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Full text of "Archivio della R. Deputazione romana di storia patria"

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RQHIue  SOGieTl' R05E3IRH 
DI  STORIH  PlTRm 


^CHIVIO 


deUav 


Società   Romana 


di  Storia  Patria 


Volume  XI. 


Roma 

a    Sede   della    Società 

Ila  Biblioteca  Vallicelliana 
1888 


Roma,  Forzani  e  C,  tip.  del  Senato. 


ne  delia  Vita  e  degli  Scritti 


DEt 


GIUSEPPE  ANTONIO  SALA^ 


J 


Amtonio  Maria  di  Gian  Domenico  Sab 
ntonia  Maria  Corda,  nato  in  Baceno,  co- 
deli' alto  Novarese  nella  valle  Antigono 
Toce,  il  IO  febbraio  1717,  si  trasferi  gio- 
iiy  dove,  conseguito  un  modesto  impiego 
mogliossi  ad  Anna  Sacchetti,  romana,  che 
ne  figliuoli  :  tre  maschi,  Domenico,  Gio- 
Antonio;  e  quattro  femmine.  Teresa, 
Rosalba,  Gertrude. 

ale  notizia  dei  due  coniugi  ho  io  potuto 
orie  domestiche;  raa  se  e  vero  che  dalla 
li  argomenta  quella  deiralbero,  posto  mente 
che  fecero  tutti  e  sette  i  nominati  fi- 
ertezza  affermarsi  che  eglino  possederono 
difficile  arte  deireducare.  La  quale,  an- 
fola  apparenza,  e  ordinariamente  poco  o 
{dovrebbe  essere  tenuta  in  altissimo  pregio 
tori  delle  cose.  E  se  ai  maestri  delle  arti 
le  figure  d'uomini  perfettamente  dipinte 
)  maggiore  dovrebbero  acquistarla  ai  propri 


S7^ST 


77      ■       ■    53 

4tMi.rrr  comtiiol  «Aint 


oos 


G,  Cugnoni 


genitori  quei  figUuolì,  che  per  una  retta  e  savia  edi 
zionc  divennero  compiuti  esemplari  di  virtù  morali  e  c^ 
vili.  E  come  il  merito  di  qualsivoglia  impresa  cresce  - 
misura  della  scarsezza  de*  mezzi  cli*aliri  s'ebbe  a  condurla 
cosi  al  Sala  ed  alla  Sacchetti  è  da  assegnare  il  maggioi 
vanto  di  ottimi  educatori  :  da  che,  sfomiti  in  tutto  d'ogn 
bene  di  fortuna,  con  la  sola  virtù  dell'animo  riusciron* 
ad  apprestare  alla  loro  prole  vita  onorata  ed  agiatissimi. 
Domenico,  nato  il  29  maggio  1747,  notissimo  neU 
curia  sotto  la  denominazione  di  abate  Sala,  per  la  dìvis 
chericale,  che,  sebbene  non  sacerdote,  sempre,  anche  dop 
uscita  di  moda,  costantemente  indossò;  com*ebbc  coir 
piuti  gli  studi  di  diritto  civile  e  canonico,  prese  a  trattar 
presso  le  congregazioni  e  i  dicasteri  della  Sede  romana 
negozi  ecclesiastici  in  servizio  di  monsignor  Pier  Antoni 
Tioli,  a  cui  per  tale  effetto  faceauo  capo  le  principali  die 
cesi  della  Germania.  Fu  questo  il  suo  primo  passo  in  quell 
splendida  e  ricca  carriera,  che,  schiusagli  da  benigna  fo] 
luna,  egli  seppe  percorrere  con  tanta  lode.  E  la  formi 
gli  fu  benigna  per  questa  maniera.  Soleva  il  suo  p; 
sgabellare  e  condurre  in  casa  al  Tioli  gli  spessi  doni,  s] 
civilmente  di  vini,  che  giungeangli  da  più  parti;  e  poi  eh 
in  tale  facccnd:!  usava  diligenza,  e  facea  pruova  di  onest 
s'acquistò  tra  breve  la  stima  e  l'amicizia  del  prelato,  e  t 
cliiamò  sul  figliuolo  la  protezione.  La  quale  cangioss!  be 
presto  in  paterno  affetto  :  perchè  il  Tioli,  tiratosi  in  ca; 
il  giovane  Domenico,  in  lui  le  proprie  cose  e  tutto 
stesso  abbandonò.  E  in  ultimo,  divenuto  presso  che  cieci 
avvisando  non  lontana  la  sua  fine,  rinunziategli  le  propr 
clientele.  Io  instituì  erede  di  tutto  il  suo  avere  (i).  Era 

(i)  Tcstamcntum  Bc.  Me.  R.  P,  D,  Pclri  Anionii  Tioli  apfrtum 
puhìictiium  die  20  nozvmhris  jy^6  in  Actis  Francisci  Oìiveri  Cur.  Ce 
Net.  Intorno  aUa  vita  ed  agli  studi  di  questo  dotto  ed  erudito  prela 
sono  da  consultare  le  Sotiị  delia  Vita  e  delie  Miicdlanu  di  Moni 
Iptor  Pietro   Antonio  Tioli,  nato  in  Crevakuore  a'  ig  fna^gto  ijii,  A 


'Velia  vita  e  degli  scrini  di  G.  e^.  Sala  7 


anto  Domenico,  perfettamente  addestratosi  nel  maneggio 
Idcgli  affari  ecclesiastici,  consegui  nella  Dateria  apostolica  i 
Iduc  rilevanti  uffici  di  amministratore  delle  Componende, 
Ji  depositario  dei  Vacabili,  e  poi  gli  altri  di  uditore  del 
lardinole  pro-datario,    di    succolletcore    de'  Quindenni    e 
elle  Mezze  annate,  e  di  sostituto  della  Via  de  Curia.  Ma 
'più  issai  che  nell'esercizio  di  tali  uffici,  se  ne  valsero  per 
la  suprema  direzione  di  quel  dicastero  i  pontefici  Pio  VI, 
Pio  Vn.  Leone  XII  (i).  Pio  Vili  e  Gregorio  XVI,  consi- 
jliandosi  con  lui  intorno  alle  materie  di  maggiore  impor- 
ne. Perchè  in  Roma,  ove  corresi  facilmente  alle  arguzie 
ifavic  invidia,  o  meraviglia  di  cosi  soverchia  autorità),  veniva 
Dprannominato  il  Papa  nero  (2).  Negli  anni  1798  e  1799, 
ifante  la  canura  di  Pio  VI,  giovò  granttemente  d'opera 
consiglio  monsignor  Michele    Di    Pietro,  lasciato  in 
lonu  dal   papa  cerne  suo  delegato   apostolico  con  pie- 
ezza  Ji  poteri  per  Tamministrazione  de'  negozi  spirituaL'. 
Scirottobre  del   1798  pertossi  a  Firenze,  ove   era  sosce- 
uto  il  pontefice,  per  sottoporre  al  suo  giudizio  un  dise- 


Rcma  a*  20  noi:  ijgó,  Cammere  segreto  di  S.  5.  e  Segretario 
5.  C.  de'  Confini  delia  Stato  ecclesiastico,  raccolte  da  Francesco 
'fUÌ4ri  con  i  catalani  dille  nuiteric  contenute  in  ciascuno  de*  )6  Ko- 
kuiati  alla  Biblioteca  del  SS.  Salvatore  de'  Canonici  Laleranemi 
M  (Pesaro,  Nobili,  1826,  in-8");  scritte  e  pubblicate  per 
litilonc  ed  a  spese  di  Domenico  Sala,  secondo  è  detto  a  pag.  tv 
J56  dì  quel  libro. 
(t)  Leone  XII  avoagli  singolare  affetto,  e  invitavalo  spesso  con 
lictri  confidenziali  a  ber  seco  il  caffè.  Possedeva  il  Sala  una  vigna 
ddU  porta  Angelica  sulla  via  Trionfale;  Leone  spesso  gliene 
tiliva;  e  quegli  un'  giorno  rìsposcgli  tutto  conturbato:  -  Padre 
in  quel  povero  mio  terreno  sì  è  testé  cacciata  una  pestilenza 
'nulctli  voraci,  che  mi  mangiano  ogni  cosa.  -  Il  papa  smascellò 
riw;  egli  stesso  avea  fatto  recare  in  più  sacchi,  da  non  so  quale 
podere,  gran  numero  di  porcellini  d'India,  ordinando  che  si  get- 
'0  QctLi  vigna  del  Sala. 
[  (3)  Motteggiavasì  pure  sul  suo  cognome,  e  diccvasi  che  per  giun- 
ilpipi,  bisognava  passar  per  la  Sala. 


G.  Cugnoni 


gno  di  bolla  da  provvedere,  nel  caso  di  sede  vacante, 
alla  sicura  e  sollecita  elezione  del  nuovo  capo  della 
Chiesa  (i).  E  quel  disegno  fu  approvato,  e  la  bolla  sp«> 
dita,  la  quale  tra  breve  riusd  opportunissima.  Che,  morto 
Pio  VI,  bisognò  adunare  il  conclave  in  Venezia,  E  per- 
chè quel  caso  destava  dubbi  e  incertezze,  fu  il  Sala  inv^ 
tato  dal  collegio  de'  cardinali  a  recarsi  colà,  per  avvi 
co*  suoi  consigli  le  cose  a  buon  fine  (2). 


I 


(i)  Baldassabrt,  Rólaxjom  delle  avversità  e  patimenti  del  glor"*^^** 
papa  Pio  r/,  ecc.,  3"  ediz.  (Modena,  SoJiani,  1840-43).  Ili,  14S-  * 
G,  A.  Sala,  Diario  Romano^  11,  78  scg. 

(2)  Due  lettere  di  Domenico  Sala  a  suo  fratello  Giuseppe  Aniot^>*^ 
sul  conclave  di  Venezia  del  1799: 


I. 


I 


«  Venezia,  7  decembre  1799- 
«  I  cardinali  stanno  benissimo,  e  pare  che  non  abbiano  sofiert*^ 
«  niente.  Ambiscono  al  papato,  alla  segreteria  di  Staio,  ecc.,  com^^ 
«  se  fosse  30  anni  sono,  e  veggo  che  il  gran  flagello  sofferto  non  h^^ 
(I  prodotto  in  loro  alcun  cangiamento.  I  partili  sono,  in  54  cardinaJfr 
«  quattro  o  cinque,  uno  diverso  dall'aliro,  nò  sembra  che  per  ora  pos- 
rt  sano  avvicinarsi.  Si  aspetta  a  momenti  il  card.  Herzan,  il  quale  1 
«  dice  partito  da  Vienna  nel  di  28  dello  scorso  mese.  Si  vuole  ch'eg 
«  porti  h  parola  dell' imperatore,  e  che  alla  di  lui  venuta  si  Jctermint 
«  l'elezione,  ma  io  non  lo  spero,  seppure  non  si  vorrà  ubbidire  cicca- 
"  mente,  alla  volontà  della  Maestà  Sua.  11  card.  Ruffo  fa  un^ottiraa 
(c  figura,  e  si  conduce  come  un  cardinale  che  abbia  fatti  cinque  o  sei 
«  conclavi.  Tutti  gli  fanno  corte,  ed  egli  corrisponde  con  altrettanta 
«  gentilezza.  Egli  non  pensa  ncppur  per  sogno  per  sé,  ma  pensa  di 
K  fare  il  piacere  dei  suoi  sovrani,  e  di  dare  alla  Chiesa  un  capo  de- 
«  gno  di  esserlo.  In  tanta  divisione  di  pareri,  io  non  saprei  prevc- 
«  dere  chi  sari.  I  maggiori  voti  finora  sono  per  Gerdìl.  Dopo  aver 
«  veduto  varie  volte  alla  sfuggita  Antoncllì,  l'altra  sera  fui  da  lui. 
(c  U  di  lui  contegno  però  non  piace  ad  alcuno,  essendo  appreso  da 
te  tutti  per  un  soverchiatore  e  per  un  despota.  Egli  è  attaccato  al 
te  partito  degli  Spagnuoli,  e  per  questo  motivo  ancora  è  guardato  di 
"  mal  occhio.  Ruffe  per  altro  non  gli  si  mostra  disgustato,  e  non 
«  sarebbe  lontano  dal  dargli  il  voto,  quando  altri  vi  concorressero. 
f(  Caprara  dice  ad  ognuno,  che  non  vuole  il  papato,  e  sta  in  riuro. 


Iklla  pita  e  degli  scritti  di  G.  od.  Sala 


Nel  decembre  del  1799,  allorquando  i  Napoljrani  eb- 
bero occupato  Roma,  venne  a  lui  fatto  di  ricovrare  il  ce- 
|lcbre  codice  Vaticano  2226  (w  Terenzio  di  lettere  maiii- 
«scole  con  scolii  in  lettera  longobardica  ;  fu  de!  Bembo;  in 

•  Dugnani  fi  Ìl  disinvolto,  ma  si  crede  che  la  corte  imperiale  sia 
nptr  lui.  Vincenti  aspira  alla  segreteria  di  Staio,  e  Antonelli  dice  che 

■  ooD  vi  t  sogeno  raegliore  di  lui  per  un  lal  impiego.  Tutti  gli  altri 
'poi  vinno  dove  son  guidati,  e  forse  a  lungo  giuoco  fra  i  Valenti, 
'i  Calcagnini,  gli  Honorati,  i  Depetris  sarà   il   papa.    Intanto  però 

I  «  che  lutti  questi  porporati  smaniano  in  questa  conclusione,  non  sì 

J  «  ha  sicurezza  alcuna  della  restituzione  dello  Stato,  né  intero,  né  in 

^«partc,  non  per  colpa  della  corte  dì  Napoli,  ma  di  qu<ikun'altra,  e 

•se  n  papa  si  facesse  oggi,  dimani  non  avrebbe  da  mangiare.  Ruffo 

■lu  pensalo  ad  un  ripiego,  ed  a  me  sembra  buono  e  riuscibile.  Si 

«tcDicri,  ed  avendo  queiresito,  che  si  è  proposto,  si  combineranno 

•  moìtc  cose,  che  ora  paiono  diametralmente  opposte.   Non  ve   lo 

■  confido,  perchè  vi  vorrebbe  troppo  a  spicgarvelo,  e  perchè  non  vo- 
ì'io  arrischiarlo  in  una  carta  ». 

H. 

n  Venezia,  28  decembre  1799. 
■  Snno  terminate  le  feste  Nalaliaie,  ma  non  h  terminato  il  con- 
l'davc,  come  ci  avevano  fatto  sperare.  Ora  ci  lusingano  che  non 
Mptoicri  U  raeià  di  gennaro.  Staremo  a  vedere.  Frattanto  ù  curioso 
MH  icniirc  che  tra  ì  coUcghi  vi  sono  impegni  e  contrasti  per  le  ca- 
Mfiche  (tì  segretario  di  Stato,  ed  altre.  Parimenti  si  tratta  di  distri- 
li buzione  di  cariche  prelatizie.  Oh  vedete  come  stj.imo.  Il  Signore 
Mei  4Ìuii.  È  stato  scritto  a  Vienna  per  sapere  come  abbia  a  rego- 
la l*r»i  ìl  trattamento  di  fornulìti  col  nuovo  papa,  al  quale  diversi 
cattolici  di   questi   contorni  vanno   preparando   donativi  di 
sagri.   Lo    credereste?    ne    era    venula    un   po' di  voglia    a 
•Gio:  Francesco,  ma  poi  gli  C'  passata,  e  per  opera  di  Busca  si  è 
•anno  a!  partito  Braschi,  il  quale  avrebbe  voluto  Chiaramonlì,  ma 
'M  dovuto  conoscere  (li  non  potervi  riuscire.  Di  Gcrdil  non  si  parla 
I^Pcr  Bellisomi  non  si  è  conchiuso  interamente.  Ora  per  opera 
hkI  Seoo^llicse   si   tratta  per  Mattei,  ma   sembra  che   non  vi   si 
'fìuiciri,  e  che  probabilmente  la  faccenda  terminerà  in  Bellisomi, 
•i^widoije  Braschi  preso  molto  impegno.  Oh  vedete  il  granJ'uomo 
»chc  pu6  dar  tanto  peso   ad  affare  di  sirail  rilievo!  In  qualunque 
imodo  seguiu  a  tenersi  per  certo  la  stabilita   rìprìstinazìone  della 


IO  G.  Cugnoni 

«  pergamena  in  4**  -  Fulv.  Orsinus  »),  che  con  altri  molti 
era  stato  rubato   da  quelle  indisciplinate  soldatesche  (i). 

Nella  invasione  francese  del  1809,  mentre  afFaccenda- 
vasi  di  nascosto  a  spedire  le  materie  ecclesiastiche  presso 
la  delegazione  apostolica  istituita  da  Pio  VII  per  fino  a. 
che  durasse  la  sua  deportazione,  venuto  in  sospetto  alla 
polizia,  fu  preso  e  rinchiuso  nel  forte  di  Finestrelle  (2). 

Ricomposte  le  cose,  tornò  in  Roma,  e  dicono  che, 
premio  a  tanta  fede  ed  operosità,  gli  fosse  offerta  la  por- 
pora cardinalizia,  e  ch'egli  la  rifiutasse  (3).  La  qual  cosa  è 
assai  verisimile,  considerata  la  sua  naturale  avversione  a 
quanto  sentisse  di  grandigia  e  di  fasto,  anche  più  là  di 
quello  s'avvenisse  al  suo  grado  e  alle  sue  ricchezze.  Delle 
quali  fu  sempre  dispensatore  larghissimo  ai  bisognosi:  co- 
sicchò,  dopo  la  sua  morte,  tenuto  ragione  dei  pingui  asse- 


<(  (^ninpngnìa.  Hccovi  ilctto  tutto  in  succinto,  senza  starsi  a  dìfTon- 
»  (Ieri*  nel  raccontare  i  soliti  inutili  pettegolezzi.  Il  maresciallo  da 
f  vari  giorni  guarda  il  letto  con  febre  a  S.  Giorgio,  ed  ivi  al  mezzo- 
"  giorno  fu  gli  onori  della  casa  e  della  tavola  la  marescialessa.  Non 
"  ridete,  pcrcliì.*  in  cose  serie  non  conviene  scherzare.  Tutti  questi 
"  prcl.itt  per/>,  in  seguito  degli  avvertimenti  di  Scotti,  si  astengono 
'/  da  lari!  nui  vedere  con  alcuna  signora,  e  compariscono  sempre  in 
»  noia  unione  fra  loro,  co^icchò  se  alcuno  freqjuenta  qualche  casa 
.1  vcnc/i.ina»  non  se  ne  .ia  nulla,  e  almeno  si  salva  l'apparenza  ». 

( ( )  i'Àh  rilevali  dalla  seguente  nota  segnata  nelTantiguardo  di  esso 
(■otlUf:  "  l'urio  sublatu»  mense  octob.  an.  MDCCXCIX.  Sed  multa 
»  a  MK'  diligenti.)  pcrquisilus  beneficio  egregii  viri  Dominici  Salae 
M  Hlhlioiliecu*  rcstitutui  idibus  deccmb.  eiusdem  anni.  Cai.  Marini  a 

„  iiiifi.  r,it.  ". 

(j)  Mai  i»A*''«AHRi,  op.  cit..  in,  148,  in  nota.  -  Pacca,  Memorie 
.toiiil''>  fii;- (I*'""-t.  Ilonrliè,  iHjo),  pag.   218. 

Il)  In  mi  hirJ'<-"o  di  nu)nsi;;n<)r  M.ucili  .»  Giuseppe  Antonio  Sala, 

,|,.t  w  ditinilTo  1S15,  si  legge:  «  ...  ed  ho  sogg'unio  che  dovea  egli 

„  (Il  »  .H'I'  ■ig"-^"'^**  •■*'  St.ito)  far  ritk-ttere  al  papa  i  meriti  esimi  del 

„  nUt.  iiM».  Doiniiiico,  quali  dovevano  porsi  a  carico  riguardo  alla 

v(«tia  prr-.ona.  .subito  che  il  medesimo  non  aiwa  uvuU^  lù  voleva 

:  j,,,„h,«,(,  tht'  i,7i   eratto  iiitiitam<;ttL:  dovuti  ». 


^klla  vita  e  degli  scritti  di  G*  q4.  Sala 


Jgni  da  lui  per  lunghi  anni  goduti;  dei  ricchi  proventi  delle 
gciizic  ecclesiastiche,  massimamente  di  quelle  delle  diocesi 
letterali  dclJa  Germania;  della  non  tenue  crediti  del  Tioli; 
'  dei  molti  e  preziosi  donativi  venutigli  si  da  lasciti  testa- 
ncnt;ni,  e  si  dalla  munificenza  di  quei  sovrani,  coi  quali, 

[dopo  il  1814,  Li   Sede  romana  conchiusc,  per  gli  uffici  di 

[lui,  solenni  concordati  :  si  trovò  dell'ingente  patrimonio  ap- 
pena un  modesto  avanzo,  e  questo  pure  per  la  maggior  parte 
legato  al  suo  erede  a  titolo  di   usufrutto,  da  ricadérne  in 

[Ultimo  la  proprietà  a  stabile  beneficio  di  pii  institutì  (i). 
Visse  Domenico   presso   ad  Sj    anni;  mori  il   12  feb- 

'braio  1852-  Il  suo  corpo  riposa  in  S.  Ignazio,  avanti  l'ai- 
tare della  Vergine,  presso  alla  sepoltura  del  suo  amico  e 
benefattore  monsignor  Pier  Antonio  Tioli  (2). 

Giovanni,   nato  il  25    ottobre  1756,  fu    abilissimo  ra- 

!  gioaicrc  (j)  e  dedito  ai  traffichi,  donde  raccolse  non  me- 
diocre fortuiìa.  Esercitò  V  importante  ufficio  di  computista 
del  Buon  governo;  amministrò  con  autoritA  di  viceprincipe 
il  patrimonio  Rospigliosi,  cui  di  scadente  tonìò  floridissimo. 
Tolse  in  moglie  Violante  Donasi,  e  n'ebbe  cinque  figliuoli, 
Luigi,  Pietro,  Clementina,  Teresa,  Maria.  Visse  78  anni, 
raofi  il  12  gennaio  1S35,  fu  tumulato  in  S.  Maria  in  Via, 
»€lla  Sua  sepoltura  gentilizia. 

Delle  quattro  femmine,  Teresa,  naca  il  19  novem- 
^^  '748»  e  Rosalba,  nata  Tu  aprile  1754,  abbracciarono  la 
vita  monastica  :  Caterina,  nata  il  24  settembre  1750,  ma- 
nutasi  il  7  giugno  1772  a  Baldassare  di  Giacomo  Cugnoni, 

(0  BrfVi  notizia  tklì'ah,  Domenico  Sala  scritta  dal  cardìtiaU  Giù- 
^ff*  J^ftionio  Siila  ìuo  fralclh  ed  erede  fiduciario,  nel  voi.  IV  degli 
Mrmi  di  Gioiffpfi  Antotiio  Sala,  pubblicati  sugli  autografi  da  G.  Cu- 

(2)  Con  questa  umile  scritta:  a  Ossa  |  Dominici  '  Sala  |  Vìxit  ■  An.  ' 

•  LXXXIV  ■  M.  •  Vili  •  D.  •  XIV  I  Obiii  •  Pridie  •  Idus  *  Februar,  * 

•  Aa.-MDCCCXXXII  |  Orate  •  Pro  •  Eo  u. 

f*)  BUDASSARRF,  Op.  cit.  I,   I4I. 


12 


G,  Cugnoni 


romano,  agiato  mercatante  con  legni  da  trasporto  in 
mare:  fu  madre  di  dieci  fi|^liuoli(r);  visse  82  anni,  fi* 
polta  in  S.  Marco:  Gertrude,  nata  il  4gennaro  1759.  mo^^^ 
a  Giovanni  Battista  Apolloni  di  Anagni,  fu  madre  di  t^" 
sola  figliuola,  Anna  contessa  Cimara,  e  mori  in  Rom» 
13  marzo  1829. 

Giuseppe  Antonio,  che  è  il  principale  soggetto  dì  qiX^ 


(i)  Tra  questi  Valcriano,  il  mio  santìssimo  genitore,  il  quale  ^ 
sé  e  della  famiglia  mi  lasciò  scrìtte  le  scguemi  memorie: 

«  Io  sono  figlio  di  Baldassarre  Cugnoni  e  Maria  Catarina  Sa]#^ 
«  Di  mio  padre,  che  perdetti  nell'età  infantile,  non  posso  dame  spc-^ 
«  ciali  notizie,  e  più  perchè  un  incendio  brugiò  tutte  le  carte  di  fa— 
«  miglia.  Egli  esercitava  la  mercatura,  ed  aveva  molto  viaggiato  oltre 
ff  mare;  era  unico  di  sua  casa  in  Roma,  e  godeva  una  stima  e  re- 
«  putazionc  di  somma  onesta  e  galantomismo.  Morì  in  età  dì  circa 
«  45  anni,  e  fu  sepolto  in  S.  Catarina  della  Rota,  essendo  la  nostra  abì- 
tt  tazione  nel  palazzo  Varese  a  strada  Giulia.  Lasciò  .\  figli  di  dicci, 
«  cioè  due  femine,  che  sono  morte  di  fresca  età,  una  monaca,  e  Taltra 
«  cducandii  nel  monastero  di  S.  Margarita  dì  Narni.  L'altro  maschio, 
«  cioò  rultìmo  figlio,  anche  egli  mori  di  circa  5  anni  lu  sono  nato 
«  ncir^gosio  1784,  battezzato  in  S.  Lorenzo  e  Damaso. 

K  Mia  madre  fu  figlia  dì  Giuseppe  ed  Anna  Sala,  entrambi  di  santa 
»  vita.  Aveva  3  fratelli,  cioè  Tab.  Domenico,  che  fu  poi  amminìstra- 
w  lore  delle  Componende,  oltre  altre  molte  attribuzioni;  Giovanni  in 
"  ultimo  computista  del  Buon  Governo,  e  Giuseppe  Antonio,  cht, 
«  dopo  una  carriera  laboriosa,  fu  crcito  cardinale  da  Gregorio  XVI, 
ff  e  mori  prefetto  dei  Vescovi  e  Regolari  nel  giugno  1839. 

K  Questi  zi),  segnatamente  il  primo,  dopo  la  mone  di  mio  padre 
i>  si  presero  cura  della  mia  educazione  civile  e  religiosa;  di  essi  an- 
«r  che  rei  sepolcro  conserverò  memoria  per  le  straordinarie  obblìga- 
«  zioni,  che  loro  professo. 

«  In  cti  di  circa  7  in  8  anni  fui  posto  nel  seminario  di  Veroli,  che 
«  rooUn  in  allora  fioriva,  e  vi  stetti  cinque  anni  e  pochi  mesi,  da  dove 
«  uscii  per  la  chiusura  di  detto  seminario  in  circostanza  della  famige- 
«  rata  repubblica  romana.  Sino  circa  al  termine  della  medesima  stetti 
*  In  Ana^ì  in  casa  dì  una  (la  Geltnjdc  Sala  AppoUoni.  Tornato  in 
«  Roma  continuai  lì  siuJt  sino  al  corso  di  matematica.  Contempora- 
«  ntamcntc  fui  fatto  scrittore  di  Minor  Grazia,  e  dopo  qualche  tempo 
«  fui  nominato  cadetto  nel  corpo  del  Genio:  ma  per  essere  stato  de- 


'Della  vita  e  degli  scritti  di  G,  04.  Sala        13 


ste  memorie»  nacque  ai  27  d'ottobre  del  17^2.  Studiò  let- 
tere e  filosofia  nel  Collegio  Romano,  e  teologia  nella 
Scuol.i  domenicana  in  S.  Maria  sopra  Minerva,  donde  a 

119  anni  ifeci  addottorato.  Divenuto  sacerdote,  attese  per 
Jwlche  tempo,  insieme  col  fratello  Domenico,  sotto  la  di- 
itzionc  di  monsignor  Pier  Antonio  Tioli,  al  maneggio  de* 
Bcgozì  ecclesiastici,  e  ne  prese  tale  perizia,  da  riuscire,  tut- 


I 


ninato  in  Ancona,  dovetti  rinunziare  per  riguardo  di  mia  madre, 
ctl  mchc  perchè  era  troppo  giovane. 

«  Nel  181 1  fui  nominato  coadiutore  a  Francesco  CencìarcUi,  cap- 
t  pillino  segretario  di  Minor  Grazia. 

•  Dopo  Pinvasìone  francese  nel  1814,  per  esser  morto  il  mio  coa- 
diuto, entrai  neiresercizio  libero  di  delio  ufficio;  inoltre  fui  nomi- 
Mto  jcrittore  apostolico  e  de' brevi.  Nel  1821  fui  fatto  coadiutore 
di  D.  Francesco  Lavizzari,  scrittore  di  Via  Secreta   e  di   Curia,  e 

*  od  183^,  per  morte  del  medesimo,  entrai  nel  Ubero  esercìzio   di 

I»  Jttio  ufficio. 
I  «Nel  ]82i  sposai  Angela  Silvi  di  Leprìgnano,  dalla  quale  ebbi 
ptre  figli.  La  medesima,  dopo  cinque  anni  e  due  mesi  di  matrimonio, 
■  ccuò  di  vivere,  dopo  breve  m.ilattìa,  il  22  decembrc  1826.  Non 
^Occorre  dire  con  qual  mio  rammarico  per  le  sue  buone  qualità. 
*P«»ci>oIu  in  S.  Marco, 

"  U  mio  primo  figlio  Ignazio  nacque  ai  19  agosto  1823.  Il  secondo 
figlio  Giuseppe  nacque  il  2  maggio  1824.  Il  terzo  figlio  Tommaso, 

t"tuto  li  (li  7  marzo  1S26,  nel  1832.  il  7  ottobre,  cessò  di  vivere,  in 
»  cti  (li  6  anni,  nelle  mie  braccia,  dopo  due  giorni  di  malattia  inflam- 
■notoria  nel  cervello. 
*  Rcitato  vedovo,  cosi  volli  rimanere  per  occuparmi  dell'educa- 
•  «ione  de' tìgli;  ed  ho  procurato  di  darla  loro  prima  cristiana,  poi 
»  ovile.  Posso  dire  che,  con  la  grazia  di  Dìo,  mi  hanno  corrisposto  ». 
^^^\ìì  il  mio  padre  amatissimo,  il  quale  mori  il  j  maggio  i86x, 
t™  tcpolto  nel  ricinto  scoperto  tra  la  via  in  Velahro  e  la  chiesa  dì 
5'  Teodoro,  con  questa  iscrizione:  «  Valerianus  '  Balihass.  •  F.  '  Cu- 

*  pmììa  I  Inter  •  Sodales  *  Sacri  •  Cordis  •  Jesu  |  Cognomento  *  Her- 
■  ntacdildus  1  VII  ■  Id.  •  Aug.  •  A.  •  MDCCCXV  ■  Supra  •  Kumerum  - 

'^dltaiu  ,  IV  •  Non.  ■  Mai  •  A.  '  MDCCCXXVI  •  In  •  Oblatorum  • 
*^o«tura  •  Cooptatus  |  In  •  Condiiorio  ■  Quod  •  Sìbi  •  Vivens  Com- 
P^^-it  I  Dcpositus  •  Est  •  Non.  •  Mai  •  A.  •  MDCCCLXl  |  Annos  * 
^'*lM'  LXXVII  I  Requiem  *  Aetemam  |  Dona  ■  Ei  ■  Damine  ». 


G,  Cugnoni 


tor  giovane,  uno  dei  più  destri  e  prudenti  ufficiali  della 
curia  papale.  Perchè  molto  si  giovò  del  senno  e  dell'opera 
sua  monsignor  Michele  Di  Pietro  allorquando,  nel  biennio 
1798-1799,  tenne  in  Roma,  come  gv\  di  sopra  accennai, 
con  pienissima  autorità  di  delegato  apostolico,  le  veci  del-^ 
l'esulante  pontefice.  E  sebbene,  pel  segreto  procedere  di 
quella  amministrazione,  niun  fatto  possa  addursi  in  prova 
della  efficacia  e  della  prudenza,  onde  Giuseppe  Antonio  vi 
si  adoperò  ;  tuttavia  ne  rimane  non  dubbia  testimonianza 
nel  seguente  paragrafo  di  lettera,  in  data  24  settembre 
1798,  del  Di  Pietro  a  monsignor  Spina,  uno  de'  compagni ^^ 
d'esilio  del  papa  in  Firenze:  «  Non  mi  dilungo  questa^H 
u  volta,  giacche  nel  prossimo  ottobre  passerà  per  Firenze  ^ 
«il  comune  amico  ^(i),  e  con  il  medesimo  riman'i  più 
ft  facile  a  viva  voce  con  Lei  lo  schiarimento  di  qualunque 
«  difficoltà.  Ella  lo  conosce  benissimo,  pure  ad  onore  della 
«  verità  debbo  attestare  del  di  lui  sìncero  zelo  per  la  catto- 
«  lica  religione,  del  di  lui  disinteresse,  eh' e  veramente 
w  singolare,  della  di  lui  onestà,  abilità  e  a:tività.  Debbo 
K  confessare,  che  se  non  si  fosse  costantemente  prestato 
«  unitamente  al  di  lui  degnissimo  fratello  canonico  pel 
u  disbrigo  degli  affari,  che  sono  innumerabili,  o  avrei  do- 
ti vuto  soccombere,  o  avrei  dovuto  arrenarmi.  Questa 
«  ingenua  confessione,  e  questo  tenuissimo  tributo  di  gra- 
«  titudinc,  che  ora  rendo  a  questi  due  ben  deyni  ed  im- 
«  pareggiabili  fratelli,  desidererei  che  lo  comunicasse  al 
«  S.  Padre,  giacche*  è  troppo  giusto  che  si  sappia  dal  capo 
«  della  Chiesa  chi  costantemente  ha  travagliato  e  travaglia 
«  con  sonmio  vantaggio  per  il  disbrigo  degli  affari  eccle-  g 
«  siastici;  né  io  voglio  farmi  bello  colle  penne  altrui  ».  E^^H 
il  30  dello  stesso  mese  lo  Spina  rispondeagli:  «  Ho  fattoci 
«  risaltare  a  S,  Santità  il  merito  di  codesto  degnissimo  si- 


(i)  Cioè  Pab.  Domenico  Sala,  che,  come  gii  dissi,  neIl*otiobre| 
(!el  1798  recessi  »  Firen/c. 


^ella  tnia  e  degli  scritti  di  G.  o4.  Sala  r  j 


0  gnor  ab.  Sala,  e  del  fratello  canonico,  riferendogli  alla 
K  lettera  il  contenuto  nella  stimatissima  sua.  Son  persuaso 
«  che  S.  Santità  gli  di  tutto  il  valore  che  merita  ».  E  di 
nuovo  il  Di  Pietro  allo  Spina,  ai  io  de!  seguente  ottobre: 
«  Sensibile  oltreraodo  al  favore  da  Lei  compartitomi  nel 
•  partecipare  al  S.  Padre  i  meriti  dei  due  fratelli  Sala,  vengo 
a  a  contestarle  le  sincere  mie  obbligazioni  ». 

Da  questo  esercizio,  tutto  proprio  del  suo  ministero,  vol- 
gendo talora  l'ingegno  alla  considerazione  degli  uomini  e 
delie  cose,  prese  altresì  nelle  Aiccende  civili  e  nelle  ammi- 
nistrative non  comune  perizia;  secondo  che  può  rilevarsi 
dairaccurato  e  giudizioso  Diario,  che  egli  in  c]ucl  tempo 
venne  scrivendo.  Comprende  questo  V  intiera  epoca  repub- 
blicana, dalla  uccisione  del  Duphot,  seguita  il  28  settem- 
bre i797,sino  all'ingresso  dell* esercito  napoletano  in  Roma, 
avvenuto  nello  scorcio  del  1799.  Lavoro  diligentissimo  e, 
sebbene  di  sua  natura  sconnesso,  non  privo  di  una  cert;i 
uniformità,  che  seppe  dargli  Tautore,  richiamando  di  con- 
tinuo il  disparato  racconto  alle  norme  immutabili  del  vero 
e  dell'onesto.  Per  tal  modo  la  narrazione  de*  fatti  viene 
d'ordinario  accompagnata  dai  giudizi  dello  scrittore,  allii 
cui  perspicacia  niente  sfugge,  che  sia  degno  di  nota.  E  per- 
tiinto  gli  occulti  legami  degli  effetti,  con  le  cause,  i  torbidi 
jggir;unenti  delle  fazioni,  la  ragione  delle  leggi,  i  processi 
amministrativi,  le  probabilità  delle  guerre  e  delle  paci:  tutto 
egli  discute  e  sottopone  allo  sguardo  dei  lettori  dal  lato  più 
vivo  e  smagliante.  Infiniti  gli  episodi  di  ogni  genere,  dal 
tragico  al  comico,  dal  sacro  e  maestoso  allo  scurrile  e  ple- 
beo. Onde  varietà  piacevolissima,  che  compensa  la  minu- 
tezza spesso  soverchia  del  racconto,  e  che  ti  rende  penoso 
il  doverne  sospendere  la  lettura.  Il  cronista  è  tutto  odio 
pe' Francesi,  tutto  amore  pel  papa;  ma  l'odio  e  Tamorc  non 
gli  fanno  velo  al  giudizio,  né  lo  sviano  dalla  veracità;  e 
spesso  loda  i  nemici,  e  ancor  più  spesso  biasima  gli  amici. 
fi  II  papa  (scrive  sotto  il  io  luglio  179S),  che  infelicemente 


i6 


G.  Cìignoni 


«  non  ha  attorno,  se  non  se  de'  familinri  buffoni,  spedisce 
«dalla  Certosa  di  Firenze  gra;!Ìe  in  abbondanza.  Li  rescrittifl 
«  vengono  firmati  e  muniti  di  sigillo  da  quel  buon   uomo 
«  di  monsignor   Odescalchi,  nunzio  apostolico  in  Firenze, 
«  e  sì  fanno  delle  bestialità  deirottanta  ».  E  ai  io  del  ruesefl 
seguente:  «  Fra  le  molte  disgrazie  dell'atruale  pontificato 
«dee  contarsi  per  principalissima  quella  di  awre  il  papa  — 
«  avuto  sempre  attorno  de*  birbanti,  o  per  lo  meno  de*  scioc-^ 
«  chi,  motivo  per  cui  si  fecero  tante  grazie  arbitrarie  con 
«  disdoro  del  principato  e  della  Chiesa.  Una  tale  disgrazia 
«  continua  anche  a   Firenze,  perchè  qualche  famigliare  di 
«  Sua  Santità  seguita  ad  avere  il  medesimo  influsso,  e  mon- 
«  signor  Odescalchi,  nunzio  apostolico,  che  spedisce  e  sot- 
«  toscrive  rescritti,  è  un  vero  bufalo,  che  nulla  intende  di 
«  tali  materie  ».  In  mezzo  all'amarezza  delle  pubbliche  tri- 
bolazioni, confessa  ingenu.imente  e  con  enfasi  (i)  «scor-B 
«  gersi  evidentissimamente  la  verga  piena  dì  occhi,  che  va  ™ 
«  sferzando  qua  e  h\.  Il  principato  e  la  Chiesa  avevano  bi- 
«  sogno  di  grandi  riforme,  non  servivano  più  puntelli  per 
«  sostenere  la  fabbrica  cadente,  e  il  Signore  vuole  atterrarla 
«  del  tutto  per  poi    innalzare  un   nuovo  cdifizio.  Penserà 
«  egli  a  scegliere  que'  materiali,  che  potranno   mettersi  di  I 
«bel  nuovo  in  opera,  escludendo  gì' inutili  calcinacci  e  i 
«legnami  atti  solamente  per   il  fuoco»,    E  altrove  (2): 
«Non  v'Iia  dubbio  che  Dio  vuole  una  venerale  riforma, 
«massime  nelle  persone  a  lui  consagrate,  e  sembra   chefl 
«  forse  non  giunga  ad  ottenerla,  se  prima  non  si  faccia  la  ■ 
«separazione  delie  paglie  inutili  dall'eletto  frumento  i>.  E  ■ 
cosi  via  via  in  più  luoghi.  Né  la  risparmia  pure  talvolta 
allo  stesso  papa,    come  quando  scrive 


(3): 


copia  delle  facoltà  accordate  dal  S.  Padre  ai  vescovi  del 


(i)  25  marzo  1798. 
(2)  I**  seiicmbre  179??. 
(j)  2  ottobre  1798 


Della  vita  e  degli  scrini  di  G,  C^.  Sala        17 


■  regno  di  Napoli.  Questa  concessione  è  irregolarissima 
«  per  mille  riflessi,  ma  la  cosa  e  fatta,  e  non  sarà  facile  il 
«tornare  indietro  j>.  In  conclusione,  lo  scrittore  è  un  catto- 
lico romano  di  buona  fede  e  disinteressato,  che  si  sforza  a 
tuit*uomo  di  difendere  i  grandi  principi  morali  rappresentati 
dal  papato;  e  nel  furor  della  mischia  avventa  i  suoi  colpi 
non  meno  agli  av^'ersari,  che  ai  compagni  d'arme,  ove  ne 
ravvisi  di  dannosi  o  per  tristezza,  o  per  egoismo,  o  per  dap- 
pocaggine. Ne  venga  quel  che  ne  può;  egli  nulla  teme,  nulla 
:>pcrj;  e  però  non  saprebbe  bramare  altro  conforto  oltre 
quello  della  coscienza  d'aver  compiuto  il  proprio  dovere. 

Con  quale  intendimento  togliesse  egli  a  scrivere  questo 
Diano,  non  si  potrebbe  accertare.  Che  sebbene  per  una 
parte  la  diligenza,  ond'è  condotto,  e  V  importanza  dei  do- 
cumenti inseritivi  farebbe  supporre  nell'autore  il  proposito 
di  divulgarlo;  per  l'altra,  la  troppo  schietta  esposizione 
de' fitti,  la  severità  de' giudizi,  l'acerbità  delle  invettive, 
l'acutezza  dei  sarcasmi,  e  soprattutto  la  liberissima  censura 
de' personaggi  d'ogni  fatta  e  condizione,  avrebbero  per- 
suaso qualunque  uomo,  anche  mezzanamente  prudente,  da! 
pur  mostrarlo  a  chicchessia.  Ma  quello,  che  non  porca  fare 
Tauiorc,  lo  avrebbe  un  giorno  potuto  far  altri;  ed  egli 
stesso  l'accetma  là,  dove  toccando  dell'anno  repubbUcano 
.sostituito  per  legge  al  volgare,  scrive  (i):    <*  Noi  però  se- 

•  guitcremo  a  servirci  dell'era   volgare,  lusingandoci  che 

•  se  questi  fogli  dovranno  un  giorno  servire  a  qualche  uso, 
k«sarà  ita  in  allora  in  oblivione  l'era  francese,  e  quella  na- 
orione  sarà  divenuta  l'oggetto  deiresecrazione  e  dell'ob- 

•  brobrio  di  tutto  Tuniverso,  che  ricorderà  perpetuamente  li 
tmali  incalcolabili  da  essa  fatti  alla  Chiesa  e  all'umanità  ». 

*\lcuni  paragrafi  di  questo  Diario  scrisse  pure  separa- 
ameace  in  latino,  non  so  se  per  uso  di  quella  lingua,  o 
per  spedirli  a  modo  di  avvisi  alla  ccjne   papale,  o  altrove. 


G. 


\  £  XCglStE3SlB 

■  miifitfr  fe- 


mrcsDgazHiiic 
9r;  cosi  gli  fai 


ffono  per  gtono  la  ssooa  £  'Cf 

viIq  ai  JCBÌpe  fiugagno  e  fl  ^bAb 
e  BdTapproMJUM  i»  «k^  oombì  e 
#alie^|ianeccfcH>a4|Bdb  v]napaan»a  obi 
ponsvab  h  sn  fisnida  e  gtagnm  ìadofe,  e  odia  quak" 

«^BSCbO  IOQI  a  pffCO  osa  SCOBI^ia  GOBSSBflBBC^^ 

Era  GmsqfpeAntooiov  cane  c^  slesso  db  s^cre(i), 

Balc«  £  grandi  Imni  e  di  granfi  '  ■^ii"'^'*'  p  JSim  K*>  ■  (a). 
Per  la  qual  cosa,  dloccbè  questi  od  iSoi  mosse  per  Pa- 
ligi  eoo  amoriti  di  kgaso  s  Ittnt;  per  meoerc  ad  csecu- 
àooe  ì  coocordjso  fra  h  Smta  Sede  e  h  RqmbUìca 
fimcae,  se  lo  menò  seco  eoo  ofido  di  spretano  della 
legazione.  Sebbene  qod  concordato  fosse  gii  stato  oon- 
dmo^  in  quanto  alla  sosranra,  per  opera  spccxatmeote  dd 
rardmalf  Ercole  Consalvi  (3);  tunavia  avverte  3  Thet* 
ner  (4),  che  la  più  difficile  e  travagliosa  £uxezHla  fu  il 
raaodario  ad  esccnaone,  e  else  a  canto  nclùedevasi  appunto 
l'abOiti  e  fautorrvolezta  dd  Capraia,  doitissinio  odia 
scienza  de*  canoni,  e  molto  versato  ne'  maneggi  ecdesta- 
sdd  pd  tango  uso  avutone  come  consnliore  ddle  varie 
congregazioni  romane.  Sì  dunque  per  la  diff  cotti  delT  im- 
presa, e  si  pd  grande  valore  dd  Caprara,  la  scelu  dd  Sala 
non  potc  muovere  altronde,  che  dalla  £ima  della  dottrina 
e  ddla  prudenza  sua. 

Giunto  a  Parigi  il  4  d'ottobre  dd  i8or,  vi  rimase  circa 
tre  anni,  quanti  ne  andarono  per  ravviamento  e  la  condu- 
sione  di  quel  trattato.  E  sebbene  la  gloria  d'averlo  menato 

(1)  Dmrifi  io  prìoàp5o.  I 

(2)  Ivi. 

(|)  Mhnùirei  ^u  card.  Ccnsahi,  par  J-Crétineau-Jolt,  I,  391  seg. 
(4)  Hiitoire  des  d£ux  Concordati  de  U  RépubUqui  franfoiu  €X  ài  ìa 

kJffublique  Ciialpine,  I,  $14. 


'Tklla  pila  e  degli  scritti  di  G.  (ti.  Sai 


i  buon  fine  sia  del  Caprara,  tuttavia  il  inerito  e  la  fatica  fu 
in  gran  pane  del  Sala  (i).  La  cui  voce  nelle  discussioni, 
che  sui  diversi  anicoli  si  venivano  a  mano  a  mano  facendo 
trai  rappresentanti  del  pontefice  e  quelli  del  primo  console, 
rison(^  sempre  autorevolissima,  anche  allora,  che,  in  oppo- 
sinonc  alla  soverchia  condescendenza  del  Caprara  (2), 
contrapponeasi  alle  eccessive  esigenze  del  Bonapane  (3). 


• 


(i)  Da  alcuni  rbcontri  fatti  da  me  fare  negli  arcliiv!  nazionali  di 
Pirìgi  (set.  ammin.)  risulta:  i*>  che  le  più  delle  lettere,  delle  con- 
mlUxioru,  dei  voti  e  deUc  altre  scritture  relative  a  quel  Concordato,  o 
MDO  di  pvigno  del  Sala,  o,  se  copiate  da  altra  mano,  recano  in  mar- 
gine U  nota  ■  par  mgr.  Sala  i»;  2*  clic  nel  febbraio  i8oì,  infermatosi 
il  cirdinalc  legato,  e  poco  stante  anche  l'uditore  monsignor  Mazio, 
egli  compii;  per  più  mesi  consecutivi  le  veci  dell'uno  e  deiraltro, 
fflco  in  ordine  a  materie  dì  sommo  rilievo;  3°  che  in  tutto  il  tempo 
di  qucUa  legacione,  vescovi,  sacerdoti  e  regolari  delle  varie  provincie 
della  Frtnci-i  facevano  capo  a  lui  direttamente  per  la  trattazione  delle 
(iutfJue  faccende,  e  per  la  soluzione  dei  dubbi  più  intricati;  4°  che 
spaioi  maneggi  di  maggiore  importanza  passavano  tra  lui  ed  il  mi- 
ÒRTO  Porialis.  Così  che  dal  tutto  insieme  sì  pare  che  ravviamento 
e  li  conclusione  di  quel  malagevolissimo  trattato  fu  per  la  maggior 
pmc  opera  del  Sala. 

(1)  ttCommunemenie  il  Caprara  era  riputato  uomo  di  molta  pò- 
liuci  mondana,  ma  povero  di  prudenza  e  fermezza  evangelica.  Che 
*  Pio  VII  lo  mandò  nel  1801  legato  a  ìaterc  in  Francia,  ciò  a\'vcnne 
perche  U  Bonaparte  fece  sapere  che  tale  si  era  il  suo  desiderio  e  vo- 
bota.  Uno,  che  appartenne  a  quella  legazione,  mi  diceva,  che  quando 
Bcifilinale  era  esortato  a  mostrar  animo  forte  e  costante  nel  trat- 
tai col  primo  console  e  suoi  ministri,  si  schermiva  rispondendo: 
C^frti  iìpiori  iono  come  U  carafc  se  U  urtiamo,  si  rompono  ».  (Bax- 
l^ASum,  op.  eh.  IV,  25,  in  nota).  Un  esempio  del  contrapporsi  del 
Sili  al  Caprara  può  vedersi  nel  documento  l,  pubblicato  dal  D'Hus- 
•WviLU  1  pig.  ',22  seg.  del  voi.  I  dell'opera  L'E^iise  Romaine  d  U 
P^tmur  Etfipirt,  1S00-1S14. 

(j)  L'Abtaud  {Hisloirc  du  pape  Pii  VII,  II,  i  50)  cosi  scrive  su 
t^  proposito  :  ir  Ce  cardinal  (Caprara)  avit  eu  autrcfois  aupris  de 
^'  nonsignor  Sala  et  monsignor  Mazio,  hommes  de  beaucoup  de 
tslcnt:  CCS  tìdC'les  sujets  du  pape  s'uttachoient  à  faire  exécuter  avec 
ft^olinti  Ics  ordrc3  de  Rome,  et  s'opposoient,  quand'ils  le  pouvoient. 


20 


Il  quale^  dicono,  ulvotn  minacciosamente  se  ne  sdegnasi 
come  quando,  afferrato  un  calamaio^  fece  atto  di  scagliar- 
glielo in  volto  ;  o  percotendo  (unosaiiiente  col  pugno  sopra 
un  deschetto,  ne  fece  balzar  via  tma  ricca  porcellana;  o 
additatogli  fra  due  busd  di  manno  uno  spaaio  vuoto  :  «  Io 
riempirò  (disse)  col  tuo  capo  reciso  »  (i).  Lampi  d*  ira  su- 
bitanei senza  efiétto  ;  ma  che  pure  tanto  a  Giuseppe  An- 
tonio sturbarono  il  sangue,  da  £vgfiene  ribollire  per  la  cute 
un  triste  untore^  che  poi  tonncntoDo  per  tutu  la  vita« 
Nondimeno  Napoleone  avealo  in  pregio  per  la  dottrina  e 
il  pronto  ingegno,  e  talora  ingiungeva  al  Caprara  d'andare 
a  hii  in  SX13,  compugnia,  per  averne  ra\-viso  su  qualche  im- 
portante materia,  che  volesse  dt  per  se  stesso  mettere  in 
discussione  (a).  Andie  mostravasegii  gennle,  volendolo 
ogni  sera  a  giocar  seco,  e  in  segno  di  familiare  affetto  con- 
traffaceane  il  cognome,  chiamandolo  Scala, 

Cessata  quella  legazione,  fu  tranenuto  in  Parigi   da 
Pio  VII,  andato  allora  a  quella  corte  per  incoronare  e  be- 

à  et  qnt  le  caFfiml  cMCrepttBÉi  «es  plcitti  poavciis  dé-\À  asscz  èteo- 
dusw  A  Paris»  oe  B*avoÌt  pas  tiriii  ì  recoanoàtre  sartooK  le  d^roument 
intxoraUe  de  moosignor  Sala,  pcrsooage  1  la  fòò  donè  de  quaUtcs 
■■■■■Wf  ^  (bus  U  société,  et  (fnoc  habifité  éy»uuyéc  daas  Ics  aflaircs 
gnipcs.  MonngDOf  LazxzrÌBi  et  M.  Tabbé  ic  Rossi  avoàcat  retnpUcè 
CCS  prèUts:  le  GooTeroemessc  fraa^aìs  s*applaiK£ssoit  i'aToir  éloigaè 
tea  aust^res  cootndtctean;  mais  il  cn  ètéu  lesabè  qoe  la  conÉanoe 
dtt  p^pe  daas  le  lègxt  afvai  été  akèri.  qooiqe^fl  re^  cDCorc  par 
foìs  et  b«as  copseih  de  ses  BoavcasK  secretùes  ».  Vegga»  U  «  R6- 
rlMBatWw  da  canlìiul  Caprara  cootrc  Ics  Aitkles  ocgam^ucs,  aires- 
sèe  &  ÌL  de  TaUcjrraad»  tmoìstre  dcs  afiaires  eatèiicuies  »»  lavoro  in 
gm  pane  dd  Sala,  nelTopeni  fhtit  Onaripm  0  fmfìMfM  sm  U  Com- 
nrdaiét  iSot  tmfris  la  rfpfiafj  ofkiés,  par  M.  Tthbk  Jolt  (Parìs, 
iWi),  pog.  1S7  s^g. 

(i)  UxLi  snoigfiatitr  mrnarrìa  dì  Kapoleooe  è  registrata  dil  Oaodet 
a  piag.  171  ddro|»crm  Ld  cmnL  Cmsàhi .-  ■  Si  je  ne  fais  pas  saater  U 
téte  de  dcssBS  ks  épaoles  de  ^paAfOtea^mu  de  ces  pritrcs,  00  n'ac- 
connDodcrm  jamats  Ics  aflEaìres  >. 

(J)  V,  D*HCSS0KV1LL£.  op.  e  loc  cit. 


^ella  vita  e  degli  scrìtti  di  G.  (ì4.  Sala         21 


lire  il  Bonaparte,  fattosi,  di  primo  console,  imperatore. 
Cosi  aggregalo  al  seguito  papale,  entrò  a  parte  della  solenne 
cerimonia,  e  nel  ritorno  fu,  per  speciale  ni:ind:Uo  del  pon- 
tctice,  nominato  commissario  delle  grazie  spirituali,  che 
lungo  quel  viaggio  si  verrebbero  dispensando. 

Restituitosi  in  patria,  pareva  che,  in  giusta  ricompensa 
&  tanto  zelo  e  travaglio,  non  dovesse  mancargH  un  qual- 
che grado  onorifico  nella  curia,  o  nella  corte;  ma  fosse  la 
sua  natura  franca  di  soverchio  e  non  curante,  fosse  geloso 
sospetto  di  chi  in  Roma  suole  fabbricare  di  siraiglianti  for- 
^^nc;  fu  lasciato  con  le  nere  divise,  come  n'era  partito,  e 
^Benza  carica  o  benefizio  di  sorta.  Né  egli  se  ne  disgustò;  e 
^■nzi,  profittando  dell'ozio  inaspettato,  riprese  vogliosamente 
^^  suoi  studi  e  le  usate  occupazioni.  Fra  le  quali  quella  di 
scnttorc  di  bolle  e  di  brevi  nella  Dateria;  urtici  conferitigli 
fino  dal  1791.  E  nell'Epifania  del  1807,  come  pro-rescri- 
benJario  degli  scrittori  apostolici,  presentò  al  papa,  in  nome 
Ji  quel  collegio,  la  consueta  offerta  di  cento  scudi  d'oro 
itro  pisside  d'argento,  accompagnando  la  cerimonia  con 
ve  discorso  latino  (i). 

Nell'anno  1809,  vedendosi  Pio  VII  stretto  ogni  dì  più 

e  minacciato  dalla  francese  violenza,  per  porre  in  salvo  ad 

ni  peggior  caso  il  libero  esercizio  della  potestà  spirituale, 

lui  in  Roma  una  delegazione  apostolica.  In  questa  Giu- 

c  Antonio  ebbe   Tuffìcio  di  segretario;  ma  fu  breve  il 

k'igio,  che  insieme  col  fratello  Domenico  le  potè  rendere. 

occhè  non  appena,  deportato   il   pontefice,  la  detta 

azione  cominciò  ad  agire,  «fummo  (egli  scrive  (2)) 

trambi  compresi  nel  numero   delle   persone  messe  in 

0    e   destinate   a  partire  per  Reiras,  dove   si  suppo- 

•va  che  verrebbe  fissata  la  residenza  del  papa  e  si  sa- 


li) Diario  ài  Roma,  n.  4,  r4  gennaio   1807. -Moroni,  Dii^ionario 

^OHi  tccUsioitica,  L?CI,  311. 
a)  Brev*  notiziu  ddtahh.  D.  Sah.  ecc.  cit. 


e  Cugnoni 


«  rebbcro  aperte  le  segreterie  ecclesiastiche.  Ebbimo 
«nare  non  poco  per  esentarcene  e  per  rimanere  in  libertà.: 
«  Aggravandosi  vieppiù  le  circostanze,  e  vedendoci  esposti 
«  ad  ulteriori  disastri,  fu  preso  il  partito  di  allontanarsi  daj 
«  Roma,  rifugiandoci  a  Cascia.  Trascorso  però  qualche' 
«  mese,  e  dietro  il  suggerimento  di  qualche  amico  autorc- 
«  vole,  il  quale  scriveva  che  io  non  dovevo  pensare  al  ri- 
«  torno;  ma  che  per  Tab.  Sala  non  vi  era  che  temere,  ad 
«  onta  delle  persuasioni  e  preghiere  del  nostro  ospite  e 
e  mie^  volle  il  mio  fratello  dare  ascolto  all'amico  n. 

Durante  il  soggiorno  in  Cascia  menò  vita  affannosa  e 
raminga,  sapendosi  codiato  dalla  polizia  francese,  e  insino; 
una  volta,  per  scamparne,  dovè  travestirsi  da  pastore.  la; 
mezzo  però  a  tanta  ansia  ed  incertezza  non  lasciava  di  spe- 
dire a  quando  a  quando  lettere  d' informazione  a  Savona, 
dove  stava  rilegato  il  pontefice,  per  tenerlo  avvisato  di 
quanto  stimava  dovesse  maggiormente  importargli.  E  per 
evitare  ogni  inciampo,  segnate  le  lettere  con  mentite  so-] 
prascritte,  mandavale  impostare  ne*  circostanti  paeselli  dal 
infinti  accattoni.  Finalmente,  giudicando  maggior  sicurtà 
l'uscire  dello  Stato  papale,  si  riparò  a  Firenze,  dove,  preso 
stanza  nella  villa  Salviati  presso  a  Fiesole,  se  ne  rimase 
fino  al  ricomporsi  delle  pubbliche  cose,  cioè  per  oltre  a 
quattro  anni. 

Nella  tranquilltt.ì  di  quel  lungo  ozio  compose  da  prima, 
per  commissione  venutagliene  di  Francia  dal  cardinal  Mi- 
chele Di  Pietro,  una  scrittura  apologetica  in  sostegno  di 
quei  cardinali,  che  si  erano  testé  rifiutati  di  assistere  al^ 
solenne  rito,  col  quale  Napoleone,  dopo  aver  ripudiata  la' 
prima  moglie,  disposossi  a  Maria  Luisa  d'Austria.  Il  que-l 
sito, che  lo  scrittore  si  propone,  è:  «Se  fosse  lecito  ai  car- 
«  dinali  assistere  alla  sacra  cerimonia  del  matrimonio  ».  Per' 
rispondervi  adeguatamente,  egli  imprende  una  serie  di  ri- 
flessioni sui  «  monumenti  della  storia  ecclesiastica  relativi 
«aUe  cause  matrimoniali  dei  monarchi  »,  e  ne  rileva 


Della  vita  e  degli  scritti  di  G.  C/i.  Sala         25 


f.  Che  le  dette  cause  «  sono  state  sempre  giudicate 
«e  terminate  'coU'auCoritA  della  Santa  Sede,  o  del  papa 
«istesso  a  Roma,  o  da  commissari  da  lui  delegati  sul 
«  luogo  A  ; 

2.  «  Che  il  dirino  di  giudicare  definitivamente  tali 

•  cause  è  stato  da  tutti,  siccome  costantemente,  cosi  uni- 
ovcrsalmente  riconosciuto,  e  primieramente  dai  monarchi 
0  scessi  D  ; 

5.  Che  tale  diritto  «  fu  dai  romani  pontefici  non  solo 
«riconosciuto  in  se  stessi,  ma  costantemente  e  gagliarda- 

•  mente  sostenuto,  ancorché  in  alcuni  casi  si  dovessero  alla 
«loro  saviezza  affacciare  delle  terribili  e  travagliose  conse- 
■  gucnze  della  loro  fermezza  w  ; 

4.  Che  è  evidente  «  il  consenso  costante  e  universale 

!•  dei  vescovi,  e  specialmente  de'  gallicani,  in  riconoscere 
«<lucsto  diritto  primitivo  della  Santa  Sede». 
Da  queste  premesse  deduconsi  tre  conseguenze  : 
r*  te  Che  la  consuetudine  invalsa  nella  Chiesa  di  giu- 
«  diate  dette  cause  coirautorità  apostolica,  primieramente 
«è,  non  solo  da  un   tempo    maggiore  di  ogni  memoria, 
«quile  è  richiesto  dal  gius  canonico  per  passare  in  legge 
•t  stabilire  un  diritto;  ma  antica  di  dieci  secoli,  senza  che 
•né  prima   dell'ottavo,  né   durante  il  corso  dei  secoli  di 
«mezzo  fino  al  presente,  si  trovi  alcun  accertalo  esempio 
^_  *  in  contrario  »  ; 

^1  2*  a  Che  non  vi  può  essere  possesso  più  pacifico  di 
•quello  che  da  tanti  secoli,  e  senza  interruzione,  gode  la 
■Santa  Sede  di  giudicare  di  simili  cause,  giacche  i  sommi 

E  «pontefici  hanno  esercitato  un  simile  giudizio  anche  in 
•prima  istanza,  e  per  volontaria  sottomissione  de'  monar- 
•  chi  stessi,  o  certamente  senza  richiamo  di  loro,  o  de'  ve- 
«  scovi  0  ; 
3*  «  Che,  o  si  guardi  la  somma  importanza  delle 
•  cause  outrimoniali  de'  monarchi  rapporto  non  meno  agli 
■  Stati  che  alla  religione,  0  la  solennità  grande,  con  cui 


24 


G.  Cugtumi 


9  iìiroao  ordioaiiainente  giudicate,  debbono  esse  riguardarsi 
€  come  cauu  maggiori,  e  perciò  come  spettanti  csclusiva- 
«.  mente  al  papa,  secondo  i  aotì  principi  dd  gius  canonico 
B  e  la  dichiarazione  di  Celestino  III  nella  dccreule,  ove 
«  dice,  tra  le  altre  cose,  paxiando  del  divorzio  di  Lotario  : 
«  Xomu  hoc  ttigoHum  ic  pratàfms,  d  maps  ardtus  unum 
«  ess^  dignoscitnr,  tUpcU  qmi  mtir  exùmMS  et  regaìcs  pn- 
•  sonasi^ 

Segue  poi  l'esposizione  giuridica,  la  quale  fondasi 
Tridentino  e  sull'autorità  d'alcuni  scrittori  posteriori,  lon- 
tanissimi dal  sospetto  di  pandaliti  verso  la  Santa  Sede.  " 
Donde  risulta  la  nulliti  canonica  del  giudizio  del  divorzio 
in  proposito,  profferito  dalla  uffixjalità  di  Parigi,  dichiarata 
competente  da  una  deputazione  di  pochi  vescovi.  ^ 

«  In  vista  di  queste  riflessioni  (conchiude  l'autore)  non  ^ 
«  dubitano  i  cardinali  non  inter%'enuti  che  possa  trovarsi 
e  alcuno,  il  quale  non  trovi  e  fondata  e  necessaria  la  loro 
«  condotta.  Malgrado  però  l'evidenza  colla  quale  essi  crc- 
«  dettero  di  dovere  operare,  come  han  fatto,  non  intendono 
e  in  alcun  modo  di  erigersi  in  censori  della  condotta  di- 
«  versa  di  quelli  fra'  loro  colleghi,  che  sono  intervenuti, 
«  essendo  questo  un  giudizio  che  appartiene  al  solo  capo 
tt  della  Chiesa.  Né  similmente  hanno  inteso  di  mischiarsi^ 
«  nel  merito  intrinseco  della  gran  causa,  di  cui  si  tratta,  né 
«  di  farsene  essi  giudici  ». 

Dà  compimento  al  lavoro  un  «  elenco  delle  cause  ma*fl 
«  trimoniali  di  monarchi  e  d'altri  principi,  delle  quali  prese 
«  cognizione   la   Santa   Sede,  dal  secolo  vai  al  xvm  o.  Il 
quale  elenco  riesce  ad  una  serie  di  riscontri  storici  a  rin- 
calzo delle  materie  antecedentemente  trattate.  fl 

Sebbene  lo  scritto  sia  di  piccola  mole,  pure  è  facile  in- 
dovinare il  faticoso  apparecchio,  che  dovette  precederlo; 
occorrendo  di  stabilire  un  principio  intomo  ad  argomento 
non  mai  fino  allora  venuto  in  discussione.  La  qu; 
non  potea   farsi   senza  una  profonda  perizia  del  diri 


J9  minuta  ed  esatta  notizia  dì  tutta  quanta  U 
itica  (i). 

len  d'altra  lena  e  d*altro  pregio,  si  per  li  im- 

VastitA  del  tema,  e  si  pel  grande  possesso,  col 

condurla,  è  il  suo  Puwo  di  riforma.  Gii  fino 

Icupazionc  francese,  come  di  sopra  accennai, 

laso  che  u  il  principato  e  la  Chiesa  avevano 

3^ndi  riforme  »  (2),  «  massime  nelle  persone 

rratc  »  (3).   E  pertanto   fin  da   quel   tempo 

Itando  m  mente  l'avviluppato  e  geloso  dise- 

rivolgendo,  quasi   a  centro,  gl'intendimenti 

lazioni,  e  i  risultamcnti  pratici  della  sua  ope- 

5S10  un  continuato  lavorio  di  paragoni  fra  i 

tri,  dal  quale  dovea  venir  fuori,  quando  che 

compatto  ed  annonico,  senza  sdrucimre  né 

t  e  tale,  da  ravvisarsene,  non  che  possibile, 

azione. 

di  Platone,  del  Campanella  e  del  Moro  do- 
dunque  escluse  da  uno  scritto  vólto  unica- 
tica,  è  col  quale  si  tentava  di  ridonare  ad 
ecaduta  Istituzione  lo  smarrito  aspetto  e  la 
melandola  nella  parte  mutabile  ai  sani  avan- 
zo" civile;  sicché  il  suo  rinnovamento  non 
un  semplice  indietreggiare  alFantico,  nò  ad 
arsi  al  novello:  ma  piuttosto  fosse  un  giusto 
lell'una  cosa  e  dell'altra. 
avvisi  ed  apprestamenti,  tostochè  previde 
ine  della  cattiviti  del  pontefice,  pose  mano 
pne  privo  di  libri,  e   nella  malferma  con- 


ben 


Wtf  sui  matrimouio  tUìtSmperatort  XapoUotte   t   del' 
irta,  pubblicale  dal  Crétineau-Joly  (a  pag.  416  e 
itatc  Mimoiris  du  card.  Coruaìvf)  sono  brevemente 
ali  deduzioni  di  questo  scritto  del  Sala, 
narzo  179**. 
tnbre  1798. 


26 


G.  Cugnont 


dizione  di  un  vivere  incerto  e  peregrino,  tra  il  febbrai| 
il  marzo  del  1814  ebbela  menata  a  compimento.  Spo 
il  manoscritto  al  fratello  Domenico  in  Roma,  questi, 
tolo  copiare,  glielo  rimandò  in  Bologna  (i),  dove  GÌ 


(i)  Ciò  si  raccoglie  da  alcune  Icnerc  scrìnc  neiraprile  del  i8l 
dal  fratello  Domenico  a  Giuseppe  Antonio  in  Bologna.  Ecco  ì  pi 
ragrafì  di  esse  lettere,  ì  quali  a  ciò  sì  riferiscono: 

o  Roma,    19  aprile  1814.  -  V'informai  già  dì  avere   ricevuta  11 

V  cassettina  coi  vostri  scrìtti,  lì  quali  presentemente  si  vanno  copiando! 
«  ed  io  li  vado  gustando  di  mano  in  mano,  innanzi  di  darli  a  copiare  »\ 

«  Roma,  a$   aprile  1814.  -  Raccomando  il  piego  airottìmo  Car-1 
«luccio,  al  quale  insieme  mando  una  cassettina  con  entro...  la  copia  1 
«  della  meti^  del  volume  sulla  Riforma  sino  all'artìcolo  riguardante  le 
«monache, cui  succederai  quello  delle  congregazioni,  che  attualmente 
«  si  SU  copiando...  Mando  nella  cassettina,  quando  il  buon  Carluccio 

■  possa  Inoltrarvela,  la  meti  del  lavoro  copiato  sinora,  e  non  lascio  dì 
ff  insistere  perchè  si  compisca  al  più  presto  possibile.  Se  aveste  fretta 
«di  ricevere  l'altra  metù,  bisognerebbe  che  io  prendessi  il  partito  di 
(t  farla  copiare  da  due  caratteri  ». 

«  Roma,  29  aprile  1814.  -  Per  secondare  le  vostre  premure  com- 
K  munì  al  compagno,  vi  trasmetto  la  copia  di  altri  otto  quinterni  con- 

V  cementi  la  Riforma,  e  vado  sollecitando  il  lavoro  del  rimanente  ». 

E  nella  medesima  corrìspondcnra  epistolare  sono  notevoli  i  se- 
guenti periodi,  che  si  riferiscono  all'uno  o  all'altro  articolo  dì  questo 
lavoro  : 

a  Roma.  19  aprile  1814.  -  Sembra  pure  che  con  facilita  quakhc 
«  persona  laica  incominci  a  rimettere  in  uso  Ìl  vecchio  suo  abito  d*a- 
«baie;  onde  ve  lo  avverto,  perchè  sarebbe  necessario  impedirlo  al 
n  primo  momento  che  se  ne  abbia  libero  campo  ».  (V.  nel'  Piano  di 
"  Riforma  Varticolo  VII,  Deirabatismo): 

«  Roma,  }  maggio  1814.  -  Per  quello  che  concerne  la  rìassun- 
«  cionc  dclPabito  d'abate,  intesi  di  suggerire  il  mettervi  qualche  osta- 

■  colo  quando  stasi  qui  stabilito  U  Governo  pontificio  ». 

Col  XIII  articolo  del  Piano  di  Hifor-ma  {^^scoii  ^  viscwaii)  eoa. 
suona  il  passo  seguente  della  lettera  medesima: 

«  Osserverò  tutte  le  carte  trasmesse  dal  nunsio  di  Vienna,  sapendo 
«gii  che  ì  processi  stanno  in  mano  delTabate  Adorni.  Mi  persuado 
«  però  che  U  padrone  (cioè  il  papa)  abbia  gii  adottato  e  voglia  inco- 
«  mincìare  a  mettere  subito  in  esecuzione  il  necessario  sistema  di  bea 
«  conoscere  le  personali  qualità  di  ciascun  nominato,  innanzi  di  farlo 


^]piia  e  degli  scritti  di  G.  q4.  Sala  27 

erasi  dì   que'  giorni    recato  ad  ossequiare 
aco  lìbero;  e  quivi  a  lui  lo  consegnò. 
suo  lavoro,  che  è  come  dire  un  primo  ed  af- 

J a  dell'altro,  di  cui  appresso  discorrerò,  non 
enti  si  continuerebbe  1  rimanere  soggetti  allo  stesso 
Ima,  di  avere  canivì  vescovi  con  gravissimo  pregiudizio 
igiaccbi  i  processi  sono  purtroppo  ridotti  a  poco  pi6 
Ice  formalità.  Quindi  voglio  immaginarmi  che  già  il  lo- 
avrà  ìncarìcato,  ma  con  forte  premura,  il  suddetto  buon 
tuia  a  praticare  le  opportune,  diligenti,  scrupolose  in* 
(curarsi  di  ogni  precisa  qualità  di  ciascun  nominato, 
pM  sari  indispensabile  venga  applicato  a  tutti  singoli 
!  padrone  conoscere  chiaramente,  che  non  farà  vescovi, 
ao  preventivamente  a  lui  cogniti  li  loro  requisiti  «. 
ila  riforma  degli  uffici  delta  Dateria  e  della  Canccl- 
,  Domenico  andava  assai  più  in  la  di  Giuseppe  An- 
'«Dc  scriveva: 

^m  n  Roma,  19  aprile  18x4. 

:  avere  a  fare  un  novello  impianto  per  la  Dateria  e 
lena,  e  quindi  trattasi  di  una  responsabilità  di  non 
[ueiua;  digiuni  saranno  i  nuovi  datario,  sottodatarìo 
tutti  dì  qua  suppongono  che  io  abbia  ad  indossarmi 
Iella  faccenda,  lo  che  mi  rammarica  semprcppiù;  il 
otrebbe  riguardarsi  come  svanito,  se  non  esistono  più 
ili  producevano  due  terzi  dermici  emolumenti;  e  se 
inno  le  tasse  della  Componcnda,  dal  quale  ufficio  rì- 
BRo;  e  non  avendo  gran  premura  del  mio  interesse 
t  di  aver  luogo  a  tentare  di  scusarmi  da  brighe  ul- 
mente  se  avesse  a  considerarsi  come  divenuta  super- 
li  amministratore,  per  I.1  cessazione  delle  sue  con- 
ile. Voi  sapete  che  di  abilità  si  sta  scarsissimi,  e  che 
'iaclpale  scopo  dì  ciascuno  ò  di  lucrare,  e  forse  anco 
arsi  del  poco.  Sta  a  vedere  come  penserà  il  nuovo 
rìbunale,  e  sopra  ttitto  quale  sarà  la  volontà  del  pa- 
lunque  modo  anderà  la  faccenda,  non  dimentiche- 
>ligo  di  dovere  ubbidire  sino  a  quel  tempo,  a  cui  sa- 
igere  le  mie  forze,  se  ne  otterrò  Taìuto  dal  cielo. 
!te  che  nella  mìa  bottega  regna  molta  ignoranza  non 
l  pretensione.  Nel  nuovo  impianto  sarebbe  neces- 


28 


G.  Cugnoni 


posso  dare  che  brevi  e  scarsissimi  cenni;  quando  l'unico 
esemplare  (quello  appunto  offerto  a  Pio  VII)  rinvenuto 
lo  scorso  anno  neirarchivio  Vaticano;  mentre  veniasi,  con 
regolare   permesso   dell'  eminentissimo    prefetto   cardinale 
Hergenroether,  trascrivendo  in  mio  servizio;  fu  d'improv- 
viso sottratto  da  un  ministro  secondario  del  luogo,  senza 
darmene  né  meno  avviso.  Ne  dirò  pertanto  quel  poco  che 
potei  raccogliere  nel  picciol  tempo  che  mi  fu  dato  di  esa^i 
minarlo.  È  un  volume  in  forma  di  4°,  di  pagine  226,  1<|H 
gato   in   marrocchino  rosso   sbiadito,   con   lo  stemma  d^^ 
Pio  VII  impresso   d'oro  sul   lato  anteriore   della  carte 
Intitolasi  «  Piano  istruttivo  di  riforma  per  lo  spirituale 
«temporale,  dedicato  a  Pio  VII  ».  La  prima  carta  ha  u 
lunga  iscrizione  latina  di  dedica  al  Pontefice  (r).  È  divi 
in  due  partì,  la  prima  per  le  materie  concernenti   lo  spi- 

(t  sano  vi  fosse  un  superiore,  il  quale  si  compiacesse  dare  ascolto,  i 
«  poi  sostenesse  e  tenesse  forte. 

ce  Ho  letto  ii  vostro  laboriosissimo  lavoro  sopra  la   Riforma^  daT 
«  quale  confido  sarete  per  riportare  la  lode  corrispondente.  In  un  solo 
«  oggetto  non  comhinianto  insieme  pietmm^nU,  cio^  in  qufìh  rigìsarda 
tt  toisc,  A  me  sta  fitto  in  Usta,  che  per  ripristinau  stabilmente  il  crediH 
«  dtUa  S.  Sede  sia  indispensabile  lei*are  affatto  di  mano  ai  nemici  quel- 
K  Vanna  dell' interessi,  della    quale  si  sono  serviti   a   nostro  incalcolahiìc 
a  danno.  Quando   il  sommo  pontefice  tton  esiga  più   un  soldo  per  z'enma 
«  concessione,  dando  gratis  tutto  ciò  che  gratis  ricevette,  par 
«  che  potrà  parlare  assai  franco,  accordare  le  grafie  soltanto  a  ragion  1 
«  duta,  non  derogare  con  tanta  frequenta  alle  leggi  della  Chiesùg  e  non 
«  temere  n^  i  piccoli  né  i  grandi.  Tal  è  pure  il  desiderio  di  tutti  quelli  che 
tt  conoscano  il  mondo  e  che  s' interessano  pel  bene  della  Chiesa  ». 

(1)  Eccone  il  tenore:  «  Pio  VII  P.  O.  M.  |  Orthodoxae  Fideì  | 
«  Clypeo  I  CathoUcac  Disciplinac  |  Strenuo  Scr\-atori  |  Pictaiis  Hurai- 
»  litatis  Patientiae  |  Sed  £t  Invictae  Constantiac  |  Hac  Tempestate  | 
V  Protoiypo  1  Ut  Quod  Verbo  Et  Esemplo  (  Ad  Rei  Christianae  | 
«  Munìmcn  Et  Decorem  |  Ad  Uiramque  Potestatera  |  Enixe  Vindi- 
«  candam  |  Coepii  Opus  ]  Ad  Ecclesiae  Quoque  Univcrsae  |  DupLi- 
n  cem  Reformaiionem  |  Ipsc  Perticiat  |  Inter  Filios  Subdìtos  Diocce- 
ct  sanos  Et  Famulos  {  Minìmus  |  Haec  Ocyus  Dicare  Confidlt  |  Anno 
«Domini  MDCCCXIV  ». 


ÌV2  ad  ambedue  i  volumi  sullo  Spirituale  e  Temporale. 

irocnico,  e  quando.  Riforma  sulle  tracce  dell'ultimo 

Witittis  mulandis. 

,eg.it%  Xunzi,  Arcivescovi,  ecc. 

Upìtoli,  Collegiate. 

blichc  ed  UnivcrsiiÀ  di  sradl. 

re  antico  e  nuovo. 

ipettorì  ecclesiastici  o  secolari  in  ogni  Parrocchia,  ecc. 

:  pubblica  e  privata. 

e  LenonL 

.tì.  Monache,  Congregauoni,  Oblate,  Conservatori  e 


gni  settimana,  almeno  ogni  15  giorni,  ove  sì  agitino 


ancelleria,  Vacabili  e  Segretaria  de*  Brevi. 

a.  Collegi  esteri,  oltramontani. 

ani  e  Segretarie  del  Concilio,  Vescovi  e  Regolari,  ecc< 

ontificia,  de*  Cardinali  e  Prelati  di  carica,  Cappella 


ria  e  sue  attribuaionL 
cristiana,  qcc, 
ri,  o  Laudemt,  ecc. 
>fomine  ecclesiastiche, 
manutenzione,  ecc. 


i 


lese,  Vagabondi,  ecc.,  Bettole,  che  fomentano  vizi, 
raria  e  Collegi  rurali. 
ubblici  e  nazionali. 


i 


30  G.  Cugnoni 


XXVI.  Cause  ecclesiastiche  e  S.  Ruota. 
XXVIL  Semmarì,  Collegi,  Orfanotrofi,  OspizL 
XX\^IL  Carcerati  e  Case  dì  correzione. 

XXIX.  Monte  di  Pietà,  Usure. 

XXX.  Gente  di  campagna,  loro  religiosa  cultura. 

XXXI.  Artisti  di  ogni  specie,  e  loro  Università  per  il  suddetto  og- 
getto. 

XXXIL  Soldati,  Sbirri,  Arti  vili  ed  infami  per  il  suddetto  <^etto. 


INDICE 

DEGLI   .\RTICOLl   DEL  PlAKO  ISIKUlllVO 
SAETTANTI  AL   TEMPORALE. 

L  S^iretarìa  di  Suto  e  sue  attribuziooì. 
IL  Governo  in  Roma  e  nello  Sato,  ecc. 
Ili,  Buon  governo,  ecc-  Consulta. 

IV.  Curia  e  suoi  abuà  da  toglierà. 

V.  Ditesji  e  sue  attribuzìonL  ecc.  Soldatesca. 

VI.  Dogana  JÙlì  connnl.  Macinato,  ecc. 

VII.  Gìu$tÌ:ù  rroara.  esenr^plare.  ìniparrìalc. 

Vili.  Annona  rer  ìn^.nre  :  monc^j^oH.  e  iìsrmrìcase  id  Commercio 
lìbet\\  dar.r;oso  allo  Stato  ecclesiastico. 

IX.  Grascia  per  T.  saicecro  efnrrro  e  preix:  scìTuìì  o^  aa^o,  ecc. 

X.  5^anTii  carnosìssìrri  estìrrat:  e  >crs!wr.f:at:   cc^sse  gli  assas- 
sìr\  ecc. 

XI.  V^tsiiz-v^ri  di  ogrd  scNcck  da  so^i^ccurs  a  »C3«=::  zznprovìà 
<-sa:"\  «ce- 

\%l.  yVv  OxVVv^raV.  e  j<ccc.an<. 
XIU.  K-*.*.  cir.^cra'!;  e  ìV-aì^oI',  ecc. 
XtV^  Tcat:*  e  S;v:taooÌL  e.  i-jr-ir.vc\r- 
W    FiKvwS.*  ;:r.>.  e  r«^^^s$y::Si,  <  s:t2<. 
\Vt.  Vocc::::2C'*r.  ;v^.*•2x   a:^:ic^-  e  Tro5;r::v 
\VU>  v^>^^:<:^J:  >>i  *r--^  d:\r,-  c^i^-i  accotf 
\VUI,  Tvs^c  .V-  U  y^rocrix  oo.'rscv^^it^^.ra^  i^;c- 

W*  Scv^.MX':'*;^,  ,v*oovv :  cernii  j:..c  5ii?--  ccc:. 

X\l\      1'\«*ì:..jOì£.   C  Jv'\'^\    i-.i  X -■*:,'»  ^^. 


i  untata,  ecc.  (T.  juÌ  i*  Tomo  Scuola  agraria,  n.  34). 

cri  necessari,  utili,  daiinod. 

A5SOggt:ttarsi  ad  ìnipro%'Ì30  esame,  ecc. 

tìca  Del  vestiario,  ecc. 

raordinarie,  ecc. 

t))arie  per  respingere  i  corsari,  ecc. 

ttbblìca  da  darsi  colle  debite  cautele,  ecc. 

tiligeiite,  Reddiconti,  ecc. 

ie  e  giorìsdiz.  che  fomentano  i  vizi,  ecc. 

tetto  da  purgarsi  e  mantenere  come  il  più  neccs- 

iistenza  dello  Stato  eccl. 

tenersi  io  dovere,  tee. 

i  Maestre  dì  Roma. 

Storpi  e  Poveri,  ecc. 
he  ed  arti  perniciose  alla  salute,  ecc. 
Ibirurghi,  Litoioraì,  Dentisti,  ecc. 
I  dt  proibire, 
de  riservate  incommode,  ecc. 

e  inanutcnz.  di  strade,  ecc. 
e  strade,  ecc. 
t  dell'Opera  e  Protesa  dell'Autore, 


r,  pontefice  d' intendimenti  rettissimi  e 
avversasse  mai  le  proposte  di  ragionevoli 
1   governo   della  Chiesa,  come  di  quello 

è  da  mettere  in  dubbio;  soprattutto  per 
itta,  insìn  da  principio,  di  Ercole  Consaivi 
•tato;  uomo  destrissimo  in  ogni  più  arduo 

quel  tempo  (come  che  poscia  mutasse 
tore  prudente  di  utili  mutamenti  nella 
strazione,  E  gii  al  Chiaramonti,  non  ap- 
^al  conclave  di  Veneziii,  fu  presentato 
mHa,  che  dato  da  esso  ad  esaminare  al 
lo  Antonelli,  questi  ne  distese  un  rapporto 
«  Giunto  il  S.  Padre  a  Roma  (racconta 
jpe  Antonio  (i)  )  raostrossi  indinatissimo 


Pmnc  di  riforma,  ecc. 


J2  C  Cm^omi 

e  aZTesecrzioDe  iéli  '"vw  !ti^  e  isoximcàò  a  scegliere  vari 
€  soggerf,  che  rjrrmr  irrevxio  =:ix  porticolar  Congrega- 
«  Z3cae  per  ibc=rere  :  ^ers£  -irticoIL  da  socropora  in  se- 
€  gJao  al  gnicizio  i:  Sili  SarrrL  Intana?  prevalendo  gli 
«  anr:ch:  metodi,  e  rxiEcxziosà  ncovameate  qa^li  abusi, 
€  die  cgzino  sperava  i:  vedere  esienirtì,  si  frapposero 
•  aZa  riforma  nsTKroj  pressocìiè  ìr^sonnontabOi,  e  succe- 
«  de:ìdos:  I^en  presco  gii  cn:  agi:  airi  a:^rì  gravissimi»  e 

dìoiendcanra  un'opera 
:  li  Chiesa  non  meno, 
e  die  per  Io  Sta^;?  >.  Amniaess^^?  il  Sala  da  eoa  triste 
esperienza,  perchè  il  suo  reitadvo  noa  oyniasse  in  nulla, 
ben  sapendo  che  il  ferro  vuol  essere  barrato  mentre  eh*  è 
caLio,  non  appeal  romaro  in  Roma,  tolse  a  rìcn^are  ed 
allargare  quel  suo  lavoro  il  cioia  a  fondo,  con  animo  di 
veoirio  a  mano  a  mano  d:voIgar:do  per  la  stampa;  ma 
presto  se  ne  dovè  rimanere  (i). 

(:j  AxTOS-o  Co?F»  1  por.  7;  ie!  Z>Lv,Tyc  iai  Ccvi^fc'tf  €  Senato 
a  R:m^,  arrfr^iìice  q::esto  !iv:*rc  t  ilTi'rite  Don:en:co  Sila,  pro- 
c  fc2Ìo  ccmoscftorc  ielle  co«  e  ie"e  r^rscne  roaiase  ».  Il  quale, 
»  riachiuso  per  aXcz3ii  anni  a  FccestneSe  co:  cjrd.  Pjcca,  aveva  me- 
c  i3tatc  lungamente  cct:  quel  ceno  ;s?rpon:o  sugli  antfchi  difetti  del 
«  gOTcno  e  sulla  ::ecess;ti  S  rìririrv:.  Ei  aTorquando  era  immi- 
c  ceste  •!  nsuMHmento  del  poctiucio  ionìcio,  compio  un  vasto  pro- 
«  retto.  ::el  <juale.  con  senrplicità  cvanirelìca  e  Ubertà  assoluta,  de- 
«  scrisse  gli  antichi  iìfett:  e  prepose  le  orponune  ritonne  ».  Ciò  in 
parte  è  vero,  e  in  parte  no.  Non  è  vero  che  il  lavoro  accennato  sìa 
d:  Domenico;  bea  però  è  vero  che  questi  nella  prponia  di  Fenc- 
strclle  aveva  meiiuto  lungamente  col  card.  Pacca  sugli  amichi  di- 
fetti del  governo  e  sulla  necessità  d:  ripararvi.  Infatti  in  una  sua 
0:^iquic:i:r.ma  rtli^ic-tu  àifjtti,  del  6  mano  1S14,  al  pontefice  Pio  VII, 
egli  cosi  scriveva:  «  Mi  astengo  dall'entrare  in  altri  qual  si  siano 
V  dettagli  ;  massimechè  sono  persuaso  avrà  il  degnissimo  sig.  cardi- 
«  naie  Pacca,  secondochè  si  era  proposto,  communicatì  distesamente 
«  alla  Santità  Vostra  ratti  quei  lunghi  discorsi,  che  nel  biennale  spa- 
«  zio  della  nostra  dimora  (in  Fenestrelle)  erano  tra  noi  stati  fatti 
<  sopra  lo  sconvolgimento  universale  delle  materie  ecclesiastiche  in 


T)ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  q4.  Sala        33 


Del  quale  venendo  io  ora  a  proporre  un  breve  sunto, 
debbo  di  necessiti  ristringermi  a  quella  parte,  che  ne  fu 
pubblicata;  non  essendomi  avvenuto,  per  diligenze  e  ri- 
«rche  fattene,  di  trovarne  e  leggerne  la  rimanente  ma- 
nosaitio.  Nondimeno  anche  i  parziali  cenni  che  posso 
dame  saranno  sufficienti  al  discreto  lettore  per  intendere 
ed  apprezzare  il  valore  deiropera. 

L'esemplare  da  me  veduto  (cosa  di  estrema  rarità,  perla 
ragione,  che  a  suo  luogo  dirò)  è  in  quarto,  di  pagine  202, 
Jcnza  frontispizio,  e  comprende,  oltre  la  lettera  dedicatoria 
il  pontefice,  il  proemio  e  i  diciassette  seguenti  articoli: 

L  Necessiti  della  riforma  —  II.  Difetti  del  nostro  sistema  — 
HI.  Si  sciolgono  le  obiezioni  contrarie  al  piano  di  riforma  ^  IV.  Di- 
«poauioni  prcUniinari   della  riforma  —  V.   Basì  della  riforma  — 


•  tutti  l'Europa;  sopra  la  necessità  di  prencicre  cognizioni  esatte  di 
« tuQO innanzi  di  por  le  mani  in  qualsiasi  cosa;  sopra  le  moke  av- 

•  wtcazc,  diligenze  ed  esami  da  praticarsi  indispensabilmente  prima 
«^procedere  alla  conferma  di  alcun  vescovo  novello;  sopra  la  con- 
•gruoiu  lii  non  riassumere  la  spedizione  di  qualsivoglia  affare,  se 
•non  dopo  restituitasi  Vostra  Santità  alla  sua  sede,  ripristinata  la 
•Curia  romana,  e  acquistate  le  corrlspondciUi  notizie;  sopra  la  coa- 
<*OteQu  di  far  uso  sul  bel  principio  dì  bolle  e  dì  brevi,  secondo 

•  te  «ile,  per  non  pergiudicare  al  decoro  della  S.  Sede,  e  ali'oppor- 
•una  inicUigcnra  delle  antiche  cartapecore,  non  omettendo  le  giuste 
•Maiue  per  ricuperare  gli  archivi  ecclesiastici  trasportati  in  Fran- 
•cia  entro  tante  casse  sino  al  numero  di  quasi  tremila,  una  gran 
*p<nc delle  quali  spignora  qual  destino  abbia  avuto;  sopra  il  biso- 
*SD<>  di  allontanare   ogni  vista   d'interesse,  per  cosi  togliere  agli 

•  mimici  della  Santa  Sede  qucirunica  arma,  dì  cui  sì  sono  serviti  con 
•^ou  malignità  (V,  la  nou  a  pag.  26-2S  in  fme)  ;  sopra  ravvertenza 
•<li  non  lasciarsi  prendere  dalle  domande  dì  chicchessia  per  il  perì- 

•  colo, che  non  avvenisse  quello,  che  non  fosse  per  tornar  bene;  sopra 
'lo  accettare  bensì  in  ogni  luogo  qualunque  istanza,  ma^  fuori  di 
■  ì"**!!*  concernenti  benedizioni  ed  assoluzioni,  ritenere  tutte  le  altre 
'ptt  Aspettare  a  disbrigarle  opportunamente  in  Roma;  sopra  le 
"Dohc  rifìesAÌoni  da  aversi  sottocchio  nella  nuova  sistemazione  del 
•clero  secolare  e  del  regolare  di  entrambi  i  sessi;  e  finalmente 
*^opra  mille  aJtrc  cose  di  simll  natura  u. 

Archivio  della  R,  Società  romana  di  ttoria  patria  Voi.  XI. 


Ì4 


G.  Ciignom 


VI.  Separazione  dello  spirituale  dal  temporale  ^  VII.  Dell'abatismo 

—  Vili.  Cariche  —  IX.  Franchigie  —  X.  Uffìzi  delle  poste  straniere 

—  XI.  Dritti  feudali  —  XII.  Sacro  Collegio  —  XIII.  Vescovi  e  ve- 
scovati —  XIV.  Prelatura  —  XV.  Clero  secolare  —  XVI.  Regolari 

—  XVII.  Monache. 


La  lettera  dedicatoria  e  il  proeaiìo  sono  rappiccanire 
fatte  allo  scritto  nel  punto  di  metterlo  a  stimpa,  e  vi  si 
celebra  la  liberazione  del  pontefice.  Del  quale  desideratis- 
simo  avvenimento  rallegrasi  l'autore,  e  coglie  la  gaia  oc- 
casione per  otTerirgli,  in  segno  della  sua  esultanza,  il  a  ce* 
«  nue  parto  del  suo  scarso  ingegno.  Esso,  per  rurgomento, 
«sul  quale  si  raggira,  non  sarà  forse  del  tutto  indegno 
ft  de'  suoi  benefici  sguardi,  ed  è  certamente  conforme  alle 
a  sue  mire  ».  La  clemenza  di  Sua  Santità  a  dia  un  gene- 
<t  roso  perdono  ni  suo  ardire,  e  degnisi  accogliere  la  sua 
e  offerta,  come  il  denaro  della  vedova  evangelica  ».  Egli 
nel  dcporla  a'  suoi  SS.  piedi  l'accompagna  colla  protesta 
del  gran  dottore  Agostino:  «  Haec  ad  tuam  potìssimura 
a  dirigo  Sanctitatem,  non  tam  discenda,  quam  exaniinanda, 
«  et  ubi  forsiran  aliquid  displicuerit,  emendanda  constituo  », 

Nel  proemio  si  accennano  le  due  ragioni,  che  indus- 
sero Fautore  alla  pubblicazione  dello  scritto.  E  queste  sono 
in  primo  luogo  il  debito  di  gratitudine  verso  la  Provvi- 
denza per  l'improvvisa  cessazione  de' mali,  che  afflissero 
la  Chiesa  e  lo  Stato.  Gratitudine  non  gii  di  parole,  ma  di 
fatti  ;  poiché  o  poco  sarebbe,  se,  dopo  aver  fatto  risonare 
«i  sacri  tempi  degli  armoniosi  canti  dell' inno  ambrosiano» 
«  divenuto  ornai  un  cantico  di  moda,  indegnamente  pro- 
«  fanato  a  questa  nostra  età...,  ci  contentassimo  di  sterili 
a  voci,  mettendo  in  oblio  l'ampiezza  delle  grazie  ricevute, 
tt  e  il  debito  di  corrispondervi  più  co*  fatti,  che  colle  pa- 
ci role  ».  E  questi  fatti  si  riassumono  nella  «grande  opera 
«  di  quella  universale  riforma,  che  Iddio  vuole  da  noi,  e 
«che  tutti  i  buoni  ardentemente  sospirano  ».  Alla  quale 
desiderando  egli  di  concorrere,  secondo  la  sua  sufficienza, 


!  e  degli  scritti  di  G.  evi  Sala         35 

|9  l'ozio  del  suo  ritiro  per  segnare  in  questi 

^■ccic,  le  quali  servir  possano  dì  qualche 

Tovrà  occuparsi  di  proposito  dì  tale  impor- 

(ggetto...j  e  stimeri  abbondantemente  com* 

a  fadca,  quante  volte  sena  questa  di  stimolo 

e  a  condurre  al  suo  termine    quel   felice 

)  di  cove,  che  rinnovar  deve  la   faccia  del 

I,  e  ricondurre  tra  i  popoli  fedeli  la  perduta 

eritd  ».  In  secondo  luogo»  0  per  secondare  la 

che  a  cosi  fatta  emenda  ebbe  dimostrata  sin 

jjd  suo  pontificato  il  S.  Padre  Pio  VIL  Al 

^■rtto  pontefice,  fu  presentato  in  Venezia 

r^orma  »,  secondo  che  testé  qui  sopra  ac- 

e  per  altro  messo  tra  breve  in  dimenticanza; 

itezza  a  non  sarebbe  forse  temeriti  rasserire, 

ipairaente  ripetere  la  dolorosa  catastrofe  dei 

ono  aggravati  sopra  di  noi,  e  non  essendosi 

tra  esibita  alcuna  emenda,  si  è  veduta  let- 

vcrau  la  divina  minaccia:  Si  atttem  in  judi' 

mbulavcrint:  et  mandata  nua  non  aistodicrint: 

ga  iniquitates  ioriim  :  et  in  vcrbcribm  peccata 

Idio  con  un'ammirabile  condocu,  mista  di 

ndulgenza,  tentò  ridurci  sul  buon  sentiero. 

ri  demeriti  al  colmo  della  misura,  ai^i^rnvata 

nitti  (2)  sotto  il  pontificato  della  S.  M.  di 

ta  quella  estensione,  che  è  inutile  di  qui  det- 

ervandone  ognuno  di  noi  ancor  viva  la  me- 

anta  disperazione  di  cose  «  ecco  che  ali*  im- 

l  est  iranquillitas  magna  (3).   Per  un  vero 

Tcve  tempo  rimane  libera  l'Italia,  si  aduna 

Venezia,  viene  dato  alla  Chiesa  il  suo  legit- 


3<f 


G-  Cugnoni 


a  timo  capo...  E  forsechè  questi  lied  principi  sarebbero  stx 
a  coronati  da  più  felici  successi,  se  in  luogo  di  corrìsponderri 
«  non  si  fossero  messi  de'nuo\*i  ostacoli  alle  divine  miseri 
a  cordic.  Credeva  il  pubblico  ed  aspettavano  con  impazleni 
«  i  buoni,  che  dopo  le  dure  lezioni  avute  nel  corso  del 
«  democrazia,  ìncomincierebbe  un  nuovo  ordine  di  eoa 
a  canto  nel  sistema  religioso,  quanto  nel  sistema  politici 
«  L*uno  e  gli  altri  però  rimasero  delusi.  Tranne  alcune  r 
«  forme,  più  apparenti,  che  sostanziali,  più  economica 
a  che  ecclesiastiche,  ripullularono  ben  presto  gli  antichi  d 
«  sordini,  e  ve  se  ne  aggiunsero  de*  nuovi...  Gli  antic 
«  abusi  risorsero,  e  forse  anche  si  accrebbero,  né  si  voi 
«  rinunziare  a  quei  sistemi,  che  contribuivano  a  fomentar 
«  e  che  l'esperienza  aveva  mostrati  evidentemente  difettosi  3 
E  toccata  alcuna  cosa  di  questi,  soggiunge:  «  Io  parlo  i 
a  fatti  norissìmi...  e  quantunque  li  rammemori  con  estren 
«  dolore,  non  posso  tacerli,  per  non  tradire  la  veritA,  e  pi 
«  non  defraudare  il  mio  assunto  di  quanto  può  esser  coi 
«ducente  allo  scopo,  che  mi  sono  prefisso  u.  Lamentai 
poi  il  deterioramento  del  costume  pubblico,  la  profanazioi 
delle  chiese,  la  trasgressione  delle  feste,  gli  «  enormi  a] 
e  gravi  più  a  profino  di  pochi  particolari  favoriti,  che  a  risto] 
«  dell'esausto  erario  »,  conchiude:  o  che  se  vennero  coi 
«dotte  a  buon  termine  alcune  operazioni  giudicate  uti 
«  come  quella  del  conguaglio  della  moneta,  e  l'altra  di 
«  libero  commercio;  riguardando  esse  unicamente  oggd 
o  temporali,  aggravano  i  nostri  torti,  facendo  conoscer  sea 
«  pre  meglio  la  poca  premura  per  gli  oggetti  spirituali,  eh 
«sono  di  molto  maggior  importanza  ». 

Nel   I    articolo  (Necessità  della  riforma)  inquietalo  i 
dubbio,  che  «  trattandosi  di  un'impresa  assai  vasta  ed  ioQ 
«  barazzante,  ed  esigendosi  in  conseguenza  cuor  grande 
«  risoluto  per  eseguirla,  si  metta  mano  all'opera  con 
«  energia,  e  si  lasci  imperfetta,  sia  per  la  scelta  de'  m 
«poco  efficaci,  sia  per  l'impegno  di  provvedere  piutti 


■lal  temporale,  che  allo  spirituale  ».  Il  qual  dubbio,  ove  si 
ft'vcrasscj  e»  il  suo  lavoro  sarebbe  perduto,  e  in  breve  tempo 
fa  riprodurrebbero  tutti  gì*  inconvenienti  di  prima  ».  E 
'pertanto  «  ad  aggiungere  ulteriori  eccitamenti,  die  diano 
«l'ultimo  impulso  ad  eseguire  l' impresa  »,  avvertito  «  che 
I  «i  mali  da  noi   fin  qui  sofferti  furono  un  manifesto  ca- 
li srifo  •  ,  e  «  che  non  cesserà  il  flagello,  e  torneri  ben 
^1  presto  a  scaricarsi  sopra  di  noi,  quando  non  lo  allonta- 
«niomo  con  una  sincera  e  stabile  emenda  »;  dimostra  la 
necessità  di   «  una  riforma  universale,  che  incominci  dal 
usintuario,  e  si  estenda  a  tutte  le  classi  ».  Per  lo  passato 
*si  ebbero  più  in  vista  i  danni  temporali,  che  gli  spirituali, 

•  e  allora  soltanto  incominciossi  a  pensar  di  proposito  alle 
iferitc  fatte  alla  Chiesa,  quando  si  vide  imminente  la  per- 
iJiu  della  temporalità.  Il  ceto  ecclesiastico  non  si  prese 
»  grande  premura  né  di  riformarsi,  né  di  dare  al  popolo 
i  l'esempio  di  una  verace  e  solida  penitenza.  A  prevenir 
adunque  ulteriori  castighi,  conviene  anteporre  la  gloria  di 

l«  Dio  e  grinteressì  della  religione  a  qualunque  umano  van- 
ftaggio;  si  deve  incominciare   la  riforma  dal  santuario, 

•  bisogna  correggere  i  costumi  del  popolo,  e  ridurlo  ad 
lun  miglior  ordine  e  ad  una  stabile  emenda  ».  Aggiungasi 
he  «  lopinione  de'  grandi  e  de' popoli,  rappono  a  Roma, 
(non  e  più  quella  di  prima.  Presso  i  cattolici  delle  con- 
I  trade  più  remote  era  un  tempo  comunissima  l'opinione, 
«che  il  dominio  pontificio,  e  Roma  singolarmente,  fosse 
■una  terra  di  angioli  »,  supponendosi  «  che  i  papi,  per 
I  raccoppiamento  delle  due  supreme  potestà,  riuscir  do- 
I  Vesserò  meglio  di  qualunque  sovrano  a  rendere  i  loro 
iStati  il  modello  della  religiosità  e  del  buon  ordine  ».  Or, 

poiché  questa  opinione  è  «  vulnerata  e  diminuita  n,  ci  bi- 
ogna  0  per  il  vantaggio  della  Chiesa,  e  per  il  decoro  della 
iS.  Sede  T)  riacquistarla.  Dimostrata  cosi  la  necessità  della 
orma,  ne  piglia  a  svolgere  e  dichiarare  il  concetto.  E 
Hnanzi  tutto,  per  chiudere  la  bocca  a  que'  curiali  di  mala 


38 


G.  *Cugnoui 


fede,  che  oltremodo  gelosi  di  certi  loro  materiali,  e  spesso 
abusivi,  interessi,  si  affannano  a  gridare  allo  scandalo  ogn^j 
qua!  volta  sentono  parlar  di  riforma;  protesta  che  egli  no^H 
intende  «  di  parlare   dell'edifizio    immobile   della   Chiesa, 
«  contro  del  quale  portae  Inferi  non  prnevaìebunl,  essendo 
V  fabbricato  super  fundamcntum  Apostoìorum,  ti  prophciamm, 
«  ipso  stiffimo  angtilari  lapide  Christo  fesu  »;  si  solo  dell'im- 
pianto delle  cose   «  romane  rapporto  alla  doppia  ainmini- 
«  strazionc,  ecclesiastica  e  politica  ».  Alla  guisa  di  abile 
savio  architetto,  non  intende  egli  di  gittare  tutto  a  ter 
l'esistente  edifizio,  per  novamente  rifabbricarlo;  che  ar 
ne  riconosce  «  le  basi  non  difettose  »  ne  «  vacillanti  », 
sendo  concorsi  «  a  formarle  i  canoni  de*  concili  e  le  costi-     1 
tt  tuzioni  pontificie  per  gli  oggetti  ecclesiastici  :  e  per  gli 
«  oggetti    temporali,  leggi   e    regolamenti,   se    non    «  del 
e  tutto  perfetti,  nel  sostanziale  però  e  nel  loro  complessai 
«  dettati  dalla  giustizia  e  dalla  visu  del  pubblico  bene  ».  Eg|^| 
«  soltanto  fatassi  a  v  considerare  parte  a  parte  la  fabbrica'' 
«  su  tali  basi  innalzata,  per  rintracciare  le  cause,  che,  rea- 
«  dendo  imperfetta  e  vacillante  la  sua  struttura,  produsse! 
«  in  fine  quel  rumoroso  diroccamento  dell'edifizìo,  che  ai 
«  recò  tanti  danni,  e  costò  tante  lacrime;  e  avanzerà  poi 
«  sue  idee  sulle  regole  da  osservarsi,  e  sulle    cautele 
«  praticarsi,  per  erigerne  un  nuovo  più  ordinalo  e  più  a 
e  lido  ». 

Nel  II  articolo  {Difetìi  del  nostro  sistema)  riduce  tutti 
difetti  degl'invalsi  pubblici  reggimenti  ai  seguenti: 
[.  «All'aver  confuso  il  sacro  col  profano; 

2.  ft  Al  non  aver  voluto  mai  emendare  molti  sbagl 
ocon  quella  magra  ragione:  Si  è  fatto  sempre,  cosi; 

3.  «  All'aver  adottato  la  massima:  Badiamo  di  non  fi 
^peg^ì^o,  ed  all'averla  portata  tant'oltre,  che   meritamente 
a  venne  caratterizzata  da  molti  per  l'eresia  de*  nostri  tempi; 

4.  «  All'aver  perduto  o  dimenticato  la  scienza  di  co- 
li noscerc  gli  uomini  ». 


ri7a  e  degli  sentii  di  G.  q4.  Sala 


e  «  quindi  la  conseguenza,  che,  per  non  ca- 
ndchi  errori,  bisogna  indispensabilmente: 
iflrare  lo  spirituale  dal  temporale  ; 
•reggere  quanto  vi  è  di  abusivo,  senza  arre- 
*  piccoli  pretesti,  e  segnatamente  per  la  con- 
studìne; 

idJre  affatto,  in.ts5Ìmc  nelle  cose  ecclcsi;isu- 
lalc  appreso  timore»  e  qualunque  soverchia 
iza; 

parare  a  conoscere  bene  a  fondo  gli  uomini, 
:  non  le  persone,  ma  le  cariche  ». 
barare  lo  ipxrituah  dal  Umporale,  osserva  che 
>ntefìce  riunisce  in  sé  la  doppia  rapprcsen- 
30  della   Chiesa,  e  di    sovrano   temporale 
-  La  prima  prerogativa  è  essenziale  ed  ine- 
caranere.  La  seconda  è  accidentale  ed  ac- 
slla  deve  spiccare  sopra  di  questa,  Tuna  non 
arsi  coll'altra.  Ne  siegue  dunque,  per  Icgit- 
lenza,  che  se  tali  qualità  sono  tra  loro  di- 
bbìano  insieme  a  confondersi  ». 
0  della  contraria  constutiidine  dimostra  la  fal- 
be «  la  Chiesa  ha  derogato  più  volte  con 
)nomia  all'antica  disciplina,  anche  in  punti 
i  importanza  »,  e  che  non  pochi  de*  presenti 
;lla  curia  papale  non  sono  poi  tanto  antichi 
si  vorrebbe  far  credere  ». 
astema  di  paura  e  di  soverchia  condescen- 
to  infelicemente  quasi  regola    invariabile  » 
npi,  afferma,  essere  esso  un  grande  errore, 
incipalmente  la  sua  orìgine  da  una  strana 
idee,  per  cui,  adattando  agli  affari  di  Chiesa 
la  mondana  politica,  abbiamo,  senza  avve- 
►erato  di  mano  nostra  ai  disegni  de'  nemici 
e  e  della  S.  Sede...  Abbiamo  anche  confuso 
3  spirituale  col  temporale,  sacrificando  quello 


40 


G-  Cugnoni 


2\e 

i 


«  per  la  lusinga  di  sostenere  questo,  e  cosi  perdemmo  l'i 
w  e  Talcro  », 

La  5cien:^a  degli  uomini,  «  essenzialmente  necessaria  ìcT^ 
<(  chi  presiede,  e  dalla  quale  dipende  in  gran  pane  il  buo^^l 
«  ordine  e  la  felicità  pubblica,  come  deve  interessare  qua^^ 
u  lunque  ben  regolare  governo;  cosi  dev'essere  piopria  in 
«  un  modo  specialissimo  del  governo  pontificio,  il  quale 
((  abbraccia,  oltre  gli  oggetti  temporali,  anche  i  spirituali 
E  questa  scienza   la   considera   l'autore  sotto  due  aspe 
0  II  primo  consiste  nel!' escludere  tutti  i  soggetti  immc] 
«  tevoli  e  nel  prescegliere  le  persone  di  merito;  il  secondo 
«  nel  saper  assegnare    a   ciascheduno  il   suo  luogo.  Posi 
«  questi  principi  (conclude),  a  me  sembra  che  gii  da  moli 
u  tempo  sì  fosse  o  perduta,  o  dimenticata  la  scienza  dCj 
0  uomini  »,  e  ne  adduce  in  pruova,  con  liberissime  paro! 
nomi  e  fatti  recenti. 

Nel  III  articolo  (5/  sciol^otto  le  olne:^ioni  cotìtrarit 
piano  di  riforma)^  indovinando  le  opposizioni,  «  che  o  per 
«  la  loro  apparente  ragionevolezza,  o  per  il  peso,  che  fos- 
ti sero  per  attaccarvi  le  persone  impegnate  a  sostenere  gì 
«  antichi  abusi,  potrebbero  attraversare,  e  forse  anche  ro- 
«  vesciare  del  tutto  l'opera  importantissima  della  riforma  », 
le  riduce  ai  seguenti  capi  : 

1.  «  Tutte  le  noviiA  sono  pericolose,  massime  i 
«  materie  ecclesiastiche,  e  molto  più  in  un'epoca,  neljj 
0  quale  si  sono  veduti  li  tristi  effetti  del  rovesciament 
<t  degli  antichi  sistemi. 

2.  «  É  cosa  oltremodo  dillìcile  l'indurre  gli  uomini 
«  a  rinunziare  alle  vecchie  abitudini,  segnatamente  se  sian 
«  conformi  al  loro  genio  ed  ai  loro  interessi. 

3.  «  Es-sendo   il   papa  un  principe  ecclesiastico,  e 
«essendo   lo   Stato,  che   egli    gode,   la  dote  della  Chies; 
«romana,  non    vi    è    alcun   inconveniente   che  si    servi 
«  ne*  diversi   rami  di  amministrazione   di  soggetti   eccl 
«  siastici,  essendo  anzi    conforme  ai  sacri  canoni  che 


Tk'ìla  vita  e  degli  scritti  di  G,  d/l.  Sala        41 


evescovi  ed  i  chierici  amministrino  il  patrimonio  delhi 
»  Chiesa. 

4,  «  Il  cnmbi;ire  con  forza  e  tutt'ad  un  colpo  sisttimi 
«inveterati,  urta  l'opinione  pubblica;  l'adoperare  rimedi 
«troppo  forti,  è  un  inasprire  la  piaga  invece  di  curarla; 
«il  pretendere  l'onimo  ed  il  perfetto  nelle  cose  umane,  è 
•  lina  chimera. 

5.  «  Eseguendosi  la  riforma  nel  modo,  che  viene 
«progettata,  verremmo  a  confessare  pubblicamente  da  per 
«noi  stessi  i  nostri  torti,  e  in  vari  articoli  ci  faremmo  imi- 
tatori dei  sistemi  francesi,  che  sono  e  saranno  in  odio 
«perpetuo  presso  tutti  quei  popoli  che  ebbero  la  disgrazia 
«i  sperimentarli  ». 

P:isiando  poi  a  ribattere  ad  una  ad  una  le  cinque  op- 

E posizioni,  scrive:  m  La  prima  difficoltà  è  più  app^irente, 
«che reale.  Se  si  tratti  di  materie  ecclesiastiche,  io  sono 
•ilicnissimo  dal  proporre  nuovi  sistemi.  Intendo  anzi  di 
«richiamar  le  cose  agli  antichi  principi,  ogni  qual  volta 
«siano quelli  in  contraddizione  coi  più  recenti  regolamenti, 
>  Se  poi  si  tratti  di  oggetti  di  altra  natura,  non  è  mio  im- 
•P«gno  di  rovesciare  le  basi  del  nostro  governo,  ma  di 
' ^oiisolidarle  per  mezzo  di  una  più  savia  amministra- 
•flone,  e  di  una  miglior  scelta  d'idonei  ministri;  non  il 
«cambiare  legislazione,  ma  il  perfezionarla  con  toglierne 
«' Jifctti,  e  col  renderle  quel  vigore,  che  aveva  perduto  o 
■per  le  calamiti  de'  tempi,  o  per  Tabuso  degli  uomini. 

«  Neppur  la  seconda  difficoltà  può  recare  imbnraz^^o. 
"  E  pur  troppo  vero  che  gli  uomini  difficilmente  rinunziano 
I  •illc  antiche  abitudini,  massime  quando  ne  cavano  partito 
I  •peri  loro  vantaggi.  Ma  e  vero  altresì,  che  già  vi  hanno 
^K^ dovuto  rinunciare  per  la  forza  delle  ultime  vicende,  ed 
^^*  e  vero  egualmente  che  le  abitudini  da  distruggersi,  se 
»iono  care  ed  utili  a  qualche  ceto  di  persone,  sono  disap- 

•  provate  dal  pubblico,  e  riescono  pregiudizievoli  ad  altre 

•  classi.  Se  gli  ecclesiastici  non  continueranno  ad  esercitare 


43  G.  Cugnoni 

fs  certi  impieghi,  questa  privazione  sembrerà  loro  alquanto 
«  dura  ;  ma  i  laici  all'opposto  ne  goderanno,  e  cesserà  la 
«  doglianza,  che  lì  preti  vogliono  tutto  per  loro.  Se  rerario 
«  del  principe  incasserà  le  sue  rendite  senza  fame  ingoiare 
«  la  miglior  parte  dagli  affittuari  camerali;  gli  appaltatori 
«  grideranno^  ma  il  popolo  esulterà  nel  vedersi  libero  da 
«  tante  avarie.  Se  cesserà  la  collusione  dei  tribunali,  se  pe- 
n  rifa  eternamente  il  regno  della  sbirraglia,  se  verranno 
«  ahv^Hic  le  franchìgie  ed  eliminati  tanti  altri  abusi;  è  ben 
ft  d*aspottars;  i  reclami  di  chi  vorrebbe  perpetuare  le  liti, 

*  e  non  pagar  mai  li  debiti,  i  clamori  degl'ingordi  satelliti, 

*  le  querele  dei  diplomatici  e  de*  poienrati  ;  ma  si  udiranno 

*  in  cvMìtKvitv>  !e  universali  Seneiizioni  per  la  pronta  ed 

*  ìntjviwulc  an:r.ì:ni<rurjone  della  giusdzia,  per  la  cessa- 

*  rione  dì  m:"c  sn^orvirsi  ed  aitivi  a  donno  de'  poveri, 

*  per  veder  vita  T  ìrapuniri  a:  celi:::  e  cacciate  in  bando 

*  k'  AX^Tchierie  e  le  rccrocenic*  Rese*  deddeie  se  voglia 

*  r-rc ^^rtrs:  :'  rnvato  inreressse  r>er  rs?r:  iscolzare  doglianze 

*  tvfc5NVj:^XTC   e  Irriix^rjevv^'.:   i:   Tvcb:,  o   con  piuttosto 

*  ;\;v>c«;Nnxrc  :I  r;:S>'.ùv  xrc  ^r  roz  oc^rv*rs:  ijì  giusti 

*  >c  V  ^o  >?.r^,^  ,x<^  c.v>cv.x  I"  cnNà-r  c^  r-iscs:  una  no- 

^  riK  >ìs  .vj;  i  '^rv*.;-:  rri  :  r»irr rx^r.  *t-^^  iille  chiese, 

.  o>v^s.x^^.^:   r^  \vn:^  ooc  r.v.  .x>jx.cr-,  1  i  cu:  prodotto 

.  C!c^  xv^vx-  c  dr^  soc-  r  ",>cr^  ^^  ^'ì1:kt-  is;""  7*:r^iZì,  delle 
«  ^<^:5H"^v  e  oic^  .N^vx»- .  c  r^rr*  r.'?,'ì".c  z£r;;:£rf  ^il;  Chiesa 
.  :*,\!rȣr*:;s  x^>c^.^^  e-  ,  ^  .v^r  -e  rorrTorzk,  cu:  vanno 

*  i^.'v>*<•  T4C?:  w  ^v'-V-^'  e  e  .  ^-jrsso'^cu  ìCTriritL  II 
4  ^•tHv'^  cj^c  ^'  o,^^:^o^.^..w  *..  c-.njì".=^i  -^.irri:  .n'izi- 

*  n»:fì>::-i;',-v^fV  re   ^V^tv     ---Tì.  'V   :rrr-^~:L:r:irC::.  7.  >5COCSCO 

*  cfe<;*  x^v  tv^^  >i.^c  ^  itv^;^^  *!  v^c  clì  n^-r^-v  zr^  r^n 
»  ?vv"    tvmrtv^fV"   >Vsi".%-  -^    -1  ^wv  <r:c:'  JicI*!  Chiesa 


T^m^e  degli  scritli  di  G.  oA,  Sala       43 


■  vastissimi  fondi,  senza  però  avere  de'  popoli,  che  le  ap- 
«partenessero  a  titolo  di  sovranità. 

«  Poche  parole  sono  sufficienti  a  dileguare  la  quana 

•  ilifficoltA:  imperciocché  li  cambiamenti  di  un  inveterato 
«sistema  allora  soltanto  urtano  la  pubblica  opinione,  quando 

■  prendono  di  fronte  un  ordine  di  cose  o  realmente  van- 
«taggioso,  o  riputato  tale  dalla  maggior  parte.    Siccome 

•  però  alla  moltitudine  poco  importa  che  i  giudici  siano 
«ecdesiastici  o  laici,  purché  venga  amministrata  la  giusti- 

■  zia;che  gl'impieghi  vengano  assegnati  piuttosto  agli  uni 
«che  agli  altri;  che  si  lasci  o  si  tolga  il  giro  delle  cariche, 
«quante  volte  si  vegga  premiato  il  merito  e  promosso  il 
«pubblico  bene;  e  siccome  le  persone  illuminate  conoscono 
•i  difetti,  e  ne  desiderano  l'emenda:  cosi  non  è  a  temersi 
«alcun  uno  pregiudizievole.  Quanto  poi  è  vero  che  i  ri- 
«mcdl  troppo  forti  inaspriscono  talvolta  la  piaga,  invece 

■  di  curarla,  altrettanto  é  certo  che  i  mali  invecchiati  esi- 
«goìio  bene  spesso  ferro  e  fuoco,  onde  non  degenerino  in 
•cancrene  insanabili,  I  palliativi  poco  o  nulla  giovano,  ed 
«è  perciò  che  io  suggerisco  di  dare  alla  radice  del  male, 
«liEnchè  non  ripulluli  dopo  breve  tempo. 

•  Mi  spedisco  pur  brevemente  dcirultima  difficoltà.  Io 
«trovo  scritto  nei  proverbi:  Jtistus  ptior  est  accusator  sui: 
•e  so  che  l'ingenua  confessione  de'  propri  errori  concib'a 
•wnia  ed  applauso,  anziché  discredito  e  biasimo.  Alla  per- 
^6sit errare  humanum  est,  e  siccome  molti  de'  nostri  sbagli 
ftsono  abbastanza  noti,  cosi  quando  anche  avessimo  ad 
•incontrare  delle  critiche  nel  correggerli,  sarebbero  queste 
«più  miti  e  meno  durevoli  di  quelle  incontreremmo  se  ci 

•  ostinassimo  a  sostenere  gli  antichi  difetti  del  nostro  si- 
[•  stema.  Quanto  poi  all' imita:!Ìone  degli  altri  sistemi,  io 

'  non  mi  arresto  per  le  difficoItA  proposte,  e  considerando 
'le  cose  in  se  stesse,  senza  cercarne  gli  autori,  prendo  il 
I  buono  e  l'utile  ovunque  lo  trovi  ». 
Nel  IV  articolo  (^Disposit^iom  prelimitiari  per  la  riforma)^ 


44 


G.  Cugìtoni 


premesso  che  «  il  primo  mezzo  essenzialissimo  per 
«  guire   la  riforma  consiste   nella  scelta  de'  soggetti,  ci 
e  dovranno  occuparsi  di  questo  importante  affare  >»,  vuo 
che  per  le  materie  ecclesiastiche  sia  coimiiesso  V  incorici 
a  sacerdoti  v  i  più  distinti  per  dottrina,  per  esemplanti 
«per  cognizioni  pratiche  ».  Giacché  «  una  scienza  ordinai 
«ria   non   sarebbe  sufficiente   all'intento;  una  vinù  me 
((  diocre  non  concilierebbe  il  credito  troppo  necessario  ini 
«  chi  è  destinato  a  promuovere  la  riforma;  e  le  sole  co-1 
agnizioni    speculative,  senza  le  pratiche,  non    riempireb-l 
tt  bero  l'oggetto.   Per  gli  oggetti  temporali  potranno  as-  ' 
ft  sumcrsi   indistintamente    ecclesiastici    e    laici,   dotati    di 
a  probità  e  versati  nelle  materie  legali,  politiche  ed  ccono- 
«  miche  ».  Per  render  poi  meno  malagevole  l'atmazione 
della  riforma,  propone  di  «  prevenire  immediatamente  la 
«  ripristinazione  di  alcuni  degli  antichi  abusi,  che  sarebbe 
«poi  troppo  difficile  di  estirpare  »,  e  suggerisce  «  varie 
«  altre  provvidenze,  che  appianino  la  strada  »  da  battere, 
per  giungere  alla  meta. 

Nel  V  articolo  {Basi  della  riforma)^  dopo  aver  breve- 
mente esposto  il  disegno  del  nuovo  cdifizio,  ch'egli  accia- 
gcsi  ad  innalzare,  osserva  che,  trattandosi  di  oggetti  spiri- 
tuali, gli  si  potrebbe  opporre  «  la  dottrina  di  Paolo  apostolo: 
«  Fundamaitum  alittd  turno  potest  poncre,  practer  id,  qnod  pò- 
<s  situm  est,  qiu^d  est  Chrisius  Jesus,  E  tosto  soggiunge:  e  Ma 
«  Dìo  mi  guardi  dalla  sacrilega  tementi  di  toccare  questo 
«  fondamento  divino,  che  rimarrà  saldo  ed  immobile  sino 
«  alla  consumazione  dei  secoli.  Siccome  però  il  medesimo 
«apostolo  soggiunge:  Si  quis  atitem  superaedtjkat  super 
u  fundametftum  hoc,  aurum»  ar^enlum,  lapides  prctiosos,  Ugna, 
afoeimm,  stipulam,  uninscujustjuc  opus  manìjestnm  crii:  Dics 
tu  enim  Domini  dtclarabìt,  quia  im  igfte  revelabitur  :  et  unins- 
«  eujusiftu  opus  manserit,  quod  siiperardificaveril  :  mcrcedem  oc- 
«  cipieU  Si  cujus  opus  ar scrii  detrimentum  patictur;  cosi  non  può 
«essere  giustamente  riprensibile  un  lavoro  diretto  ad  cdifi- 


*2)t»//a  vita  e  degli  scritti  di  G.  2-1.  Sala        45 


fcare  sullo  accennato  fondamento  aurutn,  argetttum,  lapidcs 

«  prctiosos,  e  ad  escludere  dalla  nuova  fabbrica  tutte  quelle 

t  altre  materie,  che  potrebbero  essere  consumare  dal  fuoco. 

iSi  aggiunge  che  il  nostro  cdifizio,  simile  ad  una  reggia, 

ila  qunle,  oltre  airabitazione  del  principe,  racchiude  tante 

altre  parti  destinate  ad  albergare  la  sua  corte,  e  a  molti 

e  diversi  usi,  servir  deve  a  non  pochi  oggetti  o  affatto 

estranei,  o  non  essenzialmente  connessi  con  quella  fab- 

«  bria  immobile  che  a  ninno  è  lecito  di  variare.  Dovendo 

L*  «quindi  il  mio  piano  estendersi  .id  una  serie  ben  lunga  di 

articoli  di  ogni  specie,  se  troverommi  forzato  alcuna  volta 

«  a  proporre;  un  tal  cajnbiamento  di  sistema,  cosicché  venga 

«  qualche  parte  della  mistica  fabbrica  a  riedificarsi  fino  dai 

«fondamenti;  non  per  questo  potrà  condannarsi   il  mio 

«  livoro,  e  sarà  all'opposto  esente  da  ogni  censura,  e  me- 

•  rìtcvole  di  lode,  quando  concorrano  a  giustificarlo  la  ne- 

«  cessiti  0  TutilitA  a. 

Fin  qui  il  lavoro  è  tutto  d'apparecchio.  Lo  svolgimento 
I  ordinato  della  materia  comincia  dairarticolo  VI,  il  quale  è 
Allo  all'argomento  più  importante  e  fondamentale  dell'o- 
ff ciac  la  Scpara:(toHC  dello  spirituale  dal  tcffiporaU.   In 
proposito  di  che,  sebbene  ravvisi  l'autore  per  «  una  dispo- 

•  azione  ammirabile  della  divina  Provvidenza,  che  il  ro- 

•  mano  pontefice  riunisse  alla  dignità  di  capo  della  Chiesa 
■u  grado  di  principe  sovrano  assoluto»;  nondimeno  av- 
Wc  «  che  la  temporalità  non  è  in  alcun  modo  essenziale, 
•«ui è  affatto  distinta. dalla  spiritualiti  ».  Donde  consegue: 

1.  «  Che  gli  affari  spirituali  formar  debbono  il  prin- 
•^ipalissioio  oggetto  ed  impegnare  le  cure  più  assidue  del 

•  fonuno  pontefice,  cosicché  non  rimangano  giammai  po- 
«  sposti  agli  oggetti  temporali. 

2.  «  Che  in  tutto  deve  singolarmente  risplendere  la 
•modestia e  la  graviti  ecclesiastica,  onde  chiaro  apparisca, 
«Cnc  b  sovranità  temporale  sì  considera  come  un  acces- 
•wno,  e  si  fa  servire  unicamente  al  maggior  decoro  della 


G.  Cugnoni 

a  dignità  pontificia,  senza  fasto  e  senza  ostentazione,  e  ^ 
a  maggior  vantaggio  della  Chiesa,  senza  vista  d*  ingrand  ^' 
«mento  e  di  altri  mondani  interessi. 

3,  «  Che  per  ottenere  la  bramata  separazione  dell^ 
«  spirituale  dal  temporale  bisogna  stabilire  la  massima,  ch^^ 
ce  tutte  le  cariche  di  loro  natura  secolari  vengano  conferit^^ 
«  ai  laici. 

4.  «  Che  sarebbe  conveniente  che  negli  atti  risgu; 
a  danti  la  temporalità  si  procedesse  sempre  con  forme 
tt  verse  da  quelle  si  adoperano  per  gli  oggetti  ecclesiasrii 
«  Nel  Bollano  s' incontrano  tante  bolle  relative  ai  pubblici 
©  dazi,  agli  statuti  di  corpi  d'arti  e  collegi,  e  ad  altre  cose, 
€1  che  nulla  hanno  che  fare  collo  spirituale.  Come  ci  entra 
tt  qui  il  titolo:  Servus,  scrvorum  Dei,  l'assoluzione  dalle  o 
a  sure.  Ad  cffectum  praescntitim  conseqiundutn,  il  decreto  irr" 
a  tante:  InJiptationcm  OmnipoUntis  Dei  ac  Btatontm  Pciri  et 
«  Pauìi  Apostoìorum  ejtis  se  naverii  incwrsnrum  ì  Quando  il 
a  sommo  pontefice  agisce  come  capo  della  Chiesa,  parli  da 
«papa;  quando  esercita  atti  di  sovranità,  parli  da  principe, 
ft  Cosi  dalle  stesse  forme  estrinseche  renderassi  manifesto 
«che,  senza  confondere  le  due  potestà,  si  assegna  a  ci:i- 
«  scuna  il  suo  luogo  ». 

Nel  VII  anicola  {Dcir abatismó)  toglie  a  screditare  la 
o  mascherata  dell'abatismo»,  cioè  l'invalsa  moda  dell'abito 
ecclesiastico  «  abusivamente  adottato  da  unti  laici  »,  la 
quale  a  contribuisce  in  qualche  modo  a  confondere  lo  spi- 
c  rituale  col  temporale  ». 

Neir  Vili  articolo  {Carichi)  vengono  considerate  le  ca- 
riche «  sotto  due  aspetti,  cioè  \x\  quanto  alla  diversiti  loro, 
«  e  in  quanto  alla  scelta  de'  soggetti  che  debbono  escrci- 
«tarle  ».  Per  ciò,  che  è  della  loro  diversìd,  riferendosi 
questa  «  alla  stabilita  separazione  dello  spirituale  dal  tem- 
«  poraic,  dovrà  fissarsi  colla  possibile  sollecitudine  quali 
«  siano  gl'impieghi,  che  rimarranno  agli  ecclesiastici,  e  quali, 
e  che  apparterranno  ai  laici  ».  E  del  numero  di  quesri  se- 


condi  dovrebbero  essere,  per  avviso  dell' autore,  «  runi  i 

•  governi,  incominciando   da   quello   di    Roma;  tutte  le 

•  aziende  economiche,  non   escluso  il  tesorierato;  tutta  la 

•  giudicatura  criminale,  buona  parte  della  giudicatura  ci- 

•  vìk  ».  In  ordine  poi  «  alla  scelta  dei  soggetti  che  deb- 

•  bono  esercitare  »  le  cariche  si  ecclesiastiche  e  si  laiche, 
sebbene  l'autore  non  si  faccia  a  trattarne  separatamente  in 
questo  articolo,  tuttavia  dalla  somma  del  discorso  si  rac- 

iglic  essere  suo  intendimento,  che,  attribuite  le  prime  ai 
erdoti,  le  più  imponanti  delle  seconde  vengano  confe- 
litc  ai  laici,  tenendo  ragione  non  pure  della  loro  idoneilA, 
ancora  dei  loro  natali. 

Negli  articoli  IX,  X  e  XI  (^Franchigie  -  Uffi::^i  delle  poste 
Wf  -  Diritti  feudali)  si    caldeggia    l'abolizione    degli 
iosi  avanzi  d'una  eti  barbarica,  e,  a  guarentire  la  spedi- 
c  la  credenra,  massime  per  le  faccende  di  Stato,  del 
mimerdo  epistolare,  si  propugna  rannulLuiiento  de'  cor- 
fcri  aizionali,  per  mezzo  de'  quali  a  quel  tempo  e  si  fa- 
ceva tutto  il  carteggio  cogli  esteri  ». 
L'articolo  XII  (Sacro  collegio)  si  aggira  sulli  riforma 
cardinali,  giusta  le  norme  prescritte  dai  decreti  del  Tri- 
atino,  ai  quali  «  se  si  fosse  tenuto  dietro  costantemente, 
non  si  sarebbero  commessi  degli  errori  assai  pregiudizievoli 
alla  scelta  dei  cardinali,  nò  sarebbe  accaduto  che  nella 
distribuzione  de'  cappelli  si  contemplassero  de'  soggetti 
poco  idonei,  se  non  anche  del  tutto  immeritevoli  ». 
Similmente  nell'articolo  XIII  (Fescovi  e  vescovati)  col- 
tonti  del  Tridenrino  si  richiamano  in  vigore  gli  antichi 
i  usati  dalla  Chiesa  nell'elezione  de' pastori,  e  minu- 
imarocnte  si  annoverano  le  rare  doti  di  virtù  e  di  dot- 

a  questi  necessarie. 
Argomento  del  XIV  articolo  è  la  Prelatura.  La  quale 
r  quantunque  non  formi  una  classe  a  partu  neirecclesiastica 
Tchia;  pure  essendo  specialmente  addetta  al  servizio 
S.  Sede,  e  godendo  di  molte  onorificenze  e  privi- 


48 


G.  Cii^noni 


«  Icgi,  deve  riguardarsi  come  un  ceto  distinto  nel  clcr 
«  tanto  più  che  rimane  sempre  illustrata  da  buon  nuniei 
«  di  soggetti  ragguardevoli  per  nascita  e  per  merito,  ed 
M  solita  fornire  quasi  tutti  i  candidati  pel  rimpiazzo  de'  pos 
«  vacanti  nel  sacro  collegio  ».  Dei  tre  modi,  pe'quali  coa:- 
seguesi  il  grado  prelatizio,  cioè:  «  per  compra,  per  processo- 
«  per  grazia  »,  l'autore  vuole  «  eliminato  affatto  il  primo  »j 
conscrv.iti  il  secondo  ed  il  terzo;  ma  in  quanto  al  seconde 
non  in  modo  die  w  il  processo  si  riduca  ad  una  formalit 
«  di  poco  momento  »,  né  che,  in  ordine  al  terzo,  la  gra 
cada  sopra  persone  immeritevoli,  «  osservando  la  regola  ^ 
a  Pio  II:  Di^mtatibns  viri  dandi,  ìton  viris  dìgftitatcsn,  Eni 
mcrate  poi  le  cariche  prelatizie,  che  dovrebbero  essere  tra 
formate   in  laiche,  propone  de' compensi  pel  ceto,  che 
verrebbe  spogliato.  E  per  ultimo  ragiona  de' nunzi,  dell 
somma  importanza  del  loro  ufficio,  e  però  della  molta 
ligenza,  che  è  da  usare  nel  trasceglierli. 

Nell'articolo  XV  si  tratta  della  riforma  del  Clero  secolar 
che  l'autore  divide  «  in  cinque  classi  »,  cioè:  «  i.  Capite 
«  delle  basiliche  e  delle  collegiate;  2.  Parrochi;  3.  Confes 
«  seri  e  predicatori;  4.  Impiegati  nelle  sagrestie  e  in  alt 
«  incombenze,  che  non  sono  contrarie  alla  professione  ctì 
«  clcsiastica;  5.  La  residuale  turba  di  quelli,  che  non  aventi 
«  alcun  legame,  per  cui  siano  impegnati  ad  una  determinai 
»  occupazione  in  servizio  della  Chiesa,  o  ne  assumono 
«  quelle  contrarie  ai  sacri  canoni,  o  passano  la  loro  vie 
«  senza  far  nulla  )>.  Annovera  di  ciascuna  classe  i  difetti 
gli  abusi,  e  ne  suggerisce  Temenda.  «  Si  tacciano  giusta 
«  mente  (egli  scrive)  vari  de' nostri  capitoli  di  una  soverchia" 
«  precipitazione  nel  salmeggiare,  di  una  somma  negligenza 
«  nell'cscrcitare  le  sacre  funzioni,  di  un  indecente  contegno 
«  di  assistere  al  coro  >>.  Nota  «  quell'aria  di  dissipamento, 
a  colla  qu.ile  alcuni  canonici  o  passeggiano,  o  parlano,  aspet- 
«  tando  il  segno  del  coro  »;  ne  addita  «  altri  sdraiati  con 
a  ributtcvole  indecenza,  altri  taciturni  nel  tempo  che  dovreb- 


Della  vita  e  degli  scritti  di  G.  Q^.  Sala        49 

•  bcro  contare,  altri  occupati  in  discorrere  coi  loro  vicini, 

•  altri  trascuratissimi  nel  ministrare  airaltarc...  Nell'affac- 

•  darsi  a  qualche  coro,  dando  semplicemente  un'occhiata 

•  i  quelli  che  seggono  più  alto,  si  direbbe  che  vi  stajino 

•  come  dondfuintes  in  cUris,  e  che  il  grado  più  distinto  e  la 
«  rendita  più  pingue  danno  loro  un'esenzione  da  ogni  legge, 
«  e  im  diritto  di  scaricare  tutto  il  peso  dell'ufficiatura  su 

•  dii  siede  più  basso.  Se  la  cosa  deve  andare   cosi,  tor- 

•  ncrcbbc  meglio  il  riempire  li  stalli  di  belle  statue  vestite 

•  in  abito  corale,  e  l'applicare  le  rendite  ad  usi  più  pii.  Ecco 
«  come  sono  trattate  le  funzioni  le  più  auguste,  come  sono 

•  editati  i  fedeli,  com'è  servita  la  Chiesa.  Che  meraviglia 

•  poi, se  per  que'canali  medesimi,  pe'quali  dovrebbero  scen- 

•  den:  le  celesti  benedizioni,  si  schiudono  sopra  del  popolo 
I    •  i  vasi  della  collera  divina  ?  n 

^ft   Vaole  i  parrochi  scelti  fra  i  sacerdoti  più  dotti  ed  esem- 
Twri,  provveduti  di  sufficienti  rendite,  e  posti  in  grado  «  di 
•^Ufpoco  attaccati  agl'incerti,  e  che  la  loro  sussistenza 
■iwn  dipendesse  in  gran  parte  dagli  emolumenri  de'batte- 
•8>mi,  de* matrimoni  e  de' funerali  ». 

Biasima  «  ceni  predicatori  alla  moda,  che  rassomigliando 
*nub(5  sinc  aqua,  qtiae  a  vcntis  circumftrunltir,  predicano  se 
medesimi  in  subUmUaìe  servwwtm,  in  vece  di  predicare 
Jisum  Christum,  et  hunc  Crudjixum,  e  trasformano  i  per- 
iti cattedre  accademiche,  e  poco  meno  che  in  palchi 
à  »;  e  certi  altri,  che,  sebbene  «  pieni  di  zelo  e  di 
ione  intenzioni  0,  sono  »  cosi  scarsi  di  scienza,  e  cosi 
^ùifclici  nel  dire,  che  propriamente  fanno  pietà  ». 
^f  Scopre  aa  i  confessori  «  lupi  divoratori  delle  anime  »,  e 
^oolc  bandito  da  questo  ceto  chi  non  abbia  a  le  tre  qualità 
m  desunte  dal  Salmista,  boniiatcm,  et  disciplinam  d  sckntiam  ». 
^^  o  Degli  ecclesiastici  addetti  in  buon  numero  alle  segre- 
^Krie  delle  Congregazioni,  o  applicati  ad  altre  incombenze, 
^^lie  riguardano  il  ser\"izio  della  Chiesa,  o  almeno  non 
\m  siano  proibite  dai  sacri  canoni  »,  avverte  che  «  sarebbe 

Ankhio  delia  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI.  4 


50 


G.  Cugnoni 


e  assai  meglio,  che  c^nt  incombenze  si  abbandonassero  ir=* 
a  teramente  ai  laici  »:  e  nota  «  che  in  passato  a  molti  f:* 
«  ceva  impressione  il  vedere  un  prete  nella  segreteria  d^ 
«  Luoghi  di  Monte  :  un  altro  in  quella  del  Buon  governo 
«  un  altro  in  quella  delle  Finanze  ». 

Dei  rimanenti  preti,  «  che  senza  rendere  alcun  serviac 
d  alla  Chiesa,  eccettuato  Tuffizio,  che  recitano  per  disoblig<^ 
u  e  la  messa,  che  celebrano  per  interesse;  o  fanno  cose-:^ 
<(  che  far  non  dovrebbero,  o  fanno  il  grandissimo  nulla  » 
vitupera  l'inutile  vita,  nega  loro  ogni  benefizio,  e  giung^^^ 
perfino  n  domandare,  se  non  si  abbia  ragione  «  di  asserire^ 
<(  che  II  soverchio  numero  di  ecclesiastici  reca  pregiudizio^ 
«  anziché  vantaggio  ».  Ad  evitare  tali  disordini  consiglia, 
ai  vescovi  la  severità  nelle  ordinazioni,  e  la  retta  educazione 
de' chierici  ne' seminari  diocesani. 

Nfirarticolo  XVI,  destinato  alla  riforma  à^^Regòlati^ 
dopo  una  triste  pittura  della  rilassatezza  introdottasi  t^H 
chiostri,  stabilisce  «  due  principi:  il  primo,  che  li  disordini 
«  delle  comunità  religiose  erano  giunti  a  tal  punto,  da  me- 
«  ritare  che  Iddio  le  annientasse,  come  in  gran  parte  se- 
«  guitò  (i);  il  secondo,  che  siccome  sta  scritto  iratus  es, 

(i)  Su  questo  medesimo  proposito  scrìve  nel  suo  Diario,  sotto 
il  IO  settembre  1798:  «  Per  questo  tanti  servi  di  Dio  hanno  asse- 
«  rito  costantemente  già  óa  più  anni,  che  sovrastavano  grandi  flagelli^ 
«  massime  per  le  colpe  dei  preti,  frati  e  monache  m.  Le  cose  cspc 
e  discusse  dal  Sala  in  questo  XVI  articolo  {Regolari)  e  nel  succ 
sivo  XVU  (Monache)  consuonano  mirabilmente  con  quelle, 
Giulio  Cesare  Cordara  venne  svolgendo,  intomo  allo  stesso 
gomento,  nel  suo  scritto  De  projcciionc  Pii  FI  PonL  Max.  ad  aidam 
yjmìohonumcm,  pubblicato  dal  P.  Giuseppe  Boero  della  Compagnia  di 
Gesù.  Se  non  che  l'editore,  (debbo  queste  indicazioni  al  mio  amico 
march.  Gaetano  Ferraioli)  non  so  se  o  per  difetto  dell'esemplare, 
dal  quale  trascrisse,  o  a  bello  studio,  non  ne  mise  a  stampa  il 
luogo,  al  quale  si  rìferìsce  questa  mia  osservazione,  e  che  però 
parrai  opportuno  dì  qui  trascrivere  dal  ms.  della  biblioteca  Valliccl- 
liana  segnato  R.  9}  :  ed  ò  Tcsemplare  che,  offerto  da  Frane* 
Cancellìerì  a  Pio  VI,  dopo  la  dispersione  della  privata  biblioteca] 


vila  e  degli  scrini  di  G,  Od.  Sala 


\;  cosi  dobbiamo  sperare  ch'egli  favorisca 
Iprcsa  della  riprisiina2Ìone,  quante  volte  nel- 
abbia  in  mira  unicanicatc  la  sua  tnaggior 
alaggio  della  Chiesa  ».  Al  quale  scopo  puossi 

!ia  sola  via,  quella,  cioè,  di  cercare  «  d' ìn- 
die farebbero  li  santi  fondatori,  se  tomas- 
o  ».  E  questo  sforzasi  di  fare  l'autore  con 
b  discorso. 


qtilsuto  da  Ruggero  FaJxacappa,  prete  dell'oratorio, 
(ido,  legato  j  quelli  insigne  biblioteca,  U  luogo  si 
^  MS  Jcircdiiione  del  Boero,  dopo  le  parole  hent- 
£  come  segue: 

|^cxcrevi5se  memorìa  nostra  Franciscanorum,  sive 
^H  Reformatorum,  sive  -quos  Cappuccino^   nomì- 
^Kt  qui  putant:  nec  vana,  uù  rcor,  corum  opinìo 
te  inalum  inde  luonat  in  publicuni.  Altcrum,  quod 
alendi  sunt,  subtrahiturquc  saepe  libcris,  aut  pau- 
t   in   CCS    confcrtur.   AUcrum,  quoj    agri   magnam 
nira,  artesquc  ad  socialis  vitac  usum  instìiutae  sine 
ttur.  Non  cnim  in  hos  ferme  ordincs  nisi  prolctarìi, 
immigrare  sunt  soliù,  ex  agrìcoUrum  vcl  opificum 
dMDtncs  dcmum  ad  tolcranJam  labore  vìtaro  nati, 
^lerc  hominum  nunqujui  pctltorcs»  et  candidati 
:rTara  pccuniam  fcrunt,  facile  adminuntur.  Atqucilli 
cum  pclunt  tunicam»  nihil  practer  Dei  famulatura, 
«rem  et  salutem  anìmae  sempitcmara  practcndunt 
immodo,  vcl  ambitìone  plcrìque  ducuntur.  Nimirum 
ustarìam  vovcbuni,  ea  tamen  lege,  ut  panera  cum  ob- 
□  omnt  vita  dcsidercnt;  et  paupertatcm  necessariam 
em  rclinqucnt  domi.  Vestem  induent   e  crasso  ru- 
tilo meliorera  habituri  si  vivercnt  ìnier  suos.  Com- 
:roum  ducunt  noctc  concubìa  consurgere   ad  psal- 
ides  in  tempio,  quam  ardente  sole  boves  exstimulare 
igro  ducere,  aut  Uborcra  assiduura,  diu  noctuque 
ncudem,  aliamvc   intcr  sclhiUrios  artem  cxercere. 
sanctae  vocationìs  causa.  Majores  etìam  illccebras 
[n  ilio  namque  sacro  ac  venerabili   amictu  instar 
sunt.  Itaque  daras  amicitias  cum  potentioribus  jun- 
'.rum  saepe  mensae  accumbunt  ìi,  quorum  germani 


52 


G,  Cugnoni 


Circa  la  riforma  delle  Monache,  che  è  la  materia  dcl- 
rarticolo  XVII,  ed  ulrimo  della  parte  del  Piano  stampata, 
scrive:  «  Il  primo  articolo  essenzialissimo  è  quello  delle 
«  vestizioni.  Anche  ne'  monasteri  si  offrono  delle  vittime 
a  deboli  ed  imperfette,  e  quel  che  è  peggio,  si  consumano 
«  de' sacrifizi,  noa  gid  volontari,  ma  forzau.  Una  monaca 
«  senza  vocazione  è  il  tormento  di  se  stessa  e  dell'  intera 
«  comunità.  Parrebbe  che  questo  caso  fosse  quasi  impossi- 

«  fratres  aut  strigìli  fricant  equos  in  stabulo,  aut  caligas  in  labema 
«  cODSarcinanl.  Quid  vero  sì  qucm  in  cocnobìo  magìstraium,  si  quiim 
«  pracfecturam  adepti  stnt  ?  Supcrcilìum  toUunt,  aequales  alios  suos 
a  et  consanguineos  vìx  obtutu  dignantur.  Superbiam  hausìssc  dìceres 
o  in  schola  humilitatis.  Num  proinde  coenobia  supprìmenda?  Minime 
Q  gentìiira.  At  multis  partibus  minucndum  cocnobitarum  aumenim 
«  prudcns  quisque  facile  opinabitur.  Habcnda  ratio  utilitatis,  quatu 
«  sive  sacris  minlstrandìs,  sì\*c  divino  serendo  verbo  in  comraune  fe- 
«  runt  At  si  pauciores  idem  possunt,  cur  ita  multi  sint  cum  tanto 
a  civitatis  onere,  ac  rcipublìcae  detrimento?  Exiguum  Jesuìurum  col- 
«  legium,  duodcnum,  ut  ^umnium,  capiiuni,  plus  fere  pracstabai  pò- 
n  pulo,  quam  istiusmodi  cucullatorum  quinquagcni,  aut  co  amplius. 
u  Cut  non  ergo  certus  eorum  numerus  prò  modo  cujusquc  civitatis 
«  praeliniatur  ?  Id  sì  cura  debita  auctoritate  fiat»  netnini  credo  vi- 
v  deaiur  ìncongruum. 

A  jam  locus  ipse  me  admonec  ut,  quando  de  cocnobìtis  hactenus 
«  dictum  est,  nunc  etiam  de  sacris  vìrgimbus  pauca  dicam.  N'amque 
«  earum  quoque  plura  coenobia  Cacsar  suppressit.  Vìsum  id  muttis 
«  inhumanum,  in  co  praescrtim  principe,  qui  sua  Consilia  omnia  io 
a  bonum  humanitacis  se  dirìgere  protìtetur.  Et  si  enim  multae  e  junìo- 
u  rìbus  ex  arcto  in  apertura  perquara  lìbenter  exicrint,  ast  aliae  senio 
«  consumptae,  alque  intcr  suas  auctoritaiem  adcptae,  sive  alia  in  coe- 
a  nobia,  sive  paiernas  ìn  domos  migrare  cogercntur,  rem  indignissime 
CI  acceperc,  contemptui  vidclicet  futurac  in  posterum,  aut  m^gnam 
«  molestiarum  molem  Uturae,  quae  pacate  hactenus  in  suo  mona- 
«  sterio  nec  indecore  vixeranL  Num  vero  id  etiam,  pontifìce  assen* 
»  tiente,  factum?  Inccrtum;  non  tamcn,  si  certas  condiiiones  adjicias, 
K  incredibile.  Sane  ultra  modum  multiplìcata  sacraruni  virginum  vao- 
n  nasterìa  cetnimus.  Civitatem  invenias,  ubi  capitum  raiUia  haud  plura 
«  decera,  aut  duodecim,  monasteria  quindcnnis  non  pauciora  nome- 
a  rantur.  Horum  mlnui  tantisper  numerum,  abs  re  certe  non  eiat; 


^elld  vita  e  degli  scritti  di  G.  C^.  Sala        53 


«bile  ad  accadere;  eppure  accade  più  di  sovente  dì  quello 
«che  alcuni  peasano.  Simile  disordine  non  è  nuovo,  ma 

'»purc  dovrebbe  essere  cessato  dopo  gli  anatemi  fulminati 
•  dil  Tridentino  contro  coloro,  i  quali  quomodocumijue  eoe- 

I  «^m/  aììijuam  virgifwn,  vcì  viduamj  ani  aìiam  quamcumque 
Herem  irrvìtam,  praekrquam  in  casibtis  a  jure  expressis,  ad 

^^mpedìcndum  monasierinm,  vcì  ad  suscipiendum  habitum  cu- 

!  *jus€uniqtu  fcligioms,  vcl  ad  entitteudam  profcssionem;  quique 


«modo  optio  Jetur  vìrgìnibus  cUgendi  quod  malint,  sivj:  aliud  in  rao- 

•  Q«tcriura  transcundi,  sive  paternam  in  domum  revertcndi,  et  salva 

•  flttgulis  boneste  vivendi  conditto  sit.  Ipsat  enim  vìrgines  nitnis 
'crebro,  ac  nimis  facile  sacra  ìnter  claustra  recipì,atquc  ad  solemnem 

b*^otorum  nuncupationem  admittì  multi  putant,  utque  variabilis  est 
'Ecclcsiae  disciplina,  nonnihii  temperandum  hodie  ejusmodi  consue- 
•tudinem  arbitraniur.  Quid  enim?  puella  annorum  vix  decem,  dum 
*wrti  inter  vìrgincs  nutrìtur,  vcl  araitac  cujusdam  blanditiis,  rau* 
■nuicitlì^uc  capta,  ve!  ipsa  socìalis,  et  innocentis  vitae  hilaritate  pel- 
liccia, per  causara  sacrarum  exercitationum,  insolita  pellente  aetate, 

•  &alc  pronunciai,  velie  se  quoque  vitam  coelibem  in  eodem  mo- 
*(ttstcrio  \*iveTc,  idque  palam  evulgat;  quod  semel  imprudenti  exci- 

•  dit,  ij  postmodum  revocare  grandìusculae  vcrccundia  est.  Subìt 
•tntcToi  rei    faraìliaris    angustia  ,    honcstarum   conditionum   infre- 

•  qucniii.  Quo  magis  a  matrimonio  deterreantur,  nuptarura  saepe 
•moltsiias,  et  casus  calamiiosos  sibi  narrari  audit.  Quid  vis?  Ut 
«primum  per  aeutctn  licet,  ne  sibi  minus  constare  videaiur,  nec  pa- 
t  fcnuiin  spcm  eludat,  et  vota,  sacrum  velamen  suscìpit,  et  cum  in- 

•  senti  ipparatu  solemnibus  se  votis  obstriogit.  Cunctis  videlicet  hu- 
«Ruiueriiae  oblectamentis  momento  nuncium  remìttit,  s eque  intra 

•  Mguftum  ambitum  murorum  includit  ca  lege,  ut  inde  peJem  ef- 
*'OTt  nunquam  io  omn!  vita  possit,  idque  praeter  amictum  rudem, 
«»i€tum  icnuem,  et  scveriorcm  saepe  ordìnìs  disciplinam,  cui  in 
*P^iuuin  se   subjìcìt:   legem  denique  mollis  et  rerum  inexperta 

'^'S^cula  sibi  ìmponit,  humanis  prope  majorem  vìribus,  et  quae 
ili  instar  haberetur,  nisi  esset  frcqucns,  et  quotidìe  oculis  ob- 
itur.  Quid  vero  si  decursu  temporis  vitae  ejus,  et  carceris  sa- 
^fU$  subeat?  Quid  si  ardor  illc  primus  pietatis,  quo  nìhil  facìlius, 
't^rijerit?  NuUumne  locum  esse  regressui  ?  et  idcirco  dolore,  ac  rabic 
^ìitn  conubescat  ?  Haec  mihi  cogitanti^  vi:nìebat  aliquando  in 
BMBtcm  optnari,  ferendam  a  poniifìce  legcm,  in  raoresque  inducen- 


54 


G.  Cugnoni 


«  consilium,  auxilium,  vel  favortm  dcderint  ;  quiqtu  sd^n 
«  Cam  non  sponte  in^rcdi  monaskrhim,  aut  habitnm  suscipc 
«  aut  profcssionem  emitUre,  quoquomodo  eidem  actui  vel  pra 
«  senliam,  vel  cotisensuw,  vel  auctoritatem  interposuerint,  Quani 
o  si  bevono  di  queste  scomuniche,  non  escluse  le  monache 
«  Vi  sono  di  quelle,  che  si  affezionano  soverchiamente  :^^ 
«  qualche  giovane  educanda,  e  cercano  d' indurla  ad  ab-^ 
«  bracciare  la  vita  monastica,  dipingendolene  tutto  il  buono^  ^ 
«  e  nascondendolenc  tutto  Tarduo  e  tutto  Tamaro,  che  vi 
«  si  trova.  La  fanciulla,  che  talvolta  usci  di  casa  prima  di 
«  arrivare  agli  anni  della  discrezione,  che  nulla  sa  di  monda 
«  e  che  s'immagina  che  Tesser  monaca  consista  nel  por 
«  Tabito,  nel  cantare  in  coro,  e  nel  mangiar  paste;  si  la 
«  facilmente  persuadere,  ed  eccola  già  con  una  vocazioD 
a  decisa,  e  con  un  fervore  straordinario.  Entra  in  prova,  j 
«  viene  trattata  con  molta  indulgenza;  incomincia  il  noi? 
«  ziato  e  vi  trova  una  maestra,  che  la  lascia  fare  a  suo  mod 
e  e  se  mostrasi  malcontenta  per  qualche  poco  di  rigore,  1 
«  dice,  che  da  professa  non  avri  più  legame,  e  sarà  pH 
«  libera.  Nello  scrutinio  passa  a  pieni  voti,  perchè  le  pro- 


tdam,  ne  qua  deinceps  puella  sese  votorum  sacramento  obtiga 
t  nisi  ad  quìnqucnnium.  Hoc  evoluto  spatio,  sì  constare!  animus,  i 
>  aliud  quinqucnnium  vota  protraheret,  deinde  nd  aliud,  donec  annu 
t  actatis  quLntum  supra  trìgesimum  esset  supergressa,  ac  tum  demun 
I  si  vellet,  se  obstrLngerct  in  perpctuum.  Sic.  ajebam,  buie  tìuxac  | 
»  riter,  atquc  aetemac  carum  felicitati  provisura  in.  Ut  minimum  no 
I  nihil  emollìendum  cxistimabam  durum  illud  votum,  quo  se  nunqud 
I  extra  claustrum  pcdemelaturasspondem.  Permiitendum  utcertaìntr*' 
lannum  die  prodire  possint  in  publicum,  circuire  tempia,  consanguì- 
I  neos  ìnvisere.  Exemplura  Urbe  pracbuit  Bcncdicius  XIV,  coque  prv 
*  vilcgio  ctiam  nunc  nonnullum  monasterium  aditur.  Cur  non  ctìam 
I  matrem  sororcsque  ìdcntìJem,  cura  bona  antistilìs  venia,  ad  se  Jnira 
(claustrum  admittani?  Id  saiìs  bonis  virginibus  ad  solatium,  ac  Icni- 
I  mcntum  acruranosae  vitac  fuiurum,  cffcciurosquc  dìes  paucos,  ut  loto 
»  anno  vivant  sua  sorte  contentac.Verum  de  bis  viderit  Summus  Pon- 
i  tifex,  cui  chrìstìanì  grcgis  cura  coramissa. 
K  Ceterum  non  est,  etc.  s. 


^lla  Pt'ia  e  degli  scrini  di  G.  (l4.  Sala         sS 


«  tcttrid  la  spalleggiano,  il  monastero  ha  bisogno  di  sog- 
■  getti,  ed  essendo  in  fondo  una  buona  ragazza,  si  spera 
«  che  poi  diventi  una  buona  monaca.  Così  Y  infelice  pro- 
«  riunzia  li  voti  solenni,  e  quando  non  ò  più  tempo  si  ac- 
«  corge  di  essere  stata  tradita,  e  si  affligge  e  si  dispera  senza 
«  rimedio.  Certe  fanciulle  poi,  immolate  dal  dispotismo  e 
«  dalla  barbarie  de' loro  parenti,  non  possono  nascondere 
«  il  makoniento  e  l'angustia,  in  cui  si  trovano;    eppure 
«  T^engono  ricevute  ed  ammesse  alla  vestizione  e  alla  pro- 
«  fcssione  o.  Ad  impedire  questa  camificina  di  anime  in- 
nocenti, vuole  l'autore,  che  «  non  [sdegnino  i  vescovi  di 

•  esplorare  essi  stessi  le  monacande,  tutte  le  volte  che  pos- 

•  sono,  e  trovandosi  impediti,  ne  affidino  l' incarico  ad  ec- 
«dcsiasrici  dotti  e  sperimentati;  esclusi  sempre  quelli, che 
«  abbiano  dei  rapporti  col  monastero,  in  cui  rimangono  le 
«postulanti.  E  che  in  tutti  i  monasteri,  prima  de* scrutini 
«  per  le  vestizioni  e  professioni,  si  leggano  tradotti  in  lingua 
'  volgare  »  i  decreti  del  Tridentino  risguardanti  questa 
materia.  «  Il  fulmine  delle  scomuniche  atterrirebbe  le  mo- 
«  nache,  ne  più  s'indurrebbero  a  dare  il  voto  senza  piena 
'Cognizione  di  causa,  e  molto  meno  per  umani  riguardi». 
Dopo  ciò  l'autore  si  fa  a  discorrere  de'  mezzi  da  risvegliare 
ne* monasteri  lo  spirito  di  osservanza  e  di  fervore,  allun- 
gando specialmente  il  ragionamento  sulla  scelta  de'confes- 
^»  e  sulla  severità  della  clausura. 

Tale  è  in  iscorcio  la  parte  stampata  del  lavoro  del  Sala, 
Li  quale,  come  prima  fu  divulgata,  da  altri  venne  messa 
in  cielo,  da  altri  rabbiosamente  maledetta;  secondochè 
l'iffetto  alla  religione  e  al  pubblico  bene,  ovvero  il  privato 
wteresse  gli  uni  e  gli  altri  diversamente  stimolava.  E  giun- 
tone rumore,  certo  per  opera  di  qualche  maligno,  insino 
^Vienna,  dove  il  cardinale  Ercole  Consalvi  era  di  que' 
pomi  a  congresso  coi  deputati  delle  principali  potenze 
«Europa;  quegli,  alla  cui  assoluta  balia  stavano  allora  le 
cose  dello  Stato,  comandò  che  senza  indugio  venisse  im- 


$6  G.  Cugnoni 

pcditi  la  divisione  delb  stampa,  e  si  adoperasse  ogni  pos- 
sUe  diligenza  per  ricovrame  gli  esemplari  gii  sparsi  (i). 
(Cootintia} 

G.  Cugnoni. 

(:}  NèC*xrchÌTÌo  Vaticano  tnscr^ssi  da  txn  fascicoletto  (nella  cui 
coperta  è  nouto  di  pugno  del  Sala:  iSz4  -  Piano  H  Riforma  -  So- 
s^Piszau  id  pn*up$im£ml?  JàU  itsmu^^^  t  riÉsr^  ié'  fo^  già  distribuiti) 
le  seguenti  lettere»  che  coUeganst  con  ^ce>to  fatto. 

L 

«  :S  hizUo  1S14.  —  A.  C  —  Suj  Emmerua  (0  card.  Bartolomeo 
«  Pacca)  desidera  dentro  la  macinati  di  domani  di  parlarvi.  Mi  ha 
«  on£nato  perciò  dì  dirvece  un  cenno.  Lo  eseguisco,  vi  abbraccio, 
«  e  sono  di  cuore  —  Aalmo  amico  S.  Mauri  •- 

IL 
«  C.  F.  —  Potete  facilmente  immaginarvi  che  anco  la  mia  umanità 
e  non  ha  potuto  non  risentirsene.  Conviene  alzare  gli  occhi  al  cielo 
e  e  tranquillizzarsi  lo  spirito  col  rir.esso,  che  appunto  le  buone  opere 
<  sono  compensate  dal  mondo  in  tal  guisa. 

«  Voi  non  ignorate  che  ìl  pensiero  del  ritiro  è  in  me  nato  non 
«  adesso,  ma  dapprima,  e  forsechè  penserò  a  realizzarlo,  se  mi  riu- 
«  scirà.  Rispetto  a  voi  però  nelle  attuali  circostanze  non  mi  sembre- 
«  rebbe  opportuno  il  nudrire  sìaiili  -dee:  conviene  aspettare  il  tempo, 
«  che  suol  dare  consiglio. 

«  Procurate  di  ^^uietarv\  e  nella  Ccagregazione  di  dimani  sera 
€  mostrar\-i  disinvolto,  lasciando  correre  l'acqua  dove  vogliono,  ba- 
*  standovi   il   testimonio  della  buona   coscienza   ed  il  desiderio   del 

«  bene,  che  non  permette  Dio  che  s:  ottenga Addio,  addio  — 

«Li  20  luglio  iSi4  —  v^Domen^co  Sala)». 

Ili. 

«  21  luglio  iSij..  —  A.  C.  —  Ho  ricevuto  la  Raccolta,  e  la  let- 
«tera  acclusami. 

«  Siate  tranquìlHssimo  sul  vostro  aifare.  Sono  stato  dagli  E.mi  So- 
«  maglia,  e  Lìtta.  11  primo  mi  ha  detto,  che  il  parlar  chiaro  giova 
«  all'affare,  e  non  nuoce  quando  si  mantiene  il  segreto,  come  è  incul- 
«  caco  ;  il  med.  ha  desiderato  dì  non  restituir  le  stampe,  e  mi  ha 
«  detto,  che  ne  avrebbe  parlato  questa  sera  col  Card.  Pacca  ;  il  se- 


^ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  ci  Sala         57 


«  coado  me  le  ha  restituite,  e  vi  assicuro,  che  si  è  lodato  del  vostro 

>zeb,  ma  avrebbe  desiderato  che  la  materia  oon  si  fosse  stampata 

'per  il  timore  che  possa  andare  nelle  mani  dei  nostri  nemici.  Non 

«sto  a  riferirvi  quello,  che  io  ho  detto.  Sicuramente  ho  corrisposto 

t  ai  sentimenti  deUa  nostra  amicizia.  Non  ho  potuto  andar  da  Mattei. 

«  Il  Card.  (Pacca)  mi  ha  detto  che  da  questo  Porporato  sarà  cura 

ff  sua  di  ritirar  le   stampe.  Non  vi  è  dubbio  che  sarebbe  stata  più 

«semplice  la  via  che  m'indicate  per  riaverle  nelle  mani,  ma  a  que- 

e  sfora  ci  vuol  pazienza. 

«  Amico,  scrìvo  tanto  a  rotta  di  collo,  che  non  so  quel  che  scrìvo. 
«  Le  faccende  dopo  Tarrìvo  di  Giovannino  (il  cameriere  del  cardi- 
«  naie  Consalvi)  mi  strozzano.  Vi  abbraccio.  Addio  —  AfF.mo  amico 
«V.  S.  M.  (Mauri)*. 


EVOLUZIONE  DEL  TIPO  DI  ROMA 

nelle  rappresentanze  figurate  del t antichità  classica 


§  I.  —  Introduzione. 

•tJTTE  le  antiche  rappresentanze  simboliche,  ed  In 
,  ispccie  le  effigie  delle  divinità,  hanno  subito,  come 
^:.  era  naturale,  una  modificazione  progressiva  se- 
condo la  modificazione  progressiva  delle  idee  e  dei  senti- 
nierni.  Cosi,  per  esempio,  il  tipo  di  Pallnde  che  noi  troviamo 
uri  primordi  dell'arte  greca  immaginato  da  Omero  come 
b  vergiac  guerriera  che  gode  delle  battaglie  (i)  e  nelle 
sculture  corrispondentemente  figurata  in  atto  di  upó^a^^g, 
o  mentre  scaglia  il  dardo,  passa  poi,  coli' ingentilirsi  del- 
ranimo  greco,  dalla  forza  fisica  alla  più  nobile  espressione 
della  forza  intellettuale,  diviene  cioè  protettrice  delle  arti  (2) 
^ed  assume  per  suoi  emblemi  persino  il  fuso  e  la  rócca  (3), 

^^      (l)  'AST.-wat-n  \aoaoóa;:  OmeRO,  Iliade,  XIIT,  128. 
I  (2)  Cosi  nel  concetto  greco,  essendo  Pallade  figlia  di  Giove,  l'arte 

e  quasi  nipote  a  Dio,  come  nel  concetto  Dantesco: 

Voitr'arte  a  Dio  qiuii  t  nipote. 

/■/,.  XI,  105. 

(j)  MOLLEfi,  Hanàbuch  dcr  ArcK,  $  J70. 


Ora  si  poteva  ben  supporre  che  anche  il  tipo  di  Roma  si 
fosse  cambiato  secondo  il  cambiare  de' tempi,  ed  è  però 
importante  lo  studio  di  tali  trasformazionL  Infatti  nel  corso 
di  questo  lavoro  noi  vedremo  come  l'effigie  di  Roma,  che 
sul  principio  ha  tale  rassomiglianza  con  quella  di  Pallade, 
da  dover  dar  luogo  a  non  poche  false  interpretazioni  ed  a 
contestazioni  tra  gli  archeologi,  si  discosta  in  seguito  da 
essa  tanto  da  non  potersi  più  affatto  dubitare  della  sua  iden- 
tità; e  progredendo  ancora  si  riavvicina  di  nuovo  alla  Pal- 
lade pacifica,  atizi  si  sostituisce  quasi  ad  essa,  e  finalmente, 
dopo  il  tempo  costantiniano,  si  stacca  dalla  simbolica  pa- 
gana, assumendo  gli  emblemi  cristiani.  Tutta  Tevoluzione 
completa  ci  mostra  adunque,  dirò  cosi,  la  grande  sintesi 
della  storia,  mentre  le  piccole  e  direi  quasi  accidentali  de- 
viazioni dal  tipo,  le  quali  noi  verremo  via  via  notando,  d 
riportano  ai  parziali  avvenimenti  di  cui  sono  immagine  fe- 
dele. Ma  tutte  queste  osservazioni  saranno  fatte  più  diste- 
samente a  loro  posto:  intanto  è  necessario  di  fare  qualche 
osservazione  generale  sul  presente  lavoro.  E  primieramente 
quanto  alla  sua  utilità  non  è  necessario  spendere  molte  pa- 
role, essendo  fuor  di  dubbio  che  la  retta  intelligenza  della 
storia  di  un  popolo  e  del  suo  carattere  riceve  luce  grandis- 
sima dallo  studio  dei  monumenti  figurati.  Si  potrebbe  piut- 
tosto dubitare  se  convenga  far  un  tale  studio  sul  tipo  di 
Roma,  pensando  che  altri,  assai  più  valente,  ha  già  trattato 
lo  stesso  soggetto.  Ed  infatti  lo  stesso  pensiero  era  venuto 
anche  a  me,  quando,  già  fatta  una  parte  di  questo  lavoro, 
mi  capitò  r  indicazione  di  un  opuscolo  del  dotto  Federico 
Kcnner  intitolato  appunto  Die  Romu-  Typetu  Ma  quando,  dopo 
molte  ricerche,  potei  averne  una  delle  ultime  copie,  essendo 
Tedizione  pressoché  esaurita,  dovetti  convincermi  che,  non 
ostante  la  dottrina  dell'autore  e  le  sue  acute  ed  erudite  os- 
servazioni, il  suo  lavoro  era  deficiente  per  difetto  di  mate- 
riali e  poteva  bensì  servir  di  guida  allo  studio  del  tipo  di 
Roma,  specialmente  per  ciò  che  riguarda  le  origini,  raa  era 


Epolu^ione  del  tipo  di  '7^o;«a 


6t 


ben  lontano  daU' esaurire  le  ricerche  che  possono  farsi  su 
quell'importante  argomento,  particolarmente  riguardo  al- 
l'evoluzione di  esso  tipo  durante  il  corso  della  storia  romana 
nei  tempo  della  repubblica  e,  ciò  che  è  da  notarsi  assai 
più,ncl  tempo  imperiale.  Il  Kenner,  alla  p.  4,  così  si  esprime: 
«lo  studio  dei  monumenti  si  poggia  principalmente  sulla 
•  numismatica  »,  e  basta  questa  frase  per  essere  sicuri 
che  il  suo  lavoro  si  basa  unicamente  sulla  numismatica: 
io  atdo  invece  che  si  debba  certamente  tener  conto  del 
nuicriale   monetiirio,    ma   primieramente   che    esso    non 

5 debba  essere  la  sola  fonte;  secondariamente  che  ciascuna 
clissedi  tipi  debba  essere  giudicata  tenendo  conto  del  luogo, 
Jdli  circostanza  in  cui  fu  coniata  e  della  persona  che  aveva 
il  maneggio  della  pubblica  cosa  al  prodursi  di  ciascun  tipo. 
Che  non  debba  essere  la  sola  fonte  risulta  chiaro,  se  si  ri- 
fletta che  r  impressione  di  una  moneta  è  cosa  puramente 
Tifficiiie,  e  che  perciò  la  determinazione  di  un  tipo  non  di- 
pende unicamente  dal  sentimento  dell'artista,  ma  segue  ne- 
cwariamcnte,  almeno  in  parte,  quello  che  correva  già  sulle 
roonac  del  tempo  precedente.  All'opposto,  la  produzione 
Jnistica  è  spontanea,  senza  vincoli  di  sona  e  rappresenta 
dò  il  modo  di  sentire  deirarcista,  che  è,  specialmente 
TKli'antichìiA,  interprete  di  quello  del  popolo.  Potremo  perciò 
e  sicuri  che  i  cambiamenti  di  tipo  non   vanno  dalle 
ionete  all'arte  figurata,  ma  da  questa  alla  numismatica,  e 
pei  conseguenza,  seguendo  esse  la  trasformazione  e  non 
iziindola,  non  potranno  mai  esser  preferite  nì  monumenti 
altra  specie.  Ho  detto  in  secondo  luogo  che  le  monete 
giudicate  tenendo  conto  delle  circostanze  di  tempo, 
o  e  di  persona:  e  qui  ritoma  Io  stesso  argomento, 
la  moneta,  essendo  cosa  ufficiale,  ci  dari  la  indica- 
un  fatto,  ma  non  l'apprezzamento  che  il  popolo 
portava  su  di  esso.  E  per  citare  un  esempio,  una  moneta 
àGalba  ci  rappresenta  Roma  in  ginocchio  dinanzi  all'im- 
itore  stante  che  la  solleva  colla  destra  ;  ed  intorno  v'  è 


èz 


qA.  Tarisoiti 


scrino:  ROMA  RESTIT  (i);  ora  qual  valore  possiamo  noi 
attribuire  a  questa  rappresentanza  se  pensiamo  che  U  popolo 
non  poteva  davvero  credere  che  Galba  fosse  il  restituior 
Urbis  ?  Ecco  forse  la  cagione  che  ha  fatto  si  che  nel  lavoro 
del  Kenner  la  parte  che  tratta  del  tempo  repubblicano  pro- 
ceda abbastanza  bene,  mentre  nella  parte  imperiale  si  è  tro- 
vato costretto  a  fare  grandi  classificazioni  della  immensa 
varietà  di  tipi  che  si  incontrano,  aggruppandoli  secondo  la 
somiglianza  loro  e  secondo  le  leggende;  sicché  si  perde 
intieramente  di  vista  lo  svolgimento  storico  e  razionale  della 
figura  di  Roma.  A  noi,  airopposto,  che  vogliamo  seguitare 
questo  filo  e  conoscere  qual  fu  il  concetto  che  il  popolo 
romano  ebbe  di  sé  stesso,  dai  suoi  primordi  fino  alla  caduta 
dell*  impero,  concetto  che  forma  poi  raddentellato  colle  idee 
mediocvali  e  moderne,  «  a  noi  »  dico  «  convicn  tenere  altro 
viaggio  ».  Noi  adunque  considereremo  tutte  le  manife- 
stazioni del  pensiero  artistico  e  religioso,  senza  per  questo 
trascurare  le  impronte  monetarie,  ma  giudicandole  per  quel 
che  esse  possono  valere  a  dare  un'  idea  del  sentimento 
popolare.  Avremo  riguardo,  cioè,  al  fatto  che  può  aver  ca- 
gionato una  data  impronta  monetaria,  il  quale  può  essere 
notevole  come  circostanza  storica  speciale,  senza  costituire 
perciò  da  so  solo  nel  tipo  e  nell'  idea  di  Roma  quel  muta- 
mento che  è  invece  il  risultato  di  molti  avvenimenti  e  di  i 
molte  idee  nuove  che  entrano  in  circolazione,  le  quaU  non 
possono  dar  luogo  ad  una  notevole  modificazione  se  non 
dopo  un  lungo  tratto  di  tempo.  Ma  non  per  tutto  il  corso 
della  storia  romana  potremo  aver  sott'occhio  altri  monu- 
menti oltre  alle  impronte  monetarie;  anzi,  per  tutto  il  tempo 
della  repubblica  e  per  alcuni  periodi  spcciaH  durante  V  im- 
pero, non  abbiamo  che  quelle;  questa  mancanza  però  non 
porta  tanto  danno  allo  studio  quanto  potrebbe  a  prima  vista 
sembrare.  Infatti,  nei  primi  tempi   della   repubblica, 


(l)  77;«.  MoreUanus,  Nura.  imp.,  tav.  v,  12. 


Epolu^ione  del  tipo  di  Tipma 


«f3 


qu.inJo  si  stabilisce  dapprima  il  tipo  di  Roma,  non  v'era 
una  tradizione  o  consuetudine  artistica  né  altre  cause  le 
qiuli  impedissero  che  il  tipo,  qual  era  nella  mente  di  tutti, 
a  ogione  delle  comuni  leggende,  fosse  liberamente  e  fe- 
delmente effigiato  con  quella  ingenuità  propria  delle  civiltà 
Riscenci. 

Kella  seconda  metà  della  repubblica  poi,  che  prepara  la 
cria  per  cui  dalla  forma  libera  si  passò  a  quella  della  mo- 
narchia, il  tipo  si  mantiene  uguale,  come  uguali  alle  prece- 
Jenti  restarono  tutte  le  forme  di  governo,  intanto  che  però 
ii  maturava  il  rivolgimento  che  doveva  dar  luogo  alla  nuova 
Roou  ed  alla  nuova  costituzione. 

Nel  tempo  dell' impero  la  consuetudine  artistica  e  l'es- 
Kfti  perduta  la  fede  sincera  delle  antiche  leggende  contri- 
hiiroao  a  rendere  convenzionali  o  false  le  impronte  mo- 
Dcuric,  dando  loro  da  un  lato  un  carattere  fisso  ed  ufficiale 
per  cui  non  seguivano  più  la  tradizione  in  rutti  suoi  atteg- 
giimend,  e  dall'altro  aggiungendo  alla  Hgura  determinazioni 
svariate  che  erano  effetto  dell'adulazione  o  di  altre  cause 
estrinseche,  invece  di  corrispondere  al  sentimento  popolare. 
Mise  il  nostro  studio,  nella  parte  che  riguarda  1* impero, 
si  staca  da  quello  del  già  citato  Kenner,  e  pel  metodo  e 
materiali,  nella  prima  parte  non  ci  potremo  contentare 
citarlo  qua  e  li,  ma  dovremo  fare  una  breve  ed  esatta 
osizione  deUe  sue  idee  e  delle  sue  conclusioni  perchè  si 
poi  più  pienamente  istituire  il  confronto  in  tutti  quei 
"pmti  dove  tssi:  sono  differenti  dalle  nostre. 

n  Kenner  adunque  considera  in  primo  luogo  la  tendenza 

iRotnani  alle  astrazioni  mitologiche,  ed  osserva  che  la  più 

1  di  queste  astrazioni,  cioè  il  genius,  era  per  essi  la  di- 

(i).  Il  tipo  di  Roma  perciò  si  sviluppò  sotto  l'azione 

uè  leggi:  i"  il  genio  dello  Stato  che  rappresentava  T  idea 

di  esso;  2°  il  momento  plastico,  come  egli  lo  cliiama, 


(l)  Op.  ciL.  p.  4. 


0/i,  Tansoiti 


che  dA  corpo  e  vita  a  questo  genio.  La  prima  idea  J' 
Suto,  tutta  appoggiata  alla  famiglia,  si  allarga  e  si  raifoi 
al  tempo  delle  guerre  saniiitiche  e  delle  guerre  di  Pirro. 
virtù  domestiche  deireconomia  e  della  unione  stretta 
vari  mertibri  sotto  ;il  capo  di  famiglia,  divennero  le  v 
politiche  della  sapienza   di  Staio  e   della   forza  guei 
Finalmente  lo  Stato  romano  si  fa  il  centro  dei  popoli  i^" 
liei,  protettore  della  loro  nazionalità  contro  gli  stranieri    ^ 
stabilisce  la  sua  potenza  accentrata  strettamente  e  fortemen*^ 
in  Roma  e  felice  e  rispettata  al  di  fuori.  A  questo  si  rileg* 
sempre  secondo  il  citato  autore,  lo  sviluppo  dei  vari  cul^ 
di  Fortuna,  Mens,  Concordia,  Salus,  Honor,  Virtus,  V£^ 
ctoria,  ecc.,  nelle  quah  si  trova,  come  diviso  fra  tutti,  t' 
genio  dello  Stato.  L'aver  Roma  riunito,  al  tempo  di  Pirro^ 
insieme  ai  popoli  italici  anche  i  popoli  greci  fu  cagione  ch^ 
ella  da  questi  prendesse  la  forma  colla  quale  rivesti  il  suo 
genio*  La  Pallade  Poliade  di  Atene  e  la  Corinzia,  dopo  le 
ultime  trasformazioni  subite  dall'arte  greca  al  tempo  ales- 
sandrino, poterono  ben  passare  ad  essere  protettrici  di  città 
e  servire  per  le  impronte  monetarie;  sicché  per  essere  il 
culto  di  Pallade  sparso  per  la  Grecia  e  per  le  colonie,  le  mo- 
nete delle  citti  della  Magna  Grecia  ebbero  nel  diritto  la 
testa  di  Pallade  Poliade  o  sul  rovescio  la  figura  di  Pallade 
Corinzia.  A  questo  contribuì  anche  la  tradizione  di  Ulisse 
rapitore  del  Palladio,  e  di  Enea  diffusa  generalmente  per 
l'Italia  e  i  racconti  di  Dionigi  di  Alicarnasso,  di  Servio,  di 
Pesto,  ecc.  fecero  si  die  la  testa  di  Pallade  Poliade  passasse 
anche  sulle  monete  romane  a  figurare  il  genio  della  città  (i). 
Questa  prima  effigie  dei  diritti  delle  monete  non  è  però  da 
prendere  come  diviniti,  ma  come  segno  della  citti,  e  perciò, 

(l)  «  Die  Romasagen  bewcisen  duo,  dass  diese  mythologische 
m  Forra  citierSudtgotilicit,  nimlich  die  in  Athen  organiseli  cntwickelte 
n  und  ah  Vorbild  von  Stadtgotthcìtcn  weìihin  verbrcttctc  Potias,  ira 
ft  Bcrcichc  gricchisch«r  AutTassung  auch  auf  die  Roma  ah  Genius 
«  dcr  Siadt  Rofn,  Qbcrgcgangen  sei  »,  Op.  cii.,  p.  io. 


iner,  essa  ha  un  significato  più  storico  che 

ciò  nulla  più  che  la  ani  abitata  dai 

le  teste  poste  sui  diritti  delle  monete  ri- 

acno  sempre  uguali;  ma  i  rovesci,  che  por- 

^  figura,  presentano  molti  cambiamenti  ed  è 

^■ipalraente  bisogna  fermar  rattcn:(ione  (  t  ), 

l^osserx'azioni   sulle  monete  barbariche   di 

jillia,  dice  che  es-sc  portano  i]  medesimo  capo 

thè  la  somiglianza  colle  monete  romane  dava 

•o  nei  lontani  confini.  Finalmente  osserva  che 

JDp  e  le  guerre  di  Sulla  e  della  massima  im- 

^pppresentanza  di  Roma  e  spiega  la  scom- 

ialc  deir  immagine  di  Roma  dalle  monete  di 

l  dire  che  Tidea  dello  Stato  era  rimasta  ofFu- 

confusione  e  Tagitazione  dei  partiti,  ma  era 

on  nuove  forme  e  che  cosi  il  capo  di  Roma 

monete  per  ritornare  più  tardi  come  divinitA. 

