero che l'Irlanda 
sia un paradiso di immunità; che non vi 
alligni alcun animal velenoso, neppure delia 
piccola schiatta degli insetti; crederò che 
non vi sia nè serpe, nè botta, né scor= 
pione, nè pure ranocchi; e crederò che 
non solo animali sì fatti non vi nascono, 
ma che neppure vi reggono, qualora d’al- 
trove vi si introducono; e che medesima- 
mente quella terra benefica trasportata al- 
crove uccide, ove si spande, ogni velenoso 
animale (e). Ma alla Irlanda malamente si 
accoppia la Sardegna, e tra le isole immu- 
ni da ogni velenoso animale la Sardegna 
non si può annoverare con verità. Passione 
o inconsiderazione fu di chi ve la annoverò. 
Fara medesimo serittore sardo, da me al- 
trove già lodato, ma uom sincero, € uni- 


(e) Giraldus Cambrensis in Topograchia Hibernias 


53 
camente premuroso della verità non della 


meraviglia, combattè nella manoscritta Co- 
rografia immunità tale, e la combatte con 
ragione; poichè non sono pochi gli anima- 
li, che vi si oppongono, E primieramente 
senza. parlare nè di zecche , nè di vespe, 
nè di altrî insetti simili, sonovi pure in Sar- 
degna il rospo, e lo scorpione. Ma quan» 
do ancora nè il rospo ci fosse, nè lo scor- 
pione, sono forse favolose le due spezie di 
Solifughe? non sono esse saputissime in tut- 
ta l'isola? non conviene forse soccorrere 
contro il loro morso col potentissimo ri- 
medio del letaimajo e del forno? e se il 
soccorso tarda, non convien forse morirne, 
o rimanerne offeso per quanto si campa? 
per la qual cosa avvisò già Solino, che la 
Sardegna soffre dal canto della solifuga quel 
veleno, di cui essa va esente dal canto del. 
le serpi (@), Sarà pertanto la Sardegna una 
invidiabile isola per molti capi; sarà una 


(a) Quod aliis locis serpens, hoc solfuga sardois agris» 


s4 

isola felice di messi e di nettari; una isola 
ricca di frutti, di metalli, e di animali. 
Sarà una isola immune da molti e gravi 
sconvolgimenti e meteore (4); una isola me- 
desimamente immune da molte infeste fie= 
re: ma non si potrà dire con verità, che 
sia una isola immune da ogni animale ve- 
lenoso. 


(2) Dei tremuoti appena vì è memoria; la gran- 
dine, e ituoni seno rarissimi, 


LE LAMPREDE. 


MIETPEVIRTE 77: "or dis )<+ dA did) a DI por porn 


MATT 
3 L Se Lamprede di fiume non esisto- 
Wwf 2° in Sardegna; e sono perciò 
le lamprede a’Sardi un oggetto 
di sorpresa ugualmente che le rane, quan- 
do arrivati la prima volta in Italia le veg- 
gono mangiare sì ghiottamente; non rarda- 
no però a convertirsi, e coll’altrui esena- 
pio divengono in brieve lodatori. anch'essi 
non meno. di quelli apparenti lombrichi , che 
di quelli apparenti rospi; e ritornati nelle 
loro patrie non lasciano insieme. agli odo- 
rosi tartufi di Piemonte di ricordarne le sa= 
porite lamprede.. 
“LA Lampreda di mare non manca, e 
suol trovarsi fortemente appiccara colla bog 
ca alle feluche di fresco spalmare. 


(a) Petromizon, Lin. in sysu nat. 


x 


I CARTILAGINEI PIATTI 


scor: cho: 10D0o- «»{ diede Cpo++=Doar +e: tot pot anpor +) 


LA TORPEDINE. (9) 


È 
PINE: 
{C) OPIOSAMENTE sì pesca da ogni 
® fangoso fondo marino la Tor- 

pedine; benchè alcuni pescatori 
affermano, che in maggiore quantità se ne 
pesca nella parte orientale della Sardegna» 
Sonoci torpedini occhiute , cioè aventi mac° 
chie a guisa d’occhi sopra il dorso; € so= 
noci torpedini schiette senza macchia. al- 
cuna; e di schiette solamente ne ho io ve- 
dute; delle quali il colore è quasi un co- 
lor di rubrica per tutto il dorso; e perciò 
quando nel dizionario di storia naturale del 
sig. di Bomare si trova scritto, che il dor- 
so della torpedine è del tutto bianco, 


(a) Raja sora levis. Ibid. 


57 
dos del'animal est. tour a fuit blanc. @); si 


deve ciò avere per un errore di penna, es- 
sendo così bianco non il dorso, ma il ventre, 

Poco misurata è altresì l’espressione 
dell’ autor medesimo, quando. egli dice, 
che la pelle della torpedine è senza squa- 
ine. sensibili : sa peaz ese, sans ecailles sen- 
sibles 5 poichè la. pelle della torpedine non 
ha squama alcuna nè sensibile, nè insensi- 
bile; la sua pelle è pelle pienamente sguer- 
nita e senza difesa; e non solo sprovvedu- 
ta. di squame, ma spogliata d’ogni pungo- 
lo, perfino d'ogni asprezza; di maniera 
che la torpedine cela la sua rea possanza 
di intormentire, chi la tocca, sotto la più 
innocente, apparenza. 

‘DELLA sua carne non si fa grande sti- 
ma in Sardegna, e a torto per avventura: 
piuttosto che carne sembra essa una dili- 
cata gelatina, la quale fritta diviene un 
mangiare leggiero e sano; e in fatti la tor- 


(a) Vedi alla voce Torpille, 


58 
pedine si trova fra i cibi per leggerezza e 
per soavità lodati dal medico Galeno (A. 


LE RAZZE. (0) 


Aura Torpedine danno 1 Sardi il nome 
di Tremolosa; tutele altre spezie analo- 
ghe alla torpedine sono confuse sotto un 
nome solo, e vengono chiamate indifteren- 
temente Zirulie ; ‘nome venuto nell’isola 
non so da qual parte, e forse foggiato nell” 
isola medesima, atteso una spezie di so- 
miglianza, che si trova dalle razze e dalle 
ferracce al vispistrello; il quale in alcuni 
luoghi si chiama 7irio/. 

Sono le razze detestate da' Sardi nella 
comestione; spiace l'odore feridamente sal- 
vatico della toro sostanza, e spiace la me- 


(e) Lib. 3. alim. 

{b) Per Razze s'intendono quei cartilaginei piatti, 
li quali hanno bensì la coda piena di pungiglioni, ma 
non vi hanno ferro, col qual nome di ferro întendono 
pescatori un lungo osso dentaro come una sega; € 
quei cartilaginei, che di simile osso sono corredati alla 


coda, si chiamano Ferracce. 


59 
desima loro sostanza stopposa; poco per- 


tanto s’ accosta. loro la gente ne’ mercati, 
nè s' accostano se non bisognosi o economi. 
Per velenosi sono altresì tenuti i pungiglio» 
ni delle razze: perciò i pescatori recidono 
loro issofatto la coda e ?l muso ; altrimenti 
sarebbono senza remissione multati. La leg- 
ge di mutilare questi animali in sul posto 
medesimo della pesca, facendoli arrivare 
dal mare così sfigurati impedisce non poco 
il verificare a dovere, quante spezie ve ne 
abbia in questi mari sardi, Tra le code del- 
le razze procuratemi altre ne ebbi, nelle 
quali non si vedeva se non un semplice or- 
dine di fortissimi denti disposti nel mezzo 
della coda da capo a fondo; altre ne ebbi, 
ove olrre alla serie di mezzo ve ne aveva 
due altre laterali; ma queste due serie. la- 
terali non furono uniformi in tuite le co- 
de: in alcune code queste serie laterali non 
giungevano se non alla metà della coda; in 
altre arrivavano fino al fine ugualmente che 
la serie di mezzo. Nei corpi delle razze mu- 
2 


60 
tilati altri ne ho osservati d’un fondo cine= 
rizio or ondeggiato di nero, or di nero 
semplicemente punteggiato: la quale spezie 
deve essere la ra;ja undulata di Ronde- 
ezio (4: altri ne ho osservati macchiati 
variamente di verdastro e di fosco; altri ne 
ho trovati colla pelle tutta liscia; altri col- 
la pelle aspra, ed anche essa armata come 
la coda or più or meno di sanne o denti. 
Più oltre non posso dire di questi pe- 
sciacci mercè la insuperabile difficoltà pro- 
Vata in procurarmene degli interi, Era non- 
dimeno il desiderio e l'impegno di procu- 
rarmene interi grandissimo , atteso che le 
razze mi parevano un campo tuttavia biso- 
gnoso dello studio de’ naturalisti, non an- 
Cora messo in netto, e pieno di confusione. 
Tra chi parla di razze non v'è concordia 
nè intorno al numero delle foro diverse spe- 
zie, nè intorno alle diverse forme de loro 
corpi. Rondelezio, il quale sul punto delle 
razze si può avere per il più solenne mae- 


(a) Rond. 1. Pisc. 436. 


GI 
stro, ne annovera e ne descrive da quindici 
spezie, e Linneo riduce tutta quella molutu- 
dine ad un terzo, non annoverandone se 
non cinque spezie (2). Aldrovandi afferma 
che alcune razze non hanno denti: alie cos 
(dentes) Aabene, alie carene (), e Linneo 
dividendo come fa le sue razze precisamen- 
re secondo la diversità dei, denti, ponendo 
in una classe le razze a denti acuti, nell’ 
altra le razze a denti ottusi: suppone che 
tutte ne abbiano. Ad una medesima razza, 
cioè alla razza ondeggiata, Rondelezio at- 
tribuisce tre ordini di denti ossia pungiglio- 
ni piantati nella coda, in cauda sunt eriplici 
ordine disposita (©, e Linneo non le accor- 
da se non un ordine solo: cauda unico acu- 
feorum ordine (@). Vergherei ancora due pa- 
gine, se volessi proseguire le contradizio- 
ni, le quali risguardo alle razze si trovano 


{a) In syst. nat. 

{) De Pisc. lib. 3. c. 48 

(c) Apud Aldrov. Lib, 3. de Pisc. È 50» 
(d) In syst. nar- 


62 

presso altissimi naturalisti; per le quali sì 
vede, che il tratto di storia naturale oc- 
cupato dalle razze, è tuttavia involto di te- 
nebre e poco saputo. 


LE FERRACCÈ. 


a carne delle Ferracce è detestata dai 
Sardi ugualmente che la carne delle razze, 
e ugualmente ne sono temute le code. Perciò 
la sua carne pure è a vil prezzo, e l’ani- 
male uscendo dal mare viene di presente 
mutilato. Posso nondimeno affermare, che 
tutte le varie spezie di Ferracce conosciu- 
te nel meditertanco si pescano pure nei 
mari sardi. 

Si pesca primieramente quella spezie; 
la quale a cagione della sua coda lunga, 
tonda, e di color gialliccio somigliandosi 
alla radice pastinaca , più propriamente che 
le altre ferracce sì deve chiamare pastinaca. 

St pesca inoltre quella spezie di fer- 
taccia a coda corta, la quale i Napoleta- 
ni chiamano A/tavela, e Cuccio i Genovesi. 


63 
A questa ferraccia Linneo attribuisce dop- 
pio ferro ossia sega, ma solo posticamente 
dentata: aculeis duobus postice serratis. lo 
però ne’soggetti da me osservati non ho 
trovato se non una sega sola, e questa den- 
cata da capo a fondo in amendue i lati. 
Sr pesca il pesce Aquila, chiamato da 
alcuni pesce racco, ferraccia anch'esso, si- 
mile alla pastinaca; se non che la sua te- 
sta tondeggia più e s' assomiglia a quella 
del rospo, 

. Gesnero € Aldrovandi descrivono la 
coda d'una quarta ferraccia, la quale oltre 
all'essere accompagnata da due seghe, è 
tutta quanta orridamente seminata di stelle 
spinose; e di questa spezie di ferracce si 
parla per avventura in quei versi di Ceri- 
fco Calvaneo. 


» Era il suo legno quasi carovelle 
E come anfesibena , potea andare 
Innanzi e indietro, ed'ogni parte ha stelle, 
Sicché quel pesce pastinaca pare, 


CA 

Or che di queste ferraccè pure ve ne 
abbia ne’ mari sardi, ne posso far fede; 
poichè d’una coda simile alla descritta dà 
Aldrovandi ne fui già ‘presentato per usar 
la in luogo di frusta contro il cavallo. 

Sono le seghe delle ferracce veramente 
atte ad aprire c vincere qualanque fortis- 
simo legno; ma una molto più maravigliosa 
virtù ho udito attribuire loro da’ pescatori 
superstiziosi: le credono abili a vincere gli 
animi; perciò le si mettono indossò, dicen= 
do certe parole; e con ciò si tengono sicuri 
di conciliarsi qualunque animo vogliono. ‘ 


LA RANA PESCATRICE (l°. 


Que pesciaccio cartilagineo piatto, ché 
pare composto semplicemente di coda e di 
una testaccia immensa, chiamato Razza pes> 
catrice , sì estrae da’ mari sardi di tal gran 
dezza, che facilmente oltrepassa il pese 
d’un rubbio. La sua carne è detestata ugual. 


(a) Lophius depressus capite torundatio. Lin, syst. nati 


65 
mente che la carne delle razze e delle fer- 
racce; e riòn và essa pure se non nelle 
pentole della plebe. Per quanto ho osser- 
vato ;, assai bene è stato generalmente des- 
critto quest animale da varj autori; Linneo 
però merità alcuna correzione per risguardo 
al nùmero delle verghe , delle quali quest'ani- 
male è provveduto afline di pescare e man- 
tenersi; due sole gliene attribuisce Linneo: 
piscatur tentaculis binis capitis tanquatr 
linea } ed io talora ne ho trovato fino a 
‘cinque; tre lunghissime di queste verghe ho 
veduto uscire dal capo fra occhio ed occhio 
ciascheduna colla sua carnosità in cima per 
adescare ; e dietro a queste ne ‘sorgevano 
altre due minori. 


ro squanro ll). 


Prisca ondsiata e spesso veduta ne mer- 
cati sardi è quella spezie di cartilagineo , 
ehe aggtuppa insieme le razze c i cani, par 


Ca) Squalus pinna ani nulla, ore terminali, Li.sy, nata 


66 

tecipando della forima d'amendue, cioè Jo 
Squadro. il quale realmente si può dire, 
che nel principio e nel fine del suo corpo 
è un cane, ed è una razza nel mezzo; 
poichè la squarciatura della sua bocca è 
collocata non sotto la testa, come. nelle 
razze, ma nella parte anteriore della testa, 
come ne'cani, ed in oltre la sua coda è ron- 
da e carnosa come quella de’ cani; ma poi 
dalla coda infuori il suo corpo è schiacciato 
quanto quello delle razze. Squadra o Squa= 
dro si chiama quest anfibio ancora da' Sardi. 


I CARTILAGINEI TONDI ossia CANE 
MARINI: 


LE grandissima quantità si trovano ne' ma- 
si sardi quei piccoli cani marini, li quali 
da’naturalisti vengono chiamati Carz/. Una 
sola spezie nondimeno è quella, la quale 
copiosamente si piglia, benchè i naturalisti 
più spezie ne contino, ed è quella spezie; 
la quale è colorata e macchiata quasi una 
vipera, c la quale da’ Toscani si chiama 


Gattuccio. 


67 

Tr Cane propriamente detto, quella 
‘spezie cioè, la quale da' naturalisti si chia- 
ima Canis Galeus, e la quale facilmente si 
‘può distinguere ad una apertura lineare fat- 
tale dalla natura dietro l'occhio, insidia gli 
uomini presso le spiagge sarde ugualmente 
che altrove; e le storie di persone improv- 
visamente addentate da simili cani, e altre 
tirate a fondo, altre infelicemente mutilate, 
altre miracolosamente salvate si raccontanò 
pure in Sardegna; ed a' mercati viene pure 
in copia la trista piattanza di questo animale. 

IL Mustelus levis, chiamato da'Sardi 
musola abita esso ancora in quantità per 
questi mari, 

Rare volte sì piglia il Pesce Porco, 
chiamato da’ naturalisti Centriza ; rare volte 
pure si pigliano lo Spinello chiamato Ga/eus 
Spinax, e il Nocciuolo detto Galeus Levis 

DeLLA sua presenza in questi mari dà 
molti segni il Cane carcaria (), e spesso 


(a) Squalus dorso plano, dentibus serratis. L. în 5y. Re 


68 

si mostra in persona. Î segni, che fanno 
fede della sua esistenza. si trovano in terra 
in compagnia di quegli altri monumenti, li 
quali fanno fede, che la Sardegna giacque 
già un tempo sotto acqua, e dove ora sol- 
ca l’aratro e sorgono vigne, nuotavano una 
volta pesci, e s'artaccavano l’ancore; ossia 
la Sardegna alla maniera di non poche altre 
parti del globo sorta improvvisamente dai 
fondi marini fra lo strepito di lampi e tuoni; 
ovvero sia essa venuta alla luce al tempo 
che cessando il diluvio il mare si prese a 
ritenere per se quello, che anticamente era 
stato terra, e agli uomini abbandonò quel- 
lo, che era già stato fondo marino (@, 
Conchiglie, ricci, granchi, ed altri corpi 


(a) La moltitudine incredibile di corpi marini, deî 
quali la Sardegna è piena , prova ad evidenza, che questà 
Sardegna un tempo non ci fu, e giaceva sotto acqua. 
Nella Storia de’ quadrupedi mostrai già per alcune os- 
servazioni, che la Sardegna doveva esser stata un tempo 
parte di continente, Si può pertanto dire con fondamento; 
che la Sardegna è srara un rempo fondo di mare; poi 
diventò continente, poi isola. 


69 
propri del mare si trovano in Sardegna nelle 
sue parti più rimote dai mari, e incassati 
nel cuor delle pietre, anzi fatti elementi di 
fortissimi marmi. Or fra questi moltiplici 
corpi marini si incontrano con frequenza 
quelle, che il volgo sardo ugualmente che 
il volgo maltese risguarda per lingue di 
serpenti impictrite, e le quali non sono 
alero fuorchè denti di cani marini; ve ne 
hia di diverse fogge, ma fra le altre glosso- 
petre ve ne sono delle grandi, triangolari , 
e dentate, le quali sono i meri denti del 
Cane Carcaria. Da queste spoglie rimaste 
si conosce, che quel Re de’ Cani soggiorna 
in queste acque. Ma una prova più imme- 
diata forniscono le tonnare, le quali, non 
rade volte pigliano il Carcaria, e sempre 
il temono. Il conoscono sotto il nome di 
Lamia, col qual nome pure l'appellano al- 
cuni naturalisti. Or le lamie sono l’ un degli 
oggetti più remuti da’ pescatori del tonno; 
talora però nell’atto di inseguire il tonno, 
rimangono esse medesime immagliare, e 


70 

coll’abbondante olio, che forniscono, com- 
pensano riccamente i pescatori, della paura. 
avuta. Lamie si pigliano in queste tonnare, 
che avran tre in quattro mila libbre di pe- 
so; nè minor mole si richiede, per ingojarsi 
un otto o dieci tonni interi per volta, 
come fanno. 

Detto Sturione l non ho altro mo- 
tivo di parlare, se non quel medesimo, che. 
ebbi di parlare della lucertola; cioè per di- 
re, che esso è incognito alla Sardegna. La 
piccolezza de’ fiumi sardi, che nelle loro 
foci medesime sono poveri e si disseccano, 
sarà non inverisimilmente la cagione, per 
cui questo sì lodato anfibio , intanto che 
esso fa liete di se le foci de’ fiumi italiani, 
del tutto si nieghi alle spiagge sarde, 


(a) Acipenser citris 4, squamis dorsalibus 11. Lin. sy. m. 


PR), À, n € da i 


I K |2 res 1 della Sardegna. provengono 
Ema di fiumi, dagli stagni, e dal 

mare. Quella spezie di gran ser 
batoi d'acque, che tramezzano il corso 
de’ fiumi, e. ‘che si chiamano. laghi, non 
è conosciuta in Sardegna; in Sardegna non 
v'è lago alcuno. 


ti PESCI DI EIUME. 


Meo di fiume sono proporzionati a’fit- 
mi medesimi: sono piccoli di mole, e po- 
chissimi di spezie, come i medesimi fiumi 


sono piccoli ed ignobili. Le spezie de'pesci 


GE 
£ 


74 
fiumali non sono più che due, ciò sono la 
Trota ‘e l'Avguilla. | dA 

LA Trota sarda s assomiglia alla trota 
svizzera, in quanto le sue macchie non so- 
no rosse, ma nere; € spessissime, con solo 
talora alcuna rossa piccolissima frapposta 
alle nere; la sua coda è biforcata, ed il 
color del ventre è sommamente argentino, 
quasi fosse di metallo. Duc libbre sono il 
massimo pesu di queste trote, ma comu- 
nemente una trota di mezza libbra è già 
tiputata. una trota grande. IH tempo della 
sua bontà è giudicato. quel mese, in cui 
tutta la natura è in vigore e in fiore, il 
mese di maggio, ® fra tutte le trote dell’ 
isola sono celebrate quelle di Ozieri. Ma 
in qualunque rempo, e in qualunque luogo 
si piglino, le trote sarde sono secondo la 
mia esperienza sempre esposte a sapere al- 
cuna cosa di fango. 

