Skip to main content

Full text of "Annali. Annales"

See other formats


Google 



This is a digitai copy of a book that was prcscrvod for gcncrations on library shclvcs bcforc it was carcfully scannod by Google as pan of a project 

to make the world's books discoverablc online. 

It has survived long enough for the copyright to expire and the book to enter the public domain. A public domain book is one that was never subjcct 

to copyright or whose legai copyright terni has expired. Whether a book is in the public domain may vary country to country. Public domain books 

are our gateways to the past, representing a wealth of history, culture and knowledge that's often difficult to discover. 

Marks, notations and other maiginalia present in the originai volume will appear in this file - a reminder of this book's long journcy from the 

publisher to a library and finally to you. 

Usage guidelines 

Google is proud to partner with libraries to digitize public domain materials and make them widely accessible. Public domain books belong to the 
public and we are merely their custodians. Nevertheless, this work is expensive, so in order to keep providing this resource, we have taken steps to 
prcvcnt abuse by commercial parties, including placing technical restrictions on automatcd querying. 
We also ask that you: 

+ Make non-C ommercial use ofthefiles We designed Google Book Search for use by individuai, and we request that you use these files for 
personal, non-commerci al purposes. 

+ Refrain from automated querying Do noi send aulomated queries of any sort to Google's system: If you are conducting research on machine 
translation, optical character recognition or other areas where access to a laige amount of text is helpful, please contact us. We encourage the 
use of public domain materials for these purposes and may be able to help. 

+ Maintain attributionTht GoogX'S "watermark" you see on each file is essential for informingpeopleabout this project andhelping them lind 
additional materials through Google Book Search. Please do not remove it. 

+ Keep il legai Whatever your use, remember that you are lesponsible for ensuring that what you are doing is legai. Do not assume that just 
because we believe a book is in the public domain for users in the United States, that the work is also in the public domain for users in other 
countries. Whether a book is stili in copyright varies from country to country, and we cani offer guidance on whether any speciflc use of 
any speciflc book is allowed. Please do not assume that a book's appearance in Google Book Search means it can be used in any manner 
anywhere in the world. Copyright infringement liabili^ can be quite severe. 

About Google Book Search 

Google's mission is to organize the world's information and to make it universally accessible and useful. Google Book Search helps rcaders 
discover the world's books while helping authors and publishers reach new audiences. You can search through the full icxi of this book on the web 

at |http : //books . google . com/| 



Google 



Informazioni su questo libro 



Si tratta della copia digitale di un libro che per generazioni è stato conservata negli scaffali di una biblioteca prima di essere digitalizzato da Google 

nell'ambito del progetto volto a rendere disponibili online i libri di tutto il mondo. 

Ha sopravvissuto abbastanza per non essere piti protetto dai diritti di copyriglit e diventare di pubblico dominio. Un libro di pubblico dominio è 

un libro che non è mai stato protetto dal copyright o i cui termini legali di copyright sono scaduti. La classificazione di un libro come di pubblico 

dominio può variare da paese a paese. I libri di pubblico dominio sono l'anello di congiunzione con il passato, rappresentano un patrimonio storico, 

culturale e di conoscenza spesso difficile da scoprire. 

Commenti, note e altre annotazioni a margine presenti nel volume originale compariranno in questo file, come testimonianza del lungo viaggio 

percorso dal libro, dall'editore originale alla biblioteca, per giungere fino a te. 

Linee guide per l'utilizzo 

Google è orgoglioso di essere il partner delle biblioteche per digitalizzare i materiali di pubblico dominio e renderli universalmente disponibili. 
I libri di pubblico dominio appartengono al pubblico e noi ne siamo solamente i custodi. Tuttavia questo lavoro è oneroso, pertanto, per poter 
continuare ad offrire questo servizio abbiamo preso alcune iniziative per impedire l'utilizzo illecito da parte di soggetti commerciali, compresa 
l'imposizione di restrizioni sull'invio di query automatizzate. 
Inoltre ti chiediamo di: 

+ Non fare un uso commerciale di questi file Abbiamo cotìcepiloGoogìcRiccrciì Liba per l'uso da parte dei singoli utenti privati e ti chiediamo 
di utilizzare questi file per uso personale e non a fini commerciali. 

+ Non inviare query auiomaiizzaie Non inviare a Google query automatizzate di alcun tipo. Se stai effettuando delle ricerche nel campo della 
traduzione automatica, del riconoscimento ottico dei caratteri (OCR) o in altri campi dove necessiti di utilizzare grandi quantità di testo, ti 
invitiamo a contattarci. Incoraggiamo l'uso dei materiali di pubblico dominio per questi scopi e potremmo esserti di aiuto. 

+ Conserva la filigrana La "filigrana" (watermark) di Google che compare in ciascun file è essenziale per informare gli utenti su questo progetto 
e aiutarli a trovare materiali aggiuntivi tramite Google Ricerca Libri. Non rimuoverla. 

+ Fanne un uso legale Indipendentemente dall'udlizzo che ne farai, ricordati che è tua responsabilità accertati di fame un uso l^ale. Non 
dare per scontato che, poiché un libro è di pubblico dominio per gli utenti degli Stati Uniti, sia di pubblico dominio anche per gli utenti di 
altri paesi. I criteri che stabiliscono se un libro è protetto da copyright variano da Paese a Paese e non possiamo offrire indicazioni se un 
determinato uso del libro è consentito. Non dare per scontato che poiché un libro compare in Google Ricerca Libri ciò significhi che può 
essere utilizzato in qualsiasi modo e in qualsiasi Paese del mondo. Le sanzioni per le violazioni del copyright possono essere molto severe. 

Informazioni su Google Ricerca Libri 

La missione di Google è oiganizzare le informazioni a livello mondiale e renderle universalmente accessibili e finibili. Google Ricerca Libri aiuta 
i lettori a scoprire i libri di tutto il mondo e consente ad autori ed edito ri di raggiungere un pubblico più ampio. Puoi effettuare una ricerca sul Web 
nell'intero testo di questo libro da lhttp: //books. google, coral 



a. 2. 



ANNALI 



DELL* INSTITUTO 



DI CORRISPONDENZA ARCHEOLOGICA 



VOLUME TREDICESIMO. 



A N N A L E S 



DE l'iNSTITUT 



DE CORRESPONDANCE ARCHÉOLOGIQUE 

TOME TREIZIÈME. 




ROMA, 

A SPESE DELL' INSTITUTO. 

MDCCCXLII. \''r^ 



AIVNALI 



DELL* INSTITUTO 



DI CORRISPONDENZA ARCHEOLOGICA 



ANNO 1841. 

FASCICOLO PRIMO. 



A]\]VALES 



DE L INSTITUT 



DE CORRESPONDANCE ARCHÉOLOGIQUE. 



ANNàE 1841. 

PREMIER CAHIER. 



RECAPITI DELL' INSTITUTO. 

Le associazioni alle opere dell'Instiluto e le altre commissioni ad 
esso spellanti saranno ricevute come segue: 
In Roma : dalla Direzione deWinstituto archeologico, 

Bologna: dal sig. prof. Girolamo Bianconi^ agente onorario dello 

Instituto per Bologna e le Roraagne. 
Firenze: dal sig. P, F'ìeus^ux^ direttore del gabinetto letterario, 

agente onorario dellMnstituto per la Toscana. 
Lipsia : presso i sigg. Brockhaus ed Avenarius ^ commissarj dello 

Instituto per la Germania. 
Londra: dal sig. P. Rolandi ( Berner-Street 20), commissario 

deirinstituto per la Gran Bretagna. 
Messina : dal sig. Giorgio Kilian , agente reale bavarese. 
Milano : dai sigg. Tendler e Schaefer ( Galleria de Cristoforis 

n. 59. 60;. 
Monaco*: dal sig. Giorgio Franz , librnjo. 
Napoli : dal sig. Pasq, Benedetto Bellotfi ^ agente onorario dello 

Instituto per le Due Sicilie (Vico Salata S. Pantaleone n. 40). 
Parigi : presso i sigg. Brockhaus ed Avenarius , commissarj dello 

Instituto per tutta la Francia (Rue Richelieu n. 60). 
Trieste : dal sig. Favarger , librajo , commissario dell' Instituto 

per la Grecia. 
Verona : dal sig. cslw.' Filippo De Jàger^ ispettore superiore delle 

R. poste. 
Vienna: presso il sig. Federigo Volke^ commissario dell'Instituto 

per l'Austria ^ Piazza Stock im Eisen 875). 
Gli originali diputati alle stampe dell' Instituto , e i libri offerti 
in dono alla di lui biblioteca , potranno inoltre raccomandarsi ai se- 
guenti membri e socj : 

In Atene : al sig. Luigi Ross , professore regio di archeologia. 
Berlino: al cav. Odoardo Gerhard» 
BoNNA : al cav. F. G, fVetcker, 

Lipsia: al sig. ÌV, A* Becker^ professore regio di archeologia. 
Londra: al sig. Sam, Birch , officiale al museo britannico e se- 
gretario assistente dell' Instituto (7 Hanly Terrace. Camdeo 

Town). 
Palermo : a S. E. il sig. duca di Serra di Falco, 
Parigi : al sig. cav. /. De ìVitte (Bue St. Florentin 12). 
Verona: al sig. conte GiroL Orti di Manara^ direttore del museo 

lapidario ec. agente onorario dell' Instituto per l'alta Italia. 



I. MONUMENTI. 

I. TOPOGRAFIA ED ARCHITETTURA. 

a. MONUMENS DE DELPHES* 
{Tav. d'agg. A^ 1841). 

Quand on arrìvC) par la route de Kesphina, au bourg 
de Castri Mti sur remplacement qu'occupait autrefois Del- 
phes , et qu^on descend des bauteurs du mont Cirpliìs , oh 
est frappé de l'aspect impQsant qa'offrent les défilés du Par-* 
nasse. C'était le 28 septembre 1 841 , au soir , après une marcbe 
fatigante que j*atteignis Tentrée des gorges qui autrefois don- 
naient accès à Foracle d'Apollon. La lune venait de se lever 
et projetait sa pile lumière sur les rocbers. Ce que la nature 
a fait pour rendre Delpbes un lieu inystérieux passe tout ce 
qu^on peut ìmaginer : mais les ombres de la nuit contribuaient 
dans ce moment à répandre une teinte plus ctrange encore 
sur la scène que nous avions sous les yeux. Aucune descrip- 
tion ne saurait donner une idée de Teffet que produisent ces 
rocbers aux forìnes bizarres. J'ai vu peu d^^jidroits plus som- 
bresy plus sauvages. Ces rocbers amoncelés ont quelque cbose 
qui parie a l'imagination. Aussi le souvenir de cette arrivée 
au pied du Pamasse ne s'effacera jamais de ma mémoire* 

D'abord on commence par descendre , en suivant un 
sentier étroit qui conduit jusqu^au fond d*un ravin : là , on 
frauicbit le fleuve Plistus, nommé aujourd'bui S^o^r^afiuo^* 
Déjà en face, au coté oppose au mont Cirpbis, on aper90Ìt 
les lumières des maisons de Castri. Mais il faut encore une 
bonne beure de marcbe, avant d'arriver à ce bourg. Quand 
on a franchi le Ut du Plistus, dàns lequel il y a fort peù 
d*eau pendant Tété, on remonte le long des rocbers dans la 
direction par laquelle on est venu. On gagne ainsi la vallee 
dans laquelle était situé Delpbes: bientót on approcbe de la 
fontaine de Castalie : on entre dans le bourg. 



6 I« MONUMENTI» 

La route que l'on suit après avoir Temonlé le long du 
torrent forme par la souree de Castàlie est la voie sacrée par 
laquelle passaient les Thèories. On remarque encore dans 
les rochers des excavatìons en forme de niclies destinées à 
recevoir les ofirandes (avaSi&jULaTa) des dévots. 

Le lendemain de mon arrivée à Castri, je me disposai à 
visiter la position et les ruines de Delplies. Qu'on se figure 
d*enormes rochers qui s'élevent en ampliitlieatre et forment 
/ au centre un hemicycle. Au devant de cet hémieycle sont 
d'autres rochers a pie séparés des premiers par un ravin qui 
a plus de 1500 pieds de profondeur, et au fond duquel le 
fleuve Plistus roule ses eaux. Sur le hord du précipice, au 
nord y était ^ituee la ville de Delphes qui occupait Fespace en 
forme d'héóiicycle, et s'élevait en amphithéatre sur la pente 
du Pamasse (1) , dominée par les rochers nommés les roches 
Phaedriades. Quoique des terrasses servissent partout de sou- 
ténement aux temples et aux maisons, les édifices étant batis 
sur la pente , avaient Fair de pencher en avant , ce qui fait 
dire à Pausanias (2), que de tous cdtés Delphes est d'un ahord 
difficile. AeX^l^ òè v noki^ avavrgg d«à nifTf^ napéypcou cr;fTjjtxa. 

Aussi est-ce aree beaucoup de peine qu'on arrive à l'empla- 
cement de la ville antique: partout on marche avec une 
difficulté extrème. Ce n'est que la grande célébrité de l'oracle 
qui a pu déterminer les hommes a b&tir des demeures dans 
une telle localité (3). Une chose fort remarquable de Tétroit 

(1) Justin.XXIY, 6: Templum auteoi Àpollinis Delphìs positum 
est in monte Parnasso ^ in rupe undique impendente: ibique civitatem 
frequentia faominum fecil, qui ad affirmationem majestatis undique 
concurrentes, in eo saxo consedere. Atque ita templum et civitatem 
non muri, sed praecipitia^ nec nianu facta, sed naluralia presidia de- 
fendunt : prorsus ut incertum sit 9 utrum munimentum loci ^ an majestas 
Dei plus hic admirationis habeat. Media saxi rupes in formam theatri 
recessi t. 

(2) X,8, 5. 

(5) Le meilleur guide que Ton puisse suivre ponr visiter Delphes 
est le voyage qu'a publié Mr. le professeur TJIricbs (Reisen und For* 
schungen in Griecbenland, Bremen 1840).Cest gràce aux renseigne- 



a. MOVUMBHS OS DBLPBBS* 7 

vallon dans lequel se trouve la ville, c'est Téclio que produit 
la voix humaine et k bien plus forte Taison la détonation 
doline arme à feu. Le bruit se répète plusieurs fois jusqu' k 
ce qu^ a la fin il produise un roulement confus j semblable 
au tonnerre qu'on entend gronder dans le lointain (1). 

Nous commen9ames notre course par nous rendre k la 
source de Castalie. L^eau se precipite de 200 pieds de hau- 
teur, entre deux rochers fort éleves. Ce sont Ik les deus cimes 
du Pamasse dont les auteurs font souvent mention, non cpie 
ces deux chnes soient les sommites les plus élevées de la chaine 
du Pamasse, mais seulement les pointes les plus remarquables 
par rapport k la position de Delphes. Aujourd* bui ces deux 
cimes portent les noms de ^^^fmovìtog et de *Podcv<* L'béroon 
d'Àutonoiis, mentionné par Hérodote (2) , était place k la 
droite de la source de Castalie , un peu plus bas , vers le 
sud-est, au pied du rocfaer nonmié ^Xs/ATToSxog qui paratt étre 
la rocbe Hyampea , du baut de laquelle le poète Esope fut 
precipite (3). L'eau de Castalie, après s*étre frayée un passage 
k trayers les rocbers, coule vers le Plistus et vient d'abord 
aboutir k une fontaine turque. Puis elle traverse un bois d'oli- 
viers et de muriers et va se précipiter , au fond du ravin , 
dans le Plistus. Un peu au dessous de la fontaine est un vieux 
piatane c[u*on peut regarder comme un rejeton du piatane 
piante par Agamemnon , d^après ce que dit la tradition (4). 
Dans un creux forme par les rocbers et sur la pente de la 
montagne est bjtie une petite cbapelle dédiée k st« Jean. Un 
troncon de colonne antique forme Tautel. 

mente qui abondent dans ce livre et k ceux qu^ a bten voulu ine 
donner le savant archéologue, pendant mon sejour k Àthènes, qu^il 
ni'*a ét^ possibile de rassembler quelquès notes sur la topographie de 
Delpbes. 

(1) Justin. XXiy, 6: Quamobrem et hominum clamor, et si 
quando accedit.tubarum sonus personantibus et respondentibus inter 
se rupibuS) multiplex audiri, aropliorque quam editur, resonare solet. 

(2) Vili, 39. 

^3) Suid. V. Aiffunrec et v. ^ai^ptig. 

(4) Theopbrast. Hisl. Plani. IV, 13 : Plin. H. N. XVI , 44. 



8 !• MOJVUMB9TI. 

\ Si on descend ensuite vers le bois d'oliviers , on arrive 
au couvènt de la Panagia. Selon Mr* Ulrìchs (1), ce couvent 
aurait été construit sur les fondations du gymnase. Près delà , 
vers Test , sont de grandes constructions pélasgiques en po^ 
lygones irréguliers. Le nom que les habitants du pays don- 
nent à ces constructions est rj MxpiJ/xpii* Là , se trouvaient 
quatre temples dout Pausanias fait mention, entre autres 
celui d'Athéné Pronaea, et auprès Théroon de Phylacus (2). 
Dans l'enceinte du couvent, on remarque plusieurs débris an^- 
tiques : un cbapiteau corintbien primitìf place au porcbe de 
l'église sert de base à une colonne byzantine ; sous le por- 
tai! des fragments de finse ofi&ent de beaux ornements, des 
trìglypbes sont encastrés dans le mur etc* En debors et en de- 
dans de l'église sont des inscriptions grecques déjà connnes (3)« 
En remontant au nord-est , au dessus du couvent de la 
Panagia ^ on rejoint le cbeinin qui de Castri conduit à Ara- 
cbova* Le long.de ce cbemin sont épars plusieurs sarcopbuges 
trouvés k répoque, oii le président Capo d'Istria fit Taire des 
fouilles a Delpbes. Au nombre de ces sarcopbages, on en 
remarque un fort beau en marbré blanc. Le milieu de la face 
principale manque. Quant au sujet du bas-relief sculpté sur 
ce sarcopbage, il est facile d'y reconnattre la ebasse de Ca- 
lydon. A cbaque angle est place un genie de la mort, dans 
une pose qui exprime la douleur* Vers la gaucbe on voit deux 
épbèbes ; l'un d'eux arrète un cbien , en le saìsisaant par la 
téte. Plus loin on retrouve des jambes et des pieds d' hommes 
et de cbevaux, dan^s la partie mutilée du bas-relief. A droite, 
le Seul groupe conserve représente un bomme qui au moyen 
du pedum se défend contre le sanglier place vers l'entrée de 
son antre. 

La face laterale de droite représente Altbée tenant la 
lettre qui lui annonce la mort de ses frères et jetant dans lès 
flammes le tison fatai. Le messager qui vient d'apporter la 
nouvelle de la dispute veut retenir la mère de Méléagre. 

(1) L. cit. S. 41. 

(2) Pau8.X,89 4. 

(3) Boeckfa, Corp. l'nscrìpt. graec. 1687 et 1722. 



a. MONVMB5S D9 DfiLPHES. 9 

La fece laterale de gauche montre Meleagi*e vainqueur 
tenant son cfaeval par la bride ; le sanglier mort est étendu k 
ses pieds* A gauche , derrìère le héros , on apertoli une 
fenune , vue à mi--corps , qui parait placee dans une barque. 
Gette fenune , a moins d'étre Diane elle-méme , * ne saurait 
étre autre qu'Atalante , en costume de chasseresse, conune elle 
se montre dans tous les baa-reliefs de la mort de Méléagre (1 )• 

Sur la fece postérieure du sarcophage sont sculptés deux 
griffons auprès d'un candélabre; à chaque angle paratt un 
Hercule^ en forme d'hermès. Le couvercle èst surmonté d'une 
figure de £»mne couchée. 

Dans la inéme direction de l'est , on rencontre un grand 
tombeau taillé dans le roc , àvec une porte feinte à deux bat- 
tants. Un figuier a poussé ses racines dans les interstices du 
rocher qui s'est feìidu. Les habitants du pays donnent le nom 
de Logori Q^étpt) k ce tombeau , nom qui doit son origine 
a une legende racontéé par Mr. Ulrichs (2). 

Enfin , a quelque distance delà est un grand édifice en 
pierres de taille, pris par le colonel Leake (3) pour une tour 
servant à la défense du pays* Il parattraìt plus vraisemblable que 
c'était un héroon , siumonté d'un toit de forme pyramidale. 

Pour visiter les autres ruines de Delphes , il faut re- 
tonmer vers le couchant. Ainsi , eh quittant le coùvent de la 
Panagia , poi^ monter au village de Castri , dans la direction 
du nord , on revietot d'abord vers la source de Castalie : puis 
on suit le sentier a gauche. On continue a. marcher vers le 
couchant : le chemin se retrécit y les rochers penchent en 
avant. Le long du sentier on rencontre plusieurs terrasses qui 
ont servi a porter des édifices. Plus loin , pour ainsi dire vers 
le milieu de l' hémicycle forme par la montagne, on apeffoit 
une grande substruction en belles pien*es de tailles auxquelles 
le temps a donne une teinte rouge. Ces ruines porteftt dans 

(1) Yoyez sur les monuments qui se rapportent a la mort de 
Méléagre la nouvelle publicalìon de Monuments inédits de notre savaut 
collègue Mr. Em. Braun , Dee. 11 , Taf. 6. 

(2) L. cìt.S. 44. 

(3) Travels in Northern Greece voi. II , p. 552. 



10 !• MUHVMENTI» 

le pays le nom de rò 'EXXigvcxó , dénominalion que souvent 
en Grece on donne aux ruines des monuments antìques* On 
croit généralement que là, au moyen Ige, étail une forte- 
l'esse, de laquelle est venu le nom de Castri ou Castro, sous 
lequel est connu aujourd* bui le pauvre village Mti sur les 
ruines de Fancienne cité. Cette belle substruction servait de 
soutenement au péribole du tempie d'Apollon : on ne peut 
guère en douter. En montani plus haut encore , on arrive a 
la piate-forme, sur laquelle s'élevait le sanctuaire. Tout le sol 
est couvert de débris , morceaux de marbré , fragments de 
vases peints* Farmi ces demiers on en rencontre qui ont de 
fort beaux omements , des palmettes , des m^andres , mais 
malgré mes recbercbes il m*a été impossible de trouver un 
Seul fragment de figure, quoìque je sois persuade, d'après 
les écbantillons que j'ai pu ramasser , qu' à Delpbes il y avait, 
comme dans la Grande-Grèce, TÉtrurie, la Sicile et quelques 
parties explorees maintenant des tles et du continent bellé- 
niques , des vases du style le plus parfait. Sur la piate-forme 
se trouvent «pars des débris de colonnes doriques, un superbe 
cbapiteau ionique et une friso d^corée de palmettes. Les co- 
lonnes doriques sont en pierre du pays , le reste est tout en 
marbré blanc» 11 paratt , d'après ces fragments d'arcbitecture 
qu'à rexte'rieur, le grand tempie était d'ordre dorique et k 
r intérieur d'ordre ionique* On remarque aussi dans cet en- 
droit un bas-relief qui représente un combat de Grecs et de 
Barbares , dans lesquels il est facile de reconnattre des Gau- 
lois*Là, se trouvaient également plusieurs inscriptions inédites 
copiées par feu le professeur K« O* Miiller, travail qui, comme 
OH sait , a couté la vie a cet illustre savant. Aujourd'hui ces 
inscriptions ont toutes disparu : il parait que les pierres sur 
lesquelles elles sont tracées ont été employées comme maté- 
rìaux pour la construction de nouvelles maisons. Quoiqu* il 
en soit, malgré toutes les recbercbes que j*ai faites, il m'a été 
impossible de retrouver qpielques traces de ces inscriptions. 

Au-dessus du tempie est b£tie la cbapelle de st. Nicolas. 
A la porte de cette cbapelle, à droite, se voit une inscription 
gravée sur une colonne et publiée par le colonel Leake ; k 



a. mouvmbus db deiph bs. 1 1 

gauche on remarque un petit chapiteau ionique en marbi% 
blanc. Un peu au dessus de cette cbapelle, on trouve un petit 
iardìn dans lequel est le seul laurier qui soit dans le pays. 
C'est un vieil arhre très vigoureux ; Mr. Ulrichs le considère 
avec raison comme un rejeton du laurier d*Apollon. 11 est 
exactement à la place oìi devait se trouver Tarbre sacre* Hors 
de l'enceinte du petit jaidin , en montant encore un peu au 
nord j on parvient à une source qui en hiver comme en été 
foomit une eau limpide et abondante. Mr. Ulrichs n' hésite 
point à reconnaitre dans cette source la fontaine Cassotis. 
Aujourd'hui elle est consacrée a st. Nicolas et s^appelle )7 B/9U- 
cng xoH éyiou ISdiHclkaov» Autrefbis les eaux de la source Gas-> 
sotis étaient amenées par des conduits dans l'enceinte méme 
du tempie. Aujourd* bui encore j au dessous de la grande 
substruction à lacìuelle on donne le nom d^ffeUeniho , on 
voit jaillir une source qui paratt étre en communication avec 
la fontaine Cassotis. 

Du reste , on ne connait point Femplacement de l'ou- 
verture ou gouffre sur lequel etait pose le trépied. Jamais le 
sol n'a été fouillé à une certaine profondeur , là oii se trou- 
vent le laurier et la fontaine. 11 est problable que si les 
fouilles etaient reprises a Delphes , on trouverait des monu* 
ments d'un grand interét et peut*étre quelques-unes des 
métopes decrites par Euripide (1) et sur lesquelles Mr. le 
professeur Welcker vient de publier un savant travail inse'ré 
dans le Jlheinisches Museum (2). 

Quant au magasin à foin dans lequel Mr. Ulrichs (3) 
croit avoìr reconnu les restes de la fameuse Lesché de PoLy- 
gnote, malgre toulfes les recherches possibles, il a fallu quitter 
Castri 9 sans l'avoir découvert (4). 

A còte de la fontaine Cassotis était le théatre dont on 
reconnatt encore la forme, quoique partout ici des habitations 

(1 ) Jon. 190 seq. 

(2) VorstelluDgen der Giebelfelder und Metopen an dem Tempel 
zu Delphi. 

(3) L. cit. S. 39. 

(4) Leake 1. cit. voi. II ^ p. 567. 



12 ]« MOnUMEHTI* 

occupent cette partie du rocher. Là sont plusìeurs inscriptions 
publiées par Mr. Boeckh dans le Corpus inscriptionum. Au 
dessous du théatre on rencontre une autre source qui parati 
étre la source Delphusa. Le nom qu'on lui donne aujourd' hui 
est celui de Kspvflt. Prenant ensuite la direction du nord-ouest, 
on monte jusqu'à un endroit nommé AóxX6)/xoe (la tranchéé). 
C'était là qu'était le stade. Il n'existe plus aucun débris des 
plaques de marbré pentélique dont Hérode Atticus fit décorer 
ce stade (1) ; mais la forme en est parfaitement reconnaissable 
et on est étònné qu* il ait été possible de faire un stade dans 
un endroit aussi abrupte* Dans les rochers qui s'élevent au 
dessus du stade, j'ai remarqué une espèce d'édicule taillé dans 
la montagne , avec trois degrès pour y mònter. Une rainure 
coupée dans le roc vif indique la moitié d'un fronton et fait 
voir quece monument ii*a éte qu'ébaucbé. 

Du haut des rocbers qui dominent Castri , au coucbant, 
on jouit d'une des plus belles vues de la Grece. On aper90Ìt 
tonte la vallee de Delpbes traversée par le Plistus ; des oli- 
viers et des vignes couvrent les bords du fleuve. Le golfe de 
Crissa se développe en face et dans le fond on aper9oit, à une 
distance fort «loignee , la ville et le port de Galaxidi. Une 
ceinture de montagiies cacbe à droite la plaine et la ville de 
Salona. Si on porte ses regards en arrière vers le nord-est , 
onvoit la chatne du Parnasse et à une bauteur considérable, 
3Ò00 pieds au dessus du niveau de la mer, la ville d'Aracbova 
(l'antique Anémoria) placée sur un rocber presque inacces- 
sible et entouré de toutes parts de ricbes vignobles* 

En descendant des rocbers vers le sud , on arrive à la 
cbapelle sans toit de st. Elie; là est le cimétière des babitants 
de Castri. On voit dans Y intérieur de la cbapelle deux mor- 
ceaux d'une frise ionique sculptée sur un bloc de marbré 
blahc qui avant d'avoir été employé comme frise , offrait un 
bas-relief d'ancien style. On y remarqué encore une jambe et 
un pied de cbevaL Dans le mur extérìeur de la cbapelle sont 
encastrés quelques fragments antiques, entre autres un cba- 

(1) Paus. X,32, 1. 



6. TOMBEAUX DB l' IlE DE THÉRA. 13 

piteau ionique: sur une pierre qui gtt a teri^e sont tracees les 
lettres KE^C^ • • • • qui offrent quelque intéi'ét pour la pa-> 
léographie; elles sont d'une forme très ancienne. La chapelle 
de st. Elie parati avoir été balie a la place oii étail le siège des 
Amphiciyons, au faubourg de Pylaea. Autour de celle chapelle 
soni des aires à baiire le blé , rà oXaSvca rov KomptoZ. 

Au nord-est òn renconlie un lombeau romain laillé dans 
le roc (1)« 11 se compose d'une chambre assez spacieuse qui 
renferme trois sarcophages , un au fond et deux sur les cdtes. 
Au dessus de la niche qui abrile le sarcophage principal sont 
deux autres petites niches destìnées à recevoir des umes. Au 
cenlre, vers le sommet de la voule, pantt mie téle sculpiée, 
représenlanl Jupiler Ammon, entourée de guirlandes de feuil- 
lage peintes en \&ct* Les parois de la voute soni également 
enrichies de peintures , on y remarque encore deux oiseaux. 
Auprès de ce lombeau se irouvent d'aulres sepuliures laillees 
dans le roc. j. de witte* 



b. TOMBEAUX ET AUTRES MONUMENS ARCHITECTONIQUES 

DE l'Ile de théra. 

[Rfòn. deltlnsi. voi. Ili, taw. XXF-XXFI). 

Les tles de la mer ^geenne ne jouenl, dans 1' hisloire 
polilìque de 1* anliquilé grecque , qu' un rdle secondaire , 
parcecpie , soil en raison de leur faiblesse intérìeure , soil à 
la suite de leur posilion géographique', elles subissaient pre&- 
que toujours le joug des états plus puissans , qui successive- 
ment se disputèrent la domination de la mer, depuis l'epoque 
de Minos jusqu'aux expeditions vlclorieuses de Mithridale le 
Grand et de ses géneraux , qui saccagèrent la sainte et riche 

(\) Il a éié déjà queslion des lómbeaìix de Delphes dans ces Ao- 
naics tom. VII, p. 1^. 



Ì4 U MOifUMBNTI» 

Delos. Mais bien antre est 1' importance des iles grecques 
dans V histoire des arta et de la civilìsation en general, en ce 
qu*elles formaient , précisément par leur position géographi- 
que , le plus ancien et le plus naturel lien entre les trois 
grands continents , la Grece d' Europe , l'Asie mìneure et 
V Egypte y qui bordent cette partie de la mediterranee. Elle$ 
étaint pour ainsi dire le pont par lequel les babitans de ces 
pays communiquaient les uns avec les autres , et elles leur 
servaient d'entrepóts pour Tccbange de leurs idées , de leurs 
inventions et des productions de leurs arts j non moins que 
des denrées natui^Ues de leurs pays i*espectifs« Et dans les 
siècles les plus florissans de l'art ancien, combien de celèbres 
artistes la Grece n'a-t-elle pas vu sortir du sein de ces tles , 
depuis les écoles de Samos et de Cbios , depuis Byzès de 
Naxos j Agoracritos et Scopas de Paros , jusqu'au temps des 
empereurs de Bome? M'auraient-ils laissé aucune trace sur le 
sol de ces iles , qu' ils appelaient leur patrie ? n'auraient*ils 
pas songé à embellìr leurs villes natales de quelques-uns de 
ces monumens qui faisaient l'admiration du monde ancien ? 

Ces considérations qui s'offrent si naturellement à cba- 
cun , auraient pu engager les voyageurs qui faisaient , du sol 
classique de la Grece , l'objet de leurs rechercbes , à visiter 
aussi les tles de la mer Egéenne; mais neanmoins elles sont, 
depuis les voyages de Toumefort et du comte de Choiseul- 
GoufBer, restées prèsque tout-k-fait dans l'oubli. Depuis 
l'année 1835 j'ai eu occasion de faire dans l'Archipel grec 
plusieurs excursions, qui ne sont pas restées sans quclques 
résultats assez intéressans pour l' histoire et l'arcbéologie. Une 
partie de ces découvertes a élé publiée dans plusieurs mono- 
graphies (1) ; un apercu general des fruits de mès rechercbes 
a été soumis au pi:d>lic dauos le premier volume de mes Voyor 

(1 ) «Apx«<o>07£a t^s viaffou 2<xivou. *A3TQVì3<rc 1 837, 4® (Programme Je 
PuDiversité OthonieDDe). — Ueber ÀDHphe und Anapbàische iDSclirif- 
ten. Nebst einem Anhange : Inscbrifteii von Pholegandros fdans les 
Mémoires de Pacadémie de Mudic 1838, 1 classe, voi. 11). — L. Rossiì 
Holsali, Inserìplt. Àmorgìnarum partie. 1 (dans les Acta Soc. Gr. 
Lips. 1838, voi. 11). 



b* TOMBE AUX DB l'IlE DB THfiBA. 15 

■ 

ges aux iles grecques (1)» C'est en quelque sorte pour com- 
pléter cet ouvrage que nous poblioiis (sur les planches XXV 
et XXVI de nos Mon. in.) quelques^uns des monumens ar- 
chitectoniques de 1' ile de Théra ou Santorin , dout notre 
coUègue Mr. rarchitecte Schaubert a bien voulu offrir les 
dessins a l' InstituU 

La petite Ile de Théra est traversée sur le sud--ouest par 
une colline d'un calcaire rougeàtre et très*-dur , qui a environ 
une faeure de long \ et qui se termine par une espècc de cap. 
Le cap et la colline sont connus l'un et l'autre sous le nom 
d' Exomyti. Un peu au sud de ce cap on voit dans la mer et 
près du rivage les traces d'une ville engloutie , qui vraisem- 
blablement était VEleusis de Ptolemée (2). C'est à cette ville 
que paraissent avoir appartenu certains tombeaux tailles dans 
le roc (ywfot 'karoyanoi) le long du coté sud de la colline de 
YExomytL Le sol , au pied de la pente prèsque perpendicu- 
laire dans laquelle ces tombeaux ont été ci^euses, est parsémé 
de fragmens de vases ; et en face de Fune de ces niches on a 
trouvé une statue très-remarquable d'Apollon y dans le type 
le plus archaique de l'ApoUon Pythien (3). Des fouilles en- 
trepnses au pied du rocher et au-dessous des tombeaux ame** 
neraient sans doute d'auties découvertes intéressantes. 

Les formes de quelques-uns des plus remarquables d'en* 
tre ces tombeaux se voient sur nos pi. XXV-XXVI, fig. 1 -*4. 
Elles rappelent assez les monumens semblables soit des né-* 
cropoles de la Tyrrhénie (4) , soit des environs de Delpbes (5) 
ou des villes de la Lycie (6) ; mais les tombeaux de Théra 
ont im intérét tout particulier , en ce que les travaux de 
sculpture qui s'y sont trouvés (la statue d'Apollon et le sei^ 

(1) Reìsen auf deti Griecbischen Inseln. 1 Bd.Stuttgard 1840, 8.® 

(2) Plolem. Geogr. 3, 15. Voir, sur ces localitcs en general, 
moo InselreiseS. 69 segg. S. 181. ^ 

(3) InselreiseS. 81. 

(4) Moo. de riDSt. I, pi. 41. Ann. IV, p. 272. 

(5) Ano. VUi pi. F, p. 186^ Comp. Ulrich, Reisen 1, S. 36. 44. 

(6) Cboiseul-Goufiler , Yoy. più. I, p. 118, pi. 67. 68. Ch. FcJ- 
lowS) Journal wrillen during an excursion iu Asia Minor. Lond. 1839. 



16 f. MONVM£lVTr« 

pent j pi. XXVI, 6g. 5), et V inscriptìon d'im tombeau que je 
citerai plus bas , portent à croire qu' ils xemontent a une 
très-haute antiquité : de sorte qne l'espèce de ebapiteau co- 
rìnthien, qui coui*oiine les pilìers de deux de ces niches, 
peut étre considéré comme la forme la plus ancienne et la 
plus simple de cet ordre , avant qu' il etit regu tout son de- 
ve'loppement. Et méme la forme semicirculaire de quelques- 
unes de ces excavations peut étre citée coi^me une preuve , 
que les Grecs , à une epoque assez réculée j connaissaient 
déjà Tare du cercle et son application (1) , bien que pour les 
formes extérienres de leurs monumens ik préferassent la con- 
struction rectangulaire. 

PI. XXF'j fig. 1 . a* Grande nicbe carrée , a une élé- 
vation d*environ douze pieds au-dessus du soL 

1. b. Pian du fond de la nicbe« On y voit le cercueil 
taillé dans le roc (5)7)07 XorojULiTnf)) qui a la forme d'un sar^ 
cophage de momie (mùog) (2); la téte est dirìgée vers le 
levanU Sur deux marcbes ou bancs plus elevés il y a bon 
nombre de trous ou de petites excavations , dans lesquelles 
paraissent avoir été places des stélés a inscriptions , des ba^ 
reliefs, des bustes, des statuettes et autres objets seinblables(3)* 
C'est vis-k-vis de cette nicbe qu*a été trouvée la statue 
d'ApoUon. 

Fig. 2, a. Tombeau taillé dans le méme rocber , imi- 
tant l'entrée d'un petit tempie entre deux piliers (fXear, è/3- 
^oarixcu , nupacnAàsg). Les piliers sont couronnés de cbapi- 
teaux qui rappelent le plus simple prototype de l' ordre 
corintbien, et qui soutiennent une espèce d'entablement lisse 



(1) V. W. Mure, ViAgglo nella Grecia. Annales de Plnst. X, 
p. 131 suiv. ta¥. d^agg. H, et Mon. in. 11, tav. 57. 

(2) li me seinble que Trjthi (cui/e, euvette ^ baignoire^ ^Qvòct 
^poiri} , (JiàxTpoc], est rappcllation propre aux coixueils de celle forme, 
plutòt que >e(/&yag oii ffopó;. Comp. Becker, Charikles 11, 184. 187. 

• (3) *Em3rì^ru,aiiiMtx,irnikou, ^ouvent d^un rapport symbolique 
(<rujApo>ov, Anlh. Pai. 7 , 421 , ou ffvv3i}fA«, ibid. 394, 428 ). Comp. 
Becker 1. e* S. 191 segg. 



£• TOMBÈAUX DE l'IlB DB THÉBA. 17 

surmonté d*un fronton qui a des anteBxes (iytflévi^) ou acro- 
tères sur ses trois angles. 

2. b. Pian de la niche semicircuiaìre ; le cercueil a ancore 
ici la forme d'une Ttvzkog» 

2. €• Le chapìteau sur une écbelle plus grande. 

Fig» 3. a^. Vue pittoresque , elévation , pian et coupé 
d*un monument de la méme nature , représentant la fa9ade 
de deux petìts temples semblables au précédent; le pilier qui 
les separé 9 est commun aux deux fa^ades; aussi le fronton de 
celui k gaucbe n'a-t-il point d*antefixes à ses deux extrcmi- 
tés« L'ouverture des niches est carrée , mais leur dossier a la 
forme d'une demi-voute en berceau. Il n'y a point de cercueil 
taìUé dans le fond: de sorte qu' il paratt que des sarcopbages 
rapportés etaient placés sur les bancs. 

3. e. Cbapiteau des piliers , dans la proportion d' un 
quart de la grandeur de l'originai. 

PL XXVI'f fig. 4. a-A. Sarcopbage taillé dans le roc 
au pied d'une pente prèsque perpendiculaire : le tout j j 
compris le couvercle et les marcbes, d'iui seni bloc. Cepen- 
dant la moitié interieure de la toiture , du cót^ du rocber , 
laisse un yuide , pour pouvoir y introduire les corps du dé* 
funt ; cette ouverture doit avoir été fermée après coup , par 
une pièce rapportce , qui ne se trouve plus. - Ce monument 
à lui seni suffimt pour démontrer , qu'orìgin^irement la de- 
stination des sarcopbages était , non pas d'étre enfouis sous 
terre, mais d'étre placés sur un soubassement (xpijTrfj, xpj- 
niicàfUK) en plein air, conune une espèce de cbapelle ou de 
petit tempie (cTipeòg); tels qu'on en voit encore dans l'tle de 
Tbasos (i) , ou parmi les ruines de Platées (2) , et très-fré- 
quemment dans la Lycie et autres pays de l'Asie mineure (3). 
Le de carré , qui surmonte le milieu du couvercle de ce sar- 
copbage et de beaucoup d'autres (4) , servait de base au buste 

(1) Prole esch , Eri nnerungen. 

(2) Morgenblatt 1855, N. 157, S. 626. 

(3) FelloT^s, AsiR Minor p. 219. 226. 231. 

(4) P.e.sur lescouverc.de beaucoup de sarcoph. dans rtledeRM- 
née. Tourn. 1, Taf. 41 , S. 499 (de la trad. Allem.). Ross, Inselr. 1 , S. 56. 

jàNifAU 1841. 2 



18 !• MONUMENTI* 

du defunt ou a quelqu*autre ornemenl (inrSijjUia) , p. e. un 
lìon y un sphìnx , un vase eie. 

Fig. 5. Serpeni en bas-relief , d*environ 8 k 9 pieds de 
long , taillé dans le filane de la roclie vive , à une élévation 
d'environ 20 pieds au-dessus du sarcophage que nòus venons 
de décrire , et un peu plus vers Touest. Il est connu des ha- 
bitans de Tilesou^ lenom di Echendra (vj "E^fsvJpa ou*0/£V- 
3j9a) (1). 11 a une barbe pointue à Te'gyptienne, et sa forme 
rappèle le type du serpent sur deux des inscriptions de Four^ 
mont (2) , que toutefois Mr. Bòckh croit ótre fausses. A* quel- 
ques pas au-dessus de ce symbole on trouve encore sur la 
surface de la roche, qui n^est accessible que du còte de la col- 
line, un autre sarcopbage sans couvercle, taillé dans le roc, et 
portant en caractères très-larges et très-lisibles, l'inscription: 

®EO®Ef^lO^ 
Le serpent pourtant doit se i*apporter au sarcopbage sous le 
n. 4 ou à quelqu'autre monument au pied de la montagne , 
parcequ' il n'est , comme ceux-ci , visible que du coté de la 
plaine* 

Il est un autre endroit de l'Ile de Tbéra , où il y a en- 
core beaucoup plus de tombeaux , c'est sur la montagne de 
Messa^Vounòy par laquelle le promontoire de st. Etienne, 
oii les ruines de la ville Oea {Oìoi) sont situées , se rattache à 
la grande montagne de st, Elie. Mais la plupart de ces tom- 
beaux sont sous terre , murés ou creusés dans la forte conche 
de pierre ponce et de cendres volcaniques , qui recouvre la 
montagne (3). C'est là oii ont été trouvés les blocs d'obsi- 
dienne avec des inscriptions dans les plus anciens caractères, 
et qui peut-étre remontent a l'epoque de la première immi- 
gra tion des Doriens (4). Sur le bords de cette nécropole on 

(1) loselreise I, S. 70. 

(2) C. 1. Gr. I, D. 57. 58. 

(3) Y. sur Messa-Voutiò (rò Msca-Bouvòv) et les tombeaux qui s^y 
trouvcnt, mon Inselreìse 1, S. 60. 65 segg. 

(4) Bòckh , Ueber die von Hern. v. Prokesch ia Thera entdeckten 
luschriflen N. 1. a-e, N. 2 (Kó/>uyog) et quelques autres. V. Franz, 
Eleni, epigr. gr. N. 1-20. Mais je ne saurais aucunement partager Topi- 



b. TOMBEAUX DE h thE DE THtRA. i9 

voit quelques gi'andes masses isolées de rochers, qui se sont 
détachés des précipices du mont de st* Elie, et dans lesquels 
des lits de morts (Sì^xac) ont été creuses , avec Tappareil ac- 
coutumé de petits trous ronds ou carrés , pour i*eceyoir les 
stelés ou d'autres omemens (s;re3i7fxara, auji^ara). Les Bgures 
6. a. b. eli • a* b. de notre planche XXVI , donnent la vue 
et le pian de deux de ces roches creusées en tombes. 

Nous joignons à ces monumens proprement sépulcraux, 
le dessin (pL XXVI, fig* 8) d*uii pan de inur, qui parati 
avoir appartenu au soubassement de quelque ^grand édifice 
dans V intérieur de la ville d' Oea. Sur la pierre angulaire de 
la rangée inférieure on appercoit la forme d'une tablette vo- 
tive legèrement tracce dans le calcaire dur , et sur cette ta- 
blette un itbipballe a còte duq[uel on distingue quelques let«- 
tres qui paraissent devoir étre lues T0I2$I A0I2 (toÌ^ (fikoi^j 
à mes bien-aimès). L' inscription en a été déjà publiee par 
Mr. Bockfa avec une autre qui prouve que le dieu Priape avait 
un cu}te dans Oea (1); mais Tobservation que des phallus 
semblables se trouvent aussi sur les murs de plusieurs ancien- 
nes villes d* Italie , avait échappé a ce savant (2). Nous en 

Tiion de ces savnns , que ces ìnscriptioris ne semienì pas beaucoup plus 
anciennes que le siede de Solon et de Pisìstrate ! 

(1) Bòckh, C. laser. Gr. 11, n. 2476, b. Theràische luscriflen 
n. 100, S. 60. 

(2) Sur des murs a Norba , Todi , Con ese (Cures) et Fiesole , et 
à rentrée de deux tombeaux a Caslel-d^Asso et a Acre. A' còte du 
deruìer notre coUègue Mr. Panofka découvrit l^iuscription KAIZT. 
Nous sommes porlés k croire , que les phallus scuiptés sur les murs 
précìtés indiqueot le voisinage de loml>eaux , sitnés peut-étre Si la 
base du mur. — - L^esame comparativo di numerosi monumenti che 
portano cotal simbolo ilifallico c^inducea credere per fermo, cbee^so 
non ha altro senso fuorché quello di preservare contro gli effetti di- 
sastrosi attribuiti «IP invidia , volgarnlente maPoc'chio. Perciò sarei 
tentato di supporre la leggenda TOlZ ^lAOlS abbia da prendersi per 
un eufemismo con cui si è voluto evitare IVspressione fatale d^ inimico. 
Che realmente voilevasi custodire il sepolcro, le mura, le fonlane 
contro il malvolere degP inimici col surriferito simbolo. 

NOTA DELL^BDITOAB* 



20 I. MONUMENTI* 

citerons plus bas un autre exemple , sur une pierre de Tedi- 
fice que nous decrirons sous la fig. 1 0* 

Il nous reste a decrire deux monumens d'un ordre plus 
elevé , dont le premier se trouve au nord-ouest de la colline 
de r Exomyti , près du village de Megalochorio ; l'autre au 
pied de la montagne de st« Etienne (Oea) , dans la plaine qui 
la séparé des tombeaux de V Echendra , a un endroit appelé 
Perissa. Ce sont deux petits édifices de la classe des chapelles 
sepulcrales (iip&ov); et nous savons, par une foule d'inscrip- 
tions , que le eulte des défunts , surtout des classes supérieures 
de la société (des familles gouvemantes ou de Taristocratie lo- 
cale) comme héros divìnisés , étaìt fort en usage a Théra et 
dans les iles qui en dépendaient , telle que Pholégandros et 
Anaphé (1). 

Le premier de ces héroum ( pi. XXVI, fig. 9. a-g') , est 
encore prèsqu' intact; mais il a été, par les Chrétiens , métar 
morphosé en église et dédié à st. Nicolas, dont il porte aujour- 
d^hui le nom ('A. NoióXaoq MapfXoepeiiQg). Il est b£ti de marbré 
bleu , dont une grande partie de la montagne de st. Elie se 
compose. C'est un carré oblong, qui a environ 4,70 mètres de 
largeur sur 3,65 de profondeur (2). La porte est tournée au 
sud ; ce qui paratt avoir été la règie dans tous les édifices sé- 
pulcraux oii les ciconstances locales le permettaient. 

Le plafond (fig. 9. e) consiste en trois poutres de mar- 
bré, sur lesqiielles posent, au lieu de caissons (fOTVfiS/xara^ 
ìwkv[XiJmo^ des plaques lisses {trocJiieg 'Xftoct) du méme marbré. 
Ces plaques forment en méme temps la toiture extérieure , 
qui , non plus qu'aujourd' bui , ne paratt avoir été ancienne- 
ment recouverte que d'une conche de mortier entremélé de 
pouzzolane (cmcpó/Gàfix , qui abonde dans cette tle) , et qui 
forme une couverture impénétrable k l'eau. Vis-à-vis de la 

(1) Bockh, Therfiische Inschr. S. 11 seg. Mii dissertation sur 
Anaphé S. 439 seg. La formule d^usage est: 'O à&\ui «f «oótcgf rdv ^cfvae. 
Aux béros on offrait seulemeot des piaeula (Ivaycaftóff • lyoeyi^ftì) , mais 
poìni de sacrifice proprement dit (.9v9Ìa). Herodot. 2, 44. 9d^ì'iM^\^\x 
ih. 11,7. 

(2) iDseIreise I, S. 71 segg. 



&• TOMBBAVX PB l'ÌLE DB THÉBA. 2l 

porte , dans le mur de nord , il y a une niche (Ai^iptOCìno^^iai) 
en forme de demi-*cercle , entre denx petites colonnes lOniques 
qui soutiennent un entablement dorique surmonté d'un petit 
fronton (1). Au-dessus de la nicbe se trouve une inscription 
ea larges caractères, mais qui a élé presqu'effacée a coups de 
marteau par les chrétiens , de sorte que je ne Tavais pas vue 
loTsque je visitai ce monument pour la première fois. 

eEA BA2IAEIA 
En..0rX02KAI 
. "T.API2TAXAPI2TEI0N 
Osa Bofftkioc 'EnliKloyx^^ 0) ^ [Ilavlap/trra (ou Msyopf- 
oroS) '/pcpt^ùov, Nous connaissons , au moins par le testa- 
ment d' Epictéta (2), l'usage de piacer dans les héroa, outre 
Y image du défunt , des statues ou bustes de dieux ; de sorte 
que la découverte de cette inscription ne peut rien cbanger 
k l'opinion que nous avons énoncée sur la destination de 
l'ediBce. 11 ne s'agit donc que de savoir , quelle peut-étre la 
déesse désignée sous le nom de Beine ou Boy ale ^ Osa Ba^f- 
Xsea. Ce sumom est donne à Apbrodité (3) , a la mère des 
dieux Cybe'le' (4) , et dans la forme Huaikì^, à Héra (5) , 
épouse du Roi des dieux {^lòz'Rcxaiksóg)^ Or , nous ne croyons 
pas qu' il y att lieu ici de penser à Junon ; il faudrait plutót 
se décider pour Vénus , comme divinile d'attributions sépul- 
crales (6) , ou pour Cybélé , dont le eulte a Tbéra est aussi 



(1) Une tiìche semblable contenant uo buste de Bacchiis , 9c 
voit sur un bas-relief (Mus. Pio-CIem. V^ 18) dans Millin, GalU Myth. 
pi. CLVl, n. 561. 

(2) C 1. G. 11, D. 2448. Le héroum dont il sbagli dans cette in- 
scription , était proprement un sanctuaìre òéàxé aux Muses (Movffctov^, 
dans lequel étaient placées les images des Muses ((^R^ mot que Mr, Dòckb 
p. 370 veut restreindre a la signification de bas-reliefs) et les statues 
^«v^piÀvrec , àf9Ùj^X9) de quatre défunts h^roì'fiés. 

(3) 'AfopoSirn Baai^sMc, Athen. 12 , p. 510. Venus Regina , Piop« 
4 , 5 , 63. 

(4) Diod. Sic. 3, 57. 

(5) 'Upa Ba(j£>c^< Tvnólet Agp«^fwv ceti. , C. I. G. I , n. 1603. 

(6) Gerhard , Venere Proserpina. Fiesole 1826* 



22 !• MONUMENTI* 

attesté par une autre inscription (l). L' image d*une de ces 
déesses , soit le buste seulement soit une statuette de petite 
dimension , doit donc avoìr été placée dans cette niche ; et 
les fondateurs de Vhéroum y Epilonclios et Panarista (si nous 
avons bien suppleé les noms) la lui ont erige comme un té- 
moignage de reconnaissance. Car tei doit étre le sens de ce 
mot ycxpiorfiGVy inconnu d*ailleurs, mais synonyme de /«pt- 
cmópt^'^ et d'eù^apeoTìijpwv , qui se trouvent avec la méme si- 
gni6cation dans d* autres iiiscriptions anciennes (2). Outre 
cette niche il y a encore dans Fangle N. O. de la chambre 

(1) Cette ÌDScription , sur une petite table de marbré blanc , fait 
partie de la collection de Mr. N. Délendas , acluelleinent Démarque à 
Théra. Elle a é\é trouvée il y a déjà bien des anoées, a Kontochori près 
de Phirà^ avec deux pecits lions de marbré blanc, d^environ huit 
pouces de long et d^un Irès-bon travail , et a^ec quelques autres objets 
que nous citerons plus bas« 

L^ inscription de la petite stélé est la suivante : 
OYPOI i FAI Oxtpot yac ( une autre copie 

©EaNMATPI porle 0YPOITA2) 3ewv fA«- 

0EO2ArA0AIT rpi. ©sóc àyo^a tv;^?* 'AyotSoO 

r X AI ArA0OY A SoLtinovo^ 3u<rt«. "Ap^t * ( « ? ) 

5 AIMONO20Y2IA 3o(ffia ? une autre copie porte 

APXIH0YTaiET APXmOT) t& irti tw npari^ 

ElTIÌinPATlST ffTu* 3uff9VT< ^ouv xaì Tcup&v 

fìI0r2ONTlBOY iy |Xf^c|Avou xat xpc3uv I7 Jùo 

NKAlIIYPnNEr fAs^éfAVGDV xaè otvou [«Tpvjràv 

lo MEAIMNOYKAI x«t SXka àTràpypMTa 6>v ai 

KPl0nNErAYOM S}pat fipovtjtv , jaìjvòc 'Aprgfw- 

EAlMNnNKAlOlNO ctov né^unra, iffrocfAlvou xoet pq- 

YMETPHTANKAIAAAA vòc -Yaxiv^iov TrgfATrra wt»- 

AriAPrMATAnNAinP |xévou. 

i5 A1MPOY2INMHN02APTE Cf. Bull. 184 1, p. 5;. 

MlZlOYIIEMriTAllSTAM 
ENOYKAIMHNOZYAKlNèlO 
YÌlEMnTAIIITAMENOY 
JjCs autres ob}ets sont : un vase de marbré , de deux palmes de 
diamètre, sur le bord daquel on Ut cette inscription: 

EMBAPH2 0EaNMA ... . EKATAN 
^£fAJ3oép)}c ^t&v {Aa[rpt ^jexRTav, et un petit autel rond avec cette inscrip- 
tion : Zn«ANTO2MOAAIO2MATPl0EaN, lùfùLvro^ mólhoQ fxarpt Bt&v. 
(2} y. des exemples dans Franz < Elem. epigr. graec. p. 335. 



b. TOMBEAUZ DB l'ÌlE DB TIlfiRA. 23 

une petite tablette trìangulaire , où peut avoir été place une 
statuette , un vase ou quelque objet semblable. 

Le col autour de FédiGce s'est exhausse au moins de trois 
à quatre pieds , de sorte que son socie et les marches qui doi- 
vent former son soubassement,ne sont plus visibles.La fig.9.£Ì 
de notre planche donne l'élévation d'un de ses cótés , et les 
figures Q.e^/'et^représentent les chambranles de la porte, la 
comiche inteneure des parois et la moulure au-dessous de 
la niche* 

L^autre héroum (pi. XXVI, fig. 10, a. b) fut decouvert 
en 1836 à Tendroit appelé Per issa dans une fouille qu*en- 
treprirent les habitans des villages voisins a Tinstigation d'un 
visionnaire qui dans un songe avait cru avoir une revélation 
de ruines d'un couvent enseveli sous terre à cet endroit (1). 
On trouva en effet les fondemens d'une large e'glise , de la 
ci-devant existence de laquelle quelques souvenirs s'étaient 
conservés dans les rélations écrites (2) et les traditions orales 
relativesk l'éruption volcanique de l'an 1650. L'une des trois 
niches sémicirculaires (xóy)pj) , qui forment a l'ordinaire le 
sanctuaire des églises grecques , est assise sur les restes d'un 
ancien édifice rond , dont cependaiit le coté du sud (oii doit 
avoir eté la porte antique) et la moitié dù còte ouest avaient 
été démolis, pour y pratiquer une entrée plus large et pour 
pouvoir le réunir au pian de l'église. Nous en donnons une 
vue (6g. 1 0. a) d'après un croquis de Mr. le prof. C Bitter 
de Berlin , et sous le n. 1 0. i ,* les contours de son élévation 
laterale mésurés par moi-méme. Les cinq gradins sur lesquels 
Fédifice s'élève, forment ensemble un soubassement de 1,15 
mètre de haut , et qui à sa base a sept mètres en carré. La 
chambre ronde a environ quatre métres (4,10) de diamètre, 
et s^est eneore conserve a la hauteur de 2,30 mètres. Ce mo- 
nument, h&tì. de marbré bleu du mont st. Elie, comme celui 
que nous venons de décrire, parah avoir été l' héroum d'une 
fenune ; au moins trouvaì-je à coté un large piédestal avec 

(1) Inselreise I, S. 69. 182 segg. 

(2) Ibid. Beilage S. 193 segg. 



24 f« HOnUMBllTU 

rinscrìptioti Jsuivanle, dans les caractères du siècle d'Auguste: 

OAAMOSAOHPQISEN 
EPA2IKAEIANEPATOKPATOr2 
APETA2ENEKAKAI2il$P02TNA2 

'Epmiìà&toci^ 'EpocuG'Kpdczoug 
dpsxAg Ivsxa xa< acù(ppo(jìj)fag 

Sur une des pierres détachées de TédiBce je remarquai 
encore un phallus sculpté en bas-relief , comme ceux doni 
j^ai parie plus haut (6g. 8). Sur plusìeurs autres pierres je vis 
des inscrìptions très-longues , contenant des catalogues de 
contributions ou d'ofifrandes en terres y yignes , olìviers , be- 
stiàux et esclaves , faites soit au sanctuaire paien soit à 
l'églìse dans un des premiers siècles du ebrìstianisme; mais 
}e n*ai eu le temps d'en copier qu'une partie > et je voudrais 
les compléter par une nouvelle visite «ur les lieux avant de 
les publier , - si toutefois ces pierres existent eneoré» Car le 
zèle pieux des yillagepis n'a pu resister k la tentation de re- 
batir une église sur les anciens fondemens; et lorsquè au mois 
d^octobre 1 840 j*eus V honneur d*accompagner LL. MM. le 
roi et la reine de Grece dans une visite aux tombeaux de 
r Exomyti , je vis de Ibin a Périssa, la coupole de cette nou- 
velle église , qui encòre une fois a changé V heroum d* Era- 
«ikleia fiUe d* Eratokratès en une niche destinée a contenir 
un autel chrétien* 

Athènes21 fevrier 1841. 

1. ROSS. 



e* COliOirilES TOTITES* 25 



e. GOLONNES VOTIVES SU&MONTÉES n'kmmKVX VOTIVES. 



(Tav.dagg* Bj 1841). 

Sur les amphores et autres vases panatlienaiques ^ Athéné 
parati prèsque toujours (l) entre deux colonnes d'une espèce 
d'ordre dorique prìmitif ^ sunnontées par deux coqs comme 
symboles de la palaestra (2) , ou par deux panthères (3) , ou 
par deux vases (4) , ou méme par des chouettes (5)» Mais 
outre Athéné , nous trouvons aussi d'autres divinìtés d'un 
rapport palestrique représentées entre des colonnes semblables 
couronnées d'animaux de celie espèce , p» e* Heraclès Kalli'^ 
nìkos et Hermes Enagonios marchant entre deux colonnes 
dont l'une porte un coq et Fautre une cbouette (6)* 11 doit 
donc étre admìs que ces piliers aux animaux précités, quand 
ils accompagnent des dieux protecteurs de la palestre y doivent 
étre considérés comme un embléme palestrique. Mais nous 
ne croyons qu'on puisse généraliser cette observation jusqu*au 
point de dire » que les colonnes en question partout oìi elles 
paraissenty sont un symbole des combats du stade , et que leur 
presence seule suf&t pour donner à un sujet quelconque un 
rapport palestrique. La colonne ronde (xé&)V) etait une des 
fbrmes qu'on employait pour les piédestaux destines a porter 

(1) A' Pexception du vase de Mr. Burgon , troiivé a Athènes 
(Brdndsled, Vases panathéa. pi. 1) et de quelqaes autres d^une moiri- 
dre graodeur (Gerhard 9Ann.ll,p.214). 

(2) Broudsted ]. e. pi. 2-4. Aou. Vili, tav. F, fìg. 1 ( Alhetié el 
Hermes entre deux colonnes surmontées du coqs). 

(5) M. 1. deirinst. 1 , tav. 26, fig. 4. Panthère sur le boucUer 
d^Athéné, ib. tav. 21, fìg. 1. a. Gerh, 1. e. p. 214. 222. 

(4) Gerhard 1. e. en cite deux exemples. Comp. le fragmenl de 
Callimaque àie par Bròndsted I. I. p. 18 (sans en contesier Papplica- 
tion au toit du Partbénon , que le savant Danois y en :i fait) : 

Kà>7r(^8? , où xòo'piou aù^pokov , «ÌXà tt oc X v e» 

(5) Braun , Ann. Vili, p. IbO, not. «Oltre i galltjtroviaino ^opr» 
i vasi di questa sorta anche la civetta». 

(6) Ann. d. Inst. Vili, tav. F, fig. 2. 



26 I« MONl7MEIfTI* 

des offrandes aux dìeux (òvadi^jtxorra) ou méme des statues et 
d*autres figures {óqfoù^flOTOCy simulacraj signa) pour decorer 
les avenues d^un sanctuaire , une place publique ou un tom- 
beau. Sur le tombeau de Forateur Isocrates , près de Cyno* 
sarges , et au pied du mont Lycabettus , étaìt une colonne 
ronde (xeci)v) de trente coudées de hauteur, surmontée d^une 
Sirène qui en avait sept (1). A^ coté de Fenceinte découverte 
de P^lops (le Tlekcntov) à Olympie on voyait, sur une colonne 
ronde de grandeur moyenne, une petite statue de Jupiter (2), 
et dans un autre endroit de l'Altis y une statue de Nike sur 
une colonne (3). 11 est superfilu de rappeler le grand nombre 
de bas-reliefs et de peintures de vases , oii l'on observe des 
statues de dieux placées de la méme manière , surtout le Pai- 
ladion et ApoUon Pytbios (4). Mais il parai t que la forme de 
la colonne ronde était surtout d'usage y pour dédier près des 
dieux , ou à coté de leur sanctuaire , les symboles qui leur 
étaient propres ou qui se rapportaient a leur eulte* C'est ainsi 
que nous voyons au*dessus du thésltre dionysiaque a Athènes 
deux colonnes d*ordre corintbien et à cbapiteaux triangulaires 
qui jadis ont supportò des trépieds consacres k Bacchus (5). 
Sur le sommet du mont Lycaeus en Arcadie y dans l'enceinte 
découverte de Zeus Lycaeus et en face de son autel, il y avait 
deux colonnes (x(0V6?) qui anciennement avaient porte des 
aigles dorés (6). (Il est à remarquer qu' il ne s'agit point ici 
de la localité de V bippodrome et du stade , oii les jeux ly- 

(1) Plul. X, orali, t. V, p. 143 Tchn.; ^ItfwpKttt ini rov ptviQfiiaro; 
l/rijy xiuv rpeàxovTa 7:TQ)fiv , 1^' oC (Tupiìv rn^X^v '^^òe avpi^^exw;. Cf. Philostr. 

Sopb. 1,17, 1. 

(2) Paus. 5, 24, 1; Trajoà r& ITiXoTrtAi xiuv re o^ uipi7>ò?, y,0LÌ ayerXpiei: 

A(ÓC IffTCV Ìn*KVT& {ACXpÒy. 

(3) Id. 5, 26, 1 j (Ms(r(nffvé6iv oi NfltvmcxTOv la^é^nt) &ytùiM iv *0>vpt- 
Triee Nìxtq^ ini r& xcove MBwolv, 

(4) P. e. Millin, G. M. 26, 79. 94, 385. 151 , 612. 173 , 613. 
171, 563 el 565. 

(5) C. l. G. 1, 0. 227. b. Add. p. 909. Comp. Tautel de Dresde, 
G. M. 16, 56* 

(6) Ftras. 8, 38, 5 jll^ikTm ftipn njmg èm^ ^immkékm'tmtil 
inlxpuvot tiK yt Ire n9ikmt&no% httnoiwftQ. 



ۥ COLONI! BS VOTIVES* 27 

céens se célébraient , et qui est de cinq à dix minutes plus 
bas y sous le còte nord du sommet , à un endroit appelé au- 
iourd'hui Skaphidia).En(]n nous voyons aussi sur le bas-relief 
de la villa Albani, oìi Atbéné Ergane assiste Argos et Tipbys 
dans la fabrication du vaisseau Argo (1) 9 à coté de la déesse 
sur une colonne ronde, une chouette bien que ni la colonne 
ni Foiseau ne puissent étre là des symboles d*un rapport 
palestrìque. 

C'est par ces remarques que nous avons cru devoir nous 
frayer le cbemin à la publication de no tre plancke. Elle re- 
presente deus colonnes monolithes de la méme forme qu'on 
en Yoit sur les vases panathénaiques , et qui ont ét4 trouvées 
dans les fouilles de l'acropole entre les Propylées et le Par- 
tb^énon , dans les environs du tempie d' Artemis Brauronìa (2) 
et où , d*après plusieurs indices , il y a eu peut-étre un san- 
ctuaire d'Atbéné Ergane (3)* Les bases pourtant, sur lesquelles 
le conservateur des antiquités les a placées , ne leur appar- 
tiennent pas , et la seconde colonne a été méme erigée dans 
un sens inverse. Son cbapiteau lui manque , et le pied gros- 
sièrement travaillé , sur leqpiel elle reposait anciennement , 
se présente aujourd*bui, mais à tort , comme son cbapiteau. 
L'une et Tautre sont de marbré blanc. 

La première de ces colonnes a six pieds de baut , sur 
neyf pouces de diamètre. Autour de son cbapiteau regne , en 
cai*actères antérieurs à la 86me olympiade , cette inscript ion 
arrangée de la manière qu'on appèle (7TO(/>j5oy. 

TIMOO[E]0[S 

ANAOUTSTIOCS 

C'est vraisemblablement le pére du grand Conon, ou quel- 
qu'autre de ces ancétres ; car on sait que le nom de Timo^ 
tbeos se répétait toujours dans cette famille , et qu' ils appar- 
tenait au demos Anapblystos* Sur la surface du cbapiteau on 
yoit dèux trous , dans lesquels il y a encore des pivots de 
bronze scellés avec du plomb. 

(1) G. M. 130,417. 

(2) V. Ross, Anonym. Vicnn. §. 10, p. 23. 

(3) Paus. 1, 24, 3. Kunslblatt 1835, n. 27. 



28 l« MONUMENtr. 

La deuxlèmc colonne a 5 pieds 9 pouces (ou sans la base 
qui lui a été donnée a tort , 1 ,39 mètres) de liaut sur onze 
pouces de diamèlre (0,89 mètre de circouférence). Sous le 
chapiteau qui a été brisé , conuneitce une inscription arrangée 
CT0t)(rì9èD^ et qui en deux lignes inégales descend le long du fùt: 
EOrTI0 5KAIO®5lAAE5ANE®ETEN 
APAr+ENTA®ENAAI 
'Eóprwgxat '0(|/««$>3$ ovsSs'njv OTrap^^v ràSiQVaa (r^'kQvyjocloc). 

La forme des lettres A, ®, ^ et +, la legère inclinaison 
de VE et du iV, et le type singulier du ^ au lieu du 5, prou- 
vent la haute antiquité de cette inscription , qui est de beau- 
coup antérieure à la 86me olympiade, et qui pourrait méme 
remonter à l'epoque du sculpteur Endoeus (l) et du tyran 
Kylon (2). Le nom Héortios ne m'est pas connu d'autre part; 
le nom d'Opsiadès se rencontre plus souvent dans des inscrip* 
tions attiques , mais d*une epoque moins reculée* Or , quelle 
espèce d'offrande (ivdiBìJlicc) peut avoir été placée sur des 
colonnes isolées de cette forme ? 

Gomme pour servir de réponse à cette question , la fi- 
gure d'une chouette colossale (fig. 3) a dù se trouver k peu 
■de distance des piédestaux que nous venons de décrire. Ce 
trono, de marbré blanc et d'un style extrémement sevère et 
archaique, a encore 2 pieds 3 pouces de haut, et il est d'une 
conservation parfaite, sanf le bec qui s'est casse , et la partie 
inférieure du corps avec les pieds et la queue qui lui manque. 
Ses dimensions sont telles pour permettre de penser., que 
cette statuette avait été placée sur la colonne de Timothéos 
l'Anaphlystien , sur le chapiteau de laquelle , comme nous 
l'avons dit plus haut , on voit encore les clous ou pivots de 
bronze , au moyen desquels soit cette figure , soit une offrandé 
semblable, y avait été scellée. Le bas-relief de la villa Albani 
donne a notre conjecture une grande probabilité. 

L'analogie de ces colonnes surmontées de chouettes et 
dédiées à Athéné peut servir a expliquer la destination d'une 
autre statuette d'animai trouvée dans notre acropole en 1835* 

(1) Kunslblatl 1835, n. 31. (2) Ann. IX (1837), p. 10. 



e* COLON NES VOTtTES. 29 

C'est un petit ours (0 de marbré blanc , d'environ un pied 
et demi de haut , dressé sur sgs an*ières a peu près comme 
un chien qui se repose ; le travail en est fort soigné et digne 
de la meilleure epoque de l'art. Serait-ce une conjecture trop 
liardie que de le mettre en rapport avee Artemis Brauronia, dans 
la féte de laquelle ('ÀpXTSCCe) les jeunes fiUes imitaient des ours 
ou plùtdt des ourses (2)? Je me crois donc fonde à supposer, que 
cette statue d'ours était érigée sur une colonne de la forme 
consacree à cette sorte d'offrandes, et placée à l'entrée ou dans 
l'enceinte du sanctuaire d'Artemis Bratironia dans l'acropole» 

Ces remarques ainsi que Texamen refléchi des monumens^ 
sur lesquels elles s'appuient , paratssent nous autoriser à en 
tirer la conclusion qu' il était de coutume d'eriger , dans les 
enceintes sacrés des divinités de tout genre , des colonnes 
d'une forme primitive et traditionelk avec l'animai sacre ou 
avee quelqu'autre symbole du dieu qu'on y adorait*; et que 
par conséquent j si nous rencontrons sur les yases panathé* 
naiques la déesse de la fóte ou d'autres dieux protecteurs de 
la palestre encadrés entre deux colonnes qui portent soit des 
coqs soit des panthères ou des chouettes , ce n'est ni par les 
colonnes ni par ces animaux que le rapport palestrique du 
vase est établi; mais ce sont plutòt ces hors d'ceuvres qui par 
la présence de la divinité refoivent une signification palestri- 
que. La preuve que ces figures n'étaient que des accessoires 
décoratifs est fournie par l'amphore de Mr. Burgon, oii 
Athéné paratt sans cet attirail. D'autres peintres sentaient que 
la figure de la divinité avait besoin d'un encadrement ; et ils 
cboisirent , par un motif très naturel , des monumens qu' ils 
étaient accoutumés k voir entourer les images des dieux dans 
leurs temples. Dans un mot , ces colonnes tiennent sur les 
vases et autres monumens le lieu des temples , dans lesquels 
nous voyons les dieux si souvent représentés sur les médailles* 

Athènes 27 fevrier 1841. L. Ross. 

(1) Kuostb1atl1835, n.45. 

(2)ràristoph. LyMstr. 645 cutn schol. Suid. v, «pxrog. Hesych. 
V. àpxreta. Harpocr. v« «fxrcOcroic et ^exarcwscv. Gomparez Bròodsied , 
Voy. II, p. 255. 



30 I* MONUMENTI* 

d. SOPRA LO STATO ATTUALE 

ED IL CARATTERE DEI DUE SEPOLCRI 

DI POGGIO GAJELLA A CHIUSI E DI PITAGORA A CORTONA. 

1 • Sepolcro di Poggio-Gajella a Chiusi. Fra i tumuli 
deirantico Clusium è nolo il così detto Poggio-Gajella , il 
quale, aperto per le ultime cure del sig. Pietro Bonci Casuc- 
cini , diede alF Instituto argomento d'una solenne pubblica- 
zione, festeggiando la ricorrenza del natale e dell'avvenimento 
al trono dell'augusto suo protettore (1). Si limita siffatta im- 
portante pubblicazione a ragguagliare sullo stato in che tro- 
vavasi allora il mentovato monumento , e che per mezzo di 
sei tavole intagliate dall'esperta mano dell'egregio sig. Ludo- 
vico Gruner fu dato in luce. Il nobile zelo di detto sig. Pietro 
Casuccini , accalorato ancora dall'attenzione posta cosi sopra 
siffatto splendido monumento , non lasciò di continuare gli 
scavi principiati , e grave obbligo sentiamo di dame notizia 
ai nostri lettori in compimento delle sopramentovate. Egli è 
in conseguenza di essi scavi , che ci riesce ora di rivelare 
distintamente il peculiare sistema , secondo il quale era di- 
sposto il mentovato sepolcro. 

Esso sistema è quello seguito da quasi tutti i sepolcri 
dell'antica Etruria , valeadire o di erigere tumuli o di servirsi 
di tumuli naturali per sepoltura dei defonti. Quest'ultimo si 
è il caso del nostro monumento o piuttosto della serie di ca- 
mere sepolcrali , dimeni esso è composto. 

La punta piii elevata di una collina di maggior esten-* 
sione , al nord della città , vien separata dalla stessa collina 
per mezzo d'un fosso , il quale circondando la detta punta in 
cerchio da tutte le parti , gli forma quasi il limite ossia Torlo 
estremo. Cotale fosso determina la propria estensione del mo- 
numento : essendoché di ragione si può supporre , che tutta 

(1) Il laberioto di Porsenna comparato coi sepolcri di Poggio-Ga- 
jella ullimamenle dissotterrati nelFAgro clusino. Roma 1840, fol. 
Cf. Rapporto chiusino nel Bull. 1840, p. 147. 



d* SEPOLCBI ETBuSCni. 31 

•la parie esclusa da esso, ossìa il rimanente al dissotto , non sia 
compresa fra la principal ed originaria disposizione del se- 
polcro. Seguendo adunque il fosso accennato , ne troviamo 
descritto un giro di m. 235 ossia piedi 855 , e tale misura si 
può riguardare come giusta circonferenza del nostro polian- 
drio* Il fosso stesso forma una specie di andamento, largo 
m. 1 , vestito dall'un lato , cioè dal lato del tumulo , con 
grandi macigni di differenti misure, messi insieme senza calce 
ed un tempo ammucchiati forse in due liste , con segni evi-^ 
denti peraltro , che già nelFantichità fossero mossi dal loro 
originario posto. I detti sassi si trasportarono dalle cave di 
Sarteano , situato sulle falde della montagna opposta. 

Né il menzionato fosso, né quel singolare adoperamento 
di sassi è una cosa nova* Ne occorrono altri esempj nei se* 
polcrì di S* Marinella e di Selva la Bocca , di cui differenti 
volte ebbi occasione di ragionare nelle nostre pubblicazioni 
(Bull. 1 840, p. 1 1 3-1 1 5; p. 1 33). Il fosso, come lo accennai, 
anche in essi serviva per limitare un tumulo , di cui peraltro 
in taluni sepolcri non rimangono che traccie leggiere. 

EgU é ora lungo il medesimo fosso , che son poste le 
principali camere e a quel livello , per dire meglio , si limita 
il primo e principal piano di esso insigne monumento. Non 
tenendosi intanto il fosso assiduamente adeguato in una linea ; 
ma alzandosi e avvallandosi , avviene che alcune camere siano 
situate alquanto più alte delle altre , senza che possiamo ar- 
gomentarne ^peraltro due differenti piani. Ed in questo punto 
dopo Y importante trovamento del suddetto recinto si modi- 
fica alquanto la prima descrizione esibitane dai sigg. Braun e 
Gruner. Come camere principali poste parallele al recinto 
possiamo considerare la camera tonda detta del laberinto 
(tav. IV), diretta appunto verso sud ed unita colFantidetto 
fosso per mezzo d'un canale di e. 1 8 m. Mi astengo di entrare 
nelle particolarità di essa grotta e dei cuniculi sotterranei , i 
quali girando a guisa di laberinto la congiungono colle altre 
grotte poste nel medesimo piano del tumulo. Meglio di quel- 
lo possono accennare semplici parole , V intero sistema si 
rileva dai disegni del lodato nostro amicò. Un secondo 



32 I. MONUMENTN 

gruppo di camere anch*esso aderente al recinto , è quello di- 
segnato dal Gruner tav. Ili , diretto verso sud est. Altri simili 
gruppi nascosti finora , si troveranno forse in buon numei*o 
agli altri lati del tumulo; dei scoperti finora, ma ricoperti di 
nuovo , notai uno dirittamente a nord , tre fra nord e ouest , 
due fra est e sud , l'uno dei quali fu veduto e notato anche 
dal Gruner. 

Differenti ora da queste grotte sono altre , poste piii in 
«ù verso la cima del tumulo ed evidentemente d'un ordine 
inferiore. Tanto si può conchiudere dalla disposizione piii ne- 
gligente , dagli appartamenti piii ristretti ; ne notai quattro 
fra est e nord , quattro fra nord e ouest , due fra ouest e 
sud (1) ; ma anch'esse in parte ricoperte , di modo che non 
se ne osservano piii che gP ingressi ; due ne sono dati dal 
Gruner (tav. II) ; il cpiale gruppo rappresentato sulla mede- 
sima tavola è escluso dal recinto e perciò non entra nella 
considerazione del tumulo. Può darsi che tanto questa ed altre 
camere , quanto le mentovate , che trovansi verso la cima del 
tumulo siano aggiunte posteriormente , quando non bastava 
pili il piano principale e quando collo spazio piti ristretto si 
doveva scemare l'artificiosa disposizione dei sepolcri. Se non 
si vuol supporre forse , che quelle camere principali fossero 
i sepolcri dei padroni di una medesima famiglia , mentrechè 
le camere piii subordinate si assegnassero alla numerosa loro 
«ervitii. 

Non posso mettere fine a questo semplice abbozzo , per 
mezzo del quale il nostro monumento si dimostra piii e più 
appartenere alla classe dei già conosciuti sepolcri etruschi , 
senza toccar il confronto instituito dal nostro Braun di questo 
monumento non già con altri monumenti conservatici ; ma 

(1) Da questa disposizione adunque si vede) che la massima degli 
£truscbi , di dirigere i loro sepolcri verso sud non valga dapertutto. 
Intanto sono persuaso i che una siffatta eccezione dalPuso generale 
venga motivata da ciò ^ che essendosi limitato dagli auguri secondo il 
sacro loro rito ut» terreno più esteso (come in questo caso sarebbe il 
tumulo , di cui la camera principale stSi nella direzione del cardine) , 
le singole parti non aveaoo più bisogno d^una particolar consecrazione. 



d» SEPOLCRI ETAVSCni. 33 

eziandio col celebre monumento di Porsenna conosciuto dal 
passo di VaiTone riportato da Plinio. Egli era cosa naturale 
il supporre che , alcuni suoi tratti principali dovessero cor- 
rispondere a quelli, i quali offrono le necropoli etnische e 
principalmente la chiusina, conosciuta ora da tanti sepolcri 
conspicui e poco declinanti dal comune carattere dei monu-* 
menti sepolcrali etruschi. 

Ed un tratto essenziale dei detti sepolcri senza dubbio 
può dirsi l'ammasso di terra con non solamente camere , ma 
pure corridoi o passaggi nel di dentro , i quali piii semplici 
in altri tumuli , nel chiusino esibiscono la forma più intricata 
d'un laberìnto. Un laberinto però era pure la particolarità 
piii rilevante della tomba di Porsenna , la quale appunto per 
questo riguardo pare fosse stata notata nelle diligenti coUet- 
tanee di Plinio ; e chi volesse anche ritenere , che la descri- 
zione di quest'ultimo fosse piuttosto immaginaria , non po- 
trebbe mai , cred' io , negare , che il favoloso racconto da co- 
tali laberinti veramente sussistenti abbia preso il principal 
suo motivo. Ma io per me leggendo con attenzione il passo 
varroniano non ho mai potuto convincermi , che Io stesso 
venerando autore non parli d'im monumento , di cui almeno 
la base esisteva al tempo suo o di chi egli trascrisse siffatta 
notizia. E tale è pure l'opinione del Miiller (1) , il quale di- 
stinguendo la base dai soprappiani di esso strano monumento , 
nella descrizione di questi ultimi col Niebuhr e Letronne vide 
un racconto popolare , che ad un monumento enorme e mezzo 
distrutto appoggiavasi e dipinse con vivi colori un termine ga- 
reggiante coli' imbasamento in nobile e splendido carattere (2). 



(1) Come quella del Thiersch, Abhandlungen der Konigh barer- 
schen Akademie der Wissenschaften 1, p. 415, conlra lo Hirt , Bau- 
kuDst 11 , p. 250. 

(2) Mailer, Elruskerll,p.227. Niebuhr l,p, 145. Thiersch 1. e. 
Letronne, Ann. 1829, p. 386. 11 saggio di ristorazione secondo la de- 
scrizione varroniana, nella quale, quantunque sia fantastica, pure 
osservansi motivi presi da altri monumenti esistenti. Cf. Due de Luy- 
nes, Ann. 1829, p. 304, Mon. pi. Xlil. 

ANNALI 1841* 3 



34 !• MOlfUMENTI. 

Ora però se veramente sussisteva la base col laberinto y 
chiunque ha pratica di monumenti etruschi , difficilmente 
crederà che si tratti qui d*un monumento solido ossia co- 
strutto di pietre , il quale in siffatto suo carattere stabile sa- 
rebbe difficile anche d'immaginare avesse potuto distruggersi 
così , che, ne anche al tempo di Plinio non ne rimanesse 
verun vestigio (1). 

Mi pare tutta la sentenza dipenda dalla considerazione 
della base , e forse la seguente riflessione darà argomento di 
credere , che non solamente il laberinto , ma anche tutto il 
nucleo, dentro cui esso trovossi, si concordi col carattere dei 
sepolcri etruschi; o, con altre parole, che anche il laberinto 
di Porsenna non sia stato fabbricato di pietre , ma piuttosto 
scavato da un terreno arenoso , come lo vediamo nel sepolcro 
chiusino. 

La base del sepolcro di Porsenna , per dirlo in breve , 
entra secondo il mio parere nelle classe delle aree , tanto ri- 
nomate- nelFantichissima architettura, di cui* oltre i monu- 
menti conservati , ci dà uiia chiara idea la descrizione dioni- 
siaca delFarea capitolina* Per formare una base ripianata e 
quadrata , che potesse portare il santuario capitolino , il rè 
Tarquinio circondava l'una delle due punte del colle capito- 
lino (da natura, piuttosto aguzzate) da tutte le parti con mura , 
riempiva il vano fra esse mura e la rupe naturale con sassi e 
scaglie , e cosi riusciva a fabbricar una sostruzione assai ampia 
p^j; servire di fondamento al tempio* 

Una simile maniera di costruzione osservasi in non pochi 
esempj di fabbriche ciclopee, su cui ho trattato (Ann* 1839, 
p. 200) , ed anche un recinto quadrato girante intorno la cima 
d'un tumulo presso S. Marinella, rinchiudendo camere e cop- 
ridoj (Bull. 1840, p. 114), parmi abbia un medesimo scopo. 
- L'area capitolina come la base del sepolcro di Porsenna son 
dette npiint^ , e ^/-pr^nt^ nella propria sua signiflcazione è guar- 
iiimento (Thiersch 1. e. p. 400) , il quale o rinchiude tutta la 
collina o riveste soltanto il di lei piede. Quanto all'ultimo caso 

(1)*Cf. Niebuhr 1. e. . 



d* SEPOLCRI HTBUSCnU 3S 

vi entra il sepolcro di Aliatte consistente in una crepìdine ed 
un tumulo di terra , su cui alzansi le cinque colonne ( Hero- 
dot. 1 , 93) , non che molti sepolcri italici , i quali possono 
servire a spiegare le parole di Pausania , 1 , 44 , 9 : rò jusv 

Bitomiamo un momento all'area capitolina. Immaginatasi 
sul di lei tipo la forma dell'area quadrata , che è la base del 
sepolcro di Porsenna (1) , vi sussiste un altro singolai^e con- 
fronto per riguardo ai sotterranei che tagliano l'area a tutte 
le direzioni e che tanto piti mi pajono degni di considera- 
zione , quanto ho cagioni a credere , che alla medesima area 
s'attaccasse la supposizione d'un sepolcro, valeadire della Tar- 
pea, che ivi (chi non si ricorda qui degli antichi BriCFOCopoil 
Cf. Bull. 1841, pag. 42) , secondo una tradizione popolare si 
credette nascosta fra le armi auree dei Sabini (2). Una siffatta 
denominazione di sepolcro però , data ad una parte della col- 
lina , e più tardi a motivo di religione limitata sur un punto 
più ristretto ancora, sarà viemmeglio motivata, se veramente 
esisteva l'uso di fabbricare sepolcri in quell'accennata maniera. 
E non è necessario l'aggiungere che essendosi vera la 
nostra supposizione, facilmente spiega anche, come il grande 
imbasamento quadrato del sepolcro di Porsenna nello spazio 
di non tanti anni poteva sottrarsi alla vista , anzi alla me- 
moria degli scrittori. Essendoché se ne levarono le mura cir- 
condanti ; e levate esse , il nucleo di terra facilmente soffiava 
la sorte d'una collina , di cui nello scorrere dei secoli i pendj 
più e più s'abbassano e perdono la loro forma originaria. Ri- 
mettiamo alla fortuna , se fra gì' innumeri tumuli , con cui è 
circondato l'antico Clusium col tempo si troverà uno , che 
corrisponda alquanto ai cenni proposti. Quanto a quello di 
Poggio-Gajella , per vendicarlo alla tomba di Porsenna , e' im- 

(1) Quanlo alle misure ^ la base capitolina secondo una computa- 
zione fatta da me e destinata da proporsi in altra occasione ha 420' 
per ogni lato , Tarea del sepolcro di Porsenna soltanto 300. 

(2) Gf. Miebubr I, p. 255. 



36 I. MOHUMEHTI* 

pediscono tanto la forma espressamente rotonda , quanto il 
cai'altere dei trovamenti che indicano una posteinore data di 
che domanderebbe il sepolcro di quell'antico eroe etrusco- 

2. // sepolcro di Pitagora a Cortona secondo gli ul- 
timi scai^i^ In grande considerazione , da tutti quei che stu- 
diarono le antichità dell' Italia primitiva , fu tenuto sempre 
il cosi detto sepolcro di Pitagora presso Cortona. E cono- 
sciuta dai disegni del Gori e dell' Inghirami (M. E. IV, li) la 
semplicissima forma di camera composta da poche grossissime 
pietre e chiusa a volta con cinque soli macigni lunghi quanto 
la camera e tagliati a cuneo ; il vano dell'arco, tanto sopra la 
porta, quanto nella parte opposta, riempiendosi da due grandi 
pietre semicircolari, tutte d'un solo pezzo. Disgraziatamente 
non ci soccorre altro disegno pubblicato , per illustrare i ri- 
sultati degli ultimi scavi , di cui ci diede cenno a suo tempo 
il nostro cortese collega sig. Agostino Castellani di Cortona 
(Bull. 1834, p. 197). Intanto facilmente il lettore si farà una 
idea dello stato attuale del monumento , &gurandosi un grosso 
recinto circolare l'acchiudente la detta camera quadrata da 
tutte le parti meno 1' ingresso ed alzandosi fino al sorgei'e 
della volta del sepolcro. Siffatto recinto consiste in uno zoccolo 
ristretto , da un muro sorgente al dissopra nell' altezza di 
circa braccia tré, e commesso artificiosamente con grossi ma- 
cigni senza calce y infine da una cimasa semplice , con cui il 
detto muro vien terminato. Il vano fra il recinto e fra la cella 
/soprammentovata è riempiuto da terra e sassi. 

Esaminando questo insigne monumento accuratamente , 
mi trovai ben convinto , che a perfetto termine vi mancasse 
una non esigua parte. Essendoché troppo male quell' imbasa- 
mento cilindrico si concorda colla volta della cella quadrata 
per non supporvi mancante una parte , la quale fra ambedue 
formasse una specie di collegamento. E cotale parte senza 
dubbio era un tumulo , il quale alzandosi sopra la suddetta 
cimasa copriva la volta da tutte le parti ed al nostro monu- 
mento dava una forma analoga a quella , che dimostrarono 
una gran parte delle tombe tarquiniesi. 



d. SEPOLCRI ETRUSCHI. 37 

Dell'esistenza d'un cotal tumulo mi convince la super- 
Gcie della cimasa y non ben appianata ma piuttosto ineguale e 
con punti sporgenti molto al dissopra. Siffatti punti necessa- 
riamente dovevano coprirsi e che cotale coprimento non si 
effettuasse per mezzo di altre pietre soprapposte , ma piut- 
tosto di terra accumulata , ci è segno la stessa loro irregola- 
rità. Questo per riguardo al principio del tumulo , ma anclie 
per riguardo al suo termine non ci mancano certi indizj. Le 
proporzioni della volta , se veramente essa doveva nascondersi, 
non permettono d'immaginarsi il tumulo da principio troppo 
aguzzo ed il pensarlo lentamente accuminato ci porterebbe ad 
un tumulo , che non starebbe in alcuna proporzione coli' im- 
basamento mentovato. In somma , dobbiamo supporre , credo 
io y un tumulo appianato , ed infatti cotale conghiettura vien 
confortata da un abaco quadrato con una palla al dissopra , 
che in conseguenza di scavi continuati trovossi nelle vicinanze 
del monumento , simile a quell'ornamento , con cui vedesi 
coronato qualche cippo sepolcrale nel museo Gasuccini di 
Chiusi (l). 

Intorno all' ingresso del monumento , vane , come si è 
rilevato già dal lodato sig. Castellani , si mostrarono le sup- 
posizioni d'un cunicolo o via sotterranea conducente al se- 
polcro. La cella è basata sopra un ripianato masso naturale e 
non v'era altro ingresso che la porta dell^ cella stessa , finora 
conservata. Siffatta porta si chiudeva un tempo per due im- 
poste di pietra , come non si può dubitare riguardandosi la 
ben conservata porta della grotta detta del Colle a Chiusi. In 

(1 ) Egli era in conseguenza dei medesimi scavi ^ che si trovò una 
pietra quadrata, in dimensione conveniente appunto con quelle nicchie 
quadrate che veggonsi dentro la cella. La pietra conservata nel palazzo 
comunale di Cortona , porta caratteri etruschi , secondo una copia fa- 
voritaci dal lodato sig. A. Castellani : 

HflJD. JflVq^E .1 
L' interpunzione (così osserva il sig. C.) del primo verso è alquanto 
incerta, come pure la lettera J del verso medesimo che forse potrebbe 
essere invece un | . 



/ 



38 !• MOiniMBllTI* 

questa porta non le imposte solamente , ma anche i cardini , 
lavorati con quelle d'un solo pezzo , sono di pietra y e con 
sonmia comodità girano nelle due cavità , le quali a foggia 
di mezze palle sono tagliate nell'arcliitrave. Simili^ cavità os- 
servansi anche nell'architrave del nostro monumento. 

Egli è paruto strano a taluni , che essendosi conservate 
necropoli enormi di città meno significanti , Tantica e tanto 
rinomata città di Cortona per questo riguardo sia poverissima. 
Ala una siffatta circostanza facilmente si spiega per ciò che il 
terreno piii duro e pietroso di quest'ultima città non permet- 
teva sotterranei 9 i quali solo dalla mano devastatrice del tempo 
sono alquanto securi. Valeadire ciò che nella pianura si pra- 
ticava per mezzo di scavi , in quelli siti piii elevati s' impe- 
trava per mezzo di solide costruzioni , le quali , esposte come 
erano a tutte le maniere di distruzione , non escluse quelle , 
che provennero dallo spogliamento delle pietre per altro uso, 
facilmente doveano soffrire V ingiuria del tempo. Il nostro 
monumento è uno di quei pochi , che ad essa sono sfuggiti a 
motivo dei massi colossali , pei quali l'architetto volea rim- 
piazzare quasi il denso seno della terra serviente di recinto 
ad altri più frequenti sepolcri. 

Per quanto piii penosa peraltro e dispendiosa era la di- 
sposizione di sepolcri in questa seconda maniera , tanto piii 
essi dovevano esser ristretti e meno ampj dei sepolcri sotter- 
ranei y e forse siffatta ristrettezza influiva anche sul costume 
di non deporre sani , ma di ridurre in cenere i cadaveri e di 
servirsi invece dei letti e sarcofagi, piuttosto degli ossuarj 
ossia delle urne cinerarie. Essendoché urne cinerarie stavano 
probabilmente nelle nicchie delle pareti; siccome in occa- 
sione di quelli già mentovati scavi attorno il monumento tro- 
vavasi una quantità di vasi assai rozzi e forse destinati a con- 
tenere le ceneri di persone di condizione piii bassa. 

Del resto il mentovato sepolcro non è l'unico che si è 
conservato in Cortona. Per tacere d'alcuni imbasamenti tondi , 
su cui in vicinanza del mentovato monumento s'imbatteva 
in occasione degl' indicati scavi : nella città stessa sulla parte 
opposta a quei sepolcri trovasi una grotta costrutta di pietre 



d. SEPOLCRI BTBUSCHr. 39 

serviente ora di cucina alla casa del sig. Zecchetti. Essa gl'otta 
consiste m una camera quadrata con volta costruita secondo 
il medesimo sistema di che fa mostra la tomba di Pitagora , 
ma molto piii grande e composta da pietre messe a lungo , 
come simile inarcamento dimostrano non poche fabbriche 
etnische ed anche la parte superiore del Carcere mamertino 
a Roma* L'edifizio è basato sopra il masso naturale della rocca 
alquanto approfondato per mezzo dello scarpello ; ne manca 
la parete di fondo , la quale si distrusse probabilmente per 
allungare la grotta alPuso di cucina. La parte conservata ha 
circa 1 2 palmi in lunghezza , la facciata aperta guarda mez- 
togiorno. 

Si^atta forma del sepolcro corrisponde tutto a quella , 
che esibiscono due sepolcri chiusini , valeadire quello cono- 
sciuto sotto il nome della grotta del Granduca (Giornale ar- 
cade lil, p. 418), e quello scoperto un anno appresso dal 
eap. Sozzi, detto grotta di Vigna grande ( Bull. 1840, p. 1). 
Quantunque sotterranei , tutti e due i sepolcri sono costruiti 
in analogìa di quei , che sono fatti a libera mano sopra terra. 

Un terzo esimio confronto in6ne offre il cosi detto tem-^ 
pio di San Manno , un miglio e mezzo distante da Perugia 
sulla 6ti*ada toscana , consistente anch' esso in una camera 
chiusa a vdita con due nicchie ai lati. Ne rammento il disegno 
e la descrizione data dal eh. dott. Speroni , Giornale scienti- 
fico-letterario di Perugia, aprile 1834< Anche quivi non è 
dubbioso il carattere di sepolcro ( 1 ) j e confrontando cosi gli 
accennati monumenti se ne rileverà una maniera di sepolcri 
costruiti a pietre principalmente particolare , come pare , a 
queste contrade. GUGi>. àbé^en. 

(1) L^ ingresso attuale della fabbrica è un traforo fatto per forza ; 
Pantico ingresso era a sud-ouest. 



40 I. MOirUMElTTI* 

e. STRADE MILITARI NEL NORICUM AIPENSÉ 
E NEL NORICUM MEDITERRANEUM. 

Trascorsero dieciotto secoli, dacché le romane legioni 
conquistarono la Germania meridionale fino al Danubio , e già 
tredici secoli passavano dacché cessò la loro dominazione in 
queste contrade* 

Noi troviamo soltanto tenui treccie qua e la sparse di 
quei potenti : Taratro sviscera quei luoghi , dove un di sor- 
gevano ville suntuose ; boschi e maremme cuoprono le loro 
città; ton*entiy innondazioni e persino mani d'uomini rovi- 
narono le loro strade militari. Eppure quel poco che ancor tro- 
viamo ci convince , quale spirito pieno di vigore , di progetti 
arditi j di orgoglio e di sfarzo animato avevan quei padroni 
del mondo, e vale quindi la pena d' investigare le loro reliquie. 

Le strade romane militari servono di norma assai sicura 
in queste investigazioni: ma, e dove sono esse? Salustio dice: 
«Talibus viris non labor insolitus , non locus uUus asper aut 
arduus erat». Svetonio racconta: « Excisae rupes durissimi 
silicis , et complanata fossuris montium juga». In alte^ soli- 
tarie vallate de' monti si trovano ancora pietre migliari ro- 
mane, e gli avanzi tuttora visibili sull'erto Komtauem (monte 
Taurisco) (1) della strada cosi detta pagana, lastricata di 
granito , fanno conghietturare , che i Romani erigevano delle 
strade in ogni punto , e segnatamente dove la comunicazione 
le richiedeva , sormontando e monti e precipizj. Egli mi è 
impossibile quindi di suffragare a quelli , i quali determinar 
volendo le strade romane , sieguono soltanto il troppo esiguo 
« Itinerarium Antonini », o la « Notitia imperii » , ovvero la 
«Tabula Theodosio-Peutingeriana». Ed infatti i Romani non 
sarebbero stati veri Romani , se essi , a cagion d'esempio , 
non avessero avuto una congiunzione fra il Pons OEni e Re- 
ginum, e se prolungando il viaggio di un pajo di giorni verso 

(1) Giogo di monti nelle Alpi noriche* 



e. STRADE MlLlTABN 41 

Augusta Vindelicorum avessero volato prima andare a nord- 
ovest , onde poter poscia di bel nuovo per lontane e tortuose 
strade , nella direzione di nord-est , arrivare a Ratisbona ? 
Ogni 6unie. di qualche importanza aveva una strada: ciò 
puossi arditamente supporre a priori , il che vien anche a suf- 
ficienza provato cogli scavi recentemente praticati* 

L'EnO, r Isara, il Salzacb (Juvavus) (1) , avevano una 
strada , come il Lecco ed il Danubio. Di questi due ultimi 
fiumi sappiamo : dell' Eno lo provano gli ultimi scavi im- 
presi dal sig. sopraintendente alle foreste in Haag (2^, il quale 
scopri oltreciò dei tratti non insignificanti di una strada ro- 
mana , che conduce da Turo (OEtting) (3) ad Augusta Vin- 
delicorum ; del Salzach (Juvavus) , lo attestano le antichità 
di Lebenau ^ e quelle di S* Gioito presso Laufen nel luogo 
stesso (4)« In S« Giorgio sopra un monumento trovossi la 
seguente iscrizione : 

SEXIOLAPTVS 

VETERAN. EXPR. 

OB. AN. L. 

MAXIMILL. AMARITO 

OPTIMO ET SIRI 

VF 

In Laufen trovossi il seguente monum^ito : 

MARCIVSATR 

IVSMARCELLINYS 

VET. CON. PR. O. 

BIT . AN. XXXV 

MARCIVS MARCVS 

FRATER . F. 
CVR. 
Essi dunque non solamente tiravano delle strade lungo 
i fiumi di qualche importanza , ma facevano anche per tra- 

(1) Giuli sulla strada maestra per Monaco nel regno di Baviera. 

(2) Anche Ivarus veniva nominato. 

(3) Borgo sulla stessa strada, 

(4) Laufen , borgo presso Salisburgo. 



42 I. MOllUMEIfTI* 

verso delle strade militari , onde unire una piazza forte cou 
Taltra , e per lo piii in direzione possibilmente retta : e poi , 
che importavano al Bomano i boschi , i colli e le maremme? 
egli li tagliava , li appianava , vi tirava un argine* L'unita carta 
(tav. d*agg, C) contiene una parte del Noricum ripense , che si 
estende fino alla catena dei monti al sud di Juvavia, Todiema 
Salisburgo , ed una parte del paese montuoso del Noricum, 
ovvero Noricum mediterraneum. Ora mi sia permesso di ad- 
duri'e i motivi che mi guidarono alFabbozzo di questa carta. 

Io credo che i Sevaces , nominati da Tolomeo / cercar 
debbansi nei contomi di Schwatz nel Tirolo: primieramente, 
perchè il nome Schwatz ha molta affinità con Sevaces; in se- 
condo luogo , perchè Tolomeo dice : verso il nord i Sevaces 
e gli Alauni , che anche Ambisontii si chiamano , più verso 
l'occidente gli Ambidravì. 

Che Pinzgau , nel Salisburghese , anticamente si chia- 
masse Bìsontia ed Ambisontia lo prova il sig. di Kleinmayem, 
direttore dell'archivio salisburghese , nell'eccellente sua Ju- 
vavia §• 12 (1) dove d^ce : Il solo Tolomeo ci porge notizie 
sui posteriori popoli del Noricum , e li descrive come segue : 
« A septentrione Sevaces et Alauni , qui et Ambisontii , et 
magis Orientalia Norici Ambidravi et Ambilici (2). 

In seguito a questa asserzione, e dietro l'opinione dello 
storico investigatore sig. Lory, queste denominazioni derivar 
debbono dai fiumi , come i Sevaces dal torrente Save , gli 
Ambidravi dal Drava , gli Ambilici dal fiume Liser nella Ca- 
rintia. Ma il torrente Save è situato all'occidente del Noricum, 
i Sevaces poi e gli Alauni si trovano verso settentrione. Si 
dovrebbero quindi con maggior ragione cercar gli Ambisontii 
piuttosto nel ducato salisburghese , di quellochè nei monti 
della Garintia, che giacciono più verso il sud, e, a dir vero, 
nel Pinzgau di oggidì , che viene bagnato dalle acque del 
Salzach (Juvavus) , mentre Pinzgau nell'antico Indiculo Ar- 

(1) Juvavia, ossia Storia di Salisburgo ^ innanzi 9 durante e dopo 
il dominio de^ Romani 1784. 

(2) Ptolomeus in Geograph. 



e. S'f BADE MILITABI. 43 

nonisy e nel documento del rè Arnolfo vien insignito col 
nome affatto conforme di Bboncio, Bisoncia (1), avendo con- 
servato questo nome anche nel secolo decimo (2)* 

E dove mai abitar potevano gli Ambidravi , se non plesso 
il Dravus, ovvero intorno al fiume Drava? E giacche Tolomeo 
li nomina vicini dei Pinzgauer , in qual altro luogo potevano 
avere 6ssa la loro dimora , se non nella piii alta valle della 
Drava ? Da Juvavia dunque scorreva una strada militare per 
Oberahn , alla destra riva del Salzach (Juvavus) verso Kuchl 
(CucuUis) e perciò io credo per Oberalm , perchè i Romani 
facevano volentieri le loro strade lungo i monti y e perchè in 
Oberalm nell'anno 1 7 24 venne dissotterrata una pietra mi- 
gliare romana colla seguente iscrizione : 

DDNn • L CONSTA . TINO 

PM VICTOR PICO 

AVO. . . IV. . . VMANNTO 

NAT'o . . s EON. X, 

STANTINOR • • . SSIMISOES 

CAESAIVVA 

. . SMRVl III . . . SIPID. . NO . 

. . . INDVLGENTISSIMO, 
questa pietra migliare aveva cinque piedi di circonferenza , un 
piede e mezzo in larghezza, e tré piedi e mezzo di altezza (3). 
Da Kuchl (Cucullis) s* inoltrava la strada per Lueg a 
Werfen , e come io suppongo nella direzione dell' attuale 
strada maestra ; la ristrettezzva di questa valle inchiusa fra 
altissime rupi non permette che ne sia fatta un'altra. Non 
è da dubitarsi che i Romani non abbiano fatto una strada 
per Lueg ; essi venivano da una parte per la valle spaziosa 
di Werfen : le rupi non atterrivano il Romano ; egli le fa- 
ceva saltare in aria. L^arcivescovo Paris, tanto rinomato per 
la sua mania di fabbricare , non ha giammai estesa , e molto 

(1) Trattalo sullo stato del ducato di Salisburgo §. 12, not. e, 

(2) €odex membranaceus traditioDum archiepisc. Àdalbetti I, 
instruinento de aono 931 ad Chatnprunin in Pisontia. • 

(3) Vedi Topera Juvavia §. 57. 



44 Y. MONtmJEllTt* 

meno riaccomodata la distrutta strada» Noi abbiamo anche à 
Hittau (1) una pietra migliare romana di Settimio Severo, 
che trovasi in un angolo del muro del Camposanto , ha quat- 
tro piedi e mezzo di lunghezza , e nel diametro ha quattro 
piedi di larghezza , portante la seguente iscrizione : 

, G SEPTIMIVS S 

PIVS PER .... 