:mpi  della  repubblica  le  conquiste  estese  ave» 

1  sentimento  di  nazionalità  italica  degli  an- 

I  monarchia  che  comprendesse  tuno  il  mondo 

lo  scopo  proprio  del  tempo,  e  questo  scopo, 

5  ai  Romani  meglio  che  a  qualunque  altro 

che  alla  perdita  della  nazionalità  si  opponesse 

io  una  reazione  dello  spirito  romano  fondata 

►Ila  rappresentanza  di  Roma  sostituì  il  mondo 

egli  altri  popoli.  Questo  stesso  movimento 

{li  ultimi  due  secoli  della  repubblica   kcc 

:o  alla  famiglia,  la  cui  importanza  fu  assai 

sparire  il  partito  nazionale.  La  trasformazione 

ic  e  la  plebe,  divenuta  vero  partito,  diedero 

luova  divisione  della  società,  nella  quale  non 

Dza  che  tre  classi  ;  senatori,  commercianti  e 

T  patrio  si  sostituì  Y  interesse  personale  e  per 


JL  Società  rowtana  di  itoria  patria»  Voi.  XI. 


niun  altro  scopo  si  fecero  le  agitazioni  politiche  che  pt 
saL're  al  potere  ed  aver  in  mano  i  beni  dello  Stato.  Tutt 
dò  doveva  produrre  naturalmente  una  certa  noncuranz 
della  costituzione,  e  perciò  far  entrare  nell'allegoria  il  m. 
mento   ufficiale  (i).  m 

Ma  in  mezzo  a  tutto  questo  rivolgimento  essendoS 
masto  lo  spirito  guerresco,  era  naturale  che  la  forma  pi 
conveniente  della  quale  fu  rivestita  l'idea  allegorica  dell 
Stato  fosse  quella  di  un'eroina  contraddistinta  da  embleti 
militari-  Tuttavia  anche  lo  spirito  guerresco  si  era  cambiai 
e  meatre  per  l' innanzi  era  una  conseguenza  dell'amor  patri 
e  della  conservazione  della  propria  indipendenza,  divenr 
poi  la  guerra  un'arte,  la  vittoria  non  più  del  paese  ma  i 
un  partito  ed  un  obbligo  dei  soldati.  Di  qui  nacque  Y  idt 
di  un  destino  che  assicurasse  a  Roma  coniiimi  trionfi,  t 
essendo  costante  la  fortuna  dei  Romani,  e  non  interrotta 
serie  delle  loro  vittorie,  la  dea  di  esse  divenne  un  attribu 
costante  dì  Ronin:  fincliò  quando  lo  Stato  fu  riunito  nelle  ma 
di  un  solo,  la  Fortuna  fu  tutt'unò  col  suo  governo.  Da  i 
timo  le  religioni  e  le  diviniti  di  tutti  i  popoli  conquista 
trasportate  in  Roma  ed  in  certo  modo  riconosciute  affidi 
mente,  mentre  perdettero  la  loro  nazionalità,  servirono 
stringere  sempre  più  Ì  popoli  stessi  al  dominio  ronwno.  Q 
queste  stesse  divinità  nelle  loro  rappresentanze  partcdf 
vano,  per  cosi  dire,  dell'autorità  dello  Stato,  dò  che  ar 
stava  che  le  religioni  dei  vari  popoli  erano  anche  religic 
ufficiali,  ma  attestava  ancora  che  essi  popoli  erano  allo  Sts 
soggetti,  e  da  questa  doppia  significazione  delle  allegorie 
rappresentanze  delle  divinità  straniere  prese  le  mosse  l\ 
legoria  ufficiale  dello  Stato  e  dell'imperatore  (2).  TraccL 
cosi  a  grandi  linee  la  strada  percorsa  dalFallcgoria,  torà; 
Keimer  ad  esaminare  le  singole  specie  di  rappresentanze  | 


(0  Op.  dt-,  p.  19. 
(1)  Op.  dt.,  p.  21. 


dimostrare  come  esattamente  esse  corrispondano  alle  idee 
di  loro  simboleggiate.  E  primieramente  egli  considera  la 
igura  intera  di  Roma  quale  apparisce  sulle  niunece;  e  come 
la  gii  dimostrato  la  connessione  che  esiste  tra  il  capo  di 
mvA  delle  monete  consolari  e  quello  di  Pallade  Ippia  delle 
raoncie  greche,  cosi  opina  che  V  intera  figura  di  Roma  sia 
u  presa  dalla  figura  di  Pallade  Ippia  che  con  vari  sim- 
ili s'incontra  sulle  monete  delle  citti  rappresentata  come 
vinitA  eroica.  Questa  applicazione  è  resa  facile  dal  fatto 
e  U  testa  dì  Pallade,  appunto  a  cagione  di  questa  sua  va- 
icti  di  simboli,  aveva  finito  per  perdere  il  suo  significato 
speciale  ed  assumere  quello  di  fondatrice  di  citti.  Di  più  gli 
autori  tiei  racconti  delle  fondazioni  delle  varie  città  confu- 
sero le  fondatrici  con  ninfe  ed  amazzoni,  le  quali  però  non 
mno  le  stesse  che  quelle  della  Cappadocia,  ma  riunivano 
in  sé  Slesse  lo  spirito  guerresco  di  quelle  con  ciò  che  rima- 
Qcva  ancora  dei  caratteri  della  Pallade  Poliade.  In  questo 
modo  anche  le  prime  fig^ure  di  Roma  sono  prese  da  queste 
imazzoni  o  ninfe,  e  ciò  con  tanta  maggiore  convenienza 
considerando  il  carattere  guerresco  della  città  e  della  sup- 
posta fondatrice  che  segui  nella  figura  il  tipo  della  amaz- 
zone di  Fidia  o  di  Sosicle, 

Considerate  cosi  le  cose,  il  Kenaer  divide  le  monete 

Jclla  repubblica  in  due  gruppi:  alcune  non  mostrano  che 

una  rappresentanza  della  città;  altre  si  rilegano  a  memorie 

storiche.  In  quelle  del  primo  gruppo  è  Roma  considerata 

te  divinità  locale  protettrice  della  città  e  come  tale  effi- 

cioè  sedente  con  armi,  con  corto  abito,  e  colla  mam- 

dcstra  o  sinistra  scoperta.  In  quelle  del  secondo  gruppo 

Q  ó  mostrano  invece  diversi  avvenimenti,  poiché  secondo 

i  casi  Roma  apparisce  come  guerresca,  o  come  vittoriosa, 

0  come  pacifica,  i^cc.  Da  ultimo  lo  stesso  autore  osserva 

che  h  figura  di  Roma,  anche  nel  suo  massimo  sviluppo, 

oon  ebbe  mai  valore  di  divinità.  La  sua  superiorità  come 

Suro  e  come  cultura  non  era  ancora  generalmente  sentita 


68 


q4.  Tarlsotii 


e,  poggiando  su  ciò  la  diviniti  di  Roma,  ne  derivò  chei 
fu  solo  potenza  m;Ucriale  e  superiorità  di  forza  alla  qua^-*'^^^ 
popoli  necessariamente  sottostavano:  e  perciò  fu  una  di  ^^' 
niti  meramente  terrestre  e  senza  alcuna  idealità. 

Bastano  queste  poche  parole  sul  modo  che  il  Kenc^^^ 
ha  tenuto  nel  corso  di  questa  trattazione,  per  intendere: 
biio  che  egli  prima  delinca,  per  cosi  dire,  una  storia  idc 
e  razionale  delle  modifica^sioni  che  l'allegoria  subì  nccess 
riamente  secondo  le  diverse  condizioni  dello  Stato  roniar 
e  poi  procura  dì  mettere  d'accordo  le  conclusioni  tratte  dal! 
teoria  coi  tipi  che  si  incontrano  sulle  varie  monete. 

Certamente  le  idee  fondamentali  circa  il  primo  sviluppo 
dell'allegoria  presso  i  Romani  e  del  significato  tutto  patrie^ 
che  avevano  le  prime  divinità  latine  di  Mens,  Concordia^ 
Honor,  Virtus,  ecc.  non  si  possono  mettere   in  dubbio  : 
ma  non  è  cosi  di  tutto  il  resto.  Abbiamo  veduto  comc^ 
il  Kcnner  dica,  che  la  forma  onde  fu  rivestita  la  prima  idea^ 
allegorica  dì  Roma  fu  data  dal  contatto  coi  popoli  greci  (i). 
Ora  questa  giusta  osservazione  à  da  lui  connessi  colle  altre 
sulle  trasformazioni  del  tipo  greco  di  Pallade  Poliade   ed 
il  passaggio  che  ella  fa  a  significare  una  divinità  procet-M 
trice  di  città:  e  similmente  egli  conclude  col  dire  che>  in 
forza  di  questa  mutazione,  la  testa  di  Pallade  passò  a  rap-^ 
presentare  Roma  sulle  prime  monete  della  repubblica,  cto^H 
che  quella  testa  fu  l'espressione  figurau  del  gcnitis  dell'al- 
legoria astratta. 

La  verità  di  questa  conclusione  ci  sembra  assai  disc 
libile,  a  cagione  della  incertezza  del  significato  che  sì  dev 
attribuire  alla  testa  colla  galea  .alata,  che  forma  il  distintivo^ 
del  diritto  delle  monete  romane  dei  primi  secoli  e  di  molte 
altre  monete  italiche.  Non  dissimuleremo  la  gravità  dellafl 
questione  nella  quale  ci  è  d*uopo  entrare  in  questo  mo- 


sci>fl 

!evel 


(I)  Op.  cit.,  p.  7. 


Evoluzione  del  tipo  di  "I^ma 


€9 


mento:  Olivieri  (i),  Eckhel  (2),  Aldini  (j),  Momrasea  (4), 
Cavedoni  (j),  Klùgmann  (6),  Fricdlandor  (7),  Zofega  (8) 
la  esaminarono  già  con  risultati   differenti,   e  sarebbe  te- 
meriti  il  pretendere  di  definirla;  noi  non  aspiriamo  a  tanto: 
solo  ciiiediaino  che  ci  sia  permesso  di  esprimere  una  no- 
^ra  opinione,  la  quale,  concordando  in  parte  con  alcune 
elle  già  espresse,  ne  differisce  solo  perchè  tende  a  togliere 
ì\\  suddetta  testa    quel  significato    preciso  e  sicuro    che 
j!i  archeologi  delle  due  parti  le  hanno  voluto  dare.  Rias- 
imiarao  qui  in  poche  parole  la  questione   secondo    che 
licerAldini.  Dal  tempo  dell'Orsino,  che  aveva  detto:  «  Ar- 
1  genti  noue  antiquiores  fuemnt  Romae  galeatae  imago  ex 
una  pane  et  Castorum  signa  equitantium  ex  altera  »,  tutti 
jli  archeologi,  sicuri  su  questa  autorità,  avevano  attribuito 
Uà  dea  Roma,  ossia   al  genio  della  città,  la  testa  muliebre 
annata  di  galea  alata  ed  adorna  il  collo  di  monili.   Anni- 
bale degli  Abati  Olivieri,  trovando  questa  medesima  testa 
sopra  una  moneta  sannitica  del  tempo  della  guerra  sociale, 
dubitò  che   potesse  simboleggiare  Roma,  ma  non    trasse 
nessuna  conclusione. 

L* Eckhel  (9).  poi,  riprendendo  gli  argomenti  deirOli- 
w  ed  aggiungendone  altri,  dichiarò  invece  che  TefEgie 
iella  moneta  sannuica,  come  anche  quelle  romane,  rap- 
presentavano Pallade  vincitrice.  Questa  interpretazione, 
acccnata  dal   Mionnet  (io),  dal  Sestini  (11),  dallo  Zan- 

(0  %^*  accademici  di  Cortona,  IV,  133. 

(a)  Dcctr.  mm.  veU,  V,  84. 

0)  Sui  tipo  pritn.  àólU  mon,  dilla  rep.  rom.,  p.  loi  e  sgg. 

U)  Gtìtfc.,  d.  ròm.  Muniwmn,  p.  2H7. 

U)  \um.  Frane,  p.  26. 

'"J  ^Vjp^lV  di  Roma  sui  tipi  momUiìi  più  antichi,  p.  460  sgg. 

(7)  (^thrrrìcht,  p.  18  j. 

W  Biti/yrilinn,  I,  14 j,  n.  5. 

(9)  Op.  ciL.  proleg. 
W  CoLtlo^o  univ, 
vO  Catjiogo  dtì  museo  Fontana. 


70 


q4.  Tarisoiti 


noni  (i),  dal  D'Ailly  (2)  e  dal  Cohen  (5),  lasciò  sospesi  tut- 
tavia lo  Schiassi  (4),  il  Cavedoni  (5)  e  il  Borghesi  (<?), 
abbandonarono  l'antica  denominazione  di  testa  di  Roma  go- 
leata, sostituendo  ad  essa  quella  di  «  solita  testa  con  galea 
alata  »,  invece  di  quella  eckheliana  di  caput  Palladis  ga- 
leafum.  Erano  a  questo  punto  le  cose,  quando  l'Aldini  (7), 
opponendosi  airOIivieri  ed  all'  Eckhel,  credè  con  argomenti 
riconosciuti  poco  convincenti  anche  dal  Kenner,  suo  stesso 
fautore  (8),  poter  dimostrare  che  quella  tanto  disputata 
testa  fosse  invece  di  Roma<  Il  Kenner,  in  una  lunga  e  dotta 
nota  (9),  toma  a  rivangare  la  questione,  stabilendo  che, 
sebbene  il  capo  galeato  simboleggi  Roma,  fu  in  origine 
Pallade  Poliade.  Infatti,  se  per  ispìegare  il  citato  tipo  san- 
nitico  l'Aldini  potè  dire  che  era  naturale  il  capo  di  Roma 
su  quella  moneta,  perchè  i  Sanniti  lottavano  solo  con  un 
partito,  che  negava  loro  la  cittadinanza  (io),  non  si  potrebbe 
ripetere  altrettanto,  ne  si  potrebbe  trovare  un  qualunque 
appiglio  per  le  monete  greche  di  Turio(i  r),iMetaponto(i2), 
Velia  ((3),  Camarina  (14)  ed  anche  di  altre  città  (15),  che 
hanno  lo  stesso  cupo  dì  Pallade  Poliade,  a  cui  è  stata  ag- 

(t)  Notix-  iUi  din.  trovati  u  FiesoU. 

(2)  Rtich.  sur  la  mo».  rem. 

(3)  Descript,  geft. 

(4)  RitroiK  di  med,  cons. 

(5)  Ragguaglio. 

(6)  Ossirv.  num. 

(7)  Op.  cit ,  p.  5  e  sgg. 

(8)  Op.  cit.,  p.  ir,  n.  5:  «  Aldini  desscn  BewtHsgrunde  dafur 
«  dass  diescr  der  Kopf  dcr  Roma  sei  ebcn  nicht  sehr  einleuchtend  und 
«  ubcrzeugend  sind  ». 

(9)  Op.  cit-,  p.  Il,  n.  }. 
(io)  Op.  cit.,  p.  7. 

(11)  V.  Carelm,  Vmw.  //.  vet.t  lav.  cLxvn,  27. 

(12)  Ivi,  tav.  cLvi,  1 56. 
(ij)  Ivi,  tav.  cxxxix,  4J-45. 
(14)  PoOLE,  Catahguc  oj  gruk  coins,  p.  40. 
(is)  Il  Kenner  cita  anche  le  città  di  Eraclea  BruttU  e  Siracusa 


Epolu^ione  del  tipo  di  T^oma 


TaJa  sull'elmo,  cosa  che  ha  fatto  subito  pensare  che 
sopra  quei  tipi  si  modellassero  gli  artisti  che  coniavano  in 
LRonu  (i).  Inoltre,  lo  stesso  autore  dell'opuscolo  D\c  Roma- 
y^ìpin  crede  ragionevolmente  che  raggiunta  delle  ali  sul- 
Fclmo  sia  in  relazione  coir.trte  etrusca,  gii  per  tanti  rap- 
orti  corrispondente  allo   stile    corinzio,  e  nella  qu.ite   le 
flH  erano  segno  di  protezione  divina.  Quanto  agli  altri  or- 
fwmenti  osserva  che  la  Poliade  eginetica  e  quella  di  Fidia, 
come  anche  quella  delle  monete  italiche,  essendo  conside- 
rau  come  dea  protettrice  di  cittA,  aveva  naturalmente  tutti 
.quegli  orn;mienti    dei  quali  i  popoli  che  la  toglievano  a 
Ibro  patrona  erano  vaghissimi,  come  monili,  collane  e  si- 
nili  (2).  Gli  unici  cambiamenti  essenziali,  evidentemente 
l£iiti  a  bella  posta,  per  dare  al  tipo  di  Pallade  il  significato 
diviniti  tutelare  (3)  invece  di  quello  di  diviniti  olim- 
Mco,  sono  lo  sguardo  audace  e  bellicoso  dell'effigie  delle 
noneie,  invece  che  dimesso  e  tranquillo  di  Minerva,  e  la 
Pboca  brga  e  dura  in  cambio  di  quella  sottile  e  sorridente 
tli  questa:  mentre  la  vera  Pallade  riviea  fuori,  anche  sulle 
Donetc  romane,  coll'egida  e   senza  ali   sull'elmo.  Tutto 
Questo  è  assai  ragionevole,  ma  dimostra  solo  che  il  capo 
Mioer\'a  sulle  monete  greche  aveva  assunto  questo  si- 
gnifiato  di  dea  tutelare  della  citti:  ma  i  Romani,  che  non 
avevano  assistito  alla  trasformazione  di  quel  tipo,  potevano 
fenderlo  allo  stesso  modo  ?  Dove  sono  le  prove  per  di- 
mostrare che  sulle  monete  romane  esso  passò  a  significare 
Roma?  O  piuttosto,  considerando  che  mai    la    figura   di 
Roma  ebbe  elmo  alato,  e  fino  a  tempi  assai  tardi  non  ebbe 
ornato  di  sorta,    non  siamo  piuttosto  persuasi  che  quella 
ùnpronta  delle  monete  greche,  trasportata  in  Roma  dovette 
restare,  per  dir  cosi,  estranea  al  sentimento  del  popolo  ro- 


(0  MoMMSEK,  Gtsch,  dtr  ròm,  Mun^w.,  IV.  Abschnitt,  p.  294. 

(2)  Kf>*KES,   Ice.  CÌt 

0)  Ivi. 


72 


C//.  'Parisoiti 


mdtio  ?  Alla  prima  di  queste  osservazioni,  accennata  già 
dall'Olivieri,  risponde  l'Aldim  (i)  domandando  «  dove  si 
«abbiano  altri  monumenti  di  scultura  romani  del  quinto 
<t  secolo,  allorquando  fu  immaginato  quel  primo  tipo  sic- 
«  come  proprio  e  generale  alla  moneta  di  argento  per 
«prima  volta  fabbricata  nella  romana  repubblica  n..  Ma  c*h 
bisot^no  forse  di  ricorrere  alla  scultura  ?  Non  vediamo  su- 
bito  appresso  alle  prime  emissioni  di  quadrigati  e  bigati 
venir  fuori  la  figura  intera  di  Roma  colla  galea  senza 
e  senza  ornamenti  al  collo?  La  testa  del  diritto  non 
duaque  nulla  che  fare  con  quella  della  figura  del  rovescio. 
Ed  è  anche  naturale  che  il  capo  colla  galea  alata  venisse 
ad  ornare  le  monete  di  Roma,  poiché  gli  artisti  greci  che 
le  coniarono  seguirono  il  modello  che  avevano  sott'occhio, 
cioè  quelle  che  essi  stessi  usavano  :  ma  il  popolo  che  ri- 
ceveva e  si  serviva  di  queste  monete,  doveva  dare  a  quella 
testa  solo  il  significato  di  un  puro  simbolo  monetario.  Si 
potrebbe  anzi  a  questo  proposito  congetturare  che,  come  le 
città  deOa  Spagna  (2)  e  di  altre  provincie  assunsero  più 
tardi  questo  tipo,  perchò,  corrispondendo  a  quello  usato 
in  Roma,  dava  credito  alle  loro  monete  (3),  cosi  Roc 
abbia  preso  ella  medesima  alla  sua  volta  la  testa  della  P^ 
lade  Poliade  delle  citti  greche  perchè  il  dcnario  della 
scente  repubblica  acquistasse  quella  sicurezza  e  quel  evi 
dito  che  aveva  quello  dei  fiorenti  empori  commerciali  della 
Magna  Grecia,  È  anzi  da  osservare  che  le  monete  di  ar- 
gento furono  per  la  prima  volta  coniate  in  Roma  nel  486 
d.  R.  (4),  cioè  dopo  la  presa  di  Taranto,  quando  la  repub- 

(i)  Op.  cii.,  p.  6. 

(2)  Valentia,  Carmo  e  Sagunto.  V.  Mommsen,  R,  G.,  I,49S»  H.  280; 
Florez,  Mcdallits  de  ìus  cohnias  de  Esftana,  lav.  lxv,  15,  Lxvin,  5-8; 
MiONNET,  Discript.  des  moti,  ant.,  I,  nn.  55,  8,  i,  io;  Ackermann, 
Ancient  cchs  HispatiiUf  p.  ixj. 

(3)  Secondo  che  osserva  il  Kenner,  op.  cit,  p.  16. 

(4)  Liv.  Epit.  XV;  Plin.,  Hisl.  nat.,  XXXIII,  3,  44;  Mommsek» 
Gesck  der  ròm.  .Vf«/;^iy.,  IV,  4,  p.  300. 


Ei'olif^ione  del  tipo  di  'l^pma 


ca  romana  era  in  pieno  possesso  delle  città  della  Magna 
Grecia,  ed  anche  per  questo  riguardo  era  naturale  che  da 
loro  prendesse  il  suo  tipo  monetario.  Né  vale  dire  che  quelle 
cìttA  fossero  allora  in  decadenza,  perchè   cosi  non   era  di 
(tutte:  Taranto,  per  esempio,  era  ancora  abbastanza  pro- 
spera, ed  anche  qualche  sua  moneta  ha  per  impronta  la 
testa  coll'clmo  alato  (i)*  e  se  questa  è  non  tanto  comune, 
dò  non  può  far  dilTicolti,  dovendosi  supporre  che  i  Romani 
fgliesscro   un   tipo   che   non  fosse  speciale  di  questa  o 
quella  citti,  ma  comune  a  quasi  tutte,  come   quello  della 
Fillade  Poliade  coli*  elmo  alato.    Inoltre  le  varie  monete 
I  greche  che  nel  diritto  avevano  cosi  una  rappresentanza  co- 
mune, si  distinsero  Tuna  dall'altra  pel  rovescio,  sul  quale 
si  riunirono  i  significati    allegorici  e  gli  emblemi  caratte- 
ristici di  ciascuna  cm\.  Mi  sembra  adunque  che  nella  ri- 
soluzione della  questione  della  cosi  detta  testa  di    Roma 
sia  ii  grande  importanza  il  tener  conto  dei  rovesci,  la  qual 
cosa  non  credo  che  sia  stata  notata  da  altri. 

Ed  invero  la  relazione  intima  che  coae  tra  il  diritto  ed 
il  rovescio  di  una  moneta  non  si  può  negare:  cosi  quando 
una  noia  caratteristica  od  una  leggenda  non  entra  più  da 
un  lato,  si  trasporta  sull'altro,  come  avvenne  allo  stesso 
nome  ROMA,  che  dovette  abbandonare  il  suo  vero  posto 
nel  rovescio  e  fu  scritto  spesso  su!  diritto  sotto  jjna  cesta 
di  Giano  o  di  Apolhnc.  Ora,  posta  una  tal  relazione,  chi 
non  vede  come  il  vero  emblema  allegorico  di  una  moneta 
romana,  per  cs.  dell'  acs  t^rave,  sia  riposto  nella  prora  di 
nave  e  non  nella  insignificante  testa  del  diritto?  Sul  ro- 
^^xio  si  scrissero  i  nomi  delle  città  e  si  incisero  tutti  i 
jimboli  relativi  alla  loro  posizione  geografica,  al  loro  com- 
nwrdo,  alla  loro  ricchezza  e  così  via,  mentre  il  diritto  restò 
io  genere  occupato  dalla  testa  delle  diviniti.  Cosi,  nelle  mo- 
nete greche,  il  delfino,  il  fascio  di  spiche,  l'eroe    TAPAS 


(ij  Ca»elu,  op.  cìt.,  tav.  ex  VI,  249. 


74 


C^.  Sansoni 


non  sono  essi  segni  assai  più  espressivi  di  una  testa 
Giove  o  di  Pallade  ?  Lo  stesso  fatto  si  ripetè  ancora  sulle 
monete  romane  imperiali,  il  cui  diritto  fu  intieramente  oc- 
cupato  dalla  testa  dell'imperatore,  mentre  sull'altro  lat<^H 
furono  effitjMati  gli  avvenimenti  principali  del  tempo:  e  coa-S 
giari  ed  edificazioni  di  templi   e  spedizioni  militari  e  am- 
bascerie e  giuochi  nel    circo  formano,  colle   loro  figure, 
importantissime  pagine  di  storia.  Se  una  moneta  adunque 
di  Turio  o  di  Metnponto    ci   offre  sul  diritto  quella   me- 
desima testa  che  troviamo  sopra  un  denario  romano,  po- 
tremo noi  dare  ad  essa  un  significato  in  qualunque  modo 
simbolico?  Certamente   no:  Turio,  Taranto,   Metaponto, 
Camarina  e  le  altre,  quantunque  si  distinguano  realmente 
pei  rovesci,  essendo  tutte  cittd  greche,   mantengono    tut- 
tavia un  legame  comune  nella  testa  di  Pallade  Poliade  o 
di  una  qualunque   divinità  loro  comune  protettrice,    che 
risalga  in  certo  modo  a  quella:  mentre  per  Roma  non  si 
può  dire  altrettanto,  si  perchè  i  Romani  sentivano  poca  o 
ninna  relazione  con  Pallade,  e  si  perchè  la  vera  personi- 
ficazione della  città  ed  il  vero  genio  di  Roma  si  svilup- 
pano poi  in  modo  assai  differente  e  meglio  rispondente  al 
loro  sentimento  nazionale.  E  ncppur  si  può  dire,  come  il^ 
Kenner,  che  quella  testa  indichi  la  città  abitata  dai  Ro*^ 
mani  (i),  perchè  nessun  simbolo  topografico  indica   che 
essa  sia  Roma  piuttosto  che  un'altra  città  e  perchè  ad  una 
originaria  immagine  di  divinità  accenn.ino  chiaramente  le 
ali  sull'elmo  ed  il  fiero  carattere  della  testa  stessa.  Dunque ■ 
dovremo  dire  che  essa,  trasportata  sulle  monete  romane,  se 
non  ha   ripreso   l'antico  significato  di  Pallade,  non  abbia 


(i)  «  Mochie  Roma  immcrhin  den  Hclm,  das  Haar,  den  SchntiucU* 
adcr  P.iUas  haben,  sic  war  deshalb  doch  nichi  mehr  in  der  Auffas- 
«sung  dcr  Ròmcr,  als  die  Stadi,  in  dcr  sic  wohmen,  odcr  hòchstens 
«  noch  die  Stadi  Rotti  gegenùber  von  Italicn  ».  Op.  cii.,  p.  14,  Non  so 
come  tragga  questa  conclusione  mentre  questa  testa  non  ha  nulla  di 
nazionale,  ed  è  ripetuta  anche  sulle  monete  di  altre  ciiti  d' Italia. 


Epoluiione  del  tipo  di  'T^ma 


avuto  alcun  significato  inteso  veramente  dal  popolo,  ma 
Slato  invece,  ripetiamolo  ancora,  un  puro  simbolo  mo- 
ario  messo  li  come  conseguenza  di  una  lunga  tradizione 
tsdusivamcntc  artistica  (i). 

Ma  ciò  che  ha  tratto  in  errore  gli  archeologi  si  è,  a 
pjrer  mio,  l'essersi  sviluppata  poi  la  personificazione  di 
Ronu  colla  galea  in  capo;  circostanza  che  ha  fatto  loro 
ilcgjrt;  due  figure  affatto  differenti;  cioè,  l'una  con  elmo 
lUio  in  capo  e  con  cimiero  ed  intomo  al  collo  monili  ed 
Itri  ornamenti,  cose  tutte  che  accennano  ad  un  vestiario 
dell' intera  persona  corrispondente  alla  ricca  acconciatura 
capo;  l'altra  invece  che  ha  qualche  volta  il  capo  sco- 
no, ovvero  coperto  con  un  berretto  fi*igio  o  con  un  sem- 
icissimo  elmo  basso  e  senza  cimiero  e  vestita  poi  in  modo 
Imamente   guerriero.   Per  lo  contrario  le  altre  cittA  che 
nelle  loro  rare  personificazioni  non  ebbero  figura  guerriera 
non  fecero  venire  in  mente  ad  alcuno  che  potessero  avere 
qualsiasi  relazione  col  capo  di  Pallade  Poliade.  Finalmente, 
ichc  lo  stesso  Kenner  osserva  (2)  che  le  teste  dei  diritti 
ono  sempre  uguali  e  che  è  sulle  intere  figure  del  ro- 
vescio che  bisogna  fermar  T  attenzione  per  lo  studio  dei 
cambiamenti  del  tipo  di  Roma  che  seguono  quelli  dell'alle- 
goria e  dell'ideale  politico  del  popolo,  ed  io  aggiungo  che 
questo  fatto  ci  dimostra  ancora  una  vola  che  la  testa  dei 
diritti  delle  monete  non  rappresenta  Roma,  tanto  più  che 
col  progredire  dello  Stato  romano  quell'antico  capo  termina 
per  iscomparire  dalle  sue  monete.  Dopo  di  che,  facendo 
tewro  dell'osservazione  dell'autore  tedesco,  entreremo  senza 


(i)  Non  tstarcmo  qui  a  ripetere  gli  eccellenti  argomenti  addotti 
dai  Klùgmann  per  dimostrare  che  la  lesta  coll'elmo  alato  non  può 
**tpc  la  significazione  dì  Roma;  ci  limiteremo  perciò  a  rimandare 
alla  p.  46  e  sgg.  àc\  suo  lavoro  già  citato,  dove  egli  esamina  \x  que- 
icìonc  con  sicurezza  e  precisione  straordinaria. 

(t)  Op.  cit.,  p.  15. 


^^qualsi 
Mnchc 
^Bestari 
^■▼cscic 


76 


più  a  parlare  dello  sviluppo  della  Hgura  intera  dì  Roma^ 
delle  sue  caratteristiche  e  della  sua  origine. 


§  2.  —  Origine  del  tipo 
e  suo  svolgimento  &opra  i  denari  repubblicani. 

Un  fatto  abbastanza  strano  si  è  quello  di  trovare  dap- 
prima personificata  Roma  nelle  citti  gi'eche  dell'  Italia  e 
dell'Asia  Minore  (i),  tra  le  quali  Smirne  le  aveva  già 
dal  559  di  R.  innalzato  un  tempio  (2).  La  cagione  .di 
questo  fatto  mi  sembra  si  possa  giustamente  attribuire,  se- 
condo che  osserva  anche  il  Preller  (3),  all'avere  le  città 
greche  dell'Asia  Minore  volto  lo  sguardo  a  Roma  per  averne 
appoggio,  seguendo  Tesempio  di  Rodi  e  dei  re  di  Pergamo; 
tanto  più  che  il  secondo  tempio  alzato  in  onore  di  Reina 
da  un'altra  città  greca,  Ahibanda,  fu  in  seguito  ad  un'am- 
basceria spedita  a  Roma  per  la  guerra  che  alcune  città  ave- 
vano intrapreso  contro  Perseo.  Quanto  alla  dedicazione  di 
questi  tempii,  siccome  il  culto  di  Roma  ebbe  poi  uno  svi- 
luppo sino  ai  tempi  tardi,  ne  faremo  oggetto  di  un  capitolo 
speciale.  Per  ora,  accontenundoci  di  questo  cenno  che  è 
in  relazione  colla  figura  di  una  moneta  dei  Locri  epizefiri 
che  esamineremo  più  tardi,  vediamo  qual  fosse  e  donde 
fosse  presa  la  figura  di  Roma,  h  noto  che  cssù.  fu  dapprima 
personificata  sotto  le  sembianze  di  una  donna  con  corta  tu- 
nica succinta  che  lasciava  scoperta  una  mammella,  ordina- 
riamente la  destra,  con  una  piccola  e  semplice  galea  in  capo, 
parazonio  al  fianco  ed  asta  in  mano.  Generalmente  seduta, 
Roma  aveva  aspetto  tranquillo,  benché,  come  si  è  potuto 


(l)  Sestini,   Dcscri^.  d'alcune  m<d.  del  princ.   di  Dan., 
tav.  n,  8. 

(a)  TAcrro,  ^«w.,  IV,  $6. 
(3)  Ròm.Myth,,  I,  35$  e  sgg. 


Evoluzione  del  tipo  di  'T^oma 


rlredcrc,  si  le  sue  vesti  che  il  suo  trono,  spesso  formato  da 
un  mucchio  di  armi,  la  indichino  eminentemente  guerriera. 
Due  sono  i  tipi  dai  quali  si  vorrebbe  far  derivare  questa 
primitiv.i  figura  di  Roma:  Tuno,  secondo  il  Kenner  (i), 
jalla  imazzonc  di  Fidia;  l'altra»  secondo  il  Cavedoni  (2), 
He  figure  rappresentanti  l'Etolia,  impresse  sulle  monete 
diqudla  regione  al  tempo  delle  ultime  sue  lotte  per  T  in- 
lipcnJcnza,  Esaminiamo  ambedue  queste  opinioni. 
n  Kenner  crede  che  la  figura  di  Pallade  Ippia,  perduto 
togni  lignificato  speciale  tranne  quello  di  fondatrice  e  prò- 
Mtricc  di  citti,  fosse  confusa  con  quella  delle  ninfe  od 
naanni,  le  quali,  anche  secondo  la  leggenda,  erano  fon- 
ditrici di  citt;\,  e  che  alla  rappresentanza  di  questo  concetto 
|abbia  servito  di  tipo  l'amazzone  di  Fidia,  dalla  quale  derivò 
«1  anche  la  figura  di  Roma.  Ora  io  non  so  quale  ana- 
gia  possa  avere  la  Pallade  con  una  eroina  essenzialmente 
na  e  come  la  figura  della  dea  olimpica  possa  passare 
oi  in  queUa  di  un'amazzone,  e  per  quanto  sia  maggiore 
relazione  che  corre  tra  questa  e  la  figura  di  Roma  di 
qucDa  che  corre  tra  Pallade  e  la  stessa  figura  di  Roma,  non 
credo  tuttavia  che  a  rigore  si  possa  dire  che  questa  sia  de- 
rivau  dall'amazzone  di  Fidia.  Infatti  l'amazzone  fidiaca  (3) 
ovvero  quella   creduta   un'  imitazione   dell'altra   di   Poli- 
cleto(4)  hanno  veramente  una  corta  tunica  che  non  giunge 
i  coprire  le  ginocchia  e  nuda  la  mammella  destra,  ma,  se 
hcac  guardiamo,  differenti  tutte  le  altre  parti  del  vestiario. 
L'elmo  è  più  stretto  al  capo  che  non  quello  di  Roma,  e, 
mentre  questa  ha  calzari  assai  alti,  le  amazzoni  non  hanno 
che  una  piccola  cinghia  che  involge  il  tallone  sinistro  per 
■adattarvi  lo  sprone:  nelle  armi  poi  nessuna  rassomiglianza: 
Tion  scudo  rotondo  come  Roma,  ma  peha,  non  asta  e  para- 
ti) Op.  cìu,  p.  22. 
(*)  %ir-  P-  M7 ;  SficiUg.,  p.  74. 

(j)  WiESELEK,  Aliai  lu  K,  0.  MùìUr  Haudb.  Taf.  XXXI,  tomo  I. 
(4)  PiRANESi,  Race,  di  statue,  n.  j. 


fi 


qA.  T^arisoti! 


zonio  ma  scure:  la  figura  poi  è  sempre  in  movimento  cor»-^ 
lato  mentre  Roma  è  sempre  in  riposo.  Tutte  queste  paJ*^ 
colarità  dell'azione  e  delle  armi  sono,  è  vero,  accessori, 
tali  da  cambiare  interamente  il  carattere  di  una  figura, 
infatti,  se  si  faccia  astrazione  da  tali  accessori,  che  cosa  re: 
di  coniuae  nelle  due  figure  ?  La  sola  tunica  corta  e  la  mai 
molla  scoperta.  Ma  questa  coincidenza  dei  tipi  non  b< 
per  concludere  che  necessariamente  l'uno  è  derivato  da 
Taltro.  Senza  bisogno  di  ricorrere  ad  alcun  tipo  anteriort^ 
gli  operai,  gli  schiavi,  i  marinai  non  erano  tuni  vestiti  dell 
tunica  icoò\d^  ?  Vulcano  stesso  e  qualche  volta  Ercole  nor» 
hanno  il  petto  scoperto  dalla  parte  destra?  Rqual' altra  po- 
trebbe essere  la  cagione  di  ciò  se  non  che  gli  operai  e  gli 
eroi  e  cosi  anche  le  eroine,  avendo  continuo  bisogno  di 
agire  liberamente  colla  destra,  lasciavano  da  quel  lato  di  ap- 
puntare la  tunica  sulla  spalla?  Ne  alcuna  difficolti  può  fare 
che  anche  le  donne  usassero  di  un  tal  mezzo  per  rendere 
spediti  i  loro  movimenti,  giacché  quelle  che  cosi  si  rappre- 
sentano sono  eroine,  cioè  donne  di  sentimenti  ass:u  virili. 
Una  tal  foggia  di  vestire  è  dunque  necessario  attributo  di 
chi  s' immagina  come  attivo  e  guerriero,  ed  appunto  come 
tale  è  immaginata  Roma  che,  lungi  dall'aver  carattere  dì- 
vino,  è  invece  essenzialmente  eroica.  Anzi  mi  parrebbe  .assai 
coerente  ai  racconti  che  ci  fanno  gli  antichi  di  una  Roma 
figlia  di  Telemaco  o  figlia  di  Ulisse  o  moglie  di  Enea  o  di 
Ascanio,  immaginata  come  una  matrona  guerriera  che  ha 
col  suo  braccio  aiutato  lo  stabib'rsi  dei  profughi  Troiani  sul 
suolo  latino,  ha,  in  una  parola,  veramente  combattuto,  e  dopo 
le  vittorie  si  ò  tranquillamente  assisa  sulle  spoglie  de' vin- 
citori (i).  Si  potrebbe  però  opporre  che  anche  iMinervo, 
benché  abbia  caranere  essenzialmente  guerriero,  non  ha 
mai  né  il  petto  nudo  q^  la  tunica  corta  e  che  perciò  queste 

(t)  Per  altre  leggende  relative  al  nome  di  Roma  cJ  alU  vita  del-    , 
rcroÌDd,  V.  Atto  Vannucci,  Si,  (UlVlL  ani.,  I,  $67  e  sg.,  nota  b 


Evoluzione  del  lipo  di  'T^ma 


non  Jicno  caratteristiche  necessarie  di  una  figura  guerriera. 
Ma  quest'unica  figura  di  Minerva  non  segue  il  tipo  generale 
per  molte  e  potentissime  ragioni.  E  primieramente  quanta 
distanza  tra  Minerva  e  Roma!  La  distinzione  che  si  è  fatta 
di  dei  e  semidei  non  risponde  forse  a  qualche  cosa  di  vero 

Indi' inrima  natura  della  mitologia  greci  ?  Non  faremo  dun- 
que alcuna  differenza  tra  una  delle  più  potenti  divinità  olim- 
piche, figlia  dello  stesso  Giove,  eJ  una  eroina  tutta  terre- 
stre, figlia  di  un  mortale  e  che  pure  in  istretta  relazione 
cogli  dèi  acquistò  l'immortalità  coU'opera  del  suo  braccio? 
Mincn*!  inoltre  è  vergine,  e  come  tale  le  sue  vesti,  il  suo 
ponamcnio  debbono  essere  essenziahuente  modesti.  Se  poi 
queste  considerazioni  sul  concetto  di  Pallade  non  dessero 
abbastanza  ragione  della  differenza  della  sua  figura  da  quella 
di  Roma,  altre  considerazioni  di  fatto  non  saranno  di  minor 
K  Possiamo  dire  infatti  con  tutta  certezza  che  Minerva 
non  ha  bisogno  delPabito  amazzonico  perchè,  sebbene  guer- 
a  ed  amante  di  battaglie,  non  combatte  mai  coi  mezzi 
i.  A  lei  basta  di  scuotere  Tegida  e  di  mostrarla  al 
ico  perchè  esso  cada  ;  fra  le  mani  di  lei  Tasta  è  un  puro 
imbolo  dì  divinità,  ma  giammai  se  ne  serve  per  colpire 
Essa  e  cosi  tutte  le  diviniti  nei  poemi  omerici  sono,  per  dir 
cosi,  nel  punto  più  umano  della  loro  evoluzione:  da  quelli 
in  poi  si  vanno  sempre  più  divinizzando;  ebbene,  consi- 
deriamo Minerva  nelYIlidde  e  vedremo  quante  volte  e  come 
csiu  combatta. 

Pallade,  figura  principalissima  del  poema  di  Omero,  è 
menzionata  in  esso  più  di  trenta  volte:  fino  dal  principio 
scende  non  vista  e  prende  per  le  chiome  Achille  impeden- 
d^\:;li  di  scagliarsi  sopra  Agamennone  (i)  e  nello  stesso 
libro  e  ricordata  come  colei  che,  insieme  a  Giunone  e  Net- 
tuno, tentò  di  legar  Giove  (2)  :  comparisce  poi  allordiè  in- 


(0  Lib.  I,  V.  194, 

I2)  Ivi,  597, 


So  e£  Tarisotti 


duce  Ulisse  ad  opporsi  ai  Greci  fuggenti  (i)  e  nel  libro  IV, 
prendendo  la  figura  di  Laodoco,  persuade  Pandaro  a  rom- 
pere i  trattari  scagliando  uno  strale  a  Menelao  (2).  Fino  a 
questo  punto  la  dea  dalle  luci  azzurre  prende  parte  all'azione 
de'  Greci  solo  come  consigliera,  ma  nel  libro  V  si  pone  a 
fianco  di  Diomede  e  gli  fa  fare  prove  di  valore  tali  che 
riptoTsia  del  figlio  di  Tideo  si  può  dire  in  sostanza  che  sia 
quella  di  Pallade.  La  protezione  della  dea  comincia  sino 
dal  principio  del  canto,  Li  dove  si  dice  che  infuse  vigore  a 
Diomede  (3)  e  poi,  alle  preghiere  dell'eroe,  gh  ridonò  l'agi- 
lità giovanile:  finalmente,  non  contenta  di  proteggerlo 
dall'alto  dell'  Olimpo,  si  presenta  a  lui  sono  sembianze 
umane  (4)  e  lo  confona  e  lo  inanimisce  a  tal  segno  che 
egli  ferisce  la  stessa  Venere,  di  che  Pallade  poi  ride  in  cielo. 
Ma  volgendo  a  male  le  cose  dei  Greci,  toma  di  nuovo  nel 
campo  e  sale  sul  carro  con  Diomede  (5).  Qui  veramente 
si  potrebbe  aspettare  che  ella  vibrasse  la  sua  lancia  immor- 
tale per  abbanere  i  Troiani  e  per  cacciare  dalle  loro  schiere 
l'impetuoso  Marte:  ma  no;  Omero  ha  avuto  cura  di  dirci 
che  prima  di  scendere  in  terra  si  è  gettata  sulle  spalle  la 
terribile  egida  col  mostruoso  capo  della  Gorgone  (^).  In- 
fatti, come  avevamo  già  detto,  è  con  queste  prodigiose  anni 
che  ella  combatte,  e  quando  Diomede  viene  alle  prese  con 
Mane,  neppur  allora  ella  scaglia  l'asta,  ma  si  contenta  di 
sviare  Ìl  colpo  dell'avversario  e  di  dirigere  quello  del  suo 
fedele  (7),  sicché  il  ferito  dio,  senza  che  ella  abbia  tirato 
un  sol  colpo,  fugge  tostamente  air  Olimpo.  L'azione  di  Mi- 
nerva nel  libro  VII  ed  Vili   ha  luogo  in  cielo  ed  è  solo 


(i)  Lìb.  II»  V.  175. 

(2)  Lib.  IV,  V.  86. 

(3)  Lib.  V,  V.  I. 

(4)  Ivi,  121. 

(5)  Ivi,  857. 

(6)  Ivi,  738. 

(7)  Ivi.  853. 


j'olu^ìoue  del  tipo  di  T{oma 


8r 


r  (i)  che  scende  di  nuovo  fn  terra,  ma  anche 
are  i  Greci  onde  restino  vincitori  nella  lotta 
i  cadavere  di  Patroclo.  Finalmente,  dopo  aver 

ristorato  con  ambrosia  Achille,  nel  libro  XX 
I  e  vi  continua  a  combattere  pe'  Greci  :  ma 
rolti  nel  solito  modo,  cioè  sviando  il  colpo 
Wz  scagliato  ad  Achille  (a),  e  da  ultimo  ella 
iddosso  a  Marte  un  sasso  (5)  e  colpisce  poi 
nere  che  era  andata  per  soccorrere  il  caduto 

questi  i  soli  colpi  che  ella  vibra  e  sempre 
oli  :  ed  è  anzi  da  osservarsi  che  le  armi  non 

rllo  della  forza  di  Pallade,  perchè  non  ne 
digressione  sul  modo  di  combattere  di 
s  ,'  .\\  troppo  lunga  ove  si  consideri  di 
'-•  stabilire  una  dilTercnza  tra  le  ninfe 
^rrestrì  e  la  invitta  figlia  di  Giove  e  che  per 
isscre  essa  interamente  armata  ed  interamente 
!>  opporsi  a  ciò  che  dicevamo  per  V  innanzi, 
sso  conceno  di  una  persona  che  solo  anenda 
ni  è  necessariamente  unito  coli' idea  di  una 
e  che  lasd  liberi  i  moti  della  destra. 

E":>ne  gii  accennatadcl  Cavedoni,  secondo 
orna  avrebbe  preso  le  mosse  da  quello 
tra  le  due  figure  si  riscontrino  parec- 
tuttavia  è  assai  probabile  che  il  monetario 
tratto  il  suo  tipo  dalle  monete  etoliche  (5). 
mpressa  adunque  V  Eiolia  sedente  sopra  una 
i,  coll*asta  nella  destra,  il  parazonioal  fianco, 
immagine  della  Vittoria  nella  sinistra,  col 

v.  SM. 

'.  438- 
V.  405. 

,  op.  cit,  p.  17. 

fi.  Società  romana  di  itoria  patria.  Voi.  Xt.  6 


82 


<yl.  Tarisotti 


braccio  disteso  in  arto  di  incoronare.  Le  differenze  ch^ 
Klùgmann  trova  tra  questo  tipo  e  quello  di  Roma  se 
costituite  principalmente  dall'essere  Roma,  dice  egli,  ic 
teggiamento  più  modesto,  e  dal  reggere  Tasta  colla  sinistì 
ed  in  modo  piuttosto  proprio  di  un  pastore  che  di  un  guc 
riero.  Ma  tali  osservazioni  possono  flirsi  solo  sul  dcnariCj 
che  egli  considera  (i),  nel  quale  Roma  è  figurata  con  abitol 
piuttosto  lungo  e  perciò  non  corrispondente  a  quello  del-] 
r  Utolia  e  coll'asta  a  traverso  sul  braccio  sinistro,  ma  non 
sugli  altri  e  specialmente  su  quelli  coniati  in  Nicoraedia  Ja 
Papirio  Carbone  (2),  i  quali  ci  fanno  vedere  in  queUa  vece 
Roma  sedente  su  spoglie  con  asta  nella  sinistra  e  Virtoria 
nella  destra  e  su  moltissime  altre  del  tempo  più  tardo.  La 
vera  differenza  che  mi  sembra  che  corra  tra  la  figura  del- 
l' Ktolia  e  quella  di  Roma  è  nella  copertura  del  capo  ;  quella 
porta  la  causia,  ciò  che  ha  fatto  pensare  sia  un'allusione 
alla  celebre  caccia  del  cinghiale  Calidonio:  questa  invece 
ha  quasi  sempre  la  galea,  se  si  eccettuino  alcuni  pochi  de 
nari  nei  quali  e  a  capo  scoperto.  Per  ispiegarc  questa  diffc-| 
renza  però  si  può  assai  facilmente  congetturare  che  in  questa 
prime  monete  dove  Roma  è  a  capo  scoperto  si  sia  presj 
la  figura  dell' Etolia  togliendole  la  causia  non  adatta  a  si^ 
gnificarc  Roma,  e  che  subito  dopo  vi  sia  stata  sostituii 
la  galea  come  assai  più  corrispondente  a  lutto  il  carattcr 
guerresco  della  città  ed  al  resto  della  sua  figura. 

Ed  ora,  considerata  l'origine  del  tipo  di  Roma,  possiamc 
passare  a  far  qualche  osservazione  sopra  le  singole  rapprc^ 
scntanze  del  tempo  repubblicano. 

La  prima  che  incontriamo,  secondo  che  gii  abbiamc 
detto,  non  è  su  moneta  romana,  ma  sopra  un  didrachmon^ 
dei  Locri  epizciìri  che,  secondo  il  Kliigniann,  rimonta  al- 
Tanno  J48  di  R.  (3).  In  questa  moneta  Roma  è  espressa 

(t)  Riportato  anche  dal  Morelli,  Vuw.t'd,  «Fam  ìuc  ««tav.  1,0.7^ 
(2)  MouftLta,  Sum.  iv/.,  a  Pjpiria  »,  Ictt.  C,  D,  lì.  F. 
(0  Op.  cii.,  p,  9. 


turione  del  lipo  di  ^l(oma 


83 


l^liffcrcntc  da  come  fu  poi  effigiata  sui  dc- 
^■k  anzi  che  mi  par  dì  vedere  meno  adatta 
jloma  questi  figura  che  le  altre.  Infatti  essa 
iim  lungo  chitone  e  seduta  sopra  una  sedia 
pò  scudo:  su  questo  ella  appoggia  il  braccio 
il  6anco  sinistro  il  para^onio:  incontro  a  lei 
l  in  piedi  le  pone  in  capo  una  corona:  dietro 
fino  PQMH  e  dietro  Taltra  HISTIS.  Il  con- 
kn  di  Roma  in  questa  moneta  il  Ivlùgmann 
lamente  mi  pare,  desunto  dal  tipo  della  Mi- 
e  per  questa  ragione  mi  sembra  che  questo 
t  quella  forza  e  quell'espres-sione  speciale  che 
ima  nelle  altre  rappresentanze.  La  presenza 
;  è  spiegata  assai  bene  come  un  attributo  dei 
lato  anche  in  quelle  poche  parole  che  PIu- 
X  (i)  dell'inno  che  i  Calcidesi  cantarono  in 
■nino  ;  cosi  anche  DioJoro  (2),  a  proposito 
:)rse  furono  cagione  del  conio  del  didrach- 
i  Locri  invocarono  t^jv  tG>v  Ttojiofwv  moTtv 
ero  ai  danni  loro  arrecati  da  Plerainio  (3). 
li  rannodano  bene  quelle  rappresentanze  assai 
:  quali  Roma  ha  un  carattere  più  spiccata- 
ma  lo  sviluppo  vero  della  figura  di  Roma 
lordi  mtt'altro.  Gii  nel  secondo  periodo  mo- 
lo la  divisione  del  Mommsen  (4),  cioè  quello 
00  al  620  di  Roma,  comparisce  sul  rovescio 
upa  lattante  i  gemelli  sotto  il  fico  ruminale, 
il  pastore  Faustolo  che  mira  il  prodigio  ap- 
gedo,  e  sui  rami  tre  uccelli  (5).  Questa  non 

TI.  $> 

CIX,  6-9,   i6-ai)  fa  dire  airambasciaiorc  de'  Locri 
'OS  vestramque  fidem  supplices  confugìmus  ». 
ròm,  MuH^ut. 

,  «  Pompeia  »;Mommses',  op.  cit.,  p.  551,0.  i  -,9. 


84 


e^.  Tarisotti 


è  che  una  preparazione  di  una  compiuta  immagine  della  leg- 
genda romana, la  quale  si  trova  effigiata  più  tardi  sopra  alcuni 
denari  anonimi  della  quaru  epoca  (^40-^50  di  R.),  dei  quali 
abbiamo  già  dato  qualche  cenno  di  sopra.  In  essi  (i)  Romi 
lunga  è  seduta  sopra  una  congerie  di  scudi  ed  è  vestita  coihI 
tunica  (2)  :  ha  in  capo  il  herreno  frigio  e  regge  colla  si- 
nistra Tosta  alquanto  penduta  come  fosse  un  bastone  pa-j 
scorale:  innanzi  ai  piedi  la  lupa  colla  testa  rivolta  versa 
di  lei  allatta  i  gemelli  e  nel  campo  due  uccelli  volano 
senso  opposto  verso  la  figura  di  Roma.  Sebbene  sia  gii 
stissima  Tosservazione  del  Kenner  (3)  a  riguardo  di  questo 
tipo,  li  dove  dice  che  la  lupa  è  cosa  interamente  staccata 
dal  resto  perchè  essa  non  6  che  il  simbolo  del  monetario, 
tuttavia  questo  uso  di   porre  rerableraa  della  propria  fa-_^ 
^gl^«^  g^^  quasi   abbandonato   nella  terza  epoca,  è  statof 
assai  opportunamente  richiamato  in  vigore  in  questa  rap- 
presentanza (4).  Cosi,  riguardo  ai  due  uccelli  volanti  nel 
camf>o  del  denario,  il  Klùgmann  (>)  li  vuole  posti  là  per 
un  fine  puramente  artistico,  cioè  per  empire  quello  spazio 
che  altrimenti  sarebbe  rimasto  troppo  vuoto  :  e  sia  pure 
cosi,  ma  questo  e  certo   tuttavìa    che  non  si  poteva  con 
maggiore  pienezza  esprimere  in  poche  figure  tutta  la  leg-fl 
genda  di  Roma.  Il  berretto  frigio,  la  lupa,  gli  uccelli  ed 
il  modo  atfano  speciale  col  quale  Roma  regge  qui  Tasta 
ci  fanno  pensare  alla  leggenda  troiana,  al  miracoloso  al- 
lattamento dei  gemelli,  alla  scoperta  di  Faustolo  e  final* 
mente  alTaugurio  dì   Romolo.   Gli  scudi  poi  sui  quali  è 
seduu  Roma  ci  continuano,  per  dir  cosi,    la  storia  e  ci 


(i)  Cohen,  tav.  xim.  n.   14  incerti;  Ricao,  uv.  lkxi,  n.  j; 
Morelli,  Sum,,  «  Fjm.  ine.  »,  tav.  i,  n.  7. 

(2}  Per  la  piccolezza  del  tipo  non  si  può  distinguere  se  abbia  il  J 
petto  nudo. 

(0  Op.  ciL,  p.  ii,  n.  4- 

(4)  Ci.  anche  il  Klùcmakn,  op.  cìi.,  p.  15. 

(5)  Op.  cìi.»  p,  16. 


^onlpSn^lef  tipo  di  l^ma 


^tto  dcrirnugurio  di  Romolo»  cioè  la  potenza 
lerivò  da  quello  e  fu  cagione  delb  gloria  di 
h  lupa  (i),  sebbene  stia  per  sua  mossa  con- 
rivolto ali*  indietro,  mi  fa  supporre  che  non 
to  tipo  si  volga  a  Roma:  poiché,  essondo  il 
!  sacro  a  Marte  e  Roma  figlia  di  questo 
giusto  che  la  lupa  volga  a  lei  la  cesta,  quasi 
comando.  A  questo  tipo  si  rannoda  anche 
lam  Licofrone  (3),  il  quale  presenta  Roma 
a  sibilla  o  profetessa  consigliera  di  Evandro, 
le  si  considera,  d.ilh  rappresentanza  del  di- 
Ipresente,  anzi  che  procedere,  si  è  Fano  un 
;  d^Ila  Roma  coronata  da  Pistis  ed  altera- 
ci posizione  simile  a  quella  di  Minerva,  siamo 
semplice  figura  che  non  ha  superbi  emblemi 
in'altra  può  essere,  a  mio  parere,  la  cagione 
Bere  quel  tipo  coniato  da  stranieri  che  cer- 
larc  la  potente  città  e  cattivarsene  cosi  la 
ntre  questo,  sebbene  sia  lavorato  da  mani 
ndo  aver  corso  in  Roma  stessa,  esprìme  il 
nde  che  il  popolo  aveva  di  sé  e  dei  suoi 
icndcre  tuttavia  di  innalzarsi  al  grado  di 


RI 
i 


estini  di  Roma  si  vanno  mano  a  mano  av- 
appresso  all'altra  le  città  cadono  sotto  il  suo 
,  esce  dalla  lotta  sempre  più  potente,  sempre 


e  posizioni  della  lupa  sui  monumenti  romani:  at- 
ifferenzj  :  atteggiamento  di  vigilanza:  atteggiamento 
I  e  più  diffusamontc  il  Tomassetti,  Musaico  mar- 
"^ohnna,  Roma,  tip.  della  R.  Acc.  dei  Lincei,  1886. 
.   V.  I. 

està  idea  anche  Tinno  ile  P«,u.in^  attribuito  a  Me- 
Specimen  script.  Gracc.  min.,   p,  9  ;   Stobeo, 


i 

r.  lajj. 


B6 


C/I.  Tarisotii 


più  grande  :  cosi  nelle  rappresentanze  Roma  assume  figura 
ed  officio  sempre  più  nobile.  Infani  subito  appresso  al  dc- 
narìo  anonimo,  di  cui  abbiamo  gii  parlato,  troviamo  nella 
stessa  quarta  epoca  il  denario  di  M.  Fottritts  L-  F,  che  ha 
sul  rovescio  Phiìi  Roma  ed  una  donna  galeata  e  stolata 
che  colla  destra  pone  una  corona  sopra  un  trofeo  di  anni 
galliche  mentre  colla  sinistra  regge  lo  scettro  (i).  Questo 
tipo,  nel  quale  Roma  fa  le  veci  di  Vittoria,  serve  poi  come 
di  passaggio  a  quelli  che  seguono.  È  mirabile  pertanto  il 
vedere  con  quanta  gradazione  si  passi  da  una  rappresen- 
tanza all'altra.  In  un  denario  della  g^ns  Cornelia  coniato 
circa  alla  meti  del  periodo  quinto,  Roma  è  in  piedi  col- 
Pdmo  in  capo  e  la  lancia  in  mano  ed  è  coronata  dal  genio 
dd  popolo  romano  figurato  in  un  giovane  seminudo  che 
colla  destra  pone  l'alloro  sulla  testa  di  Roma,  mentre  nel- 
faltra  mano  ha  il  corno  dell'abbondanza  (2).  In  questo 
tipo  adunque  Roma  ha  fatto  un  gran  passo  :  invece  di 
coronare,  essa  stessa  è  coronata:  non  però  da  Vittoria,  ma 
dal  proprio  genio.  Si  potrebbe  perdo  interpretare  quesn 
npprcsenunza  dicendo  che  ella  in  ceno  modo  si  incorona 
èi  sL  Finabneme  nello  stesso  periodo  te  famiglie  Ca/àlùi 
t  PoUìda  pongono  sui  denari  loro  la  figura  di  Roma,  quasi 
riassumendo  tutte  quelle  precedenti,  e  U  rappresentano  se- 
duti sopra  anni,  eoo  cimo  in  capo  e  paraionio  al  fianco, 
ooHa  landa  e  connuca  dalla  Mnoria  (3).  Tutte  queste  rap- 
presentanse,  cooiedii  coniate  quasi  neUo  stesso  tempo,  d 
fiuino  ve«kre  come  per  gradi  il  concetto  di  Roma  s'an- 
dasse auoMotando  in  conispoodenia  cogli  avvenimenti.  Da 
qjoindo  s*cn  comincitto  a  oouarerarscnto,  infatti,  s'erano 
fato  grasfedi  passi.  La  distniaone  di  Cartagitte,  di  Corinto, 
dì  Kumansia  avevano  enonacmeoce  ingrandtco  il  dominio 

(3>  ìikiOTt»,  Thm^  m  F«k«^  01;  Omkk.  tir.  xn.  •  Fona*.  $. 
\j>  Omkx  t«T.  xnr^  «  Condu  »,  hl  $  e  ^ 


\j>  Omkx  ttv.  xnr^ 
{%)  Cernasi^  i«v,\ 


>C«cc£a  a,  a.  4,  1 


u*olu\ione  del  tipo  di  "J^ma 


87 


Ica  :  negli  ultimi  tempi  poi  la  guerra  Giugur- 
Ko&i  vittoria  di  Mario  sui  Cimbri  e  sui  Tcu- 
tompiutaracnte  assodato  le  conquiste  già  fatte. 
|)ndizioni  si  erano  venute  proparando  intanto, 
ivano  ritardare  la  dilatajtionc  maggiore  della 
^na.  I  rapponi  dell'Italia  con  Roma  intomo 
\  erano  tali  che  non  era  più  possibile  evitare 
Otta.  L' Italia  che  era  stata  tanta  pane  della 
pa  in  tutte  le  sue  ultime  vittorie  reclamava 
jg]  una  giusta  ricompensa.  Perchè  gli  alleati, 
con  un  nome  che  mentiva  la  loro  vera  con- 
ggetti  a  Roma,  mentre  avevano  si  grande- 
>uito  a  ridurre  in  provincie  tanti  paesi,  non 
frc  quella  parte  che  loro  spettava  nel  governo 
Era  possibile  che  il  nome  ed  i  diritti  di  dt- 
10  restassero  ancora  prerogativa  solo  di  una 
del  popolo  mentre  tutti  colle  loro  forze  ave- 
Roma  nelle  conquiste  ?  Kd  essi  giA,  col  desi- 
sicurezza  che  dA  il  diritto,  la  consideravano 
omune  e  come  tale  volevano  che  fosse  loro 
lai  Senato,  anche  a  costo  di  dover  sostenere 
li  con  una  guerra.  E  la  guerra  infatti  scoppiò 
a,  terribile  più  di  quelle  combattute  cogli  stra- 
;  guerra  civile.    Non   è   necessario  dire  che 
quel  grande  rivolgimento  italico  che  fu  la 
BjK  non  poteva  essere  a  meno  che  un  av- 
^Qnta   importanza  non   si  riflettesse    anche 
ata.  Le  monete  di  quel  tempo  sono  piene  di 
ri  alla  lotta:  si  combatteva  con  tutto   ed  il 
esprime  quest'idea  in  quelle  parole:  «  Romani 
antum  sed  et  nummorum  typis  contra  Italos 
ic  suam  suae  omnibus  Italiae  civitatibus  prae- 
....  expresserunt  »  (i).  Noi  ci  contenteremo 

:;.,  p.  460.  Beachc,  a  dir  vero,  egli  dica  queste  pa- 


Q 


di  notare  i  tipi  più  cospicui  :  ed  in  primo  luogo  osserviamo 
che  nelle  monete  romane,  le  quali  hanno  qualche  allusione 
alla  guerra  sociale,  Roma  non  indossa  più  il  suo  consueto 
abito  amazzonico,  ma  è  vestita  di  toga.  Non  si  poteva  im- 
maginare una  più  felice  trasformazione  del  tipo:  poiché  chi 
considera  V  importanza  che  aveva  presso  i  Romani  la  fog- 
gia del  vestire  (i)  e  quale  stretta  attinenza  essa  aveva, 
dirò  cosi,  colla  condizione  giuridica  di  una  persona,  s'av- 
vedrà di  leggieri  che  Io  scopo  degli  alleati  italici  nel  sos^H 
nere  la  guerra  sociale  si  poteva  ridurre  alla  conquisu  d«lf 
toga.  La  toga  infatti  fu,  sino  a  tempi  abbastanz.i  tardi,  il 
distintivo  del  civis:  nessun  altro  poteva  indossarla,  mentre 
per  lui  era  un  dovere  (2).  Il  poter  portare  la  toga  adunque 
significava  la  possibilità  di  aspirare  alle  cariche  0  di  poter 
percorrere  il  cursus  honorum  e  perciò  di  poter  prendere  parte 
al  governo  della  repubblica. 

E  che  cosa  chiedevano  di  più  i  popoli  italici?  Ma  Roma, 
che  voleva  serbare  a  sé  tutti  questi  diritti,  indossa  la  toga 
nel  tempo  della  guerra  sociale  per  affermarli  propri  e  per 
dimostrare  ancora  che  ella  combatte  appunto  per  ciò  che 
abbiano  solo  i  suoi  figli  la  piena  civitas.  Un'altra  osserva- 
zione importante  si  può  fare  sull'essere  Roma  in  questo 
tempo  rappresentata  assai  più  spesso  in  piedi,  con  atteggia- 
mento più  fiero  e  con  tutte  le  armi,  cioè  elmo,  scudo, 
lancia  e  parazonio:  circostanze  le  quali  accennano  ad  un 
passaggio  dal  carattere  di  tranquilla  dominazione  ad  uno 
assai  più  bellicoso.  L'Italia,  ali*  incontro,  rappresentata  di 
solito  come  una  giovane  inerme  col  capo  cinto  di  splche 
ed  il  corno  dell'abbondanza  tra  le  mani,  diviene  alla 


role  a  riguardo  di  una  moneta  anteriore  alla  guerra  Manica,  tuttavia 
ridca  resta  sempre  giusta. 

(i)  Importanza  che  sì  &  mantenuta  sino,  si  può  dire,  ai  gin 
nostri. 

(2)  Servio,  ad  Aen.,  I.  2S2;  Pli\.,  Epist.  1\\  1 1  ;  Orazio,  Odi,  ! 
n.  5i  V.  la 


Evoluzione  del  tipo  di  Roma 


89 


tolta  guerriera  ed  usurpa  in  tutto  la  figura  di  Roma.  Non 
poche  monete  sannitichc  (1)  la  mostrano  seduta  su  scudi 
.con  asta  e  parazonio  e  colla  galea  In  capo:  d'altronde  la 
leggenda  ITALIA  non  ci  lascia  dubbio  sulla  intcrprt;tazionc 
della  figura.  Anche  Libertas  è  espressa  in  modo  simile,  salvo 
che  col  piede  sinistro  calca  un  globo,  quasi  a  significare 
che  quella  stessa  liberti  che  gli  alleati  volevano  per  so  stessi, 
volevano  anche  per  tutti-  Un'altra  moneta  dei  confederati 
porta  impresso  un  simbolo  abbastanza  significativo  sul  ro- 
vescio, cioè  un  bue  che  colle  corna  dA  addosso  ad  una 
lupa  gracile  (2).  Ognun  sa  come  il  bue  od  il  vitello  siano 
Temblcma  dell'Italia:  ora  il  vederlo  in  lotta  con  una  gra- 
cile lupa  ci  fa  chiaramente  intendere  quanta  fossero  con- 
sapevob*  della  loro  forza  gli  alleati  italici,  i  quali  così  giudi- 
cavano che  la  potenza  della  lupa,  cioè  di  Roma,  perduto  il 
loro  appoggio,  sarebbesi  ridotta  a  ben  poca  cosa.  Un'altra 
moneta  di  famiglia  incorta  (3)  compie  il  quadro  della  lotta: 
in  essa  Roma  in  piedi,  cinto  il  capo  di  galea  ed  appoggiata 
all'ajta,  indossadatoga  e  col  pie  sinistro  calpesta  la  gamba 
A*  un  bue  che  giace  presso  di  lei  : 


et  Ucvo  pressit  pede . 

exanimem  (4). 


Da  questa  bella  composizione  che  ci  mette  in  mezzo 
^li  odi  della  guerra  (j),  passiamo  ad  altre  moneto  nelle 
<liuli  con  non  minore  evidenza  è  rappresentata  la  condu- 
zione della  pace.   Sul   diritto  di  queste   i   capi    congiunti 


(1)  CakeU-X,  V.  V.  /.,  w  Num.  foed.  belli  Marsici  »,  25.  26,  27,  28. 

(3)  Carelli,  ivi,  n.  2. 

(})  M0RU.LI,  Tììcs.t  u  Fam.  ine.  n,  tav.  i,  n.  4. 

U)  VtRG.  Ain.,  X,  495. 

f  j)  Altre  monete  ci  indicano  avvenimenti  della  guerra  stessa  :  in 
I flcclU,  p.  e,,  pubblicata  dal  Friedlander,  Oik.  Mun,,  p.  84,  uw.  io,  13» 
^uc  ggerrìerì  che  si  stringono  la  mano  fanno  pensare  all'alleanza  dei 
t.eonfcJerati  con  Mitridate. 


90 


e^,  Tarisotii 


del]'  Onore  e  della  Virtù,  questa  annata  di  elmo,  quello 
adorno  di  corona  d'alloro,  sembrano  come  corrispondere 
Tuna  ;ill' Italia,  Taltra  a  Roma  (i),  le  cui  figure  sono  sul 
diritto:  ed  insieme  forse  alludono  al  tempio  innalzato  da 
Mario.  Nel  diritto  adunque  delle  monete  di  cui  discorriamo 
è  celebrata  la  Virtù,  cioè  il  valore  guerriero  di  Roma,  e 
I*  Onore,  cioè  il  decoro  che  Roma  stessa  riceve  dall'  Italia. 
Il  rovescio  di  questi  denari  ce  la  mostra  in  forma  di  una 
giovane  vestita  di  stola  col  corno  dell'abbondanza  in  mano 
e  che  stringe  la  destra  a  Roma,  la  quale  ha  ripreso  l'antico 
abito  succinto,  ha  deposto  scudo  e  lancia  e  tiene  nella  si- 
nistra uno  scettro  come  simbolo  d' imperio  (2).  Cosi  Roma 
ed  Italia  stringendosi  in  alleanza  sì  promettono  un  reciproco 
aiuto:  quella  assicurando  a  questa  Tassistenza  sua  forte,  e 
questa  concedendole  di  ricambio  tutta  la  sua  ubertosità.  Due 
nuovi  simboli  però  conip.irÌ5Cono  in  questa  moneta:  dietro 
r  Italia  il  caduceo  che  serve  a  ribadire  l'idea  della  pace: 
giacche,  secondo  che  osserva  il  Klligmann  (3),  esso  non  è 
solo  attributo  di  Mercurio,  ma  eziandio  della  Pace,  Sotto  il 
piede  destro  dì  Roma  poi  è  disegnato  un  globo:  attributo 
nuovo,  ma  che  diviene  quindi  innanzi  frequentissimo.  Il 
tempo  in  cui  fu  battuto  il  denario  or  ora  esaminato  non 
si  può  determinare  esattamente,  essendo  incerto  a  qual  gente 
appartenessero  i  due  monetali  Cordns  e  Kaìnins,  1  cui  nomi 
si  trovano  scritti  quello  sul  diritto  e  questo  sul  rovescio  della 
moneta.  Tuttavia,  dopo  una  serie  di  congetture  abbastanza 
probabili,  il  Klùgmann  (4)  conclude  che  Kaìnius  potrebbe 
essere  quello  stesso  Q,  Fujìus  Q.  F.  Q.  N,,  il  quale  sarebbe 
stato  triumviro  monetale  circa  nel  681    di  R.  e  tribuno 


(i)  Anclie  il  Visconti  osserva  che  la  figura  di  Roma  e  la  ste 
che  quella  dì  Vìrtus:  ed  è  realmente  così,  se  non  che  eoo  altri  dlstin- 
livi  diviene  Virtus  popuìi  romani. 

(2)  Morelli,  Thes.,  u  Fufia  »,  I,  «  Macia  o,  I. 

(j)  Op.  cìt.,  p.  34. 

(4)  Op.  cit,  p.  30. 


Eifolu\ione  del  tipo  di  ^^oma 


91 


I 


¥ 


I 


del  popolo  nel  693  di  R.  e  console  nel  707  di  R.  Questa 
data  assegnata  al  denario  non  sari  ceno  troppo  recente  se 
si  considera  che  una  moneta  che  spira  in  tutto  pace  e  con- 
cordia non  si  può  supporre  coniata  se  non  dopo  terini- 
nate  le  guerre  civili  che  furono  come  un  funesto  seguito 
della  guerra  Marsica.  Ora,  quanto  alla  parte  formale,  giust.i 
mi  pare  l'osservazione  del  Kliigmann,  secondo  cui  l'idea 
Jcl  globo  sarebbe  derivata  da  quello  che  è  attributo  costante 
della  musa  Urania,  la  cui  statua  si  ammirava  nel  palazzo  di 
Pirro.  Quanto  all'allegoria  è  assai  facile  ammettere  che, 
pacificate  le  cose  interne,  la  repubblica  seiitivasi  forte  nei 
domini  di  recente  acquistali  e  colPamicizia  di  NicomedelII 
di  Bitinia  poneva  un  piede  nell'Asia.  Inoltre,  circa  allo  stesso 
tempo,  si  preparavano  le  guerre  Mitridatiche,  colle  quali  la 
repubblica  si  estese  su  que'  regni  che  erano  l'avanzo  doU'an- 
tico  imperio  di  Alessandro.  Essa  perciò  si  sentiva  erede  di 
quella  vasta  monarchia  e  dominatrice  del  mondo. 

Unhilus  P.  f.  L.  n.  ha  introdotto,  forse  pel  primo,  questo 
segno  del  globo  sulle  monete  romane,  ponendolo  però  sotto 
il  piede  dei  genio  de!  popolo  ;  ed  anche  Cru  Corndìus  Leu- 
tulus MarctUhms  aveva  posto  il  mondo  sul  rovescio  di  alcuni 
suoi  denari  in  mezzo  ad  altri  simhoh  (i).  Ma  l'emissione 
di<)ucsd  denari, anche  secondo  le  congetture  del  Kliigmann, 
cadrebbe  circa  dal  ^81  al  ^83  di  R.,  per  essersi  trovati  al- 
t-Tini di  essi  nei  ripostigli  di  Roncofreddo  e  Frascarolo  (2). 
Una  tale  frequenza  adunque  di  monete  collo  stesso  simbolo 
di  imperio  ci  dimostra  come  questa  idea  allora  nascesse  od 
ilmciio  cominciasse  a  dominare  la  mente  del  popolo,  sicché 
CS50  allargò  iJ  significato  delle  tradizioni  circa  la  sua  origine 
divina  e  i  suoi  gloriosi  destini,  congiungendo  il  sentimento 
di  se  stesso,  fatto  potente  dalle  recenti  vittorie,  ali*  idea  del 
dominio  del  mondo.  Né  mi  sembra  che  si  possa  ammettere 


(1)  Klùgmank,  op.  ciL,  p.  ^a 

(2)  Ivi,  Ice.  cit. 


92 


C^.  TarisoUi 


CIÒ  che  dice  il  Keniicr  (i),  il  quale  iaterpreta  questo  scg 
del  globo  come  una  millanteria,  poiché,  oltre  ad  essertì 
pugnante  al  carattere  positivo  de'  Romani,  non  sarebbe  sta 
sanzionata  dallo  Stato  coiresprimerla  sulle  monete.  La  spie- 
gazione storica  mi  sembra  invece  assai  più  probabile  per 
la  ragione  che,  sebbene  il  principio  della  potenza  di  Roma 
sia  stata  la  distruzione  di  C;irtagine,  tuttavia,  per  coloro 
che  erano  parte  de'  fatti,  che  noi  oggi  consideriamo  come 
compiuti,  la  cosa  andava  in  modo  assai  differente.  Essi  do- 
vettero aprire  gli  occhi  sulle  soni  della  repubblica  assai 
tardi,  quando,  cioè,  compiendosi  gli  effetti  di  quelle  cause 
che  gii  da  tempo  erano  avvenute,  si  trovarono  d'un  tratto 
potenti  in  tanti  paesi  diversi  e  lontani  dall' Italia.  Infatti,  il 
globo  e  la  vittoria  e  lo  scettro  in  cambio  dell'asta,  tre  em- 
blemi che  d*ora  in  poi  divengono  frequentissimi,  accen- 
nano chiaramente  ad  una  trasformazione  del  concettoj^f 
Jìoma,  da  quello  guerriero  a  quello  di  dominatrice  e  reginB 
Un'altra  caratteristica  è  il  ritorno  delle  leggende  che  ci 
mostra  il  legame  tra  la  orìgine  divina  dL;lla  cittA  e  il  suo 
destino  (2).  \Jw  denario  di  C.  Eguatìus  Maxstwms  Cri,  f, 
CtL  H.  ci  mostra  Roma  con  tunica  e  manto  e  colle  solite 
armi:  l'intera  figura  è  disegnata  di  faccia,  in  piedi,  e  colla 
gamba  sinistra  sopra  una  testa  di  lupo,  mentre  accanto  a 
lei  sta  Venere  vestita  in  modo  simile,  salvo  che  senza  elmo 
in  capo.  Questa  seconda  figura  è  caratterizzata  da  Cupido, 
che  è  disegnato  tra  le  due  e  vòlto  verso  Venere  :  ai  lati 
esterni  poi  dell'  intero  gruppo  due  remi  infissi  in  prora  di 
nave  (5),  a  riguardo  della  qual  composizione  osserva  il 
Klùgmann  che  Roma  qui  è  sostituita  a  suo  padre  e  perciò 

(i)  Op.  cit.,  p.  24.  ^ 

(a)  Sebbene  un  poco  più  tardi  del  tempo  di  cui  discorriamo,  mo- 
strano questo  ritorno  nirantico  anche  alcuni  denari  di  Sesto  Pompeo 
(MoR.,  Tìici,,  «  Pompeia  w,  lav.  ni,  n.  5),  il  rovescio  dei  quali  mostra  la 
rappresentanza  della  lupa  e  di  Faustolo  che  abbiamo  già  considerato. 
(5)  Cohen,  «  Egnatìa  »,  xvii,  i,  2,  5. 


Ebollizione  del  tipo  di  T{oma 


93 


fa  le  veci  di  Marte  (i).  Quanto  al  remo  infisso  nella  prora 
di  nave  potrebbe  essere  si  un'allusione  alle  recenti  vittorie 
Dav;ilisui  pirati  come  un  ritorno  all'antico  simbolo  dcirasse. 
^^11  nome  di  questo  moneurio  è  citato  da  Cicerone  ad  At- 
^Bco  (a)  e  sembra  che  vivesse  nel  704  di  R.  Anche  sui  de- 
^Hoari  di  Sex,  Nonim  Sufiiun  Roma  comparisce  di  nuovo  se- 
^Hduta  sopra  una  lorica,  colle  solite  armi  e  le  solite  vesti,  e 
^fcoron.ua  dalla  Vittoria,  la  quale  colla  sinistra  regge  una 
palma  (3).  La  presenza  della  Vittoria  però  ha  in  questo 
tipo  una  importanza  diflcrente:  poiché,  mentre  è  un  attri- 
initodi  Roma,  risponde  anche  alla  leggenda  PR.  L.  V,  P,  F., 
'Dcordemente  interpretata  dal  Pighio  e  dal  Mommsen  (4) 
me praetor  ludos  l'ictoriae primns  frcit.  S'allude  perciò  ai 
man  Istituiti  dopo  la  vittoria  di  Sulla  alla  porta  Col- 
ta (5)  avvenuta  nel  672  di  R.,  ma  la  moneta  sarebbe  stata 
niaia  circa  nel  692  di  R.  essendosi  ritrovata  nel  ripostiglio 
li  Compito  che  risale  al  6<)6  di  R.  (6).  Ma  nel  denario  qui 
wpra  riportato,  forse  per  gli  avvenimenti  differenti  a  cui 
amia,  mancano  gli  emblemi  del  globo  e  dello  scettro  clic 
'pra  alcuni  quinari  di  T.  Carisio  (7),  circa  del  tempo  di 
ulio  Cesare,  sono  rimessi  in  vigore:  sopra  altri  poi  dello 
lesso  monetario  (8),  il  rovescio  porta  un  globo,  una  de- 
feda, un  timone  ed  un  corno  di  abbondanza  in  mezzo 
una  corona  di  alloro.  Finalmente  nei  denari  di  C.  Vilnus 
^fifisa  C*J\  C.  rt.  (monetario  nel  71 1)  (9)  troviamo  i  soliti 


it)  Op.  cit.,  p.  40,  oltre  il  chiaro  accenno  alla  leggenda  uoiana. 

(J)  xin,  54. 

(j)  Cohen*,  «  N'onia  0,  xxix. 

(4)  Op.  dt,  p.  62),  n.  26J. 

(5)  Appiano,  Dì  R:tìo  civ,,  XCIII,  94  ;  Plut.,  Sulh,  XXIX,  30; 
P«u.Pat.,  II,  27. 

(^  KlOOMANN,   Op.  cil.,  p.   43. 

(7)  Ivi,  op.  cit,  p.  44. 

(8)  Morelli.  «  Carìsia  »,  vi. 

(9)  Ivi,  «  Vibia  »,  2. 


94 


C^.  Tansotii 


attributi  dati  a  Roma  incoronata  dalla  Vittoria  volante 
di  lei.  Qucst*ultima  forma,  usata  assai  spesso  .inchc  con 
altre  divinitA,  non  è  che  un  modo  per  dare  maggior  im- 
portanza alla  figura  che  deve  essere  incoronata  :  poiché, 
mentre  nella  fomia  che  abbiamo  riscontrato  prima,  Vittoria 
rende  questo  onore  a  Roma,  restando  però  pur  sempre 
uguale  a  lei,  in  quest'ultima  maniera  si  fa  di  Vittoria  una 
messaggiera  spedita  da  Giove,  divinitA  nicefora  per  eccel- 
lenza (i),  per  deporre  l'alloro  sulla  testa  di  Roma,  Questa 
idea  della  differenza  di  grado  è  messa  maggiormente  in 
chiaro  dall'osservarc  che  presso  gli  antichi  l'eccellenza  di 
un  nume  sopra  i  monali  era  significata  dalla  maggiore  su- 
tura loro  o  dal  maggior  loro  peso  e  simili  (2).  Altre  va- 
riazioni meno  importanti  nella  figura  di  Roma  si  trovano 
sulle  recenti  monete  autonome  dell'Asia  Minore  e  special- 
mente su  quelle  di  Bitinia,  Amiso  e  Nicomedia,  nelle  quali 
ella  conscr\*a  il  suo  tipo  consueto,  ma  prende  anche  alcuni 
attributi  che  si  potrebbero  dire  locali.  Così,  per  esempio, 
alcune  monete  di  Nicomedia  e  di  Bitinia,  coniate  sotto  Pa- 
pirio  Carbone  (3),  mostrano  sul  rovescio  Roma  che  intomo 
alla  galea  ha  una  corona  d'edera,  attributo  poco  conveniente 
per  lei  cui  spetta  piuttosto  la  corona  d*alloro,  ma  tuttavia 
facilmente  spiegabile  se  si  pensi  al  culto  speciale  che  i  Ni- 
comedi  avevano  per  Bacco.  Infatti  il  diritto  della  slessa  mo- 
neta è  occupato  dalle  teste  congiunte  di  Ercole  e  Bacco,  e 


(i)  La  statua  di  Giove  olimpico  aveva  in  mano  una  piccola  Vit- 
toria che  faceva  atto  di  incoronarlo;  la  parola  d'ordine  dei  Greci  alla 
battiiglia  diCunassa  era  Ciu;  awr^p  xai  NUvi  (Senof.,  Anah.,  I^  viti,  j6), 
(2)  NellV/mi/c,  Marte,  caduto,  occupa  sette  jugeri  (IL,  XXI,  407) 
e  quando  Minerva  salìsce  sul  carro  di  Diomede  ne  fa  scricchiolare 
l'asse  (7/.,  V.  859). 

f^^Tf*  ^'Mp*X'  yi^'Tf»'*^;  &^«i-« 

Bpt^ooiJvr,  liitit  ^Ap  ìt-^iH  Sciv  &v2ps  -r*&ptffTOV. 

Anche  i  Dioscuri  superano  di  mezza  la  persona  i  loro  cavalli. 
(5)  Morelli,  'Jlus.,  0  Papìria  »,  C,  D,  E,  F. 


mJujwfte  del  tipo  di  T{oma  95 


to  rappresenta  il  culto  patrio,  quello  si  riferisce 
lientcmetite,  siccome  cmblemn  della  forza,  alln 

Rche  campeggia  nel  rovescio, 
oora  rune  le  osservazioni  fatte  sin  qui  In  uno 
Krale,  possiamo  stabilire  i  seguenti  punti  capitali: 
ìgura  di  Roma  si  sviluppa  prima  fuori  della  città 
^bsai  vicine  a  quelle  delta  PallaJe  pacifera. 
IPIrsonificazìone  della  cittA  prende,  per  dir  così, 
mento  in  Roma,  conformandosi  a  tradizioni  na- 
ssume  una  figura  che  ad  esse  accenna.  Il  suo 
;  ebbe  dapprima  in  Roma  un  significato  esclu- 
titko  e  leggendario  e  tutto  alludente  alle  prime 
opolo,  delle  quali  fu  come  una  sintesi  figurata. 
[)ma,  benché  mai  in  movimento  concitato,  con- 
:  carattere  guerriero  e  la  sua  allegoria  passò 
one  dei  vaticini,  che  promettevano  a  lei  guerre 
ionfi,  all'espressione  delle  guerre  stesse  e  dei 
ti,  rappresentati  dai  trofei,  dalle  corone  e  dal 
re  di  Vittoria  insieme  con  Roma. 
nalmente  la  riflessione  portata  sugli  avveni- 
;  ancor  più  il  legame  tra  le  antiche  tradizioni 
■nuti:  e  questo  è  mostrato  dal  tornare  per  un 
a  espressione  delle  leggende  e  poi  di  nuovo  a 
ta  riflessione  che  il  popolo  romano  portò  su 
ntrc  s'accorgeva  della  veridicità  delle  promesse 
le  coi  trionfi  degli  ultimi  tempi  della  repub- 
>  nuovo  carattere  alla  figura  di  Roma,  Essa, 
ittavia  guerriera,  ma  crebbe  a  segno  tale  in  dì- 
:juistò  il  maestoso  carattere  di  regina.  Ciò  fu 
tarazione  al  futuro  suo  trasformarsi  in  divinità: 
)ra  però  nulla  si  trova  nella  sua  figura  che  ac- 
che cosa  di  divino  :  ella  non  è  altro  che  la 
)ne  della  città  e  della  repubblica. 
alle  figure  speciali,  il  Kenner  stabilisce  due 
t  nel  quale  Roma  è  divinità  locale,  l'altro  che 


36 


q4.  TansoHi 


comprende  le  allusioni  ai  vari  fatti  storici.  Ma  io  credo  e 
si  abbia  a  restringere  assai  il  signìfìcato  di  divinità  in  que 
caso,  che,  cioè,  Roma  sia  diviniti  locale,  come  Io  è,  f> 
esempio,  il  Tevere,  cioè  collo  streno  valore  di  personi^ 
cazione  e  come  tale  riunisca  in  se  anche  l'idea  dell'ami^ 
eroina  progenitrice  della  schiatta  romana.  Il  gruppo  che 
Kenner  poi  dice  formato  di  rune  quelle  6gure  che  acce*" 
nano  ad  avvenimenri  storici  mi  sembra  poi  che  sia  tutt*u»:i 
colla  personificazione  della  citti.  In  altre  parole,  siccom 
molti  avvenimenti  formano  poco  a  poco  nuove  condiziorT"  j 
sicché,  come  loro  conseguenza,  avviene  un  qualche  rivo/ 
gimento  che  tutte  le  riassume  e  le  sintetizza,  cosi  i  \ 
tipi  che  alludono  ai  differenti  fatti  storici  precedono  e  pi 
parano  la  formazione  del  nuovo  tipo  di  Roma  vinoriosa 
dominatrice. 

E  poiché  siamo  tornati  a  parlare  del  lavoro  del  Kenner, 
quel  che  egli  dice  dell'aver  il  popolo  romano  perduto  il 
sentimento  di  nazionalità  in  seguito  alle  conquiste  (i)  tni 
sembra  che  s'abbia  a  trasportare  al  tempo  in  cui  i  popoli 
già  conquistati  cominciarono  a  mescolarsi  ed  a  fondersi 
in  Roma,  Cosi  è  vero  ciò  che  egli  dice  della  trasformazione 
della  sodeti  romana  e  della  perdita  degli  ideali  politici, 
ma  mi  sembra  affrettata  la  conclusione  che  egli  ne  trae 
che,  cioè,  questi  rivolgimenti  portarono  nell'allegoria  il 
momento  ufficiale  (2).  Invece  mi  sembra  che  la  figura  di 
Roma,  fino  alle  ultime  che  abbiamo  considerato,  conservi 
ancora  assai  di  vita  e  di  significato:  mentre  quella  osser- 
vazione si  può  fare  giustamente  sulle  monete  del  tempo 
imperiale. 

Ed  ora,  prima  di  abbandonare  questa  trattazione,  noi 
remo  come  la  figiu-a  che  il  Kreuzer  attribuisce  a  Roma, 
per  essere   troppo   comprensiva,  non    risponde  ad  alcuna 


(1)  Op.  eli.,  p.  20. 

(2)  Op.  ciu,  p.  19. 


IL 

CULTO  DELLA  DEA  ROMA. 

ipli  ererti  in  onore  di  Roma  ebbero  una 
lo  sviluppo  di  questo   culto   ha,  come  è 
k  relazione  coi  vari  mutamenti  del  tipo  che 
roposti  di  studiare,  credo  opportuno  tener 
culto  e  delle  sue  manifestazioni  in  un  capi- 
Quanto    alla  convenienza   del   porre  questa 
>  lo  studio  sulle  rappresentanze  repubblicane 
Ilo  sulle  imperiali,  mi  hanno  indotto  a  ciò 
primo  luogo  la  storia  dei  templi  comincia 
i  antiche  figure  sulle  monete  e  termina,  si 
ondo  secolo  dell'era  volgare;  perciò  è  na- 
ii  questo  soggetto  tra  la  repubblica  e  Tim- 
lo  luogo  il  culto  di   Roma  ha  servito  per 
^ra  un  carattere  speciale  che  riunisce  in  so 
precedenti  e  forma  il  passaggio  alla  figura 
xiale. 

:he  nella  fine  del  suo  lavoro  dedica  poche 
to  che  imprendiamo  a  trattare,  si  contenta 
templi  ereni  alla  dea  Roma  senza  ricercare 
cagioni  di  un  tal  culto  e  quale  importanza 

ti  Mytbologie^  p.  846. 

?.  Società  romana  dittoria  patria.  Voi.  XI.  7 


9« 


C^.  Tarisotti 


esso  abbia  nella  storia  si  del  tipo  di  Roma  e  si  del  popolo- 
romano. 

II  Klùgraanri  no  f.i  un  breve  cenno  sul  principio  del 
suo  opuscolo,  ma  più  vi  si  diffonde  il  Preller  nella  sua  ci- 
tata opera  sulla  mitoloi^ia  romana.  Noi  ci  restringeremo 
alle  cose  di  maggior  importanza,  senza  però  perder  d'occhio 
il  nostro  scopo,  cioè  di  conoscere  quale  influemsa  ebbe  il 
culto  di  Roma  sulle  modificazioni  del  tipo  di  essa  nelle 
rappresentanze  figurate. 

Racconta  Plutarco  (i)  che  il  console  Flaminino  diede 
la  libeni  alle  ciuA  grecJie  dell' Asia,  e  subito  appresso  sog- 
giunge (2)  che  nella  città  di  Calcide  si  cantava  anche  ai 
suoi  tempi  un  inno  in  onore  di  Flaminio  che  terminava 
colle  seguenti  parole: 

niaTi**  dì  'Puaat(i>'f  at^wui'v 

Tdtv  jAi^aXi'jATSTdrav  spxoi^  fuXaaau^ 

C9[»a  [JLi'-y»"»  "Pwxotv  TI  TiTS'v  5*  ì^lol  'Puuia'w*  ti   ir(anv 
i^i'i   riaiàn  w  TiTi   ouTtp. 

Tacito  (3),  dopo  aver  parlato  delle  undici  cittd  dell'Asia 
che  si  disputavano  l'onore  di  erigere  un  tempio  a  Tiberio, 
dice  che  quelli  che  avevano  migliori  ragioni  erano  gli 
Smirnei  e  i  Sardiani:  quelli  tra  gli  altri  loro  meriti  adduce- 
vano  «  se  primos  templum  urbis  Roraae  statuisse  M.  Porcio 
«  consule  magnis  quidem  iam  populi  romani  rebus,  nondum 
«  tamen  ad  summura  elatis,  stante  adhuc  punica  urbe  et 
«  validis  per  Asiam  regibus  ».  Confrontando  adunque  i  rac- 
conti di  Plutarco  e  di  Tacito,  non  potremo  dubitare  che 
il  tempio  sia  stato  innalzato  dagli  Smirnei  neiroccasionc 
del  fatto  di  Flaminino. 

Nel  582  di  R.  poi  la  dtti  di  Alabanda  nella   Caria, 


(1)  n4w,t  12. 

(1)  Ivi,  16. 

li)  Ann.,  IV,  s6. 


volu\ione  del  iipo  di  'T^oma 


99 


[altre  in  guerra  contro  Perseo,  mandò  un'ani- 
Roma,  e  i  legati  portano  come  un  vanto  della 
Paver  cretto  un  tempio  alla  dea  Roma  e  Tavcr 
bchi  annui  in  onore  di  lei  (i),  i  quali  saranno 
ilmente  quelli  che  spesso  troviamo  menzionati 
I  *Ptù^%  (2).  Dopo  questi  templi  un'iscrizione 
dd  Liei  (3)  ora  perduta  sembra  offrire  al  Se- 
ve Capitolino  e  al  popolo  romano  una  statua 
[ualchc  altro  anatema  simile.  Altre  iscrizioni  (4) 
bnoranze  rese  al  popolo  romano,  ma  poche 
recisione  ci  dicono  gli  onori  fatti  a  Roma  ed  al 
o,  come  quella  trovata  a  Milo  presso  il  teatro  (5). 
mesta  iscrizione  merita  di  essere  trascritto: 

^HMOSOMAAIQNETIMASEN 
LXPQMAXFJKOXIXA  AKKAI 
MSTEtPAXQIXPrSEQI 
PETHSEXEKAKAIEIEP 
CSIASTA^IEISEAnoX 


». 


noArANeHS  sqkpatei's 

EnOIHSEX 


Ea  adunque  sappiamo  che  la  popolazione  di  Milo 
lefici  di  Roma  le  aveva  innalzato  una  statua  di 
aveva  dedicato  una  corona  d'oro  :  e  sappiamo 
I  lavoro  fu  eseguito  da  Poliante  Socrateo,  nome 
l>  nella  storia  dell'arte. 


urbis  Romie  se  fecisse.  luJosquc  annìversarios 
ItJluisse  ».  Livio,  XLIII,  6. 
ILt-ER,  Rom.  Myth.,  II,  p.  554. 

*,  VI,  I,   575.  A'jxiwv  fé  JtoivAv  xotiiffdlyLivav  t^,^  -nat^iTt 
l'PtofiYiY  ati  KairiTsX'w  xal  Tfjì  £tuu  tm«  'Puaafu^  ipir^Ac 
biC  Md  lòip-jfiaiac  tv!;  iÌc  tò  x&iviv  tì  A'^xitai. 
fi  VI,  374. 
WJst.,  i86o,  p.  56. 


Il  culto  di  Roma  era  adunque  già  tanto  fiorente  priii 
di  Augusto  (i)    che  il  popolo  di  Milo,  non   certo  tra 
primi  dei  greci,  erigeva  in  onore  di  lei  un  si  ricco  moHi 
mento.  In  Roma  invece  neppure  la  più  lontana  idea 
alito,  e  cosi  le  impronte  monetarie  rappresentanti  Rom: 
cominciano  presso  i  Locri  epizelìri,  cioc   presso  Greci.  La 
cagione  di  un  fatto  cosi  strano  mi  sembra  si  possa  assai 
facilmente  ritrovare  nelle  condizioni  dei  popoli  ellenici  in 
quel  tempo. 

La  caduta  delle  libertà  al  tempo  di  Filippo  e  di  Ales- 
sandro, la  cormzione  dei  tempi  che  seguirono,  le  lotte,  lo 
stabilirsi  delle  grandi  monarchie  bruttate  da!  fasto  orien- 
tale, avevano  dato  ai  Greci  quel  carattere  di  servilismo  che 
non  perdettero  più  dì  poi.  Finche  essi  respinsero  i  Persiani 
mantenendosi  nei  limiti  propri,  conservarono  il  loro  spirito 
nazionale;  quando  invasero  le  terre  orientali  e  si  mescola- 
rono coi  barbari  e  da  loro  accettarono  usanze  e  modi,  ne 
ebbero  quello  stesso  danno  per  evirare  il  quale  avevano 
combattuto  Leonida  e  Aristide  e  Temistocle;  perdettero 
cioè  lo  spirito  di  libertà  e  quel  santo  orgoglio  di  Greci,  e 
furono  pronti  a  genuflettersi  innanzi  ad  un  mortale. 

Chi  non  ricorda  le  basse  e  vergognose  adulazioni  di 
cui  furono  oggetto  Antigono  e  Demetrio  Poliorcete?  Il 
sacro  peana  trasportato  ad  onorare  un  uomo,  e  il  tempio 
divenuto  comune  segno  del  culto  per  mortali  ed  immor- 
tali. In  simili  eccessi  ancora  si  intende  assai  bene  come 
dovessero  andare  assai  più  innanzi  i  Greci  d*Asia  siccome 
quelli  che  avevano  sempre  avuto  più  somiglianza  cogli 
orientali.  Perciò  il  culto  prestato  a  Roma  dovette  fiorire 
assai  presto  presso  tutti  quei  popoli  si  per  V  importanza  che 
aveva  per  essi  l'amicizia  di  Roma  e  si  perchè,  come  dice 


(i)  Il  Moramseo  crede  che  1*  iscrizione  ili  Milo  sìa  del  tempo 
della  repubblica,  perchè  se  fosse  siala  dei  tempi  imperiali  avrebbero, 
i  cittadini  dì  Milo  unito  alla  statua  di  Roma  quella  dì  Augusto. 


Evoluzione  del  tipo  di  l^ma  loi 


,  a  le  idee  cHenichc  si  combinavano  in  modo 
(col  culto  monarchico  n  (j).  Ma  il  grande  svi- 

cbbe  luogo  al  tempo  di  Augusto:  allora  in- 
esscro  icmpb'  in  onore  di  Koma,  e  finalmente 

nella  stessa  capitnle  dell'  impero.  La  cagione 
:o  nuovo  movimento  non  fu  solo  il  scr\*ilismo 
anche  il  senno  politico  deiraccorto  Ottaviano, 
lorchc  Augusto  snil  al  trono,  permise  alle  citti 
devano  giù  da  lungo  tempo,  di  innalzare  templi 
io  od  a  sé,  purché  fossero  comuni  anche  alla 
Questa  importante  notizia  ci  è  data  da  Suc- 
quale  aggiunge  poi  che  in  ciixh.  fu  sempre 
ncedere  questo  permesso.  Ecco  le  parole  dello 

ipb...  in  nulla  provincia  nisi  communia  suo 
nomini  reccpit:  nam  in  Urbe  quidem  perti- 
1  abstinuit  hoc  honore  ».  Non  è  difficile  inten- 
òne  di  questo  suo  ostinato  rifiuto.  Egli  che 
lludcre  il  popolo  dando  a  credere  di  voler  cs- 
}licc  cittadino,  non  poteva  permettere  che  gli 
I  templi  in  cittA,  Ma  per  le  provincie  la  cosa 
trente:  là  Augusto  rappresentava,  per  cosi  dire, 
mano;  l'astuto  imperatore  perciò  volle  mettere 
sen'iliii  greca  che  gli  offriva  onori  divini,  ac- 
ìo  alla  condizione  che  il  proprio  tempio  fosse 
che  quello  della  dea  Roma.  Cosi  egli  strinse 
a-sona  alla  personificazione  dello  Stato,  ciò  ch^ 
prc  più  il  suo  potere,  poiché  lusingava  Tor- 
ino facendogli  credere  che  nella  persona  dei- 
si  venerasse  davvero  il  popolo  stesso  che  era 
ippresentato,  e  nella  dea  Koma  la  repubblica 
lessuno  certo  rifuggiva  dal  tributare  i  massimi 

bfN,  op.   cit.,  p.   7,  e  cf.  anche  il   Preller,  op.  cìt., 
>!♦  e  Tacito,  Ann.,  I,  io;  IV.  37. 


102 


^artsofri 


onori.  Fu  adunque  in  seguito  a  questo  sapiente  permess 
di  Augusto  che  nelle  provincie  sorsero  templi  a  lui  sacri 
ed  alla  dea  Roma,  ed  in  quelle  cittì  dove  esisteva  già  un 
tempio  ad  essa  fu  a>;giunto  nella  cella  il  simulacro  dell*  im- 
peratore. Una  preziosa  iscrizione  (i)  ci  fa  sapere  che  il 
decreto  col  quale  fu  permesso  agli  Asiani  di  celebrare  0 
natalizio  di  Augusto  fu  fatto  da  Paolo  Massimo,  proconsole 
in  quella  provincia  dopo  Vii  a.  C,  anno  in  cui  era  stato 
console,  ed  è  importante  ricordare  un  tal  personaggio  che 
ci  richiama  alla  mente  forse  il  padre  Ji  quello  di  cui  parla 
Orazio  con  tanta  lode  (2). 

Il  permesso  di  Augusto  ebbe  subito  effetto  nella  città 
di  Pergamo  (3),  dove  sorse  un  tempio  dedicato  Tlohiq  xal 
SefiaoT^j,  mentre  le  monete  della  cittA  presentano  Roma 
turrita  coli' iscrizione  BEAN  PQMHN  e  cosi  più  tardi,  a! 
tempo  di  Traiano,  sulle  monete  della  stessa  Pergamo  è 
rappresentalo  un  tempio  con  Augusto  armato  di  asta  e  co- 
ronato dalla  dea  Roma,  che  ha  tra  le  mani  il  corno  del- 
l'abbondanza ed  intomo  la  leggenda  PQMHi  KAI  SEBA- 
STQi  (4).  Dione  Cassio  racconta  che  la  stessa  conces- 
sione fu  fatta  ad  Efeso  e  a  Nicea,  che  eressero  templi  a 
Giulio  ed  alla  dea  Roma,  e  che  gli  Asiani  potevano  trihu- 
tare  onori  divini  ad  Augusto  ed  alla  dea  Roma  nel  capo- 
luogo della  provincia,  cioè  a  Pergamo,  e  i  Bitini  a  Nico- 
mcdia  (5).  E  molte  monete,  infatti,  portano  impresso  un 
tempio  colle  parole  communitas  Asiac  (6). 

L'esempio  di  queste  fu  seguito  poi  da  quasi  tutte  le 
altre  città  principali  delle  provincie  dell'  impero.  Milasa  (7), 


{l)C/.  Gr.  Ili,  J903K 
(a)  Lib.  IV,  ode  I^  w.  IO,  II. 

(5)  Tacito,  Ann.,  IV,  $7. 
(4)  EcRHU.,  D.  S^  VI,  lot. 
(0  LI.  2a 

(6)  Coasc,  •  Med.  imp.  Octav.  Aug.  •,  n.  $4. 
{7)  Catluv  Rtc,  /otif-p  n,  18^x90;  C.  L  Gr,,  U,  a.  1696. 


Eifolu^ioue  del  tipo  di  'T^ma 


103 


Cuma  (i),  e  poi  i  Nysacenses  (2),  e  i  Cizicieni  (5), 
tutti  edificarono  templi  in  onore  delle  stesse  due  dìvi- 
DJti  Le  città  di  Galazia,  cioè,  Andra,  Pessinus,  Ta- 
rium,  ecc.,  chiesero  di  essere  chiamate  Se^aaToT,  ed  il  co- 
mune dei  Calati  ebbe  il  sacerdozio  del  tempio  di  Augusto 
o\timito  nella  loro  capitale,  cioè  Ancira  (4),  la  dedicazione 

fJcl  qual  sacrario  ebbe  luogo  circa  9  anni  dopo  l'Ora  vol- 
gare. A  Cesarea  poi,  Erode  fece  edific;ire  un  tempio  assai 
sontuoso,  nel  quale  Augusto  era  effigiato  sotto  le  sembianze 

idi  Giove  Olimpico,  e  la  dea  Roma  sotto  quelle  di  Giunone 
irgiva  (5),  ed  a  questo  proposito  è  da  notare  il  riscontro 
tn  b  figura  di  Ottaviano  e  quel  che  racconta  Suetonio  del 
adrc  di  lui,  che,  essendo  in  Tracia,  vide  in  sogno  suo  fi- 

fgiio  simile  in  tutto  a  Giove  Olimpico  (^6),  Un  altro  tempio 
splendido,  di  forma  rotonda  e  con  un  peristilio  di  12  co- 
lonne, sorse  in  Atene:  esso  anzi  restò  in  predi  sino  ni  tempo 

r  di  Maometto  H  (7).  Né  è  da  credere  che  la  divinizzazione 
Augusto  e  Roma  sì  limitasse  alle  cittA  dell'Asia:  anzi 
poco  a  poco  si  propagò  per  tutte  le  provincie  dell'  impero 

Lt  bista  dare  un'occliiata  al  C.  /.  L,,  per  convincersi  che 
Spagna  (8),  il  Norico,  la  Pannonia  (9),  l'Africa  muni- 


(0  C.  i.  Gr.,  Il,  □.  J524  ó  S^;ì-o;  Ka^aapi  ^leù  uc^  oepavT'u  àp^opiì 
"TlWTif  Kftl   5iìt 'PwjiLir.,   e   CaYLUì,    loc.    Cit. 

il)  CI.  Gr.,  U,  294?. 

(0  TAaro,  Ann.y  IV,  36;  Dione,  LVII,  24. 
(4)  ZintPT,  Mcm.   Ancyr,,  p.  4  e  sgg.  L'iscrizione  diceva:  FAAA 
TU?([T]0|KOrNOM  -  lE]  PAIAMENON  -  BEUi  lEBAlTUl  -  KAI  eEAi 
J^^MUi.  C.  A  Gr.,  Ili,  40J9. 

(j)  Cnjs.  Flav.,  Antìq.  lud,,  XV,  13  ;  De  Bcìh  ìtid.,  I,  21,  7. 

(6)  Oftov.,  94. 

(7)  Beulè,  VAcrop.  à*Ath^fus,  II,  pL   i,   p.  206.  L*  iscrizione  di 
■^ttCJto  tempio  ò  nel  Corpm  del  Boekh.,  T,  n.  278. 

^^)  C.  /,  /..,  Il,  750.  Questa  provincia  chiese  il  permesso  a  Ti- 
|berio.  V.  Tacito,  Afm,,  I,  78. 
(9)C./.  I.,  Ili,  5368-'S44}. 


104 


CV.  Tarisolti 


cipale  (i)  e  la  Gallia  (2)  avevaao  anche  esse  siffatti  templi 
e  sacerdozi.  Sappiamo  anzi  che  a  LugJunio  v*era  un  tempio 
per  tutta  la  comunitA  dei  Galli,  ed  un'ara  coli'  iscrizione 
di  So  popoli  \  che  esso  fu  dedicato  nel  742  di  R.,  e  ne  fu 
fatto  sacerdote  C.  Giulio  Vercondaridubio  di  nazione 
Eduo  (3):  secondo  Dione,  però,  la  festa  di  Augusto  cele- 
bravasi  gii  da  due  anni  anni  a  Lugdunio  (4).  Quanto  al- 
l' Italia,  lo  stesso  storico  dice  che  Augusto  non  v'ebbe  mai 
culto  (5).  Ma  questa  notìzia  e  errata,  poiché  il  tempio  di 
Fola  d' Istria,  dedicato  ROMAE  ET  AUGUSTO  CAE- 
SARI  DIVI  F.  PATRI  PATRIAE,  fti  fatto,  forse,  mentre 
egli  era  vivo  (6),  ed  altrettanto  possiamo  supporre  per 
Verona,  Pavia,  Brescia,  Trento  (7),  Sorrento  (S),  Ostia  (9) 
e  Terracina  (io),  delle  quali  sappiamo  che  avevano  altari  e 
sacerdoti  in  onore  di  lui.  A  Napoli,  anzi,  si  celebravano 
anche  giuochi  (u),  e  possiamo  ben  credere  che  per  l'Italia 
si  serbasse  la  stessa  legge  che  per  le  provincie,  che,  cioè, 
il  cacsarcnm  dovesse  avere  anche  V  immagine  di  Roma, 

Dall'altro  canto  erra  anche  Aurelio  \'ittore,  il  quale  af- 
ferma che  non  solo  nelle  provincie,  ma  anche  in  Roma  si 


(i)  C.  /.  L,  Vili,  io9t. 

(a)  Strabone,  IV,  p.  m.  292,6  Suet.,  CLnid,,  2;  Dione,  LIV,  ji. 
Per  U  culto  di  Roma  ed  Augusto  nelle  provincie  v.  anche  Ephemerii 
cftigraphica,  I,  100  e  sgg. 

(j)  Strabone,  Scet.  e  Dione,  loc.  cit,  e  Livio,  ep.  L,  157. 

(4)  Questo  tempio  si  vede  efHgiato  sopra  una  monda  di  Lione 
e  le  colonne  dcU'alurc  ancora  esistenti,  segate  in  due  pezzi,  servono 
ora  come  pilastri  per  sorreggere  la  vòlta  del  coro  nella  chiesa  di  Aisnay. 

V.  MlLLIN,  Co/,  mi/.,  664,  CLXXXVni. 

(5)  DiosK,  LI,  20. 

(6)  EcKHEL.  D.  V.,  VI,  IJ5. 

(7)  e.  1.  L,  V,  pane  I,  n.  5056. 

(8)  Ivi.  X,  688. 

(9)  Orelli,  717Ì-7174. 
(IO)  C.  /.  L,  X,  pane  I.  6»os. 

(n)  PiELLER.   Op.   Cil^  p.    J$j 


Epolu^ioHt  del  iipò  di  l{pma 


i  ad  Augusto,  vìvente  Io  stesso  monarca  (i), 
r  smentita  da  tutti  gli  jltri  scrittori  (2). 
ugusto,  pertS,  si  cominciò   dal   consacrare  li 
i  nato  (3),  e  poi  la  casa  a  Nola  dove  ave\'a 
/ere  (4),  e  Tiberio  e  Livia  gli  edificarono  un 

Pone  X  (5).  Questo  sacrario,  a  somiglianza 
rovincie,  ebbe  anch'esso  le  due  immagini 
(gusto?  Esso  è  scDìpre  chiamato  Umplnm 
ose  quelli  delle  provincie  benché  avessero  anche 
,  ed  è  perciò  opinione  comune  che  a  lui  solo 
aio,  lunavia  è  notevole  che  le  medaglie  di 
Caligola  l'uno  dei  quali  cominciò  l'edifìcio  e 
icò,  hanno  un  tempio  colla  scritta  ROM.  ET 
ippiamo  ancora  che  nel!'  incendio  neroniano, 
distrutto  e  poi  subito  riedificato.  Quanto  alle 

tii  veneravano,  v'è  chi  dice  che  vi  fu  ado- 
(7)  la  quale  sarebbe  stata  posta  nel  tempio 
aa  sul  primo  ella  non  fu  che  sacerdotessa  (8). 
di  Antonino  Pio  accenna  evidentemente  al 
s  al  tempio  di  Augusto,  mostrando  nel  ro- 
npio  ad  otto  colonne  con  due  figure  nel- 
intorno  le  parole  TEMPL.  DIV.  A\'G. 
».    mi-   S.  e.  (9),  Un   esemplare    del  prò- 

k,  parte  II,  i.  S  ^• 

s  invece  i  poeti  chumavano  nume  Augusto  (Ovidio, 

!,  vili,   51;  Orazio,  IV,  5),  uso  che  si  perpetuò  poi 

k  ci  scagliò  Marziale,  Vili,  15. 

„  Ociav.,  $. 

,D.  V..  VI,  125. 

list.  Sai.,  XII,  19  i  Dto-,  LXI,  46,  42;  Muratori,  /k., 

;  Becker,  ThopOf^aphU,  p,  450. 

I,  «  Calig.  »,  nn.  18,  19,  20;  «  Tib.  »,  nn.  59,  40,  41, 

46. 
)Ri,  Ice.  cit.;  Dio.,  LX,  5. 
,  D.  S„  VI,  ,25. 

n,  797.  Antonino  in  questa  moneta  ha  la  XXII  pò- 


ìo6 


e4.  Tansoiii 


spetto  dell'antico  icinpio  lo  abbiamo  forse  !n  quel  re 
lievo  che  esisteva  altre  volte  alla  villa  MeJ'ci,  e  del  qual' 
non  si  vede  oggi  che  una  copia  gettata  in  gesso.  Esso 
composto  di  una  gradinata,  sulla  quale  si  innalzano  otto^ 
colonne  corìnzie,  che  sorreggono  un  timpano  ornato  ar 
lati  da  \'ittorie:  tra  le  figure  del  frontone  v'c  una  Venere -5 
che  ricorda  la  famiglia  di  Augusto  (i).  Una  figura  barbata 
nel  mezzo  ha  fatto  credere  che  si  trattasse  del  tempio  in- 
nalzato da  Adriano,  ma  quello  era  decastilo,  come  vedremo 
più  tardi.  Il  prospetto  di  un  altro  di  tali  templi,  ma  posteriore 
ad  Antonino,  è  rappresentato  in  un  piccolo  rilievo  edito  nella 
Archàologischt'  Zcitmi^^  (2),  di  cui  diamo  una  riproduzione 
alla  tav,  I  (V.  in  fine).  Esso  è  annesso  alla  base  di  una  statua 
della  Galleria  delle  Statue  al  museo  Chiararaonti  (3).  Seb- 
bene il  lavoro  sia  pessimo  ed  accenni  appunto  ad  un'età 
anche  posteriore  a  quella  degli  Antonini,  T  importanza  di 
questo  marmo  non  è  piccola.  Sopra  una  gradinata,  indicata 
da  linee,  s'innabsano  le  sei  colonne  che  sorreggono  il  fron- 
tone: nell'interno  si  vedono  i  due  simulacri  posti  nelle 
celle:  quello  alla  sinistra  di  chi  guarda  si  riconosce  subito 
per  Roma,  dal  capo  galeato,  dalla  corta  tunica  e  dalla  mam- 
mella destra  scoperta  :  la  dea  si  appoggia  colla  sinistra  sullo 
scudo  e  colla  destra  suU'iista.  L* altra  divinità  è  col  capo  tur- 
rito ed  il  corno  dell'abbond-anza  nella  mano  sinistra  ed  e 
in  generale  creduta  Fortuna;  non  si  potrebbe  supporre  esser 
essa  Livia  sotto  le  sembianze  di  una  Tyche,  ovvero  della 
Magna  Materì  L'artista  per  amore  di  simmetria  avrebbe 
in  tal  caso  sostituito  ad  Augusto  T  immagine  di  Roma. 
Oltre  il  carsarnirn,  che  sappiamo  essere  stato  costruito 

(i)  ZoEGA.  app.,  }8i,  Hi  '5'*^'.  ddrist.,  1855,  141;  Mom.  ddVhU, 
V,  40;  Atinali  àiU'Iit.,  1852,   558;  Coàéx  Cobur^gnsù,  467,  )8. 

(a)  Voi.  V,  p.  49,  tav.  4.  L'illustratore  propone  come  congettura 
la  inicrpretaxìone  delle  lettere  che  si  vedooo  ai  Iati,  così:  IX  HAC 
AEDe  saBINI  MATcrni  luDI  LOCANTUr. 

(5)  La  statua  è  segnata  col  n.  401, 


iu^ione  del  tipo  di  l(pftta 


107 


fratelli  Arvalì,  troviamo  menzionato  anche  un 
ar  fi  AttguTfi,  o^-vcro  solamente  Romae,  nel 
Unente  facente  parte  Ji  quel  gnippo  di  tre  edi- 
form.ino  la  chiesa  de' Ss.  Costna  e  Damiano. 
Icnominazione  di  Umpìum  Urbis  sembra  che 
l  e  non  abbia  a  che  far  nulla  col  culto  dcll.ì  dea, 
B  originata  daircssere  stata  affissa,  nei  tempi 
iille  pareti  di  quel  monumento  la  pianta  mar- 
avanzi  sono  oggi  al  Campidoglio,  la  quale  rap- 
onto  la  cittì  ai  tempi  Severiani  (i). 
rocedcre  del  tempo  la  divii)i/za/ionc  di  Roma 
un  passo  di  più:  in  tutti  i  templi  che  abbiamo 
6,  essa  dea  era  ancora  assai  terrena,  anzi  unita 
4in  mortale,  mentre  più  tardi  essa  divenne  una 
^dine  superiore. 

^  innalzò  Tultimo  e  più  magnifico  tempio,  cp- 
lla  figlia  stessa  di  Giove,  a  quella  Venere,  dalla 
in  Certo  modo  ripeteva  la  sua  origine.  Di 
\òo  edificio,  ideato,  come  credcsì,  dallo  stesso 
mangono  oggi  pochi  avanzi  presso  la  chiesa 
icesca  Romana  al  Foro.  Sarebbe  cosa  troppo 
are  qui  distesamente  deircdificio  Adrianeo  e 
)sto  che  dame  qualche  cenno  generale,  riman- 
ire  ad  un  recente  ed  accurato  lavoro  di  un  pen- 
UcademiaNazionaledi  Francia,  il  signor  Laloux, 
l  nuovamente  occupato  della  restaurazione  di 
pinte  monumento  (2). 
acri  che  si  veneravano  in  tutti  questi  templi 
e  disgraziatamente  nulla,  ma  sino  ad  un  certo 


Br,  BoU.  d'arch.  cria.,  a.  1867,  p.  62  e  sgg.;  Lasciasi, 
B2,  p.  48  e  sgg. 
)  d'arch.,  1872.  III-IV.-  V.  anche  Ìl  rilievo  che  si  creJc 
empio  di  Adriano.  Canina,  Edifii.,  II,  lav.  lii,  i,  tee, 
o  del  fregio  di  questo  tempio  esiste  in  Roma  presso  lo 


xa8 


qA.  Tarisotti 


punto  però  ci  è  possibile  di  fare  delle  congetture  abbastan; 
fondate. 

In  primo  luogo  le  immngini  che  dovettero  essere  o 
sacrate  alla  dea  Roma  nelle  città  di  Smirne  e  AIab;inJasL 
dal  tempo  della  repubblica  assai  probabilmente  ebbero  ui 
figura  simile  a  quella  di  Pallade,  non  essendo  ancora  o 
minciata  una  personificazione  della  città  di  indole  più  ni 
rionale.  Infatti  nel  didrachmon  dei  Locri  epizefiri,  di 
abbiamcrglA  parlato,  Roma  ha  un  lungo  chitone  e  sieJ' 
appoggiando  il  braccio  destro  sopra  lo  scudo  in  una  posi- 
tura simile  a  quella  che  spesso  ha  Minerva  pacifica.  Pit» 
tardi  poi  nei  templi  delle  citti  dell'Asia  Minore  la  dea  Roi 
fu  rappresentata  variamente  secondo  i  culti  locali:  sicc 
ella  ebbe  la  figura  di  una  Tyche  o  della  Ma^ui  \laier  e  per- 
sino dì  Giunone  argiva  (i).  Ma  tutte  queste  r.ippresenia 
ebbero  quasi  sempre  un  fondo  comune  che  si  riferisce 
tipo  della  moneta  di  C  Vihins  C  /.  C.  ».  Pansa^  clie 
biamo  giA  esaminato.  Infatti  sulle  monete  di  Papirio  Car- 
bone a  Nicomedia,  Roma  differisce  da  quella  di  Vilnus  Pai 
solo  perchè  tiene  ella  slessa  in  mano  la  figura  della  Vitto: 
e  perchè  ha  sulla  galea  una  corona  di  edera.  Cosi  in  que 
monete  coniate  da  C.  Cecìlio  Cornuto  ad  Amiso,  Roma 
la  stessa  figura  del  dcnario  di  Vìbio,  salvo  che  calpesta  u 
galea  invece  del  globo  (2)  e  neppur  molta  differenza 
riscontra  in  un  denario  coloniale  di  Augusto  (3).  Finalmen' 
una  statuetta  del  museo  Pio  dementino  illustrata  dal 
sconti  (1)  rappresenta  la  dea  Roma  nella  solita  maniei 
cìoò  sedente  sopra  una  corazza  con  un  corto  abito  e  col 
petto  a  destra  nudo,  un  piccolo  elmo  in  capo  e  colla  mano 
sinistra  poggiata  sul  parazonio,  mentre  colla  destra  ora  so- 


Pi^ 

ch^ 
>er- 

i 


(i)  Preller,  op.  cit,  n,  5$i;  Gius.  Flavio,  loc.  cìi. 

(j)  Morelli,  Tha.,  o  CaccìUa  »,  B. 

())  Ivi,  «  Plotìa». 

(4J  Siustù  Pio  CUm^niino,  II,    ij. 


Iasione  del  tipo  di  ^'l(oma 


109 


YÌdeateinentti  mal  sostituita  ad  una  Vittoria 
osserva  lo  stesso  Visconti  (i).  Questa  figura, 
OSI  bene  colle  altre  già  osservate,  ni!  sembra 
e  un' idea  della  immagine  di  Roma  nei  templi 
e  Provincie  accidentali,  poiché,  confrontando 
colla  figijradel  bassorilievo  vaticano  gii  ci- 
ao abbastanza  corrispondenti  tra  loro  :  perciò, 
:he   ai  tempi  degli  Antonini  la  personifica- 
;à  aveva  assunto  forme  differenti,  come  ve- 
lilo, potremo  ragionevolmente   credere  che 
si  sia  resa  l'effigie  di  Roma  come  era  in  qual- 
pli  suddetti.  Anche  simile  a  questa  fu  pro- 
^num  rcipnbliciu,  di  cui  parlano  gli  storici  (2)  ; 
il    KJùgmann  (3),  che,    come  il    Giove    di 
in  mano  una  piccola  immagine  della  Vittoria, 
>  strettamente  ai  giuochi,  cosi  il  Giove  Capi- 
Bnvcce  quella  di   Roma,  quasi  come  fosse  Ìl 
quale  idea  accenna  anche  chiaramente  Dione 


»mpio  innalzato  da  Adriano  la  dea  dovette 
i  in  modo  assai  differente.  L*apogeo  a  cui  era 
ìnza  romana  e  Tapoteosi  di  Roma  personifi- 
{urando  da  qualche  tempo  cominciò  necessa- 
ria ad  essere  meglio  compresa  e  più  sentita 
^ero  si  che  ella  assunse  un'apparenza  assai 
J  Di  questo  cambiamento  del  tipo  dovremo 
^colarmente  in  appresso:  perora  basti  il  dire 
jdcl  tempio  di  Adriano  hanno  un  lungo  chi- 
I  coperto,  ed  invece  della  piccola  galea,  un 
''X)n  ricco  cimiero  e  con  una  specie  di  stefane 

le  ha  Tiipparenza  di  una  cinta  di  torri.  In  tal 


I  Octav.,  94;  Dio.  Cass.,  XLV,  2. 
9- 


i. 


no 


C^.  T^arisolti 


guisa  è  rappresentata  iiell.i  famosa  pittura  Barbcriniana  (i^^ 
la  quale,  non  a  torto,  si  ritiene  aver  strena  rchizionc  cc:> 
simulacro  di  Rotua  posto  nel  tempio  del  Foro. 

Riepilogando  ora  ciò  clic  ò  stato  detto  in  questo  cipÉ 
tolo,  faremo  dei  templi  innalzati  in  onore  d^Ua  dea  Rom-^ 
tre  classi  : 

La  prima,  composta  di  quelli  antichissimi  di  Smime  e^ 
di  AlabanJa  colla  dea  simile  ncU'aspetco  a  Minerva  o  me- 
glio alla  effigie  del  d'uìrachmon  dei  Locri  epizefiri  ;  e  questi 
non  hanno  nessun  significato  veramente  religioso,  ma  solo 
uno  scopo  politico.  Essi,  cioè,  ci  dimostrano  non  che  sin- 
cera venerazione  fosse  sentita  per  la  dea  Róma  dai  popoli 
greci,  ma  piuttosto  ci  attestano  Tiiso  frequentissimo  del- 
l'apoteosi con  che  quelli  cercavano,  servilmente  adulando, 
di  rendersi  benevolo  altrui. 

La  seconda  classe  è  composta  di  tutti  gli  innumerevoli 
templi  sorti  nell*etA  di  Augusto  e  dei  suoi  primi  successori, 
Tiberio,  Caligola  e  Claudio.  In  questa  seconda  fase  le  im- 
magini della  divinità  hanno  avuto  assai  probabilmente  co- 
muni le  linee  generali  :  cioè  corto  abito  che  lascia  il  petto 
ignudo  da  una  parte,  alti  calzari  ai  piedi,  semplice  galea  in 
capo  e  lo  scettro  o  il  parazonio  o  l'asta  da  una  mano  e  hi 
Vittoria  coronante  dairaltra.  La  qual  rappresentanza  ha  ab- 
bandonalo, come  si  vede,  il  tipo  del  didracbinon  di  Locri, 
clic  non  aveva  nulla  di  nazionale,  sostituendogli  quel  tipo 
che  abbiamo  veduto  svolgersi  poco  a  poco  nel  tempo  della 
repubblica  fino  ad  acquistare  la  maestA  necessaria  per  es- 
sere una  figura  da  porsi  in  un  tempio.  Quanto  al  signifi- 
cato morale  di  questa  nuova  classe  di  templi,  abbiamo  gii 
osservato  che  anche  questo  è  un  culto  puramente  formale 
che  non  corrisponde  ad  alcuna  idealità  (2)  ;  ma  che  fu  sug- 

(i).Miu.i?*,  Gal.  Milh.,  660,  CLXXX;  Bunsen,  Btschr,  d<r  SiadL 
KofH.^  ni,  piine  II,  436.  e  così  la  statua  MU  tav.  iti,  che  è  pure  Ji 
tempo  certamcnie  posteriore  ad  Adriano. 

(3)  Cf.  il  Kenner,  op.  cit.,  p.  25. 


nno  politico  di  Onaviano,  il  quale  profittò  del 
ti  popoli  per  stringerli  maggiormente  jlla  sog- 
fi  repubblica,  e  nello  stesso  tempo  legare  alla 
incetto  di  ruppresentantc  della  repubblica 

,o  l'estrema  fase  del  culto  dì  Roma,  dataci  dal 
riano,  ci  mostra  quanto  fosse  cambiato  il  scn- 
lopolo,  .issumcndo  la  figura  della  dea  carattere 
arcbbe  vano  cercare  uno  scopo  politico  nella 
el  tempio  di  Venere  e  Roma,  che  anzi  esso  ri- 
Ice  alle  nuove  idee  del  popolo.  La  persuasione 
niti  in  cielo  rappresenti,  per  dir  cosi,  la  Roma 
iiomina  l'animo   di  tutti.  Essa   si  collega  col 
ma  che  allora  per  la  prima  volta  vien  dato  alla 
^  nuovo  appellativo,  che  ha  la  sua  origine  dalb 
1  divina  della  dea  Roma,  trova  un  bel  riscontro 
idei  culto  di  essa  con  Venere  ed  è  nello  stesso 
idice  da  cui  germogliarono  poi  le  personifica- 
|U  Claudiano  (i)-e  dagli  altri  poeti  tardi  e  le 
è  pieno  il  medio  evo.  Di  queste  cose  con- 
parlare con  maggior  ampiezza  quando  trat- 
irticolare  la  trasformazione  del  tipo  al  tempo 
Ci  basu  intanto  di  averle  accennate  per  mo- 
une  che  esiste  tra  questo  nuovo  tempio  e  la 
loi  crediamo  più  conveniente  alle  nuove  condi- 
iina  Roma  che  torna  ad  essere  in  tutto  assai 
lerva,  ma  con  aspetto  matronale,  altero  ed  assai 
t  quella. 


^cui 

fcap: 


30^5'  Utitdih.  Stiìic,  II,  270  e  sgg. 


I  12 


CVf.  Tansoili 


in. 

U  IMPERO. 


Seguendo  il  sistema  che  abbiamo  tenuto  sinora,  con 
verrà  innanzi  tutto  dare  un  breve  cenno  del  modo  che  il 
Kenncr  tiene  nello  studio  del  tipo  di  Roma  durante  il  temp^ 
deir  impero. 

Iigli,  dopo  fatte  breve  osservazioni  sulle  mutate  condi- 
zioni deir.illegoria,  col  procedere  -degli  anni  da  Augusto  in 
poij  conclude  col  dire  che  la  figura  di  Roma  assume  tre  tipi 
principali,  il  primo  di  dominatrice  (Herrschende),  attorno 
al  quale  aggruppa  tutti  i  passi  di  autori  che  la  descrivono 
come  regina  gcul'mm  e  tutte  le  rappresentanze  delle  monete 
che  similmente  le  d;\nno  gli  attributi  della  dominazione, 
cioè  Pasta  pura,  il  globo  e,  secondo  la  sua  opinione,  anche 
la  figura  di  Giunone-  Il  secondi^  tipo  è  di  Roma  genitrice 
o  nutrice  (Nahrende),  attorno  al  quale  ;iggruppa  nello  stesso 
modo  espressioni  di  molti  scrittori  che  la  denominano  tale,  e 
fa  loro  corrispondere  le  monete  imperiali  che  portano  la 
figura  di  Roma  con  alcuno  di  tali  emblemi,  come  per  esempio 
il  corno  dell'abbondanza  o  le  spiche.  In  terzo  luogo  egli 
pone  il  tipo  di  Roma  combattente  (Wehrende)  che  richiama 
assai  da  vicino  quella  dell'epoca  repubblicana,  cogli  stessi 
attributi  e  lo  stesso  aspetto  bellicoso.  li  da  notare  però  che 
in  questa  divisione  egli  non  tiene  alcun  conto  delle  diffe- 
renze di  tempo  e  però  mette  insieme  indifferentemente  tutte 
le  monete  da  Augusto  fino  all'etA  barbarica,  le  quali  presen- 
tano caratteri  tali  che  le  facciano  corrispondere  ad  uno  ov- 
vero ad  un  altro  dei  tipi  stabiliti. 


i unione  del  tipo  di  'T^awa 


"3 


li  mccoJoyComc  si  vede,  pocrA  essere  utilissimo 

jistcniaticamente  le  impronte  imperiali  che  r.ip- 

tffigie  di  Rom;),  ma  non  mi  !»embra  che  sia  il 

per  porre  in  rilievo  Io  sviluppo  e  lo  svolgi- 

K'  e  Teffigic  stessa  ha  subito.  Questo  difetto, 
cfcessaria  conseguenza  dell'aver  fondato  lo 
e  sulle  monete:  e  gii,  come  avevamo  os- 
Ù  principio,  per  tutto  il  tempo  della  repubblica, 
{Rdcnti  per  formarsi  un  concetto  esatto  della 
ta  di  Roma  ed  anche  del  suo  svolgimento, 
b  segue  più  da  vicino  il  progredire  delle  idee 
inti  del  popolo,  mentre,  nel  tempo  dell'  impero, 
pi  confusione  dei  tipi  è  tale,  che  sarebbe  assai 
lèrvi  un  ordine,  se  non  ci  venisse  in  niuto  l'arte 

r 

^le  sussidio  adunque  ci  proveremo  noi  di  ve- 
lli tipo  che  predomina  in  ciascuna  ei;\,  e  quali 
pni  per  le  qu.iH  esso  meglio  corrisponde  alle 
h\  tempo. 

^,  per  conseguenza,  resterà  diviso  in  tre  grandi 
ftappresentano  le  tre  grandi  mutazioni  della  so- 
li e  corrispondentemente  della  rappresentanza  di 
E'  io  da  Augusto  ad  Adriano,  cioè  lo  stabilirsi  del- 
uo  consolidamento;  il  secondo  dagli  Antonini 
>cioè  il  periodo  filosofico  ed  il  principio  della 
:  terzo  ed  ultimo  da  Costantino  alla  caduta  deU 
Jdenrale,  cioè  la  traslazione  della  sede,  lo  sta- 
jova  Roma  e  perciò  il  nascimento  di  una  nuova 
Sne  e  le  ultime  trasformazioni  della  figura  del- 
L  di  quelle  delle  etA  barbariche  e  del  medio  evo. 


—  Da  Augusto  ad  Adriano. 

a  della  dea  Roma  comparisce  cosi  raramente 
&te  augustce,  che  si  starebbe  a  cattivo  partito 

fiia  R.  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  XI  8 


114 


O/i,  Tarisotti 


volendosi  fare  un'  idea  della  trasformazione  di  quel  tipo  do- 
rante l'accennato  periodo  di  tempo,  se  non  vi  fossero  altre 
rjpprescntan^c.  Tuttavìa  la  moneta  di  Amiso,  di  cui  abbiamo 
giA  parlato  innanzi,  ed  altre  portate  dal  Morelli  (i)  ce  la  mo- 
strano ancora  secondo  il  tipo  consueto,  cioè  colla  veste 
amazzonica  e  colle  solite  armi:  una  Jitferenzaperòcda  notare 
in  ciò.che  ella  ha  in  questi  tipi  quasi  costantemente  una  piccola 
immagine  della  Vittoria  nella  mano.  Nella  moneta  di  C.  Vi- 
bius  Pansa  la  figura  della  Vittoria  era  divenuta  assai  piccola 
ed  incoronava  Roma  volando;  ora  è  addirittura  un  suo  anri- 
buto.  La  dea  Roma  adunque  prende  l'aspetto  di  diviniti 
nicefora,  ciò  che  la  pone  subito  in  un  grado  più  elevato 
della  semplice  personificazione  della  città.  Ma  questa  circo- 
stanza sarebbe  di  ben  poco  valore,  se  nel  resto  la  rappre- 
sentanza non  avesse  acquistato  una  maggiore  dignità.  Per 
mettere  in  chiaro  quest'idea  d  serviremo  di  un  bassorilievo 
che  si  conserva  nel  coitile  del  palazzo  Maitei  in  Roma  e 
che  fu  gii  pubblicato  dal  Winckelmann  e  da  Raoul  Rochettc 
ed  oggetto  di  vive  discussioni.  Ultimamente  però  il  Rcif- 
ferscheid  e  il  Liibbert  (2),  che  se  ne  occuparono,  mi  sembra 
che  abbiano  posto  fine  alla  controversia. 

La  rappresentanza  di  questo  rilievo  t:  come  divisa  in 
due  nel  senso  della  lunghezza.  Nel  mezzo,  in  basso,  giace 
una  figura  di  donna  seminuda  che  dorme,  verso  la  quale  si 
avanza  da  sinistra  un  giovane,  anche  esso  nudo,  coll'elmo 
in  capo:  nel  fondo  il  dio  del  sonno  sporgendo  fuori,  sembra 
versare  da  un  corno  un  qualche  sonnifero  sulla  vergine 
perche  non  si  desti.  Alla  destra  di  questo  gruppo,  pure  in 
.giace  la  dea  TclUa  volta  di  spalle  e  coronata  di  spichc. 


-'»»* 


(i)  Thes.  num.  Jmp.,  tav.  xlui,  19,  20:  Testa  di  Gcrmanicol 
A  Roma  seduta  su  trono  a  s.  con  Vittoria  coronante  nella  s.  e  para-  I 
zonio  nella  d.  con  abito  succinto  ^xeria  mamma,  tav.  XLVi,  4,  5  :  Testa 
di  Augusto  laureata  a  d.  lEBAITOI  KTIITHI  il  KAAZOMEMUA  ;  Roma  \ 
stante  galeaia  eoa  abito  amazzonico,  scudo  nella  s.  e  asu  nella  d. 

(2)  Mcm.  dtU'lst.  di  corr,  arcK^  li,  145,  464, 


indio  marino  generalmente  chiam:ito  Oceano. 

questo  siede  il  Te%-cre  col  remo  in  mano,  e  al- 

nistra  il  quadro  e  compiuto  da  uiu  tigura  fcin- 

ida  in  piedi.  Nella  parte  superiore  poi,  una  corona 

*comc  -spcttiitrici  del  fatto.  Per  ispicgarc  il 
nirono  tratte  in  campo  naturalmente  la  leg- 
e  Tcti,  quella  di  Marte  e  Venere  e  quelLi 
|ea  Silvia.  Quest'ultima  è  sostenuta  dal  Lùb- 
fRdfferscheid  (2)  dal  genere  del  lavoro  e  dalla 
fdh-initi  si  fa  strada  all'idea  che  il  rilievo  sia 
bgusto.  Alla  destra  adunque,  nella  pane  supe- 
liacstosa  Giunone  colla  stephane  in  capo  e  lo 
Éno;  appresso  a  lei  da  sinistra  una  figura  di 
|rao  in  capo,  che  non  si  può  scambiare  con 
kui  immagine  che  segue  è  caratterizzata  da  un 
io  a  cui  si  appoggia  e  dal  serpente)  e  che  perciò 
l  come  Roma.  Essa  non  è  solo  spettatrice  del 
ìerto  modo  vi  prende  parte  rivolgendosi  a  Giu- 
protegga  il  connubio  dei  genitori  di  Romolo. 
di  Minerva  è  Vulcano  colla  exomis  e  la  face 
lui  due  figure,  d*una  delle  quali  si  vede  solo 

il  Reifferscheid  crede  Libcr  e  Libera* 

■ 

odo  appresso  poi  alla  sinistra  di  Mane,  Apollo, 
(poggiata  ad  un  albero  di  alloro  in  corrispon- 
iinerva,  poi  Mercurio  e  Vesta,  tutti  caratteriz- 
attributi.  Questa  interpretazione,  che  ò  qucUa 
lid,  mi  sembra  la  più  probabile  ed  assai  giusta 
che  egli  fa  sopra  l'unione  di  queste  divinit-i. 
Questa  riunione  di  dei  e  formata  da  quelli  del 
[uelli  dcir Aventino  che,  insieme  col  dio  Tevere, 
come  spettatori  e  testimoni  dell'avvenimento 
per  la  città  di  Roma  ». 


«•/;(.,  Il,  M-. 


C^.  Tansotti 


Noi  aggiungeremo  che  il  vedere  Roma  tra  queste  di 
nità  è  una  particolariti  assai  nuova  e  che  sorprende  gran- 
demente; tuttavia  non  parri  strano  se  si  pensa  che  tutti  qu 
numi  essendo  scesi  in  terra  per  proteggere  colla  loro  pre- 
senza il  congiungimento  di  Marte  con  Rea  Silvia,  è  natu: 
raie  che  ad  essi  si  unisca  quella  Roma  che  vedemmo  gì; 
immaginata  come  moglie  di  Ascanio  e  perciò  progenitrici 
di  Rea  e  protettrice  di  lei,  del  suo  figlio  e  della  cittA  da  lui 
fondata.  Ma  anche  più  conveniente  si  vede  essere  la  figuri 
dì  Roma  in  questa  composizione  poiché  tutti  quei  numi 
hanno  in  tal  caso  semplice  carattere  di  personificazione  de 
Palatino,  dell'Aventino  e  del  Tevere  e  perciò  ella  stessa  resti 
al  grado  di  personificazione  dell*  intera  città.  Quanto  all'es: 
sere  Roma  qui  completamente  vestita,  ciò  può  derivare  e 
dall'averle  voluto  dare  Tartista  una  figura  più  maestosa  do- 
vendola porre  insieme  cogli  altri  numi,  ovvero  da  alcuna 
altre  rappresentanze  della  exà  di  Augusto  che  ce  la  mostrano 
pure  interamente  coperta  perchè  figurano  Livia  sotto  le  sem- 
bianze di  Roma. 

Tali  sono  le  due  preziose  gemme  del  Gabinetto  impe-; 
riale  di  Vienna  (i),  la  prima  delle  quali  rappresenta  nella 
parte  inferiore  fatti  allusivi  alla  vita  di  Augusto  e  nella  pan< 
superiore  Augusto  seduto  a  destra  sotto  le  sembianze  di 
Giove,  collo  scettro  nella  mano  sinistra  ed  incoronato  da 
di  dietro  da  Cibele,  presso  cui  è  Nettuno,  per  indicare  cos 
che  Augusto  signoreggia  la  terra  ed  il  mare.  Alla  sua  destra 
siede  Livia  sotto  le  effigie  della  dea  Roma  col  capo  coperta 
di  ricco  elmo,  vestita  di  lungo  chitone,  coU'asta  nella  de- 
stra ed  il  parazonio  nella  sinistra.  Da  questa  parte  seguti 
Germanico  in  piedi  vestito  militarmente,  poi  Tiberio  togato 
sul  carro:  una  figura  seminuda  che  si  appoggia  al  trona 
Jeir imperatore  ò  creduta  datrEckhel  Agrippina,  L'altra 
gemma  ci  fa  vedere  le  sole  due  immagini  di  Augusto  e 


(i)  EcKHEL,  Choix  da  piims  gravéts,  tavv.  i,  ii. 


Livia;  egli  simile  a  Giove  Olimpico  col  doppio  corno  nella 

destra  e  lo  scettro  nella  sinistra;  ella  simile  alla  dea  Roma, 

I  vestita  come  nell'altra  gemma  e  colle  mani  poggiate  sopra 

[uno  scudo  che  regge  sulle  ginocchia.  Anche  il  dotto  illu- 

iHratore  del  Gabinetto  imperiale  osserva  che  l'artista  le  lia 

btoqui  un  abito  più  decente  dovendo  ella  rappresentare 

[Livii.  Che  questo  costume  però  non  sia  stato  seguito  di 

Ipoi,  ce  lo  mostrano  le  altre  rappresentanze  che  si  possono 

is^egnarc  a  questo  medesimo  tempo.  Tra  le  monete  dei 

Cesari  quelle  che  più  frequentemente  portano  sul  rovescio 

u  figura  di  Roma  sono  le  Ncroniane.  In  esse  la  dea  è  quale 

l'abbiamo  già  veduta  in  abito  succinto^  seduta  sopra  un  muc- 

iiio  di  armi  e  colla  Vittoria  nella  destra  (i)  ed  oltre  a  queste 

Donete  Li  stessa  effigie  è  posta  in  un  bassorilievo   di  villa 

IWtfdici  edito  dal  Banoli  (2).  Il  soggetto  sembra  che  siano 

Iviccanali  di  qualche  imperatore  la  cui  persona  manca,  Roma 

kh  figura  principale  e  siede  maestosamente  volta  verso  de- 

%  vestita  col  suo  solito  costume  di  amazzone,  reggendo 

olla  destra  uno  scettro  sormontato  da  un'aquila  che  stringo 

hcgli  migli  i  fulmini.  Un'altra  figura  di  donna  alla  destra 

Hd  rilievo,  intieramente  vestita  e  co!  capo  cinto  di  torri,  sta 

O:{inocchiaia  in  atto  supplichevole  innanzi  ad  una  donna 

che  scrive  sopra  uno  scudo 

VOTIS     È    X 
ET    XX    » 

quale  è  certamente  una  Vittoria.  Alla  destra  pure  del 
licvo  si  allontana  un  uomo  calvo  ed  imberbe,  vestito  con 
oa specie  di  lunga  clamide,  colla  lancia  sul  braccio  sinistro 
la  destra  sul  petto:  ma  di  questa  figura,  che  Zoega  crede 


(1)  Cohen»  «  McJ.  iinp.  Ncron.  »,  nn.  52,  55,  54,  150,  190,  197, 
ro9,aoo-203,  219-240.  262,  263,  264. 

(2)  Admir.  Urbis  Rotmti,  12,  15  ;  Zoega,  app.,  381,  52. 


ii8 


C/i.  Tansolit 


intenimeiite  moderna,  assai  poco  dì  certo  è  antico:  forse 
collo,  la  parte  inferiore  del  capo  e  la  lancia  colla  spalla  s 
nistra:  ma  quello  che   è  rimasto  della  testa  ci  basta  p< 
poter  affermare  che  la  rappresentanza  è  anteriore  ad  Adriano-^ 
essendo  un  uomo  imberbe.  Quanto  s'accordi  in  questo  ri- 
lievo l'cflìgie  di  Roma  con  quelle  che  sono  sulle  monete^ 
di  Nerone  non  è  a  dire,  poiché  non  solo  le  vesti,  ma  eziandio'' 
gli  attributi  e  la  posizione  e  la  dignità  dello  sguardo  con- 
cordano in  tal  modo  da  farci  intendere  chiaramente  esser 
questo  il  vero  tipo  che  si  mantenne  costante  in  tutto  quel 
lungo  periodo  che  corre  da  Augusto  ad  Adriano.  Ma  anche 
meglio   conviene  colie  monete  Neroniane  la  statuetta  del 
museo  Pio  dementino  (i),  della  quale  abbiamo  già  parlato* 
Questa  osservazione,  fatta  già  dal  Bunscn  nella  Bcschrci- 
hìitjg  (2),  Io  porta  alla  conclusione  abbastanza  giusta  di  porre 
nella  mano  sinistra  della  detta  figura  una  Vittoria  o  forse 
meglio  un  globo  sormontato  dalla  Vittoria,  in  luogo  dello 
scettro  di  cui  l'ha  insignita  il  moderno  restauratore. 

Poste  le  quali  cose,  ogniqualvolta  noi  troveremo  l'effigie 
di  Roma  in  questo  aspetto,  potremo  ascrivere  la  rappresen- 
tanza con  grande  probabilità  aì  primi  tempi  dell'  impero, 
semprechè  il  genere  del  lavoro  o  qualche  altra  circostanza 
non  la  dimostri  di  altra  età.  Crederei  perciò  anteriore  ad 
Adriano  il  frammento  di  sarcofago  che  si  consenta  nel  pa- 
lazzo Camuccini  in  Roma.  Per  quanto  mutilato,  si  può  ri- 
conoscere un  lavoro  non  cattivo,  ma  non  è  possibile  inter- 
pretare sicuramente  Tazione  rappresentata,  se  non  forse 
essa  sia  un  sacrificio.  La  figura  meglio  conservata  è  anche 
qui  quella  di  Roma  che  siede  a  destra,  questa  volta  sopra 
una  roccia  (3)  colle  vesti  consuete  e  lo  scettro  nella  mano 
sinistra.  Presso  di  lei  un  fanciullo  con  veste  barbara,  poi 


(i)  Visconti,  M.  P.  Ci»  li,  15. 

(2)  Voi.  II,  u.  251. 

(3)  Cf.  la  moneta  di  Vespasiano:  Cohen,  I,  p$,  nn.  375 


un  avanzo  di  figura  militare  forse  sacrificiinte,  ed  un'altra 
ftgxira  virile  con  tunica  e  mantello,  di  cui  mancano  pure 
le  estremiti-  Non  è  questo  il  luogo  di  proporre  una  resti- 
tuzione di  questo  avanzo  nel  quale  la  effigie  Ji  Roma  non 
_^a  subito  alcuna  modificazione,  ma  crediamo  utile  di  aver 
atto  fuori  un  tal  monumento,  essendo  assai  raro  il  tro- 
"vart  la  dea  Roma  rappresentata  sui  sarcofiiglii,  e  però  al- 
-lorchc  vi  si  vede,  si  può  concludere  con  qualche  probabilità 
■che  il  sepolcro  abbia  chiuso  le  spoglie  di  un  qualche  il- 
IVustTc  personaggio,  poiché  ella  di  solito  trovasi  effigiata 
imicme  o  coi  numi  ovvero  colle  persone  della  t.tmìgUa 
imperiale. 

Un  altro  monumento  che,  sebbene  manchi  di  ogni  em- 
Hcm^,  possiamo  ascrìvere  al  miglior  periodo  dell'arte,  e  il 
celebre  busto  Borghesìano,  del  quale  ammirato  oltre  ogni 
credere  il  Visconti  dice  (i):  «I  capelli  che  si  mostrano 
«5uDc  tempie  fuori  della  celata  sono  lavorati  con  molto 
«guMo,  quasi  in  quella  foggia  che  osservasi  nei  lavori  di 
■  bronzo.  I  lineamenti  del  volto  e  i  contorni  tutti  sono. 
«ilisegnari  con  somma  intelligenza  e  con  una  certa  finezza 
•deci  fa  comprendere  non  aver  fiorito  Tartefice  in  quei 

*  tempi,  quando  il  lusso  della  capitale  ammolliva  e   cor- 

•  rompeva  le  arti  della  vinta  ed  ammirata  Grecia».  Che 
ijuesta  testa  sia  rappresentata  Roma  e  non  Minerva  si 

riconosce  chiaramente  dalle  due  lupe  scolpite,  una  per  eia- 
culi lato  dell'elmo,  dallo  sguardo  fiero  e  superbo  che  di- 
itingue  in  modo  sicuro  Tuna  divinità  dall'altra;  ed  a  questo 
oposito  il  Visconti  stesso  (2)  riferisce  le  idee  del  Win- 
nn  e  dice  che  secondo  questo    autore   «  i   distintivi 
ci  volto  di  Pallade  sono  la  serietà  scevra  da  ogni  de- 
9  bolezza  del  sesso  che  sembra  aver  dominato  Amore  mc- 
kiicsìmo,  una   immagine   di    pudor   virginale  che    di    un 


l{t)  Moti.  sctUi  Borghcsiani,  tav.  xx.xiu,  257. 
(9)  Mus40  Chiaramontit  121. 


X2Ù 


Q/t.  Varisotii 


«certo  abbassamento  alle  luci  come  chi  tranquillamcm 
«  medila,  quiinJo  Roma,  altera  domiuairicedel  mondo,  gir 
«  all'opposto  franche  le  luci  e  mostra  un'aria  feroce  ». 

Terminata  la  famiglia  dei  Cesari,  l'Impero  è  preso 
breve  tempo  da  Gnlbn,  il  quale  sembra  si  credesse  ripa 

tote  dei  guasti  fitti  alla   cittA  dall' incendio    neroniano  

delle  sevizie  sofferte  d.ii  cittadini  sotto  il  governo  dcW^ 
stesso  Nerone,  tanto  sono  frequenti  le  monete  che  ci  m^^ 
strano  al  diritto  la  testa  dì  Galba  e  dall'altra  pane  la  figu^-^ 
di  Roma  inginocchiata  dinanzi  all'  imperatore  che  la  sc7»-' 
leva,  ed  intomo  scritte  le  parole:  ROMA  RESTITVT^^^ 
ovvero  anche  con  altre  rappresentanze,  ROMA  RliNASCE-^- 
od  anche  RENASCENS  e  spesso  in  piedi  con  abito  milr  ' 
tare  (i).  Cosi  per  la  prima  volta  vediamo  Roma  in  posi- — 
zione  umile:  una  moneta,  in  cui  si  accenna  forse  quali  fos — ' 
sero  questi  benefìci  fatti  da  Galba  alla  citti,  la  mostra  vestit.r-- 
militarmcntc  colla  scritta:  ROMA  R.  XL,  che  U  Morelli 
interpreta  per  retntssae  quadragcsimac  (2). 

Queste  stesse  rappresentanze  restituite  da  Vitellio  (3) 
e  poi  da  Vespasiano  (4)  non  sono  certo  da  tenersi  in  gran 
conto:  tuttavìa  è  da  notare  che  il  tipo  tradizionale  non  si 
perde,  anzi  continua  con  qualche  piccola  modificazione 
su  quelle  monete  che  mostrano  Roma  seduta,  con  un  ramo 
di  alloro  fra  le  mani  e  le  parole  ROMA  VICTRIX  (5). 


(i)  CouEK,  «  Med.  imp.  Galba  *»,  nn.  j,  4,  S5-59>  60-64,  ^5*^7- 
VICTRIX,  nn.  68-71.  Cosi  Roma  in  abito  niilUare  e  in  piedi,  nn.  191- 
200.  ROMA  RESTI,  n.  20K 

(2;  MoRtLLi,  loc.  cit,  m,  },  4. 

(})  Morelli,  op.  cit.,  «  Vit.  num.  arp.  ci  aur.  »,  11,  9;  ni,  j,  ^; 

(4)  Cohen,  op.  cit.,  «  Vesp.  a,,  n.  124.  ROMA  RESURGES  S.  C. 
In  qucsu  monda  Roma  ò  prcsenuia  a  Vespasiano  da  Minerva. 

(5)  MoREiu,  op.  cii.,  «  Galba  »,  v,  15,  i6;  vii.  20,  25;  «  Viuilii 
num.  arg.  n^  111,  9.  10;  «ex.  acre  magno  1»,  m,  2;  «ex  acre  medio  », 
IX,  I  ;  «  Vespasiani  »,  vra,  j,  6;  xi,  10;  xii,  7,  8. 


Eyolujione  del  tipo  di  ^^pma 


lai 


bene  la  Roma  victrix  posta  su  questi  tipi  abbia, 
ficato  scorico,  ben  poca  iinponanza,  come  anche 
Uituta,  pure  queste  deviazioni  dal  tipo  antico 
Étare  perchè  servono  come  di  passaggio  ad  una 
fcesentanza.  Primieramente  Tessere  Roma  in  abito 

È  corda  assai  bene  cogli  imperatori  militari  che 
i  famiglia  dei  Cesari:  in  sccondci  luogo  la  sua 
pbiamo  veduto  sinora  sedente  siccome  si  con- 
;na  personificazione  di  città,  ora,  per  circostanze 
j  preso  atteggiamenti  vari  e  la  vedremo  conti- 
alche  tempo  ad  essere  rappresentata  così.  Questo 
la  non  esprime  più  solo  la  cittA  o  lo  Stato,  ma 
Igura,  atteggiandosi  con  movenze  ed  atti  vari, 
ft  vera  personalità.  Lasciando  da  parte  le  monete 
ontinuano  Tantica  tradizione  artistica,  l'arte  figu- 
ere  questa  mutazione  della  rappresentanza  che 
naturalmente  ad  una  nuggiore  idealit;i  nel  con- 
co  di  Tito  vi  sono  due  figure  di  Roma:  Tuna 
djlla  pane  che  guarda  l'anfiteatro  Flavio,  l'altra 
La  prima  è  stante  e  coU'asta  in  mano  e  non 
ande  importanza,  essendo  una  figura  di  pura 
e  seguendo  perciò  il  tipo  delle  monete  :  Taltra 
ta  forse  anche  essa  come  la  prima  (i),  precede 
cui  sta  Tito  trionfante  e  coronato   dalla  \'it- 
iuesta  nuova  movenza  è  dunque  quella  che  di 
in  significato  simbolico  nuovo.  Quella  che  con- 
X>  del  trionfatore  non  può  essere  ne  la  città; 
\,  giacche  sarebbe  una  assai  strana  personifica- 
li  potrebbe  intendere   come   la    città    conduca 
htà  r  imperatore.  Dunque  la  Roma  rappresen- 
Tatteggiamcnto  dovrà  essere  una  vera  divinità, 
celeste  che  dall'Olimpo  regola  i  destini   della 


i  paò  riconoscere  essendo  guasta  la  figura. 
kl.  Archi  irionfaìi,  tavv.  xxxvi,  xxxiv. 


122  C?/.   Parisoiti 


Roma  terrestre,  ne  protegge  \x  viti  e  la  ricolma  di  g 
e  di  trionfi.  Non  possiamo  perciò  accettare  quelle  p: 
del  Kenner  (i)  colle  quali  egl:  atterma  che  durante  1 
peto  ogni  aura  di  idealità  spa.r:  dalla  personificazion 
Roma  e  ciò  perchè  V  ii^z  de!  f.^nhis,  da  cui  prima  eli: 
anrmara,  passò  ad  incarnarsi  aell'  imperatore.  E  ciò  è  ^ 
ma  appunto  perchè  questi  divenne  il  ^enùis  p^l^uli  ro 
anche  !a  personiScarlone  di  Roau  crebbe  in  idealiti 
viandosi  ad  essere  urta  vera  dia  nel  sentiraenro  del  po| 
come  avvenne  ptù  rardL  Possiamo  dire  per  consegu 
che,  anzi,  quanto  più  il  popola?  col  progredire  dell'  im 
restava  escluso  dalla  viti  politica,  cuanro  più  la  città 
deva  la  sua  fisionomìa  caratteristica,  a  cagione  della 
scolanra  dei  popoli,  ed  era  -soggetta  j"e  doloatse  vic< 
dei  condnuì  muramenti  d-  goverrxnd,  tanro  più  gli  a 
sì  concenoarono  su  questa  Roma  ideale  che  si  vaghegs 
^endida  e  teLice,  maestosamente  issisa  tra  i  celesri  e 
scendeva  di  quando  in  quando  Ln  ^irra  a  far  senrire  il 
spirto  divino  -ileggia-*rc  tra  le  bassene  umane.  Né  qi 
•nurazione  dei  sendmert^.''  iel  roccio  rcte*a  ossen/ar 
•.nitandos:  allo  stuc*o  ielle  impronte  :r.or.^;rire.  g:j 
anciie  :  conii  di  Dom:^i.ino  v^^"^  ^'  Tr.iixno  (;)  >ono  pi 
a  tvco  Uiiual:  -igii  airri  già  a>s:r.ar. 

Di  quesc'ultituo  7cr-o  abcia:uo  u::  ::::rorrar.:e  rir 
ag'i  anticiìi  concccr  :Te'l-i  r'>:^rrj.::oi:e  i:  cueì  de^ariv 
:'»ui?ciica;to  sui  >^uaie  e  Roma  >edur.i  ■"!  rr.ejzo  ai  due 
voitoi  e  la  lupa  sul  vÌÌ'm:**:ì  v^4.V  iì  s:ual  valore  aooia  q; 

:"*  ^t  \ur  jicsc  ^^;'.u!^ic'Mlu;  s:  u  "•w'rc'\:;!1.  iic  '.n  ùcr  A 
<  <uni;  ilìrv*    W^*w.v  *^'<u.uìiw*,  =  ':v*v*«>ot  vor  -ich   ^'Hl:,   i;is^   scìbs 

<.  r'*rmcn  outsv'ìwaiiò  sowic  U'c  late  Jc<  ■s.-v':.as   lui  icn  Impt 

:       MORKL'-;.    .H».   ^it..      \'  ■  ,     111.    • .,       >. 

.  l'I  Ootits,  ■<■  Meo.    iin>.   V-.-.an.  ». -iii.  >n  >o.  >c4,  ;:".  *?q, 
.  1^   CoHts.  ^  Mcu.   ;^M»,  •»,  :.iv    \      ,  -t.   .6,  •_>.   ;^c.  ^.  :  ;. 


Epoluiione  del  tipo  di  T{oma  123 


orinata  al  tempo  di  Traiano,  cioè  nel  periodo 
eir  impero,  quando  il  dominio  romano  aveva 
a-  sua  massima  ampiezza  e  i  vaticini  antichi  si 
imente  avverati,  ognuno  lo  può  vedere.  Cosi, 
i  dai  tipi  fin  allora  usati,  fu  rimesso  in  vigore 
dando  alla  figura  di  Roma  un  carattere  cosi 
ccordava  in  modo  singolare  col  sentimento  del 

;ugli  archi  eretti  in  onore  di  Traiano  si  vede 

volta  effigiata  Roma.  Il  bassorilievo,  che  fini 

)rnare  l'arco  di  Costantino  (i),  ci  mostra  alla 

;ttaglia  ed  alla  sinistra  la  figura  dell'  imperatore 

illa  Vittoria,  e  presso  di  lui  Roma  in  piedi  colla 

.pò  e  col  corto  abito  succinto.  Essa  regge  colla 

rammento  di  asta  e  colla  sinistra  un  oggetto 

ni  dice  confusamente  accennato,  mentre  il  Bel- 

defìnisce  un  parazonio.  Questo,  che  è  un  sim- 

militare,  l'abbiamo  veduto  scomparire  da   che 

a  assunto  come  emblemi  lo  scettro  ed  il  globo: 

•ciò  abbastanza  strano  il  trovarlo  di  nuovo   in 

>resentanza:  ma  siccome  in  essa  Roma  sembra 

rra  ad  assistere  Traiano  nella  battaglia,  si  può 

he  abbia  ripreso  le  antiche  sue  armi. 

di  Traiano  in  Benevento  (3)  porta  sulla  chiave 

i  Roma  con  tunica  e  paludamento,  col   globo 

a  ed  asta  nella  sinistra.   Questo   emblema  del 

arestre,  che  prima  era  sotto  i  piedi  di  lei,  ora, 

:  sue  mani,  ci  fa  vedere  con  quanta  maggiore 

ella  domina  ora  il  mondo:  poiché,  invece  di 

5getto  a  sé  colla  forza,  ne  mostra   il  possesso 

lolo  colla  mano  con  quella  sicurezza  di  chi   si 


INI,  op.  cit.,  tav.  LXX  ;  gran  bassorilievo  di  Traiano. 
X>Ri,  Archi  trionfali,  tav.  xlii. 
tlMi,  op.  cit.,  tav.  XL. 


tS4 


e^.  Tansolti 


fida  della  propria  potenza  divina:  e  si  noti  che  qu 
emblema  non  più  si  vede  sotto  di  lei.  Nello  stesso 
il  Rossini  (i)  crede  di  vedere  effigiata  Roma  sotto  la  figjx^' 
di  Berecinzia  che  assiste  ad  una  distribuzione  di  grani,  rr^^ 
io  non  riconosco  alcun  trano  caratteristico  in  essa  ct^^ 
possa  farla  ravvisare.  Ma  se  anche  qui  tosse  rappresenta C-a 
Roma,  sarebbe  necessariamente  la  diviniti  ispiratrice  d^ 
generoso  atto  all'imperatore. 


§  2.  Da  Adriano  a  Costaxtko. 

Giunto  al  massimo  splendore  V  impero,  anche  la 
prescntanza  di  Roma  salì  al  massimo  grado  di  idealiti 
di  magnificenza.  Al  tempo  di  Adriano  Roma  era  gii  di- 
venuta il  centro  dove  tendevano  e  dove  si  tnescolavano 
tutte  le  nazioni  delia  terra;  allora  si  accentuò  quella  sua 
caratteristica  che  la  distinse  anche  ai  tempi  moderni,  che, 
cioè,  se  ella  non  fu  madre  di  tutti  gli  artisti  e  poed,  ne 
fu  però  la  maestra  e  T  ispiratrice. 

Di  mne  quelle  dna  che  vantavano  origine  divina  tics- 
suna  certo  era  stretta  cogli  dèi  da  legami  tanto  forti  quanto 
Roma»  il  cui  principio  si  rannodava  a  Venere  e  Mane.  Di 
tutte  quelle  citti  nessuna  era  ormai  più  Ubera:  molte  di- 
strutte: nessuna  così  potente,  cosi  illustre,  cosi  grande.  Di 
tutte  quelle  atri  nessuna  aveva  verificato  in  sé  in  modo  cosi 
pieno  le  promesse  divine  quanto  Roma.  Essa  aveva  come 
(j.ita  una  riprova  della  sua  discendenza  da  Mane  coU'aver 
soggiogato  il  mondo  ;  da  drca  nove  secoli  il  tMme  romano, 
prinu  oscuro  e  ristretto,  si  era  continuamente  andato  allar- 
gando fino  a  non  conoscere  più  limiti;  né  per  questo  eri 
<ci*in.ifa  r  intensitl  del  potere  magico  che  ella  operava  sugli 


(i)  Op.  diL.  UTY.  xxxvm-iLm,  tav.  m  ddTArco. 


colla  sua  grandezza  aveva,  ptr  dire  cosi,  rim- 
(nondo  : 

kbus  cfl  altis  tcllus  data  limite  certo 
aanac  spatìum  est  urbu  et  orbU  iiero  » 

antato  Ovidio  (i)  quando  si  preparava  il  do- 
^rsale  dì  Roma:  ma  al  tempo  di  Adriano  quel 
era  di  tutti. 

liti  adunque  a  cui  rimonuvano  le  prime  me- 
ne e  le  sue  glorie  contribuivano  a  colpire  ftirtc- 
jtasia  del  popolo  ed  a  dare  alle  cose  un  ceno  colo- 
che  portava  naturalmente  alla  venerazione  (2). 
però  gli  uomini  avevano  poco  a  poco  perduta 
La  fede,  sentivano  dentro  di  sé  un  vuoto  ter- 
me della  patria,  gli  ideali  politici  avevano  ces- 
molto  tempo  di  far  battere  i  cuori. 
dell'Olimpo  erano  caduti  l'uno  appresso  del- 
misteriose  divinità  orientali  avevano  finito  per 
pure  vuoti  nomi  e  non  avevano  fatto  altro  che 
la  tendenza  dei  Romani  alla  superstizione.  La 
•va  invaso  le  menti  dì  tutti,  e  stoici  e  platonici 
cercavano   tutti  un  ideale,  senza  però  poterlo 
5  mai.  D'altra  parte  gli  uomini  avevano  bisogno 
'  che  tenesse  luogo  di  quella  politica  e  religiosa, 
3n  bastando  né  le  vecchie  tradizioni  della  inito- 
I  né  la  filosofia,  bastò  appunto  la  superstizione. 
titre  in  Roma  si  accalcavano  nuovi  riti  e  nuove 
liti,  la  superstizione  divenne  gigante  e  divenne 


^nta  ciò  che  narra  S.  Ar.o^TiNo  (De  hturesihus,  VII)  dì 
ella  setta  carpocraziana  che  adorava  Cristo  ed  Omero: 
ircndeva  certamente  l'ecct-llcnza  poetica  del  cantore  di 
la  lontananza  del  tempo  e  sì  la  grandezza  delle  cose  da 
^pivano  Tanìmo  di  lei  dì  tanta  ammirazione  verso  quel- 
Ha  si  piegava  naturalmente  ad  adorarlo. 


126 


C^.  T^arisoiti 


comune  e  ferma  la  credenza  della  misteriosa  predestinazic^ 
di  Roma. 

In  questo  stesso  tempo,  quasi  come  conseguenza  de^ 
altri  appellativi  che  ebbero  vigore  sotto  Vespasiano  e  sotr 
Tito,  vien  fuori  quello  di  Roma  aeterna  (i),  nome  che  cTJ 
fa  vedere  che,  sebbene  fossero  dimenticate  o  derise  le  an  - 
tiche  favole,  ne  restavano  tuttavia  gli  effetti.  Cosi  ciò  ch^ 
prima  era  un  vago  presentimento  divenne  certezza:  oscure 
e  lontane  erano  le  origini  di  Roma  e  misterioso  e  fanta- 
stico se  ne  presentiva  Tavvenire:  questo  però  era  certo  tut- 
tavia che  ella  non  doveva  perire.  Un  soffio  divino  aveva 
improntato  su   di   lei   un    carattere  di  eternità,  ponendoh 
cosi  d'un  tratto  fucri   della  legge  comune  della  mutazione 
e  distruzione  di   tutte  le   cose.  Nel  medio  evo   si   disse: 
t(  Quamdiu   star   Colysacus   stat  et   Roma:  quando  cadct 
«  Colysaeus  cadet  et  Roma:  quando  cadct  Roma  cadct  et 
«  mundus  »  (2). 

Ora  questa  idea  trova  le  sue  radici  nella  Roma  eterna 
di  Adriano ,  e  giA  Tacito  (3),  allorché  riferisce  Teditto  di 
Tiberio  per  Eir  cessare  il  popolo  dalle  lamentazioni  per  la 
morte  di  Germanico,  fa  dire  all'  imperatore  :  «  Principes 
e  mortales,  rempublicam  aeteniam  esse  ».  Lo  storico,  pieno 
anche  esso  della  supersii;;ione  comune  per  questa  grande 
idea  di  Roma,  trasporta  i  tempi  di  Tiberio  ai  suoi,  e  sup- 
pone che  nelle  moltitudini  di  quella  remota  etA  un  accenno 
alla  eterna  potenza  della  repubblica  avrebbe  fatto  tanta 
pressione  quanta  al  tempo  in  cui  egli  scriveva. 

Roma  adunque,  che  si  nella  letteratura  che  nell'arte 
aveva  dapprima  rappresentato  la  città  fondata  da  Romolo 
e  poi  lo  Srato,  come  abbiamo  veduto  a  proposito   del  ì; 


(i)  PRELLEK»  op.  cìImP-  ?S7.  Cf.  anche  il  medaglione  del  mu 
Tiepolo  coU'epigrafe:  «  Urbs  Roma  aeterna  ». 

(2)  Graf,  Roma  ttdìa  memoria,  mila  immaginazione  del  mtdio 
I,  1 19-120,  n.  }i. 

(j)  Arni,,  III,  6,  e  cf.  anche  il  Gbaf,  II,  xxu. 


Epoluiione  del  tipo  di  T{oma 


127 


nipuhlìcac   di    Suctonio  ,    divenne    una    vera    divi- 
Cosi  quella  Roma  che  aveva  da  eroina  combattuto  a 
meo  di  Romolo,  di  Camillo,   di   Scipione   e  di   Cesare, 
pcvj  abbandonato  la  terra   e  proteggeva  dal  cielo  colla 
aa  mente  quello  Stato,  cui  colla  forza  del  suo  braccio  ella 
veva  dato  la  vita.  Tale  sarebbe  stata  la  leggenda  di  Roma 
i  poeti  l'avessero  cantata,  o  meglio  tale  essa  fu  quale  ci 
messa  innanzi  dall'urte;  ne  si  dovr;i  trascurare  di  tenerne 
conio,  pensando  che  è  utile  conoscere  tutte  le  leggende  di 
popolo,  anche  quelle  che  non  si  sono  completamente 
volte,  ma   di   cui   possediamo  lutti  gli   elementi.  Di  più, 
oichc  anche  l'arte  è  una  veste  panicolare  del  pensiero,  si 
ovranno  dire  vere  leggende  anche  quelle  che  non  ci  sono 
urtate  che  dal  marmo  (i). 

Certamente  però  pei  Romani,  la  cui  religione  era  subor- 
nata alla  politica,  dovette  acquistare  un  gran  valore  una 
iivinitA  che  riuniva  in  se  anche  l'idea  dello  Stato. 

Ma  mentre  gli  altri  dòi  furono  dapprima  adorati  per 
ITO  sentimento  religioso  e  terminarono  per  essere  pure 
«orme  e  puri  simboli  della  religione  ufficiale,  Roma  all'op- 
^P05to,che  cominciò  coiressere  solo  un'allegoria  esprimente 
L  ritti  di  Romolo  ed  il  popolo  romano,  terminò  per  avere 
OH  sincero  culto  allorché  prese  origine  la  leggenda  della 
[5ua  eternili  e  de'  suoi  destini  celesti. 

La  trasformazione  di  questi  sentimenti  si  riflette  nella 

ia  più  modi:  ma  in  generale  si  può  dire  che  la  fi- 

?iin  dì  Roma  assume  in  questo  tempo  un  carattere  assai 

più  dignitoso  e  veramente  divino,  sicché  si  raccosia  molto 

più  nelle  vesti  e  nella  maestà  a  Minerva.  Due  sole  cose 

feto  \z  distinguono  da  lei:  l'atteggiamento  fiero  e  superbo 


|/l)  Anche  U  letteratura  però  tratta  in  certo  modo  la  leggenda  dì 
I  asiai  jpcsso.  Livio,  I,  6,  fa  predire  da  Romolo  a  Procolo  i  de- 
della  città;  cosi  Claudiano  (Ioc.  cit.)  e    Sidonio   Apollinarf. 
^lOKg.  ad  Majoriattum);  ViRC,  Aen,,  I,  v.  278;  Servio,  ad  Am.,  fX, 
rlS8;  RuTiLio  Numaziano,  Ithur.,  I,  v.  13}. 


128  2£  'Tarisottì 


ed  volto  ed  il  carattere  autroaale  della  persona.  La  "* 
stingue  ancora  la  foggia  speciale  delTelmo  che  ha  sul  "^' 
oanzi  un  ornamento  sìmiTe  ora  ad  un  diadema,  ora  ad  a-*^*' 
cinta  iì  torri-  Le  vesti  dì  cui  è  coperta  poi  sono  qu  ^^* 
sempre  tunica  talare  e  manto,  e  le  anni  Fasta  pura,  si  sxx- 
bolo  di  divinità,  e  Io  scudo  in  luogo  del  parazonio,  sia^s^" 
lx)Io  di  virtù  militare.  Finalmente  ella  siede  assai  più  spe^-SO 
sopra  un  trono  che  sopra  un  mucchio  di  armi,  coraci^ 
nelle  figure  dei  tempi  precedenti.  Ed  infatti  è  assai  p»*^ 
proprio  per  lei,  div^nura  dea,  un  trono  come  quello  de^" 
altri  numi  di  queI!o  che  una  congerie  di  armi  che  le  si 
addice  meglio  qualido  è  immaginata  come  Roma  erga^^^' 

La  figura  di  Roma  era  dapprima  necessariamente  ^^' 
dente  per  un  significato  tutto  materiale,  non  convenen  *3^ 
che  una  personificazione  di  dttà  fosse  rappresentata  i^ 
altro  modo:  in  seguito  però,  staccandosi  da  questo  sig»::»*' 
ficato  materiale,  prese  atteggiamenti  propri  di  una  p^^^' 
sona,  ed  ora  finalmente  toma  ad  essere  quasi  sempre  ^  ^ 
duta  perchè  questa  posizione  è  propria  di  una  divin  -S-t- 
superiore. 

Potremo  prendere  come  tipo  di  una  tale  rapprese^  ^«^ 
tanza  della  dea  Roma  la  famosa  pittura  Barberinìana.  Ss*-^ 
inutile  ripetere  la  storia  del  ritrovamento  (i)  ^^  *^^^  P^^^"  ^ 
il  battistero  del  Luterano,  circostanza  che  diede  origine  a  *■ 
opirtione  che  appartenesse  al  secolo  iv:  ma  il  Buns -«^^ 
pensa  che  invece  debba  ascriversi  ad  un  tempo  miglici  ^ 
per  le  arti  (2),  e  cosi  anche  il  Winckelmann  (3)  ed 
Preller    (4),    il   quale   non    sembra  lontano    dall'accetta-  ^ 

(i)  Avvenuto  il  7  aprile  16 j 5,  secondo  che  il  Wìckelmann  vfc  ^^ 
in  una  lettera  ms.  del  comm.  del  Pozzo  a  Nicolò  Heinsìo,  ed  anc:^  ^_ 
secondo  ciò  che  è  scritto  sulla  copia  che  ne  fu  mandata  a  Fcr'  ■^-^ 
nando  III. 

(2)  BuNSEN,  Bischreibuugf  III,  11,  456, 

(})  Storia  deìU  arti,  II,  408. 

(4)  Op.  cit.,  II,  357,  n.  j. 


ipolu^ione  del  tipo  di  ^ma  129 


Duhn  che  suppone  h  pittura  fatta  sotto  il 
del  tempio  di  Venere  e  Roma.  É  inutile 
er  parole  a  descriverla,  mt.ntre  basu  solo  dare 
Ile  riproduzioni  che  oc  sono  state  fatte  (i) 
rsi  che  questa  pittura,  benché  più  moderna- 
rata,  se  non  è  del  tempo  costantiniano  è  cer- 
Briore  ad  Adriano  e  perciò  ci  può  servire  per 
•altre  rappresentanze  posteriori  a  queir impe- 
parecchie  statue  presentano  tal  somigliatua 
lo  monumento   Barberiniano  che  non  si  può 
Bconoscere  che  debbano  appartenere  circa  al 
■pò.  Tale  è,  per  esempio,  una  statua  dì  gran- 
K  posta  all'ingresso  della  villa  Medici.  Il  sog- 
oro  à  certamente  la  personificazione  di  Roma: 
di  marmo  grigio,  mentre  le  parti  scoperte  sono 
meo.  Ad  onta  dei  numerosi  restauri,  essendo  di 
)uono,  ne  di.uno  in  fine  una  riproduzione  (2). 
villa  Medici  v'e  un'altra  statua,  ma  di  gran- 
le,  all'estremiti  della  gran  piazza  che  prospetta  il 
D  Zoega  dice  che  questa  è  Vunica  statua  grande 
ìchè  le  altre,  secondo  lui,  sarebbero  invece  Mi- 
Dne  dell'egida  (4).  .Ma  in  primo  luogo  più  di 
resentnnza,  come  quella  citata  di  sopra,  non  ha 
i  tale  ornamento,  esc  sopra  alcuna  esso  si  ritrova, 
i  fare  alcuni  difficoltai.  L'egida  essendo  passata 
le  corazze  degli   imperatori,  poteva   benissimo 
Ito  di  Roma,  e  cosi  è  che  io  crederei  che  il  si- 
to sulla  fontana  di  Campidoglio  sia  venimente 
nentre  quesu  opinione  fu  contrastata  appunto 
eli' egida.  In  secondo  luogo,  se  anche  questo 

^gischt  Zciiung,  anno  i88;,  p.  2),  uv.  4. 

I. 
il  Baltard,  La  villa  Médìcis  à  Rome. 
;  U  I  so- 
r/Al IL  Società  romana  di  Mtoria  patria.  Voi.  XI.  9 


IJO 


C/f.  Tarisotlì 


attributo  di  Minerva  si  trova  sul  petto  di  Roma,  ] 
sempre  le  altre  caratteristiche  che  impediscono  di  se 
una  dea  coirnltrn.  Il  Bunsen  (i),  parlando  della  sta? 
lossale  Ji  villa  Medici,  chi;ìma  inverosimile  la  supposi 
dello  Zocga  (2),  secondo  cui  esso  sarebbe  una  cfl 
quello  del  tempio  di  Adriano.  Ad  ogni  modo  sarebw 
copia  assai  tarda,  ma  la  posizione  stranamente  raggoi 
lata  della  figura  dì  ragione  al  Bunsen.  Piuttosto  pc 
bero  credersi  tali  l'altra  gi:ì  citata  di  villa  Medici  oM 
che  è  sotto  il  portico  in  fondo  al  cortile  del  palaiS 
Conservatori  (3),  o  Taltra  semi-colossale  che  prosptì 
ingresso  del  palazzo  di  villa  Albumi  dalla  parte  inten 
Anche  questa  ha  le  vesti  di  marmo  bigio  ed  il  res^ 
marmo  bianco;  ma  di  queste  pani  solo  ia  testa  se 
antica,  e  forse  neppure  essa  appaniene  alla  statua 
Alle  rappresentanze  di  cui  ci  siamo  or  ora  occupati  ( 
non  hanno  indosso  Tegida,  conviene  contrappome  un 
che  più  non  esiste  in  Roma,  essendo  stata  da  poco  tri 
tata  ad  Arsoli.  Essa  adomava  il  piazzale  delia  villa  AH 
ed  era  creduta  rappresentare  la  Giustizia,  raancandS 
attributi  che  doveva  aver  nelle  mani.  L'insieme  di^ 
figura  però  non  può  lasciar  dubbio  che  ella  non  siafl 
e,  per  ciò  che  poco  più  innanzi  abbiamo  detto,  non 
far  difficolti  a  questa  interpretazione  la  testa  di  Mi 
onde  è  ornata  la  corazza  di  cui  la  dea  è  coperta.  | 
Del  resto,  ciò  che  riferisce  Flaminio' Vacca  xxeìk 
memorie  (6)  non  saprei  se  si  debba  attribuire  a  ques" 
all'altra  statua   colossale  di  villa  Medici:  poiché  que 


(i)  Op.  cìIm  ni.  II,  602. 

(2)  Bassonlin'i,  I,  141  e  sgg. 

(3)  Edita  dal  MoNTAGNANi,  Museo  Capitolino,  tav.  11,25. 

(4)  Qiiantanque   di  lavoro  non   eccellente,  ò  migliore  ( 
colossale  edita  dal  Bahard. 

(5)  V.  tav.  Ili  in  fine. 

(6)  N.  41. 


Epoluiione  del  tipo  di  "T^ofua 


13' 


che  quella  che  fu 


raccoglitore  ci  fa  sap< 
Sulla  piazza  del  Quirinale  fu  comperata  dal  card,  di  Ferrara, 
»  cbf  la  condusse  nel  suo  giardino  pnsso  Monte  Cavallo  )u 
Questo  giardino  fu  poi  espropriato  da  Gregorio  XIII  per 
farvi  quello  annesso  al  palazzo  pontificio,  perciò  questa 
statui  fu  probabilmente  allora  mandata  in  dono  piuttosto 
che  venduta.  Resterebbe  perciò  a  sapere  se  fu  regalata  al 
card.  Medici  ovvero  al  card.  Montalto  che  fu  quegli  che 
ce  fare  il  piazzale  della  villa  alle  Terme  e  vi  fece  erigere 
quel  monumento  (r). 

Le  monete  di  Adriano  ci  dimostrano  ancora  una  volta 
come  non  si  debba  fidare  intieramente  sulle  loro  rappre- 
icntatue.  Il  cambiare  di  un  tipo  è  cosa  di  tanta  importanza 
che  deve  naturalmente  accadere  con  una  certa  difficolti. 
Cosi  è  che  sulle  monete  si  trova  ancora  spesso  Roma  in 
abito  succinto  (2)  ed  inoltre  con  abito  talare,  ma  con  una 
mammella  scoperta  (3),  circostanza  che  ci  fa  subito  inten- 
dere come,  per  trasporure  sulle  monete  l'efEgie  di  Roma 
^uaPcra  data  dall'arte,  le  si  aggiungeva  il  segno  del  petto 
ignudo  che,  richiamando  alla  memoria  Tantico  tipOj  la  ren- 
deva riconoscibile  a  chiunque.  De!  resto  non  mancano  anche 
iBOnete  sulle  quali  Roma  ha  in  tutto  e  per  tutto  la  figura 
sttsa  die  abbiamo  veduto  nelle  statue  di  villa  Albani  e  di 
villa  Medici  (4),  anzi  in  alcuni  casi  ha  anche  un  ramo  di 
'ilivo  tra  le  mani,  siccome  attributo  di  cternitA  (5),  ov- 
l'ero  l'appellativo  di  felix  (6).  Resterebbero  perciò  alcuni 
pochi  tipi   nei  quali  è  figurata  indubbiamente  Roma  con 


(1)  Massimo^  Koti^i  istoriche  dtìla  viììa  Massimo,  In  quel  volume 
anche  edita  la  statua  dì  cui  si  parla. 