L’ Anguilla pure se giugne a due libbre, 
è una grossa anguilla; l’anguilla di Lbbre 


quattro è una sorprendente anguilla. Sonosi 


75 


nondimeno prese talora anguille di dodici 
e più libbre ;* ma allora st riguardano co- 
me un prodigio, € quasi si teme di pur 
mangiarne. L’ordinaria piccolezza di que- 
ste anguille le rende allo stomico di facile 
smaltimento ; e la loro grassezza e consi- 
stenza le rende di sapore eccellente. Ogni 
fiume sardo ne è proveduto, e in ogni rem- 
po sì pescano; ma nondimeno il tempo del- 
te gran catture viene al tempo delle piene? 
Allora il pescatore da ciascheduna riva del 
fiume fa partire due argini convergenti fra 
loro, e alla bocca rimasta fra due argini 
mantiene la nassa, ove le anguille traspor= 
tate dalla corrente vanno ad insaccarsi. Di 
wna intera stagione tarda pertanto la gran 
cattura delle anguille in Sardegna a parago- 
ne d'italia; poiche d'una intera stagione 
tardano le piene, non succedendo esse in 
Sardegna se non nelle vicinanze dello sol 
stizio jemale, mentre in Italia accadono 
presso l’equinozio d’aurunno. Fuori de'fu- 
mi ancora si pigliano anguille in certe poz- 
2 


96 
Pai 

ze ossia: acque stagnanti; © succede mede- 
simamente a' lavoratori nello zappare la ter» 
ra di abbattersi in certi palloni di anguille 
aggomitolare insieme, che i Sardi chiamano 
mole. Ma e le anguille delle pozze, e le 
anguille delle 720/e non si debbono avere 
se non per anguille iscappate da’ fiumi; giac- 
che le anguille si dilettano di camminare 
per terra, e passare da luogo a luogo, 

ALLe pazze origini delle anguille pen- 
sate in conseguenza della oscura loro gene- 
tazione, va annoverata quella, che corre 
fra’ pescatori sardi, non inferiore di merito 
a quella, che allegò Plinio, facendo nasce- 
re le anguille dalla rastiatura della loro pel- 
le (4); nè a quella, che mise in campo 
Rondelezio facendole nascere da’ cadaveri 
de’ cavalli (0); nè a.tante altre ideate nel tem- 
po, in cui era lecito far nascere le più bel- 
le e le più gentili fatture di Dio dalla pu- 


(a) Anguilla atterunt se scopulis , & strigmenta vivee 
scunt , ‘nec alia est earum fpeneratio, 


(5) Vide Aldrov. de Pisc. db. 4. cap. 14a 


7 
tredine. Uno scarafaggio di quel I; 
che Linneo chiama Dyeiscus, e di cui fa- 
rò la descrizione nella storia degli insetti, 
soggiorna per i fiumi sardi; or questo viene 
da’ pescatori chiamato la madre delle an- 
guille: sa mamma de sas ambiddas (@, 

Corra trota e colla anguilla finisce 
tutta la ennumerazione de’ pesci  rigorosa- 
mente fiumali; laonde in materia di pesci 
fiumali la Sardegna è veramente poverissi- 
ma, per un destino assai comane alle isole; 
delle quali alcuna, comunque maggiore del- 
ta Sardegna, nè pure giugne ad avere la 
anguilla, e si riduce alla sola trota. 0). 

A soccorrere tanta inopia de’ fiumi vie- 
ne alcun pesce dal mare; ciò sono il Mug- 
gine e la Laccia; ma de’ mugili non entrano 
ne fiumi se non i piccoli, e pochi; sicchè 
1’ unico pesce avveniticcio di conseguenza 
è la Laccia ossia Chieppa. I Sardi non 
hanno altro nome per questo pesce, se non 


(«). Le anguille sono oggi riconosciute per vivipare. 
{£) La Islanda. Vedi la storia d’ Anderson. 


7$ 

il nome spagnuolo di Sadoga, segno per 
avventura, che dagli Spaguuoli appresero 
essi a conoscerlo, o ad apprezzarlo. Cinque 
sono i fiumi sardi, che ricevono la laccia: 
il fiume di Oristano , quel di Coguinas, il 
Flumendoso, il fiume di Utta, e quel di 
Bosa. L'ingresso si fa in marzo, e la uscita 
succede in giugno j; di maniera, che la lac- 
cia soggiorna ne’ fiumi sardi quasi il preci- 
so trimestre della primavera. Nega Aldro- 
vandi, che la laccia si scarichi delle uova 
ne’ fiumi, e s’appoggia della autorità di 
Strabone ‘); Willugbeio e Baltner attesta- 
no il contrario (©), e ’l contrario pure si ve- 
de in Sardegna, ove le lacce entrate ne’fiu- 
mi in marzo colle ovaje piene, si pigliano 
‘ne fiumi medesimi già vuote in maggio, 
e molto più in giugno, e le uova stesse si 


(a) Pariunt in fine astatis non in ffuminibus , sed in 
mari, quemadmodum Strabo testatur, & usus compro= 
bat : in fuvus enim neque recens nata , neque effata ulle 3 
sed majores omnes in utero habentes famina , aut mares 
seimne pleni capiunturo De iisc. lib.1V. Ca, 14 

(b) Geofroy. de Mat med 


79 
vedono ondeggiare, seminate per i fiumi. 


Ali cempo che la laccia è in uoya viene essa 
da’ Sardi pure giudicata un eccellente pesce; 
e vVebbe già, chi la pagò tre paoli e mez- 
«zo la libbra; spesa enorme in un pae- 
se, ove il pesce è vilissimo , € paragona- 
bile ‘agli ottomila nummi da Asinio Celere 
profusi, per una triglia. Vico giudica le 
lacce del fiume di Utta le più saporite del- 
Ta Sardegna, e le antipone a quelle di Tor- 
tosa in Catalogna, le quali secondo esso so- 
no d'altra parte assai vantate in Europa (9), 
Certamente in quanto aila grossezza sem- 
brano notabili le lacce ‘sarde; arrivano 
esse a pesate ben dieci libbre, e le lacce 
del grandissimo Reno d'Allemagna non pas- 
sano le quattro libbre secondo Lodovico 
Baltnero (5). 


(a) En este rio (de utta) se crian les mojores sabogos 
que en atro niuguno, .. , y con tener fama de muy buenas 
Tas que se pescan en Tortosa de Cacaluna , afirmarè dezir 
que no liegan de mucho estas a las del rio de Wira, Hisc. 
de Sard. Par. 1. C. 4» 

(5) Apud Gcofroy. de Mat. mo 


fo) 
I PESCI di STAGNO. 


x LI stagni coronano intorno intorno tutta 
quanta la Sardegna; e se per una parte sono 
essi alla Sardegna cagione di non poca in- 
salubrità per effetto delle loro putride esa-* 
lazioni estive: riescono però i medesimi di 
altra parte di non poca amenità, e fornis- 
cono una abbondanza grandissima di cac- 
ciagione € di pesca. D’ogni maniera pesci 
accorrono dal mare agli stagni; ma i prin- 
cipali sono lo Sparo, la Orata, l’Anguil- . 
la, il Lupo, il Muggine; e quale stagno 
si vanta più dell'uno di questi pesci, e 
quale più dell’ altro. Lo stagno di Cagliari è 
celebrato per i suoi Spari in ottobre; il Ca- 
ligo d’ Alguer vanta le sue Orate in autun- 
no. Lupi ortimi e grossissimi fino a libbre 
dodici si pigliano nel Caligo pure, c negli 
stagni oristanesi; gli stagni oristanesi sono 
i più ricchi in anguille. 11 Muggine abbonda 
in ogni stagno; € si può. esso muggine in 
ragione di abbondanza e di consumo chia- 
maie il primo pesce di Sardegna, Ogni ma 


SK 
te, ogni fiume, ogni stagno somministra 
muggini; il muggine da ognuno si consuma 
in ogni tempo, presso mare e dentro ter- 
ra; si logora fresco; e sì serba profumato. 
La maggiore copia nondimeno ne proviene 
dagli stagni, e dagli stagni oristanesi prin- 
‘cipalmente per tal maniera, che pesce di 
Oristano e Muggine sono quasi voci sino- 
nime presso a’ Sardi. Fra gli stagni oristanesi 
medesimi il più ricco di muggini è lo, stagno 
di Cabras in quel suo accesso, ossia posto 
avvanzato, che si chiama Mare Pontis. 
Fra Mistras e la torre partono dal mare 
più canali, che vanno a mettere capo nello 
stagno di Cabras; e in questi canali prima 
che essi arrivino allo stagno di Cabras, si 
trova Mare Pontis, che altro non è fuor- 
che abitazione di pescatori, ponti sopra i 
fossi, e ne fossi medesimi steccati e labirin- 
ti piantati di cannucce, ove il pesce viene 
da se stesso a imprigionarsi; Ora in questo 
posto principalmente regna la abbondanza 
del muggine; la fiera vi è aperta tutto l'an- 


32 

no; tutto l'anno vi concorrono vetturali & 
caricare muggine, che per tutto il regno si 
divide alle città medesime più lontane, e 
sedute in riva al mare, ove spesso arriva 
come un soccorso d'una piazza affamata, 
allor quando esse non ostante la vicinanza 
del mare, si trovano prive de’ suoi prodotti. 
La Peschiera di Mare Pontis forma quindi 
ana attuale ricca entrata della Casa Vivaldi, 
riguardevolissima famiglia di questo regno, 
e prima formava parte del real patrimonio; 
ma se ne privò Filippo Quarto , allora quan- 
do non ostante il dominio del vecchio e 
del nuovo mondo trovò il suo erario sì vua- 
to, che per combattere i Catalani dovet- 
te impegnare i suoi stabili (@). Non solo 
per l'abbondanza, ma ancora per la gros- 
sezza e per la bontà de muggini prevale 
Mare Pontis. I suoi muggini arrivano ad ol- 
trapassare le libbre venticinque; e sono di 


(a) Fu nell’anno 1652, che Girolamo Vivaldi acquistò 
le peschiere di Mare Pontis e di S. Giusta per il preze 


zo di scudi 143099 


8; 
miglior sapore, e di facile smaltimento, 
per ragione che sono muggini fimmediata- 
mente vegnenti dal mare, e non ancora 
guasti dal lungo soggiorno ne’ fangosi stagni. 
Benchè la estate sia la stagione del maggio- 
te impinguamento del muggine, nondime- 
no non è allora il tempo della miglior sua 
comestione, almeno del muggine, che si 
piglia fuor del mare; poiche non è facile 
a concuocere, e s infetta del sapore degli 
stagni; ne mesi d'inverno è un pesce di 
buon sapure, sodo, e leggiere allo stoma- 
co; nè si costuma di mangiarlo con altra 
preparazione , se non di arrostirlo alla gra- 
ticola e bagnarne i bocconi in salamoja. 

OLtrE alla grandissima quantità del 
muggine , che in Sardegna si consuma fres- 
co, il muggine si secca, e fassene l'aringa 
affumata per i bisogni della quaresima. La 
preparazione per cio usata è quella mede- 
sima, che gli Inglesi di Yarmourt pratti- 
cano colla vera aringa. Il imuggine si lascia 
prima in sale; poi sospesolo in baracche 
ben chiuse, vi sì fa gian fumo per più 


4 
giorni; e allora il muggine seecandosi cat> 
gia come l’aringa il suo colore d’argento 
in oro. Non sogliono però i Sardi nè sven» 
rare il muggine, nè strapparli le branchie, 
come coll’aringa costuimano gh Inglesi. La 
Yarmout della Sardegna è santa Giusta; € da 
santa Giusta esconole gran provisioni di mug- 
gine secco , che i Sardi chiamano Mugheddu. 
UNA seconda pieparazione si fa del 
muggine , preparazione preziosa, a cui noî 
arriva la aringa; ed è la preparazione del- 
le sue nova. Dai muggini più grossi si trag- 
gono esse uova, € lasciatele nel loro natù- 
rale ‘amnio, ossia sacco, si aspergono di 
sale; poi si tengono compresse fra due ta- 
vole; nè in prepararle interviene punto 
il famo. Un vivo color rosso è il segno 
della loro perfezione; e il nome, che pi- 
gliano così preparate’, èil nome di Forrarga. 
Botrarga significava già presso a Greci ogni 
spezie di salume; ma oggi questo: nome si 
dà per eccellenza alle uova del muggine 
insalate; e in realtà non sono esse indegne 
di essere chiamate salume per eccellenza; 


85 
le uova del tonno, e il caviale (4) sono pre- 
parazioni di gran lunga inferiori alle uova 
del muggine. Risguardano pertanto i Sardi 
con ragione la loro bottarga siccome un 
frutto da potersi con onore presentare ad 
altrui; e perciò trasmettendo a'loro amici 
esteri i presenti di paste, di melarance, e di 
moscati, con successo. vi uniscono pure le 
bottarghe. Il tempo di questa raccolta prin- 
cipia alla metà di luglio; ‘e dura infino ‘al 
la metà di settembre; perchè in detto tem= 
po le uova del muggine sono più piene, 
siccome il muggine medesimo è più pros- 
pero e più pingue. Quasi in ogni luogo, 
ove si piglia il muggine, si fanno bottar- 
ghe in Sardegna, e quasi ogni luogo pre- 
tende avere le più eccellenti; la palma non- 
dimeno si deve ad Alguer; Alguer cede a 
Bosa il vanto della malvagia, contende colf 
Oliastra per l’eccellenza del vino, ma su, 
pera .ogni altra parte. della Sardegna per il 
zibibbo, e per le sue botrarghe. 


(a) Questo nome si dà alle uova dello storione , 


salare in botti, che vengono di Moscovia» 


I PESCI DI MARE. 


ob DIC GAB oplodit dc ep did toa To scatti iio DI 


ASCA 
È DI 9 L mare sardo non ha veruna spezie 
SENIO di pesce sua: propria co e hanno 
per avventura altre parti del mediterraneo; 
e delle medesime spezie comuni del medi- 
terraneo alcuna ne manca nel mare sardo. 
Ma generalmente parlando i comun pesci 
del mediterraneo si pigliano pure in Sar- 
degna, e cid in quantità grandissima: il Ton- 
no poi forma un grande articolo nella sto- 
ria de pesci sardi, e dona al sardo mare 
attualmente una grandissima preminenza. 
Ecco in brieve abbozzata la storia dei 
pesci sardi marini; alla quale verrò dando 
compimento seguitando l'ordine e distribu- 
zione di Linneo. Hanno i pesci oltre alle 
loro pinne del dorso, de’lati, e della coda, 
due altre pinne appiccate al ventre, le qua- 


7 
li Linnco chiama pied? de pesci, perche il 
pesce sopra esse punta, e si regge, e stà, 
quando tocca fondo. Or secondo le varie- 
tà occorrenti ne’ pesci per riguardo a cotai 
loro piedi, schiera Linneo tutti quanti i 
pesci in vari ordini, di maniera che se- 
condo esso Linneo altri pesci sono Apodi, 
altri Giugulari , altri Toracici, altri Addo- 
minali ; ai quali aggiunge per quinto ordine 
ì pesci Branchiostegi. Pesci Apodi , cioè, 
pesci senza piedi, chiama Linneo quei pesci; 
li quali non hanno pinne appiccate al ven- 
tre; pesci Giugu/ari chiama esso quelli altri 
pesci, ne’quali le pinne del ventre non 
istanno sotto le pinne lateralmente appicca- 
te al torace, chiamate g/e, ma sono col. 
tocate più innanzi verso la. gola ; Toracici 
chiama quelli, ne'quali le pinne del ven- 
tre sono sotto esse ale; e quelli, ne”quali 
le pinne del ventre sono più indietro delle 
ale, sono detti da Linneo Addominali. Quei 
pesci finalmente, che non hanno operculi 
alle branchie, nè certa membrana correda- 


88 

ta or di maggiore or di minore mumero di 
spine solita. ad essere interiormente attaccata 
agli operculi branchiali, vengono da esso 
appellati Branchiostegi (©). Secondo questa 
distribuzione Linneiana verrò adunque trat- 
tando de’ marini pesci sardi. 


PESCI APODI: 


Rua Murena , il Grongo, la Serpe mari» 
na, il Miro sono pesci del mar sardo. La 
murena si piglia in copia grandissima da 
ogni lato, or fra gli scogli con forcina, 
or con cestelle in più alto mare; e giugne 
essa a pesare «talora ben dodici libbre, ed è 
di sapore ottimo principalmente in no- 
vembre. Non convien credere a Bomare, 
che questo pesce abbia le spine del suo cor- 


(a) Apertura instru@a opesculis pinnaque branchiali : 
dum Pinna ventrales vel nulle omnino, APODES. I: 
ante pinnas pe&orales, JUGULARES. 2. 
sub pinnis pe&oralibus, THORACICI 3. 
pone pinnas pe@orales, ABDOMINALES. 4. 
Desticuta operculis pinnisve branchialibus. BRANCHI. 
OSTEGI. 4, In sysr. nar. 


So 
po collocate, al rovescio di tutti gli altri 


pesci, cioè dirette non verso la coda, ma 
verso il capo /es. areres, qui dans tous les 
autres poisons sons penchées vers la queue, 
sone rebroussées dans celui-ci (2); Que- 
sta notizia è ben essa al rovescio della 
verità. E poichè Bomare pure, ed alcuni 
altri autori fanno questo pesce macchiato 
di bianco , forse perchè così è macchiato 
nei mari loro: sa peau est lisse et vachetée 
de blanc, dirò che le murene sarde sono mace 
chiate di giallo. Bomare chiede inoltre se le 
murene sono ovipare , o pure vivipare, 
incarica gli osservatori presso al mare di 
decidere questo punto; ed io a ciò rispon- 
dendo dico, che non ho trovato nè pesca- 
tore nè cuoco alcuno, il quale abbia mai 
trovato in corpo alla murena i figliuoli vi- 
vi, come si trovano in corpo delle vipere, 
de’cani, ed altri simili animali. 


(a) V. il Diz, alla voce Murene, 


go: 

In minore quantità della murena si 
pesca il meno della murena stimabile Gron- 
go, contro esso. pure. si calano cestelle in 
alto mare con entrovi l'adescatrice sepia, 
e vi si. pigliano Gronghi maggiori d'un 
terzo. delle. massime murene. 

lr Serpente marino, benche si peschi 
ne' mari sardi, non sembra però bene co- 
nosciuto da’ Sardi; poiche viene esso riputa- 
to un anguilla, e anguilla di mare si chiama, 
Due segni per altro assai.visibilmente il distine 
guono dall'anguilla; pilmieramente i suoi. 
occhi. sono grandissimi, di maniera che le 
loro periferie per poco non. arrivano a. toc- 
carsi; in secondo luugo laddove. nella an- 
guilla la mascella inferiore. è lunga più del- 
la superiore , questo eccesso nel serpente si 
trova al contrario nella mascella superiore. 
Di questo. secondo carattere vorrei, che si: 
facesse uso a. correggere la descrizione del 
serpente presso Linneo. Per quanto parmi 
la descrizione del serpente presso questo 
autore è identica con quella dell’immediata- 


91 
mente precedente Ophis. L’ophis viene des- 


critro così: Murena cauda aptera cuspidata, 
corpore tereti ; ed il serpente così si descri- 
ve: murena cauda aptera acuta, corpore 
sereti. (4), Qualora si dicesse: murena ma- 
xilla superiore longiore, parmi che il ser- 
pente nostro sarebbe assai meglio divisaro. 
Cor nome di pesce Fico mi è srato pre- 
sentato il Miro, 0 Simiro pesce delicato, con 
sue barberte appiccate al mento, e orlato di 
nero in tutta quella sua pinna, la quale 
partendo dalla nuca corre tutta in un pez- 
zo fino alla estremità della coda, e ivi dan- 
do volta prosiegue fino al ventre. Non è 
molto copiosa la pesca di questo pesce, e 
quest’ anno in primavera si è esso per av- 
ventura pigliato in maggiore quantità del 
solito; nè a me è avvenuto di vederne se 
non de lunghi circa mezzo piede parigino, 
OLTRE ai quattro esposti pesci e la 
anguilla, comprende Linneo. sotto il ter- 


{e) In syst. na, 


93 
mine di Murena, primo genere de'suoi apodi, 
due altri pesci, l'Ophis, e la Ceca. Dello 
ophis non ho cognizione in questi mari; 
nè della ceca; la quale per avventura sarà 
quella spezie di curiosissime, e finissime an 
guillette , che i Toscani pescano a Pisa, e a 
Viareggio, e le quali essi chiamano Cieche, 
che che in realtà si debba dire della vera- 
ce cecità loro. 

Doro il genere AMurena sei altri gene= 
ti di apodi, ma contenenti non più di 
spezie otto, rimangono presso Linneo. Di 
queste otto spezie due sole siccome cognite 
nel mediterraneo, si pottebbono presumere 
famigliari ancora alla Sardegna; ciò sono la 
Fiattola, e lo Spada. Ma la Fiattola, pet 
quanto io so, è quì incognita, e lo Spada 
è raro. La fiattola piccol pesce, ma dilica- 
to di carne e gentile di colori abbonda nel 
mare romano, e per poco non è proprio 
del solo mare roinano per quanto testifica 
Rondelezio. Sicche la mancanza della fiat- 
tola non sarebbe punto nuova in Sardegna. 


h i 93 
Nuova bensì potrebbe parere la-rarità del- 


lo spada. Lo spada in tutto il mediterra- 
neo si pesca, e si pesca in ogni stagione, e 
nella vicina Sicilia se ne fa grandissima cat- 
tura, di cui si trova menzione infin da 
quando Ulisse era errabundo per i mari 
Pare propriamente, che quel pesce guerrie- 
ro ami i tumulti, e le mischie, e che per- 
ciò tanto avidamente accorta al Faro. Im 
mezzo a questa pesca, che dello spada si 
fa ne vicinati della Sardegna, la Sardegna 
nol piglia se non al tempo, che passano î 
tonni, e .il piglia in quantità pochissima. 
Ai tempo che i tonni passano, passa pure 
lo spada, ma.alla maniera d’uno sviato, 
‘che ha smarrito il suo vero cammino. Quasi 
temo di dire troppo, dicendo, che le spade, 
quante annualmente se ne piglia in tutta 
l’estensione del mar sardo, arriveranno for- 
se a due dozzine. Sono pertanto le spadé 
considerate quasi un accidente, e una fortu- 
na; e perciò chi dispone alla tonnara, ne 
fa presente a chi giudica, siccoine di cosa 


94 

rara; e sono essi în realtà presenti stimabili 
più per la rarità, che per altro, essendo or- 
dinariamente spade grosse, arrivanti a tre 
quintali di peso, e perciò spade, che di 
molto hanno già oltrepassato il vero segno 
della loro delicatezza, propria soltanto del- 
le spade piccole. 

