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Full text of "Antologia. Giornale di Scienze, Lettere e Arti"

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ANTOLOGIA 


OTTOBRE, NOVEMBRE , DICEMBRE 
1021. 


TOMO QUARTO 


FIRENZE 
AL GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO 
DI G. P. VIEUSSEUX 


TIPOGRAFIA 
DI LUIGI PEZZATI 
MDCCCXXI. 


ev Rari ; uu 
canini à è Gaper nate pe. 
ASI PLACCA + SRL 


Miti ovaio da 
RGS 11 TASSIT 40 BAIE 


ANTOLOGIA: 


N X. Ottobre 1821. 


i LETTERATURA 


POESIE 


I libro terzo dell’ Iliade della versione 
di Uco Foscoro. 


N oi abbiamo avuta facoltà dall’ illustre autore di que- 
sta versione di pubblicarla come il saggio di quella che 
ei sta lavorando dell’ intera Iliade . Egli ne avea già fat- 
to stampare più anni fa il primo canto in uno stesso 
volume col primo canto del Monti. Ma questo lavoro 
abbandonato in allora è stato ripreso da lui recentemen- 
te, e i nostri lettori ravviseranno nel confronto di questo 
saggio con quello un gran cambiamento di stile, e una 
nuova ragion di tradurre. E l’autore stesso vuol che 
sì avverta alla differenza del metodo che egli ha ora 
adottato, e col quale tutta l’opera ha da esser con- 
dotta. Il Monti ha pubblicata in questo intervallo la 
sua versione, e il plauso riscosso da questa è forse 
una difficoltà di più per chi correndo lo stesso ar- 
ringo, venga a porsi seco in continuo confronto. Ma 
il Foscolo è tale che sdegnerebbe di battere una stra- 


4 

da la quale non fosse novellamente aperta da lui me- 
desimo, e i nostri lettori nel giudicare del merito di 
questa versione, non potranno certo dubitare dell’ ori- 
ginalità del modo che è in essa tenuto. L’ autore ha 
avuto ‘in mira principalmente di sostener 1’ energia 
con Ia brevità. Infatti sopra l'originale di 461 versi, 
questa versione ne ha 522, ed è così più breve d’ as- 
sai di quante ne siano comparse finora . 


Il libro terzo dell’ Iliade della versione di 
Foscoro. 


5 
Uco 


uando i due campi e i re furono in arme, 


Scendean dal poggio i Dardani, e a discordi 


Gridi feriano com’ augei le nubi; 


Così le gru, scampate al verno e a’ nembi, 


Rinfierite în April, tendono ai mari 
Dell’ Ocean con lungo ordine d’ ali 

A dar guerra a’ Pigmei; odi per l’ alto 
Dividersi alle strida orride l’ aere. 

Ma gli Achei procedean taciti, densi, 

A passi eguali, fieri in vista, e l’ uomo 
Spirava all’ uomo, e raccogliea fidanza. 
Com’ Austro i gioghi luminosi al monte 
Rannuvola di nebbia, amica al ladro 
Più della notte, duolsene il pastore, 
Scaglia un sasso, e mal scerne ove sì posi; 
Così imminenti si correano incontro, 
Così buja fra lor per la gran polve 

Del tumulto de’ piè laura pendea. 


\ 


Brandian già l’ arme, e in prima schiera apparve 


Di divina beltà bello Alessandro; 

Gli ondeggiava per gli omeri e dal fianco 
Una pelle di pardo, e l’ arco e il braudo . 
Ei due torniti giavellotti armati 

Di punta ferrea palleggiando, e a prova 
Chiamando a nome i più gagliardi Achei. 
Menelao nel veder come a superbi 

Passi Alessandro precorrea le file, 

Ebbe il cor del Leon che alla sua fame 
Trova opportuno un gran cerpo di belva, 


6 
O cervo, o capra d’ alpe, e la divora; 
La divora, bench’ oda urli e accorrenti 
Veltri, e furor di giovani; sì allegro 
D'ira e di speme a rimertar l’iniquo, 
Balzò armato di subito dal carro 
A terra; e i Greci oltre passando, agli occhi 
Fu d’ Alessandro, che gelò, e 5° accolse 
A riparo fra suoi. Così fa l' uomo 
Se adocchia il drago , arretrasi e su balzi 
Corre; i piè gli vacillano; e d’ intorno 
Guata col viso freddo di pallore : 
Tanto al venir dell’ ospite tradito 
Paride tramutossi, e sì fe’ siepe 
De’ baldanzosi Dardani. Sovr” esso 
Ettore gli occhi fulminò, e proruppe: 

Ahi sciagurato Paride, famosa 
Beltà di drudo, cacciator di‘donne, 
Nato non fossi mai, fossi sepolto 
Senz’ imenei, chè or non sarem’ confusi 
Nel vituperio tuo, tu non saresti 
La novella del mondo! odi gli Achei ? 
Ridon di te, che alla presenza e'all’ arme 
Ti presumeano, e al sovrumano aspetto 
Guerriero insigne ; e non hai cor, nè sangue . 
E sì vile, adunar navi e seguaci 
Potevi tu? misurar mari, e genti 
Tentar straniere ? e fin dall’ Apia terra 
Predar la sposa a bellicosi Eroi? 
Pensi che angoscie al padre tuo; che danni 
A’ cittadini e alla città; che gioja 
Doni a’ nemici ? e a te quanta vergogna ! 
Che non t’ accosti a Menelao ? saprai 
Di chi usurpi la moglie: e non la cetra 


Ti gioveria, nè quelle ciocche e il viso, 
Nè Venere e i suoi doni, ove la polve 
Ti contamini in campo. Oh, se i Trojani 
Fosser men sofferenti ! io ti vedrei 
Vestito di una grandine di sassi, 
E pagato oggimai d’ ogni lor lutto . 
Giuste, nè più del merto odo rampogne, 
Disse Alessandro . Tu se’ ferrea scure, 
Che a far le navi indomita le querce 
Fende, ed irrita l’ impeto del fabbro . 
Pur nè ad infamia appor mi dei, se d’ altre 
Grazie l’ amabil Venere mi adorna; 
Chè a grado degli Dei piovono i doni. 
Chi può sdegnarli ? nè chi vuol gl’ impetra. 
Ben, come imponi, io pugnerò: ma inermi 
Posin Teucri ed Argivi. A me la cara 
Donna e gli averi, quanti in Ilio addusse, 
A petto a petto Menelao contenda, 
E sian del vincitor moglie e corredo. 
Voi con l’ ostie su l’ ara indi la pace 
Santificate ; e liberi le amene 
Piaggie d’ Ilio godrete; essi n° andranno 
A riveder le belle donne in Argo. 
Rasserenossi Ettorre; e fra’ due campi 
Precorse, e stretto a mezza l’ asta il pugno, 
Sostava i suoi; parean campo di biade 
Qualor comincia a riposarsi il vento: 
E al suo cimier correan sassi di fionde, 
Stridean saette. Or, non ferite, Argivi, 
Gridò eminente Agamennon dal carro, 
Figli de’ Greci riposate gli archi; 
Par che dirne parole Ettore accenni . 
Quetaron muti, e fra’ due campi Ettorre, 


3 

Teucri udite, esclamò, Danai m’udite; 
Paride, ond’ arse fra di voi la guerra, 
Deapino tregua all’ armi vostre, e appella 

L’ Atride Menelao seco a duello, 

Finchè il domato al domator conceda 
L’Achea regina, e i suoi regali averi; 
Poscia su l’ ostie comporrem la pace. 

Tacque; e alle turbe attonite,, occupate 

D' alto silenzio, rispondea la voce 

Di Menelao: Or me pur anche udite, 

Me cui più tocca la sciagura . È tempo 
Che pace abbiate, o popoli, alle stragi 

Per me dannati; e suscitolle iniquo 
Paride. Adunque oggi la morte e-i fati 
Chiamino, e scenda un di noi due sotterra . 
Poi vi partite, e vi divida il mare. 
Bianco al Sole un agnel, negra alla Terra, 
Troi, recate una pecora; e il Tonante 
L’avrà da noi. Venga Re Priamo; ed esso, 
Quand’ ha perfidi figli, esso prometta, 
Onde non altri a posta sua rinieghi 

I sacramenti a Dio. Vuole e disvuole 

La gioventù; ma l’uom che pieno è d’ anni 
Guarda al jeri e al domani, e fra’ mortali 
Arbitro onesto le discordie appiana . 

Pari esultò ne’ popoli la speme 

Di veder fine a’ sanguinosi giorni : 
Scendono i prenci dalle bighe; e vedi 
Ruote e destrieri in lunga fila immoti : 
Sgravasi ogn’ uom dell’ armatura, e a piedi 
Se la depone: seggono a rimpetto 

L'un oste e l’altra; e poco suol le parte . 
Ettore al padre accelera l'invito 


Fa 


€on un araldo, ed un che narri a Troja si 
La tregua, e riedan co’ votivi agnelli ; 

Per l'agnello al Tonante, il re de’ Greci 
Avvia Taltibio, e quei vola alle navi. 


E annunziatrice ad Elena scendea 


In 


Iride in volto della sua cognata 

Laodicea, bellissima fra tutte 

Figlie di Priamo, e al prence Elicaone 
D’Antenore figliuol, florida sposa . 

Nelle sue stanze la trovò che assisa 
Ampia una tela ordia, doppia raggiante, 
A. varie fila istoriando i lunghi 

Anni, e i travagli, onde per lei fra V'armi 
Greci e Teucri gemean sotto le mani 
Dolorose di Marte. Or vien, le disse, 
Vien, cara' ninfa, e ti saranno 1 campi N, 
Mirabil vista. Ivan pur dianzi armati 

Fra Troja e il mare, e ardevano a svenarsi: 
Or posan queti su gli scudi; or tutti 

Han piantate le lunghe aste sul prato, 
Senz’ elmo tutti, e I’ altre armi sull’ erba . 
Sol Menelao per te, solo Alessandro 
Proveran l’ aste; e tu sarai chiamata’ 

La moglie cara al vincitor felice. 

quegli accenti della Deay'pietoso 

Riparlava un desio d’ Elena al core; 

Che al perduto marito, ed a*congiùnti 

La richiamava, e alla‘città paterna . 

Ombrò di veli candidi il bel volto, 

E le grondò una lagrima dagli occhi, 

E uscia: nè sola abbandonò le soglie. 

Etra di Pitteo la seguì, e Climene 

Dalle grandi pupille. In poco d’ ora 


I K 


#0 
Furo alle porte Scee presso alla torre. , 
Quivi 1 custodi delle leggi antichi 
Esso Priamo, e Panitoo; Lampo, e Timete; 
E Clizio, e lcetaon, sangae d’ Eroi; 
E Ucalegonte e Antenore, due savi, 
Sedean; gravi d’ età, queti dall’ armi, 
Ma indefessi orator;;così fra 1’ ombre 
Le cicale sugli alti alberi assise 
Fanno alla selva udir voci perenni. 

All’ apparir della regina; i vecchi 
Tendean gli sguardi, e discorrean sommessi: 
No; indegnamente in tanti guai non piange 
E Grecia ed Ilio per costei, che donna 
Non sembra; in vero è tutta Dea! ma parta; 
Ma per celeste ch' ella sia, si parta 
Con le navi de’ suoi; ch’ ella non resti 
Qui a noi funesta, e a’ figli nostri un giorno. 
Diceano;,e Priamo a lei: vieni, t° appressa 
Elena, figlia mia, siedimi a lato. 
Non da te; no; ma dagli Dei sopporto 
Di questa guerrà i-lutti.: Or fa ch’ io t oda 
Quel Greco altero nominarmi. Ei d’ altri 
Sorge men alto alla statura, e insieme 
Imperioso fra gli Achei grandeggia: 
Tanta beltà di preminente aspetto 
Io mai non vidi; al certo è d’ uom:che regna. 

O sacro a me, suocero mio, rispose: | 
Quella divina fra le donne, amato 
E temuto da me! così alla morte 
Anzi che al figlio tuo fossi piaciuta; 
Nè qui approdata mai, quando una cara 
Figlia, e fratelli, e il marital mio letto, 
E le compagne mie meco cresciute | 


TI 


Lasciai! ma vivo; e mi dileguo in pianto. 

Poi ripigliò: quel di chi parli è Atride, - 

Ottimo re, forte guerrier, cognato 

Mio, se pur fu, di me impudica. E tacque. 
E il re canuto contemplando il campo, 

Te beato, esclamò, nato, educato 

Col favor degli Dei, figlio d’ Atreo, 

Che a tanti forti della Grecia imperi! 

Fui già in Frigia, e pugnai; varie, infinite 

Di Migdonio e d’Otreo vidi le schiere; 

Fanti a mille e destrier, carri ed aurighi 

Ombrato avean di padiglioni entrambe 

Le lunghe rive del Sangario, a’ tempi 

Che le Amazzoni maschie eran discese 

A disertar la terra; ed io v° accorsi 

Alleato de’ Frigi. Erano pochi 

Verso de’ tanti che or mi stanno al guardo. 
E fra l parlar nominò a dito Ulisse: 

Colui chi è? Ben della testa il passa 

Agamennòn; ma più prestante appare 

A’ larghi umeri, e al petto: ha 1’ armi a terra; 

Va come ariete fra le squadre: invero 

Parmi velloso ariete maestro 

Di densi branchi; e com’ ei fa, le agnelle 

Tacite fanno. Ed Elena : tu vedi 

Di Laerte l’ erede, in grembo a’ scogli 

D' Itaca nato, e d’ aspre genti allievo; 

Ma di tal mente, che gli aguati e l’ arti 

Tutte, e i consigli, e trame ignote aduna. 

Levò la fronte Antenore, e a que’ detti, 

Soggiunse : o donna, tu di’ il ver d’ Ulisse! 

Quand’ ei per te con Menelao qui venne 

Oratore, io gli accolsi ospite onesto 


12 

Nelle mie case, e d’ ambeduo l’ ingegne 

E il costume esplorai. Standosi ritti, 

Maggior decoro a Menelao veniva 

Dall’ alte membra; e non sì tosto assisi, 

Più dignitoso s ic Ulisse . 

Se fra gl’ Iliaci prenci ivan tessendo 

Eloquenti consigli, era l’ Atride 

Dicitore spedito, ilare, schietto, 

E benchè minor d’ anni, esso nè molte 

Spendea parole, nè gli usciano in fallo. 

Quindi sorgea quell’ Itacense, e stava 

Da pria con gli occhi attoniti alla terra 

Tacito; nè facea gesto di scettro 

Innanzi o indietro, e lo impugnava immoto, 

Come il rustico suole; e tu il credevi 

Bizzarro d’ iva che vaneggi e adombri: 

Ma al primo suon onde la voce a un tratto 

Gli scoppiava dal petto, e alle sentenze 

Che succedeano a vortici di neve 

Chi più stavagli a fronte? a chi l’ udiva 

Strano il sembiante non parea d’ Ulisse. 

Ma e lui, che il capo e gli omeri eminente 
Tien sovra i Greci, e non fa passo, e guarda , 
Chiese ad Elena il re, di? come il nomi? 

Rispose: padre, quel si alto è Ajace, 
Scudo al popolo Acheo. L’ altro che tanti 
Cretensi duci a sè d’ intorno aduna, 
Nume il diresti, è Idomeneo. Sovente 
A noi giunse da Creta, e Menelao 
Gli dava ospizio i nostri tetti. Io veggio 
Molti guerrier de’ quai rimembro il volto 
Rimembro i nomi; soli due non veggio. 
Jo miro invan per Castore divino 


Domator di cavalli; e ov’ è Polluce 
Pugillator divino? E pur fratelli 
Son miei, son figli della madre mia, 
Or che ogni Eroe qui pugna, amano 1 lieti 
Campi di Sparta? o son qui forse , occulti 
Nelle lor navi, vergognando afflitti 
Dell’ignominia mia ? così dicendo 
Gemea: quei già posavano in eterno 
Sonno raccolti dalla patria terra. 

E per le vie di Troja ivan gli araldi, 
Con gli agnelli e un capace otre di capra 
Colmo del vino onde a’ mortali è lieta 
Donatrice la terra. Ideo, tenendo 
D'oro le tazze, e fulgido il cratere 
S'offerse a Priamo: sorgi, o del divino 
Laomedonte venerando figlio, 
Te, disse, d’Ilio, e te desiano d’ Argo 
I condottier. Consacrerai ta il patto =, 
Che il tuo figlio Alessandro e Menelao, 
Facciano a corpo a corpo assalto d’aste, 
E la regina, e i suotregali averi 
Seguano i vincitor. Poi su l’altare 
Svenerem sangue a rintegrar la pace. 
Iran gli Achivi a riveder le mogli 
E noi coltiveremo Ilio securi. 

Rabbrividiì il canuto: indi a’seguaci, 
Or m’aggiogate i palafreni al cocchio, 
Disse; e quei fero come lor fu imposto. 
Occupò il cocchio, e a sè raccolse i freni; 
Salì Antenore seco, e la pianura 
Fuor delle porte Scee diero a’ cavalli. 
Giunti presso a’ guerrier, scesero a terra; 
E camminando lungo il calle fig sto 


1 
10 i due campi partia, vennero a TN) 
Incontanente Agamennon rizzossi , 
Rizzossi Ulisse: e in vestimenti insigni 
Gli araldi il rito disponean porgendo 
Chi l’auree tazze, e chi attingendo il vino 
Dal cratere solenne; altri versavano 
Sovra le mani ai regi onda di fonte. 
Snudò un coltello Agamennon, che all’ elsa 
Sempre affilato gli pendea dal Lidia; 3 
E un bioccolo di lana alle tre teste 
Rase agli agnelli, e porsela agli araldi; 
Quei la partiano ai re d° Argo e di Troja, 
Mentr'ei stando nel mezzo, e sollevando 
Le palme al cielo, a voce alta pregava: 
Giove massimo eterno ; e tu che d’ alto 
Tutto rimiri e tutto intendi, o Sole; 
O fiumi; o terra; o Deità, che i morti 
Moderate sotterra , e lo spergiuro 
Punite : Io voi miei testimonj invoco 
Tutti; e custodi, e vindici del patto. 
Se Menelao morrà sotto Alessandro, 
Elena resti e il suo corredo a Troja; 
E in Grecia io ritrarrò le navi e l’armi. 
Se sotto Menelao more Alessandro, 


Troja a noi renda ed Elena e il corredo, 

E quanto è giusto pagherà un eta, 

Memoria a’ figli, e de’ nepoti a’ figli. 

E se i fratelli e il Re, morto Alessandro, 

Mi disdiran l’ammenda , io per l'ammenda 

Guerra guerreggierò fino all’ estremo. 
Disse; e mortale insanguinò il coltello 

Nelle fauci agli agnelli, e li depose 

Palpitanti ed esanimi sul prato . 


15 


E il vin sovr'essi, attinto dal cratere 
Cosparsero. Comuni eran le preci 
E il voto a’ Numi; ed or Trojani, or Greci, 
Dei Santi, eterne Dee, Giove Tonante! 
Dicean; così com’ oggi scorre il vino,. 
Scorra , e le glebe insanguini il cervello 
D'essi che primi a profanar la tregua 
Toccheran Varmi; e d’essi e de’ lor figli; 
E le lor mogli sieno mogli altrui. 
Ma i voti ancor non assentiva Iddio. 
Priamo la voce sollevò, e, m'udite , 

Disse, Teucri, ed Achei. Riedo a’ miei tetti; 
Chio nol vedrò; non sosterrei con gli occhi 
Del bellicoso Menelao l’ assalto, 
E d’un diletto figliuol mio . Pur troppo 
Sta nella mente degli Dei quell’ uno 
Ch' oggi è promesso a Morte . E più non disse, 
E si mosse; e parea nume che parte . 
E come pria sul carro ebbe riposte 
L’ ostie immolate , il santo re vi ascese 
È Antenore al suo lato; e stretti 1 freni, 

| E incalzati i destrieri , iva sorgendo 
Più vicina a’ lor occhi Ilio ventosa. 

Ettore allor per l'imminente pugna 

Misurò il suolo con Ulisse, e occulte 
Dentr’un elmo agitavano due sorti, 
Ghi avrìa scagliato primo l’asta; e intanto 
Tendean le braccia e oravano le turbe : 
Deh! signor d’ ogn’ Iddio, re della terra, 
Folgorator dall’Ida! oggi ti piaccia 
Precipitar un di que’ due nell’ orco, 
Che primo il sangue provocò. Tu a noi 
Rendi amistà ; tu fa la pace eterna. . 


16 È 

Mentre qua degli Achei, là de Trojani - 
Mormorava il pregar , l'elmo profondo 

Forte Ettorre scotea guardando indietro , 

E balzò al suol di Paride la sorte. 

Ogni Eroe si tornò presso al suo cocchio 

E a’ suoi destrier; fra’ suoi compagni ogni uomo 
S’ assise ove giacean l’armi diverse. 

Mentre d’ Elena bella il bel marito 

Alessandro , vestia splendido l’ armi. 

Pria gli schinieri, da raggianti argentee. 
Fibbie costretti , circondò alle gambe; 
Eragli adatto, e si precinse al petto 
Di Licaone fratel suo l’usbergo, 

E stellato d’argento aspro di borchie 

Sospese un brando ad armacollo; e un ampio 
Scudo compatto all’omero s° impose : 

Diè alla sua fronte un elmo opra dell’arte; 
Pioven dattorno giube di destrieri , 
Minacciosa guizzava alta la cresta. 

Alfin robusta agevole al suo braccio 

Brandì l’asta, e sì mosse. E non d’altr’armi 
Fra prenci Argivi Menelao s'armava. 

Per meraviglia e per terror le genti 
Tacean, mentr'essi al misurato piano 
Soli apparian. Ristettero a rincontro 
Avventando un su l’altro ira dagli occhi 
Crollando l’aste; e Paride primiero 
La saettò. Diè nello scudo, e il doppio 
Scudo del Greco rintuonò e mandolla 
Col ferro torto su la sabbia . Il colpo 
Drizzò quindi l Atride , ed adorando, 
Dammi esangue Alessandro, e dell’ insulto 
Dammi, dicea, vendetta; onde chi vive, 


‘ 17 
Chi nascerà, ne tremi; onde veruno. 
Mai più d’infamia non rimerti ì doni, 
O Giove , e il letto all'ospite cortese, 
O padre. — E l'asta gli volò di pugno 
Diritta, intensa, traforò il brochiero, 
Smagliò Y usbergo , e s'immergea funesta 
Sotto la costa a Paride : Ei protese 
Lo scudo e il braccio, e fe’ del corpo un arco, 
E alla morte fuggì. Snudò e calcava 
L’Atride il brando a Paride su 1’ elmo, 
Stride il ferro e si stritola, e in tre e quattro 
Pezzi gli esce di mano. Urlò con gli occhi 
Alti alle nubi Menelao gridando: 
Ahi più d’ ogni altro Iddio Giove sinistro ! 
Io da te giusta mi ‘sperai ‘vendetta, 
E la vita del perfido; e tu il campi: 
Falsa fu Vasta; il ferro mi si spezza, 
Dicea , precipitavasi , e afferrando 
Il cimiero al Trojano, elmo: e criniera, 
Lo strascinava ; e per trionfo eterno 
Lo dava in preda al popolo de’ Greci ; 
Mentre il cuojo trapunto a fila d’oro, 
Che sotto al mento avea freno dell’elmo, 
La molle gola al giovine strozzava . 
Non però lenta, o Venere, accorrevi, 
Santa figlia di Giove, e appena tocco 
Dal dito eterno, fu diviso il cuojo, 
E alla man dell’ Eroe vuota correa 
La celata, e rotavala , e a compagni 
La scagliò e fu raccolta. Ei con un ‘asta 
Correa al sangue di Paride ; ma quella 
Che era Dea rapialo di leggieri 
In denso aere confuso, e poiche 1° ebbe 


18 

Fra profumi del talamo, e sui molli 

Bei tappeti adagiato , essa la Diva 

Per Elena n’andò: poggiò alla torre 

Eccelsa ov’ era di Dardanie donne 

Molta adunanza, ed Elena nel mezzo. 

Le tentò il lembo ( e il peplo odorò l’ aure ) 

Venere d’ una mano, e come fosse 

La filatrice delle lane antica, 

Che molto a Sparta oprato avea leggiadri 

Manti di. lane alla regina , e in Ilio 

La seguiva amorosa, aspra di rughe 

La Dea pareva , e.sussurrava: or vieni; 

Alessandro è nel talamo, e t’aspetta; 

Vedrai fiorirgli di bellezza il viso, . 

Fiorir le vesti; e non dirai ch' ei torni 

D' una battaglia ; ben dirai che al ballo 

S'accinge, o siede a respirar dal ballo . 
Ogni parola ad Elena piovea 

Nel secreto del cor: poi quando a hi 

Il roseo collo della Dea rifalse, 

E-la spirante voluttà dal petto 

Vide, e il foco raggiar dalle pupille; 

La quit impaurita , e le si dolse: 
Funesta Dea , mi sedurrai. tu sempre ! 

Che sai più farmi? strascinatmi in altre 

Gittà di Frigia o di Meonia aun)nuovo 

Amico tuo ? o Paride fa vinto, 

E tu all’ insidie torni, onde alle case 

Io, trista ! i0 mai di Menelao non torni? 

Vatu, sea mi, a Paride , e per lui 

Vivi, per lui dimentica 1’ Olimpo, 

Ne più attentarti di toccar co’ piedi 

Le vie de’ Numi; presso a lui ti pasei 


19. 

Giorno e notte di.spasimi, e tel serba, 
Fin ch’ ei ti nomi sua consorte e ancella; 
Ch° io non v andrò, non io ; quando il suo letto 
Più indegnamente abbellirei., vedrei 
Più amaro il ghigno delle Iliache donne: 
E piena ho già l’anima mia di pianto . 

Arse la Diva ; e oh misera, le disse; 
Guai se in ira mi cadi, e ti rimani 
Desolata da me . Quanto io t’'amai 

T'abborrirò , t'inseguirò : sì atroci 

n Sparta ed Ilio attizzerò i rancori 
Che perirai da sciagurata . — Udiva, » 
Tremava la mortal figlia di Giove : 
Radunò i fluttuanti orli del niveo 
Suo peplo , e avvolta e tacita mettea 
L’ orme su l’ orme della Diva , e agli occhi 
Delle Troadi svanì. Giunte all’ ostello 
Marmoreo d’ Alessandro ; all’ opre usate 
S' appartaron le ancelle ; e la regina 
Bellissima alle stanze alte ascendendo , 
Sul limitar del talamo s’ offerse . 
Giojosa , di sua man ,. Venere un seggio 
Trasse , e a rincontro a Paride il depose ; 
Ed Elena s’ assise ; e le pupille 
A sè raccolte , il trafiggea di motti . 

Torni sì ratto a me dal campo ? oh fossi 
Quivi giaciuto , e il signor mio possente 
A chi m' hai tolta , sì t avesse ucciso 1 
Pur chi dianzi t’ udiva, eri tu il forte 
Tu d’ asta, tu di man, tu di prodezze 
Più del guerriero Menelad. Ritenta 
Quel guerrier Menelao; scendi e l’ invita 
Teco a pugnar . Se credi ja me, t acchela. 


20 
Non avventarti alle battaglie, e fuggi, 
Fuggi da Menelao che non ti sveni, 
Non più, diss’ ei, non accorarmi , o donna , 
De’ tuoi dispregi . Or Pallade e 1’ Atride 
M' han vinto. Anch'io veg ggio presenti i Numi, 
E il vincerò quando che sia. Deh sorgi, 
Pace farem dolcissima abbracciati . 
Ardemi amore or più che mai; nè quando 
Predaiti a Sparta e veleggiando i mari, 
Di Cranae t’ approdai nell’ isoletta , 
Quel primo dì ch’ io delle tue bellezze 
Fui lieto alfin , non mi struggea sì fiero 
Nè sì caro il desio che m’ innamora . 
Ei salì primo a’ molli strati , ed' ella 
Seguialo ; e il sonno li sopia congiunti . 
Ma come belva Menelao vagava 
Qua e là per entro le turbe nemiché, 
Se adocchiasse Alessandro, e a” federati 
Spia ne chiedeva , e a' Dardani , e a’ Troòjani ; 
Nè mai verun gliel’ additò ; nè' occulto‘ 
Per amistà l’ avrian, quando a una guisa‘ 
Paride e l’ orco ‘erano esosi‘a’tutti. 
Videro allor approssimarsi il grande 
Re de’ Greci , intimando : Odan le genti” 
Teucre e Dardanie e collegate’ a ‘Troja': 
Or la vittoria per'1° Eroe ‘di ’Sparta’ 
È manifesta . Rieda'a lui con' tutto 
Il tesor degli ‘arredi Elena Argiva ; 
‘Tributate agli Achei giùstà un’ ammenda! 
Che sia memoria a ”‘bopbli fatùri . 
Disse ; e fremeva degli Achei l’ assenso‘. 


31 
BELLE ARTI 
MUSICA 
i ( V. il Fascicolo VII. pag. 192 ) 


Angelo Corelli, le cui opere dettero una reputazione 
alla musica strumentale, che mai non aveva goduto per 
l’avanti, nacque a Fusignano nel 1658. La natura non 
l’avea formato a far mostra de’ suoi talenti nei primi 
anni della sua gioventù: era appena conosciuto, prima 
che pubblicasse a Roma nel 1683 le sue prime dodici 
sonate, e vi vollero molti anni, prima che s° acquistasse 
il titolo di celebre professore di musica. Egli era mo- 
desto fuor di modo e solitario, e con difficoltà s° indusse 
ad accettar la carica di primo violino,, e ad addossarsi 
l’ arduo impiego di dirigere l'orchestra a Roma. L’ope. 
ra che gli attirò grandissima riputazione , furono i suoi 
a soli per violino, pubblicati nel 1700. Prima di Corelli, 
la musica strumentale era quasi priva di bellezza, di 
melodia,e d’ espressione ; avanti lo stabilimento dell’ o- 
pera, non ebbe occasione di perfezionarsi , non avendo 
altro da seguire che la musica da Chiesa, il di cui tristo 
e monotono carattere non poteva infondere gran va- 
rietà nel carattere della musica teatrale; ed è perciò che 
fu grande il cambiamento operato dal genio e dall’ ori- 
ginalità del Corelli. Introdusse il Concerto, e fu il pri- 
mo ad organizzare un’ orchestra regolare di suonatori, a 
cui prestava tanta attenzione, che Alessandro Scarlatti 
( le cui ammirabili cantate hanno somministrato idee . 
alla folla de’ suoi successori ) allora giovane, dichiarò, 
che se v'era cosa che potesse accrescer merito alla com- 

T. IV. Ottobre We 


22 
posizione del Corelli , era senza dubbio l’eccellente con- 
dotta e la maravigliosa accuratezza della sua orchestra. 
La musica del Corelli è tenera e semplice , e tocca il 
cuore; non v'è ampollosità nè pedanteria; non v è nulla 
di duro o che non s’intenda, e finalmente ha il più 
grande di tutt’ i meriti possibili, quello cioè d’ esser del 
tutto originale. Ma nel tempo stesso vi si sente una certa 
medesimezza 0 manierato, che piuttosto palesa una certa 
mancanza di concetti. Sappiamo che egli si guardò 
scrupolosamente dal copiare le opere de’ suoi predeces- 
sori, e per questo perde nella varietà ciò che guadagna 
nell’originalità. Il suo esempio messe per tutto in gran 
voga i suonatori, e specialmente di violino, e l’avanza- 
mento di questo ramo dell’arte, ebbe una grande in- 
fluenza sulla musica da teatro, che poco tempo dopo 
divenne di tanta importanza. 

Fra tutti quelli che seguirono i passi del Corelli, da- 
remo qualche breve notizia del Tartini, la di cui opera 
sopra il temperamento , scritta intorno alla metà dello 
scorso secolo, benchè fondata sopra falsi principj mate- 
matici, è vere molto i ingegnosa e originale . Egli 
ha fatto un gran numero di compusizioni; i soli con- 
certi ammontano a dugento. Fu stimato il più gran 
professore del suo tempo, eccettuato forse il suo con- 
temporaneo Veracini; uomo famoso per le sue burle, e 
per la sua abilità, quanto Tartini per modestia e per ti- 


midità (1). 


\ 


(1) N Veracini essendo in Lueca per la festa della Croce, 
fu invitato ad eseguire un concerto secondo il costume . Ve- 
muto il giorno si portò al luogo dell’ esecuzione, ch’ era una 
delle Chiese -più grandi che fossero in Lucca, con intenzione 
di prendere il posto di primo violino , ma lo trovò occupate ‘ 
dal Laurenti il solito maestro di ong » Veracini ne rimase 


23 

Il primo tentativo che. fu. fatto per rappresentare, un 
dramma, fu eseguito: verso la fine del decimo sesto se- 
colo in Firenze, madre stata sempre feconda d’ uomini 
sommi , più ch’altra mai dell’Italia . Il dramma fu in- 
titolato la Dafne, composta dal Rinuccini, messa in mu- 
sica da Caccini e da Peri, ed eseguita in casa del Corsi, 
gran mecenate dell’arti, nell’anno 1597, € da quest’o-. 
pera possiamo fissare l’ invenzione del recitativo. La 
prima opera che fu resa pubblica per mezzo delle stam- 
pe; fu l’Euridice, eseguita pure in Firenze nel 1600, 
scritta e messa in musica dai tre summentovati sogget- 
ti. In questo secolo l’ opera non. fece nessun progresso 
notabile; almeno tutte quelle che furon scritte in que- 
st’ epoca , non hanno conservata nessuna celebrità. La 
rappresentanza più magnifica che fosse fatta nel deci- 
mo settimo secolo, fu quella dell’opera di Berenice, 
messa in musica da, Freschi, ed eseguita’ in Padova 
nell’anno 1680 , con magnifiche decorazioni , che supe- 
rarono ancora i grandi spettacoli dei nostri moderni 
teatri. Un solo coro era composto di cento vergini, uno 
di cento soldati, uno di cento corazzieri; quaranta cor- 


offeso fuor di modo, e voltate le spalle ai professori, non volle 
suonare una sola nota; finchè essendo invitato al concerto, 
chiese la permissione di suonare un a. solo, accompagnato sol- 
tanto da un violoncello, il che fu eseguito sì maravigliosamen- 
te, che entusiasmò l'udienza costringendola ad applaudire, e 
più volte dovette sospenderlo dai moltiplicati evviva, e dagli 
altri segni d’approvazione e di gioia, cosa non mai sentita den- 
tro il recinto d’ una Chiesa. Veracini ne rimase sodisfatto , e 
quando era vicino a una cadenza, voltandosi verso Laurenti 
con aria di sodisfazione gli ‘diceva « Così sì suona per fare il 
primo violino, messer Laurenti ! Il Veracini aveva due famosi 
violini , l’uno chiamato San Pietro, l’altro San Paolo , 


24 
netti ‘e sei trombe a cavallo ; sei tamburini; sei bandie- 
re, sei tromboni, sei flauti, sei ottavini, sei arpe; e sei 
cimbali; dodici cacciatori, dodici servi, diciotto coc- 
chieri, e sei paggi; due leoni, e due elefanti! Qual ma- 
scherata a’ dì nostri si potrebbe a questa paragonare ? 
-- Non v'eran meno di sette ‘teatri nella sola Venezia 
er l'esecuzione dell’opera. 

I più celebri compositori d’Italia di'questo' perio- 
do, furono Luighi, Cesti, e Stradella, benchè l’opere 
piiritigani dell’ ultimo siano cantate «0 tdadrigali e non 
opere o oratorj. Si racconta un ‘aneddoto della musica 
di Stradella , che i nostri lettori: potranno crederlo ‘o nò 
a loro piacere; noi peraltro lo narreremo come ci è ‘stato 
trasmesso . Stradella avendo sedotto ‘la moglie di un 
nobile Veneziano, fuggì con essa da Venezia, per ‘sot- 
trarsi alla vendetta dell’ arrabbiato marite, il quale 
avendo inteso che s’eràn diretti verso Roma ,spedi colà 
due sicar] per assassinare Stradella . Gli emissari‘ appena 
giunti in Roma, sentendo ch’egli dovea quel giorno ese- 
guire un suo oratorio in una tal Chiesa, determinarono 
d’attenderlo nel portico, ed ivi assassinarlo dopo l’ ese- 
cuzione della musica. Entrarono in chiesa quando co- 
minciava l'oratorio; e fu tale l’effetto che fece in loro 
la bellezza di quella melodia, che vinse i loro cuori sel- 
vaggi, e giurarono vicendevolmente di non mai privar 
di vita un essere, autore d’ un armonia sì divina: ed 
aspettando che Stradella escisse di Chiesa, gli si fecero 
innanzi, e gli dissero quanto mai erano obbligati al di- 
letto che loro aveva dato quella sera ; gli fecero palese 
il fine per cui eran ivi venuti, e lo supplicarono a fug- 
gire subitamente da Roma. Ma la costante vendetta del 
Veneziano , lo seguì da per tutto di luogo in luogo, e 
due anni dopo, Stradella e la bella donna una mattina 


25 


furon trovati morti nel letto, ambedue feriti da un col- 
tello nel seno . . pthbot 

Sul principio. del. passato secolo l’opera Italiana 
comparve molto migliorata, mediante l’opere del Vin- 
ci, del.Leo, dell’Hape!, del Galuppi, del Porpora; e del 
Pergolesi. Si può attribuire al Vinci il più gran miglio- 
ramento che.l’ opera abbia mai ricevuto, quello, cioè, 
di separare la parte vocale dalla strumentale. Prima di 
lui le parti vocali rimanevano soffugate dalle strumen- 
tali; la qual maniera di comporre fu seguita dai Tede- 
schi fino al tempo di Keiser. Vinci ne conobbe l’assur- 
dità ; e la corresse; distinguendo; ;la melodia dagli,ac- 
compagnamenti , rendendo semplici ambedue ma spe- 
cialmente. gli ultimi , che procurò sempre di rendere 
unisoni. Fu rimproverato il gusto degli uditori di Roma 
e.di:Napoli, che non riconobbero il merito della mu- 
sica di Pergolesi ; fintanto che ammirazione di tutto 
il resto dell'Europa ne richiamò; la Joro attenzione , e 
gli costrinse a riconoscere la loro mancanza di criterio . 
Vinci, Pergolesi, e Porpora; con i loro lumi principal- 
mente, incamminarono l’opera a quell’apice di eccel- 
lenza} a cui in breve arrivò; i due primi per la melodia, 
l’ultimo per il recitatiyo: e pure sembra strano il dire, 
che l’Olimpiade, la più bell’ opera del Pergolesi, non 
fu udita con quell’applauso che meritava, se non dopo 
la sua morte seguita nel (737 . Morì nella bell’età di 
trentatrè anni; e negli ultimi anni della sua vita, allor- 
chè era nel. colmo della sua malattia, compose la ce- 
lebre Stabat Mater . 

Nella gran folla di compositori che empirono tutta 
l’Italia, vi si distinguono molti nomi idi somma cele- 
brità, che recarono ila musica vocale Italiana all’asice 
della perfezione, ma: tutti furono superati dagli autori 


-26 

del don Giovanni, del matrimunio segreto; è della 

molinara. Per non tediare i nostri lettori, ci asterreMo 

dal dare una lunga lista di compositori; e dal ériticare 
le loro opere: ma la differenza che esiste fra la musica 

vocale Italiana e quella di qualunque altro. paese, è 
tanto grande; che non possiamo fare a meno -di dire 
poche parole, su ciò che a noi: ‘sembra essere la cagione: 

di questa gran differenza.» 0000; ai stati if 

— —L’ armonia, ripetendo il suo principio dalla natu: 
ra, deve esser'comune a tutte le nazioni; dunque sarà 
la melodia, chie indicherà il carattere d'una musica na- 
zionale; e dovunque interessa la: melodia, deve ancorà 
interessare il carattere nazionale della musica. Se 70 
mi dimandasse ‘(dice Rousseau.) quale fra tutte le 
lingue deve avere una miglior:grammatica;ib rispon- 
derei: quella ‘del'popolo che ragiona meglio degli al+ 
tri; e se mi fosse detto, qual'popolo deve avere una 
musica migliore , io risponderei: quello la cui lingua 
è la più propria. Questa risposta del filosofo di Gine- 
vra è giusta fino a un certo segno ; che la melodia 
d’ una nazione dipenda in gran parte dalla sua lingua; 
è verissimo, ma non dipenderà dalla perfezione. di 
quella lingua : la sua forma grammaticale, la sua»sime- 
iria, il suo carattere conciso, non la renderatino nè 
più nè meno adattata ai suoni, nè produrranno nel po- 
polo che la parla ; una maggiore o minore sensibilità 
per la melodia. Questo dipenderà solamente dalla. for- 
mazione delle sue ‘parole. Non è difficile comprendere 
che alcune lingue possono esser meglio adattate ‘alla 
melodia a preferenza dell’ altre, ma queste saranno le 
più armoniose» Una lingua composta di parole dolci , 
fluide, melodiose, senza nessuna durezza ‘0 ‘discorde 
combinazione di sillabe che offendino l’ oreeclrio } e che 


2 

abbia nel temapò stesso una regolare e frequente i: 
tuazione ; questa sarà la lingua del canto. E se v'è in 
Europa un paese che possa pretendere un sì fatto lin- 
guaggio, questo è senza dubbio l’Italia. Le frequenti 
vocali, e in conseguenza le moltiplici elisioni di esse, 
fanno sì che le parole si legano insieme, e producono 
le inflessioni soavi e fluide all’orecchio. Pur troppo le 
vocali spessissimo usate , formano le parole più sonore, 
perchè sono esclusi i dittonghi è le vocali nasali: la re- 
golarità dell’accentuazione produce una facile e distinta 
articolazione, lo che fa il suono delle differenti sillabe 
piano e percettibile, senza sforzo nè durezza; e così 
tutto s' accorda a produrre una fluida e melodiosa sen: 
tenza. 

Dall’ altra parte, una lingua che ha in sè ogni mi- 
scuglio di suoni , le sue sillabe piene di consonanti e di 
parole gutturali, che non producono altro che tuoni 
duri e discordi, e finalmente che sia del tutto disarmo- 
nica , non può esser buona pet la ‘melodia. La durez- 
za delle frequenti consonanti renderà dura ancor la 
musica , nè scorrerà dolcémente, ma sembrerà lo sten- 
tato rotolare di un corpo irregolare sopra un rozzo pa- 
vimento . Maricando Ja melodia in una tal musica, sarà 
mal supplita la soa mancanza coll’aggiunta di estranee 
bellezze ; e comunque sia corretta l'armonia delle parti, 
deve sempre dipendere dalla melodia, per la varietà 
dell’ espressione . In ‘vano procurerà il compositore di 
compensare la monotonia della melodia, colla ric- 
chezza de’suòi accompagnamenti, con una studiata 
composizione, colla difficoltà dell’ esecuzione, colla pie- 
nezzà delle parti, colla frequenza delle sue modulazio- 
ni; ma tutte queste cose non gli saranno di nessun gio- . 
vamento, se gli mancherà la melodia. 3 


28 

Siccome la musica vocale esisteva lungo tempo. 
prima della strumentale, deve ripetere la sua origine 
dai differenti modi d’esprimere il sentimento per mez- 
zo dei suoni. La musica de’ Greci ne può servir d’esem- 
pio ,.il di cui ritmo è semplicemente la musica formata 
dalla varietà. delle combinazioni di sillabe lunghe e 
brevi, delle quali copiosamente abbondava la loro lin- 
gua; e quanto più son fluide e poetiche queste combi. 
nazioni, tanto più la musica si adatterà ad esse. Se la 
prosodia d’una lingua è cattiva, se è irregolare e ine- 
satta, se le sillabe lunghe e brevi non hanno propor- 
zione nel verso, sarà ben difficile e quasi impossibile, 
di formare delle combinazioni che possino esser piace- 
voli all'orecchio, e disporre in guisa i loro suoni da pro- 
durre quel che A ritmo o poesia: ed accade 
il medesimo a quelle qualità di suono che costituiscono 
la sua melodia o la musiea. . . 

Ora tutte queste combinazioni, s’ uniscono ad ac- 
crescer bellezza alla musica Italiana. La sua semplice 
e pura melodia, le sue eccellenti modulazioni, i suoi 
corretti e bene appropriati accompagnamenti , tutto 
tende ad eccitar sentimenti che non è capace di pro- 
durre nessun’ altra musica. Noi abbiamo già fatto os- 
servare il bell'effetto prodotto nella musica vocale d’I- 
talia da’ suoi accompagnamenti, dove si conserva sem- 
pre quella semplicità e quell’ unità, che è cento mila 
volte più essenziale. nella musica, che non è l’unità 
d’azione nella tragedia: e per questo si distingue la mu-, 
sica d’Italia, da quella della Francia: nell’ ultima si 
procura nascondere la nudità della melodia più che sia, ’ 
possibile, colla pienezza dell’altre parti; Jla nudità 
dell’una è celata dalla ricchezza dell'altra, e l’atten- 
zione è distratta dallo strepito, che è affatto estraneo 


29 
al disegno principale. Ma in Italia per inezzo d’una 
retta. disposizione di parti, oghi cosa s' unisce a dare 
energia al soggetto e ad accrescerne l’ espressione; fa- 
cendo sì che gli accompagnamenti servano al gran di- 
segno.,.e che lo abbellischino e gli dian pienezza, sen- 
za occultarlo e oscurarlo. I loro accompagnamenti in 
unisono , addolciscono e rendon più grati i suoni della 
melodia , e nel tempo medesimo aiutano la memoria a 
ritenere l’idee impresse dalla melodia : essi rendon la 
musica bastantemente forte e pieghevole, senza farla 
comparire troppo aggravata o nauseante. Questa sorte 
d’accompagnamento non è praticabile in generale nella 
musica francese, perchè il carattere della loro musica 
vocale e strumentale è del tutto diverso. L'incertezza 
e la mancanza d'espressione impediscono qualunque 
combinazione di parti che potessero far, risaltare un 
concerto; così che i loro accompagnamenti invece d’u- 
nirsi alla melodia, ne tolgono l’attenzione essendo di- 
scordi con essa, e indeboliscono il’ effetto. della parte 
vocale, la quale è la sorgente di tutte.le bellezze dell’ac- 
compagnamento.. Il seguente aneddoto narrato da Rous- 
seau, conferma particolarmente: le nostre osservazioni. 
Ho veduto ( egli dice )a Venezia un Armeno , uomo 
di qualche talento, che non aveva mai sentito mu- 
sica. Lui presente fu eseguito in un medesimo con- 
certo un monologo francese, che comincia con questo 
ver'so 
Temple sacre, sejour tranquille ; 
E un aria di Galuppi che comincia con quest’ altro. 
Voi che languite senza speranza . 

Mediocremente fu cantato il monologo francese , male 
Varia Italiana, da un uomo avvezzo solamente alla. 
musica francese, e allora oltre modo fanatico di quel- 


30 

la di M. Rameau. Io osservai nell’ Armeno durante 
tutto il canto francese più sorpresa che piacere, ma 
tutti veddero che alle prime note dell’ aria Italiana il 
suo volto e gli occhi si rasserenarono: sembrava in- 
cantato, ela sua anima era tutta abbandonata alle 
impressioni della musica : e benchè conoscesse poco la 
lingua, il di lei semplice suono produceva in lui gran- 
dissima sensazione . Da (dr epoca non fu più possi: 
bile di fargli sentire nessun’ aria francese . 

Infatti la musica franceseha pochissimo in sè che 
possa recar piacere': qualunque merito che possa avere, 
lo deve riconoscere da ornamenti arbitrari e da acci- 
dentali bellezze, le quali incantano solamente coloro 
che si sono assuefatti ad udirle per tutto il tempo della 
loro vita, e non altri: e da ciò ne viené, che la loro 
musica mediocremente éseguita ‘sì può appena soffrire 
anche da loro stessi; e per renderla tollerabile agli orec- 
chi degli stranieri, bisogna che sia accuratamente ese- 
guita dai professori di prima sfera. La musica Italiana 
al contrario diletta sempre, anche eseguita da cattiva 
voce e con mediocre gusto, poichè le bellezze son nella 
melodia, e non nell’ abilità del cantante . Rousseau s0g- 
giunge dopo aver riportato l’aneddoto sopra riferito . 
Da noi si eseguisce la musica Italianà, dicono i Fran- 
cesi colla loro solita baldanza, e gl’ Italiani non pos- 
sono eseguir la nostra; dunque la nostra musica è 
migliore della loro: ma non veggono che devono trar- 
re una conseguenza tutt affatto contraria, e dire: 
Dunque gl Italiani hanno una melodia che noi non 
abbiamo. 

Da questa digressione, che è stata più lunga di 
quel che ci promettemmo, ritorniamo a far parola dei 
professori che fiorirono al declinare del passato secolo . 


31 
Diremo qualche cosa intorno alla imusica d’ Inghilterra, 
prima di-parlare di quella della Germania. 

Fra! tutti paesi che si son resi celebri per Ja mu: 
sica; V Inghilterra ci fa \a mio parere wn' assai brutta 
figura;!sì piccolo è il numero dé’ suéi compositori na- 
zionali), eccettuati gl’Italiani ‘ei Tedeschi che quà si 
stabilirono; che appena può vantarsi di avere una mu- 
sicà-cta' ‘per sè'stessa . Potrà ella esultare nelle salmodie 
metriche di Tommaso Sternhold e di Giovanni Hop- 
kins ;@ nelle sacre composizioni ‘di maestro Guglielmo 

| Bird; ‘e di maestro Giles Farnabia'; ‘o nei canti, il fi- 
schio del ‘carrettiere (  carman’s ‘vvistle ) e Vieni 
Giovanni or baciami ( John cum kisse me novo ) che 
si conservano nella rara e curiosa collezione chiamata 
il Jibro virginale della regina Elisabetta ( Queer Eli- 
sabeth o virginal book)? (1) O potrà ella gloriarsi 
dell’ elaborate ‘composizioni di quel raro professore, 
maestro‘ Giovanni Ball, dottore di musica; le quali 
erano sì difficili all'olenizionez che furono impratica- 
bili anche ‘all’ Eccellentissima Miestà la ‘Regina, ben- 
chè fosse un’esécutrice di prima ‘sfera del libro virgi 
nale ? -- Sorse finalmente ‘in Inghilterra una specie di 
composizione drammatica ‘per cui la musica venne in 


TE 4R:0)) 


(1) Noi ‘abbiamo’ avuto il piacere di sentire il Carmans è 
voistle Che' ‘è contposizione di Bird ‘ed ‘era 1’ aria favorita ‘della 
regina Elisabetta .sQuesta:; da “più vivacità. dell’altre esecrabili 
composizioni del, libro. virginale di sua Maestà, e s’ avvicina 
molto, ad una quadriglia francese, -- Il virginale era uno stru- 
mento © a, corda fatto a ‘guisa d’una nostra spinetta, che usavasi 
nioltò ’ tempo fà dagli biglesi ; onde libro virginale, viene a 
ari ‘To 'stèsso Che A per'cimbalo. 

PRO H Tradut. 


32 
moda; ed eccitò i talenti di quei;pochi originali e buomi - 
compositori che abbia da vantarsi quest’ isola. Sotto} il 
regno di Giacomo e di Carlo primo, il prediletto, diver- 
timento della corte,e anche dei nobili, fu la rappresen-. 
‘ tanza, di. piccoli intermezzi in musica, chiamati,m24- 
schere (.masques ). Questi erano eseguiti con splendide. 
decorazioni , e vi recitavano,; comunemente, i. mobili. 
stessi. La regina, Enrichetta figlivola di Carlo primo, era 
oltre modo appassionata per simili ,trattenimenti,; e.le, 
più volte eseguiva, le prime parti. Ben Johnson era per 
lo più l’autore di. queste. maschere, e.Harry Lawesg 
che deve riconoscere la. sua immortalità, più dal so-, 
netto di Milton che dalle sue arie, era il compositore, 
della musica. Nel 1634. la maschera! di Como che fu 
composta da lui, fu rappresentata nel castello;dìi Lud+, 
low . Hod | dt 
Le composizioni di Lawes:; particolarmente i canti, 
del. Como ; si celebrano. dagli scrittori contemporangi;;; 
come modelli d’eccellente melodia, e piacevolissimi, 
all’orecchio: forse noi abbiamo degenerato dai; felicis-' 
simi antichi tempi, ma le arie, compostesda quest’ au-, 
tore, ci .sembra che s'avvicinino molto a quelle de’ pap- 
pagalli. Matteo Locke fu un, compositore che, visse in 
questo periodo, e fiorì sul principio del regno di Carlo 
secondo, ma le sue composizioni non furon mai supe- 
rate da nessuno Inglese nè prima nè dopo . Qualunque 
persona che , abbia udito, le sue arie, nel, Macbeth 0, 
nella Tempesta; deve .aver riconosciuta, la:loro!bellez- 
za ed originalità; fa maraviglia peraltro che abbia ave” 
ti sì pochi imitatori ; forse Te sue opere non ‘piatquero 
molto ai professori di quel tempo, il che non farebbe 
maraviglia, perchè non vi è gusto tanto volubile quanto, 
quello della musica : ciò che ora ci piace poteva esser 


33 


detestabile alle orecchie di quei tempi. Ma quel che 
prova la superiorità delle composizioni di Locke, è che 
esse! formano quasi l’unica raccolta di musica Inglese 
originale , che oggi sia'creduta degna di sopravvivere . 
Purcell e Arne sono stati buoni compositori, ma sincera» 
mente parlando sono stati bravi copiatori degl’Italiani. 

La lunga dui che fece Handel in Inghil- 
terra', fu forse cagione di correggere e di riformare:il 
gusto di quel paese. Le sue opere furono le prime ad 
avere un felicissimo successo ; il che fece nascere un 
gusto ‘particelare per. questa specie di composizione ; 
che dipoi condusse allo stabilimento dell’ opera italia- 
na in Londra. Questo costume fu molto ripreso e mes- 
so in ridicolo, dagli scritti periodici di quel giorno, 
specialmente dallo Spettatore dove Addison si ride 
dell’ assurdo costume di introdurre attori italiani nel- 
l’opera, i quali cantavano la loro parte in Italiano, 
mentre gli ultimi soggetti cantavano in Inglese la lo- 
ro (1). 
Handel spiegò assai di buon ora il suo gran genio 
per la musica: da giovinetto fu istruito dall’ organista 
di Halle sua patria , e finì la sua educazione musicale 
ad Amburgo, formandosi il gusto su i migliori modelli 
italiani e tedeschi. Aveva soli quattordici anni quando 
‘suonò la seconda volta la spinetta all'opera d’ Amburgo: 
e nello stesso anno produsse un’ opera che fu rappre- 


(1) Nel numero 5. vw è una curiosa descrizione deile deco- 
razioni e delle macchine che usavansi quando fu introdotta l’ o- 
pera, come uccelli che cantano , cascate d’ acqua ec. Ma com 
tutta la sua contrarietà per l’ opera italiana, dobbiamo fare os- 
servare, che Addison aveva avversione alla musica, e che il suo 
amico Stecle era interessato ‘in uno degli altri teatri, la cni 
udienza scemava di giorno in giorno a cagione dell’opera, 


34° 

sentata trenta volte consecutive. Dopo aver passati po- 
chi anni in Italia, ritornò in Germania , e si stabilì ad 
Annover, dove fu molto incoraggito da quell’Elettore, 
La stretta anione fra le corti d’ Inghilterra e d’ Anno- 
ver, l’ indusse ad accettare mel 1710 l’ invito fattogli 
da alcuni dilettanti, che l'avevano conosciuto ad Anno- 
ver, di recarsi a Londra. Vi. si trattenne un anno solo, 
ma poco dopo il suo ritorno chiese all’ Elettore il, per- 
messo di ritornarvi, e le tante offerte che ivi gli furon 
fatte, l indussero a stabilirsi in Londra, ad onta dell'im 
pegno contratto coll’ Elettore, il quale avea posto men- 
te di vendicarsi quando fu eletto re d’ Inghilterra: 
ma Handel inventò un artificioso inganno per ac- 
quistare di muovo il suo favore. Sentendo che si do- 
veva fare una festa sul Tamigi, Handel compose in 
quell’ occasione quei famosi pezzi, che dalla circostan- 
za furon chiamati Water Musie: (quasi musica pesche- 
reccia) gli eseguì da sè stesso , travestito però .in ma- 
niera da non esser conosciuto . Il re, che per la musica 
aveva veramente orecchio tedesco, ne rimase incantato, 
e volle sapere il nome del compositore. Un harone te- 
desco amico di Handel, tacitamente gli disse , che il 
compositore era suo concittadino , e fedel servo di sua 
maestà; ma col timore d’ essere incorso in disgrazia di 
un sì buon signore, non ardiva contribuire a faccia 
svelata , al divertimento del suo sovrano. Il re sentito 
questo, dichiarò , che se il reo fosse anche Handel, gli 
avrebbe tutto perdonato ; e non contento di questa ge- 
nerosità, gli donò dugento lire sterline l’anno. 

La principale eccellenza di Handel è nella musica 
da Chiesa: pure tutti i suoi oratorj ad eccettuazione di 
pochi, non incontrarono il gusto del suo tempo, e spesso 
ebbe il dispiacere di vedere tanta poca udienza,che le 


3Ì 

più volte il re Giorgio secondo ne erà l’ unico uditore , 
Negli ultimi anni della sua vita divenne cieco , ma 
continuò sempre a dirigere da sè stesso i suoi orator) : 
morì il venerdì santo del 1759, ed aveva sempre detto 
al suo medico Warran, che avrebbe desiderato moltis- 
simo di trar l’ ultimo sospiro in quel giorno. Venti- 
cinque anni appresso, e precisamente un secolo dopo la 
sua nascita , ebbe luogo nella badia di Westminster, 
quella famosa musica, fatta in commemorazione di lui 
e del suo genio. Questa musica fu composta di pezzi 
scelti dalle sue opere, che furono eseguite da un’ orche- 
stra di cinquecento cinquantatre istrumenti, e da cin» 
quecento quattordici voci: l’ udienza era composta da 
circa quattro mila persone, e il denaro che fu raccolto, 
ammontò a dodici mila ottocento cinquanta lire sterli- 
ne ( da cinquantun’ mila quattrocento scudi toscani ) 
somma prodigiosa 7 che forse più di qualunque altra 
cosa mostrò l’ intenzione del popolo, che correndo da 
tutte le parti, veniva a fare onore alla memoria di un 
uomo , che a comun sentimento avea superata l’ uma- 
na eccellenza . 

Resta solo a parlare della musica della Germania, 
per la quale ci riporteremo alle vite d’ Haydn e di Mo- 
zart, poichè nelle vite di questi due sommi compositori 
di quel paese , si racchiude quasi tutta la musica di 
quello. Era nostra intenzione di analizzare l’ opera 
suddetta delle vite d’ Haydn e di Mozart, ma già cre» 
diamo di avere bastantemente tediato il letture colla 
lunghezza di quest’ articolo , che non vogliamo esten- 
derlo d’avvantaggio. Diremo soltanto che il libro è 
una traduzione di lettere scritte da Vienna, da un Fran- 
cese stato intimo amico di Haydn, alcuni anni prima 
della sua morte, dove si riportano diversi aneddoti a lui 


36 
narrati da Haydn. La vita di Mozart è tradotta del te- 
desco, da persona che ha preso tutto da sicure sorgenti; 
è molto più corta dell’ altra perchè non parla che di 
Mozart, mentre l’ autore delle lettere, si è diffuso a lun- 
go sopra diverse altre materie . 

Haydn nacque nel 1734 da poveri genitori, e non 
‘aveva ancora dodici anni, quando fece conoscere il suo 
gran genio per la musica, e prima di diciotto annì ave- 
va gia composto diversi pezzi. Studiava sedici o diciotto 
ore il giorno: finò al 1758 fu in uno stato di gran po- 
vertà, quando il principe Esterhazy lo prese presso di 
sè. In seguito , il regime della sua vita fu sempre uni- 
forme: tutta la mattina la dedicava a comporre, e la 
sera ad eseguire e a diriger l’opera. Le sue composi- 
zioni ammontano a novecento novanta . Quando sì pre- 
parava a comporre, si vestiva colla massima eleganza , 
s impolverava pulitamente i capellt° Federigo secondo 
gli aveva regalato un anello di'diamanti , e Haydn di- 
ceva, che se a caso gli accadeva di non averlo in dito , 
non poteva mettere insieme una sola idea. Nun scri- 
veva che sopra una carta finissima, e quando forma- 
va le note lo faceva con tant’ accuratezza, che pareva 
che le incidesse sul rame. Dopo queste minute! prepa- 
razioni, cominciava a scegliere il tema del soggetto , 
destinando le chiavi sulle quali desiderava modellarlo; 
e andava variando l’ azione del soggetto , imaginandosi 
gl’ incidenti di qualche piccola avventura o romanzo. 

Tali particolarità , sembra nonostante che siano 
state comuni a tutti i compositori. Gluck quando si 
sentiva in estro di comporre , sì faceva portare in un 
bel prato il suo pian-forte, e con due bottiglie di Cham- 
pagne allato, trasportava ai campi Elisi la sua imma- 
ginazione. Sarti, uomo di trista fantasia, preferiva la 


37 
funebre taciturnità di una spaziosa sala, appena rischia- 
rata dalla luce d’ una fioca lampada . A Cimarosa pia- 
ceva lo strepito e l’ allegria ; circondato da un numero 
di allegri amici immaginava le sue opere. Il Matrimo- 
nio segreto, quella superba opera comica la compose 
in questa guisa. Paisiello compose a letto.il Barbier di 
Siviglia, e la Molinara: e Sacchini diceva che. non ave- 
va momenti d'ispirazione , se non quando i suoi due 
favoriti gatti s’ assidevano sopra le sue spalle . 

Nel 1790 nell’ età di cinquantanove anni Haydn 
abbandonò Eisenstadt per andare a Londra. Salomon 
professore in quella città , che eseguiva venti concerti 
l’anno, aveva promesso di dargli cinquanta lire sterli- 
ne per ogni concerto. Dimorò a Londra un solo anno, 
ma vi ritornò nel 1794. e ambedue le volte fu'accol- 
to.con segni non dubbj di stima e d’ approvazione. 
L’ Università d’ Oxford gli mandò il diploma di Dot- 
tore, onore che difficilmente conferiva, e che non aveva 
ottenuto nemmeno lo stesso Handel. 

La Creazione restò ultimata nel 1798. e le Quat- 
tro stagioni due anni dopo. Questa fu l’ ultima opera 
di grido che uscisse dalla sua penna; allora il suo vigo- 
re venne meno rapidamente, e fe sue facoltà svanirono 
quasi del tutto, ma soppravvisse fino al 1809, € morì 
quando i Francesi messero piede in Vienna. 

Mozart nacque a Salzburgo nel 1736, e comune- 
mente si sa che fuun prodigio di giowanil talento. Di 
soli tre anni si.dilettava di trovare gli accordi sul piano- 
forte , e nulla poteva recargli maggior piacere, se non 
sudo discuopriva un intervallo armonico. All’ età di 
quattro anni cominciò suo padre a insegnargli alcuni 
piccoli pezzi di musica, che. in brevissimo tempo gl’im- 


parava a suonare; ed aveva di poco passato il primo 
T. IV. Ottobre 3 


33 


lustro dell’ età sua, quando compose varj pezzi di suo, 
e pose mano ancora ad estese e difficili composizioni . 
La sensibilità de’suoi organi sembra essere stata ecces- 
siva; nella sua fanciullezza non poteva sentire il suono 
d’ una tromba senza impallidire, e quasi gli promoveva 
le convulsioni. Suo padre condusse lui e sua sorella 
per molti anni in diverse città per far conoscere i loro 
talenti. Nel 1764 si portarono a Londra , e suonarono 
alla presenza del re. Mozart suonò l’ organo nella \cap- 
pella reale , e piacque moltissimo al re. In questa di- 
mora compose sei sonate , le quali dedicò alla regina:: 
allora non aveva che otto anni. Pochi anni dopo andò 
a Milano; ed ivi nel 1770 fu eseguita l’ opera del Mitri- 
date, da lui composta nell’ età di quattordici anni, e fu 
eseguita venti volte successivamente . Allora cominciò 
ad esser la maraviglia dell’ Europa per le sue estese co- 
gnizioni, e a riguardo ancora della sua gran giovanezza. 

Questo grand’ uomo tutto abbandonato alla musica, 
era veramente fanciullo in tutte V altre cose. Le sue 
mani eran talmente sposate per così dire ai tasti del 
piano-forte, che non se ne poteva servire per nessun'al- 
tro oggetto. Quando era a tavola, la moglie gli tagliava 
tutto a bocconi, ed in ogni altra cosa relativa al denaro, 
o al maneggio degli affari domestici, o pure alla scelta 
dei divertimenti, si sottoponeva interamente alla di 
lei ‘elezione. Era di temperamento assai:gracile, e nel- 
l’ultimo periodo della sua'troppo breve vita ,. peggiorò 
rapidamente. Aveva ‘gran paura délla morte, come 
suole accadere alle persone di spirito debole; e quest’ap- 
prensione essendo il suo favorito studio, a poco a poco 
distrusse totalmente il suo‘spirito, invaso dal timore 
d’ una imminente dissoluzione . 

igli componeva con profonda malinconia, la qua- 


39 
le senza. «dubbio influis, molto ad accelerare.il periodo 
della) sua esistenza... In;questo, abbaitimento di spirito, 
compose il Flautg., Magico, sla Liemenza di Tito, e la 
sua celebre messa, GOMANEMEPLE, comosciuta col nome 
della sua Requiam aLe, circostanze che,accompagnar ono 

- da composizione dè, questa messa, 208 tanto patticolani, 
per l’effetto che; produssero sopra il di hpi spirito, che 
non vogliamo, tacerle ;.e con questo. ragconty. fipireggo 
dalwita-di Mozart, e-questo lungosarticolo. 

\roo Un. giorno quando, Il sug? animo ka, più del solito 
oppresso 5 un incognito d: alta esdlignitosa apparenza 
“phèseritora «Mozart. Con. aria, grave e significante) mi 
«disse; che veniva inviato da persona che, non desidera- 
ovaidi farsi conoscere; a richiederlo, se volesse com porre 
tina messa solenne! »dioMegiuien , per I. anima.di.un 
vamico, che aveva recentémetite perduto, e che deside- 
iravad’:eternarnecla ìniemoria, con; questo, solennerser- 
»Wigide'Mozart ne, preséì l’linipegno,,e ‘propaesse di. com- 
«pitla inixùn mese, Là incognito; chiese; qual.prezzo) pre- 
tendesse:della sua opera; e subito gli pagò cento ducati 
e'parti.oI mistero di questa visita, produsse un tristo 
effetto nell’ animo di Mozart. Rimase, irresoluto qual- 
che tempo, ma poi ad un tratto chiese ciò che biso- 
gnava per scrivente) encominciò aseemporte com ardore 
straordinario. Ma quest’ applicazione, eva superiore alle 
sue forze; lo ridusse in estrema debolezza, ed aumen- 
tandosi il male, fu costretto a sospenderla. Un giorno 
‘disse: alla (sua moglie», che la messa di Requiem ghe 
istava»serivendo ; vlal/ebmponeva.;per:sèpse che doxeva 
servire per. il suo funenalejdjuesta fissazione non di ab- 
sbandonà più; iL uiltinib deb mese 3) puntualmente | CpI 

«parve ilmisterioso; straniero; e chiese; la messa ordina- 

‘baalVornomi è stato possibile, rispose, Mozart, . di mai 


4o 
tener la parola che vi aveva data; V opera mi ha in- 
teressato più di quello che id ‘credeva , e mi ha'co- 
stretto a farci sopra uno studio particolare; vi chiedo 
în grazia un altro mese‘di ‘tempo per poterla finire. 
L’ incognito non ebbe nessuna difficoltà : ma rifletten- 
do che questo doppio incomodo' meritava aumentazione 
di prezzo , gli contò cinquanta ducati‘, e promesse ri- 
tornare all’ epoca sopra accennata. Mozart sorpreso'dal 
suo procedere, comandò ad un servo che tenesse dietro 
a questa persona, e se’ fosse possibile cercasse di scuo- 
prire chi egli fosse: ma il servo lo perse tosto di vista, 
‘e ‘fu'òbbligato a tornare'‘a casa senza saper: nulla Mo- 
‘zart allora sempre più persuaso; che ‘egli fosse uném-. 
viato dell’altro mondo, a lui ‘mandato per ‘avvertirlo 
che s’ approssimava il termine della sua esistenza, s'ap- 
plicò con ardente zelo alla Requiem; e benchè lo stato 
delle sua facoltà fisiche e morali fosse quasi esaùstordel 
tutto, la completò»prima della fine del mese. Nel gior- 
noi fissato ritornò fo straniero; ma. il. pianto dell’ afflit- 
ta consorte annunzio che Mozart più non esisteva 
PRI bd I Meitriniai 
Ie ib'oi A Iiot ; Jolla 
Opinioni intorno la Musicadi GrovAccHino 

Rossinr di Pesaro. 


por 
a e 


Ka nell’ antica Grecia un savio; che, all’ udir d’ al- 
cuno, il qual'disconsentisse dall’ opinion generale in 
cosa che importava al pubblico, così nel governamento 
‘civile; come’ nelle lettere e nell’arti, sentiva nascerecin 
‘sè la bramt@'di' farselo amico; e scuoprirne:oghi pensa- 
“mento . Un’ altro, al rovescio, non.avea d’uopo se non 


4I 

di conoscere in altri alcuna discrepanza da quella, per-, 
chè ‘se ne'allontanasse tosto senz’ altra\ricerca. Il pri- 
mo, che intendeva a discernere il, vero in ogni sua parte, 
avvisava'} poter l’ opinion generale derivar talvolta da 
un principio falso: giudicava il secondo, che il contra- 
starla non facesse che sviluppare i germi delle passioni, 
e offuscare la verità, o difender |’ errore . L’ uno distin- 
gueva l’opimion generale degl’ intelligenti da quella del 
volgo, e non si stava al numero: stimava l’altro, che 
il giudizio di-chi aveva idee più semplici e naturali 
fosse il men soggetto ad errare | Entrambi erano amici 
della patria e amanti del bello e del buono. Qual de’, 
due sistemi è il più commendevole? qual. si dovrebbe 
anteporre oggidì? E qual ne sarebbe la riuscita? 

Lasciando dapparte quel che concerne le discipline 
politiche e amministrative di uno stato ,, (delle quali 
cose la prudenza e ’1 quieto vivere ammaestrano i mi- 
nuti mortali ad ingerirsi appena fino a quel segno che 
può concordare colla ragione imperante), noi ci.confor- 
tiamo a credere ; che, quanto a lettere ed arti, una sana 
ed avveduta censura non faccia che portar giovamento 
alla materia, se non altro, per la discussione che parto- 
risce. E oltre al mantenere in esercizio e assottigliare 
l’ingegno , preparandolo in. tal, modo a cose migliori 
anche quando non fosse dalla parte del vero, ella è 
sempre un impulso al raffinamento, del gusto , e viene 
a ridurre nello schietto suo lume la massima , che , ri- 
conosciuta poi dalla ragion comune e dall’ esperienza , 
prende aria di dettame all’ occhio de’ posteri. Dopo un 
certo giro di anni,, avviene che il total cambiamento 
delle costumanze, i rivolgimenti, prodotti dalle inven- 
zioni umane e da tutto il complesso di altri accidenti 
e fisici e morali, inducan gli uomini a una diversa ma- 


\ 


42 
niera di vedere e ragionare: e ‘allora si forman-altri si- 
stemi o giusti o falsi, che illuminan poi o'traggono.in 
errore chi non se ne può comporre un vero da sè. Per 
sì ‘fatta guisa, il miglioramento da' un ato e da decaden- 
za dall'altro, rinnovano insensibil mente 0gm; cosa nel 
miondo:e passando per'una prete plico varietà di circo- 
stanze, si riconducono | , Dve più lente ove meno, scatta 
condizion primitiva, clie ne costituisce l'intimo; sa 
lebil carattere. La difficoltà risiede ; nel dare un retto 
giudizio del presente : essendochè , sebben. moli non, 
cessino di magnificare il beato vivere degli antichi, por! 
chi sarebbono ‘tuitavolta que’ moderni , che ,: potendo, 
scorgere in lontananza il presente come avvien del-pas- 
sato, persistessero im ‘quella sentenza! Il dettato; che il 
mondo peggiorando invecchi, è in: bocca' di vallizie 
perfin di coloro, ai quali non manca:nè sanità , nè!tdo-, 
vizie, nè ingegno (ed è questa, a nostro sentire, una 
delle opinioni generali , che andrebbono rettificate) . 
Ma s&imoò di quegli antichi del beato vivere potesse ri- 
prodursi fra noi, senza che il tragitto di Lete avesse 
nociuto alla sua memoria; e dar del presente quel giu- 
dizio , cui partorirebbe naturalmente il confronto , da 
quale stupore non sarebb' egli compreso in/udir pazza- 
mente învidiati i suoi tempi? È nella ‘natura degli uo- 
mini l’ avere in reverenza quel che non veggono, e il 
trovar sempre una qualche eccezione in ciò che hanno 
familiarmente sott’ occhio : e verrà quindi un giorno, 
che anche i nostri tardi nepoti invidierauno il beato 
vivere de’ presenti. 

Ma a qual oggetto (dirà taluno de’ leggitori ) un 

simil preambulo? Per metter avanti ( Mapondiae noi ), 
1. il nostro concetto sulle circostanze , chè render pos- 
sono l’opinion generale soggetta ‘a qualche scrutinio: 


43 

2.» per indicare l'utilità della disamina: 3.» per accennare 
alcuni motivi, più accouci a giustificare un ragiona- 
mento diverso dal comune. E se nella materia, che 
siam per discorrere, come in tutte l'altre, che hanno i 
sensi per giudici immediati, non riusciremo a persua- 
dere ( cosa, che tenghiam già per certissima ), diremo , 
non esser neppure stato questo l'intento nostro , il qual 
sì ristringe tutto a una mera esposizione d'’ effetti , pro- 
vati in noi stessi, e agli argomenti, che abbiam da quelli 
potuto dedurre . 

Non v'ha dubbio, che così nelle arti come nel- 
le lettere, tutto sia regolato dal gusto, e che questo 
si reputi anzi di tanta efficacia, da prevaler perfino 
all’istessa dote dell’imaginativa, imucki d’origine tanto 
più eccelsa. È desso il resultato dell’ esquisitezza del 
concepire e sentire, e di quell’occulto e pronto giudi- 
zio, che si crea nella mente all’ esser percossa da un 0g- 
getto qualunque. Ed è parimente fuor di questione, dia 
sebbene il gusto non abbia leggi determinate, ha però 
determinati confini, non insegnati dalle fredde regole 
de’ pedanti, ma lità sentiti da chi sa ben Libe are 
in sè stesso le relazioni delle cose, e maritare opportu- 
namente un’ idea coll’ altra, pr epomendo sempre le più 
naturali. In letteratura, a cagion d' esempio ; il gusto 
non si estende oltra i ori d’ una mazione o d’ un dia 
ma. E un modo Inglese, il qual potrebbe far prova di 
gusto delicato in Inghilterra, farebbe rider forse, o 
poco manco, in Italia, a causa della necessaria FaBsA 
sità neli’ indule de’due linguaggi, che non anamettono 
respettivamente circostanze uniformi. La qual limita- 
zione nelle favelle è per altro compensata assai larga- 
mente da quell’infinita varietà di generi e di stile, pro- 


44 

dotta dalla diversa attitudine degli umani ingegni e dal 
predominio de’ tempi assai più sulle opere della penna, 
operanti immediatamente sull’ animo, che su quelle 
della mano, le quali non agiscon sull’ animo se non se 
dopo aver agito materialmente su i sensi. Dietro sì fatte 
considerazioni,noi daremmo la preminenza alla poesia; 
il secondo posto alla pittura e alla statuaria; e il terzo 
alla musica. Ma ond’è chela fama di Raffaello è più 
popolare di quella del Petrarca ? quella di Paisiello più 
popolare che la fama del Galileo ? La fama di Canova 
più popolare che quella dell’ Alfieri ? Dipende egli ciò 
da un maggior merito intrinseco, o dalla natura dell’arte 
respettiva? O è forse perchè la maggior popolarità del 
grido corrisponda sempre alla maggior popolarità delle 
opere? 

Egli è certo, che qualor si voglia aggiudicare il 
primato all'arte più nobile, esser deve alle lettere , co- 
me quelle, che oltre al presentare agli occhi della 
mente i medesimi oggetti, che percotono i sensi, am- 
maestran più il cuore; operano effetti maravigliosi sopra 
i costumi più di qualunque altr’arte; subliman lo spi- 
rito alla sua divina origine; e colla scorta dell’ imagina- 
zione, non pur signoreggian tutto quanto il creato; ma 
dato è loro altresì di penetrare in sen del possibile; e 
figurando obbietti or soavi, or tremendi, risvegliare e 
dominar le passioni degli uomini, e prepotentemente 
dirigerle allo scopo lor proprio : laddove ristrettissimo 
è, in paragone lo spazio, conceduto alle arti minori . 

Sennonchè è destino, dover esser tutto contrabbi- 
lanciato quaggiù. La poesia di un popolo può, a cagion 
d’esempio, non piacere ad un altro, benchè per sè 
stessa eminente: dovechè un bel quadro, una bella sta- 


45 
tua, una bella musica, piaceranno dovunque esistano 
idee e discipline consimili in fatto di civiltà (*). Ela 
ragione par chiara: quella; cioè, del non richiedersi in 
ciò altra cosa fuorchè la disposizione de’ sensi, e non 
costare alcuna fatica di mente; come. avvien non di 
rado nella poesia; la qual fatica è però negli alti inge- 
gni una sorgente d’ineffabil diletto. E convien pur di- 
re, esser ciò indubitato, se vero -è , che una tragedia o 
un sublime squarcio di poesia abbia potuto porre in di- 
sordine l’animo d’alcuni, mentrechè non si è udito 
mai dire altrettanto dell’effetto , operato da una statua 
o dipintura per istupende che sieno : tanto è vero, esser 
le impressioni della mente di lunga mano più efficaci e 
durabili , che quelle, ricevute dai sensi! 

Ma benchè la musica siasi posta da noi dopo la pit- 
tura e la statuaria, è forza però confessare, esserne le 
prime impressioni più assai gagliarde, e capaci di mira- 
bili effetti sul cuore umano. Dessa è l'arte la più popo- 
lare d’ogni altra . Del che si potrebbe addur la ragione 
dell’ esser ella la più naturale al sentimento degli uomi- 


(*) E diciamo consimili, persuasi di già, che qualora si pro- 
ducesse , a cagion d' esempio , alla China un’opera Europea, 
tra le più eminenti in fatto di pittura, musica, o scultura, non 
farebbe verun colpo, seppure non movesse il riso; come ap- 
punto avverrebbe , poco più poco meno, d’eguali opere Chinesi, 
presentate fra noi. E nota , 0 lettore , come sia diverso l’effetto, 
se trasporti il eonfronto a componimenti letterarj, nel qual ge- 
nere son tanto minori le varietà, ammesse dal gusto . Pochi 
fra i mediocri pittori o statuarj, o compositori di musica ita- 
liani esser vorrebbono tra quelli, che sono stimati eccellenti 
nella China: dovecchè molti Italiani, anche di grido , esser 
vorrebbono un Confucio. E la ragione si è, che ; ne’ varj in- 
dividui dell’ umana famiglia ; serban tra loro Lin urp gli 
affetti, che non i costumi . . , 


46 

nì, e infusa; per così dire, in loro medesimi in virtù 
del sistema di armonia uuiversale, Chè se alcuno vo- 
lesse contrapporre, esistere una natural attitudine ar- 
monica in tutti i sensr, e non essere il giudizio , se non 
se il resultato del paragone»di parti più o meno armo- 
nizzanti fra loro, risponderemmo , che l'armonia, per- 
tenente all’ udito , è quella che manco abbisogna. di fi- 
losofia per esser determinata : il suo effetto è pronto co- 
me la luce, e quindi immediato il giudizio, che ne vie- 
ne dalla sensazione o grata 0 dispiacevole . Ma in ogni 
cosa anche il bello, unico per sè stesso ed: eterno, ha 
ne’ varj generi i suoi confini. Laonde, conseguito che 
sia una volta, non si può andar oltre se non con iscapito. 
Il gusto, che, secondo abbiam detto , è quello , 

da cui dipende il merito principale di un’opera , è il 
più malagevole a definirsi nella musica , per la ragione 
dell’ esserne più che nelle altr’ arti, passeggiero J'effet- 
to: La qual circostanza fa sì, che nell’arte musicale non 
esista per avventura un gusto assoluto e universalmente 
determinato , e che questa, seguitando la moda, si di- 
parta più spesso dell’ altre dal vero scopo suo proprio . 
Non vi sarà persona ragionevole , anche non italiana, la 
quale anteponga il Marini all’ Ariosto : ma molti ante- 
porranno la musica di Rossini a quella di Cimarosa (*) 
Diremo di più, che il Matrimonio segreto di quest'ul- 


(*) E la ragione è chiara . Ai tempi del Marini, eran po- 
chissimi quelli, che si pascevano dell’ elegante semplicità del 
Cantor Ferrarese, ora posposta alle imagini idropiche dell’Autor 
dell’Adone . Grandissimo nondimeno era l’imgegno del Marini ; 
e parimente grandissima è l’attitudine armonica di Rossini. Ma 
il tempo non rispetta che due qualità delle opere umane : la 
solidità ed il gusto , 


47 
timo farebbe forse a’ dì nostri sbadigliare! non pochi, 
qualora succedesse immediatamente al Barbier di Si- 
viglia del compvositor:Pesarese: nè si-creda,, esser que= 
sta una semplice conjettura. Il Dorn Giovanni di Mo- 
zart., quell’ insigne magistero dell’ arte musicale , non 
fu quasi più sopportato :dopo la Gazza ladra . L’ istes- 
sa Nina pazza, il più gentile (ed: ‘affettuoso parto di 
un'anima. tutta’ piena de’ più:soavi incanti! dell’ armo- 
nia, è caduta in disuso:, dappoichè Giovacchino Ros- 
sini s'insignorì delle scene italiane ..È un simil rivol- 
gimento seguì ( comecchè con qualche maggior tem- 
peranza .) j non purim:Francia e in. Inghilterra, main , 
alcune città dell’ istessa :Allemagna. A che dunque 
ascrivere um tanto miracolo ? All’ ;aver Rossini trovata 
una vena di dolcezze, sconosciute «a que’ grandi ;:0 
da lor non sentite ? Possibile ; che; dal Adamo in qua,; 
il solo Rossini abbia scoperto i veri e sommi secreti 
dell'armonia ? O andrebbe per avventura errato, non 
pure il Pubblico oltramontano } ma quel medesimo 
d’ Italia ? Non sarebbe quello un gusto falso , e fugace 
come la moda? E quì un immensa folla di uditori si 
alza ‘ad orecchie tese, e ne dite no : i sensi non s’ in- 
gannano . ig. sd 

Qual è lo scopo della musica ? quello di dilettare, 
diranno i fautori di Rossini . Non ‘altro che quello di 
dilettare ? non altro, soggiungeranno essi . In tal caso, 
dovranno convenire ;'nòn ‘esistere ‘alcuna differenza tra 
la musica. istromentale e la ‘vocale. Purchè l’ una e 
l’altra dilettino , basta. Ma non v'havegli alcuna nor- 
ma , che. si unisca all'adito, per determinare , direm 
così , le.vere forme ‘dell'armonia? Noi crediamo ,. che 
il raziocinio e ‘1 confronto aver possano una ‘parte: non 
piccola , semon forse per dar ragione del ‘perchè pigli 


» 


48 

l’ animo del Pubblico più presto una musica che un’al- 
tra, per giudicare ‘almeno con una certa sicurezza; 
qual sarà più durevole, e data o no.a modello... \. 

Quantunque la più parte de’ maestri di. musica 
anche i più rinomati, dichiarino, quasi a una voce, ri- 
boccare in generale la musica di Rossini di spropositi di 
contrappunto ( il che in letterattura equivarrebbe a 
spropositi di. grammatica), e «vi sieno stati direttori di 
assai celebri conservatorj di musica, i quali 1’ hanno 
proscritta dai loro alunni per quel che concerne la 
parte dell’insegnamento; nulladimeno non. ci occupe- 
remo di una tal. parte delle sue: produzioni, e. per- 
chè noi, che scriviamo; non possiam darne sentenza 


per noi medesimi, e perchè vogliam largheggiare nella, 
supposizione; che una simil disposizione di que’ mae- 


stri, ecclissati dal nuovo sele del mondo ‘armonico, 
non sia scevra al tutto da spirito di gelosia. E non 
vorremo tampoco estenderci. ad enumerare i molti e 
gravi plagi, manifesti in quasi tutti i suoi componi- 
menti: attesochè siam indotti a credere, provenir egli- 
no, non già da povertà di vena musicale; ma da pre- 
cipitanza nel comporre, a fin di satisfare alie doman- 
de. Oltra di che i plagi sono il più delle volte fatti 
da lui a sè stesso. Una cantilena, che piacque in 
un’ opera sua propria, è da lui francamente, inserita 
in un’ altra; e non già dovunque si addice; ma do- 
vunque la fa cadere il caso, quando la mente gliela 
ricorda : il che viene a conferire a’ suoi componimenti 
quella stucchevol monotonia, che ne fa subito indoyina- 
re l’autore. Non privo d’ accorgimento, cora’ è,. ha Ros- 
sini, per quel che risguarda la musica vocale, potuto 
chiaramente. conoscere, che ne’ teatri d’ oggidi (e più 
in Italia che altrove) il men che si curi è la parola: 


irta 


sdateentta 


| 49 
eun fallalalèra, accompagnato da una diecina di, note, 
‘bizzarramente accozzate, sarebbe capace di fare scom-- 
«parire i più teneri versi del Metastasio. Il;che, se non 
‘bastasse; vien ‘anche invigorito| da; lui. medesimo con 
un perpetuo romorio di note, che iper esser di tutti 
i ‘colori, non ine presentan mai distintamente, veruno, 
‘ele. quali succedonsi una. dopo; I’ altra a guisa di tur- 
bini:0 capriole. E tornando all’ articolo de’ plagi, fa- 
‘remo notare; come, nella musica, il doro, effetto sia 
totalmente diverso. da quello. che. ;accade. nelle arti 
sorelle. Perciocchè, se nella poesia 0 nella.pittura v'ha 
chis’ /approprj alcun bel tratto d’‘altrui,;, pochi. sa- 
ranno ‘i poeti; pittori famigliarizzati «colla lor pro- 
‘fessione, che non, li \discuoprano. Ondechè tanto me- 
no frequenti sono in esse i plagiarj, che;sì espongano 
‘a. un'tale scherno. Laddove, nella musica; un passo 
riprodotto 3: quand’ anche venga! riconosciuto, ottiene 
per loi più gl’istessi plausi come uno: di muovo conio, 
-essendo «essi, in cotestò caso, un istantaneo! effetto del 
vpiacer: che risveglia: il. qual piacere; sentimento, ve- 
locissimo; non suol consultar, mai le proprie origini. 
Tantochè si potrebbe, affermare; che il plauso sia di- 

stetto,.per lo. più alle note, senza che si porti la mente 
all'autore. E quando si fa indi osservare , che il tal 
‘passo; era;; a mo'.-d’ esempio , di, Mozart , l’ altro ‘di 
Haydi,,te quell’ altro, di. Paer.,. l’ osservazione riesce 
- inutile «@ sempre. intempestiva: stantechè il. diletto 
- provato: non. si può nè far retrocedere, nè diminuire. 
vEd è non men; da riflettere, che nelle arti, sorelle 
i della musica, tutto, il Javoro e il vanto, son, loro pro- 
prj: dovechè in quest’ultima (e massime se è teatrale) 
non. appartengono al, compositore se non per una por- 
zione” ll resto è di.chi la eseguisce. 


50 

Ma non è'nostra assunto di censurar Rossini nen» 
manco’ per la° parte ‘del plagio. Trattandosi di cose 
di fatto; le. asserzioni, mon corroborate da prove, 
non varrebbono'a nulla: Oltredichè noi non avremmo 
nè il tempo, nè;l’inclinazione di abbandonarci a una 
simil indagine, benchè mon ci fosse per mancari buo- 
na' messe. Nostrò intendimento si è di ragionare sul- 
Y indole délla' suà musica. E: per verità, mentre;di- 
‘chiàriam per un lato di ravvisare. in essa tutti i semi 
del vero sapore’ italiano; ‘non’ sappiamo:, quanto alla 
fisonomia; raffigurarvi per. l’altro quella dolce. e pla- 
cida ‘consonanza’ di forme, la qual costituisce; il'canàt- 
tere principale de’ componimenti de’ maestri più egre- 
gi. Andremmio noi molto lungi dal vero assomigliaado 
le produzioni musieali'di ‘Pergolesi, Jomelli, Paisiello 

e’ Cimarosa a quelle de’ poeti classici più ‘antichi ;;e 
i componimenti di’ Rossini ‘all’ altre:de? Romanticisti 
mòderni? Edi vero; in. fatto! di musica noi lo:repy- 
tiamo il lor Corifeo. Lia semplicità è il: primo elemen- 
to della bellezza* @ nidil la troviamo! im grado eminente 
nelle opere? ‘di que' privilegiati figli» :dell’ ‘armonia: odia 
luce vi è ugitalmente: vit da' per tutto la parte 
isttumentale! non è che un’ ausiliare! della i voce:lbla 
nota ‘è fattà per la parola', ‘e la ‘parola perda: mòta : 
‘ viditore è ricreato , non oppresso: e dopo unacli 
‘ quelle soavi ‘fappresentazioni sil diparte sdali'teatto 
coll’ anima riposata e sererta; @:\coldesiderio di iser - 
té ‘nuovamente sentirla. La musica di Rossini all'op- 
posto non è ‘dî ‘nessun genere, 0 è:buttà gioconda Tu 
vali “al''Leatro a ‘vedere ui suò ETETORT ®dbpo essetti 
rallegrato dal principio sino alla fime co’ fiori; e è fumi, 
proprtj della ‘stia maniéra di comporre; te ne.torni a 
casa a passo di /Walzer (tempò’suò favorito); \disimpe- 


Si 
gnato così dalla nuja di quelle melanconiche. sensazio- 
ni , ch’ esser sogliono  risvegliate , se.non altro; dalla 
pietà , fonte d’ inesauribil dolcezza per cuori delicati. 
Rossini ha portato il gusto del seicento ariche nella 
musica. Ogni suo ‘concetto sente dell’ esagerazione, che 
s'incontra negli scrittori di quell’età, i quali nonavean 
per'lo più nè ordine; nè vero colorito: ma tutta facean 
consistere la forza dell'ingegno in ampollose ; imagini, 
e in più ampollose fogge d’.\esprimerle. Nondimeno e 
il Marini e 1 Achillini, capiscuola di gusto depravatis- 
simo, ebbero‘e'/creditore ammiratori ai loro tempi: e 
pochi sospettarono ch’ e’ fossero fuor di strada. Sarebbe 
dunque mai vero, che ci trovassimo in egual caso ‘anche 
rispetto alla musica di Rossini; cosicchè si potesse chia- 
mar .l’ Achillini dell’ armonia? Noi non oseremmo di 
affermarlo, benchè. vabbia chi lo crede tale già da gran 
pezzo . Esporremo bensì una nostra opinione, per quan- 
to aver possa l’aria di paradosso. Ed è: che, a giudicare 
della sua musica per la sola via del confronto; ella do- 
wrebb' essere di gusto falso yappuntò.perchè ,.«dopo di 
‘essa, poco o niun effetto soglion generalmente produrre 
‘a’ di mostri i più insigni monumenti armonici de?’ citati 
maestri napoletani. Percidcchè; siccome non potrebbe 
mai nasceré, nè un poetà sì grande; nè'un sì gran pit- 
tore , che. facesser subito dimenticare un:Omero e un 
Raffaello; così non è verisimile; che tutto ad tratto 
sbalzi fuora delle mani della natura un altro, :che offu- 
schi, non direm già nel corso della vita; «ma in pochi 
anni, anzi direm quasivin pochi mesi, que’ miracoli 
dell’ armonia. Abbagliare si può. E v'è stato un tem- 
po di delirio (e ancora non'è trascorso affatto), che si 
posponevano gli scrittori ‘classici ai romantici. Mala 
gente assenbita ; ridendo;vin'silenzio, di que”conflitti, 


52 

che in fine si riducevano a mere parole, si tenea. fissa 
collo sguardo in quegli eterni soli dell'antichità, la- 
| sciando senza paura passar le turbinose comete, messe 
in corso da innovatori entusiasti . Noi avvisiamo, che 
presto e bene non si possa far nulla. al mondo. E al 
por mente, che a Rossini bastano tre 0 quattro setti 
mane per mettere in musica un dramma; dovechè 
non bastavan tre mesi a Cimarosa, e più a Paisiello, 
non possiam che confermarci via più nélla nostra .opi- 
nione, ove non' si voglia attribuire al Pesarese un in- 
telletto sovramano, nel qual caso sarebbe fuor.de’ con-. 
fini delle comuni vie per giudicare. 

Si getti \un’occhiata sul Matrimonio segreto di 
Cimarosa : se ne ascolti ogni parte col libro alla mano: 
e si veda l’ immensa e viva e bellissima filosofia, che 
regna quivi da cima a fondo; e come l'indole della 
nota vi è messa in consonanza cogli effetti e colla pa- 
rola. Tantochè, mentre sembra che gli attori faccian 
poco più. che parlare , sono mirabilmente secondati da 
una concorde melodia, che lungi dallo smorzarne la 
voce , non fa che rischiararla, e conferirle , direm così, 
le forme: più convenienti alla circostanza : L'unità del 
disegno non è violata mai dal più piccolo deviamento; 
e non manca tuttavia nè di eleganza, nè di quella va- 
rietà, che il soggetto può comportare. (Così può dirsi 
della Nina pazza. Dove sono da trovare tratti più 
delicati; un’aura musicale più amorosa; una sempli- 
cità, spirante maggior leggiadria, e note con più verità 
innestate nella dolce e commovente passione di quella 
desolata? Qual cuore di buona tempra non si sente 
scuoter le pìù occulte fibre, ad ogni accento ‘di Nina ? 
Contuttociò sarebbe malagevole il trovare, un compo- 
nimento , antico o moderno, in cui la parte istromen- 


—————_—__—_——6m_—_——_————_——— 6 _—_m + 


53 
tale fosse manco impegnata che quivi. Una tal opera , 
che sarà. sempre .il più bel fiore intrecciato al capo 
della Musa dell’Armonia; meritò giustamente al di- 
vino Paisiello 11 titolo di Metastasio della musica. Re- 
chiamei per lo contrario a udire una delle, più rino- 
mate produzioni di Rossini; la Gazza ladra. La folla, 
de’ passi, così detti di carattere, il tempestio delle note, 
che non ti lasciano un momento di respiro), i timpani, 
i pifferi, letrombe, i corni, e tutta quanta la famiglia 
degli strumenti più romorosi, ti assalgono dal bel,prin- 
cipio, ti adescano, ti confondono, ti tornano ad. adescare, 
ti assordano, ti trasportano , ti scotono , ti aggirano , ti 
ubbriacano; e facendoti ballar 1’ allemanda mentre 
l’attore versa lacrime d’affanno, o movendo un tempo 
di minuè nel maggior impeto, della disperazione, tra- 
smutano una specie di tragedia in un baccanale, e. la 
casa del dolore in un torneo. Oh quanto sarebbe di- 
verso il giudizio degli spettatori d’oggidì, in fatto di 
musica teatrale , se confrontar potessero il. sentimento 
colle note, e conferissero alla musica un, altro scopo 
dopo, quello di dilettare ! stimando noi ben meschina 
quell’ arte , che del solo dilettar si compiage . Ma siamo 
in tempi, in cui le arti belle ( e il ciel ne salvi dall’ana-, 
tema de’ nostri lettori! ) sono in, generale ben lungi 
da quella cara semplicità e squisitezza, che improntò 
col marchio dell’ eternità i grandi, modelli... Tutto 


(con ben poche eccezioni ) è al di qua o al di là del 


vero. E se Canova non valesse da sè solo generazioni 
e secoli ,, scarsi {argomenti d’ ammirazione avrebbe, ini 
tal. materia, l’età nostra da tramandare ai futuri. AL 
che sia; detto sol di, passaggio, senza interiderci di 
mancar di reverenza verso que’ rari ingegni, che ono- 


rano la sempre invidiata nostra Penisola. Ma il gire 
T. IV. Ottobre 4 


-” 


54 

degli avvenimenti è spesso accompagnato da tal neces- 
sità , che tronca le ali anche agl’intelletti i più gene- 
nerosi, è li tiene miseramente indietro da quella per- 
fezione , alla quale, altramente, sarebbon forse arrivati . 

Ma la musica di Rossini , soggiungerà taluno , piace 
non pur in Italia, ma in Francia, in Inghilterra , ed 
anche in Germania . Perlochè , secondo un simil ra- 
gionare, sì dovrebbe tener per falso anche il gusto de- 
gli abitatori di quelle regioni. Al che risponderemo: 1.° 
esser vero , che in alcuni di que’ teatri la musica di 
Rossini sia'stata accolta con favore; ma più quella; che 
meno abbonda de’ difetti sopr’ accennati : 2.° che ove 
pur fosse vero, ch'ella piacesse generalmente, addur- 
remmo le istesse ragioni, date rispetto all’ Italia , mas- 
sime per quello spirito d’ innovazione , che animò già 
i Romanticisti ,e ammorbò, e ammorba fors’ anche 
attualmente una parte di quelle contrade; restando 
sempre a vedere come la pensan coloro, il cui gusto si 
mantien tuttavia incorrotto : 3.° che nè la Francia, nè 
FInghilterra, in fatto di musica, sono un tribunal 
competente', essendone gli abitanti, di lor natura , i 
meno armonici dell'Europa: 4.° che in Prussia una tal 
musica si è fatta sentir sulle scene una qualche rara 
volta, se non altro, per darne un’idea: ma non essen- 
do andata all’animo, non si continuò: 5.* che in Vien- 
na ( per quanto è a nostra notizia ) la sola Gazza la- 
dra ebbe un certo buon esito, come per lo più addi- 
viene delle cose nuove: ma in generale fù riprovata 
l'indole di que’ modi musicali , come leggiera, effemi- 
nata, e vota affatto di quella filosofia‘, che sola assicura 
la fama de’ grandi compositori .In un giornale Tedesco 
si assomigliò in fatti la musica di Rossini a un muc- 
chio di bolle a mille colori, 0 ad un mosaico. In un 


05 

altro si disse, che se la musica fosse cosa da potersi di- 
pingere a guisa di persona, e si ponesse un’ opera di 
Mozart da un lato, e una di Rossini dall'altro, si ve- 
drebbe in quella una bella Tedesca, vestita con sem- 
plicità e pulitezza , giovane , fresca, di ben proporzio- 
nate forme e vigorosissima ; e in questa, un’ Italiana 
imbellettata fin sulla fronte, tutta nastri e frange, con 
un grand’ abito di seta cangiante, che le svolazza da 
ogni parte, scarpe color di rosa, cappello ondeggiante 
di piume, rosse, verdi; gialle, e sempre danzante 
frammezzo ad alberi colle foglie d’orpello . Noi por- 
tiam opinione, che questo sia per avventura un po’ trop- 
po: ma per verità ne dobbiam convenire per una gran 

arte, E la cosa maggiormente notata, e la più atta a 
far dubitare del merito intrinseco di Rossini, si è che, 
a cagion d’ esempio, la musica d’ Haydn svela nuove 
bellezze ogni volta che s' ode: laddove quella del Pesa- 
rese sazia alla bella prima, e V impressione va sempre 
languendo a misura, che le rappresentazioni sì ripe- 
tono. Uguale, a un di presso, è l’ effetto che si prova 
alla lettura dell’Alighieri in confronto delle rimbom- 
banti rime de’ pastori d’ Arcadia. 

Per altro, fintantochè Rossini lavora su drammi, 
simili a quelli d’oggidì, non guasta almeno la poesia. 
Ma che sarebbe di un dramma del Metastasio ? É de- 
gna di considerazione gravissima la circostanza, che 
la bella scuola musicale italiana andò qua e là deca- 
dendo, allorchè, messi da parte i soavissimi drammi 
del poeta Cesareo, s'incominciò a sovvertir l'ordine 
delle norme le più naturali, con render la parola 
schiava della nota: e non sol questo; ma eziandio il 
poeta , schiavo del cantante: abuso vergognosissimo, il 
qual deturpa ad un tempo il nobile scopo delle due 


36 

arti, e dura da una lunga serie d’anni, senza che a 
ciò siasi mai nè posto, nè ideato un rimedio . Sinchè 
continuerà una tal turpitudine, mal si aspettino gl’ Ita- 
liani di veder ricondotta la musica a’suoi principj, i 
soli, secondo i quali esser può conservato l’oggetto mo- 
rale, di cui troviam la musica di Rossini affatto man- 
cante. Sorrideranno per avventura alcuni in legger da 
una parte le presenti nostre censure intorno alla ma- 
niera di quel compositore, e udir dall’altra i plausi , 
ch’egli raccoglie nell’arena. Ma le massime e lo scopo 
di un'arte, immutabili nell’essenza loro, non sono mai 
violate impunemente. E se talvolta i presenti, paghi 
di una dilettanza passeggiera , e ingrandita via più da 
quella disposizione al delirio, la quale si manifesta 
quasi sempre in certe età o circostanze , soglion giudi- 
care superficialmente, i posteri giudican poi con quella 
sicurezza, che deriva dall’esser estranj ad ogni passio- 
ne, e dallo stabilir la sentenza sul fondamento e l’evi- 
denza degli effetti. E non sarà forse discaro ai nostri 
lettori il veder in fine di questo ragionamento un bel 
Carme di un famoso poeta Britannico, ove si parla 
singolarmente dell’oggetto morale della musica; tro- 
vando noi quivi non poche di quelle osservazioni, che 
avevamo in pensiero di aggiunger noi stessi. Una tal 
produzione, della quale ne par singolarmente mirabile 
il disegno, fu pubblicata in Inghilterra da molti anni . 
Tuttavolta par fatta espressamente oggi per la musica 
di Rossini. Ella è di Collins, poeta lirico, non sap- 
piam dire se più grande o più sventurato ; e la versione 
appartiene al sig. Avvocato Gio. B. Martelli di Piacen- 
za, ingegno vivace ed acutissimo, per quanto possa ac- 
cadere, che alcuni modi, usati quivi da lui, non in- 
contrino l’approvazion generale. 


97 

Ma in mentre che manifestiam qui la nostra opi- 
nione sulla qualità del gusto promosso oggidi dalla mu-, 
sica del Pesarese, non intendiam già di avvolgere in 
simiglianti osservazioni le maniere tutte di scrivere 
de’ maestri italiani: perocchè alcuni ne vantiamo, i 
quali si posson mettere a para de’ valentissimi . È no-. 
stro il Parmigiano Paer; ed è sua la Griselda, la Ca- 
milla,e la divina Agnese. E noi non dubitiamo di 

chiamar lui il primo compositor musicale del secolo; e 
tra i pochissimi, che abbia sempre cercato di applicar 
le sue note a libri meno sciagurati dell’ordinario , e 
non si sia lasciato allettare dai caduchi prestigi della 
moda, e non solamente abbia mantenuto il vigor nati- 
vo in mezzo ai popoli d’Oltremonte , fra i quali ha 
passato la sua più florida età; ma acquistato anzi una 
maggior dottrina e solidità nel comporre. È desso 
l’unico scrittor musicale vivente, nel quale a un gusto 
severo si accoppino in eminente grado e immaginativa 
e filosofia, e italiana dolcezza, non già di una cert’ in- 
dole svenevolmente melliflua e da trivio, più acconcia 
a svigorir l’animo che a ricrearlo; ma di quel nobil 
carattere , che tutta sostiene la dignità dell’arte. Atte- 
sochè la soavità naturale dell’ italico idioma è tanta , 
che ha più presto bisogno di esser rattemprata dalla 
nota, che accresciuta , 

È nostro Mayer, che ad una rara sobrietà musi- 
cale accoppia tanta varietà ,di modi, e un linguaggio 
armonico tutto pieno delle vere grazie italiane, e che 
imita sì mirabilmente le forme e l'indole degli affetti, 
ch'ei prende ad esprimere. 

Ed è pur nostro il Toscano Cherubini, quel mo- 
dello di esattezza nell’ arte sua ; nelle cui composizioni 
non sai se prevalga la gentilezza della maniera o la 


Se 

dottrina. É nostro Asioli, scrittor saporito, preciso , e 
di un’ incomparabil leggiadria . E se ci si opporrà, che 
«questi due ultimi non hanno incontrato sui teatri la 
fortuna, che splende oggi a Rossini, risponderemo con 
un solo esempio: ed è, aver noi più volte veduto ap- 
plaudire disperatamente i drammi dell’ Avelloni (che 
il cielo tenga sempre lontano dalle scene della gente 
cristiana! ), e udirsi per lo più le tragedie d’ Alfieri in 
un devoto silenzio. 

A malgrado però delle censure, che abbiam cre- 
duto di fare intorno al genere di scrivere di Rossini , 
sarebbe e ridicolo e ingiusto il negargli prerogative ar- 
moniche in gran copia: perciocchè nessuno n’ ebbe 
forse mai tante. Ed anzi tra le altre cagioni, che lo 
hanno portato fuor di strada , non è l’ultima l’ abbon- 
danza, di cui gli fu generosa la natura. Ma l’impa- 
zienza del comporre; la mira di blandir esclusivamen- 
te l'orecchio; la facilità, onde imbastardisce i suoi 
componimenti colla mischianza di cento elementi ete- 
rogenei; il poco riguardo , ch'egli ha, al senso della 
parola ed al verso, per disgraziati che sieno ; la quasi 
perpetua turgidezza e ’l rimbombo del suo stile, che 
rovina le voci le più gagliarde e le meglio intona- 
te; la mancanza di quella cara sobrietà, ch’esser dee 
sempre indivisa dal bello e dal buono, e la sola, che 
assicuri di un esito durabile i lavori umani, hanno 
sciupato a parer nostro, il più esquisito AugEgHO; che 
uscisse mai dalle mani dell’ Armonia. 

Li 


99 
LE PASSIONI 


ODE DI GUGLIELMO G&OLLINS 


PER MUSICA 


» 


Traduzione dell'Ave. G. B. Martelli. 


Qarndo » celeste Vergine, ; 


Di Grecia in sul mattino, 
Giovine ancor la. Musica 
Sciogliea .canto divino; 
Sovente, a udir la sua conchiglia armonica , 
Le Passioni accorsero 
Alla sua grotta magica; 
Ed esultanti, o trepide 
Sdegnose o illanguidite, 
Della Musa oltre il pingere, 
Tutte invase, rapita, 
Agitato, sublime, allegro, torbido, 
A vicenda sentian l’ ardente spirito .... 

Finchè astratte, inspirate, furenti , 
Tutte fuoco, qual dicesi, un giorno, 
Gli strumenti improvvise strapparono, 
Che da mirti pendevano intorno: 
Ed appresi in disparte i bei numeri , 
E il poter del soave concento, 
Volle ognuna provarsi, ed esprimersi: 
Chè l’insania reggeva il momento. 

A far del proprio merto esperimento , 
Fra le scomposte corde disarmonico, 


60 


Primo il Timor stese la sua man lente: 
È a quel suon, ch’ei medesmo destò, 
Non sapendo perchè, s° arretrò .... 

Poi la Rassia con occhi di bragia, 

Ne' suoi lampi gl’interni suoi fremiti 
Sfolgorando, avventossi, e d’un scroscio 
Aspramente la lira picchiò ; 

E con mano, iraconda, frenetica, 

Sulle armoniche fila strisciò . 

Smorta DispeRAZION tenor funerei 
Svolgea, bramosa di addolcir sua pena, 
Movendo in fioca melodia profonda , 
Strana, solenne, mista cantilena, 

Per subit’ estro or tetra, or furibonda. 

Ma, o da begli occhi SPERANZA, 

Qual serbavi metro eletto ? 
Di promesso ognor diletto 
Susurrava; e in lontananza 
Le ridenti scene incognite 
Gia plaudendo a salutar. 

Prolungavasi il suon tremulo 

Sotto al tocco delicato; 

La romita eco destavasi 

Al suo canto innamorato ; 

E la rupe e i boschi udivansi 
E la valle risuonar. 

E dovunque il tema armonico 
Percotea l’ eco, sentivasi 
Un’ ignota voce eterea 
De’ bei modi al fin rispondere ; 

Cui speranza in volto attonita 
Si vedea dolce sorridere, 
E i bei crin d’oro agitar. 


6I 


Il cantar suo più a lungo avria protratto: 
Ma irrequieta in atto, 
VENDETTA celere 
Surse, ed il brando 
Cruento in terra 
Gittò tuonando 
La tromba lugubre, 

Che annunzia guerra, 
Con spaventevole 
Sguardo afferrando: 
E tal die’ sonito 
Alto ed orrendo, 
Che mai profetico 
Clangor tremendo 
Di duol sì gravido 
Squillò per I’ aere: 
Ad ogn’ istante 
Con tremor rabido 
E raddoppiante 
Strano susurro 

Il rimbombante 
Mettea tamburo. 

E benchè talvolta supplice 
La Prerape al suo fianco prostrandosi, 
Di que’ tuoni alle pause terribili 
Frapponesse sua voce flessanime ; 
Irremovibile 
Serbava il vindice 
Suo rude strepito ; 

E a lei pareano, 
Di sangue luridi, 
Gonfi dall’ orbita 
Gli occhi scoppiar . 


Su niuna cosa i tuoi dolenti numeri , 
O Grtosia , costante avea dimora, 
E, prova aspra del tuo misero stato, 
Da contrar] argomenti Yarlato,, 

Il tuo canto talora 
Amor blandiva il lusinghier sospiro, 
Or feroce invocava odio , deliro : 

Levando al ciel de’ tardi cechi ’1 bel raggio, 
Qual donna assorta in estasi durevole 
In parte illesa da mortal viaggio , 
Sedea MeLANconia pallida e fievole; 

E dal deserto suo scanno selvaggio, 

Con suon, che più da lungi era piacevole, 
Fuor dal querulo corno argenteo, debile 
La pensosa versava anima flebile . 

E i rivi, che da curvi alpestri scogli 
Tortuosi frangendosi, e rompeano; 
D’intorno dolcemente i lor gorgogli 
All’ armonia patetica mesceano . 

I molli accenti, di letizia spogli 
Per selve e per tenèbre si perdeano ; 
E interrotto perdeasi il metro vario 
Entro ai gorghi di fiume solitario: 


Di solitario fiume in che un’ aerea 


Romita, abitatrice ombra avvolgeasi . 
Gemebonda canzon dolce-funerea 
Con desiato digradar stendeasi ; 

Amor per lei di pace e calma eterea 
E meditar solingo, diffondeasi ; 

E giìa, che non potea quasi distinguersi, 
In sordo mormorio lungo ad estinguersi. 
Ma oh! come un tuon più forte a lei preciso 

Venne, allor che d’ improvviso 


L’ALLeeria, donzella florida, 
Dal sembiante salutifero , 

I coturni lievi rorida 

Delle gemme, onde Lucifero 
Al mattin colma il sen roseo, 
Fidò l’ arco al morbid’ omero : 
E da valle e da pendice 
Echeggiata soffiò vivida 
Music’ aura animatrice! 

Al suon noto Fauni e Driadi 
La festosa Cacciatrice 

e Ravvisaro, e le sorelle 
Che di quercia un serto intrecciano 
A” capei biondi, e con elle 
Lor regina occhi virginea; 

E i Silvani e gl’irti Satiri 
Visti fur la testa cupidi 
Da’ viali erbosi sporgere . 

Udir da lunge attonita 
Godea la voce amica, 

Bruna il sembiante e madida, 
De’ campi la Fatica ; 

E il SoLLazzo , asta di faggio 
Impugnando , = levossi alto, 
Esultando, in piè d’un salto. 

Poi Vl ultima armonica 
Sua prova fantastica 
La Giosa tentò: 

E attorta di pampani 
La chioma, inoltrandosi 
Sollecita , all’ ilare 
Acuto + liuto 
La mano drizzò . 


63 


64 

Ma la viola, 

Che pronta l’ anima 
Desta e consola, 
Tosto mirò: 

E d’udir cupida 
Sua molle e viva 
Voce , che un’ estasi 
Spande giuliva , 

Col tocco facile 
La modulò. 

E tal suon diffondeva per l'etere, 
Che, al concento d’ armonica cetera , 
Il pensier potea fervido scorgere , 
Giovial scena magica sorgere 
Entro l’ ombre, sonanti festive 
Le fanciulle danzanti , native 
Della valle di Tempe fiorita . 

E mentr ella con Vagili dita 
Lambia lieve le corde volubili , 

Coll allegria, che libera 
La treccia, e scinta avea 
La zona, una fantastica 
Carola amor tessea ; 

E con follia dolcissima 

Vispo scherzando intanto , 

Quasi dell’ aura porgere 

Al variato incanto 

Mercè bramasse uguale , 

Mille odor scosse dalle rorid’ale . 

O Musica , dal ciel Vergin discesa, 
Vigor del senno , e del piacere amica, 
Perchè, gran Diva, perchè a noi contesa 
Tua vetusta depor lira pudica ? 


65 


Poichè hai tua forza onnipossente appresa 
Nell’ amorosa Greca selva antica, 
Ninfa gentil, le quivi udite note 
Or ben ridir tua mimic’ alma puote . 

Ov' è il natio tuo cor, schietto e sacrato 
A Fantasia , e alla Virtute e all’ Arte? 
Surgi, qual già degnasti al tempo andato 
Pura, alta, calda, energica mostrarte. 
Tue maraviglie in quel secol beato 
Di tua memor sorella empian le carte ; 

- E, qual si dice ( e al detto io dò fidanza ) 

Tue canne umili avean maggior possanza . 

Maggior possanza e più divina bile. 
Di quel che vanti nostra etate immonda,,. 
In cui profanator spirto, servile 
Avvien che di Cecilia il suon confonda. 
Deh! nostre cure alfin tronca , e lo stile 
Cecropio avviva, e semplice e gioconda 
Torna, ed attesta alla fedel memoria 
De’ Greci figli la narrata istoria (*). 


(*) Gon la varietà del metro, avvedutamente qui seguitata 
dal sig. Martelli , vedranno i Lettori, non aver avuto Collins 
in animo , se non di andar imitando lo stile e ’l carattere delle 
diverse Passioni, che fa agire in quest’ Oda. 


& 
Ud 
9 


66 
GEOGRAFIA, VIAGGI Ec. 


Lettere di Awnronio BencI al suo amico Pietro 
Vieusseux intorno alle cose notabili. del Casen- 
Tino e della Varre TipERINA. 


Vallombrosa a dì 19 di Luglio 1821. 


f fin: questa sera al convento, ho ricevuto la 
lettera vostra: e poichè i religiosi fanno breve conver- 
sazione , così ho tempo‘opportuno a darvi subito rispo- 
sta. Io ho riso alquanto nel leggere che voi mi pre- 
supponete o: smarrito per boschi, o fatto eremita, stan- 
techè mi sono in questi luoghi fermato più che non 
mi era proposto. Ma qui è sotto gli abeti ombra fre- 
schissima durante il giorno: e nella notte mi conce- 
dono un dolce ospizio in piccola e solitaria ma como- 
dissima cella . Onde non poteva qui venire per guardare 
il luogo, e partirmene , in un breve intervallo di tempo: 
nè domani verrò a Firenze , come voi desiderate ; per- 
chè io sì muterò soggiorno, ma voglio, quanto, posso, 
continuar la via per queste amene contrade. Sicchè 
a un solo desiderio vostro mi è lecito intanto soddi- 
sfare, dandovi cioè ragguaglio del mio viaggio, affin- 
chè vi sia di consiglio, allorquando vi metterete voi 
stesso nel medesimo cammino . 

Partendo voi, mio caro amico , da Firenze fuori 
la porta alla croce; se non avete ancora veduto il Ce- 
nacolo dipinto da Andrea del Sarto nel villaggio di 


67 

S. Salvi; dovete allontanarvi un poco: a sinistra dalla 
via, che conduce al Ponte a Sieve , per vedere quella 
celebre dipintura. Saprete poi la ragione di questo con- 
siglio. Da S. Salvi ritornerete nella via del Ponte a Sie- 
ve: edin questa traversa andate adagio , fermatevi ap- 
presso i villani, uditeli parlare. Tutto questo spazio di 
paese è piano, non lungi dall’ Arno, e chiamavasi Za- 
dun longum in amendue le sponde, come leggesi nelle 
scritture del secolo XI conservate nell’ archivio capitola- 
re fiorentino . Quindi si mutò tal nome in Yarlurgo ed 
anche in Guarlone alla destra dell’ Arno; ed in Ripoli } 
quasi ripula, a-sinistra del fiume. 

Voi traverserete dunque il luogo, ove il Boccaccio 
udì le avventure di Monna Belcolore, e dove il Baldo- 
vini collocò 

Cecco il pastor che in amorose pene 

Per la bella sua Sandra egro languiva. 

Ma poichè voi stesso avrete conversato con quei villani, 
domanderete al certo con maraviglia; perchè non sia 
quivi un linguaggio diverso a quello di Firenze, perchè 
i pastori e.i bifolchi non cantino le rozze note di Cecco 
da Varlungo? Infatti vi si ode piuttosto cantare il Tas- 
so; e i contadini usano locuzioni sì proprie e sì espressi- 
ve, come addir si potrebbero a dotto e civile discorso . 
Nè altra differenza è dall’idioma fiorentino al dialetto 
che si parla in Varlungo e nelle vicine campagne, se 
non che il primo è parlato da chi sa, e il secondo da 
chi del tutto ignora l’arte di scrivere. 

Continuando poi il cammino, dopo due miglia 
dalla città giungerete al villaggio di Rovezzano. Ivi 
non è alcuna cosa notabile se non un tabernacolo d’un 
Crocifisso e d’ altri santi, dipinto dal Francia Bigio: ma 
poco dipoi date uno sguardo alla villa di Boresino. Ve- 


68 

drete una bella vigna. Il signor Filippo Franceschi es- 
sendo andato nel 1620 ambasciatore del Granduca alla 
corte di Spagna, portò nel suo ritorno cinque magliuoli 
d’aleatico. Ed avendogli piantati dapprima in Carmi- 
. gnano , trasferi quindi le propaggini in Loretino : da do- 
ve i vitigni dell’aleàtico ebbero aumento per molte 
campagne di Toscana. 


Da Loretino passerete a Girone, piccolo borgo , 
dove l’ Arno gira il suo corso. Poi troverete altri ‘casali 
nominati S. Jacopo, i Bassi, l’ Anchetta: e qui è una 
barca per passare l'Arno: qui è un tabernacolo ‘dipinto 
da Andrea del Castagno. Tutte le nostre'campagne son 
piene di simili pitture della buona scuola fiorentina . 

Senza passare l'Arno, ma costeggiando il fiume 
alla destra sua, giungerete a S. Piero a Quintole. Que- 
sto nome v'indica la distanza, cinque miglia da Firen- 
ze, cinque miglia dal Ponte a Sieve. 

Non è gran tempo che la via dopo questo luogo sali- 
va, chiamandosi tal parte l’erta della quercia . Ma il no- 
stro Granduca provvede tanto a’ sudditi, che lor facilita 
le strade per tutto Toscana . Sicchè l’erta è stata ‘ap- 
pianata, e per comoda via si giunge a Compiobbi , 
nome corrotto che si deriva da Compluvium. Ivi è pic- 
colo torrente, detto la Sambra; e poi scorgerete una vit 
la del Guadagni che è ora del Danti, presso ad. alcune 
case sulla pubblica strada, le quali chiamansi 2° E2lera 
perchè da’ muri pendeva altra volta un’ ellera bellis- 
sima . 

Di qui è breve cammino alle alle, alle Sieci, 
alla Pieve di Remole: e la vista è amenissima sopra le 
due sponde dell’ Arno. Talchè si arriva poi senza noia 
all’osteria del Gobbo, e quindi al Ponte a Sieve che è 
una terra murata, e che diventa ogni giorno più florida 


69 
‘e piacevole, dappoichè vi è stata collocata la posta per 
andare ad Arezzo. 

Uscendo dalle opposte mura si trova un bel ponte 
sulla Sieve. Voi lo passerete , e piglierete la via diritta. 
Salendo sempre, giungerete ad un bivio, da dove mo- 
vendovi a destra verso la riva dell’ Arno andereste ad 
Arezzo. Sicchè volgetevi a sinistra per la salita, e non 
lasciate mai la strada maestra finchè non vedrete il vil- 
laggio di Pelago. Per quivi, e per viottoli scoscesì ver- 
retea Paterno. Questa è una villa de’ Monaci vallom- 
brosani, la cui amena coltivazione vi sarà tanto più 
grata , in quanto che non troverete poi se non montagne 
e boschi. Infatti dovrete quindi salire il monte di To- 
sina per discendere dove corre il 'îcano . Sopra questo 
torrente è un piccolo ponte appresso un mulino. Ada- 
giatevi un poco sull'erba, e contemplate i maestosi di- 
rupi, per mezzo i quali sì può scendere nella valle fer- 
tilissima dell’ Arno. 

Il torrente, di cui or parlo, chiamasi particolar- 
mente Zicano di S. ElWlero, per distinguerlo da un al- 
tro botro che si passa prima di Paterno, e che dicesi 
Vicano di Pelago. Amendue metton foce nell’ Arno, 
l’uno dall’altro distanti un miglio. Ma le loro sorgenti 
sono in luoghi molto diversi; nascendo il primo da’ 
monti di Vallombrosa, ed il secondo dalla Corsuma 
come sarà poi indicato. E voi partendovi ormai dal 
mulino e dal ponte, salirete il bosco di Magrale per lo 
spazio di tre miglia. Quindi troverete una piaggia poco 
declive, cinta da sublimi montagne, e coperta quasi 
tutta d’abeti; il cui prospetto vi parrà,, non dubito, mi- 
rabile e maestoso. E intromettendovi poì nell’abetina, 


vedrete presto incominciare un ampio e dritto viale con 
T. IV. Ottobre $ 


70 
largo prato, al cui termine è il monastero di Vallom- 
brosa. 

Due giorni si passano qui volentieri: il primo per 
ascoltare da’ monaci la loro istoria, e vedere il conven- 
to e la chiesa: il secondo per godere della campagna e 
del bosco, vagando per l’abetina e su per la muntagna. 
Da qui a Firenze son venti miglia : il monastero è spa- 
zioso, e fu principiato da Gio. Gualberto nel secolo XI. 
Ogni altra notizia vi sarà data da’ monaci, i quali si 
«compiangono di non aver più quelle belle dipinture, 
che vedonsi però ben conservate nelle gallerie di Fi- 
renze (1). 

Non molto lungi dal monastero, ma sopra alto e 
ripido scoglio è un bel romitorio, detto il Paradisino, 
presso cui è la cascata del Vicano. E di qui si vede 
maggiore spazio di paese: quivi è ne’ giorni estivi gra- 
tissima frescura. Onde voi potrete andare e fermarvi 
alquanto nel Romntorio, se ciò vi aggrada; ma poi con- 
viene salire il monte dedelicta; Quivi gli abeti non ve- 
getano: goderete in iscambio l’ombra de’ faggi; e vi sì 
aprirà la via nel nuovo bosco tra vastissimi prati. E al- 
lora, se avrete animo, piglierete l’erta pe’ sentieri più 
brevi, andando cioè dritto alla cima camminando sull’er- 
ba. Questa è gentile e fina : pare dolcissima al primo pas- 
so; ma poi richiede persona gagliarda: e voi con lena 
affannata giungerete in vetta . 

Quivi è Prato magno, che gli antichi chiama- 
vano magno pianto, perchè gli aretini fugati da Totila 


/ 


(1) Chi desidera conoscere quelle cose che erano altra 
volta nel monastero di Vallombrosa, legga le due lettere di Ca- 
steli. #$ >nserite nel primo e nell’ottavo fascicolo dell’ Antologia - 


4 


Li 
Lo 


i 


vi 
qui si ripararono piangendo le sventure della patria. Di 
quivi si scorge il Mugello, il Casentino, il Val d'Arno, 
la Città di Firenze, i confini di Pistoia ; e sopra le colli- 
ne del Chianti si prolunga lo sguardo fino alla campa- 
gha senese in riva al mare toscano. SR) 

In questo luogo dunque vi lascio riposar volentie- 
ri. E per darvi intanto qualche notizia de’ mentovati 
paesi, vi trascrivo alcune ottave d’ un accademico in- 
nominato , che essendo nel 1761 sopra Prato magno 
finse ivi giunti tre pellegrini, l’uno dal Val d'Arno di 
sopra , l’altro dal Mugello, il terzo dal Casentino. Cia- 
scuno di essi magnifica il proprio paese: e così parla 
quei del Val d'Arno. 


Quella, che a voi compagni addito e mostro, 
È la diletta region feconda 
Fra quante e quante son dal Tebro al nostro 
Arno real, che l’attraversa e inonda, 
Qual mai scrittor con erudito inchiostro 
Narrar potrebbe di quai frutti abbonda : 
Mille fontane d’olio e mille rivi 
Può ben versar da’ suoi giocondi ulivi. 
Quei del Mugello risponde: 
Ferace d’ogni ben, terra benigna 
Per qualità moderne e per antiche, 
Dov'ogni più gentil arbore alligna, 
E sorgon liete a biondeggiar le spiche ; 
Quinci si vede germogliar la vigna, 
Quindi un giardin su per le piaggie apriche; 
E produce ubertoso il mio Pomino 
Dolci le frutta e generoso il vino. 
Il Casentinese all'incontro dice, cominciando da’ tem- 
pi della guerrra punica: 
Torreggiavano allor superbe mura 
Nel Casentin: di Marte al fiero aspetto, 
A far Italia e Roma più sicura, 
Fu da’ roman più d’un castello eretto; 


72 

E da Chiusi, per arte e per natura 
Castello insigne, il Clusentino è detto, 
Che Passumena s’appellò sovente 
Da i nestri antichi e da erudita gente. 

Di poggio in poggio e per occulte strade 
Venne d’ Umbria che a noi quasi confina , 
E in queste impenetrabili contrade 
Si ritirò la nobiltà latina, 
Per evitar di peregrine spade 
Il reo furor, e la fatal rovina: 
E qui senza temer d’altri perigli 
Di sè nuovi lasciò posteri e figli. 

Come qui mai non vidi alcun paese, 
Ove rovine sien così frequenti 
Di casseri e di rocche al suol distese 
Di lunga età dai rugginosi denti . 
Cadder gli stemmi aviti e l’alte imprese, 
D’architettura militar portenti: 
E in ogni bosco e in ogni prato e campo 
D’antica maestà risalta un lampo. 

Ogni casal prosciutti affuma e gote 
Di quelle bestie nominate immonde. 
Ogni acqua tinche, anguille e barbi e trote 
E gamberi e marson mena ed asconde. 
L’Arno stesso qui nasce, e qui riscote 
D'Oia, d’Archiano, e di Teggina l'onda, 
E del Solano altero; e tanto cresce 
Fra noi, che grande e insuperabil n’esce. 


Bibbiena a dì 20 di Luglio 1821. 


Questa mattina allo spuntar del giorno io era da 
Vallombrosa ritornato a Pelago. E dopo lo spazio di 


poche miglia rientrando nella via che da Firenze con- 


73 


duce nel Casentino, mi son fermato a Borselli. Qui si 


fa volentieri colazione , perchè l’aria vi è sottile e pura: 
essendo tal luogo distante sei miglia dal Ponte a Sieve 
per continua-salita : Non vi sono che quattro o cinque 
case di contadino e una brutta osteria: ma non manca- 
no ricotte, ova e buon vino. Da Borselli si scorge la 
pianura fiorentina , e parte del Mugello ; il quale inve- 
ro si può dire che abbia ivi principio, stantechè dall’ o- 
steria si scende per breve viottolo ad una chiesa nella 
campagna detta di Z'otiza, sotto cui germogliano i ca- 
stagni , 1 frutti, e le vigne di Pomino: soavissimo luogo 
tutto in balza, ma non ripido, irrigato dalla Axfina, 
pieno di. case e di ville . ì 

Dopo sì grato passeggio ripigliando la pubblica via} 
sono giunto alla Corssuma . Questo nome è dato a uti'o- 
steria che. è in cima della montagna, quattro; miglia 
sopra Borselli. Ma la montagna. pure ha lo, stesso: no- 
me; e benchè si continui per linea curva a Prato ma- 
gno, è di quésto più bassa. Dalla Consuma nasce il 
Vicano di Pelago: e dalla parte opposta si scende nel 
Casentino . 

La via è nuova , e diramasi in varie parti utilissi- 
mea diversi paesi. Scende per otto ‘miglia fino al.Bòr- 
go alla collina: ed alquanto prima volgendo allarde- 
stra, conduce a Strada; volgendo alla sinistra, con- 
duce a Stia ed a Pratovecchio . 

To sono venuto al Borgo, e di quivi ho»veduto as: 
sai bene , benchè alquanto lungi, la. Terra di Strada. 
E situata in piano, ma giù nel seno di due monti 
alpestri. Ha. molte case belle e pulite, nè manca di 
acque , perchè la bagna il So/ar0, fiume che accresce le 
onde dell’ Arno. 


Il Borgo alla collina è un paese poco popolato, 


74 

ma non brutto. Bisogna entrare in chiesa per vedere 
ivi, chiuso a chiave dentro una cassetta , il cadavere di 
Cristofano Landini. Questo gran letterato , e famoso 
commentatore di Dante, nacque in Firenze nel 1424. 
Ma la sua famiglia proveniva da Jacopo del Casentino, 
pittore assai celebre , nativo di Pratovecchio, e morto 
nel 1380. Sicchè il Landini volle riposare la vecchiez- 
za vicino alla patria de’ suoi antenati, e morì al Borgo 
nel 1504. Egli visse ottanta anni; e il suo cadavere è 
durato per tre secoli; e dura sempre quasi intatto , a- 
vendo segni d’aridezza ma non di corruzione. 

Uscendb poi dal Borgo , io gettava di quando in 
quando lo sguardo verso i ruderi dell’antico castello di 
Battifolle, rammentandomi del Conte Roberto, amico 
al Petrarca . Nè mi rimaneva eziandio dal contemplare 
il nuovo paese che a poco. a poco mi si ampliava in- 
nanzi agli occhi, piano, ombroso, sulla ripa dell'Arno: 
Ben presto ho guadato il fiume, ed aveva allora a sini- 
stra un campo spazioso, pieno di vigne. Questo è Cam- 
paldino, campo infausto, segno nefando delle italiane 
discordie . Qui mosse a danno di Firenze Guglielmo 
Ubertini, lasciato il pastorale in Arezzo per impugnare 
il braudo: e qui furono sconfitti i di lui seguaci, egli 
ammazzato, con grande strage de’ vincitori e de’ vinti, 
a.dì 11. di Giugno 1289. Un umile cappella mostra? il 
luogo, dove presuppongono che l’ Ubertini morisse .Il 
torrente della Sova termina il malaugurato campo , e 
vedesi a destra sorgere Poppi sopra un colle amenis- 
simo . 

Il colle è d'ogni parte libero. Tra esso e la yia 
nuova del Casentino discorre l'Arno; e sopra l’Arno è 
un ponte. Ma benchè vi sia questo agevol'pàssb ; non 
sì può affrettare il cammino; imperciocchè la vaghezza 


ti 


1 


75 
del luogo attrae e ferma. Udendo il mormorio delle 
acque: vedendole placide e limpide tra alberi frondosi; 
nasce il desiderio d’ aver quivi conforto contro i calori 
estivi. Ed il refrigerio dea: persona induce riposo 
nell'animo, che medita allora tranquillamente delle 
memorie antiche. Autorevoli spesso furono in Toscana 
i Conti di Poppi: forte e ben munito era il castello, 
pronto il castellano a dare nell’armi. Ora all'incontro 
è ubbidienza e pace per la contrada|. Io vedeva le anti- 
che mura, fatte o riedificate nel 1261 dal Conte Guido 
Novello, che durano tuttavia sopra il giogo del colle, 
in qualche parte oblique . E su nella vetta sorge il pa- 
lazzo, che da lungi Micia a quello de’ dilsii in Fr 
renze . 

Il palazzo di Poppi fu fatto da Lapo, sido d’Ar- 
nelfo, nel 1230. Talchè il figlio avrebbe, come narra 
pure il Vasari, disegnato il palazzo di Firenze a simi- 
litudine di cell che suo padre fece i in Poppi. Ma esa- 
minando le cose da vicino , apparisce molta differenza . 

Essendomi io goduto alquanto della piacevole om- 
bra in sull'Arno; ho cominciato a salire il colle. Molti 
operai tagliavano le vigne e i massi, facendo una stra- 
da nuova e meno declive. Il che veramente era neces- 
sario, perchè la solita via è troppo ripida . Io per que- 
sta son giunto alle mura , e dentro esse ho veduto tutte 
‘ le case con portici. Gli archi però ‘son bassi; e poco 
spazio è nel mezzo delle strade. Onde non vi è quell a- 
ria aperta, che tanto consola, benchè le case non sieno 
‘dispiacevoli o incommode . 

Arrivato ad un bivio, ov'è di faccia una chiesa; e 
volgendomi a sinistra, ho poco dipoi veduto un prato , 
e Godi il palazzo . PAIN allora di vedere non il 
palazzo de’ Signori, ma quello del Potestà clìe il\Conte 


76 

di Battifolle, essendo Vicario di Firenze nel 1136, fece 
costà ordinare e principiare , come dice Giovanni Vil 
lani, in via del Palagio. Manca infatti la maravigliosa 
Torre, che noi vediamo sorgere alta solida e svelta 
sopra sporgenti mensole, quasi fosse aerea, sulla piazza 
del Granduca. La torre di Poppi è quadrata, ed ha 
ì fondamenti suoi di lato, e spartiti da quelli del pa- 
lazzo . Entro questo è uno spazioso cortile , simile del 
tutto a quello del Potestà in Firenze ; se non che la 
scala, che si regge con ingegnosi archetti al muro, è 
più bella in Poppi. E le pareti son qui pure ornate delle 
armi gentilizie de’ Vicarii, alcune delle quali hanno 
bellissimi lineamenti , e sono fatte di quella terra. in- 
vetriata, che ritrovò Luca della Robbia . 

Sicchè mi pare che il palazzo di Poppi sia imita- 
zione di quello nostro del Potestà: e se apparisce si- 
mile al palazzo vecchio di Firenze, allorchè si guarda 
dalle rive dell’ Arno, ciò proviene dall’ esser costruito 
di pietre simili, e dall’ avere in parte opposta la torre; 
talchè questa sopravanza il tetto e pare su di esso 
fondata . Erano forse i detti palazzi altra volta più si- 
mili nel di dentro, poichè sappiamo che la figura inte- 
riore del palazzo vecchio è stata moltissimo cambiata . 

Due belle e grandi sale vedonsi nel primo piano 
del palazzo di Poppi le quali hanno talora dato il luo- 
go a rappresentarvi commedie . E nel secondo piano è 
una cappella con molte dipinture ; ed una camera in 
cui dicono aver dormito la bella, Gualdrada . Questa 
vaghissima donna fu senza. pari in modestia. come in 
beltà : sicchè davanti al padre suo poco discreto ri- 
spose ella arditamente all’ imperatore Ottone IV , che 
già uomo vivente non la bacerebbe se non fosse suo 
marito . Onde innamorò della persona e dell’ anime 


I En E de” 


77 


suo il Conte Guido , poi sopranominato il vecchio; e 
da lei che non aveva ricchezze, figlia d’ un cittadino 
di Firenze, provennero i Conti Guidi di Poppi. À me 
piace ricordare questo antico esempio di virtuosa fan- 
ciulla e di savia consorte . Nè di lieve momento è la 
rimembranza d’ una donna celebre che visse felice- 
mente in queste mura; poichè nel recinto medesimo 
molti sventurati ebbero morte in carcere. Fino al prato 
si distendevano le sotterranee caverne . Alcuni, dicono 
che esse erano sepolture di morti. Secondo altri vi sì 
riparavano le donne e i fanciulli in tempo d' assedio . 
Molti le hanno presupposte , come forse erano ; orribili 
prigioni. Riscendendo le scale io mi son rammentato 
del funesto caso di Tommaso Crudeli. Per queste scale 
egli venne in carcere, proverbiato da’ satelliti (1), 
malmenato nella patria sua. Ei poeta gentilissimo non 
volle seguir la fama , che lo invitava alla. corte di Na- 
poli. Bramò soltanto di viver quieto jin mezzo a po- 
chi amici, nella cui conversazione riposava. dallo stu- 
dio , e spandeva liberamente i suoi pensieri. Alla quale 
libertà consueto , parlava poi sempre coll’animo aperto 
e senza sospetto . Quindi si derivò la sua sventura, e 
mori di anni 43 nel 1745. 

Dal prato fuori del palazzo si discerne gran parte 
del Casentino. È questo una lunga ed ampia valle, che 
apparisce chiusa ovunque dalle appennine montagne , 
ma che si apre poi rivolgendosi verso la Chiana . Le 


(1) Si racconta che salendo la, scala, gli fu detto da un 
satellite che lo conduceva in carcere , qualis vita , finis ita . 
Le quali parole, più che i patimenti della prigione , oltre- 
modo l’ afilissero: mal sofferendo le calunnie di quel vilissimo - 


plebeo . 


78 

acque dell'Arno traversano tutta la valle: e molti sono 
i fiumi, frequenti 

I ruscelletti che de’ verdi colli 

Del Casentin discendon giuso in Arno. 
Sicchè dolce è veder il piano che ha tanta copia di 
acque, le ripe su cui verdeggiano sì spessi gli alberi; i 
poggi e le colline quasi tra’ fiumi in isola con molte 
case nella pendice e con antiche castella 0 con mo- 
derno villaggio sopra la vetta. Non si può desiderare 
entro gli appennini luogo più vario e più bello . 

Il nome di Poppi si deriva secondo alcuni dalla sua 
figura simile alla poppa d’una nave, e secondo altri 
da £orum. Pompilii, presupponendo che avesse ori- 
gine dalla famiglia Pompilia di Roma . 

Nella chiesa:della badia di;S. Fedele «erada bella 
tavola di Andrea del Sarto; che ora è nelle gallerie di 
Firenze . Andrea vi dipinse la Vergine assunta in Celo 
con molti angeli e santi: ma non compiè da sè mede- 
simo il quadro. Lo finì Vincenzo di Francesco Fornaio 
de’ Bonilli , che fu ancor nominato Morgante Bonilli 
da Poppi . 

Sono però restatiin detta chiesa molti quadri non 
dispregevoli. Vi sono: il martirio di S. Vincenzo, e 
l'assunzione di Maria che è adorata da S. Benedetto , 
del Ligozzi fiorentino : la mascita di Gesù, ricopiata 
per Vincenzo Bonilli pittore di Poppi da un quadro di 
Giorgio Vasari che è in Ca maldoli : Ja vergine sedente 
in alto luogo col bambino in braccio ed innanzi a più 
santi, di Antonio Solomei che era pittore e scultore , 
poichè sotto il piè sinistro della Vergine si legge brit 
nius Solusmeus scultor 1527: il #atabitio Gesù che 
stando nel braccio destro della madre dispensa corone a 
S. Domenico, a $S. Caterina , ad angeli e profeti, del pa- 


ca 


dpi, 

dre abate vallombrosano Alessandro Davanzati fioren- 
tino nel 1595 : tre tavole congiunte insieme per lungo , 
essendo in quella di mezzo dipinta la Vergine col bam- 
bino in braccio da pittore molto antico , e nelle altre 
due tavole S. Caterina e S. Gio. Evangelista dipinti da 
Domenico Passignani : ed infine, il martirio di S. Gio: 
Evangelista entro una caldaia d’olio bollente, di Fran- 
cesco Morandini , sopranominato dalta patria il Poppi. 
Questi ritrasse nello stesso quadro due sue sorelle e la 
madre} e dipinse pure la Santa Agnese che è in un 
ovato sopra l’altare. 

“Un basso rilievo molto bello ‘è nella chiesa delle 
monache. Rappresenta la nascita ‘dî Gesù, ed è di 
terra invetriata della Robbia . 

Dopo aver veduto i quadri, ho domandato se vi 
era alcuna libreria in Poppi . To già sapeva che Salvino 
Salvini aveva nel secolo scorso donato i suoi libri alla 
Badia di S. Fedele per uso pubblico di tutti gli abita- 
tori di Poppi. Ma questi libri sono da gran tempo per- 
duti; ed i manoscritti in particolare furono guasti 
dall’ umido e rosi da’ topi. Onde ho'avuto gran mara- 
viglia nel sentirmi rispondere ‘che’ wi è pure al pre- 
sente una libreria copiosa’ ‘e' ben conservata . Essa è 
stata raccolta dal' Cavaliere Rilli, uomo attempato, ma 
robusto e compagnevole . Ha molti libri in varie lin- 
gue, e ‘molti codici che la più parte sono latini. Ed 
egli pure gli dona al'comune di Poppi . Sicchè bisogna 
‘augurare a questa ‘nuova libreria ùna sorte più felice 
che a quella del Salvinî . I codici; che possiede il Ril- 
li, non sono rarissimi; ma ne ha pure del secolo XIII, 
ed ognuno sa che qualunque. manoscritto è pregevole . 
Tantochè sarebbe , mi pare, cosa opportuna e d' utilità 
reciproca il cedere i suddetti codici a qualche libre- 


80 


ria di Firenze , in cambio di buone opere stampate e 
d’eguale valore. 

Il sole era sempre molto lungi dall’ orizzonte, 
quando sono uscito di libreria. Onde ho voluto scen- 
dere il colle di Poppi per salire quello di /rorzola, 
distante un miglio e mezzo. Fronzola è un antico e 
diroccato castello coll’.insegna del Leopardo . Vi è nel 
prato un'antica cisterna con acqua quasi, perenne e 
freschissima ..E di qui pur è bello, sguardo nel Casen- 
tino. Ma il soggiorno è assai (più grato un poco, al di 
sotto , cioè nel colle Z'erzzizo che ora chiamasi monte 
dell’ Ascensione ov è un convento di cappuccini. En- 
trando nella chiesa ho veduto a mano destra un gra- 
zioso quadro del Poppi, che rappresenta la Madonna 
con Gesù bambino tra le braccia, in mezzo a S. Fran- 
cesco e a S. Torello. Sopra l’ altar. maggiore è un qua. 
dro, che credesi dipinto dal Veli aretino ; e poichè 
rappresenta l’ Ascensione , così, fa conoscere 1’ etimolo- 
gia del moderno nome che hanno dato al colle. E Veti- 
mologia del nome antico si legge nelle pareti d’ una 
casa , in cui è scritto con antichi caratteri 

Sono tenzenosa a chi tenzone osa . 