(2)  Coiits,  op.  c'it.,  il  Adrian.»,  nn.  79-84,  95,  ecc. 
{\)  Cohen,  t  Mcd.  imp.  Adrian.  »,  nn.  714,  715. 
(4)  Ivi,  nn.  1097,  1106. 

(j)  Ivi,  n,  IJ04. 
(6)  Ivi,  n.  714. 


ì}2  Q/t  Varisoitt 


abito  succinto  (i):  in  due  di  essi  però  si  ca{Hsce  subito  la 
ragione  del  ritomo  airantico  tipo,  giacché  si  celebra  il  ri- 
tomo di  Adriano  cui  Roma  va  a  stringere  la  destra,  e  perd& 
diviene  nuovamente  la  personificazione  della  città  ;  il  terzo 
poi  esce  addirittura  dalle  foraie  consuete,  poiché  in  esso 
Roma  ha  tra  le  mani  il  comò  dell'abbondanza,  attributo 
rarissimo  e  che  allude  in  genere  a  qualche  spedizione  di 
grani.  Né  si  deve  credere  poi  che  la  trasformazione  del  tipo 
sia  cosi  generale  da  non  ammettere  eccezioni:  si  intende 
bene  che  la  varia  mente  dell'artista  od  il  vario  scopo  a  oà 
ser\iva  il  lavoro  poteva  modificare  in  tutto  od  in  parte  la 
figura  stessa  :  cosi,  p.  e.,  il  bassorilievo  che  si  conserva  ndla 
villa  Albani  (2)  è  una  di  tali  eccezioni.  Noi  però  non  cre- 
diamo opportuno  di  diffonderà  a  parlare  di  quel  monumento 
illustrato  già  dallo  Zoega  (3)  e  del  quale  pei  numerosi  restauri 
é  difiìcile  dire  con  sicurezza  qual  parte  sia  certamente  anticu 
Anche  altre  figure  dei  tempi  successivi  ritornano  pure 
al  tipo  antico,  senza  però  perdere  quella  dignità  che  ave- 
vano acquistata  coU'accostarsi  a  Minerva  nella  recente  tra- 
sformazione come  quella  del  musaico  marmoreo  del  principe 
Colonna  edilità  ed  illustrata  del  Tomassetti.  Un'altra  di  queste 
è  effigiata  sopra  una  base  che  si  conser^•a  alla  villa  Pam- 
phili  in  Ronra  (4),  edita  ed  illustrata  dal  Winkelmann  (5) 
e  poi  in  modo  più  preciso  e  sicuro  dal  Kòhler  (6).  Questi, 
oltre  al  riconoscere  una  base  in  luogo  di  un'ara,  ha  poi 
dato  una  giusta    interpretazione  alle  figure  che   vi  sono 
scolpite  secondo  che  sì  poteva  pei  guasti  loro.  L'impera- 
tore Antonino  Pio,   adunque,  togato  e  coronato  d'alloro 

(i)  ConHX,  nn.  yc),  gj. 

(2)   BfNsiA-,  Ilsibr.,  HI,  it,  472. 

(5)  Zorr.A,  Hdssoriìicii,  I.  tav.  51. 

(j)  Blnskv,  op.  cit.,  in,  IH,  652. 

())   Mon.  indi.,  parie  III,  253. 

{6)  Ann.  ihir ht.,  anno  iKój,  p.  ig;;  Mori.  JclVht.,  VI  e  VII, 
tav.  Lxxvi.  i-j,  e  in  modo  alquanto  ditfercnte  dal  Plrgold,  .\/iVì-. 
Qipit.,  1879,  22.  Cf.  anche  Zoega,  App.,  3)). 


Evoluzione  del  tipo  di  T{omà  133 


W: 


*^ggc  colla  sinistra  una  specie  di  scettro  che  termina 
<^n  una  piccola   mezza  figura  che   il  Bunsen   crede   un 
penate.  Alla  sinistra    dell' imperatore   la    figura   di  Roma 
Wpprcsentaia    con    abito    succinto,    coli'  elmo    in    capo, 
Colla  metii  del  petto  scoperta  e  cogli  alti  suoi  calzari  ai 
»nii.  Appresso  a  lei  un'altra  figura  muliebre  che  il  Win- 
clraann  e  il  Kòhler  sono  pure  concordi  nel  credere  furio 
Lìnuvirta  a  cagione  della  pelle  di  capra  che  le  ricopre  le 
spalle,  dello  scudo   che  ha  nella  sinistra  e,  come  dice  il 
K  ';ler,   «di  una  certa  rigidezza  arcaica   neir  attitudine  ». 
Diir altra  parte  di  Antonino  segue  Marte  colla  lancia  nella 
^nistro,  il  parazonio  nella  destra,   la  clamide  e  lo   scudo 
poggiato  in  terra  :  dopo  Mane,  Venere  (forse  Fentis  gcni- 
inx)  col  diadema  in  capo  e  Tasta  nella  sini.strn  (i).  Dal- 
J*altro  lato  di  Venere  è  una  Vittoria  colla  palma  nella  mano 
ed  appresso  uno  spazio  vuoto,  poi  una  figura  virile  im- 
berbe, poi  anche  un'altra  di  cui  sono  rimasti  appena  i  con- 
torni e  poi  ancora  un  personaggio   togato.  Nello  spazio 
^lioto,  le  traccie  rimastevi  essendo  troppo   basse  per    un 
uomo,  si  suppone  che  vi  fosse  scolpito  un  trofeo  :  le  altre 
persone,  poco  riconoscibili,  specialmente  quella  di  mezzo, 
*oao  probabilmente  appartenenti  alla  famiglia  di  Antonino 
ot  M.  Aurelio,  L.  Vero  e  Commodo.  Ora  se  noi  ripen- 
^^mo  l'insieme  di  questa   composizione,  non  crederemo 
^rio  che  la  figura  di  Roma  abbia  perduto  di  dignitA  as- 
sumendo qui  il  suo   antico  costume  amazzonico,  essendo 
'nri  ella  nobilitata  dal  trovarsi   in  unione  colle  maggiori 
«li^'initi  dell'Olimpo.    Dirò  di  più   che  e  naturale  che  in 
«JLJcsto  rilievo  ella  abbia  ripreso  il  suo  tipo  primitivo,  poiché 
Jt-mdo  insieme  con  altre  effigie  di  numi  era  necessario  che 
liaro  segno  la  distinguesse.  Cosi  nell'altro  rilievo  che 
aio  di  accennato  della  villa  Albani  nulLi  toglie  alla 


e> 


t(t)  WiKKEUiAKN,  Moti,  tncd,  I,  J7,  parlando  di  Venere  celeste 
che  aveva  per  suo  attributo  Vasta  e  che  perciò  era  detta  "'E-yx"»;- 


U4 


q4.  'Tarisotti 


maestà  della  figura  la  veste,  essendo  ella  assisa  presso  uo 
tempio,  evidentemente  eretto  in  suo  onore  e  che,  sebbene 
sia  assai  restaurato,  pure  è  indicato  da  un  avanzo  di  co- 
lonna che  è  antico. 

Lascio  ora  da  parte  un  altro  bassorilievo  di  villa  Albani, 
rappresentante  un  congiario  di  Antonino  Pio  (i),  perchè 
in  esso  la  figura  che  dicesi  di  Roma  e  espressa  in  tal  guisa 
da  rendere  assai  poco  probabile  quella  interpretazione.  Esu 
non  ha  elmo  in  capo  e  sta  nell'atto  di  togliersi  il  balteo, 
circostanza  che,  secondo  il  Blessig  (2),  alluderebbero  alJa 
pace  di  cui  godette  lo  Stato  romano  sotto  T  impero  di 
Antonino;  ma  noi  abbiamo  veduto  che  Roma,  anche  pa- 
cificamente rappresentata  cogli  ulivi,  colle  palme  e  colla 
cornucopia,  non  depone  mai  TeLmetto  che  è  la  sua  caratte- 
ristica principale. 

Ci  resta  perciò  da  esaminare  l'apoteosi  di  Antonino  scol- 
pita nella  base  della  colonna  a  lui  innalzata  da  M.  Aurelio, 
bassorilievo  che  si  conserva  nel  giardino  della  Pigna 
al  Vaticano  (3).  Antonino  e  Faustina  sono  portati  in 
cielo  da  un  genio,  forse  delTetemit.^,  che  ha  nella  si- 
nistra il  globo  su  cui  è  scolpito  !o  zodiaco.  In  basso  a 
sinistra  v*è  una  figura  seminuda  che.il  Visconti  assai  ra- 
gionevolmente crede  il  genio  del  Campo  Marzio  poiché  è 
caratterizzato  dall'obelisco  per  rammentare  «  il  luogo  dove 
si  fecero  le  esequie  dell'  imperatore  ».  A  destra  poi  anche 
in  basso  Roma  quasi  giacente  poggia  i  piedi  sopra  armi  di 
v.irio  genere  ed  è  vestita  precisamente  come  abbiamo  ve- 
duto sopra  qualche  moneta  di  Adriano,  cioè  coH'abito  ta- 
lare, ma  colla  metà  del  petto  ignuda. 

Questa  foggia  di  rappresentanza  è,  come  abbiamo  accen- 
nato, una  specie  di  conciliazione  tra  la  vecchia  e  la  nuova 


(l)  Blessig,  Ann.  àtlVhU,  1844,  p.  1 1  >  ;  Mon,  tUll'hi.,  IV,  tav.  iv. 
(3)  Ann.diiniU,  i8^4,  p,   155;  Mon.  iUìVht.,  IV,  iv. 
(j)  Visconti,  Musto  Pio  CUment'mo,  V,  uv.  29. 


Tnjione  del  tipo  di  'I^ma 


«35 


sulle  iDoncrte  di  Antonino  Pio  Roma  (i) 
lunga  veste  e  qualche  volu  ha  persino  tra 
^aiiio,  cioè  il  sacro  segno  della  cittì  (2).  Cosi 
tclle  di  Commodo,  il  quale  forse,  per  la  sua 
della  Roma  commodiana,  ebbe  una  prcdilc- 
f  per  la  personiiicazionc  di  lei  (3).  In  alcuni 
peratore  unisce  sempre  più  la  propria  pervonn 
tna,  ora  facendosi  da  essa  consegnare  il  globo, 
|do  il  tipo  adrianeo  dcìV advcnius  Augusti,  nel 
Sringe  la  mano  dell*  imperatore,  ora  poi  allu- 
pL  prosperiti  annonaria  che  non  sembra  però 
grande  sotto  il  suo  impero.  Infatti  le  monete 
^  pongono  spesso  tra  le  mani  di  Roma  un 
rizie,  ciò  che  farebbe  credere  a  grandi  opere 
principe  pel  benessere  della  città,  mentre  Lam- 
solo  che  «  classem  africanam  instituit  quae 
t  si  forte  Alexandriac  frumcnta  cessasscnt». 
ne  rappresentanza  che  ci  mostra  di  nuovo 
ito  di  amazzone  e  quella  che  figura  sul  basso- 
trova  ora  al  palazzo  de'  Conservatori,  e  che 
i  decorava  Parco  di  M.  Aurelio,  demolito  da 
II  nel  1662  (5).  Senza  diffondermi  a  parlare 
Ila  composizione  di  questo  rilievo  abbastanza 
iioterò  solo  che  anche  qui  assai  opportunamente 
Koma  riprende  il  tipo  antico.  Infatti,  secondo 


n.  1029. 

«Am.  >,  n.  954. 
i  «  Commodo  »,  n.  857.  Roma  seduta  a  d.  con  asta  e 
ice  incontro,  seduta  con  ramo  dì  ulivo  e  corno  d*abbon- 
EKO  un  tripode  su  coi  Commodu  sacrifìca  velato  in  piedi 

lui  due  giovani  dì  cui  uno  suona  la  doppia  tibia.  Vedi 
-j62.  Roma  scd-  a  s.  su  corazza  con  scudo  ACCAnto 
Ila  cornucopia  e  colla  d.  dì  un  globo  a  Commodo  stante 
Etorìa;  al  secondo  piano  Felicità  stante  a  s.  con  caduceo, 
lus,  XVII. 
jircbi  trionfali,  tav.  xlix;  Bartoli,  Admir.,  tav.  6. 


136 


q4,  "Pansottt 


quel  che  dice  il  Banoli,  Tarco  fii  innalzato  quando,  per  la 
morte  di  L.  Vero,  M.  Aurelio  restò  solo  a  governare  T im- 
pero: e  però  in  quelli  scultura  è  il  popolo  romano  che 
consegna  a  lui  il  globo  (i). 

Dall'altra  parte  al  concetto,  non  di  un'azione  fatta  dal 
popolo  o  dal  Senato,  ma  di  un'onoranza  resa  alla  dea, 
conisponde  opportunamente  il  tipo  di  diviniti,  come  ve- 
diamo sopra  alcuni  medaglioni  clipeati  di  L.  Vero  (2)  sui 
quali  a  Roma,  assisa  e  vestita  di  tunica  talare,  l'imperatore, 
che  rappresenta  il  popolo  ed  il  Senato,  offre,  standole  in 
piedi  dinanzi,  un  ramo,  mentre  a  tergo  della  dea  è  una 
Vittoria  in  atto  di  coronarla.  Da  notare  è  pure  che  l' im- 
peratore in  piedi  ò  appena  alto  quanto  Roma  sedente,  ciò 
che  potrebbe  essere  l'espressione  della  dignità  di  lei  signi- 
ficata, secondo  il  costume,  dalla  sproporzione  di  altezza. 

Un  tal  genere  di  rappresentanze,  che  piacquero  tanto 
agli  Antonini,  si  riscontrano  ancora  sotto  Severo  e  Cara- 
calla:  ma  per  la  decadenza  dell'arte,  che  già  si  fa  sentire 
abbastanza  forte,  o  perche  si  and;isse  perdendo  quel  certo 
gusto  antico  che  con  ogni  figura  esprime  un'  idea,  la  rap- 
presentanza di  Roma  diviene  confusa  ed  incerta  e  prepara 
in  ceno  modo  la  strada  a  quella  del  tempo  Costantiniano. 
Sull'arco  di  Settimio  Severo  ella  e  effigiata  una  volta  nella 
chiave  (3)  con  conizza  ed  chno  alato,  strano  ritorno  a 
quelle  antiche  teste  repubblicane,  ed  un'altra  volta  nel  grande 
bassorilievo  che  rappresenta  la  pompa  trionfale  (4).  In 
questo  siede  ella  col  globo  nella  mano  sinistra  ed  a  lei  sono 
condotti  tutti   gli  schiavi  barbari  che  le  si  inginocchiano 

(()  Altri  bassorilievi  dì  archi  trìonfali,  che  sono  .il  cortile  di  BcU 
vedere,  ripetono  il  solito  concetto  di  Roma  che  conduce  il  curo 
del  trionratore.  V.  Buksen,  Bàschr.,  II,  154. 

(2)  Boll,  dilla  Com.  arch.  muu,,  1877.  p.  79,  tavv.  vi-vu;  Cohen,  III, 
14,  n.  92. 

(j)  Rossini,  op.  cit,  tav.  lvi. 

(4)   Ivi,  LV. 


Iplichevoli,  Orbene,  in  altri  tempi  dell'ine  h 
i>ma  non  3\Tebbe  mancato  di  avere  qui  aspetto 
ivecc  ella  ha  la  cona  tunica  ed  il  seno  scoperto; 
Jenza  artistica  andava  sempre  più  galoppando  e 
grandezza  di  Roma  continua  ancora  ad  accre- 
■on  sono  più  le  sue  figure  che  ce  la  esprimono, 
f  i  titoli  che  le  si  d;\nno. 

veduto  la  %i  Puijìt^  dei  templi  augustci  e 
vicfrix  di  Galba  e  Vespasi.ino  e  poi  la  acterna 
Adriano  ed  i  titoli  votivi  in  cui  ella  è  posta 
massime  diviniti,  come  riscrizione  di  Locri  (i  ): 
'.  His  deabiisqui  immortalìbtts  et  Romat  adcrnae. 
itcva  \-enir  fuori  che  un  appellativo  spiccau- 
lo  e  cosi  avvenne:  VUrbs  sacra  Au^ustorum  no- 
compi  la  serie  dei  titoli  dati  a  Roma  e  ne  portò 
l'apoteosi.  Questo  nome  di  sacra  dato  alla  citti 
rincipio  di  tutti  quei  titoli  che  ebbero  origine 
tano,  quando  la  Conc  prese  un  carattere  cosi 
tutto  ciò  che  aveva  attinenza  coli' imperatore 
Ma  la  citti  aveva  giA  da  molto  tempo  rice- 
onore,  e  certo  se  ancora  l'espressione  figurata 
fosse  stata  naturale  o  possibile,  non  sarebbe 
ta  forma,  la  quale  avesse  fissato  sulla  rappresen- 
mia  questa  parola  di  sacra,  che  conteneva  in  sé 
'  della  diviniti  e  della  fatale  eterniti  (3).  Ma  in 

SEV,  /.  .V.,n.  8. 

iHa  Com.  arch.  mun.,  iB8a,  p.  4^* 

bncte  di  Severo  e  CaricalU  (Cohen,  «  Severo  »,  nn.  605, 

col  Palladio  n,n.  61  j.  a  Caracalla  »  nn.  i-V^-Si^-  ^oma 

Palladio,  n.  554)  portano  la  efiigie  di  Roma  colla  Icg 

tiori  Urhh,  che  non  è  vana  milKinteria,  ma  una  lode  che 

ic  unto  a  Severo  che  a  Caracalla,  secondo  quel  che  dice 

iScv.  »,  25)chc  V  Romaeomnesacdes  publicaequaevitio 

labebantur  instauravii,  nusquam  prope  suo  nomine  ad- 

vatis  tamen  ubiquc  lituUs  conditorura  ».  Nella  serie  delle 

egli  altri  imperatori  merita  solo  di  essere  menzionata  una 


ijS 


041  Tarìsolti 


tutto  quel  tempo  che  corre  appunto  da  Severo  a  Dicci' 
ziano  rabbassarsi  dello  spìrito  dclb  romanità,  il  sentimento  j 
della  propria  decadenza,  anestato  anche  dagli  scrittori  ^^1 
dove  raccontano  che  nel  circo  spesso  si  levava  un  laraerit*^ 
senza  alcuna  ragione,  preparavano  la  società  alle  nuo**^^ 
condizioni  che  dovevano  sorgere  in  seguito  al  grande  f*' 
volgimento  costantiniano  (i).  H 

Possiamo  adunque  concludere  in  generale,  riassumcnJ^^ 
quello  che  è  stato  detto  in  questo  capitolo,  che  la  persone^ 
ficazione  di  Roma,  quando  assume  la  forma  di  diviniti,  hi^ 
tutti  quei  caratteri  che  esprimono  un  tal  grado  maestoso, 
cioè  l'abito  talare,  Tasta  pura  o  qualche  volta  persino  l'egida; 
quando  poi  è  rappresentata  in  azione,  torna  ad  essere  ve- | 
stila  da  amazzone;  ma  in  alcuni  casi  questa  foggia  di  ve- 
stire non  toglie  nulla  all:i  dignitA  della  figura,  la  quale  invece 
è  nobilitata  dal  resto  della  composizione  o  da  qualche  altra 
circostanza. 


§  4.  —  Da  Costantino  alla  caduta  dell'impero. 

L'editto  di  Milano  fu  il  segno  della  caduta  dello  splene] 
dido  edificio  del  paganesimo  già  da  gran  tempo  preparata  : 
con  esso  rovinò  ancora  il  sentimento  classico  che  era  in- 
tieramente fondato  su  quello.  Inflitti,  quando  nel  rinasci- 
mento lo  studio  dcITantichità  portò  l'entusiasmo  pel  clas- 
sicismo, si  ritornò  per  quanto  fu  possibile  al  paganesimo. 
AI   tempo  di  Costantino   adunque   la   societA  fu  mutata 


dì  Giulio  Filippo,  il  quale,  nell'occasione  del  millenario  di  Roma,  resti- 
tuisce acconciamente  il  tipo  eia  leggenda  di  Rcmat  atternac  (Cohen, 
«Filippo  »,  n.  164,  e  la  Lupa  con  Romolo  e  Remo,  n.  177.  Satcu' 
larts  Aug^i*.),  Degli  altri  imperatori  bastcr;^  dire  che  sì  trova  sulle  loro 
naonetcRoma  rappresentata  frequentemente  secondo  il  tipo  adriaceo 
e  qualche  volta  secondo  il  itpo  antico,  sebbene  un  po'  contrafatta 
(Y.  Cohen,  agli  imperatori  dopo  Giulio  Filippo). 

(1)  PiELLER,  op.  cit.,  pane  II,  p.  )58e  Dione  C.vssio»  LXXII,  15. 


j   Et'OÌu-{ìone  d^l  tipo  di  Q^oma 


J39 


e  si  cominciò  a  prepararne  una  nuova  che 
poi  e  rimescoiau  dai  barbari,  doveva  essere 
la  societi  medioevale.  È  per  questa  condizione 
^  se  l'arte  continuò,  nell'ultimo  secolo  dello  im- 

Eprimcre  idee  antiche,  usurpò  bensì  forme  clas- 
en^a  alcun  significato  e  scnn  alcuna  corrispon- 
fcsse  e  lo  spirito  si  dell'artista  e  si  del  popolo.  Da 
irigine  necessariamente    un   simbolismo  affatto 
pie  per  indicare  il  significato  allegorico  di  una 
Inza  :  Tane  cioè  divenne  una  specie  di  linguaggio 
che  per  mezzo  di  segni  rappresentò  e  caratte- 
re idee.  Questo  stesso  fatto  avvenne,  come  era 
nchc  alla  figura  di  Roma,  e  se  per  T  innanzi  la 
Jel  tempo  di  Augusto  o  l.i  Roma  aftcrna  di  Adriano 
evano,  oltreché  dai  simboli,  anche  dall*  insieme 
pa  e  dall'atteggiamento,  allora  essa  divenne  né 
IO  che  una  figura  di  donna  coll'abito  e  con  tutto 
prio  degli  ultimi  tempi  imperiali,  caraaerizzaio 
gni  fissi,  i  quali,  se  per  avventura  mancano,  è 
le  riconoscere  Roma  invece  di  un'altra  figura. 
a%-iglia   adunque  se,   mentre  negli  ultimi  secoli 
di  Roma  continua  sempre,  anzi  per  la  deca- 
ca e  per  le  tendenze  mistiche,  resta  sempre  più 
le  cose  terrene,  le  rappresentanze  abbiano  poca 
n  essa.  Non  tenendo  conto  adunque  di  quella 
conserva  al  Palatino,  illustrata  dalI'Helbig  (i), 
la  figura  di  Roma,  più  delle  altre  guasta,  è  poco 
e.  Tunica  figura  di  qualche  importanza  si  è  quella 
la  chiave  grande  dell'arco  di  Costantino  (2). 
agine  che  più  di  un'altra  volta  abbiamo  trovato 
ento  degli  archi,  è  qui  effigiata  col  tipo  più 


ài.  àcs  Mùnchin  Akad.,    1880,  p.   495,  ed  edito  JatU 

R68,  tav.  tv. 

AX,  op.  cit .  tav.  Lxx. 


140  Of.  Varisotti 


tardo,  cioè  collo  scettro  e  col  globo,  in  abito  talare  e  se- 
dente, posizione  poco  adatta  per  essere  la  figura  posta  sulla 
chiave  di  un  arco.  Questa  rappresentanza  perciò  segue  in- 
teramente il  tipo  derivante  dalla  Roma  aeiema  e  niente  altro 
la  pone  in  relazione  con  Costantino  ali*  infuori  dell'essere 
sopra  un  monumento  a  lui  dedicato. 

Ma  i  due  grandi  avvenimenti  dell'editto  del  321  e  della 
traslazione  della  sede  sono  il  tratto  caraneristico  del  tempo: 
la  figura  di  Roma  perciò,  priva  quasi  di  significato  finche 
non  ha  relazione  eoa  quei  due  fatti,  diviene  una  completa 
sintesi  storica  di  quel  periodo  quando  con  essi  si  collega  (i). 
Ma  sì  per  la  decadenza  dell'one  e  si  perchè  ambedue  gli 
avvenimenti  hanno  carattere  ufficiale,  converrà  cacarne  il 
riscontro  sulle  monete.  Sulle  monete  il  Costantino  si  tro- 
vano bensì  emblemi  reliii^iosi,  ma  anche  impronte  affatto 
paghine  e  la  figura  di  Roma  costantemente  con  aspetto  pa- 
gano (2).  La  ragione  di  co  è  abbastanza  chiara.  Primiera- 
mence  i!  ricono>c:menco  della  religtone  crtsrlona  era  troppo 
recente  per  ro:er  d'un  tratto  trasrbrmore  una  diviniti  pa- 
gana in  una  tìgura  cri^rona,  roato  più  essendo  l'idea  di 
Rv^nta  an^vra  a.v^ai  5rr<::tamente  co"e^a:a  colle  antiche  cre- 
denre:  >cvoniir:a:njn:ero:,  esibendo  i,  rontence,  cioè  il  rap- 
pr<^><:n:i-':e  iel'a  religione  cristiano,  -^-^.i  ielle  cagioni  che 
spìnsero  Cost-wn::no  a  rarrìre  ca  '^on:i  ?or  non  trovarsi  di 
trv^n^i"  .lù  una  aurortà  che  non  s:  poteva  sapere  nn  dove 
sarebbe  gu**:.i,  non  iovcvji  :"ar  ruer^  a"/  ìntperatcre  stesso 
i:  :ne::ere  n  Tv.a.-.onc  ìnvlnu  rrz  loro  l\.^niieglì  emblemi 
ctìsc'j:".  .  00-:  cn.:  s:  sareMx-  poru:o  c*viere  che  non  solo  di 
t'a::o.  nn.;  c"o  -:vhc  -ci  i:r::o  Sonni  :o>^  ihoonionata  a! 

:\>V:\0  V\  :\'.  :\:  V  VV:S  ,'v  :    <-  :     •,  >  -;  <:x-  i^;-^:eioro 


Evolu:;ione  del  tipo  di  ^oma 


141 


^nicfice.  Tra  i  suoi  successori  però  il  primo  che  dia  em- 
folcnii  religiosi  alla  personificazione  di  RotnacNepoziano(i) 
^  Anche  questo  è  abb.Jstanza  naturale.  I  figli  di  Costantino 
seguono  1j  politica  paterna,  ma  Nepoziano,  il  cui  brevissimo 
ttnpcro  non  fii  che  una  Iona  conao  Magnenzio,  si  servi  di 
jdla  trasformazione  del  tipo  per  metterla  in  rappono  colla 
proprin  causa.  Mngncnzio  infatti  era  consideralo  come  ribelle, 
Jcntre  il  suo  competitore  si  rannodava  nlln  famiglia  di  Co- 
lmino. Quello  sosteneva  in  certo  modo  il  paganesimo, 
icchè  le  sue  monete  hanno  impronte  pagane  (2),  Nepo- 
iano  invece,  appunto  perchè  nipote  di  Costantino,  pur  con- 
ipporsi  all'altro  si  presenta  come  campione  del  cristiane- 
Do:  finalmente  la  lotta  non  ebbe  altro  scopo  che  il  possesso 
ìt  Roma,  perciò  mentre  l'uno  mostrava  in  suo  dominio  la 
Roma  pagana,  Taltro  la  ostentava  sua  e  cristiana,  ponendole 
ia  mano  il  globo  sormontato  dalla  croce. 

Tri  i  successori,  più  tardi  però,  la  rappresentanza  va 
livcntando   poco  a  poco  assai   più  comune  e  le    monete 
di  Vilcnte  (3),  V'alcntiniano  II  (4),  Teodosio  (5),  \'alenti- 
niano  III  (e?)  e  ^Massimo  (7)  mostrano  Roma  figurata  come 
una  matrona  con  tutti  gli  ornamenti  propri  del  tempo  e  col 
solo  cimo  che  resta  degli  antichi  emblemi  militari,  e  che 
sorregge  tra  le  mani  ora  il  labaro,  ora  uno  scudo  sormon- 
tato dal  monogramma  ^,  ora  il  globo  sormontato  dallo 
stesso  monogramma  ed  ora  finalmente,  benché  ella  sorregga 
3  «mplice  globo,  il  segno  y^  è  posto  nel  campo  della  mo- 
neta. Questi  cambiamenti  del  tipo  ci  pongono  d'un  tratto 


i 


(0  Cohen,  VI,  522.  n.  i. 

i^'  Ivi,  J24,  n.  41,  e  sulle  sue  medaglie  spesso  il  labaro  e  senza 


(})  CouEV,  VI,  415.  n.  24. 

U)  Ivi,  446,  o.  5>,  e  VÌI,  405  aJdiz. 

(5)  EcKHEL,  Catalogo,  n.  65. 

(^)  Cohen,  VI,  503,  nn.  j,  4,  e  506,  n.  aa. 

(7)H467,  n.  13- 


«^ 


142 


C^.  ^Parisotti 


in  mezzo  al  cristianesimo  già  potente,  non  solo,  ma  ancora 
in  mezzo  alle  leggende  che  dal  cristianesimo  sorsero  rela- 
tive a  Roma.  Infatti,  come  noi  abbiamo  considerato  la  Roma 
di  Adriano  siccome  espressione  deirindistruitibilitA  della  ca- 
pitale deir  impero,  cosi  questa  che  sul  globo  ha  posto  la. 
croce  si  collega  assai  bene  con  un'altra  leggenda  che  corre 
parallelamente  alla  prima  per  tutto  il  medio  evo  e  giunge 
anzi  colla  sua  influenza  fino  ai  tempi  moderni,  la  quale  fa 
di  Roma  il  necessario  centro  della  cristianità.  Dante  (i)  e 
molti  altri  scrittori  di  tutta  l'etA  media  accennano  frequen- 
tissimamente all'essere  la  cittA  di  Romolo  predestinata  a 
dominare  il  mondo  perchè  poi  fosse  degna  sede  del  cristia- 
nesimo. Ma  se  con  questo  fatto  religioso  si  avvantaggiavi 
ride.ilità  di  Roma,  coiraltro  di  natura  schiettamente  politica 
la  cittA  vera  e  materiale  andava  totalmente  in  ruina:  ed  il 
non  trovar  traccia  nelle  rappresentanze  di  questa  decadenza 
ci  dimostra  che  si  figurava  non  la  Roma  materiale,  ma  la 
ideale.  Accanto  ad  essa  però,  e  di  un  tratto  fatta  nobile  quanto 
cìuella,  sorse  un'altra  figura,  quella  di  Costantinopoli.  Troppo 
dovremmo  allontanarci  dal  tema  se  volessimo  parlare  mi- 
nutamente di  questa  nuova  rappresentanza;  ma  noi  ci  limi- 
teremo a  notare  le  differenze  che  distinguono  dall'antica  la 
nuova  Roma.  Questa  ha  il  capo  coperto  spesso  da  una  cinti 
di  torri,  ovvero  qualche  volta  da  un  elmo,  cinto  però  sempre 
di  torri:  la  lunga  tunica  ed  il  manto,  i  monili  e  gli  adorna- 
menti come  Taltra  e  finalmente  ha  quasi  sempre  sotto  i  piedi 
una  prora  di  nave  (2).  Questo  simbolo  che  abbiamo  veduto 


\^)  La  quale  e  '1  quale  a  voler,  dir  lo  vero, 

Fur  itibiUti  per  to  loco  unto 
U'  siede  il  >acces»or  del  maggior  Piero. 

(/«/..    e.    II.    31). 

Cf.  anche  Santa  Caterina  Ja  Siena,  che,  scrivendo  ad  Urbano  \\ 
perchò  tomi  in  Roma,  dice:  «  qui  è  il  capo  e  il  princìpio  della  nostra 
fede  ».  V.  Ictt.  XXII,  capo  ii. 

(a)  Cohen,  VI,  «  Med.  imp.  «,  175,  n.  i;  176,  n.  6. 


[Es^olu^ione  del  tipo  di  ^^oma 


'43 


a  una  moneta  repubblicana  era  un  segno  affano 
la  figura  e  che  non  aveva  relazione  se  non  con 
to  accidentale  a  cui  si  voleva  alludere. 
i  personitìcazione  di  Costantinopoli  invece  la 
e  è  quisi  una  parte  integrale  e  non  può  avere 
Ito  che  quello  di  dimostrare  la  postura  delia  cìni 
mare  e  regina  di  esso.  Tali  sono  le  caraiteri- 
tapprcienunza  di  Costantinopoli;  ma  del  resto 
t  due  Rome  non  sono  quasi  nui  separate  Tuna 
fc  spesso  siedono  ai  lati  di  uno  scudo  su  cui 
ì  vicennali  dell'imperatore  (i).  Qualche  volta 
lue  si  aggiungono  le  personificazioni  delle  altre 
jpoli  dell'  impero,  cioè  Alessandria  ed  Antiochia, 
atto  su  quei  pomi  di  una  lettiga  ritrovati  al- 
lei 1793  (2),  nei  quali  Roma  è  caratterizzata  dal- 
ido,  Costantinopoli  dalla  cornucopia,  altro  sim- 
be  nei  medaglioni  (3)  e  dalla  patera  ed  in  quella 
i  di  nave  insieme  alle  frutta  e  spiche  sono  pas- 
sare Alessandria,  mentre  Antiochia  ha  la  sua 
Iti  medaglioni  (4)  e  delle  statue  (j)  coH'Oronie 
I  È  da  notare  che  di  queste  quattro  personifi- 
le  due  Rome  hanno  Telmo  in  capo,  mentre  le 
IO  turrite;  la  qual  differenza  abbiamo  gii  osser- 
Osiante  per  distinguere  Roma  dalle  altre  cittd; 
(o  però,  trovandosi  le  due  capitali  a  riscontro 
a  ed  Antiochia,  prendono  come  simbolo  co- 
>  U  quale  non  sarebbe  in  giusta  regola  proprio 
Roma.  Il  Visconti  inoltre  nel  luogo  istesso  fa 

1^  VI,  2$r,  n.  39,  e  ayq,  n.  54,  ed  altrove  spesso,  ovvero 

Iggono  uno  scudo  col  ^  (Ivi,  41),  n.  24). 

TI,  0  Lifttera  sopra  un'antica  argenterìa  s,  Optre  varù, 

,  V,  176.  n.  6. 

,  36$.  n,  54. 

PiV)  CUftì.,  Ili,  tjv.  XLVi 


144 


C/f.  Tarisotti 


importanti  osservazioni  sull'uso  delle  immagini  delle 
dell'impero  e  nota  come  queste  figure  facessero  parte  in 
certa  maniera  delle  decorazioni  ed  insegne  di  coloro  che 
esercitavano  le  primarie  magistrature  e  cita  ancora  le  mi- 
niature aggiunte  ai  codici  della  Notitia  digriitatum  la  tavola 
Peuringeriana  con  Roma,  Costantinopoli  ed  Antiochia  (i) 
simili  alle  già  esposte  ed  un  altro  manoscritto  che  conte- 
neva lo  stesso  calendario  del  codice  Vindobonense,  ma  con 
maggior  numero  di  miniature,  tra  cui  le  imra.igini  di  Roma, 
Costantinopoli,  Alessandria  e  Treveri.  Ma  importanza  assai 
maggiore  hanno  per  noi  le  figure  dei  dittici  consolari,  l 
quali,  quantunque  posteriori  alla  caduta  dell'impero,  pos- 
sono servire  di  congiunzione  tra  lo  studio   presente  ed  un 
altro  che  se  ne  potrebbe  fare  sulle  rappresentanze  di  Roma 
nel  medio  evo. 

Né  sarA  meraviglia  che  da  Costantino  siamo  subito  pas- 
sati alla  caduta  dell'impero,  poiché  bas*a  guardare  le  mo- 
nete di  Teodosio  (2),  di  Arcadie  (3)  e  di  Onorio  (4),  per 
persuadersi  che  nessuna  variazione  importante  era  avvenuta! 
nel  tipo. 

Poche  osserv:i2Ìoni  adunque  faremo  sulle  figure  dei  dit- 
tici consolari,  essendoci  impossibile,  senza  uscire  dai  limitij 
fare  uno  studio  completo  su  di  essi. 

Le  figure  di  Roma  e  Costantinopoli  su  questo  genere 
di  monumenti  non  sono  che  accessori,  poiché,  general 
mente  parlando,  stanno  ai  lati  del  console  insignito  de 
distintivi  della  sua  dignità,  cioè  subarmellare  tunica  pai 
mata,  to^;a  pietà  e  trabca,  e  colla  mappa  circense  tra  h 
mani.  Infatti  al  dare  il  segno  nei  giuochi  o  poco  più  s 
erano  ridotte  le  attribuzioni  dei  consoli.  Le  figure  delll 
due    cittA  non  istavano  più    sedenti,  ma  in  piedi,  e  Co 

(i)  Desjardins,  Tahh  <ic  Pe-utinger. 
(2)  Cohen,  VI,  «  Teodosio  ». 
(5)  Sabatier,  Monete  bizantine 
(4)  Cohen,  VI,  «  Onorio  j». 


stesse,  a  nserva 
Costantinopoli, 

E  or  numero  di   quelle   sporgenze  che  danno 
esso  l'apparenza  di  un  diadema.   Del  rima- 
edue  le  figure  lunghe  sono  le  vesti  sino  ai 
e  di  palme  e  ricami  :  il  petto  ornato  di  bulle 
ì  capelli   e  le   orecchie  ed  il  collo  di  ogni 
li.  In  tanca  confusione  di  simboli  gli  artisti 
alle  amiche  figure  di  Roma  per  far  si  che 
lesse  dalla  nuova,  e  pur  mantenendo  il  pom- 
;  scolpirono  la  parte  supcriore  di  esso,  come 
su  a  bella  posta   per  lasciare  scoperta  una 
Irtificio,  se  si  vuole,  poco  bello,  ma  decisivo 
pe  una  figura  dall'altra. 

atre  nelle  antiche  figure  amazzoniche  il  petto 

{a  una  parte  scopeno  perchè  la  tunica  non  è 

[i  di   una   spalla,  la  quale   perciò  resta  anche 

este  la  spalla  è   copcru  e  l'abito  sollevato 

all'altezza  della    mammella.    Non  è  a  dire 

uesta  circostanza  sia  ripugnante  colla  pom- 

le  goffe  immagini. 

ì  dei  dittici  illustrati  dal  Gori,  e  precisamente 

museo  Riccardiano  di   Firenze  (2),  merita 

l'attenzione  più  in  particolare  per  la  inesat- 

sembra  riscontrare  nelle  osservazioni  del  ci- 

ft  diviso  in  due  parti  :  a  sinistra  di  chi  guarda 
muliebre  stante  con  galea  ornata  di  grande 

prona,  di  alloro:  è  vestita  di  abito  che  dalla 

I 

ìittich    n,   uv.   20;    uv.   17,    18  e  tav.  2;  I,  tav.  ix; 
fiiki  Eìj€nbeinlafiln,  20;  Meyer,   in  fine,  n.   18;  Boll. 


Httìci,  II,  177,  HI. 
I  A,  Società  romana  di  ttoria  pàtria.  Voi.  XI.  10 


146 


qA.  Tarisotii 


vita  le  scende  ai  piedi,  e  di  una  pìccola  clamide  affibbiata 
da  una  borchia  con  due  utnones  sulla  spalla  destra  e  sol* 
levata  da  un  lato  per  lasciare  ignuda  la  mammella.  Ha 
nella  mano  destra  uno  scettro  terminante  in  due  pigne  < 
coll'altra  sorregge  un  lembo  della  clamide  sul  quale  poggi; 
il  globo  sormontato  dalla  Vittoria  con  ramo  e  corona 
L'altra  figura  alla  destra  di  chi  riguarda  è  turrita,  ha  ui 
collare  al  collo  e  bulle  ed  uttiouest  un  lungo  abito  dnU 
sotto  il  petto  da  uno  strofio  da  cui  pendono  pure  gioidl 
ed  una  veste  talare.  Nella  mano  sinistra  regge  un  piccoh 
scettro  e  nella  destra  il  corno  dell'abbondanza:  sulla  spali 
sinistra  poi  dì  questa  figura  è  un  amorino. 

L'opinione  del  Gori  su  questo  dittico  è  che  esso  sii 
stato  fatto  in  occasione  del  natale  di  Costantinopoli,  e  ci^ 
non  so  con  qual  fondamento;  ma  quel  che  è  peggio 
è  che  egli  chiama  Costantinopoli  la  prima  delle  due  figun 
da  noi  descritte  e  Roma  la  seconda,  dicendo  che,  sebbeni 
il  segno  della  mammella  ignuda  sia  proprio  dì  Roma,  tui 
uivia  non  si  può  dubitare  che  quella  sìa  Cosiantinopol 
essendo  alla  destra  dell'altra. 

Fin  qui  mi  sembra  che  per  porre  le  cose  nel  loro  vere 
essere  non  si  dovrebbe  far  altro  che  rovesciare  la  suaj 
terpretazione,  ma  e*  è  ancora  di  più. 

Il  Gori  dice:  «  Christianis  imperatoribus  regnani 
«  Victoriae  simulacrum  omnem  exuit  superstitionem  q; 
«  ut  apertius  ostenderetur  cum  ea  vel  Dominicam  crw 
«  vel  labarum  Chnsti  monogranwiaU  ornatum  et  alia  Cbri 
<s  stianac  rclìgloms  mystica  simbola  coniunxerunt  ».  Ma  in 
questo  dittico  invece  non  e'  è  nulla  di  tutto  ciò,  anzi  la 
figura  della  Vittoria  ha  in  tutto  gli  attributi  delle  rappri 
sentanze  pagane  e  pagano  è  anche  Tamorino.  Di  più,  raltn 
figura,  che  egli  riconosce  effigiata  come  Fortuna  Urbis 
turrita  come  Cibele,  sarebbe,  secondo  il  Gori  stesso,  quella 
a  cui  Adriano  innalzò  il  tempio,  e  l'amorino  alluderebbe 
alla  Venere  che  era  insieme  con  Roma  ne!  suddetto  tempio 


U^U 

I 


J 


^polu-^ione  del  tipo  di  ^I^oma 


utramque    ìmagìnem    nugnum    vìdcs    di- 
Roma  heic  scuipta  esc,  quia  antiqua  paga- 
tcmpora  designantur  Romac  im^gini  convc- 
vcro  imagini  Cosuniiiiopolcos  ca  apiantur 
quae  sedi  Cluisttanorum  impenitorum  haud 
dìtum  est  a.  Se  osscr\iarao  invece  le  figure 
1  tutte  due  piene  dì  sìmboli  pag:ìni»  quali  e 
conciatura  da  Cibcle  e  le  palme  che  partono 
e   la  Vittoria   sul   globo.   Da  tutto  ciò  per 
mi    sembra    che  si  debba  concludere  che  il 
tieriore  agli  imperatori  cristiani,  ed  allora  la 
bo  ignudo  potrebbe  rappresentare  Roma;r3lira, 
bbepiù  essere  Cosuniinopoli,  sarebbe  invece 
ì  sono  le  sembianze  di  Cibelc.  Né  potrebbe 
che  vi  fosse  la  figura  delT  imperatrice  e  non 

Eperatore,  giacché  lo  stesso  Cori  osserva: 
tu  hoc  monumcntum  antiquius  esse  potuìt 
I  adeoquc  ve!  imperatoris  vel  consulis  ìma- 
brrc  in  alìis  duabus  tabulis  quae  periere  o. 
M  dei  verticilli  che  sono  rimasti  attaccati  a 
rolc,  conclude  che,  presentandosi  esso  chiuso, 
)  era  tenuto  da  quella  che  egli  chiama  Roma, 
le  sarebbe  cosa  naturale  perchè  seguirebbe 
loro  fondazione,  ed  anche  questo  non  solo 
tnmertcre,  ma  viene  a  convalidare  la  nostra 
atti^  ancorché  le  due  efHgie  rappresentassero 
tantinopoli,  questa  dovrebbe  essere  sempre 
ite  anteposta  all'altra:  e  perciò  giusto  sarebbe 
wne  noi  avevamo  detto  per  Costantinopoli  la 
e  per  Roma  l'altra.  Se  poi  si  voglia  ammet- 
jl  effigiata  un*  imperatrice  sotto  le  forme  di 
I  questo  porterebbe  di  porla  al  primo  posto 
i  Roma. 

ra   uno  sguardo   generale  su  tuttociò  che  è 
dal  princìpio. 


148 


q4.  Tarisoiti 


Ricordiamo  che  hi  figura  di  Roma  ha  origine  primie- 
ramente su  suolo  straniero,  e  perciò  senza  alcuna  relazione 
colle  tradizioni  patrie.  Si  sviluppò  in  seguito  in  Roma,  ed 
in  modo  più  consentaneo  a  quelle  leggende,  ma  senza 
altro  significato  che  quello  dì  personificazione  o  di  eroma 
fondatrice  della  città.  Cominciò  poi  ad  essere  coronaq 
dalla  Vittoria  e  poi  a  prendere  simboli  di  dominazione, 
quali  il  globo  sotto  i  piedi.  A  queste  rappresentanze  segue 
una  prima  divinizzazione  al  tempo  di  Augusto  (non  te- 
nendo conto  di  quelle  anteriori  e  non  nazionali  di  Efcsc 
e  di  Alabanda)  e  dei  suoi  immediati  successori,  che  noi 
ha  alcuna  corrispondenza  coi  sentimenti  del  popolo,  ma 
che  portò  come  effetto  la  mutazione  di  alcuni  simboli. 
come  sariibbe  quello  del  globo  tra  le  mani  e  della  VittoriJ 
pure  posta  come  attributo:  e  la  sostituzione  in  gencr; 
degli  emblemi  di  tranquillo  dominio  a  quelli  di  pura  f< 
Dipoi  Roma  è  chiamata  victrix  ed  actcrna,  ed  ha  I 
una  seconda  divinizzazione  consentita  dallo  spirito  de 
tempo  ed  il  principio  del  suo  significato  mistico:  in  con- 
seguenza ella  assume  aspetto  e  simboli  di  vera  diviniti 
Ancora  più  innanzi  riceve  Tappellativo  di  sacra,  e  final- 
mente  prende  gli  emblemi  della  religione  cristiana,  dive- 
nendo cosi  un  essere  di  natura  assai  incerta,  siccome  J 
quella  di  Claudiano  e  degli  altri  poeti  di  quel  tempo. 

Essa  al  cadere  dell'  impero  resta  una  figura  che  nor 
può  essere  più  pagana,  ma  non  essendo  propriamente  cri- 
stiana e  mantenendo  tuttavia  tutto  il  suo  carattere  mistico^ 
si  va  a  confondere  colle  nuove  superstizioni,  le  quali  soac 
avanzi  delle  antiche  diviniti  che  il  popolo  non  ha  ancori 
abbandonato,  ma  ha  riadattato,  e,  per  quanto  era  posa- 
bile,  conciliato  colle  nuove  idee  cristiane. 


Alberto  Parisotti- 


El<elt»>9  Mirltlli  R«a»i 


)ELLA  CAMPAGNA  ROMANA 

^  (V.  voi.  IX,  pag.  372). 

Vie  Nonuntami  e  Salaria. 

illustnizione  dei  luoghi  adiacenti  alle  vie  Nomen- 
ana  e  Salaria  significa  la  storia  di  quarantacinque 
itifondi  dell'agro  romano  e  dei  territori  di  Mtn- 
terotoftdo  e  Corresc  (i).  Incomincio  col  toccar 
t  di  queste  vie  in  generale.  La  prima  è  la  più 
:hè  conduce  a  Nomcnlo  (18  miglia  romane),  da 
ca  il  nome,  all'eli  di  Livio,  che  ce  ne  tramandò 
ù  antico  di  Ficulensis  dalla  citrA  di  Ficulea,  alla 
ìgine  questa  via  conduceva  (2).  Prima  di  ac- 
errore  cui  ha  dato  luogo  questo  nome  Ficulcmis, 
menzioni  monumentali  della  via  Nomentana, 
KG  nell'antico  e  nel  medio  evo.  Quantunque 
la  vie  maggiori,  la  Nomentana  ebbe,  nell'età 

ista  parte  del  mìo  lavoro  io  dovrò  toccare  il  territorio 
ino  alb  regione  Curcme  ;  ma  non  inoltrarmi,  perche  i 
^i  da  me  proposti  non  mi  permettono  di  farlo.  Non 
$a  alla  speranza  di  potere,  compiuta  che  avrò  la  pre- 
Ula  campagna  romana,  abbozzare  una  n^onografìa  sulla 
l  Sabina,  per  la  quale  ho  gii  in  pronto  parecchie  note. 
tu,  e.  52. 


O 


G.  Tomassetti 


imperiale,  il  suo  ctiraior  ;  e  tale  apparisce  Gn*  Munatins  Aure- 
lius  Bassus  in  lapide  di  Mentana,  ora  al  Vaticano  (i).  Altre 
menzioni  di  essa  sono  in  bolli  figulini  (2)  perchè  parecchie 
officine  dollari  sorgevano  presso  cotesta  via,  come,  ed 
anche  più,  vedremo  ora  nella  Salaria,  Con  tal  nome  passò 
negli  arci  cristiani  e  poncitìcì  (3);  coerentemente  alle  altre 
fonti  topografiche  del  medio  evo  (4);  e  si  mantenne  im- 
mune da  coiTuiyoni  tentare  da  qualclie  sognatore  di  etimo- 
logie (5),  finché  riapparve  colla  sua  classica  doppia  deno- 
minazione (6).  Nel  secolo  xv  il  nome  fignkìtsis  diede  causa 
all'errore  che  derivasse  dalle  officine  delle  figuline  (7). 
L'antica  via  Nomentana  partiva  dalla  porta  CoUitta  del 
recìnto  Serviano,  le  cui  vestigia  furon  vedute  nell'anno 
1872,  quando  si  posero  le  fondamenta  del  palazzo  delle 
Finanze   (8);  e    nel  posteriore   recinto  Aurelianèo  usciva 


(i)C./.L..  XIV,  3955. 

(2)  Marini  C,  Iìcri\.ani,  dóìiari,  nn.  575-376  con  nota  del  profes- 
sore Dressel;  Bull  Arch.  Comunale,  1873,  p.  247. 

(3)  Martirologio,  cod.  di  Berna,  via  Nomentana  in  De  Rossi,  Bull, 
Crist.t  i87i,p.  106;  diploma  di  Sergio  I  in  s.  Susanna,  idem,  ivi,  1870, 
p.  116,  Cf.  Lihir  ponti ficaìis  in  AUxanàro:  il  raìgUor  testo  è  Sumcn- 
tana:  cosi  il  Duchesne,  Lib,  p.j  p.  127,  323,  332,  cioì:  in  Honorio,  in 
ThiodcrG,  ecc.  Del  resto  e  una  corruzione  ovvia  e  di  nessuna  im- 
portanza, ma  che  fu  avvertita  dal  Marini  (Iscri[.  doi,  n.  376). 

(4)  Regionarii,  in  Urlichs,  Ccd.  top.  u.  R.,  p.  24-25  ;  codice  Vien- 
nese 85,  fol.  58,  ivi,  p.  51.  llinirario  EinsidUnsc,  ivi,  p.  70  (via  nutncn- 
lana);  Epitome  Saìisbur^ensc,  ivi,  p.  84  (via  aumtana). 

(5)  «  Numcntana  via  est...  a  more  denominationum  portae  per 
«  Numam  qui  clcmcns  fuit,  per  quam  itur  ad  euro  :  in  qua  via  invcnic- 
w  bantur  omnia  bona  Numae  regis  ».  Anon,  Magliabecchiano.  Cf-  Ur- 

LICIIS  CÌt.,  p.    I>2. 

(6)  Cf  Urlichs  cit.,  p.  45. 

(7)  Il  primo  ad  errare  in  ciò  fu  TAlbertino.  Del  resto  non  £a 
d'uopo  insìstere  su  questa  opinione  giik  smentita  abbastanza  ;  cf.  Broc- 
chi, 5fa/o7Ìiii:o  del  suolo  di  Roma,  \*.  96;  Marini, /;cri^.  do/,,  ad  n.  375,  ecc. 

(8)  Canevari  Raffaele,  Koti^ie  sulle  jondaiioni,  ecc.  in  Atti  dei 
Lincei,  serie  II,  v.  11,  1S7J.  Cf.  Lancuki  in  Bull.  Arch.  Com.,  1876, 


dalla  sua  omonima  porta,  che  tuttora  esiste  sulla  destra 
ic\h  porta  Pia,  cioè  di  Pio  IV.  Continuava  il  suo  cammino 
entro  il  moderno  quartiere,  già  villa  Patrizi,  a  destra  della 
vii  moderna,  come  hanno  dimostrato  le  recenti  scoperte 
ié  suo  lastricato  e  de'  numerosi  sepolcri  che  hi  fiancheg- 
giivano  (i)  ;  e  giungeva  a  Nomento,  donde  si  volgeva,  come 
incora  al  presente,  verso  la  via  Salaria,  nella  quale  essa  ha 
fine.  Ne  appariscono  vestigia  in  più  luoghi;  ma  il  tratto  più 
lungo  e  meglio  conservato  è  sulla  metA  della  strada,  presso 
li  tenuta  di  Cusenuovt. 

La  via  Salaria,  costruita  nella  valle   intermedi:!  tra  il 
Quirinale  eJ  il  colle  degli  orti  (Pincio),  ha  fasti  archeologici 

istorici  degni  di  nota;  ha  menzioni  epigrafiche  del  curaiar, 
ch'ebbe,  come  una  delle  maggiori  (2),  e  di  luoghi  posti 
vicino  ad  essa  (3)  ;  ha  memorie  singolarissime,  incomin- 

^<iando  dal  nome  che  ne  addita  la  vetustà,  siccome  quello  che 
non  derivò  da  un  autore,  ne  da  un  paese,  ma  dal  commercio 
del  sale  colla  Sabina  (4^.  Un*altra  memoria  speciale  fu  quella 


P- 166  sg.,  che  determina  a  m.  70,55  la  distanza  dell' antica  Nomen- 
tJtudolUvia  Vaiti  ScHemìyri* 

(0  Alcune  prove  dell'andamento  della  via  a  destra  della  moderna, 

entro  il  pcrimerro  delle  mura  attuali,  veggansì  in  De  Rossi, fìu//.  Crist,y 

'^.pp-  94 -95. Fuori  il  perimetro  suddetto,  cf.  Noti:;ic digli  scavi,  1884, 

lP*347;  «885,  pp.  226,  251,  528;  t886,  pp.  52-53,  ecc.;  Bull  Arch.  Com., 

lW6,p.  ij6,  ecc. 

(2)  Lapide  ostiense  di  C.  Sahticitts  Maior  Cauiìiafius,..  curai,  viae 
^«W.,  ecc.  in  WiLMANNS,  1 196.  Un  altro  Q.  Licinius  (Attius)  Modcstinus 
^  t  in  lapide  Velitcrna,  in  C.  /.  L,  XIV,  2405. 

(5)  C  /.  L.,  VI,  1199  (la  iscrizione  del  ponte  Salario  di  Narsete). 

Numerose,  più  che  sulla  via  Nomentana,  sono  le  iscrizioni  doliari  col 

nome  Ji  questa  via.  Cf.  Marini  cit.  (indice,  p.  542)  e  specialmente  il 

'•<M7  colla  indicazione /h/iu^/^c/ìx  *Ì<;  vìa  Salaria,  ecc.  e  un  comento  del 

>  autore  alla  p.  1 50.  Le  figline  della  vìa  Salaria  ebbero  una  grande 

nia.  Altre  menzioni  sodo  in  Bull.  Arch.  Cotti.,  1876,  p.  116; 

)ip.204;  in  Archivio  di  storia  patria,  IX,  31,  ecc.  Un  tabuìaritts  via^ 

SaUriéc  à  aoto  nell'epigrafia  (Donati  ad  Mur.,  529,  6). 

(4)  Pesto,  S.  P'.  Cf.  Nibby,  Analisi  dei  dinU  di  R.,  III.  632,  tee.  Una 


del  luctis  tra  TAnicnc  ed  il  Tevere,  ove  i  Romani  si  nasco* 
scro  dopo  la  tremenda  sconfitta  deir^//hJ,  onde  lucana  fu- 
rono detti  i  giuochi  che  visi  celebravano  (i).Varrone  assegna 
un'altra  origine  a  questi  giuochi,  dei  quali  i  calendari  romani 
fanno  menzione  ai  19  di  luglio (2).  Sulla  Salaria  fu  la  tomba] 
di  Mario;  su  di  essa  sorgevano  importanti  citti;  cose  che 
verremo  brevemente  illustrando  nel  corso  di  questo  lavoro. 
La  denominazione  della  via  Salaria  rimase  intatta  negli  atti 
cristiani,  pontifici  ed,  in  genere,  del  medio  evo  fino  all'eiA 
moderna.  Per  la  qual  circostanza,  non  avendo  avuto  luogo 
alcuna  corruzione  onomastica  degna  di  nota,  né  alcuna  equi- 
vocazione, io  posso  fare  a  meno  di  annoverare  le  relativei 
fonti,  che  verrò  invece  ricordando  ai  singoli  luoghi.  L'an-| 
damcnto  di  essa  fu  dalla  porta  Collina  del   recinto  Ser* 
Viano,  attraverso  il  quartiere  ora  costruito  sulla  proprietà  giij 
Spithòver,  in  linea  diretta  verso  la  porta  Salaria  del  recinto 
Aurelianèo, alla  quale  corrisponde  esattamente  la  moderna; 
e  quindi  seguiva  quasi  la  via  attuale,  pochissimo  più  sulla 
destra;  procedeva  per  dieciotto  miglia  romane  fino  ad  Erctiim, 
la  prima  stazione  dell'itinerario  relativo,  e  quindi  ad  noiuu 
tra  Corresf  e  Rieti  e,  dopo  altre  dieci,  perveniva  ad  Halria  nel] 
Piceno.  Lo  esaltare  l'importanza  strategica  e  storica  di  una] 
via,  che  attraversava  la  Sabina  e  tutta  V  Italia,  in  linea  quasìl 
retta,  mi  sembra  superfluo  (3),  Non  dovette  mai  essere  in-| 


recente  monografia  sulla  via  Salaria  ù  di  Castelli  Giuseppe,  L4I 
via  coHiolarc  Sularia  Rema  -  Rtati  -  Asculum  -  JJrialicum  con  caria  iti-  < 
ueraria  del  Piceno;  Ascoli  Pie,  1886.  Egli  rovescia  il  viaggio  del  sale 
pei  Sabini,  che  rilevasi  dalle  parole  dì  pBsro,  e  sostiene  che  i  Sabini 
lo  traevano  dalle  saline  Picene  (p.  11).  Aggiungasi  alla  biblìografiai 
della  via  Salaria  anche  lo  studio  del  general  Filippo  Cerroti,  Pir  una  I 
ferrovia  Roma- Ascoli- Adriatico,  nella  quale  si  discutono  le  storiche! 
memorie  della  via. 

(i)  Pesto.  Epit,,  p*  119. 

(2)  Varrone,  Di  L  /.,  V,  8.  Cf.  Mommsen  in  C.  /.  I..,  1,  397,  che^ 
lucia  U  quistionc  insoluta. 

(})  Della  tomba  dì  Mario  accenna  Lucano.  Phars.t  a^,  che  venne 


T)ella  Campagna  ^I{omana 


fCTTOua  la  cura  di  questa  via,  come  rilevo  dalla  scoria  rie- 
U'iissima  delle  contrade  adiacenti;  e  rammento  che  nel- 
Tanno  1392  s'impiegarono  al  ristauro  della  via  Salaria  le 
gabelle  di  Ripa  e  di  Ripctta  (i). 

Una  via  molto  breve  si  apre  a  sinistra  della  via  Salaria, 
e  la  dirò  via  Pinciatta,  come  è  nominata  nella  pianta  del 
suburbano  del  Censo  del  1839,  perchè  vi  si  accedeva  anche 
Jalla  porta  omonima,  che  peraltro  non  è  nota  nella  let- 
terauira  anteriore  a  Procopio,  siccome  porta  secondaria  (2). 
Nei  documenti  del  medio  evo  essa  ha  nome  Pinciana,  come  i 
fondi  adiacenti  vengono  indicati  foris  pùrtam  Pincianam  (3). 
Credo  che  anticamente  dovesse  nominarsi  Salaria  vdus,  via 
indicata  nelle  fonti  agiografiche  e  cimiteriali  (4),  ed  il  cui 


violata  per  ordine  di  Siila,  il  quale  fece  gltiar  ncH'Anicne  prossimo  k 
reliquie  del  suo  nemico  (Cicerone,  jDc /«g^.,  11,22;  Val.  Mass.,  IV, ri,  i). 
D^Ui  densità  dei  sepolcri  su  questa  via  fa  ricordo  Prudenzio:  deti' 
^qu4  Salaria  hmtii  (cantra  Symm.  1  in  spcct.)  e  ne  facciamo  noi  dolo- 
^sa  spcricnza,  che  ci  siamo  stancati  di  fare  una  nota  delle  epigrafi 
tenute  in  luce  sui  margini  della  Salaria  I  E  che  dirò  dei  fasti  cristiani 
<l^lavia?  Una  scoperta  di  sepolcri  cristiani  avvenuta  sulla  Salaria 
d  maggio  del  1578,  nella  vigna  Sanchez,  ha  dato  origine  agli  studi 
'1  Bosio,  creatore  dell'archeologia  cristiana.  (De  Rossi,  R.  S.,  I, 
la).  Un  solo  epiiafio  della  martire  Severa  diede  campo  al  Lupi  di 
llcrivcre,  nel  secolo  scorso,  un  libro,  che  e  una  piccola  enciclopedia 
MrcHcologica.  Otto  pontefici  romani  furono  tumulati  sulla  sola  via 
I  Salaria,  ed  uno  solo  (s.  Alessandro)  sulla  vìa  Nomentana. 
<i)  Gregorovius,  Storia  di  R.  nel  m.  evo,  XII,  e.  4,  §  1. 

(2)  \iBBY,  K.  A.,  !,  142. 

(3)  Nella  topografia  detta  Malraesburicnse,  Urx-ICHS  cit.,  p.  87, 
:  ti  dice  che  quando  pervenii  ad  Salariam  nomcn  pcrdit;  nell'  itine- 
'  Einsidlcnse,  idem,  p.  67.  È  ceno  che  il  nome  Pinciana,  prove- 
nutole dalla  domus  della  gens  Pineta  sul  colle  degli  orti,  non  può  es- 
^fe  anteriore  al  secolo  quarto. 

(4)Cf.  l'indice  Chigiano  delle  catacombe  segnalato  dal  prof.  Giorgi 
^ckazio  al  comm.  De  Kossi  t^Buli  Crisi.,  1878,  p.  46),  ove  si  legge: 
*  ^raiicrium  basille  ad  sanctum  hcrmeiem  via  Salaria  vetere  ». 
^'l'iiiTi  menzione  in  un  codice  di  Pistoia,  ecc.  Cf.  De  Rossi,  Roma 
'^oUerroiua,  I.  iji.  Il  NlBBV  impugnò  già  quel  nome  di  Salaria  vttus. 


andamento,  tra  le  vigne,  fu  indicato  nel  secolo  scorso  ( 
dalla  porta  Pinciana  perla  yìgnxd*i'Dometiicam,vìgnàPaìloUi 
poi  De  Rossi,  poi  l'antico  clivo  del  cocomero,  vigne  dei  colle. 
Germanico  e  Romano  (ora  del  Seminario  Romano),  e  eh 
giunge  da  sinistra  fino  alla  Flaminia  e  dalla  destra  fino  x_-l 
prati  del  porUc  Salario  (2),  Si  tratta  dunque  di  un'antica  vì.'a 
che  nel  primo  tronco  poteva  essere  una  Salaria  primitiva^ 
cioè  fino  ai  sito  detto  le  ire  Madomte,  da  un'osteria  cosi 
denominata,  dove  un  bivio  ci  conduce  a  destra    verso  il 
pome  Salario,  a  sinistra  verso  il  clivns  Cnctimcris  e  i  Pa- 


e  disse  che  la  sua  apertura  t  contemporanea  a  quella  della  porta 
Pinciana  (nel  Nardini,  FV,  85);  ma  ciò  è  falso,  pcrcht:  U  porta 
invece  apparisce  costruita  secondo  la  obliquità  di  essa  via. 

(i)  Nel  Giornalt  dóLtUcrati,  1750,  in  Fea,  Miscelìanéa^M^  p.  loo. 
Vi  si  descrivono  monumenti  ed  iscrizioni  scavati  allora  nella  vigna 
Del  Cinque,  dirimpeiio  all'altra  De  Rossi. 

(2)  La  contrada  del  cHi'us  cttcnmcris,  posta  in  sito  ameno,  elevato, 
deiu  perciò  anche  capitinianum,  dovette  contenere  ville,  fondi,  sepolcri 
anteriori  ai  cimiteri  cristiani  di  s.  Ermete  e  dì  s.  Pamfilo,  che  quivi 
erano  sotterra.  Infatti  vi  si  trovarono  pitture  pagane,  marmi  e  iscri- 
zioni. Quivi  furono,  tra  il  cinque  ed  il  seicento,  la  vigna  del  barbiere 
di  Giulio  III,  le  vigne  Garosi,  Amiuni,  De  Bovis  ed  altre,  tutte  ricche 
di  monumenti  antichi.  Questo  luogo  portò  anche  il  nome  sepUm  Co- 
lumbus o  paiumhas  indovinato  dal  De  Rossi  su  falsa  lezione  dei  m^u*- 
tirologi,  confermalo  poi  splendidamente  dall'  indice  Chigiaiio  dei 
cimiteri  suburbani.  Tanto  questo  nome  quanto  T  altro  del  cocomero 
derivarono  al  certo  d»  marmi  antichi  adomanti  qualche  cancello  o 
qualche  monumento.  Ardisco  anche  di  definire  il  cocomero  per  una 
pigna  od  altro  ornamento  dì  forma  analoga  sopra  una  calotta  o  tetto 
circolare,  noto  partito  artistico  degli  amichi.  H  lo  deduco  da  notìzie 
del  medio  evo,  che  ho  trovato  nel  ìihro  àci  competidi  del  moaÌ3tcro 
di  s.  Silvestro  (Archivio  dì  Slato),  cioè  in  2  enfiteusi  del  ijij  e  13 14, 
ed  in  una  vendita  del  1354,  riguardanti  vigne  in  trullo  rocum^ 
o  cccummario.  Cosi  in  quella  serie  ho  trovato  una  massa  de  vtsUario 
domimco  confinante  con  Capitinianc,  sattta  Colomba  e  chiesa  di  ;.  Fi- 
lippo, tutti  nomi  storici  del  sito,  anche  l'ultimo,  ch'è  rimasto  al 
viottolo  dei  Pdtioli, 


*Z)e//iJ  Campagna  T{pmana 


155 


•  Era  questa  via  antica  e  publica  la  sola  che  po- 
lirsi, e  si  è  sempre  mantenuta  publica,  a  sinistra 
lana  (2).  Le  tracce  del  lastricato  del  clivm,   che 


jKsto  cenno  lineare  potrà  servire  dì  schiarimento  a  questa 
|e  topografica. 


^^      JPlKCIANA 

VILLA 

VDOVISÌ 


mi  sembrano  solidi  gli  argomenti  letterari  e  topografici 
:n.  prof.  Meucci,  nella  memoria  a  stampa  sulla  quistione 
torghese,  per  provare  che  il  prìncipe  Borghese  chiuse 
lìca  neìl'  ingrandire  la  villa.  Non  potè  venire  in  possesso 


156 


G.  Tomassetti 


fu  detto  del  cocomero  nella  bassa  età,  si  scorgono  tutte»'*'*! 
nel  viottolo  dei  Parioli, 

Detto  ciò  sulle  tre  vie  in  generale^  riassumerò  i  fa^^^ 
delle  tre  porte  Nonientana,  Salaria  e  Pinciana,  e  quin  ^*^ 
uscirò  nella  campagna  già  verdeggiante  e  solitaria;  or-=^** 
per  le  nuove  costruzioni  suburbane,  popolata  e  romoros^^^^ 

La  porta  Nomentana  conservò  il  nome  della  via,  anch  — "^ 
nell'età  media,  come  rilevasi  dalle  fonti  relative;  ma  neK^" 
Tultirao  periodo  acquistò  i  nomi  de  dom'via,  di  5.  Agnes'^^^ 
e  di  S.  Costanza,  dalle  due  sante  sepolte  sulla  via  (i),  d  ^* 
Cartularia,  di  Fiminaìe,  di  Cornelia  (2),  Più  officiale  rest^ 
il  nome  di  S.  Agnese  soltanto,  che  vediamo  in  atti  del  se- 
colo XVI  (3),  quando  mutò  nome  e  posto  per  munificenza 


che  di  vie  campestri  consorziali;  ma  Tunica  via  public.i,  la  Pinciana^ 
fu  dai    Borghese  lasciata   libera;  ed  anzi   la  villa   ebbe  sempre  it 
nome  di  Pinciana  (cf.  la  pianta  del  Nelli)  dall'ingresso  che   se  ne 
apriva  su  quella  via,  il  quale  esiste  tuttora;  e  da] Veste ndersì   della 
villa  lungo  il  hto  sinistro  di  essa.  | 

(i)  Lib.  ponU  in  Innoctntio.  Cf.  Duchesse,  II,  225,  colla  notizia 
del  comm.  De  Rossi  sul  dazio  della  porta  stessa  nel  secolo  quinto, 
ceduto  dalla  proprietaria  V'estina  ad  uso  pio.  Altre  fonti  in  Uklicbs, 
pp.  70,  SH;  nella  Graphia  è  detta  mediana,  probabile  sinonimia  di  collina; 
ma  io  preferisco  dì  crederla  errata  per  nowtatta,  ivi,  pp.  1 1>,  117.  Nelli 
polistoria  del  Cavallini,  insieme  ad  errori  popolari  cagionali  dalla 
corruzione  numentuna,  si  trovano  i  due  altri  nomi  ch'ebbe  questa  porta, 
cioè  Ji  domiua  e  sanctac  A^ndìs  et  Constantiac,  ivi,  p.  142.  Il  nome 
di  domina  (s.  Agnese  stessa)  anche  tradotto,  cioè  della  donna,  sì  con- 
servò nel  secolo  xiv  e  xv  (il  castello  di  MonU  Giutik  è  detto  poaitum 
extra  portam  domne  in  una  sentenza  del  158S  deirarchivio  di  S.  Maria 
Maggiore;  Adinolki,  Rctiia  ttfìl clà  di  nuno,  I,  107).  Cosi  pure  è 
chiamat-i  la  porta  da  Antonio  Di  Pietro  in  Muratori,  R.  I.  5-,  XXIV, 
981.  Così  nel  registro  di  Ambrogio  Spannocchi  tesoriere  pontificio 
del  1454  nell'Archivio  dì  Stato. 

(2)  Cf.  Adinolfi,  op.  e  1.  cit, 

(3)  Nelle  carte  del  MocHi,  neirarchìvìo  deirAnnunziala,  t.  121. 
f.  9^.  Nelle  piante  del  Bufalini  port.T  pure  il  nome  di  S.  Agnese 
Nelle  pidnte  anteriori,  la  porta  è  segnata  col  nome  Numentana,  nelle 
più  antiche   (secolo    xiti),  con  questo   e   S.   Agnese   insieme   nelle 


r     ri;   t 


niella  Campagna  Romana 


i>7 


di   Pio  rV  (i).  Destinata  a  singolari  vicende,  questa  porta 

f*ìa   rimase  incompiuta,  come  può  vedersi  riprodotta  nella 

bella  tavola  dell* architetto  Luigi  Ricciardelli  (FdJ/i/c  delle 

!  porte  e  nutra  di  Roma   disegnate   ed   incise  alVacqna  forte, 

Iranno  iSp),  e  in  quella  di  William  Geli  (tav.  IX:  Le  mura 

'  di   Roma,  ecc.),  finché  fu  a*  giorni  nostri  fatta  compiere  da 

t*io   IX   con    disegno   del   conte  Vespignani.  Finalmente 

Ila.    sofferto  un'ultima  trasformazione  di  semplice  ristauro 

^oel    prospetto    esterno,   colla    remozione    delle    statue    di 

^■^  Alessandro  e  di  s,  Agnese,  dopo  i  danni  ricevuti  nella 

^rnemorabile    giornata   del     20   settembre    1870,    quando 

sulla  sinistra  di  essa   pona  ò   stata  aperta  la  breccia  dal- 

Tcsercito  itahano.  Ne  fu  questa  la  prima   breccia  di  porta 

Pia.  Un'altra,  quando  la  porta  era  detta  della  donna,  cioè 

I      nel    1406,  fu    aperta    dai   Colonnesi,    ma   sulla  destra   di 

I      chi    esce,  dalla  parte  che   guarda  il  castro  Pretorio,  contro 

gli  Orsini.  L'episodio  sanguinoso,  causato  dalla  guerra  civile 

provocata  dal  re  Ladislao  di  Napoli,  fini  colla  vittoria  di 

Paolo  Orsini,  che  ne  abusò,   facendo    mozzare  il  capo    a 

Riccardo  Sanguigni,  uno  dei  capitani  ficii  prigionieri  (2). 


posteriori,  con  S^Agn^sa  soltanto  nel  panorama  di  Mantova  (edizione 
Oe  Rossr,  Piante  di  Roma).  Noto  il  nome  l^iminalis  segnatovi  cogli 
*ltii  due  nella  pianta  Rediana  dei  1474  (ivi,  lav.  iv). 

(i)  Veggasi  il  motu-proprio  di  Pio  IV  in  Bicci,  Notìzia  detta  fa- 
**<'w  Boccapaduìi,  p.  250,  dal  quale  risulta  che  volle  il  papa  dare 
*^  porta  il  suo  nome,  e  ne  Ì^c^  custode  un  conte  Ranieri,  col  per- 
messo ili  costruirvi  un  albergo  a  sue  spese.  Le  medaglie,  altre  parti- 
^l^rìu  relative  a  questa  porta,  e  la  giusta  critica  t'aitane  dal  Milizia 
^lU  menzione  della  satira  di  Michelangelo  Buonarroti  sull'origine 
«1  pontefice,  veggansi  riassunte  in  Nibhv,  R.  A.,  I,  14J.  La  nota  delle 
S*^  e  degli  artisti  che  vi  lavorarono  è  nel  protocollo  di  ser  Ot- 
^^0  Gracco  nell'Archivio  di  Staio  in  Roma,  ed  t;  stato  pubblicato 
dal  Gotti  nella  Vita  di  Michelangelo. 

(2)  Diario  di  Antonio  di  Pietro  in  Muratori, /?.  7.  5.,  XKIV,  981. 
"  porij  Nomentana  ha  pure  i  suoi  fasti  neirepigrafia  romana,  nella 
lapide  dri  sùdal€S  serrenses  {Ann.  deli'istiu,   1868,  p.   387),  e  nel  se- 


i>8 


G.  Tomassetii 


e 
rl- 


Della  porta  Salaria  più  brevemente  dirò,  che  il  ncxx^*^* 
di  essa  rimase  invariato,  tanto  negli  irinerari  religic^^^ 
quanto  nei  documenti  (i).  Notissima  quanto  infausta, 
la  memoria  dell'entrata  che  per  essa  fece  Alarico  n 
Tanno  410  (2)-  Per  essa  fece  una  vigorosa  sortita,  con  s 
200  soldati,  un  tal  Traiano,  uffiziale  di  Belisario  nella  guet^*^ 
gotica  famosa  (3).  Delle  due  torri  del  tempo  di  Onorio,  cM~^*^ 
la  difendevano,  restava  una  soltanto  e  smantellata;  dell'i:^»*** 
tra  soltanto  uno  stilobate  rettilineo  e  un  pezzo  del  corp  -^>3 
come  può  vedersi  nel  disegno  del  Geli  citato  (tav.  v  ^*' 
della  monografia  suddetta).  Avendo  anche  questa  por — ^^ 
subito  gravi  danni  nella  giornata  del  20  settembre  187  ^o» 
fu  finita  di  demolire,  e  quindi  ricostruita  con  disegno  d  ^* 
conte  Vespignani,  nel  1873.  In  quella  occasione  tom  -^*'] 
rono  alla  luce  parecchi  antichi  sepolcri  già  incorpora ^^ 
nelle  mura  di  Aureliano  (4).  Fu  con  essi,  dirò  quasi,  in 
gurata  la  serie    copiosissima  delle  iscrizioni  e  delle  m 


polcro  dogli  HaUrii,  scoperto  dal  maggiore  austriaco  Zamboni  n« 
1826  sulla  destra  della  porta  (Memorie  Romam,  IH,  p,  456). 

(i)  Urlichs  cit.,  pp.  71,  87,  tjuac  (porta)  r/iOi/o  saNcti  Silvestri  di,- 
tur  (ncir  itinerario  Malmesburiensc,  che  è  del  settimo  secolo),  pp.  ii^ 
127,  142  (è  il  Cavallini  che  dopo  retimologia  dal  ìaU,  ne  propon- 
una  da  solitaria  /),  p.  151  (è  l'anonimo  Magliabccchiano  che  fa  dcrl 
vare  Siilaria  dal  fiume  .-///id //....)  Nelle  piante  in  genere  è  tracciata* 
col  suo  nome;  in  quella  del  cod.  Vat.  i960  è  posta  dietro  il  Valicano  -*• 
ed  0  detta  qtiae  vadit  ad...  Sahcuam  (De  Rossi  cit.,  tav.  i)  ;  nella  Rc^ 
diana,  porta  anche  il  nome  àxQuirinaìis  (tav.  iv)  nel  panorama  d* 
Mantova  è  notata  porta  Salare, 

(2)  pROCOPio,  G.  Vana.,  I,  2. 

(;)  pROcoPio,  G.  Gol,  I»  27. 

(4)  Alcuni  spettavano  alla  ^ens  Cornelia  ;  uno  all'undicenne  poeta 
Q.  Suìpicius  MaximuSf  il  cui  poema  estemporaneo  greco,  recitato  nei 
certami  Capitolini  istituiti  da  Domiziano,  è  inciso  ai  Iati  della  sua 
statua.  SI  conserva  nel  museo  Capitolino  (cf.  Visconti  C.  L.,  //  s^ 
polcro  di  Q,  Sttlpicio  MassivtOt  ecc  ). 


nonumentali  di  questa  vìa,  che  formerebbero  un 
lume,  ove  fossero  raccolte  ed  illustrate  (i). 
i  porta  Pinciana,  il  cui  nome  si  trova  in  qualche 
medievale  attribuito  anche  alla  porta  Flaminia  (2), 
che  dovette  la  sua  fama  a  Belisario,  quantunque 
procopiano  di   Belisaria  voglia  da  alcuno  attri- 


esto  coTpo  dovrebbe  incominciarsi  col  notare  i  monumenti 

I  tronco  ora  intramuraneo  dclU  via,  cioò   della  villa  giù 

gii  Valenti  Gonzga.  Quivi  sono  stati  trovati  i  sepolcri  dei 

isoni  Frup,  Lùinùxni  {Kct.  scavi,  1874,  p.  394).  Che   i   Pi- 

possedessero  presso  questo  luogo  lo  deduco  anche  da  una 

nvcnuta  fuori  la  porta  Nomentana  che  ricorda  tq  termini 

-ihottianu^  e  Fiso  Fru^i  ex  dcpuìutictte  T.   Flavii  l'cspasiani 

Ili,  3689).  Altri  Calpurnii  giacevano  da  queste  parti.  Una 

due  loro  liberti  si  vede  murata  presso  la  jo' torre  estema 

a  sinistra  dopo  la  porta.   Nella  villa  suddetta  stavano 

sarcofagi   scolpiti   (.Vo(.  cìt,   1885,  p.  4}  sgg.    (Cf.   Me- 

cuoia  francese  in  R.,  iSSj.avril).  E  che  dirò  delle  vigne 

l'acca,  poi  dell'antiquario  Flaminio  e  di  Muti  nelle  sue 

istrate  (mem.  nn.  59, 58),  poi  Borioni, poi  parte  della  villa 

li  questa  villa  monumentale,  ora  scomparsa,  e  superstite 

mn  di  vedute,  donato  al  Comune  di  Roma  dal  suo  pro- 

cipe  d.  Ugo  Boncompagni? 

Lanciani  ha  testt-  provato  la  esistcn7.a,  nel  sito  della  vigna 
tempio  di  Vcìure  Ericina^ch^  propone  essere  tutt'uno 
fecncre  hortorum  Sallustìanorum,  nota  per  monumenti  epi- 
wch*  Cotti,,  ]888,  pp.  i-ii).  Egli  osserva  che  Aureliano 
nargìnc  sinistro  della  via  Salaria  nel  fare  il  suo  recinto; 
Igevano  gli  orti  Sallusiianì,  e  che  infatti  non  vi  sono 
i-sepolcri,  mentre  dal  lato  opposto  ne  sono  apparsi  nu- 
^  ricordato  altri  titoli  epigrafici  di  Saììustii  sparsi  su 
Ktsma  agli  orti  famosi;  e  finalmente  ha  fatto  notare  che 

Pura  tra  la  porta  Salaria  e  la  Pinciana  non  può  essere 
•io,  come  oggi  sì  crede,  ma  offre  il  più  conservato 
à  cinta  Aurcliana.  Del  luogo  ad  nucintf  delle  due  vie 
Itrc  topogratiche  notizie  promette  di  dare  ulteriori  e 
}azioai,  che  attendiamo  ansiosamente. 
ftrrariinsis  in  Watterich,  l'itac  poni.  RR.,  I,  462. 


buirsi  alla  Salaria  (i).  Del  resto  la  porta  Pinciana  nel  se- 
colo ottavo  era  chiusa  (2);  anzi  fu  allora  appunto  chiusa,  \ 
perchè  nel  secolo  antecedente  venne  indicata,  quantunque 
col  nome  storpiato  in  Porctana  e  Portitiana,  Jall'anonimo 
descrittore  inserito  da  Guglielmo  dì  Malmesbury  nel  suo 
noto  libro  (3).  Dovette  poi  essere  riaperta,  perchè  della 
chiusura  non  fan  cenno  scrittori  di  età  posteriore  al  1200  (4). 
Un  altro  argomt^nto  per  dimostrarne  la  riapertura  è  la  con- 
tinua indicazione  che  se  ne  trova  nelle  note  catastali  e  no- 
tarili del  secolo  xiv,  come  poi  vedremo,  di  fondi  situati 
fuori  di  essa.  Non  solo  dalla  frequenza  della  via  relativa 
esterna  dovette  esser  suggerita  tale  riapertura,  ma  ancora 
dal  fatto  che  le  gabelle  della  porta  del  Popolo  spettavano 
al  monistcro  di  s.  Silvestro;  e  perciò  Terario  publico  aveva, 
presso  la  riva  sinistra  del  Tevere,  questa  sola  porta.  Infatti 
nell'elenco  relativo  di  Ambrogio  Spannocchi  tesoriere  pon- 
tificio dell'anno  1454,  ch'è  nell'Archivio  di  Stato,  è  ta- 
ciuta la  porta  del  Popolo,  e  messa  la  Pinciana  come 
aperta  (5).  Nell'anno  1808  .ò  stata  chiusa  (é);  ed  ora  è 
stata  riaperta  (7).    Finirò    col   rilevarne    il  pregio  storico. 


(i)  Cfr.  Jordan,  Topo^r,  der  Stadi  Rom,  I,  3 54.  noia. 

(2)  Urlichs,  Uincrario  E'msidhnsc,  p.  78. 

(3)  Urliciis,  p.  87. 

(4)  Ivi,  pp.  115,  127,  142  (è  il  Cavallini  che  deduce  il  nome  da 
pipxadum,  c\ot  pinnacolo:  poi  accenna  alla  cosa  dei  Camelli  qaivi 
presso  situata).  Essa  ò  taciuta  ncU'anonimo  Maglìabccchiano.  p.  151. 

(5)  Non  dissimulo  una  difficoliA,  che  mi  si  potrebbe  opporre,  del 
trovarsi,  cioc,  talvolta  chiamata  Pinciana  la  porta  del  Popolo.  Ma 
questa  era  una  denominazione  erronea  poco  probabile  in  un  docu- 
mento ufficiale  amministrativo  ,  come  il  registro  del  tesoriere. 

(6)  Che  sotto  Adriano  VI  era  aperta,  e  ne  erano  custodi  GÌo. 
Batt.  degli  Ubuldi  e  Tomaso  Guerrieri  lo  trovo  nelle  carte  del  Mochi 
tlI'Annunzìata,  t.  121,  f.  194. 

(7)  In  occasione  della  riapertura  dì  essa  poru,  tra  ì  niarml  della 
soglia  n'c  stato  rimosso  uno  che  ha  EROTID/  in  grandi  lettere;  si 
vede  che  apparteneva  a  qualche  sepolcro  {Bull.  Com.,  1888,  p.  41). 


niella  Campagna  fontana  i6i 

servando  essa  la  croce  equilatera,  neUa  chiave  dell'arco, 
r  sue  forme  dell'età  di  Belisario,  al  quale  si  riferiva  il 
to  date  obulum  Belisario  graffito  già  sopra  una  pietra  in 
o  a  destra  di  chi  entra,  e  che  spetta  ad  età  moderna, 
odo  si  è  sparsa  la  favola  della  cecità  e  mendicità  del 
oso  duce  bizantino. 

Oltrepassate  le  antiche  mura  di  Roma,  dovendo  io  il- 
rare  il  primo  tratto  della  zona  già  suburbana,  ora  quasi 
a  abitata,  voglio  liberarmi  dalla  storia  di  quella  con- 
a  intermedia  tra  le  vie  Pinciana  e  Salaria  nuova,  ch*è 
/e,  affinchè  Y  itinerario  che  segue  proceda  più  spedita- 
ite. 

(Continua) 

G.  TOMASSETTI. 


Arthifio  detla  R,  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI. 


ATTI   DELLA   SOCIETÀ 


Assembka  del  jo  aprile  i88j. 


Presenti,  signori  O.  Tommasini,  presidente,  U.  Bal- 
^^^*Jii,  A.  Corvisieri,  G.  Cugnoni,  B.  Fontana,  C.  Mazzi, 
*^*   Monad,  G.  Levi. 

Letto  e  approvato  il  verbale  della  seduta  precedente 
L^3o  dicembre  i88^  il  Fresidemte  compie  il  doloroso  do- 
^v^re  di  commemorare  due  illustri  stranieri,  benemeriti  degli 
^■tudi  e  dell'  Italia,  il  socio  b.irone  Alfredo  von  Reuraont, 
^^  *1  dottore  Guglielmo  von  Henzen.  Del  Rcumont  ricorda 
i  **  lungo  soggiorno  in  Italia,  e  i  molti  itnportanti  lavori 
di  storia  italiana,  e  l'assidua  collaborazione  xì<AV  Archivio 
^fori^0  italiano,  e  nclV Archivio  della  Società  nostra.  Ne!  Con- 
^*gUo  comunale  della  capitale  del  regno  vennero  comme- 
'^Orati  gli  altissimi  pregi  del  Reumont  verso  gli  studi  ita- 
»*ini  ;  alla  sua  tomba  fu  mandato  il  saluto  di  Roma,  a  cui 
1^    associa  riverente  la  SocietA  nostra. 

Il  valore  scientifico,  Toperositd,  le  virtù  del  compianto 
^^grcurio  deir  Istituto  archeologico  germanico  non  hamio 
^^no  bisogno  di  essere  ricordate  ai  convenuti.  Una  par- 
ticokr  prova  di  affetto  verso  questa  SocietA  era  la  cortese 
p«mura  con  cui  egli  non  mancò  mai  d*  intervenire  alle 
nunioni  sociali.  Il  presidente  ricorda  anche  la  recente  per- 
dita di  un  egregio  cultore  della  storia  in  Italia,  il  prof.  Age- 
nore Celli,  direttore  d^WArchivio  storico  italiano. 

Il  Presidente  poi  comunica  una  lettera  del  socio  profes- 


164  Q^iii  della  Società 

sore  T,  von  Sickel  che  ringrazia  pel  telegramma  inviatogli 

dalla  Società  in  occasione  del  suo  sessagesimo. 

Viene  infine  presentato  il  consuntivo  dell'anno  188^- 
Procedutosi  alla  nomina  dei  sindacatori  di  detto  bilancio 

vennero  eletti  a  unanimità  ì  soci  signori  A.  Corvisieri  e 

B.  Fontana. 

Preparazione  del  Codex  Diplomaticus  Urbis  Romae. 

Nel  dicembre  1887  la  Presidenza  inviò  ai  soci  il  se- 
guente schema  per  la  preparazione  del  Coàtx  Diplomaticus 
Urbis  Romae  : 

In  seguito  alla  deliberazione  dell*  Istituto  storico  italiano  del 
31  maggio  1887  {Bullettino,  n.  5,  p.  3 1),  la  R.  Società  Romana  dì  storia 
patria  è  chiamata  a  preparare  la  pubblicazione  del  Cod€x  Diploma- 
iicus  Urbis;  il  quale  invito,  se  corrisponde  a  un  antico  proposito 
della  Società  stessa,  Pafììda  che  non  saranno  per  mancare  1  mezzi  per 
attuarlo. 

Desiderando  di  procedere  col  concorso  di  tutti  i  soci  a  stabilire 
le  basi  e  le  lince  principali  dell'opera,  il  Consiglio  direttivo  propone 
alla  considerazione  dei  colleghi  i  seguenti  punti,  intomo  ai  quali  è 
necessario  di  venire  a  certa  determinazione: 

I"  Tempo.  Si  propone  di  partire  da  Gregorio  Magno,  con  ri- 
serva di  risalire,  se  le  indagini  daranno  frutto,  fino  al  trasporto  della 
sede  dell'Impero  a  Costantinopoli; 

2°  Luogo.  Roma,  l'Agro  Romano,  il  Ducatits,  il  Comitatus  et 
Districtus,  e  i  comuni  collegati  con  il  comune  di  Roma,  salvo  a  deli- 
berare sull'esatto  limite  topografico,  quando  sia  raccolto  il  materiale; 
3°  Oggetto.  Storia  civile  e  storia  ecclesiastica,  in  quanto  la 
storia  della  Chiesa  sia  congiunta  direttamente  colla  storia  della  città; 

4**  Per  DOCUMENTI  STORICI  da  comprendere  nel  Codice  Diplo- 
matico s'intendono: 

a)  tutti  gli  atti  pubblici  (documenti  storici  propriamente  ddti  e  giu' 
ridici); 

h)  quelli  privati  che  hanno  attinenze  dirette  colla  storia  della  città 
e  la  genealogia  delle  l'amiglie; 

e)  i  monumenti  narrativi  in  quanto  diano  notizia  di  documenti 
storici  o  di  particolari  condizioni  e  vicende  della  costituzione  civile  e 
politica  della  città; 


Q/liii  della  Società  i6s 


j^  spogli  si  dovrebbero  condurre  sopra  le  fonti  edite  e  le 

te.  Si  sottomette  ai  soci  una  nota  delle  principali  opere  a 

^dei  principali  fondi  manoscritti  di  archivi  e  di  biblioteche, 

liera: 

dare  ulteriori  indicazioni  di  fonti  ; 

bdicare  se  il  socio  intende  dì  partecipare  al  lavoro,  e  in  tal 

jlenninare  quale  parte  di  spogli  assuma  per  sé  ; 

ktendendo  il  socio  di  collaborare  al  Cedex  Diplomatìcus  Urbis, 

Ì4i  dichiarare,  se  oltre  il  lavoro  di  spoglio,  sia  disposto  a 

ideila  collazione  e  delPesame  dei  singoli  documentL 

r trazione  del  Codtx  Diplomatìcus  Urbis  darà  occasione  a 
YHistoria  Urbis  Diplomatica,  che  potrà  venir  pubblicata 
pdice,  nella  quale  sì  raccoglieranno  ancora  tutti  quegli 
{lenti  che  possono  illustrare  il  costume,  Tarte  e  la  coltura 


Fonti  edite. 

•tifici  (Jaffè,  Potthast,  Berger,  Benedettini,  ecc.). 

^riaii  (Bdhmer,  Mùlbacher,  Stumpf-Brentano,  ecc.). 

Parfa,  Subìaco,  Tivoli,  ecc. 

amatici  (Lùnig,  Dumont,  Leibnitz,  Marini,  Troya,  Huillard- 

tes.  Cenni,  Theiner,  Funi,  ecc.,  ecc.). 

*  inedita. 

manotum  Fontijicum. 

Itoriche  (Muratori,  Bouquet,  Pertz,   Chronicles  &  Memo- 

•x). 

wm  Romanorum. 

sronio,  Rainaldi,  Tillemont,  Muratori,  labrbùcher  der  deuP- 

tcbichte,  ecc.).  Annali  Benedettini  (Mabillon),  Camaldo- 

tarelH),  Francescani  (Waddingo),  ecc. 

>bè,  Mansi,  ecc.)  ;  Diritto  Canonico,  Analecia  Juris  Pori' 


di. 

ipali. 

eia  Sanctorum,  Stotie  delle  famiglie,  dei  magistrati,  di 

i,  chiese,  monasteri,  ospedali. 

.  ed   esplorazioni  d'archivi  e  biblioteche  (Montfaucon, 

lethraann,  Pflugk-Harttung,  ecc.). 

rchivi  e  biblioteche;  Repertori  (Potthast,   Chevalier, 

). 


166  O/lui  della  Società 


Fonti  hakoscritte. 

Archivio  dì  Stato  :  Carte,  diplomi»  registri  camerali,  atd  de  no^ 

statuti,  ecc. 
Archìvio  Storico  Comunale:  Carte  e  statutL 
Archivio  Vaticano:  Diplomi,  carte,  regestì,  libri  dei  censi,  conti,  c^^ 
Archivi  d'ospedali,  di  famiglie  romane,  di  congregazioni,  capitoli,  ^^^' 

porazioni,  ecc. 
Biblioteche  dello  Stato,  del  Comune,  Chigiana,  Barbezini,  ecc. 
Biblioteca  Vaticana. 
Archivi  della  provincia,  dei  comuni,  notarili,  ecc. 

Lo  schema  essendo  stato  discusso  ed  approvato  nell'i*^ 
semblca  generale  dell' 8  gennaio  1888,  venne  diramata  '* 
circolare  che  segue: 

In  seguito  airapprovazione  dello  schema  per  la  preparazione  t^ 
Codi'X  Diplomaticus  Urbis,  il  Consiglio  direttivo  della  R.  Società  IC 
mann  di  storia  patria  invita  i  suoi  soci  a  voler  dichiarare  a  teno^  ^ 
dcirart.  5**  e  6°  dello  schema  stesso  quale  parte  intendono  dì  ass 
mere  del  lavoro  sia  di  spoglio,  sia  di  collazione  e  d'esame  de'd^^^ 
cumenti. 

ii  naturale  che  ciascuno  preferisca  quel  lìmite  cronologico  e  quell^-^ 
qualità  Ji  ricerche  che  coincìde  coir  indirizzo  de'  particolari  suoi  studf  ^ 
Ma  necessita  che  non  vi  sia  ne  parte  di  lavoro  ìncons3pevolment<r 
duplicata,  ne  parte  omessa.  E  dove  e  bisogno  di  larga  companeci-' 
pa/.ione  di  opera,   sarà   bene   che  questa  si  consegua  indiriz;:anJo  il 
corso  pratico  dì  metodologia  della  storia  alla  preparazione  del  CcdiX 
Diplomutitus  Urbis. 

Si  prei^ano  pertanto  ì  soci  a  far  pervenire  alla  sede  sociale^  prima 
del  giorno  26  del  corrente  mese,  la  dichiarazione  che  il  Consìglio 
direttivo  per  sua  norma  richiede;  avvertendo  che,  dopo  la  detta  di- 
chiarazione, verranno  distribuite  ai  singoli  soci  le  schede  apposite, 
le  quali,  contraddistinte  colle  iniziali  del  socio,  saranno  testimonio 
del  contrihuto  di  ciascuno  all'opera  sociale,  e  serviranno  anche  di 
fondamento  a  determinare  il  concorso  che  l'Istituto  storico  italiano 
accorderà  a  questa. 

(Sef^uc  scheda), 

A  dar  sollecito  conto  della  cooperazione  dei  singoli 
soci  a  questa  importante  impresa  d'indole  veramente  so- 
ciale si  aprirA  rn:\VuJrcbivio  una  rubrica  apposita- 


Oitti  della  Società  1^7 


L.  Società  Romana  di  Storia  Patria. 


Vrodotii  e  Spese  del  Tanno  1886, 

PRODOTTI. 

[stero  della  pubblica  istruzione  per  sovvenzione 

aria L.  2,000  — 

letto  per  sovvenzione  straordinaria 2,000  — 

etto  per  incoraggiamento  pei  Facsimiìi  e  Diplomi 

ioli  e  reali 5>^^^^  — 

lune  di  Roma  per  sovvenzione 2,000  — 

>ri  soci  contribuenti 2,6ij  25 

sulla  Rendita  e  sul  fondo  di  cassa 91  40 

'  inventario  dei  libri  ricevuti  in  dono  ....  1,500  — 

ei  mobili  acquistati 100  — 

L.  13,506  65 

SPES£. 

1  personale L.  766  — 

cessone  alle  pubblicazioni: 

Stampa L.    6,114  88 

Spedizione  e  posta     ...  287  25 

6,401  43 

.•erse  d'amministrazione 178  20 

per  la  Biblioteca  Vallicelliana     ....  649  5$ 

acconcimi 326  — 

.suali  e  di  esigenza 443   ^5 

L.  8.764  33 


riassunto. 

3mma  dei  prodotti L.  15,306  65 

Id.      delle  spese 8,764  33 

L.  4,542  32 


i68  Q4tti  della  Società 


Stalo  attivo  e  passivo  della  Società 
chiuso  al  3i  mar^o  1887. 


PASSIVO. 

Credito  del  conto  avanzi  e  disavanzi  per  esuberanza  at- 
tiva della  gestione  dell'anno  precedente  .    .    .    .  L.  20,104  05 

Creditori  diversi 500  — 

Esuberanza  dell'entrata  sull'uscita  1886 4>542  p 

L.     25.146  37 

ATTIVO. 

Debitori  diversi 2,575  — 

Titoli  di  credito 1,000  — 

Mobili i»93i  "- 

Biblioteca  e  deposito  delle  pubblicazioni  sociali      .    .    .  1 1,984  — 

Resto  di  cassa 7»^56  37 

L-    2$»i46  37 

Roma,  20  maggio  1887. 

I  sottoscrìtti,  trovando  regolare  in  ogni  sua  parte  il  Consuntivo 
della  R.  Società  Romana  di  Storia  Patria  per  l'anno  1886,  ne  pro- 
pongono rapprovazio^^e. 

Firmati  :  Alessandro  Corvisieri 
Bartolomheo  Fontana. 


BIBLIOGRAFIA 


Karl  Kòrber.  Beltrame  xur  ròmischcn  Miìniditmde  :  I.  Ein 
ròmischer  Silbermùnzen-FunJ  aus  der  Mitre  des  3  Jahr- 
hunderts  n.  Chr.  —  II.  Unediertt;  ròmische  Mùnzen 
aus  der  stàdtischcn  Samralung  in  Mainz  (Mainz,  1887; 
programma  ginnasiale). 


Nella  prima  parte  (pp.  1-18),  l'A.  dà  notizia  di  un  ripostiglio  di 
moncie  romane  imperiali  rinvenutosi  casualmente  nell'agosto  1886 
I  dmtro  la  ctttù  di  Magon/a,  facendosi  lo  scavo  di  un  pozzo.   Le  mo- 
jii««  si  trovarono  contenute  in  vaso  di  terracotta,  e,  rotto  il  vaso,  se 
Bc  numerarono  ben  5220;  ma,  come  purtroppo  avviene  il  più  delle 
^oUe  in  tali  trovamenii,  gli  scopritori,  per  meglio  sottrarle  ai  diritti 
^1  proprietario  del  fondo,  le  mandarono  a  vendere  fuori  di  citti,  e 
t'J*  un  buon  terzo  del  ripostiglio  andò  perduto.  Il  proprietario,  %\- 
?"or  F,  Moller,  riusci  nondimeno  a  ricuperarne  n.  1676,  e  le  presentò 
il  direttore  del  GabinL'tto'numismatico  dì  Magonza,  sig.  D/  Welke, 
i^uale  fu  sollecito  di  acquistarle  per  quel  Gabinetto.  Ivi  il  nostro  A. 
P**tt  studiarle  ed  esaminarle,  compilanie  il  catalogo  ed  aggiunger- 
l'Oc  ami  altre  195  da  lui  potute  ripescare  presso  gli  antiquari  ed  i 
pn^•Jti  cittadini.  Cosi  il  catalogo  del  sig.  Kòrber  comprende  cfìFcttiva- 
TOffile  n.  1871  pezzi.  Ei  divise  queste  monete  secondo  le  specie  in 
,  dcoiri  (corona  laureata)  ed  antonìniani  (corona  radiata),  e  le  classi- 
Ificò  con  la  scorta  della  2*  edizione  del  Cohen  (Discripiion  tkj  moth 
I  itnpèriakì)  seguendo  il  sistema  tenuto  dall'Hettner  nella  descri- 
!  di  un  simile  ripostiglio  pubblicata  nella  IVc-id.  Zeìtscbrift,  VI,  1 3  r. 
Sono  tutte  monete  di  biglione  (bianco  e  nero);  i  denari  sono  in 
numero  di  559  e  vanno  da  Antonino  Pio  a  Gordiano  IH;  gli  amo- 
ni sono  in  numero  di  1532  e  vanno  da  Caracalla,  il  creatore 
■  ^  specie,  a  Gallieno  e  Postumo.  I  denari  per  la  più  parte  appar- 
Ko^ono  a  Settimio  Severo  (pczri  5^),  Elagabalo  (pezzi  114)  ed  Ales- 
sandro Severo  (pezzi  168);  gli  aiitoniniani  a  Gordiano  III  ($4S).  Fi- 
lippo 1  (289),  Filippo  II  (65),  Traiano  Decìo  (loi)  e  Treboniano 


lyo  bibliografia 


Gallo  (89).  I  due  antoninìani  di  restituzione  di  Traiano  e  Con 
meglio  che  a  capo  lista,  potevano  addirittura  riferirsi  a  Gallie 
comodo  e  maggior  interesse  degli  studiosi  ho  creduto  oppor 
ricavare  il  seguente  specchio  quantitativo  di  tutto  il  ripostìgli 

Imperatori  Deoui    Antomnianì 

Antonino  Pio 2  — 

Commodo 2  — 

Crispina 1  — 

Pertinace i  — 

Didio  Giuliano i  — 

Pescennio i  — 

Albino 2  — 

Settimio  Severo 55  — 

Julia  Domna 1$  4 

Caracalla 19  8 

Plautina. 2  — 

Geta 3  — 

Macrino 5  — 

Elagabalo 114  7 

Julia  Paola 4  — 

Aquilia  Severa 4  — 

Ìulia  Soemia 9  — 

ulia  Mesa 4?  i 

Alessandro  Severo 168  2 

Orbiana 2  — 

Julia  Mammea ji  — 

Massimino  Trace 55  — 

Massimo i  — 

Balbino —  4 

Pupieno ~-  b 

Gordiano  III 9  545 

Filippo  I —  289 

Ottacilla —  5S 

Filippo  II —  65 

Traiano  Decio —  101 

Etruscilla —  27 

Erennio  Etrusco .  —  15 

Ostiliano .     .  —  5 

Treboniano  Gallo • —  89 

Volusìano —  65 

Emiliano —  4 

Valeriane —  12 

Mariniana —  i 

Gallieno —  22 

Solonina —  5 

Postumo —  4 

Restituzione  a  Traiano —  : 

Id.          a  Commodo .....  —  i 

Incuso  R.  DIANA  LVCIFERA.     .     .  i  — 

Incerte 13  2      - 

Totale    .    .    .  $59  -+-  1552  =  1871 


bibliografia  iti 


à  descrìtte  dal  signor  Kòrber  ascendono  a  ben  500  nu- 
varìetà  non  descritte  nella  2*  ed.  del  Cohen  e  segnalate 
imilarì  del  Cohen  '  messi  in  parentesi  quadra,  noto  :  tre 
ettimio  Severo  [230,  521,  324];  uno  di  Caracalla  [120]; 
alo  [50,  IDI,  109];  uno  di  Julia  Mesa  [7]  ;  uno  di  Ales- 
0  [57];  uno  di  Massinxino  Trace  [46]; —  due  antoni- 
>rdiano  Pio  [98,  98];  uno  di  Filippo  II  [86];  uno  dì 
io  [ili];  uno  dì  Erennio  [20];  uno  di  Gallo  [67],  e  uno 

[48].  Sono  tutte  piccole  varietà  di  tipo  o  di  leggenda; 
;  d'interesse. 

PANTONINVS  PIVS  AVGXLIBERALITAS  AVG  II, 
l'A.  all'imp.  Caracalla  (ved.  p.  17  sg),  io  dubito  molto 
i  mantenere  piuttosto  ad  Elagabalo,  del  quale  è  noto  il 
te  quinarìo  Cohen  ',  ElagabaU  n.  81.  Gli  argomenti  con 
Tza  dì  rivendicare  a  Caracalla  questa  moneta,  e  due  altre 
alita  inesattamente  descritte  dal  Vaillant  (Cohen  ',  Ca* 
[9,  120),  non  mi  persuadono.  Il  tipo  fanciullesco  della 
mdente  più  a  Caracalla  che  ad  Elagabalo  è  il  principale 
eirA.  ;  ma  trattandosi  di  due  imperadori  di  tratti  fisio- 
diversi,  Funo  cugino  dell'altro  e  fatti  Augusti  l'uno  al- 
l'altro all'età  di  14  anni,  non  mi  pare  che  Targomento 
»ossa  bastare  per  istabilirvì  sopra  tutta  una  conseguenza 
lo  meno  sarebbe  d'uopo  che  questa  differenza  fisìono- 

della  2*  liberalità  dì  Elagabalo  fosse  confortata  da  una 
li  esempì,  e  non  sopra  l'eccezione  dell'A.  Tutte  le  ra- 
iche  e    storiche  stanno  in   favore  dell'attribuzione  ad 

OTA  PVBLICA  di  Elagabalo  [n,  306]  è  ugualissimo  a 

tto  dal  Cohen  '  al  detto  numero,  per  cui  non  veggo  la 

.  parentesi  quadra. 

[BERTAS  AVG  di  Elagabalo  messo  in  dubbio  dall'A. 

robabìle  e  verisimile  appartenga  a  Caracalla,  e  sia  una 

.  145  Cohen  *, 

Igli  antoniniani  di   Gordiano  Pio   [n.  175]  PAX  AV 

esemplari)  non  sono  in  niun  modo  diversi  da  quelli  de- 

;■  ed.  del  Cohen,  IV,  132,  n.  70,   e  che  nella  2*  ed.  si 

&  leggenda  errau  PAX  AVGVST   invece  di  PAX  AV 

sbaglio  si  verifica  per  gli  antoniniani  dì  Filippo  I  AE- 
/GG  [n.  9  e  12],  che  nella  2*  ed.  del  Cohen  sono  errati 
Ay  mentre  sono  esattamente  descritti  nella  i*  ed.,  IV,  176, 

posìto  non  posso  dispensarmi  di  mettere  in  guardia  tutti 
ìi  monete  imperiali  romane,  afHnchè  non  sieno  facili  ad 
X  varietà  nuove,  fidandosi  della  esattezza  della  seconda 
Cohen,  edizione  la  quale  in  effetto  è  invece  molto  meno 
prima.  Ebbi  ad  avvedermi  di  questo  imperdonabile  di- 


172 


bibliografia 


fello  studiando  icsrà  particolarmente  le  monete  di  Traiano  (V.  nel 
2**  voi.  del  Musco  italiano  di  antichità  cìassica  il  mio  scrino  Di  alcuni 
ripostigli  di  vioiìde  romam,  p.  }i6  sgg.),  ma  pur  troppo  vado  consta- 
tando che  il  difetto  si  estende  a  tutta  Topera.  Appena  si  può  imma- 
ginare di  quali  e  quanti  errori  nel  campo  numismatico  e  storico 
potrebbe  esser  fonte  la  nuova  ediaiione  dell'unico  nostro  gravide  re- 
pertorio delie  monete  romane  imperiali,  se  il  solerle  suo  attuale 
curatore  non  affida  a  collaboratori  competenti  e  coscienziosi  la  revi- 
sione dell'intera  opera,  e  ritarda  la  pubblicazione  del  desideratìssimo 
errata-C orriiic  (i). 

Ritornando  al  nostro  A.,  piacemi  dichiarare  che  egli,  con  la  pub- 
blicazione del  ripostiglio  di  Magonza  ha  per  certo  reso  un  segnalato 
servizio  alla  scienza  numismatica;  una  scienza  la  quale  6  diventata  più 
degna  emul;t  deirepigrafia  e  più  utile  ancella  della  storia  dal  giorno 
in  cui  Cavedoni  e  Mommsen  hanno  insegnalo  al  mondo  dì  quali  e 
quanti  risultati  storici  può  esser  fonte  e  scaturigine  un  semplice  ri- 
postiglio di  monete.  Per  questa  scienza  ò  certamente  più  importante 
la  descrizione  di  un  ripostiglio  nuovo  che  non  quella  di  molti  pezzi 
inediti  e  rari  ;  ma  acciocché  i  risultati  che  si  traggono  dall'esame 
dì  un  ripostiglio  sicno  sicuri  e  fecondi  convìen  che  il  descrittore  sia 
accurato  fino  allo  scrupolo,  e  non  dimentichi  due  principali  a\'\'er- 
tenze.  Prima  av\'ertenza  è  quella  dì  assicurare  che  le  monete  di  un 
dato  ripostiglio  non  sono  andate  mescolate  con  altre  sporadiche:  se- 
conda avvertenza  é  quella  di  annotare  diligentemente  Io  stato  di 
conser\'azione  dei  pezzi  ed  il  loro  stato  relativo  di  freschezza, 

II  nostro  A.  non  ebbe  la  prima  avvertenza,  perchè  non  distìnse 
nel  suo  catalogo  le  195  monete  che  egli  rinvenne  in  possesso  di  al- 
cuni antiquari,  da  quelle  spettanti  al  gruppo  originale  ricuperato  dal 
sig.  F.  Moller.  Sulla  origine  dì  quelle  19$  monete  è  sempre  lecito 
avere  qualche  dubbio,  mentre  le  altre,  costituenti  la  massa  principale, 
presentavano  una  sicura  garanzia  che  fossero  appartenute  tutte  senza 
eccezione  al  ripostìglio  di  che  si  tratta.  Non  ebbe  la  seconda  avver- 
tenza al  punto  da  non  far  nemmeno  cenno  dello  stato  di  fresche/za 
delle  ultime  monete  del  ripostìglio.  Se  VA.  avesse  riguardato  allo 
stato  dì  freschezza  dei  pezzi  spenantì  aì  due  ultimi  imperatori  del  ri- 
postiglio, Gallieno  e  Postumo,  egli  avrebbe  avuto  modo  di  control- 
lare efHcacemente  e  stringentemente  la  sua  stessa  opinione  circa  la 
data  probabile  del  nascondimento  del  tcsoretto.  Questa  data  egli  a 
p.  5  la  ricava  dall'esame  delle  monete  di  Postumo,  e  segnatamente 
dall'ani.  Cohen  '  n.  261  recante  il  cos,  IH  (TR  P  COS  III  PP)  e  di 
•data  estensibile  dall'anno  260  al  266.  Egli  si  ferma  preferìbilmente 
all'anno  261.  vista  la  scarsità  delle  monete  di  Postumo  in  un  trova- 
mento  dove  si  era  in  diritto  di  aspettarsele  abbondantissime;  ma  Tos- 

(1)  È  Aà  iperan  cbt  U  I.  A<<ai«nu  Ji  Berlino,  li  qvaU  ci  In  liberalo  an>  buona 
volta  4AglÌ  ciTon  iel  liilettAntlsnio  epigrafico  col  Ccrpm  imtr^tìomm—,  vorrA  por  mano 
■  l)t>cr*rci  altrffi  dsi  non  meno  gravi  errori  del  tlilctundimo  aumttmattco  col  promcs- 
foci  C^rpm  immmffrmm. 


'Bibliografia 


173 


lorarasen  (Ga<huhtc  d.  ròmiscìjg  Mùnuvgs^s,  p.  775, 
aHva  alla  incetta  ed  alla  scelta  che  si  faceva  oel  scc.  in 
nonetarìe  meno  scadenti  per  parte  dei  tesoreggiatorì,  lo 
>erplesso  e  titubante  anche  verso  questa  data. 
cenezxa  ò  chiaro  che  potrebbe  vincere  il  dubbio  0  far 
ancia  appunto  Tosservazione  iotorno  allo  stato  di  fre- 
ultime  specie  tesoreggiate.  Se,  per  esempio,  sì  potri  con- 
t  oJtime  monete  di  Valeriano  (nn.  56,  71,  208)  riferibili 
260  (Ci.  Brock,  Ztitichr,  f.  Kum.,  1876,  pp.  5  e  loi)  corri- 
'  il  grado  di  freschezza  alle  più  fresche  monete  di  Gal* 
tno^  ecco  che  si  avrebbe  una  bella  prova  in  favore  della 
ronologica  cui  arriva  il  nostro  X.\  ma  se  le  ultime  mo- 
tto (nn.  7)1,  9^6,  940,  1175,  1509)  e  quelle  di  Posiumo 
e  relativamente  usate  e  non  mostrassero  in  niun  caso 
e  sbaveggiature  del  conio  recente,  avremmo  per  con- 
i  attendìbile  argomento  per  ricondurre  la  data  del  ri- 

0  il  267,  che  e:  l'anno  dcirassedio  dì  Magon/a,  operato 
nperatore  Postumo  contro  il  nuovo  usurpatore  LcUano 
.  In  ul  caso  il  tesoretto  dì  Magonza  verrebbe  a  coin- 

1  fattn  storico  speciale,  e  la  ragione  del  suo  nascondi- 
trebbe  più  da  cercare  in  qualche  ignoto  avvenimento 
itare. 

tie  il  nostro  A.,  il  quale  si  è  reso  benemerito  delle  ri- 
ic  pubblicando  un  cosi  notevole  ed  interessante  ripo- 
nete, avrà  modo  ed  agio  dì  sopperire  agli  osservati 
-tzione,  e  potrà  ancora  fornirci  il  catalogo  riveduto  del 
ompagnato  dalle  desiderate  note  di  freschezza.  Intanto, 
icre  nel  dubbio,  posso  persuadermi  che,  anche  in  prin- 
5C0S0  e  contrastato  regno  di  Postumo,  non  fossero  man- 
,  come  su  tutta  la  strada  di  Cologna,  occasioni  ripe- 
;  di  terrore  per  la  guerra  che  Gallieno  fu  costretto  dì 
arpatorc  delle  Gallìc  e  suo  competitore. 

II. 

parte  del  suo  scritto  (pp.  18-25)  1*A.  descrive  una 

Daetc  romane  imperiali  esistenti  nel  Gabinetto  di  Ma* 

icritte  nella  2*  ed.  del  Cohen.  La  descrizione  è  fatta 

tema,  cioè  riportando  le  leggende  in  cui  si  osserva 

za  e  rilevando  le  divergenze  di  tipo.  La  descrizione  è 

atta,  e  niuna  particolarità  degna  di  nota  parmi  essere 

suo  occhio. 

^descritte  in  questa  seconda  pane  cominciano  da  Au- 
90  con  Massimiano  Erculeo:  sono  ben  141  varietà  che 
Raae  mancanti  nella  detta  edizione  del  Cohen  ;  ma,  al 
■nere  che  alcune  differenze  dipendano  dalle  inesattezze 
I  dal  Feuardent,  nti  io  ho  agio  di  fame  per  intero  la 


i 


174 


bibliografia 


verifica.  Fra  le  monete  descrìtte  dal  sig.  KOrber  ve  ne  hanno  parec 
chic  che  io  stesso  verificai  mancanti  al  Cohen,  sia  nel  mio  Kipoit'ì^ìii 
della  Vcnira  pubblicato  negli  Atti  dilla  R.  Accademia  dei  Linui,  voi.  IV 
sia  nel  più  recente  mio  scritto:  Di  alcuni  ripostii^ìi  di  mcmU  r(fma$»4 
citato  di  sopra.  Quasi  tutte  le  monete  che  il  Kòrber  riporta  coiti* 
inedite  da  Aureliano  in  poi  furono  da  me  pure  descritte  nel  Ri^osiP 
glio  dilla  Venera,  un  ripostìglio  composto  di  ben  46,442  pezzi  (V.  \i 
giunta  nel  Mus.  ìlaì.»  II,  ii$1,  tutti  appartenenti  alla  seconda  meli 
del  scc.  Ili  d.  C.  e  che  il  sig.  Fcuardent  non  si  curò  altrimenti  di  spo 
gliare  per  la  nuova  edizione  dei  tomi  V  e  VI  dell'opera  de!  C<^cn« 
Del  pari  i  denari  di  Vespasiano,  che  il  Kòrber  aggiungerebbe  allJ 
pag.  375  del  voi.  Il  Cohen',  sono  descritti  anche  da  me  Èra  le  mo- 
nete del  ripostiglio  di  Roma,  Mm.  Udì.,  II,  45,  nn.  ^-4,  4J,  n.  %o» 
Relativamente  alle  altre  varietA  descritte  dal  Kòrber  trovo  degne 
di  speciale  attenzione  le  seguenti: 

i**  Un  dupondio  od  asse  JÌ  Augusto  Insignito  di  doppia  con- 
tromarca, quella  di  Tiberio:  TIB  A'^G,  e  quella  dì  Nerone:  IM' N- 

—  Intorno  a  tali  contromarche  vedansi  le  mie  osservazioni  nel 
Mus,  Ital.,  II,  57  sgg.  Oltre  gli  scritti  ivi  citati,  sì  confronti  De 
Saulcy:  Les  contrcmurgucs  monHaires  à  Vèpoquc  du  haut  empirti  nella 
Reviu  nitmismatique,  i86<5-70,  p.  500. 

2°  Tutte  le  monete  di  Traiano,  specialmente  dopo  lo  swdio 
storico  e  cronologico  cui  le  assoggettai  nel  Mus.  hai.,  II,  81  sgg. 

—  Il  den.  simile  al  n.  394  Cohen  *  con  COS  VI  merita  confertna- 
Sarebbe  il  primo  tipo  del  Bonus  Eventus  apparso  dopo  quelli  battìi' 
per  l'occasione  delle  guerre  daciche  (V.  op.  cit.,  p.  105). 

—  Il  medio  bronzo  IMP  CAES  NER  TRAIANO  OPTIMO  AV< 
GER  etc.  SENATVS  POPVLVSdVE  ROMANVS  SC  con  dt» 
insegne  dell'esercito,  panicoUrraenie  interessante  perdio  non  e** 
finora  conosciuto  nessun  tipo  del  bronzo  degli  anni  11^-114  col  li^ 
militare  delle  insegne  (V.  op,  cit,,  p.  83  e  p.  92). 

3°  Unii  moneta  ibrida  di  Giulia  Domna  (,IVLLA  AVGVST^ 
col  tipo  del  rovescio:  PRINC  IVVENT 

i°  Un  sesterzio  di  Massimo  (MAXIMVS  CAES  GERM)  CG» 
rovescio  preso  da  un  sesterzio  di  Alessandro  Severo  (Cohen  *,  n,  441^ 

5°  Un  antoniniano  di  Volusiano,  col  nome  del  gentilizio  CT 
rato:  VIj  (sic)  invece  di  VIB.  La  terza  lettera  sbagliata,  rovescia  C 
capovolta,  farebbe  per  poco  sospettare  Tuso  delle  lettere  mobili  nclll 
monetazione  del  secolo  in,  se  in  questo  tempo  non  fossero  frequenti 
errori  monetari  anche  più  strani.  Parecchi  errori  simili  sulle  moneti 
dì  Probo  furono  segnalali  dal  Missong  (V.  Wurnistftutiscb^  Zdtscbrifì  à 
Vienna,  IX,  anno  1877,  pp.  1-20,  estr.  :  SUmpdJchkr  ur$J  Ccrrutura 
auf  Mùtticn  d<$  Kaisa-  Probus,  Taf.  IV). 


(Firenze). 


Luigi  A.  Mila 


Heirn  (Bauraih)  und  Velke  \V.  Die  rdmische  Rhcinbrikke 
bà  Miìiu^  nel  Fi'stgabe  der  Generalversammluttg  des  Gè- 
smnmtvereins  da  deutschcn  Gescbichls  iind  JlleribufìiS'Fe- 
nìne  j^m  A/am:^  am  i]  bis  i6  Sept,  1SS7,  p.  169  sgg. 

U  Governo  tedesco  dieJc  ordine,  nclPanno  1880,  che  venissero 
rmoHc  le  pile  dell'antico  ponte  romano  giacenti  nel  fondo  del  Reno 
bi  Migonza  e  Kastcl.  Si  prevedeva  da  tutti  gli  archeologi  un  buon 
multato  di  notiiieedi  oggetti  da  cotesto  lavoro;  né  le  loro  speranze 
Mao  rimaste  deluse.  In  questa  monografia  del  eh.  Heim  abbiamo 
una  dotta  relazione  tecnica  su  tali  scoperte,  nella  quale,  riassumendo 
I«  cognizioni  che  si  avevano  sul  ponte  fino  dal  1847,  e  componendole 
colle  juuali,  egli  ne  forma  un  lavoro,  quantunque  breve,  abbastanza 
completo.  Incomincia  egli  col  ricordare  la  faha  opinione,  formatasi 
Jopo  il  1855»  che  attribuiva  quell'insigne  monumento  all'età  caro- 
liniiia.  Descrìve  poi  il  metodo  adoperato  nelle  lavorazioni  subacquee, 
<à  in  tre  tavole,  in  calce  allo  scritto,  ne  porge  una  eccellente  grafica 
riproduzione.  I  piloni  del  ponte  erano  undici.  Ora  l'autore  riferisce  le 
panicolari  scoperte  avvenute  ìn  ciascuno,  colle  misure  esattissime, 
come.  p.  e.,  i  numeri  incisi  sui  pali  rotondi  di  quercia,  end*  erano 
lornute  le  grandi  palizzate  dell' undecime  pilone  (p.  174).  Singolari, 
wtto  rispetto  epigrafico,  vi  sono  le  cifre  IICXXI  e  ^XXIKL  In  un 
pilo  Jcl  decimo  pilone  v*è  il  numero  ZKVII;  in  uno  del  sesto  vi 
<  1IIX«  che  a  noi  sembra  scritto  a  rovescio  per  XIII  ;  in  uno  del  quinto 
pJoncv'é  IXXIK. 

Importantissime  scoperte  sono:  un  mazzuolo  di  quercia  trovato 
lei  Httimo  pilone,  nel  quale  si  legge:  L  .  VALE .  LEG  .  XIIl;  e  un 
"gillo  di  ferro  con  LEG  .  XXlI .  ASTon intana. 

Paisà  l'autore  a  mostrare  la  costruzione  dei  fondamenti  delle  pile 
(^  187)  colla  fedclti  indispensabile  ìn  una  tecnica  descrizione. 

Accenna  quindi  alle  cose  quivi  rinvenute  (p.  196).  Vi  sono  pietre 
quadrate,  alcune  scritte,  alcune  anche  ornate  di  rilievi  decorativi,  rin- 
la  maggior  parte,  presso  le  testate  del  ponte.  Vi  sono,  oltre 
g\k  ricordati,  alcune  ascìe,  alcune  monete  di  bronzo,  uno  scal- 
pello cJ  un  pezzo  di  catena. 

Segue,  nella  seconda  parte  di  questo  lavoro,  la  relazione  del  si- 
or  "W.  Velcke,  la  quale  riguarda  la  parte  archeologica  e  storica 
De  scoperte  avvenute.  Essa  forma  una  pregevole  monografia  in 
complemento  di  ciò  che  il  Lehnc,  il  Grimra,  lo  Schneìder  ed  il  Pòll- 

lunoo  scritto  sul  ponte  romano  di  Magonza.  Accurati  disegni  lÌio- 
iìcì  degli  arnesi  e  dei  sigilli  descritti  in  questa  monografia  ci  per- 
no di  possederne  gli  esemplari.  Fra  le  pietre  scritte  noteremo 

Uà  col  titolo  ansato,  che  ha  : 

LEG  •  xnii 

G    ■    M    •   V 

•>'G-VELSISECV 


176 


bibliografia 


edito  già  dal  Keller  e  dairHùbner  (gemina,  inartia,  victrix  i  aotu 
sima  appellazione  della  XIV  legione).  Oltre  la  nota  delle  sculture  e  ' 
degli  oggetti  rinvenuti,  il  Velke  porge  breve  ed  importante  esame 
sulla  cronologia  del  ponte,  manifestando  la  ben  fondata  opinione,  che 
precisamente  tra  gli  anni  70  e  100,  se  ne  facessero  le  fondazioni  ;  che 
sotto  Domiziano  fosse  costruito  dalla  legione  \W\  non  dalla  XXII, 
come  pensò  1'  Hiìbner.  Seguendo  1j  storia  delle  guerre  romano-germa- 
niche sotto   i  Flaviì,  egli  dimostra   questa  successione  di  epoche  ~ 
Spiega  come  vi  si  trovi  una  menzione  della  legione  XVI,  cioè  percha 
spettante  all'epoca  delle  fondazioni  di  un  ponte  primitivo  anteriore 
Cahgola  (stando  sotto  i  pnmi  Cesari  quella  legione  a  Magonza),  ed 
infatti  rinvenuta  in  luogo  profondo  e  intermedio   ai   piloni.   Provi 
tìnnlmenCe  che  alla  legione  XXII,  dell'età  dì  Caracalla  (AntoDÌnìanai 
non  deve  attribuirsi  che  un'opera  di  riparazione.  Le  sette  tavole  ch4 
illustrano  ì  due  lavori  deirHcim  e  del  V^clke  sono  precedute  da  urufl 
riproduzione  di  un  piombo  edito  dal  Fròhner,  rapprescntiinte  Ìl  ripe- 
tuto ponte  romano,  colle  due  città  di  Magonza  e  di  Castcllum  sulle 
due  opposte  rive  del  Reno.  G.  T. 


Keller  d/  J.  Die  ncucn  romiscbm  Inschriftcn  des  Muscwns  ^u 
Maini.  Zweiter  Nachtrag  :{um  Bcckc/schm  Katalog,  (In 
Fcst^abc  dcr  ^cncrahcrsammlung  dcr  deutscheu  Gtschichts- 
und  AìtcrìhumS'Vcrànc  :^u  Main:^  an  /j  bis  16  Scpt.  iSSy. 
Mainz,  von  Zabern,  1887). 

Come  apparisce  dal  titolo  della  monografia  stessa,  il  signor  dot* 
tor  prof.  Keller  porge  in  essa  un  catalogo  delle  iscrizioni  romane  1 
pervenute  nel  musco  di  Magonza,  dopo  la  pubblicazione  della  prima 
appendice  al  catalogo  del  Becker,  la  quale  fu  edita  nel  188}.  Pre- 
cedono la  nuova  appendice  alcune  osservazioni  e  rettifiche  alla 
prima.  La  nuova  pertanto  contiene  38  lapidi  e  un  diploma  militare 
(in  bronzo),  ordinate  per  classi  conforme  al  catalogo  originale.  Cia- 
scheduna iscrizione  ii  accompagnata  dalla  relativa  h^ion^^  e  da  qualche 
sobrio  e  ponderato  comento.  Per  non  avere  adoperato  tipi  epigrafici 
È  stato  obbligato  l'autore  ad  aggiungervi  anche  taluni  schiarimenti 
sulle  lettere  connesse  o  irregolari.  Vi  abbondano  le  lapidi  della  le- 
gione XXII,  molte  militari,  dedicatorie  in  onore  degV  imperatori 
di  divinità.  Alcune  hanno  singolare  importanza  epigrafica,  sì  per  14 
cose  in  esse  ricordate:  p.  e.  Unioni  xxii ...  honoris  virtutisq,  cauìU  1 
i>i'/iir  Trti'erorum  in  oìfsidione  ah  ta  difensa  (p.  143),  come  per  le  for 
mole  epigrafiche,  p.  e.  :  hcnori  aquiìae  k^iottis  XXll,  ecc.  La  maggio^ 
parte  di  queste  epigrafi  spetta  alla  legione  XXII,  ch'era  di  presìdìq 
a  Magonza.  Vi  sono  parecchie  date  consolari,  che  arrecano  pregio 
a  questa  serie,  degli  anni  cioi  205,  21 },  214,  242,  ecc.  Alcune  di  qua 
ste  date  danno  luogo  a  ricerche;  come,  p.  e.,  quella  del  205  ci  sen 
breri'bbe  piuttosto  spettare  al  206.  Importantissimo  è   quel  console 


«dd 


mmm 


'Bibliografia 


^^^ 


'  b  la-za  volta  A.  Diàius  Galìus  (p.   154)  nella  tavola   di  bronzo 
)tÌTa  a  Semctona,  insieme  colla  consorte  indicata  epigraficamente: 
itici  a'jus.  Noto  nella  storia  come  uomo  ricoperto  d'onori  {col>ia  ho- 
win  Tacito,  Agric.  14  -  come  curator  aquarum  in  un  cippo  aqua- 
rio di  Roma.  Buìì,  ddristìt.  1869,  p.  21 5)  sarà  ora  registrato  nella  serie 
Idei  consoli  dell'età  di  Tiberio.  Un  frammento  di  lezione  e  di  restitu- 
fiioncdifficile  ci  sembra  quello  trovato  nel  febraro  i8H7(p.  i43)deiretà 
i  degli  Antonini,  come  rilevasi  dalla  residua  parola  NIAN  giustamente 
I  wppliia  in  AnloniHW^ac,  come  soprannome  della  legione  suddetta. 
Delle  iscrizioni  sepolcrali  presentate  in  questa  pregevole  mono- 
Igrifij,  ì;  ragguardevole  il  cippo  dì  C.  Faìionius  Secundus,  milite  della 
tfcgionc  stessa  XXJI,  di  Tortona,  la  cui  figura  è  scolpita  nel  cippo 
Imedesimo,  in  singolarissimo  abito  civile,  con  due  servi,  forse  come  il 
Keller  osserva  (p.  145),  l'uno  vestiarius,  l'altro  Uibdlarius.  Una  riprodu- 
Inone  eliotipica  di  questo  bel  monumento  adorna  il  volume  nel  principio. 
Noteremo  finalmente  la  singolare  coincidenza  del  diploma  mili- 
Uit  (tabulac  honcsLu  missionìs)  del  solito  tipo,  che  chiude  la  serie  di 
CUI  parliamo  (p.  157),  poiché  in  esso  fu  riconosciuta  la  seconda  ta- 
volena  di  quello  gii  esistente  a  Worms  (cf.  Mommsen  nella  Ephcmeris 
^graphica,  V.  652).  G.  T. 

Tommaso  Sandonnini.  Della  venuta  di  Calvino  in  Italia 
i  di  alcuni  documenti  relativi  a  Renata  di  Francia.  —  To- 
rino,  fratelli  Bocca,  18S7,  p.  1-33.  (Rivista  storica  ita" 
liana^  IV,  in,  anno  18S7). 

Il  Sandonnini  avendo  veduto  che  coloro  i  quali  hanno  studiato 
episodio  di  Renata  dì  Francia  hanno  promesso  pìù  lunghi  lavori,  ma 
^  Wno  limitati  a  brevi  pubblicazioni,  pubbli^ca  anch'egli  alcune  no- 
^^c  sulla  Renata.  Ma  egli,  ricordando  le  pubblicazioni  dcW Archivio 
"fila  Società  Romana  di  storia  patria,  e  avvertendone  l'importanza, 
"^chiara  insieme,  che  dalle  promesse  di  scrittori,  che  sì  limitarono  a 
pubblicare  brevi  e  staccate  memorie,  fu  distolto  da  un  lavoro  che 
*veva  vagheggiato. 

Sull'importanza  dei  nostri  documenti  non  sembra  cadere  dìsputa. 
**  il  Sandonnini  prima  di  pubblicare  i  suoi,  usciti  da  Modena  come 
^'^hi  dei  nostri,  sì  prova  a  demolire  le  nostre  conchiusioni  con  un 
]^uito  di  ragionamenti,  dai  quali  sembrerebbe  ch'egli  non  tien  ragione 
^«lla  grande  opera  del  Corpus  r^formdtorum,  in  cui  tutti  sono  confu- 
^^  contro  coloro  che  per  primi  li  produssero.  Non  ispenderemo 
'^que  molte  parole,  rimandando  ai  Prolegomeni  di  quelfopera  chi 
'€isc  vaghezza  dì  conoscere  il  valore  degli  argomenti  risuscitati  dal 
•^^Odoanini  (1).  Cht:  la  questione  principale  sì  risolve  nel  sapere,  se 

(1)  Cóffu  rtjofm.,  lom.  39,  Prol.  caput  li,  fol.  xxiii. 

u  tlioto  del  capitola  aecoDiio  è  queito  :    •  Edmoncm    institutionU  Utiiuai  aani  i{}6 
■^un  primam  £utue  Jemonxtrtiur  •. 
CcoQlro  <{ue»u  »cric  onliaata  che  ikvc  dupuure  Ìl  Sandonnini,  prima  che  contro  di  noi. 

AreHhio  della  R,  Società  romana  di  storia  patria  Voi.  XI.  ti 


l\ 


'.i.L^-raJia 


'.    ,::JoHc  cristiathi  del  I5>ó  fosse  o  i 

■,-:>  altre  anteriori.  Se  ve  ne  turono  alt 

■ .  conclusioni  vacillerebbero  ii:  quale! 

.  roichè  il  Sandonnìni   alTerma  Jà    ave 

.:no,  elle,  come  prove,  né  egli,  né   alt 

,:na  lìnora  Ji  buona  let^a. 

:ìie  arterma  il  SanJonnìni,  che  rcvlìzioi 

rrela/ione  il  i  >  ì  i-  ^^'<>"  può  essere  viubb 

:5j>,  ma  in  queireJ.i/.ione  l'anno  è  sta 

^  che  <f  le  altre  eJi/ioni  latte  mentre  e 

— ispontlevano  tutte  più  o  mt.no  a  quel 

::r.ieJiata  Jel  i  >  ì^  è  _L;ià  più  luniia  :  la  prin 

i\z  colonne;  le  sci  eJi/ioni  successi\ 

r.  una,  ne  occupano  901);  quella  Jel  i  ; 

., linone  adunque,  di   2j2   colonne,  è  : 

.i*:àonnini  pensa  che  avanti  la  edizione  1 

.:";o.  ma  lo  dicono  ì;1ì  autori  ch'ci^Ii  p; 

.  :m  Irancese,  ('alvino  stesso,  neiredirioi 

:'  suo  lavoro,  per  non  defraudarne   e 

'.  Non  arriviamo  a  capire  come  egli  Ì 

.  ,.  i:\t\lnh  iiulhcfiit!  e.;-,.',  che  redi/.ict; 

.-..n-e.vse  essere  anonima:  e  non  trovian 

..  ht.iini:!.,  <)d   /:.;.v.7/t'  che  Calvino 

.*  nome  suU'edizidne  del  i)ì6  e  si  allo 

,  :  :  Xi  allontanarsi  se  l'edi/àone  fosse  ^ra 

-.^  dette.  Quanto  al  viaggio  di   Calvin 

..;<i,  essere  stato  fatto  per  le  Alpi  dei  G 

.  so  1.:  valle  vii  Aosta,  per  indu;:ioni  tut 

.a  cui  ì!  Sandonnlni  ha  tratti  i  suoi  pri 

-.-Ulti,     ta  la  -piova  e  la  riprova,  che  1 

\"ei.'-  la,  qiii.ìli  di    Toscana  e  quelli 

,  i,  dui'.une  la  ;;uerra,  per  rec.i'si.  vu 

.:   Lione.    !';..;ur.irsi  poi  a   Hasilea  e  . 

.-^lo.  se  lion  y:rA  pi-à  conioJo  (Jiten 

Peschiera  e  per  la  F>erni:ìa. 

^^,"a.'a   di   Calvin  1  a  b'e'-fara,  vh'VL  n 

.■;;iissi:na  ipoU'^i,  la  nos;r.i.  e  avval 

^.■".'.(^re   cosa  ia.lU   ropinanie;;to  co 

•  ni.  Ma  e::li  ev  .i     '.  i^icu''. !  col  M.in 


bibliografia 


Ì79 


renìrc  a  Ferrara,  e  al  riiomo  a  Ginevra  :  sul  soggiorno  a  Venezia  si- 
Iniio  completo. 

Ci  dispiace  poi  ch'egli  muti  i  termini  delle  nostre  conchiusioni: 
ooinonabbiammai  scritto  che  Calvino  a  arrivasse  a  Ferrara  Ìl  25  marzo 
te  ne  ripartisse  il  14  aprile  del  153^*  (0  come  ci  fa  direil  Sandon- 
nìm.  >?oi  abbiamo  concluso  che  entro  qgello  spazio  di  22  giorni  vi  si 
doveva  trovare  ;  arrivasse  prima,  o  partisse  dopo»  ciò  poco  importa. 
n  mettere  becco  sulla  fuga  di  un  francese,  col  designarlo  per  Giovanni 
Soubisc,  i  ameno,  poiché  v't  certa  notizia  ch'egli  rimase  ancora  a 
Ferrara:  ma  noi  troppo  dovremmo  fermarci  a  cogliere  inesattezze: 
prendiamo  per  quel  che  vale  la  sua  pubblicazione,  e,  se  constateremo 
ijwlchc  documento  che  non  possediamo,  gli  saremo  ben  grati.  Quanto 
«1  lavoro  completo,  che  fu  promesso  col  nostro  saggio,  s'egli  vuol 

R'-^irc  alla  nostra  parola,  per  tutta  quell'epoca  6  fatto. 
B.  Fontana. 
ìtevenson.  Topo^afia  t  tnowwunti  di  Roma  nelle  pit- 
ture a  fresco  di  Sisto  F  della  biblioteca  Vaticana. 

n  quinquennio  del  pontificato  di  Sisto  V  l-  per  la  città  di  Roma 
cosi  pieno  d'opere  arditamente  concepite  e  frettolosamente  eseguite, 
cbc  lo  storico  è  tratto  a  domandarsi  che  cosa  non  avrebbe  divisato  e 
fitto  il  pontefice  Peretti  se  giovane,  e  non  già  grave  di  sessantaquattro 
*oni,  avesse  assunto  il  governo  dello  Stato  ecclesiastico  e  indirizzato 
itramutaracntì  della  cittA  di  Roma.  «  Se  avesse  vissuto  pochi  altri 
«inni  noi  avremmo  la  basilica  (di  s.  Pietro)  non  a  croce  latina  e 
■  colla  fronte  del  Mademo,  ma  a  croce  greca  e  colla  facciata  di  Miche- 
^Rtlo  ».  Cos^  scrive  lo  S.  (a  pp.  22-3),  e  questo  non  sarebbe  stato  pìc- 
«ol  vanMgpio.  Ma  la  vera  grandezza  e  lo  squisito  gusto  dell'arte  che  i 
P^fltdìci  del  rinascimento  avevano  potuto  aggiogare  .lUa  loro  signoria 
Cfl  Venuto  meno.  «  Cesare  Nebbia  e  Gio.  Guerra  -  annota  altrove  Tau- 
« torc  -  favoriti  dal  pontefice  per  la  rapidità  colla  quale  lavoravano, 
•prendevano  in  certo  modo  l'appalto  delle  pitture;  nei  conti   delle 
«fpcsccssi  soli  figurano,  mentre  a^li  artisti  che  li  aiutavano  è  dato  ìl 
«nome di  soci  w.  Cosi  la  nuova  fabbrica  da  lui  divisala  a  congiungere 
k  due  f^andi  gallerie  che  vanno  d;il  palazzo  pontificio  al  Belvedere, 
OOD sene, come  le  opere  de' tempi  di  Sisto  IV,  di  Paolo  II,  d'Inno- 
cenzo Vili,  di  Giulio  II  e  di  Leone  X,  ad  eccitare  la  fina  ammirazione 
dcHe  persone  che  sono  al  culmine  della  cultura;  bensì  colpisce  la  mol- 
fUnc  grossa  coli*  aspetto  della  mole,  dei  colori  smaglianti,  cogli  ef- 
Bl'chc  possono  sperarsi  da  opere  frettolose  e  date  in  appalto.  Ma 
D  S.  non  entra  in  considerazioni  artistiche  per  questo  rispetto:  bensì 
9O0  lolcrtc  dottrina  si  fa  a  raccogliere  quanto  è  possibile  da  quelle 
liaure  per  la  conoscenza  topografica  del  Vaticuio  antico,  e  per  la 


i8o 


bibliografia 


storia  della  biblioteca,  integrando  i  dotti  lavori  del  Muntz  e  del 
Nolhac.  AITopera  sono  annesse  cinque  tavole  fototipichc,  non  tutte  ria 
scitc  egualmente  bene.  La  prima  rappresenta  la  facciata  dell'antica  baH 
silìca  Vaticana,  e  l'A.  la  illustra  alle  pp.  8-i  i  :  a  La  piazza  scorgevi  pi 
H  rata  a  festa  ;  arazzi  e  drappi  pendono  dalle  finestre  e  dai  palchi  eret 
«  per  gli  spettatori  :  suonano  le  tube  (?)  e  tuonano  le  artiglierie,  mentre 
a  la  turba  del  popolo  assiste  plaudente.  Accanto  al  vetusto  ingresso 
«della  basilica  s'innalza  il  trono  del  pontefice  entro  uno  steccato, 
«  cui  ingresso  ò  una  specie  di  arco  trionfale  (?)  decorato  di  festoall 
«  collo  stemma  di  Sisto  V  ».  Nella  tavola  li  riproduce,  da  un  afTrcscol 
del  Vasari  nel  palazzo  della  Cancelleria  di  Roma,  l'immagine  dei 
luoghi  e  dello  stato  dei  lavori  quali  si  trovavano  quarant'anni  prima, 
sotto  Paolo  IlL  La  tavola  III  offre  in  una  delle  vedute  il  trasporta j 
dell'obelisco;  e  presso  la  torre  campanaria  ben  riconosce  lo  S.  rap 
presentata  nella  parte  superiore  d'un  edifìzio  parte  del  musaico  giot* 
tesco  della  navicella  che  ornava  l'antico  quadriportico.  Descritte  lej 
vicende  che  alterarono  il  monumento,  altrove  trasferito  e  restaurato  j 
più  volte,  lo  S.  oflfre  nel  n.  4  della  tavola  V  un  elemento  assai  antico] 
e  pregevole  per  ricostituirne  il  primitivo  aspetto,  tratto  da  un  disegno  I 
della  biblioteca  Ambrosiana.  «  L'occasione  -  scrìve  l'autore  -  mi  in- I 
«  duce  X  divulgare  un  frammento  dì  musaico  attribuito  a  Giotto  che  j 
«  ò  serbato  a  Bauco^  nelle  vicinanze  della  Badia  di  Casamarì,  in  uaaJ 
«  cappella  privata  »,  quantunque  sulPautenticità  dell'angelo  giottesco  I 
non  si  avventuri  a  pronunziare  giudizio.  E  questo,  e  la  testa  di  Gre-  j 
gorio  IX,  ch'era  pur  essa  nel  musaico  sotto  al  timpano  all' ingresso] 
del  quadriportico;  e  la  testa  d'Innocenzo  III,  la  cui  hgura  era  nella | 
conca   dell'abside   ed   ora   si    trovano  nella  cappella  della  villa  giil 
Conti,  ora  Torlonia.  presso  Poli,  costituiscono  i  tre  frammenti  di  de- 
corazioni musive  scampati  alle  distruzioni,  che  lo  S.  divulga  per  la  \ 
prima  volta  nella  tavola  V  del  presente  scritto.  Nella  parte  inferiore  j 
della  tavola  IH  è  anche  figurata  la  piazza  Colonna,  colle  umili  ba- 
racche e  co' pergolati  che  fanno  cosi  mìsero  contrasto  colla  grande 
colonna  di  Marco  Aurelio  restaurata  da  Sisto  V.  La  tavola  IV  ripro- 
duce, nella  parte  inferiore,  una  lunetta  con  la  veduta  del  patriarchio 
lateranense  e  degli  annessi  editici,  divulgata  già  dal  Rosponì  e  dal 
Rohault  de   Fleur>';  nella  superiore,  la  pianta  prospettica  di  Roma 
indicante  il  piano  regolatore  della  città  attempi  di  Sisto  V;  ad  illu- 
strazione della  quale  lo  S.  reca  fra  le  altre  notìzie  quella  della  data 
certa  della  «  desfattura  della  scola  di  Virgilio  houer  Scttc/.onio  a,  le 
cui  spese  figurano  nei  conti  alla  data  de*  15  maggio  1589.  Ora,  tali 
registri  de*  conti  che  rivelano  preziosi  ragguagli  intomo  alle  basiliche 
cristiane  ed  agli  antichi  monumenti  di  Roma,  non  pare  che  fossero 
cogniti  al  Tempesti,  furono  trascurati  dall'  Hùbner,  e  lo  S.  li  usò  primo 
e  ne  dene  indicazione. 


bibliografia 


i8r 


Emmanuel  Rodocanachi.  Cola  di  Rienzo  -  Histoire  de 
Rome  de  1342  à  1354.  —  Paris,  A.  Lahure,  imprimeur- 
Witeur,  1888. 

Cola  di  Rienzo  ù  tal  figura  storica  che  non  può  non  esservi  in 
^  i  tempi  chi  si  Usci  attrarre  da  essa  potentemente.  Non  ò  solo  fra 
gli  Jinisti  o  i  romanzieri  che  certi  antichi  nomi,  certi  episodi,  certi 
periodi  storici  trovano,  a  preferenza  dì  altri,  simpatie  più  vive;  anche 
fu  gli  studiosi  e  fra  i  severi  eruditi,  per  i  quali  tutto  dovrebbe  valere 
«qualmente  quanto  sì  può  chiamar  fatto  documentato,  v'  han  certi 
tèmi,  cui  per  bisogno  inconsciente  dello  spirito  la  rigida  ricerca  obici- 
UTisi  volge  con  più  intelletto  d'amore.  Mal  giudichiamo  i  freddi  espio- 
'4(ondel  passato,  fiorandoceli  quasi  atrofizzati  dalle  carte  ingiallite  e 
^Ic  logore  pergamene:  eglino  comprendono,  invece,  come  per  certi 
^ni,  per  certi  rivolgimenti,  per  certe  figure  del  passato  ìl  lavoro  loro 
■^OQ  è  se  non  !'umilc  compagno  di  quello  che  spetta  al  filosofo,  al 
politico,  allo  psicologo.  Di  qui  la  straordinaria  attrattiva  di  certi  ar- 
Jfoiacnti. 

Tale  si  presenta  quel  periodo  della  storia  medievale  di  Roma  che 
^  dal  Ii42  al  ij^t,  nel  quale  la  figura  dcirultimo  tribuno  domina 
(^  Campeggia  sovrana,  anche  quando  dobbiamo  andarla  a  ritrovare 
^^li  solitudine  di  monte  Maiella  o  nel  triste  carcere  di  RauJoitz. 

Ben  venga  adunque  questo  nuovo  volume  del  signor  Emanuele 
Rndocanachi  su  Cola  di  Rienzo,  che  s'aggiunge  cos\  alla  biografia  di 
fi^lice  Papencordt,  sintesi  felicissima  di  tutto  quanto  erasi  anterior- 
tuente  scritto  su  la  storia  del  tribuno.  Questa  Società  di  Storia  patria 
'^  ormai  riunito  e  s'accinge  a  pubbhcare  l'epistolario  di  Cola,  ed  è 
poesia  una  ragione  di  piò  per  accogliere  con  schietta  soddisfazione 
^  pTwente  lavoro,  che  serve,  se  non  ahro,  a  ravvivare  l'attenzione 
*.cl  pubblico  colto  per  quel  memorabile  decennio  di  storia  romana. 
S«  dicessimo  che  l'opera  del  Rodocanachi  porta  agli  studi  un  con- 
tTbuio  veramente  nuovo,  non  saremmo  nel  vero  e  sorpasseremmo 
wr«  gli  stessi  intendimenti  dcll'A.  Fonti  nuove,  oltre   quelle,  mano- 
scritte ed  a  stampa,  gi.\  utilizzale  dal  Papencordt,  non  è  venuto  fatto 
■  af/'A.  di  scoprire,  e  noi  non  gli  moviamo  di  ciò  ìl  bcncht,'  minimo 
[rimprovero:  fondamento  principale  della  narrazione  resta  sempre  la 
gFili  dell'anonimo  contemporaneo,  sussidiata  non  tanto  da  varie  ero- 
iche dì  città  italiane  e  da  qualche  annalista  ecclesiastico,  quanto  dalle 
re  di  Cola  a  noi  pervenute  e  già  in  buona  parte,  benché  assai 
ile  e  sparsamente,  pubblicate. 
Questo  il  materiale  che  servi  agli  anteriori  biografi  e  che  per  la 
di  essi,  e.  abbiam  motivo  dì  credere,  non  per  la  via  dei  mano- 
itti,  venne  a  conoscenza  del  Rodocanachi.  E  ad  aggiungere  però 
l'cgli  ebbe  primo  Taiuto,  mancato  agli  altri,  della  nota  raccolta  del 
ftcincr:  Codcx  diplomatiius  domittii  Umporalis  Sanctae  Siàis^  stampata 
el   1S63,  della  quale  opportunamente  sì  valse  a  meglio  chiarire  i 
del  tribuno  colla  Curia  pontificia.  Ciò  solo  basterebbe  a 


l82 


'Bibliogra/ìa 


farci  riconoscere  tutt*altro  che  inutile  il  libro,  del  quale  un  breve  e 
sommario  esame  potrit,  crediamo,  non  riuscire  discaro  agli  studiosi. 

La  prima  parte  del  volume  comprende  i  primi  anni  di  Cola,  Tam- 
bascìata  ad  Avignone»  la  fondazione  del  buono  stata,  la  politica  in- 
terna ed  esterna  del  tribuno  e  la  sua  prima  caduta. 

L*A.,  dando  maggiore  sviluppo  ad  alcune  parti  della  narrazione 
non  interamente  sviluppate  dai  precedenti  biografi,  rifa  con  forma  bril- 
lante la  storia  di  quei  sei  mesi  in  cui  la  potenza  di  Cola  andò  aumeo- 
tando  con  una  rapidità  uguale  a  quella  con  cui  s'operò  la  sua  prima 
caduta.  Intorno  ai  rapporti  fra  i  Romani  e  la  Curia  d'Avignone,  pare 
airA.  (e  giustamente)  di  poter  stabilire,  su  la  testimonian/a  d*una 
lettera  del  papa  pubblicata  dal  Theiner  (i.  II,  n.  CXXX),  che  le  am- 
basciate a  Clemente  VI  furono  due  e  che  della  prima  non  fece  punto 
parte  Cola  di  Rienzo,  il  quale  soltanto  posteriormente  venne  inviato 
ad  Avignone  (i).  Cola  fu  più  fortunato  di  Stefano  Colonna  e  de'  suoi 
colleghi:  il  27  gennaio  dell'anno  i}4J,  Clemente  pubblicò  la  bolla 
i<  Unigenìtus  Del  Filius  »  e  formulò  ì  doveri  imposti  ai  fedeli  che  si 
sarebbero  recati  a  Roma  pel  giubileo  nel  i  550.  Rienzo  approfittò  delle 
simpatie  incontrate  in  Avignone  per  parlare  con  grande  veemenza 
contro  i  baroni  romani  e  per  dipingere  al  papa  coi  più  tristi  colorì  la 
loro  licenza  e  la  loro  crudeltà.  I  senatori  di  Roma,  Paolo  Conti  e 
Matteo  Orsino,  se  ne  risentirono  aspramente,  e  decretarono  contro 
Cola  le  misure  più  rigorose. 

Fu  allora  che  intervenne  il  papa  colla  lettera  sopra  ricordata,  nella 
quale  difendeva  il  giovane  ambasciatore  da  ogni  accusa  e  lo  racco- 
mandava alla  benevolenza  dei  suoi  concittadini.  Cosi  Rienzo  potè  tor- 
nare a    Roma  al  sicuro  dalle  rappresaglie  dei  suoi  nemici. 

Ad  Avignone  il  futuro  tribuno  conobbe,  com'è  noto,  il  Petrarca, 
e  da  allora  cominciarono  le  relazioni  fra  l'uno  e  l'altro.  Il  Rodoca- 
nachi  scrive:  «II  scmble  probable  quc  Pétrarque  et  Rienzo  lìèrent 
«  connaissance  dés  cette  epoque;  animC's  tous  les  deux  d'une  ègale 
«  passion  pour  1*  Italie,  ìls  durent  s*entretenir  sans  doute  plus  d'une 
«(bis  de  leurs  pensccs  et  de  Icurs  espcrances  sur  son  avcnir».  Alle 
quali  parole,  assai  scarse  in  verità,  tenuto  conto  degl'intcndimenii  del 
volumi:,  o  noi  c'inganniamo  o  la  forma  dubitativa,  usata  dall' A.,  toglie 
gran  parte  di  valore.  Ci  sia  lecito  pertanto  notare  come  il  Petrarca 
dia  principio  ad  una  sua  lettera  (Ldt.  s^n^ii  titolo,  7),  scritta  dopo  la 
partenza  di  Cola  da  Avignone,  appunto  ricordando  un  lungo  colloquio 
avuto  con  lui  dinanzi  air  antico  tempio  di  Sant'Agrìcola.  «  Quando 
«ripenso  -  scrive  il  poeta  -  a  quella  nostra  conversazione,  mi  sento 
a  pieno  di  fuoco  e  d'entusiasmo  ».  Nìun  dubbio  quindi  che  durante 
la  dimora  di  Rienzo  ad  Avignone  (imO  ^^  stabilisse  TafTettuosa  ami- 
cizia tra  Cola  ed  il  Petrarca. 


(1)  Eco»  Il  luo/n  p*e;it"    *  "     '  '.      •  Cum   .lutrtn  per  sli^uo»    ipius  Ni- 

•  Col*i  cmulot  vabli,   ut   ftucii  tìi,  Uctt  fal^n.  rumdeni  NicoUam  dìiÌMe 

•  corAia  nobll  &li^u«,  «jua   in   ■  -  '..m   Ro(n«nl  popuK  amb«»ii«f>>rum  r.LnuM 

•  nlatonun  «d  MO«tr*ni  fmcnciara  prciudicium  ac  vitupcrinm  r««luiuljibtnr,  tu 


bibliografìa 


183 


A  quest'amicizia,  che  esercitò  senra  dubbio  un'  influenza  non  pie* 
j  coli  su  r  indole  dei  rapporti  stabilitisi  dipoi  tra  Cola  Jivenuto  arbitro 
idi  Roma  e  papa  Clemente  VI,  il  Rodocanachi  consacra  un  intero  ca- 
pitolo, dov'ì:  opportunamente  esaminau  la  corrispondenza  epistolare 
Itenuia  fra  il  Petrarca  e  il  novello  tribuno,   «  Ce  fut  probablcment 
l»»cr5ccttc  òpoque  -  aggiunge  l'A.  -  quc  dans  son  premier  mouve* 
[tilJcnt  d'enthousiasme  le  poète  coraposa   en  rhonncur  de  Rienzo  la 
jtcanzonc  célèbre  connuc  sous  le  nom  de  Spirito  (sic)  inculile  a.  E  ri- 
jporu  uDa  traduzione  francese  della  canzone,  fatta  dal  signor  Esmé- 
^Qini  du  Mazct.  Delle  lunghe   e   spesso  anche  dotte  discussioni  cui 
àkik  luogo  r  incertezza  del  destinatario  di  quelle  strofe,  il  Rodoca- 
McM  mostra  di  non  essere  affatto  informato,  per  quanto  il  nome  dei 
letterati  che  presero  parte  alla  disputa,  come  il  Carducci,  il  BartoH, 
il  D'Ovidio   e   molti  altri,  avrebbe   dovuto  non   fargliela   ignorare. 
L'A.  invece  non  giunse  piti  oltre  dei  ru-.-innanienti  tenuti  quarant'anni 
£1  da  ZctHrino  Re,  dichiarando  che  dopo  la  sapiente  discussione  di 
^qticsio  erudito  non  si  può  più  mettere  in  dubbio  che  la  canzone  fosse 
rulmcntc  indirizzata  a  Cola  di  Rienzo.  Ora,  noi  non  contestiamo  al 
Rodocanachi  il  diritto  di  ritenere  una  tale  opinione,  sostenuta  da  va- 
liiiistìrai  argomenti;  ma  non  ò  davvero  Zelfirìno  Re  che,  tra  i  prò- 
pogaaiori  di  essa,  abbia  dotto  l'ultima  parola.  A  buon  conto,  un  co- 
dice Ashbumhiano,  scoperto  e  segnalalo  dal  Bartoli  in  questi  ultimi 
aimi,  reca  in  capo  alla  canzone  il  nome  di  Bosone  da  Gubbio,  e  in 
►  ^Oeno  nuovo  fatto  molti  letterati  valenti,  fra  i  quali  il  D'Ovidio,  han 
r  Veduto  una  prova  di  più  della  tesi  già  sostenuta  dal  Carducci,   che 
ooè  il  nome  di  Cola  di  Rienzo  fosse  venuto  in  campo  soltanto  pò- 
«criornicntc  per  opera  degli  eruditi  del  cinquecento.  Bisognava  quindi, 
(  Dna  volta  entrati  nella  disputa,  ribattere  con  nuove  ragioni  (e  ce  ne 
^o()  questa  opinione. 

Per  ciò  che  riguarda  i  preparativi  della  rivoluzione  popolare  e  lo 
ttabilìrri  del  buono  stato,  i  capìtoli  IV  e  V  del  presente  volume  nulla 
^pungono  all'opera  del  Papcncordt,  che  seguono  abbastanza  da  vi- 
^0.  La  politica  esterna  del  tribuno  e  le  sue  relazior:!  col  resto 
^  llilia  (cap.  VHI  e  IX)  vengono  esposte  dairA.  con  molta  chia- 
^'a.  Non  fa  d'uopo  ricordare  ne*  suoi  particolari  il  piano  di  Cola: 
^  voleva  istituire  un'assemblea,  nella  quale  tutte  le  principali  città 
'^«nc  dovevano  essere  rappresentate  con  egual  numero  di  voti, 
P^  discutere  e  risolvere  tutte  le  querele  delle  città  confederate,  csa- 
""nirc  le  questioni  d' interesse  generale  e  rappresentare  V  Italia  di 
*^otc  ai  paesi  stranieri.  In  questo  grande  consiglio  egli  avrebbe  tro- 
JJto  modo  di  dare  a  Roma  il  primato  e  la  preponderanza.  Con  tale 
iQlendimcnto  inviò  in  sulla  fine  dì  giugno  al  comune  di  Firenze  una 
jpcciale  ambasceria,  munendo  i  suoi  legati  d'una  lettera  credenziale 
^ che  conservasi,  insieme  a  varie  altre,  in  copia  sincrona,  nell'Archi- 
Ho  di  Firctue  (Capitoli  del  Comune,  voi.  XVI)  e  che  fu  già  pubbli- 
atadalGaye  (Carti^^io  inedito  d* artisti).  Da  questo  documento  risulta 
bc  gli  ambasciatori  furono  quattro,  e  non  cinque,  come  dice  il  Ro- 


t84 


"IStblìografia 


docanachì  (pag.  no),  e  cioè:  Pandolfuccìo  di  Guido  de*  Franchi, 
Matteo  de'  Beccari  (non  A^*  Reatini,  come  scrive  il  nostro),  Stcfancllo 
deMioezi  e  Francesco  do' Baroncelli  (i).  Il  2  luglio  del  1545,  due 
degli  ambasciatori  parlarono,  a  nome  del  tribuno,  avanti  alla  Si- 
gnoria. I  discorsi  di  costoro  -  a\n*crte  l'A.  -  si  trovano  nel  codice  5^7» 
fondo  itidiano,  della  biblioteca  Nazionale  di  Parigi,  conosciuto  dal 
Papencordt  sotto  l'antica  segnatura  (7778  della  biblioteca  Reale),  ma 
da  lui  non  potuto  consultare  (2):  occorre  però  aggiungere  ch'es&t 
trovansi,  tradotti  in  italiano,  anche  nella  cronaca  dì  Giovanni  Vil- 
lani (Firenze,  1823;  voi.  Vili,  p.  cxx  e  sgg.).  Il  Rodocanachi  omctic 
questa  citazione^  e  dà  in  francese  qualche  passo  dei  discorsi.  Primo 
parlò  Pandolfiiccio  (cod.  557,  e.  79),  poscia  il  Baroncelli  (cod.  557, 
e.  So),  e,  il  giorno  seguente,  alla  proposta  di  Tommaso  Corsini  ri- 
spose ancora  Pandolfuccio  (cod.  5)7,  e.  81  r.)- 

Risultato  deiramba^ccria  fu,  com* è  noto,  l'invio  da  parte  della 
Repubblica  fiorentina  di  cento  cavalieri,  e  la  partenza  di  suoi  rappre- 
sentanti alla  volta  di  Roma.  Poco  dopo,  giungevano  a  Rienzo  am- 
basciatori anche  da  Siena,  da  Arezzo,  da  Todi,  da  Spoleto,  da  Rieti» 
da  Pistoia,  da  Folìpio,  da  Tivoli,  da  V'elletrl:  i  signori  del  Nord 
dMtalia  gli  offrivano  doni  preziosi;  la  regina  Giovanna  sottoponeva 
al  giudìzio  dì  lui  la  sua  lite  con  Luigi  d'  Ungheria,  e  perfino  Giovanni 
Paleologo  entrava  in  amichevoli  relazioni  col  capo  del  popolo  ro- 
mano, a  Per  tal  modo  -  conclude  il  Rodocanachi  -  Cola  seppe  intc- 
«  rcss.ire  alla  rivoluzione  che  s'era  compiuta  in  Roma  tutti  i  popoli 
«d* Italia  e  i  sovrani  d'Europa.  E  mentre  Crescenzio,  Arnaldo  da 
«  Brescia,  Stefano  Porcari,  pur  animali  dallo  stesso  amore  di  liberti, 
«  videro  la  loro  fama  e  i  loro  sforzi  circoscritti  dalle  stesse  mura  dclU 
«  cittA,  il  tribuno,  appena  arrivato  al  potere,  si  vide  trattato  da  pari 
tr  a  pari  dai  più  potenti  monarchi  ». 

Ma  airesieriorc  potenza  mal  corrispondevano  in  Cola  le  qualJU 
psichiche  :  certamente,  la  rapidissima  ascensione  alla  gloria  meno  spe- 
rata apportò  nel  suo  spìrito  uno  squilibrio,  che  non  può  sfuggire  a 
chi,  dopo  cinque  e  più  secoli,  cerchi  penetrare  la  storia  ìntima  óx 
quell'anima.  E  a  questa  storia,  non  meno  interessante  di  quella  este- 
riore del  tribunato,  parecchie  fra  le  lettere  di  Cola  servono  assai 
bene.  Ci  basti  ricordame  una  (j)  ch'egli  diresse  il  15  luglio  1347  a 
un  suo  amico  in  Avignone,  e  in  cui  con  grande  famigliarità  apre 
tutto  l'animo  suo.  Gii  il  Papencordt  ne  citò  un  brano,  che  ora  anche 

(1)  Emo  II  reUtivo  patto  àtXU  Irtia-iM: 

>  . .  .  .  (]ucd4m,  (juc  corde  ({«rimus,  vobU  oretenut  uponenJft,  nobili  «t  nrcnuo  vlio 

•  Pandolfutjo  Gultloni»  ile  Fr«n<lil»,  (loinlno  M«ctca    Jc    BeccAiiU   ccusidko  et   providi» 

•  virii  Sicphincilo  A*  Hnctiii  ci  frittweico  dt  BAroncellit,  dllecui  civibut  et  ambaiAion» 

•  bua  Doatria,  rxibitorìbu»  liArum,  plen«  fiJc  cummiaimns....  ». 

(1)  C01I  <«r1*c«o  dell»  fine  del  lecalo  xtv,  wo»  icgAtur*  del  »ecolo  p«MAto  in  ni*- 
roccbioo  T0%%Oy  (Il  108  »ric.  CoDtlcn«  auctic  un'a»«AL  oou  Uttcm  di  CoU  t'  VU«rbc*I. 
Li  proasimj  eJiJÌone  dell'epistol-u-io  di  Rieiuc-,  clic  U  Socieil  Roaun«  di  Stoni  palHé 
Mi   curtndu,   diri  t'indice  del  jontenuto  dì   i^uf^to  importante  manoicritio. 

(y)  Cod,  D»  )9  dcU»  biblÌot«M  >l«iÌonAle  di  Torino;  mtu  175. 


bibliografia 


r8j 


il  RoJocanachi  riporta  tradotto  in  francese,  traendolo  cviJemcmenie 
<W  precedente  biografo  di  Cola.  Moì  lo  diamo  nel  testo  latino,  quale 
trovasi  nell'unico  codice  che  ce  lo  ha  conservato. 

«  Et  novit  Deus  -  scrive  Cola  airamico  -  quod  non  ambitìo  di- 
•gniutis.  officii,  fame,  honoris  vel  aure  mondialis,  quam  semper 
«  ahorrivi  sicut  limus,  sed  desiJerium  comunis  boni  toiius  rcìpublicc 
«huiusque  sanctissimi  status  induxit  nos  colla  submittere  jugo  adeo 
«ponderoso  attributo  nostris  humeris  non  ab  homine,  seJ  a  deo,  qui 
■oovitsi  of!icium  istud  fuit  per  nos  precibus  procuratum,  si  officia, 
«beneficia  et  honorcs  consanguineis  nostris  contulimus,  si  nobis  pe- 
«cuniam  cumulamus,  si  a  veritate  recediraus,  si  t;obis  vel  hcredibus 
«Oostris  facimus  cotnpositiones,  si  in  ciborum  dulctuiine  aut  voìuptatt 
*fdì^ua  tUkctamur,  et  si  quidquam  gerimus  simulatum.  Testis  est 
«nobis  Deus  de  iis  que  fecimus  et  facimus  pauperibus,  viduis,  or- 
'phanis   et  pupìUis.  Multo  vivebat   quietius   Cola   Laurcntii   quam 

•  Tribunus  *>. 

Fin  qui  il  Rodocanachì,  che  più  oltre  non  poteva  andare,  serven- 
a«3Ì  del  Papencordt  anziché  del  codice  torinese.  Ma  la  lettera  appare 
■importante  anche  in  altre  sue  parti.  Sembra  che  l'amico  avesse  scritto 
'  Cola  che  si  diceva  chVi  cominciasse  già   ad   aver  paura  del  suo 
nuovo  "(tato:  e  Cola  a  smentire  la  falsa  voce:   «  Ad  id  autem  quod 
scribìtis   audivisse  quod  incepimus  iam  tcrreri,  scirc  vos  lacimus 
«fuod  sic  Spiritus  sanctus,  per  queni  dirigimur  et  fovemur,  facit  anì- 
iitim  nostrum  fortem,  quod  ulla  discrimina  non  timemus:vero  si 
toius  mundus  et  homines  sancte  fidei  cristiane  et  perfidiarum  he- 
^raice  et  pagane  conirariarentur  nobis,  non  propUr  ea  Urnrémur». 
più  sotto:  ((  Sed  frustra  tumcscunt  maria,  frustra  venti,  frustra  ìgnis 
*  Crepitai  contra  hominem  in  domino  confìdcntem,  qui,  sicut  mons 
Sion,  non  poterit  comnioveri  n.  E  chiude  invitando  l'amico  a  tor- 
«;  in  Roma,  dove  gli  ha  destinato  un  onorevole  ufficio. 
Qpest' altèra  sicurezza  di  so  stesso  venne  naturalmente  accresciuta 
Rienzo  dai  fatti  che  seguirono,  e  spcciaìmcme  dal  successo  ch*ei 
portò  nella  lotta  contro  quel  Giovanni  dì  Vico,  che  pareva  assolu- 
txientc  invincibile.  Ond'è  che  a  lui  sembra  facile  sbarazzarsi  d'un 
^*tio  dei  principali  baroni  romani  e  che  preparò  loro  il  noto  agguato 
***    un  celebre  banchetto,  de!  quale  parla  con  efficace  e  bonaria  sin- 
riià  la  l'ita  dell'anonimo.  A  spiegare  quella  veramente  impolitica 
^dctta  di  Cola,  il  Rodocanachi  parla  d'un  sicario,  cui  i  baroni  avrcb- 
«*o  dato  mandato  d'assassinare  il  tribuno,  e  che  invece  fu  scoperto 
ttiprìgionato.  L'assassino,  messo  alla  tortura,  avrebbe  svelata  la  con- 
dri e  i  più  potenti  baroni  si  sarebbero  trovati  compromessi.  Da 
Infesto  fatto  il  tentativo  di  Rienzo  sarebbe  abbastanza  spiegato.  Ma 
^^  tion  sappiamo  su  quali  fondamenti  e  da  quali  fonti  l'A.  abbia  nar- 
•^  tali  particolari,  dei  quali  la  ritti  non  fa  parola.  C'è  anche  per- 
^^nata  una  lettera  di  Cola  a  Rainaldo  Orsini,  notaio  del  papa  (Hoc- 
*^^ÌU!,  Gfstd  poni.  Tun^r.,  Il,  496),  nell.i  quale  ei  sì  scusa  dell'avere 

*  tradimento  incarcerati  i  baroni,  e  afferma  d'averlo  fatto  soltanto  per 


i8^ 


bibliografia 


indurli  a  confessare  le  loro  colpe.  «  A  questo  fine  -  egli  scrive  -  il 
(c  1 5  di  settembre  mandai  ai  baroni  nel  carcere  alcuni  frati,  i  quali, 
«ignorando  la  mia  finzione,  e  credendo  eh' io  avrei  usato  la  maggior 
«  seve  riti,  dissero  loro:  Il  tribuno  vi  danna  a  morte.  Ed  essi  allora, 
«  credendo  immineptc  la  morte,  si  confessarono  colle  lacrime  agli 
'(  occhi.  Io  invece  li  trassi  in  presenza  dì  tutto  il  popolo,  li  perdonai  e  li 
«t  colmai  d'onoranze  ».  Non  c'è  facile  scoprire  se  tanta  clemenza  fosse 
già  da  prima  nell'intenzione  dì  Cola,  o  se  non  piuttosto  gli  fosse 
imposta  (come  pare)  dai  più  influenti  cittadini:  certo  è  però  che, 
qualora  il  tradimento  del  convito  fosse  stato  provocalo  da  una  con- 
giura, antecedentemente  ordita  a  fine  di  assassinare  Rienzo,  egli  non 
avrebbe  davvero  omesso  di  dirlo  in  una  lettera  ch'è  appunto  dettata 
in  sua  discolpa  e  per  frenare  11  prevedibile  sdegno  di  Clemente  VI. 

Ma  gli  umori  divenivano  ad  Avignone  sempre  più  contrari  a  Cola: 
il  capitolo  XIV  del  volume  del  Rodocanachi  parla  appunto  dell'  in- 
tervento della  Curia  pontificia  nelle  cose  di  Roma,  dopo  il  quale  la 
rivolta  degli  Orsini  dì  Marino  e  il  combanimenio  di  porta  San  Lo- 
renzo furono  pel  tribuno  come  gli  ultimi  lampi  di  gloria,  che  resero 
più  dolorosa  la  sua  caduta. 

Veniamo  così  alla  seconda  parte  del  volume.  Q.ui  la  figurai  dì  Cola 
assume  un  carattere  più  mistico,  l'uomo  d'azione  sì  fa  asceta,  e  ce- 
lato tra  ì  fraticelli  della  Majella  pare  che  altro  non  cerchi  se  non 
d*essere  affatto  dimenticalo.  Nel  1550 -anno  del  giubileo-  egli  de- 
cide dì  recarsi  in  Terra  Santa,  ma  la  paura  ne  lo  distoglie  (p.  267). 
Intanto  le  esortazioni  di  fra  Michele  di  Monte  Angelo  tornano  a  com- 
movcrlo  di  nuovo  e  a  convincerlo  che  l'opera  sua  ó  più  che  mai 
necessaria  al  rinnovamento  del  mondo.  Ma  ad  intendere  l'influenza 
che  esercitarono  sull'animo  di  Rienzo  le  predizioni  del  santo  eremita, 
bisognerebbe  che  a  questa  parte  fo^sc  dato  sviluppo  maggiore  che 
non  le  dia  TA,:  le  profezie,  ripetute  dal  frate,  5Ì  trovavano  ad  essere 
gii  popolari  nel  mondo  medievale  ed  erano  quelle  che  Cirillo,  gene- 
rale dell'ordine  carmelitano  (1192),  aveva  ricevute,  secondo  la  leg- 
genda, in  tavole  d'argento  e  che  circolavano  per  tutto  l'occidente  com- 
mentate dall'abate  Gioacchino  e  da  Gilberto  Cistercense  (1280). 

Il  Rodocanachi,  sorvolando  su  tutto  questo  nucleo  d'idee,  che  pur 
rappresentano  un  portato  così  caratteristico  del  pensiero  medievale, 
non  solo  non  ne  tenta  una  critica  esposizione  o  comparazione,  ma 
s'accontenta  di  tradurre  semplicemente  una  lettera  di  Cola  a  Carlo  IV, 
pubblicata  già  dal  Papcncordt,  nella  quale  le  profezìe  dì  fra  Angelo 
sono  ricordate. 

Incitato  dalla  parola  del  santo  eremita,  ecco  Rienzo  arrivare  im- 
provvisamente a  Praga,  presentarsi  incognito  all' imperatore,  e  implo- 
rare la  sua  protezione.  Ma  Carlo  IV  doveva  in  gran  parte  la  sua  ele- 
zione al  papa,  e  non  poteva  permettere  che  s'attaccasse,  come  faceva 
Cola,  impunemente  la  persona  stessa  del  pontefice  :  ritenne  quindi 
prigioni,  come  eretici,  Cola  e  i  suoi  compagni  di  viaggio.  Il  periodo 
della  prigionia  (cap.  XXI,  XXII,  XXIII)  ci  è  specialmente  rappreseli- 


bibliografia 


.87 


tiio  dal  carteggio  di  Rienzo  coll'arcivescovo  di  Praga  e  con  Giovanni 

di  Ntumark,  canonico  di  Breslavia  e  di  Olmùtz  e  poscia  cancelliere 

<icll' Impero  :  le  lettere  dirette  Ja  Cola  a  questi  due  ahi  personaggi 

fiiroao  già  nella  massima  parte  fatte  conoscere    dal  Papenccrdt.  Ma 

'e  accuse  d'eresia  portate  contro  Cola  impedivano  tanto  alFuno  quanto 

*Al*altro  dei  due  ecclesiastici  d' intercedere  per  lui  ;  laonde  egli  pensò 

^   dirìgere  all'arcivescovo  una   lunghissima   memoria,  che  intitolò: 

r€Tus  tribuni  ìihclìus  contra  scismata  et  hcrrons.  11  documento  fu  già 

stannpato  dal  Papencordt,  e  il  Rodocanachi  non  fa  che  riassumerne 

j  punti  principali.  Qui  lo  stile  di  Cola  si  fa  più  che  mai  contorto  e 

evoluto,  cosicchò  r interpretarne  il  pensiero  riesce  spesso  difficile; 

nierita  quindi  d'essere  scusato  Pegregìo  A.,  se  non  sempre  intende  a 

*tovcre  il  linguaggio  deiresahato  scrittore.  Veggo  infatti  che  la  chiusa 

«iella  lunga  lettera  non  t;  bene  interpretata  dal  Rodocanachi.   Dopo 

^**cr5Ì  difeso  dalle  molte  accuse  d'eresia,  Cola  toma  a  citare  la  pro- 

'^ia  di  Cirillo,  dove  si  parla  appunto   d'un   rigeneratore  che,  dopo 

^*scre  stato  esaltato  alla  maggior  gloria,  sarebbe  imprigionato  ncl- 

'  ariao  del  giubileo;  ma  la  profe?:ia  è  poscia  illustrata  e  commentata 

Con  SI  oscuri  e  prolissi  ragionamenti,  che  indussero  ìl  Papencordt  a 

■^^panniarc  la  trascrizione  di   questa  parte  del  manoscritto.  Quindi 

*— ola  prosegue  :  «  Non  so  come  stamane  mi  venne  fatto  d' intrattenervi 

"■  SU  questa  profezìa:   me   ne  mancava  il  tempo,  non  avevo   nò   in- 

•  chiostro  né  penna  adattata,  e  perciò  scrìssi  con  carattere  grossolano 

*  ^    eoo  grossolano  stile.  Se  avessi  avuto  dinanii  il  testo  della  profezia, 
**  »*a'vr€i  esposta  meglio  di  qualsiasi  glossatore n. 

"bion  sembra  dunque  giusta  l' interpretazione  del  Rodocanachi,  cht 

"^^^sumc  questo  punto  così:  «  En  terminante  ìl  s'excuse  de  n'avoir 

Po  mieux  ccrire  par  suite  du  manquede  livriu  et  de  la  mauvaise  qua- 

-^  de  Tenere  ».   Questa  dichiarazione  di  Cola  si  riferisce  soltanto 

esposizione  della  profezia  di  Cirillo,  non  potendosi  assolutamente 

^^ pressione:  si  Uxtum  hahercm  tradurre:  se  avessi  avuto  dei  libri* 

Ala  intanto  seguitavano  le  trattative  fra  la  Corte  di  Praga  e  quella 

Avignone  per  rimettere  Cola  dinanzi  ai  giudici  ecclesiastici.  Carlo  IV 

'*^^va,  e  il  pontefice,  poco  abituato  a  veder  P  imperatore  resistere  alla 

volontà,  reclamava  sempre  più  imperiosamente  il  pri^onìero. 

' '^*  ambasci  ala  fu  finalmente  spedita  da  Carlo  a  Clemente  \'I  per  ac- 

5**"*i'*"i  su  la  partenza  di  Rienzo,  e  ne  fu  capo  lo  stesso  arcivescovo 

I      ^*"^g*-  Questo  fatto,  non  segnalato  dagli  storici  e  biografi  antece- 

-    ^'^ti,  vien  dato  come  certo  dal  Rodocanachi,  e  a  noi  manca  il  tempo 

'  ^*'    «controllarlo,  tanto  più  che  nel  relativo  luogo  del  volume  non  si 

''^^^'^  nessuna  citazione. 

11  riiorao  degP  inviati  troncò  gì'  indugi,  e  lutto  fu  disposto  perchè 
^  Priginnicro  di  Raudnìtz  fosse  tradotto  alla  Curia  papale.  E  qui  ìl 
"o<3ocinachi  apporta  un'importante  rettifica  all'opinione  finora  gene- 
***mcnte  accolta  intorno  alla  data  della  partenza  di  Cola  da  Praga 
P^t-  Avigncme. 

Una  bcQ  nota  lettera  del  Petrarca  a  Francesco  di  Nello,  scrìtta 


i88 


bibliografia 


il  12  agosto  1352,  contiene  le  seguenti  parole:  «  Venit  A.à  curiam 
M  nuptr,  imo  vero  non  venii,  scd  captivus  ductus  est,  NicoUus  Lau- 
ti rcntius  »  ecc.  Cola,  dunque,  doveva  essere  probabilmente  giunto 
ad  Avignone  nel  luglio  del  1352,  come  porterebbe  anche  a  credere 
un  breve  passo  della  Cronaca  di  Alberto  Argentinese  (i). 