Lo spada, di cui parlo, è quel pesce 
apodo, la cui mascella superiore s' allonga 
in figura d'un potentissimo pugnale, pesce 
chiamato \Yiphias, ovvero G/adius da' natu- 
ralisti, e ottimamente conosciuto da ognuno. 
Perciò mi rimango dal farne veruna descrizio- 
ne, benche una descrizione sembrerebbe ne- 
cessaria a vedere quanto riguardo a questo pe- 
sce occorre in iscrittori recentissimi, e dottis- 
simi. Non sì potrebbe parlare peggio, se lo 
spada fosse un pesce stato pur ora scoperto in 
qualche mondo scoperto anch'esso di nuovo. 
La chiarissima Enciclopedìa ne ha fatto inci- 
dere la figura nella tavola cinquantesima 
prima insieme colle figure del pesce Sega, 
del Can marino, e del pesce Balestra; e di 


i 95 
uîti le quatfro ‘questi pescì, dice ‘essa, che 
sono pesci cartilaginei, cioè pesci, li quali 
invece di ossa e di spine sono forniti di mol- 
li cartilagini: /es quartre poissons de cette 
\planche sont dù genre des poissons cattila- 
gineux,c est a dire, qu'au lieu d'os & @'aré- 
tes ils n'ont que des cattilages souplesj; 
e -più oltre, dice essa, che tutti e quattro 
questi pesci sono vivipari: /es poissons car- 
vilagineux de cette planche sont vivipares, 
Che la Sega, il Cane, la Balestra sieno car- 
tilaginei e vivipari, ciò è benissimo detto; 
ma cartilagineo nè viviparo non fu mai lo 
Spada; spinoso è lo spada; i suoi maschi 
banno datti, e vivipare sono le femmine; 
ed è veramente un gran peccato, che in 
una opera destinata ad essere il fondaco di 
ogni vero sapere si introducano errori nè 
pure stati mai pensati prima. E che dirò 
del dizionario del sig. Bomiare, ancora cor- 
retto e ricresciuto sino a nove volumi? dello 
spada, pesce così noto, nè pure ci si fa 
menzione, Ho trovato nell'indice di questa 


210) 

opera i nomi di Xiphias, di Spada, di Pe- 
sce Imperadore, nomi tutti che significano 
il vero spada; ma poi l’autore per la des- 
crizione dell'animale corrispondente a' detti 
nomi rimanda all’arricolo della balena; ed 
ivi il pesce Imperadore or si distingue, or 
sì confonde collo spada; poi per pesce Im- 
peradore si descrive un pesce Gronlandese 
tutt'altro dallo spada, e per pesce spada 
{espadon) si descrive il pesce Sega; sicche 
per il vero spada non v’è luogo, nè men- 
zione ne’ nove volumi. 


PESCI GIUGULARI: 


DI i 
CW n pesce giugulare bene conosciuto e fa- 
migliare alla Sardegna è quel pesce, acuila 
collocazione de’ suoi occhi nella più alta 
cima della testa, quasi fossero sempre di- 
retti al cielo, ha fatto dare i più orrevoli 
nomi. Gli antichi Greci appellandolo Ura- 
noscopo, cioè osservatore del firmamento, 
lo hanno riguardato come un astronomo; 
‘e i moderni Italiani lo hanno trattato da 


ad 
divoto, chiamandolo Pesceprete. I Sardi il 


‘chiamano con meno onore cuccu, cioè cuculo, 

La temuta Ragana è pesce sardo anch’ 
essa, conosciuta col nome di Ragno. L' Al- 
drovandi e l’Artedi contano al numero di 
cinque le velenose spine, ‘le quali sono 
collocate alla prima pinna dorsale di que- 
sto pesce; a me è avvenuto di contarne 
alcuna volta quante ne contò Gronovio , 
cioè sei, altra volta quante ne contò Arte- 
di; dal che si vede che le spine nelle pin- 
ne de’ pesci sono come le vertebre ne' corpi 
degli altri animali soggette a variare di nu- 
mero ne diversi individui d’una spezie me- 
desima. 

Der genere de’ Naselli, chiamato Ga- 
dus presso a Linneo, la Sardegna è assai 
scarsa ancora in confronto di altre parti del 
mediterraneo; nè è maraviglia, poiche que- 
sto genere di pesci si fa sempre di mano 
in mano più scarso, a misura che cresce 
l’allontanamento dal Norte. Il Norte è la 
regia de’ naselli: ivi nella aquilonare Islan- 


98 
da, e nella contigun Notvegia i naselli 
sono l' occupazione, l’ alimento, l'unica 
ricchezza de’ popoli (2); e nel settentrio- 
ne americano () formano i medesimi un 
oggetto della avidità de popoli d’ Europa. 
Forte quasi altrettanto, che i metalli del 
Perù ; e sono stati il tizzon della gucr- 
ra fra le più possenti nazioni Europee, e 
l'articolo delle più dolorose cessioni nei 
trattati di pace (©). Trenta e più mila uomi- 
ni s occupano annualmente alla cattura dei 


(a) Sconefeldio riguarda i naselli conceduti al sette» 
trione come un'riro della providenza divina per supe 
plire alla mancanza del fromento e di altri generi ne- 
gati a que’popoli per l’asprezza del clima. 

(6) La immensa secca, lunga quattrocento ottanta 
rbiglia situata rimpetto all’isola di Terra - nova presso 
al Canadà, è la principale stazione de’ naselli in Ame- 
rica. Un selo pescatore ariiva a pigliarne coll’ amo quar- 
tro cento in un giorno. 

(c) Alla pace di Utrecht cedette la Francia all’ In- 
hilcerra la rotale possessione dell’ Isola di Terra-nova 
insieme colla Acadia. I Francesi per rifarsi di tal per 
dita presero l’anno 1713 possesso di Capo Breton, e vi 
fondarono la pesca de’ naselli; ma Capo Breton preso due 
volte dagli Inglesi con forza , è rimasto esso pure in 


poter loro alla pace. 


va 
roli maselli americani (4), la metà del mon- 


do li riceve variamente preparati; e le na- 
zioni padrone della loro pesca si rifanno 
con essi di quanto ‘alle altre nazioni sono 
‘obbligate di sborsare per le produzioni lo- 
ro più preziose (5). Questa abbondanza e 
ricchezza de’ settentrionali naselli è formata 
principalmente della spezie chiamata in lin- 
guaggio settentrionale Cadellau, la quale 
voce piacque ad Aldrovandi tradurre Cape/- 
lano ; spezie di fecondità sì prodigiosa, che 
in un solo pesce quasi dieci milioni d’uova 
contò assistito da suoi maravigliosi micros- 
copj il veramente pazientissimo Olandese 
Leewenokio (©. Il capellano insalato o sec- 
cato va per ogni lato dell’ America e dell’ 
Europa (4). Al capellano molte altre spezie 


(a) Sedici mila pescatori franzesi s’occupavano alla 
pesca de’ naselli prima della perdita di Capo Bretone, 
dieci e più mila Inglesi; senza contare altre nazioni. 

(6) La sola Spagna riceve annualmente merluzzi pet 
il valore di 437500 piastre. Ustariz Teoria del Comm. 

(c) NÈ osservò 9344000. 

(4) Baccalà , Merluzzo , Stochefisch, Laberdon sono 
tutti nomi d’ uno stesso Cabelìau diversamente preparate. 


Too 

di naselli a moi sconosciute fanno corte iù 
que mati: vi abbonda lo Scheltiscio, chia- 
‘mato da’naturalisti Agiefinus, esca ghiot- 
tissima per attrappare il medesimo cabeliau; 
vi abbonda il Merlano (ase/lus \candidus) + 
il Drosch (asellus varius), il Carbonajo 
(asellus niger) ed altri ancora. Tutte que- 
ste spezie durano infino dl mare germanico; 
ma sempre scemando di quantità a misura 
che cresce l'allontanamento dalla regione 
‘polare; e nell'oceano franzese non si0trova 
più se non il mertlano, e nel mediterraneo 
il medesimo meilano cessa. I naselli del 
mediterraneo si riducono al verace Nasello, 
alla Tinca marina, alla Mustela, e per 
quanto ‘io so, ad'un ‘altro maselletto a tre 
pinne sopra il dorso. Per verace nasello in- 
tendo quel pesce, che fu già dagli antichi 
Greci chiamato Onos, e Asellus dagli anti- 
chi latini; e questo come anticamente si tro- 
vava nel mediterraneo, così oggi pure vi si 
deve trovare, e non può essere altro se noîì 
quel pesce appunto; che oggi in Italia si 


IOL 
chiama nasello, come evidentemente mostra 
la identità del nome presente col nome an 
tico. Non trovo questo pesce fra i Gadi di 
Linneo: due pinne sopra il dorso ha il na- 
sello italiano ; ha la mascella inferiore più 
longa della superiore; ma non ha barbette 
al mento; e con questo complesso non ci è 
Gadus alcuno presso Linneo; sarebbe il 
Merluccius di esso autore il nasello in 
quistione, e ciò ancora atteso il numero 
delle spine, che si contano nelle diverse 
sue pinne, nel quale il mer/uccius di Linneo 
e'l nostro pesce concordano pienamente insie» 
me; ma il rerluccius è barbato, e barbaro non 
è il nasello. Linneo adunque sbagliò ap- 
piccando barbetre al mer/uccius, o il nasel- 
lo del mediterraneo non è stato da lui re- 
gistrato.' Nè pure la Tinca marina, o co- 
me altri il chiama, il Pesce Molle trovo 
io presso Linneo. Parebbe d'esso il Gadus 
Molva; ma osta primieramente il troppo 
diverso numero delle spine piantate nella 
prima pinna dorsale, delle quali il A0/va 


ro? 

ne ha quindici, e le tinche da me os- 
servate ne ebbero dieci a} più, sono in 
secondo luogo nel molva distinte luna 
dall’ altra la pinna anale, e la pinna cau- 
dale; e nella rinca una sola pinna corre dal- 
lo sfogo anale infino alla estremità della 
coda. La Mustela si trova registrata presso. 
Linneo col suo nome medesimo di mustela; 
e potrebbe bene il piccolo nasello da me 
conosciuto essere il Gadus minutus di esso 
autore, Or di questi pochissimi naselli co- 
nosciuti nel mediterraneo la Sardegna anco 
ra meno ne conosce, che le parti del me- 
diterraneo più settentrionali. L'Italia pesca 
il vero naselio con bastevole quantità da 
poterne ancora trasmettere spesso dentro. 
terra, e rare volte e piccolo il pesca la Sar- 
degna, di maniera che apparendo ne’ mer- 
cati, esso vi diviene un soggetto di quistio- 
ne chi egli si sia, e un campo da farsi 
onore a più periti dicendo, che è un mer- 
luzzo. Rara pure è la mustela, e raro è pu- 
re i piccol: nasello fornito di tre pinne al 


10} 
dorso, e d’una barbetta al mento, che ho 
giudicato poter essece il Gadus minutus di 
Linneo. La tinca marina è l'unica spezie. 
de naselli, la quale in convenevole quanti» 
tà si tragga dal mare sardo, e si trae gros- 
sa fino al peso di libbre cinque. 1 Sardi la 
chiamano Mollia con voce forse originata 
dal nome m0//e, con cui esso pesce si chia» 
ima nell Adriatico, atresa la reale mollezza 
della sua carne, per la quale questo pesce 
medesimo in alcuni luoghi si chiama pesce 
Fico quasi esso fosse un fico appassito. La 
sua mollezza scompagnata da ogni altra pre 
rogativa il rende comunemente poco sti- 
mato fra’ Sardi, siccome è per tutto altro- 
ve poco apprezzato. 

FrA° pesci giugulari venutimi alle mani 
non ho mancato di trovare il B/eazius ocel- 
laris; pescetto di scoglio, e facile a distin- 
guersi ad un bellissimo occhio nero, cit- 
condato d’ un cerchio bianco, di cui và 
insignita la sua prima pinna dorsale. Mi è 
ancora capitato il pescetro da’ naturalisti ac- 


104 

compagnato al Blennius e da loro appellato 
Pholis, 1 pescetti piccoli poco interessano i 
pescatori, e però difficilmente si veggono 
e facilmente sfuggono alle ricerche de’ filo- 
sofi. Perciò, comunque io non abbia vedu- 
to le tre spezie presso Linneo, comprese sot- 
to il genere Ophidion, non ardirei dire; 
che di loro sia digiuno il mare sardo. 


PESCI TORACICI. 


Rie spezie dell’ordine Toracico sono le 
più abbondanti nel. mare sardo, € sarebbe. 
maraviglia se fosse altrimenti; poiche es- 
sendo le spezie toraciche le più abbondan- 
ti in natura, a segno, che formano esse so- 
le la metà dell’intiera razza de’ pesci, be- 
ne è naturale, che ancora nel mare sardo 
le spezie toraciche sieno le più copiose 
Quel pescetto sì vagamente smaltato 
di colori, che gli antichi Latini chiamarono 
Rasoio (novacula) , forse perche ad ogni 
cosa, che toccasse, appiccava al dir di 


105 
Plinio (@, odor di ferro, quel pescetto di- 


co frequente ne’ mari di Rodi, di Sicilia € 
di Sardegna, ma raro altrove (), forse è 
raro ancora nel mar sardo, e perciò non 
mi sarà avvenuto mai di vederlo, 

Unito al Rasoio si trova presso Lin- 
neo sotto il medesimo genere Coriphena il 
Pompilo , ed è questo un effetto del me- 
todo di Linneo di voler distribuire î suoi 
ordini di pesci in generi secondo il nume- 
ro di quelle spine, le quali si trovano nel- 
le pinne branchiostege. Gli autori ei pes- 
catori concordemente risguardano il pom- 
pilo per una spezie somigliantissima al ton- 
no; ed è la sua somiglianza col tonno così 
grande, che qual chiedesse a’ pescatori al- 
cuna descrizione del pompilo , dieci volte 
gli risponderebbono, che esso altro non è 
fuorchè un tonno, a riserva, che è più pic- 
colo. Ciò fa vedere che la somma delle 
somiglianze col tonno è assai maggiore, che 


(a) Lib. 32. c.7. 
(b) Aldr. de Pis. lib. 2.c. 27. 


196 
non quella delle somiglianze con altri pe>. 
sci; ciò non ostante, perche esso pompilo 
non ha nella spa membrana branchiostega 
se non cinque:spine, o come dice Linneo, 
raggi, e il tonno ve ne ha sette, conviene 
al pompilo partire dal tonno, e andare a 
porsi in fila col rasoio sotto la cartella Co- 
riphena. Il sardo mare non ignora questo 
pesce, ma il conosce solo in primavera, 
come viaggiatore che passa; nè gli rende 
agguati, e il lascia passare tranquillamente. 
Ancora su questo punto si migliorerà la 
Sardegna un tempo, e verrà stagione, in 
cui popoli più orientali della Sardegna si 
lagneranmo della decaduta loro pesca del 
pompilo, e conosceranno di averne l'obli- 
go alla Sardegna, fatta più accorta sopra i 
vantaggi della sua situazione; per la quale 
può essa salire nel mediterraneo al princi- 
pato di molte pesche, come ora occupa il 
principato. della pesca del tonno. 
MazzoNE chiamano i Sardi quella 
spezie di Giozzo nericcio, che i naturalisti 


107 
chiamano, Gobbius niger. La appellazione 
sarda è veramente singolare, poiche max- 
zone significa fra'Sardi in alcune patti vo/- 
pes nè si vede per qual verso il ghiozzo 
si debba meritare un tal nome. Non sarà 
congltiettura improbabile il pensare, che 
mazzone venga corrottamente da /issorî, 
col qual nome il ghiozzo si chiama in al- 
cune parti d'Italia; giacche i Sardi dalla 
Italia generalmente hanno preso i nomi dei 
loro pesci , siccome attualmente ancora ne 
ricevono i pescatori. Questo ghiozzo si 
pesca in ogni lato della Sardegna, ma scar- 
samente, a riserva del mare di Cagliari, il 
quale si distingue colla abbondanza di que- 
sto non grande, ma buon pesce. Altri ghioz- 
zi oltre al nero si troveranno per gli sco- 
gli, e per gli stagni, ma la loro piccolezza, 
e poco pregio li rende ignobili e sconosciuti. 

Due pesci assai comuni nel’ mare sar- 
do sono lo Scorpione, e quella che fu già 
da Rondelezio e da altri autori malamen- 
te creduta fafemmina dello Scorpione, cioè 


108 
la Scorpèna. Facilmente intenderanno i Sar- 
di qual pesce si significhi col nome di Scor- 
pèna, poiche essi pure con poca variazio- 
ne il chiamano scorpiza; ma qual sia lo 
Scorpione non intenderanno facilmente , 
poiche ad esso pesce danno essi un troppo 
altro nome. Il chiamano pesce Capone, 
mossi da quel suo veramente grandissimo 
capo, traducendo allo Scorpione quel no- 
me, che in alcune parti d’Italia si dà all’ 
Organo , pesce di grandissimo capo anch’ 
esso. Amendue questi pesci sono in questi 
mari di buonissima carne; amendue sono 
temuti per i colpi delle loro spine, nè sò 
che la scorpèna si debba temere meno 
dello scorpione , comunque Aldrovandi il 
dica. La scorpèna certo è un crudel pesce: 
alle altre crudeltà sue aggiunge essa an- 
cora quella di divorarsi intieri i pesci del- 
la medesima sua spezie. 

Contro Lucio Columella, il quale 
asserì , che nel solo mare atlantico alligna 
il pesce Fabro (2), mille clamori sonosi ele- 


fa) De re rust. lib. 8. ca. 16. 


ÎIc9 
vati dal mediterraneo, facendo richiamo 
contro sì fatta prerogativa all’ atlantico ma- 
re attribuita. Loro richiami hanno fatto la 
Gtecia, l'Italia, la Gallia; dicendo, che 
esse pure e posseggono il fabro ora, che esso 
st chiama san Pietro, e il possedettero anti- 
camente, quando aveva nome Giove (Zeus.) 
A questi richiami si uniscono i richiami 
della Sardegna; mon da tutte le bande però 
richiaima la Sardegna ugualmente, dalla sua 
banda settentrionale pochi richiami si fanno 
contro Columella, perche il pesce contro- 
verso poco ci si pesca; ma nella parte oc- 
cidentale si richiama assai, ove il pesce san 
Pietro è frequente, e grande, e buono. Ra- 
ro però o nullo in ogni parte dev'essere que! 
collega del pesce san Pietro colorato di 
rosso, chiamato da’ naturalisti Aper; ben- 
che il medesimo nel mediterraneo si pes= 
chi nelle vicinanze d'’ Italia. 

Come il mediterraneo è povero di 
mnaselli in paragone dell'oceano settentrio» 
nale, così in paragone dello stesso oceano 


Irò 

è esso pur povero di que pesci, che detti 
altri Rombi, altri Passere, altri Sogliole, 
vengono compresi tutti quanti presso gli 
antichi scrittori sotto il general nome di 
Pesci piani spinosi, e presso il moderno 
Linneo sotto il nome P/euronecres ; pesci 
di strana figura, ove ogni legge di simme- 
tria è rotta, rotto è ogni ordine di collo- 
cazione, e perfin sembra contrastato l’evi- 
dentissimo assioma, che la metà è meno 
del tutto (@). L’immenso F/ersaz non si mo- 
stra fuor dell'oceano, e si fa gigantesco 
presso gli Islandesi fino a pesare libbre 
quattrocento. La Lima non esce essa pure 


(a) 1 Plcuronetti pajono la metà d’ un pesce 
spaccato giustamente per mezzo ; dall’un lato sono co- 
lorati, dall’ altro ove pare seguita la spaccatura, sone 
bianchi. Hanno inoltre la stravaganza di avere amendue 
gli occhi da una parte medesima. Quelli, che hanno 
gli occhi dalla loro parte sinistra, si chiamano Rombi; 
e. quei che gli hanno dalla parte destra , se son di 
figura bislunga , si chiamano Sogliole ; se la figura 
tira al circolare , si chiamano Passere. In Latino di: 
rassi Rhombus , Soleà, Passere 


sù 
‘dal imare settentrionale, e seccata al vento 


pasce assai popoli di quelle regioni al mo- 
do de'naselli. F/ez e Fleteler sono pure no- 
mi di pesci sconosciuti a noi, e volgari fuor 
dello stretto verso settentrione. Il medesi+ 
mo Rombo sì spesso lodato dai cantori ro= 
mani, qual esso alligna nel mediterraneo, 
non è che un tisico e meschin rombo in 
confronto del rombo inglese e fiamingo 
E. quando mai nel sì vantato Adriatico si 
pigliò rombo da stare al paragone eo’rom- 
bi dell’ oceano? Il vastissimo rombo, fat- 
to degno di storia, preso a tempi dell’Im- 
peradore Domiziano, che vista fà mai in 
confronto del rombo dell'oceano veduto da 
Rondelezio con venti cubiti di superficie, 
e un piede di grossezza? Quanto però nella 
sua scarsezza possiede in questo genere di 
pesci il mediterraneo altrove, il possiede es- 
so ancora in Sardegna. Il rombo, cioè il 
verace rombo, quello che è liscio del tut- 
to., che fu già per la bontà sua chiamato 
Fagian di mare, si piglia in Sardegna, ma 


il: 

non con assai frequenza; e si pigliano pu- 
te, ma scarsamente del pari, i rombi aspri 
e pungenti.. Con assai frequenza si piglia 
la sogliola chiamata da’ Sardi Palaja; e 
singolarmente abbonda essa dalle bande di 
Oristano e di s. Antioco, ove arriva a pe- 
sare le due e ancora le tre libbre; e con 
essa si confondono ne mercati ancora le 
Dassere. 