Da’ cappuccini sono ritornato sulla riva maestra, 
e.andando sempre per la dilettevole pianura ; e pas- 
sando il fiume dell’ Archiano 

Che sovra l ermo nasce in Appennino, 
dopo quattro miglia da Poppi sono salito alquanto fino 
a Bibbiena. Questa è la patria di Francesco Berni, che 
Scrisse cantando in volgar fiorentino, 
Senz'offender ‘gli orecchi della; gente 
Con le lascivie del parlar toscano. 


È 


81 
Alvernia a dì 21 di luglio 1821 


Allo spuntare oggi del sole io era sulla piazza di 
Bibbiena, e vedeva magnifica e nuuva parte del.Casen- 
tino. Poppi e Bibbiena sorgono quasi alla medesima 


“altezza, e l’uno fa di sè mostra piacevole all’ altro. 


Ma per questo accidente è impedito altresì lo sguar- 
do al di là de' due paesi; onde la vista si rinnova . 
Poppi è più bello a vedersi dal piano; nel piano guar- 
da meglio Bibbiena. Questa nobilissima terra è più 
aperta, ed ha le vie più larghe e senza portici. Nella 
chiesa di S. Lorenzo sono due bassi rilievi di terra in- 
vetriata della Robbia. 

Io voleva andare al vicino santuario di Santa Ma- 
ria del Sasso per vedere i quadri di Gio. Antonio Lap- 
poli e di Fra Paolo Pistolese, de’ quali parla il Vasari; 
ma la stagione calda cresceva , ed ho preso la via del- 
l’Alvernia. Il cammino è facile finchè non si giunga alle 
rive del Corsalone. Questo fiume nasce dalle A/pi dî 
Serra: s’ ingrossa per più ruscelli che hanno origine 
in Zrassineta, Fignano, Corezzo, Vallesanta, Monte- 
silvestro, Montefattucchi, e Alvernia: mette foce 
nell’ Arno sotto Bibbiena: ed ha la ripa varia e bella a 
vedersi, ma sommamento alpestre. 

Guadato il Corsalone si sale sempre. fino ad un 
monte ignudo d’ alberi, cicè al sasso d’ Alvernia, che è 
dieci miglia distante da Bibbiena. Nel 1215 fu questo 
luogo donato a S. Francesco dal. Conte Orlando di 
Chiusi. Ed essendovi. allora edificate più cappelle , 
crebbe a poco a poco il convento, e fu fatta una nuova 
chiesa benissimo ornata. In essa e nelle particolari cap- 
pelle sono tuttora que’ bassi rilievi di terra invetriata, 


82 


che vi fece Andrea della Robbia. Sono molti, tutti 
belli, e ottimamente conservati. Alcuni di essi però 
sono attribuiti a Luca, il che può esser vero: ma io du- 
bito se appartengano a Luca della Robbia; primo ritro- 
vatore di simili opere, o a Lucantonio suo pronipote, 

Nè in convento, nè in chiesa non sono buone. di- 
pinture ; e se vi fossero, sarebbe cosa utile il portarle 

altrove, perchè, diceva bene il Vasari nina pittura 
nè anche pochissimi anni si conserverebbe in. Alver- 
mia. Infatti nell’andito, per cui si va alla cappella 
detta Ze Stimate, sono certe dipinture a fresco che 
quasi non si raffigurano al presente. La neve copre 
questo monte nell’inverno. In ogni stagione è spesso 
il convento dentro le nuvole. Anche oggi non mi di- 
spiacerebbe lo stare intorno al fuoco . - 

I frati hanno piantato un bosco foltissimo intorno 
al convento. Si\cammina prima tra gli abeti , poi si tro- 
vano i faggi. Crescendo questi sopra la vetta fanno 
contro i venti riparo idoneo agli alberi meno robusti . 
Fuori del bosco vedonsi rupi, e massi ora congiunti 
ora spartiti dalla montagna ; e tutti scabri e di ampia 
mole. Presso la cappella delle stimate si scende in 
un antro sacro alla memoria del beato Francesco. Ed. 
ivi è il gran sasso che arreca a tutti maraviglia : staccato 
dal monte , e posando per metà del suo volume sopra 
‘altri massi, sporge in linea orizzontale e copre l’antro. 

Chi viene all’ Alvernia vi riceve dolcissimo ospizio. 
I frati sono mendicanti. Essi raccontano la vita del 
beato Francesco con. edificante discorso ; e poi condu- 
cono il viaggiatore a que luoghi, da dove si scorge 
assai paese. Chiamano la pezza (1) il più alto sito del 


(1) Da Pinna, vocabolo latino, mutando |’ i in e. 


83 
bosco, che è la cima del monte : e di qui si veggono mol- 
te altre montagne come se fossero colline. Dalla cappel- 
la poi delle stimate , ov'era la cella di S. Francesco, ve- 
donsi i borri e le valli che scendono e s’ allargano nel 
Casentino. E dalla parte opposta fuori del convento, in 
un luogo detto la Me/osa, si scopre quasi tutta la valle 
tiberina. Io l’ ho ben misurata coll’ occhio, perchè la 
deggio percorrere. E nel medesimo tempo abbassava 
di quando in quando lo sguardo verso un piccolo pog- 
gio che è poco lungi sotto il convento , e che è ora co- 
perto dalle rovine d’ un castello tra alcune rustiche ca- 
se. Ivi dominava il Conte Orlando, donatore dell’ Al- 
vernia al beato Francesco. Su quel poggio era Chiusi, 
nominato eziandio Clusio nuovo per distinguerlo dal- 
l’ etrusco Chiusi. E da esso credesi derivato il nome di 
Clusentinum, detto poi Casentino ; quantunque si pos- 
sa trarre la sua etimologia dalle qualità del luogo; che 
è tutto chiuso da montagne. 

Alcuni pretendono che Michelangelo nascesse nel 
sopradetto Clusio nuovo, mentre ne era Potestà il pa- 
dre suo nativo di Firenze. Ma ciò non è vero. Il Potestà 
dimorava,in un altro villaggio, che si chiama Caprese, 
nelle medesime montagne, ma un poco più lungi 
dall’ Alvernia. 

Il convento di questi frati è situato in un luogo molto 
opportuno agli abitatori di queste provincie , imperoc- 


‘chè è sulla via, che dal Casentino conduce a molti paesi 


della valle tiberina: e questa strada potrebbe esser pe- 
ricolosa a viaggiatori, se non fosse tanto frequentata 
per amor di S. Francesco, e se vi mancasse la sicurezza 
dell’ ospizio sopra il giogo della montagna. 

Il monte dell’ Alvernia è parte, o almeno continua- 
zione delle alpi di Serra . Serra, Giogana, e Palterona 


34 
sono i più alti gioghi degli appennini che chiudono if 
Casentino a settentrione. Il Mugello è ad occidente. 
A mezzodì sorge l’ alpe della Santissima Trinità ye 
l’ alpe di Prato magno che scende poi in al d’ arno. 
Quindi è termine del Casentino all’ oriente V Umbria 
granducale, e il Tevere. 

Tutti questi confini, le Terre e i villag ggi del Ca- 
sentino, il corso dell’ Arno fino a Firenze, ed il corso 
del Tevere fino al Borgo S. Sepolcro, sono delineati con. 
molta diligenza in alcune carte che il padre Antonino 
de Greiis domenicano fece nel 1787. Egli è quel mede- 
simo che tratteggiò di penna la sua propria effigie, come 
si vede nella galleria di Firenze tra’ copiosi ritratti de’ 
pittori. E le suddette carte corografiche sono tuttavia 
inedite nella libreria Marrucelliana . Il presente biblio- 
tecario Francesco del Furia, uomo gentile quanto dotto, 
volle mostrarmele, conoscendo che mì avrebbero gio- 
vato nel mio viaggio. Ei mi favorì eziandio tutti i ma- 
noscritti del Bandini , il quale si era proposto di fare 
l'Odeporico del Casentino: opera utilissima, perchè 
questa bella parte della Toscana non era stata e non è 
ancora bene indicata da un valente scrittore. Solamente 
Luigi 'Tramontani, per quanto è a mia notizia, ha fatto 
la storia naturale del Casentino: ma è troppo generale, 
ed è alquanto curiosa, essendovi un capitolo che prin- 
cipia, fra gli animali casentinesi l’uomo sicuramente è 
quello che merita il primo posto . Altri opuscoli d’altri 
scrittori sono troppo particolari, e pieni di ridevoli tra- 
dizioni. Nel viaggio pittorico della Toscana, opera bella 
e grande , si trovano sole le pricipali vedute. Sicchè 
dobbiamo dolerci che il Bandini non potesse compiere 
il suo Odeporico . Ed io intanto mi valgo di molte sue 
notizie, per essere almeno di guida a chi prende questo 


85 
cammino. Per la qualcosa comprendo in una lettera 
solo quanto può vedersi in un giorno , andato a ca- 
vallo o a piedi. fi 

Nell’ Alvernia ‘è una buona libreria con ibi ma- 
noscritti ma buoni. 


\ Montecoronaro a di‘22 di Luglio 1851. 


J Le 


T' primi passi, che ho fatto questa mattina parten- 
do dall’ Alvernia, mi hanno indicato la fatica del nuo- 
vo viaggio. Passando per la Melosa'si scende iu ut 
burrone, e poi si sale un poggio: e così la via prosegue 
per quindici miglia, ora sulla cima degli appennini ov’ è 
aspra selva, ora ‘in profondi e scoscesi dirupi ove si 
arrampicano rare le capre. Dall’ autunno. alla prima- 
vera è il luogo deserto: sol quando principia la calda 
stagione, vengono qui a ripararsi le gregge: dalla Ma- 
remma di Siena. Pascolano esse ne’ prati che germo- 
gliano per le spiagge meno declivi: edvil pastore difen- 
de il gregge da’ lupiabitando in una capanna di frasche. 
i Jo udiva spesso! l*eco rispondere all’ abbaiare de’ ca- 
ni, e desiderava gli‘armenti vicini per:bever latte. Ma 
quesio dolce conforto era sempre lungi dal mio sentie- 
ro, in cui non trovava che uomini di quando in quando 
sopra cavalli maremmani. Essi venivano galoppando 
per le ripide balze; saltavano a briglia sciolta gli alberi 
attraversati; «e con. salùvo affettuoso confortavano me 
che sbigottiva del loro pericolo. Forse mi compiange- 


vano perchè io andassi a piedi: e per mostrarmi ani- 
T. IV. Ottobre 6 


86 
moso anch' io , lasciava la guida e correva innanzi. Mi 
fermava, però sopra ogni altura, per osservare l’ anda- 
mento delle montagne . Nè mi mancavano di tempo in 
tempo vedute maestose, quantunque orride e ristrette. 

Finalmente ho cominciato a sentire il mormorio 
delle acque , e il rauco suono d’un mulino. Ivi presso 
mi sono riposato nell’osteria di Morte Coronaro: tal 
nome si deriva dalle qualità del luogo, cui fanno gli 
altri monti corona. Buona colazione per poco prezzo 
mi hanno dato quegli osti ospitali : e mentre mi ricrea- 
va con soavissima ricotta, udiva nelle vicine stanze 
cantare i versi d’ Erminia. Un giovane pastore gli can- 
tava alla figlia dell’oste, presente un prete. Sicchè ho 
avuta somma contentezza , trovando in queste rupi 
sincera ‘accoglienza, buono costume, e pastori che inten- 
dono l’ idioma classico dell’ Italia . 

Dopo breve indugio ho seguitato la.ripa del fiu- 
me contro la sorgente. Vi sono molte case di contadini 
e di pastori; e nella campagna è qualche albero frutti- 
fero: ma vedonsi più sovente ampie pasture con ar- 
menti di vacche. In cima del villaggio, al di là del 
fiume, la via;si; sparte in due: la sinistra conducé 
in Romagna ; la destra alle Balze . Lo ho: preso, la 
seconda strada , e salendo al solito per boschi e prati} 
dopo cinque miglia mi si è aperta la via di repente in 
una valle amena irrigata da moltr ruscelli. Quesii cor- 
rono tutti al Tevere. La valle chiamasi Falera , nome 
di famiglia che aveva quivi possesso . E gli agricoltori 
abitano tutti uniti nel villaggio, che non è vasto, nè si- 
ivato in altura, ma che nondimeno è salubre , e pulitis- 
simo e piacevole , massimamente oggi che gli uomini e 
le donne erano festevoli intorno a muovi sposi. Onde 
malvolentieri me ne son dipartito per salire alle Balze. 


37 

Questo è un casale vicino alla Falera, ma è orrido, 
nella costa del monte. Due miglia al di sopra è un e- 
remo, chiamato la cella di Santo Alberico; da dove 
il romito, che vive da selvaggio, scopre gran parte di 
Romagna. Presso al romitorio vegeta una grandissima 
vescia, che in qualche anno pesa libbre diciotto : e 
giunge a tanto volume, perchè essendo nascosa dalle or- 
tiche in rupi quasi inaccessibili, pochi uomini sanno 
ove trovarla, e questi medesimi non si espongono a co- 
glierla, se non quando credono che abbia finito di cre- 
scere . 

All’ oriente di questa montagna nasce il fiume della 
Marecchia. All’ occidente sgorga il Sapio. A mezzodì 
sono le fonti del Tevere. Partendo io dalle Balze , ho ‘ 
traversato la china del monte sopra la Falera . Nè la via 
è incomoda per mezzo miglio, ma poi va sopra rotti 
sassi, e vedonsi allora i primi flutti del Tevere. Quindi 
comincia a destra un boschetto di faggi: e l’ombra loro 
mi sarebbe sembrata quella d’un dilettevole giardino, se 
avessi potuto dimenticare il faticoso viaggio. Tra gli al- 
beri discorre piacevolmente il fiume: e questo si vede 
un poco più sopra esser coufluente di due ruscelli. Con- 
tinua la salita, coperta di musco. Si dirada l'ombra . 
S’incurva il prato. E dall’ una e dall'altra parte scatu- 
risce fra l'erba e sotto le radiche de’ faggi una polla di 
acqua viva, limpida e freschissima . Le due fontane di- 
ventano rivi, i rivi fiume; il fiume sbocca nel mare 
Tirreno, dopo aver rotto i ponti dell'antica Roma. In 
sì grande argomento io ho abbandonato l'animo . 

La guida mia, vedendo imbrunire il faggeto, mi 
ha riscosso dal Pergine sogno. Onde libata la purissi- 
ma acqua nelle due fontane, lento lento riprincipiava a 
discendere. per un prato che è alla destra del destro 


88 


fonte. Ma il mio compagno ha gridato che 10 mi disco- 
stassi, perchè quel prato ha superficie molle e sotto i 
piè s'avvalla. Sicchè ho ripreso la medesima via già 
fatta per uscire dal bosco; fuori del quale si trovano 
massi quasi tanto grandi come in Alvernia . 

La notte era vicina ed avrei potuto” dormire nelle 
Balze, chiedendo ospizio all’ Arciprete che suole volen- 
tieri concederlo ; perchè vi è pessima osteria. L'ostessa 
però meriterebbe d°’ esser collocata in migliore albergo. 
Infatti nella sola osteria sua mi è stato pesato il pane 
colla"stadera; avendo io pagato quelle once sole che ho 
consumate. Ma nondimeno, benchè avessi questo gran- 
de esempio di gentilezza toscana in quel villaggio, ho 
voluto ritornare al Monte Coronaro che è più prossimo 
alla Pieve di Sunto Stefano) dove anderò domani. Nè 
la fortuna mi è stata avversa , perchè arrivando qui mi 
ha dato ospizio. un amoroso e ricco pastore. Colla sua 
gioviale famiglia, tra le sue belle ed oneste figliuole e 
tra’ suoi garzoni, sedendo io sopra pelle di capretto alia 
mensa sua, oh! quanto ho goduto di mangiare la zup- 
pa cotta nell’ acqua ed altre vivande semplici d’erba o 
di formaggio. Scherzavano i giovani familiarmente e 
senza malizia. Il fiasco del vino girava la tavola ; ma 
non rendeva ebro alcuno. Ed il padre intanto parlava 
delle cure sue domestiche, avvisando i garzoni , costu- 
mando le figliuole , e facendo a me dolcissimo invito al 
mangiare ed.al bere. Egli mi ha narrato pure gli usi 
del paese; come qui vivono nell'estate, coltivando i 
campi e provvedendo agli armenti; e come poi sono 
costretti a lasciare le paterne abitazioni quando viene 
l’inverno , per riparare sè medesimi e le gregge in’ più 
dolce e bassa regione. I più vanno verso Grosseto , 0 in 
riva al mare. Alcune donne e i vecchi restano guardia- 


«del Tevere, ed ha un ponte che giova a’ passeg 


89 
ni delle case. Ed io, che mi doleva di vedere uomini co- 
stretti alla vita errante , sono stato presto persuaso della 
necessità di mutare soggiorno , perchè, cessato il calore 
del viaggio, principiava a sentire un’incommoda frescu- 


ra . Dopo cena mi sono avvicinato al fuoco: ed ho avu- 


to il secondo ristoro in un pulitissimo letto con coperta 
di lana entro una cameretta foderata di tavole di ca-\ 
stagno . 


Borgo S. Sepolcro a dì 24. di Luglio 1821. 


Accompagnato da’ fausti augurii del mio buon pa- 
store io partii ier l’altro da Monte Coronaro. Ma non ri- 
tornai già verso l’Alvernia. Scesi per via molto più 
comoda a Y'al Savignone . Questo villaggio è sulle rive 
| geri 
nell’ inverno. Ora il fiume si guada ; e nel letto stesso 
del fiume io presi quindi la via per farla più breve. 
Così passando sotto Zu/ciano , e senza mai discostar- 
mi dal Tevere, pervenni alla Pieve di Santo Stefano. 
Qui principia la valle tiberina . Fino a questo punto, 
che è distante quasi quindici miglia da Monte Corona- 
ro, il Tevere discende per un alveo aperto nel seno 
delle montagne dalle piene invernali . Sicchè le acque 
serpeggiano sempre, e talora cadono da qualche sco- 
glio: nè mai si spandono per coltivate campagne, per- 
chè di rado corrono tra spiagge poco declivi, e so- 
vente hanno per argine altissime rupi. Sradicano bensi 
gli alberì fruttiferi, moci e castagni, che l’ animoso 


90 

‘villano pianta in sulla riva. E quando ricrescono al 
dighiacciare della neve, rodono e rompono i campi 
meno elevati. Anche sopra questi però la coltivazione 
è rara , essendo rari i villaggi. Vedesi qualche orto in- 
torno a Valsavignone. Poi si trovano alcune vigne alla 
sinistra del Tevere. E sol quando è vicina la Pieve di 
Santo Stefano, incominciano gli ulivi ad ombreggiar le 
semente. Io mi godei di quel tragitto alpestre, che era 
molto vario e non disagevole. Nel letto del fiume erano 
travi e pali gettati giù da’ montagnoli , affinchè la pri- 
ma piena gli trasportasse nella pianura . 

La Pieve giace in un piano basso e poco esteso tra 
le coste de’ monti. Ma la prima linea delle montagne 
si continua per colli spartiti, ove sono frequentis- 
sime ville. Ed il fume rifrange l'azzurro Gelo con 
acque limpide. Onde non vi è aria cupa nè grave, 
almeno in questa stagione: e la via è larga dentro le 
mura : gli abitatori sono molti e industriosi: nella 
piazza concorrono gli agricoltori della valle tiberina a 
commerciare co” montanari della Romagna. Un vicario 
sopravede i costumi e le ragioni civili. Un arciprete 
governa la chiesa collegiata . 

Questa non è bella, ma vi sono tre quadri meri- 
tevoli d’ attenzione. Il primo è di scuola antica, € 
rappresenta S. Lucia . La dipintura è sopra gesso a 
tempera : le carnagioni sono un poco languide : ma la 
veste della Santa ha un color sì vivo, ed il lembo è 
contornato da un gallone d’oro sì rilucente, che sem- 
brano opera nuovissima , fatta con grande artificio. Il 
secondo quadro rappresenta la matività , e pare esser 
della scuola del Perugino. Il terzo mi fu molto lodato 
dall’ arciprete , ma io non lo potei vedere, perchè lo 


9I 
tengono dietro un’ altra immagine; la quale non sì pò: 
teva allora abbassare . 

Nella chiesa di S. Francesco è un quadro di Santi 
Titi: ma il colore è molto alterato. 

| In una cappella , che ora appartiene alla famiglia 
Mercanti , e che era una chiesa di monache, vedesi un 
bel quadro che rappresenta la nascita del sacro bam- 
bino. Molti lo attribuiscono al Vasari. Ma egli non ne 
fece menzione , scrivendo la propria vita. Oltrechè vi 
sono altri priclivdi quadri che si. congiungevano 
col medesimo altare e che danno indizio anche mag- 
giore d’una maniera divido a quella del Vasari. Sareb- 
bero forse queste dipinture fatte da Gio. Maria Pichi 
discepolo del Puntormo e da lui spesso aiutato; il quale, 
come il Vasari racconta, fece alcune opere nella Pieve 
di S. Stefano ? 

La più grande e più antica chiesa è fuori le mura 
verso la valle tiberina, e chiamasi la Madonna de’ lu- 
mi . Ivi sono due tavole assai più lunghe che larghe, 
ove è dipinta una processione di angeli . Sono graziose 
le teste, splendienti gli abiti, variati.i gruppi. Signora 
il nome del pittore : e della sua maniera lascio ad al- 
trui il giudizio . 

Prima di questa chiesa è un ponte, per cui si esce 
dalle mura. Ivi è buona osteria; e come accade in tutti 
questi luoghi, gli osti sono ad e contenti al giusto 
guadagno. Progredendo però nella valle ho preso que- 
sta misura contro la maggior frequenza delle osterie; 
chiedendo cioè all’ ostessa , che io lasciava , il nome 
dell’ostessa vicina con cui ella fosse collegata . Median- 
te la quale prudenza ho'pur trovato al Borgo una fa- 
miglia di oste veramente angelica . Ma tutti questi bor- 


92 
ghesi procedono con sì grande urbanità, che non è ma: 
raviglia se anche il basso popolo è civile. 

Io partii verso le due dalla Pieve , trovando la via 
piana ed ottima per qualche nl Ma poi rimasi 
maravigliato , vedendo che i carri erano tirati da? bovi 
nel letto del Tevere. La buona strada era interrotta, 
ed io consigliato dalla mia guida.presi la. via del, pog- 
gio, augurando agli abitatori, della Pieve e del Borgo 
un cammino più fabile e necessario al loro commercio. 
Quanto è a me , fui. più contento di salire la collina, 
perchè mi. rinfrescavano soavi aurette, e meglio si 
scopriva il corso del Tevere . Con poca enda esso lam- 
biva i sassi nel largo letto , che viepiù si distendeva, 
ampliandosi la valle. E non era l’ alveo sempre tor» 
tuoso come nelle montagne , che anzi volgevasi di rado 
intorno a’ poggi , e per lunghi intervalli appariva dirit- 
to. Ombra o rezzo non mancavano ad amendue le 
spiagge, per gli albereti dappresso ; quindi per le vi- 
gne , e poi per dolcissimi colli pieni d’ulivi e di frutti. 
Nè spariti mi erano i monti dell’appennino ; chè io 
ne scorgeva le alte cime alla destra del fiume. Bensi 
era celato J' orrido e minaccioso. prospetto delle. sel- 
vagge e scabre rupi: o se alcuna mostravasi,, compa- 
riva facile per la distanza, e l’aria interposta le dava 
‘il suo lieto e maestoso colore . 

Lieto anch’ io pertanio seguiva il cammino su per 
l’altura , e già mi si era Silla bi il Tevere, già aveva 


io passato un. vaghissimo colle, che, ha rovinate ca- 


stella, e che dicesi Monte d'oglio; quando mi si sco- 
perse tutto ad un tempo il vasto piano della deliziosa 
valle . Io era pervenuto in cima d'un viale diritto, lar- 
go, e poco declive ; in fondo del quale vedeva , benchè 


Na 

‘sempre lontane, le torri e.le cupole di Borgo a iS. Se- 
polero.. Ed allora rividi il Tevere che piano piano ir- 
rigava le ubertose campagne, e.che. ristretto. poi sotto 
gli archi d’ un ponte antico, a mezzo miglio dal Bor- 
go , rivolgevasi con un giro al ed alla sinistra sponda 
verso Città di Castello. Questa io pur vedeva, insie- 
me con tutti i paesi fino ad Anghiari. I quali essendo 
molti, e ogni podere avendo o villa o casa rustica e 
pulita , a me pareva di vedere un immenso villaggio 
posto fra due città... Nè poteva connumerare i fiumi 
che da ogni parte delle più vicine montagne vengono 
a metter foce nel Tevere. Io gli distingueva per ca- 
gione degli. alberi.,.che presso le acque crescono più 
verdi , più. spessi, e più alti. 

Volentieri. dunque avrei passato più giorni in 
quell’ amenissima villa , che è in principio del mento- 
vato viale. Ma non potendo ivi. fermarmi, ho voluto 
riposare almeno un giorno intiero in questa città chie è 
dieci miglia lontana alla Pieve di Santo Stefano. Il 
quale riposo mi ha pure giovato a meglio vedere le 
belle dipinture che qui sono frequenti . 

Il Borgo è stato. patria di molti valenti pittori . 
Nel secolo decimoquinto vi nacque Pietro della Fran- 
cesca ;, uno de’ maestri di Pietro Perugino , e celebrato 
dagli storici come buon mattematico e quasi padre 
della prospettiva. Nel. secolo decimosesto vi nacquero 
Gio. Maria Pichi, Santi Titi, (1) Cristofano Gherardi, 


(1) Alcuni lo chiamano Santi di Tito . I suoi discendenti 
trasferitisi da qualche tempo in Pisa, hanno preso il cognome di 
Tidi: ed a questa medesima famiglia di S. Sepolcro appartiene 
Roberto Tidi ; che fu ottimo latinista e grecista . 


94 

i tre Cungi, ed altri , che furono tutti, eccettuati i due 
primi, scolari di Raffaellino dal Colle ; il quale pure si 
connumera tra” borghesi , perchè la sùa patria è molto 
vicina al Borgo. Nel secolo decimosettimo vi nacquero 
gli Alberti, famiglia di S. Sepolcro numerosissima di 
pittori, come dice il Lanzi. Ed anche ora vi nascono 
‘molti giovani , che avrebbero genio alle belle arti , ma 
che qui non hanno maestro . 

Solo ‘nel seminario s’ istruiscono comunemente i 
giovani . E l’ edificio è grande e bene scompartito , es- 
sendo altra volta un bellissimo convento di Gesuiti . 
Ma i precettori attendono in particolare all’ istruzione 
ecclesiastica , Ja quale non dà luogo allo studio delle 
belle arti; quantunque sieno esse collegate colla pietà 
cristiana , che induce gli uomini a edificare e ornare i 
templi . 

Le chiese del Borgo sono molte e quasi tutte am- 
pie e belle. Quella del Seminario è vaghissima per 
buona architettura e per ornamenti di stucco ben di- 

segnati . E nell’altar maggiore è un quadro assai buono 
del Padre Pozzi , che rappresenta vna regina indiana 
battezzata da S. Francesco Saverio , cui è dedicato il 
Tempio . I 

La chiesa di S. Francesco è una delle più grandi, 
e tra’ molti suoi quadri debbonsi particolarmente os- 
servare le Stimate di S. Francesco di scuola caracce- 
sca, e la disputa de’ dottori dipinta dal Passignano . 
Questo quadro è ora molto annerito; ma nondimeno 
vi si scorge una luce mirabile , diffusa da due raggi che 
provengono da due finestre dipinte nella parte supe- 
riore del medesimo quadro . 

Nella chiesa degli Osservanti è un quadro grande 
e bellissimo, dipinto da Gio. Maria Pichi coll’aiuto del 


DA 


99 

Puntormo , rappresentando S. Quintino ignudo e mar- 
tirizzato. E vi è un altro quadro veramente bello del 
Bassano , che rappresenta î Re magi, ed in cui è da 
notare l’ artificio del pittore in bene ascondere i piedi 
delle figure , che gli riuscivano quasi sempre difettosi . 
Sopra la porta maggiore è una tavola grande e ovale, 
in cui Raffaellino dal. Colle dipinse 2’ Assunzione : cosa 
leggiadra , dice il Lanzi, per disegno e per tinte, 
se non che v è aggiunta d’ altra mano non so quale 
altra immagine che le scema il pregio. 

Nella chiesa di S. Lorenzo è una tavola dipinta 
dal Rosso, che rappresenta Cristo deposto di croce (1). 
E del medesimo pittore è un quadro nella sagrestia 
degli Osservanti, il quale rappresenta la Z'isitazione 
della Vergine. Ma questo quadro è in vendita per 
provvedere a’ bisogni del Convento . 

Nella chiesa de’ Servi è la Presentazione al 
Tempio , del Pomarancio . 

In S. Chiara sono alcune pitture a fresco degli 
Alberti, e vi è la tavola dell’ Assunta di Pietro della 
Francesca. Ma questo quadro è sull’ altar maggiore , 
ed ha sempre tanti candeglieri innanzi, che non si 
può quasi vedere. 

Nella chiesa sotterranea di S. Rocco è un se- 
polcro grande e tutto di pietra, similissimo , come 
dicono a quello di Gerusalemme: e soggiungono che 
da questo proviene il nome di Borgo a S. Sepolcro. 

In altre chiese sono altri buoni quadri: ma io mi 
fermerò nel Duomo che è divero una copiosa galle- 


(1) Il Lanzi dice che questo quadro è in S. Chiara ; ma i 
Borghesi-mi hanno detto che è stato sempre in S, Lorenzo. 


96 

ria. Raffaellino dal Golle vi dipinse i Santi Cosimo e 
Damiano, e la ‘Risurrezione, la quale ei medesimo 
ricopiò per metterla nella chiesa di $. Rocco. Anto- 
nio Zei vi dipinse il Suffragio: il Palma vecchio V As- 
sunzione: Cherubino Alberti la Zrinità: e Durante 
Alberti la Natività. ln questo quadro è:sommamen- 
te bello il volto della Madonna, che modesta e amo- 
rosissima guarda il bambino. 

Il Cavallucci ha dipinto modernamente nel Duo- 
mo e con molta grazia la Madonna del Rosario. San- 
ti Titi vi dipinse S. Zommaso che tocca il costato 
di Gesù risorto, nelle quali figure non si può deside- 
rare più purgato disegno, nè. maggiore espressione . 
Ed anche il colorito è buono: ed ‘il quadro è ben 
conservato, ed è in tela contro l'uso più frequente del 
Titi di dipingere in tavola . 

Nel coro poi si vede quella tavola grande che 
Pietro Perugino fece in Firenze , e che secondo la nar- 
razione del Vasari fu portata al Borgo sulle spalle de’ 
facchini con spesa grandissima . 1l quadro rappresen- 
ta l Ascensione. Vedesi nella parte di sopra il he- 
dentore che sale verso il celo con maestose sembian- 
ze; e al di sotto è la divina madre che alza e fissa 
gli occhi nel diletto figlio, prendendo gioia della 
gloria sua . Ella è circondata dagli Apostoli, che 
esultano in varie attitudini con volti espressivi. Il Sal- 
vatore ha due angeli a sinistra che sonano la chitar- 
ra, e due alla destra che sonano il violino e 1’ arpa. 
Ma questo quadro, comecchè sia pregevole , non fa ora 
altro ufficio se non ‘di cataratta . Dietro ad esso è sta- 
ta collocata una sacra immagine, la quale i borghesi 
adorano sovente, abbassando prima la tavola del Pe- 
rugino. Sicchè al Borgo interviene un caso contrario 


97 


a quello che notai nella Pieve di Santo Stefano, do- 
ve per vedere un quadro antico si abbassa una ve- 
nerata Immagine. 

La facciata del Duomo è di pietre ben connesse 
e bene scarpellate : e si continua da un lato al palaz- 
zo del Vescovo, e dall’ altro ad un antico edificio, 
che chiamavasi le Laudi, e che ora appartiene alla fa- 
miglia Marini, ove è un portico bello e tutto di pie- 
tra anch’ esso. Questi edificii si trovano in ‘una breve 
e larga via, che.termina in due piazze. A sinistra si 
fa il mercato, e vi è tra le abbondanti botteghe una 
buonissima di caffè, in cui fanno pure ottimi e deli- 
cati sorbetti perchè gli ghiacciano colla neve. A de- 
stra è il Pretorio, aa antico, pieno d’ armi gen- 
tilizie e colle scale di fuori a e branche . Seguita- 
no poi lungo la via innanzi al Duomo i pubblici edi- 
fizii della Cancelleria, del Comune, e del Monte di 
pietà . Questo è uno de’ più ricchi in Toscana . Ed il 
palazzo del Comune ha sale € stanze molto, bene scòm- 
partite :In una di queste vedesi dipinto S. Lodovico 
da, Pietro della Francesca : il quale dipinse pure nel- 
la sala de’ conservatori una resurrezione di Cristo, 
la quale dice il Vasari è tenuta dell’opere che sono 
in detta città, e di tutte le sue la migliore. 

Passeggiando poi per la città si trovano belle 
strade, che volgono verso quattro porte alle mura. 
Fuori di queste non è spazio inculto ,, e vi abbonda- 
no, le piante del guado; e i vitigni, della canaiola . 
Nè manca popolazione per le campagne. Sola la cit- 
tà richiede un maggior numero. d’ abitatori; i quali 
otterrà forse all’ avvenire , se la strada , aperta dal no- 
stro Sovrano per Arezzo ed il Borgo fino a’confini; sarà 
come sì spera continuata da’ romani nell’ Umbria . 


9$ 

Le case de’ cittadini sono commode e regolari . 

Nella facciata d’ un palazzo , che ora appartiene al Ri- 

gi, ho veduto pitture a fresco, in. parte conservate 
e molto buone, d’ uno degli Alberti. Forse sono di 
Giovanni Alberti ; essendo altre sue dipinture a fre- 
sco dentro la casa sua, posseduta sempre dagli Al. 
berti . 

I rami di Cherubino, celebre incisore, disegna- 
tore e. pittore , € fratello primogenito di Cioni ; 
si conservano in casa Pichi e in casa Giovagnoli . 

( sarà continuato ) 


FILOLOGIA 


Li: ReALi pi Francia. Venezia 1821. 


uesta istoria, o per meglio dire, questo romanzo in cui 
si magnificano le avventure favolose di Costantino, di Fiovo, 
di Fioravante, di Rizieri, di Buovo, e di Carlo Magno, è 
stato al. presente ripubblicato per opera di quel medesimo 
Bartolommeo Gamba, che compilò la Serie delle edizioni 
de’ testi di lingua italiana. Onde noi sapendo com’ egli 
sia diligentissimo e degno di lode, presupponemmo esser tale 
questa sua nuova edizione, quale potesse a’ letterati soddi- 
sfare. E dico a’ letterati, perchè siffatto romanzo non può 
piacere se non ad essi ed alla gente volgare: a questa, per- 
chè s’ interessa a’ Paladini, e volentieri ne ascolta le maravi- 
gliose gesta, senza curare il disordine e gli errori della nar- 
razione: a quelli, perchè possono trovare in un libro sì 
antico i primi modi della favella. Ma si adempie forse que- 
sto lor desiderio, ‘allorchè si ristampa un libro coll’ aiuto 
e riscontro di due vecchie edizioni, come ha fatto il Gam- 


99 

ba, e le quali egli,: che. è buon conoscitore, giudica /° una e 
l° altra poco pregevoli? Il Gamba stesso risponde che no : on- 
d’ io non posso dargli altro biasimo senon quello d’ aver creduto 
che manchino i codici, con cui accomodare le guaste edizioni . 

Egli dice nel proemio queste parole: gli accademici 
della Crusca ne conobbero de’ fiammenti, che furono veduti 
dal loro Infarinato: ma questi servirono ad apprestare qual- 
che buona voce al loro Vocabolario , e poi rimasero trascu- 
vati fralapolvere degli archivii., L'Infarinato poi, che è quel 
nostro Leonardo Salviati, maestro de’ maestri in fatto di 
lingua, ed a cui non si può rimproverare se non la ingiusta 
asprezza sua. contro il Tasso: l’ Infarihato dice aver visto 
i reali di Francia, ;non un frammento di que’ medesimi. E 
questo codice, che allora apparteneva a: Pier del Nero, sem- 
bra essere quello stesso che nel passato secolo trovavasi nella 
libreria del Guadagni, contrassegnato N°. 143, e mancante 
in principio ed in fine. Ma noi non possiamo affermare che 
questa mancanza vi fosse a’ tempi del Salviati: e non si sa 
nemmeno, dove sia ora tal codice. Il Salviati lo giudicò di 
lettera non antica, ma pessima, e che con gran fatica si 
poteva leggere appena. Quindi egli ne citò questi due so- 
li. esempli ( se io non m’inganno ). Il primo nel L. 1. 
Cap. 5, del Nome: e domandò che pareva loro di fare . 
Jlsecondo nel L. 2. Cap. 12. del Vicecaso: sercendo Buo- 
vo questa novella, raunò suo consiglio . Siffatti esempli pe- 
rò non sono nel Vocabolario della Crusca . Il diligentissimo 
filologo Vincenzo Follini, bibliotecario della Magliabechia- 
na, ha fatto per uso suo, e dell’Accademia, un compiuto ca- 
talogo, ove sotto i nomi degli scrittori citati leggonsi i loro 
votaboli e le loro dizioni, che di mano in mano: sono sta- 
te inserite nel nostro Vocabolario . Per la quale opera è ma- 
nifesto: che 'i reali di Francia non furono citati nelle pri- 
me edizioni del Vocabolario, fatte nel 1612 e nel 1623, 
ma solo nella terza edizione fatta nel 1691, più che un se- 
colo dopo la morte del Salviati: che furono citati allora in 
queste sole tre voci, giubbetto, oriafiamma, e roncione: e 


i00 


che non se ne trassero poi altri esemipli nella quarta ed ul 
tima ‘edizione, fattà' di i729 al 1538.» Onde son queste le 
buone voci che sidetivatono nel’ Vocabolario da’ Reali di 
Francia ; e forse non furono tratte dà essi direttamente, mA 
da qualche libro o manoscritto che’ lè! citàsse» imperocchè 
non è da credere che non se ne ‘possa trarre più copiosi e 
più utili esempli. 

Il Gamba sog ggiunge: se non si scoprano codici, sui 
quali fare studio ed esame; î Reurr pr Frincid non po» 
tranno mai pretendere ‘al diritto di autorità reverenda . 
Ma il mentovato Vincenzo! Follini ha già da qualche témpo 
scoperto ùn nuovo' codice, ‘che ‘era altra volta di Giovanti 
Mazzuoli sopranominato 70 Stradind' E questo codice tro- 
vasi nella Magliabechiana , P. 1. ‘Còd. ‘14: e fu copiato con 
sufficiente chiarezza verso la fine del sétolo XIV: e ' contiene 
ì Reali di Francia, a fol. 1. ad 114. versum, e )’ Aspra- 
monte, tradotto dal francese in italiano per opera d’An- 
drea da Barberino, a fol 114 verso’ ad‘cod. finem 

I Reali'di Francia vi si leggono titti compiuti; proce. 
dendo cioè i libri e i capitoli siccome nell'edizione del Gam- 
ba: se non che quel capitolo, in cui ‘è descritta la Genea- 
logìa de? Reali di Fraricia, e che è î1 nono e l’ultimo del 
libro quinto ‘nell’ edizione del Gamba , trovasi nel codice del- 
la Magliabechiana in fine del sesto ed ultimo libro'?*Ma 
quanta differenza è poi nella dicitura! Noi ne produrtemò 
esempli. Intanto giova discorrere tre Cosè . 

I. Il Gamba tiene per certo che quest’ opera’ fosse det- 
tata o nel XIII, o al più tardi nel principio del secolo XIV. 
E noi non abbiamo alcun argomento ‘per rifiutare la sua ‘0- 
pinione. 

II. Egli giudica quest'opera come originale, natà 'sot- 
to il nostro #00 E nemmeno in questo particolare non pos- 
siamo noi oppugnarlo, purchè ne conceda essere questa sto- 
ria, o romanzo 0 favola, fondata nelle storie, o romanzi 
o favole, francesi. Al chie si conseguita, che lo scrittore de' 
Reali di Francia non poteva a modo suo variare le ‘batta- 


1O0I 


glie e le avventure, facendole accadere ove più gli piacesse : 
che anzi era costretto a condurre gli eroi e i guerrieri per 
le vie già note negli altri romanzi, affinchè il suo raccon- 
to non paresse una vera menzogna. 

II. Onde se l’anonimo autore di quest'opera fa più 
menzione della Romagna e della Lombardia, che non del-_ 
la Toscana e de’ paesi di Venezia; egli fa ciò, perchè que- 
to richiedevano i suoi argomenti . Nè inferirne possiamo, es- 
ser lui nato lombardo 0 romagnolo, come il Gamba ineli- 
nerchbe a giudicarlo: imperocchè poteva esser nativo pur 
di Firenze, e non aver mai occasione di parlare della pa- 
tria sua ne Reali di Francia. 

Il Codice della Magliabechiana è certamente copiato da 
un fiorentino. Se un fiorentino ne fosse autore originale, io 
non so. Potrebbe essere stato egli lombardo, e il codice suo 
ricorretto in Toscana. Altri codici non ne sono affatto nelle 
pubbliche librerie di Firenze. E l'edizione fatta ora dal 
Gamba , e l’edizioni precedenti de Reali di Francia, deb- 
bono esser provenute da qualche codice , non ricopiato in 
Toscana; come ora in parte vedremo . 


Nel libro stampato per opera del Gamba si legge, pag. 1. 
In questo tempo Costantino, ammalato di Lepra stette dodici 
anni infermo, che non trovava rimedio alcuno, e come dispe- 
rato comandò a’ medici che lo guarissero, o che li farebbe 
tutti morire; e per questo terrore li medici impauriti g/î dis- 
sero, che pigliasse il sangue di sette fanciulli vergini d’ un an- 
no, e da poi, molte medicine che gli darebbono, si lavasse con 


quel sangue, e saria guarito. Costantino prese le medicine, e 


trovati sette fanciulli , gli furono menati alla corte con le lo- 
ro madri, e sotto ombra di carità Costantino volea farli mo- 
rire; ma le madri, giunte sull’ uscio della camera, quando sen- 
tirono che li loro figliuoli doveano esser morti per salvamen- 
to di Costantino, cominciarono gran pianto. Sentito Costan- 
tino il pianto, dimandò: che era quello? e gli fu detta la. ca- 
gione. Per questo, intenerito Costantino, venneli pietà, e dis- 
se queste parole: Innanzi voglio sostenere la pena della infer- 


T. IV. Ottobre 7 


102 


ruîtà, che usare tantà crudeltà. E queste parole; è questo buo 
pensiero fu tanto grato a Dio, che moltiplicò il suo sangue in 
tanto onore, che fu ammirazione a tutto il mondo. 

E nel codice si legge. In questo tempo Costantino amma= 
lò di lebbra, e stette dodici anni ammalato che non trovava 
guarigione fra molti medici provati. Fra l’altre cose, come di- 
sperato comandò a’ medici che lo guarissero , 0 egli gli fareb- 
be tutti morire. E i medici gli dissero che togliesse 7/ sangue 
di sette fanciulli vergini di un anno, e dopo certe medicine 
che gli darebbono, si lavasse con quello sangue è Sarebbe gua- 
rito. Costantino prese le medicine, è irovati i sette fanciulli , 
furono menate alla corte le loto madri sotto ombra di cari- 
tà, che Costantino voleva dare loro mangiare: Ma in su 7’ uscio 
della camera sentirono che i loro figliuoli dovevano essere mor- 
ti per salvamento di Costantino, e cominciarono gran pianto. 
Sentito Costantino questo pianto domandò , che cosa quella e- 
ra. Fugli detto la cagione. Per questo intenerì Costantino, 
e vennegli piezà, e disse a’ servi: mandate via. E fece. fare lo- 
ro alquanta cortesia, e perdonò la morte per pietà a questi in- 
nocenti, e disse queste ‘parole: io voglio innanzi sostenére la 
morte e la pena del male che usare tanta crudeltà . Queste pa- 
role farono tanto accette a Dio, è questo buono pensiero, che 
Iddio multiplicò il suo sangue in tanto onore, che fu grande 
ammirazione di tutto il mondo . 

Io ho notato di carattere corsivo le sole parole che ritro- 
vansi tanto nel libro come nel manoscritto, affinchè le interpo- 
ste variazioni fossero più manifeste. E quindi ogni leggitore 
può da sè medesimo conoscere, quanto sia la seconda lezione 
migliore della prima . Zepra in iscambio di lebbra non è voce 
inserita neppur nel Vocabolario. Dimandò, che cosa quella era, 
è loeuzione più idonea che non dimandò che era quello. E 
vennegli pietà è meglio detto secondo la grammatica, che non 
venneli pietà. Ed è più convenevole sintassi il dire ammirazio= 
ne di tutto il mondo, che non ammirazione a tutto il mon- 
do. Le più importanti variazioni sono però le seguenti. Dopo 
certe medicine , in iscambio di, dapoi molte medicine, il che 
è un modo del dire non buono ed oscuro. E, sotto ombra di ca- 
rità, che Costantino voleva dare lorò mangiare, in iscambio di 
sotto ombra di carità Costantino volea farli morire . Im questo 
passo però anche il codice è scorretto. Vi è scritto sente una in 


Gi 


--- 


iii 


103 


luogo di sotto ombra. Talchéè non so se neppur questa sia la ve- 


ra lezione. 
Nella pag. 2. del libro lacca la notte ‘seguente — gli do- 


mandarono se volea guarire — siamo Pietro e Paolo discepo- 
li di Cristo — predicava la vita di Cristo + volesse farlo 
martirizzare e dargli morte . E nel manoscritto si legge in 
iscambio : la notte vegnente — domandaronlo se voleva guari- 
re — siamo Pietro e Paolo che fummo discepoli di Cristo — 
predicava la fede di Cristo — lo volesse far morire martorian- 
dolo. Si noti quest’ ultimo e bellissimo modo del dire. 

Nella pag. 3. del libro sono errori manifesti. Vi si dice 
che Silvestro rispose a chi lo domandava se era egli Silvestro : 
essere lui desso. Ove è mutato ‘il nominativo in accusativo , e 
l’accusativo in nominativo. Il codice dice: esser desso egli . 
Dipoi si legge nel libro: o amico, cuoci una di quelle rape ; 
e cuocile sotto il fuoco, e poi anderemo. Ma le rape non era- 
no ancora colte, sicchè leggi come nel codice: va amico , e co- 
gli una di quelle rape, e coceremla sotto il fuoco, e poi an- 
deremo . Quindi, secondo il libro, Silvestro battezzò Costanti- 
no in un gran bacile. Per togliere questa stranissima cosa, pon- 
gasi com'è nel codice, entro un gran bagno. E per certifica- 
re quanto sia più propria e idonea la favella del copiatore fio- 
rentino, veggasi che egli dice: rispose che volentieri , in iscam- 


bio di rispose volentieri: e mentre gli gittava, in luogo di sic- 


come gli gittava; com'è nel libro. 

Così nella pag. 4. 'èmiglior modo il dire aveva circa di 
venti anni, che non, era di anni circa venti, com'è nel libro , 
Ed è molto più proprio e convenevole il dire: scosse Za coppa 
del vino, e quello poco della sgocciolatura andò in sul man- 
tello a Saleone, che non secondo il libro, scosse Za coppa, € 
la scolatura del vino andò sopra il mantello di Saleone . Nel- 
la stessa pagina del libro si dice che Saleone era un poco pa- 
rente di Costantino, perchè questi era stato da’ suoi Greci a- 
mato. Il che è una ragione poco persuadente . Il Codice dino- 
ta un’altra causa , cioè perchè Costantino era stato in Grecia . 

Nella pag. 5. del libro si legge : tu ron arai da dargli 
d'uno coltello, proprio in quel luogo dov’ egli diede a te? £ 
nel codice: non hai ardire di dargli d'uno coltello nel petto 
per me’ quello lato, dov’ egli ha dato a te? 

Nella pag. 6. del libro: non si mostrava adirato, e posesi 


104 

a sedere dove gli parse destro ad offendere l’ inimico che sedeva 
al lato di Costantino . Credevano molte persone che ec. E nel co- 
dice : non si mostrò adirato , e posesi a sedere dove gli parve 
meglio potere offendere il nemico che sedeva a lato a Costan- 
tino. Credettesi per molti che ec. Ma il seguente passo è anche 
più scorretto nel libro, ove si dice: / giovane, volonteroso del- 
la vendetta , tanto se gli avventò addosso che lo passò di tre 
punti mortali per lo petto col coltello, e fece sì presto che niu- 
no sentì. Nel codice è all’incontro così: i giovane, volonteroso 
della vendetta, e atante , segli avventò addosso, e sì lo passò 
di tre punte mortali nel petto cel coltello, e fece tanto presto 
che ognuno uscì di sè . 

Ma è inutile seguire il libro pagina per pagina. Chiunque 
sia intelligente della nostra lingua, avrà diletto nel paragonare 
detto libro col codice della Magliabechiana . Imperocchè guar- 
dando nel libro s’ accorgerà che molte voci e locuzioni, ivi in- 
serite, non furono usate del tutto o non in quel modo da’ no- 
stri antichi : e guardando poi nel codice verificherà questa sua 
opinione. Chi mon vede per esempio, che è male collocato il 
verbo testimoniare nella pag. 353 del libro, ove. si dice : co- 
minciava già ad apparire Diana, la venuta «d’ Apollo testi- 
moniando . Nel codice è significando . E così, chi dubitasse in- 
torno all’ uso del verbo congedarsi da alcuno, com’ è nella 

ag. 440; sappia egli che questo verbo manca nel eodice. Con 
questa conclusione però non vogliamo noi affermare che il co- 
dice sia correttissimo ; perchè ha esso pure gli errori suoi e non 
pochi. 


ANTONIO BENCI. 


BELLE ARTI 


Di Ventura Vironi Architetto pistoiese del secolo 
XV. alunno di Bramante da Urbino. 

Discorso letto alla R. Accademia Pistoiese di Lette- 
ratura ed Arti, nell’ adunanza del 16 agosto 1821 
dal Professore PeTRINI. 


Mu di coloro che vivendo ebber grido di egregi 
artefici, e dei quali la storia delle belle arti serba tut- 
tavia onorata memoria , ne hanno obbligo non meno 
all’ altezza del loro ingegno che alle occasioni che loro 
si offersero di farne prova, e per poco io dissi, alla for- 
tuna: la quale perchè non promosse per ugual modo e 
non assecondò la nascente reputazione di certi altri co- 
munque eccellenti ingegni, 0 per aver questi vivuto 
lontani dalle colte e popolose città, o per non aver 
quivi condotto veruna pubblica opera , ne ha lasciato 
cader dimenticato il nome; sebbene in qualche men 
considerata parte d’ Italia ne sieno rimaste opere de- 
gnissime d’ accrescer fama a taluno de’ più chiari arte- 
fici e più lodati. Ond’ è che avvenga , non di rado , al 
viaggiatore istruito d’ incontrarsi con maraviglia là do- 
ve ei meno lo si aspettava , in alcune di tali opere; e 
che in chiedere del loro autore , suoni talvolta al suo 
orecchio il nome di un’ artista presso a poco sconosciuto, 
e dimandi invano agli scrittori delle vite degli artefici 
o della istoria delle arti, notizie di lui e ragione del non 
meritato silenzio in che è stata tenuta la di lui memo- 
ria. Lo che per tacer d’altri è pure avvenuto di /'ertura 
V'itoni architetto pistoiese vivuto in una delle più fio- 
renti età delle belle arti; del quale poche cose ha 


106 È 
detto il Yasari ricordandolo nella vita di Bramante 
da Urbino di cui fu discepolo e famigliare. E di lui 
parlando pur d'altro titolo non gli è cortese che di quello 
di falegname ; ancorchè non taccia di lui che Bramante 
adoperollo nelle opere sue, e che aveva buonissimo in- 
gegno, e disegnava assai acconciamente . Or quello che 
al suo proposito soggiunge , siccome serve ad illustrare 
la istoria delle nostre arti, e la più insigne opera di ar- 
chitettura di che si pregi questa città, così merita par- 
ticolare osservazione, e di esser pur riferito colle sue 
proprie parole. Costui (scrive adunque il Vasari (1) di 
questo nostro concittadino) si dilettò assai in Roma di 
misurar le cose antiche, e tornato in Pistoia per ri- 
patriarsi seguì che l’anno 1509 (e qui deve emen- 
darsi e dire l'anno 1494) in quella città una nostra 
Donna che oggi si chiama della umiltà, fece mira- 
coli, e perchè gli fu porto molte limosine, la Signoria 
che allora governava deliberò fare un tempio a onor 
so. Perchè portasi questa occasione a Ventura fece 
di sua mano un modello di un tempio a otto facce 
con un vestibulo o portico serrato dinanzi, molto or- 
nato di dentro, e veramente bello. Dove, piaciuto a 
quei Signori e capi della città, si cominciò a fab- 
bricare coll’ ordine di Ventura, dal quale furon fatti 
i fondamenti del vestibulo e del tempio, e finito af- 
fatto il vestibulo che riuscì ricco di pilastri e cor- 
nicioni d’ ordine corintio e d’ altre pietre intagliate, 
e con quelli anche tutte le volte di quell’ opera fu- 


ron fatti a quadri scorniciati pur di pietra, pieni di. 


rosoni. Il tempio a otto fucce fu anche dipoi con- 
dotto fino alla cornice ultima dove si aveva a vol- 


(1) Vita di Bramante da Urbino Architetto . 


SE e E ZZZ T_T 


107 
tar la tribuna mentre che visse Ventura. E per non . 
esser’ egli molto esperto in cose così grandi, non. con- 
siderò al peso della tribuna che potesse star sicura, 
avendo egli nella grossezza di quella muraglia fatto 
nel primo ordine delle finestre, e nel secondo, dove 
sono le altre, un andito che cammina attorno; dove 
egli venne a indebolir le mura, tantochè essendo 
quell’edifizio da basso senza spalle era pericoloso il 
voltarlo, e massime negli angoli delle cantonate dove 
aveva a spignere tutto il peso della volta di detta 
tribuna. Laddove dopo la morte di Ventura non è 
stato Architetto nessuno che gli sia bastato l’ ani- 
mo di voltarla...tantochè U anno 1561 vi fu chia- 
mato Giorgio Vasari il quale ne fece un. modello 
che alzava quell’ edificio sopra la cornice che ave- 
va fatte Ventura otto braccia per; fargli le spalle, 
e ristrinse il vano che và d' attorrio tra muro e muro 
dell’ andito; e rinfiancando le spalle e gli angoli, e 
le parti di sotto degli anditi che aveva fatti Ven- 
tura sotto le finestre, gl incatenò con chiave grosse 
di ferro doppie sugli angoli,chel’ assicurava di ma- 
niera che sicuramente si poteva voltare, e ju dato 
ordine che si facesse. 

Fin qui il Vasari medesimo. Ora un nostro concit- 
tadino ed accademico (2) nell’opera che sta per lui pub- 
blicandosi per modo di guida al forestiere istruito nelle 
belle arti per la città di Pistoia, di che era desiderio da 
lungo tempo, ha supplito (anche emendandolo in parte) 
a quello scrittore in proposito di quanto egli scrive di 
Ventura. Vitoni , e del magnifico tempio da lui dise. 


(2) Il sig. Cav. Francesco Tolomei amantissimo e perilissi- 
rib delle helle arti. 


108 

‘ gnato in questa città , e che , soprapreso da immatura 
morte (3), non potè trarre a fine. Il quale edifizio è 
bensi il principale, non però il solo che egli tra noi 
conducesse. Perchè a lui pure è dovuto, per tacer dei 
disegni delle chiese di S. Chiara e della Madonna 
detta del letto, il modello della elegante chiesa di Sar 
Giovanbattista. Dove qualsisia tra i periti di cose d'arti 
ravvisa alla prima lo stile di Bramante, del quale o 
raro o niun’ ragguardevole esempio, s' incontra fuori di 
Roma e degli stati ecclesiastici. E quanto all’ atrio o 
vestibulo della nostra chiesa dell’ Umuiltà soleva dire 
un valent’ uomo che dopo aver vedute le grandi cose 
della moderna architettura in Roma, ella è pur tal fab- 
brica questa, che trae a sè l’attenzione , e comanda la 
meraviglia a chiunque in lei volga lo sguardo. Onde è 
da considerare se al compimento del tempio ‘incò- 
minciato dal Vitoni, e lasciato per morte imperfetto , 
abbia provveduto, come a tanto principio si conveniva, 
. il Vasari, che pur si diè vanto di farlo più ricco ; e di 
maggior grandezza e ornamento, o con miglior propor- 
zione di quel che avesse immaginato il falegname pi- 
stoiese. Su di che noù sarà forse inutile che io ripigli 
un poco più d’ alto il mio discorso . 

L’architettura, anche di più special modo che le 
altre arti sorelle, ha in sè due parti: luna di ragion 
dell'ingegno , e per così dire scientifica ; Vl altra di ra- 
gion del buon gusto. Questa alla grazia, alla bellezza e 
al decoro dell’ edifizio presiede e dà ordine; quella in- 
tende alla convenienza delle di lui parti coll’ uso, e alla 
sua fermezza e stabilità. Nell’ una, qualunque delle 


(3) Si crede mancato ai vivi poco dopo il 1509; nato verso 
‘la metà del secolo precedente. 


109 

quali è raro di conseguire eccellenza ; più raro ancora 
di porla insieme perfettamente d’ accordo: nel che par- 
mi consistere il supremo scopo dell’ arte. Vedete di che 
modo all’ una e all’ altra di esse intendessero gli anti- 
chi nella più perfetta che delle loro fabbriche rimanga 
tuttavia in Roma, raro. modello d’ arte scampato alle 
ingiurie dei barbari, la Rotonda o il Panteon d’ A- 
grippa. Ne altro edifizio di simil genere è stato archi- 
tettato di poi che non pur lo vinca nell’ euritmia delle 
forme, nelle grazie ed eleganza delle parti, nella solida e 
ben ordinata costruzione, ma che possa solamente com- 
pararsegli. E tuttavia per uno sfoggio di superate diffi- 
coltà , per un insolito e quasi soverchiante ‘ardimento , 
havvi non una sola ma molte tra le moderne fabbriche, 
che a quell’ antica vanno di lungo tratto innanzi; e ne 
bastino ad esempio la cupola del Brz7e//esco in Firen- 
ze; e il miracol dell’artetin Vaticano, che ne diè V’in- 
gegno di Michelangelo! ‘Perchè ad essi non parve assai 
di levar da terra quelle moli al di là di quanto era stato: - 
non che praticato ma pur immaginato dagli ‘antichi ; 
ma vollero soprapporre ad esse, e sulla più debol parte, 
il carico di quelle larzerzze come di un secondo edifizio 
sul primo, per aggiungere alla maraviglia della straor- 
dinaria altezza quella di tanto ardire. I quali esempli 
pare che si proponesse il Vasari, tanto minore di quei 
grandi maestri, quando venne qua chiamato a voltar la 
tribuna della nostra chiesa dell’ Umiltà: nè a lui 
piacque di muoverla secondo l’idea del Vitoni dal terzo 
ordine dov'era rimasta interrotta la fabbrica; ma ci volle 
aggiunto quel falso ordine o attico sul quale posa la vol- 
ta da lui girata. E quel che è più, egli si fece ragione 
(secondochè abbiamo giù osservato riportando le sue pa- 
role) di questo arbitrio , dichiarando che il piè diritto 


110 

innalzato da Zertura per base della progettata tribuna 
non aveva bastante stabilità; e che sarebbe stata cosa 
di molto pericolo il voltarle al piano da lui divisato. 
Nè venne ad accorgersi che. le otto braccia d’ altezza 
aggiunte al piè dritto per costruire quel. disgrazia- 
to attico, toglievano assai. più alla reale stabilità 
della fabbrica , o alla resistenza che il piè dritto 
oppor doveva alla spinta della volta , di quello che ac- 
erescer potesse alla stabilità medesima il maggior cari- 
co della spalla ei rinforzi esteriori che aggiunse in 
basso ristringendo il vano delle arcate di pietra del pri- 
mo ordine e cuoprendo l’ intrados delle loro volte con 
quei miserabili ‘archi eè pilastri di mattoni, i quali han 
recato un visibile sfregio a quella elegantissima pacte 
di fabbrica; perchè quella giunta; è assolutamente fuor 
d’ ogni ragione di buon gusto , e per essa son rimasi 
nascosti gli ornamenti dei fogliami e rosoni interni 
dei sott’archi di pietra, i quali erano stati con bellis- 
sima simmetria ordinati al modo stesso, col quale si 
vede condotto il primo arco d’ingresso per cui dall’atrio 
o vestibulo si passa nel tempio. 

E mentre querelavasi l’ architetto aretino di poca 
stabilità nei piè dritti sui quali erasi proposto il 
Vitoni di assestar la tribuna, ei pur ne caricava il 
serraglio con quella gravissima cupoletta o lanterna 
che veggiam sovrastarie , e ne girava in archi di cer- 
chio gli sproni: tantochè per resistere alla soverchia 
spinta dei fianchi è stato di necessità aggiungere quei 
quattro ordini di catena di ferro che allacciano |’ e- 
sterior parte della cupola . Ma Je fabbriche ben' i- 
deate , diceva egregiamente uno dei maestri dell’arte, 
voglion sostenersi da per loro stesse, non reggersi 
colle stringhe : e queste catene sono il miserabil ri- 


113 
. 


fugio , e ben spesso inefficace , di quei meschini archi- 
tetti che non sanno calcolar bene nelle fabbriche le 
leggi e l'equilibrio delle potenze e delle resistenze, 
che dall’inerzia, dal peso; e dalle spinte dei loro 
materiali , e delle loro parti derivansi, onde assicu- 
rarne la stabilità . Sebbene in quanto all’idea ch’ ebbe 
il Vasari nel caricar la tribuna:della Chiesa dell’ U- 
miltà con quella lanterna o cupoletta che le sovrap- 


pose, egli è in certo modo sensibile d’aver errato 


perchè errò in’ compagnia di ‘altri grandi maestri 
dell'età sua, e delle precedenti. E basti citare il 
Brunellesco ; il quale vicino al compimento della 
stupenda sua opera della cupola di S. Maria del Fio- 
re di Firenze, nel divisare il progetto di quella sua 
cupoletta o lanterna non d’ altro mostrava aver cura 
che di contrastare col carico della medesima alla so- 


gnata tendenza del colmo della tribuna @ saltare 


in aria per la spinta dei ‘fianchi : onde non sapeva 
contentarsi tanto che bastasse d’avere architettato 
con maraviglioso peso di materiali in quella lanter- 
na. E perchè non ebbe tempo di vità a poter ve- 
derla compiuta e collocata al suo posto, Zasciò per 
testamento ( secondo che il Vasari ne scrive (4) ) che 
tal come stava il modello, murata fosse, e come 
aveva posto in scritto ; altrimenti protestava che la 
fabbrica ruinerebbe essendo volta in quarto acuto, 
che aveva bisogno che il peso la caricasse per far- 
la più forte. Tantochè nel veder raccolti e presti 
ad esser messi in opera i materiali di pietra e di mar- 
mo , di che quella lanterna doveva esser formata 4 


(4) Vita di Filippo Brunelleschi Scultore ed Architetto fio- 
rentino . 


112 
stupivano tutti ( soggiunge il Vasari; ) che possibil 
fosse ch’ ei volesse, che tanto peso andasse sopra‘a 
quella volta. Ed era opinione ‘di molti ingegnosi , 
che ella non fosse per reggere; e pareva loro una 
gran ventura ch'egli 1’ avesse condotta fin quivi, e 
ch’ egli era un tentare Dio a caricarla sì forte. Nè 
in ciò, cred’ io, andavan costoro affatto lontani dal 
vero. Che se quella magnifica e bellissima. fabbrica 
è riuscita ad esser di tanta stabilità e fermezza , di 
quanta si è pur veduto esser capace- in processo di 
tempo (5), ciò non è da attribuire al carico della 
lanterna, ma bensì all’ ingegnosa costruzione della 
sua curva, alla solidità dell’imbasamento e dei pi- 
lastri, al. maraviglioso icontrasto e collegamento de- 
gli sproni e, dei fianchi ; tantoche quell’ immenso 
carico levato in capo della fabbrica ha servito me- 
glio. a cimentarne che ad. assicurarne la stabilità. 
Non è questo il luogo di far conoscer l'origine 


di tanto errore, in cui. si sono rimasti per lungo tem. 
po gli Architetti, finchè la luce che derivessi dalle” 


sperienze. e dalle dottrine del Galileo, nome che non 
si rammenterà mai dagli italiani senza, venerazione e 
senza commuoversi di patrio amore, non ebbe illu- 
sìrati i veri principj  deila statica degli edifizj . Il 
fatto stà che questo errore influì fatalmente, secondo 
che dissi; sulla costruzione «delia tribuna ideata dal 
Vasari per la fabbrica della Chiesa dell’ Umiltà . E 
nella controversia che circa un secolo dipoi si suscitò 
intorno alla stabilità della elegantissima cupoletta che 


(5) Del vecchio e nuovo gnomone fiorentino e delle osser- 
vazioni astronomiche, fisiche ed architettoniche fatte per ve- 
rificarne la costruzione, del P. Leonardo Ximenes . 


"I 

113 
ne corona l’ atrio, disegnata da Ventura Vitoni ; 
( controversia alla quale han relazione quei documenti 
istorici di cui, son’ ora tre anni, ‘ragionai all’ acca- 
demia ), fu abusato stranamente di questo falso prin- 
cipio dal provveditore di detta fabbrica, opinando 
che il peso delle asticcivole del tetto , le quali si 
trovarono appoggiate sul colmo o serraglio della cu- 
poletta , doveva assicurare piuttosto che far temere 
sulla di lei stabilità. E quel semplice uomo veniva 
immaginandosi . che il Vitoni, cui ‘prestava i suoi 
strani concetti, avesse preordinato questo carico allo 
scopo di render più ferma e più solida la piccola cu- 
poletta costruita in foggia d’emisfero, a bellissimi 
cunei di pietre tagliate a rosoni ; quasichè avesse egli 
creduto con il comune degli architetti , che la spinta 
de’ fianchi fosse da tanto, senza il sovrastante carico 
del serraglio, a levare in aria il colmo della tribu- 
na, e disfarla. 

Bene a questa sentenza si oppose in una giudi- 
ziosa replica che forma parte degli allegati documen- 
ti, un’ anonimo meglio addottrinato ai veri principj 
dell’ arte, e alla cognizione delle leggi ‘della statica. 
Fece egli vedere che tutt’ altro che quello si era stato 
il divisamento del ZY'îtori , e che in quel raro intel- 
letto non aveva potuto capire l’ errore che gratuita- 
mente se gli attribuiva. Pur, come accade , il par- 
tito di chi meno aveva di ragione, ma più di auto- 
rità , per allora prevalse : se non che l'evento mostrò 
dipoi , quanto a torto si fosse contrariato al divisa- 
mento del Z'itori , e alla opinione di chi ne avea 
propugnato ingegnosamente il decoro . Perchè veden- 
dosi di ‘più in più menomar la fermezza della cupo- 
letta, e cedere all’estranio carico accidentale sovrap- 


114 
postole, fu d’'uopo rinvestirla, e torre occasione per 
sempre all’armatura del tetto di premere il serraglio 
della medesima ,rialzando l’intera coperta dell’ atrio 
nel modo che altia intenta si vede. 

Del resto, la discussione che a tal proposito insor- 
se, è oggimai un secolo e mezzo, poco avrebbe di che 
interessare l’istoria dell’arte, ove non ne risultasse la 
cognizione di un fatto che ridonda certamente in som- 
ma lode del nostro Zentura Vitoni: cioè, che ben un 
secolo innanzi al Galileo, e quando i maggiori ingegni 
di quella età non troppo ben sentivano intorno a certi 
particolari della statica delle fabbriche, mon solo aveva 
egli saputo andar’esente dal comune errore, ma aveva 
inoltre fondate le sue costruzioni delle tribune o volte 
a cupola sopra un principio direttamente opposto a 
quello del Brunellesco e di Michelangelo ; meritò 
grandissimo per lui di aver’avuto ragione dove chiaris- 
simi uomini, avevan torto, e di avere antiveduto con 
sicurezza in questa difficil parte della statica degli edi- 
fizj quello di che altri non s° avvisò se non che dopo 
Galileo . 

E questo vorrei che fosse il principale argomento 
d’elogio al nostro Yentura Vitoni, quando pur si ri- 
destasse in patria un senso d'amore e di riverenza ver- 
so i grandi uomini che ne ban formato il decoro. Ma 
intanto che le pareti de’ pubblici edifizj ridondano tra 
noi di monumenti e di fastose iscrizioni in cui sole s0- 
pravvive la memoria di uomini de’ quali ogni onorata 
nominanza si tace, non è lapide, non imagine , che di 
quell’ egregio concittadino ci parli, ed appena tra noi 
si ricorda il suo nome. Di che prenderei invero ammi- 
razione, se men conoscessi la età nostra, e la vanità 
dei presenti uomini. Ond’ io mi conforto d'avere, al- 


A * 


115 
meno in quanto per me si poteva, renduto a lui questo 
breve tributo di lode: che veramente parevami troppa 
ingiustizia questa sì grande e sì universale dimentican- 
- za di quel valoroso; ben meritevole d'altro titolo che 
di quello di falegname datogli dal biografo Aretino . 
Ma ì pregj di quel chiaro ingegno non verranno adom- 
brati tuttavia per volger di età : e finchè di lui rimar- 
ranno l Atrio e la Chiesa dell’ Umiltà, di ch’ egli 
adornò la patria; finchè l’ultima favilla di buon gusto 
e di sentimento per le arti belle non sarà spenta in 
Italia, non vi sarà amico o cultore di queste che allà 
vista di quell’ edifizio , tutto che deturpato nelle mi- 
gliori sue parti, non ricordi con riverenza e con am- 
“mirazione il nome d’ un artista che seppe rinnovar fra 
noi gli esempj inusitatì della greca architettura , e che 
all'età sua non fu certamente secondo fuor che al sole 

Bramante. 
Pietro PETRINI. 


Ritratto di Giutrawo DE MepICI. 


Questo quadro é in tavola dipinta a olio . È alto un brac- 
cio e un sesto, e largo cìnque sesti di braccio. 

Una tenda, o portiera, di seta verde è nel fondo del qua- 
dro. Innanzi ad essa ma în modo tale che ne sembra discosto 4 
è un giovane vestito tutto di nero, con toga e berretta guar- 
mite di velluto. Nè altro ornamento ha il quadro, o la figura, 
se non che a questa pende sul petto una collana d’oro coll’ in- 
segna dell’ordine di S. Michele. E neppur la figura è intiera : 
non essendovi che la testa sua e il busto fino alla metà , 0 cir- 
ca, delle pendenti braccia. Ma dalla semplicità di questa com- 
posizione nasce maggiore elogio all'artista, che ne fa dipintore, 
poichè seppe fare con lievi mezzi uno stupendissimo quadro . 


116 


I professori, tutti d’ accordo , l’ ammirano. E il Barone di Ru- 
mohr ‘ha dichiarato nel giornale tedesco, Kunst-Blatt , essere 
questo ritratto uno de’ più belli che abbia mai veduto. 

Egli però, muove alcun dubbio intorno all’ origine del qua- 
dro. Lo giudica ottimo , e dipinto nella scuola fiorentina dal 15r0 
al 1520: ma non osa affermare che sia di Leonardo da Vinci, 
benchè non lo possa attribuire nè al Frate, nè ad Andrea, nè 
ad altri valentissimi pittori di quella medesima età. E quanto 
è alla figura dipinta, vi trova tutte le sembianze della fami- 
glia Medici discendente da Cosimo padre della patria: ma cre- 
de che rappresenti Lorenzo, Duca d’ Urbino, perchè gli sem- 
bra che abbia lo sguardo altiero e signorevole, e perchè ha 
quell’ ordine cavalleresco di Francia. Lorenzo infatti si sposò 
con Maddalena di Brettagna, e tenne a battesimo , in vece di 
Papa Leone X eletto a patrino , un figlio di Francesco I. Sic- 
chè ricevendo egli moltissimi onori da quel Monarca , ne ebbe 
forse anche l’ ordine di S. Michele . 

Ma poteva averlo pure Giuliano, fratello di Leone X, il 
quale si ammogliò con Filiberta di Savoia, zia materna di Fran- 
cesco I; e che essendo dipoi prefetto di Roma, Generale e 
Gonfaloniere della Chiesa , ricevette il titolo di duca di Nemur- 
so da quel medesimo Re di Francia. Nè il viso, nè gli occhi, 
nè la guardatura della dipinta effigie non hanno quella fierezza, 
che potrebbe corrispondere alla superbia di Lorenzo. I linea- 
menti e le fattezze del volto son delicate: la fisonomia è beni- 
gna : sotto le palpebre è quella livida gonfiezza, che suole in- 
dicare ne’ giovani infermità della persona: e lo sguardo è vivo, 
fermo , e malinconico , siccome d’uomo che non è contento del 
proprio stato , e ne medita , e vi cerca e non trova riparo . Le 
quali particolarità si convengono coll’ indole di Giuliano , che era 
d’ animo buono’, e di salute fievole, mal sopportando il conte- 
gno de’suoi parenti, e dovendo soffrire i mali d’un lento e ir- 
reparabile morbo . 

Per queste ragioni danque, e per la semplicità della veste, 
e perchè tale ritratto è similissimo a quello di Giuliano che Miche- 
langelo scolpì in marmo nella sagrestia di S. Lorenzo (la quale 
somiglianza è manifesta ora che accanto il quadro è stata posta. 
una copia in gesso della testa fatta da Michelangelo ), bisogna 
convenire nell’ opinione di quelli che pensano esser quivi ritratto 
Giuliano e non Lorenzo . 


I 17 

Giuliano sposò Filiberta nel 1514: fu fatto Duca di Ne- 
murso poco tempo innanzi la morte sua: e morì a dì 17 di 
Marzo 1516. Onde il suo ritratto fu eseguito al certo negli ul- 
timi due anni della vita sua, e forse alla fine del 1515, o in 
principio del 1516, dappoichè fu fatto Duca :\essendo cosa ve- 
risimile che egli ricevesse .l’ ordine di S. Michele insieme col 
titolo di Duca, allorquando Francesco I. venne a Bologna per 
abboccarsi con Leone X. nel mese di Decembre 1815. Ma nel 
1513 andò a Roma nella creazione di Papa Leone , e condusse 
seco Leonardo da Vinci: il che dimostra con certezza, essere 
stato Giuliano amico e protettore di Leonardo . Nè questi an- 
dò alla corte di Francia prima dell’ anno 1516, perchè Fran- 
cesco I. fu eletto a Re nel 1515, venne subito in Italia, oc- 
cupò il Milanese nell’estate, si trovò a Bologna nel Decembre, e 
non ripassò le alpi se non dopo quel tempo. Sicchè dobbiamo 
noi forse dubitare che il suddetto ritratto non sia opera di Leo- 
nardo, mentre gli argomenti storici, la bellezza della dipintu- 
ra , e la gratitudine del pittore verso Giuliano, son tante pro- 
ve dell’ esser suo? Facendone confronto colle altre dipinture 
del ‘Vinci , vi si trova del tutto la sua medesima maniera . Ed 
anche nella collana , che è dipinta con sommo magistero , si ri- 
conosce l’arte sua di disegnare gruppi di corde ; al quale stu- 
dio sappiamo ch’ ei pure attendeva. In somma, uno de’ nostri 
presenti artisti, che è perfetto conoscitore della scuola fiorenti- 
na, diceva negli scorsi giorni guardando il mentovato quadro : 
se questo non è di Leonardo , io non so chi allora fosse ca- 
pace di farlo. L’effigie di Giuliano apparisce nel quadro, co- 
me se riflettuta fosse da uno specchio, in cui egli vivendo si 
mirasse; tanto è naturale e finita. 

Questo quadro è ora in vendita appresso Luigi Nardi. Spe- 
riamo che possa rimanere in Tosgana . 


ANTONIO BENCI. 


T IV. Ottobre 8 


118 
GEOGRAFIA, VIAGGI re. 


Giornale di un Viaggio per discuoprire un pas- 
saggio nord-ovest dall’ Atlantico al Mar Pacifico , 
eseguito negli anni 1819 - 20. co° vascelli di S. M. 
Britannica l’ Hecla , e il Griper, sotto gli ordini di 
Gueriezmo Epvuarno Parrr KR. N. F. R. S. Coman- 
dante della spedizione ; con un’ appendice , che con- 
tiene la parte scientifica, ed altre osservazioni ; pub- 
blicato dietro V autorità dei Lords Commissarj dell’ 
Ammiragliato . Londra 1821. Estratto dal Quarterly 
Revievy . 

( Vedi Tom. I, pag.'155- e 305. } 


> 


S. il passaggio nord - ovest alla China, ed ai paesi 
Orientali , che pel corso di due secoli e mezzo non ha 
quasi mai cessato di formar l’ oggetto di sollecite inda- 
gini, non è stato ancor coronato da un esito corrispon- 
dente al desiderio; almeno adesso sì può asserire ,, che 
il ghiaccio è spezzato ,, e la prima parte del viaggio 
è stata compiuta. Cade in acconcio il rammentarsi, 
che al ritorno della prima spedizione , nuvi palesammo 
essere convinti che esistesse una comunicazione tra la 
baja di Baffin, e il mar Polare, e tra questo e il Paci- 
fico, aggiungendo, che la nostra convinzione , ben 
lungi dall’ essere nella più piccola parte indebolita da 
quanto avea fatto il Capitan Ross, era non poco con- 
validata da ciò che avea tralasciato di fare. E sebbene 
non potessimo assumere l’ impegno di dichiarare positi- 
vamente con 2zrleigh , che esaminando la Groezlan- 
dia è evidente esser essa un'isola, e che non è in ve- 
runa parte congiunta all’ America , nondimeno conce- 


119 
pimmo un leggerissimo dubbio che tutte le coste occi- 
dentali dello stretto di Davis, e della baia di Baffin 
fossero una continuata catena d’isole ; e quel dubbio 
si trasformò in certezza fin dal momento , che fummo 
assicurati dell’esistenza di quei numerosi passaggi, che 
Baffin, per difetto di più atta espressione, nominò 
sounds (1). Bastò che la semplice apertura di uno di 
questi sords fosse esaminata, e descritta con mani- 
festo errore, per porci in grado di formare almeno un’i- 
dea più corretta di ciò che nor era. Non facea d’ uopo 
essere straordinariamente scettici per non ammettere 
l’ esistenza di montagne gratuitamente asserite, o di 
un ghiaccio continuo sopra la superficie di un mare 
profondo cento braccia, e alla temperatura di 36. ; 
non faceva mestieri di una estesa penetrazione per ri- 
gettar fatti allegati , fisicamente impossibili , e per di- 
Spregiar asserzioni , che presentavano in loro medesi- 
me la propria confutazione . 

In verità l’opinione che noi formammo della baja 
di Baffin, dietro Sir Giacomo di Lancaster era quella di 
qualunque lettore non prevenuto ; e adesso dietro le 
istruzioni del Capitan Parry noi troviamo che lesa- 
‘ me di questo passo dovea reputarsi il primo, e il più 
interessante oggetto della sua ricerca. Il resultato è 
sommamente lusinghiero per questo distinto giovane 
ufiziale; ma ci sarà forse condonato se in questa occa- 


(1) Se il viaggio del Capitano Ross non offerse alcun re- 
sultato , almeno rimosse tutte le dubbiezze sull’ autenticità del 
terzo viaggio di Baffin, mediante la straordinaria coincidenza 
della carta della baia di Baffin colla medesima porzione di 
Una carta polare annessa al viaggio stampato di quel provetto 
mavigatore . 


120 


sione arrischiamo di attribuirci in parte il merito di: 


avere riprodotto alla luce il soggetto di un passaggio 
nord-ovest; di aver sopra quello tenuta viva la pub- 
blica attenzione col raccogliere, ed esaminare i rap- 
porti, e i fatti relativi alla questione , e che potevano: 
renderne probabile l’esistenza , e il riuscimento ; come 
pure di avere i primi suggerito ( proponendo come 
mezzo del più atto incoraggimento ) una graduata scala 
di ricompense, che essendo quindi adottata dal Parla- 
mento, ha prodotto il vantaggio che sia stata elargita 
una sommia di denaro, oltre all’ onorevole contrasse: 
gno di stima , a favore del Comandante della spedizio- 
ne, e de suoi scri e meritevoli compagni. 

Per questi avvenimenti noi al certo proviamo 
non lieve esultanza ; e specialmente perchè 1° onore 
del ritrovamento di un aperto passaggio dalla baia di 


Baftin al mar Polare è stato riserbato alla marina Bri- - 


tannica; a quella marina, la quale dopo aver soste- 
muta la sua parte con successo in una guerra di venti 
auni, sotto gli auspicj di Giorgio 1V. è destinata a co- 
ronare Je brillanti geografiche scoperte, con questa , e 
quasi diremo, l’unica rimasta a farsi, CIOÈ , D'UN PASSAG- 
GIO NORD-OVEST DALL'ATLANTICO AL MAR PACIFICO; ri- 
cerca che cominciò ad interessare sotto Enrico VII, fu 
quindi caldamente patrocinata da Elisabetta, e non 
mai interamente perduta di vista ne’ regni successivi . 
Le basi sulle quali fondiamo le nostre speranze , le pa- 
leseremo dopo aver dato un breve ragguaglio di quanto 
è stato eseguito nell’ ultimo viaggio, e de’ fatti , e delle 
osservazioni , che esso ci ha somministrate per l’avan- 
zamento della geografia , e delle scienze . 

La narrazione di questo viaggio è stata compilata 
dal Capitano Parry a forma di giornale; e dopo la più 


dice iu tà 


uiiaecè-eiinniÉ en ie 


RE ita 


i 
È 
3 
È 
A 


121 
attenta lettura possiamo con intera fiducia asserire, 
che pochi libri ci hanno offerto occasione più propizia 
di lodare, o minor campo di censurare; e che niuno ci 
ha ispirato maggior rispetto pel carattere dell’ autore. 
In quest’ opera non si trova. veruna presunzione , non 
arte di sedurre, o d' illudere il pubblico ; non istorie 
maraviglivse capaci di disgustare i dotti, e di rendere 
estatico l’ignorante; non uso di ampollose figure ; non 
versi tolti a piacere per abbellire il racconto; non rap- 
presentazione di straordinarj oggetti, parto di riscal- 
data fantasia; ma al contrario, uno schietto raggua- 
glio di fatti, edi avventure, e di scientifiche osserva- 
zioni fatte con la più scrupolosa accuratezza , e narrate 
col linguaggio il più chiaro, e il più semplice . 

Le due navi, 2 Mecla bombarda, e il Griper 
brigantino sì trovarono pronte a partire il 4. maggio 
1819. e poichè il Luogotenente ( ora Capitano ) Parry 
era sommamente desideroso di arrivare il più presto 
possibile allo stretto di Davis, essendo il vento contra- 
rio, esse furono rimorchiate da una barca a vapore . 

Il 20 dello stesso mese passarono ad Orkneys, e 
il 24 giunsero a scorgere il piccolo isolato scoglio detto 
Rockal; nella qual occasione il Capitan Parry osserva 
che « non vi è forse prova più atta a persuadere 
« dell'infinito pregio dei cronometri quanto la certez- 
» za, con cui un bastimento può veleggiare diretta- 
« mente ad uno scoglio segregato simile a questo, che 
« sorge fuori del mare , ed alla distanza di quaranta- 
« sette leghe da ogni terra. » 

Al 15. di giugno apparve alla loro vista il capo 
di Farevvell alla lontana distanza di più di quaranta 
leghe; attribuirono questo agli effetti dell’ atmosfera 
chiara, ed umida , combinati insieme colla refrazione, 


122 


e l'altezza del capo medesimo. Tre giorni dopo s'im- 
batterono nelle primè montagne di ghiacci galleggianti, 
e sperimentarono subito una Av presi di 3. di Zah- 
renheit. La temperatura del mare presa ad una con- 
siderabile profondità , e che era stata fin allora unifor- 
memente più bassa, 0 prossimamente eguale a quella 
della superficie, era allora più alta alla profondità di 260 
braccia (1), segnando 39.°, mentre quella della super- 
ficie era solamente 37.° e quella dell’ aria 35.°; la lati- 
tudine nel tempo di questi esperimenti era 59.° 40: 
e quì deesi osservare una volta per sempre, che la tem- 
peratura del fondo del mare, o ad una considerabile 
profondità , si trovò essere costantemente in tutto il 
viaggio più alta di quella della superficie dell’acqua, 

‘quando questa era prossima al punto di gelare; lo che 
è precisamente il contrario di ciò, che accade entro i 
mari delle zone temperate, e della torrida . 

AI di 24. nella lat. 63° 34° 24.” long. 61° 34 28” 
le navi si accostarono ad una lunga catena di monta- 
gne di ghiaccio ed altri pezzi galleggianti, i quali verso 
ponente presentavano una superficie uniforme non in- 
terrotta. Il moto del mare spingeva le masse pesanti 
contro il timone, con tal violenza , che avrebbe messo 
in pericolo il miglior vascello costruito col solito artifi- 
zio; nondimeno uscirono dal pericolo senza alcun danno. 

Non fu che il quinto giorno che posto in uso ogni 
mezzo, loro riuscì di tornare indietro verso le acque 
libere dalla parte di levante. 

Mentre erano così cinti dai ghiacci, V equipaggio 
del Griper aveva ucciso un orso attratto dall’ odore di 
alcune aringhe rosse a bella posta arrostite , pratica già 


(1) S' intende qui il 3raccio marino che è di piedi 6. 
inglesi. Nota dell’ editore . 


123 
usata dai pescatori della Groenlandia per allettare que- 
sti animali . 

Avauzandosi verso il nord lungo.i ghiacci, le due 
navi traversarono il circolo artico ‘il 3. di luglio, a- 
vendo in quel giorno trascorse per lo meno cinquanta 
montagne di ghiaccio di larga dimensione; e in quello 
susseguente una più estesa catena di maggior grandez- 
za, contro cui una precipitosa ondata da. mezzo giorno, 
urtando lo smosso ghiaccio con tremenda forza , lo sol- 
levò fino all’ altezza di più di cento piedi, ed essendo 
accompagnato da un forte strepito precisamente sl 
mile al fragore di un lontano tuono, presentò una sce- 
na sublime a un tempo, e spaventevole. Quindi il Ca- 
pitan Parry nuovamente spinse il suo vascello a tra- 
verso il ghiaccio colla mira di portarsi all’ occidente, 
ma si fece bonaccia; lo che impedì di continnare a far . 
cammino; ed egli osservò che accadeva tal cosa inva- 
riabilmente, ogni qual volta si trovava rinserrato fra i 
ghiacci; benchè realmente fosse fresco il vento, questo 
andava cessando all’ingresso, anco all'avvicinamento dei 
massi di ghiaccio di poca estensione, e di non considera- 
bile altezza sopra il livello del mare. Egli fu perciò nuo- 
vamente forzato a tornare indietro, e a rimanersi piutto- 
sto verso il settentrione, navigando fra varie montagne 
di ghiaccio, dalle quali scorrevano precipitosamente per 
ogni parte correnti d’ acqua la più pura. Tra una di 
queste, montagne nella lat. 72° 57° 31” ed un ammasso 
di ghiaccio, l’Hecla fu quasi in procinto di esser colto, 
come dicono i pescatori di balene , che vuol dire schiae- 
ciato. Questa montagna era circa a 140 piedi alta, 
sulla superficie del mare, e dagli scandagli fatti 120 
braccia sott'acqua, così che la sua totale altezza pro- 
babilmente eccedeva 800 piedi. 1 bastimenti erano al- 


134 
lora circondati da un immenso numero di queste masse 
di ghiaceio , delle quali il Cap. Parry asserisce non 
averne contate meno di ottanta otto . 

Erano allora giunti alla latitudine di 73.°, dopo 
molti tentativi inefficaci per traversar la corrente di 
ghiaccio, che occupava la parte centrale dello stretto 
di Davis , e della baia di Baffin ; e non volendo il Capi- 
tan Parry oltrepassare la latitudine dello stretto di Lan- 
caster, a cui le sue istruzioni in modo particolare lo 
dirigevano , egli si determinò a fare il tentativo di pe- 
netrare nell’agghiacciata barriera, affine di guadagnare 
il mare aperto , che V esperienza del primo viaggio lo 
avea indotto a credere dover trovarsi verso la costa oc- 
cidentale. Il settimo giorno dopo esservi entrato, gli 
accadde felicemente di giugnere all’acqua aperta , non 
poco sedisfatto di aver superato ogni impedimento. La 
larghezza di questa barriera di ghiaccio fu calcolata di 
circa a ottanta miglia; e per tutto quel tratto , col soc- 
corso delle vele, coll’aprirsi delle traccie, adoperando 
argani, e segando ove occorreva, essi fecero dietro un 
loro computo circa a dodici miglia al giorno, ossia un 
mezzo miglio all’ora. 

Il mare era sì profondo, che a 300 braccia di 
scandaglio niun sostegno poteva trovarsi; i bastimenti 
aveano acquistato un moto beccheggiante; le onde cre- 
scevano considerabilmente; nessun ghiaccio appariva 
in qualsivoglia direzione, e la temperatura dell’ acqua 
era salita dai 31° e dai 33° ai 37%; ma abbassò nuova- 
mente ai 32° e 33° all'avvicinarsi di due, o tre mon- 
tagne di ghiaccio vicino alla foce dello stretto . S’accor- 
sero allora di esser contornati da una gran quantità di 
balene: non meno di ottantadue di vastissima mole ne 
fyrono contate nel corso del giorno. Il di 30. luglio 


rsa 


iù 


ria 


are 


125 


sì fermarono per sbarcare ne’ contorni di Possession 
bay ; precisamente un mese prima che nel 1818, ben- 
chè la spedizione di quell’ anno avesse lasciato 1° In- 
ghilterra circa quindici giorni più presto; vantaggio, 
che il Capitan Parry attribuisce interamente alla con- 
vinzione, che egli sentì ( come noi abbiamo osservato ) 
doversi trovare un mare aperto dalla parte occidentale 
della barriera di ghiaccio . 

Il 31 luglio essi sbarcarono al luogo, da loro vi- 
sitato l’anno precedente. Le aste delle bandiere esi- 
stevan tuttora ; il terreno era libero dal ghiaccio, e dal- 
la neve ; e le loro antiche vestigia sulla sabbia scorge- 
vansi tuttavia come se fossero impresse pochi giorni 
avanti: circostanza che mostra quasi ad evidenza che 
pochissima pioggia, o neve poteva esser caduta dopo il 
tempo dell’ ultima loro visita. Gran quantità di musco, 
ed erba vedeasi nella vallata, ed apparivano tracce di 
orsi, e di rangiferi; ma le sole creature viventi che cad- 
dero sotto i loro sguardi furono una volpe, un cervo, 
pochi ri. - plovers (1), ed un’ape salvatica. La longi- 
tudine riconosciuta per mezzo dei cronometri, differi- 
va solamente di un minuto e mezzo da quella dedotta 
da uno di Earnshavv nell’ anno decorso; e le osserva- 
zioni sulla variazione, e l’ inclinazione dell’ago magne- 
tico dettero prossimamente i medesimi resultati. 

; I nostri naviganti erano allora sul punto d’inol- 
trarsi ad esplorare il gran sound , o passaggio, che era 
divenuto tanto celebre per la diversità delle opinioni 
manifestate relativamente alla sua estensione, e con- 
fni. « Noi tutti, dice il Capitan Parry, eravamo 
« compresi dal pensiero , che quello era il punto del 


‘1) Sorta di piviere . 


126 


« viaggio il quale dovea determinare l’ esito felice, @ 
« sinistro della spedizione , secondo che una , o un’al- 
« tra delle opposte opinioni espresse venisse ad‘essere 
« convalidata » . Cio ben tosto fu deciso, poichè un 
vento di levante , e la forza delle vele gli spinse rapi- 
damente verso ponente . 


19 più facile d’ immaginare , che di descrivere la. sollecita 
ansietà che traspariva in ogni volto ; allorquando sorse in, nostro 
favore un buon vento fresco, noi ci lusingammo di trascorrer ben 
presto lo stretto. Su gli alberi maestri vedeasi una corona di ufi- 
ziali, e di comuni per tutto il dopo pranzo , ed un disinteressato 
osservatore , se pure alcuno lo poteva essere in tale occasione , 
avrebbe provato piacere in vedendo l’ ardore, con cui erano 
ricevuti i rapporti delle sentinelle , tutti fin allora favorevoli alle 
nostre ardenti speranze -- p. 31. 


Prima della mezzanotte la loro sollecitudine re- 
spettivamente all’ allegata continuazione di terre oltre 
il supposto confine di questo grandioso passaggio, era 
quasi cessata , ed essi trovavansi pienamente convinti 
che le azzardate asserzioni , pitture, e descrizioni del 
precedente viaggio erano affatto gratuite. In ciò non 
potevano ingannarsi ; poichè il tempo essendo molto 
sereno , e i bastimenti ormai giunti alla longitudine 
83° 12°, le due spiagge del passaggio apparivano pro- 
lungarsi per più di cinquanta miglia da ambedue i lati, 
e niun indizio di terra poteva discuoprirsi dalla parte 
di occidente. Alla vasta apertura nella spiaggia setten- 
trionale il Cap. Parry diede il nome di baja di Cra- 
ker , trasformando come per incantesimo in un largo 
e non interrotto passaggio quell’ imponente ed insupè- 
rabile catena di montagne assegnata dalla prima spe- 
dizione , a cui era stato dato il nome di un segretario 
dell’ammiragliato. In fatti non montagne, non ghiaccio, 


Pe 


1 27 
nè altro ostacolo reale, o immaginario s’ opponeva alla 
navigazione del Capitan Parry. 

In questo magnifico stretto, o passaggio; la spedi- 
‘zione si avanzò rapidamente dalla parte occidentale ; 
‘niuna terra vedevasi nella direzione del suo corso, nè 
si trovava alcun fondo a 170. braccia di scandaglio , e 
altronde vedevasi l’intera superficie del mare affatto pri- 
va di ghiaccio , come in ogni altra parte dell’Atlantico . 

Noi cominciammo a lusingarci che ci eravamo veramente 

inoltrati nel mar Polare, ed alcuni de’ più audaci fra noi aveano 
anco calcolato la distanza del Capo /cy (1), non meno che la 
possibilità di colà recarsi come un oggetto di non molto diffi- 
cile, 0 improbabile riuscimento . Questo piacevole prospetto , 
si rendeva aneo più lusinghiero dall’ avere il mare ripreso , co- 
me pensavamo , il consueto color dell’ Oceano , e dal vedere 
le lunghe onde che scorrevano da mezzogiorno bg ih Se- 
guitando però ad avanzarci sempre più lungi , la scoperta di 
una terra davanti a noi venne a intorbidare la nostra gioia ; e 
quantunque all avvicinarsi più d’ appresso si fosse in grado 
di distinguere che era soltanto una piccola isola , avemmo non- 
dimeno il dispiacere di rilevare che una superficie di ghiaccio , 
si estendeva da quella fino al lido settentrionale . 


Essi erano allora giunti alla long. 89° 18” 40” ; e 
l’acqua essendo tranquilla, l'equipaggio si occupò a 
tentare di uccidere alcune delle bianche balene , che 
in gran quantità ag ggiravansi intorno ai loro viali 
sull: animali però erano assai prudenti per non la- 
sciarsi di troppo avvicinare . Essi ci vengon descritti 
come aventi generalmente circa a diciotto , o venti 
piedi di lunghezza : sovente , come affermasi, si udiva- 
no gettare uno squillante grido non dissimile da quello 
dell’ armonica malamente percossa ; questo suono era 
più distinto quando 1’ animale era più basso del bat- 


(1) Ela punta più settentrionale , che sia stata scoperta sulla 
costa N.O. dell’ America , al N. dello stretto di Behring, e sopra al 
70.” di lat. Nota dell’ Editore : 


128 


tello, e a parecchi piedi sotto a quello; e cessava inte- 
ramente al suo approssimarsi alla superficie . 

Un vasto passaggio sul lido meridionale largo non 

meno di cinque leghe al suo ingresso , e senza alcuna 
terra visibile nella linea della sua direzione, indusse 
il Capitan Parry a fermarsi dalla parte orientale lungo 
il confine del ghiaccio in un aperto canale, sperando 
che potesse condurre ad un più sicuro passaggio dalla 
parte occidentale , in una più bassa latitudine del pa- 
rallelo dello stretto di Barrow. I nostri naviganti os- 
.servarono, che appena entrati nello stretto di Lancaster, 
il lento moto della bussola e l' irregolarità cagionata 
dall’attrazione del ferro del vascello, aumentarono uni- 
formemente, e con rapidita allorchè essi si dirigevano 
verso occidente ; ma nel trascorrere questo passaggio , 
la forza del movimento diveniva minore a proporzione 
che progredivano . 


Giunti alla lat. 73.° fummo testimoni , per la prima volta del 
eurioso fenomeno del potere direttive dell’ ago, che diveniva sì 
debole da essere interamente superato dall’ attrazione del va- 
scello ; così che l’ ago allora poteva dirsi propriamente diretto al 
polo nord del vascello . Le bussole adunque per tutti gli oggetti 
della navigazione fin d’ allora divennero poco più vantaggiose del- 
le inutili masserizie . Un ago, in cui l’ attrito era presso che in- 
teramente impedito da un filo sospeso, fu osservato muoversi 
intorno col vascello , sempre inclinato costantemente alla prora 
in qualunque direzione gli accadesse di trovarsi . Laonde fin da 
questo punto si tralasciò di tentare alcuna osservazione magne- 
tica a bordo , e gli strumenti faron trasportati sul lido , 0 ( quan- 
do potè eseguirsi ) sopra un masso , o sopra un campo di ghiac- 
cio ; anco quivi però la forza direttrice era sì lenta , che gli aghi 
sospesi colla maggior delicatezza abbisognavano dell’ ajuto della 
mano per imprimer loro un movimento . Un’ osservazione fatta 
sul lido nella lat. 72.° 45 15”, long. 89° 41° 22”, segnò 88 26° 42” 
per l'inclinazione , e 118° 23° 37” occ. per la variazione . 


129) 

Il passaggio del Principe Reggente ( poichè al Capi- 
tano Parry piacque così chiamarlo ) allargandosi a mi- 
sura che i legni s' inoltravano verso la parte meridio- 
nale, alimentava le speranze di un passaggio ; tanto 
più che la terra dalla parte occidentale si dirigeva 
sempre più verso sud-ovest quanto più essi progredi- 
Vano . 


Io ho per l’ avanti osservato , che i paesi orientali, e occi- 
dentali , che formano questo vasto passaggio probabilmente sono 
isole ; e dietro l’ispezione delle carte , io penso che apparirà in 
sommo grado probabile che an giorno si scuoprirà esistere una 
comunicazione tra questo passaggio , e la baia d’ Hudson, o pel 
largo e non visitato canale chiamato ZYe/come da Sir Tommaso 
Rowe , o per la baia Repu/se, che non fu per anco con piena so- 
disfazione esaminata . E’ probabile altresì che si troverà esistere 
un’ canale tra il paese occidentale , e la costa settentrionale d’ A- 
merica . 

Per mala ventura però ove la terra sembrava ter- 
minar dalla parte S. O. una superficie di ghiaccio ve- 
devasi stendere dalla parte meridionale, al di là di cui 
non si scorgeva acqua; nè si presentava agli sguardi 
‘veruna terra al sud-ovest, benchè l’ orizzonte fosse sì 
chiaro in quel punto , che se ne esisteva alcuna di mo- 
derata altezza dovea comparir visibile alla distanza di 
dieci, o dodici leghe. Il Capitano Parry non sapeva 
trovare alcuna ragione , dic’egli, per dubitare che non 
fosse per riuscire al vascello di penetrare molto più 
lontano verso il sud , profittando delle casuali aperture 
fra il ghiaccio ; gli parve nondimeno cosa più conve- 
niente ( e noi pur lo pensiamo ) di non trascurar |’ op- 
portunità di un vento favorevole per ritornare al vasto 
passaggio, che avea lasciato; e il 9g. di agosto fece vela . 
verso il settentrione . Il punto più meridionale, a cui 
il vascello s’ era inoltrato dalla parte orientale del pas- 


130 i 

saggio era lat. 71° 53’ 30”, long. g0° 03’ 45”, e la di- 
stanza dal suo ingresso circa a cento venti miglia . 

Atteso il vento contrario , la neve , e le folte nebbie, 
le masse di ghiaccio , la mancanza del sole , e le bussole 
rese oramai inutili, non prima del 19 essi giunsero al 
lido settentrionale dello stretto di Barrow. Quivi però 
niente occorse che interrompesse il loro viaggio. La 
costa di pietra calcaria curiosamente formata a guisa 
di barbacani, ugualmente che il paese dalla parte di set- 
ientrione appariva libera dalla neve ; e il mare esente 
pure dal ghiaccio era per tal modo limpido, che riu- 
sciva quasi impossibile di credere che fosse la medesi- 
ma parte di mare, che non più di uno , o due giorni 
avanti erasi trovata interamente coperta di ghiaccio , 
fin dove la vista poteva estendersi. Le nebbie, ed 
il poco vento però rendevan lento il loro progredi- 
mento ; ma le apparenze erano al sommo sodisfacienti . 
Il 22. essendo nella long. 92.° 15. l'aspetto continuato 
del paese settentrionale videsi interrotto da una ma- 
gnifica apertura di otto leghe di larghezza , nello scan- 
dagliar la quale al chiaror di una bella sera non accad- 
de di scorgere alcuna terra, nè ghiaccio dall’ albero 
maestro : essa fu chiamata il canal /Wellington. 


L’arrivo a questo gran varco fu un avvenimento , cui già 
da lungo tempo tendevano le nostre mire con la maggiore an- 
sietà , ed impazienza . Quanto alla continuazione della terra dalla 
parte settentrionale era sempre stata per noi una sorgente d’ in- 
quietudine , attesa la possibilità che ella si volgesse in giro dalla 
parte meridionale , e venisse ad unirsi colla costa d’ America . 
L’ apparenza di questa ampia apertnra libera dal ghiaccio , e la 
vista di terre ad ogni lato di quella, e più particolarmente 
verso occidente , lasciando appena dubbio che alla perfine scuo- 
priremmo essere un’ isola, ci sollevò da qualunque nostra solleci- 
tudine : ed ognuno era di sentimento che noi non saremmo più 


131 


impediti dalle terre che formano la parte occidentale della baia 
di Baffin ; e che realmente noi ci eravamo già inoltrati nel mar 
Polare . Benchè fossero allora già trascorsi due terzi del mese di 
agosto , io avea ben ragione di esser sodisfatto dei resultati che 
noi fin allora avevamo ottenuti.Calcolai che il mare sarebbe ancor 
navigabile per sei settimane future, e probabilmente anco per 
più , se lo stato del ghiaccio ci permettesse di costeggiare dalla 
parte meridionale per inoltrarci verso occidente. Le nostre cir- 
costanze per vero dire erano assai prospere ; i vascelli non avean 
sofferto verun danno ; noi eravamo abondantemente forniti di 
provvisioni ; l’ equipaggio godeva buona salute , ed era ben ani- 
mato ; si presentava un mare se non aperto almen navigabile ; e 
gli ufiziali non meno che i comuni erano stimolati da zelo , e co- 
raggio per condurre a compimento con tutti i mezzi possibili il 
grand’ oggetto, a cui noi avemmo la felicità di essere destinati . 


Il di 23. non molto al di là del punto occidentale 
del canal Wellington , i vascelli doveano penetrare in 
un’angusta corrente di ghiaccio . Il paese dalla parte 
settentrionale aveva allora assunta una differente strut- 
tura , ed invece di sorgere perpendicolarmente dal ma- 
re, offriva un’ obliqua riva arenosa. Rimase allora evi- 
dente che il passaggio era guarnito d’isole ,,e che vo- 
lendo inoltrarsi a lontana distanza , attesa la profondità 
dell’ acqua , le casuali nebbie , e le masse di ghiaccio , 
vi vorrebbe maggior vigilanza, e circospezione . Le iso- 
le elevavansi a moderata'altezza , ed erano interamente 
coperte di neve; e fu osservato con un certo sentimeuto 
di dispiacere , che per un intero giorno ( il 26 ) nè il 
il mare , nè il paese avea offerto ai loro sguardi una 
sola creatura vivente di qualsivoglia specie. Inoltre, 
ancorchè il mare dal lato di mezzogiorno fosse per la 
maggior parte coperto di un compatto, e non interrotto 
campo di ghiaccio , pure destava coraggio l’osservare 
che un canale di sufficiente ampiezza fosse aperto tra 
quello, e il lido di una vasta isola chiamata dal Capitan 


132 

Parry isola di Bathurst. Verso il punto orientate di 
un’altra isola, oltre a questa, ( chiamata Byam Martin) 
il Capitan Sabine, ed una parte dell’ equipaggio sbarcò 
a terra per fare delle osservazioni , e per esaminarne i 
prodotti naturali. Essi trovarono gli avanzi di quattro | 
abitazioni d’Esquimaux costruite con pietre rozzamente 
ammassate in forma ellittica , simili a quelle vedute ad 
Hare-Island \’ anno precedente . Pochissima neve ri- 
maneva sopra la terra ; e le valli erano coperte di lus- 
sureggiante musco , e di altri vegetabili simili a quelli 
ravvisati a Possession bay. Si scorgevano in molti 
— luoghi recenti tracce di rangiferi, e di bovi muschiati . 
Le rupi erano di pietra arenosa; e pezzi di granito , e di 
rosso feld - spato erano sparsi sulla superficie . Il Ca- I 
pitan Sabine trovò che la potenza direttrice delle bus- x 
sole era più debole di quella riscontrata al luogo di osser- 
vazione nel Passaggio del Reggente , ove l’inclinazione 
era presso che la medesima ; se non che quando erano 
fermi esse indicavano il meridiano con maggior preci- 

sione. Il resultato è sommamente interessante . 
La latitudine di questo luogo di osservazione era 75° 0g” 23” 
e la longitudine ottenuta per mezzi di cronometri, 103° 44’ 37”. 
L’ inclinazione dell’ ago magnetico era 88° 25° 58” e la variazione 
sì trovò aver allora cambiato da 128° 58” ovest jnella longitudine 
91° 48’, ove erano state fatte le nostre ultime osservazioni sulla 
spiaggia , a 165° 50° og” est , nella nostra attuale stazione ; così 
che noi nel veleggiare sopra lo spazio compreso tra questi due 
meridiani , abbiamo attraversato immediatamente dalla parte 
settentrionale del polo magnetico , e senza dubbio si è trascorso 
uno di quei luoghi sopra il globo , ove l'ago sarebbe stato trovato 
variare 180, o in altri termini, ove il suo polo nord avrebbe in- 
dicato il sud . Probabilmente un tal luogo troverebbesi non lon- 
tano dal meridiano 100° occidente di Greenwich. Sarebbe riuscito 
senza dubbio oltremodo interessante di verificare una tale osser- 
vazione ; ed in qualunque altra fuorchè in questa assai precaria 


133 
navigazione , in cui noi eravamo allora impegnati , avrei riguar- 
dato di mio preciso dovere il. dedicare un certo tempo a questo 
particolare oggetto ; ma nelle attuali circostanze era impossibile 
per me di occuparmi ad indagarne la cagione; tanto più che l’im- 
portanza annessa alla scienza di questa osservazione non era suf- 
ficiente a compensare il ritardo che la ricerca di un tal luogo a- 
vrebbe necessariamente cagionata , ritardo, che appena si sarebbe 
potuto scusare in un momento , in cui noi facevamo , e per due , 
o tre giorni continuammo a fare , rapidi , e non impediti progressi 
verso il compimento del nostro principale oggetto . -- p. 62. 


Da questo luogo alla più remota estremità di un’al- 
tra vasta isola, a cui il Capitan Parry dette il nome di 
isola Melville , la navigazione divenne sempre più dif- 
ficile pel ghiaccio, così che allora era solamente effet- 
tuata per un angusto canale di acque tra quello , e il 
lido, talora esteso a quattro, o cinque miglia di lar- 
ghezza ; e talora limitato a poche centinaia di braccia . 
Il tempo osservavasi di giorno in giorno divenir peg- 
giore , essendo il sole quasi costantemente oscurato da 
dense nebbie, una porzione della notte oscura , e il 
freddo assai intenso. Nel 4. settembre però l'equipaggio 
ebbe il contento di passare il meridiano di 110°. long. 
occ.nella lat. di 74° 44 20” ,chegli dava un titolo al primo 
premio nella scala delle ricompense approvata dal Par- 
lamento , cioè a cinque mila lire sterline . Il vascello 
allora essendo precisamente opposto a una punta spor- 
gente, questa fu chiamata dall’ equipaggio ( Lownty 
cape ) il capo del premio . 

Oltre a questa punta, eravi un altro capo , a cui 
il ghiaccio vedeasi sì fortemente adererite da opporre 
un’ impenetrabile barriera ad ogni ulteriore avanza- 
mento . Nulla perciò rimaneva a fare se non mettere i 
vascelli all’ ancora ; ed accadde per buona ventura che 
viddesi prossima un’ eccellente rada ; a questa fu im- 

T. IV. Ottobre °9 


134 
posto l’ adattato/nome di baja dell’ Hecla, e del Griper; 
non solamente perchè questo era il primo luogo , ove i 
vascelli aveano gettata l’ ancora dacchè partirono dalla 
costa di Norfolk, ma altresì perchè erano condannati a 
passarvi un lungo, tedioso , ed orrido inverno . Sic- 
come appariva indicare nella più decisa maniera il 
compimento di una parte del viaggio , furono inalbera- 
te le insegne , ei pennoni ; e si provò , dice il Capitan 
Parry, non ordinario sentimento di piacere ( parole 
che noi confidamo saranno lette con non ordinario sen- 
timento d’ orgoglio ) in vedere le Britanniche ban- 
diere sventolare per la prima volta in quelle regioni, 
che fin allora erano state considerate al di là dei limiti 
della parte abitabile del mondo . 
( sarà continuato ) 


Nota. L’ opera del Cap. Parry, arrichita di carte, e rami 
di squisito lavoro, trovasi nella biblioteca del Gabinetto Scien- 
tifico e Letterario. 


139 


LETTERATURA -- POESIA 


Ir Capwo -- ( Poema di Pierro Bacnoti Profes- 
sore dell’ Università di Pisa ) Continuazione -- 
Vedi Vol. III. p. 514. Fascicolo N. IX. 


I soggiorno del Tirio Eroe sul Parnaso in compagnia 
delle Muse, le cui rosee guancie e i capelli dorati ben 
si contrappongono al fulgore d' un elmo e all’ ondeg- 
giare d’ un cimiero , è , quale debbe essere , accompa- 
gnato da avvenimenti maravigliosi, da casi ordinati e 
connessi intorno all’ azione del Poema. A me par di 
ravvisare che riduconsi tutti alla vision del futuro con- 
ceduta a Cadmo , al suo conversare colle muse , e alle 
avventure di lui con Ermione. Onde li disporrò con 
siffatto ordine in distinti quadri . 

La vision del futuro è un dono che volentieri i poeti 
usano di compartire a quei Grandi per cui danno fiato 
alla tromba . Di ciò è da addurre una ragione di mag- 
gior momento che il procurare la meraviglia dei vati- 
cinj e il diletto delle descrizioni. E questa è lo scopo 
d’ influire sull’ epico fatto mediante la cognizione degli 
effetti e delle conseguenze sue più rimote, d’ infon- 
dere alacrità e costanza nei personaggi che in mezzo a 
traversie e difficoltà d'ogni genere debbono nel mede- 
simo faticare . Or pochi poeti sono stati in ciò favoriti 
dal proprio tema quanto il Bagnoli, nessuno eroe ha 
potuto confortarsi alle grandi sue geste con mostra di 
conseguenti fatti più grande e più solenne di quella 
che ebbe al cospetto Cadmo nel tempio dell’ Eternità . 
Tondo e sfolgoreggiante questo sacro edifizio riposa so- 


136 

pra adamantine colonne . Il volume della sua luce in 
se medesimo si rivolge, e forma graduati cerchi che 
vanno ad un centro immobile somigliante un occhio 
di bianco lume uguale immutabile . Intorno a quello 
si conduce senza mai entrarvi il tempo colle sue vi- 
cende e fortuna . La volta dell’ edifizio è un cielo ador- 
no di sole e di stelle. Quel sole è la gloria, e sono quelle 
stelle le opere illustri che Istoria e Poesia vi dispongo- 
no ognuna col nome scritto nella sua fronte. Tutto il 
rimanente delle cose che ivi dal tempo si ruotano pre- 
cipita e perdesi sotto |’ edifizio fra oscure ombre che 
conducono a Lete. Dinanzi a siffatto giro fu Cadmo 
solennemente da Urania guidato , e da Anfione seguito 
e da tutto il popolo d’ Elicona. Affinchè la vista dei 
due che vestiti erano della salma umana sostener po- 
tesse l’ aspetto nado di cose superiori alla condizione 
mortale , sciolse la divina condottiera un suo prego a 
Giove. Cadde tosto dagl’ occhi di quelli come un velo 
e come una nebbia; onde acuti e forti divennero quari- 
to quelli dei Nuini . Cessò allora il roteare dei cerchi 
intorno all’ occhio di bianca luce, e 


Un der naturale in quel gran tondo 
Con orizzonte amplissimo comparve , 
Quasi fosse là dentro un altro mondo : 
Tanto il giro slargossi, e il centro sparve. 
Ed ecco provenir, come dal fondo, 
Serie di volitanti idoli, e larve 
Fino all’ orlo del cerchio, e quivi manco 
Veniano, ed alire succedean pur anco. 


Del futuro era questo il gran volume, 
Che in sè rapidamente si svolgea; 


137 
Serie , luoghi, persone, opre, costume , 
Ogni cosa anzi tempo sl scorgea . 
Come nave a mirar, che va per fiume, 
Previdenza da un lato ivi sedea, 
Nè, per veder come si volge e dove 
Il fatal corso, ella il rattiene o muove . 


Perocchè in ombra, che per spazio mena 
Remoto immenso, e vela i dubbj aspetti, 
Fan colle braccia avvinte una catena 
Infinita le Cause, e i propr) Effetti, 

Qual picciola, qual grande, o scarsa, o piena, 
E molti han parti, e molte mamme ai petti , 
Altra in sembianza di matrona, e sciolta, 
Altra di schiava, e van seguaci in volta . 


Parton da un primo moto, e le misura 
La lor succession non interrotta ; 
Necessitate e arbitrio alla lor cura 
Stanno, onde sia la traccia appien condotta, 
Mobile questo, e quella o più o men dura 
Spingon la serie data in lor condotta 
Là ’ve l’età di fuor si ruota e cinge, 
Ed ogni cosa in sua stagion si spinge . 


Primi si traggono innanzi gli eroici tempi di Gre- 
cia. Nasce Argo ed Atene, Sparta , Sicione , Corinto . 
Bacco ed Ercole sono del sangue di Cadmo. Ecco Per- 
seo , Teseo , gli Argonauti. Enea fonda nuova Ilio in 
Italia dopo che quella d’ Asia è andata in cenere ed in 
faville . 


E nasce voce dall’ Iliaca tromba 


138 


Alta immortal, ch’ ai secoli risuona . 

È il grande Omero che con chiara tromba 

Desta gli eletti alunni d’ Elicona: 

Di lui la terra, il cielo; il mar rimbomba, 
E si risveglia il mondo a ogni opra buona . 
Quinci nostra natura in alto sale, 

E gli umani intelletti impennan Yale. 


Ai favolosi succedono i tempi storici recando in- 
nanzi Licurgo, Dracone, Solone, l’areopago; la pu- 
gna Messenia , proseguendo con Maratona, Salamina, 
Milziade, Aristide, Temistocle, Leonida coì suoi tre- 
cento , ed altri tali grandi fatti e grandi nomi dell’ El- 
lenia fino agli anni di Pericle. Quindi ispunta essa 
pure questa’ sì famosa età mostrando agli occhi di 


| Cadmo 


Fiorita di città la Grecia, e d'armi 
Forte e di leggi e di costumi e d’oro, 
Tempj, licei, teatri, e cetre e carmi, 
E circo, e atleti, ed acclamante coro, 
Uomini e Dei spiranti in bronzi, e in marmi, 
Di colori e di forme alto lavoro, 
Archi, logge, trofei, belle memorie 
Di valor, di consiglio, e di vittorie . 


Ma ohimè che cessate le guerre cogli stranieri insor- 
gono per mezzo alle pompe ed al fasto le cittadine 
discordie . La repubblicana virtù a poco a poco decade 
dal suo alto grado. Quelle catene che Filippo facea suo- 
nare alle orecchie dei Greci stringe tenacemente Ales- 
sandro alle loro mani . Indarno ha Demostene aringa- 
to, benchè valesse la sua voce in consiglio più che gli 


139 
eserciti in campo; gli stati Achei vanno a perdersi 
nell'impero Macedone siccome i fiumi nel mare. Non 
ignori Cadmo però che sarà vendicata largamente sì 
l’oppressione della sua Grecia, sì quella di Dario , 
dell’ Indie , del mondo intero . E fia Roma la vendica- 
trice, Roma che si mostra essa pure per entro il mira- 
bil volume degli eventi avvenire. Tenui si veggono i 
suoi principj con Romolo e Tazio. Le rapite Sabine ge- 
menti e sparse i capelli frappongonsi alle spade impu- 
gnate dagli sposi, dai fratelli, dai padri. I sei successori 
di Romolo son preceduti da Numa fregiato dell’insegne 
di pace e de’ religiosi arredi, da Numa che si consiglia 
nel sacro bosco colla sua diva. Bruto trae ferocemente il 
ferro dallo squarciato petto di Lucrezia ; la voce del 
suo giuramento fa violenza in cielo; assume i fasci e 
le scuri del consolato ; i figli che insidiano la nata fi- 
bertà mette a morte . Orazio; Scevola, e Glelia non 
con altre armi che colla prodigiosa e quasi ineredibil 
virtù vincono il talento di guerra onde tutto compreso 
è Porsenna . Coriolano , Vetturia , Virginia , Camillo , 
Curzio , Curio , Fabricio, Duilio, Regolo, i Marcelli , 
i Fabj , i Paoli, i Metelli .... ( e chi può tutti ridirli ? ) 
innalzano a gradi l’ edifizio della grandezza Romana . 
Aurei sono i costumi dei cittadini, il senato è un as- 
semblea di numi, il popolo un idra che in mezzo ai 
disastri e alle guerre sempre più vigorosa rinasce ; 

E Roma è tutto. Roma vince in campo, 
Roma i disastri del cammin, la sete, 
La fame, i rischi, ogni inimico inciampo 
Supera Roma, e chiude i lumi in Lete 
Contenti, e gli apre della gloria al lampo, 
Ed ai trionfi, e alle vittorie liete. 


140 
Par che ogni luce al suo fulgor s’ estingua 
Par ch’ogni possa al suo poter si prostri. 


Ecco cade Cartago, arde Corinto: 
Ad una fiamma un doppio mar riluce . 
Rotta è la Tracia. Antioco, Perseo è vinto . 
Serve la Grecia. Or prigionier conduce 
Tiranno Odrisio , ed or Libico avvinto 
Quadriga trionfal d’ Ausonio duce . 
Or ( notava la Dea ) se agli occhi chiedi 
Dove Roma non sia, mulla più vedi. 

Se cerchi quanto è grande, i suoi confini 
Stende col ciel, coll’ ocean l’ impero . 
Per tutto è una cittade , e cittadini 
Sono gli abitator del mondo intero ; 
Senti, sodi parlar, detti latini 
Per ogni labbro o Italico o straniero; 
Se vedi arti, costumi, e fasto altrove 
Tutto nasce da lei, da lei si muove. vi 


Si giunge alle guerre civili , ed ai tempi corrotti dalle 
delizie , dalle pompe, dall’ oro dell’ Asia . E il vero che 
quanto rimase della virtù Romana si dimostra tuttora 
gloriosamente guerreggiando contro li stranieri.Ma i du- 
ci più non combattono per Roma, bensi per sè stessi . 
Qual pro che Mario disperda iCimbri , che Silla soggio» 
ghi il Ponto se entrambi danno gravezza alla patria di 
mortali affanni? Ecco Cesare-, ecco Pompeo , dei quali 
canta il Poeta colla tromba stessa Farsalica ; 


Ecco Cesar che aggiunto ai sommi onori 
Vince i Galli, i Germani, e. l’orse estreme; 


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È; 
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” 


141 
Mentre all'ombra Pompeo de’ vecchi allori 
Siede geloso , e 1 muovi fatti teme . 
Già l’emula virtù stimoli e ardori 
Attizza, e non pòn due regnare insieme : 
Troppo per questo il grado uguale è poco, 
Sdegnoso è quello del secondo loco . 


Nè l’arme è par. Pompeo togato invecchia , 
E disimpara il duce ; all’ aura amica 
Porge del volgo acclamator 1’ orecchia, 
E molto crede alla fortuna antica, 
Si che nuova arte oblia; qual alta e vecchia 
Querce ,\che gran trofeo d’ armi affatica , 
Ma di barbe mal ferma e inaridita 
Col peso, onde l’aggrava, a star l’aita; 


Labile , e al soffio de’ primi Euri spinta 
Già per cader, quantunque annosa, in mezzo 
Da più giovine selva ergasi cinta, 
Pur sola è sempre al culto usato e al prezzo. 
Ma gran nome,. e a gran cose ha l’ alma accinta 
Cesar, gran duce; e non lascia opra a mezzo ; 
Muove, avanza, compisce, e al sommo fine 
Gode di farsi via colle ruine . 


Fulnzn così squarcia la nube, e passa 
Con gran fragor dell’ etere sonante , 
E in un momento in alta parte e in bassa 
Scorre tutta la traccia serpeggiante 
Sulle penne di fuoco , e dietro lassa 
Caligine sulfurea e moli infrante, 
Ed al popol terror, che sbigottito 
Ne cercai danni, e li dimostra a dito . 


142 
Muore la libertà di Roma in Farsaglia . Aurea tut- 
ta e tutta felice si trae quindi innanzi l’ età d° Augu- 
sto a far pompa del più ‘alto punto a cui sia salita la 


felicità della terra , o possa salire. Respira il genere 


umano, e tranquillo si riposa dall’ oriente all’ occaso 
sotto l’ ali della pace, della gloria , della dovizia , del 
genio , del gusto . Centro è Roma del mondo; leggi, 
culto , lingua , norma di vivere non d' altronde si pro- 


pagano che dalle rive del Tevere. Brillano fra gli astri, 


del magno secolo i nomi di Virgilio e d’ Orazio . Stato 
di cose sì bello, si alto, sì riposato lungamente non potea 
permanere dove tutto si cangia, e non dura . Così ad 
Augusto e alle età di Roma fiorenti succedono mise- 
randi tempi, ed Imperatori (trattine Vespasiano, Tito, 
Trajano con altri pochi ) che disonorano la Cesarea 
corona . Le opere loro sono malvagie , ed indegne, le 
armi romane sono invilite , il senno della mente e il 
vigore del corpo son convertiti in pravo consiglio , ed 
effeminata mollezza . 


Or tu perchè cangi all’ Impero sede, 
E il capo al Lazio, e le ricchezze tolli ? 
Non più dei fati di Quirino erede, 

Che, se nol sai, son fermi ai sette colli ; 
E lasci Roma al sacco, ed alle prede, 
Debole già pe’ suoi regnanti folli, 

Per mole antica, e tralignato onore ; 

È togli al corpo, ond'ei perisca, il core? 


Mentre Urania dicea moveasi un folto 
Nuvol dal polo di gran turbe, e spesse, 
Ond’ era tutto il vasto impero involto , 
Arse città, provincie a sacco messe, 


143 
Ogni cosa in ruine alte sepolto , 
Roma presa e disfatta, opre, arti oppresse, 
E tetti e templi ruinati e mura, 
E i secoli ravvolti in notte oscura 


Discorsi gli infelici tempi coperti della Vandalica e Go- 
tica nebbia, spunta col magno Carlo Y aurora della 
seconda e nuova cultura. Nuova io dissi, ch'essa è ben 
tutta d’ un altra foggia da quella antica, sebbene aurea 
del paro e gentile ; ramo il diresti, di pianta vetusta 
innestato sopra moderno forestiero virgulto . Stupi- 
sce Cadmo in contemplare i nuovi usi, le nuove leg- 
gi, e nuove le vesti , le favelle , le arti, i costumi, gli 
arnesi di guerra , le opere di mente e di mano . A. chi 
non è stupendo il ritrovato della stampa , dell’ago ma- 
gnetico , della polvere , delle artiglierie , e la scoperta 
dell’ altro emisfero ? Non vanno però le genti di pari 
passo nel risorgere alla civiltà . 


Tu pria scuotevi la barbarie o bella 
Italia, e davi altrui lume e dottrina, 
Tu maestra del mondo, e tu novella 
Formatrice d’ogni arte, e disciplina ; 
Ma fatta ahimè! de’ tuoi già servi ancella 
Di temuta del mondo alta regina! 
Debol per sparse forze, e non intera , 
Ma per bellezza in ogni parte altera. 

Dante , tu de’ moderni eri il primiero 
A niun dell’ aurea antichità secondo, 
Supremo fondator, novello Omero 
Del rinmuovato scientifico mondo. 

Coll’ empireo abbracciava il tuo pensiero 


144 

Il medio regno, e l’ Erebo profondo : 
Tutto sapevi, e la favella infante 
Sulle tue labbra divenia gigante . 


Petrarca , e tu, dalla cui bocca uscìa 
Dolce senso d’ amor, dolce intelletto , 
Ivi con ugual piè per una via 
Dietro alla gloria, e dietro a un caro oggetto, 
Vestendo di dolcissima armonia 
Ogni sospiro che t’ uscia dal petto, 
E robusto parlavi a Italia, e intorze 
AL ciel ‘d’ Europa richiamavi il gforno . 


Vedesi pure il Boccaccio trai primi Italiani, e per ordine 
successivo Giotto, il Brunelleshi, l'Orcagua , Michelan- 
giolo, Raffaello , l Alberti , il Vinci, i Medici, il Poli- 
ziano , Galileo , il Metastasio, 1’ Alfieri, e tanti e tanti 
d’ ogni maniera che a memorarli sarebbe soverchio . 


Eran due Grandi poi che pieno fiato 
Davano ‘alla squillante epica tromba, 
Ma vario sì, che ovunque del primato 
Metteva lite il suon che ne rimbomba, 
Sicchè tra Lodovico, e tra Torquato, 
E tra l’arme, e gli amori, e la gran Tomba 
Pendea la dotta gente in due divisa È 
E la lite pur sempre era indecisa . 


Vera il gran mastro di guidar gli stati , 
E fonder guerre e paci, e por con mani 
Sicure al giogo i popol non usati, 

E di ragion di regno apria gli arcani. 


| 
| 


145 

Mirava Cadmo le rifatte cose 
Già non men che l’antiche alte e superbe , 
E le prische città tener nascose 
Le rotte. fronti infra l’ arene e I’ erbe; 
E sopra le vetuste altre famose 
Levarsi al ciel nelle stagion più acerbe : 
Nuova Atene Fiorenza, e senza sponde 
Vinegia alto miracolo dell’ onde. 


Artefici, Filosofi, Oratori, 
Fabbri di storiè e di purgati carmi, 
Quali a cantar sull’ auree cetre amori, 
Quai colle tube adatti al suon dell’ armi, 
Di templi e tetti e logge ardui lavori, 
E di tele spiranti e bronzi e marmi: 
Chi la curia, chi il tempio , chi di.Marte, 
Chi segnalava d’ Esculapio 1’ arte . 


Ma il benigno sole della nuova cultura ha rischiarato 
eziandio, sebbene d’alquanto più tardi, il resto della fa- 
miglia europea . Lusitania , Spagna, Francia, Anglia , e 
Germania mostrano a schiere nel debito tempo, nel de- 


bito luogo poeti, filosofi, guerrieri , artisti, e d’ogni ma- 


niera famosi e lodati spiriti. Newton , Leibnizio, Car- 
tesio, Milton, Cornelio, Racine , Moliere ; il Francese 
Augusto tutto splendiente della luce onde lo circon- 
dano nella gran corte le arti di pace e di guerra, la 
gloria, l’amore ; duro più che artico gelo lo Sveco Carlo 
a cui la guerra tien luogo di patria , di figli, di sposa ; 
il rigeneratore delle Russie re ad un tempo, nauta, ar- 
tista, soldato; il magno Federigo di filosofia pieno la 
lingua e il volto al pari capace nel campo , nel consi- 
glio, nell’accademia: tutti questi son nomi, e son 


146 

cose di noi moderni delle quali per avventura gloriar si 
potrebbono i tempi antichi. Inauditi poi e nuovi og- 
getti, e pieni di turbamento comparivano da ultimo in 
quel volume delle cose future , rapidi succedendosi gli 
uni agli altri come i baleni nelle notti d’estate. Era la 
età presente che noi viviamo, erano gli eventi ai quali 
avemmo noi stessi parte, le guerre, le tregue, i muta- 
menti dei re, dei popoli, le armi e gli armati , i nuovi 
regni eretti , e surto in breve ora e caduto per destino 
di guerra il grandissimo Francese imperio . Colle quali 
sì agitate vicende, e col riposo a loro frammesso ebbe 
termine la visione di Cadmo ; imperocchè si richiuse il 
futuro, ed il cerchio esteriore riprese le sue preste 
ruote simili a quelle dell’ acqua che aggirisi in roton- 
do vaso . 

Or l’ eroe disponga l'animo ad altre maraviglie , ad 
altri diletti ; che meraviglie e diletti non possono venir 
meno a chi ascolta e parla in mezzo a divino drappello 
delle Camene.Dei preziosi documenti, dei sensi altissimi 
usciti dalla bocca d’Urania intorno il tempo, l'eternità, 
la previdenza dei Numi, la religione vera che do- 
vrà discendere dal eielo ad essere il fondamento della 
cultura , a far belle di celeste raggio le virtù umane; 
di quelli che schiuse Polinnia circa la natura dell’uomo 
disposta a perfezionarsi , ed avvicinarsi alla natura di- 
vina mediante l’ esercizio del consiglio, e della ragia- 
ne ; della nettarea bevanda ministrata in giro dalle 
Coricie , che rese Cadmo semideo ed immortale: basti 
aver fatto di tutto ciò una parola. Non v'è pazienza 
d’indugio quando son da ascoltarsi le madri, stesse 
del canto aprire il tesoro dei lor divini concenti , e ce- 
lebrare a vicenda le lodi delle nazioni più a lor pre- 
dilette. Che mai pronunzia Calliope tutta dall’ estro 


145 
invasa dopo suonati i preludj sull’aurea tromba ? Canta 
gli alti onori d’Italia ; madre la chiama d’ Eroi e bella 
e forte e guerriera e dia del più grande i impero che 

‘avesser mai le Nazioni ed i tempi. Indi reina la dice ‘ 
di un miglior dominio che non è dono della fortuna ; 
emula e precorritrice della Grecia nella sapienza e 
nell’ arti. Oh come a questo pensiero il divino spirito 
viepiù la infiamma! 


Ma perchè stommi a rasentar le prode, 
Nè colla tromba, onde di te risuono, 
Entro nell’ alto mar della tua lode? 

Voi mi seguite che ascoltate il suono : 
Vo dal lido lontan, che più non ode,, 
E a prima onda dell’alto ancor non sono; 
Veggo ( non parmi no, ma veggo il vero ) 
Visitar le tue scuole il grande Omero. 


Veggo fra i dotti alunni di Crotone 
Le arcane leggi, e ì sensi astrusi , ignoti 
Della natura investigar Platone, 
E segnar delle stelle i nomi, i moti. 
È misura del tutto la ragione 
Vengon , tornano al cielo, o per i vuoti 
Corpi trasmigran l’ alme : attesta Iceta 
La terra in moto, e fermo il gran pianeta . 


Dan gli oratori alla fiorente Atene 
La libera Lentini , e Siracusa ; 
Ed Epicarmo alle notturne scene 
L’ azione distingue, in pria non usa. 
Suonan le dolci boschereccie avene 
Al fonte della vergine Aretusa, 


148 
Là ’ve Tifeo dal mar, ch' a’ piè gli geme, 
S’ alza alle stelle, e le minaccia, e freme . 


Ivi il gran Geomètra i rai del sole 
Ritorce ad arder le navali antenne , 
E pone in mar la smisurata mole , 
E può dar fino al moto e piedi e penne. 


Rammentata la maestosa ed altera lingua del Lazio, in 
cui son maestri d’ ogni età, d'ogni gente Tullio, Orazio, 
Virgilio; rammentata la sua amabile figlia la lingua 
Italiana, e il famoso Toscano metro, che tanto piace in 
Parnaso, così nuovamente dispiega il ‘volo : 


Ma come in questa mia , che per le valli , 
Che pei campi di Marte alto rimbomba , 
In questa , che di fanti , e di cavalli 

E d’amori ha vaghezza epica tromba 
Lasci ogni altro idioma ad in*ervalli , 
Com’ aquila col vol lascia colomba, 

Così a me sei, che men diletto al suono , 
Concessa , o Italia, e la tua musa io sono . 


Qual altra al plettro d’or , dolce canora 
Rima , o al bronzo guerrier , me’ s’ accompagna ? 
Diletto n’ ha chi gli alti studj onora , 
Chi umil s' adopra , è al viater compagna, 
La canta il marinar sull’ alta prora , 
Il mietitor n’ allieta la campagna, 
E ne traggon cantando ore beate 
Gli amanti , e le donzelle innamorate . 


Quello che il doppio mar, che l’ alpe aggira 


Dolce ciel , fertil suolo , ier benigno, 

In cui nè taurò , arando , il fuoco spirà , 
Nè lion rugge ;'ò fischia angue maligno , 
Dal suon'dell’ aurea venosina lira 

Mosso , e dal vol del mantovano cigno , 
Quel dolce ciel, chi lo respira , tiene 
Ardor d’ epico canto entro le vene .. 


Le altre muse a vicenda sciolgon la lingua a ‘lodare 


ognuna quella nazione d'Europa, della quale esser vuole 


la custode e la protettrice. Melpomene si prende la balia 
della Francia , Talia della Spagna , Clio d’ Inghilterra, 
Euterpe dell’ Alemagna. Predice' Polinnia la più re- 
mota civiltà della Russia . Tersicore consola Cadmo 
della barbarie in cui ha visto cader la sua Grecia, e lo 
assicura del nome'eterno che avranno le cose greche. 
della venerazione , e direi idolatria , in cui saranno te- 
nuti finoi ruderi dei monumenti, i più piccoli avanzi 
delle arti belle . Delle quali arti, per insinuare che fi- 
glie, sono dapprima del core poi della mente, canta 


Erato in teneri e pietosi accenti come traggono l’ ori- 


gine dal ritrovamento d’ un amorosa fanciulla. Dal co- 
steli fianco la bellica tromba vuol divelto il caro giovi- 
netto che è vicina a chiamare suo sposo . 


All’ annunzio primiero ella le chiome 
Stracciasi, e cade fuor de’ sensi , e senza 
Moto ; pur riavuta a usar s’ appresta 
Quanto può dell’ indugio che le resta . 


Vuol ch’ ei non ceda alla guerriera pruova , 
E sovra gli altri comparisca armato . 
E gli forbisce il freno , e gli fa nuova 
LA Li Ottobre 10 


150 

La fascia , da cui pende il ferro a lato, 
E gli impiuma il cimier : talor le giova 
Di veder come appare in sella armato; 

Il vede , e le par bello, e in cor ne gode, 
E più se ne innamora, e gli dà lode , 


Ma se nel contemplarlo le sovviene 
Dei rischj , a cui s' espon , tutta smarrita , 
E lagrimosa tra le braccia il tiene , 
E che conservi quella cara vita 
Gli raccomanda, a cui la sua s' attiene 
Tenacemente in un sol nodo umita , 
Ed ei l’affida e riconsola, e fede 
Promette a lei, che fedeltà gli chiede . 


Ma è giunta la notte che precede la dura partenza 
Oh come ogni ora è a‘correr lieve ! 
E tutta infin all’ alba si produce ; 
A sorsi ia donzella il tempo beve, 
E piange, e dice: oh! ti foss' io compagna , 
| Caro , fra Varmi ostili alla campagna! 


Potessi aver di te quest’ ombra, sola , 
Che nel muro qui fai contro alla face! 
Non posso averla , che con te s' invola . 
Non posso averla ha quì s’° arresta e tace: 
Amor le spira la novella scuola ) 


Tolto un carbone di spenta brace dal focolare , 
Medita seco alquanto , e si ricrea 
Nella sua meditata operazione , 


I5I 


E tutta piena della nuova idea 
Aguzza al pavimento il suo carbone ; 
Poi s’ alza ( amor che in mente ne la crea 
Con essa intento all’ opera si pone ) 
Colloca essa l’ amante sì che il vede 
Nell’ ombra intero dalla fronte al piede 

Il mette in loco incontro al lume opposto , 
Talchè col ver convenga la figura ; 
Tropp' alto o basso , 0 più presso o discosto 
Esser non dee, ma ben messo a iisura . 
Lo prega quindi che non cangi posto , 
E pazienti in quella positura . 
E vuol che stiasi in atto d’ aver spinto 
Il passo , e piè da piè mostri distinto . 


Quindi del suo carbon facendo stilo 
Va dell’ ombra a cercar l’ ultima traccia 
Giù con linea sottil per il profilo 
Della fronte gentile , e della faccia , 
E scende giù pel collo, e il negro filo 
Trae pel petto , pei fianchi, e per le braccia 
Fino alle piante , e scansa sì che 1’ ombra 
Sua quella dell’ amante non ingombra . 


Poichè segnato.ha quanto l’ uomo aggira , 
Fa che il giovin si scosti , il qual si guata 
Nella parete impresso , e l’opra ammira, 
E bacia quella man che l’ha formata . 

Di gioja e di piacer quasi delira 

La novella pittrice innamorata , 

E consultando l’ esemplar ritocca 

. Or gli estremi del naso, or della bocca . 


152 

Pur osa entrar dove lasciato ha bianeo 
L’ ombra di tutto il corpo entro al confine, 
E fa la veste rimboccata , e il fianco 
Ricinto , e sulla testa increspa il crine ; 
Il braccio trae fino alla s salla, ed anco 
( Amor la regge con sue man divine ) 
Sotto la fronte il curvo ciglio imita , 
E l'occhio ch’ è del volto anima e vita. 


Un punto sol che accenni la pupilla 
É bastante a dar lume a tutto il viso . | 
Compiuta è l’ opra , ed apre omai tranquilla 
L’ aurora il primo mattutin sorriso. 
Ma già la tromba militar che squilla 
Vuol dall’ amata l’amator diviso . 
Tre volte e. tre s° abbraccia e quella , e questo ; 
Addio , fido ti parto , e fida io resto. 
L. BorrINI. 
( Sarà continuato ) $ 


FILOLOGIA 
Al sig. Direttore dell’ Antologia 
LO STAMPATORE 


n NR sera, quando tutti i miei lavoranti avevan fatto 
festa, essendo rimasto solo nella stamperia, mi posi a 
correggere le stampe del vostro giornale; ma la noia del 
lavoro, Vl ora e la solitudine mi conciliarono il sonno : 
mi venne una cascaggine, e mi addormentai colla testa 
appoggiata sopra la cassa dei caratteri. Non saprei dir 


153 
dopo quanto fui risvegliato da un bisbiglio, che mi ac- 
corsi esser fatto dalle lettere contenute nelle cassette: 
stetti in orecchi, e potei sentire ciò che gravemente di- 
scorsero quei pezzetti di piombo. Ascoltai con atten- 
zine; e per quanto mi sembrassero frivoli e pedante- 
schi i loro discorsi, pure penso doverli a voi comunicare. 


Ecco qual fu il 


Dialogo fra I, e V O. 


1.Chi mi vuole in un modo, chi in un altro. Questi be- 
nedetti scrittori mi voglion far perdere quel poco 
di capo che mi è restato. 

O. No, caro fratello, il male non istà nel capo ma nella 
coda, subitochè, come mi dicevi, alcuni ti vorrebbero 
con essa, altri senza. Ma per mio avviso hai più ra- 
gione di dolerti de’ primi , che ti costringono ora a 
prendere, ora a depor lo strascico. 

I. Sta però a vedere chi è dalla parte del torto o da. 
quella della ragione. Per esempio: chi mi vuol con 
la coda dice che in tal forma mi ebbe, secondo i] 
bisogno , anco la lingua latina; e che la fiorentina, 

che ne è figliota debba avermi essa pure. 

O. Cotesta veramente non è buona ragione. I latini 
avevano ancora l’ issilonne, i dittonghi «e ce, il ph 
per effe , il #i per zi. Ma i nostri volgari non iscri- 
vono nè zephyro, nè praetio, e per conseguente 
possono fare , e fanno ammeno di scrivere jumbo, 
Jattura , jota, jonico, judicio , jugulari , jurispe- 
rito, ec. 

I. Ma quando mi appiccan la coda mi danno a credere 
che io divento una consonante. 


1540 

O. Bell onore che ti fanno di metterti lo strascico per 
isnaturarti, e dalla dignità di vocale degradarti, e 
farti perdere voce in capitolo! E poi, vorrei che mi 
dicessero coloro come puoi divenir consonante, men- 
tre conservi il suono di vocale? Tu sai pure che m. 
Lionardo Salviati, sostenitor dell’ onor tuo, ha detto: 
nè i alcuno consonante, per quanto io sappia, co- 
nosce la lingua nostra. 

I. Transeat in quanto all’ appiccarmi la coda per met- 
termi in capo o in corpo alle parole: ma la questio- 
ne verte sopra un altro punto . Si tratta di stabilire 
in quali parole io debba metter fuori o ritirar la 
coda 

Come face le corna la lumaccia. 

O. Ma che bisogno vi è di cotale operazione? 

I. Perchè dicono che colla coda io determino il signifi- 
cato di alcune voci, le quali senza questa mia ap- 
pendice sarebbero di dubbiosa significazione . 

O.E dove fondano questo? 

I. Sull’ autorità, sull’ uso o pronunzia, e sulla ragione. 

O.I fondamenti veramente mi paion buoni . Sull’ auto- 
rità: di chi ? 

I. Di lovo stessi. 

O. Un testimonio di sè medesimo? si comincia male. 
Questa non te la meno buona. Passiamo all’ altro 
fondamento. Cosa dicono rispetto all’ uso e alla pro- 
nunzia ? 