Tuttavìa,  dacchc  il  cronista  non  diceva  se  intendesse  parlare  del 
luglio   1552  o  del  luglio   13JI.  il  Papencordt  e  altri  con  luì  si  pro- 
nunziarono pel  '51,  non  lasciandosi  troppo  convincere  da  quel  riuper 
del  Petrarca,  espressione  -  scrive  Ìl  Papencordt  -  assai  vaga  e  inde- 
terminata. Per  contrario,  egli  sosteneva  la  sua  tesi  colle  seguenti  con- 
siderazioni: La  lettera  del  Petrarca  (12  agosto  1352)  i'  scritta  indub- 
biamente quando  il  processo  contro  Ricnto  era  gii  terminatole  quindi, 
se  Cola  arrivò  in  Avignone  ai  primi  dì  luglio,  bisognerebbe  conclu- 
dere che  il  processo  non  occupasse  più  di  cinque  o  sei   settimane t 
ìl  che,  secondo  ìl  Papencordt,  ù  inverosimile.  Se  invece  ammettiaino 
che  l'andata  da  Praga  in  Avignone  avvenisse  nel  luglio  del  1351» 
tutto  combina  perfettamente,  perchò,  prima  che  l'esame  finisse  colla 
sentenza,  dovù  trascorrere  quasi  un  anno.  L'argomentazione  del  Pa- 
pencordt appare  già  debole  per  sé  stessa,  dacché  nulla  ci  obbliga  a 
ritenere  indispensabile  una  cosi  lunga  durata  del  processo,  senza  dire 
che  ditìicilniente  Ìl  Petrarca  avrebbe  potuto  chiamare  ncaiU  un  fatto 
avvenuto  un  anno  prima.  Ma  il  Uodocanachì  tronca  addirittura  la  que- 
stione, citando  una  lettera  di  Clemente  VI,  in  data  del  24  marzo  1552, 
nella  quale  il  papa  d.\  incarico  a  (ìiovanni  di  Spoleto,  a  Kaimnndo 
dì  Molendinuovo  ed  a  Ugo  di  Carluccio  di  farsi  consegnare  dairar- 
civescovo  di  Praga  ìl  prigioniero  Cola  di  Rienzo,  onde  trasferirlo  da 
Raudnitzalh  Curia  d'Avignone.  Probabilmente  non  poterono  subito 
i  tre  incaricati  eseguire  il  mandato,  a  cagione  fofse  delle  tergiversa- 
zioni dell'imperatore  Cario  IV;  quindi  Cola  non  arrivò  ad  Avignotie 
se  non  ai  primi  di   luglio.  Certo  e*,  ad  ogni   modo,  che   ai  24   di 
marzo  1552  egli  trovavasi  ancora  a  Rnudnitr,  prigioniero  dell*  arci- 
vescovo Ernesto.  Adunque,  la  rettifica  del  Rodocanachi  va  accolta 
definitivamente:  soltanto  egli  avrebbe  potuto  o  trascrivere  intera  la 
lettera  di  Clemente  VI,  o  citare  almeno  la  fonte  da  cui  ne  trasse  la 
notizia. 

Ma  questa  nostra  osservazione  si  collega  in  certa  guisa  al  giu- 
dìzio complessivo  che  si  voglia  dare  del  sistema  seguito  dall'autore 
riguardo  alle  citazioni  delle  opere  a  stampa  utilizzate.  Esse  sono  ri- 
cordate soltanto  in  principio  del  volume,  in  una  brevissima  e  som- 
maria bibliografia,  e  poscia,  nel  corso  dell'opera,  non  più  citate,  anche 
quando  se  ne  traggano  testualmente  lunghi  brani.  Ora,  un  tale  sistema, 
mentre  lascia  assai  spesso  insoddisfatto  il  lettore  (come  nel  caso  su- 
cnunciato  della  lettera  di  Clemente  VI),  induce  anche  l'autore  in  qual- 
che non  lieve  omissione.  E  valga  un  esempio:  a  pag.  233,  il  Rodo- 
canachi riporta,  tradotta  in  francese,  una  lettera  diretta  dal  tribuno 


0) 


(^uetn  poitc*  &t  nteose  julii  Cvolus  rei  p«p«c  tnnsmiiii- 


^ìblìograjìa 


189 


liia  comuoitù  dì  Aspra  in  Sabina  il  2  dicembre  13471  e  non  dice  donde 
l'abbi;!  tratta.  La  lettera  fu  pubblicata  nel  tomo  XI  della  vecchia  ri- 
^Ista.  BiVlioUca  italiana,  la  quale  non  tr  punto  citata  nella  bibliografia 
somniarìa  premessa  al  volume:  ecco  dunque  che  il  lettore,  anche  vo- 
lendolo, non  può  sapere  la  fonte  d'un  documento  utilizzato  dall*A, 
E  giacchò  siamo  su  la  via  del  censurare,  noteremo  qua  e  là  qual- 
che citazione  inesatta  di  nomi,  come  quella  di  B<:i/ri;mii)  De  Deulx,  ch*è 
invece  De  Deux,  e  di  Ernesto  di  Pardubi^,  ch't*  invece  di  Parbnbiti; 
qualche  nota  ingenua  od  inutile,  come  quella  spesa  a  dirci  che  Assisi 
*i  trova  in  Umbria;  qualche  osservazione  che  o  noi  c'inganniamo  0 
pu^  sembrare  inopportuna  in  un  lavoro  d' indole  storica,  come  quella 

*  P-  285,  dove,  a  proposito  della  predizione  di  Cola  che  gli  avvenì- 
<^enti  da  lui  annunziati  sì  sarebbero  avverali  fra  un  anno  e  mezzo, 
1*A.  avverte:  «  C'est  aussi  le  case  de  M.  Auguste  Comte,  qui  indi- 

*  quaìt  dans  ses  ouvragcs  T  epoque  précise  à  hquelle  devait  s'accom- 

*  plir  la  rénovation  du  monde  ». 

Il  capìtolo  XIV  narra  la  dimora  di  Cola  in  Avignone  e  Tesito  del 

processo  che  gli  fu  intentato.  Dalla  sua  nuova  residenza  Cola  scrìsse 

^na    lettera  ai  Romani,  che  comincia:  «  O  quam  profana  dieta  suni 

"  conira  te,  civitas  BabylonisI»,  dov'egli,  collo  stile  più  ampolloso, 

*>   paragona  a  un  grand'albero  che  per  la  sua  stessa  altezza  e  più  fa- 

^^Irn ente  scosso  dai  venti:  «  Arboreminens,  multis  fecunda  rarausculis 

•*  **Jt.rapondusìp5orum,  prona  est  ventorum  procella  recipcrc  eteveni  !» 

^^iwesta  lettera  sembra  all'A.  doversi  ritenere  come  apocrifa,  per  quanto 

^jB'ì    (p.  52  j)  non  dia  ragione  alcuna  di  questa  supposizione.  Lalcttera 

^*     trova  in  un  importante  Codice   miscellaneo,  conlenente  in  gran 

^^*^c  documenti  di  storia  medievale  romana,  e  che  conservasi  nella 

*^^ÌÌotcca  Feliniana  di  Lucca  (Capìtolo   della   Metropolitana),  Plu- 

^^o     Vili,  545.  Il  manoscritto  i:  tutto  di  carattere  della  fine  del  quat- 

CDto.  n  Rodocanachi  non  conosce,  dacché  non  la  cita,  la  sede 

^*     documento,  e  afferma  soltanto  eh'  esso  è  da  ritenersi  come  apo- 

"^•^o.  Ma  noi  non  possiamo  acconciarci  così  facilmente  all'opinione 

^^^l'^cgregio  autore. 

^d  Avignone,  il  processo  di  Cola  fini,  com'era  a  prevedersi,  con 
*-*^-  condanna  capitale;  ma  il  noto  movìmenio  dì  simpatia  sorto 
^^la  città  intorno  a  Rienzo  per  essersi  diffusa  la  voce  ch'egli  fosse 
5*  grande  poeta  (vedi  la  lettera  del  Petrarca  a  Francesco  di  Nello),  fece 
***'erire  l'esecuzione  fino  a  tanto  che,  morto  Clemente  VI,  successe 
**^  Innocenzo  VI,  al  quale  parve  che  di  Rienzo  avrebbe  potuto 
^*=^cra  efficacemente  valersi  la  Santa  Sede  per  i  suoi  interessi  in 
V^lìa.  Dì  qui  la  missione  del  cardinale  Albomoz,  la  partecipa- 
-  p*^^*^  ^^  Cola  a  quella  missione,  la  sua  nuova  e  fugace  potenza  in 
^Orria  e  la  sua  tragica  fine:  dei  quali  avvenimenti  trattano  con  suf- 
*^i^le  larghezza  gli  ultimi  capitoli  (XXVI-XXIX)  del  hbro  del  Ro- 

Oiunti  cosi  alle  fine  del  volume,  non  muta  l'opinione  che  csprime- 
^*tno  in  principio,  quando,  pur  facendo  buon  viso  al  lavoro  del  Rodoca- 


190 


"'Bibliografia 


nacht,  poco  o  nulla  dicevamo  di  trovarvi,  che  s'aggiungesse  alU  storia 
di  Cola  o  la  modificasse  in  qualche  guisa.  Ci  correva  però  TobbligO 
di  giustificare,  come  che  fosse,  il  nostro  giudizio,  e  a  tale  scopo  fo*  ' 
ron  dirette  le   poche  cose  che  siam  venuti  dicendo,  mentre  moke  ■ 
altre  dovemmo   ometterne  per  brevità.  Comunque,  a  far  perdonate  1 
airA.  la  leggerezza  di  qu.ilche  affermazione,  la  condotti  talvolta  so-l 
perftciale  delle  ricerche,  la  non  raggiunta  perfezione  del  metodo] 
trebberò  ragionevolmente  invocarsi  i  suoi  pregi  di  scrillorc  elEcac 
e  dì  brillante  narratore. 

Annibale  Gabrieui. 


Zdekauer  L.  Siatntum  pokstatis  comunis   PistorUnsis  onftt 
MCCLXXXXFL  Milano,  Hocpli,   1888,  p.  Lxv-343. 

Merita  sìncero  plauso  l'autore  di  questa  pubblicazione,  conio^j^i 
con  buoni  criteri  e  soda  erudizione.  Lo  Zdckaucr  ha  creduto  opP^^H 
tuno  di  limitare  l'oggetto  della  prefazione  all'esame  del  codice  ^^B 
raccogliere  così  dai  statuti  stessi  che  pubblica,  come  da  altri  d**^: 
menti  pistoiesi  tutte  le  tracce  della  legislazione  statutaria  in  Pis^*' 
dal  secolo  xu  a  xjn,  mostrandoci  cosi  come  essa  si  sia  venuta   *^ 
mando.  Si  astiene  di  proposito  da  una  illustrazione  intrinseca  d<* 
statuto,  segnalandone  le  difficoltà.  «  Ingens  comparationum  serie** 
«  fiat,  necessc  est  ad  ìnterpretanda  quae  propria  et  peculiaria  ur»*^ 
«  urbis  esse  videnturu.  Lo  Zdekauerad  ogni  modo  mostra  di  avere  ^^ 
esatto  concetto  di  che  cosa  voglia  essere  l'illustrazione  di  uno  siatuf<^^ 
mentre  ha  corredato  il  suo  lavoro  di  copiosi  ed  accurati  indici  ao*^ 
litici,   quanto   indispensabili  altrettanto   troppo  spesso  trascurati   io 
altre  recenti   edizioni.  Merita  anche  di  esser  ripetuto   il   voto  cht 
TA.  fa  nel  dar  ragione  di  aver  oraraesso  il  glossario.  L' Italia  non 
può  ni  dovrebbe  ormai  contentarsi  di  fare  addizioni  o  continuazioni 
al  glossario   del  Ducange,  formato  specialmente    su  fonti   franceflH 
Occorre  un'opera  completamente   originale  sulla  latinità  medicvaS^H 
italiana,  «  linquenda  semita,  -  com'egli  dice  -  ut  viam  consiilarem 
assequamur  ». 

I  limiti  di  questa  recensione  non  ci  permettono  che  di  rìassu- 
racrc  assai  succintamente  la  bella  prefazione,  che  movendo  dai  fram- 
menti pistoiesi  del  secolo  xm  editi  dal  Muratori,  dallo  Zaccaria  e 
dal  BcrUn,  mostra  che  ben  24  di  essi  hanno  lasciato  traccia  dì  sé  nello 
statuto  Angioino,  mentre  una  rubrica  anteriore,  anche  anteriore  a  detti 
frammenti  (itp).  ci  d  conser\'ata  da  Dino  di  Mugello.  Indi  abbiamo 
leggi  del  iiQi,  i3o6,  1213,  1217,  1219  relative  alla  pace  di  Pistoia 
con  Bologna  conchiusa  dal  card.  Ugolino  d'Ostia  e  così  via  fino  ad 
uno  statuto  tU-  cafis  ncm  aUtnandis  del  1260.  Il  trionfo  di  pane  guelfa 
sotto  Carlo  d'Angiò  modificò  grandemente  ranieriorc  legislazione, 
massime  quanto  al  diritto  pubblico,  e  lo  Zdekaucr  crede  che  un*  re- 
dationc  angioina  che  riferisce  all*flnno  1267  abbia  servito  di  base  t 


bibliografia  1 9 1 


/enutacidel  1296.  Il  prof.  Schupfer  (Rendiconti  dei  Lincei, 
;888)  non  trova  che  gli  indizi  raccolti  dalFA.  per  stabilire  la 
67  siano  sufficienti,  ed  inclina  invece  per  il  1272,  trovandosi 
emo  di  carta  pistoiese  del  1321,  che  comincia  così:  «  Hoc 
noviter  factum  correctum  et  eraendatum  per  constitutarios 
Pistorii  tempore  dei  et  regis  gratìa  honorabilis  potestatìs 
I.  d.  1272».  Ma  forse  nemmeno  questo  documento  6  de- 
ntre  gli  statutari  dovevano  intervenire  anche  per  riforme  di 
;gi.  Ne  abbiamo  la  prova  nelle  deliberazioni  che  precederono 
ero  lo  statuto  appunto  del  1296,  e  per  le  quali  fu  data  balla 
:  di  Firenze  di  riformare  la  città  e  popolo  di  Pistoia.  Questi 
ordinamenti  sono  gli  unì  «  facta  et  condita  per  Gherardum 
reconem  comunis  Pistorii  »  ;  un  altro  successivo  «  per  Cion- 
.anfranchi  preconem  et  statutarium  comunis  Pistoni  »,  dove 
aditorì  convertiti  in  legislatori  hanno  l'aria  di  comparse, 
rispettare  la  lettera  della  legge. 

orevole  recensione  dello  Schupfer  rimando  chi  desideri  più 
izia  dell^opera,  e  ivi  troverà  importanti  notizie  sugli  orài- 
trata  et  sacratissima  che  Pistoia  ebbe  da  Bologna,  e  che  sono 
irenze  chiamò  gli  ordinamenti  di  giusti:^ia.  Tali  ordinamenti 
no  in  Pistoia  quando  eravi  a  podestà  Giano  Della  Bella,  di 
lauer  pubblica  tm  importante  documento  (1294,  marzo  16). 

0  opportunamente  rileva  T  importante  rubrica  (III,  xxiii) 
oi  dei  Bianchi  e  Neri,  cosi  forse  ricordando  il  nome  dì 
Ila  Bella  veniva  in  acconcio  un  cenno  sulle  molte  rubriche 

1  clero,  verso  i  quali  lo  statuto  mostrasi  abbastanza  severo 
ibitare  che  alcun  poco  in  esse  siavi  traccia  della  mano  del 
la,  persecutore  dei  falsi  chierici.  Opera  adunque  del  comune 
:  lo  statuto  del  1296  è  naturale  che  molto  s'accosti  a  quello 
»  come  appare  dal  confronto  di  molte  rubriche. 

G.  L. 


NOTIZIE 


or  A.  De  Waal,  rettore  del  campo  santo  teutonico  dì  Roma, 
pubblicare  una  rassegna  trimestrale,  ad  illustrazione  delle 

istiane,  dal  tìtolo:  Ròmischt  Quartahchriftfur  christìiche  AÌUT' 
una  KirchengtschichU, 

ito  in  Milano  il  i°  fascicolo  della  Rivista  italiana  di  numi- 
«tu  dal  dottor  Solone  Ambrosoli,  nata  a  sostituire  il  BuU 
miismaHca  e  sfragistica  per  la  storia  d'Italia,  che  ha  cessato 
blicazionl 

ideaux  è  venuto  in  luce  un  i°  volume  in-4,  di  pp.  616, 
m  romaims  de  Bordeaux,  raccolte  da  Cahille  Jullian. 

Jnnanza  del  18  marzo  la  R.  Deputazione  di  stona  patria 
icana,  T  Umbria  e  le  Marche  approvava  la  pubblicazione 
Ice  diplomatico  pistoiese  proposta  dal  dottor  L.  Zdekauer. 
nso  dì  stampa,  a  cura  della  Deputazione,  il  Libro  di  Mon- 
L  Paoli,  e  i  Documenti  delVantica  costituxione  fiorentina  fino 
prof.  Pietro  Santini. 

icolo  8  del  tomo  II  dei  Registres  d*  Innocent  IV  contiene 
iDte  studio  del  signor  £.  Berger  sulle  relazioni  tra  la 
la  Santa  Sede  sotto  Ìl  pontificato  dì  quel  papa. 

lO  Vm  dei  Monumenta  Germaniae  historìca,  Scriptores  anti- 
antiene  gli  scrìtti  di  Sidonio  Apollinare,  pubblicati  da 
ohan;  il  tomo  I,  p.  I,  delle  Epistolae  del  registro  di  Gre- 
ì  libri  1-4,  editi  dal  compianto  nostro  socio  P.  Ewald. 

to  della  R.  Società  romana  di  $toria  patria.  Voi.  KL  13 


194  S^o/i^ie 

Il  13*>  fascicolo  della  nuova  edizione  dei  Regesta  pontificum  roma- 
norum  del  Jaffé  comprende  gli  anni  1184-119;  (n.  15297-1 1038). 

In  occasione  del  giubileo  sacerdotale  del  pontefice,  il  personale 
superiore  addetto  all'Archivio  pontificio  ha  fatto  omaggio  al  papa 
d*  un  fascicolo  di  Specmina  palaeografica  regestorum  pontificium  ab  In- 
nocentio  III  ad  Urhanum  V.  ^  Sottoscrivono  alla  dedica  il  cardinale 
Hergenròther,  Tabate  Tosti,  monsignore  Delicati,  il  p.  Denifle,  il 
Carini,  ilWenzel,  il  Palmieri  e  Fr.  Hergenròther.  Sono  sessanta  tavole 
di  bellissime  eliotipie  eseguite  dal  Martelli  ;  precede  un  breve  proe* 
mio  e  una  succinta  illustrazione  di  ciascuna  tavola.  Il  nostro  Ar- 
chivio terrà  particolare  ragione  di  questa  pubblicazione  importante. 


PERIODICI 

(Articoli  e  documenti  relativi  alla  storia  di  Roma) 


Aazeigen  (Gdttìngische  Gelehrte).  2887,  n.  18.  —  Soltau, 
Prolcgomena  zu  eincr  ròmischen  Chronologie  (Prolegomeni  ad  un 
***tetiia  di  cronologia  romana). 

Archiv  fOr  fisterreichische  Geschichte.  Voi.  LXXI. — W.  Hau- 
M.E1,  Aus  dem  Vaiicanischcn  Regesten,  vornehmlich  zur  Ge- 
^J^ichte  dcr  Erzbischòfe  von  Salzburg  bis  zum  Jabrc  1280  (Dai 
''f?»*tri  Vaticani.  Scelta  di  documenti  e  regesti^  precipuamente  per  la 
*oria  dell'arcivescovato  di  Sahburg,  sino  all'anno  1280),  pp.  211-296. 
Voi.  LXXII.  B.  ScHROLL.  Urkunden-Regesten  zur  Geschichte 
*^^*  Hospiiais  ara  Pyrn  in  Oberòstcrreich.  (Registri  di  documenti 
P^  Ustoria  dell'ospedale  a  Pym  nell'Ausiria  superiore,  1190-1417). 
'BrcTn  di  Celestino  ITI  (nn.  7-8),  d'Innocenzo  IV  (28). 

Archìvio  storico  dell'arte.  Fase.  I.  —  A.  Venturi,  Il  Cupido 
r«i  Michelangelo,  (L'articolo  è  principalmente  rivolto  a  combattere 
j  *  conclusioni  del  Lange  che  il  Cupido  michelangelcsco  possa  esser 
Iranisato  in  quello  del  museo  di  Torino  o  nella  collezione  Obizi 
[•ci  Cataio).  -  E.  MOntz,  L'oreficeria  a  Roma  durante  il  regno  di 
fClenjcaic  V^ll  (1525-54).  (L'ili.  A.  si  propone  di  far  conoscere  Ìl 
LgDJto  Jì  Clemente  VII  e  l'estensione  dei  sacrifizi  che  s*  imponeva 
'  Tarte  deirorcficeria;  di  fornire  nuovi  particolari  biografici  sopra 
tfici  toscani,  lombardi,  romani,  già  cogniti  dalle  memorie  di  Ben* 
auto  Ccllini;  e  di  completare  la  storia  degli  orefici  di  Roma).  - 
D.CsoLi,  Le  opere  di  Donatello  in  Roma.  (L'A.  conclude  che  opere 
certe  del  D.  non  rimangono  in  Roma  che  due:  ìl  ciborio  di  S.  Pietro 
e  Li  Sepoltura  del  Crivelli  all'Aracocli).  —  Fase.  II.  A.  Rossi,  La  casa 
e  lo  stemma  di  Raffaello.  -  O.  Gnoli,  Nota  all'articolo  precedente 
(j  conferma  dell'opinione  emessa  dal  Gnoli  nella  Nuova  Aniolopay 


ì^6 


Periodici 


1887,  fase.  XI).  -  Corrado  Ricci,  Lorenzo  da  Viterbo,  pittore,   -_ 
E.  Muntz,  L'oreficeria  sotto  Clemente  VU.  (Continuazione). 

Archivio  storico  italiano.  Toro.  XX,  fase.  3**,  anno  1887,  — 
G.  Sforza,  Episodi  della  storia  di  Roma  nel  secolo  xviii.  Brani 
inediti  dei  dispacci  degli  agenti  lucchesi  presso  la  corte  papale,  - 
G.  Stocchi,  La  prima  conquista  della  Britannìa  per  opera  dei  Ro- 
mani. -  Kasse^tM,  -  Bibliografìa,  -  Soti-^ie  varie. 

Archivio  storico  lombardo.  Anno  XV,  fase.  1**.  —  C.  C,  Diari 
di  Marin  Sanudo.  -  F.  Calvi,  Il  poeta  Giambattista  Martelli  e  le 
battaglie  fra  classici  e  romantici.  -   Varietà^  -  Bibliografia, 

Archivio  storico  per  le  provincie  napoletane.  Anno  XII, 
|asc.  4**.  —  N.  Barone,  Notizie  storiche  tratte  dai  registri  di  can- 
celleria di  Ladislao  di  Durazzo.  -  M.  Schifa,  Storia  del  principato 
longobardo  in  Salerno.  -  V.  Simoncfxli,  Della  prestazione  detta 
calciarium  nei  contratti  agrari  del  medio  evo.  -  B.  Cap.vsso,  I  regi- 
stri angioini  dell'archivio  dì  Napoli,  che  erroneamente  si  credettero 
finora  perduti.  -  Rasségna  bibliografica. 

Archivio  veneto.  Tomo  XXXIV,  parte  2*.  —  A.  Della  Ro- 
vere, Dell'importanza  di  conoscere  le  firme  autografe  dei  pittori.  - 
G.  Giuriato,  Memorie  venete  nei  monumenti  dì  Roma.  -  Atud- 
dotif  ecc. 

Atti  della  Società  ligure  dì  storia  patria.  Voi.  XVIII.  Ge- 
nova, 1887.  —  li  secondo  registro  della  Curia  arcivescovile  di  Ge- 
nova trascritto  da  L.  Berretta  e  pubblicato  da  L.  T.  Belgrano. 
(Contiene  qualche  lettera  pontificia  e  sentenze  di  giudici  delegati 
dalla  corte  romana).  —  VoL  IX,  fase.  I.  Cornelio  Desimoni,  Re- 
gesti delle  lettere  pontifìcie  dai  più  antichi  tempi  fino  all'avvenimento 
d'Innocenzo  III,  raccolti  ed  illustrati  con  documenti  {26  lettere  ine- 
dite da  Gregorio  VII  a  Innocenzo  ìli). 

Bìbliothèquc  del'école  dea  chartes.  XLVIII,  fase.  VI,  p.  735. 
—  Alejcandre  HI  ci  U  communc  de  Laonnoìs.  (Ripubblica  la  let- 
tera pontificia  in  dau  de*  4  agosto  (179  indicata  col  numero  13460 
nella  nuova  edizione  dei  «  Regesta  pontificum  romanorum  »,  secondo 
l'originale  che  già  appartenne  alla  raccolta  del  signor  Baylù  e  fu  ven- 
duto recentemente  a  Parigi,  Dotando  come  il  testo  datone  dal  Brial 
nel  Recucii  des  historieas  de  lu  France,  XV,  967,  sia  molto  scorretto» 


fìnUetin  d*  histoire  ecdésiastìque  et  d'archeologie  religieuse 
d^  diocèsesde  Valence.  A.  VII,  fase.  ^-5.  —  Dottor  Francus,  Note 
^Uc  commendatone  degli  Anionioiani  a  Aubcnas  (pp.  143-52, 169-75). 

BuUettino  della  Commissione  archeologica  comunale  di 
Roma.  XVI,  Case.  ?.  —  R.  Lanciaki,  Il  campus  salinarum  roma- 
"orum.  -  L  Borsari,  Del  pons  Agrippae  sul  Tevere  fra  le  regioni  XI 
LcXni].  -  L.  Cantarelli,  Osser\'azioni  onomatologiche.  -  G.  Gatti, 
rrovaraciiti  risguardanti  la  topografia  e  la  epigrafìa  urbana.  -  C.  L.  Vi- 
sconti. Trovamenti  di  oggetti  d'arte  e  d'antichìli  figurata.  -  R.  Lan- 
CiAN't.  Notizie  del  movimento  edilìzio  della  città  in  relazione  con 
rarcheologia  e  con  l'arte. 

BuUettino  di  numismatica  e  sfragistica  per  la  storia  d'I- 
^*Ua.  V'oL  III,  n.  4.  —  M.  Santoni,  Un  giulio  inedito  ed  unico  del 
pontefice  Leone  XI.  -  M.  Santoni,  F.  R.vffaelli,  La  zecca  di  Ma- 
^^ata  e  delia  provincia  della  Marca. 

Centralblatt  ffir  BibUothekwesen.  IV.  1887.  —  Drei  italie- 
"*3chc  Handschriftenkaialoge,   pp.  xiii-xv  (Catalogo  dei   mss.   della 
^^'csa  di  S-  Andrea  della  Valle;  cf.  F.  Novati,  Giorn.  stor.  di  UUer, 
X,  4I3-4M)- 


^. 


Oiomale  ligustico  di  archeologìa,  storia  e  letteratura.  A.  XV, 
**K,  i^e  2'\  —  L.  De  Feis,  Una  epigrafe  rituale  sacra  a  Giove  Behe- 
j5>aro. 

Giornale  storico  della  letteratura  italiana.  Voi  X,  fase.  5°. 
L.  fìiADENE,  I  manoscritti  italiani  della  collezione  Hamilton  nel 
musco  e  nella  R.  biblioteca  di  Berlino.  -   Varietà. 

Jfthrbnch  des  kaìserlich  deutschen  archfiologischen  Insti- 

1887,  voi.  II,  pp.  77.  —  M.  Ma  VER,   Aniazoncngruppe    (Bat- 
5IU  delle  Amazzoni,  gruppo  nel   musco   della  villa  Borghese),  - 
LòwT,  Zu  ei  Reliefs  der  Villa  Albani  (Due  rilievi  della  villa  Albani, 
Asdcpios,  Hygicia  e  un  adorante). 


Jthrbtich   (Historisches)   im   Auftrage  der  GOrres-Gesell- 

IX,  1  e  2.  —  St.  Euses,  Die  papstliche  Dekretale  in  dem 
Ungsprozesse  Heinrichs  Vili  (La  decretale  pontificia  nel  pro- 

Idi  divorzio   d'Enrico  Vili),  pp.  28-48.  -  K.  v.   HòFLER,    Ein 

CetolcbUttauf  das  Grab  A.  von  Reumont  (Commemorazione  di  Al- 


198 


Periodici 


fredo  di  Reumont),  pp.  49-75.  -  Recensioni  delle  opere:  del  Gelgel  F^ 
«  Das  italienische  Staaiskìrchenrecht  m  (Il  diritto  politico-ecclesia- 
sticoitaliano).  Muny,  Kirschheim.  2*  ediz.;  dello  Scaduto Fr.,  i.  Gui- 
rentigle  pontifìcie  e  relazioni  tra  Stato  e  Chiesa;  2.  Stato  e  Chiesa 
secondo  fra  Paolo  Sarpi;  j.  Stato  e  Chiesa  sotto  Leopoldo  I  gran- 
duca di  Toscana;  4.  Slato  e  Chiesa  nelle  Due  Sicilie,  dai  Normaniu 
ai  giorni  nostri. 

Mittheilungen  des  Instituts  fiir  òsterreichische  Geschicbts- 
forschung.  Voi.  IX,  fase.  I.  —  H.  Bresslau,  Papyrus  uad  Pcrgameot 
in  der  pàpsilichen  Kunzlei  bis  zur  mitte  des  Ji  Jahrunderts  (Pa- 
piro e  pergamena  nella  Cancelleria  pontifìcia  sino  alla  mct.1  del  se- 
colo xi),  pp.  1-J3.  L'articolo  ò  un  complemento  ai  lavori  dell' Ewald, 
(M  A,,  VI,  392;  XI,  327  e  sgg.)  e  del  Delisle  (Btàì.  histor,  du  Co- 
miU  des  travatvc  bistoriques,  n.  2).  In  appendice  pubblici  una  bolla  di 
Giovanni  XVIII  dall'Archivio  de  la  Corona  de  Aragon  a  Barcelona,  in- 
tegrato con  una  carta  di  S,  Cucuphati.  -  F.  Wickhoff,  Die  «  Mo- 
nasterìa  bei  Agnellus  »  (I  «  Monasteria  »  in  Agnellus),  pp.  54-4).  - 
A.  RiEGL»  Die  Holzkalender  des  Mittelallers  und  der  Renaissance 
(I  calendari  dì  legno  del  medio  evo  e  del  rinascimento).  -  Piccoli  co- 
murticali»  -  E.  MQhlhacher,  Due  diplomi  Carolingi  inediti.  (L*UDo 
di  Carlo  III  alla  chiesa  di  Ch;Uons-sur-Mamc,  n.  S86,  22  nov. 
L'altro  di  Zuenteboldo  re  alla  chiesa  di  Cambrai,  898,  oct.  ?.  Hòr- 
chingcn).  -  L.  v.  Heinemann,  Heinrichs  VI,  artgeblichcr  Pian  cincr 
Sàcularisaiion  des  Kirchenstaates  (Supposto  piano  di  secolarizzazione 
dello  Stato  ccclc3Ì.istÌco  di  Enrico  Vili;  interpretazione  d*un  passo 
dello  erSpeculum  ecclesiae  »  di  Giraldo  Cambrense,  dìst.  IV,  e.   19). 


Moyen  Age  (Le).  Bulletin  mensuel  d'histoire^et  de  philologic, 
fase.  j".  —  G.  Platon,  Recensione  dell'opera  dello  Schupfer«L 
Iodio,  studi  sulla  proprìcti  dei  secoli  barbarici  ».  —  Fase.  4^  A 
RICNAN,  Recensione  dcU^opera  del  Ficker  «  Die  Darstcllung  der  Api 
stel  in  deraUchrisilichen  Kunst  »  (Le  rappresentazioni  degli  Apostoli 
neiranticA  arte  cristiana). 


Palestra  Atenuna.  Voi.  VI,  1888,  fase.  I.—  Moscati,  H  medio 
evo  e  i  papi. 


Quartalschrìlt  (Theologiache). — Weimasn,  Ucber  die  Pilger- 
fahrt  der  Silvin  in  das  licilige  Land.  (Sulla  pubblicazione  del  Ga> 
murrini  «5.  Htlarii  tractatus  demysteriìs  et  hymni  et  S.  Silvìae  Aqd 
tanae  pcrcgrinatio  ad  loca  sancta  a). 


fw  (The  english  hìstorìcal).  —  Balzani  U.,  Recensione 
blica^ione:  «   Gesta   di   Federico  I  in   lulìa   »,   edite    da 


B  des  questions  historìques.  XXJH,  fase.  85.  —  Delarc, 
ìcat  d'Alexandre  II.  -  Vacandard,  Saint  Bernard  et  le 
TAnaclet  II  en  France. 

i  historique.  —  Nel  Buìkiin  historiqiut  si  discorre  del  «  Ma- 
istitutions  roraaines  »  del  Bouché-Lederq;  della  traduzione 
?cn,  del  n  Manuale  »  del  Mommsen  e  Marquardt;  del 
es  institutions  politiqucs  de  Rome  »  del  Murlot;  delle  note 
tenier  suU'  «  Epìgraphie    romaine  »  ;  della  «    Description 

et  chronologique  des  monnaies  de  la  rcpubliquc  romaine 
cnt  appelóes  consulaires  »  del  Babelon  ;  delle  «  Mélangcs 

du  droit  et  de  cridquc,  droìt  romain  »  di  A.  Esmein.  — 
p»  398  e  sgg.  Recensioni  lusinghiere  delle  opere  del  gè- 
lerling:  «  La  Sorbonne  et  la  Russie  »,  Paris,  Leroux,  1882. 
)ssEVfNi,  Missio  moscovitica,  id.  ihid.,  1882.  -  Rome  et  Mo- 
id.,  1883.  -  Priliminaircs  de  la  trcve  de  1582,  id.  ibid,  1884. 
t-Siòge,  la  Pologne  et  Moscou,  id.  ibid.,  1885.  -  Un  arbi- 
ifical  au  XVI*  siede  (par  Méthode  Lerpigny),  Bruxelles 

Bathorv  et  PossEViNO.  Documents  inédits  publiés  et  an- 
ìs,  Leroux,  1887. 

I  (Nouvelle)  historique  de  droit  fran^ais  et  étranger. 
I.  —  FouRNiER,  La  questìon  des  fausses  décrétales.  (A  so- 
Vopinione  emessa  dal  Simson,  accettata  dal  Duchesne  e 
,  persevera  a  provare  che  l'opera  dei  falsificatori  di  Mans, 
sse  del  vescovo  Aidrico,  e  le  compilazioni  isiJorìane  por- 
rronta  dell'officina  medesima;  e  che  gli  operai  deiroflicina 
ano  al  gruppo  dei  chierici  che  contornavano  Aidrico).  - 
3Qe  dell'opera  dcll'Humbert  «  Essai  sur  Ics  fìnances  et  la 
tè  publique  chez  les  Romains  ».  —  Fase.  IL  A.  Esmeik, 
it  promissoire  dans  le  droit  canonique. 

a  storica  italiana.  Anno  IV,  fase.  4°.  —  G.  Paolucci, 
Arnaldo  da  Brescia  nella  riforma  di  Roma. 


sCJohns  Hopkins  University).  Serie  V,  XIL— A.  White, 
schoob  of  history  and  politics  (Scuole  europee  di  politica 
).  Pag.  18  parla  deiruniversità  di  Roma. 


200  Periodici 


Studi  e  documenti  di  storia  e  diritto.  Anno  Vili,  fase.  3^ 
e  4°.  —  I.  Alibrandi,  Osservazioni  giuridiche  sopra  un  ricorso  de' 
monaci  di  Grottaferrata  al  pontefice  Innocenzo  II.  -  G.  Tomassetti, 
Note  storico-topografiche  ai  documenti  editi  dall'Istituto  Austriaco 
(Campagna  romana).  -  C.  Calisse,  id.  (Patrimonio  di  S.  Pietro  in 
Tuscia).  -  De  Nolhac,  Les  correspondants  ^'Alde  Manuce.  Maté- 
rìaux  nouveauK  d'hisioire  littéraire.  -  Cenni  hihliograficL  C.  No- 
cella, Le  iscrizioni  graffite  nell'escubitorio  della  settima  coorte  dei 
Vigili.  -  L.  Duchesse,  Notes  sur  la  topographie  de  Rome  au  moyen- 
àge.  -  P.  Allard,  Les  demières  persécutions  du  ni«  siècle  d'après 
les  documents  archéologiques.  -  Karl  Zangemeister,  Theodor 
MoMMSEN  als  Schrìftsteller.  Verzeichniss  seiner  bis  jetzt  erschienenen 
Bùcher  und  Abhandlungen  (Indice  de'  libri  e  delle  dissertaziotù 
finora  pubblicate  dal  Mommsen).  -  Documenti.  G.  Gatti,  Statuti 
dei  mercanti  di  Roma.  (Compimento  della  Prefazione  e  dell'  intero 
volume).  , 

Taschenbuch  (Historiachett).  1888.  —  Noeldechen,  Tertullìan 
und  die  ròmische  Kaiser  (Tertulliano  e  gl'imperatori  romani).  - 
Maurenbrecher,  Le  deliberazioni  del  concilio  dì  Trento. 

Zeitschrift  fOrkatholiflcheTheologie.  1887,  fasc.IV.  —  Grisar, 
Paralipomena  zur  Honorischen  Frage  (Paralipomeni  sulla  questione 
dell'eresia  di  papa  Onorio).  -  Kolberg,  Verfassung,  Cultus  und  Di- 
sciplin  der  christlichcn  Kirchc  nach  den  Schriften  TertuUians  (Am- 
ministrazione, culto  e  disciplina  della  Chiesa  cristiana  secondo  gli 
scritti  di  Tertulliano).  -  Ehrle,  Controversie  sull'origine  dell'ordine 
francescano. 

Zeitschrift  fflr  romanische  Philologìe.  X.  —  Pakscher,  Aus 
eincm  Katalog  des  F,  Ursinus  (Da  un  catalogo  di  Fulvio  Orsino). 

Zeitschrift  (Historische).  XXIII,  fase.  I.  —  Simson,  Die  Ent- 

stchung  der  pseudo-isidorischcn  Fàlschungen  in  Le  Mans  (L'origine 
delle  falsificazioni  pscudo-ìsìdoriane  in  Le  Mans).  -  Altmann,  Die 
Wahl  Albrechts  II  zum  ròmischcn  Kaiser  (La  elezione  di  Alberto  II 
a  imperatore  romano). 


PUBBLICAZIONI 

RELATIVE    ALLA   STORIA    DI   ROMA 


;  H.  C.  The  hìslory  of  the  Jews  firom  the  War  with  Rome 
present  time.  London,  Retigious  TracU  Socuty,  1887. 

>LLO  A.    Gorilla  olimpica. 

Firenze,  tip.  C  Ademolìo  e  C,  1887. 

>LLO  A.  I  teatri  a  Roma  nel  secolo  decimosettimo.  Me- 
lincrone,  inedite  o  non  conosciute  di  fatti  ed  artisti  tea- 
brettisti,  commediografi  e  musicisti,  cronologicamente  or- 
per  senóre  alla  storia  del  Teatro  italiano. 

Roma,  L.  Pasquaìucci  editore,  1888. 

t  Carando  J.  Sépultures  galloises,  gallo-romaines  et 
ngiennes  de  la  ville  d'Ancy,  Ceyenil,  Maast  et  Vìolaìne. 

Saint'Quintin,  PoetU,  1887. 

lus.    Souvenir  d^un  voyage  à  Rome  et  en  Italie. 

Annecy,  Abry,  1887. 

FITANO  F,  Delle  relazioni  politico-religiose  fra  gli  abbati 
e  moderni  del  monastero  dei  Ss.  Vincenzo  ed  Anastasio 
»]ue  Salvie  di  Roma  e  la  comunità  dì  Orbetello;  e  del- 
imento  al  predicatore  della  quaresima  nella  pro-cattedrale 
bazia.  Memoria.  Grosseto,  tip,  F,  Pcroxjp,  1887. 

JETTI  F.     I  gladiatori.  Roma  e  Giudea. 

Roma,  Ferino,  1887. 

XiKi  M.  Le  chiese  di  Roma  dalle  loro  origini  sino  al 
SVI.  Roma,  tip.  edit.  Romana,  1887. 

t  P.    Glemente  VII  e  Tltalia  dei  suoi  tempi.  Studio  sto- 
stratto  dalla  5cuo/a  cattolica,  anni  1884-1885-1886  e  1887. 
Milano,  tip,  di  Serafino  Ghe{^,  1887. 


202     Tubblica^ioni  relative  alla  storia  di  ^oma 

10.  Baumgarten  H.  Ròmische  Triumphe:  (Trionfi  romani).  (Co- 
stituisce la  2*  dispensa  delle  FìugschrifUn  des  Evangdìschm  Bandós). 

Halle,  StrUn,   1887. 

11.  Bergsoé  G.     L'amphithéàtre  des  Flavìens. 

PoitUrs,  Oudin,  1887. 

12.  Bersezio  V.   Roma,  la  capitale  d' Italia.  Disp.  XX,  pp.  457-480. 

Milano,  fratelli  Treves,  1888. 

13.  Bertolini.    I  Celeres  ed  il  Tribunus  cehrum, 

Roma,  Loescher,  1887. 

14.  Bertolotti  a.  Divertimenti  pubblici  nelle  feste  religiose  del 
secolo  xvm  dentro  e  fuori  le  porte  dì  Roma;  ricerche  nell'ar- 
chivio di  Stato  romano.  (Estr.  dal  giornale  //  Buonarroti,  serie  III, 
voi.  2**,  quad.  x-xi,  1887). 

15.  Bertrand  A.  C.  Conduite  du  pape  vis-à-vis  de  la  France  et 
de  rAIlemagnc.  Discours.  Tours,  itnpr,  Bertrand,  1887. 

16.  Beyschlag  W.  Der  Frìedensschluss  zwischen  Deutschland  und 
Rom  (La  conclusione  della  pace  tra  la  Germania  e  Roma). 

Ha2Un,  Strim,  1887. 

17.  BiRTH  T.    De  Romae  urbis  nomine  sive  de  robore  romano. 

Marhurg,  Ehverfs  Verlag,  1887. 

18.  Blakcard  L.  Thóorie  de  la  monnaie  romane  au  lu^  siòcle 
après  Jesus  Christ.  Marseiìlc,  impr.  Barlatier-Feissat,  1887. 

19.  Blummer  H.  Technologie  und  Terminologie  derGewerbe  und 
Kunste  bei  Griechen  und  Ròmem  (Tecnologia  dell'arte  e  dei 
mestieri  presso  i  Greci  e  i  Romani).  Voi.  4°,  sex.  2". 

Leipzig,  Tcuhner,  1887. 

20.  Bocker  F.  Damme  als  dcr  mutmassliche  Schauplatz  der  Va- 
russchlacht,  sowìc  der  Kàmpfe  bei  den  «  Pontes  longi  injahre  15 
und  der  Rómer  mit  den  Germanen  am  Agrivarierwallc  in  Jahr  16  » 
(Damme;  probabile  luogo  della  sconfitta  dì  Varo,  ecc.) 

Koln,  Bucheri  in  Comm.,  1887. 

21.  BoNANNi  T,  Le  legislazioni  dell'antico  diritto  romano  (arami- 
nìstrativa-finanziaria-giudJziaria)  poste  in  relazione  con  le  legisla- 
zioni napoletana  ed  italiana;  relazione  archivistica  dell'anno  1886- 
1887.  Aquila,  stah.  tip.  Grossi. 

22.  BoRGEAUD  C.  Histoire  du  plébiscite.  Le  plébiscite  dans  l'an- 
tiquité.  Gròce  et  Rome.  Genève,  Georg,  1887. 


leà'iioni  relative  alla  storia  at'r^pfpa    20j 

G.    Roma  intangibile. 

Roma,  Hp.  ddV  isUtuto  Gùuld,  1887. 

DCHT  H.  Gcschìchte  der  cjtholische  Kirchc  in  19  Jahrhundert 
della  Chiesa  cattolica  nel  secolo  xix)-  I.  Gesch.  d.  caih. 
i.  Dcutscht.  Ma^cn-za,  Ktrcheinn. 

\  C.  G.    Fontes  jurìs  romaoi  antiqui,  cdidìt  C.  G.  Bruns. 
quinta,  nna  Theodorì  Moromseni. 

Frihurgi  ìh  Brisgaina,  1887. 

CER  M.     Zcit  und  Schicksal  bei  Ròmern  und  Wc5tarieni 

I  e  fato  presso  i  Romani  e  gli  Ani  occidentali);  studia  di 

Universale.  Wùn^  Gtrold'i  Soìm  in  Comm.,  1887. 

'  C.    Notre  sainic-pèrc  le  pape  L6on  XUL 

Tours,  librairìc  Mapu  tt  fils,  18H7. 

XEJt  F,    Pape  et  Concile  au  xix*  siòcle.  Nouvelle  édition. 

Paris,  Lcvv,   1888. 
L.     Torabe  romane  presso  Cles. 

Trento,  tip.  diL  di  Giuseppe  Marietti,  1887. 

lRle  G.  Le  orìgini  della  proprietà  quintana  prusso  le  genti 
Lazio.  Nota.  (Estr.  dagli  ^Ui  Jiììa  R.  Accademia  d<Ue  scùmia 
'orino).  Torino,  stamp.  Reak,  1887. 

kRX  A.  The  Cburch  and  the  roman  Empire  (La  Chiesa  e 
ipcro  romano).  London,  1877. 

^■Qyv  C.  Fifty  years  in  the  Church  of  Rome  (Cinquan- 
Fucila  Chiesa  di  Roma).  New  edition  correcied  and  revised, 
ti  introducior>'  note  by  G.  R.  Badenoch. 

RI  London,  ProUstant  liUraturc  dcpository,   1887. 

TARO  H.    Le  pape  Pie  VII  à  Savone,  d'après  les  minutes 
letires  inédites  du  gi^niral  Benhier  au  prince  Borghese  et 
rès  Ics  mòmoires  inédites  de  Al.  de  Lebzeltem  conseillcr  d'am- 
ile autrichìcn. 
■  Paris,  impr,  W  lihr,  Plon,  Nourrit  d  C,  1887. 

aRousT   A.      Beiuàge  zur  Gcschichte   Ludwìgs  des  Baycms 
sciner  Zeit  (Contributo  alla  storia  di  Ludovico  il  Bavaro  e 
suo  tempo).    Parte  i*  (Comprende  il  viaggio  di  Ludovico  a 
na,  IJ27-29). 

lAMFi  I.  Opuscoli  vari  storici  e  critici  (pubblicati  dal  Casta- 
la).  Imola,  Gaìtaii,  1887. 


204    Pubblicazioni  relative  alla  storia  di  T{oma 


56.  Claretta  G.  I  Genovesi  alla  Corte  di  Roma  negl*  anni  lut- 
tuosi delle  loro  controversie  con  Luigi  XIV  (1678-1685).  Nota 
storica  ^d  anedottica.  (Estr.  dal  Giornale  ligustico,  fase,  di  gen- 
naio e  febbraio  1887).  Genova,  tip.  Sordo-muti, 

37.  Clementìs  V  Papae  Regestum  ex  Vaticanis  archelypb  SS. 
D.  N.  Leonis  XIII  pontificis  maximi  ìussu  et  munifìcentìa  nunc 
primum  edituro  cura  et  studio  monachorum  ordinis  S.  Benedictì. 
Annus  sextus.  (Regestorum  voi.  LVIII). 

Roma,  ex  iyp.  Vaticana,  1887. 

38.  CoGLiOLO  P.  Manuale  delle  fonti  del  diritto  romano  secondo 
i  risultati  della  più  recente  critica  filolo^ca  e  giuridica.  Parte  2*. 

Torino,  Unione  tipografico-ediirice,  1887. 

39.  Cooper  A.  N.  A  walk  to  Rome;  beìng  a  joumey  on  foot 
of74i  miles,  from  Yorskskire  to  Rome  (Passeggiata  sino  a  Roma 
dall' Yorkshire»  741  miglia).  London,  Simphird,  1887. 

40.  CosNEAU.    De  romanis  viis  in  Numidia. 

Paris,  Hachette  et  C,  1887. 

41.  Cristofori.    Le  tombe  dei  papi  in  Viterbo. 

Siena,  tip,  5.  Bernardino,  1887. 

42.  Decker  (De)  P.  La  Chiesa  e  l'ordine  sociale  cristiano.  Prima 
traduzione  italiana  autorizzata  dalPautore. 

Firenze,  Ciardi,  1888. 

43.  Deriege  F.    I  misteri  di  Roma.  Roma,  Attero,  1887. 

44.  DuHOis  C.  V.  Droit  romain:  du  droit  latin;  droit  fran^ais: 
de  la  nationalité  d^origìne.  Paris,  impr.  et  libr.  Lefort,   1887. 

45.  Duchesne  L.  Le  Liher  poniificalis ;  texte,  introduction  et  com- 
mcntaire.  T.  1°.  Paris,   Tìjorin, 

46.  DucouRTiEUX  P.  Découvertes  faites  sur  Templaceraent  de  la 
ville  gallo-romaìne  à  Limoges  en  1886. 

Limoges,  impr,   V.  Ducourtieux,  1887. 

47.  DlJRUY  V.    Petite  histoire  romaine.  Nouvelle  òdition. 

Paris,  impr.  Laburc,   1887. 

48.  EiDAM  H.  Ausgrabungen  ròmischen  Ueberreste  in  und  um 
Gunzenhausen  (Scavi  romani  in  Gunzenhausen  e  nei  dintorni). 
(Dalla  Festschrift  X}^r  Begrussun^,  des  XVlll  Kongrcsses  des  deutschen 
Anthropologischen  Geseììschaft  in  Nurberg).     Nurherg,  Ebner,   1887. 


Pubblicazioni  relative  alla  storia  Ji  *1{oma    205 


ÌDlo  E.  Di  alcune  bcrìzioni  romane  nella  valle  di  Susa. 
jitti  tlcUa  R.  Accademia  d^lle  icìeni^c  ài  TcrinOt  voi.  XXIII, 
EU  C.  A.  Voruntersuchung  zu  cincr  Gcschichte  des  Pon- 
its  Alexander^  II  (Indagioì  preparatorie  ad  una  storia  del 
ificato  d'Alessandro  II).  Strassb.,  Disi.,  1887.  (H^irJ. 

LiPPi  G.  Il  comune  di  Firenze  ed  il  ritorno  della  Santa  Sede 
Dina  neiranno  1367.  (Estr.  dalla  MisuUama  di  storia  italiana, 
,  XI  [xxvi],  387). 

T'ormo,  sUtmp.  Rtaìc  dilla  ditta  G.  B.  Paravia  t  C 

EURY.  Pélerinage  à  Rome  en  1869,  cu  notes  sur  l'Iulte. 
édidoQ.  Tours,  Marne  et  fils,  1887. 

3ra    ou  une    martyre  h  Rome.   Traduit  de    1'  anglais,  avec 

nsation  exclusive  de  Tauteur.  T.  I. 

^  Maytnnt,  tmpr,  ^^lan,  1887. 

iHTANA  I.  Les  c'glises  de  Rome  les  plus  illustrcs  et  plus  ve- 
C*  et  recueil  des  mosaiques  de  la  primitive  epoque.  Voi.  I, 
^  Torino,  1887. 

:1EorichJ.  Geschichte  der  Vatic.  Konzils  (Storia  del  concilio 
cano).  IH  voi.  ult.  XVI-XVlI,  p.  1258.  Bonn,  Niu^er. 

iTTiNEtu  G.  Vittoria  Colonna  e  Michelangelo.  (Nel  Teatro 
mmatico,  voi.  II,  «  Opere  postume  »).        Roma,  Squarci,  1887. 

•UHARDT  B.    Adrian  von  Comcto.  Ein  Bdtrag  zur  Geschichte 

Curie  und  der  Renaissance. 

H  Brcslau,  Praiss  i  Junker,  1887. 

tACCm  V.  Amorì  e  costumi  latini.  Studi.  Seconda  impres- 
e,  Citlà  di  CdsUllo,  slah.  tip.  5.  Lapi,  1887. 

DMKE  L.  Romano-british  remains  (Reliquie  romano-britan- 
ic),  voi  2. 

otniRAlCN'E  L.  G.    Histoire  romainc,  résum^s  et  ricils. 

Bordeaux,  impr.  V.  Kijfaud,  1887, 

RETiiEN  R.  Die  politischen  Beziehungcn  Clemens  VII  zu 
1  V  in  den  Jahren  1523-1527  (Le  relazioni  politiche  tra  Cle- 
llc  VII  e  Carlo  V).  Hannover,  Brandcs,  1887. 

ARE  A.  J.  C.    Walks  in  Rome  (Passeggiate  per  Roma).  I2"edi2. 

London,  Smith  und  Eldcr,  1887. 


2o6    Tubblica^ioni  relative  alla  storia  di  T^rna 


63.  Harkach  a.    Lehrbuch  lier  Dogmcngcschichte  (Dottrina  delia 
storia  dei  dogmi).    VoL  2".  Freiburg  in  Bròsg,  Moka, 

64.  Hartmann  L.  M.   De  cxìHo  apud  Romanos  inde  ab  initio  bel'^j 
lorum  cìvilium  usque  ad  Severi  Alexandri  princìpatura.  ^M 

Berlin,  Gartntr,   1887." 

65.  Hauthaler  P.  Aus  den  Vaticanischen  Regestcn  (Dai  regesti 
Vaticani).  Witn,  G<roU. 

66.  Hergen'Róther  F.  (Card).    Konzilìengeschichtc  nach  d.  Q.uel- 
len  hearbeiict  (Storia  dei  concìli  composta  secondo  le  sue  foDti),j 
V.  Hefcle,  fortges.  v.  Vili.  Bd.  Frcih,  i-B.»  Herdcr\ 

67.  Hertzberg  G.  F.     Storia  della  Grecia  e  di  Roma.    Dìsp.  VII 

Milano,  I.  Vaìlardi,  editore,   iSSS/ 

68.  Herzog  F.  Geschìchte  und  System  dcr  ròmisclien  Staatsvcr- 
fassuDg  (Storia  e  sistema  della  costituzione  romana).  2  voi.  Die 
Kaiserzeìt  von  der  Diktatur  Casars  bis  zum  Regieniagsantrìc 
Dioclesians.  Pane  i".  Geschichiliche  Uebcrsicht 

Leip-^g,    Tcuhntr,   1887.' 

69.  HocK  C.  F.  Histoire  du  pape  Sylvcstre  II  et  de  son  siede. 
Traduite  de  Pallemand  et  enrichie  de  notes  et  de  documents  ine- 
diu  par  J.  M.  Axingcr.  Paris,  Dchtcouri,  s,  o^l 

70.  HuEBNER  (De)  A,  Sisto  V  dietro  la  scorta  delle  corrispondenrc 
diplomatiche  inedite  tratte  dagli  archivi  di  Stato  del  Vaticano, 
di  SiniancaSf  di  V^ener.ìa,  di  Parigi,  di  Vienna  e  di  Firenze.  Ver- 
sione dal  francese  del  p.  m.  Filippo  Gattarì  consentita  dall'autore. 
Voi.  I.  ■  Roma,  Salviuuì,  1887. 

Ideville  (D')  H.  Le  comte  Pellegrino  Rossi,  sa  vie^  son  oeuvrc^B 
sa  mori  (1787- 1848).  Paris,  impr.  Chaix,  1887^8 


I 

88.^ 

'cr- 
3ie 
ri^_ 


71 


72.     Imaginc  (L')  di  S.  Maria   di  Grotta  Ferrata.  Memoria  slorica 
per  il  secondo  centenario  della  coronazione. 

Roma,  tip.  poliziotta  ddJa  S.  C.  ài  Propaganda  fide,  1887 

75.    1  sommi  pontefici  e  Lucca.  Ricordi  storici  in  epigrafi. 

Lucca,  tip.  arciv,  S.  Paolino,  188; 

74.    Jacquelin  F.     Le   conseil    des    empcreurs   romains   en 
romain,  la  commìssion  départcmental  cn  droit  fran^aìs. 

Poitiers,  impr,  Oudin,   1B87. 
Jaffé  P.    Regesta  pontificum  romanorum  ab   condita  ecclesi; 
ad  annuni  post  Christum  natum  M.CXCVIII.  Ed.  Il  corredai 


i 


élica^ioni  relative  alla  storia  di  Q{pma    207 


;um  auspiciìs  proL  GuìL  Wattenbachii  curavcrunt  S.  Loev- 
F.  Kaltenbrunner,  P.  Ewald.  Fase,  12. 

Uip^^,  VHi  und  C,  1887. 

Le  eulte  de  la  salute  face  X  Saint-Pierre  du  Vatican 
^auucs  lieux  ctlèbres.  Noticcs  ìsiorìques.  4"*  èdiiion. 

Tauri,  impr.  Juliotf  1887. 

F.  Z.    Kirchengeschichte  (Storia  della  Chiesa). 

Treviri^  Lint^    1887. 

A.    Rom,  die  Denkmaler  des  christlichcn  und  des  heid- 
m,  Rora  in  Wort  und  BilJ  (I  monumenti  plastici  ed  cpigra- 

Eoma  pagana  e  cristiana).  EinsU^eìn,  Ben^gtr,  1887. 

LE  (De)  G.  B.    Les  catacombes  de  Rome. 
n/,  impr.  Finnin-Didol  ;  Paris,  librairie  Firmin-Didot,   1887. 

30E  (De)  L-    Constanùa-lc-Crand  et  sa  mere  Htlùnc.  Tra- 

td'un  roman-lègende  de  la  dtìcadcncc  latine. 
Roma,  For;anì  e  C,  1887. 

tot;cci  L.  Stoiia  del  diritto  romano  dalle  origini  tino  a  Gìu- 
00.  Padua,  Sacchetto,   1886-87. 

1GAIOU.1  D.  Della  politica  religiosa  dì  Giuliano  imperatore 
H  studi  critici  più  recenti. 

Piacenza,  tip.  \farchesotii  e  C,  1887. 

»TARD  E.  Les  guerrcs  Puniques.  Le^on  d'ouverture  du  cours 
»irc  romainc.     Lyon,  impr.  et  librairie  ViUe  et  Perruselj  1887. 

tre  (La)  du  pape  et  l' Italie  ofìficìclle. 

tris,  impr.  DoumoUn  A.  e  C.  et  librairie  Perrin  et  C,    1887. 

L  H.  F.  J.  Die  Darsicllungen  der  allerseligsten  Jungfrau 
Gottcsgebàrerin  Maria  auf  den  Kunstdenkmalem  der  Kata- 
ten  (L.1  rapprcscniazioue  della  Beatissima  Vergine  Maria  nei 
iroenti  artistici  delle  catacombe). 

Freiburg,  B.  B,  Herder,    1887. 

NCLOts  E.  Les  registres  de  Nicolas  IV.  Recueil  des  buUes 
:  pape  publiòes  ou  analysécs  d'aprcs  Ics  mss.  origìnaux  des 
:ves  du  Vatican.  Paris,  Thorin, 

xico  M,  Costituzione  dell'archivio  Vaticano  e  suo  primo 
e,  sotto  il  pontificato  dì  Paolo  V.  Manoscritto  inedito  di  Mi- 
[  Lonigo.  (Negli  Studi  e  documenti  di  storia  e  diritto,  VIU,  fa- 
ììi  1-2.  Pubblicato  da  F.  Gasparolo). 


2o8     'Pubblicazioni  relative  alla  sioria  di  l{oma 


88.  Lerpicny  M.     Un  arbitrage  pontificai  au  xvi*  sìòcle. 

BruxeìUs  <t  Paris,  s.  d. 

89.  LuGARi  G.  B.    Le  catacombe,  ossia  il  sepolcreto  aposioUco  del- 
TAppia  descritto  ed  illustrato.  Roma,  Befani,  ]£88. 

90.  Makfri!4  P.    Gli  Ebrei  sotto  la  dominazione  romana.  Voi.  I. 

Rema,  fratelli  Bocca,  1888. 

Makkikc  a.     True  story  of  the  Vatican   council  (Storia  del  f 


91 


concilio  Vaticano)»  3.  ediz. 


92.    Marcellino  (PaJrc)  da  Cvvezza. 
storia  d'Italia. 


9? 


Marchetti  R. 


London,  Bums  and  OaUs,  1887. 

Il  romano  pontificato  nella 
Fifen-{£f  RL-ci,   1S87. 

Sulle  acque  dì  Roma  antiche  e  moderne. 

Roma,  tip,  A.  Sinimhcr^hi,   1887. 

94.  Marèchal  e  Histoirc  de  la  cìvilìsation  ancienne.  Orienta  Grece, 
Rome.  Parii,  impr,  et  lihrainc  Dtlalain,  1887. 

9;.  MARauARDT  J.  L*ammìnistrazionc  pubblica  romana,  tradotta 
sulla  a*  edizione  tedesca  dall'avv.  Ezio  Solaini.  Voi.  I,  (Organii- 
zazione  dei  domini  romani),  Firenzi,  G.  PtUas  lib.  ediL 

96.  MAHauAROT  J.  und  MoMMSEN  T.  Handbuch  dcr  ròmlschen 
Altenhumer  (Manuale  dell'antichità  romana).  Voi.  Ili,  1*  parte, 
Ròmisches  Staatrecht.  Ltip'(ig,  Hìr-^el,   1887. 

97.  Martens  W.  Die  Besetzung  des  pcipstlichcn  Stuhls  tinter  dea 
Kaisem  Heinrich  III  und  Heinrich  IV  (L'occupazione  della  Sede 
papale  sotto  gì' imperatori  Enrico  III  ed  Enrico  IV). 

Freiburg  i.  B.,  r886.  (Mobr), 

98.  Marlxchi  O.  Nuova  descrizione  della  casa  delle  Vestali  e  degli 
cdifìzi  annessi  secondo  LI  resultato  dei  più  recenti  scavi. 

Roma,  tip.  A.  Befani,  1887. 

99.  Maschke  R.  Der  Freiheitsprozess  im  kLissìschen  Alierium, 
insbesondere  der  Prozcss  um  Virginia  (Il  giudìzio  della  libertà 
neirantìchìtà  classica  e  particolarmente  il  giudizio  di  Vìrgìtiia). 

icx>.  Mayerhoefer  a.  Geschichtlich-topographische  Studien  uber 
das  alte  Rom  (Studi  storico-topografici  sull'antica  Roma). 

MuHcKcn,  Linàauer,   1887. 

101.  Mazecger  B.  Romer-funde  in  Obermais  bei  Meran  und  die 
alta  Maja-Feste  (Scoperte  romane  ad  Obermais  presso  Meran  e 
l'antica  fortezza  di  Maja).  Meran,  Potitìhcrya-,  1887. 


Viibblica^ioni  velaiìpe  alla  storta  dì  T^oma    209 


.  Memorie  sopra  la  vita  e  virtù  del  sac.  Pier  Filippo  Strozzi 
canonico  della  basilica  di  Santa  Maria  Maggiore,  raccolte  da  un 
relìj^oso  della  Compagnia  di  Gesù.  2*  edizione. 

Roma,  tip.  Guerra  e  Mirri,  1887. 

Merchier  a.  Essai  sur  le  gouvemement  de  l'Église  au  temps 
eie  Charlemagne.  (Estratto  dal  T.  Vili,  4*^  sèrie  des  .Wmoires  de 
ia  SociHi  acaà,  tU  Sl-QuitUitt).  St-Qutntiu,  imp.  Patte, 

M£RLI^ro  G.  E.  Clemente  V  e  fra  Dolcino.  (Nel  Mu£óo  sto- 
rico-artistico  Valsesiano,  III,  8). 

MiCHELLs  F.  Die  katolischc  Reforrabcwegung  und  das  vaii- 
kftnisckc  Concil  (Il  movimento  di  riforma  cattolica  e  il  concilio 
Vaticano).  Nach  der  Urschrift  d,  merewìgten.  Prof.  Dr.  Fr.  M.,  he- 
rausgegcben  v.  Dr.  Adoph  Kohm.  Giastit,  Roti),  1887. 

MiTROvil  B.     Una  lettera  di  Pio  IX  a  Carlo  Alberto. 

Trieste,  tip.  di  Giovanni  Balestra, 

'^-     AfoMMSEX  T.  et  Marquardt  J.    Manuel  des  antiquìtès  romaines. 
^^  Tom.  I.  Le  droit  public  roraain.  Traduit  par.  P.  F.  Girard. 
^P  Paris,   Thorin,  [887. 

"  *^'      AIoNTLÉOK  (De)  C.     L'Église  et  le  droit  romaio;  ètudes  histo- 

Hi^ques.  Bar-k-Duc,  impr,  Schorderct  et  C;  Paris,  au  bureau 

\  de  VAssociaiion  cathoìique,  1887. 

AfoKTLÉOK  (De)  C.     L'f^glise  et  le  droit  romain  ;  étudcs  hìsto- 
)rt<jc»e5.  Paris,  impr.  Dcvalois;  librairie  Poussiel^ue,  1887. 

•  NfonumentA  Vaticana  historiam  regni  Hungarìae  illustrantia. 
p^»"ie$  I.  Tom.  I,  cont.:  Rationes  coUeclorum  poniificiorum  in 
pungarìa,  laSi-i;;;.  Budapest,  Ruth,  1887. 

S  Moscatelli  A.  Le  unioni  e  i  figli  illegittimi  nel  diritto  ro- 
*nax3o.  Contributo  alla  storia  della  famiglia  e  del  diritto  romano. 

BoìOi;na,  tip.  Fava  e  Garagnani,   1887. 

^ACHER  J.     Die  ròmischen  Militarstrasscn  und  Handelswegc 
Sudwestdeutschland,  in   Elsass-Lothringen   und   der   Schweìz 
r'^**"-4Jc  militari  e  commerciali  romane  nella  Germania  meridioc- 
I  ^*«*«tlitalc,  in  Alsazia-Lorena  e  nella  Svizzera). 

Strassburg,  Noitnel  in  Comm.,  1887, 

IV  ^'euhavs  J.  C.  Die  Sagen  von  den  Gòttem  und  Helden  der 
^**ìechen  und  Rflmer  (Le  tradizioni  degli  dei  e  degli  eroi  de' 
"r^ci  g  jg'  Romani).  2.  Auflage.  Dùsieldorf,  Schuramu 

^^tkhia  deJti  ft  Societiì  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI.  M 


210     "Vubblica\ioni  relatwe  alla  storia  dirama 


114.  Nocella  C.  Le  bcrizioni  graffite  neir  escubliorlo  della  set- 
tinia  coorte  dei  Vìgili.  Interpretazione. 

Roma,  Forjani  t  C,   1887. 

115.  Nomi  AC  (De)  P.  La  bìblìothcque  de  Fulvio  Orsini,  Contribu- 
tions  \  rhistoirc  dcs  coUectìons  dMtalie  et  ù  Tétude  de  la  Re- 
naissance. Var'M,   Vxcwtgt   1887. 

116.  Opera  Patrum  Apostolicorum  cdidìt  Franciscus  Xaverius  Punk. 
Voi.  I,  editio  nova:  doctrina  duodecim  Aposlolorum  adaucta. 
Voi.  li.  Clementis  Rom.  epistulae  de  Vìrginitate  eiusdemque  mar- 
tyriuni;  Epistulae  pseuJo-Ignatii,  Igaatii  martyria  tria;  VatJcanuni 
a  S.  Methaphrasta  conscriptum,  latinuin;  Papic  et  senìorum  apud 
trenaeum  fragraenta;  Policarpi  vita.  Tuhinga,   1881-87. 

117.  O*  Relly  B.  Life  of  the  pope  Leo  XIII.  (Traduzioni  anche 
in  tedesco  e  francese  dì  quest'opera  adulatoria  e  faziosa). 

London,  Low,  1887. 

1 18.  PiGNATA  G.  Avventure  dì  Giuseppe  Pignata  fuggito  dalle  car- 
ceri dell'Inquisizione  di  Roma.  Traduzione  e  prefazione  di  Olindo 
Guerrini.  Città  di  CasUlIo,  stah,  tip*  S.  Lapi  tdit.t  1887. 

119.  PiLLiERs  (Des)  P.  La  cour  de  Rome  et  les  trois  demiers  èv*- 
qucs  de  Saint-Claude,  6*  edizione.         Cbambéry,  Mctmrd,   1887. 

120.  Pio  VII.  Motuproprio  in  data  2  agosto  1822  sul  lago  Trasi- 
meno  e  Perugino.  (Riprodotto  dalVorigìnalc  stampato  in  Roma 
nel   1822  presso  Poggioli  stampatore  della  R.  C.  A.). 

CastigUom  dd  Lago,  tip,  G*  Capotti  e  C,  1887. 

I2T.     Piombanti  G.    Biografie  popolari  dei  papi  dedicate  agli  Italiani. 

Livorno,  tip.  G.  Fahhresci  e  C,   1887. 

122.  Pinzi  C.  Storia  della  cittì  di  Viterbo  illustrata  con  note  e 
nuovi  documenti  in  gran  parte  inediti.  Volume  I. 

Roma,  tip.  della  Camera  dei  deputati,   1887. 

12).  Plocque  a.  Droit  romain:  de  la  conditìon  de  TÉglise  sous 
Tempirc  romain;  droit  fran^ais:  de  la  condìtion  juridìquc  du 
prOtrc  caiholìque. 

BarAt-Duc,  Contant-Laguerre;  Paris,  lihrairic  Laros  et  Forcd,  1887. 

114,  PROC.  Les  regìstres  d*  Honorius  IV.  Recueil  des  bulles  de 
ce  pape  publìécs  ou  analysces  d^apròs  le  manuscrit  originai  des 
irchives  du  Vatican,  fase.  i-j.  Paris,  Thorin,  1886-87. 

125.  Ravioli  C.  I  reduci  delVepoca  napoleonica  romani  o  statisti 
cogniti  in  servizio  o  in  pensione  al  redattore  delle  presenti  me- 


hibblica-^ioni  relative  alla  storia  dt  ^T^oma     21 1 

le  con  9ppeo4ice  di  uo  compendio  inedito  dì  DOtizie  sulla 
te  di  G.  Murai.  Roma,  tip,  RightiH,  1887. 

'.esDconto  delle  conferenze  dei  cultori  dì  archeologìa  cristiAna 
orna  d2Ì  1873  al  1887.  Roma,  tip,  della  Pace,  ]8iS8. 

EKACHi  E.    Cola  di  Rienzo.  Histolre  de  Rome. 
Paris,  Labur,  1888. 
D.     Rome,  ses  cglises,  ses  monumenis,  ses  institutions. 
res  X  un  ami.  8'  cditìon,  revue  et  augmeatùe. 

LTours,  UK  €t  impr.  Manu  et  fili,  1887 
(Di)  S.     I  tempi  di  papa  Gregorio  VII  e  i  nostri. 

Vent^df  tip.  Gio.  Cecchini,   1887. 

lOZWADOWSKi  J.  De  modo  ac  ratiooc  qua  historìci  romani 
eros  q\ii  accurate  defìnirì  non  poteram  cxpresserint. 

Cracoi'ia,  1887. 

CHAEDEi.  L.  Plinius  d.  /ungere  u.  Cassiodorus  Senator.  Kri- 
te  Bcitrjge  lum  io,  Buch  d.  Briefc  (Plinio  Ìl  Giovane  e  Cas- 
aro senatore.  Saggio  critico).  Bariett,  Darmstadt,  1S87. 

cuuiDT  M.  P.  e.  Zur  Geschichte  der  geographischen  Littc- 
•  bei  Griechen  und  Ròmern  (Contributo  per  la  storia  della 

rra  geografica  presso  i  Greci  e  i  Romani). 
Berlin f  Gartner,  1887. 

CRS'EIDER  J.  Die  alien  Heer  und  Handebwegc  dcr  Germa- 
Rùmer  und  Franken  in  deutschen  Rciche  (Le  antiche  vie  com- 
:iali  e  militari  dei  Romani  e  Franchi  ncir  Impero  tedesco). 
b  drtlichen  Untersuchungen  dargesteltt.  Dispensa  5'. 

Leipiig,  Z.  O.   IVti^él   1887. 

cuwARZLOSE  K.  Die  Patrìmonien  der  rdm.  Kirche  bis  zur 
idung  d.  Kìrchcnstaates  (I  patrimoni  della  Chiesa  romana 
alla  fondazione  dello  Stato  ecclesiastico). 

Berlino,  Kohlinsky. 

CHWERDT  F.  J.  Papst  Leo  XIII.  Ein  Blick  auf  scine  Jugend 
scine  Dichtungen  (Papa  Leone  XIII.  Sguardo  sulla  sua  gio- 
ii e  le  sue  poesie). 

Ausbur^^,  Schimiiit*s  Sortimml,  1887. 

IBMann  O.  The  ro^tliolog)-  of  Grecce  and  Rome.  With  special 
'enee  to  its  use  in  an  (Nuova  ediz.  a  cura  di  G.  H.  Bronctie). 

London,  Chapman,  1887. 


212     Pubblicazioni  relative  alla  storia  di  *^^ma 

137.  Smith  B.  Roma  e  Cartagine.  Le  guerre  Puniche.  Traduzione 
di  Teresa  Amici-Masi.  Con  una  lettera  dì  Ruggiero  Bonghi. 

Bologna,  Nicola  ZanicbM,  1888. 

138.  Stocchi  G.    Due  studi  di  storia  romana. 

Firmile,  fratelli  Bocca  eàii.  (tip,  àelV  «Arti  della  Stampa»),  1887. 

139.  Sylos  L.     Gli  inizi  e  le  prime  vicende  del  papato  temporale. 
(Nella  Ras5^i;Ha  Pugliese  di  se,  letL  ed  arti,  voi.  V,  n.'2,  4  febbr.  188S). 

140.  Tammasia  G.    Senato  romano  e  concìh'  Romani. 

Roma,  1887. 

141.  Tenneroni  a.  Jacopone  da  Todi;  lo  Stabat  Mater  e  Donna 
del  Paradiso.  Studio  su  nuovi  codd.  Todi,  Franchi. 

142.  Teoli  p.  B.  Teatro  isterico  di  Velletri,  insigne  città  e  capo 
dei  Volsci  :  opera  riveduta  e  corretta  coU*aggiunta  della  vita  e 
del  ritratto  dcirautore.  Veìletri,  Bertini  edit.,   18S7. 

143.  Thémedat  H.  Antiquitòs  romaines  trouvées  par  M.  Payard  à 
Dencuvre  (Meurthe-et-Moselle).  (Estratto  dal  BuìUtin  de  la  Società 
nationale  des  antiquaires  de  Frunce), 

Nogentle-Rotrou,imp.  Daupelcy-Gouvernettr ;  Paris,  Klincksieck,  1887. 

144.  Travaglimi  G.    I  papi  cultori  della  poesìa. 

Lanciano,    Carahha,   1887. 

145.  Tcrr  H.     La  rcconcìliation  avcc  le  pape. 

Paris,  Librairic  notiveìle,  1887. 

146.  Uri.icìis  L.  V.  Tborwaldsen  in  Rom.  Aus  Wagner's  Papic- 
rcn  (Thorwaldscn  in  Roma,  secondo  le  carte  di  Wagner). 

IVurxJ^urg,  Stahcl  ttt  Comm.,  18*^7. 

I  17.  Vasim  V.  La  socictó  de  Rome.  Kdition  augmentce  de  lettrcs 
incditcs.  Soptième  cdìtion.  Paris,  Souvelle  Rcvuc,   1SS7. 

14S.  ViLLLNiìUVE  (Di;)  L.  Rcchcrches  sur  la  famille  della  Rovere. 
Contribution  pour  'servir  ù  V  histoire  du  pape  Jules  II. 

RottH\  Bcfutii. 

I J9.  Warga  L.  Geschichte  dcr  lateinisclie  Kirche  (Storia  della 
Chiesa  latina),  voi.  II,  larospatass. 

I  jo     Zellku  J.     Entretiens  sur  Thìstoire  du  moyen  dge.  Deuxièmc 

partie:  I.  Chutc  des  Carolingiens;  féodalitó  et  chevalerie;  premìers 

empcrcurs  allomands;  premìers  rols  Capcticns;  Sylvestrell;  Gré- 

goire  VII;  L'rbain  II;  la  Croisadc. 

Couìommicrs,  impr.  lirodurt  et  Gallois  ;  Paris,  lihr.  Perrin  et  C,  1887. 


Jblicazium  nccvuuj  m  dono  dalla  Società. 

>I  Alessandro.  Nuovi  documenti  e  studi  intomo  a  Girolamo  Sa- 
>!a  (2'  ctlirionc).  —  Fiuu;^e,  tip.  Carneaecchi,  1S87,  pag.  400,  in-8. 

!ENHOVE(M.  le  baron  Nervyn).  Relations  politiqucs  dei  Pays- 
;  de  rAnglctcTTc  sous  le  règne  de  Philippe  II.  —  BruxtlUi,  tip. 
ytu  iBSof  tomo  V,  pag.  765,  in-4. 

fBS  Lcopold.  Cartulaire  des  comtc«  de  Hainaut  de  i  J37  A  1456. 
^fdks»  tip.  F.  Hayez,  1886,  ionio  MI,  pag.  659,  in-4, 

^^^nltlas.  Chroniqae  et  gestes  de  Jean  de  Prcis  dit  d'Outre- 
^^^  Bruxelks,  tip.  F.  Haycz,  1887,  pag.  5J0,  in-4. 

p  S.  Table  analycìque  des  matìères  contenues  dans  la  chroaiquc 
in  De  Suvelot.  —  Bntxdlts,  tip.  F.  Hayez,  pag.  90,  in-4. 

DLO  sac.  Francesco.  Diasertozioni  siorìco-critiche  sopra  Ales- 
^^  Alessandria,  lip.  Jacquemod,  1887,  pag.  221,  in-8. 

L.  T.    Manuale  di  storia  delle  còlooie  ad  uso  degli  istituti 
Firtn^i,  editore  G.  Barbera,   1887,  pag.  265,  in-8. 

,^^  II  P,  Il  marchese  Giuseppe  Campori  e  la  R.  Depuiadooe 
lesc  di  Moria  patria.  —  MdUna,  tip.  Vincenzi  e  nipoti,  1887, 
6»  ia-& 

XO  Pietro.  Sommano  de*  affari  d'Italia  divisa  in  suoi  dominiì 
:ntrate,  spese,  forze,  aderenze  con  altri  principi.  —  Verona,  tip. 
Ùoi,  r8i?8,pag.  50.  in-8. 

PUn  nouvcnu  catalogue  des  £*glìses  de  Rome.  —  Romat  tip. 
ni,  1887,  pag.  28,  in-8. 

iSO  Emilio.  Guida  del  Famedio  nel  cimitero  monumentale  di 
^^  Milano,  editore  G.  Galli,  1888,  pag.  261,  in-4. 

p 

Pluc 


Ijoscphi  Cronicon  sicutum  incerti  authoris  ab  anno  340  ad 
b6  in  forniam  diary  ex  inedito  codice  Ottoboniano  Vaticano. 
\cx  regio  typographeo  F.  Giannini  et  fil.„  1887,  pag.  145,10-4. 


rLudovìcua.    Statutum  potcstatis  comunis  Pistoni  anni  1746. 
ìtoìttHì,  apud  Uiricum  Hocpli,  j888,  pag.  54 j,  in-4. 

Scripta  manent,  Causcries  A  propos  de  la  collcciion 
.    Jc  M.  Alfred  BovcL  —  NatchAUl,  tip. fratelli  Attingen,  1887, 
.ia-K. 

etVIÉNOT  John.    La  SociétcdY-mulation  de  Montbéliard. 
bt  rappons. —  MonihiUard,  tip.  V.  Barbìer,  1887,  pag.  32,  vn-8. 

*HI  Emmanuel.     Cola  di  Ricn/o.  Histoire  de  Rome  de  1342 
.  ParL,  imprimerie  A.  Lahurc,  t888,  pag.  442,  in-8. 

ipbcs  composant  la  collection  de  M.  Alfred   Bovet  décrìtes 
ic  Charavay;  ouvrage  imprimi  sous  la  direction  de  Fcmand 
tcs.  —  Parti,  imprimerie  C.  Motteroz,  1887,  pag.  880,  io-4. 

J   Alessandro.     Lettere  inedite  di  Antonio  Canova  al  cardinale 
—  Ri)mu,  tip.  Forzani  e  C„  1888,  pag.  29,  in-4. 


tsso  lA  Sède  della  Società  si  posse 
swre  le  pubblicazioni  sociali  alle  condizioni  scguein  ^<i 

Archivio  della  Società  romana  di  storia  patria  : 
Voi,  1  .  .  L.  ìt.  T5     I     VoL  IV  .   L.  it.  ti 

0      11 »       15  »      V.  Il 

ì)     III »      ^5  >»     VI  .  i| 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria  ; 

Voi.  VII L.  it.  15 

»     Vili »)     15 


VoL  IX L.  iu  li 

»    X 


Si  cederanno  fascicoli  o  volumi  separati  delb  e 
esistano  nella  serie  esemplari  scompleti  ed  in  ragion». 
che  ne  esiste. 

PUBBLICAZIOKI   LIBERE! 

Regesto  di  Far  fa 

Voi.  II L.  it,  2j 

0     III •>      25 


Diari  di  ^Consx^n,  AnL  Sai<^ 

Introdu?ione  (con   ritrano 

rame) .  ,  .  .   . 
Voi.  I .  . 

»     Il  . 

»     III 

»     IV 


.  L.  it.  14,1 


Regesto  Sublacensc  ' 

VoL  unico L.  it.  2j     ' 

i^Conumenti  paUografici  di  T^oma 

Fase.  I L.  it.  14,  90  I  Fase.  II.  ,  .  . 

D* imminente  pubblicazione: 

Facsimili  di  Diplomi  Imperiali  e  Reali  delle  Cancellerie  d* Italia 

Indice  dei  primi  dieci  volumi 
dell'  Archivio  della  Società  romana  di  storia  patria   (Voi.    I-V 
e  della  R.  Società  romana  di  st*  patria  (Voi.  VII-X), 


L'unico  indirizzo  per  chi  voglia  corrispondere  colla  R.  5oci< 
romana  di  storia  patria,  o  farle  invio  di  lettere,  plichi,  libri 
pubblicazioni  di  qualsiasi  genere,  è  il  seguente: 

^lla  ^  Società  romana  di  storia  patria 

Biblioteca  Vallicelliana 


(Ex-convento  de' Filippini) 


Roma 


ROMA,  FoiUAKi  E  C^  Tip.  del  Ssxato. 


NOV    9  1977 


Fasc.  II, 


RCHIVIO 


Società   Romana 


di    Storia   Patria 


G.  Cugnoni 


213 


Meniùrie  della  Vita  e  degli  Scritti 


DEL 


CARDINALE  GIUSEPPE  ANTONIO  SALA 


(ConliniuzioDe  e  fine,  vedi  pag,  $7). 


Fino  dal  1801  il  Consalvi,  per  occasione  del  conclave 
di  Venezia,  avea  preso  ad  avversare  Domenico,  il  fratello 
del  nostro  Giuseppe  Antonio,  il  quale  così  ne  lasciò  me- 
moria (i):  «  I  servigi  da  lui  (da  Domenico)  resi  in  quella 
:  circostanza  (del  conclave)  avrebbero  meritato  un  premio. 
^  Egli  però  non  cercava  né  compensi  ne  avanzamenti;  ma 
«  non  doveva  mai  aspettarsi  che  11  suo  zelo  dovesse  par- 
«  torire  frutti  amarissimi.  Monsignor  Consalvi,  che  fu  se- 
;  etano  del  conclave,  e  che  mirava  ad  essere  segretario 
.1  Stato  e  cardinale,  come  ottenne  non  molto  dopo,  es- 
«  sendo  quello  che  si  mise  alla  testa  degli  affari  in  Venezia, 
^  e  che  non  istruito  abbastanza  delle  cose  nostre,  avrebbe 
u  commesso  de'  sbagli,  soffri  di  malanimo  di  avere  per 
u  correttore  l'abate  Sala,  e  di  dover  cedere  talvolta  al  sen- 
ti cimento  di  persona  a  lui  inferiore.  Concepì  quindi  un  av- 
n  versione,  che  si  mantenne  por  lungo  tempo,  e  che  por- 
M  lollo  a  far  poco  conto  di  lui,  e  ad  usare  nel  nominarlo 
n  epiteti  e  frasi  non  molto  convenienti  '>  (2).  Or  tale  av- 

(t)  Brevt  notila  dell' ab.  D,  Sala  cit. 

(2)  Nelle  citate  .\Umorit  dd  Consalvi  sul  couclave  Unuio  a  Vt- 
mt;}ù  (presso  il  Crétineau-Jolv,  op.  cit-,  I,  199  seg.)  di  luno  Tope- 
rato  «id  Domenico  Sala  in  quella  congiuntura  non  v*ha  fiato,  e  non 
4e  ne  ricorda  nemmeno  il  nome. 

Arcktrio  dfila  P.  Società  romana  di  storia  patria  Voi.  XI.  15 


214 


G.  Cugnoni 


viersione  del  potente  ministro  doverasi  nituralmente  lUir- 
gare  a  Giusq^  Antonio,  si  perchè  è  naturale  disposinone 
del  cuore  umano  il  confondere  tutte  insieme  le  ancneOK 
dell'oggetto  inviso,  e  à  perche  in  lui  pure  ravvisava,  se 
non  il  correaore  autorevole  e  palese,  certo  il  privato  bii^ 
sunatore  di  certi  suoi  concetd  e  di  alcune  sue  teoriche  ^ 
opera  di  governo  civile  ed  ecclesiastico.  «  Ecco  perche 
«(nou  altrove  Giuseppe  Antonio  (i)  )  l'ab.  Sali  non  g'' 
«  fa  mai  accetto,  come  non  lo  ero  neppur  io,  pane  per  t^* 
«  verbcro  della  contrarieti  al  fratello  maggiore,  parte  perd^'^ 
«  in  più  circostanze  non  convenni  ne*  sentimenti  del  pò*"' 
«  potato  »,  Aggiungasi  a  questo  (a)  o  che  il  card.  CoDsal^" 
«  all'epoca  della  liberazione  della  sa:  me:  di  Pio  VII(quan' 
«  appunto  il  Sala  divulgava  una  pane  del  suo  Piano  ài 
vfornui)  esternava  de'  sentimenti  ben  diversi  da  quelli,  et* 
«aveva  prima  degli  antecedenti  faralissirai  av\'enimenri,  ^ 
a  pienamente  conformi  alle  giustissime  massime  del  S.  Padrc^ 
«  Noi  ne  facciamo  testimonianza  di  fatto  proprio  per  i  di-^ 
«  scorsi  sentiti  da  lui  nel  tempo  del  viaggio  di  Sua  Santità 
«  verso  Roma,  e  segnatamente  nei  giorni  di  trattenimeoto 
«  in  Fuligno,  da  dove  il  cardinale  ripiegò  per  tornare  in 
«  Francia,  progredendo  in  seguito  a  Londra  e  a  \'icnna. 
tt  Disgraziatamente   questo   giro  fu  causa  che»  lasciandosi 
«  sorprendere  dalla  cabala  dominatrice,  che  infestava  tuttora 
«  i  Gabinetti,  concepisse  quelle  idee,  che  sviluppò  meglio 
«  al  suo  ritorno,  e  che  prepararono  la  strada  a  quei  nuovi 
«  dolorosi  avvenimenri,  che  hanno  poi  sconvolta  tutta  TEu- 
«ropa,  e  de' quaU  risentiamo  (scriveva  nel  1833)  ^ncor 

(1)  Breve  noiiiia  cii.  Su  tale  proposito  Gaetano  Moroaì,  in  axu 

sua  del  21  gennaro  18S1,  scriveami  :  «Ma  l*  onnipotente  cardinal 
tt  Consalvi  geloso  di  alcuni  eminenti  uomini,  o  discrepante  colle  loro 
n  idee  (come  del  p.  Cappellari,  cui  ingiustamente,  e  contro  le  intn- 
«  zioni  di  Pio  VII,  antepose  il  p.  Zurla  poco  conosciuto)  vivamc 
«  avversò,  ecc.  ». 

(2)  Bnvó  notiva  cit. 


Della  vita  e  degli  scrini  di  G.  q4.  Sala      215 


nsti  effetti  ».  Del  quale  sviamento  politico  del  Con- 
no altresì  fede  certissima  le  sue  Memorie,  Per  entro 
Bgli  espone  ed  affenna  appunto  que'  prìncipi  e 
tassìme  di  pubblica  amministrazione,  che  sono, 
re,  il  centro,  attorno  a  cui  si  raggira  ed  agglomera 
avoro  del  Sala,  da  quello  con  tanta  furia  persegui- 
^  Providence  (egli  scrive  (i)  )  a  pennis  une  se- 
chute  du  gouverncment  pontificai,  onze  ans  après 
cablissemcnt.  Si  cene  Providence  permettait  une 
e  résurrection,  il  serait  à  désircr  que  le  nouveau 
r,  en  trouvant   tour    changé  ce  détruii  derechef, 

de  ce  raalheur  pour  en  rccueillir  plus  de  fruits 
i*en  avait  tire  lors  de  la  première  rcstaurarion.  En 
nant  les  constiturions  et  les  bases  du  Saint-Siège, 
aìt  d'une  manière  viaorieuse  surmonter  tous  les 
is  s'opposant  aux  changements,  et  aux  réformes 
Lirraient  avec  raison  exiger  Tantiquité  ou  Taltéra- 

certaines  institutions,  les  abus  introduits,  les  en- 
lents  de  Texpórience,  la  ditTérence  des  temps,  des 
es,  des  idóes,  et  des  habitudes.  Il  est  permis  de 
r  les  va*ux  ì  celui  qui  ne  les  exprime  point  par 
des  choses  anciennes,  par  amour  de  la  nouveauté 
singulariti  d'idèes,  mais  qui  ne  souhaite  tout  cela 
ir  le  plus  grand  bien  du  gouvcrnement  pontificai, 
est  si  fier  d'otre  membre,  malgró  son  indignile, 
lement  auquel  il  reste  si  profondéraent  attaché, 
rrifierait  pour  lui  jusqu'à  son  exisience».  Or  con 
nerah  concerti  del  Consalvi  non  consuona  ap- 
tutte  quante  le  sue  parti  il  disegno  di  riforma  del 
jale,  come  giA  abbiamo  notato,  sin  dalle  prime 
protesta,  ch'egli  non  intende  «  di  pariare  dell'e- 
mmobile  della  Chiesa  »,  ma  si  solo  «  dell' im- 
lelle  cose  »  romane  «  rapporto  alla  doppia  am- 

lolr<5  cit.,  I,  239.  *  Daudet,  DiplomaUs  et  bomtfus  d'Ètat 
%  Il  }2. 


2t€ 


e  Cugnont 


«  amtstrazìoDC  ccdesiasdca  e  politica  9?  Altrove  il  Consalvi 
scrive  (i):  «  En  rètabliisoni  Tanden  ordre  de  choscs,!' 
e  était  ùàk  de  tiner  tin  bìen  de  ce  mal.  Quoique  les  ìd^- 

•  thurioas  du  gourcmeakent  pontificai  fussent  très-soge^ 
«  n  est  frpnrfan  bors  de  doute  que  ceitaines  d'entne  ellcs 

•  dègèatraieut  de  leur  pnminve  origine.  On  cn  avaiti!- 
«  tire:»  dungè  oa  cocnnnpu  quelques  autres,  et  il  ^'^ 
«trouraìt  <)ui  ne  coavenaient  plus  au  temps,  aux  id(<?^ 
«  DOuveOes  et  aux  nouveaux  usages.  Les  effets  et  les  tea- 

•  dances  de  la  revolution,  survivant  d  la  révolutioa  cUc- 
«  flateicezigeaient  des  atermoiements  et  des  mónagements, 
«  non  moras  pour  la  stabilite  du  Salnt-Siège  qu'il  l^^ 

•  rcsuuier,  que  pour  Tavantagc   du  peuple.  Je  pourri^^ 
«  étendre  ei  développer  beaucoup  plus  au  long  cettc  thèsc, 
«  mais  le  peu  de  calme  dont  je  jouis  et  les  obstacics  dot^^ 
«  |*AÌ  parie  i^s  haut»  sans  compter  d'autres  raisons  t'kC^' 
«  lentes  ressortant  de  la  nature  du  sujet,  s*y  opposent  ab^^' 
alument.   Du  reste,  ce  que  |*ai  di:  suffira  A  toui  lect«^^^ 
«i  perspicace  pour  saisir  que  de  très-Iégiriraes  et  de  tr^^' 
«  justcs  morìfs  nousengageaiem  àprofiter  de  la  circonsiai"^'^^ 
«  et  i  difftrer  de  quelque  temps  la  restauration  des  ancienT»^ 
«fomies  goux-emamenrales  afin   d'en   modifier  quelqU^ 
«  partics,  du  moìns  Ics  plus  urgentes.  Cela  valait  mieU* 
«que  de  le  ritablir  de  suite  tei  qu'il  ^it  avant  la  révoliJ' 
A  don;  et   le   Saint-Pere  lui-méme  émettait    ce  voeu  l^fl 
De*  quali  avvisi  il  primo  articolo  del  Piano  del  Sala  è  a^^ 
punto  largo  e  minuto  svolgimento.  Ne  diversamente  dal 
Sala  lamenta  il  Consalvi  i  falliri  sforzi  di  quella  particobre 
Congregazione»  che    Pio  VII    istituì  ne*  primordi  del  suo 
pontificato,  per  discutere  i  diversi  punti  di  quel  disegno  di 
riforma,  die,  per  frapposizione  di  ostacoli  pressoché  insor- 
montabili, andcS  affatto  in  dimenticanza.  Sul  quale  proposito 
scrive  il  Consalvi  (2)  :  «  En  raéme  temps  que  cette  pro- 

(i)  M^oirfis  cÌl,  II,  ajj.  -  Dal*det,  op,  cii.,  35. 
(a)  Mém0ir0sdu  355. 


Tìella  mia  e  degli  senili  di  G.  24.  Sala       217 


•  rogadon  se  rógularisait,  on  forma  une  congrègntion  com- 
»posce  de  plusieurs  cardinaux,  de  quelques  prélars  et  des 
«scculiers  Ics  plus  instruits  et  les  plus  estimc's  pour  leur 
«bon  esprit  et  leur  conduite.  On  les  chargea  de  traccr  un 
«pl.m  pour  la  restauration  du  gouvcrncmentj  fondi-  sur  les 
«bises  et  sur  les  constitutions  antiques,  mais  adapté'  aux 
«conditions  modernes  ainsi  qu'A  la  nature  des  temps,  en 

•  le  dcpouillaat  des  vices  ou  des  abus  qui  auraicnt  pu  se 
«gliiscr  dans  Tancicn  peu  à  peu  avec  les  aances,  conime 
«ilarrive  à  toutes  les  choscs  de  la  terre-  La  congrègntion 
«rcijut  ordre  de  terminer  son  travail  pour  la  mì-octobre. 
«Le  provisoire  devait  prendre  fin  lu  i"^""  novembre,  après 

•  l'approbation  du  nouveau  pian  parie  Saint-Pere,  et  alors 

•  on  rcracttrait  rautorit6  entre  les  niains  des  prélats...  (i). 
«Pendant  ce  temps,  la  congrègation  form6e  pour  le  réca- 
«blisscracnt  de  rautorité  acheva  son  travail,  qui  ne  ré- 
«pondit  point  entiérement  aux  espèrances  coni;ues»  Ce 
"travail  indiquait  plusieurs  changements  et  cenaines  mo- 
«difications  sur  divers  points,  m.iis  il  ne  régluit  pas  tout, 

•  et  pcut-étre  rai^me  ne  rògla-t-il  pas  le  plus  imponant. 
•S'iiest  partout  difficile  de  vaincre  Ics  vieìlles  habitudes, 
«dopirer  des  réformes  et  d'introduire  des  innovations,  il 
«faut  avouer  que  cela  le  devient  bien  davantage  A  Rome, 
•ou,pour  micux  dire,  dans  le  regime  pontificai.  Li,  tout 
•ce  qui  existe  depuis  quelque  temps  est  rcgard6  avec  une 

•  ione  de  vénération,  conime  consacrò  par  l'antiquitc*  m^mc 

«de  son  institution.  Personne   ne  prend  la  peine  de  re- 

flmarqu-T  qu'il  est  souvent  faux  que  telles  et  telles  règlcs 

*iicnt  étc-  ètablics  dans  l'origine  comme  elles  apparaissent 

«  jctuellcment.  Parfois  raéme  il  arrivo  qu'elles  sont  alte- 

s,  soit  par  Ics  abus  dont  nulle  institution  humaine  ne 

cut  asscz  se  garantir,  soit  par  d'autres  vicissitudes,  soit 

•  le  temps  lui-mcme.  En  outre,  ce  qui  A  Rome  plus  que 


«  pirtout  ailleurs  s'oppose  aux  réformes,  c'est  la  qualità  k 
«  ceux  qui,  dans  ccs  réformes,  perdent  quelques  attributsde 
«  leur  juridiction  cu  d'autrcs  pri\41èges.  La  qualità  Jont  Ik 
«  sont  rcvótus  fair  qu*il  est  plus  malaisé  de  vaincre  kui  rè- 
«  sistenccy  et,  par  ces  justes  considérarions,  le  pape  lui-ojètnc 
«se  trouva  quelquefois  forcò  d'y  avoir  égard.  Ett'cbiprt- 
«  ciscment  cn  vue  de  telles  dcférenccs  que  je  ne  puis  p-ii 
«  longucment  6numérer  ces  obstacles  et  d'autres  sembbbb 
«r  fourmillant  A  Rome  plus  que  panoui  et  s*opposant  i  tome 
fl  cspòcc  d*innovntions.  Je  me  tairai  donc  sur  ce  poinL  ]c 
«  me  borneiai  A  dire  que  le  pian  de  la  congrégation  aracnit 
«  quelques  abus,  changca  des  instirutions,  en  retrancha  ou 
«en  ajouta  de  nouvelles,  selon  que  le  permirent  Ics  ote- 
«  c\cs  ci-dessus  indiquòs.  Jc  dois  avouer  encore  que,  sans 
«reflicacc  volonté  du  Gouvememeni,  qui  insista  a^tc  ri- 
«  gucur  pour  qu'on  se  mit  à  ouvrir  la  brèche  aux  réfonnc^i 
a  ricn  ne  serait  fait  peut-étre,  car  le  Gouvemeracnt  ne  pou- 
«  vait  pas  agir  seul.  L'opinion  publique  ne  devait  point  ii' 
u  voriscr  Ics  innovations  que  le  Saint-Siège  auraìt  édicti«s 
«  de  son  chef.  Ccux,  auxquels  ccs  réformes  n'étaicnt  yoiO^ 
«  avantagcuses,  et  qui,  en  raison  de  leur  qualité  ou  à  caus^ 
«  de  Icun  rèlations,  aspiraient  à  diriger  respric  public,  *^ 
a  raient  su  Ics  discréditer  dans  les  masses.  La  recente  èi^ 
«  vation  du  premier  ministre,  encore  jeune  et  promu  à  ^* 
«  poste  au  désnppoìntement  de  ceux  qui  ramhitionruic*^^ 
«la  nouveauté  du  pape  lui-méme,  devaient  foumirdes  ^ 
«  gutìcs    et    des   prétextes   contre  les  modifications  et    * 
«  changements.  Il    importait   de  les  étayer,  du  moius   ^^ 
«  apparence,  sur  les  idées,  les  conscils  et  Ics  réflexions  d'ti^ 
«  grand  nonibre,  c*esl-d-dire  d'une  congrégation,  d'apr^^ 
H  Tusage  existant  ù  Rome  en  pareil  cas.  Le  pape  lui-raéaJ^ 
«  par  suite  de  la  douceur  bien  notoire  de  son  caractère  ^ 
«  qu'il  soit  permis  de  produire  respeaueusement  cet  autre 
«  motif  de  h  nócessité  ou  Ton  était  de  recourir  i  une  con- 
«  grégation  dans  cette  affaire  —  le  pape  lui-méme  n'aurait 


Della  vita  e  degli  scrii  ti  di  G.  C/1  Sala      219 


«  pcut-étre  pas  pu  tenir  tòte  aux  opposants  et  proiògcr  les 
^•réformes  contre  les  attaques  de  tout  gerire  auxquelles  il 
I  aurnii  faìiu  se  résigner,  si  le  Saint-Siòge  eùt  agir  seul  et 
a  spontancment.  Il  devini  de  nécessité  absolue  de  se  servir 
«  d'une  congrógation,  et  une  congrégation  ne  pouvait  don- 
ftner  que  ce  que  Ton  obtint.  On  se  vit  ohlìgc  do  s*en  con- 
Henter:  cela  vaut  mieux  que  rien,  comme  dit  le  proverbe 
"■"vulgairc.  Le  pape  approuva  et  sanctionna  le  pian  de  la 
.«congrégation  par  une  bulle  intiiulòe:  Sur  k  ràablissement 
\i\k  goHvurtUfiunt,  et  qui  coraraence  par  ces  mots:  Post 
ìdiuttirnas  ». 

Adunque  il  Consalvi  si  per  antico  rancore,  e  si  per  le 
sue  mutate  opinioni   politiche   cadde  nella  contraddizione 
Ji  perseguitare  nello  scritto  del  Sala  i  propri  concetti  e  le 
proprie  persuasioni,  e  di  perseguitarle  con  tale  veemenza, 
Jj  impedire  vigorosamente  li  diilusionc  di  quel  libro,  e  da 
ordinare,  che  ne  venissero  raccattati  con  minutissima  dili- 
genza gli  esemplari  distribuiti  (i).  Nel  che  fu  cosi  pun- 
tualmente obbedito,  che  all'istante  ne  scomparve  ogni  miccia. 
Picchè  io  a  potere  averne  per  pochi  giorni  sott'occhi  una 
copia,  dovetti  moltiplicare  le  ricerche  per  oltre  a  25  anni. 
Per  tal  modo  il  lavoro  del  Sala,  frutto  di  matura  espe- 
^enza;  risuhamento  di  lunghi  ed  accurati  studi;  espressione 
■^^nccra  e  liberissima  d'animo  profondamente  persuaso;  ri- 
medio ai  passati  danni  della  Chiesa  e  dello  Stato  ;proba- 
^ilt  impedimento  dei  futuri  :  appena  nato  fu  spento,  non 
^^ADzando  all'autore  né  meno  il  compenso  di  richiamarsi 
^tir  ingiusto  tratto  al  giudizio  del  pubblico,  e  solo  restan- 
dogli da  amaramente  lamentare  queir  «  andamento  di  cose 


(0  Questo  si  desume  dalla  terza  delle  lettere  superiormente  tra- 
scritte nella  nota  a  pagina  56.  Racconiavami  poi  su  tal  propo- 
wo  Antonio  Coppi,  che  il  Consalvi,  tomaio  da  Vienna  in  Roma, 
adoperò  tutte  le  arti,  dalle  cavalleresche  alle  diplomatiche,  per  car- 

firt  dì  mano  a  certa  gentildonna  russa  una  copia  di  quella  stampa; 

au  che  la  scaltra  signora  non  se  ne  lasciò  punto  cogliere. 


220 


G.  Cugnoni 


«  (scri\'€va  nel  1833  (i)  ),  che  atBisse  i  buoni,  e  che  stava 
tt  in  aperta  opposizione  alle  massime  esternate  in  principio 
«dal  Santo  Padre....  Tema  vasto  ed  affliggente,  chebista 
a  avere  toccato  di  volo,  aflinchè  rammentando  U  fai>^ 
«  strada,  nella  quale  s' impegnò  il  GovL^mo  pontificio,  si  ri- 
«  cordi  altresì  che  il  vento  non  spirava  propizio  per  gli  uc^" 
a  mini  sinceramente  attaccati  al  principe  ».  Amari  accenti, 
ma  che  rivelano  una  tal  quale  compiacenza  dello  scrittore 
d*avere  antiveduti  i  tempi,  ì  quali  poi,  divenendo  a  mano 
a  mano  più  grossi,  recarono  finalmente,  tra  il  1847  e  U 
1849,  il  tardo,  e  perciò  inutile,  trionfo  delle  riforme  con- 
cepite e  caldeggiate  d.i  lui  ben  33  anni  innanzi. 

Della  parte  inedita  di  questo  Piano  (la  quale,  se  noo 
pel  dettato,  certo  per  la  materia  sopravanzava  di  gran  luti 6^ 
la  stampata  (2)  )  ninno,  per  quanto  io  so,  ebbe  mai  noti-^^ 
certa  e  di  fatto,  salvochè,  in  sin  dalle  prime  mosse  dcl^ 
sua  gloriosa  carriera,  il  Santissimo  nostro  Padre  Leone  XfX^* 
Questi,  mentre  giovanetto  compieva  in  Roma  nella  nolri^^ 
Accademia  ecclesiastica  gli  studi  teologici  e  legali,  recav^*^ 
di   frequente   al   Sala,   che    amavalo   di  peculiare  benev^^ 
lonza  (3).  A  costui  adunque  mostrò  egli  un  giorno  il  v^^ 
luminoso  manoscritto,  e  appresso  gli  consenti  pure  che  i^ 
leggesse,  consegnandogliene  a  tale  effetto  con  grande  cai 
tela  ad  uno  ad  uno  i  quaderni.  I  quali  recatisi  in  casa 
giovane  alunno,  non  pure  leggevali,  ma  con  grande  dili^ 
genza  lì  ricopiava.  E  ciò  fu  doppia  ventura:  Tuna,  che 
disegni  del  grande  rifonnatore  venissero  a  mano  di  dii  un 
giorno  li  avrebbe  potuti  a  suo  senno,  tenendo  conto  della 

(1)  Brtvi  notizia  ddVah.  D.  SaU  dt. 

(2)  Ciò  si  apprende  dai  due  Indici  dì  sopra  recati  del  primo  sbouo 
di  questo  lavoro,  e  dalle  stesse  parole  dell'autore,  il  quale  neirartv 
colo  VI  scrive:  «  Dovendosi  quindi  il  mio  Piano  estendersi  ad  uda 
serie  hen  lutila  di  articoli  di  ogni  specie,  ecc.  », 

(})  Bonghi  K.,  Lione  Xlll  t  l'Italia;  Milano,  Trcves,  1878,  2; 
in  nota.  -  Civiltà  CaitoHca,  ser.  X,  V,  675.  -  Moroni,  Di^,  di 
iccL,  Indice,  V,  160. 


nlla  pila  e  degli  scritti  di  G,  oA.  Sala      221 

i  de'  tempi  e  degli  avvenimenti,  colorire;  Tnltra,  che, 
itosi  poscia  il  manoscritto  originale  deiropera,  ne  sia 

0  rimasta  una  copia  autorevole.  Come  poi  quel 
scritto  andasse  smarrito,  è  cosa  in  tutto  misteriosa. 
sso  .al  tempo  della  morte  del  Sala  esistesse,  non  è  da 
in  dubbio;  quando  Niccola  Milella, ragguardevole  pre- 
dila curia  romana,  asserisce  d'avere  caldamente  pre- 

1  cardinale  Lambruschini,  allora  segretario  di  Stato, 
,  raccattatolo  dal  luogo  ove  egli  stesso  (il  Milella), 
Jine  del  defunto,  avealo  colle  proprie  sue  mani  poco 
i  collocato,  lo  ponesse  in  salvo,  come  cosa  di  pregio 
labile;  e  che  quel  cardinale  pochi  giorni  appresso  gli 
:ò  d'averlo  riposto  nella  biblioteca  Vaticana.  Ma  ogni 
igentc  ricerca  ivi  fattane  riusci  a  nulla;  né  megho 
trono  le  indagini  usale  neirarchivio  Vaticano. 

ndc  viene  non  lieve  impedimento  a  queste  mie  me- 
mancandomi  cosi  il  modo  da  chiarire  il  valore  di 
pe  Antonio  ne'  maneggi  giuridici,  politici  ed  animi- 
vi, ai  quali  appunto  si  riferiva  la  parte  perduta  dei- 
Valore  ceno  non  comune,  come  si  può  argomen- 
u   primi   articoli  di   essa  opera  messi  a  stampa,  e 
ancora  dalla  qualitA  del  suo  ingegno  singolarmente 
;  che  è  il  sommo  pregio  di  chi  pigli  a  tranare  l'arte, 
atte  difficile,  deiroitimo  governare.  Ma  oramai  basti 
e  riprendiamo  il  filo  dell'interrotto  racconto. 
Dmposce  adunque  nei  primi  mesi  del  1814  le  pub- 
ose,  mosse  Giuseppe  Antonio  incontro  a  Pio  VII, 
)0  cinque  anni  d'indegna  prigionia  tornavasene  a 
(«Lo  raggiunsi  (egli  scrive  (i)  )  a  Bologna,  e  fui 
samente  invitato  da  Sua  SantitA  a  seguirlo  nel  resto 
aggio,  che,  com'è  ben  noto,  fu  interrotto  da  varie 
,e  non  tanto  brevi  in  Imola  e  in  Cesena  »  (2). 

notila  iUlFab,  D.  Sala  cit. 
ne,  durante  quel  viaggio,  Tufficio  di  cerimoniere,  a  Com- 
crivevagli  il  fratello  Doraenico,  il  25  aprile  1814)  Tacere- 


1 


222 


G.  Cugnoni 


E  in    Cesena   il   pontefice,   cui    tardava  di  attestargli   Li 
sua  riconoscenza    per  lo  zelo  operoso   nei  giorni    della 
prova   addimostrato,  gli  diede,  per  biglietto  privato,  con 
fermato    poi    in  Roma    con   breve,   grado    di  prelato  do- 
mestico e  divisa   di    protonotario  apostolico  (i)»  Cosi  fu    | 
ad  esso  aperta  quella,  che  in  cone  di  Roma  chiamasi  car-    * 
riera,  fuor  della  quale  a  niuno,  d'ordinario,  è  concesso  di    » 
aspirare  agi'  importanti  uffici,  che  sono  scala  al  cardinalato, 
n  come  non  ragione  di  sangue  o  di  ricchezza,  né  sforzo    . 
d' intrighi  vel  misero  dentro,  ma  bella  fnma  di  virtù  e  di 
dottrina  ;  cosi  egli  non  vi  si  affrettò  per  arti  superbe,  o  per    I 
vili  raggiri,  ma  gloriosamente  percorsela  col  vigore  dell'a- 
nimo sostenuto  e  guidato  da  sapienza.  Ancora  è  da  notare,     i 
come  delle  dignitA,  alle  quali  di  mano  in  mano  egli  venne 
innalzato,  niuaa  fu  di  nacura  laicale,  ma  tutte  di  uffici  ec- 
clesiastici. La  qual  cosa  chi  si  conosca  degli  usi  della  curia    , 
papale,  dove  il  salire  è  per  lo  più  effetto  del  chiedere,  non     ! 
recheralla  al  caso;  ma  vi  ravviserà  il  suo  costante  propo-     i 
sito  a  volere  stabilita  «  la  massima,  che  tutte  le  cariche  di 
«  loro  natura  secolari  vengano  conferite  ai  laici  »  (a).  I 

E  in  prima  ai  due  modesti  ordinari  uffici  di  correttore  j 
e  di  datario  della  Sacra  Penitenzieria,  i  quali  l'uno  dopo 
l'altro  ponò,  gli  si  aggiunse  lo  straordinario  di  consultore  4 
di  una  speciale  Congregazione  ordinata  sopra  il  ristabili- 
mento degli  istituti  religiosi  annullati  tutti  dal  dominio 
francese.  Qui  tolse  con  grande  animo  a  propugnare  le 
massime,  che  su  tal  punto  aveva  ampiamente  svolte  nej 

t(  scimcnio  Jei  vostri  imbarazzi  per  dovere  supplire  jnche  da  ccrimo- 
onicre,  ma  spero  che  il  Signore  Iddio  vi  assisterà,  e  vi  darà  salute  ». 
(i)  A  questo  proposito  scrivevaglì»  il  30  aprile  1814.  il  fratello 
Domenico:  "  L'amorosa  vostra   dei  22,  cui  ho  uovato   atìnessa  Ia,^ 
n  copia  del  grazioso  biglietto  di  decorazione  accord^ovi  dal  S.  P*9fll 
drc    ecc.  ...  La  cosa  e  valutabile  per  se  stessa,  ma  io  la  valuto     " 
ff  principalmente  per  la  graziosa  maniera,  e  termini  con  cui  è  stata 

■  eKguita^- 

li)  Fiitito  Ji  riforma,   art.  VI. 


E 


ella  viia  e  degli  scriiti  di  G.  oA.  Sala        223 


VI  e  XVII  del  suo  Piano  di  riforma  ;  sostenendo, 
si  restituire  soh-into  le  professioni  di  prinia  regola, 
quelle,  che  conformandosi  agi'  intendimenti  de'  loro 
Wjfi,  ne  serbano  intero  lo  spirito  e  l'indirizzo;  lad- 
■iLltre  di  seconda  e  di  terza  mano  non  sono  per  lo 
te  rilassamenti  e  snervamenti  di  quelle-  «  Li  disordini 
;  comunità  religiose  (son  sue  parole  (i)  )  erano 
Iti  a  tal  punto,  da  meritare  che  Iddio  le  annientasse, 
e  in  gran  parte  è  seguito  )>.  Per  ripristinarli  ;i  dovere, 
opo  «  indovinare  ciò,  che  farebbero  li  santi  fondatori, 
)rnasscro  al  mondo  »  (2).  Certo  a  questo  effetto  era 
propizia   congiuntura  il  trovare  distrutta  ogni  cosa, 

che  a  rifabbricare  non  si  avrebbe  avuto  impaccio 
xhi   ed   intristiti   ruderi    sopravanzati   all'universale 

Ma  né  mcn  questa  volta  la  sua  voce  non  fu  ascol- 
:  monasteri  e  convenri  risorsero  quanti  prima,  e  più 
[la;  quasi  che  alla  gloria  di  Dio  e  ai  vantaggi  della 
meglio  i  molti  rilassati,  che  i  pochi  austeri  rispon- 


» 


manto  Pie  VII,  spaurito  dai  novelli  moti  di  Gioac- 
Murat,  che  accintosi  all'impresa  d'Italia  s*era  cac- 
:on  forte  soldatesca  nella  Marca  d'Ancona,  fuggi 
mente  a  Genova  con  picciol  numero  di  seguaci,  e 
sti  Giuseppe  Antonio  (j).  Narrano  che  coli,  avvi- 
)si  la  festività  dell* Ascensione,  il  pontefice,  pressato 
ni  patrizi  perchè  in  quel  giorno  volesse  assistere 
ssa  solenne  in  una  delle  principali  chiese  della  città, 
«  la  decisione  della  cosa  nel  Sala,  come  in  uomo 


%no  ài  riforma,  art.  XVI. 

-  Gaetano  Morosi  {pi\.  d'erud,  tccL,  LX,  259)  ilice  che 
fatti  dal  Sala  per  la  riforma  dei  corpi  morali,  furono  dcpo- 

rla  sua  morte  nella  segreterìa  della  S.  Congregazione  dei 
regolari, 
iregorio  XVI  nel  crearlo  cardinale  fece  onorevole  menzione 
suo  viaggio. 


224 


G.  Cugnoni 


disimpacciato  e  prontissimo  ai  ripieglii  ;  e  che  questi,  an- 
corché, pel  difetto  degl' infiniti  arredi  e  panimenri  all'au- 
gusto rito  necessari,  giudicasscla  soprammodo  difficile; 
pure  confortato  dal  buon  volere  e  dalle  larghe  profferte  di 
que'  signori,  provvide  e  dispose  in  brevissimo  tempo  rutt(^| 
quanto  all'uopo  occorreva:  di  sorte  che  la  solenne  ceri- 
monia fu  celebrata  con  sfoggio  e  magnificenza  inaspet- 
tata (i). 

Appresso  a  questo  tempo  fu  esaminatore  de'  vescovi, 
referendario  delle  due  Segnature,  segretario  della  Congre- 
gazione de'  riti  (2),  e  di  quella  de'  negozi  ecclesiastici 
straordinari.  ^È 

Nel  1823  sperimentò  di  nuovo  gli  effetti  delTavver- 
sionc  del  Consalvi:  che  «  mentre  (egli  scrive  (3)  )  nella 
«promozione  del  1823,  quando,  secondo  il  costume,  avrei 
p  dovuto  muovermi  dalla  Segreteria  dei  riti,  e  tutti  erano 
(t  persuasi  del  mio  ascenso  a  quella  del  concilio,  fui  prc- 
«tcrito,  e  si  pretese  che  fosse  sufficiente  compenso  e  una 
«  pubblica  testimonianza  della  più  marcata  fiducia  lo  avermi 
«  aggiunta  una  Segreteria  tanto  importante,  quanto  quella 
«  degli  affari  ecclesiastici  straordinari,  e  un  canonicato  di 
«  S,  Maria  Maggiore,  che  nò  domandavo  né  volevo,  avendo 
«ricusato  tanto  prima  quello  di  S.  Pietro  ».  Più  tardi  poi 
il  Consalvi    mostrossi  pentito  dell'  indegno  tratto.   «  Non^ 

(i)  V.  la  Kcldiionc  del  via^i^ìo  di  Pio  VII  a  Genova  del  card.  Bar- 
tolomeo Pacca;  Orvieto,  Pompei,  1844,  41;  e  il  Diario  di  Roma 
15  maggio  1815. 

(i)  Mons.  Baccili.  che  sin  dal  dcccmbrc  del  1814  soUeciiavagli 
dal  papa  rimportjnte  ufHcio  di  segretario  dei  Riti,  scrivcaglì  ai  2X 
del  detto  mese  ed  anno:  «  Non  lascerò  di  fare  il  sollecitatore,  onde 
«  evitare,  u  inf,;ctij,  il  ritorno  del  Politico  di  Vienna,  le  cui  ultime 
fi  lettere  a' suoi  amici  assicurano  entro  il  mese  la  sospirata  ventura 
«  di  rivederlo  ».  Ciò  non  ostante,  ta  pratica  fu  trascinata  per  molti 
mesi,  e  nel  settembre  del  1815  il  Consalvì  proprio  fu  quegli  che  gli 
partecipò  quella  clcilone. 

(5)  Bnvi  notizia  d^l'ab,  D.  Saìu  cit. 


'Delia  pita  e  degli  scritti  di  G,  q4.  Sala 


mv 


per  altro  (prosegue  il  Sala  (i))  di  rimarcare  che 
irdinal  Consalvi  ne  manifestò  in  seguito  il  suo  ram- 
ìco,  che  si  mostrò   impegnanssimo  per  affrettare  la 

promozione,  che  se  in  fondo  non  mi  amava,  aveva 
darato  più  volte  di  stimarmi,  e  me  ne  aveva  dato 
uenti  prove,  consultandomi  in  affari  di  rilievo.  Gli 
lerò  inoltre  la  lode,  che  più  volte,  quando  il  mio  sen- 
:nto  fosse  contrario  al  suo,  si  mostrava  pieghevole 

forza  delle  ragioni,  e  smontava  dalla  prima  opinione  w, 
e  edificante  temperanza  di  discorso  deiroffeso  cìicd 
isore.  Del  quale  non  lascia  pure  di  notare  il  tardo 
lire  inverso  del  fratello  Domenico,  e  di  toccarne  le 
t  Quanto  aU'ab.  Sala  (egli  continua  (2)  ),  negli  ultimi 
pi  sembrava  che  fosse  divenuto  verso  di  lui  meno 
3;  e  poiché  spesse  volte  nella  trattativa  degli  affari 
evasi  il  cardinale  nella  necessità  di  sentire  persone 
«te,  e  di  aver  notizie  da  uomini,  che  ben  conosces- 
»  le  cose  nostre,  0  a  suggerimento  degli  uffiziali  della 
retcria  di  Stato,  o  ben  anche  di  proprio  impulso  lo 
saltava,  e  gli  scriveva  sempre  in  termini  obbliganti. 

breve  tempo  poi  che  sopravvisse  sotto  il  pontificato 
-eone  XII,  tanto  a  mio  fratello,  quanto  a  me  nell'in- 
trarci  accidentalmente,  o  nel  recarci  talvolta  a  visi- 
3,  ci  fece  sempre  tutte  le  buone  grazie.  Conchiudo 
:anto, che  Ìl  card.  Consalvi  in  fondo  era  un  uomo  di 
me  intenzioni,  e  se  per  mala  sorte  non  si  fosse  lasciato 
portare  dalla  corrente,  sarebbe  stato  un  egregio  mi- 
ro; che  ad  onta  della  diversiti  di  opinione  sapeva 
oscerc,  e  non  si  ricusava  di  adoperare  lo  persone  ver- 
:  negli  affari  della  S.  Sede  ;  che  dimostrò  abbastanza 
^'ssersi  ricreduto  e  di  voler  compensare  i  disgusti  re- 

a  mio  fratello  ed  a  me;  e  che  Dio  si  snrà  voluto 


),  Breve  ìioU\U  cit. 


^ 


jL 


226  G.  Cugnoni 

<n  servire  del  di  lui  mezzo  per  esercitarci  con  qualche  tri- 
«  bolazione.  Se  il  desiderio,  che  mostrò  il  cardinale  di  gioH 
e  varmi,  quantunque  tardi,  rimase  senza  effetto,  io  gliene 
i' professo  eguale  riconoscenza,  e  per  parte  dell' ab.  Sala, 
«che  nulla  cercava  e  nulla  voleva  da  lui,  sono  persuasis- 
«  simo  che  aveva  dimenticato  e  perdonato  tutti  i  disgusti 
<t  antecedenti,  e  godeva  che  fossero  svanite  le  antiche  ani- 
ci mosità  0. 

Leone  XII,  che   da  privato   avealo   sempre  avuto  in 
grande  stima  ed  amore,  aprendo,  poco  dopo  la  sua   ele- 
zione, la  visita  apostolica  straordinaria,  se  lo  tolse  a  con- 
visitatore col  grado  di  assessore  (i);  io  promosse  quindi 
al  segretariato  della  Congregazione  del  concilio;  commisegHH 
di  condurre  il  nuovo  concordato  con  la  Francia,  e   di  av-^ 
viare  le  pratiche  con  la  Corona  di  Sardegna  in  ordine  agli 
assegnamenti  delle  rendite  ai  luoghi  pii  del  Genovesato  ^M 
del  Piemonte  (2);  lo  nominò  visitatore  di  tutti  gli  spedali 
di  Roma.  ^_ 

(i)  Morosi,  /)i\.  <ì*àm<t,  ,tccì,,  XVI,  ifiS. 

{1)  V.  Morosi  Di^.  d^^ntd.  eccì.,  XXXVIII,  75.  Di  quanta  briga 
fessegli  tale  maneggio,  può  ricavarsi  dalla  seguente  lettera  comuni- 
calami  dniraniico  m.irch.  Gaetano  Ferraioli  : 

ff  Roma,  19  aprile  1828. 

«  VcneraliSiimo  sig.  avvocato, 
it  Mi  trovo  veramente  confuso,  e  smarrito.  Possano  ha  scritto  a 
ce  un  cardinale  esponendo  che  rimase  estremamente  sorpreso  nel  leg- 
K  gcre  gtl  articoli,  e  che  Icì  disse  che  doveva  essere  o  un  pastìccio 
«  del  Commissionalo,  o  un  estrallo  del  breve  fatto  da  qualcuno  dor- 
«  menJo.  Aggiunge  che  comunque  siasi  si  deve  concludere  non  cs- 
N  sorsi  qui  capito,  o  credulo  quanto  fu  esposto,  e  che  le  infedeltà 
•r  commesse  ncircsposizione  non  potevano  dar  luogo  a  tali  domande, 
a  Suppone  che  il  Commissionato  partisse  senza  aver  capito  affatto  il 
V  Piano,  e  che  non  sapendo  alle  obìe/.ioni  coniraporre  delle  buone 
«  ragioni,  deve  averne  dette  delle  cattive,  le  quali  sempre  rovinano 
ff  la  causa.  Confessa  che  voleva  impugnare  il  riparto  delle  20  mila 
«  lire  dì  fondo,  perchè  oltre  i  missionari  molte  altre  corporationi  avi 
«vano  rendite  per  Io  stesso  titolo;  rileva  che  Tabolizione  del  rito 


to  ^ 


Della  inia  e  degli  scritti  di  G.  Q/1.  Saia      227 


Quest'ultimo  ufficio,  che  poi  sotto  altri  nomi,  secondo 
;il  xariarc  dì  quelle  amministrazioni,  portò  fino  al  termine 
I  de*  suoi  giorni,  gli  diede  occasione  di  esercitare  la  carità 
verso  de' tribolati.  Istituì  nell'ospedale  di  Sancta  Sanctormn, 
colla  cooperazione  della  principessa  donna  Teresa  Doria, 
la  Regola  delle  suore  ospitaliere,  le  qujli  prestassero  alle 
inferme,  cui  quello  spedale  è  destinato,  ogni  maniera  di 
servigi,  insino  a  quelli  della  chirurgia  inferiore.  E  se  n'ebbe 


«  A^ugustano  porterà  delP  inconvenienti  assai  più  gravi  di  quella  si 

«  crede,  e  che  raggiunta  al  Capitolo  d'Asti  è  buttala.  SÌ  duole  che 

«  niente  siasi  fallo  per  la  povera  sede  di  Veniimiglia,  né  per  i  censi 

•r  inetìgibilì,  nò  per  tante  altre  cose.   Conchiude   che   il  bene  della 

*  Chiesa  csigge  che  siano  esattamente  conservati  gli  artìcoli  de!  rie- 

«  pilogo  della  sposizione,  e  sì   mostra   persuaso  che  il  Governo  in 

«  coscienza  non  sia  obligato  a  far  di  più  di  quello  che  propone  di 

«  Care  in  seguito  deirultima  sessione. 

«  Inserisce  un  foglio  per  narrare  il  risultato  di  detta  sessione,  ed 
•  io  ne  soggiungo  l'epilogo. 

«  Bisogna  dire  che  il  Commissionato  mutasse  anche  il  tìtolo  del 
"progetto,  mentre  Possano  lo  nota  cosi:  —  Traccia  da  servire  per 
•l  estensione  del  pontificio  breve  circa  i  crediti  della  Chiesa  verso 
*  lo  Stato  del  Piemonte,  qcc.  -^  Suppongo  che  gli  articoli  non  siano 
•stati  cambiali,  e  lei  è  in  grado  di  verificarlo  avendogliene  io  raan- 
■datob  copia:  ma  passiamo  alPepllogo. 

■  Opposizione  dì  alcuni  ma^'istrati  sulla  massima  toccante  i  beni, 

h'oa  non  potersi  ammettere  senza  pregiudicare  ai  diritti  del  Governo, 
■  sotto  la  cui  dipendenza  si  t  sempre  consen-ata  ramministrazióne 
•wi!e  Opere  pie  laicali.  L'arcivescovo  rammentò  che  Sua  Maestà 
»  tin  da  principio  aveva  esternato  essere  sua  intenzione  che  si  evitasse 
«•1  entrare  in  discussione  di  massime.  Lo  stesso  arcivescovo  e  il  ve- 

•  icovo  di  Possano,  attesa  la  loro  qualità,  non    poterono    assoluta- 

•  iDcntt  prender  pane  nella  discussione.  Il  secondo,  dopo  la  protesta 

•  che  i  vescovi,  qualora  s'intendesse   d'impugnare   apertamente   la 
n*MStma,  dovrebbero  sostenerla,  aggiunse  che  siccome   lo   scritto 

eveniva  communicato  al  Congresso  acciò  osservasse  se  potesse  in- 

wrgcre  qualche  difficoltà,  poteva  questo  naturalmente  rilevare,  che 

i'injcrtionc  Ji  un  tale  articolo  nel  breve  avrebbe   suscitato    degli 

ostacoli  airacccttazìone  del  medesimo,  onde  senza  esaminare  se  gli 

■  osucoli  fosseri.   ragionevoli,  o  no,  poteva  benissimo  proporre  di 


228 


G.  Cugnoni 


in  breve  cosi  ottima  prova,  che,  pochi  anni  dopo,  Leone  XII 
con  motuproprio  del  5  gennaio    1826   riconobbe  solenne- 
mente il  novello  istituto,  e  ordinò  si  all.irgassc  ;igli  altri 
ospedali  femminili  della  cinA.  Denò,  nel   1835,  una  pro- 
posta di  riunione  di  tutti  gli  ospedali  di  Roma,  salvo  quello 
di  S.  Spinto,  d.i  effettuarsi  «  mediante  un  regolamento,  che 
«  leghi  fra  loro  le  diverse  parti  del  generale  instituto,  e  che 
u  abbia  per  base:  i**  di  conservare  a  ciascuno  ospedale  il 
«  suo  patrimonio  distinto,  in  modo  però  che  venga  ammi- 
«  nìstraro  con  diligente  economia,  e  che  trovandosi  nello 
«stabilimento  qualche  sopravanzo  di  rendita,  serva  a  ripidi' 
«  nare  il  vuoto  di  quegli  ospedali,  che  si  trovassero  in  ^^' 
«  sogno,  evitando  cosi  qualunque  spesa  superflua,  non  cHc 
«  il  pericolo  di  nuovi  aggravi  al  pubblico  erario:  2°  di  co^' 


«  prescindere  da  tale  articolo  per  evitare  se  non  altro  le  ìunghc^^ 
«  che  seco  portano  ognora  gli  ostacoli,  ancorché  poi  in  fine  si  *"' 
(  perino.  Fu  quindi  adottato  dì  proporre  una  tate  omissione. 

«Non   si   capirono  varie  cose   degli   altri    articoli.  Per  escrt»!"'* 
<  perchè  si  dovessero  continuare  le  pensioni  ai  religiosi  rientrati  t%^"^ 
it  case  dotate  :  si  dovè  credere  che  il  senso  deirarticolo  fosse  di  f^" 
n  cogliere  maggior  numero  di  pensioni  di  quello  cui  corrisponda^ 
<t  Tannuo  reddito  della  dotazione,  e  quindi  si  concluse  che  rtuncm^^^' 
«  in  qualche  convento  un  numero  di  pensionati  maggiore  di  queU^ 
'<  che  portasse  la  dotazione  assegnata,  si  provvederebbe  colla  coiii''' 
'(  nuazionc  delle  pensioni  a  quei  religiosi  che  formassero  Teccedcats 
Ki  dtl  numero. 

ff  In  ossequio  della  S.  Sede  si  astenne  il  Congresso  dal  fare  akon 
'(  rilievo  contro  la  distribuzione  delle  lire  20  mila,  e  avendo  il  vescovo 
udì  Possano  incominciato  a  combanere  la  ragionevolezza  di  tale  di- 
■t  stribuzionc,  fu  interrotto  concludendosi  unanimemente  che  non  con- 
•<  veniva  di  fare  la  menoma  osservazione  sopra  una  cosa  esprc^i- 
ti  mente  gradita  alla  S.  Sede. 

«Kon  sì  capì  l'articolo  sulle  congrue  delle  parrochic,  trovandosi 
«  «ìA  portate  a  500  franchi. 

«  Non  si  capi  neppure  perchè  si  voglia  la  liquidazione  de'  residui 
((  Monti  ex-gesuitici,  qual  obligo  non  passerebbe  giammai  colle  noas- 
'c  sime  de*  magistrati  che  ne  pretendono  padrone  il  Governo,  e  Tain^ 
•<  mortizazione  di  tali  residui  monti  era  chiesta  in  compenso  di  altre 


*Z)e//a  PÙa  e  degli  scritti  di  G.  04.  Sala      229 


re  le  amministrazioni  panicolari,  organizzando  però 
leputazione  generale  incaricata  di  esaminare  i  pre*- 
vi;  dì  sindacare  i  rendiconti  ed  invigilare  sulle  spese 
xlinarie;  di  tener  fermi  i  rcgolamenii  e  le  massime 
ali.  Questa  specie  di  unione  contribuirebbe  al  per- 
uimenco  di  un'opera,  che  può  dirsi  della  più  ampia 
tanza,  come  quella,  che  tende  al  grande  oggetto  di 
rare  la  salute  spirituale  e  corporale  de' poveri  in- 
»•  E  proponeva  alT  uopo  le  seguenti  massime. 
*  «  Gli  ospedali  di  Roma,  dovendo  considerarsi  come 
le  quali  unite  insieme  completano  l'istituto,  che  ha 
opo  di  prestar  soccorso  all' umanità  languente  per 
ipecie  di  malattia,  conserveranno  la  divisione  delle 
ive  attribuzioni  tanto  saggiamente  prescritte  e  san- 
e  nel  breve  della  s.  ni.  di  Pio  Vili; 

Hk  il  Governo  rinunzia,  come  si  ò  esposto  nel  Piano.  Quan- 
ta cosa  si  lasci  alla  coscienza  Jel  re,  ciò  darebbe  sempre 
scrupoli  per  il  religioso  sovrano.  Si  è  quindi  presa  la  de- 
none  dì  liquidare  altre  30  mila  lire  annue,  assegnandosene 
ai  Gesuiti  de'  Ss.  Martìri,  e  riservando  il  resto  per  prove- 
:  domande  giunte  posteriormente  al  Congresso. 
re  si  C'  proposto  che  quando  le  pensioni  regolari  saranno 
d  annue  lire  800  mila,  si  destineranno  altre  lire  100  mila 
Uorare  la  condizione  de*parrochì. 

una  il  vescovo  dicendo  che  non  ricorda  che  siasi  trattato 
\  non  ha  copia  n6  dello  scrìtto  del  progetto,  né  del  processo 
^he  non  ha  per  anche  veduto.  Crede  però  di  non  aver  di- 
0  cosa  alcuna  Ji  sostanza. 

do  consumando  tutto  il  mio  tempo  in  lettere,  e  in  disbrigo 
irì  della  giornata,  nò  posso  avere  un  solo  giorno  di  quiete 
idere  airultimazione  di  quest'atTare  che  mi  fa  perdere  la 

Dio  non  mi  aiuta  sono  perduto. 

a  le  assicurazioni  della  costante  stima  e  amicizia  con  cui 

itte  prove 

w  D""  Obbl"""  servitore  e  amico 

■  tt  GlUSEPPAMTONIO    SaLA  ». 

Knt"  Tosti,  ecc. 
Genova  ». 

■io  dtiia  R.SocMà  romana  d(  Storia  patria.  Voi.  XI.  id 


250 


G.  Cmg9am 


3*  •  Reacnomo  ionie  kdqiotaaioiu  pecùli  subilits 
t  od  sMjMrtm  bccvc,  axne  pure  la  sepsraaoDe  de'  n^^ 
I  |»itnmoiiij  scmxanc,  computisene  e  ministero.  I  rìn^^ 
I  menti  sia  <E  Indn,  ai  Si  cjpìttfi  soggetti  i  combimientOt 
a  di  so|scaraaxì  che  HzBJngano  tfi^mrubdli,  Jovnono 
1  brsi  per  ooato;  ed  a  nome  delTospedale  a  cui  jppinea- 
igoao; 

3*  «  Una  depataiioQe  geoecile  zwrk  cura  di  assedi 
>  in  principio  d'anno  afle  dcpatacocù  specilli  b  soi 
I  spendibile  a  nonna  de'  preventivi  da  essa  approvali; 
I  sindacare  i  rendiconti  ;  di  provvedere  alle  spese 
I  nane  e  bisogni  imprevisti;  di  r^olare  i  concorsi  perfc 
:  mare  la  massa  deOe  famiglie  medico-chirurgiche,  e  hsx. 
i  rimpiazzi  e  mo\-imend  opportuni;  d*  invigflare  su 
[  dò  che  r^uardi  gF  interesa  comuni  degli  spedali,  e 
I  f  tmifonnitl  ed  osservanza  delle  massime  e  regolamonD; 

4*  «  Le  deputazioni  speciali  insieme  udtc,  colf: 
;  giunta  di  sri  depuud  estranei  alle  deputazioni  particol 
[  due  ecclesiastici  e  quattro  laid,  formeranoo  la  Jepumii 
i  generale,  la  quale  sari  f^esieduu  dal  cardinal  presiit:) 
;  dell'arcispedale  del  SS.  Salvatore  ad  Sonda  Sanai 
protettore  delF  Istituto  delle  suore  ospedaliere,  I  ju£ 
desiastid  aggiunti  si  occuperanno  particolarmente  di  tul 
dò  che  riguarda  l'adempimento  dei  legati  pii,  T; 
a  spirituale  agi*  infermi,  la  condotta  religiosa  e  morale 
«  rispettive  famiglie;  due  deputati  laici  saranno  incari' 
e  della  sor^■egUanza  sull'amministrazione  de'  beni,  sui  nuovi 
o  affitti,  sull'escussione  de*  debitori,  sulla  regolarità  de! 
«  scossioni  e  versamenti:  gli  altri  due  avranno  l'in 
«  di  rivedere  i  preventivi  e  consuntivi  e  di  esaminai 
«  richieste  straordinarie  che   occorrano   nel   decorso 
«Tanno; 

5*  a  Nelle  generali  adunanze  daschedun  deputato  avri. 
«  voto  deliberativo.  Trattandosi  però  gì'  interessi   di 
0  deputazione  particolare,  i  membri  che  la   componj 


Della  vita  e  degli  scritti  di  G,  C*4,  Sala 


r 

a  Le  adunanze  della  deputazione  generale  si  tcr- 
sei  volte  all'anno,  e  anche  straordinariamente  qua- 
>  esiga  il  bisogno,  nei  giorni  da  stabilirsi  dal  car- 
presidente; 

PIl  segretario  generale  e  assessore  della  depu- 
per  quelli  aiuti  di  cui  possa  abbisognare,  potrà 
i  dell'opera  degli  antichi  impiegati  della  cessata  depu- 
:  complessiva  degli  ospedali,  che  trovansi  in  riposo, 
godendo  del  soldo  in  ritiro,  sono  in  obbligo  di 
si  Senza  nuovo  appuntamento,  secondo  gli  ordini 
iranno  dati  su  tal  proposito  dal  cardinale  presi- 


solnnto   voto   consultivo.   La   votazione   sarà 


* 


Le  deputazioni  speciali  prima  del  cadere  del- 
ssibiranno  il  preventivo  delle  spesa  per  l'anno  pros- 
faue  deputati  sindacatori  ne  faranno  rapporto  alla 
vne  generale,  la  quale  stabilirà  la  somma  spen- 

PLe  deputazioni  particolari  amministreranno  libe- 
!  la  loro  azienda  entro  i  limiti  del  preventivo  ap- 
.  Dovranno  però  ogni  bimestre  trasnienere  alla 
ìa  generale  lo  stato  di  cassa,  affinchè  la  deputa- 
^mplessiva  confrontandolo  col  preventivo  sia  in 
i  conoscere  se  procede  in  regola,  o  se  vi  sia  pe- 
i  esaurimento  di  fondi  innanzi  tempo; 
la  Ciascuna  deputazione  particolare  presenterà 
lo  il  bilancio  ^a  deputazione  generale,  la  quale 
anzi  di  uno  stabilimento  potnì  supplire  al  deficit 
tro.  Che  se  restino  tuttavia  dalle  somme  Ubere  e 
pi,  verranno  queste  erogate  a  profitto  dell'ospe- 
quale  appanengono  ; 

«  Di  quelli  oggetti  ch'esigessero  speciali  provvt- 
cardinale  presidente  ne  farà  relazione  alla  Santità 
lEsso  unitamente  ai  presidenti  delle  deputazioni 


232 


Mgnoni 


«speciali  presenterà  ogni  anno  i  rapporti  e  i  rendiconti 
«  delle  rispettive  amministrazioni  ; 

12*  «  Queste  disposizioni  riguardano  gli  ospedali  oi 
«  Sancia  Scìnclorum,  di  S.  Giacomo  in  Augusta,  di  S.  Gal- 
li licano,  della  Consolazione  e  di  S.  Rocco,  i  quali  forme- 
«  ranno  Y  unione,  di  cui  si  è  parlato  negli  articoU  precedeaii. 
a  In  conseguenza  non  saranno  applicabili  all'arcispedale  di 
«  S-  Spirito  e  suoi  annessi,  i  quali  perse  medesimi  costi- 
«  tuiscono  un  corpo  o  un'azienda  abbastanza  vasta,  né  al- 
«  rOspizio  de'  convalescenti,  che  trovasi  unito  all'Opera  Jei 
«  pellegrini  e  ad  altre  opere  pie  sotto  la  direzione  dell'or- 
«  chiconfraternita  della  SS.  Trinità. 

«  Le  surriferite  disposizioni,  senza  punto  alterare  la  so- 
«  stanza  del  citato  breve  della  s.  m,  di  Pio  Vili,  conoi- 
«buiranno  ad  ottenere  l'esatta  esecuzione,  principalnit'DEc 
KÌn  quella  parte,  che  ha  rapporto  all'uniforniitd  Jeirego- 
«  lamenti  quac  in  vaìetudinariornm  honnm  ifrvtcta  sunt,  non 
<f  che  ad  assicurare  il  buon  andamento  delle  rispettive  ani- 
«  miniscrazioni,  e  a  fornire  un  mezzo  facile  e  pronto  p^^ 
«  accorrere  ne'  casi  straordinari  al  bisogno,  in  cui  possono 
«  trovarsi  gli  ospedali  per  il  momentaneo  rimpiazzo  de' pr^ 
a  fessori  0 . 

A  dar  mano  a  questo  disegno  avealo   infervorato  lo 
stesso  papa,  dacché  «  nell'occasione  di  umiliargli  (saivcva 
«  egli,  il  Sala,  all'avv.  Stolz  il  iS  settembre   1835)  il  ten- 
«  diconto  dello  stralcio  degli  ospedali  ebbi  campo  di  rain- 
a  mcntare  gli  artifizi  che  fiarono  adoperati  per  indurre  ^ 
a  s.  m,  di  PÌo  Vili  a  distruggere  l'opera  de'  suoi  irnmc- 
«diati  antecessori:  ed  esposi  le   conseguenze   dell'attuale 
a  isolamento,  rilevando  in  particolar  modo  i  disordini  tó' 
«  l'ospedale  di  S.  Giacomo  e  l'errore  commesso  da  idoq- 
«  signor  Fabrizi  col  lasciarlo  in  mano    all'abate    Acquari, 
tt  Mostrossi  il  S.  Padre  persuaso  della  soliditA  de*  miei  ri- 
a  lievi,  e  propenso  a  prendere  qualche  misura,  per  riallac- 
«  dare  l' unione,  in  modo  però  che  le  amministrazioni  con 


©e//d  Pt'ia  e  degli  sentii  di  G.  q4.  Sala      233 

^^ '. :~. 

b  ad  essere  separate.  Domandai  se  Sua  Santità  mi 
)e  permesso  di  umiliarle  qualche  progetto,  ed  ebbi 
Sa  afFermatìva». 

pome  il  Sala  in  ogni  cosa  guardava  principalmente 

Ica;  cosi,  a  facilitare  che  il  suo  disegno  venisse  co- 

ainutò  perfino  la  bolla,  con  la  quale    il  papa  gÙ 

Dzione  (i).  Ma  sopra v\'enuti  fra  questo  tempo  i 

le  minacce  della  pesta  colerica,  biso»;nò  rivolgere 

e  le  cure  ad  altri  apparecchi  :  perchè  la  proposta 

fa  messa  da  banda.  Più  tardi  però  fu  riassunta 

efice  Pio  IX  e  mandata  ad  effetto  (2). 

:  questo  lavoro  generale,  ne  fcci:  altri  speciali  per 

listr.izioni  separate  degli  ospedali  di  S.  Spirito,  di 

ani  ad  Sancta  Sa^ictorum,  e  di  S.   Gallicano  (3). 

esti  provvedimenti  radicali  e  duraturi  aggiungeva 

inua  ed  esatta  vigilanza  sul  governo  dei  malati. 

opo  mostravasi  d'improvviso,  quando  in  uno  e 

i  altro  ospedale,  neirora  del  mangiare,  ed  assag- 

vivandc;  e  dove  non  le  trovasse  buone  e  nutri- 

•ampognava  acremente  ed  in  pubblico  i  provve- 

soprastanti.  Egual  modo  tenea  co'  medici  e  co' 

orprendendoli  dì  sovente  nell'atto  della  visita,  per 

della  loro  puntualità.  Per  le  quali  sue  diligenze 

che  i  raeschinelli,  ammalando,  non  abborrissero 

:dali,  quasi  da  ricoveri  tristi  e  spietati;  ma  anzi 

voglia  vi  si  lasciassero  recare  come  a  stanze  con- 

:d  agiate  (4). 


.mi  D.  N.  Gregorii  Div.  Prov.  Papac  XVI  Lìterac  Apo- 
libus  nosocoraiorum  Urbis  administrationi   prospicitur: 

»,  ecc. 

proprio  della  S.  di  N.  S.  papa  Pio  IX  sulla  Commis- 
spcdali  di  Roma}  esibito  negli  atti  dcirArgcntì  segretario 
giorno  18  settembre  1850.  Roma,  tip.  della  R.  C.  A.,  1850. 
wi,  Dix-  d'erud.  cccì.,  LX,  239. 
ed  pregio  avesselo  Leone  XII  per  questa  sua  operosità 


^34 


G.  Ci 


Uff  noni 


Degno  altresì  di  memoria  è  il  caso  della  restituzione 
del  vescovato  di  Ginevra,  occorso  sotto  il  pontificato  del 
Della  Genga,  e  menato  a  buon  fine  dalla  prudenza  del  Sala. 
L'abate  Vuarin,  un  parroco  di  Ginevra,  stimando  oppor- 
tuno agi*  interessi  religiosi  del  luogo  che  il  cantone  di 
Ginevra,  sottratto  alla  giurisdizione  del  vescovo  di  Losarmn, 
venisse  eretto  in  sede  vescovile;  ne  fece  proposta  al  pon- 
tefice. La  riuscita  del  maneggio,  per  le  difflcoltA  che  ne 
sarebbero  naturalmente  insorte  da  parte  del  diocesano  e  da 
quella  del  Governo  locale,  mostravasi  dubbia  oltremodo  e 
malagevole.  Fu  all'  uopo  ordinata  una  Congregazione,  com- 
posta dei  cardinali  per  senno  e  per  dourina  più  ragguardevoli; 
e  furono  Severoli,  Della  Somaglia  segretario  di  Stato,  Zurla 
vicario,  Casriglioni  penitenziere  maggiore  e  Pacca,  A  questi 
vennero  aggiunti  don  Mauro  Cappellari,  che  fu  poi  Gre- 
gorio XVI,  come  consultore  teologo,  e  monsignor  Sala 
quale  mediatore  fra  i  cardinali  e  il  pontefice,  e  fra  questo 
e  il  Vuarin.  Stimava  la  Congregazione,  che  si  dovesse 
adoperare  in  modo  con  quel  vescovo,  da  indurlo  a  spon- 
taneamente rassegnare  il  suo  grado:  era  d'opinione  il  Vuarin, 
che  decretato  senz'altro  della  Santa  Sede  quello  smembra- 
mento, se  ne  desse  notizia  al  vescovo  con  invito  di  acco- 
glierne sommessamente  la  sentenza.  Il  Sala,  entrato  nell'ax'- 
viso  del  parroco,  riusci  con  rara  destrezza  a  farlo  prevalere. 
Sicché  il  papa,  notificata  per  breve  a  quel  vescovo  la  presa 

neli^amminìstraziono  ospìuliera,  si  può  ricavare  dai  due  seguenti  bt- 
gUettì,  scrìttigli  dal  fratello  Domenico: 

A)  «  Il  Cardinale  (Paccj)  ha  riparlato  per  tentare  di  strìngere, 
ir  anco  pcrchù  gli  sarebbe  commodo  un  abile  Segretario.  Il  Papa  ha 
•t  continuale  le  lodi  e  si  t  mostrato  in  angustie  pir  non  aver  di  chi 
tt  vaUtsi  ndt is^^iito  Spedali,  ed  insieme  ha  mostrato  rammarico  se  non 
u  aderisce  alle  premure  del  Cardinale  j>. 

B)  a  11  Papa  Ha  interrogato  il  Cardinale  (Pacca)»  Ìl  quale  ha 
«risposto  proponendo  voi.  Il  Papa  ne  è  convenuto  e  ne  ha  parlato 
R  con  lode.  Ha  soggiunto  però  di  trovarsi  sospeso,  perchè  crederebbe 
«  che  fosse  meglio  deputarvi  PrésidtnU  dc^li  Ospedali  ». 


^ella  vita  e  degli  scritti  di  G»  oA,  Sala       235 


ccisione,  non  pure  non  l'ebbe  avverso,  ma  anzi  coope- 
«ore  (i). 

La  dignid  cardinalizia  ritardatagli  per  gli  accennati  con- 
asti del  Consalvi,  non  gli  fu  conferita  né  da  Leone  XII, 
tdal  costui  successore  Pio  Vili:  e  sebbene  l'uno  e  l'altro 

avessero  fatto  disegno,  non  giunsero  però  in  tempo  da 
porlo  ad  effetto  (2). 

Pio  Vili,  legato  a  lui  per  antica  amicizia,  appresso  alla 
sua  esaltazione  lo  spedi  a  Cingoli,  sua  patria,  per  recare  a' 
suoi  congiunti  la  lieta  novella  (3)  ;  e  alla  chiesa  catte- 
drale di  quella  città  (4),  e  al  santuario  Laurctano  (5)  fece 
tenere,  per  suo  mezzo,  ricchi  donativi. 

Toccava  ornai  il  settantesimo  anno,  quando  Grego- 
rio XVI,  nel  suo  primo  concistoro  del  30  settembre  1831, 
Io  creava  cardinale  dell'ordine  de*  preti,  magnificandone  i 
Olenti,  ed  esaltandone  le  virtù  (jS),  La  grandezza  del  nuovo 


(0  Del  Vuarin  V.  Moroni,  Di^.  à'cruL  tccl,  XXX,  144-246. 
"  BiiEsciASi  A.,  L'Ebreo  di  Verona,  cap.  LVI,  Suor  Clara. 

(2)  Il  fratello  Domenico,  il  6  febbraio  1830,  scrivevaglì  ;  «  . , .  Dal 
'tncd«Ìrao  (cardinale  De  Gregorio)  avrete  saputo  che  il  Padrone 
"(Pio  Vili)  facendo  molli  elogi,  dichiarò  ieri  mattina  al  Card.  Pacca. 
•*»eT5cra  allo  stesso  Card.  De  Gregorio,  che  vi  riserverà  in  petto, 
"perche  questa  volta  non  può  fare  più  di  tre  Cardinali  ». 

E  tre  giorni  appresso  scrivevaglì:  a  II  Card.  Pacca  è  venuto  a 
'  dimii  che  ha  avuto  il  permesso  dì  manifestare  che  siete  riservato 

•  in  peno  j». 

Hd  egli  stesso,  Giuseppe  Antonio,  ringraziando  per  iscritto  il  pon- 
^ce  Gregorio  XVI,  non  s\  tosto  ne  ebbe  avviso,  della  destinatagli 
•opliti  cardinalizia,  così  notava:  «Se  i  servigi  da  me  dcboiraente 
'prestati  alla  S.  Sede  fecero  concepire  ai  due  immediati  suoi  Antc- 
•ccssori  Tidca  di  decorarmi  della  S.  Porpora;  nò  l'uno,  aè  l'altro 

*  giunse  ad  eseguire  i  suoi  disegni  ». 
(j)  MoFON'i,  Dii.  Seruà.  tccl,  LX,  258. 

(4)lvi.  Xin,  174. 
f($)  Ivi,  XXMX,  260. 

SattclUsimi  D,  N.  Grégorii  div.  prov,  Papae  XVI  AUocutio  bahita 
Utorio  Sicnto  iU  XXX  septemhris  MDCCCXXXI;  Roraae,  cod. 


^ 


G.  (^g9om. 


su»  Doa  ^  gBJsab  Tmmo,  at  pmUD  Io  <fistobc  dilli 
siu  consDen  opcrosài-  E  obc  iQi  comiDai  accenda,  che 
s'zvvm  di  simfiae  k  nloBtt  e  sranate  nuxeiie  <&  mohs 
saoe  CoDgregasoitt  (i),  k  ad  adunanze  Gosuntemcoie 
finequeuii^Jy  recando  ocfle  ^facusnoni  cale  bddezia  d'idee 
e  vigorìa  <fi  discorso,  dbe  3  suo  parere  prevalevi  sempre 
sa  qudb  degfi  afari;  era  £  sovcue  adoperato  dal  pipa 
come  9QO  paròcobr  coitfì^ere  imocoo  a  partiti  di  srrior- 
dinarìa  imporunza,  o  oome  fvyiitiire  di  commissìcmi  g^ 
lose.  Fra  k  qoaE  è  da  anuoterarc  la  pubbBcazioae  dei 
DocmmiMti  rdkern  oBc  cawftffjguw  tMorUjra  ìa  Satta  SA 

ja^  ex  t^  R.  C  ÌL  Ndb  qmik  aliyriwìr.  eoa  il  poocefice  ad  Si^ 
Orcflò: 

•  QpSmk  attCB  ka&vs  VcacnèScm  Fratrem  Bcnrd  Ardóep 
«  scopum,  et  AfostoEcnai  Ncsmmn  Kostmm  (0  cord.  Lni^  L>°^' 
«  bnisduoi}  proM^ptiti  smmiSy  latfein  iMectooi  ^oocpK  Filtaan  " ' 

•  womium  Apostolicam  Jof»yh«Bi  Aiflnntnm  Sala  Pooti&^ 
«  CoQgngtióom  Trìdeatìxue  S  vik>£  ìnicf|ir«tb  Secrctarìum  onuss"^ 
«  Xaaa  et  ipse  m  nxmm  Efclrsàasriramin  trartationc  trìgiou  asDora<^ 

«  spatio  sette»  miJefcifcye Tcrsatos,  dignam  se  reddidit,  qaetn  S.  R*  ^'  | 
«  Cardaulem  leuuutiemas^  Is  aura  cooms  datns  Ordinali  Caprar^^ 
«  Episcopo  AesioOi,  quando  IxgalBS  a  lascre  a  Pio  VII  Luicnim  ?*^ 
m  riùorum  mi5su5  fait,  Legationis  ìllias  perqium  salebrosac  ac  discn 

•  minìs  plenae  Sccretarios;  quo  ingeniì  acuminc,  qua  sacranim  renmf 
V  sciestìa,  qua  fide,  qua  animi  firmiuie  eminuerìt,  oemo  Vestnun 
a  ignorai.  Nitiil  igitur  mirum  Praesulem,  de  quo  agitur,  tanti  a  Summo 
«  Poadfìce  Pio  VII  factum  esse,  ut  idem  Pontifex  nunquam  satts  lau- 
«  dandus  eum  iticeruni  in  re  trepida  a  se  susceptorum  comitem,  et 
«  Uteri  suo  adhaerentcm  voluerit.  Congregationura  postea  Sacris  Rì- 
«tibos  ordinandis,    extraordinarìis  Ecclesiae  negotiis  pertractandis> 
ff  Trìdentìnae  S\'nodo    ìntcrprctandac   gradatim   Sccretartas,   merita 
«  sibi  ad  sublimem  Cardinalatus  Dìgnìtatem  assequcndara,  quae  la- 
«borum  Sedi  Apostolicae  insumptorum  merces  simul  et  praemìam 
«  est,  intente  cumulavit  ». 

(i)  Le  Sacre  Congregazioni,  fra  i  cui  E.mi  Componenti  venne  an- 
noverato, furono  quelle  del  Concilio,  degli  Affari  ecclesiastici  straor 
dinari,  de' Riti,  per  la  rìedilicazione  di  S.  Paolo,  della  Rcsideiua  dd 
vescovi,  deir  Indice,  di  Propaganda,  Particolare  della  Cina. 


ella  pila  e  degli  scritti  di  G.  q4.  Sala      237 


ovfmo  francese  dzl  1801  al  1814(1).  Aggiungevansi 
questo  i  minori,  e  spesso  fastidiosi  negozi,  che  ve- 
dai  protettorati  e  dalle  presidenze  d'ordini  regolari, 

àcipiy  di  piijstituti,  di  confraternite,  di  accademie  (2); 


Doi 


cumtnti  ulativi  aìU  ccntcitaxioni  imcrU  fra  la  Santa  Scd4  ed 
no  francese.  S,  1.,  1853-34,  voi.  6. 

Fu  UDO  de'  protettori  deirAccademia  teologica  nell'Università 
;  socio  delle  Accademie  degli  Aborigeni,  de'Quirini,  de' Forti, 
ica.  Tiberina,  di  archeologia  e  della  Congregazione  de' Vir- 
Pantbcon;  aggregalo  all'Ordine  Certosino,  e  al  Benedettino 
se.  I  municipi  di  Trevi  nell'Umbria  {;  ottobre  1814),  e  di  Ma- 
tBe  Marche  (26  luglio  183 1)  lo  ascrissero  al  loro  patriziato. 
j^io  di  Trevi  volle  così  attestargli  la  sua  gratitudine  «  per 
bttcnuta  la  grazia  di  potersi  liberare  dai  tanti  mali,  che  sofTrc 
Kva3tazioni  di  questi  torrenti  »  {Lelt.  d^ìla  pubh,  Rappresen- 
pr^'i,  II  ottobre  1814).  Appresso  (marzo  1819)  aggiunse  il 
inella  città  altro  benefìcio.  E  fu  che  con  suo  pieno  consenso 
L  per  Tautorità  di  un  breve  pontifìcio  del  5  febbraio  1819, 
■  al  College  Lucarini  (del  luogo)  tutti  e  singoli  beni  e  red- 
nrustici  che  urbani  e  di  qualunque  altra»  specie  essi  siano, 
Dtì  al  Priorato  di  S.  Tommaso,  e  tali  e  quali  sì  godevano  da 
R.ma  Mons.  Giuseppe  Antonio  Sala  domiciliato  in  Roma  n, 
che  Icggesi  in  un  foglio  privato  del  i**  marzo  1S19,  con  cui 
ùnistratori  del  Collegio  Lucarini  si  obbligarono,  in  corrispon- 
l  tale  cessione,  dì  pagare  al  Sala,  finché  vivesse,  l'annuo  ca- 
ducati 215  fissato  nello  stesso  breve.  Del  qual  fatto  ù  rae- 
lella  seguente  iscrizione,  dipinta  in  fresco,  e  ornai  in  parte 
;a,  sulla  fronte  di  quella  chiesa  di  S.  Tommaso,  sede  dì  quel 


ì 


VII  .  P.  M.  I  Parenti  .  optimo  j  Benignissimc  .  annuenti  | 
I  Amplissimo   .   Princìpi  .  Julio  Card.  GabricUio  |  Sacrae  . 
■egationjs  .  Concilii  .  Praefccto  |  Collegii  .  Lucarìnì  .  Trebiì  | 

»o  .  praeseniissimo  |  Juvantì  1  Quod  |  Per  .  abdìcationcm 

li  .  Ani.  Sala  |  Proton.  Apost.  S.  Rit.  Congr.  A  .  Secretis  | 
lì .  Trebiaùs  |  Vacans  .  Simp  ....  Benefìcium  .  Prior.  |  Tit. 
omae  .  Apostoli  |  Audìtìs  .  precibus  .ve  ...  .  Sodalitiì  |  Sa- 
Q  .  Stigmitum  .  S.  Francisci  .  Assisien.  j  Eiusdem  .  Collegii  . 
lìstratoris  |  Suasìones  .  seqvvti  |  Antonii  .  Mariae  ,  Bovarini  . 
.  Trebiatis  |  Collegii  .  in  .  praescns  .  Praefecti .  bene  .  de  • 
roerentis  |  Eidem  .  Collegio pieiatc  .  et  .  discìpli- 


238 


G.  Cugnoni 


ai  quali  egli,  che  non  era  «  uno  di  que'  porporati,  che 
«  tutto  abbracciano,  e  poco  stringono,  e  si  riducono  a  pre- 
«  stare  il  solo  nome  »  (i),  soleva  attendere  con  studiosa 
premura. 

Ai  12  di  febbraio  del  1832  mortogli  il  fratello  Dome- 
nico, ne  prese  tristezza  indicibile,  oltrecliè  per  ragione  di 
naturale  affetto,  per  i  molti  obblighi,  che  gh  aveva  come 
a  singolare  benefattore  e  a  spertissimo  maestro.  Ne  scrisse 
una  Breve  noli:(ia  con  animo  di  metterne  in  chiaro  le  virtù 


«  nis  I  Alendam  .  cum  .  canone  .  temporario  |  Atq.  .  onerib  .... 

«  adnexura  .  perpetuo  ,  fuerit  |  Rescript ....  Dat |  Anno  . 

«  MDCCCXIX  I  Sodalitii  |  Prior  [  Et .  Consiliarii  |  Gratiarum  .  actio- 
<'  nem  |  Et  .  monumentura  .  lubcnics  .  meriio  ». 

Quali  i  particolari  servigi,  onde  i  Matelicani  lo  ascrissero  al  loro 
patriziato,  non  m'&  accaduto  di  rintracciare.  Soltanto  in  un  atto  della 
Con^ega^ionc  dd  Ubro  d'oro  di  quella  città  trovasi  cosi  notato: 

a  Matelica.  5  Tebraio  iSji.  —  Convocala  la  Cong.ne  del  Libro  di 
«  Oro»  alla  medesima  sono  intervenuti  i  nobili  signori,  ecc.,  ecc.  -  Il 
M  Gonfaloniere  propone  che  il  lustro  della  Città  è  tanto  maggiore, 
«  quanto  maggiore  ù  il  numero  de'ri'^pettabili  patrizi,  che  sono  .iscritti 
«nel  suo  albo.  -  Rillcttendo  che  i  Mons.ri  Sala  Giuseppe  Antonio, 
((  segretario  della  Concine  del  Concilio,  e  Grossi  Serafino,  Decano 
«  della  Segnatura,  se  potesse  aversi  Tonore  dì  ascriverli  nel  nostro 
«Libro  di  Oro,  accrescerebbero  lo  splendore  del  nostro  Patriziato; 
«  b  Cong.ne  ad  unanimità  prega  la  Magistratura  di  avanzare  supplica 
«  al  nuovo  Sovrano,  onde  si  degni  di  farne  effettuare  la  descrizione 
fl  nel  nostro  Libro  suddetto  ». 

(Seguono  le  firme  dei  presenti). 

Spedita  nello  slesso  giorno  al  card,  segretario  di  Stato  la  supplica 
da  presentare  al  pontefice,  quel  cardinale,  con  dispaccio  del  12  feb- 
braio diretto  a  mons.  delegato  di  Macerata,  segnato  col  n.  90,  notilKÒ 
la  sovrana  annuenza;  ma  o  che  quel  dispaccio  non  giungesse  al  suo 
destino,  o  che  quel  delegato  trasandasse  dì  dargli  corso;  la  Magistra- 
tura matelicana,  con  lettera  del  iq  maj^gio,  tornò  a  sollecitare  dal 
card,  segretario  Ji  Stato  la  risoluzione  della  domanda.  Rispose  il 
cardinale  il  28  dello  stesso  mese,  e  chiarita  la  cosa,  segut  l'ascrizione 
del  Sala  al  patriziato  di  Matelica. 

(0  Appendice  al  progetto  dì  riunioru  degli  ospedali. 


'Della  vita  e  degli  scritti  di  G.  0.4,  Sala      239 


e  il  valore,  e  di  proteggerne  il  buon  nome  dagl*  ingiusti 
assalti  di  nemici  potenti,  e  dalle  vili  suggestioni  dì  codardi. 
É  una  serie  di  memorie  alla  buona  «  non  destinate  alla 
«  pubblica  luce,  ma  che  servir  debbono  unicamente  perchè 
«  a  qualunque  evento  se  ne  possano  cavare  i  materiali  a 
«i  di  tendere  l' innocenza  oppressa  e  la  virtù  denigrata  »  (1). 
l^on  mancano  però  qua  e  lA  d' importanza  anche  sotto  il 
riguardo  storico,  allargandosi  spesso  ad  esporre  ignote  ra- 
gioni di  pubblici  fatti,  e  ad  esplorare  ed  apprezzare  T  indole 
e  la  condotta  di  alti  personaggi.  Alla  narrazione  poi  de' 
casi  del  defunto  fratello,  dalla  culla  al  sepolcro,  fa  seguito 
un  minuto  ragguaglio  delle  ultime  volontA  di  lui,  e  della 
accuratezza  con  cui  Io  scrittore  erede  le  mise  ad  effetto. 
Giunta  non  vuota  di  curiositi,  e  splendido  testimonio  della 
larghezza  e  della  carità  di  Domenico. 

Nel   marzo  del    1S34  fu    surrogato    al    cardinal    Ca- 
prano  nella  prefettura   della  Congregazione  dell'  indice,  e 
ne!  novembre  dello  stesso  anno  succedette  al  cardinale  Ode- 
scalchi  in  quella  della  Congregazione  de'  vescovi  e  regolari. 
Nella  primavera  del   1837  era  in  Roma  grande  scon- 
forto e  turbamento  per  le  immense  stragi,  che  il  còlerà 
asiatico  menava  nella  Sicilia  e  nel  Napolitano,  e  lemeasi 
che  da  un  giorno  ^'IPaltro  a  noi  si  avventasse.  Era  perciò 
tempo  di  provvedimenti  e  di  sollecitudini  per  impedire  il 
disastro,  o  almeno  per  scemarne  la  veemenza.  La  ordinaria 
Deputazione  di  pubblica  salute  non  parve  a  ciò  sufficiente, 
e  sì  credè  più  acconcio  al  bisogno  T  istituire  una  specie 
di  dittatura  sanitaria,  la  quale  con  sovrano  arbitrio  operasse 
franca  e  spedita.  Ma  perchè  riuscisse  a  bene,  voleasene  in- 
vestire personaggio  autorevole,  attivo,  e  soprattutto  assai 
pratico  dei  reggimenti  e  dell'azienda  degli  ospedali.  Qua- 
lità, che  nel  Sala,  come  risulta  dai  fatti  sin  qui  esposri,  so- 
prabbondavano. E  pertanto  su  lui  il  pontefice  riversò  Tim- 


(I)  Br€X'c  noti:^a  tUlVab.  D.  Saia  cit 


240 


G.  Cmgncmi 


measo  carico,  pomiH  wrloip  presuknfie  ddi  Oepuxazic 
straoniburà  £  piMKca  mmliimui.  Sebbeae  rùvmosi 


reocmcdal 


rpcaosai 


infinto:  ea&zi  : 


iadngjoocaipjiorafficio»  «te  in  opera  ogni  possibile  I 
per  aSontznarc  il  cradek  flagello;  nu  nino  f\i  indarno,  e 
d'un  trtao  la  dai  si  rìc^i  £  gemid  e  di  c^divcri.  C6 
non  gginrp,  egS  non  si  aurri;  ma  nnrece  pigliando  animo 
diDa  sventnra,  è  incredibik  a  dire  lo  sforzo  dì  vita,  nel 
quale  durò  dal  mezzo  ^osa>  alToctobre,  quando  maggior- 
mente la  mocìa  infixrìava.  Coosuitaziom,  leggi,  prò  widoize, 
ricorsi,  iniezioni  sens  fine  ni  posa;  a  tutto  ponea  tnente» 
nulla,  per  lieve  che  fosse,  crasandava.  Recavasi  di  frequemc 
ai  ricetti  d^Ii  appestati,  e  con  maxa-^ngliosa  sicurezza  ^^É 
ceasi  loro  da  presso  per  quame  il  trattamento.  Cosi,  con^' 
piendo  ad  un  tempo  le  parti  di  moderatore  e  di  esecutore, 
tenea  in  offizio  i  tnedid  e  ì  serventi,  e  coli' esempio  ani- 
mavali  a  non  temere. 

Dileguatosi  d'un  tratto  il  morbo  per  le  acque  e  le 
scure  autunnali;  alla  guisa  che  dopo  la  batta^ia  suol 
varsi  fra  i  vinti  il  rumor  grande  addosso  al  loro  mal 
pitale  condotriere  ;  scagUavansi  dai  maligni  contro  al  S 
i  biasimi  e  le  querele  di  mala  amministrazione  de*  capitali, 
di  crudele  abbandono  degli  appestati»  di  difetto  di  medi< 
nali,  di  trascurati  netramenti  e  purgazioni,  e  cento  ali 
accuse  di  tal  fitta;  onde  lo  sfrenato  allargarsi  del  male 
impedito  a  tempo,  non  curato  a  dovere,  non  distrutto  ne' 
suoi  effetti.  Dicerie  pazze  e  da  non  curare  (i),  come  poi 
pienamente  dimostrò  la   pubblicazione   dello   specchio  di 
tutto  Toperato  in  quei  giorni  dalla  Deputazione  sanitaria 
da  lui  presieduta  (2).  E  il  papa,  per  attestargli  la  sua  appro- 

(i)  V.  il  Diario  di  Roma,  anno  i8j7.  numeri  75,  85,  8^. 

(2)  Statistica  di  coloro  che  furono  fresi  dal  choUra  in  Roma 
Fanno  i8)j,  umiliata  alia  Santità  di  Sostro  Si^crt  papa  Gn^orio  Xì 
dalia  Commissione  straordinaria  di  puhhìica  incdumitù.  Roma,  tipografia 
Camerale,  183R,  ln-4*'. 


Ila  pila  e  degli  scritti  di  G,  Q/f,  Sala      241 


I 


gli  conferi  h  presidenza  deirospedale  Ji  S,  Gia- 
in  Augusta,  la  quale  sebbene  brevemente  tenesse, 

knon  fu  indarno  per  l'axienda  di  quel  pio  istituto, 
o  possesso  di  quell'uffizio,  fattiglisi  innanzi  chirurgi 
iiligni  barbuti,  domandò,  ridendo,  se  in  quei  dintorni 
chi  radesse;  e  soggiunse:  non  perseguiure  le 
ed  era  la  stagione  da  ciò),  ma  neppure  temerle. 
^presso  a  questo  tempo  ingrossatiglisi  gli   umori,  fu 
da  uno  straordinario  fastidio.  Inquietavasì  d'ogni  cosa, 

RI  conversazione,  rifiutava  il  cibo,  non  poteva  dor- 
rava  tuttavia  nelle  usate  occupazioni  de*  suoi  uf- 
1  le  quali  parea  non  sentisse  più  il  male.  Nella  pri- 
*a  del  1839  si  portò,  per  consiglio  de' medici,  a 
.vecchia,  donde,  riavutosi  alcun  poco,  recossi  a  Cor- 
presso  i  signori  Braschi  suoi  amorevolissimi.  Qui  di- 
amente aggravatosi,  volle  tornare  in  Roma,  e  vi  fu 
<no  con  grande  stento,  adagiato  in  una  carrozza  a 
di  letto.  Giuntovi  ai  20  di  giugno,  cadde  imman- 
e  in  profondissimo  letargo.  Risentitosi  sul  declinare 
■chiese  e  ricevette  i  sacramenti  :  poi,  detto  ai  cir- 
m  parole  di  molta  edificazione,  perde  il  senno,  ne 
Tiacquistò.  Sul  mezzodì  del  23  cessò  di  vivere  in  etd 
B|)resso  a  77. 

on  appena  morto,  susurrossi  per  Roma,  prima  ca^ 
:Ila  sua  infermità  fosse  stato  un  diverbio  avuto  col 
occasione  del  nuovo  segretario  assegnato  alia 
one  de' vescovi  e  regolari  da  lui  presieduta:  e 
o  perfino,  che  nel  cnlor  del  discorso  il  Sala  accen- 
alla  rinuncia  della  porpora,  e  che  Gregorio  gli  rispon- 
che,  posto  il  coso,  l'accetterebbe.  Del  che  forse  altri 
»l>e  ravvisare  una  riprova  nel  seguente  paragrafo  di 
i  scritta  a  Giuseppe  Antonio  dal  cardinal  Lambruschini 
iprile  1839:  «  La  prima  medicina  è  l'istinenza  da  ogni 
tale  occupazione,  e  perciò  mi  ò  rincresciuto,  dal  piego 
mi  ha  spedito,  di  vedere  che  Vostra  Eminenza  con- 


e  Cugnoni 


a  rinua  ad  occuparsi  di  affari.  A  suo  tempo  ci  parlcreij 
0  meglio,  e  fin  d'ora  le  dico  nella  nostra  vera  ed  anii^ 
«  amicizia,  che  bisognerà  sgravarsi  di  più  cose,  onde  ne 
et  compromettere  una  sanità  veramente  preziosa,  e  che  imi 
0  porta  troppo  di  conser\'are.  Convengo  che  i  patemi 
«  d*animo  logorano  assai  più  la  vita,  che  non  la  fatica  me-] 
V  desìraa:  ma  come  si  fa  ?  Alzar  gli  occhi  al  cielo,  e  cercarl 
«  di  diminuire  Tcffetto  colla  rassegnazione.  Io  che  sono  di  ' 
«  fibra  assai  sensibile,  so  cosa  siano  le  inteme  afflizioni  e  i 
«  dispiaceri,  quelli  segnatamente  che  non  dovrebbero  aversi, 
«  e  non  trovo  miglior  rimedio  di  quello  accennato  di  sopra  ». 
Ma  se  pure  la  cosa  passò  dì  tal  guisa,  la  vivacità  di  un  di- 
verbio non  dovè  certo  alienare  l'animo  del  pontefice  da 
chi  con  tanto  studio  ed  affetto  gli  si  era  porto  in  ogni  caso 
consigliere  fedele,  e  validissimo  aiutatore.  In  flitiì  Gregorio, 
uditane  la  morte,  se  ne  commosse  altamente  (i),  ed  affermò 
con  enfasi,  che  col  mancare  del  Sala  era  venuto  meno 
V Archivio  ambulante  della  Santa  Sede  (2),  alludendo  per  tal 
motro  all'immensa  copia  del  suo  sapere,  e  alla  prontezza, 
con  la  quale  nd  ogni  più  nuovo  caso  faceane  Tapplicazione. 
Chò  questa  fu  la  più  speciale  valentia  di  lui,  recare  ad  atto, 
senza  indugio,  i  dettami  della  scienza,  e  trarre  profitto  dagli 
insegnamenti  della  storia.  Onde  fu  uomo  pratico  per  ec- 
cellenza, e  per  questo  appunto  utilissimo  alla  Chiesa  ed  allo 
Stato,  la  quale  e  il  quale  delle  teoriche  e  delle  astrattezze 
non  saprebbero  che  si  fare.  Ma  di  ciò  e  già  detto  abbastanza 
nelle  presenti  Memorie  :  e  ora  piuttosto  è  da  volgere  il  di- 
scorso all'indole  e  ai  costumi  suoi. 

Sorti  Giuseppe  Antonio  da  natura  ingegno  vasto  e  spe- 
dito, cuor  generoso  e  oltre  misura  sensitivo;  e  queste  n.i- 
turali  disposizioni,  già  ottime  di  per  se,  col  lungo  esercizio 
perfezionò.  Negli  studi  sdegnava  la  mediocrità,  e  sforzavasi 


I 
I 


^eìla  vita  e  degli  scritti  di  G.  c4.  Sala      243 


alla  eccellenza,  e  certo  nei  sacri  la  raggiunse.  Delle  reli- 
giose credenze  tenacissimo,  non  però  aveva  in  sospetto  il 
progredire  della  scienza,  né  mai  si  addisse  a  metodi  e  a 
scole  speciali  per  modo,  da  non  ammettere,  che  fuori  degli 
uni  e  delle  altre  non  si  potesse  investigare  e  raggiungere 
'a  veritA.  Il  perchè,  sebbene  imbevuto  in  sin  da  giovanetto 
della  filosofia  tomistica,  non  tenne  il  broncio  alla  novella 
del  Rosmini;  ma  anzi  non  appena  la  vide  nascere,  e  tosto 
ne  ravvisò  la  convenienza,  e  ne  presenti  vantaggi  alla  fede. 
Ancoraché  delibane  dello  scrivere,  colpa  della  falsa  istitu- 
zione d'allora,  mostrisi  in  tutto  digiuno;  pure  nel  suo  det- 
tato trionfa  il  grande  principio  Condillacchiano  dd più  ser- 
^^o  legamento  delle  idee,  e  in  ninno  scrittore  meglio  che  in 
'tji  SI  avvera  il  motto,  lo  siile  esser  Vuoìno,  In  modo  dal  suo 
^P^gHato  periodare    trasparisce   quella  schietta   candidezza 
I     *l'animo;  onde  mai  non  si  sarebbe  egli  indotto  a  velare  i 
propri  pensieri,  e  a  non  dire  le  cose  altrimenti  da  quello 

E^he  le  sentiva  (i).  La  quale  inclinazione  congiunta  a  viva- 
*  (>)  Non  voglio  omettere  su  tal  proposito  di  qui  trascrivere  alcuni 
p^nodi  di  una  liberissima  memoria,  che  egli  fece  teucre  nel  maggio 
P*'  t8<x)  al  nuovo  pontefice  Pio  VII  : 


«  B.mo  Padre, 

■■  un'anima  ohremodo  sensibile  ai  mali  gravissimi,  che  affliggono 

*   *^nto  tempo  il  principato  e  la  Chiesa,  aveva  concepito  le  più 

^^X^  speranze  che  l'innalzamento  della  Santità  Vostra  al  soglio 

•P'^or.ìficio  segnar  dovesse  l'epoca  fortunata  di  un  nuovo  ordine  di 

"^*er.  Questa  dolce  lusinga  però  non  incomincia  fin  qui  a  realizzarsi. 

**  *^*     i  luogo  a  sospettare  fondatamente,  che  le  buone  intenzioni  di 

'*>xtja  Santità  rimangano  vuote  di  effetto,  e  che  tutto  vada  di  male 

F*^ggìo,  quante  volte  la  Santità  Vostra  non  apra  gli  occhi  per 

■  ?^^»~<Jarsì  dai  lacci,  che  forse  le  vengono  tesi  da  quelli  stessi,  che 

*  ^^'-^perar  dovrebbero  al  comun  vantaggio,  e  alla  gloria  di  Vostra 

«bat^Vjti,  Degnisi  pertanto  dare  un'occhiata  a  questi   brevi   riflessi 

«  uscit;  j^Hj  penna  di  chi  non  arrossisce  di  parlare  il  linguaggio  della 

«  ^w'xti,  e  riferisce  soltanto  per  impulso  di  vero  zelo  ciò  che  a  tutti 


pKb 


244  ^'  Gigioni 


chi  ci  spirlr  sovri^roniinre,  ficealo  dì  sovente  aspro  ed 
imperuoio  zel  r2c'-::i-ire  (x);  nu  poi  subito  se  ne  penava, 
e  a  chi  ive&>e  bnvaro  riiJoppLivi  i  ùvori;  perchè  lo  di- 
cevano il  hurrr^:  ri^.'rJvV.  Alla  sìmigaanza  di  Giulio  Agri- 
cola, del  quale  racconta  Tacfto,  che  e  fu  da  alcuni  tenuto 


<  è  scto,  q  •  i'^-^^^ie  pryr«ril=e=:e  ìgacno  in  gran  paitt  alla  Santità 
«  Vostra. 

<  Se:i£a  Tarlare  idl'ìsnsix  iicer'e  ongxnate  dal  sapersi  che  o^ 
»  l'utinso  Cocclave  soao  seguìd  lì  sclic  pettegolezzi  e  ^  antic» 
«  TTìar.e^.,  e  che  :  Cariinali  p>er  la  nuggior  parte  nalla  profittai^^ 

<  ielle  frinii  leziczi  iate  loro  ia  Dio  per  mezzo  delle  passate  c^\ 
*  miti,  $crc  i::  tirtc  e  ptr  tetto  gli  stesa  di  priioa,  si  rimarcano  ^^ 
T  volo  le  sesr-e=d  co^^e. 

e  Le  persele  iabhe=c  acn  cessano  dai  loro  {nanti,  e  Roma  O**** 
«  Itsda  i:  niorrcorare,  di  rilevare  che  anco  sotto  Tattuale  pontific-^^^ 
r  li  r^oni  harzo  raciSe  accesso;  che  il  r^no  de'Braschi  connna^^ 
r  cr=:e  per  I2  didietro:  che  le  cose  anderanno  di  male  in  peggi»--' 

e  Ecz^.  3eat:js:n:c  Paire,  b  nuia  verità  esposta  con  tanta  m^^' 
r  per  zzz.T.S;,nzi,  cu::r.:.'c>.>  5i  crci=:  che  la  Santità  Vostra  ami  . 
r  cc-cscc:U.  S:-  :<c.  — .:  i;  vy.u:x-e  cuesu  a-.-visi,  nò  J:a  ascolto  x0r] 

-  3Ì;Ji:.-rl.  r  rif."  iz\:  =l-ci.  che  le  vc--^ono  tr'butati.  Non  vi  fu  C^''^ 
«  ne  avesse  rlj  i:  ?:,"'  VI.  =rrure  e  notv*»  quali  fossero  i  clamori,  c^^ 

-  so'le-.Mrw^r-5;  cr-tr."  i:  'u'..  "is^lnie  nezl:  ultimi  anni  del  suo  poaf  ' 
?  f.cato.  R.T.-.j.  i5r;r.c  i-  V^sri  Santità  cose  grandi:  che  i  comuf 

-  vo::  rini:;r.ì:a-,-  liir.:?-:;:  c::c  :"  vì^ìo  sìa  depresso,  che  la  virtù  ed 

-  il  n:er;:c'  arrì-Uv-*  '\\  rrc:":.";  che  vt-nga  per  sempre  chiusa  la  bocca 
alla  n:cnr^ìrr.i  e  -'.r^iu-^zionc,  e  s:  ascohì  soltanto  il  linguaggio 

-  della  verità    . 