Ir mediterraneo si rifà della sua scar- 
sezza in materia di naselli e di p/euronetri 
colla abbondanza di quel genere di pesci 
schiacciati per lo più,e sapotosi, che Lin- 
neo intitola Sparus. Ventidue spezie ne ane 
novera questo autore; e alla riserva d'un 
cinque o sei spezie proprie delle Indie, e 
d'una spezie propria del lago di Genezarette, 
tutte le altre sono spezie principalmente 
proprie del mediterraneo. La Sardegna con» 
tribuisce in questo punto prodemente alla 
prerogativa del mediterraneo , non mancans 
do di veiuna di queste mediterranee spezie. 


T13 

Les Otate oltre agli stagni si pigliano 
ancora nel mare; e comunque le orate degli 
stagni medesimi sieno eccellenti in autun- 
no, principalmente quelle dell’ algherese 
Caligo, nondimeno le più famose Orare del 
regno sono le orate del mare d' Iglesias, 
In quel mare oltre alla bontà della sostan- 
za , acquistano le orate una srandezza da 
giungere perfino a pesare quasi libbre ven- 
ti, grandezza la quale mi è paruta rara, e 
da non tacere, allora quando lessi in Al- 
drovandi, che le orate massime appena ar- 
rivano a pesare libbre dieci: ad denas Zi 
bras, cum maxime adolevie (aurata) vix 
pervenie (@). Della orata di Linneo non so 
che mi dire: la orata avuta sotto l’occhio 
da questo autore aveva per macchia una 
macchia nera alla coda: in meo exemplari 
macula nigra ad caudam ©); e le orate sar- 
de, come pure le orate di altre parti del 
mediterraneo, non hanno macchia veruna 


(a) De Pisc. lib.t. cc 850 
(b) In eyst, nas. 


DI4 

alla coda; sono bensì macchiate, mala lo> 
ro macchia è applicata agli operculi bran- 
chiali, nè essa macchia è nera se non in un 
piccolo segmento, e nel restante è rossa. 
Questo pesce in tutta quanta la Sardegna 
si chiama Canina, toltone in Alguer, ove 
si chiama orada. | 

DeLro Sparo già feci menzione pare 
lando degli stagni. 

SaRAGO chiamano i Sardi con po- 
ca alterazione di parola il Sargo; e co- 
piosamente ne sono popolati gli scogli 
marini. Linneo colloca il Sargo fra gli Spa- 
ri, e tutto insieme. fra i caratteri distintivi 
del suo genere Sparus mette ancor questo 
di avere cinque raggi o spine nella mem- 
brana branchiale. A me esaminando qualche 
sargo, è paruto trovarne sei di raggi sì fat- 
ti, e sei ancora mi è paruto trovarne nel 
Dentice, il quale è sparus anch'esso presso 
Linneo; e simili discrepanze dal numero 
di Linneo mi è paruto trovare ancora in 
altri generi di pesces Non parlo della mia 


115 
osservazione, se non dubiîtando; perche 
contro uomini della autorità di Linneo non 
pare permesso se non di dubitare al più. 

UN pesce assai simile al sargo di fi- 
igura, e di colore, e uguale di grandezza sì 
pesca in questi mari, non però frequente- 
mente. L'ho udito chiamare da’ pescatori 
genovesi Purcazz0; nè il trovo in Linneo, 
alcui genere sparus dovrebbe appartenere. 
Puntuto è il suo muso; la pinna appiccata 
alla estremità della coda è semilunare, € 
tutta nera nella parte concava. 

Ir vergato Melanuro con suo occhio 
nero alla coda, ossia la Occhiata copiosa- 
mente sl pesca. 

Ma fra quanti pesci abbondano nel 
mare sardo si distingue tra gli altri in 
quantità il Zerro, o come altri dicono, 
Gerre, 0 se più piace lo Swzaride. Una evi- 
dente prova della sua abbondanza è il po- 
co prezzo, a cui si vende, non ostante che 
esso pesce sia l'uno de’ più saporosi pesci 
da poter contrastare colla sardina e colla 


116 

acciuga; e che in Sardegna esso si manten- 
ga in tutta la perfezione della sua bontà. 
Per tale sua bontà i Sardi ne sono estre- 
mamente ghiotti, di maniera, che l’arrivo 
dello smaride in casa rallegra la famiglia, 
nè più ferocemente si pugna dai provve 
ditori intorno alle corbé de’pescivendoli ; 
se ron allorà quando hanno risaputo, che 
là dentro v'è il giarretto, come il chiama- 
no. Or questo buon pesce arriva talora a 
mon valere più de’tristi gatti, e de tristissi= 
mi cani; si è spacciato talora a due denari 
la libbra, e il suo ordinario prezzo è dei 
più infimi. Sassari il tassa a un soldo la 
libbra, che è quanto dire a un sesto di 
paolo; e a un soldo pure il tassa Alghero; 
e di questa viltà di prezzo ne è cagione la 
abbondanza. Non però in ogni parte della 
Sardegna abbonda esso smaride ugualmen- 
te; i più ricchi fondi sono dalla patte sets 
tentrionale, e Porto Conde è forse di tutti. 
il fondo più ricco. Tutto l’anno dura lo 
smaride, e in ogni tempo si può pescarlo 


1I7 
in questi mari, nondimeno i mesi dell’ab- 
bondanza e della bontà sono da ottobre 
fino al termine di febbrajo; dura in mar- 
zo tuttavia la abbondanza, ma scema la 
bontà. 

Insieme allo smaride si pesca ne’ ma- 
ri sardi la Menola, ma in assai minore co- 
pia; c come insieme si pescano, così in- 
sieme si vendono, e tutto passa per sma- 
ride, prevalendo la denominazione della 
spezie più copiosa. 

UN pesce e nella bontà, e nella ab- 
bondanza rivale dello smaride in queste 
acque è la sì riccamente d’oro e d’argento 
vergata Boga. Si pesca essa pure in quan- 
tità grandissima ne’ mesi freddi, ma essa 
pure come lo smaride abbonda più dalla 
banda settentrionale dell’isola, che non dal- 
la meridionale. Ho veduto boghe, le quali 
arrivavano a pesare once sei l'una ; co- 
munque l’ordinario loro peso è di once 
quattro. Questo pesce viene da Linneo col- 
locato sotto il suo genere Sparus, e gli 


118 

spari secondo esso autore hanno il corpo 
schiacciato, corpus compressum; frattanto 
la boga lo ha ben pieno e tondo; la qual 
cosa mostra, che i caratteri genetici di Lin- 
neo non si debbono sempre intendere in 
un senso rigoroso , In quanto convengano 
a tutte le spezie, ma che basta intenderli 
in un senso morale, in quanto convengono 
alla parte maggiore, 

Saro pesce è la Tanuga, non però 
molto frequente; sardo pesce è pure la 
piccola e veramente schiacciatissima Casta- 
tagnola: sardo pesce, ma nè pure esso mol- 
to frequente, è parimente il Mormiro. Sat- 
do pesce finalmente, e copioso è la vaga 
ma spregevole Salpa. Dico spregevole, per- 
che alle Baleari, e nell’Egitto sarà forse 
essa tollerabile pesce, poiche così lo affer- 
ma Plinio. al capo 18 del suo libro 9, ma 
ne' mari sardi la sua carne è una carne 
qual essa è presso a tutti gli altri popoli, 
c qual fu in tutti i tempi, una carne insi- 
pida, e tigliosa, non degna di essere rive- 


TI9 
stita di livrea sì gentilmente listata di giat- 
lo, come è la sua, 

L'acceso Pagello, il simo. Pagro, il 
sannuto Dentice sono qui pesci volgari, € 
fra essi volgare più di tutti è il Pagello, 

Come dentice si spaccia, e come den- 
tice dagli inesperti si compra un altro pe- 
sce, che pure non è dentice. Frattanto è 
buono, che l'errore si tolga non solo per 
amore della verità, ma ancora perche in 
vece di un ottimo pesce non si faccia in- 
cetta d’un mediocre. Il vero dentice, e que- 
sto pseudodentice assai si rassomigliano nella 
figura, nella grandezza, e nel rosseggiante 
loro colore, e quindi è, che sì facilmente 
si confondono; ma primieramente il pseudo- 
dentice è macchiato di un grandissimo mac- 
chione giallo agli operculi delle branchie; 
in secondo luogo non è esso di gran lunga 
armato di denti, come il dentice vero; 
poiche oltre ad una strana moltitudine di 
denti emisferici, quattro grandissimi denti 
incisori mostra il vero dentice anteriormente 


720 
in ciascheduna delle sue mascelle, e in 
quanti pseudodentici io ho osservato, non ho 
veduto se non qualche dente maggiore e acu- 
to irregolarmente piantato quà e la per le 
mascelle. Chi baderà a questi segni facil- 
mente schiverà l’errore, distinguerà il ve- 
race dentice, e non piglierà per dentice la 
Bufala; dico la bufala, poiche con que- 
sto nome ho udito nominare da’ pescatori 
Genovesi il falso dentice, di cui sì quistio= 
na. Non è improbabile, che questo pesee 
sia quello, il quale presso gli antichi Greci 
si appellava già Sizagride, poiche la Si- 
nagride appunto così si assomigliava al Si- 
nodonte, che era il vero dentice, che Teo- 
doro Gaza traslatando Aristotile non dubi- 
tò usare tanto per la sinagride, quanto per 
lo finodonte il medesimo vocabolo di der- 
tex. Ma presso Linneo qual posto occuperà 
questo pesce ? se il dentice stà bene sotto il 
genere Sparus, sotto tal genere converrà 
pure collocare la bufala; poiche ha essa 
pure sei raggi nella membrana branchioste- 


Izi 
ga, quanti mi è accaduto di osservare nel 
dentice vero; ed ha inoltre ta bufala cor- 
po schiacciato, e denti robusti; e forse 
sorto il suo genere Sparus la collocò già 
Linneo col nome di Hurra. Il pesce da Lin- 
neo chiamato Hurra certamente assai cone 
corda col nostro falso dentice, ossia bufala, 
ancora nel numero delle spine, di cui so- 
no corredate le diverse pinne del suo cor- 
po; e Linneo medesimo tacitamente fa com- 
prendere, che essa. Hurta è assai simile al 
dentice, dacchè si mette a chiedere, se det- 
ta Hurta non sarebbe per avventura un 
medesimo. pesce col dentice, az Denzex? 

I Tordi e i Merli sono da’Sardì chia- 
mati col nome o provenzale o genovese 
che vogliam dire, di Roccali; e per tutte 
quante le spezie di essi o merli o tordi, 
non vi è, se non unnome solo; tutti sono 
Roccali, sieno essi. merli o tordi, sien tordi 
verdi, o rossi, o di qualunque altra tinta; 
sien piccoli, o sien grandi. Questo genere di 
pesci germina. assai. intorno agli scogli sar- 


A 


rat 

di; e ve ne ha di molte spezie; ho avuto. 
tordi variati de’ più bei colori azzurri, ver- 
di, e rossi, li quali ben potrebbono essere. 
il Pesce Pavone; altri tordi ho avuto pic- 
coli, e con loro macchia nera alla coda; 
ima le spezie più copiose sono i tordi ver- 
di, c i rossi. La toro carne poco si apprez- 
za, perche assai più che non del leggiere e 
del morbido, si fa quì caso del sodo e del 
resistente. 

Sono andato con grandissimo impegno 
in traccia di quel pesce, che Linneo insie- 
me co’tordi, e co merli registrò sotto il 
genere Zabrus; ea cui esso pure come al- 
th naturalisti ateribuisce il nome di Zulis. 
E non era egli convenevole di volere co- 
noscere ad ogni modo questo pesce, dacchè 
Linneo il chiama il più vago pesce fra 
quanti ci vivono in Europa? Formosissimus 
piscis Europeorum ob colores varios, L'au- 
tor medesimo veramente il fa soggiornare 
nel mar genovese, habitat. Genza ; ma i 


luoghi di abitazione da Linneo assegnati, - 


123 
non sono sempre luoghi esclusivi di altri 
luoghi abitati similmente. Perciò non dis- 
perai di potere scoprire il bel /ulis anco- 
ra ne mari sardi, e l’ ho scoperto in effetto, 
Mi sono fatto a questa spedizione co’ pes- 
catori genovesi di Camuglio, che sono i 
corifei della pesca in non poca parte del- 
la Sardegna; e colla loro direzione ho col- 
to alla lenza il Zulis nelle marine della Nur- 
ra. Ho colto, dico, il /ulis perchè cogliem- 
mo la Zisurella j e zigurella dicono gli au- 
tori, chei Genovesi chiamano il Zu/is. Ma 
quando ancora nessuno il dicesse, sarà chia- 
ro per se stesso, che la genovese zigurella 
è il /elis de naturalisti. La zigurella è un 
pesciolino lungo intorno a tre pollici; for- 
nito di tutto quel numero di spine nelle 
diverse. sue. pinne, che i naturalisti. attri- 
buiscono. al. fulis.; ha essa in oltre una pin- 
na. caudale indivisa come i tordi, l’ano in 
mezzo al corpo, una iride vermiglia all’oc- 
chio, e lista gialla tirata peri fianchi dal- 
la testaalla coda; lineamenti tutti, che for- 

2 


124 

mano la descrizione del Iz/is. Cogliemmo 
adunque la zigure/la, e con ciò cogliem- 
mo il sospirato Iulisj.e però il /uls oltre 
al mare ligustico abita ancora nel mare 
sardo. Ma laddove io mi aspettava di dover 
rimanere incantato della bellezza di questo 
pesce, e di doverci trovare stemperati ad- 
dosso in tutta la loro vivacità, quanti co- 
lori nel più perfetto spettro fa vedere il 
più perfetto prisma inglese: rimasi stordi- 
to di mon trovare nel medesimo, se non 
una bellezza mediocre ,. assai inferiore a 
quella, che si ammira in varie spezie di 
tordi. Bella mi parve la vermiglia iride, 
bella la macchia azzura appiccata agli oper- 
culi branchiali, bella la laterale lista gialla; 
ma oltre. a queste bellezze non ci trovai 
altro da ammirare; bianco era il ventre, 
bianca lista seguiva sopra la gialla, indi 
veniva il dorso fosco, e un poco di rosso 
o giallo sparutamante tingeva le pinne, Avrei 
dubitato non fosse l’impressione dell’aria, 


o l’estinzion della vita, che avesse alterata 


i ì2 
la beltà del pesce, se non avessi veduto i 
pesce vivo e guizzante tuttavia, € nell’ar- 
to d’ uscire dal mare; avrei ancora dubitato 
‘non fosse la poca bellezza da me trovata 
una accidentale imperfezione del pesce dà 
me veduto, se un solo veduto ne avessi, 
ma in quantità ne viddi, e li viddi tutti 
cotanto inferiori alla aspettazione. Dubitai, 
i10n fosse la imperfezion veduta effetto della 
allora‘corrente stagione; poiche alcuni pesci 
pure in mare, come altri animali in terra 
cangiano livree e colori al cangiare delle 
stagioni; ma poco credibile mi parve, che 
nella allora corrente stagion di primavera 
il pesce dovesse essere men bello; che in 
altre stagioni men liete. Conviene adunque 
dire, che siccome ci sono climi in terra, 
così ci sono climi in mare, e come una 
spezie medesima d’uomini, di quadrupedi, 
e di uccelli in questa parte della terra si 
conforma e si colora ad un modo, ed im 
altra in altro : così in mare talora i pesci 
second» Je diversità locali ricevano diver- 


126 

sità di apparenze: e converrà dire, che il 
Iulis sia lun de pesci più soggetti a varia- 
re secondo la varierà de' luoghi, che esso 
abita: la qual cosa vieppiù si conferma ve- 
dendo le svariate descrizioni, Je quali del 
Iulis si fanno dai diversi autori (@); 
onde è venuta la opinione, che vi fossero 
diverse spezie di Iu/is , le quali proba- 
bilmente non saranno che varietà d'una 
spezie medesima. Converrà dire finalmen- 
te, che in questa facilità di ricevere le im- 
pressioni de’ diversi mari la zigurella è sfor- 
tunata in Sardegna, che il mar sardo le è 
nemico, che il sardo mare le cancella quasi 
tutti i suoi colori dell’arco in cielo, che 
perfino le sdenta-la sua laterale benda, fa- 
cendola di ondeggiante e gentilmente denta- 
ta, che essa è, rimanere diritta; tesa, e 
senza grazia alcuna. 


(a) Per prova delle varietà delle descrizioni si 
confrontino solo queste due: 

Lateribus cerulescentibus , vitta longitudinali fulva 
utrinque dentata. Lin. syst. nat. 

Lateribus . linea alba utringue sinuara varins, Grons 
mus. 2. n.184, 


127 
Linneo fra i ‘caratteri distintivi del suo 


genere Scieza annovera una fossetta sca- 
vara nel dorso, la quale serve al pesce ad 
uso di ‘adagiarvi dentro e inguainare la sua 
pinna dorsale. Ame pare che questa fos- 
setta non istia bene fra i caratteri distintivi 
di esso genere Sciera, poiche in molti al- 
tri pesci di molti altri generi si trova simil 
fossetta, siccome io medesimo ho osserva- 
to, e del ronno mi ramenta privcipalmen= 
te, che la fossa è sì grande da farci tra- 
vedere, e ‘cotanto vi si asconde dentro la 
prima pinna dorsale per altro grande, ‘che 
uom potrebbe credere ‘che in buona parte 
non ci fosse. 

CHÙe che sia di coral fossa, sotto que- 
sto genere Sciena comprende Linneo col 
nome di sciena cirrosa il pesce chiamato 
da’ Genovesi Figaro, e questa è una spezie 
di pesce sconosciuta nel mar sardo. 

Comprenpe Linneo sotto il genere me- 
desimo la Ombrina, e questa ne’ mari sardi 
si piglia grande e ottima. Comunque il Di- 


128 


zionario di storia naturale del signore di 
Bomare sia un lodevole ed utile dizionario, 
non perciò lascierà esso di avere quà e là 
alcun bisogno di correzione; e perche le 
correzioni ci si facciano, e si renda il di- 
zionario sempre più perfetto, non ho la- 
sciato alle occasioni di oppormi a qualche 
suo articolo; e per la stessa ragione non 
tacerò quanto in esso dizionario mi è acca- 
duto di osservare a proposito della Ombrina. 
Bomare parla della ombrina alla voce om- 
Bre, e a questa voce ombre appone esso la 
versione latina: Umbra marina 5 al fine poi 
dell’articolo e della descrizione di questa 
umbra marina aggiugne di più Bomare, che 
questa umbra marina è il Coregonus Thymal- 
lus di Linneo: cerco Linneo nel suos. n., ci 
trovo il TAyma/lus, ma vitrovo altresì, che 
detro Thymallus soggiorna ne fiumi d'Eu- 
ropa, habitat in Europa fluviis maritimis. 
Or come possono conciliarsi insieme queste 
due cose? come possono due pesci, l’un 
fiuamale e l’altro marino, essere uno stesso 


E A 


129 
pesce? Non perche al Temiolo in alcuni 
paesi si dà il nome di ombrina, perciò il 
Temolo è ogni ombrina: sonoci ombrine 
di fiume, e sonoci ombrine di mare: il te- 
imolo è l’una delle ombrine di fiume, e di 
questa parla Linneo sotto il genere Sa/mo 
al numero 16: ma dell’ombrina marina 
egli quivi non parla, ma bensì ne parla 
sotto al genere Sciena al numero 4, chia- 
mandola coll’usaro nome Umbra. 

Sogriono i pescatori chiamare la om- 
brina ombrina di canale per distinguerla da 
un altro pesce da loro chiamato ombrina 
di scoglio per essere questo un pesce, che 
stanzia fra scogli. Questa ombrina di scoglio 
non è altro fuorchè il Coracinus di Aldro- 
vandi, e di altri naturalisti, chiamato dai 
Genovesi Crovo, e da Romani più corret- 
tamente Corvo. Il nome italiano, e’ no- 
me latino sono amendue fondati nel color 
nero di questo pesce, per il quale esso si 
assomiglia ancora alla ombrina, e perciò 
per ombrina facilmente si spaccia. Ma più 


130 
dell'ombrina è esso nero nelle pinne del 
suo corpo, le quali sono atre., e in que- 
sto negrore delle pinne principalmente si 
fonda il suo nome di corvo: la seconda 
spina della sua pinna anale è una terribile 
spina, delle maggiori che io abbia veduto 
in pesce. A _me pare di non trovare in 
Linneo questo nostro corvo: esso è pesce to- 
racico, ed è guernito di sette raggi nella 
sua membrana branchiale, ‘e perciò dovreb- 
be trovarsi o sotto il genere Perca, o sotto 
il genere Scomber, o finalmente sotto il 
genere Trigla ; ma per poco che si consi- 
derino questi due ultimi generi, si com- 
prenderà, che il corvo nè si trova sotto 
essi, nè vi si deve trovare : dove istarebbe 
più ragionevolmente sarebbe sotto il genere 
Perca, e ciò in quella porzione di Per- 
ce, che hanno una sola pinna dorsale, e 
la pinna della coda intiera come i tor- 
di, poiche coda intieràa, e una pinna 
dorsale sola ha appunto il corvo ; ma nep= 
pure quivi il corvo si trova, € parmi on- 


131 
minamente, che il corvo sia stato da Lin- 
neo omesso e ignorato. Non è per altro il 
corvo pesce sì ignoto : il mediterraneo assai 
comunemente il conosce, e l'apprezza a se- 
gno da lasciarlo facilmente sostituire alla 
ombrina, benche non arrivi mai alla sua 
mole: e quanti scrittori prattici del medi- 
terraneo han fatto menzione di pesci, han- 
nopur fatto onorata menzione del corvo, 
come Rondelezio, Bellonio, e Aldrovandi, 
senza nominare gli antichi Greci e Latini, 
Forse Linneo intende indicarlo col nome 
Cappa sotto il genere Scieza, ma allora il 
pesce sarebbe mal descritto e pessimamente 
collocato. Che che sia della omissione di 
Linneo questo Corvo è assai frequente nel 
mar sardo, cresce al peso di molte libbre, 
e quelle ombrine, che più comunemente sì 
mangiano, non sono che corvi. 