£. Dicono che in tutte le voci che han la terminazione 
in 0, queste due vocali si convertono nel plurale in 
un i più strascicato e quasi doppio. 

O.In tutte le voci? No certo. Tondo come io sono ho 
buono orecchio, e non sento che usualmente parlan- 
do si pronunzi occhi, ranocchi, contrari, lunari ec. 


155 
con terminazione diversa da quella di stocchi, al- 
locchi, rari, somari ec. 

Z.Tu hai detto: non in tutte: dunque in qualcuna la 
cosa sarà vera ? 

O. Hai ragione: ma prima di risponderti su tal proposi- 
to, dimmi qual’ è il terzo fondamento, cioè la ragio- 
ne, e poi ti dirò quali sono le parole che differiscono 
fra loro nella pronuncia della loro terminazione 
plurale. 

I. La ragione, dicono, è di determinare il significato di 

‘alcune veci, le quali senza un j colla dalla potreb- 
bero confondersi con altre scritte con gli stessi ele- 
menti alfabetici, ma di significato diverso , come 
per esempio giudici e giudicj, principi e principj, 
supplici e suppliof adulteri e adulterj, auguri e 
augurj oratori € oratorj, pretori epretorj,senatori 
e senatorj , e tante e tante altre della stessa farina. 

O. Caro fratello, con quel poco di capo che tu hai con- 
sidera bene se veramente quel che distingue il si- 
gnificato diverso di queste voci sei tu, oppure la vo- 
cale della sillaba che ti precede, e vedrai che nella 
terminazione plurale di giudice, principe, supplice, 
adultero, augure, la vocale della sillaba antece- 
dente è breve, laddove nella terminazione plurale 
di giudicio, principio, supplicio, adulterio, augurio 
è lunga. Così l’ officio di determinare il significa- 
to di queste e simili parole non è di te che le ter- 
mini, ma delle vocali che ti precedono, le quali sono 
lunghe o brevi nel singolare, e tali si mantengono 
nel plurale . 

I. Mi torna: ma chi legge una parola e la trova scritta 
con le stesse lettere . . . . 

O. Lasciami prima finire. Rispetto poi a quelle vocì 


156 

nelle quali io intervengo a formare la penultima 
sillaba, tocca a me e non a te a determinarne il di- 
verso significato. In fatti mi fo aperto in senatorio, 
oratorio ec. e tale mi mantengo nel loro plurale; e 
mi fo chiuso , e tale mi Tania anco ne’ plurali 
di senatore, oratore ec. 

I. Hai tu finito ? 

O. Per adesso. 

I. Dunque continuerò la mia domanda. Ma chi legge 
una parola scritta con le stesse lettere, come potrà 
fare a distinguere se essa significhi una cosa piutto- 
sto-che un > altra? 

O. Lo farà colla stessa regola, colla quale distinguerà 
rocca stromento da filare, da rocca fortezza ; rosa 
fiore, da rosa dal verbo rodere; tenere verbo, da te- 
nere adiettivo femminino; leggere verbo, da leggere 
adiettivo plurale : lo stesso delle voci scaliro nome, 
da scalino verbo; ancora avverbio, da argora stro- 
mento di marina; martora verbo, da martora ani- 
male ; nelle quali parole le stesse lettere significan 
cose diverse secondo che le penultime sono pronun- 
ziate brevi o lunghe : e siccome l’ intelligenza del 
lettore supplisce tenendo dieiro al senso, ove. man- 
cano segni di brevi e di lunghe, così può anco sup- 
plire in questi casi; e con questo solo aiuto sì cono- 
scerà se mendaci , procacci ec. provengono da men- 
dace 0 da mendacio, da procacciare 0 da procaccio 

I. Sicchè con questo tuo discorso intendi persuadermi 
non dovere io mai mostrarmi con la coda, nè per 
autorità, nè per uso di pronunzia , nè per ragione. 
Ma quando si trattasse di toglier con tanto poco, 0 
con qualche altro segno distintivo, ogni dubbiezza 
al lettore, che male vi,sarebbe ? 


157 

O. Se tu desideri che si agevoli a chi legge l’ intendere 
quelle voci che espresse con le stesse lettere han 
diverso significato , non basia il soccorso della tua 
coda; perchè da quel che ho detto avrai compreso 
che vi sono altre voci, oltre a quelle ove tu inter- 
vieni, che avrebbero bisogno d’ un qualche con- 
trassegno. 

I. Per esempio, parlando sempre rispetto a me; taluni 
pongono un accento sul mio i di teologia , leggia- 
dria ec. e in una edizione di Dante, nella quale an- 
ch’ io feci la mia parte, alle parole 

hp eveiper'lecmote 
Di questa commedia, lettor, ti giuro, 
mi trovai per la prima volta a comparire accentato 
in commedia. Se è stato fatto così per voci che 
hanno un solo significato, perchè non far lo stesso 
“ riguardo a quelle che ne hanno due , e perchè non 
mettermi un accento acuto nelle parole scio verbo, 
giudici da giudicio , principi da principio, per di- 
stinguermi dai plurali di giudice, principe e dauscio 
nome? Allora potrei anco sperare di non vedermi 
obbligato a concorrere doppio al fine delle parole 
beneficii, olii, ozii, viaggii, occhii, orecchii, nibbii, 
‘ stipendii ec. 

O. L’incomodo di raddoppiarti non lo puoi scansar 
sempre, ma il caso non è sì frequente come pare 
che tu tema. 

I.Tu mi rincori: perchè se tutti serivessero coll’ orto- 
grafia di certuni, povero me, che mi dovrei raddop- 
piare le tante e tante volte! 

O. La necessità di raddoppiarti alla fine di alcune pa- 
role plurali vi è tanto per te, quanto per la vocale e 
ogni qual volta formar volete la desinenza plurale 


158 
d’alcune voci, che nel singolare han dopo voi imme- 


diatamente un’ alira vocale. Così il plurale di dea, - 


assemblea esige che l'e si raddoppi facendo dee , 
assemblee, per la stessa legge per cui tocca a te a 
prendere il mio luogo per fare i plurali mazsolei , 
cammei , trofei. Per la stessa ragione sì è creduto 
che tu ti potessi raddoppiare in tutti i casi nei 
quali io vengo dopo te nelle desinenze. singolari , 
cioè in tutte le voci che terminano in io, allorchè si 
volessero condurre al numero dei più . . < Bada be- 
ne, quello che sono per dirti non lo dire a nissuno, 
altrimenti mi si griderebbe la croce addosso. 

I. Parla con libertà, e fidati della mia segretezza . 

O. Le desinenze diverse della nostra lingua sono in nu- 
mero di 5538; e fra queste ve ne sono 183 che co- 
minciando alfabeticamente dalla desinenza abbio 
nelle parole stabbio , arrabbio, e scendendo fino 
alla terminazione uzio come in Manuzio, \erminano 
in zo, precedute queste due vocali da diverse com- 
binazioni di una vocale e più consonanti , le quali 
formano una sillaba antecedente. 

Z. Come? e tu ti se’ messo alla pazienza di contarle? 

O.Io no; ma v'è Girolamo Rosasco che le ha contate 
per me. Non mi far perdere il filo. Fra tutte que- 
ste 183 terminazioni in î0, ve ne è una sola compo- 
sta di due sillabe; e questa è la desinenza di natio, 
desio, mormorio, zio. Nel rimanente delle altre 132 
(non lo avere a male) tu non ci fai la figura di sil- 
laba , anzi appena vi si sente la tua voce , e il tuo 
suono rimane confuso e superato dal mio; come in 
cordoglio, occhio, cerchio, coraggio, tralcio ec. 
Ora io dico che debbono terminarsi nel plurale con 
due ii le sole voci, nel singolare delle quali da desi- 


159 
nenza in io è di due sillabe, e nelle quali il suono 
dell’i si sente distinto, e dello stesso valore del suono 
dell'o. Così scriverassi con due ii nati, desii, zii, 
mormorii ec., nelle quali voci le due vocali nel sin- 
golare formano essenzialmente due sillabe distinte, 
e ove tu ti fai sentire quanto me. Vedi un poco, per 
avere adoperato diversamente, che cattivo suono ha 
quel verso dell’ Ariosto ove ha voluto che tu facessi 
una sola sillaba unito a me nella parola mormorzo ; 

Ch’ i viandanti col mormorio grato; 
nel quale, se la parola mormorio si pronunzia come 
si deve, il verso è di dodici piedi. — 

I.Ha ragioné , son dodici sillabe. Pure, come va che 
in mezzo ai versi spesso trovansi parole con questa 
terminazione, la quale tiene luogo d’una sillaba sola? 
per esempio : 

Ma io perchè andarvi, o ch’ il concede? 

Allor vid’ îo maravigliar Virgilio ; 

Così l'animo mio ch’ allor fuggiva : 

Auz' impediva tanto il n270 cammino: 
son tutti versi di Dante, ove io, m270 è sempre fatto 
di una sillaba sola. 

O. Io non la so tanto lunga da renderti ragione perchè 
alla 2, 4, 6, 8, e 10 sillaba, senza che l’ armonia 
del verso ne patisca, sì trovino queste due sillabe che 
non appariscono che una sillaba sola: e perchè non 
si trovi quasi mai e forse mai, un zo alla 5, 7,€ 9 
sillaba, ove renderebbe il verso endecasillabo di- 
sarmonico , il che io credo che i poeti chiamino 
senza giusta collocazione di accenti. 

I. Sarà vero: ma io vorrei sapere perchè . : 

O. Io non ho mai studiato come tu sai, e quel che ti 
ho detto l’ho casualmente imparato fra le mani 


160 
de’ compositori. Anzi non vorrei che tu prendessi 
in contanti le mie parole. Dico ciò a te in confi- 
‘denza. Il ciel mi guardi da palesare la mia opinio- 
ne a chi fa professione di letterato e di scrittore. 

I. Dimmi dungne la tua opinione. 

O.A me pare che tu debba raddoppiarti in fine delle 
voci di terminazione plurale, solamente quando tu 
ed io facciamo uniti insieme due sillabe nella de- 
sinenza singolare, cioè quando sei pronunziato di- 
stintamente nel singolare. 

. Per la stessa ragione se io sono sentito, non quanto te 
ma poco meno, nelle desinenze di pallio, cranio, al» 
cionio, stadio, dilanio, patrio, previo, pervio, esi- 
mio, plebeio ed in alcune altre, ove mi si sente assai 
più che in viaggio, laccio, occhio, cerchio ec. . . . . 

0). Sta bene, potrai intervenire nel plurale raddoppiato, 
perchè si pronunzia alcionii, pallii, previi, dilanii 
ec. poichè ne’ loro singolari sei pronunziato con un 
suono più distinto : ne convengo; ma tu converrai 
meco che sarebbe ridicolo vedere scritto viaggii, 
laccii, coraggii, vestigii, e cento e mille altre voci 
di tal fatta, perchè la loro pronunzia non lo vuole. 

I. Ma che male vi sarebbe se col sussidio d’ un è solo, 
d’un j lungo 0 di un fi doppio si disbnguessero le 
voci di diverso suono e di diverso significato? 

O. Non ti dico che vi sarebbe un male; ma questo com- 
penso servirebbe a pochissime voci, mentre che le 
parole che avrebbero bisogno d’ essere distinte sono 
moltissime. Cosa direbbero le tante voci di signifi- 
cato doppio, se non fossero elleno pure prese in con- 
siderazione ? 

I. Basterebbe il cominciare . Ho sentito bucinere che ci 
sia chi ci pensa, e dopo aver proposto l’ / colla coda 


161 

e i due ii, vorrebbe degli accenti gravi, acuti e cir- 

conflessi per determinare i diversi significati delle 

voci scritte con le stesse lettere. 

O. E quando la pronunzia assegna loro lo stesso suono, 
come farà? Quando sì troverà scritto amo, quali se- 
gni vi sì porranno per distinguere un istromento da 
pescatori, dalla prima persona del verbo amare. I 
verbi , ed in spezial modo quelli della prima co- 
niugazione, hanno una o più voci che han due diversi 
significati: amo, ami, amate, amare ; calza, calza- 

“to, calzare; consolo, consoli, consolato, consolare; 
linea, lineato, lineare; leggere, legge, leggi, letto. 
In tutti questi casì ed in altri moltissimi, non baste- 
rebbe segnare le chiuse e le aperte, le brevi e le lun- 
ghe. Aggiungi che vi sono parole, le quali in vece 
di due hanno tre significati. enzo per timone, per 
timore, e verbo. i 

E volto al temo ch’ egli avea tirato. Dante. 
Per femo risposono, in gridando, che sì. Bembo. 
I’ temo sì de’ begli occhi l'assalto. Petrarca. 
Tema per timore, per soggetto, e come. verbo. 
Dì questa fema acciochè tu ti solve. Dante 
Perocchè sì mì caccia il lungo tema . Dante. 
Accioch' egli (non se ne avvedendo quasi le bar- 
be) non tema. Davans. 
Nell'esempio di amo ec. a quali segni ricorrere men- 
tre le quattro voci sono nell’istessa modo proferite ? 
Lo stesso dicasi degli ultimì surriferitì esempi. 

I. Per mia fe’ mì pare che tu abbi ragione. Ma non te 
ne stare al mio giudicio ; perchè sai ch'io sono di 
poca levatura. Ma avendo tu tanta roba in corpo, mi 
pare che se diraì tutte queste cose al proto, egli po- 
‘trà tenerne discorso co’ letterati che capitano alla 


162 

stamperia, e farne qualche caso nel giornale, ove tu 

pure potrai figurare col dignitoso carattere di autore. 
O. Non ci mancherebbe altro. Ti pare che io volessi 
dettar leggi ai letterati! Ho dette queste cose teco, 
così per passare il tempo; ma non presumo tanto 
di me da sedere in cattedra, e di tener lo campo 
contro chi scrive e stampa. Anzi tutto ciò che ho 
detto sia per non detto; e desidero che tu te ne 
dimentichi anco nell’ occasione che il compositore 
ti ponga accanto a me, componendo ‘epitaffio, 0 ti 
raddoppi nel comporre orecchii, o ti ponga la coda 
nella parola capriccj . 

D. 
POESIA 


Canto funebre di Gio. Rosini, in morte di Vir- 
GINIA Orsucci nata BoccELLA. 


I Rosini ha dettato in quest’ anno molti epitalamici 
versi. Ora ci mostra la lira sua temprata a funebri 
note. E chiunque oda il suo canto, a pietà si com- 
muove. La giovane Virginia, bella, spiritosa , inge- 
nua, e valente nella musica e nel disegno , ottiene 
dalla fortuna un geniale consorte. Ma poco dipoi in- 
comincia lo sposo a languire, e di lento e irrepara- 
bile morbo muore, senza lasciare alcun figlio . Sic- 
chè Virginia si duole, e non ha conforto. Amava il 
marito, e lo ha perduto: bramava esser madre, e 
non riceve le filiali carezze. Nè ciò è il tutto: poi- 
chè Igea nemica le infonde in seno lo stesso vele- 
noso umore, che consumò lo sposo. Ella però è sa- 
via, e non sbigottisce, quantunque debba affliggersi 


163 
dello stato presente e conoscere il termine della vita 
sua. Ritorna quindi appresso la madre: ‘attende alla 
musica, disegna , legge, conversa: e nel colloquio di 
pochi ma buoni e virtuosi amici par ch’ ella riprenda 
vigore, poichè a poco a poco disgombra la mestizia. 
Funesto errore, cui altro errore conseguita! Virginia 
spera miglior salute: i‘suoi amici la credono guarita : 
e nuovo sposo offerendole novello amore , essa ‘nol 
fugge, perchè 

Furon l’ armi novelle un’ alma eguale , 

Schietto cor, franco labbro, e pari ingegno : 

E con lor l’Amistà, che quando unita 

È con Amor, compie con lui la vita . 
Nè le feste nuziali, nè i primi giorni dopo l’imeneo , 
non furono turbati per alcuno accidente. Anzi adempì 
Virginia il suo desiderio, poichè divenne gravida 
d’un figlio. Ma questo era appunto il segno fatale ! 
Il suo destino voleva ch’ ella desiderasse il’ proprio 
danno: così lor sorti son fisse agli uomini! Infatti 
fu subito ripresa da quel malefico umore, che si era 
mitigato, ma non estinto . E Virginia ebbe il figlio, 
ma non potè godersi neppure di abbracciarlo soven- 
te, per paura di renderlo partecipe del male suo. 
Il fanciullo vive: la madre è nella tomba: cantia- 
mo insieme col poeta le note funebri. 


LI 


Ed è ver, che già chiusi al sonno eterno, 
Nel fior della ridente Primavera, 
Sien quegli occhi soavi ? e il gel d’ Averno 
qPrema quel cor , cui già l’ egual non era ? 
Ed io, che intorno al talamo materno 
Intuonai gl’ inni, e dalla terza sfera 
Chiamai l’ alma di Laura in seno a Lei, 
Prender l’ arpa dovrò da’ tristi omei ? 


164 


Pende là, dov’ ancor giace la cara (1) 
Spoglia di bel Fanciullo infra i cipressi ; 
Nè parea che sì tosto, e per sì amara 
Cagion , ritorla fra le man dovessi : 

Ma poi, che al soffio della Parca avara ,' 
Scioltasi l' alma dai terreni amplessi , 

I suoi cari lasciò tra l’ ombre e ‘1 pianto ; 
Tempra, o mesta Elegia , le corde al canto. 

Come rosa da brine ancor non tocca , 
N° era il volto ai sembianti ed al colore : 
Se apriasi al riso la purpurea bocca , 

N’ apparia l'innocenza ed il candore : 

Di neve al par, che senza vento fiocca , 
Scendean le dolci parolette al core : 

E ardean le luci, in un modeste e belle, 
Come di Leda in cielo ardon le stelle - 

Piovea dal guardo , se moveasi in giro, 

Sì puro incanto ed inusato affetto , 

Che spuntar non osava anco un sospiro 

Da quanti il cor più palpitava in petto . 
Parea disceso dal superno Empiro 

Sotto umane sembianze un Angioletto , 
Che , troncarido al desìo la speme e l’ale, 
Rapìa nostr’ alme oltre ’1 confin mortale . 


Ben lo conobbe il mondo, ancor che guasto 


Là corra, ov’arde la licenza e il gioco ; 

Ed alti sensi in cor gentile e casto 

Folle disprezzi, o nulla curi, 0 poco ; 

E dicea , nel mirar sì gran contrasto , 

Indegno è di Costei sì basso loeo ; 

Per error sì bell’ alma in sì bel velo 

Scesa è quaggiù : già ne l’ invidia il Cielo. 
Tal sul fiorir del quarto lustro apparse 

Nova Psiche alla terra : aura pudica 

Le spirava d’ intorno ; in Lei cosparse 

Parean le Grazie della sorté amica , 

E di Pallade i don. Videla, e n° arse 

Amore , ed obliò la fiamma antica : 

Ma in seno accolto a pavido consorte , 

Obliar non potè le ferree porte (2) , 


Era 


fe 


dittico 


È 165 
Che l’ aspra cura , onde i gelati affanni 
Germoglian nel diletto e nel desìo , 
Ch’ or di tema si pasce; ora d’ inganni, 
E i fiori attosca , che ’l piacer nudrìo., 
Sì forte lo premea co’ feri vanni , 
Ch’ a ogn’ uom la tolse il prepotente Dio. 
»» Ella saggia ed umìl di quel, che piace 
»» AI suo signor, fa suo diletto e pace - 
Or, destandone il suon , con facil arte , 
Sugli armoniei bossi erran le dita ; 
Or sulle molli.tele., or sulle carte , 
Il pennel volge, o la sottil matita : 
Or volume gentil; dove cosparte i 
Han lor grazie le Muse, a sè l’ invita : 
Ora il Frigio trattando ago e la spola, 
Questi giorni vivea contenta e sola . 
Chè in angeliche tempre anima eletta 
Di sè si pasce, e sol di sè si bea . 
Ma ne il suon delle corde ; 0 la diletta.» 
Matita, oi canti di Pieria Dea , 
Trattennerl’ ale della rea saetta , 
Che invisibil la colse ; e nol credea : 
Qual giglio senza umor già non sentia . 
Lentamente languirsi, e pur languia . 
E verche spento anco non era il foco 
Del casto raggio ; che splendeagli in viso ; 
Nè a’ repressi sospir ceduto il loco 
Aveano i lampi del divin sorriso : 
Ma la rosa e il ligustro a poco a poco 
Cangiavasi in viola ed in narciso ; 
E alle gote, alle labbra, al mento, al ciglio, ‘ 
L'ombra. apparìa di non lontan periglio , 
Ma poi che piacque alla fatal.sua stella , 
Dal presto vedovato infausto letto, 
Ridurla in parte , ove traea sì bella 
Vita fra i pegni del materno affetto : 
Perchè , perfida Dea, Speme rubella , 
Invocata scendesti ? E il falso aspetto 
Mostrando Sanità , de’ suoi colori 
Le pinse il volto ? esca novella ai cori ! 
T. IV. Ottobre II 


166 


Giurato ‘avresti che dall’onda algosa 
Sì fresca non appar la Dea vermiglia , 

Nè così sfavillante e rugiadosa 
La vaga stella , che ad amar consiglia. 
Spiravano i suoi labbri aura odorosa ; 
Più vivo era il fulgor delle sue ciglia; 
Fatte avorio le braccia; e colmo, e pieno 
Il molle fianco, e ritondetto seno. 

Tutto parve cangiarsi< A Lei davante 
L’avvenir senza tema alfin s° apria : 
Cresceano i vezzi del gentil sembiante : 
Dei cor la voce riprendea: la via. 

De’ cari studj e dei silenzj amante , 
L’onte obliando di sua sorte ria , 
D' elette cose , colle luci intente , 
Tesor facea nella tranquilla mente . 

Ah! perchè mai mella segreta stanza , 

Tra l’ eletta de’ suoi breve corona , 

Di pietade apparir vide in sembianza 

Colui , che il pianto ancor non abbandona ? 
E perchè gli aprì "1 core alla speranza 

3» Il Dio, che a nallo amato amar perdona ? 
Funesto error ! Se per error cangiato 

In terra esser. può mai l’ ordin del Fato! 

Invan tremante del Garzon fatale 
Fuggì le note fiamme e il giogo indegno : 
Per Lei cangiato avea d’arco e di strale 
L’ alto Signor dell’ Acidalio regno . 

Furon l’ armi novelle un’ alma eguale , 
Schietto cor, franco labbro, e pari ingegno : 
E con lor l’Amistà , che quando unita 
È con Amor ; compie con lui la vita . 

Ma forse non avea per anco Imene 

Il vel riposto dal trapunto lembo , 

Nè strette le dolcissime catene , 

Che sordo già romoreggiava il nembo ! 

Ma poi che arrise alla materna spene 

L’ infausta Dea , che fecondo!le il grembo , 
Spense Imeneo la face ; e in veste bruna 
Scese la Parca a preparar la cuna, 


167: 
Corhe il mistico, angel dall’ arte (espresso , 
Ed in Pindo..cantato.e in, Elicona/ (3) , 
Per novello «d? amori tenero eccesso ; 
Tra i smorti figli, che li fan corona, 
7 Pungesi il petto , e del suo sangue istesso 
Mentre li paste ; la vita, abbandona ; 
Sì la tenera madre , i giorni sui 
Consacra al figlio. ; e va morendo! in lui . 
Fur gl’ .iterati amplessi, ed. i vagiti, | 
L'ultima gioiadi quell’ alma pura : 
Ch? ai lacci stessi da; Lucina orditi , 
Pendea la trama della sua sventara! 
Lividi gli occhi',.i;labbri scoloriti , 
Peste le gote.,le macilenta e scura 
La pélle , che fiorìa di bel candore , 
Dicean: Morte rapì l'arco ad Amore,, 
O del folle mortal breve conforto ; 
»» Che nel vago confin d'un fragil viso , 
Con gli ebrj sensi e .l’egra mente assorto, 
»» S' apre in terra a sua posta un Paradiso ! 
Chi potrebbe in quel volto esàngue., e smorto, 
E in quel languido sguardo a terra fiso; 
Riconoscer Colei , che' col giocondo 
Riso allegrava la matura e. il mondo ? 
Numi! qual m’ apparì stesa sul letto, 
Posando il debil mento ‘al. sen languénte ! 
E benchè l’ ombra del’ cangiato aspetto 
Già figurassi ‘alla presaga anénte , 
Tremando mi. sentii passar il petto , 
Quando la scarna man soavemente 
Ultimo pegno d’ amistà ne porse... 
Pur nè del duol, nè’ del tremor. s’ accorse : 
Che aprendo un riso, e) cara in suo pallore , 
Qual se, un arido giglio, apre le’ foglie, 
Anch' io le sorridea per gli'occhi fuore ; 
In sen premendo le angosciose doglie | 
Nè con qual sentimento ; e con qual core 
Là stetti , e alfin lasciai le infauste soglie , 
Saprei ridir ; ch’ erami*sempre innante 
Quello sguardo ; quel riso; e quel sembiante . 


108 


E freddo; e muto , e sconsolato , e lento , 
Volgeva all’ Arno sospirando il passo ;’ î ba 
E m' era nel cammin nuovo tormento ‘’ ro 
Ogni arbore ; ogni fonte , ed'ogni sasso; | | #1 
Che ciascun parea dirmi in tristo accento ; 4% 
Noi tutti rivedrai , se‘torni ... ahi basso; 0000 
Ma più non rivedrai la cara e bella.» +: «ae 
O crudel fato ! O sua perversa stella ! 

Poi talor:, come sogna egro , o-delira y 
Dicea tra me : fissa dunqu’ è sua sorte:? Hi 
E lo consente il Ciel ? nè pensa ;; e mira J 
Come la speme ne? suoi cari è forte ?:' | 
Nè piegar si potrìa del Fato l’ ira ?. 

Nè Amor saprebbe impietosir la Morte? 
Nè v’ ha pe' Numi Inferni ostia votiva ; . 
Sì che viva languendo ; ma pùr viva ? 
Sorgea ’ntanto la notte ‘orrida e scura , 
Senza il pianeta che nel duol conforta , 
E più tetra la fean l’edace cura, 
Gli ardenti voti, e la speranza morta . 
Ma quando altin le cittadine mura 
Varcando, a tergo risuonò la porta’, 
Parve un chiuder di tomba; e quel fragore 
M' invase i sensi; e rimbombommi al core . 
Da quel dì non mirai che in'nubi avvolto 


Il fonte della luce e’ della!wita ; |» 209 
Nè m’apparse giammai che'fosca vin volto»! È 
La Dea, che al‘sonno ed ai' silenzj «invita!; ++” 
Sì che dicea sovente al Ciel rivolto; sar9T 
Forse l’ ultima sera El ha compita; Moi) 


E l’acerba novella, e la dogliosa AUTRZZO, 

Storia m’ asconde l’ Amistà pietosa . i 
Ma la Speme fallace e lusinghiera 

Render volle più reo l’ estremo istante . 

Barbara ; e lo potè! ma che non spera 

Il desìo d'una madre , e d’ un amante ? 

Misera madre! in quell’ orribil sera 

»» Serenar parve il torbido sembiante , A 

Nel dirle addio! Lunge la volle il fato ; qu 

Nè raccor ne potè l’ultimo fiato . 16) 


169 
(STA Non anco avea dal balzo d' Oriente 
Lentato il Sole ai corridori il freno , 
Che avvolta in una nuvola lucente 
. «Fender la vidi il liquido sereno . 
«xx SStringea la destra la facella ardente 
".°.. Della Fè , che le accese il casto seno : 
vat ' Candido ‘senza rose era il bel viso ; 
Ei rai tutti desìo del Paradiso 
Così volando allesuperneè sfere; 
sin 3 Stehdea dolcé la manca “al patrio suolo, 
‘Dogliosa pur, di tante notti intere 5 
Che trarranno i suoi cari in pianto e in duolo . 
Mi scossi, e dir ‘volea .... Ma le leggiere 
Ale battendo , era sì ratto il volo, 
Che l’ accolse , e si chiuse il Cielo intanto... 
Cessa , 0 mesta Elegìa , cessa dal pianto . 


(1) Ode in morte d’ un Farciullo , scritta nel 1818. 
(2) Vedasi la favola di Psiche . 
1, (9) IZ Pellicano, emblema dell’ amor paterno. Vedasi 


l' Iconologia ) 


7} (0) 
RAGGUAGLI SCIENTIFICI; LETTERARI 
E ‘BIBLIOGRAFICI, “vv 


Notizie istorico-critiche di Fra” Giacomo da vi or'r ita, no- 
bil Terra della Toscana, pr ‘imo ristoratore, ‘dell’ ar te 
musivaria in Italia, suite, quali si parla distintamente 
della detta sua patria, @ delle, altre persone più illu- 
stri, che in diversi tempi wi-trassero loro natali , scrit- 
te dall’ ArUvrcr:Dr- AwnorrisiP.) P.'oiellé dive R. Uni- 
versità di Siena, Bibliotecario di dettavcittà ‘e Segre- 
tario perpétuo dell’ Accademid 59 o RR delle’ Bello Ar- 
ti. Siena 1821, in pri 


| 
/ 


Do poche molto e variamente sì è scritto sopra ‘alcun va- 
lentuomo, è mestieri che venga in campo tale che dili- 
gentemente e con critica esamini ogni opinione, e il vero | 
dal falso disceverando, e le probabili congetture alle vane 
anteponendo, presenti al Lettore quello che unicamente es- 
ser gli può fruttuoso. Ciò fa oggi il ch. P. De-Augelis, 
nato all’ erudito pubblico per non poche opere ed impor- 
tanti, colla prima parte del libro, del quale abbiam riporta- 
to il frontespizio, e di cui ci affrettiamo a dar breve rag- 
guaglio. i 

È disparere tra gli Scrittori se Jacopo o Mino fosse il 
nome del celebre musaicista, il quale dal N. A. detto è a 
ragione primo ristoratore dell’arte sua in Italia ; perchè 
quantunque questa mai nella Penisola non perisse, scadde | 
però alquanto; e a lui deesi la lode d’averla assai renduta 
migliore: o il facess’ egli colle sole forze dell’ ingegno, o 


questo accrescesse colla imitazione degli antichi, come con- 


gettura nella Storia pittorica d’Iualia 1° elegantissimo Lan- 
zi. Or questa questione del nome risoluta è dal Sig. De- | 
Augelis colle sottoscrizioni apposte all’omnere, e con le te- 
stimonianze degli Scrittori, dalle quali è manifesto ch’ egli 
chiamossi Jacopo 0 Giacomo e non Mino. E l’aver ciò pro- 


I7I 
vato giova a stabilire , che maestro Mino pittore diversa 
persona era da fra Jacopo musaicista, e non la medesima , 
com’ha taluno creduto. Sono pur d'accordo gli Scrittori 
tutti, che di fra Jacopo parlano, in dirlo di Torrita. 

S' ignora l’anno in che nacque, e quello in cui finì di 
vivere. Che lunga vita egli avesse, ne sono certo argomento 
la data del 1225, scritta sotto il suo mosaico nella Trribu- 
na di S. Giovanni di Firenze, e quella del 1295, segnata 
nel mosaico ch'egli condusse in Roma alla Basilica di $. 
Giovan Laterano . Il perchè congettura il Sig. De-Angelis 
che nascesse fra Jacopo intorno al 1205, e che morisse no- 
nagenario. E per rendere, oltre al fatto, credibile eziandio 
con ragioni, ch’egli e sì giovane e sì decrepito operasse, 
adduce esempi dell’uno e dell’ altro, tratti dalla Storia del- 
le arti del disegno. Giotto, che di 20 anni aveva assai di- 
pinto im Firenze, nel ventiduesimo fece a Roma la navi- 
cella di S. Pietro: mosaico celebratissimo; e Michelangelo e 
Tiziano, che meraviglie fecero nei più verdi anni, mori- 
rono ambedue decrepiti e nell’esercizio dell’arte. 

Prove di buon criterio dà poi il N. A. nell’ attribuire 
e altri mosaici, e pitture a Fra Jacopo, onde riempiere la 
laguna, che è tra il 1225, e il 1295, date certe di suoi la- 
vori, come sopra è detto, e nel togliere insieme al mede- 
simo opere , che altri senza buon fondamento gli assegnava . 

S' ignora pure qual maestro avesse Fra Jacopo. Il Pa- 
dre della Valle, seguito in ciò dal Lanzi, gli dà quel Gui- 
do, che dipinse nel 1221 la Madonna di S. Domenico. 
Ma riflettendo il Sig. De-Angelis, che quattr'anni dopo è 
detto Fra Jacopo nella iscrizione del citato mosaico di S. 
Giovanni di Firenze prae cunctis arte probatus, opina, 
che, tralasciato ogni altro esame, potrebbe piutiosto dubi- 
tarsi, che Guido fosse stato discepolo del musaicista. Ma 
il vero è che lo stile di questi due artisti punto non si so- 
miglia. Crede però nondimeno il Sig. De-Angelis che Fra 
Jacopo avesse in Siena i rudimenti dell’arte; parendogli 
che le opere di questo abbiano somiglianze con alcune, 


172 i 

ch'egli. novera , di vecchi pittori della stessa città. Opina 
eziandio, e, pare a noi, con ragione, che il meccanismo 
del mosaico ei I apprendesse in Roma, ove in quel tempo 
molti mosaicisti erano ; non potendosi credere col Vasari ed 
il Baldinucci, che Andrea Tafi, il qual nacque nel 1213, 
erudisse Fra Jacopo, che nel 1225 riputato era famoso in 
quest’ arte . 

Spedito il N. A. da queste questioni prende a provare. 
con abbondanza di argomenti, che Fra Jacopo appartenne 
all'ordine minoritico, dileguando i dubbi che ne mosse il 
Wadingo; scuopre l’ equivoco del P. Marco da Lisbona, che 
nelle sue Cronache dei Frati Minori confuse fra Jacopo da 
Torrita con Fra Jacopo da Camerino, che a quello fu aju- 
to: mostra aver errato il Benvoglienti , che opinò esser 
Fra Jacopo lo stesso che Mino degli Ugurgieri; ed in fine 
propende a credere che esso Fra Jacopo mai non iscolpisse; 
come taluno ha pensato, tratto in errore dalla notizia che 
ei lavorò al Sepolcro, il quale Bonifazio VII si eresse viven- 
te, ove in verità altro non fece che i mosaici. 

La' seconda parte di questo libro spetta tutta a Torrita. 
Chi da Montefollonico, dice il Sig. De-Angelis, getta uno 
sguardo sopra Torrita, ravvisa esser ella stata una piaz- 
za d’ armi, restando dalle Torri nascosto il Fabbricato, 
che in molte parti rimane tuttora depresso. Fatta questa 
Terra quasi baluardo dei Sanesi, a molte e luttuose vi- 
cende fu sottoposta nelle frequenti guerre, che questi sosten- 
nero nel tempo di mezzo. Fedele però presso che sempre 
a loro il popolo di Torrita, diè in pro d’essi argomenti di gran 
coraggio e fu prodigo del proprio sangue . 

La Storia di Torrita può dirsi incominciare dal 1208. 
chè innanzi tutto è favola od incertezza . Trascorsisi rapida- 
mente dal Sig. De-Angelis questi tempi, e pervenuto egli ai 
certi ed istorici, questi illustra con assai dottrina ed in parte 
muova, ch'egli trae da libri scritti a penna. Importantissima, 
per esempio, è l’autentica notizia da’ lui datane, che Tor- 
rita ebbe il Potestà assai. prima del 1251, anno che pel 


173 
Muratori è il primo, in che fatta si trovi menzione di questi 
carica nei paesi d’ Italia. : 

Passa quindi il N. A. a descrivere il materiale di Tor- 
rita, dando contezza delle principali fabbriche di essa sì sa- 
cre e sì profane, nota il tempo in che furono erette e quello 
in cui si restaurarono od abbellirono. Riporta le iscrizioni 
che di ciò serban memoria, descrive le opere dell’arti e ogni 
altra cosa, che le nobiliti; scrive in somma di tutto quello 
che riuscir può grato a chi legga il suo libro, e con la 
scorta di esso visitar voglia Torrita . 

Un ragionato novero di alcune persone più illustri di 
questa Terra forma la terza ed ultima parte del libro. Vi 
si trovano uomini ragguardevoli per santità di costumi, per 
iscienze, per lettere, per militari talenti, per onorificenze, 
e per altri pregi: tra’ quali uomini piace veder primo l’ani- 
moso Ghino di Tacco mentovato da Dante, e subietto al 
Boccaccio per la novella seconda della decima giornata. 

ZANNONI. 


Porcus Trosanus ossia la PorcuarTTA ; Cicalata nelle nozze di 
M. Carlo Ridolfi Veronese con Madonna Rosa Spina Ri- 
minese: altra edizione, da’ Tipi Noziti 1821 ( Bolo- 
gna )in 8. 

Setto il nome anagrammatico di Giri dî Luna, un erudito 

e culto scrittore riproduce co’ torchi del Nobili di Bologna 

questa sua cicalata. Lo scopo del suo lavoro ei lo palesa in u- 

na delle tante note, delle quali lo ha corredato . “ Lo sforzo 

»° da me fatto (egli dice) è stato quello di provare un genere 

3» nuovo affatto che non so essere stato tentato da altri, cioè 

» di trattare ed esaurire possibilmente un argomento di anti- 

» Quaria pura in una cicalata, conservando Varia faceta che a 

»» quella conviensi, e alle note analoghe, senza atterrare la ve- 

» rità, 0 attingere a fonti poco noti,,. Per mandare ad effetto 

il suo proponimento egli ha raccolto in questa sua festiva ope- 

retta quanta erudizione poteva mai aver relazione al suo sog- 

getto . 


Il tema di questa cicalata è la Porchetta, vivanda squisi- 


174 

tissima anco de’ tempi vetusti, e dagli antichi chiamata porcus 
trojanus; ,, ed avevan ben ragione di chiamarla con tal nome, 
»» poichè siccome il cavallo troiano; che pure fu inventato da 
‘3, un cuoco greco di nome Epeo, era gravido di armi e di 
3, armati, così la loro porchetta aveva 1’ anima d’ eccellentissimi 
»» ingredienti composta, che formavano assai buono e badiale 
ripieno ,,. 

Dopo aver l’ autore eruditamente encomiato il porco, de- 
scrive minutamente gli usi, i pregi, i fasti, i meriti di quell’a- 
mimale, comprovando ogni suo detto colle più classiche alle- 
gazioni: e se talora sembrar potrebbero inyerisimili molte del- 
le. cose ch’ ei dice, può il lettore star certo che non vi è un 
sol fatto che non sia appoggiato a classiche citazioni. Così una 
scherzevole cicalata diventa una ricca miniera di notizie le 
meno comuni risguardanti a ciò che alle mense, alle vivan- 
de , alle cucine, ai cuochi appartiene ; dottamente errando l’au- 
tore pei tempi antichi non solo , ma per gli eroici ancora racco- 
gliendo sempre naove dovizie di erudizione . 

Scrivendo egli la sua cicalata in occasione di nozze e di 
convito nuziale , entra a parlare ( e sempre con eletta erudi- 
zione d’ogni tempo e luogo ) sull’ appetito, su i famosi man- 
giatori ‘e bevitori : e narra spezialmente i fasti dell’ appetito, 
ch’ ei chiama eroico, con tal possesso de' classici tutti greci e 
latini, e di tutti gli scrittori d’ archeologìa , e con tanto va- 
ga scelta di linguaggio, che più non si saprebbe desiderare . 

A taluno però sembrar forse potrebbe a prima vista man- 
car talvolta la dettatura di naturalezza e di spontaneità , e ri- 
dondare a luoghi di voci e modi di dire meno usati dal co- 
mune degli scrittori , mentre in molti altri è disinvolta e na- 
turale. Per es. e’dice : ,, possa io essere orticheggiato e ramatato 
», se fra le centinaia di migliaia si trovano due o tre buone 
», raccolte ( poetiche ). Il resto ghierabaldane che danno del 
», macco a josa, pantraccole da rabechino ,,. Ma in una sua 
nota si protesta che quanto a parecchi vocaboli da me usa- 
, ti nel testo e nelle note, niuno attribuisca una certa ridon- 
» danza de’ medesimi ad affettazione , ma a semplice scherzo 
:) che ben conviensi alla cicalata: del resto io spero di non a- 
ss verne usati a bizzeffe,,. 

Daremo un saggio del suo stile tanto nel testo che nelle 


“ 
x 
: 
È 


175 
note. Dopo aver parlato sull’ utilità del porco , se la préade 
contro coloro che lo aborrivano . « Or vedete dunque quanto e- 
3 rano sciocchi gli Arabi sceniti, i Fenicie.gli Egizi che i por- 
ici ed. porcari detestavano (27). Gli Ebrei però (che. vive- 
3 vano ;a tempo «i Giovenale ) non se ne; cibavano;; perchè la 
» credevano. carne \somigliantissima all’umana . 

‘Nec distare putant humana carne\suillam. Juv. sat. 15. 
» Maggiore era, salvo ciò che di iloro ‘altrove dirò, la gagliof- 
5 faggine de’ pittagorici., che pur eran filosofi, e ‘si astenevano 
» dal porco , e dei flamini diali. che nemmeno lo toccavano , 
3) Seppure non \usavano \con esso quella convenienza che 1’ affe- 
zione ‘e ‘la somiglianza ‘talora producono . . . Aveva anco il 
sagrifizio porcino la virtù di guarire i matti (35). Ma per 
3 \pietà nonlo dite ‘ad alcuno, affinchè non sivestermini la por- 
3; 'chereccià razza con danno infinito del genere umano . Ficcate 


(07) Calmet Diction. Bibli. verb. porcus. Erodoto Lib. 2, 
cap. 473 diec che se ‘gli Egizi avessero soltanto toccato il porco, 
vestiti vestiti andavano a tuffarsi e lavarsi nel Nilo. Al contra- 
rio î Cretesi lo adoravano, come scrive Atenco, lib. 9; lo 
che «al'dire di ‘Esichio fecero anco i Sami. Il citato passo di 
Erodoto è troppo ‘bello perchè possa omettersi. Suem Aegyptii 
sporcam elluam ‘arbitrantur. Quam si quis vel:transeundo con- 
tigerit, ‘abiit lotum se se cum ipsis vestimentis ad flumen. Pro- 
segue ‘dicendo che ‘niuno s'imparenta co’ porcari, i quali non 
potevano entrare ne’ templi degl’ Iddii . Poco dopo dice che 
potevano però gli Egizi lralighi il porco alla sola luna ( Le- 
vae ) eda Bacco (Libro): e chi non avesse un porco vivo ne 
formavarun finto; usanza comoda e poco dispendiosa . 

(35) Lorenzi presso il Gronovio tom. :VI1. col. 209. 
faceva sagrificare dai mentecatti il porco ai Lari, onde rac- 
quistare la salute della mente , e riavutala sagrificavano un 
altro‘porco. Ved. anco Plaut. Menecm. A. 1, Scen, 2. Horat. 
lib. 2, sat. 3. Usava quindi il proverbio antichissimo , porcum 
immola, per dire sei un pazzo . Nel medio evo servì anco agli 
auguri: Vedasi il. Rodiginio XIII. 35, Martino del Rio, di- 
squisitionam magicarum lio. 3; pag. n8, il quale narra il fat- 
"todi ‘Teodato rè de’Goti } e vi si parla di cose simili. acca- 
dute sotto gl’ imperatorò Andronici. 


176 

» piuttosto una bellissima carota ,;col dire che in tale’ oecor- 
. renza immolavasi il cane o l’asino: mè vi mancano gia anti- 
;; chi esempli di simili sagrifici. ... e nelle cene degli. Dei; ed 
in altri incontri , ed in agosto i cani erocifiggevansi a croci 
3 di sambuco, e questa chiamavasi la festa de’ cani (46); la qual 
»» vorrebbesi salutarmente rinnovata tra noi (47);; - sie 

Se mal non avvisiamo ci sembra. in questi, come in molti 
altri passi, trasparire una certa urbana malizietta, una certa ‘sal- 
sa festività che mostra non essere il sig. Nardi un semplice ‘ar- 
cheologo, ma un saporito autore. og hl 

Sopra la vera struttura dell’ Utero e delle sue Lt 
nenze + Dissertazione di GiovanzatistA BELLINI toscano Dot- 
tore in Medicina e Chirurgia ec. Rovigo Tipografia Miazzi 1821. 

L’ Autore di questo scritto è un alunno del celebre Mascagni 
e traduttore dell’ opera di quell’ esimio , professore sui vasi lin- 
fatici. Il suo scopo è di mostrare, seguendo le tracce del suo 
maestro ; contro l’ opinione della maggior parte degli antichi e 
moderni anatomici, che l’Utero non è composto di fibre muscolari, 
l’azione delle quali è stata creduta necessaria per |’ espulsione 
del parto . Ma siccome l’ osservazione la più accurata. non dimo- 
stra in quell’ organo, l’ esistenza di queste fibre muscolari, e-il 
raziocinio insegna che se vi esistessero verrebbe nella straordina- 
ria e lunga distrazione esaurita la loro forza contrattile , conclude 
per la non esistenza delle medesime tanto più che gli autori che 
han creduto di avercele osservate discordano fra loro nel deli- 
‘nearle e descriverle . 


7 


(46) Plin. ediz. di Venez. del 1785, Lib. 29, c.14, Columella 
de re rus. lib. X. Questa spiritosa piacevolezza veniva fatta ai 
cani, mentre i paperi erano posti sopra morbidi guanciali, e 
ciò in memoria della presa di Roma fatta dagli antichi Galli, 
e dell’ assedio del Campidoglio fatto dai medesimi, nel quale 
i cani furono in vigilanza superati dalle oche. Ved. Celio lib. 
17,cap. 28 presso l Ospiniano cap. 28, Plin. ec. 

(47) Sarebbe desiderabile che ai giorni nostri si rinnovas- 
sero simili canine stragi , come quelle che procurerebbero qual- 
che poco «di pane di più agl’ indigenti, e provvederebbero alla 
pubblica sicurezza e pace, spesso turbata 0 dai timori d’ idro» 
fobia, o dagli assalti di mordaci cani . 


PA 

‘Passando quindi a indicarne la composizione egli la trova 
constare di quattro distinte membrane: l’ascittizia formata quasi 
tutta di vasi linfatici ; la cellulosa compatta ; ; la ‘nervea tessuta 
di'vasi sanguigni , e Linfatioli e di nervi ;e la vellatàta composta 
di. perni assorbenti . AT 

» Passa quindi ad esaminare anatomicamente le appartenenze 
di quel: viscere ;\ed infine riporta in forma di assioma) alcune de- 
duzioni risguardanti l'anatomia ; la fisiologia e larmedicina ostetri- 
cavin quanto han relazione al suo soggetto». 

Crediamo di confortar questo nostro concittadino a seguire 
le sue!studiose indagini'e farle di pubblico diritto; e ci sentiamo 
in dovere di lodarlo per la premura datasi nella seconda edizione 
della traduzione dell’opera dei vasi linfatici dell'immogytal Ma- 
scagni , di analizzare gli scritti degli oppositori «di itui.; e di ani. 
marlò alla putti one di un:successivo tomo-che ei sta. compo- 
nendo e.che formerà un sommario della-parte -fisiologica e pato- 


logica: dell’opera . La brevità:di questo. ragguaglio non:ci per-! 


mette: indicare, gli;argomenti che in questo; tomo,si/tràtteranno ; 


quali il sig. Bellini gli ha esposti in una lunga nota ; ma (ci. sem-) 


brano della: più:graride importanza , e fin d'ora prendiamo l’im- 
pegno di dar conto di detto tomo; tosto che sarà pubblicato . 


Lezioni di materia medica, \del.D. OrrAriavo Targioni Toz- 


ZETTI professore. di, Botanica ‘e materiarmehica + Firens, 


‘vo renze presso, il. Piatti 1824/ fi 
;In;queste lezioni, che sono.in numero di; xbll, tratta il 


dotto; ; autore), delle sostanze. organiche ., ed maoeaniit a , non, 


solo di quelle che servono per uso della, medicina,, ma discor= 
re eziandio di quelle che, in oggi bandite dalle farmacie, vi fu- 
rono.; un ternpo introdotte, dal pregiudizio, dalla: superstizione ; 
dall’ avidità, de’ ciarlatani,,,.e; dalla. credulità ; de’, medici ,,, come 
mezzi sicuri onde, racquistar la salute, mentre erano per la mas 
gior ,parte inutili e inefficaci,,,ed alcune, ancora rapaci, più che 
altro, a deteriorarla. 

Incomincia egli a parlare, dello sile inorgmiche;; e e com- 
prende sotto questa categoria ; colla denominazione di minera- 
li; gli ‘acidi; le sostanze. .acidifere non metalliche ;, le terre com- 
binate .fra! loro; le sostanze’ combustibili; ;i metalli,; gli agg re- 


178 
gati di diverse» sostanze minerali; i prodotti vulcanici ; e le 
acque. itrari0ì si : l'in I doo 

Segue dipoi a trattare de’ medicamenti che. l’arte salutare; 
trae. dalle: sostanze ‘organiche ,. incominciando dagli animali; se-, . 
guendo la loro divisione in mammiferi, uccelli, amfibi,. pesci, 
e insetti; ed esaminando le sostanze medicamentose tratte | dal- 
le loro diverse parti liquide, solide ei molli. A queste sutcedo», 
no le sostanze medicinali ottenute da’ vegetabili;; e. così percor=. 
re le radici , le cortecce; i legni, .i fiori;:i frutti e semi, le fo+, 
glie, le gomme e resine; i balsami,,glitoli, i sughi .condensa- 
ti, 1 sali vegetabili @ le fecole. Im questa terza parte delle sue 
lezioni} egli ‘esamina: ed éspone le qualità mediche di; queste. 
diverse parti de’ vegetàbili,. discorrendo per le diverse classi del, 
sistema Linneiano . is ihre 

In tatta l’opera sì mostra l’autore un valente naturalista; 
un dotto giudizioso ed ;erudito medico , ed un valoroso com- 
battitore de’ pregiudizi e. degli errori, de’ quali i secoli dell’ igno- 
ranza'e dell’ /impostura riempirono l’arte. salutare. .. Si. dorranne, 
forse: i lettori di. mamerosi errori di. stampa che a. malgrado 
di un errata corrige; ‘che . nei‘etnenda più ‘di cento, sono! 
corsi nell'edizione, alla quale ‘pare che il correttore non abbia 
prestata la debita attenzione. Ma questa circostanza porterà 
forse il vantaggio di vederne quanto ‘prima’ una seconda ‘edi 
zione più èmendata ; giacchè “il ‘merito’ ‘intrinseco del libro fa 
augurare un pronto smercio della ‘primàà} ‘ed allora forse 1° au- 
tore, ‘togliendo alcune negligetize di stile e'di lingua, potrà con 
diritto aggiungere ai suoi titoli ancér quello, ‘che’gli appartiene, 
di accademico della Crusca. |Podowisenodo up ib. / 04 


1 pri 9-9 


pi Î 34g vi A 


Ragguaglio dei' Viaggi ‘del Sigi Chitihun nella Nubia; letto 
dal sig. Jomard all’ Instituto dî Francia il'if'agosto 1821. 
‘Ci è ‘pervenuta una lettera del sig ‘Cuilliavd) ‘che’ viaggia 
per commissione’ del'governo neì ‘paesi vicini all'Egitto; è scrit- 
ta da Dongola il 14 gennajo 1821. Ù 
Da Vadi Malfa ove si trova la seconida cascata. del Nilo a 
Dongola, questo viaggiatore ha fatte varie ‘scoperte, le quali accre- 
scono le nostre cognizioni in fatto d’ antichità Egiziane». Non 
lungi da Dongolà capitale dell’alta- Nubia, quasi 180 leghe so- 
pra Siene esiste un grand’ edifizio Egiziano, il quale può sta- 


cc 190 
re a confronto ‘con qualcuni di quelli di Tebe. E lungo più 
di 300. piedi. Vi sono 90. colonne alte più di 30 piedi. Ogni 
parte dell’ edifizio è coperta di geroglifici, e di bassi rilievi. Vi 
son rappresentati presso a poco gl’istessi argomenti che in E- 
gitto, offerte , ceremonie religiose, compre ‘di prigionieri , ec. 
Oltre le figure di fisonomia Egiziana , vi si osservano anche va- 
rie fisonomie di razza nera e di razze del Caucaso. Il luogo in 
cui si trovano queste belle rovine si chiama Terbé. Tutto ciò 
che esiste ancora di quest’ edifizio è stato misurato disegnato 
e descritto dal sig. Caillaud. 
Altri 6 edifizj rovinati di minor pregio si trovano sulle ri- 
ve del Nilo tra la seconda cascata e Dongola ; non v'è nessu- 
na ‘iscrizione greca, e non vi si riscontra il più piccolo indizio 
da credere che vi abitassero ‘giammai i Greci o i Romani. E 
da osservarsi che questi edifizj son più degradati di quelli del- 
la bassa Nubia e dell’ Egitto. Bisogna eercarne la ragione. nelle 
pioggie , che ‘in quella latitudine son frequenti, e nella fragilità 
della creta; onde son costruiti . 

Resulta da queste scoperte del sig. Cailliand che gli edi- 
fizj Egiziani si estendono più lungi che non si credeva finora . 
Quattro anni prima non si sognava neppure che potesse ‘esiste - 
re fra le due cascate del Nilo un tempio sotterraneo come quel- 
lo d’ Ybsambul. Invece che questa scoperta. fosse uno stimolo 
per continuar le ricerche, si concluse che non verano altri e- 
difizj Egiziani sull’ alto Nilo, perchè Buckhardt non ne parla- 
va. Questa conclusione smentita è una buona lezione per non 
decidere prematuramente sullo stato dell’arti, e sull’epoche del- 
la civiltà di questi paesi male esaminati, ad onta dei viaggi di 
Ludolfo, di Poncet, di Lenoir, di Roule, di Norden, di Bru- 
ce, di Lord Valentia, di Salt, e di Burkhardt , di questi paesi, 
i quali erano molto più conosciuti dai viaggiatori e dagli storici 
dell’antichità che non lo sono da quelli dei mostri tempi. Gli e- 
difizj che si scuopronò ogni giorno, sopratutto quelli che con- 
tengono iscrizioni greche, accresceranno molto le cognizioni at- 
tuali. Una iscrizione copiata da Gau in Nubia sul tempio di 
Talmis non ci ha forse procurato il nome di un re d’ Etiopia 
ignoto all’istoria, ed il racconto delle sue guerre e delle sue 
conquiste ? 

Il sig. Cailliand è partito dalla seconda cascata del Nilo, 


180. 


o da Vadi Halfa, a 80 leghe da Siene. Pochi trai viaggiatori 
moderni avevano passato Vadi Halfa. Hamilton e Leake autori 


della carta, che va unita al viaggio di Barkhardt si son poco, 


inoltrati frefla Nubia: Legh, e Smelt sono arrivati fino a Ibrim, 
Belzoni Stratton Huyot e Gau fino alla seconda cascata; ma 
ultimamente Wadingson, e Haubury son giunti fino a Chagny e 
a Korti presso Dongola. Un poco prima Banks era andato fino ad 
Amara , ove avea veduto un tempio Egiziano, che è stato do- 
po disegnato da Cailliaud. Burkhardt giunse fino a Shendy; 
ma il sig. Drovetti console generale di Francia conobbe per 
quanto pare primo di tutti il tempio d’ Ybsambul, poichè lo vi- 
de il 5 marzo 1816, e fece anche qualche disposizione per en- 


trarvi dentro. Cailliaud lo accompagnava in quella spedizione . 


Nella sua relazione che deve pubblicarsi fra poco; parla del fa- 
moso tempio sotterraneo ; che aprì dopo Belzoni con tante pene 
e tanto successo; come pure d’un tempio ornato di figure co- 


lossali e tdialicene dentro una rupe al pari di quello d’ Ybsambal, si 


che si trova a 3 giorni di distanza dalla seconda cascata. È 
forse uno di quell di Selenàt. In un secondo viaggio. il; sig. 
Cailliaud. ha trovate diverse. antichità in 6 punti sopra. Vadi 
Halfa I°. a Sebnat sopra la seconda cascata, ove ha veduti due pic- 
coli templi, 2°. a Amara; 3°. nell’ isola di Sai, che racchiude 
un piccolo edifizio , 4°. a due giornate più oltre, ove esistono gli 
avanzi di un edifizio rovinato, di cui resta in piedi una sola 
colonna piena di geroglifici; ‘ed il capitello è una testa di Iside; 
5°. a Therbé a 75 leghe circa da Vadi Halfa, e a 155 da Sie- 
ne, ové si trova il grand’edifizio descritto quì sopra; 6°. aSes- 
sè a un giorno di distanza da Therbé ; ove sono gli avanzi di 
un piccolor tempio di 12 colonne ( 3 restano in piedi ) i capitel- 
li delle quali son tagliati in figara di palme; è situato in un re- 
cinto lungo 363 metri, che conteneva parecchie abitazioni. Que- 
ste antichità in gran parte non sono delineate sulle carte più 
recenti , sopratutto quelle che son situate oltre l’ isola di Sai . 

Il Sig. Cailliaud viaggia per terra con una, scorta, e con 
guide ; ed ha seco cavalli e provvyisioni. Abituato ai disagj e 
alle privazioni resta presso le rovine quanto è necessario per 
raccogliervi materiali esatti, e finchè non ha terminate, le sue 
ricerche . Così non si lascia sfuggir nulla d’ interessante . Ha 
impiegati 45 giorni per andare da Siene a Dongola . I lavori nei 


È Bei 


dor: 


181° 

quali è continuamente’ eccù'patoj''consistonò ‘in disegtii di' anti 
chità, piani, topografie ) misure, osservazioni astronomiche , 68- 
servazioni ‘di fisica e di meteorolagia , collezioni d’istoria natura- 
le; ed è perfettamente di di) per i calcoli delle osservazio- 
ni .ila*Letorzec suo compagnb: di viaggio’, ; Pospuldiite di mari- 
na: Tléorso del Nilo da Assuan! a Dongola è già disegnato, e 
verificato con'’un gran numero d’ osservazioni’ celesti. Ne risùl- 
ta'‘che-la ‘carta di Bruce è quasi tutta erronea în questa parté , 
e chie la'|sitoazione di Dongola nelle carte di Danville è molto 
lungi, dal vero . 

Dopo avere impiegato un mese per esaminare Mongola ed 
i contorni, e più specialmente la grand’ isola d’Argo ,, Ja quale 
ha un tempio , e due colossi di granito color di rosa di bello 
stile , il viaggiatore si propone di passare a Shendy, di racco- 
glier notizie sopra il dar-Fur, e sui paesi più occidentali; quin- 
di si porterà al mar'rosso!, attraversando i fiumi tributarj del 
Nilo”, e'l’ isola‘ di Meroe' dopo di che tornerà in Egitto, se- 
guendò la costa di' quel marè . 

L’ armata di Ismael vicerè d’ Egitto, che conquista attual- 
mente la Nubia, dopo aver presa la città di Dongola , si trova- 
va a Chagny e Korti il 14 gennajo. A poca Di da Korti 
s' incontra una gran cascata. Gli Italiani che hanno ottenuta la. 
permissione di seguir le truppe , hanno veduti gli edifizj dei 
quali diamo quì il ragguaglio. Haubury , e Wadingson, che son 
andati più oltre, han trovate a Chagny varie AI i P 
e le rovine di 2 o 3 templi. Così gli antichi Egiziani avevano 
costruiti degli edifizj anche a 200 leghe oltre la sl di Siene. 

Un’ altra lettera del sig. Cailliaud scritta da Berber in Nu- 
bia il'16 marzo 1821. dà le seguenti notizie . ‘ Vi ho scritto 
da Dongola , e ultimamente da Chagny, che era poco fa il tea- 
tro della guerra, e ove il figlio del vicerè è restato vittorioso 
in tutte le battaglie ,,. 

Vi ho dato qualche riscontro sulle antichità del monte 
Barkal, e di Nourì, ove sono le rovine di 7 templi, e 36 pi- 
ramidi. Dobbiamo alla spedizione del figlio del vicerè la sco- 
perta di questi edifizj , che diversamente sarebbero restati per 
lungo tempo ignoti. L’istesso deve dirsi del corso del Nilo, il 
quale è delineato inesattamente in tutte le carte conosciute per- 
ciò che riguarda questa provincia , e il regno di Dongola . Due 


viaggiatori Inglesi han levato la carta del paese, ma non ave- 
T. IV. Ottobre / 12 


182 È 
vano instrumenti per. determinare le latitadini ;, hanno copia- 
ti pochi disegni negli edifizi, e son tornati al Cute di Oggi il vi, | 
cerè non permette più agli stranieri, di venire in porri pae- 
se (a). 4 


Io ho potuto, ‘ottenere di seguir, 1 armata solamente i ji ivi 4 
sta delle mie poche cognizioni, in mineralogia ; e per la speran- \ 
za che si ha di O, qualche miniera importante ., Restere-, 
mo quì per 15 0 20, giorni ; dopo anderemo a Shendi,ed, a,$enr; 
naar, ove termineranno probabilmente le conquiste, del. principe . 


ev Rpiatui 


Vi iaggi di scoperte, nell’. Africa settentrionale. tm 

- Sua Maestà Brittannica ha scelto il sig. Bekey, segretario 
da più ami del Consolato Inglese in, Editto , e compagno del 
sig, Belzoni nei suoi lunghi viaggi, per dirigere la nupya, sper 
dizione che è destinata a tentare d’ Hi nell'interno del- 
l’ Africa. L’ ammiragliato ha disposto a suo favore d’ um pic- 
colo bastimento , il cui navigherà sempre in vicinanza della 
costa per essere in grado di soccorrere e di secondare la spe- 
dizione . Questa, d’ altronde dovrà internarsi nella penisola so- 
lamente quando possa farlo con sicurezza , e quando le resti 
sempre una via per restituirsi al bisogno senza ostacoli. sulla 
costa . I viaggiatori partiranno da Tripoli per esplorare prima 
di tutto le due contrade marittime della Libia , descritte. dai 
geografi antichi coi nomi di Cirenaica e di Marmarica., le 
quali non si conoscevano più da lango tempo , e delle quali ha 
percorse recentemente le coste il sig. Paolo, della Cella ,, ac- 
compagnando una spedizione militare della reggenza di Tripoli . 

La Cirenaica e la. Marmarica occupano sulla costa superio- 
re dell’ Africa una linea d’oltre 600 miglia. La prima trasse il 
nome da Cirene sua capitale . I Greci la designavano anche, sotto 
la denominazione di Pentapoli (cinque città ) alludendo alle 
cinque città di Cirene , Berenice , Tolemaide ,, Apollonia , e 
Darnis. La Cirenaica , MEI Erodoto , è la più alta regione 
della Libia. Cirene dovette la sua fondazione ad una colonia 


(a) Le notizie più positive che abbiamo ricevute per altra 
via ci obbligano a rilevare l’ insussistenza di questa asserzio- 

. I viaggiatori percorrono oggi liberamente come prima gli 
stati che obbediscono al vicerè d’ Egitto .. Nota. dell’ editore. 


183 


di Greci ‘dell’isola di 'Thera ; ve gli condusse Battus in conse- 
guenza d’un oracolo d’ Apollo . Prima che. Apollo guidasse i 
Greci «li Thera alla fonte di Cirene, soggiunge Callimaco , la 
Cirenaica era ingombra di selve. L'industria la cangiò in un 
paese delizioso . I navigatori Greci che la visitarono dopo, vi tro- 
varono una terra ricca di tutti i tesori della vegetazione . I poe- 
ti sulla relazione dei navigatori imaginarono allora di colloca- 
re nella Cirenaica il giardino magico dell’ Esperidi (le 7 figlie 
della ninfa Espero e del re Atlante ) tanto celebrato da Esiodo, 
e da lui stabilito dietro i racconti del navigatore Coleo di Sa- 
mo nell’ isola Atlantide. La città vicina al giardino prese allo- 
ra il nome d’Hesperis fra i Greci, e tre secoli dopo al tempo 
dei Tolomei lo cangiò in quello di Berenice . La Cirenaica, dice 
Erodoto, è divisa in 3 regioni ; la costa le colline , ed i monti . 
Ogni regione ha i suoi tesori ; le raccolte occupano gli abitan- 
ti per 8 mesi dell’anno. La costa è ricca d’ alberi fruttiferi . 
Quivi , prosiegue Scilace , si trova il giardino delle Esperidi ; 
è lungo e largo due stadj; vi germoglia in grande abbondan- 
za il lotus: la terra è ripiena di gelsi viti ulivi peri meligrani 
mandorli noci mirti ed allori. Strabone cita ‘tra le sue piante 
anche le palme. Le rovine di Cirene esistono ancora; e il sis. 
della Cella le ha esaminate e descritte. Apollonia Berenice To- 
lemaide e Darnis erano sulla costa‘. Apollonia serviva di porto 
a Cirene, che era dentro terra ; si trovava vicina al promonto- 
rio Thieus, oggi capo Rezat, e le sue rovine magnifiche esi- 
stono ancora al porto di Marzasusa. Toleraide sérviva di por- 
to a Barce, che è a 100 stadj dentro terra sui monti a poca 
distanza da Tochira; l Arsinoe de’ Tolomei. Lé rovine di To- 
lemaide occupano sotto il nome di Tolemata un recinto di 4 
miglia . Vi si noverano più di 4000 sepolcri costruiti come a Ci- 
rene. 

Quando la spedizione ‘avrà esaminate le terre della Cire- 
naica e della Marmarica , dovrà internatsi ‘nelle solitudini della 
Libia , e rintracciare tra le aride sabbie di un deserto vasto e 
disabitato il piccolo e delizioso paese ( ogsis ) in cui dominava 
il magnifico tempio di Giove Ammione tanto cèlebre per i suoi 
oracoli , e la fonte misteriosa dél sole, in cui l’acque eran fred- 
de a mezzogiorno, e calde la sera :' Erodoto dice positivamen= 
te che l’oasi di Giove Ammone è situata a 10 giorni di viaggio al- 
lO. di Thebes ; bisogna dunque cercarla tra il 24 e il 27 pa- 
xallelo', e tra il 25 e il 28 meridiano; 


184 

È probabile che la spedizione per adempire come; si. con- 
viene al suo scopo sarà obbligata di restar in viaggio per. 3. o 
4. anni. i 
( Estr. dal monitore, dalla relaz. del viaggio del sig, del- 


la Cella, e dalla geograf. antica del sig. Maltebrun). 
GiaB-@ Bed 


\ 


e 


Viaggi nell’ interno dell’ Affrica meridionale, di Guglielmo 
J. Burchell . 


[| 
i 


( Estratto dalla Gazzetta letteraria ‘(di Londra ). 


Crediamo far cosa grata ai nostri lettori 1’ annunziare pros- 
sima la publicazione di questi interessantissimi viaggi. E’ già 
noto agli scienziati, che il Sig. Burchell, spinto dal desiderio di, 
acquistare cognizioni, e dall amore per i progressi della scienza, 
ha consumati cinque anni nel percorrere ed osservare la parte 
meridionale del continente Atfricano, internandosi in quest. per, 
lo spazio di mille cento miglia, tra il nord, ed il nord-est. 
L’immenso cumulo di note e di materiali da esso raccolti, ha 
fatto nascere in tutti una gran curiosità di sapere il resultato. 
delle sue fatiche. 

Le ricerche del Sig. Burchell estese a sopra quattro mila 
cinquecento miglia di terreno, oltre innumerevoli laterali incur- 
sioni ,, hanno prodotto una immensità di scoperte e di osserva- 
zioni, ignorate fin’ ora. Le opportunità che gli si son presentate 
di contemplare oggetti non contraffatti, e di contemplarli con 
maggior agio di quello agli altri toccato in sorte ;il suo arden- 
te desiderio di trar profitto da tali opportunità , e la libertà as- 
soluta che ha regolato ogni operazione relativa alla di lui spedi- 
zione ; tutto gli ha procurato naturalmente molti vantaggi di gran 
lunga superiori a quelli che hanno avuti coloro , i quali fino al 
giorno. d’ oggi scrissero intorno alle provincie ed agli abitanti del- 
lAffrica meridionale . Questo gentiluomo è per avventura |’ u- 
nico tra i viaggiatori in quella parte del mondo, che abbia del 
proprio provveduto alle spese tutte di sì lontano. pellegrinaggio ; 
Libero dispositore del suo ternpo, e di ogni sua operazione, e- 
gli si dedicò alla causa della scienza ; e. non intraprese questi 
viaggi con altro proponimento, se non con quello di osservare. 
da dotto. le incognite regioni dell’ Affrica. Era. sua intenzione, 
lasciando il Capo Tovrn, d’incamminarsi verso Benguela, o vera, 


185 


so S. Paolo di Loando; che sono gli stabilimenti Portoghesi su 
la costa occidentale} percorrendo circolarmente le provincie più 
centrali ‘di*quel continente ; ma i suoi proprii servi ricusarono 
di accompagnarlo: più ‘oltre } e fu quindi mal suo grado neces- 
sitato a tornare indietro verso il Capo di Buona Speranza. 

Con la solatscorta di pochi «Ottentotti, e senza la compa- 
gnia e l’ajuto ;di alcun bianco , egli continuò quattro: anni a 
viaggiare tra i perigliosi deserti dell’ Affrica ; arrestandosi più a 
lungo ove un'utile maggiore il richiedeva, o dove più attenta 
investigazione ‘alle ricerche: di lui esigeva il terreno. 

Ciò che essi con l’archibuso, e col cacciar procacciavansi , 
fu per la massima parte del tempo; unico alimento alla poca 
comitiva . Senza pane , o altre cose di natura vegetativa; ed alle 
volte: anche senza. sale; dava loro scarso nutrimento la carne 
degli animali selvaggi, quando speciàlmente. venivan disseccati al 
sole», come il più delle volte accadeva; e troppo sovente la scar- 
sità di convenevol cibo. e la mancanza: di. acqua e di pastura 
per. i loro bovi; li ridussero agli estremi, e non di rado minac- 
ciarono . loro. una sorte funesta» ‘. 

Durante questo lungo periodo , esposti a tutte le intenape- 
rie, essi non ‘ebbero. altro. asilo.che una carretta tirata dai bovi, 
ocli nuda terra, nicovrandosi sotto un (cespuglio o sotto un’ al- 
bero; o trovaronsi alle volte all’ apertà campagna; circondati di 
nazionali selvaggi e senza legge. Mail viaggiatore ebbe in ge- 
nerale la buona fortuna di cattivarsi la fiducia e la benevolen- 
za dei feroci e rozzi abitatori? di ‘quelle tribu; e potè quindi, 
compatibilmente con la propria ‘sicurezza, studiare i loro ‘costu- 
mi ed il loro carattere. Le scene e le vicende alle quali soven- 
te si trovò esposto, hanno molto del romanzesco; ed: assai di- 
versificano. da quelle circostanze che sogliono esser comuni a chi 
viaggia in altri paesi ; e sarebbe stoltezzà il dubitare che po- 
tesse contenere. pregievoli notizie idonee a soddisfare la pubbli- 
ca curiosità, l’ingenuo racconto di un viaggiatore che si è inol- 
trato nello sconosciuto continente dell’ Affrica molto più di chiun- 
que lo precedette, e che inonesolo trascorse, ma anche agiata- 


_ mente osservò molte centinaja di miglia di paese non veduto 


fin’ ora; ‘e ‘tanto più se rifletteremo non avere egli avuto in mi- 
ra veruna scienza 0 oggetto particolare. Opera del suo pennel 
lo sono 'stàte.le vedute edi paesaggi di quelle remotissime re- 
gioni , le immagini dei loro abitatori , e gli schizzi di varii al- 
ri soggetti)! che oltrepassano il numero» di cinguecento. Le sue 


(07) 


186 


collezioni di zoologia e di botanica ; superano di gran lunga, 
nella quantità e nella grandezza degli oggetti, tutto ciò che è 
stato fin’ora raccolto da un singolo viaggiatore, non escluse per. 
avventurà memmeno molte di quelle formate in occasione delle 
più solenni pubbliche spedizioni. Queste collezioni, da noi ‘os- 
servate con gran diletto, sono le. prove « materiali. della di lui 
narrazione. Le pelli di. più di quaranta immensi quadrupedì ; 
da esso donate al Museo Britannico ( compresavi la. giraffa ma- 
schio e femmina ), oltre molti animali più piccoli, ed una co- 
piosa collezione di uccelli , insetti, serfpenti ec. che gli son ri- 
inasti , mostrano ch’ ei non risparmiò né data. nè fatiche in 
questo ramo delle sue ricerche . ì 

Tra i nuovi animali scoperti in questi viaggi, vi è. il Rhz- 
nocerus simus s specie , in quanto alla mole , superiore ‘assai {a 
quelle per l’addietro descritte ; per cui abbisognò la. forza riu- 
nita di otto Ottentotti , onde ;caricarne la sola testa su la car- 
retta. Molte giraffe ,: quadrupede non comune, vennero ferite ; 
e quando rimasero uccise , alla brigata servirono di alirnhento , 
come tutti gli altri animali. Di queste le più belle pelli, quelle, 
cioè del maschio e della femmina ; come abbiamo accennato di 
sopra , furon portate in Inghilterra. Si trovano in;gran copia, 
nelle intime regioni di quel paese gli elefanti, animale nobilis- 
simo , che assai più del deone merita il titolo di rè de’ bruti , 
Quest’ ultima fiera è per ogni dove, eccettuata la colonia del 
Capo, assai comune; è sehbène mon sia tanto spaventevole quan- 
to la dipingono. i viaggiatori, è tuttavia tanto formidabile da ri- 
svegliar timore ovunque simostri.; 

Nella parte meridionale dll’ Africa, la superficie del paese, 
quantunque spesso vi si incontrino catene di alte montagne, è in 
generale , sopratutto nell’ interno ; aperta ed unita ; offrendo 
all’ occhio del viaggiatore immense pianure, ove gli alberi di 
alto fusto son radissimi, sebbene vi abbondino i cespugli e le er- 
be. Il terreno è per lo più composto di sabbia , la quale nel col- 
mo della estate viene alle volte talmente riscaldata dai raggi del 
sole, che neppure i nazionali. possono camminarvi senza i loro 
saliti i 

. Gli abitanti son divisi in varie tribù ; ed i Bushuani tra gli 
altri sono i più pericolosi per-coloro che si arrischiano a visitarli. 
Varcati appena gli immaginarii confini dei paesi occupati dalle va- 
rie nazioni e tribù della. schiatta degli Ottentotti,; incontrasi 
un’ altra razza di uomini; che hanno una strettal'affinità con i 


- 187 
GCaffri della costa’ sud-est , benchè ‘a questi siamo ‘nello incivili? 
mento di gran lunga ‘superiori. L' accoglimento da essi ‘fatto ‘al 
Sig. Burchell fu molto toe Mich, lo ché giustifichi: si prudenza 
di Tai nell’'inoltrarsi tra lorò* mi ) 

Questi  Affricani vivonoin pHlaspie città”, ‘sotto il‘‘governo “di 
rè' Do eapi:) rivestiti di assoluto potere ‘s0pra i lorò sudditi | Ta 
città: più grande che fu'visitatà dalla comitiva | conteneva cir- 
ca'ottocento èase e cinque mila abitariti ; ma dalle notizie avute! 
riesi Seioprì allora' che inoltrandosi seni pit più verso il setten! 
trione esistevano molte’ altre città di Gorle sed eziandio di 
maggior'g orandezza . : i 

‘I generi ‘che. facilmente si possono permutare con questi po- 
poli‘sorio in patticolare/i grani di vetro éd il‘tabacco ; e per l’ usò 
di'imarlo o di prenderlo in polvere inostràno un ? avidità mabs 
giore di quella che in span altro paese da mondo si os 
servimmis | 
“i | Hand essi molte idee superstiziose: € ‘sventiratamente ne 
dettero una ‘prova al Sig Burchell , il quite! ignorando la' loro 
lesse , suscitò il più serio ‘disturbo in tatta pal città per avere 
uetisa ina grossa lucertola di una specie particolare , che i n° 
zionali. non! permettono! che ‘sia ‘distrutta inentié'i loro grani s0- 
ato ‘ini ‘Brescenza', sebbene iti altri tempi né vadifiò sovente in 
certa’ per iran là classe più indigente. Ma Avendo tran- 
quillanientée pirlito col ‘crpo è col papato i chto IA lor colle# 
ra superstiziosa ; ‘ed'il regalo di ‘tin sacco di patate fattò oppor! 
tunamente ricomprò la lorò amicizia e la loro: behevoglienza . Il 
Sig. 'Burchiell\avea seco portate queste patate per atdaare un 
rita! genere di nutrimento tra le più reînbte tribù; e “quando: 
spiegò loro il ‘vero valore del'‘suò regalo, s tatti igli spettatori’ 
tinisimutarono il concepito erueto ‘inn pposto nona 3 
mòstrarbno con lè loro espressioni di considerarlo qual hehe fatto- 
rè' i Alcadi mesi! dopo” tn ‘tale avvenimento, egli vide în prospe- 

ro stato 'Erescere questo vegetabile ; soprà fsi pezzo di terra ò- 
ve da sè stesso lo aveà piantato; talchè si ha li6godi ‘speraté che 
uma ‘ radica tarito utile vi Sia Gra ‘perma lieti iltrodotta . 
It capo promise 'di prenderne burotia Cata , e ‘disté che sé hai 
fosse nubvarhente visitato dai bianchi uyrebbt il pincere di dar 
loro tante patate quante ne potesser mangiare, e dimandava so- 
lo che non avessero dimenticato di portargli g gran copia di ta- 
bacco è di filze ‘di grani di vetto. Sopra uit diterio puntò det paese 
venne per la prima volta in simil modo intredottà la pianta del 


188 


cotone, che. fu lasciata molto vegeta , e lì lì per fiorire ; ed i ide 
cioli di pesca furono posti in terra da. per. tutto , ovunque poteva 
no per la bontà del terreno allignafe a. 1.00. 1199 

Le tribù più lontane, comparivano sotto molti punti di wista 
maggiormente interessanti; e nelle loro. maniere , nei loro costu- 
mi, e nelle arti loro , erano più incivilite delle nazioni meridiona- 
li; o occidentali. E visibili erano ‘i molti sintomi. del. crescente 
inciyilimento, , a; misura, che la comitiva verso il settentrione; ine 
noltrayasi . Gli uomini in. generale vi erano, di.forma alta e ben, 
proporzionata, e con l’ ingombro, di, piccolissime, vestimenta ,,s€ 
si eccettui un manto di pelle : f loro corpi erano da per tutto 
inppiastrati di un mescuglio di rosso, di ocra ,.e di. unto ; che 
faceva comparie rossi piuttosto che neri tutti coloro. che aveano.i 
mezzi di così fattamente adornarsi: benchè il colore. della, Joro, 
pelle sia nero, è tuttavia meno morato di quello dei negri della 
Guinea . Il loro linguaggio , sebben semplice, è molto. armoni-, 
co , e dolce. nella conversazione ; è abbondante di vocali e di let- 
tere liquide (1);; ed ha appena parola di aspra e difficil, pronun:, 
zia. E’ scevro da quelli straordinarii striduli suoni che distinguo 
no, tutte le lingue e dialetti della razza, degli. Ottentotti.;; da 
quelli di ogni altra, nazione della terra. Questo idioma , che e-, 
glino chiamano Sichuana, è ;suscettibile ;. mediante la, sua. fa- 
cile struttura , di una volubilità di. conversazione da potersi , 
senza ayerlo udito , credere appena, 0 immaginare; ma quando 
parlano «li cose che ;eccitano un grado, insolito, di animazione ; la 
loro locuzione è chiara, e precisa. 

Consistono principalmente le loro armi in hassagays. ossiano 


giavellotti di sei piedi all'incirca di lunghezza . Eglino non hanno 


nè serittura.;,nè culto regolare, nè giorno di riposo, come la do- 
menica. Loro speciale alimento è .il latte , la saggina d’ Affrica 
( holcus caffrorum ), le radiche salvatiche , e {la carne di bovi, 
e di animali selvaggi. Le case loro son fabbricate con: particolar, 
pulizia, hanno la Giri circolare ;, con molti interni spartimenti ,, 
e son cinte al:;di fuori da forte e spessa chiusa , con sorprendente 
regolarità ed industria edificata con i, rami degli arboscelli:} sì for- 
temente intrecciati , 0 piuttosto legati insieme , che ne costitui- 
scono uno steccato He Polli tanto per i nemici, quanto per le, 
fiere . 


(1) Le lettere che si dicono liquide sono le cinque seguenti , cioè; 1, m, n, fs 


8, ( IV. del. Trad.) 


189 

Il Sig. Burchell. spese tanto tempo immezzo a questé tribù , 
che il nome di Monarri, a lui dato da quelliabitanti., era noto in 
tutto, il paese.; e quando era per stanziarsi in qualche, luogo di- 
air dell arrivo di lui tosto divulgavasi la notizia, tra. quei 
circonvicini nazionali , i quali O) gli faceyano giornaliere visite , 0 
venivano immediatamente a soggiornare ‘presso di lui, fabbrican- 
do temporali capanne intorno alle sue ‘carrette ; talchè il suolo 
che' poco prima altro non era che un deser t0) ‘carfgiossi tosto in 
piccol villaggio contenente ‘una ottantina di sibatti sche tatti da 
lui: speravano: che; al: sostentamento loro supplisse . La qual co- 
sa egli poteva mandare ad, effetto col cacciare il rinoceronte, (la 
giraffa.) il bufalo, ik éland ,jil koodoo, ed altri grossi animali ; ed 
è probabile che il rendere: an sì, segnalato, servigio a tanti in- 
dividui diversi in quei paesi, sia stata la vera cagione di aver 
egli potuto con tutta sicurezza tra loro inoltrarsi. Imperogchè 
limanti non è supponibile, che una piccola brigata di un so- 
Jo Èuropeo e di nove o dieci Ottentotti ,. potesse salvarsi o di- 
fendérsi da ana intierà ‘tribù 0 nazione decisa' di derubarla e 
di distruggerla. Ma abbàndonafidosi a loro can ogni’ apparente 
fiducia ‘ev’franchezza , guadagnò il Sig. Burchellin molti ‘incon@ 
tri la loro amicizia, e potè quindi viaggiare non molestato ; sem- 
pre però convinto della necessità di far uso: delle maggiori, pre 
cauzioni, € di essere contro il tradimento e la sorpresa, e gior- 
no e notte vigilante È 


Osservazioni dell’ Ag, Lvicr DE Ancrts sì su l’ articolo hi 
bliogr afico: Notizie storico cr ‘itiche di Fri Gricomo: Da 
Tor®iTa primo ristor atore dell’ arte musivaria in Italia 

; posto alla pag. 128 della Biblioteca Italiana, N. 
"x Luglio. 1821. (a) MT e ho 


d) POTE della Biblioteca italiana . 


Iooys 


Volumus veritatis dmicos 
Cic de Off. 1. 1.‘ 


Buen le citate parole del gran padre della romana eloquenza, 
accomodandole.al nostro proposito, invito V. S. a compiacersi 


(a) Ir questo momento giungendoci il presente scritto, not 


190 

di riandare ‘insieme con me la sna censura ‘su le dette mie 
Notizie storico critiche ec. la quale percorreremò in buoria 
pace, e con la' Bossi brevità. Ta critica nemica ‘ degli 
etrori' debbd' essere amica degli uomini, e gli uomini deb- 
bono essere Jamici fra loro per discoprire Ta verità. Note- 
remo alcuni punti, su’ de’ quali ha voluto ella più partico- 
larmente farmi sentire la sua disapprovazione; e noteremo 
per. maggior chiarezza le, pagine ed iversi:, sui quali cade, 
la sua censura; lesi trovano respettivamente i fondamenti! 
delle mie risposte. Sia dunque così. » 

I pag. 129 è.'29. ha voluto VS. farmi sapere, he rion 
facilmente ci possiamo indurre , dic ella, @ nominare Fra 
Giacomo da Torrita primo ristor atore dell” arte musivaria 
un Italia. 


ri 


To ho l’ onore di dire a, VS. “che mi sono indotto a, 
crederlo,. e nominarlo così, perchè: ho conosciuto il; peso, ed 
il valore delle ragioni, che.ilo, assistono .. E chi. può,negar 
mai, ehe Ze scienze, e le arti nel secolo AIH:rsirvedes=) 
sero levare più ardito il capo, ve tergerea'meno'in parte 


l'antico squallore? Ella avrà veduto! a pag. 36 delle mie; 


notizie et. che il Vasari, e il Baldinucci danno a Fa G'aco- 


. : . E. MORI 
mo per maestro del musaico Andrea Tafi. Ora; siccome pet 


attestazione di detti storici nacque il Tafi nel 1213; e il nostro 

Giacomo da Torrita lavoràva da gran maestro ‘in ‘8° Giovanni 
di Fitenze rel 1225 (pag. 4): ragion voleva, che' io m'indu- 
cessi a riominare primò ristoratore di deit’ artè piuttosto Fra 
Gircòitid) chè il Tifi : Dissi aticorà! (pag. 46) che in Roma 
nei secoli XI. e XII vi era la. scuola di ‘fiusaito, eche in 
Venezia si ornava con questo, genere di prvata la chiesa 
di S. Marco: il che, com' ella vede, provava più di ogni al- 
tro argomento, che l’ arte musivaria non era venuta meno 
in Italia. Ma chi mai di tutti questi artisti fece ad essa 
levare più ardito il capo? chi di lei ne terse in parte lo 


qui l asgiurghiamò, affinchè î nostri lettori abbiano in questo” 


fascicolo tutto ciò che riguarda a Fra Giaermo da Torrita, ed 
all’ autore delle suddette notizie storico critiche. V. @ paz. 170. 


IgI 
squallore? Fra Giacomo da Torrita; quegli cioè, ‘che nel 
1225 aveva messo in obblio e i Cosmati in Roma, e i sup- 
posti Greci in Venezia, e quanti ‘altri mai vivevano ‘a’ tem- 
pi di lui. 

Sancti: Francisci Fraterfivit'hoo operatus 

Tacobusin tali prae cunctis arte probatus:(pag. 4) 

Ed a chi mai de suoi contemporanei si ascrisse.il mi- 
glioramento del musaico, se-mnon a\Fra Giacomo? (pag: 9) 
Avchi se nona lui si attribuirono! il disegrio mièn rozzo) le 
mosse meno forzate, la composizione più regolata? (ivi) 
Se ‘ella ‘a pag. 30. v. 3 ammette ‘per ristoratore di ‘un’ arte 
quegli, che Va richiama a nuovi metodi a‘. 0. 'vehè la 
porta ad un più alto grado di maestria; vede bene, ch'ella 
senza ‘accorgersene | viene a comprovare, che Fra Giacomo 
siasi stato'‘il'‘primo' ristoratore; dell’arte musivaria in Italia. 
Poteva ‘ancora ‘rimanerne più convinta ,' se ivésse esaminato 
il saggio che ne riportai alla pag. ‘64; e se dvesse osservato, 
che i musaici di S. Maria Maggiore, chè ancora vi'riman- 
gono, si pena persuadersi che ‘sitno nati inv età pel in- 
colta. (pag. 9) RT9Y i mi i ! 

Il: Ha»voluto ‘VS. soggiangermi alla «sua pag: n29. v. 
30 : che! non sì può chiamare Fra Giacomo ‘primo» risto* 
ratore, perchè osserviamo da' prima, che quest’ “arte non 
perì mai in Italia. Dio la benedica Che forse, per risto- 
rare un’ atte, è necessario ch’essa si perda ‘Guido da Siena, 
e Cimabue da Firenze non si dicono ‘oggimaî ristoratori della 
pittura? prire, come VS. m' insegna, quest’ arte mon venne 
mai meno in Italia. Di Giotto, non si legge nel’ suo epi- 
taffio: Per quem'pictura ektineta revixit ? pure ‘oredette 
Cimabue nella pittura ‘tener lo campo: pure tutta Italia 
formicolava, per dir così, di artisti e di pittori. ‘E Giovanni, 
| € Niccolò pisani, non si dicono ristoratori della stoltura? pu- 
re nell’ Italia o bene, o male sempre si ‘era scolpito. E non 
è VS. che si condanna immediatamente dipoi, (pag. 30. v. 3) 
allorchè stabilisce; che per ristotatòre'intendesi anche quegli, 
che la richiama @'nuovi metodi; 0 a nuovo splendore, se 
incerta o negletta, che la porta a un più alto grado di 


192 
maestrìa, e ‘ad una nuowa sublimità? Come. potrebbe chia- 
marsi a muovi metodi, sè) non esistessero gli. antichi?, Come 
portarla \a muovo splendore, se in splendore non fassa come 
sublimarla, se non esistesse? 

II. Alla citata pagina \129: v. 37 per provare vs. che 
l’arte musivaria non siasi mai estinta in Italia, xaggiùnge 
ancora, che, potrebbe stabilirsi una. serie non interrotta di 
opere e di, artisti di quel, genere. dal secolo V.. al secolo 
ALII. e seguenti. Come! VS. discorre della storia del mu- 
saico , eda, dotto e perito. maestro,\critica le opere, altrui,, 
ed. ignora/egregiamente la;bellissima opera de musivisyserit- 
ta a bella posta da Monsignor Furietti ? Ella in questo ge- 
nere .;mostra più umiltà di. un frate minore. Eppure io l’ a- 
veva_ citata. a ‘pag., 8. .v. ,3/4, a pag. 20. v. 15; (eda. pag. 23. 
v. 315 aveva pur, dettoy,. che questo, valente scrittore; ci. assi- 
curava; che.il nostro Fra, Giacomo, era stato «incaricato da! 
Niccolò IV., di fare i, musaici in S. Giovanni Laterano, sein 
S, Maria, Maggiore, Ea, chi, mai; volendo:assicurarsi della 
verità non sarebbe, passato «per la mente, prima .di condan-. 
marmi, di riscontrare se veramente sussisteva la -mia asser- 
sione (Pagni 36..v. 3).che.il dotto Furietti, aveva fatto og- 
getto, del, ‘suo «discorso i, mosaici. di tutte le eittà»d? Ita: 
ra; ed.anche. di quelle di minor nome di, Siena? Se, do- 
po tutto ciò, ella rimane, allo scuro di quest'opera, ne\in- 
colpi sè stessa .. Io dal.canto miolaveva-fatto; ciò, che poteva. 
Ciò nov ostante, perchè possa: VS. :persuadersi, che io amo, che 
noi in buona, pace cerchiamo; sempre’ la verità, le dirò, che 
fu stampata la detta: opera ini Roma, @pud Joi Mariam Sal- 
vioni nel 1752; che. I° autore: la dedicò. a Benedetto XIV; 
e che prendendo motivo dal ritrovamento» fatto da lui nella 
villa di Adriano, del famoso: musaico,delle «colombe, divide 
l’opera. iù sei, lunghi capitoli. Nel primo, tratta della, mol- 
tiplice denominazione. dei. musaici ,, e,dei varii loro generi. 
Nel secondo, dell’ origine dell? arte musivaria, e del come era 
stata coltivata dai Persi, dagli Assirii, dagli Egiziani, e dai. 
Greci. Nel terzo del come era stata continuata dai Romani, 
ai tempi della loro repubblica. Nel quarto dei musaici fatti 


\ 


} 


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193 

in Roma, e nelle sue provincie nei primi due secoli degl’ im- 
peratori. Nel quinto dei musaici de’ sacri edifizi da Costan- 
tino magno fino al secolo X; e dello studio e lavoro del mu-. 
saico non mai nell’ Ttalia interrotto . Nel sesto si riportano 
i musaici, e i musaicisti dal secolo XI. fino alla nostra ‘età, 
cioè fino al 1752. Vede ella dunque, che quel suo potrebbe 
stabilirsi una serie non interrotta di opere e di artisti 
di questo genere era ‘stato già fatto, forse anche prima che 
ella nascesse ; anzi con molta più accuratezza di quella ch’ella 
vuole, dal secolo Y. al secolo XITT. poichè l’opera del Fu. 
rietti esaurisce non solo 1’ era cristiana, ma quella della re- 
pubblica di Roma, ‘e dei ‘due primi secoli dell’ Impero. 

‘Dopo che aveva additato ‘questo ‘bel fonte di erudi- 
zione, Ella mi fa un dolce rimprovero ‘in quella, sua  bene- 
detta pag. 129. v. 3g perchè non ho ricordato io il'icodice 
lucchese del secolo XI. o XII. pubblicato dal. Muratori . 
Primieramente sella avesse letta l’opera del Furietti, avrebbe 
veduto, che avendola io più e più volte citata; non avrei po- 
tuto non sapere, che questo famoso codice era stato ripor- 
tato da lui a pag. 62. Ma a questo oramai non vi è più 
rimedio. Andiamo avanti. Non so capire, come:ci potesse 
entrare quel barbaro rancidume, per comprovare, che l’arte 
musivaria viveva ai tempi di Fra Giacomo; quando a pag. 
4o.\ vi 2 aveva ‘io detto, che in Roma nei secoli XI. e MI 
esisteva la scuola dei musaici. E poi, perchè mai preten- 
dere da me, che io cadessi nell’ enorme imperdonabile ana- 
cronismo , nel quale innocentemente VS. era caduta? Con 
. qual coraggio poteva io abusare, com’ ella ha fatto, dell’au- 
torità del Mabillon, che VS. non ha ricordato; e del Mura- 
tori? Ella, per quanto mi sembra, non ha veduto nè l’ uno 
nè ‘1° altro, poichè dice, che quel. codice appartiene al secolo 
XI: o XII. Or senta cosa dice il Muratori, acconsentendo 
al Mabillon; senta, e stupisca:(Rer. Ital. 7. t. edit. Mediol. 
1739 in fol. pag: 366, e edit. Aretii 1774 in 4.° Tomo IV. 
pas: 674) compositiones ad tingenda musiva, pelles et alia 
ec; aliag.' artium documenta ante ANNOS NONGENTOS 
SCRIPTA. 


i 


194 

E un poco. sopra aveva detto, che il diibrisino Ma. 
billon: aetatem ejus (codicis), neg. immerito retulit ad tem- 
pora Canoli Magni. Con questa pillola. in corpo; poteva io 
ricordare. questo codice, per provare, che le arti vivevano, 
e non crano non fiorenti nel secolo XI, e. XII 2 Come con: 
fondere. l’ età di Fra! Giacorao con un eodice, ch’ erasi ‘ri- 
trovato ai funerali di Carlo Magno? 

V. Avverte inoltre VS. che in quel csdisio chiaramente 
e tanto diffusamente sono. espressi i precetti dell’ arte; che 
non si può credere ec. Poffare il mondo! chiaramente eh! 
anche diffusamente! che, cosa? i.precetti dell’arte.. Anche que- 
sta / Io. per me sbalordisco. Possibil: mai, che VS. voglia 
così apertamente darci ad;intendere le lucciole per lanterne? 
Per carità nom stampi, questi strafalcioni. A me preme di- 
fendermi, e preme ancora il decoro del. mio critico per ono- 
re della mia difesa. Dunque) chiaramente eh? udiamo uno 
di questi precetti, e siasi: De inorationemusiborum,facis pecu- 
la plus crosa quejussans. Post haec facis illa alia, et pones 
peculum heramentinum, ut incensum. non -herebit. Post hoc 
pone pectaluni aureum, super pectalum vitri; et supra ponis 
pectala, super alia multum super pectalum vitri etc. Ecco il 
perchè lo» stesso Muratori, dopo aver.riportato tutto questo 
MS. così conchiude: Mabes heic si recte attendisti, quo in 


loco latina lingua fovet SAECYLO, VIII. apud minus , 


doctos, et quot verba, ac formae dicendi e vulgi loqutione 
in latinamvirveperent. Or ne viene il tanto diffusamente . 
Tre soli sono questi famosi: precetti, clie. spettano. diretta- 
mente al musaico, cioè Z. detictio musiborum, II. de inora 
zione musiborum, III. de musibaum de argento; e questi 
soli tre ha riferito a suo proposito Monsignor Furietti a pag. 
82 della lodata sua operare di questi soli tre si, mena tanto 
rumore da chiamarli i precetti dell’arte? Ma come! i precetti 
dell’ arte musaica. consistono solamente nel tingere i ‘musaici, 
nell’ indorarli, e nell’inargentarli? Ella doveva dire alcuni o 
pure pochi precetti dell' arte musaica : poichè non vi sì parla 
del condurre i pezzi uniti, della qualità del disegno, del chiaro 
e scuro del musaico, della preparazione della materia, del co- 


ngi 

me si commettaho sopra il.muro, e del come si faccia lo. stue- 
co.per commetterlì..Di tutti questi essenziali precetti in tutto 
quel. MS. nemmeno se; ne.trova una. parola; bensì vi si di- 
scorce di tingere Je pelli, di fare i colori per tingerle,, del 
l’ ‘arte d'indorare il ferro, e di scrivere in oro, e di altre cose, 
lefquali potrebbero oggimai servire. alla chimica ed alle: arti, 
come serve il Fyizesomorum al raziocinio. 

VI. Credeva già di aver finito di; tediare VS, quando. 
alla pag. 130. v. 1:. mi richiama in campo, rimproverandomi 
che in quelle mie notizie ec., oltre di, Fra Giacomo, ho 
trattato della. patria di, lui, e delle persone, più illustri 
che vi trassero i loro ‘natali: cose dic ella, che non appor: 
tano alcun lume alla storia dell’arte. O: questa è bella !, Oh ! 
che forse ni era prefisso di fare la storia, del musaico?.Io, 
avea promesso nel. frontespizio di trattare, del musaicista 
Fra Giacomo, di discorrere della patria. di lui, e delle, al. 
tre più illustri persone, che vi trassero i.loro natali.: e per 
dimostrare vie più, che una cosa era distinta dall’ altra , di- 
visi quel volumetto in tre parti. Il critico doveva avvertire 
se io aveva adempito alle mje promesse, non alla storia, 0 
all'arte del musaico, della quale non mi,era proposto giam- 
mai di parlare. La nuncupatoria iscrizione parla dei. mos. 
numenti storici di Torrita: ac Patrice. sua. monumenta , 
Nella prefazione ho indicato quali fossero quei monumenti, 
senza far mai parola del ‘musaico.. Avrei, dunque deviato 
dal concepito proposito, se mi fossi messo, a fare un trat-, 
tato. dell’arte musivaria, o pure di essa. a tessere la storia. 
Non vedo perciò la ragione di questo rimprovero ,, ch'el- 
la fuor di ogni proposito, ha voluto, farmi,. Bastava aver 
data un'occhiata alla prefazione (. pag. 8: v. 18. ) per ri- 
maner convinto, ch era diretto il. mio scritto, a torre Fra 
Giacomo dalia torbida confusione ; in ycui gli scrittori, git, 
tato lo avevano. La critica doveva vedere, se io, aveva ren-. 
duto a lui questo. uffizio . Io. prometteva di ricercare cosa 
cra mai Torrita ai tempi di Fr. Giacomo, € qual posto 
el'a abbia avuto fra le altre Terre, e Castelli della. L'o- 
scana ( pag. 9. vi 5.). Era ispezione del Critico di. vede- 


196 

re; se io ne aveva discorso eoù veri storici documenti. Do 
veva vedete , se trattando di quella Terra ‘era anche bene 
discorrere delle persone; che ‘l'avevano illustrata!, come io 
aveva promesso ‘alla pag. 13. Del rimanente le notizie di 
un'artista entrano nella storia, ma mon sono la storia del- 
le arti. Uno storico, che parla' di Raffaello; discorrerà della 
pittura: ma discorrendo’ poi di Urbino, non parlerà di que- 
st’ arte, nè farà tutti ‘pittori gli; uomini illustri della pa- 
tria di Raffaello 00 380 ol 

VII. Aveva fatto promessa a VS. di star seco lei in buio 
na pace fino alla fine di queste mie osservazioni , e som ‘sem’ 
pre fermo ‘nel mio proposito; ma ella mi darebbe motivo. 
adesso di sconvenirla. Non posso non formalizzarmi su quel! 
le sue parole , con le quali fa le iste di chiudere la sua 
censura ( pag. 130: v.13.). Finalmente, dic’ ella, si aggiun- 
gono î documenti ) spettanti ii) notizie storico-critiché del! 
Torrita medesimo. 

Nemmeno uno) Signore, nemmen’ uno di quei docu- 
menti, che io riporto in ultimo, spetta al orrita medesi- 
mo. Il primo di loro riguarda l’ immagine, ed. il culto del- 
la Vergine dell’ Olivo: il secondo un sepolcro antico: iliter- 
Zo una iserizione sopra la porta Savina : il quarto un di-: 
ploma di Ottone Imperatore : il quinto la bolla di erezio- 
ne in Collegiata; di quella Chiesa di Torrita : il sesto il re- 
scritto dell’ Imperatore, e gran:Duca di Toscana Francesco 
I. per la erezione del: teatro in ‘detta Terra: il settimo il 
privilegio di celebrare la messa nella cappella di piazza, e 
finalmente un consiglio! di quella comunità per ammettere 
nella loro patria i Padri Silvestrini . 

VII Ma giunto appena al fine di. queste mie. osserva: 
zioni, VS. con tutta ragione mi richiama: ad. altre cose da 
bei. avvertite, alle quali io non ho dato ancora alcuna» ri- 
sposta . È vero, ch'ella mi avvertiva alla pag. 129: ve 16, 
che lunga, e poco utile è la discussione , che si fa. sull’or- 
dine e sula condizione, e professione religiosa di questo ri- 
nomato Artista. 

Dimanderei adesso a ‘VS. se nelle notizie, che si dan- 


197 

rio di run’. momo illustre e rinomato ; debba aver'luogo prin» 
cipale la esìstenza di lui politica , alla quale:degate! sono 1 e+ 
poche della stia vita, e le«prove dei lavori ‘fatti da lui? 
Ciò: posto» se mai questa sua!ésistenzai politica ;‘6»professio» 
ne regolare venisse contrastata» dagli serittori 3-*come. viem 
fattolîn realtà! alla pag. 40; mon vorrebbe ogni ragione, che 
si 'difendessè ? Lia difesa può ‘farsi. mai senza portare ‘docu- 
menti »e ‘ragioni? Questi documenti, e queste ragioni; pos 
sono mai ristringersi «in pochii versi ,: trattandosi di ‘stabilirli; 
per la prima: volta? E se frattanto insorgessero muovi:dubbi , 
e nuove difficoltà di altri. serittori, non si dovrebbero dile! 
guare: è disciogliere ‘anche ‘queste:?. Se VS. ha letto questa 
discussione avrà velluto; che dalla medesima: pendonool’es 
poche: della! vita di Fra: Giacomo ; la ‘verificazione dei vari 
lavori fatti da-lui, la coticilîazione:delle ‘diverse opinioni» 
degli)storici} «evfinalmente da'lei medesima pende ancora! ciò» 
che: VS..si. è:deghata di approvare , cioè ;.cche. benera proè 
posito:si distingue FraJacopo:-da Torriti dall'altro: Fra 
Jucomo:da) Torriechio:( pago 129: vi;:18; ) Ensera VS: nom 
piacque , che tutve quelle pagine quì! .Sopiia dette fosserò 
consumate! provarlo: Frate ;}) e- Krata minore, ciò lo disse 
forse ;sperthè»noni avvertì allorà),: disquanta: importanza era 
si maisibfissarè quel; punto‘ tanto: controverso» dagli storici 
Del iriimanidfite ;, io rispetto ‘ogni; eèto!di/-persòne;- ev consi 
dero gli pondini per. i..lorol»'meriti.,.,Fa meraviglia che sì, 
sdegnino  gliswomini; peritéllerare, i isemplici. nomi: in un se» 
célo,in!cui si vorrebbero:) se fosse possibile ; tollerati anchè 
Misotenitinidirssonasitndò disbt | VIP "SIE 

AXo' Avpagi» 1290. 230-ha ‘voluto VS! fasci. sapere , 
chie. ucili; sa)'ebbero | queste ‘mie, motizie Ise: scritte \fossero 
coi miglior: ordine ; enonbaffogate: in un mor di parole 
L'ordine ,:10metedò «di: tfattàre! le memorie: di un'nomocik 
lbstre: consiste «in ‘assicurarsi dél ‘vero: suo‘nothe. ; seimai sw 
diresso: cadessero «dei dubbi : cid'è. stato fatto‘dallà pag: 1. 
alla pag. 4: Di stabilir quindi da» patria di lui :fatto dalla 
Pago!5. allà cr0. Stabilire epoche sicure, nelle:quali abbia 

Tom. IV. Ottobre 13 


198 
vissuto» dalla; pag: (11. alla pag: 15. Ricercare quando), ed 
ove egli: lavorasse!: dalla. 15. \alla:25. Ricercare.., se nelle, 
opere suei;avesse» aiuti: dalla.,25. alla 27 .:Se davorasse.i 
musaici della «Primaziale di Pisa: dalla 27. alla 28.-Ricer- 
care chi:fosse il. suo: maestro» nel. disegno: pag. :29.a 34 
Chi maestro: di lui.nel: musaico : dalla 35. alla (40. ;Ricers 
eare ‘a «qual’ordine egli. appartenesse, e sciortre le» difficoltà. 
su. questo: punto essenziale». da pag. 40. a (baia .Se «sia; di- 
stinto | FraGiacomo. da, Torrita. dall’ altro di: Torricchior» 
dalla 52.,.alla 57. A. qual famiglia appartenesse: il. primo: 
dalla 57.4lla 59: Ricercare; sei questi fosse anche ‘scultore 3. 
dalla 59.1alla:61:. Esaminarese.sia sua una pittura (nella; sala, 
del ‘consiglio; di :Siena : dalla :61. alla 64 . Che, confusione, 
vi.è dunque .in questo discorso? Qui finiscono. le memorie 
del, nostro». Fra Giacomo» Ved’ ella; che volendo idiscorrere 
di tutte queste cose, non è. molto l’'avervi. impiegato, 64 pa: 
gine appena ...Non wworrei:,: ch’ ella: avesse veduto queste miè» 
notizie con \quell' vechio stesso: col quale guardava quei dom 
cumenti autentici (, posti in alti \ spettanti al. Torrita meì. 
desimo , de’ quali; slbilimmo parlato ‘al N°. N odo .: ia 

Ho poi tutta la: ragione» di sperare, che quelle» ‘mie 1720») 
tizic mon isiensi! altrimenti. affogate ‘in quel: mar: dioparole, | 
come. VS.sficevami dubitare! «Questa nia ;fiduciai) ciesee vin 
me:sempre più:, sì \dall’aver: renduto ‘conto a! VSsdell’or. 
dine; col quale procedono, e ‘della materia, della quale ne 
cessariamenteotrattano/3°sì i perchè VS: non so vper qual mia 
disgrazia, mostra dì howintendere le ragioni) come ali N.0 In 
di non combinare gli antecedenti con i conseguenti come 
al:N.;H:idi ‘giudicare delle (cose, senza : conoscerle, come 
al:N..II : di prendere il Secolo: XI o XII per.il. Secolo VIH» 
come al N. IV.: di chiamarée)chiarezza «la \oscurità.;«e ila: 
brevità lunghezza! ,) come saly:N. :V sie finalmente per non 
più itediarla di. prendere un 'Pagse speri un’ Uowoi; come sali 
N. VII: Quieste sod cose , chié mi Maniero ‘tacere, per), sem) 
pre, se VS: inòn 'soggiungesse.: np ni 


ci (A. Zutto il libro; dic’ella ( pag: 130..v. sb ) “allena 


190 

di confusione'y'd* inutilità, di errbri: ‘tipografici imperdo- 
cpp che maggiormente lo sfigurano.*» | 

> Quanta roba! Confusione, inutilità; errbri, ‘tutto riu? 
pr insieme è una batteria di parole!, vuote di verità, e so- 
nanti d’‘infamia per. il povero. scrittore. Ella doveva. ‘ad3 | 
durne qualche esempio. Gon ‘questo suo metodò bi può sere= 
ditare qualunque seritto , massimamente > sev'nivrilisia molto 
cognito alla repubblica letteraria . Conviene dumefue' giusti 
ficavsi. “L’ esame del ‘libro»stesso sarà’ la‘! giustificazione ) 
Trovasi dunque'l frontespizio, poi la nuncupatoria $ apuindi 
la prefazione: ' Si; citano‘gli autori , è i MS, de’ quali mi 
sono servito »° Si divide ‘I’opuscolo», come abbiam detto in 
tre parti.» Là ©prima'parte ‘vien trattata  coll’‘'enditiei, “che 
vedemmo a N. IX. La. seconda ; che principia daltucpue: 67. 
e ‘termina’ alla! pag.!/155 ; ‘tratta di' Torrita patria del Mu: 
saicista ‘Questa. è aptalmientò distinta ‘dalla’ ‘parte prima > 
Dalla pag. 67 alla 68. si tratta della situazione. di Torrita» 
Dalla 168: ‘alla 69 ‘della‘‘sua origine | Dalla 69 ‘alla»70 della 
“sua pianta , e figura. Dalla 70 alla 76 deb tenipo,in cuii 
vies'introdusse la‘ religione cristiana'» Dalla 79%4lla' 81 dî 
alcuni ‘antichi suoî'monumenti Dall’ 81 alla 1i9%della'sî2 
gnoria dei sanesì sopra Torrita!, e ‘delle ‘varie sue vicende 
politiche dal 1200 al 11555 disposte tutte’ coù » ordinid bro 
mologico:. Dalla pag: 119 alla’ pag.:1201 sì: parlavdelo ‘suo 
passaggio” sotto ‘il principato . DallaL1d0' alla 1155 si dà na 
descrizione di detta Terra È ella’-forse: questa la ‘confu- 
— sione della quale VS: mi riprende®'Son: queste forse le' cosè 
straniere ‘all’ argomento } delle quali: mi accusa? Laterza 
parte parla delle persone più illustri, che dopo Fra Jacopo 
trassero i loro natali indetta Terra. Dalla pag. ‘159 alla 
204 le lor notizie sono disposte con quell’ ordine , clie “di 
sono pervenute .-Seguòno poi dalla pag. 207 alla pag.0 432 
iododumenti' autentici , ‘spettanti’ alla ‘patria del Musaicistà? 
È qui finì la dolorosa. storia . Th tutto’ questo affare’»nbi 
solove esser possa la tanto decantata'confusione . Ho voluto 
citarne: le pagine., «perchè a un’ occhiata possa riscomtrarsi 
la verità dell’ esposto‘. 


200 


«Ora; favorisca di. dirmi VS, : allorchè uno» sérittore sì 
è proposto .g gli argomenti. *%da ‘trattare.; ion vuole ogii rar 
gione,; ch egli» rendang conto di «tutti, esattamente? E s@ egli 
adempie; ‘a. queste sue promesse), come accade: nel. caso nos 
‘stro ,. additandone minutamente-le, pagine, si potranno iim= 
putare. a lui come,cose inutili? 56} clie inutile! sarebberstà» 
to|,, se «trattandosi di. una, città celeberrima.:si  riportasseròd) 
coserigià dette) dagli altri; ma quarido» si debbe parlare per 
la prima volta» di.luna Terra, e» per ila, prima ‘volta ;\0. sì 
scoprano ; «dionuovo.; :0-dì nuovo, si. riumiscanopi documentij” 
non potramio niai/ cose di. simil:/sorte. appellarsi, inutilità «| 
Possono» bensì. comparire. piccolezze .;) sei. lo. scrittore. non 
abbia prevenuto, tutti. quegli che leggono; ‘che bisogna tutto. 
proporzione ai luoghi ; aistempi ,-6d. alle circostanze; 
come ‘nii penso di aver fatto io, pag. XIV; riportando, quel 
dettoi di Seneca.: avis: in fluvio magna sii, ari parva, 
est: sî6 mediocres, vidertàr. insignes 
Es perchè mai 'vuol’ella; mostrarsi ftanto: ile con 
il povero,tipografo da non voler, pendonave. a lui, gli erroriy 
di moltilidei.-quali} cheayeva potuto! conoscere, si, era'raèr 
cusatgi.reoa, piè. della ‘pagina; 1232,; quando,. egli genérosdr 
mente; perdona .a ;lei tutte le inesattezze, che. si trovano, in 
quel breéteo suo. articalo»;: -al. quale alla; meglio ho potiito 
rispondere?Egli. per calmare lo sdegno di VS. v interpone 
il maggior deltipografirdellSecolo XVI; Paolo Manuzio: cioè; 
il quale. afferma nons@ssetvi libro, qui omni, vacet, siii 
quippe’, cum nec: illayquidem interdumjy quae a. nobis: 00» 
gitata ipsi nostra manu scribimug pi emendata; satisì esse 
videantur, sOLIM vie 
Sono finalmente cestialiioà che . VS, desideri le memo» 
rie sdella. storia dell’ arte col. gusto,, @=e06 sentimento dell’ane 
ti medesimé!; com’ ella dice, (..pag..130..v..19. ) e le pros 
metto di farlo con. gustoi,. e: con sentimento delle. santi;hei 
col, sentimento della mia stima per lei, che'mi'dà;itutto 4 
motivo di chiudere questo mio foglio con. le parole di Tee" 
renzio ( Prol, in Eunuch. ) Responsum,, non Giglio im 
— Fine del Fascicolo A, 


20 


ANTOLOGIA 


N. XI. Novembre 1821. 


_—__ 


‘GEOGRAFIA, VIAGGI ro 


Lettere di Antonio Bencr al suo amico Pieràg 
Virvsseux intorno alle cose notabili del Cuseni 
tino e della Varve TiBErinA . 

-4 


( Gontinuazione 1 v. Fasc. X. p: 66. ) 


Anghiari a dì 25. di Luglio 1821 


) “rn il'Borgo ‘distante solo dieci miglia a Ca- 
stello, mi nacque desiderio di vedere questa città. Ma 
essa giace fuori della Toscana , ed io non aveva  passa- 
porto , perchè non è a'noi necessario dentro i nostri 
confini. Onde pensai di rivolgermi al vicario regio , 
signor Pezzella, che io non conosceva, ma che aveva 
udito encomiare da tutti i borghesi siccome leale, giu- 
sto e cortese. Visitandolo. dunque manifestai la mia 
intenzione , ed egli mi rispose con' giustizia e gentilez- 
“za [orsesmzioni il passaporto che non può dare se non 
agli abitatori del suo distretto, e concedendomi un 
T. IV. Novembre 3 I4 


202 * 
certificato idoneo a qualificare la mia persona. Di che 
lo ringrazio, perchè ho potuto sì fare con sicurtà una 
via molto dilettevole . 

Infatti la strada del Borgo fino a Castello è sem- 
pre amenissima , traversata da cinque fiumi, per con- 
tinue vigne. E piana ed ottima è per due miglia dal 
Borgo. Quindi si passa per un territorio , lungo quasi 
mezzo miglio e largo tre, che pertiene a tutti e non 
pertiene ad alcuno. Lo chiamano Cospaia; Chi vi 
possiede , non paga dazio. Chi vi abita, non è soggetto 
ad alcun magistrato. Ed ognuno può rimanervi con 
libera condizione . Ma, per. queste medesime qualità 
niuno vi ha governo assoluto; e la facoltà di dominare 
in Cospaia rimane indecisa tra”.romani e i toscani. Gli 
abitanti son buoni, perchè sono tutti agricoltori . E 
nel piccolissimo villaggio , quantunque svi sieno molti 
magazzini, si commettono rari delitti ; perchè non vi 
è la frequenza de’ mercanti, e le merci si tengono ivi 
in deposito per mandarle ove sia maggiore guadagno . 
Vi è una graziosa villa in proprietà del Mori. 

Poco dopo Cospaia si passa un fiume sopra una 
trave. Tal ponte hanno tutti i fiumi in questa parte 
dello stato romano! E benchè la/via sia sempre larga, 
piana, e dilettevole per!l’ amenità delle campagne, 
nondimeno non è st manienuta che giovi ad accrescere 
la felicità di questi abitatori. Presso il.primo, fiume è. 
il villaggio di S. Giustino. Quivi è.la villa, del Bufali», 
ni; ove bisogna fermarsi per vedere le belle, dyipiuture 
di Cristofano Gherardi , e. di Raffaellino dal. Colle . 
Tra .le prime furono lodate particolarmente dal Vasari 
quelle , che il Gherardi dipinse affresco nella, camera 
della torre, con ro spartimento di putti € figure,che 
scortano al di sotto in su molto bene, e con \grotte- 


203 
sche , festoni e maschere bellissime e più bizzarre che 
si possano immaginare + 

Dalla villa: del Bufalini in poi non: è altro da 
vedere che il vario. andamento: della valle‘ tiberina . 
Questa si ristringe a poco a poco, avvicinandosi a Ca- 
stello. E intorno la'città, che è quasi tutta in un me- 
desimo piano , sorgono dolcissime colline senza. niuna 
montagna : À me pareva d’ essere ne’ contorni di . Fi- 
renze, se non che i poggi apparivano più fevtili ; “più 
frequenti ; e più piccoli 2 

Io sono entrato in città: per la porta fiorentina , e 
riposandomi nel primo caffè , mi è venuto sotto gli oc- 
chi il diario d’ un altro viaggiatore , ove sirdava questo 
ragguaglio. — Strada fangosa . Be’ contorni. Ponte e 
barca . Mura. Quattro porte ; fiorentina’, S: Maria, ro- 
mana, $S. Egidio . Belle strade , ma ‘selciate con ciot- 
toli. Be’ palazzi. Belle chiese. Beilesdonne . Bello spe- 
dale . Persone garbate. Cattivi caffè. Archivio. Ro- 
gna. — Questo viaggiatore vera venuto a Castello ne’ 
giorni passati, quando pioveva: e non mi fa maravi- 
glia che s'infangasse per la via che è tanto negletta . 
Bensì ho riso in udire ch'egli corse tutta. la città in 
un'ora, e che fatta poi colazione nel caffe, ripartì ver- 
so il Borgo con animo di stampare un grosso volume 
intorno a Città di Castello. Quanti libri di viaggi hanno 
simile fondamento! 

Il Tevere passa lungo Je mura fuori Porta roma- 
na, o come anche la dicono Porta: a prato , perchè 


x 


vi'è un prato larghissimo ove fanno la fiera. Ivi è 
un comodissimo ponte di legno: ed il fiume è già 
profondo sopra molta arena in alveo angusto. Ma le 
ripe coperte d’ alberi, e l'imminente poggio con! vi- 
gne e pometi, danno a chi passeggia inesprimibile 


204 

letizia . Io ho goduto alquanto di quel bel paese, guar- 
dandolo dal ponte . E poi ho imitato il:suddetto viag- 
giatore , correndo anch’ io precipitosamente il contado 
e la città. Per la qual cosa io non darò ragguaglio 
de’ quadri che sono nelle chiese; avendogli, 10 visti ; 
ma non contemplati. Le belle chiese abbondano; e il 
Duomo ha molte buone qualità dell’ architettura anti- 
ca . Ivi erano le migliori dipinture , ma sono state por= 
tate altrove . La cupola è stata dipinta da Tommaso 
Conca , il quale ha dato pure le prime lezioni di dise- 
gno all’ amico nostro e valente pittore Francesco Nenci 
d’ Anghiari. (1) 

Le vie sono molto. spaziose; ed ampio prato , che 
guarda sopra le mura in campagna , è davanti al Duo- 
mo;.e pulita e regolare, piazza è in mezzo della città. 
Questa potrebbe esser florida, se avesse. comodità di 
strade fino a Perugia ed. al Borgo . E gioverebbe pure 
alla città i’ essere.abitato il palazzo Vitelli da una ric- 
ca.famiglia; imperocchè vi è un bellissimo e grande 
giardino che presto presto, diventerà un orto; mutate 
le querci.in cavoli , e riposto il fieno in quelle vaghis- 
sime logge , che furono riordinate dal Vasari. e dipinte 
con tanta grazia da Gristofano Gherardi . Io voleva al- 
tresì vedere la‘buona galleria di quadri che è nel pa- 


{1) Verso la fine del secolo passato ‘un gran terremoto di- 
strusse, molte case, e fece cadere la cupola del duomo di Città 
di Castello. Riedificata quindi la cupola; fu chiamato il Conca 
da Roma a dipingerla. Ed in questa occasione andò il Nenci 
a Castello ; ove, siecome nel Borgo a S. Sepolero , non è alcun 
maestro ivi deputato a insegnare l’ arte del disegno . 

Per causa. dello stesso terremoto fu la città. quasi tutta: 
rifabbricata . E. perciò essa è ora molto pulita e piacevole . 


205 
lazzo, ma. le chiavi mancavano, e sopra le scale ho 
trovato molte rondini che facevano il nido . 

Nella città non è pubblica libreria, ma vi è buo- 
no archivio , dove si conservano gli Tr contratti , 
e qualche manoscritto . Il male della rogna è sati 
nel popplo anche in altre parti della valle tiberina . 
Ma ciò non dee metter timore. nell’ animo a’ viaggia- 
tori , potendosi con facilità guardare da simile conta- 
gio, mentre sarebbero privi d’ un'igran diletto , se per 
questa o per altra cagione si astenessero dal venire in 
queste contrade . Io se poteva, sarei restato più giorni 
in Castello. E malvolentieri ne sono oggi partito . 
Riuscendo per porta fiorentina , e potendo pren- 
dere quélla via che mi piaceva perchè andava a 
piedi, in iscambio di tornare al Borgo ho preso la 
via a sinistra, e dopo breve cammino ho passato 
in barca il Tevere. Quindi costeggiando per qual- 
che spazio il fiume contro la corrente, mi sono alfine 
partito dalle sponde tiberine e dal piano della valle, 
per seguire al tutto la via del poggio. E così mo- 
vendomi di colle in colle , ora scendeva per un prato 
senza lontane vedute , ora saliva una vigna da cui si 
scorgevano eziandio le alpi di Romagna, ed ora mi go- 
deva degli ombrosi viottoli per le ripe de’ torrenti . Il 
fiume della Sovara, che arreca molte acque al Tevere, 
mi ha dato per alcune miglia un dilettevole passeggio i 
È dipoi non per Monterchi ove passa la nuova strada 
d’ Arezzo, ma per più breve sentiero al di sotto del 
villaggio di Citerno , io mi sono trasfevito in Anghia- 
î. La bellezza e l’ubertà di queste campagne è più 
di ciò che io potrei narrare . Sono più vaghe di quelle 
finora descritte : e tanto più appariscono belle , in 
quanto che non può essere più brutto il primo ingresso 


206 î i 

ad Anghiari. Si passa per una piccolissima porta, e 

poi si sale un’erta tortuosa ed angusta , ove le case non 

sembrano essere state mai imbiancate . Quivi nel mez- 
zo d’ Anghiari antico è l'antico Pretorio, che è più 
alto ma non meno orrido delle circostanti case . E nel 
Pretorio tenevasi quel celebre catorcio che. fu cagione 
di tante zuffe tra gli abitatori d’ Anghiari e del Borgo, 
e che finalmente fu portato nell’anno 1737 a Firenze, 
ove si mostra come una cosa curiosa neil’ archivio del 
Fisco. Detto catorcio era il piccolo chiavistello d’ una 
porticella d’Anghiari ; che i borghesi portarono seco in 
trionfo, e che fu loro ripreso , alcuni dicono per in- 
ganno , altri per forza. Ringraziamo la fortuna che ha 
fatto cessare le nimicizie fra’ municipu d’ Italia , i 
quali parteggiando l uno contro | altro infievolivano 
la patria comune. (4) 


(1) Tanto i borghesi, come gli anghiaresi ( essendo al pre- 
sente e da gran tempo amici ) ridono volentieri delle discordie 
nate tra gli avi loro per rispetto al catorcio . Sicchè posso ri- 
petere , senza dar loro alcun dispiacere, ciò che dice Lorenzo 
Taglieschi nella sua cronaca d’Anghbiari , anno 1450. Egli dun- 
que racconta : ,, che il 29 giugno di detto anno facendosi la 
solita fiera di San Pietro in Anghiari , gli amghiaresi si attac- 
carono a questione con i borghesi, i quali vituperosamente se ne 
fuggirono al Borgo, ma confusi dalla vergogna ritornarono la 
medesima sera in Anghiari in numero di 4oo bene armati per 
vendicare la comune ingiuria, e arrivati sullo sgombro della 
fiera e venuti ad un giusto fatto d’armi su la piazza con gli 
anghiaresi, i quali erano poehi rispetto a’ borghesi, nondimeno 
ne ferirono 150, e 6 ne ammazzarono ; € mentrechè attende- 
vano a scacciare i nemici dalla piazza , una squadra di loro en- 
trata dentro al castello rubarono un chiavistello o catorcio della 
porta piccola del Ponte, e con tal furto dettero fine alla loro 
insolenza, ritornandosene al Borgo . Ma gli anghiaresi essendosi 


misi. 

Dal Pretorio si scende alla piazza d’ Anghiari . È 
qui principia il nuovo paese che è oltremodo piace- 
vole. La strada continua di salire , ed è larga ed ario- 
sa: Le case sono pulite, e ‘a’ due lati veggonsi 1 tetti 
soprastare l’ uno all’altro come i pianerottoli d’ una 
diritta scala . Io sono andato subito in cima della via, 
doy’ è ‘un convento , ed ove giungono qui dapprima 
quegli che verigono da Monterchi e da Arezzo . Al con- 
vento , che ora è chiuso , apparteneva agli Zoccolanti . 
E nella chiesa ; che ha nome della-Croce, si veggono 
due buonissimi quadri. L'uno è del Passignano, e 
rappresenta la Concezione , ma è sì guasto che non si 
può quasi riconoscere il disegno del pittore . L'altro è 
della scuola di Carlino Dolce, ov’ è in tela ritratto il 
caso di S. Elena quando ha trovato la Croce . E nelle 
mani e nel volto della Santa , nella figura del Vescovo 
Macario, e massime nell’ aspetto e nelle membra della 


poi accorti del catorcio rubato si misero, dietro a’ nemici, e 
avendo questi preso vantaggio con la fuga , erano già passati 
il ponte del Tevere ; dove incontratisi in una squadra di donne, 
ch’ erano dietro a’ loro borghesi , gli  anghiaresi ( non potendo 
in altro modo vendicarsi ( tagliarono a dette donne le gonnelle 
sino alla ‘cintura, e ciascuno) su le picche e bastoni a:-guisa.di 
trofeo portava il suo pezzo: i quali per memoria di questo 
fatto furono conservati poi lungo tempo nella fraternita d'An- 
ghiari, sinchè ( nòn sono molti anni ) essendo guasti dalle ti- 
gnole , furono gittati via. Cotale fu il fine de! assalto de’ bor- 
ghesi da’ quali fu posto poi il catorcio d’Anghiari nella puh- 
blica piazza in luogo eminente, impiombato in una muraglia , 
mostrandolo ad ognuno con grande ardore e devozione , come 
se fosse il catorcio delle Porte di Terra Santa ,, . 

Si racconta quindi che alcuni anghiaresi ritolsoro di na- 
seosto il'catorcio , e lo riposero nella cancelleria d’ Aiighiari . 


208 
dobna risuscitata veggonsi lineamenti sì purgati ‘e af- 
fetti sì pietosi che potrebbe averlì disegnati ed espressi 
Carlino medesimo. 

Dìvanti la chiesa è un portico : e di qui princi- 
pia la strada che scende iu Anghiari, e che seguita per 
la valle tiberina senza torcer mai fino al Borgo a S. Se- 
polcro . Questo sublime prospettò si può godere, ma 
non descrivere . Il Borgo è più di quattro; miglia di- 
stante . 

L’avvicinar della notte mi ha costretto a partirmi 
dalla Croce ; ed appena ho avuto il tempo a vedete la 
cappella in casa Corsi, che è di buona architettura e 
in ogni luogo adorna di vario e bellissimo marmo . 
Questi ornamenti furono lavorati e scolpiti da’ fratelli 
Giovannozzi fiorentini. Ma il disegno dell’ edificio fu 
fatto da Benedetto Corsi, nativo d’ Anghiari. Questi 
era un signore ricco, animoso e intelligente . Sicchè 
volendo più gioconda e comoda abitazione , comprò 
molte vecchie case e le fece abbattere per edificarvi 
un nuovo palazzo. Quindi vi aggiunse un bel giardino, 
e nel 1774 ordinò la cappella. Dopo le quali cose un’al- 
tra ne imprese con molto maggiore dispendio . I pub- 
blici teatri erano allora proibiti ne’ piccoli paesi. Onde 
il Corsi, che aveva dodici figliuoli ed accoglieva sem- 
pre i forestieri , si propose di fabbricare un teatro; af- 
finchè dalle buone commedie avessero i figli istruzio- 
ne, e gli stranieri diletto. Nè al suo pensiero inter- 
pose indugio , poichè trovandosi per caso in Anghiari 
il professor macchinista di Firenze, Lorenzo Pozzoli- 
ni, ei fece subito gettare i fondamenti del teatro col di 
lui consiglio . E notisi quanto animo e discernimento 
avesse il Corsi . Imperocchè s’avvide che l’opera in- 
cominciata aveva una curvatura incommoda agli spet- 


209) 
tatori, e fece tosto nuovi fondamenti , benchè il muro 
fosse già sopra terra un braccio . Per la quale diligenza 
è il teatro del Corsi uno de’ più belli di Toscana. Fu 
compiuto. nel 1790 . Ha tre ordini con. trentotto pal- 
chetti. E la platea, lunga diciassette e larga tredici 
‘braccia, è sufficientissima alla popolazione d’Anghiari; 
cui sogliono adesso i figli di Benedetto concedere tal- 
volta l’uso pubblico del teatro . lo vi ho udito questa 
sera recitare l’ Antigone dell’ Alfieri. da una compagnia 
di comici, che era prima stata mel Borgo a S. Sepol- 
cero , dov’ è pure un teatro . 


x 


Partina a dì 26 di Luglio 1821. 


Ricordatevi, mio caro amico, del consiglio da- 
tovi nella prima lettera , cioè di vedere il Cenacolo di- 
pinto a fresco da (1) Andrea del Sarto in S.Salvi, prima 
di fare questo viaggio. Che se avrete. visto quella di- 
pintura, giungendo poi in Anghiari, potrete farne con- 


(1) Questo bellissimo Cenacolo d’ Andrea è detto comune- 
mente dipinto 4 fresco: ma in realtà non vi sono trattate in 
fresco se non che le principali masse de’ chiari e de’ bruni, ed 
i gialli, formati di bianco - sangiovanni e di ocre.Gli azzurri 
ed i verdi, colori vergini, oltre i colori composti, contengono 
il carbonato di rame ,-e sono stati applicati nel modo usato 
da’ pittori del XIV. e XV. secolo ; nè potevano trattarsi a fre- 
sco , stantechè la calee ravvivando il rame ayrebbe estinto il 
solore . i 


Nota di PIETRO PETRINI 


210 

fronto con un simile quadro di Gio. Antonio Sogliani 5) 
Di questo così parla il Vasari ! /Nel castello! d’ An-. 
ghiari fece in testa d’ una compagnia in tavola un 
cenacolo a olio) con figure di grandezza’ quanto'il 
vivo ; e nelle due rivolte del muro.) cioè dalle bande ,. 
in una Cristo che lava i piedi'agli Apostoli, e nell'al- 
tra un servo che reca due idrie d’acqua: la qual 
opera in quel luvgo è tenuta in gran venerazione, 
perchè invero è cosa rara . È rarissima è per certo, e 
potrebbe adornare qualunque buona Galleria senza 
parer minore alle più stimate dipinture . La figura'di 
Cristo che lava i piedi, sembra disegnata e colorita da 

Raffaello . Ed uguale bontà si scorge nelle altre figure 
del Cenacolo , e massimamente nelle teste; dalle quali 
apparisce che il Sogliani aveva oltremodo studiato 
nella scuola del Frate e del Vinci. Guardando io Gesù 
che siede in mezzo agli apostoli , mi sentiva commuo- 

ver l’animo a più alti pensieri, tanto è umano e divi- 

no a un tempo il volto del Redentore . pifi 

Ma seguitando poi di contemplare il quadro ; vio 

maravigliava come fosse simile ia quello di Andrea in 
S. Salvi. E maravigliava pure come il Vasari non 

abbia indicato questa loro somiglianza, ei che d’amén- 

due ragiona. Forse egli non vide il Cenacolo d’ An- 

ghiari, o non volle mostrarsi fautore dell’ uno più che 

dell’ altro pittore . Allorchè però ‘diede giudizio della 

dipintura d’ Andrea, la reputò. Za più facile’, la più 
vivace di colorito e di disegno ch’ ei facesse giammai; 
soggiungendo che aveva Andrea: oltre alle altre» cose 

dato grandezza, maestà e grazia infinita a ‘tutte 
quelle figure. Le cui parole indicano alcune qualità 

proprie del Sogliani più che d’ Andrea . Imperocchè il 

primo più che il secondo ebbe animo e pensieri ele- 


21t 
vati. Quindi si potrebbe congetturare che Andrea in 
quest’ opera imitasse alquanto il Sogliani .. L'aria delle 
teste , le attitudini delle figure , i, panneggiamenti , gli 
accidenti, ed in somma la composizione del quadro 
( benchè questa non sia al tutto lodevole, ) si veggono 
quasi simili .ne' due Cenacoli :: e dico quasi simili , 
perchè vi è qualche differenza; ma solo in quattro fi- 
gure, cioè nel Redentore, ne’ due apostoli che gli 
siedono al fianco, e in Giuda . I tre primi variano al- 
quanto nell’ attitudine .e, nell’ espressione , che è più 
significante nell’ opera del Sogliani. Giuda. è collocato 
fra gli altri apostoli nel Cenacolo d° Andrea; e in quel- 
‘lo del Sogliani è tutto solo nella parte anteriore della 
tavola, siccliè. volge il tergo a chi contempla il quadro. 
Nel Cenacolo d’ Anghiari si riconosce la maniera so- 
lita del Sogliani. In quello di S. Salvi: si scorge ‘un 
modo di dipingere , cui Andrea non fu sempre con- 
sueto. Io lascio questo argomento all’ altrui giudizio. 
E noterò soltanto che il Cenacolo, del Sogliani fu 
trasportato per ordine di Leopoldo Nella chiesa prin- 
cipale d’ Anghiari, che. chiamano la Madonna del 
fosso, e volgarmente la Propositura. Ma qui pure 
è negletto : ed è vergogna e danno il non custodirlo 
con somma diligenza . 

Nella medesima chiesa è un quadro.di, Dome- 
nico Puligo , che rappresenta Cristo deposto di croce. ' 
Ed ancora questo, benchè sia tra. le migliori opere 
del Puligo , è mal, tenuto e .mal collocato, non a- 
vendo neppure idonea luce . i 

Io ho veduto i suddetti quadri in. questa. mat- 
tina, e poi sono partito da Anghiari per la parte op- 
posta a quella, d’onde vi giunsi ieri; salendo cioè fino 
alla Croce, e pigliando poi, la strada vecchia d’ A- 


212 
rezzo, che scende tra coltivate campagne fino alle 
rive della Sovara . Quindi sì passa il fiume, e si sale 


un poggio ove è la Zarbolana , villa del Barbolani 
conte di Montauto. Questo luogo è arioso , ed anche 


piacevole ; benchè sia quasi al confine della coltivata 


campagna . Infatti ho ivi trovato un bel boschetto , e 
una vigna; e poco dipoi ripigliando |’ eria , ho do- 
vuto salire un monte privo di alberi, ove rare greg- 
ge pascevano la rada erbetta , e dove le lepri mi 
saltavano sovente innanzi dall’uno all’ altro mac- 
chione. Sopra il vertice del monte è un’ altra villa, 
ma selvaggia con aspri sentieri, essendo parte dell’an- 
tico castello, detto Montauto ( da monte acuto ), che 
diede ib titolo. alla famiglia ed alla contea del Bar- 
bolani. E da questo luogo , in cui sentiva fresco, tut- 
tochè il sole fosse a mezzo il corso, ho dato l' ulti- 
mo sguardo alla valle tiberina. 

Segue la via per salite e scese continue tra gli 
appennini , che qui si chiamano alpi di Catenaia . 
Ed il viaggiatore stia bene attento alle Muestà ( no- 
me dato in tutti questi luoghi a’ tabernacoli ), per- 
chè sono esse poste ne’ bivii o ne’ trivii, dove si può 
facilmente scambiare la via. Presso una di queste 
Maestà è un bivio per cui si va nel Casentino , 0 ad 
Arezzo che è vicino dodici miglia. Io ho preso la 
strada del Casentino, volendo passare per l’ osteria 
del Chiaveretto: ma una muova maestà ha ingan- 
nato me e la guida, e siamo giunti per cammino 
più lungo e faticoso nell’ alveo della Chiassa, il 
quale torrente nasce dal monticello Pala della Cate- 
naia, e sbocca in Arno. Sicchè abbiamo dovuto 
prendere un’altra guida, e camminar lungamente 
sopra i sassi del finme, per risalire un monte, da 


- 


2153 
cui finalmente sono sceso all’ Arno nel Casentino . In 
questo luogo è l’ osteria del Travigante . Poco lungi 
è un ponte antichissimo sull’ Arno, che dicono fatto 
da Annibale e che sembra. opera de romani. Ed è 
pur vicino un grosso villaggio‘, detto Subbiano . 

Le rive dell’ Arno sono amenissime pure: in que- 
sta parte, che è il basso Casentino. Ed io costeggian: 
do il fiume , e passando pe’ villaggi di S. Mamma'e di 
Rassia ; dopo aver guadato it Corsalone ; sono giunto 
di nuovo a Bibbiena , da dove riguardando le campa 
gne, non mi sono sembrate meno: belle ‘e piacevoli 
della valle tiberina; quantunque sia questa più larga e 
piana . 

Io mi sarei volentieri riposato in Bibbiena, perchè 
aveva già fatto più di venti miglia con sommo disagio, 
e perchè era vicina la notte. Ma un antico mio com- 
pagno di studio , amabile, onesto e fermo nelle ami- 
cizie, mi aveva invitato! nel suo villaggio .. Siechè 
discendendo da Bibbiena fino ‘all’ Archiano'; passan- 
do questo fiume sopra una ‘tràve, e traversando la 
vasta e fertilissima tenuta de’monaci di Camaldoli ‘che 
si chiama: la Mausolea ; ho dopo quattro miglia ab- 
bracciato il mio fido amico Bernardo Franceschi , 
il quale dimora in Purtina . Questo villaggio è dro 
simo alle montagne di Camaldoli, ed ‘è ‘nel con- 


‘fluente dell’ Archiano e d’ un'altro fiume» 


214 
ai a dì 27 di luglio 1821. 


Accompagnato dal..mio' caro Franceschi sono sa- 
lito questa, mattina da. Partina a Camaldoli. Chi 
viene in questo luogo\da. Bibbiena, dee fare quasi 
la medesima stradai, dopo essere giunto in Partina 
o ne suoi, contorni... E; la via è:facile; benchè mon- 
tuosa : e. le. campagne; non (sono. ‘inculte , nemmeno 
sulle più alte! pendici. Soltanto allora che il cam- 
mino, è lontano quattro miglia da Partina , incomin- 
cia la terra tutta selvaggia con rari cespugli e senza 
casali. Nè quindi; più si scorge il basso e medio Ca- 
sentino', che, infino, allora mi aveva mostrato i suoi 
fiumi , le sue ville ;e;i/suoi castelli. Ma seguitando 
la via dentro le montagne, mi si è scoperto poco 
dipoi un vasto prato. con una cascina in vetta. E 
giù mel burrone; ove. un torrente scorre , mi è sem. 
brato di. vedere un villaggio grande e bene ordinato, 
sopra cui, s'inalza all’’opposta. ripa un i bosco. folto 
di quanti alberi nascono per le nostre selve. Onde 
ho (affrettato il passo per discendere al margine del 
fiume , ed. accostandomi al. pressupposto villaggio , 
ho veduto poche case al di, sotto del prato, e un vasto 
e ben riquadrato edifizio in vicinità delle acque . Tale 
edificio comprende il monastero e la chiesa de’ monaci 
di Camaldoli : sicchè le donne non possono entrare 
nemmeno nel tempio , e si fermano nelle altre sopra- 
dette case , ove stanziano pure gli artefici che servono 
al monastero . 

Il nome di Camaldoli proviene dall’ antico pos- 
sessore di questi luoghi , che si chiamava Maldulo , 0 


215 
secondo i varii manoscritti, Maldo, Maldalo , e Mad- 
dalo.. Costui:-dunque ;nel,1009 donò quivi un campo 
a S. Romualdo ; e il.dono fu chiamato campo di Mal- 
dulo., e per abbreviazione Camaldoli ; essendo pur ta- 
lora nominato campo;amabile . Anticamente pero non 
eran qui le abitazioni de’ monaci. Le prime celle furono 
fabbricate un miglio più Jungi ; e dipoi fa fatto qui un 
ospizio , detto di fonte buona per la bontà delle acque, 
il; quale a poco a poco è diventato un ampio convento. 
lo:vi sono stato accolto da’ monaci, con somma genti- 
lezza . Le commodità,del vivere “non mancano : ed al- 
tra volta eranvi pure buona libreria e buono archivio . 
Nel refettorio è opportunamente, dipinta Za refezione 
di Cristo nel.deserto ,;ove la figura , del Salvatore è 
invero maestosa e divina. Nella. cappella dell’ inferme- 
ria èun grazioso quadretto di Raffaellino del Garbo , che 
rappresenta l’ orazione di Cristo ‘nel deserto. Nella 
cappella-del Capitolo sono due immagini dipinte da 
Giorgio Vasari. E nella chiesa, che ha una sola navata 
e moltissimi ornamenti , furono. dal medesimo Vasari 
dipinte quelle tre tavole;che sono nell’ altare ,maggiore 
ene’ due più prossimi. La;prima rappresenta Cristo 
deposto di croce, ed è più buona delle altre , perchè il 
Vasari. la fece dopo quelle e vi adoperò con fatica e stu- 
dio (quanto gli;fu possibile. La seconda tavola rappre- 
sentà la natività di Gesù , fingendo z7a notte illumi- 
nata: dallo splendore di lips nato, circondato da 
alcuni pastori che l° adorano . E la terza rappresenta 
la Madonna col, figlio in collo; San Gio. Batista e 
Sdnto:Jeronimo . PECIOCRE 

Il Vasari vi dipinse pure a olio e in due quadretti 
le i immagini dit. Donato e di S. Ilario. E vi dipinse 
a fresco sopra la porta il ritratto dell’ eremo, da un 


N 


216 
lato S. Romualdo con un doge di Venezia che è forse 
S. Pietro Orseolo , e dall’ altro una visione che ebbe S. 
Romualdo tà dove fece poi il suo eremo . 

Gli altri quadri della chiesa sono meno pregevoli 
di quelli del Vasari; e la volta fu dipinta a fresco da 
Santi Pacini. 