AVADILBP . . . H 

. t • J\.A. k . . . Vrk 

. . . cos . . . o 

. . .PI . POHI . 
. . . IROS 

\J . • ..... 

. . \j . . . o<\ 

. . G . • ITE 
O . . . . • 
IL . . G . 

Trovansi inoltre nella parocchia di Werfen (Vacorium) 
due monumenti romani , fra i quali una pietra sepolcrale 
coir iscrizione : 

... ON ... IO 
VI ELLO . AN. 
In Bischofshofen a Pongau nella facciata della chiesa è 
murata una pietra , su cui vedesi la seguente iscrizione di un 
edile della città di Juvavia» 

M 
VS VICTOR EDI 
GIVIT. IVVAVES 
O . . I . . AEIIVS 
ARCIANTE 
E. O. ANNOR. XXX 
VIVI FECERVN . . 
Ma e d'onde partiva la strada di Werfen (2) , e dove gia- 
ceva Vacorium ? La strada di Werfen s' inoltrava nei monti 

(1 ) Un villaggio. 

(2) Città nel territorio delParcivescovato dì Salisburgo. 



e, STBADB MILITABN 45 

più della presente , e seguiva due differenti direzioni y una 
parte cioè era costruita lungo il Salzach (Juvavus) nel Pinz- 
gau (1) e guidava direttamente per Gastein (2) verso la Drava, 
e seguendo il corso del Salzach anche nel Tirolo ; una parte 
poi scorrendo sopra Hittau per Radstadt, per Tauern (monte 
Taurìsco) , guidava di seguito in Italia. Per stabilire poi la 
vera posizione di Vacorium non ci vuole gran fatto. A norma 
delle Tavole Peutingeriane , Vacorium giaceva diecisette mi- 
glia romane distante da Cucullis ed altrettante da Ani^ quindi 
in mezzo ed in eguale distanza di queste due città. 

Da Kuchl (Cucullis) , dove è situata la sesta pietra mi- 
gliare, fino Badstadt si contano 1 3 pietre migliari^ e nella par- 
rocchia Werfen si trova la 12 ^fo. Tredici ore danno 65,000 
passi. Da Cucullis fino Vacorium vi sono 1 7,000 passi romani, 
ossia 34,000 tedeschi , ovvero pietre migUari 6 ^fs, Vacorium 
coincide quindi colla parrocchia Werfen, dove venne trovata 
anche l'anzidetta iscrizione romana, mentre 6 detratte da 1 2 »A 
restano 6 ^fi. 

Da Vacorium fino Ani presenta la Tavola Peutingeriaila 
17,000 passi , di bel nuovo quindi 6 i/& pietre migliari geo- 
metriche , ed effettivamente presso Badstadt si trova la deci- 
manona, cioè da Cucullis, dove giace la sesta, trovasi la de- 
cimaterza , e due volte 6 i/à ci da il risultato di tredici. Egli 
è dunque ben chiaro , che Radstadt ivi giace , ove una volta 
sorgeva Ani. Anche la sua situazione parla a suo favore, men- 
tre quattro valli e quattro strade quivi s' incontrano, e ripo- 
sando su di un alto colle al di sopra del fimne Ense (Anisus), 
brava le frequenti inondazioni , alle quali è soggetta questa 
bella e spaziosa valle. 

II. contadino di que' luoghi racconta, che nello scavare 
la terra per le fondamenta della così detta porta, trovata siasi 
in situazione profondissima una ruota , e che da questa tanto 

(1) Distretto nel fu ducato di Salisburgo. 

(2) Luogo rinomatissimo per le sue terme minerali , nelle cui 
vicinanze si trovano l^e miniere di oro e di argento ^ che scoperte fu- 
rono dai Romani e delle quali si prevalsero. 



46 f. MONUMBITTI. 

il nome quanto lo stenuna della città derivano* La strada ro- 
mana conduceva dunque da Vacorium perHittau , per Fritz (1) 
per mezzo della pianura ad Ani , ossia Badstadt , e da qui 
s' inoltrava parte lungo TEnse (Anisus) nella Stiria , e parte 
lungo il Taurach (2) , oltre i Tauem di Radstadt. 

Ma e non dovrebbe esser forse Altenmarkt (3) Tanlica 
Ani ? Egli è veix) cb' è più antico di Radstadt , ma ascende 
egli perciò al tempo dei Romani? In Altenmarkt non trovansi 
pietre migliari, e la sua stessa posizione sul pericoloso Zaucb (4) 
anche vi contraddice. I Romani s' intendevano assai bene nella 
scelta delle loro piazze e specialmente dove la scelta era assai 
facile. La strada sopra i Tauem (5) deve essersi incamminata 
nella direzione dell'attuale : sotto i Tauem , non ha guari , 
esisteva una^ietra migliare romana; sopra il Kniebeiss (6) in 
sii non può supporsi un'altra strada , mentre una tale strada 
avrebbe dovuto passai*e sul già demolito castello* Andava 
quindi in sii fino all' In Alpe , cioè 1 6,000 passi romani , 
ossia 32,000 tedeschi , ovvero 6 ^fi ore geometriche da Rad- 
stadt, dove esiste la XIX pietra migliare. Dinanzi l'osteria sui 
Tauem trovasi la vigesimaquinta pietra migliare, ed al di sotto 
del Camposanto sul pendio verso il sud, dove la vista si estende 
nel profondo Twengerthal (7) esiste la vigesima sesta. 

Coincide dunque la stazione In Alpe sull'elevatezza della 
strada presso il Camposanto , od ancor meglio forse sul luogo 
stesso. Il grande e regolare quadrato del Camposanto, le di cui 
mura riposano evidentemente sopra un eterno (?) terrapieno, 
dà una maggiore probabilità alla mia supposizione. Io non 
posso credere , che i Romani non abbiano scelto principal- 
mente questo punto elevato , per poter dal loro castello do- 
minare colla vista nei piii vasti e remoti contomi. E quanto 

(\) Una valle così denominata. 

(2) Un fiume (Taurina). 

^3) Un borgo su questa strada. 

(4) Un ruscello del bosco. 

(5) Un villaggio appiedi del monte. 

(6) Un giogo di monti che in questa guisa vien denominalo. 

(7) Porta il suo nome dal villaggio Tweng. > 



e. STRADE MILITARr. 47 

importa più di 6 a/5 di ora ? forse ancor a/S di ora , e gli iti- 
nerari non mostrano mai una frazione* 

In giìi quindi andava la strada , vicino il varco , per 
Tweng , per Mautemdorf (1) in Imurio. Accanto il varco 
presso il selvaggio Taurach, sei anni sono, trovossi una pietra 
migliare , sii cui è ancor leggibile il nome Septimius Severus , 
e il rimanente dell' iscrizione col numero XLII (ora esiste 
nello stesso luogo) , ed un'altra pietra migliare era in prima 
in Tvreng col numero XL. Dunque da un luogo situato al 
sud , da una ragguardevole città contansi 40 pietre migliari , 
ossia sedici ore geometriche ; ma da quale città contansi ? 
Io altra non conosco che la grande città Libumia, Tibumia, 
nominata anche Teumia , ed ivi coincide anche il numero 
delle pietre migliari* Ma cerchiamo prima in Imurio , cioè 
nel Murthal (2)* Giusta le Tavole Peutingeriane questa città 
Libumia era situata 1 4,000 passi , ossia 5 V^ di ore geome-* 
triche da In Alpe. 

r Che i Romani abbiano tirata la loro strada non per mezzo 
il Katzberg (3) , ma sopra lo stesso presso Margarethen (4) 
insensibilmente entro il monte sopra la cosi detta Tafemer 
Alpe , per mezzo della fossa Leisnitz (5) , lo prova la visibile 
diagonale linea della strada , percettibile specialmente all' in- 
verno , nonché la pietra migliare ritrovata nel Taferner Alpe 
coir iscrizione e col numero 11 XXX. 
IMP. . AES 

L SEPT SEVERVS 

DLVSRE . AVGAR 

AB AD BPARMXfi 

TRIBTIG VRTMXII 

COS. FPPO. 

COS. ETIMP. CAE 

MAVRELIVS 

PIVS AVG.TRIBPOT ^^^ ,,„ ^,,, ,^^ 

IIIIPROCOS (2) Una valli: 

AMP (5) Un giogo di moni! 
^ cosi denominalo. 

^ (4) Un villeggio. 

IIXXX. (5) Una piccola valle. 



48 I. MONUMENTI. 

Dairattuale Maatemdorf (1) conducevà un'altra strada 
per il Tamsweg, come prova la pietra migliare ritrovata 
presso il medesimo luogo ; ma questa pietra porta il numero 
XLV e mostra perciò una citta distante da Tamsweg di 1 8 ore 
geometriche; appartiene quindi ad un altro numero di miglia. 

Non so se abbiano piena ragione quegli indagatori delle 
iscrizioni , i quali credono che Tomasici sia Tamsweg , e 
che nella direzione del sud-est venga in Iniurio, indi Gra- 
viaci : allora senza dubbio da Tamasici e Beliandrum vi sa- 
rebbero 45 miglia, come lo comprova queHa pietra migliare, 
e Beliandrum dovrebbe essere stata una considerevole città. 
Proseguiamo intanto le nostre strade sopra la Tafemer Alpe. 

Se Gmiind (2) sia effettivamente Graviacis , giusta il 
sopraesposto dobbiamo certamente per ora tralasciare, anzi 
tenerlo per improbabile; a noi basta, che verso la gran Li- 
bumia conduca una strada , che noi seguiremo. Che la città 
chiama vasi Libumia e non Tibumia, lo prova il nome Lum- 
feld (3) , che quei contomi ancor portano. Da Libumia , il 
cui suolo ancor al giorno d'oggi è ferace c^ antichità, condu- 
ceva una strada a Julium Carnicum , ed un'altra in su della 
Drava a Loncium Lienz (4) Breunorum caput , Bruneck (5) 
ed Aguntum , Innichen (6) , e congiungeva in questa guisa 
il Norico dell'est con quello del sud. Noi abbiamo tutto il 
diritto di tenere Loncium per Lienz , fino a che non resterem 
convinti con certezza , che da Juliimi Carnicum sopra gli alti 
monti non vi era una strada che conduceva a Lienz. Si ag- 
giunga che Lienz non è piii distante da Julium Carnicum e 
da Aguntum che Lozzo , dunque qui nulla decide il numero 
delle pietre migliari. 

Ci si presenta ancora un altro motivo di prendere Lienz 
per l'antico Loncium , la bella congiunzione cioè , che con 

(1) Un villaggio. 

(2) Un borgo. 

(3) Una piccola città. 

(4) Un borgo. 

(5) Castello con un villaggio. 
(fi) Un borgo. 



e. STRADE MILITARI* 49 

quésto' mezzo riceve Julium Camicum colla Drava , e colla 
valle di Salzach (Juvavus). 

Al Moli (1) seguiva una strada da Libumia per Obervel- 
lacfa (2) vicino al Malnitzérthal (valle di Malnitza in su). 

In S. Daniele (3) trovossi un tempio di Ercole colla se- 
guente iscrizione : 

HERCVLl INVICTO 

SAGRVM G. DONNI 
, CTVS . RVFIN VS . ET . 

VALERIA ATTICA . 

CVM . SVIS . TEMPLVM 

VETVSTE. CON. 

LABSVM. RESTI 

TVERVNT EX VOTO. 
I Romani quindi dovettero subito dopo la conquista del 
paese ^ver quivi fabbricato un tempio, che era cadente «vetu- 
state coUapsum» al tempo della loro dominazione. Ora la 
strada va stendendosi in sii sopra Terto Komtauem per la 
Wimmeralpe nella valle di Anlauf (4) ; e veggonsi ancor ogr 
gigiomo dei tratti di 70 a 80 passi di lunghezza. Questa 
strada è selciata di granito , ed il volgo la nomina « strada 
piEigana». Che il Rathhausberg colle sue vene di oro era stato 
lavoi^to dai Romani, lo prova l'archivio montanistico di 
Obervellach, il quale dice , che nell'anno 1719 venhe riaperta 
la miniera abbandonata dai Romani. L'unita carta mostra due 
magli di essa miniera. Dalla valle di Anlauf in giii dirige- 
vansi le strade per mezzo della valle ristretta di Gastein lungo 
il Salzach (Juvavus) in cui da lungo tempo ritrovate furono 
molte monete romane. Nella valle del Juvavus la strada se- 
guiva il fiume parte sopra Bischofshofen (dove fìi ritrovata 
l'anzidetta iscrizione romana) e parte verso l'allargantesi val- 
lata di Pinzgau all'occidente in sii , almeno fino Alpach (5) , 

(1) Un villaggio. 

(2) Uo villaggio. 
(5) Un borgo. 

(4) Valle cosi chiamala per la sua posizione appiedi tìel monle^- i. 

(5) Un borgo. 

ilNNALI 1841. 4 



50 !• MOirUMENTl. 

per mantenere in questa guisa la congiunzione con Albianum. 
Verso il nord la strada si prolungava nella bella e spaziosa 
valle di Zeli , dove attualmente è situato Zeli am See (1) il 
quale a settentrione è rinchiuso dalle altissime e scoscese rupi 
delle strade affossate* Quindi conduceva la strada sopra 
Lofer (2) , dove non ha guari vennero trovate delle antichità 
romane , indi sopra Unken (3) , parte sopra Innzell (4) a 
Bidaium (attualmente Biedenhart) dove al giorno d'oggi tanto 
i terrapieni intomo Siegesdorf , quanto anche i nomi dei luo- 
ghi, come Eastrum (castrum) lo comprovano di questo tratto 
di strada, parte sopra Reichenhall (5) verso la grande Juvavia. 
La strada da Juvavia a Bidaium andava certamente in 
direzione piuttosto retta sopra Saaldorf (6) , Schonem verso 
Artobriga, il che trovasi fra Miihlberg e Seeleiten (7) al lago 
di "Waging (8). Per la certezza di questa direzione noi siamo 
obbligatissimi in modo speciale alle indefesse investigazioni 
del sig. di Seethaler (9) , il quale nel lungo periodo della sua 
carica in quei luoghi, non mai lasciò fuori di occhio le anti- 
chità. Una parte di queste antichità da lui situate in Laufen, 
venne derubata da mano profana, ed una pietra singolarissima 
venne messa in pezzi da una mano vandala. Gli Unni moderni 
hanno recato più di una ferita alla storia , allorché essi nella 
mania di voler illuminare il mondo ruppero nei chiostri tanti 
sepolcri di famiglia , e tanti tesori letterarj vennero da essi 
saccheggiati. Non piii oltre : caliamo nn velo : questo non è 
l'unico fallo , di cui noi una volta dovremo arrossire presso i 
nostri posteri. 

(1) Un villaggio presso il detto Iago. 

(2) Un borgo con uua 1. R. posta. 

(3) Un paese con 1. R. posta. 

(4) Un villaggio. 

(5) Piccola citta colle ben note saline. 

(6) Villaggi. 

(7) Villaggi. 

^8) Cosi denominato dal villaggio Waging situato presso il mede- 
simo Iago. 

(9) Fu 1. R. giudice in Laufen , ed un valentissimo investigatore 
delle antichità. 



e. STRADE MILITARI. 5l 

Vicino il lago di Waging urtarono , anni fa , i contadini 
nello smuovere la terra sopra un bellissimo lastricato di mu- 
saico ; meravigliaronsi di queste belle pietrucce , che forma- 
vano si eleganti figure , e lo crivellarono colle loro pale , e 
perchè ? perchè non erano altro che pietre ? Questo sito è 
nella carta marcato. Ciò si riseppe per disgrazia, allorché non 
poteva pili rimediarsi. Il Salzach (Juvavus) aveva certamente 
una strada maestra. In Bergham , Andering e S. Giorgio (1) , 
alla sponda destra del Salzach , trovate furono statue , iscri- 
zioni lapidarie ec. cosi pure alla sponda sinistra fu scoperto 
in Laufen un tempio , e principalmente in Libenau diverse 
antichità. 

La strada da Juvavia a Thalgau (Taranto) e Seewalchen 
(Luciaci) Tabbiamo probabilmente ritrovata. Esistevano senza 
dubbio varie strade militari nella pianura. Certamente una 
strada andava da Turo (oggi Oetting) ad Augusta Vindelìco- 
rum ; un'altra dal Pons CEni (oggi Pfunzen) in giii lungo il 
fiume Eno ; una terza lungo l' Isara ; una quarta sopra Was- 
serburg (2) ; una quinta da Turo sopra Seemannshausen e 
DingolGng (3) a Hatisbona (Castra Regina) j altre finalmente 
da Juvavia a Castra Batava (oggi Passavia) , Scharding ec. 

Egli è certo che ancor molte strade, oltre le qui anno- 
verate , servivano ai Romani per la comunicazione al tempo 
della loro dimora al sud del Danubio ; le loro città in queste 
contrade, in cui essi quasi per dieci secoli dominarono, erano 
molto ben fabbricate e floridissime; poiché là, ove il Romano 
fissava la sua dimora, egli portava seco anche il lusso ita- 
liano , ivi fiorivano le arti , le scienze , il commercio , e nelle 
rovine dei grandiosi loro edifizj noi ammiriamo la bellezza e 
la durevolezza , nonché Farte accoppiata al vigore. Reliquie 
e frammenti dello sfarzo romano verranìio ancor in appresso 
scoperti : volesse il cielo , che consacrati fossero per il sempre 
crescente e miglior essere delle ài*ti e delle scienze, impercioc- 

(1) Villaggi. ' ■ 

(2) Una città con fortificazioni nel regno di Baviera sul fiume Eno. 

(3) Città nel regno di Bavièra sulte sponda deltMsara. 



52 U MOHUMERTU 

che noi calchiamo co* piedi sopra un suolo, che rinchitide comt 
in tanti sepolcri le grandi geste dei tempi passati. 

FERDINANDO NOBILE DI WOXFARTII* 



li. SCULTURA. 

a, STATUA DI GIOVE DEL MUSEO DI LIONE. 
{Tnv. d'agg, Z), 1841). 

Il museo di Lione , come è noto, conserva un importante 
numero di monumenti antichi in marmo , in metallo ed in 
altre materie, parte trovati sul classico suolo della città e sue 
vicinanze , parte raccolti in luoghi piii lontani. Non è perai** 
tro ch'una raccolta nascente , da pochi mesi affidata dal Go- 
verno francese alle intelligenti cure del sig. dott. Gomarmond, 
membro di varj instituti scientifici e letterarj ,:ed uomo zelan- 
tissimo per la conservazione de* monumenti antichi , avendo 
egli non solo illustrato parte di quei del museo ; pubblico di 
Lione, ma accpiistato e colletto a grande ispesa un numero si- 
gni6cànte d'oggetti antichi d'ogni genere e formato un museo 
particolare. importantissimo, sopratutto per i bei bronzi an- 
tichi , vasi vitrei e 'medaglie. 

. Tra i monumenti di marmo del summentovato museo di 
Lione > eira una statuetta sedente marmorea, alta circa tré 
palmi , rappresentante il padre degli dei , soggetto come è 
b^i noto, fra i marmi antichi rarissimo , specialmente aggìun<^ 
gendosi la bella esecuzione e non comune conservazione, non 
essendovi di ristauro che il braccio sinistro tenente lo scet- 
tro , l'antibraccio destro e la mano col globo , parte del piede 
destro ed un tramezzo al collo. Ne delineai un leggiero con- 
tomo , che qui annesso aggiungo , il quale però a motivo 
della ristrettezza del tempo non potei rendere cosi esatto e 
delicato , come il carattere del monumento mi faceva deside- 



a. GIOTE DEL MUSEO DI LIONE. 53 

rare , dimodocliè soltanto potrà servire a dare un* idea appros- 
simativa di cosi bella scultura. Esso ci mostra Giove seduto 
sul trono, il torso nudo e la parte inferiore coperta del manto , 
che scende dall'omero sinistro , lasciando scoperto il piede 
destro e parte dell'altro , che ambedue posano su d'uno sga- 
bello d'elegante forma. 11 carattere del nudo è bello e corri- 
spondente al soggetto che rappresenta , la drapperia è giocata 
con sommo gusto e diligentemente lavorata ed il trono pari- 
mente è d'un disegno ricco ed elegante^ La testa pare avere 
sofferto un leggiero ritocco , le braccia moderne cogli em- 
blemi dello scettro e del globo non distruggono l'armatìia 
della composizione* 

Se il carattere della 6gm*a nel suo totale la fk riconosoere 
quasi indubitatamente per Giove ci sorprende di vedei-e inciso 
sul plinto con ben distinti carattei*i il nome AIIOAAQN. 
Lascio decidere ai dotti che conto si debba tenere di tale cir- 
costanza , se questo nome debba supporsi antico e d' una 
medesima data col monumento , se forse siavi posto in un 
tempo dove si voleva dare un altro significato alla statua , 
oppure se si possa ravvisarvi un errore moderno. Il dotto 
summentovato sig. Comarmond asserisce che i caratteri non 
siano antichi ; comunque sia ^ il merito d'arte per la sta- 
tuetta è sufficiente a conservargli l' importanza nonostante 
il significato dubbioso* 

Non potei con certezza investigare il luogo della prove- 
nienza di questo marmo* Il sig* dott. Comarmond dice avere 
esso fatto parte della collezione del conte Urfey, il sig. Le- 
normant qui in Parigi peraltro sostenne che proveniva dal 
museo Artaud di Nismes (se non erro) e che sia' uno dei si- 
mulacri di Giove come si venerava nel suo tempio sul monte 
Cenisio* Parigi 14 luglio 1841. 

EMILIO WOLFF SCULTORE. 



54 T. MONUMENTI* 

b. MINERVA DELLA VILLA LUDOVISI. 
(3fo«. deWinst. voi. JII^ tav. XXFIl). 

La statua dì Pallade, la quale pubblichiamo per la prima 
volta intagliata in ram.e , trovasi nella splendida raccolta di 
antichi ed importantissimi marmi, che forma il più magnifico 
fregio alla Villa ludovisi : raccolta che per essere fin ad ora 
di accesso assai difficile , adoperò che i di lei tesori non fos- 
sero conosciuti né apprezzati secondo che meritano. Ciò che 
distingue il nostro simulacro e lo raccomanda alFattenzioue 
degli amanti del bello , si rileva in parte al primo sguardo , 
yuo' dire la sua grandezza considerevole , la quale arriva 
alFaltezza di palmi undici o circa ; quindi il nome dell'arti-- 
sta, che si trova collocato dentro una di quelle larghe pieghe 
in cui si raccoglie il ricco panneggiamento ond'è vestita la dea. 
Deve aggiungersi che , conforme all'asserzione d'uno dei piii 
esperti conoscitori d'antichi marmi, qual'è il sig. cavalier 
G. M. Wagner , se n' ha una ripetizione (senza nome peraltro) 
la quale proviene dalla Villa albani ed è passata nella real 
Glittoteca di Monaco (Schom , Catalog der Glyptothek n. 92). 
Essa è di sesto minore , che misura a norma del ridetto ca- 
talogo piedi 7 e pollici 8 i^i , ed è identica con quella la 
quale un giorno stava nel museo del Louvre, dove la disegnò 
Piroli (Musée napoL voL I , tav. XI). L'iscrizione del marmo 
nostro fu supplita dal Maffei, Mus. veron. p. CCCXVIII, in 
modo indubitato, se non vogliamo ammettere esso dotto l'ab- 
bia ancora veduta sana e che i caratteri iniziali non siano 
suti rotti insieme coU'orlo della piega posteriormente: 

ANTI0X02 

AeHNAIOS 
EHOIEI 
Winckelmann facendo menzione della statua in discorso 
cita un artista pure di nome Antioco da due pietre incise (1) , 

(1) Stor. d. A. , Op. delPediz. de Dresda Tom. VI, voi. 1, p. 279. 



b. MINBBVA LUDOTISU SS 

il qual incisore deve distinguersi naturalmente dallo scultore. 
Quest'ultimo d'altronde non è noto e pel momento non mi è 
dato fame ricerche , se non che mi ricordo che K. O. Miiller 
nell'Archeologia dell'arte %.\Sij lo pone nella quarta epoca 
verso l'anno 135 a* Gr. ed ammette più tardi un bronzista 
dello stesso nome. La ridetta epoca intanto non dovrebbe 
disconvenire alla nostra statua in quanto si tratta di fissare 
l'autore in generale , siccome poi i medesimi artisti non di 
rado lavorano tanto in marmo, quanto in bronzo, né si può 
inoltre oggi sapere, se l' iscrizione abbia da riferirsi all'opera 
stessa piuttosto che all'originale da cui fu presa, cosi resta 
indeciso, se il supposto bronzista Antioco una volta che abbia 
realmente vissuto , sia pure da riguardarsi siccome autore 
della Pallade che stiamo guardando ; che tante volte trovasi 
il nome dell'autore senz'altra aggiunta , invece della formola 
più precisa ano TdD, àcnò TiSg, p. e. iv Tp6>fic${, Mijvo^ovrou. Il 
nome d'Antioco , il quale occorre bene spesso tanto in iscri* 
zioni attiche quanto altrove, è troppo antico ed era in Atene 
(dove lo portò una delle dieci file) , troppo usato per poterne 
conchiudere la minima cosa relativamente all'epoca in cui 
potrebbe essere venuto in voga. 

Nella statua della Villa ludovisi ambedue le braccia sono 
riportate mediante moderno ristauro , in quella di Monaco il 
solo braccio destro e perciò non può fissarsi bene e con giu- 
stezza l'azione o il carattere particolare , in cui la dea è im- 
maginata. Se il ristauro , il quale in ambedue gli esemplari 
mostrasi d'accordo , è ben motivalo , noi potremo idearci la 
nostra diva , la quale comparisce manifestamente bellicosa , 
siccome modello del capitano , che arringa l'armata. E s^ la 
Pallade in tempi più antichi rappresentavasi di preferenza 
corrente innanzi, a capo delle schiere combattenti, in un'epoca 
posteriore , dove dalle arringhe , che il duce tenne innanzi 
alla armata, non poco dipendea, e dove il talento del coman- 
dante si fece conoscere pure pel suo modo di parlare , la 
Pallade arrìngatrice occupa in modo ben acconcio il posto 
della Promachos. 



S6 !• MOlfUMEUTf* 

Nella posizioue e nella tenuta , nella totalità della 6gura4S 
nell'abito si è conservato in generale il carattere delle antiche 
statue di Pallade , le quali non sono altro che un maggior svi- 
luppo di ({Uelle antichissime adorate nei tempj : statura piena, 
robusta^ nobiltà semplice. L'intenzione di acconciare qualche 
particolarità col gusto del secolo con questa creazione la quale 
si è sviluppata gradatamente e che una volta costituita è diven- 
tata essa medesima un generale tipo , manifestasi nel modo in 
cui Fegida s'accosta alla forma d'un bavaro , ove la Medusa 
serve di borchia , mentre per la sola apparenza estema si 
rende perfetta mediante i serpenti che formano la cintura ; 
e nel modo , in cui le pieghe del diplax che tiene sospeso il 
cinto sono interrotte in maniera più variata e franca. Che in 
generale vedesi è vero conservato quell'aspetto colonniforme 
delle arcaiche statue ne' massi cadenti diritti ed in parte pa- 
ralleli , ma al dissopra della cintura e ne' fianchi pajono essi 
imitati con varietà studiata e scrupolosamente suU'esfempio 
di una stoffa piuttosto greve. Spiegansi cosi pure i sandali (1) 
sproporzionatamente alzati , onde sono muniti i piedi , per il 
i-eale uso , che s'acconcia bene col terreno ruvido o pietroso 
d'Attica e d'altre provincie della Grecia. Trovansi p. e. san- 
dali ugualmente alti sopra quella parte del fregio del lato 
opentale del Partenone, che i recenti scavi hanno recato alla 

( 1 ) Tuppigvixcé. TÓ xaTTV|Aa ^uXcvov , TCTjQa^àxru^ov. oi Sì ifioévrcc 

ixoc^ouv J» avrà , Typpijvovpy^, (àrrnip xat rà Ip^a^pa , ptxvotpy^. Polluce , 
ODom. \11, segni. 92. Ancorché non ci venga in mente di comparare 
la nostra statua col celebre colosso di Fidia , pure è notabile che 
quello fosse probabilmente munito di sandali o scarpe tirrene simili a 
quelle che porta la Pallade Ludovisi , a cui conviene il predicato di 
quattro dita erte assai bene. Deve anco notarsi in quest^occasionc che 
quando mai si volesse trovare una copia più o meno fedele della cri- 
selefantina statua di Fidia (che questa probabilmente avrk portato si 
alti sandali) , tal attributo ben caratteristico non dovrebbe mancarvi. 
D'altronde tale particolariik rende vieppiù intelligibile il racconto di 
Pausania, secondo cui essi sandali erano fregiati di battaglie di Cen- 
tauri , che difficilmente avrebbero trovato posto sopra sandali meno 
erti e piuttosto ordinar). nota dill^bditorb. 



b. Mllf ERVA LUDÒVISI. 57 

luce. Quivi li porta quella figura assisa, che prendesi per Po- 
seidon in i*elazione con Teseo una delle tré figliuole di Ce- 
crope (il braccio che segue apparterrebbe ad un* altra di 
quelle). N'è vestita eziandio la colossale Vittoria trovata a 
Megara , la quale oggi sta collocata accanto al Theseum : ma 
quivi non sono sandali che essa porta , sì bene scarpe come 
quelle d'oggi, le quali sono provviste di molto erte suole. Piii 
di tutto il restante scostasi da quel tipo degli arcaici simu- 
lacri di Pallade la formazione del volto per via d'una certa 
ingenuità e naturalezza che pare tolta da un individuo. L'es- 
pressione della faccia probabilmente comparirebbe piii avvan- 
tagiosamente ancora, se non avesse dovuto supplirsi la punta 
del naso e se non fossero danneggiati bocca e mento. Alla 
statua Albani , la quale alla nostra corrisponde , manca la 
testa ; che quella che porta oggi non è sua. 

Sorprende il parere che ha dato Winckelmann intomo 
la Pallade Ludovisi, sia perchè la predilezione che ebbe verso 
i monumenti della raccolta Albani lo fece talvolto accogliere 
pregiudizi contro quei d'altri musei , ossia perchè l'avea os- 
servata di volo ed era assistito da una memoria poco fedele. 
Che egli la giudicò «cattiva e tozza e che la scultura sembrasse 
più antica dei ridetti». Che tale giudizio sia totalmente falso, 
oggi non cale di mostrare. Ma anche ciò che Meier accenna 
contro Winckelmann nelle note aggiuntevi , volendo modi- 
ficare le asserzioni disprezzanti di lui, cioè, che «nell'insieme 
della figura regna realmente qualche cosa di rigido e di freddo , 
e ciò dovesse addebitarsi al copiatore, scorgendosi al contrario 
una leggiera ombra di dignità silenziosa e di maestà , di cui 
era attomato Foriginale» non mi persuade, devo confessarlo, 
del tutto. Temo che queste osservazioni nascano dalla confu- 
sione dell'originale generale d'una statua di Pallade, che non 
dovea abbandonare verun artista , e d'un certo originale mo- 
dellato solamente secondo certe idee di bellezza ; e sarei ten- 
tato a credere che , se la statua realmente mostra freddezza , 
la colpa non dovrebbe stare nello scalpello dei copista , ma 
nella composizione medesima , ch'egli ripetè e che volle ri- 
produrre fin nelle più sottili pieghe dell'originale. Sotto tal 



58 !• MONUMENTI* 

riguardo potrebbe dirsi che poco importa se Antioco nominato 
nell'iscrizione sia Fautore ovvero il copiatore, senza che giu- 
dichiamo di poco valore la preferenza che merita una copia 
buona od altra mediocre* 

Atene , febbraro 1 842. f. t. welcker. 



e. DE SIGNIS THUSNELD/E ET THUMELICI* 

(Mon. deWlnst. voi. III^ iav. XXFIIl). 

Florentiae in pergula hastatorum (Loggia de' Lanzi) prae- 
ter alia egregia signa antiqui et recentioris temporis asservatur 
etiam nobilissimae cujusdam femina» statua marmorea. In- 
ventam in loco Suburre cum sex aliis statuis , inter quas 
simulaciiim Apollinis , atque postea emptam a Ferdinando 
Magno Etruriae duce ex Flaminii Vaccae statuarii adyersariis 
se didicisse dicit Mongezius (Mémoires de Tlnstitut national 
des sciences et arts. Litterature et beaux arts. T. V, an. XII, 
p. 1 50). Paulo tamen aliter ipse Vacca apud Bemardum de 
Montfaucon, Diar. ital. p. 204 : «in clivo, inquit, Esquiliarum 
versus Suburam memini D. Leonem Strozzium eruisse septem 
statuas humana proceritate duplo majores quas dono accepit 
Magnus Etrurias dux , tum Cardinalis , Romae agens. Verum 
nobilissima omnium fuit Apollinis statua, quam ipse restau- 
ravi, quo pacto jam videtur in ingressu palatii sui prope Trir 
nitatem in imo cochleariae scalas». Hinc incertum esse videtur 
an has statuas, quae nunc in pergula hastatorum asservantur, 
innuerìt Vacca quum nostra saltem statua in palatio Capra- 
nicae asservata fuerit (V. de Cavalleriis I, 80) , postea empta 
in villam Medicorum indeque Florentiam translata. Matro* 
nam ipsam, de qua dicimus , fuerunt qui Sabinam dicerent, 
fuerunt eti^m qui deam Silentii nuncuparent , quanquam 
illud brachium quo significari silentium arbitrabantur recens 
adiectum est , fuerunt adeo qui Veturiam Coriolani matrem 



e* DB SIGNIS THUSHBIiDJB fiT THUMELICI. 59 

vel Mnemosynen aguosse sibi viderentur. At vero Mongezius 
rectissime evicit matronam repraesentari barbaram eamque 
captam. Mihi non dubium est Germanam esse* Tacitus enìm 
Germ. 17, de feminis Germanis: « partem vestitus superioris 
in manicas non extendunt , nudae bracbia ac lacertos. Sed et 
pi*ozmia pars pectoris patet». Haec autem statua et breviorem 
vestitum super longiori gerit , qua usas esse Germanas baud 
tecte dìcìt Tacitus y et nuda est brachìis et lacertis et pro- 
xima pars pectoris patet. Adde fluitantes comas et praecipue 
calceos, quae ea sunt forma, qua inde ab antiquis temporibus 
et per omne aevum medium usa est gens germana. Non male 
eos dixerìs calceos fenestratos, ut nominantur in inscriptione 
Cliviensi (apud Nilantium ad Balduin. cale, antiq. e. 1 2), sup- 
posita a nescio quo statuas , non Eumenii , ut volunt quidam 
diu esplosi , sed Germani alicujus antiquioris temporis* Ipsa 
autem Germana , generosissimam mcestitiam facie non occul- 
tans speciem pr» se fert ductae in triumpbo Romanorum 
captivae. Atque quum duas tantum noverimus Germanas no- 
bilissimas in triumpbo germanici Caesaris Bomae ductas, 
Tbusneldam , Segestis filiam , Arminii uxorem et Bbamìdem, 
Sesitliaci uxorem (V. Strabon. Geogr. VII, p. 202), statuam 
florentinam efGgiem Tbusneldae dìcere non dubito. Alteram 
enim , Bhamidem , longe dignitate inferiorem altera , quum 
ne uberius quidem describere Tacitus dignetur , qui multus 
est in laude Tbusneldae (Annal. I» 57, 59), admodum proba- 
bile est, fortissimi Germanorum Arminii conjugem expressisse 
Bomanos imagine. Ipse praeterea babitus signi fiorentini (cujus 
dextrmn bracbium a recentiore arti&ce adjectum est) mirifice 
concordat cum descriptione Tacitina captae Tbusneldae. «Inter 
quas , inquit , uxor Arminii eademque 61ia Segestis , mariti 
magìs quam parentis animo , ncque vieta in lacrimas , ncque 
voce supplex, compressis intra sinum manibus, gravidum 
uterum intuensy». Triumpbus autem actus A. V. 770, quum 
Tbumelicus , Tbusneldae et Arminii filius , tres annos natus 
esset (Cf. Strabon. 1. L) non diu ante illud tempus, quo arcus 
propter aedem Saturni ob recepta signa cum Varo amissa ductu 
Germanici, dicatus est (Tacit. Ann. II, 41). Pronum est igitur 



60 I* MOirUMBNTI. 

conjicere , statuam Thusneldas y Bomas inventam , in arcu 
Germanici seu potius Tiberii ^ posìtam fuisse. Atque hoc eo 
probabilius est, (pio similius vero esse videtur mansisse Romae 
Thusneldam quum Thumelicus Ravennae (Tacit. Ann. I, 57) 
educaretur* 

De ipso Thumelico, Arminii filìo , licet verbum addere. 
Hunc , Ravennae'educatum , mox ludibrio nescio quo confli- 
ctatum esse Tacitus dixerat (Annal. 1 , 58) , simul pollicitus 
se hoc in tempore memoraturum; sed iis annalium libris, qui 
nobis servati sunt , quum nihil hac de re scriptum sit, videa- 
mus an divinare possimus quid actum de adolescente sit. Ac 
primum quidem adolescentiae annos sane attigisse patet ex loco 
Tacitino Annal. XI, 16: «Frustra Arminium praescribi, cujus 
si filius , hostili in solo adultus , in regnum venisset , posse 
extimesci» ; deinde , non fìiisse manumissum , sed serviti© 
etiam post adstrictum hoc loco : «infectum alimonio , servi- 
ti© , cultu , omnibus e^ttemis», et altero Annal. I, 59: «sub- 
jectus serviti© uxoria' uterus» c©mprobatur. Quid autem sit 
«(infectum alimonio» facile perspicitur, si meminerimus cur 
omnin© Ravennae educatus esse videatur servus Thumelicus. 
Ibi enim prae ceteris ©ppidis servi gladiatores «ali sagina» et 
exerceri solebant, ut testes sunt Strab© V, p. 1 48 : otJTO}g yovv 
uyescvèv è^icnaxat zò x<3<)/5«<5V <ims, svToGSa roììg ixo^oii«)(pvg 
rpéfciv xac yufjtvójeev iniiu^ocJ ol 1J78/JLÓVSS, et Suetonius, 
qui Caes. 31 dicit, Ravennas novum ludum gladiat©rium insti- 
tuere v©luisse Gaesarem (Gf. Plutarch. Gaes. 32). Admcdum 
pr©babile igitur est , puerum r©bustissimi c©rp©ris e© c©nsili© 
alitum esse Ravennae ut p©stea in munere gladiat©ri© f©rtitu- 
dinem barbaram ©stentàret R©manis, queraadm ©dum etiam p©- 
steri©ribus temp©ribu8 gladiatores plerumque erant Germani 
captivi. Atque id ipsum potuit e© rectius a Tacit© ita describi: 
«educatus Ravenna» puer qu© m©d© m©x ludìbri©' c©nflicta- 
tus sit» qu© shnilius ver© est depugnavisse Thumelicum Ger- 
manum in celebrata aliqua victpria de ipsis Germanis p©pu- 
laribus ejus rep©rtata. Haeccmnia si recte disputata sunt nemo 
mirabitur si vel imaginem Thumelici mihi agncscere vidc©r in 
capite Germani alicujus gladiatcris depict© in Specimen^ ©f 



d* PALLADB ACCMTTA DAGLI OLIMPICI. 61 

ancient sculpture T. II, pL XLIX (Mon. Ili, ub. XXVIII, C). 
Haec enim egregia facies tantam similitudiuem pras se fert 
cum ea statua quam Thusneldae es&e diximus, vix ut dubitari 
possit de cognatione utrìusque sigili. Ipse ejus libri editor non 
longe aberravit a vero, quum coniiceret Arminìum vel Caracta- 
cum eo exprimi. De Caractaco enim lubricum judicium est , 
sed quod de Armindo , quanquam ne minimo quidem argu- 
mento addito , conjectavit mirum quam prope a vero abest. 

e. GtìTTLlNG. 



d. L^DUNANZA DE* NUMI CHE ACCOLGONO PALLA DE 
RAPPRESENTATA SUL TEMPIO DI NIKE APTER05. 

Un monumento , il quale , comunque conservato fino ai 
secoli di nostra memoria , è divenuto un nuovo e primario 
regalo per l'archeologica scienza de' nostri giorni, è senza 
dubbio l'ateniese tempio della Vittoria senza ali , o , secondo 
la greca denominazione, di Nike Apteros (1). Dobbiamo al 
concorde zelo di alcuni nostri egregi colleghi, vale a dire dei 
sigg, Ross , Schaubert e Hansen ^ non solo lo stato attuale è 
rediviv<Tdi quell'egregio monumento dell'epoca migliore delle 
arti, ma eziandio l'edizione assai sofGciente che se n' è fatta (2), 
la quale come nell'accuratezza del disegno , così nell'erudi- 
zione del commentario poco lascia a desiderare. Havvi per-^ 
tanto una parte di quel tempio , la quale sembrami tuttora 
meno apprezzata ed intesa di quello che merita e il suo pregio 
richiede!: e intendo il fregio della facciata principale. 1 lodati 

(1) Vedine il Bullettioo 1836, p. 114 seg. 1857, p. 218 se%. 

(2) Ross ) Schaubert und Hansen, Die Akropolis von Athen nach 
den neue$ten Ausgrabungen. Erste A-bthefklng: DcrTempel derNike 
Àpl^ros. Berlin 1839^ fol. 



62 !• MOIYUMENTI. 

editori non trascurarono certamente di riprodurre quel fregio 
dagli spezzati e mutilati suoi ruderi , come ancora di deter- 
minare con sicurezza il sito e l'estensione delle sue parti per- 
dute ; né tralasciò il dottissimo Ross di proporre le sue spie- 
gazioni intomo il significato cosi delle singule figure come di 
tutto l' insieme figurato (l). Quello che manca peraltro al 
perfetto intendimento di esso importantissimo marmo ^ si è 
r indicazione delle figure , che anticamente vi furono , oltre 
quelle ora visibili : stabilita la quale si potrà forse procedere 
a determinare , piìi di quello finora si rese possibile , l'oscuro 
significato dell'insieme. Ho già accennato altrove il modo, in 
cui dovesse a parer mio restituirsi la idea di tutta quella com- 
posizione sublime : ma essendo ciò fatto in un giornale tede- 
sco (2) e senza corredo di disegno, mi vedo costretto dall'im- 
portanza dell'argomento di tornare a esporre i miei pensa- 
menti j per sommetterli al -più. generale esame degli archeo- 
logi , ai quali propongo nel tempo stesso una replica del già 
pubblicato disegno 9 col saggio de' supplimenti delle parti 
mancanti* 

In questo disegno (3) composto di oltre venti figure gua- 
stissime sì, ma non ostante informate del genio di quell'epoca 
sublim^e delle arti, dal quale provengono, non v'è circostanza 
pili degna di fissare i nostri sguardi , oltre il merito parlante 
dell'arte d'ogni figura , che il simmet^co modo nel quale le 
singule figure si trovano distribuite* Cominciando la serie di 
esse figure da un personaggio , il quale a prima vista sembra 
formare il centro delle altre , intendo la figura segnata sul 
nostro disegno col n. I, e discendendo da quel personaggio, 
stante in piedi e tenente uno scudo , verso entrambi i lati del 
fregio , è paragonando le prossime otto figure a man destra 

(1) Vedi Panzidetta opera tav. XI , S. 12 seg. 

(2) Ragguaglio suU^opera ridetta nella Gazzetta letteraria dì Halle 
(Allg. LUteraturzeilUDg 1859, n. 121-123). 

(3) Vedi la tavola d^aggianta E. In essa , a comodo del sesto , il 
fregio è diviso in due ordini , il secondo de^ quali debbe raggiungersi 
al (trìino neMue brani laterali alle richiamate lettere A A e BB. La 
numerazione delle figure segue il corso del ragionamento. 



d. PALLADE ACCOLTA DAGLI OLlliriCI. 63 

(ordine 1* num. II-VII , ordine 2** num. Vili e IX ) , colle 
prossime sette a man sinistra (oi-dine 1 ** num.X-XV, ordine 2* 
num. XVI) y sarà innegabile a qualunque giudice una sim- 
metria, se non accuratissima e misurata , certamente perfetta, 
perchè fondata sull'analogìa dell'effetto totale* Veniamo per- 
altro assicurati dalle architettoniche misure del tempio , al 
quale il fregio apparteneva, che da quattro o sei fossei*o le 
figure mancanti sul lato destro : ora , sei essendo quelle che 
ancóra ci restano da osservare sul lato sinistro , ed essendo 
cosi dimostrata Teguale estensione d'entrambe le estremità , 
chi mai vorrà negare che il sistema di conformità , cosi ma- 
nifesto nelle rappresentate figure dell' intermedio campo del 
nostro fregio, non sìa stato proseguito sinanche alle parti 
estreme del firegio medesimo? Ecco adunque, come non solo 
ci resta fissato un numero dì 27 o 28 figure nel totale di que- 
sta intera composizione , ma eziandio si fa ravvisare il fatto 
d'una simmetrica estensione , la quale in opere d'arte antica 
forse non ha pari , e che sarà guida bastante da indicare e le 
perdute figure e il significato dell' intera scultura. 

A questo proposito dovendo esaminare le singule figure, 
cominceremo con quelle le quali fìirono già prima ricono- 
sciute per desse che sono in verità. Manifesta in primo luogo 
è Pallade (n. I) , fornita dello scudo , la quale è attorniata da 
due numi seduti, valeadire da Giove (II), distinto pel trono, e 
incontro a luì da Nettuno (X), il quale riposa sopra uno scoglio* 
Proseguendo da man destra le cinque figure aderenti a Giove, 
e incontrando una figura virile nel mezzo di due donne , ri- 
conosciamo in questi tré numi le delfiche e delie divinità , 
cioè Apollo, Diana e Latona (III-<V) , e nel seguente gruppo di 
due altre, che affettuosamente ai mostrano alleate, Esculapìo ed 
Igia (VL VII). Seguendo in tutto ciò il giudizioso parere del Ross, 
ci accordiamo con quel dotto medesimo nel riconoscere Giu- 
lione nella prossima donna sul suo seggio (IX) ; e questa è pre- 
ceduta da Iride (Vili), che sembra intesa a smuovere la regina 
dell'Olimpo, per guidarla, quantunque ritrosa , al ceto delle 
altre. Segue un' altra figura , avvicinata a Giunone come se 
fosse sua figliuola o ministra (XXIII), e segue poi l' indicazione 



64 !• MONUMEIVTf* 

delle figure da me supposte (XXIV-XXVIII) : sulle quali dirò 
mie ragioni in appresso, reputando meglio per ora di volgere i 
nostri sguai*di alle figure aderenti a Nettuno sul lato sinistro 
del fregio. E quivi trovasi, analogamente disposto alle anzidette 
cinque divinità, un altro insieme di cinque numi, somigliante 
assai a quello detto di sopra , tanto nelle loro posizioni , quanto 
neir intenzione del loro significato* Corrispondono ai tré numi 
di Delfi le tré eleusinie divinità, cioè Bacco, Cerere e Proser- 
pina (XV-XIII) , come d'altronde ad Esculapio ed Igia corri- 
spondono Mercurio eVesta (XL XII), colla differenza soltanto , 
che quest'ultimo gruppo , piii strettamente legato coi numi 
olimpici , è piii ravvicinato a Nettuno , che Igia ed Esculapio 
noi sono a Giove* Senza poi dilungarmi sul perchè i nomi da 
me prescelti piii atti mi sembrino che quelli di Marte e Ve- 
nere , di Bacco e delle Grazie proposti dal Boss (.1) , dirò di 
quella figura seduta , della quale poche traccio abbiamo ma 
«ufficienti per riconoscervi la consorte di Nettuno , rispetto 
al quale è perfettamente collocata , come Giunone è sul iato 
opposto , riguardo a Giove. Chiamando adunque essa figura 
Anfi trite (XVI), ci discostiamo dal parere di Boss, che in essa 
suppose la madre delle Muse , Eufeme ; come dal medesimo 
archeologo novamente ci scostiamo, quando egli nelle tré diffe- 
renti figure riconobbe le Muse. Il passo veloce di queste tré dee 
unite, o delle due almeno, che vengon jMÌme (XVIII. XXVII) ^ 
troppo ci rammenta le ovvie rappresentanze delle Ore, da non 
lasciarne alcun dubbio sul loro significato. E riflettendo, che 
il loro significato sia assai confacente per giustificare il posto 
che occupano, vicino alle divinità marine e terrestri, conviene 
supporre , che anche sul corrispondente lato destro due o tré 
figure similmente si avvicinassero tanto a Giunone , che ad 
Anfitrite fa contrapposto „ quanto ad Esculapio ed Igia , che 
sono le pili vicine a Giunone : il che vedesi realmente ese- 
guito dal greco artista , se , come crediamo , quelle divinità 
procedenti verso Giunone erano quelle della gioveutii e del 
parto , cioè Ebe ed llizia (Vili. XXIII). 

(1) Boss nelPopera cilala p. 13. 



d. fìllade accolta dagli olimpici. 65 

Avendo cosi ravvisato in quel sublime e numeroso cor- 
teggio y il quale sul nostro fregio circonda da ogni parte la 
dea protettrice d'Atene , una riunione tanto numerosa quanto 
chiara di olimpiche ed altre divinità , procureremo d'illustrare 
le iTunanenti figure di piii incerto significato , le quali sulle 
due estremità del monumento o conservate si trovano , o pure 
per conghiettura daranno a indovinarsi. Cominciando adunque 
dal conservato , quantunque tronco , lato sinistro , e aspet-» 
tandovi con buona ragione qualche altra figura spettante allo 
intimo ceto dei numi dell'Olimpo, è quasi impossibile di non 
conoscere Venere (XX), quivi figurata nell'atteggiamento poco 
appresso di quella di Milo, ed accanto a lei l'alato dio Amo- 
re (XXI) , il quale , atteso le sue piccole dimensioni non avria 
dovuto reputarsi per una Vittoria. Nenuneno ne dmane un 
dubbio, chi sia da intendersi nella donnesca figura, la quale 
è l'ultima sullo stesso lato: giacché tenendo essa per mano 
l'Amore , a guisa di una tenera sua provveditrice , ci si mo- 
stra per una delle due o tré compagne inseparabili di Venere, 
cioè delle Grazie , e probabilmente la piii leggiadra tra elle 
ossia laGraziaCharis (XXII). Starebbe convenevolmente al suo 
posto , sebben da sé sola s*aggiungesse a Venere ed Amore ; 
nondimeno è più probabile crederla alleata con altra sua 
compagna , e questa pare che possa determinarsi nella donna 
che precede Venere e distinta dalle Ore sue compagne pel 
modo diverso del vestito e dell'attitudine (XIX). 

Abbiamo adunque per risultato probabile , che il nostro 
fregio abbia rappresentato da sinistra Venere ed Amore ,. at- 
torniati da due Grazie e preceduti da due Ore. L'aver trovato 
in questo modo un numero cosi ristretto tanto delle Grazie y 
quanto, delle Ore , non pregiudica punto al merito dell'arti- 
sta, il quale anzi mostrasi esser conforme in quel binàrio nù- 
mero al più antico costume ateniese (1). Intanto ciò presup- 
posto , dobbiam poi rivolgere i nostri sguardi al già osservato, 
corteggio di Giunone sul lato destro del marmo. Avendo noi 
poc'anzi fissato il numero di quel corteggio siccome di quat- 

(1) Pau^an. IX, 35, t. 

ANNALI 1841. 5 



66 U MONimEVTU 

Irò, figure, troveremo ora naturale , che siffatte figure sieno» 
state composte di due diverse coppie, al pari delle Ore e delle 
Grazie scolpite sul lato opposto. La quale opinione si conforma 
benissimo alle figure del nostro marmo, in cui , se non m'in- 
ganno , Giunone è attorniata da due sue figliuole , V Iride o 
l'Ebe (VI ti) e Tllizia (XXIII) : a queste dee, affini piii ch'altre 
a Giunone (1), sembrano succedere le Parche (XXIV. XXV), 
rappresentate anch'esse, come le Grazie e le Ore, nel binario 
numero delFantica usanza ateniese. 

Bimane inoltre sul fianco destro del fregio Io spazio* 
vuoto per tré figure , le quali nel loro insieme dovevano cor- 
rispondere all'opposta estremità occupata dalle figure di Ve-* 
nere, di Amore e della Grazia Charis. Chi fossero queste 
mancanti figure , resterebbe forse oscuro , se il nwdo d' inve- 
stigarlo solamente si appoggiasse sul confronto delle figure 
contrapposte. Ma riflettendo , che il monumento finora con- 
siderato ci rappresenta un numeroso e forse unico insieme di 
elleniche divinità , diviene quasi necessario , che nella man- 
cante destra estremità fossero figurati alcuni numi dì primo 
ordine , i quali nel resto delle pertrattate figure vanamente 
si ricercarono. Infatti, se ragion vuole, che tra ventotto figur«f, 
tutte divinità , non mancasse alcuno dei dodici numi princi- 
pali di Olimpo, e se gli otto finora indicati (2) ci fanno strada 
a inchiedere in primo hiogo Marte e Vulcano, pare quasi 
innegabile, che questi assolutamente dovessero essere figurati 
sul problematico e mancante squarcio di cui discorriamo. Qual 
poi , in txnione di essi numi , rappresentasse la terza figura 
del gruppo perduto , può determinarsi forse con una certezza 
anche maggiore. Imperciocché se Marte e Vulcano non po- 
tevano sicuramente mancare al dodecateo rinchiuso nel ceto 
divino di questo fregio, come mai sarebbe rimasa fiiori di esso 
quella dea , la quale come inseparabile ministra di Pallade avea 
dato puranche il nome al tempio , a cui apparteneva tutto il fin 

(1 ) Hes. Theog. 922. Apollod. I, 3, 1. 

(2) Valeadire Giove e NcHudo , Giunone ed Anfitrite , Mcicui icr 
e Vcsla , Apollo e Diana (n, H. X, IX. XVI, XI. XII, 111. IV)- 

Ah 



d. PALLADB ACCOLTA DAGLI OLIMPICI. 67 

qui illustrato fregio? Sono adunque Marte, Vulcano e la Vit- 
toria quei numi, i quali, come sono da per sé stessi indispen- 
sabili neir insieme di questo fregio, cosi deyono esser suppo- 
sti nel perduto estremo fianco del marmo (XXVI-XXVIII); 
opinione la quale , oltre l' intrinseca sua probabilità , forse 
potrà avvalorarsi per due altre riflessioni. L'una è questa , che 
i mentovati tré numi sono tra sé collegati pel loro significato : 
visto che le armi condotte dal dio della guerra escono dalla 
fabbrica di Vulcano e riescono vittoriose per l*ajttto divino 
della Vittoria. L'altra è, che l'unione di quegli stessi tré numi 
forma un ottimo contrapposto al gruppo rappresentato sul 
fianco sinistro del fregio medesimo : giacché a Venere cor- 
risponde Marte suo amante, a Vulcano la Grazia Charis, che 
Omero gli dà per isposa (l) , e così purp ad Amore non altra 
più analoga figura potea opporsi , fuori di quella Vittoria , la 
quale secondo un mito attico (2) gli fii emula in quanto alla 
preferenza delle ali. 

Terminata con ciò l' indicazione di tutte le ventotto fi- 
gure ossieno ventinole (3) , fa mestieri intendersi sul gene- 
rale significato della splendidissima riunione di deità. E riflet- 
tendo che il nostro fregio occupava un primario posto per 
decorare il tempio della Vittoria non alata , potea opinarsi da 
principio , che l' introduzione della Vittoria nel ceto divino 
formasse il soggetto della scultura : ma cotale parere comun- 
que abbracciato dal eh. Boss , non può concordarsi col posto 
subordinato quivi assegnato alla Vittoria , e molto meno con 
quel dominante carattere , per cui Minerva è quivi distinta 
come il personaggio principale di tutto il grande stuolo dei 
numL La posizione maestosa , in cui questa qui comparisce , 
attorniata da due divinità , che nella diversità d'antiche fa- 
vole furono detti entrambi suoi padri (4) , nemmeno ci lascia 
pensare , che un vago insieme di tutte le più celebrate divi- 

(1) Homer. lliad. XYIII, 382. 

(2) Conservato da Ateneo XllI^ 565. B. 

\5) Pare che la figura del Giove sia slata accompagnala di un^al- 
tra più piccola , forse d^un Ganimede. 
^4) Vedi Erodoto IV, 180. 




68 I. IlOffUMERTI- 

nità avesse dovuto rappresentarsi, senz'altrà idea dominante^ 
secondo l'intenzione dell'artista: mentre da quel distinto 
carattei^e assegnato a Pallade è manifesto piuttosto, che tutto 
l' insieme del 6gurato debba necessariamente riferirsi ad essa* 
Ora questionando qual concetto dell'antica favola e quale 
intreccio del mito di Pallade facesse mai comparirla nel mae* 
stoso posto , che l'artista ha voluto quivi assegnarle , altra 
con mi sovviene fuori quella già applicata con meno diritto 
da Leake e MùUer (1) all'occidentale frontone del Partenone. 
Egli è ben certo , secondo Pausania , confermato dai monu- 
menti dell'arte (2) , che in quel nobilissimo posto non altro 
si rappresentasse , e ciò assai materialmente , che il momento 
della nascita di Minerva , quando usciva dal capo di Giove : 
ma questo non toglie .che il momento posteriore a quel fatto, 
quello cioè , in cui la dea neonata veniva accolta solennemente 
nel concilio dei numi , fosse rappresentato altrove. Panni as- 
solutamente che ciò sia fatto sul monumento di cui discor- 
riamo. Dobbiam crederlo in primo luogo per la ragione sud- 
detta , cioè pel dominante posto e carattere dato a Pallade , 
nello splendido corteo di divinità; ma dippiii conviene avver- 
tire che il volto ritroso di Giunone , ben manifesto ad onta 
del marmo malconcio , viene cosi spiegato dalla gelosia di essa 
dea, pur troppo naturale alla presenza d'una figliuola di 
Giove, alla quale essa non era madre. E finalmente si rifletta, 
che i due alati demoni , i quali da' due opposti lati compari- 
scono da lontano in faccia di Pallade, si conformano pari- 
mente benissimo alla spiegazione da noi proposta : mostrando 
nell'una estremità il corteggio di Venere, che dalla castissima 
dea sempre mai restava lontano , e nell'opposto cantone , oc- 
cupato da Marte e Vulcano , la dea Vittoria , la quale , come 
sappiamo d'altronde (3) , £u sollecita per presentarsi ai co- 
mandi di Pallade immediatamente dopo la sua nascita. 

(1) Leake, Topographie von Àthen S. 289. Muller, Hanctbuch 
d. ÀI eh. 118. e ; DenkmSler n. 120 j ÀUg. Encyclopàdie 1, 6, S. 239. 

(2) Pausania 1 , 24, 5. Gerhard, Auserl. Vaseobilder (Choix de 
vases) 1, pi. Ili. IV, S. 13 seg. 

(3) Vedi la citata mia opera 1. e. 



d» FALLADB ACCOLTA DAGLI OLIMPICI* 69 

Parmi che il nostro marmo sia con ciò spiegato , come 
nel suo insieme, così nelle sue parti essenziali: ma non vorrei 
dispensarmi due osservazioni spettanti al tempio al quale il 
fregio in discoi*so apparteneva. L'analogia reciproca sussistente 
tra i due menzionati soggetti del Partenone e del vicinissimo 
tempietto di Nike Apteros , (analogia manifesta della nascita 
e della solenne apparizione di Minerva scolpite ne' piii nobili 
posti di due tempj collocati nel più santo e piii frequentato 
sito di Atene) , non può assegnarsi ad un semplice caso ; ma 
è facile spiegarla , riflettendo che quella Nike non alata , di 
cui discorriamo , ben lungi dall'essere identica con una voi* 
gare Vittoria (1) , fosse piuttosto una Minerva segnalata collo 
epiteto di Vittoria , e forse spettante al signiflcato di Pallade 
nelTeleusinio culto , siccome rilevasi dal mistico idolo di Mi- 
nerva Vittoria (2) , da' santuarj di Gea e Cerere adjacenti al 
ridetto tempio (3) , e dall'essersi trovata sul sito stesso la sta- 
tua dell' Ecate triforme d'Alcamene (4). Era dunque il tem- 
pietto di Nike Apteros il terzo tempio dedicato a Pallade 
sull'acropoli, e il perchè non fa meraviglia d'incontrare sul 
fregio di questa Atene Nike la continuazione di quel soggetto 
che sul frontone d'Atene Parthenos avea il suo celebre e ma- 
gniGco sviluppo. 

Que' miei lettori, i quali si trovano d'accordo con questo 
ragionamento , non vorranno ora dispensarci certamente un 
accurato confronto tra il fregio in questione ed il frontone del 
Partenone : confronto divenuto ^iii facile , se , come mostrai 
altrove (5) , la spaziosa lacuna \ intermedia alle conservate 
figui*e delle due estremità del detto frontone , conteneva un 
ceto di divinità conforme a quello , che suole attorniare la 

(1) È vero che Pausania HI, 15, 5 intese la Nike Apteros in quel 
senso volgare. 

(2) Harpocr. Kt^m *A5ì3 va, Nfefl? 'A^uvóéc góavov arripov. Cf. Welcker, 
iEscfayl. Trilogie S. 287. Gerhard , Prodromus S. 90 seg. Attributi di 
questo idolo erano Telmo e il melograno. 

(3) Pausan. 1, 22, 3. Gf. Ross , Akropolis S. 4. 5. 

(4) Pausan. II, 30, 2. Gf. Ross 1. e. pag. 9. 

(5) Auserlesene Yasenbilder I, S. 19. 



70 I. MUIfUMBNTI* 

nascita di Pallade ne' vasi dipinti* Farmi infatti di osservare 
un'analogia innegabile non solo neirafìGnità de' trattati sog- 
getti , ma eziandio nell'ordinamento e nella scelta delle rap- 
presentate figure. Taccio la somiglianza tuttavia notabile 
dell' Ebe o Iride nel fregio nostro colla Vittoria nel frontone 
del Partenone (1) , ma invece mi fermerò nel generale sistema 
della distribuzione seguito nell'una e nell'altra opera. L'ar- 
tista, al quale fu dato l' impegno, di far risplendere la prima 
comparsa di Pallade dall'accoglienza rispettosa che le già 
riunite divinità prestano alla neonàta, non potea sicuramente 
scegliere questi numi secondo un mero suo arbitrio: ma una 
volta essendogli conceduta quella poetica libertà , di fingere 
l'olimpica schiera già adunata allorquando nacque la dea di 
Atene , ebbe egli l'obbligo di rappresentare in primo luogo 
le divinità intimamente legate con Minerva , a preferenza di 
quelle altre , le quali , per quanto lo spazio il chiedeva , an- 
davano poi aggiunte. Fidia pure , rappresentando nel frontone 
del Partenone la stessa dea nascente dal capo di Giove, non 
potea lasciarla disgiunta né da Vulcano con Ilizia , né da 
Nettuno con Apollo : ma oltre queste figure , ora distrutte , 
Pallade lu attorniata sul fianco sinistro dalle teiTestri divinità, 
e sul destro da quella del Fato (2). Ora questo stesso ordina- 
mento di Fidia ritrovasi anche sul nostro firegio : poiché da 
una parte incontriamo le eleusinie divinità , i numi marini e le 
dee delle stagioni, mentre dall'altra accanto ai numi luminari 
ed alla regina del cielo comparivano probabilmente le Parche. 
In quanto poi alle figure più strettamente connesse con 
Pallade , alcune di queste furono collocate dal nostro artista 
accanto alla dea , la quale troviamo stante nel mezzo di Giove 
e di Nettuno : ma in quanto alla terza figura d' intima sua 
relazione , valeadire a Vulcano , il quale nelle attiche favole 
è ne' monumenti d'arte per lo più é accoppiato con quella 

(1) Pare che questa fìgura , presa per Vittoria anche da Mtiller 
(Denkmaler d. a. K. I, S. ^4; , non possa aver avuto un altro posto, 
se Don accanto alla seduta Parca , notata con e nella pubblicazione del 
medesimo archeologo (1. e. Taf. 26, n. 120). 

(2j Mulier , D^nkmàler I, n. 120, S. 14. 



dm PALLADB ACCOLTA DAGLI OLIMPICI. 7 t 

stessa dea d'Atene , Partista avrà avuto qualche motivo parti*- 
colare per collocarlo in quelFestremità del fregio , ove a 
stento poc'anzi lo rintracciammo. Credo che anche questo 
motivo possa indovinarsi con qualche probabilità. L'artista , 
dovendo in non meno di vento tto 6gure rappresentare una 
sceltissima serie di olimpiche divinità , ebbe un certo obbligo 
di far tralucere dal copioso loro numero quella serie de' dodici 
numi , la quale , quantunque negletta in paragone d'alcuni 
prescelti numi protettori , sempre nuUadimeno fii rispettata 
con tutto il solenne valore del dodecateo. Ho dimostrato al-« 
trove (l) , quanto i personaggi componenti esso numero fos- 
sero variabili ,• e parmi di tutta probabilità che Minerva , 
allorquando entrava la prima volta nel ben ordinato ceto di 
dodici numi 9 essa stessa andasse esclusa da quel numero; sic- 
come fiiori di esso stavano anche Marte e Nettuno , allorché 
furono giudicati nell'Areopago del concilio y egualmente do- 
decateo , delle riunite divinità (2)* Ciò supposto è facile per- 
suadersi , come il nostro artista assai ingegnosamente abbia 
saputo distinguere, mediante la preferenza dei posti, i perso- 
nag^ appartenenti al numero delle dodici primarie divinità. 
Rilevansi dome tali a prima vista le sedute 6gure, cioè Giove 
e Nettuno , Giunone ed An6trite , e accanto ai numi supremi 
facilmente si riconoscono da un lato Vesta e Mercurio, dall'al- 
tro Diana ed Apollo* Ora l'artista , per fare abbracciare visi- 
bilmente tutte le 6gure del suo fregio da quel consecrato nu- 
mero de' dodici dei dell' Olimpo , trovò di sua convenienza 
di distribuire le quattro restanti divinità nelle estreme parti 
del suo fregio , legando bene in cotal modo le numerosissime 
figure spettanti ad un solo soggetto , mentre per questo me- 
todo stesso non rimanea alcun dubbio sulla presenza e sulla 
denominazione de' dodici numi , trammischiati con un numero 
anche maggiore d'accessorie divinità. Certo è , che nessuno 
osservatore antico avrebbe riconosciuto l'intero stuolo de'numi 



(1 ) In una mia Memoria inserita negli Atti delPAccademia di Ber* 
lino pel 1S40: «Ueber die Zwoir-Goller Gnechenlands». 
(2) Apollodor. HI, 14,2. 



72 I. MONUMENTI • 

d*01iinpo , pria di aver veduto , sebbene sul posto estremo a 
sua destra , i numi della guerra e dell'arte (XXVI. XXVIII): 
ma avendo trovato Marte e Vulcano riuniti, era ìnunaneabiie 
ch'egli inoltre scoprisse le loro consorti dal solo indizio della 
simmetrica disposizione. Infatti , volgendoci ora al lato sini- 
stro , incontriamo nel posto corrispondente a quel di Marte 
la dea Venere, tante altre volte accoppiata al nume di guerra. 
Besta a vedere chi sia figurata sul posto corrispondente a quel 
di Vulcano (XXH). 11 lettore si ricorderà, che ivi poc'anzi ci 
comparve quella stessa Grazia, la quale 'secondo Omei'O è 
sposa di Vulcano: questo mito posteriormente negletto, forse 
fu. appositamente seguito dal nostro artista , giacche un qua- 
lunque consorzio , sebbene tolto o ignorato posteriormente , 
del dio de' mestieri, tuttavia serviva di allusione all'alleanza 
sua futura e indispensabile con Pallade. Crederemo adunque , 
che una delle Grazie , divinità per lo piii di grado secondo , 
sia stata ricevuta nel numero qui 6gurato del dodecateo ? Io 
lo crederei, rammentandomi che Ercole pure talvolta fu. uno 
del dodecateo ceto (1 ) , e che un'altra volta Bacco apparteneva 
al ceto stesso nel consorzio delle Grazie (2). 

DeL resto l' importanza del fregio finora illustrato , ne 
rende novamente anziosi di stabilire , per quanto si può , la 
cronologica data del tempio a cui apparteneva. Manifesta ormai 
è l'influenza non solo delle figaliche metope su' laterali fregi 
di questo tempio (3) , ma eziandio delle sculture del Partenone 
sulle sue sculture piincipali : e quell' influenza è tale che i 
bassirilievi, de' quali si discorre, debbano reputarsi posteriori 
tanto al frontone del Partenone, il quale se è contemporaneo 
alla Minerva di Fidia , è dell'olimpiade 85 , quanto al tempio 
di Basse , spettante all'olimpiade 87. L'editore ateniese (4) , 
allorquando espose il suo parere, quello cioè che il tempietto 
di Nike Apteros , fabbricato sul recinto dell'acropoli , fosse 

(1) Sul pozzo capitolino (Winckelm. Mon. ined. ti. 5) e sulla tazza 
di Sosia (Gerhard, Coupes du Musée de Berlin pi. VI. VII). 

(2) Schol. Pind. Olymp. V, 10. 

(3) Ross, Akropolis Taf. Xll, S. 15. 

(4) Ross 1. e. S. 9. 10. 



d. FALL ADE ACCOLTA DAGLI OLIMPICI. 73 

di un'epoca stessa col rìstabillmeiito di questo recinto dovuto 
a Cimone, cioè deirolìmpiade 78, ebbe due ragioni soprat- 
tutto per non crederlo piii recente : Tuna che questo tem- 
pio non trovasi mentovato tra le fabbriche assegnate a Pe- 
ricle , Faltra che i disturbi della guerra peloponnesiaca non 
facilmente avriano dato Fozio e il dispendio necessarj ad un 
tal monumento , il quale in conseguenza , se non è anteriore 
all'olimpiade 78, dovrebbe essere posteriore alla 94. Non op- 
ponendomi punto a queste ragioni , esternai un mio parere (1 ), 
fondato sul rapporto del nostro tempio co' propilei (eretti 
dairolimpiade 85, 4 sino alla 87, 1) , e poi ancora sul modo 
della scultura, cioè che il detto tempio piii facilmente ancora 
potrebbe attribuirsi all'epoca quando Cenone si distinse, come 
prima fece Cimone , tanto per una vittoria navale quanto pel 
ristabiliitiento delle mura ateniesi (2). La battaglia rappiresen- 
tata sul fregio laterale favorisce tuttora quest'opinione : visto 
che quella che vinse Cenone nelle vicinanze di Cnido (3) può 
riconoscersi con egual diritto come quella sull' Eurimedonte , 
che ivi riconobbe il eh* Ross. Del resto non sarei meravigliato, 
se il piccolo tempio di nostra questione o fosse tacciuto nelle 
nostre notizie sull'epoca periclea o fosse compreso nel vasto 
fabbrìcamento de' propilei : e molto meno dubiterei di asse- 
gnarlo , se valessero le sole ragioni dell'arte , ad un' epoca 
immediatamente precèdente quella dell' Erecteo (6nito dopo 
l'olìmp. 92, 4) : epoca quale a cagion d'esempio sarebbe quella 
della vittoria e della pace di Nicia , avvenute entrambe nei 
quattro anni dell'olimpiade 89. 

OD. GERHARD. 



(1) Allg. Literaturzeitung 1839, n. 122, S. 367 segg. 

(2) Diod. IV, 83. 

(3) Diod. ]. e. 



♦ I 



/ 



74 U MONUMBNTU 



<?• SPIEGAZIONE DE* MONUMENTI SUL PRONAOS DEL THESEUM. 



{Tav. d'4^g. F, \U\). 

Nel propoiTe a questo mio scritto il titolo che vi segnai, 
m* avvidi essere necessario, prima di entrare in materia , fare 
alcuna dichiarazione per giustiGcare la denominazione del 
Theseum , imperciocché il conoscitore il piìi profondo della 
attica topogi'afia i*icusa a Teseo cotale edifizio, e cerca invece 
far valere la conghiettura , foss* egli piuttosto il tempio di 
Marte di cui fa menzione Pausania I, 8, 5. 

]1 sig. prof* Boss nell'opusculo sul Theseum (t^ QtqqbÌou 
rcù e vocòg TGìj''Ap£og. Athen. 1838) ha deCnito per la prima 
volta la situazione ed i limiti approssimativi dell* Agora con 
quella sicurezza che amettono simili ricerche, ed ha appianato 
la strada ai disputanti e investigatori di quel dominio princi* 
cipale col mostrare la totale insufficienza della supposizione 
di due fori , l' uno vecchio e V uno nuovo. Inquanto ai due 
tempi di Teseo e Marte, di cui è questione, io sono peraltro 
deir opinione, che il cosidetto tempio di Teseo porti a buon 
dritto tale denominazione, ed in favore di essa mia opinione, 
potrei addurre più d'una ragione topografica, l'esposizione 
della quale richiederebbe d' altro canto una lunga disputa- 
zione intomo il ceramico interiore, su cui tomei'ò in altra oc- 
casione, per essere fuori de' limiti di questa dissertazione* 

Qui noto soltanto, che l'Amazonion, dove si diceva essere 
stato collocato il campo delle Amazzoni, era situato vicino al 
Dipylon su quella altura, che oggi è occupata dalla capella di 
S. Anastasios Kiirkuri e da qualche fenile. Ad un dipresso 
verso la metà fra l'amazonion e l'areopagos ha da porsi l'hor- 
comosion , in cui , secondo la tradizione volgare, gli Ateniesi 
aveano fatto la pace colle Amazzoni combattute. Siffatto hoi^ 
comosion formava il temenos del tempio di Teseo, il quale 
suir orlo estremo del rialto sta rivolto verso l'Agora e fìi esso 
talmente grande , che poteano tenervisi assemblee di magi- 
strato e accolta di truppe. Oggi vi è una piazza d'esercizio per 



e* MONUMENTI SUli PfiONAOS DEL TBESEUM. 75 

le milizie. L'intera agora vien a stare nella vallata fra i pen- 
dii dell'acropoli, dell^areopago e della collina su cui è il tempio 
di Teseo, cosicché quest'ultimo rimane al difuori dell'agora. 
11 tempio di Marte al contrario era situato dentro l'agora e 
determinatamente nella direzione verso l'acropoli, non lon- 
tano di quella strada larga che da principio va in via diretta 
all'agora e che quindi lungo il di lei lato orientale conduce ai 
propilei. Ciò raccolgo paite dal cammino che prende Pausania, 
parte dalla comparazione delle statue, le quali egli addita nella 
vicinanza del tempio di Marte, colle indicazioni non equi- 
voche che altri autori danno sulla situazione di e^e in rela- 
zione verso altri edi6zj dell'agora. Il centro dell'agora che sta 
coperto da alte masse di terreno, dove l'altare dei dodici dei 
e quello della Misericordia stavano l'uno accanto all'altro, ha 
da cercarsi un po' piii meridionalmente oppm'e a sud-ouest 
dalle due statue de' Giganti , di cui veruna, comprese anche le 
basi le quali con esse nulla hanno che fare , trovasi sul suo 
posto originario* 

Ma prescindendo anche da tutte le relazioni locali, met- 
tiamo che il tempio in discorso si fosse trovato in un qualche 
deserto, certamente per via delle sue sculture l'avressimo chia- 
mato Heracleum appure Theseimi , ma le ragioni in favore 
della seconda denominazione riceverebbero un peso maggiore 
dalla circonstanza , che uno de' fregj ritrae quello de' fatti i 
piii gridati di Teseo , vuo' dire la vittoria riportata sopra i 
Centauri , mentre suU' altro fregio compagno non si scorge 
traccia di Ercole. A ciò potrebbe opporsi (cf. Ross, 6i}Os7ov, 
pag. 7) che non v' è un rapporto stretto né fra il fregio né 
fra le metope e le divinità nel tempio adorate , adducendone 
in prova il fregio del tempio d'Apollo a Basse presso Figalia , 
dove 1' artista ateniese per vanità patria ha rappresentato i 
miti della città sua , senza curarsi se sieno essi un ornamento 
acconcio o nò. Ma , domando io , sono a noi cogniti tutti i miti 
ed i diversi loro rapporti coi culti dei particolari paesi? Non 
era pur Pholoe in Arcadia il domicilio de' selvaggj Centauri? 
e non raccontavasi pure nel Peloponneso, che ApoUon Ama<* 
zonios ed Artemi Astratea avessero posto il termine alle in- 



76 I. MONTJMENTf. 

Tasioni delle Amazzoni sul promontorio Taenaron? (Paus. Ili, 
25, 2). Preferisco però di riferire la battaglia de' Centauri sul 
fregio 6galense al generoso aiuto e secondo Diodoro (IV. 2) 
particolarmente ammirato, che Ercole prestava ad Halcyone, 
la figliuola del suo nimico Eurystbeus, contro il Centauro Ho- 
mados, oppure a qualche altra distruzione di Centauri indigeni, 
anziché all'Hippodamia che agli Arcadi era totalmente stranea* 
Cosi anche nel combattimento d'Amazzoni che riporta lo stesso 
fregio vedo io piuttosto accennato qualche fatto d'aita divina 
prestata da' due sopramentovati dei , cioè dall' Amazonios e 
dall' Astratea, in luogo d'una vittoria da Teseo ottenuta sotto 
le mura d' Atene. 

Chi però al cosidetto tempio di Teseo concede il suo 
nome, sia anche soltanto per le sue sculture, oppure perchè 
lo sostiene qualche pregiudizio inveterato, che da Valerio 
Massimo vien espresso colle parole : « Detrahe Atheniensibus 
Thesea, multss aut non tam claras Athenae erunt; » chi dico 
crede alla sussistenza del Tempio di Teseo e si ricorda, che le 
metope ed il fregio occidentale vengono senza controversia 
riferiti a Ercole e Teseo, concederà anche, che non è in con- 
traddizione collo spirito de' coetanei di Cimone , se io metto 
pur il fregio orientale. in rapporto con uno di questi eroi, e 
se dimostro, eh' egli rappresenta una delle vittorie le piii glo- 
riose di Teseo, per cui esso, secondo vantavano gli Ateniesi, 
avea liberato tutta la Grecia dal giogo della tirannia , mostran- 
done ad Ercole , il divino suo moddlo ed amico, la sua grati- 
tudine ed obbligandone la prole di esso a riconoscenza eterna 
verso Atene. Intendo la strage di Euristeo, il di cui merito 
presso gli oratori ateniesi forma un luogo comune assai cono- 
sciuto e che non viene oltrepassato con silenzio nemmeno da 
Euripide ne' suoi Eraclidi. 

Prima che passi alla spiegazione, devo premettere peral- 
tro qualche parola anche intomo la composizione del fregio 
e l' insufficienza delle illustrazioni finora datene. Nei disegni 
di Stuart, che furono anche copiati ne' Monumenti dell'arte 
antica del K. O. Miiller, si è intruso un errore. Che tutto il 
fregio orientale componesi di sei massi di pietra fr*a loro uguali, 



e» MONtTMENTl SITL PBONAOS DEL TnBSBVM. 77 

Ognuno de* quali porta oinque figure j meno il secondo , che 
mostra quattro figure soltanto, cioè tre deità ed un combat- 
tente* Nel disegno dello Stuart sono ora fra loro confusi il 
masso quarto e quinto, con che l'ordine delF insieme è essen- 
zialmente turbato. Ho restituito nel disegno mio (tav. d'agg. F) 
l'ordine attuale , tenendomi per il restante al disegno dello 
Stuart, imperciocché sin dal tempo di quel viaggiatore diverse 
cose in qua ed in là sono andate a perire* 

A cagione d'un gruppo di tré uomini che lancian sassi vi 
videro i primi illustratori una gigantomachia. K» O. MiiUer al 
contrario dopo diverse altre conghietture si é deciso in ultimo 
per un combattimento di Teseo contro i Pallantidi , confes- 
sando egli intanto , che tale sua spiegazione noii pretende più 
che probabilità (1). Essa posa sopra frammentato passo di 
Sofocle presso Strabone IX, p. 392 (p. 234 Tchn»), che fece 
pensare a buon drittb quel sagace dotto a miti indigeni di 
gigantomachie, le quali avessero avuto luogo in Pallene* Ma 
di identificare la vittoria de' Pallantidi con una gigantomachia, 
parmi troppo ardito* E ammesso anche la possibilità, che 
l'abbia fatto qualche poeta , sul nostro fregio non è rappre- 
sentato tale combattimento di certo, che di quindici guerrieri, 
che sono alle prese, soli tré sono armati di sassi, e neppure 
questi rappresentati da Giganti , i quali nell' arte piii antica 
compariscono armati di corazza (secondo Hesiod* Theegon* 
vs* 1 86) hanno accennato la loro armatura per qualche pezzo 
d'arma in metallo, mentre nell'arte piii recente essi in qualità 
di figliuoli della Gea hanno gambe foggiate in code di ser- 
penti. Altri guerrieri del nostro fregio, che manifestamente 
appartengono ai brandìsassi e che in parte sono azzuffati, in 
parte si danno alla fuga, portano scudi. Daltronde il costume 
di vibrare immensi massi , quante volte sene offriva l' occa- 
sione, non è neppur straneo agli eroi omerici (cf. 11. V, 302, 

(1 ) Vedi K. O. Miiller, Die erhobenen Arbeiten am Friese des Pro- 
Daos vom Theseustempel zu Àtben, dissertazione inserita in : Hyperbor. 
Rcein. Studien p. 276 segg. e Denkmàler der alien Kunst Bd. I, ts^f. XXI, 
n. 109). 



78 I* MoiruMEirTi* 

XIF, 380 ec.) e non dà verun dritto di pensare esclusivamente 
a' Giganti. Ed infatti fuori de* Pallantidi che vibrano sassi tutto 
il restante rimane inesplicato ed anche i dei che guardano Tesito 
della battaglia oziosamente. 

Ciò peraltro che s'oppone piii fortemente alla spiegazione 
del M iìUer è la circostanza , che la vittoria de' Pallantidi da 
niun autore vien rappresentata siccome fatto di Teseo , ma 
siccome colpo di tradimento menato con facilità nella guerra 
civile (Plutarcfa, Thes. e. XIII. Philochoros nelle schoL Em*ip. 
Hippol. 35). Anzi Teseo si trovò costretto di lasciare per 
qualche tempo il paese , appunto per purificarsi dalla strage 
de' suoi consanguinei (Eurip. Hipp. 35. Pausan. 1 , 22. 2. 
Tzetzes ad Lycophron. 1324), e fu inoltre chiamato innanzi 
al tribunale (Pausan. I, 28. 10. PoUux, Vili, 10). 11 quale 
soggetto poco sarebbe stato adatto di occupare l'onorifico po- 
sto suU' ingresso alla cella del temjno. * 

La vittoria sopra Eurystheus al contrario è un fatto, che 
spesse volte vien messo sulla medesima linea col combatti- 
mento de' Centauri ( il quale vedesi sul fregio occidentale ) e 
colla battaglia delle Amazzoni. Quest' ultima fuori di dubbio 
era rappresentata in uno dei frontoni, attesoché una delle fe- 
ste principali in onore di Teseo , la boedromia , vi si riferiva 
(Plutarch , Thes. e. XXVII) , e perchè il Theseum fu eretto 
sulla piazza, in cui secondo la favola le Amazzoni aveano con- 
ehiusa la pace col vittorioso Teseo in antichissimo tempo 
(Plutarch, ibid.). 

Plutarco nella sua vita di Teseo omette l'accoglienza del- 
la famiglia fuggitiva d'Ercole in Atene e la vittoria d'Euristeo , 
mentrechè Pherecydes (presso Antoninus Liberalis XXXIII) 
l'assegna al figliuolo di Teseo, a Demophon , ambedue mani- 
festamente per ragioni cronologiche. Fa lo stesso anche Eu- 
ripide ne' suoi Eraclidi , dove fa comparire lolao siccome 
vecchio decrepito, e Ilio, figliuolo d'Ercole , siccome giovane 
già adulto. Non mi opporrei se qualcheduno nella spiegazione 
del nostro fregio volesse interamente seguitare la tragedia di 
Euripide e prendere la figura capitale nel centro per Demo- 
phon ; ma parmi piii probabile, che l'artista si sia tenuto alla 



e. MONUMENTI DEli PBONAOS SUL TVBSEUM. 79 

tradizione dominante fra il popolo , la quale sempre era di- 
sposta di accmnulare ogni sorta di gloria , per quanto fosse 
possibile 9 sul festeggiato Teseo. Che V opinione dominante , 
dalla parte di cui sempre suol mettersi Pausania , si decise in 
favore di Teseo (Paus. I, 32. 5). Nomina Teseo anche Isocrate 
(Helen. p. 214) e Diodoro (IV, 5. 7) siccome il vittore nella 
&mosa battaglia, mentrechè Erodoto, Tucidide, Demosthene, 
Lisia, Aristide, ApoUodoro e molti altri fanno menzione della 
battaglia senza nominare il duca ateniese , forse per questo y 
che le opinioni vacillavano fra Teseo e Demofonte (1). 

Ora che si tratta della spiegazione del nostro fregio , mi 
sia permesso che racconti io brevemente coli' aiuto degli Era- 
clidi di Euripide (ancorché egli , secondo già fu accennato , 
pone Demofonte in luogo di Teseo) , la storia del fatto con 
riguardo particolare verso la nostra scultura. 

Ercole avea lasciato la terra da poco , era stato associato 
a' dei olimpici ed avea sposato Ebe (Eurip. Heracl. 9.910.91 5)» 
Euristeo pero , il quale d'allora tenea il piii grande potere in 
tutta la Grecia , temea dopo la morte dell' eroe la di lui prole 
che cominciava a crescere , e mandava araldi a tutti gli stati 
greci coli' ordine accompagnato da minaccie di consegnare i 
fuggiaschi figliuoli d'Ercole. Questi condotti dal vecchio lolao 
non trovando aiuto in nulla parte , fuggivano finalmente sic- 
come Hiketi all'altare della Misericordia sull'agora d'Atene j 
e trovavano quivi , dove già piìi che nel restante della Grecia 



(1) K. O. Miiller sostiene' nella di sopra citata dissertazione, 
p. 279, che , essendo la maggior parte delle imprese di Teseo duelli , 
e trovandosi Bgurato il combattimento de^ Centauri sul fregio occiden- 
tale , mentre non mostra la battaglia delle Amazzoni veruna rassomi- 
glianza col nostro fregio orientale, Tiinico avvenimeDlO) che resti y sia 
la pugna di Teseo contro i Pallantidi. Sembra che quel grande dotto 
nel momento in cui dettò quello scritto non avesse presente^ che la pro- 
tezione degli Eraclidi e la vittoria d^ Euristeo erano molto più celebri 
e trovansi) principalmente dagli oratori, molto più spesso menzionati^ 
che quelle altre tré imprese, e che Isocrate, Diodoro e Pausania ras- 
segnano a Teseo, mostrando quest^ ultimo per raggiunta roca^s ^tvovo'i 
chiaramente, cV egli avea inteso il suo racconto sulla faccia del luogo. 



80 I* MONUMBITTI* 

aveano preso potere la legge, il costume e la pietà verso i dei , 
protezione ed accoglienza. Teseo lor assegnava la Tetrapolis 
pel luogo di dimora (Euripide nella sua tragedia degli EracKdi 
li fa fuggire immediatamente verso l'altare dello Zeus Ago- 
raios, dove trovano sussidio presso il figliuolo di Teseo Demo- 
fonte, ma la opinione che molto di piii è in voga li fa fuggire 
in Atene all'altare della Misericordia). Appena sente Euristeo, I 
che gli Ateniesi avessero negato al suo araldo la riconsegna 
degli Eraclidi, eh' egli con tutta la sua forza, colle sue schiere 
pelasgiche , secondo le chiama Euripide (vs. 360), fidandosi 
della protezione di Hera, e da essa dea instigato (vs. 990. 1 039), 
prende la strada sopi*a Megara ed Eleusi verso Maratone. Te- 
seo gli vien coi suoi Ateniesi incontro, a cui aggiungonsi pure 
Hyllus ed il vecchio lolao^ 

Presso Gargetto , alle falde d'una altura , su cui stava il 
santuario dell' Atene Pallenia e vicino il demos Pallene , è il 
crocicchio dove coincidono le tré strade da Atene^ Maratone, 
ed Eleusi. In essa contrada giaciono numerosi sassi quasi fos- 
sero seminati , a cui s' attaccava la tradizione d'un antica gì- 
gantomachia(1 ). Quivi coUooavansi gli eserciti nemici di Teseo 
e di Euristeo l'uno incontro all' altro. Anche i dei vi prendono 
parte e nominatamente ponsi Atene siccome alleata dalla parte 
degli Ateniesi ed Eraclidi , Hera da quella degli Argivi (Eurip. 
Heracl. v. 347.^ sgg.). Hyllus sfida Euristeo , ma questo vuol 

(1) Cbe sì attaccava air attica Pallene simile come a quella dì 
Tracia la tradizione d^una gigantomachia, è stato dimostrato dal Mtil- 
Icr nella sopra citata dissertazione con iufficientì prove. Ma che massi 
di pietra erano dispersi intorno, conchiudo io dal racconto analogo, il 
quale rifepìvasì al AiBo^si. tts^iov presso Massilia (Strab. IV, p. 182, 
p. 293 Tchn*) e nominatamente dagli Acbarni d^Aristofane, v. 253: 

xoel ^(uxsiv 7^y 7rp9 7^;, s&>c ócv cupe3^ ttotì* 

Qui s^incoraggìscono gli Acbarni vicendevolmente di cercare pi«- 
tre in Pallene, che in comico linguagio chiamano Ballene, perassassi-. 
nare PAmphìtheos. Lo scoliaste aggiunga a questo passo: n«X>«vn 
9^uo<; rq; *ATT<x^g* vOv ^è Sia toO B ypoarréav xaTà ^uyysvecav tov ^ sic rò n* 
ElptiTM §k (X* ó (^QfAo? ouTO?) ànò roO ^lluv >c3occ. 



e. MONUMENTI SUL PRONAOSDBL THESEUM. 81 

evitare il fato e non accetta la sfida. Ora comincia un veemente 
generale combattimento , il quale lungo tempo resta indeciso, 
dimodoché una volta doveauo dare addietro gli stessi Ateniesi 
(v. 384). Finalmente restano questi vittoriosi, protetti da Zeus 
Tropaeos (v. 766. 867) ed Atene, uccidono i figli d'Euristeo 
e rincacciano lui stesso con tutta la sua armata in ignominiosa 
fuga. Sul campo della battaglia vien eretto un trofeo (v. 786). 

Hyllos cedente alle preghiere calde di lolao lo (a mon- 
tare sul suo carro e perseguita il fuggiasco Euristeo. Presso gli 
scMronici scogli Io raggiungono. lolao supplica Zeus ed Hebe 
(v. 851), di rendergli quel giorno solo la sua gioventù, per 
castigare l'insaziabile nemico d'Ercole. D'improviso egli è rav- 
volto da una nuvola, d'onde riesce ringiovanito. Ora Euristeo 
vien preso, legato e condotto prigioniere: poi ucciso sul campo 
della battaglia e quivi seppellito. La sua tomba , benché tomba 
di nemico, passava, siccome quella d'Ettoi*e presso Tebe, per 
un santuario e prestava al paese una magica protezione con- 
tro l'invasione di nimicali eserciti (v. 1030. 1040). 

Ora se all' artista fu data l'ordinazione di rappresentare 
sopra continuato fregio il descritto ostinato combattimento , 
la parte che vi presero gli dei, l'uccisione de' figliuoli d'Euri- 
steo , la eminente virtii eroica di Teseo , il ringiovanimento 
di lolao, la prigionia d'Eurìsteo, ed in ultimo il festivo ballo 
dopo la vittoria ottenuta (cf. v. 892) ed i funerali d' Euristeo, 
domando io il lettore , se egli avesse potuto aggiustar tutto 
questo in modo piii sennato e rappresentarlo in maniera piii 
manifesta, di quanto egli ha fatto? E quando l'artista voleva 
contemporaneamente rendere chiaro all', occhio, che l'azione 
avea luogo innanzi al santuario della pallenica Minerva , la 
vittrice de' giganti, io penso egli non avrebbe potuto ottenerlo 
in modo più semplice che se armava una schiatta de' fuggia- 
schi nemici dei sassi celebrati da antichissimo mito , per fare 
al prepotente Teseo l'ultima ma inutile opposizione. ^ 

Di voler parlare a lungo dell' inimitabile perfezione di 
disegno e dello scalpello del nostro non troppo mal andato 
bassorilievo , sarebbe cosa superflua , riuscendo a quei che 
l'hanno ammirato noioso , a quei che non lo vid4ei'0 poco 

ANNALI 1841. 6 



82 !• MOirUMBNTU 

Utile* Simili monumenti d*arte rassomigliano agli antichi 
drammi, i quali vogliono essere letti nelF originale, per com- 
prendere la varietà de' loro ritmi e la norma della bellezza, 
la quale, siccome somma legge, regola e domina tutto , e pre- 
sta anche alF espressione della piii feroce passione un andar 
temperato e i^itmico. 

Per venire a conchiusione voglio far passare brevemente 
in rivista ancora una volta la rappresentanza del nostro fre- 
gio. Fra i due gi*uppi di dei muove la battaglia* Le deità a 
mano manca sono quelle che erano propizie agli Ateniesi : 
Zeus Tropaeos in vestitura guerresca* Egli alza il braccio si- 
nistro, il quale è munito del manto a guisa d'arma di difesa, 
secondo che fece pur Teseo sul medesimo fregio* Accanto a 
lui siede Hebe, la quale per il velo si fa conoscere siccome 
sposa o recentemente maritata ad Ercole* Essa alza la destra 
verso lolao in segno ch'ella ha esaudito la sua preghiera* Dietro 
lei siede Minerva , distinta dall'elmo e dalla sua posa seria* 
Dalle falde del monte, su cui veggonsi assisi i dei, muovono 
gli Ateniesi contro gli Argivi, di cui la maggior parte già si è 
volta in fuga verso le deità del lato opposto* Tra la prima fi- 
gura è Poseidon, riconoscibile in questo ch'egli posa un piede 
sopra uno scoglio* A lui d'accanto siede Giunone* Ella pare 
voglia esprimere per le incrociate braccia dolore suU' infelice 
esito della battagUa, a cui essa medesima avea incoraggito il 
suo favorito Euristeo* Dietro ad esso sta in trono l'argivo Ares 
(Eurip* Heracl* v* 275* 289)* Che Poseidon ed Ares compari- 
scono nell'attica mitologia per lo piii da dei inimicali, è noto* 
Ambedue realmente godevano in Atene d'un culto subordinato* 

Il combattimento vien formato da tredici figure , di cui 
quella di mezzo è Teseo* Egli tiene coperto il braccio sinistro 
d'un manto in luogo dello scudo , simile come nella battagha 
d'Amazzoni sul fregio occidentale , e ne accoglie un sasso , 
il quale gli scaglia il competitor piii vicino» Colla mano sini- 
stra rispìnge esso contemporaneamente un sasso , che tiene 
afferrato lo stesso suo nemico , a lui nella faccia, facendolo 
così cadere* Nella destra la quale disgraziatamente è rotta 
^' tenne un'asta brandita contro l'altro suo assalitore* Dietro 



e* MONUMENTI SUL PRONAOS DEL THBSEUM. 82 

tjuesti s'accosta un terzo ugnalmeiite armato di simile masso 
di pietra. Due de' figliuoli d' Euristeo stanno morti per teiTa. 
Degli altri guerrieri muniti di scudi hanno da prendersi quei 
che precedono per Ateniesi , quelli poi che vengono rispinti 
e fuggono per Argivi. 

Le due scene a mano manca ed a mano dritta dietro le 
spalle degli dei trovansi fuori del combattimento e hanno da 
immaginarsi in un momento alquanto posteriore. A mano 
manca vien legato Euristeo , il quale siccome Hiketes (cf. Tsocr. 
Paneg. p* 52. Panath. p. 273) sta inginocchiato , dal giovanile. 
Hyllus. A diritta accanto a questi sta lolao ringiovanito. Egli 
stende il braccio e mostra la vigorosa forza delle sue forme , 
secondo lo descrive Euripide (v. 857): 

^pa/ióvoàv ed£<|£V ^j8)7T)7V tuttov. 
Che Hebe si rivolge verso di lui fu notato di sopra. 

A mano destra dietro alle divinità inimicali sono cinque 
figure, di cui i due di mezzo indicano per la loro mossa il 
ballo in festeggiamento della vittoria con soflSciente chiarezza. 
L'ultima figura a destra erge , secondo la spiegazione dello 
Stuart , un trofeo* La posa di essa figura non sembra espri- 
mei'e questo; manco e' è il posto per le armature de' nemici , 
di cui il trofeo dovrebbe comparire fregiato (Eurip. Heraclid. 
V. 786: xponoTi l^pistcu noofxivxtoof l/cvra TroXsfxrwv). Panni 
pili probabile essa rappresenti uno che scava , mentrechè la 
figura stante dirimpetto sarebbe quella che ordina la tomba; 
indicazione sofficiente della deposizione d' Euristeo innanzi al 
tempio della Pallenis Athena in Gargettus , dove egli conforme 
ad un oracolo (v. 1 038) dovea riposare siccome eroe protettore 
d'Attica. Atene li 25 marzo 1841. 

H. N. ULRICHS. 



/ 



y 



84 !• MONUMENTI* 

f. IL GIUDIZIO DI PARIDE NELLA VILLA LUDOVISI. 
{Mon. deirinsl. voi. IJI^ iav. XXIX). 

1 monumenti che riferisconsi al fatale momento , in cui 
il 6gliuolo di Priamo per Venere mostrossi favorevole , a lei 
posponendo Minerva e la stessa Giunone, sono talmente ripe- 
tuti , che saria quasi da temere di intrattenerne i nostri let- 
tori; tanto piii che abbiamo dovuto occuparci su tale soggetto 
negli ultimi tempi ripetutamente, non pure in privati scritti, 
ma eziandio nelle pubblicazioni dell' Instituto. Ma di qui ap- 
punto rendesi palese la fertilità d' immaginare , con cui gli 
antichi artisti hanno trattato i loro argomenti : che mentre 
a* tempi nostri le materie le più disparate sotto le mani di 
moderni pittori compariscono monotone e sembrano la stessa 
cosa , presso gli antichi tutt'al contrario il medesimo pensiere 
cambia , colle forme che veste , quasi natura e toma sempre 
siccome idea originaria e non mai trattata alla fantasia di chi 
discorre gli sguardi sopra quelle poetiche composizioni* 11 
marmo , delle bellezze del quale oggi abbiamo da rendere con- 
tezza , si è quello stragrande bassorilievo di Villa ludovisi, che 
ai dotti sin dai tempi del ^inckelmann fu noto, senza che 
finadora ne fosse dato al pubblico un accurato disegno , onde 
potesse averne un'idea pretta e sofficieute anche chi è lontano 
da Roma o chi non ha opportunità di visitare i riservati te- 
nori di si delizioso suburbano. E il vero eh' io stesso mi aju- 
tai nel 1838 di adempiere comunque fosse cotale difetto y ma 
certamente V ìnsoflBcienza , e la scarsezza de' miei mezzi non 
potevano arrivare fin là dove ne scorse la valida protezione 
dello stesso sig. principe di Piombino , nel quale, or fa un 
anno che morte il rapia , l' Instituto nostro compiange un 
fautore grande ed amico benevolo. Esso ottimo principe non 
solamente ne concedette ampio permesso di trarre accurato 
disegno , ma a tal segno ci ajutò eziandio nel nostro propo- 
sito , che ci fece ergere un solido palco , ond'ebbe l'artista 
ogni comodo ed agio necessario di studiare il maimo e di ri- 



/ 

I 

/ 



f. GIUDIZIO DI VABIDE. 85 

trarlo minutamente, non senza indicarne scrupolosamente i 
pezzi riportati ; dimodoché oggi per la prima volta può de- 
dursene un positivo giudizio , non permettendo Taltezza , in 
cui è situato il monumento, anche a chi s'avvicinava di 
presso e col soccorso di lenti , distinguere ogni brano moderno 
da quelle parti che realmente sono d'antico scalpello. Non è 
da dire quanto considerevole sia il guadagno che faccia la 
scienza da si giuste ed esatte cognizioni: ognuno ne giudicherà 
da sé 9 se gli vien dato di misurare il pregio coli' impprtanza 
del monumento in discorso. 

Fra quei numerosi, rappresentati che s'accostano al cen- 
tinaio e che ritraggono il giudizio di Paride , il. nostro basso-" 
rilievo (lungo met, 3, 03, alto meU 1, 10) è unico per il gra- 
zioso .episodio che forma la donna collocata accanto all' ideo 
pastore e dalla quale esso si rivolge verso l'Amore che a lui 
dietro le spalle scaltrameiite si é collocato* La sagacita di 
Winckelmann vi riconobbe quasi a sguardo indovino l'OE- 
none , con cui Paride era congiunto per indissolubile legame 
di nozze e di caldi giuramenti e che abbandonò allorquando 
si fu affidato ai perniciosi consiglj di Venere*- 11 messaggierc^ 
di quest'ultima è appunto quell'alato fanciullo che ora al 
voluttuoso pastorello favella ed a cui pare sia ormai riuscito 
di frastornarne i sentim^enti di casto e conjugale amore, inne- 
standovi le lusinghe di migliore fortuna e di piii magnifica 
bellezza* Non era troppo facile di riconoscere cotale figura 
accessoria per quella che realmente essa rappresenta, mentre 
oggi la denominazione da quel sommo dotto proposta é messa 
fuori di dubbio pel confronto del raro frammento di lucerna 
pubblicato dal Millingen , dove tanto Paride quanto OEnone 
sono contrassegnati da chiare e sicure leggende* Era io troppo 
ardito nel voler riconoscere la figliuola di Gedreno nel vaso 
dosino , di cui si pubblicò la stampa nello scritto intitolato: 
«e II Jd^erinto di Porsenna comparato coi sepolcri di Poggio 
Gajella», onde F Institiito volle lasciare un segno della sua 
letizia in occasione della festa pel natale e per l'avvénitnento 
al trono avito di S* M. Federigo Guglielma IV rè di Prussia 
protettore del nostro stabilimento* Che la donzella munita di 



S& I. nroNUWEiiTi* 

scettro reale , la quale tìen posto dietro Tadulto Amore sv<>* 
lazzante a tergo di Venere , paimi oggi con molto maggiore 
probabilità Elena stessa y anziché la legittima sposa di Paride* 
Con tale supposizione acconciasi anche molto meglio il ridetto 
Amore , che pare voglia richiamare l'attenzione del figliuola 
di Priamo sulla pia bella fralle donne , ch^esso colla destra 
addita. Se noi in questa nuova spiegazione non male ci appo- 
niamo » molto piii grazioso riesce pnranco il contrapposto in 
cui Elena si mette colla fiorura dell'altro lato* che noi abbiamo 
riconosciuta per Ettore seguitato dalla dea di maschia vittoria* 
Notasi finalmente che il bel contrasto , siccome è quello rile- 
vato fra Elena accennata dal messaggiero di Venere e Ettore 
a cui la Vittoria fa scorta , scorgesi anche nel quadro prin- 
cipale , dove tanto Minerva quanto Giunone compariscono 
munite di lancie con allusione al carattere di virtude che 
distingue esse dee e alle promesse date a Paride se si dichiarava 
in favore dell'una o dell'altra , mentre la pafia deità è adoma 
di regale scettro e di femminei vezzi* 

Dopo siffatta- digressione , che troverà scusa presso quei 
de' nostri leggitori , che sanno aggiunger pregio anche alle 
minuzie indotte dall'analisi di ricche composizioni , noi tor- 
niamo al nostro rilievo , il di cui centro ormai si è fiitto chia- 
rissimo : vi si vede Paride tentato da Venere per mezzo dì 
Amore e sazio della compagnia d' OEnone y che con presago 
volto indovina i tristi avvenimenti nascosi fra la nebbia dello 
avvenire* La zampogna è bel caratteristico della ninfa avvezza 
di ingannare il tempo con innocenti trastulli pastorali* Jl 
semplice costume campestre ch'ella veste differisce grande- 
mente dalla lussuriosa pompa , con cui gli si accosta separata ' 
daUe rivali compagne Venere , sul di cui capo il peplo agi- 
tato da' venti forma arco* Mercurio sta rivolto verso Minerva 
e Giunone , alle quali egli addita il pastorello ancora dimo- 
rante nelle selve e fragÙ armenti* Esse ormai pajono legate 
con etemi vincoli per fare guerra alla lor volta e con riunite 
forze al protetto della dea rivale , la quale con le seducenti 
sue ài*ti ha loro tolto il vanto della primaria bellezza* 



/• GIUDIZIO m PARIDE. 87 

Fin qui abbiamo un brano di composizione veramente 
bella e piena di senno. Non può dirsi disgraziatamente Io 
stesso del lato opposto del nostro bassorilievo essendo il 
marmo in queste parti non solamente guasto ma ancbe per 
gran tratto interamente mancante. Ch^ Tesarne ìnstituito 
coll*ajuto xlel palco o castello, preparatoci dal sig. principe di 
Piombino 9 di grata ricordazione, ci ba insegnato la sola metà 
superiore della intera rappi*esentanza esser venuta sino a noi; 
ma delle cose cbe seguivano appresso a Giove assiso sulla 
vetta del monte, il tempo ci ba privato quasi interamente. I 
tititti di linea con cui abbiamo fatto circonscrivere le parti 
realmente antiche mostrano cbe di tutte le figure aggruppate 
intomo Paride, compresovi anch'esso e l'Amore con lui con- 
giunto, non è d'antico cbe le sole parti superiori delle figure, 
ma del bue non son conservate cbe le corna e della capra la 
testa sola. La figura del Giove, di cui or ora terremo discorso, 
è la piìi conservata in tutto il bassorilievo , cbè ad esso nulla 
altro manca fnor le gambe e piccola parte delFuna e dell'altra 
coscia. E pur sicura ed antica la femmina cbe trovasi a lui 
vicina , ma della capriuola , cbe vien poi non -è antica cbe la 
sola testa , mentre tutto il restante della composizione è ri- 
portato da mano di moderno non inabile artista in istucco. 