OLtRE al Lupo, pesce anch'esso pro- 
prio de’ paesi australi, e insiem colla mu- 
rena, col rombo e colla orata sì ghiotta- 
mente ricercato da’ Romani al tempo, che 


132 | 
le austerità de’ Camilii e de’ Catoni era- 
no andate in disuso, il quale ancora fuor 
degli stagni si piglia grandissimo in mare 
vivo: si pigliano in questi mari la Barcher- 
ta, € il Mulasso come dicono i pescatori 
genovesi. Appartengono amendue al genere 
della Perca presso Linneo : la Barchetta, 
pesce di poche once, ma nel ventre e nei 
lati vagamente traversato di cilestro è forse 
la Perca marina di esso autore: e forse il 
Mulasso longitudinalmente rigato di bianco 
e di giallo col capo scarabocchiato di gial- 
lo e di azzurro è la Perca Scriba dell’au- 
tore medesimo 

Mi trovo condotto a quel genere di 
pesci, che Linneo chiama Scomber, e con 
ciò mi trovo condotto all'articolo più im- 
portante di questa storia, cioè al Tonno, il 
quale è l'una delle spezie comprese sotto 
esso Linneiano termine generico Scombder. 
Come il Tonno è l'uno de’ più importanti 
articoli del commercio e della economia 
della Sardegna, così è esso assolutamente 


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133 
il più importante articolo della storia dei 
suoi pesci, Il commercio medesimo del ton- 
no, e la grandezza della sua pesca ne ren- 
dono la storia interessante, e pongono le 
forestiere nazioni in diritto di chiederne al 
mediterraneo informazione , come sono sta- 
te informate dall’occano della Aringa, pesce 
anch'esso viaggiatore, come il tonno, e 
mercé ib viaggiare suo apportatore anch'esso 
di gran pesche e ricchezze alle nazioni. Ta- 
ciuto ha fin ora il mediterraneo, nè alla 
aspettazione e inviti altrui ha punto rispo- 
sto; poiche il poco dettone fin quì da alb 
cun lontano geografo, e da qualche super- 
ficiale scrittore siciliano, è altrettanto, che 
averne tacciuto del tutto, Risponderà per- 
tanto ora la Sardegna, poiche a lei più che 
ad ogni altra parte del mediterraneo tocca 
oggi patlare del tonno, e risponderà senza 
economia, di maniera che rimanga piena- 

mente esposto quanto risguarda il corpo, 

l'indole, f agire del tonno, e quanto tocca 
alla sua pesca e commercio. 


134 

IL Tonno è l’un de’grossi pesci del 
mare: se. esso non arriva a pesare le cento 
libbre, non è più, che uno scampiuro: se 
non oltrepassa le libbre trecento non è più 
che mezzo-tonno: dalle trecento libbre in- 
manzi principia veramente ad essere l'onno: 
ma tanto oltrepassa esso questo. segno , che 
i tonni di mille libbre non sono rarissimi, 
e talvolta si sono presi enormi tonni di 
mille ottocento libbre. Dal che si vede quan- 
to poco fossero informati della vera gran: 
dezza del tonno molti li quali ne scrissero, 
come il Savary nel suo dizionario, il quale 
per indicare la grandezza del tonno, dice 
che è grande quanto un Salmone, pesce 
ignoto al mediterraneo e proprio dell’ oceca- 
no dalle bande del baltico; e ciò dice egli 
asserendo tutto insieme, come è vero, che i 
grossi salmoni pesano da ventiquattro in 
trenta libbre. Bomare a significare quanto 
grossi tonni si piglino da Provenzali dice, 
che e’ pigliano tonni, li quali arrivano infî- 
no a cento venti libbre. Cotesti autori c 


138 
simili non ebbero notizia se non di scam- 


pitri, di tonni golfitani, e non di tonni di 
corsa, che sono veramente i buoni tonni, 
e danno la giusta idea della grandezza di 
questo pesce. Si potrebbe sospettare, che 
in.questa spezie di pesci, contro il solito, 
delle altre spezie (2), il maschio crescesse a 
maggior mole delle femmine, poiche i più 
grossi tonni, li quali si pigliano nel medi- 
terraneo sono sempre con latti. 

LA figura del tonno tondeggia in tut- 
ta la sua ionghezza: ma la coda si fa sor- 
tilissima, € termina in una ampia pinna 
semilunare. Due pinne s’ alzano sulla schie- 
na, delle quali la prima è lunghissima 
guernita di quattordici fortissime spine, e si 
estende infino a toccare la seconda, la qua- 
le poco si allarga: d'una pinna è corredato 
Yano: due sono appiccate al lati, e preci- 
samente sotro esse due altre pinne vi sono 


(a) Famine in omni cartilagineo genere major quam 
mes est, quod idem fere velin careris generibus piscium 
esse constar Artist. de Hist, An. lib. s. c. 5. 


136 

all’addomine. Oltre a queste pinne di es- 
senza, due filari di pinnette gialle da Lin- 
neo chiamate pinne spurie guerniscono la 
coda, l'uno sopra e l’altro sotto, e nove in 
dieci pinnette sì fatte parmi avere con- 
tato sempre per parte: dico nove in dieci, 
perche quelle scrupolose degradazioni, che 
la natura prattica, bene spesso arrivano a 
segno, che la natura vi lascia in mano con 
core le quali non sapete cosa si sieno, € 
pajono mezze entità, propriamente collocate 
per dividere to spazio tra la cosa e'È nulla: e 
così in queste pinnetre, le quali vanno impicco- 
Jendo a misura che siavanzano verso la pun- 
ta della coda, si-arriva nella estremità a tale, 
che uom non sa più se sia pinnetta o nò: 
e per questa ragione sono ancora nel nu- 
mero di esse pinnette sì poco concordi gli 
autori tra loro, che Linneo ne conta otto, 
Artedi otto o nove, Leftingio assolutamen- 
te nove, Brownio nove sopra, e otto sot- 
to:edio malgrado mio mi veggo obbligato 
di accrescere la discordia, dicendo nove 0 10: 


137 
ima parmi di meritare qualche fede avendo 
fatte le mie osservazioni, ove tonni pen= 
devano a migliaja. Aristotile chiama il ton- 
no. pesce discio. (levis), e Plinio il chia- 
ma lubrico, e liscio il chiama pure Lin- 
neo; le quali espressioni sembrano indica- 
re mancanza di squame, Nondimeno di 
squame e di squame ben grandi è fornito 
il ronno: ma sono esse sì strette al cuojo, 
che quasi non appajono, e ciò diede per 
avventura occasione di chiamare il pesce /i- 
scio. Di spessi, sottilie acuti denti sono for- 
nire amendue le mascelle del tonno, ma so- 
no denticelli da pescetto , e niente propor- 
zionati alla mole del resto. L'itide dell’oc- 
chio è argentina: il colore del corpo sopra 
il dorso è livido ossia piombino cupo, che 
par nero , poi. si rischiara fino a diventare 
tutto bianco nel. ventre. Non è credibile 
quanta varietà di carni si trovi.in, questo 
pesce: quasi ad ogni diverso luogo, ad ogni 
diversa profondità, a.cui il:colrello la tenti, 


si trova diversa: soda. in un luogo, morbi. 
a 


138 

da in altro, quà sembra carne di vitello , 
la imita il porco. Cento svariate parti se 
ne tanno quindi, € si condiscono scparata- 
mente e ve un numero di vocaboli per 
tutie esse da opprimerne la' memoria. La 
piu apprezzata paite fra tutte nondimeno 
si è quella medesima , la quale al tempo, 
che ic Divinita mangiavano, fu. giudicata 
degna «i essere messa innanzi al padre di 
tutti i Dei, cioè la Pancia, che in termine 
tonnaresco s1 deve dire Sorra. Questa è re. 
almente una preziosa parte, dottata di mor- 
bidezza; di sugosirà, di sapore, di sostan- 
za, e meritamente per €ssa, tresca o sala. 
ta che si spacci, si esige il aoppio del prez- 
zo, che si paga per la messa, altro termi- 
ne tonnafesco, con cui si significa la ‘car 
ne di seconda qualità del tonno. 

Verso la fin d’aprile apparisce il ton- 
no repentinamente nel mediterraneo in gran- 
dissima quantità dopo una quasi total. ne- 
gazione preceduta per lo spazio di otto in- 
rieti mesi, Potrebbe una apparizione sì 


139 
fatta essere non'altro, se non una emer- 
sione, la quale il tonno facesse dai profon- 
di gorghi, ove esso avesse svernato: come 
mi sembra avere letto de’ naselli della im- 
mensa .secca di Terranova. Che i tonni nel 
verno soggiornino cheti, e profondamente 
sott'acqua non è dubbio, e l’asserirono 
già gli antichi naturalisti Aristotile e Plinio; 
ina piu. che l'autorità il dimostra l'osser- 
vazione fattibile ne’ medesimi mari sardi, 
ove ne mesi iemali sonosi scoperti tonni 
in grandi compagnie sepelliti nella maggio- 
re profondità de’ golfi, e. perciò detti go/- 
firani. Vero è pertanto, che il tonno raffred> 
dandosi la region superiore dell’acqua và 
a trovare la tepidità nel fondo, e vi dura 
infinche la region superiore non si rattem- 
pri da capo: emergono adunque i. tonni in 
primavera, ene emergeranno pute nel me- 
diterraneo, ma quei che formano la abbon- 
danza, o come dicono i pescatori la manna 
del mediterraneo, emergono. altrove, nell’ 


oceano, € sono avveniticci: nel. mediterra- 
2 


2,49 

neo, e nel mediterraneo medesimo sone 
viaggiatori. Il ronno adunque, di cui il me- 
diterraneo si empie alla fin d’aprile, è ton- 
no in corsa, € la corsa incomincia infin da 
oltre allo stretto d'Ercole. A togliere ogni. 
dubbio su questo punto basterebbe la. as- 
serzione costante di tutti i pescatori di. tut- 
ti i tempi; ma è facile dimostrarlo. dalla 
osservazione. E primieramente, che il ton- 
no di primavera sia nel mediterraneo tonno 
in corso, si fa manifesto. dalla influenza. 
d'una tonnara sopra l'altra. Si distinguono 
le tonnare sopravenzo, e le tonnare sozza- 
vento : coi quali vocaboli non si indica al- 
tro, se non una relazione di sito d'una ton- 
nara all'altra, di maniera che una tonnara 
medesima è sopravento risguardo ad una 
tonnara, e sottovento risguardo ad. altra. 
La siruazione sopravento è quella, la qua- 
le si giudica più. avanzata verso la venu- 
ta del tonno, e quella situazione, la quale 
si giudica avanzata meno, risguardo alla pri» 
ma è sottovento. Così nella costa settentrio» 


i i 141 
nale della Sardegna Cala 77 ipnolaè tilievoni 
to risguardo a Pedras de Fogu, e quindi Pe- 
dras de Fogu.è sottovento risguardo a 
Cala Vignola, ma Pedras de Fogu è poi 
sopravento risguardo alle Salize. Or le 
tonnare a misura, che sono sopravento, pre- 
giudicano di fatti, e impediscono quelle, 
che sono sottovento; e sono loro quindi 
una spina nell'occhio , e un perpetto ogget- 
ro di querele, e di tentativi per farle ces- 
sare o con artifizi 0 con trattati; siccome è 
avvenuto nella costa occidentale della Sar- 
degna, ove Capo Pecora è giudicato da 
alcuni il più vantaggioso posto per la pesca 
de' tonni, ma Porto Scus per essergli esso 
Capo Pecora sopravento , lo ha combat. 
tuto , e obbligato a rimanersi inerte ; 
Quindi i contratempi delle tonnare sopra» 
vento sono la fortàna delle tonnàre sotto- 
vento; se la borrasca straccia le reti sopra- 
vento, 0 lo Spadà le fende sprigionanda 
se eltonni, latonnara sottovento piglia di 
presente, € s'empie di quello, di cui la 


1:42 

tonnara sopraventò si è Votata ; sòpravento 
si grida, si corre, si rattoppa, si maldice 
la soite: sottovento si fa festa:, e si ammaz- 
za. Inoltre lo stato florido presente delle 
tonnare sarde non è dovuto se non alla 
decadenza delle tonnare spagnuole e por- 
toghesi ; la qual cosa tutto insieme con- 
ferma. che il tonno fa corsa nel mediter- 
raneo ., e dimostra che la corsa viene dall 
oceano per lo stretto, e siegue la direzio- 
ne: da Ponente: a Levante. 

Diverse sono le cagioni, alle quali 
si è attribuita da diversi la venuta del ton- 
no dall’oceano nel mediterraneo. Paolo 
Giovio l’attribuisce al timore, di maniera 
che la venuta del tonno nel mediterraneo 
è una fuga, e il mediterraneo è al tonno 
un asilo contro un fiero nemico, il quale lo 
incalza. Il fiero nemico è lo Spada, da cui 
racconta Giovio, si dà una sì crudel caccia 
a’tonnilà nell'oceano atlantico, che i greg- 
gi de’ tonni senza consiglio con folla e tu- 
multo sisalyvano nel mediterraneo. Ad una 


| 143 
‘cagion simile ‘attribuiscono i Francesi lar- 
rivo de merlani alie loro coste, attribuen- 
dolo alla fuga dalla persecuzione de’ naselli 
nel mare settentrionale (2), L'avviso di Gio- 
vio forse gli nacque in capo leggendo in 
Istrabone ,. che gli. Xifli, cioè Pesci Spada, 
ingrassano de tonni. Ma onde il Giovio pes- 
casse una sua sì fatta notizia, essa è falsa 
evidentemente. Non la combatterò colla ra- 
gione d'una persona per altro di grandissi- 
ma autorità in tutto quello, che tocca il 
tonno , cioè colla ragione di un Rass, li quali 
farò vedere a suo tempo, che uomini sono 
in una tonnara. Diceva questo Rais, ché 
quanto il Giovio, da me nominatogli e da 
lui pochissimo curato, asseriva non era pos- 
sibile attesa la sola diversa natura dello spa- 
da, e del tonno: per la quale essi sempre se- 
guono cammini diversi, e da non doversi 
mai trovare vicini; il tonno viaggia nel pro- 
fondo, c lo spada nel sommo; laonde sono 


(e) Pluche, spett, de la nat. 


144 

pesci di regioni diverse, esigenti di loro 
natura, che fra l’uno c l’altro s interponga 
sempre un grandissimo intervallo, equiva- 
lente alla interposizione d' un muro. Con 
questa ragione non mi opporrò già io al 
Giovio; perche comunque de due pesci in 
quistione l’uno ami il sommo, e l’altro limo, 
non perciò si dirà, che all’occasione non 
possa lo spada avventarsi all'imo; poiche 
esso spada è pure l’un di que pesci, che 
hanno il nuotatojo , cioè quella vescica pic= 
na d’aria, mediante cui possono i pesci a 
loro voglia scendere e salire nelle acque. 
Meglio sarà combattere il Giovio colla os* 
servazione totalmente opposta alla asser- 
zione sua. La quale osservazione in sostan- 
za è questa, che fra il tonno ec lo spada non 
ci è nimistà, nè ostilità alcuna; nè il ton- 
no si spaventa dello spada, nè lo spada ves- 
sa il tonno; ciò si osserva bastevolmente in 
que’ pochi spada, li quali insieme co’ tonni 
arrivano in Sardegna, e insiem co’ tonni en- 
trano nella rete; la loro vista, la loro pre- 


145 
senza, la loro compagnia non fa più spezie 
a'tonni di quel che faccia la vista d'un altro 
tonno; e ben lungi dall'essere nemici, sem» 
brano conoscenti e compagnoni cari. In fat 
ti, se lo spada fosse così fiero divorator 
de tonni come dice Giovio, sarebbe lo spa- 
da temuto da’ pescatori ugualmente che la 
Lamia, e per la stessa ragione; il temercb- 
bono anch'esso come un mostro, che me. 
nando strage, e mettendo confusione e spa= 
vento ne tonni gli svia, li dissipa; e perciò 
del suo arrivo si porrebbono i pescatori 
ugualmente in allarme, che dell’ arrivo del- 
Je lamie, e avrebbono contro lo spada scon- 
giuri terribili ugualmente; che i preparati 
contro le lamie. Qualche inquietudine è 
vero desta pure lo spada ne’ pescatoti; ma 
non viene essa se non da quella appren- 
sione medesima, per cui ancota antica- 
mente i pescatori facevano voti a Nettu- 
no, che lo spada non venisse nella rete 
co’ tonni; temono non urti esso col suo pu- 
gnale nella rete, e dilacerandola apra a' ton- 


T46 

‘ni il varco alla fuga; la qual cosa rion'è 
gia temere, che lo spada faccia danno ai 
tonni, ma bensì temere non faccia loro ser- 
vizio-in danno de pescatori. 

Hanno pensato altri; che il tonno 
venisse nel mediterraneo spinto dal bisogno 
di figliare, andando per tal bisogno infino 
al mar nero., unico luogo acconcio alla 
sua figliatura. Così accennò Aristotile, e 
chiaramente l’ asserì Plinio. Ma che nel 
mar nero unicamente figlino i tonni è gran- 
demente falso, e forse neppure ci figliano. 
E falso dico, che nel mar nero unicamen- 
te figlino, poiche nel mare sardo pure si 
scaricano essi delle uova; e uova loro si 
trovano attaccate alle medesime reti, den- 
tro le quali sono stati rinchiusi. Anzi piut- 
tosto fuori del mar nero, che dentro esso 
sembra, che i tonni figlino. Il maggio , quel 
mese sì generalmente destinato dall'alma 
matura al rifacimento delle spezie median= 
te la nuova progenic, è pure il mese de- 
stinato al rifacimento de tonni ; in maggio 


147 
le loro uòva sono più pienè, e bella per- 
fezion del granare, € in giugno principian 
tosto le uova a dechinare, come tutta la 
sostanza del tonno. Or durante il maggio 
sono i tonni ancora lontani dal mar nero; 
poiche per tutto quel mese, e per una gran 
parte del giugno si fa la cattura di essi nel 
mare sardo e nel siciliano; sicche i ‘tonni 
non sembrano ‘arrivare nel mar di Ponto 
se non. in giugno, . quando la buona sta- 
gione del figliare è già passata. Ma neppure 
nel restatite del mediterraneo crederò io, 
che i tonni vengano per figliare; ci figliano 
perche ci vengono, ma non vengono pet 
figliarci. Io consentirò , che dugento, e an- 
cora tre o quattrocento mila tonni arrivino 
annualmente dall’ oceano nel mediterraneo; 
ma che tenue porzione è questa in parago- 
ne degli innumerabili tonni, li quali esisto- 
no, qualunque sia la parte dello stermina- 
to oceano, in cui si debba collocare ia ve- 
race loro sede? a vedere quanto piene e 
sicclie sono le loro ovaje, io non dubiterei, 


148 

che l'occhio di Loevenock non ci dovesse tro- 
vare una moltitudine forse prodigiosa ugual- 
mente che quella trovata ne’ naselli; nè ame 
pare punto esagerazione incredibile , che ad 
Alessandro il Grande i tonni dessero già 
gran Briga per passare co’suoi navigli, tan- 
go ne trovò zeppato e aggrumato il mare 
d'India. Or se tanti tonni esistenti possono 
figliare, altrove, come potrà credersi, che 
1 tonni vegnenti nel mediterraneo ci ven- 
gono per bisogno di figliare? Richiamerò 
piuttosto la venuta del tonno alla cagion 
medesima, a cui ho attribuito il viaggiare 
degli uccelli. L’esca;, i viveri mancheranno 
forse in qualche luogo ai tonni troppo ivi 
moltiplicati; e in traccia di viveri si distac= 
cherà parte di essi dalla restante moltitu= 
dine, e questa verrà a cacciarsi nel medi- 
terraneo. Esca certamente, e molto cara 
esca trovano i tonni nel mediterraneo ; tro= 
vano le sardelle, trovano le acciughe, ghiot- 
tissimo loro pascolo, e oltre a questi pesci 
trovano ancora la Ghianda, Di questa ghian- 


149 
da parlò già Polibio Magolopolitano sic- 


come di cibo, di cui il tonno grandemente 
impingua, per modo, che Ateneo giudicò 
potersi il tonno perciò chiamare a ragione 
porco mazino, titolo ancor oggi spesso da- 
togli da’ pescatori, non tanto, credo, pet 
la ghianda, che mangia, quanto per lo 
lardo , di cui si empie. Or questa ghianda, 
di cui il sempre veritiero, Polibio scrisse ; 
ed esiste in realtà, ed esiste nel mar medi» 
terraneo, come ne fanno fede lo stomaco 
del tonno e Je spiagge del mare; lo stoma= 
co del tonno, perche in esso le ghiande 
si trovano. belle e intiere ; le spiagge, perche 
esse di dette ghiande spesso si veggono ri: 
coperte, e l’anno 1765 fra gli altri le spiag- 
ge sarde se ne viddero stranamente ingom- 
brate. Sono ancora assicurato , che l’al- 
bero producitore di simili ghiande alligna 
in Sardegna e lascia cadere in mare i suoi 
frutti, \ 
QuarunQue sia la cagione, per cui il 
tonno passa lo stretto, esso, passato lo stret- 


159 

to. piglia ugualmente il cammin dell’ Africa, 
e il cammin d'Europa. Che parte de’ tonni 
venga radendo l'Africa, e infili a dirittura 
il cammin di levante, il rendecerto l’irre= 
fragabile autorità de’ Rais, e il conferma- 
no i progetti. più: volte stati. in sul tapeto 
di piantare ronnare in Barberìa, e la ton- 
nata effettivamente da qualche anno esisten- 
te presso.a Tunis: Ma pure il poco fiorire 
delle ronnare africane, el totale dicadi- 
mento delle levantine. dopo che a:pescare 
si mise il’ Europa!, fa vedere; che il gros- 
so de tonni alla uscita dello. stretto si 
tiene più dalla, banda d’Europa. Come il 
popolo delle. aringhe discendendo. ogni an- 
no dal notte, si separa con divisioni e sud- 
divisioni replicate in più squadre, alla gui» 
sa, che fanno gli eserciti. per camminare 
con minore disagio: così camminano i ton 
ninel mediterraneo. alla.volta di levante in 
diverse compagnie, e per vie diverse. Por- 
zione de’'tonni passa la Spagna, la Francia, 
la.Liguria, e imbocca il canal di Piombino. 


l IST 
contro. questi sono tesi nell'isola dell’ Elba 
due possenti aguari ossia tonnare in forma 
l'una a Marciana, l’altra a Porto-ferrajo. 
1 tonni salvatisi da questo. passo con altri 
forse varcati fra l'Elba e la Corsica prose= 
guendo lungo l’Italia ritrovano un altro 
passo armato contro di loro al Tarantel- 
lo di Napoli ; ma il più terribile po- 
sto è la costa siciliana da Melazzo infino. 
a Trapani, tutta quanta ingombrata di ton- 
nare per modo, che si impediscono fra lo- 
ro. Que’ tonni i quali per sì malamente elet- 
ta strada sono giunti salvi infino a dar volta a 
Trapani, da indi prosieguono omai con 
poco disturbo il loro pellegrinaggio al le- 
vante, Malta non li tribola più, e qualche 
tonnara levantina di Monza e Leva poco 
li disturba. 