Dalla chiesa noi siamo scesi al fiume là dov? è 
segato il legname per forza della corrente . E dopo aver 
visto il semplice ordigno di quella sega ‘a ‘acqua , che 
fu la prima ad essere usata ‘in Toscana, abbiamo ri- 
preso l’erta, entrando ‘finalmente ‘nell’abetina . Que- 
sta negli anni scorsi faceva ombra densa a chi saliva 
il monte . Ora si vedono di lato ‘ moltissimi abieti ; ma 
la via giace Si a’ raggi del Sole .Onde non èsì gra- 
‘ta e maestosa com'era prima e come sarà all’avvenire, 
quando le radici de’ troncati abeti avran gettato ‘muovi 
germogli . 

Dopo un miglio sopra il monastero scema il dé 
clive della montagna per molto‘ spazio . E qui 8. Ro- 
mualdo fece la sua prima cella , qui è I’ Erenzo di Ca- 
maldoli . Tutta di pietra è la chiesa con due campanili 
a guisa di torri ne’ lati della faéciata . Al di dentro: è 
un piccolo vestibulo, dove i'monaci si spogliavano 
de’ loro mantelli e degli zoccoli , quando venivano ba- 
gnati dalla pioggia o dalla ‘neve a ‘cantar le laudicin 
coro . Quindi si passa al tempio che era ‘magnifico e 
pieno di bellissime dipinture, mà che ora è pai mogli 
altari, e malconcio nelle pareti . Innanzi alla chiesa è 
piccola piazza , da cui si entra nelle celle . Queste so- 
migliano a un borgo che abbia quattro ‘strade paralelle 
con case piccole , spartite , e solo' a' (pian terreno | Ogni 
cella ha un orto chiuso da mufràa' Nell’ orto risponde 
ùn portico . E da questo si entra nell’ andito che ha 


217 
due porte. L'una mette in un salottino e quindi in 
una privata cappella . L’ altra mette in una stanza ne- 
cessaria a riporvi le legna , ed in uno stanzino ov’ è pe- 
renne fonte, idoneo alle lavande . Molti tramezzi sono 
di legno: e il salottino è così bene ‘accomodato , che 
ha da una parte il cammino, e dall’altra sembra chiu- 
so da una parete di legno, mentrechè questa si può 
aprire , ed offerisce allora uno studiolo ed un letto. 

Ventotto monaci potevano godersi di sì comoda 
abitazione , e solevano passare la gioventù nell’ eremo, 
trasferendosi poi nel monastero ov’era ed è la vita me- 
no austera. Al presente però niuno dimora nelle soli- 
tarie celle, le più delle quali cadono in rovina . E 
tutto il luogo vicino all’ eremo è altresì cambiato , non 
avendo più quelle grandi masse d’ ombra intorno a’pra- 
ti, nè que’ varii gruppi d’ annosi abeti, che mettevano 
maraviglia nell'animo a chi venisse qui contemplando, 
la selva. Anche i ruscelli, che nascono da sette sorgenti, 
hanno forse mutato il letto : nè si vede orma , nè si ode 
voce nel luogo deserto , se non di bifolchi e di bovi che 
traggono su per le rupi i tagliati abeti con lena e con / 
grida. Ond'io mestamente ritornava verso il monastero, 
troppo più dispiacendomi le nuove qualità del bosco ; 
allorchè il mio affettuoso compagno ha indicato un’al- 
tra via, soggiungendomi che avrei così veduto la parte 
più deliziosa, e meno nota , di queste montagne . 

Infatti, dopo aver disceso al di sotto dell’ eremo 
quattro miglia per viottoli cupi e ripidi, ho posato il 
| piede sopra morbido musco in riva della Zama, disco- 
prendo un luogo più ameno e maestoso di tutti quelli . 
che io aveva percorsi . Lento lento, e senza Spiaggia , 
il fiume traversa un prato abbondevole di fiori e d’ er- 


T. IV. Novembre 1Ò 


218 


ba. Molte gregge godonsi della dolce pastura : e or sì 
vede una pastorella seduta all’ ombra d’un albero pres- 
so la capanna, ora un pastore che ha lasciato il suo 
vincastro e pesca le trote , cercandole colla mano tra’ 
sassi per le frigide acque. Nè da questa pianura è al- 
cun sentiero facile , che meni fuor della valle ; poichè 
neppure il fiume non concede un varco , cadendo esso 
verso la Romagna tra balze anguste ed altissime. Alle 
quali ‘continuandosi la montagna con giro vario ma 
continuo, rimane il prato si chiuso e profondo che ogni 
nube l’ oscura. E più lunghe son qui le notti, più for- 
midabile il verno , costretti allora i pastori ad abban- 
donare le capanne . Ma sia che nella tempesta vi fioc- 
chi la neve, o che vi splenda il sole, sempre vi è un 
tenebroso orrore intorno intorno alle rupi ; le quali inal- 
zate quasi a picco, dimostrano la vetta ignuda con rotti 
scogli, e portano sul dorso una selva conserta di faggi 
e d’abeti. Onde nella stagione estiva non si può vede- 
re, almeno in questi iuoghi, un’altra valle che dia 
tanta letizia e tanta malinconia a un tempo. I quali 
affetti sono accresciuti dalla piccolezza del prato che 
gira tra le rupi un miglio ; stantechè l’ occhio , volgen- 
dosi in qualunque parte, vede davvicino e ben con- 
trapposto il piano al monte , e 1’ ameno all’ orrido . 

A me sembra che la Lama potrebbe servire di 
utile studio a’ piitori di paese: e sarà per certo dilette- 
vole ad essi ed agli altri viaggiatori, i quali possono 
andarvi pure a cavallo senza grave incomodo . Nelle 
prime ore della mattina vi sì trova appresso i pastori 
latte , ricotta e pulenda : e nelle ore successive non vi 
è che pane durissimo e qualche trota. Onde bisogna 
portar seco il desinare o la merenda , come ha fatto i] 


Be 


219 
mio amico ; per la cui providenza abbiamo potuto fer- 
marci nella Lama fin verso sera, e poi siamo tornati 
al monastero di Camaldoli . 


Stia a dì 28 di luglio 1821. 


La montagna di Camaldoli è parte di quell’ alpe 
che si chiama Giogana. Ma il volgo suole dare tal 
‘nome a quell’alto monte che sovrasta all’ eremo , e 
che ha la vetta cinque miglia distante. Sicchè vo- 
lendo salire a questa cima, bisogna domandar della 
strada che va sopra la Giogana. E salirvi bisogna 
quando l’aria sia pura e serena, perchè allora si scor- 
ge di quivi la Toscana infino al mare tirreno , e la 
Romagna infino al golfo adriatico. Onde l aurora a- 
vendo oggi annunziato uu chiarissimo giorno, io mi 
son subito avviato nell’ abetina ; e rivedendo l’ere- 
mo, e seguitando più oltre il cammino, dopo due 
ore son giunto al bramato vertice : il quale ( e non 
già quello di Prato Magno, come alcuni han detto ) fu 
dall'Ariosto paragonato all’ altezza di Pirene co’ se- 
guenti versi del canto quarto : 

Di monte in monte , e d’ uno in So bosco , 
Giunsero ove l’ pri di Pirene 
Può dimostrar ( se non è l’ aer fosco ) 
E Francia e Spagna e due diverse arene ; 
Come Appennin scopre il mar Schiavo e’l Tosce 
Dal giogo , onde a Camaldoli si viene . 


n 


220 


Quindi per aspro e faticoso calle + 
Si discendea nella profonda valle . 

Jo non so dire se mi abbia arrecato maggiore 
diletto, o il trovarmi libero senza tristi pensieri in 
quel poggio eminente, o il ricordarmi d’ essere in 
un luogo, dove l’ Ariosto aveva altra volta fermato 
il passo. Certa cosa è che mi godeva l’ animo nel 
meditare delle lodi sue, mentre contemplava le due 
sponde d’ Italia . È quindi passata un’ ora colla mente 
piena di sì liete immagini, sono disceso anch’ io per 
aspro sentiero nella profonda valle, verso Moggiona . 
Questo è un villaggio con castello antico , non molto 
lungi alla Terra di Stia. Sicchè ad essa sono arri- 
vato dopo un breve cammino di sei miglia dalla Gio- 
gana . 

Stia chiamavasi anticamente Staggia : il qual 
nome è dato ora soltanto al fiume che sbocca in Arno 
sotto le mura di Stia. E ben coltivate sono le vicine 
campagne , tutte in collina : e salubre e vaga è.la 
situazione del ‘paese al confluente della Staggia e 
dell'Arno, ov'è pure un ponte per cui la strada ri- 
sale alla Consuma verso il Ponte a Sieve. Nè in tutto 
il Casentino è ora un’altra Terra così popolata d'uomini 
industriosi ; essendo qui molte fabbriche , particolar-. 
mente di panni. Sicchè ho fatta in questo luogo una 
seconda e piacevole fermata; dopo di che ho preso 
la via, nuova e piana alla sinistra dell’ Arno per ve- 
dere quanto io poteva | alto Casentino . 

Non molto lungi da Stia si passa un torrente chia- 
mato /iumicello , che nasce sopra il villaggio di Casa- 
lino: e dopo un miglio si entra in Pratovecchio , cui 
hanno dato questo titolo, perchè nel Casentino è un 
altro paese molto più piccoto che si chiama Prato. 


221 
Ognuno'sa , come Pratovecchio sia stato sempre patria 
feconda di nobilissimi ingegni. Io vi ho veduto una va- 
sta piazza idonea a’ mercati , ed una via larga e diritta 
con botteghe e portici.Onde ancor qui è molto commer- 
cio e piacevole soggiorno : Fuori delle. mura continua 
la strada in mezzo a ville e campi ubertosi ; talchè 
non m'è incresciuto andare fino al colle di Romena, 
sotto cui ho trovato la forte Branda che V Alighieri 
mentovò nel trentesimo canto’ dell'inferno , e che i 
commentatori hanno creduto essere quella stessa di 
Siena . Quindi salendo il colle ho riveduto, benchè da 
langi, Bibbiena , Poppi , e il Borgo alla collina . Sicchè 
avendo ormai viaggiato per tutto il Casentino , sono 
tornato a Stia; ove poteva trovare un migliore alloggio 
ma non ‘una locanda meglio situata, perchè \da una 
parte ha le finestre sulla riva dell’ Arno vicina al pon- 
te e dall'altra risponde nella via principale, quasi 
‘dirimpetto alla casa-in cui nacque Bernardo Tanucci, 
dotto giureconsulto e professore nell’ Università di Pi- 
sa; savio e leale ministro di Carlo III Re delle due 
Sicilie, e amato e lodato e desiderato sempre da tutti 
i napoletani . 


Dicomano a dì 29 diluglio 1821. 


Varie nuvolette che ascandi@valio i raggi del na- 
scente sole mi hanno dato indizio d’infausto giorno . 
Ma nondimeno ho voluto andare da Stia sopra la mon- 
tagna di Falterona. E dapprima ho avuto piacevole 


er 


223 
viaggio, vedendo alla mia destra una graziosa collina 
con molti e successivi gruppi di case , e vedendo .a si- 
nistra un alto poggio con altissima torre. Questa ap- 
parteneva al palazzo de’ Conti Guidi ; e per tradizione 
popolare ( che io non so come si concordi colla storia ) 
raccontasi che Dante fosse qui rinchiuso dopo la batta= 
glia di Campaldino . Tal luogo ora chiamasi /’orciano . 
E l’altro che è a destra, composto di molti casali , si 
dice Papiano , benchè volgarmente lo chiamino Casa 
Grillo . Quivi era la contea d’ Urbeck ; ed alcuni pre- 
tendono che questo nome germanico si derivi dalla fi- 
gura orbicolare della contea, fondando i loro argo- 


menti nella pronunzia de’ contadmi, 1 quali tolgono 


via la desinenza tedesca e dicono Orbecolo . 

Sopra Porciano seguita la via presso 1 villaggi di 
Castel Castagnaio, e di Valtuccioli. Poi veggonsi rare 
le case, ma abbondano le pasture; e gran (copia di 
gregge e d’armenti erra in que’ pascoli, che chiamansi 
bocca pecorina, e che sono al tutto in montagna lungi 
quattro miglia da Stia. Ivi non è nè prato, nè bosco. 
La molle erbetta vegeta occulta sotto le odorose gine- 
stre, le quali vanno in rigoglio tra folti cespugli di mir- 
to, senza che un albero adombri le mortelle. Sicchè 
passando per quella cava pendice si ode spesso il belar 
delle pecore, e non si vede la mandra che i mirti co- 
prono ; ma però si scorge liberamente il piano del Ca- 
sentino, il quale è grato a vedersi di quivi più che d’al- 
trove, imperocchè non è quest’ altura troppo elevata, e 
pur concede allo sguardo una linea molto estesa . 

Aldi sopra di questi pascoli diviene il monte più 
aspro, e genera pruni e ‘arbusti, tra cui bisogna varcare 
il fosso d’ Arnaccio. Quindi chi ben conosce gl’ intri- 
gati viottoli, giunge ad un masso coperto da sterpi e da 


| 


223 
frutici , sotto del quale scaturisce una polla d'acqua pe- 
renne e limpida che dà principio all’ Arno. Niun segno 
distingue il masso (1): niuna cosa adorna l'umile fonte: 
e neppure i virgulti de’ faggi non crescono alti e fron- 
dosi per questa montagna. Sicchè più ameno è il luogo, 
dove nasce il Tevere . Ma dalla tiberina sorgente non 
si discopre alcuna città, nè wvedesi il corso dell’ altero 
fiume: e di qui presso alla cima di Falterona veggonsi 
le molte acque del Casentino metter foce nell’ Arno, il 
quale poi. volgendosi dietro le montagne riapparisce 
nella pianura sotto i colli di Fiesole. lo vedeva le mu- 
ra, i templi, e le famose torri della città di Firenze : 
vedeva quasi a un tempo l'Arno nascere da un nu- 
do masso, e traversare il ponte dell’ Ammannato. La 
quale vista era in quell’ ora tanto più grata e varia, per- 
chè il sole irradiava soltanto la campagna fiorentina, e 
sopra le montagne si addeusavano le nubi, accrescendo 
coll’ ombra loro lo splendor di Firenze . 

La fonte dell'Arno (che questi montanari chiamano 
Capo d’ Arno) è solo venti miglia distante a Firenze, 
benchè il fiume non giunga alla città se non dopo un 
giro tre o.quattro volte maggiore. E dalla stessa fonte 
è solo quindici miglia alla sorgente del Tevere, quan- 
tunque non sì possa arrivare a questa per un cammino 
più breve di trenta a quaranta miglia ; sì frequenti, ri. 
pidi e profondi sono gl’interposti poggi e valloni. Sicche 
non è opinione erronea il creder Ze Ba/ze vicine a Zl- 
terona : e salendo sulla più alta cima, che è quasi al di 
sopra della fonte dell’ Arno, veggonsi le vette successive 
e quasi contigue delle montagne fino a Monte Coronaro. 


(1) To parlo de’ segni naturali. Del rimanente è il masso 
tutto iscritto de’ nomi de’ viaggiatori. 


224 
Io avrei potuto dalla sommità di Falterona, siccome 
da quella di Giogana, scoprire i due mari d’ Italia. Ma 
la tempesta minacciata dall’ aurora mi ha quivi soprag- 
giunto, circondandomi a un tratto con foltissima neb- 
bia. Onde non ho potuto vedere che i luoghi vicimssimi; 
cetra questi mi ha dato somma meraviglia il lato oppo- 
"sto di Falterona, imperocchè vi si conosce sempre quel- 
Y antica frana del 1335, allorchè una falda della. mon- 
tagna per terremoto e rovina scoscese più di quattro 
miglia verso il Decomano in Mugello, siccome racconta 
Giovanni Villani. Î 
Per discendere dunque nel Mugello bisogna torna- 
re dapprima verso l'Arno, e poi rivolgersi alla via che 
conduce sotto la frana. In questo punto è il confine 
della Romagna, del Mugello e del Casentino. Non sì ve- 
dono che monti, tutti spartiti, tutti boscosi. E gli al- 
beri crescono da questa parte con molti rami e con gros- 
so fusto. Io son disceso lungo un torrente, che la piog- 
gia di minuto in minuto accresceva. È senza la guida del 
torrente che qui-si chiama fosso di Falterona, i0 mi 
sarei smarrito per quella selva di fronzuti castagni, ove 
1 soli montanari praticano quando non è tempesta. Ma, 
seguendo il margine delle acque mi è riuscito trovare il 
primo paese del Mugello, che dalla selva prende il no- 
me di Castagno. To non aveva veduto in tutto il mio 
viaggio un casale tanto orrido, e sì orridamente situato. 
Esso giace tutto nel burrone: esso è la patria di quel- 
1 Andrea, che trafisse lo sventurato suo amico, dappoi- 
chè gli ebbe questi insegnato l’arte di dipingere a olio. 
Ond’ io mi sono sbigottito, entrando nell’osteria; massi- 
me perchè ho veduto tanta miseria e squallidezza che 
non la maggiore. Ma per buona fortuna era allora spio- 
vuto; e dopo breve riposo ho continuato la via lungo il 


225 

medesimo torrente che qui si dice fiume di Castagno . 
Jo aveva già fatto più di quattro miglia da Falterona, 
e la selva continuava, i monti non si allargavano. Ma 
dopo altre quattro o sei miglia son giunto nel, paese 
più lieto di .S. Gawdenzio. Quivi sono molti abitanti, 
che hanno case belle e pulite. Vi è una chiesa molto 
antica, detta la Badia, la quale fu edificata simile al 
duomo di Fiesole dallo stesso vescovo fiesolano Jacopo 
Bavaro intorno al 1015. E sotto il paese, che è in mon- 
tagna, comincia la via nuova che conduce a Firenze e 
che dovrà poi continuarsi a tutta la Romagna. Sicchè 
per questo nuovo cammino e sempre in riva «allo stesso 
fiume, che qui si chiama fiume di:S.. Gaudenzio, sono 
arrivato comodamente a. Dicomano sette miglia più 
lupgi. 

Ancor Dicomano è tra le montagne. Ma il let 
è più dolce,.e il paese è nel scialli del solito fiume 
che qui prende il nome di Dicomano, e dell’ altro  fiu- 
me che viene dall’ opposta parte del Mugello:e che si 
chiama Za Sieve . Dentro il paese è l’ oratorio di S.One- 
frio edificato da Pietro dalle Pozze secondo i disegni 
dell’ architetto Giuseppe. del. Rosso. E in questa cap- 
pella , che ora pertiene alla famiglia Vivai, vedesi un 
bellissimo quadro di Lorenzo Lippi, che era prima col- 
locato altrove, e che rappresenta la Concezione. Il 
quadro è stato accresciuto :con' nuova. tela nella: parte 
inferiore, perchè non aveva la.conveniente altezza. Ma 
ciò non ha arrecato danno alle (figure principali, fra cui 
non si può senza divoto affetto guardare la Vergine che 
tutta in sè si stringe per modestia e per amor divino , 
fissando gli occhi nel celeste Spirito. 

l'uori del paese in un ameno poggetto è la Pieve 
di S. Maria. Il campanile è una torre quadra e rustica. 


226 


Ed il tempio edificato forse nel decimoterzo secolo; è 
rustico anch'esso, e non ha buone dipinture se. non 
quella dell’ altare maggiore, che è del.cavalier Curradi. 


/ 


/ 


Ponte a Sieve a dì 30 di luglio 1821. 


Da Dicomano fino alla strada, che va da Firenze a 
Bologna , è una comodissima traversa, per cui si vede 
tutto il Mugello, passando per Zicchio e per Borgo S. 
Lorenzo . Dopo il quale cammino si può salire a Monte 
Asinario ov è tra gli abeti un antichissimo convento, 
e scendere quindi alla famosa villa di Prafolino che è 
solo otto miglia distante a Firenze Ma .io, che già co- 
nosceva tutti questi luoghi (1), ho passato il ponte so- 
pra il fiume di Dicomano, e presa poi. la via sulla sini- 
stra sponda della Sieve. La ripa è piana,.e volge tra 
spessi: colli. I. vallaggi sono frequenti, e.tra le vigne non 
apparisce mai alcuno spazio di terreno inculto. Onde 
sarebbero queste spiagge oltremodo dilettevoli, se non 
fossero cotanto chiuse dalle alte colline. E infatti esse 
diventano sommamente liete ed amene dopo il villag- 
gio della fufina, al di sotto di Pomino, perchè allora i 
monti si allargano , esi vede la valle della Sieve e 
dell’ Arno, tutta piena di case. La Ruiina è vicina al 
Ponte.a Sieve: e.questo è lontano dieci miglia a Dico- 
mano. Sicchè oggi dopo um breve e non fastidioso cam- 


(1) Giuseppe Maria Brocchi ha descritto la provincia del 
Mugello. 


\ 


227 
mino ho ritrovata la via che m’ aveva .condotto a Val- 
lombrosa. E qui dentro le mura e ne’ contorni del Ponte 
a Sieve ho riudito finalmente la pronunzia del popolo 
fiorentino. 

Il volgo di Firenze aspira le consonanti, ma non 
altera il suono delle vocali, non muta 1’ accento alle sil- 
labe, e non abusa il significato della parola. Di mano 
in mano però che io m’ accostava alla provincia delCa- 
sentino, udiva scemare 1’ aspirazione delle consonanti , 
e supplire rad essa con un suono più giusto sì , ma un 
poco aspro e forte. Quindi in Poppi, in Bibbiena, ed in 
molti villaggi ho sentito due varie pronuncie, 1° una 
buona e piacevole nel «colloquio delle civili persone, 
Valtra difettosa per d’iaccento ie il suono delle vocali 
nel discorso de’ plebei. Questi pongono quasi sempre 
un accento. sulla penultima sillaba de’ vocaboli, ferma n- 
dola con un cantoio intercalare noioso , massimamente 
alla fine.del periodo: e contro le regole del liuguaggio 
usano l'i più che le altre vocali, dicendo per esempio 
venghino, vinni, venghino, incommido, in iscambio di 
vengano, venni, vergono, incommodo . In quanto è poi 
al significàto delle parole îo non.l’:ho mai sentito abu- 
sare in'niuna parte del Casentino, ove anzi si sentono 
tuttavia proferire i vacaboli de’.mostri antichi con som- 
ma purità e leggiadria. Che se i Casentinesi adoperano 
alcune parole che non sono state mai nella nostra co- 
mune consuetudine, ancor in queste si conosce la loro 
naturale derivazione dall’idioma del Lazio. E le mede- 
sime qualità del linguaggio durano infino al monte 
dell’ Alvernia, ove il beato Francesco e i suoi seguaci 
vissero molti anni. Sicchè non è maraviglia ch’ essi nel 
secolo decimoterzo verseggiassero in Losa toscana. 
Nè questa sì continua per molto spazio dopo l’ Alvernia, 


_ 


228 

imperocchè ne villaggi di Monte Coronaro , dove prin- 
cipia la Romagna, si sentono troncare i soddiboli abu- 
sarne il significato, e inerudirne la pronuncia . Dipoi è 
buona proferenza nella Pieve a Santo Stefano .. Ma segui- 
tando la valle tiberina ritrovansi presto due diverse pro- 
nuncie: Quella degli uomini educati è secondo il solito 
di ottima consuetudine, con questa sola: differenza che 
al Borgo a S. Sepolcro è imitata la pronuncia fiorentina, 
e a Città di Castello la pronuncia romana. Ma la parla- 
tura de’ plebei è tanto più diversa alla nostra usanza, 
che m’incresceva il loro discorso, e mi sembrava d’ es- 
sere lontanissimo dalla Toscana. Essi mutano sovente 
l’a in e, dicendo pene per pane, mele per male, preti, 
per prati, e simili: il quale abuso pervertisce tanto le 
parole che più non s' intendono. E seguita lo stesso abu- 
so fino ad Arezzo , fin verso il territorio di Siena} ove 
all’ incontro è scambiata le in 4. Quindi nella mon- 
tagna di S. Fiora si abusa l’ , particolarmente in fine 
delle parole. Io lascio. giudicare agli altri, d’onde pro- 
venga in sì breve circuito un sì gran cambiamento di 
votati , e noterò soltanto che l’ abuso de’ Casentinesi 
per rispetto all’ é non è smoderato come quello de’loro 
vicini, che per troppo amore ad altre consonanti confon- 
dono tutte le parole. Allorchè io ritornava da Anghiari 
a Bibbiena, su per l’ alpe di Catenaia e giù nel basso 
Casentino udiva a un tempo l'abuso deli’ e e dell’ i. 
Quindi ho ritrovato il retto uso delle: vocali nell’ alto 
Casentino presso Falterona, ed anche in Dicomano. 


ene 


229 

Voyage critigue à l Etna ec. Viaggio critico all’Etnà 

nell’anno 1819 di J. A. pe GoursiLLon. Parigi 1820. 
tom. 2 in 8. Mongie l’ ainé, con tavole. 


2 

L autore di questo viaggio ci fa sapere fin dalla pri- 
ma pagina qual motivo |’ abbia condotto a riveder 1’ I- 
talia da lui già percorsa, e come nell’ anno 1319 lo spin- 
gesse la curiosità a recarsi fino in Sicilia e sulle cime 
del gran Vulcano di quell’isola famosa. Un opera da lui 
composta, la quale ci promette di pubblicare a suo tem- 
po, col titolo: Les Florentines, ou lettres critiques sur 
Dante con un imitazione in versi francesi della prima 
parte della divina commedia , avea bisogno per esser ri- 
veduta che l’autore si portasse in Toscana. Egli passò 
perciò a Firenze, a Roma, ed a Napoli, ed in quest’ulti- 
ma città accettò la proposizione di andare in Sicilia, fat- 
tagli da un Inglese, con il quale si accompagnò. Senza 
lasciarsi imporre dalle citazioni pedantesche dei classici, 
dalle relazioni dei viaggiatori precedenti, dalle lodi, o dal 
biasimo dati comunemente ai varj oggetti che in questa . 
peregrinazione s' incontrano , il sig. de Gourbillon dice 
ciò che ha veduto, dipinge ciò che sente, e non si occu- 
pa di cio che gli altri hanno sentito o veduto. Con 
simil franchezza nota tutti gli abbagli di cui son pieni 
gli altri libri di viaggi sull’ Italia e sulla Sicilia, e secon- 
do le di lui osservazioni cotali errori non sono in nu- 
mero così piccolo . 

La prima di queste correzioni è sopra il carattere 
del popolo di Napoli, che vien dipinto come di grosso- 
lani, poltroni, senza costumi nè buona fede, e del popo- 
laccio 0 lazzaroni, che rappresentansi come oziosi, mi- 
serabili, nudi, e senza mestiero. Tutto ciò ricavasi dal 


230 


Manuel du voyageur en Itatie, Milano 1818. L'autore 
contro la comune aspettativa prende la difesa dei laz- 
zaroni: assicura che tutti costoro esercitano qualche me- 
stiero, che 0 sono pescatori, o vendono il pesce e le 
frutte per la città ; altri sono facchini, altri eseguiscono 
delle commissioni, ognuno ha la sua abitazione fissa; 
niuno dorme per le strade. 1 vizj poi, de'quali confessa 
che son ripieni, particolarmente la superstizione e 1’ i- 
gnoranza, li attribuisce all’incuria del governo ed al di- 
fetto di educazione. 

Il passaggio da Napoli in Sicilia fu eseguito dal 
nostro autore per mare, come si fa ordinariamente da 
tutti; e ciò per evitare l’incontro de’ ladri ed assassini 
di strada, de’ quali abbondano le vie delle Calabrie. Il 
sig. de Gourbillon, mirando dalla baia di Napoli la su- 
perba veduta delle coste del Vesuvio, e di Portici, ram- 
menta il viaggio, che aveva fatto prima di partire, per 
quei luoghi ripieni di superbe memorie dei tempi an- 
tichi: 

Sembra di trovarsi nel paese delle fate, la verità è sotto 
i vostri occhi, voi la toccate con mano, e non le credete; quei 
luoghi per i quali vi aggirate sono stati prima di voi visitati da 
Cicerone, da Mecenate e Virgilio! . .. A. Pompeia vi trovate tra- 
sportato in mezzo ad una città, che ha quattro mila anni d’esistenza; 
ne scorrete le strade; ne visitate le case abitate un tempo dai più 
celebri cittadini di Roma: le strade e le case esistono ancora; i soli © 
abitanti non sono più ! 

Sbarcato a Palermo, ed osservando quella capitale, 
il nostro autore assicura di non ritrovare in essa e ne” 
suoi abitanti qualità e meriti corrispondenti agli elogi, 
che se ne trovano in alcune opere de’ viaggiatori, e par- 
ticolarmente nel Viaggio in Sicilia di Patrick Bridone 
impresso a Londra nel 1770, e nelle Zettere sulla Si- 
cilia del Conte di Borch scritte nel 1777. e conclude 


- SSL 
che la Sicilia moderna è assai diversa da quella di cin- 
quant’ anni fa. Osserva poi che i Palermitani hanno 
poca cura di ripararsi dal caldo e dal freddo, non facen - 
do caso nè dell’ ombra degli alberi per rinfrescarsi dal 
calor solare nell’ estate, nè dei camminetti per riscal- 
darsi nel più rigido inverno. Le due strade famose di 
Toledo e del Cassero , che tagliandosi ad angoli retti 


‘ formano nel centro di Palermo il celebre quadrivio, so- 


no per lui dice carzali profondi e stretti che esalano va- 
pori mefitici. Lo stato delle lettere e delle scienze tro- 
vasi colà nello stato più infelice : non vi sono buoni li- 
bri nè vivono più quei dotti che i viaggiatori suddetti 
a’ lor tempi vi avevan trovato. Ciò non ostante nomi- 
na una quindicina di buoni autori Palermitani viventi 
tra quali il celebre Meli, detto meritamente il novello 
Teocrito.” 

Nell’ osservare le antichità di Segeste, e gli avanzi 
del tempio di Cerere ancor sussistenti, l’ autore correg- 
ge con molta vivacità, e scherzando graziosamente, gli 
abbagli dei viaggiatori suddetti intorno alla situazione 
del tempio, al numero e diametro delle di lui colonne; 
e sebbene confessi di non essere architetto, le sue rifles- 
sieni sono piene di buon senso, di gusto e di verità. In 
prova di ciò, ascoltiamo quello ch’ egli dice rapporto 
alla vanità delle iscrizioni posie in memoria dei restau- 
ratori di antichità . 


Conviene ad un principe l’ occuparsi della conservazione 
degli antichi monumenti; ma allorquando sì cerca indarno sul mo- 
numento medesimo il nome dell’ architetto e del fondatore, non è 
egli oggetto di sorpresa il ritrovarvi quello del restauratore ?.. . . 
Questa affettazion puerile, questo piccolo calcolo della vanità no- 
tasi in tutti gli antichi monumenti restaurati d’ Italia . . .. . Una 
iscrizione sola parvemi sì modesta che conveniente, sì elegante 
che concisa, io dico quella posta verso il mezzo della superba stra- 


232 


da aperta a traverso delle paladi Pontine dalle cure di Pio VI. Po- 
chi viaggiatori l’ hanno citata, e merita di esserlo: la trascrivo qui 
come l’ ho copiata sul luogo medesimo: 
OLIM PONTINA PALVS 
NYVNC AGER PONTINUS 
oPvs PII VI. 
ANNO 1793. 

debe difficile di prender;i in modo più modesto e più semplice; 
atto di un lavoro più grande e più utile. Questa iscrizione è la più 
bella che io conosca: essa ordina in un tempo stesso la ricono- 
scenza e l’ammirazione , ed allorchè si paragona con quella ; la 


quale sfigura il tempio di Segeste, non si può reprimere un sorriso 


di compassione. 

Con simile franchezza si esprime in genere sulle 
amplificazioni e gli elogj degli itinerarj d’ Italia intorno 
alle antichità; e noi Italiani non dobbiamo perciò ag- 
grottar le ciglia, perchè le iperboli esagerate, le ammi- 
razioni dei Ciceroni non solamente non aggiungon me- 
rito alle cose che ne hanno molto, ma lo sminuiscono 


ancora a quelle che ne hanno poco. 

In questa Italia cotanto vantata ho veduti tanti pretesi ca- 
pi d'opera, tanti vecchi tempj, e muraglie antiche, tanti avanzi e 
tante rovine, il cui credito viene dalla sola vetustà , ed il merito 
dalla data, ho veduto . . . . tanti quadri e statue inferiori alla lo- 
ro riputazione, tante chiese, palazzi, sassi, cui bisognava ch’ io am- 
mirassi sulla parola altrui, e sotto pena di passare per uno sciocco, 
che uscito finalmente da quella terra classica, io ne sapeva meno 
di quando vi entrai; e stanco dei superlativi uniti agli urli di am- 
mirazione , giurai di non lasciarmi più uccellare nè dalle estasi di 
un itinerario, né dalle iperboli di un romanzo . 


Il sig. de Gourbillon passò per mare da Palermo a 


Messina ed al Faro dove osservò, come lo Spallanzani, 
che la distanza fra Scilla e Cariddi è molto maggiore 
di quella che diede origine al famoso proverbio. Tro- 
vandosi in Messina il dì 15 di agosto giorno in cui si 
celebra la festa dell’ Assunzione in quella città sotto il 
nome di festa della /ara,o sia Bara, ebbeagio di descri- 


235 


verne tutte le circostanze, l’ illuminazione, le corse dei 
cavalli , il passeggio per la città di due statue equestri 
gigantesche di legno , rappresentanti Zancle e Rea, o 

sia Saturno e Cibele creduti fondatori di essa , e final- 
mente la processione della macchina che dà il nome 
alla festa. Ma con maggior interesse si leggono nel no- 
stro autore i dettagli storici, e gli aneddoti sopra il fa- 
moso terremoto di Messina e di Calabria del 1783. 
Quantunque tutti ì viaggiatori abbiano riempiute le pa- 
gine dei lor libri con simili narrazioni, e se ne trovino 
i ragguagli in tutte le storie , e ne’ giornali da quell’ e- 
poca fino.a noi; non crediamo cosa inutile nè dispia- 
cente ai nostri lettori il riportarne qui alcuni più pitto- 


rescamente descritti dal sig. Gourbillon. 

Dal Faro fino a Messina, per una estensione di quattro le- 
ghe slanciansi, ammassati i flutti, superano i più alti punti; e si 
spargono lontani nell’ interno delle terre. Intanto le case, le qua- 
li resistito avevano agli spaventosi sconvolgimenti del suolo , ed 
all’ attacco non men terribile dei venti e delle onde, divengon to- 
sto preda delle fiamme: rovinando i forni e i camini della città, 
appiccano il fuoco alla mobilia, e ai rottami accumulati al di sotto. 
Uno spaventevole incendio si congiunge con i tre primi flagelli, e 
l’ infelice salvatosi dalla dischiusa terra, dalla casa rovinata, dai 
venti, e dai flutti furibondi, non può liberarsi dalle fiamme, le 
quali alla fuga si oppongono. Là un vecchio rianimando le sue 
estinte forze sale sul suo tetto incendiato, e con man tremante si 
appoggia sulla trave dal fuoco mezzo consunta, la quale cedendo 
sotto il di lui peso, cade con esso nel precipizio: quà una madre 
con il bambino in collo fa di sè mostra ad una, e ad un altra fine- 
stra, e con sguardo fisso e feroce, misura in silenzio l’ altezza, che 
vuole nè osa pur anco valicare; esita; implota un soccorso negatole 
dal generale spavento, scaglia il figliuolo in tra le fiamme; lieta 
lui vi si getta; e perisce. 

La città di Terranova fu distrutta da quel genere quadru- 
plice di terremoto ben cognito sotto i diversi nomi di scosse di 
oscillazione, succussione, depressione, e sollevamento . Quest’ulti- 


mo genere più orribile di tutti, come il più inaudito, consiste non 
1. IV. Novembre 16 


MQ 
x 


134 

solo nel' cambiare la situafione delle parti costituenti di un corpo, 
ma ancora in quella sortifigi moto di proiezione, che scaglia una 
di queste parti, medesimé=verso un luogo diverso da quello che oc- 
cupa. Le rovine di questa” città infelice. presentano ancora, cotantì 
esemp)j di simil genere, che lo spirito più incredulo sarebbe costret- 
to a riconoscerne l’ esistenza. Tutte le case situate sull’ orlo del 
ripiano della montagnag tutte quelle le quali confinavano ‘con le 
porte dette del vento eÈdi S. Sebustiano, edifizj in parte semidi- 
ruti, in parte in nessun niedo danneggiati, furono staccate dal luo- 
go loro naturale, e gettate'o sul declivio della montagna medesima, 
o sulle rive del Soli fe. Marro; 0 finalmente di là dal primo di 
questi fiumi. Quest’ f&venimento inaudito diede luogo alla causa 
più strana, su cui abbian dovuto pronunziare i ttibuintli una sen- 
tenza. A lexini mesi dopo questo strano cambiamento di luoghi; il 
proprietario di un ricinto piantato di ulivi, prima situato sull’orlo 
del ripiano di cui si traîta, scoprì, che il suo ricinto ed i suoi al- 
beri erano stati trasportati di là dal Soli, sopra un terreno, prima 
piantato di mori, allora scomparso, e già di pertinenza di un altro 
abitante di Terranovà..Avendo reclamata la sua proprietà, questo 
ultimo avvalorò la negatiya di restituirlo, con dire, che il riciato in 
questione aveva occupato il suo terreno proprio , di cui lo aveva 
per conseguenza privato. Questa questione tanto nuova, quanto 
difficile a potere poichè infatti nulla poteva provare, che l’es- 
sere scomparso un-terreno non fosse stato effetto immediato della 
caduta, ed occupazione dell’ altro; questa questione, , dico, non st 
potè decidere se nori con un aceordo reciproco. Furon nominati 
alcuni arbitri, ed il proprietario del terreno usurpatore fu obbli- 

gato a dividere iéuoi ulivi con il padrone del terreno usurpato, 
Nel giorno. ‘medesimo l’ orgogliosa Scilla vacillando sulla sua 
enorme To gittò lungi da sé, e la città, e gli abitanti che soste- 
neva. Nel punto di una fortissima scossa, l'abate Puntillo, uo-. 
mo dotato di forza non comune, e versatissimo nell'arte nautica, 
cosa più straordinaria riflettend: o al di lui stato, trovavasi insieme 
con sua sorella e due nipoti in un posto della spiaggia settentrio- 
nale della baia di Sgiltà, la qual costa è nota a que’ del paese col _ 
nome di Piana Lea. All aspetto del doppio pericolo, che a lui 
presentano, e le oscillazioni della riva, e le onde che la ricuoprono, | 
perde l’uso della ragione talmente, che in vece di salvarsi verso la 
parte montuosa della spiaggia, pensa soltanto a gettarsi sopra uno 
di que’ massi sott'acqua numerosi , da’ quali è ioni ito lo sco»: 


235 


glio di Scilla La sorella e i nipoti ne seguono sventuratamente 
l’esempio, e seco passano su quello scoglio; il quale vacillando come 
un bastimento, ora abbandonava ai (lutti alcuno de’ suoi frammenti, 
or balzava sopra sé stesso. Ciaschedun di loro fisso su quel sito 
funesto, volgeva gli sguardi verso la città, e ne vedeva precipitar 
l’ una dopo l’altra le rovine nei flutti. Già al rumor confuso, 
fin ad essi giunto, dei gemiti e delle grida succede il silenzio 
di morte , silenzio non turbatò per lungo tempo, se non dai 
sordi mugiti della terra agitata , «e dall’ orribile  fracasso dei 
flutti. A quello spettacolo. spaventevole , il sacerdote, la so- 
rella ; e i bambini; cadono in ginocchio sullo stretto tremolante 
macigno . Intanto rivolgono i loro sguardi verso lo scoglio prin- 
cipale , da cui la rupe che .li sostiene era affatto disvelta , e 
scorgono con sorpresa + che il:mare reflàendo sopra sé mede- 
simo. più non. li circondava .v Un'incertezza funesta li trattiene 
ancora al lor posto: per tutto è rischio, in nessuna parte sicu- 
rezza : là balza e si apre la terra ; quà il mar convulso li assale , 
e minaccia . Una inattesa speranza, viene a calmare per un mo- 
mento la confusione della ragione e dello spirito: appare ad 
essi una barca quasi uscita di sotto le onde: la conduce un 
uomo , il loro amico Costa , il parente, ib fratello , il padre in- 
fine de’ due ‘bambini. Ritornando! dalla pesca e sorpreso dal 
tremuoto egli tenta di guadagnare la riva .. A tal vista un grido 
di letizia accompagnato da. pianti scambievoli spontaneo solle- 
vasi dal masso , .e dalla barca . Vedendosi riuniti , credon tutti 
esser salvi ; la disgrazia rende sempre eccessiva la disperazione 
e la speranza; ed il padre sfortunato entra. più di tutti a parte 
dell’ error comune . Ei raccoglie le sue forze , voga , ed. affretta 
quanto può il sùo:camino verso il punto, su cui. l’ attende la 
| desolata famiglia. Ma nell’ istante , in cui crede di giungere 
al sasso, arrenata la barca si arresta ; ed uno spazio senz’acqua 
lo separa da esso: cred’ egli poterlo. varcare a piedi asciutti : 
il flutto crudele ritorna indietro ; solleva nuovamente la barca; 
evla rispinge cento passi lungi dalla : sponda. Nulladimeno ri- 
mane ancora agli uni ed all’altro la speranza del ritorno : ma 
questa ancora é lor tolta subitamente , poichè il. mare crescendo 
sempre , si solleva ad una orribile altezza intorno allo scoglio 
che li protegge ; ed il tempo necessario al ritordar della barca 
è troppo lungo, per; strapparli dalla morte . Tale. era la forza 
delle onde, che sommergendo allora tutta la spiaggia, traevan 


236 


seco loro gli abitanti di Scilla; i quali fuggendo dalle alture , 
si eran puitati in tumulto in quelle rive medesime, dove gli 
attendevano nuovi perigli, e la morte . Gl' infelici in que- 
stione attaccati da molto tempo , ‘non ostante la lor debolezza , 
alle scabrosità della rupe , son costretti a rimaner ritti., ed in 
questa posizione non possono neppur più proteggere i lor bam- 
bini dalle onde, che li ricuoprono ; la madre ne tiene uno fra 
le braccia , dell’ altro ha cura lo zio; ambedue non possono 
più attaccarsi alla rupe , se non con una mano soltanto; am- 
bedue sono scossi dai flutti che arrivano ; ambedue son ridotti 
a calcolare gli istanti, che loro. restan di»vita . La preghiera 
medesima , risorsa estrema dell’ uomo , non è più per essi pos- 
sibile , almeno non posson quivi riunirsi, nè | cadere prostrati 
innanzi a Dio , che dil' minaccia ; ma muti, immobili con gli 
sguardi fissi culla lor tomba stanno aspettando la morte . Ab 
frettiamoci nel tirare un velo su questa scena di desolazione e 
di orrore, e passiamo all’ istante , in cui le grida di quelle 
quattro vittime giunsero finalmente all’ eterno dispensatore del 
bene e del male . Quelle grida furono:ascoltate , la desiata barca 
si avvicina alla sponda ; il padre fortunato ne ritrae.i figli, la 
moglie , il fratello e cinque vittime furon salvate. 

Non finirei, se riferissi tutti i fatti relativi alla scena me- 
desima., Là Don Diego Macri in. balìa dei flatti. per molto 
tempo , si attacca ad un barile, il quale cedendo all’onda ‘che 
lo solleva, è gettato icon esso a traverso una finestra di una 
delle case situate alla rive, in cui cadono ambedue : quà una 
donna è scagliata fuori dai flutti sopra un gelso alto» venti pie- 
di, da cui pende sospesa per molto tempò .con i piedi in aria; 
e il capo di sotto. E quì finisce la corta nota delle vittime 
risparmiate dalla morte ; sedici sole persone salvate di un in- 
tera popolazione ! Un quadro più spaventevole rimane ancora . 

Cosima giovinetta di rara bellezza, di una delle migliori 
famiglie della città , errava spaventata sulla spiaggia del mare 
nell’ istante dell’ inondazion generale . Il flutto disumano la rag+ 
giunge ; la circonda , seco la trascina in un solo e medesimo 


punto . Properzio , a cui era promessa sposa , giunse sulla stessa 


spiaggia : scorgendola involta nè flutti, accorre’ alle grida di 


lei, e dietro di:lei si scaglia . Dopo lunghi sforzi, il fortunato» 
Properzio ; giunto a salvare ciò che ha di più caro al mondo; 


trae Cosima alla riva , e per salvarla dalle onde la, solleva per 


237 
qualche tempo fra le braccia ; ma i flutti quasi irritati di ve- 
dersi rapir la vittima , si sollevano di nuovo furibondi , gli as- 
salgono , e gli trasportano . Cosima e Properzio si tengono con 
forza abbracciati : ambedue sono per molto tempo agitati dalle 
onde , e finalmente scagliati sopra uno dei massi di Scilla . Pro- 
perzio riceve l’ urto -.e la sola morte può staccarne le braccia 
dal corpo dell’ amante . Cosima credendolo svenuto si stringe 
a lui con forza maggiore , lo trasporta in luogo più sicuro; lo 
ricuopre di pianti e di baci; lo abbraccia ‘teneramente ; e fi- 
nalmente sì avvede , chele sue braccia e la bocca non strin- 
gono che un cadavere . L’ eccesso della disperazione , che con- 
fonde |’ umana ragione , raddoppia ancora la forza naturale ; 
la debole Cosima lo prova: impone silenzio alle proprie grida : 
solleva di nuovo l’ inanimato corpo ; lo porta sullo scoglio ; 
l’ abbraccia ; e cade con lui nell’ abisso , che si apre , e si serra 
sovr’ essi. 


Il Sig. de Gourbillon descrive la situazione dei 


«due scogli celebrati da Omero e da Virgilio, cioè di 


Scilla e di Cariddi, detta oggidì Calofaro con nome 
d’ origine Greca , e segue in ciò le orme particolar- 
mente di Spallanzani . Da Messina passando il Faro, 
visitò le rovine di Tauromenium presso la moderna 
città di Taormina, il fiume Aci presso la città di Jaci 
Reale, 2° isola e gli scogli de’ Ciclopi , noti sotto il bi. 
zarro nome di Faraglioni ai Siciliani de’ nostri giorni; 
il porto di Ulisse presso il borgo detto Ognina, e giun- 
se a Catania. 

Questa città è situata, secondo l’ autore, trentasei 
miglia di Sicilia lungi dalla sommità dell’ Etna: più 


‘volte il Vulcano nelle sue eruzioni l’ha rovesciata ‘e di- 


strutta , ma nel 1669 la notte del 23 al 24 Aprile for- 

mò DA; essa un porto sul mare, impresa , che il go- 
verno indolente di quel tempo mai non avrebbe ten- 
lata . Si trovano in Catania tre musei , il primo de’quali 
appartiene al Principe di Biscari, il secondo è unito 


238 


alla chiesa, e convento de’ Benedettini; il terzo è pro- 
prietà del Cavalier Gioeni . 

Da Catania il nostro viaggiatore salì al Vulcano , 
e come si esprime egli stesso: per quattro giorni e tre 


notti calpestò quel pen che vomita fuoco ..... Le 
materie vulcaniche delle di lui eruzioni gli hanno 


alzata intoruo una montagna di forma conica, la 

quale sopra ina base di circa cento ventimiglia di 

circonferenza sorge isolata e perpendicolarmente fi- 

no alle più alte regioni dell’ Atmosfera . Questa base è 
ex x . . 

più prolungata dal lato del mare , nè vi si vedono che 

materie calcinate prodotte dalle eruzioni medesime . 


»» Situato al 38.° 51.’ di latitudine settentrionale, non lungi 
dalle spiaggie di quel mare , che bagna la costa occidentale 
della Sicilia, l Etna è in una temperatura media e dolce. La 
parte di esso , che è a piè della montagna , è nota sotto il 
nome di prima regione. Nissun luogo della terra presenta un 
più ricco; un più fertile, un più bel paese : ciascheduno og- 
getto vi brilla distintamente sotto an ciel puro, e sempre se- 
reno . I terreni ,i quali occupano questa parte della montagna 
son simili ad una vasta scena , che per un declivio insensibile 
e dolce discende di pianura in pianura , di collina in collina , 
fino alle rive del mare; le cui acque brillano per ogni dove 
sotto lo splendore di un sole fecondatore . Quivi l’inverno è 
tutto al più il sonno breve e leggiero di una quasi sempre at- 
tiva natura , la quale destasi tosto al rieder di primavera e 
cuopre di nuovo quella scena con verdura, con fiori, e con 
frutta. La temperatura dell’aria diminuendo quanto si allon- 
tana dalla superficie del globo, debbe naturalmente render più 
fredda la parte media della montagna, detta seconda regione . 
Quivi all’ombra delle foreste regna. la primavera, mentre la 
prima regione langue sotto gli ardenti calori estivi. La terza 
ed ultima regione , parte superiore della montagna , è la re- 


gione del freddo ; quella, in cui in mezzo alle stesse notti d’e- | 


state provasi il rigore de’ più aspri inverni, e spesso ancora l’as- 
siderazione glaciale dei climi più settentrionali ,, . 


Nella prima regione dell’Etna trovansi alcune pic- | 


i 239 
cole città e borghi. Il nostro autore osservò ancora fiu- 
micelli, e torrenti e un terreno assai fertile per la 
mescolanza della sabbia vulcanica, in cui la lava spar- 
savi dal vulcano è ridotta , insieme con la terra vege- 
tativa. Trovò gli abitanti dei luoghi medesimi assai cor- 
tesi ed ospitali. Uno dei principali possidenti , il 
Sig. Gemetlaro detto naturalista, fin dall'anno 1806 ha 
fatto costruire a piè del cono del Vulcano la prima 
casa di ricovero che vi sia stata stabilita . Egli l’avea 
chiamata gratissima , ma essendo stata aumentata dal 
general Dunkin in tempo che gl’ Inglesi occuparono la 
Sicilia, fu poi nominata la gasa Inglese. Serve questa 
di stanza ai viaggiatori , sull’ altura del monte, sol che 


‘paghino al padrone di essa una piccola retribuzione, 


la quale serve soltanto alla manutenzione della mede- 
sima . 

Giunto alla seconda regione il Sig. de Gourbillon 
colla mente ripiena della cantica di Dante, di cui ci 
ha promessa l'imitazione in versi francesi , trova una 
gran rassomiglianza fra un bosco che ivi s'incontra e 
la descrizione della selva del canto 13. dell’ Inferno . 


» Qui ( dic’ egli ) io credo di sognare : io son trasportato 
nella foresta del settimo cerchio dell’ inferno di Dante : i luo- 
ghi sono i medesimi : l’ orrore stesso mi circonda : 

Non fronde verdi, ma di color fosco , 

Non rami schietti, ma nodosi, e ’nvolti . 

Non pomi veran, ma stecchi con tosco . 
Colà mi sembra che dica il maestro : 
Sappi, che sei nel secondo girone , 
Mi cominciò a dire , e sarai, mentre 
Che tu verrai nell’ orribil sabbione . 
Io entrava in fatti nel secondo girone dell’ inferno dei Titani 
e come l’ Oinero Fiorentino , non ne doveva uscire , che per 
calpestar l’ arena la quale ricuopre la fronte del Vulcano. Nelle 


ricerche necessarie alla revisione dell’ opera inedita , a cui ho 


240 

fatto allusione nel principio di questo viaggio, non poteva 
sfuggirmi l’analogia veramente notabile, che esiste tra una 
moltitudine di particolarità del poema di Dante, e le loca- 
lità Etnee; ma ancora non sono potuto arrivare a sapere se 
questa analogia abbia effettivamente origine dai ragguagli , 
che il poeta avrebbe potuto attingere dagli autori , i quali hanno 
scritto sull Etna, oppure se nel corso delle sue ambasciate e 
precisamente in quella di Napoli , egli sia mai passato nell’ isola 
ed abbia veduto da sé i luoghi, ch'io miro presentemente . 
Egli è certo però che esiste. una sorprendente rassomiglianza 
fra certe località dell’ inferno del poeta Fiorentino , e quelle 
del Vulcano Siculo . Del rimanente in tutta la divina Comme- 
dia, Dante non ha parlato dell'Etna, o piuttosto non lo ha citato 
che in soli due passi (1). Questo silenzio affettato , riguardo ‘ 
àd un luogo tanto simile a quello da lui descritto , sarebbe egli 
forse una prova delle precedenti supposizioni ? ? Se giungerò mai 
a pubblicare il resultamento della mia fatica sopra Dante, forse 
diffonderò queste idee , più che non indico quì di volo” fat 

Noi non sappiamo dire , se le illazioni del Sig. de 
‘Gourbillon sieno di tal forza, da poter indurre a cre- 
dere , che Dante sia stato mai in Sicilia ; ma poichè il 
nostro autore ha tanta predilezione per un poeta To- 
scano , non ci sarebbe discaro , che qualche dotto Fio- 
rentino, guidato dalla scorta di questo cortese viaggia- 
tore, si occupasse nel dilucidare tale articolo biogra- 
fico, e nell’ esaminare quanto dice il Boccaccio ( De 
Geneal. Deor. lib. 14. cap. XI.), cioè, che Dante fu 
in grande amicizia con Federigo d’ Aragona Re di 
quell’isola . Se tal asserzione è vera , può far supporre 
che il poeta si sia veramente portato presso quel So- 
vrano ; giacchè non è da congetturarsi , che l’ amicizia 
si fosse stretta fra due persone le quali non si fossero 
mai vedute ; nè si sà che il re Federigo sia stato mai sul 
continer te Italiano . 


(1) Yne Can. 14. Parad. Can. 8. 


241 

La grotta delle capre , la quale serviva ai viaggia- 
tori per passarvi la notte, prima che fosse stata eretta la 
gratissima, non trattenne il Sig. de Gourbillon , che 
per prendervi un rinfresco , e per denotare nel suo a/- 
bum di esservi stato . Sogliono i viaggiatori scrivere il 
proprio nome sulle quercie da cui quella grotta è cir- 
condata . Spallanzani non vi trovò il nome di verun 
italiano, e il nostro autore attribuisce ciò all’'essere 
gl’ Italiani poco bramosi di simil gloria . 

Nell’ approssimarsi alla terza regione , sentì il Sig. 
Gourbillon un cangiamento nella temperatura dell’aria, 
e fu assalito da un uragano e da un temporale , che lo 
accompagnò fino al cono del Vulcano ; a piè del quale 
ebbe stanza nella casetta più volte nominata ed eretta 
nel 1806. Ma nella notte medesima quantunque stan- 
co , egli ed i suoi compagni , dopo un breve riposo , si 
posero di nuovo in cammino verso le quattro della 
mattina , per giungere alla sommità del Vulcano a ve- 
dere il levar del sole. Muniti di grossi abiti di panno 
seguivano lun dopo l’altro la lor guida, in mezzo 
a’ monti di lava , prodotti dall’ eruzione del 1787 , per 
la lunghezza di una lega , da un ottavo ad un sedice- 
simo di larghezza , e profondi da 6 a 18 piedi. Men- 
tre oscurato di nuovo il cielo , comminavano con. gra- 
vissima pena, cadde il Sig. Gourbillon in mezzo alla la- 
va, ed ebbe tanta difficoltà di uscire da tale imbarazzo, 
che preferì di ritornarsene indietro alla gratissima, 
lasciando ai compagniiseguir il lor viaggiò , che riuscì 
inutile, giacchè per l’ oscurità del cielo non poterono 
vedere, che l’ ombra del gran Vulcano riflessa sull’ o- 
rizonte verso la costa occidentale della Sicilia . 

Sorto più alto il sole , e fatto sicuro dai pericoli 
scorsi la notte antecedente , tornò il nostro viaggiatore 


242 
per la via delle lave verso il cono dell’ Etna , ed im- 
piegò due ore a salire l'altezza perpendicolare di un 
terzo di lega; tali sono le tortuosità della strada, e la 
difficoltà del cammino or sopra ceneri, or sopra lave 
compatte , tali i pericoli provenienti dal declivio del 
suolo, e da’ massi che cadono da ogni parte. In oltre 
le ceneri sono ardenti , come il fuoco da lor ricoperto ; 
esse sole circondano l'abisso, dinanzi il quale ogni 
grandezza sparisce, e qualunque uomo è costretto a 
strascinarsi carpone sul suolo ad imitazione dei bruti . 

Il cratere dell’ Etna ha una estensione di circa tre 
miglia in circonferenza : la forma di esso è irregolare 
e piuttosto ovale : dividesi in quattro voragini separate 
luna dall’ altra da muraglie naturali più o meno alte 
e scoscese: dall’ interno di queste voragini s’inalzano 
vapori acido-muriatici, densi, e mefitici, i quali for- 
mano come un velo impenetrabile agli occhi del cu- 
rioso osservatore . Intorno ad esse vien formata, da un 
prolungamento esterno del cono, una diga più 0 me- 
no alta, a cuì sì riuniscono internamente le quattro 
altre divisioni, meno elevate di essa. La voragine 
più orientale e più grande fu visitata la prima dai no- 
stri viaggiatori, 1 quali avendo tentato indarno di di- 
scendervi, passarono ad esaminare l’ altro cratere me- 
ridionale . Essendo questo da molto tempo estinto si 
provarono a penetrarvi fino al fondo. La ripa era estre- 
mamenute scoscesa e quasi perpendicolare . 

», La guida tentò indarno, dice l’autore, con istanze e pre- 
dizioni funeste di farci rinunziare a questo disegno ; i di lei 
consigli non farono uditi, che per burlarsi del suo timore; nè 
potendo noi farla risolvere a seguitarci , la lasciammo indietro, 
che teneva levate le mani verso il cielo, e raccomandava l’ani- 


ma nostra a tutti i Santi del paradiso . Il caso mi procurò l’o- 
nore di avanzarmi ‘il primo: posto il piè nell’ abisso , non si 


245 
trattava più , che di inoltrarsi ad ogni costo , e grazie alle lave 
giunsi con qualche pena alla profondità di Di 3,0 290 piedi; 
il mio compagno di viaggio imitò il mio esempio con la stessa 
fortuna e facilità , Intanto il pendio della voragine diventava 
sempre più malagevole , le lave protettrici diminuivano a poco a 
poco in numero, ed in grossezza, e succedevan ad esse le scorie 
mobili e friabili . Qui il nostro buon umore sì calmò da per sé 
stesso ; successe alle facezie un silenzio spaventevole , come la 
causa che lo prescrive , silenzio del sepolcro , verso cui ci sen- 
tivamo trarre : una delle più enormi scorie cede tutto ad un 
tratto, e sdrucciola sotto i miei piedi; ed in vece di voltolare 
sul presunto pendio del cratere , la vedo cadere verticalmente; 
poscia la sento risuonar nell’ abisso , al cui fondo un \passo di 
più mi ayrebbe tratto con lei ..... 

i Di me non sò che ne fosse , nè cosa io sentissi ; ma l’im- 
pressione fu al certo-assai forte , perciocchè nello scrivere sento 
ghiacciarmi ancora da un sudor freddo . Quando rinvenni, mi 
trovai colla faccia in terra e/come confitto al suolo , in cui le 
mie mani si erano internate .... Intanto dal luogo in cui Vl’ ave- 
vamo lasciato , 1’ uomo, che ci avea servito di guida, si era 
accorto del nostro pericolo : le di lui grida ce ne aveano av- 
vertiti, ma non erano giunte fino a noi. Quando ci vide im- 
mobili, indovinò il motivo della nostra fermata , e con un raro 
sacrifizio di sé stesso esponendosi per soccorrerci , discese fino 
al punto, in cui ci erano incominciate a mancare le lave soli- 
de. Ma quel punto era lontano da noi ancora 50 passi , ed esi- 
stendo questa distanza , la di lui presenza era inutiie . Eppure 
quella presenza sola ci fece salvi, poichè risvegliando il nostro 
coraggio , rianimò la nostra speranza estinta , e ci fece ritro- 
vare le nostré forze . Giunti fino a lui ci credemmo salvati , 
e lo eravamo di fatto : un bicchiere di liquor prezioso finì di, 
renderci a noi medesimi : guadagnammo facilmente il punto , 
che non avremmo dovuto mai oltrepassare, e appena giunti sul 
rialto del cratere , ci, trovammo pronti ad incominciare di nuovo 
il viaggio, ma non per lo stesso camino ,, . 

Infatti per un sentiero più praticabile essendo di- 
sceso il Sig. de Gourbillon col suo compagno da un al- 
.tro lato, potè osservare il' medesimo cratere meridio- 


‘nale , e riconoscere il masso, dal quale era quasi pre- 


244 
cipitato. Vide che era sopra una profondità di 7, @ 
800 piedi, e riconobbe quanto è folle l’umana vanità , 
che per un folle amor proprio , e per la puerile soddi- 
sfazione di pubblicare un libro , lo aveva esposto a pe- 
rire senza meritare da niuno neppure compassione . 
Pose non per tanto memoria del fatto in un iscrizione 
sopra un pezzo di lava nel cratere medesimo , e passò 
al cratere settentrionale tutto ingombro di vapori, i 
quali gl’impedirono di molto inoltrarsi. Paragonando 
ciò ch'egli vide con la relazione dello Spallanzani, con- 
clude che quel cratere ha mutato aspetto , nè v'è loco 
d’assidersi come fece quel dotto viaggiatore, nè è possi- 
bile più distinguere la forma dell’ ampia caverna da 
lui veduta ; non bolle più nel di lui centro materia li- 
quefatta, non esalan più vapori dal fondo , ma dagli 
orli. Non fu più fortunato nell’indagare la quarta vo- 
ragine , o il cratere occidentale , il quale è più ingom- 
bro dal fumo ; e giudicando dal mugito che vi si sen- 
te , è il più attivo di tutti . 

Breve fu la discesa, facile il ritorno alla gratis- 
sima; ma restavagli ancor da vedere la Torre del fi- 
losofo , ed il nuovo cratere del 1819. La prima alla si- 
nistra di quella piccola casa consiste in alcuni vestigj 
di una fabbrica creduta dalle leggende l’ osservatorio 
di Empedocle , ed è stata visitata da tutti i viaggiatori 
precedenti ; del secondo il primo a parlarne è il nostro 
autore, da cui fu osservato il dì 11 ottobre dell’ anno 
medesimo quattro mesi e mezzo dopo l'eruzione , che 
lo produsse , incominciata il di 27 Maggio . 

,» Quel giorno il cratere novello vomitò una prodigiosa 
quantità di scorie , lave , pietre , fumo , di fuoco , e di cene- 
re. Il dì 2 parve che il furore del vulcano prendesse un altro 


carattere : ne uscì una pioggia, o piuttosto dei torrenti di ce- 
nere, i quali formarono la montagna attuale . Finalmente il 2 


ga 


ire ati bbectentrc nn rn de 


245 

Giugno seguente la boeca del vulcano vomitò di nuovo e fuoco, 
e fiamme , e lava liquefatta , e scorie ardenti: ne uscirono con 
scoppi orribili pietre , ceneri , sabbie : la loro successiva caduta 
ingombrò di ruine tutta l’immensa valle , al cui centro s’ inalza 
questo nuovo figlio dell’ Etna divenuto a vicenda un ignivomo 
e terribil colosso .... Al primo mirar che, feci l’ abisso ( così 
segue il nostro autore ) credei di sognar l’ inferno, e piuttosto 
io l'aveva presente. Il grido, che misi, era più che sorpresa: 
uscivano dal mio seno terrore ed ammirazione . Credei fosse 
quella la prima volta, ch’ io mirava un cratere, giacchè la ve- 
duta di questo mi fece obbliar tutti gli altri . Fu l’ impressione 
tanto viva, profonda , e vera, che senza poterne spiegar il mo- 
tivo , i miei occhi furon bagnati di lagrime , e si piegaron le 
ginocchia sull’ orlo dell’ abisso , che era al mio cospetto ... Tut- 
te le voragini del gran cono non mi avevano presentato che la 
bocca scolorata e fosca di un vulcano muto e tranquillo; ma 
quì tutto è in azione , o almeno sembra | ancor d’ esservi. Il 
| vulcano mormora e s’ agita, e dall’ angolo stretto, in cui sob- 
bolle la lava liquefatta , fino all’ orlo del cratere, in cui mi 
trovo, l’ estensione immensa del baratro presenta da ogni lato 
la più attiva scena , il più spaventevole , grande ,inaudito spet- 
tacolo. Lave calcinate e nericcie strappate dal sen del cratere 
han colà rotolato di nuovo nell’ abisso ; scorie massiccie e fu- 
manti qui sporgon fuori pendenti dagli; orli di lui ; e sopra le 
parti interne larghi strati di muriato d’ ammoniaca , di soda, 
e di ferro , usciti di fresco dalla fornace ardente, da cui sono 
sminuzzolati, liquefatti, e colorati, fanno risplendere agli occhi 
miei i lor colori rossi grigi, bruni , bianchi , rosei, violacei , 
verdi, azzurri, e neri; e distendonsi sopra larghi letti di zolfo 
or della fosca degradazione dell’ ocra , or del più chiaro, vi- 
vace , e rilucente giallo ; mentre una diga di ceneri e sabbie 
più nere dell’ ebano , vomitate parimente dal sen della vora- 
gine , circonda la tavolozza vulcanica con un ardente e vigorosa 
cornice . 

» Questa diga , o piuttosto queste ceneri ammassate , le quali 
ricuoprono la superficie estrema del cratere , hanno un pendio 
infinitamente più forte di quelle che cuoprono la superficie del 
cono dell’ Etna. La totale assenza delle scorie o lave solide , 
spiega, secondo me, questa particolarità : questi corpi più 
gravi che la cenere e Varena vulcanica , non hanno potute 


246 


trovar qui un declivio abbastanza dolee per soffermarsi su i fian- 
chi del vulcano ; le sabbie ancora più pesanti delle ceneri han 
sdrucciolato fino a piè del cratere , il cui cono in fatti non è 
coperto che di nerissima , minutissima , e per dir così, impal- 
pabile cenere . Queste sabbie , scorie , e lave ingombrano l’im- 
mensa valle , al di cui centro vomitolle il vulcano novello . 

»» L'orlo esterno del cono differisce parimente da quello delle 
altre quattro voragini. Esso è quasi da per tutto largo abba- 
stanza perchè due persone vi passino di fronte ; terminando in 
un angolo acuto e fatto in modo, che apre da qualunque siasi 
lato una via stretta poco sicura e sempre inclinata sia al di 
dentro sia al di fuori della voragine ; dal che resulta, che se 
non fosse la natura stessa della materia da cui la diga è rico- 
perta ; e la di lui facilità a cedere sotto i piedi, il cammino 
sarebbe quì troppo pericoloso , se non anche impraticabile 
affatto . 

3 I vapori, che , come ho detto , si sollevano da tutti i 
lati dell’abisso , si mischiano in ogni direzione ,''son più densi ; 


più caldi degli altri, e più impregnati dell’odor soffocante del. 


muriato ammoniacale . Il calor delle ceneri è poi tale , che ci 
bruciava i piedi, nè ci sarebbe stato possibile di dimorare due 
secondi sul luogo medesimo : quelle che raccolsi dalla superfi- 
cie del terreno fecero ‘diventar rossa la carta, in cui le riposi, 
e quelle prese a' due pollici di profondità , braciavan la mano,;. 


Nello scender dall’ Etna e ritornare a Catania , la 
rassomiglianza del deserto con varie descrizioni dell’in- 
ferno di Dante si affacciò di nuovo all’immaginazione 
del Sig. Gourbillon; il quale cita varj altri passi di 
quella cantica . Il nostro autore finalmente dopo aver 
riferiti var) ragguagli di altri viaggiatori sull’ Etna, dà 
una serie cronologica ed istorica delle eruzioni di quel 
vulcano , delle quali si trova memoria. Divide questa 
serie in due epoche; sotto là prima ne conta undici an- 
teriori all’ era volgare: nella seconda ne comprende 
sessantasei dalla nascita del Salvatore fino al 1819. Le 
più terribili e disastrose furono , quella del 1537, quella 
del dì 8 marzo 1669 , la più orribile di tutte, quella 


247 
del 1693, quella del 1806, quella del 1809, e quella 
del 1811. E dopo aver riferiti i var) calcoli de’ viaggia- 
tori sull’altezza del Vulcano modestamente confessa , 
clie per vederlo i cinque giorni da lui impiegativi sono 
più che superflui, ma per conoscerlo appieno non ba- 
sterebbero cinque anni. 


F. G. 


Analisi dei viaggi del Signor Belzoni in Egitto ed in 


Nubia . 
3 (Gontinnazione Vedi. Tom:3 pag. 412 
Li 


(O. sl Geografia moderna. Varietà geografiche . 
? if Geografia fisica. 

® Wenti.1 venti regnano sul Nilo tutto l’anno. I battellieri 
Giza dei venti boreali per risalire il fiume, Il vento Kam- 
sini ® un vero flagello; comparisce in aprile, e si dilegua 
solamente 50, giorni dopo. Viene dal S. O. (dalla. Nigrizia) 
dura 4, 5, e Ggiorni senza interruzione ; alza mille turbini di 
sabbia, che penetrano nelle case, e. guastano tutto. Appena 
si mostra, le caravane non osano più d'entrar nel deserto; 
i battellieri si ‘arrestano, ed i viaggiatori si nascondono nei 
villaggi. Tutto si cuopre allora da bia Qualche volta i 
tntbibi accumulano in un punto una gran quantità di sab- 
bie s'e di piccole pietre , e le cangiano in una tromba di 
60. a 70. piedi di diametro, folta come un muro, che si 
ravvolge intorno al proprio centro come una macina, e de- 
scrive inoltre'‘un arco di cerchio; dopo una mezz’ ora o un 
ora si rompe, e lascia tante piccole alture sul posto in cui 
si dilegua. i 

Iiusione ottica (a) . Il viaggiatore assetato , che percorre 
un deserto ingombro di sabbie , vede da lungi l’imagine di un 
bel. lago. Come non crederebbe ai proprj occhi, quando la vi- 


(a) Chiamo\così il fenomeno che i Francesi distinguono col 
nome di mirage, e gl Inglesi di looming, o apparenza, 


248 

sta è d’ accordo col desiderio? Il lago imaginario par sempre 
in calma, e riflette tutti gli oggetti situati sopra il livello del- 
l’acque. Quando il vento agita le piante più alte dell’ oriz- 
zonte, che produce l'illusione , ci pare da lungi che 1’ acque 
ne ripetano esattamente l’agitazione; quando il viaggiatore 
sì trova in un punto più alto dell’ illusione, 1’ acque sem- 
brano men tranquille, e meno profonde; perchè allora gli 
occhi s immergono nel vapore, che non è abbastanza fol- 
to per involare alla vista la terra, sulla quale domina. Ma 
quando il viaggiatore si trova. a livello dell’ illusione , 
la sua vista non può penetrare nel vapore, € l’acqua pa- 
re allora perfettamente chiara. Così il viaggiatore quand’ è 
sopra un cammello, e quando cammina a piedi, prova due 
illusioni diverse. Allorchè si avvicina; al vapore, il vapore 
si rischiara, pare agitato idal vento, come un campo di gra» 
no ; l'illusione diminuisce a poco a poco, e quando si giun- 
ge al posto del lago immaginario non si vede più. niente. 
. Trista illusione ! 

Le cavallette . Vengono i in Egitto a torme; quando 
passano , turbano la luce del sole. come le nuvole . Quan- 
do sì gettano sopra un campo coperto di grani o d’ Pini 
vegetabili, divorano.!o devastano tutto in pochi minuti. Gli 
abitanti che fanno molto rumore per allontanarle ,. non ot. 
tengono mai niente. I più ‘astuti se ne vendicano, cercando 
di prenderle, e le rnangiano. Le cavallette fritte sono. in 
Egitto un regalo gradito (8) . 


(5) E' sperabile che quest asserzione di Belzoni non passerà 
per un racconto di fate. Noi proviamo ripugnanza a credere 
che una specie di cavallette possa servir d’ alimento agli Arabi 
ed agli Egiziani; e gli Arabi provano una egual ripugnanza 
a credere che noi mangiamo i granchi i ranocchi i gamberi 
e le chiocciole. In tutte le città dell’ Arabia da SESIA 
deb sino a Bassora, gli Arabi infilano le cavattétie per por- 
tarle a vendere ai mercati come fra noi s° infilano i marro- 
ni. Strabone, Diodoro, Agatarchide, e Plinio fra gli anti- 
ehi, e fra i moderni il giudizioso Nieuhoff assicurano concor- 


249 
Miniere di smeraldi. Gli Arabi conoscevano le minie- 
«re di smeraldi dell’ Egitto, e le ponevano nel deserto, che 
confina con Assuan , nel centro dell’ enorme catena di monti, 
che orla la riva destra ‘del Nilo, e presso una gran rupe, 
‘ che chiamavano karkascendah. Ne raccoglievano di quattro 
specie; 1°. lo smeraldo di un verde lucido , che passava per 
il più bello; 2°. lo smeraldo di mare che chiamavano co- 
sì, perchè lo vendevano ai popoli delle coste dell’ Indie e 
della China, fra i quali era infinitamente ricercato ; somi- 
gliava per il colore al verde delle foglie di mirto, 3°. lo 
| smeraldo d’ occidente, che vendevano ai Francesi, agli Spa- 
gnoli, ai Tedeschi, ai Lombardi, ai Russi; 4°. lo smeraldo 
sordo d’ un verde pallido e di poco valore . Secondo Ma- 
crizy cessarono di lavorarvi verso jil 760. dell’egira ( ver- 
so il 1370. dell'E. C.) probabilmente perchè la rendita non com- 
pensava la spesa. Gli Egiziani vi lavorano di nuovo fin dal 
1818, per conto del Vicerè. Il monte in cui fanuw'oggi gli 
scavi si chiama Zabarah (degli smeraldi ). La miniera so- 
miglia le caverne di Gurnah ; è prodigiosamente lunga (a). 


x 


demente , che gli orientali non solamente mangiano le caval- 
lette, ma le mangiano con piacere. Gli Ebrei dell’ Yemen se ne 
nutriscono avidamente , e sostengono con viso intrepido, che 
gli animali, i quali servivano d’ alimento agli Israeliti nel 
deserto (si veda il cap. 16. dell’ Esodo ) non erano pernici co- 
me traduce l’ autor della Vulgata , ma vere cavallette, mentre 
gli Ebrei dell’ Italia, ai quali piacciono molto le pernici so- 
stengono gravemente, che mangiarono pernici anche nel deser- 
to. Nota del traduttore tratta dal vol. 2. (inedito) della sua geo- 
grafia universale . art. Arabia-animali- / Siriani più ingegnosi 
degli Egiziani scacciano le cavallette non colle grida ma coi 
turbini di fumo, bruciando nei campi l' erbe e la paglia. Geo- 
graf. vol. 1. pag. 141. 

a) Non bisogna confondere le miniere di zabarah sul con- 
tinente colle miniere di smeraldi che vide Bruce nell’ isola di 
Sibergeth nel mar rosso alle falde di un monte in 4. 0 5. bu- 
chi di 2. a 4. piedi di diametro che gli Arabi chiamano i poz- 

T. IV. Novembre 17 x 


250 


7 


Topografia. Egitto orientale. 

Valle di Scbua . La valle di Sebua , o la valle del leone 
deve il suo nome ad una sfinge dal corpo di leone, la quale si 
trova presso le rovine di un tempio. È il più bel paese che si 
incontri da Assuan a Deer per le sue culture, Gli Arabi del. 
le valli di Sebua e d'Arab fanno un commercio esteso . Vrag-. 
gono da Berber a 8 giorni di distanza tutti gli articoli utili 
per i mercati di Sennaar. La strada che vi conduce è sem- 
pre frequentata. Vi passano ogni settimana tante piccole ca- 
ravane di 4, o 5, cammelli carichi. I negozianti di Sebua e 
d'Arab vendono all’ alto Egitto schiavi, avorio, gomma 
arabica, penne di struzzo, e cammelli, dei quali si provve- 
dono a Berber; e vi prendono in cambio gli articoli d’un e- 
sito più sicuro per l’ interno. Ogni anno nell’ inverno una 
caravana di 30, a 40, cammelli carichi discende da Sebua al 
Cairo. La città di Sebua è situata sulla riva destra del Nilo, 
ed è la frontiera dei due grandi rami de’ Barabras, che abi- 


tano nella Nubia. 

Deserto degli Ababdeh . La strada che conduce da Esnè 
al mar rosso passa per una valle incolta. Vi s’ incontrano 
solamente poche piante d’ acacia , pochi sicomori, ed una 
pianta spinosa , 7 basilZah , che serve di nutrimento ai cam- 
melli. Il suo frutto è grosso come un pisello. Il paese è 
popolato unicamente d’ Arabi della tribù d’ Ababdeh, la qua- 
le si estende dalla frontiera del territorio di Suez fino alla 
tribù di Bisharyn sulla costa del mar rosso. Un ramo di 
Ababdeh abita presso Fejum, e nel beniSuef, ove vive ne- 
gli agj fra numerosi armenti , e impiega i suoi cammelli 
per il commercio coll’ alto Egitto, e per il trasporto della 
sena. Si nutriscono unicamente di pan di saggina, di carne 
quasi eruda, e d’ acqua. Una capra anche magra è un gran 
regalo . Educano molti cammelli per venderli in cambio di 


zi di Zumrud Bruce descrive gli smeraldi dell’isola come un 
cristallo verde e trasparente ma fragile ; è lo smaragdus di 
Plinio. 


251 
saggina. I più industriosi tagliano le legne , ne fanno il car- / 
bone per portarlo sui cammelli ai villaggi del Nilo, ove si 
provvedono in cambio di saggina, sego, e tele da tende . 
Vivono sempre in guerra colle tribù d’Elmahas , e di ben- 
Hussy, le quali abitano nel deserto di Suez sino all’ Arabia 
interna , e sino alla frontiera della Siria. 


Egitto occidentale. 


Il territorio di Med net - el - fejum è coperto d’ alberi 
fruttiferi , di giardini e di rosa] . Vi raccolgono molto coto- 
ne . I suoi fichi secchi sono un articolo importante per il 
commercio col Cairo. La città è rinomata per l’acqua di ro- 
se, che vi distillano : ne vende al Cairo, e a tutto 1’ Egitto 
per l’uso dei grandi. 

Vi son molte vigne sulle rive del lago Meris ( oggi 
Kerun ). Le sue acque son di rado bevibili, e sempre sal- 
mastre . Vi pescano per conto del Vicerè. É popolato da un 
gran numero d’anatre selvatiche , e da una specie di grossi 
beccaccini . In qualche puuto vi cresce dentr’ acqua una gran 
quantità di giunchi , fra i quali si annidano in torme gli uc- 
celli aquatici . I pellicani vi sono a migliaja come sul Nilo. 

Fedmin-el Kunoa sulle due rive di un piccolo canale 
derivato dal bahr-yusef, che discende nel lago Meris, è divi- 
sa in 2 quartieri; uno è popolato di Cofti Cristiani , l' altro 
di musulmani. 

Il villaggio di Sedmin-el-Djabel all’ ingresso della pic- 
cola oasis è frequentato solamente dagli Arabi erranti (be- 
duini ) i quali vi si provvedono di riso e di datteri . — Il 
campo degli Arabi dominatori del deserto è situato alle fal- 
de delle colline vicine . 

Il villaggio d’el-Karak domina sopra una pianura ben 
coltivata ; la irrigano l’acque di un ramo del bahr-yusef . 
Gli abitanti vi raccolgono molta saggina e trifoglio. 

La valle del fiume senz” acqua deve il suo nome ad 
una tradizione, per la quale si pretende che vi scorresse 
in altri tempi un ramo del Nilo. Il generale Andreossi ha 


252 


osservato che il fiume senz’acqua è diviso dalla valle dei laghi 
di natrone solamente per mezzo d’una piccola fila di dirupi ; e 
che il Nilo prima di prendere la direzione attuale , man- 
dava realmente un ramo nel lago Meris , donde si diffon- 
deva nelle due valli, e nel deserto della Libia. È certo 
che vi s'incontrano pietre di quarzo, e di selce, gesso, e 
frantumi di diaspro, minerali che appartengono solamente 
ai monti dell’alto Egitto, e i quali per conseguenza non po- 
tevano discendere nelle due valli se non che per mezzo del 
Nilo. 

La valle d’e/- Cassar nella piccola oasi riunisce nel- 
le sue terre 6 villaggi fra i quali el-Cassar, da cui trae il 
nome, e Zabù. A el-Cassar tutte le case son di terra; v'è 
una gran piazza per la vendita dei cammelli e dei bestia- 
mi. Il territorio di Zabù è ricco d’alberi fruttiferi ; vi rac- 
colgono molto riso che è l’ alimento di tutti gli abitanti, 
Vendono molti datteri; tengono cammelli, somari, vacche, 
bufali, capre e pecore. Son sempre in guerra cogli abitan- 
ti d'el-Cassar, che è distante 3 miglia. 

La fonte d’ e/-Cassar ha molta analogia con quella, che 
Erodoto poneva presso il tempio di Giove Ammone. Bel- 
zoni trovò che l’acqua vi è calda dopo il tramontar del sole ; 
molto più calda a mezza notte; quasi ugualmente calda ver- 
so il Jevar del sole, e fredda a mezzo giorno ; di maniera che 
supponendovi 60 gradi di calore dopo il tramontar del so- 
le, ne ha 100 a mezza notte, 80 verso il levar del sole, 
e (o a mezzo giorno. Le variazioni derivano probabilmen-, 
te dall’ influenza dell’ aria esterna nell’ acqua, la quale è 
naturalmente limpidissima . Siccome scaturisce da un abis- 
so di 60 piedi di fondo, deve conservare per tutte l’ ore del 
giorno una temperatura quasi uniforme. Il calor della ter- 
ra non giunge per mezzo dell’aria fino all’ acque se non che 
al cader del sole; così l’acque non si riscaldano prima della 
notte. Secondo la relazione d’ Erodoto l’acqua della sorgente 
situnta presso il tempio di Giove Ammone era fredda a mez- 
zo giorno e a mezza notte, e calda la mattina e la sera; 


n 


255 


ma Erodoto lo disse sulla relazione degli abitanti, i quali 
potevano ingannarlo per ingrandire il prodigio . Del resto 
finchè non si esamineranno meglio le rovine di el-Cassar, 
e l’ oasi di Sihua, non potrà determinarsi se il tempio di 
Giove Ammone era nell’ el-Cassar, o nel Sihua; giacchè 
per le distanze convengono ugualniente ai due punti. L'oasi 
d'el-Haix a 3 giorni di distanza al S. O. d’el-Cassar è un 
arco di oltre 20 miglia; è un paese ricco di sorgenti lim- 
pide e fresche ; v'è qualche albero fruttifero , qualche cam- 
po di riso, qualche sicomoro. Le terre più interne son me- 
glio coltivate e meglio guarnite di verdura. Non vi man- 
cano nè datteri, nè mele di piccolo volume ma saporite , 
nè erbe per i Hai Vi raecelzono riso ed orzo per il 
bisogno . 
Città sul Nilo. 

Siut capitale dell’ alto Egitto sulla riva sinistra del Ni- 
lo è centro d’un commercio esteso col dar-Fure col Cairo. Le 
caravane del Fur vi vendono schiavi, penne di struzzo , «den- 
ti d’ elefanti, e gomme . Il vicerè sceglie ciò che gli con: 
viene sugli articoli he vi portano le caravane, regola arbi- 
trariamente i prezzi, e paga quando gli piace. Il Cairo ri. 
ceve da Siut grani fave lino seme di lino, una gran quan» 
rità di candele delle sue fabbriche, oltre :50 schiavi eunu- 
chi, che costano 150,000 piastre ‘@). Gli mutilano nel vil- 
laggio vicino di Zaviet-el-Deir; ne muore uno almeno sopra 
100. Il vicerè d’ Egitto ne fece mutilare in una volta sola 
200 per mandargli in dono al Sultano; gli trasse dal Fur. 
Dal Cairo gli eunuchi passano in gran parte a Costantino- 
poli .e nell’ Asia minore . n 

Kenneh sulla riva destra del Nilo fa un commercio e- 
steso coll’ Indie per la via di Kosseir . Il governatore tiene 
in armi 500. uomini per iscortar le caravane nel deserto fi- 
no a Kosseir. Vi comprano seta zucchero caffè di Moka , 
scialli del Cascemire e cotone. Le caravane che vanno alla 


(a) La piastra d’ Egitto corrisponde a > lire, 6 soldi . 


254 
Mecca vi si provvedono di viveri; quindi vi si riunisce mol- 
ta gente nella stagione dei viaggi. Il principe degli Ababdeh 
vende alle caravane i cammelli necessarj per il viaggio . I più 
bei vasi di terra ner tener fresca l’acqua vengono da Kenneh. 

Il Cairo, capitale di tutto l'Egitto è sulla riva destra 
dei Nilo. Iviaggiatori esagerano la sua popolazione. Le stra- 
de grandi son molto frequentate; ma nel resto è quasi 
deserta. Dacchè il vicerè ama e protegge gli artisti ed i 
manifattori d'Europa, vi fabbricano stoffe di seta, tele di 
cotone, polvere da munizione ; vi preparano sapone, vi raf- 
finano indaco e zucchero . 

Il villaggio d’ el-kalabchè sulla riva sinistra del Nilo 
nella Nubia è un gruppo di poche capanne di terra, o di 
pietre tratte dalle rovine. Quando l’ acque del Nilo son alte, 
gli abitanti costruiscono parecchi foderi di legno d’acacia , 
gli caricano di carbone in tanti sacchì di foglie di palma o 
di giunchi, e vanno a venderlo al Cairo, donde riportano in 
cambio saggina, sale, e tabacco. 

Deir capitale della bassa Nubia è ugualmente un grup- 
po di capanne di terra e di pietra ; fuori chele abitazioni de- 
gli amministratori, son tutte alte appena 8 0 10 piedi Fa un 
gren commercio di cotone col Cairo. Il suo territorio è ric- 
co di saggina , e di datteri. 

Il villaggio d’ Zbrim sulla riva destra del Nilo fa un 
commercio esteso di datteri preziosi con tutto l'Egitto; ne 
vende ogni anno da 1000,000. a 1200,000 libbre. 

Fschké sede del governatore della Nubia Egiziana è si- 
tuata in un territorio fertile e ben coltivato. Vi raccolgono 
sulle rive del Nilo una gran quantità di saggina e di cotone, 
che mandano al Cairo in cambio di tele sale e tabacco. 

Seconda cascata del Nilo. E'ingombra d'una moltitu» 
dine di piccole isole. Mainarty, Girarty, Ennerty, e Gene- 
sap son coltivate, e non mancano di datteri. Gli abitanti in 
numero di 18 o 20, vivono di saggina, e di datteri ; tengono 
poche pecore e capre , che gli provvedono di latte tutto l’ an- 
no, filano la lana delle pecore, e ne fanno una specie di 


25à 
stoffe per cuoprirsi. I 6 isolotti di Nuba, Gamarty, Dukul- 
ly, Suckeir, Dordjé e Jubai son popolati da una razza d’ uo- 
mini, che vivono tuttora come i primi padri del genere uma- 
no; sono in tutti da 36 a 4o. Si nutriscono di saggina; ten- 
gono un piccol numero di pecore ; coltivano un poco di co- 
tone per farne le tele . 
Varietà . 

Commercio dei coralli di vetro. I coralli di vetro per 
corone o per vezzi servono in Africa d’ ornamento e di mo- 
neta; uomini donne e fanciulli, tutti ne portano al collo al- 
le braccia alle mani. Ne fanno un gran commercio a Shendy 
oltre Dongola . I più comuni son di legno , e gli fanno i tor- 
nitori nell’ alto Egitto, per venderli ai beduini. Ne fanno col 
nocciolo di un frutto indigeno soprattutto a Dendera, ove è 
la fabbrica più importante ; ma gli portano piuttosto per de- 
vozione che per ornamento , perchè gli credono dotati di 
qualità misteriose. Ne viene in Egitto una gran quantità da 
Gerusalemme ; son rossi e neri; gli amano molto in Egitto 
in Nubia, nell’ Abissinia, e nel Fur; gli mandano quasi tutti 
da el-Khalil, che provvede d’ articoli di vetro tutta la Siria 
inferiore, gran parte dell’ Egitto e dell’ Arabia. I più belli 
vengono di Venezia e di Boemia; gli ultimi son bianchi. Si 
vendono ogni anno al Cairo da 4 a 500 casse di coralli di 
vetro di Venezia, ogni cassa di 10 cantari, e costano da 4 
a 8 luigi la cassa . I negozianti di Suakem portano a Shen- 
dy una specie di coralli da vezzi, che ricomprano a Shendi 
i negozianti del Kordofan jper provvedersi di schiavi. Con un 
miligliajo di coralli si dotati a Kordofan fin 6 schiave . 
A Dgeida un migliajo di coralli si paga 15 talleri di Spagna. 
Da Dgeida ne mandano di 10. o 12 qualità in tutta | Abis- 
sinia. Sono una specie di piccole palle di agate d’Indie, che 
le donne portano in vezzi ; i negozianti vi guadagnano molto . 

Arabi di Gurnah. Sono i Trogloditi dei nostri giorni . 
Vivono dentro le catacombe nei corridori fra il primo ed il 
secondo ingresso dei sepolcri, in tante capanne nere ed aflu 
micate come i nostri cammini. Gli animali, cammelli, bu 


256 

fali, capre, pecore, e cani, abitano più addentro la notte, 
e alla campagna il giorno. Due o tre figure mutilate, fra le 
quali si distingue sovente la volpe simbolo della vigilanza, 
ornano l’ ingresso delle magnifiche abitazioni. Il debole lume 
di una lucerna alimentato dal grasso di pecora, o da un poco 
d’ olio rancido sì diffonde da una nicchia sul resto dell’ edifi- 
zio; una stoja serve di sedia e di letto; qualche volta siedono 
sopra un monte di crani, e d’ossa. Si nutriscono di cattivo 
pane e di latte . La sera il capo della famiglia torna dalle sne 
spedizioni , siede gravemente presso la caverna , fuma una pi- 
pa coi compagni; la moglie gli porta una scodella di lenti e 
un poco di pane. Quando han guadagnato da 50 a 60 lire a 
forza di vendere antichità ai viaggiatori d’ Europa, prendon 
moglie . Il vestiario dei figli non costa niente , perchè gli 
mandano nudi, o gli cuoprono di cenci . Quando crescono in 
età imparano a guadagnarsi la sussistenza col mestier d’ an- 
tiquario. La mobilia della casa consiste in 3 0 4 vasi di ter- 
xa, in una pietra per pestare il grano , e in una stoja 
per dormire. La easa è preparata; basta entrare in una ca- 
verna e stabilirvisi. La pigione, e le contribuzioni non si 
‘ pagano ; le spese di risarcimenti non cagionano nessuna in- 
quietudine; la pioggia non passa mai per il tetto; non v' è 
porta da chiudere, e non è necessaria, perchè in casa non 
v’ è niente da rubare ; quando l’ abitazione viene a noja, se 
ne sceglie un’ altra; ve ne son più di 1000 senza padrone . La 
popolazione di Gurnah è oggi appena di 300 anime; la valuta- 
vano in altri tempi a più di 3000; si ribellano sovente al 
governo , ed il governo gli fa massacrare. Una volta coltì- 
vavano la terra ; oggi non maneggiano la vanga senonché per 
iscavare antichità . Se i viaggiatori gli pagassero meno ge- 
nerosamente, tornerebbero all’ antico mestiero . 

Nuovo canale del Nilo. Il vicerè d Egitto apriva re- 
centemente un nuovo canale da Fuah fino ad Alessandria, 
per facilitare il trasporto delle produzioni del paese sopra i 
bastimenti d’ Europa; giacchè erano obbligati qualche volta 
a restar nel porto per 6 mesi a motivo dei banchi di sab- 


= 


257 
bia, i quali ingombrano la foce del fiume presso Rosetta ; 
e anche i piccoli legni Turchi dovevano fermarvisi non di 
rado per 3 mesi. Il nuovo canale è lungo 40 miglia . Secon- 
do le perizie non bastano 7000,000, lire per terminarlo. Nel 
febbrajo e nel marzo del 1819 v’ impiegavano 25000 uomi- 
ni ai lavori di scavo. {ai 

sarà continuato. 


Atlante dei Viaggi di BeLzoni ved. pag. 412. 


Nora. L’ Atlante che accompagna li due. Tomi del viag- 
gio del sig. Belzoni, è in foglio massimo e composto di 44 ta- 
vole , parte delle quali.in litografia, e parte all’ acqua forte 
eseguite e colorite in Inghilterra, sotto l’ ispezione dell’ autore 
per la maggiore esattezza. Per quanto tutte sieno del più 
grande interesse per l archeologia e per le belle arti, nulla- 
dimeno ammirabili sommamente sono quelle che rappresentano 
l interno dei templi, e delle tombe; scoperte dal nostro viag- 
giatore, per © monumenti di scultura gigantesca , e per la vi- 
vacità. del colorito delle pitture onde sono abbellite. 

It suddetto Atlante è di proprietà del direttore del gabi- 
netto scientifico e letterario , e si è dato la premura di prov- 
vederne il suo stabilimento per ‘sempre più soddisfare la curio- 
sità dei suoi associati , e far conoscere lefatiche e gli studi di 
questo celebre viaggiatore italiano. 


E Lul: Li 10, 6/LA 


Il fiore di Rettorica di, Frate Guinorto pA Bo- 
roGNA. Venezia 1821. 


uesta nuova edizione della Rettorica di Frate 
Guidotto è opera di quel medesimo Bartolommeo 
Gamba, che ha ripubblicato i Reali di Francia . Sic- 
chè bisogna rendergli grazie e lodarlo, poichè è sem- 


258 

pre intento a facilitar lo studio delle nostre antiche 
scritture. Nè ha egli adoperato in questa edizione 
della Rettorica , siccome fece ‘in quella de’ Reali di 
Francia; imperocchè di essi non vide alcun mano- 
scritto , e tre ne ha veduti della Rettorica , ìi quali 
si conservano nella Marciana, libreria notissima di 
Venezia . 

Il migliore, di questi tre codici è quello della 
classe X. contrassegnato N. 21, che era altra. volta 
del Farsetti, e che fu copiato nel secolo XIV. Onde 
il Gamba lo ha con ragione eletto per primo , con- 
frontandolo però sempre cogli aliri due codici, colla 
più antica stampa di detta rettorica, e coll’ edizione 
fatta dal. Manni in Firenze nel 1734. Mediante la 
quale diligenza gli è riuscito a fare una nuova edi- 
zione molto buona e lodevole. 

Ma è questa rettorica quella medesima volgariz- 
zata da Fra Guidotto ? È l’ edizione. del Gamba sì 
perfetta che migliorare non sì possa? Prima di rispon- 
dere a queste due domande , bisogna indicare 1 co- 
dici che si conservano nella Magliabechiana e nella 
. Riccardiana ; favoriti a me da?’ gentilissimi bibliote- 
cari Vincenzo Follini e Luigi Rigoli, e ignoti come 
sembra al Gamba. 

Nella Magliabechiana sono alcuni frammenti di 
essa rettorica , inseriti in varit manoscritti : e vi è 
poi un bellissimo codice, P. 4. cod. 123, di lettera 
nitida, e membranaceo , copiato verso la metà del 
secolo XIV. Principia con queste parole: Qui comin- 
cia la rettorica nuova di Tullio traslatata di gram- 
matica in volgare per frate Guidotto da Bologna. 
E poi seguita con ordine similissimo: a quello che è 
nel codice della Marciana, se non che mancano al- 


259 
cune pagine nell’ ultimo trattato, rispondenti all’ ul- 
tima linea della pag. 138. dell’ edizione del Gamba 
fino alla nona linea della pagina 150. Detto codice 
è pur simile nella dicitura a quello della Marciana ;_ 
ed ha le medesime varianti, che il Gamba ha sa- 
viamente rigettate ,, come per esempio. reizzale e no0- 
mora in iscambio di regale e di nomi. Ma però vi 
sì trovano di quando in quando alcuni modi del dire 
più chiari e più idonei: e vi è la rettorica divisa in 
quattro trattati, e vi è il titolo a quasi tutti i capi- 
toli, come pare che non sia nel codice della Marcia- 
na, perchè il Gamba dice nel. suo proemio: ho cre- 
duto non riprovevole arbitrio quello di distribuire 
il libro in quattro trattati , la quale divisione è ad- 
ditata dalla materia stessa, e di aggiungere quel 
titolo o quella dichiarazione di ogni paragrafo che 
con disordine soltanto stanno contrassegnati ne’ tre 
esemplari suddetti . 

Nella Riccardiana sono più codici di essa retto- 
rica . Il codice. 1638, che è cartaceo e del secolo XV, 
è quasi uguale a quello della Magliabechiana , se 
non che è di lettera meno antica e meno intelligi- 
bile. Ma è tutte-intiero , come il libro stampato dal 
Gamba ; € così principia: Qui comincia la rettorica 
nuova di Tuliotraslatata di grammatica in volgare 
per frate Guidotto da Bologna . Copiato per Piero 
di Niccolò di Forese. 

Similissimo al precedente è il codice 1639 , se 
non che sembra di qualche anno meno antico , e gli 
manca il prologo del terzo trattato. Principia esso 
pure così: Qui comincia la rettorica nuova di Tulio 
traslatata di grammatica in volgare per frate Gui- 
dotto da Bologna . 


260 

Nel codice 1642, membranaceo e del secolo XIV, 
si trova inserito tra molte altre scritture il prologo 
e il primo capitolo del primo trattato di detta ret- 
torica , come si leggono ne’ codici precedenti. E vi 
è pur detto in principio di queste poche pagine: Pro- 
logo di frate Guidotto da Bologna sopra la rettorica 
di Tullio . o 

Io ho trascritto tutti questi titoli de’ codici per 
dimostrare che mon variano mai . Sicchè il. titolo 
di questa opera è Rettorica nuova di Tullio volga- 
rizzata per frate Guidotto da Bologna; nè si può 
mutare senza produrre confusione , perchè il libro sì 
conosce da molto tempo e sì cita con questo. nome. 
Il Gamba però ha creduto di poterlo cambiare. Egli 
ben ragiona dicendo , che mal a proposito si è scritto 
la RerTORICA DI T'urtio, stantechè Guidotto si con- 
tentò di dare un immaginato compendio o ristretto 
de’ libri pe invanTIONE di Marco Tullio, compendio 
che neppur segue sempre le vestigia dell’ oratore 
romano. Ma benchè ciò sia vero, non ne conseguita 
la facoltà d’ innovare la comune consuetudine: e du- 
bito anche se buono sia quel titolo, che il Gamba 
sostituisce al primo. Egli dice che Za vera denomi- 
nazione V ha data frate Guidotto medesimo, il quale 
nel suo prologo scrisse : 10 Ho COMPILATO QUESTO 
FIORE DI ReTTORICA NELLA ORNATURA DI Marco 
| TurLio: e rammentandosi che i nostri antichi sole- 
vano usar questi titoli di libri, fiore di virtù , fiore 
di parlare, fiore di cavalleria ec., ha nominato l'o- 
pera , di che si parla , IL FIORE DI RETTORICA DI FRATE 
Guiporto DA BoLoGNA, POSTO NUOVAMENTE. IN LUCE 
nA BarroLommeo Gama, senza aggiungervi neppure 
quello che Guidotto vi aggiungeva, cioè rell’ orna- 


4 


ica 


261 
tura di Marco Tullio. Tantochè non si conosce più 
d’ onde. provenga questo fior di rettorica , e Guidotto 
sembra un originale scrittore. Volendo togliere uno 
de’ nomi dal frontespizio del libro, io non so se era 
meglio levar Tullio o Guidotto . 

Lo stesso Gamba dubita se quest’ opera , come 
or si legge ne’ manoscritti e nelle stampe , sia quale 
essa veramente uscì dalla penna di frate Guidotto. 
Quanto è a me, credo che ne sia tanto diversa, co- 
me era la lingua toscana del secolo XIV alla lingua 
che scrivevano i bolognesi nel secolo XII. Il libro 
è intitolato dall’ autore a Manfredi Re di Sicilia, 
che fu incoronato nel 1258, e ucciso nel 1265. Onde 
fu certamente scritto intorno al 1260: non però nel 
1257 , come alcuni presuppongono, stantechè Manfre- 
di aveva allora la reggenza , ma non la regia corona . 
Tutti i codici poi, che ho sopra mentovati , ed anche 
quello della Marciana , hanno le qualità della scrittura 
fiorentma , come si usava nella metà del secolo XIV. 
Il che dimostra che sono stati tutti ricorretti. Nè man- 
ca una chiarissima prova , sì per dinotare l’ antica ori- 
gine di questa rettorica , e sì per palesare la sua nuova 
correzione. I vocaboli romora, reinale, e simili che 
quantunque rari, pur sì trovano ne’codici, sono indi- 
zio certo dell’ antica origine del libro . È il prologo, 
aggiunto dal copiatore al terzo trattato, poichè è simile 
nella dicitura al rimanente dell’opera, così è  certissi- 
mo segno che il copiatore l’ ha tutta riaccomodata se- 
condo la sua consuetudine . Io trascriverò dipoi questo 
prologo ed altri passi della suddetta rettorica, aftinchè 
il lettore si persuada alla mia opinione. E gli trascri- 
verò con quelle variazioni che hanno i codici nostri, 
ponendo accanto ad esse in parentesi e in carattere cor- 


262 

sivo le parole che si leggono in vece loro nell’ edizione 
del Gamba, acciocchè sia pur manifesto che può essa 
migliorarsi coll’ aiuto de’ codici nostri . Intanto giova 
discorrere d’ un altro codice che è nella Riccardiana . 

Questo è cartaceo, contrassegnato N. 2338, e fu 
scritto da Filippo di Ser Gieri da Rabatta, come si vede 
nella pag. 32. Vi è aggiunta la notizia in principio del 
codice , che Ser Filippo di Ser Gieri di Ghino di Gieri 
viveva nel 1390. Ed è notato nella pag. 25, che questo 
libro era di Bernardo di Giovanni speziale, che viveva . 
nel 1410. Onde è quello stesso codice, che il Manni a- 
doperò nel fare la sua edizione del 1734, e che fu co- 
piato nel 1390, e non nel 1410. La rettorica è qui pure 
divisa in quattro trattati, ed ha i capitoli e i titoli quasi 
del tutto simili a quelli che si leggono nell’ edizione 
del Manni. Sicchè differisce molto in principio, e poi 
finisce in un modo simile all’ edizione del Gamba. Non 
vi è il prologo del terzo trattato. Ma vi sono in princi- 
pio e in fine alcune parole, citate solo in parte dal Man- 
ni, che bisogna alquanto esaminare. Si legge in princi- 
pio: questo libro tratta degli ammaestramenti dati da' 
dicitori che vogliono parlare con parola buona, com- 
posta, ordinata e ornata, e in sulle proposte saper con- 
sigliare, e lo detto suo piacevolmente profferere, reca- 
to a certo ordine per Messer Bono di Messer Gianbo- 
no, ad utilità di coloro a cui e’ piacerà di leggere. Ed 
in fine si dice: qui è finita la rettorica di Tullio, la 
quale Messer Bono Gianboni, giudice di legge e buon 
uomo , recò in volgare perchè n° avesser diletto , in 
quanto si potesse, gli uomini laici che hanno valente 
intendimento. La quale rettorica volgarizzata Fra 
Guido di Bologna si vantò, siccome si trova scritto 
che l’ aveva volgarizzata egli, e traspose la parte dî 


2653 
dietro dinanzi per diversi modi. Queste parole sono 
tutte scritte collo stesso carattere di F ilippo di Ser 
Gieri: e significano, a me sembra, o che la rettorica non 
fu volgarizzata per primo da Fra Guidotto, o che se 
ciò accadde, fu ben presto riaccomodata da Bono Giam- 
boni. Questi viveva nel 1291, ma non sappiamo se fosse 
allora giovane o vecchio. Sicchè mancano argomenti 
storici per affermare, come per negare che egli non po- 
tesse aver volgarizzato la suddetta rettorica trent'anni 
e più innanzi al 1291, cioè prima di quel tempo che si 
assegna all’ opera di Frate Guidotto. I nostri giudizi 
dipendono quasi sempre dalle poche parole che leggia- 
mo in principio ed in fine de’ codici. E il codice della 
Riccardiana (che è pure del secolo XIV) dà al Giam- 
boni ciò che altri codici danno a Guidotto. Onde io ri- 
peto che non è ben certo a chi de’ due appartenga il 
primo volgarizzamento di essa rettorica: essere certo 
bensi che se il Frate la tradusse, Bono la riordinò e 
corresse . E così un altro fiorentino debbe aver riacco- 
modato la medesima rettorica nel modo che vedesi ne- 
gli altri codici sopramentovati . Per rispetto a’ quali, 
prego il lettore che guardi bene al prologo del terzo trat- 
tato, poichè vi si dice che sono state omesse alcune 
parti della rettorica di Fra Guidotto: le quali non si 
sono finora ritrovate nel luogo loro in verun codice. 
Non è questa un’ altra prova, che noi manchiamo della 
rettorica vera di Fra Guidotto, e che abbiamo in iscam- 
bio una rettorica non sua, o accomodata almeno da’ suoi 
copiatori? Nè alcun manoscritto autografo di Guidotto 
è stato finor conosciuto . E nemmeno i suddetti codici 
non sono copie ritratte da un autogra fo suo, come dimo- 
streremo nelle annotazioni al prologo del copiatore . Si 
noti infine che il numero delle rettoriche tramandateci + 


264 
da’ nostri antichi è grandissimo, e che tutte variano 
luna dall’ altra: tantochè non è inverisimile che i co- 
piatori pigliassero poi da ciascuna quelle parti che più 
loro piacevano. Il che rende più difficile l’assegnarle a’ 
loro veri autori. Trascrivo adesso quelle parti de’ co- 
dici, che ho promesso . 

Pag. 1. Proemio. Nel tempo che signoreggiava il grande e 
gentile uomo Giulio Cesare, il quale fu il primo imperatore di Ro- 
ma, di cui Lucano e Sallustio et altri autori dissero (dissoro) alti 
e maravigliosi versi, nel quartodecimo e quintodecimo anno (nel 
AIIII anno) dinanzi alla natività del nostro Signore: in quel 
tempo fu un nobile e virtuoso uomo, cittadino nato di Capua 
del Regno di Puglia (cittadino di Capoa e del regno di Puglia) 
il quale era fatto abitante della nobile città di Roma, et aveva 
nome Marco Tullio Cicerone; il quale fu maestro e trovatore della 
grande scienza di Rettorica, cioè ‘di bene parlare, e trovò e or- 
dinò per lo suo gran senno (grande ingegno ) naturale questa 
scienza di Rettorica , la quale sormonta (avanza ) tutte le 
altre scienze per la bisogna di tutto giorno (tutto il giorno) par- 
lare nelle valenti cose, siccome in far leggi e piati civili e cri- 
minali, e nelle cose cittadine, siccome in far battaglie, e ordi- 
nare schiere, e confortare cavalieri nelle vicende degl’ imperii, 
regni e principati, e governare (con governare) popoli, regni, 
cittadi, ville , e strane e diverse genti come conversatori (1) 
nel gran cerchio del. mappamondo della terra. Et a contare 
brievemente la vita del detto Marco Tullio, voglio che sappiate 
ch'egli fu (che fu) uomo intento, della sua vita (2) amabile, co- 
stante di grazia (di sua grazia) e virtù, grande della persona, 
e ben fatto di tutte membra; e fu d’ arme maraviglioso cava- 
liero, franco di (del) coraggio , armato di grande senno, fornito 
di scienza e di (di grande) discrezione, ritrovatore di tutte le 
cose (tutte cose). Et io frate Guidotto da Bologna, cercando le 


(1) Nel cod. 1639 della Riccardiana è siccome conversano : 
nell’ edizione del Gamba è come si conversa. 
(2) Così è pur ne’ codici, ma è modo del dire insolito e oscu- 
ro: la lezione rigettata dal Gamba, cioò in tempo della sua vita, 
se uno è migliore, è almeno più chiara. 


265 
sue magne virtudi, sì mi mosse (emi m:0ss0) talento di volere 
alquanti membri del fiore di Rettorica volgarizzare di latino in 
nostra lingua, siccome appartiene al mestiero de’ laici, volgar- 
mente. Et come conteremo per innanzi in questo libro (per 
lo’nanzi), nel versificato che fece il grande poeta Virgilio, e 
nel tempo che fu Ottaviano imperatore augusto, figliuolo adot- 
tivo di Giulio Cesare, nell’imperio della sua dignitade, nacque Cri- 
sto glorioso (il glorioso) Salvatore del mondo (3): il quale Virgilio 
sì trasse tutto il costrutto dello intendimento della Rettorica, e 
più ne fece chiara dimostrazione (4imostranza), sicchè per lui pos- 
siamo dire che l'abbiamo ritrovata, e (2 abbiamo, e) conoscere la 
via della ragione e la etimologia dell’arte di rettorica; imperocchè 
trasse il gran fascio in piccolo volume e recollo in abbreviamento. 
Et io considerando te e la tua grande bontà, alto Manfredi Lancia 
Re (/ancia e Re) di Sicilia, siccome a diletto e caro signore 
nell’ aspetto de’ valenti principi del mondo, essere sopra. gli al- 
tri re grazioso, ho compilato questo fiore di rettorica nella or- 
natura di Marco Tullio, nel quale secondo il mio (secondo mio) 
parere, voi potete avere sufficiente et adorno ammaestramento 
a dire, per questo libro, in pubblico et in privato. 

Pag. 5. Prologo del primo trattato. Acciocchè la vita è 
corta, e l’arte è lunga e ’l mestiere e ‘1 bisogno, non potemo 
in tutto considerare pienamente il nostro volere, ma piglierenne (4) 
una partita brievemente, siccome nostro Signore Iddio ci donerà di 
grazia. Et diremo (siccome il nostro Signore ne concederà gra- 
zia, diremo) come l’uomo, per la virtù che gli è data dalla som- 
ma potenza di Dio nella lingua, di saper favellare, perchè avanzi 
tutti gli altri animali ..... pag. 6. Et io però veggendo (Et 
io veggendo) nella favella tanta virtude e utilità, sì misi tempo, 
e compilai in istudio per trarre a fine quest’ opera (tempo per 
compilare con istudio questa opera)... .sola la bella (solo la 
bella) favella . .. . pestilenza (pistolenzia) ......pag. 7. Ma se 
l’uomo ha in sè giustizia, cioè ferma volontà di voler le cose 
ben disporre, e dirittamente voler giudicare (giustizia e ferma 


(3) Tutto questo periodo è pur così ne’ codici, ma è oscu- 
rissimo: io sospetto che debba cambiarsi la punteggiatura, éo- 
minciando dal toglier via il punto innanzi £f come. 


(4) Cioè re piglieremo: nell’ edizione del Gamba è pigliarne. 
T. IV. Novembre 18 


266 


volontà di sapere le cose bene disponere a drittamente voler 
giudicare), sì gli fa bisogno di sapere bene favellare, acciocchè 
sappia le cose mostrare et aprire. Senza la favella sarebbe la 
bontà (bontà sua) come un tesoro riposto sotterra, che se non 
è saputo, più che terra non vale: e dacchè la favella è accom- 
pagnata in (4°) alcuna persona colla giustizia e col senno, si ren- 
de.sì (più) perfetto l’ uomo, che è tanto meglio che non (l’wo- 
mo che non) sono gli altri, quanto, questo v' ho mostrato di so- 
pra; sono gli uomini (sono gli altri. Ho mostrato di sopra quan- 
to sono gli uomini) per la favella meglio che gli altri animali : 
perocchè molto vale a sè medesimo, et è molto utile e caro ad 
altrui (@/tr7), sì al suo comune, sì a’ suoi amici e parenti, che 
sovente n° hanno (che n° henno) conforto ne’ loro fatti, e gran- 
dissimo consiglio e rifugio, quando è savio dicitore. Dunque 
qualunque persona vuole saper ben favellare e piacevolmente, 
sì si peni e pensi (piacevolmente si pensi) d’ aver sempre senno, 
acciorchè conosca e senta quello ch’ ei dice (che dice) . . . . . 
pag. 8. senta meco certi ammaestramenti ....e da che gli ha 
letti e bene impresi (impressi), sì usi (si zs7) spesse volte il dire 
(di dire)....senza usare non può alcuno essere (essere alcune) 
buono parlatore. 

pag. 103. Nel tempo che Roma aveva molti cavalieri fore- 
stieri, e ogni uomo stava rinchiuso in casa per paura, venne Sa- 
turnino, tutto armato di ferro, con un grande tavolaccio e con uno 
spiedo in mano, e con cinque grandi fanti, tutti armati com? egli; 
e subitamente (armati; e conv egli subitamente) entrò nella casa 
di Salomone, e a gran (Salomone, a gran) voce cominciò a 
gridare. 

Pag. 108. Di cotanto patrimonio così tosto non è rimaso 
(ron rimase) un testo, dove il fuoco potessi (potesse) portare. 

Prologo del terzo trattato.—Seguitasi ora nel libro 
di frate Guidotto un’altra volta dottrina sopra le sei 
parti della diceria: cioè sopra il Proemio , Narrazione , 
Divisione, Confermagione, Risponsione, e Conclusio- 
ne: ma io scrittore , esaminato e veduto chiaramente 
che innanzi al trattato dell’'Ornamento della favella 
egli quel trattato scrisse , e che tra questo trattato e 


quello è neuna differenza o di parole o di fatto, sì il 


267 
lascerò stare , e passerò al terzo trattato del libro. Ma 
chi pure il volesse come il frate lo scrisse, ciò non bia- 
simo , nè lodo. Non vorrei io, o Maestro Mella (1), 
( tu t’avrai forse più presto la voce a riprendermi che 
Jo ntelletto a considerare s'io dissi vero ) che tu cre- 
dessi che s'io fossi a viso a viso col frate , ch’ io tacessi 
queste parole . E se tu di a che difetto 1’ apporrai? al 
Frate, o forse allo scrittore (2)? rispondo: allo scrittore 
no, che pure alcuna diversità è da quello dinanzi a 
questo, ma non che vaglia nulla. Se io dico che ‘1 frate 


(1) Le parole qui collocate in parentesi, sono pure del te- 
sto. Era necessario così disporle , affinchè s’ intendesse bene il 
significato del discorso. E perciò non ho a questo prologo ag- 
giunte le variazioni che leggonsi nell’ edizione del Gamba, stante- 
chè le avrei dovute porre anch’ esse tra parentesi, ed avrebbero 
arrecato confusione. Ma questo non importa, perchè il più di questo 
prologo è diverso a quello stampato; nè il Gamba poteva cor- 
reggerlo, essendo, com’ egli dice, in questo passo tanto il co- 
dice Marciano quanto l’ antica edizione poco intelligibili. In- 
fatti si dice in questo luogo: Nor vorre’ io da maestro mostrar- 
mi ...Ma tu ti avraît ec.: il che è contrarissimo a ciò che vo- 
leva dire lo scrittore, perchè questi ha inteso d’ apostrofare 
contro i maestrucci e i pedanti. Maestro Mella è al certo un 
nome derisorio. Mella può derivarsi da me/lone, e significare 
zucca: può essere sbaglio del copista (benchè sia ripetuto in 
due codici), e significare mela, cioè maestro tondo come una 
mela: e secondo il Du Cange significa altresì mespiluni, cioè 
nespola . 

(2) Questo titolo si riferisce evidentemente, non a quegli che 
trascrissero i nostri presenti manoscritti, ma a quello che aveva 
prima di essi trascritta la rettorica. Sicchè siamo pur certi che 
niuno de’ manoscritti sopra indicati (poichè hanno il medesimo 
prologo) non sono neppure una copia del manoscritto autografo . 
Che se da questo direttamente provenissero, non avrebbero i co- 
piatori fatto differenza tra ’1 rate (supposto autore) e Jlo scrit- 
tore. 


208 
era allotta ebbro, o dico che egli ignorasse quello che 
facesse , leggermente tu proverai il contrario: pure di- 
co che questo trattato due volte non bisognava . Perchè 
il facesse, nol so. Se tu, vertecchio (3), dicessi: quello 
fu sopra l’ ordine giudiciale come pare nella lettera, e 
questo dunque sarà sopra il diliberativo e dimostrativo. 
Rispondo: provoti a te non dire vero per le rettoriche 
di Tullio; colui non pone in questo trattato alcuna dif- 
ferenza per quelli ordini. E se tu ancora cinguetti , e 
dì: or furo tutti gli altri, che l'hanno letto, giechi ; e 
tu solo vedi lume? Rispondo: se tu non mi lasci stare, 
io ti dirò il peggio che io potrò, cioè che nè tu, nè gli 
altri non leggeste mai libro, se non come fanno i fan- 
ciulli di sei anni che ricorrono l'a, b, c, e'l Deus in 
nomine. Queste parole furono necessarie, acciocchè non 
paresse quello trattato essere rimaso in penna: ma l’or- 
dine è trasmutato. 
Antonio Benci 


Saggio sull’ uomo. Epistole di AvessAnDRO Pope tra- 
dotte da MicueLe Leoni. Parma, co’ tipi Bodoniani. 


Vie opera inglese è già stata più volte tradotta nel 
nosiro idioma, e da alcuni assai bene. Ma i pensieri del 
Pope sono di tale natura che ogni letterato brama, s° ei 
può, leggerli e meditarli nell’ originale scrittura. Quin- 


(3) Qui si dice nell’ edizione del Gamba: Se tu vorrai che 
io dicesse. Ma ne’ codici nostri, sì nel Magliabechiano, come nel 
cod. 1638 della Riccardiana, leggesi: se tu, Z'ertecchio, dicessi. 
E Vertecchio è un nome derisorio siccome mella, e vien forse 


da verticulum o da verticillus che significano fusaiolo . 


209 

di se il lettore è, come il Leoni, poeta; assume facil- 
mente il carico di ripetere que’ versi a’ suoi concittadini 
coll’ inteso e comune linguaggio. Ed è certamente un 
bene l’ aver molti e buoni traduttori, poichè se ne trag- 
ge lo stesso utile come da un viaggiatore espertissimo , 
il quale ritornando nella patria istruisce e diletta noi 
coll’ opportuno racconto de’ forestieri costumi. Ed è pur 
certo un bene l’ avere in molti modi diffuse le dottrine 
del Pope, imperciocchè ben dice il Leoni: « L’ assunto 
del Pope fu in quest’ opera meramente filosofico, quello 
cioè di considerar l’ uomo dentro e fuori di lui, d’ inda- 
garne le forze motrici, le relazioni, e per mezzo del ra- 
ziocinio determinarne gli effetti, Guidato dall’ amore 
del vero, penetrò nel più profondo dell’ uman cuore, e 
con occhio imparziale prese ad esaminare l’ impasto di 
questo mostro di grandezza e di miseria , d’ oscurità e 
di luce : e ciò colla mira di fargli conoscere qual grado 
egli occupi nella creazione ed a qual fine sia destinato. 
Combatte la stolta vanità di quelli che colla sola ragione 
sollevar vorrebbono l’ intendimento ad oggetti o del tut- 
to inutili o impossibili a sapersi; e condanna d'’ altra 
parte coloro, che reputando virtuosa rassegnazione l’ i- 
gnavia, il più comodo e il più volgare de’ vizii, non si 
curan neppure di percorrere il proprio campo anche là 
dove non è sparso di spine ». 

Noi pertanto abbiamo letto volentieri la nuova tra- 
duzione di Michele Leoni. Essa è stampata con bellis- 
simi caratteri, in nitidissima carta, e con somma accu- 
ratezza, e con la giunta di utili note. Del rimanente vo- 
glio che giudichi il lettore. Yo tradurrò litteralmente 
alcuni passi delle quattro epistole di Alessandro Pope; 
e vi aggiungerò i versi del Leoni. Così ognuno potrà 
meglio conoscere il merito di lui; farne confronto se 


270 
vuole cogli altri traduttori, e scorgere a un tempo come 
sia difficile il verseggiare nel nostro idioma con oltra- 
montani pensieri, massime quando sien metafisici. Lo 
mi servo dell’ edizione di Londra, printed for C. Ba- 
thurst ec. 1776. 


Ep. 1. IH. I Celo nasconde a tutte le creature il libro del 
Fato, tutto :/ libro fuorchè la pagina prescritta, il loro presente 
stato; a’ bruti nasconde quello che gli uomini, agli uomini quello 
che gli spiriti sanno. Altrimenti chi sopporterebbe l’ essere qui 
abbasso (quaggiù sulla terra). Il tuo gozzovigliar condanna l’a- 
gnello a versare oggi il sangue; avesse egli la Ragione tua, saltelle- 
rebbe egli e scherzerebbe ? Contento fin all’ ultimo, ei mangia 
il fiorito pascolo, e lecca la mano che s’ è giusto alzata per 
spargere suo sangue. O cccità benignamente data 4 noi per ri- 
spetto all’ avvenire, affinchè ognuno adempia il circolo disegnato 
dal Celo, che, come Dio di tutti, vede con occhio eguale morir 
I eroe, cadere il passerotto, atomi o sistemi precipitati in rovi- 
na, ed ora una bolla scoppiare, ed ora un mondo. 


Dell’ immutabil Fato il gran volume 

Chiude a’ viventi il Ciel: sol del presente 
La necessaria pagina lor mostra. 

Quel che ai bruti nasconde all’ uom discopre; 
Nasconde all’ uom quel che agli spirti svela. 
Qual, senza opposto vel, saria la vita? 

L’ agnello a morte il tuo piacer condanna. 
Se fosse in lui di tua ragion scintilla, 
Scherzar vorria? Pur sino all’ ultim’ ora 
Pago si pasce delle molli erbette, 

La man lambendo che a ferirlo è pronta. 
OL! del futuro provvida ignoranza, 

Oude la via compie ciascun prescritta 

Dal comun Padre, che con ciglio eguale 

Il passero perir mira e l’ eroe, 

Confusi andar sossopra atomi e sfere, 
Acqueo globo scoppiar, disfarsi un mondo. 


Ep. 2. II. Vedi, qualche strano conforto ogni stato atten- 


274 
dere, e l’ orgoglio compartito a tutti, comune amico: vedi, ad 
ogni età supplire qualche idonea passione ; la speranza viaggia 
sempre con noi, nè ci abbandona quando moriamo. 

Mira il fanciullo, per benigna legge di natura, contento d’un 
sonaglio, allettato da una pagliuccia. Poi qualche trastullo più 
vivace porge alla sua gioventù diletto, un poco più strepitoso, 
ma vano questo pure del tutto. Ciarpe, gerrettiere, oro, diver- 
tono la sua più matura età. E preci, e libri d’ orazioni sono le 
occupazioni della vecchiezza. Contento sempre di queste come 
di quelle prime crepunde, finchè lasso ei dorme; e la misera 
commedia della vita è giunta al termine. Intanto l’ opinione in- 
dora con cangianti raggi quelle dipinte nubi che abbelliscono 1 
nostri giorni. Ad ogni mancanza di felicità supplisce la speranza, 
ad ogni povertà di senno l’ orgoglio. Queste passioni edificano 
di mano in mano e sì presto che la scenza può. distruggere. 
Nella tazza della follia ride sempre la vana gioia. Perduto un 
prospetto, sempre un altro ne guadagniamo: e niuna vanità è 
data invano. Anche il dispregevole amor-proprio diviene, per 
forza divina, la bilancia con che misurare i bisogni degli altri 
da’ tuoi. Vedi, e confessa, un conforto sempre nasce: e questo 
si è, che se l’uomo è stolto, Iddio è savio. 


Strana condizion qualche conforto 
Ritrova sempre nell’ innato orgoglio, 
Nostro amico comun. Siegue ogni etade 
Conforme passion che i petti molce : 
Vive coll’ uom la speme, e muor con lui. 
Il fanciullin rimira, a cui benigno 
Ciel di lieve pagliuzza offre trastallo : 
Più vivo ludo lo rallegra adulto, 
E in più maturi dì gli onori e l’ oro. 
Son dell’ età senil delizia e cura 
Picciol volume di devote preci, 
E corona cui dan -le rose il nome. 
Di frivoli sollazzi ella si pasce, 
Pargoleggiando, insin che della vita 
La misera commedia eterno chiuda 
Sonno di morte che ogni stato adegua. 
Con instabili rai sino all’ estremo 
Termin la nube opinion indora, 


272 
Onde il viver si abbella. Empie ‘1 difetto 
Della felicità soave speme, 
E °l gran véto de’ sensi innato orgoglio. 
Quel cui talor scienza a terra gitta, 
Le passioni a rinnalzar son pronte. 
Simile ad acqueo globo, entro la coppa 
Della follia ride la gioia. All’ una 
Speranza che si perda altra succede; 
Né fu a noi vanità CONTE indarno. 
Il proprio amor (mercè d’ Iddio) misura 
Divien de’ nostri con gli altrui bisogni . 
Il ver dunque confessa, e ti consola; 
Chè se stolto è il dabietal, è saggio il Nume. 


Ep. 3. I. O stolto omo; ha Iddio adoperato solamente per 
tuo bene, per tua gioia, tuo -passatempo, tuo vestire, tuo cibo? 
Quei, che per la tua mensa nutrica il dilicato daino, per que- 
sto pur benignamente apparecchia la fiorita pianura. Ascende 
(vola) e canta per te la lodola? gioia intuona la sua voce, gioia 
inalza le sue ali. Versa la gola sua (gorgheggia) per te il fanello? 
amori suoi proprii e trasporti di giubbilo gonfiano le note. Il 
saltante destriero, che voi pomposamente cavalcate, partecipa del 
diletto e dell’ alterigia del suo Signore. È sola tua la sementa, 
di che è sparso il piano? gli uccelli del celo ridomanderanno il 
lor grano. E tua l’ ubertosa messe dell’ aurata stagione ? Una 
parte ricompensa e giustamente il meritevol bove . Il verro, che 
non ara, e non ubbidisce alla tua chiamata, vive delle fatiche 
di questo signore di tutti. 

Sappi, che tutti i figli della natura partecipano delle di lei 
cure. La pelliccia che riscalda un monarca, ha già riscaldato 
un orso. Mentre l’ uomo esclama: ecco tutte le cose per mio 
uso! Un’ impinguata oca risponde: ecco l’ uomo per uso mio! 
E certamente înanca di ragione quegli che pensa essere il tutto 
fatto per uno, non uno per il tutto. 


Stolto ! avrà danque Iddio tutto creato 

Per tuo diletto ed ornamento ed esca? 

Quei che ‘1 cerbiatto alla tua mensa appresta, 
Per lui d’ erbe e di fiori ammanta i prati. 
Forse per te la Jodoletta il canto 


273 

Intuona della gioia, e batte l’ ale ? 
Echeggian del fanel per te le note? 
È il giubilo e l’ amor che le disnoda. 
Irrequieto quel destrier, cui preme 
Il suo signor pomposamente il dorso, 
Ne divide il piacer, di sè superbo. 
È ancor per te la cereal semenza 
Ne” campi sparsa? V’ han gli augei lor pasto. 
D’ anno ferace la dorata messe 
Intiera a te pertien ? Parte ne invoca 
Della dura fatica il bue compagno. 
Impotente al lavor, sordo alla voce, 
Il verro istesso per sol’ opra e cura 
Vive di te, che hai sulla terra impero . 

Sappi, che tutti di natura i figli 
Di servigi tra lor fan cambio e d’ atti. 
Riscaldò l’ orso in pria quella villosa 
Morbida pelle che l’ sovran riscalda. 
Mentre tutto a sè l’ uom vanta soggetto, 
Grida l’ oca, che ingrassa: A me l’ uom serve ; 
E colla sua ragion medesma ei pensa 
Allor che il tutto per un sol creato, 
E non l’ uno pel tutto invan presume. 


Ep. 4. I. O felicità! fine e scopo del nostro essere! bene, 
voluttà, agio, contentezza! qualunque sia il tuo nome: quel certo 
che, che sempre promuove l’ eterno sespiro, per cui sopportia- 
mo il vivere, o abbiamo animo a morire; che sempre a noi 
così vicina, pure è fuori di noi; trascurata, veduta doppia, 
(sì male osservata che sembra doppia), dallo stolto e dal savio. 
Pianta di celeste seme, se quaggiù cadesti, dì, in qual mor- 
tale terreno degni tu di crescere? Bella sbocciàndo al propi- 
zio splendore di qualche corte, o profonda tra’ diamanti nelle 
fiammeggianti miniere? Avvinta colle ghirlande che i lauri del 
Parnaso concedono, o mietuta nella ferrea messe del campo (di 
guerra)? Dove cresce? Dove essa non cresce? Se vana è la no- 
stra fatica, dobbiamo biasimare la cultura, non il terreno. Fissa 
in niun luogo è felicità sincera; non è luogo ove si trovi, o tro- 
vasi ovunque: non è mai da esser comprata, ma sempre è li- 
bera, e fuggita da’ monarchi dimora con te, o Bolinbroke. 


274 
Chiedi a’ dotti la via? I dotti son cechi. Questi consiglia 
il servire, e quegli lo sfuggire il genere umano. Alcuni pongo- 
no la felicità nell’operare, altri nell’ oziare. Quegli la chiamano 
voluttà, e questi contentezza. Alcuni ridottisi allo stato de’ bruti, 
trovano che la voluttà finisce in pena: alcuni gonfiandosi allo 
stato de’ numi, confessano vana anche la virtù; o indolenti, essi 
cadono in ogni estremo, credere ogni cosa, o dubitare di tutto. 
Quei che così la definiscono, dicono essi più o meno altro 
se non che la felicità è felicità? 


O tu, Felicità, dell’ esser nostro 
Oggetto e meta ! Ben, contento, gioia, 
Riposo, od altro, qual che sia tuo nome; 
Dell’ uom sospiro eterno, onde la vita 
Sopporta, e morte sfida: a noi vicina 
Ognora, eppur sempre da noi rimossa; 

Fuor di tua sede invan cercata, e al folle 
Non men che al saggio tal, che doppia assembri . 
Dimui, deh, pianta di celeste seme, 

Se quaggiù mai cadesti, in qual più eletta 
Parte dei mortal suol crescer ti degni ? 
Rudi tu forse di propizia corte 

Allo splendido raggio, o colle gemme 

In fiammante miniera occulta giaci? 

Sei tn fra i lauri del Parnaso avvinta, 

O sulle glebe dall’ acciar mietuta ? 

Dove, dove ti stai? Se vano è il nostro 
Faticar, del cultor, non del terreno 

La menda è sol. Felicità sincera 

Certo loco non ha: libera sempre, 

Non si cambia, nè merca; e in niuna parte 
Nasce, o dovunque: dai monarchi fugge, 
O Bolingbroke, ella con te dimora . 

La via ne chiedi al saggio? Il saggio è cieco. 
Servi all’ uom, dice questi; all’ uom t’invola, 
Quegli risponde : altri nell’ ozio intera 
Felicità ripone, altri nell’ opra; 

Chi nella volutià, chi nel contento, 
O nella fuga d’ogni pena, a belva 
Simìl, o novo onnipossente nume 


E n Ente 


La virtù stessa a vanità riduce; 

O indifferente alla più strana idea, 
Stassi di tutto in forse, o tutto crede. 
Solo per tai giudìci alfin si mostra; 
Ch’ è la felicità l’ esser felice. Y 
A. BENCI. 


Poesie del Marcnese GiuserpE ANTINORI Perugino. 
Pisa presso Niccolò Capurro 1821. 


— imbatterassi in queste poesie, o ne comin- 
cerà la lettura dal primo capitolo inviato al chiarissimo 
Cav. Luigi Biondi , letterato romano, non solo ricono- 
scerà nell’ egregio autore il felice traduttore de’ soavi 
e teneri idilli del Gessner (4), ma dovrà per grandissi- 


(a) Molti degl’ idilli di Gessner sono stati tradottiin bello stile, 
e pubblicati da molto tempo dal sig. Marchese Antinori, Prof. di 
lettere itali ane nella università di Perugia (1); e furono nell’ anno 
scorso riprodotti alla luce in Firenze dal Petrignani senza neppu- 
re renderne inte so l’autore, che non era alla distanza di millanta 
miglia da questa capitale. E’ pare che lo scrittore di un articolo 
inserito nel fascicolo d’ agosto 1820 della Biblioteca italiana, 
dando contezza d’una versione del Cav. Andrea Maffei, non cono- 
scesse affatto quella del Prof. perugino ; perchè fra le altre cose 
ei non avrebbe detto:,, Noi non manchiamodi traduttori di Gessner, 
eppure Gessner non poteasi ancor dire tradotto : e dobbiamo al solo 
Maffei se questo difetto fu in parte adempito (pag. 284) ,,. E al- 
trove:,, Noi abbiamo istituito i confronti coll’ originale, ma non 
mai co’ precedenti traduttori, perchè tra loro e il Maffei non potrà 
mai esser confronto (pag. 295). ,, Se quello scrittore avesse cono- 
sciuto il lavoro dell’ Antinori, siamo persuasi che non lo avrebbe 
confuso con quelli del padre Soave, e del Bertola. 

(1) Fra le annunziate poesie originali trovasi la versione, aggiunta alle altre, 


dell’Idillio intitolato la Navigazione, dove l'autore ci ha avvertiti doversi leg- 
gere nella prima strofa portar invece dì recar. 


276 

mo diletto continuarla sino alla fine. Perciocchè tale 
appunto è l’ effetto che dee necessariamente fare una 
poesia lirica, nella quale la proprietà e l’ecoromia delle 
imagini, la verità e la sceltezza de’ concetti va sempre 
accompagnata colla castità della lingua, colla vivezza e 
leggiadria dell’ espressione, e coll’ elegante e schietta 
semplicità dello stile. Molti sono i pezzi che potremmo 
metter sotto l’ occhio de’ nostri lettori, per comprovare 
partitamente il nostro giudizio: ma ne piace prescieglie- 
re tutta quella canzone ch’ ei compose per la morte 
dell’ abate Pellegrino Salandri , fra gli Arcadi Alceste 
Priamideo : e la prescelghiamo perchè in essa spiccano 
molte delle indicate qualità , e particolarmente |’ eco- 
nomia delle imagini e de’ pensieri, sì difficile a conse- 
guirsì ne’ lirici componimenti. 


I 
Pianto non abbia il cenere 
Di chi su carri alteri 
Insegnò primo a credere 
La cara vita a indocili destrieri. 
Per lui di sangue Enòmao 
Fe’ il suolo Eleo vermiglio; 
E cadde acerba vittima 
AI Nettunio furor 
Per lo spregiato amor—di Teseo il figlio. 
II. 
Te pur questa esecrabile 
Arte funesta e fera 
Te pure, Alceste, ahi misero! 
Alla fatal sospinse ultima sera. 
Esangue fra la polvere, 
Scosso da! cocchio infido, 
Giacer deforme e lacero 
Il Mincio ti mirò, 
E gli occhi si velò—mettendo un grido. 


=. — 


i) 
IMI. 
Le Ninfe sue l’ udirono, 
E alto ululato sorse, 
Che ratto il cielo Italico 
Del tristo evento nunciator trascorse. 
Tutta sen dolse Arcadia; 
E dalle fronti belle 
Strappar la fronda Delfica, 
E si fer onta al crin, 
Plorando il suo destin—le Ascree Sorelle 
IV. 
Ahi! dunque a che ti valsero 
Aurea di carmi vena, 
Sublime ingegno, e limpido 
Costume, e di saver la mente piena? 
La cieca urna volubile 
Move ogni nome, e Morte 
Del vile al par, del nobile, 
Del suddito, del Re 
Col freddo avaro piè—batte alle porte . 
V. 
Invan caro ad A polline 
Il puro umor beesti 
D' Ascra alla fonte, e lirico 
Cigno a sì eccelso vol chiaro t’ ergesti. 
Due volte no, non varcasi 
Il rio tacente e nero, 
Nè per versar di lacrime 
A noi ti renderà 
Ahi! sordo alla pietà—Dite severo. 
VI. 
Eppur poteo la flebile 
Fedel cetra amorosa 
Del figlio di Calliope 
Molcer l’ Inferno, e a lui render la sposa. 
Quetàrsi delle Eumenidi 
Le serpi sulla fronte; 
Nè il guado irremeabile 
A lui contese altier 
I lurido Nocchier—dell’ Acheronte. 


278 
VII 

E a te, Amarille, il Tracio 
Ebano in man risuona: 
Scendi all’ Eliso, e il fulgido 
Aer superno al buon Cantor ridona. 
Ben tu possente a volgere 
A tuo voler gli affetti 
Potrai gli Dei dell’ Ereho 
Cantando impietosir, 
E alla dolcezza aprir—que’ ferrei petti. 

VII. 

Col Vate al giorao riedere 
Potrai dal pianto eterno, 
E muto il piè lambendoti 
Verrà il trifauce latrator d’ Averno. 
Così de’ morti il popolo 
L’ indovina Cumea 
Per la notte terribile 
Coll’ aureo ramo in man 
Compagna al pio Troian—passar vedea. 

Il trattenersi a dichiarare come dall’ esame delle 
singole parti, e nella tessitura di questa e delle altre 
composizioni risultino pregevoli le qualità da noi ricono- 
sciute, perterebbe a una lezione accademica e non ad un 
articolo. Piuttosto, per avvalorare il nostro favorevole e 
libero giudizio, noteremo che nell’ Ode in morte del Ch. 
Ab. Saverio Bettinelli noi non ci soscriviamo all’ opi- 
nione dell’egregio scrittore, cioè che quell’ insigne lette- 
rato infondesse un tal nuovo spirto nella natìa favella, 
che più bella per lui si facesse (strof. 3.): che scorges- 
se i giovani poeti al miglior sentiero del bello e del 
vero poetico (strof. 5.): nè ch’ ei fosse grande immortal 
maestro di verso e maschio stile (strof. 8.). Noi con 
altri molti siamo d’avviso, che queste lodi non conven- 
gono ad uno de’ principali autori delle lettere virgiliane, 
nè alla sua manierata leziosa e ridondante fabbricazione 
de’ versi sciolti. UrzANO LAMPREDI. 


279 
BELLE ARTI 


SULLA PITTURA DEGLI ANTICHI. 
Discorso IV. 


Degli sperimenti che hanno servito di scorta a rico- 
noscere nelle reliquie che ci avanzano dell’ antica 
pittura le nature de’ colori in essa adoperati é 


Ar Prorzessor Mazzoni. 


V; ricorderete cred’io, ottimo mio collega ed amico, 
che esaminando insieme, pochi giorni sono, presso 
ad un gentile e cortese amico nostro (*) quella sua bel- 
lissima raccolta delle Pitture Ercolanensi illustrate } 
noi ci maravigliammo come in tanta copia d’ erudi- 
zione, di quanta sono sparse le annotazioni poste a di- 
chiarare quei monumenti, nè una parola pure vi allu- 
da alla ragione dei colori e al pratico magistero dell’arte 
presso gli antichi. Alla quale ricerca pare invero che 
lo studio di siffatte reliquie dell’ antichità avrebbe pur 
dovuto sin d' allora invogliare : tanto più che per que- 
sta via si sarebbero potute chiarire una volta tante di- 
sputazioni , intorno alle quali inutilmente si erano tra- 
vagliati per tutto un secolo eruditissimi uomini (a). 


(*) Niccolò Puccini , pistoiese ; giovane che non vuol man- 
care alla domestica gloria di amare e favorire le belle arti. E 
di queste , oltre ad egregj monumenti, ha pure una ricca e 
sceltissima biblioteca , ch’ egli viene aumentando tutto giorno , 
e di cui ‘sa conoscere il pregio + 


280 


Della risoluzione delle quali convien dire che fosse ser- 
bato il vanto alla presente età: nè, per quanto mi sem- 
bra , molto ci resta tuttavia a desiderare perchè si ab- 
bia oggimai una intera contezza dei colori di che gli 
antichi si valsero; e non della natura sola di questi, 
ma anche delle varie loro tempere e delle diverse ma- 
niere di dipingere, di che ci restano i saggi tra le reli- 
quie pervenute sino a noi dell'antica pittura. Di che 
noi dobbiamo veramente saper grado al potere che ha 
la chimica, nella presente sua luce , di scorgerci fino 
all’intima composizione di quasi ogni specie di corpi; 
e ringraziare quei sapienti, che tanto potere della scien- 
za han rivolto a ricercare in quegli antichi avanzi 
dell’arte le ragioni de’ colori e dei metodi in esse ado- 
perati . 

Se non che voi vi mostrate, mio virtuoso amico, 
non so se più maravigliato o sdegnoso , nel considera- 
re come sia fuggita di mano agl’ italiani una bella oc- 
casione di accrescer decoro alla comune patria, illu- 
strando con questa ,maniera di studi una bellissima 
parte delle sue antiche memorie . Stantechè il primo 
onore di queste ricerche lo si è tolto il cav. Vapy, 
egregio spirito tra quelli, di cui maggiormente sì ador- 
ni il presente secolo e l’ Inghilterra . Il quale , visitate 
nel 1814 le nostre antichità , e tornato in patria dal 
suo viaggio in Italia, diè subito nei volumi delle Zraz- 
sazioni filosofiche della R. Societa di Londra il rag- 
guaglio delle esperienze da lui fatte tra moi sw i colori 
degli antichi (6). E parve invero rapirci parte di no- 
stra dimestica gloria, che per men sollecitudine delle 
cose nostre lasciammo ch’ei preoccupasse. Ma quel che 
stà di continuo davanti ( e comun fato degli uomini è 
pur questo ) non invoglia all'esame, nè desta curio- 


281 
sità. E molti avran posto gli occhi, anche prima del 
cav. Davy su quelle reliquie delle antiche arti, senza 
pur concepire il divisamento che quel sagace spirito 
non sì tosto immaginò che trasse ad effetto . 

Degli sperimenti del quale ( perchè mi son pre- 
fisso in questi discorsi di non toccare altrimenti che di 
volo le cose già dichiarate dagli altri), io non dedurrò 
fuorchè le estreme conclusioni : bastando al mio argo- 
mento di notare i soli fatti che ne risultano. Nè perciò 
dove le osservazioni del cav. Davy fossero contradette 
in qualche parte da nuovi esperimenti , o dove questi 
avessero poste in chiaro delle particolarità non bene 
sviluppate per quelle da ogni ambiguità ed incertezza , 
io mì starò ( col rispetto dovuto a un tanto ingegno ) 
del riprendere in esame le sue conclusioni, e ritrarle a 
miglior sentenza . 

E in questo mio discorso farò ragione dei vari 
colori nativi o artificiati, di che si son trovate le tracce 
negli avanzi che tuttora rimangono dell’antica pittura. 
Dalle quali considerazioni è d’ uopo rifarsi per discen- 
dere a quelle dei metodi e delle varie pratiche di di- 
pingere che furono in uso presso gli antichi. 


Dei colori rossi dell’ antica pittura. 


I colori rossi adoperati nell’antico a fresco delle 
Nozze Aldobrandine , e in alcuni dipinti delle Terme 
di Tito, sì pe’ chiari come per gli scuri delle figure, 
sono stati ritrovati della natura delle ocre e delle ter- 
re rosse ; sostanze colorite dall’ ossido di ferro , combi- 
nato talor colla silice in stato.d’ idrato, e talvolta ag- 
glutinato da una terra argillosa o calcarea . 