La ripetuta figura cbe abbiamo incontrato in alto assisa 
sopra pelle di leone e rivolgendo i suoi sguardi verso ciò cbe 
di sotto si passa , senz'altro dovrebbesi prendere per l' ideo 
monte in tal modo personificato. A lui certamente conver- 
rebbe il posto cbe occupa ; ancbe il noderoso bastone cbe 
stringe nella sinistra e forse tutto l' insieme , eccettuatone 
soltanto le sembianze maestose cbe forse per simile divinità 
locale sarebbero troppo sublimi. Su ciò peraltro potrebbe 
nascere questione e noi per continuare ^l nostro ragiona- 
mento crediamo piii opportuno di far valere tutt' altra sorta 
di raziocinio. È un fatto cbe Giove finora due volte si è tro- 
vato unito in modo analogo col nostro soggetto : lo esibisce 
il vaso del museo di Carlsrube , dove porta il nome in iscritto 
e l'abbiamo ritrovato sul bassorilievo della Villa pamfili, che 
in questi fogli è stato sottoposto a scrupolosa analisi. Ora 



88 1 » I* M0RU1I£NTI« 

parmi però probabile, che in riguardo a tale congiuntura 
abbia da riconoscersi per Giove anche la figura analogamente 
situata nel nostro bassorilievo. Se fosse co^ , la terza volta 
sarebbe che tale deità somma ci si presenterebbe nella stessa 
composizione e sarei anche in caso di citarne un quarto esem^ 
pio. Sulla magnifica idria dissotterrata negli ultimi scavamenti 
vulcenti , che forma pariglia colFaltra dal Cadmo, illustrata 
con tanta maestria e verità dal Welcker, vedesi egualmente 
il giudizio di Paride. Per lo scopo nostro quella , anche per 
altri particolari notabilissima rappresentanza , ci fornisce negli 
accessori, vuo' dire fralle figure secondarie che compariscano 
al di là dei manichi, la figura di Giove coronato di fronde di 
alloro e munito di scettro. Iscrizione esso dio non porta , ma 
per sostenere la nostra opinione ci viene in. soccorso quel 
fanciullo , che sul lato opposto in analoga posizione si ritrova, 
e che per il cerchio ed il bastoncello , infantili trastulli , pur 
altre volte da lui. portati, si riconosce per Ganimede, il 
quale s^ unisce col padre degli Olimpici in senso analogo come 
Apolline a Diana , i quali sul medesimo vaso , nello stessa 
posto ed in uguale intervallo sono distribuiti. 

Più malagevole cosa è di dover rendere conto minuta 
della femmina, che munita di pedo s^accosta in fretta a Giove 
quasi curiosa di vedere l'avvenimento che alle falde del monte 
si prepara. Altra volta fui tentato di prendere tale donna per 
Eride , la quale simile come sul vaso di Carlsruhe ammira con 
anzietà l'effetto della trama da lei preparata. Oggi non posso 
più. decidermi in favore di quella opinione. Il pedo non solo, 
ma anche l' intero carattere di quell'essere secondario sem- 
brano troppo strani ad essa dea. La spiegherei più volentieri 
per una .semplice ninfa , per una delle compagne della vita 
pastorìzia di Paride, se non movesse difficoltà il congiungi- 
mento un po' troppo stretto in cui si trova messa la nostra 
donzella con quel nume da noi preso per lo stesso Cronide. 
Pare poco convenevole che un essere di si bassa sfera come 
sarebbe una ninfa o simile donna, possa guardare quasi sulle 
«palle del supremo rettore dell'Olimpo. Su questo particolare 



f. GIUDIZIO DI PARIDE. 89 

sarà d'uopo però d'attendere altri confronti o più sagace di 
me un dotto che sappia sciogliere la difficoltà. 

Per tutto il resto del figurato potrebbesi uscire con po- 
chissimo , anzi colla semplice dichiarazione , che ogni pezzo 
è riportato per moderno ristauro ; se non fosse che siffatto 
ristauro appunto in tante parti mostra erudizione tale , che 
pare incredibile esso sia fatto senza l'ajuto di altri monumenti 
analoghi. Ghè ancorché la Diana sia stata richiamata da 
quella testa di capriuolo , che abbiamo dichiarato unico avanzo 
antico dì quel lato del bassorilievo , pure essa figura non solo, 
ma anche tutto il complesso delle altre cose che quivi veg- 
gonsi riunite , ricorda in modo sì preciso quella celebre com- ^ 
posizione del medesimo soggetto che ha per autore il divino 
Raf&ele e la quale è giunta fin a noi mercè magnifica stampa 
operata dalla potente mano di Marcantonio. Ora se noi anche 
ammettiamo che quella incisione sia stata messa a profitto di 
chi era incaricato del ristauro del nostro marmo , sempre bi- 
sogna domandare come mai Raffaele abbia potuto indovinare 
l'associazione delle idee antiche si minutamente , che le figure 
principali, cioè Diana ed Apolline, occorrono ambedue l'una 
nella descrizione di monumento antichissimo , ritraente il 
giudizio di Paride , e l'altra sopra il noto vaso ruvese che 
forma principale fregio del granducale museo di Carlsruhe. 
Ghè Pausania rendendo contezza delle storie di cui era ornata 
la cassa di Gipselo nomina la Diana siccome intervenuta alla 
gara delle tré famose donne e, per non parlare del bassori- 
lievo nostro , sulla stampa del Maifcantonio essa dea preci- 
samente si ritrova. Questo ha da attribuirsi al solo caso , a 
poetico rincontro o pure all' ispezione d'antico monumento , 
di cui non è nmasa traccia ? 

Sarei tentato di decidermi in favore dell'ultima suppo- 
sizione tanto più' che anche perla figura del Sole si deve quasi 
ammettere la stessa congiuntura. Sulla stoviglia dipinta del 
granducale museo di Carlsruhe comparisce lo Helios contrasse- 
gnato del nome, ed anche senza questo, bastantemante chiai'O 
dal medesimo lato della composizione e (piasi sul medesimo 
posto : che quella piccola varietà che ci corife fra il vaso ed 



90 !• MONVMBIITI* 

il nostro marmo proviene esclusivamente dal sesto obbligato 
della superficie del vaso* 

Io stesso devo contentarmi di aver rilevato siffatta coin- 
cidenza , la quale se ha reale fondamento, certamente è molto 
graziosa , se nò , essa non è meno che bella , mostrandosi così 
per prova di fatto come era penetrato nello spirito degli an-* 
tichi monumenti il divino Urbinate* Il ristauro medesimo pare 
eseguito nell'epoca dell'Algardi e ad esso devono attribuirsi 
le proporzioni alquanto immaginarie di più figure , le quali 
per la stragrande loro lunghezza compariscono meno belle , 
meno naturali di quello che in origine furono immaginate 
dall'antico artista* Tal vizio spicca di piii^ nel gruppo delle 
due dee condotte da Mercurio j e questo pure pare di una 
sveltezza che minaccia di degenerare in caricatura* Ma sia 
checché ne sia, ha da lodarsi grandemente anche l'artista che 
s' ingegnò di restituire il nostro monumento all' intenta e 
che operò così bene , che dove la propria fantasìa e lo stato 
delle cognizioni d'allora l'abbandonò, seppe consultare con 
buon profitto le opere di quello de' moderni artisti , che 
dell'antico s'era imbevuto di piìu Farmi difficile che oggi 
possasi ottenere un supplimento cosi soddisfacente dagli 
scultori nostri coevi , fra cui pochi sanno apprezzare abba- 
stanza gli antichi monumenti, e molto minore è il numero di 
quei che sentonsi instigati di riprodurre ciò che nelle cose 
piii belle ci ha invidiato il tempo, da quello che n'è rimaso» 

EM. BRAUN* 



NASCITA d'eRITTONIO. 9l 

III. PITTURA. 

IL NASCIMENTO d'eRITTONIO. 
{Moti. deWinsU voi. ///, tav. XXX). 

La rara stoviglia clusina, che forma bel fregio della 
raccolta lasciata dalla benemerita memoria del sig. Pietro 
Bonci— Casaccini , è a parer mio il primo monumento fin ad 
ora venuto alla luce , che ritrae in modo non equivoco il 
nascimento d'Erittonio. Che le altre rappresentazioni, riferite 
a questo importante mito, non mostrano chiarezza tale da far 
forza a riconoscervi esso soggetto. Anzi se un esame minuto 
ed accurato dei marmi vaticani (Mon. d'Inst. voi. I, tav. XII, 
fig. 2 e 3) , ci costringe a darvi sopra un giudizio molto cir- 
cospetto , se sono maggiori gF impedimenti allo spiegare per 
quel famoso fatto dell'attica mitologia il frammento parigino 
(ibìd. 1), oggi dobbiamo esternare i nostri ben fondati dubbj 
anche intomo la magnifica pittura vascùlaria (ibid. tav. X) , 
che fin ad ora con maggior diritto potea mettersi in relazione 
col mito in questione. 

Il frammento parigino (tab. XII, 1), il quale dal grande 
E. Q. Visconti ingegnosamente, e con argomenti che alla 
norma della greca fantasia corrispondono , fu spiegato per il 
secondo parto di Bacco , disgraziatamente non ci lascia con- 
cepire una idea precis» intomo l'intenzione delFartista. E 
certo che la figura assisa spiegata per Giove dal Visconti , 
per Nettuno da chi volle riconoscervi p^r forza il nascimento 
d' Erittonio , convien meglio a quella che a questa deità ; è 
pur certo che esso dio non prende parte immediata all'azione 
e non può mettersi in contrapposto alla figura dell'altro lato, 
creduta Vulcano , mentre chiaro è come il giorno che la 
drapperia che ci rimane di quest'ultima e attribuita al dio-dei 
fuoco , non può per nessun modo riferirsi a tanto artista , 
perciocché saria per lui troppo di lusso e d' impaccio alle sue 
faccende , e non si raffronta coli' addobbamento ordinario 
dato dagli antichi a Vulcano : piuttosto ben si addirebbe ad 



\ 



92 !• MOirUMEIITI* 

una femmina j che pare corrisponda alla compagna che dalle 
mani della madre Terra accoglie il neonato fanciullo. Se sia 
essa Minerva è più che dubbioso ; almeno nulla ci forza a 
crederla dessa« Perciò sono disposto a interpretare si prezioso 
avanzo d'antica scultura per la nascita di Bacco rappresentata 
secondo tradizione differente dalla volgare ; e in ogni modo 
per tutt'altra cosa che per Erittonio. 

Senza allargarmi in parole intomo i due frammenti va- 
ticani (tav. XII, 2, 3), su cui nulla può dirsi di determinato a 
causa del troppo misero loro stato , mi rivolgo senz'altro alla 
ridetta stoviglia (tav. X), la quale ci esibisce una composi* 
zione magnifica , stile grande e conservazione perfetta. Ma 
siffatti bei requisiti ci danno diritto di maravigliarci, come, 
gli antichi avendo voluto ritrarvi il nascimento d' Erittonio , 
non abbiano posto maggiore chiarezza nel distinguere il ca* 
rattere della persona principale. È egli credibile, che avessero 
rappresentato senza necessità Vulcano, personaggio ben pro- 
nunciato della greca mitologia , in modo da confondersi con 
parecchi fra' dei maggiori? Qual motivo potrebbe aver indotto 
1' antico artista di privarlo degli attributi i piii owj , sino 
dell'abito a lui particolare ? Io devo confessare , che parmi 
questa supposizione in contraddizione aperta col metodo so- 
stenuto con conseguenza de' migliori pittori vascularj. Ma per 
ajutare questi miei dubbj felicemente ci vien in soccorso altra 
stoviglia dipinta, che mostra la medesima composizione anche 
in certe parti arricchita, e per attributi non soggetti ad eqni- 
voco maggiormente chiarita. £ essa la vascularia dipintura 
pubblicata pi. LXXXV dell' Elite céramographique de' signori 
Lenormant e de Witte , dove il posto del preteso Nettuno 
vien occupato da un bello e deciso Giove , che stringe il ful- 
mine nella mano. Se noi compariamo con esso il dio rappre- 
sentato sul vaso anteriormente noto , dovremo confessare che 
anche ad esso conviene meglio la denominazione di Giove che 
quella di Vulcano , trovandosi il padre degli dei realmente 
sulle stoviglie di quel clamidion vestito, che più s'acconcia 
col carattere di esso lui. anziché con quello di Vulcano , il 
quale ha per costante )e caratteristico attributo quella veste a 



NASCITA d'brITTONIO. 93 

foggia di corta tunica e non mai quel mantelletto. Se noi do- 
mandiamo ora a qual altro fatto abbia da riferirsi la rappre- 
sentazione dell'uno e dell'altro vaso , ci suggerisce la risposta 
il vaso suddetto che riporta Giove munito de' cbiari suoi at- 
tributi : dev'essere il nascimento di Bacco , il quale dagli 
anticbi par sia stato immaginato nel modo appunto che Ennio 
Quirino indovinò ; e se questo sommo archeologo ravvisava 
esso mito nel marino del Louvre , forse gli sarà stata pur 
nota alcuna testimonianza scritta , che finora non ho potuto 
rinvenire fralla corta suppellettile letteraria che sta a mia 
disposizione. Tanto peraltro ho potuto persuadermi che gli 
antichi poeti conoscevano tradizioni ben diverse delle volgari 
e secondo le quali Bacco fu accolto dalle ceneri stesse della 
madre, senza passare per la coscia di Giove (1). Ma io non 
posso entrare in discussioni ulteriori intomo la natura di sì 
intrigato e molto variato mito e mi approda la figura acces- 
soria del ridetto vaso , che si nomina 0INAN9E ossia uino^ 
"fiori , fior di vino , nome che a bacchica femmina conviene a 
meraviglia e che non lascia pensare ad altro fuorché a fatto 
per eccellenza bacchico. 

Senza ch'io possa andar in traccia delle ragioni, per cui 
Minerva interviene in quella occasione ; discussione che fa- 
rebbe scostarmi di soverchio dall'argomento principale ; io 
devo occuparmi esclusivamente del monumento che ritrae il 
nascimento d'Erittonio in modo non soggetto ad equivoco. 
Credo opportuno peraltro di premettere qualche ossei*vazione. 
sul rapporto che ha Minerva in questo mito con Vulcano.' 
Essa dea neL mistico sistema di mitologia attica era sposa del 
dio de' metalli , e fìi nominata madre de} favoloso Erittonio , 
la di cui generazione andavano poi cosi conciliando , per lor 
favole, col carattere di vergine che volean conservasse la fi- 
gliuola di Giove , che il tipo della sublime deità in nulla si 
guastava. Sono persuaso che gli antichi pieni di senno sapeano 

(1) Àntholog. Palat. MeleagerCXlII: 

Ai Nufji^at TÒv "Bàx/w « or* Ix nu/JÒc 5>a3'ó^ xoOpoc , 
Nt^av VTTSp TS^pio; apre xu>ev^óu8yov. 



94 I* MONUMENTI* 

di tali sagre nozze rendere conto in modo un po' meno ^ozzo 
che non è quello in cui ci raccontano lo stesso fatto i gram- 
matici (1)* I monumenti certamente tengono un linguaggio 
molto più casto e degno dell* indole sublime de* &yolosi rac- 
conti della Grecia. E cliiaro ora che Minerva entra in questo 
mìstico consorzio con Vulcano per una parte della sua divina 
natura soltanto , cioè p^r quel lato del suo essere clie la fa 
comparire protettrice delle arti belle, siccome Ergane* E qui 
è singolare vedere come le rappresentazioni che riferiscono la 
dea operatrice di lavori in metallo, secondo ne ho veduto una 
sopra pietra intagliata del sig. cav. Gerhard, la mettano in 
rapporto talmente stretto collo sposo , che anche partecipa 
del bacchico suo carattere ; che in fondo di essa gemma scor- 
gonsi chiari bacchici attributi. Vulcano è bacchico per eccel- 
lenza e quasi il fratello inseparabile di Dioniso anche per 
quella ragione assai semplice che i paesi vulcanici sono sem- 
pre i pili fertili d'uva. 

Molto importante riesce ora a vedere come la stessa Mi- 
nerva pel lato opposito del suo essere , siccome dea armigera 
e prode guerriera , in altro mitologico sistema entra pure in 
rapporto nuziale con Ercole, matritoionio immaginato in modo 
analogo come quello con Vulcano e che ebbe per risultato il 
nascimento di Tagete, secondo ci insegnò per la prima volta 
etrusco graffito di metallico specchio (2) , e siccome poi si è 
verificato per l'esame di numerosi altri monumenti. Mi sia 
lecito dì citarne soltanto quello che per il confronto col rac- 
conto d' Erittonio parmi più acconcio di tutti e qual è un 
grazioso vasetto (3) , che da uii lato ritrae la nascita di Mi- 
nerva, mentre sull'opposto vedesi Minerva conducente l'eletto 
sposo, 1' Ercole , verso il padre de' numi a cui volge la mano 

(1) Osservò saviamente in tal proposito già il celebre Ueyne ad 
Apollod. Ili, 14, 6: «de hoc quidem narratio bceotico polius quam 
attico ingenio digoa , ab illepida etymologia parum ingeniose petita ». 

(2} Braun , Tages und des Hercules und der Minerva heilige 
Hocbzeit. Miinchen 1 839. Gerbard ,Triukscba1en des Konigl. Museums 
von Berlin 1840, tav. VI. VII, e pag. 30. 

(3) Lenormanl et de Witte , Élite cértiniographique tav. LVL 



KASCITA D^BBITTONIO. 95 

verso il mento, quasi facesse affettuosa preghiera di assentirle 
quel prode in isposo* Sorprende almeno la stretta analogia 
che mostra questa rappresentanza col racconto riportato 
dall' Etymologicon magnum v. 'Epz/O&ig (t) , dove pure lo 
sposalizio forzato di Vulcano e Minerva vien messo in stretto 
ed immediato rapporto colla nascita di quest'ultima. 

Dqpo queste preliminari osservazioni noi possiamo met- 
terci senz'altro a riguardare il nostro dipinto del vaso clusino 
(tav. XXX) , il quale ci rappresenta il nascimento d' Erittonio 
in modo da non prendere abbaglio. Decisiva è , secondo ab* 
biamo veduto nell'analisi d'analoghi soggetti, la figura di 
Vulcano , che quivi comparisce con splendore senza pari im- 
mediatamente appresso l'albero a pie' di cui la Gea esce dal 
suolo col pargoletto in braccio , che da Minerva vien accolto 
nello spiegato pannicello. Nulla vi si scorge di quel sozzo , di 
cui è tinto il racconta della generazione di questo attico eroe 
presso i grammatici che ce 1' hanno conservato : chiaramente 
si vede che l'artista volle rappresentare quel portentoso av- 
venimento, il quale formò uno degli argomenti principali 
dell'attica mitologia. Maestoso e dignitoso comparisce Vul- 
cano (2), vestito di corta vesta, tempestata di stelle, fregiata 
alle fimbrie di graziosi meandri marini; egli è coronato d'al- 
loro , secondo si costumò in occasioni festive , tiene le tenaglie 



(1) - - ori ó Zeù; ^ou^ó^svoc eeTroxu^ffac Ix rou èy/.etfà'koif auroO 'r^y 
*A3)gvay, li tiro avvcp^oO rov ràiiì^ovTOi tììm -ASfokòv, èva ànwuììSxr xaè ^ii 
ÌJÓyouc irpofff fptt TU *Hf aioTft) nepì toutov. ó Sk *H^a<9T0( oùx a'X'Xtùi ttXsro 
iTXÌ(TM rh"» mtfOLXòv Toù Atòc • d filò tììv 7Svv6){A(viov StKitocp^evswTst* xaè iqvéo'^sto 
ó Zevc X0(( ^ce^wv rijv poxjnl'nyK , ts^avec ti^v '/efaXìiv aùroO* x«l i^ip^eTou iq 
*A3iQvó* xficl Irrc Jiuxev avròv ò "H^aearo; , iva ffuyysvijrae xai iTre^cuxuv , «tts- 
CTtipftijvtv c({ ròv {Jiijpòv T^ *À3i7vac* h di *A5ijvóc Xa^ouca iptov , l^épia^s tò 
anip^ , X0ci Ippitpfiv Iv t^ 7^* xoeì lyévgTO Ix xn^ 'fii xaè rou spiov av^pa^no^ Spu.^ 
xovTÓTOUC • oc lxoc>ccTO *£pe;^3óveo? , «;rò toO ìpioM xai t^c x^ovòc XajSùv rò 
ov0pia toOto. 

(2) Merita d^essere modificato il giudizio esternato dal Mùllér 
intorno la formazione meschina che ha avuto nelTarte antica Vulcano, 
Arcfaaeologie §. 566. Non è de] tutto perito ne^ monumenti quel gran- 
dioso d^arte che ad esso lui in origine spetta: ci voleva Tgccasione sol- 
tanto per farlo spiccare. 



96 I. UONUMBNTI. 

in mano , con cui sapea egli sopra ogni altro governare il 
metallo rovente e posa il piede manco sopra mi rialto di tenuti, 
forse non senza allusione a quel difetto del suo corpo , che 
lo fece zoppicante. Non meno maestoso aspetto mostra la Gea, 
la quale coronata di regale diadema è riccamente addobbata 
con orli alle vesti che corrispondono al fregio del meandro 
pur notato in Vulcano. Occorre più spesso di vedere messe in 
stretto rapporto diverse figure della medesima composizione 
col richiamarle mediante simili accessori e cosi anche nella 
nostra rappresentanza parmi tale ripetizione dello stesso orna- 
mento non abbia da attribuirsi a semplice caso. Vulcano com- 
parisce quivi quasi in faccia di due sue divine consorti, simile 
come Bacco o Liber vedesi fiancheggiato da Libera e Cerere, 
o , secondo osservò sagacemente il eh. Keìghtley, come Giove 
sul Campidoglio analogamente fìi adorato fra Giunone e Mi- 
nerva. Non sto a dire quanto sia stretta la parentela quasi 
naturale che stringe Vulcano alla Gea , la quale fìi conside- 
rata siccome la madre del fuoco tellurico dato in balia a quel 
dio. E se queste nostre osservazioni non sono posate del tutto 
in falso , noi ci siamo assicurati d'una teogonia certamente 
molto piii sensata e sublime , che non ce la farebbe pensare 
il ridicolo racconto de' grammatici , i quali colla sterile e de- 
gradata loro fantasia hanno supplito dove li lasciò in abban- 
dono la cognizione frammentaria dell'eseterico teogonico si- 
stema. E probabile anche che simili barbariche storielle sieno 
nate da' travestimenti de' comici poeti , che amavano di con- 
vertire il serio in ridicolo. Minerva in tal senso opposta alla 
Gea , riceve sicuramente un posto che a lei molto meglio con- 
viene. Essa fa parte di un ternario sottilmente dalla fantasia 
pagana composto , in cui specchiansi leggi eteme della natura. 
Non è lecito a noi d'entrare nell'esame delle intime cause 
che hanno fatto nascere cotale teogonia / e deve bastarci di 
dar la prova che di cosmogoniche idee quivi si tratta. Sif- 
fatta prova ci fornisce la veneranda figura del marino Nereo , 
il quale, siccome dio elementare e rappresentante dell'acqua, 
mettesi in spontaneo contrapposto col personaggio principale 
qual' è il Vulcano , non meno che con Giove. 



HISGITA D^EBITTOl^IO* 97 

Chiamo Nereo e non Nettuno il maestoso governatore 
delle onde il quale , ornato di corona d'alloro e di scettro , 
da' fianclii in giù si termina in coda di pesce , imperciocché 
nessun esempio m' è noto di Nettuno talmente foggiato, 
mentre al contrario son fre<juenti le rappresentazioni di Nereo 
sif&ttamente figurato , dove con esso lotta Ercole. Bella è 
Tammodatura dell'abito fregiato di graziosi rabeschi, il quale 
rende meno strano l'acconciamento del corpo umano colla 
coda di pesce. Ma pur quivi si è mostrato pieno di sensato gu- 
sto il nostro pittore, il quale all'orlo superiore della tunica ha 
richiamato con assai grazioso ornamento le squamme di cui 
sono coperte le attortigliate code dell'animale acquatico. Nereo 
resta sorpreso sopra ogni altra figura del quadrone mostra di ve- 
dere cosa da lui non mai aspettala , e che su di lui e sopra l'oi^ 
dine di cose a lui affidate deve esercitare influenza importante. 

E strano ora a vedere come il fanciullo , che occupa il 
centro della rappresentanza , il quale è l'oggetto di tanta so- 
lennità e stupore, e che dagli antichi ci vien descritto essere 
mostro composto di parti umane e serpentine , come Erit- 
tonio , dico , il figliuolo del misterioso consorzio di Vul- 
cano e Minerva porti fattezze del tutto umane , mentre a lui 
converrebbero quelle del Nereo or ora osservato. Non so se 
1 artista , che per una qualsivoglia ragione si sarà fatto le- 
cito di ritrarre il fanciullo in tal modo , abbia voluto accen- 
nare quella tradizione col mostruoso aspetto di Nereo , il 
quale occorre anche foggiato tutto umano , o se il racconto 
abbia da lui nell'uno o nell'altro modo origine. Exittonio co- 
ronato di semplice fascia frontale stende le braccia verso Mi- 
nerva da lui riconosciuta per madre. Il suo corpo è cinto di 
fascia da cui dipendono bolle o amuleti , conforme si vede in 
quel fanciullo dal Gerhard (Antike Bildwerke tav. CCCXV) 
preso per Jaeco , che sta per terra e vien accolto da donna , 
la quale sopra di lui s' inchina. 

Minerva tiene pronto il drappo per accogliere il pargo- 
letto , naentre egli per metà resta coperto da quel panno onde 
l'ha avvolto con gara materna la Gea. L'egida differisce al- 
quanto della ovvia sua forma , ed è fregiata d'un ornamento 

ANNALI 1841. 7 



98 I* MONUMENTI* 

a scacchi romboidali a tener luogo delle squamine che sogliono 
rendere impenetrabile questa arma. Le squamme delFelmo al 
contrario richiamano manifestamente quelle di cui è tempe- 
stato il Nereo nel nostro vaso, e per cui la dea pare sia 
riunita per più stretto legame con esso dio marino , conforme 
abbiamo veduto associata la Gea a Vulcano. La quale con- 
giuntura ci ricorda spontaneamente F epiteto di Trìtonessa (1) 
che a Minerva conviene e che potrebbe essere nato di simile 
rapporto qual è quello che accenna il nostro dipinto. 

L^artista finalmente ha introdotto due alate femmine che 
calano giii da piii alte sfere con corone che tengono pronte 
per Vulcano e Gea , i quali due anche per questo sembrano 
quasi accoppiati fra loro ed accennati come i genitori della 
felice prole che apre i lumi al giorno (2). Se quella figura 
che alla Gea porge la corona è tenuta più piccola dell'altra la 
quale s'accosta a Vulcano , ognuno vede ciò non provenire da 
altro che da ripiego dell'artista , il quale quivi avea da riem- 
pierne un vano piccolo , quando là era uno spazio più grande. 

Sul lato opposto del nostro vaso vedesi ritratto il ratto 
di Cefalo per Aui*ora. Cerca Cefalo sottrarsi agli amplessi 
della leggiadra dea , fugge spaventato il compagno. Abbiamo 
mostrato in altra occasione , ed è generalmente accettata l'opi- 
nione , che il ratto del bel giovane allude alla morte prema- 
tura di alcun mortale , di cui quivi forse volle tenersi me- 
moria. Nel vaso nostro è graziosissimo il contrapposto in cui 
mettonsi le amorose persecuzioni d' Aurora prese in cotal 
senso vei'so il nascimento d'Erittonio, cosicché la stoviglia 
accenna vita e morte per due celebri mitici fatti. 

Notisi in fine che la forma del calice , qual' è quella 
del vaso in discorso vedesi ora almeno per la quinta o sesta 
volta, fregiata in modo da non prendersi abbaglio di rappre- 
sentanze riferibili a fenomeni cosmici. EM. BRAUN. 

(1 ) la tal riguardo sarebbe forse più opportuno il chiamar Tritone 
il dio marino del nostro vaso, nome che porta uno di quelle figure di 
Nereo con cui Ercole lotta , realmente sopra un vaso vulcente. 

(2) Erittonio realmente vien chiamato figliuolo delia Terra e di 
Vulcano. Eratosth. 13. Paus. I, 2, 8. 



99 

li. LETTERATURA. 

Vass graffe del Museo kircheriano , ovvero le monete 
primitive dei popoli dell'Italia media , ordinate e 
descritte dai liR. PP. Gius, mabchi e P. tessibri 
della C. di G. aggiuntovi un ragionamento per ten- 
tarne r illustrazione* Roma 1 839, voL un. in 4** gr. 
di i 20 pagg. con un voi. di atlante di 40 tavv. litogr. 

[Traduzione dal tedesco del s/g. Aheken). 

Qaesropera dei rev. padri della C. di G. Marchi e Tessieri , senza 
dubbio appartiene alle più importanti e solide pubblicazioni della mo- 
derna scienza italiana. Lungi dal consistere soltanto in ricerche recenti 
su fondamenta antiche , essa piuttosto dà alla numismatica antica una 
base .tutto nuova e molto più larga. E senza voler scemare il merito 
di cotale discussione scrupolosa e offerta con vera modestia , il più 
gran merito degli autori ed il valore stabile del libro ci pare consista 
principalmente nel metodo si del raccogliere, come dell* investigare, 
nella cui fatica indurarono per molti anni ; non che nella semplice 
compilazione e composizione dei tesori incredibilmente ricchi e recen- 
temente acquistati. Gli autori con occhio giusto riconobbero Tunica 
via per portar luce nel caos sempre più crescente delle monete della 
Italia primitiva senza epigrafe. E dirigendo essi tutta la loro atten- 
zione sui luoghi di trovamento , generalmente con tanta ingiuria tra- 
scurati 9 per questo scopo nella maniera più efficace profittaronsi della 
loro opportuna posizione. Siffatto luogo di trovamento , benché in 
alcuni casi illusorio, in generale peraltro , quando come nel caso con- 
creto si tratta di un gran numero di monete , è un mallevadore ben 
positivo, e quantunque in citta fra loro vicine, e piccole nazioni limi- 
trofe , il luogo del conio non sempre con certezza possa indagarsi , 
nondimeno egli è un vantaggio di veder determinati i limiti dentro 
cui la loro origine possa supporsi. Ad un secondo felice passo nella 
classificazione delle antiche monete diede impulso la quantità degli 
esemplari e le indicazioni condottevi con precisione , cioè a dire la 
distribuzione in serie. Risultano da esse serie non solamente altri 
gruppi fra loro più o meno strettamente uniti e per parte suddivisi , 
ma anche le classi , in cui P.intero tesoro delle monete è da distribuirsi. 
Finalmente frai più splendidi risultati, che nascono dall'ordine cosi 
stabilito, senza dubbio è d'annoverarsi la rilevante differenza che 
sussiste nella divisione dell'asse presso i popoli cisapeunini e transapen- 
nini j di cui i primi , come divisione più alta dell'asse ,^non hanno che 
semisseSf gli altri non che quincunces; circostanza , su cui gli autori 



100 II. LETTERATUBA* 

per riguardo ai popoli transapennini stabiliscono la conghiettura d*uD 
asse di soltanto dieci oncìe. Ora peraltro , se nelle ulteriori conse- 
guenze e nell'applicazione dei risultati effettivi sulPorigine e sullo svi- 
luppo delParte monetaria fra i popoli italiani non posso essere d'accordo 
cogli autori , essi considerino , prego , le opinioni qui proposte^ se mai 
esse dovessero godersi del consentimento d' altrui' e forse di loro 
stessi 9 non come diminuzione di pregio , ma come frutto del loro la* 
voro tanto egregio e degno del più generale applauso. 

Gli autori sieguono l'opinione del Passeri , divenuta la generale e 
difesa dal Niebufar ed Odofredo Miiller, quella cioè che l'indicazione 
pliniana intorno una riduzione subitanea dell'asse librale alla norma 
di due oncie nella prima guerra punica , sia ingiusta , e che piuttosto 
siffatta riduzione instituita a poco a poco sia da distribuirsi almeno nel 
torno di più secoli in uguale e costante proporzione. Anzi facendosi 
ancora un passo innanzi , vediamo stabilirsi il principio , e con esso por- 
tarsi io ordine cronologico le suddette classi , che questa determina- 
zione relativa dell'etk delle monete non valga solamente per Roma 9 ma 
anche fra le differenti cittli dell' istesso popolo ed anzi fra li differenti 
popoli stessi. Dalla prima supposizione ora il Bockh nell'opera sua 
dottissima sul connesso dei pesi , dei ragguagli delle monete e delle mi- 
sure dell'antichità (1) si è pienamente disdetto ^ dedicando egli a questa 
quiétione una non esigua parte della lodata sua opera. Egli difende le 
indicazioni di Yarrone, Plinio e Festo, che tutte le riduzioni fino alla 
norma di due oncie realmente siano da mettersi dentro e piuttosto verso 
la fine dei 23 anni della prima guerra punica. 

Senza poter entrare qui in una discussione specificata della ma- 
teria trattata con somma dottrina e sagacitk (essendoché per questo ci 
vorrebbe un altro libro) , qui iutanto devo confessare ^ che per ri- 
guardo alla riduzione in Roma fino al piede di 9 oncie non mi posso 
aggiungere all'opinione del dotto autore^ ma che, essendo con lui d^av- 
viso per riguardo alle susseguenti riduzioni fino alla norma di due oncìe, 
io reputo siffatta norma più leggiera, essere impetrato dal magistrato 
in due passi al più. Ed anche le anteriori riduzioni fino a 9 oncie (n^lle 
parti più piccole dell'asse ancora più in giù) , mi pajono meno aperte 
e pubbliche che piuttosto manovre del magistrato fatte insensibilmente 
poco a poco, fondando siffatta mia opinione parte sugli argomenti ad- 
dotti dal Bockh, parte, in quanto da lui mi discosto, sul prospetto 
generalo dell' intero tesoro numismatico del Collegio romano, il quale 
vieta assolutamente di supporre soltanto una norma di 12 o 11 oncie 

<i) Metrologiscbe Untersuchuogen ùber Gewichte, MùDzfusse und 
Masie des Altcrthuins in ihrem Zusammenhange v.A.Bòckh. Berlin i83S, 8.^ 



MS GRAVB DEL MU6EO KIRCHBRIANO. 1 1 

prima della guerra punica, essendoché altrimente quasi tutti gli assi e 
le parti d'un asse più pesanti (di cui anche altre autorità meno certe 
che quella del Museo kircheriano non rammentano che circa 5 o 6 , 
oltrepassanti il peso di 1 1 oncie) j sarebbero dg porsi nei pochi anni 
della prima guerra punica ; dippoi sulla supposizione secondo il mio 
parere irrepugnabile ^ che la dichiarazione aperta d'un fallimento della 
repubblica al pi ìli due volte in tanti pochi anni poteva essere vantag- 
giosa ed in generale praticabile; finalmente sull'esempio delle altre 
città aventi monete , di cui il prospetto ora è tanto agevolato. Nell'atto 
adunque che a questa prima supposizione degli autori , almeno per qual- 
che parte) non possiamo assentire, più positivamente ancora dobbiamo 
confessare} che l'estensione del medesimo principio, in cui il Passeri lor 
precede 9 sia tutto arbitraria: attesoché in esso vien supposto ciò che in 
ninna maniera è provato, che la libbra in tutta l'Italia abbia avuto il 
medesimo peso e che le riduzioni siano procedute con passo uguale. 

Conceduto, il che difficilmente sarebbe da negarsi^ che gli assi più 
antichi fossero realmente libbrali, già dalle citazioni degli autori slessi 
risulterebbe , che l'asse dei Latini e Volsci dovesse esser più pesante 
del romano, perchè fra le monete ad essi attribuite trovansi ancora 
assi o parti dell'asse di 13 oncie romane e più pesante quello degli 
Adriani nel Piceno , dei quali si offersero assi fino a 16 oncie. £ cosa 
impedisce di supporre fra i popoli italici differenti pesi e norme di 
monete sussistenti contemporaneamente? non era lo stesso il caso nella 
Grecia , dove il talento egioetico differiva dall'eubeo e questo dall'at- 
tico stabilito da Solone , dove in poi tanto i pesi quanto le norme delle 
monete scostavansi da quelle delle colonie siculo e di Magna Grecia ? 
Anche da sé stesso egli è probabile , che nella riduzione della norma 
monetaria un popolo dovea precedere l'altro di modo , che le* norme in 
principio uguali col tempo doveano discostarsi. La sconvenienza delle 
norme iouguali in Italia era da supportarsi anche tanto più facilmente ^ 
quanto la moneta pesante di rame , secondo tutta la esperienza , non 
usciva molto dai limili di singuli paesi , e non come l'argento greco, 
serviva al proprio commercio fra le nazioni. Nemmeno egli è da sup- 
porsi, che in ciascuna riduzione, principalmente se essa si faceva a poco 
a poco , le monete anìerìori sempre si rifondessero subito e si mettes- 
sero fuori di commercio , onde avvenne che anche nel proprio paese 
per fissare il vero valore delle monete ^ oltre il conio sempre ancora 
era necessaria la bilancia (1 }. E con che maggiore dritto questo dovea 
praticarsi, se si trattava una volta di commerciare con stranieri? 

(i) Cf. le espressioni: sere et libra , per aes et tibram • se si parlava 
<run conpraraento esatto. 



102 II. LETTERATURA. 

Con Uguale ragione adunque possiamo supporre, che gli Etruschi 
avessero una libbra piìi leggiera degli Umbri , gli Umbri dippoi dei 
Cistiberini, che per conseguenza i loro assi e le oncie erano originaria- 
mente fra loro differenti e che dal differente loro peso niente si può 
conghietturare intorno la loro relativa etk (1). 

Anzi alla stessa supposizione gli autori stessi, senza dubbio , veg- 
gonsi costretti per riguardo al sistema della moneta transapeunina. 
Essi stessi ci avvisano, che sussistano assi adriatici e vestini di 16 oncie: 
anzi gli assi d^Àrimino , benché disgraziatamente il lor peso non è in- 
dicato , pare ascendi no piii in su ancora , siccome altri piìi pesanti 
vengono citati anche per Atria da Passeri ed altri. Queste monete 
adunque sono più pesanti di tutte le altre italiche. Nonostante gli au- 
tori , senza dichiararsi su questa materia , supponendo sempre il si- 
stema delle monete cistìberine essere il più antico, da questo in poi 
derivano tutti gli altri sistemi dei popoli transapennini (2). Comesi 
unisce questo cogli altri principi stabiliti e seguili nella delta opera (3)? 

Nel caso adunque essendo incapaci di scoprire un altro principio 
per la diffusione delParte monetaria , dobbiamo rinunciare ad una di- 
sposizione cronologica delle singole classi. Intanto vogliamo rilevare 
una cosa che, lasciandosi a parte il peso delle monete, subito si pre- 
senta alla nostra vista. Gli Etruschi senza dubbio fra tutti i popoli 
italici hanno i tipi i più semplici per riguardo tanto alla loro disposi- 
zione sulle singole parti delPasse, quanto alla scelta degli oggetti 
rappresentati e di altri punti , che or ora vado a proporre. 

As^ semis^ triens ^ quadrans^ sextans^ uncia^ offrivano dodici 
campi , i quali poteano avere tipi o uguali o differenti. Infatti le mo- 
nete umbrìcbe di Tuder dimostrano dodici tipi differenti e cosi quelle 
dei popoli cistiberini , CI. V, tavv. Yl. VII. Xi, e le transapennine 
coireccezione di quelle d^Arimino. Altre monete cistìberine , CI. I , 
tavv. ly. V, su tutti e due i lati della medesima moneta portano lo 
stesso tipo e per conseguenza non hanno che sei tipi differenti in tutto. 
Di poi una terza classe di popoli cistiberini, come CI. 1, tav.Ylll.X, 
comprèsi gli Ariminesi siegue lo stesso sistema coi Romani, ritenendo 
sulPun lato di tutte le sei monete IMstesso tipo, ma cambiandolo 
sull'opposto e cosi avendo sette tipi differenti. Ometto le monete d'I- 

(i) Questa opinione fu anche suggerita da! nostro socio sig. Achille 
Gennarellì , son già due anni. V. Tiberino anno VI. l'edit. 

(a) P. 112-113. 

(3) P. 7 : «Nel peso maggiore e minore noi riconosciamo un solido ar- 
gomento di maggiore o minore antichità si tra le monete diverse d*una me- 
desima città , si tra quelle di città e provincie diverse. 



M& GRAVE DBIi MUSEO KIBCHERIANO. 103 

guvio neir Umbria ^ le quali non sieguono alcuna regola e sulle quali 
parlerò altrove. Airinoontro nulla delle dieci serie elrusche ha più di 
due tipi 7 di cui Tuno ricorre su tutte le sei facciate , Taltro su tutti i sei 
rovesci. Cortona peraltro (CI. Ili, tav. Ili) e la serie apparcntemenlo 
con essa connessa (tav. X), non ha che un solo tipo su tutti i dodici lati. 

Considerando dipoi gli oggetti rappresentati , troviamo appunto 
presso gli Etruschi il tipo più semplice e naturale, la rata^ la quale 
quasi dalla 6guca stessa della moneta rotonda viene imitato, in Cor- 
tona dapertutto, in sette altre serie suirun lato di tutte le sei monet«$ 
soltanto Yolaterra , avente la norma più leggiera etrusca , e la serie 
seguente appresso , attribuita dagli autori a Fesule o Sena , non hanno 
la rota. Quanto egli era naturale di dare alla moneta l'emblema della 
rota e d^approfittarsi dell'intervallo dei raggi per mettervi dentro i 
globuli , si vede subito , e come in generale la spiegazione dei tipi , 
principalmente la etimologica, proposta dagli autori , mi pare la meno 
soddisfacente parte della loro discussione , cosi un principale errore 
credo essere la spiegazione della rota in Cortona , pronunziata , come 
suppongono, dagli indigeni , Krulun , e perciò connessa col nome ^ì 
rota , valeadira , (K)Rutun. 

Ancora un'altra particolarità della moneta etrusca menzioniamo 
qui, la quale anch^essa non ci pare accidentale e da trascurarsi. Noto 
è che asse e semisse abbiano i loro particolari segni , mentrechè le 
parti più basse delibasse vengono tutte distinte per il differente numero 
dei globuli. Dalle serie etrusche peraltro tré soltanto hanno il semi- 
circolo come seguo del semisse , valeadire le due serie più leggiere e 
come pare piùigiovani , a cui manca anche la rota (tav. 1. Il), e le 
serie che pajono secondarie di Cortona tav' X* Tutte le altre sette serie 
invece di ciò hanno sei globuli. Anzi le monete di Cortona tav. HI, e 
quelle colle tre semilune tav. XI, non esprimono nemmeno l'asse per 
il segno deirunita , ma piuttosto per. dodici globuli. Presso uiun altro 
popolo trovasi siffatta maniera di segnare Tasse e semisse , la quale in- 
dubitatamente io crederei essere la più antica ed originaria j essendoché 
originar iaaien te si metteva per unità non Tasse , ma l'oncia , di cui il 
nome proviene certamente da tinus , mentrechè la forma del geni- 
tivo ci vieta assolutamente ilxonfrontare la parola asse col greco si;. 
Egli è troppe naturale che per unità si prenda la più piccola moneta 
che è in corso \ ma che mai un as tibralis^ ossia una libbra di rame , 
sia stata Tunilà più piccola , non può pensarsi. Ma che posterior- 
mente dalle dodici oucie si facesse di nuovo una unità maggiore e che, 
principalmente nelle riduzioni continuate, siffatta unità si mettesse 
per fondamento, è non meno naturale e si conferma dalle espressioni 
divenute comuni , di seniis , triens , quadrans , sexlans. 



X 



104 ir. LETTERATURA* • 

Che nome le medesime parti delibasse avessero prima , ci dà a 
coDghietturare Tespressione teruncius invece di quadrans, spiegata da 
Yarrone (1) e da Plinio (2) y e conservata in certe frasi popolari. In 
ogni caso per le parti del Passe transapennino , il quale (vedi più 
abbasso) aveva dieci oncie e dove però il quincunx era anche se- 
mis, doveano sussistere altre espressioni , le quali in dialetto romano 
avrebbero sonalo forse quadrunx , triunx e biunx, non peraltro , come 
dicono gli autori , tetrobolus^ triobolus^ diobolus , essendoché Pobolus 
non era che moneta d^argento greca , ed equivalente all'asse , non 
alPoncia , nemmeno nel peso. 

Un^altra circostanza appellante al carattere delPantichità , che tro- 
vasi principalmente nelle monete etrusche colla rota ^ è quella che 
nelle parti più piccole delibasse si usano levi mutazioni del tipo ori- 
ginario , evidentemente a motivo delP incomoditli che porterebbe 
seco il voler rappresentare sur un campo stretto lo stesso che in un 
campo più largo. La rota con sei razzi nelle monete di Cortona già nel 
triente perde due razzi e Taltra serie con dodici globuli (tav. XI) 9 
sulla parte anteriore dal triente in poi, perde ugualmente la trave di 
mezzo, sul rovescio dal quadrante in poi Pioterò tipo , le tré lune, 
servendosi di tutto il vano soltanto per i globuli. Anche nelle tré serie 
colla rota, che sicguono quelle di Cortona (tav. IV-YI), la rota dal 
triente in poi perde due razzi , e le due serie con rota ed[ancora danno al 
triente, quadrante e sestante, cinque, alPuncia quattro razzi. ÀlPin- 
contro le monete cistiberine colla rota , a motivo del nome dagli autori 
attribuiti ai R ululi , ritengono una rota formata diversamente con sei 
razzi su tutte le parti delPasse 6no alPoncia. Le monete eugobine 
colla rota anche per questo riguardo differiscono in una maniera par- 
ticolare , per cui le dobbiamo qui trascurare. Finalmente alla sem- 
plicità del tipo etrusco principale, la rota, corrispondono anche gli 
emblemi dei rovesci, valeadire bipennis^ craier^ amphora ^ ancora ^ 
ires lunuliB , mentrechè quasi in tutte le altre monete trovansi oggetti 
mollo più complicati ed i quali domandano lavoro più artificioso : es- 
sendoché mi pare ben naturale, che questi oggetti semplici' ed indicati 
con pochi contorni , nelP impronte delle moniste doveano antecedere 
tanto all'usò degli emblemi animaleschi, quanto alle leste iumane (3)* 
Vero é, che queste ultime occorrono già sulle due* serie etrusche più 

(i) L.L. IV, 36. 

(2) H. N. XXXIII, i3: Quadrans antea teruncius vocatus a tribus 
unciìs. 

(3) Anche questa opinione fu discussa dal citato GennarelU nel detto 
Giornale. l^bditorb. 



JeS GHAVB 1>BL MVSEO KIRGHBBIANO. lOS 

giovani I spessamente da noi citate y ma anche sulle transapennine 
e tutte le cìstibenne 9 ed anzi Roma per ciascuna parte del Passe' Gn 
già aironcia ha una testa diversa. 

Ma per rimontare più ancora al bisogno originario , il quale in 
generale è la base della distinzione delle parti delibasse per mezzo del 
conio, le suddette osservazioni anche qui si confermano evidentemente. 

In qaei siti, dove si era inventato di notare Passe con globuli, 
evidentemente non era mestieri di nessuno , o al più di un solo em- 
blema , i globuli dirittamente potevano ammettersi » attesoché la di- 
stinzione or a* indicava in doppia maniera. 1 cis tiberini adunque , se 
fossero stati i primi a coniare , e se essi avessero introdotto quest'arte 
presso gli Etruschi , certamente non avrebbero avuto niun motivo di 
aggiungere ai tipi diversi ancora un numero diverso di globuli : questi 
invece non avrebbero ricevuto il loro vero valore che allorquando gli 
Etruschi invece dei molti tipi non accettarono che pochissimi , invece 
dei più complicati i più semplici : essendoché in questo caso i globuli 
non erano più da omettersi. 

Rovesciando adunque Pandamento della diffusione delParte mone- 
taria , supponiamo , che la maniera dei Cortonesi di mettere sulle due 
parti delle loro monete quasi per sola decorazione del pezzo rotondo 
di metallo Pemblema della rota e di distinguere le singole partì 
detrasse per mezzo di 1,2, 3,4, 6, 12 globuli, sia la più antica ed 
originaria* Da questo fondamento il progresso da un tipo a due si spiega 
assai semplicemente (1). E sono pienamente d'accordo cogli Autori, 
che le monete portanti oltre la rotf un secondo emblema appartene- 
vano a città , le quali per questa unione , o politicamente o per solo 
riguardo della, norme delle loro monete voleano mostrare un loro con- 
nesso con Cortona come metropoli* Volaterra e la serie seguente , se 
non consideravano Cortona come metropoli, potevano ritornare ad un 
tipo semplice : ma erano precedute città con due tipi , ed il di loro 
esempio s'imitava senza il loro particolar motivo. Così insieme fu 
fatto il primo passo dall'aumentazione necessaria dei tipi all'aumen- 
tazione arbitraria. 

La testa col berretto acuto sulla serie sconosciuta tav. 11 e la 
stessa, come pare, doppia (2) , sulla serie doppia di Volterra tav. I , 

(i) Sentenza anche questa prodotta dal sig. Gennarelli nel citato 
Giornale e meglio ancora riconfermata anno VII, n. 3a. l^edit. 

(a) Intorno la spiegazione della testa di Giano sono tutto del parere 
degli autori, credendo giusU quella del Serv. Virg. JEa, XII , i47 ' Ip^^ 
(Janus) faciendis fcederibus praeest ; nam postquam Romulus et T. Tatias 
in fcedera conveneri^nt, Jano simulacrum duplicis frontis effectumest, 
«quasi ad imaginem duorum populorumn» Al contrario non crediamo con 
loro di poter dividere il nome Vel-Alhri« 



106 II. LBTTBBATURA. 

senza dubbio era il simbolo principale delle due città e signiBcava 
ancbe certamente un^alleanza fra ambedue. Sul rovescio la serie della 
tav. li , 3 , cumulava i simboli e li riteneva perfettamente fin giù 
alPoncia. Facendosi un prossimo passo veniva pia spontaneo invece 
di quest^accumulazione sulPciraa parte 9 di distribuire più simboli sulle 
differenti parti deirasse. Dairaltro canto era un ultimo tentativo di 
conservare Tuso antico ^ già fondato sul bisogno , quello di scegliere 
per una sola città almeno un solo simbolo principale 9 conservandolo 
sopra un lato d^ogni frazione d^asse : non che ritenevasi sempre in 
mezzo alla varietà de^ rovesci una unità di collegamento generale. Cosi 
come prossimo risultato deW invenzione etrusca presso gli esteri na- 
secano le serie di Roma 9 d'Àrimino e le serie di sette tipi attribuite 
ai Rutuli ed agli Oschi. Una terza maniera poi 9 cos^ pare 9 rinunziando 
anche a questa unità 9 si prese per modello i sei differenti tipi dei ro*- 
vesci e ripeteva sulFaltra parte li stessi tipi (distinzione come pare 
delle metropoli) 9 come CI. I9 tav. IV e XI: o si dichiaravano in questo 
città dipendenti perciò che sulPuna parte ritenevano i sei tipÌ9 sulPaltre 
sei al contrario ne sceglievano nuovi come CI. I9 tav.Y9 che ritenendo, 
come le metropoli, li stessi sei tipi in ambedue le parli, aggiungeano 
un piccolo segno secondario come CI. 1 , tav. Y, appunto come tav. VI 9 
avente i medesimi dodici tipi 9 come tav. V9 da questi si distingue per 
un altro segno secondario. Finalmente cessano anche questi riguardi e 
gli Umbri di Tuder, come i popoli transapennini fuori Arimino, por- 
tano come alcuni loro predecessori dodici tipi 9 ma senza ugual motivo. 
Seguitando ora nelle sue conseguenze il principio cosi stabilito, 
ricaveremo le seguenti classi 9 alle di cui singole serie preliminarmente 
diamo i nomi attribuiti loro dagli autori 9 senza peraltro voler presu- 
mere, che la distribuzione dapertulto sia ben fondata. 

Classe 1 « monbtb btbuschb con uno o bob tipi. 

1. Moneta colte rote. '2, Monete colla testa. 



Cortona 


ì 

m 


Volaterra 


Senti 


111.3. 


111. 10. 


III. 1. 


111.2 


a a 


f f 
a a 


fg 


f '' 


a a 


a' a! 


fg 


f /' 


a a 


a' a' 


f g 


f'h 


a a 


a' a' 


f g 


/'/' 


a a 


1 1 
a a 


f g 


f h 


a a 


r 1 

a a 


fg 


/' A 



MS GRAVE DEL MUSEO KrP.CllEP.I AM). 



107 



Perusia Àretium Cliisìum ? 

(111.4). (111.5). (111.8). (III. 11). 



a b 


a e 


a d 


a 


e 


K 


a h 


a e 


a d 


a 


e 




a b 


a e 


a d 


a 


e 




a h 


a e 


a d 


a' 


e 




a b 


a r 


a d 


a 


e 




a b 


a e 

jiretium 
Fidens 
(HI. 6). 
a r' 
a e' 
a e' 
a e 
a e 
a e' 


a d 

Camers 

(111.9). 
a d' 
a d' 
a d' 
a d' 
a d' 
a d' 


a' 


e 






Ci 


USSR 11 , MONETP 


\ COW SETTE 


TIPI. 




Roma 


lìniuli 




j4 urti nei 


Ariminum 




(I. 2). 


(1.8). 




(1. 10). 


(IV. 1). 




a b 


h i 




p n 


IV X 




a e 


h k 




p r 


w r 

■ 




a d 


h l 




p ^ 


tv 2 




a e 


h m 




p t 


^v V. 




«/ 


h n 




p « 


IV P 




« ^ 


h 




p ^ 


yv y 



Glasse 111 , monete con sei o dodici ttpt. 
Latini 



Arida 


Lami vi nm . 


Folsci 


(l. 4). 


(1. ry\ 


(1.9). 


a a 


a' a' 


n fi 


b b 


// b' 


o 


e V. 


e' e' 


P P 


d d 


d' d' 


n n 


V. e 


e' e' 


r r 


f f 


f f 


s s 



\ 



108 IN LETTERATUBA. 



. * 



Tusculum 




Alba 




(I. 6). 




(I. 7). 




«fi' 




a! 


g' 




b h 


\ 


6' 


h' 




e i 




e' 


i' 




d k 




d' 


k' 




e l 




e' 


V 




fm 




f 


m! 




ClASSB IV. MONETE CON DODICI TIPI. 


Tuder 


Madrid 


i 


Vestini 


Lttceria 


(111. 1). 


(IV. 2, 


)' 


(IV. 3. B). 


(IV. 4. B). 


a b 


n o 




« P 


V 5 


e d 


P 9 




y $ 


7r 


e f 


r s 




« C 


/) (T 


S h 


t u 




>» ^ 


T U 


i k 


V w 




e X 


? X 


l m 


^r 




1 P 


^ 6» 



In questa sinopsi a buon dritto non si è avuto riguardo nò alle mo- 
nete) le quali non si subordinano a nessuna forma , come quelle d^Igu- 
vium , né alle incomplete , come le tìburtine , né dì quelle notate 
come incerte , né finalmente di declinazioni più esigue e forse non che 
accidentali come delle prime fra le cosi dette aurunche. 

Air incontro degna d^osservarsi è ora la seguente circostanza. Le 
sole monete scritte fra tutte le fuse occorrono neWultima classe, di cui 
tutte le quattro serie portano o il nome intero, o un^abbreviazione del 
nome, o la lettera iniziale. A queste s^ aduna soltanto la serie di 
Volterra, secondo tutti glMndizj aggiunta posteriormente ^ essendoché 
1 iscrizioue Roma non trovasi che sulle monete fuse , non mai sulle 
coniate. Anche CI. III , tav. IX , dovressimo eccettuare , se cogli au« 
tori ci potessimo persuadere, che queste monete abbiano appartenuto 
a Giusi um sotto il nome umbrico di Camars e che i due caratteri scritti 
separatamente ^ ed p( dovettero esprimere il principio di tal nome ; 
circostanza , la quale da niunà parte può giustificarsi; Supposto che ai 
Gemerti Umbrici fosse stato lecito di coniare monete in Glusium , essi 
certamente ^avrebbero segnate in dialetto umbrico, ma il segno ^ non 
esiste affatto nel loro alfabeto (1). 

(i) Qui pare che il sig. Lepsius abbia preso abbaglio tra i Gamerti , 
Umbri e gli Etruschi ; gii illustratori delfses grave intesero di quesii ultimi 
riferendosi al luogo di Livio: «Glusium , quod Gamars olim appellabant>a 
V. in proposito le osservazioni del Gennarelli I. e. l^edit. 



MS GRATE DEI. MUSEO XIBCHEBUllO. 109 

Ora però se riflettiamo su quanto si offre per provare la originalità 
delParte monetaria degli J^/mscAi, i quali soli ritenevano il sistema 
dei globuli 9 dei tipi e delle impronte delle colonie nel naturale loro o 
necessario rapporto 9 i quali di tutti i popoli italiani mostrano i più 
semplici tipi ^ i quali soli e sulle monete più antiche e pesanti deter- 
minatamente conservarono i sei e dodici globuli invece del segno del 
semisse ed asse ; i quali fra tutti i popoli contano anche il più gran nu- 
mero di luoghi di conio , siccome anche dai Sanniti presso Plinio (1), 
vengono chiamati il popolo il più ricco di denari: dairaltra parte è chiaro 
che un siffatto passaggio dell'arte monetaria sia molto più conforme 
colla storia conosciuta e per certi riguardi da ninno dubitata della civi- 
lizzazione italica che il passaggio , il quale dai nostri Autori ai popoli 
italici vien aggiudicato ed il quale i nostri principi ^^^^ra seguitati non 
modificherebbe solamente 9 ma anzi volterebbe sossopra. Ci è lecito di 
pretendere , poiché sappiamo 9 non conghietturiamo solamente , che in 
quei tempi remotissimi , prima e molto ancora idopo la fondazione di 
Roma 9 gli Etruschi fra i popoli italici erano i più coltivati 9 che i 
Rululi , Equi 9 Ernici , Yolsci 9 per gran parte abitanti della montagna 
e del paese lontano dal mare 9 i quali certamente non aveano che poco 
commercio , non poteano insegnare agli Etruschi un'invenzione tanto 
importante come Vtss signatum9 la quale dovea nascere dai bisogni 
d'un popolo ricco e commerciante , ma che il passaggio di quest'arte 
dev'essere il contrario (2). 

Ora se diamo una guardata al passaggio dell'arte monetaria accen- 
nata per le monete dentro l'£truria9 ci si offre un nuovo e ben rimar- 
chevole fatto, il quale anch'esso è intieramente d'accordo colle notizie 
storiche: essendoché fra tutte le città etrusche Cortona si presenta 
come sito antichissimo di moneta e come metropoli di cinque altre 
città conienti. Essa ha la rota semplice su tutti e dodici i lati delle 
monete, ha sei globuli sul semisse 9 dodici sull'asse i le cinque citta 
dipendenti hanno tutte sull'un lato la rota. Ora appunto è Cortona^ 
la quale le più sicure notizie sloriche dimostrano esser stato il luogo 9 
che occupavano dapprima i Tirreni-Pelasgi emigranti dal Pò sopra 
gli Apennini ed onde gli slessi prendevano possesso di tutta l' Etru- 
ria. Cosi racconta Ellanico nella Foronide e da lui esattamente Dio- 
nisio (1. 1, 28]. Questo luogo più di tutti era conosciuto ai Greci 9 come 
lo provano le genealogie mitologiche dell'eroe eponimo Cori lo (5) , il 
quale fu creduto fondatore non solamente di Cortona (4) , ma in gè- 

(:) X, i6. (a) I,a8. 

(3) Virg. i£n. Ili, 170 e gP interpreti. 

(4) Sii. lui. V, 123; Arreti muros, Corylbi nunc diruat arcem. 



110 ir. LETTER ATUBA* 

iierale d«]Ie cilik etrusche (1 ). E che Conto sia una forma greca per 
Cortona pare bene stabilito (2). Dalla città dì Corìto Bardano vìen 
creduto esser emigrato a Troja (3)« Enea perciò s'imbarca per Tltalia; 
un Tusco di Corito gli viene in ajuto (4). Più sicuramente ancora 
Cortona s'intende in Topvomia^ e per dove Teopompp (5) fk navi- 
gare Ulisse ed ivi morire, e la quale da Polibio (6) e Stefano Bizantino 
vien detta Ku/9t&>v<ov. Ma anche col nome comune di Cortona essa sem- 
pre vien lodata come la prima dell' Etruria, essendo considerata da 
Stefano Bizantino come metropoli dell' Etruria (7) e da Silio Italico 
come sede dell'eroe nazionale etrusco Tarconte (8). Siffatti miti ben- 
ché non tutti a buon dritto dai posteriori scrittori sieno applicati a 
Cortona , sempre però servono a provare l'antichissima gloria della 
città , a cui sono ben conformi le sue mura enormi , argomenti della 
sua grandezza ed origine pelasgica (9). Mi pare, che l'origine evidente 
di tutto il sistema monetale italico da Etruria e nell' Etruria da Cortona 
sia un non poco importante argomento per quelle notizie , che anche 
altrove abbiamo difese con altre più generali ragioni ; siccome dalla 
altra parte la giustezza del principio da noi stabilito per riguardo al 
passaggio deirarte monetaria vien provata dalla storia. 

In quanto peraltro all'epoca e l'ordine delle monete non etrusche , 
io in ninna maniera sono dell'avviso , che li principj cavati dalla con- 
siderazione dei tipi , e seguitati rigorosamente come l'abbiamo indi- 
cato , siano o dapertutto giusti in teoria , o unicamente giusti se riguar- 
diamo la pratica. Contra la giustezza teoretica subito mi si potrebbe 
opporre Volaterra , la quale dall'una parte s'acconcia alla forma anti- 
chissioia dei tipi , dall'altra parte peraltro per mezzo della perfetta 
epigrafe della città corrisponde coll'nltim^ classe, alla quale anche per 
riguardo del tempo essa sta più vicino che alle prime monete corto- 
nesi ; intanto egli era naturale , che il costume nazionale dei tipi anche 
nei tempi posteriori fu ritenuto. Simili differenzerà progresso crono- 

(i) Virg. Md. IX, lo : Corythi penetravìt ad nrbcs. 

(2) Niebuhr . Hist. rora. ed. II, voi. I, p. 35, A\V incontro il MùUer , 
Etr. II , p. 376, suppone trasportato questo mito posteriormente. 

(3) Virg. iEn.III, 167; VII, 209: Corythi Tyrrhena ab sede profectum. 

(4) Virg. yEn. X, 719: Venerat antiquis Corythi de fiaibus Acro» 
Graius homo. 

(5) Tzetzes ad Lycophr. 806 : 'Arr^pev gì; Tupjijvtav xat mxio'cv ec; Top* 
Tuvatav, sv5oc yMÌ7ekex>T&, Cf. peraltro Mìiller, Etr. Il, p. 269. 

(6) III , 82. 

(7) Tvppriviai [tnTpóitoki x«( rptrij ^IraAt»;. 

(8) VIII, 474 : Cortona superbi Tarcontis domus* 

(9) Saggi dì dlssert. deiraccad. di Cortona tom« IV» p* 18. 



MS GRAVE DBL MUSEO XlfiCHERIANO. 111 

logico e sistematico occorrono forse anche nelle altre classi, senza che 
Io possiamo dimostrare con evidenza. Intanto trattandosi di una distri- 
buzione pratica, certamente le monete d'Àrimino metterei in una 
classe colle transapennine, nonostante il principio deficiente dei tipi; 
perche tutte le monete transapennioe sono congiunte fra loro per 
mezzo della divisione unciale molto piCi importante sulla norma del 
ragguaglio decimale. Cosi adunque per fuso pratico non farei che 
questa triplice dist ribuzione : 

I. Etruschi. 

II. Gli altri popoli cismontani. 

HI. I popoli transmontauì , facendo dippoi in ciascuna classe uoa 
nuova disposizione secondo i tipi. Secondo il peso la classi Reazione 
sarebbe tutto la contraria dì 111,11, 1; onde confermandosi in seguilo 
le indicazioni più alte degli autori nonostante le indicazioni d^un peso 
maggiore presso V Aragoni e Passeri , dobbiamo supporre , che gli 
Etruschi, come il popolo più coltivato, avessero il più leggiero peso e 
per conseguenza in riguardo della loro moneta , dove non si usava la 
bilancia, stessero in vantaggio davanti gli altri popoli; e la stessa pro- 
porzione sussisteva fra gli altri cismontani vicino alP Etruria , ed i 
transmontant più rimoti. Gli autori peraltro siffatto principio forma- 
tosi dal peso non sieguono con assoluta conseguenza , ma mettono piut- 
tosto a capo i cismontani , facendo dipoi seguire le classi nelPordine 
creduto da loro cronologico II. a , li. 6 , 1 . Jll* 

A noi le monete tudertine e iransapennine pajono le ultime per 
il motivo tanto della scrittura ch^esse portano , quanto della circo- 
stanza, che arbitrariamente hanno ricevuto dodici tipi differenti. 11 
peso maggiore degli assi adriatici dal MuUer e Bockh già bastante- 
mente è spiegato per la ricchezza di rame in quelle conlrade, la -quale 
viene indicata pure dalla doppia Copra. In parte però il maggior 
peso delle frazioni dell'asse si spiega anche per ciò che presso i popoli 
transapennini Tasse invece delle once dodici non ne aveva che dieci. 

Questa rilevante circostanza , la quale dagli Autori per la prima 
volta vien messa in chiara luce, infalli pare che non possa negarsi. 
Essa è fondata sul fatto , che presso i popoli al di la deirApennino 
non trovisi un semìsse, ma sempre soltanto il quincunce; al di qua non 
mai un quincunce, ma sempre un semisse di sei oncie. Questa opmiooe 
dal Bockh nell'opera mentovata (I, p. 375 seg.) fu combattuta , prima 
ch'egli assolutamente conoscesse il Musco kircheriano ; con questo , 
probabilmente egli non avrebbe proposta la conghieltura , che il dop- 
pio Pegaso sia suto il semisse adriatico, neanche avrebbe credulo 
genuino o d'indubitata lettura i cinque globuli sulle monete coli iscri- 
zione di Roma (p. 376. 407). Errori di questa maniera anche colla 



112 II. XiBTTERATtTftA. 

più profonda dottrina e colla più sagace crìtica noti sempre potevano 
evitarsi , e cosi l'opera degli autori romani è della più glande impor- 
tanza 9 anche per il giudizio delle opere anteriori di Arigonì 9 Passeri 
ed altri , le di cui indicazioni non raramente sono perfettamente di- 
scordi coi risultati della numismatica moderna. In quanto alle osser- 
vazioni degli autori sui quincunci adriatici , esse anche per le monete 
coniate di Larinum e Teate potepno sostenersi , le quali monete anche 
in tempo più recente, come lo provano le riduzioni, dimostrano spessa- 
mente quincunci, non mai un semisse; anche li quincunci della citlb sco- 
nosciuta di Orra appartengono adunque sicuramente a quelle contrade. 
Ora è hen naturale che i Romani né fondessero né coniassero 
monete di cinque oncie, nel loro sistema duodecimale; attesoché* cotale 
numero non avrebbe formato una division pari dell'asse di dodici oncie. 
Con uguale ragione però si deve tener per giusta la conclusione , che 
dovunque si facevano quincunci e si evitavano a posta monete di sei 
oncie, l'asse aveva non dodici, ma dieci oncie. Egli è perfettamente 
inammissibile ìL supporre un popolo antico tanto inetto, che avesse 
fuse soltanto monete dì 12, 544, 3, 2, 1 oncia. Strano sarebbe , ma 
non impossibile, che un popolo si fosse servito del quiocunce insieme 
col semisse ; intanto fino a che almeno un semisse perfettamente certo 
non sia avverato in uno dei sette luoghi di conio al di là dell'À pennino, 
insieme col fatto dobbiamo accettare le Conseguenze. Se il Bockh si 
riferisce alla colonia romana di Luceria, la quale anch'essa non ha né 
asse né semisse ma un quincunce , e dice evidentemente non siasi al- 
lontanata dal peso romano , egli sicuramente non conobbe ancora la 
vecchia serie delle monete fuse di Luceria, alla quale non manca 
l'asse, e dalla quale la posteriore coniata non n'é che la continuazione 
immediata ma ridotta ^ intanto che i Romani quivi non introducevano 
un'altra divisione tanto della moneta quanto del peso, il che senza 
dubbio con esso è conforme, io opposizione centra tutte le città e po- 
poli circonvicini, chiarisce deli'istesso coniare del quincunce, il quale 
i Romani certamente non possedevano, e non fa specie in un tempo 
tanto rimoto della colonisazione ( 31 2 a. C.) ; supposto peraltro che 
in un punto i Romani Lucer ini s'accomodassero all'uso di quelle con- 
trade, certamente essi l'avranno fatto anche in tutti. S'intende, che in 
una norma decimale si doveva rinunciare alla comodità di 1/3 , jfyy 
ì/è d'asse e senza la maggior incomodità ed inegualità dell'intervallo 
fra le singole parti nella moneta di rame oltre li pezzi di 1, 2, 3, 
4, 5 oncie, non si potevano fondere anche 2 i/a, come lo suppone 
il Bockh, essendoché il coniare di sesterzj d'argento fu motivato dal 
maggior valore dell'argento ; ma giusto perciò non esistevano monete 
d'argento equivalenti a 2, 5, 4 , 5 assi j una divisione dell'asse come 



JBS GBAVE DEL M17SBO KIBCHERIANO* 113 

qaella del denario in 10)5)2 1/1,1 oncie per il rame non sarebbe 
stato safficiente, ma per questo si volevano più parti. Intanto per rim- 
piazzare in qualche maniera la divisione quadrupla dell* asse , ap- 
punto in Hadria, Pinna, A rimino, si fondevano anche "«emiORCie : 
dimodoché oncie 2 i/à facilmente rappresentavano la quarta parte 
dell'asse ; anzi in Hatria troviamo sicìlicos (1), che corrispondono 
alla quarta parte delPoncia , ed i quali forse nelle altre serie non si 
trovarono ancora. Altre ragioni però che le mentovate dal Bockh non 
vengono proposte. 

Ora peraltro anche in Sicilia , benché soltanto secondo un passo 
corrotto del Polluce (2) , trovasi Pespressione del frsvrò^xiov insieme 
quelle di òiU'hrpov, rpmi , rsrpócc , cg«c. Si potrebbe conghietturare, che 
questo non fosse che espressione di peso come presso i Romani , de- 
nnx, deztans, dodrans, bes , septunz , quincunx , le quali tutte quante 
non erano coniate in monete. Intanto una siffatta supposizione impedisce 
raggiunta àjayupiou. L'esame della norma di moneta e peso siciliano , è 
molto intricato a motivo della mescolanza d' influenza italica e greca. 
11 coniare del frcvrd/xiov, sia ch'esso appartenesse o all'istessa maggiore 
unità come Tx^pi^rpov, essendo 5/ìa , o ad un* altra unità decimale , in 
niun caso poteva imitarsi uè dagli Etruschi, né dai Romani , attesoché 
tutti e duelion avevano un quincunx, ma dev'essere connessa colla mo- 
neta iransapennina. Il supporre d'una doppia divisione in Sicilia , co- 
me luogo di riunione per tutti i sistemi, pare non tanto improbabile già 
per questa circostanza , che altrimente le espressioni xo^^^eouc ed ouyxiec , 
come suppone il Bockh, presso di loro sarebbero state tutte identiche. 

Ma lasciando anche a parte il sistema decimale nella divisione 
dell'asse presso i popoli transapennini , un principio positivamente 
decimale, ed anch'esso strano alla Grecia , troviamo per tutta P Italia 
al dissopra dell'asse. Quivi abbiamo il quinquessis, decussis, vicessis, 
e così fino al centussis , e poi trasportato nell'argento il quinarius e 
denarius. Niun sistema duodecimale occorre insieme con esso^ ed anche 

(i) JE$ grave ci. IV, tab. II, n. 8 : cf. tav. di suppl. ci. Ili, n. 3, e p. 97. 
* (a) IX, B2. Gf. Bockh p. 3o3, Il passo nei codici é di questo tenore ; 

Tnfjwig uoirep al Trov^pal (Aavresc , Al 5* vnovéfxovrac yuvatxoc fAopoc oc{a- 

frmMUOv (M. Palat. vel al. à{iirrràxfov) *Apyup£ou , Sùloii Sì Xlrpav , al ^*àv 
vytiknpor» ^s^òfAeveu, Kai Tràvrcc yv/yKÓVYOvrr xal nòdi'»* iyù yàp rdyt ^aXàvrcov 
'ktpoìLtStxòìktxpoQ vrotrhp l|àvT<6v te Trrrrdyxiov. Per qaesto gli editori con- 
ghiettnrano : opiTrgvTÓyxcov , un mezzo quincunco , ed lyù yòp tò ^Xàvrcov , 
>cTpa xal ^emhrpoi (rroLtòp , l^àvrióv re xac Trsvróyxiov. 

ANNALI 1841. 8 



114 II. LETTERATUBA. 

per questo riguardo si vede V influenza italica sulla Sicilia nel ^sxdéXcrpov 
ivi usato ) la di cui perfetta separazione da tutte le divisioni greche è 
dimostrata dal Bòckh. Questo ^^gli è vero^ vuol dimostrare (1) un^ in- 
fluenza dell* norma corintia su Roma e P Italia , ed anche questa soltanto 
così, che fosse esistila una libbra eginetica^ avente colla romana la 
proporzione di 10: 9j intanto non gli riesce di mostrare una libbra 
indigena eginetica o corintia , ma soltanto una libbra siciliana (llrpa)^ 
equivalente circa alla metà d'una libbra eginetica (p. 345). E siffatta 
ultima proporzione anche se fosse determinatamente la metà, non po- 
trebbe provare che un'applicazione della divisione romana sulla norma 
delle monete greche; attesoché in tutta la divisione delle litre sici- 
liane ci si svelò un'origine italica. 

1 nomi libbra ^ir/9a , uncia ovyxca , in Sicilia fuori ogni dubbio sono 
Italici e non greci. Il connesso di libbra o ^cr/&a, quantunque in realtà 
non possa negarsi, dalla parte etimologica non è senza difficoltà. 11 cam- 
biamento singolare di 5 e /, il quale non so se sia stato da altri spie- 
gato, a me non pare da spiegarsi che in questa maniera. Un passaggio 
diretto è perfettamente impossibile; come peraltro il cambiamento di 
k e p in coquG, quinquc, quatuor, equus , confrontato con ttstto», 
TiÉfATrs , Triropoc , I;r7ro; ed altri , si fonda sopra una consonante doppia xv , 
della quale poi nel greco si staccava il primo carattere , mentrechè il 
secondo s" indurava a tt (2) , e di cui nel latino il primo si scriveva q 
o anche e, se il v intieramente si staccava: cosi il cambiamento di b 
e d in bonus, bellum, bes, invece di duonus, duellum, dues o in bis, 
greco ^c(, egualmente vien motivato da una consonante doppia dtf ^ di 
cui i Greci abbandonando tutto il e, ritenevano il di'i Romani, ab- 
bandonando il d , addurivano il v in b» Conformemente a questa con- 
siderazione dobbiamo supporre una forma antica lidvera^òdi cui si po- 
teva formare lidera o nell'idioma etrusco litra (3), ed vinche libera 
(cf. deliberare) o libra* 11 / siciliano in 'klxpcf, condurrebbe adunque a 
supporre una mediazione etrusca della parola e forse anche di tutto il 
sistema , e questo appunto anche dalla parte storica è grandemente 
il più probabile (4j. 

Ora siccome in tutta l' Italia evidentemente vediamo un doppio 
sistema , per primo un sistema decimale , il quale gli è tutto proprio , 
ed intieramente non si è conservato nella spiaggia orientale dell'Italia 

(i) L. e. p. 209, 284- 3o4. 

(2) Cf. nel persico antico : acpa equus. 

(3) Cf. idus, nelPctrusco itus. Varf. L. L. VI, 4. Macrob. Sat. I, i5. 
(4; Mùllcr , Etr. I, p. 3ia. 



MS GRAVE DEL MUSEO KIBCHERIANO. 115 

media, parzialmenle peraltro io tutta la Italia e Sicilia: dippoi un 
sistema duodecimale, il quale domina presso gli Etruschi e nella spiag- 
gia occidentale delP Italia, provante da loro una princip&l influenza: 
mi pare la supposizione la più naturale Pattribuire il sisteina decimale 
ad un sistema propriamente italico , il quale nelPoccasione delP intro- 
duzione di moneta per mezzo dei Tirreni Pelasgi in parte dirittamente 
si cambiava col piede duodecimale ^ in parte anche insieme con esso 
si conservava. Un^lltra traccia per questa supposizione pare sia conte- 
nuta nella doppia espressione per Tuna e medesima cosa libra o )ÌTj&a 
ed as^ la quale altrimenti sarebbe difficile a spiegare: essendoché mo- 
neta e peso originariamente dapertutto erano identiche: qui peraltro 
trovasi anzi una terza espressione pondus per Tistessa nozione, come 
Io dimostrano Pespressioni dupondius^ centumpondium. 

In ogni caso restiamo fermi nella persuasione, che Servio Tullio, 
successore delPetrusco Tarquinio, trasportasse dal popolo a quel tempo 
collivatissimo Parte monetaria insieme colla nuova divisione duodeci- 
male della libbra , la quale prima forse fii divisa secondo la norma de- 
cimale: che Parte monetaria indi o direttamente o per mezzo dei sin- 
goli popoli , penetrasse agli altri popoli italiani , per Pultimo, come 
pare, ai popoli transapennini , i quali perciò aveauo ritenuta pure al 
più lungo la divisione deci-male del peso e la ritenevano anche non- 
ostante P introduzione delPoro^ applicando anche su questo la loro 
norma di peso decimale ed attribuendo semplicemente alle parli del peso 
finora stabilite il valore di moneta. 11 sistema decimale di peso anche 
presso gli altri popoli non fu bandito , che in quanto recasse Porigina- 
ria norma di moneta , valeadire fra asse ed oncia. Al di là delPasse 
rimane la norma decimale e fu trasportata anche sulla moneta allorché 
più tardi si cominciava a fondere anche monete più alte che Passe. 
Che queste monete più alle appartengano ad un tempo posteriore, 
gli autori hanno dimostralo dal peso. Un popolo, più facilmente, 
nella prima e rapida civilizzazione sagrifìca il proprio costume ad un 
costume strano ed offerto colPaulorilà naturale d^una civilizzazione 
naturale, che più tardi, quando un costume si è conservato fino ni 
tempo della civilizzazione sempre crescente. Indi spiega Vahhandonare 
della norma decimale fra asse ed oncia presso i popoli italici cisapen- 
nini e la durazione dclPistessa norma decimale in uguale ma poste- 
riore occasione presso i popoli transapennini ed al di la delPassc 
anclie presso i popoli cisapenniur. 

RICCARDO LEPSIUS. 



' rf 



116 

III. RICERCHE ED OSSERVAZIONI. 



a. SULL*ARCO DI RIMINI E SULLA PORTA DI FANO. 



Mi assento alcane osservazioni , benché troppo scarse per l'og- 
getto, sopra due celebri avanzi antichi di Rimini e di Fano posti sulla 
Via flaminia , e bene conoscinti da tutti gli archeologi. Furono essi 
delineati anche di recente da valenti architetti ed ingegneri , ed illu- 
strati da dotti ragionamenti del chiarissimo conte Borghesi. 

L^arco di Rimini che prendo primamente a trattare fò ristaurato , 
descritto e pubblicato da Maurizio Brigbenti, ingegnere architetto pon- 
tificio di Forlì, in sette tavole grandi a Rimini nel 1825, alla quale 
opera fu aggiunta la dissertazione del Borghesi « Sulle medaglie di Au- 
gusto rappresentanti Parco di Rimini». La porta di Fano per opera 
deir ingegnere Mancini fu data alla luce dai torchj pesaresi nel 1825, 
con tavole intagliale ed una lettera archeologica del suddetto Borghesi. 

In quanto alParco di Rimini Borghesi e Brighenti opinano che 
fosse edificato sotto il regno di Augusto , in commemorazione del ri- 
stauro della Via flaminia , ed in onore delie riportate vittorie partiche 
ed iberiche. In quanto poi alla porta di Fano , lo stesso Borghese ed 
anche il Mancini nel ristauro e nella descrizione delle tavole ritengono 
che fosse costruito in due epoche, il primo piano cioè dagli architetti 
augustani , ed il secondo , ossia il superiore , fosse un^aggiunta fatta 
nel tempo di Costantino magno o del figliuol suo. 

Non saprei per verità pienamente conformarmi JiUa loro opinione 
comechè contrariata da alcune riflessioni che furono da essi trasandate 
e che credo d'altronde molto influenti a dar maggior chiarezza alla 
cosa. In questi pochi cenni mi darò carico di esporle brevemente , 
sperando che quegli illustri scrittori non siano per adontarsene , non 
avendo io in animo di farmi loro oppositore , ma soltanto di meglio 
dichiarare se sia possibile la cosa. 

L'erudito Borghesi nella sua dissertazione sulle medaglie di Au- 
gusto rappresentanti Parco di Rimini sostiene con grande sottigliezza, 
che in una medaglia di Augusto inscritta imp cassar , e portante la 
facciata di un arco , sia appunto la rappresentazione dell'arco dì Ri- 
mini j medaglia battuta forse poco dopo il ristauro della Via flaminia, 
in commemorazione di quell'evenimento , il quale ebbe luogo nell'an- 
no 727. Che sia stata battuta circa quell'epoca e che rappresenti l'arco 
di Rimiai è cosa probabilissima. Non credo però molto probabile che 



a. Anco DI BINIVI E PORTA DI FAVO. 117 

quel conio lo rappresenti nello stato in cai attualmente si trova: poiché 
risalendo airorigine delParco di Rimini non deve credersi che fosse 
originalmente un arco di trionfo, come vogliono i valenti signori che 
l'hanno descritto, ma piuttosto la porta d^ ingresso alla cittb. E difatti 
se fosse stato 6n d^allora un arco di trionfo sarebbesi costruito isolato, 
non si vedrebbe fiancheggiato dalle torri , avrebbe avuto forse un^aper- 
tura più elegante e meno utile, ^apertura di quelfarco conviene più 
ad una porta di città che ad un arco trionfale. 

Non è però improbabile che colPaggiunta di poche variazioni 
hsse in appresso diputato ad uso trionfale j avendo quindi occasione lo 
zecchiere di coniare monete augustali v'impresse l'arco di Rimini colle 
nuove aggiunte a quel tempo introdottevi. Poserà sotto il regno di un 
altro imperadore, con un'aggiunta di stile diverso assai da quello 
dell'epoca di Augusto e con indicazione di costruzione cambiata , di> 
venne un arco trionfale riccamente decorato. 

Esaminando di fatti lo stile architettonico si ravvisa a colpo d'oc- 
chio non esser opera né di una sola epoca né di un solo architetto j 
havvi in esso un misto tanto rilevante di magnifico e di meschino nelle 
particolarità , che non può a meno di non appellare a due , se non 
a tré epoche diverse. Possono pertanto distinguersi varie epoche per 
determinare lo stato primiero e le ulteriori variazioni. L'epoca prima 
doveva mostrarcelo come porta di città soltanto fiancheggiata da torri 
di difesa , i di cui ruderi spogliati dei loro massi esterni tuttora si ve- 
dono attaccati alla muraglia dell'arco. A questo periodo dell'esser suo 
é probabile che l'arco avesse al di sopra un andito di comunicazione 
tra le due torri come per lo più si praticava di fare in tutte le porte 
di città. Alle estremità dell'arco le pietre mostrano anche una piccola 
irregolarità come se fossero state ad un tempo internate qua e là tra le 
pietre della facciata delle torri : e perciò le faccio laterali non dimo- 
strano quella muraglia liscia come si spetta ad un arco di trionfo. 
La decorazione dell'arco primiero , ossia porta di città , fu semplicis- 
sima e consistette solo nelle imposte dell'arco con sopravi gli scudi 
decorati colle teste delle divinità forse tutelari della città : a questa 
solo si aggiungea la testa di bue che si vede sulla chiave dell'arco me- 
desimo ; decorazione di porta molto in uso , e tuttora sussistente nella 
porta di Augusto a Nimes , in Roma ed^in altre città d'Italia. 

Lo stato secondo dovea presentare l'arco decorato da Augusto 
coll'attico e l'iscrizione , la quadriga e le statue poste sopra i sempli- 
cissimi piedistalli. Le quali aggiunte furono commemorative del risar- 
cimento della Via flaminia e delle riportate vittorie di Augusto. E qui 
vorrei osservare che chiunque paragonasse le citate medaglie di Bor- 



1 18 III. BICERCQB £D OSSEBVAZIONI' 

gitesi colParco , conforme a me pare che fosse nella seconda epvjca ^ 
vedrebbe una somiglianza grandissima nei disegni. 

Osserva Borghesi che Eckhel fosse di opinione che tutti i nummi 
portanti l'epigrafe imp cassar^ fossero anteriori al 16gennaro 727 e 
posteriori al principio del 725 9 nel quale anno assunse Cesare il titolo 
fV imperadore non come generale vittorioso ma come principe. E ra- 
gionando il Borghesi su queste medaglie e sulle osservazioni di Eckhel 
dice: « Né mancherebbesi di osservare che io ho poco fk confessato, 
che nelle nostre medaglie si ravvisa quella stessa eleganza d' intaglio 
che scorgesi in essi, dal che si trarrebbe motivo di ricavarne che sono 
tutte dello stesso tempo j lo che essendo non potrebbe qui rappresen- 
tarsi Parco di Rimiui , perchè il loro conio avrebbe preceduto il rac- 
conciamento della Via flaminia, che fu eseguito, come abbiamo detto, 
. entro Panno 727 e che somministrò il motivo allo adattamento di 
questa fabbrica». E qui il Borghesi, volendo adattare la medaglia con 
Parco nelle forme che vediamo oggidì, cerca di confutare il savio 
Eckhel nella sua regola generale , e trova appresso sugli errori dello 
zecchiere ragione di quelle diversità clte passau tra Parco sussistente e 
la medaglia. Le quali diversità peraltro sono piuttosto da riportarsi 
alPaggiunte fatte ad esso arco sotto il regno di Augusto ad oggetto di 
farlo trionfale, come luminosamente dimostra il Borghesi , e non agli 
errori dello zecchiere. Nelle medaglie si vede Parco semplice di larga 
apertura, bassa in proporzione, le imposte, e gli scudi di decorazione; 
la sovrimposta quadriga; solo vi mancano le due statue, dalla quale 
mancanza si può trarre argomento che il sopraddetto cambiamento 
avesse luogo prima delle riportate vittorie , in conseguenza delle quali 
vennero poi collocate. 

11 terzo ed il pii^ sensibile cambiamento fu quello che negli avanzi 
ci presenta un ordine decorativo di due colonne di proporzione gra- 
cile, con una trabeazione elegante e ricca di ornati, ma leggiera e 
svelta, quale più ad una decorazione interna, che ad una vasta mole 
di semplice contorno sia adattata. La costruzione delle attaccate co- 
lonne, che non seguitano tutti i strati delle pietre; alcune parti dei 
fusti tenuti dai perni di metallo lasciano trapassare la luce tra la su- 
perficie dalla facciata delParco e la parte della colonna ad essa appog- 
giata, come osserva anche il ^g. Brighenti. L^architrave che ruba una 
parte della costruzione dei cunicoli delParco, ove viene ad appoggiarsi 
alla chiave ornata di cranio di buej gli scudi delle lunette troppo 
vicini , si al capitello , si all'architrave, in vece di esser posti in mezzo 
alle lunette, luogo suo naturale, tutto ciò concorre à provare la terza 
^ epoca architettonica. E in quegli scudi è da notarsi una singolarità par- 



a. ARCO DI BIMINI E PORTA DI FANO* 1 19 

llcoliire, la quale è cbe una piccola parte della loro curva esterna 
è scolpita suirarchitrave medesimo; particolarità fuor d^ogni regola 
architettonica , e cbe proviene , a quel che mi pare , dalle ultime ag* 
giunte fatte alPedificiO) e forse nel seguente modo. 

Essendo stata rimossa la facciata delParco sino a quella parte ove 
faceva d^uopo basare Tarchitrave, lo strato delle pietre e gli scudi 
non più si trovarono in liuea retta né orizzontale; e siccome fu neces- 
sario che la linea deirarcbitrave e la trabeazione avesse un giusto li- 
vello, così è da credere che il capo- mastro lo riducesse collo scarpello ; 
e però una porzione della curva degli scudi in questo modo perduta 
producendo un cattivo effetto, fu poscia leggiadramente scolpita sulPar- 
cbilrave medesimo. La facciata deirattico rimossa diede occasione di 
posar bene e con sicurezza maggiore nel muro, che nelle colonne, le 
pietre della trabeazione ed il timpano , come fu già osservato ; alcune 
pietre di quelle solo essendo conficcate nella massa , cosa che fu indi- 
spensabile per legare i lunghi pezzi intermedj attaccati coi soli perni. 
Le quali particolarità , con altre che potrei addurre , addimostrano a 
mìo parere un^epoca diversa. Se intanto Tarco fosse V invenzione di 
nna sola mente in un'epoca sola e distinta, domando se saria probabile 
che ttn architetto di non mediocre ingegno collocasse un piedistallo 
fuor del centro della colonna, e non seguitasse Tuso costante negli 
archi di trionfo, quello cioè di porre la statua se non sopra la colonna 
almeno nella linea della sua asse , come si vede in tutti gli archi trion> 
fall rimastici, ove statue sieno state collocate. Questa terza epoca, così 
da me chiamata, attribuire forse si dovrebbe al tempo di Adriano, ri- 
stauratore delle città, amante assai di architettura , e come rileviamo 
dalla storia anche egli stesso dilettante di quest'arte. Forse egli ancora 
aggiunse a quella di Augusto una sua iscrizione , ma questo è pura 
conghie ttur a. 

Vorrei aggiungere due parole sull'antica porta di Fano, eretta 
anche essa sulla Via flaminia. Questa antica porta principale della città 
di Fano , per quanto si rileva dalle iscrizioni 3 fii edificata da Augusto 
e ristaurata dal prefetto di Costantino Magno , certo Turcio Secondo. 
L'edificio era di due ordini, come le porte della città di Autun capitale 
degli antichi Edui. L' ingegnere Mancini vuol sostenere che il piano 
di sotto sia di Augusto, e la parte di sopra un'aggiunta dal tempo di 
Costantino ; ma prove certe non ne adduce a confermare l'asserzione. 
Che sia stata ristaurata dal Turcio nel tempo di Costantino o poco 
dopo, l'iscrizione ed il chiaro ragionamento del Borghesi il mettono 
fuor di dubbio : peraltro a me pare che il lavoro costautiniano non 
consistesse in altro che in una riparazione ossia ristorazione della porta, 



120 III. RICERCHE ED OSSEBVAZIONN 

e specialmente del piano superiore , non in una nuova architettonica 
idea che fosse emessa dal Turcio o dal suo architetto ^ e Io deduco 
perchè: primo, una somiglievole disposizione si vede nel piano supe- 
riore delle due porte di Àutun : secondo, perchè una doppia muraglia 
con aperture è cosa necessarissima per la difesa di una porta di cittk , 
formando nello stesso tempo una coperta comunicazione tra le torri : 
e terzo, perchè Peleganza dello stile e la bellezza delP invenzione su- 
peran qualunque sforzo della negletta e male conosciuta arte , qual fu 
nell'epoca di Costantino. Sappiam benissimo e si vede a prova nelPalma 
città di Roma un'evidenza del poco ingegno degli architetti di Costan- 
tino, i quali non solo copiarono un antico arco trionfale per costruirne 
il suo, ma bensì distrussero le bellissime opere di un'epoca fertile 
d'ingegni per farne de' monumenti loro istorici. Per le quali ragioni 
mi persuado che l'opera del Turcio non sia altro che un ristaaro 
dell'originale disegno siccome era immaginato dall'architetto augu- 
stano, forse il Yitruvio medesimo a cui Fano non fu città ignota. 
Questa opinione si scosta da quella di Mancini , e neppure inclinerei 
al suo parere che vi fosse una facciata sola al piano superiore. Oltre 
l'esempio di Àutun ove sono due facciate, la necessità richiede che 
per ben difendere la porta dal piano superiore si avesse un tetto che 
il ricoprisse , al quale era mestieri di due muraglie di appoggio : e sif- 
fatta disposizione di muraglie sussiste in perfetto stato tuttora nella 
porta di Àutun chiamata André. Che la porta di Fano fosse ristaurata 
con una facciata sola dal Turcio è cosa probabile , giacché il poco in- 
gegno degli architetti di quell'epoca si sarebbe contentato dell'appa- 
renza senza la utilità , e perciò non si vede indizio della facciata in- 
terna tra i pochi avanzi rimasti del piano superiore. Porto adunque 
opinione che la porta di Fano sebbene risarcita da Turcio non debba 
riferirsi alle opere deirepoca di Costantino , se non per ciò che ri- 
guarda ì ristauri mentre la originale concezione debbe riportarsi ai 
tempi di Augusto. 

W. B* CLÀRREf 



b* DI ALCUNI MOHITMEKTI ROMAKI* 121 

b, SOPRA. ALCUNI MONUMENTI ROMANI , DA UN CODICE 
DELLA GALLERIA DEGLI UFFIZJ IN FIRENZE. 

1 . Tetrastilo dei fratelli Arvali. 11 Marini dopo Tesposizione dei 
celebri marmi arvali ^ aggiungendo certe iscrizioni onorarie poste a 
persone distìnte, che erano di quel sacro collegio, ne annovera otto 
le quali riferisconsi ad imperatori romani , valeadire Nerone (Fratelli 
arvali I, n. XLYUI), Adriano (n. XLIX), Antonino Pio (L), M. Au- 
relio (LI) j L. Elio Vero (Lll) , Settimio Severo (LUI) , Caracalla (LIV), 
Grordiano (LY). «Le ultime sette iscrizioni imperiali (così egli osserva 
p. 716) che vehgon dopo quelle del 6gliuol di Germanico dal nuroe*- 
ro XLIY-LY le dobbiamo tutte, meno Tultima, alla diligenza del Doni 
CL IIL n. 15. 16. 17. 18. 19. 20 che dee averle copiate da un qualche 
manoscritto : dalla raccolta di lui le trasportò nella sua il Muratori 
188. 4. 5. 6. 189. 1. 2 e si dice fosser trovate tutte Pa. 1570 in Roma 
nella Yilla di messer Fabrizio Galletti , senza però indicare il luogo 
dove questa si fosse. Farebbe l'avess^egli dovuta avere nel Luco stesso 
della dea Dia , in cui starei per dire che a tutti gli Imperatori (e forse 
anche a que^ della famiglia cesarea) ascritti al collegio de^ Arvali , fosse 
posta la statua con una iscrizione concepita sempre colla medesima 
formula : e tal cosa mi rende quasi certo che in compagnia di quelle 
fosse anche la settima , quella cioè che parla di Gordiano , la quale 
sebbene non sappiasi donde ci sia pervenuta, sembra però che un 
giorno fosse con quelle, scritta essa pure a quel modo». In riguardo 
a questa notizia giova al proposito citare qui un manoscritto quasi 
contemporaneo all' indicato trovamento , in cui non solamente si dà 
una delle dette iscrizioni , ma che ottimamente soccorre alla supposi- 
zione del Marini intorno il posto di siffatte iscrizioni nelPistesso sa- 
crario dei fratelli Arvali. Esso preziosissimo cenno conservasi in un 
codice della galleria degli Ulfizj in Firenze n. 204, in cui sono riuniti 
ì disegni di dilTerentt valenti artisti del XYI e XYII secolo , e princi- 
palmente , come ho ragioni di credere , del Sangallo e Baldassare jPe- 
ruzzi. Nel foglio 52 trovasi un tetrastilo leggermente abbozzato come 
nella copia datane (Tav. d'agg, G), e accanto leggesi V iscrizione : 



122 IH. RICERCHE ED OSSERVAZIONU 

IMP. CÀBSARI 

DIVI . TRAIANI 
FAUTHICI . FIL. DIVI 
TIEUVE (sic) IfBPOTI 
TRa'nO (sic) ADRIANO 
AVO. PONTIF. MAXm 
TRIB. POT. II. COS. in 
FRATBI ARVALI 

SifTatla iscrizione corrisponde accuratamente al n. XLIX del Marini , 
dimodoché sul detto monumento come tetrastilo degli Arvali non re- 
sterebbe vcrun dubbio , se anche non ci giovassero le annotazioni del 
disegnatore, le quali, benché di cattivissima e per parte illegibile 
scrittura , ci danno chiaramente ad intendere , che si tratti quivi d'un 
««sacellum in vìa portuense ad quartum miliarium ordinalum aRomulo 
et restauratum ab Antonino». Ora essendosi stabilito dalle ultime fe- 
lici scoperte d'una lapida terminale , che alla Via portese corrispon- 
desse la Via campana, la quale dall' Olstenlo si cercava fra la latina 
e labicana, dal Fabretti ed i posteriori fra l'appia e l'ostiense 5 ed 
essendoci nolo inoltre dalle iscrizioni arvali stesse , che appunto a 
questa strada al quinto miliario ( via . camp, apvd . lap. v. Marini 
lab. XLIIl) fosse situato il sacro luco della dea Dia , si può con cer- 
tezza asseverare, che il santuario comunicato in disegno sia il tetra- 
stilo il quale connesso col detto luco occorre nelle medesime lapide. 11 
tetrastilo , come il tetrastilo tré anni addietro scoperto in Assisi (1), 
consiste in una base quadrata con quattro colonne negli angoli ; le co- 
lonne alle 35 palmi con un intervallo fra loro nei fianchi dì palmi 28 , 
nella facciata di palmi 20, e sostenenti un tetto semplicemente fastigiato 
col solito ornamento di acroterj e frontoni. Buchi sul basamento al di- 
segnatore provarono la sussistenza di cancelli nei fianchi ; la parte di 
dietro pare si chiudesse per una specie di tribuna ossia abside, m cui 
secondo un'osservazione appostavi stavano «le 9 statue di tutti gli im- 
peratori, i quali sino a Gordiano erano della compagnia dei fratelli 
Arvali , le statue coronate di spighe di grano ed a ciascuna statua cor- 
rispondente un epitaphio». I piccoli segni quadrati nell'abside (v. il di- 
segno^, indicano il posto delle statue ; sono difatti nove, e mentre che 
non si può dubitare ad esse si riferiscano le sei iscrizioni comunicale dal 
Doni, dalle stesse surriferite parole del nostro disegnatore si chiarisce 
pure, come di bella ragione il Marini con esse suppose fosse congiunta 
l'iscrizione di Gordiano. Aggiuntavi inoltre l'iscrizione di Nerone ne 

(i) V. le mie annotazìom su esso Bull. iSBgi p. i47> 



e. DIONISO E LIBERA. 123 

abbiamo un numero di otto ^ e quanto alla nona , che dovea corrispon- 
dere al nono posto ^ ci resta a conghietturare a che imperatore essa si 
riferiva 9 essendoché di differenti altri imperatori oltre i menzionati 
si conosce Tarvalilk per mezzo delle iscrizioni ^ siccome di Caligola, 
Claudio, Tito, Domiziano , Alessandro Severo (Marini n. Vili. Xlll. 
XXIll. XC16). 

2. Monumento d^Eurisace» Allorché nell'anno 1 838 distruggen* 
dosi una torre quadrilatera a Porta maggiore in Roma si scopri il mo- 
numento sepolcrale del pistore M. Vergilio Eurisace, chi avrebbe cre- 
duto che, lontano dall'esser sparito sino dai tempi d'Onorio (da cui si 
suppone fosse fabbricata la detta torre per ridurre a forte quella parte 
deiraquedotto) esso monumento si conoscesse ancora nel secolo XVI? 
Ma cosi é secondo il chiaro indizio delPistesso codice soprammento- 
vato; essendoché sul foglio 55 si osserva Tabozzo riportato alla tavola 
d'agg. G, Dair iscrizione sopra le colonne si vede che il lato disegnato 
del monumento sia il meridionale coll'epigrafe : est boc monimentvmi 
MARCI VERGILI BVEYSAC. Egli é da Sospettarsi adunque , che la torre 
caduta da questa parte , facesse allora vedere tutto il canto destro 
deir indicato lato dalle lettere ver in poi, e che in conseguenza d'una 
ristorazione fatta dopo, l'istesso monumento si detrasse intieramente 
e agli occh) ed alla memoria dei posteri. 

G. ABEKEN. 



e. DIONISO E LIBERA SOPRA DIPINTO VASCULARIO RUVESE. 

{Tav. d'agg. F^ A, B, 1841). 

L'antico dipinto (1) che prendo ad esaminare, non si distmgue 
per merito di esecuzione , né per novità di soggetto , ma sì a motivo 
di una particolarità singolare , qual' è il mostrarci apposto alla figura 
di fiacco il simbolico segno di un'oca. E che sia effettivamentb perso- 
neggiato tal nume da quell'avvenente giovine, il quale nel nostro 

(i) Questa pittura , non divulgata sinora , orna la parte^anteriorc o 
nobile di un vaso di argilla cavato t non ha guari, da un^autica tomba dì 
Ruvo, ed or posseduto f con altri pregevoli avanzi delle arti greche, dallo 
ornatissimo sig. Filippo Teli in S. Maria di Capua. 



124 HI. BICEBCSB ED OSSBRyAZIONl* 

quadro porla nella destra T indicato volatile ^ è agevol cosa avveder- 
sene sì alla corona di mirto, onde ha cinta la chioma (1 ), e si al tirso ^ 
a cui mollemente si appoggia (2). 

Ma se son ovvj cotali distintivi nelle sue immagini , insolito è al 
certo vedervi adattato si fatto emblema di oca o papero che sia. 11 
quale però riesce quivi tanto strano , quanto anziché stimarlo at- 
tributo proprio dell'effigie di Bacco che lo reca , o per dir meglio lo 
porge , si è indotti a riferirlo più presto a quella muliebre figura a cui 
vedesi offerto. Questa giovane donna si prenderebbe a prima vista per 
una semplice Menade ; e ne ha , di vero , totalmente Tapparenza j se 
non che il modo in cui ella è associata a Dioniso , non ci consente 
persuaderci che fosse in realtà una comune seguace del suo tiaso o 
vogliam dire corteggio. Pur tuttavia , dandosi a divedere compagna 
del nume , e non potendosi confondere per Taccennata ragione con le 
ordinarie ninfe , dobbiamo conseguentemente supporre essergli unita 
in Jsposa , e quindi riconoscerla per Arianna , la quaP è a tenersi mi- 
tica forma di Gora (3}« Con questa dea per Tappunto avea relazione il 

(i) V. Aristofane, Ranae v. 3a9-33. È qui opportuno notare a con- 
forto delPopinione che si proporrà susseguentemente nel testo intorno alla 
infera natura di questo Bacco , come la pianta del mirto , ondVgli é coro- 
nato, sia stata sagra presso i Greci, alle ctonie o sotterranee deità : su di 
che sono a riscontrarsi gli antichi autori citati dallo Spanheim alle annota- 
zioni air inno di Gallim. a Cerere v. 45, ed a quello in onore di Diana v. a 63. 

(a) Da ciò Tepiteto di tirsoforo , ch^egli ha nelf inno orfico XLIII , 
V. 3pn un epigramma deirAntolog. palat. IK, 524, ^^1 !• ^ di Ateneo ce. 