\\)  Gaetano  .\C:r:-:  :r.  u-a  lettera  cel  ;:  gennaio  iSSi  scriveami: 
.  Quanto  i\.,x  :;:j.  :.:  ./.'.;;  .:: -j"  ;.*"J--;.V,  che  (dcc*ilo  di  sovenU 
u  u--.?'v  i\ì  :":.\:.,:.:  ':/,  .1;  :  .j*-;:  nella  n;:a  stanza  al  Quirinale,  adia- 
«i  cerne  j*.l.»  ;v::tinc;.i.  :ì*c>b:  ur..;  rrrvi  notevole  e  personale  in  sul 
.-  punto  Je!!.*-  scrpio  in  Roma  ce*.  Cv'^lera,  perchè  vivacemente  soste- 
i.  nendolo  avvenuto  col  c-!:no  ciràìnal  Ganiberini,  segretario  per  gli 
.<  altari  di  Stato  ir-.tem:  e  preside  del'.a  Congregazione  speciale  sani- 
«  tana  di  tutto  lo  Stato  pont:::cìo,  »;i:el  prefetto  dì  quella  della  S,  Con- 
c  sulta;  questi  ri:npui:nàva:  essenùo  :o  solo  vtJì  loro,  ebbi  timore  che 
«  venissero  alle  mani  !  » 


ila  t'ita  e  degli  sentii  di  G,  q4.  Sala      245 


;ieDe  bravate,  come  piacevol  coi  buoni,  cosi  tcrribii 

i  a* malvagi:  ma  dopo  nulla  di  collera  gli  restava, 

pericolo  ch*ei  si  stesse  più  grosso:  stimando  aver 

;1  buono  l'ofFendere,  che  l'odiare  a.  Tuttoché  for- 

nediocre  fortuna,  cui  non  potè  accrescere  coi  pro- 

igli  esercitali  uffici,  perchè  tutti  «  o  di  tenue,  o  di 

molumento»  (i);  pure  nello  spendere  non  fu  scarso, 

e  mai  meno  al  decoro  del  suo  grado  «  e  fece  sempre 

figura,  ed  invalse  l'opinione  che  fosse  uno  de'  pre- 

ii  ricchi  »  (2).  Magnifico  poi  era  in  tutto  ciò,  che 

al  culto  divino,  per  la  qual  cosa  la  sua  privata  sa- 

l*ori,  d'argenti  e  di  preziosi  paramenti  in  singoiar 

splendeva.  Pose  insieme  un'assai  copiosa  librerìa, 

rendo,  legò  ai  gesuiti,  e  che  quindi  andò  incorpo- 

bihlioteca  Vittorio  Emanuele.  Edificò  il  campanile 

Maria  della  Pace,  suo  titolo  cardinalizio;  alla  ba- 

beriana,  della  quale   fu  prima  canonico,  e  poi  car- 

ciprete  (3),  donò  una  muta  di  candelieri  di  metallo 

d  valore  di  quattromila  scudi  (4),  e  oltre  la  metà 

10  di  un  nobile  baldacchino  del  costo  di  settecento 

sava  larghissima  carità  ai  bisognosi,  liberalmente 

rimetteva,  e  facevasi  pure  talvolta  avvocato  de' suoi 

;  come  avvenne  di  certo  cameriere,  che,  rubatogli 

iomma  di  danaro,  fu  per  le  sue  autorevoli  premure 

alla  galera  e  messo  in  temporaneo  esilio,  durante 

sovvenne  l'infelice  famiglia  del  ladro  con  stabile 

Kpnsile  (5).  Piacevolissimo  nel  conversare,  spes- 

Bffoii^id  ddVub.  Dom.  Sala  cit. 

W-  Abitò  signorilracntc  per  lunghi  anni,  in  fino  alla  mone, 

alazzo   Impt^riaii   ncUa  vìa   Jc'  Barbieri,   composto  di  ire 

iBrtamenii  e  stanze  terrene  vastissime. 

WONl,  Z)i^.  iVtrud.  tccl,  XII,  IJ5. 


L seguente  lettera,  del  3  agosto  1S55,  a  monsignor  Ciacchi, 
^etia  H,  Società  romana  Ji storia  patrta.  Voi.  XI.  1 7 


2^6 


G.  Cugnoni 


seggiava  in  motti  ed  arguzie,  che  spontanee  gli  correano 
sul  labbro.  Vestiva  netto  ed  elegante,  e  delle  foggie 

governatore  di  Roma,  raccogUesi  quanto  virtuosamente  il  derubai 
si  facesse  avvocalo  del  ladro. 

«  n  premuroso  interessamento,  che  V.  S.  lU.ma  e  R.ma  tni  ba  i 
«  mostrato  nell'amaro  frangente  del  furto  domestico  da  me  sofferto^ 
«  e  nelle  gravi  angustie  che  provai  per  pìd  mesi,  non  avendo  dati 
<(  sufHcienti  per  rintracciarne  l'autore,  siccome  eccita  in  me  la  più 
u  viva  gratitudine;  cosi  m'ispira  la  più  estesa  fiducia  ch'Ella  voglia 
«  prestarmi  la  sua  mano  adjutrice  per  dar  termine  a  questo  disgusto- 
tt  sìssimo  affare. 

«  Rammenterà  V.  S.  Ill.raa  e  R.ma  che  la  Santità  dì  N.  S.  nel 
«sentire  l'accaduto,  e  nell'essere  ragguaglialo  della  mìa  dolorosa  po- 
«  sizìonc,  per  un  tratto  singolarissimo  di  Sovrana  Clemcn/a,  le  con- 
ci feri  illimitati  poteri  per  ammettere  al  benefirio  dclP  impuniti,  per 
«  agire  anche  in  via  economica,  e  per  fare  tutto  quello  che  contri- 
«  butsse  a  sodisfare  i  miei  desideri,  e  a  rendermi  la  perduta  calma. 

ff  II  Reo  Giovanni  Toccaceli,  che  da  molti  anni  trovavasi  al  mio 
«  servizio  in  qualità  di  Cameriere,  prima  che  si  procedesse  contro  di 
«  Lui,  mi  fece  giungere  qualche  indizio  per  mezzo  di  Lettere  anonime, 
u  e  manifestò  apertamente  in  seguito  la  sua  delinquenza  al  mio  Sc- 
ff  gretarioi  e  anche  a  me,  facendo  poco  dopo  una  eguale  Confessione 
tt  innarui  al  Giudice  Processante. 

«  Le  prove  da  Luì  somministrate  fecero  conoscere  avere  Egli  solo 
e  commesso  il  furto  senza  alcun  aiuto  di  complici,  e  cosi  dileguan- 
M  dosi  ogni  sospetto  su  gli  altri  mici  famigliari,  sMmpedl  il  loro  ar- 
n  resto,  al  quale  tanto  ripugnava  il  mio  cuore. 

«  Sembra  quindi  che  il  Toccaceli  in  forza  Selle  promesse,  ch'erangli 
"State  fatte,  possa  godere  del  beneliiiio  dell' impunità. 

«  Restava  la  seconda  parte,  cioè  il  discarico  del  denaro  involato, 
«  e  la  restituzione  della  somma  tuttora  esistente  in  potere  del  Reo. 
«  Non  può  impugnarsi  che  sulle  prime  la  sua  confessione  non  fu  sin- 
n  cera,  quantunque  si  prestasse  senza  dilHcoltà  ad  un  atto  legale,  in 
c(  cui  enunciò  l'intero  ammontare  del  furto,  e  obbligossi  alla  rcstitu- 
«  zionc.  La  renitenza  a  manifestare  tutto  schiettamente  produsse  il  di 
«  Lui  arresto,  dopo  de!  quale  non  tardò  a  svelare  quanto  rimaneva 
<'  tuttora  in  essere,  rendendo  anche  ragione  del  di  più  che  aveva  dis- 
'<  sipato  principalmente  nel  giuoco  del  lotto. 

4  Frutto  degl'indizi  dati  dal  Reo  fu  la  ricupera  di  oltre  a  mille 
«  scudi,  e  l'assicurazione  di  altra  somma  di  poco  inferiore  alla  prima, 
"  cosicché  verrò  io  a  ricuperare  circa  la  meti  del  dabaro  involatomi. 


'Della  pila  e  degli  scritti  di  G.  cA,  Sala      247 

suo  grado  era  piuttosto  studioso^  e  Gaetano  Moroni  (i) 
notalo  come  uno  degli  ultimi  porporati,  che  indossassero 
l'abito  viatorio  cardinalizio.  Ebbe  mezzana  persona,  volto 
virile  ed  ordinariamente  grave,  carnagione  fresca  e  tendente 
li  bruno,  fronte  alta  e  spaziosa,  morati  i  capelli,  che  al  so- 
praggiungere della  vecchiezza  non  imbiancarono,  folte  e 
prominenti  le  cigUa,  occhio  nereggiante,  vivissimo.  Tutto 
insieme,  allorché  mori,  avea  apparenza  appena  di  cinquan- 
t'anni,  sebbene  ne  contasse  settantasette.  Il  suo  corpo,  im- 
balsamato, dopo  le  consuete  solenni  esequie  in  San  Carlo 


«  Io  considero  questo  articolo  sono  Taspetio  di  un  mio  privato 

•  MiUrcssc,  e  se  protestai  fin  da  principio  di  esser  pronto  a  ricom- 

•  prare  la  mia  quiete  a  qualunque  costo;  è  facile  persuadersi  che  non 
I  "  mi  cade  neppure  in  pensiero  d' insistere  per  la  restituzione  totale, 

'che  d'altronde  sarebbe  impossìbile  ad  ottenersi. 

•  Dunque  il  Fisco  per  questa  parte  rimane  esoneralo  da  ulteriori 

■  procedure,  e  se  il  rilardo  dell'  intera  confessione  del  Reo  fu  meri- 

•  tcvole  dì  castigo,  crederei  che  fosse  punito  abbastanza  mediante  la 
^actcQzione  in  una  segreta,  che  ha  sofferto  sin  qui. 

■  Mi  avanzo  quindi  a  pregare  fervorosamente  che  il  Toccaceli 
Jt^en^a  dimesso  dal  Carcere,  e  solo  ardirei  suggerire,  che  sarebbe 

■  tJpedicnte  lo  allontanarlo  da  Roma  anche  per  suo  vantaggio,  mentre 
•^"i  non  troverebbe  come  impiegarsi,  essendo  troppo  conosciuto,  ed 

•  cuendosi  troppo  divulgato  il  suo  delitto. 

*  Spero  che  V,  S.  lU.fia  e  R.ma  sia  per  avvalorare  le  mie  Sup- 

•  pliche,  riportando  dall'Animo  clcmentissimo  del  S.  Padre  la  grazia 
■che  imploro,  non  solo  per  quello  spinto  di  mansuetudine  e  di  ca- 

.inti,  che  tanto  conviene  al  mio  carattere;  ma  ben  anche  per  il  mio 
■  proprio  interesse,  avendo  in  questo  triste  avvenimento  troppo  sof- 
•  ferto  LI  mio  spirito,  non  senza  notabile  pregiudizio  di  mia  salute. 
«Ho positivo  bisogno  di  tranquilli/ranni  pienamente,  e  aspetto  questo 
«favore  dalla  Sovrana  benignità. 

•  Ella  nel  coadiuvare  radempìmento  de'  mìei  desideri  aggiungere 
«OD nuovo  titolo  a  quei  sentimenti  di  distinta  stima  e  di  viva  rico- 

i  «oosccnza,  con  i  quali  mi  confermo  nel  baciare  di  vero  cuore  le  mani 

«  Ser.*"  Vero 
«  G.  A.  Card.  Sala  «. 
(i)  Dii,  d'md,  iccl,  XUh  1)7' 


248 


C.  Cugnoni 


a'  Catinari,  fu  deposto  in  Santa  Maria  della  Pace,  suo  rir<^^ 
cardinalizio,  dove  poi  il  nipote  erede  Pietro  Sala  gli  erc-^^* 
dalla  destra  della  porta  principale  del  tempio  onorato  ir' 
aumento  (i). 

(i)  Ke  dettò  Pelogio  e  U  iscrizione  sepolcrale  il  P.  G.  B.  RoU 
delle  Scuole  Pie  ne!  modo  che  segue: 

«  Ellogium  *  Josephi  *  Antonii  ■  Sala  |  S  •  R  *  E  •  Presbyicrì  ■  Ca 
a  dinalis  ,  Plumbeo  *  tubo  '  inclusum  *  et  "  cura  '  corporc  *  conditun^^ 
ttjoscphus  •  Antonius  •  Sala  |  Presbyter  •  Cardinalis  '  titulo  *  Maria 
tt  Pacifera. 

«  Hic  .  Romac  .  VI  .  Kal.  Novcmbr.  .  Anno  .  M  .  DCC  .  LKH  ^ 
rr  Joscpbu  .  Sala  .  et  .  Anna  .  Saccheitia  .  parcnùbus  .  Iionestìssioùs .  * 
«  ortus  .  humaoioribus  .  litteris  .  ac  .  phitosophicls  .  disctplìnis  .  in  . 
K  Collegio  .  Romano  .  egregie  .  excultus  .  Theologiae  .  laurcam  . 
«  Domìnicanis  .  ìnstitutoribus  .  summa .  ìngcnii .  laude  .  meritus  .  est. 

tr  Saccrdolio  .  initiatum  .  et  .  rcligionis  .  studium  .  unìce  .  anhe- 
«  lantem  .  Petrus  .  Antonius  .  Tìoli  .  V  .  C  .  a  .  quo  .  sumraopere  - 
«  diligebatur  .  ad  .  negotia  .  ecclesiastica  .  pertractanda  .  usu  .  et . 
<r  cxercìtatione  .  informabat  .  Quantum  .  vero  .  in  .  illa  .  palestra  . 
V  profeccrii  ,  comprobavit  .  evcntus, 

u  An  .  M  .  DCCC  .  I  .  Adjutor  .  ab  .  actis  .  Card, .  Joanni  .  Baptì- 
«  stae  .  Caprara  .  in  .  Gallìas  .  Legalo  .  in  .  re  .  tam  .  salebrosa  .  et . 
«  piena  .  discriminis  .  animo  .  invictissimo  .  adeo  .  perutilem  .  Ecclc- 
a  siae  .  Caiholicac  .  navavìi  .  opcram  .  ui  .  si  .  natio  .  illa  .  civili . 
«  ab  .  aestu  .  resìpisccns  .  avitam  .  religioncm  .  retinuit  .  haud  .  sua  . 
«  taudis  .  parte  .  Josephus  .  noster  .  fraudandus  .  sit. 

tx  Reversus  .  in  .  patriam  .  dum  .  ad  majora  .  vocabatur  .  sen^t . 
<f  tyrannidcm  .  Cymaei  .  hostis  .  qui  .  Pium  .  VII  .  Romana  .  Sede  . 
cr  cxturbavcrat  .  crudclitcr  .  comprclicnsus  .  coactusquc  .  exulare  . 
ff  inops  .  crrans  .  gravis5ira«s  .  maximasque  .  toleravit  .  aerumnas  . 
«  Sed  .  animum  .  propositi  .  tenacissinium  .  ncc  .  blanditiae  .  nec  . 
«  mìnae  .  ab  .  adjuunda  .  Ecclesia  .  et .  captivo  .  Pontifice  .  Maximo  . 
«  per  .  epistulas  .  consulcndo  .  numquam  .  dimovere  .  potuerunt. 

«  Pace  .  per  .  Principes.  foederatos  .  An  .  M  .  DCCC  .  XIV  . 
«  felicìter  .  parta  .  inlcr  .  Antistite?  .  Urbanos  .  et  .  BasiUcae  .  Ltbe- 
u  rìanac  .  Canonicos  .  adlectus  .  difficile  .  dictu  .  est  .  quot .  quantos- 
uquc  .  cxhantlaverit  .  labores  .  in  .  Dioeccsum  .  calamitatibus  .  re- 
«  parandis  .  in  .  viror.  .  rcligiosor.  .  Ordinibus  .  resticuendis  .  ac  . 
u  rcformandis  .  ìn  .  christianae  .  reipublicae  .  rebus  .  per  .  Orbem  . 
«  prospere  .  componcndis  .  quorum  .  omnium  .  pars  .  magna  .  erat  . 


T)eìla  vita  e  digli  scritti  di  G.  Q/1.  Sala      249 

)uestc  brevi  Memorie  non  saranno  vuote  di  animac- 
lento  per  coloro,  che  dedicarono  la  vita  a!  servigi  dcUa 
a  romana.  Modello  più  acconcio  di  dottrina,  di  zelo  e 
interessatezza  difficilmente  potrebbe  all'uopo  immagi- 


modcritor  .  Praeter  .  alta  .  quotidiana  .  extra  .  ordinem  .  nc- 
L  .  fuii  .  a  .  Secrctìs  .  Sacri  .  Consìlii  .  legitirais  .  rìtibus  .  co- 
cendis  .  et  .  Trideniìnb  .  decretìs  .  interpretandis  .  Quae  .  mu- 
.  praectarissìme  .  obivit .  ac  .  idcirco  ,  Pio  .  VII  .  Leoni  .  XII  . 
Vili  .  Pontificibus  .  Maximis  .  acceptissimus  .  probatissimus. 
'am  .  eximiis  .  ornatum  •  meriiis  .  Gregorius  .  XVI  .  P.  .  M.  . 
»  Kal.  Oclobr. .  Anno  .  M  .  DCCC  .  XXXI  .  in  .  Patrum  .  Car- 
jom  .  CoUcgium  .  plaudente  .  toto  .  Orbe  .  Catholico  .  coopia- 
M  <  purpura  .  fuit .  praemium  .  virtutis  .  con  .  arrha  .  quìctis  . 
un  .  fertne  .  foit .  in  .  Urbe  .  Sacrum  .  Consilium  .  cui  .  non  . 
tU9  .  et  .  in  .  quo  .  plurimi  .  non  .  habita  .  sencentia  .  cjus  . 
ocn  .  Sacro  .  Consilio  .  Libris  .  notandts  .  deinde  .  Negotiis  . 
Oporum  .  et  .  Religiosorum  .  Ordinum  .  cxpcdiendis  .  sapieo- 
le  .  praefult .  Valetudinartum  .  depositorum  .  soilìcitudine  .  ac  . 
ntia  .  rcfccit .  Nosocomium  .  Joanaianum  .  Lateranense  .  Col- 
.  Foeminarum  .  a  .  misericordia  .  adauxit  .  deditque.    leges  . 
ssimas  .  Templum  .  sui  .  tituli  .  pretìosa  .  supelleciile  .  locu- 
li .  Cholcrica  .  pcstilitaie  .  per  ,  Urbem  .  grassante  .  An.  . 
>CCC  .  XXXVII  ,  praepositus  .  publicac  .  incolumitaù  .  tucn- 
Dpe  .  providentia  .  Consilio  .  fovit  .  aegrotos  .  egcnos  .  erexit . 
ti  .  defuit. 

sce  .  tam  .  diuiumia  .  tam  .  improbis  .  Uboribus  .  defatiga- 
:uin  .  pcrtinax  .  herpes  .  quo  .  jaradiu  .  iaborabat  .  ex  .  epidcr- 
in .  interiores  .  corporis  ,  partes .  pcnitus  .  recessissct .  gravius  . 
are  ^  coepit .  Accedente  .  morbo  .  regio  .  frustra  .  adhibitis  . 
ae  .  artìs  .  praesidiis  .  mortem  .  vitae  .  consentaneam  .  pie  . 
.  foniier  ,  oppeiiii  .  ingenii  .  bonorum  .  omnium  .  mocrore  . 
:aL  Jul.  ,  An.  .  M  .  DCCC  .  XXXIX. 

r  .  nihil  .  ad  .  assentationem  .  omnia  .  ad  .  veritatcm  .  lo- 
.  pietate  .  in  .  Deum  .  benignitate  .  in  .  egenos  .  innocentìa  . 
a  .  scientia  .  divinarum  .  rerum  .  spectatìssimus  .  adversis  . 
itatum  .  Buctibus  .  immersabìlìs  ,  fulgens  .  intamìnatis  .  hono- 
io  .  hoc  .  unum  .  semper  .  intendit  .  ingenium  .  cogitationes  . 
.  et  .  operam  .  ut  .  Sedis  .  Apostolìcae  .  jura  .  tuerctur  .  di- 
ìm  .  amplificaret. 
Ivc  .  Coelo  .  rcccpic  .  salve  .  inclyte  .  Josephe  .  luorum  .  me- 


aso 


G.  Qtgwomi 


BSB.  XoB  ihlHinìh  gtk  i  Sah  3  sucrdozio  come  scala  a 
sabv;  sa  si  cone  antogo  fuimii,  oè  da  altra  speranza 
coofartsto»  die  <fi  mu  eterna  mcroede  di  li  della  tomba 
Che  se  JDche  sa  ^oesta  sena  aon  gli  mancarono  agi 
omOD,  c^  ceno  wm  E  cercò»  e  anzi  si  può  adènnarc» 
Elesse  di  osto  per  non  a^criL  Lonamssimo  dal  simular^ 
e  dalTadalarìey  le  àac  pessime,  più  osate  e  sicure  arti  Jegl  ^ 
ambiziosi;  £s5c  scnpcr  con  crisdaso  coraggio  tutu  e^ 
xpcnz  la  Tcriti,  a  costo  anche  dda  vita.  Non  andò  ma^ 
a*  versi  de*  grandi  (i),  e  bg^  ogni  mostra  di  troppo  ligi^ 


«et. 4 


.  pmw.uio  .  iisfixa  .  aniino  .  oostro 
nus  .  cnnit .  in  .  hooore  .  apud  .^^ 
ma  .  procDcrìtis  .  sQebit .  postcritas  « 
oralo  I  Cirdtnalis  .  Sila  |  In  .  tcm-' 


•  Epfftapltinai  [  nBcripCBB  .  fiBBi 
•  pio  \  Marìae  .  Sascoc  .  a  .  Fmc 

<  Qrìcti  .  et  .  mcmorìac  \  loscphi  .  Antooti  .  Salac  |  S. .  E. .  R.  '- 

■  Presbrterì  .  Cxn&tafis  |  Ingeaìo  .  doctrìoa  .  religione  .  pìetite  .  io — ' 
«  i^nis  !   Qvi  vIiittH  ,  miìiùeqre  .  propvgnaior  .  aceirìmvs  [  In  . 
«  Gallica  legatioiic  .  Card. .  Caprarae  .  adinor    ApostoUcae  .  Sedù  . 
«  ivra  I  Exìmìa  .  anìactì  .  magnicrdine  .  ccmstantia  .  adscrvìi  \  Div- 
«  tvmis  .  taborìbas  .  per  .  adversa  .  praesenixn  .  tenipora  |  De  .  Ca- 

■  tbolica  .  Ecclesìa  .  egregie  .  meritrs  .  est  |  Plvrimìs  .  vrbanìs  .  va- 
li letvdinarìis  .  regi^iilìs  .  Antistes  .  datvs  Stvdiosissimam  .  diligcn- 
«  Qssimamqvc  .  pracstitit .  opcrara  A  .  Gregorio  .  XVI  .  PonL  M*x.| 
«  In  .  Pfttrvm  .  Cardinalivm  .  CoUegivni .  cooptatvs  )  Archipresb)'tcr. 
«  Liberìanae  .  BasUicae  |  omnibvs  ,  fere  .  Sacm  .  Coosiliis  .  adscri- 
«  ptvs  I  Hraefvit .  primvtn  .  Sacro  .  Consilio  .  libris  .  noiandis  |  Dem. 
a  alteri  .  negotìis  .  et  consulc.  .  Epbcopp.  .  et  .  Sodd.  .  Relì^osor.  | 
«  Cholcrìca  .  pestilitatc  .  Komam  .  depopvUntc  |  Fraeposiivs  .  pro- 
«  videniissimvs  .  extra  .  ordinem  ,  Pvblicae  .  ìncolvmiiati  ,  tvendae  | 
«  C-v-nctis  .  mvneribvs  .  honoribvs  .  sancte  .  perfvnctvs  |  Singularì . 
«in  egenos . liberalitaie  .  cnit\ii  |  vixìi .  a.  .  LXXVl  .  m. .  Vili  .  d.. 
«  XXVI  I  Decessìt  .  dolor  .  et  .  Ivctvs  .  bonorvm  .  ooinivm  |  IX . 
«  Kal.  .  Ivi  .  Anno  .  MDCCCXXXVIIII  |  Hoc  .  in  .  tempio  .  sede  . 
n  titvli  .  sui  I  Quod  .  mire  .  dilexit  |  Ac  .  praetiosis  .  omnis  .  generis . 
a  donariìs  .  locvpleiavìt  |  Condì  .  Tolvit  |  Pctn-s  .  Sala  «jvcs  .  pa- 
1  truo  .  optimo  .  B.  .  M.  .  P.  .  C.  ». 

(0  Veggasene  un  esempio  a  pag.  289  del  voi.  XLIX  del  Di^. 
à'trud.  tccl.  di  Gaetano  Moroni.  In  una  lenera  dell' 8  ottobre  i 


^ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  Q^.  Sala       25 1 


soggezione,  serbando  ognora  in  faccia  all'autorità  0  pregiu- 
dicata, o  prepotente  la  dignità  dciruomo  e  del  sacerdote. 
E  da  ciò  si  chiarisce  come  un  personaggio  di  cosi  alto  va- 
lore non  fosse  premiato  con  la  porpora  che  settuagenario, 
dopo  essersi  affaticato  per  più  di  quarant'anni  in  prò  della 
Chiesa  e  dello  Stato,  e  in  negozi  di  massima  conseguenza; 
entre  tanti  altri,  meo  degni,  o  disutili,  sono  pressoché 
nnberbi  portati  a  volo  a  qucH'altezza,  Non  fu  avido  di  ric- 
chezze, e  non  ne  ebbe,  né  si  valse  della  sua  autorità  e  del 
suo  credito  per  fabbricare  tumultuari  patrimoni  ai  con- 
giunti (i):  e  i  modesti  proventi  degli  esercitati  uffici  volse 
sempre  al  decoro  del  suo  grado,  ai  servigi  del  culto,  al 
sollievo  de!  prossimo.  Attese  con  diligenza  ed  assiduità  ma- 
ravigliosa  allo  spaccio  degl' infiniti  e  spesso  gelosissimi  ne- 
gozi si  ordinari  delle  sue  cariche,  e  si  straordinariamente 
commessigli;  non  dandoli  punto  a  studiare  a  consulenti  o 
uditori;  ma  di  per  se  stesso  esaminandoli  e  rivoltandoli  per 
'gnì  verso:  e  dove  a  tale  ricerca  gli  venisse  meno  il  giorno, 
oseguivala  nella  notte,  togliendosi  dagli  occhi  il  sonno, 
"cl  quale  ebbe  sempre  pochissimo  bisogno  ;  come  fu  altresì 
del  cibo,  che  prendeva  scarsissimo,  e  non  bevea  vino.  Per 
^•J  modo  accadeva,  che  alle  sue  determinazioni  altri  non 
potesse  far  mai  censura,  e  che  ne  consigli  delle  Congrcga- 
itoni  il  suo  voto  sempre  prevalesse.  Lo  che  davagli  fra  i 
^■P^'l^ghi  una  certa  autorità  universahiiente  riconosciuta, 
^W^IU  quale  però  egli  non  abusava  procedendo  tronfio  e  con 
^B'^  di  protezione,  come  usano  i  dappoco  fra  le  pieghe  e  gli 

I        mor\^  Polidori,  segrcurìo  del  Concistoro,  cosi  scrive  :  a  Fo  nella 
•mia      piccolezza    mi   glorierò   sempre  di  essere  stato  neglìgentato, 
•pcrcliè  nemico  acerrimo  dell'adulazione  e  sostenitore  imperterrito 
^atU^  verità,  a  fronte  anche  de* potentati  della  terrai». 

\}  J   Del  suo  modesto  patrimonio,  oltre  ad  alcuni  ledati  in  danaro 
l  w  robe  a  congiunti,  amici,  famigliari»  chiese  e  pii  istituii,  chiamò 
cicde   fiduciario,  con  tesumento  del  a8  ottobre  183},  il  suo  nipote 
VFitfTO  Sala. 


252  G.  Cugnoni 

svolazzi  delle  sete  paonazze  e  porporine;  ma  trattava  eoo 
tutti  alla  buona,  e  spesso  scherzevolmente»  da  parere  tal- 
volta per  poco  rude  e  disadorno.  Sostenuto,  ma  manieroso, 
coi  suggetri;  riser\-ato  coi  supplicanti,  difficilmente  promet- 
tcva,  ma  dìtficilmente  pure  non  esaudiva  :  e  morendo  si 
consolò  u  che  non  gli  rimordesse  la  coscienza  di  ninna  vo- 
ti lontana  ingiustizia  ^. 

Cosi,  passando  per  questa  vita,  compiè  Giuseppe  An- 
tonio Sala  le  partì  di  sacerdote  santo  ed  operoso,  al  quale, 
pel  bene  della  Chiesa,  è  desiderabile  che  molti  si  rasso- 
miglino. 

G.  Cugnoni. 


■  DOCUMENTI  MILANESI 

INO  A  PAOLO    II   E  AL   CARD.   RIARIO 


L   Cicco  SÌ9nmutta  e  papa  Paolo  II 
(1470- 

(t  Cicco  Sr.HON'ETTA  «  per  grandezza  e  per  lunga 
pratica  eccellentissimo»,  come  ebbe  a  proclamarlo 
J  il  Machiavelli  (r),  non  occorre  tessere  la  biografia, 

note  sono  T  opera  sua  quale  segretario  dei  duchi 
co  e  Galeazzo  Maria  Sforza  e  la  miseranda  fine  sugli 
1  castello  di  Pavia  nell'ottobre  1480.  Fu  uomo  dot- 
e  d'una  fedeltà  a  tutta  proYa(2). 
;rò  prezzo  dell'  opera  comunicare  una  importantis- 
tera  diretta  dal  Simonetta,  ai  19  febbraio  1471,  al- 
:iatore  milanese  Antonio  de'  Bracelli  in  Roma,  colla 

scagiona  delle  accuse  mossegli  da  papa  Paolo  II. 
ettera  ò  lunga,  ma  altrettanto  interessante  per  la 
za  che  ne  traspira,  congiunta  a  talune  particolarità 
mascè  ignote.  Porta  la  firma  autografa  del  celebre 
io  calabrese,  ma  il  testo  della  lettera  6  calligrafia  di 
ietto  alla  cancelleria  ducale  sforzesca. 


ajde 


.  fioreniimt  VIZI,  405. 

ILARI,  MachiaviUij  I,  39. 

Vib  iieita  R.  S>cietà  romana  Jt  storia  patria.  Voi.  W,  |8 


2)4 


E.  zMoila 


I  principali  appunti  mossigli  dal  papa,  e  che  Cicco  ri- 
batte, ci  sembra  vittoriosamente,  erano  di  poca  gratitui 
verso  Paolo  II  per  i  benefici  resigli;  di  scemato  inti 
per  le  cose  pontificie,  e  di  eccitamento  del  duca  Sforzai 
scrivere  in  mala  parte  del  papa  al  re  dì  Francia.  Rimpi 
ravaglisi  altresì  d'essere  amico  del  re  Fernando  d'Araj 
qualificandolo  degna  razza  di  calabrese,  peggiore  delU  ni- 
politana  ! 

I  lettori  dQÌVJrcbivio  consultino  attentamente  la  difesa dd 
Simonetta.  Il  documento  giover;\  egualmente  per  la  costui 
biografia  come  per  quella  di  Paolo  II,  morto  pochi  mcS 
dopo  dalla  data  del  documento  (agosto  147 1),  e  la  fine  «1**, 
quale  tu  accolta  da'  \'enczinni,  suoi  concittadini,  con  gauii* 
fuor  di  misura,  «  Non  si  poteria  dire  quanta  festa  ha  fic^ 
«  questa  citi  universalmente  de  questa  morte  (scriveva 
«  Sforza  il  suo  oratore  in  Venezia,  Gerardo  Colli,  ai  2  ag 
«  sto  147 1)  (i),  io  me  ritrovay  qua  ala  sua  creatione,  m- 
0.  niente  fu  la  alegreza  de  alora  ad  quella  della  morte,  I\ 
«  Siwui  si  havcsaro  recuperato  Nci^roponte  mvì  haverìano  pili 
«  gaudio  et  ano  scripto  ad  Roma  a  tutj  li  lor  cardinali  amici 
«  vogliano  far  capo  et  ellegerc  Niceno  greche  0  (il  Bessa- 
rione)  (2).  Ma  riuscì  Sisto  IV  savonese. 

Ed  ecco  la  menzionata  giustificazione  di  Cicco  Sim- 
netta. 


Magnifice  et  prestantissime  doctor,  tanqunm  frater  honorandissìme* 
RitrovanJose  de  presente  la  Magnificentia  Vostra  presso  la  Santità 
de  Nostro  Signore  m  ò  parso  conilJentementc  darvi  faticha  de  expo- 
nere  Alla  Santità  Soa  la  risposta  de  alcune  cose  che  quella  ha  havuto 
ad  dire  con  diverse  persone,  ci  in  diversi  tempi,  circa  li  facti  mei, 
comò  intcndarctc  qui  de  sotto.  Le  quale  cose  ve  sforzareti  fargli  bea 


(1)  Arch.  dì  Stato  di  Milano,  Potente  estere:  Vetu^ià. 

(2)  Per  la  scissura  di  Venezia  con  Paolo  II  (Barbo)  vedi  il  Ma^I 
LiPiERi  (Annali  Vemti)  e  gli  altri  autori.  Supponiamo  que*  fatti  a  co-l 
noscenza  di  chi  ci  legge. 


Taoh  II  e  il  Cani  Telano 


^55 


ndere,  cxponendole  con  quella  revercniìa  et  humilità  che  se  con- 
ne  al  Sumrao  Pontifice,  et  come  me  rendo  certo  che  per  vostra 
nma  prudentia  sapereii  meglio  cxponere  et  dire  che  non  vi  saperìa 
pd  scrivere,  ne  ricordare. 
'Elègiibon  pcz£Oche  prefata  Santità  ha  dieta  che  quella  è  scmper 
ataben  disposta  verso  mi  in  compiacerme,  et  che  da  Icy  ho  havuto 
olti  benelìcìj  et  gratie,  et  tra  le  altre  cose  me  haveva  compiaciuto 
■atis  de  una  dispensa  matrimoniale,  quale  non  seria  facta  ad  altri 
'  joo  ducati,  ma  che  mi  non  riconosceva  ali  bisogni)  li  suoy  be- 
Acìj,  cio6  in  non  essere  stato  fautore  alle  cose  soe;  et  che  la  San- 
I  Soa  Jesijderaria  eh  io  me  disponesse  ad  dare  più  favore  alle  cose 
:  Sancia  Chiesia  et  soe,  che  non  ho  facto  per  ul  passato.  Ha  etiamdio 
icto  chic  ho  dicio  male  de  Soa  Santitii  et  che  ho  confortato  questo 
OJtro  III  "°  Signore  ad  scrivere  male  de  quella  alla  Maestà  del  Re 
i  Pranza:  et  con  alcuni  altri  ha  havuto  ad  dire  eh  lo  son  più  affectio- 
>  ^la  Maestà  del  Re  Ferrando  che  alla  Santità  Soa;  et  demum 
"«  li  Siciliani  hanno  fama  dossere  cativi,  ma  che  se  impìchariano 
pei  la  golia,  se  li  Calavrcsi  non  fuosscro  più  cativi  de  loro  ctc.  Delle 
«luilc  cose  ne  ho  preso  non  pocha  admiratlone,  perchè  diete  cose 
Jono  edificale  ci  suggeste  molto  longo  da  la  verità. 

Euespondendo  prima  alla  parte  che  Soa  Beatitudine  dice  haverme 
«cti  de  molti  benelkij,  et  tra  li  altri  haverme  compiaciuto  dessa  di- 
spensi matrimoniale  eie.  e  vero:  vedendo  mi  in  simile  caso,  corno 
*"i'I  mio,  che  !  papa  non  si  rende  difficile  ad  concedere  tale  dispense, 
■^^-'l^c  quale  ne  ha  compiaciuto  et  compiace  ogni  di  ad  molti,  fu  sup- 
plicato ad  Soa  Santità  che  se  dignasse  dispensare  tale  gratia,  crc- 
(Icndomc  non  dovesse  denegare  quello  che  senza  diiBculià  concede 
*^  altri.  La  Soa  Santità  me  tene  in  pratica  ci  sp.icio  circa  sey  mesi, 
■^f^strandose  alle  volle  bene  disposta,  et  interdum  gli  ingeriva  delle 
^^"icultjte  che  non  accadevano  ad  proposito.  Puoy  dixeche  dovendola 
^e  oc  voleva  mille  ducati,  se  reduxe  deinde  alli  octoccnti,  tcrtio  et 
°hÌroo  alli  500.  Ex  quo  vedendo  che  ogni  di  gli  emergeva  qualche 
lJ*ova  difficultà,  fu  necessario  che  lì  ambaxiatori  del  111.""*  Sig."  no- 
I  che  ad  quello  tempo  se  ritrovarono  lì,  ne  prendessero  cariche. 
^'  rie  liavcndo  havuto  la  cosa  in  pendente  tanto  tempo  corno  è  dicto, 
Miicm  per  el  mex/o  de  dìcti  ambaxiatori  me  concesse  gratis  dieta 
0Ì5pcnsa^  la  quale  per  essere  stata  molto  tempo  in  dilationc,  non  ha 
pirturito  fructo  alcuno,  immo  panunto  ci  contrario  del  bisognio.  Che 
«jiunJo  l'havcsse  facto  al  principio,  come  poteva,  havrla  operato  l  ef- 
/ceto  suo.  Siche  dove  la  Beatitudine  Soa  se  credeva  haverme  facto 
uno  singulare  et  relevato  beneficio,  lengoche  per  U  tardità  soa  me 
bibia  facto  el  contrario. 


256 


E.  Sciolta 


Appresso  che  la  Santità  Soa  voglia  dire  haverme  compiaciuto  de 
1  abbadìa  de  S.*'*  Bariholomeo  de  Pavia  per  uno  de  li  mei  hplioli  (i): 
dico  con  debita  reverentia,  che  de  questo  el  mio  ni.*""  Signore  ha 
supplicato  alla  Santità  Soa,  ^t  ad  luy  quella  mha  compiaciuta,  siche 
con  bona  venia  de  Soa  Santità  dico  chel  mìo  Signore  ne  è  obbligalo 
ad  quella,  et  io  ad  Soa  Signoria  et  non  ad  prefata  Santità.  H.wria 
ben  havuto  ad  caro  et  reputato  per  gratia  da  Soa  Santità  quando  li- 
beramente me  havesse  conceduto  che  dieta  abbadia  fuossc  conferita 
ad  mio  figliolo  legitimo,  corno  fu  supplicato  prima,  ad  che  havcndo 
la  Santità  Soa  facto  difficulta  per  rìspecto  della  minorità  desso  mio 
legitimo  (2),  è  vero  che  mcsser  Augustine  Rosso  l  obtcneic  per  Gui- 
dantonlo  mio  fìgliolo  naturale,  ad  questo  efl'ecto  che  Soa  Santità  puoy 
da  \\  ad  uno  pezzo  la  conferesse  ad  dicto  mio  legitimo.  Per  il  che  fu 
reiterata  già  mesi  xviij  la  suplicatione  ad  Soa  Santità  et  quella  vac 
fece  respondcre  eh  io  vedesse,  che  tucto  quello  che  la  poteva  fare 
circa  ciò,  salva  conscicntia,  era  contenta  de  farlo  volentieri.  Fece  fare 
uno  consiglio  examinato  et  sottoscrìpto  de  mano  de  sette  sive  octo 
dociori  theologhi  et  canonisti,  quali  tucti  concorrcno  in  questo  pa- 
rere che  Soa  Santità  può  dare  in  commenda  ad  esso  mio  ligtiolo  le- 
gitimo dieta  abbadia,  non  obstante  la  minorità,  distribuendo  in  tre 
parte  le  ìntratc  dcssa  abbadia,  quale  è  circa  ducati  seycento:  cioè  U 
terza  parte  atli  monaci  per  ci  vivere  suo,  1  altra  parte  per  la  fabrlca 
della  chiesa  et  I  altra  terza  parte  ad  esso  mio  figliolo.  Et  non  havcndo 
la  Santità  Soa  fin  qui  facto  altra  expeditione  circa  ciò,  non  so  se  de 
quello  che  facilmente  compiace  ad  altri,  che  è  de  consuetudine  et 
recusa  farlo  ad  me,  debba  mettere  queste  cose  nel  numero  de  li  be- 
neficij  che  quella  dice  havermi  facti.  Confesso  ben  questo:  havere 
obtenuto  uno  breve  absolutorio  da  Soa  Santità  qudle  ho  instato  de 
havere  solum  prò  forma,  et  non  già  per  robba  che  havesse  may  del 


(i)  Trattasi  di  Guid' Antonio,  figlio  naturale  del  Simonetta,  avuto 
nel  1451  in  Lodi  da  una  tale  Giacobina. 

Dal  1466  al  1 479  lo  si  trova  commendatario  dell'abbazìa  di  Rrcmbo 
nel  Lodigiano  e  di  quella  dì  S.Bartolomeo  in  Pavia  (Cfr.  Redaelli, 
«  Btogr.  di  Cicco  Simonetta  a  in  Annali  uuivtrsali  di  itatìsticix,  di  Mi- 
lano, aprile-giugno  1829,  pp.  276-277). 

(2)  Cicco  Simonetta  si  maritava  nel  1452,  a  42  anni,  con  Elisa- 
betta Visconti,  figlia  di  Gaspare,  segretario  ducale,  ed  ebbe  sette  figli 
in  undici  anni.  Qui  trattasi  d' uno  dei  quattro  maschi:  Gio.  Giacomo, 
Antonio,  Sigismondo  o  Lodovico  (Cfr.  Redaelli,  loc.  cit.,  p.  277; 
1.1TT.\,  Famiglia  Simonetta), 


Vaolo  II  e  il  Card,  ^ario 


257 


,  iltniy  illicitamente  ne  robbato  ad  homo  che  vive,  né  anche  perchè 
may  commettesse  homicìdio  che  fin  qui  non  ho  facto,  ne  è  mia  in- 
Icatione  de  fare,  ma  de  operare  bene  et  vivere  corno  Christiane  et 
ciihoUco.  Et  benché  de  questi  se  ne  faciagratia  ad  molti,  nondimancho 
ne  resto  obligatissimo  ad  Soa  Santità  quanto  dire  se  possa;  et  cos\ 
vny  gli  ne  rendereti  condigne  gratie  da  mia  parte. 
^L  Quanto  ad  quello  che  la  Santità  Soa  dica  eh  ella  dcsydcrarìa  eh  io 
^^f  disponesse  ad  dare  più  favore  alle  cose  de  Sancta  Chiesa  et  soe, 
che  non  ho  facto  per  el  passato,  dico  che  voluntieri  io  voria  essere 
de  tale  condicione  et  auctorità,  che  io  potesse  fare  quello  che  dice 
wa  Santità,  cioè  de  giovare  ad  quella  el  ad  Santa  Chiesa,  chel  faria 
volunticra,  corno  è  debito  de  caduno  catholico.  Ma  essendo  la  con- 
dicione mia  minima,  non  vedo  che  1  accade  quello  clic  Soa  Santità 
dice.  Et  pure  quello  poco  eh  io  potesse,  potendolo  fare  con  rescrva- 
tioncdelhonore  et  debito  mio,  lo  faria  volonticri,  comò  cdicio.  Ben 
d^t>e  pensare  la  Santità  Soa  che  manegiando  le  cose  eh  la  mancgio 
pcrrispecto  al  officio  mio  d  essere  secretarlo,  che  richiede  ut  non  solum 
^tam  cuìpa,  sed  etiaw  iuspicìoiu  et  per  essero  feudatario  et  che  lio 
jurato  fidcliii  non  una  volta  ma  più  volte,  così  in  mane  del  Sig/' 
P»aio  corno  de  questo,  sono  obstricto  per  tutti  questi  vinculi,  ultra 
u  naturale  fede  et  servitù,  non  dcpendcrc  da  altro  luocho  che  da 
l*^- Et  se  io  non  volesse  mutare  la  natura,  me  seria  admodum  im- 
pouibilc  in  eterno  declinare  da  quella  eh  essa  mia  natura  me  ha  in- 
'lynato;  et  deinde  li  vinculi  ctoblighi  de  la  fidelità  mìa  me  stringono, 
P^  essere  io  allevato  et  instructo  sotto  quello  mio  Signore  et  maestro, 
Quale  fa  de  quella  magnanimità,  virtute  et  prudentia  che  s  è  veduto, 
^Cse  può  dire  essere  stato  splendore  de  Italìam,  da  l  excellentia  del 
ì^'iic  hcbbe  in  insiructionc  et  commandamcnio  che  io  non  havesse 
"^^'y  dcpcndcQtia  da  persona  de  questo  mondo  che  da  quella  eh  io 
^^i^iva.  Et  sccundum  mandatum  quod  dedit  mihì  pater,  ita  feci,  et 
»acÌo  et  ficiara.  Dicendogli  ultra  ciò  quod  ego  sum  Cichus  parvulus, 
j**t5u  Christi  servulus  et  vere  sfortianus,  confidens  scraper  in  verbis 
"Omini  ubi  dìcit:  euge  serve  fidelis,  quia  in  pauco  fuisti  lidclis,  super 
"^^^illa  te  constituam  etc.  Siche  son  vero  servitore  et  schiavo  del 
UL°*  Sìg.f  duca  Galeaz,  et  non  son  el  vescovo  da  Parma  né  messer 
Aiiguitino  Rosso,  né  altri  che  sa  la  Santità  Soa,  che  non  voglio  no- 
mare per  più  honestà.  Et  questo  basta  quanto  ad  questa  parte. 

Alla  parte  eh  io  habia  dìcto  male  de  Soa  Santità  io  non  son  nò 
me  tengo  d  essere  reputato  così  lezero,  quod  auderem  poncre  os  in 
cclum  però  chel  non  fu  may  mio  costume  de  dire  male  J  homo  che 
riva  ec  maxime  della  Santità  Soa,  quale  è  vicario  de  Chrìsto  qui  in 


2j8 


E,  flotta 


Alla  parte  eh  io  habia  confortato  e!  prelibato  Signore  nostro 
scrivere  male  de  Soa  Santità  al  Sig/'  Re  de  Pranza,  dico  cosi  i 
sìcomc  io  non  dixc  may  malo  de  Soa  Santità,  né  hcbbc  may  v 
che  gli  pensasse,  conoscendo  mi  la  perfcciissima  disposiiionc,  fciC--^^ 
et  devotione  che  de  continuo  ha  portato  et  porta  1  ex"'  del  Signor*^  1 
nostro  verso  Soa  Beatitudine,  molto  manche  6  da  credere  chio  habis-  *J 
persuaso  Soa  Sig."*  ad  scrivere  cosa  alcuna  in  manche  dhonorcd^^ 
quella  perche'  questo  nostro  IH."'"  Sig."  è  de  tale  bontà  et  grandez 
zegno,  et  de  tale  devotione  verso  la  Beatitudine  Soa  che  frustra 
borare  esset,  quando  ne  mi  né  altri  volessimo  persuadere  el  contrario. 

Che  prefata  Santità  dica  che  tutti  li  Calavresi  siano  cativi,  perei 
questo  tocha  ad  mi,  respondo  così  che  la  Calabria  e  la  più  fertile  et 
megliore  provincia  che  sia  nel  Reame  benché  la  sia  nel  ultima  et 
trema  parte  de  Italia.  Nondimancho  in  Calabria  gli  ne  sono  et 
boni  et  de  calivi,  corno  è  anchora  ad  Vinexia*  ad  Roma,  ad  Na{ 
et  ad  Milano  et  ncli  altri  luochi:  pure  io  me  reputo  nel  numero 
li  boni,  et  credo  haveme  facto  le  opro  et  professione,  che  ne  poi 
testificare  qualche  parte.   Et  quando  fuossc  licito  ad  fare  coropara- 
tione  da  prelato  ad  seculare,  credo  gli  siano  de  tali  prelati  che  quan; 
al  vivere  diritamcntc  et  bonamentc,  io  non  scria  stimato  in  qui 
parte  inferiore,  resservando  però  la  sacra  et  grado  spirituale. 

Alia  parte  eh  io  sia  più  atlcctionato  al  Re  Ferrando  che  ad  Soa 
Santità  è  vero  che  Calabria,  proviniia  del  prefato  5ig.^*=  Re  per  geni- 
tura è  stato,  patria  originaria  ad  messcr  Angelo  mio  barba,  ad  mi, 
mei  fratelli  et  tutti  li  altri  de  casa  mìa.  Ma  per  essere  puoy  tucii  nuy, 
barba  et  fratelli  et  molti  nitri  de  casa  nostra  allevati  usque  ab  ineunte 
etaic  in  casa  sforzesca  et  continuati  semper  et  fidelmcnie  ne  li  ser- 
viti} suoy,  cioè  esso  racsser  Angelo  per  anni  l  in;"  vel  circa,  et 
circa  anni  ^9  in  40,  havemo  mei  fratelli,  et  mì,  et  altri  de  casa  ni 
stra,  che  siamo  de  qua,  renuntiato  ad  quella  patria  né  più  intcndemo 
bavere  affare  con  quella»  perché  la  nostra  patria  é  questa  dove  é  la 
casa  sforzesca,  in  la  quale  siamo  accresciuti  et  allevati:  et  lo  nostro 
bene  é  qui,  et  ubi  bonum  ibi  patria,  ergo  etc. 

Vivente  autem  la  felice  memoria  del  111.™**  qd.*"  duca  Francesco, 
la  Maestà  del  Re  dapuoy  chel  reame  fu  rcducto  ad  tranquillità,  me 
volse  donare  castelle  et  terre.  Io  non  volse  may  acccpiarc  tanto  che 
valesse  uno  soldo,  ctiam  chel  prefato  sig.**  duca  Francesco  fuossc 
contento,  perché  sìcomc  io  era  allevo  et  servitore  de  Soa  Sig/'»  ap- 
presso el  quale,  vindicato  perpetua  patria,  cosi  etlandìo  la  mìa  natu- 
rale servitù  et  fermo  proposito,  me  moveva  ad  non  rcconoscerc  be- 
neficio d  alcuno  altro  principe  né  persona  del  mondo  che  da  Soa 
Signoria,  la  quale  per  soa  benignità  et  liberalità  me  prevedete  per 


Taolo  IT  e  ti  Card,  ^'ano 


259 


mct 


tile  forma  che  per  quello  et  per  la  grada  et  amore  che  ho  da  questo 
lU*"'  Principe  duca  Galeaz  suo  figliolo  me  trovo,  graUa  Diii,  bavere 
lanie  facultate  et  beni  de  la  fortuna,  acquistati  con  mie  extrerae  fati- 
che et  sudori,  che  ho  da  vivere  honorevolmcnte  per  mi,  mei  fratelli, 
mei  BgUoli  et  tutti  quelli  de  casa  mia. 

Essendo  aduncha  el  longo  habito  convcrtito  in  natura,  me  scria 
elle,  immo  impossìbile  reconoscere  ne  bavere  altra  patria,  ni  altro 
signore  che  questo  eh  io  servo  de  presente  :  imitando  quello  proverbio 
0  iin.T  corno  sen'O,  0  fu^c  corno  t'erro.  Et  quello  mio  signore  passato, 
CI  cosi  questo  presente,  veramente  poteva  dire:  Non  in  veni  tantam 
tidem  in  Israel,  et  tu  es  Petrus  et  super  hanc  petram  aedificabo  etc. 
Et  Qon  me  trìbuisco  questo  ad  arrogantia  per  doctrina  né  virtù  che 
l^abia,  ma  per  una  sincerissima  fede  et  integerrima  devotione  mia,  et 
de  tutti  li  mei  verso  questa  111.""*  Casa,  quali  siamo  stali,  et  siamo 
sinceri  et  neti  et  nullus  nostrorum  unquam  venalis  fuit  etc. 

Dal  altra  parte  credo  habiati  inteso  che  tucta  la  provincia  de  Ca- 
labria si  e  Angiovina,  et  maxime  la  casa  mia:  et  lo  principe  de  Ros- 
«ino  per  tale  sospccto  e  dcponuio  da  la  signoria  et  da  mancho  da 
<iuairi  anni  in  qua  per  la  parte  .\ngiovina  alcuni  de  li  mei  ne  sono 
«ati  privati  de  qualche  suoy  beni.  Et  mentre  chel  reame  de  Napoli 
cri  posseduto  dal  re  Renato,  nuy  et  tucta  la  casa  nostra  scraper  hcb- 
^:nio  de  grande  honore  et  beneficij  da  Soa  Maestà,  ne  dubito  quando 
"lucila  fucsse  richiesta,  et  gli  potesse  fare  cosa  grata  et  acccpta,  gli 
'*  tirìii  anchora  voluntieri  et  de  bona  voglia,  corno  ad  suoy  carissimi 
**-'rviiori  che  gli  sono.  Siche  se  prefata  Santità  tene  questa  opinione 
^^  mi,  el  è  tanto  da  longe  dalla  verità  quanto  ò  da  qui  in  India,  et 
^inwe  molto  del   opinione  soa.  Et  se  non  chcl  non  è  lecito  né 
Inonesto  ad  uno  mio  pare  de  bassa  et  infima  condicione,  come  son 
J^»  de  parlare  in  alcuno  obprobrio  de  Signori  ne  grandi  Maestri,  par- 
'^^Hi  talìter  del  dicto  Re  che  non  dubito,  se  maravigliarìa  grandemente 
^'^a  Santità.  Ma  per  honesti  voglio  tacere. 

De  la  f«de  et  devotione  mia  verso  la  Santità  Soa  el  non  è  da  fare 
Parole  perchè  1  è  cosi  cosa  minima  chel  non  n  è  da  fame  mencione. 
"a  comò  bon  chrisiìano  et  bou  catholico,  dove  che  me  son  trovalo, 
^^  ricordato  sempre  el  bene  et  honore  de  Soa  Santità  et  de  Sancla 
Chiesa  presso  questo  IH.'"**  Sìg.""*  quaniunche  non  è  stato  necessario, 
^^  (he  mi  né  che  alcuno  altro  che  gli  staga  appresso  gli  ricordasse 
ìue«o,  perchè  da  sé  stesso,  suo  insiinctu  et  disposìlione,  ù  stato  et  è 
dispostissimo  al  bene  et  honore  de  Soa  Santità  et  Sede  Apostolica: 
<l  lo  ha  dimostrato  con  effccto  ne  le  cose  de  Arimino,  perché  se  Soa 
Ex.*^  non  fuosse  stata  de  quella  dìspositione  che  l  era  et  non  ha- 
itsse  facta  la  reparatione  che  fece,  so  come  le  cose  de  Sua  Santità 


26o 


E,  SMotta 


et  Sancu  Chiesa  in  che  ruin»  sarebbero  andate,  et  La  Santità  Soa  lo 
sa  bene  anchora  lev.  Ht  se  questo  Sig/'  mìo  faossc  stato  fìgUoIo  de 
Soa  Santità  o  uno  de  H  cardinali  suoy,  non  so  come  havesse  potuto 
fare  né  operare  più  in  benefìcio  de  quello  et  de  Sancta  Chiesa  comò 
fece.  Del  opra  mia  noi  voglio  dire,  perchè  non  me  pare  molto  bone* 
sto.  Ma  perchè  spero  pure  che  questo  mio  ili.'"'*  sig."  qualche  volta 
se  havrà  abbochare  con  Soa  Santità  lassato  et  de  questo  et  de  le 
cose  del  re  Ferrando,  che  I  Ex.*'*  Sua  come  meglio  informatissìma  de 
mi  ne  render.^  vero  testimonio  alla  Sna  Santità,  che  son  certo  quando 
IhavrÀ  inteso  seri  de  contraria  opinione  che  16" de  presenti.  Et  perche 
quella  ha  dicto  più  volte  con  alcuni  che  non  me  sa  intendere,  dico 
quando  la  Santità  Soa  havrà  inteso  tutta  questa  mia  lettera,  me  rendo 
certo  che  quella  restarà  chiara  et  fuori  de  questo  dubio. 

Fin  qui  ho  dicto  in  resposta  de  quelle  cose  che  la  Santità  Soa  s  è 
lamentada  de  mt  :  bora  accadendo  assay  in  proposito,  me  parso  non 
tacere  questo  che  io  dirò  adesso,  non  per  querela,  ma  per  una  infor- 
matione  et  commemorationc.  Vivendo  la  recolenda  memoria  de  papa 
Pio,  la  Santità  Soa  ad  intercessione  del  prefato  IH.™**  Stg.*^  passato 
duca  Francesco,  conferite  labbadia  de  Sancto  Zohannc  de  Fiore  in 
Calabria  ad  uno  mio  ncpote  (i)t  et  fu  pronunciato  abb.ite  canonice 
in  pieno  consistono,  et  per  vigore  delle  bolle  fu  messo  alla  posses- 
sione, et  goldetela  pacificamente  per  el  spacio  de  tri  anni.  Sublaia 
autem  ex  humanis  la  Beatitudine  Soa,  dicto  mio  nepote  fu  levato  de 
facto  per  el  presente  pontìfice  da  la  possessione  ad  instantia  de  uno 
fra  Karlo  Sytaro,  quale  diceva  pretendere  bavere  certe  rason,  benebbi 
non  n  havessc  alcuna  in  dieta  abbadia, perchè  altre  volle  1  havcva  im- 
petrata falsamente  per  fiorini  cento,  donde  vale  seycento  vd  circa, 
per  il  che  fu  necessitato  ad  piatire  circa  anni  tri  o  quatro,  facendogli 
de  molte  ìojurìe  :  non  volendo  may  concedere  cosa  alcuna,  che  la 
rasonc  permettesse,  et  luy  et  tucti  quelli  de  casa  furono  scommani- 
cati  et  intcrdìcti  per  li  grandi  favori  che  faceva  Soa  Santità  ad  esso 
fra  Karlo.  Tandem  da  puoy  longo  litigio  et  dispendìo  è  stato  de  Ot- 
cessità  eh  esso  mio  nepote  habia  redemuto  la  rasane  soa  con  dinari 
dati  al  ndvcrsario  oltra  el  dispendio  grandissimo  et  strage  che  hit 
havuto.  Pure  ad  questo  prestò  patieniia,  veduto  quello  ha  facto  ad 


(r)  Il  nipote  dovrcbb'essere  Cesare  Prothospatharo,  di  Calabria, 
forse  figlio  di  Matteo,  fratello  di  Cicco  Simonetta,  e  che  quest'ultimo 
ricorda  nel  suo  Diario  (ms.  all'Archìvio  di  Stato  milanese)  ai  25  no- 
vembre 1475.  (V.  Reoaelu,  loc.  cii.,  I,  1829,  p.  176  in  nota  e  II, 
p.  267). 


T>aolo  II  e  il  Card,  ^'ario 


2£l 


quc5to  mìo  Signore  che  e  hormaì  cinque  o  scy  anni,  che  ha  tenuto 
in  pratichi  Soa  Signoria  per  labbadia  de  Chiaravale,  che  è  del  III.'"'' 
ei  Rev."^  monsg.'^  Ascinio  suo  fratello,  che  non  ha  anchora  potuto 
hivere  1  expedìtìone  de  le  bolle  de  dieta  abbadìa  per  supplicatione 
ni  per  Insuntia  che  habia  saputo  fare.  Siche  havendo  prestato  pa- 
tiama  Soa  Ex."%  non  pare  honesto  ad  mi  de  lamentare  :  el  poria  però 
«•ere  che  queste  cose  diete  de  sopra  sariano  facte  preter  scientiara 
et  volumjtem  de  Soa  Saniiii,  nondimancho  quanto  al  effecto.  come 
voglia  se  sia,  esso  mio  nepotc  ha  patito  lucii  questi  disturbi),  incom- 
rooiJi  et  dispendij.  Ma  per  certificare  la  Santità  Soa  né  por  questo  né 
per  Veruno  altro  rispccto,  per  mi  se  restarà  may  eh  io  non  facia  !  of- 
ficio de  vero  et  bon  servitore,  et  corno  deve  fare  ciascuno  fidele  chri- 
«uno  et  bon  catholico  verso  la  Santìti  Soa  et  Sanu  Chiesa,  in  tucte 
f^uetle  cose  che  accaderano  in  benefìcio  et  honorc  de  Soa  Santità  per 
quello  pocho  ch*io  posso,  con  reservatione  del  honore  et  debito  mio 
omo  è  dicto  de  sopra. 

In  questa  mia  lettera  poria  anche  essere  che  harebbe  dicto  qual- 
ar cosa  più  che  non  scria  al  bisogno.  Ma  me  confido  tanto  ne  la 
igniti  et  clementia  de  Soa  Santità  et  in  la  prudeniia  vostra,  che 
spor^ircti  questa  cosa  s\  saviamente  che  la  prefata  Santità  accepiarà 
•^gni  cosa  ad  bon  fine,  alli  pedi  de  la  quale  me  recommandereti 
liiitnclnientc. 

Dat  Papié  die  xvuii**  fabruarij   1471. 

Vester  CicHUS  manu  propria, 
f  Ibesus  autcm  transiens  per  medium  illorum  ìbat.  f 
[A  kr^o\.  Magnifico  et  prestantissimo  J.  U.  doctori  et  patri  hono- 
randl»''»*  domno  Antonio  de  Braeellis  consiliario  ei«.. 

Rome,  cito  (i). 


(')  Arch.  MìlanOj  Carteggio  diplomatico,  cartella  n.  331. 


*■-     »«<hiiT":r 


_     ^r     fT:!f^L     lui     JMTOnUU:    .•"JSZPTE/. 


-  ::  — .zrr  ^:^l:TOr^■  esiì  £  ri:-  rosso 

-  t'r^ti  -1  **ni  d  r'jsr^r  5.xnr*  cr^adc 
ctx    d  Tur*.:.  Sììct  IV.  1^  £  ii:  "-arte, 

-  -    ^  -  -     "e>c-:<J 


..-.._,  -.^,  ira 


'Paolo  II  e  il  Card.  1{ian'o 


263 


V  Rever."^**  cardinale  de  San  Sisto»  duro  me  &  parso  essere 
;ihc  li  significhi  tal  novella.  Pur  el  mio  debito  voi  cosi. 
m  signore   é   morto    cum  tale  contrìtione  usquc  a  1  ultimo 
le  sei  fosse  vìss^,  (iHssuto)  scraper  in   uno   hcrcmo,  io  non 
le  Ihavcsse  possuto  farne  più.  La  confessione  sua,  Sua  pre- 
•J^  non  una  volta  ma  omne  di  due  o  uè  volte  1  ha  voluta 
laraando  spesso   el   veschovo  de  Viterbo  et  adonundandoli 
ixidolo  chcl  pensasse  se  cosa  alchuna  el  se  recordasse  de  che 
havessc  così  ala  memoria.  De  la  comunione  non  bixognia 
'  la  tolse  cum  tale  parole  chcl  demostrò  reconosccrc  le  gratie 
la  Dio  et  La  fragilità  de  questo  mondo:  et  sei  stomachonon 
Ito  così  mal  disposto,  omne  matina  1  haverìa  fatto.  Poi  ve- 
streagerc  da  la  morte  chiamò  tutta  la  famiglia  et  parlò  a 
nandandoU  perdono  se  Sua  Rev.'"*Sig/"  may  li  havesse  fatto 
le,  et  pregandoli  che  quello  amore  che  haveano  portati  al 
3  volesseno  volgere  al  anima,  che  li  seria  più  caro.  Et  disse 
adapiava  volomera  ala  volontà  de  Dio,  et  uxò  queste  for- 
ole:  u  Cupio  dissolvi  et  esse  cum  Christou.  Solo  U  pesava  el 
ler  non  havere  possuto  demostrare  a  tutti  li  soy  amici  et  a 
ritiiri  gratitudine  de  la  loro  fede  et  fatiche,  ma  che  li  las- 
le  brazze  de  N.  Signore  che  facesse  quello  paresse  ala  sua 
t  ita  fecit.  Et  his  dictis  chiamolli  tutti  ad  uno  ad  uno  se- 
ordinem  et  baxolli  et  abrazoUì,  che  per  Dio,  Signore  mio, 
>ersona  che  non  li  schiattasse  ci  core.  Deinde  retomò  ala 
racomandandosi  a  Dio  la  strcngeva  dicendo  :  n  Domine  mi- 
ey.  Io  non  so  se  may  più  bavero  tempo  a  baxarti  ».  Post- 
mandò  el  ditto  veschovo  a  pregare  nostro  signore  che  ha- 
r  racomandato  el  Conte  Hyeronimo  et  che  lo  racomandasse 
Sig."',  et  tanto  più  quanto  sua  prefata  Rev."'  Sig/"*  non  ce 
.  Et  te  medesime  parole  ha  ditto  a  mi,  dicendo  in  me  ne 
piti  consolato  quanto  io  spero  che  1  amore  de!  Signore  ac- 
verso  el  conte,  manchandoli  io,  et  spero  che  Sua  Ex.*'*  se 
i  de  la  mia  servitù  et  affectìone  verso  quelle.  Et  molte  altre 
fatto  et  ditte  in  questo  ultimo  suo,  che  per  Dio  ha  demo- 
re  altro  che  quello  che  I  e  parso  vivente  et  che  altri  l  ha 
:o,  El  fino  al  ultimo  spirito,  ci  disse  tre  vohcj^su,  Jcsu,  mi- 
y  et  siandoli  Ietto  el  passio,  quando  ci  frate  che  lo  legeva 
ielle  parole  d  incìynato  capiti  emisit  spiriium,  cosi  luy  cmìsit 
spirìtura.  £1  nostro  Varixino  (i)  ha  demostro  in  questo  la 

aresino.  Forse  Carlo  Varesino,  famiglio  ducale,  il  cui  nome 
pesso  nei  documenti  sforzeschi  dtW Archivio  Milanese.  Nel 


affc  ^  ^iùrsx 


szs.  :=c  zsrr  3.  ;*s=rr  aix  3jrv^^  S^."**  s  imt  ^ma  ide  che 

'^t:*^     li  '■?^^'   s.T»'.:!.  j5E^  T-^^^  ^  nsoB  xsrresie:  ^p^yi^  oc- 


?<=.   ■  r*   '^   £:s=  .=.  Zr  ic=3i3ns      =5=1  rznxc  %:ilssL  i  qnoó 


IHg.    ina  >A3Jk3lCir5. 


-  'i^  jiitcìTi-ai   ;  . 


CI  Kcrau,  il  vescovo 
:£i  ciredra  titn  &re 


=r "e— rr;-^;i— :ri  :.-r  ir::r:r:-r^"i  l:i:v:jo  il  Moro  e  il  iuca 

:    7,  z:''.t   J. ::'_:".-  ?..ir.-  riid  i~t"x  sposata  Cjtterlna,  figlii 
Cir-rj'e  lil  Izc^  Jile^:-:  Mini  5::rzi   Veiì  l'elenco  delle  gioie 

e.  :i:  A  f.i''!'.  J-r-JT.;.. 

•^z»  A-:'-,  j-  i.---:.-  -V:--:.-.  ci-e^r'^  iir'.-rmjuco,  cartella  n.  401. 
(;>  Sui  lenir-  ir.  Jj-:. -i.-  .:";/.': -:j;;.v.  cirrelli  n.  400  (Archivio 

Milano) 


"Paolo  II  e  il  Card.  %iario  26$ 


ro  et  setta  (seta)  bellissime,  et  con  li  chiodeti  in  forma  de  rosete 
ate,  in  modo  è  una  bellissima  cosa  da  vedere,  et  bastarla  ben  al 
a  et  limperatore. Dice  che  gli  è  constata  ducati,  v*^.  doro.  Et  perchè 
1  cathedra  ha  un  pocbo  alto  el  sedere,  gli  ha  facto  fare  uno  sca- 
lo tutto  coperto  de  voluto  carmesino,  per  tenirlo  sotto  li  piedi. 

altra  ne  fa  fare  in  simile  mò  (modo),  et  de  medesimo  pretìo  ma 
irochato  sarà  morello.  K  ha  poy  molte  altre,  coperte  de  veluto  de 
ersi  colori  in  modo  è  cosa  maravigliosa  vedere  li  ornamenti  ha 

casa. 

Emilio  Motta. 


G.  Tomassetti 


léy 


DELLA  CAMPAGNA  ROMANA 


(Conti nuazione.  vedi  peg.  i6i). 


Le  raeraorie  antiche  del  suolo  intermedio  alle  vie  Pia- 
ciana  e  Salaria  spettano  quasi  intieramente  alia  epigrafia; 
poiché  vi  si  sono  scoperte,  in  ogni  tempo,  numerose  tombe 
con  iscrizioni  (i). 

Le  memorie  del  medio  evo  si  coUegano  in  parte  alle 
etiliche.  Infatti,  avendo  per  esempio  già  veduto  le  memorie 


(i)  Sono  tutte  riportate  nel  C.  /.  L,  nel  voi.  VI,  e  son   troppe 
perche  io  possa  noverarle:  stanno  adesso  in  gran  p;irte  nel  giardino 
Aldobrandini  sul  Quirinale.  Le  vigne  Nari»  Pelucchi  e   dei   Dome- 
^cani  furono  miniere  di  epigrafi  (Fea,  Mìscàìì.,  I,  pp,  148,  149;  II, 
P-  161,  Venuti.  Marmora  Albana,  p.  37,  Viconotii, de ìunns.p.  il  j»  ctc; 
^-  cìt,  2501   a  2986,  8408,  8516.  7845  a  7986).  In  quella  Nari  ab- 
IJondarooo  le  militari,  oltre  libenì  dei  Vii^tUii  e  degli  Ottavii,  il  mo- 
numento dei    Palanca  e,  nella  vigna  già  Del  Cinque,  le  lapidi  dei 
Caninii  (C.  cit.  7987-7996)    Recentemente,  nelle  moderne  fabbrica- 
I  *ioni,  se  ne  sono  trovale  ancora  molte  (cf.  NotiiU  de^^U  scavi,  1886, 
ipP-  i6t>,  328,  364,  420,  454;  1887,  pp.  ai,  74,  118,  147).  Dopo  circa 
'  metri,  in  direzione  della  5*  torre  delle  mura  a  sinistra  della  porta 
Salina,  sono  apparse  le  rovine  del  mausoleo  di  «  M.  lunius  Menander 
(scriba  lìbr.  aed.  cur.  princeps  et  q.  »   {Buli  Com.,  1886,  p.  371). 
Lcsisten^a  di  un  a^er  yolusii  Basilidis  ientthis  (sic)  ab  urbe  parie  sini' 
Jtra  lulla  via  Salaria  6  indicata  da  una  iscrizione  (Wilmanns,  n.  310), 
Von  mancarono  in  questa  contrada  epigrafi  cristiane,  come  quella  di- 
■  Hireneus  v.  e.  et  Albinus  e.  p.  »  nella  vigna  dei  Domenicani  (Set- 
TTLE,  mss.  presso  il  come  Aless.  Moroni,  n°  16}. 


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S-Dr  Girvinn 


zz.zi  l':r,:    r:>:r  d  FORMA 

:'.:  Anirti  e  colli  vìi  publici, 
1--^.-  ci::-ce  iella  quarti  pane 

i  i:;.:-::  ^  il  -=  ci-estro  p:eno  i:  ava  a  favore 
Are*:.  5.  Si*.".  :ì>c.  .;» 

C:'rr.-i  riic;?;.  e:c-  nel  1570  presu  il  consenso 


i  un  rivo;  ciò  che  serve   ad  illustrare   anche  il 

CapUiniamim,  5.  Columba  e  Formcllum  sono 
luoghi  che  succcdevansi  dal  declivio  dei  Parioìi 
pianura  del  ponte  Salario.  Il  Galletti  ne  ha  trai- 
he  li  vide  nei  documenti  di  Farfa  (i),  ma  non  ne 
il  sito,  che  mi  pare  evidente,  dopo  ciò  che  già 
accennato,  in  proposito  delle  scpUm  palumbae  e 
Cocunuris.  Il  documento  Farfense  688  determina 
ui  di  S.  Colomba  ed  annessi /orii  pontcm  Salarititn 
rbe  Roma  passuum;  ma  deve  intendersi  del  fondo, 
aa  Salaria  nuova.  Associando  i  nomi  Farfensi  con 
;  io  trovo  in  un  documento  di  S.  Silv.  del  1258 
;ompendi),  vale  a  dire  :  chiesa  di  S.  Filippo  (super- 
ira  nella  discesa  dei  Parioìi),  S.  Columba,  fossato, 
ium  e  massa  de  vestiario  dominico,  mi  convinco  che 
lello  stesso  gruppo  di  fondi,  e  che  essi  occupavano 
isccsa  suddetta  fino  al  ponte  ed  anche  forse  oltre 
Sembra  opporsi  a  questa  ipotesi  il  facto  che  la 
esistente  nel  bivio  dei  Parioìi  e  dedicata  a  S.  Fi- 
'i;  e  v'è  anche  la  tradizione,  presso  quei  contadini, 
)esso  il  Neri  si  recasse  a  pregare:  cosa  verosimile 
Neri  frequentava  le  catacombe  cristiane,  e  colà  ve 
Tuttavia  il  nome  di  S.  Filippo  del  documento  Sil- 
!:  di  quasi  300  anni  più  antico  del  Neri;  forse 
lava  a  venerare  l'omonimo  antico  santo  apostolo; 
pò  egli  quivi,  come  altri  altrove,  ha  scacciato  il 
chio.  Ciò  che  priacipalmente  deve  notarsi  fin  da 


I  fatta  da  Martino  dì  Cola  della  reg.  Colonna  a  Petro  di 
ia  Tivoli  di  due  pezze  di  terreno  situato  in  Roma  fuori 
\na  nel  luogo  detto  FORMA  CORNELLA.  Contini:  beni 
>  del  Giudice^di  Paolo  Panetosto  e  colla  vìa  public^,  salvo 
-risposta  della  4*  parte  di  mosto  mondo  e  di  un  canestro 
II.  di  S.  Silv.,  fase.  26). 
.LETTI,  Gahio  in  Sabina,  p.  128. 

iodeilt  R,  Società  romana  dì  ttoria  patria.  Voi.  XI.  1 9 


À 


270 


G.  Tomasseiii 


ora  si  è  U  coincidenza  dei  aomi  Capiti^nano  e  5.  Colmha 
in  due  btìfondi  assai  lootani,  confinanti  col  territorio  di 
Monifrotmido  e  di  StetiUuui,  che  vedremo  al  loro  luogo. 
L*esserTÌ  unito  anche  il  nome  di  5.  Stepharius  dimostra  che 
quel  gruppo  spettava  pure  alla  chiesa  di  S.  Silvestro,  gii 
S.  Stefano  ;  ed  in  tal  modo  si  spiega  ancora  b  ripetizione 
dei  nomi  suddetti  (i). 

(i)  Ancora  mu  nota  archeologica  salta  zona  Pinciana  dei  P^* 
noli.  Neil*  intemo  di  questa  collina  scorre  l'acqua  Verpnt,  che  qoioii 
passa  nella  villa  di  Giulio  HI,  donde  ritorna  per  Muro  torio  nel  monte 
Pincio.  Sappiamo  anzi  che  questo  speco  romano  dei  Parioli  venne 
mutato  ossia  raccorciato  da  Mario  Frangipani  e  Rutilio  Alberini  sci 
secolo  XVI  (Cassio  ALS.,Corso  dcOc  ac^ut  antUb*,  l,  p.  1^6).  1  coti 
sotterranei  delle  acque  erano  da^E  antichi  additati  sopra  tem  eoo 
cippi  scrìtti,  distanti  un  ùt^gro  tra  loro.  Nel  C.  L  L.  VI  sono  ripor- 
tati tre  cippi  iugerali  dell'acqua  Vergine,  l'uno  d*  ignota  provcnicnn. 
Tattro  della  villa  Medici»  il  terzo  a  Mmv  torto.  Vinca  Valliua  seconJo 
il  FABxrm  {Imscr.,  pag.  66t\  Osservo  primieramente  che  la  vigw 
Vjlle  non  era  a  Muro  torto  ma  sui  Parioli,  vicina  a  5.  Filippa,  i  tut- 
tora può  vedersi  il  nome  sol  cancello  CAROLVS  VALLIVS,  e  cor- 
risponde alla  \Sgna  dà  j  ùroh^i  di  S.  A.  il  principe  Orsini,  Riswbr- 
lita  questa  coincidenza,  qael  cippo  collima  benìssimo  con  oa  ^^ 
sfuggito  Agli  autori  del  Corpus,  e  che  io  trascrissi  nel  XS75  oelU 
parte  esterna  del  muro  della  vigna  ora  Telfcner,  ove  tuttora  si  vede 
Lo  lessi  con  molta  difficolti  per  essere  in  travertino  e  molto  correo; 
e  lo  pubblico  ora  più  esattamente  che  VEpbtmtris  epigrapbica  (tWi^^^ 

VIRG 

TI  •  C  LAVO  I VS 
5      DRVSI    F  -   CAESAR 
fi      A VG-  G  E  R" ~;XIC VS 

PONTÌFEX€?M  A  X  1 M  V  S 

TRIBVNICPOTESTAT-nn 

(rie)  cosu\  iMP  vm     p  p 

XLV  P    CCXX 

È  importante  pel  numero  XLV  a  sinistri,  oltre  quello  ordinaria 
dei  CCXX  piedi,  ch'c  la  distanza  dì  un  cippo  air  altro.  Se  ì  cÀf^ 
ebbero  un  numero  progressivo  dalla  foce  dell'acqua  in  città  il  wì 


Iklla  Campagna  ^^pmana 


271 


iche  vi  possedeva  parecchi  fondi.  I  documenti  relativi 

^o  al  1040  (t). 

bm,  4.     Da  un  atto  di  S.  Silvestro  del  1258,  ove  si 

del  casale  massa  de  vestiario  dominico, 
tim.  j.     Da  un  atto  di  S.  Silv-  del  1330:  essendovi 
Wnfinanti  il  monistero  di  S.  Agnese,  suppongo  che 
>  luogo  stesse  sulla  via  Salaria,  e  che  il  nome  di  via 
}M  vi  sia  stato  apposto  erroneamente  ;  perciò  vi  ho 
(Ito  nell'elenco  il  segno  dubitativo  (?). 
bm.  6.     Ne  ho  discorso  teste,  prima  dell'elenco. 
m,  7.     Da  un  atto  del  i2<>8,  di  S.  Silv.  Sul  monte 
era  naturale  questa  denominazione  dal  possessore. 
anche  la  fiotta  di  5.  Silvestro, 
am.  8-     Da  un  atto  di  S.  Silv.  del   1321.  Veggasi  il 
11.  Si  tratta  di  nota  famiglia  romana.  Un  fondo  posto 
fiam  ruptam  è  ricordato  con  un  altro  posto  ad  5.  f/ipr- 
L  altro  nome  cimiteriale  antico,  in    una    pergamena 
Silv.  del  1 172;  ed  altre  vigne  ad  5.  Hermetetrt  in  altra 
ena  del  1198. 

m.  9.  L'antichiti  di  questo  nome  rilevasi  dalle 
i  Agapito  II  e  di  Giovanni  XII  (2);  e  la  perma- 
di  esso  da  atti  di  S.  Lorenzo  in  Panispema  del  1284 
É4)  e  di  S.  Silv.  del  1356,  del  1388  e  del  1400,  tro- 
fei tra  gli  enfitetui  di  S.Silv.  un  Oddone  di  Lamentarla 
lente  in  Gorgini  (lib.  dei  compendi). 
um.  IO.  Da  documento  Capitolino  del  1385  (notaio 
rflus  Stephani  de  Caputgallis)  riguardante  una  vigna 

15  non  é  eccessivo  per  un  cippo  quasi  alle  pocte  di  essa  ?  In- 
irebbe  forse  conveniente  se  la  numerazione  incominciava  dalla 
te.  Rimetto  la  discussione  ad  altro  scritto,  come  ancora  la  prova 
Mata  del  cippo  debba  essere  l'anno  45  dell'ara  volgare. 

Cod.  Vat.  8048,  f.  mod.  23,  119;  CoJ.  Vat  8049,  ^-  "*o<^-  5^» 

73i  135»  145- 

Marxki,  Papiri,  pp.  39,  46. 


2J2 


Gn  Tomassetti 


di  S-  M.  in  Campo  Marzio  txtra  portam  Pincianam  -  al  vkoh 
dclli  Porcari  ~  Me  lo  partecipò  il  eh,  signor  Leone  Nor* 
doni.  Non  è  il  solo  possesso  di  questa  celebre  famiglia  io 
quesu  pane  della  campagna  romano.  Sulla  \na  Nomenuoa 
ne  vedremo  un  altro. 


Num.  II. 
compendi), 
Num.  12. 
Num.  13 


Da  un  ano  di  S.  Silv.  del   1236  (lib.  àcì 


Da  un  atro  di  S.  Silv,  del  1350  ^vi). 
Da  documento  Capitolino  (noi-  Bem.  Ca- 
putgallis,  del  147^  riguardante  una  vigna  di  S.  Agnese  affit- 
tata ad  un  Cola  Mansi)  comunicatomi  dal  signor  L  Nir- 
doni;  e  dal  testamento  di  Geronima  Pierleoni  vedoTi 
Cardelli,  nell'archivio  di  S.  M,  in  Campo  Marzio,  donde 
rilevasi  che  Ritozza  Pierleoni,  sua  madre,  vi  possedette 
una  vigna  confinante  colla  via  publica  (Pinciana)  e  àt 
questo  luogo  S.  Saturninus  non  doveva  distar  molto  dalle 
mura  (i). 

Num.  14.  Luogo  già  ricordato  nel  clivus  Ctuuttiais 
delle  fonti  cimiteriali.  Argiùsco  che  fosse,  come  ho  accen- 
nato di  sopra,  derivato  da  un  pinnacolo  monumentale,  per- 
chè negli  atti  di  S.  Silv.  del  1312,  1313,  1354  trovo  iain- 
dicazione  irullum  Cocuimrìs  e  trullo  Cocummurio  (lib.  ^^ 
compendi);  ed  in  un  documento  Capitolino  (not.  Caput" 
gallis)  del  1476,  indicatomi  dal  signor  L.  Nardoni,  1** 
trovo  segnato  turrc  Cocumero  (è  una  vendita  di  vigna  d*' 
mon.  di  S.  Agnese  ad  un  Sante  Angelucci). 

Num.  15.  La  Vaìk  o  lo  Falloj  è  indicato  in  un  docu- 
mento di  S.  Silv.  del  1355  (fase.  23)  e  in  uno  del  1588 
(fase.  26)- 

Num.  16.  Da  un  atto  di  S,  Silv.  del  1255  (lib.  dei 
compendi).  11  fondo  relativo  confinava  per  tre  lati  colU 
via  publica, 

Num.  17.     Da  un  atto  di  S.  Silv.  del  125 1  O^'O- 


(1)  Cf.  Cod.  Vat.  7951,  f.  mod.  95  sg. 


^Della  Campagna  Ternana 


273 


18.  Da  un  atto  Capitolino  (not.  Petrus  laco- 
e  Caputgallis)  del  14^3  favoritomi  dal  signor  L,  Nar- 
Doveva  essere  \ndna  all'^mVw*,  perchè  spettava  al- 
iale de'  55.  Sanctorum  ;  e  questo  fu  proprietario  fino  ai 
giorni  della  tenuta  di  ponte  Salario* 
fm.  19.  Da  più  atti  di  S.  Silv.  Nel  più  antico, 
i8,  sì  legge  piscina  de  Io.  LavianOj  in  altro  del  11 98 
Ito  piscina  soltanto,  in  uno  del  12 14  valle  de  Pi- 
(lib.  dei  compendi).  L'origine  aquaria  del  nome  è  evi- 


km.  20.     In  un  atto  di  S.  Silv.  del   13 12  è  scritto 
tota,  in  uno  del   1322   Fanparola,  in  uno  del   1370 
$rola  (Inventario  di  S.  Silv.  e  fase.  23). 
|m.  21.     Da  documento  Capitolino  (not.  Petrus  de 
fallis)  del  1455  indicatomi  dal  signor  L.  Nardoni. 

conclusione,  il  suolo  Pinciano  era  nel  medio  evo 
agnato  e  solcato  da  rivi  e  viottoli   vicinali,  come 
'dai  documenti;  e  terminava  nella  gran  pianura  del 
ialario  suWÀnivfie. 
ima  di  riprendere  1*  itinerario  dalle  due  porte  Nomen- 

Salaria,  per  le  due  vie  principali,  dirò  che  i  fondi 
m  queste  vie,  i  quali  appartennero,  nel  medio  evo, 
biesa  romana,  formavano  parte  del  patrimonium  Sa- 
»o  Savinense,  uno  dei  cospicui  patrimoni,  ma  meno 
p  quello  della  Tuscia. 

nome  classico  della  regione  Sabina  dominò  adunque 
aminisu-azione  della  romana  curia  per  tutto  il  medio 
;).  Quali  fossero  i  confini  del  patrimonio  Sabinense, 
£1  raggio  delie  50  miglia  che  io  mi  propongo  d'illu- 

non  è  facile  il  definire.  Le  fonti  diplomatiche  pon- 


Sì  mantenne  anche  nel  secolo  xvi  nelle  amministrazioni  reli- 
i  un  atto  del  1585  deirarchivio  di  S.  Silvestro  in  capite,  riguar- 
\  tenuta  dì  Malpasso  presso  il  ponte  Salario,  essa  è  indicata  nel 
p  Sabirust  (Archivio  di  Stato,  Uh.  imtrum.  5.  Siìv.). 


274 


G.  Tomassetti 


tifide  antichissime  non  esprimono  gli  escremi  geografici 
con  tale  accuratezza,  che  se  ne  possa  ritrarre  molta  luce. 
Sembra  certo  che  da  questa  parte  fossero  i  patrimonia 
suburbani  cosi  ordinati  ; 


pstrìm. 
Ttueiae 


patri  m. 
Sabinense 


patrlm. 
Titurtinum 


patiim. 
Labicanense 


Apphie 


I 


Secondo  le  lettere  di  Adriano  I  (i)  e  il  diploma  di  Lu- 
dovico il  Pio,  Carlomagno  concesse  il  territorio  Sabinense 
a  s.  Pietro  e  successori,  e  pose  i  limiti  fra  i  Reatini  ed  i 
Sabini  (2).  Perciò  su  questa  suddivisione  dell'antico  terri- 
ritorio  Sabino  io  vorrei  appoggiare  una  congettura,  che^ 
cioè,  nel  noto  elenco  dei  patrimoni  ecclesiastici  dato  n€ 
sinodo  Ravennate,  dopo  il  Traiectatium,  il  Tluatinun 
essendovi  la  voce  titrumqtu  che  precede  il  Sabinense^ 
questa  potesse  piuaosco  attribuirsi  al  medesimo  Sabinense^ 
che  al  Traiectanum,  come  invece  sembrò  al  Zaccaria. 
Non  veggo  infatti  la  ragione  per  una  duplicità  del  ter- 
ritorio Traiettano,  mentre  ho  ricordato  quella  del  Sabi- 
nense (3).  Comunque  sia  stato  diviso,  era  certamente  un 
patrimonio  assai  ricco  nei  primi  secoli  del  medio  evo;  ed 
oltre  a  numerosi  fondi  amministrati  dalla  curia  pontificia, 

(i)  Cenni,  Monum.  dom.  poni.  I,  p.  ^84.  ^H 

(2)  Zaccaria,  De  rebus  ad  hist.  ecd.  peri.  de.  II,  p.  152.  ^^ 

(3)  Il  GREGOROVn;5(5/.<ft/?.  mi  m.  e.  V,  6,  $   i)  legge  in  modo  il 
pisso  del  sinodo  Ravennate  da  intendere  compresi  i  due  tcrritorì  Tìhur^M 
tinum  e  Tfuatitmm  dentro  il  Sahimns£.  Ma  ciò  mi  sembra  improbabilci^l 
si  perchè  converrebbe  leggere  Reatinum  invece  di  Theaiinum,  giacché 
non  poirebbero  associarsi  Tivoli  e  Chieti;  %\  ancora  perchè   v'  ù  di 
mezto  il  TraiccUinum,  Quanto  poi  alla  promiscua  intitolazione  ch'ebbe 

la  Sabina,  nelle  lettere  pontifìcie,  à\  pairimonium  e  Urritorium,  notata 
già  dal  Cenni  (1.  cii.)  dirò  che  Tuna  6  voce  di  ordine  economico, 
Valtra  di  ordine  geografico  ;  ma  l'associazione  geografica  essendo  la 
base  deiramminiscraiionc,  deve  sempre  aversi  presente  nella   interi 


T>ella  Campagna  /Romana 


275 


a€  conteneva  molti  di  S.  Silvestro,  di  S.  Griaco  e  special- 
mente del  famoso  cenobio  Farfense,  le  cui  memorie  ci  ser- 
vono di  guida  in  gran  parte  del  nostro  viaggio. 

Il  suolo  attiguo  alle  due  vie  principali,  nell'età  antica, 
fu  occupato  da  suburbatta,  0  luoghi  di  temporanea  dimora, 
in  gran  parte  forniti  delle  consuete  tombe,  le  cui  memorie 
tornarono  e  tornano  alla  luce  (i).  La  villa  Pain:(i,  aggre- 
galo gii  di  più  vigne  di  privati,  che  possono  vedersi  nella 
pm\a  del  Bufalini,  a  destra  della  via  Noraentana;  le  vigne 
a  sinistra,  gii  Capizucchi,  Lancellotti,  Pitoni,  Pasquali, 
tutte  scomparse  e  trasformate  ora  in  moderni  caseggiati, 
contenevano  ruderi  dì  portici,  di  sepolcri,  di  muri  d'ogni 
«ti.  Le  vigne  Accoraraboni,Ercolanied  Orsi  furono  compe- 
nte dal  card.  Alessandro  Albani,  e  tramutate  in  quella  splenr 
iliJa  non  meno  che  deliziosa  signoria,  eh'  è  la  sua  villa,  ora 
del  principe  Torlonia,  la  sola  scampata  finora  nel  rinnova- 
mento generale  (2).  Ma  questo  ha  servito,  in  occasione  dei 


p^eUzionc  del  testi.  Infatti  nello  stesso  patrimonio  Tiburiino  abbiamo 
^  Massa  Sabìrunsis  contenente  otto  fondi,  il  cui  nome  geografìco 
5*  oppone  aireconomico;  ma  si  spiega  facilmente  per  la  vicinanza. 
Coj)  iroviamo  che  sotto  Gregorio  Magno  il  territorio  CarsioUiano  era 
compreso  neiramminìstrazione  della  Sabina,  percliè  paese  confinante; 
®5  non  si  potrebbe  dire  altrettanto  di  Rieti  e  di  Tractto.  Cosi  pari- 
'^icnti  troviamo  che  nel  secondo  medio  evo,  cioè  nel  secolo  xiv, 
Ittando  diminuiva  grandemente  la  importanza  statistica  e  polìtica 
^**h  regione  Sabina,  che  decade  insensibilmente  sempre,  e  cresceva 
**  contrario  quella  della  Tuscia,  il  rettore  del  patrivionium  Tusciac, 
^'*r«  il  meno  lontano  ed  il  più  potente,  riceveva  Tappello  quale 
*•■«)  Sabifumis  (Theiner,  Coàcx  dipi.  Il,  p.  94  ed  altrove). 

(0  Ad  un  trar  di  pietra  della  porta  Noraentana  fu  scoperta  la 
«pidc  arcaica  pregevolissima  di  L.  Aunlim  Hermia  ìanius  de  colle 
^'•■ÙMi/i  (C.  /.  L.  I,  loii);  poco  lungi,  il  cippo  importante  di  Caì- 

pvnia  fUas   Eborensis  (C  cit.    VI,    i.p}4),  ov'era  In  vigna  Giani,  a 

sinistri. 

(2)  Questa  ricchissima  raccolta  di  antichità  greche  e  romane  ed 

Kocon  egizie,  quantunque  in  parte  impoverita,  alla  quale  ha  recente- 

sente  il  principe  Torlonia  aggiunto  un  museo  di  gessi,  per  lo  studio 


lavori  necessari,  a  farci  conoscere  molte  particolariU  Jel 
suolo  antico  (i).  Di  tutte  le  scoperte  avvenute  nel  primo 
tratto  della  via  Salaria,  nel  tempo  decorso  (2)  e  nell'odierno, 
principale  si  è  quella  del  mausoleo  rotondo  di  M,  hicilius 
Patìtts,  di  34  metri  di  diametro,  apparso  nella  villa  Effiont, 

deirarte  antica  figurata,  è  stata  illustrata  in  opere  numerose  del  Wiu- 
ckelmann,  del  Zocga,  del  Visconti,  del  Morcelli  e  di  altri  archeologi 
Le  monografìe  speciali,  che  riguardano  la  collezione  Albani-Torìo- 
nia,  sono: 

Venuti  Rodulfiko,  Marmora  Albana  sivt  in  duas  inscriptiom^ 
diatorias,  etc.  conjectunu.  Romae,  17^6. 

Marini  Gaetano,  Jscri-^ioni  antichó  dille  vilU  e  d^'pala^  Aì^^^t 
raccolte  e  pubblicaU  con  noU.  Roma,  178$.  (Contiene  anche  le  i^cn- 
zìoni  delle  altre  case  Albani). 

Anonimo  (Fea  Carlo),  Indicaiìotu  antiquaria  per  la  vHìa  ai^ 
batta  dcìVecc'^'  casa  Albani,  ed.  2*.  Roma,  1803. 

BuNSEN  in  Beschreibuug  der  Staàt  /Ifow.  Stuttgart  und  Tùbiugen,  l8ì*' 
III  b.,  p.  4J5  e  sgg. 

Morcelli-Fea-Visconti.  La  villa  Albani  ora  Torlonia  itof»*'*' 
ed.  2".  Roma,  1869. 

(i)  Una  via  normale  alla  Koraentana,  oltre  le  tracce  dì  qucs^ 
è  stata  scoperta  nell'area  già  Patrìzi  (\ot.  Scavi  1886,  pp.  52  e  SJ)' 
Importante  vi  è  stata  la  scoperta  del  sepolcro  ante-augusifro  dei  Ra^^* 
(ivi,  p.  1)6),  dì  Z..  Laevius  Asiaticus,  dei  Munatìi,  di  C.  Clodius  Di^f 
sius,  ecc.  (pp.  160,  209  e  255).  Altre  scoperte  ivi  registrano  le  S^^ 
cit.  (1887,  p.  328).  V'erano  anche  sepolcri  cristiani,  noti  da  quaJ^^^ 
tempo  (De  Rossi,  Bull  1868,  p.  32),  e  il  cimitero  di  S.  Nicomed^ 
che  possedette  un  hortùellum  im  via  Nomentana  secondo  gli  atti  n^ 
Bollandìsti. 

(2)  Tra  le  lapidi  esistenti  già  nella  vigna  Gangalandi,  poi  Delli 
Porta,  contigua  già  alla  villa  Albani,  vi  è  quella  proveniente  d$ìjoni 
boario  (De  Rossi,  Ara  Massima,  p.  14).  Anche  di  recente  sì  è  troviti 
vicino  alla  porca  Salaria  un'  importante  lapide  di  provenienza  urbana 
(.Vo/.  cit.  1885,  p.  476),  Nei  prati  già  degli  Aotonìani  francesi  di  Vienne, 
contigui  anch'essi  alla  villa  Albani,  poi  vigna  Carcano,  fu  scoperto 
il  rilievo  dì  Euripide,  ora  nel  museo  Albani,  duivi  era  U  cimitero 
di  Massimo    ad   sanctam    Felicitatem ,    e    l'aveva   già   determinato  il 
De  Rossi;  e  le  odierne  scoperte  Thanno  confermato.  Tra  queste v* è 
un  dipinto  rappresentante  S.  Felicità  coi  sette  figliuoli  (cf.  De  Rossi, 
BulL  iS8s,  p.  149). 


*Z)e//a  Campagna  Romana 


277 


adiranno  1883,  dagli  archeologi  descritto,  ma  non  ancora 
pubblicato  con  disegni  (i).  Auguriamoci  che  sia  conser- 
vato per  l'avvenire;  poiché  per  TeiA  e  per  la  forma  esso  è 
degno  confronto,  nella  campagna  romana,  di  quelli  di  Me- 
tella  e  di  Cotta  sulla  via  Appia.  Nel  coperchio  di  un  sar- 
cofago ritrovato  presso  il  monumento  è  inciso: 

^  PETRO  -  LILLVTI   PAVLO 

che  significa  aver  questo  sarcofago  servito  di  tomba  ad 
un  ?iclro  Paolo  Lillnti  nel  medio  evo  (2). 

Tra  le  vie  Nomentana  e  Salaria,  in  questo  primo  tronco 
quasi  parallele,  si  estende  una  valletta  profonda,  che  si  può 
limitare,  verso  Roma,  dal  cosi  detto  vicolo  Jlberoni^  e  verso 
la  campagna  dal  vicolo  di  S,  Apiese,  due  viottoli  che  con- 
giungono  le  due  vie  da  questo  punto  fino  alla  valle  del- 
l'Anicnc.  Nel  fondo  della  valletta  corre  la  così  detta  mar- 
''ana  di  5.  Apìcse  che  sbocca  ncW Amene  quasi  ad  eguai 
distanza  dai  due  ponti  NomctJtano  e  Salano,  Questa  val- 
letta ha  pur  essa  la  sua  storia  :  vi  si  rinvennero  vestigia 
^  fortificazioni  arcaiche  simili  a  quelle  dell'^^^^r^  di  Servio 
Tullio,  e  relitti  di  terrecotte  pure  arcaiche  (3).  Da  un 
documento  Tiburtino  del  982  rilevasi  che  ebbe  nome  agcr 
^tlisciy  nome  arcaico  significante  palude  ed  acqua  in  ge- 


^■(0  Cf.  Net.  cit.  i88>,  pp.  189»  225  e  25r.  1886,  pp.  54,  209  e  23  j. 
^i  si  SODO  rinvenuti  attorno  sepolcri  numerosi  con  quasi  200  tra  iscri- 
'»ooi  e  frammenti  di  eli  posteriore  all'augustéa,  eh'  è  quella  del 
"^ujolco.  L'interno  dì  questo  si  è  trovato  scavato,  adoperato  per 
tómbe  cristiane  e  sconvolto  in  età  moderna. 

(2)  Un^uhima  notizia  epigrafica  su  cotesto  sito,  ov'era  nel  se- 
Cob  xvix  U  vigna  Buratti,  già  dei  Gavottì,  In  un  gradino  della  casa 
Ad  giardiniere  lesse  il  p.  Lupi  un  importante  frammento  relativo  al 

ttumonununti  {Disserta^,  ed.  Zaccaria,  II,  p.  167). 

(j)  Le  rinvenne  il  cav.  Michele  Stef.  De  Rossi  nell'orlo  di  que- 

yto  cratere  (vigna  Crostarosa).  Cf.  Bull.  Comwialc  188},  p.  256.  Era 

dunque  un   sito  fortificato  attorno   come  prossimo  tanto  alla  città, 

luanto  a  nemici  pericolosi  neirantichissima  età. 


278 


e  Tomassciti 


nere  (i).  Al  qual  nome  fa  egregio  riscontro  Taltro  di  ad 
caprcam  dato  allo  stesso  luogo  in  una  iscrizione  cristiana 
relativa  al  coemeteritim  maius^  ch'era  costi,  e  precisamente 
YOstrìanum,  presso  S.  Agnese,  decorato  della  leggenda  ubi 
Petrus  bapti:^abat,  perciò  principalissirao  nelle  tradizioni 
religiose  di  Roma  (2).  Altro  riscontro  rileviamo  dalla  in- 
titolazione ad  nymphas  (forse  anche  lymphas)  del  suddetto 
cimitero  nelle  fonti  storiche  relative  (3). 

Sul  margine  destro  di  questa  valle,  doò  sulla  via  No- 
mentana,  abbiamo  a  sinistra  la  villa  già  Alberoni,  la  vigna 
Nataletti,  la  vigna  Casalini  e  poi  le  monumentali  chiese 
di  S.  Agnese  e  S.  Costanza;  a  destra  la  villa  Lucernari,  ora 
ridotta  a  viUi?n,  la  villa  Torlonia  (gii  in  parte  Lucernari) 
in  questo  secolo  adornata  con  opere  monumentali  dall'ora 
estinto  principe  D.  Alessandro  (4),  le  ville  Mirafiori  gii 
Lepri,  Ferrari  e  Malatesta,  e  le  vigne  Lezzani  e  De  Solis. 


(i)  Brczza  L.  in  Bull*  del  De  Rossi  1882,  p.  96. 

(2)  De  Rossi  in  Bull,  Ccmun,  1885,  p.  234  e  sgg.  Questa  notizia 
ha  servito  al  De  Rossi  per  abbattere  la  vecchia  opinione,  che  la  pa- 
lude Capredj  ove  si  disse  scomparso  Romolo,  fosse  nel  campo  Marzio 
(presso  il  Pantheon),  e  per  supporta  nella  valle  dì  S.  Agnese.  Ci  sem* 
bra  persuasivo  il  suo  ragionamento  nel  campo  letterario,  ossia  delle 
fonti.  Anche  la  storia,  per  quanto  oscurata  dalle  leggende,  ci  può 
far  balenare  uno  scontro  fra  Sabini  e  Latini  suUa  x-ia  \omcmana, 
teguUo  dalla  scomparsa  di  Romolo  e  dalla  elezione  del  secondo  re 
sabino.  Anche  la  corrì^ipondenza  topografica  del  tempio  di  Quirino, 
sul  colle  omonimo,  colla  via  Nomcntana  non  ci  sembra  estranea  a 
questo  fallo. 

(3)  De  Rossi,  Bull.  A.  CrisL  1876,  p.  150;  AnuaxsìnM^  Scoptrta 
dilla  cripta  di  s.  EmertHiiana,  Roma,  1877,  p.  11. 

(4)  Tra  le  magnifiche  opere  dal  principe  Torlonia  fatte  eseguire 
nella  sua  villa  Nomentana  si  veggono  1  due  obelischi  in  onore  di  suo 
padre  D.  Giovanni  e  dì  Anna  Maria  Sforza  sua  madre,  fatti  tagliare 
nelle  cave  di  Baiato,  trasportare  per  acqua  fino  all'Aniene,  cioi  alla 
prossima  riva  di  Stucopoitore,  colPopera  del  comm.  Cìaldi,  nel  18)9; 
ed  incisevi  le  iscrizioni  geroglifiche  detute  dal  p.  UngarclU,  fìoal- 
mente  innalzati  coiropera  del  Carnevali.  Cf.  Pignotti  Leonini  Am- 


^ella  Campagna  Q^mana 


279 


Sul  margine  sinistro  della  valle  medesima,  cioè  sulla 
via  Salaria,  abbiamo  le  vigne  gii  Della  Porta  e  Filoma- 
rino, che  fronteggiano  la  villa  già  Potenziani  ora  Telfener. 
Anche  in  questa  parte  della  via,  la  contrada  è  stata  ricca. 
di  epigrafi  sepolcrali,  in  occasione  dei  lavori  edilizi  quivi 
lescguiti  (1).  Nel  primo  medio  evo  fii  abitata  questa  re- 
gione; come  rilevasi  dalla  notizia  della  basilica  di  S»  Fe- 
gati quivi  esistente  nel  secolo  quinto,  quando  veniva  da 
Bonifaao  I  fomiu  di  suppellettili,  e  quindi  doveva  esser 
Ércquentata  (2). 

(Conùnua) 

G.    TOMASSETTI. 


I  TOKIO,  Gli  oheUschi  eretti  nelìa  villa  sulla  via  Nomeniana  del  principe 
\^-AUssanàro  Torlonia,  Roma»  1842  ;  Gasparoni  Francesco,  Sugli 
pWucH  Torlonia  nella  villa  Nomentana,  ragionamento  slot. -critico, 
Roma,  1842.  Una  medaglia  incisa  dal  Gìrometti  t  fregiata  di  epigrafe 
"Sellala  dal  p,  Marchi  è  pure  monumento  di  questo  fatto,  che  deliziò 
il  popolo  romano  nell'anno  1840»  e  forni  occasione  a  poeti,  letterati 
*  (iucgnatori  per  farsi  onore.  Un  sonetto  del  Visconti  (Pietro  Ercole), 
«uaico  del  principe,  porgeva  il  confronto  degli  obelischi  egizi  in 
Hotna,  trofei  di  battaglie,  e  questi,  simboli  d'amor  filiale: 

In  lei  (Roma)  d'uo  figlio  sol  l'Amore  eguagli 
L'opre  di  tAnia  gloria  e  tanto  impero. 

(l)  Cf.  BulL  Comunale  1886,  pp.  5JI,  372  e  sgg.  Vi  si  rinvennero  le 
nmoric  dei  liberti  degli  Appuìei.  Cf.  Not.  Scavi  1885,  p.  528;  1886, 
pp.  5641404;  1887,  pp.  21,  74,  191,  }  28  e  sgg.  Importante  v' è  slato 
ii  sepolcreto  dei  curatorts  della  tribù  Follia  (BuìL  Comwi.  1887, 
p.  187.  ecc.). 

Prima  dì  lasciare  questo  primo  tronco  della  Salaria  ricorderò 
|t|ti  studiosi  di  epigrafìa  come  da  falsa  lezione  di  un  epitaffio  cristiano 
rfl  p.  Paoli  ricavasse  un  libro,  per  dimostrare  che  quivi  era  sepolto 
Felice  JI  papa  (che  invece  stava  sulla  via  Portucnse).  Fu  un  con- 
flitto serio  dell'autore  col  Marini,  Tiraboschi  e  Oderici,  che  lo  con- 
fntarono  con  ardore  superiore  al  valore  della  cosa.  (Cf.  De  Rossi, 
jKuript.  Christ.  1,  p.  177), 

(2)  Liber  pontificali^,  ed.  Ducbcsne,  in  Bonifatio,  p.  227-228. 


9 


izùmi  etiopiche  ed  arabe  di  S,  Stefatio  dei  Mori. 


(lei  voi.  IX  di  questo  Archìvio  il  prof.  Guidi,  publi- 
p  due  lettere  che  si  riferiscono  alla  prima  stampa  del 
fro  Testamento  in  etiopico  fatta  in  Roma  nel  1548-49, 
llava  Tasfa  Sion  ed  altri  abissini  che  dimorarono  nel 
fento  di  S.  Stefano,  per  cagion  loro  detto  a  dei  mori  » 
p  quali  si  leggono  li  epitaffi  nella  chiesa.  Di  tali  cpi- 
parte  sono  in  latino,  e  questi  furono  già  publicati, 
fsono  in  geez  ed  in  arabo  ancora  sconosciuti.  Cosi 
parso  di  fare  cosa  gradita  tanto  agli  studiosi  delle  cose 
Itali  quanto  agli  amatori  di  curiosità  romane  publi- 
p  queste  iscrizioni  etiopiche  ed  arabe  ancora  esistenti 
i  Stefano. 

t)a  assai  tempo  la  chiesa  e  il  convento  di  S,  Stefano 
\  dai  papi  concessi  agli  abissini  ;  ma  intorno  alla  data 
jiesta  concessione,  e,  quindi,  al  nome  del  pontefice  da 
b  fatta  non  sono  d'accordo  coloro  che  scrivono  sul- 
bmento:  così  TAlfarano  dice  che  Sisto  IV  (1471-84) 
\b  il  monastero  e  lo  consegnò  agli  abissini;  e  il  Piazza 
^t  pxc  di  Rotna,  p.  123)  che  Clemente  VII  nel  1525 

Esse  agU  abissini  S.  Stefano  e  una  casa  contigua;  e, 
,  H.  Salt,  nel  suo  l^iaggio  in  Abissinia  (II,  p,  274,  n.), 
pe  la  fondazione  del  convento  per  gli  abissini  in  Roma 
f  avvenuta  al  tempo  del  viaggio  in  Europa  di  Zaga-Zabo, 


282 


F.  Gallina 


che  pani  dall*Abissinia  con  D.  Roderigo  de  Lima  e  con 
TAlvarez  nel  152^;  ma  nessuna  prova  è  recata  a  sostegno 
di  queste  affermazioni. 

Opinione  più  comune  è  che  Tedifìcatore  deirospizio 
per  gli  abissini  sia  stato  Alessandro  IH;  e  cosi  scrivono 
TAlveri  (^Roma  in  ogni  stato),  il  Nibby  {Roma  nel  TS}Sf 
p.  726)»  e  il  Forcella  nelle  brevi  notizie  sulla  chiesa  di  S,  Ste- 
fano che  precedono  le  iscrizioni  (VI,  p.  307),  e  ultima- 
mente anche  rArmeUiiii  {Chiese  di  Roma,  p.  622).  E  questa 
ipotesi  fu  fatta  la  prima  volta  dal  Baronie  quando  pu- 
blicò  (ex  Sogerii  Amiaìibus  Angìicanis)  la  lettera  di  Ales- 
sandro III:  «  Charissimo  in  Christo  filio  illustri  et  magni- 
ti fico  Indorura  regi  sacerdoium  sanctissimo.,,. ecc.».  Ma  il 
Ludolf  che  si  occupa  di  tale  questione,  tiinto  nella  Historia 
(lib.  Ili,  e.  9),  quanto  nel  Contentano  (ad  lib.  III,  n.  96), 
dice  che  il  Baronie  è  in  errore  quando  crede  la  lettera  di 
Alessandro  III  diretta  al  Prete  Janni;  e  asserisce  che  il 
tenore  della  lettera  stessa  nulla  contiene  circa  la  chiesa  e 
il  convento  di  S.  Stefano,  (i) 

Più  recentemente  TAsseraani,  in  una  importante  disser- 
tazione publìcata  dal  Mai  nella  Scriptomtn  vetcrum  nova 
collectio^  V,  riporta  l'opinione  del  Baronio,  ma  crede  o  più 
«  verisimile  che  i  monaci  abissini  non  afabiano  ottenuta  la 
e  chiesa  di  S.  Stefano  che  da  Eugenio  IV,  dopo  il  concilio 
«  Fiorentino,  a  cui  vennero  da  Gerusalemme  e  dall'  Egitto 

«  molti  monaci  abissini  e  copti 0,  e  allo  stesso 

papa  Eugenio  IV  aveva  già  attribuita  tale  concessione  il 
Panciroli  nei  Tesori  nascosti,  p.  546.  Il  Bruce  e  il  Salt  più 
sopra  citato  scrivono  che,  per  volontà  del  re  Zara-Ja'qob, 
Nicodcmo,   superiore  del   convento  abissino  di  Gerusa- 


(i)  Anzi  R.  Basset  negli  Etudcs  sur  rhistoirt  à*Ethiopu  (Parigi, 
1S83)  scrive  :  n  . . .  questo  documento  ò  probabilmente  apocrifo,  come 
«l'ha  dimostrato  lo  Zarn'CKE  »  (Commaitath  de  epistola  Alexaniri 
paptH  Iti,  ecc.;  Lipsiae,   187$)- 


Varietà 


283 


kmme,  mandò  l'abate  Andrea  ed  altri  religiosi  al  concilio 
dì  Firenze,  e  il  Bruca  (i)  aggiunge  (TI,  p.  73)  che  Zara- 
Ja*qob  ottenne  il  consenso  del  papa  per  stabilire  a  Roma 
un  convento  di  abissini.  Ma  qualunque  parte  abbia  avuta 
in  ciò  Zara-Ja*qob  (del  quale  il  Ludolf  dice:  «  ab  Ecclesia 
•  Romana  alienum  fuisse  »  (2),  è  certo  che  gli  abissini  ven- 
nero al  concilio;  e  se  n'  ha  memoria,  oltre  che  negli  atti 
del  concilio,  nei  versi  che  si  leggono  sulle  porte  della 
basilica  di  S.  Pietro  fatte  da  Eugenio  IV,  e  in  un  quadro 
del  Valicano,  nel  quale  Gregorio,  l'amico  del  Ludolf,  a  po- 
tpulares  suos  agnoverat  ». 

Ora  se  anche  ¥  ipotesi  del  Baronio  è  da  escludersi 
(come  pare  veramente)  essendo  poco  fondata,  invece  si 
hanno  prove  della  dimora  di  abissini  a  S.  Stefano  non 
niolto  tempo  dopo  il  concilio  di  Firenze,  cosi  che  sembra 
ngionevole  ritenere  che,  nell'occasione  della  venuta  degli 
abissini  al  conciUo,  fosse  da  Eugenio  IV  il  monastero  di 
S.  Stefano  destinato  per  sede  agli  abissini  stessi. 

Dice  il  Gibbon  :  «  Circondati  da  nemici  della  loro  reli- 
»  gione,  gli  Etiopi  stettero  circa  un  millennio  dimentichi 
■  del  resto  del  mondo,  dal  quale  essi  stessi  erano  dimen- 
**  ticati  «  ;  ma  la  venuta  di  religiosi  abissini  al  conciUo  Fio- 
rentino e  le  relazioni  che  i  Portoghesi  strinsero  con  TEtiopia 
wniirono  a  stabilire  continue  comunicazioni  fra  V  Europa 
e<)uestounico  Stato  cristiano  d'Africa.  Poi  fu  intrapresa  la 
conversione  dell'Abissinia  dalla  eresia  monofisita  alla  fede 
citiolici  :  cosi  dal  principio  del  xv[  secolo  si  mantennero 
i  monaci  abissini  (ricevendo  anche  gli  alimenti  dal  pilazzo 
ApostoUco)  nel  convento  di  S.  Stefano  sino  verso  la  fine 
Jà  secolo  XVII. 

(1)  È  noto  che  il  Bruce  inseri  nella  narrazione  del  suo  viaggio 
glianoalt  d'Abissinìa  tratti  da  un  testo  ge'e?:. 

(2)  Del  resto  per  ciò  che  riguarda   Zara-Ja'qob  e  i  suoi  istituti 
Jesiastict  vedi  Dillmann,  Uthcr  die  Regitrung,  tic.  da  Kònigs  Zar^a- 


284 


F,  Gallina 


Poi,  essendo  moni  quelli  che  vi  erano,  e  non  vcnen- 
dovene  altri  (i),  fu  la  clùesa  data  in  cura  a  D.  Matteo 
Naironi  maronita.  Nel  1705,  da  Clemente  XI  fu  facto  cap- 
pellano e  rettore  perpetuo  di  S.  Stefano  l'abate  Campana, 
il  quale  mori  nel  1729  lasciando  la  carica  all'Em.  .\nsidei, 
già  destinatogli  a  coadiutore  con  futura  successiom  fin 
dal  1724.  Frattanto,  dice  l'Assemani  nella  Controversia 
coptica  già  citata,  copti  ed  abissini  (chiamati  a  Roma 
dalla  Congregazione  di  Propaganda  Fide)  domandavano 
di  esser  reintegrali  nel  possesso  della  loro  chiesa  :  e  mono 
nel  1730  l'Ansidei,  l'ottennero.  Clemente  XII  confermò  la 
concessione  del  monastero  e  gli  alimenti,  e  con  breve  del 
15  gennaio  173 1  stabìH  che  gli  abissini  di  S.  Steflmo  di- 
pendessero in  perpetuo  dalla  S.  Congregazione  di  Propa- 
ganda Fide,  e  deputò  a  rettore  ed  amministratore  del  con- 
vento l'Assemani.  Nel  1732  altri  copti  giungevano  a  Roma 
e  nel  1807  vi  arrivava  Giorgio  Galabbada,  che  fii  l'ultimo 
ospite  di  S.  Stefano,  e  vi  mori. 

In  breve:  gli  abissini,  ricevuta,  assai  probabilmente  da 
Eugenio  IV\  la  chiesa  di  S.  Stefano  col  convento,  vi  stet- 
tero per  circa  due  secoli  ;  e  in  loro  mancanza  la  chiesa  fu 
data  ad  altri,  fino  a  che,  nel  1730,  ne  furono  gli  abissini, 
insieme  coi  copti,  reintegrati  in  possesso. 

Sarebbe  certo  importante  publicare  tutte  le  notizie  che 
si  possano  raccogliere  intorno  ai  religiosi  abissini  e  copti 
che  furono  a  Roma,  e  le  memorie  che  di  loro  rimangono; 
al  quale  scopo  gioverebbero  le  postille  che  si  leggono  nei 


(i)  n  LuDOLP  nel  Coment,  che  fu  publìcato  nel  1691,  dice  della 
chiesa:  «  Hoc  tempore  alii  clerici  eam  possidente  ex  quo  nulli  Habes- 
«  sini  araplius  Romam  veneruntn. 

Gli  Etiopi  che  giungevano  a  Roma  venivano  spesso  da  Gerusa- 
Icramc;  tuttavia  a  lasciare  senza  ospiti  il  convento  di  Roma  influì 
certo  anche  questo:  che  l'impresa  della  conversione  degli  Etiopi 
era  fallita  proprio  quando,  sul  finire  del  regno  di  Susncjos,  sembrava 
compiuta. 


Varietà  285 

L  Edop.  della  Vaticana;  ma  mi  limito  per  ora,  come 
letto,  a  publicare  le  iscrizioni  etiopiche  ed  arabe  di 
tefano.  Le  più  antiche  sono  le  etiopiche;  le  arabe  sono 
nente  del  secolo  scorso,  perchè,  come  è  detto  più  sopra, 
allora  dimorarono  nel  monastero  dei  copti  (i);  una 
iscrizione  ha  una  riga  di  copto. 
^  iscrizioni  etiopiche  contengono  qualche  errore,  ma 
[umerose  sono  le  inesattezze  di  scrittura,  assai  frequenti 
uss.  Etiopici  (2),  e  derivate  dalla  pronuncia  del  tempo, 
i  sarebbero  : 

a)  lo  scambio  delle  vocali  l  ed  a;  ad  esempio:  Tiscri- 
!  I  ha  ''m  per  'ama,  e  subito  dopo  ha  mahrat  per  m'hrat; 
ic  iscrizioni  II  e  III  hanno  entrambe  :^'karwó  per  :(^k'rwd  ; 

V)  Io  scambio  delle  gutturali  h,  beh;  per  esempio: 
tf  per  warha  (iscrizione  III)  e  habta  per  habta  (iscri- 
!lV);       " 

c)  lo  scambio  di  s  con  s:  nahsi  per  nahas?  (iscri- 

d)  lo  scambio  di  i  ed  m:  :^ahana  per  :^amana  (iscri- 

jIII). 

icco  ora,  nella  seguente  pagina,  la  più  antica  delle 

ioni. 


)  Tuttavia  anteriore  a  questo  tempo  è  T  iscrizione  latina  dì 
«  Franciscus  Aiferìa,  fìlìus  prìncipìs  Libiae  »,  morto  nel  1626. 
D  riportata  daìl'Alveri  e  dal  Gualdi,  e  da  questo  la  tolse  il  For- 

t  Nel  cod.  Et  ms.  GLI  del  British  Museum,  uno  dei  monaci  di 
fimo,  Habta  Maryam,  di  cui  si  parla  più  sotto,  dà  chiare  prove 
icarse  nozioni  di  ortografìa  che  egli  possedeva. 


kckiriò  della  R,  SocMà  romana  di  storia  patria.  Voi,  XI. 


2S6  F.  Gallina 


8 

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co 


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Varietà 


287 


i  è  sepolto  Tasfi  Sion  etiope  [sacrifizio 

le:  ricordatelo  nelle  vostre  preghiere  e  nel  vostro  santo 
Cristo  e  per  la  Madre  di  Gesù  -  Amen. 
ili  18  di  nahase  {agosto)  nell'anno  di  grazia  1550  (i). 

Tasfa-Sion  era  monaco  deirordine  di  Takia  Hàimànót, 
^  senza  dubbio,  il  più  distinto  di  quanti  abissini  dimo- 
io a  Roma,  Di  lui  conservano  memoria  alcuni  codici 
pici  Vaticani;  nel  codice  XXIX,  per  esempio,  si  paria 
ina  specie  di  sinodo  faito  dai  monaci  di  S.  Stefano 
i  regole  interne  del  convento;  Tasfa-Sion,  che  vi  prese 
C,  è  chiamato  niam'h'r  'abà  Tasfà  S'yón, 
paolo  Giovio  (il  quale,  come  è  noto,  da  lui  (2)  ebbe 
btizie  intomo  all'Abissinia  che  egli  pose  nel  lib.  XVIII 
l  sua  storia)  lo  chiama:  «  huomo  d*honorato  et  illu- 
de ingegno  0  e  dì  lui  dice  che:  «  possedendo  molte 
igue,  Fendutosi  .frate,  in   Roma  imparò  benissimo   la 


)  "Nel  computo  degli  anni  dalla  nascita  di  Cristo,  gli  abissini  si 
IO  in  riurdo  di  circa  sette  anni  dal  computo  nostro.  Ma  chi 
e  l*epigrafe  etiopica  di  Tasfa  Sion  adottò  il  millesimo  della  iscri- 
ilatina  (MDL);  e  forse  volle  anche  adottarne  la  data  del  mese, 
,28  di  agosto,  ma  per  errore  scrisse  invece  iR.  Suppongo  que- 
trchè  il  18  di  nahase  non  corrispondeva  punto  ai  28  di  agosto 
tlendario  Giuliano. 

bi  non  sari  inopportuna  una  breve  noiÌ7Ìa  sul  calendario  etiopico  : 
lo  etiopico  consta  di  dodici  mesi,  di  trenta  giorni  ciascuno,  e  dì 
fcdicesimo  mese  detto  PSgtuinin,  cioi*  a'^puntOf  il  quale  ha  sei 
[  neiranno  bisestile,  che  porta  il  nome  di  «  anno  di  S.  Luca  », 
pe  giorni  nei  tre  anni  successivi,  che  portano  i  nomi  degli  altri  tre 
(elisti  Nel  secolo  presente  Tanno  etiopico  comincia  il  io  settem- 
d  nostro  calendario;  ma  Tanno  che  segue  a  quello  di  S.  Luca 
KÌa  Tji  settembre,  perchi',come  s'ò  detto,  nclTanno  di  S.  Luca 
pe  P3<^uemin  ha  sci  giorni. 
£d  anche  dal  comentario  che  P.  Alvaro  lasciò  scritto  del  suo 


L' 


288  F.  Galliua 


«  lingua  nostra,  e  ad  alcuni  uomini  curiosi  insegnava 
«  l'abissina  ». 

Probabilmente  egli  ebbe  parte  nel  tentativo  di  con- 
versione della  sua  patria,  se,  come  credo,  è  di  lui  che  parla 
il  Salt  dove  dice  che  «  le  istanze  di  un  degnissimo  prete 
«  abissino,  chiamato  Pietro,  condussero  Ignazio,  il  fonda- 
«  tore  della  C.  di  G.,  ad  intraprendere  la  conversione  del- 
«  TAbissinia »  (II,  p.  276);  anche  lo  Harris  ac- 
cenna, senza  farne  il  nome,  ad  un  abissino  che  in  Roma 
ispirò  al  Loyola  l'idea  della  conversione  dell'Abissinia.  Ma 
il  maggior  titolo  ch'egli  ebbe  ad  esser  rammentato  dai 
posteri  fu  la  stampa  da  lui  fatta  del  Nuovo  Testamento 
in  etiopico,  che  non  dovette  essere  facile  lavoro:  le  dif- 
ficoltà che  bisognò  vincere  sono  adombrate  nelle  parole 
che  stanno  in  capo  al  libro,  e  che  il  Ludolf  riporta: 

«  O  padri  miei,  o  fratelli  mìei,  non  vogliate  male  in- 
«  terpretare  gli  errori  di  questa  (edizione):  poiché  coloro 
«  che  la  stamparono  non  sapevan  leggere;  e  noi  non 
«  sapevamo  stampare  :  cosi  che  essi  aiutaron  noi,  e  noi 
«  aiutammo  loro  come  il  cieco  aiuta  il  cieco.  Perciò  per- 
«  donateceli ...... 

E  ne  pure  fu  fatica  sterile,  poiché,  dice  Paolo  Giovio, 
gli  abissini,  che  per  divozione  venivano  da  Gerusalemme 
a  Roma,  solevano  i  libri  della  S.  Scrittura  stampati  in 
Roma  «  per  un  gran  miracolo  portare  a  casa  loro».  Certo, 
come  dice  la  iscrizione  latina,  avrebbe  Tasfa-Sion  fatto  più 
cose,  se  non  glielo  togheva  la  morte  che  lo  colse  all'età  di 
soli  quarantadue  anni. 

Dopo  riscrizione  di  Tasfà-Sion,  per  ordine  di  tempo, 
vengono  due  iscrizioni  del  1599  (i). 


(i)  L* iscrizione  di  «  Pater  frater  Marcus  aetiops  »,  morto  nel  1582, 
è  solo  latina.  Essa  fu  già  stampata  dairAlverì  e  dal  Forcella. 


A  i  .  i*  f^  »    r  ft  *" 
^T'i  <»^  un  «»7r<# 

atelo  nelle  vostre  preghiere 
[rini  -  qui  è  se 

padre  Ja'qob 

'de!  padre  nostro  Eustazio  (monaco  dell* ordine  di  Eti- 
ano  1599  [stadio) 

nascita  di  Cristo 
i        in  Marco .... 

on  saprei  spiegare  le  ultime  parole  di  questa  iscrizione 
D  come  facenti  parte  di  una  frase  simile  a  quella  che 
fge  nella  iscrizione  seguente;  e  tuttavia  la  lapide  non 
ra  di  essere  stata  rotta. 

fn  Qasis  Ja*qób,  che  è  probabilmente  colui  che  è  no- 
to in  questa  epigrafe,  è  ricordaio  in  postille  dei  codd. 
"atic.  V,  VII,  XXIV  e  XXXVL 

l  I.  Per  ^JtTwO       5,  Per  yOstaty^s      7.  Per  *amfbS 


290 


F.  Gallina 


In  questa  iscrizione,  e  nella  seguente,  sono  nominati  i 
due  principali  ordini  monastici  di  Abissini!,  cioè  quello 
di  Takla  Hairaanót  e  quello  di  Eustazio, 

III. 

n  )i5^M  ti  "iim  +  f^ 

Ricordatelo  o  frateUi  nostri  pellegrini 

qui  è  sepolto  Zaccaria  erio 

pe  del  paese  di  Dawaro 

figlio  del  nostro  padre  Talda  Hàirnanót 

nell'anno  di  grazia  1599 

dalla  nascita  di  Cristo 

fino  a  che  mori  nel  lerapo  di  Marco  (nciraittw  di  S.  Marco) 

evangelista  nel  mese  di  maggabit  (iimr^o). 

ni.  I.  i.  Per  ;»Jhrti^  2.  Per  ^kàfyés  6.  Per  *mtdaU  7. 1»- 
^«MiMa  miir^ds        &  Per  ha^varha  mag^abli 


m 


Varietà 


291 


IV. 


hA  :  yf  <^t*  t  'H  e  ti^  .4  ^.  >  "?  TX  r<.  A 


Ay^P  5  ^ 


(t>  4   •# 


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A  ^  -^  A:A^^A:cDXfl>/> 


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f>  :  <x>  A  ót.  «CMoo:  i  «I  /\<r>  f^  /,  ti  r>  :q>  ^ 
n  C  f»  :  yi  r  -.X  n  :  '%  C  -^  C  T-  >>  :  MAff  ■ 
a»   A    0;*   -nf.  «^C   ;•   fo.ffP^/:> 


^   ^'i    •^  h  :  >»  *7  /t  ;>  >. 


Padre  Takla  Hàyraànót  di  Dabra  Dima  pellegrino  di  Ge- 

c  uopo  di  essa  venne  a  Roma  per  [riisalemme 

^^«are  S.  Pietro  e  Paolo 

e  morì  il  1 2  di  maskarram  (set(cmbre) 

<  ^  abbiamo  sepolto  qui  Oioi)  padre  Gregorio  di  Layad 

*:  padre  Habta  Màryam  di  Dabra  Gj.iba'e 

Cf)  padre  .Antonio  di  Taqusa» 

v^atelli  nostri  pellegrini,  se 

verrete  dopo  dì  noi 

ncordatelo  nelle  vostre  preghiere 

•luesio  monaco  dabbene. 

1649 
i^h  nascita 

di  Cristo  Signor  nostro 
Amen. 


2^2 


F,  Gallina 


Questa  iscrizione  ha  il  pregio  di  recare  i  nocni  di  alcuni 
abissini  conosciuti  dal  Ludolf  quando  fu  a  Roma  nel  1^49. 

Il  P.  Gregorio  di  questa  iscrizione  e  quello  con  cui 
il  Ludolf  strinse  amicizia,  che  andò  poi  a  trovarlo  in 
Germania,  e  del  cui  aiuto  egli  si  giovò  per  scrivere  la 
sua  Hisloria,  i:cc.y  sono  assai  probabilmente  la  stessa  per- 
sona, benché  nella  iscrizione  sia  detto  ;;rf  Layad,  e  nel 
Ludolf  invece:  ''mb^ta  'amharà  'mmakàna  fldsf. 

Del  P.  Antonio  di  Taqusa  dice  il  Ludolf:  e  Antonius 
«  d'Andrade,  patre  Lusitano  et  matre  Habessìna,  Takuessac 
«  in  Dembea  nutus  .,..». 

Il  P.  Habta  Mar\'àm  pure  e  ricordato  dal  Ludolf;  e 
copiato  da  lui  è  il  cod.  Et.  ms.  GLI  del  British  Museum. 

V. 
D  r  f  1: :ntf^.7ì>f  t  Ut^C^  t?  VS  ìt  CD 

tt^tir^-XA  nero  +  n  fì<^  in  ^f>rfn  o^-- 
P*P  Hrwz  <Ft  A  (J»-i®ó/\ CD civn 

V,  I.  2.  L'iscrizione  precedente  lia  ^abS'ì  2.  L* iscrixìone  prece- 
Uente  ha  dakra  dima         1 1.  Per  fr 


Varietà  293 

o  ricordiamo  noi  padre  Habta  Miryam  di  Dabra 
>à*è  e  padre  Takla  Hàymanat  di  Dabra  Dima 
ìgrini,  che  per  questa  chiesa  la  quale 
liedero  i  papi  antichi  quando  la  trovammo 
ista  e  rovinosa  ci  siamo  adoperati  molto  per  essa 
abbiamo  restaurata  col  nostro  denaro,  che  è  circa  la 

[somma  di  400 

0  piastre.  Non  crediate,  fratelli  nostri,  che   abbiamo 

[fatto  (cù5) 
gloriarci  ma  perchè  ci  ricordiate  nelle  vostre  preghiere, 
anno  1^38  dalla  nascita  di  Cristo 
lor  nostro,  a  lui  gloria.  Sepoltura  di  P.  Habta 
yàm  la  cui  morte  fu  il  14  del  mese  di  Ter  {gennaio) 
anno  1^54  di  Nostro  Signore. 

\^engono   ora  alcune  iscrizioni  arabe.  La  prima  riga 

1  iscrizione  VII  è  scritta  in  copto. 

VI. 

Hadà  4arih  gàd  yù'dsaf  min  madinei  girgt 
«to  è  il  sepolcro  di  Gad  Joasaf  della  città  di  Girge. 

VII. 

Makarios  pkigdmanos  (i)  ou  pimonachós  agibthios 

ano  egumeno  e  monaco  egizio. 

\ass  tnaqdryùs  ra'is  dir  'as-saydah  'aUmuhanna 
rryat  sihat  'elladifimà  ha'd 
r^  dir  mar  'tstafànUs 
mihannà  bidet  'al-habas  xvaqad 
jyaba  fi  yóm  27  fi  sahr  ti'srin  'at-tànì 
—  1740  —     (2) 

I)  ne. 

a)  n  Forcella  legge  la  data  della  iscrizione  latina  cosi  :  MDCCXI. 


294  ^  Gallina 


Prete  Macario  superiore  del  convento  della  Vergine,  detto 
«e  del  deserto  di  Sceti  »  il  quale  di  poi 
divenne  superiore  del  convento  dì  S.  Stefano 
detto  a  convento  degli  Abissini  ».  Ed  egli 
mori  il  di  27  del  mese  di  novembre 
—  1740  — 

Questo  P.  Macario  (chiamato  dall' Assemani  Macario 
Asmalìa)  è  uno  dei  due  monaci  copti  che  nel  febbraio  1730 
furono  introdotti  nel  monastero  di  S.  Stefano.  L'iscrizione 
latina  dice  che  egli  mori  in  età  di  anni  CVII  e  mesi  vn. 

Vili. 

'ahùnà  *al-qass  yùhamtà  'al-habàsy  ràheb  mar  'antdnyòs  min 

[madinti  dànbyat  min  mtidun  'al-habas 

'atà  'ila  nlmyat  fi  'Uyòm  ^ar-ràb"  min  sahr  tisrin  \awwal  IJ49 

[wa'aqàma  bihadà  'al-maball  xvàhad 

watalatin  sanai  wasàhrain  watanayyaba  fi'lyóm  'at-tslai  'osar 

[min  sahr  hànùn  'axmval 
ijSo  wakàn  lahu  min  'aWomr  talàtat  wa  sititn  sanai  hakadà 

[kaiaba  billatini 
' al-munsinyìlr  'asiafànùs  Bor^a  kàiim  maqma'^  "uitisar  'l'iman 

[Imnqaddas, 

Padre  Giovanni  abissino  monaco  di  S.  Antonio  del  paese 

[di  Denba  (tino)  fra  i  paesi  d*Abissinia 

venne  a  Roma  il  di  quattro  del  mese  di  ottobre  1749  e 

[stette  in  questo  luogo 
trentun  anni  e  due  mesi,  e  mori  il  di  13  del  mese  di  di- 

[cembre 
1780.  Ed  aveva  Tctà  di  76  anni.  Cosi  ha  scritto  in  latino (i). 
mons.  Stefano  Borgia  segretario  della  Gong,  di  Prop,  Fide. 

VIII,  1.  5,  Probabilmente  per  kstih' asrJr.  L'iscrizione  latina  ha:  a 
secretis. 

(i)  Questa  iscrizione  ò  preceduta  da  quella  latina  già  publicata 
dal  Forcella. 


Varietà  295 

)rgio  Galabbada,  morto  nel  1845,  non  ha  epitaffio 
pico:  non  essendoselo  preparato  da  se  stesso  quando 
,  non  ebbe  poi  alcuno  che  glielo  scrivesse.  L' iscri- 
atina  si  legge,  come  le  altre,  nel  tomo  VI  del  For- 

F.  Gallina. 


2^6  j:£  £z«7io,  %  %enier 


^^Li^ione  iteJit^  salt^z  morte  del  duca  di  Gandia, 


ISorcXdCiO  Jtwenu^?  m  Roma  neUi  notte  dal  14  al 
i  ;  g:u:no  r497  tni?n;ss£o'iò  viridemente  tutti  i  contem- 
poraneL  Sì  zrxm^x  icLi  mone  di  un  personaggio  rag- 
ijuirievole,  i:  uno  dei  i^l  iì  papa  Alessandro  VI,  Gio- 
vaan:  i-ca  i:  Goniìa,  e  il  ieììcw  en  stato  perpetrato  con 
tanta  c:rco-?rez:otie  e  ranro  mistero  che  ben  presto  si  sup- 
pose dovesse  esservì  soro  un  aarefaco  borgiano  nefando. 
La  voce  che  i-zzo'.'^x^x  Cesare  Bor^-a,  prima  buccinata  in 
sv^reco,  '2.:i  rariò  xi  essere  rferia  come  cosa  certa  dagli 
am?ascia:on  e  cuiaii.  aiermira  da:  migliori  storici,  passò 
in  ^ìuJ:c-i:o  (:)- 

Parecchie  >.jnD  le  riìr^oni  che  oùlrrano  a  favore  di 
.|;uv»:i  N.::^:v>'.r;-''ze  iÌTer.uri  i5err^ir!o*^^  recisa;  poten- 
u^-..'-Us-  :V.i  S"->'-  -^  ziiuri  ij-L'-:cr-v\  \x  <\ix  sfrenata  am- 
:»  .u'MvN  '  vr^u^^-:>  -he  i  lui  ver.ivi  calla  uiorte  del  fra- 
u'v»  p:  .'.K»^;.''.v.:o,  \\  cc":c™.o  iel  7,:?^.  che  uopo  essersi 

^iV  V    ■.  vU--.  ox.'\  :v>.  _-■■.-.:  ;    .'.--n^,  V",  i-.--;.  A:.v:s:,  iU- 

.,    ^ .;    -;     .\."n^,ij:    '.rr.z' x,   :^~^,  rr-  j^-,;.  Il    G'.RALDI 

i  .    ii.«  .•  Xi  .»<i;t-:nj;c:si  il  =--vir;  i:  •-ili.  ;>.;  iscc.rorcco  Cesare 

I,  i  u  »v»..  i  u,^    t   Ov»:\^  cernii  cc-'i  nrvclla  :j'  i^lli  IX  csciÌ!;  «itigli 

v.ìi   '  ..v: ;n.:iì^*  >ott^  :ì-ì:  -:t.:  -1  r^r;.:";;  £  i.  t-0£:hi,  ì 

..''..*    v^.'aì  0  .'.e::-'  i.  T. —  :-'-■:.  >c-,-  c^  si  --eli  li  Vi- 

i  '      ! .1  m.'l'a  >x"i;".  C--.1   5 -1   ;*"_-;. t  :.   "C  ^.^«1-   un.    orri- 

.■   w,i  ».u>,  i»v'-\'^  vho  iv^r.i:  :.;;"ì^  ^-i  :-i:;ll.'.  i  rirencoi;!! 

1  .        .  ^^     ■,■    i"  '^•i•»^'■^    '•".     \:  \i^t.iìi  -jr.  — i^r-r  >tiz:i,   che 

.  ;..   l  >\iK»iuv»  J.'.  l'.v.irì,"  sìzz-'lirr::-;.:::^.  i^U.  L=5>i=:e  con 

1      .    .'.,»  lu  kK  1..1.  U»  t^li-t-v^"-"  c--iil=:c=:£  1  r^r^ì  j.  C:r.  D*As- 

X  ,-    .^   ..  \  .  .',",' a»;-,  ti.  ;:-3. 


Varietà  297 

ìulle  prime  scalmanato  a  cercare  il  reo,  finiva  col  sep- 
ire  la  cosa  nel  più  tenebroso  silenzio. 
Ma  se  queste  ed  altre  ragioni  sono  forti,  indubitato  è 
tra  parte  che  a  quanti  si  trovavano  in  Roma  all'epoca 

triste  fatto  non  venne  dapprima  alcun  sospetto  del 
ricidio. 

Noi  possediamo  relazioni  sincrone,  estese  e  per  ogni 
etto  attendibili,  quella  lunga  e  piena  di  particolari  che 
si  prezioso  diario  borgiano  di  Giovanni  Burcardo  (i); 
Ila  che  il  residente  veneto  scrisse  il  17  giugno  alla  Si- 
ria di  Venezia,  che  venne  riferita  dal  Malipiero  (2)  e 

qualche  variante  dal  Sanudo  (3)  ;  una  lettera  latina  del 
giugno,  parimenti  recata  dal  Sanudo  (4);  il  rapporto 

17  giugno  con  cui  Alessandro  Bracci,  ambasciatore 
entino,  informava  il  suo  governo  delFaccaduto  (5);  la 
M^  infine  che  il  cardinale  Ascanio  Sforza  scriveva  il 
giugno  al  fratello  Ludovico  il  Moro  (6).  In  nessuna 
ali  relazioni  è  pure  un  motto  che  si  riferisca  a  Cesare, 
diverso  è  il  risultato  se  consultiamo  le  cronache  del 
pò,  la  napolitana,  la  leccese,  la  ferrarese,  la  fiorentina 

Cambi,  la  modenese  del  Lancellotti  (7).  Eppure  in 
i  è  desiderio  sommo  di  scoprire  il  reo,  e  varie  e  di- 
tli  supposizioni  si  fanno.  I  primi  sospetti  si  aggii*arono 
uno  agli  Orsini  e  al  cardinale  Ascanio  Sforza  (8): 
isandro  VI  rassicurò  quest'ultimo,  che  si  era  con  ra- 


1)  Jobannis   Burcharài  iDiarittm,   ed.  Thuasne,  voi.  II  ;  Parigi, 

W  PP.  387-90- 

a)  Annali  vmetiy  in  Arch,  stor,  itaì.  VII,  i,  489-91. 

3)  Diarii,  I,  658-60. 

4)  Diarii,  I,  657-58. 

5)  Documento  edito  dal  Thuaskeìii  Diarium  Burcharài,  11,669-70. 

6)  La  trasse  dallo  archivio  di  Modena  il  Gregorovius,  VII, 

XL 

7)  Al  VISI,  op.  cit.,  p.  34  n. 

8)  Sakudo,  I,  652. 


298  ci  Lu^io,  -7(.  Q(enier 

gione  impaurito  (i),  nu  trasse  in  sonito  profitto  da  quelle 
dicerie  per  la  sua  polirica  contro  ^  Orsini  (2).  Più  te- 
nace fii  la  voce  che  accusava  Giovanni  Sfbm  ài  Pesaro, 
r  infelice  marito  di  Lucrezia,  che  in  quel  medesimo  anno 
1497  doveva  veder  sdolro  fl  suo  infausto  matrimonio.  La 
lettera  riferita  dal  Mairpiero  reca  :  e  Si  dice  che  M  signcM* 
«  Giovanni  Sforza,  signor  di  Pesaro,  ha  &tto  questo  ef- 
«  teno,  perchè  il  duca  usava  con  la  sorela,  sua  consorte, 
e  la  qua!  è  fiola  de!  papa,  ma  d'un'altra  donna  a.  Qui 
vediamo  già  formarsi  quella  leggenda  degli  amori  ince- 
stuosi di  Lucrezia  coi  fratelli,  che  trovò  p<M  nel  Matanzzo 
il  più  grosscKano  interprete  (5).  Secondo  il  Matanzzo,  lo 
assassinio  viene  commes:so  in  casa  di  una  meretrice  per 
mano  d:  Giovarmi  Sforza  e  de'  suoi  seguaci  (4).  Xè  a 
queste  sole  persone  si  fermavano  i  sospetn.  V  era  chi  ti- 
rava in  mezzo  i!  conte  Antonio  Maria  de'.Ia  Mirandola, 
perchè  il  duci,  che  corteggiava  una  figlia  di  lui,  era  stato 
ucciso  zion  molro  discosto  dalla  casa  sr^ii  (5),  e  v'  era  chi 
se  ticiM  cir.co  al  principe  ài  S^uillice  e  persino  al  duca 
d'Urrino  (f).  Xon  uno  pensava  al  Valennno. 

S-  wUil:  rrrve  i:  fin."*  rir-^s^  'i  terr]?:!^  ucusa  di  fra- 
ricìi::   '.ir.ciizi   c:*nr^  i:  !u  ?  DVnie  n:o>>£  cuella  per- 


^"     v  j  -  >»-  ;.         ^^t^"''  ■",;  ~J~i  ìT""^  "  "^■'    "  ■''**  "  ^"^      "  ^'^  ■"*- 


Varietà 


299 


suasione  che  fu  tanto  potente  da  indurre  sette  anni  dopo 
i  giudici  del  famigerato  Micheletto,  sicario  di  Cesare,  a 
chiedergli  conto,  tra  gli  altri  assassini,  anche  di  quello  del 
duca  di  G.india?  (i)  Da  dove  nacque  quella  diceria  che 
divenne  cosi  presto  storia  e  romanzo  ?  (2)  Il  Gregorovius, 
che  è  pur  cosi  alieno  dalla  leggenda  borgiana,  è  costretto 
a  dire:  n  Stando  all'opinione  universale  di  quel  tempo,  e 
«tenendo  conto  di  tutte  le  ragioni  di  probabiliti,  Cesare 
«  fu  Tassassino  di  suo  fratello  »  (3),  L*opinione,  osserve- 
remo noi,  divenne  universale  soltanto  parecchi  anni  dopo 
la  uccisione  del  duca;  le  ragioni  di  probahilitA  vi  furono 
e  vi  sono;  raa  badiamo  bene  che  esse  indussero  troppe 
volle  in  errore  e  che  i  Borgia  ebbero  sempre  giudici  poco 
sereni.  Disperando  oramai  di  trovare  la  prova,  noi  cre- 
diamo che  il  processo  indiziario  vada  rifatto. 

A  questo  scopo  tornerà  forse  non  inutile  un'altra  rela- 
zione sincrona,  sino  a  qui  rimasta  inedita,  che  concorda 
'n  quasi  tutto  con  quelle  sopra  citate,  si  nella  esposizione 
Jel  fatto,  si  nel  riferimento  delle  dicerie  che  corsero  in- 
corno al  suo  autore.  È  tratta  dall'archivio  Gonzaga  di 
Mantova  ed  è  scritta  al  marchese  Francesco  dairoratore 

Ì Potevano  a  Roma.  La  conobbe  il  Gregorovius  e  ne  recò 
(')  Secondo  un  dispaccio  del  Giusùnìan  del  ;i  maggio  1504. 
^  Gregorovius.  Vili,  54. 

(2)  Curiosissima  6  U  narrazione  romanzesca  che  dà  dtl  fatto  una 

^^  ^s.  di   Alessandro  V!  citata   dal  Leti,   VÌIa  di  Osare  Borgia^ 

Milano,  185;.  pp.  198-200  n.  Quivi  Cesare  e  Giovanni  cenano  col 

*"^    presso  Vannozza,    Poi    Alessandro  viene   accompagnato  alla 

*tan«a  e  i  due  fratelli  escono.  Avviatisi  verso  ponte  S.  Angelo, 

^  f*  loro  incontro  un  frate  che  chiede  Telemosina,  a  cui  Cesare  fa 

^  che  il  compagno  è  il  fratel  suo,  e  allora  il  frate  gli  salta  al 

Ho»  lo  strorxa,  lo  spoglia  e  lo  getta  nel  vicino  Tevere.  -  La  fonte 

«Uc  più  torbide,  ma  qualunque  sia  il  tempo  in   che  fu  inventata 

uU  storiella,  attesta  il  lavorio  della  leggenda. 

(j)  Lucrerà,  p.  101. 


.appena  un  passo  ndh  Storta  £  Roma  (i),  designando 
Fautore  col  solo  prenome  <fi  Job.  Carolus.  Era  questi  Gian 
Carlo  Scakma,  ambasciatore  a  Roma  dal  1495  al  1497» 
adc^petato  poi  dal  Marchese  in  abre  importanti  missioni 
all'estero,  e  in  uffici  primari  ndDTamministrazione  intema. 
Lo  Scalona,  ne'  molti  dispacri  die  di  lui  d  conservano, 
d  a{^>are  un  osservatore  acuto,  fffligcnte,  impattale  ;  e  la 
sua  parola  ha  perdo  del  val<xe  and^e  in  una  Eiccenda  te- 
nebrosa, come  questa,  ndla  quale  è  a  desiderare  che  ven- 
gano poste  aUa  luce  tutte  le  tesdmonianic  genuine  e  di- 
rette, 

A.  Lezio, 
ti.  Resoer. 


nUno  et  Exjno  s^nor  asào.  Mcram  p.  p.  circa  le  xx  bore  paid- 
rooo  dì  pallaio  H  Rjm  moosignoti  canfinali  de  Vakma,  Borg^  et 
docha  de  Gandia»  et  andoreno  de  compagnia  a  cesare  ad  una  vigna 
de  M*  Vanoza,  inatre  del  prefitto  carenale  de  Valcnxa  et  dacha. 
Doppo  cena  sol  tardo  et  qoasì  nocte.  Tenero  in  Roma,  e  gìooti  presso 
Ponte  S.  Ai^do  il  docha  solo  prese  Gcentìa  da  li  cardinali  excn- 
sandose  haver  or<&>c  in  certo  loco  dare  havea  andar  solo.  Li  car- 
dÌDJii  fecero  tato  il  possìbile  per  non  lassarlo  andar  solo  et  sìmllìter 
fecero  prova  alcuni  suoi  scrriiorì,  onde  che  non  fiie  remedìo  che  *I 
volesse  compagiùa.  Cusà  partito,  chtamoe  un  suo  staffiero  coman- 
dandoli che  andasse  a  la  camera  sua  a  pallazo  a  tuor  certe  sue  ar- 
matore da  Docte,  cum  le  i^uali  harcsse  a  venire  ad  aspcctarìo  in 
piaza  Jodea.  0  stanerò  come  obediente  partì  ad  exequire  la  commis- 
sione del  duchi,  et  in  lo  andar  a  paKaxo  lue  asalìto,  et  datoli  al- 
cune puncte  cum  nullo  male  perchè  era  forte.  Non  stette  per  questo 
che  *1  stanerò  rìtomoc  al  luoco  ordinato  cum  le  armature  ordinate, 
e  staitovi  per  un  pczo  non  vedendo  il  patrone  tomosenc  a  casa,  pen- 
sando che  *1  duchi,  corno  era  qualche  voki  suo  costume,  fiisse  re- 
stato a  dormire  in  casa  de  qualche  donna  de  respecto.  Doppo  che  ^1 
ducha  ebbe  parlato  a  questo  suo  statHero,  tue  visto  salirli  un  in  croppa, 
che  era  a  cavallo  a  muUa,  et  questo  tale  era  ìncapurato  negro,  per 
il  che  se  presume  che  'l  fusse  un  ordine  dato  per  trapoiaiio  come 

(0  VU,  pp.  46 j  e  466  n. 


Varietà 


301 


facto.  Li  cardinali  stettero  più  volte  ad  aspectarlo  al  ponte, 
havea  il  ducha  proniisso  de  ritornare,  et  vedendo  che  *1  non 
area,  cum  qualche  anxicii  et  dubio  de  mente  andoreno  a  pallazo  ; 
i  la  cosa  per  tuto  hcri  fìn  a  le  xx  hore  stette  cussi  sopita,  persua- 
de ogniuno  che '1  fusse  restato  in  qualche  loco  ìn  aptacere.  A  le 
Dre  il  papa  domanda  instantemcnte  d'esso  ducha  et  manda  a  le 
lere  sue  a  sapere  che  è  de  lui.  Alcuni  suoi  compagni  hominì  da 
to  che  erano  in  diete  camere  non  sripeano  che  respondere,  et 
Dati  dal  papa  duhitoreno  andare,  Unde  che  Sua  Beatitudine 
oe  per  Valenza  et  per  Borgia,  ìnterogandoli  cum  grandi  pro- 
che  lì  dicessero  che  era  del  ducha.  Essi  apertamente  li  dis- 
f  il  tuto  come  scrìvo:  hoc  audito  il  papa  volsi  intendere  se  l'era 
lo  o  non;  che  se  era  morto,  disse  sapeva  Torigìne  et  la  causa. 
p  non  sapéro  dire  altro,  se  non  quello  haveano  visto  et  intieso 
Ifuffiero  chc.fue  mandato  dal  ducha  a  pigliare  Tarmaiura  da 
e. —  Hoggì,  facto  giorno,  che  la  noctc  passata  non  se  era  facto 
I  che  tramar  per  ogni  via  per  haverne  spia,  se  intesi  per  rcla- 
I  de  un  schiavone  marinaro  che  era  cum  lo  navilio  suo  a  la 
Fdcl  Populo,  non  troppo  distante  da  la  porta  del  Populo,  et  era 
p  per  dormire,  che  '1  mcrcori  circa  le  quatro  hore  de  noctc  per 
marte  de  la  cave  dove  era  vide  proximarse  a  la  ripa  un  homo 
lediocre  statura  a  cavallo  ad  un  cavallo  liardo,  che  havea  in 
pa  una  cosa  in  forma  de  uno  grande  fardello,  et  che  sentite 
Irandc  strepito  de  strapozare  ne  Tacqua,  e  intese  dire  ad  una 
t  formalmente:  k  creditu  che  *1  sìa  andato  a  iondo?  »  et  quello 
tiespondere:  a  signor  si  j>.  Cussi  il  papa  questa  mane  fin  a  le  xvin 
^  é  facto  pescatore  del  tiglio  ;  che  a  tal  hora  t  sta*  ritrovato  ìn- 
IJK  in  un  saco  cum  la  gola  tagliata  et  li  brazi  et  cosse  ferite  in 
Ideiti  mortalmente.  È  gitato  in  lo  luoco  dove  se  gitano  lì  letami 
ima,  da  quello  canto. 

ìe  fanno  vari)  comcnti  sopra  questo  caso  ad  ogni  modo  do- 
0;  chi  imputa  siano  stati  Viterbesi  per  queste  seditione  loro,  che 
ro  forsi  pare  de  patire  per  poca  provisione  o  culpa  del  ponte- 
lalcuni  danno  colpa  che  per  essere  questi  signori  alquanto  di- 
lla Docte  in  voler  femine  de  Romani  non  sia  stato  conducto  a 
ppola  da  qualchuno  iniuriato  ne  rhonore;  chi  la  dice  ad  un 
0»  chi  ad  un  altro. 

Wr  quanto  io  habia  potuto  investigare  da  persone  di  qualche 
Ro  in  casa  d'esso  ducha  et  de  Valenza,  la  cosa,  se  non  è  facta, 
ita  fare  o  consultata  cura  persone  che  ha  denti  longì;  e  questo 
lo  non  se  fa  sen;ca  fundamento  et  qualche  colore.  Doppo  che 
Kiio  è  convaliuto,  sono  pur  stati  alcuni  termini  fra  questi  signori, 

jMrrAn'A)  delia  R»  Società  romana  di  gloria  patrta.  Voi.  XI.  ai 


302 


Q/t  Lu^io,  7^.  l{ctti'er 


maxime  Valenza  et  ducha,  che  Borgia  non  intra  in  simile  scan* 
mujia;  e  s'è  dicto  che  se  Ascanio  mancava  et  fosse  morto  deve*  |li^ 
neno  non  imputava  altro  che  Valenza,  Ultra  questo  havendo  SfoP 
cìno  questa  quadragesima  passata  facto  amazare  un  signore  spasinolo 
in  casa  de  una  femina  cortesana,  o  ferire  a  morte,  siche  se  oc  morie 
in  pochi  zornì,  la  cosa  stelle  tanto  tacita  et  cum  nulla  dcmon»»- 
tionc  che  circha  un  mese  questo  ducha  manibus  proprìjs  pigliocic 
nocte  alcuni  stafTcri  de  Sforcino  ci  conJusseli  in  presone  come  quelli 
che  liaveano  ferito  a  mone  esso  signore  spagnolo,  et  il  zonio  se- 
quentc  circa  le  xx  fuorcno  impicati  a  li  merli  de  Torre  de  Non^ 
senza  alcuno  respecio,  ancora  che  Ascanio  per  mezo  de  roraiotc 
ducale  facesse  ogni  prova  presso  N.  S.  per  liberarli  et  campar^** 
Come  è  dicto  fuorcno  impicati  suxo  lì  ochij  a  l'amico,  quale  dopP*' 
etiam  personalmente  se  n\-  dogUuto,  e  talmente  che '1  papa  se  *- 
sforzato  rcconciliare  il  ducha  cura  Ascanio  et  cum  Sforzino,  cU-** 
termini  dal  canto  del  ducha  di  chieder  venia  ad  Ascanio,  et  Stcy' 
rino  al  ducha;  tamcn  se  crede  per  certo  che  in  secreto  dal  car***^ 
de  Ascanio  li  fusse  più  pensiero  di  vendetta  che  disposìtionc  de  ^^^' 
mettere. 

Se  scìa  poi  certo  che  esso  ducha  era  ìnamorato  et  pano  de        *"^ 
figlia  del  conte  Ant"  Maria  de  la  Mirandula  et  che  cum  questo  tn^^^* 
sia  stato  tirato  a  la  trapela,  perchè  il  loco  dove  è  su'  submeno  i»-  ^^^ 
ò  troppo  distante  da  la  casa  del  conte,  E  poi  lo  nicrcorc  nocte»** 
ritrovata  h  multa  d'esso  ducha  veda  che  erava  da  la  casa  del  co*"^* 
verso   casa   de   Parma;  e   pigliata  da  alcuni   che  passavano  e  cic:^^^ 
ducta  presso  la  casa  del  conte,  trovose  dui  armati  acostati  a  1Ì  rai»-^* 
dVsso   conte,  a   li  quali  fue    domandato  se  la  malia  era  loro,  cr    -^ 
prima   dissero  si,  ma   domandatoli   il   contrasigno  de  la  mulla  n  ^^  . 
sapéro  dire  altro  se  non  che  havea  la  sella  picola,  e  facendo  quC^ 
tali  che  haveano  ritrovato   la  mulla  reniientia  de  darla    per  quc^-;^ 
solo  signo  de   la   sella,  quelli  armali   resposero  che  li  lassavano      *^ 
mulla  et  si  andassero  per  li  facti  loro. 

Quello  tale  che  salite  in  croppa  al  ducha  se  pensa  e  presun* 
fusse  uno  Jaches  de  casa  de  Ascanio,  cum  lo  quale  se  era  per  • 
passato  fido  grande  instaniia  che  'I  pigliasse  per  mogliere  la  figli  ^ 
del  conte  Antonio  et  mai  non  havea  vogUulo  attenderli.  E  pur  ir* 
questo  ultimo  del  caso  de  Ascanio  li  furono  lassati  per  testameni 
dece  mille  ducati  se  la  pigliava;  casu  che  non,  non  havea  se  non 
quattromille. 

Fin  qua  queste  sono  le  più  millitanie  conleciure  che  siano,  ben- 
ché ancora  se  suspichi  d.i  quakhuno  del  signor  de  Pesaro,  et  in  li 
demi  del  ducha  de  Urbino. 


Varietà  303 


n  papa  per  quanto  se  debbe  consyderare  è  de  la  pezor  voglia 
e  fusse  mai,  e  non  se  può  pensare  che  non  ne  succeda  qualche 
inde  inconveniente,  secondo  che  la  cosa  se  andarà  verificando  a 
tornata.  Se  stima,  et  quasi  non  può  essere  altramente  secondo  11 
e  di  cui  r  ha  visto  morto,  che  collui  che  li  salite  in  croppa  ama- 
sse esso  ducha  cum  Io  suo  pistorese  che  Thavea  dreto  et  che'l 
n  intrasse  in  casa  veruna.  Del  successo  V.  Ex.  sarà  copiosamente 
mata.  Raccomandome  in  buona  gratia  de  V.  Ex. 

Romae,  xvi  junij  1497. 

S.tor 
Jo.  Carolus  CScalona). 


w 


ATTI  DELLA  SOCIETÀ 


Corso  pratico  di  Metodologia  della  storia 


!  Trascn'yione  d'un  rotula  membranaceo  contenente  un 
I  esame  testimoniale  circa  i  diritti  delFabbadia  di 
^m    Far  fa  su  Montefalcone, 

^V  Lasciato  cortesemente  in  deposito  presso  la  R.  Società 
''otnana  di  storia  patria  un  rotulo  membranaceo  del  se- 
*^^lo  xui,  noi  avemmo  agio  di  trascriverlo,  ed  ora  lo  pub- 
""chiamo,  non  mancando  dì  qualche  interesse,  perchè  si 
'"'li^risce  ad  una  questione  dibattutasi  tra  una  forte  città  ed 
^^^  potentissima  badia. 

Il  rotolo  consiste  di  nove  fogli  dL  pergamena  cuciti 
''^sìctne,  scritti  da  un  sol  lato,  in  carattere  minuscolo,  tutto 
^   lina  sola  mano. 

Esso  è  nondimeno  frammentario  e  doveva  essere  molto 
P'u  voluminoso,  a  quanio  sì  può  giudicare  dall'importanza 
*^Ue  due  parti  e  della  questione,  e  da!  poco  che  nel  fram- 
^<;nto  esistente  si  contiene. 

Il  testo  comprende  l'esame  di  alcuni  testimoni  in  un 

giudizio  tra  la  badia  di  Farla  e  la  città  di  Fermo  sul  pos- 

del  castello  e  della  terra  di  Montefalcone. 

La  badia  di  Farfa  sin  da  tempo  remotissimo  ebbe  nelle 

forche  arapi  possedimenti,  che   costituirono  il  Pmidaio 

Farjemc.  La  prima  memoria  di  un  possesso  nelle  Marche 

risale  al  secolo  viii,  nel  qual  tempo  la  badia  possedeva  già' 

il  monastero  di  S.  Ippolito  nel  territorio  di  Fermo,  dove 


}o6 


Q4tii  della  Socielà 


mori  Tabbaie  Guandelperto  o  Vandelperto.  Sulla  fine  del 
secolo  IX,  per  sfuggire  alle  scorrerie  de'  Saraceni,  i  moDJci 
di  Farfa,  guidati  dalKabbate  Pietro,  si  ritirarono  nella  Marca, 
sul  monte  Matenano,  dove  poi  sorse  la  terra  di  Santa  Vit- 
toria, che  prese  questo  nome  quando  Tabbate  Ratfredo,  tor- 
nato in  Sabina  e  ricostruito  l'antico  monastero,  mandò  h 
compenso  al  monte  Matenano  il  corpo  di  santa  Vittoria  (i). 

Questo  abbate  Ratfredo,  che  probabilmente  fu  in  carica 
dal  929  al  936,  acquistò  il  castello  di  Montefalcone,  «cur- 
«  tem  videlicet  quae  mons  Falconìs  dicitur....  dato  predo 
«  novitcr  comparavi:  »  (2). 

Un  atto  importante  rebtivo  a  Montefalcone  è  quello 
pel  quale  Matteo  abbate  del  monastero  Farfense,  acor»- 
0  sentientibus  fratribus»,  concedeva  nel  maggio  121435!* 
abitanti  di  quel  castello,  in  compenso  della  loro  fcdclti,"* 
eleggersi  un  Consiglio,  il  podestà,  il  giudice,  i  massari,     ' 
notai,  di  fare  statuti  pel  regolamento  del  proprio  comune  (>  j* 
Nel  1214  adunque  il  castello  di  Montefalcone  era  in  posse?^ 
della  badia  di  Farù.  Ma  troviamo  più  tardi  una  bolli  "* 
papa  Innocenzo  IV   a  Gerardo  Cossadoca,    rettore  de**^ 
Marca  anconetana,  sulla  restituzione  al  comune  della  ci^^ 
di  Fermo  del  castello  di  Montefalcone,  occupato  da  al«^^J^ 
cittadini   fermani  (4).  Questa  è  datata  da  Anagni, 

(1)  OrMu  Fmrj,  nel  Muratori,  n,  patte  2',  34$. 

(2)  Ivi,  45  $- 
(;)  V.  il  n.  57  nel  Sommarìo  crcmóhguo  H  carU  fu  iwi 

«li  tàcch  XIV,  inserito  nel  tomo  IV  dei  Documénti  di  itoria  itatiana 
btìcati  t  cura  della  R.  Depuuxìone  di  storia  patria  per  la  Toscana 
Umbria  e  Marche;  nonché  il  n.  io  del  supplemento  al  Codice  dipt^ 
niatico  di  S,  Viitoria  (CoLUCCi,  Aniicbità  pianta  XXXI).  H  DOfflC 
di  Matteo  dato  ad  un  abbate  di  Farfa  vivente  nel  1214  non  cxào^ 
dcrebbc  col  catalogo  Muratorìaoo  (\1I,  parte  2*,  p.  29S),  sccooÌO 
il  quale  dal  1191  al  12;$  sarebbe  suto  abbate  Pandolfo.  Ma,  come 
vedremo,  ^  molto  ififficflc  poter  precisane  la  successone  degli  abbati 
in  quel  tempo, 

(4)  Simm^rìè  nn»»iliftfe>  M  céruférmmn  nel  eh.  voi.  IV  dei  D»- 
nuMwli,  a.  22$. 


Q4tti  della  Società 


307 


dicesìmo  anno   (1254)   Jel   ponrificito  di    Innocenzo  IV. 

A-dunque   nell'intervallo   di  tempo   fra  il  1214  e  il  1254 

Montcfiilcone  fu  occupato  dalla  città  di  Fermo,  e  da  essa 

tenuto  in  modo  da  potersi  poi  rivolgere  al  pontefice  e  f;ir 

constare  il  proprio  diritto  per  ottenerne  la  restituzione. 

Fermo,  che,  dopo  la  sconfitta  del  marchese  Marcoaldo 
d'Anninuccio  nel  1 199  (i),  aveva  cominciato  a  governarsi  a 
comune,  aveva  con  varia  vicendaaderito  ai  due  partiti  guelfo 
|C  ghibellino,  riconoscendo  spontaneamente  il  più  forte  e 
^fcttraendosi  in  tal  modo  ai  pericoli  delia  resistenza,  otte- 
^Rndo  anzi  la  conferma  de'  privilegi  gi;ì  avuti  ed  altri  nuovi. 
Cosi  Fermo  nel  1208  riconosceva  il  dominio  di  Ottone  IV, 
^el  12J4  passava' con  Aldobrandino  d'Este  al  partito  guelfo, 
"ci    1224  si  assoggettava   spont.meamente  al  proprio  ve- 
scovo, nel  1242  riconosceva  a  signore  Federico  II  (2),  e 
**«!    1249  ritornava  all'obbedienza  de'  pontefici  (j). 
'        In  tal  modo,  quando  nel  1254  Innocenzo  IV  scriveva 
[•J  Tenore  della  Marca  perchè  il   castello    di    Montefilcone 
Tosse  restituito  ai  Permani,  questi  da  pochi  anni  erano  tornati 
|**^tto  il  dominio  della  Chiesa;  né  dovevano  molto  rimanervi, 
»chè  nel  1258  mandarono  ambasciatori  a  re  Manfredi,  e  ot- 
l^^tiutane  la  conferma  de'  privilegi,  a  lui  si  sottomisero.  E  di 
Manfredi  abbiamo  un  atto  nel  quale  egli  conferma  al  comune 
i  ^*  Fermo  «  iura  et  iurisdicioiiem  quam  et  quae  curia  nostra 
*habet  in  castro  Mariani...  castro  Montisf^dconis., .  »  (4). 
Con  questi  fatti  si  collega  il  nostro  documento.  Come 
ioVum  detto,    esso    contiene  un  esame  testimoniale:    in 
^uel  che  a  noi  è  pervenuto  sono  comprese  le  deposizioni 
ii  Undici  testimoni;  del  primo  però  non  abbiamo  che   le 
risposte  agli  ultimi  sei  articoli  dell'  interrogatorio,  e  rimane 

.1)  CouPAGNOVl,  Ré^pa  pie,  p.  79. 

[3)  Sulla  sottomissione  di  Fermo  all'imperatore  Federico,  veggasì 
LLARO  Bréholles,  Hisl,  dipìom.  FruUr.  II,   VI,  790  e  sg. 
(j)  Fracassetti,  Kotixje  storiche  della  città  di  Fermo, 
1(4)  Wdìkelmann  G.,  Actd  impani  inedita  saeculi  xiii,  I,  414. 


3óS 


oAtii  della  Società 


ignoto  il  nome  del  teste.  Le  deposizioni  degli  altri  dieci 
testimoni  sono  complete. 

L'interrogatorio  ebbe  luogo  in  vari  giorni:  nel  primo 
giorno  furono  raccolte  le  deposizioni  del  primo  teste,  di  cui 
ignoriamo  il  nome,  e  dei  testi  Rainaldo  di  Benedetto  da 
Force,  Berardo  cappellano  di  Santa  Maria  Nova  in  Force  e 
Beraldo  di  Benazano  da  Settecarpine;  in  un  altro  giorno, 
die  XI  marta,  ì^'Il  indictionisy  furono  sentiti  Mainardo,  cap- 
pellano di  S.  Biasio  da  Teramo,  Gualtieri  di  Enrico  da 
Force  e  Bono  di  Meliorato  da  Teramo;  die  XV  martiiy 
furono  sentiti  Rainoldo  monaco  di  S.  Catervo  da  Tolentino 
e  Giacomo  priore  di  Santa  Maria  da  Offida;  die  XFI  martii 
fu  sentito  Pietro  di  Nicola  da  Monte  di  Nove,  con  la  cui 
deposizione  termina  il  frammento. 

Le  deposizioni  furono  fatte  presenti  le  parti  e  innanzi 
al  rettore,  che  senza  dubbio  è  il  rettore  pontificio  della 
Marca,  ma  di  questo  manca  il  nome,  che  certamente  do- 
veva essere  in  testa  al  manoscriao,  perchè  al  principio  di 
di  ogni  deposizione  troviamo  che  questa  ò  fatta  «  coram 
«  rectore  prefato  i>. 

Gli  articoli  dell'  interrogatorio  sono  dodici  ;  e,  salvo 
l'ultimo,  tutti  mirano  a  stabilire  il  possesso  del  castello  di 
Montcfalcone  da  parte  della  badia  farfense. 

Nel  primo  articolo  si  domanda  chi  era  in  possesso  del- 
Tabbazia  farfense  nella  Marca  e  del  castello  di  Montefalcone 
prima  dell' invasione  di  Federico  li  impentore,  come  si 
esercitava  questo  possesso  e  per  quanto  tempo  fu  esercitato. 
Su  questo  articolo  le  risposte  dei  testi  sono  pienamente  con- 
cordi. L'abbazia  f-irfense  nella  Marca  e  il  castello  di  Montefal- 
cone prima  dell'invasione  di  Federico  erano  in  possesso  degli 
abbati,  di  cui  vengono  ricordati  Matteo  di  Subiaco,  Enrico 
di  Cosseiano,  Gentile,  Matteo  di  Arsoli.  Di  questi  abbati 
non  è  possibile  stabilire  con  sicurezza  la  data,  perchè. regna 
'una  grande  incertezza  su  questo  periodo  di  tempo  nella 
storia  della  badia  farfense  nella  Marca. 


q4Ui  della  Società 


309 


Tuttavia  si  può  assegnare,  con  probabilici  di  essere 
molto  vicini  al  vero,  al  governo  dell'abbate  Matteo  di  Su- 
biaco  il  periodo  di  tempo  dal  1258  al  1242;  all'abbate 
Enrico  di  Cosseiano,  dai  1242  al  1243;  all'abbate  Gentile, 
d-iJ  1247  al  1250;  all'abbate  Matteo  d'Arsoli,  dal  1250 
al  1257  (i).  La  successione  degli  abbati  non  fu  sempre 
continua;  ma  dopo  la  morte  di  alcuni  di  essi  la  carica 
rimase  vacante.  I  testi,  rispondendo  airundecimo  articolo 
Jeir  interrogatorio,  depongono  concordemente  che  da  oltre 
trent'anni  e  dopo  l'invasione  deiresercito  imperiale  vi  fu- 
rono ad  intervalli  interruzioni  nella  successione  degli  abbati 
per  un  periodo  di  sette  a  dieci  anni.  L'ultimo  teste,  Pietro 
di  Xicola  da  Monte  di  Nove,  ricorda  che  le  vacanze  avven- 
nero per  la  morte  dell'abbate  Stefano,  per  la  deposizione  del- 
1  -abbate  Nicola  e  per  la  morte  delTabbate  Peregrino.  Il  go- 
^■<^rno  dell'abbate  Stefano  può  fissarsi  tra  il  [245  e  il  1247, 
<luello  dell'abbate  Nicola  tra  il  1259  e  il  1261  Ci2)"9- 
*2€o,  secondo  il  Colucci),  e  quello  dell'abate  Peregrino 
^^^  il  1261  e  il   1277  (i26o-[275,  secondo  il  Coluccì). 

Questa  parte  delle  deposizioni,  sulle  vacanze  dell'abbazia, 
WÈ^  utile,  come  vedremo,  per  stabilire  la  data  dell' inter- 
^gaforio. 

Tornando  ora  alle  deposizioni  sul  primo  articolo,  ab- 

'>iamo  veduto   che  queste  sono  concordi  nello  stabilire  il 

Possesso  degli  abati  di  Farfa  sul  castello  di  Montefalcone 

pntua  dell'invasione  dì  Federico,  Il  possesso  era  vero  do- 

^»nio  pieno  ed  assoluto  sui  beni  della  badia,  con  giurisdi- 


(')  Queste  date  le  abbiamo  desunte:  i*"  Dal  catalogo  pubblicato 
*"l  Muratori  (v,  II,  p.inc  II,  p.  298);  2"  Dall'elenco  degli  abbati 
pubblicalo  nelle  «  Memorie  storiche  deirantica  badia  dì  Farfa  »  (Co- 
■  tCCCl,  Anlich.  pie.  XXXI);   j^  Dagli  Annah::  sacri  et  imptriaìis  Mott. 
f.  di  Gregorio  Urbano,    manoscritto  esistente  nella  bibl.  Vitt 
di  Roma  (fondo  Mon.  Farf.  XXXVII-51),  lavoro  questo  re- 
tte, perchè  non  rimonta  oltre  la  metà  del  secolo  xvii,  ma  fatto 
di  un  monaco  della  badia  e  quindi  su  materiali  abbondanti  e  sicuri. 


^to  C#tf  4MUi  Sodeià 

aone  su  tutte  le  cause  dvifi  e  criminalL  II  dominio  era 
eserdtaito  per  mento  di  Ticarì,  come  à  vede  dalle  risposte 
al  secondo  aiticofe;  e  questi  erano  du^  uno  per  la  giuris- 
dinone  t^nporale»  ed  uno  per  la  qnrituale.  Al  tempo  del- 
Finvasione,  o  poco  prima,  era  to^o  per  la  giurisdizione 
temporale  Fildesmido  da  Mediana 

Gli  abbati  possedevano  tutta  Tabbaria,  e  g|i  uomini  e 
i  vassalli  delTabbazia  e  de'  castelli  sc^getti,  ne'  quali  tene- 
vano gastaldi  o  visccmti.  La  giurisdizicMie  penale  si  esten- 
deva fino  alla  pena  ifi  mmte,  cemm  quo  ad  sanguinem 
e  et  capitaUs  pene  impositionem  »,  e  taluni  testi  rìccM'dano 
vari  su{^lizi  corporali,  come  Faccecamento.  E  la  natura  e 
i  limiti  del  dominio  degli  abbati  e  della  rappresentanza  affi- 
data ai  vicari,  la  quale  era  amplissima,  perdiè  essi  facevano 
«quod faciunt  domini  »,  eque  dominus  et  comes  fadt  in 
«  sua  terra  et  in  suis  vassallis  »,  formano  Fargomento  del 
terzo  ardccdo. 

Il  quarto  articcdo  tende  a  stabilire  i  nomi  di  parecchi 
vicari  e  il  tempo  in  cui  esercitarono  il  loro  ufficio.  Rica- 
viamo che  Gentile  <fi  Attone  da  Force  e  Fildesmido  da  Mo- 
llano furono  vicari  prima  delFinvarione;  gli  altri  che  ven* 
gono  nominati  da*  testimoni  lo  furono  in  tempi  diversL  II 
nome  di  Fildesnùdo  (o  Fildesmindo)  di  Moliano  si  ritrova 
in  qualche  carta  del  tempo:  cosi  s:q>piamo  che  Gregorio  IX 
comandò  nel  1230  a  Filippo  vescovo  di  Fermo  di  conoscere 
e  giudicare  la  controversia  tra  il  comune  di  Camerino  e 
Fildesmido  sopra  il  castello  di  Morico  (i), 

E  il  Colucci  (2)  pubblica  Tatto  di  concordia  ÌDter\-enuto 
il  5  maggio  1 247  tra  Fildesmido  di  Moliano  e  Balignano, 
Corrado  e  Giberto  di  Giovanni  sopra  il  Poggio  dì  S.  Co- 
stanzo. 

Fra  i  vicari  menzionati  da  vari  testimoni  vi  e  Alber- 


(i)  Catalani,  EccUsiu  FirmAtu,  p.  17S, 
(i)  Antichità  pic^m4,  XIX,  xxvl 


C^tti  della  Società 


I" 


tino  figlio  del  conte  Alberto  de  Exmirillo,  del  quale  il  teste 
,  Brunoro  di  Silvestro  da  Force  dice  che  possedeva  in  Mon- 
\  tefalcone  quosdam  vassallos  e  che  facicbat  Jìdelitatem  all'abate- 
BL  Di  un  altro  de'  vicari  nominati  troviamo  tracce  nelle  carte 
HI*  tempi,  di  Arpinello  figlio  del  (jtwfulavi  Giberto  della  Valle, 
fil  quale  con  atto  dell'  8  novembre  1258  vendè  al  comune  di 

Amandola  il  Poggio,  ossia  castello  delle  Valli,  e  il  borgo 

di  detto  Poggio,  con  tutti  i  vassalli  (i). 

Il  quinto  articolo  si  riferisce  al  modo  pel  quale  l'abbazia 
;  venne  privata  del  suo  territorio  e  del  castello  di  Monte- 
■  «bicone.  I  testimoni  sono  tutti  concordi  nel  rispondere  che 

la  spogliazione  avvenne  a  causa  dclT  invasione  delle  solda- 
1  tcschedì  Federico  imperatore.  Rainaldo  d*Acquaviva,  nunzio 
I  del  re  Enzo,  con  forte  mano  di  saraceni  e  di  tedeschi  venne 
'  *l  castello  di  Force,  dove  era  l'abbate  Matteo  di  Subiaco,  il 

<l^^lc  non  volle  prestargli  obbedienza  e  dovette  fuggire, 
I  *  recessit  de  ipso  castro  plorando  »  ;  e  cosi  quegli  rimase 

padrone  del  territorio,  «et  tane  privatimi  fuit  dictuni  mo- 

•  na.sterium  de  tota  diaa  possessione  »>,  e  gli  abitanti  «  fe- 

•  cerunt  mandata  eius  )).  L'imperatore  non  venne  perso- 
nalmente contro  l'abbazia,  ma  uno  de*  testi,  Gualtiero  di  En- 
^co  da  Force,  depone  di  averlo  veduto  all'assedio  di  Ascoli. 

Ora  noi  sappiamo  che  l'esercito  imperiale  assediò  e  prese 
I  Ascoli  nel  1242  (2),  ma  il  re  Enzo  aveva  già  invaso  la 
'  Marca  nel  settembre  1239  (3),  e  nel  novembre  si  trovava 
^^\  territorio  di  Macerata  e  assediava  Montecchio  (4). 

^H(i)  Appendice  diplomatici  II  della  terra  dì  S.  Gincsio  (CoLUCCi, 
^HUticftrl«ì  piani,  XXIV,  p.  20)- 

(a)  Riccardo   di    S.  Germano  (nel    Muratori,   VII,    1049-E, 
I0)0-B). 

(3)  «  HeoncusrcxGallurnc  naturalis  filius  imperatoris  in  Marchiani 
«  Anconìtanam  vcnii,  contra  qucm  mitiitur  a  Gregorio  paprj  Joanncs 
•  de  Columoa  cardinalis,  mense  octoh.(anno  MCCXXXIX)».  Rice. 
01  S.  Germaso  nel  Mumatori,  VII,   1043. 

(4)  Compagx'osi,  R^il^id   piana,  pp.   102,  toj;  ove  si  riporta  il 
testo  detratto  a  datum  in  castrìs  in  obsìdionc  MontccUc,  1239,  mense 


312 


C^f//I  della  Società 


L'occupazione  del  territorio  dell'abbazìa  farfense,  ese- 
guita da  una  masnada  (come  dice  il  nostro  manoscritto) 
di  tedeschi  e  di  saraceni  comandati  da  Rainaldo  di  Acqua- 
viva,  deve  esser  quindi  avvenuta  tra  la  fine  del  1239  e 
il  1242,  mentre  era  abbate  Matteo  di  Subiaco,  come  depon- 
gono concordemente  tutti  i  testi;  e  infatti  un  Matteo,  come 
abbiamo  veduto,  era  abbate  nel  1238,  e  probabilmente  lo  fu 
fino  al  1242,  nel  qual  anno  si  trova  come  abbate  Em'ico,  il 
quale,  non  trovandosene  altro  di  questo  nome,  deve  essere 
l'Enrico  di  Cosseiano  ricordato  da'  testi  nelle  risposte  al 
primo  articolo. 

Siccome  però  dalla  deposizione  di  BeraldQ  domim  Bo- 
na^ani  di  Settecarpine  rileviamo  che  Rainaldo  era  nunzio 
del  re  Enzo,  la  sua  invasione  nel  territorio  dell'abbazia  si 
può  riferire  al  tempo  in  cui  il  re  Enzo  entrò  nella  Marca 
spingendosi  oltre  Macerata,  cioè  all'autunno  o  all' inverno 
del  1239(1).  E  questo  ci  vien  meglio  confermato  dalla 
deposizione  di  Gualtiero  di  Enrico  da  Force,  che  riferisce 
appunto  all'esercito  di  tedeschi  e  di  saraceni  comandato  da 
Enzo  l'occupazione  dell'abbazia. 

Rainaldo  d'Acquaviva,  dopo  aver  cacciato  dal  castello 
di  Force  l'abbate  Matteo,  si  diresse  lo  stesso  giorno  alla 
chiesa  di  San  Januario  verso  il  castello  di  Montetalconc,  ed 
ivi  ricevè  gli  uomini  di  questo  castello  a  far  atto  d'obbedienza 
(deposizione  di  Brunoro  di  Silverio  da  Force). 


H  novembrìs  »  col  quale  «  Henricus  Dei  et  imperiali  gratta  rex  Tur- 
«  rium  et  GaUuris  ce  domini  impcratorìs  (ìlius  sacri  imperìi  totius 
a  Italiae  Icgatus  »,  coafcriva  alla  citt;\  di  Macerata  alcune  ìmmunitÀ 
e  diritti. 

(1)  Nello  stesso  anno  1239  Rainaldo  era  slato  compreso  fra  i 
baroni  abru/zesi  ai  quali  furono  affidati  da  Federico  II  ì  prigioni  lom- 
bardi (HuillardBréholles,//iì/.  dipi.  FriiUr,JI,\y  61 1).  Nel  1240 era 
inviato  come  capitano  a  Viterbo  (v.  il  Chronkon  di  Riccardo  di  San 
Germano  nel  Mur,\tori,  VII,  1028-8;  e  rfluiLLARO  Bréholles, 
V,  779)  ;  e  fu  poi  poteste  di  Cremona  (Huillard  Bréholles,  V,  1070)- 


C/ft/j*  delia  Società 


I  comune  di  Fermo,  il  quale,  come  abbiamo  visro,  nel 
,  dopo  Tassodio  di  Ascoli,  si  era  dato  alla  devozione 
Tìniperatore,  approfittando  certo  di  un  momento  in  cui 
rze  de'  Guelfi  erano  oppresse  dagli  imperiali,  dovette 
pare  Montefalcoae,  e  lo  tenne,   secondo   le  testirao- 
ize  raccolte  nel  nostro   manoscritto,   relative   alTarti- 
\  settimo,  per   venti   anni.  Per  meglio  tenere  il    ca- 
D,  i  Permani  vi  costruirono  una  torre  e  un  girone,  o 
Mo  di  mura;  ma  non  pare  che  il  loro  dominio  si  esten- 
e  molto  al  di  li  del  castello,  perché  i  «  servitia  debì- 
I»   furono  prestati  ancora  all'abate. 
Ritornata  Fermo  nel  1249  alla  devozione  del  pontefice, 
la  conferma  de'  privilegi  ottenuti  dall'imperatore  nei 
,  Gerardo,  vescovo    di  Fermo  (i),  pose   mano  tosto 
e  fossero  restituiti  alla  Cliiesa  i  castelli  tolti  nell'  inva- 
di Federico;  insieme  al  comune  di  Fermo  ricorse  a 
locenzo  IV,  e  questi,  il  24  novembre  1 251,  scriveva  al 
lore  della  Marca  di  dare  aiuto  al  vescovo  e  al  comune  (2)- 
anoperò  non  restituiva  alla  badia  Farfense  il  c;istcllo  di 
itefalcone,  che  anzi,  come  abbiamo  visto,  nel  1254  In- 
zo  rV  scriveva  al  rettore  perchè  il  castello  occupato 
cuni  cittadini  fermani  fosse   restituito  al  comune,  il 
aveva  gii  concesso  la  cittadinanza  agli  abitanti  di 
:efalcone  nel  1251  (3). 

artito  l'abbate  Matteo,  rimase  il  monaco  Nicola  di 
Lia  come  vicario,  e,  «  cum  gcreret  officium  vicnria- 
»,  venne  un  certo  Salomone,  il  quale  prese  a  coman- 
fe  a  nome  dell'imperatore,  cosicché  Nicola  per  timore 
^lontanò.  Questo  Nicola  fu  poi  abbate  anche  lui,  dal 
h  fino  al   12^1,  o  sino  al  12^0,  secondo  il   Colucci, 

'0  Dal  1250  (e  forse  dal  1251)  al  1272  (Gams,  Series  tpp.  p.  692). 