E i rossi di maggior corpo e più vivaci , adoperati 

T. IV. Novembre 19 


282 


sugli orli dei panneggi, ed in alcuni accessori delle fi- 
gure, nei predetti dipinti delle Terme di Tito, sono 
stati riconosciuti come formati dal minio o #ritossido 
di piombo dei moderni . 

Un altra specie di rosso, di che si son trovate co- 
lorite le pareti d’ alcune camere di quelle terme , e in 
particolare la celebre nicchia del Lacoonte , è stata ri- 
conosciuta per cinabro ( solfuro di mercurio ); col 
quale si son trovati pur coloriti alcuni frammenti d’an- 
ico intonaco nei resti di vetusti edifizi presso al mo- 
numento di Caio Cestio . 

Di queste sole sostanze hanno dato indizio i colori 
rossi, tanto i cupi che i chiari, nelle reliquie perve- 
nute sino a noi dell’ antica pittnra . 1 quali, come ve- 
diamo , si riducono ai seguenti , e tutti d’ origine mi- 
nerale : 1.° rosso di cinabro o solfuro di mercurio: 
2.°. rosso di minio 0 tritossido di piombo: 3. ocre e 
terre rosse ( di un rosso più o men carico ) colorite. 
dall’ iperossido di ferro . 

E questi colori son gli stessi che Plizio e Zitru- 
vio rammentano come adoperati comunemente ai loro 
tempi, notandone i caratteri e le qualità , e discor- 
rendo della loro origine, preparazione e natura (c). 
Dove è da avvertire che muzzizim presso di loro era 
quello che i greci chiamavano cinzabaris con vocabolo 
derivato dalla somiglianza del colore con la resina 
rosso-vermiglia del prerocarpwus,e milton con generico’ 
nome conveniente a qualunque color rosso florido , per 
cui stava la voce rubrica dai latini (d). E il minium 
di questi, 0 il cinnabaris minerale dei greci, è ap- 
punto il solfuro di mercurio, che con voce dalla greca 
non dissonante noi chiamiamo oggi cinabro . 1 qual 
colore era tenuto in grandissimo pregio dagli antichi, e 


ea 


$ 


283 
in particolar modo presso iromani (e): se ne tinge- 
vano le statue degli Dei , e la faccia dei trionfatori (f): 
le pareti delle più mobili camere erano tinte ed ornate 
con questo colore, adoperatovi un metodo di cui ter- 
remo parola a suo luogo , e che ha dato occasione di 
un curioso abbaglio al Reguero per soverchio desio di 
esaltare |’ antica arte degli encausti. E nei volumi e 
sulle lapidi destinate a conservare i più memorabili 
documenti, usurpavasi pure questo colore per le iscri- 
zioni e pe’ titoli (g). Ma gli antichi, commendando 
il pregio e la rarità di questo colore intendevano di 
certo loro sol/furo di mercurio nativo; che quasi are- 
na di vivace color di cocco incontravano tra le vene 
d’ argento in alcune cave o miniere di questo metallo; 
e pesata o macinata , col solo lavarla (e bene spesso 
alla prima ) ne avevano ottimo mirio 9 cinabro (kh). 
Minor conto facevan essi del so/furo di mercurio arti- 
ficiato , che ottenevasi ardendo nelle fornaci, e subli- 
mando con lerto fuoco i minerali più volatili, quali 
ch’ essi fossero , incontrati in certe miniere argentifere, 
e in alcune di quelle di piombo: men puro per verità, 
e verosimilmente frammisto agli ossidi di piombo , 
ma capace di esser raffinato al pari del nativo, cui non 
‘ poteva rimanere inferiore in bontà se non che per men 
perizia degli antichi nell’ arte docimastica . 1l: quale 
essi chiamavano secondario minio , che pochi secondo 
Plinio sapevan distinguere dal naturale, e che spac- 
ciavasi non di rado in sludgò di questo ( i si 

Nel che sembrami aver preso errore il sig. Davy, 
che in questa seconda specie di cinabro daldi. antichi 
ravvisa la cerzssa wsta , formata dal calcinare a lento 
fuoco la miniera di piombo all’aria libera ; il qual pro- 
dotto risponderebbe al deutossido di piombo dei mo- 


284 

derni. Contro alla qual sentenza stà l’ autorità mede- 
sima di P/irzio ch'egli deduce e sulla quale si fonda (%): 
perchè il color rosso ottenuto a forza di fuoco dalle 
calci di piombo non è recato da Plinio se non che per 
esempio e similitudine del modo col quale dalle vene 
di mercurio frammiste a quelle d’argento e di piombo 
può ottenersi il minio o cinabro artificiale : oltre di 
che troppo ben ne dichiara la natura , notando come 
dal secondario minio possa ravvivarsi |’ idrargiro , o 
mercurio , e descrivendone i metodi ( / ) . 

E l'uno e l’altro cinabro ( l’artificiato , e il na- 
tivo ) ebber nome presso i Latini di minizm , scoperte 
le ricche miniere di questo metallo prossimamente al 
fiume Minio ( oggi Mirho ) nella Spagna , e abbando- 
nate o esauste quelle dell’ Asia minore d’ onde per 
l’innanzi traevasi (2) . Il qual nome trapassò dipoi al 
rosso di piombo, allorchè la maggior parte del mi- 
nium o cinabro del commercio si trovò falsato con 
quest’ ultimo minerale di minor pregio . 

L’ossido rosso di piombo fu conosciuto dai ro- 
mani sotto il nome di cerzssa usta . Plinio ne parla 
come di una sostanza ritrovata accidentalmente : es- 
sendo rimasta arsa dal fuoco nell’incendio del Pireo 
d’ Atene , la cerussa 0 bianco di questo metallo ( cur- 
bonato di piombo ) contenuta in alcuni vasi di terra. 
E di qui s' apprese a imitarla coll’ arte, ed ebbe poi 
luogo tra i colori della pittura (7) . 

Le terre rosse o rubriche degli antichi son ram- 
mentate da Vitruvio e da Plinio sotto diverse denomi- 
nazioni, che ricordano per lo più il luogo della origine 
o derivazione delle diverse loro varietà . E tra le nati- 
ve era la sinopide, di cui anmoveraronsi più specie, 
distinte pel grado di colore; trovandosene di vario 


285 
aspetto, dal rosso carico 0 pieno, sino al rossastro lan- 
guido. Le quali specie di nativa rubrica ritennero no- 
me dal luogo ove per la prima volta trovaronsi; ben- 
chè fuori del territorio di Stirpe , e particolarmente 
in Lemno, e nella Cappadocia ne fossero state incon- 
trate anco delle migliori (0). E la Zemzia cedeva per 
poco al cinabro o miniwm, adoperata ella pur come 
questo nei chiari delle dipinture ; e andava attorno in 
forme o pastelli contrassegnati con marchio , onde 
non fosse falsata per avidità di mercatante (p) . Pur 
con lei frammischiavano il minium o cinabro, e si 
lo adulteravano . Le altre men floride specie di rubrica 
eran pregiate anch’ esse e adoperate ; l’ egizia 0 affri- 
cana tra queste, che incontravasi nativa tra le vene di 
ferro. Dalla quale formavasi l’ ocra, abbruciandola 
o piuttosto arroventandola in vasi rivestiti attorno di 
luto, onde reggessero alla violenza del fuoco (9). Sic- 
chè tutti questi colori non erano in sostanza se non 
che altrettante terre colorite in rosso dal perossido di 
ferro: native alcune, come è la così detta ocra de’ mo- 
derni o idrato di silice e d’ ossido di ferro ; e com’ è 
altresì il minerale di ferro ossidato all’ estremo suo 
grado che incontrasi in filoni, masse o strati, aggluti- 
mato con una terra argillosa e calcarea : artefatte certe 
altre , come sono la maggior parte delle argille ferru- 
ginose. ricche di questo metallo , le quali esposte a un 
violento fuoco trasmutansi dal color giallastro bruno al 
rosso-carico , passando il ferro dallo stato di dextossido 
a quello di perossido . 

Le quali ocre ferruginose mescolate dipoi artifi- 
cialmente col rosso di piombv o cerussa bruciata , for- 
mavano il così detto sardice ; e con questo unito alla 
sinopide formavasi infine il rosso di Sciro (r). 


256 


Ma il rosso puro di ferro che ottiensi con disfare 
i] protosolfato di questo metallo infuocandolo in un cro- 
giuolo aperto tanto ch’ egli si trasmuti in perossido 
( sostanza alla quale corrisponde l’ odierno rosso d’ Zn- 
ghilterra ), era verosimilmente ignoto agli antichi. 

Nè di lui fan certamente parola Plinio o Vitruvio. 
Bensì ricordasi in quelle loro memorie un color rosso 
o piuttosto vermiglio nativo , emulo del più acceso ci- 
nabro , e che al cinzabaris medesimo dei greci sem- 
bra aver dato il nome. Sulla di cui origine maravi- 
gliose cose , e non sì di leggeri da credere , scrive Pli- 
nio: ripetute poi e gravemente discusse dagli scrittori 
di naturale istoria , da Dioscoride sino a Cardano e ad 
Agricola : venir questo colore dall’ India : esser colà 
grossi draghi o serpenti in perpetua guerra con gli ele- 
fanti : avvinghiati questi e stretti con tenaci nodi all’in- 
torno dai primi, restarne uccisi ; ma opprimerli e 
schiacciarli con tutto il loro peso muorendo. Tanto 
chè il sangue dell’ uno e dell’altro animale frammi- 
schiansi ; e rappresi, bellissimo color ne risulta , sar- 
gue di drago denominato (s) . 

E in vero, recasi tuttavia di Levante una materia 
di color rosso-vermiglio chiamata collo stesso nome di 
sangue di drago: ma V’antica favola ha oggimai ce- 
duto il luogo all’ istoria , la quale c’ insegna non esser 
altro questo colore che una resina rossa che geme o 
distilla nei più grandi ardori estivi dalla pianta deno- 
minata pterocarpus ,e dracoena draco dai naturalisti. 


Questo colore fu adoperato e tenuto in gran conto 


le] 
dagli antichi. E parve appropriatissimo a imitar nei 
dipinti il color del sangue ; e fu usato dapprima come 
il cinabro nativo o il mizio d’ Efeso per le pitture mo- 


nocromatiche ; sebbene abbandonati lipoi l'uno e 


237 
l’altro in questo genere di pittura, come ritrosi troppo 
a trattarsi, e di poca stabilità nei dipinti (£). Onde 
non si è trovato vestigio di quella resina in veruna 
delle reliquie finora esaminate dell’ antica pittura . 


Dei gialli antichi . 


I colori gialli delle /[Vozze Aldobrandine son for- 
mati di ocre di questo colore ( idrazi di silice e di os- 
sido di ferro frammisti coll’ argilla o col carbonato di 
calce ) : di ocre parimente alcuni dipinti d’ una delle 
case di Pompeia . 

Un giallo cupo vergente all’ aranciato , di che era 
colorito un pezzo d’intonaco di alcuni ruderi presso al 
monumento di Caio Cestio, fu trovato consistere in 
massicot frammisto col minio ( protossido e deutos- 
sido di piombo ).. 

I medesimi colori, ocre, e gialli di piombo , sono 
stati trovati in alcuni vasi di terra nei sotterranei delle 
terme di Tito. 

Per quello che da Plinio e Vitruvio raccogliesi , 
gli antichi conoscevano molti colori gialli d’ origine 
minerale: nativi alcuni, gli altri artificiali o composti . 
Ochra i greci e sil i latini chiamarono dal colore, 
una materia d’ aspetto terroso , o quasi fango consoli- 
dato ch’essi incontravano nelle miniere argentifere (7): 
ottima quella che traevasi dall’ Attica e dalle Gallie, 
d’ un giallo splendente ; e adoperavasi pe’ i chiari: in- 
feriore ad ogni altra quella che traevasi dall’ isola di 
Syro e d’ Acaia, di un giallo più cupo e men lucido ; 
ond' ella era adoperata per l' ombre . E tutte erano di 
una notabil durezza e difficili a macinarsi . Le quali 
sostanze sì per l'origine loro e pe’ loro caratteri, 


288 
come pel rosso di piombo che se ne traeva calcinan- 
dole all’ aria aperta , indi estinguendole coll’ aceto e 
riardendole di nuovo (w), mostrano aver’ avuto gli 
stessi principi del gia/Zoliro , e forse del giallo di Na- 
poli de’ moderni : se non che quest’ultimo è tutto arti- 
ficiato; nativo il primo, come il .S77 dei latini (x) . 
Oud’ è manifesto che il nome di ochra presso de’ gre- 
ci denotava tutt’ altra sostanza che presso i latini: se- 
guendo i quali noi lo abbiamo tradotto alle terre colo- 
rite dell’ ossido di ferro con esse combinato o tram- 
misto . 

A4uripigmentum , quasi pigmentum auri ( onde 
orpimento ) dissero i latini ed arsericon i greci un 
color giallo d’oro nativo o di cava ( perso!furo d’ ar- 
senico ): e sandaraca o sandarache nomarono gli uni 
e gli altri un color digradante dal primo, foss’ egli più 
pallido o cedrino , o vergente piuttosto al color della 
fiamma; raramente nativo, più comunemente artefat- 
to (y). E l'uno e l’altro eran pure un protosulfuro, 
o un persolfuro d’ arsenico: e falsavansi col dewtossido 
frammisto al protossido di piombo , ricavati dalla ra- 
pida combustione della cerussa . Il prodotto della 
quale, secondo il vario grado di-calcinazione conte- 
Nendo più o men copia di deutossido, di piombo, ac- 
costavasi o al pallor del giallo , o al rosso-fiammante. 


Degli azzurri degli antichi. 


Di tutte le varietà degli azzurri che Teofrasto, 
Vitruvio e Plinio ricordano tra le materie coloranti 
adoperate ai loro tempi nella pittura, due sole si son 
fatte conte pe’ saggi che sin qui sono stati tentati dei 
cerulei e turchini conservatici nelle antiche reliquie 


239 
dell’ arte . Gli azzurri, come i più carichi e vivi, così 
i più pallidi e stinti, delle dipinture trovate alle terme 
di Tito, e tra le antiche rovine allato al monumento 
di C. Cestio, spogliati per mezzo degli acidi, delle so- 
stanze terrose e in specie del carbonato di calce con 
essi accidentalmente frammiste , si sono trasmutati iu 
una finissima polvere turchina , simile allo smaltino , 
oppure all’oltremare ; ruvida al tatto; che non per- 
deva colore infuocandola. E con i metodi d’ analisi 
adoperati per le pietre silicee si trovò composta di una 
notabil quantità di silice, di una minor d’ allumina, 
e di una piccolissima di calce combinate insieme, e 
tinte in azzurro dal rame . 

Di un’ altra specie d’azzurro, men vivace della 
descritta, ci han dato contezza le ultime osservazioni 
fatte sulle pitrure d’ Ercolano e di Pompeia . Ed esso 
è pure un’azzurro di rame, che separato dalle sostanze 
terrose straniere colle quali è accidentalmente fram- 
misto , si trova essere un puro carbonato di rame . E 
la calce caustica il disfà: sì che non potrebbe , come 
l’altro, essere adoperato a dipingere in fresco . Ond’ è 
da credere che fosse questa una sostanza affatto simile, 
seppur non la stessa, del ceruleo di monte, o delle 
ceneri azzurre ; colori nativi ambedue , conosciuti più 
modernamente sotto il nome di azzurro di Lamagna . 

Più difficile è a determinar la natura dell’ azzurro 
precedentemente descritto . Nel quale può ben ricono- 
scersi il colore artificiato che Teofrasto rammenta co- 
me inventato dapprima in Alessandria; ma non mai 
veruno degli azzurri o turchini de’ quali abbiamo al 
presente contezza . E Vitruvio ne descrive assai chia- 
ramente la composizione (3): ridursi in temuissima 
polvere arena nativa e fior dì nitro ( che oggi di- 


290 

remmo carbonato di soda ): mischiarsi le due sostan- 
ze, e impastarsi con grosse scaglie di rame : esporsi 
quindi , chiuse in vasi figulini coperti, ed in prima 
asciutte , a un’ ardentissimo calore. Pel quale artifizio 
ottenevasi ( com' egli dice ) bellissimo color ceruleo , 
che non la cedeva al più bell’ azzurro di rame ; se non 
che alterabile questo per l’ azione del fuoco , della cal- 
ce viva e degli acidi: inalterabile l’ altro, e però di 
tanto più pregio . 

E di questa composizione , soggiungono Plinio e 
Vitruvio stesso , ebbe il vanto dapprima I’ Egitto : indi 
ella fu nota in Italia ; e in Pozzuolo , il di cui azzurro 
gareggiò coll’ alessandrino , massimamente dappoi che 
Vestorio n° ebbe insegnata la composizione , e mostra- 
to come poteva passarsi dell’ azzurro d’ Egitto , adope- 
randone appena una piccola parte, o ricavando di là 
qualcheduno de’ suoi ingredienti , e in particolare del 
carbonato di soda (aa). . 

Ma il segreto di questa composizione, che certa- 
mente non è pervenuto a noi, parmi consistere unica- 
mente nella ignota natura dell’ arera che vi era ado- 
perata . Nè io mi starei in ciò alla opinione del cav. 
Davy che Vl ha creduta una pura arena silicea. Nè mi 
muove a consentire all’ opinion sua l’ esperimento da 
lui fatto per ritentare la formazione dell’ azzurro ve- 
storiano , fondendo insieme e tenendo esposte a un vi- 
vissimo fuoco per due ore quindici parti in peso di 
carbonato di soda, venti di pietre silicee polverizzate, 
tre di scaglie di rame: dalla quale operazione, dic'egli 
avere ottenuto una specie di fritta o di smalto, che 
ridotto in polvere dava un leggiadrissimo color celeste 
carico o azzurro. Stantechè questa esperienza, variata 
in quanti mai modi si poteva chiedere, pur non è riu- 


291 
scita sin qui ad altri ch'io mi sappia. E quando ella 
avesse avuto il più compiuto successo , non parmi che 
per questa via si sarebbe potuto credere ripristinato il 
ceruleo vestoriano o alessandrino di Vitruvio . Per- 
chè dove si ritroverebbe in questo moderno la calce e 
l’allumina trovate nell’ intima composizione di quell’ 
antico ? Ond' io porto opinione che queste sostanze si 
trovassero pur nell’ arena nativa di cui parlano Plinio 
e Vitruvio come adoperata per la composizione dell’az- 
zurro . Dal che potrebbe, a parer mio, con tutto il 
fondamento conchiudersi , che ella fosse una delle va- 
rietà di pozzolana che oggi pur conosciamo, formate 
generalmente di tre quarti di silice, di quasi un quarto 
d’allumina , e d’alcun poco di calce , oltre pochi atomi 
di potassa e di ossido di ferro: sia perciò fusibilis- 
sima anche di per sè sola alla lucerna dello smaltato- 
re, e più fusibile quindi se unita al carbonato di soda. 
E questa specie di arena era ben conosciuta anche in- 
nanzi ai tempi di Plinio in Pozzuolo, ond'’ ella prese 
persino il nome; e una simigliante doveva conoscer- 
sene in Alessandria , se stà quel che Plinio stesso sog- 
giunge, non differir molto dall’ arena puteolana la più 
sottile arena delle alluvioni del Nilo (00) . 

Del resto, oltre a queste due specie di cerz/eo, 
nativa l’ una , V altra artificiata, si trovano ricordate 
negli antichi scrittori non meno di dieci o dodici spe- 
cie o varietà di azzurri: native alcune ; artificiate certe 
altre : parte d’ origine minerale ; parte d’ origine vege- 
tabile. E tra gli azzurri minerali e nativi annoverano 
Plinio e ‘Teofrasto il cerzleo egizio e lo scitico : simili 
ambedue per gli esterni caratteri e le apparenze ad una 
specie d’ arena o di pietra silicea attrita : più pregiato 
però il primo : meno il secondo , e più leggero, e fa- 


292 
cilmente solubile. Il quale , disfatto in polvere, può 
cernersi , come dice Plinio , in quattro colori , cioè in 
azzurro cupo o turchino, e in cilestro chiaro ed aperto; 
e l’uno e l’altro di questi in colori di maggiore o mi- 
nor corpo. Ai quali azzurri nativi sottentrarono però , 
ed ebber pregio sopra di essi, i cerulei artificiati di Ci- 
pro e di Pozzuolo, e quello pure che cominciossi a com- 
porre in Ispagna falsando | armerium alla maniera 
della crisocolla ; sostanze di cui faremo parola in ap- 
presso . 

Ora, intorno a questi due cerulei nativi ram- 
mentati da Teofrasto da Plinio e da Dioscoride, 
grande è la questione che muovono gli scoliasti di 
quegli antichi scrittori. E il Salmasio in particolare , 
fondandosi sopra certe etimologie tratte dal greco e 
dall'arabo, volle che l’ uno e l’ altro di quei cerulei , e 
il verde-azzurrino denominato armerium dal luogo 
della sua prima origine, corrispondessero senz’ altro al 
lapis-lazzuli o lazulite dei moderni. La quale e in 
vero una bellissima pietra azzurra; ma niuna cosa ella 
ha di comune, sio grandemente non erro, con que’ due 
cerulei minerali nativi. Perchè, sebben di vivacissimo 
colore ella splenda, non è tuttavia un color proprio 
della pittura; ma dalla sua polvere solamente ( dopo 
averla in prima arroventata al fuoco indi spenta nell’ 
acqua per polverizzarla ) traesi il bell’ azzurro oltra- 
mare con un’artifizio assai diverso da quello col quale 
descrive Plinio ottenersi dal ceruleo nativo le ceneri 
azzurre , vale a dire, col solo lavar quel minerale e 
macinarlo (cc). E della diversità delle ceneri azzurre 
degli antichi dall’azzurro d’o/tramare dei moderni, 
ne sia prova non dirò la rarità di quest’ ultimo , supe- 
riore senz’ alcun confronto a quella delle prime , ma il 


293 
differir poco il valore di quelle dal prezzo effettivo del 
ceruleo nativo ond'’esse ritraevansi ; e l'essere assai più 
pallido e stinto il loro colore di quello del ceruleo me- 
desimo. Laddove |’ azzurro dell’ oltremare supera 
grandemente in prezzo il lapistazuli da dui ricavasi, 
benchè carissimo , essendo poca la quantità di colore 
che da questo si ottiene , ma di un tuono assai più vi- 
vace e più pieno di quello del lapislazzuli. Perlochè io 
tengo opinione che quegli azzurri minerali nativi ram- 
mentati dagli Antichi, non fossero altro che sostanze 
terrose naturalmente colorite in azzurro, e alcune in 
turchino verdastro, dagli ossidi e dai carbonati di ra- 
me (dd). E gli artificiati sembra che fossero in parte 
varie preparazioni di carbonati e di arseniati di rame : 
e in parte , sottili terre argillose e calcaree imbevute 
con i metodi che descriveremo in appresso , del colore 
azzurro tratto da alcune specie di vegetabili . 

* E una fecula azzurra è veramente in molte spe- 
cie di piante , nè fu ignota per certo agli antichi. Tra 
le quali sono da rammentare |’ isatis tinctoria da cui 
si estrae un bel colore azzurro ; e l’indigofera tincto- 
ria, che ne dà di una maggiore e suprema bellezza . 
L’ azzurro della prima di queste piante , indigena 
dell’ Europa , fu ben conosciuto dai greci e dai roma- 
mì : e isatin chiamarono i greci quella pianta , foss’ ella 
presso di loro silvestre o sativa: vitrum i latini dal 
colore del sugo espressone; e glastum dal nome ch'ella 
aveva nelle Gallie ov era comune ed usitatissima (ce). 
E la fecula colorante dell’ indigofera condensata in 
pastelli , era senz’ altro nota pur” essa agli antichi che 
l'avevano dall’ Indie. Di che non sapremo muover 
dubbio se porremo mente che i caratteri con i quali 
descrivesi da Plinio l’ indico de’ suoi tempi ; di divenir 


294 
nero nell’ esser macinato; di manifestare un color mi- 
sto di porpora e di ceruleo , stemperato in molt’ acqua; 
di accendersi, e di dare una fiamma o fumo porpori- 
no, convengono appunto all’izdaco de’ nostri di, e a 
lui solo fra quante altre simili sostanze conosconsi (/7 ); 


Dei verdi degli Antichi . 


I verdi cupi d’ alcuni ornati dei Bagni di Livia e 
delle terme di Tito; e i chiari delle Nozze Aldo- 
brandine, e dei frammenti d’ antico intonaco trovati 
presso al monumento di C. Cestio , sono stati ricono- 
sciuti come formati dagli ossidi e dai carbonati di ra- 
me . E i colori mescolati che contenevansi in un vaso 
trovato nei recenti scavi di Pompeia avevano diverse 
varietà di verde : tra le quali una che accostavasi al 
verde d’uliva, ed era una terra simile alla terra verde 
di Verona : l’altra di un verde pallido , che parve tn 
color minerale formato di carbonato verde di rame o 
malachite, frammisto ad alcun poco d’azzurro di rame. 

Il più pregiato tra i verdi degli antichi era quello 
cui davano il nome di crisocolla ( quasi glutirzm 
auri ) stantechè il minerale d’ onde proveniva e for- 
mavasi, era pure adoperato per ottenere la saldatura 
dell’ oro. E derivavasi esso principalmente dalle mi- 
miere di rame , e il migliore : di men pregio da quelle 
d’argento: nè in queste sole, ma incontravasi pure tra 
le vene dell’ oro, e nelle miniere del piombo ; tenuto 
però in minor conto che Vl altro (gg). Dalla qual so- 
stanza minerale nativa formavasi nel modo descr.tto 
da Plinio il color verde denominato di crisocolla . E 


Ste II 


ezine 


CERETTO 


la composizione di questo colore è chiara ed aperta per 
le parole di Plinio; tanto che non so comprendere co-. 


295 
me il Rosa ed il Davy non ne abbian cavato miglior 
costrutto. Perchè 110avy ne fa ragione che la crisocoll» 
nativa fosse nulla più che un carbonato di rame; e l’ar. 
tificiale un’argilla imbevuta di solfato di rame ( ch: 
la renderebbe azzurra )indi trasmutata in verde, rico- 
lorita per mezzo del lutezn o del giallo vegetabile de- 
gli antichi (Ah). E il Aosa tiene opinione pur egli 
che la crisocolla nativa fosse tra i colori verdi, e adope- 
rata pura e senz’ altra preparazione dagli antichi nel 
dipingere (i). Su di che bastano a chiarirci le parole 
di Plinio, purchè non ci triboliamo troppo a indovi- 
nare quel che ei non ha detto, e si applichino ai pochi 
e semplici suoì documenti le più ovvie cognizioni del- 
la chimica. Perchè quanto ei dice della crisocolla , e 
del modo con cui ella si genera nelle vene metalliche, 
la dimostra per un protossido di rame allo stato d’ i- 
drato . E questa sostanza di color giallo ranciato, se- 
condochè porta la sua natura , non poteva essere , così 
tratta dalla miniera , il bel color verde degli antichi : 
ma, come Plinio descrive, sottilmente pesta dappri- 
ma ; indi macinata e stacciata , scioglievasi in aceto ; 
poi nuovamente macinata , lavata ed asciutta , tempe- 
ravasi coll’ allume, e colla materia colorante gialla 
dell’ erba Zuteum . E allora mostravasi di un bellis- 
simo color verde (2). D’ onde appar chiaramente , che 
questo colore era in se una terra alluminosa impastata 
col carbonato azzurro di rame , e colorita in giallo ; e 
che dalle varie proporzioni dell’ una o dell’altra sostan- 
za risultavano diverse varietà di verde; tra lè quali era 
in altissimo pregio quella che porgeva un color d'erba 
lucido ed aperto (m272). Di. cui, secondochè narra 
Plinio, videsi per nuovo e inaudito genere di lusso tinta 


'l arena intera del circo negli spettacoli dati in Roma 


296 

da Nerone principe . Nè la frode o l’ avidità dei merca- 
tauti si stettero pure dal falsare questo colore, bello 
altrettanto che raro, con un genere più comune e di 
men pregio: perchè dal paretorium , candida argilla 
cretacea , tinto in prima coll’ atramenzum o nero vege- 
tabile , e col ceruleo del guado , indi col giallo del Zu- 
teum, si ebbe una sostauza di color verde che l’ arte 
sostituì alla bellissima crisocolla (7272) . 

Di colori verdi nativi non pare che gli antichi 
conoscessero altri che una terra verde , di cui però non 
si valevano nella pittura se non dopo averla artìficia- 
ta, sì che venisse a falsare la crisocolla , e a questo co- 
lore artificiato davano il nome d’ appiano : e adopra- 
vanlo in luogo della crisocolla nei lavori di minor 
conto (00). 

E Vl armenium era pure un color verde nativo che 
nell’ Armenia, d’onde trasse il nome, incontravasi 
quasi sabbia o arena metallica. Ma non era essa ado: 
perata in questo stato ; nè come color verde nella pit- 
tura . Bensì trattata al modo stesso della crisocolla 
nativa prendeva un color azzurrastro, e così era po- 
sta in opera, e tenuta in altissimo pregio . Onde par 
verosimile ch’ ella fosse pur una delle molte varietà 
di carbonato di rame, framniste 0 combinate con 
diverse sostanze terrose , che pur oggi ritengono il 
nome di pietre d’Armenia dal luogo della loro pri- 
ma ed antica derivazione (pp) . 


Dei neri e dei bruni degli antichi. 
Alcuni resti o frammenti d’ intonaco coloriti in 


nero sono stati trovati nelle rovine presso al monu- 
mento di GC. Cestio : neri alcuni fondi nei comparti 


297 
menti delle minori camere .alle terme di Tito . Dai 
quali è stata distaccata una polvere scura ; inaltera- 
bile per qualunque azione di acidi e di alcali, ca- 
pace però di accendersi col nitrb: sì che aveva essa 
le proprietà di una materia carbonacea . 

E tale era la natura della maggior parte dei 
neri di che valevausi i romani ed i greci nella pit- 
tura, per quello che raccogliesi dagli antichi, scrit- 
tori. E si danno Poligroto e Micone come primi tra 
i pittori greci a far uso del nero tratto dalle vinacce 
bruciate; e 4pelle del nero d’avorio. Nè di queste 
sole specie di nero , ma si fa pur menzione in Plinio 


«di molte altre ottenute dal fumo della resina, o della 


pece bruciata , dalla fuliggine nuovamente arsa , dalle 
fecce aduste del vino , dalle tede o faci di pino (gg). 
I quali neri non sono altro in sostanza fuorchè ma- 
terie carbonacee più o men sottili, del genere stesso 
del nero di fumo che pur’oggi Gia "R varie mate- 
rie vegetabili ed animali bruciate . È per la loro te- 
nuità e leggerezza questi neri di fumo avevan d'uopo 
di un glutine atto a temperarli e legarli, affinchè po- 
tessero porsi in opera. Ond’ essi univansi alla gom- 
ma quando adoperavansi per uso d’ inchiostro da sceri- 
vere ( atramentum librarium ), e alla colla quando 
ponevansi in uso per la pittura sulle pareti ( atra- 
mentum tectorium ) (rr). 

Due altri neri descrivonsi da Plinio, diversi dai 


precedenti: l’ uno formato dal così detto fior nero che 


nelle officine dei tintori trovasi spesso aderente all’ in- 


terne superficie delle caldaie di rame, e di cui doppia 


è l'origine; provenendo esso in parte dalla spuma delle 
materie tintorie carbonizzate, e in parte da un idrato 


azzurro di rame che si forma, e che disseccandosi passa 
T. IV. Novembre 2@ 


298 i 
spontaneamente al bruno cupo: l’ altro, un nero fossile 
nativo che or geme quasi umor dal terreno or dal ter- 
reno cavasi in forma solida servendo d’ indizio a ritro- 
varlo 1’ apparenza sulfurea delle .glebe (ss). Nei quali 
non saprei, per dir vero, riconoscere col cav. Davy 
una sorta di miniera di ferro o di manganese : bensi 
l’antracite, o il carbon fossile, e il litantrace, che pur 
somministrano non meno dell’asfalto o bitume giudaico, 
un color nero per la pittura . 

Finalmente ricorda Plinio tra i neri conosciuti al 
suo tempo l’ atramentum indicum o nero proveniente 
dall’ India, del quale confessa ignorar la natura. E parla 
pure del nero di seppia : di cui potrebbe credersi che 
fosse formato Vl atramento indico; ond’ egli risponde- 
rebbe all’inchiostro che diciam noi della China . Se non 
che o i Romani non seppero ch’ ei contenesse il nero di 
seppia, o Plinio ignorò che potesse farsi con questo un 
ottimo color nero per la pittura (t£). 

E oltre i neri, ebbero gli antichi dei colori bruni 
e più o meno scuri: per la maggior parte minerali. E 
molti di questi riconosconsi per vcre brune o terre co- 
lorite dal deztossido di ferro. Quella terra scura che 
Plinio denota col nome di cicerculum (nn) era forse 
colorita dal perossido di manganese: alcuni antichi 
vetri porporini si son trovati contenere quest’ ossido . 
Ma gli scuri delle dipinture de’ bagni di Livia , e delle 
nozze Aldobrandine non han dato indizio fuorchè de- 
gli ossidi di ferro: mentre le tinte brune di altri anti- 
chi dipinti hanno mostrato all’ analisi chimica di esser 
formate di ocre ferruginose frammiste ad una sostanza 
nera carbonacea . 


299 
Dei bianchi degli antichi. 


Dei bianchi che Vitruvio e Plinio ricordano, solo 
il bianco di creta rimane oggi, e riscontrasi vivace an- 
‘cora, negli avanzi d’antiche pitture. 1 bianchi delle 
Nozze Aldobrandine si trovan solubili negli acidi con 
effervescenza, ed han tutti i caratteri del carbonato di 
calce . 

Gli antichi avevano un gran numero d’ argille e 
e di crete bianchissime di cui facevano uso per la pit- 
tura. Tra le quali il paretorio, così chiamato dal luogo 
della sua origine in Egitto, era stimata la miglior d’ o- 
gni altra per adoperarsi sugl’ intonachi. Falsavasi essa 
colla creta cimolia, infuocata prima e fatta più densa. 
E la creta annulare formata di varie candide crete, e 
di pietre alluminose e silicee ridotte in polvere e insie- 
me commiste, adoperavasi come più gentile e più aper- 
to colore per i chiari.de’ volti muliebri. 

Oltre a queste candide crete o argille (giacchè gli 
antichi non sapevan distinguere le terre alluminose 
dalle calcaree , ed appropriavano il nome di creta ad 
ogni sorte di fina polvere bianca), essi avevano la terra 
melina, così detta dall’ isola di Melo d’ onde proveniva, 
più comune e più anticamente conosciuta di qualunque 
bianco di cava. E tra i biarichi metallici era pur co- 
mune per essi, come per noi, la biacca 0 cerzssa (car- 
bonato di piombo dei moderni) (09). 


Ripensando ora alle varie ragioni e nature di co- 
lori, di cui gli antichi ebber contezza, e delle quali si è 
partitamente discorso fin qui sulla scorta di Vitruvio e 
di Plinio, forse che noi prenderemo ammirazione in ri- 
flettere al piccol numero di quelli tra i divisati colori 


300 
che l’analisi chimica ha saputo riconoscere negli avan- 
zi che tuttora rimangono dell’antica pittura. Ma è pur 
da considerare che troppo poco è quel che ci resta delle 
‘opere d'’ arte degli antichi, a rispetto di ciò che abbia- 
mo perduto: che niuno de loro dipinti in tavola (ch’ es- 
si pur preferivano ja qualunque dipinto sulle pareti), 
niuna di quelle opere classiche che la Grecia per lo 
spazio di cinque o sei secoli, dalla batiaglia di Maratona 
alla rovina della greca libertà non si stancò mai di 
produrre, è arrivata sino a noi. E certamente noi avrem- 
mo ritrovato in queste la maggior parte dei colori, e 
dei più pregiati, di che Plinio e Vitruvio fanno ricordo; 
e molti ancora dei più comuni tra quelli che, sì come i 
bianchi di piombo, si trovano inetti alla pittura delle 
pareti. Dei quali ultimi però basterà) per semplice eru- 
dizione il sapere che gli antichi gli conobbero, e se ne 
valsero: ma dei bellissimi azzurri vestoriano e alessan- 
drino (per tacer ai altri), la di cui inalterabilità ci è 
attestata dalle reliquie che tuttor ne avanzano di anti- 
chi dipinti esposti ad ogni ingiuria d' elementi per lo 
spazio di sedici 0 diciotio pali; chi ci ristora ?. Perchè 
in quanto ai colori nativi, o a quelli che uu semplice e 
facile artifizio ritrae dalle sostanze minerali, noi non ab- 
biam certo di che portare invidia agli ‘antichi: ma sì 
di certi colori più artificiati, e tuttavia rimemorati come 
vaghissimi, la di cui composizione resta finora un’ arca- 
no. Tra i quali, mi avanza a far parola delle terre arti- 
ficialmente colorite daglrantichi, e soprattutto del più 
splendido e più celebrato dei loro colori, cioè il porpo- 
risso, prima di ragionare dei metodi e delle varie loro 
pratiche di dipingere, principale ed ultimo scopo di 


questi miei discorsi. 
| PeTRINI. 


301 


NOTE AL DISCORSO IV. 


(a) Vedansi il Galliani ‘ne’ suoî dottissini Commentati al 
VII di Vitravio ; il Regueno nella sua opera del ristabili- 
mentò dell’ antica arte dei Greci e dei Romani pittori ; il Rosa 
nelle già allegate sue. ricerché ‘sui colori floridi degli antichi. 

‘» (5) Le osservazioni del Cav. ‘Davy su’ i colori degli anti 
chi furon pubblicate perla prima’ volta nelle Transazioni filo- 
sofiche della R. Società di Lendia »per l’anno 1815. 
$ (e) Dei coloti degli ‘antichi ‘ serissero' Vitruvio nel VII. 

de’ suoi Libri d’ Architettura, Plinio nel XXXIII. nel XXXIV, 
. emmel XXXV. Libro della sua Istoria naturale , oltre ‘quel che 
Teofrasto, Divscoride ye. Strabone ‘per ‘occasione di discorso ne 
ricordarono . E dopo di essi ‘molti altri scrittori han toccato , 
qual’ dî proposito ; quale per digressione, lo stesso argomento : 
i più ripetendo quasi a parola i detti di Vitruvio, e di Pli- 
nio ; pochissimi illustrandoli ; molti travolgendoli . 

(d) Plin. lib XXXIIH. cap. 7. ‘-- Milton vocant Gracci 
minium ; quidam cinvabari. = Vitrav. lib. VII cap.8. Foditur 
( minium ) gleba quae antrax dicitur .... vena uti ferreo 
magis subrufo colore, habens circa se rubrum pulverem. Cum 
id Pochi cx plagis SRO un crebras emittit lacrymas 
argenti vivi . 

(e) Plin. XXXIII. 7. lducror itatem colori fuisse non miror: 
jam enim Trojanis  temporibus rubrica in honore erat, Ho- 
mero feste, qui naves ea commendut ; ‘alias circa picturas 


DI 


pigmentaque rarus'. 

(f) Plin. ib. Wane inter pigmenta maximae auctoritatis, 
et quondam apud Romanos non solum magnae sed etiam 
. sacrae.... Iovis ipsius simulacri faciem minio illini solitam, 

triumphantumque corpora : sic Camillum triumphasse . 

“(g) Plin. XXXIII 8. Minium in voluminibus quoque scri- 

| ptura usurpatur , clarioresque literas vel în auro ; vel in mar- 
more , etiam in sepulchris facit . 

ar . (#) Plin XXXIII. 7. -- Reperiri ( minium ) in Hispania, 

sed durum et arenòsuni ; item apud Colchos: optimum vero 
supra Ephesum... Arenam cocci colorem habere; hane teri ; 
dein lavari farinam , et:quod subsidat iterum lavari , Diffe- 


302 
rentiam artis esse, quod alii minium faciunt prima lotura ; 
apud alios id esse dilutius, sequentis autem loturae optimum. 

(?) Plin, ib. Est alterum genus ( minii ) in omnibus fere 
argentariis , itemque plumbariis metallis quod fit exusto la- 
pide venis permixto : non ex illo cuius vomicam argentum vi- 
vum appellavimus ,.... sed ex aliis simul. repertis . Steriles 
etiam plumbi deprehenduntur suo colorè ; nec nisi in forna- 
cibus rubescentes erxrustique tunduntur in farinam . Et hoc est 
secundarium minium perguam paucis notum . Hoc ergo adul- 
teratur minium .... Sincero cocci nitor ésse debet . Secundarii 
autem splendor in parietibus sentit nigi Quamquam hace 
rubigo quaedam metalli est . 

(&), Plin XXXII. 8. Ex Psr zo invenit vita et hy- 
drargirum in vicem argenti vivi paulo ante dilatum . Fit au- 
tem duobus modis: acneis mortariis pistillisque trito minio 
ex accto ; aut. patinis fictilibus impositum , Jerrea concha , 
calice cooper, tum ; argilla superillita ; dein sub, patinis accen- 
sum follibus continuo igni . 

(2) Gli antichi come distinsero il cinabro, nativo dall’ ar- 
tefatto , così l’ 7drargiro dall’ argertovivo, che pur sono una 
stessa cosa . Argentovivo pu via «il mercurio , che si ot- 
tiene quasi spontaneo dal minerale : idrargiro quello che. si 
ottiene scomponendo col fuoco il cinabro.,0 solfuro di mercu- 
rio, e che diremmo mercurio ravvivato. E si supposero. nel 
primo qualità venefiche; non così nel secondo : della quale 
opinione , benchè falsa applicata al mercurio, puro, trovasi il 
fondamento nella impurità dell’ argentovivo conosciuto dagli an- 
tichi; come quello che tratto dalla miniera non di rado avrà 
contenuto qualche leggera. porzione d’ arsenico . 

(mm) Plin. XXXIII. 7. Mec fere aliunde ‘invehitur ad nos 
quam ex Hispania . Cceleberrimum ex sisaponensi regione in 
Betica , miniario, metallo vectigalibus pop. Rom. nullius rei 
diligentiore custodia . Ion fr ibi perficere, excoquique . 
Romam perfertur vena signata .... Romae autem lavatur . 


Vitruy. VII. 9. Minium et indicum nominibus, ipsis indi». 


cant quibus locis procreaniur . 
(2) Plin. XX.XV. 6. Usta casu reperta. incendio . Piraei 
cerussa in orcis cremata . 


(0) Vitr. VII. Aubricae copiose multis locis  optimae\cxi- 


Pr 


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Ù 
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i 303 
muntur , sed optimae paucis: uti Ponto , Sinope et Aegypto: 
in Hispania , Balearibus, nec minus etiam Lemno . 

Plin. XXXV. 6. Sinopis inventa est primum , inde no- 
men, Sinope urbe .... optima in Lemno et in Cappadocia, ef 
fossa e speluncis + Quae saxis adhesit excellit . Glebis  sttan 
color; extra maculosus, Hacque usi sunt veteres ad splendo- 
rem. Species stnopidis tres: rubra, et minus rubens ; et inter 
has media... Quae magis caceteris rubet , utilior abacis ., . 
pressior vocatur quae est maxime fusca : usus ad bases aba- 
corum . 

(p) Plin. ib. Rubricae genus in ea ( sinopide) voluere in- 
telligi quidam secundae auctoritatis ; palmam enim Lemniae 
dabant . Minio proxima haec est, multum antiquis celebrata... 
Nec nisi signata venundabatur , unde ct sphragidem appella- 
vere » Hac minium sublinunt , adulterantque* |, 

(9) Plin. ib. Ex reliquis rubricae gencribus, fabris uti- 
lissima aegyptia et africand; quoniam maxime sorbentur pi- 
cturis : nascitur autem et in ferrariis metallis. kx ca fit 
ochra , exusta rubrica in ollis novo luto circuitis ... 

Haec ( cerussa usta ) sì torreatur aequa parte rubrica 
admixta sandycem facit ... 

Inter factitios est et scyricum quo minium sublini dixi- 
mus. Fit autem synopide et sandyce mixtis . 

(r) Plin. ib. Sic enim ( cinnabarim ) appellant  illi sa- 
niem draconis elisi elephantorum morientium pondere , per- 
mixto utriusque animalis sanguine. . 

Plin VII. t1.... Elephantes fert .... maximos Imlia : 
bellantes cum iis perpetua discordia dracones tantae magni- 
tudinis et ipsos, ut circumplexu facili ambiant , nexuque no- 
di perstringant . 

(s) Plin. XXXJII. 6. Neque alius est color, qui in pictu- 
ris proprie sanguinem reddat - 

(t) Plin. ib. Cinnabari veteres, quae etiam nunc vocant 
monochromata, pingebdant . Pinxerunt et ephesio minio; quod 
derelictum est, quia curatio magni operis erat . Praeterea 
utrumque nimis acre existimabatur. Ideo transiere ad rubri- 
cam et sinopidem . 

(&) Vitr. VII. 7. Primum exponemus ea quae per se na- 
scentia fodiuntur, uti quod Gracce ochra dicitur; haec vero 


.multis locis, ut etiam in Italia, invenitur; sed quae fuerat 


304 i 
optima , attica .... Athenis argenti fodinae cum habuerunt fa- 
milias, tune specus sub terra fodiebantur ad argentum inve- 
niendum , cum ibi vena forte inveniretur, nihilominus uti ar- 
gentum persequebantur : itaque antiqui egregia copia silis ad 
politionem operum usi sunt . X 

(v) Plin. XXXIII. 12. In argenti et auri metallis nascun- 
tur ctiam pigmenta sil et caeruleum . Sil proprie limus est . 
Optimum ex eo quod Atticum vocatur; proximum marmoro- 
sum ; dertium genus pressum!, quod alit  syricum vocant ex 
insula Syro. Jam quidem et ex Achaia , quo utuntur ad 
picturae umbras .... lucidum vocant è Gallia veniens . Hoc 
autem cet Attico ad lumina utuniur. Ad abacos nonnisi mar- 
moroso, guoniam marmor in co resistit amaritudini calcis 
Effoditur et ad AX. ab urbe lapidem .... postea uritur; pres- 
sum appellantibus qui adulterant . 

id. 13. Sile pingere instituerunt Polignotus et Micon ; at- 
tico dumtaxrat . Hoc sequuta actas ad lumina usus est : ad 
\'umbras autem syrico .... Teritur difficillime sil . 

(x) Plin. XXXV. 6. A ( cerussa usta ) et Romae cre- 
mate sile marmoroso, et restincto aceto. Sine usta non fiunt 
umbrae . 

id XXXIV. 18. Cerussa usta, si coquatir , rufescit. 

Vitr. VII. 11. G/eda silis doni coquitur ut sit in.igne can- 


dens: ea autem aceto extinguitur et efficitur purpureo colore. 


Caesalp. de metallicis Lib. II. 62. At de Sile alias regio 
nes recenset, cx quibus habebatur pigmentum pictoribus neces- 
sarium ad lumina et umbras : quod hodie paratur ex plumbo 
usto , vulgoque giallolinam vocant . 

‘(y) Vitr. VII. 7. Auripigmentum , quod Graece arsenicon 
dicitur, foditur Ponto. Sandaracha item pluribus locis , sed 
optima Ponto prope flumen Hypanim .... Aliis locis ut inter 
Magnesiae et Ephesi fines sunt loci. unde effoditur parata, 
quam nec molere nec cernere opus est; sed sic est. subiilis 
quemadmodun si qua est manu contusa ct subereta . 

Plin. XXXIV. 18. Zrveritur ( sandaracha ) et in aura- 
riîs et argentariis metallis , melior. quo magis rufa .... fria- 
bilisque. Et arsenicum ex eadem est materia . Quod opti- 
mum coloris et'am in auro excellentius : quod vero palli- 
dius, aut sandarachae similis est ,.deterius coristimatur. Est 
et tertium genus, quo miscetur aureus color sandarachue. 


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305 

id. XXXV. 6. Fit et adulterina ( sandaracha ) ex ce- 
russa in Vornagé= coca . Colos debet esse flammeus.. 

(3) Vitr. VII. 11. Caerulei temperationes Alexandriae 
sunt primum inventae : postea item Vestorius Puteolis insti- 
tuit faciendum . Ratio. autem ejus, è quibus est inventa , satis 
habet admirationis. Arena enim cum nitri flore conteritur 
adeo subtiliter , ut efficiatur quemadmodum. farina,, et. aeri 

. eyprio limis crassis ut scobis facto immixta conspergitur ut 
conglomeretur : deinde pilae manibus versando efficiuntur ; et 
ita | colligantur ut inarescant: eae avidac componuntur in, 
i urceo ficuli : urceus in fornace ponitur : ita aes et ea arena 
ab ignis vehementia confervescendo cuni coarucxrint inter se 
i dando et accipiendo sudores .... caeruleo rediguntur colore . 
(2a) Plin. XXXII. 12. Nuper accessit.et Vestorianum ( cae- 
.ruleum ) @8 auctore appellatum . Fit ex Aegyptii levissima 
È parte . 
(25) ib. 13. Caeruleum arena est. Hujus genera tria 
fuere .... aegyptium quod maxime probatur : seythicam , hoc 
diluitur facile cumque teritur in quatuor colores. mutatur ; 
i candidiorem, nigrioremque ; crassiorem , tenuioremve . Prace- 
) fertur huic etiamnum cyprium. Accessit his Puteolanum e£ 
hispaniense ,. arena idi confici cacpta. Tingitur autem omne , 
et in sua-coquitur herba bibitque succum . Reliqua confectura 
eadem quae. chrysocotlae . 
( cc) ib. Ex caeruleo fit quod vocatur lomentum; perficitur 
id lavando, terenaoque ; et hoc est _caeruleo cundidius . Usus 
in creta; calcis impatiens. 
(dd) Plin. XXXIII, 12. Zn argenti et aeris metallis na- 
scuntur cliamnum pigmenrta sil. et caeruleum * . 
Tbénard -- Traité de Chimie -- Tom. II. Le cuivre 
azuré , .0u carbonate de ce metal, se rencontre dans toutes 
les mines de cuivre, mais presque toujpurs en petite, quan- 


en concrelions mamelonnées et: striées , en masses informes , 
pulverulent et melé avec une. certaine quantité de matière 
terreuse ; enfin disseminé dans certaines pierres quartzeuses 
et STI ces pierres prennent le nom de pierres. d’ Ar- 
i mente. Les terres quil colore en bleu s’appellent cendres 
bleues cuivrees : et on le nomme bleu de montagne lorsqu'il 
est en grains ou en masses . 


306 


(ce) Plin. XX. 7. Tertium genus est in sylvis nascens, 
isatin vocant ...., quarto infectores lanarum utuntur, quod 
glastum vocani ; simile est is lapatho sylvestri foliis , nisi quod 
plura habet et nigriora . 

id. XXI. 1. Simile plantagini glastum in Gallia voca- 
AN EN 4 

1 (77) Plin XXXV. 6. Ex India venit , arundinum spu- 
mae adherescente limo ; cum teritur nigrum ; at in diluendo 
mixturam purpurae, cacruleique mirabilem reddit. Proba- 
tur carbone : reddit onim quod sincerum est flammam excel- 
lentis purpurae , et dum fumat odorem maris. Ob id qui- 
dam cx scopulis colligi putant . 

(gg) Plin. XXHI. 5. -- Chrysocolla Rumor est in puteis 
per venam auri dfluens, crassescente limo rigoribus hyber- 
nis usque in duritiam pumicis. Laudatiorem camdem in acra- 
riis metallis, et proximam in argentariis fieri. compertum 
est. Invenitur et in plumbaritis vilior ctiam auraria . In 
omnibus autem his metallis fit et cura multum infra natu- 
ralem illam ; immissis în venam aquis leniter .... dein sic- 
catis .. Nil aliud chbrysocolla esse quam vena putris. Nativa 
duritia maxime distat ; luteam vocant . 

(Ah) Some experiments and observations ( Philos. Trans. 
1815. ) 1 

(i )-Del porporisso , e dei colori chiamati floridi , degli 
antichi ( Mem. dell’ Istit. Ital. 1809. ) 

(22) Plin. ib. Ia quoque ( chrysocolla ) herba quam 
luteam appellant ; tingitur .... Tunditur in pila , detnde tenui 
cribro secernitur ; postea molitur , ac deinde tenuius sic cri- 
bratur .... Pulvis în catinos digeritur, et ex aceto maceratur 
ut omnis duritta solvatur. Ac rursus tunditur, dein lavatur 
in conchis , siccaturque. Tunc tingitur alumine schisto , et 
herba supradicta , pingiturque antequam pingat . 

(mm) Plin. ‘ib. Summae commendationis est. ut colorem 
herbae segetis laete virentis quam simillime reddat . Visum- 
que jam est Nervnis principis ispectaculis arenam circi chry- 
socolla sterni , cum ipse concolori panno aurigaturus esset s 
introducta opificum turba . 

(nn) Plin. ib. Luteam putant a lutea herba dic'am quam 
ipsam caeruleo subtritàam pro chrysocolia inducunt , vilissi mo 
genere , atque fallacissimo, 


Ni 


ee deli 


307 

( 00) Plin. XXXV. 6. Sunt etiammuns novitii duo colores 
e vilissimis; viride quod appianum vocatur ; et quod chryso- 
collam luteam nventitur .... Fit em creta viridi ..... 

(pp) Plin. ib. Armenia mittit, quod ejus nomine appella- 
tur. Lapis est hic quoque chrysocollae modo infeetus . Opti- 
mumque est quod maxime viride, communicato colore cun 
caeruleo , 

(99) Plin. ib. Atramentum quoque inter factitios erit ..' 
Fit enim et fuligine pluribus modis , resina vel pice exustis . 
Laudaticsimum eodem modo fit è taedis.Adulteratur forna- 
cium, balneorumque fuligine , quo ad volumina scribenda utun- 
tur. Surit qui ex vini fece siccata ERCOQUANE Polignotus et 
Micon , celeberrimi pictores, e vinaceis fecere ; tryginon ap- 
pellant . Apelles commentus est ex ebore combusto facere, quod 
elephantinum wocant. 

\ (rr) Plin ib. Omne autem atramentum: sole perficitur; li- 
brarium \gumami , tectorium glutine admixto . 

(ss) Plin. ib. tt etiam apud infectores ex lore nigro 
qui adhaerescit aereis cortinis .... Est et terra geminae origi- 
nis . Aut enim salsuginis modo emanat , aut terra ipsa sul- 
phurei coloris ad hoc probatur . 

( <) Plin. ib. Apportaturi et indicum ex India, inexplo- 
ratae adhuc inventionis mihi... Fit, et e tedis ligno combusto, 
tritisgue în mortario carbonibus . Mira in hoc sepiarum. na- 
tura; sed ex his non fit. ) 

(uu ) Plin. ib. £x AD venit ; cicerculum' appellant . 

( vv) ib. Paraetonium nomen 1a habet ex Aegypto: spu- 
mam maris esse! dicunt solidatam: cum limo, et ideo conchae 
minutae inveniuntur in eo. Fit, et in Creta insula atque Cy- 
renis. Adul teratur Romae creta cimolia decocta , conspissata- 
que. E candidis coloribus pinguissimun et tenacissimum pro- 
pter laevorem . 

Melinam candidum et ipsum est: optimum in ‘Melo insula. 
In Samo quoque nascitur; séeil'eo ‘non utuntur pictores propter 
nimiampinguedinem . ...;». Cretulam amant, udogue illini 
recusant . 

Est et color tertius e candidis , cerussae; cujus rationem 
în plumbi metallis diximus. Fuit et terra per se inventa Smir- 
nae, qua pictores ad navium picturas ‘utebantur ; nunc omnis 
ex AT et aceto fit. 


L 


‘n 
308 
Anulare quod vocant , candidum est j quo muliebres pi- 
sturae illuminantur . Fit .... ex creta .... admi'xtis vitreis gem- 
mis ex vnlgi anulis, unde et anulare dictum + 


J BELLE ARTI 


BIBLIOGRAFIA. 


Catalogo ragionato de’ libri d' arte e di antichità 
posseduti dal Conte CicocnarA. Vol. 2. in 8° - 
di pig. 830. compresovi un indice degli autori . 
Pisa 1821. presso N. Capurro, e in Firenze. al 
Gabinetto Scientifico e Letterario ‘di G. P. Vieus- i 
Seux . x 


piena si compiaccia di percorrere questi due vo- 

lumi si persuaderà agevolmente del pregio, in cui debbe 
tenersi la doviziosa raccolta del celebre conte Cicogna- 
ra, non tanto pel numero , quanto ancora pel merito 
de’ libri che la compongono . Una, ragguardevole colle- 

zione di 800 opere diverse; la. massima. parte delle 
quali arricchite di tavole e disegni d’ ogni genere  per- 

tenenti tutte alle belle arti alla loro storia , all’an- 

tiquaria e a tutte le altre umane discipline che con 

quelle hanno una qualche relazione, forma una biblio-. 
teca che può a ragione consiilerarsi.come una delle più 
preziose di Europa , e degna di succedere inv credito a 
quelle che possedevano il celebre ab. Bianconi, è il 

coltissimo cav. Giuseppe Bossi, meritissimo segretario 

il primo dell’accademia milanese, l’altro esimio e dotto 
dipintore . i 


309 

Il conte Cicognara ha divisi i libri di questa sua 
collezione in due parti , la prima delle quali è più 
spezialmente destinata allo studio delle belle arti, la 
seconda a quello dell’ archeologia . 

Incomincia la prima parte con una serie di trat- 
tati teorici e pralici, preceduti o accompagnati dagli 
storici dell’ arte in generale ; ai quali tengon dietro 
gli scrittori di pittura, di disegno, d’intaglio, di 
scoltura ; le opere elementari per lo studio della fi- 
gura e dell’ornato, e quelle dell’ anatomia applicata 
alle arti. Ne vengono dipoii trattati di architettura, 
di prospettiva, di architettura teatrale, di tutti gli 
altri edifici e. macchine d’ ogni maniera , e di ciò che 
concerne al materiale per uso di edificare. I poeti, 
i favoleggiatori, che all’ interesse poetico uniscono il 
corredo di figure; gli scrittori sul bello, le lettere 


pittoriche, le orazioni accademiche; le feste, i trion- 


fi, gli spettacoli, i funerali , i costumi antichi e mo- 
derni, gli emblemi ; gli-autori di fisonomia; le col- 
lezioni di ritratti, i libri figurati, le vite istoriate , 
non meno che i dizionari e, gli abecedari completano 
questa prima parte. 

Nella parte seconda del catalogo contengonsi i 
libri di antichità in dele ahi quelli FPAIINOS: 
ai monumenti delle diverse nazioni, cioè gli arabi, 
gli egiziani, gli indici, gli etruschi, i romani, i 
greci, gli ercolanensi. Succedono dipoi i trattati di 
numismatica , di glittografia , le iscrizioni, le galle- 
rie, e le opere di pennello e di scalpello illustrate : 
Je illustrazioni di Roma ‘antica e moderna, le ve- 
dute e descrizioni di città e di monumenti , le così 
dette guide per le singole città, i cataloghi per ven- 


310 
dite di oggetti di belle arti, finalmente i libri che 
concernono la mitologia, le sacre immagini o i costu- 
mi religiosi . 

Non intendiamo però d’aver tutte raccolte sotto 
questi sommi capi le opere che in questo catalogo 
sono registrate; poichè molti libri di varia erudizio- 
ne, i quali però hanno sempre una più prossima 0 
più lontana relazione colle belle arti, sono compresi 
sotto altre classi. Quindi è che il presente catalogo 
può essere utile non solo agli artisti eruditi, a’quali 
potrebber giovare le cognizioni che risguardano alle 
diverse diramazioni delle medesime, ma eziandio 
agli eruditi letterati e bibliografi , i quali, oltre le 
ssplici notizie dei libri e delle edizioni , troveranno 
un pascolo soddisfaciente nelle frequenti ed impor- 
tanti annotazioni che ai più pregiati libri per rarità 
di edizivne o per merito intrinseco sono apposte . È 
questo basti in quanto al generale merito di questo 
catalogo . 

Discorrendo poi in quanto al merito individuale 
di questa collezione potremmo citare moltissimi libri 
di gran pregio per la rarità, per la conservazione, 
per la bellezza, e per la provenienza loro, fra i 
quali un ragguardevol numero stati già della biblio- 
teca del Tuano , e posseduti in prima dal Villoison, 
dal M. Maffei, dal Mariette , dall’ Agincourt , 
dall’ab. Bianconi, dal pittore Giuseppe Bossi, e da’ 
medesimi arricchiti di importanti annotazioni ‘e pe- 
stille autografe. Ma ci limiteremo a notare che sono 
cinquantaquattro diversi esemplari di un solo autore, 
| cioè di Vitruvio, compresi nel catalogo dal numero 
691, al 744, nelle diverse lingue lstidta, italiana , 


e Ri” 


D 
31% 


inglese, francese , tedesca e spagnola . Fra questi ci 
sembrano notabilmente preziosi i seguenti, che de- 
scriveremo colle stesse parole dell’ illustre posssessore. 

6gi. Virruvia ( Marci ), de Architectura libri 
decem. Codex membranaceus cum literis auropictis 


saeculi XIV. 


Il codice è composto di 124 foglietti; sonovi alcune po- 
che figure , e i vocaboli greci al margine . Fu confrontato ; e 
corrisponde , con piccolissime varietà non essenziali, a’ due 
principali deila Vaticana ; e per la sua bellissima conservazione, 
e prima legatura , e lettere aurate, e nitidezza di pergamene il 
riteniamo di non comune preziosità. 


692. Virruvu. M. De Architectura libri tres . 
Codex membranaceus in fol. 

Questo codice, che non giunge se non a tutto il terzo li- 
bro, è stato cominciato col massimo lustro ed eleganza, es- 
sendo la prima pagina interamente scritta a lettere d’oro, e 
le due seguenti alternate in oro, in lapislazzuli, e in porpora. 
Tutto il resto del codice è in minio e in nero, e della massima 
bellezza, non è però anteriore al secolo XV. Era della biblio- 
teca Corsini . 

693. Virruvn. L. Pollionis de Architectura  li- 
bri decem; editio princeps . 

Nel principio è la lettera di Giovanni Sulpizio al lettore : 
segue l’ indice: poi la lettera del cardinal Riario a Giovanni 
Sulpizio : vengono i dieci libri di Vitruvio che finiscono. con 
una carta di errata col registro : infine Sexti Julii Frontini 
Consularis de aquis quae in urbem influunt, libellas  mira- 
bilis: nell'ultima carta è il registro de’fogli. In fol. senza 
luogo ed anno . 

Questa è la più rara e pregiata edizione di quest’ opera , 
per esser la prima non solo, ma perchè il suo testo è bastan- 
temente corretto. Esemplare magnifico in vitello dorato . Era 
della biblioteca Corsini . 


694. -- De Architectura libri decem . Sexti Julii 
Frontini de aquaeductibus liber unus: Angeli Pol- 


312 
ciani opusculum, quod Panepistemon inscribitur : An- 
geli Policiani in priora Analytica praelectio, cui ti- 
tulus est Famia . Florentiae impressum anno a Natali 
Christiano 1496. in fol. 

Non si puo indovinare l’ editore, nè lo stampatore di 
questo testo, in cui trovansi alcune poche varietà dell’edizione 
principale ec. Tre o quattro figure. di semplici quadrati non 
bastano a poter dirlo fra’ Vitruvi figurati :“alcuni erroneamente 
un tempo lo riputarono prima edizione. L’anno di stampa 
trovasi dopo il X. Libro , prima degli opuscoli e del Frontino. 
H testo è preceduto da due soli foglietti colle tavole dei capi- 
toli e il frontespizio . In tutto il volume sono 86 foglietti . 
Esemplare di bellissima conservazione . 

Succede a questa ‘al N. 695. un edizione del 
1497. in fol. Venetiis per Simonem Papiensem di- 
ctum Bevilacqua , che oltre il Frontino e gli opuscoli 
del Poliziano contiene Cieonidae Harmonicum  Intro- 
ductorium . AL N. 696 il Vitruvio emendato da fra 
Giocondo e stampato in Venezia da Giovanni di 
Tridino alias. Tacuino nel 15r1. in fol. Al 697. lo 
stesso stampato mel 1513. in Firenze da Filippo 
Giunti , con le correzioni autografe al Frontino del 
Marchese Poleni. AI Num. 698 il Vitruvio tradotto 


dal Cesariano e stampato a Como nel 1521, appar- 


tenente già al Tuano. Al 702. l’ edizione del 1523 
senza luogo e nome dello stampatore, esemplare pre- 
zioso per le profonde e dottissime illustrazioni, corre- 
zioni e figure marginali fatte a penna , di scrittura del 
secolo XVI, le quali non trovansi in veruno dei com- 
mentatori che si conoscono, ma confrontano con le dot- 
trine palladiane in tutti i luoghi che coincidono sullo 
stesso argomento . Ne vi mancano altre edizioni e le 
varie delle più insigni traduzioni del Durantino , del 


Caporali, di Jean Martin, di Jean Gardet, del Per: 


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| 


i 313 
rault, del Rivio , di Ortiz y Sanz, del Galliani, di W. 
Newton, dell’ Orsini, di Wilkins: nè quelle colle no- 
-te e illustrazioni del Filandro, di Daniel Barbaro, di 
Gio. Laet , di Gio. Schneider e d’ altri che han seguiti 
e illustrati nelle opere loro i precetti del romano ar- 
chitetto, come il Fea , il Salviati , il Bertano , il Baldo, 
il Rusconi , 1 Ortis ec. 

Ma fra gli altri esemplari sembraci che sià nota- 
bile il seguente , 

718. Vanno: M. I dieci libri tradotti e com- 
mentati dal Barbaro,. Venezia appresso il Franceschi _ 
1567. in 4. figurato . Ecco come il suo possessore ne 
dà notizia . 


Questo è l’ esemplare autografo, sul quale studiò per di- 


versi anni Vincenzio Scamozzi, ed è tutto postillato di sua 
Ss 


mano con incredibile ricchezza di osservazioni critiche e pre- 
ziosissime: sonovi pagine intere d’ illustrazioni, e da questo pre- 
zioso manoscritto sarebbesi tratta una nuova e singolare edi- 
zione , in cui si sarebbero viste in conflitto le opinioni degli 
uomini più dotti. Leggesi in fine. 

»» Fine sia alla fatica fatta da me Vincenzio Scamozzi Vi- 
centino nel leggere Vitruvio commentato da Monsignor Daniele 
Barbaro TR patriarca d’ Aquileia, per la terza volta, con 
l avere notato tutte le cose notabili, ed in tutto ho trovato , 
come nelle apostille in margine si vedrà, per la prima lettura 
notato. E questo principiai li 9 Aprile 1574. fino al dì d’oggi 
2 Luglio 1574, il che posso dire la prima volta ch’ io lo lessi 
haverlo udito, la seconda la quale fu-senza il comento del Zop- 
pino, haverlo goduto; e la terza che è questa haverlo giudica- 
to: nel che ho conosciuto quanto sia da seguirlo a chi vuole 
di tal fatica haver meritevol frutto ; e così ogni studio voglio 
iù esso pare , trovando che egli ha ragionato di tutte , o al- 
j meno le più difficili e bisognevoli parti dell’ Architettura e bi- 
© sogno dell’ Architetto , il che se molti conoscessero non così 
Erica si vanterebbero di essere. architetti che appena 
sanno quello che gli appartiene. Vincenzio Scamozzi Vicentino. 


L'ARI Novelhbre # 21 


314 
Questo esemplare appartenne all’ architetto Selva , dope 
la cui morte fu acquistato dal conte Rizzo  Patarol, il quale 
veggendo che poteva con decoro illustrare questa nostra ‘ serie 
di vitruviane preziosità, ce ne fece con nobilissima munificenza 
il generosissimo dono , sebbene egli sia fornito d’ altre molte 
sontuosità in materia di libri i più ricercati . 


Forse taluno potrebbe desiderare che nel presente. 


catalogo si trovassero indicati i prezzi, se non di tutti, 
almeno dei libri più rari, e più preziosi che vi sono 
registrati; non tanto secondo l’ estimazione data .a 
quelli da altri bibliografi, quanto ancora giusta il va- 
lore dato loro dal possessore. Ma egli si protesta di non 
aver già preteso di offrire un catalogo completo dei li- 
bri d’arte ed antiquaria, ma solo di pubblicare l’elenco 
2 
dei libri da lui posseduti; e di porre sotto gli occhi 
FeLih b) 
degli artisti, e degli amatori delle arti vari oggetti non 
comuni, e forse in maggior copia di quel che non ap- 
pariscono ordinariamente nelle grandi Biblioteche . 
Quanto poi allo scopo , e alle ragioni che lo 
determinarono a formare queste raccolte egli così 
l’ espone nel proemio . 

Se mai avvi un momento in cui il sussidio delle lettere e 
degli studj arrechi sommo conforto , egli è certamente quello 
in cui l’imaginazione ed il cuore sono preoccupati da idee 
melanconiche nel fuggire degli atni ridenti , coll’ avvicinarsi il 
gelo dell’ età troppo matura'. E memore di quel detto di 
Cicerone , che simili occupazioni, oltre l’ alimento che danno 
alla gioventù e il diletto che porgono all’ età senile, anche zr 
adversis perfugium , ac solutium praebent, io mi diedi intero 
alle arti, alle antichità ed ai libri, con farmi di loro in tal modo 
scudo ed asilo contro la non lieta fortuna. Nulla adunque a me 
più caro di questi muti testimonj delle mie affezioni, raccolti nel 
l’ epoca che segna, il fine della giovinezza, e dà principio alla 
maturità : e se le varie annotazioni che per sola mia norma e 
soce )rso della memoria andai segnando sui margini del mio ca- 
talogo, ora comparendo alla luce riusciranno di utilità o di 
pascolo alla curiosità di qualche studioso , verrà in tal guisa 


r 


315 


: yeso anche un omaggio a questi compagni della miglior parte 
della mia vita, che m'’ ispirarono altresì la voglia di contribuire 
colle mie forze all’ onor dell’Italia, studiando di aggiugnere alle 
patrie glorie colle tenui opere mie . Troppo mi avrebbe incre- 
sciuto il rimprovero d’ uom neghittoso , dopo essere pienamente 
convinto della necessità che ognun debba contribuire , e nes- 
suno abbiasi a sgomentare, sul prestare il sussidio dell’ opera 
propria in qualche ramo di pubblico servigio e di utilità ge- 
nerale . Credetti doversi tenere a sdegno non tanto l’ orgogliosa 
jattanza , quanto |’ indolente modestia ; le quali servono talvolta 
di mendicato pretesto per ritirare chi non abbia infermo il 
corpo o lo spirito dall’ adempire a questo, sacro dovere . 

E molto meno in tal circostanza so contenere 1 amarezza 
che vienmi dal vedere alcuni preclari ingegni irritarsi e am- 
mutolirsi per certa opposizione, contro la quale sarebbe im- 
presa tanto onorata il resistere con generosa fermezza ; poichè 
non si avveggono che le diatribe, le sette, »e le rivalità di parte 
in cui studiansi di mantenere o dividere l’ italiana letteratura 
alcuni prezzolati aristarchi, è opera soltanto dei veri nemici sde- 
gnati della gloria del nostro nome . Il prender di mira e far 
guerra alle cose, d’ omeri troppo forti abbisogna , ed è perciò 
che con mercenario aecorgimento si assoggettano alcuni a muo- 
verla alle parole , affinchè si ritardi il progresso dello spirito 
umano col quéstionar sulle ciancie; dal che deriva che, oltre le 
divisioni imposte dalla natura, seguano tra i popoli che parlano 
la stessa lingua, quelle ancora delle elocuzioni . Quindi molti- 
plicandosi gli areopaghi, si attizzano le intestine discordie : e 
si serve alle mire d'ogni avversario della nostra grandezza, inalbe- 
rando lo stendardo delle tenebre contro quel della luce. Per la 
qual cosa non sarà da meravigliarsi che ogni straniero sogghigni 
scorrendo i giornali d’ Italia, ove sì poco trovasi di filosofia ra- 
zionale , di economia pubblica , di.milizia , di utili scoperte , 
e d’altre materie gravissime, che furono i nostri primi studj, e 
che ricevettero tanto oltraggio dalle persecuzioni e dalla forza 

| prepotente della popolare ignoranza, che schernì, o proscrisse 
ciò che non fu educata a conoscere e venerare . Il grado di 
onore che può competere alle nazioni, le quali pretendono a una 
certa grandezza, sarà maggiormente elevato, quanto sarà più 
eminente la loro coltura e la lor civiltà . 


Quindi è ginsto che facciamo voti, con ansietà 
di vederli esauditi , perchè tutti coloro verso i quali 


. sappiano fare de’ doni di quella lo stesso nobile uso. 


080» È > » JIN Ù 
fu generosa la fortuna, in un modo o in un altro 


che far ne seppe il conte Cicognara, a decoro ed a 
pro della patria loro; e che diamo giusto tributo di 
Jode al discernimento ed al gusto che. distinguono il 
possessore di questa biblioteca . 

Prenderemo infine occasione di rammentare che 
il conte Cicognara non è già un oziose raccoglitore 
di libri, ma che ha arricchito le arti con varie opere 
che ci giova annoverare in questo luogo . a 1 


Catalogo delle Opere del Conte Lroporno Utena 


1 Storia della Scultura dal risorgimento delle belle arti in Ita- 
iia fino al Secolo di Napoleone . Vol. 3. in fol. con i81 tav. 
in rame . 1 

2 Le belle arti: poemetto in tre canti con note ed alcune 
piccole incisioni dell’ autore . 

3 Memoria intorno al quesito : se Simon Memmi fosse anche 
scultore . 


4 Vita di S. Lazzaro monaco e pittore . 
5 Memoria intorno all’indole degli scritti di Francesco Milizia. 


6 Continuazione delle memorie istoriche dei letterati e artisti 
ferraresi . 

7 Dell’ origine delle Accademie - died 

8 Elogio di Giorgione . 

9 —— di Tiziano. 

10 di Palladio . 

tr —— di Antonio Foschini architetto . 

12 Lettera sulla Polinnia di Canova . 

13 De Propilei e de’ perni metallici. ; 

14 Estratto del Giove Olimpico del sig. Quatremere. 

15 Lettera sopra alcune controversie intorno al Panteon . 

16 Opuscoli su i Cavalli antichi di S. Marco . 

17 Relazione di due quadri di Tiziano . 

18 Prose intorno alla grazia e all’acconciatara del capo . 

19 Del Bello , ragionamenti . 

20 Intorno al codice di Teofilo monaco. 


Mr e 


= iena air cia sr RI 


317 
BELLE ARTI 


14 oyage pittoresque de Costantinople eci Piaggio pittorico 
di Costantinopoli, e della riva del. Bosforo sopra i 
disegni del sig MreLrrne, disegnatore e architetto della 
Sultana Hadidge soretta di Selim JII. pubblicato dai 
sigg. TreurieL e Vurrz. Due volumi in gran foglio 
atlantico, che uno di testo ed uno di tavole in numero 
di 62 nelle più grandi dimensioni; prezzo franchi 1560, 


Parigi 1821. (1) 


Dacca l’arte dell’ incisione è concorsa ad illustrare i videgi 
pittorici, poche contrade dell'Europa sono state trascurate da- 
gli artisti. La sola capitale dell’ impero Ottomanno, e le sue 
magnifiche adiacenze non erano state per anco disegnate, e 
frattanto niun’aliro paese più di quello interessare poteva il 
dilettante, e l’ artista, nè riunire in più piccolo spazio mag- 
giori rarità . 

Due parti del. mondo, ‘1’ Furopa e 1’ Asia, che si toc- 
cano: due mari, la Propontide, ed il Ponto-Euxino, che col 
mezzo di un largo, e rapido canale si uniscono: 1 aspetto 
di ridenti colline, di promontorj, di isole, di spiaggie, che 
placidamente scendono al mare;, a quel mare che a guisa 
di fiume lambisce un terreno sparso ‘di abitazioni, o di 
gruppi d’ alberi: la memoria dell’età trascorse: lo spetta- 
colo di usanze, di costumi, e di riti tanto dai nostri di- 
versi, formar deve un ‘complessò da fissar lo sguardo, e far 


nascere il desiderio di porne l’immagine sotto gli occhi di 


(1) Quest’articolo ci è stato rimesso prima degli ultimi avvenimenti, in conse- 


« guenza dei quali i Franchi han perduta quella tranquillità, di cui godevano in 


| Costantinopoli. Questi avvenimenti danno un maggior interesse al viaggio di 


cui rendiamo conto, inquanto che i nostri artisti non potranno ricuperar forse 


per lungo tempo frai Turchi lalibertà, la sicurezza, e la protezione che si richiede 


x 


per tentare altri lavori simili a quello a , a cui sì è consacrato con tanto suc- 
cesso il sig, Melling. Nota dell’ Editore 


318 
quelli che non possono personalmente recarsi a contemplare 
sì fatte meraviglie. 

Considerando a prima vista i diversi quadri a compor- 
re i quali tante bellezze concorrono, dobbiamo esser sor- 
presi come prima d’ ora non siasi pensato ad offrirne all'Eu- 
ropa una raccolta; e riflettendo d’ altronde alle difficoltà che 
i pregiudizi dei musulmani dovevano far nascere per chi 
avesse osato tentare simile intrapresa, dobbiamo essere grati 
al sig. Melling, che seppe superare tutti gli ostacoli, e che 
presentando al pubblico un viaggio pittorico di Costantino. 
poli e delle rive del Bosforo ha sodisfatto alla brama uni- 
versale dei dotti e degli artisti. 

Il sig. Melling abile artista francese essendosi trasferito 
fin dalla sua prima gioventù in Turchia, facilmente contrasse _ 
l’abitudine di conformarsi agli usi ed ai costumi degli orien-_ 
tali. Imparata la loro lingua seppe con tal mezzo inspirar 
loro fiducia, e così distrusse gli ostacoli i quali nascono 
dalla diffidenza che inspira nell'animo dei Turchi tutto ciò 

© che porta il nome di Cristiano, cosicchè egli giunse persino 
a cattivarsi il favore della corte ottomanna . La Sultana Za- 
didge sorella di Selim III. lo creò suo architetto, e affi- 
dò al medesimo l’ abbellimento dei suoi palazzi. Il Sultano 
stesso lo incaricò «di alcuni lavori per l’ interno dei palazzi» 
imperiali, e specialmente per il casino di campagna, chia- 
mato Beschik Tasck. 

Con tali mezzi il sig. Melling potè conoscere alcuni 
usi che fino a quel momento erano restati ignoti agli Eu- 
ropei. Egli disegnò con egual cura i luoghi misteriosi ove 
la metà del genere umano vive senza gustare le dolcezze 
della vita, ed i bei siti che trovansi nelle campagne che 
quei luoghi circondano; e mediante il suo lungo soggiorno 
in quelle contrade potè accuratamente scegliere i soggetti, e 

“dar loro la più gran perfezione. 

Dopo diciotto anni di assenza, ritornato in Francia, in- 
coraggito dai più illustri viaggiatori, dal conte Choiseul» 
Gouffier , € dal barone Vivant-Denon, si occupò nel pub- 


las 


319 
blicare le resultanze di sue grandi fatiche, e non ostante la 
immensità della spesa che simile intrapresa richiedeva, ebbe la 
soddisfazione di trovare i libvaj 7Y:cuttel e Wurtz disposti ad 
incaricarsi dell’ edizione di un’ opera superiore a quante ne 
erano mai state fatte. Il sig. Carlo Lacretelle assunse la re- 
dazione della parte descrittiva, e la sua penna elegante seppe 
dar vita alla composizione delle stampe eseguite dai più 
abili bulini, sotto la direzione del celebre sig. Nee, nella 
più gran dimensione , essendovene perfino di 34 FORD so- 
pra 18. 

Tralasciando ciò che potrebbe dirsi respettivamente al 
testo, ci occuperemo delle tavole, la collezione delle quali 
incomincia col prospetto dell’ Lol di Tenedos. Sebbene que- 
sta isola non sia interessante che per là memoria dei tempi 
antichi, pure il sig. Melling ha creduto far cosa grata, dan- 
done il disegno unito a quello della costa della Troade, che 
il viaggiatore vede sulla sua diritta, prima di imboccare lo 
stretto dei Dardanelli. L'isola Tenedos presenta è vero una 
comoda rada per i bastimenti che vengono da Costantinopoli, 
ma per poco che soffi con violenza il vento nord, esso gli 
spinge sopra un banco di sabbia; il che giustifica il detto di 
Virgilio stato malefida carinis. Soggetto di altre tavole so- 
no i forti destinati a difendere il passo dei Dardanelli. Co- 
struiti da Maometto II. per lungo tempo sono stati formi- 
dabili più per la loro fama, che per la realtà della loro 
forza. Uno di essi fabbricato sulla costa dell’ Asia per la 
vicinanza di una considerevole fornace da pentole porta il 
nome di Dehatak-Kalessy (castello delle pentole) 1° altra 
fabbricato in Europa sulla terra di Maydos (il Madytos di 
Xenofonte) ha il pomposo nome di Seddul-Bachr-Kalessy 
(argine del mare) ed è una torre merlata cinta da doppio 
muro, l’ultimo dei quali è fiancheggiato da altre due torri. 
In altre tavole si vedono i due forti che assicurano }in- 
gresso dello stretto dalla parte della Propontide. La veduta 
del castello delle sette torri succede naturalmente a quelle 


dei Dardanelli, Situata alla estremità della Propontide, que- 


320 


sta’ specie di cittadella di forma pentagona, ha ricevuto il 
suo nome dal numero delle torri che altre volte vi esiste- 
vano, e delle quali ora se ne vedono sole quattro. In una di 
queste si giustiziavano nel secolo scorso i grandi, che erano 
caduti in disgrazia, e quella che vedesi dalla parte di terra, 
per molto tempo. è stata il carcere degli ambasciatori esteri 
in tempo di guerra; ora non più, essendo i medesimi tra- 
sferiti nella casa del comandante del castello, ed il loro seguito 
alloggiato nei quartieri della guarnigione. 

Il gruppo delle isole dei principi, luogo esso pure di 
esilio, le quali in numero di quattro trovansi del pari nella 
Propontide, ha in seguito occupato il sig. Melling, il quale 
per meglio earatterizzarle, ha fatto entrare nel suo disegno 
un gruppo di isolani Greei che danzano al suono di un 
mandolino, e d'un flauto campestre . xi 

Un sito pittoresco: dei piacevoli casini di campagna: 
una dolce temperatura: una grande abbondanza di fiori, e 
di frutti: il vantaggio in fine di sfuggire per la sua oscu- 
rità alle risse, ed ai massacri, dei quali la città di Costan: 
tinopoli è spesso il teatro, ecco i soli avanzi dell’ antica 
Calcedonia, della rivale di Bisanzio, di fronte alla quale era 
costrutta, della città sede del culto di Venere; o per meglio 
dire ecco i pregi della terra di /ady Kiewi (borgo del cadì) 

‘Dopo di aver dato il diseguo di questo villaggio lar- 
tista ci fa vedere in tutta la sua lunghezza il porto di Costan- 
tinopoli, partendo dal promontorio di Acropolin ora .Serai- 
Bournou (punta del serraglio) fino al sobborgo di £yowb, 
(l'antica Ebdome), ove i Patriarchi di Costantinopoli sacra- 
rano gli Imperatori, e dove il Gran-Signore va ancora a 
cingersi la sciabola, in forza della quale regna sulli Ottoman= 
ni. La veduta generale di Costantinopoli presa dalla torre di 
Leandro è ravvivata da una festa turca, 0 piuttosto cerimo- 
nia imperiale: il Sultano che con numeruso seguito attra- 
versando il Bosforo và alla moschea di Scutari: una gran 
quantità di grossi battelli formano il corteggio del medesimo, 
il quale in piccolo spazio di tempo dall’ Europa passa in 


"=" © 


321 


Asia, ove lo attendono giuochi, danze e mille altri diver- 
timenti adattati al gusto, ed ai costumi di quella nazione. 

Il sig. Melling esponendoci le cerimonie che si usano 
per il ricevimento di esteri ambasciatori ci fa conoscere 
parte dell'interno del Serraglio, e presentandoci la veduta del 
palazzo della Sultana Hadidge ci svela i più ascosi recessi 
dell’harem: vantaggio dovuio alla carica, alla quale questa 
Sultana lo aveva inalzato. 

Le tavole, che rappresentano 1’ arsenale, il quartiere di 
Top-Hanè, l’ippodromo, la fontana di Sarivery ec. meritano 
i più giusti elogi, ma quelle che pongono sotto i nostri oc- 
chi i bei contorni della capitale dell’ impero degli Osmanli 
destano meraviglia . | 

lì sig. Melling ha consacrato molti disegni a farci co- 
noscere le bellezze di Buyuk Derèe (la gran vallata) paese 
ameno in riva del Bosforo, che i Greci chiamavano Kalos 
agros (bella campagna) del quale i viaggiatori che hanno 
soggiornato in Costantinopoli parlano con entusiasmo . 

H villaggio di Buyuk-Derèe fabbricato in anfiteatro 
sul golfo che i Greci chiamavano Bathy-kolpos alla distan- 
za di quattro leghe da Costantinopoli, e di tre dal mar 
nero si compone di case regolarmente fabbricate, il piano 
superiore delle quali serve ordinariamente di abitazione al 
padrone, che passa una parte del giorno assiso sullo sporto 
del balcone sgloriatamente contemplando il sito sul quale 
la sua dimora si inalza. Poco lungi di là trovasi 1’ altro 
casale di Sari-Yeri, la vallata del quale è bagnata da due. 
sorgenti minerali. Seguitando le colline, che gradatamente 
si inalzano dietro questi villaggi, si giunge ad altezze con- 
siderevoli, dalle quali sgorgano le sorgenti, che mantengono 
perenne l’acqua negli acquedotti chiamati Beg.ek/e-Kenik. 
Questi acquedotti che vengono attribuiti a Giustiniano hanno 
dato all’artista francese bellissimi soggetti per i suoi\Wdisegni, 
Il terreno che i medesimi attraversano , e le‘arcate che gli so- 
stengono di mirabile lavoro richiamarono «una. speciale atten- 
zione del sig. Melling, il quale aveva troppe cognizioni per tra- 


322 


scurarli. Ze Beadn, o vaste conserve, che nella foresta di Bel- 
grado (la quale incomincia a quattro leghe da Costantinopoli 3 
e che per uno spazio di 25 leghe copre le rive del mar 


nero , e giunge fino alla Croazia ) servono a riunire le . 


acque che discendono dalle adiacenti colline , e che per 
mezzo della comunicazione , che hanno coll’acquedotto di 
Bourgas contribuiscono a fornire di acqua Costantinopoli, 
hanno meritamente occupato l'artista. La più grande di es- 
se è un monumento dovuto al Sultano Makmud , che la fece 
scavare circa l' anno 1740. Essa è lunga 4oo piedi , larga 
60 , e profonda 130. 

Le carte topografiche del Bosforo di Costantini 
dei suoi contorni meritano i più grandi elogi. Le fatiche 
degli ingegneri astronomi Kauffer, Lebrun , Coudn, Lafit- 
te, Clavé, Dumas, Bonneval, e di molti altri sono state po- 
ste a profitto, e le cognizioni di questi danno la certez- 
za di un esatto lavoro . 

Descrivendo le rive del Bosforo, e dimostratone i di- 
versi aspetti, ci fa comprendere l’autore il sistema di di- 
fesa stato adottato per rendere il passo di questo stretto per 
quanto si poteva impossibile. Il vero sistema di difesa 
per il Bosforo incomincia dal villaggio di ZRarapia presso 
del quale all'oggetto di proteggere Y ancoraggio di Buyuk 
Derèe è stata eretta una batterìa, mentre un’ altra copre 
in parte la punta di Kireteh-Bournou . Esse sono. state 
costruite nel 1807 sotto il ministero di 7chelebi- Effendi, 
colla direzione del colonnello del genio Boutin. Più lon- 
tano alle falde della montagna del gigante il forte di /ou- 
dja incrocia î suoi tiri con quelli del forte Y'eli- Tabie ele- 
vato nel 1795 sulla riva opposta: questi sono epera dell’ uf- 
fiziale del genio Mounier, il quale un anno avanti aveva 
aumentato i due Kassaks di Asia , e di Europa, inalzati 
nel 1783 dal construttore Toussaint, e che si legano a que- 
sto sistema di fortificazione. Questi forti che dominano la 
parte più stretta del canale hanvo rimpiazzato Je antiche 
fortificazioni dei Genovesi , Je quali erano state fabbricate 


323 

su quelle dei Bizantini , e dei Calcedoni. Seguitando il ca- 
nale, riscontransi due altri forti sulle punte opposte di Koro 
Jack-Atti, e di Fil.Bournou, che nel 1806 secondo il piano 
dell’uffiziale del genio Jousserant rimpiazzarono le batterie 
state inalzate nel .785 dagli uffiziali Lafette-Clavé, e Mou- 
nier. Vengono in seguito i castelli di Karibtche e di Poi- 
ras, la situazione dei quàli è fortissima: fondati nel 1773 
dal barone di Toti sono stati successivamente perfezionati 
nel 1783, ed ultimamente nel 1807 mentre era ambascia- 
tore di Francia presso la Porta il Generale Sebastiani. I due 
forti detti Fanaraki ( fanali di Europa ) e Anaduli-Feu- 
cri ( fanali d’ Asia ) terminano questa doppia linea di dife- 
sa. Fabbricati da un’ architetto Greco , a diverse epoche 
sono stati migliorati, ma per la loro lontananza noa poten- 
do incrociare i loro tiri sono poco utili, ed è stato necessa- 
rio costruire due batterie più ravvicinate. Sebbene con 
essi terminassero le linee proposte, pure è stato creduto pro- 
prio prolungarle sulle rive del mar nero per prevenire non 
tanto l’ avvicinarsi delle flotte, quanto lo sbarco di truppe 
in prossimità della capitale. A tale oggetto è stato incluso 
nel sistema adottato il forte Ki/a, che con alcune batterie 
fra loro collegate protegge la spiaggia dalla parte di Euro- 
pa, come il forte Riva che guarda in egual modo la spiag- 
gia Asiatica. 

Costantinopoli stessa non è straniera a questo sistema : 
questa città che comprende circa a (00,000 abitanti (2), i 
quali per la maggior parte albergano in case di un sol piano , 
separate lune dalle altre da dei giardini, fabbricata sopra 
di una lingua di terra triangolare, è protetta da due parti 
dal mare , ed è difesa dalla parte di terra da un doppio 
muro opera degli Imperatori Greci , sicché ella presenta u- 
na difesa da poter dire esser ella fortificata più assai di quel- 
lo che comunemente si crede . 


Li 
. La . . È È 
(2) Noi daremo în un prossimo fascicolo del nostro giornale un altro artico- 
lo nel quale la ben problematica popolazione di Custantinopoli vien, valutata 
molto di più, 


324 
Terminiamo quì questa breve, e forse incompleta ana- 
lisî del viaggio pittorico, la quale per essere apprezzata quan 
to merita, sarebbe necessario che fosse sotto gli occhi dei 
nostri leggitori 5 ma confidiamo nel pensare, che se gli arti- 
sti non potranno fare acquisto di un opera così utile ma così 
| dispendiosa , potranno incontrarla nelle pubbliche biblioteche. 
j S. 


SCIENZE NATURALI 
M 1 
Lettera del Marchese Cosimo Riporri al Professore 
Q. TaAppEI intorno ai nuovi fenomeni elettro-ma- 
gnetici, 
Firenze primo ottobre 1821. 


C.A. 


| pe de’ novi fatti-in appoggio de’ miei pensieri 
intorno ai fenomeni elettro-magnetici. Questi non son 


desunti da’ miei proprj esperimenti, ma iv parte da uno , 


spontaneo fenomeno naturale accuratamente osservato 
: dal P. Pictet, in parte da ingeghose ricerche, che la sa- 
gacità del sig. D. Poenitz sr e compire. 

Un fulmine caduto in Ginevra sopra una casa 
sprovvista di conduttore propriamente detto, ma mu- 
nita nella sua costruzione d’ una specie di gabbia me- 
tallica, che poneva ogni parte della travatura in comu- 
nicazione col suolo servi di prova dell’ efficacia di quel 
sistema a prevenire i funesti effetti del totrente elettri- 
co, e diede luogo a osservare in grande ciò che il sig. 
Moll avea artificialmente fatto vedere, cioè due furi ben 


è 


“ 


rape giò fr 


325 
distinti là, ove l'elettricità s° apre una via rompendo 
la continuità della superficie d'una lamina, e forinati 
da correnti che si miuavono in senso opposto perchè 
esibenti' un contrario rovesciamento nei loro bordi. 1l 
detto fatto si manifestò su d’ una lamina di latta  ful- 


‘minata nella circostanza indicata, e i due fori, de quali 


ciascuno ha un diametro d’ un pollice, vedonsi fra loro 
distanti di quasi cinque pollici . La natura s’ è dungue 
finalmente pronunziata da sè stessa , e sembra averlo 
fatto quando l’arte avendo penetrato un suo segreto 
rendeva inutile la cura gelosa, che ne aveva preso fin 


Qui. 


Il sig. D. Poenitz dal cante suo crede poter con- 
cludere, dietro gli esperimenti de’ quali vi darò un cen-, 
no che la forza magnetica , che il ferro acquista non è 
prodotta in questo metallo, ma gli è semplicemente 
comunicata; che il ferro si magnetizza per la corrente 
elettrica sola, perchè questa si cangia attese certe mo- 
dificazioni in una forza magnetica; che la corrente 
elettrica forma un sistema di forze magnetiche indi- 
pendenti dall’ azione terrestre; che finalmente |’ azio- 
ne magnetica terrestre consta d’ 74 doppia corrente, 
l’ una dal basso in alto producente il polo nord, l’altra 
dall’ alto al basso producente il polo sud. Da queste 
conclusioni si rileva essere il sig. Poenitz d’ opinione 
che il magnetico sia una materia sui generis, che en- 
tra col ferro in vera combinazione; che questa materia 
possa esser somministrata al ferro dall’ elettricità come 
dall’ influenza terrestre, e ammettendo due correnti in 
questa, forza è che ammetta pur due correnti in quel- 
la, che una di flido australe, V’ altra di fluidoboreale. 

Affinchè l’ influenza terrestre spieghi con molta 
intensità la sua forza magnetizzante su d'un ago di 


x“ 


326 

ferro o di acciajo, il sullodato fisico ha trovato che giova 
aiutarla con de’ processi puramente meccanici, i quali 
si riducono allo sfregamento, alla percussione, alla tem- 
pera, ed io direi piuttosto a un subitaneo raffreddamen- 
to. Egli pensa che questi agenti non son cause dello 
svolgimento del magnetico nel ferro, ta son mezzi che 
rendon quel metallo più idoneo a ricevere il magne- 
tismo dall’ influenza terrestre. 

E qui giova riflettere che 1’ oscillazione delle mo- 
lecule del ferro , o ben anche la commozione, ché la 
scarica della boccia di Leida può indurvi now debbon 
riguardarsi come cause della magnetizzazione degli 

aghi per l’elettrico, ma forse come circostanze o mezzi 
. favorevoli aila fissazione del magnetismo nel ferro. 

Il sig. Poenitz ha magnetizzati gli aghi per sfre- 
gamento facendoli pasaar per forza tra le branche 
d’ una tanaglia ; per percussione tenendone un estremo 
immobilmente fisso , e facendo oscillar con violenza 
l’altra estremità , avvertendo che questo metodo rie- 
sce più attivo, quando invece d' oscillar liberamente 
si fa urtar l’ ago contro un corpo duro ; colla tempera 
finalmente facendo provare all’ ago il più violento ab- 
bassamento di temperatura . Eseguendo queste opera- 
zioni ( che tutte intendo di designare d’ ora in avanti 
per brevità colla voce manipolazioni ) sopra degli aghi 
tenuti in diverse posizioni , ecco ciò che il sig. Poenitz 
ha osservato . 

Un ago tenuto in una posizione orizzontale dall’ 
est all’ovest non acquista polarità magnetica sotto‘ le 
manipolazioni. L’ Autore indica oe avvertenze per 
non esseré indotti in errore ripetendo quest’ esperien- 
za ,e quindi fa altrettanto parlando del modo di ma- 
gnetizzar gli aghi colla tempera. 


e dle CE one e 


327 

Un ago tenuto e manipolato verticalmente acqui- 
sta il polo sud nell’ estremità superiore , e quello nord 
nell’ inferiore . Rovesciando 1’ ago , e facendogli pro- 
vare le manipolazioni medesime , che si usarono per 
magnetizzarlo la prima volta, la sua polarità s’ inde- 
bolisce, poi ritorna allo stato di semplice ferro, e quin- 
dii poli si mostran di nuovo come prima, ma trovansi 
rovesciati respettivamente a’ luoghi che da principio 
occupavan nell’ ago . 

Un ago piegato nella sua metà in modo che for- 
mandosi in questa un angolo acutissimo i suoi due lati 
abbian gli estremi molto vicini fra loro, questi diver- 
fanno entrambi polarizzati sud, se saranno manipolati 
guardando essi il cielo , nord se guarderanno il suolo ; 
nè apparirà differenza dal manipolarli conlemporanea- 
mente o successivamente. Io ho veduto che un estre- 
mo può divenir sud , e | altro nord col manipolar 
quello nella prima posizione , e questo nella seconda . 
Inoltre mi parve che la magnetizzazione che chiamerò 
a poli d’ un medesimo nome sia passeggiera , e quella a 
poli di contrario nome sia permanente . 

Un ago piegato ad angolo retto, e avente uno 
de’ suoi estremi diretto al nord , l’altro alla terra, se 
venga manipolato, acquista in entrambi il polo nord. 

Un ago egualmente piegato, se guardi coi suoi 
estremi il sud ed il cielo, mostra dopo le manipola- 
zioni due poli sud . In questi due ultimi casi i poli più 
sviluppati son sempre quelli che guardavano nelle ma- 
nipolazioni la terra o il cielo , e i più deboli quelli sono 
che sì trovarono nella direzione nord o sud . 

Mi sono assicurato che un ago manipolato mentre 
era tenuto orizzontalmente nella direzione sud-nord si 
magnetizza ma debolmente , e che un ago piegato ad 


328 
angolo retto; del quale uno degli estremi guardi il cielo 
o la terra, e l’altro l'est o l’ovest, acquista polarità 
sud o nord nel primo , e resta puro ferro nel secondo . 
Nelle mie esperienze ho adoprato una tanaglia 
d’ ottone , e credo d’ aver così allontanato il sospetto 
di previa magnetizzazione in quello strumento, so- 
spetto di ben meschina entità tostochè la magnetizza- 
zione si mostrava egualmente colla percussione, a com- 
pier la quale nessuno strumento sospetto concorreva . 
Voi rileverete facilmente quanta analogia siavi tra 
le opinioni del sig. Poenitz e le mie, o almeno quanto 
le di lui esperienze e conclusioni s' accordino facil- 
‘mente coll’idee sistematiche , che mi sono formato in- 
torno alle cose elettro-magnetiche ec. , 


} 

terna del’ Prof. Gazzerì alle riflessioni del Sig. 

MancHizse Costmo firporFi sulle sue lineaditiigti 

osservazioni e fatti riguardanti 1 i fenomeni elettro - 
magnetici . Vedi Antologia T. 3. pag. doo. 


SS 


T i i 
N el tomo 3. pag. 327. dell’ Antologìa prendendo io a, 


ristabilire nei. suoi veri termini alcune proposizioni 
emesse da me in aliro precedente scritto ( Antolog. ul. 
1. p. 431. ) e che il Sig. March. Ridolfi aveva sostan- 
zialmente cambiate nei suoi Pensieri Antol. T 3. 
p. 84. ne tolsi occasione di discutere i, fondamenti del 
le nostre discordi opinioni circa i fenomeni elettro-ma- 
gnetici . 

Susseguentemente lo stesso Sig. Marchese in al- 
cune sue Riflessioni inserite nel T. 3. pag. 500. della 
stessa Antologia; confessando d’ avermi fatto dir cose 


i 
| 
"I 
: 


329 
ron solo-diverse ma contrarie a quelle che io aveva 
dette ( lo che troppo rigido seco stesso egli vuol che 
sia colpa, sebbene involontaria ) cerca poi con sottile 
indagine in quel. mio secondo scritto tutto ciò, che a 
lui sembri errato, ancorchè estraneo al vero oggetto 
delle nostre discussioni , ed all’ interesse della scienza. - 

Trovandomi così portato fuori del cammino che 
io mi era prefisso , e volendo ritrarmene decorosamen- 
te, m'induco per ng volta ad una risposta, dichia- 
rando che in seguito prudenziali riflessi potranuo con- 
sigliarmi al silenzio, auche nel caso del più intimo con- 
vineimento di ragione . 

Primieramente a pag. Sor. il sig. Marchese mi 
addebita perchè, dicendo che una causa sufficiente a 
produrre un’ effetto può essere insufficiente a pro- 
durne un’ altro, abbia io adottato un principio non 
affatto rigoroso ove si tratta di fenomeni che fra toro 
non differiscono se non nel grado, non già nell'es- 
senza . ) 

Ma, senza la pretensione di stabilire un principio 
rigoroso , io credo aver proferito una proposizione tan- 
to vera quanto è vero che la scarica d’ una bottiglia di 
Leida, la quale uccide un fringuello, non fa alcun sul 
ad un’ elefante . É poi illusorio il dire , come nella no- 
ta, che quando s’impieghino, forze d' indole simile, 
sì può sempre aspettarne effetti proporzionali , giacchè 
l’effetto che si otterrebbe nel caso che ho citato in e- 
sempio sarebbe , che quella scarica ucciderebbe il frin- 
guello nella proporzione del sì , ed ucciderebbe 1’ ele- 
fante nella proporzione «del nò . Lo che mi sembra es- 
presso più propriamente da chi dica che ucciderebbe 
quello e non questo , e che capace di produrre un’ ef- 


fetto sarebbe incapace di produrne un’ altro . 
T. IV. Novembre 22 


330 

Ciò mi fa ricordare che nei miei verdi amni, in 
gran parte perduti , chi aveva impreso ad insegnarmi 
filosofia , dopo avermi detto che all’azione è sempre 
eguale la reazione, aggiungeva che ogni qual volta una 
formica sì muove, l’intiero globo terraqueo corrispon- 
de a quel movimento con altro proporzionato . Poco 
atto a gustare queste sublimi sottigliezze , io non con- 
templo se non effetti materiali e sensibili . 

Il sig. M. Ridolfi a pag. 502. suppone sè avere 
usata e non avere io avvertita nella nota 10. del pre- 
cedente suo scritto una formula generale indicante la 
conoscenza e la persuasione in lui che i poli omologhi 
di due aghi magnetici possano restare in presenza in 
qualunque direzione , anche fuori di quella del meri- 
diano magnetico . i 

Beit giudicare l'intenzione 0 i pensieri , è per 
altro Svidéone che egli , usando d’ espressioni g cenerali, 
identifica il caso in ‘cui i due poli restano in presenza , 
colla circostanza d’ uno degli aghi in posizione ‘neces- 
sariamente rovesciata , la quite non sì verifica che nel 
meridiano. E l'espressione il caso în cui si vedono 
restare in presenza due aghi omologhi può ben voler 
‘dire il solo caso in cui , ovvero qualunque caso în cui, 
ma non mai wno fra i casi în ci ec. Altronde quel 
periodo ‘avendo per oggetto il combattere ‘una spiega- 
zione del fenomeno, è evidente che in'esso sì appella 
o a tutti i casi o al solo caso in cui si supponga acca- 
dere il fenomeno . L'altro periodo : Zh farti se il Prof. 
Gazzeri ec. posto molto dupo , anzi in fine della nota , 
non può far variare l'intelligenza di quella, e molto 
meno esser riguardato come /a formula generale con 
cui venga espresso il fenomeno . 

Dopo avere io osservato che i poli omologhi di due 


331 
aghi magnetici, soliti respingersi, possono restare iù 
presenza ‘mediante l' interposizione d’un’atomo di fer- 
ro, il sig. M. Ridolfi osservo che essì vi restavano e- 
gualmente anco escluso l’ intermezzo del ferro, pur- 
chè posti ad immediato contatto fra loro . Io reputo 
questo fatto così importante e così degno della medita- 
zione dei fisici, io sono talmente persuaso che la co- 
gnizione della vera causa da cui dipende illustrerebbe 
grandemente tutti i fenomeni magnetici, che, non sa- 
pendo far meglio , credo utile avvertire le opinioni er- 
ronee che intorno a ciò sfuggano a chicchessia . 

E cominciando da me stesso, se io dissi il vero 
allorchè affermai che due aghi magnetici bilicati cia- 
scuno sopra il suo perno, posti a contatto reciproco jer 
i poli omologhi, formano un’ago solo, che non può 
muoversi perchè posa sopra due-punti, errai per aliro 
allorchè, senza consultar l’ esperienza , congetturai ed 
asserii che il fluido magnetico o la causa dei fenomeni 
magnetici sì distribuisce in questi aghi in un nuovo 
modo, esercitando la principale azione e le polarità ai 
due nuovi estremi. Di fatti ho riconosciuto per espe- 
rienza che la distribuzione del fluido vi rimane la stes- 
sa, eche l’ago presenta uno stesso polo ad ambedue 
gli estremi, ed il suo opposto al centro 0 al punto di 
riunione . 

Per altro quest’ ago formato di due, quando sia 
libero nei suoi movimenti , si dirige colle sue due 
estremità ai poli del mondo, contro ciò che sembra 
crederne il sig. Ridolfi, il quale. dopo aver. detto a 
pag- 503. che una verga magnetica, prima rotta in 
due parti, poi riunita nei punti stessi, che presentano 
poli di diverso nome , sospesa in equilibrio oscilla e si 
dirige-come un’ ago perfetto , aggiunge: ma quest onor 


file 


è il caso degli aghi dei quali stanno in presenza i 
poli omologhi . E più sotto ripete ,, due aghi riuniti 
pei poli omologhi e bilicati sopra un sol pernio non 
danno già un’ ago che si diriga . 

Ma se due aghi galleggianti sull’ acqua per mez- 
zo d’un poco di sughero o in altro modo si riuni- 
‘scano pei poli omologhi, si vedrà che l'ago risul- 
tante si dirige ai poli del mondo , o si pone nel me- 
ridiano magnetico , prendendo così uno dei due aghi 
che lo compongono la sua natural direzione , ed ob- 
bligando l’altro a restare in una contraria . 

Mi sembra che questo fatto confermi in qualche 
modo l’altro già da me indicato, cioè che un’ ago 
magnetico , comunque delicatamente sospeso, rove- 
sciatine i poli, e condottolo così nella direzione del 
meridiano magnetico , vi rimane. Io riguardo questi 
due effetti come dipendenti da una causa stessa , che 
io credo finora ignota . 

Quella a cui il sig. M. Ridolfi attribuisce il re- 
stare uniti i poli omologhi “di due ‘aghi sembra a me 
non solo incapace di spiegare questo fenomeno, mà 
anche inconcepibile . Egli suppone che adibrgusalto 
si pongono in presenza i poli omologhi di due aghi 
( dei quali la forza magnetica non è mai esatta- 
mente la stessa ) una dose di fluido magnetico dell’ago 
più forte eguale all’ intiera quantità del fluido dello 
stesso nome dell’ ago più debole neutralizzi questa , 
e che l'eccesso di fluido del primo ago agisca sopra 
il secondo come sopra semplice ferro . 

Ora io credo un’idea affatto nuova quella di 
due porzioni d’ uno stesso fluido, che si rewtraliz- 
zano fra loro. Questa espressione presa ad imprestito 
dalla chimica non si era mai applicata che a sostan- 


338 
ze diverse e in qualche modo contrarie , o come. al- 
cuni le, han dette antagoniste. Una porzione di flui- 
do vitreo o positivo ( come li dicono ) può neutra- 
lizzare ‘una corrispondente porzione di fluido resinoso 
o negativo, e viceversa, ma non saprei imaginare 
come due diverse porzioni d’uno di essi possano 
neutralizzarsi fra loro . 

Avendo io osservato che una calamita, comun- 
que forte, non poteva attrarre la più piccola por- 
zione di ferro a traverso d’ una lamiera dello stesso 
metallo , qualificai questo come coibente dell’ azione 
magnetica . Il sig. March. Ridolfi, negandogli questa 
proprietà, nella 1o. delle note apposte ai suoi per- 
sieri, attribuì il fenomeno alla grande avidità del 
ferro per il magnetico, per cui pochi grani di ferro 
sono attratti e sostenuti da una calamita con tutta 
la propria forza, di modo che non. può ulterior- 
mente sostenere altro ferro, almeno immediatamen- 
te. Avendo io prese quelle espressioni con tutta la 
propria forza nel loro significato ‘naturale, rilevai 
nelle mie osservazioni Antol og. T. 3. pag. 332. che 
l’asserzione del sig. Marchese era inesatta , giacchè 
una calamita, mentre non può attrarre altro ferro a 
traverso d'una lamiera che vi aderisca, può bene 
attrarne altre porzioni, che si pongano a contatto 
immediato con altri punti di lei diversi da quello o 
da quelli che toccano la lama. 

._ Ora il sig. Marchese nelle ultime sue Riflessioni 
Antol. T. 3. p. 504., oltre a cercar di dare un sin- 
golar significato all’ espressioni ,, gusta Za sua forza ,, 
asserisce aver detto che questa è dalla calamita im- 
piegata sopra pochi grani di ferro in modo che a 


334 i 7 
traverso quel poco ferro non può attrarne altra 
porzione . 

Rinnuovando quì la protesta che io non ca 
giudicare la intenzione , ma solo l’ espressioni scritte, 
debbo rilevare che quelle’ usate dal sig. Marchese 
nella nota ro. apposta ai suoi /ersieri non sono tali, 
ma precisamente contrarie. Egli vi dice che pochi 
grani di ferro sono attratti e sostenuti da una ca- 
lamita con tutta la propria forza di modo che non 
può ulteriormente sostenere altro ferro , almeno im-° 
mediatamente . Ora attrarre e sostener ferro a étra- 
verso altro fer To; € sostenerlo immediatamente sono 
due cose opposte . 

Si supponga una barra magnetica sospesa verti- 
calmente, ed alla cui estremità inferiore sia appli- 
cato un pezzo di lamiera di ferro. Non potrà pre- 
sentarsi a questa barra un pezzo di ferro mediata- 

mente, o a traverso della lamiera, se non nella sua 
parte ilieriore» In ogni altra se le appresserebbe e 
verrebbe a toccarla imniadiaramente © Ne sarebbe at- 
tratto e sostenuto in questo caso , non lo sarebbe nel 
primo . 

Perciò quanto è vero ed esatto quello che dice 
il sig. Marchese nell’ultimo suo scritto , cioè che una 
GA non può attrarre altro ferro a traverso di 
quello che vi aderisca , altrettanto era inesatto quello 
che avea detto nel primo scritto, cioè che una ca- 
lamita sostenendo alcuni grani di ferro con tutta la 
propria forza non può sostenere altro ferro imme- 
diatamente , cioè applicato ‘alle parti di lei nude, 
diverse da quella cui i pochi grani aderiscono, ed 
alle quali sole potrebbe applicarsi immediatamente . 


DIL 
I Pe pu yo) 


Jo ‘poi credo essere egualmente giusto lodando 
ora le sue nuove espressioni, quanto. lo fui disappro- 
vando le ‘antiche, le quali non possono esser cam- 
‘biate o samate da quelle. 

Ma la più singolare fra le accuse di cui mi ca- 
rica il sig: Piero è quella pa cui mi attribui- 
sce il più grave degli errori, civè di chiamare ipo- 
tetico quello che cade sotto i nostri sensi per ri- 
guardare come reale ciò che non apparve giammai. 
Si ponga a canto all’ accusa il corpo del delitto , o le 
mie proprie espressioni, e mi si giudichi . Vagli ia 
ammetto. gli effetti luminosi, cri ici, elettrici, ma- 
gnetici perchè reali, non la luce, il calorico, l' e- 
lettrico , il magnetico perchè ipotetici . Abtol: n° AME 
p. 333. 

Per poter trovar quell’ accusa, non dirò giusta 
in se stessa, ma almeno bd, in chi la produs- 
se, converrebbe supporre, che egli solo fra gli uomi- 
ni, senza aver mai osservato ide effetto Lisio, 
inlanifico» elettrico, 0 magnetico , avesse avuto poi 
il singolar privilegio di conoscere e maneggiare iso- 
dati e puri la luce, il calorico, l elettrico , ed il ma- 
‘ gnelico . 

Opinando il sig. Marchese Ridolfi comporsi l'e- 
lettrico di calvrico e di magnetico , io opposi a questa 
opinione la difficoltà di spiegare la provenienza di quei 
due componenti ove le due elettricità ( positiva e ne- 
gativa ) si manifestano .0 appariscono formarsi, come 
allorquando si mette in moto una macchina elettrica a 
doppio conduttore , positivo e negativo. Rapporto a ciò 
egli; promettendo far conoscere in seguito una serie in- 
teressante di fatti, dice che riguarda come base di que- 
sta ricerca quella diretta a determinar la causa dello 


356 


sviluppo del solo calorico per semplice attrito , ricerca . 


che egli reputa egualmente difficile . 

Ma questa difficoltà , inerente all’opinione che egli 
professa, non sussiste punto in quella che io preferi- 
sco. Se a chi riguarda il calorico come una sostanza 
particolare riesce difficile rendere ragione dell’inesau- 
sta sua produzione o sviluppo da corpi che nulla per- 
dono, all’ opposto chi non riguarda il calorico se non 
come un particolar movimento delle particelle della 


‘materia , ne scorge evidente la causa nella confricazio- , 


ne, la quale finchè duri, le particelle dei corpi non 
debbono cessare dal movimento impresso loro. 

Non convenendo io col sig. Marchese nell’ opi- 
nione che ovunqgne cessi l’ eccitamento elettrico , o le 
due contrarie elettricità si combinino, vi sia sviluppo 
di calorico, asserendo anzi e provando con qualche 
esperienza che non se ne sviluppa nemmeno nell’ordi- 
naria produzione della scintilla , aggiunsi che non mi 
sarebbe diflicile provare che i fenomeni più violenti, 
non esclusa la stessa fusione dei metalli operata per la 
scarica d’ una boccia o d’una batteria, comunque ener- 
gica, sono effetti meramente elettrici , e non calorifici. 

Ora il sig. Marchese mostrando ( non senza iro- 
nia ) di riguardar questo come un mio bello ed inte- 
ressante ritrovato, m'invita e quasi mi sfida a farlo 
conoscere, lasciando traspirare la persuasione che io 
dovessi ricorrere alla dottrina del ‘calorico sviluppato 
per fregamento , cadendo , secondo esso , in un circolo 
VIZIOSO . 

Ma anzichè dare di me questo spettacolo , confes- 
serò di buon grado che io usai confidentemente di 
quelle espressioni perchè mi era nata scrivendo l’ idea 
d’alcuni esperimenti, le risultanze dei quali potrebbero 


337 
dimostrare vittoriosamente il mio asserto. Io non ho 
fin quì avuto l’agio d’ eseguire questi esperimenti , i 
quali prendo formale impegno d’eseguire sollecitamen- 
te, e di farne noti con cardore i ;risultamenti, siano 
essi o non siano per esser tali quali io presumo .. 

Frattanto ecco in appoggio della mia asserzione 
alcuni argomenti d’analogia, dei quali potrà ognuno 
fare quel conto che più gli aggrada . 

La fusione d’un metallo non è sostanzialmente 
altra cosa che il suo passaggio dallo stato solido allo 
stato liquido ; nel quale ultimo stato è sommamente 
indebolita la sua coesione , o l’attrazione d’ aggregazio- 
ne fra le sue particelle, le quali ne acquistano una 
grande mobilità . Ora se questi effetti sono ordinaria- 
mente prodotti dal ‘moto calorifico, perchè in qualche 

caso non potrebbero esserlo egualmente dal moto elet- 
trico ? Molti fatti mostrando effetti simili prodotti da 
cause differentissime lo lasciano presumere . 

Il semplice contatto del mercurio freddo liquef à 
metalli dei quali la fusione per il fuoco esigerebbe al- 
tissime temperature . 

Chi d’ ua sale non abbia veduto operarsi che la 
soluzione nell’ acqua , appena potrà credere che senza 
l’ intervento di questo o d’ altro liquido il sale secchis- 
sìmo possa acquistare una perfetta liquidità per la sola 
azione del fuoco, provando quella che dicesi fusione 
ignea . 

All’opposto chi non avesse veduto passare un sale 
dallo stato solido al liquido che per mezzo di questa 
fusione , 0 per l’azione d’ un calor violento , mal sì 
persuaderebbe che 1’ acqua fredda potesse produrre 
un’ effetto analogo al fuoco ardente . 

Chi abbia veduto la cera , lo zolfo , una resina li- 


Pat 


338 


quefarsi per l’ azione del fuoco, stenterà a credere che 
le lissivie alcaline e lo spirito di vino possano respetti- 
vamente discioglierli anche senza il soccorso del calore. 

Se fosse permesso parificare gli effetti che presenta 
la materia bruta ed inorganica a quelli che si osserva- 
no negli esseri organizzati, aggiungerei che , sebbene 
l’ umore della traspirazione , o il sndore , sia ordinaria- 
‘ mente spinto alla superficie del. nostro corpo mentre 
per violento esercizio 0 per causa intrinseca vi si svi- 
luppa più abbondante il calorico , pure. non è raro il 
vedere emanare sudore copioso da individui nei quali 
è affievolito il calor vitale . 

Per tal modo li stessi o simili cambiamenti poten- 
do essere indotti nei corpi da cause differentissime, non 
è strano il pensare che certi effetti i quali ordinaria- 
mente sono prodotti dal calorico, in qualche caso siano 
prodotti da un’ altro agente a lui tanto affine quanto è 
l elettrico. 

A. provare che alcuni effetti elettrici non sono pun- 
to calorifici, io aveva citato un mio esperimento, nel 
quale un sottile strato di cera non era stato fuso dal 
passaggio di più scintille elettriche vivacissime . Ora il 
sig. Marchese ci dice (Ant. T. III pag. 507) che ciò sé 
spiega assai meglio adattandovi le solite teorie del ca- 
lorico. Per altro egli non si compiace di dirci quali, e 
solo in una nota rammenta un fatto il quale, a senso 
mio, nulla ha che fare col proposito. Il fatto è il se- 
guenie. 

_ Se si prenda ‘un piccolo e sottil vaso di metallo, per 
esempio una cassa da orologio, e vestitala esternamente 
o nella sua parte.convessa d’ un sottilissimo tessuto, di 
lino o di'cotone ben teso, si empia internamente d'ac- 
qua e si sovraponga alla fiamma dell’ alcool, l’ acqua 


ei 


339 

non solo si riscalderà, ma bollirà ancora, senza che il 
tessuto risenta alcun danno dall’ azione della fiamma. 
Eccone la ragione. Sebbene il tessuto di lino o di co- 
tone sia di sua natura poco buon conduttore del calo- 
rico, pure la sua sottigliezza e l' essere esattamente ap- 
plicato alla superficie d un eccellente conduttore, qual'è 
il vaso metallico, fanno che egli non trattenga o non 
lasci accumulare in sè il calorico, ma lo trasmetta con 
sufficiente facilità e prontezza al vaso , il quale lo co- 
munica all’ acqua. Questa poi, com’ è sot; scaldandosi 
successivamente fino ad una temperatura corr isponden- 
te ai gradi 80 del termometro di Reaumur, entra in 
ebullizione, senza che possa ulteriormente elevarsi la 
sua temperatura, o combinarvisi altra dose di calorico, 
che vien tutto impiegato a vaporizzar l acqua . 

Rumford ha dimostrato che scaldando inferior- 
mente un vaso pieno d’ acqua , le particelle di questa 
che toccano il fondo, e che prime ricevono il calorico, 
«divenendo specificamente più leggiere si sollevano in 
alto, discendendo in loro luogo le superiori più fredde. 
E° noto. che può applicarsi impunemente la mano all’e- 
sterno del fondo d’ un paiolo o d'una piccola caldaia 
contenente acqua, tolta allora di sopra la fiamma. 

Ora cosa mai vi ha di comune fra il proposto espe- 
rimento ed il mio ? Il sig. Marchese Ridolfi non suppo- 
ne sicuramente che se il piccolo vaso metallico in vece 
d’ esser coperto di tela, fosse intonacato di cera, potesse 
l’acqua contenutavi scaldarsi e bollire senza che la fiam- 
ma sottoposta liquefacesse la cera , la quale si fonde a 

gr. 55 R. Altronde nel mio sperimento non vi è acqua 
nè processo d’ evaporazione che sottragga calorico, ma 
un semplice filo metallico in cui il calorico potrebbe 


340 
accumularsi anche fino all’ infuocamento, se fosse vera- 
mente esposto ad una sorgente onde emanasse calorico. 

Il sig. M- Ridolfi asserisce alla stessa pag. 507 che 
io accenno dubbi sull’ esperimento d’ Achard intorno 
allo schiudimento dell’ uova per l'elettricità ; del quale 
esperimento dice non essersi egli pure giovato che con 
diffidenza. Ma nè io ho accennato alcun dubbio contro 
quell’ esperimento, nè mi è sembrato che il sig. March. 
abbia mostrato nell’ ammetterne i risultamenti diffi- 
denza alcuna. Quanto a me, ecco le mie espressioni . 
Ma ammettendo questo risultamento della bella espe- 
rienza d’Achard, io sostengo che esso non è un effetto 
calorifico . 

Io non avrei chiamato bella esperienza quella di 
cui mi fosse sospetto il risultamento; io ho ammesso 
letteralmente questo risultamento, e ne ho discusso la 
natura e la qualità appunto perchè io lo ammetteva per 
vero. Debbo bensì confessare colla solita mia lealtà che 
io non l’ ho già ammesso perchè -la mia propria espe- 
rienza me ne abbia convinto, ma l ho ammesso come 
ognuno ammetie quei risultamenti che sono annunziati 
da fisici non sospetti, e che niuna ragione rende inam- 
missibili. 

Quanto poi al sig. Marchese io lo avrei creduto in 
diffidenza se, parlando dell’ uovo fecondato su cui si è 
diretta debitamente la corrente elettrica, avesse detto : 
Achard dice, asserisce, pretende, che quest uovo si 
schiuda ; avrei creduto all’ opposto che egli vi avesse 
fiducia quando si fosse espresso Achard lo ha veduto 
schiudersi; e l’ ho poi non solo reputato pieno di con- 


fidenza, ma supposto ancora ripetitore dell’ esperimento. 


con esito egualmente felice, quando ho letto nel suo 
scritto lo pediamo schiudersi a tempo debito. 


341 
Per non lasciare periodo del mio scritto senza. ri- 
prensione , il sig. Marchese a pag. 508 dice che io gli 
attribuisco V opinione che l’ elettrico non penetri i con- 
duttori, ma corra sulla lor superficie; opinione che egli 
aveva non solo letteralmente abbracciata, nei suòi Pen- 
sieri, ma che conferma nell’ atto stesso di quest’accusa, 
aggiungendo : è vero che io penso così. Alcune susse- 
guenti espressioni potrebbero far credere che il mio 
torto consistesse in averlo fatto autore di un opinione 
di cui egli non sia che seguace. Ma neppur questo ad- 
debito troverebbe giusto appoggio nei miei scritti. 
Leggendo i Pensieri del sig. M. Ridolfi, io non 
aveva compreso l’ andamento che egli assegna alle cor- 
renti dei due fluidi sul filo congiuntivo della pila, quale 
vestono, secondo esso, alla foggia di due semicilindri ; 
dei quali talvolta mi sembrava doverne ammettere, uno 
sotto, l’altro sopra al filo, tal’ altra, uno di quà, l’ altro 
di là ai due lati di lui. Egli ha: dichiarato nell’ ultimo 
suo scritto che la corrente vitrea passa lungo la parte» 
inferiore del filo, la resinosa lungo la superiore . 
In questa disposizione bisogna pensare che nell’ e- 
sperienza dei due fili congiuntivi che si attraggono e si 
respingono, secondo che hanno i poli dalla stessa parte 
o dalla contraria, egli abbia disposti questi due fili uno 
sopra all’altro, non uno a lato dell’ altro, come io aveva 
supposto, e come suppongo che usasse Ampere, cui dob- 
biamo un tale sperimento. Ma siccome io sono persuaso 
che anche in questa seconda disposizipne si verifiche- 
rebbero fra i due fili le stesse attrazioni e ripulsioni , è 
evidente che in tal caso o non si potrebbe ammettere 
quella distribuzione dei due fluidi, o almeno non si po- 
trebbero per essa spiegare i fenomeni nei due casî. 
Similmente allorchè il sig. Marchese Antol. 7 3. 


342 

pag. 103 trova naturale ‘e facile a spiegarsi che un’ ago 
posto traversalmente al filo congiuntivo si magnetizzi, 
perchè è per metà impegnato in una corrente di fluido 
boreale e per metà in una seconda di fluido australe, 
per trovar giusto questo ragionamento convien supporre 
che egli adatti al filo l'ago in posizione verticale. Ma 
siccome l’ ago si magnetizza egualmente posto a traver- 
so del filo congiuntivo in posizione orizzontale, come 
egli stesso ha meco osservato, è chiaro che quella spie- 
gazione non val più niente in questo caso, ove l’ ago 
sarebbe investito dalla sola corrente resinosa se posto 
sopra il filo, dalla sola vitrea se sotto. Io non trovo 
dunque la decantata chiarezza e facilità nella spiegazio- 
ne dei fenomeni. 

A pag. 509 lo stesso sig. Marchese avverte che la 
macchina ‘del museo da me minutamente descritta non 
è della miglior ‘costruzione. Ma egli è evidente che io 
ho solo voluto mostrare essere ella assai energica , seb- 
bene io sia persuaso che lo diverrebbe di piùper i per- 
fezionamenti introdotti dal Volta e da ‘altri; perfeziona- 
menti che non mi sono ignoti, come nemmeno mi è 
ignoto che possono talora trovarsi nei gabinetti di fisica 
apparati o strumenti imtaginati e costratti in onta ad 
ogni principio, e tali da far ridere i fisici che gli osser- 
vino. 
| ‘Ma ciò ché forse più d’ ogni altra cosa mi ha fatto 
torto presso il sig. Marchese è la non riuscita di due 
esperimenti da lui indicati nei suoi Pensieri. Quanto 
al primò per coi egli magnetizza un’ ago posto a traver- 
‘sé d'un filo metallico che serve a scaricare una bottiglia 
di Leida (risultamento che io con i miei stimabili col- 
laboratori ‘non’'ho potuto ottenere) adduce in appoggio 
il testimonio di. Lehot e d'altri fisici insigni, che non 


Db 
x 
Ò 


343 
nomina, piuttostochè ‘illuminarci intorno alle cagioni 
del nostro non successo . , 

Quanto poi alla seconda, per cui avea magnetizzato 
un’ ago incluso in una spirale formata sopra d’ un filo 
metallico, che comunicava con uno dei suoi estremi al 
conduttore della macchina coll’ altro al suolo, egli ha 
fatto ora conoscere le condizioni necessarie alla riuscita, 
condizioni tali che i più dei fisici ameranno meglio con- 
cedere i risultati che ripetere 1’ esperimento , la di cui 
non riuscita potrebbe sempre attribuirsi a difetto d’ al- 
cuna delle condizioni richieste. Fra queste, oltre una 
macchina d’ una singolare energia, oltre il concorso 
dell’ aria secca e del cielo sereno , è specialmente da 
considerarsi quella di stazcar più persone che si \cam- 
bino assai spesso per mantener in moto il disco per 

il tempo di ore quattro . 

Se lo zelo cognito del sig. M. Ridolfi vuol che io 
creda avere egli avuto questa singolare costanza, mi sor- 
prende per altro che egli abbia Holità farla riguardare 
come una condizione ber tivdientà ed'ovvia in espe- 
rienze di questo genere, sicchè potesse attribuirsi in al- 
tri a difetto di sapere e destrezza V averla omessa, di- 
menticandosi d’ averne fatte altre volte meco stesso € e: 

«con altri più di quaranta in un’ ora. 

In simil guisa se alcuno dopo aver detto e mostrato 
ad altri come l’ acido fluorico corrode e trafora agevol- 
mente una pietra silicea, ed il nitrico una calcarea, ag- 

| giunga che l’acqua pura e semplice corrode e trafora 
l’una e l’altra ,'un buon’ uomo , qual’ io sarei, comin- 
cerà da dubitarne, e preso quindi a tentare l’esperimen- 
to in modo assai semplice, ed applicando l’acqua poco 
diversamente da quei due acidi , non otterrà ‘effetto al- 
cuno, finchè quegli che ha in petto il segreto lo disveli 


344 
e gli dica che per ottener l’ intento convien lasciar quel- 
_le pietre esposte per anni e per secoli allo stillicidio , 
poichè solo in tal modo accade che gutta capat lapi- 
dem. 


FILOLOGIA 
Ar Cavanier Vincenzo MontI. 
- Urzano LampreDI. 7 
\ oi siete, mio pregiatissimo amico, molto simile a 


- colui, del quale ragionava il nostro treceutista Fra Gior- 
dano in una delle sue prediche ; voi siete, cioè, un graz 


parlatore, e parlate con enfasi grande. Ed a quest’ en- 


fasi appunto attribuisco non già quelle generose espres- 
sioni (con che mostrate d'aver non solamente preso in 
buona parte, ma eziandio con ischietta gratitudine accol- 
to quelle poche osservazioni da me inviate al mio dotto, 
ed'egregio amico Saverio Petroni), ma quelle altre loduti- 
ve, le quali non sono in alcun modo pr oporzionate alla 
tenuità sì del mio ingegno, come delle cose in pro delle 
lettere da me pubblicate. Voi già vi siete accorto che 
io intendo parlare di quelle lodi, che si leggono sparse 
nella vostra lettera, con la quale m' indirizzate i vostri 


due Errata corrige sopra un testo classico pubblicato 
dall’ Ab. L. Rigoli . Che tristo dono! Certamente se. io 


non vi avessi conosciuto a fondo per lo spazio d’ un lu- 
stro in Milano, dov’ ebbi campo di conversare assai fa- 


3 


a: 


È 


migliarmente con voi , avrei quasi sospettato, che l' in- 
viare a me Toscano e Fiorentino un opera sì fatta 


$ : 345 
fosse un artificiosa, e raffinata maniera ...... ma no;. 
voi avete dato all’ Italia bastanti prove che ne’ letterarii 
combattimenti siete un vero Ajace, cioè tale che assal- 
tate il nemico alla scoperta, e che quando anche il vo- 
stro Nume Apollo spargesse delle tenebre intorno a voi, 
voi ve la prendereste forte con lui, e sclamereste alla 
guisa di quel greco capitano: 

Girve padre, deh togli a questo bujo 

I figli degli Achei, spandi il sereno, 

Rendi agli occhi il vedere, e poichè spenti 

Ne vuoi, ci spegni nella luce almeno. 

Abbiti (voi concludete la vostra lettera) abbiti 19 
PERSONA TUTTA MIA Zi due errata corrige sopra detti ec. 
E in qual altra persona mai poteva io avermeli? chi 
non vi ravvisa subito al caldo dell’ espressioni, alla vee- 
menza de’ tratti , alla varietà degl’ ingegnosi concetti , 
all’ acerbità delle rampogne ? Queste risguardano il Sal- 
viati, il Lampana antico traduttore dell’ epistole Ovi- 
diane, gli Accademici della Crusca morti, e vivi, e fi- 
nalmente l’ Ab. Rigoli editore di quel Testo. Vediamo 
primamente se qualche cosa può dirsi in pro di tutti 


questi vitu perati (1). 


(1) Io prenderò seguentemente ad esaminare le magnifiche 
cose che si leggono nel a dello scorso settembre nel gior- 
nale Arcadico per rispetto all’ opera vostra, e confido che sa- 
rete contento ad un equo riducimento di quelle smodatissime 
| Jattanze di vittoria alla loro vera misura; ma qui parlando io 
di vituperati non posso nè deggio rimanermi dal sorridere , e 
sorriderete per avventura voi, stesso a quelle parole, che il vo- 
| stro libro non solo è dei più dotti, e pieni di vera filosofia che 
abbia l’italiana letteratura (alla qual sentenza io volentieri mi 
soscrivo); md che in fatto di controversia è anche il più GEN- 
TILMENTE scrITTO. To non saprei certo indovinare quale sia ‘il 
senso, che quell’ egregio compilatore dà a quelle parole genzi/- 


ARE Movembre 23 


346 

Voi, dopo aver fatto un bell’ elogio di que’dotti che 
richiamano alla vita le morte carte, soggiungete : « Nè 
tra queste alcuno vorrà che non sia da tenersi in pregio 
anche il presente volgarizzamento. Perciocchè, fatta 
separazione degli arcaismi e degl’ idiotismi, de’ quali è 
abbondantissimo (e conviene considerarli come frutti 
propri di quell’età, nella quale il più degli scrittori 
non unguem ponere curat, non barbam ....et balnea 
vitat), nel resto è da confessarsi che PIANO 0 soAVE È IL 
PROCEDERE DELLÀ SINTASSI, SINCERA LA PROPRIETA DELLE 
PAROLE, NATURALE LA LORO COMMETTITURA, QUALCHE VOL- 
TÀ SCELTA LA FRASE, e generalmente parlando, FELICE 
LA CONDIZIONE DELLO STILE,,. {l Salviati poi dello stesso 
volgarizzamento così semplicemente dice. « Le Pistole 
d’Ovidio crediamo che dal latino fossero volgarizzate, e 
anche MOLTO MEGLIO CHE NON COSTUMAVANOIN QUELL'ETÀ”. 
Sono di ANTICA, E PURA FAVELLA, EFFICACISSIMA E DI GRAN 
vivezza». Ora se alcuno confronta questi due elogi, quale 
comparirà il più magnifico? certamente il vostro : perchè 
se fossero d° egual valore il Salviati avrebbe il vantaggio 
d'aver detto l’istesso con troppo meno parole. Voi dite 


mente scritto; perchè voi stesso alla fac. 250 credete d’ essere 
in obbligo di fare una conversione delle due Errata corrige re- 
torica a chi sorgesse 4 biasimarvi dell’ aver voi usato parole 
di troppo spregio e disdegno contro il volgarizzatore non meno 
che contro il suo grande panegirista; e alla fac. 252 dite chia- 
ramente che come in letteratura voi non sapete demenza che 
ugzuagli quella di viluperare gli scrittori, che l’ universo pub- 
blico onora della sua stima; così credete viltà il parlar GFN- 
TILEZZA ai superbi loro vituperatori, tra' quali ec. Certo nes- 
suno vi taccerà di questa viltà, e quindi la proposizione arca- 
dica generalmente enunziata che il vostro libro è dei più gen- 


tilmente scritti ha bisogno di qualche restrizione, o almeno di 
spiegazione. 


347 
sincera la proprietà delle parole del volgarizzamento, 
e il Salviati dice essere esso d’ antica e pura favella, 
ed aggiunge esser questa favella e//icacissima e di gran 
vivezza, appunto per la sua sincerità e aienriaià. sle 
quali doti voi stesso riconoscete. In somma il Salviati 
non loda se non il materiale del volgarizzamento, cioè 
la favelta; e voi lodate la' sintassi, le commettiture, le 
frasi, e per fino la condizione dello stile. E come mai 
dunque ha potuto cadervi nell’ animo di fabbricare su 
questo fondamento una nova invettiva contro lui stesso, 
e contro l’ accademia, e rammentare la troppo ormai 
rammentata persecuzione contro il gran Torquato, la 
quale non fu se non l’ opera di pochi passionati, puniti 
abbastanza dal disprezzo de’ più saggi loro colleghi e con- 
temporanei, ed espiata da’ successori / È mancato forse 
‘chi si levasse contro la vostra Proposta? Eppure ella 
vien accolta con piacere , ed onorata’ da’ più , e vivrà, 
cred’ io, nella nostra letteratura come un monumento, 

iù del bronzo durevole, del vostro amore verso le buo- 
ne lettere, del vostro spirito, e del vostro temperamento. 
Ma dopo un sì pomposo elogio voi soggiungete 
con la vostra solita vivezza: « Fatta ragione a tutte le 
sue lodevoli qualità (della traduzione del Lampana ) 
rimane a vedere se l'oro, che in codesta miniera potreb- 
besi razzolare , valga l’ affanno di purificarlo del molto 
loto in che si ravvolge. i più se quest’ oro sia suffli- 
ciente a pagar la nausea, e l'indignazione degl’ infiniti 
grossolani spropositi del sileinigaiora nell’ interpetra- 
zione del testo latino, e scusare l'’ abito vile in che di 
continuo ei traveste i più nobili sentimenti, così vile, 
così plebeo, che quella lode superlativa del Salviati si 
trova ad ogni voltar di foglio bugiarda » . 
Dal confronto già fatto della vostra lode con quella 


940 
del Salviati risulta chiaramente , che l’ aggiunto di sw- 
perlativa conviene alla vostra benissimo, e non alla lo- 
de del Salviati, la quale è una piccolissima parte della 
vostra , e perciò quanto maggiore fosse la quantità del 
loto, tanto più esagerato comparirebbe il vostro elogio; 
ma non vi mettete in pena per questo. Il loto che ave- 
te raccolto , e che potreste ancor raccogliere non è poi 
tanto, che dopo il giudizio del Salviati, e molto più do- 
po il vostro non si possano trovare dugento cinquanta 
granellini d’ oro (che tante, e non più sono le voci che 
voi dite essere state allegate dagli Accademici della 
Crusca di questo volgarizzamento ) ed anche trecento, 
e cinquecento , e mille, e millanta . E di queste sore 
era bramoso il razzolatore , il Salviati , e l' accademia 
della Crusca; mentre se il primo avesse dovuto star- 
sene al vostro giudizio avrebbe potuto razzolarvi esem- 
pli del piano e soave procedere della sintassi, di 
naturale commettitura delle parole, e d° una felice 
condizione di stile . Io vi protesto solennemente , mio 
caro , e rispettabile amico , che molto piacevole mi è 
stata , e nelle presenti angustie dell’ animo mio mi è 
la lettura dei vostri»due Errata corrige: ma quando 
io m’ incontrava a leggere quelle vostre bellissime 
terzine nelle quali traducete alcuni distici d’ Ovi- 
dio ; oh! diceva fra me stesso : oh se questo vivacissi- 
mo sessagenario Poeta , che quale stella dell’ Italico 
Cielo più sembra brillare , quanto più s’ accosta al tra- 
monto , se in cambio di battere l’aria e le nuvole, 
battendo il Rigoli e il Lampana, si fosse occupato nella 
traduzione dell’ Epistole Ovidiane , quanto avrebbe più 
meritato dalla patria letteratura! ! Ne vo dicendo que- 
sto perchè io giudichi che le vostre osservazioni criti- 
che non siano giuste , utili , e dilettevoli, ma perchè 


349 
non le giudico opportune. Infatti senza voler presup- 
porre che un qualche segreto e poco generoso motivo 
siaci stato che vi abbia spinto a si fatti lavori , vi dirò 
francamente , che voi li fate mosso da falsa credenza . 
Ed a sì fattamente giudicare mi muovono queste vo- 
stre parole : » Prima adunque di raccomandarlo ( il 
volgarizzamento del Lampana ) AI BRAMOSI DEL BELLO 
SCRIVERE sia permesso d’ esaminarlo ,, a pag.230. E al- 
trove pag. 253. soggiungete : « che se il Messere, 
o taluno de’ suoi divoti dirà , che anche gli spropositi 
possono essere ornati di bella lingua , e farsi utili a chi 
° vi studia; rispondere mo, di nuovo che L’ ANDARE A 
SCUOLA DI BFLLA ELOQUENZA sotto la disciplina di Mae- 
stri a lunghi orecchi non può essere proponimento che 
d’uomini accostantisi alla natura del precettore; di- 
remo, che l abbassar la ragione a pescARE in così 
fatte pozzanghere , l’ eloquenza torna lo stesso che l’af- 
fannarsi a mortificare l'ingegno, e a tarpargli le ali ». 
E più sotto pag. 254: « Ma qual diletto , qual utile , 
qual severità di discorso, QUALI SPIRITI D' ELOQUENZA 
si possono sperare in libri, che in lingua tutta lorda 
d’idiotismi ci presentano d’ ogni parte errori sì nau- 
seanti e mostruosi ? » 

Voi dunque credete ‘che si conservino, si com- 
mendino, e si leggano queste antiche, e se volete, 
rancide scritture , perchè servano di norma al bello 
scrivere, e di bella eloquenza: anzi da esse se ne distil- 
lino gli spiriti i più sottili , 0 squisiti? No certamente, 
e voi stesso dovete convenirne. Non si tengono già na- 
scosti , e non si condannano all’oblivione od alle fiam- 
me le antiche tavole dipinte de’ bassi tempi della Gre- 
cia , e quelle di Guido da Siena fino a Giotto e più ol- 
ire ancora, ma sì mettono in bella mostra nelle pri- 


350 
vate, e pubbliche Gallerie, perchè gli amatori vi os- 
servino gli umili principii, e i lenti progressi dell’arte; 
e si propongono ai giovani non per modelli di bel di- 
pingere , 0 perchè ne traggano delle copie ad abituare 
la mano e l’immaginazione al bello di quest'arte mede- 
sima , ma perchè scorgano i difetti che debbono evi- 


tare, e quante difficoltà si sono dovute superare per 


passare dal quadro di Guido, e d’ altro di quel torno, 
alla trasfigurazione del divino Urbinate.. Anzi cotali 
scritture sono molto più proficue all’ arte dello scri- 
vere per l’ amatore della lingua , che le antiche tavole 
per l’amatore della pittura: perocchè nelle prime si 
trova quella, che voi stesso ammirate ancora nel da voi 
anatematizzato Bocca di Lampana, sincera proprietà 
di vocaboli, sceltezza di frasi, e di modi, ed altre 
belle cose. Ma voi sclamate con l’ usata enfasi vostra : 
» cotali scritture sono piene di nauseanti spropositi , e 

d’ errori mostruosi dei Menanti ec. onde il consumare 
il tempo nello svolgerle è lo stesso che studiarsi di 
passare dalla classe de’ ragionanti a quella de’ bru- 
ti, e voltolarsi, come i porci nel brago». Io non dirò 
che ancor voi scrivendo i due errata vi siete voltolato 
nelbrago del ZLampana; ma che avete abbrancato questo 
bragoa piene mani, e con veementissimo slancio gettato 
in faccia al Rigoli e agli Accademici ora residenti , che 
hanno munito il volgarizzamento del suggello della 
loro approvazione. Ma gli Accademici se ‘la ridono, 
perchè sanno benissimo in generale l’ esistenza di 
questo brago in tutti i codici, e quando ci s’incontra- 
no lo saltano a piè pari, contenti di raccoglierne , co- 
me Virgilio dal brago d’ Ennio, alcuni granellini 
d’oro cioè nupi vocaboli e modi; molti de’ quali tro- 


vansi spesse fiate nella miniera strettamente uniti col 


È I LT a 


Big: 


un 


20 3 351 
piombo , o con altre inferiori sostanze ; ma queste o si 
lasciano sepolte, o se si producono alla luce, non si 
mettono in corso perchè servano agli usi della società 
degli uomini, ma si collocano in bell’ ordine ne° musei 
per curiosità ed anche per istruzione degli amatori . 
Or che direste d’ uno che visitando un di questi musei 
di mineralogia si sdegnasse in veder l’ oro e l’ argento 
mescolato con altre sostanze , e gettasse que’ catolli in 
faccia del mineralogo raccoglitore di essi ? 