(3) MùUer, Manuale di archeologia §. 3o9;Creuzer eGaigniaut, 
Relig. delPantìchità ?ol.IlI, p. 267 e seg. Ma questi eh. archeologi si stanno 
contenti ad enunciare tal fatto • senza perù insistere sulPanalogia di carat- 
tere che si discerné tra Cora ed Arianna, quando osservansi entrambi da 
un dato punto di vista. E di vero come si scorge una chiara allusione alle 
vicissitudini dello spirito umano nel mito della sparizione e risorgimento di 
Pioserpina, ond* é che venne identificata con Tanima o Psiche (v. le auto- 
rità recate dal eh. Jannelli nel Saggio sugli Etruschi p. a4); cosi parimente 
nel sonno ietéo e nel felice destarsi di Arianna in seno ad un amorosa divi- 
nità si ha una palese espressione del simbolico linguaggio , la quale dinota 
il passare che fa Tanima dalla mortale aireterna esistenza. E la stessa idea 
di opposizioni eh* é tra questi successivi stati dello spinto , rilevasi manife- 
stamente in quel singolare contrasto , ch^esistea trai rispettivi [culti delle 
dette due Arianne adorate nelP isola di Nasso. Dappoiché veneravasi una di 
esse con mestissimi riti , laddove in onore delPaltra celebravansi solennità 
festevoli e gaje. V. PluUrco nel Teseo §. 1$. 



e. Dioniso E LlBERil* 1 25 

simbolo deiroca nelle sagre tradizioni {ispoì'kiyoi) di Lebadea (1). Né 
inaraviglieremo forse cbe sia effigiata in atto di pulsare il cembalo o 
tamburo 9 recandoci in mente la religiosa usanza di percuotere un 
somigliante strumento 9 la quale fu praticata in conformità al rituale 
ateniese, dal sacerdote addetto al suo culto (2). Peraltro è ben noto 
agli archeologi come questa deitii, Cora o Proserpina che voglia no- 
minarsi, tuttoché inesorabile dominatrice dell'Orco, pur si mostri 
talvolta , e a dir cosi , travestasi da baccante (3). La quale apparente 
incoerenza deriva dal doppio ed opposto aspetto demotico , cioè o vol- 
gare , e criptico od ascoso , che appreseutano pressoché tutte le divi- 
nità degli EUeni. Cosi, per restringerci ai soli esempj che fanno al 
nostro proposUe,4o s lesso Plutone il quale appariva air immaginazione 
deirumversale un nume implacabile ed atroce , era per lo contrario 
tenuto dagr iniziati compassionevole e pietoso , immedesimandosi in- 
teramente con Bacco (4). 11 simile è a dirsi in riguardo a Proserpina; 
poiché da terribil dea ch^elFera alla mente dei profani , diveniva poi 
per gli epopti propizia e beneBca , assumendo come consorte di Dio- 
niso il nome di Libera od anche di Arianna (5j. 

(1) Pansania IX , 3g, 2. In siffatte leggende era unita Cora ad Eroina , 
la cui effigie avea un^oca nelle mani. V. ivi stesso. Il vocabolo Ercina viene 
usato da Licofrone come epiteto .di Cerere nel v. 1 53 della Cassandra , e 
Tzeze chiosando tal luogo , asserisce essere cosi detta quella dea dal nome 
di una ninia figlia di Trofonio : oltre a ciò Esichio dà la parola Ercùda 
qual titolo di feste in onore della medesima deità. Pnrnondimeno , siccome 
la TOGO Ercina è semplicemente una variante delfaggettivo Orcina , eh* é 
come dire V infernale ( Miìller , Orcomeno p. i55 ) , ed esprimendo però la 
qualità propizia di Proserpina , cosi egli é da opinare avesse siffatto aggiunto 
indicato non meno questa che Tal tra divinità. 

(a) Apollodoro nel tratuto Jlcpi 0sc5v citato dallo scoliaste di Teocrito 
nella glossa al v. 36 deli* idillio secondoé 

(3) y. Mùiler, Manuale di archeologia §. 364i ?• 

(4) Da varj testi di antichi autori , ed assegnatamente da due rilevanti 
passi di Diodoro Siculo (II, p. 17 e ag, Wessel), si desume che Pidea si ebbe 
in principio di Dioniso sia stata quella di sommo nume infernale j essendosi 
riguardato in origine come identica di Osiride , il quale alla sua volta venne 
confuso con Plutone. Questa primitiva opinione sulla natura di Bacco fu 
ricevuta e si mantenne costantemente nella dottrina dei mister] : intomo 
al qual argomento possono confrontarsi le osservazioni di Creuzer nel DiO' 
niso p. a37 e seg. e nella Simbolica voi. Ili, p. 309-10 delle trad. frane. 

(5; Che tali nomi si riferissero ugualmente a Proserpina o Cora dedo- 
cesi in parte da Ovidio nel terzo dei Fasti v. Sia , ove dice di Bacco che 



126 III. l'.lCBBCaE ED OSSERVAZIONI. 

Or volgendo 'dì nuovo il pensiero allo schema òeWocB ^ il quale 
simile a geroglifico copertamente accenna airoccuUo senso di questa 
pittura , se rammentiamo che un tal simbolo per essere stalo distin- 
tivo di Ercina, vale a dire deW infernale (0), ci ha fatto distinguere 
sotto le sembianze della Tiade , a cui viene profferto, la stessa regina 
deir inferno ; ci avvedremo di leggieri come anche a Dioniso che ha 
siffatto emblema nella mano , e trovasi inoltre in relazione con quella 
dea sotterranea , debba attribuirsi simigliante qualificazione di ctonia 
od infera deità. In guisa che sark egli per noi Dioniso-Plutone , sic- 
come Taltra è Libera ovvero Cora-Arianna. Ma quel medesimo segno 
delPoca • oltre alla simbolica espressione che appalesa Tascoso carat- 
tere dì questi due personaggi del nostro dramma ^ ha eziandio uu altro 
significato, che ne dichiara l'azione. Dappoiché^ essendo tenuto sagro 
quel volatile a Venere, ed allusivo alPAmore (1 ) , indicherebbe quivi , 
preso in tal senso, Tunione o le nozze di Arianna e di Bacco. Si avrà 
dunque a presumere che in questo dipinto sia compendiosamente e in- 
sieme simbolicamente ritratta una rappresentazione delli le/^oì yà\Mt^ 
ossiano sagrì sponsali di Libero e Libera , o in altri termini , del Bacco 
stigio con r infera Arianna. 11 quale divino imeneo^ che commemora- 
vasi con analoghi riti dalla religione dei mister] , e di cui dovremmo 
riconoscere T immagine in molte opere delle arti antiche, massime sui 
vasi fittili greci , mentre richiamava alla mente degli iniziati i casti 
pensieri della tomba ne allegrava a un tempo lo spirito con le solle- 
vatrici speranze di una eterna felicita (2). A quest^ordine d^idee par- 

promettesse ad Arianna di farla sua Libera^ ed in parte da Arnobio il quale 
nel l. V, p. 1714 ediz. di Maire, scrive che gli antichi addimandassero la 
figlia di Cerere modo Liberam , modo Proserpinam, Lo stesso scrittore rive- 
lando neir indicato libro, p. i8a le segrete credenze dei Greci, accenna alla 
mistica e saiutar unione di Libera con Plutone. 

(i) Vedi sopra nota i, pag» ia5. 

(a) V. Lido , Sui mesi p. 90 , Schow, in raffronto con quel di Petro* 
nio ; «Occidisti Priapi delicias , anserem omnibus matronis acceptissimum». 
Sat. cap. 37. 

(3) Conforme agli orfici dogmi, la cura della seconda vita era affidata 
a Dioniso ( Ermia, Comento al Fedro p. 94 , Ast.) , ed anche a Proserpina » 
da cui credeasi dipendesse il destino di tutti gli spìriti ; Men. p. 34B, Bekker. 
Quindi è che abbisognava la propizia associazione di quelle due deità perchè 
le anime sortissero la beatitudine eterna. La quale divina alleanza dovea 
rappresentarsi nei mister) come sagra imenca ; e ciò si argomenta tanto 
dal titolo dì sposa di Bacco , che davasi alla primaria delle Cerare , ossiano 
ministre dei segreti riti dionisiaci , quanto dalla formula solenne del inìstìcu 



{7.it)IOJ<ISO E LIBERA. 127 

rebbe tenere la Bgura di Sileno , ove ci facessimo a considerarlo nel 
più elevato suo aspetto j nel carattere cioè di sapientissimo e fatidico 
demone, a cui fu dato conoscere e rivelare non che le origini e la de- 
sliuazion delle cose, ma persino gli arcani della vita futura (1). 

Noteremo, da ultimo, che quella benda, la quale vedesi appesa 
nel (ondo , o come dicono gli artefici nel campo del quadro, afforzi U 
esposte congetture sul rappresentatovi soggetto. Una tal fascia, difatti, 
arredo che fii dei più usuali ne' santuarj (2), e medesimameule em- 



saluto. Salve o sposo ^ o nuova luce^ che dirigeasi a Dioniso, o più tosto a 
chi lo personeggiava. Vedine Fréret, Dissertazione sul colto di Bacco nei 
voi. XXIll , p. 2 53 delle Mem. deirAccad. delle iscriz. 

(i) In quanto alla soprannaturale sapienza di Sileno, potrebbe addursi 
Tautorìtà somma di Virgilio neirecloga VI , v. 3i e seg. , ove sono pure a 
riscontrarsi gii analoghi passi citati dai comentatori \ ma basterà solo ram- 
mentare quel detto proverbiale: (k>c ccttò 26<^i}voO elpvjfAÉvov, il quale avendo 
lo stesso significato della trita espressione , ex tripode dicium , pare (o di- 
chiari infallibile. V. i frammenti di Bacchilide editi da Neve p. 63. Rispetto 
poi alla sua prescienza delU condizione e vicende rlserbate allo spirito 
umano, va onninamente consultato quel luogo di Teopompo che leggesi 
nelle varie storie di Eliano 1. Ili, cap. i8. Nel quale notabile passo , tutto 
ciò che Sileno enigmaticamente racconta si di quelPampia regione, situata 
oltre i confini del mondo» ove trovasi Testremo limite irremeabile^ e si 
dei due fiumi della tristezza e del piacere , come anche di quegli arbori le 
cui frutta son cagione a chi ne gusta d* incessanti lagrime di dolore , mentre 
quelle di altre simili piante producono un effetto contrario , perché solle- 
vauo chiunque le assapora da ogni ansietà , e no rinnovano la vita ; tutti in 
somma i particolari di quest^allegorica narrazione alludono evidentemente 
alle vicissitudini , cui credeansi soggette le anime poi che vengono sciolte 
dai legami del corpo. A questa stessa prescienza o profetica virtù attribuita 
a Sileno riferisconsi del pari le seguenti parole di un^epigrafc scolpita sul 
plinto di un suo antico simulacro t praescivs oevi . . . ventvri , fatorvm 
ARCANA REGLVDAM. La quale iscrizione fu certamente dettata, come ha già 
avvertito il Mùller nel citato Manuale §. 392, 4 « da quello spirito di misti- 
cismo ch^cra proprio delle orfiche dottrine. 

(2) Cosi fatte bende servivano col nome di stemmi (cTé^^^xccra) , come 
di paramento ai sagri cdificj , e fecero parte tanto essenziale del loro ad- 
dobbo, che vennero financo indicate a malgrado la ristrettezza dello spazio 
in quei tipi di antiche medaglie . ove si volle rappresentare un qualche 
santuario. V. Cavedoni, Spicilegio numismatico p. ii4* nota (116). il 
quale opportunamente rammenta in tal luogo come talune di queste fasce 
cui erasi appiccata la fiamma da una vicina lucerna , avessero ridotto in 



128 in* RICERCHE ED OSSERVAZIOKI. 

blema nuziale (1) , sarebbe quivi allusivo tutf insieme e al luogo e allo 
argomento di questa sagra funzione. 

FILIPPO GARGALLO-GRIMALDI. 

cenere il famoso tempio delfargiva Giunone. Fanno di ciò menzione , oltre 
a Tucidide (IV, 33) da lui citato ^ Pausania ( II, 17), Clemente Alessan^ 
drino ad Protrept. p. 35i Potter, ed Arnobio 1. VI , p. 207, Maire. 

(i) La fascia della sposa ((uvq o pirpa) , cb^era un tessuto di lana al 
quale assomigliano il legame maritale ( Pesto v. cingulum ) t fu sotto la 
custodia di Giunone « cui uincla jugalia cura. V. Marziano Capella 1. II , 
p. 37, ed Arnobio p. xi5. Maire. Da ciò il nome Cìnxia ch*ebbe questa dea 
presso i Latini , equivalente al vocabolo Zuyioc (Esichio e Snida in voce). 



ANNALES 



AB 



L'INSTITUT ARGHÉOLOGIQUE. 



MEDAILLES INEDITES. 



( Mon, , PI. xxx.y. ) 



SAMirinM* 



N° 1. Téle virile, imberbe, coifFée d'un bònnet coniqué 
laure et sucinonté d*une étoile , à droite. Le bas du col est 
ceint d'une chlaniyde attachée par un bouton sur Tépaule 
droite. La couronne est retenue par une doublé bandelette 
flottant en arrìère. 

15Ì. Femme casquée, armée du bouclier et de la lance, condui- 
sant un bige au galop, à droite; dessous, T. AR. Denier. 

Le denier que nous venons de décrìre est attribué au Sam« 
nium, parce qu il ne porte aucun nom de magistrat romain ni 
aucun type de famille consulaire connue. La fabrique en est plus 
éloignée de celle des deniers romains que celle de toutes les 
monnaies sanìnites découvertes jusqu'à présent. Il est probable 
qu'à Texergue devait se trouver un nom tei que ceux de Pa- 
pius. Silo, Mutilus, ou d'autres chefs de la guerre sociale, déjà 
oonnus par les pùblicatìons d'Olivieri, de Swinton , d'Eckhell 
et de M. Millingen. Malheureusement les deux ou trois exem- 

AxriTALEs 1841. * 9 



■130 I. MÉDAILLES INÉDITES. 

'plaires de ce coin quiexistent dans les coUectionsn'ontpasun 
flaon assez étendu pour que Texergue sy trouve compris. Sous 
les chevaux, au revers, on lit seulement la lettre T, et Ton sait 
que les deniers isamnites portent, dans le champ, environ douze 
variétés de lettres isolées quelquefois répétées de chaque coté. 
Plusieurs numìsmates ont cru y reconnaitre l'initiale de late- 
Uer monétaire. 

Il serait peut-ètre convenable d'y chercher la lettre nume- 
rale indiquant Tépoque de 1 emission , ce qui n'aurait pas em- 
péché les Samnites de faire usage des chiffres X, XVI et XVIIl, 
sans doute pour exprimer la valeur du denier qui aura élé porte 
de X à XYI as, comme il arriya chez les Romains, puis à XVIII 
as, dans la disette de numéraire que la guerre sociale dut prò- 
duire. 

On a depuis longtemps obserré la ressemblance des mon- 
naies samnites avec les deniers romains, et cette iroitation , qui 
était nécessaire à Fépoque où les villes dltalie avaient cesse le 
monnoyage autonome, fut certainement adoptée à dessein par 
les nations osques et sabines composant la ligue. Mais, comme 
Tobserve M. Millingen, elles subirent cette nécessité. en ren- 
dant la plupart de leurs types dérisoires pour les Romains , 
puisqu elles choisirent de préférence ceux des familles dont les 
membres avaient succombé dans la guerre sociale, et méme, 
ajouterons-nous, dans la première guerre contre les Samnites, 

Tels sont les types des familles Porcia, Servilia, Veturia, 
Postumia, dont les Samnites firent cet emploi satyrique. Notre 
denier ne parait pas étre du nombre de ceux qui furent frap- 
pés dans cette intention. La.téte coiffée du pileus conique et 
laure surmonté d'une étoile pourrait étre prise pour celle d'un 
dioscure, parce que, si les bustes des deux frères ont été le plus 
souvent représentés ensemble comme sur les monnaies de,la 
famille Cordia, du Bruttium, de Locres, de Tyndaris, de Tripo- 
lis, on en voit quelquefois uh seul^ comme sur les médailles 
de Dioscurias et de Nuceria. Gependant nous inclinons plutót 
à reconnaitre ici la lete de Vulcain imberbe avec son pileus 
laure, divinité principale d'iEsernia, ville puissante du Sam* 



I. MÉDAILLES INÉDÌTES. 131 

niuni. Les deniers de la famille Carisia représentent le bonnet 
de Vulcain, laure, place sur l'enclunie, entre le foroeps elle 
marteau. Un astre est p)ftcé derrière la téte du méme dieu, sur 
les monnaies de la famille Aurelia. La fable de Fulvius Stel'- 
lus (1), personnage symbolìque et manifestement solaire , ap- 
partient probablement au méme eulte sabin. 

Le revers du denier représente Minerve ou Bellone dans un 
faige, et rappelle le type de la famille Licinia au revers de Jupi- 
ter jeune , foudroyant. Les familles Postumia et Porcia ont 
frappé un denier où parait Mars dans un quadrige, portant un 
trophée au revers de la téte de Rome. Ce sont les deniers qui 
ont le plus de rapport avec la pièce samnite dont nous venons 
de parler. 

Capoue. 

2. Téte de Jupiter lauree et barbue^ à droite. 

^. 3nnX. Aigle éployé sur un foudre, à droite. AR. 
Poids, 5 «S 95. 

Il existe un très-petit nombre d exemplaires de cette raé- 
daille d argent, connue depuis pende teraps seulement. Quant 
à son type, il est très-commun dans la numismatique capouane, 
et depuis qu'Olivieri a fixé l'attribution de ces monnaies à 
legende os.que, le travail de Daniele en a fait connaitre pre$que 
tonte la serie. Ce numismate a montré.que le eulte de Jupiter 
était dominant à Capoue; que ce dieu, dont le buste a été 
trouvé danfl les ruines de lancienne Capoue, avait donne son 
nom à Tuae des portes de.cette ville. Daniele citeencore più* 
sieurs iascriptions d autels votifs érigés en honneur de Jupiter 
avec les titres de Summus, Excellensy Uherator (2). Les mon- 
naies autonomes de bronze frappées à Capoue sont d*.une 
epoque où lart campanien était déjà sur son declina Elles pa- 
raissent , comme^ notre pièce d'argent , appartenir au temps 
de la guerre d' Annibal , epoque constatée avec beaucoup de 
sagacité par M. Millingen. Ce savant archéologue observe avec 

(1) Plutarcb.. ParaUeU., t. VII, p. 241, ed. Reiske. 

(2) Daniele , Monet. antiche di CapuOy p. 69 et seq. 

9. 



132 I« MÉDAILLES INBDITES. 

raìson que les villes d'Atella et de Gdlatia suivirent Texeinple 
de Capoue en abandonnant le parti des Romains. Aussi trou- 
Tons-nous qu'elles seules adoptèrent le monnoyage capouan 
avec la téte de Jupiter et au revers le niénie dìeu dans un char^ 
lancant la foudre (1). Le poids de notre pièce dargent est 
supérieur à celui du denier romain et .ijiférieur à celui du 
didrachme de Neapolis, de la Campanie avec la legende RO- 
MANO, et méme de ces pièces à la téte de Janus ayant au re- 
vers le Jupiter dans un quadrige avec la legende incuse ROMA. 
Quelques didrachmes tarentins ont éprouvé la méme diminu- 
tion de poids , et paraissent , par leur travail , appartenir à la 
méme epoque. 

Neapolis. 

3. Téte de femme à droite , ìes cheveux relevés par der- 
rìère et retenus par un cordon de perles aVec pebdants d'o* 
reilles et collier; le tout dans une couronne de laurier. 

^. NEAII0ÀI2, boustrophédon; partie antérieure d'un tau- 
reau à face humaine s agenouillant à droite. Un rang de perles 
entre deux baguettes borde au -dessous des épaules Tanìtnai 
symbolique. AR. 7 ^, 60. 

Gette médaille unique, la plus pesante de toutes celles qui 
appartiennent à la Campanie , fut découverte il y a environ 
tfente ans dans File de Capri. Son style très^ncien rappelle 
celui de plusieurs tétradrachtnes de Syracuse et de Gelas. Sa le- 
gende paléographique est remarquable par la manière dont FA 
est figure. Une monnaie bien plus recente de la méme ville 
porte cette méme lettre composée, comme icj, de deux jambages 
s'inclinant l'un vers lautre et sans trait horizontal qui les réu- 
nisse. Tarente, Crotone, Agrigente, Himera, ont souvent, ainsi 
que notre curìeux didracbme , le nom de la ville au lieu du 
nom ethnique pour legende. Terina, Métaponte offrent aussi 
le type d*une téte de femme dans une couronne de laurier. 
lei on ne peut douter qu elle ne représente la sirène Parthé^ 

(1) Millingen, Reeueil de Méd.^ p. 27 et ^8. 



I. MÉDAILt.BS INSDITES. X3'3 

nope, comme celles de Terina la sirène Ligea. Le taureau à face 
humaine se Fetròuve vu à mi-corps sur de nombreuses mon- 
naies de Neapolis en bronze^ frappées à une epoque bien plus 
rapprochée de nous, puisque Fune delles porte la legende 
PiìMAKìN. Les archéologues ont diversement interprete le 
type du taureau à face humaine : les uns y ont reconnu le 
Sebethus, petite rivière voisìne de Naples ; les autres, Bacchus 
Hébon , dieu de ces riches contrées ; quelques-uns , Achéloùs , 
divinité des eaux en general, tei quii est représenté sur les 
monnaies d'Àcarnanie et sur un célèbre vase d*Agrigente. 

Mbtavonte. 

4. Téte de Cérès à droite, avec pen^ants d oreilles et un coU 
lier. 

^. META. épi. dans le cUamp, un fruit. AR. Didr. 

Le dìdrachme de Métaponte, sous ce numero, n'est curìeux 
que pour la téte de Cérès , coiffée d'une manière tonte parti- 
culière. Ses cheveux liattés^ forment une espèce de bandeau 
termine en avant par une sorte d apex divise en trois boucles. 
flottantes. Au revers, on apercoit dans le champ de Tépi une 
téte de pavot. 

POSIDONIA. 

5. II02EIAÌ2N. Neptune imberbe debout a droite , le bras 
gauche étendu et frappant de son trident. Sur ses épaules 
flotte une draperie retombant de chaque bras. Dans le champ, 
un dauphin. 

^. n02EIAANIA. Taureau marchantà gauche; à Texergue, 
un dauphin. AR. Didr. 

6. Meme type de Neptune; le dieu est barbu. Dans le champ, 
à gauche, branche de laurier; à droite, téte et col d'un mons- 
tre marin. 

1)1. nOSEIAAN.... Taureau marchantà droite. AR. Didr. 
La première de ces médailles offre une particularité nou- 
velle, celle de Neptune, accompagnée de son nom IIOSEIAfìN, 



134 I. M£DAILI>£S INEDITES. 

tandis qu au revers paraìt le nota de la ville IIOSEIAANIA. 
Devant Neptune bondit un dauphin et , sur 1 autre didrachme, 
ii est remplacé par une espèce d'hippocampe y copie presque 
exacte des poissons singuliers appelés chevaux marins, si 
abondants sur la còte dltalie. Une belle pierre étrusque de ma 
coUection représrente Thétis portée par un monstre semblable, 
qui lui sert aiissi de monture sur une ciste grecque publiée 
par M. Raoul-Rochette (1). La {^ante qui croit derrière Nep- 
tune pourrait étre un Olivier , et faire , avec le cheval marin , 
allusion à la querelle du dieu avec Minerve. On voit en méme 
temps que Neptune tourne le dos au rivage indiqué par la 
piante , et frappe de son trident la còte opposée qui précisé- 
ment était celle où s'élevait le tempie de Minerve, à Textré- 
mité du golfe de Salerne. Le taureau , au revers de ces deux 
didrachmes , est le symbole de Neptune comme celui de Bac- 
chus, et sert de monture à chacune de ces divinités sur un 
beau vase de la collectiòn Feoli. 

Sybaris. 

« 

7. MVB. Neptune debout et frappant à droite. 

1)1. Taureau marchant à droite et couronné par la Victoire. 
AR. 1 «", 10. 

8. MTB. PL Méme type que le précédent. 

^. Colombe à droite sur une sorte de corde tendue. AR. 
1 »% 30. 

9. Legende ei'facée , méme type que le précédent. 
I)). Taureau marchant à droite. AR. 1 ^, 20. 

Ces trois pièces ne sont pas fleur de coin ; elles paraissent 
étre des dioboles , le didrachme de Sybaris pesant communé- 
ment entre 8^ et 7, 95 (2). he type de l'homme nu, frappant, 



(1) Baoul-Rochette , Mon. inéd., pi. VI. 

(2) La drachme de Sybaris est assez rare, et le tétrobole n'eùste que plus récent, 
frappé , à ce qae je crois , à Sybaris des Teatbras. lì a pour type la téte de Minerve ; 
au revers, le taureau debout, le plus squvent, se retournant. 



I. MBDAILLES INBDITBS. 135 

est rarement complet sur ces pelites médailles; presque tou- 
jours, comnie ìci, on ne peut déterminer quel est Tinstt'ument 
dont il est arme. La coUection du prince de S. Giorgio, à 
Naples, est assez riche en variétés de ces dioboles, pour per- 
mettre dy reconnaitre que cest constamment un Neptune 
brandissant le trident, comme sur les monnaìes de Posidonìa. 
Lies revers de nos petites monnaies de Sybaris sont varìés. Le 
premier porte un typerare, que les Thuriens ont quelquefois 
répété; le second, rare aussi, se rapporte au eulte deVénus, 
qui dut étre en honneur chez les voluptueux. Sybarites (1); en- 
fin, le troisième est oommun aux Sybarites et aux Posido- 
iiiates (-2). 

Gaulonia. 

10. KAV. retrograde. Apollon jeune, n«, debout à droite, 
et la téte ceinte d'une Candelette , porte sur son bras gauche 
étendu une petite figure nue et courant; de la main droite il 
agite un rameau de laurier. Dans le champ, un petit cerf se 
retoumant. 

15!. KAW. Retrograde. Cerf debout à droite, devant, un 
laurier. 

Nous avons essayé d'expliquer le type difficile de Caulonia 
dans notre mémoire sur les médailles de la grande Grece. Le 
didrachme que nous publions est remarquable par sa conser- 
vation et par son travail fin et correct. 

AgassìE de Macbdoine? 

11. Téte virile, jeune , imberbe et ceinte d'une bandelette, à 
droite. 

15). AFA. Dans une couronne de laurier. AR. 
La médaille que nous publions ici se trouve dans la coUec- 
tion de M. ***, à Smyrne, avec les deux suivantes. Le poids 



(1) NouveUes Annales, t. l, p. 401. 

(2) Ibid. 



136 l. MBOAILLES INÉDITES. 

ne nous en est pas connu. Son possesseur lattribue à la ville 
d'Agathopòlis, en Thrace , dont Nicétas Choniates a fait men- 
tion(l). Oq trouve dans les listes géographiques un petit 
nombre d'autres cités grecques, dont les noms conimencaient 
pai- les trois lettres ATA. Agathia de Phocide et Agamus près 
d'Héraclée du Pont, indiquées par. le seul Etienn e de By zance (2) ; 
Agathusa, qui plus tard s'appela Télos, selon Jasion et Galli- 
maque (3); Agamède, rangée au nombre des huit villes daiis 
rìle de Lesbos. Elle s anéantit graduellement avec celle d*Hiéra, 
et n*existait plus au temps de Pline le naturaliste (4) ; Aga«- 
thicum, peut-étre la méme ville que celle nominée x4Lgathia 
par Etienne de Byzance. Tout ce que nous savons d'Agathicum , 
e est qu'elle fut renversée par un tremblement de terre sous 
Tempereur Anastase, comme nous Tapprend Marcellus Comes. 
Ortelius suppose quelle était située en Asifs Mìneure. Enfin, 
Agassae pu Ag^ssa de Thrace, sur les frontìères de la Macé- 
doine, près du fleuve Haliacmon. Op voit que, parmi le$ noms 
otferts au Qhoi% de^ nuipìsm^tes, il est diffìcile de se fixer avec 
quelque certitude. Gependant, quelques-uns peuvent étre d*a-? 
bord éliininés comme apparlenant k des localité^ trqp obscures 
pour avoir pu battre monnaie. Telles sont Agathia, Agatho- 
polis, Agamus, Agathicum. Agathusa, npin primitif de Télos, 
ne devait plus étre usité lorsque fut mise en circulation cette 
méd^illey ^e fabrique d'aille^irs européeni^e et £(ssez recente, 
Agamède parait avoir langui longtemps sans richess^ et sans 
pouvoir, avant de raourir, selon Texpression de Pline ; il n'est 
donc guère présun[iable que notre médail)e appartienne à au- 
cune de ces villes. Après elles reste celle d'Agassae, à laquelle 
on pourrait Fattrìbuer avec quelque vraisembjance. Ti te-Live 
nomme deux fois Agassa ou Agassae, et la désigne comme une 
place assez importante de la Macédoine, su nord de Dium, 



(1) Lib. II,e. 1. 

(2) Verb. 'AyàO. et 'Aya[L, 

(3) Plin. maj., lib. IV, e. 12. Stepb. verb. TyjXo;. Hesych. iu verb. \yà^WTOL. 
{\) Plin. maj,, lib. V. e. 31. 



I. MBDAILLB8 INJSDITBS. 137 

Durant la guerre des Romains con tre Persée, Agassae se sou- 
init Tolontairement aii consul Marcius Philippus et lui donna 
des otages ; mais elle ne tarda pas à revenìr au parti de Persée, 
et.sa défection fut chàtiée par le pìUage auquel la condamna 
Paul-Émile (1). Etienne de Byzance, daprès Théopompe, 
range panni les vìlles de Thrace, Agessus , qui ne peut différer 
d'Agassse. M. Leake, dont les observations topographiques en 
Macédoine ont été faites avec toute Tintellìgence et Téruditìon 
d*un vojageur et d un archéologue éminent y pense que lan- 
cienne Agassae deyait étre assez éloignée de la mer, à moiti^ 
chemin entre Katerina et le passage de Yistritza , sur la route 
de Verna, Fancienne Berrhoea (2). Ortelius et Turnebus ont 
mis en doute l'existence d' Agassae, mais leur examen des 
textes a été trop superficieL Drakenborch réfute victorieuse- 
ment la critique et les corrections de ces deux savants (3). 

Si Ton cherchait dans le type de notre médaille quelque 
donnée pour son attribution, on observerait que la téte virile 
imberbe, ceinte d'une bandelette , rappelle les types d' Arché- 
laùs et les bronzes de Patraeus , où Ton voit Apollon jeune 
ainsi figure, avec la différence de style qu exige la distance des 
époques. Au revers, la couronne de laurier dans laquelle sont 
inscrites les.initiales de la ville, se retrouve sur des monnaies 
de tous les pàys grecs, mais, en particulier, sur les autonomes 
de la Macédoine et sur les impériales d'Édesse, ville de la méme 
contrée. On se souviendra encore que les monnaies du der- 
nier roi de Macédoine portent une couronne, non de laurier, 
mais de chéne, entourant laigle et le nom de Persée. G'est à 
1 epoque de ce prince que parait appartenir la médaille dont 
nous venons de nous occuper en la donnant à la ville d'Agassae, 
sans méconnaitre Tincertitude qui doit rester encore sur cette 
attribution. 



(1) Tite-Live, lib. XLIV, e. 7, et lib. XLV, e. 27, 

(2) Travels in North. Gr., t. UI, p. 424. 

(3) Ad Tit.-LiV., loc. supr. 



138 I. MÉDAILLES IHÉDITES. 



Dymb d'Achaìb. 



12. AY. Téte de fenine coiffée de la sphendoné a droite. 

^. Acnphore. AR. 

La fabrique de catte petite médaille appartieni au Pelopon- 
nèse. Dans cette régìon on ne trouve que la ville de Dyme à 
laquelle les initiales AX puissent conTcnir. 

Située à Foccident de l'Achaiie, entre Olenus et le promon- 
toire d'Araxus, Dyme, autrefois nommée Palea, avait reca son 
nom, soit de Dytnas, fils d*i£gjmius, soit de Dyme, femme indi- 
gène, dont la téte pourrait étre celle gravée sur notre médaille. 
Telle est la version de Pausanias (1), appuyée sur un dbtyque 
relatif à la statue du ceureur ^botas, érigée à Olympie. A cette 
autorité s oppose celle de Strabon qui reconnait pour ancien 
nom de Dyme celui de Stratos , et explique le dernier qu'elle 
porta par sa situation occidentale. Il ajoute que Dyme était 
surnommée Cauconide, en mémoire de la nation cauconienne 
qui s*était étendue jusque-là, ou à cause de quelque fleuve (2). 
Cette dernière opinion est peu justifiée par Tétat actuel des 
lieux, puisque Dyme, dont subsistent encore de faibles ves- 
tiges, ne parait avoir été iroisine d aucube rivière. Son sol est 
propice à la culture du blé et de la vigne (3) , et ce feit suftì- 
rait pour expliquer le symbole de lamphore au revers de no- 
tre médaille. Quant au nom de Stratos que Dyme porta d a- 
bord, selon Strabon , il est à croire que le géographe aura été 
induit en erreur par le mythe de Sostratos , adolescent aimé 
d'Hercule et auquel le héros tbébain érigea un tombeau dans 
un champ voisin de Dyme , à droite en venant à,n fleuve Lari** 
sus (4). Au temps de Pausanias on voyait encore la stète fune- 
rairé surmontée d'une image d*Hercule, et les habitants y 
célébraient des solennités annuelles. Dyme, qui avait com- 

(t) Lib. VII,c. 17, §3. 

(2) Geog., lib. Vili, S 5. 

(3) Leakc, Marea, t. HI, e. 27, p. 227, et t. Il, e. 15, p. 153. 

(4) Pausan., foc. sup. 



I. 1IIBDAII.LBS INBDITES. 139 

mencé la ligue achéenne avec Patras (1), subsista jusque sous 
la doniination imperiale ; on y vénérait spécialement Minerve, 
Cybèie, dite la mère Dindymène, et Attès ou Atys. Il est prò* 
liable que répithète de Dindymène offrait, avec le nom de la 
ville ^ des rapporti religieux plus directs que Pausanias n*a 
jugé convenable de nous le faire connaitre. Les distances de 
Dyme à P^^ras ou Olenus , telles que les estiment Pausanias 
et Strabon , sont critiquées et réformées par MM. Leake (2) et 
Dodwell (3). 

Ptolémee compte une autre ville de Dyme parmi celles de la 
Thrace. 

CYNTIWItJM. 

1 3. Téte de femme , peut-étre de Diane , à droite. 

t KTNTf. Palmier. AR. Fruste. 

L etat de cette médaille laisse queique incertitude sur la 
première lettre de sa legende. Son possesseur lisait TIRYN. et 
] attribuait à Tirynthe d'Argolide. Mais , outre que la destruc- 
tion de Tirynthe par les Argiens (4) preceda de beaucoup Yé- 
poque où les villes du Péloponnèse frappèrent des monnaies , 
la forme paléographique du Rho, teli e quii faudrait Tad- 
mettre , est en désaccord avec le style de cette médaille qui 
appartieni à l'epoque d*un art perfectionné. Il nous semble 
doric que la legende KVNTI. est la véritable. Au reste , cette 
lecon ne nous donne pas la faculté de choisir. 

Une seule des quatre villes de la Doride près du Parnasse 
porte ces cinq initiales ; un seul passage nous fait cohnaitre 
son nom éòrit comme sur notre médaille. 

Thucydide (5), Strabon (6), Etienne de Byzance (7), la nom- 
ment CJ^fo/Kon; Ptolémee, Cjrteinwn. Diodore est le ^èul qui 

(1) Polyb., lib. Ili p. 41. 

(2; Morea, t. II, e. 15, p. 160. 

(3) Tour through Greece, t. TI, p. 311. 

(4) Paasan. Itb. II,c. 17,§ 5. 

(5) Lib. I et III. 

(6) lib. X.> 

(7) Vcrb. KuTiva. 



140 I. MÉDAILLBS INÉOITB8. 

donne le nom de C/'ntìnion (1), eneore un manuscrit produit-il 
la lecon ordinaire, et Wesseling, en corrigeaht une erreur 
enorme qui , dans un texte de Diodore , substituait Euboea à 
Boeum , n*hésite-t-il pas à restituer le nom Cytinium (2). A de 
si graves autorités anciennes et modernes on né peut rien 
objecter, sinon que nulle autre ville grecque n*est connue à 
laquelle les initiales KYNTI puisseni s'appliquer,' e^ que, d'ail- 
leurs, les types de notre médaille conviennent bien à une ville 
située près de Delphes dans une contrée probablement eonsa- 
crée au eulte d*Apollon. G est eneore à M. Leake que Ton doit 
les recherches les plus exactes sur Templacement vraisembla- 
ble des villes de la Doride et en particulier de Cytinium (3). 

Ptranthus de Crete. 

14. Téte de femme coifFéede la sphendoné et ornée de bou- 
cles dWeille à gauche.. 

^. nXP. Chèvre debout à gauche. AR. 

1 5. Téte de Minerve casquée à droite. 

^. nrP. A0E. Chèvre debout à droite, AR. 

La fabrique de ces médailles et le type de la chèvre dont 
elles sont ornées ne laissent pas de doute sur leur orìgine ere- 
toise ; elles se rapprochent, pour leur revers^ des types si sou- 
vent répétès d'Élyrus, de Tylissus, d'Hyrtacus et. d*autres 
villes de la Créte, On sait que dans cette ile , célèbre par ses 
archers^ la chèvre sauvage abondait autrefois sur les hauteurs 
escarpées ou elle se trouve eneore, ^t qu'elle était consacrée 
à Apolion , peut-étre à cause de Topinion populaire selon la- 
quelle la chèvre sauvage blessée allait chercher sa guérison en 
appliquant du dictamne sur sa plaie. La téte de femme sur la 
médaille n^ 14 doit étre celle d*Àcacallis ou de Diane Dictynna 
Fune des principales divinités crétoises. 

J*attribue cette médaille et la suivante à Pyranthus, ville de 

(1) Lib. IV,c. 67. 

(2) Adnoi. ad loc, ed. bii>., t. Ili, p. 528. 

(3) Travels in Northern^ Greece, t. H, p. 71«9'j. 



l. MBOAILLBS INEDITES. 141 

la Créte orientale, aujourd*hin Pyrathé, dans leparchie de 
Rhìzo-Castro(l). 

La raédaille n"" 15 porte, au revers, une legende doublé at* 
testant une alliance de Pyranthus ayec Athènes. Or, selon 
Etienne de Byzance, Pyranthus était une petite ville dépen- 
dant du territoire de Gortyne (2), et les antiquaires ont déjà 
depuis longtemps observé les rapports qui existaient entre les 
principales villes de Créte et Athènes. M. Cousinéry a cons- 
tate que le didrachme avee Europe sur le taureau, et, au re- 
vers , une téte de panthère de face , se trouvait souvent à 
Athènes^ cependant il appartient à Gortyne comme sa legende 
en fait foi. Plusieurs tétradrachmes de type absolument athé» 
nien sont crétois par leur fabrique , et lun d'eux, de ma coliec^ 
tion, montre dans le champ de la chouette une téte de taureau, 
symbole de Pbsestus ou de Gortyne. Cydonia, dans la méme 
ile, a frappé un tétradrachme copie, sauf h legende, sur ceux 
d* Athènes d'une fabrique assez recente; notre seconde me- 
daille de Pyranthus porte sur la face principale la téte de 
Minerve casquée et copiée de la numismatique athénìenne. 
Son revers avec sa legende si explicite la met au nombre des 
pìèces frappées dans le but probable de servir au commerce 
de la Créte avec FAttique. 

Pantigàpée. 

16. Téte de Pan, les cheveux hérissés, à gauche. 

^. IIAN. Panthère ailée et cornue debout à gauche, la patte 
droìte antérieure levée sur un épì, et tenant dans sa giieule un 
javelot. AV. Statère. 

On est d'accord pour expliquer le type de la téte de Pan 
comme allusif à la première partie du nom de Panticapée sur 
les médailles de cette ville, et M. Panofka (3) cite à ce sujet un 



(1) Pashiey, Travels in Cr^te, 1. 1, p. 291. 

(2) Vcrb. IlupavOoc. 

(3) Annali, t. lY, p. 196, note. KecpàXT), ol fià Tcapà tò xaTCO) tò irvéo), xaTcoX?^ xai 
xs^aX^) , olovE^:^ SiaTcvéouaa, Tcopa tò tcveiv* 66ev xod xfiic(K à ^lai^veóiisvoc tótto;. 



142 I. MBDA.ILI^S INBOITBS. 

passage du grand étymologique étendant laUitsion au nom 
tout enlier. 

Selon Sirabon , Panticapée était barbe sur un tumulus en- 
touré, jusquà la distance de Tingi stades, de nombneuses ba- 
bitations, avec un port nommé Nympbeeiun, et dans une régìon 
très-fertile en céréales. Gette situaùon de Panticapée suffirait 
pour justifier son nom et le symbole que porte sa mon^ 
naie d'or sur sa face principale. Il faut observer d'aiUeors que 
la Gbersonnèse Taurique, les vìlies d'Olbia dans la Sarmatie 
européenne et celle de Phanagoria dans la Sarmatie asktiqae 
ont au&si adopté la lete de Pan sur quelqaes-unes de leurs me- 
dailles. Mais quel était le dieu dont le cuke était aiiisi répandu 
autour da Bosphore cimmérien, presque à Tégal de cehii de 
Diane Taurique? 

Les caractères mythologiques de Pan sont simmltipliés et si 
différents dans les traditions reeueillies par M. Creu^er {Sym 
bolic,^ t. Ili et IV) , que Fon éprouverait une insurmontable 
dilEculté pour fixer ceux qu il avait revétus en Gbersonnèse^ si 
des attribuis particaliers ne les indiquaient sur les médailles 
qui nóus sont parvenues^ 

Àinsì, à Panticapée, la couronne de liesrre Tidentifie avec 
Baccbus, selon le témoignage de Diodore (1); nous ne parle- 
rons pas de ses cbeveux bérissés et comme rayonnants ; ils 
peuvent étre à la fois un symbole solaire, une allusion à Borée 
tei qu il est représenté sur plusieurs vases grecs; c'est aussi la 
coiffure naturelle de Pan , dieu de la terreur. Mais les cornes 
de taureau dont il est arme sur une médaille d'Olbia le carac- 
térisenl comme Tastre dujour dans le -signe du printemps. La 
téte de taureau, celles de lion et de bélier, au revers de la téle 
de Pan sur les médailles de Panticapée , se rapportenl proba- 



(1) Une genealogie nomme Pan fil» d'OEueis, la oyi&phe du vin (Schei. Tbeocrit., 
1,123). 

«... Pan n'est pas consìdéré seulcment comme le compagnon deBacchus, mais en- 
te core il est confonda avec lui aussi bien que Silène. Diod., ap. Euseb. prcep. ev. IT, 1. 
ft Leur lien est toujours ici le soìeil, et Pan lui-méme est le soleil. » (Macrob., Sat. T, 
21. Creuzer, t. UT, p. 239.) 



I. MÉDAILLES INBDITES. 143 

hlement au passage du soleil dans trois signes du zodiaque. 
^ On sait d'ailleurs que Pan est Tamant de la lune quii séduit^ 
aÌDsi que Cérès, sous la forme du bélter (1), et, dans la Cher- 
sonnèse Taurique , où les dogmes orphiques ont dù régner 
comme en Thrace , Pan ne pouvait manquer d'occuper une 
place très-élevée dans la hiérarchie divine où il figure comme 
identique à Phanès ou Ericapaeus , divinité aux ailes d'or, aux 
épa^les surmontées de tétes de taureau , avec un serpent sur 
la téte» étre primitif, créateur de la lumière. (2). 

C'est de l'Asie que vint la religion de Panticapée, puisque 
les traditions héroiques de cette ville en attribuent la fondation 
à un des fils d*Aétès (3). Avec cette origine , on ne doit pas 
étre surpris de voir les habitants de Panticapée consacrer 
leurs principaux types à Pan , Tacoljte de Bacchus, puisque ce 
dernier, revenant vainqtieur de la guerre contre les Indiens, 
laissa en Ibérie le dieu Pan pour la gouverner (4). Or, Tlbérie, 
située à Textrémité de la mer Noire, touchait à la Colcbide. 
Ses montagnes étaient fen;iles en vignes et en oliviers ; ses. 
plaines produi^aient du blé en abondance; le passage fabuleux 
de Bacchus dans ces contrées y laissa des traces profondes 
comme dans la Thrace; et la part que les Milésiens prirent à* 
Fagrandissement de Panticapée ne fut pas assez efficace pour 
substituer entiérement le eulte d'Apollon à celui du fils de 
Sémélé ; au contraire, les deux cultes furent associés debonne 
heure , et de méme que sur les monnaìes de bronze , la téte 
d'ApoUon lauree, celle du lion, le griffon(5), le trépied, sont 
des marques de la religion milésienne , de méme le revers de 
notre pièce d*or reproduit lanimal symbolique sculpté entra les 



(1) Virg., Georg,, III, 391 et seq. Creuzer, t. IV, p. 80, 81 et 310. 

(2) Creazer, t. IH, p. 293. Cf. Panofka, loc. supr. 

(3) Eustath. aJDÌDays. Perieg., v, 311 . Steph. Byz. of. Ilavrixàir. Le type da bélier 
sur les médailles de Panticapée peut avoìr rapport à la religion de la Coldiide où le 
bélier à toison d*or jouait un ròle si important. 

(4) Psendo-Platarcb. de FiunUnib, 1 6. Satjrms était un nom royal dans le Bosphore 
cimmérien. Diod. Sicul., lib. XIV, e. 93. 

(5) Dans le champ de ces médailles on voit souVeut le requin et Tespadon. 



144 I. MÉDÀILLBS INÉDITES. 

chapiteaux des antes à l'intérìeur du tempie d'Apollon didy- 
méen à Milet (1). 

Le méme monstre symbolique est attaché au eulte dionysia* 
que sur troìs monuments du musée PioClementin (2); il ap- 
partient à celui d* ApoUon , Iorsqu*il supporto un candélabre de 
marbré consaeré à ce dieu et conserve dans le musée de Na- 
ples (3). Il se retrouve dans Tancienne relìgion asiatique comme 
en font foi les médailles de Tarse où il sert de monture à la 
déesse Astarté ; on le voit soutenant un autel de Gérès ou 
d^ApoUon hyperboréen (4); enfin il porte une Néréide, lors- 
que , dépourvu de ses aìles, il se termine en queue de pois* 
son (5). 

Il ne sera peut-étre pas superflu de remarquer la nouvelle 
allusion au nom de Pan et de Panticapée que présente le fiom 
de la Panthere ailée sur notre médaille. La lance qu elle tient 
dans sa gueule ne peut offrir un sens mystique très-profond , 
puisque , sur un grand nombre d*autres médailles , on yoit un 
lion brisant un trait (6), une épée (7) ou portant dans sa gueule 
soit une lance (8), soìt un - sceptre ou méme un foudre (9). 
Lorsque le lion brise le javelot ou ronge une épée, on y recon. 
nait les moeurs de cet animai feroce et intrèpide : 

Tum demùm movet arma leo , gaudetque comarUes 
Excutiens cervice toros, fixumque Uttronis 
Impavidus frangit telum et fremii ore cruento (lO). 

Mais si le lion porte paisiblement dans sa gueule soit une 

(1 ) Antiq. ofJonia, 1. 1, pi. 8 et chap. 3. 

(2) Visconti, Mus. Pio-Clem., t. IV^pl. 25, 29 44. 

(3) Gargiulo, Raccolta, n** 39. Aa-dessus de ces monstres se tiennent debout des 
^igognes snrmontées de tétes de bélier. 

(4) Clanic,n®487. 

(5) Id. 82. 

(6) Médailles de Cardia, de Perdxccas, de Capone, Sardes et Natiolum. 

(7) De Velia; doublé statère attribué à Cyziqae dans la coUection de M. Dnpré à 
Paris; médaille de bronze du musée Kircheriano, pi. XI. 

(8) De Panticapée (bronse), de Capoue et de Sagalassnsde Pisidie. 

(9) De Domitien , Caracalla , Anrélien, Postume, Probns. 

(10) VirgU., jEneid., XII, t.6. Cf. Lucan , I, 212. 



-so 



Il 



il 



J f S ! 

M ' I. 



'4 






^ 'llll 

1 01 ^ li 



11 



e X 



< ^ 





Ai\uk 1841 



-a-l 



Tav.dA.D 




Ti 






oc 

si 




I \ 





>'; 



.É 



k-,«L^ 



'^ 



V. 



<>-. 



y 



/ 











^ 



va 




» 



f. MEDAILLES INÉDITES. 145 

arme, soit un attribut sacre, il devient le symbole d'une divi- 
nile, comme sur une pierre gravée de ma collection où, poi- 
tant une téte de chèvre, le lion parati élre ie symbole de 
Bacehus ^gobolus et du méme dieu fondaleur des représen- 
tations dramaliques ( 1 ). 

Héraclée de Bithynie. 

J7. Téle de lion à gauche. 

R-. HPA , retrograde; massue couchée et feuìlle de lierre. 

D'après le témoignage de M. Allier d'Hauteroche , qui re- 
cueillit plusieurs pièces de ce genre à Héraclée de Bitliynie , 
cette médaille paraìt devoir étre attribuée à la méme ville. La 
legende retrograde, au revers, est une particularité qui ne peut 
étre le résultat d'une méprise, mais plutót une affectation 
d'archaisme. Au reste , il règne beaucoup d'incertìtude sur la 
numismatique appartenant aux villes du nom d'Héraclée. Elles 
étaient très-nombreuses dans l'antiquité; la provenance des 
médailles peut seule fixer sur leur véritable origine, et ne doit 
étre admise que sur des témoìgnages aussi dìgnes de foi que 
multipliés. 

lALTSqf DANS L ILE DE RhODES. 

1 8. IAAX2I0N. Téte d'oiseau de proie à droite ; dans le 
champ une palmetle ; le tout dans un carré creux. 

I)). Partie antérieure d'un sanglier ailéà gauche. AR. 14,00. 

Le type de ce beau médaillon était déjà connu par la publi- 
cation de H un ter, dans le recueil duquel il était rangé parmi 
les incertaines (2). Sestini le fit graver de nouveau et lattribuait 
à Clazomène, à cause du sanglier ailé qui se voit au revers, et 
dont les ravages en Ionie furent célèbres dans Tantiquité he- 
roìque (3). Sestini n'avait pu interpréter la legende incomplète 

(1) Cf. Musée Blacas, pi. XXU, et rexplication de M. Panofka. 

(2) PI. 66,fig. 18. 

Le médaillon de Huuter est d\in coin dìfférent ; la téte d'oi.seau est tournée du eóté 
oppose. 

(3) AElian., Nat. anim., IJb. XII, e. 38. 

10 



146 I. MÉDAILLES INEDITES. 

dii inédaillon de Hunter, où les letlres AA,Y2lON étaient res- 
lées seules visibles (1). Notre exemplaire, plus entier, ne 
laìsse pas de doute sur la véritable lecoi> ni sur raitribution 
positive de cette rare médaille. Le sanglier ionien fournit un 
type commun à beaucoup de villes. particuHèrement à Samos^ 
qui produisit un grand nombre de inédailles d'argent d'un 
style assez ancien et d*un petit module, marquées de la partie 
antérieure d'un sanglier ailé ou sans ailes, au revers, d'une 
téte de lion dans le carré creux. C'est Sestini lui-méme qui , 
sur l'inspection de la legende, classa ces monnaies à Samos (2), 
et il aura perdu de vue son observation en attribuant sans mo- 
tif suffisant notre médaille à Clazomène. 

L'histoire religieuse de Vile de Rhodes nous apprend qu'Hé- 
lius , fils d'Achanto, eut trois fils, lalysus , Gamirus et Lìn- 
dus (3). Chacun de ces héros fonda une ville dans l'ile où ils 
étaient nés, et telle fut l'origine des trois cités déjà célèbres 
du temps d'Homère, qui valurent à ce pays l'épithète de N^ao; 
zfiizoki^ (4). Selon une autre genealogie , lalysus était fils de 
THéliade Cercapbus et de Cydippe ou Lysippe(5). Une troi- 
sìème filiation , donnée par Diodore (6), attesle qu'après le 
meurtre de Tanagès, l'un des Héliades, son frère Ochimus^ 
innocent de ce crime, resta dans Tile le Rhodes, y épousa la 
nymphe Hégétoria, dont il eut une fille, Cydippe ou Cyrbia, 
qui s'unit à son frère (^ercaphus. Leurs trois fils se nommèrent 
Lindus, Gamirus et lalysus. Les actions de ce dernier nous sont 
inconnues; cependant il parait quii fut considéré comme un 
chasseur semblable a Géphale, Méléagre et Actéon, si l'on 
s'en rapporte à ce que les anciens nous ont appri sur la cé- 
lèbre peinture où Protogène l'avait représenté avec un chien 
haletant auprès de lui (7). L'illustre artiste put continuer son 

(1) Sestini, Descriz. degli stateri antich.» p. 80 et tab. 8, n** 12. 

(2) Descr. dell, med, ant. del. Mas. Hedetv., t. II, p. 208, n° 9. 

(3) Cic, de Nat. deor., lib. Ili, e. 21. Arnob., IV, 14. Pindar., Ol. VII» t34. 

(4) Scylax. TóSo?. 

(5) Enstath. ad Hom. //. II, v. 656, p. 31ò. 

(6) Lib. V, e. 57. 

(7) PliD.maj., lib. XXXV, r. U). 



I. MEDAILLES INÉD|TES. 147 

travail durant le siége de Rhodes, gràce à la faveur el a la 
protection de Démétrius Poliorcètes. Cette peinture , qui 
excita, dans rantiqnité, une admiration generale, avaitétévue 
à Rhodes par Cicéron (1) et Strabon (2). Du tenips de Pline, 
elle était à Rome dans le tempie de la Palx (3) , un incendie la 
détruisit (4). 

Tlépolème, fils d'Hercule, force de quitter son asile d*Argos 
pour avoir tue Licymnius, fils d'Électryon, alla s'établir dans 
rìle de Rhodes, alors occupée par les Hellènes (5) , qui sV 
étaient établis sous la conduite de Triopas, fils de Phorbas. 
Tlépolème , admis au partage du territoire, fonda les villes de 
Lindus, lalysus et Camirus. Plus tard, il regna sur l'ile en- 
tière et assista les Grecs durant la guerre de Troie (6). 

Les Phéniciens prirent part à Tagrandìssement dTalysus , 
puisque Cadmus, battu par la tempéte et descendu sur la 
plage rhodienne, y laissa quelques-uns de ses compagnons, 
qui, recus par les lalysiens, fondèrent parmi eux une race sa- 
cerdotale (7). lalysus avait une forteresse bien défendue par la 
nature et par ses remparts, qui se nommait Ochyroma (8). Elle 
fut occupée par Phalanthe et resista longtemps à Iphìclus (9). 
Cette ville jouit longtemps d'une assez grande impoftance 
pour don ner son nom à la région òù elle était située(lO). Ses 
niotinaies étaient méme bien connues dans la circulation com- 
merciale; on les nommait iaXuaia( li). Maintenant élles sont 
peu nombreuses ; cependant leur module est celui du tétra- 



(1) Orator., e. 2. 

(2) Lib. XIV, e. 2,5. 

(3) Lib. XXXV, e. 10. 

(4) Plutarch., in Demetr., t. V, p. 38. Reiske. Cf. Raoul-Rochette, Ptint; ant. irUd. 
p. 35, 41, 232. 

(5) 7¥e faodrait-il pas piutòt lire Héliades ? car an des chefs de cette tribù se nom- 
mait ausai Triopas. 

(6) Diod. Sicul., lib. ly, e. 58. 

(7) Diod. Sicul., lib. V, e. 58. 

(8) Strab., lib. XIV, e. 2, 12. 

(9) Atbcii.,lib. VIII,c. 61, 

(10) Dionys. Alexand., Orh. descript. Diod. Sicul., lib. IV, e. 57. 
(11} Hesycb. sub verb. 

IO. 



148 !• MÉDAILLES INEDITES. 

cirachme; leur fabrique archaique est belle, et leur poids 
égale celui du plus ancien médaillon de Rhodes. Il existe 
dans ma collection une médaille dargent de Lindus en- 
core inedite. On en possedè, de Camirus, dont le poids et 
le module répondent à ceux de notre tétradrachme; on j 
voit une feuille de figuier et, au revers , un carré creux 
avec la legende KAMIPEfìN (1). En examinant le type de la 
médaille d*Ialysus, on est frappé de son analogie avec les mon- 
.naies de Lyttus, en Créte, où parait un aigle volant au revers 
d'une téte de sanglier. Cetie ressemblance est, en partie, jus- 
tifiée par lorigine dorienne des Rhodiens et des habitants de 
Lyttus (2); d'ailleurs, les Telchines, nés de la mer (3), vinrent 
de Sicyone en Créte, et de Créte dans Tile de Rhodes, où ils 
se fixérent. Ils étaient amis de la navigation , adonnés à la 
sculpture, à la metallurgie et; à la magie; Apollon Hélius était 
leur dieu principal (4). Leur établissement dans Tile de Rhodes 
preceda ou accompagna celui des Héliades dont ils partageaient 
le eulte; aussi semble-t>il que la médaille d'Ialysus , avec son 
type crétois, conserve des traces de cette union, puisque l'on 
y observe le sanglier, ornement habituel de la prone des vais- 
seaux grecs (5)^ et la téte de laigle, oiseau solaire, destruc- 
teur des serpents dont File était autrefois infestée, symbole 
' assez fréquent sur les médailles de Rhodes, dont la principale 
montagne était couronnée par le tempie de Jupiter Atabyrius, 
fonde par le Crétois Althaménes (6). Atabyrius est aussi le 
nom d'un des Telchines (7). 

(1) Sestini, Leu. Contin.» t. VII, p. 82 , et pi. 2, n° 26. 

(2) Strab., lib. XIV, e. 2, 6. Plul., de Firt, mul., t. VII, p. 17. Kciske. 

(3) £n cette qualité ils n'avaient pas de pieds et leurs maìns étaient palmées. Eas- 
tatb. ad Hom. 

Il nous semble qae les médaiUes dltanus, en Créte, représentent plnt^t un Telcbine 
qu^un Triton. 

(4) Cf. rieumann, Rer. Cretic. Specim., p. 38-40 et 68. 

{5) Cf. coupes ornées de vaisseaux, autrefois dans la eollection de M. Beugiot, et les 
médailles de Pbasélis où l'on voit d*an coté la proue à téte de sauglier, de l'antre la 
poupe avec son acrostolium. 

(6) ApolL, III, 2, 1. 

(7) Slepb. Byz., verb. 'Arde. 

Deux médailles d'argent da cabinet Allier d'Hauterocbe , classées à Clazomène , 



I. MÉDAILLES INÉDITES. 149 

Durant ìa. vingtième année de la guerre du Péioponèse , et 
dans la 92^ olympiade, les Lacédémoniens prirent Gamirus, 
qui navait pas de murailles; iis persuadérei! t aux Lmdiens et 
aux lalysiens dabandonner le parti d*Athènes (I). L'Olym- 
piade suivante, les trois plus anciennes villes du territoìre 
rhodien furent abandonnées par leurs habitants, qui se réuni- 
rent dans les murs de Rhodes (2). Au temps de Strabon , laly- 
sujS n'était plus qu'une bourgade sans importance. 

Idtma^ 

19. Téte virile, jeune, imberbe, vue de face, les cheveux 
épars, et armée de comes naissantes. 

t lAYMION. Feuiile de figuier. AR. 3, 75. Drachme. 

Sur le rivage d'Asie , en face de l'ile de Rhodes , la Carie se 
terminait au pays des Gàuniens, qui parlaient la langue ca- 
rienne, mais dont l'origine et les lois étaient crétoises (3). Aver 
le pays des Gauniens finissait aussi la région appelée la Doride, 
et commenjcait la Lycie. Gette contrée devint lasile du Tel- 
chine Lycus, lorsque, prévoyant que Rhodes allait étre inon- 
dee par la mer, il quitta ce séjour avec ses frères, pour aller 
sétablir sur le continent. A la suite de son émigration, Lycus 
eleva le tempie d'ApoUon Lycien. G'est sur la limite des Gau- 
niens et de la Lycie qu était batic la ville d'Idymus , que Ptolé- 
mée et Etienne de Byzance plaqent panni les villes de la Garie(4). 

Lafèuille de figuier, au revers de notre drachme, répète le 
type de Gamirus que nous avons décrit plus haut. Pour la téte 
de face, ses cheveux épars, ses cornes naissantes et son aspect. 
farouche, ne permettent pas de songer à l'Hélius de Rhodes, 
mais plutót à quelque personnage comme Pan ou Actéon , que 



doivent appartenir à lalysus : Fune a une téte d'oiseau , l'autre un sanglier ailé au re- 
vers d'un carré creux. Dumersan, Cabinet AUier^ pi. XIV. 

(1) Thucydid., lib. Vili, e. 44. 

(2) Diod. Sicnl., lib. XIII, e. 75. Slrab., lib. sup. eie. 

(3) Strab., XIV, e. 2,3. 

(4) Sleph. Byz., verb. 'i6u(JL. Ptol. Bert., p. 137. 



lÒO I. MEDAILLES INBDITBS. 

les cornes naissantes pourraientcaractérìser. Od se souviendra 
que, selon une tradition rapportée par Eustathe, les Telchines 
étaient les chiens d'Actéou métamorphosés enhommes (1). Pan 
luì-méme était honoré par les Rhodiens , qui placèrent quel- 
quefois sa téle sur leurs médailles, et donnèrent son nom à un 
des promontoìres de leur ile (2). 

Cyzique. 

% 20. Prone de navire dont le taille-mer est forme par la partie 
antérieure d'un chienailé. Dessous, pélamìde. AV. 16, 08. 

^, Carré creux divise en quatre parties , dont les foi>ds sont 
semés de points. 

21. Doublé téte de lion et debélier. Dessous, pélaniide. 
^. Carré creux divise en quatre parties. AV. 1, 325. 

22. Partie antérieure d'un taureau ailé à gauche. Dessous, 
pélamide. 

^. Carré creux divise en quatre parties. AV. 1, 325. 

23. Persée, agenouillé a droite et se retournant vers la gau- 
che. Il est arme de la harpé et tient la téte de Meduse. Sous 
son genou, un pélamide. 

^. Carré creux divise en quatre parties , dont les fonds sont 
semés de points. AV. 16,08. 

Depuis les premiers essais de Sestini sur les statères, un assez 
grand nombre de ces monnaies ont été découvertes , et la liste 
de larchéologue italien aurait besoin d'ètre complétée (3). 
L'opinion generale des numismates attribue à Cyzique l'im- 
mense émissìon de ces doubles statères d'or allié d'argent, et 
de leurs divisioni si abondantes dans les coUeotions. La variété 



( t) Eustatb. ad Hom., lliad., IX . 525. 

(2) Ptol. Bert., p. 139. 

(3) Nous citerons, par ezemple, les doubles statères suivants : Bacchus assis sur un 
rocher et tenantle canthare ; uue Victoire agenouillée tenant racrostoUttm ; un Jnpiter 
agenouillé tenant l'aigle et le sceptre; une téte de Silène; un lion brìsant nneépée; 
une lyre; une Diane ou Hécate agenouillée, armée d'une torcile; Hercule enfant étouf- 
fant un serpent , avec son frère Iphiclès auprès de lui , type qui se reproduit sur une 
pedalile d^or pur, de Lampsaque. 



I. MÉDAILLBS INBDITJBS. 15 f 

infinie de ces niédailles , leurs types qui pourraient les faire 

attribuer à différentes yìììes de l'Asie Minéure, nont produit 

ancore aucune classification positive, parce que leur identité 

de fabrìque est si manifeste, que Fon ne peut la méconnattre. 

Quelques pièces d or pur ont été rangées, soit à Samos ^ soit à 

Téos , mais celles que lon appelle d electrum ont été jusqu a 

présent laissées ensemble sous le nom de Cyzique. Cependant, 

il est difficile de croire qu'une seule ville ait autant varie ses 

émissions de monnaies. Le changement continuel de ses types 

devait lui étre préjudiciable. Si Ton admettait, au contraire, 

que plusieurs villes grecques du littoral de TAsie Mineure pos- 

sédaient un atelier commun où leurs monnaies d'or étaient 

frappées, Tidentité de fabrique sexpliquerait plus facilement 

en méme temps que la variété des types. Quelques lettres, ra- 

rement observées, ont suffi à Sestini.pour déterminer l'attri- 

bution de certaìnes séries, par exemple^ à Colophon ou à 

Téos. Un doublé statère avec Télan et un nom de magistrat 

porte des initiales qui le classent à Érythrée d'Ionie, mais 

l'absence ordinaire de tonte legende sur les pièces dìtes d*élec- 

truni impose une grande réserve. Le poisson pélamide a été 

eonsìdéré longtemps comme le symbolede Cyzique; cependant 

il abonde sur tonte la còte de TAsie Mineure et n'est pas plus 

particulier à Cyzique que le dauphin ne l'est à Syracuse. Nous 

donnons ici deux doubles statères et deux divisions dont les 

types sont nouveaux et intéressants. La prone du vaisseau^ 

armée d'un taille-mer représentant un chien ailé, rappelle les 

médailles de Colophon avec le type du chien , que Sestini a 

décrites et rangées avec certitude à cette ville de l'Ionie (1). 

C'est encore à Colophon quii faudrait peut-étre donner le 

doublé statère où est gravée une truie marchant à gauche (2). 

Cette image nous parait faire allusion à la querelle des devìns 

Mopsus et Calchas , dont Colophon fut le théàtre , et que 

Strabon a racontée d'après Phérécyde (3). 

(1) Degli Stateri, p. 82. 

(2) Attribuée à Cyzique i>ai' Sestiui. Ibid., p. 54. 

(3) Strab., X[V, e. 1 , 27. Ce.s devios K^étaieat reucotitrés prcs du tempie d'ApoUon 



152 I* MÉDAILLBS INÉDITBS. 

Un doublé statère, d'un très-beau travail, représentant la 
Lìberté assise, une couronne à la main, sur une base où est 
écriie la legende EAEY0EPI , est attribué par M. Millingen à 
Cyzique. Il semblerait plus certain de le transporter à Smyrne, 
où une féte des Éleuthérìes était annuellement célébrée en 
mémoire de la délivrance de la ville par les femmes esclaves (1). 

N^ 21. La médailleavee la doublé téte de lion et de bélier 
appartieni à la serie que Sestìni regarde comme pbocéenne , à 
cause du phoque qui accompagne la téte* de bélier, au revers 
de laquelle est la téte d*Hercule ou celle d'un lion gravée en 
creux. Il en est du phoque comme du pélamide; si quelques 
pièces, certainement phocéennes, portent le type du phoque, 
il n*en résulte pas que cet amphibie soit un symbole esclusi- 
vement phocéen; nous en voyons ici un exemple. En effel^ 
selon le système que nous combattons, Phocée et Cyzique 
auraient un droit égal à revendiquer la médaille que nous pu- 
blions ici comme celle du recueil de Sestini , où les mémes 
emblèmes, au lieu d'étre adossés, sont répartis sur la face et 
le revers. Nous ne saurions déterminer a 'quelle ville appartieni 
le type de notre médaille. La téte de bélier se trouve souvent 
sur les monnaies de Clazomène, mais on Tobserve aussi sur 
des pièces samiennes et sur celles de Panticapée; la téte de lion 
est commune à Samos , Guide, Cyzique et Panticapée. Peut- 
étre cette dernière ville, avant de frapper un statère d'or auto- 
nome, a-t-elle été associ ée à ce monnoyage collectif que nous 
supposions plus haut. Il est certain que plusieurs dépóts de 
doubles statères ont été découveits en Crimée ; une partie con- 
sidérable de ces médailles a été fondue ; ce qui fut soustrait au 
creuset a fourni la plupart des types nouveaux entrés dans les 
différents cabinets de numismatique. 



à Claros , dans le territoire de Colophon , et se dcfièrent pour deviner TaTenir. Une 
truie pleine fut Tobjet de leur contestation ; Mopsns annonca exactement quelle serait 
sa portée; Calchas en moarut de doulenr. La méme fable est transportée, par une 
autre tradition, à Mallus, ville de Cilicie fondée par Mopsus. Strab., lib. XIV, e. 4, 10. 
(I) Pliitarch., Paralleli., t. VII, p. 242, ed. Reiske. Millingea, Ancient Coias, 
p.7(. 



I. MÉOAILLES INBDITES. 153 

Sous le n^ 22 est gravée une méciaille représentant la partie 
antérieure d'un taureau ailé. La téte ou la partie antérieure 
d'un tauréau sont encore des symboles de Cnide , de Samos 
et de Panticapée. 

Le doublé statère n® 23 est intéressant pour sa belle fabri- 
que et pour le personnage héroique qu il représente. On sait 
que le mythe de Persée était consacré par la numismatique de 
la Gilicie, du Pont, de la Paphlagonie et de la Lycaonìe; il 
devait donc étre répandu dans tonte l'Asie Mineure, où il avaìt 
été apporté de l'Asie Persane. Astypalea, ile de Carie, près de 
Rhodes, avait, comme Sériphe, adopté sur ses monnaies la 
tète de Persée. Mais Astypalea devait étre assujettie au système 
monétaire des Rhodiens ; elle n'a d'ailleurs pas produit de 
monnaies d'argent connues jusqu'à présent. Il serait, par con- 
séquent, difficile de luì donner ce doublé statère. En reniar- 
quant la harpé dont le héros est arme, on pourrait penser 
que notre médaille provient des ateliers d*Harpagia, près de 
Cyzique, localité à laquelle nous attribuons aussi les divisions 
de statères avec la harpyie représentée sous dèux formes diffé- 
rentes (1). 

Ce fut à Samos, près de la ville nommée Dicterion, que 
Minerve instruisit. Persée des moyens qu'il devait employer 
pour achever son entreprise contre la Gorgone, en lui mon- 
trant des images de Meduse quelle avait tracées elle-méme (2). 
Ce f'ait mythologique est le sujet d'un beau miroir étrusque 
publié par'Dempster et par Millin (3). On y voit Persée arme 
de la harpé et portant la cibisis , attentif aux lecons de Mi- 
nerve qui dessine avec sa lance, sur le sable, une tète de Gor- 
gone. 

Sur notre doublé statère , Persée , agenouillé et détournant 



(1) NouveUes Ammles, t. li, p. 94. 
. (2) Tzctz. a</Lycoph., Cassand., y. 835. 

(3) Demps., Etr. reg., II, 4. Millin, Gal. mjthoL, t. II, p. 5, et pi. xcvi, n° 386. 
Ces archéologues ont cru y reconnattre Persée veDant d*apporter aux pieds de Minerve 
la téte de Meduse , que la déesse touche avec sa lance. 



1Ò4 I. MÉOAILLES INBDITES. 

8on visage y depose a terre la téte de Meduse (1). On connait 
la fable suivant laquelle le héros argien , après avoir délivré 
Andromede, lava dans les flots de la mer ses mains victQrieuses, 
et placa le gorgonium sur un lit de tiges marines qui furent 
transformées en corali (2). S'il fiiUait opter, pour lattribution de 
notre pièce, entre les villes de TAsie Mineure, nous inclinerions 
vers Parium ou Abydos de Mysie, deux cités qui adoptèrent 
le gorgonium comme symbole principal. Le pays de Parium 
était habité par les Ophiogènes, habiles à dompter les serpents 
et à guérir leurs morsures; le fondateur de leur établissemen t 
en Asie fut^ disait-on, un serpent métamorphosé en héros; 
peut-étre, ajoute Strabon, était-il un des Psylles de la Libye (3). 
Les rapports de poids de ces différentes pièces de méme 
alliage sont à peu près de 1 à 12. Ainsi, le doublé statère pése 
moins que deux dariques d*or, puisque celles^ci sont ordinai- 
rement du poids de 8 , 35. Les dòubles statères d'Alexandre 
pèsent 1 7, 40, et ses statères environ 8, 65. Au reste, les mon- 
naies de Carie et celles de Gyzique sont d'un poids notable- 
ment inférieur a celles de TAttique, et Fon sait que le poids du 
statère dor se réglait sur celui de la drachme d'argeni. 

SiGÉE EN TrOADE. 

24. Téte de Pallas casquée et vue de trois quarts. • 
^. Chouette debout, vue de trois quarts. Dans le champ , uu 
croissant. AR. Drachme. 

Nous avons dit plus haut que les monnaies d'èlectrum, mal- 
gre la ressemblance de leur fabrique, semblaient avoir èté 
frappèes par différentes villes ; c'est une opinion que partage 
M. Millingen (4), et, dans son catalogne du cabinet de M. Al- 
lier, M. Dumersan n a pas hésité à la suivre, en classant à Sigée 



(1) L'appendice qui forme une espèce de barbe à la téte de Meduse ne doit résulter 
que d'un défaut du coin. 

(2) Ovid., Mei., IV, 739. 

(3) Lìb. XIII, e. 1,§14. 

(4) Sjrlioge, p. «5. 



I. AfÉDAIJLLBS INEDITES. 155 

une pièce d'élecirum de petit module, où l'on voit, d'un coté, 
la téte de Pallas de trois quarts , et, de lautre, une téte d'éphèbe 
dout le col est entouré de la chlamyde ; le chapeau thessalien 
est rejeté en arrière sur son épaule ; le tout est encadré dans 
un carré creux. Avec cette monnaìe d*or, M. Dumersan donne 
un bronze de Sigée tout semblable à no tre médaille , excepté 
que , dans le champ du revers , deux feuilles d'olivier rempla- 
cent le croissant (1). 

Aucun numisma te nlgnore que , sur les m^dailles d*Athè- 
nes, le croissant et les feuilles d Olivier accompagnent la chouette 
de la Minerve Attique. 

Sigée était en ruines du temps de Strabon : on y voyait, dans 
le voisinage du tempie et du monument d'Achille, les sépulcres 
de Patrocle, d'Antiloque et d'Ajax, auxquels les Iliens ren- 
daient des honneurs funèbres (2). Etienne de Byzance distin- 
gue et place en Troade les villesdeSigeion, selon Strabon, et 
de Sigée, selon Hécatée. Pinedo observe, avec raison , que ces 
deux villes n'en font qu'une seule, celle à laquelle nous devons 
la médaille d argent publiée ici pour la première fois. Sur cette 
drachme , comme sur les pièces de bronze du cabinet Allier, 
on doit reconnaitre la Minerve iliade, objet de la vénération 
d'Alexandre. Ce conquérant, à peine débarqué en Asie, alla 
rendre les honneurs funèbres au tombeau d'Achille, offrit des 
sacrifices à Minerve Iliade, consacra son armure à la déesse, et, 
à la place, prit quelques armes conservées dans cet édifice de- 
puis le temps de la guerre de Troie, voulant qu'on les portàt 
devant lui dans les combats. Il sacrifia ensuite à Priam, sur 
l'autel de Jupiter Herceus, afin de détourner la colere de ce 
héros contre les descendants de Néoptolème (3). 



(1) Cat. du cab. Allier, p. 79, et pi. xm, u°* 15, 16. 

(2) Strab., XIIl, e. 1, p. 31. 

(3) Arrien., lib. I, e. 11, 12. 



156 i. médailles tneoites. 

Clazomene. Carie. 

25. 0EOAOTO2 EnOEI. Téte lauree d'ApoUon , vue de 
face. 

^. MANAPilNAS xlAlO. Cygne battant des ailes, à gauche. 
AR. 16,95. Tétrad. 

26. Meme legende et méme type , d'un coin différent. 

^. inf0EO2 IluOsou.xiX Aa^op.eviov. Méme type, d*un coin dif- 
férent. 

27. Sans legende, méme type, d'^unautre coin. 

^. MHTPOAfìPOS xXaJ^ojJLENION. Cygne debout, à gauche, 
lissant avec son bec les plumes de son aile gauche relevée. 
AR. 1 5 , 87. Tétrad. 

28. Méme téte. 

1^. AnOAAA2....KA. Cygne debout, à gauche, et battane 
des ailes. AR. 4, 12. Drachme. 

29. Méme téte. 

^. AnOAAA2....A. Meme revers que le précédent. AR. 2,06. 
demi-drachme. 

La numismadque de Clazomene est assez riche, surtout en 
médailles de bronze; mais Sestini et, à son exemple, plusieurs^ 
archéologues , y ont introduit des pièces d'or et d'argent , en 
se guidant seulement sur une analogie qui peut les avoir in- 
duits en erreur. Ainsi, le type du sanglier ailé, dont la fable a 
pour théàtre Clazomene, a déterminé beaucoup de leurs clas- 
sements de médailles sans legende , et d'autres , avec la seule 
lettre K, ont été rangées dans la méme catégorie, uniquement 
à cause du sanglier ailé ou sans ailes. Mais ces monnaies ont, 
au revers, la téte de lion qui, jusqu'à présent, ne se trouve pas 
sur les monnaies portant le nom de Clazomene , quelquefois 
méme la lettre K est remplacée par la legende 2A, (1) TIH, 
ou plutót TPH. Ces observations n'ont pas pour objet de ren- 
verser les conjectures de Sestini, mais seulement d'ébranler la 
certitude de ses attributions, admises avec Fempressement et la 

(I) Voir plus liaut. 



I. MÉDAILLES INEOITES. 157 

confiance que devait inspirer un savant tei que lui. Par un de 
ces hasards qui se présentent souvent dans la découverte des 
monuments antiques, la belle monnaie d'or de Clazomène était 
grayée dans le recueil de Pellerin , )>ien avant que Dutens (1) 
eùt fait connaitre un petit médaillon d argent de la niéme ville, 
et qui, par son module, ne parait étre qu*un didrachme. Nous 
publions ici trois tétradrachmes dont les deux premiers por- 
tent le nom, jusqu à présent ignoré, du graveur Théodote. Le 
médaillon n^ 27 n'est pas signé; cependant, malgré son état 
d'altération, il esc bien supérieur à ceux de Théodote et parait 
étre de méme temps. Le type de toutes les médailles de Cla- 
zomène, depuis la demi-drachme jusqu au tétradrachroe, est à 
peu près identique à celui de la médaille d*or et de la demi- 
drachme d argent publiée par Pellerin. Une seconde médaille 
d'or de Clazomène existe en Angleterre au musée Britanni- 
que ; elle ne diffère de celle de Pellerin que par le nom de 
magistrat. Ceux de Métrodore , Pytheus et ApoUas sont déjà 
connus dans la numismatique clazoménienne. C'est la première 
fois que nous trouvons celui de Mandronax; ce nom, singulier 
pour sa forme, ne se représente qu*une fois dans la liste dres- 
sée par M. Mionnet, encore n'est-il pas complet; il appartient 
a un magistrat d'Alexandrie en Troade. 

Les types de ces médailles de Clazomène n'offrent aucune 
difBculté pour leur eiplication. La ville qui les a frappées est 
une colonie ionienne , et , dans Tlonie , le eulte d'ApoUon et 
de Diane était généralement répandu. A Milet on adorait Apol- 
lon Didyméen ; le méme dieu était surnommé Grynseus à Cla- 
zomène. Toutes les régions voisines honoraient ApoUon. Ainsi, 
Myrina, Magnèsie, Rhodes, les villes et les rois de Carie gra- 
vaient à lenvi Fimage de ce dieu sur leurs médailles. On ne 
peut douter que TApollon lonien ne fòt en méme temps le 
soleil ; le mythe de Branchiis à Milet en est la preuve. Cepen- 
dant nous ne la chercherons pas dans la téte du dieu vue de 
face sur les monnaies de Clazomène. Ni dans cette ville, ni à 



(1) Ex. de qq. méd.» p. 8, 9, et pi. 1, n" 4. 



158 I- MÉDAILLES INEDITES. 

Rhodes, le soleil n*a été constamment représenté de cette ma- 
nière (1). On concoit facìlement a quelle détérioration des 
médailles d'un tei relief étaient exposées. Mais il y eut une 
epoque où les nations grecques les plus civilisées adoptèrent 
prèsque simultanément le type de la téle de face; ce fut celle 
où vivait Alexandre, tyran de Pherae, qui, lui-ménie, y prit 
pan en frappant un superbe médaillon avec la téte de Diane 
vue de face. Dans le méme siede, si Fon en juge par le style 
des médailles , Larisse^ Clazomène , Lampsaque , Sigée , Velia , 
Crotone , Héraclée , Thèbes , Syracuse , Catane , Barcé et beau- 
conp d'autres villes plus obscures firent représenter leurs divi- 
nìtés tutélaires de face sur leurs monnaìes. C'était le dernier 
effort de l'art monétaire; mais les inconvénients en furent 
bientòt reconnus. Dès le temps d'Alexandre, on était revenu à 
des profils'dont les relìefs adoucis assuraient à la monnaie 
plus de durée avec une atténuation de poids moins rapide. 

Le cygne que l'on voit au revers de nos médailles de Clazo- 
mène est loiseau sacre d'Apollon, celui qui sert de monture 
au dieu, et dont l'espèce abondaìt sur les rives du Caystre, 
fleuve célèbre de l'Ionie. 

T(«)v S' &<jx 6pvi6a)v TreTerjVwv eGvsa TcoXXà, 
XìQvwv ^ yEpavwv ^ xuxvo>v SouXi^^^oSeipcov 
'Acriw ev A£t{jLcovi, KaudTpiou ajxcpi féeGpa, 
"EvOa xa\ gvOa iroxwvTat aYaXXó[/.Evai TrrepuYedffi , 
KXaYY^O^iv TTpoxaGi^ovTwv , ffjxapaYfci Sé te Xeifjibìv (2). 

Il n'est pas inutile de remarquer que le nom de Clazomène 
est derive du*méme verbe xXà^cd, exprimant le cri rauque des 
cygnes qui volent ou s'abattent : xXayYTiSòv TrpoxaOi^óvTwv ; 
c'est aussi le surnom d'une déesse représentée sur des bronzes 
de Clazomène, et qui doit avoir des rapports assez directs 
avec Tamazone Gryné, séduite par ApoUon dans le lieu voisin 

(t) Une médaille de Rhodes en or représenté la téte dn soleil deprofil; celles de 
Clazomèuc et de Rhodes , en bronze , portent la téte d*Apollon Hélius tournée de 
mémc. 

(2) Uom., Iliffd.^ 11, 459. 



I. MÉDAILLES INÉDITES. 159 

de Clazomène (1)9 où fut bàtie la petite ville , le tempie et l'ora- 
cle de Gryniuiii. En effet, sur les médaìlles de TAsie Mineure, 
les ville^qui attribuaient leur origine à des amazones, comme 
Smyrne, Myrina, Cyme, donnaient ce caractère à leurs fonda- 
trìcesy et les représe ntaient couronnées de toiirs cu du rao- 
dius. 

Sur les médailles de bronze frappées à Clazomène, on 
trouve souvent un cygne au revers de la lete de Meduse ; on 
peut supposer qu'il fait allusion aux Grées , femmes à forme; 
de cygne et gardiennes des champs gorgoniens de Cisthène (2) 
le méme oiseau se voit aussi au revers d'une téte de Jupiter, 
sur les bronzes de ce pays ; ce doit étre alors le symbole du 
eulte d*Apollon , associé à celui du premier des dìeux. 

Colophon ou Clazomène. 

30. Téte lauree d'Apollon , à gauche. 

ij) T0EO2. Femme assise , à gauche , sur un siége, s*ap- 
puyant de la main gauche sur une baste et tenant un casque de 
la main droite. AR. Didrachme? 

Letat fruste d'une partie du revers de cette médaille a pro- 
bablement fait disparaìtre la legende qui devait se trouver der- 
rière la baste tenue par la femme assise. C'est donc par une 
simple conjecture que nous dohnons cette médaille à Colo- 
phon. Nous y sommes conduits par l'analogie de sa fabrique 
av^c celles de Clazomène. Les letlres de la legende sont écrites 
comme celles des médaillons que noiis venons de décrire; 
enfin le noni IIYOEOS est celui d*un magistrat* clazoménien. 
Mais la numismatique de Colophon sCtteste que les noms 
nY0EO2, AllOAAAS , sont communs aux deux cités voi- 

(1) Serv. ad JSneid., IV, 345. Steph. Byz., verb. rpuv. Strab., lib. XIII, e. 3, 5. Ce 
tempie, orné et coDstruitpeut-étrepar les rois de Pergame (Cyriac. Anconit. ad Struh., 
loc. sup.), était enriclii de nombreuses offrandes. On y voyait des cairasses de lin et 
le bois sacre était piante d'arbres odoriférants da plus bel aspect. Pausao., lib.*^ 

e. 2!, 9. 

(2) AEschyl., Prometh., 792 et seq. 



160 I. MEDAILLBS IN£OIT£S. 

sines qui probablement se gouvernaient par les mémes lois et 
reconnaissaìent les mémes autorités ; seulement, sur les mon- 
naies de Colophon , la téte tf Apollon se trouve fréquemment 
de profil ; celle d'une femme casquée est aussi plus souvent 
répétée à Colophon qu a Clazomène. 

Minerve est représentée la téte nue et ténant son casque à 
la main, sur plusieurs vases de différentes fabriques, entre au- 
tres sur celui qu a expliqué M. Welcker, Annali^ t. IV, p. 380. 
Cependant, la figure au revers de notre médaille pourrait étre 
lamazone Gryné, aimée de TApollon Clarii|^. 

Mallus. 

31. MA. . . . Téte barbue, lauree, à droite. 

ij). Hercule étouffant le lion de Némée. AR. 10 ^, 20. 

Les villes de Tarse et de Mallus faisaient remonter leur ori- 
gine à des colonies argiennes. La première prétendait avoir été 
bàtie par des Argiens qui erraient avec Triptolème à la pour- 
suite d'Io (t); elle voulait aussi que Persée eùt prìs part à sa 
fondation (2). 

Mallus attribuait la sienne à Amphiloque et Mopsus, fils 
d'Apollon et de Manto. Selon cette tradition cilicìenne, les 
deux héros avaient bàti leur ville de concert \ ensuite Amphi- 
loque était retourné à Argos; mal accueilli dans cette cité, il 
était revenu à Mallus. Mais Mopsus' refusa de ladmettre au 
partage. Une monomachie fut la suite de ce refus. Les rivaux 
périrent ensemble et furent ensevelis séparément près du 
fleuve Pyramus, de telle sorte que du tombeau de Tun on ne 
pouvait découvrir cqIuì de lautre (3). 

Callimaque donnait à Mallus un fondateur du méme nom (4). 

Tarse et Mallus obéissaient et payaient tribut aux Perses , 
lorque Tinvasion d'Alexandre les rendit à la liberté. Ce prìnce, 

(1) Strab., lib. XIV, e. 4.S 12. 

(2) Ammian. Marceli., lib. XIV. 

(3) Sirab., lib. XIII, e. 4, S 16. 

(4) Ap. Stepli. Byz., verb. MaXX. 



I. MÉDAILLES IlfEDITES. 161 

^ niarchant de Tarse contre Darius, passa par Anchìalus et Soli, 
dont il dota les habitants d'un gouvernement démocratìque ; 
ensuite il vint sacrifier à Minerve, divinile principale de Ma- 
garsus; de là venant à Mallus, il rendit les honneurs héroi- 
ques a Amphiloque, et trouvant la ville agitée par des sédi- 
tions, les apaisa, en exemptant les citoyens des tributs qu'ils 
payaient à Darius. Il leur accorda re privilége en faveur de 
leur origine argienne, parce qu'il descendait lui-méme des Hé- 
raclides Argiens (I). 

Ce curieux document, foumi par Thistoire d'Alexandre, ex- 
plique plusieurs faits de la numisniatique cilicienne. On voit 
par là pourquoi les médailles de Mallus portent quelquefois le 
type d'une téle de satrape avec un voile particulier, couvrant 
la chevelure et la barbe, selon Tusage de la cour du grand roi. 
On coniprend ainsi comment des monnaìes d'un style contem- 
porain offrent, au revers d'une téte de femrae, l'Hercule com- 
battant le lion, type identique à celui d*une médaille d argent 
de Tarse, au revers d'une téte de femme coiffée du modius, 
avec la legende TEP2IK0N. 

Une autre médaille de Mallus, publiée par Dutens (2), repré- 
sente un archer persan, et, au revers, Hercule debout étouffant 
le lion. Il en résulte que les souvenirs des Héraclides s'étaient 
conservés à Tarse et à Mallus, mémesous la domination per- 
sane^ et furent remis en honneur, lorsque les Macédonìens 
firent la conquéte de la Gilicie. 

Il est probable que les nombreuses pièces d'argent incertaines 
de la Cilicie, représentant la téte ou la figure de Minerve, ap- 
partiennent, au moins en partie , à Magarsus , dont on n'a que 
des monnaies autonomes en bronze. 

Les archéologues connaisssent les types intéressants fournis 
par la numismatique de Tarse, et relatifs au eulte de l'Hercule 
asiatique, qui se confond avec Sardanapale; ^Mallus a frappé 



(1) Arrian., lib. II, e. 5. 

(2) ExpHc.de qq. méd.j-p 12/), pi. I, fig. i. 

M 



\ 



162 I. MÉDAILLES INEDITES. 

plusiéurs médailles aussi importa ntes , consacrées au eulte de 
Vénus Androgyne(l). 

Trabàlà £iv Ltgie. 

32. TFACyB^i^HhB^.. Téte d'Hercule barbu, couverl de la 
peau de lioti ; daiis un carré creux. 

15). Sans legende et sans type. AR. 10,20. 

Etienne de Byzance place en Lycie une ville nommée Tra- 
baia, mais ne donne aucun détail sur son origine ou son bis- 
toire. Une seule médaille de bronze a été jusqu*à présent at- 
tribuée à Trabaia : sa legende est grecque et porte : AT- 
KIJÌN. TP. Son type est une téte d'Apollon, et, au revers, un 
are et un carquois dans un carré creux (2). 

La médaille que nous publions ici est d*argent, de mérae 
poidsque celles de Celendaris. Le type du revers a disparu, ou 
peut-étre n*a jamais existé. Il est certain que sur plusiéurs mé- 
dailles de la Cilicie, notamment celles aux types d'Hercule com- 
battant et du lion déchirant un cerf , le coin de THercule n a 
souvent laissé qu une trace presque invisible, comme s'il avait 
été effacé par un trop long usage. Notre didrachme appartient, 
par sa legende, à cette nombreuse sèrie de monnaies^ encore 
mal'expliquées, que Fon trouvedans l'ancienne Lycie. On sait 
que le méme pays est parsemé de tombeaux dont plusiéurs, 
d*une elegante architecture , portent des inscriptions très-bien 
conservées , en caractères semblables à ceux de la sèrie numis- 
matique dont nous venons de parler; ces caractères sont en 
partie grecs , en partie barbares. L'un des tombeaux lyciens 
dessinés parM. Gockerell, offre une inscriptìon bilingue, re- 
levée par le voyageur anglais , et tout donne à penser que les 
quatre lignes lyciennes placées au-dessus des quatre *lignes 
grecques , en sont la traduction, puisque le nom 2IAAP102 



(1) Lajard, NouveUes Annales, t I, p. 212. 

(2) Mionnet, Supp., t. VII, p. 24. 



I. MÉDAILLES INBDITES. 163 

(lerune,setrouverépété parie nom /E^^TEW dans Tautre. 
Les inscriptioTis copiées par M. Cocterell(l) sont au nom- 
bre de quatre. Le mot JPEf ATEA^EM^ I s y trouvc reprpduit 
dans chacune; deux autres mots, ^TPrEt^^^ELT y sont 
répétés Tun dans trois, lautre dans deux Inscriptions; ils doi- 
vent tous appartenir à la formule funéraire, On observe dans 
la troisième des épitaphes le mot PjyPEKA/jiy qui se lit sur une 
médaille lycienne de raa coUection; ce mot est dono un nom 
de lìeu. 

Le type des monnaies d'Aspendus, clairement désìgaé par 
les anciens. a été reconnu sur une médaille portantla legende 
E2TFEAIIXM , et lattribution proposte par Sestini a été gè- 
néralement adoptée(2). 

Les numismates semblent étre aussi d accord pour ciasser à 
Néphélidda une monnaie dont rinscription est en caractères 
lyciens, comme ceux de notre médaille (3). Décider avec cer- 
titude de semblables questions est à peu près impossible, 
puisqu'il s agit de légendes écrites dans une langue dont les 
rapports avec le grec sont si peu nombreux, que Talphabet 
nest pas identique. Cette langue méme a laissé seulement 
quelques vestiges dans les textes de rantiquité(4). C'est donc 
sur lés lettres grecques de la legende et sur l'analogie des sons 
produits par leur combinaison, que Fon peut seulement se 
fonder. Il faut, de plus, se rappeler que les villes de la Lycie, 
conime celles de la Pamphylie et de la Lycaonie , avaient un 
nom chez les Grecs, un autre chez les barbares. Cependant 
Tìnfluence des Grecs dut s'exercer longtemps dans les villes 
maritimes, car nous possédons beancoup de médailles lyciennes 
et pamphyliennes avec des légendes grecques. Side de Pam- 



(1) Walpole, Travels in various countries of ihe Easi, p. 524 et pi. ibid. Il y a de 
CO à 70 lettres par inscription. 

(2) Sestini, Descr. dell, med, del Mas. Hederv., t. II , p. 254. 

(3) Sestini , Lett. num,, t. VI, p. 63. 

(4) Cf. Jablonsky, Opuscul., t. HI , p. 102 et seq. 

n. 



164 I. MÉDÀILLBS INBDITES. 

phylie offre des variations de langue et d*écriture, tantót 
grecques, tantòt barbares. Il parait que le monnoyage d*argent 
fut transféré d'Aspendus à Seigé, lorsque ridìome barbare en 
fut élimìné pdr celui des Grecs. Une pareìlle substitution de 
langage put avoir lieu à Trabaia, car la médaille grecque de 
cette ville est assez recente : elle appartieni à cette confédéra- 
tion lycienne où toutes les villes adoptèrent un type uniforme, 
se réservant, pour seule difference, d'inserire leurs initìales 
au revers et auprès de la legende AYKIfìN. 



Dari<{us. 

'Ss. Archer coiffé de la tiare, agenouillé à droite ettenant 
de la main gauche son are, de la droite une lance. 

i^. EUìpse creuse dans laquelle sont tracées des ondulations 
en creux et en relief. AV. 

Les coUections de médailles n'ont possedè pendant longtemps 
que des dariques d*or globuleuses, d'un travail ancien et bar- 
bare; un carré long, creux, presque informe, foriiiait le revers 
de l'archer. Mais depuis le temps où Bestini publia de curieuses 
dariques en argent, de différents types et de grand module^ 
les dariques d'or sont aussi devenues plus variées; on a vu 
paraitre celles dont les archers ont un style et un costume 
tout particulier, et méme une de ces pièces, remarquable pour 
son exécution^ n'est plus globuleuse, mais ronde, et n*a pas 
de carrés creux au revers, mais Tempreìnte d'une prone de 
navire. Son travail excellent fait penser que cette pièce, frap- 
pée en Asie Mineure, est conteraporaine de Tissapherne et 
d'Alcibiade. Celle que nous donnons ici est à peu près de la 
méme epoque. Sa fabrique annonce un art trè3-avancé. Cepen- 
dant il y a, dans l'archer et dans le revers concave, une affec- 
tation d'archaisme peu d'accord avec la liberté du travail de 
l'artiste. Le carquoìs est remarquable par la courroie terminée 
en croissant qui tombe sur le dos du guerrier. Ce méme ap- 



^ MÉD4.ILLES INÉDITBSi 163 

pendice sert a fermer les carquois des archers sur les monu- 
ments de Per&épolis (1). La hampe de la lance, termìnée par 
une boule, montre que cet archer est un des mélophores, 
certe troupe d'elite recrutée parmi les plus braves des immor- 
tels , et qui formait la garde du grand roi, exemple imìté par 
Alexandre. Les inélophores étaìent vétus de robes jaunes et 
couleur de pourpre (2); ils portaient des pommes d'or à une des 
pointes de leur lance (3). Les diiriques, dont le champ est assez 
développé, permettent de constater que cet òrnement était 
ajusté à la partìe inférieure de la hampe. L'autre extrémité 
était armée d'un large fer. 

L'ellipse-creuse du rever&paraìt représenter un large bassìn 
où s'agitent des flots : c'est sans doute la mer qui aura été 
ainsi figurée. Ce symbole peut indiquer que la darique a été 
frappée dans un des ports. de l'Ionie ou de la Carie. 

Séleucus V\ 

M. Téte de Séleucus, à droite, coifféé d'un casque à larges 
jugulaires, recouvert d'une peau tachetée et décoré de cornes 
et d'oreilles de taureau. La peau de taureau est nouée sur la 
poitrine de Séleucus. 

t BA2IAESÌ5 2EAETK0T. Victoire debout , à droite , et 
couronnant un trophée , placée sur un tronc d'olivier. Dans le 
champ, deux monogrammes qui peuvent se décomposer ainsi : 
TA. nrP. AR. tétrad. 

£n 1719, Haym fit graver et expliqua deux médailles de la 
coUection du due de Devonshire , représentant Séleucus P"". 



(1) Ker Porter, Travels in Georgia, etc, 1. 1, pi. 36. 

(2) Diod. Sicul., lib. XVIl, 59. AElian., Far. hist., I}t, 3. 

(3) ^Eicl Tciìv OTupaxcov. Athen., lib. 12, p. 514. Les interprètes ont comprìs que les 
pommes d'or étaient à la pointe principale de la lance r les médailles montrent qu'il 
u^en est rìen; c*était d*ailleurs fort invraisemblable, puisque Tarme des mélophores 
serait ainsi devenue inutile entre leurs mnins. 



166 I. MEDAILLES IMÉOITES. 

L'une est en or et du poids des Philippe et des Alexandre (1); 
on y voit la téle nue et diadémée du roi^ armée de cornes de 
taureau ; au revers est le buste d*un cbeval cornu, qui ne peut 
etre que Bucéphale, comme Haym la justement observé(2). De- 
puis le temps où fut public le Thesaurus britannicus, M. AUier 
d'Hauteroche posséda deux de ces précieux statères (3) ; un 
autre existait dans la coUectìon de Gotha (4). 

La seconde médaille de Séieucus, publiée par Haym, avait 
le méme type que celle dont nous venons de donner la des- 
cription; seulement, au revers , on lit, dans le champ, les ca* 
ractères AX , au lieu des deux monogrammes. M. Révil, à Paris, 
possedè un exeniplaire de cette variété; le tétradrachme que 
nous publions appartient.au musée d'Avignon (5); il y a pris 
place avec la collection formée autrefois et léguée par le doc- 
teur Calyet. Cette pièce est remarquable par son excellente 
conserva ti on , qui permet d observer plusieurs détails que n*a 
pu voir Haym sur la médaille du due de Devonshire, et qui 
manquent aussi sur Texemplaire de M. Révil; par exemple, les 
mouchetures de la peau dont le casque et ses jugulaires sont 
recouverts, le noeud de la méme peau sur la poitrine du roi, 
et la come de taureau placée du coté gauche, dont une extré- 
mité se montre en avant de la visière. 

Visconti ne parait pas avoir connu ce beau tétradrachme; il 
ne ci te, dans son iconographìe , que le statère de M- AUier 
d'Hauteroche; à ce sujet, il s'exprime ainsi : 

« Nous avons remarqué Tusage adopté par plusieurs des 
«< premiers successeurs d'Alexandre et par Alexandre lui- méme, 
« de se faire représenter avec des cornes , à Timitation de Bac- 
<« chus conquérant de Tlnde. Mais Séleucus avait encore un 



(1 ) Thes, brit.3 1. 1, p. 25, et pi. I, a° 5, ed. latine de Vienne, 1772. 

(2) Thes. brìi., t. II, p. 20, méme ed. 

(3) Mionnet, t. V, p. 1, et Supp. t. Vili , p. i« 

(4) Lieb., Goth. num., p. 8. 

(ò) Un aatrc exemplaire existe dans la rollcctlou de la baoque d'Angleterre. 



I. MBOAILLES INBDITES. 16? 

R droit plus particulier à cette distinction ; les anciens ont pré- 
«ctendu que les cornes ajoutées à ses images f^isaìent allusion 
«à un événement mémorable de sa vie; Séleucus avait arrété 
«seul un taareairfurìeux qu'Alexandre étail prét à immoler et 
«qui sechappa de Tautel (1). Ce qui parait incontestable , c'est 
«que cet attrìbut servait à faire distinguer les statues de Séleu- 
« cus , et que l'ère qui date de son avénement à la souveraineté 
« de Babylone, et qui est connue sous le nom d*ère des Séleu- 
« cides , est appelée par les écrivains orientaux Xère du cornu. 
«Des statues de Séleucus omée& de cornes, se vofyaient à 
«Athènes, à Antioche, et posteri eurement, à Constanti- 
«nople. Bryaxis et Aristodème,^ élèves de Lysippe, avaient 
« exécuté en bronze plusieurs statues de ce monarque (2). » 

Visconti, contre 1 opinion d*Haym, reconnait dans le buste 
du cheval cornu , au revers , l'inìage du coursier auqu-el Séleu- 
cus dut son Saint dans sa fuite, et quii montait en revenant 
fonder glorieaàement la monarchie syrienne(3). 

On concoit difBcilement comment un archéologue tei que 
Visconti , a pu adopter des explicatious aussi superficielles , 
méme suggiérées par les anciens , lorsque la numismatique est 
avec elle» dans une complète opposition. En effet, si Ton exa- 
mine les monnaies de bronze de Scleucus 1^, on y trouve non- 
spulement un cheval', mais encoré un éléphant cornu , et Ton 
sàit qu'Alexandre àvait consacrò au soleil le plus courageux des 
éléphants de Porus , en lui donnant le nom d'Ajax (4); Visconti 
lui-mémea recontiu que les successeurs d'Alexandre imitèrent 
son esempli^ en adoptant des cornes poiir attrìbut; ceux qui 



(1) Appisu., Syriac, § 57. Smd. ▼e'rb. SeXeux. 

(2) Cf. Spanheim, 2>. U. et P. R.^ t. I, p. 388. — Appìan. loc. cit. Libanius. in 
Antioch.^ t. II, p. 349. — Anonym., Antiq. Constantinop.t lib. VI, p. 127. Ap. Ban- 
dari, imp. orient., 1. 1. — Plin., lib. XXXIV, e. 19; 13, 26. 

(3) Visconti, Iconog, gr., 2 part., p. 370-373. — Libanius, Antióch., t. II, p. 349, 
dit que Séleucus avait adopté les cornes de taureau , en mémoire d'Io qtie les Argiens 
avaient été chererher eu Asie. 

(4) Philostrat., ^it. ApolL, lib. II, e. 12. 



168 I. MEDAILLES INEDITSS. 

firent la conquéte des Indes en eurent le droit plus que tous 
les autres, A ce titre , Séleiicus P', et Eucratidas , roi de la 
Bactrìane, ornèreni de cornes de tanreau leur coiffure mili- 
taire ou royale. Tryphon portait sur la partie antérieure de son 
casque une grande come d^aegagre;, ces insignes n'étaient^pas 
de pure fantaisie, ni niéme allusifs à une anecdote à peu prè& 
aussi invraiseixiblable que le lìon mis à mort par Lysimaque. 
L'esprit symbolique de Ts^ntiquité, et surtout de TOrient , ou 
régnait Séleucus, semble donc prouver que la première opinion 
emise par Visconti est la seule vraie ; que , selon celle d'Haym, 
le cheval cornu représente Bucéphale ; enfin , que Téléphant 
avec le méme attribut est encore un emblème de la puissance 
mìlitaire de Séleucus. Celui-ci, parcourant les pays au deià de 
rindus avec six cent mille combattants , ramena de sa cam- 
pagne contri Sandrocottus ; environ cinq cents éléphants. La 
raédaille d argent de SéleucuÀ où lon voit , d'un còte , la téte 
lauree de Jupiter , de lautre , Pallas dans un quadrige d'élé- 
phants, peut avoir rapport au méme triomphe (1). 

Dans cette expédition, Séleucus soumit la Perse, la Bactrìane, 
la Parthie, la Sagdiane, TArachosie, les Hyrcaniens et les Ta- 
pyriens (2). Nous pensons que les médaiUons tétradrachmes 
avec la téte casquée et'cornue de Séleucus , et, au revers, la 
victoire couronnant un trophée, se rapportent à son triomphe 
sur les peuples de l'Inde et de la haute Asie ; et comme ce fut 
dans la Bactrìane que s'introduisit le plus promptement le sys- 
tèrne monétaire des rois de Syrie , il nous semble permis d at- 
tribuì aux Tapyriens la médaille ayec les monogrammes 
formant ensemble le mot TAnTP(3), et aux Hyrcaniens celle 
avec les lettres AX , initiales de la ville nommée Achriana, si- 
^uée dans cette région. Les Tapyriens habitaient au sud de la 



(1) Cf. lickell., Doct. num., t. Ili, p. 211, 212. 

(2) Strab., lib. ^^.V, p. 724. Justin., lib. XV, e. 4. App. Syriac. 

(3) Il faudrait cependant admettre qu*un seul mot fùt exprimé par deux moao< 
grammes. 



I. MBDAILI.E3 INBDITES. 169 

merCaspienne (l)» et les Hyrcaniens à l*est, eutre les Tapyrìens 
et les Bactriens. Quelle que soit , au reste , la valeur de cette 
opinion, celle de Haym, qui, pour expliquer la legende, sup- 
pose qu*un de ces tétradrachmes a été frappé par les Achéens 
en honneur de Séleucus, ne sapporte pas le moindre examen et 
n est basée sur aucune vraisem^lance. 

Due DE LUYJMES, 



(1) Folyb. ap. Steph. Byz. rerb. 'Axp* 



170 II. MÉMOIRE 



MEMO IR E 



SUR 



UN BAS-RELIEF MITHRIAQUE 

QUI A ÉTÉ DÉCOUVERT À VIENNE (JSÈRE). 

i^Monum.t PI. xxxri.) 