^2)  Catalani,  De  Ecclesia  Firmana,  p.  180. 

j)  V.  n.  186  nel  già  citato  regesto  Fermano,  pubblicato  dal  De 

iicis. 


3H 


(i/ltti  della  Società 


e  perciò  nelle  deposizioni  (che  sono,  come  vedremo,  po- 
steriori) si  dice  di  lui  oUm  abbas,  E  durante  il  vicarilo  di 
Nicola  il  castello  di  Montefalcone  passò  al  rettore  dclli 
Marca.  Il  modo  in  cui  si  operò  questo  passaggio  fornw 
Targomento  del  sesto  articolo  dell'interrogatorio.  Il  cai 
di  Montefalcone  era  stato  occupato  dai  «iignori  di  Sn 
i  quali,  sulla  richiesta  di  Nicola  di  Puzzallia,  a  lui  lo  i 
tuirono,  e  Nicola  vi  andò  personalmente  e  ne  prese  possesso. 

Dalla  deposizione  particolareggiata  del  teste  Giacoa 
priore  di  Santa  Maria  di  Offida,  parrebbe  che  quando! 
cola  ebbe  dai  signori  di  Smerlilo  il  castello  di  Montcfj 
cone,  e  quando  questo  fu  poi  fatto  occupare  dal  rctiore 
della  Marca,  egli  fosse  già  abbate  del  monastero.  Ma 
consegna  del  c:istello  a  Nicola  fu  anteriore  all'occupjzio 
fattane  dal  rettore,  che  era  Gerardo  Cossadoca,  e  quei 
non  può  essere  posta  oltre  il  1254  0  1255,  nel  qual  tern| 
Gerardo  era  vescovo  di  Verona.  Nicola  invece  dive 
abbate  solo  nel  1259,  secondo  Tattestazione  confonneJe 
tre  fonti  da  noi  citate  sulla  cronologia  degli  abbati  far- 
fensi,  le  quali  portano  come  abbate  in  quel  tempo  {d^l 
1250  al  1257)  "^"  Matteo,  che  e  ricordato  dai  tesò  tol 
nome  di  Matteo  d'Arsoli.  Ci  sembra  quindi  doversi 
nere  che  in  quel  tempo  Nicola  fosse  soltanto  vicario 
l'abbate  nella  Marca;  ma,  essendo  poi  divenuto  abbate,] 
teste,  parlando  di  lui,  gli  óX  quel  titolo,  benché  depoaJ|_ 
su  fatti  avvenuti  anteriormente  alla  dignitA  ottenuta  ^ 
Nicola. 

I  signori  di  Smerillo  e  di  Montepassillo,  che  qui  ^^ 
viamo  citati,  erano  una  nobile  ed  antica  famiglia,  il  ^ 
castello  di  Smerillo  si  trovava  nel  territorio  di  Comunan 
sulla  vetta  di  Montepassillo,  a  poche  miglia  da  Montcn 
cone.  Ai  fratelli  Giorgio  e  Albertino  di  MoniepassiU 
ricordati  nella  deposizione  del  teste  Giacomo,  priore 
S.  Maria  di  Offida,  la  cittA  di  Ascoli  accordò  nel  1249 
la  francliigia  dalle  gabelle,  perchè  essi  promisero  di  anJiT^ 


315 


bitire  e  comprarvi  case  e  poderi,  e  si  obbligarono  a  te- 
Ifanti  e  cavalli  in  servizio  della  cittd,  e  andare  alla  guerra 
occorresse.  I  figli  di  Albertino  nel  1295  venderono  a 
tsser  Nicolò  di  Emidio  di  Ascoli  il  costello  per  3600  libbre 
ali;  tua  essi  continuarono  a  possedere  vasti  domìni 
rrritorio;  e  la  loro  famiglia,  che  portava  il  casato  di 
li,  non  si  spense  che  al  principio  del  secolo  scorso  (i). 
iselmo  di  Smerlilo,  che  troviamo  pure  nominato  nella 
deposizione,  intervenne  alle  capitolazioni  che  furono 
iuse  il  15  settembre  1256  tra  Anibaldo  degli  Anibal- 
ksi  della  Molara,  rettore  della  Marca,  e  vari  comuni  e 
>ri  delia  Marca  per  mantenersi  nella  fede  della  Chiesa  (2). 
Umasto  Nicola  in  possesso  del  castello  di  Montefalconc, 
restituito  pacificamente  da' signori  di  Smerlilo,  venne 
i  un  tal  Oddone  di  Firenze,  inviato  da  Gerardo  Cossa- 
dei  Vicedomini,  cappellano  pontificio  e  rettore  della 
Ca,  poi  vescovo  di  Verona  (3),  a  nome  del  quale  si  fece 
egnare  il  castello,  il  che  Nicola  fece,  protestando  però 
rio  per  rispetto  della  Chiesa  Romana,  salvo  e  riservato 
[  diritto  della  Chiesa  Farfense, 
^'ottavo  anicolo  dell*  interrogatorio  tende  a  stabilire  i 
porti  tra  l'abbazia  e  gli  abitanti  delle  terre  sottoposte  ad 
^:  i  vassalli  prestavano  giuramento  di  fedeltà  agli  abbati 
^loro  vicari»  talvolta  per  syttJicnm,  come  gli  abitanti  di 
ia  (deposizione  di  Pietro  di  Nicola  da  Monte  di  Nove), 


t)  «  Descrizione  delle  terre  di  Comunanza  d*Ascoli  0  (Colucci, 
h.  pie.  XXI,  p.  5  e  seg.). 

^)  Compagnoni,  Reggia  piuna,  p.   121. 

^)  Dal  1255  al  12)9  (Gams,  Strìes  epìscop.^  p.  806).  L'occupazione 
sieUo  di  Moniefalcone  deve  essere  quindi  avvenuta  non  più 
del  I2j>»  e  dopo  il  I2$a,  nel   quj|  tempo  era  ancora  rettore 

\  Marca  Tarcidiacono  di  Luni,  a  cui  Innocenzo  IV  scriveva  da 

tgia  «  II  Kal.  sept.  pontile,  nostri  anno  X  »  (Compagnoni,  Reggia 
.  1 18),  e  poi  il  29  novembre  1252  (Colucci,  Aniich.  pie.  XXX, 


}i6 


Q/ltli  della  Società 


per  lo  più  sin^ularitcr,  pagavano  i  censi  dovuti  e  rendevano! 
i  servizi  d'uso. 

L'articolo  nono  riguarda  le  fortificazioni  erette  da' Ferj 
mani  a  Montefiilcone.  I  testi  riferiscono  che  i  FermanU 
struirono  una  torre  e  un  girone^  ossia  recinto  di  mura.  I 
vi  tennero  anche  un  castellano. 

Il  decimo  articolo  riguarda  Toccupazionc  della  Mai 
e  dell'abbazia  da  parte  delle  genti  dell*  imperatore:  e  ana 
su  questo  punto  le  deposizioni  sono  concordi,  perchè  tuttt: 
convengono  nel  fatto  che  l'occupazione  della  Marca  e  i 
territorio  dell'abbazia,  compiuta  hosliliter  dalle  genti  dell'in 
peratore  sotto  gli  ordini  di  Roberto  da  Castiglione, 
conio  da  Morra  e  Rizardo,  fu  continuata  sotto  Manfrci 
che  mandò  Ì  suoi  nunzi  nella  Marca. 

L'articolo  undecimo  riguarda  la  vacanza  della  dig 
abbazialc  che  ebbe  luogo  per  qualche  tempo;  e,  coma 
biam  gi:\  visto  più  sopra,  essa  si  ripetè  parecchie  volte, | 
un  periodo  da  sette  a  dieci  anni. 

Il  duodecimo  ed  ultimo  articolo,  che  ha  un  valore 
ramente  processuale,  tende  a  far  conoscere  se  le  cose  Jetl 
dal  teste  sono  pubbliche  e  notorie,  e  che  cosa  egli  intcnd 
per  pubblico  e  notorio. 

Dato  cosi  un  rapido  esame  al  contenuto  del  mnnoscrirtOi 
ci  resta  ad  esaminare  la  data  probabile  in  cui  avvenne  r*Q 
terrogatorio.  Nel  manoscritto  abbiamo  tre  sole  date: 
XI marta,  Fllindictionis,  nel  quale  furono  interrogati  quattro 
testimoni;  lìie  XV  martii,  ne!  quale  ne  furono  interroga" 
due;  e  die  XFI  martiiy  della  qual  giornata  ci  è  pervenuti 
una  sola  deposizione.  Di  queste  tre  date,  la  sola  che  po^ 
essere  utile  e  la  prima,  in  cui  il  giorno  è  seguito  dall' i'i'^^* 
cazione  dell' indizione.  Nella  seconda  metà  del  secolo  x"* 
gU  anni  a  cui  sì  adatti  la  settima  indizione  sono  il  1264» 
il  1279,  il  1294.  Ora,  fra  queste  tre  date,  ci  pare  facile  >1 
poter  stabilire  che  solo  la  seconda,  cioè  il  1279,  può  essfl 
quella  alla  quale  si  possa  riportare  l' interrogatorio.  I  te 


Q^lii  della  Società 


sn 


no  concordi  neUo  stabilire  che  V  invasione  dell' eser- 
penale  avvenne  trentisei  a  quarant'anni  avanti  la 
timonianza;  ora  siccome  abbiain  visto  che  re  Enzo 
nella  iMarca  nel  1239  e  che  molto  probabilmente  Rai- 
\  d'Acquaviva  occupò  il  territorio  dell'abbazia  ncU*  in- 
i  di  quell'anno  ìstesso,  (Issando  nel  1279  la  data  del- 
iTOgatorio,  questo  avrebbe  avuto  luogo  precisamente 
tnt'anni  dopo  l' invasione  dell'esercito  imperiale, 
loltre,  rispondendo  airundccimo  articolo,  i  testi  sono 
)rd!   nell'affermare  che  le  vacanze  dopo  l'invasione 
I  dignità  abba/iale  avvennero  ad  intervalli  da  oltre  tren- 
ti. Essendo  avvenute  queste  vacanze  per  la  morte  del- 
ire Stcfino,  per  la  deposizione  dell'abbate  Nicola  e  per 
irte  dell'abbate  Peregrino,  troviamo  che  tra  la  morte 
fano  e  Tanno  1279  corrono  difatti  oltre  trent'anni, 
bè,  secondo  il  catalogo  Muratoriano,  le  citate  Memorie 
ite  della  badia  di  Farfa  e  gli  AnnaUs  Mon>  Farf.  di 
[Orio  Urbano,  in  questo  concordi,  Stefiino  era  abbate 
045  e  il  suo  successore  Gentile  era  abbate  nel  1247  ;  ed 
novi  stato  inter\'allo  tra  i  due  abbati,  convien  porre  la 
|(  di  Stefano  nello  stesso  anno  1245,  oppure  nel  124^. 
Srcdìamo  quindi  che  la  data  dell'  interrogatorio  possa 
tarsi  al  marzo  1279;  nel  qual  caso  è  probabile  che  a 
p  giudizio  si  riferisca  1*  istrumento  «  mandati  procurae 
Icausas  »  fatto  da  Morico,  abbate  farfense,  in  persona 
pte   Bernardo    da    Rieti,    «  sub  anno  Domini   127S, 
R>ore  Nicolai  papae  tertii  »  (i). 
I  se   r interrogatorio  ebbe  luogo  nel  marzo    1279,  il 
re  della  Marca  alla  cui  presenza  fu  fatto,  e  del  quale 
p  nel  (rammento  il  nome,  dicendosi  al  principio  di 
j  deposizione,  come  abbiam  visto,  che  è  fatta  coram 
prefaio,  deve  essere  Bernardo  o  Berardo  da  Monte 


V.  il  num.   }86  del  citato  regesto  FermaDO,  pubblicato  dal 


ftrchfrio  detta  R.  Società  romana  di  itoria  pania.  Voi.  XI.  S3 


1 


5i8 


Q/^Éti  della  Società 


Mirto,  abbate  di  Monte  Maggiore  d'Arles  in  Francia.  Olue 
la  menzione  che  di  questo  rettore  fa  il  Compagnoni  (i)» 
abbiamo  che  Tuniversità  e  il  comune  di  Fermo  fecero 
nel  1279  un  istrumento  «mandati  procurae,  in  personam 
«  Johannis  Massonis,  ad  comparendum  coram  domino  Bfr- 
«  nardo,- abate  Montis  Maioris,  provinciae  Marchiae  Anco- 
«  nitanae  rectore  »  per  chiedere  l'assoluzione  di  uni  con- 
danna di  quatrro  mila  libre  inflitta  al  comune  di  Fenno 
da  Antonio  di  Montefalco  giudice  (2), 


Septimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  dictutn  castrum  cum  pcrti" 
nentiis  et  munitione  que  tunc  era:  pcrvcnil  ad  civitaiera  Finniauu 
et  Ulud  castrum  habuic  et  possedit.  Sed  per  quantum  tempus  dixit  s< 
non  recordari. 

Octavo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  homìnes  dìcti  castri  monti* 
Falconis  et  honììnes  abbatie  prestiterunt  et  prestare  consucrcruni  si 
cramenta  fidelitaiis  et  horainitia  sicui  vaxalU  prcstani  suis  domin* 
et  hoc  per  tcmpus  .xv.  annorum,  ut  supra  dixìt  in  primo  irtiinito. 
Intcrrogatus  sì  interfuìt  prcsiationi  dìcioruni  sacramcntorutn,  ^^ 
quod  aliquando  vidit.sed  de  paucis.  Sed  scit  bene  predicta  \crafuis* 
auditu  et  per  publicam  famam. 

Nono  articulo  sibi  lecto,dixit  quod  commune  Firmi  fìcrì  fccitpo^* 
dictam  invaxionem  et  occupationem  in  preiudicium  dìcti  raon:5lcn^ 
quandam  turrim  in  capite  dicti  castri.  Intcrrogatus  quora(hJo  J^**' 
di\ìc  quia  vidit  et  fuit  palese  toti  contrade. 

Decimo  articulo  sibi  ledo,  dixit  quod  gens  impcratoris  Frcit-n'^' 
et  nuniii  regis  Manfredi  occupaveruni  Marchiani,  licet  non  touni"^ 
dictam  abbatiam  et  castra  hostiliter  tenuerunt  occupatam  per  -^ 

(0  Hés^^apU.  p.   141. 

(2)  V.  il  nura.  592  del  citato  Sommano  cronolo^^ico  di  c^fU  jf^' 
mane,  pubblicate  dal  De  Minicis.  Il  nome  dell'abbate  Bemar^<''  ^ 
Berardo,  abbate  di  Monte  Maggiore  e  rettore  della  Marca*  si  "O^^ 
anche  nelle  carte  segnate  ai  numra.  385,  384  e  385,  dell'anno  1378,0*' 
citalo  Sommario.  Egli  era  ancora  rettore  nel  1281,  avenJosì  uo  s"* 
atto  del  4  marzo  di  quell'anno  (CoLi;cci,  Antichità  pictnt,  XX^» 
p.  38). 


Q/itti  della  Società  319 


is.  Interrogatus  quomodo  scit,  dixit  quia  vidit  dominationem  eo- 

et  audìvLt. 

)aodecimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  de  predictis  de  quibus 

iiìt  sunt  pubblica  et  notoria.  Interrogatus  quid  est  dicere  pubiicum 

norium,  dixit  quod  que  gentes  communiter  dicunt. 

Jodecimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  a  .xxxv.  annis  citra  et  a 

)ore   diete   privatìonis  monasterium  dictum  vacavìt  abbate  per 

annos.  Interrogatus  si  dictum  tempus  septennium  fuit  continuum 

)er  intervalla,  dixit  quod  per  intervalla.  Interrogatus  per  roortem 

um  abbatuum  vacavit,  dixit  quod  non  recordatur. 

Die  predicta. 

Uinaldus  Benedicti  de  Furce,  testis,  iuravit  presentibus  partìbus 
m  domino  rectore  prefato.  Primo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod 
asterium  suprascriptum  et  abbates  dicti  monasterii  qui  fuerunt 
temporibus  de  quibus  recordatur,  silicei  dompnus  Herrigus  de 
ciano  et  abbas  Matheus  de  Sublacu  et  alii  de  quorum  nomìnibus, 
recordatur  qui  fuerunt  duo,  habuerunt,  tenuerunt  et  possederunt 
dicto  monasterio  totam  abbatiam  positam  in  Marchia  et  castrum 
tis  FalcoDis  ad  plenam  iurisdictionem  in  solidum  et  in  totum  pa- 
e  et  quiete  et  in  dicto  castro  palatium  quod  erat  ibi,  et  vidit  ha- 

gastaldos  in  ìpsa  abbatia  et  in  castro  montis  Falconis,  et  vidit 
iaum  Rogerìum  de  Rivotino  prò  ipso  monasterio  et  abbatibus 
loscere  de  causis  civilibus  et  criminalibus,  et  vidit  eos  generaliier 
ia  et  singula  facere  que  dominus  et  comes  faceret  et  exerceret 
aa  terra   et  in  suis  vassallis,  et  hoc  dicit  se  vidisse  per  tempus 

annorum  usque  ad  tempus  quo  imperator  Frederìcus  per  suam 
em  occupavit  Marchiam  et  abbatiam  predictam  hostiliter  contra 
laoam  Ecclesiam.  Interrogatus  si  predicti  abbates  fuerunt  perso- 
%r  in  dieta  possessione,  dixit  quod  sic,  et  quod  fuerint  abbates 

monasterii,  dixit  se  scire  per  voces  et  publicam  famam.  Inter- 
tus  quantum  tempus  est  quod  predicta  occupatìo  et  privatio-facta 
dixit  quod  fuit  .XXXVI.  anni  et  plus.  Interrogatus  quantum  tempus 
!t  ipse  testis,  dixit  quod  .lx.  annos  ut  credit.  Interrogatus  si  fuit 
ras  ipse  testis,  per  tempus  .xii.  annorum  dixit  quod  fuit  in  castro 
ds  et  est  de  ipso  castro. 

iccundo  articulo  intentionis  sibi  lecto,  dixit  quod  tempore  diete 
ipationis  et  invaxionis  abbas  Matheus  de  Sublacu  erat  abbas  dicti 
lasterii.  Sed  quod  dominus  Fyldesmidus  de  Moliano  esset  vicarius, 
:  quod  non,  sed  prius  fuerat.  Interrogatus  quomodo  scit,  dixit 
i  vidit. 


320 


C^tti  della  Società 


Tento  artìculo  sibi  lecto,  dixit  vera  esse  quod  abbas  Maibciu  ctit 
abbas,  ut  supra  dixit,  et  possidcbat  dictam  abbatiam  et  castrunt  monUf 
Falconls  et  homines  et  vaxallos  ipsius  abbatte  et  erat  in  possonone 
vel  quasi  cognitionis  et  iurisdictionis  plenarie  in  tota  dieta  abbiw 
et  dicco  castro,  et  vidit  vicarium  abbaiis  Henrici  qui  prius  fucrat,  i^iu 
vocjtus  fuii  Acto  Baracta  de  Coxeìano,  et  vidit  puniium  tunc  Uffl* 
poris  Rainaldum  Dìonìsum  de  Furcis  in  oculis,  et  dicebatur  quod 
dominus  vìcarius  abbatis  fecerat  fìerì  co  quod  confodcral  territoriuis 
castri  Furcis. 

Quarto  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  dominus  Gcntìlis  Actomi 
Miiì  de  castro  Furcis,  et  dominus  Fyldesmidus  de  Motiano,  dompnui 
Nicola  de  Pucxallia.  monachus  dicti  monastcrti,  furrunt  vic^i  io 
dieta  abbatia  prò  dìcto  monasterìo.  silicei  dominus  Fyldcsmìdu)  et 
dominus  GentìUs  dicto  tempore  .\ii.  annorum  de  quo  asscruit.  Sc*ì 
dompnus  Nicola  prcdìctus  fuii  longe  post,  a  pauco  tempore  citri.  In 
terrogatus  quomodo  scit,  dixit  quia  vidit,  et  plures  alios  de  quontts 
nomìnìbus  non  recordatur. 

Quinto  aniculo  sibi  lecto,  dixit  quod  cum  dictura  nion»unuiv 
sic  piene  possideret  dictam  abbatiam  et  dictum  castrum  cura  genenii 
iurisdictione,  ut  supra  dixit,  privatum  fuit  omnibus  predictìs  per  oc- 
cupationem  et  usurpationem  gentis  dicti  domini  imperatoris  rthcUis 
tunc  et  hostis  Romane  Ecclesie.  Intcrrogatus  quomodo  scìt  et  q^^ 
modo  facta  fuit  dieta  privatio,  dixit  bene  quìa  vidit  dominum  R^'* 
naldum  de  Aquaviva  cum  masnada  quam  habebat  de  sarracenis  et 
cbristianis  venire  ad  castrum  Furcis  in  quo  ernt  dictus  abbas  Mithcus 
et  petiit  mandata  sibi  tìeri  a  dicto  abbate,  qui  respondit  quod  nolcbat. 
et  tunc  ad  ccrtura  pactum  recessit  de  castro  et  tuta  contrada,  ctttioc 
homines  montis  Falconis  et  alìi  de  abbatia  lecerunt  mandata  iUius 
domìni. 

Supra  sexto  articulo  sibi  lecto,  dìxìt  se  nìchil  scìre. 

Supra  scptimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  castrum  montis  Fir 
conis  cum  gyrone  pcrvcnit  ad  civìtatera  Fìrmanam,  ut  audivit.  Sw 
per  quantum  lempus  possideret,  dixit  se  nescirc, 

Octavo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  homines  castri  Furcis  pr** 
stìierunt  ìuramenta  lìdelitatis  abbatibus  dicti  monasterii,  et  prestir^ 
consucvcrunt,  et  honorare  cos   et  rcvercre  eis  ut  domìnis,  ci  Hoc* 
tempore  recordatìonìs  ipsìus  testìs,  et  de  aliìs  hominibus  de 
dixit   simìlìa  auditu    et  per   publicam   famam.  Interrogatus  ■: 
tempus  recordationis  ipsius  testis,  dixit  .l.  annos  et  plus. 

Nono  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  communc  Firmi  posi  ip*"*^ 
occupationem  de  dicto  castro  fecit  fieri  fortilligium  in  capite  ipS'u^ 
castri,  et  sì  fortilligia  ibi  esset  alia  quara  ilia  que  erat  prò  Ecclesìa 


Rcum   occupationcm   et  quod  Firmanì  fectruot  cam,  dixit  se 
uditu. 

:Ìmo  artìculo  sibì  lecto,  Jixit  quod  imperator  Fredcricus,  et 
Bortcm  cius  rex  Manfredus,  hosiiliter  occupaverunt  Marchiani, 
baiiam  et  castra  ipsius  abbatie,  et  occupatam  tenucrunt  Scd  per 
itQm  tcmpus  non  recordatur. 

Jodecimo  et  duodecimo  artìculo  sibì  lecto,  dixit  quod  a  .XXX-  annis 
vinonasterìum  suprascriptum  vacavit  abbate,  scd  per  quantum 
dixit  se  non  recordari,  et  dixit  prcdìcta  de  quibus  asseniii 
1  esse  in  tota  contrada.  Interrogatus  quid  est  dìcere  publicum 
rium,  dixit  quod  quc  gcntes  dicunt. 

Eodem  die. 

pnus  Berardus,  cappellanus  ecclesie  Saocte  Marie  Nove  de 
Furcis.  testis.  luravit  presentibus  partibus  coram  rectore  pre- 
ixìl  quod  monasterium  suprascriptum  et  abbates  dicii  mona- 
|uì  fuerunr  prò  temporibus,  silicei  dompnus  Matheus  de  Sublacu 
dit;  alias  si  vidit  non  recordatur.  Qui  abbas  et  dictum  mo- 
;m  in  soUdum  et  in  totum  habuerunt  [et]  tenuerunt  per  se  et 
ipsius  abbatis  ad  plenara  iurisdictionem  civilium  et  crìmina- 
usanim  contìnue  et  pacificc  totam  dìctam  abbatiam  sicut  au- 
d  de  castro  mentis  Falconis  vidit  cum  gy[ronc]  et  pertinentiis 
castrum  possideri  per  dicium  abbatem  gencraliter  ad  omnia 
ilibet  dominus  facit  in  suo  castro,  et  hec  vidit  per  .vi.  annos 
et  usque  ad  tempus  et  eo  tempore  quo  gens  imperatorìs  ho- 
occupavii  Marchiani,  sed  non  totam,  et  abbatiam  suprascripiam 
him  casirum  et  alia  castra  ipsius  abbatìe.  Interrogatus  quomodo 
lod  dìctus  abbas  Matheus  fueric  abbas,  dixit  quod  homines  de 
k  habebant  eum  prò  abbate  et  vidit  cum  recipi  et  obbedirì  ab 
jSbus  castri  Furcis  prò  eorum  domino  sicut  abbatem  honorifice. 

ti  veniebat  ad  ìpsum  castrum  clerici  exhibant  obvia  ei  cum 
ionibus  et  aliì  homines  de  terra.  Interrogatus  quantum  tcmpus 
od  predicta  occupatio  facta  fuit,  rcspondit  quod  fuit  .XL.  anni 
Iplus  aut  mìnus.  Interrogatus  quoi  annorum  est  ipse  testis,  re- 
I  quod  .Lini,  annorum  et  plus.  Interrogatus  qui  sunt  fines  teni< 
m  castri  montis  Falconis,  dixit  quod  ab  uno  latcrc  est  flumen 
alio  latere  tenimenta  castri  Exmirilli,  ab  alio  latere  tenìmenta 
(Terami  cum  aUis  fìnìbus.  Interrogatus  si  ipse  testis  est  de  terra 
^  ipsi  monasterìo,  dixit  quod  sic,  et  ipse  testis  est  subiectus 
Icrio  ratione  ecclesie  sue. 

nindo  artìculo  sibì  lecto,  dixit  quod  tempore  diete  ìnvaxionis 
bbas  dompnus  Matheus  de  Sublacu  et  [eius  vicarìus]  erat  do- 


r^ 


fl4tti  della  Società 


niinus  Fytdcsmidus  de  Moliano  tn  cernporalìbus  ut  ìpse  lesns  ludtcbtii 
et  dompnus  Nicola  [de  Puczallìa],  monachus  dicti  monasteriì,  eral^t- 
cirìus  supra  spirttuiilibus  ìn  tota  abbatìa  et  in  dtcto  castro  mentis 
Falconis.  Intcrrogatus  quomodo  scit,  dixit  quia  vidit  cum  "m  ip« 
officio. 

Tertio  articulo  sibi  Iccto,  dixìi  quod  tempore  diete  invasomi  (Ri- 
ctus abbas  Matheus,  de  quo  asscrit  [visu],  ci  domious  FTW«ml*his 
eìu5  vicarius.  ut  asserii  auditu,  possidebant  et  hahebant  totani  iictim 
abbatiam  et  castrum  prcdictum  in  omnibus  et  quoid  omnia  prodicto 
monastcrio,  ut  supra  dixit,  habcndo  gastaldum  et  vìscontem  in  éc\o 
castro  montis  Falconis.  Intcrrogatus  quis  fuii  viscons,  scu  g3it}Mu)i 
rcspondit  quoJ  Rjinaldus  Graiianì  aut  Potentìs  de  dicio  casuo.  In- 
tcrrogatus si  vidit  ibi  puniri  alìquos  dclìnqucnics  per  ipsos  oSliilrt 
abbaiis,  dixit  quod  non,  sed  audivii,  de  norainibus  quorum  dm  f^ 
cordatui*. 

Quarto  articulo  sìbt  lecto,  dìxtt  dompnum  Nicolaum  de  PuoiIBi 
fuisse  vicarlum  prò  diclo  monasterio»  et  dorainura  Fyldcsraidiim.  et 
supra  dixìi;  de  domino  Gentile,  de  domino  Albertino  dixii  sencsorc. 

Quinto  articulo  sibi  ledo,  dixit  quod  cum  dictum  manistcnoBi 
sic  piene  possidcrct  dictum  castrum  et  abbatiam,  ut  supra  tii»»t  * 
primo  articulo,  privatum  fuit  ipsa  possessione  per  dictam  invjiioBCffl 
et  occupatìoncm  dicti  [impcraioris  hojstis  et  rebellis  Romane  Eccle- 
sie. Interrogaius  quomodo  fuit  facta  dieta  privatio,  dixit  qua«Ì,  c^ 
dominus  Ra[in3ldus]  de  Aquavìva  lune  csset  in  ducatu  masoitie  pl°* 
rìum  sarracenorum  et  teotonìcorum,  vcnit  cum  ipsa  masnadd  jJ  ^*' 
strum  Furcis,  in  quo  erat  dictus  abbas  Matheus,  et  dum  horain«ci*^ 
fecisscm  mandau  ipsorum  hostiura.  abbas  Matheus  aufugit,  ^ii>:^ 
dendo  de  ipso  castro  et  de  iota  contrada,  Intcrrogatus  quomodo  »^*^» 
dixit  quod  stetit  et  pre^ens  fuit  Itcm  dixit  post  hcc  aJii  homines  il'*^* 
rum  castrorura  de  abbatia  fecerunt  mandata  ipùus  domini  Riiw'^ 
ut  ipse  tesiis  audivit. 

Supra  sexto  articulo,  dixit  se  nichi!  scire  nisi  audìtu. 

Gelavo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  horaincs  dicti  casui  Fo^ 
prestilcrunt  et  prestare  consueverunt  iuramcnta  fidclitatìs  jbhit^''' 
dicti  monasteriì,  et  honorare  et  recognoscere  eos  ut  Joniinos  ^ 
niagnura  tcmpus  quantum  non  recordatur.  Sed  quod  alii  homio^ 
do  (i)  abbaiia  fccerini  similia  credit  audilu  et  per  public.:^ 
Intcrrogatus  si  homines  de  ipso  castro  Furcis  pretabant  s; . 
abbiti  synguiariier   ve!    per   syndicum,  dixit   quod  sìngularìW.  ** 

(i)  Nel  ms.  seguono  le  puolc:  castro  Furcis  prtstaìiant  sacrm^i^ 
cancellate.  -^^ 


editi  della  Società 


323 


\\ie  abbati  et  quandoque  vicario  etus.  Interrogatus  si  Tuit  pre- 
t  predictis,  dixìt  quod  alìquoiìens  fuit  prcsens. 
Ddo  articulo  sibi  ledo,  dixìt  quod  comune  Firmi  post  dictam 
Dacm  fccit  fieri  gironcm  et  turrim  in  dicto  castro  in  preludi' 
ncnasterii  dicti,  et  preter  gironcm  quem  prius  habebat  Ecclesìa 
cripta  in  dìcto  castro.  Interrogaius  quomoilo  scit,  dixìt  bene» 
[  vidit  et  audìvit. 

[Decimo]  articulo  sibi  lecto,  dixil  quod  imperator  Fredcricus  tt 
■lanfrcdus  post  mortem  dicti  tmpcratoris  [occuparunt]  Mar- 
mi seu  occuparì  fecerunt  hostìlìter,  et  dictam  abbatiam  et  castra 
in  prdudicium  [Romane]  Ecclesìe  et  dicti  monasterìì.  Sed  quanto 
porc  occupata  tcnucrunt,  dixit  de  dcccm  ec  octo  annis  ut  supra. 
Undccimo  articulo  sìbì  lecto,  dìxit  de  vacatione  abbatis  scu  ab- 
im  se  nichil  scire  nisì  auditu. 

[Duodccjìmo  et  ultimo  articulo  sibi  lecto^  dìxìt  quod  sunt  publica 
•otora  de  quibus  asseruit  supra.  Interrogatus  [qujid  est  diccrc  pu- 
.  et  notoria,  dixìt  quod  quc  gentes  dicunt  comunitcr,  et  dixit 
[non  fuit  doctus. 

Eodem  die. 


:us  domini  Bonazani  de  Septecarpinc,  testis.  luravit  prcsen- 
partibus  coram  rcctore  prefato.  Primo  articulo  sibi  lecto,  dixit 
inonasteVium  suprascriptum  et  abbates  dicti  monastcriì  de  quo- 
ominibus  rccordatur,  silìcei  abbas  Matheus  de  Arzula,  et  abbas 
^s  de  CoxcianOi  et  abbas  Stepbanus,  et  abbas  Gentilis,  et  ab- 
fltheus  de  Sublacu,  et  ali!  de  quorum  nomìnibus  non  reco/datur, 
Srunt,  tenuerunt,  et  posseJerunt  libere  et  absolute  ad  plenam 
laionem  civilìum  et  criminalium  causaruni»  puniendo  omnes 
I  per  vicarium  et  iudices  eorum  pacìfice  et  continuo  totani  ab- 
b  suprascrìptam  que  est  in  Marchia,  el  castrum  roontis  Falco- 

riiìus  confinia  sunt  tenìmenta  Sancte  Vìctorie,  Exmirilli  et  Te- 
ct  alia  et  fortillìzìa  in  ipso  castro  per  quam  faciebat  guerram 
Mcem  ad  suura   sensuui,  habendo    gastaldos   in   ipso  castro,  et 
ido  punìri   malefactorcs  et  dclinquentcs  secundum  quod   facic- 
lieta,  et  vidìt  eos  faccre  generaliter  omnia  que  [solet?]  dorai- 
:cre  et   exercere  in  sua  terra  et  hominibus  pertìneniibus  ad 
hoc  vidit  per  tempus  [.xl.]  annorum  et  plus  usque  ad  tcmpus 
tempore  quo  gens  imperatoris  et  rcgis  Ensis  hostìlìtcr  occu- 
et  invaxit  abbatiam  suprascrìptam  et  castrum  predictum,  sicut 
m  Marchiam.  Interrogatus  quomodo  scit  predicta,  dìxit  [quod] 
U  Interrogatus  quomodo  [scit]  quod  predìciì  fuerini  abbates  pre- 


3H 


Q/liti  della  Società 


dicti  monastcrìi,  dixìtquìi  vldit  cos  dominare  in  ipsa  terra  sicut  suprA 
dixit.  Interrogatus  sì  persomi  iter  fueruni  in  dieta  possessione,  dixìl 
quod  sic.  Interrogatus  quot  anni  sunt  [quod]  predicta  occupntio  facta 
fuit,  dixit  se  non  recordari.  Interrogatus  quot  annos  habet  ipse  lesùs, 
dixit  quod  [propc]  x.  annos.  Interrogatus  si  per  dictum  tempus  .XL, 
annorum  fuit  presens  in  contrada,  dixit  quod  sic  et  predicta  \'idit  et 
audivit. 

Secuado  articulo  sibì  lecto,  dixit  quod  tempore  diete  ìnvaxìonis 
et  occupationis  dompnus  Matheus  de  Sublacu  erat  abbas  dicti  mona- 
stcriii,  et  dominus  Fyldcsmìdus  de  Mollano  erat  cius  vicarius,  et  co- 
muniter  habebatur  vicarius  ab  hominibus  diete  abbatie.  Interrogatus 
quod  offìcium  faciebat  ibi  dictus  vicarius,  dixit  quod  puniebat  delio- 
qucntes  et  faciebat  totam  domìnationem  per  abbatem,  et  fadebat 
iudicia  civilia  et  crìniinalia.  Interrogatus  inier  quos  faciebat  iudicia, 
dixit  quod  vidìt  placitare  coram  eo  dominus  Benecavalca  cum  certis 
vassalUs  et  alios  de  quorum  nominibus  non  recordatur. 

Tertio  articulo  sìbi  lecto,  dixit  vera  esse  que  ìn  ipso  aniculo  con- 
tinentur,  quìa  vidit  dictum  abbatem  Matheum  esse  in  possessione  diete 
abbatie  Marchìe  et  dicti  castri  mentis  Falconis,  quia  ipsum  castrum 
erat  ma^is  in  domanìo  abbatìs  quam  aliquod  aliud.  Interrogatus  ìn 
causa  scientìe  quomodo  scit,  dixit  ut  supra  ìn  primo  articulo.  Inter* 
rogatus  sì  vidit  iudices  per  abbatem  in  dieta  terra,  dixit  quod  vidit 
dominum  Rugerìum  de  [Rivojtino  et  alios  de  quorum  nominibus  non 
recordatur.  • 

Quarto  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  dominus  Gentilis  Actonis 
Mili  de  Furce,  dominus  Albertìnus  de  Exmirillo,  dominus  Fyldesmìdus 
de  .Moliano,  dompnus  Nicola  de  Puczallia,  monachus  dicti  monasteriì, 
fuerunt  vìcarii  [dicti]  mona^erii,  et  prò  ipso  monasterio  et  abbatibus 
et  publice  fuerunt  habìlì  prò  vicariis  ab  hominibus  diete  abbatie  et 
dicti  [castri]  per  dictum  tempus  .xi.  annorum  et  plus.  Interrogatus 
quomodo  scit  predicta,  dixit  se  vidisse  quoslibet  ipsorum  vicariorum 
in  ipso  officio. 

Quinto  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  cum  dictum  monastcrium 
sic  piene  possideret,  et  quasi  totam  dìctam  abbatiam  et  dictum  ca- 
strum moniìs  Falconis  et  homines  et  vaxallos  ipsius,  cum  dieta  co- 
goitione  et  ìurisdictìone  universali  ctiam  quo  ad  sanguinem  et  capi- 
talis  pene  impositionem,  dictum  nionasterium  prìvatum  fuìt  omnibus 
prediciis  per  dìctam  ìnvaxioncm  dicti  Frederici  impcratorìs  rebellis  et 
hostis  Romane  Ecclesie.  Interrogatus  quomodo  scit,  et  quomodo  facta 
fuit  dieta  occupatio  et  privatio,  dixìt  quod  dominus  Rainaldus  de 
Aquaviva«  sicut  nuntius  dicti  regis  Ensis,  cum  sua  masnata  et  gente 
ad  dicium  castrum  Furcis,  et  dictus  abbas  Mathcus  de  Sublacu  erat 


Q/iiii  della  Società 


32J 


io  ipso  castro,  et  tunc  abbas  quod  noluit  ìurare  fidclitatem  eius  se- 
cessit  prò  timore  de  ipso  castro,  et  aufugit  et  dìscessit  de  tota  Mar- 
chia, et  tunc  privatum  fuit  dlctum  nionastcrium  de  tota  dieta  posses- 
sione. 

Supra  scxto  artìculo  dixit  quod  cum  dompnus  Nicola,  olim  abbas 
dictj  monasterii,  post  occupatìoncm  [predictjam  possiderei  dictum 
castrum  mentis  Falconis  cum  pcrùni:nlììs  et  iurisdictione,  quidam 
bonus  homo  et  crediius  quod  fuerti  iuJcx  venit  prò  parte  domini  Ge- 
rard! Coxadoca,  tunc  rectoris  in  Marchia,  et  accepit  tenuiam  dìcti 
castri  centra  voluntatera  abbati?,  Imerrogatus  quomodo  scii,  dixit 
bene,  quia  stctit  et  presens  fuìt.  Interrogatus  sì  fuit  illata  violcniia  ipsi 
abbati,  respondit  quod  non  alia,  nisi  quod  dictus  rcctor  misil  prodìcto 
abbate,  et  ipse  abbas  ivil  ad  cum,  et  antequam  rediret  abbas  venit  ille 
prò  eo,  et  abstulir  castrum,  ut  supra  dixit.  Interrogatus  quantum 
icmpus  est  quod  predicU  fuerunt,  dixit  se  non  rccordari. 

Septimo  articulo  sìbi  lecto,  dixit  quod  predictum  castrum  montis 
Falconis  cum  perùnentìis  et  fortillizia  pcrvcnii  ad  Firmanos,  et  ipsi 
firmam  tenuerunt  per  plures  annos,  de  quorum  numero  non  recor- 
datur,  et  scìt  quod  possederunt  in  preiudìcìum  monasterii  predicti, 
ìllam  rocchcttam,  que  prius  erat  ibi,  tcnebant  adeo  quod  non  permit- 
tebant  intrare  aliquos  prò  monasterio,  et  dixit  quod  tlla  roccha  te- 
DCtur  nunc  prò  raarchione,  et  scit  predicta  bene,  quia  vidìt  masnadam 
et  scrgcntes  ìpsìus  communis  Firmi  esse  in  ipso  castro. 

Octavo  artìculo  sibi  lecto,  dixìt  quod  homìnes  castri  montis  Fal- 
coni» et  homìnes  et  vassalli  ipsius  abbatie  prestare  consueveruni  et 
prestitcrunt  sacramenta  fidelitatisabbatibus  dicti  monasterii, honorando 
et  recognoscendo  eos  ut  dominos  suos,  et  hoc  vidit  per  tempus  .XL. 
annorum  et  plus.  Interrogatus  si  omnes  homìnes  dicti  castri  prestite- 
rum  predicta  sacramenta,  dixit  quod  sic.  Interrogatus  si  iurabant  fì- 
delitatem  per  syndicum  vel  synguli,  dixii  quod  tam  ipsi  quam  aliì  de 
abbatìa  iurabant  singulariter,  et  non  per  syndicum.  Interrogatus  quibus 
abbatibus  prcsiltcrunt  predicta,  dixìi  quod  abbatibus  Mathco,  abbati 
Herrigo  et  aliis  de  quibus  asseruit  in  primo  artìculo.  Interrogatus  si 
fuit  et  crai  presens  quando  ipsa  sacramcnt;i  prestabant,  dixit  quod  sic. 
Interrogatus  in  quibus  locis  vidìt  dieta  sacramenta  prestati,  dixit  in 
castro  Furcis,  in  monte  Falcone  et  in  aliis  castris  abbatìe,  quia  ipse 
m^  et  fuit  familiarìs  ipsorum  abbatuum. 

Hmono  articulo  sìbi  lecto,  dixit  quod  commune  Firmi  fecit  fieri  in 
BRo  castro  unum  turronem  postquam  habucrunt  dictum  castrum  et 
in  prciudicium  Ecclesie  Farfensis,  prcicr  fonilUzia  que  crat  prius  ibi. 
Interrogatus  quomodo  scit,  dixit  bene,  quia  crat  ìn  ipso  castro  mentis 
Falconis  quando  Firmani  murabant  dictum  turronem. 


326 


Q4ttì  della  Società 


Decimo  artìculo  intcncionis  sibi  lecto,  dixit  quod  imper;itorFR* 
(Icricus  et  rcx  Manfrcdus  post  mortem  dicti  imperatoris  occupivenait 
Marchiani  et  abbatinm,  et  castra  cìus,  et  occupata  tcnuerunt  hosdliter 
per  tcnipus  .xx  annorum  per  gentes  et  vicarìos  quos  mittebaat  ffl 
MiircliuiTi.  Imerrogaius  quomodo  scit,  et  si  fuit  presens  in  contri^», 
dixit  quod  fuit  presens  et  scit  bene,  quìa  ibat  cum  masnaia  dUlorui» 
dominorum  per  Marchiam  per  magnam  pnrtem  dicti  temporis. 

Undccinio  articulo  sibi  Iccto,  dixit  quod  a  .xxx.  annis  citrd€tp1u^ 
dietimi  monasicrium  vacavit  abbate  bene  per  .x.  annos.  Interrogai»* 
quomodo  scit,  dixit  bene,  quia   fuit  in  contrada  abbatte  Marchic«  ^ 
quando    dicti   abbates   cligcbantur  in  raonasterio  vcnlcbant  in  M*-*^ 
cliiam,  et  quando  vacabat  abbate  dìcebatur  in  contrada  diete  abbiti ^^ 
Intcrrogaius  per  mortem  quorum  abbatuum  fuit  dieta  vacatio,  dit* 
se  non  recordarì.  Interrogatus  si  dicti  .x.  anni  fuerunt  continui,  dùu 
quod  non. 

Duodecimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  de  his  quibus  tesiiticaius 
est  supra  sunt  publica  et  notoria  in  dieta  contrada  et  manifesta.  In- 
terrogatus quid  est  dicere  publica  et  notoria,  dixit  quod  que  gentes 
communiter,  et  dixit  quod  non  fuit  doctus. 

Die  .XI.  marti»,  .va.  indìctioms. 

Oompnus  Mainardus,  cappellanus  Sancii  Blasii  de  Teramo,  tescis. 
luravit  preseniibus  panibus  coram  rectore  prefato.  Primo  articulo  sibi 
lecto,  dixit  quod  monasterium  suprascriptum  et  abbates  qui  fuerunt, 
silicet  abba[s]  Matheus  de  Arsulo,  et  abbas  Herrìgus  de  Coxeiano,  et 
abbas  Stephanus,  et  ahbas  Matheus  de  Sublacu,  nomine  dicti  mona- 
sterii  in  solìdum  et  in  totum  habuerunt  et  possederunt  ad  plenani  iu- 
risdictioncm  omnium  civilium  et  criminalium  causarum  et  spiritua- 
lium  et  icmporalium  totani  abbatiam  suprascriptam  in  Marchia,  et 
castrum  mentis  Falconis  spetialiter  sicut  cammeram  eorum  cum  for- 
tillizia  et  pertinentiis,  ut  quis  possidet  suum,  habendo  in  tota  dieta 
abbatìa  et  in  dicto  castro  gastaldos  et  baiulos,  et  vidìl  eos  cognoscerc 
et  facerc  cognosci  de  omnibus  causis  per  iudices  suos,  et  gcneraliter 
omnia  facere  que  facit  quilibet  dominus  et  comcs  in  sua  terra,  et 
plus  quia  in  spirìtualibus  et  temporalibus,  scd  ahi  domini  in  tempo- 
ralibus  tantum,  et  hoc  vidit  contìnue  et  pacifìce  per  tempus  .xxx. 
annorum,  antequam  impcrator  fecisset  occupati  Marchiam  et  di- 
ciam  abbatiam  et  etiam  eo  tempore  occupaiìonis.  Interrogatus  quo- 
modo scit,  dixit  bene,  quia  vldit  eos  personaliter  in  dieta  possessione 
et  vidit  dominar!  eos  in  dieta  abbatia.  Interrogatus  si  vidit  eos  pos- 
sidcre  dictuni  castrum  montis  Falconis  cum  fortìUì/Ja,  dixit  quod 
sic,  quia    crai   et   fuit   ibi  scolaris  ad  dìsccndum   scrìberc  per  duos 


d/^tli  della  Società 


327 


cor 

de 
Nic 


innos,  et  de  aliis  scit  per  pubUcam  famam.  Interrogatus  quantum 
icmpus  est  quod  dieta  possessione  [privatum  est]  monasterium,  dixit 
se  non  recordari.  Interrogatus  quot  annorura  est  ipsc  tcstis,  dixit  quod 
oonaginia.  Interrogatus  si  per  dictum  tempus  nonaginta  annorura 
futt  continuus  in  contrada,  dixit  quod  sic  in  contrada  Marchie, 

Secundo  anìculo  sibi  lecio,  dixit  quod  tempore  diete  invaxionis 
dompnus  Matheus  de  Sublacu  erat  abbas  dìcti  monasterii,  sed  quod 
dominus  Fyldcsmidus  de  Moliano  fuerit  cius  vicarìus  non  recordatur. 
Interrogatus  quomoJo  scit,  dixit  quia  vidit  dictum  dompnum  ab- 
batem  dominari  lune  in  tota  dieta  abbatia  et  in  diete  castro,  et  do-  ' 
minus  Rainaldus  de  Aquaviva  cura  sua  gente  vcnit  ad  castrum  Furcis, 
et  intravìt  et  cepit  castrum  in  quo  erat  tunc  dictus  abbas  qui  recessit 
de  ipso  castro  plorando,  ut  ipse  testis  audivit.  Interrogatus  si  tunc 
discessit  de  tota  contrada  abbatie,  dixit  se  non  recordari. 

Tcrtio  articulo  sibi  lecto,  dixit  vera  esse  que  in  ipso  articulo  con- 
tincntur,  cxcepto  quod  de   domino   Fyldcsmido  non   recordatur  vel 

rii  vicarius  eo  tempore.  Quesitus  in  causa  scìentìe,  dixit  in  omnibus 
per  omnia  ut  in  primo  et  secundo  articulo  dixit  et  testificatus  est. 

Quano  aniculo  sibi  lecto,  dixit  quod  vidit  domìnum  Albcrtìnura 

comitis  Alberti   de  Exmirillo  vicarium  abbatis  in   dieta  abbatia.  Sed 

de    domino    Fyldcsmido,  domino    Gentili    Acionìs    Mìli   et  dompno 

Nicolao  de  Puczallia  audivit,  sed  non  quod  viderit  eos  in  vicariata. 

iterrogaius  quantum  tempus  est  quod  predicta  fuerunt,  dixìt  se  non 

ordari. 

Quinto  articulo  sibi  lecto,  dixit  vera  esse  contenta  in  eo,  quia 
sapra  retulit  sic  esse,  et  in  causa  scientie  dixìt  ut  supra.  - 

Sexto  aniculo  sibi  lecto,  dixit  se  de  eo  nichil  scire. 

Septìrao  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  casirum  montis  Falconis 
im  gyrone  superiori  pervenit  ad  cìvìtatem  Firraanam.  Sed  quod 
enit  ad  Firmanos  totum  castrum  cum  iurisdlctione,  dixit  se  ne- 
re, quia  servìtia  dcbitalia  reservata  fuerunt  abbati,  ut  audivit.  Inter- 
igatus  per  quantum  tempus  possederunt  ipsum  gyroncm,  dixit  se  non 

ordarì,  et  dixit  quod  modo  curia  tenet  dictum  gyronem,  ut  audivit. 

Occavo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  homines  montis  Falconis  et 
ilfi  horoines  de  abbatia,  sicut  audivit  per  publìcam  famam,  presiite- 
runt  sacramenta  fideliiatis  et  prestare  consuevcrunt  dicco  monasterio, 
et  honorando  abbatcs  ut  dominos  suos,  et  hoc  per  tempus  .xxx.  an- 
noruTO  ui  audivit. 

Nono  aniculo  sibi  lecto,  dixit  quod  commune  Firmi fecit  fieri  turrìra 
in  gyrone  et  castro  montis  Falconis,  quam  lurrim  ipse  testis  vidit  a 
castro  montis  PaxìHi  in  prciudicium  monasterii  suprascripti  et  centra 
roluctatem  abbatis.  Interrogatus  quomodo  scit^  dixit  quod  vìdit. 


328 


C^//i  della  Società 


Decimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  a  que  in  ipso  axticulo  coit- 
tinentur  credit,  ut  audivit  per  puMicam  faniam,  sed  alitcr  ocsdu 

Undecimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  se  de  contcntis  tu  eo  ooQt^ 
cordari. 

Duodecimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  de  omnibus  quìbos  t^ 
stifìcatus  est  supra,  et  reddit  causara  scientie,  sum  public»  et  doto* 
ria  in  contrada,  et  quia  castrum  monùs  Paxilli  coofìniat  curo  ctsiro 
mentis  Falconis.  Interrogatus  quid  est  dicere  publicum  et  notorium, 
dixit  id  quod  gentes  dìcunt  manifeste  et  publice.  Interrogata^  si  {tu 
doctus,  dixit  quod  non,  et  noQ  fuìt  rogacus,  scd  dixit  ìpsc  testii  a  ^ 
corde  suo  ut  mcminìt. 

Die  eodem. 

Gualterius   Herrici  de  Furce,  testis.  luravit  presentìbus  parfbo 
coram  rcctorc  prefato.  Primo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  monasl^ 
rium  suprascriptura  et  abbates  dicli  monasteri!,  silicei  abbai  Hcrrig» 
de  Coxeiano  et  dompnus  Matlieus  de  Sublacu  et  alii  de  quorunifli)' 
minibus  non  recordatur,  in  solidum  et  in  totum  habuenim  et  teoBc 
runt  et  possederunt  prò  suo  ad  plenam  iurisdictionem  omnium  civi* 
lìum   et  criminalium  causarum  pacifìce,  quiete   et   contìnue;  totiiK 
dictam  abbatiam  suprascriptam  et  castnim  mentis  [Falc]onìs  de  lb^a* 
tìa  predicta,  cura  suis  pertinentiis,  tenimentis,  forlilliiìa,  munitiooibui 
et  palatio,  [qu]od  castrum  est  in  Marchia,  iuxu  tenìmentaro  Siactt 
Vicioric  Tcrami  et  Ex.minlli,  et  [alia]  latcra,  habcndo  in  dieta  abbitii 
et  dicto   castro  gastaldos  et  baiulos  et  cognoscendo  de  [oninibiiSi 
causìs  civilibus  et  crìminalibus,  punìendo  et  condepnaiido  homincs  *:^ 
vassallos  diete  abbatìe  et  diciì  castri,  sccundum  natura  et  qualiias  ci*' 
lieti  rcquircbat,  et  gencralitcr  omnia  facerc,  que  quilibel  [domilo*^ 
et  Comes  facit  In  sua  terra  et  in  suis  hominibus,  et  hcc  dicil  fu^s^ 
per  tempus  .xv.  annorum  ante  occupationem  et  usque  ad  tempuJ  *^^' 
cupationis  facte  per  gentem  imperatoris  seu  regis  Ensis  cum  vcnc 
hostilìtcr  contra  Ecclesìam  Romanam,  et  occupavit  Marchiani,  et 
baùam   et  dictum  castrum  mentis  Falconis.  Interrogatus  quof^^' 
scìt  quod  predicti  fuerinl  abbates  dìcti  monastcrii,  dixit  quia  b* 
bancur  prò  abbatibus  et  homines  terrarum  diete  abbatie  obbedic*^^^ 
cìs.  Interrogatus  si  predicti  abbates  fuerunt  personaliter  in  dieta  r^ 
sessione,  dixit  quod  sic,  scd  quanto  tempore  fuerit  quilibet  **'^*\.. 
non  recordatur.  Interrogatus  quantum  tempus  est  quod  predicta 
cupatio  facta  fuìt,  rcspondit  quod  a  .xxx.  in  .XL.  annos  ut  crediti 
tcrrogatus  quot  annos  seu  quanti  temporis  crat  ipsc  testis  tunc  t^' 
poris,  rcspondìt  se  ncscirc,  scd  scii  bene,  quia  tunc  portabat  iam  ar*^*^ 
et  crat  robustus  iuvenis,  Interrogatus  si  fuìt  presens  in  contrada  cO^ 


Q^ilì  della  Società 


329 


^ue,  ve!  absentavh  se  de  provinsta  eo  tempore  quo  dixit  monasie- 
i-um  posscdissc  predicu,  et  abbatcs  ìpsius  tnonasteriì»  rcspondic  quod 
lit  presens  in  contrada  per  dìctum  tempus,  et  non  absentavit  se  de 
f  ardua. 
.  Sccundo  articulo  sibi  Iccto,  dixit  quod  tempore  diete  invaxionis 
Dpnus  Mjtheus  de  Sublacu  crai  [abbas]  dicti  monastcrii,  et  domi- 
t  FylJesraìdus  de  Molìano  erat  cius  vicarìus  et  prò  suo  vicario  ha- 
batur].  Interrogjtus  quomodo  scit  quod  dominus  Fyldesmidus 
Gctus  fuit  vicarìus,  dixit  ben*;,  quia  fuii  presens  in  monasterio 
tnctiSilvatorìsde  Aso  ubi  factus  vìcarius  tuit  in  tota  abbaila  a  dicto 
>bate  de  Sublacu.  Intcrrogatus  quod  ollìcium  faciebat  ibi  dictus  Vi- 
lnus, dixit  quod  precipìebat  et  faciebat  que  faciunt  domini. 

Tertio  artìculo  sibi  lecto,  dìxìt  quod  dictus  abbas  et  dominus 
yldesmìdus  faciebant  tempore  diete  invaxionis  ca  que  supra  dixit 
■  possidcbant  totam  abbatiam  et  homincs  et  vassallos  ipsius  abbatie 
dicti  castri  ad  plenaoi  iurisdìctìonem,  et  erant  in  possessione  co* 
3ttìonis  plenarie  in  tota  dieta  abbatìa  et  dicto  castro,  habendo  ìn 
•MS  castris  gastaldos  seu  viscontcs.  Intcrrogatus  quomodo  scit  pre- 
sta, dixit  ut  supra  in  primo  dicto.  Intcrrogatus  qui  fuerunt  viscontea 
i  ipso  castro,  dixit  se  non  recordari  de  nomìnibus,  sed  in  castro 
ttTcis  fuerunt  dominus  Moricus  de  Nirano,  Rainaldus  Bencdicti.  In- 
rrogatus  si  vidit  iudices  eo  tempore  prò  abbate  in  dieta  abbatta, 
xìt  quod  vidit  dominum  Rugerium  de  Ruvetino,  sed  de  aliis  non 
cordatur,  qucm  iudìcem  vidit  ibi  iudicare  causas  civìles  et  crìmi- 
lles  et  ìnter  homincs  diete  abbatie.  Intcrrogatus  que  fuerunt  cause 
qui  fuerunt  iudicati,  dixit  se  non  recordari. 
Juario  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  dominus  Gcntilis  Actonis 
de  castro  Furcis,  dominus  Albcriinus  comitis  Alberti,  dominus 
e«midu5  de  Molìano  et  dompnus  Nicola  de  Puczallia  monachus 
monasterii  fu[eruntj  publice  habili  viearii   in  tota  dieta  abbatìa 

0  dicto  monasterio  et  ab  hominìbus  totius  abbatie  [et  dicti]  castri 
Dtis  Faleonis.  Interrogati;^  quomodo  scit,  dixit  quod  vidit  predìctos 
pso  officio  vicariatus.   Interrogatus  per  quantum  tempus  quilibct 

am  fuit  vicarìus,  dixit  se  non  recordari. 

2uinto  artìculo  sibi  lecto,  dixit  quod  cum  dietum  monastcrium 
splene  possidcrct  dietum  castrum  et  aliam  [abbatiam]  in  pace  de 
la  nuUam  Utem  habebat,  Jictum  monastcrìum  fuit  pnvatum  omni 
issessionc  predictorum  peradvemum  gentìs  imperatorìs.  Intcrrogatus 
lomodo  scit,  dixit  quod  vidit.  Intcrrogatus  quomodo  fuit  faeta  dieta 
ivatio,  dixit  quod  gens  regis  Enzis  vcnit  cum  exercitu  magno  cum 
u*racems  et  Theotonicis  ad  castra  ipsius  abbatie,  et  vidit  eos  venire 

1  castrum  montis  Falconis,  et  homines  ipsius  castri  fecerunt  eorum 


330 


oAtti  della  Società 


ì 


mandata,  et  tunc  abbas  recessìt  de  contrada.  Interrogatus  si  tixipcc 
venit  personalìtcr  in  dictam  abbatiam,  dìiut  quod  non,  sed  vidill 
in  obssccssionem  super  Asculum. 

Supra  sexto  articulo,  dixit  quod  dompnus  Nicola  abbas  tuonasi 
dìcti  post  occupationcm  predìctam  possidebat  dìctum  castrum  tal 
sìcut  homo  habet  suum.  Et  tunc  marchio  qui  erat  misìt  quo; 
nuniios  ad  dicium  castrum,  et  tunc  abbas  reliquit  cis  castrum,  scJ 
voluntarie.  Sed  quod  aliam  violcrìtiara  fecisstrt  non  vldit,  et  tuni 
dìcti  nuntii  asscendenint  roccham  et  tenuerunt.  Interrogatus  quoi 
scit,  dixit  quia  presens  fuit. 

Supra  septimo  articulo,  dixìt  quod  postquam  fuit  id  quod 
supra  sexto  articulo,  commune  Firmi  tenuitdictum  castrum.  [ni 
gatus  quomoJo   scit,  dixit   bene,  quia  vidìt  sergootes  prò  comi 
Firmi  tenere  roccham  ipsius  [castri.  Sed]  quanto  tempore  lenfl 
dixit  se  nescìre. 

[Octavo]  articulo  sìbi  Iccto,  dixit  vera  esse  quo  in  ipso  artì< 
contint;ntur.  Interrogatus  quomodo  scit,  dixit  quod  [vidìt  predici^ 
ipsc  tcstÌ3  multotieiis  fccìt.  Interrogatus  per  quantum  tempus  V 
prcdicn,  dixit  quod  tempus  .xv.  [annorum]  et  plus. 

[Nono]  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  commune  Firmi  Aeri  fccitl 
sarum  in  ipso  castro  in  capite  [Jictì]  castri  muratum  undique.  I4 
rogatus  quomoJo  scìt,  dixit  quia  vìdit  preter  fortilliziam  quc  pi 
erat  ibi  prò  ecclesia  suprascripta.  Interrogatus  si  hcc  facta  fucninl 
preiudìcium  monastenì,  dixit  quod  sic.  Interrogatus  quomodo  1 
quod  fuisset  in  prciudicium  monastcrii,  dixit  bene,  quìa  monasteri 
non  potuit  fructare  castrum  sic  ut  prius. 

Decimo  articulo  sìbi  lecto,  dix-tquod  imperator  FredcricusctpJ 
raortcni  eius  rex  Manfrcdus  hostiliter  occuparunt  Marchiam  ctoo 
pata  tenuerunt  abbatiam  ce  castra  eius  de  Marchia  per  .xx.  son 
Interrogatus  quomodo  scit,  dixit  quod  vidit  et  audivit  et  fuit  Ìo  0 
trada.  Interrogatus  si  absentavit  se  de  Marchia,  dixit  quod  non.  W 
rogatus  si  centra  Romanam  Ecdesiam,  dixit  quod  sic 

Undecimo  articulo  sìbi  lecto,  dixit  quod  a  .xxx.  annis  citradid 
monasterium  vacavit  abbate  per  dictum  tempus  et  plus,  sicul  crO 
et  nescit  aliter,  nisi  quia  vidìt  abbatìe  Marchie  sine  abbate  per  djc* 
tempus,  sed  quod  fuerint  abbates  in  monasterìo  vel  non,  disi! 
nescìre. 

Duodecimo  artìcolo  sibt  lecto,  dixit  quod  de  omnibus  quibusi 
stificatus  est  supra  et  reddidit  causam  scientìc  sunt  publica  etnoU 
in  contrada.  Interrogatus  quid  est  dìcere  publicum  et  notorium* 
quod  quc  gentes  pubLce  dicunt,  et  non  fuit  doctus. 


Q^ìti  della  Società 


33J 


Eodem  die. 

rBr}aBonB  SOvctì  de  Furce,  tcstis.  luravii  presentìbus  panibus 
OKaa  rvoorc  prefato.  Primo  articulo  s!bi  [lect]o,  dixit  quod  moaa- 
Menan  sapTascrìptnm  et  abbates  dictì  monasterii  qui  fucruni  prò  tem- 
lonfeas, siCccs  dompnus  Matheus  de  Arzulo.  [dompnus]  Hcnrigus  de 
CoxessDo,  et  abbas  Odenscius,  dompnus  Matheus  de  SubUcu  n  aliì 
et  ynmiii  [nommijbus  noa  recordatur,  nomine  dicii  monasi«rìì  ci 
ffoìfto  n>ooastcrio  habucrunt,  tcnucrunt  et  possedcrunt  totaro  [ab- 
ba)iaB  et  castrum  montis  Falcoois  ad  plenam  iurisdictionem  cum 
pfniwiilTli  et  gyrone,  quod  castrum  positum  est  in  Marchia,  iuita 
castri  Farcis,  ExmiriUi  et  t)uminis  Asi  et  alios  fincs,  et 
cos  habere  gastaldos  et  viscontcs  in  ipso  castro,  et  aliis  de  ab- 
et  iodicem  qui  cognoscebdt  de  omnibus  causis  civilibus  et  en- 
ei condepnabat  in  pecunia  et  in  personis,  et  vìdit  cus  gene- 
rt£tcr  omnia  Tacere  quc  quilibet  dominus  et  comes  facit  in  sua  terra 
et  io  suis  vaxalUs,  et  hcc  dicit  se  vidissc  per  icmpus  .xxx.  annorum, 
■qoe  id  tempus  et  co  tempore  quo  imperator  ei  rex  Ens  per  suos 
■otios  hcwtilitcr  occupaverunt  Marchiam»  abbaiìam  ci  castrum  pre- 
^cftnn  montis  Falconis.  Inicrrogatus  quomodo  scit,  dixit  bene,  quia 
cos  huberc  et  tenere,  ui  supra  dìxit.  loierrogatus  quomodo  scit 
predicti  tuisseni  abbates  dictì  monasterii,  dixit  quia  viJit  homìnes 
'fcwc  faccrc  cis  obbedientiam  et  fideliiatem.  Interrogatus  quantum 
**"»pti5  est  a  dicu  occupatione  ciira,  dixit  se  non  recordari.  Inter- 
'^ogiius  quot  annos  habci  ìpsc  testis,  dixit  quod  octuaginta  annos  et 
plus.  Interrogatus  si  fuit  presens  in  contrada  et  non  abscntavit  se  de 
**fchii,  dixit  quod  presens  fuit  per  tempus  illud  .xxx.  annorum  et 
'*°'*  »b$€ntavit  se  de  Marchia.  Interrogalus  qui  fuerunt  gasialdi  seu 
'iscontcs  in  dicto  castro  moniis  Falconis  et  aliis  castris  dicto  tempore 
r^**ipsi$  abbatibus,  dixit  quod  in  dicto  castro  raontìs  Falconis  fuit 
•^rsìlius  Paracaseì,  Raìnaldus  Gratìani,  et  alii  quos  non  cognovit 
Qomine;  et  alii  fuerunt  in  castro  Furcis  [dominus]  Acto  Albrici,  do- 
i^U5  Moricus  de  Nirano  et  Giso  Actonis  Todini  et  magijter  Phy- 
"PP"s  Hcrradi  Let[onis],  qui  fuerunt  prò  illis  temporibus  et  eo 
tnnport'. 

SccunJo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  tempore  diete  occupatìonis 
ipnus  Matheus  de  Sublacu  erat  abbas  dicti  monasterii  et  dominus 
Wcjmidus  de  Moliano  erat  cius  vicarius  in  tota  abbatia  marchie. 
errogaiu?  quomodo  scit  predicta,  dixit  quia  vìdit.  Interrogalus  quìs 
it  vicarium  dictum  dominum  Fyldesmidum,  dixit  quod  non  inter* 
ordìnaiioni  eius  vìcariatus,  sed  vìdii  quod  homincs  diete  abbatie 
*edlebant  sibi  ut  vicario   dicli  abbatis.  Interrogalus  quod  crai  offi- 


332 


Q^tti  della  Società 


cium  eìus,  dixlt  quod  in  omnibus,  quia  abbas  coiuictebat  sibi  vìces 
suas  in  temporalibus. 

Tenio  «irticulo  sibt  Iccto,  dixit  vera  esse  ut  in  dicco  articolo  con- 
imentur,  et  in  causa  scicuiic  dixit  ut  in  primo  articolo  sui  dìcti  tc- 
siìfìcatus  est.  Incerrogatus  sì  vidìt  ofHtiales  dìcti  abbatis  ìn  ìpsa  ab. 
batia  ei  iudices  co  tempore,  qui  iudìcarcnt  et  punirent,  dixit  quod 
sic.  Interrogatus  qui  fuerunt  dicti  iudices,  dixit  quod  dominus  Phy- 
lippus  de  Coxeiano,  et  dominus  Rogcrius  de  Rivotino,  et  Jominus 
Arnolfus  de  Coxeiano,  et  alii  de  quorum  nominibus  non  rccordatur, 
ut  vidìt  alìquos  punitos  In  oculis,  silicet  Raìnaldum  Dionisìi,  Petrum 
Albertucii,  Vcnturam  Carradi  et  C^mbium  Morìci  Matielle,  quos  di- 
cebant  homines  punitos  esse  per  dictos  iudices,  et  ipse  testis  vidìt 
exire  ìlla  die  qua  fuerunt  orbati  de  gyrone  Furcis. 

Quarta  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  dominus  Geniilis  Actonis 
Mìlì  de  Furce,  dominus  Albertinus  comitis  Alberti  de  ExmìriUo,  do- 
minus Fyidesmidus  de  Moliano  et  dompnus  Nicola  de  Puczallìa  nio- 
nachus  dtctt  monasteri!  et  dompnus  Tebaldus  monachus  dicti  mona* 
sterii  fuerunt  vicarii  prò  ipso  monasterio  in  dieta  ubbaiìa  et  in  dicto 
castro  montis  Falconis.  Intcrrogatus  quomodo  scit,  dixit  quia  vidìt 
predictos  in  vicariatu. 

Q.uinto  articutosibi  lecto,  dixit  quod  tunc  monaslcrìutn  possidente 
dictam  abbatiam  et  dictum  castrum  ut  supra  dixit,  privatum  fuit  pos- 
sessione ipsa.  Interrogatus  quìs  privavit  monasterium  ipsa  possessione 
et  quomodo  scit,  dixit  quod  dominus  Rainaldus  de  Aquavìvj  tunc 
nuntius  impcriìtoris  venit  cuni  sarracenis  et  nilliiibus  multis  ad  castrum 
Furcis,  et  tunc  dictus  abbas  Matheus  erat  in  ipso  castro  Furcis,  et 
cum  noUet  facere  mandata  ipsorum  recessit  de  dicto  castro,  et 
homìnes  ipsius  castri  Furcis  fecerunt  mandata  ipsius  domini  Rainaldi, 
quia  non  potuerunt  aliud.  Et  eadcm  die  ìvit  ipse  dominus  Rainaldus 
versus  castrum  montìs  Falconis  ad  ecdcsìani  Sancti  lanuariì,  et  ibi 
recepii  homines  montìs  Falconis  ad  mandata.  Interrogatus  quomodo 
scit,  dixit  bene,  quia  stetit  et  prcsens  fuit  et  erat  ìpse  testis  torresia- 
rius  et  cusios  gyronìs  dicti  castri  Furcis. 

Supra  sexto  dixit  quod  post  dìctam  occupationem  abbas  Xicola 
cum  possiderct  dictum  castrum  montìs  Falconis,  audivìt  dict  per  pu- 
blicam  famam  quod  dominus  Gerardus  Coxadoca  rector  marchìc  tunc 
misitsuosnuniios  ad  castrum  mentis  Falconis  et  fecit  aufcrrì  castrum, 
sed  non  quod  ipse  testis  alìter  sciret. 

Supra  scptimo  dixit  quod  communc  Firmi  apprchendiJit  roch^m 
dicti  montis  Falconis,  et  cara  tcnuìt  per  plures  annos,  sed  per  quot 
annos  tcnuit  non  rccordatur.  Interrogaius  quomodo  scit,  dixit  auditu. 

Octavo  articulo  sibi   lecto,  dixit  quod  homines  abbaile  et  dìcti 


Q^tti  della  Società 


333 


stri  montìs  Falcoais  presucerunt  et  presure  consuevcrunt  iuramenta 
iditatU  abbatibus  dicti  monasterìi  obbedlendo  eis  sicut  dominis 
rum  et  recognoscendo  eos  ut  dommos.  Interrogatus  quomodo  scil, 
ót  se  vidisse  quasi  per  omnia  castra  abbatte,  quia  abbates  ducebant 
Mm  testem  prò  corum  l'amiliare,  quilìbct  corum  de  quìbus  dixlt  suo 
npore.  Interrogatus  per  quantum  tenipus  vidit  predieta,  dixìi  a 
Dpore  sue  recordationis,  excepto  tempore  quo  imperator  tenuit 
Tarn,  ut  supra  dixjt. 

Nono  artìculo  sibì  Iccto,  dixit  quod  commune  Firmi  fecit  fieri  in 
3itc  dicti  castri  moniis  Falconis  post  dìctam  occupaiionem  unum 
:eptum  preter  forùLlizìa  scu  paUtìum  quod  abbas  prìus  habcbat  ibL 
errogatus  quomodo  scit,  dixit  quod  a  longc  vìdebat  quando  fìcbat 
Tiim  receptum,  et  dicebatur  quod  Firmani  facicbant  fieri. 

Decimo  artìculo  sibi  lecto,  dixit  quod  imperator  Fredericus,  et 
st  mortera  ipsius  impcratorìs  rex  Manfredus,  occupaverunt  Mar- 
iani et  dìctam  abbatiara  et  tenuerunt  occupatam;  sed  per  quot 
Bos  non  recordatur.  Interrogatus  quomodo  scit  predicta,  dixit  quìa 


Ddecimo  artìculo  sibi  Iccto,  dixit  quod  a  .xxx.  annìs  ciira  va- 

abbatia  abbate   in  istis  partibus  Marchie   bene  per  .vii.  annos, 

edìt  et  sibi  videtur,  et  aliter  nescìt. 

Duodecimo   articulo  sibi  lecto,  dixit  quod   ea  que  supra  testifi- 

I  est  et  rcddit  causam  scicntie  sunt  publica  et  notoria  in  contrada. 

Dgatus   quid   est  dìcere  publicuni  et  notorium,  dixit  quod  que 

communiter  dicunt,  et  quod  non  fuit  doctus  nequc  rogatus. 

Eodem  die. 

pnus  Meliorati  de   Teramo,   testìs.   luravit  prescntìbus  partibus 
rectore   prefato.  Primo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  mona- 
atn  suprascriptum  et  abbates  qui  fuerunt  prò  temporibus,  sllicet 
M9  Gentilis  et  abbas  lacobus,  abbas  Philìppus,  et  abbas  Herrigus 
Coxeiano,   et  abbas  Mnthcus  de  Sublacu  et  aliì  de  quorum  no- 

E"  5  non  recordatur,  nomine  dicti  monasterìi,  et  prò  ipso  mona- 
n  solidum  et  in  totum  habuerunt,  tenuerunt  et  possederunt  ad 
iurisdictionem  totam  abbaiiam  et  castrum  mentis  Falconis 
n£ce  et  quiete  et  continue,  ponendo  ibi  baiulos  et  gastaldos  seu 
:ontes  in  tota  dieta  abbatia  et  ìn  dicto  castro,  et  generalìter  vidit 
.  omnia  facere  iustìficando  homìnes,  et  per  ìudices  et  vicarios 
■B  sicut  facit  domìnus  et  comes  ìn  sua  terra  et  intra  suos  ho- 
Ei;  et  hec  vìdit  per  tempus  .xxx.  annorum  et  plus  usque  ad 
ipus  quo  imperator  sive  gentes  ipsius  ìmperatorìs  hostiliter  occu- 
,  Marchiam   et   abbalìam  predìctam  et  dictum  castrum.  Interro- 

ÌArchiyio  detta  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI  33 


C4tti  della  Sodetà 


I  Kit  predicu»  diKÌt  se  vidisse,  et  quod  per  ' 
>  iNUcam  famam  scìvisse.  Interrogatus  quomodo  scit  q< 
nt  abbates  dictì  monasteriì,  dÌKÌt  quia  vìdit  eos 
«l  honorih  ab  hominibus  diete  abbaiie  et  sìcut  honorantur 
UtteCTO^atus  quantum  tempus  est  quod  predicia  fueruni,  dixà 
lUiiucro  annorum  non  recordari.  Interrogatus  quantum  tempos  habct< 
IpM  Mltis,  dixit  .LXXX.  annos  et  plures.  Interrogatus  si  fuit  prescass  per 
<Uc(um  tempus  .xxx.  annorum  in  contrada  [et  in]  provinzia  Marchir, 
daxit  quod  ùc. 

lSccund)o  articulo  sibi  lecto^  dixit  quod  dompnus  Mathcus  de 
!iutocu  or«t  abbas  dicti  monasterii  tempore  [lnv]axtonis  predictc» 
«(  JouiUuis  Fyldosmidus  de  Molinno  erat  suus  vicarius  in  dieta  ah- 
b4tu,  ci  communitcr  homines  [ab]batie  habebant  eum  prò  vicario. 
kkVKfOg*'^  quomodo  scit ,  dixit  quia  vìdìt.  Interrogatus  quod 
^^llUlttin  fftclcbdt  [dictus]  vicarius  in  dieta  abbatia,  dixit  quia  omnia 
li^lfbAt  CI  lustìticabat  et  rationem  requìrcbat  ab  ofBtialibus  [ceir|a- 
uriU  et  baiulis  qui  erant  in  abbatìa  predicta.  et  omnia  facicbat  in 
tviuporallbus,  quod  dicti   abbates  per  se   facìebant  dum  erant  pre- 

IVrtlo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  tempore  diete  invaxionis 
^rvdKli  dompnus  Matheus  abbas  dicti  monasterii,  et  dominus  Fyldes- 
luUIui  «tu»  vicarius,  nomine  dicti  monasterii  habebant  et  possidebant 
|i4^ÌU(v  et  quiete  totam  dìctam  abbatiam  et  castrum  moaiis  Falconìs 
vi  ttttmliu*«  et  vassallos  ipsius  abbatie  et  castri  montis  Falconis  ctiam 
Mmqurini  liomincs  et  vassallos  ipsius  monasterii  et  ad  plcnam  iurìs- 
tlUkl*i>i^ni.  tempore  diete  invaxionis  et  occupationis  erant  in  posses- 
%\m$  vd  quasi  possessionis  cognitionis  et  iurìsdìctionis  plenarie 
fil^l^tfiulu  in  tota  dieta  abbatìa  et  castro  montis  Falconis  in  pecunia, 
y|  ili  iiiembrì*.  et  in  persona,  faciendo  etìam  eosdem  homines  et 
vmittlitt*  klclinquentes  suspendi  et  decapìtari.  seeundum  quod  requi- 
l«Ìi4il  riiilura  et  qualitas  delieti.  Interrogatus  qui  fucrunt  viscontcs  et 
MIM1«II  in  ipso  castro  montis  Falconis  [et  in  aliis  cajstrìs,  dixit  quod 
|U  vAiliO  montis  Falconis  vidit  Raìnaldum  Gratianì  primo  viscontem 
fi  jtoit  «uiu  cellararium  co  tempore,  et  Morieum  Tofani  qui  fuit 
HAftMldtir  Interrogatus  si  vidit  ibi  iudices,  dlxìt  se  non  recordari.  In* 
^^ti«i||4lMi  qui  l'ucrunt  puniti  seu  condepnati  in  persona  eo  tempore 
\%\  tl*«Ì«  l^*"^^'*  ^^^^^  ^^  °°"  recordari. 

(lilAHO  «rticulo  sibi  lecto,  dixit  quod  dominus  Gcntilis  Actonìs 

il,.-,  dominus  Albertinus  comitis  Alberti,  dominus  Fyldcs- 

U'IJano»   dompnus  Nìeolaus  de  Puczallia  monaehus  dicti 

miM(4ilviil    lucrunt  vìcarii   dicti  monasterii   prò   dìcto  monasterio  et 

tMvMSUU  Abbdtuum,  et  publice  habiti  sunt  prò  vicariìs  in  ìpsa  abbatìa. 


■bgatus  quomodo  scit,  dixit  quia  vidit.  Interrogatus  si  dominus 
Bnus  aliquìd  possedit  in  castro  montis  Falconìs,  dixic  quod  ha- 
^uosdam  vaxaJIos,  et  audivit  quod  dictus  dominus  Albertinus 
ébat  fìdelìtatcRi  abbati. 

Quinto  aniculo  sibi  lecto,  dixit  quod  cum  dictum  monasterìutn 
piene  possidcret  et  quasi  toum  dìctam  abbaiìam  et  dictum  ca- 
ni montis  Falconis,  et  homines  et  vassallos  ipsius,  cum  dieta  co- 
ione  et  iurìsdictione  ani  [versali]  etiam  quo  ad  sanguihera  et  ca- 
Bs  pene  imposìtioncm,  dictum  raonasterium  privatum  fuit  omnibus 
Uctis  per  dìctam  ìnvaxionem  et  occupationem  dicti  Frederici  im- 
itorìs  rcbellis  et  hostis  Romane  Ecclesie.  Interrogatus  quomodo 
feluit  dieta  privatìo»  dixit  se  non  recordarì,  sed  scit  predìcta  au- 
Ttt  per  publicam  famam. 

Supra  sexto  articulo,  dixit  nichil  scìre  alìud  nìsi  auditu  et  per  pn* 
famam. 
pra  septimo   nrticulo,  dixit  quod  Firmani   abstulerunt  dictum 
I  montis  Falconis  et  tenuerunt  ipsum  castnim  prope  .xx.  annos, 
;  eos  ibi  Tacere  turrim. 

ictavo  articulo  sibi  ledo,  dixit  quod  homines  et  vassalli  ipsius 
vét  et  homines  ipsius  castri  consueverunt  prestare  et  prcstìterunt 
amenta  lìdelitatis  abbatibus  dicti  monasteriì,  qui  fuerunt  prò  tem- 
p»,  cos  honorari  et  revereri  sicut  dominos  eorum  ab  eis,  et  hcc 
la  tempore  recordationis  ipsius  testìs,  excepto  tempore  quo  mo- 
lliim  caruit  possessione  ipsa  per  dictam  occupationem.  Imerro- 
Ea  quot  annts  citra  recordatur  ipse  testis,  dixit  quot  a  .LX.  annis 
^Interrogatus  si  fuit  presens  prestationi  ipsorum  sacramentorum, 
:  quod  multotiens  et  in  pluribus  locìs  abbatte  ipsius»  et  scit  per 
tum  et  per  publicam  famam. 

Kono  articulo  sibi  Iccto,  dixit  quod  postquam  comraune  Firmi 
lit  Jictum  castrum  fieri  fecil  a  capite  ipsius  castri  unum  g^Tonem 
er  guardìam  que  erat  ibi  prius.  Interrogatus  quomodo  scit,  dixit 

vidit  et  audivit  sepius,  et  \'idit  ibi  lohannem  de  Barlecta  ca- 
uum  prò  commune  Firmi. 

Decimo  articulo  sibi  lecto,  dlxìt  quod  imperator  Fredericus  et 
Wanfredus  occupatam  tenuerunt  Marchiam  et  abbatìam  hostiliter 
Ta  Ecclesiam  Romanam  per  .xx.  annos.  Interrogatus  quomodo 
dtxit  quod  vidit  prò  magna  parte  et  audivit.  Interrogatus  si 
essit  de  provinzia  per  dictum  tempus,  dixit  quod  non. 
Jndecimo  articulo  sibi  lecto,  dixìt  supra  eo  nichil  scire  nisi  au- 
et  per  publicam  famam. 

>upra  duodecimo  articulo»  dixit  quod  sum  pubLica  et  notoria  ea 
testificatus  est  supra.  Interrogatus  quod  est  dicere  publìcum  et 


}}6  otiti  della  Società 


notorium,  dixit  se  nescìre.  Interrogatus  si  fuìt  doctus  vcl  rogatus  hoc 
testimonìum  Tacere,  dixit  quod  non. 

Die  .XV.  martii. 

Dompnus  Rainaldus,  monachus  Sancti  Kaiorvi  de  Tolentino,  te- 
sti», luravit  presentibus  partibus  coram  rcciorc  prefato.  Primo  arriculo 
sibi  lecto,  dixit  quod  monasierium  suprascriptum  et  abbates  qui  fu< 
runt,  silicei  abbas  Mathcus  de  Arsalo,  abbas  Hcrrigus  de  Coxeiano^ 
et  post  eum  in  tempore  non  Continuo  quod  sibi  recordetur  abbas, 
Stephanus,  et  abbas  Odcrìscìus,  et  post  istos  abbas  Matheus  de  Su- 
blacu,  nomine  dicti  monastcrìi  in  solìdum  et  in  totum  habuerunt, 
tenuerunt  et  posscdcrunt  quo  ad  plcnam  ìurisdictioncm  civilium  et 
criminalium  causarum  pacitìce,  contìnue  prò  suo,  sìcut  abbates  tenent 
suam  terram,  totam  dictam  abbatiam  suprascriptam  et  castrum  montis 
Falconis  et  abbatiam  predìciam,  cum  suis  pertinentìis  et  tenimentis, 
et  cum  domo  que  erat  in  capite  castelli.  Quod  castrum  est  in  Mar- 
chia, cuius  congnia  sunt  ista  :  castrum  Sancte  Vìctorie,  tenìmcnta 
castri  Exrairilli,  castri  Terami  et  (lumen  Asì;  habcndo  in  ipsa  ab- 
batia  tota  gastaldos  et  vlscontcs  et  in  ipso  castro  et  in  tota  abbada, 
cognoscendo  de  causìs  civìlibus  et  criminalìbus,  et  per  iudiccs  eorum 
vìdit  aliquos  homines  plures  punir!  in  pecunia  et  in  personis,  et  vidic 
cos  et  omnia  et  slngula  Tacere  que  quilibei  dominus  et  comcs  facit 
in  sua  terra,  et  plus  quia  in  spiriiualibus  dominabantur.  Et  vidìt  pre- 
dieta  per  tcmpus  .\l.  annorum  usque  ad  lem  pus  et  cu  tempore  quo 
rcx  Enz  tìHus  ìmpcratorìs  intravit  Marchiam  et  usque  quo  occùpavìi 
provinciam  totam  et  dictam  abbatiam  et  dictum  castrum  montis  Fal- 
conis. Interrogatus  quomodo  scit  predicta,  dixit  quia  vidìt  et  intcrfuit. 
Interrogatus  quomodo  scit  quod  prcdicti  t'uerint  abbates  in  dieta  abbati;! 
et  in  ipso  castro,  respondit  quìa  homines  vocabant  ipsos  abbates,  et 
ipsifaciebant  eaque  faciunt  abbates  in  dieta  abbatta  et  in  ipso  castro. 
Interrogatus  quantum  tcmpus  est  quod  predicta  fuerunt,  dixit  se  non 
bene  recordari.  Interrogatus  quantum  tempus  habet  ìpse  icstìs,  dixit 
.Lxxx.  annos  et  plus,  ut  ipsc  credit.  Interrogatus  si  prcdicium  tcmpus 
.XL.  annorum  fuìt  prcscns  in  provinzia  Marchìe,  et  in  dieta  contrada,, 
dixit  quod  sic,  exccpto  quod  una  vice  ivit  in  Lombardiam  ad  ab- 
batera  Stephanum  predìctum  qui  erat  in  Lombardia,  in  eundo  me* 
rando  et  redcundo  traosierunt  .xx.  dies.  Interrogatus  in  qua  terra 
dictus  testis  fuìt  orcus,  dixìt  in  monte  de  Nove,  quod  est  castrum  sa* 
biectum  ipsi  abbati  et  dicto  monasterio. 

Secundo  articolo  sibi  Iccto,  dixit  quod  tempore  diete  òccupationis 
diete  provinzie  et  diete  abbatte  dopnus  Matheus  de  Sublacu  erat  abbas 
dicti  monastcrìi  et  dominus  Fyldesmidus  de  Moliano  erat  eius  vjca- 


Ls  in  dieta  abbatU.  Incerrog^atus  quod  erat  ofHcium  dictì  vicarìi, 
àt  quod  ordinabat  et  fadebat  prò  ipso  abbate  quc  spcctabantor  ad 
nporalia  et  publice  habebatur  prò  vicario  ab  hominibus  diete  ab- 
ic,  et  ipse  vicarias  et  prò  eo  dominus  Rogerius  iudex  de  Rovetino, 
nn  vidit  euni  iudicera  prò  domino  Fyldesmido,  et  Meliorem  de 
ioforte,  et  dominum  Uguiczionem  filium  naturalem  dictì  domìni 
Idesmìdi,  qui  fecerunt  ìudìcìa  plura  in  delioquentibus,  de  quorum 
Minibus  non  rccordatur. 

Tcrtio  articulo  sibi  lecto,  dixit  vera  esse  et  fuisse  que  in  ipso  ar- 
ilo coniinentur,  hoc  adiccio  etiam,  quod  vidù  viscontem  in  quo- 
rt  castro  diete  abbatie.  Quesìtus  in  causa  scientie,  dixit  in  omnia 
per  omnia  ut  supra  in  primo  articulo  dixit. 
Quarto  articulo  sibi  lecto»  dixit  quod  dominus  Gentilis  Actonls 
i  de  Furce,  dominus  Albertìnus  comitis  Albertini  de  ExmiriUo, 
ninus  Fyldesmidus  de  Moliano  et  dopnus  Nicolaus  de  Puc/allia. 
n  et  Arpinellum  domini  Gibcrti  de  Valle,  dopnum  Laurentìum  pe- 
ioum,  dopnum  Bcrardum  de  Montcnigro,  dopnum  Nicolaum  de 
Sa  \idit  vicarios  prò  abbatìbus  qui  fuemnt  prò  tempore  in  mo- 
tcrio  dìcto.  Interrogatus  quomodo  scit  predicta,  dixit  se  vìdisse. 
Quinto  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  cum  dictum  monastcrìum 
lideret  diciam  abbatiam  et  castrum  montis  Falconis  et  vassallos 
US  cum  iurìsdictìone  plenaria,  ut  supra  dixit,  monasterìum  fuit 
atum  omnibus  predictis.  Interrogatus  quomodo  scit  et  quomodo 
■  ^it  dieta  prìvatio,  respondit  quod  cum  exercitus  imperatoris  et 
s  eius  cum  rege  Entìo  ad  partes  illas  venirent,  videlicet  ad  castra 
US  abbatie,  et  castra  facerent  mandata  eorum,  quia  gens  illa  erat 
omunicata,  et  abbas  timebat,  aufugit  et  exivit  de  ipsa  terra. 
Sexto  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  audivìt  dici  quod  Gcrardus 
:adoca,  rector  in  Marchia,  fecit  sibi  darì  castrum  montis  Falconis, 
kebatur  quod  de  mandato  domini  abbatis  fecerat. 
Sepurao  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  castrum  montis  Falconis 
hit  ad  civitatcm  Fìrmanam,  et  illud  castrum  habuit  et  possedit 
mis  annos  et  plus  in  preiudicium  dicti  monasterii  et  contra  ìus 
\  detrìmcntum  animarum  suarum,  et  nunc  póssidet  licet  nomine 
lane  Ecclesie  teneatur.  Interrogatus  quomodo  scit,  dixit  quia  au- 
t,  et  est  in  pubiica  fama.  Interrogatus  quale  preiudicium  fit  mo* 
erio,  dixit  quod  Firmani  facicbant  ibi  pontem  et  dominantur  ca- 
ni, exceptis  domaniis  et  debitalibus. 

Retavo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  homìnes  et  vassalli  diete 
ttie  et  dictì  castri  prestiterunt  et  prestare  consueverunt  sacramenta 
ititis  abbatibus  qui  fuerunt  prò  temporibus  in  dìcto  monasterio, 
do  et  recognoscendo  eos  ut  domìnos  suos,  faciendo  debitalia 


538 


Q/ìtii  della  Società 


i 


et  usualia  servìtia  et  hoc  a.  tempore  recordatioais  ipsius  testis,  eicepto 

tempore  quo  dictus  imperator  tenuit  terram.  Interrogalus  quomod^ 
scit  predicu,  dixit  quia  vidìt  plurìes  et  pluries  et  multotìensintertai^ 
presiationibus  dictorum  sacraraeniorum  et  servitiorum  a  dìcto  »^ 
recordationis  tempore.  Intcrrogatus  si  sacramenta  predicia  prou-' 
baniur  singulariter  per  homines  diete  abbatie  et  dicti  castri  vd  per' 
syndicum»  dixit  quod  singulariter. 

Nono  aniculo  sibi  lecto,  dixit  quod  commune  Firmi  fecii  fieri  i> 
prciudicium  dicti  monasteriì  in  capite  dicti  castri  montis  Falcooii^ 
unum  g)Tonem,  non  quod  ìpse  testìs  interfuit  quando  fuìt  factum.  s'>l 
viJit  post,  et  per  publicam  famam  scii  quod  Firmani  fecerunt  ìpjaic- 

Decimo  articulo  sibi  Iccio,  dixit  quod  imperaior  Fredericus,  «*■ 
post  mortem  eius  rex  Manfredus,  per  nuntios  eorum  cura  eierciiun» 
occuparunt  Marclitam,  totam  abbatiam  et  dictum  castnim,  et  domìD>^ 
hierrìgus  de  Aquaviva  cum  excrcitu  imperatoris  advenit  in  .Marchi 
et  in  dictam  abbatiam,  et  tempore  rcgis  Manfredi  vicarii  eius  oca» 
pans  dictam  provinciara  et  abbatiam  hostiliier  comra  Romanam  E^"" 
clcsiara  et  in  prciudicium  dicti  monasteri!,  et  occupatara  tcnucr»*^*" 
per  .XX.  annos  et  plus,  ut  credit 

Uniiecimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  monasterium  suprasc 
plum  a  .XXXV.  annis  citra  vacavit  abbate  aliquando»  [u]t  credit;  *' 
per  quantum  tcmpus  ncscìt. 

Duodecimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  ea  supradicta  de  quife'' 
testìfìcatus  est  et  reddìdJt  causam  scientie  sunt  nota  et  publica  B^ 
minibus  de  contrada  et  manifesta,  et  dìxìt  quod  non  fuit  docc^** 
nequc  rogatus  dictum  testlmonium. 

Die  predicta. 

Dopnus  lacobus  prior  ecclesie  Sancte  Marie  de  Ofìda,  tcstÌJ.   J 
ravit  presectibus  pariibus  et  corara  rectore  prefato.  Dìxii  quod  a^ 
nasterium  suprascrìptum  et  abbas  Mathcus  de  Sublacu,  nomine  dt^ 
monasteri!  et  prò  ipso  raonasterio,   de  alììs  abbatibus  precedcndl^ 
in  tempore   dicium   abbatem  Matheum,  excepto  abbate  Hcrrigo  ^ 
Coxeiano  quem  rccordatur  in  abbatia  predicu  et  tempore  cuius  ij^ 
testìs  reccptus  fuit  monachus  dicti  monasteriì,  qui  abbatcs  iiabucri 
tenuerunt  et  possederunt  in  solidum  et  in  totum  prò  ipso  menasti 
ad  plenam  iurisdictìonem  causarum  cìvìlìum  et  crìminalium  contini 
dictam  abbatiam  et  castrum  montis  Falconis  de  ipsa  abbatia  cu 
pertinemits  et  domlbus  quc  crant  in  ipso  castro,  prò  ìpsis  abbatibu 
et  vidit  eos  habcrc  gasuldos  et  baiulos  in  dieta  abbatia  et 
predicto,  et  vidit  eos  cognoscere  de  causìs  civilibus  et  criminalibi 
per  eorum  vicarios  et  iudices,  et  vidit  eos  generaliter  omaid 


d^i^ 


inus  et  Comes  facit  in  sua  terra  et  in  suis  vassallìs,  et  plus 
piritualibus  domìnabantur  ;  et  hec  per  tempus  .x.  annorum 
«<jue  ad  lempus  et  co  tempore  quo  rex  Enzis  intravjt  Mar- 

occupavit  abbatiam  totam  et  sicut  aliam  cerram.  Interro- 
)modo  scìt  preJicta,  dix.it  se  vìdìssc,  quia  vtdit  dictos  abbates 
,  et  alìos  erant  prò  eis  sicut  supra  dixit.  Interrogatus  quo- 
t  quod  predìcti  abbates  fuerint,  dixil  quod  vidit  eos  haberi 
:ìbus,  et  scit  bene,  quìa  fuit  de  ìpsorum  familia.  Interrogatus 

tempus  est  quoJ  predieta  fuerunt  occupata  ut  supra  dixii, 
ton  recordari.  Interrogatus  sì  dominus  imperator  venit  per- 
ad  dictam  abbatiam  et  dictum  castrum,  dixit  quod  non,  sed 
lem  regis  Enzis  venire  in  cxercitu  super  Ofidam,  et  genles 
icebant  quod  predictus  erat  ibi,  et  tunc  dictus  abbas  qui  tunc 
carius  eius  rccesserunt  de  abbatta  prò  timore.  Interrogatus 
tpus  dictorum  .x.  annorum  de  quibus  annis  asseruit  fuit  pre- 
tntrada,  dixit  quod  sic.  Interrogatus  de  qua  terra  fuii  oriundus 
ti5,  dixit  quod  de  castro  de  monte  de  Nove  de  dieta  abbatia. 
ido  articulo  sibi  lecto,  dLxit  quod  tempore  diete  occupatioois 
m  4ìcti  raonasterii  dopnus  Matlieus  de  Sublacu»  sed  quod  do- 
(Idesmidus  de  Mollano  esset  vicarius  eius  non  recordari.  Et 
unum  Rugeriuni  filium  dictì  domini  Fyldesmidi  et  dominum 
ocni  filìum  naiuralcm  eius  et  Bonsaltum  de  Molìano  esse  in 
iriatu,  et  diccbant  homines  eos  stare  prò  dicto  domino  Fyl- 


)  articulo  sibi  lecto,  dixit  vera  esse  quc  in  ipso  articulo  con- 
excepto  quod  doraìnura  Fyldcsmidum  non  vidit  in  vicariatu, 
dixit,  sed  vidit  dictos  lìlios  eius,  et  Bonsaltum  familiarem 
loscere  et  punire  Jelinquenies,  et  Vidit  eos  facere  torqueri 
ì  Rainucii  et  lacobum  Berardi  de  monte  de  Nove  prò  eo 
(bantur  furtum  commisìsse  de  biado  in  nocte.  Interrogatus 
t  scit  predicta,  dixìt  quod  erat  in  terra  et  castro  montis  de 
vidit  bladum  portari  per  illos  quibus  dicebatur  substractum 
tive  quod  deberet  eis  reddi,  non  quod  viderit  eos  torqueri, 
publice  dicebatur  per  terram. 

IO  articulo  sibi  Iccto,  dixit  quod  alios  vicarios  quorum  no- 
pso  articulo  contìnentur  non  Nndit,  sed  vidit  dopnum  Nicolam 
llia,  monachum  dicti  monasterìì,  vicarium  prò  dicto  mona- 
dieta  abbatia.  Interrogatus  per  quantum  tempus  vidit,  dixit 
nnos.  Interrogatus  quomodo  scit  quod  fuerit  vicarius,  dixit 
la  vidit  iicteras  privìlegii  vicariatus  ipsius,  in  quibus  contine- 
td  homines  abbatìe  deberent  ei  obbedire  in  temporalibus  et 


340 


oAtti  della  Società 


Quinto  aruculo  slbi  lecto»  dixit  quod  cum  dìctum  monascerìuni 
sic  piene  possideret,  ut  supra  dixit  in  primo,  dictam  abbatìam  et  dictura 
castrum  mentis  Falconis  dlcium  monasterlum  privatum  fuit  dieta 
possessione  per  occupationem  et  invaxionera  prefatam.  Inierrogatus 
quomodo  scii,  dixit  quod  cum  dictus  abbas  Matheus  iam  rccessisset 
de  ìpsa  abbatta  timore  gcntis  dicti  regts,  ut  dixit  in  primo  arùculo,  et 
dopnus  Nicola  predictus  remansisset  et  gereret  ofBcium  vicarìatus, 
venit  quidam  domìnus  Salomon,  et  dicebatur  quod  prò  ìnperatore 
venerai  et  prò  domino  in  contrada  iìla,  et  cum  ìnciperet  dominali, 
dictus  dopnus  Nicola  recesslt  prò  timore,  quod  predictus  dominus  Sa- 
lomon minabatur  ci,  ut  ipse  tcstis  audiebat.  Interrogatus  quomodo 
scit  et  ubi  fuerunt  predicta,  dixit  quod  in  castro  montis  de  Nove  vidìt 
dictuni  domìnum  Salomonem  sic  se  habere  ut  supra  dixit. 

Supra  scxto  articulo  dixit  quod  cum  dopous  Nicola  abbas  oUm 
dicti  monasterii  esset  in  terra  Ofide  misìt  domìnum  Gentilem  de 
monte  SanctJ  Poli,  et  cum  eo  ipsum  testem,  ad  castrum  montis  Fal- 
conis prcdictum,  ad  petitionem  dominorum  de  Exmirillo,  qui  tenebant 
dictum  castrum,  qui  cum  pervenissent  ad  ipsum  castrum,  domini  de 
Exmirillo  qui  ibi  crant,  seu  domìnus  Aiiselraus  et  ncpotes  de  Exmi- 
rillo, et  domìnus  Georgìus,  et  dominus  Albertinus  [de]  monte  Paxillo, 
qui  cum  reUxari  sibi  pcterent  et  dicerent  prò  parte  dicti  abbatis,  qui 
deberem  readsignari  ipsum  castrum  dicto  domino  abbati,  dicti  domini 
respondcrunt  cis:  cr  vcnìat  dominus  abbas  et  readsignabimus  sibi  ca- 
strum, quia  suum  est  u.  Et  sequente  die  cum  dictus  abbas  properasset 
ad  ipsum  castrum,  predicti  domini  readsignaverunt  ipsi  abbati  ipsum 
castrum,  dicentes:  «ecce,  readsignavimus  vobis  dictum  castrum  quia 
vcstrum  est  ».  Quibus  dominis  reccdentibus  de  ipso  castro,  rcmansit 
dictus  abbas  cum  famìlia  et  comitiva  quc  secum  erat,  et  comisit  ipsi 
testi  clave»  portarum  dicti  castri,  et  post  dìctum  tcnipus  cum  domìnus 
Gerardus  Coxadoca  esset  rector  Marchie,  misit  qucmdara  domìnum 
Oddonem  de  Florcntia  ad  dictum  castrum,  et  cum  prius  preccpisset 
ipsi  quod  dictum  castrum  montis  Fakonts  debcret  adsignare  ipsum 
castrum  nuntiis  eius  qui  abbas  quamquam  invitus  accessit  ad  dictum 
castrum,  ce  diete  iudici  Oddoni  adsignavit  dictum  castrum  dicendo 
et  protestando:  «t  ego  volo  obbedire  marchioni  prò  honore  Ecclesie 
Romane,  salvo  et  reservato  iure  monasterii  et  Ecclesie  suprascripic, 
quod  hoc  non  fiat  io  preìudicium  monasterii  ipsius  ».  Interrogatus  quo- 
modo scit,  dixit  bene,  quia  fuit  presens  omnibus  predictis  et  vidìt  et 
audivit. 

Septìmo  articulo  sibi  lecto,  dixit  auditu  se  scìrc  quod  predictum 
castrum  montis  Falconis  pervcnit  ad  civitatem  Firmanam,  sed  quanto 
tempore  tenuit,  dixit  se  nescire. 


Q/Ùti  della  Società 


Octavo  articulo  sibi  Iccto»  dixit  quod  homincs  abbatìe  et  castri 
Tcdicti  prestare  consuevenint  sacmmenta  fìdelitatis  abbatibus  qui 
lerunt  prò  tempore  in  dìcto  monasterio,  et  honorare  et  recognosccre 
OS  ut  domìnos.  Interrogaius  per  quantum  terapus,  dixit  per  .XX-  et 
XXX-  annos  et  plurcs.  Interrogatus  quomodo  scìt,  dixit  bene,  quia 
tetit  et  prescns  fult  et  vìdit  multotiens  et  pluries.  Interrogatus  si 
ìcta  sacramenta  prestabantur  per  SNtidicum  vcl  singuUrìtcr,  dìut 
uod  per  syndicum  in  aliquibus  castris  et  prò  maiori  parte  singuH 
restabant  sacramenta  homagìi  et  fìdelitatis  abbitibus  ipsis. 

Nono  articulo  sibi  lecto,  dix.it  quod  conimune  Firmi  post  occu- 
atìoncm  et  per\'cntÌoncm  dìctam  (ieri  fecit  in  ipso  castro  turrim  et 
alatium  pretcr  domos  que  erant  ibi  prius  et  in  preìudicìum  dicti  mo- 
asteriì.  Interrogatus  quomodo  scit,  dixit  se  vidbse  postquam  Fir- 
lani  habuerunt  castrum  illud  heddifìcium  factum  per  eos,  quod  non 
rat  ibi  tempore  quo  fuit  ipse  testis  ibi,  ut  asseruit  supra  in  .vi.  ar- 
culo. 

t  ecimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  computato  tempore  quo  impe- 
et  rex  Manfredus  tenuerunt  Marchiam  per  nuntios  eorum  cu- 
iirrcnint  .xx.  anni.  Interrogatus  quomodo  scit,  dixit  bene,  quia  stctit 
ontinue  in  provinzia. 

Undecimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  a  .xxxv.  annis  dira  mo- 
asterìum  suprascriptum  vacavi:  abbate  per  .x.  annos.  Interrogatus 
^t-  mortem  quorum  abbatuum,  dixit  se  non  recordari. 

Duodecimo  et  ultimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  predicta  de  quibus 
Sscruit  publica  et  notoria  esse  in  contrada  abbatie  predicte.  Interro- 
'^-tus  quid  est  dicere  publicura  et  notorium,  dixit  quod  est  illud  quod 
^tiltis  est  notum  et  publicum.  Interrogatus  si  fuit  doctus,  dixit  quod 
,  et  predicta  non  dixit  odio,  prctio,  prece,  amore,  vcl  timore. 


gp>c 


Die  .XVI.  marùi. 


Petrus  Nicole  de  monte  de  Nove.  luratus  presentibus  partibus 
■^ram  rectorc  prefato,  primo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  monaste- 
ium  suprascriptum  et  abbates  quos  ipse  testis  vidit  prò  dicto  raona- 
Icn'o,  silicei  abbas  Matheus  de  Arzulo,  abbas  Herrigus  de  Coxeìano, 
bbas  Oderiscius  et  abbas  Matheus  de  Sublacu,  et  alìì  quos  perso- 
aliicr  non  vidit,  scit  tamen  auditu,  predicti  quos  vìdit  prò  dicto  mo- 
asterio  habuerunt,  tenuerunt  et  possedenint  prò  suo  ad  plcnam  iuris- 
iciionem  causarum  civilium  et  criminalium  pacifice  et  continue 
dtam  dìctam  abbatiam  et  castrum  mentis  Falconis,  cuius  confinia 
unt  flumen  Asi,  lenimcntum  castri  Sanctc  Victorie,  castri  Exmirilli, 
t  alia  latera  cum  fortillitiis  et  tenimentis,  ut  quis  possidet  suura, 
abendo  gastaldos  et  baiulos  in  ipso  castro  et  in  alUs  diete  abbatie, 


1 


et  vidìt  vicanos  et  iudices  eorum  cognoscere  de  causis  crìmìnalibus  et 
civilibus  et  punire  malefaclorcs  delinquentes  in  persona  et  m  pecunia, 
et  gencralìtcr  omnia  Tacere  que  quìlibct  dominus  et  comes  facit  in 
sua  terra,  et  dixit  se  predicta  vidisse  per  tempus  .xxx.  annorum  et  plus 
usque  ad  tempus  et  eo  tempore  quo  rex  Ensìs  lìlìus  Imperatorìs  prius 
intravit  Marchiam  et  occupavit  tunc  predictam  terram  per  forziam 
ipsius  abbaile  et  dictum  castrum.  luierrogatus  quomodo  scit  predicta, 
dixit  quod  vidit  et  presens  fuit.  Inierrogaius  si  prcdicii  abbaics  fue- 
runt  personalìtcr  in  dieta  possessione,  rcspondit  quod  sic,  prcdicti  quos 
vidìt.  Interrogatus  qui  fuerunt  prò  eis  gastaldi  seu  vìscontes,  respondit 
quod  in  ipso  castro  montis  Falconis  vidit  magìstrum  Halnaldum  Pei- 
icnarìi  viscontem  et  Rain^ldum  Gratiani,  et  baìulos  alios  de  quorum 
nominibus  non  recordatur,  et  ìn  alìis  castris  vidit  alios  quos  asseruit 
in  testimonio  perhibìto  per  eum  in  causa  cum  Ecclesia  Romana.  Inter- 
rogatus quantum  tempus  habet  ipsc  testìs,  dixit  octuaginta  annos  et 
plus.  Interrogatus  sì  ipse  testìs  absentavìt  se  de  provinzìa  eo  tempore 
quo  di.\it  monasterium  possedìsse  predicta,  dixit  quod  non.  Interro- 
gatus si  ipse  tesùs  est  vassallus  monasterii,  dixit  quod  sic  quantum  ad 
quedam. 

Secando  articulo  sibì  tccto,  dixit  quod  tempore  diete  invaxìooìs 
etoccupationìs  dopnus  Matheus  de  Sublacu  erat  abbas  dicti  monasterii, 
CI  dominus  Fyldesmìdus  de  Moliano  erat  vicarius  ipsius  abbatìs  in 
dieta  abbatìa  et  homines  ipsius  abbatic  comuniter  habcbant  prò  vi- 
cario. Interrogatus  quod  ofTicium  facìebat  ibi  dìctus  vicarius,  dixìt  quod 
omnia  facieb.ii  ibi  lemporalia,  habendo  ibi  ìudicem  suum,  seu  do- 
minum  Kogerium  de  Rovitino,  qui  cognoscebat  de  omnibus  causis 
civilibus  et  crìmìnalibus.  Interrogatus  quantum  tempus  est  quod  dictus 
dominus  Fyldesmìdus  fuit  in  dicto  ofTitìo,  dixìt  quod  sunt  bene  .xxxvtii. 
vel  .xxxviiii.  anni. 

Tenio  articulo  sibì  lecto,  asseruit  vera  esse  que  ìn  ipso  articulo 
contìnentur,  afHrmando  ca  que  dixit  supra  ìn  primo  articulo,  que  vi- 
dentur  sìbi  eadcm  cum  bis  que  sunt  in  tcrtio.  Interrogatus  si  vidit 
tempore  dìcto  per  officìales  ipsorum  abbatuum  punir!  aliquos,  dixìt 
quod  sic.  Interrogatus  de  nominibus,  dixìt  quod  ìn  castro  Furcis  fue- 
nint  orbati  Rainaldus  Dionìsiì,  Cambìus  Morici  Matthelle  de  ipso  ca- 
stro, et  in  castro  mentis  Falconìs  vidit  post  ipsum  tempus  Potentem 
occasione  prodictìonìs  facte  per  cum  de  ipso  castro,  condepnatus  fuit 
per  abbatem  Nicolam  in  omnibus  bonìs  eìus  et  perpetuo  exbanitus. 

Quano  articulo  sìbi  lecto,  dixit  quod  dominus  Gentìlìs  Actonis 
Mili  de  Furce,  dominus  Albertlnus  comitis  Alberti  de  Exmirillo,  do- 
minus Fyldesmìdus  predìctus  et  dopnus  Nicola  de  Puczallìa  fucrunt 
vicarìi  ipsius  abbaile  et  publlce  hablii  prò  abbatìa  vicarìi  abbatuum 


C/itti  della  Società 


fueruot  pTO  temporibus,  et  hcc  per  tempus  supra  assertum  per 
eum.  Interrogaius  si  dicius  dominus  Albertinus  possedii  per  se  ali* 
quid  ÌD  dicto  castro  moDtìs  Falconis,  dixit  qaod  doq,  sed  habebat  ibi 
alìtquos  vjs&allos  a  dieta  ecclesia  suprascripta. 

Quinto  artìculo  sibi  Iccto,  dixitquod  cum  dìctum  monasterìum  sic 
possidcret,  ut  supra  dixìl,  ipsam  abbatiam  et  dicturo  castrum  et  ipse 
abhas  cssct  io  castro  Furcis,  dominus  Rainaldus  de  AqUaviva  cum 
sua  gente  christianorum  et  sarracenorum,  et  post  bec  dictus  abbas 
venit  ad  castrum  montis  de  Nove,  et  coadunatis  hominibus  ìpsius  vi- 
cinantìe  et  contrade,  prcdicavìt  ibi,  et  monuit  eos  ut  starent  tideles  in 

Evìiiis  Romane  Ecclesie,  et  sì  non  possent  aliud,  non  patcrcntur  de* 
uctionem   et   facerent  quam    mclius  posscnt,  et  rccessit  tunc  de 
strada,  et  post  hec  venit  dominus  Salomon  quidam  (i)  prò  parte 
regis  Ensis,  et  recepii  sacramenta  per  violentiaro,  quìa  faciebai  caval- 

tta  et  incendia  contra  illos  et  in  terra  eorum  qui  nolebant  tacere 
andata  etgeniissue,et  tunc  privatum  fuit  monasterium  possessione 
predicu. 

Sexto  artìculo  sibi  lecto,  dixit  quod  cum  dompnus  Nicola,  oUm 

bbas  dicù  monasteriì,  post  dictam  occupatìonem  possjderet  dictura 

strum  montb  Kalconis  cum  pcrtìncntiis  suis,  quidam  iudcx  de  Fio- 

Dtia   venie   prò   parte  domini    Gerardi  Coxadoca  tunc   rectorìs   in 

Marchia,  et   prò  parte  dìcti  domini  petiit  castrum  ab  abbate,  et  ipse 

d^bas  prò  bono  pacis  contrade  adsignavit  sibi   castrum,  salvìs  et  re- 

■trvatis   omnibus   iurìbus  ipsius   monasteri).   Interrogatus  quomodo 

Jtot,  dixit  quia  vidit  et  prescns  fuit. 

f    Septimo  artìculo  sibi  leao,  dixit  quod  commune  Firmi  abstulit 

Vochetam  quc  est  in  capite  castri  mentis  Falconìs  et  ipsam  rocheum 

^abuit  et  possedit  commune  Firmi  per  .xx.  annos  et  plus.   Imene* 

^tus  quomodo  scit,  dixit  quod  vidit  commune  Firmi  trCi  et  abstulit 

dictam  rochetam  ìn  prciudicium  monasterii. 

Octavo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  homines  dicti  castri  et  alii 

feì\iS  abbatie  presiitcrunt  et  prestare  consuevcrunt  sacramenta  fide* 
itis  diais  abbatibus  et  aliis  qui  fuerunt  post  dìctum  tempus,  vìdc- 
licet  abbati  Nicole,  abbati  lacobo,  abbati  Peregrino,  abbati  Gentili, 
uK  vidit  ees  honerari,  recognoscì  et  obbcdiri  ab  hominibus  ipsius  ab- 
paiie  et  dìcti  castri.  Interrogatus  per  quantum  tempus  vidit  fieri  pre- 
età,  dixit  per  dìctum  tempus  .xxx.  annorum,  et  cxccpto  tempore 
DO  ìroperator  tenuit  terraro  dum  vixìt,  et  rex  Manfredus  aliìs  icm- 
orìbos,  vidit  predìcta  fieri  abbatibus  supra  nominatìs.  Interrogatus 


(x)  Dopo  la  parola  quidam  si  trovano  le  parole  in  terra  torum, 
Dchiuse  fra  tre  linee  in  segno  di  caocella2ione. 


344 


Q4tti  della  Società 


si  predica  homines  de  abbaila  in  castris  eorum  prcstabant  dieta  sa- 
cramenta singularitcr  an  per  syndicum,  dixit  quod  singularìter  ci 
personaliter,  cxccpto  castro  Ofìde  in  quo  prcstabatur  sacrumentum 
per  syndicum.  Intcrrogatus  qui  fuerunt  syndici,  dixit  se  non  recordari- 

Nono  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  ccmtnune  Firmi  fieri  fecit  in 
ipso  castro  montis  Falconis  In  rochetta  in  capite  castri  montis  Fal- 
conis  unahi  turrim,  ut  ìpsc  tcstis  audivit  et  scit  bene;  quia  dieta 
turris  facta  fuit  postquam  ipsi  habuerunt  castrum  et  fecerunt  fieri 
alios  muros,  et  in  preiudicìum  monasicrii.  Interrogatus  si  sunt  ibi 
hedifìcia  que  erant  prius  preier  il  la  que  fecit  fieri  commune  Firmi, 
dixit  quod  sic.  Interrogatus  si  dictum  monastcrium  fecit  de  ipso  ca- 
stro aliquam  conccssìonem  alicui,  dixit  quod  non,  ut  ipse  sciat. 

Decimo  articulo  sibi  Iccto,  dixit  quod  Inter  regem  Enzium,  Ru- 
bertum  de  Castellione,  lacobum  de  Morra  et  coraitem  Rixardum, 
tempore  imperatoris,  et  post  mortem  eius  nuntii  regìs  Manfrctìi, 
contra  Ecclesiam  Romanam  tenuerunt  Marchiam  occupatam  bene 
per  .X.  annos  :mt  .xii-,  et  plures.  Interrogatus  si  se  abseniavìt  de 
provinzia  illis  [temporibus],  dixit  quod  non.  Interrogatus  si  vidil 
predictos  personaliter  in  provinzia,  dixit  quod  sic. 

Undecimo  articulo  sibi  Iccto,  dixit  quod  monasterium  prcdictura 
vacavit  abbate  bene  per  .x.  annos  a  .xxxv.  annis  [cìtra].  Interrogatus 
per  monem  quorum  abbatuura»  dixit  per  morteiti  abbatis  Stephani 
et  per  dcposiiionem  abbatis  Nicole,  et  per  raonem  abbatis  Peregrini. 
Interrogatus  quantum  tempus  fluxit  per  syngulas  vacationcs,  dixit  se 
non  rccordari. 

Duodecimo  et  ultimo  artìcolo  sibi  lecto,  dìxit  quod  predicta  de 
quìbus  usseruit  sunt  publica  et  notoria  in  contrada.  Interrogatus -quid 
est  publicum  et  notorium,  dixit  quod  que  communiter  gcntes  dicunt, 
et  dixit  quod  sunt  predicta  vera 


G.  B.  C\o-Mastio 
D.  Feliciangeli. 


BIBLIOGRAFIA 


^tto  Paganelli,  La  Crotwlogia  rivendicata  per  d.  A,  P.  monaco 

I      vaìlombr osano,  aderta  a  Sua  Santità  Leone  XIII  mila 

'     fausta  occasione  del  suo  giubileo  sacerdotale,  —  Milano, 

tip.  pontificia  di  San  Giuseppe,  1887,  in-P  grande. 

I  La  cronologia  è  un  ramo  degli  studi  scorici  che  ebbe  sue  vicende 
Darticolan.  Ma  è  d'uopo  avvertire  che  non  si  deve  intendere  questa 
^rola  nel  senso  in  cui  è  presa  ora  abusivamente.  Ora  si  denominano 
cronologie  le  opere  che  riassumono  la  storia  secondo  le  date.  Intesa 
la  cosa  a  questo  modo,  riesce  difficile  comprendere  come  la  crono- 
logia possa  essere  per  se  stessa  un  ramo  di  studio,  quali  ne  sìeno  gli 
elementi  e  le  dtfHcoltà.  Cronologia  è  lo  studio  comparativo  dei  dì- 
versi  sistemi  di  computo  del  tempo,  per  accertare  le  date  degli  avve- 
nimenti storici. 

Questo  studio  sorse  infatti  quando,  raccoltesi  già  molte  notìzie 
della  storia  dì  diversi  popoli,  si  senti  il  bisogno  di  ordinarle.  E  ciò 
accadde  presso  ì  Greci  dopo  le  conquiste  d'Alessandro  il  Grande.  Ma 
speciale  impulso  ai  confronti  cronologici  provenne  poi,  nei  primi  se- 
coli del  cristianesimo,  dal  bisogno  dì  dimostrare  Tautorìtà  della  Bibbia 
come  storia  del  mondo  fin  dalla  sua  origine.  La  stona  allora  cono- 
sciuta si  limitava  ai  popoli  di  cui  i  Greci  avevano  conservate  notizie 
e  di  cui  ne  conteneva  la  Bibbia:  una  ristretta  orbita,  se  si  giudica 
colle  idee  d*oggì,  nella  quale  trovavano  posto  soltanto  i  paesi  che 
furono  sottomessi  da  Alessandro  Magno.  Questi  furono,  ad  ogni  modo, 
i  limiti  della  Sloria  universale,  allora  e  per  molti  secoli  dopo,  fino  quasi 
ai  nostri  tempi.  L'India,  la  Cina,  allora  sconosciute,  ne  rimasero  sem- 
pre bandite. 

Nuovo  impulso  alle  comparazioni  cronologiche  provenne  nei  se- 
coli XVI  e  xvu  dalle  dispute  religiose.  L'argomento  era  estraneo  alle 
controversie  tra  cattolici  e  protestanti;  ma  Tattenzione  era  richiamata 
su  esso  dagli  studi  che  gli  uni  e  gli  altri  dovevano  fare  della  Bibbia. 
E  allora  vennero  alla  luce  voluminose  opere  cosi  di  cattolici  (i  gesuiti 
Peuu,  Riccioli)  come  di  protestanti  (Usher,  Scaligero).  I  canoni  ero- 


346 


bibliografia 


nologici  da  esse  fomiti  furono  poi  seguiti  sempre  fìno  al  nostro  sii 
colo,  quando  la  condizione  delle  cose  mulo  per  scoperte  di  niJoi7| 
material!  storici,  che  moditica\-ano  profondamente  le  cognizioni  cAc 
s'avevano  della  storia  antica. 

Un'opera  di  piccola  mole  pubblicata  mezzo  secolo  fa  in  Gemi; 
col  modesto  titolo  di  Manuale  deììa  crotioìtt^ia  tecnica  e  mattmaiica  (t) 
ci  aveva  divezzati  dai  pesanti  volumi  ìn-foglìo  dei  secoli  xvi  e  xvii, 
pur  soddisfacendo  alle  esigenze  di  qualunque  più  scrupoloso  ricerci- 
tore  di  cronologia.  Alla  economia  del  lavoro  s'aggiungevano, 
conciliare  favore  a  quest'opera,  una  grande  semplicità,  correttt 
chiarezza  d'esposizione,  e  l'autorità  che  proviene  da  vaste  cognl 
dì  astronomia,  di  filologia,  di  storia,  e  da  un  metodo  rigorosissii 
L'Ideler  non  si  propose  di  farla  da  teologo,  ed  evitò  le  questioai 
carattere  meramente  teologico;  ma  su  tutte  le  altre  controversie 
late  fra  i  precedenti  cronologi  versò  tanta  luce,  che  ha  dissipato 
i  dubbi  che  si  potevano  dissipare. 

La  Cronologia  ùvenàicata  del  P.  Paganelli  ci  riconduce  ora  ai  pc* 
santi  volumi  in-foglio,  ed  al  genere  di  studi  dei  cronologi  antiquati' 
L'operetta  deli'  Idcler.  benché  conosciutissima,  è  rimasta  a  luì  scoi 
sciuta.  Pare  che  la  sua  ambizione  sia  stata  destata  dai  vecchi  af 
appassiti  del  P.  Petau  (Petavio),  e  contro  lui  ha  preso  ad  arraegi 

Diremo  subito  che  in  tal  genere  di  ricerche  il  successo  di[ 
in  buona  parte  dalla  fiducia  che  l'autore  riesce  ad  ispirare.  £  Q^' 
sano  che  questa  sìa  intera,  perchù  le  sue  conclusioni  non  pos: 
esser  controllate  se  non  rifacendo  tutto  il  lavoro.  E  tale  fiducia 
ispira  con  un  metodo  di  ricerca  rigoroso  e  con  moha  cultura.  E 
sì  ispira  invece  quando  le  conclusioni  appariscono  precipitate,  quan^^" 
apparisce  che  non  si  conoscono  tutti  ì  materiali  a  gran  pezza,  e  quaH'J^ 
ognuno  s'accorge  che  all'autore  non  furono  accessibih  né  i  testi  nclk 
loro  lìngue  originali,  né  le  opere  moderne  in  lingue  straniere. 

E  che  questo  secondo  sia  il  caso  dell'opera  del  P.  PaginclU 
scorge  a  prima  vista.  L'A.  ha  avuto  cura  di  mettere  in  mostra  od 
prime  pagine  sei  lettere,  che  gli  furono  dirette  da  persone  ìl  «-"ui  ?"** 
dizìo  doveva,  a  suo  avviso,  conciliargli  la  fiducia  di  chi  apre  il  ^''^ 
lume.  Ma,  ohimè  !  un  po'  per  lo  stesso  contenuto  dì  quelle  Icttei^ 
un  po' perchè  questo  singolare  moJo  di  procedere  par  troppo  atf 
dere  dalla  prevenzione,  l'espediente  non  produce  reffcito  desiaci 
Che  anzi  nasce  subito  il  sospetto  che  chi  fa  ciò  non  sia  un  efui 
semplicemente  infervorato  della  sua  scienza.  Per  decoro  degli  si 
italiani  giova  sperare  che  V  esempio  non  abbia  imitatori  ne  ira  g" 
ecclesiastici  né  fra  i  laici. 

Per  dare  un  qualche  ordine  a  questi  appuntì,  ci  fennercnio  ^ 
momento  a  considerare  di  questo  lavoro: 
!*•  La  condotta  generale; 


(l)  L.  Idelek,  HmndbMth  Jxr  imatbtwittiubeu  und   itthmitihru  Chfitnol^tit,  voi.  S  | 
I*  t<L,  Berlin.  iSss-sò;  t*  «d.,  invirìata,  Bcrlio,  i8S}. 


bibliografia 


347 


2°  I  materiali  adoperati  per  le  ricerche  ; 
3**  Alcune  conclusioni. 

L'A.  ha  segnalo  in  125  tavole  o  pagine  la  serie  progressiva  degli 
i  secondo  varie  ere.  Ciascuna  pagina  è  divisa  in  tante  colonne 
n!c  sono  le  ere.  Dapprincipio  si  incontrano  solo  le  ere  che  co- 
cìano  più  da  antico;  man  mano»  accanto  a  queste  prendon  posto 
lire  ere:  sicch<L%  mentre  le  prime  pagine  contengono  solo  tre  co- 
le, le  ultime  ne  hanno  fin  25.  Tra  gli  anni  qua  e  lA  son  segnati, 
inno  corrispondente,  alcuni  fallì  storici  di  cui  l'A.  volle  accertare 
ati.  Tutto  ciò  nella  p-igìna  a  destra  del  libro.  Nella  pagina  a  si- 
ta sono  segnate  le  citazioni  dei  testi  antichi  che  servono  di  prova, 
talché  osservazione  dell*A.  Questo  lavoro  si  estende  per  4750  anni, 
:dall-a.  471}  av.  H.  V.  all'a.  56  dell'E.  V. 

A  queste  tavole  furono  premesse  nove  dissertazioni,  denominate 
trmxt  perchò  sono  discussioni  tenute  con  un  esaminatore  lUputato 
uest' ufficio  dal  card.  Massaia,  patrocinatore  dell'opera.  Il  quale 
minatore  è  il  P.  Gabriello  da  Guarcino,  cappuccino,  che  occupa 
l'aticano  varie  cariche  ecclesiastiche»  e  che  ha  in  fatto  di  crono- 
a  tutta  la  competenza  che  può  avere  un  teologo. 
Si  capisce  come  in  queste  conferenze  l'esaminato  ha  buon  giuoco 
1  esaminatore  che  non  e  della  partita;  e  quindi  la  pesantezza  del- 
joraemo  non  gli  toglie  il  buon  umore.  Questo  dialogo  non  sarà, 
sto  no  certo,  un  modello  di  tal  genere  letterario,  perchò  la  gio- 
iti vi  è  mantenuta  ben  spesso  a  spese  della  convenevolez/a  ed 
3C  della  grammatica;  ma  per  l'indole  degli  scherzi  e  la  potenza' 
>  dialettica  trasporta  facilmente  il  lettore  nella  compagnia  dei 
ecclesiastici  interlocutori.  Talora  il  cronologo,  udita  l'obbiezione, 
arda  sorridendo  »,  «  scuote  il  capo  leggertrente  sorridendo  », 
^  l'esaminatore  esce  a  dire:  «che  maniera  è  questa?  forse  mi 
ona?»  In  realtà  però  Pesaminato  non  canzona  l'esaminatore;  e 

0  dimostra  profondendogli  riverenze  senza  risparmio.  E  quanto 
Ite  ammirarlo  l'esaminatore,  quando  gli  confessava  che  nel  corso 
'sue  lucubrazioni  «  gli  bolliva  la  testa  fuor  di  maniera,  e  qualche 

1  la  sentiva  andar  via  quasi  da  per  sé  !  » 

die  obbiezioni  risponde  ragionando  e  spiegando  le  tavole.  «  Alla 
CO  vi  {sic)  troviamo  il  perchò  Antioco,  avendo  nel  settembre  del 
olle  ricordato  anno  58)  di  Roma....  dovuto  buttar  giù  quella  pil- 
atnara  a  lui  apprestata  da  Popiilio  legalo  de'  Romani,  se  n'an* 
',  per  digerirla  un  po',  a  rifarsene  co'  Giudei  a  Gerusalemme, 
pasta  più  morbida,  secondo  il  parer  suo,  per  i  propri  denti  n 
16,  col.  2).  «  Pur  tuttavia  per  farle  dono  d'un  altro  fiorellino, 
he  se  ne  formi  un  mazzetto,  la  condussi  all'a.  69 1  ecc.  u  (pag.  27, 

talmente  la  conferenza  giunge  al  termine,  non  per  volontà  del 
<logo,  ma  pcrcht;  l'esaminatore  è  chiamato  dal  campanello  ad 
occupazioni:  «  tutto  ad  un  tratto  ne  fui  distolto  da  quel  solito 


348 


^ibliograjìa 


amico,  che  con  quel  suo  tintììin-iintiUn  richiamava  altrove  U  costn 
attenzione  i»  (pag.  i6,  col.  2). 

Se  si  tolga  r  importunità  di  queste  e  slmili  piacevolezze  che  xéo 
rano  il  dialogo,  è  d'uopo  riconoscere  che  il  P.  Paganelli  è  riusciw 
generalmente  nella  sua  esposizione  chiaro  e  vivace,  e  gliene  va  daw 
elogio. 

Sopratutto  poi  il  P.  Paganelli  mostra  una  singolare  attitudine  p^ 
fica.  Il  concetto  di  raccogliere  grafìcamcmc  la  cronologìa  io  uvolc 
è  molto  lodevole,  perchè  agevola  grandemente  la  ricerca  delle  lUtC^ 
storiche.  E  questo  concetto  fu  da  luì  attuato  con  molu  felicità.      ^H 

I  materiali  sono  quelli  medesimi  di  cui  si  servivano  i  cronologi 
dei  secoli  XVI  e  xvii;  ed  identica  è  la  mira  cui  TA.  Intende.  <U 
(t  mia  cronologia  adunque,  rilevata  dalla  Santa  Scrittura,  intendo  dire 
«  unicamente  dalla  Volgata,  unita  che  s^c  storicamente  ed  astrooomi- 
«  camente  con  tutte  le  altre  ere  più  note,  facendo  con  esse  allora  un 
CI  sol  corpo,  addiviene  quei  tutto  che  ne  piacque  chiamare  la  Cro»^ 
«  h^ia  rivendicata  a  (pag.  2,  col.  2).  Dunque,  la  cronologia  che  ricava 
dalla  Bibbia  ò  Tasse  intorno  a  cui  si  volge  tutto  il  sistema:  ad  essi 
vìcn  coordinata  la  cronologia  che  deduce  dagli  scrittori  greci  e  latin- 
Delia  Bibbia  segue  «  unicamente  »  la  versione  volgata.  Cosi  aa. 
S'intende  che  tutte  le  opere  di  cui  la  Bibbia  si  compone  hanno  | 
TA.  la  stessa  indiscutibile  autenticità  ed  autorità:  Pentateuco,  Re,  I 
nielc,  Esdra,  Maccabei,  tutte  valgono  ad  un  modo,  cioè  alta  lect 
Le  discussioni  che  si  fanno  a  questo  proposito  TA.  le  ignora;  e dr 
ignorarle.  Per  vero  dire,  cosi  si  faceva  nei  secoli  xvi  e  xvu;  ma' 
si  dovrebbe  fare  alquanto  diversamente.  Non  già  che  il  aonologo 
debba  entrare  in  quelle  discussioni;  ma  dovrebbe  tener  conio  deli 
more  che  fanno,  ed  esseme  avvisato  che,  per  giovare  davvero  . 
cronologia  ed  alla  storia,  bisogna  battere  altre  vie.  Che  se  si  trai 
solo  di  lavorare  per  i  teologi,  allora  ò  inutile  rifare  il  gii  fatto,  eli 
ha  servilo  egregiamente  finora,  e  continuerebbe  a  servire  egualmente 
bene  per  ra\'venire. 

Quanto  agli  scrittori  greci  (tradotti)  e  latini  utiUzzati,  son  pochini 
davvero;  i  soliti  d'una  volta,  e  ncppur  tutti.  Ove  poi  abbia  o.-nes^o 
Clemente  Alessandrino,  Eusebio,  Giorgio  il  Sincello  perche  non  di 
loro  ìmponanza,  allora  è  bene  che  lo  dica  per  nostra  nomia. 

E  tutti  ì  materiali  egiziani,  e  tutti  i  materiali  assiro~babiloncji^ 
nuti  in  luce  da  mezzo  secolo  in  qua?   Appena  è  se  menziona  < 
Ì5crir.ìooi  cuneiformi  persiane,  di  cui  ebbe  notizia  dalla  Ci'oUà  Cai 
licaf  (pag.  37,  col.  1-2).  Egli  sì  limita  a  fare  il  seguente  voto: 
voto  del  mio  cuore  consistente  nel  desiderare  che  i  signori  issìtìO" 

logi  si  degnino  tentare  in  questo  medesimo  senso i  monunicnD  di 

quelle  regioni  là,  affin  di  vedere  se  essi  pure  concordino,  come  io  '^ 
ritengo  fermamente,  con  questi  intimi  e  reconditi  veri,  si  della  Safl 
Scrittura,  che  della  medesima  storia  profana  »  (pag.  7,  tol.  1} 
sapesse  per  quanto  divena  via   camminano  i  signori  assiriologi' 


pensi  a  questo  solo,  che  tutta  la  serie  dei  re  medi,  per  ricostruire 
ia  quale  egli  s'aflfanna  tanto  sulla  scorta  di  Ctesìa  e  d'Erodoto,  e 
the  è  una  chiave  di  volta  del  suo  edifixio,  e  da  essi  riguardata  come 
Una  pura  leggenda  di  «ruì  non  s'occupano  neppur  più.  H  v'ò  anche 
di  peggio!  Han  torto  essi;  ma  del  suo  voto  non  se  la  daranno  per 
blesa.  Sa  come  deve  fare  per  tirarli  a  bene?  Non  si  contenti  di  udir 
parlare  di  loro  come  d'abitatori  della  luna  ;  esamini  ì  loro  scrìtti,  e 
^  emendi.  E  si  rammenti  anche  degli  egittologi;  poiché  anche  questa 
ntga  esiste,  che  gli  è  rimasta  nascosta. 

Devesi  però  tener  conto  all'A.  d'aver  spinto  la  sua  industria  tino 
t  consultare  la  tavola  delle  eclissi  del  Pingrè,  che  tutti  conoscono 
Krichè  trovasi  ncìVArt  dt  vérificr  ks  datcs,  la  quale  cita  quattro  o 
ioquc  volle.  E  poi  che  due  egregi  astronomi,  il  Respighi  ed  il  Cc- 
oria,  dietro  sua  richiesta  d' un  giudizio  sulla  Cronologia  rivendicata, 
i  limitarono  a  dichiarare  esatta  la  tavola  del  Pingrè  senza  voler 
ntrare  neirargomento  della  Cronoìo^ia,  l'A.  sì  vale  delle  loro  due 
^Uere  per  accrescere  autorità  al  suo  volume,  e  le  pubblica  nella  prima 
3gìna,  ove  il  Respìghi  ed  il  Caloria  si  trovano  nella  compagnia  dì 
inque  o  sei  dignitari  ecclesiastici  i  quali,  questi  sì,  lodano  senza  reti- 
etue  Topcra  del  P.  Paganelli. 

Intorno  alle  conclusioni  non  si  può  spendere  troppe  parole,  perchè 
ttesta  rassegna  non  consente  spazio.  Ma  se  si  mostrerà  come  ne 
^oo  tratte  alcune,  s'avrà  un  criterio  sufficiente  per  giudicare  il  va- 
*rc  di  tuna  l'opera. 

Ma  veggasi  prima  come  interpreta  i  testi. 

Ccnsorino  dice  :  «  Priraum  icmpus  sive  habuit  initium,  sive  semper 
Riil,  cene  quot  annorum  stt  non  potest  comprehendi  ».  E  PA.,  citan* 
)lo,  spiega  per  «  primum  tcrapus  »  il  «  tempo  antidiluviano  ».Va  poi 
i  sé  che  VA,  non  ammette  che  vi  sieno  difficoltà  a  spiegare  quanto 
bia  durato  il  tempo  preistorico  (tav.  VI,  nota  b). 

Giustino  dice  :  ■  Assyrii  qui  posiea  Syri  dictì  sunt  ».  E  VA.  v'ag- 
nnge:  «  Che  gli  Assiri  vengano  come  nazione  primitiva  da  quel- 
'Assur ,  Io  ritengo  fermamente;  ma  che  poi  essi  si  sieno  con- 
certiti in   Sirii,   non  lo   reputo  vero;   perchè   questi   nacquero   da 

Samuel,  figlio  di  Nacor,  fratello  d'Abramo Per  il  che  queir  in- 

:iso  di  Giustino  non  dice  la  verità,  essendo  stati  sempre,  secondo 
a  Sacra  Scrittura,  gli  Assirii  ed  i  Sirii  due  nazioni  differenti  »  (tav.  XX, 
ta  b).  Occorre  altro  per  mostrare  che  han  torto  tutti  coloro  che 
mgono  che  il  nome  greco  di  a  Siri  *  provenga  dall'originario  «  As- 
i«? 

Erodoto,  citato  in  latino,  dice:  «Omnibus  namquc  eum  (Cheo- 
em)  templis  obserratis,  ante  omnia  jEgyptìis  ne  sacrificarent  inter- 
:ixisse  i>.  Orbene,  dopo  «  jEgyptiis  »,  l'A.  mette  una  parentesi  in  cui 
ive:  «ma  qui  si  legga  Hebraeis  »  (tav,  XLIX,  nota  e"),  E  perchè? 
lesu  è  marchiana  davvero!  E  continua  dopo  imperturbabilmente 

applicare  agli  Ebrei  il  racconto  che  Erodoto  dedica  agli  Egiziani. 

cAtvfo  dfUa  H,  Socéttà  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI.  24 


350 


bibliografia 


E  poi  che  Erodoto,  parlando  dei  lavori  che  U  re  Cheopc  i 
spietatamente  ai  suoi  sudditi  per  fabbricare  la  grande  piramide, 
B  Aliis  (hominibus),  ut  lapicìdinis  arabici  raoniis  saxa  eicciperen 
nostro  A.,  dopo  «  arabici  raontis  »,  mette  una  parentesi  in  cui  s 
«  che  è  il  Sinai,  dove  tuttora  vi  {sic)  esistono  le  iscrizioni  in  cai 
V  ebraici  antichi  ».  Ma  che  necessità  vi  era  di  questa  sciagurata  f 
tesi  che  contiene  tali  spropositi  ?  Che  ha  che  fare  la  catena  dei  i 
arabici  delP  Egitto  col  Sinai?  Che  han  che  fare  qui  le  bei 
ebraiche?  E  dove  sono  queste  iscrizioni  ebraiche  del  15 30 «vi 
Questa  data  1530  non  si  creda  messa  qui  ad  arbitrio;  è  d^i 
quale,  da  quanto  racchiude  in  questa  nota,  argomenta  che  gli 
erano  in  Egitto  ai  tempi  dei  re  Cheopc  e  Miccrino,  circa  il 
av,  E.  V.  Vi  è  di  che  far  raggrinzare  la  pelle  a  chiunque  co 
anche  solo  i  primi  elementi  di  storia  dell'  Egitto.  Poiché  Ch 
Mìcerino  appartengono  alla  IV  Dinastìa,  e  verso  il  IJ30  av.  \ 
gnava  la  Dinastia  XVIII:  la  dimora  degli  Ebrei  in  Egitto  poi! 
che  far  nulla  ni  coli* una  ne  coU'altra.  Vedasi  in  che  baratro i 
pitato  l'A.  per  quel  grillo  di  voler  leggere  «  Ebrei  »  dove  '. 
non  s'È  neppur  sognato  di  scriverlo. 

Queste  licenze  d*  interpretazione  dei  testi  non  sono  in  ale 
scusabili.  Si  trattasse  di  testi  biblici,  allora  1*A.  potrebbe  addui 
ragione  che  adduce  a  pag.  2,  col.  2,  che  r  altrimenti  non  se  ne 
fl  rebbc  costrutto  nessuno:  e  la  parola  di  Dio  non  deve  esser  voti 
«  piena  di  senso  ».  Ma  qui  non  ne  é  il  caso.  E  poi,  questi  tcsitt 
un  senso  chiarissimo.  f 

E  quindi,  come  fidarsi  delle  conclusioni  che  1*A.  va  prepara 

Ancora  un'osservazione  merita  d'esser  fatta,  per  formarsi  U) 
tene  deiramorità  che  meritano  tali  conclusioni»  ■ 

Il  nostra  cronologo  crede  sinceramente  che  le  ere  sìaop 
istituite  l'anno  da  cui  Ìl  loro  computo  incomincia.  Varie  volle 
che  le  olimpiadi  «  furono  istituite  l'a.  777  av.  E.V.  »  (pag.VH 
pag.  28,  col.  i).  Poiché  egli  non  sa  che  le  olimpiadi  sono 
ed  i  giuochi  olimpici  ne  sono  un'altra;  e  poi  che  il  P.  PctauJ 
fatto  tal  confusione,  Io  trova  confuso  da  non  potersi  intendere  ( 
col.  1-2;  pag.  3),  col.  i).  Ed  ecco  come  ragiona  deiristituiio 
l'èra  volgare:  k  Che  Dionigi  il  Piccolo  abbia  inventato  l'èri  vo 
«  nel  533  dell'ora  volgare  medesima,  per  me  implica  tale  conti 
azione  in  termini,  che  og^i  volta  che  mi  vien  messa  davaot 
«proprio  costretto  a  riderci  su!  Imperocché  se  Dionigi  ÌI  PI 
e  scrivendo  produceva  i  suoi  studi  nel  $32  dell'era  volgare,  sq 
«  che  questa  la  correva  già  da  532  anni  prima  che  egli  scrivi 
(pag.  26,  col.  i).  Lasciamolo  ridere:  uomo  allegro  il  ciel  l'aiot 
prosegue:  «  Dionigi 0  adunque,  gliene  concludeva  io,  non  ■ 
«  quest'era  nostra  volgare,  giova  ripeterlo;  perché  usata  gii  M 
«  tempo  prima  di  lui  in  tanti  registri,  e  seguita  da  popoli  cristia 
«  molte  chiese,  ed  in  un  modo  più  che  speciale  poi  tenuta  à 
«  conto  dai  nostri  comuni^  i  quali,  con  piccolissima  differenc 


bibliografia 


351 


■  ccN'ano:  *'  ab  Incamaiione  domini  ,>  o  "  a  Naiivitate  „  e  gli  altri  "  ab 
«  anno  reparjitae  salutis  „,  ma  da  tutti  era  seguita  f.  Oh  quanta  pru- 
denza usd  qui  l'esaminatore  P.  Gabriello  da  Guarcino,  per  ascoltare 
Ulto  ciò,  e  tacerci  Un  altro  avrebbe  chiesto  che  citasse  qualche  esem- 
pio; che  almeno  indicasse  qualcuno  dei  nostri  romuni  prima  dell'a.  $^2 
Wi'E.  V.:  e  forse  Tesaminato  avrebbe  scoperto  qualche  novità  che 
toni  gli  storici  hanno  finora  ignorato.  Ma  rispettiamo  le  ragioni  per 
cai  il  P.  Guarcino  tacque.  Certo,  argomentando  da  questi  esempi,  sì 
ievc  credere  che  TA.  consideri  l'ora  di  Adamo,  di  cui  egli  si  serve, 
come  istituita  da  Adamo  o  da  un  suo  contemporaneo. 

Quanta  fiducia  meritano  le  conclusioni  preparate  da  un  crono- 
logo che  ha  un  concetto  sì  inesatto  delle  ere,  cioò  dei  computi  del 
^enipo,  che  sono  i  principali  ferri  della  sua  ane? 

Prendiamo  ora  tra  le  mani  alcune  di  queste  sue  conclusioni,  e 
'^iamo  quanto  valgano. 

Lasciamo  in  disparte  tutte  quelle  che  riguardano  I  tempi  per  i 

luali  l'A.  si  giovò  solo  della  Bibbia,  non  conoscendo  altre  fonti.  Colla 

corta  della  Bibbia  ha  creato  una  sua  propria  èra  dì  Adamo,  che  co- 

r^iBcia  daira.  4093  av.  E.  V.  Alle  cento  e  più  ere  del  mondo  che  già 

tT'ono  escogitate  ha  voluto  aggiungere  ancora  questa  ;  e   si  serva. 

fottìi  computi  che  istituisce  per  illuminare  la  Storia  Sacra  furono  gii 

*^tuiii  le  migliaia  di  volle,  e  sempre  sì  trovò  chi  ritornava  daccapo. 

-«ft^  vi  si  accingerà  dopo  lui  a  rifare  il  lavoro  forse  scioglierà  meglio 

^    dìfiicoltà  dell'età  d'Esdra,  cui  egli  accenna  a  pag.  19  con  questi 

^«Tnini:  «è  ceno  però,  che  se  anche  ai  giorni  nostri  da  taluno  si 

arriva  per  in  fino  ai  100  anni,  e  da  tanti  altri  si  oltrepassano  an- 

^;ora ,  quale  difficoltà  vi   sarebbe,  che  un  uomo  di  que'tcmpi 

Vassù,  e  poi  com'era  Esdra,  non  potesse  aver  campato  ancora  125 

C)  ijo  anni  ?  »  Nessuna,  risponderemmo  noi.  Ma  chi  rifarà  il  lavoro 

'^manderà  forse;  e  che  uomo  era  dunque  Esdra  ?  E  vorrà  sapere 

Jser  in  fino  »  che  tempi  fossero  «  que*  tempi  lassù  »  avvolti  in  si  so- 

^ttne  mistero;  tempi  che  corrispondono  in  sostanza  alla  metà  del 

secolo  av.  E.  V.,  e  quindi  punto  misteriosi.  Ma  noi  ci  fermeremo 

-xUa  cronologia  profana. 

L'A.  mena  grande  scalpore  contro  il  P.  Petau,  perchè  contando 
li  anni  dell' E.  V.  comincia  subito  coll'a.  i,  invece  di  cominciare 
Dll'a.  0;  ossia  perchè  colloca  l'a.  i  dell' E.  V.  all'a.  4713  del  Periodo 
TÌuliaoo,  mentre  egli  sostiene  che  va  collocato  all'a.  4714  (Conf.  VII). 
Ifiestfl  non  è  una  discussione  da  cui  scaturiscano  conseguenze  gravi 
7  la  storia.  Basta  intendersi.  Chi  sa  come  furono  forniate  le  ere  ò 
•rendevole  intomo  al  modo  di  servirsene. 

Alla  storia  importa  invece  sapere  se  sono  fondate  le  conclusioni 
sll'A.,  che  la  battaglia  d*Arbela,  con  cui  finì  l'impero  persiano,  sia 
rvcnuta  Ta.  \i6  av.  E.  V.,  e  non  Ta.  331  come  si  6  sempre  am- 
esso; e  se  Alessandro  il  Macedone  è  morto  l'a.  3x8  e  non  l'a.  323 
^  E.  V.  Ora  dai  testi  che  egli  cita,  e  dai  ragionamenti  che  vi  ag- 


352 


^ibliograjia 


giunge  (pag.  52),  si  ricava  cosi  poco,  che  davvero  non  si  è  ras«- 

curaii. 

A  questa  conclusione,  e  ad  altre  di  cui  sì  dirà  dopo,  egli  fu  tratto 
nel  seguente  modo.  Egli  ha  tracciato  la  serie  dei  re  persiani  con  quei 
sussìdi  di  testi  che  gli  somministra  lo  scarso  repertorio  dei  suoi  ma* 
teriali.  Secondo  essa,  Tulttmo  re  persiano,  Dario  Codomanno,  co- 
minciò a  regnare  l'a.  334  av.  TE.  V.;  epoi  che  si  sa  che  regnò  8  anni, 
dunque  la  sconfitta  fmale  da  lui  toccata  ad  Arbela  nella  guerra  contro 
Alessandro  cade  Ta.  326. 

Quanto  alla  data  della  morte  d'Alessandro,  qualche  indicazione 
tratta  da  Q..  Curzio,  contrapposta  a  quelle  di  Giustino,  convalidata 
colla  conclusione  gi;!k  accennata,  riguardante  la  data  della  vittoria 
d*ArbcIa,  e  non  occorre  altro  per  rovesciare  tutta  una  falange  di  sto- 
rici e  cronologi,  da  Arriano  ed  Eusebio,  che  TA.  ha  trascurato,  fino 
ai  dì  nostri. 

Ma  la  conclusione  più  grave  è  quella  che  forma  argomento  spe- 
ciale della  conferenza  IX,  oggetto  della  quale  ^  di  «  dimostrare  che 
a  chi  mandò  ì  suol  eserciti  contro  i  Greci  a  Maratona  fu  Astiage  re 
«  dei  Medi,  e  non  il  re  persiano  Dario  d'Istaspe  »;  e  chi  li  condusse 
a  Salamina  «  fu  il  re  Ciro  e  non  il  re  Serse  ;  e  che  Erodoto  fu  la 
o  cagione  di  questa  confusione  dei  nomi  ».  Come  si  vede  quest'enun- 
ciato è  gravissimo;  è  un'accusa  solenne  contro  tutti  i  cronologi  e  gli 
storici,  specialmente  contro  Erodoto,  il  padre  d'un  errore  che  sì  per- 
petuò poi,  per  ignoranza  ed  ignavia  di  tutti  gli  scrittori  seguenti,  fino 
a  Don  Atto  Paganelli  eccettuato. 

La  chiave  dell'enigma  è  questa,  per  dirla  in  breve.  L'A.  trova 
che  Alessandro  Magno  tolse  T  Egitto  ai  Persiani  quando  rovesciò 
r  impero  persiano  colla  battaglia  d'Arbela  sopra  menzionata,  nell'a.  326 
av.  TE.  V.  secondo  lui,  3J1  secondo  tutti  gli  altri.  Trova  scritto  che 
il  re  persiano  che  aveva  conquistato  l'Egitto  era  stato  Cambise  padre 
di  Dario.  Trova  scritto  che  i  Persiani  hanno  dominato  in  Egitto 
120  anni.  Dunque  120  anni  prima  della  battaglia  d' Arbela,  cioè  nel  446, 
od  anche  451  av.  E.  V.,  regnava  in  Persia  Cambise,  e  non  è  possìbile 
che  suo  figlio  Dario  regnasse  al  tempo  della  battaglia  di  Maratona, 
che  accadde  Ta.  490  av.  E.  V.  ;  come  non  è  possibile  che  regnasse 
Scrsc,  figlio  di  Dario,  al  tempo  della  battaglia  di  Salamina,  che  ac- 
cadde l'a,  480  av.  E.  V.  Pertanto,  o  spostare  Dario  e  Serse,  o  spo- 
stare Maratona  e  Salamina.  Nel  bivio  egli  prese  il  secondo  partito. 

Come  si  vede,  la  spiegazione  calza  che  non  fa  una  grinza.  Un 
solo  dubbio  potrebb'esscrvt  :  ì  120  anni  conducono  proprio  fino  al 
termine  d'ogni  dominazione  persiana  in  Egitto  ?  Veramente  le  no- 
tizie che  si  hanno  intomo  all'Egitto  negli  ultimi  tempi  della  domina- 
zione persiana  sono  scarse  e  confuse.  Sarebbe  da  vedere  come  interpre- 
tano la  cosa  ì  cultori  speciali  della  storia  egiziana,  Lcpsius,o  Mariette, 
o  Maspero:  ma  dove  si  va  a  pescare  qualcuna  di  queste  opere  ignote? 
Bando  al  dubbio  dunque:  siam  pronti. 

Ora  si  badi  che,  nelle  serie  delle  dinastìe  egiziane,  quella  dei  re 


bibliografia 


553 


}ctÀm  che  comincia  con  Cambisc  é  la  XXVII  secondo  alcuni, 
It  XXVIII  secondo  altri;  e  che  quella  cui  appartiene  i!  re  persiano 
Ipodestato  da  Alessandro  Magno  è  la  XXXI.  Tra  l'una  e  Taltra  vi 
IQQO  iJue  o  tre  diuasiie  di  re  nazionali;  poiché  T  Egitto  ricuperò  Tindi- 
icndenza,  poi  venne  rìsottomesso  dopo  circa  65  anni  dai  Persiani, 
he  vi  dominarono  nuovamente  per  nove  anni,  fin  che  furono  spode- 
tati  da  Alessandro. 

Se  il  P.  Paganelli  avesse  tenuto  conto  dei  65  anni  d'intervallo,  e 
ci 9 della  seconda  dominazione  persiana,  cran  bell'c  trovati  i  «75  anni  n 
be  gli  mancavano  nel  conto  generale  degli  anni  trascorsi  dal  prìn- 
ipio  della  dominazione  persiana  in  Egitto  con  Cambìse,  alla  con- 
nista  d'Alessandro:  poiché  531  -t-  120-4-65  -^9  =  525;  laddove  egli 
»  }5i-f- 120  •=.  451.  Maratona  poteva  dunque  continuare  a  stare  con 
"aiio  all'a.  490,  e  Salamina  con  Sorse  all'a.  480,  come  han  fatto 
Bpre,  Si  richiedeva  cosi  poco  per  vederlo  I 

Vreso  un  granchio,  TA.  ne  pigliò  dopo  una  retata.  Cosi  si  spiega 
me  dovette  credere  d'aver  fatto  un  atto  meritorio  separando  i  nomi 

Dario  e  Serse  da  quelli  di  Maratona  e  Salamina.  E  quindi  l'accusa 
intro  Erodoto;  il  quale  dovrebb'csser  stato  lui  il  grande  ignorante, 
ichè  quasi  contemporaneo  a  quelle  battaglie  sì  gloriose  per  i  Greci, 
codo  conosciuto  molti  che  vi  si  erano  trovati,  non  seppe  i  nomi 
i  re  persiani  nemici. 

E  poi,  veniamo  alle  corte.  Abbiamo  un  testimonio  oculare,  ed  e 
chilo,  il  quale  si  trovò  ad  entrambe  le  battaglie,  e  nella  sua  tra- 
ila /  Persiani  introduce  fra  i  personaggi  Atossa,  vedova  di  Dario  e 

[re  di  Serse,  e  parla  spesso  di  Salamina  e  della  sconfitta  ivi  toc- 

l<ia  Serse,  che  forma  appunto  l'argomento  della  tragedia, 
questa  sola  conclusione  del  P.  Paganelli,  che  è  la  più  clamo- 

\  di  tutta  r  opera,  sì  può  argomentare  quanto  valga  la  sua  Cro- 

Ha  rivendicata. 


ficco  qua,  pertanto,  un  enorme  volume,  che  s'annuncia  nella  de- 
tal  papa  come  con  somma  paiicnia  e  pertinace  applicazione  com- 
V  a  rischiarare  tutta  Vantica  cronologia,  che  vìen  tratto  fuori  con 
tsima  pompa  e  lusso  di  stampa,  e  che  non  5er\'e  a  nulla.  A  ciò 
ice  un  metodo  inane  di  studi:  a  brancolare  nel  vuoto. 

A.    ROLAKIX}. 

Duchesnc.    Le  Liber  PontificaìiSj  texte,  introdnction  ci 
9mmetitaire;  tome  premier.  —  Paris,  Thorin,  188^. 

Da  dimostrazione  dì  grata  accoglienza  non  deve  mancare  in 
D  Archivio  alla  nuova  edizione  che  il  signor  abbate  Duchesne 
'pubblicando  del  Libir  epiìcopalis  in  quo  continentur  acta  beatomm 
'cum  urbis  Rcmae.  È  un'edizione  profondamente  ed  ampiamente 
ata  ed  illustrata,  un'edizione  critica  come  non  era  mai  stata 


354 


'Bibliografia 


ìDtrapresa  per  innanzi.  Testo  e  varìantì  derivano  quesu  volti  W 
solo  dalla  scoperta,  sotto  certi  Compendi,  di  un  primo  strato,  ptr  «os^ 
dire,  di  Liber  Pòntificaìis,  ma  da  un  instancabile  spoglio  di  tutti  ima- 
noscrini  conosciuti  e  da  un  esame  accuratissimo  del  loro  valore  ri- 
spettivo. Commento  analitico  al  contenuto  di  questa  storia,  intriy- 
dazione  sintetica,  che  è  storia  veramente  magistrale  di  questa  stonj, 
derivano  questa  volta  dalla  piena  coscienjfa  che  il  L.  P.  studiato  d 
dovere,  e  dentro  e  fuori,  può  dare  e  ricevere  molta  luce  intomo  jU'rt- 
sere  suo.  Tutto  l'insieme,  questa  volta,^  deriva  da  un  raro  ingegno, 
da  un  raro  tatto,  da  una  rara  attività,  da  una  rara  dottrina^  ma  aiiclie 
da  un  raro  car.ittere. 

Un  commento  a!  L.  P,,  pubblicato  in  Parigi  nel  1680,  incoi 
ciava  con  questa   dedica  a  Michele  Le  Tellier:  «  Cancellaric 
u  strìssime,  notas  et  observationcs  in  Anastasium  De  vitis  romani 
«  pontificum  non  uno  titulò  tibi  oHcro.  Scio  qua  revercntia  et 
«e  gione  spectes  Romanam  Ecclesiam,  Sedemquc  Aposiolicara,  et  01 
K  quae  ad  cani  colendam  pertinent,  benevole  et  devote  Icgas  et  iudi 
«  Italiam  a  Longobardorum  iugo   armis   Pipini   regis  et  Caroli  M. 
«  creptam,  simul  et  Patrìmonìum  D.  Pctri,  rcgum  nosirorum  bcnf- 
«  ficium  verius  quam  Constantini   esse,  non  sino  suavi  animi  irostt 
•t  leges.  Fidei  Gallicanae  vestigia  a  primis  darà  temporibus,  sacrac  ci 
«  prophanae  antiquitatis  quae  ibi  occurrunt,  monumenta  observjfC 
«tnon  pigebit  n  (r).  Degli  alfetli  espressi  io  queste  ottanlasci  pifOlc, 
la  <i  revercntia  »,  la  «  rcligio  n  sta  sicuramente  Hell'aninio  dcU'ibbiI* 
Duchesne,  ma  il  suo  libro  non  conosce  altro  programma  all*inft 
di  quello  che  può  tradursi  colle  undici  parole  ultime.  «  Quanto  jU' 
«  tendimento  col  quale  sono  concepite  e  proseguite  queste  rìcci 
«  (scriveva  il  Duchesne  nel  1876),  esso  non  può  essere  che  qi 
«  dcir esatterza  e  Ìl  desiderio  di  chiarire  le  origini  d'un  documento  in- 
«  teressante  per  la  storia  e  Tarchcologia  cristiana.  Il  lettore  pu6  crt- 
«  dere  che  l'onore  della  Chiesa  Romana  e  de'  suoi  pontefici  non  e  pcf 
«  me  cosa  indifferente,  e  che  se  io  non  esito  a  sacrificare  tutto  ci6  che 
«è  falso  ed  apocrifo  nei  documenti  che  ci  si  danno  come  loro  stcw» 
u  sono  ben  lungi  dal  confondere  la  causa  coi  cattivi  argomenti  che 
«  si  è   preteso  invocare  per  difenderla.    Questi   sentimenti  non  "»» 
«  avranno  fatto  deviare,  lo  spero,  dal  rigore  necessario  in  s  rr  ■ 
«  scussione;  altro  è  la  probità  scientifica,  altro  è  T  indifferenza 
sur  le  L.  ?.,  1877,  p.  iv).  Ma  poiché  la  nuova  edizione  mi  ' 
cercare,  tra  gli  altri,  il  vecchio  volume  deirAltaserra,  e  poiché 
osservare  il  carattere  non  solo  nel  D.  storico,  ma  nel  D.  erudito,  pi^3 
cerni  notare  come  piìi  d'un  problema  od  enigma  nel  testo  <3}<  ^ . 
segnali  si,  ma  senz'altro,  e  contrapporre  alle  fantasie  ed  ai  pruriti  fl> 


bbtie 


(1)  Antoxii  DiDivi  Alteskriiak  VoMr  ti  o^irrvAlionit  In  Jmulanmm  tk^*^^ 
*crmm  fumli/itum;  PàrisiU,  M  .  DC  .  LXXX.  ^ 

(a)  ElcuthcrU  (p.  298,  1.  6),  luctUoi . . .  respectoribiu  (p.  173,  I.  t€),  urfftf^''*'^ 
(P-  ìlh  *•  4).  BoUrt*  (p.  391, 1.  li).  lccHurÌ4  (p.  foa.  U  U),  VAgsuda  (p,  $9f,  L  »>** 


bibliografia 


355 


altri  commenutorì,  b  sistematica  resistenza  del  D.  a!  demone  della 
congercura. 

Ma  parmi  più  che  superfluo  dar  lode  ad  un  uomo  al  quale  ò  stata 
tà  è  resa  giustìzia  da  coloro  che  hanno  avuto  od  hanno  una  pane 
penonaie  ed  onorevole  nello  studio  del  L.  P.  Ho  testò  udito  dire 
laS' illustre  Mommsen  che  dopo  ì  Maurini  la  Francia  non  aveva 
iwto  un  dono  pari  al  Duchesoc.  N'eppur  mi  sembra  conveniente 
icicrivcre,  qui  in  Roma,  un  libro  che  in  Roma  dev'essere  ed  è  tutto 
pomo  fra  le  mani  degli  studiosi.  Mi  vo'  restringere  a  quello  che  posso 
ire,  curiosando  qua  e  là  nel  L.  P.  in  proposito  della  nuova  edizione. 
[77,7:  «donum  quod  obiulit  Consiantinus  Augustus  beato  Pctro  apo- 
I stole  per  diocesera  Orientis:  in  cìvitate  Antiochia:  ...domuncula 
■  in  Caene  ...  cellae  in  Afrodisia  ...  balneum  in  Cerateas. . .  a.  AI 
)■  che  tratta  con  giusta  predilezione  e  illustra  con  molta  cura 
ji.cxLix  segg.,  Étude,  p.  146)  il  gruppo  di  notizie  intomo  alle  do- 
tiioni  di  chiese,  guidandoci  queste  ad  una  fonte  sincera  ed  archivi- 
tìa  del  L.  P-,  piaceri  senza  dubbio  sapere  che  il  desiderato  riscontro 
làste  anche  pel  Cerateas  Jì  Antiochia.  È  in  Procopio,  Dell.  pers.  II,  10  : 
ib  XtYÓjitvcv  xipa-ctttov.  178,2:  «per  Aegyptura,  sub  civitatem  Ar- 
ncnìa  {var.  Armeniam  A':  Armcniam  C'):  -  possessio  Passinopo- 
imse  (far.  Passinapolirase  A*:  Passinopolirare  B':  Passinopolim- 
cmpcr  C:  Passinopollmpse  C*)\  praest.  sol.  Dccc,  charta  decadas  ecce, 
LBqu  saccus  e,  . . .  papyru  racanas  mundas  1;  -  possessio  quod  do- 
Bnt  Constantino  Aug.  Hybromìus  (far.  Hybrion  A' :  Hybrimon  a*: 
ipromius  B^:  Ubromius  C:  Yrabromius  C":  Ybromius  C*:  Bro- 
ùus  D:  Hybromias  E)  ».  Armcnid  può  pretendere  sicuramente  di 
UIC  nel  testo  (cfr.  p.  ccxxix),  ma  fuori  del  testo  non  merita  unii 
ìguardi,  la  si  può  discutere  (cfr  p.  ccxiii).  Or  mentre  in  Egitto 
n'Armenia  non  c'ò  (p.  cxnx),  c'è  invece  V Armeni  degli  Arabi,  Ar- 
wi(fc  dei  Copti,  Hermontbis  dei  Greci  (Quauemère,  Mém.  ^éogr.  et 
ut  juf  r^'.  I,  p.  372),  che  nella  gara  dei  manoscritti  e  lor  varianti 
i  la  palma  iW Armenia  di  C\  manoscritto  eccellente  (p.  ccxx), 
^nopoìimse,  H)broinUts  :  due  proprietari  crmontiti,  del  terzo  o  quarto 
Ecolo  (p.  CL),  de'  quali  è  curioso  che  i  nomi,  passando  per  tante 
ocche  e  unte  penne  forestiere,  da  Hermonthis  ad  Alessandria,  a 
«ostantinopoli,  a  Roma,  e  in  Roma  dalle  stanze  episcopali  a  quelle 
d  chierici  minutanti  del  Luterano,  abbiano  pur  conservalo  così  rìco- 
oscibilmente  la  loro  aria  nativa  (cfr,  Parthcy,  Ac^yptische  Ptrsotunna- 
Ifli,  1864,  p.  9?  :  Psan-,  Psen-,  Psin~,  Pson-  ;  p.  100,  105  :  -mse,  -mpu, 
■7:  Bromius).  Papyru  racanas:  non  compariscono  nel  Commento 
wnche  neirelenco  a  p.  cl  dell*  Introduzione.  Altra  volta,  con  altro 
Wo,  si  credeva  necessario  o  prudente  distinguere  (Du  Cange  s.  v.) 
aejtc  racatiac  del  L.  P.  dalle  racanac  (genus  vestis)  di  Papia,  Grc- 
orìo  M.,  ed  Ennodio.  Oggi  1*  identificazione  è  (credo)  agevolata  dal 
Sto  nuovo.  D'altra  parte  papyru  (che  qui  non  può  avere  il  senso 
t  carta,  poiché  la  charta  ò  già  segnata  nella  lista),  non  essendo  né 

E(p.  179, 1.  9)  seguito,  come  tutti  gli  altri  prodotti,  da 


3J6 


bibliografìa 


cifra,  non  può  stare  da  sò^  va  congiunto  alla  parola  che  segue,  f^" 
pyru  racanas,  come  ìimt  saccus  (p.  178,  1.  5  ;  p.  179,  I.  9).  Ora  in  TcO" 
frasto  (HisL  plani.  4,  8,  4)  si  legge  :  ò  ndttupofi  npòc  JtXtiTca  xrt'W'" 
'Ex  TìSc  [ì£(JXou...  reXéxouat...  xai  èo&^xfll  Ttva.  179,4:  «  basilìcic  0**^ 
w  Pauli  apostoli)  hoc  donum  (Augustus  Constantinus)  obtuliti^sub 
«  civitaie  Aegypiia  (t-ar.  Egyptia  C3:  Aegyptì  E):  possessio,  etc.  j 
dunque  nel  territorio  (cfr.  p.  cxLix)  di  una  civitas  (pp,  177-180)  zìi 
mata  Àet^yptus.  Verrebbe  voglia  dì  protestare.  Eppure  è  uà  fit 
At^yptus  è  anche  nome  di  città,  è  nome  dì  Mcmfi,  nella  Cosmop 
del  Ravennate  (ed.  Pinder  e  Parthcy,  1860,  p.  ijj)  e  in  un  Vocal 
lario  copto  presso  ChampoUion  (VÉg.  sous  ìes  Phar.  I,  91).  3^9,11 
n  misit  suprafatus  imperator  (Justìnianus)  ad  Constantinum  pontifici 
«  sacram  per  quam  iussit  eum  ad  rcgiam  ascendere  urbem.  Qui  i 
«  ciissimus  vir  iussìs  imperatorìs  obtemperans  illieo  navigìa  fccit  pi- 
«rari,  quatenus  iter  adgrederetur  marinum.  Et  egressus  a  porto  R>- 
«  mano.,.  VeniensigiturNcapolini.. .  Siciliaraperrexit;  ubiTheodorus 
«  patricius  et  stratigos  , . .  occurrcns  pontifici  »  (confesso  che  non  ar- 
rivo a  capire  la  nota  del  D.:  «  probabilmente  egli  incontrò  il  pipa 
a  a  Palermo,  dappoiché  questi,  continuando  il  suo  viaggio,  ebbe» 
«  passar  per  Reggio  »)  «...  inde  egredìentes  per  Regium  et  Cotrowni 
«  transfretaviiCallipolim...  Dum  vero  Ydrontomoras  facerct...Undc 
«  egressi  partes  Grecìae,  conìungcntes  in  insula  quae  dìcitur  Odi 
«  occurrit  Theophilus  patricius  et  stratigos  Caravisianorum,  curo 
«  summo  honore  suscepit;  et  amplectens  ut  iussio  contiucbai.  ii^' 
«  absolvit  peragere  coeptum.  A  quo  loco  navigantes  vencrunt ...  Coi 
a  stantinopolim  w.  È  interessante  vedere  questo  iiinerario  del  L I 
presentato  in  correlazione  ad  altri  nel  Bròndsted,  Voy.  àans  h  Or^^ 
1826,  p.  j  seg.  (ile  de  Zea):  «...  bel  porto,  senza  dubbio,  uno  < 
e  migliori  deirarcipelago...  frequentato  in  ogni  tempo  ...a muwJ<^* 
e  suo  ancoraggio,  dai  navigli  partiti  di  Levante  che  si  dìrigtfvinf^ 
«  verso  le  coste  occidentali  del  Mediterraneo,  o  che  provenendo  da 
«questo  mare  volevano  guadagnare  le  acque  della  Grecia.  Co^i  •■ 
«  Sesto  Pompeo  approdò  a  Geo  nel  primo  secolo  della  nostra  è^**' 
«  allorché  partitosi  da  un  porto  d*  Italia  faceva  vela  per  l'Asia  Minora' 

V  (Val.  Max.  II,  6,  8).  Al   principio  dell' viii  secolo,  alPanno  71O1  ^ 

V  papa  Costantino,  ecc.  »>.  417,5  '•  "  Hic  (Gregorìus  III)  concessa*  «^^ 
«  columnas  VI  onichinas  volutiles  (z'ar.  volubiles  AC'G:  volui 
«  C')  ab  Eutychio  exarcho,  duxit  cas  in  ecdesiam  beati  Pctri  ap 
«  stoli  ».  Nel  voluhiJes  di  AC'G  c'è,  se  non  m'inganno,  la  vera  • 
zione,  anzi  un'aggiunta  da  farsi  ai  vocaboli  latini  di  architettura.  '^ 
htbilis  applicalo  nell'aurea  e  nell*  infima  latinità  agli  attonigiiam^*' 
degli  uomini,  alle  spire  dei  serpenti,  ecc.  (Ovid.  Metam.  j,  41;  ' 
Gange  s.  v.)  si  adatta  benissimo  a  colonne  torte,  a«ortigÌJate.  Vi^ 
fatto  dì  ragguagliare  sotto  questo  aspetto  uomini  e  colonne;  |^  ^ 
meno  venne  fatto  al  Settembrini  nelle  sue  /.«;.  di  Utt.  ilal.,  >•  cdw_ 
1879,  II.  p.  jgi:  «Voglio  dirvi  una  mia  fantasìa.  A  me  pare  che  l^ 
«  colonna  sia  fatta  a  somiglianza  dell'uomo  ...  La  bizantina  a  spi^^^ 


bibliografia 


ÌS7 


•  "rrix  ha  somigliarua  ai  Greci  degenerati,  pieghevoli,  astuti ...»».  Del 
fc^Xo  ancor  oggi  i  botanici  chiamano  volubili  quelle  piante  (convol- 
olo»  fagiolo,  lupo,  ecc.)  il  cui  fusto  sale  a  spire.  509,21:  «  Cymite- 
um . . .  Sanctae  Felicitatìs  via  Salaria,  una  cum  ecclesiis  Sancii  Si- 
l^i  martytis  et  Sancti  Bonifacii  confessoris  atquc  pontiftcis,   uno 
=  ohcrcntes   solo  »  (in  altri  tcrmim,  come  ha  spiegato  il  coramcn- 
XorDeRossi,  B,  A,  C^  1884-85,  p.  174  segg.:  b  ecclesiis  Sancti  Bo- 
^:^acii  confessoris  atque  pontitìcis  sursum  et  Sancti  Silanì  manyrìs 
tith  Urrà  dtorsum  »).  Al  testo  del  L,  P.  e  forse  alla  dimostrazione 
:]  De  Rossi  (giacché  Alessandria  era  per  mcià^  sub  terrai  va  racco- 
lto Amm.  Marceli.  22,  11,6  che  alcuni  vorrebbero  correggere  contro 
Lutorìtà  dei  codici  :  «  dicebatur  (Georgius)  id  quoque  maligne  do- 
ttasse Coostantium,  quod  in  urbe  praedicta  aedifìcia  cuncta  solo 
^ohùiTétttia,  a  conditore  Alexandro  magnitudine  impensarum  publi- 
^arum  exstrucia,  emolumentis  aerarii  proficere  debent  ex  iure  n. 
L'accurato  D.  meriterebbe  di  non  essere  mai  tradito  dal  tipografo, 
^^ppure  in  cose  da  nulla,  come  numeri^  da  testo  a  nota,   sbagliati 
'K^p*  CLXXv,  ccxxxvi),  o  mancanti  (pp.  117,  129,  15$),  o  intestature 
^305tate  (p.  ccxLvnX  o  simili  inezie (p.  ccxxxvii:  s  éiait;  p.  ccxxxix: 
=   à  rmdré).  II  «  comtc  Cardenas  de  Vorlanga  (?)  »,  a  p.  clxxv,  n.  2, 
■atti,  non  può  essere.  L'amico  comra.  Prorois  mi  dice  che  i  De  Car- 
acas sono  di  ^alalia  sul  Po  e  conti  di  Vallc^^o  :  due  varianti  a  Kor- 
9,nj^a,  tra  le  quali  bisogna  scegliere.  Ma  ò  meglio  rivedere  la  nota 
«messa  a  quel  manoscritto  torinese. 

Giacomo  LincBRoso. 


1^ 


'ressuttì  P.  Rcj^esta  Honorii  papac  III  ex  Fatkanis  archetypis 
m  aliisque  foniibus;  voL  I.  -  Romae,  ex  typ.  Vaticana,  1888. 

T  II  signor  abbate  Pressuiti  deve  essere  molto  riconoscente  al  pon- 

^^■«ficc,  che,  volendo  a  sue  spese  rifatta  e  proseguita  la  pubblicazione 
^c3ei  regesti  di  Onorio  III,  ha  offerto  modo  all'autore  di  riparare  a 
guanto  la  critica  trovò  di   meno   perfetto   nel   primo  saggio   edito 
"^nel  1884.  Mi  affretto  a  dichiarare  che  le  mende  più  gravi  sono  in- 
vaiti state  riparate,  e  il  lavoro  appare  condotto  con  maggiore  dili- 
genza. £  da  lamentare  però  che  l'autore  non  abbia  creduto  dì  tener 
«omo,  non  dico  delle  critiche,  ma  deirescmplo  autorevole  di  quanti 
lo  precederono  nella  compilazione  dei  regesti  Vaticani,  compresi  i  padri 
Benedettini,  e  non  sia  rimasto  pago  dei  regesti  Vaticani,  e  abbia  vo- 
luto aggiungervi  anche  lettere  estranee  ad  essi,  aliisque  foniibus.  Ma 
queste  altre  fonti,  come  mostrammo  parlando  della  prima  edizione, 
li  riducono,  salvo  rarissime  eccezioni,  a  quelle  indicate  dal  Potthast. 
Or  essendo  tuit'  altro  che  esaurite  le  indagini  dì  lettere  pontifìcie  del 
lecolo  XXII,  disseminate  per  gli  archivi  e  biblioteche  del  mondo,  non 
mai  cercati  dall'abbate  Pressutti,  questa  appendice  che  egli  pone  ai 
regestì  Vaticani  non  fa  che  accrescere  inutilmente  la  mole   del  vo- 


5J8 


bibliografia 


lume.  L* impresa  della  pubblicazianc  dei  regesti  è  di  uU  lunga  lena, 
che  occorrerebbe  in  chi  1'  imprende  la  maggiore  economia  di 
tempo,  di  fatica  ed  anche  di  spesa,  non  pensando  solo  alla  munifi- 
cenza di  chi  fornisce  ì  mezzi,  ma  anche  agli  studiosi  che  devono 
acquistare  i  volumi.  Il  Pressuiti  fa  precedere  al  regesto  la  prefazione 
premessa  al  primo  saggio,  scnxa  altro  ritocco  che  la  soppressione 
della  nota  i  a  png.  lv  della  prima  edizione,  e  alcuna  più  ampia 
notizia  dei  regesti  di  Onorio,  ed  è  singolare  che  rinnovi  (p  xli)  l'er- 
rore del  Kaltenbrunner  dicendo,  che  quel  Floretus  copiavit  scritto  in 
margine  del  primo  foglio  indica  lo  scrittore  del  regesto  originale, 
mentre  alla  pagina  precedente  ha  citato  la  memoria  del  DeniRe,  che 
ne  ha  dato  la  giusta  ìnierprctazione.  Della  prefazione  non  occorre 
dir  altro,  e  possiamo  concedere  al  Prcssucii  che  continui,  poiché  così 
gli  piace,  a  far  cominciare  Tepopea  del  papato  medievale  da  Gre- 
gorio VII;  vorrJ  dire  che  S.  Gregorio  I,  Giovanni  Vili,  Giovanni  X 
non  sono  figure  epiche  per  lui.  Ma  un'appendice  affatto  nuova  è  la 
pubblicazione  ed  illustrazione  della  bolla  concistoriale  di  Onorio  a 
favore  della  basilica  Laieranense,  secondo  roriginalc  dell' archivio 
di  quella  chiesa,  raffrontato  col  testo  che  se  ne  ha  nel  regesto.  Op- 
portuna la  pubblicazione  cosi  raffrontata  della  bolla  ;  erudita  V  illu- 
strazione e  particolarmente  pregevole  per  copia  di  documenti  inediti 
tratti  dairarchivio  Lateranense  e  da  quelli  delle  case  Orsini,  Caetani, 
Cesarini  e  Colonna  (veramente,  invece  dell'archivio  Colonna,  cica  una 
Miscellanea  presso  di  se,  e  si  riferisce  al  Gregorovius  quanto  all'esi- 
stenza degli  originali).  Ma  l'A.  avrebbe  meglio  provveduto  all'eco- 
nomia dell'opera  stampando  a  parte  o  in  altra  sede  cotesto  ampio 
commento  storico-topografico  dei  principali  possessi  della  basilica 
di  San  Giovanni,  fra  ì  quali  Carpineco,  patria  del  pontefice.  Accen- 
niamo i  principali  documenti  inediti  attinenti  alla  storia  di  Roma: 

9  aprile  978.  Giovanni  abbate  di  Sant'Andrea  ìn  Selce,  nel  ter- 
ritorio di  Velletri,  concede  in  enfiteusi  a  Crescenzio  di  Teodora 
Castelvecchio  (cxvin). 

1 5  ottobre  988.  Giovanni  e  Crescenzio,  figli  di  Crescenzio  di 
Teodora  e  di  Sergia,  iìlustrissima  j'^mina,  donano  all'abbate  Alberico 
la  detta  chiesa  di  Sant'Andrea  in  Selce  (cxrx). 

37  dicembre  1106.  Pasquale  II  designa  i  confini  della  parroc- 
chia Lateranense  (lxvii). 

26  maggio  1122.     Simile  bolla  di  Calisto  II  (lxix). 

Bolla  di  Onorio  II  a  favore  dell'ospedale  Late- 


7  maggio  113S 
rancnse  (lxiii). 
30  giugno  ii}8. 
IO  agosto  1 179. 


Simile  bolla  dì  Innocenzo  II  (lxiv). 

Alessandro  III  obbliga  alla  chiesa  Lateranense 
«  possessioncs  de  lacu  0  e  quattro  mulini  a  prò  294  libris  prov.  quas 
«  ad  eas  recuperandas  Petro  Pandulfi,  Alierotio  et  Alieroiio  (sic)  Ro- 
«  manis  civibus  et  judicibus  et  advocatis  nomine  nostro  solvisti  et 
«  prò  sexaginta  quattuor  quas  prò  aqueductu  reparando  expcndistisM 
(p.  Lxvi).  Evidentemente  il  pegno  è  dato  dal  pontefice  perchè  il  Ca- 


bibliografia 


359 


pitolo  Latcranensc  aveva  redento  detta  possessione  da  quel  giudici 
romani,  anteriori  creditori  del  papa,  e  non,  come  interpreta  il  P.,  perchè 
avesse  «  imprestato  denari  a  cittadini  romani  o  (lxvi). 

7  novembre  I3i6.  Onorio  III  conferma  la  sentenza  pronunciata 
(juando  era  cardinale  a  favore  della  chiesa  Lateranense,  dichiarando 
comprese  nella  parrocchia  San  Bartolomeo  e  San  Daniele  (lxx). 