Per questa , e per altre considerazioni ch’ io trala- 
scio ; il buon Ab. kigoli dovrebbe rispondervi, esser 
lui uno di questi raccoglitori di miniere letterarie , e 
che ordinando uno scafale del musèo , cioè, pubblicando 
la traduzione del Lampana si è regolato presso a poco co- 
me la maggior parte de’ precedenti editori di testi di 
lingua, e com'e’ si regolano presentemente. E di fatto vi 
‘ sarà per avventura caduto sotto gli occhi la prima edizio- 
ne d’un pezzo di storia di G. Cavalessd: intitolata ,, della 
Carcere dell’ ingiusto Esilio, e del trionfal ritorno di 
Cosimo Padre della Patria ,, pubblicata non ha molto 
da un erudito Fiorentino, posseditore del MS., dal quale 
è stato tratto; ed avrete osservato che lo stile della nar» 
razione è si piano ; semplice , e non privo di quella na- 
turale eleganza ; che tanto piace ne’ nostri trecentisti , 
ma vi sarete a un’ora incontrato in alcuni luoghi dove 
la sintassi è alquanto oscura , in altri ivintelligibile af- 
fatto ; ed oltre a ciò in voci alterate da metatesi, da 
cangiamenti di vocali, 0 di consonanti ec. E per re- 

è carne un esempio de’ più palpabili alla faccia 4 leggesi 
», E diceva ( Cosimo P. P. ); che la parte si deve met- 
»» tere a non calere per lo consravamento del tutto , e 
» per questo dava .l’ esempio del braccio sinistro, che 
» per difender la testa mette se a non calere contro : 


352 

»» tagli delle mortali spade, e questo fa per lo conserva- 
,; MENTO del tutto : così adunque Cosimo si metteva a: 
,», non calere per utile e conservamenTO del comune ,; 
Pertanto potete voi mai credere , che l’ editore di que- 
sta narrativa non abbia scorto che quel brutto mostro 
consravamento era uno sbaglio del copiatore , o d’ al- 
tri, specialmente a causa delle seguenti ripetizioni 
della stessa voce nel medesimo senso ? Eppure lo ha 
religiosamente consravato , come ha conservato esemz- 
pro , sinestro e altrove , prebe , laulde , grolia, esem- 
bramento in cambio d’assembramento e cento altri 
gioielli di questa fatta; perchè appunto sì egli, come 
quasi tutti i letterati Toscani di vecchia data, portano 
tant’ oltre il rispetto ela venerazione verso i vecchi ma- 
noscritti , che rei cred erebbonsi di lesa Crusca , se il 
diritto si arrogassero di correggere sì fatte sconciature , 
nate dall’ ignora nza de’ tempi, e de’ copisti. Che se 
quella storia del Cavalcanti fosse stata pubblicata da 
un letterato più critico , e meno scrupoloso , o vogliam 
dire fisicoso, ella è certamente suscettiva di molte emen- 


dazioni e correzioni sì nelle voci, come nella sintassi , ‘ 


e con queste la lettura ne riuscirebbe sempre dilette- 
vole e interessa ntissima. Sarebbe ormai tempo che 
questi signori cambiassero stile, e che l’edizioni degli 
antichissimi codici si facessero con un poco più di cri- 
tica e di buon senso, ma rispetto agli Accademici, 0 
letterati di vecchia data, come ho già detto, gli è un 
‘vero predicare a’ porri (dò). E presupposto ancora che 


(b) PS. Quando dico Accademici e letterati di vecchia 
data non intendo a significare alcuni che vivono tuttavia in 
onorata vecchiezza , e piena di vero merito letterario, qual’è 
fra' primi l’ egregio sig. Ab. L. Fiacchi, e con simili pregi fra’se- 


: 
i 


353 


si volesse. aver. riguardo alla loro opinione , cioè , che 
quelle alterazioni, e storpiamenti di voci, e quelle 
oscurità di sensi non si debbono toglier di mezzo , ac- 
ciocchè non perdasi la traccia del progressivo perfezio- 
namento della lingua ne” primisecoli,pure in tale ipotesi 
ancora non ca forse più sano consiglio mettere il 
testo in miglior forma, emendando. le voci, e raddi- 
rizzando i sensi ( sempre però con la debita discrezio- 
ne ) e mettendo le voci straziate, e isensi talvolta inin- 
telligibili, spesso oscuri al piè della pagina ? E pare di 
fatto che molte almeno di queste correzioni sieno state 
fatte del vostro illustre genero Conte Perticari in quéi 
pezzi d’antiche scritture non toscane, ch’ei riporta 
nel quarto volume della vostra Proposta, e che perciò 
compariscano in abito migliore ad avvalorare le sue 
conclusioni, delie quali non è questo nè il luogo nè il 
tempo di parlare . 

La malignità, ed anche la bizzarria della ceca sorte 
avendomi ultimamente costretto a partir di Napoli, ed a 
ripatriare in Firenze , qui mi è capitata nelle mani una 
risposterella in difesa dell'Ab. Rigoli, nella quale si ad- 
duce a un dipresso in sua discolpa la stessa ragione da 
me qui sopra riportata. ,, Il Bottari ( dice l’ Apologista, 
ed io mi prendo la libertà di cambiare la sintassi del 
periodo perchè difettosa ) (c) nella pubblicazione delle 


eondi lAb. Michele Colombo ec. ec. ma certi Filologi che stanno 
servilmente attaccati alle antiche massime, e nella pubbtica- 
zione degli antichi Testi mostrano più zelo, e passione, che 
gusto CE avvedutezza . 

(c) Nell’allegata risposta si legge così . Il Bottari nella pubbli- 
cazione delle lettere di Fra Guittone non imaginò di darle per 
modello di bene scrivere , nè tanti altri che pubblicarono an- 


| tiche scritture; ma ebbero in mira di fare ec ec. 


354 

jettere di F. Guittone, e tanti altri che pubblicarono 
antiche scritture, non immaginarono di darle per mo- 
dello di bene scrivere ( e per modello di dere scrivere 
qui deve intendersi ciò che voi chiamate Scuola di 
bella eloquenza ) ma ebbero in mira di far la storia 
della lingua , della trascuraggine de copiatori, di schia- 
rire le voci che un dì furono in uso , le storpiature ed 
altro ec. ec. ,, Veramente il fare la storia della tra- 
scuraggine de’ copiatori non è fare una storia molto 
utile e interessante , e le storpiature si chiariscono to- 
gliendole'di mezzo ; ma gli è sempre vero , e voi con- 
verrete che una gizzdiziosa edizione de’ testi di lingua, 
e delle antichissime scritture è il vero materiale della 
storia d’ una lingua utilissima alla nazionale lettera- 
tura, e che perciò non disconviene che queste vecchie 
carte ( ben nette, e ripulite , e quindi non più, come 
voi dite, insensate ) si riporgano divotamante sull’al- 
tarè dell’ Accademia della Crusca; mentre nel me- 
desimo tempo si svolgeranno dagli Accademici i subli- 
mi dialoghi di quel sommo intelletto del Tasso, e le. 
altre sue nobilissime prose vestite con tipografica ma- 
gnificenza dal Prof. Rosini di Pisa : e quivi essi attin- 
geranno i modi, e gli spiriti più squisiti della bella 
eloquenza , che invano cercherebbero ( e non hanno 
mai cercato ) nelle pozzanghere di quel Lampano scia- 
gurato (Prop. Vol.15/P.L°fac: 25! )il quale ad al- 
tro non servirà che a mostrare donde si siano cavati 
dugentocinquanta vocaboli allegati nel Vocabolario . 

Se mai vi fosse capitata , 0 vi capitasse nelle mani 
quella risposterella in difesa dell’ Ab. Rigoli non la 
credete, come non la credo pure io, dettata da lui stesso. 
Perocchè tal’ egli è di fatto quale voi lo descrivete, cioè 
per chiarezza di dottrina , e per santità di costumi, e 


| 355 
per altri bei titoli venerando . Tali pertanto essendo 
le sue qualità intellettuali e morali, queste non gli a- 
vrebbero fatto asserire di aver seguito le tracce del be- 
nemerito Mons. Bottari, che ha illustrato con utilissimi 
lavori e con buona critica il Decamerone, e moltò me- 
no si accordano col desiderio di darvi una comparsa 
criminale perchè quando comparve la vostra Proposta, 
non sapevate che le Pistole erano già pubblicate; nè 
si accordano coll’ augurio d’ ur altro codice di critica 
che vi bruci le spalle, nè col confondere i sacrifici 
che voi dite d’ aver fatto su/l’èra dell'amicizia co’ be- 
nefici di cui parla Seneca nel suo trattato ; nè final- 
mente con quel suo scandalezzarsi d’ un certo vostro 
sonoro Per Dio, la quale esclamazione certamente si 
trova ancora nel Petrarca, nel Tasso, nell’Ariosto ec. ec. 
ma com’ ei vi dice, ron si trova nella morale, nè in 
S. Agostino. Sembra che l Apologista ‘non abbia sa- 
puto , o non abbia voluto distinguere |’ esclamazione , 
o interiezione classica dalla formola d’ asserzione o di 
giuramento usata da’ Mercatini sì di Firenze che di 
Milano . Insomma io sostengo che quella risposterella 
non sia del deco, Ab. Rigoli, ma d’un cotale che por- 
rebbe offendere, e che non sa come difendersi con di- 
gnità . | 
E il fin qui disputato sia in pro del Salviati mor- 
to, cotanto da voi vituperato , e del Rigoli vivo da voi 
punzecchiato non leggermente . Il primo vi parrà per 
avventura , sagace e leale qual siete , ( almeno in que- 
| sto caso particolare ) meglio difeso che il secondo, ma 
io non ho nè lo scudo d’ Atlante, nè la lancia d’ Astol- 
fo, nè altre armi fatate dai prestigi di calda e lussureg- 
giante eloquenza , con le quali voi tenete il campo; onde 
in questione di tal genere 


356 
. Sia per mia gloria assai 
Il pria dir che contro te pugnai. 

Ma che potrò io dire in pro degli Accademici mor- 
ti, e de’ viventi della Crusca ? Rispetto a’ primi voi 
avrete senza dubbio lette e ponderate le cause addotte 
da Rosso Martini circa 80 anni fa, degli abbagli , e im- 
perfezioni delle tre precedenti edizioni del Vocabolario 
dopo la quarta ed ultima fatta dall'Accademia nel 1739 
e quanto a questa egli ancor dice,, In progresso di tempo » 
» renduti ( gli Accademici ) più accorti dalla esperien- 
»» za, e convinti della necessità’ che vi era di esami- 
») nare più accuratamente ed a parte a parte l’ Opera 
», tutta per correggere i difetti che di mano in mano 
33 Vi sì scoprivano, con diligenze più intense e laborio- 
,; Se supplirono, PER QUANTO POSSIBIL FU, alle passate 
», mancanze. Ma perciocchè il torchio incalzava , non 
33 vi fu tempo di considerar tutto minutamente, fade 
»» non piccola messe di emendazioni , nel primo tomo 
»> Specialmente resta per avventura riserbata alla quin- 
,» ta edizione ,,. Voi pertanto vi siete presentato a’ let- 
terati d’Italia carico di questa messe, e avete bociato 
con quanta lena ayete ne’ polmoni ( e certo non ne a- 
vete poca ) contro 1 morti Accademici che, come qui 
sopra abbiamo veduto ne conoscevano bene l’ esisten- 
za ; e contro i viventi, sì perchè ron sì ardiscono an- 
cora ( sono parole dello stesso Russo Martini nel' di- 
scorso soprallegato ) a por mano, a criticare e con- 
dannare le fatiche de’ loro maggiori , ma le produ- 
cono alla luce delle stampe con tutte le loro scorrezio- 
ni, errori, e male interpretazioni, come ha fatto il 
Rigoli; sì perchè in opera di tanta lena e pericolo 
( qual’ è quella della riforma del Vocabolario ) in opera 
che domanda il concorso di tant’ ingegni, e di tanti 


# 


357 
ecchi non è da lodarsi il rifiuto dell’ amichevole con- 
federazione , a cui l’ Istituto Italiano sotto alti auspi- 
ci invitava i reverendi custodi della favella ( Prop. 
vol. 3. p. 1. fac. 299. ). Quanto alla prima causa delle 
vostre amene rampogne , voi vedete da ciò che di so- 
pra ho discorso , che siamo perfettamente d’ accordo . 
Egli è tempo oramai ; che una critica più fina ed av- 
veduta , che una diligenza più scrupolosa persuada gli 
edierni Accademici, che un lavoro fatto da uomini L 
comechè valentissimi, ha bisogno di correzione e di 
severissimo esame, sì nella pubblicazione de’ loro testi 
di lingua , come nella scelta , nell’ aumentazione , nel- 
le definizioni ec. ec. de’ vocaboli che debbono entrare 
nel tesoro della lingua . Quanto poi alla seconda causa, 
il trattarla pare a prima vista periculosae plenum opus 
aleae,per dirla con le parole d’Orazio, conciosiacosachè i 
fondamenti, o veri principii d’un tal rifiuto non debbano 
per avventura cercarsi in riguardi e convenienze sola- 
mente letterarie . Ciò non ostante in un altra mia let- 
tera mi propongo di communicare con voi ; e col pub- 
blico il mio avviso sopra il rifiuto, del quale vi dolete, 
all'invito che voi chiamate ossequioso , liberale , sin- 
cero e fratellevole dell’Istituto Italiano.Intanto, ripren- 
dendo la consueta forma del Dialogo,aggiungerò a questa 
mia lettera certe osservazioni,per altro di poco momento, 
che ho fatte alle correzioni ed aggiunte da voi proposte 
nella prima parte dal terzo volume. E dico di poco 
momento, perchè io, e tutti coloro che non sono mossi 
da studio di parte nè da bassa invidia, debbono confes: 
sare che di mano in mano che andate progredendo nel 
vostro cammino non solo non allenate, ma con passo 
più misurato e sicuro rimovete gli sterpi e le spine, 
che impedirebbero ogni altro, e il volterebbero a ri- 
tornare . 


:358 


RAGGUAGLE 
SCIENTIFICI LETTERARII E BIBLIOGRAFICI. 


Atlante medico-pratico e nosologico distribuito in tavole sinot- 
tiche del Dottore di Medicina Vito Merletta, e pubbli- 
cato in Palermo dalla tipografia reale di Guerra nell’ anno 
1819. Vol. uno in fol. 


Prima di occuparmi del medesimo, mi sia permesso di presen- 
tare alcune considerazioni intorno ai quadri nosologici in generale . 

I. Sieno cauti i Giovani ad adottarli senza previo maturo 
esame, ed a dare soverchio peso alla loro utilità ; essa è limi- 
tata, poichè chi conosce la scienza non ha bisogno di essi: chi 
non la conosce, ivi non l’apprende: di fatto è noto, che abilis- 
sini Nosologi sono stati sovente molto imbarazzati al letto de- 
gl Infermi in qual genere o specie della loro classazione collo- 
care una data malattia . II. In simili quadri la natura si trova 
coartata quasi che , mi si condoni |’ espressione , nel letto di 
Procuste , poiche gli scrittori di Nosologie , costretti dai limiti 
che si sono imposti, qualche volta considerano l’ indole ed i ca- 
ratteri delle malattie più come conviene alle sistematiche loro 
idee, che come realmente si osservano in pratica: di fatto è ov- 
vio il trovare un dato male collocato da un Nosologo in un ge- 
nere, e da un altro in un genere molto diverso. III. Simili Clas- 
sazioni, talora per un soverchio laconismo nell’ esposizione dei 
sintomi, talora perchè non si è proceduto con sufficiente ma- 
turità e rigore nella distinzione dei morbi , in vece di rendere più 
esatte e chiare le idee degli Allievi le rendono più confuse, e 
qualche volta erronee. IV. Ci sembrano utili questi quadri no- 
sologici, se sieno ben fatti, principalmente per gli autori di es- 
si, giacchè per comporli hanno dovuto lungamente riflettervi , e 
con precisione coordinare le loro idee: onde possono sempre ser- 
vire di esempio a chi ama, nella scienza che professa , di ben 
classare le proprie idee. V. Riescono pure utili agli Scolari, 
che sieno prossimi a prendere gli esami, giacchè raccoglie loro 
in più stretti limiti le cognizioni che già hanno acquistate, le rav- 
viva alla loro memoria, e facilita ad essi il ritenervele. Premesse 
queste poche riflessioni sui quadri nosologici in generale , -ve- 
niamo adesso a considerare più particolarmente quelli del Sig. 


359 


Dottore Merletta, a noi sì tardi pervenuti per causa dello stato 
deplorabile, in cui si è trovata la Sicilia dopo la loro pubblica- 
zione . 

Nella sua classazione delle malattie egli ha seguito le trac- 
ce di uno dei medici più filosofi della Francia, o per meglio di- 
re dei nostri tempi, del celebre Pinel. Nell’ introduzione enco- 
mia l’ utilità delle tavole sinottiche , appoggiandola principal- 
mente al riflesso, ch’ esse, presentano al giovane Medico una 
.guida per condursi nell’ intricato laberinto dei mali . 

Segue l'indice delle malattie contenute nel suo Atlante, e 
quindi l'esposizione dei quadri nosologici : essi sono contenuti 
in 12 tavole. 


La 1. comprendela Classe I. Febbri Ordine I° Febbri 
dette 
primitive. 
2. comprende la Classe II. Filemmasie Ord. I-° Flemmasie 
cutanee 
continua Det. Det. Det. Det. 
più Det. Det. Ord. .II.° Flemmasie 
del tessuto 
muscolare , 
fibroso, e 
sinoviale. 
Ord. III. Flemmasie 
delle mem- 
brane sierose. 
i. ‘comiinua Det. Det. Ord. FV.° Flemmasie 
delle mem- 
brane. mu- 
cose. 
continua | Det Det. Det. Det. 
più Det. Det. Ord. V.° Flemmasie 
del tessuto 
cellulare 
degli orga- 
ni parenchi- 
atosi, 


(26) 


& 


360 


6. comprende la Clas. III.. Emorràgie Ord. I.* Emorragie 
7 delle mera- 
brane mu- 
cose. 
più la Clas. IV. Idropisie Ord. I. Idropisie 
del sistema 
i linfatico . 
7. comprendela Clas. V. Nevrosi Ord. I. Nevrosi 
dell’ udito. 
Ord. II. Nevrosi 
delle fun- 
zioni cere- 
% brali. 
Ord. IMI. Nevrosi 
y della vista 
8. continua Det. Det. Ord. IV. Nevrosi 
i cerebrali , 
ed aliena- 
zioni men- 
tali. 
Ord. V.  Nevrosi 
della voce. 
g. continua Det. Det. Ord. VI. Nevrosi 
della loco- 
mozione . 
Ord. VII. Nevrosi 
Ord. VIII. Nevrosi 
della circo- 
lazione . 
10. eontinua Det. Det. Ord. ‘IX. Nevrosi 
delle fun- 
zioni nutri. 
tive . 
Ord. X. Nevrosi dei 
genitali - 
dell’ uomo 
e. della 
donna. 


, 361 
vs comprende la Clas. VI. Lesioni 
Ù organiche Ord. I. Lesioni or- 


ganiche 
generali . 
12. continua Det. Det. Det. Det. 
più Det. Det. Ord. II. Lesioni or- 
i ganiche 


particolari. 


Avrei gradito di aggiungere copia di uno dei quadri noso- 
logici, ma non me lo permettono i limiti imposti ad un giornale; 
DIS P È Ss 
onde indicherò soltanto i titoli iniziali delle varie colonne nelle 
quali sono divisi i suddetti quadri . 
‘In principio di ogni tavola 


Classe Ordine 
Quindi 
Specie — Nomi delle malattie — Predisposizioni e cause 
eccasionali. — Invasione — Sintomi — Durata — Varietà — 


Fine — Complicazioni — Prognostico — Cura interna — Cura 


esterna — Autopsia cadaverica —. i 

Non possono mai bastantemente lodarsi l ingegno, l’ ordine , 
e la chiarezza d’ idee dell’ egregio-e benemerito Autore dell’ 4- 
tlante medico-pratico nosologico , lavoro che eminentemente si 
distingue fra molti altri consimili . / 


Fr. T. 


Osservazioni sulle riviste scientifiche e letterarie che si pubbli 


cano .in Inghilterra . 
\ Estratto dalla Rivista enciclopedica Francese. 


\ 
\ 


Siamo fortunatamente in un secolo, in cui tuttociò che può 
dirigere i passi dello spirito umano, e favorire i progressi delta 
cultura sociale vien ricercato avidamente dai popoli culti. Sic- 
come i giornali scientifici filosofici e letterarj son particolar- 
mente destinati a dare una direzione più sicura, un’ impulso 
più rapido ai lavori utili in ogni genere, è necessario d’ esami 
nare se le principali opere periodiche, le quali si propongono 
questo nobile scopo, vi adempiono religiosamente ; e se mostran- 
do all'Europa instruita le ricerche letterarie delle contrade, on- 
d’è composta, le apprezzano tutte come si conviene. Bisogna 

T. IV. Novembre ‘e 24 


362 pg 
premettere che tutte le riviste contengono quasi, in ogni nune- 
ro articoli interessanti. Gli uomini, che son curiosi di conosce- 
re i progressi del sapere umano nelle diverse parti della terra 
non saprebbero leggerle con soverchia attenzione. Fra quelle 
che si pubblicano nell’ Inghilterra la rivista di Edimburgo, la 
rivista trimestrale ( quarterly review ) la rivista Britannica, e 
la gazzetta letteraria tengono i primi posti (2). Lo scopo natu- 
rale di quest’ opere periodiche è l’ esame critico dei libri più 
interessanti che si pubblicano tra i popoli culti, e che meritano 
di richiamare l’attenzione o per il soggetto che trattano, 0 per 
le vedute che presentano, o perchè svelano errori non per an- 
co notati, o verità tuttora nascoste dall’ ignoranza o dai pre- 
giudizj . L'incarico di far. questo esame è spesso affidato nel- 
l'Inghilterra ad uomini di talenti sì segnalati, e d’erudizione sì 
profonda , che l’ analisi di libri anche meno pregevoli diviene 
fra le lor mani una dissertazione giudiziosa ed istruttiva . 

Pure noi temiamo che i Francesi, i quali vogliono leggere 
le riviste Inglesi, in conseguenza della riputazione di cui godo- 
no, restino in gran parte sorpresi, e fors'anche si sdegnino nel 
trovarvi censure esagerate e parziali sopratutto contro i libri che. 
non sono scritti in Inglese. Una falsa direzione data a ciò che 
chiamano male a proposito spirito nazionale gli rende eviden- 
temente ingiusti Questa disposizione, che degenera sovente ne- 
gl Inglesi in spirito di partito, d’ intolleranza d’ esclusione , os- 
cura il discernimento degli uomini più istruiti, e fà loro ve- 
der gli oggetti nel solo aspetto che lusinga le passioni, onde 
son dominati. Per un Inglese tutto è meglio nella sua patria 
che altrove; pare intimamente persuaso che la sua nazione sia 
superiore a tutte l’ altre non solo nel governo le leggi le isti- 
tuzioni i costumi il commercio le ricchezze , ima pur anche 
nelle scienze le lettere e l’arti- L’ amor di patria è un senti- 
mento sì nobile che si prova dispiacere, vedendo derivare da 
una sorgente sì pura pretensioni tanto ingiuste e ridicole; ma 


(a) La gazzetta letteraria non merita tutti i rimproveri che 
facciamo all' altre riviste Inglesi. Qualche volta i suoi redatto- 
ri si divertono alle spalle dei letterati Francesi; ma nelle loro 
osservazioni critiche v'è più gajetà maligna ( humour ) che bile 
( splcen ) scientifica, e amara; son garbati, benchè non siano 
francesi . 


E ie Ge 


i 


e, e 1 


rat e sl ei 
"Sia Pe 


ia RI Sa n 


365 
bisogna pur convenire che quando il sentimento malinteso del- 
l'amor patrio ci rende tanto ingiusti da non vedere ciò che vi 
è di buono tra gli stranieri, da diminuirne il merito e la glo- 
ria per far piacere ad um orgoglio puerile , e da togliere ad al- 
tri la palma per attribuirla a noi stessi, questo sentimento ces- 
sa d’ essere onorevole , e pare che debba procurarci piuttosto 
disprezzo che ammirazione . Vidi 

I lettori che accordano una stima più estesa alle dotte ri- 
viste, delle quali parliamo', sono particolarmente disgustati di 
veder tanto spesso qualche satira ingiuriosa contro i Francesi, 
e non sanno indovinare la causa di tanta ingiustizia e di tanta 
amarezza. Sarebbe forse una conseguenza di quell’antica -rivali- 
tà di forze di ricchezze di bravura di civiltà e d’ industria, che 
regna fra i due popoli? Non possiamo indurci a crederlo . Un 
sentimento di gelosia non esiste senza motivo, e gli autori de- 
gli articoli ingiuriosi , che noi prendiamo di mira, ci assicura- 
no che non trovano niente da invidiare alla Francia. Checchè 
ne sia, l’ ingiustizia dei loro giudiz} e delle loro pretensioni non 
è meno deplorabile. Non esiteremo per altro a perdonarla , pen- 
sando quale impero esercitano anche sugli uomini ragionevoli le 
piccole illusioni dell’ amor proprio, e le passioni che nascono 
dall’interesse personale; e ricusando di porre in uso le facili rap- 
presaglie , che potrebbemo adoperare verso censori più malinco- 
nici che innocenti, scuseremo volentieri la loro debolezza . 

A questo riflesso lodevole e veramente liberale si deve at- 
tribuire il silenzio, che han creduto di dover tenere i dotti 
Francesi sui numeri 64, e 69, della rivista di Edimburgo, e sui 
numeri 45, e 49, della rivista trimestrale ; giacchè tutti han pen-' 
sato , come noi , che la nostra patria ha altri compensi che quel- 
lo di rispondere colle censure alle censure dei suoi vicini . Vi ri- 
sponde gloriosamente, per quanto pare, quando procura al mon- 
do dotti e letterati, i quali accrescono ogni giorno la riputazio- 
ne non dubbia dei nostri padri. 

Noi torniamo dunque francamente a far l’elogio delle rivi- 
ste Inglesi , e le raccomandiamo senza temere che qualcuno ci 
accusi di mancare di spirito nazionale , perchè le troviamo di 
grande interesse , e sarebbe dispiacevole che le ingiustizie, delle 
quali le rimproveriamo, c’ impedissero di valutarne i pregi . 

Siamo persuasi che i nostri lettori, e gli autori i quali fos- 
sero irritati da questi traviamenti dei nostri vicini non cerche= 

24° 


364 

ranno di farne caso. Il silenzio è più degno del carattere france- 
se; giacchè per rispondere vi sarebbero unicamente due mezzi : 
1.° di rendere accusa per accusa; ma provando che gl’Inglesi non 
vagliono più di noi, proverebbemo molto male che siamo miglio- 
ri: II.° di confutarli lodando noi stessi, ma ciò sarebbe imitarli; 
e abbiamo già notato che quest’ eccesso d’ amor proprio può ren 
dere una nazione ridicola . 

Così legghiamo pure i buoni scrittori inglesi, studiamone le 
savie istituzioni, lodiamone altamente le qualità pregevoli ; profit» 
tiamo dei lumi che ci offrono, facciamo plauso ai lor progressi 
nell’ arti, all’ impegno che mostrano onde migliorare lo sta- 
to sociale, al desiderio che hanno d’ introdurre la cultura tra 
i popoli barbari. Sarà anche questa una vendetta, ma niuno se 
ne troverà offeso , 


Ti: 


Lettera scritta dal sig. A. Van-Beek il 18. agosto 1821. ai re- 
dattori della Biblioteca universale di Ginevra, per correg- 
gere un errore attribuito male a proposito ai fisici di Fi- 
renze ] 


Mi affretto ad informaryì , che in una serie d’ esperienze in- 
traprese per determinare tutte le circostanze nelle quali l’ acciajo 
si calamita per mezzo dell’ elettricità ordinaria, ho osservato 
realmente che gli aghi d'accinjo collocati fuori d' una spirale di 
rame, per la quale sì fa passare la scarica di una bottiglia di 
Leyda , si calamitano in senso contrario a quelli, che son collo- 
cati dentro . E l’ esperienza riesce ugualmente anche senza porre 
un ago nella catena spirale; cosicchè , per quanto pare ; |’ ago in- 
terno non ha veruna influenza sul saliti ai che fa | ago posto 
al di fuori, come lo pensano i fisiei Italiani. | 

Sebbene non abbiamo potuto peranche ottenere questo feno- 
meno per mezzo dell’ elettricità Voltaica , V identità riconosciuta 
di quest’ ultima coll’ elettricità ordinaria non lascia quasi verun 
dubbio in proposito. Per conseguenza vi prego, se non avete 
pubblicato la mia ultima nota , di toglierne tutto l’ articolo : ciò 
che i fisici Francesi ec. Se , come credo , non siete più in tempo 
sompiacetevi di far menzione in una nota della prima parte del 


iii 


ad ao 


"acne a 


Vi 


j 
i 


e 


365 


eontenuto della presente. To devo questo omaggio alla verità ed al 
merito dei dotti fisici Italiani(1). Ty Pe 


Lettera del Sig. Saulnier figlio alla seconda classe dell’ In- 
stituto (2) sul trasporto del Zodiaco del tempio di Tenti- 
ra in Francia . 


Credo di adempire a un dovere annanziandovi che il zodiaco 
circolare del tempio di Tentira è in nostre mani,.e son sicuro 
che è già arrivato a Marsilia. Permettetemi di narrarvi breve- 
mente le circostanze di questa operazione ardita, la quale puo 
forse recar sorpresa. Vi è nota la protezione che accorda Mo- 
hammed-aly vicerè d'Egitto a tutti i viaggiatori Europei, i quali 
vanno ad esplorare le antichità della Tebaide . Con questa specie 
di seduzione ei cerca di determinar gli Europei, dei quali ap- 
prezza i talenti, a stabilirsi in Egittò , in cui regna oramai felice- 
mente dopo averlo tolto al dispotismo dei mamelucchi, Istruito 
di queste disposizioni del vicerè dai miei corrispondenti, e dal- 


(1) Pubblichiamo tanto più volentieri la leale dichiarazione del sig. A. Van- 
Beek, in qnanto che avevamo inserito con dispiacere, e solo perchè volevamo 
conservarlo nella sua integrità, il rapporto trasmessoci , contro il quale abbiamo 
ricevuto una replica , oramai superflua . Ma per.rendere più completa giustizia al 
dotti fisici di Firenze , profittiamo di questa circostanza per far noti due fenome» 
mi magnetici interessanti , la scoperta dei quali è dovuta ad uno di lovo , al prof, 
Gazzeri. 1.° che il ferro è in certe circostanze un coibente, o non conduttore del- 
Ja forza magnetica; 2:° che quando si colloca un ago di bussola esattamente nel 
piano del meridiano magnetico , fissando il polo N, al 5. o reciprocamente, l’ago 
resta immobile , e non ritorna nella sua situazione naturale se non che facendo 
deviare un poco il suo asse dall’una o dell’altra parte del meridiano. Quest’ espe- 
rienza che abbiamo ripetuta con tntto il successo è un fatto suscettibile di spiega- 
‘zione in tutte le teorie . 

Nota dei redattori della biblioteca universale di Ginevra ( settembre 

1821). \ 
(2) I sig. Saulnier figlio era conosciuto per le sue utili ricerche sulle anti- 
chità Egiziane . Aveva raccolte in Egitto le più belle mummie, e varie statue di 
granito . La sua nuova conquista è anche più interessante . Non si trattava u- 
nicamente di concepire l’ idea d’ involare il zodiaco dal tempio di Tentira , ma 
di determinare inoltre i mezzi onde porla in ‘esecuzione, e vi voleva poi tutto 
il coraggio d’ un uomo intrepido per condur l’ intrapresa a buon fine . I sigg. 
Saulnier e le Lorrain hanno dunque ugual diritto alla gratitudine di chi ama 
l’ arti e le scienze , in quanto che senza soccorsi stranieri son giunti ad otte- 
mere ciò che si proponevano. i 


‘ 366 
le relazioni dei viaggiatori, mi proposi fin dall’anno-decorso di 
trarne profitto; ma pensai nel medesimo tempo di non esporini 
all’ esito incerto degli scavi. Quand’ anche vi fossi riuscito, non 
poteva ottenere altro che di accrescere il numero dei monumen- 
ti magnifici sì, ma uniformi, che ingombrano ormai tutti i musei 
dell’ Europa. Pensai che conveniva trascurar le copie , e rivol- 
gersi a qualche originale. Mi cadde in mente il planisferio scol- 
pito in rilievo sulla volta del tempio di Tentira . Mi pareva il 
monumento più curioso , che restasse in Egitto Lo avevano per 
la prima volta presentato alia attenzione pubblica i dotti della 
commissione , e dopo era stato |’ oggetto di mille discussioni 
scientifiche , le quali non sono ancora terminate . Riflettei che sa- 
rebbe utile di toglierlo ad una nazione barbara , e da un paese re- 
moto , e quasi inaccessibile, in cui era minacciato da tante cause 
di distruzione ; e che questo solo acquisto ci ricompenserebbe del 
tempo perduto da noi, mentre gl’ Inglesi si erano arricchiti di 
tante altre antichità della Tehaide . La possibilità dell’ operazione 
era per. me dimostrata nelle carte disegnate già dalla commissione 
d'Egitto. Per mia disgrazia un affare inaspettato m’impedì di 
partire , e poteva impedirmelo per lungo tempo. Confidente del 
mio progetto e testimone del dispiacere che io provava per do- 
vervi rinunziare; Lelorrain mostrò desiderio di incaricarsene . Ac- 
cettai con piacere l'offerta, sapendo ch’ ei riuniva tutte le qualità 
necessarie per riuscire nell’ intrapresa . Siccome era certo che 
non troverebbe in Egitto gl' istrumenti dei quali aveva bisogno, 
feci fare in gran fretta una quantità di seghe di diverse dimen- - 
sioni, per distaccare il planisferio dal palco, dei martinetti per 
sollevarlo, e una treggia per trasportarlo sul Nilo. L'idea di 
questa treggia di una figura ingegnosa e nuova appartiene a Le- 
lorrain ; e io riguardai il merito dell’ invenzione come un preludio 
sicuro del buon successo del suo viaggio . S’ imbarcò nei primi 
d’ottobre 1820 per Alessandria , vi giunse pochi giorai dopo, 
passò al Cairo, e si presentò al Vicerè, che lo accolse cortese- 
mente, gli accordò senza riserva la permissione di lavorare nel 
tempio di Tentira, e per un atto di cortesìa più speciale gli 
consegnò anche una lettera per suo figlio, che governa l’ alto 
Egitto. Quando giunse a Tentira la vista del tempio gli di- 
mostrò che il progetto formato a Parigi non era chimerico. Il 
zodiaco si trovava sulla volta d’ una dala nel piano superiore del 
tempio. Il tetto che cuopre il tempio era ingombro di rovine. 


mi) 


567 
d’ un villaggio che.vi costruirono probabilmente in tempi remo- 
ti i coltivatori Arabi per sottrarsi agli attacchi dei beduini, e 
dei mamelucchi . Un terrapieno di declivio assai dolce nasconde- 
va una parte della parete laterale; ed io aveva ‘pensato che il 


| planisferio si potrebbe portare abbasso appunto per mezzo di 


-quel terrapieno . E realmente tutto fu eseguito presso a’ poco 
nel modo previsto. Lelorrain fece sgombrare le rovine del vil- 
laggio, che cuoprivano il planisferio, lo tagliò, e lo portò fino 
a terra per il declivio del terrapieno; e gli riuscì quindi ‘ages 


, volmente di trascinarlo in treggia fino al battello , sul qua'e a- 


veva risalito il Nilo. Doveva sperare , che l’ operazione fosse 
quì terminata , e che oramai potrebbe godersi in pace del ri- 
poso che gli era necessario dopo tante pene , e tanti disagj, ai 
quali si era esposto nel mese di maggio , quando il sole era ar- 
dente. Ma un ostacolo più forte lo attendeva al suo ritorno al 
Cairo. Voi sapete quali odj violenti ha eccitati in Egitto la ri- 
cerca delle antichità fra gli Europei . Le descrizioni , che ne 
hanno date i viaggiatori son pur troppo fedeli ; e Lelorrain era 
sul punto di divenirne la vittima. Si era sparsa al Cairo la nuo- 
va del buon esito della sua operazione , prima ch’ei vi giunges- 
se; e tuîti gl'investigatori d’ antichità si erano posti in agita- 
zione. Uno di costoro, che non voglio nominare perché non a- 
mo le discussioni personali , tentò d’ involargli il premio d’ uma 
operazione , di cui non si sentiva capace. Sotto pretesto di ave- 
re ottenuta prima\di Lelorrain la permissione di fare scavi sul- 
la base del tempio di Tentira, dimandava la consegna del pla- 
misferio , il quale era stato tolto dal tetto. La pretensione era 
ingiusta; ma si doveva temer molto dal grado e dall'influenza 
personale di chi la poneva in' campo. Imaginate la situazione 
del nostro disgraziato viaggiatore, il quale si aspetta tremando 
d’ essere spogliato di ciò che ha raccolto con tante pene ! For- 
tunatamente ad onta del credito del rivale , la sua agitazione 
non durò molto . Il Vicerè , a cui fu reso conto della contro- 
versia, non esitò un momento a deciderla in favore di Lelor- 
rain ; prova luniinosa dell'equità che lo dirige nelle sue deci- 
sioni, e della benevolenza , con cui sono accolti i Francesi in 
Egitto. 

Tutti gli ostacoli eran tolti.» Lelorraîn si portò ad Alessan- 
dria , ed imburcò il zodiaco in un bastimento , che fece vela po- 
‘@hi giorni. dopo per Marsilia . Così uno dei più: pregevoli mo- 


/ 


368 
numenti dell’ antico sapere Egiziano si trova oggi in Francia. 
Non ho bisogno d’ aggiungere cl se la Francia vuol conser- 
varlo , non le sarà sicuramente tolto . Checché ne avvenga, tut- 
ti coloro che amano le arti si congratuleranno in sapere, che. 
questo monumento è stato involato alla solitudine, in cui resta- 
va da tanti secoli ignoto , e che ormai è al sicuro dalle muti- 
lazioni dei barbari. Del resto io. devo alla commissione d’ E- 
gitto la prima idea dell’ operazione , di cui vi ho reso conto , e 
e attribuisco tutto l’ onore a Lelorrain, che l’ ha eseguita con 
tanta abilità. | 
G.ReP. 


Società geografica in Parigi. 


Si è formata in Parigi una società ad oggetto d’ estendere 
l’impero della geografia . La società si propone di dare alla. luce 
per mezzo delle stampe tutte le memonie scientifiche, le quali ne 
saranno riconosciute degne , di pubblicare carie geografiche, di 
distribuir premi , e di pagare le spese dei viaggi, che saranno ne- 
cessarj per i progressi della scienza. Nella prima adunanza che eb- 
be luogo il r.ottobre , i soc} approvarono un regolamento provvi- 
sorio . Fan parte di questo pregevole instituto Barbier di Boca- 
ge , il baron di Bougainville, Bruè, i due Champollion-Figeac , 
Depping, du-Petit-Thouars, Eyriés , il baron Fourrier, Jau- 
bert , Jomard, Langlés, Lapié, Laplace , il barone Lescalier, Le- 
tronne, Malte-brun, il marchese Pastoret, Rossel ,' il vice-am- 
miraglio Sidney-Smith , Walckenaer, e molti altri dotti di prim 
ordine . Il numero degli associati cresce rapidamente , e tatti gli 
amici della scienza gareggiano in prender parte ad una intra- 
presa tanto utile. Quanto più avrebbe bisogno di un simile insti- 
tuto l’Italia, in cui la geografia è oggi una scienza quasi. dimen- 
‘ticata! 


G. R. P: 
Spedizioni Russe per il N. O. e per l'Oceanica. 


JI bastimenti Russi Blagonameronnoi e Otkritie, che erane 
partiti da Cronstadt il 15 luglio 1819. sotto il comando di Vasi- 
lieff per un viaggio di scoperte son giunti al porto Jakson ( nuo- 
va Olanda) il 1. marzo 1820; e si son diretti il 27. al Kamtciatka, 


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369 

Lo scopo di questa spedizione è di scuoprire un passaggio al N. 
dell’america per lo stretto di Behring. Qualora incontrasse ostaco- 
li invincibili alla navigazione prescritta deve inoltrarsi sui ghiacci 
quanto più potrà. A quest’ effetto ha seco una specie di bat- 
telli di ‘nuova invenzione, i quali possono far le veci di traini , 
ed esser guidati da pochi nomini. Oltre questa spedizione ma- 
rittima è partito un distaccamento per terra con ordine di av- 
vicinarsi quanto può alla costa, dello stretto di Behring . Queste 
due spedizioni che agiscono, di) concerto con quella del capitano 
Parry raccoglieranno senza. dubbio molte notizie interessanti per 
la geografia della costa settentrionale dell’ america . 

Un’ altra spedizione Russa che è partita ugualmente da Cron- 


- stadt il 15. luglio 1819. con due bastimenti sotto il comando di 


Billinghausen è incaricata di riconoscere minutamente le isole San- 
dvich, e le altre isole del grand’Oceano. Si è arrestata due vol- 


te al porto Jakson il 1. aprile e il 2, novembre 1820. 
G. R. P. 


Descrizione di alcune medaglie greche del Museo particolare 
di sua ALTEZZA REALE Movnsic. caistIANO FEDERIGO, prin- 
cipe ereditario di Danimarca ; per Domenico SESTINI . 
Firenze presso GUGLIELMO PIATTI, in 4° di 27 pag. con 
2. tavole. 1821. 

Lettere e dissertazioni numismatiche sopra alcune medaglie 
rare della collezione Ainslieana , e di altri musei , per 
DomENICO SESTINI. Tomo V. edizione seconda, accresciuta 
e corretta. Firenze 1821. presso GUGLIELMO PIATTI in 
4° di 85 pag. con due tavole . 

E' così noto a tutti gli amatori della Numismatica quanto 
sono preziose le indagini e gli scritti del celebre Sig. Sestini , 
che inutile sarebbe il dilungarsi sul merito di questi due volu- 
mi recentemente prodotti dall’ instancabile sua penna : basta 
dunque ie annunziargli al pubblico per. richiamar l’attenzione + 
di quelli a cui simili libri possono essere utili. Vedasi d'altron- 
de il vol. Il. pag. 484. della presente raccolta . 


370 
Continuazione de racconti del vecchio Daniele, destinati ad 
istruire e dilettare la gioventù. Prima nt dina dal- 
l'inglese sulla settima edizione di Londra. I. Vol. in 12. 
Pisa presso Seb. Nistri e in Firenze al Gabinetto Lettera- 
rio; prezzo paoli 3 3. 


— 


Nel volume 11. pag. 328. di questo giornale annunziammo 
la pubblicazione del primo volume di questi racconti, dei quali 
il presente è la continuazione . Saremo sempre solleciti a dar 
notizia dei libri utili, e con tanta maggior cura e piacere quan- 


do vengono pubblicati presso di noi. I buoni libri elementari 


da leggersi dai giovinetti son tanto rari fra noi, che dobbiamo 
al volgarizzatore di questo esser grati , il quale pel desiderio 
di provvedere d’ un’ utile e piacevol lettura i fanciulli ha volu- 
to sottrarre qualche momento alle sue più gravi occupazioni , 
ed occuparsi seriamente di una versione che avrebbe potuto 
considerare come un semplice passatempo . Scrivendo per de’ 
fanciulli, a’ quali è necessario esporre l’ idee e i fatti colla 
maggior semplicità e chiarezza , bisognava che il buon vecchio 
facesse i suoi racconti senza pretensione e con tutta la bona- 
rietà possibile ; e questa forse era la maggior difficoltà che in- 
contrar doveva il volgarizzatore, essendo naturale che un let- 
terato italiano abbia maggior familiarità collo stile classico, che 
col linguaggio popolare degl’ Inglesi, del quale ultimo si è ser- 
vito l’ autore originale di qesti racconti. In ‘conclusione il no- 
stro volgarizzatore ; il quale per modestia non ha voluto appor- 
re il nome al suo lavoro, ha saputo rendere un segnalato ser- 
vigio a’ padri di famiglia. Non possiamo trattenerei dal far dei 
voti perchè di tali libri se ne veggano sovente riprodotti in Ita- 
lia, perchè se ne vedano parto di penne italiane , il che sareb- 
be ancor meglio, e perchè finalinente si vedano fra le mani dei 
giovanetti piuttostò che certi meno edificanti romanzi che pur 
troppo sono lor dati a leggere con danno anzi che con vantag- 
gio della loro morale educazione . 


Collectio Latinorum Scriptorum cum notis. Collezione dei clas- 
sici latini, con note e commenti. Torino presso la VED. Pom- 


BA E FIGLIO 1821. 


Finalmente la patria di Cicerone , di Virgilio, e d'Orazio, 


RT e E E ARTI PI e LE 
: 


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de nn Do 


E e e n 


c“ 


371 

1’ antico. domicilio delle lettere e delle Muse latine, non dovrà 
più ricorrere agli oltramontani per provvedersi delle più stu- 
diate edizioni dei suoi classici Scrittori. La famigerata collezio- 
me di questi fatta sul cadere del passato secolo a Due-Ponti , 
rinnuovasi ora (e pare anche con maggiore scelta e consiglio ) 
dalla tipografia della ved. Pomba a Turino. E ciascun Classi- 
co comparirà adorno delle note ed illustrazioni dei filologi, cui 
per universal consentimento è dato il primato in questa sorta 
di studi. La scelta delle quali, non meno che quella dei testi 
e la loro emendazioné e correzione, è confidata a vari dotti 
Professori di lingua greca e latina; i quali faran pure alle no- 
te quelle giunte che crederanno conferir meglio all’ intelligenza 
degli autori , e che dalle più recenti osservazioni e scoperte in 
fatto di filologia saran loro consigliate. 

Di che porgeranno opportuna occasione gli egregj lavori 
fatti in questi ultimi tempi sopra i Codici palimpsetti di due 
delle più celebri Biblioteche Italiane dal dotto ed infaticabile 
Mr. Angelo Mai, pe’ quali ci sono stati fatti conoscere nuovi 
e preziosi frammenti e molte smarrite scritture d’ antichi Clas- 
sici. E gioveranno pure al proponimento della presente edizio» 
ne gli studj del genere stesso intrapresi da altri benémeriti let- 
terati, fra i quali non è da tacere l’ egregio Sig. Miehbur. 

Saranno questi i pregi particolari ed intrinseci della edi- 
zione che annunziamo . Ma noi possiamo anche sperare che non 
anderanno essi disgiunti dai pregj di una notabile eleganza e 
precisione tipografiea, facendone argomento dagli otto volumi 
che sin quì ne sono comparsi in luce . Stantechè ci piace in 
questi la forma, e il sesto convenientissimo a questa fatta di 
libri ; la distribuzione del testo , delle varianti, e delle note 
comodissima pel leggitore , la buona carta, i chiari e puliti ca- 
ratteri : dei quali vien promessa la rifusione dopo un certo nu- 
mero di volumi, da ripetersi di tempo in tempo, affinchè là col- 
lezione , mantenendosi freschi i caratteri, riesca tutta d’ ugual 
bellezza, dal primo al centesimo volume ; che di tanti per 
lo meno ella sarà composta. E la pubblicazione di otto di 
questi per eseguirla nel giro di non molti mesi , e la promessa 
di dar fuori i consecutivi presso a poco di mese in mese cì 
danno dimostrazione di molta alacrità di procedere in questa 
lodevole impresa . Nè altro che moderato ci pare il prezzo sta- 
bilito per la medesima e ragguagliato a 20. centesimi per ogni 


372 

foglio di 16 pagine in grande ottavo, considerato non solamen- 
‘te a rispetto di quello delle consimili edizioni oltramontane , 
una delle quali stà pure eseguendosi in, Parigi, mh anche rela- 
tivamente al merito e alla gravità dell’ assunto per corrispon- 
dere al quale vuolsi molta intelligenza, cura, e fatica. 

Perlochè noi auguriamo all’ impresa ottima fine, e lo desi- 
deriamo \ad onor delle lettere , e dell’ [talia . E in nome di que- 
ste noi ringraziamo la vedova Pomba dell’ opportuno suo divi- 
samento ; e la confortiamo a proseguirlo con quella stessa diligen- 
za e alacrità, colla quale vi ha posto mano; sperando che il favo- 
re con cui merita di essere accolta questa sua bella collezione 
dei Classici latini, possa impegnarla com’ è general desiderio a 
prepararne all’ Italia una pure dei principali Classici greci. , 


Giornale delle lezioni pubbliche , che si danno dai professori 
di giurisprudenza, belle lettere , e istoria in Parigi; 
compilato da una società di letterati, e di avvocati . 
Parigi 1821. 

Estratto dalla rivista enciclopeilica . 

L’ insegnamento: pubblico , che nacque in Francia per ope- 
ra di Francesco I. e, progredì rapidamente per il favore dei 
suoi successori è una istituzione che onora più di molt’ altre il 
nostro paese in faccia agli stranieri. Il, collegio reale , la facol- 
tà delle lettere , la facoltà delle scienze , e venti altri stabili- 
menti di questo genere non sono aperti per i soli Francesi ; la 
gioventù studiosa di tutte le nazioni viene, a confondersi quì 
colla gioventù Francese , per istruirsi seco nella morale la let- 
teratura e l’istoria . I nostri professori h:n resa ormai tanto in- 
teressante l’ istruzione pubb'ica per ricerche profonde, per savj 
principj, per merito letterario, che non solo i giovani accorrò- 
no in folla ad mndirne le lezioni, ma anche gli uomini d’ età 
matura non sdegnano di divenire. nuovamente. scuolari, ed i 
dotti e i letterati vanno ad arricchirsi alla nuova sorgente del 
sapere . 

Una buona analisi di queste lezioni è utile ai giovani, i 
quali si occupano seriamente di studj letterarj ; è utile sopra- 
tutto a quelli, che non posono assistere personalmente alle lezio- 
ni, ed agli studiosi d’ ogni nozione fra cui manca un istituto 
simile . E’ utile infine all’ uomo istruito, che ama di conosce» 


[ 


373 
re i progressi dello spirito umano, progressi che dipendono più 
di tutto dall’ istruzione perfezionata della gioventù . 

Non deve dunque recar meraviglia, che i nostri professori, 
i quali son sempre pronti a volere tutto ciò che è utile, abbia- 
no di buòf grado comunicati i loro manoscritti ai redattori di 
questo giornale , per divalgarli . 

Il giornale, che annunziamo , comprende l’ analisi ragiona= 
ta delle lezioni di ciascun professore , e sovente vi si riportano 
per l’intero i discorsi più pregevoli per sublimità di pensieri o 
per sellezza di stile. Le lezioni del sig. de Portets sul diritto 
di natura, sul diritto delle genti, e sul diritto pubblico generale 
tengono il primo posto nell’ analisi, come lo tengono nelle scuo- 
le; perchè bisogna sapere su quali fondamenti posano le leg- 
gi prima di esaminarle; ed è necessario , che i giovani imparino 
quale dev’ essere la legge prima di vedere qual’ è . Succedono 
a queste le lezioni del sig. Degerando sulle leggi amministrati- 
ve ; quelle del sig. Poncelet sulle leggi Romane , del Sig. Dau- 
nou sull’ istoria, del sig. Tissot sulla poesia latina , del sig. La- 
cretelle il giovane sull’ istoria di Francia , del sig. Guizot sul- 
Y istoria del governo rappresentativo, del sig. Pierrot sull’ elo-- 
quenza francese . 

Tutta l’ opera dev’ essere composta di 8. volanìi in 8.° Ogni 
eorso è distribuito in r2 numeri , che formano un volume di cir- 
ca 400 pagine ; si pubblica un numero ogni mese(1); i primi 8 
sono già pubblicati . fi, Pi 


Ocuvres completes de Rollin. Tutte l’ Opere di Rollin. Nuo- 
va edizione corredata d'’ osservazioni e di schiarimenti 
storici del Sig. Lerronne membro dell’ Istituto . 30 volu- 
mi in 8° 2 con Atlante. Parigi, presso Firmin Didot 
padre e figlio. Prezzo 7 franchi il volume (sono già pub- 
blicati 10 Volumi). 


Sono tanto meritamente tenute in pregio le Opere di Rol- 
lin, che ora inutile si renderebbe qualunque lode che da noi 
se ne facesse . Il suo Trattato degli studj sarà sempre quel 
fonte da cui si trarranno le idee le più giuste, e le più sane 


(1) Quest’ opera si trova al Gabinetto scientifico e letterario dell’ Editore 
dell’ Antologia , a disposizione degli associati . 


374 
dottrine sulla istruzione della gioventù. La sua storia anticà, 
e la sua storia romana son rimaste le due più belle storie che 
abbia la lingua francese . Da lungo tempo si conosce il bisogno 
d’un’ edizione di queste opere , in cui si possan trovare le os- 
servazioni e gli schiarimenti che sono oramai necessari alle pre- 
senti cognizioni, come già ad un illustre letterato era caduto 
in pensiero ; nè possiamo abbastanza dolerci , ch’ egli non l’ab- 
bia potuta fare ; poichè allora la Francia avrebbe avuto una e- 
dizione classica di Rollim, che pur le manca. E’ noto infatti 
da molto tempo che Rollin in alcuni luoghi della sua Storia , di 
cui egli è stato cortese alla Francia, non fu molto accurato 
scrittore: nè potendo sempre internarsi con bastante attenzione 
il senso di passi astrusi, che avrebber richiesto un profondo e- 
same , egli si è affidato talora a ‘versioni infedeli, egli ha so- 
vente dati per certi alcuni fatti fondati o su deboli fondamen- 
ti, o su false interpetrazioni. Gli è mancato il tempo per ve- 
der tutto da sè , e per andar sempre alla sorgente ; e talvolta 
s' è veduto costretto a mescolare nella sua opera gli altrui la- 
vori fatti innanzi a lui, senza sottoporgli a nuovo esame . Ei 
rinnova con franchezza e con ingenuità ben cento volte questa 
confessione nella sua storia ; tanto mostra temere che .non gli sì 
attribuisca l’ altrui opera ; nè si stimi più dotto di quel ch' ei 
non credeva d’ essere . Non dee dunque recar maraviglia che 
l’ opere di Rollin racchiudano una moltitudine di errori di par- 
ticolare , senza quelli derivati dallo stato in cui era la scienza 
mentr’ egli scriveva ; perciò pare impossibile che ora si pensi a 
phibblicene una nuova edizione delle sue opere , senza unirvi. 
gli schiarimenti , e le correzioni omai necessarie . E' oramai 
tempo di pubblicare dopo tutte quelle ristampe , nelle quali si 
è avuta la maggior cura di riprodurre i difetti delle preceden- 
ti, un’ edizione in cui i testi degli antichi autori sieno rivedu- 
ti e di nuovo esaminati , e che nel dare intatta l’opera di Rol- 
lin, abbia nei luoghi difettosi esatte spiegazioni ricavate dalle 
medesime sorgenti della Storia. Ecco lo scopo che si sono pre- 
fissi in questa edizione gli editori . Il sig. Letronne , membro 
dell’ Istituto 8 è voluto assumer l’incarico di questo lavoro . 
Il nome di questo dotto uomo ci assicura della profonda eru- 
dizione , e della critica, che guidano questa revisione dell’ ope=, 
re istoriche di Rollin. Le sue osservazioni poste in piè di.pa- 
gina d’ ognì volume , hanno principalmente in mira di correg» 


| 375 
ger gli errori nel particolare ; che possono esservi nella narra- 
zione di certi fatti, di dichiarare , o confermare i fatti oscuri 
o dubbj, di correggere ; mercè le ricerche dei moderni critici } 
tutte le valute delle misure antiche, delle quali se ne faranno 
alcune dimostrazioni alla fine dell’ Nirit Le note del Sig. Le- 
tronne sono segnate - L ; e le giunte o correzioni da esso fatte 
alle note marginali sono chiuse in parentesi. L’ Atlante di 
d’ Anville, che per lo più accompagna le opere di Rollin , sarà 
pure unito a questa edizione : ma molte di quelle carte saranno 
corrette sulle notizie che or’ abbiamo sotto la direzione del sig. 
Letronne . Sarà arricchito questo Atlante col piano d’ Atene, 
e con quello delle battaglie di. Maratona, delle Termopili , di 
Satamina , e di Platea . In una parola nulla trascurano gli edi- 
tori di quello che può accrescer l’ utile e l’ interesse della nuo- 
va edizione dell’ opere di Rollin, per renderla degna del nome 


del loro celebre autore. 


IMPERIALE E REALE ACCADEMIA 


DELLE 


BELLE ARTIIN FIRENZE 


uesta Accademia propone agli Artisti di qualunque Na- 
zione nel concorso che riapre pel 16 Settembre del 1822 i 
seguenti Programmi , ai quali aggiunge le condizioni, che 
osservar debbono i concorrenti. 


Prima Classe == ARTI DEL DISEGNO 
PITTURAÀ. 


Soggetto. È noto che Alessandro essendosi con teme- 
rario valore lanciato nella città degli Ossidraci, fu da un In- 
diano gravemente ferito , e sottratto alla morte dal co- 
raggio dei suoi guerrieri , venne trasportato nella sua ten- 
da. Dubitavano i Medici, e fra gli altri Critobulo, il più 


\ 


376 
esperto fra loro ;' di togliere la saetta altamente penetrata 
nelle viscere del Rè, perchè ogni più lieve moto che egli 


in quell’istante facesse, potea riuscirgli fatale . Alessandro. 


ordinò al medico incerto , e ricusante d’estrargli il dardo, 
assicurandolo che malgrado il dolore di questa operazione 
ei sarebbe, senza che alcun lo tenesse , immobile rimaso. 

Il Pittore sceglierà questo momento nel quale può e- 
sprimere l’intrepidità nel volto dell’Eroe, e sulle sembianze 
dei prodi, i quali lo circondavano, la paura, il dolore, la 
speranza che doveano manifestarsi nel pericolo d'una vita a 
lor così cara. Vedi Plutarco e Q. Curzio lib. IX. 

Il Quadro sarà in tela largo braccia tre fiorentine, os- 
sia cinque piedi parigini , pollici 4, linee 8 e > ed alto 
braccia due e 3, ovvero piedi quattro, linee 6 e 3. 

Premio. Una Medaglia d’ oro del valore di sessanta 
zecchini . 


SCULTURA 


Soggetto. Veti che trafuga dall’antro Emonio Achille 
addormentato, e ajutata dalle Nereidi lo pone sul cocchio 
marino, per sottrarlo alla morte che inevitabile gli sovra- 
stava sotto le mura di Troia. Leggasi il secondo libro del- 
l’ Achilleide di Stazio, quantunque in’ questo Poema nor 
sieno alcune particolarità volute dal Programma. 

Il Bassorilievo sarà in gesso, largo braccia due fioren- 
tine, ovvero tre piedi parigini, pollici 7, linee 1 e è, ed 
alto braccia uno, soldi sette, ossia piedi due, pollici 5. 
Premio. Una Medaglia d’oro del valore di cinquanta 
zecchini . i 

ARCHITETTURA. 


Soggetto. Uno Spedale per gli esposti. Si richiede nel 
Disegno di questo Edifizio, oltre tutto quello ch'è di pri- 
ma necessità , una Cappella pubblica, un Giardino , due 
Scuole, una per le lezioni d' Ostetricia e l’altra per quelle 
intorno alle malattie dei bambini: dovrà pure esservi un le 


tua 


RIT ASI A 


pere 


ra 


377 
eale appartato per l’Ospizio detto della maternità. Spetta 
al criterio dell’ architetto il non omettere nulla di quello 
che si domanda dallo scopo, e dalle note leggi di così be- 
nefico, e così celebre istituto. 

I Concorrenti dovranno presentare due Piante, una 
del pian terreno, l’altra del superiore, e due alzati, cioè: 
la facciata principale, quella da tergo, e due tagli. 

Premio . Una Medaglia d’ oro del valore di quaranta 
‘zecchini . 

DISEGNO. 

Soggetto. Il Petrarca incoronato in Campidoglio. La 
brevità di un Programma non concede che si descrivano i 
particolari di questa funzione : ma si possono ricavare dai 
Biografi del Poeta , il De Sade, il Baldelli, e sopratutto 
dal ragguaglio datone da' Luigi Monaldeschi, il quale vi fù 
presente, e ne lasciò scritto nel suo Diario, impresso dal 
Muratori nel XII. Tomo della sua collezione di Scrittori di 


‘cose Italiane . 


Premio . Una Medaglia d’ oro del valore di quindici 
zecchini . 


Seconda Classe— MUSICA. 


/ 

Soggetto. Comala. Componimento Drammatico di Ra- 
nieri de’ Calsabigi. Veggasi il Tomo I. delle sue Poesie. In 
questo Dramma sono quattro Interlocutori: Fingallo, che 
potrà esser tenore , Comala soprano , Desagrena con- 
tralto, Idallano basso. Bardi, o cantori, ossia coro di Te- 
nori, e Bassi. L’accompagnamento dovrà essere a piena or- 
chestra . 

Questo componimento , in cui s’ incontra vivacità di 
espressione , e varietà e dolcezza di metro, somministra al- 
l autore bella occasione di far sentire la forza dei diversi 
affetti, e di distinguersi con melodie varie ed eleganti . 

Premio . Una Medaglia d’ oro del valore di quindici 
zecchini . 


378 
Terza Classe — ARTI MECCANICHE. 
MECCANICA, 


Soggetto. Non essendosi avuta risposta soddisfacente al 
Quesito dato pel concorso dell’ anno 1816, si propone di 
nuovo . 

I Mulini mossi dall’ acqua corrente o da qualunque al- 
tra forza, come ancora le macchine Idrauliche destinate al- 
l’ irrigazione sono per l’ordinario composte e congegnate in 
maniera da appresentare molti difetti, i quali dipendono dal 
soverchio attrito della mole e peso eccessivo delle macine 
ec., ma sopratutto hanno quello di non economizzare quan- 
to dovrebbesi l’acqua, di cui senza frutto quasi generalmente 
si abusa, mentre ben risparmiata potrebbe ad altri usi con 
sommo vantaggio anplicarsi. 

Dornandasi dunque la correzione di tutti gli attuali di- 
fetti spiegata in una descrizione chiara e distinta, ed ac- 
compagnata di più da un modello proporzionato in tutte e 
singole le sue parti, che sia intorno al sesto della misura 
della macchina in grande; cosicchè con tal mezzo si con- 
seguisca l'intento bramato , cioè che alla massima sempli- 
cità del meccanismo unitasi la minima forza motrice, venga 
a ottenersi il massimo effetto . 

Per maggiore incoraggimento dei concorrenti l' Accade- 
mia accoglierà volentieri dentro i termini stessi assegnati al 
concorso qualunque altra invenzione meccanica, che posta 
in pratica riescisse di notabile utilità a qualche importante 
manifattura, e specialmente a quella dei Lustratori , difet- 
tosissima coi mangani attuali in tutta l’ estensione del Gran- 
Ducato: imperocchè, se mancasse o non si trovasse degna 
del premio la prima macchina riguardante i mulini ec., vi 
sarebbe luogo a premiare la nuova scoperta corredata del 
suo modello, conformemente al merito della medesima . 


379 
Premio . Una medaglia da oro del valore di quaranta 
zecchini . 
C Hyl MICA. 


Soggetto. I vasellami di terra cotta destinati a conte- 
nere sostanze liquide o molli, ed in ispecie gli alimenti , 
sogliono rivestirsi nella superficie di uno strato di materia 
detta comunemente vernice , e ch'è una specie di smalto 
composto principalmente d’ ossidi metallici, fra i quali è 
quello di piombo. Mentre nelle porcellane , e nelle altre ter- 
raglie fine, le buone qualità dell’impasto terroso, il grado 
di cottura, e la durezza che ne deriva fanno che la coper- 
ta 0 vernice aderisca tenacemente alla sostanza del vaso e 
la difenda efficacemente dall’ azione dei liquidi , e d’ altre 
materie ; all’opposto le qualità molto diverse delle terraglie 
ordinarie fanno sì che la coperta o vernice se ne distacchi 


| con facilità , lasciando il vaso non solo deformato, ma pu- 


re atto ad imbeversi delle materie liquide e specialmente 
untuose che la terra riiiene tenacemente. La mediocre cot- 
tura e la poca aderenza di questo smalto sono poi cagione 
che talvolta una porzione dell’ ossido di piombo contenuto- 
vi sia parzialmente disciolto specialmente dalle materie gras- 
se, acide , o altre, ed introdotto nel corpo umano vi pro- 
duca sconcerti anche gravi . 

Però |’ Accademia offre un premio a chi le comuniche- 
rà il miglior modo per cui si possa facilmente e sicuramente 


: rivestire la superficie delle terraglie ordinarie di una coper- 
ta vetrosa aderente alla iterra, inpermeabile all’ acqua , ed 


alle sostanze grasse. L” Mbiaderia apprezzerà maggiormente 
quel metodo che alle due accennate condizioni di rigore 
riunisca l’altra d’ un aspetto e d’un colore piacevole . 

Dovranno unirsi alla descrizione del metodo da tenersi 
alcuni ‘saggj di terraglie, che per esso siano state rivestite 
del richiesto strato o coperta vetrosa . 


Premio. Una medaglia d’ oro del valore di trenta 
zecchini. 


(N 


330 


CONDIZIONI. 


Le opere dei concorremi dovranno essere consegnate aî 
Segretarj delle respettive classi prima del dì 1. Satenibie 
del 1822. 

Quelle che non verranno consegnate nel detto termine , 
non saranno ricevute in concorso , esclusa qualunque olii 
ficazione sul ritardo. 

Le Segreterie dell’ Accademia non s° incaricano di riti- 
rar le opere , quantunque ad esse dirette, nè dall Ufizio del- 
la Posta, nè dalla Dogana. 

Ciascuna opera dee essere accompagnata da una deseri- 
zione, che spieghi la mente dell’ autore, e contraddistinta 
da un'epigrafe ripetuta nella sopraccarta di un biglietto si- 
gillato, entro il quale si legga il nome, la patria, e il do- 
micilio del concorrente. 

Prima che siano esposte all’esame dei professori le ope- 
re presentate, se ne verificherà innanzi ai latori il buono o 
cattivo stato anche _con atto pubblico, quando pel loro to- 
tale deperimento rimanessero escluse dal concorso . 

Il Giudizio che su diesse pronunzierassi, risulterà dal 
voto- ragionato in iscritto degli Accademici Professori a ciò 
destinati in ciascuna classe , e sarà manifestato colla stampa . 

Tutte le opere dei concorrenti rimarranno esposte al 
Pubblico per otto giorni dopo il giudizio . Le premiate si 
distingueranno col nome dell’ autore , e diverranno proprie- 
tà dell’ Accademia. L’altre si restituiranno coi fogli e bi- 
glietti che le accompagnavano, dei quali sarà inviolabile il 
gillo . L’ Accademia non risponde della conservazione del- 
l’opere non premiate, qualora dagli autori non si recupe- 
rino dentro lo spazio di sei mesi. 


GIOVANNI DEGLI ALESSANDRI Presidente. 
Gio. Barista NiccoLini Segretario della I. Classe . 
Vincenzio Broccai Segretario della II. e III. Classe. 


ANTOLOGIA 


N XII. Dicembre 1821. 


DI 


SCIENZE MORALI E POLITICHE 


LEGISLAZIONE CRIMINALE. 


Dela Justice etc. Della Giustizia Criminale in Fran- 
cia, del Sig. BerenGER ec. Parigi in 8. 

Observations etc. Osservazioni sopra vari punti im- 
portanti della nostra Legislazione Criminale, del 
sig. DuPin; Dottore di. Legge e Avvocato alla 
Corte Reale di Parigi. Parigi giugno 1821. Un 
vol. in 8.° 

Des Vices etc. Dei Vizj e degli abusi dell’ instru- 
zione criminale in Francia, e dei mezzi di ri- 

» mediarvi, del sig. Trugard , Avvocato alla corte 
. reale di Rouen , ed antico Magistrato . Parigi 
1821. 

De lAdministration etc. Dell’ amministrazione del- 
la giustizia criminale in Inghilterra e dello spi- 
rito del Governo Inglese, del sig. Cottu Consi- 
gliere alla Corte Reale di Parigi, Segretario ge- 
nerale del Consiglio della Società Reale delle pri- } 
gioni e del Mbnaigue speciale delle prigione di 
Parigi . 

T. IP. Dicembre 23 


i 
È 


È 


382 v 
Observations etc. Osservazioni sul Giurì di Fran- 
cia, del sig. LEGRAVERAND maestro delle va 
pliché 
Recherches etc. Ricerché istoriche sul Giurì, del 
sig. Guermon DI INANVILLE, Dottor di Legge, 
È: alla Corte Reale di Caen . 7 
De la procedure etc. Della procedura pei giurati 
in materia criminale: del sic. pe RemusaT. 
Coup d’ ocil etc. Colpo d’ occhio sul Giurì qual è , e 
quale potrebbe essere, di M. B. seconda edizione. 
Considerations etc. Considerazioni sul potere giudi- 
ziario e sul giurì, del sig. pe Monricnr Consi- 
gliere alla Corte Reale di Bourges. è» 
Des pouvoirs etc. Deî poteri e delle obbligazioni dei 
Giuri, di Sir Riccanno PHitips, tradotto dall’in- 
glese, da M. Comte. 


TL. vera scienza criminale può dirsi di creazione mo- 
derna , se si considera creata una scienza allorchè n° è 
formato un sistema, ossia una concatenazione com- 
piuta di parti. Fra i Greci, ed i Romani ( passo sotto 
silenzio gli altri popoli dell’ antichità ) niun trattato, 
niun professore aveano abbracciato i principj e le di- 
ramazioni di questo studio. La materia specialmente 
delle prove e degl’ indizj era maneggiata soltanto dai 
retori, i quali si contentavano di raccogliere osserva- 
zioni e precetti al ammaestramento dei difensori ; e 
considerata sotto quest’ aspetto sì riferiva, non all’ arte 
di trovare la verità , ma a quella di persuadere altrui 
esser verità quel ché giovava alla salute dell’ accusato , 
o al trionfo dell’ accusatore. Quindi della teorìa delle 


| 
| 


la] ii EE EE I Lola SMISE 


n 333 
prove , che è la parte la più difficile e la più impor- 
tante della scienza criminale , non si leggono fra gli 
antichi se non alcuni suggerimenti pratici, dati agli 
Oratori, come particolarmente si scorge leggendo la ret- 
torica d’Aristotile , le opere di Cicerone, o le istitu» 
zioni di Quintiliano . 

Il Cancellier Bacone da Verulamio , quegli che 
tanto vedde e tanto insegnò sull’estensione ed accre- 
scimento delle scienze, e che per la sua condizione me- 
desima era in grado di avvedersi più d’ogni altro di 
siffatta lacuna , classificando le discipline tutte, e no- 
verando quelle eziandio che non erano ancora nate , 
tacque su questo supplemento che potea farsi all’ in- 
segnamento umano : e pare strano, che si contenti di 
fare qualche parola d’ una materia sì essenzialmente 
legata ‘alla scienza sociale, in proposito unicamente 
dell’ arte oratoria . 

Il primo a svegliare su duesr articolo l’attenzione 
dei pensatori fu l’autore dello spirito delle leggi. Al- 
cuni tratti che colpirono il segno, avvertirono ove 
poteva arrivarsìi , quantunque il sistema universale su 
cui sì regge quell’ opera fosse più atto a disanimare , 
che a incoraggire gli amici dell’umana specie . Fortu- 
natamente però quel fatalismo, che vuole subordinata 
la perfettibilità umana alla natura del clima e alla for- 
ma particolare del governo di ciascun paese, cedè il 
luogo ben presto a dottrine più consolanti . Migliori ri- 
flessioni in fatti convinsero , che non i diversi climi, 
ma il diverso grado d° istruzione è causa della superio- 
rità d’ una nazione sopra d’un altra, e che perciò ogni 
nazione può aspirare al maggior punto di felicità acce- 
lerando l’ universale cultura, e che qualunque sia la 


334 | i 

forma di governo adottata , sia in..mano di un solo , 0 
di più l'autorità legislativa, le leggi possono essere e- 
gualmente buone , quando siano tali da condurre allo 
scopo del ben essere universale . Questo principio per- 
«suade a trattar la scienza delle leggi, astrazion fatta 
dalla considerazione di chi sia destinato a porla in pra- 
tica ; insegna il mestiero senza curarsi chi sia abilitato 
ad esercitarlo . 

Il vero padre della nuova scienza fu il Marchese 
di Beccaria . Il libretto dei delitti, e delle pene fu un 
punto luminoso, ove l’autore concentrò mille verità, co- 
me Archimede aveva riunitiin uno specchio i raggi del 
sole. Una folla dì scrittori filantropi quasi da lui chia- 
mati a raccolta , corsero sotto quella novella bandiera 
a combattere la barbarie delle antiche leggi , e special- 
mente poi quelle vecchie pratiche inventate dall’ igno- 
ranza , sostenute e difese dalla pigrizia inumana dei 
criminalisti . La loro assurdità diventò presto evidente 
per tutti quelli che non volean chiuder gli occhi alla 
luce del vero. o 

Ma finchè le nuove verità rimanevano negli scritti 
dei filosofi, trovavansi esposte ad esser chiamate teorie 
astratte e ideali, sistemi fantastici, o sogni degni di 
Platone . 

La voce della filosofia giunse però sino ai Troni 
con una velocità senza esempio. Fino dal 1767, vale a 
dire tre anni appena dalla pubblicazione in Italia del 
libro dei delitti e delle pene , e un anno dopo la tra- 
duzione fittane in Francia, }' Imperatrice di tutte le 
Russie Caterina Il. pubblicando un’ istruzione per la 
deputazione da lei convocata per la confezione di un 
codice di ieggi, vi avea trasfusa la sostanza di quel 


335 
libro . E l’immortale Leopoldo , fatto prima l° esperi- 
. mento accurato e giornaliero delle riforme , avea data 
alla Toscana la legge criminale del 1786. 

In questa aurea legge dettata dallo spirito dell’ u- 
manità la più pura, l’ Europa tutta lesse con senti- 
mento di venerazione e di riconoscenza , che la legisla- 
zione d’allora era derivata da massime stabilite nei 
tempi meno felici dell’ Impero Romano, o nelle tur- 
bolenze dell’anarchia dei bassi tempi (a). Vi trovò 
abolita per massima costante la pena di morte, co- 
me non necessaria per il fine propostosi. dalla so- 
cietà nella punizione dei rei (b) perchè l’ oggetto 
della pena deve essere la sodisfazione al privato ed 
al pubblico danno , la correzione del reo, figlio: 
anch’ esso della società e dello stato, della di cui 
emenda non può mai disperarsi , la sicurezza nei 
rei dei più gravi ed atroci delitti che non restino 
in libertà di commetterne altri, e finalmente il pub- 
blico esempiò ;' e perchè il. Governo nella punizione. 
dei delitti; e nel ‘servire agli oggetti, ai quali que- 
sta unicamente è diretta , è tenuto sempre a valersi 
dei mezzi più efficaci col minor male possibile al reo; 
e tal efficacia e moderazione insieme , si ottiene 
più che ‘con la pena di morte, con la pena dei 
lavori pubblici, i quali ‘servono di un esempio con- 
tinuato, e non di un momentaneo terrore , che 
spesso degenera in compassione , e tolgono la possibi- 
lità di commettere nuovi delitti, e' non la possibile 
speranza di veder tornare alla società un cittadino 
utile e corretto (c). Vi vedde eliminata affatto dal 


(2) Proemio. 
(5) Proemio. 
(c) Art. 51 


386 

catalogo delle pene la confiscazione dei beni dei  de- 
linquenti, come tendente per la massima parte al 
danno delle loro innocenti famiglie che non hanno 
complicità nel delitto (d) ed abolito perciò quel si- 
stema introdotto forse più per avidità d’ impinguare 
il Fisco, che per le vedute di-ben pubblico , mentre 
la persona del reo è la sola, che per sodisfare al 
delitto è soggetta alla legge ed alla pena, ed i 
di lui beni non possono essere giustamente obbli- 
gati che per la refezione dei danni di ragione do-. 
vuta a chi li ha sofferti, 0 per qualche multa pe- 
cuniaria nei casi nei quali non giunga l’afflittiva; 
ragioni tutte che avean mossa quell’augusta mente a 
riguardare la confiscazione dei beni che il più delle 
volte non ferisce che l’ innocente famiglia e gli 
eredi del delinquente , come una vera violenza e ap- 
propriazione illegittima che fa il governo della 
proprietà delle sostanze altrui (e). | 

Vi trovò tinalmente sbandita datla legislazione 
la moltiplicazione dei delitti impropriamente detti 
di lesa maestà con raffinamento di crudeltà inven- 
tata intempi perversi ( f) e per conseguenza tolte 
e cassate tutte le leggi, che con abusiva estensione 
hanno costituiti e moltiplicati i delitti detti di lesa 
maestà , come provenienti nella maggior parte dal 
dispotismo dell’ Impero Romano e non tollerabili in 
veruna ben regolata società (g) . Così la barbarie delle 
vecchie scuole era fulminata dall’ alto del Trono, e il 


387 
dispotismo e 1’ oppressione designati all’ abominazio- 
ne del genere umano dalla sacra bocca del Regnante. 
filosofo . 

Ma la giustizia gi ha due parti. La prima 
misura la pena col delitto, onde chi è tentato di mal 
fire trovi una forza repulsiva di ugual momento; 1° al- 
tra ricerca, che niun colpevole. fugga alla pena col fin- 
to velo dell'innocenza, e niun innocente subisca il 
gastigo dovuto al reo . i 

Questa seconda: parte è assai più difficile della 
prima , e |’ errore n° è immensamente più funesto . La 
pubblica sicurezza riposa tutta intera sull’ esatta riso- 
luzione di quel problema, che questa seconda parte 
della scienza si propone di sciogliere. Un reo scam- 
pato dalla spada della giustizia getta lo spavento nei 
cittadini pacifici pel timore della violenza privita ; un 
innocente sacrificato fa temere a tutti la violenza giu- 
ridica. Questa sicurezza pubblica è il più forte, e direi 
quasi. il solo debito del Governo , perchè con essa sola 
la pros perità timiversale s' alimenta e s' accresce . 

Le verità luminose degli scrittori filosofi avean 
fatta sentire l’ importanza del soggetto , e la necessità 
di occuparsene . 7 

Ma quali erano i principj da stabilirsi, e come 
dovean ravvisatsi quei sistemi che si erano formati 
nel sonno della mente umana ? | 

Una farraginosa casistica ‘opprimeva ancora la 


pratica criminale, come avea diretta la morale teologica. 


L'autorità vi te neva luogo della ‘ragione, come avea 
fatto in addietro nella filosofia e nelle lettere. 

I veri sono tutti connessi, e fra loro si ajutano ad 
espellere i falsi. TI criterio di verità nell’ investiga- 
zione dei delitti non poteva essere diverso da quelio 


‘388 
che la logica ordinaria somministra in tutti di altri 
.casì della vita . i 
Animo scevro da passioni seduttrici, intelletto 
non preoccupato da prevenzioni, desiderio di trovare 
la verità da sè medesimo senza riposarsi sulla fede 
d'altrui, ecco ciò che conduce |’ uomo a ragionar. giu- 


sto . Quindi l’ aitenzione di non omettere veruna delle 4 


ricerche conducenti allo scopo è il mezzo più acconcio 
per isperare di pervenirvi . 

Applicando questi principj al problema politico 
che ci occupa, ognun vede che la situazione delle 
persone che delirio contribuire alla formazione e alla 
risoluzione dei giudiz} criminali è importante quanto 
la regola per le ricerche , affine di ottenere i} risultato 
della garanzia individuale congiunta colla sociale. E 
perciò non potea dirsi compita l’ opera finchè tutte. le 
parti del vecchio sistema non erano rimontate, € il 
modo d’ investigazione non era a tale ridutto da allon- 
tanare il più possibile il pericolo dell’ errore . 

A tanta riforma però non potea pervenirsi in En- 
ropa in quei primi momenti nei quali lo spirito degli 
uomini pensatori € dei Sovrani filosofi sì diresse a 
quest ‘oggetto . Il vecchio sistema fu liberato dagli abu- 
si i più manifestamente dannosi, ma la tei ne fu 
conservata . Il legislatore prudente seguita e non pre- 
viene il progresso dei lumi. Li sa che l'errore. nelle 

‘ discussioni scientifiche è utile ancor esso; perchè sve- 
gliando la contradizione , e impegnando Y.esame ; l’ur- 
to; e la confricazione delle opinioni contrarie fa scin- 
tillare più presto la-verità ; mentire all’ opposto ;un er- 
rore in legislazione può esser fatale al corpo politico. 

In Francia, dove i filosofi avevano tanto scritto , 
sussistevano hon pertanto nella loro integrità gli abusi 


ve 


i 389 
tutti, quando l’ Assemblea costituente atterrando con 
un sol colpo il vecchio edifizio ebbe il coraggio di co- 
struirne un ‘nuovo. L’ impresa era rischiosissima , 
come lo sono in legislazione tutte le innovazioni totali, 
quantunque nessun momento potesse: esservi più 
oppartuno di quello, in cui circostanze. straordinarie 
avean disposti gli spiriti alla riforma universale di 
tutte le instituzioni arrugginite dal tempo. Mancava 
un punto d’ appoggio nell’ esperienza domestica ; ma 
fortunatamente un popolo vicino , il popolo inglese, 
erasi educato a libertà civile \e politica , a potenza 
ed a gloria nazionale cen un sistema fondato su basi 
totalmente diverse da quelle dei sistemi del conti- 
nente . Una grande anzianità , la mancauza di veri la- 
menti suì suoi inconvenienti, in un paese ove la liber- 
tà della stampa, e lo spirito pubblico distintivo del 
carattere inglese, non potean far sospettare un silenzio 
siffatto esser figlio della compressione o dell’ indiffe- 
renza pel ben pubblico ; tutto questo parlava a favore 
di quel sistema . L’ assemblea lo trapiantò in Francia. 
Felice effetto della filosofia ; la quale non conosce riva- 
lità o inimicizia di nazioni, e adotta il buono e’ l’utile 
ovunque lo trovi! 

Questo trapiantamento però , come abbiamo ac- 
cennato, non doveva essere senza inconvenienti. Pri- 
mieramente trattavasi di un sistema conosciuto sola- 
mente in massa per mezzo degli scrittori, che ne 
avean tramandata la notizia all’ Europa, ma di cui 
mancava la cognizione quanto a quelle specialità 
d’ esecuzione che non possono sapersi. se non per 
pratica. In secondo luogo, il passaggio subitaneo dal 
vecchio al nuovo metodo dei giudizj trovava gli ani- 
mi non preparati al gran rinnovellamento , onde l’in- 


390 Ra | 

esperienza per una parte, e la contraria abitudine 
per l’altra nelle persone per. mezzo delle quali do- 
veva attivarsi e mantenersi, potean produrre incon- 
venienti. non preveduti., e far nascere sfavorevoli 
pregiudizj. Finalmente le procelle rivoluzionarie che 
rapidamente successero. a. quell’ anrora. di rigenera- 
zione legislativa ; resero la. parte più delicata della 
nuova instituzione , anzichè una salvaguardia della li- 
bertà civile, uno strumento piuttosto di vendetta. e di 
perdizione nelle mani delle fazioni che a vicenda 
usurparono la somma delle cose . 

Siffatti disordini resero al tornar della silice 
problematica per un momento 1’ utilità dell’ insti- 
tuzione medesima. Una mano ferma la fissò, ma 
la volle modificata a seconda del. principio. su 
cui volea modellate tutte. le altre  instituzioni che 
il nuovo ordine avea create sulla distruzione dell, 
antico . 

Da questo punto partono: i. pubblicisti francesì 
che si occupano di questo ramo della scienza sociale, 
ora specialmente che i mali, che hanno afffitta la 
Francia nelle varie epoche della sua rivoluzione, han- 
no fatto sentire più vivamente ai Francesi il bisogno 
della perfezione nelle leggi giudiciarie, nel tempo 
che l'abuso fattone dalle fazioni a vicenda domi- 
nanti ne ha più facilmente scoperti i difetti e sug- 
gerite le correzioni , nella guisa appunto che la me- 
dicina ha occasione di far maggiori scoperte: quanto 
più infieriscono le malattie. 

Le basi del Codice d’istruzion criminale pubblicato 
in Francia nel 1811 e tuttora vigente in quel regno, la 
loro conformità col processo inglese, o la for dissomanza 
da quello, i difetti che l'esperienza vi ha fatto ravvi- 


A 


391 


‘ sare, l'importanza di spogliare le forme salutari racco- 


mandate dai lumi del secolo di quanto vi avea fram- 

misto d’ impuro l’ interesse del dispotismo, tutto è esa- 

minato in opere che giornalmente si succedono in Fran- 

cia, e specialmente in quelle annunziate in testa di 

quest’ articolo . L’ osservazione e 1’ esperienza sono le 

guide che conducono gli autori nei loro ragionamenti. 

Perciò l’ utilità di quest’ opere non è ristretta al paese 

per cui sono scritte; ma si estende a. tutte le nazioni in- 
distintamente . Lo spirito del secolo presente è spirito di 
ricerca. La scienza criminale, la quale nella sua prima 
epoca, in cui combatteva per l’ umanità contro la bar- 
barie la più rivoltante, avrebbe potuto chiamarsi scien- 
za di sentimento; nell’ attuale; in cui la volontà di ben 

fare non domanda altro che lumi, è diventata una vera. 
scienza sperimentale . 

Con questa veduta essa deve oggi essere studiata e 
professata. Gli scrittori filosofi che ci hanno preceduti, 
sono stati intrepidi guastatori che ci hanno appianata la 
strada . 

Non è già che non meritino riconoscenza coloro , 
che non si stancano di riprodurre, ove e quando lo tro- 
vino d’ uopo, quei principj per cui combatterono i no- 
stri primi maestri, e sì studiano di dimostrare con nuo- 
va forza di argomenti anco quelle verità che son 
divenute fondamentali, e fuori di controversia . 

« Nelle scienze morali e politiche, dice Condorcet, 
vi è sempre una gran distanza fra il punto a cui i filo- 
sofi hanno portati i lumi, e quel termine medio cui son 
pervenuti gli uomini che coltivano il lovo spirito, la 
dottrina dei quali forma quella s specie di credenza gene- 
ralmente adottata, che chiamasi opinione ». Fra questi 
poi e gli altri uomini la distanza è immensa. 


392 i 

Gli scrittori che sì consacrano a diminuire queste 
distanze, ad estendere il dominio delle verità conosciute, 
a combattere con nuove armi gli errori, sono il vero soc- 
corso di cui abbisogna la causa dell’ umanità. 

In considerazione di quest’oggetto santissimo sono 
perdonabili anco le ripetizioni. Quando uno parla a dei 
sordi si trova facilmente a dover ripetere la stessa cosa. 
Le passioni, gl’ interessi individuali, lo spirito di corpo, 
l’ abitudine, la presunzione del proprio sapere, l’ affetto 
per gli studj già fatti, sono tante barriere che oppon- 
gonsi per lunghissimo tempo alla penetrazione delle ve- 
rità nuove nelle menti umane. Il Gartesianismo fu 
acerrimamente difeso contro le dottrine di Newton e 
di Locke da quei medesimi corpi scientifici, i quali 
nella generazione precedente lo \aveano perseguitato. e 
punito come ribelle al trono legittimo d’ Aristotile. 

Ma il vero omaggio si deve a chi rimuove i confini 
della scienza. Le osservazioni parziali sono ottimi ma- 
teriali, ma l’opera fondamentale reclamata dai bisogni 
dello stato attuale delia società, non è ancora comparsa. 

Gli amici dell’umanità desideravano di veder trat- 
tata la materia dell’ istituzioni giudiciarie da quel genio 
veramente superiore dell’ età nostra, dal sig. Geremia 
Bentham, chiamato a ragione il Bacone della scienza le- 
gislativa. I suoi trattati di legislazione civile e penale 
e le altre opere di questo sublime pensatore presentava» 
no finora una lacuna su quest’ articolo che niuno meglio 
di lui avrebbe potuto riempire. 

Abbiamo ora negli annali di legislazione e di giu- 
risprudenza che si pubblicano a Ginevra l annunzio 
che il Sig. Dumont si occupa della redazione sui mano- 
scritti dello stesso Sig. Bentham (*)di un trattato molto 


(*) La singolarità del carattere del Sig. Bentham è spiegata 


| 393 
esteso sull’ organizzazione dei tribunali, e sulle prove 
giudiciarie . 

| Facciamo voti perchè possa esser condotta a fine 
una sì utile impresa. Questi due nomi, che la repub- 
blica letteraria è avvezza da lungo tempo a vedere uniti, 
ci assicurano per sè soli, che troveremo in quest’ opera 
fissati una volta i veri principj , analizzati i vantaggi e 
gl’inconvenienti di tutti i sistemi, e decise le questioni 
più importanti che hanno fin qui divisi gli scrittori anco 
i più illuminati. 

Il sig. professor Pellegrino Rossi, a cui si devono 
quegli annali, vi ha pubblicato ultimamente per saggio 
di questo trattato un capitolo comunicat oli dallo stesso 
sig. Dumont, in cui è trattata la questione della pubbli- 
‘cità dei giudiz) , e risoluta per l’ affermativa. Noij da- 
remo queste capitolo per intero ai nostri lettori in- 
sieme colle note di cui 1’ ha corredato il sig. Rossi, le 
quali contribuiscono a spargere una maggiore chiarezza 


in poche parole dal sig. Dumont nel discorso preliminare ai 
trattati di legislazione civile e penale ,,ardore a produrre e in- 
differenza a pubblicare; perseveranza nei più gran lavori, e di- 
sposizione ad abbandonarli al momento di terminarli ,, I suoi 
più sublimi concepimenti sarebbero perduti, se il suo amico sig. 
Dumont non avesse supplito col suo ingegno, e colla facilità del 
suo stile a quel che manca all’ autore . All’ instancabile amici- 
cizia, e all’amore per. l’ istruzione pubblica che animano il sig. 
Dumont siamo debitori dei suddetti trattati della teoria delle 
pene e delle ricompense, della tattica delle assemblee legislative 
dei sofismi politici e dovremo ancora l’ opera di cui ho parlato. 

Crediamo di far cosa grata ai nostri lettori comunicando 
loro a questo proposito qualche notizia sulla vita, e sugli scritti 
di quest’ uomo celebre che onora tanto l’età nostra. La biogra- 
fia degli uomini viventi ci consola almeno col farci conoscere le 
ritchezze che possediamo prima che siamo costretti a piangerne 
la perdita. 


394 
su questa materia che è forse la più interessante fra 
tutte quelle che possono sottoporsi attualmente all’ e- 
same dei pubblicisti filosofi . 
Giusti. 


DI 


Il sig. Bentham è nato a Londra verso il 1749. si destinò 
al foro, ma un organo debole , e l’antipatia estrema per l'elo- 
quenza verbosa degli avvocati delsuo paese ve ‘lo distolsero ben _ 
presto. Studiò allora i principj delle leggi, e i loro rapporti 
eoi governi, cogli uomini e coi costumi. Si pose quindi a 
viaggiare , e dimorò qualche tempo in Crimea . Tornato in In- 
ghilterra pubblicò alcune operette anonime che fissarono 1’ at- 
tenzione per l’arditezza , e per la viva e ferma dialettica . Nei 
suoi frammenti sul Governo ( 1778. in 8. ) attaccò di fronte 
oracolo della giurisprudenza inglese , Blackstone ; quindi at- 
taccò ill Codice stesso inglese nel suo piano di un Codice Pe- 
nale, di cui non furono tirati in principio altro che 60. esem- 
plari . Nel 1787. pubblicò alcune idee morali stabilite da più 
secoli nella proibizione dell'usura, e l'introduzione ai princi- 
pi della morale, e della legislazione, nella quale sviluppò il 
suo sistema di rjforma . Fu combattuto vivamente , ed egli ha 
passato dipoi il restante della sua vita a difendere i suoi prin- 


‘cipj, e a disporli in sistema. Nel 1791: pubblicò il suo Pano- 


ptricon in 3. vol in 12. opera filantropica sul governo delle 
prigioni da lui ideato per higliorare i rei detenuti piuttostochè 
depravarli,, Volete voi sapere ( scriveva egli a questo proposito 
», a un membro dell’ assemblea legislativa di Francia ) fin dove 
» arriva la mia persuasione dell’ importanza del mio piano di 
» riforma, e dei gran successi che possono aspettarsene ? Mi 
3» si permetta di costruire una carcere su questo modello , e 
» 10 sarò il carceriere . Questo carceriere non vuol essere pa- 
»» gato , e non costerà niente alla nazione ,, . Nel 1802. com- 
parve a Parigi la sua opera classica dei Trattati di Legisla- 
zion Civile e Penale, nel 1811. la sua Teoria delle pene e 
delle ricompense , nel 1816 la sua Tattica delle Assemblee le- 
gislative seguitata dai sofismi politici . 

Nel 1793. avea scritta una lettera alla Convenzion nazîo- 
male sulla necessità di dichiarar le colonie indipendenti . 


395 

Nel 1790. pubblicò un @550zz0 d’un nuovo piano per l'or- 
‘ganizzazione della giustizia in Francia . 

| Vi sono di lui una traduzione del foro bianco di Voltai- 
re, una Chrestomatia , 0 sia nuovo sistema generale d’ istru- 
zione , un opuscolo sulla libertà della stampa e sulla di- 
scussione pubblica ( 1821. ) varj articoli negli Annali di Agri- 
coltura d’° Artour Young , i piano d’una riforma Parlamen- 
taria ( 1818), Riforma radicale (1819) Consigli alle Cortes 
e alla nazione Spagnuola , ove prova il pericolo di stabilire 
una camera alta ec. ed altre lettere inedite a varj amici di Spa- 
gna sulle cose di quel regno ec. . 

La Biografia nuova dei contemporanei dalla quale abbiamo 
tolte in gran parte 'le presenti notizie , termina così la pittura di 
quest’ uomo ,, Il sig. Bentham gode ancora, benchè in età di 72, 
anni, di tutte le sue facoltà, e d’ una salute eccellente . Sem- 
bra essere sempre in tutto il vigore del suo talento , e gli anni 
non hanno in nulla alterato il calore della sua anima. Nessun 
uomo è stato giammai così spogliato dei pregiudizj nazionali, 
che tendono ad allontanare i popoli dalla stima reciproca e dalla 
buona intelligenza , che assicureranno forse un giorno la loro 
tranquillità. Deve considerarsi il sig.. Bentham come uno dei pa- 
triarchi di questa famiglia Europea , che si aggrandisce col pro- 
gresso delle sane idee politiche e che in mezzo alle divisioni 
seminate dagl’ intrighi efimeri della diplomazia , fraternizza in 
una eterna pace , e corrisponde dai punti i più lontani del glo- 
bo col linguaggio universale della ragione . Egli è un vero filo- 
sofo cosmopolita: ogni uomo che ama la libertà , e che desi- 
dera la felicità della specie umana, è suo compatriotto . ,, 

? GIUSTI. 


- 396 
GEOGRAFIA E VIAGGI 


Viaggio per lo scuoprimento di un passaggio Nord- 
Ovest dall’ Atlantico al mar Pacifico del Capi- 
tano GuerieELMo EpvarDo Parrv. 


(Continuazione, V. pag. 118.) 


[DA allora il 7 settembre, ed il termometro s'era ab- 
bassato a 25.°, il mare vedeasi coperto di vasti massi di 
ghiaccio, e le notti erano sì oscure dalle ore dieci fino 
alle due, che in quell’ intervallo si rese assolutamente 
necessario di trattenere il corso alle navi: nondimeno 
siccome il Capitan Parry comprendeva che il compi- 
mento del grande oggetto del viaggio principalmente 
dipendeva dal progresso che essi farebbero nella presente 
| stagione, per quanto breve, egli determinò di avanzarsi 
a fronte di tutti gli ostacoli, e di estendere più che fosse 
possibile le sue operazioni . Il ghiaccio che cuopriva il 
lido permetteva soltanto di spinger le navi in una più 
difesa situzione in vicinanza della riva , onde porsi in 
sicuro dalla pressione del gran corpo di ghiaccio , che 
allora si scorgeva dirigersi verso di loro. Essi per buona 
fortuna riuscirono a ricovrarsi tra due di quelle vaste 
masse, le quali alla distanza di circa braccia 300 dal lido 
si approfondavano circa a dodici braccia nell'acqua, e 
dai venti ai trenta piedi circa, sopra la superficie . Così 
poterono evitare che quella immensa mole venisse ad 
urtare nella nave, la quale, se ciò accadeva, sarebbe 
stata inevitabilmente sbalzata sul lido, ed infranta in 
minutissimi pezzi. Un masso dalla parte occidentale 
investendo un angolo di quello, entro cui l’ Hecla si era 


— dite 


397 
osto in salvo, la fe volgersi intorno come sopra un 
’ P 


perno . | 
Il 14 settembre mentre invano tentavano di an- 


dare all’ occidente , il termometro scese.fino a 9°; un 
abbassamento di temperatura così subitaneo non era da 
loro atteso; fino da questo giorno, come quindi si ve- 
drà, può cominciarsi a contare il principio del loro 
inverno. Rimaneva allora leggiera speranza di fare ul- 
teriori progressi, mentre il ghiaccio profondo era ade- 
rente al lido, e i pochi angusti stagni di acqua vedeansi 
coperti dal ghiaccio recente, onde le navi potevano 
muoversi con difficoltà, anco coll’ aiuto di un forte 
vento; esse difatti si trovarono in balia delle grandi 
masse, che le spingevano in varie direzioni a seconda 
dell’ urto. Possiamo formarci una qualche idea della 
loro perigliosa situazione da ciò che segue: 


Allora ci accorgemmo di esserci introdotti in un immenso 
corpo di ghiaccio, che ci precedeva verso l'occidente; e quindi 
un altro vasto campo di ghiaccio, che fin allora non si era ac- 
costato al lido se non alla distanza di dugento o trecento braccia 
videsi avvicinarsi a noi rapidamente: e finalmente all’ occidente 
del luogo ove era stata calata l'ancora dell’ Hecla, un profondis- 
simo volume di ghiaccio, che per modo di distinzione noi chia- 
mammo montagna, sporgeva dal lido alla distanza di circa a cento 
e cinquanta braccia. Le navi per buona sorte erano state obbli- 
gate a recarsi da una all’ altra parte della montagna sporgente, 
poichè alle otto pomeridiane il campo menzionato venne ad urtare 
precisamente dalla parte opposta con un terribile strepito, ammas- 
sando grandi frammenti di ghiaccio nel modo il più spavente- 
vole, ed orrendo; quest’ urto parve che diminuisse la forza, con 
cui il ghiaccio era spinto; forza che quasi si direbbe incalco- 
labile, come potemmo osservare dai nostri alberi maestri. Noi 
allora eravamo lontani dalla parte percossa pel tratto di cento 
braccia, onde avemmo giusta ragione di congratularci con noi 
medesimi per avere evitato un pericolo dal quale niuno umano 


| potere, o industria sarebbe stata valevole a salvare le navi dalla 


loro imminente distruzione. 


T. IV. Dicembre 26 


398 Li 

Il Griper fu adunque velocemente spinto sul lido; 
e siccome la di lui situazione era al sommo pericolosa, 
il capitan Parry inviò a prendereil luogotenente Liddon, 
che allora si trovava nello stato della maggior debolez- 
za, onde trasportarlo a bordo dell’ Hecla: questo giovane 
ufliziale animato dal vero spirito d’un marinaro inglese, 
ricusò di profittare della di lui cortese esibizione, volle 
esser trasferito sul ponte, ed assiso sulla sua sedia dette 
gli ordini opportuni, dichiarando che sarebbe |’ ultimo 
dell’ equipaggio ad abbandonar l3g6éua nave . Tosto per 
buona ventura, al ritirarsi del ghiaccio, e al sorgere del 
flusso, il Griper videsi galleggiare sull’ onde. Pur si co- 
nobbe ad evidenza che una più ostinata perseveranza 
riuscirebbe inutile, e probabilmente avrebbe cagionata 
la distruzione di ambedue le navi, e dell’ equipaggio 
ancora: era oramai sopraggiunto il 20 settembre; nel 
quale giorno il più alto punto del termometro segnò 
21.° e il più basso 10.° 3. 


La stagione avanzata, l’ apparenza del ghiaccio dalla parte 
di aiar che minacciava perigli, e il rischio con cui si era 
effettuata la navigazione per alcuni de’ giorni trascorsi, facil- 
mente m° indusse, osserva il Capitan Parry, a concludere esser 
ormai arrivato il tempo, in cui assolutamente faceva d’ uopo 
prendere i quartieri d’ inverno. Fra le circostanze, che rende- 
vano questa navigazione più del consueto perigliosa, e la spe- 
ranza di un successo in proporzione minore, niun oggetto dava 
più ragionevol fondamento di tema quanto l’ incredibile rapidità, 
con cui andavasi formando il nuovo ghiaccio nell’ intiero corso 
del giorno. Si conosceva chiaramente, che solo ai venti gagliardi 
potevasi attribuire, che aveano poco fa dominato, se il mare 
non era allora del tutto agghiacciato, poichè ogni volta che non 
soffiava un vento fresco, tosto l’ acqua si iva e il ghiac- 
cio avanzava con tal sorprendente rapidità; che se il tempo avesse 
continuato ad esser tranquillo per più di ventiquattro ore di 
seguito, credo per certo che noi saremmo stati obbligati a pas- >. 
sar l’ inverno in quella mal sicura situazione. 


399 

Fu ben avventuroso che il capitan Parry prendesse 
questa risoluzione, mentre un sol giorno d’ indugio’ sa- 
rebbe stato fatale alla spedizione, imperocchè arrivati a 
Winter Harbour, davanti alla baia dell’ Hecla, e del 
Griper, l’intera superficie fu trovata per tal modo co- 
perta di nuovo ghiaccio, che essi furono obbligati ad 
aprire un canale per mezzo d’ istromenti onde intro- 
durvi le navi: operazione che occupò la maggior parte 
di tre giorni, giacchè la profondità del ghiaccio fu cat- 
colata sette pollici, e la totale lunghezza del canale 4082 
braccia, ossia circa a due miglia e un terzo. Nell’ ulti- 
mo di questi giorni (il 26 settembre ) il mercurio del 
termometro discese a un. grado sotto zero, e il giorno 
successivo dalle montagne si scorse il mare gelato fin 
dove l’occhio poteva estendersi; e da quel tempo non 
fu più veduta acqua aperta . Compito adunque il canale, 
le navi furono poste ne'loro quartieri d'inverno, e l’equi- 
paggio, dice il capitan Parry, attendeva l'evento con un 
aspetto tranquillo e sereno (1). Giunti allora, continua 
egli, alla dimora, ove noi eravamo destinati a rimanere 
probabilmente pel corso di otto, o nove mesi, per tre 
de’ quali non avremmo avuta la consolazione di mirare 
la faccia del sole, rivolsi di subito la mia attenzione a 


(1) Con assai differente sentimento, ed invero in circostanze 
molto diverse lo sventurato (Barentz, ed i suoi compagni nel 
medesimo parallelo sulla costa della nuova Zembla fecero in- 
gresso in quel funesto luogo, ove, dice lo scrittore, noi fummo 
obbligati a rimanere per tutto quell’ inverno fra i rigori del fred- 
do, ed afflitti dalla miseria, e dalla carestia. La paziente rasse- 
gnazione, con cui questi infelici sopportarono i loro patimenti, 
l’ordinata condotta, il buon umore, anzi la letizia che esterna- 
rono ne’ più calamitosi avvenimenti, e la semplicità con cui è 
raccontata la storia di questo disgraziato viaggio forma una delle - 
più interessanti narrazioni che siano state mai pubblicate. 


400 i 
varj importanti doveri. Soprattutto si occupò di porre 
‘in opera i più efficaci mezzi per la sicurezza delle navi, 
delle provvisioni , e delle vettovaglie , e pel. manteni- 
mento del buon ordine, e della nettezza, che tanto con- 
tribuir dovevano alla salute, ed al sollievo dell’ equi- 
paggio pel corso di un inverno lungo , ed orrido , che 
loro si parava davanti. La prima operazione, dopo aver 
depositati sul'lido gli attrezzi, e il legname affine di 
rendere il ponte meno imbarazzato per l’ esercizio , si 
' fu di situare le navi, e di cuoprire il tetto con una ten- 
da impenetrabile, quale si usa per difendere i carri; 
procurò altresì di trovare un riparo contro la neve che 
ormai giungeva alle catene delle sarte; e di mantenere 
le stanze calde , ed asciutte mediante un’ apertura, ed 
una stufa. Per giungere a un tale scopo peraltro si do- 
vetter superare' alcune difficoltà, che non potevano in 
verun modo prevedersi. Quando la temperatura dell’a- 
tmosfera si fu abbassata considerabilimente sotto zero 
di Farenheit , il fumo, che si sollevava dalle caldaje, 
come pure l’ alito, e gli altri vapori, che si sviluppava- 
no dalle parti abitate della nave si videro condensarsi 
in gocciole sopra le travi, e sopra le pareti a tal punto 
da mantenerle costantemente umide . Per qualche tem- 
po una corrente di aria rarefatta si trovò efficace a Pan 
sciugare una gran parte dell’ umidità, ma quando il 
freddo divenne assai più intenso , s’ accrebbe ne’ dor- 
mentorj per modo da destare un serio timore, così che 
parve espediente nel più rigoroso inverno di non impe- 
dire al vapore di fermarsi ai lati delle navi a guisa di 
solida lamina di arido ghiaccio. 

Quindi ebbe egli premura di regolare la distribuzione 
delle provvisioni ad oggetto di schivare lo scorbuto come 
la più terribile fra tutte le malattie, che si posson soffrire 


4o1 

in mare, mentre la carne salata, la mancanza di nutrimen- 
to vegetabile, e di esercizio, il freddo, e l’ umidità sono 
troppo notoriamente riguardate come sue cause predispo- 

nenti. Le regole stabilite su tal proposito appariscono ec- 
cellenti, eisoccorsi, che vennero apprestati alla spedizione 
non potevano somministrarsi con più criterio. Relativa- 
mente al combustibile, fu necessario adottare un sistema 
della più austera economia. L'equipaggio fu partito in di- 
visioni, a ciascuna di cui presiedeva un ufiziale, il quale 
era responsabile della loro personale nettezza, e della. 
proprietà, e mantenimento del loro vestiario : La ciur-. 
ma era passata in rivista mattina e sera , ed una volta. 
la settimana particolarmente visitata dai medici così 
che al minimo indizio di scor buto, si potesse immedia- 
mente apprestare i rimedj per estirparlo. Dopo colazione 
era a tutti con cesso di andare a far moto sul lido , op- 
pure, se il tempo nol permetteva, si facevan correre in- 
torno, al suono d’ un organo, o al canto della lor propria 
voce. PIA 

Dopo il loro arrivo a /Winter Harbour furono spe- 

dite delie partite di cacciatori in cerca di rangiferi e di 
francolini, ma prima della fine d’ ottobre tutti questi 
animali avevano abbandonata l'isola Melville, lascian- 
do solamente 1 lupi, e le volpi a tener loro Vos DADA 
nel corso dell’ inverno. Il '17 e il 18 si osservò una nu- 
merosa quantità di cervi far da quel luogo partenza 
dirigendosi sul ghiaccio, verso la costa d’ America, e 
quindi non se ne vide che uno, o due. I lupi. quasi per 
tutto l’inverno si recavano in vicinanza delle navi, 
e le femmine allettavano i cani a seguirle ; alcuni 
de’ quali non più ritornarono , ed uno di essi tornò in- 
dietro barbaramente lacerato per aver forse avuto un 
incontro con i maschi. Fu presa una volpe al laccio ; 


408 
era ella perfettamente bianca. Un solo orso fu vedute 
poco dopo il loro ingresso nel porto; ed un altro fu sen- 
tito appunto quando essi erano per partire ; e non ap- 
parve che un sol vitello marino. i; 

Una compagnia di cacciatori spedita a predice aven- 
do trascurato l’ ordine di ritornare prima del tramontar 
del sole, destò molta inquietudine per riguardo alla Joro 
salvezza . Gli effetti che leggonsi nel seguente estratto 
sono precisamente simili a quelli, che occorsero ad un 
distaccamento dell’ armata francese spedita una notte 


da Wilna . 

Giovanni Pearson marinaro appartenente al Griper, il quale 
fa l ultimo che ritornasse a bordo, siccome era imprudentemente 
partito senza guaati, ed armato d’un moschetto, sofferse assaì 
nelle mani rimaste perciò gravemente danneggiate. Una parte 


del nostro equipaggio dopo molte ricerche lo ritrovò, benchè la 


notte fosse oscurissima, precisamente allorchè egli era caduto in 
un ammasso di neve, e cominciava a sentire quel grado di torpore, 
e di sonnolenza, che se non si\scuota, inevitabilmente riesce fatale. 
Allorchè fu portato a bordo, i suoi diti erano affatto assiderati, 
e piegati in quell’atteggiamento, con cui aveva tenuto il moschet- 
to: e il gelo avea talinente distrutta la vitalità nei diti di una 
mano, tti nonostante tatte Je cure, e l’ attenzione prestata dai 
medici, dopo breve tempo si rese necessario di fare a tre |’ am- 
putazione. L'effetto prodotto dal rigoroso freddo in assiderare 
non meno le facoltà della mente, che le membra del corpo era 
assai commovente in quest’ uomo, come pure in quei due giovani 
che ritornarono a sera avanzata, e di cui eravamo stati solle- 
citi di far ricerca malgrado la premura che si avea per Pearson. 
Quando io gli feci venire nel mio ‘gabinetto, essi vedevano in 
| confuso, non parlavano distintamente, ed era impossibile di trarre 
da loro una ragionata risposta ad alcuna delle nostre interroga- 
zioni. Dopo breve tempo che furono tornati a bordo, videsi che 
a grado a grado le facoltà mentali'riprendevano il loro esercizio 
al tornare della circolazione ; così che allo spettatore sembrava 
che si riavessero dallo stato di ubriachezza . 
Queste escursioni servivano mirabilmente all&eser- 


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: 403 
cizio, e al sollievo dell’ equipaggio, ma il Capitan Parry 
desideroso di trovare un rimedio all’ ozio , e alla noia, 
che provavasi nelle ore disoccupate, propose agli uffi- 
ziali di erigere un teatro provvisorio a bordo dell’'Hecla 
come il più pronto, e adattato mezzo di mantenere nel 
lungo spazio che gli rimaneva a trascorrere, quella alle- 
grezza, e quel buon umore, che fin allora avevano dimo- 
strato. Essi di subito assentirono a tal proposizione; ed 
io stesso, dice il capitan Parry, di buona voglia entrai a 
parte di questi sollievi, riflettendo che nelle circostanze, 
in cui ci trovavamo, il porgere esempio di una gioia sin- 
cera interessandomi in tutto ciò, che poteva contribuire 
a'svegliarla, non era la meno essenzial parte del mio 

"dovere. La damigella da marito fu la prima rappre- 
sentanza; e fu eseguita il 5 novembre, giorno in cui il 
sole si nascondeva sotto l'orizzonte per non risorgere se 
non dopo tre unesi di tedio. Tale rappresentanza fu ac- 
colta con applausi di entusiasmo, e di sincerissima 
gioia ; e fu sì palese il sollievo.che da simile tratteni- 
mento ne ritrasse l’ equipaggio, che fece determinare il 
Capitan Parry a ripeterlo ogni quindici giorni durante 
V corn stagione. Anche la cura di erigere il palco, e 
quindi disfarlo prima, e dopo qualunque recita era sog- 
getto di nion lieve importanza, poichè io temeva, dice 
il Capitan Parry, la mancanza di occupazione, come 
uno de’ più gravi mali che ci potesse accadere. Siccome 
poi i drammi che s1 avevano a bordo erano in troppo 
scarso numero, i nostri autori, soggiunge, si applicarono 

‘ ad inventarne, e riuscirono a ‘comporre un musicale 

trattenimento, a guisa di quelli di Natale, espressa- 
mente adattato alla nostra udienza, ed avente rapporto 
al servigio, cui eravamo impeguati. Noi abbiamo mo- 
tivo di supporre che lo stesso Capitan Parry ne fosse 


404. 

I autore; per vero dire quest’ ufiziale sembra fornito di 
un, gran numero di doti, che ben di rado vedonsi riu- 
nite in una sola persona 

Questi divertimenti senza dubbio tenevano appli- 
cati gli ufiziali, e l'equipaggio; ma il Capitan Parry ben 
distingueva ho facea d’ uopo di un oggetto più interes- 
sante alia di distrar lo spirito dei primi dalle troppo 
profonde riflessioni sulla loro attvaie situazione; per la 
qual cosa egli suggerì il progetto di pubblicare una set- 
timanale gazzetta, che dovea chiamarsi he MNortk 
Georgia Gazette and Winter Chronicle, di cui il Cap. 
Sabine imprese ad esserne il compilatore ; ed io posso 
con certezza asserire , osserva il Capitan Parry,; che 


questi scritti periodici produssero |’ effetto felice di, 


impiegare a un tempo le ore di ozio di coloro che gli 
stendevano, e di divertire lo spirito di ciascuno dall’or- 
rido prospetto; che talorà avrebbe fitta impressione 
anco sulla persona la più intrepida: anzi fece di più, 
poichè occupò , e servi di sollievo non solamente allo 
spirito degli esterisori, ma di coloro altresì, i quali per 
diffidenza ne’ loro propri talenti domandavano di essere 
dispensati dal somministrare quei brevi articoli, di cui 
venivano ogni settimana richiesti ; perchè anco essi 
(dice il Capitan Latry) erano premurosi di leggerlì , e 
si.mostravan più pronti a censurare di coloro i quali 
sapevan trattare la penna; sebbene tal censura palesava 
quel carattere urbano che non si permette di recare of- 
fesa. Questa gazzetta continuata fino al num. XXI. fu 


stampata dagli ufiziali per sodisfare alle brame de’ loro, 


amici: e quando si consideri che gli ufiziali di marina 
sono mandati in mare nella più fresca età (generalmen- 
te agli undici, 0 ai dodici anni) e che 1’ educazione che 
essi rice vono a bordo non può esser diretta col migliore, 


eli In ARTE 


| 


- 405 

e più esteso sistema, noi ci lusinghiamo che molti arti- 
coli nella Worth Georgia Gazette saranno trovati di 
gran lunga superiori a quello, che potevasi attendere, e 
tali da non far disonore ad uno scolare che abbia fatto 
ì suoi studi in regola, o ai più pratici scrittori. 

Gli ufiziali si divertivano generalmente per una 0 
o due ore sulla metà del giorno, quando il tempo lo 
permetteva, in andare a diporto sul lido anco nella più 
oscura stagione, quantunque, come si può facilmente 
immaginare in quelle passeggiate poco si trovasse da 
interessare, o recar sollievo allo spirito. Essi nondime- 
no vi si portavano di frequente come se ne avessero con- 
tratto l’ abito, anco allorchè il termometro segnava 30.° 
e 40° sotto zero, e purchè non soffiasse vento, senza 
neppur,,provare grave incomodo malgrado l’ intenso 
freddo; ma il più leggiero venticello rendeva la tem- 
peratura insopportabile anco quando il termometro se-. 
gnava molti gradi sopra zero. Il Capitan Parry così de- 
scrive la tediosa , e molesta monotonia dei giorni, che 


pei nostri navigatori andavansi succedendo: 
Dalla parte di mezzogiorno vedeasi il mare coperto di una 


superficie non interrotta di ghiaccio uniforme nella sua abba- 


gliante bianchezza , e solo in alcune parti poche prominenze ele- 
vavansi al disopra del generale livello . Il paese non presentava 
maggior varietà essendo quasi affatto coperto di neve , eccetto 
che in alcune eminenti situazioni. scorgevansi più quà, e più 
là alcuni oscuri pezzi di terra scoperta, ove il vento avea im- 
pedito alla neve di fermarsi. Quando dalla sommità delle cir- 
convicine montagne ‘in uno di quei giorni sereni, e tranquilli, 
che non di rado sursero durante l’‘inverno si girò attorno lo 
sguardo ; il prospetto che ci si offerse non inspirava che rifles- 
sioni della più tetra malinconia . Nulla si presentava su cui l oc- 
chio potesse lungamente trattenersi con piacere ;se non quando 
ci rivolgemmo al luogo ove giacevano le navi, e dove era stà- 
bilita la nostra piccola colonia. Il fumo che indi sorgeva, por- 
gendo sicuro indizio della dimora di*uomini invitava ad una ‘par- 


4067 “ 

ticolare allegrezza ; é il suono delle voci, che per motivo della 
fredda stagione si faceva sentire ad una molto maggiore distan- 
za del consueto, serviva a rompere il silenzio, che regnava in- 
torno a noi, silenzio di gran lunga differente da quella piacevo- 
le tranquillità, che si sente in passando da una terra coltivata ; 
era egli il lugubre silenzio della più spaventevole desolazione , 
cagionato dalla totale mancanza di esseri animati. Difatti era 
tale la scarsità degli oggetti, che si offrissero al guardo, e che 
sollevassero lo spirito, che una pietra di non ordinaria grandèz- 
za che appariva al disopra della neve nella direzione del nostro 
cammino , divenne tosto il segnale, su cui si fissarono i nostri 
occhi, e verso cui ci avanzammo senza avere uno scopo . 

Spaventevole quale necessariamerite dovea essere un tale 
prospetto, non poteva nondimeno dirsi affatto privo d’ inte- 
resse, specialmente quando alla particolare nostra situazio- 
ne si associava l’ idea dell’oggetto che ci avea colà portati, e 
della speranza che sebben languida pur talora si svegliava di 
passare una parte del prossimo inverno nel clima più omoge- 
neo delle Isole del mare del Sud. Forse i nostri pensieri ,, ben- 
chè niuno di noi azzardasse di confessarlo , saranno stati talora 
involontariamente rivolti verso la patria, ed avranno istituito 
un paragone tra il rustico aspetto della natura in questa deso- 
lata regione; e quello più ridente del felice paese ,,.che aveva- 
mo lasciato dietro a noi. 

Così occupati , gli sorprese senza che se ne ac- 
corgessero il più breve giorno, o parlando più cor- 
rettamente il punto medio di quella lunga notte. 
Un poco prima, e appresso il. mezzogiorno di quel 
dì, goderono tanto splendore, che avrebbero. potuto 
leggere piccola stampa voltandosi verso 1’ orizzonte 
dalla parte meridionale , e passeggiare con piacere 
pel corso di due ore. Quaniunque il sole si avan- 
zasse lentamente verso l orizzonte, la sola idea che 
egli si volgeva incontro a loro, facea rinascere la 
più vivace allegrezza ; e il giorno di Natale sebbene 
provassero un iniensissimo freddo, lo festeggiarono 
col éelebrare i divini uffici, e con un pranzo di 


n 407 
compagnia, in cui non furono dimenticati i loro a- 
mici d’ Inghilterra . 

L’anno cadente terminò con un tempo piace- 
vole; ma nel mese di Gennaio si fe sentire il freddo 
il più rigoroso: il termometro non sali giammai a 
zero, e generalmente segnava dai 30.° ai 40.° sotto 
quello . 11 dì 3., dice il Capitan Parry, ricevetti 
per la prima volta il dispiacente rapporto che fra 
noi appariva qualche indizio di scorbuto. Il Sig. 
Scallon cannoniere dell’ Hecla fu la prima persona 
attaccata, e la malattia ai non equivoci sintomi del 
paziente si manifestò di un carattere piuttosto grave. 
S'impiegò dai medici la più premurosa attenzione , 
ma l’infermità continuò per qualche tempo a dila- 
tarsi ; coll’ uso abondevole peraltro di. rimedi anti- 
scorbutici si calmò, e finalmente per buona ventura 
venne a cessare . Forse nulla contribuì maggiormente 
a questo effetto quanto la giornaliera amministrazio- 
ne di fresca senapa, e di crescione , che il Capitan 
Parry immaginò di seminare nel suo gabinetto in 
cassette ripiene di terra ,e disposte attorno alla stu- 
fa: coi quali mezzi potè in generale assicurare anco 
nel più rigoroso freddo una raccolta. dopo il sesto, 
o settimo giorno da che avea gettato il seme. Quan- 
tunque scolorito , atteso la mancanza di luce, pure 
era altrettanto acuto , ed odoroso quanto quello, che 
cresce all’ aria aperta . | 

L’ 11. di Gennaio il termometro era a 49. sotto 
zero, nondimeno il tempo si. manteneva perfetta- 
mente tranquillo , e gli ufiziali passeggiarono sul lido 
senza provare alcuno di quei terribili effetti, che da 
alcuni i quali hanno scritto sul clima di Siberia vo- 
glionsi attribuire al freddo intenso, giacchè lo dicon 


408 

tale da produrre una dolorosa sensazione sopra i pol- 
moni come se fossero lacerati a brani. Ciò mostre- 
rebbe invero, che l’ umana costituzione è capace di 
resistere e al caldo , e al freddo, e che può speri- 
mentare senza danno un cambiamento dall’uno all’al- 
tro molto più rapido , e violento di quello, cui l’e- 
quipaggio nostro andò ‘soggetto . Il Capitan Parry as- 
sicura , che nella più rigida stagione neppur. uno fu 
assalito da male inflammatorio, ‘benchè egli, ed i. 
suoi compagni nel passare dai‘ gabmetti all’ aria a- 
perta, e vice versa fossero costantemente esposti per 
alcuni mesi a soffrire una variazione di. temperatura 
dagli 80.° a 100.°, e talora a 120.° in meno di un 
minuto . 

Il 3. Febbraio mediante il potere refrangente 
dell’ atmosfera , essi cominciarono a scorgere una lu- 
cida traccia del lembo superiore del sole , e il 7 egli 
fe vedere il suo intiero disco sopra l’ orizzonte . Que- 
sto fu il seguale almeno per dar principio ai prepa- 
rativi per la seguente campagna, quantunque non 
ignorassero , che molti mesi di tedio dovrebbero an- 
cora trascorrere ‘prima che le navi fossero prosciolte 
dalle loro. catene di ghiaccio. L’adunar pietre per 
le stive, di cui ne ammontarono circa a settanta 
+ botti, fu la prima operazione , la quale servì ad oc- 
cupare poche ore del giorno , allorchè il tempo era 
bastantemente tranquillo da permettergli di operare 
senza il rischio di rimaner danneggiati dal freddo ; 
lo che non accadeva che di rado, meutre per Vin- 
tiero mese di Febbraio sperimentarono un. freddo 
tale, che' per l’avanti non avean provato il maggio- 
re: lo spirito nel termometro il di 15. discese a — 
50° e si mantenne per quindici ore non più alto 


409 

di -- 54°, da cui nelle successive quindici s’inalzò 
gradatamente , al crescere di un venticello fresco, 
fino a -- 34. ma anco nel massimo freddo , purchè 
‘ fosse calma, non provavano alcuno inconveniente 
esponendosi all’ aria aperta . Noi ci applicammo, di- 
ce il Capitan Parry, alla divertente occupazione di 
congelare alquanto mercurio durante la fredda sta- 
gione, e .di batterlo sopra un’ incudine antecedente- 
mente ridotta alla temperatura dell’ atmosfera ; per 
questa esperienza si venne a conoscere che consoli- 
dato in tal guisa non era molto malleabile , giacchè 
ordinariamente veniva a rompersi dopo due, o tre 
colpi di martello . : 

Non molto dopo l’arrivo a Winter Harbour, 
era stato eretto sul lido un osservatorio fornito di 
orologi, della macchina per osservare il passaggio 
de’ pianeti, del pendolo e degli altri stromenti . Il 
24. Febbraio il termometro. segnando da -- 43.° a 
— 44- sì scoperse che questo adifio era in preda 
alle fiamme. Tutti immediatamente si posero all’o- 
pra per estinguere il fuoco ammassandovi sopra la 
neve. L’apparenza, dice il Capitan Parry, dei no- 
‘stri volti davanti al fuoco era alquanto curiosa , poi- 
chè il naso, e le guancie d’ognuno, per l’azione 
del gelo, erano divenute affatto bianche appena tra- 
scorsi cinque minuti che ci trovavamo esposti all’aria 
aperta; così che parve necessario ai medici, ed agli 
altri destinati ad assister coloro , che attendevano ad 
estinguer l'incendio di aggirarsi incessantemente in- 
torno , e stroppiciar colla neve le parti affette , onde 
eccitare il principio vitale. Malgrado tutte le pre- 
cauzioni, molti rimasero danneggiati ; e non meno 
‘ dì sedici persone d' ambedue le navi furono inscritte 


410 
sulle liste de’ malati . Colui che maggiormente sofferse 
fu il domestico del, Capitan Sabine, cui accadde di 
trovarsi entro l osservatorio insieme col sargente Mar- 
tin allorchè s’ apprese la fiamma. Eta egli fuggito 
senza ì suoi guanti per la premura di salvare |’ ago 
d’ inclinazione ; ed in conseguenza i suoi diti nel corso 
d’ una mezza ora rimasero così assiderati , e la vitalità 
per tal modo sospesa , che avendo immerse le sue ma- 
ni in un bacino d’ acqua fredda , la superficie fu tosto 
coperta di ghiaccio atteso l’ intensità del freddo a 
quella in tal guisa comunicato : e nonostante la pre- 
murosa , ed indefessa attenzione dei medici, fu neces- 
sario di ricorrere all’ amputazione di una. parte dei 
quattro diti di una mano, e di tre dell’ altra . 
L'ambiente del mese di Marzo fu assai più mite, 
così che il ghiaccio solido , che per ‘qualche tempo 
avea vestito le pareti delle navi cominciò a liquefarsi . 
Nondimeno fu giudicato opportuno di porsi a raschiare 
questa superficie di ghiaccio ; nè a tutti sembrerà cre- 
dibile, osserva il Capitan Parry , che noi in quel gior- 
no ( 8. Marzo ) si giungesse a distaccarne circa a cento 
pieni catini , oguuno de’ quali conteneva dai cinque ai 
sei galloni ; tanta era la quantità che erasene formata 
nello spazio di non intiere quattro settimane ; e questa 
immensa quantità era principalmente il prodotto dell’a- 
lito dell’ equipaggio , e del fumo, che si era sviluppato 
nel preparare le loro vivande . Questo ghiaccio forma- 
to in una maniera particolare contornava le teste dei 
chiodi di ferro , che ben presto conducevano il freddo 
esterno , così che veniva ad accumularsi una specie di 
montagna di ghiaccio in miniatura ad ognuno di essi . 
La cagione dello scorbuto, che allora afflisse pochi in- 
dividui sicuramente deve attribuirsi all’ umidità dei 


4II 
dormentorj , e gli ufiziali, ed i medici ne rimasero sì 
pienamente convinti , che furono abbassati i camerini 
a bordo, ed i comuni si ricovrarono nelle brande ; si- 
stema sui era stato generalmente adottato nelle navi 
quando erano impegnati nella scoperta , e fu posta co- 
me ulteriore riparo contro il freddo una fodera di su- 


ghero bruciato tra le pareti delle navi , e le interne ta- 


vole di abeto. 
Si giunse alla metà di a senza alcun sensibile 
scioglimento di ghiaccio . Il 30. peraltro: accadde una 


sì diga variazione nella temperatura dell’ atmosfera ? 


che il termometro s' inalzò al gelo, 0 come forse più 
propriamente può in questo clima appellarsi, “al punto 
dighiacciante , essendo la prima volta che egli era sa- 
lito così alto nel corso di otto mesi. Per questo au- 
mento di temperatura pareva che si godesse il clima 
d’ estate, così che fu necessaria l’ autorità del Capitano 
per impedire all’ equipaggio di gettar da parte le sue 
vesti da inverno. La differenza in venti giorni fu da 
— 32. a -{- 32. ossia di 64. 

Il 12. Maggio fu veduto il primo ptarmigan, e 
il giorno appresso le prime tracce de’ rangiferi , e de’ 
bovi muschiati , le quali indicavano il loro cammino 
diretto al settentrione. Fu osservato che essi avean 
fatto ritorno al primo apparire della bella stagione , 
cioè quando si cominciò a godere la luce del sole. 
Quindi di giorno in giorno gli uccelli , ed i quadrupedi 
si fecer vedere sempre in maggior numero , e perciò si 
ripresero le abbandonate partite di caccia. La neve co- 
minciava allora a disciogliersi rapidamente , e il 24. 
ebbero essi il contento di veder cadere una forte piog- 
gia . Era sì lungo tempo , dice il Capitan Parry, che 
non avevamo veduto acqua nel' suo stato naturale , ed 


412 
eravamo tanto insoliti a mirarla cader da’ cieli, che un 
tal fenomeno divenne oggetto di particolare curiosità , 
ed io credo che niuno dell’ equipaggio tralasciasse di 
recarsi sul ponte per esser testimone di un avvenimen- 
to sl inusitato , ed interessante . 

i Piacque allora al Capitan Parry d’ detta prelle 
un viaggio nell’ interno dell’isola , e determinò di par- 
tire il dì 1. di Giugno. Impiegarono in questo viaggio 
cinquanta giorni avendo attraversato }' isola fino alla 
sua estremità settentrionale senza scorgere nè al set- 
tentrione , nè all’ occidente ‘alcun paese più lontano . 
Il terreno essendo quasi affatto coperto di neve , dan- 
neggiava assai la vista ; avvicinandosi peraltro alle 
navi trovarono che l’acetosa avea spuntate le sue foglie 
con vigore, e che il ghiaccio del porto era interrotto 
da innumerabili stagni d’ acqua . Il ghiaccio allora an- 
davasi sciogliendo con tanta rapidità , che il 20 di Giu- 
gno sul terreno nelle difese situazioni videsi più quà, 
e più là spuntato il domestico porporino fiore della 
Saxifraga oppositifolia che al dire del Capitan Parry 
parve cambiasse in più lietò , e vivace il già orrido e 
lugubre aspetto di quel paese. Cervi, e bovi muschiati, 
lepri, anatre, e ptarmigans scorrevano in folla, je tutto 
indicava l’ avvicinamento dell’ estate. Alla metà di 
Luglio il termometro segnava dai 56.° ai 60.° ; ma non 
fu che il 1. di Agosto che il ghiaccio si trovasse a ba- 
stanza disciolto per permettere alle navi di uscire da 
Winter Harbour; e quindi ben presto si avvidero 
che loro s’ offriva solameute un angustissimo canale 
per cui incamminarsi verso occidente tra la terra , e il 
ghiaccio. Trovarono per altro il ghiaccio più profondo 
a misura che si avanzavano a ponente , ed' ambedue le 
navi furono bene spesso in imminente pericolo di es- 


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413 
sere infrante in minutissimi pezzi. Una volta un corpo 
voluminoso di ghiaccio approssimandosi verso il lido 
venne ad urtare in un angolo della superficie di ghiac- 
cio vicino alla quale le navi si erano refugiate . Egli si 
ruppe a traverso , dice il Capitan Parry , in varie dire- 
zioni con un forte strepito; e subito dopo noi ne ve- 
demmo una parte del volume di parecchie centinaia 
di botti in peso sorgere lentamente , e con maestà .co- 
me se fosse elevato con una macchina , e posarsi da un 
altro lato della superficie da cui era stato infranto ; fu 
* calcolato della profondità di quarantadue piedi . 

Tutti i loro sforzi riuscirono inutili per avanzarsi 
oltre all’ estremità sud-ovest dell’ Isola Melville. Qual. 
che cagione particolare in questo punto impedisce al 
ghiaccio di distaccarsi dal lido , come si è separato in 
ogni altra parte del viaggio ; forse ciò deriva dal non 
trovarvisi più paese, oppure i venti settentrionali che 
vi dominano, han forse spinto in avanti l’ immenso 
corpo di ghiaccio, e lo han posto a contrasto fra le iso- 
le. Giunti ormai al di 16, e il Griper essendo stato 
un’ altra volta gettato sul lido con' poca probabilità di 
potersi salvare , il Capitan Parry si determinò a ritor- 
nare dalla parte di levante lungo il margine del ghiac- 
cio coll’ intenzione di profittare di qualche apertura 
che potesse incontrarsi per andare dalla parte meridio- 
nale, e per approdare , se era possibile , sulla costa di 
America . Il più lontano punto, cui' essi arrivarono 
nel mar Polare fu lat. 74.° 26’ 25”, e long. 113, 46 
43” 5. 

Solo il di 26 le navi trapassarono il capo Provi- 
dence , e quindi il canale sì dilatò in maniera da per- 
Sitorli di avanzarsi mediante un buon vento fresco 


con tal rapidità , che in sei giorni essi giunsero alla vi- 
T. IV. Dicembre 27 


414 

sta dello stretto di Lancaster ; ed. avendo ‘ imolire gua- 
dagnata la baia di Baffin, si trattennero lungo il lido 
occidentale colla mira di osservarlo minutamente , 
giacchè era stato imperfettamente esaminato nella pri- 
ma spedizione . Essi lo trovarono interrotto da diverse 
profonde baie , o passaggi simili al fiorder sulla costa 
di Norvegia. In uno di questi prossimamente alla lati- 
tudine 70.° 22° s' incontrarono in una tribù ‘di £'sqri- 
mau , di un carattere assai più stimabile di quelli 
veduti sulla costa del vecchio Groenland nella spedi- 
zione del 1818. Il Capitan Parry espone brevemente 
l’interessante ragguaglio di questo popolo ne' termini 
seguenti : 

In generale questi popoli possono considerarsi provvedati 
d’ogni cosa necessaria alla vita, anzi della maggior parte de’sol- 
lievi, e de’ comodi che possono godersi in un così rozzo stato 
di società . Considerata la situazione, e le circostanze , nelle 
quali si trovano gli Esquimaur di North Groenland sentesi 
viva compassione pel misero stato, in cui apparisce esser quivi 
ridotta l’ umana natura ; stato per pochi rapporti snperiore a 
quello degli orsi, e de’ vitelli. marini che essi. uccidono per 
provvedere alla propria sussistenza . Ma riguardo a questi è 
impossibile di non provare il più piacevole sentimento :, regna 
nella loro generale condotta una rispettosa decenza , che ci fece 
un’ impressivue assai differente da quella provata in vedere gli 


altri Esquimaux privi affatto di cultura : nelle loro persone non 


appariva sì ributtante quella lordura per cui tali popoli gene= 
ralmente si distinguono. Ma ciò per cui essi si meritarono 
maggiormente la nostra stima si fu la perfetta onestà che si 
M1) in ogni contratto . Nelle due ore , che - i' equipaggio 

rimase a bbndo , e nelle quattro, o cinque ore; nelle quali 
sus'egrentemente scendemmo fra loro sul lido , malgrado che 
la tei:tazione di derubarci dovesse (essere assai forte, e non 
gli mancassero i mezzi , e l’ opportunità di; eseguirla ,, pure non 
occorse, a mia notizia, un solo esempio di furto anco del più 
piccolo oggetto . E’ dolce cura il narrare un fatto non meno 


singolare in se stesso , che onorevole a quel popolo semplice .. 


Ba 


Vo IST TT ——r o 


EE, 


i 
Il 26. Settembre , il Capitan Parry prese final 
mente congedo dal ghiaccio ; e senza alcuna avven- 
tura, che meriti particolare notizia, arrivò nelle Tha- 
mes circa la metà di Noyembre . 

Fu sì prospero , egli dice , lo stato di saluté , che noi in 
questo tempo continuammo a godere a bordo dell’ Hecla, che 
durante tutta la nostra navigazione da /Vinter Harbour fino 
alla costa della Scozia , vale a dire pel corso di tredici setti- 
mane , niuno dell’ equipaggio fu soggetto a infermità, se si 
eccettui una , o due indisposizioni di leggiero carattere ; ed iò 
ebbi la fortuna di osservare che ogni uffiziale , ed ogni co- 
mune ;a bordo delle due navi ( ad eccezione di un solo tra no- 
vanta quattro persone ) ritornava al suo nativo paese in così 
robusta salute come quando lo avea lasciato , dopo un’ assenza 
di presso che diciotto mesi, nel qual tempo noi possiamo as- 
serire di aver salvata la vita mediante le nostre proprie risor= 


se . P. 
( sarà continuato ) 


FILOLOGIA 


Saggio intorno ai sinonimi della lingua Italiana di 
GiusepPE GRASSI. Torino dalla Seri Reale 
1521. 


i Cone per la quinta edizione del gran Vocabolario 
Italiano, alla quale vanno dirigendo ‘i loro lavori gli 
Accademici della Crusca sarà per essere di grandissima 
utilità l’opera del Cav. V. Monti, e i trattati che ella 
contiene , del Conte Perticari ; così di non minore per 
avventura sarà quella del Sig. Grassi , illustre letterato 
| Piemontese , s’ egli avrà tempo, agio, e volontà di 
«condurre in avanti il trattato de’ sinonimi Italiani, 
del-quale ha pubblicato il Saggio che annunziamo , 


' 


416 

al quale saggio noi crediamo che possa con fiducia ap- 
plicarsi quell’ onorevole motto ab ungue leonem (a). 

Questo sagace e pulito scrittore conviene che l’az- 
torità la più universalmente ammessa in questa parte 
dell’ eloquenza è l'uso , ma sarebbe stata (egli soggiun- 
ge ) presunzione $ anzi temerità ad uno scrittor non 
toscano il dettar canoni sull’ uso corrente delle voci 
italiane , lontano da quella felicissima contrada ( del- 
la Toscana) nella quale per giusto privilegio di cir- 
costanze fisiche, e morali scaturiscono perenni le pu- 
rissime fonti della lingua parlata , e si conservano le 
vive testimonianze della scritta . Ad evitare pertanto 
queste sconvenienza mi i fu mestieri farmi da più alta 
ragione nelle mie ricerche, che quella dell’ uso non 
è; nè altra maggior può trovarsene se non quest una, 
la natura stessa della voce , non soggetta mai a nes- 
suno dei tanti cambiamenti da' quali sono perpetua- 
mente agitati i soi significati usuali. STENTI 

Due considerazioni noi faremo sopra queste parole 
del Grassi . La prima si è che parlando qui ed altrove 
in alcuni articoli di questo saggio, del Giusto privile- 
gio ec. ee. della Toscana, sembra, ch’ ei non tema di 
contradire alle opinioni di quelli eletti spiriti ( Monti 
e Perticari ) ai quali il congiunge non solo questa 
nobile comunanza di studj, ma un legame indissolubile 
di riconoscenza, e di tutto affetto cc. ec. E di fatto il 


(a) Riceviamo in questo punto la notizia , che il signor 
Ab. Romano tiene in pronto una laboriosa , e compiuta opera 
sopra i sinommi italiani che speriamo veder presto comparire 
alla luce a grandissimo onore dell’ Italia, e delle lettere italia» 
ne , essendoci d’ altronde noto esser lui valentissimo nel fatto 
della teorica grammaticalea 


417 
Monti nel volume quinto recentemente pubblicato della 
. sua Proposta ne assicura, all’ osservazione sulla voce 
nuovo, d’aver già sott'occhio questo saggio del Grassi, e 
ne fa opportunamente un bell’elogio, al quale noi ci so- 
scriviamo , dicendo : esser opera di maraviglioso giu- 
dizio, che in pochi fogli t' insegna il processo della 
scienza analitica delle parole, ed accenna luminosa- 
mente le vie che sole possono guidare a buon partito 
la riforma del Vocabolario. È siccome ( e questa è 
la seconda considerazione ) per quanto il chiarissimo 
Autore protesti di non volere attenersi all’ autorità , Za 
più universalmente ammessa, dall’ uso , pure spesse 
volte si trova nel caso d’ aver questa sola , ch’ egli sta- 
bilisce in quel fortunato paese , ove Monna Sandra 
e Messer Pippo sono i migliori maestri di certe 
proprietà della lingua ( saggio fac. Go. ) così può ra- 
gionevolmente concludersi che il Monti eziandio am- 
metta e riconosca quest’ autorità di Monna Sandra e 
di Messer Pippo , cioè di quel sozzo Camaldoli , e del 
sì sbertato Mercato vecchio di Firenze (0), e giudichi 


(3) Il lodato sig. Grassi racconta a questo - proposito con 
‘molto garbo e ingenuità due lezioni avute da persone del basso 
popolo di Firenze ;je del Contado. “ Camminando io ( egli dice 
fac. 60 ) tutto assorto nelle fiere memorie che risvegliavano 
dentro di me quelle strade ( di Firenze ) que’ palazzi e que’ mo- 
numenti della Toscana grandezza , urtai col piede in uno sca-. 
| glione che dalla porta d’uma bottega sporgeva sulla via, e ri- 
sentitomi pel dolore gridai ,, Uh! maledetto gradino ! ,, il lin- 
guicciuto padrone che stava a sportello ghignando mi ripi- 
gliò ,, Za dica pure scaling, perchè qui non siamo inChiesa.) 

E alla faccia 134. maeconta così ,, Di questa differenza 
{ fra le voci paura e timore ) ebb’ io una graziosa lezione in 
quella contrada ove il popolo non potrebbe , volendo , errare 


418 | 
opera maravigliosa il servirsene , e il chiamarla in soc- 
corso in molte occorrenze (c) pe’ bisogni della nuova e- 
dizione del Vocabolario . E da'itutto cià credigtdordì 
tirare una giustissima conseguenza , dicendo , che gli 
spassionati Italiani debbono andar persuasi che la bra- 
mata riforma del Vocabolario deve farsi in Firenze, e 
che a questa debbono tutti presedere colla loro critica, 
ed ingegno, mentre gli abitanti serviranno loro di si- 
cura scorta con la pratica , e l’uso . 

Noi terminiamo quest’ articolo con una osserva- 
zione critica sul sagg io del sig. Grassi, e con offrirne 
poi un centellino ai mostri leggitori pei sempre più 
si confermino nella presunzione della sua squisitezza . 