Dans le courant de Tannée 1840, un habìtant de Vienne, 
M. Péron , entreprit de déblayer un terrain qu'il possedè dans 
Tintérieur de la ville , non loin de la halle neuve et tout près 
des substructions romaines qu'avaient mises a découvert les 
travaux exécutés par les ingénieurs des ponts et chaussées du 
départenient de l'Isère, pour la confection d'une nouvelle 
route départementale , qui traverse ce quartier. Les déblais 
firent bientót reconnaìtre, sur la propriété méme de M. Péron, 
dautres constructions antiques; et Fon exhuma du sol deux 
fragmeiits d*un bas-relief romain qui avait été brisé avant de se 
trouver enfoui dans la terre. Cette découverte fut annoncée aux 
Comités hìstoriques de Paris dans un rapport dont le journal 
tlnstitut a publié un entrai t dans son numero du mois de décem- 
bre de la méme année. Ala simple lecture de la description que 
contient cet extrait, il est impossible de ne pas deviner que 
Tauteur du rapport s*est complétement niépris en attribuant au 
eulte de Janus le bas-relief qui provient des fouilles de M. Pe'- 
ron 5 et Ton se sent, avec bien plus de raison , porte a supposer 
que ce bas-relief doit appartenir à la serie nombreuse des mo- 
numents romains du eulte de Mithra , quoiqu'il présente des 
particularités qui ne se sont encore rencontrées sur aucun 
bas-relief niithriaque d'epoque romain e. Dans le dessein de 



SUR UN BAS-RELIEF MITHRIÀQUE. 17 1 

lever touie espèce de doute à cet égard , j ai protité j au mois 
de juiliet dernier, d*une occasion favorable pour bW^t exami» 
ner le monument originai à Vienne, chez M. Péron, qui le 
conserve dans sa maison d'habitation(l). Cest le résuhat de 
cet exainen que je me suis propose de faire connaitre aux lec- 
teurs de nos Annales, 

Dès mon arrivée à Vienne, M. Delorme, conservateur de la 
bibliothèque et du musée de cette ville, eut la complaisance 
de me conduire chez M. Péron, et de là au lieu méme où 
furent déterrés, Tannée dernière, les deux fragments qui nous 
restent du bas-relief dont il' s'agit. En présence de ces deux 
fragments, je reconnus immédiatement combien mon savant 
guide avait eu raison de me dire d'avance que je ne pourrais 
hésiter à les considérer comme les débris d'un bas-relief con* 
sacre au eulte romain de Mithra. Arrivé sur le lieu où on l«s a 
trouvés, je ne tardai pas non plus à constater, avec M. Delor- 
me, que les constructions romaines, découvertes à quelques 
pas plus loìn , sont les restes d'un petit édifice souterrain et 
voùté, qui peut avoir été un Mithrceum, Dès lors il m'était 
permis de cpnjecturer que le bas-relief de M. Péron, principal 
ornement de ce- tempie ou plutót de ce sacellum^ en avait été 
violemment arraché , pour étre brisé , au temps où , emportés 
par un zèle aveugle pour le triomphe de la vraie religion , les 
chrétiens s efibrcaient de détruire les temples , les idoles , les 
emblèmes de tous les cultes paìiens et du raithriacisme en par« 
ticulier (2), sans se douter qu'un jour ils encourraient le blàm€ 
d'avoir ainsi fait disparaitre, ou du moins mutile, des monu* 
ments éminemme^t propres à compléter Thìstoire de l'esprit 
bumain, et.à témoigner des erreurs dont furent entadiés les 
systèmes religieux ou philosophiques des peuples de Tanti*- 
quité. 

Dans l'état de mutilation où nous est parvenu le bas*relief 



(1 ) Depuis que ce Mémoire a été rédigé(aoùt 1841 }, M. Péron a fait don au musée 
de Vienne du monument originai qui est le sujet de ma dissertation. 

(2) Voyezmes ISouv. Ohserv. sur le gr. has-rel. mUhr. du mus, rojral , p. 3, 14-17. 



172 II. MÉMOIRE 

qui me suggère cette conjecture et cette réflexion , on peut 
néanmoinSy si Fon rapproche les deux fragments qui resteut de 
ce bas-relief et si Von tieat compte d'un troisième fragment , 
que lon n'a pas retrouvé y on peut, dis- je, rétablir, avec toute 
certitude, les dimensions du inonument, tei qu'il était dans son 
intégrité , et se former une idée juste du sujet qu on y avait 
sculptéb Sa hauteur n'excède pas 77 centimètres, et sa largeur 
94. Les bords sont taillés en comiche, particularìté qui nous 
autorise à croire qu*on avait destine le bas-relief à étre encas- 
tré dans un des murs du Mithrceum. La matièt^ est un calcaire 
blanchàtre et tendre, qui ne se réncontre ni dans les carrières 
des environs de Vienne , ni dans la construction des édifices 
élevés par les Romains sur le sol de la ville j ni panni les de- 
bris d*antiquité figurée qu'antérieurement à la découverte de 
M. Péron on a pu y recueillir. Ce calcaire , selon Topinion de 
M. Delorme , doit provenir des gisements qui existent plus 
au midi de la France, entre Yalence et la Mediterranée. 

Je place sous les yeux du lecteur un dessin(l),dont je suis 
redevable aux soins de ce méme antiquaire, et qui reproduit 
fìdèlement le monument dans son état actuel. Nous y voyons 
une figure humaine debout , à téte de lion , et nue , à l'ex- 
ception de la ceinture et des parties génitales, que couvre 
un très -court vétement. Elle a quatre ailes, deux ascendan- 
tes , qui naissent des épaules , et deux descendantes , qui sont 
attachées au bas des reins. De la main droite elle tient une clef 
devant sa poitrine ; elle en porte une seconde dans la main 
gauche, qui descend jusqu'au niveaii de la banche^ en s'écartant 
du corps. IjCs deux jambes se terminent par des griffes de lion, 
au lieu de pieds humains. Un serpent d'une grande longueur 
entoure le corps , de la téte aux pieds , et forme quatre replis , 
dont le premier fait arriver la téte du reptile sous la màchoire 
inférieure du mufQe de Uon. A la droite de cette figure ainsi 
agencée, et sur le méme pian , on remarque un autel quadran- 
gulaire et allume. . Au-dessus de l'autel , une saillie pratiquée 

(1) Monum. inéd., pi. XXXVI , fig. 2. 



SUR UN BAS-RELIEF MITHRIÀQUE. 173 

dans le champ du bas-relief sert de socie à un groupe qui se 
compose d'un jeune homme et d'un chevai. Le jeune homme, 
place à cète du chevai, le tient par la bride de la niain gauche- 
il est imberbe et entièrement nu , à Texceptron de la téte , qui 
est coifFée du bonnet phrygien. Le mouvement du bras droit 
semble indiquer qu'il était arme d^une lance, dont cependant 
on n'apercoit aucune trace. Au coté oppose, c'est-à-dire àia 
gauche de la figure léontocéphale , on distingue , sur une se^ 
conde saillie, un peu au-dessous du niyeau de la première et 
au bord d'une cassure , deux pieds humains, placés entre deux 
pìeds de chevai, ce qui permet d'affirmer qu'ici , lorsque le bas- 
relief n'avaitpas encore été mutile, on voyait un second groupe 
semblable à celui que je viens de décrire. Quelques traces de 
couleur rouge, que l'on apercoit à la surface de la pierre, per- 
mettent d'affirmer aussi qu'à l'exemple de quelques autresmo- 
numents mithriaques romains, celui-ci avait été plus ou moìns 
richement colorié. 

Avant la découverte de ce curieux bas-relief, on connaissait 
en Europe plusieurs autres bas-reliefs ou statues de ronde- 
bosse qui représentent une divinité léontocéphale, analogue ou 
presque semblable à celle que nous avons ici sous les yeux. 
Mais c'est pour la première fois qu'une telle divinité nous ap- 
parali piacée entre deux groupes où , dès le premier abord , 
nous reconnaissons les Dioscures , bien que ces deux person- 
nages se mon treni ici à la place qu'occupent, sur un grand 
nombre de monuments romains consacrés à Mithra , deux 
assesseurs ou génies lampadophores. Jusqu'à ce jour, notre 
figure à téte de lion s'était constamment reproduite isolée de 
toute autre figure humaine, et, une fois seulement, on avait pu 
constater à ses cótés la présence de quelques accessoires ou 
symboles, tels qu'un caducée, un coq, etc. (1). 

La plus ancienne mèntion d'une sculpture d'epoque ro- 

inaine, représentant une divinité ailée, à téle et griffes de lion, 

et le corps enveloppé par les replis d'un serpent, se trouve dans 

(I) Voyex Zoegas Ahhandlungen , Taf. V, n. 16. 



f74 II. MÉMOIRE 

les notes mannscrites de Flaminio Vacca, que Fon conserve à 
Rome, et qui sarrétent à l'année 1594. Gette mention (1) 
s applique à une statue de marbré blanc, d'un très-mauTais style, 
qui , du temps de Sixte Y, fut découverte dans cette vilie méme 
et retirée des fouìlles pratiquées par Horace Muti sur le sol de sa 
vigne, dans le vallon de Saint- Vital situé entre le mont Quirìnal 
et le mqnt Yiminal, et non loin du lieu où précédemment on 
avait exhumé une quantité considérable d'objets précieux d*an- 
tiquité (2). La statue léontocéphale était placée sur un globe y 
dans un sacellum souterrain, de forme semi-circulaire. Più- 
sieurs lampes de terre cuite, posées sur le sol, autour de la base 
ou du piédestal qui portait cette figure , attestaient , comme k 
conservatìon parfaite de la statue, qua la chute du paganisme, 
ce petit édifice avait échappé aux recherches des chrétiens. 
Montfaucon , qui a transcrit cés divers détails dans son Dia- 
rium italicum, rapporte de plus qu'à son arrivée à Rome, 
en 1698, ce sacellum était, depuis longtemps, détruit ou 
recouvert da terre , et que la statue avait disparu. On croit 
qu'Horace Muti, effrayé de l'idée que cette figure pouvait 
représenter le diable^ la fit jeter dans un four à chaux. Le 
dessin quen a publié Montfaucon (3), et qui la reproduìt 
placée au milieu du sacellum^ sur une base entourée de plu^ 
sieurs lampes, est un simple croquis qu'avait fait, pour ainsi 
dire, de souvenir, Sante Bartoli, après avoir vu la statue 
originale et le petit édifice qui la renfermait. Peu de temps s*é- 
tait écoulé depuis cette découverte , lorsque , selon le méme 
Flaminio Vacca C4), on retira des fouilles de la vigne d*Horace 
Muti un bas-relief représentant une autre figure léontocéphale , 
qui n eut pas le sort de la première. Éclairé par les discussions 
verbales auxquelles avait donne lieu celle-ci , le propriétaire 
conserva la seconde; et c'est entre les mains de ses héritiers 



(1) Voye« MoutfaucoD , Z>{V7r. italic, p. 196 et 197. 
^2) Ibid., p. 195 et 196. 

(3) Ibid., ad cale, p, 198. — VAntiq, expliq., t. 1 , 2« partie , pi. ccxv , fig. l. 

(4) MoDtfaucou, Diar. italic.^ p. 197. 



SUR UN BAS-R£LI£F MITHRIAQUE. 175 

que Vacca put voir le bas-relief dont il s*agit, et en faire le des- 
sin qui a été réduit et grave au bas de la page 198 d.u Diarium 
italicum, Montfaucon a depuis reproduit ce dessin, dans d« 
plus grandes dimensions, sous le n° 2 de la planche CCXV de 
LAntiquité expliquée (1). La figure à téte de lion est ici sculptée 
en demi-relief , à còte d'un autel allume ; elle est vétue d une 
longue tunìqùe plissée , et porte de chaque main un flambeau 
allume, au lieu d*une clef ; de sa bouche sort une bandelette 
qui flotte dans Tair. Ces trois dernières particularités ne se 
rencontrent dans aucune autre représentation de ce genre ; et 
lebas-relief découvert à Vienne Tannée demière, par M. Péron, 
est, jusqua ce jour, le seul monument où Fon retrouve, à la 
droited^une divinile léontocéphale, 1 autel allume qui, daccord 
avec la descrìption écrìte de la main de Vacca (2) , se voit à la 
droite de la figure également léontocéphale que représente le 
dessin trouvé par Montfaucon parmi les papiers de ce sculp- 
teur. Cette figure, dans le siede suivant^ parait étre restée 
longtemps égarée. Le savant bénédictin n'avait pu la découvrir 
pendant son séjour à Rome ; mais depuis elle s'est retrourée , 
et Zoéga nous apprend (3) qu'on Ta placée dans les jardins du 
palais CJplonna. 

A la Tue du dessin qui la représente et du croquis de Sante 
Barigli, qui rappelle la première, Montfaucon ne pouvait ou* 
blier que Luctatiua , commentant un passage de la Théb^ide 
de Stace (4), où il est question de Mithra, s' exprime en ces 
termes (5) : Est enim {Mithra) in spel<BÌs persico habitUj leonis 

vultucum tiaray utrisque manibus hovis cornua comprimens 

Et bien que le scoliaste confonde ici les deux types différents 
dont se servirent les sculpteurs romains pour représenter le 
dieu des Perses , lauteur du Diarium italician , sans méme re- 
lever cette confusion, n'hésite pas à déclarer qu*après le témoi- 



(1) T. l, 2" partie. 

(?.) Montfaucon, Diar. italic.y p. 197. 

(3) Abhandlung., S. 205 et 206, n° 9. 

(4) I, 720. 

(5) Ad Stat. Thebaid. loc. cit. 



176 II- MBMOIRB 

gnage de Luctatìus, rapproché des passages de Tertullien et de 
Saint Jerome , où Ton trouve une mention expresse des lions 
mìthrìaqués (1), il est impossible de ne pas reconnaitre Mtthra 
sous les traits des deus figures léontocéphales découvertes dans 
la vigne d*Horace Muti. Il déclare ausai que depuis ces deus 
figures, on li'a retrouvé aucun autre inonument de cette espèce 
sur le sol roniain ni ailleurs» 

Mais tandìs qu*ìl écrivait ces demières paroles dans son 
Journal de voyage , des travaux entrepris aux enyirons d'Arles, 
en 1698, rendaient à la lumière le torse d'une statue très-ana- 
logue ; et ce torse fut publié par Montfaucon lui-méme , en 
en 1719 , daus le premier volume de U Antiquité expUquée (2). 
Après avoir appartenu à M. de Graveson , il a été depose au 
musée de la ville d'Arles, et reproduit dans un grand nombre 
d'ouvrages ou de recueils , quelquefois méme avec des resta u- 
rations arbitraires et des qualifications que rien ne saurait 
justifier. 

Uans la suite, quelques autres figures léontocéphales furent 
découvertes en divers lieux, dans lesein de la terre. Celle que 
publia le P. Kircher (3), en 1654, et qui n'est pas ailée, pro- 
venait d'une fouille faite , peu de temps auparavant , à Rome , 
dans les jardins de la villa du due Muti, située non loin de la 
villa Ludovisi. Il ne faut la confondre avec aucune des deux 
qui, un siècle plus tòt, avaient été trouvées dans la vigne 
d'Horace Muti , comme je viens de le dire d*après Flaminio 
Vacca. Si je rapproché du mauvais dessin qu*en a donne le sa- 
vant jésuite , la description faite par Zoéga (4) d*une statue à 
téte« de lion et sans ailes, qui , de la bibliothèque du Yatican , 
est passée au musée Grégorien , je dois croire que celle>ci est 
l'originai de la figure léòntocéphale publiée par Kircher. Ce- 

(1) Montfaucon oublie ici les deux passages classiques de Porphyre {De Abstin., 
IV, 16 ; De Antr. Njrmph., § XIV, p. 15, ed. Van Goens). H ne les cite pas non pia» 
dans les paragraphes da IV* livre de son Antiquité expliquée ( t. 1 , 2^ partie ) , où il 
s'oerape des statnes et des bas-reliefs qui représentent Mithra aree une téte de lion. 

(2) 2* partie, p. 370 et 371 ; et pi. ccxt, fig. 3. 

(3) OEdip. .Egyptirtc., t. Ili, p. 504. 

(4) Abhandlunfr. , S. 204, n. 6. .. -4 



SÌ3R UN BAS-REMEF MITHRIAQUE. 177 

pendant Raii'eì(l)f en signalant Textréme resserablance quii 
avait remarquée entre cette dernière et une autre qui, de soni 
temps j étaìt placée à la bibliothèque du Vatican > dit qu eHe 
provenait de la maison Carpegna. 

En c^ moment ^ les riches et précieuses coilèctions d'anti^* 
quités que renferme le Vatican comprennent cinq monumenta 
du mérae génre. Deux sont déposés dans la bibliothèque de 
ce palais (2), deux auti'es dans les salles égyptiennes du musée 
Gregorien , et le cinquième au musée Chiaramonti. Le premier 
se vojait ancien nement au musée Pie-Clémentin , et a été pu'^ 
plié par Visconti (3) :. c'est un torse restauré, qui avait appar^ 
tenu à la villa Albani (4) , mais dout la provenance primitive 
est restée inconnue. Le second nous offre, avee Texeniple de la 
plus grande statue que Fon contiaisse de Mithra léontocéphale, 
Tunique exemple aussi .d'une tablette adhérente à la jambe 
gauche de la figure et chargée dune inscription latine. Cette 
inscription , grayée en lettres capitales , nous apprend que la 
statue avait été consacrée, Fan 190 denotreère, parun prétre 
de Mithra nommé Caius Falérius Héracles, Mon savant ami, 
M. le professeur Welcker^ a publié ce monnment avec les 
Ahhandlungen de Zoéga (5) et d'après la réduction d'un dessin 
trouvé parmi les papiers de lantiquaire danois (6)« L'ioscrip» 
tìon a été interprétée, avec une grande sagacité, par un autre 
habile archéologue, M. le docteur Labus, dans un descahiers 
de la Bihliotèica italiana (7). 

Les deux représentations figurées de Mithra léontocépbale^ 
qu'on a placées dàns le musée Grégòrien, ne me sont confiues 
que par des indications succtnctes, qui ne me permettent ni 
de dire en quel lieu furént trouvés ces den^ monumenta ^ ni 



(1) Osservaz. sopr. ale. antiàh. monum. esist. nella 'villa Albani t p. 24-26. 

(2) MM. Bnnsen et Gerhard, Beschreib. der Stadt Rom.» t. TI, sect. Il, p. 335. 

(3) Mus. Pio-Clement.» t. II , tav. xix. 

(4) Raffei, ubisupra, tav. Ili, fig. 2, 
(6) Taf. V, n. 16. 

(6) Dans mes Recherches sur le eulte de Mithra, je publierai une copie non réduite 
da dcssÌD originai que M. Welcker m'a commuDÌqué avec .sa complaisance habituelle. 

(7) Maggio, 1816, n« V, p. 208 e seg. 

il 



178 II« MBMOIHE 

de juger s'ils se confondeDt ou non , l'un avec celui qii'a pu- 
blié le P; Kìroher (1)^ lautre avec te stame que possédait au- 
trefois la maison Carpegna (2). 

Je ne laìsserai pas nos lecteurs dans la méme incertitude 
sur le (ànquième monument dont il me reste à parler, avant 
^e passer du Yatican à la villa Albani. Gelui-ci esc un bas- 
relief de marbré , entièremeut dorè , qui fait partie du musée 
Chiaramonti. Ainsi que la grande statue léontocéphale datée 
de lan 190, il provient des fouilles que fit à Ostie, en 1798, 
4e peintre anglais Fagan , dan« Tintérieur d'un spelcùum ou 
Mithrceum souterrain, découvert Vannée précédente. Zoéga s'est 
tiorné à le décrire dans ses Alfhandlungen (3) , et jusqu*à ce 
moment on n'en a publié aucun dessin. J'en produis un sous 
len° 3 de la planche XXXVI de nos Monuments inéde'fs,Jesms 
redevable de ce dessin à 1 amitié d'un habile et zélé arcbéolo- 
gue, M. Edouard Gerhard. 

La villa Albani possédaìt autrefois deux statues et cin bas- 
reliei' représentant Mithra lébntocéphale^ une des statues ne 
sj trouve plus ; e est probablement le torse restauré , qui se 
voit maintenant dans k bibliothèque du Yatican, après avoir 
été précède mment place au musée Pie^Glémentin (4). La statue 
et le bas-reliet' qu a conservés la villa Albani, ont été publiés 
par Rafiei (5). Le-bas-relief est reproduit avec plus d exactitude 
dans un des. ouvrages de Zoéga (6)« 

A cètte liste de monuments, il faut en a}outer deux qui sont 
restés inédits: le premier est une figurine votive, de bronze, 
haute de cinq pouces seulement, et qui avait servi d^ manche 
i une Batère. Zoéga (7) Vavait vueà Rome, chez un màrchand 
dantiquités- qu il ne nomme pas. J'ignore ce qu elle est de- 
venne. Le second monument existe dans la méme ville, et m'est 



( 1 ) Ubi saprà. 
<2) Raffei, loe. cit. 

(3) S. 198 und 199, n. 2. 

(4) Ci'dessuSyp. 177. 

(5) Uhi supra, tar. Ili, fig. 1, e lav. TV, fig. 2. 

(6) Bassiril. antich. di Roma, tom. Il, tar. 59.] 

(7) Abhandlung.» S. 206 uud 207, u. 10. 



SUR UN BAS-RELIEF MITHRIAQUE. 179 

sigiialé par M. J. de Witte , qui en a vu un dessin à Rome , 
entra iès mains de M. le docteur Étnile Btaun. 

Après ces diverses indications , je crois devoir piacer encore 
icila mention d'une prétendue statue de Sérapis, qui faisait 
autrefois partie du ricbe cabinet d antiquités qu'avait forme à 
Montpellier le premier président Bon de Saitit-Hilaire. Cette 
statue parait s'ètre égarée ou méme perdue. Elle a été publiée 
avec confiance sous le nom de Sérapis-Soleil^ par Monlfaucon, 
dans son SuppUment a V Àntiquité expliquée (1), etreproduite 
si»ns aucune défiance dans le livré de Più che, in ti tuie XHhtoire 
du ci€l(2)y comme dans un grarid nombre d'autres ouvrages ou 
de dissertations archéologiques. Tout me porte à douter de 
Fauthenticité d'un pafeil montiment, et à conjeciurer quon 
lavait compose en adaptant au torse d'une statue antique de 
Mithra léontocéphale une téte de Jupiter- Sérapis. 

Le nombre total des représentations figurées de Mithra 
léontocéphale qui se conservent aujourd'hui dans divers lieux, 
s elève, en definitive, à onze ou douze au plus. Dans ce nortibre, 
deux seulement ont été trouvées sur le sòl de la France : le 
torse du musée d*Arles et le bas-relief qui est le sujet de ce 
mémoire. 

Le sculpteur romain ) Flaminio Vacca, setait prudemmenl 
abstenu d'appliquer aucune déìiomination aux deux figures 
léontoeéphales queles fouilles d'Horace Muti luiavaient donne 
l'occasion d examiner. Son eiemple fufc imité par les érudits. 
De'puis la découverte dont il s*agit, c'est-à-dire> depuis le milieu 
environ dii xvi* sièole jusqu*au milieu du xvu*' , its gardèrent 
méme un silence absolu sur ced deux monuments; du moins 

( 1 ) Tom. Il . pi. xLii. -^ C*est par erreur qae la figure tpxì est grarée suus le nooi 
àe Sérapis dans la platuche B des Recherches de MM. Jolloìs et Devilliers sur les bus- 
fflie/s aitronorhiques égj-ptiens (Ùescript. de l^Egjfpte^ Antiquit.» t. I) , porte pour sus- 
<^Hption' oes m«rts : Mont/imcon i Jrttiq. expl.» SuppL, mol^ 11^ pi. 42. Lésaateurs, 
<^iis une le^tr^ ^i est eotre ,mes mains ^ reconnai&sent que cette suscriptiou appar- 
tienf à la figure quella cut iùtitulée Sérapis'soleil suV là méme pianelle B ; mais ils uè 
peuvent se rappeler d'où ils ont tire le dessin de la figure qui a donne liéu à Terrcur 
<IQe je aignale. Il me parait probable que ce dessin est la reprodnction d*une restaura- 
tion arbitraire du torse qui se conserve au musée de la ville d'Arles. Voyer. ri-desìius, 
p. 176. 

(2) Tom. Fyplancbe pour la page 66; ed de Paris , 1739. \1. 



180 II* MÉMOIRE 

ne nous est-il parvenu aiicun ouvrage manuscrit ou imprimé 
qui prouve que, durant cette période, ce silence ait été rompu. 
On sait seulement quau dessin trouvé par Montfaucon dans 
les portefeuilies de Sante Bartoli, était jointe une explication 
manuscrite, dont le savant bénédictin nous fait connaitre le 
'peu de valeor en se bornant à nous dire (1) que Tauteur ano- 
Qvme de €et écrit prenait pour Timage de quelque dieu des 
Sabins la figure léontocéphale dessinée par Sante Bartoli. Mais, 
en 1654, une nouvelle découvette, dont -j'ai déjà parie, 
fut, pour le P. Kircher, l'occasion de faire entrer dans le do- 
maine de larchéologìe Tétude des- figures à téle de lion. Trop 
iiiìbu de l'idée que Torigine de tous les monuraents singuliers 

# 

devait étre cherchée en Egypte , il se crut autorisé à recon- 
naitre, sous les traits de la statue léontocéphale du due Muti, 
'une prétendue divinile égyptienne qu'il appelle MomplUa (2), 
et quii croit identique avec Sérapis. Du reste, il parait avoir 
ignoré que deux statues analogues avaient été trouvéos un 
siede auparavant, et qu*il en existait une description et des 
dessins ou croquis parmi les papiers de Flaminio Vacca et de 
Sante Bartoli. 

A la vue de ces derniers documents, qui peut-étre sans lui 
nous seraient restés inconfius, dom Montfaucon, étranger à 
tout esprit de système , riche d*un grand fonds d erudition et 
plein de zèle pour la recherche des manuscrits et des.monu- 
ments figurés, n'hésita pas à restituer au dieu des Perses, 
Mithra , comme je Tai dit plus haut , les deux figures lépnto* 
eépbales dont Texistence lui était révélée par les notes inanus- 
crites de Vacca. Il consigna son opinion dans Fouvrage pré- 
cieux quii publia^ en 1702, à Paris, sous le titre de Diarium 
itaUcum, Mais là ^ comme plus tard , dans le premier volume 
de son Antiquité expliquée (3), il s*abstint de faire aucune 
mention de la découverte signalée dans FOEdipe égyptien de 
Kircher, évitant aitisi, par des raisons qui ne me sont pas 
connues , d'avoir à s'expliquer sur Terreur que comniet ce pére 

(!) Diar. italic, p. 197. 

(2) CEtlip. jEgjrpliac, loc. cit. 

(3) Toro. I, V partie.p. .168-372. Paris, 1719. 



$UR UN BAS-RELIEF MITURIAQUE. 181 

jésuìte, lorsqu'il rapporte à une divinité égyptiìenne ]a statue 
léontocéphale de la villa du due Muti. 

L'opinion de Montfaucon , bien qu*elle fù.t appuyée sur dea 
témoignages irrécusables , n'obtint pas Tassentiment unanime 
dessavants. L^abbé Raffei, dans ses Observations suik les troi& 
Ggures l'éontocéphales de la villa Albani et sur le torse restauré 
de la bibliothèque dTj Vatican (1), observations qu*il fit imprimer 
en 1779', considère ces monucnents comme autant de repréìsen- 
tations solaires, auxquelles on ne peut, selon lur, applìquer que 
deux dénominations , celle d'Osiris ou celle de Mithra. Dédài- 
gnant les témoignages sur lesquels s'était fonde Montfaucon , 
pour se déclarer en faveur de la seconde àe ces deu% dénomir 
' nations, et préférant s*engager dans la vofe erronee où avait 
marche le P. Kircher, il dònne Texclusion au noni de Mithra 
et se prononce formellement pour celui d'Osiris. A cette epo- 
que, on ne connaiìisait pas encore les diverses divinit^^s léonto- 
céphales que les voyages entrepris en Egypte, une écude plus 
approfondie des antiquités égyptiennes, et la réunion d*un 
nombre considérable de monuments fìgurés égyptiens dans nos 
musées publics ou particuliers nous ont'successivement fourni 
le moyen de distinguer du dieu Osiris. 

La décision arbitraire de Raffei ftit contestée avec succès , 
en 1783, par l 'illustre Visconti, dans le second volume de sa 
belle description du musée Pie-Clémentin (2). Après avoir dé- 
montré que, lors méme qu'il ihudrait chercher chez les Égyp* 
tiens Texplication des figures léontocéphales dont nous nous 
occupons, la dénomination d'Osiris leur conviendrait bien 
moins que celle d'Horus, il expose les raisons qui le portent à 
se ranger sans hésiter à lavis de Montfaucon. Développant la 
pensée du judicieux bénédictin , il examine un à un les prin- 
cìpaux symboles qui entrent dans la composition de ces sortes 
de figures. Il déclare ces symboles solaires et mithriàques. Il 
les retrouve soit dans le passàge cité de Luclatius, soit dans 
les autres traditions écrites et les autres représentations figu- 



(1) Osservaz.y et**., p. 23-48. 

(2) Tom. II , pag. 44 et 45. 



|82 II. M£MOIR£ 

rees dont Mithra est le sujet. A cette occasion , il é^ablit une 
distinctlon entra les monuiQents qui représeuteot le dieu des 
Perses inimolant un taureau, et ceux qui reproduì^edt ce 
méme dieu sous le^ traits d'ui>^ figure humaine à téte de Uon , 
et le corps entouré d'un ^erpent. il pUce dana la première de 
ces deux catégorie^ les représentations figurées de Mitlira qui 
étaient accessibles au vulgaire; et dans la seconde, ces images 
dont Thémistius (1) entendait parler lorsquil dit qu'op les 
montrait aux seuis initiés. La disposition particulière dec^ mo- 
nuinents de sculpture qui ornaient le Mithrceum souterrain 
d'Ostie semble confirmer Tinterprét^tion donnea par Visconti 
au passage de Thémistius, quelques années avant cette iinpor- 
tante découverte. En effet, c'est à l'entrée méme du Mithrseum 
d*Ostie que Fagan (2) trouva un groupe de ronde bosse (3)con- 
sacré par Gaius Valeri us Héraclès, prétre de Mitbra, et repré- 
sentant ce dieu au moment où il sacrifie un taureau, tandis 
qu'il fallut penetrar jusque dans Tendroit la plus secret rie 
rintérieur du tempie, pour découvrir la grande statue de Mithra 
léontocéphale (4), consacrée par le marne prétre, Tan 190 de do- 
tre èra, et le bas-ralief dorè où jai déjà dit qua lon voit aussi 
Mithra léontocéphale. Après un fait si digne d'attention, on 
peut encore, ce ma semble, alléguer, comme un argument 
favorabla à la distinction établie par le ^avant antago|iÌ5te de 
Raffai , la raraté das monuments q^i représentent Mithra 
léontocéphale et la grand nombra da ceux qui la raproduisent 
sous les traits d'una divinité tauroctone, à tata humaine. 

Toutefois, le débat entre Kircher et Raffai, d'una part, et 
Montfaucon et Visconti, de Tautre, n'était pas définitivenient 
vide. Zoéga ayant compose à Rome, en 1798, une assezlongue 
dissertation sur le eulte , les mystères et les monuments. ro- 
mains de Mithra , se trouva conduit a examiner la question 
particulière des figures léontocéphales dans deux paragraphei» 
distincts qui , ainsi que les autras parties da la dissertation , 

(f) Oration. XX. In Patrib., p. 235; ed. Harduìu. 

(2) Ci-dessus, pag. 178. 

(3) Zoe%9ii Abhandlung. , S, 146, n. 2, und S. 198;Taf.y^n. 15. 

(4) Thid., S. 193-199; Taf. V, ii. 16. 



SUH UN BAA-R£L1JBP MITURIAQUB. 183 

furentinsérés» en langueiUnaise, daii^ le xy^ volume des Mé- 
luoires de la Société royaie des scienoes de. Cpf>eohague, pour 
les années 1805 et 1806. Le premier de ces deux paragraphes 
est instale Le diea JEon ; le second , Les dm repré$entations< 
figurées de ce dieu qui essUtent actuellemetU et qui €uUrefois. 
étaieuX attribuées a Mithra. Ils coBÙennent lun et lautse des 
considéradons, des interprétationa, dans lesquelles on reggette 
que Fauteur ne tienne pas asse» coQipte des ob&ervatiODS et de& 
témoignages dont le judicieux interprete des. manumeots du- 
musée Pie-Clémentin s'était servi pour jusljfier le se^timent de 
Montfaucon. A Texeinple d^ Raffei , Zoega ne sait pas se bor-t 
ner à chcircher lexplication des figures léojnto(?éphaIe& romaines. 
dan^ les documents qui se r^pportent dipecteineRt au oulte et 
aux niystères de Mithra : eonlbndaRt ensemble tes jdées que les. 
Chaldéens d*Assyrìe et Zoroastre, leur élòve^ atliachaient au 
dieu appelé le Temps sans bornes,, et les idées qui$ Manichee 
sétait formées sur la uature et les attribuiions, des sepi^om-, 
il imagine de donner aux dix, figures léontocéphales dont il 
s'occupe , la déuominatioa d'jEon o\h Chronus ; il rend ainsi 
synonymes deux qualifications qui ne le sont nullement dans 
la théologie orientale , et les substitue très-arbùrairementì au 
nom de Mithra , qu*avee tonte raison Montfaucon^ et Visconti 
avaient applique à celles de ces dix. figures qui leur étaient:eon* 
nues. On est dautantplus en droit de setonner d*UBe paireiUe 
conclusion, que parmi les dix représentatioas.décrites par l'an^ 
tiquaire danois sopt nominativement conipris. la. grande statue 
et le bas-relief dorè qu'en 1798 on avait retirés de Tintérieur da 
MUhrcffum d'Osùe ^ MUAratum dont rentjrée, je le répète, était 
décorée d'un groupe de ronde bosse qui.représeote le dieu des 
Perses dans laction de sacrifier un taureau, et qui porte une 
dédicace où se lit le nom de Caius Yalérius Héraclès^ ce n^eìòe 
prétre de Mithra que nous trouvons noromé dans la formule 
de consécration de la grande statue léontocéphale* 
. £n 1808, et, par conséquent, une année enviroi^ av^i^nt la 
mort de Zoèga, arrivée le 10 février 1809, avaient paru a Rome 
plusieurs livraisons dn second volume d'un bel ouvrage dont il 



.184 n. MBMOIRE 

a dote la soi^nce, Gli Bassiriliei^i antichi di Roma. On y troii- 
ve(i), en italien et avec quelques légers changements , la dis- 
sertàtion ìntìtulée Le dieu Mon^ que Tauteur avait précédem- 
ment publiée en danois dans les Mémoires de la Société.roya!e 
desscìencesde Copenhague, coimmeje viens de le dire. Il fait 
iei une a|)plication particulière de ses idées à Tinterprétation 
d'une des trois figures léontocéphales que, de son temps, pos- 
•sédait la villa Albani, et il donne de cette figure, déjà publiée 
par RafFei sous le nom d'Osiris, un dessin (2) au bas dùquel 
on lit le mot Eone, 

Visconti ne pouvait approuver une q^alification aussi vague 
et aussi arbitraire. Dans le cours de la méme année 1808, la pu- 
biication de ses MiscellanéesXm fonrnit l'occasion de se pronon- 
cer contre l'opinion récemment exprimée par Zoega, et de 
déclarer, une seconde fóis (3), que la dénomination de lAithra 
était la seule qui convìnt aux figures léontocéphales dont 
s'étalt occupé l'antiquaire danois dans ses Bassirilievi antichi 
di Roma. Du re^te, l'auteur des Mis'cellanées n'apporte là au- 
cune nouvelle considération , aucun nouveau témoignage à 
l'appui de son sentiment. Il neglige méme de réfuter les di- 
verses erreurs qui servent de base aux conclusions de Zoèga , 
et il se borne à dire que le passage du scoliaste de Stace, où 
il est textuellement question de Mithra à face de liòn , leonis 
7)uìtUf reste un argumentsans réplique en faveur de l'opinion 
de ceux qui considèrent comme autant de représentations de 
ce dieu les figures que Ton a qualifiées du nom d'^d« ou 
Chronug. 

Lorsqu'il tracait les Ugnes dont je viens de donner la subsr 
tance , Visconti ne connaissait pas la longue dissértation que 
Zoéga avàit précédemment fait insérer dans le IV*^ volume des 
Mémoires de la Société royale des sciences de Gopenhague. Il 
convient d'ajouter qu^écrite primitivfement en italien , mais pu-? 
bliée en danois, cette dissértation avait ainsi été livrèe au monde 
savant dans une langue accessible à un bien petit nombre d^ar- 

(1) Tom. n,p. 32-40. 

(2) Bassiril. antick. di Roma, t. II > tav. LIX. 

(3) Mas. Pio-Clemenùn. {Miscellan!), t. VII, p. 98. 



SUR UN BjLS*RELI£P MITHRIAQU£. 185 

chéologues; aussi était-elle restée à peuprès ignorée Viors du 
Danemark jusqu'au moment où laut^ur jugea convenable de 
reproduire sous sa forme primilÌTe la partìe de cet écrit qu'il a 
placée dans le texte de ses Bassirilievi antichi di Roma, Cesi 
en 1817 seulement que la dissertation dont il s*agit fut tra- 
(luite, tout entìère, du danoìs en allemanda et réimprimée, par 
les soins de M. le professeur Weicker , dans un volume que j'ai 
déjà cité plusieurs fois, et qui a pour ti tre : Zoegas Àbhand* 
lungen» 

Ma remarque, au reste, ne saurait absoudre le docte Vis<p 
conti d*un tort qu*il a partagé avec Raffei et Zoéga. Dans son 
interprétation de la statue léontocéphaie du Yatican, corame 
dans ses Miscellanées , il nous montre quii navait pas plus 
cherché que ces deux antiquaires à approfondir Tétude des 
anciens systèmes religieux de TAsie occidentale, ni celie des 
iDonuments de lart qui s'y rattachent. Cette doublé étude, 
malgré les savantes recherches de Selden sur les dieux de 
Syrie^ malgré le beau travail de della Torre sur le eulte 
et les représentations figurées de Mitbra, malgré la publica- 
tion des importants mémoires d'Anquetil du Perron et de sa 
traduction du Zend-^Avesta, cette doublé étude, dis*je, était 
fort négligée en Europe au temps où Raftei, Visconti et Zoéga 
publiaient les écrits dont je viens de parler. Elle Test encore 
beaucoup trop, de nos jours, pour les progrès si désirables de 
i archeologie comparée; et cependant, depuis Selden, della 
Torre et Anquetil , les savantes publications de M. le profes- 
seur Frédéric Creuzer, du docteur Frédéric Mùnter, de M. de 
Hammer, de M. Hòck, et les rich^s collections d'antiquités 
ou de dessins rapportées de TOrient par un grand nombre de 
voyageurs francais . ou - étrangers , nou^ ont laissé entrevoir 
combien une telle investigation peut fournir de sujets de mé- 
ditation aux esprits les plus sérieux , et d'utiles enseignements 
à quiconque voudra pénétrer le sens intime des traditions 
relìgieuses, des légendes et des monuments fìgurés que nous 
ont légués les peuples les plus célèbres de Fantiquité. 

Toutefois, parmi les savants et les voyageurs qui se sont 



186 II. MBMOiRB 

plus ou moins spéciali^ment occupés du. eulte 4$t<les représen- 
tations figurées de Miibra, personne, à ma oo»iu^aàaqce, na 
entrepris de remplir les lacune» que présenteni; \esi recberches 
de yÌ3Gontt et de 2kiégà sur les figures léontocéphdlés , ni de 
relever les erreurs daxis lesquelles est tombe ce dernier. Loin 
de là, ces orreurs, au lieu detre combattues, se sont propa- 
gées en Fiance et a Tétranger. L eoole allemande surtout a 
daoné le fAcbeux exemple d adopter, sans discussion p^lable, 
et contrairemeiit à ropinion de Montfaucon et de Visconti , la 
fausse dénomiBation d*iEon y imposée par l'antìquaire danois 
aux figures de Mithra lédtitoci^bala. Il y a huit ana à peine, 
ikous avons vu, non sans étonnement , dans un ouvrage qui, 
sous tant de rappoits, mérite les élogesde tous les archéolo- 
gues, un éruditallemand (1) reprendre Visconti d'avoir attrìbué 
à Mitbra la statue léontocéphale du musée Pie-Gtémentin , et 
ne pas bésiter à designer, sous le nom d'iSon, cette méroe sta- 
tue et tous les monuments du mésme genre qui se trbuyent à 
Rome. Une doublé tàcbe est dono à remplir dans rkiterpréta- 
tion quattend le bas*relief qui, découTert en 1840, dans les 
fouiUes de Vienne, offre un nouvel exemple de ces figures 
léontocépbales romaines, don t la de»tinée semble étre de re- 
nouveler sans cesse un débat que Fillustre auteur des Mùcel- 
lanées croyait avoir termine. Je n'entre dans la lìce qu avec uue 
juste défiance de mes propres'foroes; et ce n'est pas sans un 
bien vif regret que ye me voi» coiitraint d'esercer envers 
2^éga , envers Visconti lui^méine , les droits ri^oureux de la 
critique, lorsque je voudrais n avoir à offrir hci à la mémoire 
de ces bommes éminents qu un trìbut d adxuìration et de re- 
connais3ance, pour les importants services qu*ils rendirent à la 
SGÌence cbaque fpis qu*ils traitèrent des sùjets d'arcbéologie 
qui leur étaìent plus familiers. 

Fante d avoir étudié à leur source primitive les doctrines du 
manicbéisme, et, dans le Zend^Avesta, les rapports particuliers 



(1) ,M. Ernest Platner, dans Touvrage collectif infituté Beschneib. der Stadi Rom.» 

n Ba., s. 335. 



SUR UN BAS-RBLIBF MiTHRIAQUE. 187 

qui exi$taient <»i)tre ces doctriaes et le systèine religieux eni- 
pruntQ par Zoroadtre aux Cbaldéeos d*A«$yrie, %oéga et Vis-* 
conti n'ayaient pa^ remai'qué que ks aept i£on$ des valetiti- 
nien^ et des manichéens correspondent aux sepi Amachaspands 
des livres zends, et que si le premier de ces noms signifie le^> 
7)ivants ou les immortels (\), d'après la raàiie sémitique nHìy 
hajrjroix /mj^ à laquelle il appartient (2) , le secood est la forme 
persane, moderne, d une qualification lende [amècha cpènta\ 
qui se traduit littéralement par celie-ci : les saints immarteU {Zy 
IIs n*avaient pas non plus remarqué que lefi 3ept Amschas* 
pands sont chacun la manifestation d'Ormuzd et de Mithra, 
considérés dans Texeroice des sept fonctions prìncipales que les 
livres &acrés des Parses assìgnent à ces deux divinités dans le 
ciel et sur la terre. Ils paraissenl avoir ignoré que le second de 
ces sept Amschaspands, dont le premier se nomme méme 
Ormuzd, est, en particulier, la manifestatipn du dieu Or- 
muzd, roi du ciel fìxe ou roi du firmament, et la maoifestation 
du dieu Mithra , roi du ciel mobile ou du ciel des sept pia* 
nètes* Cest à ce doublé titre que TA-mschaspand ou le saint im- 
mortai àont )X sagit, porte le nom de Bahman, transcrìption 
persane emplojée pur Anquetil à la place du pazend vanghu 
manóy ou du zend TAofui manóy qui littéralement signifient à la 
fois : ia bonne intelligence (4) et le cielpur^ de méme qu Ormuzd, 
roi du ciel pur, est appelé cpento maìnyas, c'est*à-dire , le saint 
inXelligenty par opposition à Ahriman, nommé ep aiend angrò 
mainjrus, le méchant inteUigent (5)« Zoega, Visconti et Anquetil 
lui-méme n avaient pas observé qu*Ormuzd et Mithra forment 
avec le dieu suprème Zarouàn {Zrvana ou Zatvàna akarana)^ 
un^ trìade (6) dont chaque persQnne représenta l'idée d*un 
mode particuUer de temp», le tewf^s sam barnesou Téternité, le 

(1) « Eons et Immortels sont des tcrmes synooymes, » dit le savant Beaii8obre( Hisl, 
du manichéisme y t. I, p. 572). 

(2) Voyez mes R-eekerehes sur le eulte eie Vènus^ p. 35 et 86 , notes 1 -4 , et ajontez 
que le mot grec oelcóv a le sens àUtemitè. 

(3) Ibid., note 4. 

(4) M. £ag. Burnouf, Journ. des Sav., aoàt 1833, p» 468. 

(5) Id., ibid., p. 467 et 468; Yacnay t. I, p. 88 et suiv. 

(6) Voyez le Nouveau Journal asiatiquie, t. XVI, aoùt 1836, p. 174 et 176. 



188 II. MÉMOIRE 

temps limite^ e est-à*dire, la durée dit monde créé, et le temps 
périodique oii le temps exprimé par la revolution du soleil et 
.de la lune. Enfin, nos deux archéologues^ il fautbien le dire, 
ne s'étaient pas rendu un compte exact du róle que joue Mithra 
dans le sys tèrne religieux des Perses et dans Tinstitution des 
mystères qui portent le nom de cette divinile. Toutes ces no- 
tions ont surtout manqué à Zoéga. S'il les avait eues, eiles 
Fauraient empéché de se méprendre sur la dénomination qu il 
convenait d*appliquer aux figures léontocéphales que nous a 
léguées Tantiquité romaine; elles Fauraient infailliblement 
conduit, ainsi que Visconti, à une interprétation complète des 
inotifs qui présidèrent en Asie à la composition du type prì- 
mitif de ces singulières figures, et au choix des attributs avec 
lesquels ce type fut diversement reproduit en Occident. 

Trois monuments mithriaques d'epoque romaine, dont /ai 
déjà eu plusieurs fois Toccasion de parler, et qui -n'étaient 
cependant pas restés inconnus à Zoèga, peuvent oontri- 
buer à niontrer conibien Tanti quaire danois est peu fonde 
dans son opinion, lorsqu'il prétend reconnaitre i£on ou le 
Temps sans bornes sou8 les traits d*une divini té léontocéphale, 
semblable à celle dont le bas-relief de M. Péron nous offre un 
nouvel exemple. Je veux parler d'une terre ouite que Fon a long- 
temps conservée à Rome, dans le palais du sénateur Octave 
Zeno (1), d*une intaille de jaspe r'ouge, qui faisait autrefois 
partie de la coUection du comte de Caylus(2), et d'un bas* 
relief coulé en verre et découvert à Rome, que Passeri avait 
donne au musée Olivieri (3). Ces monuments sont aujourd'hui 
perdus , mais on en possedè des dessins plus ou moins satis- 
faisants. Dans la partie supérieure de la terre cuite, on re- 
marque, placée deboutau milieu de sept pyrées ou autels 
allumés, une figure humaine ailée qui, de la main gauche, 
tlent un long sceptre, et qui est enlacée dans les quatre replis 
d'un serpent, dont la téte semble menacer une autre figure 

(1) Lafréry, SpecuL roman. magni/ìc. -^ Yoyez aussì Mèm. de V Acad. rojraUt des 
inscriptions et belles-lettres» t. XIV, 2* partie, pi. V, 

(2) Ree. d'Antiq y t. VI, pi. lxxiv,^® 1. 

(3) Olivieri, Anticli. Ciistian., p. 23, tav. VI. 



StJR tJN BAS«B£l«IEF MITHRIAQtJE. 189 

humaine , qu'entoure égaleznent de ses quatre replis un reptile 
de niéme espèce. Cette seconde figure n est pas ailée et ne 
porte point de sceptre; elle est debout et daus une hunible 
attitude, sur le niéme pian que la première , mais en deliors. 
des. sept autels, à la gauche du spectateur ^ c'est-à-dire, entre le 
quadrige du soleil et le premier pyrée. Sur Tìntaille de Gajlus , 
nous retrouvous ces deux figures dans une position respective- 
ment semblable, avec cette seule diiférence, que la scèn% est 
placée sur la voùte de la grotte de Mithra, et qu*entre le qua- 
drige du soleil et la figure non ailée, on distingue, au milieu de 
neuf étoiles ou planètes, un myste nu, qui implore à genoux^ 
comrpe on le voit sur quelques autres monuments mithriaques 
romains (1)^ Ventrée du séjour des bienheureux, figure sous la 
forme de la montagne celeste, appelée le Gorotman ou XAlbordj, 
Au lieu de sept autels allumés, on trouveici sept flammei as- 
cendantes, qui ont la méme signification. Le bas-relief d'Olivieri 
serapproche, par la composition du sujet, beaucoup plus de 
la terre cuite du palais Zeno que de Tintaille de Caylus; mais 
cependant, sans parler de la date consulaire de lan 391 de 
notre ère, qui s'y trouve implicìtement exprimée, il présente 
plusieurs particularités que n'offrent ni Tun ni lautre de ces 
deux derniers monuments. Nous devons regretter que rimper^- 
fection du travail de ce bas-relief coulé en verre j et Tim-* 
perfection ausisi du seul djessin quon en possedè, ne permet* 
tent pas d*indiquer avec une certitude absolue chacune de 
ces particularités. Dans Tétat où ce monument est reproduit 
sur une des planches de Touvrage d'Olivieri, intitulé Antichità 
cristiane (2), on distingue dans le cbamp, au-dessous d'un 
fronton triangulaire , qui supporte le char du soleil et celui de 
la lune 9 et à gauche de la téte de Mithra tauroctone , une pe^^' 
tite figure humaine ailée, enveloppée, à partir du milieu du 

(1) Firunum odcr die rómisch. Alierth. des Saalfeldes in Kàmtken,' Wìeon, Schotky, 
1823 , I Heft. — Annal. des Ver. far nassauisch. Alterthumsk. una Geschichts^.; Wies- 
bad., 1S27; II Ueft.,Taf. l^^NoiweUes AnnaUs del* Tnst. arch., Monnm. inèd.» pi. Xllf » 
n*" 1 el 2. — Mém, de VAcad. royale des inscrip. et belle s-lettrest t. XIV, 2® partic * 
pi. I , n"' I et 2, — Bas-relief mitbriaqiie ioédit, troiivé dans les ruine» d'Apulum. 

(2) Pag. 23, tav. VI. 



190 II. MÉMOIRE 

corps environ, par les èìx repiis d*un serpent'dont on ne voit 
pas la téte, et dont la qtieue s'enròule de manière à caeher en- 
tièrement les pieds de la petite figure. Une seconde figure, 
pareille à cellenci, se montrè plus bas, dans le champ, à la 
gauche du muffle da taureau qu'imnìole Mithra. Gokkinie la 
première , elle semble d^scendre^ du del , mais , à la difFérence 
de celle-là, elle att<eint Tintervalle qui séparé les deut autels 
plac^ a la gauche de Mithra. Sur le méme pian , au còte op- 
pose et au«de&8us de quatre autres autels , on apercoit , ren- 
versée à còte dun (lambeau allume et dressé verticalement, 
une figure humaine ^ sans téte et sans aiies. 

Les diverses partìcularités que je vietts de signaler sur ce 
bas-relief de verre, sur la terre cuite du palais Zeno et sur 
Tintaille de Caylus, n'ont encore recu aucune explication satis- 
fais^gìte, ni méme été Tobjet d*une attention sérieuse. Les 
firagments que nous possédons des livres sacrés des Parses 
fournissent a eux seuls cependant, si je ne me trompe, le 
moyen d'en déterminer la signification et de pénétrer méme le 
sens intime de la scène à laquelle elles serattachent. II est, en 
effet) évident que, dans les deux premières des trois composi- 
tions dont il s'agit, les sept autels allumés ou les sept flammes 
représentent les cieu^ des sept planètés, et, par conséquent, 
les sept intelligences appelées Amschaspands ^ qui président 
aux sept planètés et qui sontles sept conseìliéts d*Ormu%d. Ces 
sept feuxou pyrées nous tran sportent dans la région celeste; 
et la présence du char du soleil et de celui de la lune nous 
avertit que nous sommes ici , non dans le ciel fixe , residence 
particuli^re d'Ormuzd , mais dans le ciel mobile , où Mithra 
règne en roi, place toujours entre le soleil et la lune, comme 
le dit textuellement le Zend-Avesta (1), et comme nous le mon- 
trent plusieurs bas-reliefs d'epoque romaine. Dès lors il devient 
indubitable que, sous les traits de la figure qui , debout au 
milieu des sept feux ou du ciel des planètés , porte des ailes 
ascendantes, attachées aux épaules, et tient un sceptre royal, 

(1) Tom. II, [). 13. — Cf. t. I, a'^ panie, p. 28. 



SUR UN BAS-RBLIEF MITHRIAQUE. 191 

on a voulu représenter Mithra, roi du ciel mobile. Or^ je le 
répète, nous voyons dans le Zend-Avesta, que Bahman, dont 
le noni zend , ^vohu manòy signifie à la fois le del pur et la bonne . 
intelligence, est la manifestation du dieu Mithra dans ses fon^* 
tions de roi du ciel mobile. Cet Amschaspand reside au ciel) 
revétu d'habìts d'or (1), et se lèye de son tróne d'or, dit Zo- 
roastre (2) , pour recevoir, à Tentrée du Gorotman , les justes 
ou les féroùers purs , les féliciter sur leur heureuse arrivée 
dans le ciel, et leur donner des vétements d'or. Gomme Mithra, 
ilreprésente le principe de Vintelligence ; comme lui, il distri* 
bue aux humains Tintelligence, qui est un don précieux d'Or- 
muzd (3). Son antagoniste, Aschmogh, Tun des rois des enfers, 
lun des sept dews d'Ahriman, et, par conséquent. Fune des 
sept manifestations d'Ahriman, est précisément ce dew que les 
livres zends qùalifient des épithètes d'impur (4) , diennemi des 
féroùers (5), de couleupre ennemie de Mithra (6)> de couleui^re 
adeiix pieds (7), et d' ancien serpent infornai qui a deux pieds{%y 
Cette dernière qualìfication lui est commune avec Ahriman, et 
m'a servi, dans un autre mémpire (9), à reconnaitre, sur quatre 
bas-reliefs mithriaques que nous a légués Tantiquité romaine, 
le chef des dews sous les traits d'un personnage barbu qui, 
entouré d'un é<ioi*me serpent, a sa place dans la région des 
enfers, et s'y voit attaqué ou poursuivi par Mithra. J'ai 
méme, à cette occasion , fait remarquer qu'un de ces quatre 
bas-reliefs (lOj nous offre le spectacle curieux du serpent de 
Mithra combattant le serpent d'Ahriman. La face antérieure du 
bas-relief mithriaque trouvé dans un des Mithrceum de Heder- 
nheim m'a aussi donne lieu de signaler un second exemple de 

(1) Ibid., t. II, p. 75. 

(2) Ibid,, t. I, 2'' partie, p. 418 ; et t. II, p. 75. 

(3) Ihid,, t. Il, p, 153, IM, 316 et 325. 

(4) Ibid., t. I. V partie, p. 112, 305 et 377; t. II, p. 268. 

(5) JftiW.,t. II, p. 268. 

(6) Ibid., t. Il, p. 204» 

(7) Ihid,, t. I, 2® partie, p. 110. 

(8) 7iW., p. 305ct377. 

(9) NouveUes Annalesde V Institut avchéologiquet 1. 1, p. 478-487. — Mém, de VAead. 
rojrale des inscr. et belies^tetti^es, t. XIV, 2* panie, p. 88-97. 

(10) Ibid., t. II, p. 81-84, et pi. A.— /*/>/., p. 18<V-l85,eipl. VI. 



192 II. MÉMOIHB 

loppositìon du bon et du mauvais serpent (!)• Jajoute ici 
que , dans Tiescht de Taschter (2) , Ahrìman est Vastre ser- 
, pent qui sefaisaU un chemm entre la terre et le ci0l; et que, 
selon le Boun«-Déhesch (3) , Ahriman , sous la forme du rep- 
tile que Zoroastre appelie la couleuvre a deux pieds ou Van- 
cien serpent infernal à deux pieds ; sauta du ciel sur la terre , 
penetra dans le cìei , le jour Ormuzd du mois des féroùers 
[farvardin) , vit le cìel et la lumière, mais fut brisé et saisi de 
frayeur, continue le Boun-Déhesch (4), comme Test la brebis 
derant le loup. On ne peut dono douter que, sur la terre cuite 
du palais Zeno et sur Tintaille de Gaylus, les deux figures en- 
tourées chacune d'un serpent et placées dans la régioii du ciel 
ne représentent Mithra et Àhrinian se manifestant, le premier^ 
dans la personne de TAmschaspand Bahman , roi du ciel, et, le 
second, dans celle du dew Aschniogh , l'antagoniste de Bah- 
man. C*est encore ici , sous Femblème du bon et du mauvais 
serpent (5) , la grande lutte du btep et du mal, du bon et du 
mauvais principe, ou du bon et du mauvais genie, dont le pre- 
mier, appelé ailleurs Amoun^ Ammoni Cnouphis ou Cneph, 
Jgaiho-Dasmon ( Àya6ò? Àaip.(dv ) , est si souvent représenlé 
ausai 5 dans les scuiptures et les peintures des'raonuments 
égyptiens, sous la forme d'un serpent porte èur deUx jamhes 
et deuae pieds humains (6), et sous la forme moins naive d'un 

(1) ihid. — ibìd. 

(2) Zend-Avesta, t. II, p. 188. 

(3) Ibid. {Boun-Dékesch, % lì\\ p. 351. 

(4) Ihid. 

(5) Il en est de méme dans le mytbe d'ApoUon cbez les G^ecs et les Romaios. Car, 
tandis que ce dieu tue le mauvais serpent Python , nous voyons, à ses cótés, le bon ser- 
pent s'enrouler autour d'un cippe ou autonr d'une colonne snrmoatée ,d*une lyre. 
On peut citer plnsieurs statnes d*Apollon , plusieufs médailles et , entre autres, une 
Monnaie imperiale de Tbessalonique, à l'effigie de Gordien Pie. (Voy. M. Mionnet, Descr. 
de Méd. I, 592 et ò93, vP 396). Ailleurs le bon serpent est place, comma un symbole de 
-vie , entre les mains d'EscuIape et d^Hygie. Yoyez mes obserrations sur le MUhra'Pj' 
thius des mystères, Nouv. Ann. de Vlnst. archéol., ì. II, p. 46->52.<— ilf<f/it. de l'Jtcad. 
rodale des inscr.y t. XIV, 2* partie, p. 141-148. 

(6) Cbampollion le jeune, Panth. égjrpt., pi. 3 bis. _Voyez anssi les nraens, à deux 
jambes et denx pieds bumains , qui soiit plaeés dans les scènes intérieares dn grand 
sarcophage de ba salte vert, rapportò d'É^yptepar l'auteur que je cite ici, et depose 
dans une des sall^s basses du Louvre. 



SUR UN BAS-RELIBF MITHRIAQUE. 193 

personnage humain, dont la face estremplacée par un uraeus (1), 
ou d'un serpent a téte de lion (2). Les Abraxas ou les monu- 
ments gnostiques le reproduisent sous Temblème d'un serpent 
dont la lete est ornée des rayons du soleil. 

Les explications que je viens de donner s'appliquent tout 
aussi naturellement au bas-relief d'Olivieri, inalgre les diffé- 
rences que j'ai sìgnalées entre ce monument et les deux autres 
dont il a été question. Car si nous trouvons ici, en opposition 
avec la figure brisée et renversée , deux figures ailées , nous 
devons croire que, sous les traits de Fune de celies-ci, dans la 
partie supérieure du bas-relief, on avait voulu représenter 
TAmschaspand Ormuzd, roi du ciel fixe; et, sous les traits de la 
seconde, qui estplacée à coté de Mithra, entre deux des pyrées, 
symboles des planètes , l'Amschaspand Bahman , manifestation 
de ce dernier dieu dans ses attributions de roi du ciel mobile 
ou du ciel des planètes. Observons,à ce sujet, queles pjrées 
sont au nombre de six seulement, parce que Mithra, lors- 
qu'il plonge de sa main un poignard dans le corps d'un tau- 
reau , ainsi qu'on le voit sur notre monument , peut tenir lieu 
du septième pyrée, de celui qui devait correspondre au soleil. 
Ce groupe, dans son acception cosmologique et astronomique, 
représente en effet, comme chacun sait, l'entrée du soleil dans 
le signe du taureau équinoxial , et nous rappelle que le sys- 
téme théogonique et cosmogonique des Perses assigne à Mi- 
thra une place de convention vers les équinoxes et les solstices. 
L'artiste romain, lorqu'il omait de sept couronnes un des 
pilastres qui encadrent ce sujet^ semble n'avoir voulu laisser 
aucun doute sur l'intention qu il avait eue de marquer que 
les Amscbaspands sont au nombre de sept comme les planè- 
tes, qui sont leiir residence. Car j'ai montré ailleurs (3) que. 



(1 ) C*est aiusi qu*il est représente panni les figures qai ornent la chapelle mono- 
lithe qne Ton conserve au musée égyptìen du Louvre. 

(2) Descript, de l'Égjrpte, Antiqua., Planches, t. IV, pi. 23, fig. 3 Clianipollion 

le jenne, Panth. égypt., pi. 23 E; Notice descript., p, 40, n**' 64 et 66. 

(3) BuUet, -deW Instit. arch., n° VII di lugl. 1834, p. 151-155,;— Woaf. Joum. asia- 
tiq., t. XVI, n*» 92, aoùt 1835, p. 172-186. 

13 



(94 II* MBMOIRB 

chez les Chaldéens, les Assyriens et les Perses, l'usage était 
d affecter à la représentatìon symbolique des dieux la cou- 
ronne, erablème d*éternité ou d'ìmmortalité; et lon comprend 
sans peine qu*un tei eipblèine ne convenait pas moins à des 
persoanages divins que le Zend-Avesta désigne par la qualifica- 
tìon des saints immortels. Remarquons, de plus, qu a la figure 
isans téte, qui, sur uotre bas-relief de verre, est ren^ersée 
^u pied d un flambeau allume, s applique parfaitement le pas- 
^age déjà cité des lìtres sacrés des Parses,* où il est dit, 
qu à la vue du ciel et de la lumière , Ahriman , Tancien serpent 
infernal, qui a deux pieds,y«^ btisé et saisi de frayeur ; expres- 
sion qui est aussi d accord avec Fattitude que donnent à ce 
knauvais genie les qnatre autres bas-reliefs mithriaques cités (1), 
oùnous Yoyons en efFét Ahriman, le corps entouré d'un ser- 
pent, tomber à la renverse, saisi de frayeur^ à lapprocbe de 
Mitbra monte surson char lumineux. Deuxdecesbas*reliefs (2) 
nous montrent méme ce char conduit par un genie qui porte un 
flambeau allume , semblable à celui que, sur le bas-relief d'Oli- 
vieri, nous Irouvons place devant le corps brisé d' Ahriman. 

Les diverses coiisidérations qui précèdent, comme les obser- 
vations que j 'ai présentées ailleurs (3), m*autorisent à dire que, 
dans leur ensemble, aussi bien que dans leurs détails, les scènes 
qui, sur 1^ terre cuite du palais Zéno^ sur le jaspe de Caylus et sur 
le bas-relief d'Olivieri 9 occupent la partie supérieure du sujet, 
sont parfaitement conformes à l'esprit et à la lettre méme des 
livres sacrés des Parses. Ces monuments, n'en doutons pas, 
reproduisent des copies ou des imitations de quelques-uns des 
bas-reliefs mithriaques que les Romains trouvèrent chez les 
Grecs de l'Asie Mineure, et dont les Perses avaient ancìenne- 
ment apporté les types d^s cette célèbre contrée, avec les 
doctrines et le rituel propres au eulte de Mithra. Chacun de 
ces types, selon toute probabilité , y fut plus ou moins modi- 
fié. Mais il ne faut pas perdre de vue que, soumis aux pres- 

(1) Ci-dessos, page 191 , note 9 Cf. Mém. de VAcad,, loc. cà„ pi. II. 

(2) Nouv. Ann, de l'Jnst. arch., Monum., pi. XIII, n*** 1 et 2. — Mém. de VAcad. 
rojrale des inscr,, t. XIV, 2* partie, pi. I, n**' 1 et 2. 

(3) Ibid., t. II, p. 7-74. — Ibid., p. 97-174. 



SUR UN BAS-RBLIEP MITHRIAQUE. 195 

criptiotrs hiératiques', dans leurs colonies d*Asìe, encore plus 
que dans la Grece proprement dite^ les Grecs nous montrent, 
par le témoignage ìrrécusable des monumeiits figurés , que là , 
presque toujours , leurs artistes reproduisirent , sans aucune 
aJtération notable , les types asìatiques des sujets religìeux ; ifs 
se bomaient a les sculpter ou à les graver avec ceite supérìorìté 
de dessin et d^exéeution que Fart ayail! atteinte entre leui^s 
mains, se soumettaut ainsi à une obligation qui, née de consi- 
dérations tout à la fois peut-étre politiques et reiigieuses, hs 
forcalt d'emprunter à un art étranger des modèles dont la cóiri'- 
position conventionnelle violait habituellement les règles du 
goùt et le principe de Timitation da beau, du srniple et du vrai. 
Les figures qui nous occupent Tiennent à I appui de cette ob- 
servation, soit qu'elles aient une téte de lion, soit qu*elles con^ 
serrent une téte humaine; car il m'est permis de piacer sous 
les yeux de nos lecteurs le dessin exact d'un monument ìnédit, 
chaldéen ou assyrien et d'ancìen style(l)5 qui va nous révéler 
lorigine asiatique du type primitìf des repr^sentations figurées 
de Mithra léontocéphale. Par ce type nous remonterons facile- 
ment à celui des figures de la seconde catégorie. 

Le monument dont il s'agit provieni des ruines de Ba- 
bylone, et porte totis les caractères d*une haute antiquité. 
Il fut acquis par feu M. Rousseau, consul general de Franceà 
Alep, entre les niaìns de qui je le vis à Marseille en 1818; et, 
peu après , il passa dans le riche cabinet de M. le baron Ro- 
ger (2); €(ui a bien voulu mautoriser à le publier. La matière 
est un calcaire de couleur brtme , peu dur, doiit la surface 
Miisrefois polle a été altérée par le frottetnent ou par les injnres 
du temps^ La fcH*nie est celle d'une petite stèle, ou plutót d'une 
de ces tabletces que, quelquefois, sur les monuments assyrien s 

(1) Monuments inéd. , pi. XXXVI, fig. I a, I ^ et I r. 

(2) Depuìs que ce Mémoire a été écrit, les amis des arts ont eu à déplorer la mort 
de M. le baron Roger. On doit craindre que ce triste événementnVB traine la dispersìon 
d*au cabinet d'antiquités et d'objets précieux de tonte espècé, qui n'avait pu étre 
forme qu'avec nn goùt éclairé , un taet très-exercé , une lougne persé^érance et de 
grands sacrifices pécnniaires. Il renferme notamment une des plus belles coUections 
partioulières de pierres gravécs que Ton connaisse en Europe. 

13. 



196 li. MEMOIRE 

ou persépolitains que je rapporre aux mystères de Mylhta ou 
de Mithra, les ministres du eulte ou les initìés{)ortent suspen- 
dues a la main au moyen d'un anneau de metal ou d'un cordon 
passe dans uiie b^lière longitudinale, qui termine la partie 
supérìeure de la tablette. Cette bélière se retrouve dans le 
petit tnonument de M. Roger ; elle est pratiquée dans l'épais- 
seur de la pierre (I)v La tablette, y comprìs la bélière, a 80 mil- 
lìmètres de hauteur, sur 60 millimètres de largeur, ejt 19 milli- 
mètres d'épaisseur. Une de ses faces(2)est tout à la fois grayée 
en relief et en creux; Tailtre face (3) est ^ravée en creux seu- 
lement. Cellé-ci ne porte aucune figure ; elle est couverte de 
caractères cunéiformes répartis, de gauche à droite, dans huit 
lignes tracées transversalement, disposition qui se reproduit 
sur la plupart des briques de Babylone et de Ninive , tandis 
qu elle ne s'observe que sur un très^petit nombre de cylindres 
assyriens. La face principiale nous offre un encadrement forme 
par des inscriptiotis écrìtes en caractères semblables, mais pres- 
que entièrement effacés ; on distingue cependant cinq lettres ou 
groupes qui sont gravés en creux sur le bord gauche; Fune de 
ces lettres semble se lier à quelques traces d autres caractères 
cunéiformes que Ton apercoit, du méme coté, sur l'épaisseur ou 
la tranche de la pierre (4). Au milieu de l'encadrement est grave 
en relief, mais avec peu de saillie, selon l'usage des temps an- 
ciens, un groupe très-singulier, compose d une figure humaine 
féminine, léontocéphale, et de plusieurs animaux. Les deux jam- 
bes de cette figure à téte de lion sont terminées par les griffes 
du méme animai. Elle est debout sur un taureau couché et 
toumé,comme elle, vers Toccident, ainsi qu*on le remarque 
dans toutes les représentations figurées de Mithra tauroctone 
ou tauropole^ une seule exceptée (5). De chaque main elle tient 
un serpent ; une laie ou une truie est suspendue à sa mamelle 

(1) llionum.inéd., pi. XXXYI, fig. I b, 

(2) IbU,, ibid., hg. l a. 

(3) Ibid., ibid., fig. 1 b. 

(4) Ibid.t ibid.y fig. I e. 

(5) Bas-relief de la Tilla Altièri (Léonard Agostini, Gemm. antiq., (.ost Gronoyii 
Prtr/at„u° 2; ed. 1685). 



SUR UN BAS'R£LI£P MITHRIÀQUE. 197 

droite, appuyànt ses quatre pieds sur le corps de la femme; 
un chieQ qui pose ses deux pattes poatérìeures sur la come et 
loreillè droites du taureau , et ses deux pattes antérieures suf 
la cuisse droite et le ventre de la méme figure, suce avec aci- 
dite le lait de la mamelle gauche. Au seul aspect de cette cu- 
ricuse composition, dont jusqu'à ce jour aucun autre monur 
ment figure ne nous a offert un second exemple , on est porte 
à soupconner que Ton a devant les yeux le type asiatique des 
figures léontocéphales romaines, sous les traits de qui, à Texern- 
pie de Montfaucon et de Visconti, .nous avons reconnu Mi<«> 
thra. Bientó.t un examen approfondi ne laisse subsister aucun. 
dóute sur ce point. 

D'une part, un passage de Porphyre, souvent cité, nous. 
apprend que si le dieu des Perses est représenté monte sur un 
taureau, cesta Texemple de Vénus : «<. Eico^^eiTai 8i (Mttìpa^) 
Toeup({) (toì) À9po^tT7i^(l). » Ce.témoignage ne saurait étreré- 
cusé, lorsqu'on se rappelle que Porphyre, né dans une partie 
de TAsie occidentale où Fon pouvait sans peine se procurer. 
des renseignements précis sur le eulte et les mystères de Mi- 
thra, avait méme consulte sur cette matière deux ouvragési 
spéciaux dont nous avons à regretter la perte , ceux d*EubuIe 
et de Pallas. De leur coté, les monuments figurés romains 
nous montrent Mithra, tantót pliant le genou gauche et lap» 
puyant sur le dos d'un taureau conche , qu il s appréte à im- 
molerà tantòt debout sur le dos de l'animai symbolique. G'est 
dans cette dernière attitude qu'il nous apparait sur un curieux 
bas-relìef qui, depuis longues années, se conferve à Rome, 
dans la villa Altieri (2). Get exemple , bien qu il soit unique , 
suffit, sans doute, pour constater l'identité qui, sous le rap- 
port de la pose et de l'intention, s'établit ici entre le dieu des 
Perses et la divinité assyrienne ou chaldéenne que le monument 
de M. Roger représenté placée debout sur le dos d'un taureau 
couché. L assertion du philosophe syrien , quant a lattributipn 
du taureau à Yénus, est d'ailleurs confirmée par les passages de 

(1) De Antr. Nymph., XIV, p. 22 et 23; ed. van Goens. 

(2) Voyez Léonard Agostini, loc. cit. 



198 li. M^MOfRE 

3anchoriiathon et de plusieurs autres émvains que jai eités 
dans mon Mémoire sur le taureau et le lion , considérés comme 
attributs caractéristiques de Vénus en Orient et en Occidente 
mémoire que j ai lu, en 1836, à i'Académie royale des inserìp- 
tions, et qui sera prochainement publié. A leur tour, une mul- 
titude de monuments figurés asiatiqiies vient attester Tusage où 
furent les peuples orientaux de piacer debout tantòt sur des 
taureaux, tao tòt sur des lions, leurs divini tés màles, leurs divi- 
uités femelles, et, enparticulier, Baal, Baaltis, Astarté ou Mylitta, 
comme aussi les ministres du eulte de cette dernière déesse, et 
les prétresses qui la représentaient dans les cérémonies propres 
aux initiations. Une médaille imperiale ,bien conniie (1) et 
frappée àCorycus, dans la Cilicie, npus montre méme Astarté 
sous la forme d'une femme à téte de taureau, ainsi que le vou- 
laient les prescriptions- hiératiques dont Sancboniathon (3] 
nous a conserve le souvenir daiis les seuls fragments qui nous 
restent de la théologie phénicienne. Rap|>elonsTnous d ailleurs 
qu a la legende de Yénus, cbez le^ divers peuples de Fantiquité 
qui adoraienf; cette divinité, comme ^ la legende de Mithra, 
chez les Perses, les Greos asiatiques et les Romains, se rattache 
l'antique institution d'un zodiaque et d'iin calendrier religieux, 
où le taureau , sjmbole du principe bumìde , et le lion , sym- 
bole du principe igne, ms^rquent, l'un, le premier signe de 
réquinoxe vernai e^; la plus grande exaltation de la lune ; Fau- 
tre, le premier signe du solstice d'été et la plus grande exal- 
tation du soleil. Ne perdons pas de vué que le système théo- 
gonique et cqsmogonique des Ghaldéens d'Assyrie, qui fut 
commun aux Assyriens, aux Phéniciens, aux Arabes et aux 
Perses , assignait à Yénus ou à Mitbra une place particulière 
vers les équinoxes et les solstices (3). N'oublions pas que Vénus, 

(1) Voyez mes Recherckes sur le'culte de F'énus, pi, HI, n^ ].L*identité qui exi&te 
si souvent entre les représentations figurées de Vénus et celles de Tychè on la Fortune^ 
esX telle, sur la médaille cttée, que quelques numìsmates, s*appuyant sur un passage de 
Jean Lydus, se sout crna autprisés à r«ooD'nattre , au revers de cette médaille, rimig^ 
de la Tycliè taurocéphale dont cet auteur fait mention. 

(2) Ap. Euseb. P raspar. Evangel, I,X, p. 38 G, ed. Viger. — Sancboniatli. Fmg'W' 
p. 34 , ed. Orelli. 

(3) Porpbyr^, De Antr. Njrmph., cap. xxiv. 



SVR UN BA.S-RBL1BF MITHRIAQUE. 199l 

commeMithra, veillait à la reproduction des étres dana un mondt? 
qui, selon danùques croyances religieuses, avait été créé à, 
r^poque aù le soleii équinoxial fit sa première conjonction avec 
la constellatioji i^odiaoale du laurea u. Rappelons*nous enfin lesi, 
monuments figurés de l'Asie qui perpétuent le souvenir de ce 
phénomèneastranojaiique, à laide d'un groupe repré&entant uà 
taureau dévoré par un lion. Déjà to\is ces faits ont été exposés 
CD 1836, avec les détajils nécessaires^, dans le mémoire que je 
viens de citer. Déjà aussi , j'ai soumis au jugement du monde 
savant une autre dissertation (f), où je crois étre parvenu à 
montrer comment le lion et le taureau , par la raison méme 
quils avaient servi ailleurs à e^cprimer le& idées decréation, de 
generation ^ de vie, se trouvèrentemployés, avec un sens fu- 
néraìre , dans la décoration symbolique des sépultures , cbea^ 
les peuples les plus civilisés de 1 antiquité. L^ouvrage particulier 
que je me propose de publier prochainqment sur les doctrines et 
les monuments figurés des mystères de Yénus et des mystères 
de Mithra fera voir par quelles considérations analogues le tau- 
reau et le lion furent simjultanément chòisis pour imposer leur 
nom à deux des douze grades institués. dans ces mystères. Ce 
demìer fait achèvera de prouver combien le symbole du taureaa 
et le symbole du bop se lient intimement à la legende de deux 
divinìtés qui, Tune comme Tautre, exercent leur suprématie 
dans le ciel mobile ou le ciel des planètes, dans l'empire des 
vivants et dans celui des morts. Je crois cependant en avoir 
dit assez ici et ailleurs pour faire comprendre que la divinitjé 
femelle, à téte età griifes de lion, qui, sur la tablette assyrienne 
de M. Roger, nòus apparait debout sur le dos d'un taureau, 
est indubitablement cette antique Yénus asiatique que l'on 
qualifiait des titres de reine du ciel, reine de la terre, reine des 
enfers, et qui avait une place conventionnelle vers les équi- 
noxes et les solstices, vers les équinoxes sUrtout , époques ré- 
putées favorables à la descente et à l'ascension des àmes. 



(1) Nouv. Ann. de Vlnst.arch, {Mém. sur une urne cinéraire du musée de Rouen) , 
t. II, p. 397-445. — Vtfwi. de VAcad. royale des inscript,, t. XV, 2* part., p. 63-1 26. 



200 II. MÉMOIRE 

Déesse à la fois solaire et lunaire, par les attributs quelle 
réunit ici, elle nous offre une représentation symbolìque de la 
marche triomphale du soleìl , depuìs son entrée dans le signe 
du Taureau , à T'équinoxe vernai , jusqu a son arrìvée dans le 
signe du Lion, au solstice d'été. Les deuxanimaux qu*eUe allaite 
simultanément complètent cet ingénieux tableau. La truie, 
^mblème de la s<iison ptuvieuse ou des Hyades, appelées 
suculce (1), et le chìen, emblème de la canicule ou de Syrius, 
nous apprennent que Mylitta rend ainsi chaque année à la terre 
rhumidité que lui enlèyent les feux dévorants du soleil. D up.e 
main , elle tient un serpent ^làle, de lautre, un s^erpent femelle,, 
qui nous rappellent les deux serpentsi du caducée de Mercure^ 
et qui sont, comme ceux-ci , les syinboles du principe actif et di^ 
principe passif de la vie, en vertu de la doublé acception que 
recurent dans le.s langues sémitiques les mots uieetsérpent(pi), 
Remarquons mème que réternité de la vie, dans le monde créé, 
semble etre exprimée ici par le cercle que forme chacun d«s deu^ 
serpents en s'enrpulant auto\ir de la main de Mylitta. Mais si 
tout concourt , daqs ce tableau , a cai:actérisei^ la déesse comme 
reine du ciel et de la terre, nous pouvons croire qu'aux yeu^ 
dumyste, elle s'y révélai( aussi avec son caractère de divinile 
infernale ou de reine des morts.. En effet , soit par la posìtion 
respective, qu ils pccupent ici , soit par la signification symboli- 
que que nous leur avon^ recpnnue^ le lion, emblème du soleil, 
et le ^aureau, emblème de la lune (3), pouvaient servir de 
texte à larchimage pour réyeiller dans Tesprit des initiés appelés 
à contempler l'image mystique de Mylitta, Tidée des deux 
portes du ciel par lesquelles les àmes descendent sur la terre 
et remontent au ciel. A cet antique dogme se rattachait la 
crpyauce que Mylitta réside au ciel, entrela porte du soleil et 

(1) AuL Geli. Noct. Atiic., XIII, 9. — Hygin. Fabul., 192. — Cf. Theon. ad Arai. 
Diosem.f 336. — Vojez les observations de M. Biot dans les Mém. de VAcad. rojale 
des sciènces,t. XlII, p. 625, 632, 644 et 654; et les rapprochements faits par M. J. de 
Witte, dans les Nouif. Ann. de Vinsi, ardi., 1. 1, p. 361 et 362. 

(2) Voyez Nouv. Ann, de Vlnst. arck., 1. 1 , p. 165, 166, 173-175; et mesRecherche^ 
.sur le culle de f^énus, p. 35, 36, 44-46. ' 

(3) Nouv, Ann. de Vlnst. arck., t, II, p. 56-71. — Mèm, de VAcad. royale des inscr., 
t XIV, 2«partie,p. 153-170. 



SUR UN B^SrAELIEF MITHRIAQUB. 201 

celle de la lune ;; qiie les àmes , après avoir piasse ^ur la terre 
leur temps d'expiation, doivent comparaUre devant le tribunal 
de ladéesse, et qu elles ne peuvent, sans sa puissante médìation 
auprès du dieu supreme, obtenir Tentrée de la porte du soleil. 
C est de la legende chaidéenne ou assyrienne de Mylitta, n'en 
(loutons pas , que tous ces traits étaient passés dans la legende 
zende de Mìthra. 

Lemploi des deux serpents, male et femelle, sur la tablette^ 
assyrienne dont je vìens d'interpréter le sujet, nous rappelle le 
cóne asiatique de mon ancienne coUection, 3ur la base duquel 
nous avons précéd^mment reconnu, gravée en creux , Vénus 
androgyne, tenant, d une main, un serpent male Ja téte ornée 
des rayons du soleil, et, de Tautre, un serpent femelle, la téte 
surmontée d'un croissant (1). Gomme ce cóne, la tablette as- 
syrienne nous reporte aux deux statues colossales du tempie 
de Bélus ^ à Babylone , que décrit Diodore de Sicile (2) , et qui 
représent2^^ent , Tune , Rhéa aya,nt à ses genoux deux lions , et 
àsescótés deux grands serpents d*argent; Fautre, Héra portane 
de la main droite un serpent qu elle tenait par la téte. lei doit 
se piacerle souvenir que nous a conserve Macrobe d'un second 
usage qui prouve que, dautres fois méme, dans les représen-^ 
tations figurées hiératiques, les Assyriens entouraient d'un 
serpent le corps de leurs divinités, précisément comme le; 
firent, à Texemple des Perses , les scul[$teurs grecs et les sculp- 
teurs romains , pour les images léontocéphales de Mithra et 
pour les figures à téte humaine de ce dieu pu de Bahman , et 
d'Arihman ou d'Aschmogh , que nous avons trouvées sur la 
terre cuite du palais Zeno , sur le bas-relief d'Olivieri et sur 
l'intaille de Caylus. «Les Hiérapolitains, qui sont Assyriens de 
« nation , dit le philosopbe néoplatonicien (3) , attribuent la 
« puissance et les effets du soleil à une statue barbue , qu'iis 
«nomment ApoUon A ses pieds est l'image d'une femroe 

(1) Nouv. Ann. de Vlnst, Arch., t. I, p. 162-175; Monum. inéd., pi. IV, fig. 1. — 
Recherehes sur le calte de Vénus t p. 32-45 , et pi. I, fig. 1. 

(2) n, 9. 

(3) Satumal., I , xtii. 



202 II. BIÉMOIRE 

«placée entre les simulacres de deux autres feiiìmes, posés 
«l'un à sa droite, l'autre à sa gauche. Ceux-ci sont entourés 
« des replis d'un serpent (l) , tfa (signa) cingit flexuoso volundne 
« draco. » Macrobe ajoute : « L'image du serpent indique que le 
« soleil suit un chemin tortueux, et draconis effigies flexuosum 
^iter sideris monstrat. » G'est sans doute a un monument ana- 
logue que fait allusion Julius Firmicus Maternus, dans un 
passage obscur et souvent controverse, où, coiiimettànt Terreur 
de confondre ensemble les mages de la Perse et ceux de la 
Babylonìe, il attribueaux premiers U coutume d'employer une 
sorte de représentation figurée , qui ne me semble pas avolr 
jamais été en usage chez les Perses, et dont il parie en ces 
termes (2) : Persce et magi omnes qui Persice regionis incolunt 
fines^ ignem prceferunt^ et omnibus elementis putant debere 
prcepóni. Hi itaque Jovem in duas dividunt potestates , naturam 
ejus ad utriusque sexus transferentes y et viri et foemìnce simu- 
lacra {ad) ignis substantiam deputantes^ et mulierem quidam 

triformi uultu constituunty monstrosis eam serpentibus illigan- 

• 

(1) Ces trois femmes , dont deux ont le corps enveloppé par les replis d'an serpent, 
nons rappellent les médùUes aatonoines et les médailles impérìales de Cyziqne, aa reren 
desqaelles on yoit placée sur le faite d'un grand antel oa d'on tempie une dmnité féoni* 
niae portant de chaqnemain un flambeau allume, et debont entre deux assessenrs fé* 
melles , également debout, qui tiennent chacune à la main un seni flambeau. A la droite, 
comme à la gaaehe da monument, est fixó dans le sol nn grand flambeau, pareillraient 
allume, autonr duquel s*enronle un serpent ( M. Mionnet, Descr. de méd.t t. Il , p. 534, 
n° 137; p. 639, n*» 173 ; p. 541 , n° 190; p. 544, n° 207; et p. 548 , n<» 226. Supj>L 
t. y, p. 333, n® 332). Le n® 10 de la pi. XY de mes Rech, sur le calie de Fénus oUre 
un exemple de ce sujet* grave an revers d'un beau médaillon d*Hadrien, que possedè 
le cabinet dea médailles de la Bibliothèque royale. Les numismatea s'accordent généra- 
lement à reconnattre ici, comme sur les autres monnaies citées de Cyzique, Cérès allant 
à la rechercbe de sa fille Proserpine ; mais personne, à ma connaissance , u*a encore 
fait remarquer les rapporta qui existent entre la représentation décrìte par Macrobe et 
celle que nous offre le revers des médailles dont il a'agit. — Cf. le médaillon de Ma- 
crin frappé à Béryte et reproduit sous le n° 9 de la pi. I de mes Rech. sur le eulte de 

Fénus Comparez snrtout un Abraxas, publié par Spon {Miscellan, erud. JntiquU., 

p. 297, Amuleto, n° XV), dont le snjet offre une grande analogie aree le type do mé- 
daillon cité de Cyzique. — Remarquez enfin qu^au revers de la téte radiée d*ÉlagabaIe, 
nous tiouvons, sur une médaille du cabinet du roi, frappée à Carrhes, dans laMéso- 
potamie, un astre dans un. croissant pose sur un disque entre deux serpents (M. Mion- 
net, Supjfl., t. Vili, p. 396 et 397, n® 38). 

(2) De errar, pro/an. religion., cap. V, p. 16 19, ed. Frider. Muuter. 



sua UN BAS-RBLISF MITHR{AQU£. 203 

tes, Quod ideo faciunty ne ab autore suo Diabolo aliqiui ratione 
dissentiant ; sed ut dea sua serpentibus pollata , maculosis Dia- 
boU insignibus adornetur. Virum vero abactorem boum colentes, 
sacra ejus ad ignis transferunt potestatem,,., Hunc Mithram 

dicunt Quìi y ait erreur ou non dans ce récit , quant à la 

désignation du peuple qui représentait sa divinile feminine ou 
lunaire sous les traits d'une femme à trois visages , le corps 
entouré de serpents, il est certain que les paroles de Torateur 
chrétien nous transportent dans TAsie occidentale et confir- 
ment sur un point essentiel le passage citéde Macrobe. L*un et 
Tautre de ces deux écrìvains, pour le dire en passant, nous 
fait penser aux trois Vénus dont Harmonie érigea les statues a 
Thèbes de Béotie (1); Tun et Fautre nous apprend que FAsie 
occidentale revendique les types primitifs de ces représenta- 
tions iigurées, grecques ou romaines, auxquelles on applique 
la dénomination de triple Hécate et celle de triple Vénus-Pro^ 
serpine. Gontentons-nous , en ce moment, dajouter que lés 
serpents entortillés autour du corps des deux statues assyrien- 
nes décrites par Macrobe, et de la déesse babylonienne ou 
persique du récit de Julius Firmicus Maternus, nous ramènent 
plus directement encore que les serpents des deux statues du 
tempie consacré dans Babylone à Bélus , les serpents de la Yé- 
uus androgyne gravée sur le cóne asiatique cité , et ceux de la 
Vénus léontocéphale représentée sur la tablette assyrienne de 
M. Roger, aux monuments figurés d'epoque romaine, qui nous 
offrent Timage de Mithra léontocéphale, enlacée dans les replis 
d'un serpent (2). ^ ^ 

Farmi ces monuments, il en est un qui, rapproché en par- 
ticuiier de la Vénus léontocéphale de notre tablette assyrienne, 
peut fournir matière à quelques autres observations qui ne 
sont pas dépourvues d'intérét. Je veux parler du bas-relief que 



(1) PaasanUs, IX, 16,2. 

(2) Une statue d*Isis , également d'époqae romaine , reproduit cette méme disposi- 
tion du serpent, et, de plus, affecte la forme en gatne d'un Hermes , comme e* est aussi 
le cas pour qiielques-unes des représentations figurces de Mìtbra léontocépbale. Elle 
a été publìée par Montfauoon dans le tome li du Suppl. a VAntiq, expl.» pi. XLIII. 



204 !!• MÉMOIBE 

possedè la villa Albani. Mithra léontocéphale, je lai déjà dit, 
y est représenté avec des jambes humaines terminées par des 
griffes de Uon quii pose sur un globe orné d'un croissant, 
tandis que le basrrelief cité de la villa Altieri nous offre Mithra 
à téte et pieds humains , place debout sur un taureau couché. 
Or , la substitution du croissant à ranimal symbolique nous 
prouve que, dans les deux cas, le dieu léontocéphale des Perses 
était considéré comme une divinité tout à la fois solaire et lu- 
naire, doublé caractère que réunit la Vénus assyrienne, à téte 
et à gi*iffes de lion, montée sur un taureau; doublé caractère 
que nous avons, déjii reconnu à la Vénus orientale androgyne 
du cóne cité; doublé caractère, enfin , que Mithra recoit lui- 
méme sur deui^ bas-reliefs persiques dont la haute antiquité ne 
saurait e tre contestée. Ces bas-reliefs font partie des belles 
sculptures qui ornent un des édifices. de Tchéhelmìuar ou Per- 
sépolis (1); ils nous montrent Tun et Tautrele mihr ou la co- 
lombe, symbolede Mithra comme de Vénus, place. a u milieu 
d*unerangée de lions, et répété au milieu d'une rangée de tau- 
reaux, qui est superposéeà celle-rci . Le bas-relief romain de la 
villa Albani , les. deux bas^reliefs persiques que je viens dìndi- 
quer et la tablette a^syrienue de M. Roger se prétentdonc nw 
mutuel appui. Les trois premiers de ces monuments., comparés 
au quatrième, s*expliquent, en quelque sorte, Tun parrautre. La 
doublé attribution qu'ils font à Mithra dulion, emblème solaire, 
et du croissant de la lune, ou du taureau, emblème de ce derniei; 
astre, permei aitisi de constater que les figures léontocéphales ror 
maines dont nous nous occupons représentent le dieu des Perses 
comme roi du ciel. Plusieurs bas-reliefs d'epoque sassanide (2) 
ou d'epoque romaine (3) , lui assignent aussi cette méme fonction 

(1) Voycz Chardin, Fojeag^ en Perse, t. II, pi. i.xni et lxiv; ed. d'AmsterdaoaL^ 
1735. — Le Bruyn, Vojage par la Moscov. en Perse, t. II, pi. 1 53. — Niebulir, 
Fojrage en Arabie^ t. II, pi. xxix et xxx; ed. d'Amsterd., 1780 ; et la pi. VI de mcs 
Rech. sur le culle de Fénus. — Cf. Porter's Trav, in Georgia^ Persia, etc, toI. I, pi. 49 
et 60; et JVouv. Ann, de l'Inst. arch., t. II, p. 401, Dote 2. 
. (2) Voyez Porter's Travels in Georgia, Persia, etc., t. II , pi. 66. 

(3) Noup. Ann. de l'Inst. arch., t. II, p. 7-10, 44-52, 72 et 74; Monum, inéd., 
pi. XIII, n~ 1 et 2. — Métti, de VA^ad, rodale des inscr., t. XIV, 2« port., p. 97-9», 
,40-148, 171 et 172; pi. I,n?» 1 et 2. 



SUR VV BAS-RELIÌS)^ MITHRIAQUE. 205 

qui , d'ailleurs, convient émineminent à une divinité déclarée, 
par des écrivains grecs ou latìns dignes de foi , identique avec 
la déesse que TOrient adorait sous le titre de reine des cieux , 
Méléket aschschamaìm (\), En méiné temps, rattributioQ si* 
multanée du lion et du taureau, ou du soleil et de la lune, 
tantót à Vénus , tantót a Mithra , nous foumit ici un nouveau 
témoignage en faveur de cette identité , et une seconde preuve 
de la coìifiance absolue que mérìtent ]es traditions que j ai 
rapportées ailleurs (2) , traditions qui, en assignant à Vénus les 
deut sexès, nous autorisent à croire que Mithra, selon la doc- 
trine ésotérique, était, comme Vénus, une divinité androgyne 
ainsi que le flit prìmitivement, chez les peuples de lantiquìté 
éhaque dieu réputé créateur du monde. 

Ici'doit trouver place une autre observation, qui m*est éga- 
lement s\iggérée par le rapprochement de la tablette de M. le 
baron Rog^r avec les représentations figurées de Mithra léon- 
tocéphale que nous offrent les sculptures d epoque romaine. 
Cette tablette, comme oh devait l'attendre dun monument 
assyrieìi ou babylonien, représente Mylitta léon tocéphale avec 
les signes très-apparents du sexe féminin, et lui assigne méme 
des fonctions pròpres à rappeler Tidée de mère et de nourrice, 
qui s*attachait à une divinité reproduite ailleurs sous les traits 
d'une déesse tenant un enfant dans ses bras, ou sous la forme 
d une vache qui allaìte un veau (3). La prédominance des attri- 
buts féminins dans les représentations figurées de la Vénus 
orientale est une des conséquences immédiates de la modifica- 
tion importante qu'à une epoque très-reculée, mais restée 
inconnue, avait subie le système théogonique des Ghaldéens 
d'Assyrie; modification qui, transportant au sexe teminin la 
prééminence dont avait joui jusqu'alors le sexe male, placa le 
pouvoir suprème dans les mains d'une déesse devenue solaire, 
de lunaire qu'antérieurement elle était , et fit du soleil une divi- 

(1) Jércmie, VII, 18; XLIV, 17-I9"et 26. — Voyei mes Rech. sur le eulte de Fénus, 
p.40-44, 47, 48,71-75. 

(2) Nouv. Ann» de Vinsi, arck., 1. 1, p. 161-212. — Recherch. sur le cuUe de Fénus, 
p. 31-118. 

(3) J*eD produirai de noiobreux exemples dans mes Rech. sur le eulte de Fénus. 



206 II* MBMOIKE 

nìté lemelle^ ainsi qu*on le voit sur notre tablette ou aìUeurs^ et 
de la lune un dieu male , comme le pronvent d autres monu- 
ments figurés de TOrient et les traditions écrites de TOccident (1), 
G'est aussi la raison pour laquelle le caractère féminin prédo- 
mìne dans les figures tauroctones et tauropoles que précédem- 
ment (2) j*ai restituées à Yénus, en signalant rorigilie asiatique 
de leur type et les traces d'hermaphròdìtisme primitif qui se 
découvrent dans Fagencement particulìer de leur costume. 
D'accord avec tous les roonuments romains consacrés à Mithra 
tauroctone , et d accord aussi avec toutes les inscriptions lapi- 
daires et tous les textes où il est fait mention de Mitbra , les 
' onze ou douze représentations figurées que nous connaissons 
de Mithra léontocéphale le reproduisent unanimement sousles 
traits d'un dieu solaire male. Par suite du sentiment de haute 
conyenance qui avait porte les Perses à représenter vétues 
toutes leurs divinités^ Mithra léontocéphale, s'il n est pas figure 
sur les monuments romains avec une tunique à manches et une 
anaxyris,. s'offre pourtant à nos regards sans aucune indication 
des parties sexuelles. Elles sont constamment cachées ou par 
un des replis du serpent dont le corps du dieu est entouré,ou 
par une courte draperie, comme c'est le cas sur une petite 
statue léontocéphale de la bibliothèque du Vatican (3) y et sur 
le bas^relief de M. Perori, ou par Une longue tunique que porte 
une des deux figures léohtocéphales (4) trouvées dans la vigne 
d'Horace Muti. On ne ci te quune seule exception à cette rè* 
gle y une autre figure de Mithra léontocéphale appartenant à 
la bibliothèque du Vatican , et dont Forgane génital male est 
mis à découvert ; mais peut-étre cet organe n était-il pas appa« 
rent lorsque le monument n avait point encore été restauré 
par une main moderne. 

(1) J*explìqoerai ailleurs oomment la rérolutioD religìeusè que je ra]ipelle ici peat 
avoir été la conséqaence forcée cTone revolution politique qui, pour la première fois , 
ayait fait passer le pouvoir royal dans les mains d*une femme. 

(2) Mèmoire inédit sur le tour, et le tion consid, comme attrib. caract. de Vènus en 
Orìent et en Occident. 

(3) Zoègas Abhandlung., S. 204, n. 6i 

(4) MonliwxvtnìyDiar.italic.t p. 198; VAntiq. expliq.^ t. I, 2* part, pi. ccxv, n" 2. 



StIR rN BAS-REUBF MlTHRTAQtlR. 207 

Si nous suivions dans linde et en Egypte les traces du eulte 
de YénuSy imporle de TAsie occidentale sur les bords de Fin- 
dus et du Nil , dès une epoque très-reculée y nous pourrions y 
trouver matière à plus d'une observation qui justifierait pleine* 
meiit Tattributìon que je fais à Mylitta de la figure léontocé- 
phale et serpentigère dont Timage est sculptée sur le monu- 
ment babylonien du cabinet de M. le baron Roger. Dans 
l'Inde^ la déesse Parvatì, épouse du dieu* Qiva^ s'offrirait à nos 
regards raontée sur un lion., comme la Yénus assyrienne^ 
tandis que (^iva nous apparaitrait monte sur un taureau. Ce 
CQuple ditin nous rappelleraitincontinent que sì, dans le tempie 
de la Déesse de Syrie^ à Hiérapolis (1), et sur les médailles im- 
pérìales de la Cyrrhestique (2), la déesse était placée sur deus 
lions, deux taureaux y servaient de support à Timage de son 
époux. Dans les livres sacrés de l'Inde et sur quelques monu- 
ments figurés de cette contrée, nous reconnaitrions à Parvati 
comme à Qiva les caractères propres à un hermaphroditisme 
primitif. De plus , iious lirions , dans la legende sanscrite de 
Parvati (3), que l'épouse de Qiva est le serpent qui soutient le 
monde ^ et quen se repliant sur elle-méme, elle se fait uii 
bracelet avec le corps du reptile symbolique , et s'endort dans 
son antre ou sa grotte, symbole du monde créé, selon la legende 
de Mylitta et celle de Mithra» Àussi verrions-nous un serpent 
place dans la main d*un des quatre bras de Qliva androgyne (4), 
si nous recourions encore une fois au témoignage des monu- 
ments figurés indiens (5). 

En Égypte, après avoir constate sans peine que Vénus-Hà" 
thor ou Hàthyr^ épouse de Phtba, TÉphaestus ou le Vulcain 
des Egyptiens, sassimile tout à la fois à Termouthis^ la mère 

(1) Lncien, De Dea Syr„ 31 et 32. 

(2) Yoyez mes Rech, sur le eulte de Fénus^ pi. Ili B^ fig. 1. 

(3) Hymne à Parvati , intitulé Ananda Lahari, et traduil dti sanscrit en fran^is par 
M. A. Troyer, ^loka 9 et {loka 10, Journal asìatiq.. Ili* sèrie, t. XII, septembre et 
octobre 1841, n° 67, p. 300 et 301. 

(4) Cestpeut-étre le lieu de faire remarquer que, dans les langues de rOrient, le mot 
serpent dnt avoir très-anciennement les deux genres. Le latin anguis les a conservés. 

(5) Yoyez les célèbres sculptures de Tlle d'Élépkanta; Kiebubr, f^ojrageen Arahiei 
» U, pi. VI. 



/ 



208 II. MÉMOIRIS 

des dìeux ( 1 ) ; à Méréphtha^ la grande déesse de Memphis ^ l'Hé- 
phaestobule des Grecs; k Paschi y lune et Tautre compagnes 
chérìes de ce méme Phtha; à Teff né ou Tafnet^ et à Neith^ 
TAthéné ou la Minerve de Sais, nous tròuverions Méréphtha- 
Hàtlìor représentée, à Memphis^ avec urie téte de lion ou delionne 
et avec un ou plusieurs serpents de Tespèce royale appelée 
urceus{^)\ nous trouverionÀ ailleurs Paschi et Tafné iiguréesaussi 
sous les traits de deux divinités léontocéphales (3); Neith 
nous apparaitrait sculptée ou peinte tantót comme une divinile 
androgyne et ithyphallìque, ayant trois tétes : une de femme, une 
de lion , une de vautour, et des jambes et des griffes de lion (4); 
tanlòt comme une déesse panthee, léontocéphale, présentanlla 
curieuse particularité de trois tétes implanfées sur sa téle de lion- 
ne (5); tantót^ enfin, sous les traits d'une déesse à corps humain, 
ayanl, soit deux tétes géminées, lune de lion, Tautre de croco- 
dile (6), soit une téle de lion ou de lionne, surmontée du serpent 
uraeus (7) , ou , s'il n y a pas erreur de la part du savant inter- 
prete du musée Bartholdy (8), surmontée d*une autre téle de 
lion, plus petite, qui se termine par une queue de serpent. 
En méme temps, nous aurions à remarquer qua Saìs et dans 
tonte rÉgypte, on célébrait chaque année, en Thonneur de 
celle méme déesse androgyne Neith, identique avec Yénus- 
Hàthor, uneféte qui étail la troisième des grandes solennità 
religieuses et qui s*appelait Xè. féte des lampes ardentes [9)^ 
parce que, dans la nuit, chacun allumait des lampes autourde 
sa maison , de méme que , selon le témoignage de Flaminio 

(1) Son nom signifie littéralemeot la mère de tout, 

(2) Champollioo le j enne, Notice descrìpt.des monum. égjrpt. du mus, Charles X» 
p. 14 et 15, A, 11°' 239-245, 247, 248-253, 255-261,263-268. 

(3) Id,, Mém. de VAcad, royale des inscr. et betles-Uttres, t. XV, p. 1 1 1 ; Notice 
descript,, etcj p. 24, n*" 424430; Précis sur les hiérogl,, V édit., p. 12, n® 72, et 
pi. 4,fig.72. 

(4 ) /*/., PatUh. égxpt.» pi. 6 bis. 

(5) Elle est aiosi fignrée dans le grand rituel funéraire da musée royal de Tarìo. 

(6) CbampoUion le jeune, Panth. égypt., pi. 6 sexties. 

(7) /<rf., ibid., pi. 6 qninquies A. — Gau, Antiq. de la Nuhie, pi. 30, n" 4. 

(8) M. Tli. Panofka, // Mas. Bartotd., p. 1, n° 3. 

(9) Hérodute, 11, 63. 



SUR UN BAS-RELIEF MITHRIAQUE. 209 

Vacca (!), l'usage était de piacer des lampes allumées autour 
des images de Mithra léontocéphale , dìvinité qui, à son tour , 
se confondit autrefois avec la Yénus chaldéenne androgyne. 
Nous aurions à remarquer aussi que Phtha , comme son épouse 
polyonyme , recevait rattribution symbolique du lion ; que le 
fils né de ce dleu et de Méréphtha léontocéphale est figure lui- 
méme, sous le nom de Hobs ou de Nofré-Àtmou y tan tòt avec 
une téte de lion (2)^ tantòt les pieds posés sur des Iions(3); 
et que, de son còte, Horus, identique avec ce fils de Phtha, se 
montre non-seulement accompagné du méme animai symbol!- 
qae (4), mais roétamorphosé en un lion qui a deux faces, dont 
lune est celle d'un homme (5). Nous aurions encore à noter 
que si Neìth uraeophore et léontocéphale fut représentée 
debout, tenant dune main la téte, de lautre la queue d*un 
grand s^rpent qui Tentoure en senrant d'appui à ses pieds (6) ; 
et si un uraeus est ailleurs (7) Temblème symbolique de cette 
divinité, comme il est, en general, le hiéroglyphe de lldée de 
déesse (8), Hàthor, à son tour^ se transforme elle>méme par- 
(bis en serpent(9); ce qui nous ramènerait aux représenta- 
tions figurées d*Amoun et d*Ammon-Cnouphis que j*ai citées 
plus haut (10), et à ces uraeus ou couleuvres léontocéphales qui 
se Toient sur les monumeuts des Egyptiens, comme sur ceux 
des gnostiques. Enfin , nous ne pourrions contempler l'image 
dune déesse égyptienne, allaitant deux crocodìles suspen- 
dns à ses mameiles, et nommée tantót Bouto (11), tantót 
Iteith (12), sans songer à notreVénus chaldéenne, qui allaite un 



(1) Ci-dessns, pag. 174. 

(2) Champollion le jeane, Ifotìce descript,, p, 22 , n** Z33, 

(3) Ihid,, p. 31, n*"' 328, 329 et 330. 

(4) Jbid.» p. 1 5 , n"* 268. _ HorapolL, XY 1 , 34 . 

(5) Champollion le jenne, Notice descript., p. 47. a** 283. 
(0) iie/., Panih. égjrpt., pL 6 septies. 

(7) Id.j Notice descript,, p. 41, n*^ lOà. 

(8) Ibid,, p. 39,11'*' 15-28. 

(9) /»m/.> p. 43, n*" 149. 

(10) Voyez ci-dessas, page 192. 

(U) Champollion le jenne, Panth. égypt,, pi. 23 A. 
<12) Id., Notice descript., p. 6, n*'M04, 105 et 106. 