15  giugno  1370.     Urbano  V»  avendo  assegnato  alla  Mensa  vesco- 
vile di  Montefìascone  i  beni  ivi  posseduti    dalla  basìlica  di  Laterano, 
indennizza  questa  coi  beni  della  scola  catttorum,  soppressa  «  quia  dieta 
*  ecclesia  scole  cantorum  et  eius  domus  adeo  sunt  destructe  quod  vix 
{*  earundem  ecclesie  et  domorum  appareat  vestigia,  propter  quod  ìpsum 
collegium  dcinceps  inutile  scu  supcrvacaneum  reputetur»  (lxxii). 
Quanto  alla  compilazione  del  regesto,  sebbene  notevolmente  mi* 
tUorata,  si  può  ancora  raccomandare  in  parecchi  casi  maggior  bre- 
lli,   omettendo   formule    consuete    e  inutili,  e   maggior    cura  nel 
krre  in  evidenza  gli  accenni  storici.  Ad  esempio,  nei  seguenti  sunti 
Mevano  omettersi  le  parole  che  pongo  in  corsivo.  N.  430:  «  Pre- 
posjto  Caroinensi.  Villas,  dusuras  et  reddìtus  de  Lubri  cutn  omnibus 
^  JertiHtntiis  suìs  ad  pnposituratn  spectantihui  ipsi  eiusque  ecclesiae  con- 
^    finnat«;  n.  480:  «  concedit  usum  mitrae  et  anuli  quibus  uti  possit  in 
^  proc^sicnibuSf  synodis  et  precìpuìs  fesUi'itatihus  **;  il  n.  1278  è  più  dif- 
^Vjso,  senza  aggiungere  nulla  di  più  al  sunto  del  Potthasl  5750.  Anche 
^^cl  1187  si  poteva  essere  più  breve,  e  non  omettere  invece  la  clau- 
"^feola  «  relaxaiionc  Maguntini  archiep.  non  obstantc  ».  Qua  e  colà  sì 
-^^.werte  anche  qualche  inesattezza:  nel  n.  I359(  in  luogo  di  «  colli- 
quanti», andrebbe  detto:  «  assignent  corniti  HoUandiae  ».  Così  al  n.  1723 
vrion  è  chiaro  che  la  scomunica  era  stata  pronunciata  dall'arcivescovo 
^i  Treviri.  Al  n.  1789,  non  si  sa  se  sia  errore  del  regesto  o  del  trascrit- 
f  "^ore  duanatu  invece  di  ducuta  :  ma  era  facile  correggerlo  col  raffronto 
1  ^el  n.  1791  e  coU'cdìzione  del  Rodcmbcrg;   dal   quale  pure  poteva 
'   desumere  che  il  mgotium  «  haud  sane  in  regesto  nominatum  «  del 
;   a.  821  deve  concernere  le  trattative  per  il  conferimento  del  ducato 
'    di  Spoleto.  Al  n.  255  non  sarebbesi  dovuto  trascurare  Taccenno  che 
il  nipote  del  re  di  Boemia  era  crociato  ;  e  così  al  n.  548  quanto  al 
re  d'Inghilterra.  AI  n.  $94  è  omessa  la  facoltà  di  imporre  la  croce. 
Insufficiente  pure  il  sunto  n.  654;  non  meno  del  n.  670  (epistola  tut- 
tora inedita),  nel  quale  si  omette  di  ricordare  il  passaggio  in  Inghil- 
terra di  Luigi,  figlio  del  re  di  Francia  e  del  conte  di   Olanda.  Lo- 
devole è  riferire  esattamente  i  nomi  di  luogo  secondo  il  testo  dei 
regestì;  ma  pur  converrebbe,  ove  occorre,  aggiungere  la  forma  cor- 
retta   ed   usuale.    Parrà   minuzia  di   critica  questa,   ma   a   che   ser- 
virebbe  un  regesto  se  allo  studioso  non  è  dato  dì  potervi  attingere 
coi;  piena  sicurezza  ? 

Guido  Levi. 


C3 


I 

1 


NOTIZIE 


n  fascicolo  4°  del  BulUttino  àeW Istituto  Storico  Italiano  contiene  : 
L'organico  per  i  lavori  dell'Istituto;  una  comunicazione  del  presi 
dente  sopra  la  proposta  di  pubblicazione  di  documenti  Colombiani  ; 
le  relazioni  delle  regie  Deputazioni  e  Società  di  storia  patria  sui  la- 
'vori  pubbHcati  negli  anni  1886-87  J  relazione  del  prof.  V.  Fiorini 
sulla  risumpa  delle  Cronache  bolognesi,  e  del  prof.  F.  Novati  suiVEpi- 
stoìario  di  Coluccio  Salutati, 

n  fascicolo  5°  è  interamente  dedicato  all'inventario  delle  lettere 
a  stampa  ài  L,  A,  Muratori,  per  A.  G.  Spinelli,  lavoro  preparatorio 
per  una  edizione  àitW Epistolario  intero,  a  cui  da  tempo  si  è  accinto. 
«  Ne  risulterà  una  ponderosa  sene  di  volumi,  nei  quali  si  troverà  la 
«  schietta  cognizione  di  tutte  le  fatiche  poderose  e  sapienti  di  questo 
«  padre  della  storia  italiana  e  la  genesi,  il  parallelo  commento,  il  co- 
te rollano  delle  opere  tutte  dì  lui,  e  insieme  la  più  diretta  e  schietta 
«manifestazione  della  complessa  e  multiforme  sua  attività». 

In  occasione  del  giubileo  papale  gli  archivi  Vaticani  hanno  pub- 
blicato :  Spuimina  palaeografica  regestorum  Romanorum  Pontificum  ah  In- 
nocentio  III  usque  Urhanum  V,  collezione  di  60  tavole,  eseguite  in  elio- 
tipia dall' ing.  A.  Martelli,  e  58  pagine  di  testo.  Ne  daremo  conto  nel 
prossimo  fascicolo. 

Il  ^gnor  Auvray  à^EcoU  fran^aise,  mentre  sta  attendendo  alla 
comjnlazione  dei  regesti  di  Gregorio  IX,  ha  preparato  uno  studio 
crìtico  sulle  antiche  Vite  di  questo  pontefice. 

Con  regio  decreto  18  maggio  1882,  a  proposta  di  S.  E.  il  mini- 
stro della  pubblica  istruzione,  fu  stabilito  che  a  sarà  pubblicata  nella 


3tó  •   V^ti\ie 


«  solenne  ricorrenza  del  qoarto  centenario  ddla  scc^èrtk  ddrAotf- 
«rica  (1891)»  per  cara  ed  a  spese  dello  Stato,  ima  raccolu  degC 
«scritd  di  Crittoforo  Colombo,  di  mtti  i  docnmenti  e  di  toni  i  no- 
«  nnmenti  cartografici  ì  quali  valgano  ad  illustrare  la  ^nta  ed  t  viag9 
«  del  sommo  Navigatort,  la  memoria  ed  i  tentatila  dd  sud  piecar- 
«sori  e  le  succesd^e  trasformazioni  delTopera  sua  pel  ùsao  &  «Itti 
«  navigatori  italianL 

«  Tale  raccolta  dovrft  essere  seguita  da  una  biUiografia  degli  loitii 
e  pubblicati  in  Italia  sul  Colombo  e  sulla  scoperu  ddT  Amerà  dai 
«  suoi  primordi  fino  al  presente  ». 

Ad  ordinare  la  raccolu  ed  a  curarne  la  pubbUcailoiie  h  isttedu 
una  Comndssione  spedale. 


PERIODICI 

^-*^^  rticoli  e  documenti  relativi  alla  storia  di  Roma) 


\ 


^Archeografo   triestino.    Nuova   serie,  voi.   XIV,  fase.   i*.   — 
SwiDA,  MìscclUnca   (Documenti  di  Pio  II,  estratti  dagli  archivi 

^^oma). 

^Archiv  fflr  Literatur-  und  Klrchen-Geschichte  des  Mittel- 
^  ^— ^RTS.    Voi,  IV,   fase.    I-II.    —  EuRLE,  Die   Spiritualcn,  ihr  Ver- 

■^*- ».  tniss   zura    Franciscanerorden  und  zu  den    Fraticellen  (Gli   Spi- 
ali e  loro  relazione  con  l'ordine  Francescano  e  ì  Fraticelli,  con 
Clonanti  documenti  sui  Fraticelli  in  Roma).  -  Der  Constantinische 
%atz  in  der  papstlìchen  K;imraer  des  i).  und  14.  Jahrhunderts  (Il 
^oro  di  Costantino  nella  Camera  pontificia  del  xiii  e  Kiv  secolo). 


^.^      Archivio  storico  dell'arte.  .\nno  I,  fase.  3-5.  —  A.  Venturi, 
^-^  xan  Cristoforo  romano.  -  C.  Ricci,  Lorenzo  da  Viterbo.  -  E.  Muntz, 


oreficeria  sotto  Clemente  VII.  -  E,  De  Paoli,  Donazioni  di  Mi- 
^;VieIangelo  a  Francesco   Amatore  detto    Urbino    e  ad   Antonio  del 
■*^  rancese  suoi  domestici.  -  N.  Baldoria,  Un  avorio  del  museo  Vaii- 
^^no.  -  D.  Gnoli,  Il  banco  d'Agostino  Chigi. 


\ 


Archivio  storico  italiano.  Serie  V,  tora.  I,  fase,  i® —  C.  Guasti, 

t^cordanze  di  m.  Gimignano  Inghirami,  concernenti  la  storia  eccle- 
siastica e  civile  dal  1378  al  1452.  —  Fase.  2°.  P.  Villari,  Nuove 
questioni  intomo  alla  storia  di  G.  Savonarola  e  dei  suoi  tempi.  — 
Fase.  3".  L.  Zdecauer,  Lavori  sulla  storia  medievale  d'Italia  in  Ger- 
mania; 1880-87.  ■  F*  Tocco,J  Due  documenti  intorno  ai  Beghini 
d'Italia. 


Archivio  storico  lombardo.  Anno  XV,  fase.  2^  —  L.  Frati, 
La  contesa  fra  Matteo  V^isconti  e  papa   Giovanni  XXII,  secondo  i 


3^4 


Periodici 


documenti  deirarchìvio  Vaticano  (pubblica  l*  indice  del  codice  3937 
[antica  segnatura]). 

Archivio  storico  per  le  Provincie  napoletane.  Anno  Xill, 
fase.  i".  —  N.  Barome,  Notizie  raccolte  dai  registri  di  cancelleria 
di  re  Ladislao  di  Durazr.o.  -  Elenco  delle  pergamene  Fusco  (N.  114, 
Ep.  dì  Innocenzo  III:  19  febbraio  1212), 


Biblìothèquedel'écoledes  chartes.  XLIX. 
archivcs  d'Aragon  et  de  Navarrc. 


•  L.  Cadxer,  Lcs 


Bollettino  della  Commissione  archeologica  comunale  dì 
Roma.  Serie  IH,  anno  XVI,  fase.  4**.  —  R.  Lanciani,  NotÌ£Ìe  del 
movimento  edilizio  della  città  in  relazione  con  rarcheologia  e  con 
Tane.  -  G.  Gatti,  Trovamenti  risguardautì  la  topografia  e  la  epi- 
grafia urbana.  —  Fase.  5".  C.  Huelsen,  Vedute  delle  rovine  del  Foro 
Romano,  disegnate  da  Martino  Heemskerk.  -  G.  Gatti  e  R.  Lan- 
ciasi, Notizie  del  movimento  edilìzio  della  città  in  relazione  con 
Tarcheologia  e  con  l'arte.  -  G.  Gatti,  Trovamenti  risguardanti  U 
topografia  e  la  epigrafia  urbana.  -  C.  L.  Visconti,  Trovamenti  di 
oggetti  d'arte  e  di  antichità  figurata.  -^  Fase.  6°'  L.  Cantarelli, 
Intorno  ad  alcuni  prefetti  di  Roma  della  serie  Corsiniana.  -  E.  Pe- 
TERSEN,  Penelope. -G.  Gatti,  Trovamenti  risguardanti  la  topografia 
e  la  epigrafia  urbana. 

Bollettino  della  Società  geografica  italiana.  Serie  III,  voi.  I, 
fase,  J-).  —  F.  Porena,  La  geografia  in  Roma  e  il  mappamondo 
Vaticano. 

Bollettino  dell'Istituto  di  diritto  romano.  Anno  I,  fase.  1^.  — 
V.  SciALOjA,  Nuove  tavolette  cerate  pompeiane.  -  I.  Alibrandi, 
Sopra  una  tavoletta  cerata  scoperta  a  Pompei  il  20  settembre  1887. 
-  V.  SciALOjA,  Libello  di  Geminio  Eutichete.  -  C.  Ferrimi,  Ad 
Gai,  2,  $1.  -  C.  Padda,  Sul  così  detto  pactum  de  junjunuuió,  - 
P.  Bonfante,  Rts  mancipi  o  rcs  mancipii} 


Giornale  ligustico.  Anno  XV,  fase.  5-6.  —  L.  De  Feis,  La  Bocca 
delb  Verità  in  Roma  e  il  Tritone  di  Properzio.  -  A.  N.,  Un  max- 
zetto  di  curiosità  (contiene  lettere  di  Celso  Cittadini,  del  poeta  pisano 
Ippolito  Neri  e  dell'abate  Lorenzo  Mehus,  con  accenni  a  cose  ro- 
mane). —  Fase.  7-8.  G.  Rezasco,  Del  segno  degli  Ebrei. 


T^eriodici 


3<f5 


Giornale  storico  della  letteratura  italiana.  Voi.  X,  fase.  4**. 
E.  Costa»    Marco  Antonio  Flaminio  e  il    cardinale   Alessandro 
^  illese. 


Journal  of   archaeolo^  (The  araerican).  Voi.  Ili,    n,  1-2. 

E.  Babelon,  Rivista   di  numismatica  greca  e  romana.  -   Recen- 

^^ne  deiropere:  G.  B.  De  Rossi,  «De  orig.  bibloth.  Scdis  Apost.  », 

^jDto  Stefano  Rotondo  »  ;  E.  Muntz,  «  La  bibliothèquc  du  Vatican  ». 

Mittbeilungen  dee  Instituts  fOr  dsterreichische  Geschichta- 

^^CfcTSchung.  Voi.  IX,  fase.  I.  —  H.   Bresslau,  Papyrus  und  Perga- 

^^*^cnt  in  der  papstlichen  Kanzlei  bis  zur  Mine  des  xi.  Jahrhundens 

xll  papiro  e  la  pergamena  nella  Cancelleria  pontificia  fino  alPxi  secolo). 

Quartalschrift  (Rdmische)  fflr  christliche  Alterthunaskunde 
«nd  fùr  Kirchengeschichte.  Anno  II,  fase.  2.  —  I.  P.  Kirsch, 
Bcitràge  zur  Gcschichle  der  alien  Pcterskìrche  in  Rom  (Contributo 
alla  storia  deiraniica  chiesa  di  S.  Pietro  in  Roma).  -  Pater  Ger- 
mano. Das  Haus  der  hh.  Man^TcrJohannes  und  Paulus  (La  casa  dei 
martìri  Giovanni  e  Paolo).  -  D.'  G.  Brom,  Einige  Briefc  von  Ra- 
phael Brandolinus  Lippus.  Zur  Zcitgeschichte  des  Papstcs  Alexan- 
der VI  (Lettere  di  R.  Brandolìno  Lippi.  Per  la  storia  dei  tempi  di 
Alessandro  VI).  -  J.  P.  Kirsch,  Die  Còmeterien  des  Salarìschen 
Strasse  in  xiil  Jahrhundert  (I  cemeteri  della  via  Salaria  ne!  xiii  se- 
bo). -  Saaerland  e  De  Rossi,  De  coemeterio  Prìscìllae  Romae 
invento  in  cunicularibus  anno  1578.  -  Prof.  Battifol,  Das  Archiv  des 
iechischen  CoIIeg's  in  Rom  (L'archivio  del  collegio  greco  in  Roma). 


f 


Review  (Tbe  english  historical).  N.  io.  —  L  R.  Seely,  Paul 
Ewald  and  pope  Gregory  !  (Paolo  Ewald  e  papa  Gregorio  I).  - 
C.  W.  BoASE,  Lettera  di  Clemente  VII  a  Enrico  VII!  d'Inghilterra. - 
Recensione  dell'opere:  W.  R  Skene,  «  On  the  traditìonary  accounts 
of  the  death  of  Alexander  IH  »   (Sui  racconci  tradizionali  circa  la 

;iorte  di  Alessandro  III);  G.  Schmidt,    «  Pabsdìche  Urkunden  und 

fcgesteo  Ji  (Documenti  e  regesti  pontifici). 

Revne  des  questions  historiques.  XXIII,  fase.  86.  —  E.  Va- 
INDARD,  L'histoire  de  Saint  Bernard,  critique  des  sources  -  G.  Du 
ItESNE  DE  Beaucourt,  Charles  VII  et  la  pacitication  de  l'Église 
444-1449).  -  Georges  Dcgard,  Un  nouveau  récit  de  Tattentat 
'Anagni.  -  Pierling,  Une  rectification  à  l'article  sur  le  mariage 
"un  t'sar  au  Vatican.  -  Recensioni  dell'opere  :  J.  N.  Murphy,  «  The 


Archivio  della  R.  Società  romana  di  $toria  patria,  VoU  XI, 


35 


}66 


Periodici 


chair  of  Peter»;  Allard,  n  Lcs  dernières  persécutìons  du  ni'  siede  »; 
G.  Chcvallier,  «  Hìstoire  de  saint  Bernard  »;  Mandalarì,  «  Pietro 
Vitali  ed  un  documento  inedito  riguardante  la  storia  dì  Roma  ».  — 
XXIII,  fase.  87.  P.  Allard,  Dìoclètien  et  les  chrétiens  avant  l'età- 
blissement  de  la  Tetrarchie.  -  Recensione  di  L.  Pastor,  «  Histoirc 
des  papes  dcpuìs  la  (in  du  moyen  àge  »  (trad.  francese). 

Revue  historìque,  XXXVII,  fase.  I-II. —  Recensioni  delTopcre: 
Aem.  Jullien,  «  De  L.  Cornelio  Balbo  maiore  »  ;  W.  Irne,  «Storia  dì 
Roma»;  F.  Knoke,  «La  spedizione  di  Germanico  in  Germania»; 
Fclten,  «  Papa  Gregorio  IX  »  ;  W.  Altmaan,  «  L'elezione  di  Alberto  II 
a  re  dei  Romani  »,  «  Ludovico  il  Bavaro  a  Roma  ». 

Revue  (Nouvelle)  historìque  de  droit  fran9ais  et  étranser. 
XII,  fase,  j.  —  Alphosse  Rivier,  L*  universìté  de  Bologne  ci  la 
première  renaissance  juridique.  -  M.  A.  Esmein,  Le  serment  prò. 
missoire  en  droit'  canonique.  -  Recensioni  dell'opere:  P.  Guiraud* 
«Les  asscmblées  provinciales  daos  l'Empire  romain  »;  H.  Daniel- 
Lacombe,  «  Le  droit  funéraire  i  Rome  ». 

Rivista  italiana  di  numismatica.  —  F.  Gn*ecchi,  Appunti  di 
numismatica  romana.  -  A.  Ancoka,  Il  ripostiglio  di  S.  Zena  in 
Verona  città.  * 


Rivista  storica  italiana.  Anno  V,  fase.  i".  —  A.  Coen,  Vcrio 
Agorìo  Pretestato. 

Stadi  e  documenti  di  storia  e  diritto.  Anno  DC,  fase.  1°. 
—  R.  Ambrosi  De  M\gistris,  Note  ai  documenti  editi  dall*  Istituto 
austriaco  relativi  alla  storia  della  Campania.  -  S.  Talamo,  Le  ori- 
gini del  cristianesimo  e  il  pensiero  stoico.  -  A.  Parisotti,  Ricerche 
sull'introduzione  e  sullo  sviluppo  del  culto  di  Iside  e  Serapìde  in 
Roma  e  nelle  provincie  dell'impero  in  relazione  colla  epigrafia.  - 
P.  Campello  Della  Spina,  Pontifìcato  di  Innocenzo  XIL  Diario 
de!  conte  Giovanni  Battista  Campello. 

Zeitschrìft  far  kathoUsche  Tbeologie.  III,  fase.  188S.  — 
H.  Grisar,  Sammlungen  àlterer  Papstbriefe  und  deren  theologischc 
Verwerthung  (Le  raccolte  di  lettere  degli  antichi  papi:  esame  dei 
nuovi  bollari,  della  nuova  edizione  del  Jaifè;  Thiel,  card.  Pitra, 
Lòwenfeld,  Pflugk-Hamung,  Friedberg,  Dcnzinger). 


PUBBLICAZIONI 

RELATIVE    ALLA    STORLA    DI    ROMA 


'  *  *      ALLA.RD  P.     Les  dernières  persécutions  du  in*  siede  (Gallus, 
^aiérien,  Aurélien)  d'après  les  documeats  archéologiques. 

M^sniì,  imp.  Firmin-Didoi,  1887. 

r'^.    Amabile  L.     Fri  Tomaso  Campanella  nei   castelli  di  Napoli, 
in  Roma  ed  in  Parigi,  voi.  i.  Napoli,  1887, 

^  ^.  Arkdt  W,     Schrifttafeln  zur  Erlernung  der  lateinischen  Palaeo- 

tgraphie,  i.  Hefc  (Tavole  grafiche  per  apprendere  la  paleografia  la- 
tiaa).  2'  edir.  Berlm,  Grott,  1887. 

^^.    Arnold  C.  F.     Studienzur  Geschichte  derPlinìinischenChrt- 


1*  S^-    AuDiAT  L,    Fouilles  dans  les  remparts  gallo-romains  de  Saintes, 
Pons,  Texiet,  1887. 


stenverfolgung  (Studi  circa  la  storia  della  persecuzione  dei  cri- 
stiani ai  tempi  di  Plinio).  Kònigsberg,  Hartung,  1887. 

S5.    AssiRELLi   P.     L'Agro  romano  et  sa  colonìsation.  (Estratto 
dalla  Reforme  Sociali).  Paris,  Uve,  1887. 


'57.  AusfìShrIiches  Lexicon  der  griechischcn  und  ròmischen  My- 
thologie  (Lessico  completo  della  mitologia  greca  e  romana). 
Disp.  II-12.  ^^^PVS»   Tiubner,   1887. 

158.  Baethgen  e.  De  vi  ac  sìgnìficaiionc  galli  in  religionibus  et 
artibus  Graccorum  et  Romanorum. 

GÒUingen,  Wandcnhoeck  und  Ruprecht,  1 887. 

'159.  Baumeister  A.  Dcnkmàler  tler  klassischcn  Alterthuras  zur 
Eiclàuterung  des  Lebens  der  Griechen  und  Ròmer  in  Religìon, 
Kiinst  und  Sitte  (Monumenti  dell' antichità  classica  a  dichiarazione 


Pubblicazioni  relative  alla  storia  di  T{oma 


della  vita  dei  Greci  e  dei  Romani,  nella  religione,  nell'arte  e  nei 
costumi).  Disp.  5 1-J4.  Muncben,  OhUtibousg,  1887. 

i6d  Berchtolo  J.  Die  Bulle  «  Unam  sanctam  j»,  tbre  wahre  Be- 
deutung  und  Tragweitc  fùr  Staat  und  Kirche  (La  bolla  cr  Unam 
sanctam  )»,  la  sua  vera  importanza  e  il  suo  valore  per  lo  Stato 
e  perla  Chiesa).  Mùncbtn,  Kaiser,  1887. 

161.  Bertolotti  a.  Notìzie  e  documenti  sulla  storia  della  far- 
macia e  dcircmpirìsmo  a  Roma.  (Estratto  dal  Monitore  dei  far- 
macisti). Roma,  1888. 

162.  BiRTH  T.  Zwei  Satiren  des  ahen  Rom.  Ein  Beitrag  zur  Ge- 
schìchtc  der  Satire  (Due  satire  dell'antica  Roma.  Contributo  alla 
storia  della  satira).  Marhurg,  Elwcrt,  1888. 

163.  BissiNGEN  K.  Funde  ròmischer  MQtuen  im  Grossherzogthum 
Badcn.  Z.  (Trovamento  dì  monete  romane  nel  granducato  di  Ba- 
dcn.  L).  1887. 


164.    Blunt  H,  W.    The  causes  of  the  declìne  of  ihe  roraan  Com 
monwealth  (Le  cause  della  decadenza  della  Repubblica  romana 

Oxjorà,  Blackwell,  188 


^ 


16).    BoYER   E.     Les  consolations  chez  Ics  Grecs  et  les  Romains. 

Monlauhan,  Grani/,  1887. 

166.  Brassier  P.    Pilcrinage  à  Rome,  Assise,  Loretie,  ctc. 

Hctmcs,  Ohcrtbur,  1888. 

167.  Bruci  B.  XSamhituì  e  il  parìcs  communis  nella  storia  e  nel  si* 
stema  del  diritto  romano.  Città  di  Castello,  tapi,  1887. 

168.  —  Disegno  di  una  storia  letteraria  del  diritto  romano  dal 
medio  evo  aì  tempi  nostri  con  speciale  riguardo  all'Italia. 

Padova,  DrucJur,  t888. 

169.  Brukk.  H.  Denkmàler  griechischer  und  ròmischer  Sculptur  in 
historischer  Anordnung,  unter  Leìtung  von  H.  B.  (Monumenti 
della  scultura  greca  e  romana,  disposti  in  ordine  storico  e  pubbli- 
cati sotto  la  direzione  di  H.  Brunn).  Disp.  i*.       Mùnch,:»,  18S8. 

170.  Buzello  I.  De  oppugnatone  Saguntì,  quacstiones  chronolo- 
gicae.  Kònishergf  Koch  et  RtimeTt 

171.  Caiu.£  e.    Du  colonai  en  droit  romain. 

Poitim,  OudÌH,  1887. 


r 


'Piibbltca-{wni  relative  alla  storia  di  T{oma     3^9 


173.     Campi  V.     n  ragioniere  sotto  la  repubblica  romana   e  sotto 
r  impero.  Roma,  Reggiani,   1887. 

173.    Cavaro  R.    Les   costumes  des  peuples   anciens.  Deuxième 
panie:  Grece,  Étruric,  Rome.  Voi,  2.  Paris,  Mcnard,  1887. 


174.     Gasoli  P.  B.     Cronistoria    della   vita    e  del  pontificato    di 
Leone  XUI  sino  a  mezzo  il  1887. 

Modena,  tip.  della  Cotueiione,  1887. 


17$.     Cesare  (De).    Il  conclave  di   Leone    XIII,  con  documenti. 
j'  edix.  Città  di  CasUlìo,  Lapi,  1887. 


176.     ClMETO  D.     Dante  in  Roma. 


Roma,  Loescher,  1887. 


^^177.  C1PELLETTI  A.  Quo  tempore  et  Consilio  Sallustius  Belìum  Ca- 
^H  Hlìnarium  scrìpserit.  Ili  Kal.  novembris  MDCCCLXXXVIL  Dis- 
^H     seriazione  di  laurea.  Pavia,  Bigioni,  1887. 


k 


178.     Claretta  G.     Sulla  legaiione  a  Roma   dal  1710  al   1714  del 
marchese  Ercole  di  Priero.  Studio  storico-btogralìco. 

Genova,  tip.  Sordo-muti,  1887, 


179.    Cocchia  E.     I  Romani  alte  Forche  Caudine.  Questione  di  to- 
pografia storica.  Napoli,  ]8S8. 


I 


80.  COiMMODiANi  Carmina  reccnsuit  et  commentario  critico  in- 
struxit  B.  Dombast.  (Fa  parte  del  Corpus  SS,  Eccks.  latin,,  edito 
dairAccademia  delle  scienze  di  Vienna). 

f^ien,  Geroìd's  Sohn,  1887. 


^ 


l8t.    CoxE  A.  C.    Institutesof  Christian  hbtory  (Istituzioni  di  storia 
cristiana).  London,   Trubner,  1887. 


V82.     CozZA-Luzzi  G.     Le  chiavi  di  S.  Pietro;  memoria  storica. 

Roma,  tip.  Tiberifta,  1887. 

x8).    Desimoni  C,     Regesti  delle  lettere  pontifìcie  riguardanti  la  Li- 

kgiirìa  dai  più  antichi  tempi  fino  air avvemmento  d'Innocenzo  III. 
Genoi'a^  tip.  dei  Sordo-muti,  1887. 
84.  DiETRiCHS  VON  NiEHEiM.  LibiT  cancellartoe  apostoìicae  von 
Jahre  i}8o  und  der  stiltis  palatii  abbreviatus.  Hcrausgcgebcn  von 
G.  Erler  (Il  Liber  cancellariae  apostoìicae  delPanno  ijSo  e  lo  5/i7«j 
palatii  abbrnfiaius  di  Teodorico  da  Nieheim.  Pubblicato  da 
G.  Erler),  Leiplig  Vat  und  C,  1888. 


Vuhblica^ioni  relatìpe  alla  storia  di  'J{oma 


185.  Disegni  e  de^crlttìoni  delle  forteue  e  piazze  d'armi,  artiglierie, 
armi,  nionìziom  da  guerra,  soldati,  bombardieri  pagati,  cniUzic 
scelte  di  cavallerìa  e  fanteria  dello  Stato  ecclesiastico.  (Copia  dì 
un  codice  cartaceo  esìstente  nella  biblioteca  Vaticana,  presentato 
a  S.  S.  Clemente  XI  dal  suo  ministro  D'Aste). 

Rofna,  tip,  ddla  Buona  Stampa,  1888. 

iS6^     DoRSCH  E.    De  civitatis  rotnanae  apud  Graecos  propagatione. 

Breslau,  KocUr^ 

187»    Doublet.    Le^ons  d*hÌ5toire  ecclésiastique.  2*  édition. 

Bar-U-Duc,  Constant- Laguerre,   x888. 

188.  Druffel  a.  Monumenta  Tridentina.  Bciiràge  zur  Geschichte 
des  Concils  von  Trient  (Contributo  alla  storia  del  Concilio  di 
Tremo),  Mùnchen,  Frani,  1887. 

189.  DuHAMEL  L.     Le  tombeau  de  Jean  XXII  i  Avignon. 

Avignon,  Seguin,   1887. 

190.  DuRUY  V.  Histoìre  des  Romaios  depuis  les  teraps  les  plus 
reculòs  jusqu'i  l'invasion  des  barbares  (mort  de  Théodose). 
Nouvelle  édition.  Paris,  Lahurg,  1887. 

191.  —  Traduzione  tedesca  di  G.  Hcrtzbcrg  della  «  Storia  dell' ira- 
pero  romano  dalla  battaglia  d*Azio  e  dalla  conquista  d'  Egitto  fino 
all'invasione  dei  barbari  i».     Leipiig,  Schmiàt  uni  Gunthtr,  1887. 

192.  Faltin  G.  Ucber  den  Ursprung  des  zweiien  punìschen  Krieges 
(Sulla  origine  della  seconda  guerra  punica). 

Keu-Ruppin,  Kuhn,   1887. 

193.  Favaro  A.  Documenti  per  la  storia  dell'Accademia  dei  Lincei 
net  mss.  Galileiani  della  biblioteca  Nazionale  di  Firenze;  studi  e 
ricerche.  Roma,  tip.  drìU  Sdcftic  matimaiicht  e  fisiche t  1888. 

194.  Felsberg  Ottone.  Beìtrage  zur  Geschichte  des  Ròmerzuges 
Heinrichs  VII.  Innere  und  FinanzpolitiU  Heinrichs  VII  in  Italicn 
(Contributi  alla  storia  della  spedizione  di  Enrico  VII  a  Roma.  Po- 
litica interna  e  fìnanziarìa  di  Enrico  VII  in  Italia).  In-8^,  p.  80. 

Leipzig,  Gustav  Fock,  i886, 

195.  Felten  W.  Die  Bulle  «Neprctereat»  und  dicReconciliations- 
Verhandtungen  Ludwigs  des  Bayers  mit  dcm  Papst  Johann  XXII 
(La  bolina  Nepretereatu  e  le  pratiche  di  conciliazione  di  Lodovico 
il  Bavaro  con  papa  Giovanni  XXII).  Trier,  1887. 


"Pubblicazioni  relative  alla  storia  di  ^^pma    371 


*^^*        Ferrerò  E.    La  strada  lomana  da  Torino  al  Monginevro  de- 
^^ritta.  Torino,  Loeichtr,  1888. 

'^'^~        FisHER  G.  P.     History  of  the  Christian  Church  (Storia  della 
'^«ìcsa  Cristiana).  London,  Hoddtr  and  Stoughton,   1887. 

^      -       FoNTEASiVE  R.     Guida  per  gli  avanzi  di  costruzioni  poligone» 
^^tte  ciclopiche,  saturnie  0  pelasgiche,  nella  provincia  dì  Roma. 

Roma,  Sciolta,  1887. 

•^      Frati  L.    La  legazione  del  card.  Benedetto  Giustiniani  a  Bo- 
*^)gna.  Genova^  tip.  Sordo-muti, 


**     Gabotto  F.     Appunti  per  la  storia  della  leggenda  dì  Catilìna 
*3el  medio  evo,  Torino,  Roux,  1887. 

-  -    Gazeau  F.     Histoire  romaine,  revue,  corrigée  et  complétée. 
1)'  édiiion.  Angers,  Lacbise,  1887. 


} 


\ 


^^>^-  Gerathewohl  B.  Die  Reiter  und  die  Ritiercenturien  rur  Zeit 
<ltr  ròmischen  RcpubliU  (I  cavalieri  e  le  centurie  dei  cavalieri 
■al  tempo  della  Repubblica  romana).  Municb,  Ackermaxn. 

^^3-  Gilbert  O.  Geschichte  und  topographie  der  Stadt  Rem  im 
Altcrium.  2.  ThciI  (Storia  e  topografia  della  città  di  Roma  nel- 
J  antichità.  Seconda  parte).  Lcip-^g,  Teuhner,  1885. 

*^**-      GiovAGNOLt  F-     Leggende  romane  :  Il  marchese  del  Grillo  ; 
^m      Gactanìno  Moroni.  Roma,  Ferino,  x888. 

^'      Giovanni   Albini    Lucano.    De  gestis  regum  Neapolìtano- 
^Vtm  ab  Aragonia.  Napoli,  1888. 


*<:>«- 


Gradenv^itz  O.    Interpolationen  in  den  Pandekten.  Krìtische 


^tudien.  Btrlin,   f^eiimann,  1888. 

"^^       GuANELLA  L.    Da  Adamo  a  Pio  IX,  o  quadro  delle  lotte  e  dei 
^^-      *^onfi  della  Chiesa  universale.  VoL  3. 
^H  Milano,  tip.  Eusehìana,  1887. 

^-      GuARDUCci  C.     Annibale  e  la  colonia  dì  Spoleto;  studio  sto- 
Tico.  Firenitt  tip.  Cooperativa, 

^09.     GuiGNARD  L,     Blois  gallo-romain. 

■  Nancy,  Berger^Letrault  et  C,  1887. 

1^*0.     GuiRAUD  P.     Les   assemblées  provinciales  dans  T  Empire  rt^ 
■'        tnain.  Faris,  imp,  Nat.,  1887. 

L 


372     T^uhbl{ca-{ioni  relattue  alla  storia  di  T^ma 


HI.     HoFFMANN  G.     DcF  ròmìschc  ager  publicm  vor  dcm  Auftrctei- 
dcrGracchcn.  I.  Thl.  AUgcmcincs  (Vagir  public us  romano  primi, 
dei  Gracchi.  Pane  I.  Generale).  Programma  ginnasiale  dì  Katto 
witz,  1887. 

212.     HuMBERT  G.    Essai  sur  les  finances  et  la  comptabillté  publiqui 
chez  les  Romains.  Paris,  Thorin,  1887. 


1 


213.    Inge  W.  R.    Society  in  Rome  under  the  Cacsars  (La  societi^ 
in  Roma  sotto  i  Cesari).  London,  Murray,  x888.^ 

3x4.    JfNGMANK  B.     Disscrtationcs  sclectae  in  historiam  ccclcsiasti-  - 
cam.  VII.  Ratisbona,  PusUt.     ] 

215.  Klotzek  J.  Die  Verhiltnisse  der  Ròmer  z\im  achiischen 
Bunde  von  239  bis  149  (I  rapporti  dei  Romani  con  la  lega  Achea 
dalPanno  229  fino  al  149).  Brody,  Koscnlmm,  1887. 

216.  KrOger  H.  Geschichte  dcr  r  capitis  dirainutio  »  (Storia  della 
«capitis  dirainutio»).  Voi.  i*.  Brcsìau,  Kocbntr,  1887. 

217.  Lea  H.  C.  A  history  of  the  Inquisidon  of  the  middle  ages 
(Stona  dell* Inquisiiione  nel  medio  evo).  New-York,  Harper, 

3t8.     Le  bienheureux  Urbain  IL  Notice  biographique. 

Rheims,  Armand  lufhvrtf  1887. 

219.  Lecrivain  C.  Le  Sénat  romain  depuìs  Diodétìen  à  Rome  et 
À  Constantinople.  {Bihìioihèqiu  des  écoUs  franaUm  d^Athtnts  et  de 
Rome,  fase.  52).  Party,  1888. 

220.  Lee  F.  G.  Regìnild  Polc,  cardinal  archbishop  of  Canterbury  : 
an  lii&torìcal  sketch  (Regìnaldo  Polo,  cardinale  arcivescovo  di 
Canterbury.  Schizzo  storico).  London,  Nimmo, 

331,  Leuonnier  H.  Étudc  historìquc  sur  la  condition  des  af&aa< 
chis  aux  trois  premicrs  siécles  de  Tempire  romain. 

Cattlommitr!,  Brodarà  et  Galìois,   1887. 

231.  Level  O.  Palingcnesia  iuris  cìvìlis.  lurisconsultorum  reliquia, 
quae  lusiiniani  digc^iis  coniincniur  ceteraque  iurìsprudcniiac  civilis 
fragmcnta  minora  sccundom  auctorei  et  libros.  Fase.  1. 

Lsipii^,  Tauchnit^  1888. 

33 1.  Lcttret  de  la  relne  de  Navarrc  au  pape  Paul  III,  publiées  par 
P.  De  Nollwc.  FmaUUs,  Cérf  tt  Jils,  1888. 


T^ubblica^ioni  relative  alla  storia  di  T^ma     373 


I 


LòweUgo.  Die  Stellung  des  Kaisers  Ferdinand  I  zum  Trienter 
Konzil  vom  Oktobcr  1561  bis  zum  Mai  1562.  Inauguraldìsseitation 
(L*atteggiamenco  dell'imperatore  Ferdinando  I  verso  il  Concilio 
di  Trento  dall'ottobre  1561  fìno  al  maggio  1 562.  Dissertazione 
inaugurale).  Bonn,  1887. 


$.    Lupi  A.    La  benedizione  de  lì  cavalli  a  Sant'Antogno  (usanze 
de  Roma).  Romaj  Cerroni  e  Solaro,  z888. 

326.     Makoalari  M.     Pietro  Vitali  e  un  documento  inedito  riguar- 
dante la  storia  di  Roma  (sec.  xv)  ;  studio.         Roma,  Bocca,  1887. 


I 

I'      sai 


17.     Marivi  N.     L'anione  diplomatica  della  Santa  Sede  e  il  beato 
Nicolò  Albergati,  vescovo  e  cardinale.  2*  edizione. 

SUnaf  tip.  S.  Bernardino,  1887. 


22B,    Marin  Ordo^ìez  I.    El  pontificado.  Voi.  2.         Madrid,  1887. 

229.     Marten's  W.     Heinrich  IV  und  Gregor  VII  nach  der  Schil- 

derung  von  Ranke's  Wcltgeschiclite.  Krìtische  Bctrachtungen  (Kn- 

I  rico  rV  e  Gregorio  VII  secondo  la  esposizione  fattane  nella  Storia 

^^     universaU  del  Ranke.  Considerazioni  critiche). 

^M  Datt^g,  ìVihtr,  1887. 


IO.  Maurer  Marco.  Papst  Calixtc  U.  ThciI  1.  Vorgcschichtc. 
Inaugural-Dìssertation  (Il  papa  Calisto  II.  Parte  I.  Introduzione 
storica.  Dissertazione  inaugurale,  pag.  82). 

MUnchcn,  Christian  Kaiser,  1886. 


231,     MeiserK.     UeberhistorischeDramcn  der  Ròraer  (Sui  drammi 
storici  de*  Romani).  Mùnchen,  Fran^  Verìag,  1887. 


Memgb  R.  e  pREuss  S. 


Lexicon  Caesarianum.  Fase.  IV. 

LeipXJg,  Ttuhner,  1887. 


2J5.    Mevs  W.    Zur  Legation    des   Bischofs  Hugo  von  Die  unter 
Gregor  VII  (La  legazione  di  Ugo  da  Die  sotto  Gregorio  VII). 

Grcifsvjaìd,  Scharf  Vachjolgcr,  1887. 


234.  Monumenta  Germaniae,  etc.  Epistolae  saeculi  xnx  e  regestis 
pontificum  romanorura  selectae  per  G.  H.  Pertz.  Edidil  Carolus 
Rodenberg.  Tom.  II.  Berlin,  IVeiàmann,  1887. 

1)).  —  Epistolarum  tom.  I,  pars  I.  Grcgorii  I  papae  registnim 
epìstolarum.  Tom.  I,  pars  I,  !ìb,  I-IV.  Edidit  Paulus  Ewald, 

Btrìin,  fVtidmanu,  1887. 


137«  MuHLBAUER  W.  Thcsaurus  resolutionum  S.  C.  Concilii,  quae 
consentaneae  ad  Tridentinorum  pp.  decreta  prodierunt  usque  ad 
a.  1885.  Mùnchen,  1887, 

238.    Natali  E.    Il  ghetto  dì  Roma.  VoL  L 

Roma,  tip,  deVa  •  Tribuna  b,  1887, 

Storia  deirantichìssìroa  città  di  Sutrì, 

Roma,  Dcsideri-FtrrtUi,  1887. 

240.  Ohlenschlager  F.  Die  ròmische  Grenzmarch  in  Bayem 
(La  frontiera  romana  in  Baviera). 

Mùncbatt  Fran^  1887. 

Histoire  somroaìre  de  la  littérature  romaine. 

Paris,  BonrloìoH,  1887» 

Pescatori  G,  G.     La  legislazione  decemvirale.     Torino,  1888. 

Pinzi  C.     Storia  della  città  di  Viterbo  illustrata  con  note  e 
nuovi  documenti  in  gran  parte  inediti. 

Rema,  tip.  dilla  Cattura  dti  deputati,  1887. 

244.  Platina  B.  The  livcs  of  the  popes,  firom  the  lime  of  our 
Saviour  Jesus  Chrisc.  Wrìlien  originally  in  latin  and  transìated 
into  cnglish,  ediied  by  W.  Bcnham  (Le  storie  dei  papi  del  Pla- 
tina tradotte  da  W.  B.).  London,  Griffith  and  farran,  1888. 

245.  Pressutti  P.  Regesta  Honorii  papae  III  iussu  et  munificentia 
Leonis  XIII  pontifìcis  ex  Vaticanìs  archetypis  aliisquc  fontibus 
edidii  P.  P.  Voi.  L  Roma,  tip.  Vaticana,  188S. 

246.  Ramorino  Felice.  I  commencarìi  de  bello  civili  di  C.  Giulio 
Cesare  illustrati.  Torino,  Lo4Scb4r,  x88$. 

247.  RankeL.  Weltgeschìchic,  8.  Theil  :  Kreuzzuge  und  pàpstliche 
Welthcrrschaft  (xii.  und  xni.  Jahrhundcrt)  (Storia  universale, 
parte  8*:  Le  Crociate  e  il  dominio  universale  dei  papi  nei 
secoli  xii-xnr).  ^^pl^S,  Duncker  und  Humbloi,  1887. 

248.  R£i;re,  La  vie  scolaire  à  Rome:  les  maltres.  Ics  écolaers,  Ics 
étudcs.  Lyon,  Sclmeider  frères,  1887. 


Vubblica\ioni  relative  alla  storia  di  ^I(pma    375 


24^  RiUECK  W.  L.  Annàus  Seaeca,  der  Philosoph,  uad  scin 
Verhàltoiss  zu  Epikur,  Plato  und  dem  Cbrìstcnthum  (Il  filosofo 
L.  A.  Seneca  e;  i  suoi  rapporti  con  Epicuro,  Platone  e  il  Crì- 
aiancsimo).  Hannover,  NorddeuUche  yerlagsamtaU,  1887. 

JSa  RicwTEH  W.  Die  Spiele  der  Griechea  und  Ròmer  (1  giochi 
dei  Greci  e  dei  Romani).  Leipiig»  Sumann,  1887. 

^^*  Ricuou  L.     Histoire  de  TÉgllse.  )^  editioa.    Paris,  LctfnelUtix, 

iSl'  Rose  D.  Popular  history  of  Rome  under  the  kìngs,  the  rc- 
'  public,  and  ihe  emperors,  from  the  fundation  of  the  city,  B,  C. 
il  JiJ,  lo  ihe  fall  of  the  Western  Erapire  A.  D.  476  (Storia  popo- 
^  Urcdi  Roma  sotto  i  re,  la  repubblica,  gl'imperatori,  dalla  fonJa- 
b  zione  della  città  fino  alla  caduu  delP  Impero  d'Occidente). 
V  London,    IVard  and  Lock,  1887. 

f    ^Ì5-   Rossi  G.  C.    Alcuni   cenni  sopra  ignote   suppellettili   sacre 
'         'l'irgeiito  e  d'oro  appartenute  ai  primissimi  secoli  della  Chiesa. 

Roma,  Palletta,  1888. 

'W  RoTHESBERG.  Dic  hùusliche  und  offentlìche  Erziehung  bei  den 
K&fnem  (L'educazione  domestica  e  pubblica  presso  i  Romani). 
Programma  ginnasiale  di  Prenzlau,  1887. 

^55-  RoussEL  N.  Roma  pagana;  raffronti  storico-religiosi  tra- 
"lotti  da  R.  De  Schroetcr.  }•  cdiz.  Fir^ie,  Claudiana,  1888. 

^So-  Su,KOwsKi  C.  Lehrbuch  der  Institutionen  und  Gcschichte 
^  rómischen  Privatrechts  fùr  den  akademischen  Gebrauch 
(Manuale  di  Instituzioni  e  di  Storia  di  diritto  privato  romano.  Per 
•^^o  «cademìco).  ^eìpvg,  Tauchni^  1887. 

^57-  Schiller  H.  Geschichte  der  rómischen  Kaiserrcit.  IL  Bd. 
(Storia  deirimpero  romano,  voi.  a").  Gotha,  Perthts,  1887. 

^1*^  ScHROETER  (De)  R.    Vedi:  Roussel  N. 

^^^  ScHucHARDT  U.  Romanlschcs  und  Kcltisches  (Romani  e 
C«lti).  BMiftj  Oppenheim,  1887. 

^  ScHULTZE  E.  De  legione  Romanorum  XUI  gemina.  Disser- 
^■•w  Inauguralis.  Kieì,  Lipsitts  wtd  Tischtr,  1887. 

**•  ScHL'LTZE  V.  Geschichte  der  Untergangs  des  griechisch-rórai- 
•^tn  Heidenturas.  I.  Staat  und  Kirche  im  Kampfe  mit  dem 
^«dcotum  (Storia  della  caduta  del  paganesimo  greco-romano. 
^  Stato  e  Chiesa  in  lotta  col  paganesimo).  Jena,  CostenobU. 


* 


37^    Vubblìca-{ioni  relative  alla  sto 


262.    Seidel  e.    Montesquìeu's  Verdienst  um  ( 
(I  meriti  di  Montesquieu  ìn  ordine  alla  sta 


Histoire   de  la   civiUsa 

264.  Seipt  O.    De  Polybii  olympiadutn  rat 
primo  quaestiones  chronologicae. 

265.  Serre.    Études  siu  l'histoire  marìtime. 
et  des  RomaiDs. 

266.  Sforza  G.  Papst  Nicolaus  V.  HeimaJ 
Deutsche  Ausgabe  von  Hugo  Th.  Horak  ^ 
sua  patria,  la  sua  famiglia  e  la  sua  giov< 
per  U.  T.  H.).  In 

267.  Specimina  paUeographìca  regestonim  I 
ab  Innocentio  III  ad  Urbanum  V. 

RotHtu,  tx  a 

268.  Steikhausen  G.  De  legum  XII  tabù 
zioae  di  Greifswald,  1887. 


269. 


Stoffel.     Histoire  de  Jules  Cesar,  Va 


270.  Tacci  C.  Della  fabbrica  della  cattedrl 
archeologico-storico  In  omaggio  a  Leone 
sacerdotale.  Rq 

Tamassia  G.    I  ceUres, 


—    Bologna  e  le  sue  scuole  imperiali 
VArchivio  giuridico,  voi.  XL,  fase.  1-2).      j 

Bologna,  FÌ( 

,    Terreno  G.  A.    Compendio  di  storia  n 


"^ubblicajioni  relative  alla  storia  dt^oma    377 


276.  ToMMASiNi  Oreste.  Il  registro  degli  officiali  del  comune  dì 
Roma  esemplato  dallo  scriba  del  Senato  Marco  Guidi,  (Estratto 
dagli  Atti  dell'Accademia  dei  Lincei).     Roma,  tip.  dei  Lincei,  1888. 

Ì77.  Tordi  D.  La  pretesa  tomba  dì  Cola  dì  Rienzo;  due  memorie 
e  una  lettera  del  sindaco  di  Roma.  (Estratto  dal  giornale  II Buo- 
narroti, serie  HI,  voi.  Ili,  quad.  II-IlI). 

Roma,  tip,  dille  Scienie  matematichi  e  fisiche,  x888. 

jSt    Tosti  L.     Prolegomeni  alla  storia  universale  della  Chiesa. 
Roma,  tip,  della  Camera  dei  deputati,  1888. 


279- 


—     Storia  del  Concilio  di  Costanza. 

Roma,  Pasquahicci,  1887. 

aSo.     Trincuerx  T.     Studi  salla  condizione  degli  schiavi  in  Roma. 

Roma,  1888. 

aSi.    Vaglieri  D.    Le  due  legioni  adiutrìci. 

Roma,  Pasqualucci,  1888. 

382,    ViccHi  L.    VìncenKO  Monti,  le  lettere  e  la  politica  in  Italia 
dal  1750  al  1850  (sessennio  1794-1799).      Roma,  Foriani,  1887. 


»8j.     ViGNEAUX.     Essai  sur  Phistoire  de  la  Pracfectura  urbis  h  Rome; 
suite  de  V Auditorium  du  Praejectus  Urbis,  (Dalla  Revue  generale  du 
I  droit,  luglio-agosto,  1887). 

I 

284.    ViNE  F.  T.     Caesar  in  Kent,  and  account  of  the  landing  of 
Julius  Caesar  and  his  batilcs  with  the  ancient  Britons.  With  some 
!  account  of  early   British  trade  and  enterprise  (Cesare   a    Kent 

I  Racconto  dello  sbarco   di  Cesare  e  delle  sue  battaglie  cogli  an- 

tichi Brettoni).  2'  edizione.  Lcnàont  Stock,  1888. 

^Ss.  Volpini  S.  L*apparuracnto  Borgia  in  Vaticano  descritto  ed 
illustrato.  Roma,  tip.  della  Buona  stampa,  1887. 

a%é.  Voss  W.  Die  Verhandlungen  Pìus  IV  mit  den  Icatholischen 
Mìchten  ùbcrdieNeubenjfungdesTridentinerConcilsimJahrei  560 
bis  Kum  Erlass  der  Indictìonsbulle  vom  29  Novcmbcr  desselben 
Jahres  (Le  trattative  dì  Pio  IV  colle  potenze  cattoliche  per  la 
ricoovocazione  del  Concilio  di  Trento  nel  1560  fino  alla  promul- 
gazione della  bolla  d*  indizione  del  29  novembre  dello  stesso  anno). 

Leipiig,  Fock,  1887. 

*^7.  Watekwort  Th.  The  canons  and  decrecs  of  the  sacred  and 
occumenical  Council  of  Trent  celebraied  under  the  sovereign  poa- 


^. 


■ _^-^_-., — _  ■_^_^-^^_^ — . 

/ 

Gb»&i9  UL  t  PI)»  W^  e  saggi  Mlh  «K*te  lMalk#  «d  «ttcMM  dd 
CoociUo).  2'  cdisione.  Iohìm,  Am»  «•<  CXrtn^  1888. 

aSBb.  WaRMunniP.  Za»  G^schidMe  da»  goarimfcni  YdOntAmtf 
(Per  k  stork  del  triboiut»  M  |«pol<>  iWiMU^^  PiUgriiMia  tfn- 
«Miri»  A  SMlfM^  1887. 

28^  Wmoow  W.  IL  The.  citaoombs  of  Rone  aad  tibeìr  iMtì- 
aKxgr  vektive  to  pdmitive  Cluistianity  (te;  cefcomhe  <K  Roma 
e  le  loro  testìmonianse  intorno  al  Ctistknediiio  primitivo). 


Pubblicazioni  ricevute  in  dono  dalla  Società. 


SGULMERO  Pietro.  Sommario  di  afTari  d*  Italia  divìsa  in  suoi  Dominij 
con  rentrale,  speso,  forze,  aderenze  con  altri  Principi.  —  Vtrona,  tipo- 
grafia Franchini,  1888,  pag.  30,  in-8. 

SCRIPTORES  ORDINIS  S.  IMÌNEDICTI  qui  1750-1880  fueruni  in  Im- 

perio  Ausiriaco-Hungarico. —  f'/Wo/'omir-,  ex  typis  A.  Holzauscn,  18H1, 

pag.  600,  ìn-.$. 
VOGEL  P.  Adalbcrt.     Die  Benedictiner-Colonie  Ncw-Engciberg  in  Con- 

ceptìon  im  Staate  Missouri,  Nordamerìka;  gegrùndet  8  Deceraber  1879. 

—  Briim,  tip.  Rudolf  M.  Rohrer,  1882,  pag.  4,  in-8. 

WOLESGRUDER  Dr.  Còlesiin.  Drei  Maurlner  Studien  zur  Imitatio,  — 
Btùnu,  tip.  dei  Benedettini,  1885,  p.ig.  78,  in-8. 

MITTENNULLER  P.  Rupert.  Register  zu  dem  14  Bànden  dcr  crsten 
sjcbcn  Jflhrg.ingc  (18^0-1886  inel)  der  Studìcii  und  Mitthcìlungen  aus 
tiem  Beoedecttncr  und  dcm  Cistercienser-Orden.  —  Ihùitu,  tip.  dei  Bc- 
neiiettini,  1887»  pag.  64,  in-8. 

RINGGOLZ  P.  Odilo.  Der  licìligc  Abi  Odilo  von  Cluny  in  seincm  Lcben 
uncl  \VÌrki:n. —  Hrùnn,  tip.  dei  Benedettini.  1885,  pag.  126  e  Lxxxii,  in-8. 

WICHNER  P.  Jacob.  Eine  Admontcr  Todicnrotel  des  15  Jahrunderts,  — 
Brùtin,  tip.  dei  Benedettini,  18S4,  pag.  106,  in-S. 

RICKENBACH  (von)  P.  ìleinr.  Ein  Gang  xur  Wiege  dcs  hcil.  Bencdict. 
—  BràHHf  tip.  Rudolf  M.  Rohrer,  1888,  pag.  79,  in-8. 

L-A.GER   (Dr.).  —  Die  Abici  Gorzc  in  Lothrìngen.  —  Brmn,  tip.  dei  Bene- 

Jcttini,  18S71  Pi^g-  9-»  »"-^- 
METTEN  (in)  P.  Arabrosius.    Die  crste  Kirchenvcrsammlung  auf  dcuschem 
Hod^n.  —  Brwtn,  tip.  deì  Benedettini,  1X83,  pag.  50,  in-8, 

AJULLER  P-  Johann  B.  P.  Manin  da  Fay  de  Lavaliaz,  Bencdictincr  von 
^|jf-];i-Einsìcdclm  (1735-1832),  sein  Beruf  zum  Kloster,  scine  Erlcbnisse 
in  Jcn  Xagcn  dcr  franz  Revolution. —  Brùnn,  tip.  Rudolf  M.  Rohrer,  1880, 

pai^.   2  1»  >"-*** 
11IPKESB-*^C^  (von)  P.  Heinrich,     Ein  besuch  auf  dem  Berge  Athos.  — 
Brùnff»    **P-  ^**J^^  ^*-  R«^hrcr,  1881,  pag.  32,  in-8. 
n'e    Insel   SarJinlen  von  der  Hcrrschaft  dcr  Ròmer.  Historisch-archao- 
I    e\sc\'^^  Siudien.  —  Bninn^  tip.  Rohrer^  1882,  pag.  39,  in-8. 
n»  Ari>JMt-^L^^^  ^'  '^^-'nedict.      Reìche  der  .Aebic  von  St.  Emmerani  in 
R CKcn 5 1> ***■&-  —  Brùnn,  tip.  dei  Benedettini,  1883,  pag.  16,  in-S. 
Imr»  <i  AT^yi  I     Michele.    Memorie  delle  famiglie  noccrine.  Voi.  I,  —  ìVj/c/i, 

.       Lanciano  e  D'Ordia,  1888,  pag.  311,  in-8. 
tip*    *-*"^ 


Presso  la  seJe  della  vSocJera  si  possono 
stire  le  pubbliciizioni  sociali  alle  condizioni  se;^ 

archivio  della  Soci'ià  romima  di  sìoria  patri. 

Voi.  I L.  il.  15     ]     VoL  IV  L 

»     II »      15  ))     V. 

«     III t,      15  t>     VI 

Archivio  della  R.  Società  remami  di  storia  rh:ìria  : 
Voi.  VII.  .  L.  ir.  15     I     VoL  IX  .  .    L.  :i.   i| 


VII! 


X,  - 


Si  cederanno  fascicoli  o  volumi  separati  della  collezione, 
esistano  nella  serie  esemplari  scompleti  ed  in  ragione  iìrl  nnnicr 
ctic  ne  esistc- 

PCBBLICAZIOXI  LIBERE  : 


Regesto  di  Far/a 

Voi.  II    .      .  .      .  L.  it.  25 

»     III i>      25 


Diari  di  ^Consiiiti,  .-im.  :-)ai:\ 

Introduzione  (con  ritratto 
rame) I..  it. 

Voi.  I . 


L,  it.  I. 


Regesto  Stiblactìtsc  ^     zi, 

1)      1 1 1 

Voi.  unico L.  it.  2)  »     IV  .  . 

ISConumcHti  paUo^rafici  di  Tipma 

Fase.  I L,  it.  14,  90  I  Fase.  II.  .  .  , 

D'imminente  pubblicazione: 

Facsitnili  di  Diplomi  Imperiali  e  Reali  ddìf  CaìicelUrie  d'Italia 

Indice  dei  primi  dieci  vohtmi 
delf  Archivio  della  Società  romana  di  storia  patria  (VoL    I-^ 
e  della  R.  Società  rommui  di  st.  patria  (VoL  VII-X). 


L'unico  indirizzo  per  chi  voglia  corrispondere  colla  R»  S 
romana  di  storia  patria,  0  farie  invio  di  lettere,  plichi,    libri^ 
pubblicazioni  di  qualsiasi  genere,  è  il  seguente: 

^lla  %  Socielà  romana  di  storia  patria^ 

Biblioteca  Vallicclliana 
(Ex-convcnlo  Je' Filippini)  T?rf^mi1 


ROMA.  Forzasi  E  C, Tip.  del  Senato. 


A.  GABRIELLI.     L'epìstole  di  Cola  di   Rienzo   e   repistologrifia 
medievale pag. 

O.  TOMMASINI.    11  Diario  di  Stefano  Infcssura.  Studio  prepara- 
torio alia  nuova  edizione  di  esso 481 

L  GIORGL    Storia  estema  del  codice  Vaticano  del  «  Diumus  Ro- 

manorum  Pontificuro  »      , -641 

Varietà  :  ! 

C.  CASTELLANI.     Lettera  de»  Conservatori  ad  Alessandro  VI 
sul  ricevimento  di  Carlo  Vili  in  Roma .      691 

Atti  della  Società  •    •     •. ^ìì 

Bibliografìa  : 

Alessandro  Ghorardl.  Nuovi  ilacumenti  e  ttuii  intorno  a  Giratsmo  Sa- 
VonaroU.  Seeonda  ctìirionc  cmcniAta  e  «ccrciciu»,  —  Pireo»,  Sansoni,  iSSy* 
la»,    pp.    XII -400  (F.    C,    PtLLEORINl) TU  ^ 

Prolegomena  xum  Lit>«r  Dturaus  I  von  Tb.  R*  VOD  Sickcl  virkl.  ITitgUedc 
dcr  Kais.  Alademie  der  Witienscbifien.  Mlt  clner  Tafcl.  [Siixungsbcrichtc  der 
Kais.  Akademìe  iler  Wt»»eiischafteo  in  Wien.  PhiloiophUcbe-Hiatorùcbe  CUau. 
Band  CXVn.)  (I    G.) ^ix] 

Sfpedmiat  palacof^fica  r«ge«ionun  RomiDonun  poatificum  ab  Innoceatlo  tlt 
■d  Urbanum  V.  —  Romae,  a  archivio  Valicano,  tSRR  (G.  L.)    -  , .  7^»  1 

Notizie       ...  7j^i 

Periodici  (Articoli  e  docunaentì  relativi  alla  storia  di  Roma)  741 

Pubblicazioni  relative  alla  storia  di  Roma 74^ 


U  EPISTOLE  DI  COLA  DI  RIENZO 


E    L'ETISTOLOG%AFIA    94EDIEVALE 


L  'Istituto  Storico  Italiano,  dietro  proposta  di  que- 
sta Società  di  storia  patria,  si  prepara  a  pubbli- 
care tra  breve  una  completa  raccolta  delle  lettere 
di  Cola  di  Rienzo, 

Pare  pertanto  opportuno  che,  quasi  parallelamente  al- 
rcdizione  dell' Epistolario,  si  riassumano  in  un  breve  scritto 
i  resultati  delle  ricerche  fatte  intomo  alle  lettere  di  Cola 
e  ai  manoscritti  che  ce  le  hanno  tramandate. 

Ma  lo  studio  deirepistolario  d'un  personaggio  sto- 
rico come  Cola  di  Rienzo  non  poteva  non  indurre  chi 
Fha  tentato  ad  allargare    lo  sguardo  eziandio   a   tutto   il 

iplessivo  sviluppo  che  venne  prendendo  nel  medio  evo 
la  forma  epistolare,  cosi  generalmente  diffusa  e  cosi  co- 
piosamente illustrata  da  tutta  quell.i  curiosa  letteratura  che 
è  costituita  dai  Dictarnina  e  dalle  Summac  medievali.  Pe- 
rocché, nel  riandare  la  nostra  istoria  letteraria  e  nel  pas- 
sarne in  rassegna  i  generi  più  comunemente  trattati,  a 
nessuno  può  sfuggire  il  fatto  della  speciale  e  simpatica 
predilezione  con  cui  gì'  Italiani  sempre  si  volsero  alla 
(otmù.  della  lettera.  I  numerosi  trattati  medievali  di  epi- 
stolografia, dove   le  regole   s'alternano   cogli   esempi,  la 

archivio  delia  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI.  s6 


382 


C^.  Gabrielli 


teoria  s'accoppia  alla  pratica,  Sparsi  in  gran  numero  per 
tutta  r  Italia,  presentano  alle  odierne  ricerche  un  arap 
quasi  affano  inesplorato,  dal  quale  potrebbe  non  solamente  ' 
venir  fuori  un  sussidio  prezioso  alla  nostra  storia  civile,  ma 
anche  discoprirsi  una  faccia  interamente  nuova  della  vita 
del  medio  evo.  Eppure,  a  questo  argomento,  cosi  essen- 
zialmente nostro,  cosi  schiettamente  italiano,  gli  studi  ita- 
liani s' indirizzarono  fino  ad  ora  con  assai  mediocre  op^ 
rositi* 

Queste  considerazioni  mi  trassero  a  reputare  non  inu- 
tile che  a  quella  parte  del  presente  scrino,  dove  più  spe- 
cialmente si  discorre  dell'  Epistolario  di  Cola,  un'altra  ne 
andasse  innanzi,  che  riassumesse  gli  studi  finora  intrapresi 
su  l'epistolografia  del  medio  evo,  e  sentisse  sopratuno  a 
questo  scopo:  dar  modo  a  chi  legge  riunite  le  lettere  del 
tribuno  di  vedere  quali  tra  gli  elementi  già  acquisiti  al- 
Tanteriore  coltura  italiana  ancora  vi  sopravvivano. 

Lo  stesso  ordine  naturale  del  nostro  tèma  richiede  che 
prima  si  passino  rapidamente  in  rassegna  i  principali  dieta- 
tores  italiani  (della  Francia  s'avrà  a  parlare  solunto  per 
incidens),  e  poscia  s'esponga  sinteticamente  il  contenuto 
comune  a  tutti  i  tratuti  d'epistolografia  medievale. 


L 


Uno  scritto  che  voglia,  per  così  dire,  coglier  resscna 
di  quelb  caraneristica  forma  letteraria  che  fu  l'epistola  nel 
medio  evo,  non  può  prescindere  dalla  relazione  in  cui  essa 
trovavasi  non  solo  colle  altre  parti  dell' insegnamento  di 
quel  tempo,  ma  con  tutta  la  coltura  generale  dei  secoli  xt, 
xn  e  XIII.  Ora,  chi  a  questa  ponga  mente,  non  può  non 
riconoscere,  appena  sul  principio  deirxi  secolo,  il  progresso 
che  s'andava  operando  nello  spirito  umano,  quando  accanto 
alla  scienza  divina,  alla  teologia,  che  teneva  il  primo  posto 


Intorno  all'epìstole  dì  Cola  di  7^/>«;o       383 


^Oi 


cir  insegnamento  delle  scuole,  cominciavano  a  trovar 
luogo  più  onorevole  quelle  cognizioni  seitipliccnicnte 
umane,  che,  qu.tle  retaggio  dell'antichità  latina,  s'andarono 
aggruppando  sotto  le  fiimose  denominazioni  di  Trivio  e 
di  Quadrivio. 

Tutto  il  sapere  adunque  (lasciando  da  un  lato  la  teo- 
logia^  e  dall'altro  l'aritmetica,  la  geometria,  l'astronomìa 
e  la  musica,  che  costituivano  il  Quadrivio)  riassumevasi 
allora  nelle  tre  scienze  del  Trìvio  :  grammatica,  retorica  e 
dialettica.  Ma  (e  questo  è  il  fatto  più  notevole)  ecco  che 
il  campo  da  principio  assai  ristretto,  che  queste  tre  disci- 
pline comprendevano,  viene  di  mano  in  mano  allargato 
per  opera  della  scuola,  la  quale,  pur  non  uscendo  dalla 
tradizionale  divisione  del  Trivio,  estende  Ì  confini  del  sa- 
pere e  v'  introduce  elementi  nuovi. 

E  invero,  se  ci  proponessimo  guardare  alla  dialettica, 
vedremmo  la  sua  importanza  penetrare  grado  a  grado  in 
mai  i  rami  del  Siipere,  non  esclusa  la  slessa  teologia.  Già 
prima  del  secolo  xn,  più  che  mai  spiccata  si  manifesta 
negli  spiriti  la  tendenza  airargomentazione  e  alla  disputa: 
un  cambiamento  quasi  radicale  di  metodo  e  di  termino- 
logia s'opera  nelle  scuole  :  Aristotele,  nuovo  oracolo,  vi 
stabilisce  illimitato  il  suo  impero.  Così  Io  spirito  umano, 
pur  restando  nell'ambito  delle  sette  scienze  tradizionali, 
sottostanti  alYalta  scienza  (come  allora  dicevasi),  alla  scientia 
divinarnm  rerum,  fa  un  passo  notevole  in  avanti,  e  getta 
me  le  basi  d^un'  istruzione  secolare. 

Ma,  anziché  il  cammino  della  dialettica,  a  noi  importa 
seguire  quello  delle  altre  due  scienze  a  lei  compagne. 
Grammatica  e  retorica  s'andavano  anch'esse,  quasi  paral- 
lelamente alla  dialettica,  ampliando  e  sviluppando,  ed  anzi 

alcune  parti  d'Europa  la  retorica  pigliava  addirittura  Q 

■avvento  su   la  scienza  del  disputare  e  del  ragionare. 

appunto  avveniva  in  Italia  ;  e  che  v'avvenisse  parri 

n  naturale  sol  che  si  pensi  come  presso  di  noi  lo  studio 


j84 


q4.  Gabrielli 


del  dirino  non  fosse  mai  cessato  del  tutto  e  come  glo- 
riosamente l'università  di  Bologna  stesse  a  capo  di  quel-* 
r  insegnamento.  Ora,  che  allo  studio  del  dirino  and 
per  antichissima  tradizione  letteraria  più  specialmente  le- 
gato quello  della  retorica,  è  cosa  che  non  occorre  ripetere 
e  tanto  meno  dimostrare.  Basti  solamente  notare  come  di 
quella  connessione  si  può  trovar  prova  sin  dal  secolo  x^ 
se  si  ricordi  quel  Sigifredo,  che,  quale  index  sacri  paìntiA 
in  Pavia»  congiungeva  tra  il  974  e  il  1104  l'esposizione 
e  lo  studio  del  diritto  alla  retorica  (i). 

In  seguito,  questa  felice  commistione  degli  studi  lette-' 
rari  coi  giuridici  viene  sempre  meglio  fissata  dal  meravi- 
glioso sviluppo  deir^in  noiaria,  che  raggiunge  in  Bologna 
il  suojuassimo  fiore  (2).  A  mano  a  mano  che  il  notaio 
medievale  dal  suo  umile  ufficio  primitivo  saliva  ad  occu-^ 
pare  nella  vita  sociale  quelF  importantissimo  luogo  a  cui 
potè  pervenire;  a  mano  a  mano  che  l'azione  di  lui  s'aa-^ 
dava  estendendo,  e  mutavasi  e  rinvigorivasi  la  sua  coltura; 
sempre  più  appariva  la  necessità  ch'ei  sapesse  anche  di 
retorica  e  di  grammatica,  e  cosi  queste  due  scienze  s'an-J 
davano  nel  medio  evo  ognor  più  avvicinando  alla  giuri- 
sprudenza, colla  quale  finivan  quasi  per  fondersi.  E  chi 
misuri  l'altezza,  cui  nel  paese  nostro  arrivò  da  un  lato  la 
retorica,  che  Boncompagno  qualificava  «  liberalium  artiufn 
imperatrix  et  utriusque  iuris  alumna  »,  e  dall'altro  il  diritto,^, 
non  sa  se  maggiore  debba  ritenere  la  gloria  venutaci  dj 
questo  o  da  quella. 

Sotto  la   denominazione   di   retorica    vennero,  com'i 
noto,  a  collocarsi  molte  discipline  secondarie,  che  ad  cssxl 


(r)  Merkel»  Appunti  per  la  st.  d^l  Dir.  Long.  Ili,  }i  e  }2  (trad.1 
di  E.  Bollati),  in  appendice  al  Savigny,  Si.  dtl  Dir.  Rom.  irW  M,  £.q 
Torino,  1857, 

(2)  Cf.  il  cap.  Ili  del  recente  lavoro  di  Frakcesco  NoVATt,  , 
giovinetta  di  Coluccio  Salutati  (Saggio  d'un   libro   sopra   la  vita,  le] 
opere,  i  tempi  di  C.  S.);  Torino»  Loeschcr,  i8ft$. 


Intorno  all'epistole  di  Cola  di  ^en-^o       585 


in  qualche  guisa  si  ricongiungevano;  ma  tutte,  si  può  dire, 
furono  sopraffatte  dall'ari  dictuthii  0  pratica  dictatoria,  ri- 
guardata per  secoli  qual  parto  principale  degli  studi  retorici. 
Scienza  non  nuova  certamente  pel  medio  evo  era  questa 
dell'epistolografia;  ma  fu  senza  dubbio  portato  nuovo  dei 
secoli  XI,  XII,  XIII  tutta  la  riduzione  a  sistema  ch'essa  ebbe 
a  subire. 

5  Agli  scrittori  medievali  riusci  straordinariamente  cara 
la  forma  epistolare.  Antichissima  era  la  tradizione  dellV^"- 
stoìa  e  rimontava,  si  può  dire,  a  Sidonio  Apollinare.  E  dopo 
di  lui,  che  lunga  serie  di  scrittori,  ai  quali  questa  parve 
la  forma  più  adatta  alla  sincera  espressione  del  pensiero! 
Alenino,  Eginardo,  Servato  Lupo,  Fulberto  Carnotense, 
Ivo  Carnotense,  Lanfranco,  IlJcberto  Cenomanense,  Pietro 
il  Venerabile,  San  Bernardo,  Giovanni  Sarisburicnse,  tutti 
questi  ed  altri  molti  lasciarono  lettere,  che,  o  trattassero  di 

faf&ri  privati,  o  di  cose  pubbliche,  andavan  sempre,  ugual- 
mente celebrate,  per  le  mani  di  tutte  le  persone  còlte  di 
que'  secoli. 
Ma  questa  lunga  tradizione  letteraria  sarebbe  forse 
stata  insufficiente  a  produrre  cosi  rigogliosa  fioritura  del- 
Vars  dictandi,  se  non  v'avesse  concorso,  quale  cagione 
anche  più  diretta  e  immediata,  il  fatto  che  Tane  dello  scri- 
ver lettere  scaturiva  da  un  bisogno  urgente  della  vita  so- 
ciale del  medio  evo.  L*opcra  del  dictaior  era  cercata  do- 
vunque e  largamente  retrihuita:  non  solo  le  cancellerie,  e 
specialmente  T  imperiale  e  la  papale,  sentivano  ogni  di  più 
la  necessiti  di  dictatorcs,  ma,  anche  tra  i  privati,  ogni  uomo 
d*una  certa  levatura  doveva  aver  sempre  a  lato  i!  suo  scriba, 
U  suo  clcricus  Oy  come  dicono  i  tedeschi,  il  suo  Pfaff.  Poi 
Vennero  i  comuni,  e  con  loro  quel  gran  numero  di  notai 
I  che  dallo  scriver  lettere,  dal  redigere  note  ufficiali  traevano 
non  soltanto  i  mezzi  di  sussistenza,  ma  gloria  ed  onori 
insperaci.  A  chiunque  fosse  in  condizione  di  saper  com- 
porre lettere  sui  più  svariati  argomenti  non  mancava  mai 


;86 


0.4.  Gabrielli 


una  posizione  elevata,  e  sovente  toccavano  le  più  ambir» 
fortune. 

Di  questi  futuri  impiegati  delle  varie  cancellerie,  semen- 
zaio copioso  erano  sopratutto  le  scuole,  dove  Li  compila- 
zione d't'pistolc   fu   esercizio  quotidiano  e  usuale  fino  di^- 
tempi  di  Carlo  Magno.  É  noto  infatti  ciò  che  narra  la  ero 
naca  del  monaco  di  San  Gallo  (i):  che,  cioè,  quell'im- 
peratore, visitando  di  persona  le  scuole,  voleva  che  gli  si 
mostrassero  tutti  i  compili  degli  scolari.  E  che  cosa,  seconde 
la  cronaca,  gli  veniva  sempre  posto  sott'occhio?  Sempre  :z^ 
epistolas  et  carmina. 

Dinanzi  a  una  forma  letteraria  cosi  popolare,  cosi  amo — 
resamente  accarezzata  dagli  scrittori,  cosi  strettamente  con — 
nessa  alla  vita,  come  Vepistola,  non  poteva  non  afferm 
più  che  mai  viva  quella  tendenza,  tutta  propria  delle  meni 
medievali,  a  ridurre  ogni  parte  dello  scibile  a  fomìule  fisse^, 
a  sistematizzare  quasi  meccanicamente  il  sapere. 

Alla  copiosa  letteratura  epistolare   segue   cosi  un'al 
letteratura,  più  curiosa  e  più  caratteristica,  che  in  cena  guis*^ 
si  rifl  sulla  prima,  e  la  studia,  e  ne  trae  norme  e  precetti^: 
cominciando  dalla  definizione  (2)  dclYcpisloIa  e  terminand 
a  prefiggere  ad  essa  le  regole  più  minute,  a  enumerarti 
le  singole  parti,  a  dar  certi  speciali  metodi  atti  a  formarla. 
E  non  al  solo  insegnamento  teorico  limitavasi  la  Summa  :  "^ 
essa  presentava  anche  formule  gii  beli*  e  fatte,  esempi  di  5  * 
lettere  adattate  alle  più  varie  circostanze  della  vita. 

(i)  Lìb.  I,  cap.  UL 

(2)  Tra  le  infinite  definizioni  deirepistola  che  potrebbero  cit^irsi,  «^-*" 
scelgo  quella  chV-  forse  la  più  antica  del  medio  evo  e  che  sì  legge  ^^3 
nelP^r;  dictandi  d* Alberico  da  Monte  Cassiko: 

«  Est  (ìgitur)  epistola  congrua  scrmonum  nrdinaùo  ad  exprìmen 
«  dam  inleniionem  dcHegantis  instituta..  Vcl  alilcr  epistola  est  oraticc:>- 
«  ex  consitturis  sibi  partibus  congrue  ac  dìstincte  composita,  dcle— ^^^ 
«  gantis  affcctum  piene  significans  ». 

Vedi  anche  la  definizione  di  Boncompagno  Fiorentino  od  co* 
dice  C,  40  (f.  13)  della  biblioteca  Valliccllianft. 


e:^ 


Intorno  all'epistole  di  Cola  di  ^en^o        387 


^' 


Invece  di  persone  e  di  luoghi  veri,  ora  troviamo  sem- 
plicemente delle  iniziali,  oxn  una  o  due  N;  talvolta  uno  o 
più  punti,  altra  volta  un  iaìis  o  tale  o  de  tali,  ecc.  Perfino 
certe  simulate  note  imperiali  o  papali  eran  compilate  dai 
Jictiitorcs  sulla  base  di  fatti  gi:\  noti,  che  sì  utilizzavano  op- 
portunamente nei  modelli  redatti  per  favorire  la  pigrizia 
dei  numerosi  epistolografi  d'allora. 

Di  tutta  quest'attività,  scuola  e  notariato  ci  appaiono 

due   massimi  fimori.    Le  Summac  dictuminum   venivansi 

moltiplicando  accanto  ai  formulari  notarili,  e  Vars  lUctandi 

e  Yars  notarla  si  sviluppavano  parallelamente,  spesso  in- 

I      centrandosi  e  Tuna  penetrando  nell'altra. 

fl  Sono  -  scrive  il  Novati  (i)  -  come  due  correnti  che, 

sgorgate  dalla  medesima  fonte,  dopo  aver  corso  per  alvei 

separati  e  discosti,  si  vennero  poi  di  nuovo  ravvicinando, 

e  finirono  per  occupare  il  medesimo  letto,  senza  confondere 

^^erò  dei  tutto  le  loro  acque  ». 

^V  II  Rockinger,  che  dottamente  ragionò  dell'ijrj  dktandì 
^^in  una  sua  breve  e  succosa  memoria  (2),  non  dubita  di 
ritenere  che  tutta  quest'  interessante  letteratura  dei  Dieta- 
mina,  la  quale  accompagnò  e  segui  lo  svolgimento  àzWepi- 
stola  medievale,  sorgesse  propriamente  in  Italia.  Egli  è  in- 
fatti con  Alberico  da  Monte  Cassino  che  la  teoria  dell'ara 
dictatidi  s'annunzia  per  la  prima  volta  quasi  completa  e 
assume  tutri  i  principali  caratteri  che  poscia  le  rimasero. 

Alberico  ci  appare  come  un  vero  caposcuola.  La  sua  Jrs 
dictandi  è  come  la  guida  della  scienza  dictatoria  dei  medio 


IL 


I 


(1)  Op.  cit.  p.  72. 

(2)  Die  Ars  dictandi  in  ItaVun   in  Sit-^imgsherichte  der  kòntg.  hayer, 
Madtmit:  dcr  ÌViiSimcbafictit  1861,  1,  Heft.  I;  Monaco,  1861. 


3S8 


C/ì.  Gabrielli 


evo,  e  costicuisce  il  fondo  comune  a  pressoché  tutte  le 
Summae  che  con  questo  o  con  nome  simile  produsse  in  se- 
guito l'Italia.  Poche  modificazioni  vennero  infatti  recate 
alle  teorie  d'Alberico  dai  dictatores  che  seguirono  presso  di 
noi.  E  che  lunga  e  gloriosa  schiera  se  n'ebbe  l  K  quanti 
nomi  in  essa  si  ritrovano,  notissimi  anche  a  chi  non  s'oc- 
cupi del  nostro  tòma!  Noi  entreremmo  senz'altro  a  ricor- 
dame almeno  i  più  illustri,  se  non  d  occorresse  prima  ac- 
cennare allo  sviluppo  che  Vars  dictatoria,  nata  in  Italia  e 
quasi  fissata  da  Alberico  da  Monte  Cassino,  andò  prendendo 
anche  in  Francia,  dove  una  scuola  particolare  sorse  e  si 
contrapo-^c  alh  tradizione  italiana. 

Il  costituire,  come  abbiamo  detto,  Tarte  epistolare  la 
principal  parte  della  retorica,  portò  per  conseguenza  che 
dall'  Italia  essa  passasse  in  Francia  nel  tempo  stesso  che  vi 
trasmigrava  eziandio  la  scienza  del  diritto.  Ecco  pertanto 
apparire  accanto  alle  Summae  dei  maestri  italiani  quelle  di 
maestri  francesi,  e  fiorire  già  prima  del  secolo  xiii  gran  nu- 
mero di  dictatores  ultramontani,  i  quali  esclusivamente  de- 
dicavansi  a  insegnar  l'arte  dello  scrivere  lettere,  e  ai  loro 
trattati  attribuivano  il  miracoloso  potere  di  far  d'un  analfa- 
beta il  più  abile  redattore  d'epistole  ! 

Tutti  questi  maestri  di  Francia  facevan  capo  ad  Orléans, 
dove  s'andò  formando  quasi  una  scuola-madre  dell'arte 
epistolare.  Ma  Orléans  non  era  per  loro  un  gran  centro  di 
coltura,  e  nuli* altro:  quella  scuola  divenne  anche,  per  cosi 
dire,  un  posto  di  combattimento,  E  la  lotta  ardeva  special- 
mente contro  Tuniversità  di  Parigi,  al  cui  sistema  di  studi 
i  maestri  d'  Orléans  s'opponevano  con  bell'ardimento,  A 
Parigi  infatti  imperava,  signora  assoluta,  la  teologia,  e  la 
filosofia  aristotelica  e  la  logica  le  tenevan  bordone  :  a  Or- 
léans, per  contrario,  il  dominio  spettava  alla  retorica  e  alla 
grammatica,  hidc  trac  e  gelosie  e  satire  e  dispettucci  e  in- 
giurie tra  studenti  d'Orléans  e  di  Parigi,  e  questi  dare  ai 
loro  emuli  dei  Gomeriaux,  e  quelli,  alla  lor  volta,  porre  in 


Intorno  all'epistole  di  CoTaat^ten'^o       389 


burletta  la  logica  e  chiamarla  collo  strano  appellativo  di 
QniqucUquc*,,  (i).  Tutta  insomma  una  guerricciola  inces- 
sante, pettegola,  cosi  bizzarramente  rappresentata  da  quel 
curioso  fabìicaux  ch'è  La  baUiiìk  de  stpi  arls  (2)  dell'  iro- 
nico Rutebeut.  Ivi  il  poeta  ci  mette  innanzi  la  Grammatica 
e  la  Logica,  la  dominatrice  d'Orléans  e  quella  di  Parigi, 
che  si  muovon  guerra  accanita.  Ciascuna  di  esse  forma 
un'armata  de*  suoi  vassalli  :  1'  esercito  d'  Orléans  non  ha 
che  poeti  antichi  e  qualche  prosatore  contemporaneo;  per 
contrario,  quello  di  Parigi  conta  fra  i  principali  combat- 
tenti Aristotele  e  Platone;  ma  nelPuno  e  nciraltro  campo 
l'ironico  Rutebeuf  non  tralascia  di  porre  qualcuno  degli, 
insegnanti  più  celebri  del  tempo.  Quanto  più  s*avvicina  il 
giorno  della  battaglia,  tanto  più  ì  due  eserciti  si  van  rinvi- 
gorendo: all'armata  di  Parigi,  oltre  i  due  simbolici  com- 
battenti, Trivio  e  Quadrivio,  s'unisce  anche  TAlta  scienza 
o  Teologia;  ma  a  questa  il  poeta  attribuisce,  in  cambio  del- 
l'armi ben  affilale,  una  voglia  matta  di  vino  buono. 

^m  Madame  la  Haute-science 

^K  A  Paris  s'en  vìm,  ce  me  samble, 

^^^^K  Boìvre  Ics  vìns  de  son  celìer, 

^^^H  Par  le  conseil  au  ctiancelier, 

^^^H  Ou  elle  avaìt  mouli  grani  fiance, 

^^^"  Quar  c'ert  le  meìllor  clerc  de  France  (?). 

'  Il  combattimento  è  bizzarramente  descritto  nell'allegro 
fablieaux.,  .  Fra  i  primi  che  rimangono  a  piedi,  ci  si  mo- 
stra nientemeno  che  il  povero  Aristotele  :  un  valoroso  ma- 
nipolo, composto  da  Persio,  Vergilio,  Giovenale,  Omero, 
,«cano  ed  altri  poeti  lo  schiaccerebbe,  se  in  suo  aiuto  non 


i 


(1)  «  Quiqtuìiqui,  Quiqiuìikih :  le  cri  du  coq,  pour  designer  quelque 
«  personnage  ìmpertinent  «  (Rociuefort,  Dictionnaire  dà  la  lan^ue  ro- 

(2)  K.]\JUWK\.^(liuvrts  ccmpìHcs  de  Rutebeuf,  trouvère  du  xiii*jrV- 
(k;  Paris,  Duffis,  tSyj,  voi  III. 

(})  Versi  79-86. 


390  C4.  Gabrielli 


sopravvenissero  tutte  le  sue  opere,  rappresentate  come  al- 
trettanti guerrieri.  Dopo  altre  strane  vicende,  la  povera  Lo- 
gica, stanca  dal  menar  colpi  a  destra  e  a  manca,  se  ne  fugge 
impaurita  verso  la  cittadeUa  di  Montlhery,  accompagnata 
dall'Astronomia;  ma  i  guerrieri  della  Grammatica  la  inse- 
guono senza  tregua. 

Qui  però  il  poeta  ci  fa  assistere  a  un  ben  strano  spet- 
tacolo: la  Retorica,  anziché  aiutare  la  Grammatica,  viene 
in  soccorso  alla  Logica.  E  la  battaglia  si  fa  sempre  più  ar- 
dente : 

Les  dames  ont  les  langues  lasses, 
Logique  fiert  tant  en  sa  main 
Q,u*ele  a  xnis  sa  cotelé  au  pain. 
Coutele  nous  fet  sanz  alemele, 
Qui  porte  manche  sanz  cotelé 
De  ses  braz  nous  fet  aparance, 
Lors  le  cors  n'a  point  de  substance. 
Rhetorìque  li  vait  aìdant. 
Qui  a  les  denìers  en  plaidant. 
Autentique,  Qode,  Digeste 
Li  fet  les  chaudiaus  por  la  teste; 
Quar  eie  a  tant  d*avocatìaus 
Qui  de  lor  langues  font  batiaus 
Por  avoir  l'avoir  aus  vilains, 
Quc  loz  lì  pais  en  est  plains  (i). 


Una  volta  assediata  nel  castello  dall'esercito  della  Gram- 
matica, la  Logica  manda  a  chieder  pace;  ma  il  messo  da 
lei  scelto  all'uopo  conosce  tanto  poco  le  regole  del  linguag- 
gio e  parla  cosi  goffamente,  ch'ò  rimandato  senza  manco 
essere  udito.  Ma  ecco  air  improvviso  operarsi  il  più  impre- 
veduto mutamento:  Astronomia,  alleata  di  Logica,  scara- 
venta sugli  assedìanti  una  terribile  folgoro,  che  brucia  le 
tende,  disperde  le  schiere  e  lo  mette  in  fuga. 

(i)  Versi  J)7-37i. 


Vcrslfièrcs  U  cortois 

S'eniiiì  entre  Ornen5  et  Bloìs; 

raesia,  cortese  ed  altèra,  non  s'aggira  più  per  la  Francia, 
^  Ove  domina  la  sua  rivale.  Ma,  conclude  il  poeta,  le  cose 
'^on  andran  sempre  cosi,  e  tra  qualche  anno  la  nuova  gè* 
'^^ro^ione  fari  della  Grammatica  il  conto  che  deve: 

Seignor  lì  Sì6cle$  vait  par  vaines: 
Emprès  forment  vendront  avaine^, 
Dusqu'à  XXX  anz  si  se  tendroDt, 
Tant  que  novcles  genz  vendront, 
Qui  rccorront  à  la  Gramaire, 
Ansi  com  l'on  soloìt  faire 
Q.uant  fu  nez  Henri  d'AnJeli 
Qui  nous  tcsmoigne  de  par  sì 
Con  doit  le  cointe  clerc  destruire 
Qui  ne  set  la  lecon  construire; 
Quar  en  toute  science  est  gars 
Mestres  qui  n*encent  bìen  ses  pars  (i). 

Dopo  ciò,  è  inutile  notare  che  anche  quella  parte  della 
Retorica,  che  concerneva  h  pnUica  dictatoria,  veniva  appena 
Coltivata  alle  scuole  di  Parigi  e  posponevasi  alla  teologia, 
alla  filosofia,  alla  dialettica. 

Specialisli  adunque,  come  diremmo  oggi,  deirarte  epi- 
stolare restavan  sempre  i  maestri  d'Orléans.  Ma,  pur  nel 
ristretto  campo  della  sola  epistolografia,  alla  più  insigne 
scuola  di  Francia  se  ne  contrapone  un'altra,  che  trova  la 
sua  naturai  sede  in  quella  stessa  Italia,  dove  le  teorie  del- 
Vars  dictatoria  si  erano  fissate  la  prima  volta,  e  precisa- 
mente nella  cancelleria  papale. 

La  curia  romana  non  aveva  molto  tardato  a  formarsi 
un  usus,  uno  stylus  suo  proprio,  contrasegnato  da  speciali 
caratteristiche.  Ciò  è  mostrato  da  una  serie  non  breve  di 


(i)  Versi  450-461. 


392  (Vi  Gabrielli 


attestazioni»  che  va  dal  Uber  diurnus pontificum  (i)  (sec.  vii. 
fino  a  quella  dataci  dal  fatto  che  sui  primi  del  secolo  xi 
un  papa  dichiarava  false  certe  lettere  pervenutegli,  solo  pei 
che  -  diceva  -  si  discostavano  a  dìctamim  e  a  stylo  dell 
curia  pontificia  (2). 

La  duplice  tendenza,  che  da  un  lato  metteva  capo  ad 
Orléans  e  dall'altro  a  Roma,  ci  si  mostra  sempre  più  accen- 
tuata pochi  anni  dopo»  quando  il  battagliero  Boncompagno 
Fiorentino,  nella  prefazione  del  suo  Liber  X  tabularum, 
scrive  cosi  :  «  Divisi  autem  librum  istum  per  tabulas,  ut 
«  omnes  quibus  placebit  et  precipue  viri  scholastici,  qui  per 
^falsam  et  siipersticiosam  doctrittam  Aurelianensium  hactenus 
(t  hac  arte  abtitebantur,  tanquam  naufragantes  ad  eas  recur- 
«rant  et  formam  sanctorum  patrum,  curie  romane  stylum 
«  in  prosaico  dictamine  studeant  imitari  »  (3). 

Ancora:  della  scuola  d'Orléans,  quale  contraposto  a 
quella  della  curia  romana,  trovo  fatto  cenno,  a  proposito 
del  cursus  o  tmmcruSj  nel  Candelabrum  di  Bene  di  Firenze, 
contenuto  nel  codice  Chigiano  I,  V,  174,  del  quale  dovrò 
occuparmi  più  innanzi  (4).  Appare  qui  pure  manifesta  la 
ditlerenza  tra  la  forma  epistolare  d'Orléans  e  lo  styìus  della 
cancelleria  papale.  Ecco  ciò  che  si  legge  nel  codice  Chi- 
ijiatìo  (e.  47  v'"):  «  Artificialis  est  illa  compositio,  que  le- 

\^ì)  Li>:r  Murnus  f'C'ntif.cum  Opera  et  studio  Ioannis  Garkeri; 
Vioiira,  1702. 

(^:>  « Litcris  ìpsis  diligentcr  inspectis,  ìpsi  rescripsimus  eas 

«  l.uw  c\  viicumiiio  quoJ  a  stvio  cancelleriae  nostrae  dìscrepabant, 
«  omn'mo  t.ilsas  esso  »  (^Innocenzo  IH  [i  198-1216],  XIV,  ep.  137). 

1^0  UiMiv-»tcc.i  Nazionale  di  Parigi,  ms.  lat.  8654,  fol.  125  v.  (Cf. 
plùiniian-i  il  proselito  scritto,  p.  406  e  sgg.,  dove  discorresì  di  Bon- 
vot^pa^Ki  vii  l'iroii.'o). 

^j"»  r  ,i;iv.ììo  vontcmito,  ma  senza  nome  d'autore,  nel  ms.  906 
\,l  *'  S.  Vi^uv^  vìe'.';,»  N.i.-.ionale  dì  Parigi.  (Cf.  C  Thurot,  Kotias  et 
.\f' .;:,'»  .:'.  •'.■'.  .*.;.''.«  /-i':.'  . .v ;  ;r  ,ì  rhistoire  dei  doctrinrs  ^rammaticàUs 
.j .  ••;.'».•;  ..*;.•.  \\\    ,\Vf;.\->  ,•.'  c\tt\iits  dis  mss,  tomo  XXII,  par.  II;  Pa- 


Intorno  all'epistole  di  Cola  di  T^ien^o       393 


y 


'pidanx  orationem  reddit Sed  hoc  aliter  ab  Aurelia- 

**  Qensìbus,  aliter  a  Sede  Apostolica  observaiur.  Aurelia- 
«  nenses  enim  ordinant  diaiones  per  ymaginarios  dactilos 

®  ^^  spondeos Nos  vero  secundnm  auctoritatcm  Romane 

«  curie  proccdcmtis,  quia  stylus   eius  cunctls  planior  inve- 

Il   determinare  i  singoli  punti  nei  quali  esplicavasi  questa 

*^**erenza  di  scuola  non  sarebbe  difficile;  ma  ci  menerebbe 

*,  **^^ghe  e  minute  analisi  delle  singole  teorie,  che  troppo 

*"'   'distrarrebbero  dal  nostro  tèma.  Al  quale,  del  resto,  ba- 

^^^    segnalare  in  generale  il  fatto  della  duplice  tendenza 

^    elicemmo. 

I*5uttosto,  è  curioso  notare  che  fra  i  molti  maestri  di 
P^^tolografia  formati  dalla  scuola  d'Orléans  (conosciutis- 
elo quello  Stefano,  che  fu  prima  abate  di  Santa  Geno- 
^^  e  poi  vescovo  di  Tournai)  (i),  se  ne  contarono  al- 
*^i   che,  nonostante  l'antica  opposizione  di  scuole,  anda- 
*^Oj  sulla  fine  del  secolo  xn,  a  prestar  la  loro  opera,  come 
St'etari  e  compilatori  d'epistole,  alla  cancelleria  pontificia. 
^^Sretario,  per  esempio,  d'Alessandro  III  fu  un  Giovanni 
^^rlcans  (lohanites  Atirelianensis),  del  quale  ci  lasciò  me- 
^^^^ina  una  lettera  a  lui  diretta  dal  sopra  nominato  Stefano 
^^covo  di  Tournai.  In  essa  lo  scrivente  invita  l'amico  a 
^^Tiarsene  ad  Orléans,  dicendo  che,  per  chi  nacque  a  Or- 
*-^^ns,  il  dimorare  nell'estate  a  Roma  dev'essere  un  vero 
^^pplizio;  d'altra  parte,  senza  farsi  illusioni,  prevede  che 
^  ^rnore  dello  stipendio  seguiterà  a  tenere  Giovanni  inchio- 
is-to  al  lucroso  ufficio  suo  nella  curia  (2).  Un'altra    let- 


P     (0  Cf.  Histoire  litUraire  di  la  Frartcc,  tomo  IX  (discorso  d*AN- 
Tosio  Rivet:  Èiat  dcs  httrcs  cu  Francc  àans  le  Xll*  siicìc). 

(2)  «  Dilccto  suo  lohannl  AurclUnensi,  domini  papae  scriptori, 
■  StepKanus  de  Sancta  Gcnovefa  rogat  ut  pctitiones  suas  ad  etfecturn 
»  perduc^it.  Naiis  sub  Aurelianensi  acre  et  Ligeris  aqua  perfusis  aestivo 
«tempore  Romae  morari  nihil  aliud  est  quam  mori:  facìlius  est  aurea 
cpaupertate  fruì  cum  salute,  quam  perìculosam  corrogare  pecuniacn, 


394 


04,  Gabrielli 


tera  del  medesimo  Stefano  e'  indica  altri  due  scolari  della 
scuola  d'Orléans,  impiegati,  sotto  Lucio  III  (1181-1185), 
alla  cancelleria  papale:  Guglielmo  e  Roberto,  Dopo  aver 
confessato  che  il  dispiacere  della  partenza  dei  due  giovani 
epistolografi  alla  volta  di  Roma  gli  viene  lenito  dal  pen- 
siero del  grande  vantaggio  ch'essi  possono  trame,  il  buon 
abate  di  Santa  Genoveffa  raccomanda  loro  alcune  peti- 
zioni da  lui  mandate  al  pontefice,  affinchè  o  egli  o  il  suo 
cancelliere  ne  prendano  sollecitamente  cognizione  (i). 


«  quae  et  sollecitudine  pulset  animum  et  corpus  agiiet  cum  labore, 
ff  Inde  est  quod  ad  reditum  te  hortarer,  si  tua  te  conccntum  fortuna 
o  credcrem,  si  ad  maiora,  quam  habcas,  successus  pristinos  ubi  prac- 
«  sumerem  non  blandirì.  Interim  dilectionem  tuara  rogo,  ut  petìtioncf 
n  nostras  ad  effectum  perducì  facias,  si  potueris,  et  maxime  super 
a  confirmatìone  cxcomunicationìs  communiae  Mcldensis,  quoniam 
«  epìscopum  oorum  in  excommunicationc  sentcntiac,  a  bonac  rac- 
«t  moriae  lohannc  Carnotensi  epìscopo  in  prcfatam  comuniam  litae, 
«  ncglìgentem  cxperti  sumus  et  mandati  apostolici  contemptorem. 
«  Qucre,  si  potes,  domìni  papae  litcras  ad  ipsum,  ut,  sicut  praedictus 
«  Carnotcnsis  episcopus  excomraunicavit  auctores  communiae,  ita 
«  et  ipse  in  ecclesia  sua  excomunìcatos  denunciet.  Pro  latore  prae- 
«  scntium,  familiari  meo  et  amico  nostro,  tibi  supplico,  ut  in  ncgotiis 
«  suis  quantum  potueris  eum  iuves.  Valete  ».  (Ma^'ij/n  Stephani  Tor- 
MACENSis,  abbatti  S,  Gcnovtfac  Parisitmis,  Urne  episcopi  Tornacensis,  Epi- 
sioìai;  Parigi,  1682,  Lxv.  84). 

(i)  «  Charissimissuis  Guillclmo  et  Roberto,  domini  papae  scripto- 
ff  rìbus,  fraicr  Stcphanus  de  Sancta  Genovcfa  agct  de  negotiis  serìs 
M  io  Romana  curia  proraovcndis.  Comune  vobis  commoaitorium 
«f  offcro,  congaudeos  peregre  proftctis,  si  proftctw  vestra  profutum 
«vobis  pariier  ^nnii  et  provutum.  Utrumque  vobis  facile  compa- 
o  rabant  duae  divini  palaiiì  vìrgincs,  humilìus  et  honestas;  si  vcl 
«  alter  vcl  uterque  vestrum  altcrutram  excluscrit,  qulsquis  illc  fuerit, 
«  CKcludetur.  SoUni  pUrique  AurtUantnsium  aura  ìnUr  alitnos  esse,  qui 
tf  fuc  ardenti  fturanl  Inter  suos,  Mctalla  morura  metior,  quamvis  non 
«  mcntiar,  si  de  pecunia  faciam  mentioncm.  Augeat  vobis  Deus  gra- 
vi tiam  suam,  ut  qui  iu  curia  sunt,  gratos  vos  habeanc,  et  dos  de 
«  vobis  faciant  gratulantes.  Q.uasdara  pctitiones  nostras  Hcrvco  de 
«  Rocchis  commisimus,  Ecdcsìae  nostrae  negotia  continentcs.  Rogo 
«  vos  ut  per  vos  et  araìcos  vestros,  quanta  seduUtatc  et  soUccìtudìae 


^^< 


Intorno  all'epistole  dì  Cola  dì  ^'en^o        395 


Cosi  anche  fuori  di  Fnncia  s' imponeva  rautorità  della 

strtaola  d'Orléans.  Tanto    era  il  prestigio  di  cui  essa  go- 

d^'va,  che  i  maestri  francesi  d*ars  dictandi  venivano  indi- 

srixitamente  chiamati  Aureìiatìemcs.  Tutto  il  meglio  che,  in 

fm.'^xo  d'epistole,  si  scrivesse,  specie  sugli  ultimi  del  secolo  xin, 

si       presumeva  a  priori  prodotto  da  quella  scuola. 

Di  là  era  venuto  il  primo  e  più  antico  trattato  d'epi- 

'lografia  che  avesse  avuto  la  Fr;incia,  la  nota  Summa 

di^r^aminis  aurcìiancnsiSt  composta,  secondo  il  Rockinger, 

ch».^  l'ha  in  buona  parte  pubblicata  (i),  circa  il  11 80  d-  C. 

da.    un  anonimo  insegnante  d'Orléans  (2)*  Da  allora,  sempre 

pi  Ci.  viva  si  va  facendo  l'attiviti  di  quell'importante  centro 

letterario,  e,  appena  sei  anni  dopo,  ecco  apparire  un'altra 

Si^^^mrt    diciaminis  per  ptagistrum  Dùminìcannm  Hispamttn, 

^hi.<ij  secondo  la  storia  dei  Benedettini  (3),  conservavasi  alla 

IDit>lÌoteca  della  cattedrale  di  Beauvais.  E  ancora  un  gruppo 
**  ^-Itri  tre  importanti  trattati  d'epistolografìa,  pure  usciti 
*^^  Orléans,  fu  segnalato  da  Leopoldo  Delisle  in  una  sua 
•^^^^e  memoria  su  le  scuole  d'Orléans  nei  secoli  xii  e  xni  (4). 
*Pc>teritis,  opem  et  operam  impcnsìatis  quatinus  petitiones  ilLie  no- 
"  *t«-ac  a  domino  papa  aut  a  domino  cancellarlo  et  cxaudìantur  be- 
•*  nuvole  et  bcncfice  compleantur.  Si  de  retributione  cogitctis,  pa- 
^^-tus  sum.  loco  et  tempore,  pracstlto  mihi  beneficio  respondere  ». 
"*"^yii\N'i  ToR>JAC.  Ep,  gii  citate,  lxxxv,  126. 

^i)  V.  BriefsUlUr  und  Formcìhùcher  des  cilfUn  bis  vUr^èhaten  Jahr^ 
***ii:rij,  bcarbeiiet  von  Ludwig   Rockinger  in  QwdUn  und  EròrU- 
'^^*^4>t  ^ur  bay^ischen  und  deutschen    GeschichU,  Band  IX;    Monaco, 
'^^3  e  X864  (9S-"4). 

C2)  La  Summa  è  contenuta  nel  ms.  109^  della  biblioteca  Nazio- 


^^l, 
ch^ 


di  Parigi  (fol.   5J-75).  Il  codice  e  del  secolo  xnr,  ma  i  nomi 
figurano  nei  modelli  epistolari  mostrano  Topera  composta  prc- 
^^^tnente  nel  tempo  assegnatole  dal  Rockinger. 

C?)  Histoire  litUrarU  d^  la  Frana,  XIV  (1859),  577. 
C4)  Lss  hoUi  d'OrUans  au  xu*  at  au  xia"  siècle  ndV Annuairà-bul' 
*'**«    di  lit  SccUU  de  l'histoire  de  Franu,  voi.  VII  (1869). 

I*  Summa,   probabilmente   incompleta,   contenuta  nel  gi.i   citato 
*^*'    1093  della  biblioteca  Nazionale  di  Parigi  (fol.  81-82).   Tra  i 


396 


q4.  Gabrielli 


Parimenti  è  ad  Orléans  che  ritroviamo  forse  il  più  po- 
polare, se  non  il  più  dotto,  dkialor  di  Francia,  il  noto 
Ponzio  Provinciale,  fiorito  tra  la  prima  e  la  seconda  mcti 
del  secolo  xiii. 

Aveva  dapprima,  Tambizioso  maestro,  ammaestrati  nel- 
Tepistolognifin  i  giovani  a  Tolosa  e  a  Montpellier,  finché, 
cresciuta  la  rinomanza  di  luì,  non  era  pervenuto  all'ago- 
gnata meta  d'Orléans.  Documento  pieno  di  curiosità  e 
d'interesse  è  quella  specie  di  proclama,  che,  dando  principio 
al  suo  insegnamento,  egli  indirizzò  ai  dottori  e  agli  scolari 
d'Orléans.  Dice  in  esso  il  nostro  dictator  che  la  retorica 
gli  si  è  presentata  sotto  la  forma  d'una  giovinetta  bellis- 
sima e  gli  ha  dato  sette  chiavi  per  aprire  a  chi  ne  lo  ri- 
chiede le  sette  porte  della  grande  città  che  si  chiama  la 
Pratica  dello  stile  epistolare  (^Pratica  dictatoria),  «  Vengano 
dunque  a  me  -  egli  esclama  -  tutti  coloro  che  vogliono  in 


modelli,  che  si  rapportano  quasi  tutti  a  giovani  studenti  d'Orléans, 
curiosissima  è  una  letterina  che  due  scolari  scrivono  ai  genitori  per 
chieder  loro  un  pò*  piti  di  danaro: 

«  Patemitati  vostre  innotescat  quod  nos,  sani  et  incolumes  in  ci- 
«  vitate  Aurelianensi,  divina  dispensante  misericordia,  commorantes, 
ff  operam  nostrani  cum  afTcctu  studio  totalitcr  adhibemus,  considc- 
tf  rantC5  quia  dicit  Cato  :  *'  Scirc  aliquid  laus  est,  ctc.  *\  Nos  enim 
«  domum  habemus  bonam  et  pulcram,  que  sola  domo  distai  a  scolis 
w  et  a  foro,  ci  sic  pedibus  siccis  scolas  coiidie  possumus  introire. 
ff  Habemus  eiiambonossocios  nobiscum,  hospicìo  vitaque  et  moribus 
n  comcndatos;  ce  in  hoc  nimium  congratulamur,  notantes  quia  dicii 
V  Psalmista  :  "  Cum  sancio  sanctus  eris,  etc,  ".  Unde,  ne,  deficiente 
«  materia,  deficiat  et  efTectus,  v.  p.  duximus  deposcendam  quatinus . .  . 
(T  dcnarios  nobis  ad  emcndum  pcrchamenum,  incaustum,  scriptorìam 
ir  et  alia  nobis  necessaria...  velitis  trasmittere  copiose..,». 

a»  5i*m«iu,  contenuta  nel  ms.  ^6^^}  dell'amica  biblioteca  Imperiale 
di  Parigi,  scritta  nella  prima  meti  del  xni  secolo  da  un  maestro 
Guido,  da  non  confondere  col  nostro  Guido  Faba. 

j*  Summa,  contenuta  nel  ras.  1S595,  colla  data  (fol.  16)  de!  1259. 
È  un  rimaneggiamento  della  Summa  di  Ponzio  Provinciale,  ad  uso 
degli  scolari  d'Orléans. 


Intorno  alV epistole  di  Cola  di  ^ien^o       397 


P*^^^  tempo  diventare  esperti  dictaiorcs  ;  io  ho  le  chiavi,  e 
5oa  qui  pronto  ad  usarle»  (i). 

Ma  chi  credesse  che  nella  Francia  soltanto  ad  Orléans,  e 

^^   anche  altrove  -  sebbene  con  assai  minore  intensità  di 

^<^ro  -  si  coltivasse  questa  geniale  arte  epistolare,  non 

**"^bbe  nel  vero.  Maestri  insigni  d'epistolografia  e  trattati 


e  *)  Il  curioso  proclama,  contenuto  per  intero  nella  terza  delle  tre 
■^^^  Summat  indicate  dal  Delisle,  merita,  a  parer  nostro,  d'essere 
^^ora  qui  trascritto: 

«"^  Untvcrsis  doctoribus  et  scolaribus,  Aurelianis  studio  commoran- 
■^-tstis^  Poncius,  magister  in  dictamine,  salutem  et  audire  mirabilia 
^'-i*  secuntur. 

««Cum  ego  Poncius  irem  sollicitus  per  montes  et  planicies  et 
*^^>nvaUe5,  inveni  quandam  virginem,  ic  amore  culus  fui  statira  nie- 
^^Vallitus  sauciaius:  nec  fuit  mlrum,  quoniam  ipsius  virginis  decoro 
**- Pipiti  flava  cesaries,  auro  multo  spUndidìor,  inherebat.  Generosa 
**"ontis  planitics  non  calcata,  nivc  candìdior»  hinc  capillis  erat,  hinc 

^■Vaperciliis  circumfulgcns Mcniis  nobilius  faciei  sic  partibus 

^^onforraatur,  ut  nec  postremum  medio,  nec  primo  medium  videatur 

^   ^*^  aliquo  decidere.  Sic  celerà  membra,  que  vestis  oculit,  nec  patent 

**   ^^culis  mcìs,  conformia  predictis   arbìlror  vel  etiam  meliora.  His 

^gitur  Poncius  ego  factus  auonìtus,  prostratus  cecìdi  ad  pedes  vir- 

**   Sinis,  et  cxtendens  brachia,  velud  egcr  ad  mcdìcum,  cxclamavi;  "  O 

H       *^  "Virgo  preclarissima,  ecce  morte  defiìciam  in  brevi  tempore,  nisi  tua 

«       ^  tnisericordia  me  in  suum  recipial  servitorem  ".  Etaittunc  virgo,  re- 

1        *"•  spicicns  oculos  subridcntes:  *'  Si  quodìnvenisti,  lenueris  custodire  ". 

\         ^  Et  me  capii  per  manum  dcxteram  et  surrexit,  et  ostendit  michi  pul- 

'        *cherrimam  civiuiem  et  ìmmensam,  dicens:  "  Cìvitatem  islam  nul- 

^  lus  ingreditur,  nisi  transiverit  septem  portas  ".  Et  postraodum  ad  pri- 

«mam  portam  venimus,  et  ibi  fueruni  saluiaiiones,  benedìctiones  et 

e  oscula  sccundum  gradum  et  distinciones  personarum  supcriorum, 

«  mediocrum  et  minorum  ;  et  ibi  erant  scripta  nomina  transcuntium 

■  k  universa,  et  omnes,  qui  transibant  per  dictam  portam,  vnriis  et  di- 

^  «versis  vinculi?  ligabantur.  Et  ad  secundam  portam  accessimus,  et  ibi 

ff  erant  antiqui  proceres,  clrcumspectì  et  providi,  quorum  erat  offi- 

a  cium  atque  virtus  inier  homines  seminare  benivolentiam  et  nutrire, 

«  et  futura  predicare.  Et  ultra  procedentesad  tertiam  portam  venimus, 

«  et  ibi  erant  de  omni  genere  linguarum  nuncii  cxpediti  et  succinti 

«  breviter  et  veloces,  et  omnia,  que  in  tote  orbe  tiebant,  refcrebaat. 

Archivio  dcll9  R,  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI,  a? 


^ 


398 


q4.  Gabrielli 


di  pratica  dictatoria  se  ne  trovano  anche  sparsi  qua  e  li  in 
altri  luoghi  di  Francia.  Si  ricorda,  per  esempio,  nel  12 16, 
un  Dictamcn  che,  quantunque  d'evidente  provenienza  fran- 
cese, si  veJe  non  compilato  ad  Orléans,  né  da  uno  di  quella 
scuola,  né  ad  uso  di  quegli  scolari  (i).  Esso  è  composto  da 
Trasmondo,  abbate  di  Chiaravalle,  e  poscia,  come  indica 


t(  £1  ad  qainam  portam  ultra  processimus,  et  ibi  erant  due  scale 
ff  longissime,  quorum  gradus  vix  posscnt  per  aliqucm  numerari:  et  in 
«una  scala  erani  omnes  clerici,  et  in  alia  omnes  laici;  in  superiori 
«  gradu  huiusmodi  scale  sedebat  summus  pontifex,  et  sub  ilio  alii 
«  pontilìces  et  prelati,  per  gradus  debitos,  usque  ad  ulùmum  clerico- 
«  rum,  et  in  gradu  superiori  scale  alterius  sedebat  imperaxor,  et  sub 
«  ipso  regcs  et  comites,  at  ali!  gradatim  descendentes  usque  ad  ulti- 

«  mum  laìcorum Kt  ecce  ad  quintam  ponam  venimus,  et  ibi 

V  erant  mulicres  antìquissime,  et  erant  tante  scicntie  quod  de  omnibus 
K  diccbant  ncgotiis,  si  fìcrent  vel  non  fìerent,  quod  et  quale  inde  co- 
«  modum  eveniret.  Et  ccc^  ad  scxtam  portam  venimus,  et  ibi  erat 
«  homo  antiquissimus  et  barbarus,  vcstìtus  tamen  vestcs  vanas  et  de- 
te  coras,  et  ioquebatur  iranscuntibus  tribus  linguis.  Ht  accessimus  ad 
a  portam  septimam,  et  ibi  fuerunt  multi  lascivi  iuvenes,  saltantes  et 
o  currentes  vclocitcr.  Et  sic  intravimus  in  cìvitaiem.  In  civiiate  ista 
«  erant  .xviii.  palatìa  hedifìcata  lapidibus  preciosis.  et  erat  ordinatura 
a  qui  et  quales  et  quo  tempore  et  quibus  negociis  deberent  in  quoUbet 
o  palacium  invenirc.  Et  cum  hec  vidissem  omnia,  dixi  prcdicie  vir- 
«  gini:  "O  virgo  speciosissima,  die  mihi  nomen  luum  et  cuius  est 
«ista  civitas  et  quo  nomine  nuncupatur".  Et  ìpsa  rcspondit:  "Ego 
«  vocor  Rhetorica.  Ista  civitas  appellatur  Pratica  dictatoria.  Et  quam- 
«  vis  soror  mca  Gramatìca  se  dicat  fore  in  hac  civitate  raea  prò- 
(T  porcionarìam,  ego  tamcn  obtineo  principatum.  Et  quoniam  paucos 
«  bonos  habitatores  habeo,  tibì  claves  accomodo,  tali  federe  quod 
fl  .viL  portas,  per  quas  tota  doctrìna  epìstolarìs  dictaminis  tiguratur, 
«  aperias  benigne  volcntibus".  Ad  me  veniant  igitur  qui  esse  dcsi- 
«  dcrant  in  brevi  tempore  optimi  dictatores.  Ego  enim  sum  qui  claves 
«  liabeo,  et  sum  paratus  quibuscumque  ydoneìs  aperìre.  Valete  »,  De- 
LISLE,  scritto  citato,  p.  150  e  segg. 

(i)  È  contenuto  nel  cod.  585  (F**  Mazzarino)  e  nel  cod.  13688 
della  biblioteca  Nazionale  di  Parigi.  Cf.  N.  Valois,  De  arte  scrihendi 
episiolas  apud  Gaìlicot  mcdii  aaì  scriphrcs :  Parigi,  1880. 


Intorno  alVepistok  di  Cola  di  1{ien^o       399 


eziarxciÌQ  T esordio  dell'opera  su.i,  notaio  papale  (i).  Un 
amico  lo  aveva,  a  quanto  sembra  (2),  pregato  di  racco- 
gliere ift  unum  corpus  le  lettere  da  lui   indirizzate  a  ogni 
specie  di  persone  e  per  i  più  svariati  negozi,  ed  egli  cede, 
Sid  tifftide^  a  quel  desiderio,  e  ci  dà  una  breve  collezione  di 
lettere,  facendola  precedere  da  regole  e  di  precetti  su  lo 
stile  epistolare.  Quest'operetta  di  Trasmondo  acquista  una 
^'^golarc  importanza  dal  fatto  che  Tautore  non  era  un  pro- 
"cssore  che  pomposamente  insegnasse   dalla   cattedra,  ma 
un  modesto  5fn/7rt,  cui  il  dovere  dell'ufficio  obbligava  a 
penetrare  tutti  i  segreti  della  tecnica  dell'^r^  diciatidL 

Delle  molte  altre  Summae.  provenienti  da  scuole  e  da 
"^^citores  francesi  trattò  con  sufficiente  larghezza  il  dottore 
^^talt^  Valois  (3),  e  noi  non  dobbiamo,  per  questa  parte, 
cne  rimandare  al  suo  lavoro.  D'altronde,  la  Francia  non 
r'^ntrava  nel  nostro  tèma,  se  non  in  quanto  rapporta  vasi 
^  /apposizione  esistente  tra  la  scuola  d'Orléans  e  lo  stile 
epistolare  della  cancelleria  papale. 

A.ggiungcremo  soltanto  Tosserv^azione  che  Vars  dìctandi, 
*^^Vxe  all' infuori  delle  scuole  laiche  e  delle  cancellerie,  visse 


Ci)  <t  Inctpiunt  introductiones   magistrì    Traasmundi,  Apostolìce 
*  oedis  notarli,  de  arie  dictandi  ». 

(2)  tt  Rogdstis  me  multociens  et  vtstris  michi  literis  suppUcastis, 

*  ut  cedutas  mcas  p;iupere5  excuntcs   de   pera   paupcrc  et  persoDÌs 

*  vaiiis  prò  variis  ncgocìis  destinatasi  sive  ad  experientiani  tantum- 
^  modo  ingenioU  mei  opposìtas,  quas  nec  purpura  senteniìarum  nobi- 
"litat,  nec  colorìsrethorici  picturata  loquacitas  florìbus  compositionU 
«adornet,  in  unum  corpus  rcdigens,  sarcinarem,  vobisque  ipsas  celeri 

■  «sub  fcsiinaiioue  transmictereni,  putans  in  cìs  altquid  invenire  dui- 
ft  cedtnis,  quod  vestrum  pUcidum  pectoris  appctitum  delectet,  et  ad 
«  sui  lectioniim  curam  continuam  vcstri  desiderii  gustum  proprie  di* 
cctionis  onata  provocet  et  invìtei.  Faveo,  sed  timide,  petilionibus 
«  vestris,  ne  laudabilis  vestri  cordìs  cupiditas,  gustibus  informata  non 
«  placìdis,  vane  spci  penitus  expectatioae  fraudetur,  et  prò  fnimentis 
clolium  caplat  n. 

l 


400 


q4.  Gabrielli 


e  fiori  nei  conventi  e  negli  ordini  monastici:  tanto  essacra 
strettamente  collegata  a  qualsiasi  condizione  sociale.  Baste- 
rebbe ricordare,  su  la  menzione  fattane  dal  Le-Clerc  (i), 
Elia  de  Boulhac,  abbate  di  San  Marcello  nella  diocesi  di 
Cahors,  il  quale  compose  nel  1378  un  copioso  formulario 
di  lettere  dedicato  ai  suoi  fratelli  Cisterciensi  e  da  servire 
esclusivamente  al  loro  uso:  Fornmlarium  valde  utiìi  cpistù^ 
larum  toto  ordine  scrvanitim  (2). 

Dopo  ciò,  volgiamo  per  poco  lo  sguardo  all'  Itilii. 


ITI. 


Un'accurata  rassegna  dei  più  insigni  cultori  d'tfn  iS- j 
ciandi  che  fiorirono  nel  paese  nostro  darebbe  al  nostro! 
studio  assai  maggiore  estensione  che  non  ci  siamo  propose. 
Basteranno,  quindi,  intorno  ai  principali  diciatorcs  itiliiiw» 
quegli  accenni  generali  che  servono,  più  che  altro,  a  trac-1 
ciare  la  linea  non  interrotta  della  nostra  tradizione  cp** 
stolare.  ^J 

Dell'importanza  che  ha  per  l'epistolografia  medievale  It^l 
produzione  d'Alberico  da  Monte  Cassino  (1075-1110)^'*" 
biamo  già  fugacemente  toccato  (3).  Vero  capo-scuola  per 
i  dictatores  posteriori,  egli  sta,  colla  sua  Ars  dicUtttdi  (4)»  1 
quasi  a  cavallo  (ira  il  secolo  xt  e  il  xii,  e  a  lui,  si  può  dìrc,^| 
fanno  capo  le  compilazioni  di  tutti  i  maestri  che  seguirono.  ~ 
Scrittore  fecondo  e  immaginoso,  di  lui  conosciamo  anche 


(i)  Histoire  litUrairt  de  la  Frante  au  xiv«  sUcU  -  Discoun  sur  f^^ì 
dis  Uttres,  par  Victor  Le-Clerc;  Parigi,  Lévy,  i86j,  voL  I,  p- •♦^>'j 

(2)  De-Wisch,  Bihìiothua  scriptorum  sacri  oràinii  CisUratusiS,  I^J^fl 
p.  lOI. 

(0  V.  sopra,  p.  387. 

(4)  Pubblicau  in  gran  parte  dal  RocKixGER,  dt  QiuHm  imii 
ijnm^€n  eU'.  I  Abth.  pp.  1-46. 


Intorno  all'epistole  di  Cola  di  ^'en^o       401 


due  opere  minori,  che  s'intitolano:  Flores  rethorici  o  Dieta- 
minum  radii  e  Breviarium  de  àiciamine.  Ma  degno  per  noi 
di  speciale  anenzione  sembrami  l'esordio  dell'opera  sua 
maggiore:  a  Cogimur  -  egli  scrive  -  erudiendorum  sedu- 
ci litati  de  ratione  dictandi  quedam  summatim  perstringere. 
«t  Sed  ea  rogamus  ne  dictandi  pcritus  irrideat,  ne  emu- 
«  lorum  lividus  dens  corripiat,  ne  ignarus  artis  abhonreat, 
«  quoniam  ersi  lima  perfectionis  non  assit,  non  ideo  tamen 
«  in  omni  parte  erii  inutile.  Quapropter  simpliciter  edita 
«  simplices  simpliciter  audìant,  et  audita  intelligant,  et  in- 
a  tellecta  in  cordis  arcula  tenaciter  fingant.  Et  in  eadcra 
a  arre  promoti  nliquos  in  aream  de  suis  manipulis  grafia 

^■excutiendi  granì  adiiciant  n. 

^    A  chi  alludevano  quelle   aspre  parole  d'Alberico:   «ne 

tmulorum  liviJus  dcns  corripiat»? 
La  risposta  non  è  difficile,  se  sì  ricordino  i  dictaiorts 
e  fiorirono,  a  lui  contemporanei^  dopo  il  iioo. 
Ora,  tra  questi,  a  nonpariardel  suo  scolare  Giovanni 
di  Gaeta,  poi  divenuto  papa  col  nome  di  Gelasio  II,  a  non 
parlare  d'Alberto  d'Asti,  d'Aginulfo  e  di  altri  men  noti, 
rifulgono  specialmente  Alberto  di  Samaria  e  Ugo  di  Bo- 
logna. Si  sa  del  primo  che  viveva  sotto  il  pontificato  di 
Pasquale  II  (1099-1  r  18)  e  che  conobbe  Alberico  dì  Monte 
Cassino,  giA  in  eti  molto  avanzata.  Un  suo  scritto,  del 
quale  una  parte  fa  riportata  dal  Rockingcr,  mostra  essere 
appunto  questo  Alberto  uno  degli  emuli  cui  Alberico  al- 
ludeva. Egli  infatti  non  si  fa  alcuno  scrupolo  di  biasimare 
acerbamente  quelle  eh' ci  chiamava  le  nenie  (juienìas)  d'Al- 
berico, e  di  condannarlo  quando,  per  esempio,  ei  vuole 
stabihre  a  qualiter  per  indicativura  ceterosque  modos  et 
o  impersonalìa  fieri  decet  episcolas  ».  Secondo  l'inesorabile 
critico,  «  tales  barbaras  inusitationes  sapientes  et  nostri  se- 
«  culi  potentcs  spemunt  ».  Deve  invece  tenersi  di  mira 
soltanto  la  constructio  di  Prisciano,  adottarsi  \'usu$  e  lo  stile 
jistolare  di  Cicerone  e  studiarsi  Macrobio  e  Boezio,  che 


402 


'e4.  Gabrielli 


Alberto    dice   d'avere,  dal   canto   suo,  cercato   d'imit; 
sempre  che  gli  è  stato  possibile  (r). 

Ammiratore  sincero  d'Alberico  è  invece  Ugo  di  B< 
logna  (2),  il  quale  dice  del  vecchio  maestro  :  «  In  cpistoli 
fi  scribendis . . .,  non  iniuria  creditur  ceteris  excellere  »  0)»i 
e  biasima  la  nuova  e  indisciplinata  dottrina  QemfrUaim  1^^ 
indiscipUnatae  doctrinae  novUalaii)  d'Alberto  di  Samaria.    " 

S'andavano  dunque  fin  da  allora  accendendo,  fra  questi 
nostri  gravi  dictatores,  quelle   ire   erudite,  che   son  pai 
cosi  caratteristica  della  nostra  storia  letteraria  !  E  neaacb 
in  mezzo  a  loro  venne  tanto  presto  alzata  bandiera  bianca^ 
vedremo  anzi   tra  breve  come  ai  tempi   dell'arguto  BoQ 
compagno  la  discordia  si  facesse  anche  più  acuta.  La  iottJ 
non  era  soltanto   fr'a  persona  e  persona,    ma    fra   citti 
città,  fra  scuola  e  scuola;  che  già  quell'Alberto  rapprcsefl 
tava  lo  studio  di  Pavia  e  quell'Ugo  lo  studio  di  Bologna, 
rivali  ['un  contro  l'altro  armati,  e   disputancisi  51  priiniW^É 
nella  retorica.  _^ 

E  procedendo  oltre  il  secolo  xti,  c'incontriamo  sui  pn^* 
del  xin  in  quel  Goffredo  di  Vinesauf  che  fu  tra  ì  pi(i  ^^fl 
lebri  insegnanti  di  Bologna,  e,  oltre  una  Pociria  dedtcS^" 
a  Innocenzo  III  (1198-1216),  scrisse  xxxiArs  dicidftt'^'^\ 
della  quale  tanto  il  prologo  quanto  l'epilogo  son  comp^^ 
in  esametri.  Ireste  pndoris  abiecta,  egli  dice: 

vobis  referam  quo  sidere  vcstrum 

Dicumcn  lucere  qucat,  quo  clausola  possit 
Lascivirc  gradu,  quis  sit  diciaminìs  ortlo, 
Que  partes;  ubi  fessa  suum  distinctio  sistat 


(i)  V.  RocKiNGER,  scritto  cit.  in  SitiurigshfrichU  dir  Ah,  dir  1 
di  Monaco,  p.   134. 

(2)  V.  le  sue   Kationes  diclanii,  pubblicate  dal   Rockinger*        " 
QucìUn  und  EròrUntn^cn,  I  Abth.  pp.  47-94. 

(})  V.  la   prefazione   a   un  suo  scritto  di  ars    iiiiandi,  deJÌC-^{J 
a  un  giudice  paladno  di  Ferrara  (Rockinger,  scritto  cit.  in  5i/;w 
herichte  dir  Ah.  dcr  IViss.  p.  125). 


Intorno  alVepistole  di  Cola  di  ^ien^o       403 


Vel  renovetur  iter,  que  sint  connubia  vocum» 
Et  quibus  auxiliis  verbi  redimatur  egestas  (i). 

I  contemporaneo  a  Goffredo,  ecco  prescnrarcisi  raae- 
^^  Bene  di  Firenze,  del  quale  già  ci  è  occorso  (2)  nomi- 

^^'^^c  il  trattato:  CantMahrum  seti  Stimma  recte  dictatidi,  con- 
^*>.uto  nel  codice  Chigiano  (del  principio  del  secolo  xiii), 
l^^^nato  I,  V,  174,  nel   quale   non  sai  se  maggiore  sia 
^ ^tenesse  storico  o  il  paleografico.  È  noto   come,  dietro 
J^*^ 'erronea  induzione  del   Muratori,   fosse  questo  diciator 
^^^niificato  con  Boncompagno  Fiorentino;  ma  l'errore  del 
^i^lrande  storico  venne  subito  emendato  dal  Tiraboschi  (3), 
^^Vie  conosceva  l'opera  di  Bene  per  averne  veduto  un  ms. 
'*~>-ella  biblioteca  dei  Padri  Domenicani  di  San  Giovanni  e 
r^aolo  in  Venezia.  Si  ha  poi  sicura  attestazione  del  giura- 
*>iento  di  fedeltà,  prestato  da   maestro  Bene  airuniversiti 
«^  Bologna,  nonché  della  nomina  di  lui  a  cancelliere  del 
"Vescovo  di  quclk  stessa  città  (anno  1226).  Mori  non  vec- 
chio, e  la  sua  perdita  era  amaramente  deplorata  da  Pier 
della  Vigna. 

Cosi  comincia  l'opera  di  Bene  nel  codice  Chigiano, 
di  cui  io  mi  sono  servito  per  la  conoscenza  di  questo  epi- 
stolografo: «  Incipit  Summa  perfecte  dictandi,  a  doctore, 
«qui  Bonum  dicitur,  ordinata». 

II  perchè  dell'altro  titolo  di  Candeìahrum  d  è  fatto 
noto  dallo  stesso  autore  (e.  42):  «  Presens  opus  Can- 
«  delabrura  nominatur,  quia  populo  dudum  in  tenebris 
«  ambulanti  lucidissimam  dictandi  peritiam  cognoscitur 
«exhibere  ». 


(1)  S.  F.  HahKj  Coììeciio  monumeniorum  veUrum  et  reccntium  ini* 
ditorum  ;  BrQnsvich,  1724,  voi.  I,  n.  V.  Cf.  Rockikcer,  scrìtto  cil. 
in  Sit^urifishtnchU  der  Ak.  der  WUi.  p.   1 34. 

(2)  V.  sopra,  p.  392. 

(3)  Storia  della  letteratura  Uaìtana^vol,  II,  libro  III,  cap.  v,  p.  190 
(ediz.  di  Milano,  Bcttoni  e  Comp.  1833:  Biblioteca  mcidopedica  ita^ 
liana,  voi.  XXII,  XXIII,  XXIV  e  XXV). 


404 


qA,  Gabrielli 


E  alla  fine  dell'opera,  in  una  Oratio  finitiva  opus  iik 
cidans  quod  processiti  dichiara:  «  Opus  inchoatum  lam  ad 
0  finem  desideratum  perducitur,  divina  grafia  largiente,  in 
«  quo  ars  dictatoria  continetur.  Licer  clara  Florenria  nos 
«  genuerit,  fructum  tamen  scientic  vel  saltem  alicuius  bo- 
ti nitatis  a  Bononia  contrahentes,  ipsam  precipue,  matrem 
«  nobitìum  studiorum,  debemus  et  voluraus  scraper  nu*^ 
ttgnifice  honorare  »  (e.  55).  H 

Ma  contributo  anche  maggiore  che  non  desse  all'epi- 
stolografia del  secolo  xiii   Bene  di   Firenze,  portò  Guido 
Faba  (i),   come  quei   che  sempre  meglio  sviluppò  nella    , 
Stimma    la    parte    pratica ,  formata    dagli    innumerevo^H 
esempi  di  lettere,  dispose  con  più  armonia  il  materiale.  <ii 
spesso,  accanto    ai    modelli  in  latino,   altri  ne  collocò  in 
lingua  volgare.  Le   sue   opere,  tra  cui  sono  le  principili 
la  Stimma  dktaminis  e  i  Dictamina  rethorica,  ponano  i  ti^É 
toli  seguenti  :  Arcngae  (2);  Gemma  pur ptirea,  Stnnma  il  v^^^ 
ttttilms  et  vitiis  e  Docirina  ad  itwcniendaSj  incipundas  etfof 
mandas  materias  et  ad  ta  qtie  circa  Imiusmitdi  reqtànmtur. 

La   Sumtna   dictaminis  e  i   Dictamina  rethorica,  le  due 
opere,  cioè,  che  più   e'  interessano,  trovansi  nel  codice  1, 
IVj  \q6  della  biblioteca  Chigiana  (sec.  xiii),  che  è  for*^» 
tra  i  parecchi  manoscritti  che  le  contengono,  il  più  imp<^^' 
tante.  Precede  in  esso  (3),  com'era  uso  costante,  la  p^^ 
teorica  {Summa  dictaminis),  terminata  da  una  Epistola  h^^^ 
commendationiSj  ch'è  una  specie  dì  dedica  che  l'autor^i 


(1)  RoCKiNGER»  eh.  QueJkti  uud  EròrUrtingm  eie.  \.  Ablh.  pp. 
200,  e  cii,  scritto  in  Sit^ttn^sherichte  dtr  Ak.  djr  ìi^iss,  p.  157. 

(2)  È  un'assai  caratteristica  collezione  d'esordi  da  prcporsi 
varie  lettere,  secondo  le  piii  varie  circostanze.  Gli  esordi  chi»'*^"' 
vansi  comunemente  appunto  col  nome  di  arengae.V.  cod.  Chigi -^ 
I,  IV,  106  (e.  49):  «  Incipiunt  arengo  magistrì  Guidnnìs  ad  ^" 
«  laudetn  et  decus  et  decorem  studentiura  sub  compendio  annot--^^ 
V  que  tanquam  prefationcs  preponuntur  », 

(3)  Ce.  1.25. 


àcì  proprio  lavoro  ad  un  alto  personaggio:  «  A  Domino 
"  "  scrive  Guido  Faba  -  factum  est  istud,  cuius  gratia  summa 
"  ^'^'itiaus,  et  ad  honorem,  gloriam  et  laudem  magnifici 
«  vin  ;ic  feliciter  triumphantis,  cuius  praeconia  mirificae 
«  bonitatis  nec  silere  possum  nec  stylus  invenitur  sufficiens 
**  ^d  dicendum,  quoniam  de  ipso  iam  loquitur  omnis  terra 
"  ^^  onines  gentes,  nationes  et  populi  magnificant  sua  gesta 
**  ^nquam  militis  strenuissìmi  et  pracclari,  cuius  fama  lu- 
*  *^idissima  militarem  gloriam  decorar  et  totam  illuminat 
*■  Piirentelam  ...  a.  E  conclude  :  «  Accipe  nunc  prncsentem 

^^  ^ibellum,  egregie  potestas,  laudabili  manu  dcxtera,  etc.  ». 

^F  Se  tra  Guido  e  questo  Aliprando  Faba  (i)  corresse 
Parentela,  non  sappiamo  stabilire  con  certezza.  Possiamo, 
P^r  contrario,  affermare  che  il  nostro  Jictator  vestiva  l'abito 

^_^*^clesiasdco,  e  che  fors'anche,  con  qualche  ufficio  chicri- 

^^^le,  viveva  a  Bologna  (2). 

[  Alla  Stimma  dictmninis  seguono  nel  codice  Chigiano  i 

J^ictaminay  una  lunga  e  curiosissima  serie  di  modelli  epi- 

[      siolari,  dove  trovano  applicazioni  le  regole  esposte  dal  di- 

^^  (i)  D*un  la!  podestà  Ji  Bologna  sappiamo  solamente  ciò  che  ne  è 
detto  nella  Cronica  di  Bologna,  pubblicata  dal  Muratori,  Rer.  ItaU 
Script.  XVni,  256:  cr  Messere  Aliprando  Fava  fu  podestà  dì  Bolo- 
«  gna.  A  di  4  di  settembre  (1229)  i  Bolognesi  andarono  a  campo 
«  a  San  Cesano,  e  combatterono  il  detto    castello,  e  Io  presero.  E 

V  tutti  gli  uomini  che  vi  erano  dentro  furono  presi  in  numero  dì  $20. 
«  E  disfecero   il   castello,   malgrado   de*  Modenesi,  de' Parmigiani  e 

V  degli  Ariminesì  e  dì  que*  di  Pavia,  ch^crano  tutti  col  carroccio  dì 
0  Parma  nella  campagna  dì  S  Cesario.  Dipoi  Toste  de'  Bolognesi 
«con  pochi  loro  amici  combattè  co' predetti  della  parte  di  Modena 
«  nella  detta  campagna,  e  dall'una  pane  e  dall'altra  molti  ne  furono 
«  morti  e  presi.  A  di  io  di  dccembrc  il  vescovo  di  Reggio  e  un 
«  frate  ch'avea  nome  Guala  fecero  tregua  tra  i  Bolognesi  e  ì  Mo- 
«  dene»  e  co'  seguaci  dì  cadauna  delle  parti  per  nove  anni,  e  tutti 
«  i  prigioni  furono  lasciati,  e  andarono  alle  loro  città  i». 

(2)  Infatti  più  d'una  volta  egli  si  nomina  :  «  Magister  Guido  fi- 
«  delissìmus  clcrìcus  et  devotus  «,  e  in  qualche  luogo  anche  ag- 
giunge: «  Sancii  Michaelìs  Bononiefisis  ». 


V 


406 


tA»  Gabrielli 


ctator  neiropcra  precedente  :  «  Incipiunt  dictamina  a  magi- 
astro  Guidone  composita,  quae  celesti  quasi  oracuIoeJiu 
«  super  omni  materia  suavitatìs  odorem  exhibent  literalb, 
«  quia  de  Paradisi  fonte  divina  grada  processcrunt  o.  Ogni 
lettera,  presentata  come  modello,  ha  la  corrispondente  r- 
sposta:  si  trova  cosi,  per  esempio:  Ep.  de  filio  ad  pnrotki 
e  subito  appresso:  Responsiva  parcntmn;  Ep.  de  sorort  d 
Jraircm  e  Responsiva  ad  predictam,  e  cosi  di  seguito.  Ma  sul 
Chigiano  I,  IV,  lo^,  che  meriterebbe  da  solo  un'ampia  illu- 
strazione, le  proporzioni  del  nostro  lavoro  non  ci  consen- 
tono di  soffermarci  più  oltre. 

Volgiamoci  piuttosto  a  quello  che,  fra  gli  epistolografi 
del  secolo  xiii,  meglio  incarna  il  tipo  caratteristico  del  */*• 
ctator,  a  quel  bizzarro  Boncompagno  di  Firenze,  che  fu,  ne' 
campo  deir^ir^  dictaminis^  un  vero  innovatore  (i).  Profes- 
sore dei  pilli  illustri  allo  studio  bolognese  e  a  Bologna  co* 
renato  solennemente  di  lauro,  scrisse  con  instancabile  1*^ 
conditA  buon  numero  di  opere  retoriche,  delle  quali  Tclenco 
ci  fu  lasciato  da  lui  stesso  (2),  per  quanto  non  tutte  sieoo 
in  quella  enumerazione  ricordate.  È  dunque  colla  scorta  ^^ 

(i)  TiRABOSCHi,  St.  dilla  ìciU  Hai  IV,  463  ;  RocKiNCtR,  cit  C»^*^ 
una  Erbrt.   I,  115-174,  e  cjt.  scritto  in  Sit\.  dir  .-JA*.  J^r   ti^tss.  p-  '^' 

(2)  Trovasi  inserito  in  un  curioso  Jialogo  tra  Liber  e  Jitctor,  P  . 
messo  al  trattalo  che  s'intitola:  Boncompagnus,  ed.  dal  Rockino^* 
Qu4ÌUfi  und  Erdrt.  gìA  cit,  I,  p.  1 3  j,  Scrìve  dunque  Boncompagno: 

«  Libri  quos  prìus  cdidi  sunt  .XI.  quorum  nomina  hoc  modo         ^ 
«t  cifico,  et  doctrinas,  quc  contineniur  in  ÌUis,  ita  distinguo:  QqÌ*^^_ 
«  nempe  tabule  salutationum  doctrinam  confcruni  saluiandi.  Pi^      - 
<i  rcgulas  inìtìales  exhibcre  probatur.  Tractatus  viriuium  exponì*- 
«  tutcs  et  vicia  dictionis.    In  Notulis  aureis  veritas  absquc  mcnc^  ' 
«  rcperitur.  In  libro  qui  dicitur  Oliva  privilegìorum  dogma  conlio^^ 
«  Ccdru,s  dat  notitiam  gcneralium  siatutorum.  Myrra  docet  fieri  t^^ 
«  menta.  Brcviloquiura  doctrinam  exhibet  inchoandi.  In  Ysagoge 
«  stole  ìntroductorìe  sunt  conscriptc.  Liber  amìcitìc  vìgìnii  sex  ^^ 
«  corum  genera  distingult  Rota  Veneris  laxiva  et  amantium  ffr 
e  demonstrat  n.   Cf.  Tiraboschi,  Si.  àtlla  ìett.  itàL  voL  1I«  lib. 
cap.  V,  p.  187,  ediz.  citata. 


"oncompagno  medesimo  che  possiamo  registrare  le  se- 
guenti opere  di  lui  : 

^*  Quinqm  labitle  salntationum,  volte  a  disciplinare  e  a  re- 
golare la  saltttatio  della  lettera.  Ho  potuto  vedere  queste 
tabulai  in  un  bel  codice  della  Vallicclliana,  segnato 
C,  40  (i).  La  prima  tavola  dà  le  saltttationes  da  usarsi 
dal  papa,  prima  per  omnes  christianos  (2),  e  poi,  via  via, 
per  rimperacore,  l'imperatrice,  il  re  di  Francia,  i  pa- 
triarchi, gli  arcivescovi,  i  vescovi,  qcc.\  la  seconda,  le 
salutatioties  di  tuni  questi  alti  personaggi  al  pontefice; 
la  terza,  le  saltttationes  vicendevoli  tra  i  potentati  laici  ; 
la  quarta  quelle  fra  gli  ecclesiastici  di  tutti  i  gradi  ge- 
rarchici ;  la  quinta  finalmente  quelle  tra  i  laici  o  saccU' 
larcs  (3). 

(i)  Cod.  pergam.  del  sec.  xm,  composto  di  ce.  205.  Contleae: 
^cc.  ì''j^)Boncompai;tìi  cpuscula;  (ce.  74-138)  Magistri  Alani  de  diiersis 
tjocabulorum  voiationilnis;  (ce.  159-140)  Dò  ordiru  iudiciorum  d'aatore 
*Jiccrto;(cc.  141-205)  ì  tre  scritti  di  Sant'Agostino  :  Enc/^ini/roM,  Libcr 
^  àtc£m  cìjordis,  Sgrmo  dt  iuramcitto.  Alla  fine  dei  BoncompiS^ni  cpu- 
<scu/a  trovo,  della  slessa  mano,  questa  nota:  «Iste  libtr  est  monasteri! 
«  Sancti  Bartholomei  de  Trisulta  Carthusicnsis  ». 

(2)  <  ....  Primiter  vicarius  ChristJ  et  raagister  caiholicc  fidei 
ff  summus  pontifex  generaliter  salutat  omnes  christianos  in  hunc  mo- 
«dum:  Celestinus,  sep.'us  servorum  Dei  nomen  recipiens,  salutem 
«  et  aposiolicam  bcnedictionem  ». 

(j)  Nuiraliro  che  una  nuova  redazione  o  un'amplificazione  delle 
Quittquc  tahuìac  salututionum  è  il  Libcr  X  tahularum  dello  .ftcsso  Bon- 
compagno.  Ivi  alle  cinque  antiche  tavoU  egli  ne  aggiunse  altre  cinque, 
□elle  quali  <r  contìnebuntur  omnes  modi  componendì  epistolas,  ser^ 
ff  mones,  privilegia^  orationes  reihoricas  et  testamenta  ».  Nella  pre- 
fazione della  sua  nuova  opera  VA.  medesimo  si  riferisce  airopera 
antecedente.  «  Presens  opusculum,  -  egli  scrive  -  quod  in  civiiate 
«  Regina  nuper  inceperam  pertractare,  de  quo  solummodo  .v.  saluta- 
le tionum  tabulas  perfccerara,  quìbus  ad  presens  in  civiiate  Bononia 
«  multa  superaddidi,  casquc  diligentiori  lima  corrcxi,  gratis  vcstrc 
ff  cHero  unìversìtati.  soci!  pcramandi,  cruditionem  vcstram  humilitcr 
«deposcens,  ut  quod  gratis  datum  est,  gratis  curetis  impanirì 


1 


4o8 


O^.  Gabrielli 


2'  Liber  qui  dicitur  Palma  (cod,  Vallic,  C,  40;  e.  13  f), 
dove  si  tratta  deirepìstola  in  generale  e  dei  tesumenri. 

3"  Tractatus  virUttnm,  ove  s'espongono  i  pregi  dello  stile 
e  i  mi  contrari  (cod.  Valile^  C,  40;  e.  7  v°). 

4*  Notulae  aurtm  (cod.  Vallic  C,  40;  e.  1 1  r*),  che  fonnano, 
per  confessione  dello  stesso  Boncompagno  (i),  come 
un'appendice  al  Tractatus  virUitum. 

5'  Llber  qui  dicitur  Oliva  (^cod.  Vallic  C,  40;  e.  17  v*^,  che 
tratta  dei  privilegi  ecclesiastici. 

6'  Ci^drus  (cod.  Vallic  C,  40;  e  33  v**),  che  tratta  degli  sta- 
tuti (2). 

7'  Myrra  (cod.  Vallic  C,  40;  e  35  v°),  che  discorre  dei  te- 
stamenti. 

8'  BreviloijnÌHm(cod,  Vallic  C,  40;  e  38  v**),  che  trina  della 
composizione  degli  esordì, 

9'  Ysagoge  (cod.  Vallic  C,  40;  e  58  r"),  che  toma  a  par- 
lare della  introduzione  dell'epistola, 

IO*  Libcr  amicitiae  (cod.  Vallic  C,  46;  e.  42  v**),  nel  qual* 
TA.,  entrando  tutt'a  un  tratto  in  piena  filosofia,  tratti*  * 
imitazione  di  Cicerone,  dell'amicizia, distinguendo,  corxr^ 
al  solito,  anche  in  questo  tèma,  la  bagatella  di  venti  ^sei 
generi  d'amici. 

Il"  Rota  Vcneris,  che  potrebbe  dirsi  una  specie  d'ar5  ar^-**' 
toria  (cod.  Vallic,  C,  40;  e.  53  r"). 


«  Liber  slquidem  iste  dicitur  liber  .x.  ubularum,  quia,  sicut  ìn  \ 
«  cepiis  continebatur  omnis  perfectio   veteris   Testamenti,  ili  ^ 
a  istis  .X.  tabulis  onine  complementum  prosaici  dictaminis  cootV..^  ^ 
«tur».   Ms.  latino  8654  della   Nazionale  di  Parigi,  f.  125.  Cf-    ^\^ 
LiSLE,  cit.  scritto  x\q\V Amtuairc-Vuìletin  de  ìa  Soc.  à^  Thisì.  frany,  apf^ 
dice  VI,  p.  152.  ^ 

(1)  Cod.  Vallic.  e.  11:  «  In  Tradatu  virtutum  non  diccrc  a*** 
ft  potui,  que  ad  scientìam  dictaminum  pertioebanL  In  hìis  autcm  L 

«  tulis]  proui  poterò  supplcbo  ».  -  . 

(2)  È  il  solo  scrino  di  Boncompagno  pubblicato  per  intero  *^ 
RocKiNGER,  cit.  Qudìen  unti  Eràri  ttc.  I.  pp.  121- 127. 


Intorno  all'epistole  dì  Cola  di  ^en^o       409 


A  questi  scritti  sono  da  aggiungere  le  Arcngae^  una  serie 
esordi  simile  a  quella  di  Guido  Faba,  pure  contenuta  nel 
.^-^t^racitato  codice  Vallicelliano  (e.  68  r**),  e  le  dae  opere  che 
'^ncompagao  compose  ultime,  cioè  Y Antiqua  e  la  Novissima 
^^horica,  dove  più  s'appalesa  il  suo  ardire  d' innovatore- 
Dei  resto,  da  tutta  la  produzione  dì  Boncompagno  Fio- 
^ untino  non  potrebbe  esser  meglio  reso  il  tipo  del  cultore 
^^^^edievale  di  ars  dictandi  :  grammatico  e  giurisperito,  uomo 
*iì  lettere  e  uomo  di  legge,  e  fin  qualche  volta,  come  nel 
^-ì'bro  De  amicitia  e  nella  Rota  Vcneris,  filosofo  a  tempo  per- 
duto !  Colla  stessa  facilitA,  onde  scolasticamente  distingueva 
^  divideva  e  suddivideva  le  parti  AgW epistola  e  ne  dava  le  re- 
gole e  ne  compilava  gli  esempi,  l'arguto  maestro,  nella  Sethé- 
rica  novissima,  si  faceva  a  ricercare  stranamente  e  ad  esporre 
a  suo  modo  Torigine  del  dirino,  intitolandone  appunto:  De 
origine  iuris  il  primo  libro,  ed  enumerando  nientemeno  che 
quattordici  ordines  iuris,  dei  quali  il  primo  si  ritrovava  in 
coeliSy  il  secondo  /;;  paradiso  dclìcianm,  il  terzo  in  Adamo, 
e  cosi  via  di  seguito  fino  al  decinioquarto,  del  quale  «  iniu- 
«riosa  et  damnabilis  origo  fuit  tempore  Mahometti,  qui, 
«  dum  iumentos  et  asinos  castodiret,  se  transtulit  in  prophe- 
«  tam,  et  quandam  legem  detestabilem  adinvenit,  quam  su- 
«  spendit  super  cornua  tauri  viventis  et  ipsam  insipientibus 
cpopulis  pracscntavit  »  (i). 

Quale  figura  potrebbe,  più  spiccatamente  che  non  faccia 
questa  dell*aIlegro  derisore  di  Giovanni  da  Vicenza,  deli- 
neare a*  nostri  occhi  il  cerchio  in  cui  si  muovevano  questi 
omniscienti  maestri  d'epistolografia  e  di  retorica?  E  chi 
più  genialmente  di  Boncompagno  rappresenta  il  legame, 
che  era  nell'organismo  delle  scuole,  tra  retorica  e  diritto  ? 
Come  poi  air  ingegno  di  Boncompagno  debba  ricono- 
scersi una  certa  autonomia,  e  cornea  lui  ripugnasse  la  fredda 


(i)  Cf.  RocKWGER,  scritto  cit.  in  Sit\ung:htrichU  dtr  Ak.  àtt  ÌViss, 
p.  140  e  segg. 


C^.  Gabrielli 


e  scolastica  imitazione,  è,  sembrami,  specialmente  dimo- 
strato dair esordio  della  sua  Palma.  Ivi  egli  confessa  con 
sinceriti,  fors'anche  soverchia,  di  non  ricordarsi  d*aver  mai 
letto  Cicerone,  sebbene  (troppa  degnazione!)  non  l'abbia 
mai  del  tutto  sconsigliato  a  chi  voleva  studiario.  Manco 
male  che  non  si  dissimula  il  rischio  di  poter  essere  per  ciò 
giustamente  biasimato!  Infatti,  egli  dice,  la  mia  audacia 
non  può  non  recar  meraviglia,  dal  momento  che  Aristotele 
affermò  nessun'arte  nuova  potersi  inventare  naiuraliur  e 
senza  ricorrere  all'esempio  di  coloro  che  ci  prccederono. 
Come  dunque-  ei  sente  domandare-  potè  costui  trovare  una 
r:thorica  ftovissima,  quando  una  retorica  era  già  fino  da  Ci- 
cerone stabihta  e  fissata  ?  Che  cosa  avri  potuto  dire  di 
nuovo  ?  Ed  egli  risponde,  giustificandosi  :  «  Dividere,  deffi- 
«  nire  vcl  describere,  dare  pracccpta  et  seraper  iubere,  nihil 
«  aliud  est  quam  cmitterc  tonitrua  et  pniinam  non  largiri  j>. 
Siate  più  pratici!  sembra  ch'ei  voglia  dire  ;  e  dichiara:  «  Re- 
«  thorica  compilata  per  Tullium  Ciceroneni  iudicio  studen- 
«  tium  est  cassata,  quia  tanquam  famula  vel  ars  mechanica 
u  latentius  transcurritur  et  docetur». 

Un  tale  spirito  di  ribellione  doveva  necessariamente 
acuire  gli  sdegni  degli  avversari,  cosicché,  in  moltissimi 
luoghi  degli  scritti  di  Boncompagno,  sempre  crescenti  si  di- 
mostrano le  irose  guerricciole  tra  i  maestri  d'allora.  Invano 
Goftedo  di  Vinnesauf  aveva  augurato: 

Tabescens  igitur  livor  marcescat  in  aevum 
Nec  pracscns  corroJat  opus,  nec  darà  lìturet 
DictÌ5  dieta  suis,  nec  vcrbum  verba  vcncncnt  (i); 

la  maldicenza  e  la  calunnia  continuavano  a  dominare  era 
gli  uomini  di  lettere,  e  Boncorapagno,  preludendo  alla  sua 
Palma,  doveva  fare  agli  studiosi  questa  raccomandazione  : 
«  Rogo  illos,  ad  quorum  manus  hic  liber  pervenei'it,  qua- 


(i)  Hahs,  op.  cit. 


Intorno  all'epistole  di  Cola  di  ^'en^o       411 


**  "^nus  ipsum  dare  non  velìnt  rncis  emulis,  qui,  rasotitulo, 
*  *^^e  quinquc  s.ilutationum  tabulas  non  composuisse  dice- 
^  t>ani,  et  qui  mea  consueverunt  fumigare  dictamina,  ut  per 
^*  ftjmi  obtenebrarioncm  a  multis  retro  temporibus  compo- 
**  sita  videantur,  et  sic  mihi  sub  quodam  genere  meam  glo- 
^   »4ain  auferrenc  », 

Pochi,  io  credo,  avranno  mai  pensato  alla  potente  arma 
'^i  guerra...  letteraria  che  questa  interessantissima  attesta- 
zione di  Boncompagno  ci  scopre  usarsi  assai  facilmente  nel 
^^edio  evo.  I  mezzi  della  diffamazione  erano,  come  si  vede, 
spesso  disonesti,  e  i  detrattori  punto  scrupolosi  !  Ed  anche 
altrove,  annunziando  il  proposito  d'unire  in  un  sol  corpo  i 
due  libri  Qdms  e  Myrra,  Boncompagno  cosi  s'esprime  : 
(I  Obtestor  demum  invidos,  ut  libros  istos  per  fumum  te- 
«  nebrare  non  velint,  sicut  quidam  fecerunt  de  quibusdam 
ff  tractatibus  meis  , . .  Coniuro  per  Omnipotentem  furrivos 
«  dcpiIatorcs,ne,  abrasis  titulis,ipsosexcorient,  sicut  quidam 
V  raeos  alios  libros  turpitcr  excoriarunt  ». 

Boncompagno,  che  la  superiorità  dell*  ingegno  faceva 
principal  bersaglio  alle  invidie  dei  mediocri,  segna  come  il 
culmine  delio  sviluppo  a  cui  Vars  dictandi,  qual'ò  rappresen- 
tata nelle  Snmmac  e  nei  Dictamina,  arrivò  nel  secolo  xm. 
Quell'arte  s'era  andata  intanto  sempre  più  immedesi- 
mando colla  pratica  notarile,  elevata  oramai  a  dignità  di 
scienza  ufficialmente  insegnata. 

Troviamo,  infatti,  a  Bologna  alcuni  insegnanti,  specia- 
listi di  ars  ttotaria  (i),  ed  altri  che,  come  Pietro  Paolo 
de*  Boatterii  (2)  nel  principio  del  secolo  xiv,  v'insegnavano 
a  un  tempo  ars  dictandi  e  ars  notoria. 


(i)  Sarti,  Dì  cìaris arcby^mnasii  Bononiànsis  profcssorihus  a  sacc.  xi 
usqtie  ad  xiv  ;  Bologna,  1769,  tom.  I,  par.  I,  p.  421  e  segg. 

(2)  Questo  insigne  maestro  è  specialmente  nolo  come  quegli  che, 
mentre  continuò  le  belle  tradizioni  dei  dìctatorcs  anteriori^  compose 
anche  il  più  celebrato  commento  alla  famosa  opera  sull'arte  nota- 
rile di  Rolandino  de*  Passagerii.   Morì  P.  Paolo   de'  Boatterii  poco 


412  q4.  Gabrielli 


Data  una  cosi  fatta  affinità  dell'ari  diclandi  coll'arte  nota- 
rile, e  poiché  le  collezioni  pratiche  di  modelli  prodotte  dall'una 
finivano  per  servire  così  facilmente  anche  all'altra,  appare 
ben  naturale  che,  fra  le  numerosissime  collezioni  di  lettere 
pervenute  fino  a  noi,  molte  ve  ne  siano  che  non  hanno  pro- 
pri.iinente  quell*  indole  dottrinale  e  scolastica  che  fin  qui 
v'abbiamo  riscontrato,  che  non  provengono  da  maestri  e 
da  insegnanti  all'uopo  destinati,  ma  scaturiscono  più  di- 
rettamente dalla  pratica  della  vita,  dagli  eventi  di  tutti  i 
giorni. 

È  tutto  un  gruppo  di  raccolte  epistolari,  aumentatosi 
specialmente  nella  seconda  metà  del  secolo  xiit,  dove,  an- 
ziché la  grave  teoria  della  scuola,  voi  ritrovate  la  manife- 
stazione appassionata  della  vita  pubblica,  l'operosità  giorna- 
liera delle  cancellerie,  massime  della  papale  e  dell'imperiale, 
la  vita  libera  del  comune;  grossi  e  fitti  zibaldoni,  nei  quali 
gli  stessi  scrittori,  ch'erano  dal  loro  ufficio  obbligati  a  com- 
porre lettere  in  servizio  ed  a  nome  del  signore  o  del  co- 
mune, andavano  (a  mano  a  mano  che  venivano  redigen- 
dole) a  trascriverle  e  a  raccoglierle  insieme,  perchè  poi 
servissero  altrui  d'esempio  e  di  modello. 

Ogni  città  libera  ha  il  suo  dictator,  al  quale  spetta  dar 
forma  solenne  alla  volontà  popolare,  e  la  cancellerìa  pon- 
tificia sta  come  a  capo  di  questa  numerosa  schiera  di  notai, 
sparsi  per  tutta  Italia.  Ma  come  discorrere  in  poche  pagine 
d'un  soggetto  cosi  attraente,  ma  pur  cosi  vasto  ?  Basterà 
ricordare  di  volo  le  lettere  papali  raccolte  da  Tommaso  di 
Capua,  cardinale  di  Santa  Sabina  e  notaio  pontificio,  e 
scritte  tutte  da  lui  medesimo:  collezione  celebrata  quan- 
t'altra  mai  nei  secoli  xiu  e  xiv,  e  proposta  come  eccellente 
modello  di  stile  epistolare.  Il  Dictator  cpistolarum  (i)  (cosi 


dopo  il  [321.  Cf.  RocKtNGER,  cit.  scrìtto  'mSitiungshtTichUder  jik,J4r, 
tViss.  pp.  150  e  151  ;  Movati  op.  cìi.  cap.  HI, 
(i)  Pubblicato  dairHAWs',  op.  cit.  1,  v. 


Iniorno  all'epistole  di  Cola  di  T(ien\o        41J 


Tommaso  di  Capua  intitolò  Li  sua  raccolta)  indicato  al 
^^^  tempo  qual  tipo  dello  stile  curiale  romano  (aJ  nativam 
Romani  styìi  indolem),  menrr'è  ancora  una  prova  del  carat- 
•cre  speciale  ch'ebbe  lo  stile  cancelleresco  della  curia  pon- 
^^cia^  rìe&ce  anche  importante  per  ciò:  che  le  lettere  del 
pontefice  finiscono  per  rappresentarvi  il  minor  numero,  di 

f"^otitea  quelle  scritte  in  nome  proprio  dair.iutore...  Curioso 
*^*^o,  e  non  unico  tra  questi  epistolografi  ufficiali;  in  cui 
^^"Vente  rambizìoncclla  dell'uomo  sopraffa  la  ^<rc>crd(wa  ri- 
^*^ezza  del  cancelliere!  E  son  lettere  d*ognÌ  genero  e  d'ogni 
^^sura,  dove  Tommaso  ora  avvisa  ad  un  amico,  troppo 
P'^ro  a  rispondere,  di  non  esser  solito  a  ripetere  due  volte 
'^^^a  preghiera  (i)  ;  ora  invita  un  altro  a  farsi  vivo  in  per- 
'"^^^^na,  e  non  con  epistole  soltanto  (2);  una  volta  annunzia 
*       un  seccatore  l' inesorabile  dilazione  d'un  sussidio  richie- 
^  "^  o  (3)  ;  un'  altra  volta  accompagna  con  brevi  parole  il  re- 
^S=nlo  d'un  cavallo,  giA  appanenuto  ad  un   prete...   (4).  É 
*■  ^"ìsomma  un  vero  uomo  di  mondo,  questo  dotto  segretario 
*^^J  Gregorio  IX!  (5)  E  accanto  a  lui  come  non  ricordare 


(i)  «  Scrìpsìstis  super  co  quod  scitis;  sed  cur  non  exaudivistis 
^»  preces  nostra»  ?  Non  est  nostri  moris  vile5cere  in  precibus  iteran- 
%dis  w.  H.VHS,  op.  cit.  1,  555. 

(2)  «  Quìa  solent  esse,  quc  apprehenJuniur  visibushomìnura,  no- 
«  tiora,  de  stata  vcsiro  me  aliosque  nostros  de  curia  certificare  cu- 
ti retis,  non  per  epistole  vcl  nuncii  missionem,  sed  per  cKhlbìcionem 
«  presencie  corporalis  a.   HAH>f.  op.  cit.  I,  5  (2. 

(3)  «  Venturus  ad  coHoquiumprincipis,  pecuniam  expetisln  subsì- 
«  dium  expensarum.  Wrum,  cum  adhuc  incerta  sit  suiuma,  usque 
(r  ad  reditum  poterit  dìiTerri  peticìo,  ut  ex  certitudine  sumptuum  sub- 
«  sidii  certitudo  forraetur  ».  Hahv,  op.  cit.  I. 

(4)  «  Mittìtur  equus,  qui  et  palefriduni  gressus  placentia  et  dcxta- 
«  rium  persone  statura  prcseniat.  Sane  quod  clerici  crat,  recepii  a 
(c  clerico.  In  reliquo  vero,  si  quid  forte  defuerit,  adiectìo  supplcat  ex- 
«  pcrientie  militaris  ».  Hahx,  op.  cit.  I,  366. 

(5)  Fu  egli  probabilmente  che,  delegalo  da  Gregorio  IX  a  trattare, 
insieme  con  Giovanni  vescovo  di  Sabina,  la  nota  pace  del  1230  tra 

Archìvio  della  R.  Società  romana  di  t torta  patria.  Voi.  XI.  3B 


414 


e^.  Gabrielli 


un'altra  collezione  epistolare,  che  circolava  per  tutto  11  mon  ^^ 
còlto  di  quel  tempo  ? 

Intendo  la  raccolta  di  Pier  della  Vigna,  di  questo  m-^>' 
simo  tra  i  notai  medievali,  ch*ha  in  pugno  la  sorti  non  d'urta 
sola  città,  ma  d'un  regno,  e  che  tanto  bene  incarna  ilrip*> 
deirantico  cancelliere,  quale  lo  vagheggiavano  gli  uomini 
dei  secoli  xni  exiv. Con  Tommaso  di  Capua,  il  segretario 
di  Federico  II  stette  anche  in  corrispondenza  (i),  e  il  cor»^  — 
mercio  epistolare  di  questi  due  uomini,  di  questi  due  a.*"— 
denti  meridionali,  che  la  politica  non  era  riuscita  a  dittai  — 
dere,  e'  inspira  oggi  una  schietta  simpatia, 

E  dopo  la  collezione  di  Pier  della  Vigna,  eccone  ilcr"«r 
tenerle  dietro,  e  primeggiare  quella  di  Berardo  di  Napoli  (2)^ 
notalo  della  cancelleria  papale  sotto  Urbano  IV  (i  261-126-4.) 
e  Clemente  IV  (i 265-1 268).  Egualmente  dotto  in  retori *ra 


il  papa  e  Federico  II,  scrìsse  la  famosa  lettera  aW\imathsimo  wstro 
figìio,  che  comincia  : 

(t  Si  Annj,  discessum  Tobiae  fìlli  sui  non  sustinens  patienter^n^ 
«  lacrv'mis  effluebat;  si,  morae  impaiiens,  quotidie  circuibat  omf*- 
«  per  quas  rcditum  anxic  pracstolabaiur,  vias,  et  tandem  in  supere^' 
«r  moniissedens,  viso  de  longinquo  Alio  redeunte, ineicplicxbili  eau«r%io 
«  exuliavit;  quanto  nunc  tripudio  hilarcscatMater  Ecclesia,  quicfili"»-*"' 
«  excclsum  prac  regibus  lerrae  ad  se  recepit  redcuniemli.  R--^^' 
SALDI  Oderici  AnnaUs  icdcsiaUki,  anno  1250,  n.  x. 

(i)  Ecco,  come  saggio,  una  lettera  brevissima,  un  vero  W<K^^-^^' 
indin7:zato  dal  segretario  di  Federico  II,  a  nome  deir  ìmpcrator^^^^  ' 
Tommaso  dì  Capua  : 

«  Equura  hispanum  gratanier  accepimus,  ab   expcno  probatu — ^"^ 
(c  Quem  tanto  chariorem  habcmus,  quanto  gratiora  sunt  muncr» 
«  ccrdotum  m.  Epistoìarum  Petri   de  VncEis  libri   ri }  Basilea  li 
libro  IH,  lett.  xix. 

(2)  Cito  i  due  testi  più  notevoli  in  cui  riscontrasi  il  oonie  Ji 
rardo.  Una  lettera  *d*Urbano  IV  (Pertz,  Archiv,  V,  449)  neon 
R  Magister  Berardus  de  Neapoli,  subdiaconus  et  notarìus  ao<tcr 
Clemente  IV,  a  di  i*»  novembre  126J,  si  scusa  di  non  poter  iflviJ 
il  suo  notaio  Berardo  alla  cone  della  regina  di  Francia.  (Pomu^ 
n.  19407). 


Intorno  all'epistole  Ji  Cola  di  ^f(ien^o       415 


■ 


^  in  giurisprudenza,  anch'egli  trascriveva  e  riuniva  le  sue 
'^tterci  che,  raggruppate  in  collezioni  adattate  ai  bisogni 
cosi  delle  scuole  come  delle  cancellerie,  erano  alle  une  e 
^"e  altre  proposte  qua!  modello  di  stile  epistolare. 

TI  Delisle  (i)  indicò  nella  biblioteca  Nazionale  buon 
'^Utncro  di  raccolte  epistolari  certamente  a  lui  dovute.  An- 
^h'egli,  come  Tommaso  di  Capua,  inseriva  spesso  lettere 
P'"oprie  tra  quelle  scritte  in  nome  del  papa  e  che  forraa- 
^^.rioil  fondo  della  collezione;  nei  suoi  Diclamina  (2), una 
specialmente  ne  va  menzionata  da  lui  diretta  al  re  di  Na- 
poli. Nel  ms,  761  della  biblioteca  di  Bordeaux,  illustrato 
^^1  Delisle  (scritt.  cit.),  si  trovano  anche  altre  tre  lettere 
^^taiposte  da  Berardo  in  nome  proprio,  una  delle  quali,  in- 
'''«"ìzzata  a  Gregorio  X,  felicita  quel  papa  per  la  sua  recente 
^^^^vazione  alla  sedia  papale.  Finalmente,  le  Ephtolae  itola- 
'  ^ ^^  (3)1  ^'  Berardo  pur  esse,  contengono  parecchie  let- 
*^^e  d'altri  illustri  personaggi  di  quel  tempo. 

Ma  chi  affermasse  che  col  graduale  modificarsi  dello 
.    t^irito  medievale  sia  quasi  cessato  il  culto  dell'i^ri  diciandi 
^-^  Italia,  non  sarebbe  nel  vero.  Se  noi  estendessimo  la  nostra 
*^pida  rassegna  anche  ai  primordi  del  Rinascimento,  ve- 
dremmo facilmente  come  quest'ars  diciandi,  avente  il  suo 
Caposaldo   nelle  lettere  di  Cicerone  e  di  Plinio,  uscita  per 
*t>reve  tratto  dall'insegnamento,  venga  poi,  quando  gl'Ita- 
liani ritornano  all'adorazione  dell'antichitA  classica,  a  rien- 
trarvi qual  parte  ragguardevole  delle  bumaniores  literac. 

Ma    qui    ci  trattengono    i    lìmiti    imposti    allo    studio 
nostro. 


(1)  Kotices  Tur  cinq  manuscrits  dt  la  hihìio0}èqu£  Nationak  et  sur  un 
manuscrit  t/c  ìa  hibliothèquc  de  Bordeaux  conttmants  dcs  rccucils  épistoìaira 
de  B^rard  de  Kaphs  in  Wotices  et  txtraits  da  mss.  He.  tomo  XWII, 
parte  I  ;  Piirigi,  1885. 

(2)  Bibl.  Naz.  dì  Parigi,  mss.  lat.  8581  e  14175. 
(3}  Bibl.  Naz.  di  Parigi,  ms.  Ut.  4)  11. 


41^ 


C^.  Gabrielli 


IV. 


I  trattnri  epistolari  di  cui  ci  è  occorso  far  cenno  S  ■* 
qui,  hanno  giA  dato  modo  di  vedere  come   ciascuno  ^^' 
essi   comprendesse  due   parti   distinte:    teorica   l'uni,  e ^ 
esposta  in  forma  affatto  dottrinale,  ed  era   Yars  diam^^ 
propriamente  detta;  l'altra,  per  contrario,  tutta  pratica,    "^ 
costituita   dalie  formule  e  dai  modelli  epistolari,  ed  cf  j* 
quella  che  chiamavasi  la  summit.  Ma,  dovendo  preporre  * 
titolo  a  una  compilazione,  si  pigliava  il  tuno  per  la  paT^*^ 
e  s'usava  inditferentemente  l'una  o  Taltra  delle  due  den 
mi  nazioni. 

Quella  duplice  forma  però  non  manca  mai  nelle  o] 
dei  dictatores,  e  con  essa  i  Dictatnitia  costantemente  si 
producono,  ripetendosi,  copiandosi  e  rassomigliandosi 
ni  modo,  che  pur  da  un  materiale  assai  limitato  (i)  n 
riesce  difficile  trarre  le  teorie  più  generali  e  più  largjnier^»  ^ 
accolte.  Ed  è  appunto  questo  contenuto  comune  ai  oun:^^ 
rosi  tr.irtati  d'epistolografia  medievale  che,  secondo  Tordi:^^ 
dato    alla    nostra  esposizione,  ci  conviene  ora  present-»^ 
nelle  sue  linee  principali;   cercando  di  stabilire  come 
tradizionale  autoritA  dei  maestri  volesse  formata  Tcpisio^^ 
quante  e  quali  parti  le  prescrivesse,  quali  ornamenti 
stile  consigliasse,  quali  escludesse;  che  forma,  insomrr:^ 
assumesse,  uscendo  da  una  scuob  di  retorica,  una  letrc^"  "'_ 
del  XII  o  del  xm  secolo. 


(t)  Mi  corre  l'obbligo  dì  notare  che  allo  studio  dei  DictamÙLi  \ 
a  stimpa  per  opera  specialmente  del  Rockinger,  m'è  sembrilo  J< 
ficicntt:  pel  mio  lavoro,  d'indole  affatto  generate,  a^ungcrt  vtl 
mente  il  contributo  che  mi  veniva  dai  citati  codici  :  Vallicclliano  C,  4 
Ciuciano  I,  \\\  io6  e  Chig.  I,  V.  174,  i  quili  tuitavta  non  «odo 
non  piccola  parte  del  materiale  che  può  opportuoameute  serrile  ^' 
nostro  argomenta 


Intorno  al  repistole  di  Cola  di  T^'eu\o       417 


Una  stabile  e  sicura  distinzione  delle  parti,  nelle  quali 
debba  dividersi  la  lettera  medievale,  non  si  ritrova  prima 
J* Alberico  di  Monte  Cassino,  che  fu,  sembra,  il  primo  a 
enumerarle.  Sui  passi  di  lui  camminarono  i  dictatores  che 
vennero  poi,  cosicché,  tranne  lievi  modificazioni,  la  teoria 
tlelle  scuole  rimase  per  questa  parte  tal  quale  qui  la  rias- 
sumiamo. 

Cinque  parti,  possiamo  dire,  doveva  contenere  Vepi- 
itoltz  :  la  salulalio,  Yexordinm  ò  bencvolentiae  captatioj  la 
narrtìtio,  la  petitio  e  la  coticlusio.  A  queste,  qualche  trat- 
tato aggiunge  la  vaìedktio  e  la  data,  che,  insieme  alla 
saltitatio,  vengon  chiamate  estrinseche,  mentre  wtrinsecbe 
sono  dette  le  altre.  Ma  il  maggior  numero  dei  maestri  ita- 
hani   non  riproduce  una  cosi  fatta  distinzione. 

E  anche  da  notare  che  qualche  altra  enumerazione 
conae  una,  per  esempio,  che  vuole  le  parti  d{:ìl\'pistola  dì- 
stinte  in  salutaiiva,  motiva,  progressiva  e  conclusiva  (i)) 
non  è  in  fondo  differente  se  non  per  !a  variata  dizione, 
P -stendo  sempre  in  essa  rientrare  le  cinque  parta  più  ge- 
'^«^ralmente  adottate. 

La  sahitatio  ha  specialmente  sviluppo  nelle  lunghe  serie 
"'  niodelli  che  se  ne  davano.  La  semplice  e  piana  formula 
classica:  «  Alcuinus  Thcophilo  salutcra  »>  si  trova  alterata  e 
^^"^plificata  fino  dal  ix  secolo,  E  già  a  quel  tempo  ci  occorre 
"ria  salutatio  come  questa:  «  Optimo  Theophilo,  bis  binae 
evangelicae  veritatis  discipulo  ctsanctarum  quadrigae  vir- 
*  ^^tum.fidelium  quadriga  amicorum,  piena  charitLitis  nave, 
^rans  alpinas  aquas  dirigit  salutem  n.  Con  non  minore  ar- 


(t)  La  parte  lalutativa  <t  pcrsonas  nominatur  et  dcbitum  charitatis 
1'  *?3Lsolvit  Ji;  la  motiva  «  fundamentum  est  persuasionis,  fulcimentura 
**3tcniÌonis,  ìncitamenium  affectìonis,  causara  concipiens  efficacem 
*^*<1  proposìtum  obtìnendum  j»;  Li  progressiva  tratta  il  negozio  prin- 
^*Pa1c;  la  conclusiva  «  sicut  fldclis  obsietrix,  fructum  ab  aliis  clau- 
'  iulis  generatum  receptare  conatur».  Ms.  latino  14357  della  bìblio- 
^ca  Nazionale  di  Parigi,  illustrato  dal  Vai-OIS,  Op.  cit.  VI,  51. 


4i8 


qA.  Gabnelli 


tificiositA  i  dktatùres  dei  secoli  xii  e  xm  danno,  a  secouiL 
della  pcrsoni  cui  In  lettera  è  diretta,  la  formula  di  saluta 
giA  belTe  fatta,  e,  ubando  talvolta  anche  certi  prospetti  e 
tavole  sinottiche,  insegnano  con  quali  parole  si  debbanc 
salutare  i  vescovi,  gli  abbati,  gli  studenti  e  ogni  sona  tì 
persone  (i),  sempre  tenendo  fisse  le  due  grandi  caiegori" 
in  cui  dividevasi  la  società  medievale:  ìaici  ed  rccUsiastic^ 
e  ciascuna  di  queste  due  grandi  classi  distinguendo  neitr« — ■* 
gradi:  suprcmns,  nudins,  infimus, 

A  queste  formalità  della  saìuìniio  si  stava  rigorosamcnl 
attaccati,  e  i  maestri  davano  ad  esse  un.i  singolare  inipi 
tanza.  D'altra  parte  insegnavano  che,  a  differenza  di  qualcl^ 
altra  parte  icWc pi  stola,  che  potevasi  omettere,  h  salutata '^ 
era  d'obbligo,  qualunque  fosse  il  tèma  della  lettera. 

L'esordio  (cxordinm')  era  detto  anche  proctmum  o  p^^\ 
verbitim,  e  tale  denominazione  venivagli  dall'essere,  secoix 
il  consiglio  dei  dictaiortSy  generalmente  formato  da  una  5< 
tenza  o  da  un  motto  tolto  ora  dai  pochi  scrittori  class 
studiati,  or  dalla  Bibbia  e  ora  dagli  scrittori  sacri  più  f^ 
voriti. 

Di  questa  parte  tuttavia  l'epistola  poteva  anche  mx  *^ 
care:  non  era,  a  ogni  modo,  necessario  aver  sempre  a-l^' 
mano  il  motto  o  proverhlum  (2)  con  cui  aprire  la  Icttcr"  -* 


(i)  Sebbene   gii   riportate   dal  Vaiois  (op.  cit.  p.  56)»  ci  pi; 
trascrivere  ancora,  a  modo  di  sag^o,  le  se^jucnii  formule  di  itsluU 
che  si  trovAno  nei  manoscritti,  appartenenti  al  dictator  Transtnon 
da  noi  già  sopra  citati  (p.  598),  Dice  adunque  quello  scrittore  c*»^' 
scrivendosi   alle   sante   vergini,  cosi    devesi    salutare:     0  Virginità •** 
«sacris  talis  cenobii,  talis  persona,  salutem  et  veniente  spoos"  t^^" 
«  bere  succensas  lampadas  oleo  sanctitatis  ».  E  scrivendosi  i  stuJcrv 
«  Salutem  et  facundiam  consequi  tullianam  »,  oppure  :  «  In  sicris 
«  nonibus  gratiam  promererì  »;  od  anche:  «lustinianum  iuris  p' 
cdentìa  imitarì  u.  E  ad  un  usuraio:  «salutem  et  de  lucro  capri' 
«et   crastìno   cogitare»,  oppure:  n  tantìs   abundarc    succcssibui*   *^ 
«  universitas  invìdeat  vicinorum  ». 

(a)  «SI  dictator  non  habet   proverbium  ad  manum id  '** 


r  V-en 


Intorno  aìPepisioIe  dì  Cola  di  ^{ìen^o       419 


aerano,  del  resto,  a   risparmiar  la  fatica   delle  ricerche, 

'"fighe  serie  di  proverbia  glA   raccolti  e    raggruppati  dai 

°iiiestri  per  uso  degli  scriventi  ;  troviamo,  per  esempio,  nei 

^'ciamirta  :  Proverbia  Saìonionis,  Proverbia  de  libro  Eccksia- 

^^^n^  Provcrbuì  de  libro  lesti,  Proverbia  Senece,  Proverbia  de 

'^fis  decretalium  snrnpta. 

Per  i  casi  in  cui  non  si  volesse  esordire  con  un  motto 
^  con  una  sentenza  mi  nota,  s'han  moltissime  altre  serie 
^  «•-vt^Jji/  gii  formati  dai  maestri  e  adattati  alle  più  varie 
^^^cosunze. 

Ed  uno  li  dispone  per  ordine  alfaberico,  secondo,  cioè, 
^  iniziale  della  prima  parola,  e  ne  presenta  dieci  per  ogni 
^^ttera;  un  altro  li  ordina  secondo  il  verbo  che  v'c  adope- 
^^to,  e  cosi  via,  Arengae  son  chiamati  questi  esordi  da  Guido 
^aba  (j)  e  da  Boncompagno  Fiorentino  (2),  che  entrambi 
^>€  danno  serie  abbondanti  e  interessantissime. 

Su  la  narratio  mi  par  curioso  notare  questo  ben  strano 
F>recerto,  quasi  costantemente  ripetuto  dai  maestri  :   -    Si 
^ee  narrar  sempre  qualche  cosa,  anche  quando  nulla  real- 
rnente  vi  sia  da  narrare.  -  La  cosa,  però,  non  è  diificile  a 
spiegarsi;  essi  avevano  appreso  da  Cicerone  essere  la  nar- 
'^atio  una  parte  essenziale  dell'orazione,  e  ciò  che  a  propo- 
sito di  questa  insegnò  Marco  Tullio,  avevano,  senz'altro, 
«steso  anche  alV  epistola,  genere  pur  tanto  diverso  di  scrittura  ! 
Anche  la  narratio  doveva  sempre  cominciare  con  talune 
espressioni  fisse  e  immutabili,  le  quali  sono,  si  può  dire, 
riassunte  tutte  da  una  spede  di  prospeno  compilato  da 
Ponzio  Provinciale   e  stampato  opportunamente  dal   \'a- 

«  quod  ìntendit  captet  benevolcntiam  auditoris  »*  (Biblioteca  Nazìo- 
aale  dì  Parigi,  ras.  latino  994.  Cf.  Valois,  op.  cit.  VII.  59).  Di  qui 
sMntende  facilmente  come  l'esordio  venisse  assai  comunemente  chia- 
mato dal  maestri  :  hencvolcntiac  captatio. 

(i)  Cod.  Chigiano  I,  IV,  106,  e.  48  v*.  V.  sopra,  p.  404  del  pre- 
sente scritto. 

(2)  Vedi  sopra,  p.  409  del  presente  scritto. 


420 


q£  Gabrielli 


k>is  (i).  Lo  scnctore  comindava,  per  esempio:  «  losmua — - 
tione  praeseatium  discredoni  vestrae  clareat  v^ieraadae^ 
quod  »,  e  qui  seguiva  Peqiosìzione  dei  fàtd. 