ALTRI tonni, o perche camminarono 
più lontano da terra, o perche alle coste di 
Trancia e di Liguria, diedero volta ver- 
so scilocco , vengono a scontrarsi. nella 
gosta occidentale della Corsica, Contro que= 


152 
sti si tentò. già inutilmente di porre anni 
sono una tonnara a Figari, nè so qual 
esito avrà avuto quest anno la ideata. ton- 
mara di san Fiorenzo. Questi tonni corsi 
discendendo lungo la Corsica parte iscap- 
pano per le bocche. di Bonifacio, parte 
arrivano in Sardegna, ove hanno contro 
di sei nomi di molte tonnare, Porto Vi- 
gnola, Cala Agostina, Pedras de Fogu, Sa- 
line, Trabuccadu, ma di fatti non sono 
oggi predati se non dalle Saline, e dall’ 
ancora debole e mal sicuro Trabuccadu. 
OLTRE a questi tonni, li quali discen- 
dendo lungo la Corsica vengono a girare 
nella parte settentrionale della. Sardegna; 
altri e più copiosi; e più pronti tonni ven- 
gono portati da maestro alla spiaggia della 
Sardegna occidentale. Questi cessarono più 
presto dal costeggiare la Spagna e la Fran- 
cia, e più presto piegarono verso scilocco, 
€ però vengono a fare liete di se le tonna- 
re sarde occidentali, principalmente le sedu- 
te giù all'angolo di Porto Scus; che gli angoli 


153 
sono sempre fatali a’ tonni, come mo- 


stra oltre all’ angolo di Porto Scus an- 
cora l’ angolo Siciliano di Trapavi . I 
tonni sardi scampati dalle tonnare danno 
volta verso oriente anch’ essi, e vanno a 
toccare infin la Sorìa e i più rimoti seni 
del mare nero. 

UnA, osservazione fecero gli antichi 
sopra il camminare dal tonno tenuto nel 
mar ‘nero : osservarono , o almen cre- 
dettero osservare , che il tonno entrando 
nel mar nero si metteva sempre a costeg- 
giare la riva destra, e ritornava per la 
sinistra; con che veniva esso a tenere sem- 
pre rivoltato alla riva |’ occhio destro ; 
come se il succeduto nel loro mare Fus- 
sino fosse |’ idea di quanto succede- 
va in tutto il monde, si misero que’ vera- 
mente leggieri Greci a dire, che il ronno 
marciava sempre con l’ occhio destro ap- 
poggiato alla riva; e per un altro passo della 
leggerezza greca aggiunsero di più la con- 


L; 


154 

seguenza, che il tonno ci vedeva più dall 
occhio destro, che non dal sinistro; e quin= 
di fabbricarono ancora un loro modo di si- 
gnificare che altri civedeva meno dall'occhio 
sinistro, che non dal destro, dicendo, che ci 
vedea al modo de’ tonni. Lo specioso è, 
che sì fatta dottrina greca dura ancora oggi 
fra molti pescatori, i quali senza saper per- 
che, dicono anch’ essi, che il ronno è buon 
veditore dalla banda destra, ma meschino 
dalla sinistra. Dal solo fondamento sopra 
cui si è appoggiata sì farta inuguaglianza 
della facoltà visiva, si vede che essa è po- 
co credibile; ma di più ogni cosa la mostra 
falsa: primieramente esaminando gli organi 
della visione, si trovano amendue il destro 
e’l sinistro similmente conformati, e per- 
fettamente uguali; inoltre gli attenti pesca- 
tori assicurano non essersi avveduti mai di 
cosa , la quale potesse indicare una sìstrana 
disuguaglianza ; e finalmente quando il ton- 
no nella sua corsa costeggia la Spagna, la 
Francia, l’Italia , la Corsica, la Sardegna 


155 


cammina pur esso allora dando alla terra 
l'occhio sinistro ; di mivaniferà, che seconda 
il ragionare de’ Gieci converrebbe dire, ché 
il ronno costeggiando Europa ci vede più 
acutamente dall'occhio Sinistio, ina quan- 
do giugne al mar nero, l’acutezza lascia 
l'occhio sinistro e' passa nel destro, 

Aira metà di Luglio prifcipia il tonno 2 
ricomparire in Sicilia di ritotno dal levante 
incamminato da capo all'oceano; tonno lan 
go ) magro, e meschino. Non ostante la tri- 
sta condizion ‘sua |’ avaro uomo l’apposta 
di nuovo, da capo il tribola' colle tonnare 
di ritorno ; Sicilia ne ha molte; una sola 
ne ha ora la Sardegna a Pulla, ma for- 
se più ne avrebbe ancora la Sardegna, se 
al tempo di pescare il tonno di ritorno non 
girasse per la Sardegna medesima una Lamia 
terribile: a” pescatori. più di quel che essi 
possano essere avidi de' tonni, cioè l'intem- 
perie. Altretonnare di ritorno si trovano pure 
nella Spagna; e così il tonno perpetuamente 
assalito, perseguitato, intaccato., smembra- 


2 


156 

to arriva finalmente da capo all'oceano, 
senza che la sofferta strage l’impedisca di 
rivedere l’anno seguente il mediterraneo in 
moltitudine uguale. 

ANTICAMENTE a tempi d Aristotile, di 
Strabone , di Plinio, e di Eliano le famo- 
se pesche de’ tonni si facevano alla punta 
di Bizanzio, la quale perciò si chiamava 
il Corno d’oro. Insieme alle arti, alle scien- 
ze, alla libertà perì nella Grecia ancora la 
pesca, e il nome d’oro non rimase alla 
punta bizantina se non nel morto linguag- 
gio de’ libri, Fiorirono appresso grandemen- 
te le pesche di Portogallo, c di Spagna; ma 
soffrirono anch'esse. l’ineluttabile vicenda 
delle cose della terra, c perirono dopo mol- 
ti secoli di fiorimento limprovisamente non 
sono molti lustri. Salirono allora più che 
mai in fiore Sicilia e Sardegna, c vi durano. 
tuttavia; amendue queste isole sono in fio- 
re, ma alla Sardegna si deve il. principato; 
e l’antico corno bizantino passato già a. 


1}7 
risedere nella Conil'd’ Andaluzia, oggi risie- 
de veramente in Sardegna. 

Sei furono le ronnare sarde nella pri- 
ma loro epoca dopo la scoperta verso la 
fine del secolo decimosesto fatta da Pietro 
Porta del passaggio de’ tonni in questi mari; 
tre si aprirono nel lato settentrionale, ciò fu- 
rono Porto Vignola, Cala Agostina, e le Saline 
di Porto Torres, ed altrettante si aprirono 
nel lato occidentale, l'una a Pittinuri, Val: 
tra a Porto Paglia, la terza a Porto Scus. 
Delle tonnare settentrionali le sole Saline 
tono rimaste costanti; vicende perpetue han- 
no sofferte le altre: Vignola e Cala Agosti- 
na furono abbandonate; si armò invece lo- 
to Pedras de Fogu, e Pedras de fogu or fu 
Attiva, ©r oziosà, e al presente rimane so- 
pressa per buoni patti avuti dalle saline, è 
cui essa Pedras de Fogu è sopravento; di ma- 
niera, che nel lato settentrionale peschereb- 
bono or le saline sole, se non che l’antò 
scorso si fece un tentativo di nuovà pesca 
nell Asinara al Trèbuccadu; tentativo che 


158 

fè sperare assai fo scorso anno, e lascia con 
molto dubbio l’anno presente. Miglior sor- 
te. ha avuto il laro occidentale: le prime 
tonnare , sonosi mantenute, e ne varj tenta- 
tivi fatti: in seguito, altre nuove vi si sono 
aggiunte. I tentativi sono stati infruttuosi a 
Porticciuolo. e a Capo Galera; ma sono 
riusciti ottimamente all'Isola Piana, a Ca- 
lavinagra, e sonosi ancora aggiunte altre 
tonnare. 

IN virtù di queste tonnare maraviglio»= 
samente si avvivano le spiagge sarde quan 
do viene il tempo della pesca. Sonoci ad 
ogni tonnara edifizj deve più , dove me- 
no ampj e agiati. Fino ad aprile la tonnara 
tace ed è diserta; ma principiato aprile ogni 
tonnara diviene un luogo di strepito di 
facende e di arti; un mercato, una popola- 
zione composta di categorie diverse; e in 
mezzo all'interesse e alla occupazione un 
luogo di religione e di cortesia. La gente 
vi arriva ugualmente dalla parte di terra, 
e dalla parte. di mare; e come le case e le 


159 
baracche si empiono di gente di terra, così 


la spiaggia si guernisce di bastimenti per ser- 
vigio della pesca; li quali si rierescono coll’ 
arrivo delle varie nazioni, che vengono al 
mercato del tonno. 1 bottai, e i ferrai for- 
mano i più solenni strepiti alle tonnare; 
la ciurma fermenta a stendere, rattoppa- 
re, comporre la immensa rete; bastagi e fo- 
raci sono in moto a trasportar sale e quan- 
to altro occorre. Al padron della pesca u- 
gualmente che il buon ordine della tonna- 
ra ne lavori, e nella società della sua gen- 
te, preme la osservanza della religione sic- 
come articolo, da cui giudica dover dipen- 
dere non poco il buon esito della pesca; 
perciò esso adduce seco ancora ìl suo clero;da 
cui si fonziona con una regolarità da far ono 
re a qualunque ottimamente regolato popolo. 
Conduce esso inolrre seco persone di mag- 
giore sua confidenza e sicurezza; le quali 
col nome di Ufficiali sovrastano, vegliano; 
sollecitano ; fanno gli ordini eseguire. 


169 

MA il primo uomo, e il più impor= 
tante pezzo per gli interessi del padrone si 
è il Reis, che viene ad essere il direttore 
della pesca. Quanto si può pensare di re- 
lativo alla pesca del tonno, luogo, modo, 
e tempo, tutto dipende dal Bais. Convie- 
ne pertanto che il Rais sia primieramente 
un uomo di una\incorrotta fede, incapace 
di tradimento verso il suo principale, per 
favorire alcuna tonnara vicina. Alla fede 
deve aggiungere una pari intelligenza, sa- 
gacità, e attività. Intelligenza per cui pie- 
mamente conosca l'indole del tonno; saga» 
cità in avvedersi d’ogni menoma cosa, di 
una punta di terra, d'un rialto, d’un co=- 
lere nel fondo del mare, che possa influire 
nella pesca. Deve sapere istudiare tutto, e 
dopo un ben maturato sistema di cose 
pianterà con celerità e fermezza in alto 
mare un vastissimo edifizio di rete atto a 
reggere come uno scoglio contro le borrasche. 
Piantata la rete sarà infaticabile a visitarla, 
e a riconoscere l'avviamento della pesca. 


67 
Prevederà le procelle colla segacità di un 
piloto per non impegnarsi in un atto di pesc& 
mal a proposito; e nel dì che s' ha da ma- 
cellare, saprà sbrigarsene in brieve ora, € 
dentro la misura, che le circostanze richie- 
dono. Da queste qualità del Rais dipende 
in gran parte la buona fortuna; e però do- 
po Domenedio l’esito della pesca si aspet- 
ta dal Rais. Il Rais pertanto è l’uom più 
accarezzato alla tonnara, siccome vi è il 
più autorevole. Altro nome quasi non si 
ode risonare se non quello del Rais, nè al- 
tra voce vi si eleva più autorevolmente che 
quella del Rais, Sì importante posto viene 
oggi coperto in Sardegna da’ Genovesi o dai 
Siciliani; Siciliani però sono i Rais più co- 
munemente, siccome aventi una grande scuo- 
ta nel loro paese, non solo della pesca dei 
tonno, ma di ogni altra pesca, genere di 
esercizio, in cui i Siciliani sono veramente al 
sommo induscriosi e indefessi. 
Turto aprile si spende in disposizio- 
ni; il giorno tre di maggio si stringe più 


162 
l'affare, si.deve incrociare la tonnara. Tal . 
funzione tocca al Rais, e non è essa altro 
se non ;la manifestazione, la quale il Rais 
fa del sistema da se fissato! intorno al luo- 
go, ove vuol collocare la rete ;. ircrociare 
la tonnara pertanto non vuol dire altro, se 
non fare in mare una traccia, la qual serva 
di norma alla collocazione della rete, sic- 
come l’architetto segna in terra con pali e 
funi la direzione, secondo la quale deve 
sorgere l’edifizio. Se non che il Rais a trac- 
ciare il suo disegno non-usa pali, ma due 
corde chiamate inzizo/e, le quali egli ferma 
a gala dell’acqua parallele fra loro, e rap- 
presentano i due massimi lati del gran pa- 
ralielepipedo della rete. 

Ir giorno dopo l'incrociamento, se 
ostacolo non vi si oppone, si dee mezzere 
la rete a bagno; parte essa, benedetta pri» 
ma solennemente dal clero della tonnara; 
ripartita sopra più bastimenti. Dalla pianta 
e profilo incisi si vedrà la forma e la vasti- 
tà della retejla quale a ragione si può chia+ 


163 
mare un.arditissimo edifizio piantato in mez- 
zo al mare, incui paragone le pesche dei 
naselli, c delle aringhe non sono che un 
giuoco dafanciulli. Canne diciotto almeno 
di profondità , cioè adire piedi parigini 108 
deve avere il mare ivi ove la retesi pian: 
ta, e allora alla rete stessa si danno canne 
vensette ossia piedi parigini 162 di altezza; 
essendo maggiore la profondità del mare a 
proporzione aggiunge altezza alla rete,mag- 
giore dovendo sempre essere l’altezza della 
rete, che non la profondità del mare, per 
ragione, che le camere non hanno fondo, 
e di fondo serve loro il fondo del mare me- 
desimo ; laonde conviene che la rete si am- 
mucchi in fondo almare per serrar bene ; 
e non distaccarsene mai per agitazioni € 
ondeggiamenti; che succedano. Fondo però 
ha la camera di morte, ossia il corpo, € 
lo ha necessariamente per ragione, che essa 
camera è quella; la quale si alza con entrovi 
il tonno per ammazzarlo; e per ragione che 
essa camera deve resistere nell atto di essere 


7 
alzata all'enorme peso de’tonni, € ‘moltà 
più che al peso, a loto dibattimenti, e sfor- 
zi cagionati dalle violenze, che si veggono 
fatte , è essa tessuta di forte canape, e con 
istrette maglie; laddove il resto della rete 
è tessuto semplicemente di sparto d’alican- 
te, e con maglie ampissime. L’aggregato 
delle camere vien chiamato Isola, ed è 
questo propriamente il luogo, ove il tonno 
riman preso; la Coda ossia Pedale, e’ Co- 
dardo, non servono se non a fermare il ton- 
no; e guidarlo alla rete; la coda ferma è 
guida il tonno, che passa fra la terra e l’ iso- 
la; il codardo è teso contro il tonno, che 
passerebbe in più alto mare. Tanto prende 
di mare questo ingegno di pesca, che a me 
é avvenuto in due luoghi diversi di spender- 
ci tre quarti d'ora per arrivare all’isola so- 
la, benche andassimo in agile legnetto a die- 
ci remi. 

Ner tempo the il mare è in calma, 
non viaggia il ronno; il tempo di calma è 
per esso tempo di posa; s'occupa allora a 


165 
scherzare e a cacciare; ma quando il mare 
si riccomuove al vento, il tonno si rimette 
in corso, e corre a norma del vento. Te- 
mono perciò le tonnare dopo le borrasche 
la calma; sospirano per il vento, e ognuna 
sospira pet il vento suo. Tutte quante s'ac-. 
cordano a sospirare da principio per il po- 
nente; il fiato di questo caccia assai ronno 
dall'oceano nel mediterraneo. S' accordano 
ancora tutte le rtonnare sarde a sospirare 
per il Maestro, e per la Tramontana : que- 
sti venti allontanano il tonno dal continente 
d’Europa c il mandano all’isole. Dei Maestro 
“e della Tramontana song contente senza, 
più le tonnare sarde occidentali: ma le set- 
tsntrionali fanno ancora voti per il levan- 
te: il levante si oppone al tonno fra l’Ita- 
lia e la Corsica , e l’obbliga a discendere 
lungo la Corsica occidentale ; il levante pu- 
re si oppone al tonno alle bocche di Bo- 
nifazio, e l’obbliga a girare nel golfo rac- 
chiuso fra Longon Sardo, e l’Asinara; ove 


siedono esse tonnare settentrionali. 


166 

A due o treinsieme catniminano. le più 
volte i tonni: ciò che Eliano disse uno ac= 
compagnarsi alla maniera de lupi: cammi- 
nano nondimeno ancora alla foggia delle 
capre, come pure disse Eliano, cioè în trup- 
‘pa é mezza truppa: e v'ebbe volta, in cui 
la truppa giunse a contenérhe un migliajo. 
Non ho potuto verificare quella tanta di- 
sciplina militare, colla quale asserisce Plu- 
tarco, che i tonni camminano; cioè facendo 
di se un battaglion quadrato, 0 per me- 
glio dite cubico, così esatto, che chi nu- 
merasse una sola filza di tonni, e poi la 
cubasse, verrebbè ad avere la esatta soli- 
dità del loro battaglione. Il qual fatto ad- 
duce Plutarco in prova della intelligenza 
de’ pesci in quel suo dialogo, ove prende 
partito in favore della ragione degli anima- 
li. Di molti e belli fatti è pieno tal dialo- 
go, ché che sia della loro forza risguardo 
al fin preteso: ma al battaglione de’ tonni, 
per quanto mi sono informato, non è da 
dare assai fede. 


167 
LA prima entrata ‘del tonno si fa in 
quella, che chiamasi gran camera, il cuifo- 
ratico è pienamente aperto; e bensi potrebbe 
sopra quella porta ripetere l'infernale iscri- 
zione di Dante : Lasciare ogni speranzavoi, 
éh'entrate. Di là il tonno non si avvisa di 
uscire più , benche il foratico rimanga sem- 
pre aperto ; ben diverso in ciò dallo spada, 
il quale entra, e torna fuori ,e va a farci 
fatti suoi senza lasciarsi vedere più Corre 
il tonno perpetuamente, ma corre intorno 
nélla camera medesima; dalla quale non- 
dimeno entra nelle camere vicine, cd ivi 
pure la processione de’*tonni s'aggira con- 
tinuamente. 
I marinai di parte sono perpetuamens 
ze rin alto. di guardia! all'isola, ispiando , e 
osservarido quanto tonno va entrando nella 
rete; € quotidianamente pure mattina e sera 
wi si trasferisce il Rais col suo luogotenente 
il sotro Raisper conoscere lo stesso. È. ma- 
ravigliosa la acutezza, colla quale costoro 
penetrano a distinguere il ronno sotto acqua, 


168 

benche il pesce vi dimori tanta profondità, 
che nonostante l’ingrandimento della sua ima- 
gine cagionato dalla rifrazione, non com- 
parisce. spesso. maggiore d'una acciuga; € 
pure costoro il distinguono, e arrivano a 
contare i tonni ad uno ad uno, come il 
pastore conta le sue pecore. Talora però pet 
discernere meglio si richiedono soccorsi, € 
consistono questi primieramente in un drap-. 
po nero, di cui il Rais cuopre la sua filu- 
ca, ce si fa ombra per allontanare i raggi 
stranieri, che vengono a confondere la vi- 
sione. Se ciò non basta, si manda giù un 
osso di tonno, ovvero la /anterna , la qual 
lanterna, è un sasso con appiccatovi il bian- 
chissimo osso della sepia, il quale colla ri- 
flession sua rischiara il bujo. Quando il Rais 
s'avvede, che troppi tonni vi sono in alcu- 
ma delle prime camere, di modo, che im- 
pediscano l’accesso ad: altri tonni, allora è 
suo dovere vuotare esse. camere, e far pas- 
sare i tonni in altre più lontane; funzione 
spesso fastidiosissima. Non può il Raisvenire 


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169 
dietro a’ronni, come fa il pastore, e con 
un colpo di verga o una fischiata mandar- 
gli ove gli piace. I tonni si mantengono pro- 
fondi, e il Rais dimora in alto nella filuc- 
ca, e di là conviene, che esso maneggi, e 
faccia muovere il suo gregge ostinatissimo 
talora a non voler ubbidire. L’artifizio or. 
dinario, di cui il Rais si vale, aperte che 
egli abbia le porte delle camere, si è que- 
sto di mandare giù un pugno di sabbia, e 
replicarlo inseguendo i tonni, fino ad aver- 
li cacciati nella camera pretesa; poiche a 
quei granelluzzi di sabbia il timidissimo 
tonno si spaventa e fugge così, come se li 
rovinasse addosso il cielo. Se } arena non 
basta a spaventare, allora si manda giù l’or- 
sibil faccia d'una nera pelle di pecora, e 
ne casi estremi si usa il /ingiarro spezie di 
rete, con cui si stringe la camera del ton- 
no, e si obbligaa fuggire. 