14 



2Ì0 II. MÉMOIRE 

chien et une truie également suspèndus à ses seins (1), et 
sans nous rappeler que Neith (2), comme Bouto, est la Nuit, 
et que celle-ci recoit les qualifications de grande diesse mère des 
dieux, de grande mere generatrice du soleil (3) , qui concou- 
rent , avec ses autres attributions, à établir des rapports ìntimes 
entre elle et Tancienne Yénus asiatique. De telles excursions 
m'entraineraient trop loin du sujet de ce mémoire ; les détails 
el les considérations quLs'y rattachent, trouveront plus natu- 
rellement leur place dans mon ouvrage sur le eulte de Yénus , 
et servìront, ayec une multitude de faits et d'observations que 
j'y réuniraì, à montrer Tintimité et la constance des relations 
qui , sous le point de vue des institutions théologiques , exis- 
tèrent jadis entre la Chaldée, l'Assyrie, la Phénicie, la Perse, 
rinde, FArabie et TEgypte. 

Mais, pour compléter ici les remarques qui s'appliquent 
* d'une manière directe à la tablette sculptée de M. Roger , je 
dois soumettre aux lecteurs de nòs Annales une dernière ob- 
servatìon , qui semble nous révéler l'usage que Ton faisait des 
monuments de cette espèce dans la célébration des céréinonies 
du eulte chez les Assyriens. J'ai dit plus haut que , par sa 
forme, la tablette dont il s*agit est semblable à celles que por- 
tent à la main divers personnages placés dans la composition 
de plusieurs cylindres asiatiques^ où il est ìmpossible de ne 
pas reconnaitre des scènes d*initiation quii faut rapportar 
tantót aux mystères de Mylitta ou d'Astarté , tantót aux mys- 
tères de Mithra, qui, j'espère le prouver ailleurs, ne différaient 
nucunement de ceux-là. Jusqu'à ce jour , les petites dimen- 
sions de ces cylindres n'ont pas permis de constater qu'un 
sujet quelconque eùt été grave sur les tablettes qui me servent 
de point de comparaison. Mais on doit croire quelles étaient 
destìnées à recevoir, en creux ou en saillie, le dessin d'une 
scène mystique où psychologique ; et si Fon admet avec mei 

(1) JMonum. ìnéd., pi. XXXVT, fig. I a, 

(2) Champollion le jeune, Pantìi. égypt., explic. àei pi. 6 ter^ 6 quaCer, 6 quin- 
quies et 6 septies. 

(3) Ihid.» explic. des pi. 23 et 23 A. 



SUR UN BAS-RFXIEF MITHRIAQUE. 211 

que de telles scènes ohi nécessairement dù se rattacher à la 
célébratìon des mystères de Fune des divinités asiatiques que 
je viens de nommer, on acquerra la presque certitude que la 
tablette assyrienne ou babylonienne de M. Roger avait été 
gravée à Fusa gè des mysles initiés à tei ou tei grade des mys- 
tères de Mylitta. D'une autre part, cette présomption viendra 
prèter son appui à Topinion où était le docte Visconti , que les 
représentattons figurées de Mithra leontocéphale furent du 
nombre de celles ,que, selon Théniistius(l)5 on montrah aux 
seuls initiés. 

L'assertion du panégyriste grec m'amène à faire remarquer 
que si Vénus-Mylitta , sur la tablette de M. Roger, nous appa- 
rali corame reine du ciel , reine de la terre et reine des enfers, 
ainsi que je crois Tavoir établi , on doit parvenir sans peine à 
constater qu'aux yeux des initiés, les images léontocéphales de 
Milhra, etnotamment le bas-relief découvert à Vienne, repré- 
sentaient aussi ce dieu dans ses fonctions de roi du ciiel mo* 
bile (2), de roi des vivants ou de la terre (3), et de roi des 
morts ou des enfers(4), oonformément au texte du Zend- 
Avesta. C'est avec ce triple caractère que déjà , sur quelques 
monuments d'epoque romaine(5), mais dun genre différent, 
Mithra s'est offert à nos regards. Déjà aussi j ai eu l'occasion 
dappeler l'attention des archéologues sur certaines représen- 
tations figurées qui , d'accord avec les traditions écrites et avec 
notre tablette assyrienne, attribuent à Vénus ce méme carac- 
tère (6). 

Roi du ciel mobile, Mithra leontocéphale justifie une telle 
qualificatioR , non-seulement par le symbole solaire de sa téte 

(1) Loc. cìt. 

(2) Zend-A^vesta , 1. 1,2* partie, p. 28 et 82 (note 10); t. II, p. 13, 99, 206, 207 
209, 212, 213,216, 218-221, 225. 228-230 et 418. 

(3) Ibid., 1. 1, 2* partie; p. 227; t. Il, p. 205, 206, 210; 214, 215, 222 et 223. 

(4) Ibid., t. I, 2* partie, p. 227 ; t. II, p. 15, 21 1, 212, 213, 223 et 230. 

(5) Nouv. Ann. de Vinti, arch., t. I, p. 480, 481 ; t. II, p. 73-75, 79-82; pi. A 1838, 
et Monum. inéd., pi. XIII, fig. 1, 2 et 3. — Mém. de l'Acad, roy. des inscript., 
t.XIY, 2* partie, p. 91-94, 173-175, 178-181 ; pLI, fig. 1 et 2; pi II et pi. VI. 

(6) Nmiv, Ann, de Vlnst. arck., 1. 1, p. 191-195. — Rech. sur le eulte de Fénus, 
p. 71.76. 

14. 



212 II. MÉMOIRB 

de iion et quelquefois par la présence simultanee du croissant 
de la lune (1), ou dun astérisque scuipté au-dessus de Textré- 
mite de son aile droite ascendante (2)> mais aussi par la réunion 
de plusieurs autres attributs sur lesquels je dois, en ce moment, 
insister plus longuement que je n ai pu le faire dans les para- 
graphes qui précèdent. Et dabord remarquons que si parfois 
il nous apparait entièrement dorè , comme on le voit sur un 
bas-relief déjà cité du musée Ghiaramonti, cette p^rticularité, 
aussi «bien que les deux ailes ascendantes dont il est pourvu; 
atteste et son origine divine et ses fonctions célestes. Elle nous 
indique)de plus, que la residence de Mithra est dans la région 
de Tor ou la région'solaire^ ainsique nous Tapprend» de son 
còté> le teste du Zend-Avesta (3). Elle nous rappelìe, en méme 
femps^ que, dans ce code religieux, Zoroastre dit de Mithra 
quii est celui qìd est appelé (Tor (4) , qui est assis sur un Lapis 
d'or(b)y qui porta uìie massue d'or (6) y etc. Elle nous rappellc 
enfin que Lucien (7) fait mention d'une statue d or massif, qui 
repréfientait Mithra* Pour une raison semblable , Yénus , chez 
les peuples de l'Asie occidentale, chez les Grecs et che^les 
Romaina, recevaìt également diverses épithètes (8) qui attestent 
que IW était consacré à cette divinité et qu on lui érigeait des 
&tatujes du memo metal, usage qui d'ailleurs est confirmé, 
quant à Yénus-Anais, par le témoignaga exprès de PUne (9). 



(1) Voyea lUKei» Osservaz.^ tvr. lY» fig. 2. ^Reoh, sur U chÙa de réaus» pi. XTin, 
£g. 3, — Un abraxas , dont je ne puìs cependant garantir Tauthenticité , fante d'avoir 
TU rorìginal, représente, selon le dessin qu*en ont pnblié Chifìflet (Commenf. odMacat- 
Abraxas y tab. Vili, n. 31) et Gorlaus (DaetyUothee.^l^ìMh. CCI, n^S67),«nlioB 
-ayant an-deasous de lui le masqoe de la lune ; dans le cbamp, à droite, est écrìt eo ca- 
ractères grecs le mot sémitiqne SAMA , del. 

(2) Yoyez Zoèga, Bassiril. antich. eli Roma, t. II, p. 32, et tav. LIX; AbfianMungo 
S. 201. >-« L'astériaqne dont il eat tei qneation a été omia dan* le dessin pubtié p>r &af- 
fei {Osservaz.y tav. Ili, fig. 1). 

(3) Tom. I, 2* partie, p. 23; tom. Il, p. 13. 

(4) Tom. II, Jesahtde Mithra^ XP carde, p. 213. 

(5) IhU., ibid., XXVIII» carde, p. 22;^. . 

(6) Ibid., ibid,, XXIV» carde , p, 222 , et XXXI» cai de , p. 230, 
ij) Jupii, tragctd., S. 

(8) Voyex mes Recherches sur le eitUe de FéiwSj^ p. 113-U6i. 
(9} Bist, notar. y XXXIII, !▼, 24. 



SUR UN BA8-R£LIB^ IMITHRIAQUE. 213 

D'autre part, le serpent qui s'enroule autour du corps de 
Mithra léontocéphale rappelle la route tortueiise ou en spirale 
qiie le soleìl , selon les idées des anciens , suivait dans l'éclip- 
tìque. G'est et tnème serpent qu'au sommet dun monument 
assyrien cu babylonien de la Biblìothèque royale (1), yulgai- 
rement désigné sous le nom de caillou de Michaux , tious 
voyons chetniner et fornier des ondulations dans le eiel des 
planètes. Noiis retrouvons le reptile à la méme place et dans 
la méme attitude sur une seconde pierre très-analogue (2) , 
que feu M. Rich avait recueillie dans les ruines de Babyloìie, et 
qui, après sa mort, a ^té acquise par le Musée britannique. G est 
aussi ce méme serpent qui, sur d*autres monuments moins 
anciens , et d'un caractère tantót asiatique , tantót romain , se 
montre tracant une route tortueuse entre la grande et la petite 
Ourse. Mais lorsqu'il nous apparait enroulé autour du corps 
clune divinile solàire dont il ramène les pieds et les jambes,. 
lun contre Tautre, en manière de gaine ou d'Hermes (3) , ne^ 
nous donne-t-il pas lieu de soupconner que dans une pareille 
disposition se révèle l'intention d'exprimer l'idée d'une capti<- 
vite? Et pouvons-nous oublier, en présence des figures au]>- 
quelles je fais allusion ici, que l'usage fut anciennement établi 
dans l'Asie occidentale, et méme ehez les Grecs, de représen- 
ter certaines diyinités solaires captites dans des chaines d'or 
que Fon détachait au solstice d'biver ? Quoi qu'il en soit de 
cette conjecture, remarquons qne, dans les représentations. 



(1) Millm, Momun. inéd,, 1. 1, pi. Vili et IX. 

(2) On troDTe daiks le» Mnés de l'OrUht ( Fundgmb. des Orienta, 111 Bd., Ili 9e£t,. 
Piatte 11, n. 2 nad 3) un trè»-niaavais dessÌD de cette pierre ; mais le cabinet des nié- 
dailles et antìqaet de la Bibtiotbèque royale de Paris en possedè une bonne empreìnte. 

(3) Telle est la disposition de deux figures de Mithra léontocéphale qni se consce- 
vent à la vilU Albani (Raflei , Ossérvaz., tav. Ili, fig. 1 , e tav. lY, fig. % ^ Zoéga ^ 
BassirU., t. II, tav. 59) et da torse que possedè le mnsée d*Arles (Montfaucon, Van-- 
tiquit. expliq.y t. I, 2^ partìe, pi. CCXV). Telle est méme la dispositioa des deux pe- 
tites figure» aiUes qui, sur le bas^r^lìef cité du musèo Olivieri {AnHch. OistUm.» 
tav. YI ) me paraissent repréaeater Ormnzd et Bahman , et des deux autres petite» 
figures que, sur la terre euite également eitée du palais Zeno (Lafréry, Specul. roman. 
magnifc.^^ Mém. de VAcad. roj. des inscript, et b. lettr., t. XIV, 2" partie, pi. V), je 
prends pour Babman et Ascliniogli. Yoyez ci-dcssus, p. 188-194. 



214 II. MÉMOIRB 

figurées de Milhra léontocéphale, on distingue parfois, entra les 
replis dont le serpent entoure cette divinité, les douze signes 
du zodiaque (i) , ou seulemeut les quatre signes qui servaient 
à marquer les deux équinoxes et les deux solstices (2). Les 
replis sont au nombre de quatre ou de six, suiyant qu'ils doi- 
yent faire allusion aux quatre saisons^ ou àia diyision des 
douze signes du zodiaque en signes ascendants et signes descen- 
dants. Dans Tun et dans Tautre cas , ils font du serpent unsym- 
bole propre à rappeler, avec l'idée de vie qui lui est propre (3), 
l'assimilation de Mithra au. temps pérìodique , c*est-à-dire, au 
temps exprimé par la doublé revolution du soleil et de la lune. 
Si la figure léontocéphale du bas-relief découvert à Vienne 
n*offre aucune trace de signes zodiacaux^.on observe du moins 
que le serpent dont elle est entourée se replie quatre fois sur 
lui-méme. Il vient toucher avec sa téte la màchoire inférieure 
du mufBe de lion , tandis que dans la plupart des autres images 
de Mithra léontocéphale la téte du serpent arrive au soinmet 
de la téte de lion et smeline méme sur 1^ front du quadru- 
pede carnassier. Je ne saurais dire si Ton avait attaché ou non 
un motif particulier à une disposition dont le bas-relief cité 
offre Tunique exemple que je connaisse. Nous devons croire 
toutefois que, dans les deux eas, la jonction de la téte du 
serpent avec le mufHe de lion servait à marquer lentrée du 
soleil dans le premier signe du solstice d eté. Lorsque cette 
jonction n a pas lieu, comme on le voit sur un seul monument, 
le bas-relief inédit et dorè que reproduit le n** 3 de notre 
pianelle XXXVI, et qui porte le n° 567 au musée Chiaramonti, 
la téte et ìa queue du serpent plongent dans une hydrìe ou 
cratère place entre les jambes du dieu léontocéphale. Mais ce 
reptile est encore ici Femblème de la marche du soleil; car 
la mo<lification que je signale nous reporte à Téquinoxe du 



(1) Voyez Moatfaucon , L'aruiq. expliq., 1. 1, 2" part. , p. 370 e. 371, et pi, CCXV, 
ì»» 3. — Milliìj, Foyage dàns U midi de la France, t. Ili, p. 504, €t pi. XXXVI, tt" U 

(2) Voyez Rafìfei, Osservaz., tav. HI, fig. 2. — Visconti, // Mus, Pio» Clement» t\ Il 
tav.'XIX. 

(3) Voyez ci-dessu», pag. 187. 



SUR UN BAS-RfiLIEF MITURIAQUB. 215 

printemps, en nous montrantl^ serpent occiipé à puiser dans 
un vase le principe humide, élément indispensable à la repro-' 
duction de la vie. On sait que dans les mystères de Mithra, le 
cratère était remblème de la source (1) ou du principe humide; 
à ce titre, conformément à des prescriptions biératiques qui 
nous ont été conservées par Eubule ou Pallas (2) , on devaìt 
piacer un cratère devant les images de Mithra et choisir, pour 
la célébration de& mystères de ce dieu, une grotte située près 
d'une source d*eau vive. Sur plusieurs bas-reliefs mithriaques , 
d'epoque romaine, nous voyons, en effet, une hydrie ou un 
cratère pos^auprès de l'image de Mithra (3) sculptée au centre 
d'une grotte, qui, dans le langage biératique, est le symboìe dii 
monde créé. Le bas-relief citè du musée Chiaramonti (4) a sur 
ceux-ci ]*avantage de nous rappeler que des monuments grecs ou 
romains, qui appartieivnent à une autre catégorie d'antiquités, 
représentent un serpent ou dragon puìsant dans une coupé que 
lui présente soit Minerve, soit Hygie, soit tout autre personnage 
mythologique , le liquide qui , source perpétuelle de vie , nous 
fait, à son tour, songer à Vambroisie dont Hébé, dans le ciel , 
emplit sans cesse la coupedes dieux créateurs. Nous ne pouvons 
oublier non plus le serpent d*Epidaure, ni le serpent de Lavi- 



(1) Voyejs mes Rech. sur le eulte de FénuSy-j^. 36t44; Nouv^. Annal. de Vinsi, arch., 
t.l, p. 464-466 ; etMém. de VAcad. rojr. des Inscript., t. XIV, 2* partie, p. 72-75. — ^ 
J'ajouterai ici que les bouddlristes , dans le tableau qn*ih font de la destractiou dn 
monde, qui, selon enx, doit commencer avec le moyen ka va ou troìsième Age, diseut 
que, lorsque les destructions successives anront atteint par degrés toutes les portions 
da monde, il ne snbsistera plus que le ofase de Vunivers ^ide (Abel Rémusat, Joum. 
des Sav.^ décembre 1831, p. 720 et 721). 

(2) Apud Porpbyr. De antr. Nymph.^ XVII. ' 

(3) Della Torre, Feter. monum. Anta, tab. ad pag. 157. — • Sattler, Geschichta 
des Herzogth, fTilrtenberg, I Bd; Taf. Xl.—Aci. Acad. Theodoro-Palat.y t. I, tab. Il 
H. 3. — Annal, des Fereins Jur nassauische AUerthumsk., \ Bd. , Taf. I. — Curier 

rumanesk, n° 47, 22 nov. 1837, Taf. l, n. 3 Nouv. Ann. de l'Insta arch.y t. Il, pi. A 

1838, et Monum. inédits^ pi. XITI , n"' 1 et 2; 1^1 ém. de VAcad. des inscript,, t. XIV 
2* partie, pi. I, n*** 1 et 2, et pi. VI. — DTriedii. Creu/er, Das Mthreeum 'von Neuen- 
heim hei Heidelberg y Taf. II. — Bas-relief iuédit , trouvé à Dorniagen, et dont je pu- 
Mierai un dessin dans mes Recherches sur le eulte da' Mithra. 

(4ì Nouv. Ann. de Vinsi, arch.y Monum. inéd., pi. XXXVI, fig. 3. 



216 II. MSMOIKE 

nium (1), ni eeluì quon neurrissait à Babylooe, dans k tempie 
•de Béliis ^2), ni cet autre serpent sacre que Toii entretenait à Me» 
télis, en Egjpte (3^)^ et devant lequel, remarquons-lebien,on pia- 
cait, comme devant les trois divinités de 1» triade babylonienoe^ 
une table et un cratère (4). ^lien, qui nous apprend cette par- 
ticularìté , ajoute (5) que , chaque jour, les prétres remplissaient 
le cratère d'un mélange de farine et d*eau mieilée. J'aurai ailleurs 
Toccasion d exposer mon sentiment sur la signification mystique 
de ce mélange et des libations de vin que To» faisait, chez le^ 
Grecs, en Thonneur de leur Aou^ti^v ayaOò^ , représenté sous la 
forme d'un serpente de méme que leur démon familier ou do- 
mestique et TAgathodémon des Romains et des gnostiques. 

Parrai les autres accessoires qui farent employés à caracté* 
riser Mithra léontocéphale camme roi du ciel^ se recomman- 
dent aussi à notre attention les deux clefs que tieiinent dbns 
leurs mains quelques-unes des images de cedieu^ celle, par 
exemple, qui est sculptée sur le bas-relief de "Vienne (6). £m* 
blèmes très-explicites du ciel, ces clefs sont, n'en doutonspas, 
l'une^ la clef de la porte du sokil, l'aulre, la clef de la pente 
de la lune. Mithra preside au mystère de la de&cente et de l'as* 
cension des àmes. Selon les croyanees des temps anciens | les 
àmes descendent sur la terre ou dans les w)ies de la generation, 
par la porte de la lune; elles rennonten^t au ciel par celle du so- 
leil. Les solstices sont les deux époques faYorables de l'année 
pour le premier de ces deux mouvements; les équinoxes, pour 
le second. Aussi voyons-nous sculptés, dans la partie infó* 

* 

(1) AElien, De natur. animaL, XI^xvi. 

(2) Daniel, XIV, 22-27. 

(3) AElien , De natUr, animai., XI, xvii. Le texte porte, dam l'éditìoii de Sckoeider,. 
èv MeXitid rfiz Al^t^Tirou; mais je pense, avec Wesseling (ad Her«dot. IIy,74)» qa*il faat 
Kre ifi èv Mcn^Xei. 

(4) Diodore de Sicile,. 11,9. 

(5) Uhi supra. 

(6) Nou9. Ann. de Vlnst, arch,, Monum. inéd., pi. XXXVI, fig. 2, — Ajoutez à cet 
exemple le Mithra léontocéphale publié par Montfaucon (JDiar. itaiic., p. 198,%. 2; 
Vantiq. expUq., t. 1 , 2* partie , pi. CCXV, fig. 1) , et celui qui est figure sous le b" 2 
de la pi. rV des Osservazioni citée* de Raffei, et reproduit sous le n° 3 de la pi. XVIII 
de mes Rech. sur le eulte de Fénus. 



SUR UN BAa-RBlélBF MITHRIAQUE. 217 

rieure d une statue de Mithra léontocéphale qui se conserve à 
la bibliothèque du Vaticani (1), les deux signes solsticiaux, le 
Cancer et le Capricome; et dans la panie supérieare de la méme 
statue, cest-à"dire| sur les pectoraux, les deux signes equi* 
noxiaux , le Bélier (2) et la Balance. Les monuments figurés 
sont ici d*accord avecles textes, qui, je le répète, assignent à 
Mithra, comme à Yénus, une place particulière vers les équi- 
noxes et les solslices, et qui, de plus, établissent sa residence 
habituelle au ciel, entre le saieil et la lune. Investi des fonc* 
tions de psjchopompe, il est chargé de peser sur le pont 
Tchinevàd, qui unit la terre au ciel , les bonnes et les mau- 
vaises actions accomplies par les àmes durant leur séjaur sur la 
terre. Il conduit dans la région celeste les àmes qu'il a trouvées 
pures de pensées^ deparoles et d'actións^ il les protége pendant 
leur passage ou leur séjour dans les sept deux des planètea, qui 
sont appelées les sepl portes dans le langage hiératique dea mys* 
tères (3). ^t si, comme un récit de Gelse nous autorìse à le 
croire, lechelle mystique que Ton montrait aux iuitiés, dans 
les sanctuaires de Mithra , se trouvait disposée de manière à 
leur &ire comprendre que la lune et le soleil étaient les deux 
demières portes qu'ils auraient à franchir (4) , il était naturel 
aussi de piacer la clef de chacune de ces deux portes dans les 
mains du dieu dont ils étaient admis à contempler en secret 
l'image léontocéphale et à implorer la protectìon et la mèdia- 
tion. Quelquefois, au lieu des deux clefs, cette mystérìeu3e 
image tient deux flambeaux allumés (5) , emblèmes de la lu- 
mière celeste et du feu créateur , emblèmes de lastre du jour 

(1) Ba££bì, Osservaz., tav. Ili, fig. 2. — -TìMoati^ // Mus. PicCUment., tom. Il , 
Ut. XIX. 

(2) Oh pent consulter, quant à la aobstitiitioii do bélifir au tanreau éqaiooxial , 

« 

mon Mém, sur deux bas^r^. mkhriaq. qui ont été dècouv. en Transyiv, {Nouv» Ann, 
deVlnst. urch^, t. II, p. 20-29; et Mém, deVAcad. roj. des inscr,, t. XIV, 2* partie, 
p. 112-122). 

(3) Yoyez l» antorités que j'ai citées et commentées, iiid, p. 9-19, 29-44; et ii»d.y 
p. 100-112,123-140. 

(4) Ibid., ibid. 

(5) Montfaucoii , Diar. Italie. , p. 198, fig. 1; VAntiq. expliq,^ t. 1,2' partie, 
pi. CCXY, fig. 2. 



218 II. MÉMOIRB 

et de lastre de la nuit, et, par conséquent, etnblèmes aussi des 
deux portes du ciel. D'autres fois, Mithra léontocéphale (l)a, 
dans une main, une seule clef , celle de la porte du soleil, et 
dans lautre main , un long sceptre semblable à celui que porte 
Bahman sur les troìs monuments cités(2), où cet Amschas- 
pand, manifestatìon de Mithra danssesfonctionscélestes,nons 
apparait avec une téte et des pìeds humaìns , le corps entouré 
par les replìs d'un serpent. Enfin, la grande statue de Mithra 
léontocéphale , qui provieni du Mithrceum d'Ostie , tient dans 
la main droite une clef , et nous offre, réunis dans la main 
gauche , un sceptre et un flambeau allume (3). De plus, entre 
ce dernier symbole et la clef, on observe, au milieu de la 
poitrine de cette méme statue, un foudre place verticalement. 
Dans la coUection de la villa Albani (4), on retrouve un fou- 
dre sculpté sur le corps du dieu à téte de lion ; mais ici l'artiste 
romain l'a place, dans une position horizontale, au-dessous 
dès deùx seins.' Un pareil attribut ne peut appartenìr qu'au rei 
du ciel. Il nous rappelle que Mithra , dans une inscrìption 



(1) Raffei, Osservai., tav. Ili, fig. 1 et 2. -^ Zoèga, Bassiril. ant. di Roma, L U» 
p. 32 et pi. 59. 

(2) Ci-dessus , pag. 188-194. 

(3) Zoegas Abhandlung,, taf. V, n. 16. -^ Ilfaat rapprocher de cette représeoU- 
tion ane statue de bronze et d'epoque romaine, qui nous offre la triple Hécate sous 
les traits de trois femmes dont une tient à la main une clef, et dont la seconde , qui 
porte d'une main un serpent, de Tantre un poignard, est coiffée d*an bonneCpliry- 
gien radié , semblable ou du mòins très>analogae à celui qui se voit place au sommet 
d'un falsceau sur la face postérìeure du bas-relief cité de Hedernheim. La statue de 
bronze que j'indique ici a élé publiée par la Cbausse {Mus. roman., tabb. XX, XXI et 
XXII) et par M. le corate de Clarac {Mus. de sculpt.» pi. 564 B, n° 1201 B). — On 
troupe aussi, sur quelques médailles asiatiques impériales, l'image de la Triple Hécate 
tenant dans ses mains des flambeaux allumés , des poignards et peut-étre des serpents. 
Je citerai, corame exemples d*un pareil type, les revers de deux médailles frappées, eu 
l'hoDueur de Julia Domna, à Laodicée de Phrygie (voyez M. Mionnet, SuppL, t. VII , 

p. 586 et 587, n°* 455 et 456) Je signalerai enfin à Tattention des archéologae» une 

héraatite d'epoque romaine et gravée en creux , où l'on voit la Triple Hécate pìaocc 
entre Harpocrate et un serpent à téle de lion radice. Cette intaille, qui faisaitpartie 
de la collectioD d'antiquités formée à Aix en Provence par feu M. Magoan de la R'>- 
quette , a récemmeut été vendue à Paris avec les autres objets dont se composjiit \t 
cabinet de cet amateur. 

(4) Raffci, Osservaz.jtàwW, fig. 3. 



SUR UN BAS-RBLIJiF MITHHIAQUE. 219 

g^recque (1) des bas temps, recoit le tìtre de Genie Astrobronte 
(À(TTpo€povTO^ Aai(xa>v), et, dans une inscription latine (2), 
le titre de Deus Brontons. Il nous rappelle aussi que, sur la face 
antérieure d'une intaille de la galerie de Florence (3) , on voit 
au-dessus de la téte de Mithra un aigle et un foudre; et que, 
sur un bas-relief romain de la villa Altieri (4), un aigle tenant 
un foudre dans ses serres est sculpté à coté de ce dieu. Il nous 
rappelle enfin qu*une médaille d'or, frappée a Rome, à l'effigie 
d*Antonin Pie, offire pour type, au revers, un lion qui porte 
un foudre dans sa gueule (5). Ges diverses particularités con- 
courent ainsi à nous montrer que la présence d'un foudre sur 
la poitrine de Mithra léontocéphale avait pour doublé objet de 
compléter les attributs du roi du ciel , et d'effrayer rimàgiha- 
tion des initiés par Tun des emblèmes les plus propres à carac- 
térlser sa toute-puissance. 

Roi de la terre, Mithra léontocéphale se fait remarquer par 
d'autres attributs non moins judicieusement choisis pour mar- 
quer quelles fonctions lui sont dévolues dans le monde sublu- 
naire. L'autel allume que Fon yoit à ses pieds , sur le bas-relief 
de Vienne et sur celui qui se conserve à Rome , dans le palais 
Colonna (6), nous fait penser au feu sacre des ateschgdhs ou 
pyrées de la Perse, et, en méme temps, aux prescriptions du 
rituel de Zoroastre , où nous lisons que les sacrifices offerts à 
Ormuzd et à Mithra doivent s'accomplir en présence du feu (7). 
Aussi vojons-nous constamment, sur les monuments figurés 
du eulte de Mithra ^ ce dieu immoler le taureau symbolique 
en présence de deux assesseurs qui portent chacun un flam- 
beau allume, de méme que Yénus, sur les bas-reliefs que je me 
crois autorisé à lui restituer, accompUt le. méme sacrifice de- 



(1) Aeines. SynJtagm. inscript, antiq., class. I, n° 291. — Doni, Inser. antiq.^ I, 33, 
p. 9. 

(2) Capacio, Neapolitan. Histor.^ lib. I, p. f 98.— Grater, Inscript. anUq.y p. XXXIV, 
n*» 5. 

(3) Montfaucon, L'Jntiq. expliq., 1. 1, 2® partie, pi. CCXYII , fig. 2. 

(4) Tab. II post Gronovìi Pratfation. in Leouardì Augustìni Gemm. anliq. 

(5) Yoyaz le p^ 6 de la pi. V de mes Rech. sur le eulte de Fénus^ 

(A) Ci-dessus, pag. 174 et 17^. ^ 

(7) Zend'Jvestrty t. I, 2" lìartie, p. 119, lai, 152 et passim. 



220 II. MBMOIRS 

vant un autel allume , aftsistée d'un ou deux lampadophores 
fem«$lles (1). Sur une niultitude de médailles asìafiques, on 
trouve ^alement auprès de l'image d'Astarté un autel allume, 
et) de plus, une etoile et une colombe (2). D atitres fois lautel 
allume se yoit sous le portique du tempie d'Àstarté et y tìent 
lieu de la statue de la déesse (3). Sur une monnaie imperiale 
de Tripolis de Phénicie, à TefìBgie de Soémias (4), il est place, 
au milieu d'un tempie tétrastyle, entre les images d'ApoUon nu 
et de Diane lucifere et taurocéphale ; le fronton du tempie mt 
orné du buste d'Astarté. D autres fois méme (5), le baste de 
oette dernière diviniti est pose sur Tautel entre deux ^vexil' 
lum, ce qui nous permet de remonter à l'origine du t jpe de cer- 
taines médailles sassanides (6) où Ton remarque> au revers de la 
téte du ix>i 9 tantòt la téle ou le buste d'Ormuzd barbu, tantot 
la téte ou le buste de Mithra imberbe (7) graTes au milieu des 
flammes d'un pyrée que gardent deux personnages royaux, qui 
portent chacun à la main un glaive nu. Zoroastre appelle le feu 
^h d'Ormuzd(S);et^ dans son système cosmogonique, aussibien 
que dans celui des Chaldéens d'Assyrie, cet élément, cornine 



(1) Toyez les planches Vili, IX, X, XI, XIII etXIY àe mes Rèth. sur te calte de 
Férmi, 

(2) M. Mionnet, Descr, dà méd,, t. Y, p. ^2% n°' 74-77; p. 529 et 530, n"* SO, 92^, 
et ailleurs^ 

(3) Voyez les n*^ 3 , 5 et 7 de la pi. XV de mes Rech. sur le culle de Fénus. 

(4) Sèstìni, Desctit. delle med. atu. gf. del mus. Hedèrv,, III, p. 03, &** 32$ C. M. 
^., ti*» 6126. 

(5) Eckbel, Catalog^mus, Cass. Findob., Pars I, p. 239, n®. 17. 

(6) M. Adrìeu de Longpérìer, Essai sur les méd. sassanides , n*^ 30 , 31, 36, 43, 44. 
45, 49, 50, 55 ; pi. V, fig. 4 et 5; pi. VI, fig. 5; pi. VII,fig. 4 et 5; pi. Vili, fig. 1 
et 4; et pU IX, fig. 5. 

(7) Malgré tonte la déférence que j*ai ponr les habiles numismates qui yenlentToir 
ici, an lieu du buste d'Ormuzd ou de Mitbra', celai d*un roi Tainca, ìef eroder àumO' 
narqae r.égDant, on le buste de ce souverain, il m*est impossible d'adppter aocunede 
ces opìnions : elles sont tout à la fois contraires à l'esprit et à la lettre du Zend-Avesta* 
an témoigoage des autrea monuments figurés de la Pene aneitane, et anx oontnines 
des rois sassanides, qui, à Texeoiple de leurs prédécessenrs, les Acbéménides, seglo* 
rifiaìent du tibre de mazédéiesnans ^ adorateurs d*Ormuzd. Je nd puis que m'applaudir 
de voìr mon eentimeut à cet égard partagé par cdui des rédacteurs de nos jiìuutles€pì 
a rendu compte de TEssai de M. Adrien de Longpérier sur les médailles sassanides 
dans la Revue numisnuuique (année 1841, p. 58-66). 

v8) Zend'Avesta, 1. 1 , 2*^ partic, p. 87, 96, 97, i85 ei passim» 



SUR UN BAS<B8LIBF MITHRIÀQUE. 22 ( 

le soleil) est le principe genera teur actif. Sur le bas*relief de 
M. Péron, Fautel allume doit dono étre considéré comme une 
allusion directeau pouvoir créateur oureproducteur qu exerce 
Mithra , le représentant d^Ormuzd dans le ciel mobile et sur 
la terre, Cet emblème remplace ici le flambeau allume ou les 
deux flambeaux que d'autres représentations figurées(l) nous 
montrent placés dans les mains de Mithra léontocéphale. Dieu 
solaire et lunaire j par les autres sjmboles dont j ai déjà fait 
mention» Mithra règie, en efFet, la marche du soleil, de la lune, 
des planètes et de toutes les constellations; il dìstribue à la 
terre les saisons, les jours, les nuits, la pluie, la chaleur, 
les moissons et les fruits. C est lui qui accorde les enfants et 
qui multiplie les troupeaux. £n conséquence , les deux ailes 
qu'on lui voit au bas des reins ou au. bas des jambes s abais* 
sent Ters la terre, et, par ce mouvement, indiquent que 
Mithra est chargé du gouvemement de la région terrestre. 
Quelquefois méme, à leur extrémité inférieure (2) soni atta- 
chésdeux colombes, des pins, des massettes deau, des pam- 
pres , des grappes de raisin ou des épis de blé , emblèmes que 
nous retrouvons tous, nmis non réuni&, sur plusieurs repré* 
sentations figurées de Mithra tauroctone, et qui là, comme 
ici, réyeillent les idées de vie, d*amour, de reproduction, et 
caractérisent les deux saisons qui , chaque année , ramènent 
sur la terre la vie et la fertilité. D autres ibis , Mithra léonto« 
céphale est pose sur un globe terrestre^ divbé en quatre par- 
ties (3), ou sur la moitié dun globe orné du croissant de la 
lune (4). A ces images du monde sublimaire , on subsiituait 
aussi, comme nous le fait voir la grande statue du Mithrwum 
d'Ostie (5), un coq , accompagné d'une pomme de pin , d*un 
caducée, d un marteau et dune paire de cisailles^ tona attrì- 

(i) Voyez Montfaucon, Dìar. italic, p. 198, fig. 1 ; Vantiq. expliq,, 1. 1, 2* part; 
pi. CCXT, fig. S. — Zoegas Abhandlung., Taf. V, n. 16. 
(a) a^oegAs 4hhandUuig.y Taf; V, n. 16. 

(3) Raffei, Osservaz., tav. Ili, fig. 1 et 2. — Visconti, Il Mus. Pio-CUm., t. II, 
tav. XIX. 

(4) Raffei, Osservaz., Ur. IV, fig. 2. — Zoegas Abhandl., S. 204, p. 6. 

(5) Zo^a;, ibid., Taf. V, n. 16. 



222 II- MÉMOIRK 

buts convenablement choisis pour rappeler que, sur la terre, 
Mithra preside à la lumière , à la generation , aux arts et aiix 
métiers. Plusieurs de ces attributs, aussi bien que la forme de 
gaine qu*afFectent sensiblement cette statue et trois autres re- 
présentations figurées de Mithra léontocéphale (I), concourent 
à nous montrer comment le dieu des Perses s'assimile à Her- 
mes. Les rapprochements qu'il y aurait à faire entre ces deux 
diyinìtés sont nombreux; mais ils trouveront plus convena- 
blement leur place ailleurs , de méme que les conséquences 
importantes qui découlent de ces rapprochements quant à la 
question de l'origine du eulte de Vénus , d'Hermes ou Mer- 
cure et de Mithra. 

Roi des morts ou des enfers, Mithra, par sa téte et ses griffes 
de lion , symboles solaires ; par le globe et le croissant quel- 
quefois placés à ses pieds ; par le sceptre et les deux clefs sur- 
tout qu'il tient dans les mains, Mithra, dis-je^ annonce aux 
initiés qu'il est le roi de la région celeste , le gardien des deux 
portes du ciel, et qu'il peut ouvrir ou fermer ces deux portes 
aux àmes qui aspirent à rentrer dans le séjour des bienheureux. 
Maitre de la destinée des àmes , lui séul doit juger les actions 
bonnes ou mauvaises qui ont marqué leur séjour sur la terre. 
Médiateur entre elles et Ormuzd , seul il peut obtenir de ce 
juge supreme le pardon de leurs erreurs, Tenlrée du Gorotman 
ou du séjour celeste, et leur montrer, à travers les sept cieux 
des planètes et les douze constellations zodiacales, le chemin 
qui conduit aux portes de la lune et du soleil. 

Tel est le triple caractère qu^assignent en general à Mithra 
léontocéphale les figures qui reproduisent isolément ce dieu, 
soit qu'elles n'aient jamais faìt partie d'une composition dans 
laquelle était entrée quelque autre figure , soit que des causes 
quelconques les aient détachées des bas-reliefs ou des groupes 
de ronde-bosse dont peut-étre elles avaient fait partie et doni 
les débris n'ont pas été recueillis. Il me reste à examiner 

(1) Deux àia villa Albani ( Raffei , Ossermz., tav. IH, Bg. 1; e lav. IV. fig. 2. — 
Zoèga, Bassiril.y t. II, tav. 59) et une au musée d*Arlcs (Montfaucon» L'antiq. exph'q., 
t. I, 2« partie, pi. CCXV, fig. 3. — Millin , ubi supra). 



SUR UN BAS-DFXIBF MITHRIAQUE. 223 

quel caractère particulier Mithra léontocéphaie, sur le bas-relief 
de Vienne, /recoic de lassociation des deux Dioscures placés 
lun à sa droite, lautre à sa gauche. 

Gonsidérée sous un point de vue general, une ielle associa - 
tion n'a rien qui doive nous étonner. D'une part, nous sa- 
vons que Mithra, primitivement identique avec Yénus-Mjlitta 
ou Yénus-Astarté, présidait, comme cette divinile, à une insti-, 
tution célèbre de mystères. D autre part, un nombre considé- 
rable de monunients figurés atteste que, chez les peuples de 
rOrient et de FOccident^ le culle de Yéntis s'était associò à 
celui des Cabires ou des Dioscures. £n troisième lieu, nous 
ne pouvons oublier le róle que les traditions assignent aux 
Cabires dans les mystères de Samothrace, mystères bien cer- 
tainement importés de l'Asie occidentale et probablement très- 
analogues, quant aux doctrines, à ceux de la Yénus chaldéenne 
ou assyrienne, qui servirent de modèle aux mystères de Mithra 
établis en Perse par Zoroastre. Remarquons aussi que, sur 
quelques miroirs étrusques très-connus, les Dioscures soni asso- 
ciés à Minerve , et qu'un miroir inédit , doni je dois la con- 
naissance à M. J. de Witte, nous les montrent méme assistant, 
sous les noms de Préalé, 3Jfl^Q1, et de Lalan^ MPIJ^4, à 
la naìssance de cette dèesse , qui , chez les Grecs et les Étrus- 
ques, présidait aux initiations, comme Mylitta ou Astarté chez 
les Assyriens et les Phéniciens. Un autre miroir étrusque(l) 
et les médailles autonomes de Lacedemone (2) nous of freni, à 
leur tour, plusieurs exemples de l'associa tion des Dioscures à 
Pallas et à Bacchus^ qui fui surnommé le prince des mystères. 
Ne voyons-nous pas aussi Hercule , doni la legende est le type 
ou le modèle de la vie des initièà, se confondre souvent avec 
Pollux? Ne trouvons-nous pas les deux jumeaux divins associés 
a Hercule, sur quelques médailles autonomes de la ville que je 
viens de nommer (3), et placés auprès de ce méme personnage 

(1) M. le D' Dorow, Fojage en Étrurie, pi. XV, fìg. \. 

(2) Pellerin, Recueil, I, tab. XIX, fig. 1,2 et 3. — M. Mionnct, Descript, deméd., 
t. II, p. 216, 217 et 218; Suppl, t. IV, p. 222 et 2!$3. 

(3) M. Mìonnet, Descrìpt., p. 216 et 217; Suppl, t. IV, p. 220, n" 2. 



224 II* MBMOIRB > 

ou d'un athtète, sur les médaiUes de Thessalonique (1), ou 
aupres de Prométhée, soit stir nn beau Tase peint, ìnédit, du 
cabinet de M. le due de Luynes , soit sur deux miroirs étrus- 
ques, dont Tun a été publié par M. Micali (2) et par M. J. de 
Witte (3)^ et dont Tautre est depose, à Rome, dans une des salles 
du musée Grégorien (4) P Et ces dirers faits ne suffisent4is pas, 
pour nous autoriser à coDJectnrer dès à présent que l*associa> 
tion des Dioscures a Mithra, sur notre bas-relief romain,était 
la conséquence naturelle de lalliance plus anciennement con- 
tractée, en Orient et en Occident, entre le eulte des Cabires 
ou des Dioscures et le eulte de plusieurs divinités auxquelles 
se rattachait, comme à Mitbra, une institution de mystèrés? 
Bien que les. antiquités figurées dont on peut invoquer le 
témoignage^ quant à 1 associa tion particulière de Yénus avec 
les Cabires ou les Dioscures, soient généralement connues des 
archéologueSy jejuge cependant utile d'en présenter ics Féna- 
mération sucdncte^ pour suppléer à un renseignement qni ne 
se trouve dans les savantes dissertations d'aucun de mes de- 
yanciers. 

Les monumenta de la numismatique asiatique, de cette mine 
abondante où trop longtemps les érudits négligèrent de piriser 
et qui, chaque jour pourtant, nous foumit de nouvelles riches- 
ses sans le&quelles Tétude de l'archeologie comparée resterait 
souyent sterile ou du moins incomplète; les monuments, dis-je, 
de la numismatique asiatique yiennent ici se piacer en pre- 
mière ligne , et sont non moins nombreux qu*expUcites. Je 
dois citer surtout les médailles autonomes et les médailles 
impèriales de Tripoli» de Phénicie, ainsi qu une médaille im- 
periale irappée à Orthosia de Carie. Je mets sous les yeux da 
lecteur les dessins de trois de ces monuments monétaires; 



(f) Gessner, Impp.y tab. CLXXXI, fig. 40 VailUnt, iVum. grate. 

(2) Storia, etc., tev. L, fig. 1. 

(3) Descript, d'une coliect. de nntses peirUs et br, antiq, proven. des fouiUes de VE» 
tmrie, p. 130 et 131, n° 293. 

(4) Je ne pois indiqaer ici le numero de ce miroir étrusque, le catalogne imprimé 
du musée Grégorìen n'ayant pa» eneore été livré au pabUc. 



SUR UN BAS-RELIEF MITHfilAQUE. 22à 

ils ont été exécutés d'après les originaux que l'on conserve 
au cabinet des médaiiles de la Bibliothèque royale. Lun (1) 
reproduit un beau médaillon autonome de Tripoli^ de Pbénicie 
où , sur une face , sont gravées. les tètes des deqx Dioscures 
accolées et chacune surmontée d*une étoile ; Tautre face repré- 
sente Astarté debout. Dans la serie des monnaies autonomes 
qui appartiennent.à cette ville, on retrouve ces dèux types 
réunis de la méme manière sur quatre autres beaux médaUIons 
d'argent (2) et sur plusieurs pièces de bronze (3). D'autres fois , 
au revers de la téte d'Apollon (4), ou de creile de Cérès (5),j on 
voit les deux Cabires nus, debout , armés de leur lance et aic-* 
compagnés de la legende: ©EQN. KABIPaN. (ou KABEI- 
PllN. ) 2YPKÌN. Le second dessin que je produis ici (6) 
est la représentation , fidèle d'qne >n]édaille imperiala égaie- 
nieiit frappée à Tripolis de Phénicie : on y reconnaìt , . au 
revers de leffigie de Septinie Sevère, Astartè debout, le pied 
gauche pose sur la proue d un vaisseau ; elle est placée entre 
les deux junieaux divins, qui sont aussi debout, et qui, la 
lete coiffée du pileus et le reste dvi corps nu , tiennent cha- 
cun d'une main leur longue lance, de Fautre, une grappe de 
raisin. Le raéme type est répété au revers de 4eux autres mon- 
naies de Tripolis, la première à Teffi^ie de Caracalla (7) , la se- 
conde àleffigied'ÉlagabalefS). L'unedes particularités curìeu- 
ses qu'il présente, les deux Cabires ou Dioscures portant cha- 
cun à la main une grappe de raisin, s'observe sur plus^eurs . 
autres monnaies ìmpériales de la méme ville (9), bien qae 

(1) ilfo/Mim. iWrf., pi. XXXVI , %. 4.— M. Mionoet, Suppl., t. VITI, p. 280 
et 281 ,n° 193. 

(2) M. Mionnet, Descript, de méd., t. V, p. 392, n°» 374 , 375 et 376. — Peinbrock, 
Mtimisni. antiq.^ P. II, tab, XXXI, fig. 7. 

(3) M. Mionnet, l>c. cit., p. 394, n°' 384 et 385; et p. 395, n° v39l. 

(4) Pelleriu,iJ/i!/., t. I,.p. 77. -^Eckbel, D. JV., t. HI, p. 374. 
(ò) M. Mionnet, loc. cit., p. 392^ u° 377. 

(6) Monum «W., pi. XXXVI, fig. 5: — M. Mionnet, loc. cit,, p, 402, n° 43*. 

(7) Sestiui, Mus. ffedetv., III, p.92, u*» 23 j tab. XXXI V, fig. 6. 

(8) M. Miounet, loc. cit., p. 407. n** 460. ,. 

(9) Je pnis en citer sept : l'une de Septime Sevère ( M. Mionnet , nbi supra^ p. 402 
«t 403, n" 435); la seconde, de Caracalla (ihìd.y p. 404, n" 443); la troÌMème, de 

15* 



226 II. MEMOIRB 

cfell'èS-ci né nous inontt*ent point ces deux per sonnages célestes 
assòrìés à la déesse Astarté. Mais dàns les deux cas, notis de- 
Vótts rapprochei» de ces motiuments de la numismatique asia- 
tìqtie un mifoir iétrusqite, où Castor et Pollux combattant un 
troisième persoiìnage divin sont entourés d'une bordure de 
pampres avec des grappes de t'aisin (1).. Nous devons aussi 
ììotLS rappeler la grappe de raìsin placée Tantót à la main de 
Mìthra, sì fon peut ajouter foi à rauthenticìté d un monutnent 
de la galerie dit palais Giustiniani (2) j tantòt à la main d'un des 
génies lampadophores qui tfccompagnent Mithra (3); tantót à 
13 main d'une prèlresse qui , de concert avec un ministre du 
eulte, offre à 'de dieu le sàcrifice d\m taureau (4); tantót enfiti 
dàns la 'conc'avité intérieure d''une àes ailes tombantes de 
Mithira léontocéphale (5). Les bas-reliefs et la statue qbi me fbur- 
ìVìssent ces trbis dernières indications méritent tonte confiance. 
Le ttoisrème dessin qui est joint ici (6), reproduit une qua- 
trièihe moAnaie imperiale de TripoKs de Phénicie, datée de 
l'an 523 de Tère des S^eucides , où Ton distingue, au revers de 
la téte de Caracalla, le buste d'Astarté place sous le portique 
'd'un tempie diistyle, et grave àu-dessus des deux Dioscures, 
également còìtféò dupiteusetìe corps nu; chacun d'eux tient 
d'une main tine lance, et, de Fautre., un cheval, par la bride, 
au lièù d'une grappe de raisiti. Ce type est une répétition de 

Plautìlh; '(VaflUnt, IVum. grac— M. Micmn^, toc. pit.y n^ 446 et note a);1a quatrième, 
àe Géta (H. Mlonoet ^ he. eù:, |». 406^ n*^ 447) ; la.cinquìèvie et la sixièniey de'Diado- 
méoien (Sestioi, Mus. Fontatui, IT, p. 58, tav. IX, fig. 1*2. — M. Mionnet, 5u/;p/., t.VIII, 
I>. 292, n** 258); et la septième, à rcffigie d'Élagabale (Vaillant, Tfum, grcec). 

(1) M. J. de Witte, Descr. des antiq.du cab. Durand^'p. 415. n® 1960. 

(2) Galler. Giustiniana, Part. II, Ut. 62. 

(3) Voyez la pilanche qui accòmpagne mes Nouv. observ. sur le grand baserei, mi- 
fhriaq. du Mus. roy, de Paris, 

(4) AnnaL des Vereins Jur hhssauisch. Alterthutnsk., l'Bd., l'af. II. — Le prètrc 
qui assiste ici la pf étresse, tient à la main une come de taureau destinée a recevoir le 
jus du raisin ; et les deux assesseurs entre lesqnels c«t placée la victime que l'ou va 
immolér co riiouneiìr de Mithra, portent chacitu, dans une <!orbcille ou dnns une coupé, 
les paius qui sont appelés darouns dains la liturgie *persiquc , et qui donoentlear nom 
à uuc des prièrcs, le damun iesclit^ que Zoronstfc nvait ^eo|tiposées poilr les mazdéies- 
nans {Zend- Avfsla , 1. 1, T partie, p. lOf» et p. '237-240; t. ÌÌ7]pr-53Ji). 

(5) Zocgas Ahhaadlung.^ Taf. V,*". Mi. 
6) M'mnm, i«f//., pi. XXXVI, li}». 0. 



SUR UN BAS-KELIEF MITHRIAQUE. 227 

celui qui sert de revers à deux autres monnaies de Trìpolis , 
frappées Tune en Thonneur de Septime Sevère (l), lautre en 
rhonneur de Caracalla. Celle-ci, qui a été publiée par le P. San- 
clemente (2), portela date de 522. Une troisième inédaille de 
Tripolis, à leffigie de Caracalla (3), représente, au milieu d un 
tempie tétrastyle, Astarté debout entre les deux Dioscures éga- 
lement debout. Le méme type s observe, au revers^du buste de 
ce dernier empereur, sur une médaille frappée à Orthosia de 
Carie et publiée autrefois par Yaillant (4) > qui avait commis 
Terreur de Tattribuer à une ville du méme noni située dans la 
Phénicie (5). Enfin deux médailles de Tripolis de Phénicie (6) 
nous ofTrenty d*un coté, la téte d'EIagabale, ou celle de Maesa , 
et, de lautre, Timage d' Astarté placée entre les deux Dioscures, 
lei la déesse tient de la main droite le vexiìlum^ et pose un 
pied sur une proue de vaiss^au. Plusieurs autres exemples d'une 
pareille association viendraient, sans doute, sajouter au té^ 
moignage des diverses médailles que je cite ou que je repro- 
duis, si nous possédions la sèrie complète des monnaies auto- 
nomes et des monnaies impériales ou coloniales qui furent 
frappées dans les villes de plusieurs autres parties de l'Asie 
antérieure. Cette remarque s'applique surtout à celles de ces 
anciennes cités où nous savons, par le témoignage de quelques 
monuments qui nous restent de leur numispiatique , que le 
eulte d' Astarté et celui des Dioscures y étaient simultanément 
en honneur. De ce nombre sont, entre autres , les villes de 
Béryte (7) et de Tyr (8), dans la Phénicie, de Laodicée , dans 



(1) Sestmi, Letter» numism., Continuaz., t. VI; p. 102; e Ut. n,fig. 11. 

(2) JMus. Sanclem, num, select. III, 3. 

(3) Eckhely Catalog. mus. aesar. Fìndob., I, p. 242 , n" 12. Le .célèbre numismate 
que je cite indiqae, dana sa descrìptioo, une idole au milien des Dioscures, sans appli- 
quer k cette idole la dénomination à^ Astarté, qui lai appartient indabitableBient. 

(4) Nìimism, grcec. 

(5) Voyez M. Mionnet, Suppl,, t. VI, p. 532, n^ 470, et note a, 

(fi) Vaillanty iVam. gr<e<r. — . M. Mionnet, Descrìpt.de méd,^ t, V, p. 406, n** 453. 

(7) M. Blionnet, loc. cit., p. .335, 336, 339-351; Sappi., t. Vili, p. 240 , 245 , 247- 
250. — liebe, Goth. aum,, p. 168. — Sestioi, Descriz. delle med, ant. gr. del mus. 
Hederv.» Ili, p. 77, n*» 1; C. M. H., n» 6035. 

(8) Vaìllant, Num. in colon. pereuss., t. II, p. 87 et 217. •— Bandori, l^im. Impp. 

15. 



^^8 It. MLÉMOIRB 

la Phrygìe (1) , à*M\ÌB. Capitolina^ dans la Judée (2), et de Phi- 
ladelphie, dans la Décapole (3). 

Ghez les Etrusques , les mìroirs mystiques fournissent plus 
d'un témoignage de 1 association du eulte de Vénus avec celai 
des Dioscures. L'un de ces miroirs, grayé dans le Supplé* 
ment à l'Antiquité figurée de Montfaucon (4) , représente Vé- 
nus-Turan et Minerve debout, Tu ne et Tautre, entre les deux 
Dioscures assis. Un second miroir, pubiié, en 1819, parM. lA- 
ghiramì (5), nous offre, entre Castor et Pollux, le groupe de 
Mars et Vénus qui s'embrassent. Un troisième , dont nous de- 
Tons la conhaissance à M. Micali (6), nous montre debout 
les deux jumeaux divins qu enlace avec ses bras un troisième 
personnage male j à coté de qui est grayé le nom inconnu 
Chaluckasu,ysf\>^\/^f\>^. Ce groupe est place entre Minerve 
et la déesse Turan ou Vénus, qui ouvre la cjste des mystères. 
Jc puis citer aussi deux autres miroirs etrusques où je n'hésite 
pàsàcroire, avec l'ingénieux interprete du musée Bàrtholdy (7), 
que , sous les traits de Fune des deux figures de femme placées 
debout entre Castor et Pollux, on arait voulu reptésenter Vé- 
nus. Bién que les deux figures màles , surmontées tchacune 
d'une téte de cygne, qui se voient sur Un ctnquièitie mil^oir 



romanor,, 1. 1, p. 67, oot. 2.— ATuf . TheupoL, p. 760.— Eckhel, ubisupra^ p. 244, a 20. 
W.C. Combe, Mus. Hunter, p. 344 , n. 36.^-Sestini, Descript, num, ^et., p. 538 et 539; 
ubi supra, p. 96-98 ; ubi supra , n.n. 6100, 6145-6148. «^M. Mìonnet, Descript, de 
méd., t. y, p. 422-425 , et p. 428-430 ; Si^pl., t. yill, p. 309w — M. T. Gombe, Fa. 
pop. etreg. Num, qui in mus. Britann., p. 228, n. 9. 

(1) Haym , Thes. brit.. Il, p. 2l6; et tab. XXy, d. 10. — M. Mionnet, Descript, 
de méd.^ t. ry, p. 314, n? 679 ; p. 315 , n° 587; p. 324 , n*» 747, et p. 332 , n° 790; 
Suppl, t. yil, p. 579 , n»" 41 3-416 ; p. 581 , ii°» 430 et 431 ; p» 583 , ii<^ 44^ ; p. 585 , 
n''449, etp. 588, n** 463. 

(2) yaillant; ÌVmui. ùCjcolon. percuss^-^Tmim^ Suppl. adhinànr» Num.Impp. romaHor., 
p. 23. — Eckbel, D. N., Ili, p. 442. ~ M. Blionnet , Desenpi, de méd^ t. y, p. 517, 
518, 519 et 521. 

(3) Sestini, Letter. numis/H., ContUiuaz., X. IX, p.92, n. 8,et p. 93, ìi. n. 10-12. 

(4) Tom. II, p. 66; et pi. XIX, figf. 1. 

(5) Monum. etrusch.^ t. II, taV. 64. 

(6) Storia de^.pop. ani. d'Italia, t. HI, p. 80 et 81; Monum, per serp. atl. Storia, 
t«v. XLyiI,fig. 1. 

(7) M. Th. Panofka, // Mus, Bartoidi, p. 29-31, n^^ et 65. 



SUR UN BAS-a£LIEF MITHÀIAQUIS. 229 

étrusque n aient pas é%é désignées sous les noms de Gastor et 
de PoUux pu des Dioscures dans la description qii*a doiinée 
de ce monument le Bulletin de llnstitut archéologique (i), je 
n'hésite pas davantage à penser avec M. de Witte (2) que cette 
dénomìnation est la seule qui convienne à ces deux figures. Je 
n'hésìte pas non plus à ci ter, comme sixième exemple de Tasso- 
ciatìon de Vénus aux Dioscures, chez les Etrusques , un miroir 
mystique du cabinet de feu M. Durand (3) , où M . le due de 
Luynes (4) me semble fonde à reconnaitre la déesse squs lem- 
blème d'un astre , c'est-à*dire de la planète Vénus , grave au 
milieu d'un triangle qui domine une piante surmontée d'un 
oiseau (5) et placée entre Castor et Pollux. U n'est pas aussi 
certain à mes yeux que la biche qui , sur un autre miroir de 
la méme collection (6), est gravée entre ces deux mémes per* 
sonnages, soit, à son tour, lemblème de Vénus, comme le 
pense l'habilearchéologue (7) que je viens de nommer. Je serais 
plutót porte à supposer qu'ici la biche est le symbole d'ApoUon 
Qu de DianCp A. l'appui de cette conjecture , j'invoquerai le tri- 
ple témoignage d'une médaille aqtonome de Tripolìs de Phé- 
nicie , déjà citée (8) , d'une médaille également autonome de 
Lacedèmone., publiée par EcLhel (9), et de plusieurs médailles 
impériales de Thessalonique, dont je parlerai tout à Fheure en 
detail (10) : ces diverses pièces prouvent que, chez les Phé- 
niciens, les Lacédémoniens et les Macédoniens, le eulte des 
Cabires s'était associé à celui d'Apollon. J'alléguerai aussi deux 
monnaies impériales de Tripolis de Phénicie, dont Fune nous 
ofFre^ au revers du buste de Septime Sevère, un croissant grave 



(1) Année 1834,p. 9. 

(2) Nouif. Annoi, de Vlnst^arch,^ t. I, p. 510, note 5. 

(3) M. J. de Witte, Descript, des anùq, du cab. Durctnd, p. 416, n" 1958. 

(4) Now^, Ann. de Vlnst. arck., 1. 1, p. 69. 

(5) Probablement ane colombe, ou Poìseau appelé fynx ('Iuy$). 

(6) M. J. de Witte, ioc. ctV.,n° 1959. 
(7). Ubisupra. 

(8) CÌHleMas, p. 225, et ibid.^ note 4. 

(9) Catalog. nuts. Ceesar. Findob., 1. 1, p. 120, n.3. 

(10) Voyex ct-après, pag. 234 et 235. 



230 II. MÉMÒIRE 

entre les deux Cabires ou Dioscures (1 ) , etFautre, au revers 
de la téte de Géta , un croissant grave , à coté des deux ju- 
rneaux, dans le champ de la médaille (2). Jé citerai enfih trois 
médaìlles autonomes de Lacedèmone (3) , qui nous montrent 
chacune le eulte des Dioscures associò tout à la fois au eulte 
d'ApolIon et à celui de Diane. Mais à la liste des miroirs qui at- 
testent laHiance du eulte de Vénus avec celui des Dioscures, 
chez les Etrusques, il faut ajouter un miroir récemment publié 
par M. Ed. Gerhard (4), où le nom de Turan se lit à coté d une 
déesse qui est debout, avec Minerve, entre Castoret Pòllux. Je 
ne balance pas à comprendre encore dans la mème ' catégorie 
trois autres miroirs que ce savant antiquaire nous a fait con- 
naìtre en méme temps (5), mais sur lesquels on ne découvre ni 
le nom de Turan , ni aucun autre nom , auprès de la déesse 
qui s'y trouve associée aux deux jumeaux divins. Ce nom de 
Turan, lorsque noùs le lisons grave, sur les miroirs etrusques, 
à coté d'une divinile que tout le monde s'accorde a identifier 
avec Vénus, nousavertitassez que le eulte de la Vénus orien- 
tale, celui de Castor et Pollux et l'usage aussi d'associer ces 
deux cultes Tun à lautre, durent étre portés en Etrurie par 
des colonies asiatiques qui , a des époques diverses , mais an- 
ciennes , étaient venues s'établir dans oette partie de lltalic 
supérieure. Je ne m'arréterai point à examiner ici quelle partii 
faut attribuer aux Phéniciens (6), aux Lydiens ou aux Tyrrhé- 



(1) M. Mionnet, Descript, de méd., t. V, p. 402 et 403, n° 436. 

(2) Id., ibid., p. 405, n° 447. — Cf, les médailles de la famiUe Postumia. 

(3) Id., ibid.. t. II, p.220 et 221, n" 49 et 50; Sappi, t. IV, p. 223 , n° 28. 

(4) Etrusk. Spiegel , Taf. LIX , n. 2. 

(5) Ibid., ibid., n. f , 3 and 4. 

(6) Je ne pois m*eiiipécher toutefois de sigualer ici corome autant de preaves di- 
rectes d^ane infiuence phénicienne dans la question qui nous otrcupe , les miroirs 
etrusques sur lesquels sont gravés, à coté du groupe d'Adonis et Vénus les noms asia- 
tiqucs d'^ft*/i<?^ (AdoDis), M3l^ VtPl 5 ou d'^^iinw, fltVHlM ^ etde Turan, 
Hfl/ÌV+9 ou ceux de Thamu (Tliamranz), V^MPIO^ et d'£«/iMya (Euterpe), 
fllQVtVB. Voycz M. Ed. Gerhard, Bulletino deW Instit. arch., 1884, p. 10.— 
Annali dell* Inst. ardi., Monum. ined., tav. XXVHI, — M. J. de Witte, IVouv, Annoi. 
de Vlnst^arch,, t. I, p. 509 et suiv.; Monum, inéd,, pi. XII, fig. 1 et 2. 



SUR UN BAS-RELIEF MITHRIAQUE. 23T 

iiìens, dans le fait d'une telle ìmportation, et quels documeiits.^ 
en ce qui concerné )es Lydiens et les Tyrrhéniens , peuvent 
s ajouter aux ténioignages qui résultent soit de plusìeurs caté- 
gorìes de monuments de lart que je dois m'abstenir de men- 
tionner ici, soit dun passage d'Hérodote (1), dont lauthenticité 
cesse d'étre contestée à mesure que les fouilles pratìquées sur 
le soi de l'Etrurie raettent au jour, par centaines, des objets 
d'antiquité figurée dans lesquels les archéologues les plus obsti- 
nés à nier Tinfluence de TAsie occidentale sur la Grece et FI ta- 
be , sont forcés de reconnaitre tous les caractères d un art et 
d'une théogonie asiatiques. 

Si y laissant de coté les médailles impériales qui , frappées 
dans TAsie antérieure, sous la domina tion romaine, repro'duì- 
sent des types évidemment empruntés à des relìgions locales , 
nous passons dans le Latin m, nous- aurons à remarquer que le 
eulte de Yénus ne parai t pas y avoir aussi fréquemment étó 
réuni à celui des Dioscures j qu'il le fut chez les Etrusques. 
C'est méme depuìs peu d'années qu*on a retrouvé sur le 
sol latin les traces d une semblable associa tion. Le premier 
monument qui, à ma connaissance^ puisse rendre sur ce point. 
un témoignage irrécusable, est, en ei¥et, un beau fragment de 
frise qu'on a»découvert, à Rome, il y a dix ou douzeans^ 
dans les ruines d un tempie des Dioscures , situé au Campo 
P^accino, Ce fragment de frise, qui est de terre cuite, re- 
présente Yénus offrant, aux pieds de la statue de Junon, 
le sacrifice d'un taureau. 11 a été publié avec les premières 
planches de mes Recherches sur le eulte de Vénus (2) , d'a- 
près un dessin que M, Ed. Gerhard avait eu la complaisance 
de me communiquer. A ce témoignage , il convient toutefois 
d'ajouter un fait curieux que je trouve consigné dans 
les observations plus récemment recueillies par M. Nestor 
l'Hóte (3), en présence des sculptures de diverses époques: 

(1) 1.94. 

(2) Planche XIV, fig. 2. 

(3) Lettres écrites d*Égxpte en 1838 et 1839. Paris, I84O, 1 voi. in-8°, fig.; p. 36-42. 
Dcpuis la rédaction de mon mémoire , rarcliéologie égyptienue a fait une perte &eD« 



232 11. MBMOIRE 

qui oment des iacades de rochers ou Tintérieur de quelques 
grottes près du village de Tèhnèh, à deus Ueues vers le sud du 
célèbre couvent de la Poulie. Ges sculptures , pour la plupart, 
se rapportent au eulte égjptien d*Hathòr, au Gulte grec d'A» 
phrodite, ou au eulte romain de Vénus; et là, comnlie ailleurs, 
pour le dire en passant, Isis et Hathór se confondent ensem- 
ble (1) par leurs fonctions et par leurs attributs. Le voyageur 
francais cite, entre autres morceaux remarquables de seulpture, 
une figure de déesse^ de grandeur naturelle et de ronde-bosse^ 
qui, quoìque très-mutìlée, « rappelle, dit-il (2) , par Tabsence de 
'< tout vétement , comme par la pose et le gracieux mouvement 
« du corps, les beaux types grecs de Yénus Anadyomène. » Elle 
est acGompagnée d'une inscription grecque que nous avaient 
déjà fait connaitre les auteurs de la Description de VEgjrpte (3). 
Cette statue d'Aphrodite et le sncellum souterrain qui lui est 
contigu , « sont encore de nos jours, ajoute M. THote (4), le 
« but d'un pélerinage où se rendent les femmes affligées de 
« sterilite. Cet usage, de tradition fort ancienne, expUque aussi 
« rétat de conservation des sculptures de loratoire et le polì 
« du rocher qui forme le seuil et les avenues périlleuses du 
« monument. » G'est dans le voisinage de cette méme locaiite 
que Fauteur des Lettres écrites d Egypte en 1838 et 1839 a 
trouvé (5) « un bas-relief de deux mètres carrés, représentant 
« un groupe de Castor et PoUux, la téte surmontée de Tétoile 
« qui les caractérise, et tenant leurs chevaux par la bride. Les 
« Dioscures, observe*t-il , sont ici accompagnés d'un troisième 
« personnage également debout , entre les deux , et qui avait 
« aussi une étoile sur la téte ; mais cette dernière figure est mu- 
ti tilée. On reconnait dans les deux autres le costume militaire 



tibie par fa mwt pr^matarée de M. Nestor llióte, qui a succombé à Pinteosité d'une 
nlaladie doat il avait pris le germe dans ses péaibles voyages eo Egypte. 

(1) Ihid.^ p. 39. 

(2) Ihii.^ p. 40. 
(3)Chap.XVI,§r 
(4) Uhi twpra. 
(6) Pag. 48. 



ler 



SUR UN 1IAS«RSI.IXF MITHR1AQU£. 333 

« deÀ Roinains, la cuirasse, Tépée^ le pallium (1), et, au lieu du 
«casque, la chevelure tombante. La scuipture est de ronde- 
« bosse , d*un travail assez lourd et évidemment du Bas-Em- 
« pire. » M. Nestar FHóte termine en disant : « Je ne connais 
<*pas les circonstances mythologiques d'après lesquelles on 
« a pu faire des Dioscures une triade. » Il est très-probable à 
mes yeux que la troisième figure dont il s'agit dans ce passage 
est yéhtis elle-niéme; et en admettant que cette conjecture 
ne soit pas fondée , le fait seul de la dédicace d*un monument 
romain aux Dioscures dans un lieu consacrò de tout temps au 
eulte de Yénus n atteste*t-il pas que Tusage d'associer ce eulte 
à celui des Dioscures était entré dans les moeurs religieuses des 
Romains ? 

Ce fut plus tard, sans doute, que passa de l'Asie anlérieure 
dans 1 empire romain d'Occident, si elle ne fut instituée en 
Italie par les Romains eux-mémes , la coutume de substìtuer 
Mkhra à Yénus dans une pareille association ; mais Tunique 
document qui,.jusqua ce jour, soit venu nous apporter une 
preuve ìncoiitestable de cette substitution est , je le répète , le 
bas-relief que, dans le cours de lannée 1840, on a découvert 
sur le sol ancien de la yille de Vienne. 

Le silence des mythologues et des archéologues sur la dou- 
blé association des Dioscures à Yénus et à Mithra , cbez les 
Romains, se justifie par la date recente de la décou verte des mo* 
nuroents figurés que j ai allégués. Il èst moins fìsicile de s'explir 
quer comment les ouvrag^s des érudits qui ont écrit sur le 
eulte des Dioscures ou des Cabires ne contiennen.t aucune 
citation de monument de lart , aucune observatìon d où Fon 
puisse conclure que ces érudits avaient connu ou su apprécier 
à leur juste valeur les anitiquìtés figurées qui , à défaut de textes» 
prouyent que, dans TAsie occidentale, dès une epoque an- 
cienne et jusqu a la fin de la domination romaine , ce eulte 
s'était trouvé associé à celui d'Astarté, d'Uranie ou d*Aphro- 
dite, diyinités primitivement identiques avec Mithra. On en 

(1) L'auteur coafond probablement ici le pallium avec la crhlamyde oti paiudamentum. 



234 II. MBMOIRE 

peut dire autant des monuments de lare qui naus montrent les 
Dioscures associés à la déesse Turan ou Vénus^chez les Étrus- 
ques, et associés, chez les Phénicìens, les Siciltens , Jes Lacé- 
démoniens et les Macédoniens, tantót à ApoUon, tantót à 
Diànei^ tantót à la Fortune, divinités qui se confondente celles-ci 
avec la Vénus orientale , Vautre avec le dieu des Perses. Ges 
diverses associations sont cependant attestées ou par des témoi- 
gnages, pour ainsi dire^ officiels, ou par des monuments figurés 
dont Tauthenticité n'est pas douteuse. J. ai déjà dté , quant aux 
Etrusqùes, les miroirs mjstiques qui appartiennent à cette 
dernière catégorie , et, quant aux Phéniciens et aux Lacédé- 
moniens, les médailles qui se rangent dans la première. Il me 
reste à signaler, pour la Sìcile et la Macédoine, les médailles 
qu'il faùt piacer à la suite de celles-ci. Panni les types des 
monnaies autonomes grecques de Syracuse, je trouve tan- 
tót, «au revers de la téte lauree d'ApoUon, les deui Dios- 
cures à cheval, ayant chacun une étoile gravée au^lessus 
de la téte et une chlamyde flottante attachée aux épaules (1); 
tantót les bonnets coniques des Dioscures placés à coté de la 
téte d' Apollon qui, dans ce cas , a pour revers Pégase volant à 
gauche (2). Un miroir étrusque, publié par M. Ed, Gerhard (3), 
nous révèle entre ces divinités des rapports plus ìntimes en- 
core, puisque les deux éphèbes qu*on y voit représentés avec 
les attributs connus des Dioscures , portent Tun le nom de 
Larariy HftOflJ , Tautre, celui SAplnUj H VJÌPl , qui était le 
nom méme d*Apollon , ainsi que Tattestent un passage fbrmel 
du Gratyle de Platon (4) et plusieurs autres miroirs étrusques. 
Sur les médailles ìmpériales de Thessalonique, on obserye tan- 
tót, au revers de la téte de Gordien Pie, de Philippe pére, 
d'Otacilie, de Philippe jeune, ou deGaUien, Apollon debout, 
portant sur la main droite un Cabite (5); tantót, au revers de la 

(1 ) M. Mionnct , Suppl., 1. 1, p 445 , n*» 614. 

(2) /*«;., p. 446, nO 627. 

(3) Etruskisch. Spieg,, Taf. LlX, n** 2. 

^4) Platon, Opp.y Pars II, voi. Il, p. 49, ed. Bekker. 

(5) Sestinì, Descript, num. vet., p. 121, n° 86 : p. 122, u" 102 M. Mionnet, 



SUR UN BA^-oRELIBF MITHRIAQUIÌ. 236 

téte lauree de Philippe pére, deux urDes avec une palme, placées 
entre Apollon et un Cabire qui, debout Tun etlautre^sedan- 
nent la maiii (1) ; tantót enfin, au revers de l'effigie de Yalérien 
pére, la Fortune debout, le madius sur la téte, tenant de la 
main droite un Cabire enfant, et de la gauche une come d abon- 
dance (2). Au bas de ce dernier groupe on trouve un autel allume, 
comme on eu voit un entre Apollon et un Cabire, sur une des 
médailles citées de Philippe pére (3) , aux pieds de Mithra et 
des Dioscures, sur le bas-relief de M. Péron, entre le$ deux 
Dioscures, au revers de plusieurs médailles impériales d'Ortho* 
sia de Carie (4) , aux pieds d un Cabire place seul , debout, sur 
un grand nombre de médailles impériales frappées à Thessalo- 
nique(5), entre Hercule et un Cabire (6), ou entre un Ca- 
bire et un athléte (7), sur dautres monnaies impériales!, de la 
méme ville. 

Considérée sous un point de vue particulier, la présence des 
Dioscures sur un monument de Tart romain n'a rien, non 
plus, qui puisse nous surprendre; car personne n'ignore que, 
dès une epoque reculée , à Rome comme en Grece , ces deux 
fils de Jupiter étaient honorés d'un culte^ particulier, sans par- 
ler de celui qu on leur rendait en commun avec Jupiter Ton- 
Dant (8). Ils y recevaient le titre de Grands DieuXy Dii Mag- 



Suppl,, t. Ili, p. 153 et 154, n'^OOS; p. 162 et 163, n°* 1060, 1061 ; p. 163 et 164, 
n"** 106M067; p. 164, n** 1070; et p. 168, n"^ 1087 et 1088. _ Gussème, Diction. 
nwn.^ n** 55* 

(1) M. Blionnet, Descrìpi, de méd., t. I,p. 503, n" 399; Supplii, III, p. 163, 
n^" 1062. 

(2) Id., Descript, de méd.^ p. 504, tt° ^03. 

(3) Id., Suppl.^ loc. cit. 

(4) M. Mionnet, Sappi,, t. VI, p. 531 et 532, n°» 467 et 468. 

(5) Ibid., t. ni, p. 151 , n°* 980 et 981 ; p. 152, n*» 986 et 987; P. ^^3, n*" 994 et 
996; p. 154, n~ 999 et 1000. — Wilde, Select num., p. 126, tab. XVI , fig. 96. — 
M Mionnet, Suppl,, t. Ili, p. 167, n<» 1080; p. 170 et 171, n** 1102; Descript, de 
mèd., t. I, p. 604, n* 407. 

(6) Méd. de Philippe pére; Gessner, Impp.^ ub. CLXXXI, fig. 40. 

(7) Méd. du méme empereur ; VaiUant, Num. grasc, 

(8) Selon Plino (Hist. nat. XXXIV, xxx, 16; ed. Harduiu. ), les sUtues qu'Hégésìas 
avait (aitesde Castor et Polluz étaient placées au Capitole, devant le tempie de Jupiter 

onnant ; paiticularité qui doit étre rapprochée de celle que nous offrent plusieurs 



236 II. MBMOIHE 

ni (1), de ménte que, chez les Areadìens, iis étaient appelés 
01 6 6 01 (x.eYfl^Xoi (2), ce qui nous rappelle tout a la fois la 
significa tion propre du surnom de Cabirimy les Grands^ sous 
iequel TOrient les adorait , et la qualification de Deus Magaus 
que, de son cote, re^oit Mithra dans la dédicaoe du bas-relief 
cité du musée Olivieri (3). Ik avaient à Rome des fétes, 
des jeux, des inscriptions yotives, des médailles, des tem- 
ples, des statues et méme des images colossale8(4); dans les 
situations les plus ordinaires de la vie, on jurait par eux et 
Fon attestait leurs noms. Aussi les fastes historiques de k 
Grece et de Rome nous présentent4l8 les deux Dioscures 
comme des dieux protecteurs et sauveurs qui, dans ks 
combats, veillaient sur les guerriers et sur les destinées du 
peuple, de méme que, dans les navigations pérìlleuses, ils 
veillaient sur le sort des marins. G*est pourquoi les mytho- 
logues modernes sont parfaitement fondés lorsqulls assi- 
milent aux Dioscures les dieux que les Sicyoniens appekient 
ÀiTOTpoiratoi Oeot, et les Romains, Diì Ai^rmncL C'est 
pourquoi aussi nous avons à remarquer que les médailles au* 
tonomes de Thessalonique, lune des villes de l'Occident où 
le eulte des Gabires fut le plus en honneur, nous montrent ce 
eulte associé à celui d'une divinité que les plus habiles nu- 
mismates (5) s'accordent à designer sous le nom de Janus. A 

médailles aatonomes de Rhosns, en Syrìe, dont j'ai fatt mentioii dans mes Reeherdut 
sur le culle de Fénus ( p. 104 , note 6 ) et qui ont ponr type les denx bomiets des €•• 
bìres on des Dioscures gravés dans le champ de la médaiUe, à coté d'Une divinité olle 
que je prends pour Jupiter. 

(1 ) Dans une inscription latine, rapportée par Gruter, lìucript. antiq., p. XCVllI, 
n*»9. 

(2) Pansanias, VITI, 21, 2.— On litces mots dans nne inscrìptioB grecque d'épo« 
que romaine : 0EQN" MErAAfiN' AIOEKOiPON' KABEIPQN* (Gruler, he. eU., 
p. CCCXIX,n*»2.) 

(3) Antich. Cristian. t p. 23, tar. VI. 

(4) Voyez un article très-remarquable de M le professeur F. G. WeIcker, dans le 
recneil intitulé Dtis Academ, Kunstfnus, zu Bonn (7^ Ansgabe; Bonn, 1841, S- 
133-150 ), et les diverses antorités ou dissertations eitées par l*antenr. 

(5) M. Taylor Combe, Fit. Pop, et reg. num, Mus. brit., p. 99, n" 1, — 3Ìus. Ari, 
goni, 1. 1 , tab. XXI, fig. 21 1. — Les deux médailles que je cite icì ont été admisespsr 
M. Mionnet, SuppLy t. IH, p, 121, n*^ 760 et 761. 



SUR Uff BAS*RBLIBF MITHRIAQUE. 237 

leur tour, les médailles impériales de la mdme ville ont pour 
type tantót un Gabire place sur la main droite de la déesse 
Nikè (1), tantòt le méme personnage divin accompagné des 
palmes de la victoire posées soit à ses pieds (2) , soit sur un 
ou deux cippes (3), soit sur Turne des jeux (4), emblème du 
Destin ou de la Fortune. Au revers de plusieurs médailles 
des roìs grecs de la Bactrianei publiées par M. Raoul Ro- 
chette (5) , nous retrouvons ces palmes de la victoire placées 
tantót dans la main de chacun des deux Dioscures à cbeval, 
tantót entre deux bonnets coniques, emblèmes connus de ces 
deux persònnages divins. Uè leur coté, Cicéron (6) et Justin (7), 
rapportent que, dans la guerre de Locres et de Grotone, les Dios- 
cureà procurèrent aux Locriens une victoire eclatante, dont ils 
répandirent la nouvelle, le jour méme, à Olympie, à Sparte » à 
Gorinthe et à Athènes. Gè jourJà, observe Justin (8), ils étaient 
montés sur des coursìers blancs et portaient des chlamydes de 
pourpre. Ajoutons qu en témoignage du eulte special que leur 
rendaient les habitants de Locres^ on trouve, sur les médailles 
de cette ville, les tétes des deux Dioscures accolées, et surnion- 
tées chacune d'une étoile (9). D*àge en àge s etait aussi perpétue, 



(1) Eekhel, Catalog. mus. cces. Findob., t I, p. 88, n** 17 M. Mionnet, Descr. 

de méJ., t. I, p. 500-504, n'^' 3S2, 383, 384,391, 401 et 403; Stappi, t. Ili, p. 142- 
168, 11°' 921, 923, 934, 9&l-953> 955>.9SS, 964, 965, 967, 968, 970, 972-974, 977*979, 

985, 988-992 et 1084 WUde, Seleet. num., p. 1 19, tab. XV, fig. 88. — Nus. Theu- 

poLy p. 1065. — Sestini, Descript, num, ■veter.^ p. 123, n^ 111. 

(2) Médaille du cabinet dn roi (voyvz M. Mionnet, Sappi,, t III, p. 149, ii*"d69; 
p. 170 et 171, n» 1102). 

(3) Mus. SancUnu Nwn. SeUct., Ili, p. 29. — M, Mionnet, Suppl., t. Ili, p. 145- 
167, B~ 942, 960, 961, 9S0, 981, 986, 987, 993, 1076, 1080. 

(4) Vafllant, Num. gr^c. — M. Mionnet, Descript, de méd., t. I, p. 500-503, n**' 380, 
387, 388,390,395, 399; J«/ii»/.,t. HI^p. 154, n"» 1001; p. 155, n*" 1009; p. 163, 

n°* 1062 et 1063 Sestini, Descript, num. ifct., p. 122, n° 103. — Wilde, Seleet. 

num., p. 126, tab. XVI, fig. 96. 

(5) Joum. des Sav,, septembre 1835, pi. II, fig- 15 ; mars 1836, pi. II, fig. 3 et 4* 
Cf. Ibid., septembre 1835, pi. I, fig. 7. 

(6) De Nat. deor.» II , 2 ; et III, 5. 

(7) XX, 3. 

(8) Uhi supra^ 

(9) M. Mionnet, Dèscript. de méd., t. I, p. 196 , n° 925. 



238 li* MBMOIRE 

chez les Romains, le souvenir de la puissante assistance que leur 

avaient prétée Gastor et Pollux le jour de la TÌctoire remportée, 

près du lac Régille, par le dictateur A* Postumius. On raconte 

que, pendant la bataìUe, le general romaìn avait fait voeu d elever 

un tempie aux deux jumeaux divins s'il trioni phait de Fenneini. 

Cicéron (1) et Denis d*Halicarnasse (2) dìsent quen cette oc- 

casion y on vit Castor et Pollux , roontés sur des chevaux et ar- 

més de lances, combattre eux-mémes les^Latins à la téte de la 

cavalerie romaine. Le second de ces auteurs, moins laconique 

dans son récit que le premier, rapporte que le combat se pro- 

longea jusqu au soìr^ et qu'avant la fin de la joumée Castor et 

Pollux, sous la forme de deux beaux et jeunes guerriers , cou- 

yerts de la noble poussière des combats, se montrèrent à 

Rome, dans le Forum, annoncant au peuple le triomphe de 

Farmée de Postumius (3). A cesujet, Denis d'Halicarnasse(4}, 

énumère en détail les monuments publics que Rome (5) 

consacra aux deux Tyndarides pour perpétuer le souvenir 

de sa reconnaissance ; il y ajoute des renseignements curìeux 

sur le sacrìfice et la (èie solennelle que, chaque année, depuìs 

ce temps , on célébrait publiquement, dans cette villa, en l'hon- 

neur de Gastor et Pollux. Je remarque, dans ce passage, que les 

gens à cheval , qui faisaient partie du cortége religieux , por- 

taient chacun une toge de couleur pourpre , particularité qui 

achève de nous prouver que cette couleur était consacrée aux 

Dioscures ; car, à coté du témoignage qui résulte de l'observa- 

tion citée de Justin , viennent se piacer ceux que nous fournis- 

sent Pausanias et Clément d'Alexandrie : le voyageur grec (6) , 

parlant de deux jeunes gens d'Andània,* qui avaient paruau 

milieu des Lacédémoniens avec le costume des Tyndarides, 

nous les montre vétus chacun dune tunique bianche et d'une 



(1) Obisupra. . 

(2) Amiq. roman., VI, 13; XLI, 61; et LV, 1. 

(3) Cf. Prudence, Cantra Sjrmmach., I, 226»230. 

(4) Ubisupra. 

(5) Cf. Tite-Live, II, 20 et 42. 

(6) IV, 27, 1. 



SUR UN BA6-IIBLÌE7 MlTHRlAQUli. 239 

chlainiyde pourpre. De son coté , 1 eciivain ecclésia^tique (!) 
rapporte une ancienne tradition selon laquelle deux Coryban- 
les ^ désignés aiUeurs sotis le nom de Cabìres , enveloppèrent 
dans un voile de pourpre la téte de ieur frère qu ils avaient mis 
à mort. Cette oonforitiité de témoignages n est pas sans impor- 
tance , lorsque Ton considère que la couleur rouge , doni le 
bas-reiief de M. Péron a conserve quelques traces, avait origi- 
nairement pu étre appliquée , à défaut de cfalamyde , sur le 
bonnet ^rygien de chaeun des deux Dioscures nus placés ici 
auprès de Mithra léontocéphale. N'oublions pas que Mithra, 
appelé, dans le Zend-Avesta, Feu rougCy fils d' Ormuzd {^) ^ 
devait lui-méme, sur les monuments coloriés, étre représenté 
avec une chlamyde et une tiare recourbée de couleur rouge , 
puisqu'un fragment de bas-relief mithriaque du musée Chiara- 
monti (3), nous offre pcnnten rouge, au sommet dun pin, le 
bonnet dit pbrygìen ou la tiare recourbée que les Romains, à 
lexample des Perses, affectaient à ce dieu. Ces dernières parti- 
cularìtés, pour le dire en passant, nous reportent tout a la 
fois à la legende d' Adonis et à celle d*Atys. 

Si Torateur roroain omet plusieurs détails que j'ai enipruntés 
à Denis d'Halicamasse , en les abrégeant considérablement , il 
nous dédotnmage, en quelque sorte, par la mention qu'il fait (4) 
d'une tradition dont je ne découvre aucune trace dans Fécri- 
vain grec. Cette tradition nous apprend qua une epoque 
bien moins ancienne que la date de la victoire du lac Régille, 
Paul-Emile, ayant vaincu et fait prisonnier Persée à Pydna, 
Castor et Pollux , sous les traits de deux jeunes gens , montés 
sur des chevaux blancs , apparurent à P. Vatinìus , sur la route 
de Réate (5) à Rome, la nuit raéme qui suivit la bataille, et lui 
annoncèrent la défaite du prince macédonien, afin qu*il pùt faire 



(1) In Pmtrept.j p. 15 sqq.; qd. Potter. 

(2) Voyez ci-dessus , p. 220 , note 8. 
(3j /iOegas Abhandlung.y S. 176. 

(4) Ubi sujtra. 

(5) 'Peaxoc (Strab., Geogr.,^, — Dìonys. Halic, I ci II),'P£aTov ou 'PeaTtov (Slcph, 
B)"Aaiit. 574); co hitìu Reale; anjqard'bai Rieti. 



240 II. xMÉMOIRE 

immtkliaténient part, 4« cette heureuse nouvelle au sénat de 
Rome (1). Jtì n-ajouterai rien à ce dernier traitpour montrer, 
par le témoìgnage des auteiirs anciens , combien él^ient prò- 
fondes ìes racines que le eulte des Dioscujres avait jecées dans 
les croyances religieuses jìt les irioìurs desilomains (2). La più- 
part des reiiseignenients que fournissent à cet égard les tradi- 
tìons ecrites et les monumeuf^ figuves, ont déjà été recueillis 
par plusìeuirs habile&areheologues. Quelques-uus de ces savants 
ii'ont pas omi& de lappeier qu'en méfuoii^e de Tassistance prétée 
par les Dìoscures au dictateur Postumius, le jour de la bataille 
du lacRégille, la faniille Postnmia avait faìt frapper une me- 
daille(3) Oli Ton volt, a^iprès d'une fontaine, les deuxjumeaux 
divins ocGupés à faire désaltérer leurs coursiers. Caylus, eii 
publiant un monument erige par les I^cédémoniens en Thon- 
neur de Marc Aurèle et de Lucius Vérus (4), a eU'Spin dofaiiv 
remarquer que^ dans riuscription gi:ecque qui ^Stt gravée, sui 
ce nionum^nt,,au-dessous d'une couronmì placée entredeux 
palnies, les deux enipereurs, frère^ d'adoptiorit sont qùalifiés 
de Dieux olympiques y noUifeaux Dìoscures : 0fcOlC' OAXM- 
nlOlC- NCOIG- AIOCRTPOIC- On a oh$fìrvé, ayantinoi, jque 
. cette qualifìcation est parfaiternent d'acQord avec les.t^noigna- 
ges qui résultent de deux nìédailles impériales de Trtpolis de 



( 1) Il est permis de rroire qup, dans les récits de Dion Cassìiis relatifs à la bataillf 
de Pliiir.sale (XLI, 61) et aiix |frodi{^es qui se nifeDÌfefttèrent.sous.Ie conanlatde Drnsii" 
XV, 1), il est anssi fait alltision à deux. apparitions successÌTes de Castòr etPolliix. U 
derni^rc cut lieti en Syrie , l'une des provinrcs do l'Asie où le cnlte des Diosrurrs 
Arait le i>lifs répandu. 

(2) Prndeuce emploie rioq vera de stm poeme eoatrc Symaiaqtie (I, 236-!S<M)) a 
rappeler le «ulte qiie Rome rendali aux Tyudarides et le» tradilions hi«toriqoes aiix- 
quelles se melait lenr nom : 

Gemini quoque J'tatves ^ 

Cornipta de maire nothi , Lede'in proles^ 
Nocturnique equites, celxce duo numina Roma' , 
Impendent retinente ijeru magniquf triumphi 
Yuntin sujjuso figtint i>estigin phtmhn. 

(:i) Morelli, Fdinil. rnmun. numism., p. 357, n" 3. — Vt>y. Eckliel , Dnrtr. V«w. 
vi.l. V, p. AS?. 

(/») Hecueil d'mitiquìt., t. Vr,p. i90 et 19l;pl.i.VUI, iig. in. 



SUR UN BAS-RSLIB» XITHRIAQUB. 241 

Phénioie : 1 une, peu commune^ offre, auf revèrs de la téte de Marc 
Aarèle, un palmier grate auprès des tétes afironlées d*Anto» 
nin Pie et de Faustine représentés avec les àttrìbuts cfsiracté- 
rìstiques des Cabirés et la legende : GXPlfìN. KABIPfìN; 
particularités qui*, selon la remarqùe judioieuse de Pelleran et 
d^Eckhel (1), nous pemiettent de constater quau temps où 
régnaient les Antonins, le sourenir d'un Cabire omelie ou 
d'une déesse Cabira ne s*était pas enùèremebt efFacé chez les 
TnpoUlains. L'autre m^daille, très-rare, réunit^sur le droit, 
les tétes affirontées de Marc Aurète et òe Lucius Vérus, et, an 
revers , les tétes de Commóde et d' Annìus Véms , placées en 
regard , auprès d*un palmier^ et accbmpagtiées aussi des attri«- 
buts des Cabires et de la métne legende (2). 

le iìe tti arréterai pas à reeheroher quel ròle jouaient pri- 
mitivement les Cabires et les Dioscures dans les divers sys^ 
tènxeft tììéogoniqués et cosmogoniques qui eurent cours en 
Orient , et quel róle leur fot pardculièrement assigné dans la 
théologie phénicienne , que lon sait avoir été empruntée aux 
Chaldéens d'Assjrie ou auz Assyriens. Je n examinerai pas 
quels rapports établìssait entre la Vénus asiatique et les Ca'^ 
bìres Tépithète de cabary grand ^ puissant , qu'on attribnait à 
chacune de ces trois divinités (3) et qui est restée comme 
nom pròpré aox deux dernières. Je m'abstiendrai de discuter 
Ite passage des fragments de Sanchoniatbon où il est question 
des Cabires, et les opinions énoncées, quanta leur origine, 
leur sexe et leurs attributs , soit dans les fragments intéres- 
saAts qui nous restent de Phérécydes (4) et d*Acusilaùs (5) , 
soh dans les ouvrages publiés par les écrivains modemes (6). Je 
laisserai de coté les rapprochenients curieux que me foumirait le 



(1 ) Pellerin , Mèi., t. I, p. 77. — Eckbcl, D. N., t. Ili, p. 375. 

(2) Haym, Tewr. *r*tóiw»., ptrt. I,p. 259. 

(3) Yoyez mes Reckerches sur le eulte de Vénus ^ p. 107, et itid., note 2. 

(4) Fragm.» ed. altera Stùrx, p. 141, ibi anaotata. 

(5) Jpud Strab. Ceogr,, X^'p. 472 sqq.; ed. Casaab. 

(5) Yoyez surtont les dìKerentes opinions recneillies an sujet des Cabires et des 
Dioscnrespar les interprètes da Mnsée Cbiaramonti (t. I, p. 26-30), et par MM . Fred. 

16* 



242 II. mìmoirs 

fragment de Mnaséas (1) relatif à la triade -qui était adoréeàSa- 
mothrace sous les.noms òìAxiéros^ ^Amokéros et dì Ajciokersa^ 
«t àlaqueUe aurait^té subordonné un q«iatrièine Cabire^ appelé 
Casmilus. Je.Be.chercherai pas dayantag^ à rapprocher de la 
iìai$aance des Dioscures et des Tyndarides celie des deux fils 
de Sémìramis,, appelés Tun Hyapatès om Hypaies^ lautre jfi^- 
daspe (2)^ ni la nai&sanee des Acwins^ qui, dans les Yédas, 
sont à la f(MS les deujL. cavaliers célestes et les médecins des 
dieux; ni la naissauce des jumeaux divins, Ormuzd et Ahri- 
man , qiie Zarouàn pu le Temps saos bornes portait dans ses 
flancs au moment de la création du monde (3) ; ni la tradition 
grecque qui voulait que Zeus %\ le premier des deux Cabires 
et Dìonysus le second (4). Je mabstiendrai d examiner si les 
Dioscures se confondent ou non avec les Cabirés, et si les uns 
et les autres, par leurs fonctions corame par leur nombre, qui 
fut tantòt porte à six, à sept ou àhuit, et tantót réduic à qua- 
tre, à trois, à un, et plus communément à deux, correspondent 
OU; non aux Ams,chaspands ou SainCs Immortels et aux Hamkars 
que, dans le Zend«Avesta, nous trouvons placés, en qualité de 
conseillers ou d assesseurs, auprès d'Orinuzd ou auprès de Mi- 
thra ; de méme que, selon tonte probabilité , ils Tavaient prìmi- 
tìvement été auprès deBélus, dans la théogonie des Chaldéeos, 
et, postérìeurement, auprès de la Vénus-Mylitta des Àssyriens 
ou des Babyloniens. Je ne rechercher^i point quelles modifica- 
tions recuz^nt.les légendes respectives deces divers person- 
nages , quelles ressemblances et quelles difFérences présentent 
entre elles ces légendes. Je me contenterai de faire remarquer, 
en passant, que si, chez les Grecs, les Romains et les Gau- 



Creazer et Gnigniant {Relig, de Vantiq.» t. U, I'" partie, p. 225-252 , p. 283-292, et 
p. 302-313). Ces savants les ont dìscatées avecaatant d'«rudition que de sagacité. 

(1) Apud Scholiast. ÀpoUon. Rhod., ad libr. 1^917. 

(2) Diodore de Sicile, II, 5. . 

(3) Lettre de Mihir'Nersèh aux prince» de la Gr, Acnénie , insérée daas le tome II 
(p. 472-475) des Atém. sur VArmén, par J. Saint-Martin. 

(4) Yoyez le scoliaste. d'Apollooios de Rhode9*{^tf . cit). ^--Cf, Cicéroii,.Z>tf natur. 
Deor.y III, 21; edd. Moser etFrid« Creuzer. . , : • 



SUE UN BAS-aMLlEF MITHRIÀQUE. 24$ 

lois,le eulte d'un seul Gabire ou d'un seul Tyndaride (1) se 
rencontre parfois, au lieu du cùlte des deux frères dWins, cette 
particularìté semble plac;er Pollux, à Tégard de CSastor, dans 1» 
méme poskion subordonnée où la théogonie des Assyrìens et 
des Phéniciens place un Béius jeune auprès de Bélus lancien ^ 
et le Zend-Avesta, Mithra auprès d'Ormuzd; ce qui moblige à 
ajouter que néanmoins, par leur coifFure conique, qui él^it 
celle desgrands dieux dans l'Asie occidentale, les Cabires ou- 
les Dioscures s'assimilent bten mieux , Tun et Tauitre, à Bélus- 
1 ancien et à Ormuzd , qu*à Bélus. le jeune et qu a Mkbra. Je- 
lì'interrogerai pas l'antiquité pour décider si les Gabìres sont 
identiques ou non ayec les Pataeques des Phéniciens , avec les 
deux personnages divins qua Palmyre on nommait Aglibólus- 
et MalacAbélus (2), k Èdesse ^ Monimus exAzizus (3), et quon^ 
donnait pour assesseui^s ou parèdres à Yénus-Astarté , à Baal ou 
au Soleil. Je negligerai d'exaniiner si ces divers personnages 
ont une analogie quelconque avec les deux principes, avec Eros 
et Antéros, avec les Trltopatores des Atbéniens , avec lesdièux 



(1} Ajpatez au témoignage des médatUes impériales de Tliessalonique-déjà citées 
(ci-dessu8, p. 234 et 235, note 5; p. 235, notes 1-7 ) les médailles autonomes 
et plusieors aatres médailles impériales de la mémeTÌile ( M. Mionnet, Descript. 'd& 
méd'., 1. 1, p. 490-504; Suppl., t. IH, p. 11&.171); uo tnédaillon d'Aarélien pvblié avec 
qoelqaes inej^actìtades p^r Vaillant {Num. Impp., t. Ill^ p. 136), et plus exactémeot 
par Visconti (//m»^. Chiaram., tom. I, p. 109 et 110; tar. A, fig. 4} ; les médailles au* 

toQomes de Ntmes (M. Mionnet, Deseript.^ t. I, p. 77, n®' 184^186 M. de la Saas- 

saye, JSwnismatiq, de la Gaule narb.^ p. 155, n** If etpl. XIX, fig. 1), et celles de» 
Voconces {ibid.^^, 132, n" 2 ; et pi. XVI, fig. 2}. Si nous trouvons un seul Cabire sur 
les dtverses médailles qui viennent d*étre alléguées , il faut remarquer que la méme 
I>artieularité 8*observe sur plusienrs monnaies phénieiennes d'Espagne et de quelques 
iles de la Mediterranée que M. le comte della Marmora , dans son Essai sur les mou> 
naies phémcieniles des tlea Balééres. et dans la belle relation de son Yoyage en Sar- 
daigne, a jndicienseinent rapprocbées des médailles citées de Tbes&aloniqne et de 
plusieurs idoles qui paraissent représenter le dieu Cabire- des Phéniciens.— Cf. la Revue 
nunùsm. de 1838, p. 223 et 224.— «Remarquons aussi que-, selon letémoignage de Dion 
Cassins ( XXXVII, 8 ) et d« Suétone (Cassar., 10), Castor avait à Rome un tempie pour 
lui Seul. 

(2) Gruter, Inscript. antiq., p. LXXXVI Selden , De Diis Sjrris, Syutagm. II , 

p. 152 sqq. ; ed. Beyer. —> Spon , Recherch. cur, d'antiq.» p. 59; MisceUan. erud. an- 
tiquit., p. f sqq. 

(3) Julian. imp.. Orai. IV (in Solem)^ Opp.t p. 150 C, D; \x 154 B y^^- Spanti. 

16* 



244 II. MBMOIRB 

Penate» dont le cuhie , oiiginaire de TAsie oocideptale, était asso- 
eie, chez le» Romains , à celui de Vesia(l) et avaìt pcKir roinis- 
tres les S^lieo^ (2). Je ne demanderai point aux taraditions m jtbo~ 
logkfties et històriques s*i\ £aiut rapprocher.dos Dioscures ou des 
Tyndarides Rémus.et Romulus, Pilumnus et Picumusj dieui 
jumeaux et guerriera dea ancieiis peiiplea 4*Itali<r (3) ^ et les 
Alci^ qui, chetlea Germains (4), paraisseiit ayoir tenu la place 
de Caator et PoUuz, èn méme temp» que leur .nome semble 
raplpeler cebi à'Alko que donne Cicéron (&) à un peraonoage 
divin qui joue le róle d un troisième .Dioéeure. Je ne. m'occu- 
perai pas non plus des rapporta qui purent exister entre les 
Cabires des Phéniciens; les Dioscures des Grecset des Ro- 
maina, Mylitta léontocéphale , Mithra léontocéphale, et les Ca- 
bires de Memphis, quHérodote (6) dit étre fils d^Héphaestus 
(Phtba) et semblablesy comme ce dieu, aux Patasques des 
Phéniciena. Je ne'rechercberai point quels ràpprochements il 
y aurait lìeu de faire entre ces Cabires égyptiens, les deui 
taurèaux Osiris et Jpis yenus d*Asie en Égypte (7), et les deux 
taureaux qui , selon les traditions persiques (8) , étaient nés 
de la semence du taureau primordial. Je n' esaminerai pas 
quelles difFérences pouvaient séparer les Cabires égyptiens 
de deux persounages divins qui forment la constellation des 
Gémeaux dans lescélèbres zodiaques d'Esnéet de Dendérah, 
et dont Fun est représenté là, comme ailleurs (9), sous la 
forme d'une déesse léontocéphale , tandis que son frèreju- 
meau , Sòou , y parait sous les ti*aits d*un dieu male , à face 
humaine, et que des figurìnes dW ou de terre émaillée lerepro- 



(f) Tteite, Anmal,^ XV, 41; ed. Bamouf. — Macrobe , Saiumal,, HI. 4 ; ed. Yanor. 
(3) Seryias, ad Yirgil., jenéid. Il, 325, 

(3) Serrins, adf Virgil. uEneid. IX, 4. 

(4) Tacite-, De morìb. German., XLIIL 

(5) De tuutir. Deor., IH, 2l.—- Cf. leu non» mytboiogiqiies ou héroiques 'AXxttv 
"AXxY), *AXxK , *AXxa?0( , etc. 

(6) Ut, 37. 

(7) PhylarcH. apud PluUrch. De Isid. et Osirid. ; Opp., t. VII , p. 4S9 el430. 

(8) Zend' Attesta t t. Il (Boun-dékesch)^ p. 363 et 37 1. 

,(9) CbampoIUon le jeaue, JVotice rilée, p. 24, n"' 424-430. 



SUR UN BAS-RELIEF MITHRIÀQUE. 245^ 

duisent sous les mémes traits, eu nous inontrant le disque Iut 
ìiaire place sur sa téte (1). Je dirai seulement qu'il faut de- 
mander à TAsie occidentale les types primitifs de ces deux 
personnages, et j*espère ne laisser aucun doute à cet égard dans , 
un autre mémoire. 

Bien que toutes les questions qui précèdent attendent encore 
une solution definitive, et que plusieurs d'entre elies n*aient 
méme, jusquà ce moment, été trai tées dans aucqn ouvrage 
de mythologie ou d'archeologie , je crois devóir m'abstenir de 
les examiner ici. Elles m'entraineraient à de trop longues di- 
gressions, ettrouveront aussi une place plus convenable dans 
une dissertation particulière où j aurai pu préalablement ex- 
poser et soumettre a un examen critique tous les faits propres 
à fixer l'opinion des savants. sur les systèmes théogoniques et 
cosmogoniques qui, à diverses époques, furent répandus 
dans l'Asie, et portés de là cfaez, les Arabes, lés Egyptiens, 
les Grecs,*les Etrusques et les Latins. S'il est un sujet im*t 
portant et difficile à traiter,. un sujet dont on puisse dire 
avec assurance qu il touche par tous les points aux croyances 
religieuses de tous les peuples civilisés de l'antiquité, c'estla 
question de l'origine des Dioscures et des diverses modifica- 
tions que subit leur legende primitive. Pour le moment , il me 
suffira^ sans doute, de mettre sousle&yeux du lecteur quel- 

(I) Ibid,, n°' 423 et 400 - 422, * Les Gémeaux egyptiens , lun male , l'autre fe- 
melle, nous repoptent à la médaille imperiale de Tripolis de Phénicie, décrìte ci-desans 
^p. 241). Il» doivent ansai nous faire penser anx traditions grecques qui nous appren- 
nent qae les Dioscures passaient pour étre aQdrogyoes' {yoje* les aotorités citées et 
commentées par Heinrich, De Hermaphrod,, p. 20 et 21); caractère qu'ils avaient cer- 
tainement re^a ea Asie^où ces dienx nous apparaisséut comme des divinités prìmitive- 
ment bermaphrodites. De son coté, le zodiaque qui décore le portai! de la catbédrale 
d'Amìens , édifice du xxu* siede » 'oous. offre, poMrl'Occìdent, un exemple de l'usage 
où Ton fut, dans ce siècle, de représeoter les deux Gémeanx par un jeune homme et une 
jeune fiUe (voy. V Essai historique de M. le D** RigoUot sur les arte du dessin en Picardie, 
Amiens 1840, p. 104 et 105, et pi. 19, fig. L). Mais ce quii faut surtout remarquer, 
c'est qii*on ne peut trouvejr, daiss les deux zodiaques egyptiens cités , un Gémeau fe- 
melle assimilé au soleil et un Gémeau male identifié avec la lune , sans reconnaitjre 
dans cette doublé particularité les traces de Tinfluencc qu*avaìt exereée sur les doc- 
trìnes égyptiennes la revolution tliéologique dout j'ai parie plus haut (p. 205), et qui, 
en Asie^ avatt fait du soleil une divinité femelle, et de la lune un dicu Men ou Lun^us.. 