Pare a noi'che in alcuni luoghi non sia compiuto 


” 


nella proprietà de’ vocaboli , voglio dire nella Toscana . Un 
accidente mi obbligò ad arrestarmi per pochi momenti in Bar- 
berino , terra posta sulla via de’ colli ; ‘che mette da Firenze a 
Siena >» appena sceso dal legno si fece ad incontrarmi una gentil 
contadina profferendo con tutta modestia il suo ajuto : le pen- 
deva dal collo un rosato fanciullo , ed io volendola par ricam- 
biare della sua cortesìa . .. le lodai il bambino , e gli stesi la 
mano per accarezzarlo ; ma egli stizzito mise un grido , e na- 
scose il capo in seno della donna : ne rimasi mortificato, e 
dissi : spiacemi d’ avergli fatto paura; ma ella accortasi del 
mio rossore, e volendo scusare il fanciullo , rispose subito, con 
bel garbo. £° timore, non è paura . Io sfido tutti i filologi a 
fare un complimento con maggior grazia della villana di Bar- 
berino . ,, 

(c). Noi non pretendiamo con ciò , che si debbano ammet- 
tere o ritenere dal vocabolario molte sconcie o strane, o inin- 
telligibili voci del Pataffio, del Burchiello ec., ma sostenghia- 
mo col Grassi, che nella sola Firenze , e suo Contado si può, 
consultar l’ so, e trovar la proprietà de’ vocaboli da dimo- 
strarsi poi, se così piace , per la loro natura ed origine . 


419 

il numero delle voci da paragonarsi per assegnarne le 
differenze . Così riportando .l’ Autore i verbi finire e 
terminare dopo averne fissate le diverse relazioni 
' nell’ uso comune, e dopo avere opportunamente notato 
l’uso del verbo finire rispetto alle arti liberali, ei 
conclude , che finitezza è l'esatto ed ultimo finimen- 
to d'uma cosa, lo squisito compimento d’un lavoro . 
Da questa dichiarazione risulta, che il verbo compire 
ha una strettissima affinità col verbo finire, e che an- 
cor questo dovea mettersi nel croggiuolo , per farne la 
separazione . Così a noi pare che agli aggettivi altero e 
superbo debbano unirsi altri come grorfio, borioso, 
pettoruto, vano ec. che agli astratti superbia,, arro- 
ganza , insolenza , presunzione debba aggiungersi im 
pertinenza, soverchierìa, oltracotanza ec.ec. A vero, e 
veritiero l’afline verace ec. E ci pare finalmente che ai 
vocaboli gradino , e scalino si dovesse aggiungere sca- 
glione del qual termine si serve l’autore stesso, quando 
nel suo racconto qui sopra riportato alla nota (4) egli 
dice che zrtò col piede in uno scagLione ec. Ed a que- 
sto proposito giovi l’annotare , che nell’ uso la voce 
gradino esprime sempre secondo la sua desinenza la 
piccola altezza del grado ; e perciò si dice con più di 
proprietà i gradini dell’ altare che i gradini del Duo: 
mo , dicendosi per questa e simili fabbriche piuttosto 
scalini, e quando sono molti si dice scalèa , scalera 
come le scalere della nostra Badia ec. ec. 

Ma queste sono insensibili macchioline in opera 
che spande , e spanderà tanta luce di critica e di filo- 
sofia nella parte la più importante della Filviogia 
Grammaticale, come vedrà ciascuno dal seguente arti: 
golo dell’opera che abbiamo promesso . 

Urzano LampreDI. 


420 
DurAnTE — PENDENTE. 


Egli è pur troppo invalso da qualche tempo in 

uà lo strano abuso di valersi indifferentemente dell’u- 
no, e dell’ altro di questi due participj attivi in forza 
di proposizione , che indica il periodo di tempo delle 
cose . Nè ad altra cagione puossi questo sconvenevole 
mescuglio riferire, se non alla bassa imitazione de’ mo- 
di francesi, perchè esaminando la natura delle due voci 
la prima vien da durare , e trae con sè il tempo come 
idea fondamentale , e la seconda vien da pendere,e le 
tien dietro per traslazione l’idea dell’ incertezza . Non 
vw ha dunque nella lingua nostra nessuna cognazione 0 
famigliarità di sorte fra l'una e l’altra di queste voci ; 
ma tanta e tale è la forza delle straniere invasioni , che 
le lingue istesse de’ popoli soggetti ne ricevono la ver- 
gognosa impronta , e le macchie della favella sono pur 
troppo indelebili segni di servitù. Sentirono gl'Italiani 
suonar lunga pezza alle orecchie loro il pendant que, 
pendant la guerre, pendant le tems de’ Francesi , e 


non arrossirono d’ imitare simili modi torcendo a que- 


sta inusitata significanza il vocabolo pendente , e di- 
mentichi affatto del mentre che, durante la guerra, 
durante il tempo ec. ec. Hogan da tutti i buoni au- 
tori in questo significato. A volersi pertanto sgabellare 
una volta dal misuso della voce perdente giovi il por 
mente a’ suoi retti significati così naturali come figu- 
\rati; eccoli . 
. Pendente partie. att. del verbo pendere : chè 
Pe . Es. “ Roccia pendente . ,, Dante. Cortine 
i pendenti ,, Bocc. ,, Anelli, catenelle , pendenti , vezzi 
di perle. ,, Firenzuola . 


* 


i 424 

2. Metaf. che dipende. Es. “ Tutti altri Re e 
Reami erano quasi pendenti da questi due. ,, Tes. 
Brun. 

3. Dubbioso, irresoluto, indeciso , sospeso . Es. 
,3 Il suo successore trovati i processi perdenti , assol- 
,» vette i detti grandi cittadini . M. Villani “ Lasciai il 
,) giuoco pendente , e venni via . ,, Lasca . € Si rimise 
+ la questione qual fosse il vero erede del padre , in 
» pendente , ed ancor pende . ,, Boccaccio . 

Da questi esempj l’ accorto lettore , deducendo la 
natura del vocabolo , vedrà che nessuno de’ significati, 
di pendente trae seco in italiano l’idea della durata 
del tempo, e che esso non può nè segnar l’ epoca d'’ u- 
‘ ma cosa, nè sostituirsi mai a durante, come erronea- 
mente si fa (d). i 


(d) Si osservi che il chiarissimo Autore ha dimostrato e- 
gregiamente il misuso della voce pendant dall’ uso fattone da- 
gli scrittori Toscani, Egli ne rimprovera giustamente gl’ Ita- 
liani in generale , ma se venisse in Toscana non la sentirebbe 
certamente sonare franceseamente nelle bocche del nostro por 
polo . 


. 


422 
SCIENZE MORALI E POLITICHE 


Histoire etc. Istoria filosofica e - politica degli sta- 
bilimenti e del commercio degli Europei nelle 
due Indie, di G. T. Raynal, nuova edizione 
corretta e aumentata sui manoscritti autografi 
dell’ Autore, preceduta da una notizia biogra- 
fica, e da considerazioni sugli scritti di Ray- 
nal, del sig. A Jay (1) e terminata da due vo- 
lumi supplementari contenenti la situazione 
attuale delle Colonie , del sig. Peuchet. Pacigi 
1820, e 1821. Vol. XII. in 3. 


Ti scoperta dell’ America , e del passaggio all’ Indie 
pel capo di Buona Speranza, fissa, si può dire, la vera 
epoca che separa l’ età degli antichi da quella dei mo- 
derni. La cognizione del globo che abitiamo, e delle 
modificazioni apportate alla specie umana dalle cause 
naturali e dalle instituzioni sociali , ed infinite nuove 
relazioni che ne son nate, hanno prodotta una rivolu- 
zione nel commercio, la quale ha dato un nuovo incen- 
tivo all’ industria e alla navigazione , e per conseguen-* 
za a tutte le scienze , ed a tutte le arti . 

L’ Istoria filosofica e politica degli stabilimenti, 
e del commercio degli Europei nelle due Indie 
dell’ Ab. Raynal fu destinata a farci conoscere questi 
resultati. Egli riempì un vuoto che esisteva fino al suo 


(1) Siamo dispiacenti di non aver trovata unita alla copia 
di quest’ opera che è a noi pervenuta, questa rotizia bdio= 
grafica e queste considerazioni , il che c’ impedisce di darne 
l’ estratto. 


tectiti 


fait scatti nine 


I 
| 


423 
tempo. ,, Dopo che l’uomo con la sua bussola ( dicono 
gli autori dei secoli letterarj della Francia ) s' era aper- 
ti tutti i mari, il commercio aveva abbracciato nelle 
sue speculazioni tutte le parti cognite del globo: ma 

_era difficile di riunire l’ immensità di fatti e di rela- 
zioni che avea prodotti, da fondare questi fatti tanto 
vari nella loro natura quanto nei loro resultati su 
principj costanti e uniformi . Il commercio avea can- 
giato, e modificava ogni giorno la sorte dei popoli, e 
nessun popolo ne conosceva l’ istoria. Raynal la scrisse 
e la pubbiicò . Un'opera ove presentavasi per la prima 
volta al genere umano, e con un pennello ardito , il 
suo stato di situazione , il bilancio dei suoi affari, il 
censimento della sua popolazione , il conto delle sue 
idee politiche e religiose; un opera la quale, al merito 
di presentare il quadro delle cognizioni le più dispa- 
rate univa quello di essere scritta con una prodigiosa 
facilità e con una rara eloquenza , non poteva mancare 
di fissar l’attenzione di tutti glì spiriti. Così venti 
edizioni o contraffazioni si succedettero. senza interra- 
zione , e quasi senza intervallo, e furono nel momento 
‘esaurite . Nessun libro fu mai più letto di questo , e 
nessuno dette una più forte impressione agli spiriti. ,, 
L’ edizione che ne annunziamo ha il pregio di es- 
sere una nuova opera originale piuttostochè una ri- 
stampa . L’ Autore vi avea fatte molte correzioni ed 
aggiunte. Nel testamento avea lasciato per legato i 
suoi manoscritti alla città di S. Geniez nella quale era 
nato; Il Consiglio Municipale li ha venduti ai librai 
Amabile Costes e C. che sono gli editori dell’opera . 
Le correzioni ed aggiunte però dell’ Autore 
stesso non sarebbero state, sufficienti per noi. Da 
quando Raynal posò la penna , grandi cangia- 


424 

menti sono accaduti nel governo delle colonie, e né 
commercio che esse fanno colle loro saetiogoli +» Se 
quanto al tempo ( avea detto l’Abate de Pradt ) non vi 
sono che alcuni anni d’ intervallo fra Raynale noi, 
quanto ai fatti vi sono dei secoli. Egli stesso non si ri-, 
troverebbe più in quel mondo in cui i suoi scritti ci 
avevano introdotti, e il pittore non riconoscerebbe 
nulla al proprio suo quadro. ,, - 

Era dunque necessaria una nuova Istoria da quel 
tempo in poi,e questo è ciò che ci ha dato il sig. 
Peuchet. in due volumi i quah, portano per titolo 
» Stato delle colonie e del commercio degli Europei 
nelle due Indie dal 1783. fino al 1821. ec. (2). 

Il dare in ristretto il quadro delle notizie di fatto 
che contiene quest’ opera sopra ciascuno degli stabili 
menti dei quali tratta , sarebbe difficilissimo pel gran 
numero di fatti positivi che vi son raccolti. Dall’ altro 
canto non presenterebbe altro che notizie troppo aride 
ed imperfette , perchè mancanti di quegli opportuni 
sviluppi che si trovano nell’ opera , e che converrebbe 


(2) Compartendo la dovuta lode agli editori, che hanno 
arricchita la repubblica letteraria con questa loro intrapresa , 
non possiamo però dispensarci dal far loro un rimprovero d’es- 
sersi contentati di riprodurre quello stesso vecchio atlante che 
accompagnava l’ opera di Raynal, e che è insufficiente a farci 
conoscere le variazioni accadute, e i nuovi stabilimenti creati 
da quell’ epoca in poi. Oltre di che |’ esecuzione . n’ è anche 
un po’ troppo rozza e trascurata e non corrisponde in modo 
alcuno alla nitidezza ed al gusto che formano in tutto il resto 
il pregio dell’ edizione. Questa inavvertenza diminuisce il me- 
rito di un’ impresa che siamo persuasi essere stata animata da 
tutt'altro spirito che da quello d’una sozza e meschina specu- 
lazione libraria . 


‘429 
sopprimere . E’ necessaria la lettura dell’ opera intera 
per chi vuol conoscere a fondo lo stato attuale di que- 
sta parte di mondo . 

In generale l’autore cammina con la scorta dei 
buoni principj; egli conosce ed insinua che quella soprab- 
bondanza di prodotti che le attuali vicende hanno con- 
glomerati nei mercati europei necessita il conoscere la 
situazione precisa del nostro globo, e i vantaggi che 
sì possono ricavare dalla tendenza giornaliera di nuove 
nazioni ad entrare nella .5rau famiglia del mondo in- 
civilito . 1 

Facendo il quadro dello stato delle colonie Euro- 
pee nell’ Indie, l’ A. si è astenuto , com’ ei si protesta; 
dal dipingere le scene, delle du il nuovo mondo è è 
‘attualmente il teatro . 


Non già che un soggetto sì grande ( egli dice ) avesse 
nociuto al merito dell’ istruzione che abbiamo in vista, ma 
perchè sarebbe stato difficile di rispettare le passioni di gelo- 
sia e d’odio nelle particolarità in cui fossimo entrati. L’ Eu- 
ropa che dà movimento al resto del mondo , che ne regola i 
destini, e vi mantiene la ‘guerra e la pace a seconda dei suoi 
capricci , non è abbastanza d’ accordo con se medesima perchè 
possano presentarlesi princip) di condotta da seguitarsi nei 
suoi stabilimenti coloniali ; il suo orgoglio e la sua imprudenza 
respingerebhero dei consigli ch’ ella crederebbe accattati dallo 
spirito di partito, benchè non fossero altro che il frutto dell’e- 
sperienza e della meditazione . 

Del resto tutto annunzia che l’ impero Europeo sulle due 
Indie va a finire. Sul nuovo continente E e si svi- 
luppano con una vistosa attività tutti i sintomi d’“una prossima 
scissione; non giù che un pieno successo possa essere il resul- 
tato d’ un primo tentativo; ma ogni giorno ne annunzia la 
conclusione; ogni giorno fa vedere che se è possibile di tenere 
.. degli stabilimenti insulari nella suggezione d’ una metropoli, 
non lo è però che questa\ metropoli tenga regni e continenti, 
interi incatenati ai suoi piedi . 


426 


Ma queste grandi scissioni produrrann’ elleno delle monat- 
chie ? Sarann’ elleno l’ origine. di nuove costituzioni fondate 
sulla sovranità dei popoli e sulla libertà personale ? Ecco ciò che 
non dovrebbe far dubbio , e ciò che nonostante ne fa mascere 
nello spirito degli uomini i più giudiziosi ,, Nostro disegno non 
è di risolvere una siffatta difficoltà , e molto meno lo è ai pre- 
vedere qual sarà la condizione dell Europa dopo un cangia- 
mento di tal sorte . 

Quello che vi è di più probabile è che le nazioni dell’an- 
tico continente, prive di queste rieche possessioni e dei van- 
taggi che ne ricavano l’ industria è la classe dei non proprie- 
tar) , sentiranno quel malessere, e quei movimenti sediziosi fi- 
gli della miseria , e più pericolosi ‘di quelle esplosioni che fa 
si spesso scoppiare nei nostri giorni |’ amore della libertà . Gli 
stati soli che avranno saputo prepararsi delle grandi colonizza- 
zioni insulari potranno rimanere esenti da questi nuovi perigli. 

Ma forse allora gli Europei, racchiusi in limiti troppo 
angusti getteranno finalmente gli sguardi sull’ antico dominio 
che loro rapirono i feroci. figli di Maometto . La Turchia Eu- 
ropea invoca dei liberatori ; essa offre culture , ricchezze , ri- 
sorse ; sfoghi all’ attività, dell’ occidente ; il mediterraneo po- 
polato d’ isole che furon già potenti repubbliche può indenniz- 
zare la Francia , la Spagna, l'Olanda , delle perdite dell’ Ame- 
rica, nel tempo che può restituire alla civiltà , alle arti, alla 
libertà, queste belle contrade dell’ oriente . Allora questi stati 
moltiplicheranno il numero dei consumatori , troppo al dì d’oggi 
sproporzionato ai prodig] della riproduzione , e al perfeziona- 
mento del lavoro in Eur opa 

Ma per un bisogno sì grande vi vogliono unione , spirito 
pubblico , e quel ca d’ elevatezza pu opinioni Pnnte 
che con rammarico rayvisiamo soltanto sopra . alcuni punti , 
per alcuni interessi temporar] . 


Non possiamo trattenerci da. estrarre dall’ in- 
troduzione dell’ opera del sig. Peuchet un’ istoria che 
non può esser letta senza interesse dagli amici della 
specie umana . Ella ci mostra nel tempo stesso quan 
to deve pregiarsi quello spirito, di associazione sì fe- 


B 
i 


427 
condo d’ imprese utili , il quale forma il distintivo 
più bello del carattere inglese . 

L’ abolizione delia tratta, dice l’A. ha cangiato il sistema 
coloniale : ci sembra dover ella coatribuir sempre più al mi- 
glioramento delle sue diverse diramazioni , e la lotta che pro, 
va tuttora per consolidarsi non servirà ad altro certamente g 
che a renderla più completa mercè i mezzi di repressione ado- 
perati contro coloro che in disprezzo delle leggi vi cercano be- 
nefizjì colpevoli , e i pericoli che li accompagnano . Ù 

Ma di tutti i mezzi proprj a distruggere questo male nella 
radice , non ve p° è forse alcuno più efficace e più durevole 
di quello che ha pe” oggetto il diffondere la civilizzazione in Af- 
frica, tentativo già praticato in qualche stabili; nento , sotto 
l’ influenza dell’ onorevole società stabilita a Londra per questo 
grande ed importante disegno . Entriamo in qualche partico- 
larità . 

Da più anni alcuni uomini pieni di zelo, di lumi; e di 
giustizia, contando, è vero, assai poco le Pt odi della cu- 


| pidigia dei piantatori (1) Americani eransi occupati a raccogliere 


dei fatti sul commercio degli schiavi. Non solamente: hanno fatto 
conoscere mercè le loro ricerche la. condizione. deplorabile dei 
negri alle isole e sul continente d’ America , ma hanno provato 
di più che il sistema che avea dato nascimento a questo com- 
mercio degli uomini sulla costa d’ Affrica era tanto contrario 


all'interesse pubblico quanto lo era all’ umanità . 


| 


Per giungere a una dimostrazione più completa di questi 
principj, hanno procurato di gettare sulle coste d’Affrica i germi 
della civilizzazione e dell’ agricoltura ; dal che quella interes- 
sante colonia di Sierra - Leone, la quale ad onta delle contra- 


| rietà che ha sofferte, non solamente si sostiene, ma anco dimostra 


che non solamente i negri son capaci. di applicarsi al lavoro, 
e sono suscettibili di abitudini morali, ma che il continente da 


cessì abitato può dare agli Europei uno smercio per le produ- 


zioni dell’ indostria e delle , derrate , onde supplire a quelle 
che fossero per essere ricusate dalle colonie . 


\ 


(1) Planteurs, ossi piantatori , chiamansii proprietarj 


«delle piantagioni di prodotti coloniali. Nota del tradutt. 


428 


In fatti alcuni viaggiatori che hanno percorsa lì Affriol 0c- 
cidentale si maravigliano che siasi potuto per sì gran tempo 
trascurare un oggetto di tanta importanza . Ne attribuiscono , 
non senza ragione , la causa agl’ interessi dei proprietarj delle 
isole,i quali interessi hanno prevalso nei consigli degli stati co- 
loniali, ed hanno impedita 1° interdizione del commercio degli 
schiavi, o hanno fatto si che la coltura dell’ Affrica non fosse 
incoraggita tanto da nuocere alle speculazioni. dei piantatori 
Ra i 

Fra gli uomini che hanno richiamata |’ attenzione dell’Eu- 
ropa sopra una condotta si strana , sono da presentarsi alla ri- 
conoscenza pubblica il sig. Wadstrom Svedese , e il D. Smea- 
thman Inglese . Nei quattro anni che quest’ ultimo è riseduto 
alle Isole di Bannos in vicinanza della Sierra-Leone , ha fatte 
molte corse nell’ interno del continente, e vi ha riconosciuto la 
possibilità di farvi degli stabilimenti coloniali . Il suo zelo 1’ ha 
portato a farne la proposizi: one coll’ intenzione di aprir nuovi 
sbocchi al commercio del suo paese, quanto ancora d’ esten- 
dere l’ incivilimento in Affrica , e sopra tutto d’ abolir la tratta. 

Le ricerche e le fatiche di questi uomini stimabili ri- 
chiamarono l' PARTA pubblica in Inghilterra fino al segno 
che l’ università di Cambridge propose nel 1785 di discutere 
la questione della schiavitù e del commercio della specie 
umana ( sono le sue espressioni ). Ottenne il premio il sig. 
Clarkson , quel medesimo che vedremo fra poco governatore 
della nuova colonia di Sierra-Leone - 

Ei dimostrò con una evidenza senza replica |’ inumanità 
del commercio dei negri, rispose ai sofismi della cupidigia , e 
fece vedere che l’ interesse ben inteso di tutti i popoli era 

‘ d’ interdirlo per sempre . Bentosto il sig. Wilberfoce adottan- 
do le stesse idee si mostrò nella camera dei comuni partigiano 
della stessa dottrina , e fu imitato dai sigg. Carlo Fox, Grey, 
e finalmente da Pitt medesimo sil quale era troppo illimitata 
per, avere un’ opinione contraria . 

Le cose erano in questo stato quando nel 1788 un  vir- 
tuoso filantropo, il sig. Granville-Sharp, fece partire a sue spese 
un vascello carico di provvisioni e di materiali con 39 coloni, 
eoll’ oggetto di stabilire una colonia a Sierra-Leone . i 

Ma le facoltà d’un solo particolare essendo insufficienti, 
alle spese d’ un impresa come questa , ei formò nel febbraio 


rien 


Cn sr 


429 
r7go un associazione di 21 persone di cui conosceva i princi- 
j. Questa socîetà, divèntàta numerosissima in pochi mesi, 
ottentie dal parlamento un atto col qnale fu autorizzata a for- 
mare tina compagnia , che avrebbe cotiservato pér 31 anni il 
suo privilegio , a cominciare dal luglio del 17gt. Il primo atto 
di questà compagnia fu quello di sthidelt dal suo seno ogni 
individuo interessato alla tratta de gli schiavi . 

Tommaso Clatkson sì giustamente celebre ed onorato per 
lo zelo che impiegò e pel successo che ottenne a fare abolir 


la tratta, fu nominato governatore, del nuovo stabilimento . 


L’* amministrò con attenzione ed assiduità tale, che li merita- 
rono la stima dei suoi compatriotti , e la riconoscenza di quella 
colonia. Non la lasciò che nel dicembre 1792. Prima di separarsi 
da quelli che avea governati con fermezza, giustizia, e modera- 
zione, Clarkson credè dovere esortarli a- vivere in pace , a se- 
guitar le regole che avea date loro per la prosperità della co- 
lonia. Fece sentir loro che il timor di Dio era la miglior re- 
gola» di condotta che potessero seguitare per prosperare e per 
esser felici. Si fece quindi a dipingere i difetti ai quali erano 
più sottoposti, e che consistevano principalmente in una trop- 
pa vivacità di carattere e in una inclinazione troppo grande al 
malcentento , e alla diffidenza verso i loro capi. Li esortò a 
eorreggersi; e terminò il suo discorso con una preghiera al 
cielo per la felicità e pel miglioramento morale della colonia . 
Esortazioni come queste fecero una felice impressione nell’ ani- 
mo di tutti gli uditori . 

Clarkson ha tanto maggiormente meritati elogi per la con- 
detta che ha tenuta in tutto il tempo della sua ‘amministrazio- 
ne , in quantochè dovè sormontare numerosi ostacoli, in specie 
nei primi tempi - Non era agevol cosa il mantenersi in pace 
coi capi delle nazioni negre vicine, nelle quali doveva infondere 
diffidenza , e timore lo stabilimento d’una colonia sì numero- 
sa. Queste difficoltà erano accresciute , e provocaté ancora 
dai commercianti di schiavi, interessati ad attraversare un im- 
presa di natura tale da nuocere al loro traffico . Costoro po- 
sero tutto in opera per eccitar timori, e far nascere allarmi . 


Fortunatamente , per la condotta savia e illuminata del gover- 


natore , la pace , una volta ristabilita , si mantenne con tutti 
i vicini, ed egli stesso si fece-rispettare ed amare dai re o 
capi dei negri coi quali aveva da trattare . 


430 sa) 4 
— Dawes successe a Clarkson. nell’ amministrazione della, co- 
lonia , nel. dicembre 1792. Questi dovè provare . ostacoli, anco 
maggiori che il suo antecessore , e sicuramente per le cause 
medesime.Gli armatori, quelli che facevan la tratta yedevano, con. 
questo stabilimento inceppate le loro speculazioni; i piantatori. 
dell’ isole erano , o si credevano essi pure interessati ad attra- 
versare lo stabilimento . Queste cause ,. ed altre ancora ne ri- 
tardarono il successo , e contro .l’ espettativa. di tutte le per-. 
sone che vi s’ interessavano , l’ hanno tenuto per lungo tempo. 
in uno stato. poco florido . Vi è luogo anco di credere che il 
cattivo sistema di governò . adottato in principio dalla colonia, 
s’ opponesse ai suoi progressi. L’ introduzione di misure op- 
pressive , e che erano in contradizione coi sentimenti e coi pre- 
indizii degli abitanti, è stata sul punto più volte di tutto distrug- 
gere . Molti degli abitanti negri i più industriosi l’abbandonaro- 
no: altri cercarono un rifugio nel territorio dei loro antichi, 
capi , alcuni si ritirarono nelle montagne. Volevansi obbligare , 
i coloni negri in istato di portar le armi a diventar soldati o 
marinari , e ad essere trasportati , secoudo , gli ordini del go-. 
vernatore , in qualunque parte dell’ Affrica. Queste tarbolenze 
furono poi pacificate ; ma la colonia ne sofferse per lungo 
tempo . 

Altro pericolo la minacciò . Ardendo la guerra. nel 1794. 
fra l’ Inghilterra e la repubblica Francese , il comandante d'una 
squadra francese attaccò lo stabilimento , e le massime della | 
repubblica non poteano far supporre la volontà di distruggere 
un’ instituzione consacrata a favorire i princip) liberali; ma 
una malintelligenza fatale , di cui deesi incolpare il gabinetto. 
di Londra fece tutto il male, e il comandante francese attaccò 
e distrusse la nuova città e le coltivazioni circonvicine . 

._ I principj, che aveano animata la creazione della colonia, 
furono abbandonati; essa. languiva allorchè nel 1808 la com- 
pagnia di Sierra-Leone cedè lo stabilimento al governo Inglese. 
Gli affari furon fatti con mistero, ed in modo di non portar ombra 
agl' interessati nel commercio d'Affrica, e ai piantatori delle co- 
lonie, La spopolazione continuava sempre ; alcuni nuovi rigori 
esercitati contro i coloni gli avevano inaspriti, e un buon nu- 
mero se n'era allontanato . Con intenzione di ristabilir l’ordi- 
ne , il governatore pubblicò il seguente proclama che non ebbe 
tutto l’ effetto che ne attendeva, ma che fissò la polizia della 
colonia . 


LI 431 


» Abbiamo finqui differito ( dice il proclama ) a nome det 
Re della gran Brettagna d’ ordinare Ì' applicazione delle pene 
pronunziate contro coloro, i quali ricusassero di prestare il giu- 
ramento prescritto da un atto del governatore e del consiglio 
della nostra colonia di Sierra-Leone portante la data del 20. 
novembre 1811, supponendo noi che i cittadini, i quali si tro- 
van compresi iu quell’ atto sarebbero ritornati' da loro mede- 
simi a sentimenti più conformi al loro dovere ; ma questa in- 
dulgenza per parte nostra , in luogo di produrre i salutevoli 
effetti che ce n’ eravamo augurati Ha prodotto anzi su molti de- 
gli abitanti un risultato afiatto contrario . ,, 

»» Noi abbiamo perciò , secondo il parere del nostro capitan 
generale e governatore in capo, e secondo aùcora il parere 
del nostro consiglio della colonia , giudicato conveniente d’ e- 
mettere il presente real proclama » pubblicare , e’ dichiarare , 
allow ggetto di provvedere alla sicurezza immediata egualmente 
che alla sicurezza futura di questa colonia nascente , che tutti 
coloro che sono contemplati nell’ atto predetto, o quelli che 
sono dai 13. ai 60. anni , i ‘quali ricusando di prestare il detto 
giuramento di milizia, hanno dato di più ai loro figli, e ai loro 
sottoposti Ii esempio! della disobbedienza ,, e dell’ insubordina- 
zione , hanno perduto qualunque diritto e titolo a qualsivo- 
glia specie di proprietà , sì mobile che immobile, e som in 
conseguenza in conformità della prima e seconda sezione dell’atto 
ETOA dichiarati fuor della legge . L’ indalgenza che abbia- 
mo loro accordata per principj di umanità , e che essi non 
hanno avuto bastante gratitudine per apprezzare e per ricono- 
scere, è ora al suo termine. Sia noto dunque che appena sarà 
passata la stagione delle piogge , o sia a datare dal 20 del pros- 
simo novembre è nostra dolo che qualsivoglia persona pas- 
siva dell'atto di milizia , e che persistesse nel suo rifiuto di 
confermarvisi , o di sottomettersi a qualunque altra legge im- 
posta ai nostri sudditi, debba cessare di fare la sua begMenza 
in verun luogo della penisola di Sierra-Leone . ,, 
|» Non volendo allontanarci però da quei principii di dol- 
cezza e di moderazione che ci hanno costantemente diretti 
uélle misure di govefno della nostra colonia , e nei quali qual- 
cuno degli abitanti non ha voluto vedere o che debolezza o 
timidità , ci piace dichiarare che la Principessa Carlotta , 0 
qualche altro dei nostri vascelli condurrà colle loro famiglie 


432. . 
su quel punto della costa che stimeranto proprio d’ indicare , 
quelle persone che saranno malcontente del nostro regime at- 
tuale . ,, RI 

Questo proclama non fece che irritar gli spiriti . La ‘nostra 
ritenzione , diceano gli abitanti di Sierra=:Leone, non è mai 
stata quella di sottrarci all’ obbedienza che dobbiamo al go- 
verno . Verseremo fino all’ ultima goccia del nostro sangue per 
la difesa della colonia; ma siamo wuiti d’ affetti colle nostre 
donne , e coi nostri figli, e non possiamo sopportar l’idea di 
contrarre un impegno che potesse dividerci un giorno da questi 
oggetti del nostro amore . ! ati 

Queste ragioni tanto più meritavano di essere valutate , 
in quanto che gli abitanti della colonia, specialmente i mars 
roni o negri fuggitivi che eranvisì rifugiati , hanno mostrato 
sempre vigore e buona volontà ogni volta che è stata minac- 
ciata la sicurezza della colonia . Essi sono naturalmente affe- 
zionati alla libertà , e vedono con orrore quei regolamenti della 
disciplina militare che sottopongono il soldato alla pena della 
sferza, la quale aborriscono tanto maggiormente da che hanno 
avuto occasione di vederla praticare sugl’ infelici schiavi negri 
nell’ Indie occidentali . l 

E’ facile il concepire che con tali sentimenti dovevano quei 
eoloni trovare repugnanza a sottoporsi ad un giuramento lche 
impegnavali come marinari sopra bastimenti , i quali se il ser- 
vizio del Re lo avesse richiesto , avrebbero potuto ricondurli 
fors' anco in quelle medesime Indie occidentali; e riporli che 
nuovamente sotto la verga *dei loro carnefici «. Ma il Governo 
Inglese persistè in queste misure rigorose senza, riguardo al- 
cuno ai sentimenti dei coloni. a 

La spopolazione andò perciò sempre scemando . Più di 
cento lotti, o porzioni dì terra furono abbandonati: le case 
di quei disgraziati che eran fuggiti furono segnate di lettera 
R (ribelle); le messi che avean fatte nascere in quei pic- 
coli quadrati di terreno ch’ erano stati loro compartiti , furono 
spietatamente distrutte e saccheggiate dai reggimenti affrica- 
nì, e dai negri prigionieri . 

‘Frattanto il Governo cereò di nuovo di richiamare i fug- 
gitivi, e di ottener da loro la prestazione del giuramento ; 
gli riuscì anco riguardo al maggior numero , mediante una pro- 
messa di non abusarne per costringerli ad espatriare . Questa 


433 
riconciliazione però non distrusse il rale nella sua radice ; 
lo stesso spirito di malumore e di malcontento si è conservato 
nella colonia; e durerà, e frapporrà ostacolo ai progressi di 
lei finchè quei regolamenti non saranno cambiati . 

La capitale di Sierra-Leone si componeva nel 1814 di 
due mila negri atti al ‘lavoro , senza comprendere in questo 
numero gli schiavi presi in mare , che sono stati resi liberi 
dalla corte dell’ ammiragliato, e che formavano una popola- 
zione di circa tre mila individui. Attualmente la capitale 1ac- 
chiude dentro le sue mura oo case, valutate 26 mila lire 
sterline. Nel mese di aprile 1820. non vi eran meno di sei mila 
negri catturati, che erano stati inviati nella colonia dopo la 
soppressione della tratta nel 1807. dai vascelli di guerra  in- 
glesi . Al loro arrivo, quelli che hanno l’età conveniente sono 
mandati nei villaggi vicini ; assegnasi ad ogni famiglia una 
casa. e una porzione di terra, e sono mantenuti a spese del 
Guverno per un anno ; spirato il quale sono obbligati a prov- 
vedere da sè medesimi ai proprii bisogni . I faneiulli catturati 
sono mandati ancor essi nei villaggi), ove restano alla scuola 
fintantochè non sì maritano , il che segue sempre presto . Alla 
testa di ogni villaggio è un missionario pagato dal Governo , 
il quale vi esercita la doppia incombenza di pastore , e di 
maestro di scuola . 

p Qui l autore dà varie notizie sulla cultura , e sul 
commercio attuale di quel paese, dopo di che riprende 
la sua. narrazione. 

» La società degli amici che si è formata a Sierra-Leone 
nel 1813. per le premure e per lo zelo del capitano Paolo 
Cuffee , e che è composta di quanto vi ha di più distinto fra 
i.coloni ha per oggetto d’incoraggire il commercio e l’indu- 
stria degli abitanti. Incaricasi ella stessa di tutto quello che 
concerne l’esportazione dei prodotti della cultura ; ma per riu- 
seire in questo disegno è stato necessario di principiare da 
stabilire relazioni dirette con l’ Inghilterra. Una società fa dun- 
que formata a Londra da Clarkson, la quale potesse corrispondere 
con la società degli amici. La colonia con questo mezzo fa pas- 
sare a Londra del riso , del legno di campeggio, dell’avorio, dell’ 
olio di palma, del caffè ec. Tutti questi oggetti son venduti dalla 
società di Londra, la quale manda in baratto ai coloni della peni- 


434 
sola altri oggetti a loro uso, eccettuata l’ acquavite, la pol- 
vere da cannone, e gl’ instrumenti da guerra soli oggetti esclusi 
per ora da questo commercio. 

I berietizj risultanti da tal permuta sono rilasciati alla co- 
lonia. Di più siccome i coloni trovano spesso difficoltà ad ot- 
tenere dai capitani di nave il trasporto dei loro carichi in In- 
ghilterra , la società di Londra ha noleggiati dei bastimenti per 
quest’ oggetto . 

Il fine che si propone la società è meno quello di facili. 
tare le operazioni mercantili di coloni, che. quello .d’ animarli 
alla cultura delle produzioni che possono essere vantaggiosa- 
mente esportate - 

; Dopo contrarietà ed accidenti in gran numero , questo sta- 
Hilimento consacrato al. più stimabile. dei progetti, quello cioè 
di facilitare |’ abolizione della tratta, gettando il germe della 
civilizzazione nelle contrade occidentali dell’ Affrica , non può 
dunque a meno di prosperare, € di coronar di successi i desi-- 
derj dei suoi generosi autori. Alcuni vizi nella sua organizza- 
pi politica e morale avean bisogno d’ esser riformati : l’ atto 

l’ organizzazione avea lasciato troppo poche facoltà al \gover- 
GA queste eran divise tra sette capi che componevano il 
consiglio privato . Resultava da tal disposizione , paco pratica- 
bile in una colonia nascente , e formata di persone poco illu- 
minate , che per difendere quel che chiamavasi suoi privilegj 
perdevansi dei momenti che avrebber potuto essere impiegati al 
bene generale . Un altro inconveniente di questo difetto di unità 
nel potere era quello di dar nascimento a una specie d’ aristo- 
crazìa , tanto più fatta per indisporne i muovi coloni ia quanto 
che la ricordanza della loro antica condizione di schiavi gli ren- 
deva più irritabili contro tutto quello che presentasse 1’ appa- 
renza del disprezzo , e avesse il carattere d’ una superiorità 
disdegnosa ed altera. E che nasceva da questo conflitto ? Che 
le misure più savie prescritte dal governatore non potevano 
essere se non imperfettamente eseguite, come per esempio la 
divisione dei lotti di terreni promessi ai negri venuti. dalla 
nuova Scozia dal momento in cui sarebbero arrivati nella pe- 
nisola . Importava molto alla pace e al ben essere della colonia, 
nascente che questa sistemazione fosse fatta immediatamente ; 
iuttavolta i capi componenti il consiglio non cessarono di ap- 
porvi ostacoli e di contrariare il governatore . Un inconvenien- 


435 
te di questa fatta non si rimovellò , perchè furon fatti alla co- 
stituzione della colonia dei Canti che accrebbero il po- 
tere del goverhatore , ‘ed ei ne profittò per riparare il male 
ch’ era stato fatto, ma non potè giungere a cancellare intera- 
mente le tracce di quell’ anarchia primitiva, e specialmente a 
distruggere il germe delle dissensioni , e del malcontento che 
avea fatto nascere . Quest’ inconvenienti però , come abbiamo , 
visto, non ‘scoraggirono lo stimabile sig. Clarkson, e quand’ ei 
lasciò l' amministrazione della colonia all’epoca ‘da noi indicata, 
ella andava visibilmente a uno stato di prosperità, e di mi- 
glioramento che non ha ‘fatto dipoi che aumentare . 

A questi fatti aggiungiamone alcuni altri che facciano cono- 
scere. lo: stato morale della colonia ; gli prendiamo dalla me- 
moria del sig. Davves governatore , rimessa ai direttori dell’ /st;- 
tuto affricano stabilito a Londra . 

33'Il numero dei malcontenti o dei perturbatori datisi all’in- 
temperanza , o alla' dissolutezza , ascende al più a una ventina 
nella colonia ; il resto. degli abitanti tiene una condotta sag- 
gia e laboriosa . Questi uomini che siamo avvezzi a riguardar 
con disprezzo ,.non mancano nè d’ intelligenza nè d’ industria ; 
pajono soddisfatti della loro condizione , e mostrano in gene- 
rale del gusto , e dell’ inclinazione per le abitudini morali ,, . 

3, E’ stato osservato che in generale i negri della nuova 
Scozia , senza essere precisamente viziosi , avean tuttavolta con 
minore rapidità degli altri coloni, fatti progressi nell’ incivili- 
mento ; questa differenza può spiegarsi riflettendo al loro an- 
tico stato .. Uomini che hanno tuttavia i segni della schiavitù 
non ‘possono’ inalzarsi ad un tratto ai sentimenti degli uomini 


liberi. Ora la schiavità dei negri nella nuova Scozia è anco 


più abjetta e più degradante che nelle altre colonie europee.,, 
Queste osservazioni non sono le sole che pel miglioramento 


‘della razza Affricana, la società degli amici abbia fatte passare 


a quella di Londra . E’ stato notato di più che la maggior 
parte delle punizioni giuridiche pronunziate nella colonia cade- 
vano su dei marinari negri ; la classe dei coltivatori s’ è mo- 
strata più morale , è più illuminata ne’ suoi doveri . 

La pena della fustigazione , inflitta per la repressione dei 
delitti, non dà che due esempj dallo stabilimento della colo- 
nia secondo il rapporto del governatore medesimo ; uno d’ una 
donna maritata che subì questo gastigo per delitto d’ adalte- 


436 
rio , l’ altro d’ un colono nero che s'era ubriacato , e in’tale 
stato si era reso colpevole di più violenze condannabili ..L'u- 
briachezza è diventata rarissima, egualmente * che l’ abitudine 


di bestemmiare comuni fra i negri nei primi tempi dello stabi- 


limento . Questi uomini son dunque in generale buoni e fedeli 
sudditi, e non si distinguono meno per buone qualità dome- 
stiche SEA buoni vii; e sposi affezionati alle proprie fa- 
miglie . Esiste fra loro una costamanza che dovrebbe essere 
imitata anco in altri luoghi . I fanciulli di poca età divenuti 
orfani per la morte dei loro genitori , sono subito adottati dai 
loro compari e dalle loro comari , i quali li raccolgono in casa 
loro , e li educano come proprj figli . 


Hanno molto trasporto per lo cerimonie religiose . Amano 


il canto degl’. inni, o dei cantici secondo l’ uso della religion 
riformata che professano : osservano, con regolarità le' darsena. 
che e le feste. La colonia possiede una Chiesa di questa co- 
munione , la quale è frequentatissima senza contare diverse 
assemblee religiose che hanno per direttori ; e ministri Cv 
gelici dei dolani negri . i 

L’ istruzione pubblica quantunque poco ‘avanzata finora ;. 
offre ciò non ostante delle risorse agli abitanti ‘per imparare 
gli elementi della lettura , della scrittura; del calcblo , e della 
religione ; yi si contano più scuole per i fanciulli che ‘perte 
fanciulle , e la società affricana non perde di vista questo gran 
mezzo di adempire ad uno degli oggetti della sua lodevolein- 
stituzione . 

Alcuni spiriti mal disposti, come pure alcuni uomini. inte- 
ressati alla conservazione del commercio dei negri, hanno at- 
taccata questa interessante colonia : l’hanno accagionata d’ aver 
fallito il suo disegno , e di non presentare verun risultato per 
l’ incivilimento interno dell’Atfrica . Vorrebbero che in qualche 
anno fosse conseguito ciò che mon può esser altro che l’ effetto 
del tempo e dei progressi lenti e successivi delle istituzioni  po- 
litiche . Ma quand’ anche Sierra-Leone non fosse stata tanto 
utile all’ abolizione della tratta quanto .l’ aveano sperato i suoi 
generosi fondatori, non ayrebhe meno contribuito per questo 
a mantenerne l’idea ed il desiderio, e a sostenere gli amici 
dell’ umanità in questo nobile progetto . 

Non cerchiamo in questo momento di sapere se tale aboli- 
zione fu o no una misura politica per parte del governo brit. 


è 
PE OOEN 


437 
tanico., un punto di alta convenienza pel suo. commercio , e 
una previdenza dei pericoli che avrebber potuto incontrarsi per 
eontinuarla nel sistema opposto, che faceva ogni giorno nuove 
conquiste . 

La società, o instituzione Affricana di cui abbiamo parlato 
è stata il punto di riunione dei lumi e der fatti che potean 
concorrere a questa misura, e il governo inglese ne ha sempre 
favorite le operazioni con premura e costanza . 

Quest’ instituzione ha fatto quello che non potea fare il 
parlamento: non solamente ha creati stabilimenti e mantenute 
relazioni per agevolare 1’ abolizione della ‘tratta, ma quando 
quest’ odioso commercio fu proibito ,. vegliò sull’ esecuzione 
dell’.atto del. parlamento che lo proibiva , facendo processare a 
sue.spese chi era trovato in contravvenzione , e facendo di- 
chiarare dal parlamento queste contravvenzioni fe/lonia, vale a 
dire delitti capitali. Questa società rende annualmente conto 
dei suoi lavori, e riceve da tutti coloro che vogliono indiriz- 
zargliele ; notizie pel grand’ oggetto delle. sue cure . Essendo 
composta d’ uomini distinti per talenti, e per ricchezza , riu- 
nisce il, doppio potere dello zelo e della considerazione ; il suo 
disinteresse , le sue vedute elevate , il suo nobile Essi : 
sono; mallevadori della purità delle sue mire , e non lasciano 
luogo. alcuno di sospettare che una bassa gelosia contro le altre 
nazioni l’.abbia portata a secondare il governo per operar la 
royina delle colonie straniere . 

Abbiamo riportata questa piccola istoria, non so- 
lamente per dare un saggio del merito di questo lavoro 
del sig. Peuchet, ma eziandio per mostrare viemag- 
giormente l’ nh da noi accennata qui sopra , 
«di presentare , colla ristrettezza propria di un giornale, 
un' analisi accurata e perfetta dell’ opera intera. Non 
ometteremo tuttavolta di ripigliare in appresso que- 
st’ ALGOMERIO,, onde i nostri lettori abbiano contezza 


delle cose più importanti che vi sì leg ggono . 
G. 


FILOLOGIA TE 


, 


‘CENNI SULLA LINGUA ROMAICA. Lu, 0 


=) 


34 . 
A coloro che sanno quanto abbia la lingua greca 
contribuito alla formazione di quasi tutte le lingue ,eu- 
ropee, cosicchè qualche cognizione di quella è essenzial- 
mente necessaria per istruirsi profondamente nella pro- 
pria lingua, deve pungere l'animo un desiderio di ricer- 
care che sia divenuto quel fonte ricchissimo al. quale 
tutti hanno attinto , se siasi questo corrotto .;;0 se; siasi 
imaridito ; e a coloro che conoscono quale affinità abbia 
la lingua col carattere d’ una nazione, onde questo da 
quella possa in certo modo seoprirsi, deve una tal ricerca 
riuscire tanto più interessante in questo momento, che 
tutti gli occhi stando rivolti alla terra classica, nutrice 
di Genj e di Eroi, deve provarsi curiosità di sapere qual 
lingua ora si parli ove parlava un tempo Demostene, ise 
i condottieri animino ? loro seguaci alla  pugna, nella 
lingua dei Leonida e dei Milziadi, e se il grido di guerra 
e di vittoria echeggi ancora con lo stesso suono sulle 
labbra de’ novelli guerrieri . 

Queste considerazioni m inducono a credere che 
non del tutto privi d'interesse sieno per riuscire alcuni 
cenni sulla lingua de’ moderni Greci. E’ assai comune 
sentenza il Hi che la lingua greca detta comunemente 
moderna, e che il dtakha romaica differisca dall’ an- 
tica ossia ellenica nel modo stesso che l’ italiana dalla 
latina, e questa circostanza deve tanto più invitare 
gl’ Italiani che come i Greci discendenti di un gran 


439 
popolo hanno veduto da varie vicende cangiarsi il loro 
stato politico non solo, ma ancora la propria lingua, ‘a 
indagare se simili dan piena abbia ancora la lingua 
greca subiti, quella lingua gli scrittori. della quale Fine 
no maestri de’Latini, e di poi e per successione, e diret- 
tamente, maestri de’ moderni Italiani. 

Se si pensi che i Greci furono per lungo tempo 
provinciali romani, e perderono puranco il proprio nome, 
che furono successivamente invasi da tante nazioni bar- 
bare, che videro tutti i popoli dell' Europa passare al 
tempo de’ Crociati sulle loro terre, e che da var] secoli 
gemono sotto il giogo de’Turchi, e non hanno più patria 
propria vivendo con quelli frammisti,; non facilmente 
mi si ‘presterà fede se dico che hanno talmente conser- 
vato il genio della loro antica lingua, da render falso il 
paragone che si fa delle alterazioni di questa, con quelle 
che'la lingua latina subì al declinare dell’impero d’Oc- 
cidente. Per pienamente mostrare la verità. della mia 
‘asserzione; richiederebbesi una minuta analisi delle 
‘quattro lingue; il‘che mi trarrebbe in un labirinto d’in- 
dagini filologiche poco adattate a formare un articolo di 
giornale: dovrò dunque contentarmi di accennare bre- 
vemente alcuni punti di differenza che distinguono le 
rivoluzioni delle due lingue madri. 

Se taluno che conosca la lingua ellenica prenda 

in mano un libro scritto in lingua romaica, dal tro- 
vare molte parole affatto simili , altre alterate , altre fi- | 
nalmente del tutto muove, caderà a prima vista nella 
‘comune opinione che quelle due lingue hanno fra loro 
i rapporti medesimi o forse più remoti ancora che l’ ita- 
liana ha con la latina; ma un più attento esame gli 
farà conoscere quanto sieno questi più forti fra le due, 
prime lingue, che non fra queste ultime. 


440 
Infatti non deve esaminarsi una lingua soltanto, 
dalle parole, le quali non ne sono che i materiali;.ma: 
devesi formarne giudizio dal modo di adoperarle; sia se- 
paratamente nelle loro inflessioni, sia unite nella, loro 
costruzione. 

La lingua italiana ha un gran numero di parole 
derivate dalla latina, ma assai piccolo è il.numero di 
queste comuni del tutto alle due lingue , e ciò dipende 
dalle terminazioni , perchè affine di dare maggior gra- 
zia se dolcezza alla loro lingua hanno gl’ Italiani voluto 
che.sogni parola si terminasse in vocale. Hanno ben essì 
conseguito il loro scopo, ma hanno perduto il. vantaggio 
de’.casi che tanta chiarezza e precisione aggiungono alle 
lingue , e l'introduzione degli articoii, e de’ segnacasi 
mal .li compensa di questa perdita. Essi. non hanno 
il mezzo di distinguere un nominativo da un accusativo, 
ed a quanti equivoci possa questo dar luogo, (è per.sè,, 
manifesto. JI Greci oltre l’ uso degli articoli hanno con- 
servate le inflessioni de’ casi, e questo, fa sì che la lins: 
gua loro possiede un grandissimo numero di voci affatto» 
inalterate da’ tempi d’ Omero in poi. E° ben vero che. 
nel parlare e talvolta nello scrivere sostituiscono ad.al- 
cune inversioni de’ nomi , l’ uso di qualche preposi»; 
zione, ma questo non è tanto difetto nella lingua ‘me-/ 
desima, quanto in chi mal ne fa uso, ed. i migliori au-, 
tori moderni rigettano la maggior parte di queste inno- 
vazioni. (nota I.) 

Forse può riguardarsi come una conseguenza dell’a- 
ver rigettato le terminazioni latine, che la lingua ita- 
liana è rimasta priva del genere neutro. Infatti quando 
giunse questa a non ammettere se non voci chein vocali. 
si terminassero ed avendo di più rigettati i dittonghi in 
fine delle parole, queste terminazioni furono ridotte a sì 


441 
poche che dovettero gl’Italiani contentarsi che'servissero 
a distinguere il mascolino dal femmimnino, il plurale dal 
sitigolare , e si trascurò il genere neutro. E° vero che 
molto essenziale non apparisce questo genere nella for- 
mazione delle lingue moderne (*), ma non però devono 
meno pregiarsi i Greci i quali hanno conservato il ge- 
nere neutro che tanto è usato nella loro lingua , e 
questo distinto del pari e dalle inflessioni e dall’ arti- 
colo: (nota II.) 

Nelle coniugazioni de’ verbi, i moderni si sono al- 
lontanati assai dagli antichi Greci, e non può negatsi 
che in questa parte i cangiamenti introdotti ne abbiano 
sbandita quella tanto ammirabile forma. Non voglio 
qui far l'analisi comparativa delle coniugazioni anti- 
che e moderne:; ma citerò per esempio; che i romaici 
formano l’indefinito colla particella yy aggiunta alla 
persona che'è il soggetto del verbo; e il futuro è il mo- 
do ‘condizionale col verbo ausiliario volere. E° assai 
singolare che in questo la lingua romaica ha qualche 
analogia con l’inglese, ma io penso che ambedue riceves- 
sero questi modi dalle nazioni germaniche, e si avvalora' 
questa opinione dal riflettere quanto sia grande il rappor» 
to nel genio delle due lingue greca e tedesca (nota III.). 
Mai Greci hanno almeno conservati non pochi tempi 
intieramente inalterati, mentre ne’ verbi italiani ‘non 
trovasi quasi traccia delle coniugazioni latine e I’ uso 
dei verbi ausiliarj è molto più frequente fra di essi . 
Questo in particolar modo apparisce ne’ verbi passivi, 
che propriamente dir mon si può che esistano nella 
grammatica italiana, essendo formati dal solo participio 


\ 


(*) I Tedeschi che hanno questo ico v’ incladono da fem- 
mina vat Whib. 


442 

del verbo unito .al verbo ausiliario essere. Gonvien però, 
dire che non tutta de’moderni è la colpa, e che.i verbi 
passivi de’ latini sono sotto questo. rapporto assal im-. 
perfetti. Non così quelli de’ Greci; le loro coniugazioni 

passive sono altrettanto perfette quanto le attive , e la 
formazione de’ tempi, e la distinzione de’ modi e delle 
persone sono in questi.ammirabili. 1 romaici non ne 

osservano; è ben vero, tutte le regole, e ne’ verbi prin- 

cipalmente si ravvisa la corruzione della lingua el- 

lenica; pure non tutti gli scrittori ugualmente si allon- 

tanano dalle antiche coniugazioni. (nota IV.) 

Non mi tratterrò più a lungo intorno alla parte 
etimologica della grammatica greca, avendo accennate 
le principali variazioni che hanno subite i nomi e i 
verbi che ne formano la parte più interessante , e farò 
piuttosto alcune brevi osservazioni, sulla pronunzia, or- 
tografia e costruzione della lingua romaica. (nota V.) 

In quanto alla pronunzia non entrerò nelle lunghe 
contese che dividonoi letterati su questo punto. Se si at- 
tende alla prosodia, il metodo di seguire la quantità delle 
vocali non curando gli accenti o i dittonghi, apparirà pre- 
fevibile, ed è ben degno d’ osservazione che i Greci at- 
tenendonsi a questi, gustar non possono l'armonia dei 
propt; versi; ma peraltro molte considerazioni debbono 
indurci a credere che i moderni Greci son quelli che 
meglio pronunziano la lingua de’ loro maggiori. Ma 
siccome questa questione principalmente riguarda i 
dittonghi, fa d’ uopo osservare che. mentre gl’ Italiani 
hanno rigettati la maggior parte de’ dittonghi che tanto 
“ servivano alla formazione delle voci latine, i Greci hanno 
conservato tutti i dittonghi antichi, e li usano nel me- 
desimo modo, onde risulta che l'ortografia è la stessa 
nelle due lingue ellenica e romaica. (nota VI.) 


7 


443 

Ma dove gl Italiani si sono intieramente discostati 
dai latini si è nella costruzione, e più non godono dei 
vantaggi d’una libera disposizione delle parti del di- 
scorso secondo le regole dell’ armonia e del gusto . Non 
pertanto nego che Ù perdita di tali vantaggi sia in gran 
parte ricompensata dalla maggior chiarezza che ne rice- 
ve la lingua, togliendosi di mezzo molte ambiguità d’e- 
spressione; ma non però deve meno sentirsi in questo 
il pregio della lingua, greca, che senza uva costruzione 
tanto intralciata quanto la latina, può far uso di tali 
trasposizioni di parole da renderla oltremodo armonica 
senza punto alterarne la chiarezza ; e questo pregio è 
tale che a questo e all’ uso di varie particelle riempi. 
tive più che al suono particolare delle parale, deve a 
mio parere attribuirsi quella impareggiabil dolcezza, 
e quella armonia incantatrice, che in ogni tempo 
formarono Vl ammirazione di coloro che: conobbera 
quella lingua, e che la rendono ancora a tutte le altre 
antiche e moderne superiore. La lingua romaica ha in 
gran parte conservato un tal pregio, ed è suscettibile 
d’ ogni eleganza sì nello scrivere che nel parlare, e di 
qui può dedurre la gran differenza fra le due lingue 
italiana e romaica parogonate Qeparatanventa alle loro 
lingue madri. La lingua italiana è talmente dalla lati 
na distinta che cade in ridicolo colui che pretende nel 
suo stile, e molto più nel suo linguaggio accostarsi a 
quella j'e l’usare:latinismi è quasi: difetto si grande come 
I usargallicismi , germanismi 0 espressioni proprie di 
alcuna altra lingua moderna. Tanta pbi ‘pel contrario :è 
ancora ll analogia fra la lingua romaica/led’ellenica, che 
il far ‘uso di diciture classiche non si condanna in uno 
scrittore romaico , e appena si riprende‘in chi le usa 
ancora parlando, e |’ EAAeviCesy mon si trae dietro quel 


i 


444 

ridicolo , fuorchè nel linguaggio famigliare, che il lati- 
pizzare si merita fra gl’Italiani. Ben so che da molti si 
è fatto querela ad alcuni scrittori romaici per avere ap- 
punto fatto uso di uno stile troppo ellemico, ma ora che 
tutto tende a ricondurre la greca letteratura nel pristi- 
no stato di gloria, chi sarà che riprenda gli sforzi che 
fanno i dotti di ridurne la lingua ancora all’ antico suo ‘ 
grado di splendore, mentre questa vi è ancora tanto 
vicina che piuttosto che una lingua distinta, deve un 
corrotto dialetto apparirne ? 

Dico che la lingua romaica, è piuttosto un dialetto 
della ellenica, che una lingua distinta; e da questo si 
comprenderà perchè non vanti scrittori di alto grido, 
come l'italiana in si maravigliosa copia ne possiede , 
Quando per le vicende che agitarono per tanti secoli la 
misera Italia, essa lottava contro le tenebre del barba- 
rismo che pur l’ ingombravano ; e quando pur questo 
velo cominciò a poco a poco a dileguarsi, la lingua latina 
aveva già sofferti tali cangiamenti da essere quasi im- 
possibile il renderla nuovamente generale in Italia ; 
eppure gli sforzi de’ dotti a questo principalmente ten- 
devano, e sembra che denominando volgare la nuova 
favella volessero distogliere dal coltivarla gl’ ingegni 
italiani. Invero ‘sembra che meppure i maravigliosi 
scritti di Dante e del Boccaccio bastassero a far carigia- 
re questa quasi universal tendenza al latino, e il Pe- 
trarca stesso aspirava all’ immortalità più con.le sue 
opere latine che con.le italiane. Eppure non meno a 
lui che ai suoi due predecessori va debitrice la lingua 
italiana mon solo peri leggiadri modi di cui 1 arricchì; 
ma più ancotarper l’ universale entusiasmo che per essa 
quasi contro sua voglia eccitò in dtalia, e per la folla 
d’imitatori che si suscitò . Intanto la cattedra stabilita 


£ 445 
în Firenze per spiegare Dante non permetteva più che 
sì trascurasse lo studio della nuova lingua, e quantun- 
que molti grandi uomini o per antico pregiudizio, o per 
naturale predilezione continuassero a scrivere in latino, 
la lingua italiana salì ben tosto a quel grado d’ onore 
che per la sua bellezza si meritava. Evento, al quale si 
cercherebbe invano un parallello negli annali di qual- 
| siasi nazione antica e moderna, che un popolo oppresso, 
lacerato da civili fazioni non meno che da forze straniere, 
ridotto nella più profonda barbarie, obbligato a dimenti- 
care l’ antica gloria, l’ antica letteratura, 1’ antica lingua, 
sorga poi di repente qual fenice dalle sue ceneri con 
nuova gloria, con nuova letteratura, con nuova lingua, 
e con tanto splendore da spargere i suoi raggi in tutta 
1’ Europa, senza temere d’ essere ecclissato nè dal lustro 
de’ proprj maggiori, nè da quello di qualsiasi antica na- 
zione. La sola Italia vanta fin qui sì portentose vicende; 
ma a chi non gode l’ animo nel rafligurarne in un vi- 
cino avvenire un secondo esempio nella rigenerazione 
de’ Greci? 

Ma queste considerazioni mi condurebbero troppo 
lungi dal mio soggetto principale, e torno ad osservare 
che il caso è divari per i ‘moderni scrittori romaici . 
Infatti dopo aver i Greci cercato di mantener pura la 
lingua loro e in Alessandria e in Bisanzio, vedendo che 
pur corrompevasi hanno cercato di modellare il proprio 
stile su quello degli antichi, ammettendo al tempo stesso 
1’ uso di tali voci, e modi di dire che il desiderio d’ es- 
sere intesi dai loro compatriotti, e la propria abilità o il 
proprio gusto suggeriva loro. Non possono dunque esser- 
vi fragli scrittori romaici autori classici, tali cioè dietro 
ai quali debbano gli altri formare il loro stile, ma tutti 
ricorrono alla primitiva sorgente, e gli autori dell’ an- 

T. IV. Dicembre _ 29 


446 
tichità sono quelli ché si prendono di norma. E questo 
serva di nuova incontrastabil prova che la lingua ro- 
maica è figlia imitatrice della madre lingua Ardea e 
tende a riunirsi alla medesima. Se miglior consiglio sia 
di secondarla, e tornare a scrivere l’ antica lingua nella 
sua purità o se debba seguitarsi a scrivere come ‘adesso 
in una lingua più o meno a quella vicina, secondo il 
genio dello scrittore, o se finalmente determinando re- 
gole fisse e invariabili, sia bene l’ imprimere un carat- 
tere deciso e distinto alla lingua romaica; sono que- 
stioni che troppo dividono in questo momento i dotti 
Greci perchè io voglia entrare nell’arringo a discuterle. 
Mio parere è bensì che si continuerà per lungo tempo . 
a scrivere come ora si scrive; senza il desiderio di ren- 
dersi del tutto imitatori degli antichi, e senza la riso- 
luzione di rendersi del tutto riformatori e fissare un 
limite inviolabile fra le due lingue. (nota VII.) 
Terminerò queste mie osservazioni sulla lingua 
de’ moderni Greci, adducendo in appoggio di quanto ho 
detto, l’ opinione su di essa espressa dalla Società lette- 
raria di Bucharest ; (nota VIII.) opinione la quale, ben- 
chè in alcune parti si ravvisi dettata dall’ amor nazio- 
nale, è però in generale fondata sulla verità. 
SE La lingua che ora si parla (dicono quei dotti), 
non è moderna come la denominano gli Europei, ma è 
Y antico dialetto, detto ; Kcey}, il che si prova dall’ uso 
degli scrittori, aper. alla grammatica, ed in vero ha 
una grande ipa con l’antico jonico. E' una lin- 
gua nazionale ni ha da molto tempo sofferti de’ grandi 
cangiamenti, prodotti da circostanze politiche, e l’ idio- 
ma della quale non è inferiore all’ attico. Laonde non, 
v'è in essa nulla di barbaro , o che sia da rigettarsi , 
fuorchè alcune espressioni barbare cioè straniere, che 


447 
sono state introdotte dalla comunicazione con varie al- 
tre nazioni. Benchè i patimenti de’ Greci sieno stati 
più severi di quelli deg’ Italiani, la lingua ellenica non 
ha tanto sofferto quanto la latina, la quale ha cessato di 
essere parlata in Italia e si trova soltanto frai dotti , 
mentre che la prima abbenchè per tanti secoli inculta. 
si parla ancora da un intiero popolo » . | 

Avendo procurato in tal guisa di esporre qual sia 
lo stato presente della lingua greca, e avendo accennato 
in che principalmente consistano i cangiamenti che ha 
subiti nella forma paragonati a quelli che subì la latina, 
credo che si riconoscerà meco per falsa 1’ opinione che 
la lingua romaica stia alla ellenica, nel rapporto mede- 
simo che l’ italiana alla latina. 


NOTE 


NOTA 1. 

1. Una delle principali variazioni che hanno su- 
bite le declinazioni de’ nomi greci, è la sostituzione 
dell’ accusativo con la preposizione js @ in luogo del 
dativo, sostituzione che ha luogo ancora nella lingua 
italiana riguardo al dativo de’ latini. Così nel discorso 
‘del dotto vescovo Ignazio riferito nella nota VII. sì 
legge sis Toe didurxéAss in vece di 7075 dvderndirs: 

2. Ancora il nominativo e l’ accusativo plurali fem- 
minini sono espressi comunemente col dativo plurale 
degli antichi, il che certamente è una barbara corru- 
zione, ma felicemente non è generale, ed i buoni scrit- 
tori se ne astengono, come può vedersi nel citato di- 
scorso dove l’ antico nominativo gj M&re: non è stato 
cangiato in 7a76 Mégr&ts- i 

3. Più generale è l’uso di formare 1’ ablativo 
dall’ accusativo , aggiungendovi la preposizione &wò da 


448 i 
e talvolta il genitivo ancora sì esprime in simil modo; 
se ne trova un esempio nel citato discorso ove leggesi* 
a'tò Eva T67ov peydA0y yipov - 


4. Alcuni nomi ancora che presso gli antichi erano 


“ nel caso accusativo|si usano da’ moderni nel caso nomi- 
nativo come ; yuvaixa, ) velpida, invece di j yu), Y 
alpi, ma questo errore non appartiene che al parlar 
comune e allo scrivere familiare e nel citato discorso 
leggesi 7) velpis. 

5. Quello veramente che hanno del tutto abban- 
donato i Greci, si,è il numero duale; a molti sembrerà 
forse questo un perfezionamento anzichè una corruzio- 
ne nella lingua greca; ma sia che una certa venerazione 
per tutto ciò che è classico ‘c’ induca a rispettarne gli 
stessi difetti, sia che ricorrendo alla mémoria alcuni 
bei squarci in cui venne usato, ci dolga non poterli ve- 
dere imitati dai moderni con ugual leggiadria, sia final- 
mente che pregiabile si fosse in sè stesso l’uso che di 
quel numero fecero gli aurei scrittori antichi da Omero 
in poi, a me duole che siasi intieramente abbandonato. 

NOTA II. i 

A molti adiettivi neutri terminati anticamente in 
ov come yaxov dyabòv, ec. si è tolta la v, dicendosi 
naxò &yebò, ec. ma questa alterazione, che d’ altronde 
non è generale, non appartiene ai tempi moderni, ma 
se ne trovano esemp)j in Aristofane . 

NOTA III. ATOP 

Un gran punto d’ analogia fra la lingua greca e la 
tedesca si è l’ uso delle paroie composte. Non v° è bi- 
sogno di dimostrare qual sia il vantaggio di una lingua 
la quale in una parola può esprimere ciò che per espri. 
mersi in altre richiedesi_una intera frase. Ben lo sanno 
i traduttori d’ Omero quanto sia difficile il rendere nella 


449 


propria lingua gli epiteti da lui usati, nè deve condan- 
‘ marsi il tentativo che il Cesarotti e il Monti hanno fatto 
d’ introdurre tali epiteti composti nella lingua italiana. 
E' da notarsi che questa proprietà appunto che i Greci 
e i Tedeschi hanno comune, è quella che rende questi 
ultimi del tutto indipendenti da quelli, anche in tutte 
le parole tecniche che le altre lingue moderne hanno 
formate e formano sulla stampa greca. 
NOTA IV. i 

Molte, è vero, sono le alterazioni che hanno subite 
fra le mani de’ Greci moderni le coniugazioni de’ verbi ; 
ma siccome queste non sono nè da tutti adottate, nè 
ugualmente, è impossibile il darne un esatto ragguaglio. 
Accennerò soltanto che il numero duale, ed alcuni tem- 
pi sono stati soppressi; e che altri verbi non solo, ma 
ancora alcune particelle sono state introdotte come au- 
siliarie per formare varj tempi e per distinguere i modi. 
Così per es. l’imperativo si forma colla particella xs ; 
il verbo juopa che presso ai romaici equivale al 
dsvoua degli antichi serve alla formazione del modo 
potenziale , e |’ interiezione %07es che Corrisponde 
all’utinam de’ latini serve a distinguere il modo otta- 
tivo ec. ma come ho sià osservato tutti gli scrittori mo- 
derni non adoprano questa fraseologia, e: nel citato di- 
scorso si trovano molti verbi usati nel modo stesso che 
dagli antichi praticavasi.. 

NOTA V. 

Non posso trattenermi dal far menzione della voce 
6, la quale anticamente non usavasi che come avver- 
bio di luogo, ed ora ha la forza di un pronome relativo 
che dai romaici si applica tanto alle persone quanto 
alle cose, e corrisponde al che degl’ Italiani. Mavi buoni 
scrittori la rigettano, e gli antichi pronomi sono ancora 


450 
in tutta l'antica forza, come si può vedere nel citato 
discorso nel quale non è mai usata tal voce ma sono 
posti in opera i varj pronomi relativi . 
NOTA VI. 

Non dispiaceranno alcuni cenni sul modo che dai 
Greci pronunziasi la loro lingua, dai quali apparirà 
quanta maggior grazia debba acquistare nello loro boc- 
ca, che non in quella degli Italiani. 

Il 6 pronunziasi come un © italiano e non come 
un d; onde fB:BAfor, leggesi vivlion e non diblion. V' è 
però ragione di credere che anche i Romani pronunzia- 
vano come gl’ Italiani questa lettera, perchè in tutte le 
voci tolte dal greco nelle quali trovavasi, l’ hanno scritta 
in ano col db. 

| Il y pronunziasi con un suono at cartuidia 
ma con molta dolcezza tenendo un suono medio fra il 
gh e li degli Italiani, ed è assai simile al g tedesco. 
Ind pronunziasi come il #h dolcissimo degli Inglesi, o 
come se sì volesse pronunziare il d appoggiando la lin- 
gua ai denti superiori anzichè al palato; riesce per altro 
assai difficile per gl’ Italiani il ben pronunziare questa 
| lettera. 

Il {ha il suono della 2 italiana pronunziata con 
molta dolcezza, o piuttosto della s nelle y foci elemosina, 
misero ec. Alla 2 italiana pronunziata con forza come 
nella voce lezione corrisponde il 7%. 

L’y si pronunzia come un i. Gl’ Italiani pronun- 
ziandola come un e lungo, hanno l'autorità de’ Latini 
che hanno usato le nelle voci derivate dal greco nelle 
quali trovavasi questa lettera. 

E qui noterò che sì suonano indistintamente come 
l’i italiano le lettere y, ‘, v (vocale) e i dittonghi e, or. 

I19 suona come il #h degl’ Inglesi. Non so se i Ro- 


454 
mani la distinguessero dal # nella pronunzia , come la 
distinguevano nell’ ortografia scrivendola sempre &. 
Gl' Italiani hanno trascurata l'una e l’altra distinzione. 

Il 7 si pronunzia ordinariamente come il p italia- 
no; fuorchè quando è preceduto dalla 4, e prende allora 
il suono del 6, come yurpé suona imborò. - 

It 7 parimenti quando è preceduto da un y suona 
come il 4 italiano come w4y707s, pandote . 

Lu ho già detto pronunziarsi dai Greci come un i e 
non come un « secondo l’ uso degli Italiani, onde £/06 
leggesi xilos, e non xulos. Qui pure sembra che i lati- 
ni pronunziassero come i moderni Italiani . 

Il x è un suono gutturale che non ha corrispondente 
in italiano, e suona esattamente come il ss de’ Tedeschi. 
I Romani latinizzando le voci nelle quali trovavasi la 
scrivevano con ch , e probabilmente ne distinguevano 
la pronunzia, ma gl’Italiani ne hanno perduto la pro- 
nunzia propria pronunziandolo come il x greco. 

In quanto ai dittonghi ho già detto che i due e, 0, 
sì pronunziano come l'? italiano; il dittongo 2: suona 
come l’ ai francese cioè come un e aperta, e il dittongo 
ov come l’ x italiano; nei dittonghi 2v, vl’ w suona co- 
me il © italiano. Ma gl’ Italiani ed altre nazioni Euro- 
pee usano di sciogliere questi dittonghi pronunziandone 
separatamente le vocali, onde per esem. auAvPAdolr Boro 
daX4ocys d Omero, suona presso i Greci poliflisvio 
thalassis, presso altri popoli, polufloisboio talasses . 

NOTA VII. 

AI ragguaglio della moderna letteratura greca dato 
nel passato volume di questo giornale , potrà servire 
d’ appendice il seguente estratto tolto dal giornale ì in- 
glese Rivista Degas cerato luglio 1820. 

« I Greci di Giannina sono celebri per le loro co- 


4ia 
gnizioni letterarie . Vi “sono due stabilimenti. d’ istru- 
zione, uno diretto da Atanasio Psalida che è consideràto. 
come uno de’ capi della moderna letteratura Greca; 
l’altro è destinato ad alunni più giovani, e presieduto da. 
Valano, che succedè al padre suo autore di alcuni trat- 
tati mattematici. Il medico Sakalario ha pubblicate varie 
opere originali come pure alcune traduzioni . Koletti 
altro medico ha stampato un trattato chimico sulle 
moderne teorie del calorico, ed ha tradotto la geome- 
tria di Legendre, e l’ arimmetica di Biot. Nella 'Tessa- 


lia i Greci godono certi privilegj nella loro situazione», 
5 5) 


e nel loro commercio che danno ad essi maggior agio 
per applicarsi . Gli autori della moderna geografia greca 


erano nativi di Melies, e lo è pure il Gazi, il direttore ‘ 


dell’ E piaùs 6 A6v10s in Vienna. Filippidi da nativo di 
Melies ha pubblicato la traduzione dell’ astronomia di 
Lalande e della logica di Condillac, e Kayra di Am- 
‘pelachia ha tradotto l’arimmetica e l’ algebra di Eulero, 
e gli elementi di storia dell’ Ab. Millot. 

NOTA VIII. 

Di questa società e delle scuole di Bucharest sotto: 
la direzione della medesima si è fatto cenno in questo 
giornale. Queste scuole contenevano nel 1810, 244 sco- 
lari, ognuno de’'quali veniva ammaestrato in:alcuni dei 
seguenti rami d’ istruzione cioè: mattematiche , filoso- 
fia morale, fisica, chimica, ichnografia, storia naturale, 
belle lettere, storia, archeologia, come pure nelle lingue 
ellenica, latina, francese, tedesca, italiana, e russa . 

Di queste belle istituzioni delle quali ora forse non 
esisterà più traccia in quella città, ne andava in parti- 
colar modo debitrice la Grecia al dotto e rev. Vescovo 
Ignazio, 11 quale sempre animato dall’amore patrio, con- 
tinua adesso nella nostra Toscana a incoraggire e diri- 


= 


453 
gere gli studj della gioventù greca, che studia du no- 


stre Università . 

‘In un esame degli alumi delle scuole di Bu- 
charest, il dotto Vescovo, pronunziò il seguente di- 
scorso, che ho creduto opportuno di qui trascrivere: per 
dare un idea più completa della lingua romaica. 


“Kipio MaIyTai 

Toolo td cisnua, rep lopa PAatwels et Tjv Z yoAny 
dtv eîva: YXX0, wapà pooiptov eusivwv, dcwyr pela Taola 
uérasi và yivwri Adv Cale: dAzo wàp oper el ju Ewt- 
asia piroworia, Vwrolay) ele Tods didaradaove, $ 48 
xousà, did vd nalacabaTe dEi: swwado) Tic DiAoropiac. 
AùT) 5 detsà, Ts rh spov èvAoye? Tae rpo6dac gui, Béaci 
ads cspavbon piav iutpav pé dk@vyv. Ai Motoa: déy 
ancpsvyoar Tv aaraiào Twvxalosmiar, Toy O Avptov, 
Thy reprecobv. (Eus) Bfauv wdauv Bwuepite: Uospor èwò 
Eva Torov peyzAov vipov, Svirep tnapav sis Tv Edpéwyv: 
Ay ci Mabyla) Tîs Biayias salwriv inavo) và Tàs 
cuvipopivawrmmtwesnei, omola dita wicvios BiAes siva dv 
dults w wirov méya n aéos dà Tyv Bahayiav. Zeis ju 
mopelle vd ivonacrhiTe dingiws tvluygers, Eweidà tygele vi 
dvalpéEnTe #1 S&diov T6rov A@urpdv, 0 wee ci rpoyevicspoi 
Gac dev Td serbo yrav. DeroTianFiTe Aowsdy và Pavile 
dios Tie spavia Taulys dwpeds, Tie wpocacias % Tav 
jpeTipwv xigwy. 

H'raTps weocpéve: wàp opuiv Tjv PsaTiwaivIys, xd 
oi yovirs wrpogmévegi wspi Fawn eîs Td yijpas Twv. O 
nowos, # i mitica vpi, Ee1 Td pubvov pero» Tò duvk - 
faevoy auonalasionai Ups eUyvispmovas à si6 Tu ralpide 
Di sis Ts vovers iuav . 


454 
Ele và os id 4) walpis piaviuipar da GrnpoparTas. 
Ei$e và A&fiwri did Eds oi yoveis # oi cuumodila: cds 
Tv diav Yaper è suyappenciv jvaep sakuBavov bddoTe 
oi vovete nè cunwodila: Toy "OAUUTIONKOI . 


Signori studenti! 


« Queste istituzioni che ora vedete nella scuola, 
altro non sono che una preparazione a quelle che vi si 
stabiliranno in seguito. Altro nonsi richiede da voi se 
non diligenza, assiduità, sommissione ai maestri, e buo- 
ni costumi per divenire degni seguaci della filosofia . 
Questa destra che oggi benedice i vostri progressi vi co- 
ronerà un giorno di alloro. Le Muse non dimenticarono 
l’ antica loro abitazione l’ Olimpo e il Parnaso. Ivi tor- 
neranno dopo sì lungo giro che hanno fatto in Europa. 
Se gli studenti della Valachia saranno in grado di ac- 
compagnarle colà , qual gloria immortale sarà per 
essi e qual lustro per la Valachia! Voi potete a ra- 

È gione chiamarvi fortunati perchè avete da percorrere 
una carriera sì luminosa quale non l’ ebbero i vostri 
antenati. Gareggiate dunque per apparir degni di que- 
sto dono celeste, del nostro patrocinio, e delle nostre 
premure. 

La patria attende da voi la sua prosperità, e i geni- 
tori vostri attendono da voi consolazione nella loro vec- 
chiezza. La fatica e la diligenza vi offrono il solo mezzo 
di mostrarvi grati e alla patria e ai vostri genitori. 
Possa la patria vostra vedervi un giorno coronati d’ al- 
loro; possano i genitori e i concittadini vostri ottenere 
da voi la stessa gioja e contentezza , quale altra volta 
ottennero i genitori e i concittadini dei vincitori Olim- 
pici. È LLENOFILO 


455 
GEOGRAFIA, VIAGGI rc. 


COSTANTINOPOLI 


Estratto dal giornale inglese Literary Gazette. 


IL. circostanze de’ tempi hanno reso la Turchia, e la 
sua capitale per tal modo interessante , che abbiamo 
giudicato opportuno di esibire il più completo prospetto 
‘ di Costantinopoli, che ci sia caduto sotto gli sguardi. Le 
seguenti notizie pertanto sono tratte dall’ opera di Ju- 
cherau Revolutions de Costantinople ec. pubblicata a 
Parigi nel 1810; ed è inutile l’ osservare che nelle at- 
tuali vicende. somministrano vasto campo alle più gravi 
riflessioni . 

Costantinopoli situata a 41. latitudine nord, e 
28° 59 longitudine est, è fabbricata all’ estremità di un 
naturale baluardo, che forma parte di una catena di 
alte montagne, che si estendono lungo i lidi del Mar 
Nero , del Bosforo , e della Propontide, e serve a con- 
giungere il monte Emo al famoso Rodope. Osservando 
la geologica figura di questa catena di montagne appa- 
riscono esse rapide verso il nord dal lato del porto, e sì 
prolungano insensibilmente al sud verso la Propontide, 
così che tre quarti delle case di Costantinopoli godono 
la veduta del mare. Diversi ampi burroni formati dalle 
pioggie , che danno passaggio alle acque, dividono il 
luogo ove è costrutta la città in sette colli, e perciò. la 
situazione di Costantinopoli in qualche modo rassomi- 
glia a quella dell’ antica Roma : 

Questa città sì celebre ne’ tempi antichi sotto il 
nome di Bizanzio, divenne ancor più importante, e po- 


456 

polata allorchè nell’ anno 330 l’ Imperator Costantino, 
ravvisando gl’immensi vantaggi della sua situazione, vi 
stabili la sua propria-residenza ; e la sede dell’ Impero 
Romano. Costantino denominò la città Nuova Roma 
onde ella potesse partecipare della gloria e de’ vantaggi 
dell’ antica dominatrice del mondo; ma fu universal- 
, mente appellata Costantinopoli, ossia città di Costanti- 
no, e questo nome è stato ritenuto dai Persiani, dagli 
Arabi, ed anco dai Turchi; poichè nel linguaggio offi- 
ciale del governo ottomanno , e sulle monete dell’ im- 
pero, la città non porta verun altro titolo se non quello 
di Costantiniah . 

Le montagne sulle quali è fabbricata la città, le 
superbe imperiali moschee coronate da immense cupole, 
e circondate da elevati mzirarets, (1) le abitazioni dipin- 
te a var) colori, e intersecate di giardini con piante di 
cypruses , e di altri alberi sempre verdi, gli edifizj di- 
sposti a forma di anfiteatro, la vista del porto ravvivata 
da migliaja di gondole, e di vascelli di ogni grandezza, 
il paese distante adorno di florida vegetazione, presenta 
in complesso il più bello ed imponente colpo d’ occhio 

del mondo. 

Il prospetto peraltro di questa città, osservato da 
lungi, produce all’ occhio un’ illusione simile a quella 
che prova lo spirito all'idea del vasto impero, di cui Co- 
stantinopoli è la capitale. Il viaggiatore colpito dall’am- 
pia estensione de’ dominj ottomanni, e dalla riflessione 
della loro gloria, s' immagina di dover traversare uno 
de’ più ricchi, e potenti stati d' Europa; ma a misura 
che egli si avanza, trova solamente debolezza, disordine, 


{1) Torri molto elevate, sulle quali salgono i ministri del cul- 
io per chiamare i fedeli alle préghiere. 


anarchia, e tutti i sintomi di rapida decadenza. L’incan- 
to della veduta di Costantinopoli nello stesso modo sva- 
nisce. Un sentimento malinconico assale lo spirito del 
‘viaggiatore allorchè dopo aver ammirato l’esterno aspet- 
to di questa capitale, che la natura destinò ad essere la 
regina delle città non trova se non strade anguste, cla- 
morose, luride, e mal selciate; case di legno, di mattoni, 
o di loto coperto di stucco; e finalmente una folla di 
uomini, il di cui tetro ed impetuoso contegno appalesa 
l’ orgoglio che lì predomina, o il timore che gli assale, e 
che di rado offre quella piacevole letizia , che si legge 
in volto ad una persona felice e contenta . 
Costantinopoli è situata di fronte alla meridionale 
estremità del canale del Bosforo, che essendo allivellato 
tra le due parallele catene di montagne, l’aria è obbli- 
gata a seguire il rapido movimento dell’acqua; ed in 
tal guisa la città gode il doppio vantaggio di un’atmo- 
sfera continuamente rinnuovata, e del trasporto del l’ac- 
qua piovana, e de’ canali per mezzo delle correnti, che 
scorrono dal porto nel mar di Marmora . Vicino alla 
città non vi è terreno paludoso; la sua temperatura è 
assal mite, non essendo giammai più fredda che dai ai 
ai 5. sottozero di Reaumur, nè più calda che 26°; le varia- 
zioni meteorologiche, che essa prova nel corso dell’anno 
sono presso a poco le seguenti: 64 giorni piovosi, 5 ne- 
vosi, 5 caliginosi, 20 freddi, 36 variabili, 15 tempestosi, 
e.220 perfettamente sereni. | 
I venti settentrionali, e meridionali, il di cui corso 
vien determinato dalla situazione delle custe, e de’ mari, 
sì succedono l’un l’altro a vicenda. Il vento Nord è 
prodotto dalla dilatazione dell’ aria, (che è più grande 
durante l’ estate sul mare dell’ Arci pelago, che sul mar 
Nero) e predomina quasi senza interruzione dal mese 


458 
di Aprile fino al termine di Settembre. Iv vento Sud che 
succede al Nord. per pochi giorni, soffia solamente quan- 
do i vapori accumulati sull’ isole dell’ Arcipelago hanno 
condensata l’aria, e diminuito il calore della tempera-. 
tura; in conseguenza il vento Sud è sempre umido, e 
frequentemente tempestoso . 

I venti Est, Ovest, e Nord-Ovest dominano soltanto 
durante l’ inverno, quando le alte montagne della Tur- 
chia Europea sono coperte di neve. Questi venti perciò 
son sempre freddissimi, ed accompagnati dalla neve. 

Riflettendo ai vantaggi meteorologici di Costanti- 
nopoli si direbbe che la città dovesse esser libera dal 
contagio, che domina sempre più ne’ tempi freddi, ed 
umidi, e che probabilmente deve la sua origine, ed an- 
co il suo risorgimento ai luoghi umidi, e paludosi nella 
vicinanza di Damietta nel basso Egitto, d’ onde si è 
propagato per tutte le provincie dell'impero ottoman- 
no. Ma la trascuratezza del governo, il predomiuio del 
fanatismo, e il cieco attaccamento agli usi stabiliti, con- 
| serveranno i germi di questa desolante malattia finchè 
Costantinopoli continuerà a languire sotto il giogo della 
sua presente barbarie . 

I suburbj di Fener, e di £ tv formano una parte 
di Costantinopoli, da cui son separati solamente per le 
mura che circondano la città. Ambedue son situati 
all’ estremità del porto. Il suburbio di Zenar è abita- 
to dal patriarca, dalle principali famiglie Greche, e dal 
numeroso treno de’ loro sottoposti, e de’ loro servi. Il 
suburbio di £yzb è abitato solamente dai Turchi, e 
contiene la celebre moschea, ove i Sultani ottomanni; al 
loro inalzamento al trono, ricevono dai capi degli Emirs 
la spada del comando, che è il simbolo della militar s0- 
vranità. I suburbj di /Zassekni, Hassen_Pasà, Galata, e 


459 

di Zophana son tutti situati dalla parte settentrionale del 
porto. Il primo è abitato dagli Ebrei , il secondo dalle 
persone impiegate nell’ arsenale, il terzo dai mercatanti 
di tutte le nazioni, e il quarto dai cannonieri, dagli ar- 
tiglieri, e dalle loro famiglie. Questi suburbj che giac- 
ciono alle falde di una montagna sono meno salubri che 
le altre parti di Costantinopoli, e non fanno godere co- 
me Pera, e S. Dimitri che sono situati ad un più alto 
livello, i venti salubri, e piacevoli che sorgono dal mar 
Nero. Il suburbio di Scutari è situato deliziosamente 
sulla costa dell’ Asia; l’aria è sempre fresca e pura, e 
fertili i suoi contorni . Scutari è il punto della partenza 
e dell’ arrivo per le caravane, che traversano |’ Asia 
Minore onde recarsi in Persia, nella Siria e all’ Indostan. 
La sua popolazione si calcola di sopra a 30,000 anime. 

Costantinopoli e i suoi suburbj contengono 14 mo- 
schee imperiali, 200. moschee comuni, circa a 300 
messgids, 40 besestins, oltre a 500 fontane, e da 100,000 
abitazioni. Le vaste moschee, le di cui magnifiche colonne 
sono state quasi tutte tolte dai templi rovinati dell’ an- 
tica Grecia , sono edificate sul modello della Chiesa di 
S. Sofia, che è una fabbrica imponente per la sua gran- 
dezza , e per l'altezza delle sue cupole, ma meno ele- 
gante dei templi di Roma antica, e moderna, e meno 
° interessante delle Chiese di gotica architettura. Le pic- 
cole moschee, ei messgids si distinguono dalle case 
private solamente pei loro minarets, d’ onde i nezzins 
ordinano ai Mussulmani di pregare. 

Tutte le private abitazioni sono costrutte di legna- 
me a rozzo lavoro . Per conseguenza esse sono tasià 
soggette agl’ incendj come la condizione politica degli 
uomini, che le abitano. Se per buona ventura non ven- 
gono distrutte dal fuoco, decadono naturalmente , e 


466 | 

vanno in rovina dopo un’ esistenza di trenta anni. Poi-. 
chè le costumanze dell’ oriente esigono una separazione 

tra gli uomini , e le donne, le case son divise in due 

parti che comunicano solamente per mezzo di un cor- 

ridore angusto. Una parte adunque della casa serve di 

harem, (2) mentre l’altra è destinata a ricevere gli 

amici,e gli stranieri. 

Malgrado gli elogi prodigati dagli storici greci alla 
bellezza di Costantinopoli prima della sua caduta, egli è 
probabile che non avesse un più bel materiale di quello 
che si vede presentemente, poichè i Turchì che adottaro- 
no il costume degli abitanti di Costantinopoli, e che det- 
tero alle loro grandi moschee la forma della Chiesa di 
S. Sofia, avranno altresì imitato 1’ architettura » dei 
Greci nell’ edificare le loro private abitazioni. Siccome 
poi poche fabbriche in Costantinopoli ; ad eccezione 

‘ delle Chiese, possono contare una data più antica del 
secolo decimosesto, si può ragionevolmente supporre 
che ls greche abitazioni, che Maometto Ii. sì riserbò 
come sua porzione nella conquista della città , fossero 
per la maggior parte, fabbricate di legno, e che essendo 
rimaste distrutte dal fuoco, siano successivamente state 
ricostruite colla stessa forma esterna, e con quelle di- 
mensioni, che avevano innanzi la presa di Costantino- 
poli per parte de’ Turchi. 

Le Besestins, ossia i pubblici mercati, sono cor- 
ridori lunghi, angusti, e poco luminosi, le di cui mura 
essendo di pietra, servono a proteggere dal fuoco gli og- 
getti mercantili che sono affidati alla cura degli uomini 
destinati a custodirli. I mercanti di tutte le classi son se- 
parati secondo le respettive nazioni, e i propri traffici. I 


(1) Appartamento delle donne. 


461 
Turchi, e gli Armeni di rado tentano di defraudare, ma 
i compratori si debbono mettere in guardia dalle astu- 
zie degli altri mercanti, e debbono per lo meno ridurre 
alla metà il prezzo richiesto dagli Ebrei . 

Poche piazze irregolari presentano quà, e là degli 
spazj aperti framezzo le abitazioni. Le due più consi- 
derabili sono l’ Ippodromo, e Y Etmeidan, ossia piazza 
del macello, ove i Giannizzeri sono assuefatti a portare 
le loro caldaie, ed a tenere le loro assemblee, allorchè 
si risolvono di destituire i ministri, o di deporre il Sul- 
tano . L’ Ippodromo, che adesso, come a tempo dell’ an- 
tica Grecia, è destinato alla. corsa de’ cavalli, è lungo 
quattrocento piedi, e cento largo; le sue dimensioni non 
sono state alterate ne’ tempi moderni, poichè una pira- 
mide di pietre tagliata, ed una colonna di bronzo sussi- 
stono tuttora nella linea centrale della piazza, e ad eguali 
distanze dalle sue due estremità. 

I Turchi traendo partito dagli acquedotti costruiti 
dagli Imperatori Romani, hanno eretto un gran numero 
di fontane in Costantinopoli, le di cui varie forme piut- 
tosto che a quello dell’ Europea, s’ accostano allo stile 
dell’ architettura Chinese, o Indiana. La necessità di 
provvedere in ogni quartiere della capitale abbondevoli 
sorgenti di acqua per i bagni, e le frequenti purifica- 
zioni dei Mussulmani hanno reso i Turchi premurosi 
della costruzione delle loro fontane, che non sono per 
verun riguardo inferiori a quelle, d’ Europa . I loro ac- 
quedotti, e piramidi idrauliche sono invigilate con pre 
mura, ed intelligenza. Ma provvedendo soltanto al pre- 
sente senza curarsi del futuro; i Turchi hanno trascurato 
le numerose cisterne, che edificarono i greci Imperatori, 
affinchè Costantinopoli in caso di assedio non mancasse 


di acque; ed hanno tollerato che la basilica, di cui il 
T- IV. Dicembre 30 


462 
generale Andreossi ha pubblicata una minuta , e dotta 
descrizione, fosse trasformata in un edifizio per la mani- 
fattura delle funi, e de’ cordaggi. 

Il preciso numero degli abitanti di Costantinopoli 
è incerto. Resta impossibile di determinare, se non per 
un calcolo approssimativo, la popolazione di una città, 
in cui non si tien verun registro delle nascite, e delle 
morti, e dove i viaggiatori di oghi nazione sono ammessi 
senza passaporto . 

. Alcuni viaggiatori hanno ARA a Costantinopoli 
ed ai suoi contorni una popolazione di 500,000 anime; 
altri pretendono che gli abitanti di questa città e de’ suoi 
suburbj oltrepassino 1000,000. Il giornaliero consumo 
del frumento può solo servirci di scorta per determinare 
all’ incirca il numero degli abitanti di questa capitale. 

Mille cinquecento Kil/ots di farina (che equival- 
gono a 840,000 libbre) escono giornalmente dai pubblici 
magazzini, ove tutto il frumento destinato per la sussi- 
stenza degli abitanti di Costantinopoli, vien depositato 
per conto del governo, e quindi consegnato a cento dei - 
principali fornai della capitale . Su vieni che il gior- 
naliero consumo di ciaschedun individuo (compresi gli 
uomini, le donne, e i fanciulli) sia di una libbra di 
farina (che è una quantità considerabile qualora non s’i- 
gnori che i Turchi consumano molte frutta, e vegeta- 
bili) la capitale dell’ impero Turco, secondo questo cal- 
colo, dovrebbe contenere 840,000 anime. Se aggiungia- 
mo a questo numero sopra a 30,000 individui che trag- 
gono la loro sussistenza dal serraglio, ed un numero di 
abitanti proporzionato al giornaliero consumo del fru- 
mento che viene furtivamente introdotto, avremo un 
resultato di circa 900,000 anime; che costituirebbero la 
popolazione di Costantinopoli. 


463 

Altri calcoli fondati sulla consueta mortalità allor= 
chè la città non è afflitta dalla peste, o da altro conta- 
gioso malore, porgono presso a poco i medesimi resulta- 
menti. Questa popolazione è divisa in 120,000 Greci, 
90,000 Armeni, 50,000 ‘Ebrei, 2,000 Franchi, e 630,000 
Maomettani. Gli individui di tutte queste nazioni abitano 
separati quartieri della città, portano un vestiario distinto, 
e praticano usi diversi. La forma de’ cahook , ossia 
cappelli, e il colore degli stivali, che son gialli per i 
Mussulmani, rossi per gli Armeni, neri per i Greci, e 
blù per gli Ebrei, servono a primo colpo a distinguerli 
fra loro . 

Gli Osmanli , e gli Armeni, Asiatici di origine, 
non differiscono tra di loro riguardo agli usi ed ai 
costumi. Le loro donne vivono ritirate, e non com- 
pariscono giammai per le vie senza velo . Il tetro 
quadro della gelosia orientale esposto da alcuni scrit- 
tori Europei è al certo esagerato. I Turchi, e gli 
Armeni in generale sono teneramente affezionati alle 
loro mogli. Le donne Maomettane , ed Armene sono 
mogli i fettudse ,e madri eticeltetiti } poichè non 
hanno altro oggetto in, mira se non di compiacere 
ai loro mariti e di educare premurosamente la loro 
prole. Le amabili qualità, di cui universalmente 
vanno adorne, rendono il bel sesso così sacro agli 
occhi de’ Turchi, e degli Armeni, che un marito, 
che percuota la sua consorte, è riputato il più vile, 
e il più dispregevole de’ mortali . 

Le donne Greche sono più libere, ma forse 
non tanto austere ne’ loro costumi. I loro figli non 
son custoditi con tanto impegno , e questi a vicenda 
trascurano talora i loro genitori. Sorgono frequente- 
mente domestiche contese, e i Greci mariti vedonsi 


484 

percuotere le loro mogli senza eccitare l’ indignazio- 
ne de’ loro concittadini . 7 i i 

Gli Ebrei venuti dalla Spagna, han conservato 
gli usi del loro paese misti ad una morale rilas- 
sata, e ben sovente a quella depravazione , che suo- 
le accompagnare l’amor del guadagno, quando è 
preferito ad ogni altra umana considerazione . 

I Franchi vivono a Costantinopoli come nel loro 
nativo paese. Essi non hanno che temere nè per 
parte delle leggi, nè per parte del potere delle locali 
autorità, in forza di convenzioni che gli pongono e-- 
sclusivamente sotto la dipendenza de’ loro respettivi 
ambasciatori : laonde essi vivono con poche restri- 
zioni, e portano francamente il costume Europeo, 
dacchè i Russi hanno insegnato ai Turchi a rispet- 
tare le nazioni Cristiane d' Europa. Il suburbio di 
Pera, che è abitato dagli stranieri ministri offre un 
adunamento di popolo di qualunque nazione , ed in 
questo suburbio si porta qualunque costume, e sì 
parla ogni linguaggio. Quivi le persone si salutano , sl 
prendono scambievolmente la mano, e si. abbrac- 
‘ciano come nelle differenti città d’ Europa . Le bot- 
teghe, ed i magazzini de’ mercanti sono accomodati 
nella stessa foggia di quelli di Londra, e di Parigi.(1) 
I Francesi, i Russi, gl’ Inglesi, gli Austriaci ec., 
i quali son tutti compresi sotto la generale denomi- 
nazione di Franchi , evitano il minimo segno di 
rancore, o pregiudizio nazionale; si visitano, e vi- 
vono insieme nella più amichevole familiarità . ‘Per 
la fraterna armonia che regna in questo piccolo di- 


(1) Sarebbe più esatto il dire di quelli di alcune piccole 
sittà di Francia. 


i 165 
stretto, fra i sudditi de’ più grandi sovrani d’ Euro- 
pa; si potrebbe asserire che Pera è simile ad un i- 
sola ove splende la civilizzazione Europea in mezzo 
alla barbarie Asiatica. 

Il porto di Costantinopoli che dall’ Est-sud-est 
sì dirige all’ Ovest nord-ovest, porge ai vascelli lun- 
go la sua intiera estensione un’ ancoraggio facile , e 
sicuro. Le navi di linea della maggior grandezza 
possono accostarsi alle due spiagge sì da vicino da 
toccare le abitazioni colle loro antenne . Abbenchè 
questo porto sia il ricettacolo d’ogni sozzura , e delle 
fogne che sgorgano dai sobborghi di Eyub, Hasseke- 
ni, Hassan-Pashaw, Galata, e Tofana, come pure da 
una parte di Costantinopoli , nondimeno non accade 
verun ristagno. I dispendiosi lavori per la nettezza 
de’ porti che si impiegano nella maggior parte delle 
città marittime d’ Europa, non sono necessari a Co- 
stantinopoli , giacchè la natura stessa provvede a que- 
sta occorrenza. Le acque di due ruscelli il Cydaris, 
e il Barbyces che al loro confluente son conosciuti 
sotto il nome di fiume di acqua fresca, unendo la loro 
corrente a quella del Bosforo, recan seco dal porto di 
Costantinopoli al Mar di Marmora la terra, e le soz- 
zure che trovansi nel suo letto , e presso le spiagge. 
Dalla: parte settentrionale del porto tra i suburbi 
di Galata , e di Hassakeni è situato il grande arsenale 
per le navi. Intorno al piccol molo in pria chiamato 
Galley - port ergonsi 1.° l'abitazione del Zersanè - 
emini , ossia soprintendente della flotta ; 2.° uno spazio 
aperto contiguo alla montagna , su cui è fabbricato un 
vasto palazzo , residenza del Capitan - Pashaw ; 3.° le 
ampie, e magnifiche baracche per i galiondgis, ossia 
marinari, che furono costruite sotto la direzione del 


\ 


ti 


”, 


466 8, 
celebre grand’ ammiraglio ZMassan - Pashaw, 4.° il 
Lock-yard , ed il bacino , di cui la Porta va debitrice 
al sig. Rodè ingegnere Svedese . All’occidente dell’ abi» 
tazione del Tersanè emini , vedonsi i magazzini, e le. 
spiagge , presso cui d’ ordinario vi sono stanziati circa 
a trenta vascelli. di linea , che costituiscono la forza. 
navale della Turchia . 

AI di là de’ magazzini marittimi, in una situazio- 
ne bassa , ed umida, vicino alla montagna, su cuì è 
costruito il palazzo del Capitan-Pashaw trovasi il tetro 
bagno, ove l’uomo è ridotto alla più lacrimevole mi- 
seria , ed avvilimento ; ove il prigioniero di guerra è 
rinchiuso col malfattore , ed ove le minaccie , e le per- 
cosse delle guardie , e de’ carcerieri unite ai gemiti , ed 
alle esecrazioni de’ detenuti richiamano al pensiero 
V immagine delle infernali regioni . 

Il Sultano Selim, che mostrò un piùvivo impe- 
gno pel miglioramento, e per la gloria del suo impero 
che nel procurarsi i piaceri, e i sollazzi della vita , 
avea ceduto per uso della flotta l’ edifizio che per l' a- 
vanti formava il suo seraglio di Airali-Cavak ( il ca- 
stello degli specchi ) palazzo prediletto del Sultano 
Acmet III. ove quel principe soleva compiacersi ri- 
guardandosi colle sue schiave negli ampj specchi che 
il Veneto Senato gli avea offerti in dono dopo il trat- 
tato di Passarowitz . Grandiosi lavori furon già in- 
cominciati in questo edifizio, ma la deposizione del 
Sultano Selim fu causa della sospensione del nuovo or- 
dine ; e il Gran Signore ha preso nuovamente possesso 
di questo vacillante palazzo , che probabilmente non 
sarà mai più abitato per cagione delle enormi spese, 
che sarebbero necessarie per riattarlo . 

Vicino all’ estremità occidentale del suburbio di 


469 

Hasse-Keni è situata la scuola degli ingegneri militari. 
Essendo questa giudicata troppo piccola , il Saltano 
Selim destinò ad uso degli scolari il palazzo della Sul- 
tana sorella di suo padre, la quale non più l’ occupava 
già da parecchi anni. Ma dopo la caduta di Selim gli 
alunni ingegneri furono obbligati ad abbandonare il 
serraglio , che minacciava rovina , e ritornare al loro 
antico , e limitato stabilimento . 

La magnifica baracca dei bombardieri è situata 
vicino al mare di fronte alla scuola degli ingegneri . 
La sua vasta mole, la sua eleganza, e gli elevati mi- 
narets della sua moschea i chio questa baracca 
uno de’ più belli ornamenti dell’ estremità del porto . 
Ne” suoi contorni vedonsi le fornaci per fondere i mor- 
taj , e le officine per la costruzione de’ respettivi carri, 

Il suburbio di Tofana , che giace all’ est di Ga- 
lata , e di fronte al seltisglioi contiene le ampie barac- 
che de’ cannonieri, e di tutti i grandi stabilimenti 
pel materiale dell’ artiglieria . 

Il Sultano Selim aveva erette magnifiche barac- 
che per i /Vizam - gedittes a Scutari, a Zevend- Tchi- 
flick , e vicino a Pera. Gli edifizj di Scutari, e di 
Levend - Tchiflick furono distrutti dai Giannizzeri 
dopo la morte di Mustapha - Bairactar; ma quelli di 
Pera furono risparmiati , poichè essi non erano intera- 
mente compiti al tempo dell’ ultima riv oluzione . 

Î palazzi degli ambasciatori Europei . , Che sì ap- 
pellano serragli , in Europa sarebbero riguardati come 
semplici abitazioni di cittadini . La residenza dell’am- 
basciatore francese , che è situata sulla pendice orien- 
tale della montagna di Pera, gode un bel prospetto, 
ed ha un giardino assai spazioso. Fu fabbricata dal 


468 

Barone di Breves sotto il regno di Enrico IV. e riat- 
tata colla direzione del Barone di Tott durante V am- 
basceria del Conte di Saint-Priest . Il palazzo del  Ve- 
neto ambasciatore ha una bellissima facciata . I pa- 
‘ lazzi delle ambascerie Inglese , Russa , e Svedese non 
si distinguono che per la regolarità , e l'eleganza della 
loro architettura. Il palazzo Russo è piccolo , e mon- 
tato senza sfarzo se si riguardi come residenza di un 
ambasciatore . L’ abitazione del ministro. Inglese , che 
è stata recentemente costruita sulla pendice meridio- 
nale di Pera è un edifizio di forma quadrata le di cui 
facciate si vedono obliquamente dalla porta d’ ingres- 
so.. La disposizione interna nondimeno non offre tutti 
“quei comodi , che si potrebbero supporre in vista della 
sua estensione . Il terreno gu cui posa il palazzo fu re- 
galato all’ Inghilterra dalla Sublime Porta come un 
attestato. di gratitudine per la liberazione d’ Ègitto . 

Il Canale di Costantinopoli, ossia del Bosforo , 
dà passaggio alle Aeque del Mar Nero, che scorrono 
rapidamente verso il Mar di Marmora o della Propon- 
tide ; e quindi verso il Mar dell’ Arcipelago per mezzo 
del Canale de’ Dardanelli altrimenti Ellesponto . Il 
Canale di Costantinopoli che separa l'Europa dall'Asia 
. trascorre fra le due parallele catene di montagne. La 
sua profondità diversifica ‘dalle quindici alle venti 
braccia , ed offre un sicuro ancoraggio per tutta la sua 
estensione . Il Golfo di Lwywkderre, ove il canale di- 
venta più largo estendendosi verso la vallata di tal 
nome , presenta una favorevole stazione a quei va- 
scelli, che sono prossimi ad entrare, o a partire dal 
Mar Nero. Il Canale del Bosforo è difeso , vicino al 
suo ingresso nel Mar Nero , dai due castelli. di Fanar . 


469 
Questi due forti , che sono situati ad una. considerabil 
distanza da ciaschedun altro , non servono all’ oggetto 
cui furono destinati . 

Ma î nuovi castelli di Poyras, e va Caribehe , che 
furono costruiti dal Barone di Tott, vicino alla parte 
angusta del canale , possono con vantaggio sostenere 
un attacco atteso la loro vicinanza a ciaschedun altro, 
per la loro situazione elevata, e, per le ben munite 
batterie . -I forti di Roumily - Cavac, e di Anaduli - 
Cavac , che furono riattati , e. condotti a termine dai 
Sigg. Monier e Fontaine hanno le batterie a livello 
dell’ acque , e non sono coperte . Situate esse ai piè di 
una montagna , il di cui declive viene intersecato da 
una gran muraglia , queste batterie in caso di attacco 
sarebbero esposte al fuoco dell’ artiglieria posta all’ alta ’ 
fila de’ vascelli di linea, e diverebbero il ricettacolo 
delle palle , che fossero lanciate dietro alla muraglia . 

Sono state costrutte diverse batterie sulle spiagge 
di Buyukderrè per impedire alla squadra nemica di 
calar l'ancora anco benchè avesse passato la parte su- 
periore del canale, malgrado il fuoco delle opere di 
difesa . 

I Castelli di Rowmily-Hissar,e di Anaduli Hissar 
che furono edificati nel decimoquinto secolo , due le- 
ghe nord-est da Costantinopoli , poco tempo prima 
della presa di quella capitale, tuttora rimangono nel 
loro primitivo stato . Per quanto formidabili potessero 
allora riguardarsi ai vascelli che veleggiavamo per quel 
canale , adesso non sarebbero sufficienti ad opporsi ai 
grossi vascelli , attesa la piccola mole delle loro batte- 
rie , e l’angustia delle loro piatteforme, che non por- 
«gono spazio comodo ai cannoni di grosse calibro .. As- 


/ 
/ 


470 | 
sai di frequente è stata rappresentata alla Porta ) im-.. 
portanza di questo punto di difesa ; i Turchi facil- 
mente volgono in ridicolo ogni proposizione che venga 
fatta pel miglioramento delle opere costrutte da Mao- 
metto II. il soggiogatore de’ Monarchi , e il conquista- 
tore di Gostantinopoli . Il Sultano Selim III. avea non- 
dimeno ordinato il miglioramento di questi castelli, 
che sarebbe stato mandato ad effetto senza la caduta 
di quel monarca , il di cui spirito era superiore ai pre- 
giudizii del suo paese . 

Costantinopoli sembra destinata dalla natura per 
essere la metropoli del mondo', poichè è situata in una 
posizione centrale , che la pone in comunicazione con 
ogni altra parte mediante il Mar Nero , il Mar di Mar- 
mora, l’ Arcipelago, e «il Mediterraneo . Qualunque 
sia la sua futura sorte, Costantinopoli malgrado tutte 
le rivoluzioni, e i cambiamenti politici sarà sempre 
considerata una delle prime città dell’ universo . 

Ma oltre ai suoi vantaggi politici , e commerciali, 
Costantinopoli facilmente può rendersi una delle piaz- 
ze più importanti del Continente . Essendo fabbricata 
sopra un promontorio triangolare , due lati del quale 
son bagnati da acque profonde, essa non può essere 
assalita che da una sola parte . Questa parte formando 
una linea retta, goderebbe tutti i vantaggi di un siste- 
ma di bastioni a vaste mezze-lune. I suburbj di Pera, 
di S. Dimitri, e di Galata mediante la loro unione 
potrebbero formare una forte ed importante barriera 
per sostenere Costantinopoli . Le Joro frontiere passan- 
do sopra ai cimiterj Turchi vicino a Pera , attraver- 
sando il Pleteau, vicino a S. Dimitri, e finalmente 
l Okmeidan , potrebbero terminare da una parte al 


471 

Bosforo dietro a Dolmabakche , e dall’altra al porto di 
Costantinopoli tra Massekerti , e il serraglio di Airali- 
Cavak . f 

Se, mediante un felice cambiamento, che appena 
può sperarsi , gli impératori Ottomanni acquistassero 
insieme colla brama di civilizzare i loro sudditi , il ne- 
‘cessario potere per porre in esecuzione sì grandi, e 
difficoltosi disegni; oppure se tutti i monarchi Cristia- 
ni formassero una coalizione per cacciar dall’ Europa 
l’ indomabile barbarie che occupa uno de’ suoi più bei 
paesi , Costantinopoli libera dagli schiavi che rendono 
affatto vane le sue naturali risorse , ed impediscono la 
sua prosperità , diverrebbe ben presto la più ricca, la 
più popolosa , e la più potente città del mondo. P. 


LETTERATURA 
POESIA 


EnzIDE DI VirciLio Marone, volgarizzata da Michele 
Leoni tomi 2. Pisa, presso Sebastiano Nistri 1821. 


\ 


7 uando ne venne alle mani il manifesto che annun- 
ziava il volgarizzamento dell’ Ezzeide per opera del sig.* 
M. Leoni, ci corse tosto all’ animo l’ altro della Geor- 
gica, commendata già nella Biblioteca italiana, e illu- 
minata non poco dai confronti che se ne fecero con 
quella, che reputavasi fino allora la meglio verseggiata, 
se non la più esatta. E sebben fosse vano il dissimulare 
a noi medesimi la difficoltà massima di vincer non 
pure , ma di agguagliar in complesso il lavoro e più la 


472 

fama del Caro, pensammo tuttavolta, che se il sig. Leo- 
ni seguito avesse il disegno adottato nella Georgica, 
ayrebbe almeno procurato all’ Italia una traduzione da 
| potersi por tra le mani di chiunque amasse di vedere 
in essa il testo il più da vicino possibile, e vestito di 
tutte le forme comportate dal-nostro linguaggio. Nella 
qual opinione ci confermammo in legger lo squarcio del 
libro VI. annesso all’ accennato manifesto, e subito da 
noi confrontato ; e più gli altri da noi riportati nel qua- 
derno num. 5. di quest’ Antologia. Ma non essendo per 
mala sorte raro il caso di veder l’intutto d’un’ opera di- 
scordante dal saggio messo avanti, aspettammo a dare 
al nostro giudicio una consistenza positiva, al comparir 
del lavoro. Ed effettivamente è venuto in luce poc’ anzi 
insieme colla ristampa della Georgica .) 

Chi pretendesse negare esser la traduzione del Caro 
la più disinvolta, la più ondosa, e la più ricca in fatto 
di maniere di lingua mostrerebbe inopia di gusto e un’ 
anima a tutt’ altro temperata che al sentimento di una 
splendida Poesia . Chi sostenesse poi, che oltre a simili 
pregi i quali valsero a quel leggiadro scrittore sì alto gri- 
do, egli trasfuse nel suo lavoro il meglio che si potea, le 
forme del testo,conservando le minime e soavissime tinte, 
che rendon cotesto poema inarrivabile per quanto con- 
cerne lo stile e la dilicata testura de’ concetti e delle 

* parole, darebbe chiaramente a divedere o di non cono- 
scer Virgilio o di non aver mai fatto il più leggiero con- 
fronto . 

Tralasciando la prima parte che il sig. Leoni può 
aver forse appena avuto in animo di emulare, crediamo 
di mal non apporci, giudicando, esser le ragioni addotte 
da noi nella seconda, quelle che per avventura lo de- 
terminarono all’ ardua impresa . 


473 
Che rimanesse nel volsarizzamento dell’ Eneide 
aperta una nuova via di bella gloria anche dopo il Caro’ 
lo mostrò l'opinione di quegli scrittori (e alcuni asso- 
lutamente non dispregevoli) che dopo di lui diedero 
opera a un simil tentativo.‘ Lo credè lo stesso Alfieri, 
quantu nque ammiratore caldissimo di quel bell’fn gegno. 
Cercò in fatti di accostarsi al’ testo un po’ più di lui. 
Ma non avendo.l’anima; direm così, Virgiliana', e la’ 
sua scabra forma di verso essendo agli antipodi rispetto 
a quella del buon Marone, la riuscita fu minore delle 
sue forze, comechè non difforme dalla sua tempra. E. 
noi daremo una prova di reverenza verso quel Grandis- 

simo col non chiamar qui il suo lavoro a confronto. 
L'Algarotti, il quale certamente non mdticava rid 
di belle dottri ne;'nèdi'cogiizion de Letini, nè di‘ gusto; 
fu tra i primi, ‘ché Si sollevasserò: contra il'Caro. E gli. 
esempi, da lui posti sott’otelio ‘a sostlgho ‘del 'suoò giu 
dicio, son ‘tanti e così mnanifesti; Ché si direbbe, non: 
avere il Caro tradotto Virgilio nella più parte de'luoghi, 
se non a un di presso, e aggiugnendo o' tralasciando 7 
come più lo pottava a fare la disposizion' d’ animo in 
cui sì trovava. (1) © VOCE AIA, ASTRO 
Venne appresso il Bondi, che'nella prefazione alla ' 
sua version dell’Eneide , cercò di farsi strada ‘all’ opi- 
nion de’ lettori, con declamar contro al Uaro a tutto’ 
potere , e mostrarne a’ medesimi i difetti anche prima‘ 
di far loro conoscere come aveva egli supplito' Ma con 
| tuttociò il volgarizzamento del Bondi, avveguachè nofi' 
senza merito di'una maggior fedeltà, restò sempre in fe- 
riore a quello del'Caro; e appena l’opinione degl'Itàlia! 


ìu 
\ 


ni concede al suo lavoro, il secondo: posto . 1 10/0! VibsiNi 
% .. . % à Lo RON IVO - LI 

(1) Vedi Lettere di Polianzio ad Ermogène nelle. 01 he STA ag 
l’Algarotti, presso Carlo Palese tom. VII. a p.'a5g.) 12 Srmuosia 


x 


474 
Più sano fu a nostro avviso, il modo col gialle il 
sig. Leoni nel suo breve proemio, si disimpegnò dal far 
parola de’ suoi predecessori , abbandonando affatto alla 
sentenza del pubblico. Dal poco, che quivi ha detto 


sembra però che la sua fede nel suffragio degl’ Italiani ; 


sia specialmente riposta in coloro, che porranno i suoi, 
versi ad agguaglio col testo, dal quale dichiara di non 
essersi mai dipartito nemmeno per leggerissima circo- 
stanza. La qual cosa, che per verità ne parve incredibi- 
le alla prima lettura della sua versione, abbiam con sor- 
presa verificato noi stessi in qualunque parte , in cui ci 
cadde l’occhio . E diciam con sorpresa, perchè riputam- 
mo assunto di una malagevolezza infinita il conservare 
un'adesione al testo così scrupolosa, come praticar si 
potrebbe in prosa, senza nocumento del verso, che ha 
sembianza di esser di primo getto. Diremo di più. Sem- 
bra che il sig. Leoni abbia qui voluto dar prova d’aver 
profittato del consiglio d’alcuni, che nella sua foggia di 
verseggiare, d’ sltmude piena di gagliardezza e d’armo- 
nia, notarono una certa troppo costante uniformità, che, 
singolarmente negli sciolti, non è oggidì approvata da 
tutti. Del qual iter ito iadò ‘del certo debitore 
in gran parte al testo, per lo proponimento di seguirne 
con rigorosa fedeltà i periodi anche nelle divisioni, in 
apparenza le men concludenti: tanto è vero che i clas- 
sici antichi, fonte di ogni eleganza, ajutar, possono i 
moderni eziandio nella parte materiale , comechè forse 
la più generalmente negletta . 

E perchè gli esempi affurzino l’ asserzione, presen- 
teremo a’ nostri lettori alcuni squarci di questo volga- 


rizzamento, paragonandoli con altri del Caro e del Bon-. 


‘ di, e ponendo a piè di pagina le nostre annotazioni. E 
siccome sì tratta di lavoro che noi vediam d’importan- 


475 
minar la maniera, con che van tradotti gli 
i,e în qual foggia sì ‘posson traspiantar le bellezze 
sti, idioma ì în un aliro, così dichiariamo di esser pron-. 
ti a dar luogo i in quest Antologia a qualunque osser va- 
zione, che gli studj de’mostri lettori li ponessero in 
rita. di fave %uand' anche fosse contraria alla manife- 
stata nostra sentenza . 


Lib. I. v. 211. cc. 
Jlli se praedae accingunt , dapibusque futuris: 
Tergora diripiunt costîs et viscera nudant. 
Pars in frusta secant , veribusque trementia figune. 
Litore ahena locant alii, flammasque ministranti. È@©|—|—©@&»% 
Tum victu revocant vires : fusique per herbam 
Implentur veteris Bacchi pinguisque ferinae. 6. 
TRADUZIONE DEL CARO. 
» Fecer tutti coraggio ; € di cibo avidi, 
» Già rivolti alla preda, altri le tergora 
» Le srelgon dalle coste, altri sbranandola 
» Mentre è tiepida ancor , mentre che palpita, 
» Lunghi schidoni e gran caldaje apprestano , 
»n El acqua intorno e’) fuoco vi ministrano. 
» Poscia d’ un prato, e seggio e mensa fattisi, 
»» Taciti prima sopra l’ erba agiandosi, 
» D'opima carne e di yin vecchio eipiendosi 
33 Quanto puon lietamente si ricreano+ 33 10 (À) 
DEL BONDI. i 
» Essi Ze mense a preparare intanto 
di Si accingon pronti: aprono 22 cervi il ventre, 


(A) Avvertito il lettore, che Ie parole delle versioni segna- 
te in corsivo, non sono nel testo, noterem quì di Piisaio ; “dhe 
i versi sdr uccioli , frammisti agli sciolti, fanno il più brutto sen- 
tire che mai. 

Il primo, verso del Caro non ha niente a che fare col te- 
sto. Manca il viscera nudant; secare in frusta non è propria- 
mente sbranare Ù Quell acqua (che non si trova nel testo); sarà 
in ogni caso dentrò la caldaja, non intorno. Il figunt , il litore 
e il victu revocant vires son tralasciati. | 


476 r 

,3 E della pelle snudano le coste . i ti ce 
,» Parte gli sbrana in varj perzi, e parte... È pi 
si Ne’ lunghi spiedi palpitanti ancora ma 


» Le calde carni infila, altri di rame 

sy Urne capaci, apprestano sul lido, ©. î | 

,»» L’ acqua dentro versandovi , e di legne 

133 Alimentando la supposta fiamma . 

, Indi su l'erba d'ogni intorno sparsi. 

,»» Lietamente si assidono , di opima 

33 Carne e vin vecchio a ristorar le forze ,,. 12 (B) 
DEL LEONI. ; 

ss Ad apprestar la preda ed i futuri 

Gibi lo stuol si accinge . Altri le coste 

,» De la pelle dispoglia , e nude ‘mostra 

,; Le viscere de' Cervi: in varj brani 

,) Altri membri ne tronca, e ancor tremanti 

,» Negli spiedi gl’ infilza » altri sul lito 

;» Le caldaje prepara, e il foco nutre : 

,3 Indi le forze colle dapi avviva , ‘ 

,»» E sull’ erboso suol , d’ annoso vino 

», S'empie, e di pingue salvaggina l’ epa ne 10 (0) ] 

Ivi, v. 402. 

Dixit; et dvertens rosea cervice refulsit , 

Ambrosiaeque comae divinum vertice odorena 

Spiravere: pedes vestis deflurit ad imos, 

Et vera incessu patuit Dea . Ille, ubi matreni 

Agnovit, tali fugientem est voce sequtus: 

Quid natum toties erudelis tu quoque falsis s 


(B) Il primo verso del testo non è qui tradotto che all'in» 
circa. Aprono il ventre non è l’ istesso che nudant viscera . 
1l bondi ha poi tolto quì al Caro lo sbrana i lunghi spiedi , 
l acqua (mon intorno ,, ma dentro ) e il lietamente: le quali 
cose non sono in Virgilio . pet! a) 

(G) Troviamo , che le cose, aggiunte qui dal Sig. Leoni, 
non fanno alcun difetto, ove non si vogliano reputare necessa 
rie a render chiaro il senso; solamente alcuni potrebbero non 
lodare quel nude mostra per nudant. 


$ 


477 
Ludis imaginibus ? cur dextrae jungere dextram 
Non datur , ac veras audire ct reddere voces ? 
Talibus incusat , gressumque ad mocnia tendit. 9 
TRADUZIONE DEL CARO... 
» Ciò detto, nel partir, la neve e l'oro 
E le rose del collo e delle chiome , 
Come l aura movea , divina luce 
, E divino spirar d’ ambrosia odore : 
E la veste, che dianzi era succinta , 
Con tanta maesta le si distese 
Infino a’ piè , che a l’ andar anco e Dea 
3 Veracemente e Zenere mostrossi . 
3) Poscia che la conobbe , e la sua fuga 
» O fermar , o seguir più non poteo, 
») Con un rammarco tal dietro le tenne : 
3) Ahi! madre ancor tu sì ver me crudele ? 
: A. che tuo figlio con mentite larve 
Tante volte deludi ? A che m'è tolto 
Di congiunger la mia con la tua destra ? 
» Quando fia mai ch’ io possa a viso aperto 
Vederti , udirti, ragionarti, e vera. 
Riconoscerti madre ? Egli in tal guisa - 
» Si querelava , e verso la cittade 
» Se ne giano invisibili ambidue ,, 20: (D) 
DEL BONDI. 
» Così diss’ ella; e nel girarsi in fianco 
» Lampo improvviso folgorò strisciando 
Sulla rosea cervice; e dalla chioma 
Divino odor d’ ambrosia si diffuse . 
Giù fino ai piedi maestosa cadde 
» Sciolta la veste, ed all’ aspetto , al passo , 
33 Verace Dea si palesò . Confuso 
3, La genitrice ei riconobbe; e vòlto 


Ù 


bb] 


t 


(D) Questo squarcio , nitido , semplice , e tutto soavità nel 


testo , è quì sfigurato dalle giunte , e da un nuovo impasto 
« d’idee, scaturite dal cervello del traduttore : talmente che 


nove versi di Virgilio furono stemperati in venti . 
T. IV. Dicembre i ; 3I 


uo 
33 AI luogo ov ella sparve + ah, madre, esclama , 
»» E tu pur anco e tante volte.in queste 
‘ 3» Mentite forme il figlio tuo deludi ? 
»» Perchè fuggir? perchè vietar ch’ io stringa 
», La tua con la mia destra , e senza velo 
3» Udirti io possa, e favellarti , e gli occhi 
» Saziare e il cor del tuo divin sembiante ? 
, Così mesto querelasi , e pensoso 
3) Con lento passo alla Città s’ avvia . 17. (E) 
i DEL LEONI. 
». Disse: e in partir roseo rifulse il collo, 
» Ed un divino odor l’ ambrosia chioma 
», Spirò : la veste sino ai piè si stese ; 
» E vera Diva al portamento apparve . 
»» Quando la madre ei ravvisò , col grido 
»» Lei fuggente seguì: Perchè il tuo figlio , 
3, Crudel tu stessa con mentite larve 
» Tante volte deludi, e destra a destra 
», Unir non m’ è concesso, e veri accenti 
», Udir a replicar? così l’ accusa : i 
» E volge intanto ver le mura il passo ,, 11. (F) 
Ivi ira >: 
Ille, ubi complexu Eneae colloque pependit , 
Et magnum falsi implevit genitoris amorem 
Reginam petit . Haec oculis, haec pectore toto 
Hoeret : et interdum gremio fovet , inscia Dido. 
Insidat quantus, miserae Deus. At. memor ille 
Matris Acidaliae , paullatim abolere Sichoeum 
Incipit ; et vivo tentat praevertere amore 
Jam pridem resides animos desuetaque corda. 8. 


n 


(E) Avertens è tutt’ altro che girarsi in fianco. Non è ‘il 
lampo , che fo/gorò strisciando sulla rosea cervice; ma è la 
rosea cervice, che semplicemente rifulse . Qui maestosa : e il 
Caro con tanta maestà . 

(F) Nessuno vorrà negare ehe questi undici versi a fronte 
de’ 20 del Caro , e de’ 17 del Bondi, non rendano parola per 
parola i nove dell’ originale . 


e 479 
TRADUZIONE DEL CARO. \ | 
Poichè lunga fiata umale e dolce 
Del non suo genitor pendè dal collo , 
»» E finse di figliuol verace affetto , 
Si volse a la regina. Ella con gli occhi, 
Col pensier tutto Zo contempla e mira , 
Lo palpa e ’Y bacia e 'n grembo lo si reca 
Misera ! che non sa quanto gran Dio 
S’ annida in seno. Eî della madre intanto . 
Rimembrando il precetto, a poco a poco 
De la mente Sicheo comincia a trarle , 
Con vivo amore ; e con visibil fiamma 
Rompendoli del core il duro smalto, 
E introducendo il suo già spento affetto . 13. (G) 
d DEL BONDI: 
Egli, dappoi che lungamente al collo 
D’Enea pendendo con amplessi e baci i 
Saziò del finto genitor |’ affetto , 
Si volse alla regina . Ella con gli occhi 
E col desio par che il divori : al seno 
»» Lo stringe , il dacia , ahi misera! che ignora 
Qual Dio le sieda in grembo . Alle preghiere 
Pensando allora di sua madre amore , 
A poco a poco alla regina in seno 
Scaltro comincia a cancellar Sicheo, 
E nuovi affetti risvegliando , tenta 
L’ alma sopita e il cor da lungo tempo 
»» Già disavvezzo alle amorose cure . 13 (H) 


(G) Altro è eontemplar cogli occhi e col pensiero ; altro 
haerere oculis et pectore; imagine tanto più viva e gagliarda ! 
Fovere non è nè palpare , ne baciare . I due ultimi versi 
sono sciupati . i 

(H) Il Bondi ha preso anche qui dal Caro il lungamente, 
o lunga fiata , il bacia , il desio 0 pensiero, ed oltracciò il 
quarto verso tutto quanto . //oeret non si può tradurre con un 
divori, nè il guantus (che qui è di grandissima forza ) con uno 
snervatissimo qual . 


480 Da 


DEL LEONI. 
s) Poichè questi dal collo e dagli amplessi 
»» D'Enea fu sciolto , ed il mentito. padre 
» Di un grande amore empieo , si volge a Dido . 
, In lui co’ lumi e coll’ intiero petto 
3, È la regina affissa, e con lusinghe 
3; Il molce : nè la misera s’ avvede 
»» Quanto possente Iddio le sieda in grembo . 
3, Ma memor ei dell’ Acidalia madre , 
», A torle dal pensiero a poco a poco 
» Sicheo comincia ; ed occupar di vivo 
» Affetto cerca la da lungo tempo 
3; Alma oziosa e ’1 disusato core ,,. 12. (I) 

Lib. HI. v. 192. 
Postquam altum tenuere rates, nec jam amplius ullae 
Adparent. terrae ; caelum undique et undique pontus : 
Tum mihi cacruleus supra caput adstitit imber , 
Noctem hiememque ferens ; et inhorruit unda tenebris . 
Continuo venti volvunt mare, magnaque surgunt 
Aequora . Dispersi jactamur gurgite vasto . 
Jnvolvere diem nimbi, et nox humida coelun 
Abstulit , ingeminant abruptis nubibus ignes . 
Excutimur cursu, et caecis erramus in undis, . 
Ipse diem noctemque negat discernere coelo , 
Nec meminisse viae media Palinurus in unda . 10. 
TRADUZIONE DEL CARO. 

» IM andavamo a vela 
‘33 Con second’ aura ; e già d’ alto mirando 
3» Non più terra apparìa, ma cielo ed acqua 
3) Vedevam solamente , quando oscuro 
>» E denso e procelloso un nembo sopra 
», Mi stette al capo , onde tempesta e notte 
», [Ve si fece repente, e di più siti 
», Rapidi uscendo imperversaro i venti ; 
» S' abbujò l’ aria ; abbaruffossi il mare; 
» E gonfiaro altamente e mugghiar l onde, 


(1) Veggano i nostri lettori se qui’ ha nulla da togliere 
o da aggiungere. A noi pare di no . 


4381 
», Il ciel fremendo in tuoni, in lampi, in folgori 
» Si squarciò d’ ogni parte . Il giorno notte 
» Fessi, e la notte abisso ; e l'un dall altro 
33 Non discernendo , Palinuro istesso . 
» Della via diffidossi e della vita ,,. 14 (K) 
DEL BONDI. 
», Poichè in altò fur giunte , ed alla vista 
» St nascosero i lidi , ed altro omai 
» Che cielo e mar più non apparve intorno , 
» Apportator di notte e di tempesta 
» Geruleo nembo ne vien sopra , e tutta 
»» D’ orrido e fosco vel Vl onda s’ oscura . 
» Sgruppansi a un tratto 7mpetwosi venti 
», A sconvolgere il mar; quà e Zà balzando 
»» Per flutti immensi le disperse navi . 
» Velano i nembi il ciel: fra l’ombre avvolto 
»» IL dì s° ammorza, e dalle rotte nubi 
» Striscian con fosca luce i spessi lampi . 
» Noi, dal corso torcendo erriam confusi 
,» Fra l’ onde cieche ; e Palinuro istesso 
» Nè più distingue dalla notte il giorno , 
»» Nè la smarrita via dubbio ricorda ,,. 16. (L) 
DEL LEONI. 
» Poichè furo su l’ alte onde le navi, 
» E già non apparia più terra alcuna, 
»» E. tutto ciel, tutto era mare attorno, 
» Cerulea pioggia a me sul capo stette, 


\ 


(K) Questo squarcio , evidentissimo nel testo, è come ap- 
parisce , di tutt’ altra tempra nel Caro.. E per verità noi non 
sapremmo donde cominciar .le annotazioni ; perchè i concetti 
sono tutti sfigurati da capo a fondo. 

(L) Si nascosero i lidi alla vista non rende precisamente 
il nec jam amplius ullae adparent terrace. Quel flutti im- 
mensi è un po’ troppo per gurgite vasto . Nox humida coelum 
abstulit è ben diverso dal fra ? ombre avvolto il dì s° am- 
morza . L’ excutimur cursu non è torcer dal corso, ma esser 
gettato fuor del cammino . 


(82 


si SAL portando insiem notte e procella ; 
,, Ed orrido per l’ ombre il mar divenne . 
» Repente i venti agitan |’ onde, e grandi 
», Surgono i flutti. Per lo vasto gorgo 
,» Sparsi, siam tratti il dì coprono i nembi; 
E dall’ umida notte il ciel n° è tolto . 
Striscian frequenti dalle rotte nubi __ ; 
I lampi fuori del cammin sospinti , 
Per l’ onde cieche erriam: la notte e ’1 giorno 
Più non discerne Palinuro istesso 
,» lu ciel} nè in mezzo al mar la via rimembra . rò. (M)_ 
Ivi, ve:.564. 
Tollimur in caelum curvato gurgite et idem 
Subducta ad. Manis imos desedimus undas . 
Ter scopuli clamorem inter cava saxa dedere | 
Ter spumam elisam et rorantia vidimus astra . 
Interea fessos ventus cum sole reliquit ; 
Ignarique viae Cyclopum adlabimur. oris . 
Portus ab accessu ventorum inmotus, et ingens 
Ipse; sed horrificis juxta tonat Etna ruinis, 
Interdumque atrum prorumpit ad acthera nubem, 
Turbine fumantem piceo, et candente favilla ; 
Adtollitque globos flammarum, et sidera lambit : 
Interdum scopulos avulsaque viscera montis 
Erigit eructans , liquefactaque sara sub auras 
Cum gemitu glomerat; fundoque exaestuat imo. 
Fama est , Enceladi semustum fulmine corpus 
Urgeri mole hac, ingentemque insuper Hltnam RI 
Impositam ruptis flammam expirare caminis , i 
Et fessum quoties mutat latus, intremere omnem 
Murmure Trinacriam , et caelum subtexere fumo + 19 
TRADUZIONE DEL CARO. 
3, € l mar sorgendo; 
,» Prima al ciel ne sospinse ; indi calando , 


(M) Neppur qui la più severa critica troverà la minima 
eccezione da fare intorno alla viva e nobil versione del sig. 
Leoni . 


483 


Ne l’ abisso ne trasse . In ciò tre volte 
Mugghiar senzimno i cavernosi scogli , 
E tre volte rivolti in ver le stelle 
D’umidi spruzzi e di salata schiuma 
Il ciel vedemmo rugiadoso e molle . 

» Eravam lassi ; e ‘1 vento e ’1 sole insieme 
Ne mancar sì , che del viaggio incerti 
Disavvedutamente alle contrade 
, De’ Ciclopi approdammo . É per sè stesso 
» A’ venti inaccessibile , e capace 
» Di molti legni il porto ; ove giugnemmo 
Ma sì d’ Etna vicino , che ? suoi tuoni 
E le sue spaventevoli ruine 
Lo tempestano ognora . Esce talvolta 
Da qnesto monte all’ aura un’altra nube 
Mista di nero fumo e di roventi 

Faville, che di cenere e di pece 

Fan turbi e gruppi, ed ondeggiando a scosse , 
Vibrano ad or ad or lucide fiamme 

_Che van lambendo « seolorir le stelle: 

» E talvolta le sue viscere stesse 

Da se divelte, immani sassi e scogli 
Liquefatti e combusti al ciel vomendo, 

3 Infin dal fondo romoreggia e bolle . 

., E' fama; che dal fulmine percosso 
E non estinto, sotto a questa mole 
Giace il corpo d’ Encelado superbo ; 

E che quando per duolo e per lassezza 

Ei si travolve , o sospirando anela , 

Si scuote il monte, e la Trinacria tutta : 

E pel ferito petto il fuoco uscendo, 

»» Per le caverne mormorando esala, 

» E tutte intorno le campagne e ’l cielo 

» Di tuoni empie e di pomici e di fumo. 35. (N) 


(N) Il curvato gurgite è omesso. Il sentimmo , che non 

è nel testo, indebolisce l'evidenza dell’ imagine . E chi può 

non sorridere del buon umore del Caro , che per questo verso , 
Ter spumam elisam et rorantia vidimus astra 


484 
DEL BONDI. || 1 4 
;; Infino al Cielo 

»» Ne spinge il gonfio sollevato flutto , 

++ Ed agli abissi ne profonda e cala 

3, L’ onda, che aperta si sottrae .. Tre volte 

» Muggir sentimmo i cavernosi scogli, | 

» Tre volte è spruzzi delle dianche spume, 

» Rotte fra i sassi risalir vedemmo, 

3») E A LENTE STILLE RICADER DAGLI ASTRI. 

3, A. noi stanchi frattanto il vento amico 
E tutto a un tempo il sol mancò. Smarriti, 
» E del cammino ignari alle vicine 
», Spiagge approdammo de’ Ciclopi . È il porto 
Comodo e vasto, e dal soffiar dei ‘venti © 
Difeso assai; ma dell’ orribif Etna 

Troppo agli incendj, ed al tonar vicino 

Nube tato dall’ empia bocca ei getta 

Di pece mista e ceneri e faville; 

E turbini di fumo ed ignei globi 
Spinge a lambir le scolorite stelle . 
Scogli talora e liquidi macigni, 

E le divelte viscere del monte 
» Spande eruttando ; e calcinati sassi 
Alto lanciando aggrappa, e ognor dal fondo / 
»» Con fremer cupo romoreggia e bolle . 


7) 


2” 


ee ne regala tre dilavatissimi ? 
» E tre volte rivolti in ver le stelle, 
3» D’ umidi spruzzi e di salata schiuma 
> Il ciel vedemmo rugiadoso e m20//e . 

E non è vero, che andasse Enea disavvedutamente alle 
contrade de’ Ciclopi. Vi fu tratto, perchè non avea lume 
alcuno di guida. Liquide fiamme non è il globos flammarum . 
Liquefatti e combusti ? Altro che combusti , se son liquefatti ! 
Semustum non è il ron estinto . Si travolve è ben altro che 
mutat latus. E veggano i nustri lettori , che. per tre versi - 

del testo , il Caro ce ne dona DIECI; e contuttociò non tra- | 
. duce interamente il latino : tanta è la zazzera di, che adorna 
Virgilio ! 


485 
; Fama è , che sotto la pesante rupe 
, Il falminato Encelado superbo 
, Vivo giaccia e sepolto , e che dall’ ampie 
,» Grotte aperte dell Etna il foco esali; 
, E qualor stanco, o addolorato il fianco 
»» Va rivolgendo , la Trinacria tutta 
, Con DIST, fragor crollando scuota , 
» E d’ atro Htiso! il ciel copra ed ingombri ,,. 32. (0) 
DEL LEONI. 
» Dal curvo gorgo 
»» Spinti al ciel siam; ed'‘ai profondi mari 
ge DI quinci la sutnratta onda ne abbassa . 
3, Tre fiate un clamor tra i cavi sassi 
3» Fuor mandaron gli scogli ,, e tre la rotta 
3) Spuma vedemmo e roride le stelle . (P) 
3» Noi faticati abbandonò col sole 
»» Frattanto il vento; e del cammino ignari, 
», Ci appressiam Wehei de’ Ciclopi ai lidi . 
,, È dall’ urto de*venti immoto il porto 
» E vasto: ma con orride ruine 
3, Tuona l’ Etna da presso , ed atra nube 
», Talor di piceo turbine fumante 
> E d’ardenti faville all’ aere scaglia , . 
» E globi alza di fiamme e gli astri lambe. (Q) 


(O) Anche il Bondi ha tralasciato il curvato gurgite. Bello 
invero quel calare dopo il profondare! E dal Caro ha preso 
pure il senzizizo , i cavernosi scogli, gli spruzzi , e. più giù 
le scolorite stelle, e ’?l romoreggia , e l approdammo, che 
ron è l’ adlabimur : le quali cose non appariscon nel testo . 
Difeso assai, è meno d’ immotus . Erigit non è spande. Cum 
gemitu e semustum son tralasciati. Urgeri non è nè giaccia , 
iiè sepolto vivo . Il Caro aggiunse del suo cor duolo ; e il Bon- 
ci, addolorato. Rivolgendo per iîntremere ? Dopo aver detto 
pra ; potea per verità lasciar da parte l’ ingombri } 

(P) È notabile l’ esattezza, con che son qui tradotti i cor- 
rispondenti due versi del testo . a 

(Q) Questo verso rende letteralmente e mirabilmente quello 
d. Virgilio, rigirato sì male dal Caro e dal Bondi. 


486 

» Eruttando talor gli scogli ih; 

» E le divelte viscere del monte, (R) . 

Aa liquefatti massi in alto addensa 

3» Con gemito , e nel fondo imo ribolle. 

3» E’ fama che d’ Encelado sul corpo 

3» Mezzo dal falmin arso , una tal mole 

» Si aggravi, e fuor delle fornaci infrante 

> Gran fiamma il sovrapposto Etna tramandi : 

3; E quante volte lo spossato fianco 

s, Muta , con suon tutta Trinacria tremi 

3» E "1 ciel di fumo ingombri . 25. ($) 

E per non lasciare mancare ai nostri lettori un 
altro squarcio di questo lavoro del sig. Leoni, ove 
l’ affetto abbonda più che ne’ già riportati, produr- 
remo quel mirabil passo del quarto libro , nel quale 
avvien la catastrofe dell’infelice Didone . 

,, Ma rabida Didone, e per le immani 

3» Opre feroce , le sanguigne luci 

3, Movendo attorno , e le tremanti gote 

» Di macchie sparsa, e per vicina morte 

3) Pallida il volto , nelle interne soglie 

3 Della reggia si ptt , e l'alto rogo 

», Furente ascende , e la Dardania spada 

», Fuor tragge , che a quest’ uso in don non ebbe . 

3» Qui poichè ragguardò le Iliache vesti , 

» E ’l noto letto , col pensiero e ’l pianto 

») Si ristette , e sul talamo si giacque , 

3) E fuor mandò queste parole estreme : 


(R) L’istesso verso ha il Bondi: e par che non si posse 
tradurre diversamente il Latino. 

(S) Non dubitiam d’ affermare, che questa descrizione, 
stupenda in Virgilio, mon perde punto mella versione, ch' è 
letterale, evidente e nobilissima , così in fatto di lingua , che 
di verseggiamento . E si noti, che i 19 versi dell’ originale, 
‘ voltati in 35 dal Caro e in 32 dal Bondi, sono renduti dil 
sig. Leoni con soli 25. ‘ 


437 


; O sin che ai fati ed a’ Celesti piacque, 
» Dolci spoglie , accogliete omai quest’ alma, 
» E me traete dagli affanni. Vissi , 
Ed il corso compiei, che la fortuna 
M°’ avea concesso . Andrà sotterra or grande 
L’ imagin mia. Città preclara alzai; 
Le mura vidi, vendicai lo sposo , 
E pagar feci al rio germano il fio: 
» Felice! Oh! assai felice , ove soltanto 
2, Non avesser giammai Dardanie prore 
», Toccati questi lidi! -- Ella sì disse : 
,» E sovra il letto riposando il volto, 
» Morrò inulta , gridò ; ma pur si mora : 
3) Così giova , così, scendere all’ Onbre . 
33 Di quest’ incendio là dall’ alto mare 
» Le pupille il crudel Dardano pasca ; 
»» E seco del mio fin porti gli auguri . 
» Disse : ed in mezzo a voci tai , sul ferro 
»» Lei caduta rimirano le ancelle, 
»» E spumante di sangue il ‘nudo acciaro , 
» Ed intrise le man. Ne’ gran cortili 
» Si diffonde il clamor: per la commossa 
Città la fama infuria, e di lamenti 
Freme e di femminili urla e di pianti 
La reggia, e d'alti omei l’ etra risona, 
Qual se Cartago tutta, o Tiro antiqua 
S’ inabissasse de’ nemici in preda , 
E furiose fiamme per le case 
Scorresser de’ mortali e degli Dei . 