Ap ogni suo ritorno dall’ alto il Rais 
s'abbocca in disparte col padron della pe- 


sca ; gli fa rapporto dello stato delle cose, 
M 


170 

del numero de’tonni esistente in rete, del- 
le providenze da se prese, delle distribuzio- 
ni de’ tonni fatte per le camere. 

Quanpo vi sien tonni bastevoli nelia 
rete, e mare tranquillo si viene al più so- 
spirato dì; a quel dì, a cui ogni lavoro, e 
ogni preghiera si indirizza, si viene alla 
mattanza. Quel dì tiene in aspettazione non 
solo le tonnare, ma quasi ogni luogo cit- 
convicino, e di lontano le persone di mag- 
gior distinzione per trovarsi a godere d'uno 
de'-più giocondi spettacoti det mondo; su- 
periore d’assai alle illusioni. sceniche delle 
oziose città. La cortesia regna alle tonnare 
per principio, di maniera , che il forastiere 
venuto allo spettacolo, vi è accolto volen- 
tieri e trattato, e nell’atto del partire me- 
desimamente con isplendore regalato di par- 
te della pesca. 

ArLa camera di ponente manda il Rais 
nelia vigilia della mattanza quella quantità 
di tonni, che il padrone giudica destinare 


a morte per il dì seguente; ec può quella . 


171 
camera di ponente. a. ragione chiamarsi 
il vestibolo della morte, perche il tonno 
colà entro è alla vigilia della morte; se non 
che alcuni applicano alla camera di ponente 
il nome dato dagli antichi alla punta di Bi- 
zanzio, chiamandola camera dell’oro, per 
ragione, che il tonno nella camera di po- 
nente equivale ad altrettanto-oro in tasca. 

LA sera di tal vigilia si cava-a- sorte 
dall’urna il nome di quel Santo, che sarà 
il protettore della giornata. seguente. Del 
Santo che esce, unicamente si invoca il no- 
. me in quella giornata. 

Ir giorno della mattanza medesima prima 
dell’alba parte il Rais per l’ isola, per far 
fare a'tonni l’ultimo passo, e porgli dentro 
la camera di morte; operazione la quale ra- 
lora soffre grandi difficoltà, e metre il Rais 
in punto di disperazione, quasi i tonni ca- 
pissero di qual conseguenza sia per loro la- 
sciar la camera di ponente, e trapassare 
nella vicina camera. 


172 

InrANTOAterra si agguzzan gli occhi, si 
puntan cannocchiali per iscoprire la chia- 
mata dal Rais. Il rais adunque ordinato che 
egli abbia tutto, si pone a sventolare una 
bandiera bianca: a tal chiamata si desta 
il tripudiare in terra, si dà de remi in ac- 
qua, e partono i legni carichi qual di gen- 
te per la pesca, qual di spettatori. A_mi- 
sura che i bastimenti giungono, prendono 
posto intorno alla camera di morte, Il Capo- 
rais, lungo bastimento, ma senza alberi e 
senza remi s’applica alla camera di morte 
dal lato di ponente; il Paliscalmo , altro 
lunghissimo bastimento e'puro scafo anch' 
esso si pone rimpetto; altri legni minori si 
applicano agli altri lati della camera; in mez- 
zo alla camera prende posto il rais col suo 
gozzo, e comanda l’azione, come fareb- 
be un maliscalco in una giornata di guerra. 
L'azione consiste primieramente nell’ alza- 
mento della camera di morte, ossia nel ti- 
ramento d’ essa fuor d’acqua. In questa azio- 


ne il Paliscalmo non piglia parte; esso non, 


173 
fa che attaccare alle sue sponde il suo latò 
della camera di morte, e nel resto non s'im- 
paccia: la ciurma degli altri legni al coman- 
do del Rais: Sarpa, principià a tirare fuori 
la camera; la qual cosa per il peso si fa 
lentamente, e quasi in cadenza al perpetuo 
gridare Issa, Issa; che tutti i marinari fan- 
no d'accordo; e si deve da ogni parte ti- 
rare ugualmente; perciò il rais scorre per- 
petuamente con quel suo gozzo innanzi e 
indietro , chi sgrida, chi anima, a chi av- 
venta un mal termine, a chi alla testa un 
pezzo di sughero. A misura che la camera 
sì tira fuor d'acqua , i bastimenti la raccol- 
gono , il Capo-rais si va sempre avvicinan- 
do al Paliscalmo, e lo spazio della camera 
si rinserra in tutte le sue dimensioni; e i 
tonni sono costretti salire in alto, e avvi- 
cinarsi alla superficie. Un bollimento nell’ 
acqua, che vien via via crescendo, annun- 


zia l'avvicinamento del tonno. Corrono al- 
lora i forazici armati di crocchi (4) a ri 


(a) Grosso bastone con incima un graffion di ferro, 


174 

partirsi negli stellari (©) del capo-raîs è 
del paliscalmo, unici bastimenti dai quali 
si ammazzi. Convien vedere l’ardore e l’im- 
potenza con cui costoro anelano di vedet 
comparire il tonno , e sentirsi dire di ferire: 
ammazza grida il rais quando il bollicame 
de’ tonni giugne a gala, ed è quello il vero 
punto dello spettacolo: ecco una terribile 
borrasca commossa dal violento correre e 
dibattersi de’ grandissimi tonni, che si veg- 
gono rinserrati , assordati, violentati, assa- 
liti con graffi e cercati a morte: l'acqua schiu- 
mante e levata in marosi lava ognuno d’in- 
torno. I foratici sono furiosi a ferire, e 
ben mostrano quanto voglia dire avere il 
guadagno proporzionato alla fatica: perche 
ogni stellato ritiene per se il più grosso dei 
tonni, che esso afferra, perche i latti, le 


(a) Così si chiamano le parti nelle quali medians 
te legni traversi, rimangono divisi i bastimentiy 


T75 
uova, il cuore, é lo stomaco d'ogni tonno 
toccano allo stellato, che il prende, perciò 
sono quella gente veramente accaniti ad 
aggraffiare quanti più in numero e quanto 
più grossi tonni possono, accaniti in modo, 
che ad altro non si bada, nè pure si dareb- 
be soccorso ‘adun tom caduto in mare, 0 
in altra mianiera pericolante, come in un 
dì di battaglia non si bada, che a vincere. 
Si grida, si arronciglia; si tira fuor d’acqua 
con quanta forza e fretta si può, occupan- 
dosi due o tre ‘uomini a stringere un tonnò 
solo, d'altro nonsicura. Quando i tonni per 
l’uccisione sono già fatti rari, l'uccisione 
si sospende, si ripongono i crocchi, e nuo- 
vamente vociferando Issa, Issa, si tira 
fuori dell’acqua nuova porzione di camera: 
il capo-rais si avanza più verso il paliscal- 
mo, e lo spazio de’ tonni vieppiù si rinser- 
ra: succede nuova borrasca,; e uccision nuo- 
va, e così sì sarpa € si ammazza a vicen- 
da; finchè il fondo della camera è a gala 
anch'esso, e tonnò più non vi rimane. ll 


376 

mare sì fa vermiglio a grande distanza, quan 
to forse non s'insanguinò nella giornata del» 
la Meloria, che fè rimanere i Genovesi so- 
pra i Pisani padroni del mar tirreno e del 
mar sardo, 

Dentro breve ora la mattanza è fini- 
nita, ci bastimenti si fanno alla vela verso 
terra: il paliscalmo el capo: tais che portano 
il tesoro vengono a rimorchio. Come in Ispa= 
gna si ricevono i galleoni apportatori del 
metallo del Potosì, e in Olanda i. navigli 
degli aromi, che vengono di Batavia, com 
uguale solennità si ricevono spesso al lido 
i tonni, col saluto del cannone. Giunti al- 
la spiaggia, prima di scaricare i tonni, si 
pigliano i foratici ciò che de’ronni loro 
spetta. D'uno de’ più grossi vonni il padron 
della pesca fa ancora dono al Santo uscito 
dall’urna protettore di quella giornata, met= 
tendolo all’ incanto, e facendone alla chie- 
sa del Santo passare il ricavato. Dopo il 
santo vogliono loro porzione della pesca ì 
ladroni, e si può dire, che ognuno è ladrone 


177 
alla tonnara, di maniera, che volendo si- 


gnificare una azienda, ove ognun ruba , si 
suol dire oggi proverbialmente in Sardegna, 
che quel luogo è una tonnara. Sono le.ton- 
nare, riguardo al punto del furto, un oggetto 
del tutto singolare. Il furto non vi è una 
ignominia, nè un delitto soggetto a pene: 
il rubatore colto col corpo del delitto sog- 
giace solo a perderlo, nè questo perde, se 
già il tiene dentro della baracca. Così pres- 
so a Lacedemoni non era infamia il ruba- 
re, nè si puniva: ma solo era vergognoso 
e punito l’ essere colto rubando, cioè a di- 
re il non saper rubare. I Lacedemoni in- 
tendevano con sì fatta loro legge avvezza» 
re sc stessi ad essere destri: ma alla tonna= 
ra la permissione del furto procede da un 
principio di equità. La mereede, che il pa- 
drone accorda alla sua gente per patto, nom 
corrisponde alla fatica: laonde a porre la 
debita uguaglianza fra la fatica e la mer- 
cede, conviene che alla mercede pattuita si 
faccia alcuna giunta, e però il padrone per- 


17$ 
mette la ruba, sotto la condizione di non 
essere scoperta: € perciò coime a cosa mez- 
zo lecita non le si dà l’ odioso nome di fur- 
to, ma si chiama semplicemente busca. Quel- 
la porzione del patto mutuò , per cui il pa- 
drone salva la sua roba, se scuopre il ru- 
bato, il tiene esso e i suoi ufficiali in una 
terribile vigilanza, e ne fa veri argi; e quel- 
la parte del patto, per cui il rubatore non 
incorre ignominia nè pena, il fa esso stra- 
namente coraggioso e destro; laonde non 
a semplici pezzi di tonno, ma a tonni in- 
tieri si estende la busca con mille artifizi 
da non ridirsiin brieve; e colla prestezza 
d’un giocolare si veggon quei nuovi spar- 
tani fare scomparire un tonno, come altri 
farebbe una acciuga. Si ripongono ancora 
alcuni tonni in disparte a disposizione del 
padron della pesca; che ne fa diversi do- 
nativi. 

Ciò che rimane de’ tonni dopo questi 
piccoli snembramenti, spesso si spaccia fre- 
sco e intiero agli avventori Catalani; Fran- 


179 
zesi, 0 Italiani; li quali sovente contratta- 
no ancora prima della mattanza , rilevando 
tutto'ìiltonno auntanto per ogni pesce, gros- 
so o piccolo che riesca; sovente il rilevano 
vedutolo ed esaminatolo per poi condir- 
lo, e prepararlo a loro modo e spesa. 
«Ir tonno, che non si spaccia fresco, 
passa a formare ciò , che si chiama mactan- 
ga di terra. Viene il tonno strascinato dal 
mare al marfaragio luogo spazioso e 'om- 
breggiato , ove i maestri con mannaje (0) gli 
recidono il capo; e poi con coltelli da srar- 
giare, gli levan le rarge ©. Il tonno così 
troncato si carica sopra le spalle d'un. 4a- 
stagio ()., nè può più d'un bastagio sot- 
toporsi al tonno per enorme che sia, laon- 
de in quell’atto si veggono talora rinnovati 
i prodigi di Milon Crotoniate, e va il tonno 


(a) Spezie di scure, 

(b) Ossa con carne attaccate alla sommità del ve- 
race , ove sono piantate le pinne pettorali. 

(c) Facchino. 


180 

altancaro, ove per la coda si sospende alle 
funi, chiamate in termin proprio dogali. 
Indi il tonno si rorcz; cioè a dire, riceve 
esso sei incisioni longitudinali; due dall’ano 
fino alla estremità della coda, vicinissime 
fra loro, e separate solo dalla spine/la biar- 
ca, che sono le pinne spurie sotto la coda; 
due altre per tutto il dorso fino alla coda 
estrema, vicinissime fra loro anch’esse e 
separate solo dal fil di mezzo della schie- 
na, e dalla spizella nera; finalmente due 
alcre laterali, una per parte. Con queste 
incisioni, ed un'altra trasversale rimango- 
no nel tonno segnate le diverse carni, che 
distintamente , spolpandolo , se ne debbono 
separare. Prima se ne spicca la sorra,e va essa 
alla cianca() , ove si taglia in più piccoli pez- 
zi e poi s’ insala. Alla sorra succedono il 
dorso, e le due codelle bianca e nera (2); 
le quali tre parti formano quella spe- 


(a) Grandissimo tavolone, 
(5) Garne della coda 


183 
zie di carne, che si chiama rezza. Le car- 


ni del tonno. già salate si distribuiscono 
in botti, e per ben imbeversi del sale vi 
si lasciano otto o dieci giorni scoperte al 
sole e alsereno, a riserva della sorra , la 
quale nel metodo italiano si tiene all’om- 
bra. Dopo tale spazio il tonno si ricava 
dalle botti, e distribuito per le prance (4) si 
mette a scolare. Dopo la scolatura si imbot- 
ta da capo; un uomo quanto può calca coi 
piedi, ciò che i Catalani fanno calzando 
scarpe di legno, e ben calcato che sia, il 
bottajo rimpagna, cioè mette il fondo ‘alla 
botte. La botte si corica quindi in sul fianco; 
si stura, e intorno alla buca si forma un rial- 
to di sale chiamato doccale, ove si infon- 
de salamoja , la quale dalla tonnina si vien 
via via succiando; e di salamoja si mantien 
sempre pieno il boccale, infinche non venga 
il tempo di imbarcare la botte. Botti si fanno 


(a) Tavole inclinate. l 


182 

pure della Businaglia, carnaccia infima det 
tonno; e delle spinelle, de lampazzi (), degli 
occhiali () , e d’ altre bagatelle, che nulla si 
perde di quel pesce, facendosi infin olio del- 
Je ossa e del cuojo dorsale. D’una botte di 
sorra , tre di netta, ed una quinta di busi- 
maglia e simili parti infime si compone ciò, 
che in linguaggio catilano si chiama Gizoco. 

St scabeccia pure il tonno prendendo 
‘ perciò gli scampirri ; la carne si fa prima 
bollire in acqua salata ; poi si imbotta. 
con olio. 

NELLA mattanza, se essa non è l’ulti- 
ma, non si vuota mai la rete del tutto ; 
per esca e quasi zimbello di altri. tonni 
alcun centinajo di tonni vi lascia sempre il 
provido Rais; e a misura che. nuovi tonni 
sopravenendo si raunano in bastevole quan- 
tità si ripetono i felici dì delle mattanze, in- 
finchè dura la stagione del passaggio del tonno. 


(a) Ossetti attaccati alla sorra, 
(5). Carne intorno all’ occhio, 


133 


Questa stagione dura per la Sardegna infino 
al. solstizio estivo : dopo esso. non’ si 
vede più ronno alcuno; la camera di mor- 
te si leva da bagno e si ripone ne magaz- 
zini; il resto della rete si taglia, e si aba 
bandona al mare. 

Durante la stagione del passaggio, & 
misura, che le tonnare sono buone, le mat- 
tanze sono frequenti e forti. Le Saline di 
Sassari, tonnara nè primaria nè infima, arriva 
aotto mattanze l’anno di cinquecento tonni 
luna; a diciotto mattanze convien calco» 
lare Porto Scus di circa 850 tonni l'una, 
ciò che fa la somma di tonni quindicimila; 
rispettabile somma, poiche le Formiche di 
Sicilia, prima tonnara di quel regno, in 
dieci sue mattanze non oltrepassa iquattro- 
mila tonni. Quindicimila tonni ho io aggiu- 
dicato a Porto Scus per informazione di chì 
n’ebbe longamente l'appalto; e non poco 
ne arricchì. Dalla proporzione degli affitti 
risulta, che tutte le altre tonnare insieme pi- 
gliano presso a poco due volte cotanto, quanto 


T84 

Porto Scus: laonde quarantaciquemila ton- 
ni restano secondo me annualmente preda» 
ti dalla Sardegna: li quali calcolati indifie- 
rentemente a non più di tre scudi l’uno (*), 
formano la somma di scudi 135000. Di que- 
sta somma porzione si deve alla Spagna per 
la sparteria, porzione a’ Genovesi o Siciliani 
per la camera di morte, porzione a Trapani 
per il sale: alcuna spesa richiedono le fer- 
ramenta, e alcuna porzione pure avanza- 
ta della sua paga trasporta seco la ciur- 
ma genovese e siciliana stata impiegata al- 
la pesca. Fatta la detrazione di quanto per 
servigio della pesca esce del regno parm; 
però, che nel regno rimarran sempre lire di 
Savoja 400000: somma non grande peruna 
volta sola, ma somma importantissima , dac- 
chè stabilmente e annualmente si viene a in- 
fondere nel regno. In fatti, chi.calcolerà di 
quanto l’asse pubblico sarà cresciuto in 
grazia di detta somma dagli oltre a venti, 


(a) Ho veduto quest'anno tonni venduti sette  zec- 
chini l'uno. 


185 
anni in quà, che le tonnare sarde sono in 
fiore, troverà un aumento di dieci milioni. 
Quindi come le proprietà delle tonnare so- 
no oggi il più ricco redito delle famiglie più 
illustri, e le renderebbono atte a comparire 
con isplendore in qualunque parte ancora 
fuor della loro patria: così gli appalti del- 
le ronnare medesime sono oggi il più lucro- 
so traffico, quello per cui si veggono na- 
scere repentine e grandi fortune, formarsi 
famiglie, edificar palagi, acquistar titoli e 
Siguorie. Ho detto che le tonnare sarde so- 
no in fiore da oltre a venti anni in quà 
senza più: perche comunque la scoperta di 
Pietro Porta sia antica di quasi due secoli, 
nondimeno fino a questa ultima epoca il be- 
neficio non fu grande: poco si pescava, dif- 
ficilmente si spacciava, e le tonnare sarde 
erano oscure. La ragione di ciò erano di- 
ciasette ronnare piantate nelle coste di Spa- 
gna, € fra esse la famosa di Conil, degna 
di formar parte delle grandissime entrate 


de Duchi di Medina Celi. Un giorno. solo, 
N 


186 

per quanto si asserisce non senza fonda- 
mento, bastò a fare la gran rivoluzione, e 
tolse alla Spagna la ricca pesca de’ tonni, 
e ne fe presente alla Sardegna; e fu quel 
memorabile giorno, che abbattè Lisbona, 
e tutto insieme scosse tanta parte della ter- 
ra. Quel giorno fe cessare la pesca de’ton- 
ni in Ispagna allontanando il tonno dalle 
rive spagnuole; e accrebbe la pesca sarda 
mandando il tonno alle sarde rive con più 
abbondanza; e ditanto cambiamento in quel 
giorno succeduto si rende una giusta ragione. 
il tonno ama il profondo, e in primavera 
imedesima ama esso di camminare sotto ac- 
qua alla profondità di cento piedi; laonde 
a quelle rive, che hanno poca profondità, 
il tonno non si accosta. Ora in quel dì me- 
morabile, che il tremuoto fe accorta la ter- 
ra delia sua pochezza, e la scosse come un 
atomo, una grandissima quantità d'arena 
e d'altra materia si rovesciò dall’ Africa con- 
tro, l'Europa; e s'alzarono quindi grande- 
mente i fondi in Ispagna nell’atto, che in 


137 
Barberìa si vuotarono e nettarono i porti 
di Tetuan e di Salè. Il tonno rivenendo dall’ 
occano in primavera trovò le spiagge di 
spagna stranamente inarenate, e senza fon- 
do; e quindi tanto se ne allontanò, che a 
rattrapparlo si. richiederebbono reti d’una 
impossibile lunghezza. Cessata la cattura dei 
tonni in Ispagna, fu necessario che la quan- 
tità de tonni si presentasse maggiore in Sar= 
degna, ricresciuta di tutta quella moltitu- 
dine la quale primg rimaneva predata dal- 
le coste spagnuole. Ma che che sia della 
precisa epoca della distruzione delle ronna- 
re in Ispagna, la quale alcuni, benche men 
autorevoli, fanno d’alcuna cosa anteriore 
all'anno 1755, certamente se esse non si 
strussero precisamente al tempo del tremuo- 
to, intorno a quel tempo si strussero cessan- 
do il passaggio de tonni per qualunque ra- 
gione cessasse; e allora solamente, che le 
tonnare spagnuole si strussero, e nelle co- 
ste Andalne si mise il silenzio e la soli- 


tudine, principiò lo. strepito, il concorso, 
2 


138 

il fervore del commercio nelle coste sarde, 
e divenne la Sardegna la prima sede della 
pesca del tonno, per rimanerlo non può in- 
dovinarsi fino a quando; giacche stabilità non 
v'è nelle cose ancora in apparenza più fer- 
me; ed ogni cosa migra dopo un certo tem- 
po, infino le scienze e le virttà de’ popoli. 


ERRORE CORREGGI. 


Pag. 151 lin. 7 Tarantello Granatello. 


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Stato delle Tonnare calate in Sardegna l’anno î778 
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Trabuccadu n. Is. Asin, 


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Affitto annuo. Appaliatori. 
opl die }4o > DIE) +>£ die )<- (dit) Ta: 
Signori, 


Proprietari, 
DCdit)o dedite 
«Marchese Pasqua Fran. Rapallo e Belgrano 
Duca dell’ Asinara 


{ Sc. 5800 da paoli 8 


Gratis pet 3. anni Franc. Rapallo. e Comp. 