246 II. MÉMOIRE 

ques obseryations qui s*appiiquent au seul fait de la presence 
simultanee des deux Dioscures auprès de Yénus-Astarté , sur 
ies médailles asiatiques , auprès d*Uranie ou d'Aphrodite, sur 
tes miroirs étrusques cités, et auprès de Mithra, sur le bas-relief 
romain de M< Péron. 

En premier Heu , il ne sera pas sans intérét de rappelcr ici 
que le nom des Dioscures , le récit de leur alliance , de leur 
Toyage et de leur combat avec Ies deux fils d'Apharéus, Ida» 
et Lyncée, et le récit aussi dù partage qu'ils firent entre eux 
dun taureau coupé en quatre morceaux, avaient trouvé leur 
place dans Ies poésies cypriennes^ dont le nom nous reporte 
dans une ile célèbre, dès une haute antiquité , par le eulte quon 
y rendait à la Vénus assyrienne, cette antique déesse qui 
comptait le taureau au nombre de ses attributs Ies plus carac- 
téristiques. Des poésies cypiiennes , ces traditions passèrenti 
on le sait, dans Ies vers de Pindare(l), dans Ies compila- 
tions d*Apollodore (2) , et datìs Ies scolies de Tzetzès (3). Sc- 
lon d'autres traditions , on comptait six Gabires ou Dioscures], 
trois du sexe male et trois du sexe féminin , particularité que 
nous offre également la legende dés six Amschaspands du 
Zend-Avesta. Geux-ci sont subordonnés à un septième Atnsclias- 
pand, appelé Ormuzd, manif estation du dieu dont il porte le 
nom; manifestation, par conséquent, d'un.di^u créateur, qui 
réunissait Ies deux sexes y comme le Zeus des Grecs , auquel on 
Tassimile^ comme le Baalim ou XÉIohìm des Assjriens et des 
PhénicienSy comme 1 ancienne Vénus de TOrient et òe TOcci- 
dent, comme le Mithra des Perses. Or, dans FAsie anté- 
rieure, et surtout dans Ies contrées voisines des lieux d*où le 
eulte de Vénus fut porte dans File de Cypre , ub oombre eoo- 
sidérable de médailles ou de monnaies nous offre Timage d'As- 
tarté placée entre deuxpersonnageSjTun niàle, Fautre femelle, 
qui portent chacun àia main un flambeau, ouun vexiUum, A 
coté de ceux'^i, deux autres personnages, du sexe feminin^ 

(1) Nera., X, 60 (IH). 

(2) Biblioth., UT, 11,2. 
P) /n Lycoplirou^ 511. 



SUR UN BAS*RBLI£F MITHRIAQUE. 247 

posés sur deux/cìppes.de forme cooiqiys , tienQeoi: 9 au-deiaus de 

la téce de la déesse, une viale ou un péplus enflé par les vents, 

qui nous rappelle que d autries médailleSf fra;ppées à Tyr et à 

Sidon, représenteot Astarté debout «ur une galère, ayant à aes 

cótes, tanfeót deux personnages dont lun dirìge le gouvernail, 

tasto t un tropbée d'armes. La planche jointeà ce mémoire (1) 

ràtnit un exemple de <diaeune de oes diverse» représenta- 

tions, ùré du cabinet des inédailles de la Bibliollièqii£ rojrale. Je 

ne dois oublier ni de faire remarquer qu'une «multitode dautves 

médailles asiatiques reprodùisent la déesse sous les traits d'u.ne 

divinité qui pisside à la mer et à la navigation , ou avec le 

costume d'une déesse guerrièite et arraée, qui protége dans les 

combats et donne la victoire (2) ; ni de dire que la précieuse col- 

leetion de M. J. Robert Steuartnous offre, sur un greziat sy- 

rien , de travail asiatique et grave en creux , Tùiiage d'Astarté 

debout, tenant elle-méme sur sa téte une voile ou soo péplus 

enflé par les vents (3), particularité caractérìstique qui nous 

montre à qudle source avait été puisé le type d'une figure de 

Vénus que Fon voit sur un cuiieux bas-relief , d'epoque ro- 

maine, récemment publié par M. le doicteur Éifnile Braun (4) 

et représentant le jugement de Paris. Arténus taufopole, 

Diane tauropole et Europe tauropole, sur un grand n ombre 

da monumei^ts de lait, bien connus des arèhéologues, nous 

apparatssent également avec une voile ou un péplus qui 

flotte au-des'sus de leur téte. La méme particularité sert à 



(1) Monum. inéd., pi. XXXVI, fig. 7,8 et 9. 

(2) Qnelquefois méme Astarté réunit ce doublé caractère sur les médailles impé- 
riales romaiues frappées daus l'Asie occidentale. Elle est alors représentée debout, la 
téte surmontée d*une couronne murale, une lance dans la main droite, et le pied gauche 
appnyé sur une prone de vaisseau. Deux petites Tictoires posées cbacnne sor un 
cippe, à droite et à gauche de la déesse, tiennent, d'une main, une couronne qu^elles 
lai offrent, et, de Tautre, une palme. Voyez, entre autres exemples que j'en pourrais 
citer, une médallle frappée à Leucas , dans la Coelésytie , en Thonneur de Gordien Pie, 
et figurée sous le n® 9 de la planche V de mes Recherches sur te eulte de Fénus. 

(3) Un dessin fidèle de ce petit roonument sera publié dans mes Recherches sur le 
eulte ile f^énus. 

(4) Annali deU* Instit. arch., t. XIII; p. 84-90 ; Monum. ined., voi. Ili, tav. XXIX 
^ «^ bas-relief dont il s'agit appartieni à la villa Ludoyisi. 



248 n> MÉMOIRB 

caractérìser Isis Pharia^ sur des médailles autonomes , impé- 
rìales ou coloiiìales , frappées en divers lieux(l), médailles qui 
ne sont pas moins connues^ mais qui peut-étre n'ont jamais 
été alléguéès pour signaler les rapports queurent entre elles 
Isis et la Vénus asiatiqpe , bien que ces monuments de la nu- 
mismatique ancienne nous offrent non-seulement l'image d'Isis 
debout , tenant une voile enflée au-dessus de sa téte (2), mais 
quelquefois aussi la figure de cette déesse , ainsi agencée , de* 
bout sur une galère (3), ou debout devant un phare sur lequel 
sont placés deux tritons sonnant du buccin (4). D'autres fois 
eneore la déesse se montre debout, au sommet du pbare, entre 
ces deux persònnages (5), qui remplacent, dans Tun et dans 
Tautre cas, on le voit, les deux assesseurs qué nous trouvons 
habituellement auprès de Fimage d'Astarté et de celle de Mi- 
thra. Ai-je besoin dajouter que, chez les Grecs, Aphrodite était 
surnommée suTrXoia (6), et que, dans les traditions écrites, non 
moins que sur les monuments de lart , lantiquité grecque ou 
romaine la représente souvent comme une déesse dont la do- 
mination setend sur lempire des mers (7) ? 

() ) AfA.lexandrie d'Égypte) à fiybluften Phénicie; dans Tìle de Samos; à Cyma, co 
A^lie; à NiQomédie de Bithynie; à AmaRtris, en Paphlagonie; à Byzancc et à Anchia- 
Ins , dans la Thrace, ^\, à Corinthe. 

(2) Yaìllant, Num. gr, (Septime Sevère, à Bybins; Salonine, à Nicomédie; Fanstine, 
à Amastrisf Caracalla, à Byzance). -^i^M. Mionnet, Descript, de méd., t. I, p. 371, 
n° 67; t. Il, p. 179, n° 226; t. Ili, p. 293 et 294, n*» 236; t. V, p. 355 . v? 128; t. VI, 
p. 87 et 88, n*» 372; p. 99, n" 481 ; p. 119, n*» 646; p. 132, n° 75?0; p. 178, n* 1143; 
p. 183, n°' 1182 et 1183; p. 211, n*" 1410; p. 223, n** 1506; p. 331 , n*" 2302; SuppL, 
t. IV, p. 88, n° 592. — Mas. Theupoli^ II, p. 1122. 

(3) M. Mionnet, Descript,de méd.^ t. Ili, p. 9, n® 56. 

(4) Ibid., t VI, p. 121, n° 665 ; p. 178, n'» 1 144 ; p. 183, n« 1 184 et 1185 ; p. 197, 
n" 1310. 

(5) Zoéga, Num. agjpt,, p. 150 , n** 441 . -.- M. Mionnet > Descript, de méd,, t. TI, 
p. 103,n°519;p. 121,n'»657;p. 170, n° 1063; p. 178, n° 1138; p. 181, n" 1164; 
p. 202, n*» 1346; p. 203, n*» 1352 ; p. 223, n" 1507. 

(6) Pausan., I, 1, 3. ' • 

(7 ) Ces rapprochements seront plus amplement développés dans mes Recherches sur 
le eulte de Vénìis. Mais je dois, en attendant, faire remarquer ici^que la voile enflée 
par les vents et placée sur la téte d'Astarté, d'Artémis, de Diane et d*Isis, pouvait 
rappeler que ces divini tés, comme Héra ou Junon, étaient, cosmologiqaement parlaat,. 
assiuiilées à Tair. 



SUR UN BAS-REIilSF MITHRIAQUB. 249 

Ces deux sources d'informations , je Fai dit ailleurs , sont 
daccord entre elles, pour nous montrer, de plus, quen Orìent 
et en Occident, Vénus était adorée comme une diyinité armée, 
comme une divinile protectrice dans les combats aussi bien 
que dans les navigations, doublé foncdon qui est précisément 
celle qu assignent aux Gabires ou aux Dioscures les peuples de 
TAsie antérieure , les Grecs et les Romains. De méme que Cas- 
tor et Pollux, la déesse se plait , en outre y à dompter des che- , 
vaux; on la représentait montée sur un coursier, et ces deux der- 
niers falts résultent indubitablement des épithètes de If ittito c 
(1), iirr.o^a(Jicia (2), >irTCoXuTia(3), equesins (4), qui lui 
sont données par les autetirs grecs ou latins. Aussi n'hésité-je pas 
à reconnaitre cette divinile sous les traits d une femme qu une 
curieuse médaille asiatique, à Teffigie de Commode, et feappée 
à Gabala , en Syrie (5) , nous montre , vue de face , vétue d'une 
longue tunìque, coiffée d*une tiare tourrelée, armée d'une 
bipenne et d'un boucUer à doublé échancrure (6) , et placée 
debout sur deux chevaux (7), comme on la voit ailleurs debout 
tantót sur un ou sur deux taureaux , tantòt sur un ou sur deux 
lions. Dans le Zend-A vesta (8) , Mithra est invoqué comme un 



(f ) Dans un poéme inédit de Jean Mélitiniote (manuscr. gr. de la Biblioth. roy., 
n** 1720, T8. 1703, 1725-1728) qne j*ai en l'occasion de citer ailleurs (Reck, sur le cuite 
de Vènus, p. 81 , note 4). Je dois aux oblìgeantes Communications de M. É. Miller la 
connaisaance des divers renseignements que foumit ce poeme à l'égard de Vénus. 

(2 ) Hésychius , sub voc, 

(3) Voyea le scoliaste d^uripide ( ad Bippolyt., 24 sqq), et le scoliaste d'Homère 
{ad Odyss., XI, 320). 

(4) Serviiis, ad Virgil. jEneid.^ I, 720. 

(5) Voyez mes Recherekes sur le eulte de Vénus » pi. V, fig. 5. 

(6) Ce bouclier, par sa forme, nona rappelle tout à la fois le bouclier que Ton roit 
au bras de trois dea sept conseiilera on lientenants du roi de Perse, sur les basnreliefs 
de Persépolìs, et le bouclier qui était propre aux Béotiens. Cette doublé ressemblance 
s'explique peut-étre par le souvenir de Timportation du calte de la Vénus assyrienne 
cbez les Béotiens et chez les Perses. 

(7) Elle est debout derant une figure assise de déesse ou de ville personnifiée ; de 
méme que sur une médaille imperiale de Tyr (?oyez le n** 4 de la pi. iv de mes ile- 
ctierches sur le eulte de Fénus) , on voit Astarté représentée de face et debont devant 
Pallas assise. 

(8) Tom. I, 2' partie, p. 425 ; t. Il, p. 9, 13, 19, 206, 212, 221, 245, et passini. 



250 n. MBMOIRE 

seldateleve^ qui monte uncoursier vigoureujs; ainsi que le soleìl^ 
il j reooit méine la qualification de eoursier wgaareua:. L'eau 
Ardoui$ùur{Ì) jaillit de TAlbordj , montagne d'or et de lumière, 
sous la forme dune fiUe a corps de cheiral; elle est qualifiée 
aussi d% eheifcd Tngaureuxy oe qui, pour 1« dire en pas- 
sane 9 noos vévèle lorigine asiatique du mjthe daas lequel les 
Grecs «ous racontent que le cfaeral P«gase, dont le nom de- 
riv/e du mot Tcryiyyf, source^ fìt jafllirde sonpied^surrjEf^'co/i, 
montagne de la lumière ou du soleil, qui oopvespond 4 
TAbordj , la soaroe appelée H^p0crène, c'est-à-dire hi/ontaine 
du cheval, Sans vouloir ra expliquer ìci sur les idées quatta- 
duienc au symbdle du dieTal les théologiens asiatiques , et sur 
Icaraisons qui leur avaient fait attribuer oe symbole à dea divi- 
nités tout à la foia solaires et lunaireS| notamment k Venus, à 
Mithra, aux Gabires, je me contenterai d*ajouter quéleehe* 
▼al , chez les IHiéniciens , était consacra à Dagon , cornine fl 
rétait à Posidon ou Neptune chez les Grecs ou les Romdins^ 
et qu'en Orient, aussi bien q^'en Occident , le soleil et la Ione 
personnifiés^ furent piacés chacun sur un char attelé de che- 
▼aux , ou sur un eoursier, auquel cas ils deviennent, à leur tour, 
des dompteurs de chevaux , comme les Cabires y les Dioscures 
ou les deuxTjndarides (2). 

Ges divarses remarques ooncourent à prouver que, quelle qu<i 
90)t rorigine primitiye des personnages mythologiques appelés 
communément les Cabires ou les Dioscures, Tassociation de 
lew eulte à celui d'Aslarté ne peuf; nous Mirprendrci lorsque 
nous la constatons sur des médailles frappées dans la Phéniàe 
et les autres provinces de l'Asie occidentale , pendant la do.mi- 
natian grecque et la dominadon romaine. La substituxion des 
Dioscures aux deux hamkars ou assesseurs, que les autres 
médailles asiatiques citées associant à Astarté , déesse de la 



( 1) Ibid.^ t. Il , p. 164 et J66 , 173 , 175 et 187. Catte e^ Ardouisour, qui jaillit de 
VAbordj, est ausai appelée eau d*or et eau de coi^leur d*or; ibid.^ p. 182 et 183. 

(2) Héra, Athénè oa Pallas, Tychè et Arès sont aussi des divinités équestres. Posi- 
don et Déméter se traosforjnent Tua en cheval, l'aatre en jument , dans la legende de 
la uaissance de Despoina et d'Arion. Saturne se métamoriibose égalément eu chevaL 



SUR UN BAS-BBlilBF MITHRIAQUE. 251 

mer et de la guerre /ne faisait, en réalité, subir aucune modi- 
fication importante au eulte de cotte déesse , ni aux t jpes de ses 
représentatioDS figurées, pnisqne les Grecs et les Romaihs 
confondaient dans ce eulte celui de deux personnages divins 
qui, aussi bien qu'Astarté, pré&ident aux combais , à la naviga* 
tion , et dont la protection , comme la sienne , devait écre sans 
cesse implorée pour la prosperile des villes et des coatrées 
maritimes où s'opérait cette substitution* 

Dès lors, il deyient facile de comprendre comment une subs- 
titutìon analogue put s'opérer sur les monuments figurés que 
consacrèrent à Mithra les villes marìtinies de la Gilicie et sur» 
tout les pirates qui aràient leur repaire dans les raontagnes de 
cette province ) gens voués par état a une vie qui se passait 
au milieu des dangers de la mer et des périls des combats. N'ou- 
blions pas que les Roniains recurent des mains de ces pirates , 
après les avoir vaincus, le eulte de Mithra, Tingtitution des mys- 
tères qui se rattacfa^it à ce eulte ^ et les types <les monuments 
figurés qui Itti sont propres. N'oublions pas non plus que, sur 
la plupart des bas-reliefs ou des groupes de rond^ bosse exécu- 
tés, d après ces tjpes, par les sculpteurs romains , le nouveau 
dieUfOriginalrede la Ghaldée et de la Perse, est pkeé, comme 
Astarté, entre deux génies ou assesseurs dont le premier, quel- 
quefois superposé au 6«cond (1) , porte à la main un flambeau 
élevé vers le cid , tandis que le second tient un flambeau reo- 
verse. Us représent^at ainsi la lumière et les ténèbres, le jour 
et Ut nuit , le printemps et Fautomne^ la vie iBt la mort^ et peu- 
venC, dans un méme ordre d'idées, ètre iGonvenablement rem* 
plaoés par les deux Dioscures que certaines traditions (2) «ous 
présentent comme la personnifìcation des deux bémìspbères , 
l'uB supérìeur ou celeste, lautre^inférieur, terrestre ou infer* 
nai. Ne perdons pas de vue surtout que, dans la célébratìon 
des mystères mithriaques, chaque initié, proclamé soldat 
de Mithra, obtenaìt du sacerdoce la promesse de révéla- 

( 1 ) Voyez le bas-relief cité da palais Zeno, qui a été publié par Lafréry, uhi saprà, 
(2) JaUao. imperai. Oratio IV (in SoUm); Opp. p. 147 A sqq.; ed. Spanb. 



252 II. MÉMOIRE 

tions propres à exciter la curiosile si naturelle à lesprit hu- 
maiii, et prenait une part directe à une succession de simu- 
lacres de combats qui alliait merveilleusement les obligations 
de la vie religieuse avec les babitudes de la vie militaire. 
B|ippelons-nous enfin ^u au temps de Poinpée , epoque de Tin- 
troductìon du eulte et des mystères de Mithra dans Fempire 
romain, les pirates de Gilieie, devenus formidables par leur 
nombre, par leur courage et par leur audace, coinptaient dans 
leurs ràngs, outre quelques descendants des Perses jadis établis 
dans l'Asie Mineure pendant la domination des Àqhéménides, un 
grand nombre de Grecs originaires de la Phénicie, de la Phrygie 
et de la plupart des iles yoisines du continent asiatique. De cette 
association d'individus d*orìgines diverses avaìt nécessaìrement 
du résulter une fusion de rìtes divers dans Tinstitution primitive 
du eulte de Mithra. Déjà nous savions , par le témoignage d un 
bas^elief célèbre, consacréàce dieu dans une grotte :du mont 
Capitolin, qu'en Asie les mystères mithriaques avaient fait 
alliance avec les Sabazies de Phrygie(l), Déjà aussi plusieurs 
inscriptions lapidaires, latines, nous avaient appris que, chez 
les Romains, ces mémes mystères de Mithra s'étaient rattacbés 
à quelques cultes, à quelques pratiques relìgìeuses , également 
originaires de FAsie occidentale , tels que le eulte de la Mère 
des dieùx ou la Mctgna Mater (2) , le eulte d'Atys (3) , les tau- 
roboles (4) , les crioboles (5) , les bucranium (6). Et lorsqu un 
bas-relief romain , sculpté dans le iii* siècle de notre ère et 
récemment découfvert dans les ruines d une ville de la Gaule 
narbonnaise , vient ìious révéler le fait si neuf et si curieux de 
Tassociation des mystères de Mithra avec le eulte des Dios- 
cures,ii est sans doute permis,je le répète, de conjecturer qué 
ce fait appartient primi tivement, non aux descendants de Ré- 



(1) Voyez mes Nouv. observ. sur le gr. bas-rel: mithr. du mas. rojr. de Paris , p- 24 
et suiy. 

(2-3-4-6-6) Gruter, Inscript. antiq., p. XXVO, n" 4 ; et p. XXVIII, o**» 1, 2 et 6— 
Van Dale, Dissertat. IX, p. 30, 31, 42, 123, 128 et 145. — Voyez aussi rinscriptiou 
que porte le bas-relief mitbriaque cité du musée Olivieri [Antichit. Cristian., tav. VI);, 
et Marini , .Vo«w/». //«■ /rate/i. ^n'rt/., p. 634, . 



SUA UN BAS*ABLIBr MITBRIAQUB. 253 

rous et Romuluft, mais^ aux pirates de Qltcie, oa aux habitants 
de qvLfiqae antre conitrée maritimé de FAsiè occidentale,- de 
cètlerégiòn célèbre qui, anterieurenieDt à l'expédition de Pom- 
pée, dut étre le* premier témoifi d'nne semblable alliahce, après 
atbir viij dès une epoque très^recuiée, le eulte des deux ju- 
meaux divins s'associer à celui d'Àstarté. 

Q'uek[ues*ùnéfl des particularités qué nous offre le monu- 
ment mìdiriafquédom il s*agit , peurent contrìbuer à fortìfier 
ma supposition. Elles res^rtent du oosnime et de la pose que 
le sculptéur romain avait donnea avx Dioscure^. Gelui des déux 
jtiineaux dirins qui est reste ìntact, lorsqoe le bas-reUef a été 
brìsé , nous a , en effet , permis de constater qu*id ces deux 
personnages avaient chacun été représentés le cbrps nu>,- la 
téte cou^erte du bonnet phrygien, une longue lance à la main, 
etdebout, auprès de Mithra, devant un cheval qu'ils retenaient 
par le frein. Or, une médaille autonome de Tripolìs de Phé* 
nicie, publiée par Arìgoni (1), a pour revers, au milieu d'une 
couronne de laurier, les deux Gabires également nus, armés 
dune- longue lance, et debout devant leurs chevaux qu'ils re- 
tiefinent par le frein. Nous avons trouvé ce méme type, avec 
laddition du buste d'Astarté , sur les médailles impérìales de 
cette ville que j'ai citées plus haut (2), et notamment sur celle 
que.reproduit le n^ 6 de la planche XXXVI join te à ce m^- 
moire, Cest aussi debout, le corps nu et une longue baste k la 
main , ntais sans leurs chevaux , que nous avons vu les deux 
Cabires placés auprès d'Astarté, au revers d'une autre médaille 
imperiale de Tripolis de Phénicie, figurée sous le n^ 5 de la 
mémie planche. La coiffure des Cabires , sur ces diverses me» 
daiiles, differe essentìellement du bonnet phrygien que porte 
te Dioscure rèste intact sur le bàs-relief de M. Péron. Mais, je 
me hàte de le dire, ce boiiinet phrygien est précisément celui 
que les monuments d'epoque romaine attribuent à Mithra , 
comme à ses deux assesseurs lampadophores , et que nous 



(1) Num quasd, mms. Uonorii Arigoni, 1. 1» Po|»ul., tab. XXH, fig. 217. 
(3) Ci-desaus^p. 226 et 227. 



254 If. MBMOIRB 

savons étre semblable à la tiare recourbée qui oouvrè la lete 
de ce dieii et la téte des dynastes ou rob provmeiaux sur les 
bas-reliefs et les pierres gravées d'epoque sassanide. On serate 
donc en droit de condure de ces seules remarques que le type 
du bas-relief mithrìaque de Vienne appartieni à l'Asie occi* 
dentale. 

Toutefois , chez les Romaìns , lattribution du bonnet phry- ' 
gien à Gastor et à PoUuz n est pas exclusivement propre à ce mo- 
numenta Nous lobserrons sur qudques autres scuiptures ro- 
maines, d'une date plus ancienne, quireproduisent les Dios- 
cures, et notamment sur un fragment de candélabre que lon 
conserve au musée Chiaramonti. Ce fragment, de marbré blanc, 
qui a été publié par Philippe Visconti et Guattani(l), remoDte à 
une bonne epoque de l'art, et fut découvert à Tivoli , dans les 
ruines de la villa d'Hadrien. On y voit les deux jumeaux placés 
debout, iun à la droite, l'autre à la gauche d'un cygne, en sou- 
venir de la métamorphose dudieu qu'on leur reconnaissait pour 
pére. Entre le cygne et chaque jumeau s'élève un pin , arbre 
sacre qui l'ut attribué , personne ne Tignore, à Vénus, à Mi- 
tbra , à Gybèle et à Atys , dieux et déesses d'origine orientale, 
lei, non-seulcment la .coiffure phrygienne des deux fils de Ju- 
piter et de Leda est identique avec celle que leur avait attrì- 
buée l'auteur du bas-relief de M. Péron , mais leur chlaniyde, 
vétement qui est souvent affectéà ces dieux (2), comme illesi 
à Mithra tauroctone ou tauropole, sur les monuments romains, 
leur pose, celle des deux chevaux, tout concourt à montrer 
que le bas-relief de Vienne et le fragment de candélabre dont 
il sagit reproduisent les Dioscures d'après un type commun, 
qui, primi tivement compose dans de plus grandes dimensions, 
par une main habile et probablement grecqU^, mais à l'iinita- 
tion de quelque composition asiatique , avait dù étre coulé en 



(\) Il Mus. Chiapam., tom. T, p. 25-31; tav. IX. 

(2) Yoyez Winckelmann , Monum. ined., t. Il, p.'75 La suppression de la cbb* 

myde daos le costarne des Dioscures , sar le bas-relief de M. Péron et sar les dm- 
dailles asìatiques, forme ane èzceptioé à la règie posée par illustre antiquaire allenito^ 
que je cite ici. 



SUR UN BAS-RBLIEF MITHRIAQUE. ' 255 

bronze ou sculpté sur le marbré. Le méme type parait avoir 
aussi servi à représenter ces divinités au reT«rs de plusieurs 
médailles romaines (1); et je ne dais pas omettre de faire re- 
marquer que Rome ne peut 1 avoir emprunté à TEtrurìe, où 
ies images des Dioscures gravées sur les miroirs mystiques 
s ofirent à nos regards sans la coiffure et le costume qui carao- 
, térìsent ces deux personnages sur les monuments romains 
allégués. 

Philippe Visconti et Guattani , préoccupés de Fidée que les 
Dioscures sont ordinairement figurés avec ìepìléus sur la téle , 
décrivent en ces termes : il pileo o\fato sopra il capOy la coiffure 
qui leur est attribuée sur le fragment cité de candélabre; et, 
sans s*apercevoir que le dessin qu*ils publient de ce fragment 
nous montre les Dioscures coiffés avec le bonnet phrygien , ils 
font à leur coiffure lapplication d*un passage très-connu de 
Lucien(2) , qui ne peut nullement se rapporter au cas dont il 
s'agissait en réalité , puisque , dans ce passage , Técrivaiu grec 
entend parler d*un bonnet qui, par sa forme, rappelait Toeuf 
dans lequel furent concus les jumeaux divins. De la particu- 
larìté qui avait ainsi échappé à Tattention des savants inter- 
prètes du musée Cbiaramonti, résulte cependant un faitdont 
rimportance, dan& la question ardue de lorìgìne des Dios- 
cures, doit étre manifeste à tous les yeux. Car, sur le frag- 
ment cité de candélabre, et encore mieux sur le bas-relief 
de M. Péron, lattribution du bonnet phrygien aux Dios- • 
cures est Findice certain qu'en Occident, sous. le règne des 
empereurs romains , on reconnaissait à ces deux divinités une 
orìgine orientale, puisqu'on leur donnait ainsi la méme coiffure 
cs^ractérìstique qiie, sur les monuments romains de la méme 
epoque, portent non-seulement Mithra tauroctoné ou tauro- 
pole et ses deux assesseurs lampadophores , mais aussi le soleil 
et la lune peirsonnifiés, Atys, Paris, et tant dautres person- 
nages asiatiquesj rois, princes ou soldats prisonniers. 
Place ioi sur la téte des deiix Dioscures associés à Mithra 

(1) Morell. Tkesaur.; fam. JHemmia, vPVf Il mus. Chiaram,, 1. e, p. 27. 

(2) Dialog. Deor., XXVI. 



256 II* MÉMOIRB 

léovtoicéphale y le bonnet pbrygiea achève donc de dénion- 
trer que le bas-relief trouTe sur le sol de YienDe appartient, 
parsoli oaractère asiatique, a la catégorie de tous les monu- 
iDentfi mithriaques romains que noiis eonnaissioivs aittér^eore- 
mept a cette importante découverte. Ciomme le plus grand nom- 
bre d*entre eux^ il ne remonte, parson stjle, quau iii^siècle 
de nutre ère ; et s'il est vrai de dire que le type des Dioscures,« 
tels qu ils avaient été figurés sur ce bas-relief, se montre sur d aa- 
tres monuments romains d*une epoque moina recente^ du moins 
faut^il reconnaìtre que ceux-ci sont cependant tous postérieurs 
à répoque de Tintroduction du eulte de Mithra au sein des 
légions romaines , et, par conséquent , postérieurs à l'epoque 
oà, pour la première fois, ces légions avaient porte leurs armes 
et forme des établissementsdans l'Asie occidentale» Gest là que 
les sculpteurs et les graveurs romains firent de nombreux ein. 
pnints à un art indigène, plus ou moins modifié par Theu- 
reuse infiuence de l'art grec; et, sana entrer dans de plus 
grands détails à ce sujet , il doit me suffire d avoir constate 
que les Romains, lorsquils associaient, sur un méme bas* 
relief, Mithra léontocéphale et les deux Dioscures coiffés 
du bonnet phrygien , entendaient aliier ensemble trois divim, 
iés d'orìgine asìatique. J'ajouterai seulement qu une médaille 
firappée à Laodicée du Liban et publìée par Sestini (l) fonrnit- 
à l'appui de cette assertion, un téuìoignage irrécusable, bien 
• qu'elle n'ait jamaìs éré alléguée dans la questionparticulière 
dont il s'agit. Au revérs de la téte de Septime-Sévère , elle nous 
offre, en effet, l'image du 'dieu Men ou Lunus coifTédu boQoet 
phrygien et debout devant son oheval, qu'il ti€»ìt de la matn 
gauche par la bride ou le frein, particularit^ qui hou^ ì^etè^ 
lent l'ideniité primitive de ce dieu "àveò' les Caèire^ -des me- 
dailles citées de Trìpolis de Phénicie, et qui adièvent de proa- 
ver non-seulement qué le type des DioScùriei, teis q^ù'fits sont 
représentés sur le b^»-relief mithriaq«ie4^Ml Péi^on ieistii'd'àti- 
tres monuments romains , avait été émpfiinfé à l'Asie occiden- 

(1) Lett. numism., Continuaz., t. VI, p. 95, n** 4. 



SUR UN BAS-KELIBP MITHRIAQUE. 257 

tale, mais qu autrefois ces deux personnages y étaient assiroilés 
au soleil el a la lune , et quils se confondaient ainsi avec les 
deux jumieaUx de Latone. 

Soit que Fon considère le bas-relief mithriaque de Vienne 
icomme Tiniitation d'un type réellement compose dans l'Asie 
Minéure; soit que, se prévalant des témoignages qui niontrent 
combien la legende des Dioscures se lie intimement aux origines 
et à rhistoire du peuple romain (1), on veuille se borner à 
regarder la présence des deux jumeaux divins, sur ce bas-relief, 
tomme un nouvel exemple de lalliance que Tltalie , je ie ré- 
pète, vit se contracter, sur son sol méme, entre le eulte de 
Mithra et celui de plusieurs autres divinités , les unes origi- 
naires de FAsie occidentale, aussi bien que les Gabires ou 
les Dioscures, les autres associées, dans cette dernière con- 
trée, au eulte d'Astarté et à celui de Mithra, on doit recon* 
naitre que la consécration d*uu monument romain ou nous 
voyons le dieu des Perses place entre les deux Dioscures^ vient 
augmenter le nombre des faits qui atiestent Timportance et 
Textension qu'avait acquises en Occident, sous les empereur* 
romains, le eulte de ce dieu ; et Fon ne peut se méprendre sur 
l'intenlion d'une pareille consécration. Émule de Rome et 
rivale de Lyon , la ville ancienne qui renfermait le Mithraeum 
que décoraìt ce monument , était comptée au nombre des cités 
les plus riches et les plus considérables de la Gaule romaine. A 
délaut d^autres témoignages, les célèbres tables Claudiennes qui 
se conservent au musée de Lyon (2), en feraient foi , sans méme 
avoir besoin d'étre rapprocjiées du passage souvent cité deTite- 
Live(3) sur Fopulence et la renomméè des Allobroges. Située. 
au bord du Rhòne, dans une contrée fertile, entre le confluent 
de Flsère et celui de la Saóne avéfc ce magnifique fleuve , et 

(1) CTest un point important que je me propose de traiter avec qnelque déyeloppe- 
dieot dans au mémoire particalier. 

(2) Voyez Grater, I/ucrìpt, antiq., pag. DII. Dans le disconrs que contienneat ces 
tables y Tempereur Claude, s^adressant au sénat romain , appelle Vienne : OrnaUssima 
colonia^ ofalentissìmaque fiennensium, quam longo jam tempore senatores huic euria: 
con/ert. •— Cf, Pomponius Mela, II, ▼, 2. 

(3) EpUom. LXf et LXV. — Cf. Amm. Marceli., XV, xi. 

17 



258 U. MBMOIBV 

défeiidue par les chàteaux forts bàtU au sommet des colline» 
qui la dominent, Vienne, capitale des AUobroges, étaìt a la^fois 
Fentrepót d*un commerce considérable, un port commode et 
aùr^ un point militaìre importane Plusieurs légions romaines 
y tinrent successivement gamison, et, en méme terops, elle 
fut le $iége d'une des succursales de cette corporation puis- 
sante des nautonniers, qui là, comme a Lyon, pour ne parler 
que des provinces traversées par le Rhòne, nousa laissé, sur 
plus d'un monument lapidaire, la preuye de son existence. La 
magnificence des débris dun tempie élevé à Neptune, aux 
bords du (leuve, dans Tenceinte méme de Vienne, et le choix 
d'un yaisseau portant une tour de guerre, ou d'une simpleproue 
de vaisseau, pour servir de type aux belles monnaies coloniale» 
qui furent frappées dans cette ville ( 1 ), attestent, à leur tour, que, 
dès le temps de Jules Cesar, d'Octave et d'Agrìppa, la naviga- 
tion du Rhóne était l'objet Constant de la sollicitude des empe- 
reurs romains et des magistrats de la Gité« Si nous ne perdon» 
pas de vue que le bas-relief mithriaque^ sujet de cette disserta- 
tiop , est sculpté sur Une pierce étrangère aux formations géo- 



(1)'M. Mionnet, Deser, de fnèd., t. I, p. 79,0** 199 (lule* Caesar et Anguste); 
Sappi,» t. !• p. 146, n"" 144 (Angutte) et n^ 145 (Anguste et Agrippa]. — Depois la 
rédactìon de ce mémoire, M. de la Sanssaye a poblié, sons le titre de Numismatìque de 
la Caule Narbonnaise, un bel ouvrage que j*ai déjà cité dans une des notes ajontée» 
à ma dissertation , et qne je dois citer encore ici, parce qnHl renfenne le dessìn on la 
deaeription de troia médailles colonialcs de Vienne ( p. 129-130; et pi. XV, fig. 3, 
5 et 6) qne fen M. Mìonnet n*avait pas connnes. L*anteur (p.6), adoptant ane 
conjectnre proposée par M. le marquis de Lagoy dans sa IVoiice sur VattrììnUion di 
quélques médailles des Gaules ( pag. 5 ), se montre di^>osé à ne eonsidérer oomgie ap- 
partenant à Vienne qne les monnaies de bronxe où se lisent les lettres initials» 
C I. V. {Colonia Julia Fìenna ). Celles qui ne portent pas ces trois lettres pourraieDt, 
d^après cette opinion, appartenir à d'autres colonies de la Caule. Cepcndant M. dt 
la Samssaye remarqne plus loin (pag. 131 ) qne si les initiales C. I. V. manqnest sor 
plusieurs médaiUes qu*il attribne à Vienne (pi. XV, fig. 2 , 4, 5 et 6), l'analogie de» 
types de celles-d aree les types des pièces où l*on tronre ces trois lettres , justifie 
snffisamment une telle attribntion. Je m*applandis de Toir ce sarant se ranger alnn, 
avec moi, à l'aris de fen mon^excelleat ami M. MiQnnet, dont la mort surrenne depnb 
la lecture qne j*ai faite de mon mémoire à FAcadémie des inscrìptions, est un siqet 
de bien vifs regrets pour tous ceux qui furent liés d*amitié ayec cet balùle namis- 
mate, comme pour toutes les personnes qui caltÌTCUt la science aux progrès de laqnellc 
il consacra sa vie entière. 



StUL Vn ]IA8>»RSLIBF MITHRlAQnB. 259 

iogiques des environs de la ville, et probableiiient extraite des 
carrìères situées plus aumidi, entre Valence et l'embouchure' 
du Rhófie, notts serons portés à penser que ce bas-relief avait 
pu étre apporté à Vienne et depose dans le Mithneum près 
duquel on la trouvé, par un ou plusieurs sectateurs de Mithra, 
qui appartenaient^ soit à une légion romaine, soit à la corpora-' 
tìon des nautoniers. Dans 1 une et dans lautre de ces deUx sup 
positions, la consécration d un monument àtrois diviniti prò- 
tectrices des guerrìers et des navigateurs lie doitnelle pas étre' 
considérée comme un acte de dévotion bien naturel de la part 
de gens qui venaient ou remereier ces divinit^s , après avoir 
échappé à quelque danger, ou implorer leur protection et leur 
assistance, à la veille de quelque entreprise périlleusePSoldats, 
n'avaìent-ils pas à courir les hasards de la guerre^ ou les chan- 
ces Inséparables de l'occupation militaire dune province qui 
joue -un role si important dans le récit des tfombats ou dès 
faits politiques dont Thistoire romaine nous a conserve le sou-' 
venir ? Nautonniers , n etaient-ils pas destinés, par état, à navi- 
guer sur un fleuve qu ont toujòurs rendu dangereux de fré- 
quents changements de Ut , des coups de vent violents, ou des 
crues aussi extraordinaires que subites ; sur un fleuve dont la 
navigation avait une importance proportionnée à lextension 
du commerce romain et à la penurie, sinon à labsence, des 
autres moyens de transport et de coramunication ? Ne connais- 
sons-nous pas enfin une inscription latine (ì) qui exprime la 
reconnaissance de deux personnages échappés auxdangers d*un 
naufrage par la puissante protection de Castor et de PoUux? 
et pouvons-nous oublier quun bas-relief votif (2), d'epoque 
romaine , porte une épigraphe grecque dans laquelle un autre 
personnage^ nommé Argénìdas ^ Jils tT Aristogénidas , célèbre 
son heureux retour, après une navigation diffìcile , en accom- 
plissant un voeu fait aux Diosciu*es ? 

(1) Gnitcr, Inscript. ahtiq.^ p. CXVI , n** 3. 

(2) Ce bas-relief a été pablié à Rome, en 1720, par Olirà, avec les commentaires 
de SilTestri et les dissertations épistolaires de Lancisi et de Cariofilo, dans le recueil, 
pen commnn , qui porte le titre snivant : Comit. Camill, Silvestrìi in anagfyph. grate, 
interpret. posth», cui accedunt^ etc., 1 voi. in-S**, fig. 

17. 



[ 



260 II. MSMOIRB SUR UN BAS-RBLIBP MITHRIAQUfi. 

Les remarques que j*ai placées dans la dernière partie de ma 
dissertation otit bien moins servi à résoudre les difficultés ìnhé* 
rentes à la question des Dioscures qu'à en augmenter le nom- 
bre. Mais 9 du moins, elles nous rnontrent quel genre particu'' 
lier d'intérét s'attacbe à la découverte qui a été l'occasion de 
ce mémoire. ha présence des deux Dioscures sur un monument 
romain consacré à Mithra est un fait nouveau, acquis a la 
science. Désormais , une teli e particularité devra étre prise en 
considération dans toutesles discussions dont ces troìs divinités 
seront le sujet. Des à présent, elle fait du bas-relief qui ma 
permls de la signaler un monument d*autantplus digne d attirer 
lattention des archéologues de tous les pays, que jusqu*à ce 
jour il est Seul de son espèce , et d'autant plus précieux pour 
la France, en particulier, quaprès le torse du musée d*Arles, 
on ne peut citer un autre exemple d'une représentation figu- 
rée de Mitlira léontocéphale trouvée sur le sol de la Caule 
romaine. 

Felix LAJARD. 



III. I.ETTRB X M. PAHOPKA. 261 



LETTRE 

A M. IX PBOFESSEUR TB. PAROFKA, 



SUE 



UNE AMPHORE DE NOLA 

REPRÉSENTANT PENÈLOPE. 



(ti. I et K, 1841.) 
Moif CHBR AMI, 

Cesta plus d*un titre que je vous adresse rhommage de ces 
observations. £n effet, après que j'ai eu moinnéme signalé à lat- 
tention des arehéologues la peinture que jepublie ici (l),vous étes 
venu, à votre tour (2) , confirmer par Fautorìté de monuments 
qui m etaient restés inconnus, ropinion que j'avais emise dans 
ma Description des antiques du cabinet Durand. Vous arez re- 
connu Penelope sur plusieurs vases peints qui représentent une 
femnie ayant auprès d'elle un oiseau aquatique, une espèce 
de canard ou d'oìe. En donnant la description du vase grave, 
pi. I, 1841, j'avais déjà fait remarquer que loiseau palmipede 
place aux pieds de la femme devait servir à designer Penelope. 
Maintenant, tout en emplojant les arguments que j avais fait va- 
loir en faveur de mon explication, et tout en appliquant les tex- 
tes ancienSy relatifs à la naissance de Penelope, à l'interprétation 



^t) Cai. Durami, n^ 419. 

(2) Feiiegene JUjrthen , S. 9. folg., extraìt des Nèmoires de l'AcadénUe rojraie de 
Berlin, 1839. 



263 in. LBTT&B A M. PAHOFKA. 

d'un curieux yase du Musée de Berlin , vous semblez dispose 
à reconnaitre un personnage différent dans la peinture décrite 
par moi (1). Ne connaissant pas les raisons qui vous portent 
à séparèr cette peinture de la serie de sujets dans lesquels vous 
reconnaissez , avec mòi, Penelope caractérisée par le canard 
(thiVI^o^I^), tous me permettrez de persister dans ma première 
opinion , et d'ajouter quelques considérations nouvelles à t'ap 
pui de ce que j ai indiqué en peu de mots dans un travail ou 
le<f déyeloppemepts m'étaìent interdits. 

La scène représentée sur le vase du Musée de Berlin (ceno- 
choé à figures jaunes de la tabrique d'Avella) , se rapproche ^ 
suiyant votre remarque, de la pèiiiture d'un célèbre vase du 
Vatican , dans laquelle est figure Jupiter rendant visite à AIc- 
mène (2). Mercure parait debout, ayant le pétase rejeté sur le& 
épaules, des bottines ailées ( èy$pQ[ii(^ec ) aux pieds (3) et le ca- 
ducée dans la main gauche. Une femme, Penelope ^ vueàmi^ 
corps et tenant un collier est représentée en face de Mercyre. 
Au-dessous on remarque un canard. En arrière de Mercure est 
un autel (4). 

Les autres peintures, còmparées par vous avec celle de Tce- 
nochoé du Mu$é^ de Berlin ^ servent à justifier la denomina- 
tìon de Penèlope , qu^ j'avais cru deyoir proposer pour la 
femme accomp^gnée d'iin canard. 

Quant à là .^eiiitur^e inedite 9 gravée pi. I,,1841> elle decere 
les deux fa^es dune aitiphore de Nola à figures rouges, qui 
a passe de. la coUection Durand dans celle du Musée Bri- 
tanniqiie. On y voit un^ jeune femme assise sur un siége gami 
d'un dossier : elle joue avec des boules qui me semblent étre 
des pelote» de laine teintes en pourpre. A ses pieds est un 
canard) et, près.d' elle, une inscription illisible^ car, je n'ose pas 



(1) L.ck.y S. 15, Aùm. 1. 

(2) D'Hancarville, Fases d'Hamilton, Vf, pi. CY; Winckelmann, Jlfoi». ined,, 190. 
Cf. Passeri, Pict. in ofosc, tab. ccvi; Panofka, Cabinet Pourtalès, pi. X. 

(3) PoUqx, Onomast. IH, 30, 155. 

. (4) Gerhard, Berlinesi atu. Bildwerht , n° 910. Cf. I^nofka, FerUgene NyAens. 
Taf. m, 1. 



III. LSnaB A M. PA1V0FS.A. 1S3 

dire qu on peul y trouver les éléments du noni APNAIA ou 
APNAKI(a). Le second personnage est un éphèbe drapé, la 
téte couterte de son manteau. II s appuie sut un bàton et 
semble adresser la parole à la femme assise. 

Les auteurs anciens parient d*un oiseau aquatique nomtné 
Pénéhps ( irnv^o^ ) qui, pour la grandeur, est semblable à une 
colombe (1); cest un canard d*une taille petite, peut-étre une 
espèce de sarcelle. Stésichore (2) dit que 1 oiseau Pénélops es 
plus grand ou pòur le moìns aussi grand que le canard. Il pa- 
rait que les alejrons et les pénélopes vivent ensemble : de là ce 
vers d'Aristophane, Jifés^ 298: 

OÒTOffl lì TnfivlXo4«* Ixetvoal U *{ dXxucGv. 

Les naturalistes roodernes donnent le nom dìanas Penelops à 
un petit canard couvert d'un beau plumage (3). 

Eustathe et les Scholiastes de Pindare et de Lycopliron nousv 
ont conserve une tradition intéressante, au sujet de la naissance 
de Penelope. Voici ce que dit le Scholiaste de Lycòphron (4) : 
Tyndare et Icarius étaient deux frères. Penelope, nommée d*a- 
bord Améa^ était fille d'Icarius et de Periboea. Elle recut le 
nom de Penelope j parce qu ayant été précipitée danis la mer 
par ses parents, des oiseaux pénélopes lui sauvèrent la vie et la 
ramenèrent à terre. Recueìllie p^r ses parents, ceu^-ci se déci- 
dèrent à l'élever. 



(1) Schol. €ui. Aristopban. Aves, 1302. 'O iCT)vlXo4^ v^tfoig |Aèv £{AOtov iceptotspfic ^ 

{Tj Fragm, xc, ed. Klein. *0 Sé iC7]v^o^ {jieCCcov (lèv ^ xatà v^itrocv 5(ioiov. 

(3) Ci. flesych. t/. OoivticóXeYvov, "Iwv, fòv IlYivéXoTca, tò 5pveov. Tòv ^àp 'z^y[y\koN 
licCnav (poivixoOv. Cf. Athed. IX, p. 388, E; Ibyci. Bragm. XIH , p. 128, »qq. ed. Sehnei- 
dewin. M. Welcker (^Nacktrag zur jSichjrlìsehe Trilogie, S. 223, Anni. 134) dit qae 
Toisean Pénélops doit avoir fe^u don nom des couleurs yariées qui distinguent le piar 
mage de son con, semblable à un bel ouvrage de tapisserie. De là les ^pitbètes luoixi* 
Xóietpoc et atoX68eipoc. Alcaeus ap, Schol. ad Aristopban. Aves,\k\Oi n>ycas 
ap. Athen. IX, p. 388, E. 

(4) Ad Cassandr. 792. TuvfiàpECo^ Y^ ^ IxàpioCy oSeXqpoCy o^tvoc 'IxapCou raX 
nept6oCac ^ ^Oetaa IIt)veXóicy) , *Apvata Tcpórepov XrfO(JÌvYi , Oorepov 6à VLt\stk(mt\ xXt)- 
Oetaa, drt ^v^tm icapà tuv ywéta^ eie OàXocaaoev, (mb ioiveXóiccov Òpvécov l^riv^xOr) eU 
t9)v Yviv, xal èauOv) , (mò TbW ISitov 5à yovéta>f iróXiv &vaXY]90eTaa Irpé^ero. 



264 III. LSTTRB A: M. fANOFILA. 

Le Scholiaste de Pindare (1) est daccord avec eelui ^^ Lr^ 
cophron. Quànt à Eustathe (2), qui che Didyme, il npus ap- 
prend que le nom propre de Penelope était Amiraeé ou Àr- 
naeia, Nauplius , pour yenger la, mort de Palamede son fils^ 
precipita Arnacia dans la mer; mais celle-ci fut sauTée par 
des oìseaux pénélopes; eet éyénement lui fit doiiner le nom 
sous lequel la femme d*Ulysse est ìconnue dans la mythologie. 

Dans ce dernier récit, ce a'est pas à la na^issance de la fille. 
d'Icarìus qua lieu layenture dans laquelle des oiseaux viennent 
sauver la vie a un enfant; pesi longtemps après, pendant Ics 
voyages d'Ulysse, au retour d^ siége. de Troie que se passe 
levènement, 

Pausanias (3) raconte quHercyna, fille de Trophoniiis, 
jouant à Lébadée er^ Béo^ie ayec Core , laisss^ échappei^ invo-i 
lontairement une oie qu elle tenait : cette oie s'éts^nt envolée 
dans un antre, alla se cacher sous une pierre. Core, poijir cher- 
cher Foie» ayant enlevé la pierre, une soiree jaillit de terrea 
cet endroit. On donne le nom d'Herqyna à la rivière produite 
par cette sot^rce. Le tempie d'Hercyna est sur ses bo.rds ; on j 
voit une statue représentant une jeune fille tena^nt lui^ oie dans» 
ses inains. 

L'òie encore joue un róle important daiUS la religion di^ 
Capitole, Cet oises^u est consacrò à la Junop Capitoline (4). Sui: 
un médaillon de bronze, on voit au revers d^ Ib, téte d*An- 
tonin-le-Pieux^ Ji^non Capitoline, debout s*appuyant de la 
main droite sur une lance et ayant sur la gauche une oie (5Ì. 

{\) Ad Olymp. TX, 85. AéyeTai y^ 'Apvéa npórepoy xaXou(jivY) napà tùìv fuvrwv ek 
tV^v OòiXaacTocv àico^^tfiivai, ^ixa Oicó tivcov òpvécov TcnveXórouv xaXouyLsvcov el( ^^v xép<70'> 
è^evexB^vai, xal oCkcoc àva>,Yiip6et<jav 6«ò t<Sv YewriffàvTcpv òvo{ja(rdy}vai Il7iveXóin)v àic^ 
tJSc t(5v òpvtOcoy éici(i.eXeCa( xal ó(iu>vu(iia;, xal Tpaf^Tcrav 8i(ayufLay ^vat ToXomòv. 

(2) Ad Homer. Odjss. A, p. 1422. Ty)v 6è IIyìveXótcdv,^ AiSvj&p; fviaiv À(ieipdbc9)v ì) 
'ApvaxCav xupCco; xaXeT<r6at. NoevirXCow 8è f C^^avToc aÙT9)v el; OàXotaffav Sia t^v tov ulov 
TIaXa|jLi^5ouc ttoivtìv, uno ip)veXóic(i>v òpvé(ov acoOeCaav ù>y ^ eOBeia niQvéXo^' oCiro; (jiETovo(ia- 
«rO^vai. Cf. Schol. a</Odyss. A^ 797. Le Scholiaste donne le nom à'Améracis ou à^A- 
narcia à Penèlope. 

(3) IX, 39, 2. 

(4) Cf. la Nouvelle Galene myth.y p. 75; Bocttiger's Kleine Scluiften, B. U, S. 240, 
^5) Nouv. Galene myth. pi, X, n° 2. 



I|I. LBTTRB A M. PANOFKA. 265 

Jj ole accompagtie égalenusnt Junon , dana la scène du juge- 
ment de Paris, sur un sarcophage du Musée du Louvre (1). 

Maintenant , si Toiseau pla<>é aux pieds de la ferome assise 
étaitune oie, on ppurrait donner le nom d^Hercyna a la jeune 
femme de notre peinture ; car celui de Junon ne saurait en 
siucun cas lui étre applique. Cependant taut nous porte à 
qroire que nous avons soms les yeux , non la nypiphe Her- 
cyna, mais bien Penelope, 

Le canard (yritsatf) qyi porte aussi le nom de 9r)iv£Xp^ dé- 
signe la femme a Ulysse. Or, v4<x> signifie non-tseulement nager^ 
mais en core y?/ar (2). Sur une s^mphore de Nola publiée par 
M. Millingen (3) et que vous-métne avez reproduite (4)» mon 
cher ami , on vpit une femme debout qui tient deux fuseaux : 
en regard de cette figure est un éphèbe drapé , qui a une res- 
semblance frappante avec celui qu'offre la peinture de notre 
pi. I, 1841. Vous reconnaissez dans cette scène Penelope et 
Télémayue (5)» J*ayais déjà indiqué, dans ma Description du 
cabinet J)urand(6)y lusage auquel je pènsais que pouvaient 
étre destinées les. pelotes de laine avec lesquelles joue la jeune 
fempie de notre peinture. Ces pelotes n'indiqueraient^lles pas 
le travail de Penelope pendant; labsence d*Ulysse ? c'e&t-à-dire 
le voile funebre de Laerte auquel elle travaiUait pendant le 
jour^ tandis que la nuit elle détruisait louvrage qu'elle avait fait 
dans la journée (7)? I^ayais propose de reconnaitre dans Téphèbe 
drapé un des prétendants de Penelope ; mais peut-ètre le nom 
de Télémaque convient41 mieux à cet éphèbe , surtQut si on 



(1) Clarac, Hfusée de sculpt, ant. et moderne, pi. 165, 

(2) Of. TTQVojt, TDQvCl^co., tisser^Jìler, Cf. Sur les déesnes fileoses, Vachold, Geschichte 
des Trojaiùschen Krieges, S^ 129. 

(3) Fases de CoghUl, pi. X^II. 

(4) Ferlegene Mjthen , Taf. IV, 3. 

(5) L. cit. S. 16. Cf.la peinture décrite par Philostrate {Icón, II, 28), dans laquelle 
QQ Toyait une araignée auprès de Penèlope. L*araignée rappelle TAthéné Ergane. 
Hesycb. 'i'. '£pY<^VT); Paus. I, 24, 3. MinerTe Poliade était représentée assise, tenaut 
Vne queuouille dans cbaque main, dans son tempie, à Érytfares ^n Ionie. Paus. VII, 5, 4. 

(6) W» 419- 

(7) Homer. Odyse. B, 94 sqq. 



266 III. LBTH&B ▲ M. PAROPKA. 

le compare avec celai qui est auprès de Penèlope filanl dans 
la peinture publiée par M. Millìngen. 

K. O. Mùller (1) a reconnu dans Hercyna une épithète de 
la déesse infernale, Horcjrnay Orcina (2pxoc, clóture, barriire; 
OrcUSy le dieu des enfers). Hercyna est d*ailleurs une épithète 
de Déméter(2), et on sait que sans cesse dans les rèiigions 
anciennes la déesse mère s'identìfie complètement avec la 
déesse jeune et vierge. Si Foie est consacrée à Proserpine ou 
à se% acolythes (3), elle appaìrtieiit aussi au Parques qui 
président à la vie hamaine. G*est une des Parques, Clothù 
(KXc&OiOy^/er), qui porte le fuseau. Or, Penèlope, considérée 
comme veuve, peut, aussi bien qu'Héra veuve (x'iip^)^ ^^^ ^P* 
prochée de la Ker^ rapprochement que tous avez eu occasion de 
faire dans votre savant article sur la naissance de Junon (4). 

Au mythe de Penèlope on peut com parer celui dans lequel 
Omphale tue ses amants (5). Cest auprès de cette reine guer* 
rière qu Hercule Tient filer la laine (6). Or, j*ai dèjà ailleurs (7) 
fait observer combien Omphale, dans icette circonstance , se 
rapproche de TAphrodite Àv^poftivo; mentionnèe par Pki- 
tarque(8), la méme sans doute que l'Aphrodite Àiròeroupo;, 
honoréesous cette épithète à Phanagoria, dans l'Asie Mineure: 
ce dernier sumom venait de ce que la déesse at^aquée par les 
Géants avait appelé Hercule à son secours, puis s'étant retirée 
dans une grotte, y avait re^u chacun des géants Fun après Tau- 
tre, pour les livrer ensuite à Hercule qui les avait percés de ses 
flèches (9). 

(!) Orehom. 8. 154, folg. ; WeUbn's ZeiUekrìft, 8. 122. Cf. oe qne fai dit dans di 
iMtre à M» Gerhard sur quelques miroirs étrusquet, dans les Ifou¥. Ann., I, p. 525. 

(2) Tsetz.<M/. Lycophr. Cassandr, ÌSB' Jupiter Trophonius ett oi^dinairemeiitaMocié 
k iierejma. Tit. liv. XLV, 27; 8trab. IX, p. 4l4; Jnl. Obseqnens, de Prodig. 110. 

(3) Voyez Raoul Rochette. Non, inàd,^, 179, note 3. 

(4) Ann. de Plnst. areh., IV, p. 227, n. 2. 

(5) Atheo.Xn,p.516,B. 

(6) Lucian., Diàl. Deorum, XIII, 2. 

(7) Cat, Magnoneour, p. 36. Ct Ffouv. Ann. Il, p. 286. 

(8) Amaior. t. iX, p. 76, ed. Reiske. 

(9) Steph. Byzant t/. 'AnàTOUpov. Cf. Panofka, Ann. de Vìnsi, areh. IV, p. 194 ; 
Rottlez, Ffouv. Ann. II, p. 266 et suìy. 



XII. LSTTRB A'M. ^ANOFKA. 267 

Ainsi, d après les observations precèdei! tea. Penèlope tissaot 
le Yoile. funebre destine à Laerte, sassimìle à la déesse dea 
morts. Mais si } oiseau aquatique rappelle les Parques qui 
filent, il peut au^si faire allusìon aux Naìades qui, dans le$ 
grottes de rOcéaq, soccupent à filer. La doublé idée qu'ex- 
prìme le verbe v&<«> se réyèle encore ici, Dans le quatrième 
livre des Géorgiques (1), Virgile nous représente la nymphe 
Cyrène et ses compagnes qui filent la laine. Le nom dìArnacia 
ou d*Jìfr/iea.que porte Penelope, la rapprocbé XAraé^ la fem<» 
me (2) ou la nourrice (3) de Neptune^ Ainsi, les deux qualitéa 
de fuiger et àejiler qu*exprime le verbe véro se retrouvent dans 
les deux noms de Penelope. SI à Lébadée il y a une rivière 
qui porte le nom d'Hercyna, près d^Éphèse il y avait une fon- 
taine appelèe la fontaine de Penèlope (4). 

Mon intention n est pas dexaminer le mythe de Penèlope k 
loccasion de la peinture inèdite que je publie ici. Plus d'une 
question intéressante se rattache au personnage de Penèlope 
que les mythographes nous reprèsentent comme l'amante d'Her- 
mes et la mère du dieu Pan. Ces questions peuvent fournir 
ampie xnatière aux recherches. On aura besoin d'examiner 
comment la chaste femme d'Ulyss0 peut en méme temps étre 
la mère de Pan, fils des prétendants ou de.Metcure. D'autres 
ètudes intèressantes rèsulteraient de la recherche du caractère 
des déesses qui filent y question que je n'ai fait qu effleurer i 
peine (5). U me suffit pour l'instant d'avoir exposé les raisons qui 

(1) 934 sqq. 

Eam circum MiUsia veliera Nfrapha 

Carpebant, hyati saturo fucata colore, 

rfofc , ionien Niritc. Cf. les nympbes NeiSec en rapport avec Persée sur une belle am- 
phore inèdite à figares noires qui appartiene à M. Millingen. Nauv, Ann,, II, p. 1 17. Sur 
un amphorisque à figares noires da Masée da prince de Canino^ on Toit sept Naiades 
occupées à filer. Voir mon Cat, étrusque, n° 66. 

(2) Diodor. Sicul. IV, 67. - 

(3) Tzetz. ad Lycopbr. Cassandr, 644. Apvó^y qui est sana donte le génitif de Tina- 
site dipc , un jenne bélier, Tagneau qui produit la laine. Hesych. a>. ApvCoy, «cpó^OTOV, 
&(ivóc. Suid. t/. 'ApvaxC8a. *ApvaxCcy tò tou àpvou xc^Stov, tò (lerà tcSv ^Cciov 6ép{M(. 

(4) Strab. XIY, p. 641 . Kal i^ xpnvY) IlnveioneCa. 

(5) Cf. Panofka, Cabinet Pourtalès, p. xii. 



268 Iti. LBTTBB A M. PÀNOFKA. 

me fotit reóonnaitre Penelope dans la scène gravée pi. 1, 1841. 
Si les divers rapprochements réunis dans cette lettre étaient 
dignes de méritèr votre apprpbation, ou du moins si ces ob- 
servations pouvaient vous décider à publier l'interprétatioti 
nouvelie que vous avez annoncée, jaurais atteint le but que 
je me suis propose en vous dédiant nion travail. Qu il me soit 
permis, mon cherami, en terminant cette lettre , de vous 
donner ici un témoignage puUic de ma profonde reconnais- 
sance pour la bienveillante amitié avec laquelle vous avez 
daigné, il y » n^iintenant plus de douze ans, guider mes pre- 
miers pas dans les études archéologiques. Si mes travaux ont 
depuìs porte quelque fruit , je me plais à le dire , c*est à vous 
surtout que j*en suis redevable. 

Agréez en méme temps, nKm cber ami, Tassurance de mon 
inaltérable attacbemént, 

J. DE WITTR 

Paris,lel6jmUet 1841. 

P. S. Cette lettre étatt écrite avant mon voyage en Orient, 
quand à mon passage à Naples , au mois deseptembre suivant, 
j*eus occasion de voir chez un itiarcband dantiquités Tamphore 
de IVofa dont la pi. K, 1841, ofFre la peinture principale, com- 
posée d'une seule figure. Je n'eus pas de peine à reconnaitre 
ici Penelope debout, la téte entourée d'un cécrjrphale, portant 
isur la main un grand oiseau aquaiique (1), revétue dune tu- 
nique talaire que recouvre un ampie péplus; à ses pieds est un 
calathus rempli de laine teinte en pourpre. Le revers de cette 
amphore montre un éphèbe drapé, qui peut étre prìs pour 
Télémaque ou pour un des prétendants. Cette seconde pein- 
ture vient donc en tous points confirmer ce que j ai dik à Té- 

(1) La grandeur de Toiseau ne doit pas noas surprendre. Hn^y a que le Scholiaste 
d'Arìstophane [ad Aves, 1302) qui iadique la petitesse dcToisean Pénélops, SiTou 
s'imagine les oiseaux penèlope^ d*ane faille semblable à celle d*niie colombe, on ne 
comprend goère cotnment ces oiseaux póu^aient retirer un enfant des flots. D'aillears 
Stésichore {^Fragm, XC, ed. Klein) reconnatt au Pénélops la grandeur d*un canard, ob 
peut étre une taille plus grande encore, et dans Èkiislo^h^ut {Aves» 1302), Voie est rap- 
procbée du pénélops. Cf. Aristot. Hùt. Anim. Vili, 5, 8. 



III. LBTTRB A M» PANOFKA. 269 

gard de lamphore du Musée Britanniqu^, dont le sujet a fourni 
la matière de cette lettre. lei nous avons loiseau thìvIXo^ 
et de plus le calathus, qui ordinairement désìgne Penelope. 
Un yase à figures. rouges d un beau dessin, publié par Tisch* 
bein dans la seconde coUection d'Hamilton (1)^ représente 
Penèlope j qu*ìl na pas été possible de méconnaitre. La jeune 
femme est assise entre deux calathus remplis de laine^ dans 
ses mains est une bandelette. A ses còtés paraissent deux es- 
claves debout, lune tenant un miroir, lautre relevant son pé- 
plus dans les plis duquei on apercQÌt, soit des bandelettes 
ou dautres objels de parure, soit plutót de la laine destinée 
à l'ouvrage de Penelope. Au-dessus de la tete de celle- ci est 
suspendue une bandelette : un peu plus bas sont tracés quel- 
ques caractères qui, selon Tinterprète Italinsky, forment le 
mot KAA02. Mais dans ledition de Florence ce mot est 
changé en celui d'AlA02 (pour Aìòco^, ìsl pudeur)^ épithète 
qui sur un magnifique vase , aujourd'hui en la possession de 
M. Williams Hope, à Paris, désigne la soeur d'Apollon, jir- 
témis (2). 

Si maintenant il était permìs de se (ier à cette dernière lec- 
ture^ AIAQ2^erait une épithète qui conviendrait très-bien à 
Penelope. Mais, quand on na pas vu la peinture originale, il 
èerait peut-étre téméraire d*attacher une trop grande impor» 
tance à cette inscription, quoiquil faille convenir, d'une part, 
que tous les éléments du mot AIA02 se retrouvent dans les 
caractères tracés au-dessus de la téte de Penelope, et de lautre, 
que souvent sur les plus beaux vases des fabriques de Nola 
et d'Agrìgente aussi bien que sur reux trouvés dans les hy* 
pogées de rÉtrùrie , les lettres sont tellement mal formées que 
les noms propres semblent offrir quelquefois lapparence du 
motKAA02(3). 



(1) % pi. X> ed. de Florence et de Parà. 

(2) Vairmon Cauti. B^ugnot, n®4. Cf.Gerìiard, Foienbilder, I, Taf. XXII; Leaor- 
mant et de Witte, Élite des mon. céramographiques, II, pi. JLVI. 

(3) A cet égard je puù citer comme exemple la superbe hydric d*Agrìgeote de la col- 
lection de M. le due de Luynes, sor laquelle on Yoit Jupiierportant le petit Baccfaus aux 






270 III. LBTrftB AH. PANOVEA. 

Pàusanias (1) dit : «La statue ile la Pudeur {ocfOLk\LOL "tìi^ 
« Ai^ofJ^) se Yoit à trente stades enriron de là ville (Lacédé^ 
« mone); on dit que e est une offrande d'Icarìus qui la dédia 
« par le motif que je vais rapporter. Lorsqu'Icarius eut donne 
«Penèlope pour femme à Ulysse, il mit tout en oeuvre pour 
« décider Ulysse a s'établir à Lacedemone; n'ayant point réussi 
«à le déterminer, il eut recours à sa fille elle-méme^ la sup- 
« pliant de rester avec lui; quand elle partit pour Ithaque, il 
« suiyit son char en lui répétant cette prière. Ulysse qui avait 
«eu patience jusquà ce moment ^ finit par dire à Penelope, 
« ou de le suiyre de bon gre , ou bien de retoumer avec son 
« pere à Lacedemone. On dit que la jeune fille ne répondit rien, 
« mais qu'elle se couvrit le visage : Icarins comprenant qu'elie 
« voulait suivre Ulysse, la laissa partir, et érìgea une statue àia 
« Pudeur, à l'endroit de la route où Penelope s etait couverte 
« de son voile. » 

Cette anecdote racontée par Pàusanias , justifie complète- 
ment le nom d'AIA02 que porte Penelope dans le tableau 
public par Tischbein. De plus, Aì^à>c est une épithète d'autant 
plus convenable pour la chaste Penelope, considérée comme 
une des formes héroiques de Proserpine, la déésse infernale, 
que cette épithète rapprochée du nom d*Hadès (*^^7i; ou AX^iì;) 
vient à Tappui de ce que j ai dit plus haut. Artémis à son tour 
porte le nom d'AlAOS dans la scène où le géant Tityus enlève 
Latone qu'ApoUon veut arracher aux mains du ravisseur (2)j 
or, dans une scène de cette nature, le nom donne à la 
soeur du dieu lumineux , est une épithète caractérìstique qui 
indique la répugnance de la déesse vierge, pour les violences 



Hyades. Mon, inéd. publiéspar la seetion/raucaùe de Vlnst, arehéologtque, pi. IX; dnc 
de Luynes, Ftues étrusques, UaUotes, ticiliens et grees, pi. XXY III, Là^ le mot ToSeC 
poturait étre facilement pria pour une forme peu régnlière da mot xaXoc. H «» ^^ ^^ 
méme aur Tamphore da Mnaée da prince de Canino, aajoard'hni à la Pinacothèqne ì 
Mnnicb, où le nom Afuac a été pria pour un xoXoc mal forme. Mort, inèà, pnhUéspaf 
U eéctianfttmcaise de Vlntt, areh, pi. XXII et XXIII. Cf. ce que fai dit dans lea lf<m¥. 
jiimales, II, p. 381, note 4. 

(f ) ni, 20, 10. Cf. Scbol. ad AriatopbaB. TITuh. 99f . 

(ì) Sur le vaae de M« "VVilliams Hope. 



iu< unrraB ▲ m. pahopka. 27 1 

du fils de Gaea. Et à cette occasion, vous me permettrez, 
mon cher ami, de vous rappeler le passage du Cratyle de 
Platon (1), dans lequel le philosophe cherche à expliquer 
le nom d*Artémis. C*est par la transcription de ce passage 
que je veux tentiiner ce postscriptum. ÀpT«[iLK ^è to apTe(i.ic 

<f aiterai xal tò xo<r[i.iov , ^\ct tììv t^c TrapOevta^ Ì7n6u[Jiiav' t^co; ^i 

aperse laropa rnv Oeòv éxaXe<r6V ó xaX^aa; , toc^^ ^' av xal co; tòv 

apoTov fLitmaoiariq ròv àv^pò; ev yuvaixi* ri 8ik toutc^v ti y) ^tà 

TuavTa TauTa tò ovo^&a touto ó Ti8e(Aevo; Mero t^ Ge^. 

(I) P.50,ed.Bckkcr. 

J. w. 

Paris, le 24 févrìer 1843. 



272 IV. SOCRAVE ET DIOTIMfi. 



SOCRATE ET DIOTIME, 



BAS-RELIEF DE BRONZE (*). 



(PI. H. 1841.) 

L'archeologie moderne éstìme avee raìson (|tie, datis la 

seience de l'ìnterprétation des oeuvres de Tart antique ^ Tun 

des plus grands mérites que se soit acquis Winckelniann , est 

d'avoir montré qu*il fallait en general circonscrire cette seience 

dans le domaine de la mythologie. Avant lui, il navait, point 

été donne aux antiquaires de puìser au fleuve méme des tra* 

ditions antiques , qui n'arrivaientà eux que par des canaux de- 

tournés et impurs; une sorte de vanite, toujours excusable 

les éblouissait d'ailleurs, en leur exagérant les hauts faits de 

leurs ancétres : ainsi, dans les oeuvres de lart, ils ne voyaient 

guère que des nionuments historiques; et quand ils avaient 

découvert un nom célèbre, quand ils Tavaient ajusté, taot 

bien que mal, à la représentation d'un sujet, ils croyaient avoir 

satisfait au doublé devoir dii savant et du citoyen. Winckel* 

mann a mis fin à ce désordre ; il a, d'une main ferme, replacé 

la mythologie dans ses droits, et ouvert ainsi, pour l'interpré* 

tation des oeuvtes de l'art, une carrière nouvelle dans laquelle 

des hommes , dont le nombre s*accroìt tous les jours , ont fait 

singulièrement avancer la seience. Cette vérité une fois re- 

connue, s'il arrive cependant qu'un monument doive étre 

rangé dans la classe des représentations historiques, et qu'on 

ne puisse en méconnaìtre le caractère , on se sent alors d au- 

(*) Traduit de l'allemand. 



. IV. SOCIIATB BT DIOTIMB. 273 

tant plus obligé à un eiiamen réfléchi, que, par uoe suite de 
cette réaction dont nous venons de par)^, on éprouve en gè* 
néra! aujourd*hui pour le mode d*ìnterprétation historìque une 
sorte d'éloignementi bìen naturel sans doute, mais aussi peut- * 
étre exagéré et quelquefois injuste. Quoi quii en soir, en 
essayant d expliquer un monument réputé énigmatique , nous 
oserons compter sur quelque indulgence, si nous procédons- 
avec cette mesure, avec cette circonspection qui nous sont 
encore en particulier commandées ici par les dégradations qii*a 
éprouvées le nionument dont il s agit. 

Dans une des maisons les plus remarquables de Pompei, 
connue par Texacte et minutieuse description qu en a donnée ' 
le docte M. Avellino (1), on a trouvé divers fragments d*un 
cofTre de bois recouvert de lames de bronze ; M. Avellino a 
démonuré que, suivant Tusage des Romains, ce coffre était 
place dans Yatrium et destine à renfermer Targent du maitre 
de la maison. Ce qui nous interesse ici surtout, ce sont les 
kmes de bronze qui ajoutent un document de plus à ceux que 
nous possédons déjà sur Tart de la ciselure, porte chezles an- 
ciens à un si haut degré de perfection. Le bas-relief qui ornait 
la partie antérieure du coffre reclame en particulier notre 
attention par sa grandeur, par son beau travaìl et par le sujet 
qu*il représente (2). Malheureusement loxydation à laquelle il 
a été soumis la attaqué d'une fa^on deploratale ; il se trouve 
en plusieurs endroits tellement endommagé que nous en som^ 
mes réduit à des conjectures; mais la partie qui sest conser- 
vée est si belle , le charme de cette représentation énigmatique 
est si grand, que Fon ne peut se lasser d y revenir et de lexa- 
miner avec attention. Nous venons aujourd'hui, après un exa- 
men de cette natiure, présenter le résultat de nos observations 
et de nos recherches. Essayons, avant tout, de nous expliquer 
clairement à nous-méme , sans nous embarrasser d abord du 



(1) Descrìùone di una vasa Pompemna con capUeUi /tgurali all' ingresso^ Atà car. 
F M. Avellino. Ifap. 1837, 4''. 

(2) ATellino, /. e, tav. 7. — Mas. Borb,, IX, 59. 

18 



274 !▼* soóRATB BT momifB. . 

nom qu*il èonvi^ndrait de donner au sujet, ce que représetìte 
en general notre bas-reli^f : nous frayerotis ainsi la route que 
de^rait suivre toute interprétation dégagée de prévention. 
' ' Nous Voyons sur un siége simple, gami d^un coussin, une 
fenime assise, vécue d'une longue tunique sur laquelle est jeté 
un manteau qui couyre une portion de la partie inférieure du 
eorps. Le sommet de la téte est enveloppé dans une sorte de 
coiffe (1) qui laisse à découvert la partie antérieure de la che* 
Telure. Toute la pose témoigne clairement que cette femme est 
occupée à parler et qu elle apporte une extréme attention à 
Tobjet de ses puroles : son regard se porte en aTant; la téte et 
tout le corps ob^issent à ce mouyement; la jambe droìte est 
placée sur la gauche , et sur la cuisse droite s'appuie le coude 
du bras droit qui est un peu tendu en avant ; la main , qui 
manque aujourd*hui , faisaìt sans doute un geste qui accompa- 
gnait la véhémence du discours. On sait que, chez les ancieuS) 
croiser ainsi les genoux Tun sur Tautre, lorsqu'on était assis, 
était considéré cotnme une posture indecente , surtout dans 
une femme (2) : quand cette pose se rencontre 6ur des monu- 
ments de l'art, elle indique un état de Tàme qui^pòrtée tout 
entière vers un objet, oublie les convéhances extérieures« 
Ainsi, par exemple, lorsqu'il sy joint le geste expressif de pia- 
cer leìnenton dans la main du bras qui s'appuie sur lajanibe, 
elle exprime la situation dune personne abìmée tout entière, 
soit dàns là douleur, comme les sujets connus de Penelope et 
d*Electre, soit dans la réverie , comme cette belle figure dun 
tableau antique (3) , exactement reproduite dans un autre ta- 
bleau (4); avec cette seule difference qu id lattention s'attache 
de préférence au bouclier, ouvrage de Vulcaiti, tandis que, 
dans Tautre sujet, est exprimée la medita tion qui se concentre 
én «Ue-méme ; mais il s^agit toajours, par cbnsequent, de Fae- 



(1) KexptS(paXoc. Gerhard, Ant. Bildw., Taf. 304; Berlin* s Ant, BUdw., S. 373. 

(2) l/riackelnMan, FTerke, B. IT, 5. 366. — Boettiger, Kt. Schrì/ten, I, S. Sé fo)g. 

(3) Ani. di Ercolano, VITI, 51. 

(4) Mus. Borb., X, 18. 



tv. SOORATB £T AIOTfME. 275: 

livité parement iiitèllectu^Ue et du recu^illemeivt intémur (1). 
Une autre figure, tout à fait analogue a la nòtre, est une figure 
de femme sur un des plus charmants tableaux de Pompei (2), * 
où le pinpeau anime et gracieux de l'artiste a représenté un 
concert. A la gauche du joueur de fl&te, qui oocupe le centre' 
da tableau, se tient une joueuse de lyre ; à 4rQÌte est assise une 
femme qui chante en teiiant à la maio un cahier de musique : 
exceptez-en une plus grande ^vacité >, coix»mandée par rin^pi- 
ration musicale, le vétement qui tbmbie &i glissane de dessus 
son épaule et la couronne de féte.qui orne sa lète, eette figuire 
répond dailleurs exactement à la ndtre; elfe nous présente 
méme ce geste de la main droite qaé notre faa8-*relief mutile 
nou3 laisse seulemeut deviner. Dono , saas oréinte de nous 
tromper, tious pouvons admettre que , dans un disoourA adirne 
dont robjet absorbe tonte lattention de son àme, la femme d» 
notre bas«-relìel' s adresse à Thomme place deyam elle. 

Gelui*ci est deboqt, vétu d*iun simple manteau passe squs 
les bras, de manière que Taqe des extrémités tombe &ur bn 
partie inferi^ ure du cprps , tandis que Fautre est roulée aur 
tour du bras gauche; la poìtrine, les épaules et le.bras droit 
sont entièrement découverts. Ce bras drott pend le long du . 
corps. Lia main est encore ici endommagfier cependànt rài 
pourrait inferer de la pose generale di| oorps, que dans lo* 
rigine elle tenait un bàton, place sou^ laisselle droite; il £iuit 
en effet recoimattre que le corps penehe trop £t>]rtement du 
coté droii , pour qu'i 1 pUisse étre suffisamm^Rt soutenu pfur 
la jambe, quoique tendu« en arant. G'est au^i/C« qui réssdrt 
clairement de l^int^Unaison de la téte, qui préseojte d'aiUeurs 
un eaitactère de Silèné forteipen^ esprime; le ifiront^cbauvé» 
le nez écrasé, les yeux eiifonoés sous des sòurpils protubépant^^' 
les lèvres épaisses, la barbe longue, tout nous retrace ce que 
nous sommes habitués à rencontrer dans les nombreuses tétes 



(i) Voyez aos&i la pierre publiée par Mob^Iìbucob , Am. expl.t sappi. ITI, t. 13 , 1 
. Gerhard, Ant. Bildw., 311,14; Prodromi, «. ?« folg. 
{7) Ant, di Ercolano, IV, 44.-- Mus. Bùrh., f, 3^1. 

18. 



276 XV. SOCBATB ET DIOTlMKt 

# 

ou inasques de Silène. Les oreilles seulement ont ici une forme 
particulìère : ce ne sont ni les oreilles pointues d'un animai^ 
ni des oreilles d'honune, mais plutòt des tumeurs informes; 
▼raisemblablement le bas-relief a souffert dans ceite panie, et 
le dessin primitif est devenu méconnaissable. Du reste, toute 
lexpression de la physionomie est assez distinetement arti- 
culée. Le corps tout entier, dans un maintien contenu, s'a- 
Tance vers la femme que nous avons décrite, comme sii voulait 
aller au-devant de ses paroles, tandis que le regard per^Dt, 
qui n'a rien de la convoitise animale, est plutòt incline vers la 
terre, et indique^'attention d*un auditeur qui rentre en lui- 
méme et se pénètre des leoons qu il entend. 

Entre ces deux figures s'en trouve une troisième qUi , par 
malheur, est mutilée de la manière la plus fòcheuse, mais que 
Fon distingue cependant dans ses contours principaux. Nous 
y Yoyons la téte charmante d'un eniant, dont le regard sérieux 
et abaissé se dirige vers les objets quii porte dans ses deux 
mains. Malheureusement ces objets ayant beaucoup soufFert, 
on ne saurait les préciser avec certitude, mais on peut, ce me 
semble, reconnaitre assez bien dans la main droite un petit 
cofTret de forme carrée, et sur le bras gauphe une longue 
pièce de toile, vraisemUablement une bandelette. Les grandes 
ailes attachées à ses èpaules, et que Fon peut encorenette- 
ment distinguer, témoignent d'ailleurs que cet enfant, dont 
les traits ravissants et les longues boucles de cbeyeux nous 
rappellent le Gygès d'Horace (1), est Eros ou l'Amour. 

Tel se présente à nous, dans son ensemble, ce beau et 
simple groupe. Mais que signifie-t-il P quel en est le sHJet? 
C'est là une question beaucoup plus dif&cile. Pour essayer de 
la résoudre et d appliquer à chacune de ces figures le nom qui 



(1) Carm, 11,5^21-24. 

Quem si puellarum insereres ehon. 

Mire sagace» falUret hospites 

Diserimen obseurum sobtHs .L . 4 ! • i .« j 

CrìnUms, amhiguoque wtlt». 



nr. socftATB BT moTiME. 277 

lui oofiTienti il est nature! de s*atiacher d abord a celle que 
son expression, plus caractériséei rend plus focile à distinguer. 
M. Avellino qui, dans l'homme, reconnait un Silène, voit 
dans la femme assise une nymphe bachique, et prétend que 
l'enfant ailé, Eros ou bien lin ^aipLcav y&vj6Xioc, comme Yi^" 
fi^pofto^ d'Eschyle (1), leur présente à tous deux le coffret 
qu'il porte à la main. Dans la pensée de M. Avellino, il serait 
pennis de reconnaitre ici le coffiret que diverses traditions ont 
rendu célèbre, et dans lequel Dionysus avait été cache (2); 
nous aurions ainsi sous les yeux une représentation nouvelle 
d*un sujet que Tart a traité tant de fois et de tant de manières 
diverses, Dionysus enfant livré à ses instituteurs. Hàtons-nous 
cependant d ajouter que le savant archéologue n'a lui-méme 
présente que comme une conjecture catte ingénieuse expli* 
cation, contre laquelle, à mon avis, le sirople examen du groupe 
elève des doutes puissants. Si la remise du coffret qui ren- 
ferme Dionysus faìt le sujet du bas-relief, ce coffret doit alors 
sj montrer comme Tobjet principal. Or, ce n'est pas ce que 
nous trouvons ici; ce n*est pas lui qui attire ici l'attention des 
deux autres figures; tout entìères à un dialogue anime ^ elles 
n« semblent pas méme le remarquer, non plus que celui qui 
le porte. 

M. Braun, qui, dans ses recherches sur les représentations 
de Dionysus ailé, meniionne aussi ce curieux bas-relief, pense 
qu*il sagit peut-étre ici plutót d'un genie bachique qye d'E- 
ros, fils d'Aphrodite(3). M. Gerhard est alle plus loin, et re*- 
contiait dans l'enfant ailé Bacchus lui-méme , qui, poitant la 
ciste mysdque, s'approche de Silène et de la nymphe (4). Mais, 



{1) Wdisker, Jfaektr. zmr j£schfiùeke Trilogie, S. 122. — Raoul Roehette, Monum. 
inéd., p. 22S. — ^PaDofka, Ann, de l'Inst. arch.^ II, p. 320. 

(2) Gatre les sarantes recherches de M. Avellino (/. e, p. 54 seg.) sur ces mythes 
«t autres semblables, on peut consuHer encore Uschold, Forhallezur Griechischen 
Getthichte und Mytholagie, I, S. 349 folg. 

(3) Braun, Die KunstvorsteUungen des gejlàgelten Dionysos (Munich, 1839), S. 5 

(4) Gerhard, Etrukisehe Spiegel, I, S. 68 folg. 



278 |y. BO&LATB ET XMKITIMS. 

cmtre.que dette eupUcsitiaii ne tioliA édaire pi^ dan^ntage sui- 
te rappon dea ptincipalea figure» enU*e ellea et avec oet enfant 
àilé,.non plus que sur le sena pwopre de cet(e compdsitioii , il 
ine aemfole encove que la disaertation de BI* Braun , en jetatit 
pdur la première foia quelqile Imnie^< sur ce ftujet^ doit noU& 
engager aussi/i la plus grande cirodnspectibn. SII est dev^enu 
certain ^ d après ce tnlTail ^ qu oh a reipréseaté Diony^us àvec 
■ desaìlès à la téte, toujours eat4l qu'on ne saurait^ saàs preuve 
posìtÌTe, admettre un DiòtiysJuis aVee dea ailes àuxiépaiftles. 
Quant aux g^iea aìlés baohiqaes, il est hors de dojoite que le 
Faune qui porte dea ailes auxépauIeS| dans un bas-reliei; pu- 
blié parZoéga (l)t en offra un exemple; mais quelle ligne de 
d^marcàtion doit-on tracer entre des amours tela qu*il s'eii pré- 
sente incontestablement dans les r^résentations du Thiase 
bachique, et oe qu'on peut iiommer en partidilier des génies 
baehiques ailes ? Bien loin de pouYoir offirir à cet égard des. 
ré^ultftts poàitifs et certaìnS) lés reehercbes des erudita Sur oatte 
question sont à peine ébàuòhées. 

Je dois lavouer cepéndant^ je ne saurais admettre cemme 
yraie catte suppòsition, que la représentation qui nous de-, 
cupe ici soit un sujet bacliique; supposition sur laquelle re- 
posent les diverses explications que je viens de rappeler, et 
qui n'eat elle-mdme fondée que sur une autre, à saToir, que 
' rhomtiie iei représenté est un Silène; car, pour la fe^me as- 
sise, rien, ni coUronne^ ni ailcun autre àttribut bachique^ 
n'ìndique quelle. se rattache à Une scène dionysiaque; et len- 
fant aìlé ne fait^ dans cette supposition, qlie soulever des dif- 
ficulté$. Bien qu on ne puisse nier qu'il j ait dans les traits de 
riiomme un caractère de Silène fortement exprimé, je crois 
pourtant qu'on ne saurait reconnaitre en lui un vérìtable Si- 
lène. Ce qui s j oppose, ce me semble (sans parler de la cou- 
ronne qui lui manque^ ce qui est pourtant une particularité 
frappante), c'est la nature du vètement qu'il porte. Quand 
Silène se montre habillé, il a seukinent une draperie, jetee 

(1) Ba^s^ril. antich, di Roma, II, 88. 



Vf.SOCVLKTB BT 01OTI1I9. 279 

autour d«s r^ins^ qui cauvva une portion d^ U partie Mé- 
rieure da corps (1)^ e e$t alasi qu on le trouve, en e{F0t) dans 
le Papposilène vétu da yyxòyf lAaXXcoTo; (2) j et la riche éto£Ee 
qui COUTIL le SUène jouant deia lyi;e, sur un tableau d^ Pom- 
pei (3),. a toutà fait le méme caractère, Ob préteadrail^ à tovt 
nous objiecter une figure de Silèoe vétu d'une fa^n diSerenle 
et toute particulière , publiée par Visconti (4), pui«que ^ite 
figure ne s'écarte pas moins de toutes les autres que 4^ celle 
qui nous occupe en ce monoent. La manière dont celle-ci. porte 
le manteau roulé autour du corps se distingue essentietlement 
par un certain caractòre de justesse et de roideury bien éloigné 
de cette gracieuse richesse de plis que déplcie ordinairefnent 
l'art grec; mais e est, du reste, la manièra la plus simple de 
mettre le manteau, quand on veut s*y trouver à laisiS) saos 
aller toutefois jusqu'à la négligeiice; on la remarque^ d'aiUeurSi 
fréquemment sur de.s monuments de Tart. Pour ne citer que 
quelques exeraples, nous trouvons un yétemenl tout semblabie 
dans certaines statu€s de Jupiter r<^résenté debout et «n 
repos (5)V et dans celles d'Eaculape (6) ; seulement ici la di» 
gnité du dieu eixigeait un manteau plus riche< Nous. yojom 
encore, sur les basTreliefs du Partkénon, un groupe d'honatmes 
debout et en repos, toiis habillés de cette manière, groujpe 
dans lequel nous admirons c^pendant l'art du maitre^ qui 
savait préter, mome au yétament le plus simple, le charme de la 
variété (7). I) n'est pas rare non plus de rencontrer ce costume 
dans des figurea de vases peints, «n particuUer dans les rhab^ 
daphores assi&tant à des exercices gymniqùes. Ges observatioois 
témoiga^nl; asse% que cette sorte de vétement n'est en aucuoe 
facon approprìée à un Silène. 



(1) Yoyn Visconti, Mus. Pio Clem,» IV, %2, ^ Gerhard, Ant, Bìldw,, 104, lOS. 

(2) Ficoroni, Gemnue Utt,, ub. 26 sqq. -^^ Gerhard, Jnt, BUdw,, 105, 3. 

(3) Mus. Borh., II, 35. 

(4) Mus. Pio Clem., IV, 28. 

(5) Mus. Capieol., ìli, 3w 

(6) Maffei, Raccolta, 132. — Mas. Nap., t.I, 46. 

(7) ElgÌD, Marm 18, ig. 



28d lY. sochatb bt oiotims. 

Encore une fois, cependant, on nesauniit inéconnaltre Jan^ 
les traiu de natre personnage le caractère de Silène : dono , 
5Ì ce n'est pas un Silène, peut-étre bien a-t-on touIu repré- 
senter un hoinme auquel l'assentiment unanime de l'antiqui té 
attiìbuait une phjsiononiie de Silène, et'que Fait concevaii 
daprès ce type. Je crois, en effel, que nous ayons ici sous les 
yeux Soerateij attenttf aux paroles de Diotime^ qui, dans un 
discoUrs anime, hii enseigne Vtssence de Pnmoiir^ ou , comnae. 
elle dit elie-raéme, l*initie aux mysteres tPÉros. En effet, tan- 
dÌ8 qu'ils sont àbìmés dans cette sainte méditation^ le dieu 
lui-méme s'approche d'eux avec. la bandeletie et le colfret, 
sjmboles de Tinitiation (1). 

On voit tout d'abord, sans méme qu'il soit besoin d un non- 
rei ,e(Fort d attention , combien Taspect general du sujet, te) 
que nous Tavons analysé plus haut, est d*acpord avec cette in- 
terprétation. Un nouvel examen rendra ce rapport plus clair 
encore et plus frappant. Quelques obserraUons, seulement sur 
CMTtains potnts en parl;iculier . doivent ick trouyer leur place. 
Pour ce qui est de la représentation de Socrs^te, une fo^Ie de 
passages témoignent ass.ez qu'il ressemblait complétement 4 
un Silène (2), et ies descriptions qui nous sont parvenues à ce 
sujet lattestent jusque dans les moindres détaìU. II est fàit 
mention particulièrement de laplatissement du nez et des 
yeux placés àfleur de téte {yi fsx^mvk^ xal 'A Hoia t&v ò(i.|taTttv) (3), et 
dans la discussionavec Gristobule, rapportée par Xénophon (4), 
sont rappelés les yeux saìUants (Q.fOaX[toi èmiroXaioi), le nez 
écrasé (tò 9t(i»òv vti^ pivó^), Icjs lèvres épaisses , tout autant de 
traits caractéristiques qui se rencontrent dajis Silène aussi 



(1) Cu sait que Socrate, dans le Banquet ds Platon , reconnait ayoir re^ les lefons 
de Diotime sur Tessence d'Eros, et qa*il lui attribue le mythe qui présente Èros comme. 
fils de Poros et de Penìa (Plat. Syjnp., p.20i D sqq). Les commenta teurs noos ont 
appris quelle valeur ce mythe a re^ue dans Tantiquité; il suffitici d*en rappelerle 
souvenir. 

(2) Yoyez les commenta teurs du Banquet de Platon, p. 215 A, B. 

(3) Vlat., Theacl., p. 143 E. 

(4) Sjrmp. 5, 5 sqq, . ^ 



IV. SOCRATE BT OIOTlM£. 281 

bien que sur ce bas-reiief. Qn sah que, daprès une dècision 
da peuple athénien, Lysif^e fut chargé de faire une statue deSo- 
ciate en bronze (l)9et Fon croit que cette statue a servi de mo- 
dòleauxnombreux bustes qui nous sont parvenus, et quitousen 
effet, bieiì que plusieurs semblent porter davantage Tenipreinte 
du capiice de l'artiste, ceux-ci préaenter un caractère deSìlène 
plus fortement exprimé, ceux^là oflrir un portrait plus vrai 
et plus ressemblant, se rapportent cependant à un type par- 
Jàitement reconnaissable (2). On aurait, il est vrai^ quelque 
peine à trouver une autre figure de Socrate où le caractère de 
Silène se montràt aussi fortement exprimé qu ici; mais on n en 
sera pas surpris, si Ton considère que cette représentation se 
lie étroitement au Banquet de Platon , et si Fon se rappelle 
que là préciséipent Alcibiade se sert d une excellente compa« 
raìson^ en disant que Socrate ressemhle aux statues de Silène 
dans lesquelles on retrouvait de magnifiques images des 
dieux; à quoi il ajoute ensuite, pour fortifiersa pensée : Et 
UH^meme, ó Socrate^ tu nenieras pas que pour Vaspeet^ tu res- 
semhles à ces statues de Silène h (Sri pièv ouv to ye el^oc j[(iLoto$ el 

T){(rei() (3). Le costume convient également à Socrate, qui allait, 

*comme on sait, les pieds nus (4), et portait le manteau étroit, 

sans hajlìit de dessous, ainsi que le lui reproche Antiphon dans 

Xénophon : ([^axcov ^{ifuffai oò (a<Ìvqv ^ auTiov , aX^à tq aÙTo 



(l)'Diog. Laert. 11,43. 

(^) Yisoooti, Iconogr. grqeque, I,p. 103> rI* iÒ.^^Mujs. Napel. Il y 71 et 72 — I^e, 
Atti dell* acad. Rom. arch, I, 2 , p. 159 seg. Un grand nombre de tétes que Ton voit 
>ar des pierres antiques, parcxemple dans Spanheim (les Césars de Julien , .'j^. 108) , 
^t surtout daos Chifflet {Socrate, Anvers, 1662 , in-4°), ont été ainsi dénommées sans 
motif snffisant. M. Raonl-Rochette a eu raison de faire observer, k ce propos {Mon. 
inéd.^-p. 406), qne sur un bas-relief (Afo». /n^;^.. 77) les traits da pédagogue d'un 
jeune gar^on rappellént la pbysionomie de Socrate. Perse a dit (Y, 36 sqq) : 

' Teneros tu suscipis annos. 

Socratico, Cornute, sinu, 

(3) Symp., p. 215 B. 

J4) Vos», Myth. Briefe, I, 2t. 



282 IV. SOGNATI! JIT.DIOXIMS* 

Mpoù; te Mai j(éi\txawà^j «vuito^t^^ tt lui ój^Tbiv JtcTdrtK (I)* 
Mnift lorà iriéme que ces téraoìgif ages précis n ezisteiaient pas, 
it suffirait d'avòir lu dans Lucien que de son temps la longue 
barbe, le&piedsnos, un manteauétroitetusé(Tpi6«iv)(2>et un 
bfttoncotnposaient les insigne» des philosopfaes^pour ne paini 
ft'étonner de les voir ici employés à caractérìser le gniTe «t 
austère philosophe d'Atfaènes. Sa tenue , son maintieny toni 
iious indlque d*aiUeure ce ixiéme Socrate qui pendant un joup 
et une nuit (3) demeura constamment, cornine on le Toit ici, 
calme, attentif , applique de toutes les forces de son esprit 
aux paroles de Diotime. Quant à cette dernière , rien de ce 
que nous eavons d*elle ne nous autoiìse à penser qu*eUe diu 
ètre représentée d'une facon patticuliòre ; nous la Toyons 
donc ici dans le costume ordinaire des femines grecque^: seu- 
lement une gravite sublime, des gestes pleins dexpresston, 
un caractère de fermeté.et d'observation nouf permettent eie 
re'connahre en elle la sage institutrice de Socraté« 

Eros, place entre ces deux peFsonnages, nou^ apparak^ici 
avec des attributs qui exigent que nous entfkms dans opuri* 
qnes explications plus détaillées. Ainsi que nous ruvans. dajà bit 
rèHiarquer, ces attributs eux-méines ont beaucoup scfuifert de 
roxydation dn bronze. Gependant,, après un exaneien attentif 
du monument et en raisonnant par analogiey oU arride, ce me 
semble , à pouvoir reconnaitre dans ces attributs une toma 
et un coffret. La tcema est indiquée par M. Welcker comnie 
un symbole essentiellement érotique(4), et je n*ai besoin àce 
sujet que de rappeler ici un petit nombre d*exeniples con- 
cliiants. Ainsi, sur un vase peint, Téphèbe ailé, auquet tlne 



(1) Xenopbon, Memorab.^ 1,6^2. 

(3) Platon (Sjrmp.^ p. 219 B) emploie auMÌ eette expression en parlanft du manteiiu 
de Socrate. On aait qne cette sorte de manteau était orìginaire de la Laoonie; c'était le 
rostnme des gens pauyres et rainés. Yoyez Mailer, Dor, II, S. 267 folg. — Becker, 
CharìcUs, II, S. 321 folg. 

(3) Plat. Symp., p. 220 C , D. 

(4) Welcker, Annal, delt InstU, arch., IV, p. 380 seg. AìWettn (Die Q«mMÌdties 
Polygnotos, S. 11) j'ai déjà fait usage de cette remarqne.' 



iiiscriplion donne le nota dCHìmércs, porte daiis $e9 mains 
^ mite Mnia (.1) ; sqr un au^e vase qui pous mostre ^gaJement 
un éphèbe ailé q«i tient la to/i/'a (2) 9 je suis l>ien plus ten^é 
de reconnahre ayec M, de Witte (3) Èros, qu avec M*. Raoul 
IU>ch6tte le Genie de ia mort (4); sur le beau vaae qui repré- 
sente Dionysus et Ariadne réunis ^ous une treille, on voit Eros 
ft approcher d eux av<|!c la J^ndelette (&) ; il se niontr^ égalenient 
mrec la tcenia sur d'autres vases qui représeutent Tunion de Dio- 
pysus et d' Ariadne (6). Sur une grande coupé où sont représem- 
téeslestroisdéesses detant Paris, c^acune, pourgagner sonjuge, 
)ui oflfre unattribut particulief : Héra lui moutre le lion., em- 
blème de la domination ; Minerve, le casque, symbol.e de.la 
gioire des armes; et Apbrodite^ Eros, qui tend au jeuoe ber- 
ger une bandelette, emblème de la volupté (7). Plusieurs tno- 
tifs se furésentent pour expliquer eomment la batidelette était 
devetìue le syinbole d'Eros* Si Fon se rappelle qu elle faisait 
une partie essentielle de la parure, et que bien souvent, dans 
les tableaux où sont représentées des 'feiumes a leur toilette , 
l^ros se montre aveo la to/Ma(8), on penserà peut-étre alors que 
cet attribut lui convient comme parure de la beante ; on peilt 
supposer aussi qu il en couronne les amants vainqueurs daos 
la lutte amoureuse; ou bien, comme qn enveloppait aveo la 
Uenia les objets qu on voulait oonsacrer et sanctiii^r, la bande- 
lette petit encore étre considérée comme le symbole de Tini- 
tìation aux mystères d'Eros. Dans tous les cas, il est inconles- 



(1) Monum. inèd, de Vinsi, arch., l, pi. 8. — > Gerhard, Ant. Bild%v., 17. 

(2) lUoal-Rochette, Monum. inéd.^ 44, 2. — Gerhard, Ani. Bildw., 5S nnd 56. 

(3) Descrìpi, du ctUf. Durand, vP 46. 

(4) L. cit^ p. 22^. Daos Téphèbe ailé qui poursnit un lièvre^ figure au rev^rs du 
memo vase^ je croia qu'il faut égaUment recQuuaitre Èros» Yeyes les passages souTeut 
cités de PhilQstrate {InuMgg. I, 6). Il nV a non plus aucun motif pour se refnser à re- 
connaltre Eros dans la figure que reproduit la pi. 20 du tome Y dn Museo Borbonico. 
— C£. Mon. inèd. de Vinsi, arch., I, pi. 8. 

(5) Millingen, Anc. uned. mon., 1, 26. 

(6) Panofka, Mus. Blac», 21. «- Due de I^uynes, Descript» de vases, 29. 

(7) Gerhard, Ant, Bildw., 33. 

(8) Yoyezy par exemple, Raoul-Rochette» Monum, inéd., 49 K 



284 IV. SOGAATB ST DIOTIMB. 

tablé qtie la tterUa convieni de pT^férence a Eros. Le coffret 
n'est pas itaoins que la tmnia un symbole érotiqoe. Ausai 1« 
rencontre-t-on habituellement dans les scènes qui représen- 
tent des fiancaillès ou quelque sujet semblable. Sur le célèbre 
vasesouvent reproduitdu muséede Berlin (1), Io tieni dans ses 
mains le coffret que Zeus, debout devant elle, lui a présente pour 
appuyer la déclaratìon de son amour. Sur un autre rase, qui 
offre également pour sujet une déclaratìon d'amour, la femme 
en tient aussi le symbole, te coffret, appuyé sur ses genoux, tan- 
dis qu'Éros agenouillé devant elle, sembie, pendant qu elle dé- 
tourne latéte, lui adresser des paroles depersuasion (2). Le cof- 
fret n*a pas non plus été oublié dans une belle représentatioD 
nuptiale (3). Cet emblème est aussi reproduit avec la méme 
valeur érotique sur une peinture de vase du musée de Na- 
ples (4) , dont le sens érotique. est évident. Auprès d*une 
figure de femme, qui tient dans les deux mains une bandelette 
ornée de glands , on voit un oiseau qui ressemble à une cige- 
gne, et parait becqueter cette bandelette; e est évidemment 
l'oiseau lynx, fils dePitho, et donton vantait leffieacité pour 
les charmes amoureux (5). Vers eette femme s'avance une se- 
conde femme portant dans les deux mains un coffret qu elle 
va présenter à la première. A6n que la signification de ce cof- 
fret ne puisse faire l'objet d'un doute , on a pose sur le ceu- 
verde les branches de myrte consacrées a Aphrodite. Der- 
rière cette femme, une troisième s avance encore; celle-ci est 
engagée, à ce qu'il semble, dans un dialogue avec Eros, quelle 
porte sur la main gauche; ce qui est conforme aux habitudes 



(1) Hirt, die BrouUchau. fieri. 1835. — Gerhard, Ant. BUdw,, 115. — Ptoofiu. 
Argos Panoptes, Tfef. IV, 3. -. Lenonnant et de Witte, Éìke des mon. eéramogmphi- 
qnes, I, pi. 25. 

(2) Gerhard, >^»f. Bildw.» 34. 

(3) Panoflia , Mus, Blac, 4. 

(4) Mue. Borb., I, 35 Milling., Fases grecs, 60. _ Tnghirami, Fdt.fiitU., 341. 

^ Gerhard und Panofka, Neap, Ant. Bildw.^ S. 241, n® 1516. 

(5) Voyez Bo.ettiger, KUine Schrijlen, I, S. 183 folg.; tdeen zur Kunstmyth.» r,S. 70; 
II» S. 260 folg. ~ Weìcbert, Poet. lat. Reliq.^ p. 52 sqq. 



IV, ftOGBATB BT SIOTIMB. 28& 

de l'art antique « qui placait dans les mains dea atatues dea 
dieux, non-seulement les attributs qui étaient respectivemont 
consacrés à chacun deux, le lion (1) a Héra, la colombe à 
Venus (2), le cerf à ÀpoUon (3), «te., mais aussi les figures 
de certaines divinités, considérées, pour ainsi. dire, comme des 
émanations, comme des ageuts de la puissance divine, Cest 
ainsi que Jupiter tient sur la main , tantót la Victoire, tantót 
les Parques (4); Athéné, comme lui, porte la Yictoire, ApoUon 
les Parqu.es ou les Gràces (5) , Aphrodite, Eros (6). Nous pou- 
voQs donc, sans erainte de nous troniper, reconnSitre dans 
les deux demières figures peintes sur le vase du niusée de 
Naples , Apkrodite ou Charis et Pitho, (7)9 qui s*approchent 
de la jeune fille. Il estbien vrai que le coffret se présente 
très>-souvent comme boite à toilette; il est rare de ne point le 
rencontrer dans les scèpes nombreuses où sont représentées 
des femmes occupées à leur parure (8); mais cela méme nous 

(1) Gierhard, Ani, Bildw., 33. 

(2) De méme sor des monuaies d'Éryx. Millin, Gal, mjrthol, 44, tSl. — . Domer- 
san, Méd.4néd.t 7, p. 67 et auir. -. Cf. Papoflu, Caò. Pvurtalès, 2. 

(3) MùUer, Denkm. dtr alt. Kunst, I, Taf. 4 Cf. Gerhard,^/»/. Bildw,, 11. 

ApoUon Sminthien porte aussi une scTuris sur la main. Mnller, L, cit.. Il, 12, 138. 
Vojez aussi Àrtémis portant un chevrillard, dans les yini. Bildw. 12 de M. Gerhard. 
Vojex eueote une antre figure dans le méme ooTrage 102, 2 et dans les Fragm. de 
scttlpt, 15, 14 de M. d'Agì ncourt. 

(4) Pausan., Vili, 37, 1; X, 24, 4. 