22 


2 


Anche qui è renduto con rigorosa fedeltà il testo, 
‘e così sono tutti i dodici libri. Per tal modo il signor 
Leoni ha distrutta l’ opinione d’ alcuni, che dalla mor- 
ta versione del Salvini traevano argomento, non po- 
tersi tradurre Zetfteralmente , conciliando insieme la 
robustezza , nobiltà ed armonia del verso . Talchè 
osiam d’ asserire , esser questo il lavoro del sig. Leoni, 
che va sopra ad ogni altro . E chi d’ ora innanzi vorrà 


488 UA 
conoscer Virgilio in isplendidi e fedeli versi italiani 
dovrà ricorrere alla versione , che annunziamo . 


P. N. 


FILOLOGIA 


DIALOGO SULLA PROPOSTA DI ALCUNE CORREZIONI ED AGGIUNTE: 


AL VOCABOLARIO DELLA CRUSCA T. III. PAG. I. (1) 


L. Bios: dopo due lustri ravvicinato a voi di circa 
300 miglia. Ripigliamo, se vi piace, i nostri ra- 
gionamenti sulla vostra Proposta . 

M. E donde questo ravvicinamento ? Ho udito tante, 
e sì varie cause .... 

£. Ma non la vera ed unica forse... A suo tempo 
la scoprirò nuda e vera a voi, e ad altri molti 
amici miei. Tutti avranno un nuovo esempio di 
quanto possano nelle vicende particolari della 
vita le passioni dell’uomo mobilitate dalla per- 
turbazione de’ tempi e delle cose. Distragghiamo- 
ci per ora dalle nostre malinconie co’ soliti chic- 
cheri chiaccheri \etterarii . 

M. h! h! si vede bene che tu se' ritornato sull'Arno 
natio . .. 

L. Sì; ma tu ben vedi ancora che fo un uso più 


(+) V. Ant, T- II. p. 344: 


489 
opportuno de’ nostri motti popolareschi . Tu’l fai 
per dileggiarci , ed io per dir la cosa scherzevol- 
mente mel mio dialetto tal qual’ ell’ è . Comin- 
ciamo dunque senz’ altro prea mbolo, ed esami- 
niamo la tua osservazione alla voce Zabbia . Nel 
Vocabolario si legge: 

LABEIA . Faccia, aspetto. Dant. Inf. 25. 
Quante bisce egli avea ( il Centauro ) su per la 


‘groppa infino ove incomincia nostra labbia . 
M. Ebbene; credi tu ch'io rimproveri a torto la 


L. 


M. 


L. 


Crusca di non aver sempre seguito nella regi- 
strazione di simili voci il cHe del Magalotti? 
No, davvero; ma: credo che tu la rimproveri a 
fto: quando asserisci che l’ accademico compi- 
latore zon intese. bene il concetto di quest’ e- 
sempio . 

Se l'avesse bene inteso, avrebbe veduto che 720- 


stra labbia qui è tutt’ altro che rostra faccia, 
o nostro aspetto, PRESO ASPETTO PER VOLTO 


PIbiop, aero.) 


Tu dunque supponi che l’ accademico prendesse 
aspetto per volto ; e s° egli ti rispondesse che non 
l’ha preso? Certamente allora il tuo rimprovero 
sarebbe ingiusto . Inoltre con questa supposizione 
tu vieni a confessare che aspetto può significare 
qualche altra cosa . 


. Sì, può significare qualche altra cosa; ma nella 


dichiarazione si unisce aspetto con faccia , e fac- 
cia non significa altro che wolto . Infatti leggi 
nel Vocabolario . ( 

FACCIA. La parte anteriore dell’uomo dal- 


la sommità della fronte alla estremità del men- 
to. Viso, volto . 


490 
L. Va bene; ma io osservo, che quivi si dichiara 
faccia per viso, volto non già per aspetto ; il che 
parmi voler dire che l’ accademico non ha inteso 
che qui si confondesse aspetto con faccia in quanto 
che faccia significa NEL cORPO UMANO propriamente 
il viso, il volto, come piace di confondere a te; ma 
che in questo luogo si prendesse faccia, per quella 

| parte della superficie di tutto il Centauro, che è 
umana, perchè poco sotto si legge che faccia si- 
gnifica ancora parte di superficie d’ una cosa . 

Ma per mettere questo bicchi bichiacchi in più 
chiara luce e con meno e più autorevoli parole, biso- 
gnerebbe , che fosse venuto in mente al sagace sig. 
Grassi, nostro. comune amico , di parlare “mel suo 
saggio de’ sinonimi Italiani, delle differenze fra 
le voci volto , viso , aspetto , sembiante , labbia nel 
senso Dantesco ec. Pertanto a passare o fuggir la 

mattana , benchè nec Dis, nec viribus aequis mi 
ci proverò io, ricorrendo, com’ eì saviamente ado- 
pera , alle asneftave origini . 

. E primamente mi pare che di tutti questi no- 
mi il solo faccia determini più propriamente d’ogni 
altro, come dice il vocabolario , la parte ante- 
riore dell’ uomo ec. perchè la dignita del corpo 
umano essendo composta di molte facce differenti, 
quella che apparisce sempre scoperta, e ch'è la più 
nobile come sede di quattro sentimenti meriti in 
modo peculiare ( o come i Greci dicevano Cat'exo- 
chen) questo nome,e comprende perciò fronte,occhi, 
guancie, bocca, mento, ec. Ma questa faccia chia- 
masi ancora viso dal verbale latino visus, 25 , il 
quale altro non significa in sè stesso che l'atto 0 
facoltà di vedere. Or questo senso , chiamato , co- 


491 
me dice la crusca , latinamente viso, onde il no- 
stro Dante cantò 

Oscura profond’ era e nubilosa 

Tanto che per ficcar lo viso al fondo 

i I° non vi discerneva alcuna cosa . Inf, 4. 
avendo la sua sede , ed essendo una parte impor- 
tantissima e principale di questa faccia, si pren- 
de per dessa stessa per estensione di significato . 
Volto poi viene dal vltus , o volutus, us dal ver- 
bo volvere, e significa l’ atto o facoltà di voltarsi P 
girare ec. perchè per fare uso spezialmente' dell’ oc- 
chio possiamo voltar la faccia in giro facendo un 
circolo perfetto ; or questo movimento circolare è 
fatto ancora dall’ occipite, e dal sincipite , ma Vuzi- 
lità principale è della facoltà di vedere , ossia del 
piso , e perciò si prende pel piso stesso , ‘cui rende 
1 officio ad ogni momento , e quindi per la faccia . 
Aspetto viene ancora dal verbale aspectus, us, che 
vale l'atto, o facoltà di guardar verso, onde di 
questo può dirsi quanto abbiamo detto di visus : 
con questa differenza però , che aspetto si prende 
eziandio per la forma o apparenza della cosa guar- 
data , e non mai viso , nè volto, usandosi per con- 
trapposto di questo nome vista . 

Ma non sì, che paura non mi desse 

La vista che m’ apparve d’un leone. Inf. 1. 
il qual nome significa ancora e più comunemente 
il senso , o facoltà di vedere :. 

E quinci fien le nostre viste sazie Inf. 18. 
restando il nome viso , che alla maniera latina si- 
gnifica lo stesso , alla poesìa . 

Da più lontana origine la voce sembiante trag. 
ge il significato di faccia , volto , viso ,e da mena 


492. % 
lontana quella di aspetto, in quanto che quelle si- 
gnificano sempre e solamente /a parte anteriore 
dell’uomo dalla sommità della fronte fino al men- 
to; e aspetto significa, come ho detto, sì questa 
parte, come tutto ciò che apparisce alla vista ; 
perchè io sono d’ avviso che i Franchi dal similare 
latino facessero semzier , e per l’ affinità del è con 
la me con la 2, ve lo introducessero per agevolarne 
la pronunzia ( come gli Spagnuoli da homo fecero 
hombre, da costume costumbre ec. ) e pronunzias- 
sero sembler; e che poi gl’ Italiani lo abbiano ri- 
preso così alterato da’ Provenzali, e ne abbiano for- 
mato l’ antico semblare , e por cambiato per più di 
‘dolcezza la 2 in è sembiare e quindi sembiante, cioè 

simigliante . W 
E poichè nulla ci ha che tanto si assimili ‘a’ 
sensi, e disposizioni dell’ animo, e le rappresenti 
quanto il viso, 0 aspetto umano ; quindi anche la 
voce sembiante fu da’ poeti sostantivata, e propria- 
mente usata per significare Za perte anteriore dal-. 
la fronte al mento; giusta ciò che dice il Passa- 
vanti.,, Non solamente per operazione di fuori , ma 
per uno SEMBIANTE , per uno mutamento di viso, si 
avvedrà l uomo Fi pensiero , e dell’ affezione , 
ch'è dentro ;, (a) dimodochè il sembiarte,altro non 


(a) Volendosi , per esempio ; dichiarare quel luogo dove 
Dante usa sembiante e non volto, o viso, o faccia ec. là dov'ei 
canta 

Io pur sorrisi, come l’ uom che ammicca : 
Perchè l’ ombra ( Stazio ) si tacque , e riguardommi 
Negli occhi, ove il sembiante più si ficca . 
dovrebbe dirsi per avventura che , Dante accennando col suo 


i 


499 
significa che il simigliante a ciò che sente l'animo, 
cioè il volto ; quando questo non sia d’ un Giaso- 
ne, o d’un Tartuffo . 

Venghiamo finalmente al /abbia Dantesco . 
Come i latini estesero l’ os significante per sè stesso 
l'apertura della bocca a significare eziandio l’aspet- 
to esteriore dell’uomo , e specialmente la faccia; 
onde Ovidio cantò che Dio 

Os homini sublime dedit, coelumque tueri. 
Jussit et erectos ad sydera tollere vu/zus: 
così gli antichi nostri poeti fino al Poliziano 
estesero la labbia, cioè il labia latino, a significare la 
stessa cosa , essendo che alla bocca possa adeguata- 
mente sostituirsi il /abbro, senza il quale non si 
possono pronunziare le così dette /abiali . E questa 


sorriso di voler dire qualche cosa , Stazio lo guardò negli oc- 
chi, dove più si ficca il sembiante , cioè dove meglio si colloca 
la somiglianza del segno esteriore del sorriso col sentimento o 
affezione dell’ animo . Difatto dopo averlo ben ben guardato 
uegli occhi , soggiunge 
E se tanto lavoro in bene assommi, 

. « . perchè la faccia tua testeso 

Un lampeggiar d’ un riso dimostrommi ? 

Stazio dunque lesse in quel sorriso di Dante qualche cosa 
di simile ad un interno sentimento, che Dante non osava espri- 
mere , e ch’ egli ignorava: cioè Dante non voleva dire , e Sta- 
zio ignorava, che quel Virgilio cotanto da lui esaltato era quel 
desso che stava in loro compagnìa . 

E nel terzo del paradiso ognun sa che Dante dicendo 
specchiati sembianti intende significare che ricevendo dallo spec- 
chio lunare per la vista certe debolissime impressioni di facce 
a parlar pronte non le stimò anime ivi esistenti, ma simi- 

| glianze , 0 imagini d’ altre anime, e perciò egli ne dice 
Perch’ io dentro all’ error contrario corsi 
A quel che accese amor tra l’uomo e il fonte, 
T. IV. Digembre 32 


494 
sostituzione dell’os latino, e del labbia italiano 
a significare l’ aspetto umano era ancor più natu- 
rale che quella del viso , perchè se questa è la fa- 
coltà di vedere che abbiamo comune con le bestie , 
il labbro è un priacipale istrumento di quella del 
parlare , la quale è caratteristica del solo uomo : 
chiamato perciò da Omero Meropos , vale a dire , 
che ha il dono della parola, o del suono artico- 
lato ad esprimere i suoi sentimenti ; il qual dono 
le bestie non hanno. Per la qual cosa la abbia x- 
mana , come | aspetto umano ora può significare 
viso, 0 volto , 0 faccia , cioè la parte anteriore ec. 
ed ora l'apparenza, o figura esteriore dell’ uomo , 
e il vocabolario somministra esempi per l’ una e 
per l’altra significazione . Infatti gli esempi regi. 
strati sono 1 seguenti 
° I° credo ben che al mio Duca piacesse 
Con si contenta labbia sempre attese . Inf. 19. 
Qui Zabbia significa viso, faccia, dice il Lom- 
bardi 
2.° Quante bisce egli avea su per la groppa 
Infin ove comincia nostra labbia. Inf. 25. 
Nostra labbia vale nostra umana forma , no- 
stro umano aspetto , chiosa lo stesso Lombardi ° 
3.° Questa favilla tutto mi raccese 
Mia conoscenza alla cambiata labbia. Purg. 23. 
E qui il Lombardi-spiega alla sformata fac- 
cia; nel qual luogo primamente non piacemi la 
lezione ch’ egli adotta del codice Caet., di favella 
in cambio di favilla ; perchè parmi che la favilla 
che raccese a Dante la conoscenza di Forese fosse 
appunto la voce ond’ei gridò ,, che grazia m'è 
questa . Nè piacemi in secondo luogo che qui /ab- 


495 


bia significhi faccia o viso. perchè quando in que- 
sto luogo della Cantica il poeta vuol indicare la par- 
te anteriore dalla fronte al mento non usa labbia, 
ma faccia o viso. Infatti udiamo lui stesso 
Ed ecco dal profondo della testa 
Volse a me gli occhi un ombra , e guardò fiso , 
Poi gridò forte; qual grazia m'è questa? 
Mai non l’ avrei riconosciuto al viso : 
Ma nella voce sua mi fu palese 
Ciò che l’ aspetto in sè avea conquiso . 
Questa favilla tutta mi raccese 
Mia conoscenza alla cambiata Zabbia , 
E ravvisai la faccia di Forese. 


Or se Dante avesse voluto dir labbia per faccia, e’ 


non avrebbe ( parmi ) posto subito dipoi, e ripe- 


tuto la race faccia nello stesso significato, pel 
quale di sopra ha detto viso: e credo perciò che 
‘ancor qui cambiata labbia significhi cambiata fi- 


gura ; conciosiachè la magrezza e la trista squa- 
ma di quell’ anime non le conquideva solamente 


‘nel viso, ma in tutta la persona . 


4° Vedendo la mia Zabbia tramortita. Rim. 9. 
Siccome il tramortimento, com'è spiegato nel 
trattato del Crescenzi , induce angustia de’ mem- 
bri d’ entro, e si manifesta in tutte le parti del 
corpo , e spezialmente nel viso, perciò parmi che 
ancor qui /abbia possa significare la figura o aspetto 
di tutto l’uomo , e se vuolsi, anche la sola fa6cia . 
5. Veder mi par della sua /abbia uscire 
Una si bella donna che la mente 
Comprender non la può. Rim. ant. G. Cay. 65. 
6.° E qual’ uom è di sì sicura labbia 
Che fuggir possa il mio tenace vischio. Poliz. St.1.24 


496” 

Non avendo io nè tempo , nè comodo , nè vo- 
glia di esaminare i contesti di, queste due ultime 
allegazioni, ti lascio in libertà di. decidere se la 
bella donna del Cavalcanti esca dal volto , 0 se la 
faccia sicura sia quella che possa fuggire il tenace 
vischio d’ Amore ec. ec. 

Ammainiamo dunque le vele , e concludiamo 
che l’ accademico, il quale ha registrato la voce 
labbia, ha realmente commesso negligenza non an- 
notando che la voce abbia fu solamente usata da- 
gli antichi poeti , e ch’ ella è veramente morta in 
senso di faccia , o d’ aspetto : ma bisogna conclu- 
dere ancora che tutti gli esempi riportati sono op- 
portuni e bene scelti, a dichiarare chel’ antica 
voce Zabbia significa ora faccia, ed ora aspetto. 

M. Ma tu stesso hai detto; e il vocabolario dichiara 
che la faccia è la parte anteriore dell’uomo dalla 
sommità della fronte fino al mento. Or quandò 
l’accademico spiega Zabbia per faccia , aspetto, 
vuole che aspe tto si prenda nel senso dî fatcia')'0 
volto , e perciò dissi ao aspetto per volto . l 

L. Non è, parmi, necessario presupporre che "1 volés- 

se. E aaa pur fosse così, ho già notato , ‘che 
qui faccia dee prendersi nel senso del S. II. > 

. El’ accademico avrebbe dovuto avvertirlo . 

Anche in ciò hai ragione. Anzi dirò di più, che 

l’ accademico dovea riportare in due paragrafi se- 

parati gli esempi di Zabbia per faccia o volto , e 

quelli per la forma o apparenza esteriore delle 

persone , come ha fatto alle voci aspetto, viso , 

sembiante', vista, visione ec. Ma passiamo ad altre 
ghiarabaldane, gimmengole, è pantraccole gram- 
maticali Urzano LAMPREDI. 


ne 
' 


six) 


al 


497 
FILOLOGIA 


n_—_ 


Prose E RIME INEDITE DI 7 rncenzo FiricArA, D'ANTON 
Maria SALVINI, è D'ALTRI. Firenze 1821.‘ 


Considerazioni intorno ad alcuni usi ed abusi della 
lingua italiana. 


e prose e rime sono state pubblicate dal canonico 
Moreni, e intitolate val. marchese Paolo Garzoni Venturi in . 
congratulazione dello sposalizio di sua figlia col marchese 
Ginori. Onde ecco un nuovo esempio di buon proponimen- 
to, che arreca onore a chi loda, e a chi le lodi riceve. Nè 
, al certo ‘noti si disconviene al marchese Garzoni il titolo 
d’ un' Jibro ‘che annunzia inediti. manoscritti , imperciocchè 
eglivama le lettere, e con somma diligenza custodisce alcuni 
«buoni. codici, che per opera sua medesima sono stati ritratti 
dille: laide isoffitte ove a poco a poco perivano. Che se il 
‘. Moreni.ha inserito in questo suo libro orazioni e versi re- 
citati, in. morte del Filicaia, neppure ciò non si disdice a 
feste nuziali; poichè gli encomi fatti giustamente agli e- 
stinti ricordano a’ nuovi sposi quanto. sia necessario il ben 
costumare-i figliuoli, affinchè s° acquistino in vita, e morti 
conservino la benemerenza del pubblico. E per rispetto al 
Ginori ed alla sua consorte sono gli elogi funebri del Fili- 
caia un lieto augurio di ciò che ‘all’ avvenire sarà renduto 
a’ lor figli; perchè da padri buoni com’ essi nasceranno lo- 
devolissimi figlioli . i 
IL’ intenzione dunque del Moreni (1) è stata in ciò 
moralissima : e noi facendogli plauso disamineremo alquanto 
le opere da lui pubblicate, perchè sono d’ uomini intelli- 


(1) Egli ha. pure pubblicato i sonetti del Varchi per la 
infermità e guarigione di Cosimo 1. , in occasione della ricu- 


perata salute di S. A. I. e R. Ferdinando II. 


5 
4 


498 

genti della favella italica. Nel proemio; che è del Moreni, 
egli avvisa il lettore del modo come ha pubblicato queste 
opere; le quali principiano con due orazioni recitate nell’ ac- 
cademia della Crusca per la morte del Filicaia nell’ anno 
1708. La prima è brevissima e introduttiva della seconda, 
la quale fu recitata dall’ accademico "l'’ommaso Buonaventuri. 
Costui fu giudicato dal Bottari come ignorantissimo del no- 
stro idioma; ma volesse il celo che le nostre moderne scrit- 
ture somigliassero alle sue. Il discorso, ch'egli fece intorno. 
al Filicaia, è ben di trenta pagine: il ‘sno stile è elevato è 
i punti son rari: e pure si legge in pochi minuti, e chiara» 
mente s'intende. L’ orazione così principia. Se mai la morte 
d’in grande e nobile e wirtuoso uomo fu da coloro, chè 
rimasero, giustamente compianta, è con gemiti e con:sin> 
gulti' accompagnata, bene abbiamo noi oggi onpe \amara». 
mente è con pietoso pianto e dirotto querelarci, avendo pere 
duto il maggior lume della nostra accademia, il più vivo 
splendore della città nostra, il senatore Wincenzo da di), 
licaia. Ognuno può conoscere da sè medesimo la bontàle 
bellezza di questo esordio. To prego il lettore di guardare, 
alla parola orde, che qui è benissimo collocata, ‘e che i amor, 
derni scrittori abusano. i of 

I. Un vocabolo non può avere due significati contrarit; 
Se indica una' causa efficiente, non può indicare altresì. una. 
causa finale Se onde si adopera nel senso del vocabolo lati» 
no undegda cui si deriva, non piò adoperarsi nel senso-di; 
ut congiunzione. Sarà benissimo usato come avverbio di luo- 
go, o di relazione a luogo, a persona, e a cosa, 0 
in iscambio de’ relativi di che, con che, del quale, e si- 
mili, come pur talora invece di talchè, sicchè, per la qual 
cosa; ma non mai sarà idoneo a significare affinchè , vac- 
ciocchè, per, secondo l'abuso di qualche moderno scrittore. 
È ben detto per esempio io non ho onde nutrirmi, cioè di 
che nutrirmi; ed è mal detto io vengo qui onde nutrirmi, 
ove bisognerebbe dire per, 0 a fine di nutrirmi , Vale abuso 
però debbe esser provenuto dalle scritture de’ nostri classici 


| 499 
medesimi, negligentemente imitate. H Salviati diceva: ciascu- 
na via e ogni occasione veggendo chiusa onde farlo (oraz. 

7. 9); e altre ragioni, onde solver questo dubbio, ci si 
parano avanti (avv. l. 2. e. 12): ne’ quali esempli non è dub- 
bio che il discorso si sostiene egualmente, ancorchè si ponga 
per, o a fine di, in iscambio di onde. Ma è vero altresì 
che onde qui significa con che: e questi modi del Salviati, 
benchè possano aver datò origine al mentovato abuso, non 
sono ‘contrarii all’indole del linguaggio, e indicano oppor- 
tunamente: fin dove può estendersi l’ uso buono del vocabolo 
onde , allorchè supplisce a’ pronomi relativi. 

III Nel passo citato del Buonaventuri onde significa di 
che. Ed il rimanente della sua orazione può giovare mol- 
tissimo a ‘chi studia nel nostro idioma ; massime perchè di- 
mostra quanto sia grande l’ opera della favella, e quanto 
studio si ricerchi per poter gugnere a far sì, che le pa- 
role sicno atte a spiegare la grandezza de’ sentimenti . 
Queste parole diceva il Buonaventuri toscano nella toscana ac- 
cademia della Crusca: e soggiugneva, ‘che lo stesso Filicaia 
erasi affaticato moltissimo per apprendere il copioso e ornato 
parlare, ed esercitarsi nello stile ; in cui si richiede, per for- 
marlo buono, lunghezza di tempo e opera continuà . Il Fili 
caîa però attese principalmente all’ arte poetica: e le sue poe- 
‘sie (canzoni e sonetti) ora pubblicate dal Moreni non oscu- 
rano la di lui già chiarissima fama. Bella è per esempio la 
prima canzone, che ha per titolo all’ Europa, e sì ‘comincia. 

Europa, Europa, e non è spenta ancora 
Col sangue tuo la face, 
La gran face che i Regni arde e divora? 
E ancor fumante di civili incendi 
Struggi te stessa, e accendi sl 
Già di tua ‘mano il rogo ? Ed esser puoi 
Sì re’ tuoi mali ambiziosa e audace, 
Che i troppo lenti e tardi 
Perigli affretti, e guardi 
Se ancor son giuoti, e qual pria giunga o poi? 


» 


5oo 


Na avran gli sdegni tuoi MENA ITTIVURtE 

"Termine, o l’avran solo allor ch’ al focd i 

Manchi la fame, o manchi l’esca e ’l loco?! 
IV. Ma le prose del Filicaia, benchè non sieno dispre- 
gevoli, non. hanno sempre quella purità e quel sapore ur- 
bano, che dovrebbe essere il primo e necessario segno delle 

Marlin scritture ._ bat 
Nel suo breve ragionamento, per Za generale adunan- 
za dell’anno 1704, ei ben diceva a’ suoi colleghi: /urgi, 
lungi di quà ogni mistura di luce illegittima; la quale;:se 
nelle altre men luminose accademie sarebbe luce, in questa 
nostra tanto più luminosa sembrerebbe un fosco barlume . 
Ma nello,stesso tempo usava certe locuzioni, che, a me-pare, 
offuscassero la legittima luce della sua accademia. Vi; sì 
legge infatti nel principio: questa generale adunanza... 
EsIGE da me ammirazione e parole: e poi, sono‘i difetti e le 
imperfezioni (perdonatemi questa volta la novità del voba 
bolo) un infelice 4ppannaccro della mostra umanità: ‘e ‘poi, 
qual mai rigorosa Pensione impose natura sopra le belle e 
riguardevoli cose, che debbano con tormentosa vigilia star 
sempre in, guardia per non cadere in. vecchiezza, ‘0 vesser 
derise e quasi mostrate a dito se invecchiano ?e poijwoi 
pure (accademici) cor venerazione la riguardate; e ne» siete 
ambiziosi vagheggiatori; ed è ben giusto che ro srareranco 

più. : Vilcis 
I nostri antichi hanno sempre usato il verbo esigere nel 
significato di riscuoter denari, o richieder cose per'lawia 
della giustizia. Onde con siffatto verbo è oramai congiun- 
ta quella spiacevolezza che nasce in noi dalle vessanti esazioni: 
e quantunque l’ usarlo in altri casi in iscambio di richie- 
dere non sia forse un modo difettoso, perchè i latini pure 
così l’ adoperavano; dee nondimeno esser da quello opportu- 
namente distinto. Nel vocabolario della Crusca si legge: esi- 
gere vale ancora richiedere con autorità o con forza una 
cosa come dovuta: e si cita questo esempio del Salvini : 
avuta considerazione all’ amor proprio, che con violenza 


LI 


501 


in qualche parte l esige. Ma violentia è vis, maior, secon 
do il Forcellini; igfrza fatta a danno altrui, secondo il 
Buti. Dunque secondo la definizione del vocabolario, dicen- 
‘do il Salvini esige con violenza, avrebbe egli voluto signifi- 
care richiede con forza conforza: il che sarebbe uno strano 
pleonasmo. Sembra dunque che.il Salvini abbia male anch'e- 
gli adoperato il verbo esigere, usandolo del tutto nel signi- 
ficato di richiedere: perocchè è certo ch’ ei poteva esprimere 
lo stesso. pensiero, togliendone cor violenza, 0 dicendo che 
con. violenza richiede. E perciò pure mi sembra che. tale 

«esempio non risponda alla definizione del vocabolario . Il Fi- 
licaia. poi, avrebbe dovuto usare il verbo. richiedere, e non 
esigere nella sopradetta orazione ; perchè gli accademici , 
con gentilezza, enon già con forza; chiedevano a lui, am- 
mirazione e, parole . 

Io non starò. quindi a esaminare il terzo esempio del 
Eiliaio, ove. è il vocabolo pensione in un senso oscuro, non 
‘Amitabile, forse in iscambio di peso o gravezza: modo non 

s usato frequentemente neppur da’ latini. Ma voglio bensì fer- 
ismarmi nel. secondo,.esempio, ov’ è quell’ infelice, veramente 
nsinfelice, appannaggio. Questa parola è tutta francese, e si- 
\ognifica nel proprio senso l’ assegnamento fatto da’ Principi 
vaî loro) secondogeniti, Nè in questo significato possiamo noi 
onigettarla, benchè non se ne trovi esempio appresso i nostri 
antichi. Ma 1’ usarla nel senso figurato, come si legge nel 
!sFilicaia,. e come l’ usava pure il Salvini, a me pare un modo 
\ improprio della nostra lingua, e tanto più disconvenevole in 
‘quanto che non si sa come interpetrarlo. Io ben intendo i 
nostri classici e antichi scrittori, i.quali solevano dire: che i 
difetti eleimperfezioni appartengono alla nostra umanità: 
ovvero che sono proprii di essa. Ma quando il Filicaia mi 
dice che sono un appannaggio della nostra umanità, io 
non so se voglia significare quello medesimo che i nostri 
antichi dicevano; o se prenda del tutto l’uso francese, an- 
che nel senso figurato, sentenziando cioè che i difetti sone 


502 BS, 

Una conseguenza o attenenza (suite ou dependance). della. 
nostra umanità. Mir 

Che se il Filicaia stesso conobbe l’improprietà di que. 
sta locuzione, soggiungendo perdonatemi questa wolta la 
novità del vocabolo ; ciò si perdona nondimeno malvolentieri, 
e tanto più malvolentieri quanto è più erudito l’uomo che 
sì parla: imperocchè gli manca il pretesto di non saper pen» 
sare ed esprimersi come si conviene alla sua favella, e l’esem- 
pio suo è troppo più imitato da chi non vuol durare fatica 
nello studio. Per questa ragione, senza curare l'analogia del 
nostro idioma, e traducendo pigramente dal francese dicono 
i nostri contemporanei : senti” / influenza, in iscambio di 
sentire gli effetti: uomo influente o dominantè , per \uomo 
autorevole: a misura, per di mano in mano: stabilirsi in 
un luogo; in iscambio di fermarvisi, © fermarvi-lar sede: 
carattere, per indole e qualità; e caratterizzare ; periqua- 
lificare : erede presuntivo, per erede presupposto : postansii 
in un luogo, invece di prendere il luogo: postarsi in ag- 
guato, per porsi o riporsi in agguato: organizzare ; per 
ordinare? rimpiazzare , per sostituire: solennità , per for? 
malità + teatro della guerra , per sede della guerra: pren=; 
der parte, per intromettersi , accedere, 0 partecipare»: 
malgrado l'ordine, per contro l'ordine: reclutare spet 
supplire: chiamare davanti ‘al Tribunale, pér ‘citare al 
Tribunale : tanto più che, in luogo di massime 0 massima: 
mente perchè: ed infine , oltre molti altri abusi ; quello 
frequentissimo di in seguirò per dipoî, che non ha analogia 
nè colla nostra, nè colla lingua latina. Questo modo avver- 
biale si è preso dal francese ensuite, che proviene dal verbo 
ensuvire e non da suivre. E ensuite, e ensuivre si derivano 
da’ vocaboli latini ‘nseguenter, e insequi: al primo de’ quali 
risponde nella nostra lingua l’avverbio seguenztemente , usito 
per dipoi come i latini usavano insequenter. 

V. Da simili cagioni è forse derivato ancora l'uso mo- 
derno e frequente di porre la particella, ossia il pronome +/, 


503 


o Zol\cob verbo essere ; nel modo appunto chelo adoprò il 
Filicaia nell’ ultimo de’ sopra citati esempli . I francesi usano 
le in luogo di celà, anche col verbo étre. Ma i nostticlas- 
sici antichi non hanno mai usata questa maniera del dire; 
di cui appena se ne indica un solo esempio (che non so 
pure quanto sia certificato) nella vita della Maddalena. Tal 
chè Bernardo Davanzati traducendo gli ‘annali di Tacito 
non disse già den lo fu, come direbbero i moderni; ima sol 
tanto den fu, nel seguente esempio del 1. 4. $. 66: che. co- 
stui... la seguitasse, non fu miracolo; ben fu, che com- 
pasno' alla spiagione gli fosse Publio. Di 

| Questo esempio del Davanzati è utile eziadio a far co- 
noscere una delle ragioni, perchè i nostri antichi non usarono 
siffatto imodo del dire. La'*#tgione si è, perchè detto modo 
non è netessario al discorso! Ed ognuno vede che nelle sur- 
riferite-parole tanto vale den fu, quanto den lo fu varrebbe 
appresso i moderhi. 

ba seconda ragione deducesi dall’ esempio' del Filicaia : 
essi è, perchè tal modo non è proprio nè convenevole. I mo- 
derni infatti ‘pongono spesso /o in iscambio ‘di più idonee 
particelle. E ‘nel discorso del Filicaia: ne’ siere ambiziosi 
vagheggiatori , ed è ben giusto ‘che lo siate anco più: era 
meglio ripetere re ove trovasi lo. 

La terza ragione è in queste parole del Salviati : quando 
son.pronomi il, lo, e la, in altro caso, che nell’ accusativo 
del singolare, non si trovan posti giammai, Dimostreremo 
appresso , che il Salviati ha detto il vero. Onde ‘è contro le 
regole della lingua il suddetto uso moderno, perchè #7} 0/0, 
sì. troverebbero spesso di necessità in caso retto: ;0 \nominati- 
vo, come si vede ne’ seguenti esempli : egli sarà guarito y 
ma se nol fosse: egli è brutto,,ma presupponiamo che non 
lo sia: ove lo è in caso retto y perchè è posto invece del par: 
ticipio guarito, o dell'aggettivo drutto, i quali non possono 
essere in caso obliquo, dappoichè debbono concordarsi in ge- 
nere, numero e caso col nominativo egli. Ognuno poi vede 
che anche in questi esempli /o non è necessario al discorso. 


504 

VI: Ed ora, per dimostrare quanto sienò Vere Tè parole: 
del Salviati, cominciamo da vedere 1’ origine e 1’tso proprio 
delle particelle 2, /o, Za, nella nostra favella. Esse'e le ali 
tre li, gli, le, sono veri articoli: ed i veri pronomi sono egli, 
ella, eglino, elleno, a’ quali non è stata mai sostituita, al- 
cuna particella monosillaba nel nostro idioma, perchè tali 
pronomi si usano in caso retto, e non possono essere mai 
affissi al verbo... | i 

Che se ad egli sostituiamo spesso ei , ed e’, e se i nostri 
antichi vi sostituivano anche e/; neppur questi non sono mai 
affissi, e provengono da egli per sincope, ed appartengono 
piuttosto al linguaggio poetico, quantunque si usino ‘anche 
nelle prose fino da’ tempi antichi. \ 

Ma agli altri pronomi che indicano i casi torri poichè 
possono seguire il verbo ed essergli affissi, così è stata: loro 
sostituita alcuna particella monosillaba per agevolare siffatti 
modi del dire. Talchè i veri pronomi ne’ casi. obliqui'isono 
lui, leî, loro: e le particelle ad essi sostituite sono 1/, ‘ld; 
la, li, gli, le. E tanto è vero che queste suppliscono a quel: 
li, in quanto che i nostri antichi le hanno sempre chiamate 
vicepronomi; accennando cioè un pronome è non un nome. 

Quindi però bisogna esaminare in quali casî precisameéti* 
te suppliscono i detti vicepronomi a’ respettivi pronomi. .//; 
e lo supplisconò soltanto a Zu, caso accusativo. E /a soltanto 
a lei, nel caso medesimo. Onde ecco intanto dimostrata la 
ragione di ciò che diceva il Salviati. 

Che se nel vocabolario (2) trovansi più esempli, ove #2 
è posto in primo e in terzo caso; è facile il dimostrare che 
debbono esserne levati. Tutti quelli, in cui trovasi ; nel pri- 
mo caso, appartengono forse alla voce e/, che i copiatori 0 
gl’interpetri de’ manoscritti avranno scambiato in il. E quello 
poi del Boccaccio, ( nè vi è altro che questo), in cui egli 
dice: £ se woi rx porrete ben mente nel viso, egli è an- 


{R 


(2) Io mi servo del Vocabolario della Crusca ; ristampato e 
accresciuto dal Cesari. 


Ci £ 505 
eora, mezzo ebbro: questo esempio, dico, non. mostra il in 
terzo ma bensì in quarto caso; siccome ognuno può da sè 
miedesimo conoscere , guardando alle voci por mente, ove’ si 
trova l’accusativo dopo esse in molti esempli (3). 

. VII Oltre di ciò vengono pure citati moltissimi esempli, 
in cui sembra che /a sia posta in caso retto in iscambio di 
ella. Ma ragionando sopra questo particolare, vedremo che 
non sì è fatta finora un’ opportuna distinzione, e che il Sal- 
viati. ha ragione ;in quello ch’ ei dice. 

‘0 Tra le opere, che il Moreni ha ora pubblicate, ve n° è 
una, del Salvini intitolata Censura d’ una Censura d? autore 
incognito intorno alla nuova edizione del vocabolario del- 
la Crusca. Nella quale, a pag. 217, il Salvini così discorre. 

16 Quando il Salviati disse, che di Za per e/la si trova- 
vanò pochi esempli , intese degli autori del buon secolo d’oro, 
cioè del, 1300, non del secolo di rame, che seguì appresso, e 
nel, quale scrisse il Segretario fiorentino (4). Che nelle com- 
medie\ del. Firenzuola (che voi chiamate in romanesco Fi- 
renzola) ciò si trovi, non solo in quelle del Firenzuola, ma in 
altre di buoni autori si troverà, perchè in quelle imitandosi 
il parlare delle donne, de’vecchi e de’ servitori, è fatta scappare 
qualche piccola licenza. Ma trovimisi un poco nelle altre opere 

Mita | 
(3) Il Cesari ha avuto il buon accorgimento di mettere questo 
esempio del Boccaccio tra quelli, ove porre mente regge il quarto 
caso: ma non lo ha tolto, come avrebbe dovuto toglierlo , dal 
medesimo vocabolario alla voce i, terzo caso. Aggiungo qui 
gli esempli seguenti, per farli conoscere a chi non ha il voca- 
bolario del Cesari. Gr. S. Gir. 59. Perchè poni tu mente la pa- 
glia nell’ occhio del tuo fratello, e nel tuo ‘non vedi la trave? 
Ser Brun. ec. Pori mente la qualità dell’ animo. E. 276. Poni 
mente i sepolcri pieni di bruttura. 

(4) Spero che il lettore non guarderà a questa denomina- 
zione di secoli. Che se le scritture del Macchiavelli pertengono 
al secolo di rame! a qual secolo apparterranno quelle del Sal- 
vini? A qual secolo le nostre? 


506. 
del Firenzuola, come nell’ Asino, e nelle alte serie degli 
autori, che l'avranno usato nelle commedie. Quante maniere 
usa Plauto, quanti verbi a rovescio di quel che usano tutti 
i buoni scrittori latini; che un fanciullo, che se ne servisse 
nel latino, toccherebbe dal maestro delle spalmate! ? Bisogna 
p Stai gli autori, le opere, i secoli, ne’ quali sono fio- 

3 le maniere. Non essere nell’errore, nel quale sono buo- 
na Da che credono che quando l’accademia cita un autore, 
lo canonizzi per d'autorità infallibile nella lingua; e che tut- 
te le voci che vi son messe, come in un tesoro, sieno della 
medesima lega. » 
“a, Nel vocabolario della Crusca poi si legge: « nel caso 
retto Za per ella, come le per elle non pare assolutamente 
da usarsi; benchè o per iscorrezione di testi, o per fretta di 
dettare se ne leggano forse alcuni pochi esempli di scrittori 
autorevoli. >> 

Al che il Monti soggiunge ( Proposta vol. 3. ‘par. 1. 
pag. 1. ): « con questa sentenza la Crusca condanna la più 
gran parte degli scrittori, massimamente i toscani . . .. i 
quali hanno seminato tanti Za e Ze per ella e per elle ne? lo- 
ro scritti, che non ha tanti tarli il buratto del gran frullone. 
L’uso di questa aferesi comunissima di antica mano a tutti 
gl’ italiani rimonta nelle carte classiche fino a’ tempi di Dante, 
e ne fa fede il suo amico Cino da Pistoia che disse ec: »> 

Ma piacesse al celo che tutti i tarli del buratto fos- 
sero di simil fatta. Non ha ragione il Salvini, dicendo che 
tali modi del dire sono licenze, imitandosi il parlare delle 
donne, de’ vecchi, e de’ servitori. Nè il Monti ha ragione, 
allorchè dice così generalmente che i nostri scrittori hanno 
usato Za e Ze per ella e per elle. E ciò che si dice nel 
vocabolario è del tutto vero, se non che i citati esempli 
non sono opportuni. Tanto in questi esempli, quanto in quelli 
che il Monti arreca, vedesi Za usato in caso retto, ma non 
per supplire al pronome e//a che ivi non è necessario , nè 
per imitare il discorso delle vecchie e de’ servi; ma bensì 


507 
per ripieno ad ornamento della frase, siccome avviene* tal. 
volta alla parola egli; o come ha dipoi soggiunto il Monti, 
per leggiadria e per graziosa proprietà della lingua. 

Solo nelle osservazioni raccolte dal  Cinonio trovansi 
tre esempli, in cui parrebbe che /a fosse di vero in luogo 
di ella. Due di questi esempli sono tratti dalle storie de’ 
Villani: e il terzo dallo Specchio di penitenza del Passavanti. 
Ma si noti che un’ e precede sempre a /a: essendo nel pri- 
mo esempio, che la si deliberò: nel secondo, se la non 
fosse femmina: e nel terzo, acciocchè la dica. Sicchè po- 
trebbe esservi Za per iscorrezione di testi o per fretta di 
dettare, come si dice nel vocabolario della Crusca. E certo 
èche ne’ codici si trova spesso chela , sela, ec. in iscambio di 
ch ella, s' ella, ec. E certo è pure che questi esempli del 
Cinonio (quantunque sembrino a me scorretti ) sarebbero al 
vocabolario più opportuni che non quelli ivi citati. 

In tutti gli altri esempli del Cinonio leggesi Za, usato 
per ripieno. E io dubito che mai non si possa porre in 
luogo di e//a, quando questo pronome è veramente neces- 
sario. Se dopo aver detto, zo ho veduto la moglie e il marito ; 
soggiungessi, Za è bella, egli è brutto: farei ridere anche 
le vecchie del nostro mercato. E sì elle dicono volentieri 
lè bella, quando potrebbero dire semplicemente è della. 
E quando parlano ad una persona, aggiungono sempre ella, 
o lei, (cioè lei per idiotismo in iscambio di e//a), dicendo 
la dica ella, 0 lei; la risponda ella, o lei; l'è bella 
ella, o lei, e simili; il che non farebbero se /a supplisse 
ad ella. Errava dunque il Salviati, allorchè parlando di /e 
vicepronome, diceva non essere stato mai posto in altro 
caso che nell'accusativo del singolare? Non concluderemo 
noi che /4 vicepronome è diverso da Za ripieno ? 

VIN. Ma d’ un’ altra cosa mi occorre ragionare, a fine 
di togliere o diminuire il biasimo che troppo largamente è 
dato a’ toscani per l’uso di certi modi che sembrano e sono 
idiotismi; ma idiotismi quasi necessari senza che se ne ae- 


508 
eorgà chi noi ne biasima. Io ‘voglio dire dell’uso di metter 
gli in iscambio di ad esse, e ad essi, ovvero di a Zoro. 

Abbiamo già veduto che :, Zo, la, li, gli, le, sup- 
pliscono a lui, Zei, loro, casi accusativi. Ma gli altri casi 
obliqui de’ medesimi pronomi richiedono pure un particolare 
e idoneo vicepronome, che possa quando giova affiggersi al 
verbo. E poichè la nostra lingua non ammette le varie de- 
sinenze come nell’idioma latino, così non è facile aver tante 
particelle diverse che suppliscano a tutti i casi. Vedasi dun- 
que l’artificio de’ nostri antichi. Essi abusarono i vicepro- 
nomi plurali accusativi gl#, Ze, usandoli pure nel singolare 
ma in caso dativo invece di a lui, @ lei. Quindi abusarono 
la particella ne vicepronome di moi, per supplire agli abla- 
tivi ed a’ genitivi in amendue i generi e i numeri, ponendola 
cioè in luogo di da lui, di lui, da lei, di lei, da loro, 
di loro. E tutti questi abusi o artifici non eran forse idio- 
tismi, quando furono dapprima usati? Nondimeno, per causa 
della loro utilità, sono stati ammessi nella buona consuetu- 
dine tra le regole grammaticali. Un caso però del pronome 
non ha ancora il suo vicepronome. E questo è appunto il 
dativo plurale a Zoro sì mascolino che femmiuino. La quale 
mancanza produce per necessità un abuso. Ne conseguita 
cioè quell’ idiotismo, a noi rimproverato, di sostituire glî 
al dativo Zoro. Io non intendo d’approvare questo idiotismo: 
ma è pur certa cosa che noi, stando alla grammatica, non 
abbiamo un vicepronome per usarlo in questo caso, siccome 
affisso al verbo. 

IX. Si biasimino dunque piuttosto quegl’ idiotismi che 
non sono utili, e che anzi generano confusione, siccome 
per esempio wolse in luogo di volle. Io trovo questo abu- 
so nella critica d’ Anton Maria Salvini al sonetto del 
Filicaia, che principia 

No che non furo i tuoi rigor, nè sono ec. 

Questa critica precede alla sopra citata Censura d’ una 

Censura nell’ edizione del Moreni: ed innanzi ad esse è pure. 


509 
la difesa d'un-sonetto-del Filicaia fatta da Salvino Salvini, 
e un'altra. difesa fatta da Lorenzo Bellini. 
wI letterati. solevano fare questi discorsi per leggerli nel- 
le accademie!, a'fine di ricreare ed istruire gli uditori. 
Onde :son sempre utili, quantunque non arrechino forse al 
presente. il':medesimo diletto; perchè Ja filosofia è cambiata 
da que’ tempi in poi, e le orazioni debbono contener. pen- 
sieri e nonsole parole. Mi dica il lettore, come gli piace que- 
sto principio. Meditava il fabbricatore del recitato sonetto 
la morte , morte non già particolare e determinata d’un 
qualche solo uomo, ma mor te indeterminata, morte gene- 
ralmente intesa: meditava il morire umano. E poichè il 
morire umano ; ovvero il termine del vivere nostro, egli è 
unitermine; da cui si parton duc strade, tutte e due le_ 
quali portano ad una eternità; ma l’una, che è a man de- 
stra, porta ad una eternità ‘d’ infinito bene ; e l’altra, che 
è alla sinistra, porta ad una eternità d’ infinito male; ed 
a questa cternità d° infinito. male tramanda i tristi 
uomini il loro morire, e passaggio a quell’ cternità d' in- 
finito bene è la morte de’ buoni, sperò il nostro contem- 
| planteec.. .. 
Così incomincia la suddetta difesa fatta da Lorenzo Bel- 
linî,. Ed io l'ho trascritta per aver occasione di ridire alcune 
parole di Antonio Cocchi, il quale ha ben giudicato dello stile 
del. .Bellini, e delie consuetudini di quel tempo. Il Cocchi 
dunque, nella. prefazione alle opere del Bellini, dice che 
questi aveva voluto creare nell’ animo de’ suoi uditori la 
maraviglia piuttosto che la scenza: che lo aveva reso va- 
go dell’ applauso popolare la consuetudine in lui inveterata 
dalla prima gioventù di cercar lode parlando in pubblico : 
che nella poesia dava la preferenza all’ ebraica sopra la 
greca: e che nella prosa, per la fecondità e prontezza del 
suo spirito non potè adattarsi ad imitare la nobile sempli- 
cità di stile che ha fatto tanto onore al Redi suo maestro ; 
ma s'invaghì piuttosto dell’ ammirazione che per tanti se- 


coli PRATO incontrata tra gli uomini gli scritti di Platone. 
T. IV. Dicembre 33 


Sio. 

Si osservano in questo filosofo due modi, di pensare 
e di dire: l’ uno semplice e naturale, chiaro, facile ) estre- 
mamente grazioso ed ameno, che ispira nel lettore. mede- 
simo urbanità e gentilezza, col quale ei suol fare le intro- 
duzioni e le digressioni de” suoi dialoghi, e trattare per 
lo più ciò che non è filosofia o suo principale argomento : 
l’ altro elevato, sovrabbondante , allegorico , e come egli 
stesso lo chiama diritambico, pieno di piccoli artificrosi in- 
ganni, e che oscura apposta il soggetto e devia la mente 
dell’ uditore, col qual modo ei suole spesso entrare nel più 
profondo della sua materia . 

Fra? motivi poi che ebbe il Bellini d’ amare l’ estasi 
di questa bizzarra eloquenza, forse vi fu quello di spargere 
con essa sopra la sua mente un giocondo oblio delle sue 
proprie circostanze, per le quali egli fu stimato da molti 
infelice. Noi sappiamo per le lettere scritte di sua mano 
da noi vedute, e per li suoi sentimenti accompagnati al- 
cuna volta da patenti lacrime, che ci sono stati fedel- 
mente ridetti da chi ben lo conobbe, quanto egli era af- 
fitto nell’ animo per la troppa negligenza che di lui mo- 
strava la sua garbatissima patria . 

Il Cocchi scusa poi questa negligenza de’ fiorentini verso 
un loro sì rispettabile cittadino e grande anatomico, dicendo: 
che /a città di Firenze, sopra ogni altra italica feconda 
di grandi ingegni, ha per vecchio costume il possesso di 
sempre trattare colla stessa familiarità gl’ illustri suoi 
figli venerati per tutto altrove, somigliando anco în que- 
sto, come in molte lodewoli particolarità, l’ antica Atene 
che fu tanto gentile. Dalle quali parole può trarre frutto 
chi di sè troppo presume: siccome dalle precedenti possono 
î giovani imparare il modo di studiare le opere del Bellini, 
attendendo cioè a' di lui insegnamenti, piuttostochè allo stile 
ed all’ ordine delle sue elocuzioni. E perchè i giovani si 
rammentino che è wopo studiare la lingua ne’ buoni scrit- 
tori, voglio qui riferire eziandio una. parte del discorso 
del Buonaventuri sulla lingua Toscana. Questo discorso è 


Sis 

i) penultimo dell’ edizione del Moreni. Ed il Buonaventuri è 
quegli stesso, che abbiamo sopra lodato. Ei dunque sì dice. 

ce Fra le opinioni, da cui possono essere i meno avve- 
duti dallo studio della nostra nobilissima favella frastornati, io 
non so se altra ve ne abbia più perniciosa di quella, che ha 
preso ciglio vigore, non ha gran tempo; la quale se non si 
combatta e s’ atterri, invano sarà stato il savio accorgimento 
de’nostri legislatori, che questa accademia istituirono, acciocchè 
ella al conservamento della purità e schiettezza di nostra lin- 
gua sollecitamente vegliasse: invano le loro incessanti fati- 
che in fornirla di tante regole, in arricchirla del vocabolario, 
in abbellirla con tante diverse maniere de’ loro leggiadrissimi 
componimeti . . . . Affermano alcuni, per avventura troppo 
amatori di novità, che essendo la nostra lingua lingua viva, 
per adornarla ed arricchirla (come essi dicono) debbano usar- 
si le voci forestiere e le maniere proprie d'altri linguaggi; 
e non istar legati al rigore di quelle voci che sono state 
adoperate dagli scrittori del buon secolo , da’ quali si dee 
prender l’uso e la norma del parlar nostro; ma valersi con 
libertà di quelle parole che la moda e la novità sommini- 
strano in'larga copia. Co” quali sentimenti, approvati dal 
corrotto gusto di molti, adulterano essi la purità ed offuscano 
il'candore di nostra lingua col mescolamento di barbare 
locuzioni, di voci affettate e straniere, e di maniere e costru- 
zioni sregolate ed improprie: e quel ch’ è peggio, il più 
delle volte lasciano la vera e significante voce toscana per 
inserirne in quella vece senza bisogno e senza grazia una 
pretta forestiera, non s° accorgendo che non è questo un ab- 
bellire ed arricchire una lingua viva, ma un impoverire, 
anzi un distrugger del tutto una favella nobilissima su- 
. periore ad'ogni altra delle viventi, ed eguale a qualunque 
si sia delle già morte ....Questi tali pretendono d’ avere dal 
canto loro la ragione, e par loro d’ aver vinto, subito che essi 
dicono che nelle lingue vive dee l’uomo governarsi con l’uso 
che corre di presente, e che sempre le' parole si rinnuovano 
in quella guisa che gli alberi alla stagion novella le vecchie 


bia 
foglie lasciando, si vestono delle nuove. E tutto giorno han- 
no in bocca le parole d’ Orazio: licuit semperque.licebit si- 
gnatum praesente nota producere nomen. I quali per ve- 
rità, accecati dalla passione che gl’ inganna, non s° avvedo- 
no quanto essi vadano errati; perchè egli è vero che le 
lingue si governano coll’ uso, e che come dice Quintiliano, 
la consuetudine è certissima maestra del parlare... ed è, 
auche verissimo che talvolta è permesso il potere innovare a 
tempo e con giudizio. Ma deesi ,perciò in questo fatto pro- 
cedere con gran riguardo, ed osservare di non prendere un 
grave errore in determinare quali sieno quelle persone che 
facciano l’ uso, e con quali regole debbansi fare le forma- 
‘ zioni delle voci nuove. Quintiliano s° accorse benissimo che 
qui si pigliavano degli sbagli, che di gravissimi danni erano 
poscia vera cagione. Però se gli fa loro incontro, dicendo nel 
primo libro delle istituzioni oratorie che bisogna dapprima 
stabilire che cosa sia quelta che noi chiamiamo consuetudine. 
Ed acciocchè non possa veruno cadere in errore, stabilisce 
che ‘il consenso degli eruditi fa la consuetudine del par- 
lare, siccome il consenso de’ buoni fa la consuetudine del 
vivere. Dal che si vede chiaramente con quanta poca ragio- 
ne questi amatori di novità vadano dicendo, ‘esserci in oggi 
così l’ uso corrente, perchè questo (quando pur sia vero che 
i più lo facciano, che io però non concedo) non uso, ma abu- 
so dannoso e cattivissimo si dee nominare » 

X. Questo discorso del Buonaventuri, benché recitato 
fosse nel 1703, è del tutto idoneo a’ tempi presenti, imper- 
ciocchè non mancano, anzi sono cresciuti i licenziosi innovatori, 
e gridano sempre e vituperano i purist7, come se questi e 
non i primi fossero i sovvertitori e abusatori dell’ idioma. Ed 
aggiungono talora, che la deilezza dello stile, non la bontà 
della lingua, rende le scritture pregevoli. Io confesso che non 
so separare la buona dicitura dalla bellezza dello stile. Sem- 
brami che il bello stile, sia il complesso di tutte le buone, 
qualità d’ uno scrittore: e non so quindi intendere come i pu- 
risti si meritino alcun biasimo : almenochè non si compren- 


i 513 
dano sotto questo nome quegli scrittori che osservando le re- 
gole della lingua istruiscono e dilettano i contemporanei, ma 
bensì que pedanti che imitano sole le più antiche scritture . 
Nel quale caso,avrebbero i gridatori ragione, perchè le scrit- 
ture debbono essere pure, ma non dettate nel linguaggio de’ 
morti. Una persona domandavami negli scorsi giorni, ripe- 
tendo le altrui parole: come in tanta e sì lunga disputa tra 
puristt e antipuristi non ‘si sia fatto uso d’ Orazio,che sì 
molto ne ha parlato? di Oraziò principe degli antipuristi. 
La domanda è inutile. Orazio è sempre citato dagli uni e 
dagli altri: e le sue sentenze, spartitamente, giovano ad amen- 
due. Io mi rimetto volentieri ad Orazio. Egli vuole che 
l’uso sia maestro, ma non intende già dell'uso corrotto, 
bensì,di: quello che è simile ad un veemente, liquido e puro 
fiume chè ricchezze apporta: 
Vehemens, et liquidus, puroque simillimus amni, 
Fundet'opes; Latiumque beabit divite lingua. 
E dichiara ‘ardita impresa il giungere alla meta, dovendo 
il giovane sudar nel cammino, molto fare, molto soffrire, 
sobrio e casto . 
Qui studet optatam cursu contingere metam, 
Multa tulit fecitque puer', sudavit et alsit, 
Abstinuit Venere ct vino. 
Se i. giovani, attenderanno a queste due sentenze d’ Orazio, 
poco male ritrarranno dall’ udire i consigli degli antipuri- 
sti, e de’ puristi pedanti. E per rispetto alla lingua non si 
scordino mai ‘i giovani toscani di queste parole del Salviati: 
siccome Firenz zè, siccome questa patria, siccome questo po- 
polo meglio e più leggiadr amente ch? alcuno altro favella, 
é siccome ella ha dato gli autori alla lingua; così più in 
Firenze che in alcun parita lungo, alla sua pulitezza, alla 
sua candidezza, al suo esaltamento, tutto giorno s ’attenda. 
Allora sì che noi.la vedremo fiorire, e render frutto per 
altra guisa che al presente non fab Lv) 
i Antonio BencI 


514 
_ SCIENZE MORALI E POLITI CHE 


SAGGIÒ POLITICO SUI POPOLI DELLA NUOVA SPAGNA. 


Mentre gli abitanti della nuova Spagna, imitando. 1’ e- 
sempio delle colonie vicine, corrono all’armi, non sarà tiputato 
inutile un quadro politico dei diversi popoli, i quali si dispu- 
tano il vanto di conquistarsi una patria nel gran pianoro di 
Messico. Ci servirà di guida il saggio politico sulla nuova Spa- 
gna, opera dell’ immortal barone di Humboldt , che è E) 
ignota in Italia . 

I censimenti eseguiti per ordine del governo nella nuova 
Spagna diedero per il 1793. ‘una popolazione . dimostrata 
di 4,483,529. abitanti. Ma accadde allora colà ciò che suole 
accadere anche fra noi. Il, popolo riguarda. i censimenti come 
presagj funesti di operazioni di finanze . Temendo.un, aumento 
di tasse, ogni capo di famiglia cerca di diminuire .il numero 
de’ suoi dipendenti . Chi tenne dietro minutamente allo spoglio. 
dei registri pensò , che bisognava aggiungere per lo meno un 
decimo alla popolazione cn e portarla per conseguenza 
a 4,934,880. abitanti. D’ altronde è dimostrato dai Vietri di 
nascite e di morti , e dal confronto del numero dei morti colla 
popolazione vivente, che senza il concorso di malattie;:di guerre, 
di carestie, ‘di flagelli straordinarj, la popolazione. della nuova 
Spagna doveva crescere di j4f100, nell’ intervallo di 10. anni,, 
Anche limitando 1 aumento ‘a 3fr0. nel. 1803. doveva ascen- 
dere a 4,400,000. abitanti, e nel 1813. a.8,300,000., Non è 
dunque esagerazione l’ attribia irgliene anch’ oggi 8,000,000. che 
repartitì sopra un territorio di 682,432. miglia Sei danno 
appena 12 abitanti per miglio quadro . hi 

La popolazione degli Stati Uniti crebbe con dna rapidità 
più prodigiosa . Nel r790. ‘vi contavano solamente 3,177,089. 
abitanti, e nel 1817. 10;405,547. Ma ‘i Messicani oppressi nel. 
14.° secolo dal dispotismo «dei principi nazionali, nel \ 15. dall’a» 
varizia brutale dei primi conquistatori ; odiati dappoi dalla na- 
alone dominatrice , e negletti sempre dal Capo supremo dello 


515 


stato } che risiedeva a 6,000. miglia di distanza , non potevano 
moltiplicarsi al pari d’ un popolo libero ; protetto dalle leggi, 
e dall’ amore de’ suoi capi i 

La nuova Spagna è popolata , 1.° di Messicani indigeni, 2. 
di Spagnoli nati in Europa , o nella nuova Spagna , 3.* di ne- 
gri ‘schiavi nati in Africa, e di negri liberi, o schiavi nati in 
America ; 4. di meticci figli d’ un bianco e d’ una Messicana , 
oppure di un Messicano e d’una bianca, 5* di mulatti figli 
d’ un bianeo e d’una negra, 0 d'un negro e d’ una bianca , 6.° 
di zambos figli d’ un Messicano e d’ una negra, o d’ un negro 
e'd'ina Messicana . I pochi Malesi e Chinesi originarj delle 
Filippine , chesi sono stabiliti ad Acapulco non meritano d’en- 
trar nel computo . 

© I Messicani ‘indigenti , a dispetto dell’ oppressione in cui son 
tenuti , invece di diminuire , si moltiplicano sensibilmente da 
più di 190. ‘anni: Si può assicurare che formano oggi più di 2/5 
della®popolazione. del regno, 0 chesono più di 3,400,000. Nell’in- 
tendenza ‘€’ Oaxaca fra 100 abitanti 88 son Messicani ; nel Gua- 
naxuato 45, nel Valladolid 40, nel Puebla 65. L’istoria ci spiega 
| perchè se'ne'incontrano pochi nelle provincie superiori, e quasi 
punti nelle provincie interne. Quando gli Spagnoli conquista- 
rono' il Messico , le provincie superiori servivano d’asilo a due 
popoli nomadi , ‘quindi poco numerosi, i Chichimechi e gli 
Otoîniti  L’ agricoltura ‘colla civiltà era concentrata intera- 
mente nei *pianori situati sulla riva sinistra del Rio Grande, e 
tra la gran valle del Messico e la provincia d' Oaxaca. I Mes- 
sicani'èoltivatori naturalmente affezionati al suolo in cui vive- 
vario”) soffrirono tutti i cattivi trattamenti per parte dei con- 
quistatori, piuttosto che abbandonarlo ; mentre nelle provincie 
superiori , ove-si trattàva. di lasciare solamente’ una terra di 
pascoli, gli abitanti indigeni si determinarono senza ripugnanza 

a'tornare sulle belle rive del rio Gila ; sul Zaguanas , e nei 
monti di Grullas . 

I Messicani somigliano molto nella fisonomia é' nei linea- 
menti i popoli del Canada, della Florida, del Pèrù, del Brasile. Co- 
lorito bruno come il rame, capelli stesi e lisci, poca barba, cor- 
poratura ‘grossa e corta, occhi lunghi coll’ angolo voltato verso 
le tempie , gote prominefti,, labbra larghe , nella bocea |’ es- 
pressione della dolcezza ,"che sta in opposizione collo sguardo 
tristo ‘e severo ; tali sono i tratti che gli confondono a prima 


o 


516 
vista coll’ altre nazioni indigene del nuovo mondo . Ma chi sta 
lungamente coi Messicani si avvezza a poco a poco. a. ricono= 
scervi un’ aria di famiglia, che gli distingue da tutte, 

I Messicani vivono Lin pricach di Coltivatoti pacifici, av- 
vezzi ad abitare nei villaggi ta più di Goo anni, non han .pro- 
vate le vicende dei popoli nomadi o cacciatori del, Mississipì 
e del rio Gila. Obbligati:. a. mutrirsi uniformemente , e quasi 
sempre di. vegetabili , giungono quasi, tutti all’ età senile , 
quando non si alterano la costituzione , coll’ uso. eccessivo dei 
liquori .1 nostri viaggiatori chie. giudicano solamente dalla fiso- 
nomia , non ammettono la lunga vita dei. Messicani; perchè a 
dir vero senza consultare i registri delle parrocchie , che son 
divorati dalle tarme ogni 20 ‘o 30 anni, non si saprebbe. indo- 
vinare l’ età dei cRabiglisi nazionali, mentre non; divengono mai 
canuti. È più facile di trovare i capelli bianchi in un negro 
che in un Messicano - e d'altronde la poca barba dà al secondo 
un’ aria perpetua di gioventù. Le grinze nella. pelle sono. ugual- 
inente più rare, nei Messicani. A. mezza costa ve. nelle regioni 
della zona torrida giungono sovente \al.roo anni, sopra tutto le 
donne. L’ età senile non è incomoda , perchè il Messicano. con- 
serva la sua forza musculare fino alla morte. Nel 1803 morì 
nel villaggio di Chiquata un uomo di 143. anni: si era unito 
in matrimonio a 53 con una donna ; che morì di 117 ami. 
Fino a 130 anni faceva ogni giorno 3 o 4 leghe. a piedi 5 di- 
venne cieco 13 ammi prima di morire , e di 12 figli lasciò sola- 
mente una femmina di 76 anni . 

Le nostre deformità son quasi ignote. tra i Messicani ; i 
guerci gli zoppi i monchi son vere :rarità . Il famoso gigante. 
Salmerone, che era: alto 6 piedi e 10 pollici, nacque; da una Mes- 
sicana e da un meticcio nel villaggio di, Chilapa. 

Cercheremmo inutilmente di determinare l’ estensione;delle 
facoltà morali dei Messicani, nello stato, d’ oppressione in cui 
vivono. Gli uomini delle classi distinte , i quali mon mancava- 
no sicuramente nè di cultura nè di sapere, i mimistri del cul- 
to , custodì dell’ istoria nazionale, perirono quasi tutti per l’ar- 
mu degli Spagnoli. Le pitture ed i geroglifici,..che ., potevano 
perpetuarne vin qualche guisa la memoria, divennero preda .delle 
fiamme . Il popolo sopravvisse alla  idistruzione ; ma obbligato 
a vivere o a morire nelle miniere o nei canipi, come mai po- 
leva pensare ad istruirsi ? Auche le nazioni dell’ Europa cad- 


5an 


dero nell’ ignoranza ‘e nella barbarie, quando le orde erranti 
dell’ Asia centrale inondarono le sue belle contrade . Come,non 
dovevano cadervi i Messicani? Non restavano della nazione altre 
classi che i poveri coltivatori , gli artigiani, i facchini, che veni- 
vano trattati dai conquistatori, come tra noi gli animali da so- 
ma. Vi restava sopratutto una moltitudine di mendicanti , che si 
affollavano fin dal tempo di Cortez nelle strade di tutte le 
grandi città dell’ Impero. Come giudicar quindi della forza pri-. 
mitiva della nazione e del grado di civiltà, a cui era giunta dal 
12.° al 14.° secolo ? Del resto non possiamo negarle una civiltà 
assai inoltrata , quando si considera che gli Aztechi costruiva- 
no fin dal 12.° secolo città , strade, argini, canali, piramidi 
gigantesche ; che conoscevano la vera. durata dell’ anno, e in- 
tercalavano il gran ciclo di 104 anni più esattamente dei Greci, 
dei Romani e degli Egiziani ; che scrivevano a perfezione in 
geroglifici ; che conoscevano. il sistema feudale , la gerarchia 
civile, militare, e sacerdotale , la distinzione delle classi in no- 
bili popolo e clero, il governo dispotico ed il governo repub- 
blicano ,:e professavano: una religione nazionale; e un culto  pub- 
blico e solenne. Tuttocio è ignoto ai popeli barbari . 

Il Messicano ‘nel ‘suo stato. attuale MI: nè mobile nè ar- 
dente, come i popoli delle regioni equinoziali dell’Africa. Il suo 
sangue freddo è in perfetto contrasto colla vivacità impetuosa 
del negro di Congo. Bisogna vederlo come è serio, melanconico, 
e «taciturno , quando non è riscaldato dai liquori! La. serietà 
si mostra perfino nei fanciulli , i quali a 4.e 5 ami manife- 
stano più intelligenza, che i figli dei bianchi. Il Messicano è 
misterioso anche nelle più piccole azioni; quindi non mostra 
mai nei lineamenti del viso le passioni violente che l’ agitano . 
È terribile quando passa all'improvviso dalla calma a una col- 
lera impetuosa . Il suo carattere piuttosto che energico è ru- 
vido ; e la ruvidezza si mostra più che in altri negli abitanti 
di Tlascala, i quali ad onta dell’ avvilimento in cui son tenuti 
conservano sempre un’ aria di fierezza ; che gli fa riconoscere 
per gli antichi rivali di Montezuma . 

I Messicani come «tutti. i popoli, che. gemono da lungo 
tempo sotto il dispotismo. politico , conservano colla più decisa 
ostinazione gli usi, i costumi, i principj nazionali . La dolcezza 
sola dei religiosi missionari giunse a persuadergli di sostituire 


D 
alla religione antica il culto Cristiano , Amano le cerimonie, 


518 


perchè le amarono sempre; trovano nelle nostre feste di ché 
rallegrarsi. I canti di Chiesa, i fuochi d’ artifizio , le illumi» 
nazioni , le processioni, alle quali assistono danzando , gli diver- 
tono oltremodo .. 

Del resto avvezzi da. più di 600 anni.a servire, soffrono 
con rassegnazione i cattivi trattamenti, che ricevono dai bianchi. 
Si contentano di fingere , e celano odio sotto |’ apparenza 
d’un’ anima insensibile . Quando non possono vendicarsi. sugli 
Spagnoli, si vendicano sugl’ inferiori. I villaggi Messicani son 
governati dai nobili nazionali. Il governatore opprime e spo 
glia, perchè è sicuro di restare impunito . L’ oppressione cor- 
rompe dappertutto la morale . 

I Messicani appartengono quasi tutti alla classe del popolo. 
Non bisogna cercar fra loro per conseguenza l’amore e la pra- 
tica delle belle arti, che fan la delizia della vita tra i popoli 
culti. Quando ricevono una educazione più scelta, mostrano una 
gran disposizione ad imparare , uno. spirito. aggiustato , buon 
senso naturale , una attitudine singolare a confrontare. gli 0g- 
getti, e a notarne le differenze ; ragionano freddamente e con 
metodo; ma non h la mobilità d’.imaginazione ; il. colorito, 
del sentimento , l’atti@®di èreare, onde son dotati i popoli dell’ 
Europa, e della Persia. La musica ed il ballo partecipano della 
serietà naturale della nazione . Il canto è piuttosto melanconi» 
co - Le donne che son più vive degli uomini; ballerebbero.e 
canterebbero con più anima; ma condannate fra i Messicani 
come fra tutti i popoli poco culti al lavoro. e .alle privazioni ,,; 
sì contentano d’ assistere .ai. divertimenti. degli uomini, e di., 
provveder di liquori la brigata . i 

I Messicani conservano sempre un gusto deciso per la pit 
tura , e la scultura in pietra ed ‘in lagog . Non si saprebbe 
imaginare in Europa ciò che fanno con uncattivo coltello, e con 
un pezzo di legno il più duro. Si esercitano volentieri in di- 
pingere imagini, e in fare statue di Santi; ma imitano servil. 
mente da tre secoli i modelli, che. riceverono dall’ Europa al 
.tempo della conquista. I giovani educati nei collegi o nell’ ac- 
cademia di pittura si distinguono più per applicazione che per 
talenti ; e senza mai dipartirsi dalle traccie. dei modelli, mo- 
strano molta abilità nell’\arti  d’ imitazione ; e più ancora nell’ 
arti puramente meccamiche . 

Il gusto dei fiori che trovò Cortez nel Messico non è di- 


519 
minuito ; e dimostra che la nazione sente vivamente il bello . 
Nel gran mercato di Messico non si vendono nè pesche , nè 
ananassi , nè legumi , nè liquori, senza che la bottega sia ornata 
di fiori , che si rinnuovano ogni giorno. I frutti son collocati 
in mezzo a una siepe d' erbe fresche, sopratutto di gramigne 
dalle foglie delicate . Mille piccoli mazzetti disposti con simme- 
îria fra due ghirlande parallele di fiori danno a tutto il recinto 
l’ apparenza di un tappeto fiorito . I frutti son  distribuiti\con 
una eleganza ed un ordine inimitabile in tanti graziosi  panie- 
rini di legno leggiero come il vetrice. I frutti ne occupano 
l’ interno; la superficie del panierino è tutta di fiori odorosi . 

I Messicani dei nostri giorni discendono o dagli ‘antichi plebei, 
o dalle grandi famiglie, che ricusando di'confondersi coi conqui- 
statori, preferirono di coltivar le proprie terre , che davano pri- 
ma a'coltivare-ai vassalli } Son divisi ‘per conseguetiza in due 
caste, di plebei tributarj, e “di nobili. Gli ultimi, per le leggi 
spugnole;, devono godere dei privilegj della nobiltà Castigliana , 
ma' si distinguono ‘appena ‘dai ‘primi . H nobile per la sempli- 
cità del vestiario, e per l’ aspetto di miseria, che preferisce al 
fasto, si confonde facilmente coll’ womo della classe ‘del popolo. 
Mail popolo non 'manca di mostrargli lil rispetto , che esige- 
vano le ‘antiche costituzioni politiche dell'Impero . Le famiglie 
dei ‘nobili ereditarj , lungi dal *protegdere il popolo , 1’ oppri- 
mono . Siccome governano i villaggi nazionali, e sono incaricati 
di stabilire ‘i tribati, non si contentano di secondare ’ avidità 
dei bianchi ; ma esigono mille ‘piccole tasse anche per proprio 
conto. D’ altronde i nubili Messicani son rozzi incivili ed igno- 
xanti come ‘la moltitudine. Entrano di rado nella carriera giu- 

diciaria o militare. 

‘Quando’ gli Spagnoli conquistarono il Messico ; il popolo 
gemeva mella \miseria , e nell’ avvilimento . Tutte le terre più 
fertili appartenevano all’ Imperatore ai principi ai nobili ai mi- 
nistri del‘culto . I'mendicanti si riunivano a torme sulle grandi 
stradé ; la mancanza d’ animali da soma ne determinava più 
migliaja a farne le veci, e ad incaricarsi del trasporto delle 
derrate . La condizione del popolo divenne ‘anche peggiore dopo 
la conquista; si tolsero i coltivatori dai campi per trascinarli nelle 
miniere ; molti dovettero seguir ‘l’armata , e portarsi addosso 
pesi enormi tra'i monti ed i ‘precipizj. Tutti i beni apparte- 

| nevano al vincitore. Una legge assegnava ai vinti solamente un 


520 


piccolo campo intorno alla Chiesa. Così il Messico si spopolarà 
rapidamente . La corte di Madrid volle rimediarvi. L’ avarizia 
«ed i raggiri resero inutili le sue buone intenzioni. Introdussero 
il sistema delle commende.. I Messicani. divennero schiavi, più 
legalmente - Si divisero le. terre del paese. soggiogato; si re- 
‘partirono gli abitanti in tribù di più centinaja. di famiglie, e 
vennero posti in balìa dei soldati vincitori, e degli uomini di 
legge , che la corte mandava a'governar le provincie . I. Mes- 
sicani costretti a vivere eternamente sul suolo , in cui si tro- 
vavano per così dire incatenati , lavorarono solamente per i com- 
mendatori . 

Le sciagure dei Messicani: durarono fino al. 18.mo secolo . 
Molte famiglie di conquistatori erano estinte... Il governo non 
distribuiva le commende. vacanti . I governatori delle. provincie 
presero interesse per la, nazione ,, la quale acquistò. allora più 
libertà e più agj . Carlo 4.° aboli le commende, e proibì | uso 
detestabile dei ripartimenti , per cui i corregidori disponevano 
delle braccia dei poveri coltivatori, e gli provvedevano a prezzi 
enormi di cavalli muli e vetture. Lo stabilimento : dell’ inten- 
denze fu un dono prezioso per i Messicani ; le wéssazioni che ‘ 
provavano i coltivatori per parte degli amministratori Spagnoli 
diminuirono a poco,p'1pabonpor la vigilanza degli intendenti , e; 
la nazione cominciò a refpirarie ; ed a godere del favor delle 
leggi . rr 

In nessuno Stato d’ Europa v'è tanta ineeniglinia come ia 
Messico nel reparto dei beni, al pari che nell’agricoltura,‘nellatpo+ 
polazione e nella civiltà. L’interno del regno ha quattro città po- 
polate di 50, 70, 80, e 160,000, abitanti. Il. pianoro (centrale; da 
Puebla a Messico , e da Messico a Salamanca. e Xalaya nè co- 
perto di villaggi e di casali; come ila, Lombardiai;. e sulle 
coste s'incontrano appena 12 abitanti per lega. quadra . Men- 
tre nella capitale l’ architettura degli edifizj,. l’ eleganza della 
mobilia. e degli equipaggi, il lusso delle donne , il;;tuono delle, 

conversazioni ‘annunzia un raffinamento prodigi nell’ alte 
classi, il popolo è ignorante e materiale . Le differenze si esten- 
dono anche alla nazione..indigena. I Messicani son rilegati nelle 
terre men fertili ;. quindi vivono nella miseria . Indolenti per 
carattere e. più anche , per motivi politici; vivono giorno. per 
giorno. E intanto le fortune colossali non son rare anche nell’, 
ultime classi del popolo, Nell’ intendenze d’ Qaxaca e di Val 


521 


ladolid , nella valle di Toluca, e nel Puebla si trovano molti 
ricchi Messicani, che han l’ aspetto della miseria . Una donna 
oscura di Cholula lasciò ai suoi figli una tenuta d’ agave , che 
costava 360,000. lire. L’agave è la ricchezza di molti tra i 
Messicani . Gli abitanti del Cholula son tutti sobrj , e di costu- 
mi dolci e pacifici . I Tlascalani vicini pretendono di discendere 
dalla più distinta nobiltà, son grandi amatori di liti, e dispu- 
tano perpetuamente . Le famiglie dei ricchi vivhan sovente un 
capitale di 800,000, a 1,000,000 di lire : godono d’ una grande 
stima tra gli inferiori; e non ostante vanno ‘a piedi nudi, e 
portano una veste ordinaria come l’ultimo del popolo , 

») La popolazione della nuova Spagna , scriveva al Re il ve- 
scovo di Mechoacan nel 1799, è composta di bianchi, di Mes- 
sicani, e di razze miste. Quasi tutte le terre, e le ricchezze 
del regno si trovano nelle mani dei primi. Quindi i bianchi 
ed i Messicani sì odiano reciprocamente, come un padrone che 
possiede tutto, ed uno schiavo che non possiede niente . Quindi 
le discordie, le gelosie, i raggiri, i furti e l'inclinazione a nuo- 
cere ai ricchi, che regna! fra i Messicani: e quindi l’ arro- 
ganza, l’ insensibilità , ed il desiderio ,di abusar sempre della: 
debolezza dei poveri, che regna tra gli Spagnoli. I mali che 
derivano dall’ ineguaglianza delle condizioni si fan sentire dap- - 
pertutto, ma son più terribili in America , perchè non v° è 
mezzo termine fra i ricchi ed i miserabili, fra gli oppressori 
e gli oppressi, fra gli uomini illustrati o avviliti dalla legge, 
o dall’ opinione . I Messicani e le razze miste sono ‘in uno stato 
di umiliazione estrema ..Il colore, l’ ignoranza e la miseria gli 
pongono a distanza infibita dai bianchi, che tengono il primo 
posto . I privilegj che accordano le leggi alla nazione indigena 
son puco utili, o piuttosto nocivi. Una antica legge gli obbliga 
‘ad abitare in tanti piccoli villaggi di 1600 metri di circon= 
ferenza ; gli priva del diritto freni di proprietà ; gli co- 
stringe a coltivare i beni comuni . Quindi lavorano mal volen- 
tieri, perchè non hanno speranza di godere i frutti del la- 
voro . Lo stabilimento delle intendenze gli priva dei soccorsi, 
che ricevevano dalla cassa comune, perchè vi vuole una per- 
missione espressa del collegio delle finanze. I beni comuni 
son'dati in affitto. dagl’ intendenti ; la rendita si versa nelle 
casse reali, ove gli agenti della corona ne tengono un conta 
a parte sotto il titolo Sai proprietà de’ villaggi. Ma i villaggi 


Mn > 
non han più proprietà, perchè gl’ intendenti non proteggono 
più la nazione; perchè sono stanchi di. chieder soccorso; men+ 
tre è ricusato. Il collegio delle finanze vuole il parere del 
fiscale e dell’ assessore del Re. Si passano i mesi e gli anni 
in aceumular suppliche; e in fine. niuno risponde; e il de- 
naro dei villaggi passa intanto in Europa. ;, L’intendente di 
Valladolid vi mandò nel 1799 quasi 1,000,000 lire accumulate 
in 12 anni. E rappresentò al Re che era un: dono dei. Messi 
cani di Mechoacan, e che lo facevano per aspiatio a conti 
muar la guerra contro gl’ Inglesi. Ed ecco come s’ ingannano i 
Re!,, 
Nel 16.° secolo si discuteva seriamente, sei Messicani doves- 
sero contarsi fra gli uomini o fra i bruti; e si credè di trattarli su- 
periormente al merito, considerandoli come pupilli, ponendoli in 
perpetuo sotto la tutela dei bianchi, e dichiarandoli inabili a con- 
trattare per più di 15. lire. Così i Messicani, finchè vivono sotto il 
governo Spagnolo, non potranno mai migliorar condizione, e pro- 
curarsi qualche agio coltivando la terra, o esercitando le arti. 
Quindi trae origine l’indolenza ed il sangue freddo, che di- 
stingue i Messicani; resi insensibili al male non provano più 
‘| nè la speranza nè il timore. Una legge barbara gli divide per 
sempre da tutte l’ altre caste; che popolano la nuova Spagna, 
proibendo ai bianchi di stabilirsi nei villaggi dei nazionali , ed ai 
nazionali di stabilirsi fra gli Spagnoli . Così si perpetua l'odio tra 
le due razze. Là nazione è governata dai suoi nobili; tutti i ma- 

. gistrati son Messicani; sono scelti. per governare, o perchè ap- 
partengono ad una famiglia illustre, o perchè hanno comprato il 
governo . I capi dei villaggi non hanno altra occupazione che di 
mantenere l’ ignoranza, i pregiudizj, e la barbarie nel popolo. Otto 
o dieci vecchi vivono così in ogni villaggio nell’ ozio ‘a_ spese di 
tutti gli altri abitanti . 

Ma in fine che si sperava d’ ottenere separando i Messicani 
dai bianchi, e tenendogli nella miseria ? Che si lasciassero frusta- 
re pazientemente e per sempre alle porte delle Chiese? Non è 
forse noto; che sanno agire quando lo vogliono ? Nella gran ri- 
voluzione suscitata mel 1781; poco mancò, che il Re di Spagna 
non perdesse tutte le provincie interne del Perù, mentre la gran 
Brettagna perdeva quasi tutte le sue colonie del nuovo mondo . 
Quando Tupac Amarù si mostrò alla testa d'una armata davanti a 
Cusco, tutto il popolo lo riconobbe come discendente dei suoi an- . 


523 


tichi Re, e come figlio del sole. Trasse nel suo partito i meticci 
ed i creoli, giacchè non odiava altri che gli Europei; i Peruviani 
esterminarono nemici e alleati. La ribellione durò due annì. Gli 
Spagnoli giunsero a porre in catene Tupac Amarù, e lo squarta- 
rono con tutta la sua famiglia in Cusco; ma quando lo conducevano 
- al supplizio, gl’ indigeni si prostravano a terra per adorare il figlio 
del sole. Gli orrori commessi nel 1781. e 1782. sull’Ande si rinnuo- 
varono in parte 20 anni dopo nel pianoro di Riobamba . 

I Messicani non sono esenti dai tributi. Tutti i maschi fra i 
16 edi 50. anni pagano un testatico, che'nel 1600 ascendeva a 36 
reali, e che ridussero dopo in qualche intendenza fino a 24. e a 8. 
Nella diocesi di Mechoacan e in quasi tutto il Messico pagano oggi 
16. reali. IL Vescovo di Mechéacan nel 1799. contava 8105000. 
famiglie di Messicani, ed altri uomini di colore nella nnova Spa- 
gna . Nelle elassi più agiate una famiglia spende per vivere da 
300. piastre all’ anno; nelle classi inferiori 60. La prima classe è 
composta di-un 3°. della popolazione totale . Se invece del testa- 
tico si obbligassero i Messicani e gli altri uomini di colore a pa- 
gare l’ alcavala del 14 per cento come i bianchi , lo stato ne trar- 
rebbe una rendita annua di 5000,000, piastre, mentre non ne trae 
col testatico neppure un quarto . Così l'abolizione del testatico , 
unita all’ abolizione della legge, che divide i Messicani dai bian- 
chi, porrebbe un termine alle sciagure ed all’ avvilimento dei pri- 
mi., ed accrescerebbe le rendite dello stato . 

I bianchi tengono il primo posto tra gli abitanti della nuova 
Spagna in ragione di ricchezze, mentre son padroni di quasi tutte 
le terre , ed il terzo in ragione di numero, giacchè sono appena 
un 5°. della popolazione totale. Nel 1793 contaronò 103090, bianchi 
sopra 398,000 abitanti nel Guanaxuato; 80,000 sopra 290,900. nell 
Valladolid; 63,000 sopra 638,000 nel Puebla; 26,000 sopra 412,000, . 
nell’ Oaxaca; per conseguenza nelle quattro intendenze vicine alla 
capitale si trovavano 272,000 bianchi sopra una popolazione tota- 
le di 1738,000 abitanti. Sopra 1oo abitanti nel Valladolid 27 erano 
dunque bianchi, nel Guanaxuato 25, nel Puebla 9, nell’Oaxaca 
6. Quasi 600,000 bianchi risiedono nelle provincie interne, e 
1000,000 nel resto del regno. Nella nuova Biscaglia niuno paga 
tributo , perchè tutti si tengono per bianchi . 

I bianchi nati in Europa si distinguono col nome di capetoni; 
i bianchi nati nella nuova Spagna e nelle Filippine di creoli : gli 
Spagnoli delle Canarie si tengono tra i primi. A Messico sopra 


524 

1oo abitanti 49. son creoli, 2 capetoni, 24. messicani e 25% 
di razze miste. I capetoni son pochi; ne contavano. appena... 
2500. nella capitale nel 1803; non oltrepassano 100000 in tutto... 
il regno; mentre i creoli sono sicuramente 1500,000. Così i cape-»\ 
toni stanno ai creoli come 1. a 15. Gli'uni e gli altri sono. uguali: 
in faccia alle leggi; ma gli amministratori che odiano irreconci=,. 
liabilmente i creoli trovano mezzo d’ eluder le leggi, e di distrug-., 
gere una uguaglianza, che offende troppo 1’ orgoglio Spagnolo», 
Tutti i grandi impieghi toccano agli Spagnoli d’ Europa, e da, 
qualche tempo anche tutti gl’ impieghi dell’ amministrazione del . 
tabacco e delle dogane . Un miserabile Spagnolo senza educazione ; 
senza cultura di spirito si crede superiore a tuttii creoli del mon. 
do; sa bene che gli Spagnoli d’ Europa non mancheranno di pro 
teggerlo , e che col favore della fortuna e delle circostanze in un 
paese; in cui i tesori si acquistano e si disperdono rapidamente, 
potrà giungere a un grande impiego , il quale sarà sempre ricu=}, 
sato ai creoli, benchè molto più pregevoli per talenti cognizio- 
nie morale. La venalità dei magistrati è un gran motivo di spe- 
ranza; perchè nel paese dell’ oro si compra tutto coll’ oro. Quin- 
di ha preso origine l’ odio inestinguibile, che fin dal,1810.,pose, 
V armi nelle mani de’ creoli per cacciar gli Spagnoli d° Europa dal) 
la nuova Spagna . E quindi pure fin dali’ epoca «della rivoluzione, 
degli Stati uniti i creoli dicevano sovente ;in aria di fierezza; i0,,, 
non sono Spagnolo, ma Americano; parole che manifestano, un odio,}. 
lungo profondo . PONE 

Gli Spagnoli in America son più inoltrati nella cultura, ins), 
tellettuale che gli Spagnoli in Europa. Le mattematiche, la chia. 
mica, la mineralogia, la bottanica sono studj familiari al Messico, a, 
Santa Fè, a Lima. Per tutto.i giovani creoli spiegano un talento,, 
singolare per le scienze. A. Quito ed a Lima son dotati d’uno,, | 
spirito più mobile, e d’ una imaginazione più viva; al Messico son 
più perseveranti nello studio. Non v'è città in America che riuni- 
sca tanti stabilimenti scientifici come Messico. La scuola delle 
miniere , il giardino nelle piante l’accademia di scultura e pittura, 
figurerebbero degnamente anche nelle nostre capitali d’ Europa., 
L’ Apollo di Belvedere, il gruppo di Laoconte, e cento statue an- 
che più colossali si trovano oggi riuniti sotto la zona torrida e in 
un pianoro più alto del gran S. Bernardo, e vi son giunte per una 
strada montuosa ed angusta come quella del gran S, Gottardo. La 
collezione delle piante che esiste all'accademia costò più di 200, 


525 


000 lire. L'accademia delle belle arti ha una rendita di 125,000 
lire; me dà 60,000 il governo ; 25,000 il corpo dei proprietarj di 
miniere , e 15,000 son pagate d ai negozianti della capitale. L’acca- 
demia esercita una grande influenza vien gusto della nazione. Ne 
fan prova la bella architettara degli Licia la perfezione con' cui 
son tagliate le pietre, gli ornamenti dei capitelli, i rilievi di-.stue- 
co. I belli edifizj che si vedono a Messico a Queretaro a. Guana- 
xuato costarono quasi tutti da 1000,000 a 1500,000 lire; e non 
starebbero male nelle più grandi strade di Parigi, di Berlino, e di 
Pietroburgo. La statua equestre di Carlo 4.° ‘fas in bronzo da 
Tolsa professore di scultura a Messico non’ha rivali in Europa 
per la purezza di stile, e la perfezione delle forme, se si eccettua 
il Marco Aurelio di Roma. L'accademia delle belle arti riunisce . 
giornalmente più centinaja di giovani , e ciò che reca più meravi- 
glia in un paese, in cui i pregiudiz] di caste e di rango sono ine- 
stinguibili, i i giovani d’ogni razza, d’ ogni colore, d’ ogni classe , 
d’ ogni stato. d’ ogni professione vi si confondono insieme , per 
modo che il Messicano ed il meticcio si pone a lavorare accanto 
al bianco, e il figlio di un povero artigiano vi disputa il premio 
al figlio d’ un ricco. Dopo la fine del regno di Carlo 3.9 lo studio 
delle scienze naturali ha progredito rapidamente in tutte le co- 
lonie Spagnuole. Niun governo d’ Europa ha fatti tanti 'sacrifizj 
per estendere le cognizioni dell’ istoria dei vegetabili. Tre spe- 
dizioni bottaniche nel Perù, nella nuova Granata, nella nuova Spa- 
gna costarono 2000,000 lire. Le ricerche di 20 anni procurarono 
alla scienza più di 4000 specie di piante nuove, e sparsero il 
gusto dell’istoria naturale tra gli abitanti. I principj della nuova 
chimica son propagati nella nuova Spagna più che altrove. Fin 
sui confini della California si ragiona di chimica. La scuola delle 
- miniere ha un laboratorio di chimica, una ricca collezione di me- 
talli e di minerali, un gabinetto di fisica con superbi istrumenti 
costruiti da Ramsden, da Adams, da Lenoir, e da Berthoud , e 
una quantità di modelli fatti nella capitale col più bel legno del 
paese. Le mattematiche sono insegnate con gran precisione nella 
scuola delle miniere. Vi studiano anche il calcolo integrale e 
differenziale. Il gusto dell’ astronomia è assai antico nel Messico. 
Velasquez, Gama, ed Alzate vi si distinsero verso la fine dell’ ul- 
timo secolo. 
Quasi tutte le grandi riechezze della nuova Spagna appar-, 
tengono alla razza dei bianchi, Son distribuite nel Messico più 
T. IV. Dicembre 34 


526 


inegualmente che a Caracas, ed a Cuba. A Caracas i più ricchi 

proprietarj han 200,000 lire di rendita; a Cuba anche 600,000. 

L’ agricoltura rende più a Cuba che le miniere nel Messico e 

nel Perù. A Lima pochi proprietarj contano una rendita di 

80,000 lire; quasi nessuno di 130,000. Nella nuova Spagna + v'è qual- 

the famiglia, che senza le miniere .si trova una rendita di 1000, 
000 lire. La famiglia Valenzana, che è divisa in tre rami, gua* 

dagna sulle miniere di Guanaxuato 2200,000 lire all’ anno, ed ha 

inoltre per 25,000,000 lire di terre sulle Cordigliere. Il conte di 
Regla fece costruire a sue spese nel. porto della Havana due 

bastimenti di prim’ ordine in legno d’ acagiù e di cedro per do- 
narli al Re. Con una sola vena di metallo nel distretto di Som- 

brereta la famiglia Fagoaga guadagnò in 5 a 6 mesi da 25,000,000 
lire. L'ultimo conte di Valenzana traeva sovente dalle sue mi- 
niere fin 6000,000 lire all’ anno. Negli ultimi 25 anni non gli 
resero mah meno di 2 a 3000,000. Non ostante morendo lasciò 
solamente un capitale di 10,000,000 lire ; perchè |’ ma si ac- 
- cumula al Messico rapidamente, e si consuma anche più presto. 
Lo scavo delle miniere è un giuoco di sorte. I ricchi proprietarj 
per arricchire di più, profondono tesori immensi ai ciarlatani , 

che cercano nuove miniere in paesi lontani. Vi vogliono sovente 
2000,000 lire per aprirne una sola. L’ esecuzione i: un progetto 
chimerico assorbisce in pochi anni tutta la rendita di una ricca 

miniera. Il disordine che regna nell’ amministrazione domestica 
delle grandi famiglie va talvolta sì lungi, che un capo di fami» 

glia si trova nell’imbarazzo con una rendita di 500,000 lire. Le, 

miniere son la ricchezza principale del Messico. Molti proprie- 

tar) ne traggono buon partito , impieg gando i metalli in com- 
prar terre, e diveltarle. Ma vi sono anche molte famiglié 
ricche senza miniere. La famiglia Monteleone originaria della 

Sicilia, a cui appartiene oggi il marchesato della valle, come 

erede dei Cortez, ha una superba tenuta nell’ Oaxaca, che rende 

550,000 lire all'anno. Le spese di amministrazione gli costano 

più di 125,000 lire, ma gli amministratori vi arriechiscono subito, 

Dopo tutto ciò non devono recar meraviglia i tratti gene- 

rosi che si citano dei grandi del Messico. Il corpo dei proprietarj 

delle miniere prestò dal 1781, al 1787, 4000,000 lire a una so- 

cietà, che voleva intraprendere un gran lavoro, e mancava di 

denaro. La famiglia di Fagoaga prestò gratuitamente 3500,000 

lire ad un miserabile, che arricchì per quest’ atto di beneficenza. 


Î 927 

La costruzione del tribunale delle miniere costò 3000,000 lire. 
S’ immagini quanto costano tutti i belli edifizj costruiti ultima- 
mente nella capitale. 

 L’ineguaglianza delle ricchezze si estende anche al clero. 
Mentre qualche ecclesiastico vive nella miseria , qualcun altro è 
più ricco di molti principi d’ Alemagna. Tutto il clero della 
nuova Spagna non oltrepassa 10,000 tra preti secolari e religiosi ; 
mentre in Spagna il solo ordine monastico di S. Francesco è com- 
posto di 15,000 individui. L’arcivescovo di Messico ha 130,000 
piastre di rendita, il Vescovo di Puebla 110,000, di Valladolid 
100,000, di Guadalaxara 99000, di Durango-35,000, di Monterey 
30,000, di Yucatan 20,000, d’ Oaxaca 18,000, di Sonora 6,000. 
Tutto il clero non ha più di 15,000,000 lire di rendita; ma i 
suoi tesori in capitali d’ipoteche sui beni dei privati vanno a 
44,500, 000 piastre, o a 234,000,000 lire. 

Si esagera molto in Europa la profusione, con cui i bianchi 
impiegano nel Messico l’oro e l’argento in vasellami , in mobilia, 
in vasi da cucina, finimenti » chiavi, toppe e gangheri da porte. 
Ma ì viaggiatori sanno che non v è più abondanza di metalli 
preziosi nelle case del Messico, che in Portogallo ed in Spagna; 
e che se vi fanno più uso di bicchieri, e di piatti d’ argento , 
che nell’ Inghilterra ed in Francia » ciò accade, perchè è estre- 
mamente difficile di trasportar le porcellane nell’ interno, per 
la natura delle strade ; e d’altronde in un paese in cui il com- 
mercio è molto limitato, è indifferente il tener qualche centi- 
najo di piastre in numerario, o in vasi d’argento. Del resto è 
ridicolo a vedersi il popolaccio di Messico , il quale passeggia 
per le strade a piedi nudi, ma con grandi sproni d’ argento. 

Vi son pochi negri nella nuova Spagna, e quasi punti schia- 
vi. Si gira per la capitale senza incontrare un sol viso nero. 
Vi sono appena 6oo0 negri tra schiavi e liberi in tutto il regno, 
e da 10,000 schiavi indigeni, i quali risiedono quasi tutti nei 
porti d’ Acapulco e di Vera Cruz. Le leggi non permettono di 
fare schiavi gli Americani indigeni. Pure gli Spagnoli della fron- 
tiera si divertono a perseguitare i selvaggi indipendenti dei paesi 
vicini per incatenarli , e trascinarli a Messico , ove gli pongono 
in carcere, per quindi condurli a lavorare a Vera Cruz, ove 
periscono poco dopo per il cangiamento del clima. Tra i 74,000 ne- 
gri, che vengono annualmente dall'Africa nelle regioni equinoziali 
‘dell’ America e dell'Asia e i quali costano da 120,000,000 lire, 


— 


528 


appena ne comprano un centinajo sulla costa: del mar:del Messico: 
Del resto al Messico gli schiavi son più protetti che nell’altre 
colonie. Le leggi s’ interpetrano sempre in favore degli schiavi; 
il governo desidera di veder crescere il numero dei negri libe- 
ri. Uno schiavo, che ha acquistato un poco di denaro a forza 
d’industria può obbligare il padrone a liberarlo, pagandogli da 
1500, a: 2000 lire, anche se è costato il doppio. Uno schiavo 
maltrattato si libera senza spesa, quando il giudice ne conviene; 

Le razze di sangue misto formano nella nuova Spagna (una 
popolazione di 3000,000 d’anime. Per un raffinamento di vanità 
si sono inventati 5, o 6 nomi per distinguere le gradazioni dei 
colori, i quali derivano dall’ alterazione del color primitivo... Il 
figlio d’ un bianco e d’ un Messicano indigeno si chiama mebicol. 
Il suo colorito è quasi perfettamente bianco, e si distingue più 
per la trasparenza della pelle , la poca barba, la. piccolezza delle 
mani e:dei piedi, e una certa obliquità nella direzione degli 
occhi, che per la qualità dei capelli. Se un meticcio si congiunge 
ad un bianco, la seconda generazione nom differisce: quasi più 
dalla razza ;d’ Europa. I meticci sono 17/8 di tutta la; razza mi- 
sta. Godono la riputazione d’ un carattere più. dolce che i ma- 
latti figli di bianchi e di negre, i quali riuniscono vigore d’ani- 
ma, violenza di passioni, ed una singolare speditezza di lingua. 
I discendenti di negri e di Messicane portano a' Messico a-Lima 
ed anche alla Havana il bizzarro nome di Chinesi; sulla costa 
di Caracas, e nel resto della nuova Spagna gli chiamano zam- 
bos. Il nome di zambos si estende anche al figlio’ di/ un) negro 
e d’ una mulatta, o d’un negro e d’ una Chinese. Distinguono 
il zambos comune dal zambos negro, che è figlio. dì un negro 
e d’ una zambos. Le razze di sangue Africano conservano, \l.in- 
grato odore , che distingue anche le due razze primitive. I figli 
d'un bianco e d’una mulatta si chiamano quarteroni; i figli 
d’'una quarterona e d’un bianco portano il nome di quinteroni ; 
il figlio d’una quinterona e d’un bianco somiglia pesvanie 
i bianchi per il colore. 

La quantità di sangue Europeo, che scorre nelle vene d’un 
uomo di razza mista , e il colore più o meno chiaro della sua 
pelle decide di qual grado di stima deva godere nella società, 
e in quale opinione deva tenersi. Un bianco che monta a ca- 
vallo a piedi nudi per maneanza di scarpe, crede di appartenere 
alla classe dei nobili più illustri; il’ colore rende ‘uguali due 


29. 

> uomini, i'«quali in- paesi. men culti prenderebbero piacere a di- 
scutere.le prerogative di grado , o d’ origine. Quando un plebeo 
disputa con un. grande, gli dice sovente: vi credereste forse 
più bianco di me? V’è dunque. un. grand’ interesse a valutar 
con precisione la quantità di sangue Europeo, che scorre nelle 
vene d’ogni casta. Secondo i principj stabiliti dall’ uso sì .ac- 
cordano ai quarteroni 3,4 di sangue bianco e 1,4 di negro; ai 
quinteroni 7,8 di bianco, e 1/8 di negro, ai zambos comuni 1/4 
di bianco, e 3/4 di negro, e ai zambos negri 1/8. di bianco 
e' ‘7,8 dì negro. 

Potrebbe esistere nelle razze miste e. mulatte qualcuno 
che per il. colore, la fisonomia, ed i talenti si confondesse co- 
gli Europei; ma la legge gli tien tutti nell’avvilimento e nel 
disprezzo. Dotati. d’un carattere energico ed ardente, odiano i 
bianchi, e l'odio gli porta non di rado a spargerne il sangue. 
Le famiglie, sulle quali si ha sospetto che appartengano alle 
caste. di razza mista riescono spesso a procurarsi dall’ alte corti 
di giustizia \un \decreto, che le dichiara bianche; qualche volta 
anche i mulatti assai bruni giungono a farsi imbiancare ( co- 
me ‘dice il. popolo ) a forza di argento. Quando gli occhi si 
oppongono. evidentemente alla dimanda , i giudici si esprimono 
nella decisione in termini problematici, e autorizzano il suppli- 
scante a riputarsi bianco. 


Gia G. R, P. 


URAGGUAGLI BIBLIOGRAFICI; CORRISPONDENZA Ec. 
‘000 Lettere di Pamjftlio a Polifilo sopra l’ Apologia del libro 
della Volgare Eloquenza di Dante. Firenze 1821. (Articolo co- 
amunicatoci dal Sig. Ahate Giovanni Pagni). 

Tre sono queste lettere, che annunziamo agli amici della 
nostra lingua, e della verità; nel principio della I. l’autore si 
propone di far qualche nota alla nuova Apologia del libro di 
Dante della Volgare Eloquenza, non per combattere coll’ illu-. 
stre Apologista, ma per esaminare le sue ragioni, e non come 
avversario, ma come amico. Nè di tutte viene all’ esame; ma 
di quelle sole , che a lui paiono essere quasi il fondamento , 
ovvero la somma di ciò, che l° Apologista intende di provare. 

‘E dopo averle nella I. e II. lettera, e in gran parte della III, 
nobilmente e. solidamente ribattute fa vedere, e toccar con. ma- 


530 

no al suo Polifilo, che ogni lingua comincia. dall’ esser di alette 
e diventa comune per adozione di altri popoli . Quindi, passa 
a dimostrare che, non si può togliere a Firenze la gloria di aver 
coltivato il suo linguaggio particolare, e quello perfezionato in 
modo che tutti gli altri popoli Italiani adottarono quello come, 
divenuto più nobile per gli eccellenti scritti, che in esso erano 
stati composti. 

La chiarezza e l’ordine con che sono esposte dall’ erudi=, 
tissimo Autore le più certe e stabili dottrine intorno alla for- 
mazione delle lingue non potrebbe desiderarsi maggiore ; e la. 
giustezza , la copia, la forza delle ragioni, con le quali egli con 
futa i pensamenti dell’ A pologista, rendono questo scritto un mo- 
dello nel genere di quelli, che diconsi di controversia. E se per 
modestia è piaciuto all'Autore di nascondersi col nome di Pam- 
filo; questo suo libro veramente aureo lo fa ben, conoscere, 


Pien di filosofia la lingua e il petto 


e dottissimo nelle lettere Greche, Latine , ed Italiane. 

Molta finezza di giudizio si scorge nelle sue osservazioni, 
sopra i passi di Dante, i quali dichiara nel vero, e proprio sen-. 
so ; ritorcendoli poi opportunamente contro l’ Abi : e il 
tnallo ; che tiene nel rilevare le contradizioni del Muratori e del, 
Tiraboschi intorno all’ origine della nostra lingua , non può essere. A 
nè più: savio nè più rispettoso. Schiettezza poi, e proprietà soMmMA SI, 
ravvisa nelle maniere e forme del suo dire scelte dal buon se-. i 
colo; le quali danno a vedere, che l’ oro del trecento da ana 
mano esperta si può affatto purgare d’ogni ruggine d’ antichità, 
e darglisi tutta la foggia che vuole il nostro tempo. Anche lo 
stile di queste Zettere è convenientissimo al genere chiamato | 
didattico, sempre clezpnta e corretto, ma senza essere affet- 
tato, pregio assai raro a’ nostri tempi, sempre agevole e piano, 
e che talora sente di quella piacevole negligenza solo propria di 
chi ba fatto lungo studio nelle opere de’ migliori Toscani. 

Una quistione , nel lungo corso di tre secoli tanto agitata, 
può dirsi finalmente decisa, e ridotta oggi all’ evidenza dal no- 
stro Pamfilo: e chi in fatto di lettere è più amico della ve- 
rità che degli amici, leggendo ‘il nostro Autore, confesserà , 
che è vinta l’ Apologia del libro della Volgare Eloquenza di 
Dante , ma vinta in maniera che allo stesso Conte Giulio Per- 
ticari applaudito autore della medesima non sarà discaro, l’ es-. 


531 


sere stati tosì civilmente dichiarati gli abbagli per esso presi 
nell’ indicato suo argomento. 

Godiamo di sentire, che in Milano il Chiarissimo Sig. Ottavio 
Morali già Professore di Lettere Greche , ora vicebibliotecario 
di Brera, ed in Bologna altro Letterato di grandissima autorità, 
ed in Lucca S. Ec. il sig. Marchese Cesare Lucchesini, tanto 
erudito nelle antiche e sibi Lingue d’ Europa, abbiano 
di questo libro dato lo stesso giudizio , che noi. Del quale ul= 
timo giovi qui riportare l’ autorevole parere, come trovasi 
espresso nella lettera, che segue scritta ad un suo Amico in 
Milano . 

AB. GIOVANNI PAGNI 
Amico, e Padrone stimatissimo. 

Sono in villa, dove domenica in ora tarda ricevei le lettere 
di Pamfilo a Polifilo sopra |’ Apologia del libro della volgare 
eloquenza di Dante. Le lessi subito, ma non potei il dì se- 
guente avvisar Lei di averle ricevute, siccome fo adesso. La causa 
della lingua Toscana bersagliata da alcuni con gran calore è stata 
difesa in queste Lettere con sì forti ragioni, che, a mio giudi- 
zio, non si può desiderare di più. La vera critica domina in tut- 
to, quanto il libro, ed incalza sempre l’ applaudito Autore della 
Apologia, talchè non gli lascia modo di replicare ragionevolmente. 
Aî molti, e validi argomenti , che I autore adduce , ed alle incon- 
trastabili risposte da lui date alle obiezioni, mi permetta d'ag- 
giungere una osservazione fondata nella esperienza propria. Si 
oppone l’ esempio del Petrarca, il quale di sette anni fu co- 
stretto ad abbandonar la Toscana, dalla quale poi visse quasi 
sempre lontano. Esule in così tenera età non potè (secondo gli 
oppositori ) conservar la' memoria della lingua natia, e perciò 
la lingua da lui adoperata nelle sue rime non può essere Toscana , 
ma sì la comune d’ Italia. Io nacqui in Lucca di Padre Modenese, 
e di Madre Lucchese , e di cinque anni fui condotto a Modena. 
Di sette entrai nel Collegio di quella Città, dove i superiori 
che mi reggevano , i maestri che mi erudivano, i fanciulli che 
mi erano compagni, e i camerieri che mi servivano tutti parlavano 
la lingua Modenese , e solo iv co’ miei due fratelli parlammo sem- 
pre Toscano. Lo stesso è avvenuto a tutti quanti sono i Toscani »- 
che prima o dopo noi sono stati in quello, o in altri Collegi di 
Lombardia. Niuna maraviglia è dunque, che ciò sia accaduto an- 
che al Petrarca, il quale non in un Collegio, ma vivendo fra le 


532 

domestiche pareti, e spesso con gli altri Ghibellini Toscani colà 
rifuggiti aveva modo di conservar la memoria del linguaggiò natio. 
"Torno per poco alle lettere di Pamfilo. To non le commendo 
solamente per la giusta critica, che in esse si scorge, ma .an- 
cora per la moderazione , con cui sono scritte, per la chiarezza, 
e per la purità della lingua. In somma il libro è aureo in tutte le 
sue parti. Tale è la mia opinione, e tengo per fermo, che Ella 

non dissentirà da me. Mi ami, e mi creda uan 

$S. Pancrazio 26 Luglio 1821. rpg 

143. (391 

Suo Devotiss. Servitore ed ;Amice 
CESARE LUCCHESINI. 


Enrori bI PAOLO GIOVIO NELLE STORIE ; ir sli Br 
WEDETTO VARCHI tratta da un codice della gia Libreria 
Mestiere di Firenze . ados 

Questa operetta del Varchi è stata ritrovata in un codice 
Rin da Vincenzo Follini , bibliotecario. della Magtiabe+ 
china, e diligentissimo indagatore di tutte le cose che pentene 
gono alla patria . Quindi ei 1° ha inserita «in quella collezione 
d' opuscoli che pubblica il Cav. Francesco Inghirami!.mella Ba- 
dia di Fiesole . Dopo di che noi crediamo che ogni! tibraiò, che 
ristampi la storia fiorentina del Giovio , dovrà aggiungervi que» 
ste considerazioni del Varchi. Noi ne citeremo alcune perdi» 
mostrare quanto il racconto o le opinioni del Gioxio. fossero 
diverse allo stato vero delle cose . tir (8209 

3; Quando il Giovio dice che Luigi Geticaiazdini rgonfalot 
es de; era desideroso’ della libertà , questo non è semplicemente 
vero;; perchè prima è dubbio , anzi si crede per molti/che egli 
tenesse il piè in due staffe, poi egli non amava la libertà, 
essendo dalla parte de’ Medici , ma lo stato alquanto più largo ,,. 

,5 Nota dove discorre sopra la natura del popolo finrentino, 
ini pare che metta troppa mavza , perchè i fiorentini per lo 
più sono come gli altri uomini degli altyi paesi; e brevemente 
i particolari si possono in molte cose biasimare , ma l’ univer- 
sale per mio giudizio è di grandissima lode quasi in tutti. E 
quando egli dice che tengono un modo di vivere stretto e as- 
segnato , non so se vuole lodargli o biasimargli . E. quando se 
guita alla manicra degli antichi greci , de’ quali essi som 


i 535 
Reati ;;non.$0 id’'onde cavato s’ abbia che i fiorentini sieno. di- 
scesi» da’ greci:» so bene che discesero da Fiesole ab antiquo, 
e da’soldati di. Silla. E quando racconta le discordie loro e , 
l’ uccisioni: dice vero; ma il medesimo hanno fatto quasi tutte 
1’ altre repubbliche , e Roma più che tutte insieme » 

3; Dice qui che la calamità di Clemente avrebbe tratto 
vere e pietose lagrime da uomini ancora stranissimi; e al- 
trove e nella vita del cardinale Colonna dice , che a niuno in- 
cresceva di Clemente , perchè avea offeso tutti , ponendo a’ preti 
decime , ritenendo i danari degli uffizi, e levando il salario 

ea’ dottori ec. ,, 
,, È pur da ridere quando il Giovio dice : Clemente VII. 
osservando il titolo della pietà cristiana, ed avendo com- 
passione alle miserie d’ Italia , ec. : come se ciò avesse fatto 
per pietà e compassione , e mon per ira e sdegno; per non 
dire furore e rabbia . E più è da maravigliarsi quando seguita: 
la nobilissima città di Firenze era oppressa dalla vitupe- 
rosa e \gravissina tirannia de’ popolari e degli uomini igno- 
ranti ec. chiamando tirannia quello ‘stato ch’ era tenuto libero, 
. se bene era più licenzioso del dovere ; e' lo stato de’ Medici, 
che: era tirannia, usa chiamare libertà . ,, 

--il Queste ed altre cose par che giustifichino la sentenza del 
Varchi , allorche diceva : i Giovio non intendeva nè gli umori 
di Firenze; ‘nè la potestà de’ Magistrati , nè l’ ordine della 
repubblica. E il Varchi poteva ben proferire sì franco giudi- 
2i0;, poichè aveva sommamente studiato negli uomini e nelle 
cose prima di comporre la sua storia ; siccome ne avverte lil 
Follini nella. sua dotta prefazione , citando gli studi originali 
fatti dal Varchi, che si conservano nella Magliabechiana . 

Il Varchi soggiunge pure le seguenti parole che mostrano 
evidentemente quale fiducia debbasi da noi riporre nel Giovio . 

3; Non voglio lasciar qui di dire, come avendo il Giovio 
lodato nella storia Alamanno de’ Pazzi... e fatto menzione an- 
cora di Piero, chiamato Pieraccione Capponi : questi due, 
mentre che si stampava quel foglio dove si faceva. menzione 

di loro, se n’ andarono a *rovare il Giovio che era in Firenze, 
e'con brusco viso e buone parole, mescolandovi però alcune 
quasi minacce , gli dissero in somma che a patto niuno. non 
volevano essere menzionati nelle sue storie, e tanto fecero e 
dissero ; che. hisognò che egli facesse stracciare il foglio ch'era 


534 

di già stampato, e gli levasse . E questo fu manifesto. a molti. 
Ed io ne posso fare pienissima testimonianza , perciocchè il 
Giovio si dolse con esso meco oltra ogni misura ; e questo fa- 
cea più che per altro, penso io, perchè era usato che gli 
altri, i quali volevano essere in sulle sue storie , lo, pregassero 
e lo presentassero; come so io d’ alcuni : e costoro ja chi a 
lui pareva aver fatto questo piacere e favore in dono , l’ aveano» 
rifiutato, e tanto più che a lui pareva di lodargli grandemen- 
te:.... Ed io mi ricordo mentre che egli gridava ‘infino al 
cielo. poco meno che gittandosi via per questo fatto che io gli 
domandai ( se bene io lo sapeva ), dicevate voi il vero? Ed 
egli rispose., come , nol sapete voi? Perchè io ‘soggiunsi , bene, 
io per me non gli avrei levati. Ed egli rispose : voglio che 
me ne preghino . E come avvennero queste ; così si può pre- 
sumere che ne siano dell’ altre avvenute, quanto al levare @ 
al porre ora questi ed ora quelli delle sue storie ,} hi 

Il Varchi stesso però ha mancato alcun poco di critica nel 
seguente discorso . ,; Quando il Giovio racconta |’ orazioni fatte 
da’ »giovàni per cagione della milizia ; mostra bene che favellava” 
a caso. E nel vero, se niuno s° intendeva | poco delle lettere 
toscane , egli era quel desso , perchè, oltta a quello ‘che gli 
sentii dire io più volte ( come dire ; che il. Morgante era sì 
bello; e forse più dell’ Ariosto; e cotali altre sciocchezze ), le > 
lettere sue volgarmente scritte , delle quali io ho parecchie } 
lo mostrano. Ma che più ? Non dice egli nella vita di Niccolò: 
Macchiavelli} che il suo stile è più bello di quello ‘delle ‘no* 
velle'del Boccaccio ? Cosa tanto vera quanto che egli serivesse 
le storie con verità » favello sempre delle Blireniiani > che dell’ 
altra voglio lasciar dare il: giudizio ad altri ;; . 

A me pare che sia una vera scincchezza il ‘paragonare ; | 
non che l’ anteporre , il Morgante all’ Ariosto. Ma ‘mi sembra 
pure una sciocchezza il credere lo stile del Macchiavelli meno 
bello dello stile del Boccaccio . Amendue sono ottimi nella va- 
ria maniera delle loro composizioni: E chi detterà la storia, 
imiterà il primo : chi scriverà movelle , studierà' nel secondo . 
E le opere del Varchi, tuttochè ottime sieno‘, sarebbero lette 
con più piacere , se egli avesse imitato alquanto la maestosa è 
giudiziosa breviloquenza del segretario Fiorentino . 


CVA: BENCI 


BE 


| 535. 
VAI Sig. Edit. dell’ Antologia. 


Livorno ne’ 7. Dec. 1821... 


Non so se più debba ringraziarvi, 0 meco stesso  dolermi 
per la premura con cui avete stampato il mio ,, Ragionamento 
sullo stato presente della lingua Greca ;, perchè avrei desi- 
derato farvi varie alterazioni ed aggiunte delle quali vi accen- 
nerò solo le seguenti. | 

La prima alterazione ed essenzialissi ma sarebbe stata quel- 
la della voce Romaica voce che non so come ‘indotto dall’ e- 
sempio. degli oltramontani mi sono lasciato stuggire dalla penna, 
e che è voce impropria riguardo alla lingua, perchè indica 
una distinzione dalla lingua antica ossia Ellenica che realmente 
non esiste , ed è servile riguardo alla nazione , come, quella 
che dai Romani fu, imposta ai Greci come denominazione di 
dipendenza e di servitù . 

Avrei ancora voluto in una nota parlare di alcuni Greci 
moderni i quali sparsero in Italia i lumi delle lettere come. 
di.un Argiropulo.,.di un Lascari , di un Crisolora , di un Ga- 
za 4 di, un Calcondile edi altri molti, e fra i viventi di un 
Foscolo, che di tante opere ha arrichita la letteratura Italiana ; 
ed..ora la sparge fra gl’ Inglesi in va rj giornali letterarj., e di 
una Angelica Palli che Livorno ha la. fortuna di possedere ; e 
che nel fior degli anni già riconosciuta per una delle prime 
poetesse| estemporanee d’Italia, ora s’inalza a più durevol 
gloria seguendo la carriera del Sofocle Artigiano , e che da due 
tragedie il  Tieste e la Giulietta , date alle scene porge all’.Ita- 
lia speranza di veder sorgere un nuovo e valido sostegno della 
sua gloria drammatica . 

Forse queste aggiunte sarebbero state estranee al soggetto 
principale , e potrò con maggior proprietà trarne materia per 
altro articolo ; ma la soppressione della voce Romaica mi stà. 
a cuore , onde vi prego se in altra maniera mon potete appa- 
garmi di far conoscere almeno questa mia ansietà . 

Credetemi intanto . | 

Vostro devot, serva 
E. ELLENOFILO. 


Errat. pag. 441, nota. vat Z7ib - leggasi. das Veil. 


536 

Bibliotheca Classica. Graeca , cur..\typoth: gerr:Ga fl. 
Schaefero . 8. min. Lipsiae ap. J. A. G.. Ieigel. th 

Nel num 11. pag. 370. di questo Giornale noi abbiam data 
contezza «ai nostri eruditi Lettori della nuova Raccolta dei Clas- 
sici Latini, che si va pubblicando a Torino presso la vedova . 
Pomba e figlio ; ed applaudimmo ; come ragion voleva , all' ot- 
timo consiglio da essa preso di porgere con tal mezzo ogni più 
facile ed. opportuna occasione ai buoni studj, e contribuire 
alla migliore intelligenza di quelli scrittori , che ne formano il 
principalissimo oggetto, somministrando dei Testi. emendati e 
corretti non solo, ma forniti ancora delle più utili ed impor- 
tanti osservazioni e scoperte , che in fatto di Filologìa son state 
fatte in questi ultimi tempi per opera di eccellentissimi inge- 
gni sì Italiani, che Oltramontani. Ma se gran lode si. debbe 
al saggio divisamento di questa nostra. egregia. Italiana,, , non 
minor plauso egli è giusto che sia fatto, eziandio aì  prestantis. 
simo Sig. Giovanni Augusto Amaddio ‘Weigel. di Lipsia,, che 
ultimamente ha intrapresa la stampa di. una Biblioteca, Glas- 
sica. Greca , nella quale egli viene a raccogliere l’intera serie 
de’ Greci Scrittori. Quanto possano e debbano gli eruditi ri- 
promettersi dalle dotte cure del Sig. Weigel. mon è a dirsi,; 
perciocchè i suoi meriti, ed i vantaggi recati alla letteraria re- 
pubblica, per tante belle, magnifiche, e. pregiatissime. Edi 
zioni di Greci Autori, finquì da lui procurate, sono oggimai 
sì conosciuti ed universalmente encomiati ,, che non\abbisognano 
di ragionamento , o d’ elogio. Pel fatto poi di questa, raccolta 
basti il dire; aver ella fino dal suo incominciamento , ottenuti 
pienissimi suffragj, e in Alemagna , e fuori , di essa, appresso 
ogni culta e civile Nazione . Lo stesso celebre . Coray ha, di 
recente assaissimo lodata , e raccomandata: ai Greci suoi com» 
patriotti, come cosa che può moltissimo contribuire appresso 
loro al ristabilimento de’ buoni studj . Quindi nulla si tralascia 
dall’ egregio Editore , affine di assicurare a questa sua impresa 
una verace e durevole riputazione . Ed otterralla di fatto : per- 
ciocchè nulla è a desiderarsi quanto all’ emendazione dei Testi, 
essendosi prese per norma le più celebri ed accreditate passate 
impressioni ; nulla quanto alla correzion tipografica , avendone 
assunta la cura il dottissimo Prof. Schaefer, sì benemerito 
dell’ antica Letteratura; nulla finalmente, quanto a’ pregj estrin- + 
seci della stampa, poichè questa. Raccolta verrà buttaquanta 


n 


"539 
compresa in volumetti di piccola mole , agevolissimi all’ uso, 
di carta nitida, e caratteri non solo di forme bellissime , ma 
ancora chiari, distinti, ed a leggersi facilissimi . Nè questi 
soli vantaggi adorneranno la nuova Biblioteca Classica ‘Weige- 
liana ma sarà ella ancora viepiù commendabile per le molte 
recensioni e'collazioni di Codici Manoscritti , le quali sono state 
già fatte nelle più cospicue Biblioteche d’ Europa da Letterati 
espertissimi , affine di rendere più emendato e corretto il Te- 
sto con buone e giudiziose lezioni. A ciò si aggiunga , che in 
molti Scrittori si è avuta la diligenza di conservare il numero 
delle pagine delle Edizioni anteriormente citate , e di notare il 
numero de’ versi negli scrittori di Poesia ; e in quelli di Prosa 
sonosi ai luoghi opportuni posti argomenti latini, dimodochè 
ogni riscontro può farsi colla massima facilità . Andrà poi unita 
a questa Biblioteca una nuova collezione di Scolj Greci. Il 
primo volume di essa conterrà quelli di Proclo sul Convito di 
Platone illustrati con note del Ch. Sig. Boissonade ; ed ecco 
come essà verrà a ‘mobilitarsi anche per il pregio della critica 
e'della' ‘erudizione . Parecchi volumi di questa Biblioteca sono 
già ‘pubblicati, e possono ancora , ( ciò che conferisce mol- 
tisstitio al vantaggio degli studiosi ) aversi a prezzi, quanto 
miai moderati‘ e discreti. Rispetto alle Opere di Platone ; ché 
sono già sotto il torchio , saranno divise in otto Volumi, ed 
àvrinno il corredo di un Apparato Critico, che ‘da dieci 
dnnî csi ‘sta ‘preparando dall’ Editore, che, a dire il vero, 
fon tisparmia! né cure, nè spese di sorta alcuna, affine di 
Weder ‘condotta all’ esito il più felice questa sua letteraria int 
trapresa. Ma perchè il tutto fia più chiaramente maniféstò7 
porremo ‘sotto gli occhi dei nostri leggitori l’ indice degli Au- 
tori, che sono stati finquì pubblicati . 

‘Poctae ‘Tom. I. Aeschylus . — II. Theocritus; Bion èt Moi 
‘schus — III Poetae gnomici. — IV. Callimachus. — V! 
Anacreontica cum ‘aliis Lyricis. — VI. Apollonius Rhodius-. 
— VII Orphica. — VIII. Hesiodus. — IX. Sophocles. 
X. XI. Aristophanes 2 Tomi. — XII. a XIV. Euripides e 
rec. A. Matthiae. — Tom. XV. a XVIII. Homerus. 

Scriptores Prosaici. — Tom. I. Aeschines. — II. Xé- 
nophontis Cyropaedia. — III. Oeconomicus ete. — IV. a 
VI Pausanias, e nova rec. Siebelis. — Tom.®VII. a IX. 


Herodotus'. = X. Xenophontis Expeditio Cyriì: = XI- Histo- 


- 638 l 
ria graeca. — XII. Mensorabilia. — ‘XIILOpuscula polit. 
equestr. et ven. — XIV. XV. Thucydides. 2 Tomi. — XVI 
a XXIV. Platarchi vitae parali. cogn. Schaeferi. Tom. I. a IX. — 
Tom. XXV. Herodianus. — XXVI. Plato. T. I. 

Scholia. — Tom. I. Procli Scholia in Platonis Cratyl. 
ed. et-not. adi. Boissonade . 


D'F. 
NOTIZIE DI ARCHEOLOGIA ORIENTALE 


Antiquitatis Muhammedanae Monumenta varia. Explicuit 
C. M. Fraehn Theologiae , et Philosophiae Doctor , et AA. LL. 
Magister. Petropoli ( Pietroburgo ) 1820. 


Questo libretto di 76 pagine in 4.9, non compresevi le quat- 
tro al Lettore, contiene un giudizioso Commentario sopra due 
Iscrizioni Arabiche in caratteri Cufici, che portano i titoli seguen- 
ti/ Epitaphium Cuficum Melitense , et Onyx Cuficus' Sorano- 
Neapolitanus. 

Sorprendono veramente , il.ricco apparato di Arabica erudi- 
zione , e Ja sagace critica , onde si conduce il chiarissimo Autore 
di questo Opuscolo , alla retta , e genuina interpetrazione di due 
Monumenti difficilissimi. Egli vince con questi mezzi, efficacis- 
simi in tal materia , tutti gli ostacoli, ove inciamparono , tentando 
la stessa cosa, i Signori Tychsen, Adler. ed Italinsky, fra gli 
altri, benchè d’altronde dottissimi, e delle cose Orientali cono- 
scitori profondi; per non parlare della sfacciata impostura del- 
l’ Abate Vella. Costui fece credere al suo Sovrano il Re di Napoli, 
che dall’ Iscrizione dell’ Onice di cui parliamo, aveva ricavato, 
che questa era stata fatta incidere da Rogero Normanno, fondato- 
re del Regno di Sicilia , nella solennità delle sue nozze; mentre 
non-contiene altra cosa che una bella sentenza morale tratta dal 
Korano. La quale impostura scoperse prima d’ oghi altro il bene- 
merito della Filologia Orientale Signor Professore Hager, della 
savia critica , e della schietta verità sostenitore caldissimo. 

Tanto è vero, come già disse l incomparabile Orientalista 
Signor Silvestro de Sacy , nella sua Memoria sopra alcune Iscri- 
‘zioni Arabiche esistenti in Portogallo , che per ispiegare con buon 
successo le Iscrizioni medesime, ed altri Monumenti dello stesso 
‘ genere , non basta avere una perizia anche profonda della lingua 


539 


iù cui sono scritti; ma. bisogna aggiungere a questa indispensabile 
coguizione , anche quella del genio, delle idee , delle opinioni re- 
ligiose , e dei pregiudizii medesimi della Nazione , alla quale ap- 
partengono tai Monumenti ; bisogna conoscere le formule. che le 
sono più familiari, avere irnparato a distinguere quelle che sono 
più specialmente appropriate a ciascuna specie di Monumenti , ed 
essersi finalmente addimesticato cogli avanzi dell’ antichità me- 
diante un lungo esercizio ; senza questi studii preliminari , e ben 
diretti all’ oggetto che prendon di mira , la sagacità natnrale, non 
serve spesso che a farci smarrire , sostituendo alla realtà un’ ap- 
parenza più brillante che solida. 

Che il chiarissimo Signor Fraehn possegga eminentemente 
tutte le qualità sopra indicate , deducesi abbastanza dall’ Opu- ‘ 
scolo che ora annunziamo , e di cui daremo in seguito un estrat- 
to analitico. Giovi intanto avvertire , che questo. libretto. può 
servir ad un tempo per Modello di urbanità , in fatto di criti- 
ca, osservando la rispettosa maniera usata dal nostro Autore, 
verso quei dotti, che prima di lui andarono errati, nel deci- 
frare i ‘Monumenti in questione. 


\ D. V. 


«AVVISO 


Dacchè il giornale dell’ Antologia ha incominciato ad 
essere composto essenzialmente d’articoli originali, mi sono 
avveduto di avere presso di me una quantità di traduzioni 
inedite, che mi era procurate anticipatamente per il miglior 
successo dell’ intrapresa. Cedendo alle istanze di diversi ami- 
ici mi son determinato a pubblicare in un volume a parte 
le più interessanti di queste traduzioni , sperando che i miei 
associati non ricuseranno di fare acquisto di questo volume , 
il- quale può considerarsi come il complemento dell’ Anto- 
logia per l’anno 1821. Pure non darò esecuzione al pro- 
getto, finchè i miei associati non vi avranno acconsentito, 
mandandomi la loro firma, e accettazione. 

Appena avrò riunite 250 firme, sarà posta mano alla 
stampa. 


540 

Questo volume porterà il titolo di Sepplemento al. 
VP Antologia per l’anno 1821, 

Sarà composto di 15 fogli, e stampato in carta e ser 
sto dell’ Antologia, e in carattere filosofia. Il prezzo è fis» 
sato a paoli 5 per gli associati dell’ Antologia, e paoli 6 
per gli altri. Sarà pagato alla consegna del volume. I non 
associati riceveranno contemporaneamente un frontespizio 
col titolo: Raccolta di opuscoli letterarj tradotti ec, Con- 
fido che la mia proposizione sarà gradita. 


VIEUSSEUX. 


Fine del Tomo Quarto. 


Indio 
Delle materno corterus® r7e/ quarto 
WAimo 


| dz e Moral > Foltifcho 
dsserva Dt I Uulle 10 Se iena 
che è (efferato chose pufilicano 
AS sgliltara 5 bag. 36} 
(onfinazione de racconti Adelvee - 


Pero Minie 0.3 è. 370 
fina dello giri peabblriha Ze 
brogerini dr Varigi ILA 


sirio e. eg r0r2) Adell Gpere 9 Golia PREDA: 
OM (egifaziino crimiralo (Giu}.3%1 
Irugior Slavia & poltitia% 
CAI 9 Bayral( jd], 422. 
pi polisito Jar popo della nuo. 
ve (pagra) di Samfill (£ #9)51n 
VAZZZZA di NaotB Giors r2ello Sr 16) ca, 
10% B Varchi, (A Bene) + 532 


Seografo e Vizggi 
Line meloro ale cole? aovabili 
AS (a/eniino e Dellh9 Valla FT: 


Serra? CD) (CA. Benci}. 66 20; 
Se OT oo 


Vaggi 4, ; 
LFagguagli PA eraggi 9 (uillawd ro SUA n 17% 

Vluovo craggià di Scoperte rel'Gfua Jelég1S2. 

Laggueglt de ‘raggi di Burchell Pell 

if; meridionali «18% 
Via gg: erifteo all’ fa Or goal 3) 229. 
) del crg (0 de Belzori in (i ZA 

o MIubiso Ia (LBI) + 283 
Vasporié del 7Pizio N Vempi di Ir. 

Sira in area - 365 
Societa gcogra Ga ormara ir farigi . 36€ 
Spedigiorò Pur per (MO « per / 
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| OSSERVAZIONI 
METEOROLOGICHE 


FATTE NELL’'OSSERVATORIO XIMENIANO 
DELLESCUOLE PIE DIFIRENZE 
Alto sopra il livello del mare piedi 201. 


OTTOBRE 1821. 


CMATIENA NA DRE SS SO 


SSA ci gi w 
Wi Ca -T9|tL8 3 2.5 Fenomeni 
:8 5 DI &|8/8S EB 9.3 
E - 3 3 (2 d 2 Ca di vario genere 
Ò e Ò (e) î c, Dei 
poll: lin. d Pali FAO ) i 
1/28. 0,1 | 1159 $:0/90 Maest. {Sereno Calma 
2128. 0,3 | 11,4 9d|92 Scir. . |Ser. con nebb.jCalma 
3/28. 1,1 | 12,3, 11,9|90 Scir. |Ser. con nebb. Calma 
428. 1,4 | 13,1| 11,990 Scir. |Ser. con nebb. Calma 
14 0,4 | 14,0] 13,482 Scir; | Nebbie Calma 
6|28. ‘0,4 | 13,1] 12,8[90 Scir. RINO Calma i 
7|28. 2,1-| 14,0] 14,2|199]11358(Gr. Tr. | Pioggia Calua, piov. nella notte. 
8/28. 2,1 | 14,0] 14,7|100].1,45/Lev.. | Piovoso Vent. Piog. nella notte 
i 9528. 1,4 | 14,5] 14,8|190/ 0,03/Scir. |Nuvolo 
10|28. 1,4 | (3,0 14,9/90 bev.. . {Nuvolo 
1128. 0,1 | 14,0] 13,0 90! + |Gr.Tr.  Mistò ‘Ventò. è 
12 25., 0,4 {4459 13,3 90! {Gr.Tr. Misto Vento 
1328. 2,0N 13,1] 11 71/99 Scir. |Sereno ‘Gata - 
1428. 2,9 14,91 11,9|93| Scir.. ‘Sereno Calma” 
195/28. ‘1,5 | 15, ol 12,4 100 0,18 Levan. Piovoso' Ven. -Piog. e tuoni nella” 
| | | | notte. 
16/27. 11,0 | 14,0 wa vo O) 64 Ostro Piano Calma 
17|27- L13O|'I2,KE LI35 ;8 Lev. |Sereno Calma 
:18]27. 10,7 | 12,3| 11, s|90 Scir. ‘Coperto Calma 
19|27. 10,55! 11,4| 10,418 Tr Misto Ventic. neve ai monti 
120|27 10,5 | di 10, (as Lev [Séreno Calma 
LA RNA EU 
21127. 9,6 | 11,4] gi Li Scir. |Sereno Calma 
22 27. 8,1 | 12,7, 12,0 90 Scir. |Nuvolo oscuro Venticello 
2327. 10,0 | 11,4 8, o 100. 0.60 Scir. |Nebbie Galma 
24123. 0,0 | 11,0 9,0 100 0,02 Lib. | Nebbioso Galma 
125/27. 97 |1 (a) 10, idr 0,61 Gr.Tr. Piovoso Calma 
126/28. 0,0 | 10,6 11,6 80 Tr. Ser. con nuy. | Galma 
27/28. 1,1 | 11,0 11,6 88 0,04 Tr. Nuvoloso Vento 
2828. 2,1 | 11,0 10,5 80, Tr, Sereno Vento orte 
12928. 3,2 | 10,1 10,5 75 dint Ser. limpido | Vento 
30 28. 2,6 8, 3 8,9 70 G. Lev Sereno Calma 
É ini 1,7 | ro,1} 7,0 80 Sc.Lev Sereno Calma 


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1128. 0,3 frie 16,483 
12/23. 1,2 | 14,5. 17,9 80 
(13.28. 2,3 | 145 16,403 
14/28. 2,55 15,0 dei 
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Gr. Tr.|Sereno Calma 

Os. Sci. Caliginoso Venticello 

Lib.°  |Ser. con nebb. Calma 

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Ser. con nuv. 


Ser. con nuv. 


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. 0,7 | 15,5 14,5 go], |Lib. ‘Ser. connebb. Calma | 
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1,6 | 15,0 15, 0 100 Scir.  Nuvolo Calma | 
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0,2 | 15,6| 15,0 90| ir Nuvolo Venticello | 
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1,4 | 15,0| 14,0 90 Lev. |Sereno Venticello | 
2,7 | 15,0: 13,6 89 Gr. Tr. {Sereno Venticello |R 
2,0 16,0) 15,0 100 Lev. _|Misto Calma Il 
0,6 165, 14,0 100] 0,02 Lev. |Coperto Calma | 
. 11,1 } 14,0 12,7/90 _ {Gr.Lev. Vario Calma Ì 
- 11L |14,0 12,3 85 ‘Gr. Tr. Misto Calma i 
10,7 12,3 11,4 190 'Lib. . Nuvolo Calma 
10,3 | 11,0 9,7 84! Gr. Tr. Sereno Venticello | o 
9,6 | 12,3. 10,6 it (Gr. Tr. Sereno Calma | 
a | ì 
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27. 9,0 | 12,7: 12,3 90! Scir.L. Coperto Venticello i 
9,5 | 12,3 12,3 100. 0,02 Scir.L. Coperto Calma i) 
+ ‘169 11, 9,7 95 0,12 Scir. ‘Sereno Calma 
10,1 { 11,4 11,4 100 @,13 Lev. Piovoso Calma 
. 11,4 | 10,6 11,4 80 0,03 Gr. Tr. Nuvolo Vento 
| Vita) | peo i 
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26 28. 0,0 | 11,4 11;0/90 #1 Nuvolo Vento 
‘27 28. 1,7: 11,9 11,4 80 Tr. Gr. {Sereno Vento | 
128 28. 2,7. 11,9 11,4 80 Tr. Gr.| Sereno Vento 
29 28. 2,7 | 11,4 11,4 80 Tr. Gr. | Sereno Vento 
30 28. 1,6 10,6 93 70 Scir. L. Sereno Vento 
‘31,18. (Greco |Sereno Calma 


| OSSERVAZIONI 
METEOROLOGICHE 


FATTE NELL’ OSSERVATORIO XIMENIANO 
DELLESCUOLEPIE DIFIRENZE 
WIN 


Alto sopra il livello del mare piedi 201. 


NOVEMBRE 1821. 


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4 28. 2,5 | 10,6 9,7; 93 Se.Lev Nuvolo Venticello 
5 27. 9,1 | 11,3| 11,9] 88 Ostro .Piovoso Vento forte 
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6128. 0,75) 7,9 6,6! 85 LI TOCCTRE - |Ven. neve alle alt. adiac.'‘3| 
| 7|28. 2,9] 7,5) 5,7| 77 Os.Lib | Sereno Venticello 
11 8128. 3,5] 7,9] 6,2] 76 Greco |Sereno Venticello 
928. 3,6 | 7,5] 5,5) 81 Tri Sereno Vento 
10/28. 4,0 | 7,5] 5,7| So “De Sereno Venticello 
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1238. ‘3,9% 0,2) ‘2,3 90 Scir. ‘Sereno Calma. Brinata 
D3 BI 3 5,0. 2,1} 94 ‘Sc.Lev Sereno Venticello. Brinata 
14.28. 4,89 7,7! 5) 95 Scir.L. Ser. con neb. Calma a Pon. 
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17 28. 3,8 | 10,2 9,3 97 Tr. 'Nebbioso Calma perfetta 
{13 28. 4,7 {10,6 10,2! 97 Ostro Nebbioso |Calma perfetta 
#19 28. 5,2. 11,1 \Ir,1 GO) Os.Sci. Nebbioso Calma 


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22 28. 2,4 | 11,9 10,6 97 G. Lev Nebbioso Calma 
23 28- 1,4 | 12,4 (11,1 90 Ostro | Nebbioso Venticello 
24138. 1,1 (|MLLd 953:100 Tr. ‘Ser. conneb. Venticello 


'Ost.L. Nebbioso | Venticello 


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Ostro Nebbioso Calma. 
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a lione - ai 


AI LETTORI 


Ciani si proponga un utile scopo, può senza 
wergogna confessar d’ essersi ingannato, ogni volta, che 
del suo errore venga a farlo accorto l’esperienza. E. a 
ciò s'induce con lieto animo quando la fortuna gli sia 
di tanto benigna, ch’ egli possa per altra via giungere 
al suo fine: Le censure degli emuli; e i consigli degli 
amici mi hanno convinto : i 

I° Che qualunque sia il merito. dei Giornali 
francesi essi sono troppo noti all’ Italia, perchè i suoi 
dotti possano appagarsi di vederne con tanta frequenza 
igli estratti tradotti nell’ Antologia . 

II.° Che la facilità colla quale ognuno si procura 
quelli , fra gli scritti pubblicati in Francia, che destano 
o curiosità di leggerli, o desiderio di possederli, sce- 
ma agli occhi di tutti il pregio d’ ogni versione che far 
se ne possa nella nostra lingua. 
© 0 ILL. Che traduzioni dall’ inglese , e dal tedesco. È 
idiomi tanto men del francese conosciuti fra noi, riu- 
scirebbero per avventura e più utili all’ Italia , e più 
accette ai nostri lettori, 


2 

IV. Che pure in questo caso, e dato ancora che 
nell’ eleggete gli scritti da recarsi nella nostra favella , 
‘ a me non mancasse mai |’ accorgimento, e al traduttori 
la diligenza, dorrebbe ciò non ostante ai miei associati 
che in un giornale che si stampa nel cuor dell’ Italia 
non si facesse mai parola dei nostri libri, e dell’ opinio- 
ni che i chiari ingegni del nostro bel paese portano in- 
torno all’ opere che si pubblicano oltremonte . 

E a questi avvertimenti datimi dagl’italiani si sono 
aggiunti ancor quelli dei miei corrispondenti fuori della 
penisola ; i quali s' augurano un buon successo della 
mia impresa , qualora io faccia profitto dell’ accennate 
considerazioni. r 

Veramente alcurie fra queste non mi furono nasco- 
se ? ma non volli promettere al pubblico più di quello 
che fosse allora in poter mio di mantenere . In. fatti 
trattavasi in' quel tempo in. Firenze di fare un Giornale 
che sarebbe stato diretto da:personaggio eminente e pér 
ingegno e per fortuna ;:e al me di gareggiar con. esso lui 
cader non potea nel pensiero; Ma per mia: somma ventu» 
ra egli ha:di recente abbandonato. un progetio che mi. 
facea difficile di tenere una viadiversa da quella chî id 
segnava; e ho trovato un aiuto efficace là dove cangiar 
do modo temer dovea una pericolosa concorrenza» ia 
niodestia di quel generoso: mi vieta di palesàrne il no- 
me: ma voglio ch' egli almeno sappia quanto io: soi gra 
to alla tara cortesia colla quale ei mi fa donò. ei molti 
scritti; che per fregiarne il giornale ch’ ei preparava, 
composero alcuni fra i più valenti'tetterati italranpi 

L' Antologia, che al presente assume ini. aspetto 
pressochè nuove, e con fortunati auspicj si volge: a più 
nobile seopo, contimuerà a pubblicarsi ogni mese 3 A 
fascicoli saranno di dieci fogli per lo meno. 


3 

Si comporrà per quanto mi sarà possibile di lavori 
originali, e in mancanza di questi darò, la preferenza 
alle versioni dall’ inglese e dal tedesco. Le memorie , 
le analisi e gli estratti d’ opere d’ ogni genere avranno 
luogo nell’ Antologia; ma, come avvertil, non così or- 
dinatamente, ch'io sia costretto a sospendere la pubbli- 
cazione di qualche articolo di somma importanza , che 
mi giunga prima che sia interamente stampato un fa- 
scicolo del mio Giornale . Quindi avvenir potrà che una 
traduzione si trovi framezzo a due scritti originali, e 
qualche ragguaglio scientifico stia in fra due che s° ag- 
girano sulle belle arti. 

Io mi posi a questa fatica senza aver tal’ numero 
d’ associati , che mi coprisse dalle spese : ma per questo 
non mi venne meno il coraggio . Or voglio sperare che 
mercè del nuovo sistema per me seguito potrò perseve- 
rare nel mio intento, nel quale tutti desiderar dovreb- 
bero ch’ io riuscissi , seppure l’amor dell’ opera che in- 
trapresi non m’ inganna . To prego quanti nell’ Italia , 
e particolarmente in Toscana coltivano le lettere e le 
scienze ad essermi cortesi d’ alcuno degli onorati frutti 
dei loro studj. 

Essi possono esser certi della mia riconoscenza , e 
del segreto che saprò custodire, quando ad essi non piac- 
cia di manifestarsi per autori di quegli scritti dei quali 
onorar vorranno l’ Antologia . 


Firenze 20. Aprile 1821, 


L’ EDITORE DELL’ ANTOLOGIA 


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