— 


als p.100 della pesca 


Marchese Pasqua Angelo Gagliardi e 'C. 


Giulio Cesare Bayle.e C. 


aree era gra area n Sa a pia a o o_o». a 


«il Re 5 per. 100 

Conte di Monteleone | Scudi 9000 Raimondo Belgrano. 
March. Villamarina 20000 Franc. M. Viale e<C. 
.Duca di s. Pietrò 25000 Franc. M. Viale e C. 
Duca dis. Pictro 5000 Giuseppe Rapallo e C. 
il Re Gratis Cap.Giovanni Porcili e C. 
——————————6€€—“ L ______< 

il Re $ per 100 Ignazio Romagnino. 

il Re $ per 100 { Pao.Maurizio CIRO 
«il Re 5 per 100 Franc. Nayarto di Camil. 


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-—_—_——_———_——mrtt———Zèé II 


SWTENCTVTIZ DAI) VEWTEVENIT VIT VITTO MEV N LAT 


190. 

Insieme col tonno rimane talora presa 
la Palamita; poco però si prende essa nei 
mari sardi per mancanza di ingegni acconci. 

Lo Scombro viaggiatore anch’ esso pro- 
veniente dal lontanissimo norte, dividendo- 
si a cento popoli dell'oceano, e parte en- 
trando in corso ancora per il mediterraneo, 
si presenta pure alle spiagge sarde, chiama- 
to da’ Sardi Pisaro. Ma esso scombro poco 
utilmente finora ingombra questi mari; al- 
cuno ne incappa nelle ordinarie reti degli 
altri pesci, e viene giustamente apprezzato 
siccome buonissimo pesce; ma contro es- 
so non si fanno patrticolari spedizioni, nè 
sì pensa a rattrapparlo in quantità e con- 
dirlo come fanno altre nazioni. 

Insieme collo scombro viene a’ merca- 
ti il Lacerto, più piccolo, e più vivamente 
di verde e di azzurro colorato dello scom- 
bro, ma nella figura allo scombro somi- 
gliantissimo , laonde per iscombro si vende 
e si compra. Ben noto è il lacerto a’ natu- 
ralisti tanto antichi, Greci e Latini, quanto 


191 
ai moderni, appresso a’qualise ne trova men- 
zione co’nomi di Colias e di Lacertus ; per 
la qual cosa mi fa spezie di non trovarlo 
presso Linneo, nè io saprei fra quale col- 
locarlo de’ pesci Linneiani, non avendo iò 
avuto comodo di attentamente esaminarlo. 
Ben posso ripetere, che ognuno dice oggi 
tuttavia, come si disse in ogni tempo, che 
a riserva della mole quasi non si scuopre 
differenza dal lacerto allo scombro: 

CentoventI Alelunghe sonosi trovate 
‘ quest'anno nella tonnara del Trabuccada, 
e furono esse l’unica cattura fatta ‘nella se- 
conda ed ultima mattanza di quello in que- 
sanno ben poco fortunato posto. Se mi ha 
fatto spezie il non trovare inenzione del 
lacerto presso Linneo, ben più spezie mi 
fa, che dell’Alalunga non vi sia menzio- 
ne nè presso-Linneo, nè presso alcun altro 
autore, nè ‘pure presso quelli, li quali 
con somma diligenza scrissero de’ pesci del 
mediterraneo, É forse essa alalunga un 
pesce di nuova‘apparizione? forse come in 


192 

certi paesi tardatono più secoli a farsi ve= 
dere certi uccelli, e poi vi si mostrarono 
costantemente , così ancora in certi mari 
solo dopo più secoli hanno principiato a 
mostrarsi certi pesci, li quali poi non gli 
abbandonarono mai più? Che che sia di 
ciò, oggi certo l’alalunga è saputissimo 
pesce in tutto il mediterraneo; anch'esso è 
pesce di corsa, e corre insieme col tonno, 
e marciain grandissime frotte di più migliaia. 
I Siciliani ne fanno ricchissima pesca, e lo 
insalano come il tonno. Passano pure le sue 
truppe nelle tonnare sarde, ma non vi re- 
stano prese, perche le maglie sono troppo 
ampie, siccome semplici maglie da tonno, 
non accompagnate da altre reti di maglie 
più sottili, come costumano i Siciliani, per 
prendere oltre a'tonni quanto altro inciampa 
nelle loro tonnare. Non ho fatto incidere 
la figura dell’alalunga, perche in poche 
parole si può far capire. Si concepisca un 
tonno d’un dieci in quindici libbre, corre- 
dato di ale ossia pinne pettorali lunghissi- 


I 193 
me, che giungano fino a téccare Îa secon- 
da pinna dorsale, e s’avrà la giusta idea 
dell’alalanga; la quale perciò nel sistema 
di Linneo si descriverebbe in poche parole 
così: Scomber pinnis pectoralibus longissimis. 
Ha essa inoltre le sue pinnette spurie, sette 
sopra, e sette sotto la coda; e quando è cor- 
ta mostra una bianchissima carne a differenza 
del tonno, la cui carne sempre rosseggia. 

Ar genere Sco:mber appartiene il Tra- 
churus de’ naturalisti. I Sardi il -chiamano 
Surellucon voce evidentemente derivata dal- 
la voce francese Sieure/. Questo pesce ab- 
benda nella state, ed è apprezzato da'Sardi. 

Verissime sono le tre spezie di Triglie 
ennumerate da Linneo, e tutte e tre si trova- 
no nel mare sardo. Si trovano quelle triglie 
minime, e di poco gentil sapore, che non han- 
no barbette, o come dicono i pescatori, mar 
giadori. Si trovano ancora ne’ fondi arenosi le 
triglie di mezzana bontà, cioè quelle fornite 
di barbette bensì, ma lateralmente vergate di 
giallo, esono queste le più frequenti a vedersi? 


194 
e quasi Je uniche generalmente conosciute. 
Pescando più in alto si pigliano pure le per- 
fette triglie, quelle fornite anch'esse d’una 
doppia barbetta al mento, ma rosse del tutto, 
che furono già il famoso Mu/lus de' Romani, 
solito comprarsi con altrettanto peso di ar- 
gento purissimo. Una volta, che sì preziosa 
rriglia mi venne in potere, ne ebbi ancora 
un giocondissimo spettacolo fisico: poiche 
tenendola al bujo, viddi in essa il fosforo più 
bello e più vivo, che vedessi mai. 
Derr’ultimo genere de’ pesci toracici da 
Linneo chiamato Trig/a, con bastevele fre- 
quenza si piglia il pesce Organo: rarissime vol. 
tela Lucerna, e talora si veggono spiccarsi dal 
mare e fare loro brevi voli per aria le Rondini. 


c 


| 195 


ara 


PESCI ADDOMINALI. 


SIDICICA II AA Bd A PE > 


Fate 
pe, (È, oco mi occorrerà di dire di que- 
FECIIN sto ordine di pesci. perde è 
scarso per se stesso , ‘e di più la 
maggior parte de’suoi generi soggiorna nel- 
le acque dolci: comunque si debba spiega- 
rc questa spezie di mistero, che i pesci 
aventi le loro pinne ventrali assai indietro 
verso la coda sieno stati comunemente esclusi 
dal mare, e rilegati he laghi c ne fiumi. 
CocnitA è nel mare sardo la Sfirena, 
‘ossia Luccio di mare, da’ Genovesi appel- 
lato Luzzaro. Non è cognito il Pesce Ar- 
gentino , meritamente così appellato dal fi- 
nissimo argento, di cui sono inargentate 
infin le sue budella, pesce ottimo, e caris- 
simo alle mense toscane. Abbonda per lo 
contrario quel pescetto trasparente come 


196 

un vetro, con una benda d'argento Îate- 
rale, pescetto simile alla acciuga, benche 
più piccolo, che i naturalisti chiamano 4 
herina, ei Genovesi Quennaro. I Sardi il 
chiamano Sesrero. 

Più spezie di Muggini distinguono in 
questi mari non meno i pescatori Genovesi; 
che i Napoletani. Quattro spezie me ne 
hanno fatto vedere i Napoletani; primo il 
Cefalo, che cresce più di tutti, ed ha un 
grandissimo capo; secondo l'Ozzoze di ca- 
po più acuto, e che saltando fuor dell’ac- 
qua non fa che un salto solo; terzo la 
Tumula ossia Lissa, la quale saltando gira 
in aria descrivendo colla coda un arco di 
cerchio intorno al capo quasi centro. Quar- 
to la Concadita grossa al più di due libbre, 
la quale guizza sopra l’acqua con molti 
salti alla guisa di quelle pietruzze sottili, 
è larghe, che i fanciulli gettano per trastul- 
lo, c le quali hanno dato da meditare ai 
fisici. Tre spezie sole ne ho udito distingue= 
re da Génovesi; il muggine Nero, così detto 


197 
dal color suo più cupo; il Capo grosso, così 
detto dalla grossezza della testa, e. il Sal- 
tatore, così detto da’ salti. In quanto a me, 
avendo osservato i muggini, non ci ho tro- 
vato differenze da poterli giudicare di spezie 
diverse. 

Giuncenpo alla Sardina da Linneo com- 
presa sotto il suo genere C/upea, ognuno 
è in diritto di aspettarsi un grande articolo. 
Il nome di sardiza mostra essere stato da- 
to al pesce dalla Sardegna non per altro, 
se non perche la Sardegna gli sia special- 
mente patria, o perche esso ami la Sarde- 
gna principalmente; e quindi perche la Sar- 
degna sia la sua regia, la sede della sua ab- 
hondanza. Così si crede assai dal pubblico, 
e. così si afferma da alcuni autori, e dai 
moderno Salmon fra gli altri, il quale in 
parlando della Sardegna scrive.così: I/ me». 
re intorno (alla Sardegna) somministra una 
abbondante pescagione , e in particolare 
sv0. delle Sardelle., che si vuole abbian da 


x 


tsa preso il nome. Adunque. si aspetterà 


19$ i 

ognuno, che all'articolo del tonno un quasi 
ugualmente difiuso io soggiunga della Sar- 
dina, descrivendo .e il tempo in cui le sar- 
dine discendono al mar sardo, e quanti le- 
gni vanno a incontrarle, c quante migliaja 
d’uomini s'aftaccendano in salarle, e di quan- 
te migliaja di scudi l'isola annualmente ne 
arricchisca. Ma a tanta aspertazione non pos- 
so corrispondere se non con sorpresa, di- 
cendo, che altissimo silenzio risguardo alla 
sardina regna in Sardegna. Non solo non 
si strepita, nè si fermenta per essa, ma 
essa appena.si pesca e si vede. Quanti luo- 
ghi in tutto il circuito. della Sardegna. sie- 
dono in riva al mare, ignorano la sardina; 
Alguer è il luogo, ove essa si vede e. si 
piglia alquanto più; ma in questo Alguer 
medesimo si stà talora i due e i tre anni 
senza vederne; c quando si fa buona pesca. 
andrà il preso in tutta una stagione a quan- 
to nell’ oceano se ne trae in poco più 
d'una tirata di rete. Dico nell'oceano, 
perche quivi in realtà si fanno oggi le 


199 
grosse pesche delle sardine, in modo, che 


di là vengono esse salate e imbottate a 
provvedere il mediterraneo infino all’ulti- 
mo levante; nè, se la Sardegna pesca po- 
che sardine, si può attribuire tutto a col- 
pa sua. I Norvegi la pescano in quantità ; la 
pescano gli occidentali Inglesi di Devon e 
di Cornwall, e la sola francese Bretagna 
ne pesca annualmente per il valore di ben 
due milioni (@). Frattanto in vista di questa 
scarsezza della sardina non solamente alle 
spiagge sarde, ma ancora in tutto il me- 
diterraneo in paragon dell’oceano, che di- 
remo noi della etimologia del nome sardina ?- 
Per qual ragione si denominerà. questo pe- 
sce dalla Sardegna, se in Sardegna esso è 
si scarso? malgrado la mia avversione alle 
congetture, ecco una idea, con cui si po- 
trebbe rispondere al quesito. I popoli del me- 
diterraneo sono stati certamente industriosi , 
e navigatori assai secoli prima dei popoli dell’ 


(a). Diz. Savary. 


200 

oceano; e quando quei popoli dell'oceano, 
quei medesimi che oggi pretendono essere 
1} fior delle genti, erano tuttavia. cacciatori 
puri, i popoli del mediterraneo erano già 
da gran tempo inventori, artefici, commer- 
cianti famosi. Siccome adunque anticamen- 
te per la barbarie di quei popoli dovettero 
le grandi frotte di sardine provenienti. dal 
norte, passare impunemente dinanzi a Nor- 
vegi, a’ Britanni, a Galli, e in tutta abbon- 
danza infondersi nel mediterraneo: così le 
nazioni del mediterraneo accorte dovettero 
pigliarle in quantità, e la Sardegna eccel- 
lentemente situata nel mediterraneo ben po- 
verte farne presa e condirle in più copia, co- 
me oggi fa del tonno; e quindi la, Grecia 
sempre dotta nella imposizione de’suol no- 
mi dovette al. pesce imporre il nome dalla 
Sardegna, per significare il luogo della mag- 
giore sua abbondanza. Si destarono. a poco 
a. poco i popoli dell'oceano; s'accostarono al 
imare, fabbricarono legni e reti, e principia- 


rono aintercettare ciò, che prima stoltamente 


201 
lasciavano passare ; ciò mise nel meditertanco 
la scarsezza delle sardine; ma alla sardina 
rimase il nome del luogo della abbondan- 
za antica. 

LA Acciuga è tuttavia abbondante nel 
mediterraneo, e dal mediterraneo medesi- 
mamente passa cssa condita all'oceano a quei 
popoli, che al mediterraneo forniscono le 
sardine. La Catalogna e la Provenza pes- 
cano acciughe copiosamente; riccamente ne 
pescano Genovesi e Toscani; la sassosa Ca- 
praja di sosco lire genovesi ne arricchisce 
annualmente ; Bastia, san Fiorenzo, e Ajac- 
cio ne traggon quantità dal mare corso, e 
infino all’ultima Sicilia regna la cattura delle 
acciughe. Nella Sardegna sola non v’è tal 
ricchezza di pesca; tal anno si pesca, tal 
altro no, a misura che si presentan pesca- 
tori; e sempre si pesca scarsamente, perche 
sempre scarsamente i pescatori si presentano. 


PESCI BRANCHIOSTEGI. 


PM FCI edi dtd TION TOLTI A die je 


(E 


g ELLE quaranta spezie di pesci, 


4 È * 

3:Di 

21 FA 2a] A li li | li x 

rv li quali non hanno operculi nè 
visibile membrana alle bran- 

ghie , spezie quasi tutte esotiche all’ Euro- 


pa, non ho veduto mai in Sardegna quel- 


la, che ancora nel mediterraneo è rara spe- 
zie, e la quale per il suo lunghissimo ro- 
stro fu già chiamata da’ naturalisti acceggia 
di mare (scolopax); né pure ho veduto il 
raro anch'esso Pesce Tamburro altrimenti 
detto Luna di mare, pesce difforme, e che 
sembra non più che la testa d'un pesce. 
QuaTtTRO soli pesci conosco di quel 
genere, che Linneo chiama Syguarhus, Co- 
nosco |’ Aguglia, benche non assai frequen- 
temente essa si peschi; conosco quell’ altro 
pesce, il cui corpo è settangolare, ma la 


203 
‘coda è tetragona, chiamato da Linneò S ‘ygna= 
thus pelagicus ; ne ebbi de’ presi nell’alga, e 
de’ trovati in corpo ad altri pesci; e ne eb- 
bi de lunghi un piede parigino. Conosco anè 
cora quella spezie , il cui corpo non ha an- 
goli, ma è tondo chiamato da Linneo Ophi- 
dion; e finalmente conosco il Caval mari- 
no, vero termine de' pesci e principio degli 
Insetti, 
DALLA passata esposizione de’ pesci sar= 
di si manifesta quello, che infin. da princi> 
pio avvisai, cioè che dî varj pesci cogniti 
nel mediterraneo il mar sardo è privo. Ma 
non ostante questa mancanza, rimane ve- 
ro, che il mare sardo è assai pescoso. Que- 
sto elogio fanno alla Sardegna comunemen= 
te turti i geografi e descrittori di essa, ces 
tebrando insieme alla abbondanza del fru- 
mento la quantità de’ suoi pesci; ed è 
un elogio giustissimo. Comunque alcuna 
spezie manchi, le spezie esistenti sono tanto 
più copiose, da non solo compensare le 


mancanti spezie è ma rendere medesima- 
2, 


204 

mente la Sardegna abbondante in confronto 
di altre parti del mediterraneo, come i me- 
desimi pescatori italiani confessano. E in fat= 
ti non una volta mi è avvenuto di vedere 
gittar le reti dentro un piccolissimo trat= 
to di mare, e dopo poca aspettazione ve- 
derle trarre fuori sì piene di pesci, che i 
pescatori medesimi lasciavano libero il pren- 
derne a chi ne voleva. Nè questa abbondan» 
za sitrova in una parte sola; le bande dell? 
isola di s. Pietro si giudicano veramente di 
tutte le più ricche in pesce, ma ricca è re- 
almente ogni parte, e dovunque il pesca= 
tore in tutto il circuito dell’isola tenta la 
pesca, è sicuro di rentarla utilmente. L'acer- 
bo in mezzo a questa abbondanza si è, che 
l'abbondanza si ferma in mare, e non ridon= 
da in vantaggio pubblico; duro è, che es- 
sendovi un mare sì pescoso , il pubblico pa- 
tisca disagio di pesce. Non è credibile a qual 
segno arrivi questo disagio; città non v'è in 
tutto il regno, comunque seduta in riva al 
mare, la quale non sia ad ogni tratto espo= 


10f 
sta a querelarsi della mancanza del pesce; 
e dove l'acquisto d' alcuna porzione di pe- 
sce peri privati non sia abitualmente un 
oggetto d’impegni, di industrie, di ar- 
tifizj, come se fosse un contrabando ; 
e dove una buona parte de' cittadini, e ta- 
lora la città intiera non debba rimanere di- 
giuna di pesce del tutto, ancora nelle circo- 
stanze di maggior bisogno. Sono da molti 
anni testimonio delle abituali scene in tem» 
po di quaresima in una delle primarie città 
dell’isola: A salvare il pesce dalla vio- 
lenza de’concorrenti conviene circondarlo 
d’armati, e distribuirlo colla assistenza 
d'un magistrato da entro a inferiate, al- 
le quali vi è an fremito, un tenzonare, co- 
me se là entro ci fosse il sommo bene; e chi 
di lì può spiccare un pajo di libbre di pesce 
và più contento d’un console romano colle 
spoglie d'oriente. Per conseguenza chi non 
ha forza o protezione all’inferiata è ridot- 
to a passare cinquanta giorni con nissun al- 
‘&ro pesce, se non il secco nasello d'Ame- 


206 

rica. Entrino in questa città medesima tin 
ottocento libbre di pesce: ve ne avrà allora 
mezza oncia per abitante, e pur si grida 
allora abbondanza; la qual cosa ben mostra 
a qual grado sia la abituale scarsezza. 

Di questo disordine la cagione è que- 
sta, che i Sardi non pescano, e i pescatori 
si aspettano d'Italia; ciò fa, che i pescatori 
sono scarsi, e talora nulli. Sono scarsi, per- 
che mal volentieri ognuno abbandona la pa- 
tria, principalmente quando la tassa messa 
al pesce rende il guadagno troppo tenue. IL 
medesimo pescatore poi, che pursi fa animo 
a venire, vuol anch'esso in qualche parte 
dell’ anno rivedere il suo focolare : il Na- 
poletano vuol ritornare alla torre di Greco; 
il Camugliese vuol rivedere la riviera, ed 
ecco allora i pescatori nulli in Sardegna, 
e con essi nullo il pesce. * 

A rimediare pertanto al disordine con- 
verrebbe che i Sardi medesimi si dessero 
alla pescagione. Felice epoca! non solo re- 
gnerebbe allora la abbondanza del pesce a 


207 
utile pubblico, ma sarebbe quella una epo- 
ca di più alte cose: sarebbe l’ epoca d’ una 
navigazione, sarebbe l’cpoca d’un commer- 
cio, sarebbe l’epoca di vedere ancora la 
bandiera dalle quattro teste approdare coi 
suoi frutti alle. scale del mediterraneo, 
passare co'suoi frumenti e vini lo stretto, 
e condurre suoi sali infino all’ultima Svezia. 
Sì bella epoca non è dificile. Non vè iso- 
la, nazione non v'è in tutto il medirerra- 
nco, la quale non abbia legni e non navi 
ghi, e perche sarà il Sardo solo a non na- 
vigare? Se i frumentosi campi, e la domesti- 
ca abbondanza non impediscono il Siciliano 
dall’ essere uom di mare, e perche simile ab- 
bondanza impedirà il Sardo? mancherà forse 
coraggio, forza, destrezza al Sardo? ad esa 
so, che di valore, di robustezza, e di agili- 
tà dona sì splendide mostre nella milizia ter- 
restre? non altro adunque, che una felice 
circostanza, o una opportuna provvidenza 
si richiedono, e sarà il Sardo navigatore anch’ 
esso: una sola legge bastò a fare sì possenti 


208 

e dotti navigatori, come oggi sono, quei me- 
desimi, che per passare la Manica e guer- 
reggiare in Fiandra ebbero gia bisogno un 
tempo di assoldare Ammiraglio, e Orche Ge- 
novesi; una sola vessazione bastò agli abi- 
tatori de paduli Olandesi, perche repen- 
tinamente divenissero conquistatori e Signo= 
ri igfino del mare Asiatico» 


CLIN E 


V. si stampi. Sassari li 15 Giugno 1778. 
Deliperi Vic. Gen. 


ANI IN 


V. se ne permette la stampa. Sassari li 15 
Giugno 1778. 


ARAGONEZ. 


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