(5) Miiller, Archaeol., § 86, 2, 3; 359, 5 Welcker, zu Sehwenck etym. myth. AtuL, 

S. 290.^— 'Raoul Rochette, Monum, iméd^ ip,<òl\ Lettre k M, Sckom, p. 58 et suir.Voyea 
aussi rApoUou de style arcba'ique sur les monnaies de Caulonia. Mionnet, Descr. de 
méd, ant., pi. 59, n® 2.~^Mus. Borb.tY^ 61. — Due de Luynes, Nouv. Annal, de Vinsi, 
arch., I, p. 424 et snÌT.^ — Raoul Rochette, Jifém. de numism,^ Obserr. sur le type de^ 
méd. de Caulonia, pi. I. 

(6) Gerhard, Ant. Bildw., 32, 33. 

(7) Consnltes sur Charis et Pitho, diTinités nuptiales, Boettiger, AldoÒrand. Hoehz.^ 
S. 39 folg.; Ideen zar Kunstmyth., H, S. 257 folg. Charis est la gréce attrayante de la 
femme (Fiat., Erot.^-p. 751 D. Wincfcelmanu, ff^erke, S. 115 folg); nous la voyons e» 
quelque sorte ici en couTersation avec Èros. Derant elle marche Pitho, la persuasion de 
Thomme; elle porte dans ses mains le don de son amour ; elle est précédée de Toiseau 
lym, qui adiève le charme de l*amonreiu e persuasioA. Sor deux autres Tasca (Millia- 
gen, Anc, uned, Han., pi. A, 1. — Stackelherg, Graeher der Bell., 29)Pitho est repré* 
sentée aTCc Aphrodite , auprès de laquelle on voit Eros; snr le second Tafe, Ktho est 
occupée à orner un meublé avec des branches de myrte. 

(8) Voyes par exemple R. Rochettc* Mon, méd.» 49 A. 



2SS IV. fOCRATB ET 0ÌOTIMB. - 

aideà iitieiuL eomprendre pourquoi qn Ta pkcé, oomme don 
d'amour, daqs les mains d^Éros^ Aussì rien n'est plus ordinaire 
que la réanion des tienies avec le coffret 2 ainsi Dous trou* 
vons sur un vase peint une femme tìrant d'un coffret une 
tcenia, afin, comme il semble, de la présenter à un jeuae 
homme qui est debout de vani elle (1). Sur un autre vase^ 
nous -voyons Eros lui^méme, avec une couronne et un oofiret^ 
voler au-dessus d'une femme devant laquelle estplacée debout 
une seconde femme tenant à la main un cctffret et. une tas^ 
ma (2). Une autre peinture de vase , dont le sens érotique ne 
peut étre mis en doute, nous offre aussi la représentatìon 
d'une femqie tenant également une bandelette et un coffret (3)« 
Les exemples de cette sorte| sont trop fréquents pour que nous 
songions à les accumuler ici i seulement je rappellerai en-« 
core le vase remarquable où l'on voit Aphrodite accompa* 
gnée de deux amours occupés a tresser une cprbeille; chacune 
des deux femmes placées aux extrémités dif tableau porte 
un coffiret et une bandelette (4). 

Ces diverses considérations , fondées sur des exenlpies, qui 
nous pnt montré la tcenia ainsi que le coffret comme sym-* 
boles essentiellement érotiqi^es, ne semblenVelles p£|s ju^M-" 
fier encore notre inter^rétation , k>rsque nous prétendotis 
reconnaitre ces méraes sjmboles sur le bas-^relief objet 
d.e cette dissertation? Je ià^ois faire observer ceppndant que 
l'une et l'autre sont aussi deux symboles des «iystèt*es. La 
science de Tinterprétation des monunients de Fart est revenue, 
e^ ce n'est point sans raìson , je le sais^ de l^ibus auquel avvieni 
conduit certaines représentations : elle a renoncé à la prélen* 
tion de rapporter au;x njystères tout ce qui lui parait myste- 
rì^ux. Toutefois, op i)e s^urait nicr qu il y a de^s représent^iùons 
qui, bien qu'on n'en puisse clairement expiiquer les détails, 



(t) MilUogen, Anc. uned, mPn,, I, 35. •» Mus. Marò., IX, 2^« -^ I«gbUttlitt» ftkti 

{^) VlSSùn^^Feintur^dé'vtues amtìq.fìlf.h^^ 

(3) Panofka , Cad. Pourtaiej> 32. . , , 

(4) Panoaa, Cab. Pourtalès, 33. -r^ SAIckelbergi J?>«0 Gmeh^r dtf fhU,, 30* 



IT. SOCmATB BV DIOTiMB. 287 

oBt traìt .sans aucun doute à certaines initiations, à certains 
nmtères; or, c«st précisément dans celles-là quapparaissent 
le plus aouvent les symboles de la Uenia et de la ciste. Il est 
prouTé que le cofFrel est un sjmbòle des mystères (1); òn en 
peut dire avitant de la tarda (2) : aussi Tun et Tautre se ren- 
con^^nt^'ils fort souvent réunis (3). On se rappetlera ici tatit 
d'akord le Genie des mystères, pouf lequel on atait autrefbis 
nne si grande pr^dilection (4)9 explication a laquelle on a 
maintenatii substitué celle d'Eros, qui, lui aussi, se montre 
fréqiiemment et avee la twnia et avec le cofTret. 

Quanta présent, ces observations succinctes peuvent sufHre. 
piotime, dans Platon, s'exprime à plusieurs reprises de ma- 
nière à jKàire entendre que par ses lecons elle avait initié So- 
crate aux mystères d'Eros (5). Si nous admettons que cette 
idée ait éié présente à Fimagination de l'artiste, notre groupe, 
dès lorS) s'explique parfaitement. Pendant que Diotime, par 
se6 instruetious animées , initie aux mystères d'Eros Socrate 
atcentif a ses paroles ,' le dieu lui-méme s'approche avec les 
attributs de sa puissance et de son eulte, tei qu'il a coutumé 
de se miontrer aux époptes, qiie sa présence saisit d'étonne- 
ment. 

Ainsi se trouTerait expliquée en méme temps une circons- 
tanee qui, aupi^emier aspect, peut sembler contredire notre 
interprétation. Aux deux cótés de notre bas-relief sont re- 
présentes des oentauresv à droite est un centaure male; il a 



<1) CoBkaid» Ètmk. Spièg., I, S.«4,SB. -^ Welcker, JBsth. Tnl, S. 285; 
(3) .C'est ce quie nous apprejid sur les mj/itère^ de SaoMtluwse le Scfaoliastf d*A.pfo|* 
loniusdeRhodes, I, 917. 

(3) Yoyez Gerhard, Mjrsterìenaftisen ; par exemple, la pi. 9. -^ Millin, Temh. de Co" 
nosa, 4. •■»• Creuzer, Symbol., AbkiU., 43. 

(4) Yoyez TAbvégé Ae-Boetàger^ Jrchaeologie dar Maieni, S. 224 M^. 

(5) Sjmp., p. 209 £: Tauta (Jièv o^v tè è^tànxct, Un^y & Séxportc, »&v «ni> |Jitiy]6éiv]c' 
tà ìk téX«iK «al iicoirctxà, ^v Ivexa waLlxùSJvà éimv, idv Ti; òp^ futb), oùxgIS* el oiCoc 
t' &¥ ttT)c.> et plus loia , p. 210 E : fvpò« TéXoc fjdvi U»v ttóv ip(imx(5v. «t p. 211 B : 
cr^eMv ìSn xt é/iCfXKVi to^ «tiXou^ * <-»- Plutarqae s'esprime dans le méme sens , £rot. 
p. 7*1 Ft )ÌYcb^4f6 «mT; "Epioroc fi^icumlk «al (i^ototc' év ^u peXviova (M«p«v 
oCoocv. 



288 IV^ SOCHATII BT DIOTIMB. 

une forte barbe; sa téte, que, par un mouvement orgiastiquie^ 
il rejette en arrière ainsì que ravant-co.rps, est omée d'une 
Icenia; il joue de la lyre; à gauche est une centauresse qui 
souf&e ayec des efforts violents dans une doublé flùte (1); 
Mais n'est-ce pas là, dira-t-on peut-éti*e, une preute évi- 
dente que tout ce monument a une signiiìcatioi^ bachique? 
11 me semble que cette conséquence est trop absolue. Les 
centaures, il est vrai, ont habituellement un róle dans le 
Thìase bachi^ue^ et la puìssance du dieu se manifeste d'ordi* 
naire en ce que ces monstres sont par lui domptés et attelé^ 
à son char ; à ce titre ^ ils sont consacrés d'une manière tòute 
speciale au dieu des orgies , et l'effet du Vin y qui ennoblìt 
leur nature et spirìtualìse, pour ainsi dire, leur appétit animial^ 
est surtout exprimé par les instrumehtà de musique dont ils 
sont généralement pourvus(2), et qui indiquetit combièn cés 
centaures, dans le eulte du dieu, sont différents de ces monstres 
grossiers, ivtes et violents, tels qu'on lès a si souvent repré- 
sentés. Toutefoìs, ce n'est pas seulément Dionysus qui les 
dompte, mais aussi Eros. Si nous les voyons^ sous l'empire du 
vin, se livrer à des mouvements inspirés par Tivresse et l'extra- 
vagance, nous les voyons aussi, dans la fureur de la volupté 
sensuelle , faire violence aux jeunes gar^ons et aux femmes. 
Mais Eros dompte aussi cette race sauvagé; et si Dionysus les 
enchaine à son char, Eros, à son tour, s'en fait une monture 
et nous offre le beau spectacle de la brutalité domptée par 
l'amour (3). Les centaures se trouvent don e aussi avec ce dieu 
dans un rapport intime: ils sont ses orgiastesy et, a Texemple 
d'Eros, qui est lui-roéme représenté avec la lyre et la fiate, 
ils portent ces denx symboles dans Texercice de son eulte. 



(1) ÀTeUÌQO, Descrizione di urna casa Pompeiana » tav. 8 ; Màé, Bòro,, IX, 58. 
• (7) Yoyes mts Ahhandl, Pentheus, S. 19. 

(3) Oh oonoait le beau centaore da palaia Bor^iète (Maflei, Race*, 72 aeg. .«* -Mmi. 
Scelti Borghi II, 2. — Clarac, Mus, de sciUpt,, 277. — Gf. Yiaconti, Jlius, Piò CUm,, 
I, 5t. — Mus, Caput,, lY, 32, 33. M. ÀTellinoremarqne que la r«a^emblaiice de ce 
▼ienx centavre avee le Laocoon, obserrée par Yiseonti, 'ae retroitvé aussi dittale 
nòtre. 



IV. SOeRATB BT ' DIOTIMS. 289 

G'est là ce qui se révèle bien claireitient sur les monumeiits, 
où Ton voit les ceotattres mis en rapport aree le mythe de 
TAmour et de Psyché. Aitisi, sur le cìppe bien connu d'A- 
memptuS; on trouve représentés, comme ici, un centaure et 
une centauresse, eelui4à jouant de la iyre, celle-K^i de la flùte^ 
et portant, Fune une Psyché, Fautre un Eros (1). Sur un bas- 
relief du musée Pie-Clémentin sont représentés deux amours 
pleurant, qui iiennent chacun un papillon au-dessus de la 
fiamme de leurs flambeaux; à droìte et à gauche se trouvent^ 
d'un coté 9 une centauresse montée par une bàcchante; de 
lautre, un centaure qui porte un enfant jouant de la lyre (2). 
Sur un autre bas-relief , lious voyons Eros jouant de la flùte^ 
près de lui se font remarquer un centaure jouant de la lyre et 
portant un Eros qui joue de la flùte, et une centauresse tenant 
la doublé flùte et servant de monture à une Psyché qui porte 
une pomme dans la main; de chaque coté se trouve un pom- 
mier près duquel se tient un amour (3). Je ne puis me livrer 
iti à une énumération plus détaillée de ces représentations 
pleines d'intérét, mais dont le sens est difficile à saisir: il suffit 
d avoir fait remarquer que les centaures orgiastiques et pourvus 
d*instruments de musique ont une connexion evidente avec 
Èros ; connexion qui du reste n'exclut nuUement celle qui peut 
exister entre un pareil sujet ou d'autres analogues et les re- 
présentations bachiques qui ont été successivement trans" 
portées dans tous les sujets religieux. Peut-étre méme est-ce 
dans ce dernier rapprochement quii faut aussi chercher la 
rsiison pour laquelle on a cru pouvoir, sur notre bas-relief, 
représenter Socrate avec un caractère de Silène si fortement 
exprinié» 

Je suis, dailleurs, loin de petiser que ces monuments ou les 



(1) Boissard, Ut, 144. .* Montfancon, Ant. expl., V, 1, 79. Lessing. dans son traité 
iatìtoié WUdieAUenden Todgebildet^ S. 29 foìg.-^ìiTAC, Mas. de seulpt,, 185, 186. 

(2) Mus. Pio Clem., IV, 25 C: — Zoéga, AhhanM., Taf. IV, 9, S. 79 folg; Welc- 
Iter, ibid., S.375 folg. — Boettiger, Ideen zur Kunstmjrth., Il, S. 517. 

(3) GaU, Giuslin., II, 107. -^ Mo&tf., Jnt. expl., I, 192. — Zoèga, Abhandl., Taf. 
IV, 12 ; Welckfr, ibid,, S. 384. — Boettiger, toc. cit., S. 518. 

19 



290 IV. SOCRATE BT 0IOTIME. 

passages cités plus haut puissent servir de preuves à lexistenc^e 
réelle <les tnystères d'Eros , dont il ne re^te méme pas de 
trace (1). Ces monuraents de lart ne sauraient, en effet^ rien 
prouver en eux-mémes, et les passages que nous avons rap- 
jportés doivent évidemment s'^expliquer par Tusage où étaient 
le^ anciens d'employer les expressions de my^tères et d uitia- 
;l:ioi\s, diès i|u il s'agissait de comprenidre et d approfondir l'es- 
i^nee la plus ìntime d'un sujet de discussion, que ce lut une 
question de sentiment ou une question qui s'adressàt à Tinte!- 
ligence(2)^ C'est ce que lon a trop souveni: méconnu; op a 
.prisau propre ce qui ne devait s'entendre qu au figure, et beati* 
coup d erreurs sur les mystères des anciens n ont pas eu d*autre 
orìgine^Je pense seulenient que, de méme quii était pertnis 
à récrivain d'emprunter ses termes à la langue des mystères, 
langue (aiiiilière à ses lecteurs^ Fartiste pouvait aussi, dans 
Texpression de ses pensées, employer les mémes imagesj, sans 
craindre d*étre mai compris. £n effet, dans le sujet qui nou3 
occupe , pour exprimer de la facon à la fois la plus simple et 
la plus belle le saint enthousiasme de Tinstitutrice, celui de 
lauditeur, et en méme temps Tobjet qui dans ce moment rem- 
plissaijt leur àme à tous deux^ Tartiste pouvait'-il mieux &ire 
que d'emprunter aux mystères le tableau qui nous montre le 
dieu lui-méme sapprochant de ces deux personnages avec les 
symboles de Tinitiation à son eulte? Quic^que est familiarisé 
avec Tart grec sait assez de quelle manière cet art savait em- 
ployer rimage d*£ros et d autres figures analogues , pour ex- 
primer d'une manière sensible la disposition intérieure de 
Fame. 



(1) ToDt ce que Creaaer {Sjmhol^ UT» S. 636 folg.) «t Boettig^r {Ideen zur Kput- 
myth., II y S. 407 folg.) ont conjecturé, touchant les mystères d*Éro8, me paratt aans 
foDdement. En effet, ce qne nons savons des fétes d'Eros à Tfaespies (*Ep6>TCxa) n*aii- 
torìse aucunement ces conjectures. Yoyez Plutarch., Erot., I. — Winckelmann ^ ^er- 
ke, S. 99 folg. — Boeckh, Corp, inscr. grac, 1429, 1430, 1590. 

(2) Yoyez en general Lobeck, AgUwph.y I, p. 34, ,128. -^ Sullbaum (ad Phasdr., 
p. 250 B; ad Eulkjrdem., p. 277 E) en produit plosieurs exemples, tirés de Platon, 
qni aimait ces manières de s^e^^primer. Plus tard, les écrÌTaùis ont bìen ez^éré cela. 
~^ Cf. Boissonade, ad Tlxeophyl., p. 189. 



IT. SOCRATE £T DIOTIMB. 291 

Ges éclairctssements suffisent, ce me semble, pour justifier 
rcpcplication 9 que nous avons propo$ée; peut-étre cependam 
ne sera-Hl point superflu de rappeler, au moyen de queiques 
exemples, que plus d*une fois l'art antique n*a pas dédaigné 
de traiter des sujets semblables. le ne parie point iei de cette 
maltìtude de statues et de bustes que fit naitre, surtout dans 
les derniers temps^ le désir de posseder les portraits des poétes 
et de3 philosophes dìsting^és^ je ne parie point de ces images 
dont les villes se plaisaient à orner leurs monnaies, pour ho- 
norer la mémoire de leurs plus illustres citoj^:», mais seu- 
lement de ces représentations qui, plus grandes et plus parf 
faites de conception^ célèbrent les héros de la science et des 
beauic^arts, On doit observer que dans ces sortes de composi- 
dons^ la règie generale quadopte lart est de preférer à Fid^e 
sifupje ndée mytkique, afin d'élever le snjet qu'il traile au* 
dessus de» cionditions ordinaires de la vie et de lui donner une 
plus haute importance. Gìtona en première ligne les montH 
ments qui se rapportent à Homère^ et d'abord la célèbre apo- 
théose(l) qui nous montre le poéte assis, entouré de figures 
allégoriques, exprimant son action et sa celebrile, et, parmi 
ces figures^ la Terre ( OÌ3cpu(JLey7i ) qui le couronne. Ou peut 
rapprocher de ce monument un fragment qui se trouve dans 
Fabretti(2), et la magnifique coupé dargent qui représente 
JSofìùre porte au ciel par un aigle, tandis qu a se& cótés sont 
assises \ Iliade et YOdy^sée (3). On doit également, avec 
M. Raoul Rochette, rapporter à Homere, à X Iliade et à l'O-* 
dys^ée un cuiieux bas-relief de stjle grec qi4 te trouy^ à 
Paris (4), et eneore un autre où ce poéte se montre entouré 
des Moses (^)j aussi bien qu un sarcophage célèbre sur lequel 

(!) TtaouDSi» Mut. Pio Oem., I , lav. B. — Milltn , Qal, mjtkol., US, 648. — Cf. 
Veuahmsh^ Fatte, jÉp^lo»y&.2iASoig, 

(7) FabMtti, Col, Trajam,, p. 315, t. II. --. Montf., Jnt. ^xpt. sappi., IV, 37, % — 
iaghii^aii, Omil, Omerica, 4. 

(3) IfiUin, <?ai mj^hol., 149, 549. — Miilingen, Jnc, uned, momun., il, I3. 

(4) Raonl Rocbette, Monum, inéd,, 71, 1. — . Orti , ^BMno». nel Giardino de* conti 
Giusti, Ut. IY Cf. Welcker, Ver epische Cjclus, S. 190. 

(5) Millin, Voyage dans le midi de la France, 72, 7; Gal, mytkol.. Idi liU, 547. 

19. 



292 IV. SOCRATE ET DIOTIME. 

il est représenté assis en face de la Muse épique{\). Sxit des 
vases niein^ (et lon sait qu en general ces sórtes de monuments 
offrent rarement des sujets historìques) on trouve de sem- 
blables représentations» Ainsi le fameux vase qui représente 
Sapho et Jllcée, bien qu'il n'offre pas les portraits de ces poètes 
célèbres, se rapporte à eux certainement (2); et K. O. MùUer, 
^u mojen de conjectures pleines de sagaci té, a mentre qu'ìl 
Éillait rappotter au poéte Cydias^ dont plusieurs écrivaìns 
nous ont transmis le nom (3), un autre vase décrit par M. de 
Wiite (4), sur lequel est représenté un joueur de cithare au- 
près d*un homme barbu, tenant un bàton et une coupé, avec 
rinscriptioiì XAIPE XÀIPE KYAIA2. Mais ce ne sont pas 
seulement les poétes qui ont été ainsi représentés : Philos- 
trate(5) mentionne une eompositipn spirituelle, où se voyait 
Ésope méditant de nouvelles fables, entouré des représentants 
des fables d animaux. Sur plusieurs bas-reliefs on voit Diogene 
le cynique dans le tonneau quii s'était choisi pour demeure; 



(1) ìttts, CapU., IV, 27. 

(2) Millingeiì, Anc. uned. mon., l, 33. €f. de Witte, Déicr. du cah. Durand, n^ 421. 

(3) Goett. gel. Anz., 1S40 , n° 60, S. 597 folg.... Sur Cydias, cf. Bnttmftnii ad PìmU 
Charmid., p. 155 D ; et Schjxeiàesf lUy Delectus, p. 375 sqq. — . Sur une coupé est re^ 
présente un vieillard qui joue de la lyre^ avec rinscription ANAX.P£OIY, et que l'an 
pent ainsi préndrepourlepoete (de Witte, Dèscrìpt. du cab. Dur., n^428). Da reste, il 
fant assurément apporter la plus grande circonspection dans la recherche et Texamen 
dea sujets historìques sur les yases peiots. Les inscriptions méme ne saoraient toujo«ff* 
servir de guide certain; et si le «om de Méliius, trouvé sur un vase peiiit (due de 
Luynes, Dese^. de vases, pi. 23) ne suffit pas pour nous autoriser à reconnaftre soos 
ce nom raccnaatenr de Socrate, tout anssi peu serait-on fonde à prétendre que le phì* 
losophe Panastius, bien que le monument porte écrìtlenom IlavQetTioc» est repré- 
senté sur un vase où Ton Toit un jeune homme lisant attentivement dàns un livre et en- 
touré de deux jeunes gens qui, enveloppés dans leurs manteaux, a*appaient sur leurs bl<- 
tons. Micali, Storia degli ont. pop, italiaai, tar. 103, 1 ; de Witte, Catalogue étrusque^ 
n* 1 63. Toutes les fois qu*un vase ne présente point une inscription qui réponde au sujet» 
il sera difficile d^oser proposer une ìnterprétation historique , et je dois avouer mime 
que rapplication qui a été faite de certaines figures de vases à Gorgias et à Sapho m» 
semble douteuse. Voyez de Witte, Catalogne étrusque» n** 155; Cat, Magnoncour, n^ 65 ; 
Pescript, de la coUect, d'antiquités de Jf . l^ wcomte Beugaot, nS 59. 

(4) Cat, Magnoncour, n° 81. 

(5) /mtfaf,.l,3. 



IV. SOGlUTlfc iST DlMlMltf. 29^ 

. ri 

un monument cimeux de h villa Albani (1) nons le tnontì'e 
ainsi, engagé avec Alexandre dans le célèbre dlalogue rap- 
pelé par Juvénal (2). 

Socrate, que nous croyons reconnaitre sur notre bas-relief, 
a été-, ckt reste, Ini aussi*, un sujet dont s est emparé lart 
plastìque. Lucien nous en offre le témoignage. Attendez-vous 
^ue quelque peintre survierme pourfaire vos portraitSy comme 
on représenfe les disciples de Socrate autour de leur maitre, 
dans la prison (3) ? S'il ne nous est parvenu aucun monument 
de lart qui réponde à ces paroles^ du moins possédons-nous 
encore des bas-relìefe où- Socrate est représenté avec la coupé 
de poisoii. Winckelmami (4) eh produit un exemple, et j*en 
chercherais volontters un autre dans un bas^relief sur lequel 
on a prétendu voir Esculape :. ici la figure qui , enveloppée 
dans un manteau, est assise sur un siége, et tient de la main 
<lroite une coupé,, de- la gauche un bàton noueux, offre évi- 
demment plus de ressemblance- avec un philosophe quavec 



(1), Wiackelmaoii , Monum. med., 174. .— Zbèga ^i^duvirnf. antieh, di Roma, 1, 3<l 
— Cf. Boissard, IV, 31.. — Spon, Miscdlan,,, p. 125. — Gauss,, Mut, Romam, 127. 
• (2) XIV, Slisqq. : 

SensU Alexander, testa cum ^idit in iììa 
Magnimi habitatorem , quanto Jelicior hic > qui 
NU cuperet, quam qui totum sibiposceret orbem, 

-m^ìe Ut savrais ici passer entièreiaeiit soaS'silenoe nn monument intéressant. Cest 
la, représentation , qui revicnt si sonvent sur les bas-felief» de terre cuite , d^un Silène 
dans la béatitade de l'ivresse , s'appuyant sur Eros qui l'embrasse , et précède d*une 
baccUante qui joue du tympanum ((^aylus. Ree. d'antiq,, V, 71.— >Zoéga, Bassirìl., II, 
39. — Gombe^ Descr. oj àne. termo. 5. — Crenzer, ^&&»ìU., 53, 4,S. 32. •— Hirt, 
,Bilderb., S. 226...^ Gerhard, Ant. Bildw., 88, 6). Zoe£^,;le premier, frappé du ca- 
ractère partieulier de. cette figure, a exprimé la pensée qu*eUe poiirrait bien représen- 
•ter Anacréon. J*avoue que cette opinion me séduit; on pourrait peut-élre méme la 
éopttfier par le rapprochement d^im fragment semblable (d^AgincourC, Fragm., 10, 4) 
sor lequel Tenfant est sans ailes,et le vieillard^ entièrement dépouillé du caractère de 
Silèoe. Mais d'autres bas-reliefs , qui paraissent avoir fait suite à ces sortes de repré- 
sentations, offrent décidément une ezpression qui n*appartient qu*aus sujet ^bachiqnes 
(d'Agincourt, Fragm,, 7, 3). 

(3) 'H irEpi(AéveTe lar ov ypafeu; tic éneXOcbv àiceixouno 0{tò^ , otou; Toòc^èv t(5 5e«T 
{UATt)p((p éraipouc t^ ScoxpaTei icocpaypd^poumv. Lucian., Peregr., 37. 

{^) ff'erke, Bd. 11,8. 143. 



294 1V% 90CBATB ST JDIOTIHB. 

le dieu de la médecine* Aussi ine semble-t*il que, poar ap- 

procher autant qae possible de Id vraiseinbkiice, on dote te- 

connaitre ìci Socrate tenant la coupé de poison, bien «|ua vrai 

dire la ressemblance du portrail soit très^eu frappante (1). 

La représentation qui a le plus d'analogie avec la n&cre, est 

celle qtii se trouve sur le célèbre sarcophage dés Muses : Tane 

des parois latérales de ce monumeni représente^ ainsi que 

nous Tavons déjà dit^ Homère avec la Muse épiquet sur la 

seconde, nous voyons Socrate Tetu d*un manteau, et assis 

devant une femme qui, entièl:ement enveloppée dàiis un long 

vétement, s'appuie sur un piiier^ daiis une pose méditatÌTB, 

et porte ses regards sur Socrate, qui éìèwe la main gauche en 

parlant (2). On a donne différents nonas à òette femme^ et re- 

connu en elle (outre Xantippe^ dont je ne parie point) la 

Philosophie ou la muse Érato, Il serait difficile^ en efiet, de 

préciser un nom avec certitude; mais, ce qui nous parait évi- 

dent, c'est que, de méme que les Muses se motit^nt sur les sar- 

cophages, en general, pour représenter la culture des sciences 

et des arts auxquels elles président , de méme se trouvent 

placés à coté d*elles, sur te sarcophage cité , deux de leurs 

plus chers favoris, le plus grand poéte et le premier des sages^ 

Sans aucun doute, une méme intention se révèle donc là, 

comme sur notre bas-relief de bronze, celle de représenter 

Socrate mis en rapport avec un étre féminin, atiquel il était 

redevable de sa scienee^ Il est inutile , au reste, de montrer 

combien à t6us égards le bas^'elief de Pompei Temporte àur 

Vautre. 

Une demière objection pourrait nous étre faite : reste à 
examiner, nous dirait-on, à quel usage était empio jé le cofBne 
auquel ce bas-relief sert d'ornement. M. Avellino a, il est vraì, 
démontré que cétait un coffre fort ; mais à quel propos y a*t-on 
place Socrate et Diotime ? — Ce n'a pas été sans raison, répon-» 



(1) Orti, Jiiomim, ant,dei conti Giusti, tav. 1. 

(2) Moffei, Race, p. U »>]• — Montfaucon, Ant, expL, sappi,, t. Ili, après U IX* 
pi, — Mus. Capii,, IV, 28. — Mus. Nap., I, 23. — Clarac, Mus. ile sculpt., 205. 



Vf. SOCBATB. ST OIOVIMB* 295 

drìons-nous ; car si Fon se rapp«lle le mythe que Dìotime ra- 
conte à Socrate» et où TAmour (Épcx);) est présente comme 
fils du Besoin (llfivia) et de TAbondance (IIópo;) , on saisira 
dès lors aisément les différents rapports qui rattachent cette 
composition au meublé qu elle embellit.- 

Qtto JAHJV. 



296 V. ARSUIOB PKILÀDSL»HB. 



eessassassasafisae! 



ARSINOÉ PHILADELPHE. 



( Moti, y PI. iLxxnx. ^ 



Ptolémée Soter, pour cimenter son allianoe avec Ljsìmaque, 
lui donna en marìage sa fiUe Arsìnoé; celle-ci, jeune épouse 
d*un prince déjà avance en àge, en eut deax fils, Lysimaque 
et Philippe. Mais le roi Lysimaque avait, dun premier ma- 
riage, un fils nommé Agathocle; Arsinoé concut pour ce jeune 
prince une jalousie et une baine de maràtre, et lorsque Pto- 
lémée Céraunus, fils ainé da Soter, prive de tout espoir de 
succèder à son pére, se fut refugié auprès d'Agalhocle^ Ar- 
sinoé, inquiète de Tavenir de ses enfants, essaya d*abord d*em- 
poisonner son beau-fils, puis réussit par ses accusations à 
exciter les soupcons de Lysimaque. Agathocle, jeté dans une 
prison, y périt d*une mort violente, sans que Lysimaque, in- 
forme de la fraude d' Arsinoé, pùt s'opposer à cette iniquité, 
se trouvant^ malgré sa grandeur, prive de soutiens et damis. 
La mort de ce prince tue, en Asie dans un combat contre Sé- 
leucus f, fut promptement suiyie de celle de son vainqueur 
assassine en trahison par Ptolémée Céraunus, auquel il ac- 
cordait une généreuse protection. Dans ce désordre, Céraunus, 
cherchant à se rendre maitre du royaume de Lysimaque, 
s approcha de Gassandrìa où sa soeur Arsinoé était renfermée; 
il lui jura solennellement de la prendre pour femme et de 
protéger ses enfants; mais dès que la malheureuse Arsinoé, 
rassurée par les serments du perfide, lui eut ouvert les portes 



V. AKStnòà PHIliADKLl^HS; 297 

de la TtU^, Giéraiinus occupa la citadelle, mit à mort ìes en-^ 
fants de sa soeur et la relégua dans File de Samolhrace. Lui- 
ménie pérìt de la maìn des Gaulois, qui l'avaient fait prison- 
nier après un sanglant combat. 

Arsitioé languissaìt a Samothrace dans le deuil et dans lexil; 
après la mort de Céraunus et la déposìtion de son frère Mé- 
léagre, Ptolémée Philadelpfae reclama de Sosthènes la li- 
berté de sa sceur Arsinoé, et la recut avec honneur dans sa 
cour, la plus splendide de toute l'antiquité. Philadelphe avait 
pour femme Arsinoé, fiUe de Lysimaque; celle-ci, atteinte 
d'une jalousie subite, osa tramer contre son époux une 
conspiration où son médecin, Chrysippe de Rhodes, fut son 
prìncipal complice. Ptolémée la punit par Texil à Coptos en 
Thébaide, où elle termina sa TÌe misérable. Trois enfants 
restaient de ce mariage. Ptolémée, en épousant sa soeur Ar- 
sinoé, les confiait à sa générosité; elle fut pour eux une 
mère aussi tendre qu une épouse chérie pour leur pere. Pto* 
lémée, la comblatit des marques de la plus vive affection, 
donna son nom à la ville de Patara qu'il avait presque rebàtie. 
L*an.77 de Fere des Lagides, Arsinoé mourut dune maladie 
que Fon attrìbuait a la vengeance de Diane, irrìtée de ce que son 
image eùt été enlevée de Séleucie sur FOronte, et transportée 
en Égypte par ordre de Ptolémée; ce prince témoigna sa dou- 
leur et ses regrets en cherchant à immortaliser le souvenir de 
sa soeur : il lui dressa une statue de quatre coudées doni la 
matière était une topaze, que le gouverneur d'Arabie, Philé* 
mon, avait autrefois apportée à Berenice; il erigea sur le pro- 
montoire Zéphyrien un tempie d' Arsinoé , sous le nom de 
Vénus Zéphyritide; il fit commencer dans Alexandrie, par 
Farchitecte Dinocrates, un autre tempie qui devait étre voùté 
en |»erre magnétique ; il fonda dans le Delta et orna d'un 
obélisque la ville d' Arsinoé dans le nome Arsinoite (1). Più- 
sieurs autres villes portèrent aussi le nom de cette princesse, 



(1) Cf. VaiUant, ffist. Ptolem., p.d4, 36, 42,44. Vùcontì, Iconog. gr,^ 2^ partie, 
574,676. 



298 v« AAsnrov pbilapblpbb. 

et celai de Ptoleliiee fat donne au fleu^e qui €oiibit pt^^ d*Ai^ 
sipoé dans le golfe de Gharapdraé 

Uopulence inouìe des pi?emieiiB Lagides el letir goùt pour 
les arts sont attestés par les aQciena,«dont le témoignage esl 
confiriné par la numisniatique; les Ptoléméea ani frappé un 
très-grand nombre de monnaies d or d'un module et d'un poìds 
dont n'approcbe aucune des autres monnaies grecques. 
Deux Arsinoé figurent dans cette riohe i(K)nograpliie nK>né- 
taire^ La pjl'emìèfe^ à eause de son amour pour son finère, 
porte le surnòm de Philadelphe^ l'autre, celui de Philopator^ 
oe qui détérmine aveo certitude à quelle epoque appartieni 
cbacun de cei portraits. Arsinoé Philopator a la téle nue^ 
coiffae deJa stéphané ; Arsinoé Philadelphe est voilée^ coiffée 
de. la stépliané^ et sous son voile se distingue une come de 
bélier qui^ partant de ses t^npes, s arrondit et vient parai- , 
tre au-^dessous de Toreille. Les deux rekies ont sur l'épaule 
un sceptre tantòt uni ^ tantót orné de perles ou en torsade ^ 
dont le fiommet, forme par une fleur de lotus, parait spit au« 
desSUs de.leur télte, soit sur leur épaule^ selon l'ìnolinaiaoti 
qU atait donnée l'artiste à ce symboié de la digntté royalè. Les 
numismates pensaient que la fleur de lotus. était un orneinent 
de la coiffìire rojale; ila n'ont pas,* je erois, obsenré jufl«> 
qu ici la come de bélier, attribuì d' Arsinoé Phxladdplie, sur 
toutes ses médailles d'or et sur son grand médaUlon d'ar^ 
gènt dont les dimensions aurpassent celles des médailloiis de 
Syracuse (1). 

Les médaillons d'or d' Arsinoé Philadelphe soni de dcox 
espèces tròs>diverses ; la première offre un travail simple^ 
doux. et gracieux^ la seconde atteste une main rude, peu 
fiatteuse, et dont l'oeuvre doit sapprocher davantage de k 
nature, tandis qUe l'autre a reeherché l'idéal des forraes «e la 



(1) Cette pièce pése 35 gr. 41 ; les monnaies d*or d* Arsinoé, 27, 77; celles avec la 
legende OEQN AAEA4K2N, le méme poids; il en est de méme des antres médaillons 
dW des Lagides. Celui de Pudémée Soter a^ec Taigle aa revers péso 17, 82, poids 
approximatjf du tétradracbme attique. 



V. ARSnrOB PHlUJMIiFHB. 209 

noUesse da slyle. G'est à oe graveur qu'appiirtieùt ìt médaillon 
d'asgenC d'Arsinoé. 

En «xaminant ìes monnaìei da?, celie prìiicesse) on est frappé 
de leur analogie avec celléa de Philistis, reine de Syracuse. 
Maia ot n'en est pas surprìs en Se souvenant des liens d'amitié 
qm unissaient Hiéron il et sa fandlle avec celle des Lagides 
et des rapporta continuels entre la Sicìle et FÉgjptei k cette 
brillante epoque où les princes syraousains luttaient de goùt, 
si ce n*est de richesses^ aveò leurs alliés des rives du Nil(l). 
G est aux efforts de cette heureuse rivalité que nous devons ^ 
sans doute, les beaux médailions de bronze et d argent d'Hié- 
ron 11^ ceux de Philistis et d*Hiéronyine^ comme le souvenir de 
ce magnifique navife que fit construire Hiéron pour le donner 
ensnite à PtolÀnée. 

Il existe un petit médaillon d or d'Àrsinoé, pesant 1 3, 88 (2); 
cette pièce est d*un travail dur et anguleux, comme les mé^ 
daiUons de la seconde espèce ; et les antiquaires , fràppés de ia 
grande dìffiérence de ces médaillea d'Arsinoé avec eelles d'utlè 
bette Fabrìque, otit pensé quelles avaient dù étre^à une épo^ 
que très'postérieure/ restituées par quelquun des derniers 
PtoléiaéieiB. Mais rien ne nous semble autorisèr cette con-» 
jecture. En premier lieu, le travaìl monétaire doit s'étre dou- 
tenu longtemps en Egjpte à peu près au mème niveau souA 
les successeurs de Ptolémée Soter, puisque nous avons ics mé- 
dailions dor de Ptolémée yill(3), dont le mérite, lexécution 
soignée^ le haut relief et le style, secartent peu deS piètes 
d'or ÌFràppées par les preihiers Lagides. 

Dune autre part les monnaies des princes grecs, frappées 
dans diverses localités , offrent souvent de telles différences de 
caractère et de travail , qu*elles paraissent d abord appartenit 
à des époques très-éloignées , et la numismatique des rois de 

(1) ThéoGtite a célèbre les lonanges des unset des antres; Calìimaqae a éìanté 
ceUes de PtoHniée. , 

(2) C'est le poids du petit médaillon à qaatre tétes avec la legende 6EQN 
AA£À4»aN. 

(3) Il faut observer que M. Millingcn les attribue à Ptolémée IH. 



300 V. AHSlNOl^ PHILADBI.PHE; 

Syrie éa produit des exemples très-nombrenx à càuse de ia 
vaste étendue de leur empire. Les monnaiés de S^éticas II) 
en or, et celles d^Antiochus Vili, en argent, ne se ressem- 
blent quelquefois que par des analogies dans le portrait et par 
ridentité du revers et de la legende ; quant au travail , il est 
aussi dift*érent que celui des Parthes peut Tètre de la savahte 
exécutìon des grecs d'Antioche. 

EcLhel (1) a montré combien d'incertitude régnait sur les 
dates que l'on trouve sur les médailles d*or des^Lagidés, et sui 
celles d*Arsinoé en particulier; les lettres isolées sur les mèmes 
raonnaies n ont pas irrécusablement la valeur ni la significa^* 
•tion (fne Vaillant prétendait j constater. 
' Ainsi les inductions que Ton pourrait tirer du travail des 
médailles lagidies en or ne sont pas suffisantes , puisque la 
gravure monétaire est restée stationnaire en Egypte pen- 
dant une longue suite de rois. On peut s'en convaincre en 
comparant les médaillons d'or de tous ces prìnces jusqua 
Ptolémée Vili. Les dates ne sont pas assez positives pour 
quon en déduise quelque conduston certaioe; les lettres 
isolées n*ont pas non plus une valeur bien déterminée, et la 
différence entre les médailles d'or d'Arsinoé Pbiladdpfae ap- 
partieni pliitòt au graveur qu*à toute autre cause, puisqu elles 
montrent les mémes traits e&primés avec gràce ou rudesse. 
. On attrìbue encore, sans trop de motifs, a une restitution 
de Ptolémée UI, les médaillons à 4 tétes oìi la legende 6EiIN 
AAEA^QN se lit tout entière du coté des tétes accolfées de 
Philadelphe et d*Arsinoé, tandis que Fon donne a Ptolémée 
Philadf Iphe celles ou la> legende est disposée de sorte que le 
premier mot se trouve au-dessas de Ptolémée Soter et de 
Berenice, le second au-dessus de leurs success^urs. Le méme 
arbitraire parait avoir guide les numismates quand ils ont 
donne à Berenice , femme de Ptolémée III, le médaillon d'or 
avec la téte voilée de femme et la corne d abondance au ré- 
vers. Car, si Ton admet le fait très-contestable des restitu- 

r 

(I) OocMia/it.^t. IV, p. 8-13. 



▼. ABSIirOR PHILADSIiPHS. 301 

tionSy pourquoi Ptolémée III, auquel on en dontied^à plu^ 
sieurs, naurait-il pas aussi restitué le portrait de son aieule 
Berenice? 

C'est cette princesse que Visconti a cru reconnahre daiis 
un buste en bronze du Musée de Naples. La ressemblance 
n est pas bien evidente , et peut*étre là, comme ailleurs, Vis- 
<K>nti s'est^ìl laissé séduire par son désif de trouTer des por^ 
.traits; le médaillon d*or où Visconti croit reconnaitre Berenice 
Eyergète nous montre une téte de femme dont le profii et la 
<;o}ffure rappellent bien . fidèlement. la téte de reine accolééà 
«celle de Ptolémée Soter sur les médailles d'or à 4 tétes. Ne 
faut'il pas en conci ure que c*est la méme Berenice (1)? 

Si Visconti a pu donner ce nom à un bronze du Musée de 
Naples, on n'avait encore produit dans les iconographìes au*^ 
«cune oeuvre de sculplure qui ressemblàt aux médailles d*Àr<^ 
sinoé Philadelphe. M. le comte de Pourtalès possedè seul une 
téte de marbré grec venue d*Alexandrie, et que lon peut, avec 
yraisemblanee , considérer comme un portrait de cette reine 
-célèbre. La téte est d'une forte proportion ; elle devait appar*- 
tenir à une statue d'environ deux mètres de hauteur; le nez 
est brisé au tiers de sa longueur, mais une partie des narines 
est antique. Une légère atteinte a dégradé le sourcil gauche; 
quant à la partie de téte qui manque depuis le coté gauche 
jusquau sommet du cràne, ce n'est pas une mutilation, mais 
une interruption de la matière retaillée et dressée à la gradine 
dès répoque où la sculpture fut exécutée. Les cheveux ne sont 
terminés que depuis le front jusqu'auprès de loreille; le reste 
est indiqué par des masses bien disposées, mais d'un travail 
inachevé. En remarquant les trous percés dans ce marbré, l'un 
au milieu de la téte, l'autre au lobe inférieur de Toreille, les 
quatre demiers horizontalement et contigus au point de jonc- 



(1) TXottB ajouterons qne PoUux mentionne parmi les monnaies céìèbres celle que 
l*on appelait Bérénicion. Si les pièces d'Arsinoé Philadelphe avaient été frappées arant 
celles dites Bérénicion^ il est mai^ifeste qu*elles anraient donne lenr nom à cette sèrie de 
pièces d*or; mais si les monnaies de Berenice appartiennent à la mère d*Arsinoé, il est 
tontnatorel qne le nom de Berenice ait prévalu. Pollnx, Onom., Uh, IX, seg. 84, 85. 



302 ▼• ABSINOB PBILADBLVHB. 

tion dtt col et des chereux, on reconnait sur*le^bamp que 
cotte figure a porte des ornements de bronze ou de metal, tels 
que des boucles doreille, un diadème et un voile, et cette 
observation explique l'état inaoheTé de la eherelare alasi que 
FiDsuffisance primitive du marbré au sommet du orane. 

Le caractère distinctif de cette téte est un travail lai^e, un 
beau modelé, et de la grandeur unis à un type qui n'a rieii d'i- 
déal. Les yeux sont très-ouverts, le front est bombe, le nez, 
dans sa partie antique, indique un léger creux vers le milieu, 
et la reatauration , qui n a pas été faite à dessein, s'est con» 
formée naturellement à cette dispositton. La bouche petite et 
gracieuse, le menton saillant et anguleux, la joue large, enfin 
tout l'ensemble de k ligne faciale achève la ressemblance de 
QCtte téle «vec les portraits d'Arsinoé Pfailadelphe sur les me- 
dailles d'or et d'avgent ou oelte princesse est représentée. Telle 
était l'opinion que nous en avions concue à la première ins- 
pection^ nous eùmes la satisfaetion de la Toir partagée par 
pluMCurs antiquaires comme par le possesseur de ce beau 
fragment qui le fit insérer sous le nom d'Arsinoé dan&le cata» 
logue de ses antiquités (1). 

Due DB LUYNES. 



(1) Descr. des ani. deM,U C. de P,, n<t 91. 



VI. AMPHORB Dtr MVSBB DE NAPLES. SOS 



ti-ivn.m ;g! ' ,t:\ ,ii:r.:',;\ ,ì.ì,. ,,,r r . i , UtiW ■ :;r^-" i iJ>" ■ ' i/.f-. s 



AMPHORE A SUJET COMIQUE 



DU 



MUSEE DE NAPLES. 



■ ■■ I ti 



(MoHtUH., PI. XXXI.) 

M. Ph. Lebas^avant de partir pour un voya^e en Grece, 
tious avait fait espérer une explication détatilée de la grande 
composition gratée sui* notre planchè XXXI. Presse de ter* 
miner Timpression du tréizieine volume des Ànnales^ le comité 
de la Section francaise de Tlnstitut archéologique ni*a chargé 
de donner une simple descriptìon de Tamphore à sujet comìque 
du Mus^e de Nàples. €l*est donc pour répondre à la deniandé 
du comité et en attendant le traTail de notre sa^ant collabora- 
teur, M. Ph. Lebas y que nous donnons une courte notice sut 
la peinture remarquable à tous égards que Tlnstitut archéolo* 
gique public ici pour la première fois. Nous laissons au savant 
académicien le soin de pénétrer dans le sens de la scène, d'ap^ 
précier leròle que jouentles dìvers personnages qui pfeiineut 
part au dratne, et d'expliquer les détails de cette vaste compo- 
sition. P6ur nòus/ notre tàche doii se bomer à une simple 
htjicalion descriptive du sujet, destinée à servir de téxte ex* 
plicatif à la planche XXXI; quant à savoir quel drame a pu 
foumir l'idée de cette peinture et quel sens exprime lensem- 
ble du sujet , tout cela est du domaine des recherches aux- 
quelles s*est livré notre savant coUaborateur. 

fj'amphore à volutes,gravée sur notre planche XXXI, est une 
des grandes pìèces en terre peinte découvertes dans ces dei*. 



304 VI. AMPRORB. . . 

nières années à Ruvo dans la Basilicate, pièces qui sont vetiues 
enrichir la nombreuse coUection de yases peints du Musée de 
Naples (1). Dans le Bulletin de 1837 (2) se trouve une des* 
cription assez incomplète de la peintiire que nous avons sous 
les yeux : les inscriptions surtout ont été mal copiéeSL Le méme 
défaut existait dans le calque que s'était procure M. le due de 
Luynes , calque qui a servi à la gravure de notre plancfae ; 
mais , pendant nion séjour à Naples au mois de septembre 
1841, il ma été possible de relever atee soin tous les noms 
inscrits auprès des principaux acteurs. La graviure que nous 
ofFrons ici reproduit donc exactement la peinture originale et 
toutes les inscriptions. 

La composition qui se développe tout autour de Fampbore 
se divise en deux rangs de figures superposées : la iace princi- 
pale) celle où pi^sque tous les personnages ont des noms, 
commence à la gauche de notre planche et se termine à la 
colonne dorique, surmontée d'un trépied, qui se trouve au cen- 
tre du tableau. Les trois acteurs tenant des masques, placés à 
droite de la colonne , font cependant encore partie du grand 
tableau. L'autre partie de la scène se trouve peinte au revers. 
Plusieurs groupes subdivisent les deux rangs de figures. Au 
rang supérieur, le premier acteur place à la gauche de la com- 
position, se nomme ETNIK02, Eunicus. Cesi un éphèbe 
^ssis , les jambes croisées , qui se retourne vers le groupe sui* 
vant ; sa téte est ceinte de lierre, et dans sa main droite on voit 
un masque barbu à oreilles de satyre. Un cale^on avec une 
queue de cheval et un phallus posticcie est attaché autour des 
reins de cet éphèbe, particularité que nous retrouvons dans un 
grand nombre de personnages de cette scène ; seulement le 
calecon d'Eunicus est forme d'une étoffe brodée, taodis que 
ceux des autres acteurs sont faits de peaux velues (3). 

Suit un trépied orné de bandelettes. Après se présente un 

ìi) Gerhard, BuU,, 1840, p. 188. 

(2) P. 85 et p. 97 et sniv. Cf. Gerhard, /. cit. 

(3) Cf. ee qni a été dit sur ces sórtes de cale^ds aTéc des phallus postidies , 
daiift VÉlite des monumenU céramographiqnes, I, p. 144. 



DU MUSÉB DE NAPLES. 305 

groupe compose de troìs personnages. Les deux premiers sont 
des éphebes nus y ayant tous les deux des calecons de peau 
velue , avec des phallus , et tenant à la main un masque saty- 
rique barbu. L'un de ceux-ci est couronné de lierre et son uom 
trace près de sa téle se Ut tVAIIAN, Euapan (1). Le second 
se nomme A11PO0EO2 , Dorothéus , et ce nona est écrit sous 
ses pieds. Le Iroisième personnage de ce groupe est un roi en 
costume asiatique. Sa tunique talaìre et son péplus sont riche- 
meQt brodés et ornés de chevaux et d'autres figures. Dans sa 
inain droite se voit un masque barbu d'un caractère grave., Le 
nom de Midas pourrait étre attrìbué à ce personnage. 

Une vigne séparé le groupe précédent d'une cline sur la- 
quelle reposent trois personnages, un homme et deux femmes. 
AIONY202, Diony^susy reconnaissable dailleurs au thyrse 
qu'il tient et à la couronné de lierre qui entoure son front , 
tient embrassée Ariadne. Le dieu a le bas du corps enveloppé 
dans uu riche manteau à franges^ sur le quel sont brodés divers 
sujets , entre autres QEdipe et le Sphìnx. Jriadne est revétue 
de la tunique couleur de safran , nommée KpoxcoTÓ^ (2), par- 
dessus kquelle est jeté un péplus enrichi des plus belles 
broderies. La seconde femme placée sur la cline ne peut étre 
c^Vi Aphrodite , auprès de laquelle parait IMEP02 , Iméros^ ac- 
croupi, qui tend une bandelette à sa mère. Aphrodite est revé- 
tue d'une tunique talaire asiatique très-riche, sur laquelle sont 
tracés divers dessins, et d'un petit péplus brode. Dans sa main 
gauche est un masque coiffé d'une espèce de tiare. Le nom 
àìOmphale pourrait aussi convenir à cette femme qui regarde 
du coté du personnage dans lequel nous croyons pouvoir re- 
connaitre Midas, Mais ailleurs (3), nous avons déjà faìt remar- 
quer les rapports étroits qui existent entre Omphale , la reine 
guerrière de Lydie , qui fait perir ses amants , et TAphrodite 



(1) Ce nom est compose da nom dePan/accompagné de racclamation bachìqae 
EOot, evohe, evan. 

(2) Arìstophan. Raa, 46 et ibi Schol. ; Suid. xm^ nterbo; Athen. V, p. 198, D. 
Cf. Panofka, Nusée Blaeas, p. 41, note 12. 

(3^ C/U. Magnoncour, p. 36. % 

20 



306 VI. AMPSORB 

Àv^po9Óvo$ (1). Ainsì^ quel que soit le Tiom qu*oii prefère, 
Aphrodite ou Omphale ne sont, à notre avis, que des noms 
difFérents d*une seule et méme dÌTÌi)ìté. 

Le groupe qui vieni après la cline se compose de deux ac- 
teurs. Le premier figure HPAKAH2, ^^m^/e,reconnaissable 
à la peau de lion et à la massue. Du reste,*le héros est revétu 
d*un riche costume asiati que. Par-dessus sa tunique courte à 
manches , toute couverte de broderies , est une cuirasse. Dans 
sa main droite est un masque coiffi^ du roufle du lion néniéen. 
Le second acteur est revétu d une peau velue qui recouvre ses 
bras et ses jambes ; tine peau de panthère est suspendue sur 
son bras gauche; il tient une baguette, et dans sa main droite 
on voit un masque barbu , diadémé et couronné de lierre. Le 
nom de Silène nous parait devoir convenirla cepersonnage, et 
ce nom nous semble d'autant mieux justifié, que les rapports 
de Midas et de Silene sont connus. 

lei se trouve la colonne dorique surmontée d'un trépied, 
dont nous avons déjà eu occasion de parler. 

Suitun éphèbe nu, nommé KAAAIA2, Callias, revétudun 
calecon velu avec un phallus postiche. Get éphèbe est assis et 
se retoume vers la cline du centre ; dans sa main gauche est 
un masque de satyre. 

Maintenant vient un groupe de neuf figures qui occupent 
les deux plans. Tous les personnages de ce groupe n ont pas 
de masque. Au centre, un éphèbe couronné de lierre s'appuie 
familièrement sur une jeune fiUe qui porte un flambeau allume, 
L'éphèbe, qui n*a pour tout vétement qu'une chlamyde, porte 
une lyre. La bacchante est couronnée de lierre et revètiie d*une 
tunique talaire. Ce groupe est précède d'un satyre tibicine, 
Comus ou Marsyas , dont les jambes sont cachées. Une peau 
de panthère couvre ses épaules. Devant le satyre sont un tré- 
pied et une colonne d'ordre dorique. A la suite du couple 
place au centre vient, en volant, un Amour qui joue des cym- 



(1) Plutarch., Antator., t. IX, p. 76, ed.Reiske. Cf. men ttrticie mt Penèlope, An». 
de Vinsi, arch,, XIII, {A 266. 






D1I MDjSBS DE 19APLB$. 307 

b^$. A sa suite marche uti satyre qui porte nh thyrscv^t un 
casithare. Au second rang sont deux autre3 satjres et éeaxx 
ménades, Tune arm^e d'un thyrjse, Tautris d*uii Hambeau. Gette 
dernière semiale repousser les atiaques.du^satjrre qui lac fómrr 
s«t ; Tautre , aniiiiée de la fureur des orgie8,.se Jivre à la dansè. 
Pr<ès.delle<es£ unefpanthère. Cette scène. pourrait représenjfcér 
OrpAée ramenant Eurydiee des enOers (1 ). 

En continuant la de^crìption d^sgroupes du rang ihfiériettr) 
noas rencoutrons d'abord près de la 9cèAe qua noiis venons de 
décrìre et en- retournant dedroite à gauche , deux.aeteuts de 
formes juvénileS) tous deu^ tenaut à.la ina^n un naasquesatyi- 
rìque. L*un est nu> à lexception du calecon velu que nous 
avons rbn<30nu*^{d^à plus,d*uufois fFiutré est xeréta d'une 
tuniquecourie qui descend juaqu'auk gendux, et d'un mantead' 
brade. •••.,. i . j ].':■''■•.' 

Suivent deux autres éphèbes nus, aree des phallus postiches 
et des calecons de peau velue. Tous les deux portent des 
masques. Le premier, 4>1A1N029 Philinus y est assis sur les 
degrés qui portent la colonne dorique surmontée d'un tré- 
pied. Le second, AIHN, Dion , est debout et s*entretient avec 
son compagnon. 

XAP1N02, CharinuSy na pas de masque; il est debout et 
nu, à l'exception d'une chlaena qui couvre ses épaules et* 
retombe par derrière ; de la main gauche il porte une Ijre. 
ÌIPONOM02, Pronomus (2), est une jeune fille assise sur un 
siége à dossier ; elle joue de la doublé flùte. Un riche costume 
asiatique compose d'une tunique talaire à manches, chargée 
de broderies, et d'un manteau d^étoffe unie, la couvre de la 
lete aux pieds. 



3s (3) et AH] 



Suivent NIK0AEAH2 {sic) Nicoledès (3) et AHMHTPI02 , 

(1) Cette marche ou pompe a beaucoup d'analogie aver les scènes du retoar de Vul- 
'cain à l'Olympe. Voyez VElite des monuments céramographiques, pi. XLI et suiv. 

(2) npóvo|toc étant da genre féminin aussi bien qne da genre mascalio , peat étre 
' accepté comme nom de femme. 

(3) Le X est assez mal forme, et pourrait étre pris pour les deux premiers jambages 
d*oii (Ji. Dans ce cas le nom dcviendrait plus régalier, Ntxo{JLE§Y]c. Mais je n'ose rien 
affirmer à cet égard. 

20. 



308 VI. AMPHOIMB DU -MUSBB DB NAPLES. 

Démétrìus, deux éphèbes nus. Le premier, la téle cou- 
Terte de son masque de satyre et avec soti phallus postiche 
rattaché au mojen d*un calecon velu , danse en étendant la 
main gauche: Démétrius ne semble pas étre masqué ; il est as*^ 
sis et porte des rouleaux. Pour toul yétement il n*a que la 
chiaena qui laisse nue toute la partie antérieure de son corps. 

Le dernier groupe enfin de cette grande peinture représente 
deux éphèbes revétus d*un calecon velu. L un porte le nom de 
NIK0MAX02, Nicomachus, Tautre celui de XAPIA2, Cha- 
rias» Le premier porte un masque a la main ; Tautre y sans 
masque, appuie le pied sur un roeber ; devant lui on voit une 
lyre. ^ 

Tel est Tensemble de cette vaste composition' théàtràle, pour 
rinterprétatión de laquelle nos lecteurs doivent attendre le 
travail de M. Ph. Lebas, que nous nous bomons à annoncer. 

J. DE WITTE. 



VII. BUSTE DB SOPHOCLE, ETC. 309 



BUSTE EN ÉRONZE DE SOPHOCLE, 



ET 



STATUETTE D'UN PERSONNAGE INCONNU. 



( Mon. pi. xzui et zxxui et pi. u, 1841.) 

De toutes les questions que soulève Texplicatìon des monu- 
inents antiques, nous n*en connaissons pas de plus delicaleset 
de plus didlciles à résoudre quje celles auxquelles donne lieu 
rattrìbution des portraits, lorsque des inscriptions ou d*autres 
circonstances aussi claires ne viennent pas fixer les incertitu* 
des de Tinterprète. Le buste de bronze que nous avons re- 
produit sur notre planche XXXII , en offre une preuve évi- 
dente. Son premier possesseur, le fameux Thomas Howard, 
coaite d'Arundell, le consìdérait comme un portrait d'Homère. 
Il avait ce monument tellement en gre, qu il se fitreprésenter 
par Van-Dyck avec le prétendu buste d*Homère à còte de 
lui (1). Daus le xviii^ siècle^ ce bronze admirable avait passe 
dans la collection du célèbre médecin Richard Mead. A cette 
epoque, il fut grave à deux reprises^ et d*une manière très- 
habile, par Baron ; la première fois de profil et de grande pro- 
portion, d'après uà dessin de Wood,. pour servir de fron- 



(1) Yoyes le portrait de lord et deUdy Amndell, grave par Vorsterman d*apr«s 
Van-Dyck. Le pretenda Homère figure aussi parmi les accessoires du portrait de lord 
Anmdell, qui fait partie du Recueil de Birch, the Headt o/the most iUustrious^Persons 
9fGreat Britain. 



310 T|I. BC5TB UE SOFSOGLF 

tispice à une édition de la traduction d'Homère par Pope ; la 

seconde foifr de face , pour une publicatìon iconographique , 

dont nous n avons pu retrouver le titre. A la vente du docteur 

Mead, en 1755, le monumènt en question futacquis par le 

marquis d'Exeter, qui en fitdon, cinq ans après^ au niusée 

Brìtannique, où il figure aujourd'hui au milieu des marbré» 

Towntey. M. Taylor Gombe, dans la Description des marbres 

du musée Brìtannique , part. II, pi. xxxvl, eleva le premier des 

doutes sur lattribution à Homère du bronze d*Arundell. Il fit 

voir le peu de rapport que ce portrait offre avec les type& 

d'Homère que nous connaissons d'une manière authentique; 

Il ^réfuta l'opinion soutenue dans le catalogne du cabinet du 

docteur Mead, suivant laquelle le bronze d'Arundell aurait 

été un débjpis de la statue xl'Homère^ placée jadis dans le 

Gymnase de Zeuxippe à Gonstantinople , et detruite dans 

l'incendie de ce monumènt qui eiìt lieu la cinquième an- 

riée de l'empire de Justinien. Enfin le mème saVant proposa 

de substituer au nom d'Homère celui de Pindare. Pour s'ar- 

réter à cette dernière àttribution , M. Combe ( quoiqu'il ne 

Tait pas dit) s'appuya sur une opinion de Tauteur du Ìlfa- 

seum 'Capìtolinum(ì) y lequel, en etfet, (lonne à Pindare un 

buste en marbré, place dans cette collection, et qui doit étre 

considéré comme une répétition du bronze'd'Arundell ; mais^ 

l'inscription que porte le buste du Capitole n'est point antique^ 

et déjà Visconti avait rangé ce dernier monumènt parmi les 

portraits de Sophocle (2). A notre sens, il doit en étre de méme 

du bronze d'Arundell, quii est étonnant que Visconti n'ait 

rappelé ni dans leMusee Pio^Clémentin^ ni dans \ Iconographie 

grecque. Je range avec moins d'hésitation encore, parmi les 

portraits de Sophocle, le petit bas-relief en marbré découpe'^ 

décrit dans le Catalogne du cabinet de M, le vicomte Bengnot, 

sous le numero 293. Nous donnons, PI. l, 18i.4t, le elessi» 

de ce monumènt précieux de l'art grec, qui, du cabinet 



(t) Toin.I^ii°38. 

(2) Museo Pio'Clem.y tom. V, tar. 27. 



£T STATUETTE INGONNUE. 311 

.JBeugnot, a passe dans celui des Médailles et antìques à la 
Bibliothècjue royale. Il représente le poéte sur un tróne 
d'une forme elegante et tenaiit des deux inains un volumen 
déroulé. Les traits de ce portrait qui) comme le bronze 
d'Arundeli, portent Feinpreinte de la vieillesse, ont plus d ana- 
logie encore quis ce dernier monument avec les deux bustes 
de Sophocle, accompagnés d'inscriptions^ qui figurent dans 
riconpgraphie grecque de Visconti (1). De méme que sur ces 
deux marbres , le.nez y est droit et non légèrement aquilin 
comme sur le bronze d'Arundeil. Toutefoìs, cette diflerence 
ne nous empéche pas de maintenir^le buste du Capitole et par 
conséquent le bronze d'Arundell parmi les portraits de Sopbo- 
cle. La rondeur de la face , la barbe courte , quoique touffue , 
les cheveux ramenés sur le front, sont auta^t de caractères 
qui nous semblent £xer lattribution d'une manière irrévo- 
cable« 

Sur tous ces monuments , Sophocle porte le diadème : afin 
de prevenir tous le$ doutes, nous voudrions pouvoir dire, 
avec Visconti, que Sophocle est, après Homère, le seuI des 
poétes grecs auquel appartienne cette distinction. Mais cette 
assertion de Tillustre antiquaire ne doit s entendre que des jno- 
numents.qui sont parvenus jusqua nous : nous savons, par la 
description qu'Eschine (2) a donnée de la statue de Pindare 
qui existait à Atbènes, au-devant du Portique-Roi^ que ce der- 
nier poète avait été aussi décoré de cet insigne de la rojauté 
littéraire. Toutefois cette obseryation ne suffìt pas pour nous 
ramener à lopinion de M. Combe. Pindare, il est vrai, parvint 
jusqu a un .àge avance^ mais sa vieillesse n'eut rien de particu- 
lièrement célèbre ; tandis que Sophocle conserva jusque dans 
les dernières années de sa vie la vigueur et la jeunesse de son 
talent. On saìt que la lecture de la tragedie ò!OEdipeà Colone y 



(1) Tom. I,pL 4. 

(2) Epist. lY. Ol 6è {i(JL£tepoi Tcpóyovot [ol 'AOiQvaTot] òihXyjv auTtj) tt^v X^t^dw àfréSo- 
ffoevy {texà toO elxóvi x^Xyt.^ Tifjifiaar xal i^v aun^ , xal eI( i^(jLà( Ixt, npò x^c pouitXeCou 
9Toac y xa6iQ{ievo; èv8u(jkaTt xal Xvpqc d IltvSapoc , §ià6T](jia s/cov , xal i%\ xm YOvaTuiv. 
àyeiXiY(<ivov ^léXiov. ,. 



I 



312 VII. BUSTE DE SOPHOCLE 

qui ne fut représenfée qu apròs sa mort, lui senrit à confondre 
devant ses juges l'outrage que lui avait fait son propre fils, en le 
représehtant cornine incapable d'administrer ses biens, à cause 
de raffaiblissement de son esprit (1). On comprend donc qu'un 
artiste ait vonlu exprìmer de préférence , dans l'effigie de So* 
phocle, cette vieillesse verte et glorieuse : et si nous poussions 
plus loin la conjecture, il nous serait facile de reconnaitre , 
dans la bouche ouverte de Sophocle (circonstance bien rare 
dans les portraits de Fantiquité), Tintention de représenter le 
poéte faisant la lecture òìOEdipe à ses juges (2). Mais cette Sup- 
posi tion n'est point nécessaire ; lauteur grec de la Vie de So- 
phocle (3) rapporte qu en mémoire de ce qu'une seule fois dans 
sa vie, à la représentation de sa tragedie de Thamyris-y il avait 
joué de la lyre sur le théàtre , on laTait peint dans le Poecile 
une lyre à la maìn : peut-étre le sculpteur avait-il voulu exprì- 
mer la méme circonstance. La bouche ouverte exprimeraìt, 
dans cette hypothèse , le chant marie par Sophocle aux sons 
de la lyre. Il y avait à Athènes, dans le théàtre de Bacchus, une 
statue de Sophocle (4) ; mais la description ne nous en est pas 
parvenue. 

Dans quelle intention les anciens avaient-ils^ entouré d*un 
diadème la téte de Sophocle? La supériorité de ce poéte sur 
tous les autres tragiques n etait point contestée dans l'antiquité. 
Cette préférence est nettement exprimée dans ce passage de 
YOrateur de Cicéron CS) : In poetis non Homero soli locus est, 
aut Archiloco , aut Sophocli y aut Pindaro, D après ce témoi- 
gnage, on ne doìt point s^étonner de Toir attribuer à Sophocle 
et à Pindare le diadème qui décore constamment les portraits 
d'Homère, et on pourraìt s*attendre à rencontrer tot oii tarrf 



(1) Anonyxn. Kit. Soplwcl. Cic. de Senecl. VII. Lue. Macrob.^ XXIV. Val. Max.^ 
Vili, 7, 12,etc. 

(2) Pindare était sussi représenté une lyre à la maìn. V. note 4. 

(3) *affl S^frrt t9iv xiOàpav àvaXaéwv èv jjióvq) T^8a(i.vpi6i woxè éxtOàpiffSV 8%v uni 
èv T^ tcoixiXt} oToqt {JLexà xiOàpa; aOxòv yeypó^Oat . 

(4) Paus. 1,21, t. 

(5) 1 , 4. 



ET STATUETTE INCONNUE. 3l3 

un portrah d'Arcfailoque avec la méme particularité, ce der- 
nier ayant été considéré par les andens comme le plus grand 
des poétes satyriques ; de méme que le sceptre de la tragedie, 
celui de ]a poesie lyrique et celui de Tépopée appartenàìent à 
Sophocle, à Pindare età Honnère. Une certaine analogie entre 
Homère et Sophocle expliquerait encore la communauté qui 
existe entre leurs attribùts. Les anciens ont remarqué que le 
poète athénien àvait emprunté toutes ses expressions à Ho- 
mère y qu*il en avait suivi les mythes avec . une scrupuleuse 
fidélìté, qu il avait transporté sur la scène presque tous les évé- 
nements de TOdyssée, qu*il rappelait son modèle par la variété 
des couleurs, la fécondité, la fidélité dàns la peinture des 
moeurs : ce qui avait fait dire que lui seul s'était montré véri- 
tablement le disciple d'Homère(l). 

Une épigramme de Statilius Flaccus (2) proclame Sophocle 
roi de la scène tragique , 

ce qui justifie l'attribution du diadème à son effigie. Mais les 
anciens, qui prodiguèrent à Sophocle, avant et après sa mort, 
les témoignages de la plus vive admiration, ne se contentèrent 
point de lui décerner le sceptre du genie ; ils se plurent à recon- 
naitre en lui quelque chose de divin; on prétendait qu 'il avait 
eu commerce avec les dieux : Hefcule lui aurait ré véle en 
songe' le nom de celui qui avait dérobé de l'Acropole une 
couronne d'or (3). A sa mort, arrivée pendant le siége d'Athè- 
nes par Lysandre, Bacchus aurait enjoìnt, à plusieurs reprises, 
au roi de Sparte, pendant son sommeil, de ne pas s'opposer à 
ce qu*on déposàt les restes du grand poète dans le tombeau 



(1) Aiionym. FUa Soph. Tó nav pLàv oSv (i>(iYiptx(0( fa>vó(io^, touc xe |xuOouc9épet 
xotr' Ix^oc ToO TCOiT]ToO' xai ii^v 'OSuaaEiav fiè èv icoXXoTc Spa[Jbaffiv àiroyp^eTai ... ^Oo- 
itoiEi 6è xal noixcXXet , xal toic éicivoif](i.a(7t xtyiyvm&i Xp^Tai , *0(i.y)pixfiv ix(jLaTTÓ(i,evo< 
XÓpiv* 50ev elicetv 9a(rlv 'luyvixóv ti va, {lóvov So^oxXeà Tvyxóiveiv 'Ofjii^pou (iia67)Ti^v. 

(2) Anal II, p. 264. 

(3) Anonym. rUa Soph, Cic^de Divin. ^ I. 25, ò4. 



314 VII. BUSTE DB SOPHOCXE 

4e$a famille, en dehors de la yiììe (1). Enfin nortsDepouTons 
douterqu*on n!ait rendu à Sophocle les honneurs divins. Sui- 
vant le temoignage d'Ister^ les Athéniens ordonnèrent par uh 
décret qu on lui ferait un sacrifice annuel (2). 

Le buste d*Arundell a été détaché d*ane statue de grandeur 
naturelle et probablement assise. £tait-ce eelle que les Athé- 
nieos avaient dédiée à leur poéte £avorì dans le tbdktre<de 
Bacchus ? Si nous possédions quelques détails sur la prove* 
Dance dece buste, nous aurions peut-étre un moyen de justifier 
cette Gonjecture qui s*appuie principalement sur la supérìorìté 
de ce^ moiìument sous les rapports du style et du travai). C*est, 
en effet, le plus achevé des portraits en bronze que nous pos- 
sédions de Tantiquité: il ne le céderait quau Platon' d*Her(ni- 
lanuni, si ce prétendu Platon n'était pas, corame nous en som» 
raes couTaincus, une téte entièrement ideale de Neptune (3). 
Jamais les traces de Vàge n*ont été exprimées avec plus de 
fidélité ; jamais la noblesse du sentiment n*a mieux accompagné 
la naì'veté de Timitation. Tous les détails de la chair, de la barbe 
et des cheveux sont ciselés avec un soin merveilleux, et pour- 
tànt le travail n'offre aucune apparence de sécheresse. A coup 
sur, c*est là un des plus précieux originaux que nous possé- 
dions : on en jugeait ainsi au xvii* siede , et Fon a peine à 
s'expliquer comment un monument de cet ordre, place dans 
une des premières collections du monde, a pu tomber, de nos 
jours , dans une espèce d'oubli. Nous regardons comme un 
devoir de venger un tei chef-d'oeuvre d'une aussi injuste indif- 
férence. 

Si l'on a ainsi negligé le plus beau portrait qui nous reste 



(I) Paus. I, 21y 2. AnoQym. Fita Soph. 

(2Ì Anonym. Fita Soph. "lorpo? Sé (pnuiv lAOrjvaCouc 6ià xi^v Tou àvSpòc àptdjvxol 
4/iQ9t(r(jia TCE7roiv)xévat , xar* 2to; fòcaoTov a^(p Oveiv. 

(3) Comparee le buste de Platon {Mon. Herc.^ Brpnz.^ 1. 1, tav. 27 et 28) atee Ic- 
Neptone^da vase de la nai»sanee d'ÉriohtboDitis. Ann, de fltut. areh.y tom. I, pi. X, 
et Élite dea Afoy». Cèram.^ tom. I, pi. 84» Sana rien préjager de la qnestion sonlevée 
par M. Braun dans les Ann* deVlnst. arch. de 1839 (p. 207-214), en prodaisant va 
nouveau portrait de Platon , nous nous contenterons d'observer que M. Braun conti- 
nue de considérer le buste d'HercuIanum comme un portrait da disciple de Socrate. 



£T STATUETTE INCOHSnJE. 315 

àu premìeF poéttftrkgique de la Qvèeejten revafnche òu na pas 
clrahit d'àttribuer ce nom itlustre à une trèi^ptéciease figurine 
deibronze qui à récemment passe de la coileetion de M. Révil 
da^s celle deM. le TÌ€onite>Hìppolytlede Kasixé, Il notis est^dif- 
fieile'toutefois de deviner d^après quelf :niolifs on a cru dèvoir 
dofiher le nom de Sophocle au persohnage^ représenté sur ce 
mònument. A Texception d*uoe ressemblance éloignéè dans le 
contcyiàr'du'Tisage, la forme de la lete et la disposition de la 
barbey nous ne voyons rien qui rappelle ici Tauteur A'OEdipe 
etA'j^r^tigone. La sarillie considérable dufie? iet 'sa forme tout 
kfsAt aquiline, Fampleur du front presque entièrement décou- 
vett^ et labsenee dn diadème, nous semblent des motifs sans 
répltque ponr repousser oette attribution. Au reste , nous ne 
Sàuriqms rìen dire de posttif ni méme.de probable sur ce mo- 
nuinefit. A^t-il eu pour objet de représenter un poete, un phi- 
bsophè ou un oratenr? Les poétesétaient souventfigurés.un 
Volume à la mai» : témbin le bas-reli^f de Sophocle ci*dessus 
mentìonioé, ètie Sté^ichore d*Himère enSicile, représenté de- 
bout sur les médaitles die Thermce Hinwrenses [{) ^ et décrit par 
Cicero» (3);) Le petit Euripide du Louvre yauquel lesattributs 
maAquent, est dtapé a peu près comme notre prétendu-Sopho- 
de. Le' Déinosliiène dti Vatican, aujourdHiui au musée du 
Louvre (2), offre, pour la pose, la ehaussure et le costume, la 
plus ^ratìrde analogie avee notre statuette : seulement le volume 
qui est ici entièrement roulé est a demi développé dans la 
statue du Louvre : on serait donc conduit à prendre notre 
bronze pour le portrait d*un orateur ; malheureusement la téte 
du Démosthène est rapportée, et Ton doute qudhe appartienne 
au mònument. La statue de la villa Borghése, qui a porte suc- 
cessivement les noms de Bélisaire , de Chrysippe et de Posido- 
nius (4), représenté sans doute un philosophe, et Ton a géné- 



(1 ) Visconti, /ran. gr., tom. I , pi. 3 , n*^ 7. 

(2) /5^«rr. 11,35, 87. 

(3) Viac. Museo Pio-Clem., tona. TU, tav. 14. Icon.gr.y pi. 29. BouìMon j. Musée des 
antiques, t. II , pi. 23, etc. 

(4) Bouilloti, toni. Il, pi. 29. 



316 VII. BUSTE 0£ SOPHOCLE./ ETG. 

ralement rangé dans la méme catégorie plusieurs figures dont 
le manteau est ajusté comme cetui dti prétendu Sophocle. 
Gependant de toutes les staiues de ce genre, la seule sur lat- 
tribution de laquelle on ne puisse élever aucun doute , est 
FArìstote du palais Spada (1). Sur la mosaìque de la villa 
Albani, publiée par Winckelmann (2) sous le titre à'École des 
philosophesy un des personnages de cette savante assemblée 
re|yroduit exactement la pose et le costume de notre bronze. 
D'après tout cela, on voit que les anciens variaient fort peu 
les attitudes et lajustement des figures destinées à rappeler la 
raémoire des hommes illustres dans les arts de la paix, et que 
'par conséquent nous sommes dans l'impossibilité de détermi- 
ner méme la catégorie à laquelle appartenait le personnage 
dont nous possédons le portrait. On doit d autant plus regretter 
d'étre contraint de rester dans cette incertitude , qu*il s'aginiit 
ici. d*établir la signification d'un des monuments les plus inté- 
ressants sous le rapport de Tart, que renferment les coUections 
de l'Europe. Une dimension peu commune, des formes remar- 
quables par Fampleur, la vérité et la correction, des traits 

m 

fermes et expressifs , une draperie simple et grandiose , nous 
portent à reconnaitre ici Timitation d'un très-beau modèle 
grec , exécutée à une epoque où les bonnes traditions de lart 
n avaient pas encore subi d'altération. 

Le dessin de cette figure que nous reproduìsons est de la 
grandeur de Foriginal. Les yeux et la chaussure y sont incrus* 
tés d argent. 

Ch. lenormant. 



(1) Visconti, Icon. gr., pi. 20, 

(2) Monum. ined.^ u!* 185. 



«o 



2. 



Tin. BAS-REI.IEFS DASSOS. 317 



BAS-RELIEFS D'ASSOS. 



(Mon., pi. XXXIV.) 

M. Guigniaut, chargé par le comìté Francais de Tlnstitut 
^archéologique de donner rexplìcation des bas-reliefs d'Assos , 
ayant été empéché par une maladie de s*acquìtter de ce tra- 
vaìl, nous publions seulement la planche sur laquelle ces bas- 
reliefs ont été représentés. lls ont été trouvés à Assos, ville de 
Mysie (1), dans les ruìnes d*un tempie d'ordre dorique. On 
ignora à quelle divinité ce tempie étaìt consacré, rien dans 
ces fragments ne fournissant des indications suffisantes. Ces 
bas-reliefs sculptés sur granit paraissent remonter à une epo- 
que reculée; la forme des Sgures humaines et des animaux 
ofFre une grande analogie ayec les plus anciens vases peints de 
«tyle phénicien (2) et avec les objets d*or qu on retrouve dans 
les hypogées étrusques (3). 

Dans une restitution du tempie proposée par M. Charles 
Texier (4), ces bas-reliefs ont été placés à l'architrave. La dis- 
tance des colonnes est obtenue par la largeur de deux trigly- 
phes et de deux métopes , comparée avec la longueur d'une 
pièce sculptée. Cette longueur est généralement la méme dans 
tonte rétendue des bas-reliefs retrouvés. Les pièces sculptées 
portent des gouttes qui répondent à la largeur, des triglyphes. 



(1) Strab., XUI, p. 420; PHu., II. N., II , 96 , 98. 

(2) Raoul-Rochette, Journal des Savants, ayril 1835, p. 214-215. Cf. moo Cat, Du' 
rand , Avertiss., et p. 280; Lenormant, Introduction h VHistoire de VAsie Occiden- 
tale, p. 278. 

(3) Voyez surtoot les momunenU en or du tombeau de CerTctri,, pobliés par M. le 
dieralier L. Grifi, Monumenti di Cere antica. 

(4) Description del* Asie Mineure, pi. CXTT« 



318 vili. BAS-RBI.IEFS DASSOS. 

Gomme il n*y a pas sur place un seul morceau qui ressemble à 
une architrave ordinaire, M. Ch. Texìer en conclut que le» bas- 
reliefs appartenaient a Tarchitrave. 

Les sujets des bas-reliefs représentés sur la planche XXXIV 
sont : 

1. Un chien accroupi près d*un groupe représentant un lion 
qui dévore une biche. 

2. Un lion dévorant un daim. 

3. Un lion dévorant un taureau. 

4. Un taureau ou un veau. 

5. Deux taureaux opposés l'un à Tautre ; il ne reste du se- 
cond que la téte. 

6. Deux taureaux afirontés de méme (1). 

7. Trois centaures courant au galop. 

8. Deux centaures ; Fun se retoume vers celui qui le pour- 
suit. 

9. Un centaure arme d'une branche d arbre. 

1 0. Deux fragments de centaures. 

11. Groupe représentant Hercule qui dompte Nerée ou Tri- 
tori^ figure sous la forme d'un vieillard barbu dont le corps se 
termine par une large queue de poisson. M. Gh. Texier (2j 
donne au groupe les noms de Ménélas et de Protée. Mais il me 
jsemble que lautorité des vases qui représentent souvent la 
lutte d'Hercule avec une divinité marine doit prévaloir pour 
Tinterprétadon de ce groupe (3). En effet, sur les nombreux 
vases qui reproduisent cette lutte , le dieu marin a une forme 
semblable au*personnage qui est sculpté sur le bas-relief d'As- 
sos; il est vrai qu'Hercule se trouve mieux caractérisé au 
moyen de la dépouille du lion et quelquefois de la massue. Sur 

(1) M. Ch. Texier {Descript, de l'Asie Mineure, pi. CXIV bis et CXIV ter) place les 
groupes représentant des taureaux àux angles de la fa^de. 

(2) L. aii., pi. CXIV bii. 

(3) Millia^en, Atte. uned. mon., pi. XI; f^ases de Coghill» pi. XXXII; Fase* du 
prìnee de Canino, pi. X; Brcendsted, A brief descrìpUon of thirty two greek wueu 
n« VII; Gerhard, Berlin* t ant. Bildw., n** 687; AuseHesene GrìechUcke FatenbiUer, 
Taf. CXI. Cf. mon Cat, Durand, n°» 299-304 ; Cat. éirusque, li«* 83 «t 84; mon Jltì- 
Moin? sur Géijon dans les Nauv. Ann, de l'Inst. arch., II , p. 303. 



vili. BA.S*RELIEFS d'aSSOS. 319 

le bas-relief il reste encore des traces du carquois pendu au dos 
d'Hercale. On connait un vase à figures rouges qui rejprésente 
la lutte d'Hercule et à'AchéloùSy composition dans laquelle le 
dieu fleuve a la forme d'un poisson , avec la partie inférieure 
du corps et la téte d*un homme , le fro^nt muni de longues 
Comes de taureau (t). 

Près du groupe sculpté sur notre bas-relief, on voit sìx éphè- 
bes nus; les uns semblent s'enfuir avec rapidité, les autres 
marchent avec lenteur en étendant les mains en avant. 

12. Deux hommes à table couchés sur une cline et tenant 
à la main des canthares. Un éphèbe nu qui vient de puiser du 
vin mélange d*eau dans le cratère , qu on rémarque derrière 
lui y s avance pour verser à boire à Tun de ces personnages qui 
lui tend une phiale. L'éphèbe va la remplir au moyen de Toeno- 
choé qu'il porte. 

13. Suite d'un sujet analogue. Deux hommes à table, cou- 
chés sur une cline; lun tient une phiale et présente une ban- 
delette à son voisin ; lautre porte un canthare. 

14. Un sphinx accroupi. 

15. Deux sphinx affrontés. 

J. DE WITTE. 

(1) Gerhard y Auserlesene Griechische Fasenbilder, Taf. CXV. Cf. Bull, de l'Inst. 
urch., 1836, p. 119. La plapart da temps Achélotis est représenté sous la forme d*un 
dien taitfomorphe. Voyez mon Mémoire sur Gérjron dans les Nouv. AHn, de l'insi, 
I arch., II, p. 301, Qote 8. 



320 IX. OTNiMIS, HEIKB DB PONT. 



DYNAMTS, 

REINE DE PONT. 



Le nom de la reine Dynamis n'est cité que par Dion , dans 
deux passages que nous prodiiirans plus loin. Quoique ce 
nom , tout grec et bien significatif , fut par cela méme à l'abrì 
d'altérations de la part des hisloriens ou dea copistes, on 
aurait pu craindre que sa forme primitive , barbare comme 
auraient dit les anciens , n'efìt été ramenée à une valeur belle' 
nique au moyen du changement de quelque lettre et par con- 
séquent ne nous fut pas parvenu tei que l'avait porte la prìo- 
cesse asiatique. La reine des Partbes que Josèpbe nomine 
Tbermusa , est bien sans c'ontredit la méme que les médailles 
ortbograpbient Musa(l); les tétradracbmes de Dyrrachiuni 
donnent tout lieu de croire que le Mevouvto; de Polybe s'ap- 
pelait Movoovio( (2). Quoi qu'il en soit, Visconti avait pariàì- 

(I) TojM Raaul-Hochatte, dniiìime lapplémant i la Noticc inr qnelqnei médnll» 
grecqu» idé^tei dei iui9 ile la BactriaDs et de l'Inde; vìgaelte et pagg SI. 

(3) Mionnet.i. Ili, 353. Cf. I. GobUt Diuysea, Zur Gmchicliic der Pm^ier unJ 
Bariùintr. Tixe-IÀytappeUe le prince DardaDÌen HoDuntu, ai tanlefob le cbaDgemnl 
de l'M initial bd H n'e>t pai uns limple fante de transvriprion. On poamiit cLl» 
d'anlres exemplei de dod» propres dunl lei médailles ddI recliSé l'ortliographe. Mi. 
' tliridate e>t écrit MiSpofertiK sor tam les monumenls nutniimatiqaei qui snaa rnl»t 



IX. DYNA.MIS, HEINE DB PONT. . 321 

tement resdtué Finscription suivante trouvée dans un jardin 
attenant à Féglise de Taman (lancienne Phanagoria) : 

AYTOKPATOPAKAISAPAEOrriO 

2EBA2;T NHASHUraSKAl 

eAAASSHS XONTA 

TON EArrH220nHP ETH 

BASIAIDUAAYI (l).|| 

Dans ces cinq lìgnes, le nom de la reine qui consacre ce 
monument à lempereur Auguste Cesar, fils d'un dieu, souve- 
rain de tonte la terre et de tonte la mer, son sauveur, son bien- 
£aiteur, est réduit à deux lettres, et néanmoins Fillustre auteur 
de riconographie y avait suppléé avec cette sagacité qu'il ap- 
portai dans tous ses trayaux. Voici la transcription qu'il donne 
en caractères courants : 

AuTOxpdlTOpa KaCdapa Oeou ulov 

Tt^cnr)? OotXdcffOYj? dfpj^ovTa, 

tÒv lauT9ic otiiTvipa xal luspy^Tiriv 

BoeotXiaaa AuvafjLK. (3). 

Visconti se fondait, pour compléter le nom de la reine, sur 
Ics passages de Dion que j ai déjà mentionnés. Il eùt trouvé un 
bien juste sujet de satisfaction dans la médaille que je vais 
faire connaitre, puisque ce monument, tout en confirmant 
d'une manière indubitable la le^on de Fécrivain que le savant 
antiquaire avait adoptée , lui e&t permis d'enrichir d'un por- 
trait nouveau et authentique l'admirable coUectipn iconogra- 
phique que nous devons à ses patientes rechercbes. 

de lui. La médaille récenunent décoorerte da premier rot de la Baetriane nona a fait 
▼oir qae son nom était Aiodoro^ et non pas Tkeodotus, ainsi qa*ìl se troaye dans Jus- 
tiii;XLI,4. 

(1) Visconti, Iconographie grecque, L II, p. 143. 

(2) Les titres donnés à Anguste dans cette inscription rapp^ent cenx doni se 
parent , dans les mémes lienx , les sultans turcs , sur la monnaie desqnels on lìt : 

i^»acC^i ^LilÀj i»JijT' r V " * "" 7 c*est^.dire : Empercor dcs deux aonti- 
nents et prince des denx mers. 

21 



322 . IX. DYNAMIS, REINB BE PONT. 

Le Statère d or qui appartieni à M. de Reuss , de Vienne, et 
qui a été apporté à Paris où son antiquité a été reconnue in- 
contestable, présente d'un còte un buste de reine, la téte ceinte 
dun diadème , et au revers un astre au-dessus 'dkm croissant 
ayec la legende : BA2IAI22H2 ATNAMEnS et la date ADS 
(281)« L'A numérique de cette date a la forme dun A, mais 
son rang ne laisse aucun doute sur la valeur que Ton doit lui 
attribuer. 

Dynamis était fille de Pharnace, roi de Pont, le méme qui, 
après avoir, par sa trahison , force son pére le grand Mithri* 
date à se donner la mort, envoya son corps à Pompée qui ré- 
sidait alors à Sinope (l).Cetacteatroee de làcheté orientale (2) 
se passali en Tan de Rome 691, 63 avant J. G. Nous savons par 
le témoignage positif d'Appen que le fils de Mithridate regna 
quìnze années , tant sur le Pont qne sur le Bospore (3). Vers 
Fan 704 de Rome (46 av. J. G.) il avait cru éviter les effets de 
la colere de J. Gaesar, qui arrivait triomphant d'Egypte pour lui 
arracber les provinces dontil s'était rendu maitre, en envoyant 
à sa rencontre des ambassadeurs chargés d'offrir au general 
romain une couronne d'or et la maìn de Dynamis (4). 

Caesar mépri^a l'offre du parricide et marchant droit à lui, 
le for^ à rentrer dans le Bospore où Asandre, qu 'il avait laissé 
pour y commander, se réyolta contre lui et nous venons de 
citer le pi^ssage d'Appien qui donne le récit de sa mort. 

Dynamis derint la femme d' Asandre, c'est du moins ce que 



(1) Appies, De hello MithrìdaUcQ , CXIII. ^acpvdxY)c de IIoti.7r)r)t<p tòv véxuv xoò 

noTpòc le Iiv(óicT)v liei Tpi^pouc Sice|Aice StópLevocy fi tf}c icaTp<^ ^^^ ^ Bocnrópov 

ye PaaiXeóeiv iióvou x. t. X ~ 

(3) Le crime de Pharnace'paratt d'antant plus odieux qne son pére arait pour lot 
l'affectioB la plus tendre : 4»Gepv^T]c, ó tòW iraCScdv a^cji Ti(jLt(tfTaTÓc te , xal iro»dxic 
Oic' oe^oO tiic òj^"^ &ico8e8eiY(Aévoc IcrevOai fiiéSoxoc. Appien, De beli. MUhrìà, CX. 

(3) ^flcpydxv)c (Mvoe/JiYCdvCJleTO xoXóJcy {lixpi xarrarpaiBel; &TCé6avs, 7cevnr)xovcovTiK 
(&v, xal poioiXeùc Boorcópou icevrexaC&xa Ixeaiv. De hell. Miikrid. CXX. 

(4) IIpomóvToc 8à toO Kai(rapoc ixa^aexo xal (isTeYtYvcdoxe, xal &icò otoSCwv Sta- 
KO^Ciov Yevo|AéM{> icpla6etc ineiAicev Orcèp elp^^w); , oréfavóv xt xp^aetov oeOrc^ f^vxoc , 
xal ìq yàiAOv, W à^^iaz^iyywanoi KaCoopi t^v 4>a(3vdQcouc Ouytttlpa. App. De beli. 
Gv. II. XCl, 



IX. DTNAMIS, REINB DE PONT. 323 

nous apprend rhistorien Dion Cassius , et lorsque ce prince 
mourut à T^ge de quatre-vingt-treize ans (1), après un règne 
de trente-quatre années, il laissa son royaume à isa veuye, 
M. licinius Crassus et Gn. Gomelius Lentulus étant consuls , 
cest-à-dire Fan de Rome 740 (14 av. J. C). 

Notre medaille qui porte la date 281 de lere du Bospore, 
«poque qui correspond, suivant les calculs les plus vraisem- 
blables, à Fan de Rome 738 (14 av. J. C,) a donc été frappé^ 
ayant la mort d*Asandre et comme un témoignage public de 
l'influence qu'exer^it dans le gouv^mement d'un TÌeillard une 
femme du sang de Mithridate qui, tout nous porte a le croire, 
avait hérité de la politique honleuse dont ^ femille avait donne 
trop d'exemples. 

En effet, après ayoir épousé Asandre, le meurtrier de son 
pére, elle deyient la femme d*un ayenturìer qui venait de com- 
battre son mari. Sxpi^civioc yaep tk, tou Te MtOpt^aTou eyYovoc 
€lvai, xal irapà tou AOyotidTOu tt^v ^^iXeioy, eivei^ifirep óÀ<rav* 
^po^ eTeOvnixfii, Xìy<i>v eìXTifivai, t:^v yuvocQca aÒTou àwafLly Te 
xaXou[i.^v9)v, xai tì^v ap^iqv irapà tou av^pò^ éiciTeTpaftfiivDv, ^ 
TOU Te ^apvaxou OuyaTìjp koì tou MiOpi^otTOU lyyovo^ -^v, ijyaysTO, 
xal TÒv Bónropov ^ià X^P^ èiroiei (2). 

Les halràtants du Bospore ne supportòrent la domination de 
Scribonius que tant qu ils le crurent soutenu par les Romains ; 
msùs aussitót qu Agrìppa, à la lète de ses troupes, vint à Si- 
nope conférer le rang supreme à Polémon , ils mirent à mort 
Tayencurier qui s'était donne comme un descendant de Mi- 
thridate, etDynamis, deyenue encore une fois yeuye, épousa 
le nouyeau roi (3). Si Fon suppose qu'elle était àgée de onze ans 
lorsqu elle fut offerte en martage (e; ya;jiov non pas en pre- 



ci) "AoavSpoc ^à ò Onò toO OeoO £e6àaTo3 àvrl lOvdipx^ potoiìeCrc dvayopeuOelc Boa- 

icópou dK 6àé(ópaT0Ì»c Oicò t^ {i^xQ £xpi6ov{(f> icpooTtO«(&évouc àtnax^\i£^ cnrCaiv 

èTE>euxY)ae pioùc £tt) TpCa xal èvevifixovTa. Lacian. Long»T. Xyil. 

(S) Dion. Hi8t.,lib. Liy, S 24. 

(3) nplv TÒV 'ÀY^mcocv le Sivii»in)v IXOeTv, &c xal iic* aòioòc tfTporcs^ovta* o{hxd Sk xé 
Te Ma xariOevTO, xal Tip lliùé\uan icopefiódnffov* ^ Te ^wi^ V) Aóva{&i; mjv(pxT)»v 
aOrc^, ToO Aòyotjarou StiXovóti Toura $txai(óaacvToc. Dioa, HUt., lib. LIV, § 24. 

21. 



324 IX.. DYFfA^IS, RBINE Dfi K)NT. 

sent) à Julcs Csesar, elle aurait eu douze ans à ravénenvent 
d'A.sandre, quaraiite-quatre ans à 1 epoque où fut frappé le sta- 
tère que hous publions , et lorsqu elle épousa Polémon au 
moins quarante-six ans, àge qui, dans TOrient, doit òter à une 
femme toute chance de rencontrer un époux qui soit anime 
d^un sentiment autre que l'ambition. 

Nous n'avons aucùne certitude relativement à 1 epoque de 
la mort de Dynamis ; il est à presumer qu*elle avait cesse de 
vivre dès les premiéres années de l'ère chrétienne ; voici sur 
quel témoignage nous appuyons eette opinion : Polémon 
épousa en secondes noces Pythodoris, fille de Pythodorus^ 
citoyen de Tralles (1), il eut d*elle deux fils dont lainé fut cou- 
ronné roi d'Armenie par Germanicus en l'an de Rome 771 
(18 dei. C). La médaille qui rappelle cet événement, et que 
M. le due de Luynes a publiée (2), représente le jeune roi près 
de Germanicus; sa taille est celle dun adolescent, et si elle 
n'égale pas tout à fait celle du fils d'Antonia, nous devons 
attribuer pette différence bien moins à une infériorité réelle 
qu'à la coutume des artistes romains qui, pour exprimer la puis. 
sance imperiale, donnaient aux Augustes et aux Gésars des 
proportions supérieures à célles des barbares (3). Artaxias était 
donc né probablement en l'an trois ou quatre après J. C. Lors- 
qu'il fut mis à la téte de l'Armenie, Pythodoris devenue veuve 
gouvemait seule le Pont depuis quelques années. C'est Stra- 
bon qui nous l'apprend (4), et personne ne sera tenté de con tes- 
ter l'autorité de cet écrivain alors quii raconte les faits qui se 
sont -accomplis dans sa patrie et de son temps. Cette circons- 
tance, d'accord avec les monuments que nous allons citer, 
peut servir à fixer approximativement l'epoque de la mort de 



(1) IlvOodctfpU» Y^ <7(ufp(0V xal 6uvat^ irpofotooOot icpaYiAoruv. 'Eort dà OuYftnjp 
IIvOoSwpou ToO TpoXXiavou , Strab,, lib. XII, § 29. 

(2) Revue numismatique, 1838, p. 338. 

(3) Cf. les médailles de grand bronze de Trajan avec le reven,R£X PÀRTHIS 
DATYS ; d'Antonio avec le rerers^.REX ARMENIIS.DATYS, R£X QYADIS DATUS. 

(4) Tyrrìi S' èxé^exo IloXé^uiivoc, xal avvs^aaUeuatv èxetvc^ )rpóvov riva, eira SicdéSorr» 



IX. OYNANIS, R£IN£ DE PONT. 325 

Polémon, fait sur lequel Cary et Visconti oiit déclàré que Fon 
ne savait absolùment rien. 

Des deux médailles de Pythodoris décritespasMionnet (1), 
Tune porte la téte d'Auguste et l'autre celle de Tibère avec la 
méme date (£, 60^ année depuìs la défaite de Pharnace par 
Gassar). Elles ont par conséquent été frappées la méme année, 
cest-à-dire avant et après le raoìs daoùt 767 de Rome (14 de 
J. C). Polémon n'existait dono déjà plus, puisque le nom de la 
reine parait seul au jrevers de la téte imperiale. Nous en con- 
cluons que les médailles d'argent qui portent le nom de cette 
prìncesse ont été frappées pour célébrer sa prise de possession 
des rénes de TÉtat; quand Polémon eut cesse de vivre en lan 
13 ou au commencement de Tan 14. 

Le croissant accompagné d*un astre du statère de Dynamis , 
type qui se retrouve sur les tétradrachmes de Mithridate III 
et de Mithridate VI , est très-vraisemblable'ment une représen- 
tation du Pharnace qui avait un tempie dans la ville de Ca- 
bira (2). 

Le nom de Pharnace était célui d'un petit-fils de Cyrus dont 
les rois de Pont prétendaient tìrer leur origine; de plus, il 
était porte par le pére de la reine, il n y a rien detonnant à ce 



(1) DescrìptioQ des médailles grecques, t. Il, p. 364, n? 32 et t. IV, SuppL, p. 476. 
n°46. 

(2) 'Exet 8è xal tò lepòv My)vòc, <>apvàxou xaXou|iLevov éTC(jLy)(rav h* o\ BoKriXgtc 

TÒ lepòv TOÙTO oOteoc eie uicepéoX'fjv, Aorre tòv ^ouiiXtxòv xoiXou|jLevov 6(»cov toutov àic£(py)- 
vavy rux^iv BouriXécoc %oìX M^va ^^opvdxou. "Etm 6è xal toOto ttjc SsXyjvy]; tò lepòv,... 
Strab., lib. XII, §31. 

Il est assez remarqaablé qae Plutarqne, dans son traité IIspl tou Tcpo<r(Ó7cou Tfj(. 
IleXinvv)^ , ait donne le nom de Pharnace à Tuu des interlocuteurs qui discutent sur I» 
nature et les phases de la lune. 

M. Cayedoni {Spicilegio, p. 125) a remarqué avec beaucoup de raison que l'Apollo^: 
a«sis qui se voit au revers du statère d'or de Pbarnace li , s'accorde avec la tradition 
conservée par Hésychius, qui fait naitre Cinnyras de ce dien et d'une nymplie appelée 
Pharnace : Kiwupac, j^iróXXcovoc xal <>apvàxT]e uatc, pocatXeù^ KunpCcov. Ce serait alnrs 
une alliance du soleil et de la lune, et les Grecs auraient dans ce cas transformé le 
Pharnace en femme, de méme qu'ils faisaient une divinile fcmetle du Lunus orientai, 
li est uaturel d'admettrc que le genie de la laugue modific chez uu peuple la forme 
de mythes élrangers. 



326 IX. DYNAMIS) EEINB DB PONT. 

quelle ait choisi pour sa monnaìe un type qui faisait allusion à 
des gloires de famille en méme temps quii était un hommage 
à une divìnité topique dont le eulte deyait se rattacher a la 
doctrìne religieuse propagée en Asie Mineure par la race Aché- 
menide. 

Adribn db LONGPÉRIER. 



TABLE DES MATIERES. 



PR£MI£R CAHIER. 



I. MONUMENTS. 

1. Topographie et architeeture, a, Monuments de Delphes (pi. A,' 
1841 ) 9 par M. J. de Wìtte» p. 5 — 14. — b, Tombeaux et autres 
monuments architectoniques de l'ile de Tliéra [Mon.^ voi. Ili , pi. 
XXV-XXVI), par M. L. Ross, p. 13 — 25. — e, Colonnes votives 
surmontées d'animaux (pi. B^ 1841), par M^L. Ross, p. 25 — 30. 
«- d. Sopra lo stato attuale dei due sepolcri di Poggio-Gajella a 
Chiusi e di Pittagora a Cortona , del sig. 6. Abeken , p. 30 — 40. 
— e. Strade militari nel ]Nforicum (pi. C, 1841), del sig. F. Nobile 
di Wolfarth , p. 40-52. 

2. Sculpture. a. Statua di Giove del museo di Lione (pi. D, 1841 ) , 
del sig. £m. Wolff , p. 52 — 54. — b. Minerva della villa Ludovisi 
(Mon., voi. Ili, pi. XXVII), del sig. F. T. Welcker, p. 54—58.— 
e. De signis Thusneldae et Thumelici [Mon,^ voi. Ili , pi. XXVIII ) , 
anctore C. Gcettling, p. 58 — 61. — d. L'adunanza de' n«imi che 
accolgono Pallade, rappresentata nel tempio di Nike Apteros (pi. £, 
1841), del. sig. Od. Gerhard, p. 61— •74 — e. Spiegazione de' mo- 
numenti sul pronaos del Theseum ([ri. F, 1841), del sig. H. N. Ur- 
lichs, p. 74 — 84. — f. Giudizio di Paride della villa Ludovisi (Man,, 
voi. UI, pi. XXIX), del dott. £m. Braun, p. 84 — 91. 

3. Peinture, Il Nascimento d'£rittonio {Mon., voi. Ili, pi. XXX), del 
dott. £m. Braun, p. 91 — 99. 

II. LlTTÉRATURE. 

L'ass grave del Museo Kircheriano, dai RR. PP. G. Marchi et P. Tes- 
sieri della comp. di Geù. Roma 1839 (Traduz. del tedesco del sig. 
Abeken), del dott. R. Lepsius, p..99 — 116. 



328 TABLE. 

III. Rbghsbchzs et Obsb&vìltiohs. 

a. Suir arco dì Rimini e sulla porta di Fano j del sig. W. B. Clarke^ 
p. 1 16 — 121. — b. Sopra alcuni monumenti romani, da un codice 
della Biblioteca degli ulHzj di Firenze ( pi. G , 1841 ) , del dott. G. 
Abeken, p. 121 — 123. — e, Dioniso e Libera, dipìnto vasculario 
ruvese (pi. F, a, b, 1 841), del Cav. Gargallo-Grimaldi, p. 123 — 12^. 



SECOND CAHIER. 



I. Médailles inédites {Mon.f voi. Ili, pi. XXXV), par M. le due de 
Luynes, p. 129 — -170. — II. Mémoire sur un bas-relief mithrìaque 
( Mon,, voi. Ili, pi. XXXVI ) , par M. Felix Lajard , p. 170—261. 
— - III. Lettre à M. le professe ur Th. Panofka, sur une amphore de 
Nola (pi. I et K, 1841), par M. J. de Witte, p. 261—272. — IV. So- 
crate et Diotime ( pi. H , 1841 ) , par M. Otto Jabn , p. 272 — 296. 
— V. Arsinoé Philadelphe [Mon,, voi. Ili, pi. XXXIII), par M. le 
due de Luynes , p. 296 — 303. — VI. Amphore à sujet comique 
( Mon, voi. Ili , pi. XXXI ) , par M. J. de Witte , p. 303—309. — 
Vn. Buste en bronze de Sophocle et statuette d'un personnage 
inconnu [Mon,, voi. Ili, pi. XXXII et XXXIII, et pi. L, 1841), par 
M. eh. Lenormant, p. 309 — 317. — VIII. Bas-relief d'Assos (Mon,, 
voi. Ili, pL XXXIV), par M. J. de W^itte, p. 317—320. — IX. Dy- 
namis , reiiie de Pont, par M, Adrien de Longpérier, p. 320 — 326. 



TABLB. 329 



Plavghes. 



A. Pian topographique de Delphes. 

B. Golonnes votives surmontées d'animaux symboliques. 

C. Strade militari Del Noricum. 

D. Statua di Giove del museo di Lione. 

E. Bassirilievi del tempio di Nike Apteros con ristauro. 

F. Bassirilievi sul pronaos del Theseum. a, b. Vaso bacchico ruvese. 

G. 1. Tetrastilo dei fratelli Arvali. — a. Monumento d'Eurisace. 
H. Bas-relief de Socrate et Diotime. 

I. Penèlope. 
R. Penèlope. 
L. Sophocle. 



*9^9* 



» 

\ « 



\ I 



) • 



' i 

i ■ 

( ; 
I 
\ ' 

\ p 

( 



! I 



I 

( ! 
1 1 

i 

» 
I 
I 



i 






'1 



/y. A. jit/i. j/ip. 




J\w//'o//i' sc^. 



fl!