La  petòhen  Tunica  parte,  che,  secondo  gli  stesa  ékta- 
tores,  non  poteva  disciplinarsi  con  regole  fisse. 

La  conclusio  finalmente  veniva  cod  ^finìu:  «  Con- 
«  dusio  est  estrema  dausula  epistdarìs  eloquii,  que  sermo- 
«  nem  terminat  materiamque  consummat,  in  qua  maxime 
«  curandum  est  ut,  que  superius  dieta  sunt,  digna  et  recepta- 
«  Ulia  comprobentur,  et  quedam  abreviato  cdm^dio  rea* 
«piente  animo  profiindius  infigantur». 

Dopo  la  distinzione  delle  dnque  parti,  i  trattati  epkto- 
lari  indicano  gli  ornamenti  di  stile  (ornamenta^  onde  k  let- 
tera va  abbellita. 

Abbiamo  gii  accennato  come  per  designare  il  num^rus, 
di  cui  parla  Cicerone  nell'Oro^or,  s'usava  dalle  Aries  SoA" 


(i)  Op,  ctL  p.  63.  Lo  riportiamo  qai  integralmente: 


pnuMBtivm 

pneMndt  pagliiu 

Rcwntione 

liuituniodi  paglnalae 

Dccuntionc 

ittins  cednUe 

Ifuiouarìone 

huÌQsmodt  petitorit 

DcmoBStrfttìone 

•cripti  buiut 

SlgmficAlione 

praeseotlum  HterAniin 

ladicatlone 

ìitius  icrìpti 

Tenore 

Kripturae  ìstìui 

Apertione 

iitorum  apicum 

Norificatione 

praesentium 

Enucleatìooc 

ìsta  Ittteratorìa 

praescnti»  pagioulae 

dOflUMUtlOIU 

diaer«ttoai 

nobiUtitt 

■tnauitsd 

paterBitati 

tioceritati 

probitati 

sanctìtati 
honestati 

Tcatrae 

vd 
tuae 

benignitati 

religioni 

caritati 

pietati 

mansuetudÌDi 

societati 

dilectioni 

cUnat 
pateat 

liqueat 

appareac 

claroni  fiat 

dcclaretur 

manifeatetur 

insinuetur 

significetur 

norificetnr 


faoooraadat 

metnendae 

peramandae 

excelleoti 

praeccllenti 

divulgatae 

apertissimae 

generosae 

provni^tae 

ttominaue 


Intorno  all'epistole  di  Cola  di  "^eìf^o       421 


^^^trzsm  la  parola  cursus  (i),  e  quelle  regole  d'armonia  con- 
^'SliiUe  da  Cicerone  airarte  oratoria  e  volte  a  governare 
^    cadenze  del  discorso  forqnsc,  applicavano  anche  al  ge- 
^'^r^  epistolare.  Sembra  che  in  ciò  i  primi  maestri  d'Or- 
^^ns  fossero  molto  parchi,  e  del  numerus  facessero  conto 
^*  >    ma  senza  regole  troppo  rigide,  e  solo  badando,  ad 
*^*"^cchio,  a  certa  musicalit;\  del  periodo.  L'esempio  del- 
*  esagerazione  venne  ai  Francesi  dalF  Italia,  e  specialmente, 
*^ri  dai  primi  del  secolo  xii,  dai  notai  pontifici,  i  quali  an- 
*^^Tono  formulando  regole  d'ogni  genere,  massime  intorno 
^"1   suoni  onde  dovevano  finire  gl'incisi  (2).  Gi;\  d'un  tale 
'^xnificioso ornamento  abusavano  i  notai  d'Onorio  II  (1 124- 
*  154);  ma  negli  anni  che  seguirono,  venuto  in  moda  il 
cosi  detto  stile  gregoriano,  al  cursus  s'attribuì  un'impor- 
tanza addirittura  soverchia  dalle  cancellerie  d'Eugenio  III 
^1145-1153),  d'Anastasio  IV  (1153-1154)  e  d'Adriano  IV 
(1154-1157).  Invece,  fuori  d'  esse,  gli  scrittori  non  si  la- 
sciarono, sembra,  pigliar  troppo  la   mano  dal   nuovo  arti- 
Ificio,  e  rimasero  più  strettamente  fedeli  allo  stile  di  Cice- 
rone, «  stylo  videlicet  Tulliano,  in  quo  non  esset  observanda 
(i)  «  Apposìtio,  que  dicitur  esse  artificiosa  dictionum  structura, 
«ideo  a  quibusdam  cursus  voaiur,  quia,  cum  artificiose  dictiones  lo- 
«  cantur,  currcrc  sonitu  dclectabill  per  aures  videntur  cum  bcnepla- 
'  «cito  audiiorum  ».  Boscompagno,  ms.  8654  della  Nazionale  dì  Pa- 

ri^ Cf.  cit.  Notices   et  nxtraits   des  mss.  ite.  XXII,  parte  II,    1868; 
cit.  lavoro  di  C.  Thurot. 

(2)  «  Pcdes  autem,  secundum  cursum  Romane  curie,  talilcr  ordi- 
«  nabis.  Dcbes  enim  incipcre  tuam  cUusulam  ab  uno  spondeo  et  di- 
u  midio,  vel  a  pluribus,  a  dactylo  nunquara,  nisi  sunt  conlunctiones, 
n  Ut:  idio,  imitar.  Punctum  vero  facies  vcl  super  duos  spondeos, 
«dactylo  precedente,  ut  hic:  latortm  prisintium  mino  vobis,  aut  super 
«  dactylum,  ut  hic  :  noscat  vcstra  discrtiio  presotti  pagina.  Finis  epi- 
tf  stole  fit  quatuor  modis,  aut  super  duos  spondeos,  aut  super  ires, 
«aut  super  trcs  et  dimidium.  aut  super  quatuor  ».  Ponzio  Pro- 
vociale,  Sitmma  dictaminiStms.  865}  della  Nazionale  di  Parigi,  f.  6  v", 
descritto  nelle  cit.  Koticcs  et  extraits  dts  tnss.  ctc.  XXII,  parte  li,  p.  38- 


^feuJfc'  *^^ 


0£  Gabrielli 


a  pedum   cadetitia,  set  dictionum  et  scfltentiamni  colo-  ^ 
a  ratio  i>  (i). 

^     Lo  stile  gregoriano  adunque  mostravasi,  nel  cursus,  più*^ 
nnificioso,  secondo  le  attestazioni  che   ci  vengono  dalla-^ 
cancellerìa  pontificia.  Molti  scrittori  però,  seguivano  la  tra-  - 
dizione  della  scuola  d'Oriéans:  più  spigliata  semplidti, 
meno  bavagli  di  dattili  e  di  spondei»  e  solo  quella  garbau 
coloratio  dicHonum  et  smtmiiarum^  che  Giovanni  Anglico 
raccomandava.  Tuttavia,  a  cotesta  forma  ]nù  libera  e  franca 
s'opponeva,  tra  gli  altìi.  Maestro  Bene  dì  Firenze  in  un 
luogo  notevole  da  noi  gii  citato  (a),  schierandosi  coi  se- 
gretari papali  contro  1  maestri  d'Orléans.  I  quali  -  se  s*ha 
a  credere  a  Boncompagno  -  non  giKU'davan  troppo  pel  sot- 
tile alle  brevi  e  alle  lunghe,  e  poco  lusingavano  l'oiecchio 
delicato  di  coloro,  che  rimanevano  più  attaccati  ai  precetti 
della  cancelleria  pontificia. 

Un'infinità  d'altre  regole,  attinte  da  Cicerone,  da  Quin- 
tiliano, da  Isidoro  di  Siviglia,  s'aggiungono  a  governare 
lo  stile  nelle  Artes  dktandi;  ma  tutte  non  sono  meno  appli- 
cabili ^epistola  che  a  qualsiasi  altro  genere  di  scrittura.  Si 
può  dunque  senza  danno  lasciare  questa  parte,  e  citare 
piuttosto  qualche  norma  dittatoria  che  si  riconosca  essere 
im  portato  nuovo  della  coltura  medievale,  e  non  una  ne- 
cessaria conseguenza  dell'antica  tradizione  classica. 

Ma,  una  volta  messi  per  questa  via,  quante  sottigliezze, 
quanti  bizzarri  artifici,  quante  vane  distinzioni  e  suddistin- 
zioni non  dovremmo  faticosamente  seguire!  Eppure,  tali 
regole,  al  tutto  meccaniche  ed  esteriori,  che  potente  aiuto 
ci  prestano  a  scoprire  i  diversi  atteggiamenti  che  pren- 
deva il  pensiero  degli  uomini  del  medio  evo! 


(i)  Poetria  magislri  Iohannis  Anglici  tf^  arU  prosayca,  metrica  et 
rithmica,  pubblicata  in  gran  parte  dal  Rockinger,  cìt,  QuelUn  und 
EròrUrungen  etc.  I  Abth.  pp.  485-512. 

(2)  V.  sopra,  pp,  392,  393. 


Intorno  all^epistole  di  Cola  di  T{ien^o        423 


i 


Dicevano,  per  esempio,  che  il  vocativo    non  doveva 

P<^i"si  mai  in    principio  d'una  data  sentenza,  ma  in  mezzo 

^*J-     in  fine.  Invece  il  nominativo,  se  trovavasi  in  una  fnisc 

**^sicme  con  casi  obliqui,  doveva  a  questi  posporsi;  e  ciò  per 

^^'-iscire  all'opposto  di  quel  che  avveniva  nella  declinazione, 

'^«^'se  il  nominativo  si  preponeva.  Se  poi  occorrevano  più 

*^^3.si  obliqui,  dovevano  sempre  collocarsi  nello  stess'ordine 

*^^^ d'essi  segui vansi  nella  decIina:iione;  cosi,  per  esempio: 

^    Trium  puerorum  (gen.)  laudibus  (dar.)  hymnum  debitum 

v**-cc.)  voce  consona  (abl.)  pcrsolvamus  ». 

Fra  tutti  i  casi,  il  genitivo  riscuoteva  le  maggiori  e  piò 
^I>iccate  simpatie.  A  moltiplicare  quanto  più  potcvasi  le 
c>crc;isionl  d'usarlo,  i  dìctatorcs  consigliavano  di  mutare  il 
'Nominativo  in  genitivo,  sostituendo  al  nome,  che  dal  primo 
*^3so  erasi  trasportato  al  secondo,  un  altro  nome.  Cosi,  per 
esempio,  invece  che:  «  Vestra  agnoscat  probitas  »,  meglio 
^t  scriveva:  «  V' estrae  prohitatis  agnoscat  discretio  ».  E 
^Xitto  ciò  per  dire:  Sappiate! 

Discorrevano  poi  a  lungo  del  luogo  ove  fosse  da  porre 
*■!  verbo,  prevedendo  tutte  (e  possibili  combinazioni. 

S'usassero,  insegnavano,  più  parole  che  fosse  possibile, 
ad  esprimere  il  proprio  pensiero;  cosicché  l'abbondar  nei 
vocaboli  superllui  non  solo  era  lecito,  ma  costituiva  un 
peculi;ir  pregio  dello  stile.  Non  si  risparmiassero  avverbi, 
dove  e  quando  potevasi,  e  di  preferenza  s'usassero:  qnidcm, 
Ctjuuhm,  sane,  profecto,  quippc,  sciUccij  videlicet  e  inique,  e 
non  soltanto  se  efficaci  o  necessari,  ma  «  sola  omatus  et 
«  bonae  sonoritatis  causa  ».  Insoinma,  Vcpisioìa,  massime 
se  composta  a  particolare  graviti,  tanto  più  era  pregevole, 
quanto  più  riuscisse  ornata  et  prolixa,  scritta  con  enfasi, 
ripiena  di  metafore  e  di  traslari...  E  a  raggiungere  questa 
pretesa  perfezione,  le  Artes  dictainhmm  davano  giA  prepa- 
rati i  mezzi. 

-Questi,  a  ogni  modo,  non  sono  che  accenni;  il  copioso 
materiale  esplorato  si  presterebbe  a  uno  spoglio  paziente, 


424 


C/f.  Gabrielli 


lungo,  minuzioso,  del  quale  il  poco  ch'ahbiam  detto  co- 
stituirebbe appena  una  piccolissima  parte.  Quel  poco  è  ti 
tavia  sufficiente  a  disegnare  le  caratteristiche  generali  A 
Vars  dictandi 

Dopo  ciò,  se,  rifacendoci  presente  quanto  s*è  venuto 
notando  sui  dictatores  e  sull'opera   loro,  ci  volgiamo  per 
poco  -  nella  seconda  tnetA  del  secolo  xiv  -  al  modesto 
scriba  di  Roma,  che  ne  divenne  poi  il  supremo  signore,  c^ 
attirò  sopra  di  sé  gli  sguardi  di  tutt*  Italia,  occorre  spon 
tanea   la   domanda:  Fino  a  qual  punto  quest'abbonJ; 
letterauira  degli   epistolografi,  perfezionata,  più  che  ali 
nelle  scuole  medievali  di  retorica,  potrà  rispecchiarsi 
lettera  appassionata  di  uno  che,  come  Cola  di  Rienro.  ir 
fu  certo,  nel  senso  dato  fin  qui  alla  parola,  un  episrolo* 
grafo?  Vero  è  che  negli  anni  giovanili  Cola  esercitò^ 
professione  di  notaio:  ma  che  cosa  rimase  dell'anrico  t*' 
bellione  nel  novello  tribuno  del  popolo  romano? 

Studiare  con  cosifatti  intendimenti  le  lettere  di  Cola  ^ 
Rienzo  è  coglierne  l'aspetto  più  singolare  e  più  curioso  5 
un  tale  aspetto  non  può  essere  del  tutto  trascurato  da  et 
come  noi,  si  prepari  a  discorrere  dell'  Epistolario  di  Co- 


spoii- 

1 


1 


Cola  di  Rienzo  è  tal  figura  storica,  che  non  può  no 
attrarre  potentemente  chi  si  faccia   a   studiarla,  Ogginv 
non  è  più  soltanto  fra  gli  artisti  e  i  romanzieri  che  ccrt^ 
periodi  storici,  certi  episodi,  certi  antichi  nomi  trovano, 
preferenza  di  altri,  simpatie  più  vive.  Anche  la  rigida  ri-' 
cerca  obbiettiva  si  volge  con  maggiore  intelletto  d*amorc'' 
a  quelle  figure  del  passato,  le  quali  si  possano  in  ogni  loro 
lato  studiare  sotto  punri  di  vista  cosi  ditì^erenti  e  molte- 
plici, che,  accanto  al  ricercatore  erudito,  lavorino  ancj 


nch& 


I      *^Sauno  per  la   parte  sua,  il   filosofo,  lo  storico,  il  poli- 
I       ^^o,  lo  psicologo. 

I  Tale  è,  sembraci,  il  caso  di  Cola  di  Rienzo,  intorno  al 

'       9u^e  gli  -studi  moderni  hanno  ancora  tutto  un  lungo  lavoro 

^*i  compiere.  Perocché  -  è  bene  notarlo  subito  -  ciò  che  si 

'      ^^risse  di  lui  nei  tempi  andati  è,  per  universale  giudizio, 

*^^ii  povera    cosa,  e   si   p;iò    ormai   riassumere  in  poche 

Parole. 

Il  maggior  nucleo  di  notizie  su  Cola  pervenne  ai  vecchi 
I      ^xnjditi  italiani  della  nota  fifa  dell'Anonimo,  riprodotta  in 
'^Ti  grandissimo   numero  di  manoscritti  (i),   e,  oltre  che 
^al   Muratori   (2),  stampata   più  volte  anche  a   parte  (3). 
-^d  essa  sono  poi  da  aggiungere  le  Istorie  pistoiesi  (Mura- 
tori, Rer,  liaì.  Set,  XI),  la  Cronaca  di  Giovanni  Villani,  il 
€Zhronicon  Estense  (Muratori,  Rer,  ItaL  Scr,  XV,  4 18),  il  Chrc- 
-^coft  Muùncnse  (Muratori,  Rer,  hai,  Scr,  XV,  108)  e  pochi 
altri  scrittori  che  toccano  per  incidenza  della  storia  di  Cola. 
Ancora:  alla   storia,  per  quanto    grossamente  narrata, 
del  tribuno  servirono  alcuni  annalisti  ecclesiastici,  come  il 
Bzovio  (4),  il  Rainaldo  (5),  THocsemio.  Quest'ultimo  anzi 
-  come   notò  già  il   Papencordi  -  ci  ha  pure  tramandate 
alcune  lettere  di  Cola. 

Cosi  andò  formandosi  il  fondo  delle  notìzie  per  i  bio- 
grafi  che  vennero  poi  ;  ma  bisogna  pur  riconoscere  che 

(i)  Solamente  alla  biblioteca  Vaticana,  una  fugace  esploraxione 
dame  compiuta  m'ha  segnalato  otto  manoscritti  della  l'ita:  <f  Ot- 
tobon.1511  »;  «  Oltobon.  2568»;  «  Ottobon.  2615  n;  «  Ottobon.  2616»; 
«Ottobon.  jiSj  >t;  «  Cappon.  241  »;  (f  Cappon.  242  »;  «Vatican.  5522  ». 
Anche  alla  Casanatense  ho  potuto  vedere  una  copta  della  nta  nel 
ms.  E,  IV,  31. 

(2)  Atttiq.  Ital  ni,  249. 

(0  Per  la  storia  esterna  di  questo  curioso  scritto  e  per  le  di- 
spute agitatesi  intorno  alla  sua  genuinità,  rimando  al  Papencordt, 
Cola  di  Rienzo  imd  scine  Z^it;  Amburgo,  1841,  p.  318  e  sgg. 

(4)  Annaìts  ecchsiastici,  t.  XIV. 

(5)  AnnaUs  ecclesiastici,  t.  XVI. 


Intórno  all'epistole  di  Cola  di  ^'en\o       425 


O^.  Gabrielli 


alcuni  di  essi,  lasci;mJo  da  parte  le  alirc  fonti,  s'atten-  - 
nero  semplicemente  alla  Vita  dell'Anonimo.  Solo  per  ob- 
bligo impostoci  dal  tèma,  ci  occorre  ricordare  i  vecchi 
lavori  del  padre  Dii  Cercau(i),  di  Tommaso  Gabrini  (2), 
di  Zeffirino  Re  (3),  di  Francesco  Benedetti  (4),  rimaneg- 
giamenti abbastanza  affrettati,  e  privi  d'un  qualunque  va- 
lore critico. 

Altri  storici  intanto,  come  il  Sismondi  (5)  e  qualche 
altro,  eran  tratti,  dagli  avvenimenti  stessi  che  narravano, 
a  discorrer  di  Cola,  mentre  studiosi  come  il  De  Sade  (jS) 
e  il  Levati  (7),  illustrando  la  vita  del  Petrarca,  s'occupa- 
vano  anche  per   necessita  de!   tribuno    di  Roma. 

Questi  erano  i  libri  apparsi  su  Cola  di  Rienzo,  allorché 
Felice  Papencordt  pubblicò  il  suo  geniale  e  notissimo 
volume. 

Dopo  il  dotto  storico  tedesco,  niun  altro  forse  si  volse 
di  proposito  alla  vita  di  Cola  di  Rienzo,  se  si  eccettuino 
lo  Zeller  (8),  l'inglese  Schmitz  (9)  e,  ultimo  per  ordine  di 
tempo,  il  signor  Emanuele  Rodocanachì  (jo).  Ma  la  breve 
compilazione  dello  Schmitz  non  ha  lasciata  traccia  dure- 
vole nel  campo  degli  studi,  e  i!  volume  del  Rodocanachi, 


(0  Conjuration  de  ì^icoìas  Gahrini;  Parigi,   175}. 

(2)  pìsirviiiioni  storico-critiche  su  la  vita  di  Cola  di  Ri4n:ip:  Roma, 
1806. 

(5)  Kiifl  di  Cela  di  Ritnio  ;  Porli,  1828;  ristampala  rccentemcnic 
dal  Le  Monnier,  Firenze,  1854. 

(4)  nta  di  Ccìa  di  Rienio  nelle  Opi:rc  dì  F.  Benedetti,  per  cura 
di  F.  S.  Orlandini;  Firenze,  Le  Monnier,  1858,  voL  U. 

(5)  Histoir£  ài.:  fépuhìiqucs  itaìióutus  ;  Parigi,   1818. 

(6)  yjmoités  pour  sen'ir  A  Vhisioin  àe  PHrarque,  1764- 1767, 

(7)  ^''*'i,\^'  '^''  Petrarca:  iMÌIano,  1820. 

(8J  Us  trihum  c-t  tes  révolutions  en  Italie;  Parigi,  Didier,  1874. 

(9)  Coìa  di  Ritrtii  Rom's  Tributi;  Londra,  18K6. 
(xo)  Coìa  di  Rietino,  histoirc  de  Reme  de  t}42  à  /;;^;  Parigi,  A.  La- 
bure,  1888.   Cf.  VArchivio  della  R.  Società  Romana  di  storia  patria, 
XI,  181   e  sgg. 


wtno  alVepistole  di  Cola  di  T{ien-;o       427 


fecondo  gì' intendimenti  stessi  dell' A.,  non  va  oltre  i  limiti 
*l*iina  narrazione  abbastanza  brillinte  e  d'una  biografia 
'^iiscretamente  accurata. 

In  conseguenza,  non  è   punto  scemata  la  nccessitd  di 
tornare,  guidati  da  mire  alquanto  diverse,  sull'argomento, 
^>  anzi  tutto,  di  porre  fuori  d'ogni  discussione  il  documento 
più   attendibile  sul  quale  si  fonda  la  storia  del  rivolgimento 
polirico  promosso  in  Roma  da  Cola  di  Rienzo:  intendo  i 
frammenti  di  storia  romana,  scrini  in  romanesco  nel  se- 
I      colo  XIV   e  pubblicati  dal  Muratori,  i  quali  comprendono 
!      in  se  anche  la  sopra  citata  Vila  dell'antico  tribuno.  Un'edi- 
zione critica  di  questo   libro,  comparso  finora  in  pessime 
edizioni,  è  tra  i  più  vivi  desiderata  degli  studiosi. 

Or  nulla  meglio  dell'  Epistolario  di  Cola  può  spianare 

I       la  ria  a   questa  ristampa,  e  completare   nel  tempo  stesso 

la  Vita  in  quelle  parti  dov'essa  più  scarseggia  di  notizie  ; 

e  tale  fu  il  motivo  principale,  da  cui  venne  consigliata  la 

nuova  edizione  delle  lettere  di  Cola. 

Questo  r  interesse  dell'Epistolario  in  r^ipporto  alla  storia 
di  Roma.  Ma,  come  il  lettore  avrà  giA  notato,  lo  studio 
riassuntivo,  che  noi  abbiamo  fatto  precedere  ali*  illustra- 
zione delle  lettere  di  Cola,  ci  addita  anche  un  altro  curioso 
aspetto,  per  il  quale  esse  debbono  necessariamente  attirare 
l'attenzione  degli  studiosi.  Egli  è  che,  colla  scorta  dell'Epi- 
stolario, l'antico  tribuno  si  presta  ad  essere  considerato 
nella  sua  peculiare  qualità  di  scrittore  di  lettere,  e  l'epistola, 
quale  fu  da  lui  concepita  e  redatta,  ad  essere  esaminata 
nella  struttura,  nello  schema,  nella  composizione,  in  tutta 
insomma  la  sua  parte  formale  ed  esteriore. 

Un  tale  studio   ci   pare  opportuno  per  più  riguardi,  e 

assai  utilmente,  a   nostro   avviso,   può  precedere  le  brevi 

1     considerazioni,  che  poscia  esporremo,  sul  contenuto  delle 

lettere,  sui  fatti  che  vi  si  accennano,  sulle  persone  a  cui 

sono  dirette, 

LIl  problema  da  porre  è  assai  semplice:  —  Per  quanto 


428 


G/i  Gabrielli 


lonnne  da  qualsiasi  pretesa  dottrinale,  continuano  esse  m| 
qualche  parte,  le  lettere  di  Cola,  la  tradizione  dotta  ddH 
repistolografia  medievale  ? 

Nessuno  certo  al  suo  tempo  sognavasi  di  vedere,  nelle  j 
lettere  del  tribuno,  dei  modelli  scolastici,  come,  per  esem- 
pio, ncll'accennate  collezioni  di  Tommaso  di  Capua  o  &\ 
Pier  della  Vigna:  ma  esse  non  avevano  minor  diffusiooc  ' 
di  quelle  composte  dai  due  celebri  cancellieri.  Basu  ricor- 
dare Tanestazione  di  Francesco  Petrarca:  «  Unum  sacc- 
0  scriveva  egli  a  Cola  (i)  -  an  sci;is,  an  cogitcs,  an  ignortfl 
«  nescio,  Litteras  mas,  que  istinc  ad  nos  veniunt,  noncxD*j 
«  mes  apud  eos  quibus  destinantur  permanere,  sed  conica 
«stira  ab  omnibus  tanta  sedulitate  describi  tantoque  stuif»! 
«  per  aulas  pontificum  circumferri,  quasi  non  ab  homiacj 
«  nostri  generis,  sed  a  superis  vel  antipedibus  misse  sint». 
Ben  altro  però  che  didattici  erano  i  motivi,  per  i  quali* 
cólta  persona,  e  primo  il  Petrarca,  ricercava  con  crescente 
mteresse  quasi  ogni  parola  scritta  da  quest'uomo,  chepif 
lava   sotto   1*  impulso  della  passione,  parlava   di  cose  eh: 
accadevano  menti' ei  le  narrava,  di  farti  di  cui  era  egli  ^e*^ 


il  protagonista  ! 


Riconosciuto  alle  lettere  di  Cola  un  tale  caranerc 
riesce  subito  fadle  immaginarsi  se  esse  potevano  sempre 
rispondere  alle  regole  formulate  dalla  scuola,  coosacraK 
nelle  Summac,  prefisse  all'epistola  medievale  da  una  t^ 
zione  letteraria  non  interrotta. 

Eppure  anche  Rienzo,  mentre  talvolta  s'adattava  as>aJ 
male  a  queircs.igerato  formalismo,  molte  altre  volte  non 
si  sottraeva  interamente  alle  tendenze  letterarie  del  ict^^ 
suo.  Se,  per  esempio,  consideriamo  nelle  epistoU  ài  Co** 
la  distinzione  delle  note  cinque  parti,  in  più  d'una  Ji^ 
non  la  troviamo  riprodotta  con  quella  rigidezza  chep*"^ 
scrivevano  le  Artes  dictandi  ;  ma  in  pareccliie  altre  vc<fc^j 

(i)  De  Sade,  Mémoirts,  tomo  III,  Fiic^s  jusHf.  XXXI. 


Intorno  alVepistole  di  Cola  di  T^en\o       429 


vediamo  le  pani  nettamente  divise.  E  queste  si  prestano 
^e  seguenti  osservazioni,  che  riassumerò  brevemente. 

A  cominciare  dalla  parte    introduttiva  àtiW*tpistoìa  -  la 
salutaiio  -  noto  che  la  soverchia  ampollosità  di  stile,  pro- 
pria (come  vedemmo)  alle  salutationcs  delle  lettere  medie- 
vali, non  si  riscontra  in  Cola  quasi  mai  :  egli  si  mostra  in 
generale  assai  parco  tanto  nel  peasiero  quanto  nell'espres- 
sione. La  salutatlo  a  lui  più  usuale  è  la  seguente:  «  Auctore 
*»  clemenùssimo  Domino  nostro  lesu  Christo  »  ;  e  qui  segue 
il  nome  dello  scrivente:  «nobili  viro»  o  «  nobilibus  et  po- 
«  tentibus  viris  »;  e  qui  il  nome  del  destinatario  o  dei  de- 
stinatari: «  salutem  et  cum  rcconciliatione  Dei  pacem    et 
«  iiistitiam  veoerari  »  (i).  Talvolta  la  salutatio  è  anche  più 
semplice  e  più  breve,  come,  per  esempio,  questa:  a  Auctore 
*   dementissimo  Domino  nostro  »;  segue  il  nome  dello  scri- 
^^^ute:  «  magiiificis  viris»;  segue  il  nome  dei  destinatari: 
^   salutem  et  plcnitudinem  gaudiorum  »  (2);  tal'altra  allude 
^■*    doni  dello  Spirito  Santo,  dai  quale  Cola  si  riteneva  inspi- 
^^^to:  «salutem  et  dona  Spiritus  Sancti  suscipere  iustitie, 
*^    libenatis  et  pacis  »  (3).  Quando  la  persona,  alla  quale  la 
'■'attera era  destinata,  fosse,  per  condizione  sociale,  superiore 
*^llo  scrivente,  la  consuetudine   epistolare  imponeva  piut- 
tosto alla  salutatio  la  forma  del  vocativo;  e  questa  infatti 
si  vede  adottata  da  Cola  tutte  le  volte  che  scrive  al  papa 
o  air  imperatore    Carlo   IV,   sempre   da  lui    salutati  cosi  : 
«Sanctissime  pater  et  clemcntissime  domine»,  e  «Scrc- 
t  nissime  Caesar  Auguste  ».  Del  resto,  anche  hidiri^zandosi 
a  un  amico  di  Avignone  (che  non  sappiamo  con  certezza 
chi  fosse),  Cola  usa  la  forma  del  vocativo  :  a  Amice  karis- 
«  sime  »  (4}.  In  questi  casi  il  nome  dello  scrivente,  anziché 


(i)  EpìsL  lett  II  e  VI. 
(a)  Epist.  leu.  XIV. 

(3)  Epist.  lett.  XVI. 

(4)  Epùt.  lett  XII. 
Archìvio  Sfila  R.  Società  romana  di  itoria  patria.  Voi.  XI. 


J9 


l 


q4.  Gabrielli 


»«ti<»  ù  3iodo  classico,  della  salutaiio,  vicn  posto 
..^  .^u^pstalit,  ora  semplicemente  enunciato,  ora  nel^-  ^ 
.  >i.  Vcster  servulus  Nicolaus  recomendat  »  (i),  o' 
vj  v .    ^  XicoLius  recomendat  in  oratione  »  (2)-  Nel   pi^ 
vv'J^  >lv'ìU  prigionia  a  Raudnitz  e  ad  Avignone,  quand"^ 
•ivuK^  i*xstone  s'è  fatto  asceta  solitario  e  la  figura  di  li^— - 
'a  ,.>^u«o.>  un  carattere  mistico  di  veggente,  egli  seguit^^ 
Nvxtv*^criversi  :  «  Cola  Rentii  tribunus  »,  come  se  quelli  nor^ 
«.>^^t>  che  anni  di  riposo  volontario  per  l'esaltato  domi- — 
luwH^  dì  Roma. 

L'esordio,  nel  maggior  numero  delle  lettere  di  Cola,— i 
,sSxNkndo  alla  regola  consacrata  nella  Summae,  costituisce 
.oKi  p^ute  a  sé,  distinta  e  separata  dalle  seguenti.  A  prova 
41  ctvS  basterebbe  ricordare  le  lettere  al  papa  del  5  agosto, 
>kl  15-3^  agosto  e  dell*  11  ottobre  1347,  nonché  quelle 
u  Fiorentini  del  5  e  del  20  agosto  1347.  Ma  non  sola- 
^jNSUe  Vexordinm  doveva  formar  parte  a  sé:  i  maestri  da- 
vano anche  le  regole  per  comporlo,  e  spesso  presentavano 
v*ccù  medesimi  bell'e  fatte  quelle  lunghe  serie  di  arengae, 
che  già  abbiamo  menzionate,  traendo  di  preferenza  il  pro- 
t\T/»i«;//  dai  libri  più  in  uso  nel  medio  evo.  Cola,  nel  cui 
spìrito  l'inspirazione  biblica  era  cresciuta  vivissima  fin  dagli 
anni  giovanili,  e  nella  cui  coltura  la  Bibbia  aveva  cosi  no- 
rcvole  parte,  ci  dà  più  d'una  volta  esordi  tratti  dai  libri 
sacri  e  specialmente  dai  Sahni.  Così  nella  lettera  del  20  no- 
vembre 1347,  diretta  in  un  esemplare  a  Rinaldo  Orsini 
v'  iu  un  altro,  pressoché  simile,  ai  Fiorentini  (3),  per  an- 
nunziare la  sua  vittoria  sui  Baroni  a  porta  San  Lorenzo, 
esordisce  colle  parole  dì  David  :  «  Haec  est  dies  quam  fecit 
«  Dominus;  exultemur  et  laetemur  in  ea  »  (4).  Pure  un'altra 


(i)  Epist.  lett.  XXXVI. 

(2)  Epht.  lett.  XXXVII. 

(0  Epist.  lett.  XXVII  e  XXVIII. 

(4)  Lìhcr  psalmcnim,  CXVII,  D,  2  j. 


Intorno  all'epistole  di  Cola  di  ^ì(ienio       43  t 


¥ 


Jettcra  al  popolo  romano,  contenuta  in  un  importante  co- 
di<^e  «iscellanco  della  biblioteca  Feliniana  Ji  Lucca  (capi- 
nolo della  Metropoliuna,  pluteo  Vili,  545)  e  pubblicata 
gii  dal  Mansi  (i),  comincia  col  noto  versetto:  «  Popule 
«  meus,  quid  feci  tibi  ?  aut  in  quo  contristavi  te  ?  responde 
«t  mihi  »  (2).  Un'altra  lettera  a  Clemente  VI  (3)  comincia 
aach'cssa:    «Ne    dolosarum    linguarum  astutia,  a  quibus 

<■  propheta  supplicar  liberari,  vestra  Clementia suspe- 

«  ctum  teneat,  etc.  »,  e  si  riferisce  evidentemente  al  ver- 
setto: «  Sepulcrum  paiens   est  guttur  eonjm,  linguis  suis 
«  dolose  agebant,  iudica  illos.  Deus  »  (Psalm.    V,  C,  1 1). 
Si  vede  tuttavia  a  ogni  pie  sospinto  che  le  rigide  norme 
dei  Dictumina   sono  per  il  Nostro  più  una  necessiti  che 
subisce  inconsapevolmente,  che  un'emanazione  del  suo  spi- 
rito e  dell'indole  sua.  Fatta  loro  appena  quella  parte  che 


(i)  Stephani  Balczu  Miscelìattea,  opera  ac  studio  Iouaknis  Dom. 
^^Nsi  LucENSis  (Lucca,  1762),  tom.  HI. 

(2)  Del  resto,  non  soltanto  negli  esordi  Cola  ha  frequenti  ci- 
tazioni bibliche,  ma  anche  nel  corpo  di  qualche  lettera.  In  una,  per 
«empio,  da  Raudoiti  all'arcivescovo  di  Praga  {Ine,  «  Recepì  hoc  die  »), 

scrive  cosi  :  « Intitulorum  assumptione. . .  me  alias  excusavi,  et 

•  dignum,  dixi,  et  bonum  est,  quod  humiìiasti  me,  Domim,  ut  disurr^m 
91  ìustificationis  tuas  »  {Psalm.  XXVII,  D,  19).  E  poco  dopo,  nella  let- 
tera medesima:  « Dicere  possim:    Casti^ans  castigavit  me   Do- 

1  rnimis,  et  morii  non  traàidit  me  a  (Psalm.  CXVII,  C,  18).  Ancora  in 
un'iltra:  «  Et  sic  vere,  ilio  die  Pcnthccostcs,  implctum  extitit  vcr- 
•  bum  illud,  quod  eadem  die  decantatur:  Exuf^at  Deus  et  dusipentut 

I  ir  inimici  àus  et  furiant  {Psalm.  LXVII,  A,  2).  Et  iterum  :  Mittc  Spiritum 
■  n  Sanctum  tuum  ti  retiovabis  facicm  terre  o  (Psalm.  CHI,  D,  30).  Nella 
stessa  già  citata  lettera  all'Orsini  e  ai  Fiorentini  ci  occorre  il  passo  : 
'  Deus  noster ....  digitos  nostros,  quos  ad  calamum  ars  ipsa  docuerat^ 
n  docens  ad  bellum,  etc.  a,  che  si  rapporta  al  versetto:  n  Benedictus 
CI  Dominus  Deus  meus,  qui  docct  miinus  meas  ad  proelium,  et  digitos 
«  mcos  adbcllum  a   (Psalm.  CXLIII,  A,  1)  :  ed  ò  anche  reminiscenza 

bìblica  il  passo  della  stessa  lettera  « confìdimus  ìnDeo.qui  fecit 

<r  mirabilia  magna  solus  «.  Ma  gli  esempi  potrebbero  continuare  in 
grandissimo  numero. 

(3)  EpisL  letL  XXII. 


43^ 


Q/l.  Gabrielli 


vuole  la   pratica  epistolare,  la  forma  è    nelle  sue  k:'.  " 
come  sopraffatta  dal  contenuto:  egli  si  sente  incilzato  .:  ^ 
eventi,  ch'or  gli  preme  di  narrare  al  papa,   ora  alle  df^i 
vicine,  ora  agli  amici  più  autorevoli,  affinchè  (dice  Col 
«  Teco  non  ne  giunga  alterata  dalle  male  lingue,  e  5C 
sappia  piuttosto  il  vero  della  penna  medesima  di  chi  o 
Tattor  principale  ». 

Quindi,  minuziose  e    prolisse    narrazioni  occupano 
lettere  di  lui,  e  specialmente  quelle  scritte  nel  primo  e  pi 
fortunato  periodo  della  sua  autorità  in  Roma;  e  la 
ratio,  che  i   Dktamina  volevano  costituisse   quasi  1j  p»i 
centrale  della  lettera,  qscq  sempre  dalla  penna  di  Cola  ss-^  i- 
luppata  nei  più  minuti  particolari. 

a  Sappiate»  -comincia  egli  a  dire  -,  «non  resti  ascoso  jLMi 
»*  vostra  Paterniti  »  che  le  cose  andarono  cosi  e  cosi;  •  ''^^ 
tt  facciamo  sapere  *,  «  desideriamo  che  sappiate  »,  asigt».  ^' 
«  fichiamo  alla  vostra  amicizia  »  che  questo  e  questo  è  i"^^- 

venuto r  quali  modi    di   dar  principio    alla  ftarfiì^^ 

(o  Vcsrram  non  latcat  Sanctiratem  »  o  «  Clementi^  «^ 
a  quod  etc  «  (i),  «  Noverii  vestra  Paternitas  »  o  «  Sìd*^*^^" 
«  tatìs  vestre  benignitas  »  (2),  «  Scire  vos  faciraus  »  0  *  ra-J* 
w  pimus  »,  (\  Vos  cupimus  non  latcrei)  (3),  «  Amidtie  vcsrx*^ 
«  significamus  0  (4))  erano  giA  inalterabilmente  preserie^ 
dai  dictaiores,  come  abbiamo  di  sopra  notato. 

Poco  o  nulla  è  da  dire  su  la  pctitio  e  su  la  i-dfwiif**'" 
In  questa   Cola   usa    assai   di    rado  il  vale  o  vakU,  cbc 
secondo  l'arte  epistolare,  non  era  sempre  opportuno  iff' 
giungere,  o  Et  superabundanti  laraen  -  scrive  un  mic*^^ 
«de*  più  autorevoli  -  a  quibusdam subiungitur  valete,  V^^ 
«  non  tamen  in  omnibus  litcris  ponere  est  oponunuro  ■•  P'*^^' 


(I)  EpisL  lett.  Vili,  XVI,  xxn. 
(a)  Epist.  len.  VUI  e  XXIK 
(j)  EpisL  leu.  XII. 
(4)  £>"<.  leti.  XIV. 


Intorno  alTepisiole  di  Cola  di  ^en\o       433 


[tosto,  egli  offre  a  colui,  cui  la  lettera  è  indirizzata,  i  suoi  ser- 
p'igi  nella  forma  che  troviamo  in  una  lettera  al  Petrarca  (i): 
«Nos  autem  prontissimi  sumus  ad  singula,  que  vestrum 
•respiciunt  comodum  et  honorem  ». 

Quanto  allo  stile  (del  quale  vedemmo  distinguersi  due 

maniere:  la  naturale  e  V artifuiuU,  e  questa  costantemente 

consigliarsi  a  preferenza  di  quella),   molti  e   non  brevi 

passi  di  grande   chiarezza    potrà,  chi  legga  V  Epistolario 

di  Cola,  porre   accanto  a  periodi  contorti,  a  lunghi  brani 

intricati    ed   oscuri.    Nondimeno,  anche    là  dove   lo   stile 

^ppar  gonfio  ed  enfatico,  si  ritrova  sovente  una  non  co- 

niune   efficacia    d'espressione.  Non   sì   può,  per  esempio, 

negare   certa  spontanea  vigoria  a  molti  tra  i  luoghi,  nei 

quali  il  tribuno  difende  l'opera  sua:  «  Novit  Deus  -  scrive 

«  egli  all'amico  d'Avignone  -  quod  non  ambitio  dignitatis, 

«  officii,  fame,  honoris,  vel  aure  mondialis^  quam  semper 

«  aborrivi  sicut  limus,  sed  desiderium  comunìs  boni  totius 

«  reipublice  huiusque  sanctissimi  status  induxit  nos  colla 

"  submittere    iugo    adeo  ponderoso  attributo  nostris  hu- 

«  nieris  non  ab  homine,  sed  a  Deo,  qui  novit  si  officium 

"  istud  fuit  per  nos  precibus  procuratura,  si  officia,  bene- 

*  fiaa  et  honores  consanguìneis  nostris  contulimus,  si  nobis 
"  Ptcuniam  cumulanius,  sì  a  veritate  recedimus,  si  nostris 
"  hcredibus  facimus  compositiones,  si  in  ciborum  duìctdint 
**  «u/  voluptate  aliijua  deleaamur,  et  si  quidquam  gerimus 
°  sjnmiifuni_  Testis  est  nobis  Deus  de  iis  que  fecimus  et 

•  wimus  pauperibus,  viduis,  orphanis  et  pupillis.  Multo 
^  Vivebat  quietius  Cola  Laurenrii  quam  tribunus  »  (2). 

Sembra  che  l'amico,  a  noi  ignoto,  avesse  scrìtto  a  Cola 
*"Orrer  voce  ad  Avignone  ch'ei  cominciasse  ad  aver  quasi 
P^ura  del  suo  nuovo  stato,  e  Cola  a  smentire  la  falsa  di- 
*^^rìa:  «  Ad  id  autem  quod  scrihitis  audivisse,  quod  ince- 


(i)  EffUi.  Ictt.  XV, 
(2)  Epist  leti.  XII. 


434 


C/i.  Gabrielli 


tt  pimus  iam  terreri,   scire  vos  facimus  quod  sic  Spiriras 
0  Sanctus,  per  quem  dirigimur  et  foveraur,  facit  animum 
e  nostrum  fortem,  quod  uUa  discrimina  non  timemus:  vero 
a  si  totus  mundus  et  homincs  sanctc  fidci  Christiane  etpcr- 
«  fidiarum  hebraice  et  pagane  contrarientur  nobis,  non  fropt^ 
«  ca  terrercmttrìì» 

E  più  sotto:  «  Sed  frustra  tumescunt  maria,  fnistm 
«venti,  frustra  ignis  crepitai  conerà  hominem  in  Domiao 
«  confitentem,  qui,  sicut  mons  Sion,  non  poterit  cornino- 
0  veri  15, 

Efficace  è  anche  in  molte  parti  -  tenuto  conto  del 
gusto  letterario  del  tempo  -  Tulrima  lettera  scritta  ai 
Romani,  nella  quale  Cola  li  apostrofa  cosi  (i):  «  Qae 
«  fella,  que  canina  rabics  fecit  vos  bibere  sanguinea!,  ifi- 
«  quam,  mundum,  sanguinem  commaremum,  et  iisJec» 
«pedibus,  quibus  paulo  ante  virum  hunc  repetistis,  le 
«  lius  letaliter  impetistis,  et  eodem  ore,  quo  :  P'ival,  tw 
«  cantaveratis,  eidem  :  Moriatur,  moriatnr  prodamastis, 
«  iisdem  nianibus,  quibus  in  resumptione  plaudebatisipius, 
«  eum  transfodistis,  distraxistis,  raembratimque  cests  (j*0 
«  cecidistis  ?  0 

Incitando  Clemente  VI  a  negare  ogni  fede  a*  suoi  ^^' 
trattori,  dice  che,  mercè  sua,  lo  Spirito  Santo  aveva  d*"^ 
fauci  leonine  di  costoro  tratto  il  popolo  semigluiitum  C^J 
e,  scrivendo  a  Carlo  IV,  si  paragona  a  un  grand'olb*^'^' 
che  r  impeto  dei  venti  abbia  privato  dei  rami  e  d«?*^ 
fronde  (3).  Ma,  aggiunge,  a  provar  chi  egli  sia,  resta  sc^ 


(1)  Biblioteca  Feliniana  di  Lucca,  pluteo  VILI,  $45. 

(2)  EpisL  leu.   XVI:  «  Digneminl    non  credere  illis,  a   quor*^ 

(t  faucibus  et  ore   Iconico   scmìgluiìtum  populum   Spiritus  San^r'*' 
(f  traxit  per  me  a.  Questo  passo  trova  certo  riscontro  in  quc$t*al^y^ 
della  lettera  XXXI  a  Carlo  IV:  tr  Nulla  adhibeatis  fiducia  vcrbìs  m^*" 
«  doncc  veriias  sit  masticata  mature  maturius  et  dìgesia.»  ». 

(5)  Epist.  Ictt.  XXX:  o  Factus  sum  stcrilìs  usquc  ad  tcmpus,  «*^" 
(t  arbor  ventorum  austeritatibus  denudata  ».  Anche  nella  cit.  IcttcTS 


Intorno  all'epistole  di  Cola  di  l^ienio       435 


P^c  il  suo  glorioso  passato:  la  sua  figura  seguita  a  dominare, 
aita  e  maestosa,  come  un  vecchio  castello  solitario  su  la 
vetta  d'un  momc  (i). 

Tal  era  Tuomo:  e  dove  ritrovate  fin  qui  lo  scrittore  di 
lettere? 

Ma  ccco^  di  nuovo,  V  influenza  della  retorica  e  dell'ari 
dictatoria  tornare  ad  affermarsi  in  certe  particolaritA  di  stile, 
ctie  il  Nostro  prendeva  e  appropriavasi  dalla  tradizione  epi- 
stolare d'allora.  Cosi  è,  ad  esempio,  per  le  espressioni  :  ptirac 
diUctiortb  affcctus  (2),  sincerai  dikcùonis  affectio  (3),  7,clum 
tzfnofìs  (4),  usate  costantemente  per  amore,  bcnevolcn:{a  e 
simili,  al  modo  stesso  che  pel  verbo  amare  adoperavasi 
spesso  dagli  scrittori  medievali:  gelare  amorcm  (5).  Ancora, 
un  tributo  al  vezzo  del  tempo  sono,  nelle  lettere  di  Cola, 
espressioni  come:  andivi  attdittim  vcsirum  (^,  facert  facta 
vestra,  vidert  videor  (7),  htalius  IctaìiUr,  maturius  mature  (8), 
\        le  quali  tutte  ricorrono  assai  frequenti  nel  latino  dei  se- 
i        coli  xn  e  xiiK 

S         Importantissimo  riuscirebbe  uno  spoglio  minuto  delle 
foriTie  più   accette  al   nostro  scrittore,  dei  vocaboli  quasi 

»  ^«elusivamente  proprii  airepistolario  di  lui.  Noto,  per  limi- 
^^'^i  solo  a  qualche  esempio; 
popolo  romano,  che  trovasi  alla  Felìnìana  di  Lucca,  si  paragona, 
'^^^ndo  lo  stile  più  ampolloso,  a   un  grand'albero,  che  per  la  sua 
stessa   altezza  è  più  facilmente  battuto  dai  venti:  «  Arbor  cmìnens, 

■  •  ^ttltis  fecunda  ramusculis,  prona  est  ventorum  procellas  recipere 
*  ^  cvcrti  ». 

(  «  )  «  Qui5  ego   sim  occultari    non  potest,  laraquara  civitas  sita 
«Mper  TQontem  ». 
U)  EpisL  lett  XX. 

(3)  EpisL  Ictt.  VI. 

(4)  Epiit.  lett.  XIV. 
(0  EpisL  leu.  XVL 

(6)  EpisL  lett.  XXV. 

(7)  EpiiL  lett  XXXI. 

(8)  EpisL  lett,  XXX. 


43^ 


C/i  Gabrielli 


a)  existere  usato  costantemente  invece  di  esse  (i); 

b)  inkndamns  e  simili  invece  d'htiendimns  (ital  inten- 
diamo). 

e)  huiusmodi  quasi  sempre  sostituito  ad  huius  (2); 

S)  terminus  declinato  qual  sostantivo  della  seconda 
declinazione;  esempio:  «  elapso  prefato  termino  »  (3); 

e)  parole  latine  affatto  medievali,  come:  stantah  (4) 
(bandiera,  insegna),  disrobaiio  e  disrobare  (spogliare)  (7), 
usate  soltanto  da  Pier  della  Vigna,  liga  (alleanza)  (6),  rr- 
laxare  nel  significato  di  scarcerare  (7),  intonare  e  intombare,  nel 
senso  che  ha  la  frase  :  «  Orbem  intonizare  processibus  »  (8); 
oppure  parole  di  bassa  e  corrotta  latinità,  quali  offcndicu- 
him  (9),  usato  la  prima  volta  da  Plinio,  dumttificare  (dan- 
neggiare) (io),  di  Cassiodoro,  affcctarc  p^r  procurare,  cercare 
con  insisten:^i  e  simili,  come  nel  passo  :  «  prò  vestre  dcsi- 
«  derio  libertatis,  quam  affcctamus  »  (i  i). 

Più  facilmente  che  in  questa  minuta  analisi  di  forme 
isolate,  ci  è  d;ito  vedere  la  relazione  fra  Rienzo  e  Yars 
diclatìdì  degli  anteriori  epistolografi  in  ceni  strani  oma^ 
menti  di  stilo,  che  ricorrono  incessantemente  nei  modelli 
dei  diciatorcs.  Rammentiarao,  per  esempio,  la  cosidetta  agno- 
tnìnatio,  per  la  quale  essi  studiavansi  di  riunire  artificialmente 
in  una  frase  parole  di  suono  al  rutto  simile,  e  le  alternavano 
e  le  ripetevano  e  le  intrecciavano  variamente.  Ecco  qualche 


(i)  Veggansene  specialmente  esempi  nelle  lettere  XVIII  e  XXI 
MV  Epistolario. 
(2)  EpisL  Ictt.  I. 
())  EpisL  len.  XXIV. 

(4)  Episi,  leit.  XVm. 

(5)  EpisU  leti.  XXVI. 

(6)  Epist.  lett.  XXIV. 

(7)  Epist.  Ictt.  XVI. 

(8)  Episi,  Ictt.  XV. 

(9)  Epiit.  lett.  XVII  e  XVIIL 
(10)  Epist.  len.  XVm. 

(n)  Episi.  len.  XXIX. 


Intorno  alVepistoU  di  Cola  di  T{ien\o       ^yj 


csctnpio:  «  Traxìsti  miseranilo,  rrahe  beatificando,  O 
«  anima  miserabiliter  mirabilis,  mirabiliter  miserabilis,  ve- 
«  nerabìliter  amsbilis,  amabilitcr  venerabile!  »>;  «  Felix  con- 
•  ventus,  Felix  concentus,  ubi  .li^uilo  non  fiat  venius  a; 
o  Mlttimus  vobls  hominem  plenum  melle,  sine  felle;  plus 
«  cairn  habet  mellis,  quam  fcllis,  plus  araoris  quam  hor- 
c  roris;  simpliciter  prudcntcm  cr  prudenter  simplicem;  tur- 
«  turem  cum  castitateet  columbam  cum  simplicitate  n  (i). 

Or  bene,  di  questo  genere  d'ornamento  Cola  usa  con 
discreta  parsimoniii,  in  confronto  di  coloro,  dai  quali  gliene 
veniva  l'esempio:  mun'nltra  applicazione  io  credo  potrebbe 
scoprirsene  nell'  Epistolario,  fuori  che  nei  tre  luoghi  se- 
guenti. 

Una  volta,  all'abate  di  Sant'Alessio,  scrive:  «  Peto  pati 
e  quecuraque  Dorainus  passus  et  quecumque  placuerint 
e  Domino  prò  me  passo  »  (2).  Dice  un'altra  volta  al  solito 
amico  in  Avignone:  o  SÌ  ad  liter.is  non  respondimus,  pro- 
o  cessit  ex  diversitate  ardua  ci  arduitate  diversa  negotio- 
«  rum  n  (3).  E  infine  nella  chiuda  d'una  lettera  al  figlio: 
«  Benedictus  Benedica  bencdictionoin  etcrnam  »  (4). 

Si  noti  anche,  fra  le  stranezze  di  stile,  il  seguente  esem- 
pio d'un  curioso  bisticcio  o  giuoco  di  parole:  e  Dicitur- 
0  scrive  Cola  -  quod  piierilifcr  animus  :  respondemus  quod 
V  verum  est  quod  pure  agimus,  quod  per  pucrìùam  denota- 
«  tur;  et  Deus  mandat  C{Moà  putrì  laudent  ipsum  »)  (5). 

Altri  invece  fira  i  tanti  omamnita,  enumerati  dalle  Artes 
dictamhns,  veggonsi  usati  dal  Nostro  con  insolita  frequenza; 
come,  ad  esempio,  la  quasi  costante  sostituzione  delle  pa- 
role: mea  parviias,  trua  hnmiUtas  e  simili  al  semplice  ego, 
o  la  straordinaria  profusione  degli  avverbi:  quidem,  equidcm, 

(i)  Cf.  Valois,  op.  cit.  cap.  IIL 
(2)  Epist.  lett,  XLI. 
(j)  Epist.  lett.  Xn 

(4)  EpisL  lett.  XLIII. 

(5)  Epist.  lett.  XXIII. 


438 


g4.  Gabrielli 


qtiippe,  sane,  projecto,  scilicet,  utique,  videlictt,  adoperati  osola 
«  ornatus  et  bonae  sonoritatis  causa  ». 

Come  dunque  nelle  lettere  di  Cola  si  rispecchiano  e  il 
culto  singolare  per  Vanticliità  classica  e  lo  studio  non  ia- 
terroito  della  Bibbia  e  le  attente  letture  dei  classici  più  ben 
accetti  al  medio  evo(i),  vi  si  scorge  anche  indubbiamente 
(pur  tenendosi  alle  sole  e  scarse  osservazioni  che  abbiamo, 
come  saggio,  presentate)  l'influenza  non  piccola  della  scuoU 
e  della  tradizione  epistolare  anteriore.  Conclusione  questa 
che  ognuno  prevederebbe  a  priori,  ma  che  non  sari  sem- 
brato inutile  avvalorare  con  qualche  prova. 


VI. 


Allo  studio  intomo  alla  parte  esteriore,  formale,  scola- 
stica dell'Epistolario  potrebbe  seguirne  un  altro,  piii  fia*^  ' 
sottile,  che    cercasse    di  cogliere   nelle    lettere  di  Coli   ^ 
successive  fasi  per  cui  andò  passando  e  modificandovi    ^ 
grado  a  grado  lo  spirito  di  lui  :  dai  primi  tempi  dtl  hi^^"" 
stato  -  quando  con  mirabile  lucidezza  d*  intendimenti  ?^" 
sa  concepire,  se  non  attuare,  la  nuova  lega  delle  atti  i^-^' 
lùine  -  ai  giorni  cristi  dì  Praga  -  quando  la  sua  mca^^; 
perduto  a  mano  a  mano  l'equilibrio  altre  volte  serbato,    ^ 
sembra  talvolta  addirittura  quella  d'un  allucinato.  Egliall'^'^ 

(i)  Basterà  citare  due  soli  esempi  di  classici  citati  da  CoU 
lettera  XXXI  dice  :  «  Qujproptcr  imperiali  supplico  Majcstali  ^ 

CT  tenus  non  patÌAtur  nomea  meum  bonum contamìnarì  - 

«  nam.  ut  Boetius  noster  ait,  qtu  mistri  patùàntur,  creduttìur  ah  ft^' 
«  nihiij  mtruissé  ».  (BoEao,  Philosophiai  consohitionis  libri  V;  Lipsia,  '^  . 
bncr,  1871, 1,  4,  !49).  E  la  lettera  XXXVIII:  «  Et  ideo,  quanto  i^^ 
«  neronixat  in  me,  tanto  tucior  ad  patiendum  ìmpetus  icìusùcìc  P 
n  ficiscar.  Nara,  ut  obmittanus  allegationes   sacras»  sub  quìbu$  V 
«  rumquc  vpocrisis  delìtescit,  Salustìus  noster  ait  immundiUa^  m»^' 
«  ribtti  <t  virìs  tahorcs  coni'fmre,  et  Tìtilìvius  ;  forUim'  ttgtrt  ti  for^ 
n  paii  Romamàm  «s(». 


Intorno  all'epistole  di  Cola  di  '^en^o       439 


ice  e  si  contradice,  si  difende  e  si  accusa,  oggi  super- 
ente  sdegnoso,  domani  in  umile  atto  di  pentimento 
Qzi  ai  suoi  persecutori.  Un'onda  sempre  crescente  di 
icisnio  lo  invade  tutto,  e  paralizza  iu  lui  qualsiasi  altra 
ita  del  pensiero,  e  diventa  credulo  e  pauroso  come  un 
bino:  a  Se  un  fanciullo,  -  dice  egli  medesimo  -  incon- 
lomi  per  via,  mi  dicesse  ;  Tribuno,  domani  morrai,  un 
enso  terrore  s' impadronirebbe  di  me,  e  temerei  che 
DO  dallo  Spirito  Santo  venisse  quel  triste  avviso  »  (i). 
iti  come  questo  sarebbero  un  sussidio  davvero  pre;!Ìoso 
ricerche  dello  psicologo  che  volesse  esaminare  le  let- 
Bci  riguardi  della  propria  scienza, 
via  fermarci  su  tali  considerazioni  non  è  lecito  a  noi 
^assai  più  modesto  compito  ci  siamo  proposto,  e  che 
piente  vogliamo  seguire  l'Epistolario  nei  più  importanti 
che  gii  porgono  occasione. 

^er  poco  che  si  rivada  col  pensiero  la  vita  di  Cola  di 
20,  apparir;!  naturale  la  divisione  delle  sue  lettere  in 
principali  gruppi,  che  corrispotidono  a  due  ben  distinti 
)di  della  sua  vita. 

Tutto  pieno  d'avvenimenti  incalzantisi  senza  posa,  ci 
ostra  nella  storia  di  Roma  Tanno  1347;  ma  è  appena 
indato  i!  1348,  che  già  Cola  è  scomparso  dalla  vita 
ica.  Cosi  chiudesi  per  il  tribuno  il  primo  e  brevissimo 
(do  d'attività.  Passano  due  anni,  e  nessuno  forse  pensa 
d  povero  Cola,  chiuso  nella  contemplativa  solitudine 

fMaiella  :    quand'ecco   le  esortazioni    d'un  santo  ro- 
smuoverlo  d' improvviso  dalla  sua  inazione  e  richia- 

0  dalla  vita  ascetica  del  convento  alle  lotte  delTuomo 
ico.  Cola  lascia  il  ritiro  dell'Abruzzo,  si  pone  in  viaggio 

mEpisU  lett.  XLII:  «....  Et  sum  adhuc  talis  sempiìcìtatis  et 
e,  quod  sì  pan-'ulus  unus  puer  transeunti  mìhi  per  vhm  diceret: 
)UDe,  cras  procul  dubiomorierìs,  ego  an  Spiritu  Sancto  verbum 

1  cxisicrct,  formidarem  . .  .  Scd  vos,  domini  sapientes,  estìs  ita 
excelIcnics,quod  formìdatio  huiusmodi  non  subintrat  !  ». 


440 


Od.  Gabrielli 


per  la  Germania,  presentasi  a  Carlo  IV  in  Praga  e  gli  espone 
i  voleri  di  Dio.  Cosi  per  Tantico  tribuno  comincia  un  periodoB 
nuovo  d'attività,  rappresentatoci  d.ille  lettere  a  Cario  IV^ 
air  arcivescovo  di  Praga,  al  cancelliere  Neumark,  nelle  quali 
si  rispecchiano  i  moti  intimi  dell'anima  sua,  si  ripercuotono 
le  sue  sofferenze,  si  riflette  insomma  tutta  la  non  lieta  storia 
della  sua  prigionia,  cli*cbbe  fine,  insieme  col  relativo  pro- 
cesso, nel  1552. 

La  morte  di  Clemente  VI  fu,  coni*  è  noto,  la  salvezza 
dì  Cola.  Innocenzo  VI,  divenuto  p.ipa  nel  dicembre  1352, 
non  solo  cessa  di  perseguitare  il  tribuno  di  Roma,  ma  si 
serve  anzi  di  lui,  quando  invia  il  cardin;ile  Àlbornoz  a  ri- 
conquistare il  patrimonio  della  Chiesa.  Cola,  rimasto  dap- 
prima a  fianco  de!  cardinale  nella  guerra  contro  il  Di  Vico, 
ritorna  poscia  da  Perugia  a  Roma,  non  più  tribuno,  ma 
senatore.  Può  questo  dirsi  l'ultimo  bagliore  della  gloria  di 
luì,  e  noi  non  possiamo  ripensarvi  senza  deplorare  che  nes- 
suna luce  getti  su  di  esso  rEpistolario. 

Basta  dunque  fermarsi  unicamente  alla  distinzione  nei 
due  primi  gruppi.  Quale  differenza  fra  le  lettere  del  1347 
e  quelle  del  1550!  Quale  mirabile  chiarezza  di  concepi- 
menti nelle  prime,  «.lirette  a  Governi  e  a  signori  d'Italia,  al 
papa,  ad  altri  personaggi  della  corte  avignonese!  E  che 
vivo  e  strano  contrasto  esse  presentano  colle  posteriori 
del  1350! 

Tutte  le  lettere  del  primo  gruppo  appartengono  al  1 347, 
tranne  una,  che  Cola  scrisse  al  popolo  romano  nel  1343 
per  dar  conto  della  sua  ambasceria  presso  Clemente  \'I  (i). 
Air  infuori  di  questa,  non  ci  è  pervenuta  alcun'altra  lettera 
che  il  Nostro  abbia  composta  prima  della  sua  elevazione 
al  tribunato.  In  conseguenza,  1'  Epistolario  non  di,  e  non 
può  dare,  particolari  di  sorta  intorno  ai  mezzi  coi  quali  Cola 
andò  preparando  il  rivolgimento  che  meditava. 


(i)  Epist.  leu.  I. 


La  prima  lettera  scritta  da  Cola  nella  qualitA  di  tribuno 
porta  la  data  del  24  mnggio  1347,  quindi^  di  soli  tre  giorni 
dopo  quello  memorabile  di  Pentecoste,  in  cui  egli  fu  ac- 
cbmato  nuovo  signore  di  Roma.  Per  mezzo  di  essa,  Cola 
di  egli  medesimo,  indirizzandosi  al  comune  di  Viterbo,  no- 
tizia del  nuovo  stato  instauratosi  nella  città  (i).  Due  set- 
timane appresso,  scrive  le  stesse  cose  ad  altri  Stari  e  cittA 
d' Italia,  come  può  vedersi  nelle  lettere  del  7  giugno.  Ri- 
,V€stono  queste  la  forma,  nel  medio  evo  molto  frequente, 
di  circolare,  e  a  noi  non  pervennero  che  negli  esemplari 
destinati  ai  Governi  di  Firenze,  di  Perugia  e  di  Lucca  (2). 
Quello  che  venne  tramandato  dal  Chronicon  Mutìncnse  (3) 
è  soltanto  un  riassunto  della  circolare,  diretta  anche  ai  Mo- 
denesi, Sappiamo  però  con  certezza  che  le  stesse  cose,  in 
forma  pressoché  uguale,  furono  scritte  a  Todi,  a  Siena, 
3  Pisa,  a  Mantova  e  fors'anche  ad  altre  città  italiane  (4), 
nonché  agli  Estensi  in  Ferrara  e  ai  Visconri  in  Milano.  Dal 
duca  Gonzaga,  già  assai  potente  in  Mantova,  Cola  si  con- 
tentò d'invocare  una  parola  di  raccomandazione,  affinchè 
la  lettera  da  lui  indirizzata  alla  comunità  fosse  accolta  be- 
I      nevolmente  (5).  * 

^^  Subito  in  queste  prime  lettere  comincia  a  disegnarsi  il 
l^ferogetto  concepito  da  Cola,  ed  esso  veramente  ci  appare 
panche  oggi  d'un  uomo  di  genio.  Trattavasì  di  costituire 
^^un'Assemblea  italica,  nella  quale  le  nostre  principali  città 

^B      (t)  EpisU  lett.  !L 

H      U)  Bpiit.  leu.  Ili,  IV,  V. 

'  (})  Muratori,  Htr.  //.  Set,  XV,  108. 

(4)  Intorno  all'esistenza  di  questa  lettera  interrogammo  successi- 
vamente le  Direiiionì  acgli  archivi  di  Siena  e  di  Todi,  di  Mantova  e 
di  Pisa.  Gli  archivisti  comunali  di  Siena  di  Todi  risposero,  l'uno  il 
3}  gennaio,  Tallro  il  17  febbraio  1888,  che  dopo  attente  ricerche  non 
avevano  punto  rinvenuto  la  circolare  richiesta  ;  e  la  mancata  risposta 
^U  archivisti  di  Mantova  e  di  Pisa  fa  supporre,  anche  per  questi 
altri  due  esemplari,  un  resultato  ugualmente  negativo. 

(5)  Bpisi.  lett.  VI. 


442 


C^.  Gabrielli 


dovevano  essere  tutte  rappresentate  con  ugual  numero  di 
voti,  e  che  doveva  discutere  e  risolvere  le  querele  dei  sin- 
gob'  Stati  della  penisola,  esaminare  le  questioni  d'interesse 
generale  e  rappresentare  Y  Italia  di  fronte  ai  paesi  esteri  In 
questo  grande  Consiglio  -  si  vede  chiaro  -  Cola  voleva 
trovar  modo  di  dare  alla  sua  Roma  la  preponderanza  e 
il  primato. 

Mentre  il  nuovo  tribuno  va  cosi  delineando  quella  clic 
oggi  diremmo  la  sua  politica  estera,  non  lasda  di  mertcr 
sott'occhio  alle  città  italiane,  cui  si  dirige,  i  notevoli  mi- 
glioramenti  operati  nelT  intemo  della  cittA,  consistenti,  5^ 
condo  lui,  specialmente  nella  quasi  miracolosa  cessazione 
dell'intestine  discordie  e  nella  sicurezza  riacquistala  dalle 
strade  che  solevan  percorrere  i  pellegrini  nel  recarsi  2  vi* 
sitare  la  tomba  degli  Apostoli.  A  questo  proposito,  si  a*'^^ 
come  quest'uomo,  sulla  cui  azione  politica  non  cessò  il^H 
di  pesare  straordinariamente   l'influenza   d'una  fede  rcH-    ' 
giosa  viva  e  ardentissima,  non  trovava  motivo,  che,  apir^ 
suo,  fosse  più  acconcio  dì  quello  addotto  a  procurargli  il 
favore  di  tutta  l' Italia  :  e  e'  insisteva,  e  ci  tornavi  su  id 
ogni  occasione  con  mal  celato  compiacimento. 

Ma  più  ancora  che  l'amicizia  degli  altri  governi  iulb 
importava  a  Cola,  per  molte  ragioni,  acquistarsi  quella 
Fiorentini.  A  questi  pertanto  ei  non  si  lica  pago  d' 
diretta  la  suaccennata  circolare,  ma,  verso  la  fine  di 
gno,  invia  pure  quattro  ambasciatori  rom;uii  coli* in 
d'esporre  a  voce  il  suo  pensiero  (i).  La  credenziale,  coi 
questi  erano  accreditati  presso  la  Signoria,  è  dau  pi 
tero  dall'Epistolario  (2). 

Tali  i  primi  atti  di  Cola,  sui  quali  il  corpo  delle  sm 


(i)  Gli   ambasciatori   furono  quattro,  e  non   (come  litri 
cinque.  Cf.  il  mio  scrìtto  pubblicato  ncìVArchivio  Mìa  R.  5nritì 
manii  di  storia  patria,  XI  (t888),  183. 

(2)  Epist.  lett.  VII. 


Intorno  all'epistole  di  Cola  di  TJien^o       443 


lecere  sparge  non  poca  luce.  Ma,  in  mezzo  a  cosi  repen- 
tini mutamenti  operatisi  in  Roma,  non  poteva  il  tribuno 
cehrsi  gli  obblighi,  che  il  nuovo  siato  a  lui  creava  verso 
la  corte  d'Avignone,  né  trascurare  i  rapporti    fra  il  papa 
e  la  nuova  repubblica.  Che  le  preoccupazioni  di  Cola  sotto 
questo  riguardo  fossero  in  principio  assai  vive,  com'è  atte- 
stato dal^e  fonti  indirette  della  storia  di  quel  periodo,  cosi 
è  ripetutamente  comprovato  dalle  lettere  di  lui. 

Riferendoci,  entro  i  lìmiti  del  nostro  scrino,  solamente 
a  quest'ultime,  dobbiamo  dire  anzitutto  che  la  corrispon- 
denza tra  Clemente  VI  e  Cola  di  Rienzo  non  cominciò 
colla  prima  lettera  che  di  quest'ultimo  ci  sia  pervenuta, 
diretta  al  papa  T  8  di  luglio  (i).  Già  Clemente  VI  aveva, 
il  26  di  giugno,  mandata  al  tribuno  e  al  proprio  vicario 
Raimondo,  vescovo  d'Orvieto,  un'  epistola  cumulativa,  la 
quale  fu  tosto  seguita  da  un'altra,  indirizzata  il  27  di  giugno 
al  popolo  romano  (2).  Anche  Cola,  come  si  desume  dal- 
l'esordio della  citata  sua  lettera  al  pontefice,  aveva,  prima 
che  con  quella,  con  un'altra  missiva  notificato  a  Clemente  VI 
il  ntujvo  stato  sórto  in  Roma.  Ad  ogni  modo,  la  lettera  dell'8 
luglio  è,  tra  le  non  molte  pervenuteci,  la  prima,  dove  ì  rap- 
porti del  tribuno  colla  curia  trovino  una  quasi  completa 
illustrazione. 

Bene  intende  Cola  per  quale  via  riesca  a  lui  più  facile 
guadagnarsi  l'animo  del  papa,  e  indovinando  la  soddisfa- 
zione, con  cui  Clemente  avrebbe  appreso  che,  mercè  il 
nuovo  regime,  le  più  baldanzose  e  potenti  famiglie  patrìzie 
di  Roma  avevano,  loro  malgrado,  abbassata  la  testa,  si  ferma 
in  modo  speciale  su  questo  punto.  E  in  realti,  fin  dai  primi 
giorni  del  nuovo  stato,  i  più  illustri  baroni,  e  primo  il 
vecchio  Stefano  Colonna,  avean  dovuto  lasciare  la  città  e 
ritirarsi  nel  contado.   Poscia,    chiamati    alla   presenza   del 


(t)  Epist.  lett  Vm. 

(2)  Pubblicate  entrambe  in:  Papencordt,  op.  cìt.  doc.  ni  e  iv. 


444 


C^.  Gabrielli 


nuovo  tribuno,  gli  avevano  giurato  obbedienza  sul  corpc 
di  Nostro  Signore,  obblij^undosi  a  non  combattere  mai  con 
tre  di  lui,  a  non  dare  .isilo  a  masnadieri,  a  sur  sempr<^ 
pronti  al  suo  comando.  Le  leggi,  che  seguirono  poco  ap- 
presso, contro  i  nobili  st)m)  abbastanza  note.  —  Decretar 
-  dice  Cola  neiraccennata  lettera  -  «  quod  nullus  Romanus 
a  deinde  auderet  aliqucni,  nisi  solum  Sanctam  ^cclesiam 
«  Sanctitatemque  vestram  in  dominum  nominare,  ut  co- 
a  gnoscat  Romanus  populus  se  alii  quam  Dco  Sanctacque 
«  Ecclesiac  ac  summo  pontifici  non  subesse;  et  quod  nul- 
u  lara  armorum  picturam  Ursinorum,  Columnensium,  Sa- 
«  bellensium  et  aliorum  quorumcumque  magnatum,  quibus 
a  singulae  Romanae  doinus  erant  inscriptae,  haberent  in 
«  domibus  suis,  deferreni  in  scutis,  nisi  solum  arma  Saactae 
«  Ecclesiae  Sanaitatisque  vestrae  et  Romani  populi  »  (i). 
Nel  tempo  stesso,  per  far  fronte  alle  spese,  Cola,  fra  i  primi 
atti  del  suo  governo,  ordina  un  notevole  aumento  nella 
tassa  focatico  (a). 

Questi  ed  altri  fatti  del  mese  di  giugno,  già  segnalatici 
da  altri  documenti,  vengono  con  sufficiente  estensione  ri- 
cordati dalla  citau  lettera  del!' 8  lugb'o  a  Clemente  VI,  e 
confermati  da  quella  seguente,  che  Cola  dirigeva,  ai  quindici 
dello  stesso  mese,  al  già  ricordato  suo  amico,  residente  in 
Avignone  (3).  Qui  però  si  annunziano  anche  altre  leggi  da 
mettere  fra  le  prime  del  trilnniato,  quali,  ad  esempio,  l'as- 
soluta proibizione  del  giuoco  dei  dadi,  le  pene  sancite  contro 
la  bestemmia,  i  mezzi  di  repressione  del  concubinaggio. 
Insomma,  per  quanto  riguarda  le  prime  manifestazioni  della 
politica  di  Col.1,  le  due  leircre  ricordate  hanno  un'eccezio- 
nale importanza  e  servono  cosi  a  dar  notizie  nuove,  come 
a  controllarne  di  gii  date  dalia  Vita  dell'Anonimo  e  dalle 
diverse  fonti  indirette. 


(i)  Epist.  pp.  21-2, 

(2)  Episi.  Ictt.  Vili. 

(3)  BpisU  ictt.  XII. 


L- 


Intorno  al  repistole  di  Cola  di  T(ieH-^o       445 


Frattanto,  gì'  ideali  e  le  speranze,  che  agitavansi  entro 
Io  spirito  esaltato  di  Cola,  lo  portavano  naturalmente  a 
vagheggiare  la  solennità  di  quella  ben  nota  incoronazione, 
ch'egli  annunziò  alle  citti  italiane  con  lettera  dei  9  di  lu- 
glio, della  quale  soltanto  le  versioni  indirizzate  a  Firenze, 
3-    Lucca  ed  a  Mantova  sono  pervenute  fino  a  noi  (i). 

Agli  strani  e  curiosi  concetti,  che  nei  secoli  xii,  xiu 
e  XIV  s'eran  venuti  formando  sul  conferimento  delle  corone, 
eguale,  secondo    Topinione   del  medio  evo,   s'usava    nel- 
l'antica Roma,  non  poteva  sottrarsi  V  immaginosa  ed  en- 
I      tusi.istica  natura  di  Cola  (2).  Doveva  a  lui  sembrare  in- 
^P  dispensabile  che  alla  sua  promo:^onc  a  cavaliere,  annunziata 
^   per  il  primo  d'agosto,  seguisse  la  solenne  incoronazione 
col  tribunizio  alloro.  L'una  e  l'altra  solennità  viene  per- 
tanto da  lui  annunciata  nel  tempo  medesimo  e  nella  me- 
B  desima  lettera. 

"  Or  giudicherebbe  assai  male  chi  nella  promoxiotie  di 
Cola  volesse  quasi  vedere  la  prova  di  un  innegabile  di- 
squilibrio nelle  sue  facoltà  intellenuali.  Ognuno  che  abbia 
studiato  nei  principali  suoi  aspetti  la  vita  del  medio  evo, 
"t^oaoscerà  facilmente  che,  intitolandosi  cavaliere  dello  Spi- 
"^^  Santo,  Cola  di  Rienzo  seguiva  semplicemente  delle 

P^^u manze  già  da  molto  entrate  nella  civiltà  medievale. 
^^  è  un'innovazione  del  romano  tribuno  quel  carattere 
I  'ostico  e  religioso  ch'egli  diede  alla  cerimonia,  perchè  non 
1  ^^  allora  soltanto  il  cristianesimo  erasi  infiltrato  nel  ceri- 
"***^iale  dell'antica  cavalleria  e  v'aveva  lasciata  la  sua  im. 
Pr<^nta. 

I  vari  e  ben  noti  atti,   onde  si    compose  la  solenne 

P^^^^0:^ionCj  nulla  contengono  in  sé,  che  esca  0  si  discosti 

*^^   Vjsanze  gii  invalse.  La  rita  e  le  cronache  narrano  che 

,      '^    tiotte  precedente  al  primo  d'agosto  Cola   dormi   nella 


(0  Epist.  leti.  IX,  X,  XI. 

(2)  V,  Papen'cordt,  op.  cit.  p.  118. 

Archivio  delia  R. Società  romana  di  ttoria  patria.  Voi.  XI 


44^ 


Oi,  Gabrielli 


chiesa  di  San  Giovanni  in  Laterano;  ma  gii  da  un  secolo 
la  veglia  dell*  armi  era  negli  usi  cavallereschi.  Quando  ac- 
canto al  rito  laico,  col  quale  creavansi  i  cavalieri,  s'intro- 
dusse paralleLimente,  e  con  maggior  fortuna,  il  rito  eccI^ 
siastico,  questa  veglia  fu  forse  la  più  importante  innovariont 
del  nuovo  cerimoniale  (i),  se  pure  innovazione  può  chia- 
marsi, quando  si  ponga  mente  che,  a  prescindere  dJk 
grandi  veglie  liturgiche  di  Pasqua  e  di  Pentecoste,  gii 
un  notissimo  testo  dei  primi  anni  del  secolo  xn  (2)parb 
di  lunghe  veglie,  dove  si  cantavano  le  gesta  degli  croi  e  k 
vite  dei  santi. 

Lo  stesso  è  a  dire  del  famoso  bagno,  che  Cola  prese 
nella  vasca  di  San  Giovanni  in  Laterano,  dove,  secondo 
la  leggenda,  Costantino  fu  battezzato  e  mondato  dalla  lebbra. 
Un  tale  uso,  secondo  un'assai  verosimile  opinione  (j),  nulla 
aveva  in  sul  principio  di  simbolico,  ma  era  un  vero  atto 
d'igiene;  in  seguito,  però,  la  sua  somiglianza  col  battesimo 
non  tardò  a  imprimergli  un  carattere  affine  al  primo  sa- 
cramento della  religione  cristiana. 

Dopo  la  veglia  del  nuovo  cavaliere,  spuntata  appi 
Talba,  il  cerimoniale  prescriveva  che  si  celebrasse  la  niC!** 
e  quindi  avesse  luogo  un  solenne  banchetto.  Anche  in 
la  promoxionc  di  Cola  dì  Rienzo  riproduce  V  uso  comune 
e  prima  egli  assiste  alla  messa,  celebrata  dal  vescovo  Rai- 
mondo d'Orvieto,  poscia  si  asside  con  lui  al  rituale  bic: 
chetto. 

Nello  stesso  giorno  (i°  d'agosto),  Cola  fa  pubW 
mente  la  nota  dichiarazione  dei  diritti  che  competoao  al 
popolo  romano  e  la  citazione  agli  ^imperatori  e  agli  del- 
tori  (4)  :  il  2,  consegna  rispettivamente  ai  rappresentanù 


(i)  L.  Gautier,  La  chcvakrU;  Parigi,  1884. 

(2)  Vita  S.   fViUcImi  (Mia  Sanctorum  maii,  VI,  811). 

(3)  Gautier,  op.  cit. 

(4)  Cf.  Re,  op.  cit.  p.  217. 


Intorno  alVcpistole  di  Cola  di  HJen^o 


ài  Perugia,  Ji  Firenze,  di  Siena  e  di  Todi  uno  stendardo 
(staitiak)  figurato,  pegno  della  sua  immutabile  amicizia  (i). 

Infine,  il  giorno  dell* Assunta  (15  agosto)  ha  luogo  la 
coronazione  (2). 

Intorno  a  questi  fatti  notissimi,  le  varie  biografie  di 
Cola  dinno  suflScienti  particolari,  traiti  dalle  fonti  sincrone. 
Ma,  meglio  che  dagli  altri  biografi,  queste  vennero  utiliz- 
zate dal  Papencordt,  nel  cui  libro  la  pittura  di  quei  ca- 
ratteristici quadri,  che  solo  il  medio  evo  può  darci,  appare 
abbastanza  viva  e  colorita.  Nei  riguardi  delPEpistolario  di 
Cola,  rimane  soltanto  ad  aggiungere  che  la  più  importante 
lettera,  in  cui  egli  parli  del  ba^no  sacro,  è  indirizzata  a 
Clemente  VI  (3).  Il  tribuno  aveva  cominciato  a  comporta 
avanti  il  primo  d'agosto;  ma  obbligato  a  tardarne  l'invio 
opropter  nuncìi  tarditatcm»,  aggiunge  a  ciò  che  aveva  scritto 
il  27  luglio,  l'annuncio  dell'avvenuta  sua  promozione  a  ca- 
valiere e  della  consegna  degli  stendardi  alle  varie  citti. 

Ancora  dopo  la  festa  dell'Assunta,  Cola  torna  a  scri- 
vere al  papa,  giustificando  il  suo  operato  e  dicendo  che 
sobnio  i  suoi  nemici  potevano  metterlo  in  mala  vista 
pesso   Clemente  VI,   La  lettera,  infatti    (4),  ha  questo 

esordio:   «Ne  dolosarum  linguarum  astutia Vestra 

«Clcmentia suspectum  tencat,  de  cognitione  meae 

«puritatìs  auditum  praesens  litera  Sanaitati  vestrae  trans- 
«mittitur,  veri  nuncia,  mendacii  inimica  et  dolo  obvia 
«alicuius,  qui  ex  acuta  lingua,  ut  gladio  in  iaculatum  sa- 

0  gittarum,  nititur  in  occulto ».  Si  vede  dunque  come 

fin  d'allora  Cola  nutrisse  il  timore  di  destare  gravi  sospetti 
nella  curia,  mostrataglisi  nei  primordi  del  tribunato  abba- 
stanza benevola. 

(1)  V.  Chronicon  EsUfise:    Papencordt,    op.   cit.  p.  155  e  sgg. 

RODOCAM^CHI,  Op.   cit.    p.    156. 

(2)  Papencordt,  op.  cìl  p.  137. 
(j)  EpUt,  kit.  XVI. 

(4)  BpisL  leti.  XXII. 


448 


C^.  Gabrielli 


Ma  per  tornare,  colla  guida  deirEpistolario,  ai  più  no- 
tevoli avvenimenti  del  luglio,  ci  occorre  rivolgere  per  poco 
la  nostra  attenzione  alle  lotte  che  Cola  affrontò  nel  Pitri- 
monio  in  difesa  del  nuovo  regime.  Domati  i  baroni  i 
mani,  egli  diede  opera  a  debellare  ì  due  più  ostinati  e  | 
tenti  avversari  che  resistevano  al  suo  governo.  Uno 
questi  era  il  forte  e  fiero  Giovanni  Di  Vico. 

Sull'importanza  che  quest'antica  famiglia  ha  nella  i 
di  Roma  medievale  richiamò  già  l'attenzione  degb' 
diosi  il  dott-  Carlo  Calisse  (i),  né  giova  ora  spender: 
ciò  altre  parole.  I  Di  Vico  non  furono  soltanto  signori  pi>- 
tentissimi  in  quella  parte  del  territorio,  che  sì  chiamò  Pa- 
trimonio di  San  Pietro  in  Tuscia,  ma  rivesrirono  and 
quasi  per  trasmissione  ereditaria,  la  carica  di  prefetti 
bani  in  Roma.  In  questa  famiglia  si  perpetuò,  come  ] 
diritto  acquisito,  la  prefettura,  che,  restaurata  dagli  Ott 
stava  a  rappresentare  in  Roma  TautoritA  imperiale.  Ne< 
sariamcnte,  «la  cupidigia  di  regnare  trasse  i  Di  Vi*^*^ 
«  star  sempre  in  armi,  or  contro  i  papi,  or  contro  il  i 
«  munc  di  Roma,  che  non  cessavano,  gli  unì  e  l'altro,  pcf 
«  ragioni  diverse,  di  rivendicare  a  sé  la  signoria  deirann 
V  ducato  romano.  E  per  sostenersi  nella  lotta  inegualfii 
e  Di  Vico  usarono  di  accomunare  la  causa  loro  a  quella  ^ 
«  nemici  della  Chiesa  o  del  Campidoglio;  quindi  fautori  A 
«  scismi,  seguaci  d'antipapi,  ghibellini,  nemici  di  ogni  i^ 
«  mocrazia,  pronti  sempre  a  trar  vantaggio  dal  disordinCi 
«  che  spesso  a  ragion  veduta  provocavano  a  (2). 

Giovanni  Di  Vico,  succeduto  nella  prefettura  uri 
a  Manfredi  Di  Vico  (1537),  ci  appare,  piò  degli  altri: 
antecessori,  avido  di  dominio  e  di  gloria.  Aveva  ca 
ciato  col  prendere  Viterbo;  poi  s'era  acquistato  Ve 


(i)  !  prefetti  Di  Vico,  n^ìVArchivio  della  R.  Socisià  Romana  < 
patria,  X  (1887). 

(2)  Calisse,  op.  cìL  p.  7. 


Intorno  all'epistole  di  Cola  di  ^ien^o       449 


Toscanclla,  e  gran  parte  del  Patrimonio.  Il  papa  da  Avi- 
gnone Linciava  scomuniche,  ed  egli  proseguiva  noncurante 
^  suo  cammino.  Poteva  dunque  l'altèro  prefetto  piegarsi 
^iinanzi  alla  nuova  signoria  di  Cola  di  Rienzo  ? 

Già  nella  prima  lettera  al  papa,  da  noi  ricordata  (i), 
>l  tribuno  scriveva  d'aver  dichiarato  il  Di  Vico  decaduto 
<ia.ll' ufficio  di  prefetto  per  non  aver  egli  risposto  all'inti- 
*^a2Ìone  fattagli,  di  restituire  al  popolo  romano  la  fortezza 
di  Rispampani,  posta  fra  Toscanclla  e  Vctralla.  Quindi, 
etiche  dopo  rS  di  luglio  (data  della  lettera  sopra  detta), 
Clola  continua  ad  informarci  colle  sue  parole  delle  vicende 
Per  cui  passa  la  guerra  contro  il  prefetto:  la  lettera  XII 
è  scritta  appunto  nel  tempo  che  Teserctto  del  tribuno  te- 
ticva  assediata  Viterbo,  dov'eransi  ridotte  le  forze  di  Gio- 
vanni. 

Per  quest'  impresa,  abbastanza  grave.  Cola  s'era  pro- 
curato, oltre  le  cittadine  e  le  mercenarie,  anche  milizie  al- 
leate. GiA  la  citata  lettera  VII,  colla  quale  s'accreditano 
quattro  ambasciatori  presso  la  Signoria,  aveva  lo  scopo  di 
persuadere  i  Fiorentini  a  mandare  aiuti  alla  Repubblica  ro- 
mana. Ma  quelli  non  si  mostrarono  troppo  solleciti  a  ri- 
spondere all'invito,  e  la  guerra  del  luglio  contro  il  pre- 
fetto sembra  che  fosse  compiuta  senza  le  milizie  fiorentine. 
Solo  Giovanni  Villani  (2)  dice  che  Cola  ottenne  dalla 
Signoria  cento  cavalieri,  e  promesse  di  nuovi  soccorsi.  Sap- 
piamo però  con  certezza  che  Perugia  gli  mandò  centocin- 
quanta cavalieri,  Siena  cinquanta  per  tre  mesi  (3),  ed  altri 
gliene  somministrarono  Cometo,  Nami,  Todi  (4). 

Nel  novero  delle  lettere  dirette  a  Firenze,  la  nota  cre- 
denziale è  ben  presto  seguita  da  un  altra  lenera  del  19  lu- 


(i)  Epist.  Icit.  Vili. 

(2)  Cronaca,  Hb.  XII,  cap.  90. 

(5)  Cronaca  Saruu  ìa  Muratou,  Rtr,  II.  Scr.  XV,  118. 

(4)  Krte,  I,  16. 


4JO  c« 


ifateàt 

„     _        mCSMB 

^risrfi  ugnaiiiiatfe,  ^acdiè  doni  ì 
wem  akd  aoddd  tibìeIE  9. 

Con  tali  pan^  Cob  iDodevm  evidasKnoir  a  ISaiV 
GiMat,  OMie  £  FomE,  comto  i  qaale,  Bkxtsos  iei 
I)iVi£a,mobe  le  «nu. Finita, perà, gfiptcfisae in terflìoc 
£  sd  gKKTii^  entro  3  quale  ^E  doTcra  pccsezitani  b  Ca- 
pdogtio;  altrimeati,  saf^be  sato  dkfaitrztD  rìbdk,  e  a  ^ 
riebbe  procedalo  a  mano  amuta  contro  dì  hiL  Ocesta  s;^- 
Wffs  Cola  fl  27  di  luglio  (3)  ed  evìdoicetneQte  ^^■''"'ÌM 
il  periodo  dei  sei  giorni  concessi  al  CaetanL 

II  conte  di  Fondi  non  si  piegò  alT  intimazioDe,  e  002 
lettera  del  $  agosto  al  comune  di  Firenze  (4)  ed  un'altra 
del  6  a  quello  di  Todi  (5)  dimostrano  che  Cola  intendc\'a 
abbatterlo  coU'aiuto  delle  milizie  mandategli  dalle  due  òtti 
Ma  i  soldati  di  Firenze  e  di  Todi  protestarono  &  Q0& 
potere,  a  seconda  del  mandato  avuto,  uscire  in  campo  foon 
di  Roma;  bonde  il  tribuno,  in  una  specie  di  postscriptìm, 
prega  i  respettivi  Governi  di  revocare,  se  mai  lo  avessero 
dato,  quell'ordine. 

La  guerra  contro   Nicolò   Cactani  presentavasi  non 
meno  difficile  dell'altra  già  intrapresa  contro  il  prefetto,  e 

(0  Epist.  lett.  XIII. 

(2)  EpisL  lett  XIV. 

(})  Epist.  lett.  XVI. 

(4)  EpisL  lett  XVIIL 

(5)  EpUL  lett.  XIX. 


Intorno  all'epistole  di  Cola  di  Q^ien^o       451 


*  Epistolario  dA  modo  di  seguirne  abbastanza  da  presso  gli 
^venti.  Quasi  tutto  l'agosto  si  passò  nell'a^peciazionc,  mentre 
*  soldati  fiorentini  persistevano  nel  rifiuto  di  combattere 
^ori  della  città,  e  Cola  per  altre  due  volte  -  il  20  (r)  e 
*1  27  (2)  -  scongiurava  la  Signoria  d'obbligarli  ad  ubbi- 
<iire.  Ma  questa  par  che  fingesse  di  non  intendere  un  cosi 
^atto  latino. 

Tuttavia  verso  la  fine  d'agosto  Cola  scrive  al  papa  (3) 
<^hìQ  un  esercito,  comandato  da  Giovanni  Colonna,  sta  com- 
l^aitendo  con  buon  esito  contro  il  conte  di  Fondi,  e  che 
**Vngelo  Malebranca  ne  devasta  le  terre.  Sernioneta,  ròcca 
Jei  Caetani,  era  aciaccau  dalle  milizie  di  Col.],  le  quali  co- 
stringevano eziandìo  il  nemico   a  levar  Tassedio  da  Fro- 
siinone,  che  faceva  parte  del  Patrimonio  della  Chiesa.  Poco 
«iopo,  anche  Gaeta  spontaneamente  s'arrendeva:  Nicolò  e 
Cjiovanni  Caetani  domandavano  pace.  Cosi  è  che  ai  17  di 
settembre  Cola  può  affermare  il  Caetani  essere  \into  e  ri- 
dotto ad  obbedienza  (4).  Ma  la  vittoria  fu  di  breve  durata  : 
"neirottobre  il  conte  di  Fondi  riprendeva  le  ostilità, 

A  misura  che  le  nuove  di  Roma  erano  andate  giun- 
gendo ad  Avignone,  gli  umori  della  curia  riguardo  a  Cola 
eransi  venuti  peggiorando,  e  gi:\  nella  seconda  met:\  del 
settembre  si  raccoglievano  gli  argomenti  per  muovergli  un 
severo  processo  (5).  Possediamo  un'importante  lettera  al 


(i)  EpisL  leti.  XX. 
(2)  EpisL  Ica.  XXI. 
(0  EpisL  leu.  XXH. 

(4)  La  lettera  XXIII,  dalla  quale  ci  viene  questa  notìzia,  è  diretta 
.t  Rinaldo  Orsini,  e  comincia  così  :  »  Post  conculcationcm  Fundorum 
«  comitis,  quam  fecit  virtus  Spiritus  Saucti  absque  effusiotu  sanguinis 
«et  alìquo  ictu  ensis,  etc.  ».  £  chiaro  però  come  Tespressione  absque 
^gusiont  sati^inis  non  debba  riferirsi  che  ai  soli  Cactanij  intenden- 
dosi che  ad  entrambi   fu  serbata  la  vita  e  la  libertà. 

(5)  K  Miror  equidera  si  Clementie  vestre  prudentia  .. .  flecti  se  pa- 
ce titur  dolosìs  suggestìonibus,  fraudibus  et  astutiis  inalignoruni  ad  ali- 


qA,  Gabrielli 


papa  (i),  nella  quale  il  tribuno  sì  difende  dalle  principali 
accuse  rivoltegli.  «  Sono  accusato  -  egli  dice  -  con  unto 
accanimeatOy  perchè  ho  preso  il  militare  lavacrum  dcDì 
conca  dove  fu  battezzato  Coscanlino;  ma  o  che  forse  cicche 
fu  lecito  ad  un  pagano,  il  quale  mondava  se  stesso  dalla 
lebbra  dell'antico  errore,  non  sarà  concesso  ad  un  crisriano 
che  ha  mondato  un'intera  città  dalla  lebbra  della  tirtn- 
nide?  O  che  forse  quella  pietra  è  più  santa  del  tempio  in  cui 
essa  si  trova,  e  nel  quale  fu  sempre  lecito  il  penetrare?  E 
mentre  un  uomo,  pentito  dei  suoi  falli,  può  sempre  ricevere  il 
corpo  del  Signore,  non  potrà  costui  entrare  in  un  battistero. 
quasiché  questo  fosse  più  nobile  del  corpo  di  Gesù?»  (2). 

Appaiono,  insomma,  fin  d'allora  gli  stessi  argomenti 
air  incirca  che  Cola  ripeterà  due  anni  dopo,  quando,  pri- 
gioniero a  Praga,  tornerà  sul  suo  passato  politico,  e  cer- 
cherà difendersi  da  accuse  più  che  mai  vivaci.  Questo 
tuttivia  si  può  affermare  con  certezza  :  che  le  due  oelchri 
giornate  del  primo  e  del  i  j  agosto  avevano  più  specialmente 
contribuito  a  peggiorare  le  disposizioni  di  Clemente  VI  ri- 
guardo al  tribuno,  e  a  mutare  in  severità  la  primitiva  be- 
nevolenza. 

Cola  intanto  si  lasciava  sempre  più  blandire  JiUc  h' 
singhe  della  sua  apparente  fortuna.  L'Epistolario  nelU citati 
lettera  XXV  dà  notizia  di  quello  che  parve  a  Cola  uno  dei 

(t  quid  praeter  verum,  et  contra  vestram  humillimatn  creatuDm  avo- 
«  verit  dictum.  et  ìnchoasse  processus  »  {EpiiL  leti,  XXV). 

(1)  EpiiU  ien.  XXV. 

(2)  «  Et  SI  in  Pelvi,  in  qua  bapcisatus  cxtitìt  Coosuntinus,  Uri- 
rt  crura  mìliiareBUScepi,  unde  rcdarguor,  nuniquid  [ìd]  quod  rv 

«a  lepra pagano,  christiano  munJanti  Urbcm  et  populura  a  l- 
«  viiutis  tìrannicc  non  Ucebit  ?  Et  iiumquid  lapis  cxtstetis  in  tempio, 
«in  quod  intrare  licìtum  extiiic  et  debitum,  est  s^mctior  ipso tciu^lo, 
1  quod  conferret  lapidi   sanctìtatem  ?   Nuniquid   homtni  confesso  et 
«  corde  contrito,  cui  licet  prò  salute  sumere  corpus  (  ^  U» 

a  cebit  intrarc  conchara  lapideam,  que  ctiam  prò  nihilo  ;  .^a^ 

«  tudinem  habebatur,  quasi  increpantibus  huius  sine  devotionc  fsctutn 


Tn torno  afPepistole  di  Cola  di  ^'en^o       453 


suoi  più  brillanti  successi,  cioè  deirambasciatii  speditagli 
dal  re  d' Ungheria.  Non  senza  celare  la  baldanza  che  ne 
traeva,  il  tribuno  osserva  che  quegli  ambasciatori  non  solo 
sottomisero  al  suo  giudizio  la  quistione  dell'assassinio 
d'Andrea,  ma  gli  chiesero  anche  di  perraenere  la  discesa 
dì  re  Luigi  in  Italia,  e  gli  proposero  una  formale  alleanza 
(lig(t)'  O'*^»  quanto  airuccisione  d'Andrea,  Cola  rispose 
che,  domandandosi  a  lui  giustizia,  ei  non  potea  negarla; 
ma  nuILi  disse  intorno  alla  seconda  richiesta,  e,  quanto 
alla  formale  alleanza,  assicurò  bastare  la  semplice  amicizia. 
Dall'  II  ottobre  al  9  novembre  nessuna  lettera  del  tri- 
buno ci  è  pervenuta,  la  quale  concorra  ad  illustrare  gli  av- 
venimenti operatisi  in  quel  breve  periodo.  Tra  questi,  spe- 
dalmente  uno,  ricordato  dalla  Fifa  e  da  molte  altre  fra  le 
fonti  contemporanee,  ebbe  una  seria  influenza  su  le  sorti 
del  Intono  stato,  efuT.irrivo  del  cardinale  Bertrando  De  Deux. 
Infatti,  il  legato  pontificio,  venendo  da  Napoli  a  Roma  in 
atteggiamento  chiaramente  ostile  al  tribuno,  dava  a  vedere 
quale  ormai  fosse  la  linea  di  condotta  fissata  dalla  curia. 
Da  quel  momento  la  lotta  fra  Cola  e  la  corte  d'Avignone, 
dapprima  latente,  assunse  ti  carattere  di  guerra  aperta  e  di- 
chiarata. Tanto  più  adunque  si  deve  deplorare  che  non  una 
lettera  ci  conceda  di  scoprire  il  pensiero  di  Cola  intorno 
alla  nuova  attitudine  di  Clemente  VI.  Tale  lacuna  è  pro- 
babilmente causata  dal  fatto  che  in  quel  tempo  Cola  rimase 
quasi  continuamente  lontano  da  Roma,  occupato  a  guer- 
reggiare contro  i  Colonna  e  glì  altri  baroni,  radunati  nel 
contado.  Quindi  è  che  neanche  dell'episodio  più  interes- 
sante di  quella  guerra  -  la  presa  di  Castelluzzo  -  ci  e  dato 
apprender  nulla  dalla  penna  medesima  di  Cola. 


«  iniroitum  videatur  concham  nobiliorem  esse  ipso  corpore  Domini 
«nostri  lesa  Chrisii.,.?  Et  si  dicor  auxisse  nomina  mihi  et  titulos 
ir  ampliasse,  coronasque  varias  assumpsisse>  quid  refert  fidci  antiqua 
e  oflFìciorum  romana  nomina  cum  antiquis  ntibus  rcnovasse  ?  u  {EpiiU 
Ictt.  XXV). 


454 


C/f.  Gabrielli 


In  qual  modo  si  comportasse  il  tribuno,  venuto  alla 
chiamata  del  legato  papale,  non  occorre  ricordare  qui,  dove 
non  s'ha  a  narrare  la  storia  del  tribunato,  ma  solo  indi- 
care i  più  notevoli  fatti  cui  le  lettere  si  rapportano.  Cola, 
partito  di  nuovo  da  Roma  e  tornato  all'assedio  di  Marino, 
non  ci  si  rifa  innanzi  con  lettere  sue,  se  non  quando  s'accorge 
che  la  lotta  stancava  ormai  soverchiaraenre  i  Romani  e  che 
doveva  esser  condotta  a  termine  al  più  presto.  Ecco  infatti, 
LI  9  di  novembre,  una  sua  nuova  lettera  :ii  Fiorentini  (i). 
Egli  e  speciahnente  indotto  a  scrivere  dal  fatto  che  i  ba- 
roni armavano  piii  attivamente  che  mai  in  Pnlestrina,  e  di 
là  si  preparavano  a  invadere  colle  loro  genti  la  città:  man- 
dassero perciò  i  Fiorentini  nuovi  aiuti,  i  quali,  quanto  più 
presto  fossero  giunti,  tanto  più  sarebbero  stati  graditi  (2). 

Come  rispondessero  i  Fiorentini  a  quest'ultima  richiesta 
non  sappi.imo  con  certezza;  probabilmente,  secondo  avevan 
fatto  altre  volte,  non  ne  tennero  alcun  conto.  Nella  lettera 
immediatamente  successiva  (3),  dove  il  tribuno  dà  loro  no- 
tizia della  famosa  vittoria  da  lui  conseguita  a  porta  San  Lo- 
renzo (4),  non  v'è  accenno  dt  sorta  a  soldati  fiorentini  che 
per  avventura  militassero  tra  le  file  che  sconfissero  i  ba- 
roni. La  stessa  epistola,  che  servi  per  i  Fiorentini,  fu  anche 
inviata  in  Avignone  ad  un  uomo  che  fin  da  principio  erasi 
mostrato  per  Cola  assai  benevolo:  al  cardinale  Rainaldo 
Orsini,  arcidiacono  di  Liegi,  il  quale  doveva  parteciparla 
al  pontefice  (5).  L'Orsini,  che  fu  il  nono  cardinale  della 


(i)  Epist.  lett.  XXVI. 

(2)  «...  amicìtìam  vestratn  rcquirìmus  et  rogamus  quatenus  ali- 
ti quid»  et  prout  vobis  al  habìle»  gcntis  nobis  subsidium  impertire: 
«  quoà  quanto  fiit  uUrius,  gratiits  tanto  crii  »  (Epist.  Ictt.  XXVI), 

(3)  Epht.  lett.  XXVII. 

(4)  Veggasi  il  racconto  di  questa  battaglìi,  cavato  dalle  attesta- 
zioni dello  fonti,  in  Papencordt,  op.  cii.  p.  177  e  segg.,  e  Rodo- 

CANACKI,   Op.  Cit,    XVI,    210. 

(5)  Epist,  leu.  XXVUI. 


Intorno  all'epistole  di  Cola  di  ^'en:(o       455 


ri 


sua  casa  (i),  copriva  nella  curia  la  carica  di  notaio  pa- 
pale. Estraneo  alle  vicende  della  casa  Orsini  in  Roma  e 
vivendone  lontano,  aveva  accolto  con  favore  il  tentativo 
di  Cola  di  Rienzo,  il  quale  gii  nei  primi  giorni  del  tri- 
bunato, scrivendo  all'  ignoto  amico  d'Avignone  (2),  lo 
pregava  di  communicare  anche  al  cardinale  il  contenuto 
delle  sue  lettere. 

Cosi  anche  stavolta  Cola  informa  l'Orsini  della  vittoria, 
e  questa  lettera  è  una  tra  le  più  significanti  manifestazioni 
della  mistica  esaltazione  cui  abbandonavasi  Io  spirita  di  Cola, 
tutta  piena  di  reminiscenze  bibliche,  di  sogni,  di  profezie, 
di  visioni. 

Ma  (è  superfluo  il  notarlo)  dalla  su:i  stessa  natura  Cola 
era  tratto  da  un  eccesso  aircccesso  opposto.  Gid  fu  da  altri 
segnalata  (3)  quella  specie  di  trasformazione  che  T ultima 
vittoria  produsse  in  lui»  e  com'egli,  riconoscendo  per  il  primo 
e  quasi  ingrandendo  i  propri  errori,  fosse  preso  da  quella 
morbosa  e  infantile  pusillanimitA,  che  due  anni  dopo  non 
si  peritava  di  confessare  sinceramente  (4).  Il  tribuno  vo- 
leva tornare  sui  suo  passato,  portarvi  rimedio,  emendarlo 
dove  ancora  poteva. 

Questo  brevissimo  periodo  di  reazione  alla  troppo  spinta 
aldanza  dei  mesi  scorsi  ci  è  nell'lìpistolario  rappresentato 
dalla  lettera  XXIX,  dove,  oltre  ad  essere  da  Cola  medesimo 
accennati  gli  umili  e  rimessivi  atti  compiuti  a  quei  giorni, 
amiunzia.si  ancora  la  prossima  venuta  in  Roma  del  legato, 
ch'egli  aveva  di  nuovo  eletto  suo  collega  nel  governo.  La 
città  di  Aspra,  insieme  con  Tarano,  Torri,  Collevecchio, 
Stìmigliano,  Santo  Polo  e  Selci,  si  era  data  spontaneamente 
al  tribuno;  ma  questi,   temendo  ora  il  danno  che  da  ciò 


r 


(1)  Sansovtno,  Vhistoria  ài  caia  Orsina;  Venezia,  1565. 

(2)  Epist.  lett,  X.II.  Vedi  sopra,  p.  444. 
(})  Papencordt,  op.  cit.  pp.  190,  191. 
(4)  Epist.  lett  XXXV. 


45^ 


C^.  Gabrielli 


poteva  venire  all'autorità  del  pontefice  e  volendo  prima  i  ^ 
tendersi  con  Raimondo  vescovo  d'  Orvieto,  richiama  c^^^^ 
Aspra  il  luogotenente  che  v'aveva  mandato  e  ch'era  un  Giar^^^^ 
notto  di  Enrico. 

Ma  Cola  non  è  ormai  più  in  tempo  ad  arrestare  il  cor 
degli  a\'\*enimend,  e  la  data  di  questa  lettera  -  ch'è  Tul- 
tima  di  questo  periodo  -  segna  il  principio  della  veniginosa 
discesa,  per  la  quale  precipitò  il  tribuno  del  popolo  romano. 
Il  racconto  delle  vicende  di  Cola,  a  principiare  dal  giorno 
della  sua  fuga  da  Castel  Sant'Angelo,  è  troppo  noto,  perchè 
occorra  rifarlo  nel  caso  presente. 

Succede  il  secondo  periodo  della  vita  di  Cola,  e,  dopo 
un  intervallo  di  più  che  due  anni,  s'entra  nel  secondo  gruppo 
delle  lettere  sue,  dal  quale  la  figura  del  U'ibuno  vien  su 
quasi  al  tutto  diversa:  non  più  Tantica  baldanza,  non  più 
l'altèra  sicurezza  di  sé,  ma  l'attitudine  umile  d'un  povero 
perseguitato  che  lavora  con  ben  poca  fortuna  a  riconqui- 
stare Talto  luogo  tenuto  per  Taddietro.  Due  anni  trascorsi 
nella  solitudine  d'un  convento  perduto  fra  ì  monti  non 
possono  non  aver  modificata  in  qualche  modo  la  fisonotnia 
morale  del  tribuno  :  gran  parte  delle  qualità  proprie  al  suo 
talento  ci  si  mostrano  affievolite  o  scomparse  del  tutto  il 
giorno  che  lo  ritroviamo  impetrante  grazia  e  protezione 
dall'  imperatore  Carlo  IV  di  Boemia.  Il  carteggio  ch'egli 
teime,  durante  il  suo  forzato  soggiorno  a  Praga,  coli'  im- 
peratore, col  suo  cancelliere  Giovanni  di  Neumark  e  coU'ar- 
civescovo  di  Praga,  riflette  interamente  lo  strano  e  inva- 
dente misticismo  che  ormai  informava  la  vita  dell'antico 
signore  di  Roma:  le  lettere,  più  che  segnalare  fatti  nuovi, 
presentano  tutta  una  serie  di  considerazioni  teologiche  o 
morali,  ora  fondate  su  la  Bibbia,  ora  inspirate  alle  credenze 
e  alle  profezie  che  a  quel  tempo  circolavano  in  Francia,  in 
Germania,  in  Italia,  e  che  annunziavano  prossimo  il  tanto 
aspettato  regno  dello  Spirito  Santo. 

La  fede  in  un  prossimo  principio  del  regno  di  Dio,  dal 


Intorno  all'epistole  di  Cola  di  *7^r>M^o       457 

quale  il  mondo  sarebbe  uscito  rinnovato,  fu  quasi  il  fon- 
damento del  Cristianesimo,  e  anziché  scemare,  s'afforzò  poi 
di  secolo  in  secolo.  Anche  dopo  il  mille,  quel  nucleo  d*Ìdee 
che  aveva  prodotto  gli  ascetici  entusiasmi  dei  millenari, 
seguitò  ad  animare  migliaia  e  migliaia  di  credenti,  e,  assunte 
forme  ed  atteggiamenti  diversi,  trovò  ne!  secolo  mi  il  suo 
più  celebre  apostolo  in  Gioacchino  di  Fiore: 

!l  calavrese  abate  Gìovacchino, 
'  Di  spìrito  profetico  dotato  (i). 

Quel  povero  monaco,  che  con  picciol  numero  di  seguaci 
erasi  ridotto  ad  abitare  poche  e  misere  capanne  su  le  falde 
del  Sila,  ma  che  aveva  pur  predetta  la  morte  al  Barbarossa 
e  fatto  tremare  Riccardo  Cuor  di  leone,  apparve  al  medio 
evo  come  il  suo  nuovo  oracolo,  come  il  suo  profeta.  Tosto 
la  leggenda  s' impadroni  di  lui,  e  narrò  come  Tolio  che  ar- 
deva su  la  sua  tomba  bastasse  ad  oprar  miracoli  d*ogni  ge- 
nere (2).  Il  nome  di  Gioaccliino  di  Fiore  diventò  quasi  il 
simbolo,  sotto  il  quale,  benché  il  monaco  calabrese  non 
fosse  stato  in  realtà  die  un  teologo  abbastanza  ortodosso, 
fu  combattuta  la  guerra  contro  la  curia  romana.  Il  grande 
movimento  francescano  scaturì  direttamente,  se  non  dal- 
l'azione personale,  certo  dall'  influenza  di  Gioacchino  di 
Fiore.  Or  chi  non  sa  che  quel  tentativo,  ascetico  in  appa- 
renza, celava  alti  (ini  politici  e  sociali  ?  Quando  si  predicava 
la  povertà  essere  il  sommo  e  Tunico  bene,  e  s'additava 
all'uomo  una  perfezione  ben  diversa  da  quella,  di  cui  la 
Chiesa  ha  il  segreto,  non  si  diceva  implicitamente  che  la 
Chiesa  doveva  finire  e  far  posto  a  una  societd  nuova? 

Mentre  ancora  Gioacchino  viveva,  la  fima  di  luì  era 
giunti  fin  neir  Oriente,  e  di  lA  un  eremita  del  monte  Car- 
melo, Cirillo,  dotato  anch*esso  di  spirito  profetico,  gli  seri- 


§ 


(1)  Dante  Alighieri,  Farad,  Xlf,  140^141. 

(2)  Gervaise,  Hisiolrc  de  Vabbé  Joachim;  Parigi,  1754. 


458 


^,  Gabrielli 


veva  per  sapere  il  significato  d'una  visione  da  lui  avuta  (i). 
Avvenne  pertanto  assai  naturalmente  che,  in  seguito,  si  as- 
segnasse all'abate  calabrese  un  precursore  in  questo  Cirillo, 
che  mori  molto  prima  di  Gioacchino. 

Cosi  le  profezie  di  questi  due  eletti  di  Dio,  a  misura 
che  la  schiera  dei  gioachimisti  andava  ingrossando,  enno» 
insieme  a  molte  altre,  addotte  in  testimonio  per  dimo- 
strare vicinala  sostituzione  d*una  Chiesa  povera  e  monastica 
alla  Chiesa  ufficiale.  S'aggiungevano  inoltre  le  numerose 
attestazioni  della  Sacra  Scrittura,  e  tutte  le  più  vive  imma- 
gini dei  libri  santi  erano  prese  a  presuto  per  dipingere  a 
foschi  colori  i  prossimi  castighi  che  preparavansi  ai  prctó 
empi  e  mercenari.  Gli  abusi  del  potere  temperile  deBa 
Chiesa  erano  insomma  perseguitati  con  tale  violenza  da  fard 
credere  che  le  cause  d'una  rivoluzione  religiosa  esistevano 
latenri  gii  fino  dal  secolo  xm. 

Nel  secolo  xiv,  aache  dopo  le  condanne  di  vani  papi 
e  specialmente  di  Bonifacio  Vili,  le  idee  gioachiraiste  se- 
guitarono, a  traverso  la  formazione  delle  tante  altre  sette 
affini,  ad  agitare  e  ad  appassionare  gli  spiriri:  la  certi 
della  vicina  ^ra  dello  Spirito  Santo  rimase  ugualmente 
nelle  menti  e  nei  cuori. 

Il  soffio  di  tune  queste  idee  era  forse  appena  arrivato  a 
Cola  di  Rienzo  prim:ì  ch'ei  prendesse  stanza  tra  i  fraticdlx  di 
monte  Maiella,  i  quali  ne  erano  naturahnentc  apostoli  cildie 
instancabili.  Ma  quanto  più  tardi  le  generali  .ispirazioni  ven- 
nero a  conoscenza  di  Cola,  tanto  più  dovettero  invaderne  lo 
spirito,  trovando  nella  natura  sua  il  terreno  più  adatto  che 
mai  si  possa  immaginare.  Da  una  parte  si  gridava  al  tri- 
buno :  guerra  alla  corte  avignonese  ;  dall'altra  gli  si  an- 
nunziava vicino  un  nuovo  regno  dello  Spirito  Santo.  Come 
non  accogliere    lietamente    quel  primo  invito?    E    come 
non  pensare  che  a  lui,  al  salvatore  di  Roma,  all'  inviito 


(l)    GtRVAISE,   Op.   cit.  II,   383. 


Intorno  alVepistoU  dì  Cola  dì  ^cn\o       459 


di  Dio,  non  dovesse  nella  nuova  èra  toccare  la  parte  prin- 
cipale ? 

Qaando  dunque  frate  Angelo  si  fece  a  richiamarlo  alla 
vita  del  secolo  e  a  significargli  le  grandi  cose  che  doveva 
compiere,  Cola  trovavasi  giA  apparecchialo  ad  accettare  il 
consìglio,  «Il  regno  dello  Spirilo  Santo  s'  avvicinava:  egli 
era  chiamalo  a  fondarlo».  Questa  IMdea  che  ormai  domina 
Cola  e  che  lo  conduce  a  Praga;  questo  il  concetto  che 
informa  pressoché  tutte  le  lettere  de!  secondo  periodo.  Ogni 
volta  che  salve  all'  imperatore,  al  papa,  a*  prelari,  Cola  di 
Rienzo  non  è  più  che  una  voce  del  suo  tempo  ;  ciò  che 
noi  leggiamo  non  è  che  la  ripetizione  di  quanto  cento  altri, 
mille  altri  uomini  andavano  proclamando  d'ogni  parte.  I 
nomi  di  Gioacchino  di  Fiore,  di  Cirillo,  di  Merlino,  che 
ricorrono  assai  di  frequente  nelle  sue  lettere,  sono  suflìciente 
attestazione  delle  idee,  dalle  quali  egli  era  dominato,  «  Iddio 
voleva  fino  dal  tempo  di  san  Francesco  punire  gli  uomini 
degeneri,  ma  T  intercessione  del  poverello  d'Assisi  e  di 
san  Domenico  fermò  la  sua  mano  onnipotente.  Ora  però 
la  divina  vendetta  sta  per  iscoppiare,  e  Téra  dello  Spirilo 
Santo  è  vicina.  Un  uomo  sarA  chiamato,  una  cnm  tlccto  Im- 
peraiorey  a  riformare  il  mondo  ».  Cosi  dicevano  le  profezie. 

E  le  stesse  cose  scrive  Cola,  appena  giunto  a  Praga  (i), 
nella  prima  sua  lettera  a  Carlo  (2).  Maquesri  non  risponde, 

(i)  L'arrivo  di  Coli  in  Praga  è  posto  sotto  due  date  diverse:  il 

riicon  Ar^cntincnie  ritiene  la  data  della  seconda  quindicina  di  lu- 

o;  la  nta  invece  assegna  la  data  del  i"  agosto.  Noi  crediamo  da 

ferire  alla  seconda   U   prima   data,   perchò  altrimenti»  dal  i**  al 

15  ago-lo,  troppi  a vvenimciuì  Sirebbero  accumulati.  Difatti,  il  17  agosto 

,ii  il  papa  rispondeva  alla  lettera  colla  quale  Carlo  IV  gli  comuni- 

.va   r imprigionamento  di  Cola,  e  che  doveva  quindi  essere  stata 

critta  almeno  il  7  o  P  8  di  agosto.  S' aggiunga  che  l'espressione  dì  Cola 

rnedesimo:  «...  dum  ffcr  memcs  Incinta  quadam  arta  vita  laborasscm  » 

(Bpist.  lett,  XXX)  porta  a  credere  che  trenta  mesi  giusti  siano  corsi 

[alla  fìne  del  tribunato  all'arrivo  in  Praga. 

(a)  Epist.  lett.  XXX. 


4^0 


G^.  Gabrielli 


e  Io  mette  sotto  custodia.  Torna  egli  allora  a  scrivere  (i), 
narrandogli  la  nota  storia  della  propria  origine  imperiale(2) 
e  stavolta  1*  imperatore  risponde  che  su  questa  non  potevi] 
dare  alcun  giudizio;  che  alle  addotte  profezie  egli  non  prc 
stava  alcuna  fede;  che  se  i  vicari  ecclesiastici  nundad  ii^ 
Italia  ogni  di  più  la  sgovernavano,  non  ispcttava  a  lui 
punirli  (3).  Cola  ritenta  la  prova  in  una  terza  lettera  (4), 
ma  Carlo  I\^  che  doveva  in  gran  parte  al  papa  la  sua  dei 
zione  e  la  cui  politica  s'era  sempre  più  accostata  a  quell 
d'Avignone,  non  se  ne  dà  per  inteso.  E  invero  laprigionii 
di  Cola,  anziché  all'  imperatore,  dovevasi  a  Clemente  ^T 
e  agli  ecclesiastici  che  lo  dirigevano. 

Alle  antiche  accuse,  riflettenti  gli  atti  compiuti  d.i  Coli 
durante  il  tribunato,  venivano  ora  ad  aggiungersene  JelliS 
nuove  e  più  gravi,  provocate  dalle  opinioni  eterodosse  che 
Cola  esprimeva.  Se  quelle  idee  avessero  soltanto  rapprc-| 
sentalo  le  utopie  d'un  esaluto,  forse  la  curia  non  se  nc^ 
sarebbe  data  pensiero.  Ma  la  Chiesa  andava  combattcnJo 
cosi  fatte  aspirazioni  da  più  d'un  secolo,  e  doveva  ncces-| 
sariamente  vedere  con  sospetto  farsene  eco  un  uomo  cM 
cosi  considerevole  parte  aveva  rappresentata  nella  politica 
di  quel  tempo.  Di  qui  le  persecuzioni  contro  Cola,  neIl<J| 
quali  una  cosa  sola  si  nota  con  certa  meraviglia;  ch*c^J 
non  siano  state  assai  più  aspre  e  violente. 

Cola  citava  Gioacchino  di  Fiore  e  gli  altri  più  difti^j 
scrittori  di  profezie,  e  la  curia  non  cessava  di  dichiari"*  j 
falsi  e  mendaci.  «  Assai  mi  meraviglio  -  scrivevagli  l'arci- 
vescovo di  Praga  -  che  tu  dia  cosi  illimitata  fede  a  p^' 
fezie  apocrife,  delle  quali  un  vero  crisuano  non  pui,scnx^ 
grande  temeriti  e  senza  pericolo   per  l'anima  sua,  i 


(1)  Epist.  lettXXXI. 

(2)  Papencordt,  op.  eh.  p.  64. 
(5)  Papencordt,  op.  cit  doc.  xiv. 
(4)  EpisL  leu.  XXXII. 


4^1 


Oa.ire  la  veridicità.  Su  ben  altre   fondamenta   tu    dovresti- 
elevare  la  tua  difesa!  »  (i). 

Tutto  ciò  non  è  nuovo:  Cola  da  un  lato,  e  dall'altro 
**  arcivescovo  di  Praga  non  ci  rappresentano  se  non  un 
Certo  momento  d'una  lotta  da  gran  tempo  accesa  e  pro- 
l\ingatasi. 

Ma  l'Epistolario  presenta  anche  un  altro  lato  che  do- 
vrebbe, a  parer  nostro,  studiarsi  di  proposito  e  contraporsi 
iille  costanti  tra:iizioni  della  curia:  si  dovrebbero,  cioè,  te- 
nere nel  dovuto  conto  i  concetti  meramente  politici  che 
Cola  di  Rienzo  propugna  in  questo  secondo  gruppo  delle 
sue  lettere.  Noi  ci  contontfremo  d'accennarvi  fugacemente. 
A  che  mirino  tutte  le  lettere  scritte  da  Cola  in  Praga, 
occorre  appena  ricordare:  egli  chiedeva  a  Carlo  IV  di  po- 
tere, colla  stessa  autorità  avuta  in  passato,  presentarsi  di 
nuovo  al  popolo  romano.  Ma  già  il  titolo,  che  Cola  doman- 
dava d'assumere,  era  ben  diverso:  non  doveva  esser  più 
il  tribuno  che  scongiurava  il  papa  a  lasciare  Avignone  e  a 
tornare  in  Roma,  ma  solo  un  vicario  dell'  imperatore,  con 
imperiale  plenipotenza.  E  anzi,  Cola  suggeriva  a  Carlo  IV 
di  farlo  partire  occultamente,  prudentemente,  senza  strepito, 
cosicché  il  suo  ritorno  in  Roma  riuscisse  una  vera  sorpresa. 
Basterebbe,  forse,  un  tal  fatto  a  dimostrare  come  il  con- 
cetto ghibellino  si  fosse  fatto  strada  nell'animo  del  tribuno; 
ma  una  ben  più  sicura  conferma  ne  d.inno  molti  luoghi 
delle  lettere  a  cui  ci  riferiamo.  Infani,  le  teorie  ghibelline, 
che  vanno  dall'ossequioso  riserbo  del  De  monarchia  alle  au- 
dacie del  Defensor  pacis,  e  che  diventate,  da  filosofiche, 
politiche,  erano  state  dalla  curia  dichiarate  eretiche  dopo  il 
famoso  libro  di  Marsilio  da  Padova  e  dopo  la  lotta  con 
Ludovico  il  Bavaro,  fanno  apertamente  la  loro  comparsa 
negli  scritti  di  Cola.  Per  questa  ragione  il  tribuno  aveva 
trovato  un  alleato  potente  anche  nel  Petrarca,  sebbene  questi, 


(i)  Papencordt,  op.  cit.  doc.  xvia 

Archivio  delia  R.  Società  romana  di  stona  patria.  Voi.  XI. 


4^2 


Q/i.  Gabrielli 


in  realtà  né  guelfo,  né  ghibellino,  s' inspirasse  a  un  concetta 
eminentemente  italico  ed  eminentemente  nazionale.  Eg*' 
pertanto  diede  a  Cola  il  suo  appoggio,  finche  le  idee  di  l»-* 
si  rivolsero  alla  restaurazione  di  Roma  e  d' Italia,  cl'abban 
donò  quando  il  tribuno  volle  spingersi  eziandio  oltre  IcAlp 

Nella  prima  lettera  indirizzata  a  Carlo  IV  (i),  Coli  offr 
all'  imperatore  il  proprio  aiuto,  nel  caso  che  vogli.i  rcai 
in  Roma,  e  promette  d'acquistargli  il  favore  di  quegli  su 
fra  gli  Siati  d' Italia,  che  più  sì  mostravano  avversi  airìm 
pero.  E  anche  più  chiaramente  s'esprime  nella  lettera  XXXI 
«  Destati  adunque  -  egli   scrive  all' imperatore -e  impugi 
validamente  la  tua  spada,  perché,  come  non  devi  esser 
il  clavigero  {cìavigtrus)^  cosi  non  deve    il  pontefice  esse^r" 
V anniderò  Qtrmigcrus)  :  la  spada,  che  fu   data  a  Cesirc,  fi.^ 
negata  a  Pietro». 

Cosi  il  concetto  della  divisione  tra  la  spada  e  il  paitorji^^ 
trova  in  Cola  un  sincero  aderente.  Ma  nella  medesima  li;:— 
tara  egli  aggiunge  :  «  Or  mentre  tutti  gli  altri  Stati  godoo» 
pace  e  tranquillitA,  le  provincie  rette  da  uffiziali  ecdesiisiici 
sono  dalla  inerzia  e  dalla  cattiveria  di  costoro  trascinile  Ji 
male  in  peggio  .  .  .  Quanto  megho  farebbe  che  ciò  ch'i' J» 
Dio,  si  desse  a  Dio,  ciò  eh' è  di  Cesare,  si  desse  a  Ce- 
sare! ».  E   continua  ad  accusare  il  papa  e  i  cardinali,  che 
proclamano  giusto    ciò  che  fa  loro  comodo,  ingiusto  di> 
che  non  li  soddisfa  nell'illegittime  aspirazioni,  e  che, lio* 
vunquesi  veggono  contrariati,  stan  pronti  col  fulmine  delle 
scomuniche.  Per  tal  modo,  approvano  oggi  ciò  che  con- 
dannarono ieri!  (2). 

Opinioni  di  tal  fatta,  espresse  con  franca  parola,  spi^ 
gano  come  Cola  non  riuscisse  ad  ottener  nulla  neanche  dal 
Neumark  e  dall'arcivescovo  di  Praga,  ai  quali  si  diresse  dopo 
che  vide  inutile  lo  sperare  nelK  imperatore. 


(t)  Epist.  Ictt.  XXX. 
(2)  Epist.  cit.  leti.  XXXJ. 


Intorno  aWepistole  di  Cola  di  ^^'en^o       463 


La  vita  di  Giovanni  di  Ncumark,  l'alto  luogo  da  lui 
tenuto  nella  corte  di  Boemia,  le  sue  relazioni  con  Carlo  IV 
e  col  Petrarca,  offrirebbero  tèma  a  un'interessante  mono- 
grafia. Il  Papencordt,  accennando  all' importanza  ch'ebbe 
quel  personaggio  nella  politica  d'allora,  prometteva  di  pub- 
blicarne varie  lettere  inedite,  e  la  promessa  sarebbe  certo 
adempiuta  ormai  da  gran  tempo,  se  l' immatura  morte  non 
•avesse  troncato  gli  studi  del  geniale  storico  tedesco.  Così, 
^^ra,  chi  non  intenda  d'imprendere  studi  affatto  speciali, 
^accontenta,  quanto  al Neumark, di  ricordare  come,  al  tempo 
^«lla  dimora  di  Cola  in  Praga,  sebbene  non  pcranco  can- 
^^elliere  dell'impero  (i),  ma  serapb'cemente  canonico  di 
^reslavia  e  di  Oltmùtz,  egli  tuttavia  potesse,  se  voleva, 
^^ccuparsi  con  frutto  della  sorte  del  tribuno. 

La  primi  lettera,  colla  quale  Cola  si  volse  al  Neumark  (2), 
rivela  nello  scrivente  una  perfetta  conoscenza  cosi  dell'uomo 
^I  quale  s'indirizza,  come  delle  tendenze  e  dei  gusti  di  lui... 
E  intendo  gusti  letterari^  dacché  il  canonico  era  fra  i  dilet- 
tanti della  letteratura  e  degli  studi  d'allora.  Cola  gli  scrive 
in  tal  forma,  eh' è  brutto  esempio  della  più  roboante  am- 
pollosit.1  dì  stile,  usata  a  dire  le  cose  più  sempiici,  e  che  trova 
nella  risposta  del  Neumark  (3)  degno  riscontro.  Questi  in- 
fatti con  istraordinaria  enfasi  porta  a  cielo  i  meriti  del  tri- 
buno; ma,  al  punto  di  rispondere  qualcosa  di  meno  vapo- 
roso, non  sa  far  altro,  che  consigliare  a  Cola  di  tacere  e 
obbedire  ai  voleri  di  Cesare.  Dopo  ciò,  nuova  lettera  del 
prigioniero  (4);  ma  da  tutto  quel  retoricume  vien  sempre 
meglio  dimostrato  il  risultato  affatto  negativo  delle  preghiere 
fatte  al  futuro  cancelliere  di  Carlo  IV. 

(i)  Tuttavìa,  un  atto  della  cancellerìa  di  Carlo  IV,  pubblicato 
dal  WiNKELMANN  {AcUi  Imp,  incd.  764)  e  colla  data  del  1550,  reca 
la  seguente  firma  :  Per  dominum  rcgcm  Johannes  Noviforensù, 

(a)  Epist.  lett.  XXXIII. 

(3)  Papencordt,  op.  cìL  doc.  xvi, 

(4)  Epist.  lett.  XXXIV. 


C^.  Gabrielli 


Anche  su  rarcivcscovo  di  Praga,  Ernesto  di  Pardubit»iJ 
né  le  antiche  storie  della  Boemia  (i),  né  opere  più  rwen^ 
danno  notizie  particolareggiate.  A  costui,  qual  rappreser 
tante  della  giurisdizione  ecclesiastica,  sotto  la  quale  Col 
più  direttamente  ricadeva,  il  tribuno  si  fece  innanzi  h  print-^ 
volta,  meglio  che  con  una  semplice  lettera,  con  una  prolis 
memoria,  intitolata:  P^enis  tribuni  Hbellus  cantra  scismatai 
errorcs  (2);  ma  la  risposta  deir.ircivescovo  (3),  oltre  ìj 
spingere,  come  già  di  sopra  notammo  (4),  le  argomenta 
zioni  fondate  su  le  profezie,  condanna  con  severiti  js^" 
maggiore  il  concetto  politico,  dal  quale  Cola  era  stato  moi^ 
durante  il  tribunato.  E  si  capisce:  come  poteva,  ad  esempio^  r 
il  Pardubitz  mandar  buona  la  teoria,  messa  innanzi  da  Col»-  ^ 
che  l'elezione  dell'  imperatore  spettasse,  quasi  per  diritto  «t(^— 
rico, al  popolo  romano  ?  «Cuiuslegisauctoritate,-egli  scriva 
a  al  tribuno  -  seu  qua  potestate,  inter  cactera  iura  et  offici» 
«  in  Urbe  dudum  abolita,  quae  posse  reassumere  Rom^nurt 
«  populum  declarasti,  etiam  quod  raonarchiam  eligcrc  pos^f^l 
«  et  debcret  sanxisti  ?  » 

Ma  non  s'acqueta  Cola  di  Rienzo,  e  altre  lettere  dinot- 
ai Pardubitz;  ora  mostrandosi,  insolitamente  per  quel  pe- 
riodo della  sua  vita,  audace  e  coraggioso  (5),  ora  invece 
tentando  di  far  vibrare  la  corda  del  sentimeuto  e  di  com- 
muovere l'arcivescovo  colla  narrazione  delle  proprie  soffe- 
renze. E  una  volta  dice  che  il  carcere  è  privo  atfatto  diaria 
e  di  luce,  freddo  ed  angusto:  un'altra  che  neanche  ha  un 
pò*  di  fuoco  per  riscaldarsi;  e  sempre  domanda  che  almeno 
s'affretri  un  aperto  esame  del  suo  operato. 

In  tutte  queste  lettere,  simili  fra  loro  per  tanti  riguardi. 
Cola  si  à\  a  vedere  occupato  da  una  sola,  costante,  irrcfre- 


(i)  Aene\£  SiLvn  PicoLOMisi  Hisioria  bohemica:  Amburgo^  if«x_ 

(5)  Epist.  XXXV 

(2)  Papencordt,  op.  cit.  doc.  xvin. 

(4)  V.  pag.  460. 

(5)  Epist  letL  XXXVII 


ntjorho  all'epistole  dì  Cola  di  T{ien;o       4*5 


Qabile  preoccupazione:  quella  d'esagerare  i  meriti  propri,  di 
vantare  T  inspirazione  e  raiuto  venutogli  dallo  Spirito  Santo, 
di  amplificare  i  benefizi  recati  al  popolo  romano  dal  tribu- 
tiato,  di  magnificare  il  valore  non  perituro  del  suo  tentativo. 
Seguono  altre  lettere  al  suo  antico  aderente,  l'abate  di 
Sant'Alessio  sull'Aventino,  al  cancelliere  del  Comune  di 
'^oma,  a  un  fira  Michele  di  Monte  Sant'Angelo  (i),  nelle 
S^ali  Cola  esona  tutti  costoro  a  non  iscoraggiarsi  e  a  sperai 
oeae  della  sua  sorte. 

Anche  notevole  è  nel  presente  periodo  la  lettera  (unica, 
*  Mostra  notizia)  al  cardinale  Guido  di  Boulogne,  Era  questi 
^■^    poco  tornato    alla    corte  d'Avignone,  reduce    da   quel 
^Vio  quasi  trionfale  viaggio  in  Italia,  che  tanto  aveva  a  lui 
^^^nciliato  l'afFetto  del  Petrarca  (2).  I  ser\'igi  resi  ni  pon- 
^fice,  non  solo  in  quella   legazione,   ma  anche  nell'altra 
^^Utecedente  presso  il  re  Luigi  d'Ungheria;  la  duplice  pa- 
rentela colle  case  di  Francia  e  di  Lussemburgo;  io  spìrito 
^olce  e  conciliante:  tutto  ciò  dava  alla  voce  del  cardinale 
un'autorità  maggiore    che  a  qualsiasi   altra.   È  dunque   a 
Quella  veramente  simpatica  figura  d'ecclesiastico  che,  me- 
ttiore  della  benevolenza  ottenutane  nel  suo  primo  soggiorno 
in  Avignone,  Cola  si  rivolge  fidente,  e  da  Praga  gli  scrive 
Una  lunga  e  minuziosa  lettera,  cercando   d' indurlo  a  in- 
tercedere per  lui  presso  Clemente  VI  (3). 

Ma  la  speranza,  che  le  lettere  antecedenti  mostrano 
ancora  viva  nel  tribuno,  sembra  quasi  perduta  del  tutto  in 
cjuella  diretta  al  figho  suo,  Lorenzo  (<^):  qui  pare  che  Cola 
non  s'aspettasse  più  che  0  la  morte  o  la  prigionìa  perpetua. 
Ma,  a  dire  il  vero,  tutt'altro  che  feroce  spiega  vasi  la 
persecuzione  della  corte  boema.  Carlo  IV,  benché  amico  a 


(i)  Epist.  letL  XXXIX.  XL.  SLLI.  XLIV. 

(2)  De  Sade,  citate  Mémoirts,  III,  J2-75. 

(3)  Epist.  lett.  XLV. 

(4)  Epht.  lett.  XLIII. 


nente  V£,  che  aveva  conasduto  in  Frascb 
r^oili,  benché  obbligato  verso  di  luì  di 
ulate  nel  momento  d^lLi  sua.  mcoroitaaioiic, 
^,  e  le  trattative  ftz  Praga  e  Avignone,  mi 
dco  tribuno  ai  giudici  ecclesì^isdci^  procciU 
0  lentamente.  Un^ambasciata  sembra  che  foi 
'imperatore  a  Clemente  \T  (r)  al  fine  fac 
partenza  dì  Cola  di  Rienzo.  Tornata  questi, 
mente  lascio  la  Boeraia,  e  può  quasi  con  cenci 
nersi  che  giungesse  in  Avignone  ai  primi  del 

Poco  dopo  il  suo  amvo,  e  precisami 
il  tribuno  diresse  una  nuova  lettera  -  tutta 
umilia  -  al  Parduhitz  (3),  ed  è  questa  Vuì 
pervetiuia  del  periodo  della  prigionia- 
In  seguito j  le  fasi  del  processo  sono  abb; 
e  si  sa  eziandio  come  dapprima  la  strana  vod 
che  Cola  fosse  un  grande  poeta,  e  poscia  la  nia 
mente  VT  cambiasse  interamente  le  sortì  del  p 
De!  resto,  questo  periodo  della  sua  vita  si  sol 
ralmente  al  nostro  téma  pel  fano  che  dall* agosti 
all'agosto  del  1354  l'Epistohrio  presenta  una  1: 
non  sarà,  credo,  colmata  mai. 

La  lettera  ai  Fiorentini  del  5  agosto  1354  (^ 
innanzi  il  tribuno  nella  nuova  ed  ultima  fase  de 
tenza:  ci  pare,  leggendola,  d'essere  tornati  alle 
somiglianti  scritte  a'  bei  tempi  del  tribunato  !  E 
curiosa  illusione  d'Innocenzo  VI,  che  aveva  cred 
utile  alla  Santa  Sede  valersi  di  Cola  di  Rienz< 
aveva  per  ciò  dato  compagno  all'Albornoz,  fec 
giare  alla   mente  esaltata    dell*  inviato  dello  Sp 

(1)  Vedi   RODOCANACHl,   Op.   cit.    p.    JI). 

(2)  Vedi  il  nostro  scrino  neìVArcb.  delia  R.  Soc.  Rom. 
XI,  188. 

(j)  EpisL  lett.  XLVI. 
(4)  Epist.  leti.  XLVII. 


Intorno  al T epistole  dì  Cola  dì  ^'en^o       4^7 


i*ér.i  nuova  di  fortuna  e  di  gloria.  Ed  eccolo  a  Roma, 
)n  più  tribuno  del  popolo,  ma  senatore.  Il  sogno  però  dura 
bea  poco;  e  quei  due  mesi  d'effimera  potenza  si  direbbero 
fatti  apposta  per  rendere  più  drammatico  il  quadro  della 
caduta  finale! 

L'Epistolario  riflette  quest'ultimo  e  brevissimo  periodo  a 
traverso  ie  lettere  dirette  al  povero  Giannino  di  Cuccio  (i), 
riguardanti  gli  strani  casi  di  lui.  Per  il  racconto  di  questi, 
ci  basterà  rimandare  al  Papencordt  (2),  che  ne  discorre 
con  sufficiente  larghezza.  Ma  non  sappiamo  trattenerci  dal 
rilevare  come  anche  tutta  quella  strana  leggenda,  e  la  parte 
iluasi  puerile  rappresentatavi  da  Cola  di  Rienzo,  non  po- 
trebbe più  efficacemente  darci  l'immagine  del  decadimento 
'^tellettuale  che  s'era  operato  neiruomo.  Cosi  l'interesse 
'^elle  lettere  sue  non  si  restringe  solo  ai  fatti  da  esse  re- 
gistrati o  raffermati,  ma  s'estende  a  tutta  la  sua  tìsonomia 
'borale,  a  tutta  la  sua  vita  interiore,  a  quella  specie  di  pa- 
rabola che  descrisse  la  sua  mente  e  il  suo  spirito. 


VII. 

Resta  che  brevemente  diciamo  dei  mjnoscriiti,  nei  quali 
le  lettere  ci  furono  conservate  (3). 

n  Papencordt,  che  enumerò  (4)  le  fonti  per  la  storia 

di  Cola,  distinte  in  iVtj/i:^/«"  (//  scrittori  cofiUmporatn-i  e  Lettere 

di  Cola  medesimo,  usò  senza  dubbio  Puna  e  l'altra  serie 

di  cssti  con  acuto  discernimento.  Ma,  vincolato,  com'egli 

era,  dal  carattere  espositivo  del  suo  lavoro,  al  modo  stesso 


(i)  EpisL  leit.  L-Liri. 
(2)  Op.  cit.  pp.  296  e  sgg.   ì49  e  sgg. 

(j)  Per  questa  parte  cf.  anche  la  Prefaiioiu  al  volarne  delle  Ltt- 
di  Cola  di  Rienzo. 
(4)  Op.  cii.  pp.  J18  e  sgg. 


tktìt 


od  Gàiriiih 


Di 


in  OD  sol  cotpo  le  ktitjc  od  cA^Ba,  tuo  pow 
«rmo  come  S  amadSo  jI  pk  sono  maanio  a  Ibi 
^■aBBO  perchè  Tcnganp  a  dojòiealanpiamDcnocMh 
iMn'Jtn  deflfl  su  vìcl 

L' ideak  di  chi  improidc  aa'ednìooe  fi  qoesio  geneie 
Mpefcbc  n  pocerb,  almeno  in  grt&  poncp  4<Tndijiie  su  vt 
ooscntD  ongìnah;  ma  por  troppo  non  ^mpn,  jà.  litwfnt 
mpoode  la  rrakl  dcQe  cose.  Tale  1  caso  ddt£fbatat 
di  CaÌ2  di'  Rienzo.  Infani,  oooostamc  Fj^pdlo  nmho  t 
bMiotecfae,  ad  archivi,  a  snadiosi  d'Itafia  e  ds  fiiod  (t) 
akre  lettere  originali  non  posnamo  annmmarc,  alRofood 
di  qaclle  gii  noie  (2)  e  segnalate  dal  Papeocordt. 

Ma  alla  mancanza  da  testi  originali  tu.prOTride&Bil- 
mente  supplito  il  fano  che  tale  apparisse  ai  coottflp^ 
ranei  ed  ai  posteri  più  a  lui  vicini  f  colera  &  Cob^  ^ 
indurli  a  conservare  per  mille  gmse  le  sue  lettere  E  ^ 
abbiamo  ricordato  come  il  Petrarca  si  rallegrasse  ^ 
reUgiosa  anenzione  ond'esse  venivano  lette  e  custodiw  0) 
Cosi  e  che  possediamo  ancora  oggi  più  d'una  raccolOi 
dove  le  lettere  del  tribuno  sono  accuratamente  trascritte  e 
sopra  cui  si  può  con  discreto  frutto  condurre  un'edi^onc. 
Codesti  manoscritti  vogliamo,  com'  è  obbligo  nostro, 
enumerare  brevemente,  non  senza  dire  che,  in  gencd^ 
ciascuno  di  essi  venne  gii  da  altri  utilizzalo  o  io  on^^ 
in  altra  sua  parte. 

(1)  Vedi   ncìVArch,   delia    R.    Scc.  Rem.  di  sU  fttiria   :' 
p.  J23)  r«  Elenco  delle  leuere  di  Cola  di  Rienzo  »  e  l'innci,. 
Ure,  che  la  Società  si  die'  cura  d'inviare  dovunque  potcssttottfp*^ 
esistenti  scritti  del  tribuno  di  Roma. 

(2)  EpisL  lett.  VI.  XI,  XXIX. 

(3)  Vedi  sopra  p.  428. 


Intorno  alVepistole  di  Cola  di  l{ien-{o 


Un  primo  codice  si  conserva  alla  biblioteca  Nazionale 
di  Torino,  segnato  H,  III,  j8  (i).  Se  ne  servi  gii  l'Ho- 
bhouse  (2),  traendone  parecchie  lettere  dì  Cola;  ma  cosi 
piena  d'errori  presentasi  la  trascrizione  di  lui,  che  la  nostra 
non  ha  potuto  menomamente  avvantaggiarsene.  Conobbero 
anche  questo  manoscritto  il  De  Sade,  il  quale  ne  cavò 
l'unica  lettera  di  Cola  al  Petrarca  che  ci  sia  pervenuta  (3), 
e  il  Levati,  che  di  questa  stessa  lettera  fece  una  tradu- 
aone  italiana  (4). 

Una  particolareggiata  esposizione  del  contenuto  del  co- 
dice sarebbe  superflua,  dacché  tutti  i  documenti,  che  vi  si 
leggono,  riflettenti  la  storia  di  Cola  di  Rienzo,  furono  già, 
secondo  l' ordine  onde  vengon  dati  dal  manoscritto,  enu- 
tnerati  dal  Papencordt  (5). 

Una  seconda  collezione  di  lettere  e  documenti  attinenti 
a.Ua  vita  di  Cola  fu  indicata  dal  Pelzel,  che  su  la  fine  del 
secolo  passato  scrisse  la  storia  di  Carlo  FV  di  Boemia  (6). 
Quest*  importante  codice  del  secolo  xiv  era  anch'  esso 
noto  al  diligentissimo  Papencordt;  ma,  nonostante  le  più 


(i)  Cod.  cartaceo  (tranne  le  ce.  1-6  in  pergamena),  dimen- 
sione 280  .  .  205,  appartenente  alla  fine  del  secolo  xiv  e  al  prin- 
«:ipio  del  XV:  antica  segnatura  E,  II,  x8:  di  carte  201  e  due  di 
guardia.  Contiene,  oltre  i  documenti  relativi  a  Cola  di  Rienzo,  molte 
lettere  dei  secoli  xn  e  xiii,  e  specialmente  di  Federigo  II,  di  Pier 
iiella  Vigna,  di  Gregorio  IX  e  Innocenzo  IV,  tutte  riflcttcnii  la  con- 
tesa ira  l'Impero  e  la  Curia;  varie  lettere  di  Coluccio  Salutati,  una 
di  San  Girolamo,  alcune  anngae  e  discorsi  d'indole  politica;  e  tutti 
questi  documenù  raccolti  senz'alcun  ordine  e  come  vcnivan  sotto 
mano.  11  cod.  è  evidentemente  scritto  da  mani  diverse.  (Cfr.  Pasini, 
Codicts    mafiuscripti  bibliothicae    u^ii    taurintnsis  aHìtnati;    Torino, 

1799,  J>.  ^57. 

(2)  Historicaì  illustrations  of  tht  fourt  Canto  of  ChiUU  Harold , 
Londra,  i8id. 

(})  Citate  Mèmoir^s,  III,  Pihccs  jusiificativcs,  XXX. 

(4)  Op.  cit.  II,  448. 

h)  Op.  cit  319. 

(6)  KaisiT  Karl  àcr  Vurk\  Praga,  1780. 


470  C4,  Gabrielli 


accurate  ricerche,  egli  confessa  di  non  averlo  potuto  rin-.^-^ 
venire.    Dovette  aduaque  contentarsi  d*una  copia  fittaDtì 
eseguire  dal  Pelzel  medesimo;  ma  la  trovò  cosi  irta  d'er- 
rori, da  dover  ritenere  impossibile  il  ristabilire  quel  testo 
senza  avere  sott' occhio  il  codice  autentico. 

Egli  turtivia  non  esitò  a  trarre  intanto  da  quelli  cat* 
riva  copia  la  maggior  parte  delle  lettere  contenutevi  a  3 
stamparle,  tali  quali  erano,  fra  i  documenti  aggiunti  alla  bio- 
grafia di  Cola.  Ne  rinaanevano  però  sempre  alcune  inedite, 
di  cui  egli  diede  semplicemente  un  breve  sunto  (i)- 

Noi  siamo  stati  più  fortunati  delF  illjjstre  storico,  dac-^ 
che  il  tanto  desiderato  codice  abbiamo  rinvenuto  allVar* 
dÙYio  Vadcano,  dove  non  sapf»amo  quali  vicende  lo  ab* 
luano  condotto  (a).  CoA  TEpistolarìo  amterrà  il  testo,  ddk 
lettete  senza  le  lacune  e  gH  emm  lamentati  ndk  copia 
dd  PeheL 

n  contenuto .  dd  codice,  tranne  la  cambiau  numera- 
none  dd  (o^  è  lo  stesso  ddla  cc^ia  colorata  dal  Pqicn- 
cordt,  cke  ne  diede  un  ordinato  indice  (3).  A  lui,  dunque, 
senz'altro,  possiamo  rimandare. 

Questi  sono,  come  a  dire,  i  due  capisaldi  dell'edi- 
zione. Ma  un  altro  codice  -  e  questo  il  Papencordt  non 
conobbe  -  si  conserva  nella  Feliniana  di  Lucca  (4),  alla 
quale  provenne  dal  cardinale  Nicolao  d'  Aragona  (5),  Il 
codice  è  ivi  segnato:  pluteo  Vili,  545;  membranaceo,  di 

(i)  Sono.  n^V Epistcìario,  le  lettere  XXXII  e  XXXIV. 

(2)  Ce  ne  diede  cortese  indicazione  il  rev.  Don  Pietro  Pal- 
mieri, custode  nell'archìvio  Vaticano,  cui  rendiamo  grazie  pubbli- 
camente. 

(3)  Op.  cit.  pp.  pi  e  s^g, 

(4)  Quesu  biblioteca  -  per  chi  ami  ricordarlo  -  è  quella  del  Ca- 
pitolo della  Metropolitana,  chiamata  anche  Feliniana,  perchè  dono  in 
gran  pane  dì  Felino  Sandeì,  notissimo  canonista  e  vescovo  di  Lucca 
(■+-  iSO>). 

(5)  Debbo  questa  notizia  ed  altre  intomo  al  cocBce  al  dùaro 
S.  Bongi,  direttore  dell' Archivio  dì  Sttlo  in  Locca. 


Inioffìo  alVepistole  di  Cola  di  ^{ieUyO       471 


carattere  della  fine  del  secolo  xv  o  del  principio  del  xvi» 
contenente  un'  imponante  miscellanea  dì  documenti  ri- 
guardanti la  storia  di  Roma  medievale.  Fra  questi,  ai 
fogli  359-J64,  leggonsi  due  lettere  di  Cola,  senza  data, 
al  popolo  romano,  precedute  da  altre  di  Clemente  VI  a 
Carlo  IV. 

Noi  diamo  dal  manoscritto  lucchese  le  due  lettere,  che, 
del  resto,  furono  già  edite,  benché  malamente,  nelle  Mi- 
scellanee del  Baluzio  (i). 

Accanto  alle  sopra  dcne  raccolte,  d'indole  in  cena  guisa 
letteraria,  sono  da  porre  le  copie  redatte  dalle  varie  can- 
cellerie e  conservate  negli  archivi  d'alcuni  tra  i  Governi, 
coi  quLili  Cola  ebbe  relazione.  E  ricordiamo  anzi  tutto 
l'archivio  di  Firenze,  dove,  al  volume  XVI  dei  Capitoli 
del  Comune,  conservansi  in  copia  sincrona  ben  dodici  let- 
tere di  Cola,  dieci  delle  quali  furono  pubblicate  dal  Gaye  (2), 
una  fu  per  la  prima  volta  edita  dal  Papencordt  (3),  e  un'altra 
-  Tultima  -  vede  la  luce  nelF  odierno  Epistolario  (4). 
-\nche  neH\\rchivio  di  Stato  di  Lucca,  il  manoscritto 
"•  55  (5)  J^"^'^  ■5**'''*  ^*1'''  Anziani  avanti  la  libertà  (jS) 
contiene  un  esemplare  delle  due  lettere  del  7  giugno  e 
del    9    luglio    1347    (7),  che    appariscono    simili  ad  altre 


(i)  Stephani  Baluzh  MisuUdtttdf  opera  ac  studio  Iohakkis 
DoM.  Mansi  Lucensis;  Lucca,  1762,  voi.  III. 

(2)  Carteggio  inedito  d^  artisti  dei  secoli  xiv,  xv,  xvi  ;  Firenze, 
i8j9,  voi.  I. 

(})  Op.  cit.  dee.  XXXIV. 

(4)  Epist.  lett.  XXVIIl. 

(5)  Nell'antica  distribuzione  segnato:  Armoiiio  j,  n.  26. 

(6)  «  Liber  literarum  missarum  et  rcceptarum  ex  officio  dom.  An- 
fl  tianorum  Lucani  comunìs,  factus,  compilatus  et  ordinatus  prò 
e  anno  N.  D.  .mcccklii.  incipiendo  in  kal,  ianuarii  dicti  anni, 
o  exìsicnte  cancellano  dictorum  dora.  Antianorum  provido  viro  ser 
«  Cccho  Ghiova  Jc  Luca  not.  et  scriba  diete  cancellane  prefatorura 
o  dom.  Antianorum,  me  Aytante  filio  Vannis  Aytantis  not.  civ.  lue.  ». 

(7)  Epist,  lett  V  e  X, 


L 


472 


e^.  Gabrielli 


dirette,  in  forma  di  circolare  e  colle  stesse  date,  a  Firenze,  a 
Perugia,  a  Mantova,  L'archivio  di  quest'ultima  cittA  ci 
ha  pure  conservata,  oltre  quella  del  9  luglio,  una  seconda 
lettera  a  Guido  Gonzaga  (i),  Funa  e  l'altra  nell'originale. 
A  queste  due,  in  conseguenza,  e  a  quella  mandata  al  Comune 
di  Aspra  (2),  si  riducono  le  lettere,  che  ci  è  dato  leggere 
nell'originale,  anziché  nelle  copie. 

Dopo  le  fonti  manoscritte,  che  per  le  lettere  di  Cola 
rappresentano  il  maggior  numero,  van  ricordate  le  fonti 
a  stampa,  delle  quali  è  pur  forza  tenersi  paghi  nella  defi- 
cienza dei  codici.  Ma  queste,  nel  caso  nostro,  si  riducono  sol- 
tanto alle  note  Gesta  pontificum  Tungrcnsium  dell'  Hocsemio, 
dove  due  lettere  sono  inserite  per  intiero  (3),  e  al  volume  II 
delle  opere  del  Petrarca  (edizione  di  Basilea),  che  contiene 
la  lettera  al  cardinale  Guido  di  Boulogne  (4).  E  si  noti, 
quanto  al  secondo  dei  due  documenti  datici  dall'  Hocsemio, 
com'esso  si  presenti  pressoché  simile  alla  lettera  XXVII, 
scritta  nello  stesso  giorno  ai  Fiorentini  e  conservata,  come 
gii  dicemmo,  tra  i  Capitoli  del  Comune  j  cosicché  la  ricosti- 
tuzione dell'un  testo  trova  nell'altro  un  efficace  controllo  e 
un  valido  sussidio.  A  ogni  modo,  la  provenienza  delle  tre , 
citate  lettere  resta  sempre  un  problema  insoluto,  che  noi 
sottoponiamo  all'attenzione  degli  studiosi. 

Tali  le  fonti  di  tutta  quella  serie  di  lettere  che  va  dal 
1345  al  5  agosto  1354  (5).  Oltre  a  questa  data,  non  resta 
se  non  il  curioso  carteggio  con  Giannino  di  Cuccio,  per 
il  quale  ci  soccorre  un  gruppo  di  manoscritti  affatto  stac- 
c.ito  e  distinto.  Ma  di  tali  fonti  sari  detto  qui  solamente 
quel  tanto  che  strettamente  occorre  al  nostro  téma,  spct- 


(0  Papencordt,  op.  ciL  doc.  i;  Epist.  letL  VI, 
(a)  Epist.  Ictt.  XXIX. 

(3)  Epist.  Icit.  XXIII  e  XXVIII. 

(4)  Episi.  lett.  XLV. 

(5)  Questuò  U  data  dell*  ultima  lettera  diretta  ai  Fiorentini.  !nc. 
«  Mirabilis  vìrtutcm  dotiùnus  ». 


Intorno  aWepistoìe  di  Cola  di  T^'en^o       473 


tando  piuttosto  a  chi  imprenda  un'edizione  critica  dell*  Hi- 
[Storia  di  Giannino  parlarne  di  proposito. 

Agli  studiosi  non  può  riuscir  nuovo  il  fatto  che  la 
leggenda  di  Giannino  di  Cuccio  è  a  noi  stata  tramandata 
per  via  di  molteplici  codici.  Ed  è  parimenti  superfluo 
l*avvcnire  come  appunto  da  quel  testo  sì  ricollegliino  le 
lettere  indirizzate  a  Cola  a  quella  misera  larva  di  preten- 
dente, e  come  in  conseguenza  esse  si  veggano  riprodotte 
in  una  pressoché  identica  versione  italiana,  se  non  da  tutti, 
dalla  maggior  parte  dei  manoscritti  del!'  Historia.  Basterà 
segnalare  i  due  ben  noti  dodici  della  biblioteca  Comunale 
dì  Siena,  C,  IV,  r^  (i)  e  A,  HI,  27  (2)  e  ti  Barbe- 
riniano  XLV,  52  (3).  In  questo  però,  ch'è  tenuto  pel  più 
antico  e  autorevole^  al  racconto  dell'avventura  non  segue 
la  trascrizione  delle  lettere  che  vi  si  riferiscono,  E  pure 
^^(iranne  che  per  cotesta  parte  epistolare)  sono  copie   del 

^H      (i)  Codice    miscellaneo,    cartaceo,    proveniente   dalla    librerìa 

^^d'Ubcno  Bcnvoglienti,   scrino   nel   secolo    xviii,  la   massima   parte 

Ò2.    una   stessa    mano:  dì   carte  312    (nuova    numerazione)^   di    cui 

alcune  bianche. 

^— ^      La  Hiitoria  0  Ug^enda  del  re  Giannino  è  ivi  contenuta  da  e.  197 

^Hk  e.  286.  Seguono  (ce.  287  r-292  r)  altre  notìzie  raccolte  dal  copia- 

^^tore  della  leggenda,  relative  a  Giannino  di  Cuccio  e  ad  alcuni  suoi 

discendenti. 

(2)  Cod.  miscellaneo,  cartaceo,  composto  dalla  riuniane  di  mss. 
diversi  dei  secoli  xvi,  xvii  e  xviii,  con  un  quaderno  di  minor  for- 
mato, inserito  tra  le  ce.  155-176,  che  credesi  scritto  nel  sec.  xin 
(se  non  è  piuttosto  una  contrafazione);  di  ce.  J35  (numerazione 
modem  a). 

Della  Leggenda  non  contiene  che  la  parte  epistolare,  cioè  due 
lettere  di  Cola  a  Giannino,  e  una  d* Antonio  romito  a  Cola;  la  scrit- 
tura di  questo  frammento  è  del  secolo  xvm,  ed  esso  è  una  copia 
oaaterialc  fatta  dalla  Ltggtnda  completa,  contenuta  nel  sopra  citato 
codice  C,  IV,  16. 

(j)  Cod.  cartaceo,  del  secolo  xv,  con  legatura  modernissima, 
di  ce.  62  ;  dimensioni  328  X  i^*  ^^^  fregio  alla  sola  iniziale  della 
prima  pagina,  e  intitolazione  in  rosso. 


474 


Q/i.  Gabrielli 


Barberiniano  il  codice  della  biblioteca  Nazionale  di  Parigi 
«Ital.  593  »  (i)  e  il  Chigiano  Q,  I,  27  (2). 

A  foglio  219  del  codice  parigino  (3),  dove  comincia 
il  testo  delle  lettere  di  Col.i,  si  trova  scritto  da  mano  diversa 
dallii  solita:  Lettres  de  Nicolas  de  Ritn;^i^  e  subito  dopo: 
«  Lcs  iiombres  marquòs  à  la  page  extòricurc  se  rapportent 
«  aux  pages  et  aux  numòros  des  Osscrva:;ioni  di  Girolatiio 
«  Gigli  sopra  la  storia  del  re  Giannino  ».  Wdesi  dunque 
chiaramente  che  questa  trascrizione  non  può  essere  ante- 
riore ai  primi  anni  del  secolo  scorso,  dal  momento  che 
il  trascrittore  aveva  innanzi  le  O55tfn'fl;^iom  composte  su  la 
leggenda  di  Giannino  da  Girolamo  Gigli  (4). 


(i)  Cartaceo,  di  fogli  234,  con  legatura  modernissima  in  maroc- 
chino rosso.  A  e.  2  (precede  il  foglio  di  guardia)  si  legge  la  se- 
guente intitolazione:  Historia  ckl  re  Giannino  di  Francia,  copiata  dal- 
Vantico  manoscritto,  che  fu  in  mano  dA  signor  Celso  Cittadini,  nohiU 
senesf,  et  bora  si  trova  alla  biblioteca  Barberiniana;  dal  che  eviden- 
temente risulta  essere  il  manoscritto  parigino  una  copia  del  Bar- 
beriniano. 

(2)  CoJ.  cartaceo,  di  ce.  140.  Contiene,  oltre  V Historia  di  Gian- 
nino {ce.  1-60),  un  estratto  delle  Historiae  Smarum  di  Sigismondo 
Tizio.  Sul  frontespizio  si  legge  (come  nel  citato  codice  parigino): 
Hiitoria  etc.  tratta  dall' antico  ms.  che  fu  in  matto  del  signor  Celso  Citta- 
dini,  nobile  senese,  et  bora  si  trova  nella  biblioteca  Barberiniana,  1663,  La 
leggenda  di  Giannino  m^tnca,  anche  in  questo  codice,  del  cap.  XXIII, 
che  appunto,  negli  altri  manoscritti,  contiene  VcpistoU  relative  al 
curioso  episodio. 

(5)  I  fogli  dal  4  .il  2 r8  sono  occupati  dal  racconto;  quelli  dal  219 
al  1)4  dalla  corrispondenza. 

(4)  Giova  ricordare  come  queste  Ossentaxiotti  fossero  state  ideate 
dal  Gigli  quasi  ad  illustrazione  dell'edizione,  ch*ci  proponcvasi  di 
condurre  a  termine,  dcìV  Historia  di  Giannino  di  Cuccio.  Egli  infatti 
ne  discorreva  nel  %qo  Diario  Sanese  (Lucca ,  1725)1  dove  registrava  per 
ordine  cronologico  gli  avvenimenti  di  Siena.  «  Noi  non  parleremo 
«  qui  -  egli  scrìveva  -  di  questo  principe  sventurato,  perchè  abbiamo 
«  promessa  questa  curiosa  istoria  a  tutti  i  letterati,  e  stiamo  ormai 
«  per  pubblicarla,  non  solo  per  mettere  alla  luce  un  illustre  perso- 
a  naggio  finora  quasi  a  lutti  ignoto,  ma  per  aggiungere  un   ottimo 


Intonw  all'episiole  di  Cola  di  Q^en^o       475 


Parimenti,  da  qualcuno  fra  i  codici  italiani  deW'Historin 
sono  tratte  le  copie  del  secolo  passato,  nelle  quali  la  bi- 
blioteca Reale  di  Parigi  possedeva  le  lettere  di  Cola 
che  vennero  trascritte  e  poi  messe  a  stampa  dal  Mon- 
merqué  (i).  Che  anzi,  secondo  il  parere  di  quest'ultimo, 
chi  avrebbe,  durante  una  lunga  dimora  in  Italia,  redatte 
quelle  copie,  sarebbe  precisamente  il  De  la  Porte  du  Theìl, 
erudito  insigne  del  settecento. 

Ma  si  rispetto  alle  fonti  genuine,  si  rispetto  a  quelle 
adoperate  da]  Monmerqué,  l'autorità  del  codice  Barberi- 
niano  rimane  sempre  maggiore,  ed  è  veramente  a  deplo- 
rare che  in  esso  manchi  proprio  quella  parte  che  più  serve 
al  caso  nostro, 

A  questo  punto  però  dobbiamo  ristare  un  momento 
dinanzi  al  fano  notevole  della  parallela  lezione  latina,  in 


<K  testo  di  lìngua  toscana  agli  altri  del  buon  secolo.  Promettemmo 
««  quesu  edizione  a'  giornalisti  di  Venezia,  che  nel  primo  giornale  ne 
*c  parlano,  colle  note  dellMnsigne  leiteraio  m'  Giusto  Fontanini; 
*<  ma  avendo  egli  avuto  alle  mani  cose  Ji  maggior  rilievo,  le  corn- 
ac pilammo  per  noi  medesimi,  e  ne  lasciammo  un  originale  nella 
«K  libreria  del  Collegio  Romano  con  altri  manoscritti  sanesi  in  osse- 
«t  quio  airemineniissirao  card.  Giov,  Batt.  Tolomeì,  i3ostro  gran 
«I  benefattore  »    (Diario^  I,   138), 

QuestVn'j^jffa/i;  della  trascrizione  e  deirillustrazìonl  del  Gigli  esì- 
steva infalli,  in  tre  volumi  segnali  K,  d,  1-5,  alla  biblioteca  del  Col- 
legio Romano,  quando  il  Papencordt,  che  ne  fa  cenno  (op.  cit. 
p.  349),  preparava  il  suo  Cola  di  Rien^.  Ma,  alla  bibliotccn  Nazio- 
nale, i  tre  codici,  del  pari  che  la  maggiore  e  miglior  parte  del  fondo 
gesuitico,  non  sono,  com'è  noto,  pervenuti.  Una  copia  però,  tanto 
del  testo,  quale  avevalo  preparato  il  Gìgli,  quanto  AtW  Osservaxioni 
di  lui  si  uova  alla  Chigiana,  in  due    volumi  segnaci:    Q.,  I,  28   e 

(i)  Dissertation  historiqut  sur  Jean  1*^ ,  roi  de  Frana  tt  rf*  Navartif 
parM.  MoNMERauÉ;  Parigi,  Tabary,  1844.  Anche  il  Rodocakachi 
(op.  cit.)  ristampò  recentemente  queste  lettere;  ma  egli,  che  ignorava 
la  pubblicazione  del  Monmerqué,  sì  servi  del  codice  A^  III,  27  della 
Comunale  di  Siena. 


47^ 


CVf.  Gabrielli 


cui  i  medesimi  documenti  ci  sono  stati  tramandflii  ndlà 
Storia  di  Siena  di  Sigismondo  Tizio  (i),  che  consen'asi 
manoscritta  alla  Chigiana  ed  è  Tunica  fonte  che  ce  1Ì 
dia  in  quella  forma.  Quivi  leggiamo-  le  scesse  epistole, 
che  i  codici  sopra  citati  contengono  nella  lezione  ita- 
liana. ^^ 

Or  donde  trasse  il  Tizio  queste  lettere?  Nulla  egl^^f 
ne  dice:  e  soltanto  della  Dicìnara:^ionc  del  4  ottobre  1354(3) 
afferma  d'  aver  veduto  l'originale.  Dal  Tizio  trasse  il  Pa- 
pencordt  questa  Dicbìara:^onc  e  la  mise  a  stampa  in  fine  il 
suo  Cola  di  Rienxp  (3). 

Ma,  tre  anni  dopo  ch'era  apparso  il  libro  del  Papcncordi. 
il  gii  ricordato  Monmerqué  trovò  la  Dichiara:^ione  in  uni 
pergamena  del  secolo  xiv,  che  e  probabilmente  la  stessa  ve- 
duta dal  Tizio.  Essa  infatti  faceva  parte  dell'archivio  itìU 
casa  Piccolomini  di  Siena,  e  nel  catalogo  della  venditi, 
dalla  quale  pervenne  al  Monmerqué  nel  1842,  era  appunto 
annunziata  fra  i  titoli  di  quella  casa. 

Il  iVIonmerqué,  oltre  la  ristampa  del  testo,  diede  del  do- 
cumento un  buon  fac-simile  (4),  ch'è  quello  appumo  uti- 
lizzato netl'l-pistoloi-io.  Quanto  poi  alle  altre  tre  lettere  (j)i 
non  si  poteva  uscire  dalla  trascrizione  del  Tizio,  che  pare, 
del  resto,  abbastanza  accurata. 

Ora,  data  questa  duplice  lezione  delle  lettere,  un  pro- 
blema si  presenta  spontaneo  :  -  in  quale  delle  due  forme  cìk 
uscirono  dalla  mente  di  Cola?- Alcune  parole,  che  il  Tizio 
fii  precedere  alla  lettera  di  quel  frate  Antonio,  dal  quale  tu 

i 

co  Per  le  opportune  notìzie  intomo  alle  Hùtoriat  Sfmmm  àó 
Tì7.io,  rimandiamo  al  Papencordt  (op.  cit  p.  553). 

(2)  Epist.  lett.  LII:  «  Hic  est  modus  et  tenor  dcclarationis  in 
((  omnibus  et  per  omnia  compìlatus  qualiter  fuit  subaltemuas  JUìos 
«  regis  Luygìi  et  regine  Clementic  tempore  nativitatis  filii  prefià  •• 

(3)  Doc.  xxxvn. 

(4)  Allegato  alla  citata  Disstrtation  etc. 

(5)  Epist.  lett.  L-LIII. 


Intorno  all'epistole  di  Cola  di  ^'en^o       477 


segnalata  a  Cola  l'esistenza  di  Giannino  (i),  spargono  una 
certa  luce  su  la  questione.  <<  Antonti  aucem  lìterarum  -scrive 
«  il  Tizio  -  transmLssarum  ad  Senatoreni,  tenor  huiusmodi 
«  fuit,  a  nobis  hic  in  Litinum  coiìvcrsus  his  verbis  »,  e  qui 
segue  la  lettera  sopraddetta.  Ma  avrà  il  Tizio  tradoite  egli 
anche  le  lettere  dì  Cola  di  Rienzo?  E  perchè  il  tribuno 
avrebbe,  in  questo  caso  speciale,  fatta  un*eccczione  ni  co- 
stume cancelleresco,  da  lui  sempre  seguito  per  Tinnan^i,  dì 
scrivere  in  latino?  E  se  la  pergamena  conosciuta  dal  Mon- 
merqué  e  redatta  in  latino,  perchè  gli  altri  documenti  lo 
sarebbero  in  volgare?  E  perchè  Cola  avrebbe  rotta  in  tal 
guisa  una  tradizione  cosi  radicata?  Noi  non  sappiamo  farci 
persuadere  dalle  poche  parole  di  Sigismondo  Tizio;  ma 
richiamiamo  sull'  interessante  problema  Patienzione  degli 
studiosi. 

^K  Dalla  brevissima  rassegna  fatta  dei  manoscritti,  che  ser- 
^TOio  alla  stampa  delle  lettere,  il  lettore  ha  già  potuto  ve- 
dere come  non  si  presenti  quasi  mai  la  simultanea  esistenza 
d'una  medesima  lettera  in  due  o  più  manoscritti:  dal  che 
il  lavoro  dell'editore  viene  di  molto  semplificato. 

La  più  rilevante  eccezione  a  questa,  che  può  dirsi  la 
regola  generale,  è  costituita  dalla  citata  lettera  al  Comune 
di  Viterbo  (2).  Anche  di  essa  abbiamo  una  duplice  lezione, 
latina  e  italiana;  ma,  mentre  la  prima  si  trova  soltanto  nel 
noto  codice  della  Nazionale  di  Torino  (ed  è  certamente  in 
tal  forma  che  il  documento  usci  dalla  cancelleria  romana), 
la  seconda  (3)  è  contenuta  in  più  d'un  codice,  tra  le  più 
diffuse  cpistolac  che  circolavano  nel  medio  evo,  come  quelle, 
ad  esempio,  di  Dante  ad  Arrigo  VII  e  di  Morbosiano, 
principe  dei  Turchi,   a   Clemente  VI,    Sembra    insomma 


I        (i)  Vedi   la  narrazione    del  Pape>4CORDT    (op.  cit.  pp.  296-502) 
e  lo  schiarimertto  dì  lui:  Uihir  Gianni  di  Cuccio  (op.  cil.  pp.  34^5)4) 

(2)  Epist.  leu.  II. 

(j)  Epist.  Appendice,  I. 

Archivio  detii  fi.  Società  romana  di  ttoria  patria.  Voi.  Xf .  32 


jEsara   7.  .T^T  X 


?,SDÌit   tt  Zsia.  à   3usi^  j£  Cim^at  d 


'5   C-rrsacttiie  ìl  ir*i^  77-*  ieOa  SàSuicCEcz  »àà  re.  --'fj-i*  ii!  Bi- 

--f^^.-xrr  m  p.t^si^csciCT  (  3^.  dt^  ^.  j^f  ccose  tcio.  footc  Ìdle 
Lficsr;  ii  CcCx  3Ci-  ccntrxraatisxc  *  ^ebsd?  scp<pcoeva  S  PapCD- 
o-  che  =cc  mrr»  pento  vrsto  il  m jti>7sc.:  ùiLy  esso 
okr*  U  lecera.  ai  ^Iter^csi,  alcca  aStro  iocuznecto  n- 
A  TTU  i:  CoU.  È  on  codL  cartaceo  àrì.  secolo  xir,  ci- 
rasere  t/Toio  idl'epoca,  legatura  in  marocdtiDO  rosso,  £  cane  108. 
A  e  7^:  Pistoia  a  CoU  di  RuK;(f   a!  Comxm  €  réciori  d^U  cùlà  M 


Intorno  aWepistole  di  Cola  di  ^ien^o      479 

<ldr  Epistolario,  risolvono,  volta  per  volta,  tutte  le  questioni 
X33inute,  alle  quali  esso  possa  dare  occasione,  e,  quanto  ai 
codici  adoperati,  la  Prefazione  alle  lettere  dice  brevemente 
t^tto  ciò  che  non  ha  potuto  trovar  luogo  nel  presente 
scritto,  d'indole  sintetica  e  generale, 

A  noi  dunque  rimane  solamente  a  sperare  che  tanto 

il  ravvicinamento  qui  tentato  fra  repistolografia  del  medio 

"^vo  e  la  produzione  letteraria  di  Cola  di  Rienzo,  quanto 

le  osservazioni  fatte  intorno  ai  caratteri  e   al  contenuto 

«delle  sue  lettere,  traggano  gli  studiosi  a  sempre  meglio 

riconoscere  l'importanza  della  pubblicazione  proposta  dalla 

Società  Romana  e  intrapresa  dall'Istituto  Storico  Italiano. 

Annibale  Gabrielli. 


4 


/   Diario   di  Stefano   Infessura 


ALLA     NUOVA     EDIZIONE     DI     ESSO 


Iella  sua  adunanza  plenaria  dell' 8  aprile  188^ 
r  Istituto  Storico  Italiano  approvava  airun.inioutà 
'  che  si  proctidesse  alla  ristampa  del  diario  di  Ste- 
fano Infessura  (1).  Il  presente  saggio  intende  a  dichiarare 
quali  furono  gli  studi  che  precedettero  e  i  criteri  che  servi- 
rono di  base  alla  nuova  edizione. 

È  noto  che  primo  a  pubblicare  questa  fonte  di  storia 
fu  già  nel  1723  Giovan  Giorgio  Eckhart,  amanuense  del 
Leibnitr,  poi  professore  di  storia  ad  Helmstiidt  (2),  Egli 
r  incorporò  al  secondo  volume  del  suo  Corpus  hutoricorum 
nuda  lUVÌ,  dandolo  in  luce  da  un  manoscritto  della  biblio- 
teca Reale  d'Hannover,  riscontrato  con  un  altro  codice  Ber- 
linese (bibl.  Reale  it.  fol.  37)  che,  a  quanto  sembra,  co- 
nobbe dopo  (3).  Nel  1750  il  nostro  Muratori  scriveva  al 
Marmi:  «II  diario  dell' Infessura  Tho  anch'io  nell'Estense 


(z)  BulUtiitìQ  d£ir  Istituto  Storico  lialiano,  I,  6$-66. 

(2)  Vedi  intorno  all'Eckhart  il  von  Wegele,  G^schichte  àtr  d^t- 
scben  Historiop-aphie,  Lipsia,  1885,  p.  638  e  sgg. 

(j)  EccARDi  Corpus  historic.  mtdii  atvi,  Lipsia,  Gleditsch,  II, 
coL  1863-2016.  V.  Pnf.  n.  xvii. 


4^2  O.  Trnnmasini 

«e  petìsiva  dì  «Ltrlo  fuoii  io  Q  primo  (i).  Il  signor  ^' 
«  dnlo  (cosi  Utìneggiito  compiriva  il  nome  deli'EckbSt^ 
«  odia  repubblica  ddlc  lettere),  il  stgnor  Eccordo  bui^^^ 
«  riu  pubblicato  neOa  Raccolta  de'  su<h  Soittori  Germani  ^^ 
«eoa   cuttodó  penso  di  risumparlo»  (2)-  Ne  Tidei  <* 
Muratori  era  mcn  che  buona;  daccbè  il  diario  dell'  lof*^^^ 
som  int^essa  troppo  più  k  storia  italiana  e  romana,  c-^     ^ 
non  la  ted^ca;  e  se  Pcdizioae  italiana  fosse  riuscita   n:^:^ 
gUÒpe^  avrebbe  fatto  dimenticare  per  certo  quella  che 
ordine  di  tempo  era  stata  la  prima.  Ma  ti  iMuratori  tri 
il  suo  testo  solo  da  un  codice  del  secolo  xvu,  ora  con^e 
vato  nella  biblioteca  dell^Ardiivio  di  Stato  in  Modena,  di 
verso  da  quel  che  serri  aU^Eckhar^  ma  non  migliore; 
per  quanto  il  Muratori  sapesse  ch'altri  manoscritti  ne  ste 

scro  alla  Vaticana,  non  gli  era  fadlc  allora  averne  copia 

Anzi,  dopo  che  la  prima  edizione  delTEckhan  aveva  Éittc^=^^ 
coQoscoe  intero  il  cesto  del  diario,  dtato  prima  a  spiz^cc::^^ 
e  dove  giovava,  segui  che  ramare  dell*  Inlessura  alla  li — ^ 
berta  comunale  di  Roma,  e  Inanimo  acerbo  da  hiì  mostraK==^ 
verso  pontefici  che  la  spensero,  fe<sro  ritrosi  gli  storicìtsss^ 
in  tempi  non  liberi  e  non  sinc^,  ad  occuparsi  di  esso,  ^^^ 
più  ritrosi  ancora  gli  archivisti  e  ì  bibhotecari  in  coqc^"^ 
deme  i  manoscritti  allo  studio. 

Anzi,  il  Muratori  stesso,  ripubblicandolo,  ebbe  bisogne^ 

(i)  Questa  lettera  basta  a  mostrare  quanto  ben  s'apponesse  il 
teologo  Frantz,  quando  accintosi  a  purgare  dalle  gravi  accuse  la  me- 
moria di  papa  Sisto  IV,  annegg^ando  contro  il  diario  deirinfessura» 
che  insieme  colle  lenere  del  Filelfo  e  cogli  scrìtti  di  Luigi  XI  gli 
sembrava  costituire  «  das  Hauptarsenal  der  Angriffe  gegen  Sixtus  IV  n, 
scrìsse:  «  Muratorì  tnig  mit  Recht  Bedenken,  sie  der  Sammlung  seiner 
«  Scriptores  Rer,  Ital.  einzureihen  und  entschloss  sich  nur  deshalb 
«  dazu,  weil  Eccardus  dieses  Tagebuch  bereits  den  **  Gelehrten  " 
«  zugànglich  gemacht  hatte  ».  Cf.  G.  Fraxtz,  Sixtus  IV  und  dU  Ri- 
puhlik  Floreni,  Regensburg,  1880,  p.  vi  e  sgg. 

(2)  Vedi  LuD,  Akt.  Muratori,  Lettere  inedite  scritte  a  Toscani, 
Firenze,  Le  Mounier,  p.  jaa. 


//  diario  di  Stefano  Infessura 


483 


ttenuare  con  considerazioni  difensive  il  fatto  suo,  sop- 
:ienJo  qualche  brano,  rimandando  chi  avesse  desiderato 
ii!i  all'edizione  tedesca  (r);  a  lui  bastando  che  un  testo 
a.nta  importanza  non  fosse  escluso  dalla  sua  grande  rac- 
a.  italiana. 

Perl*  innanzi  maraviglia  invece  che  precipuamente  dalla 
>la  storica  ecclesiastica  sia  da  ripetere  il  credito  e  la 
isione  che  conseguì  il  diario  di  questo  scrihasenato.  Del 
L  fatto  è  da  ripetere  Torigine  un  pò*  dalla  materia  e*un 
dalia  forma  dell'opera  di  lui.  Dacché  tra  molti  nota- 
iti  in  cui  egli  adombni,  più  spesso  che  non  dichiari,  la 
ia  comunale  di  Roma,  n'd  di  quelli  che  grandemente 
Pressano  la  Chiesa.  Dove  egli,  per  esempio,  accredita 
L  reliquia,  o  attesta  un  miracoloso  registra  una  canoniz- 
Jone,  o  dà  rehizione  d*un  conclave,  o  allega  un  parti- 
are  del  cerimoniale,  T autorità  di  lui  parve  preziosa, 
lindi  il  Panvinio  (a),  il  Bosio  (3),  il  MartineUi,  il  Ni- 


(i)  Muratori,  Rcr.  It.Scr.  Ili,  par.  2*,  e.  1 1  [o,  pref.:  «  pauca  mìhi 
acuit  expungerc,  qtiac  foeJiora  mihi  vìsa  sunt  atquc  in^tigna,  quae 
)ae:»ùs  auribus  atquc  oculìs  olTcrantur.  Qui  eiusmodi  sordibus  de- 
cuttur,  eJìtìooem  HccarJi  adeac  ». 

[2)  Ci.  le  sue  Vite  ài  Sisto  ÌV  0  d' Innocenzo  P'III  scritte  in  contì- 
tione  alle  Vitae  pontificum  del  Platina.  Il  Pouget.  le  cui  note  «  ex 
Tonicis  bibliothecac  Colbcriinac  «  riferisce  il  ìMontfalcon  {BibL 
cih,  mss.  e.  M51),  a  proposito  del  ms.  Colbertiano  dell' Infessura 
rva:  «De  Sisto  IV,  quem  t.imen  laiid.it  Onuphrius,  horrenda 
rrat,  ncc  quibusdam  aliis  pontiticìbus  p^rcit  »,  senza  rilevare 
Ito  appunto  il  Panvinio  stesso  accatta  dall' Infessura. 
j)  F.   Martinelli,   Primo  trionfo  dilla  i"»  Croce,  1655,   e.  64; 

Bosio,  La  trionj'ank  e  gloriosa  croce,  Roma,  1610,  nella  stam- 
a  del  signor  Alfonso  Ciacone,  p.  62;  Ho.  NiauET,  TitulusS.  Cru- 
Parisiis,  i6y8;  i  quali  autori  citano  il  brano  deirinfcssura  «die 
ima  mcnsis  fcbruarii  anni  1492  «.  Soresini,  De  Cupitibus  Ss,  App. 
i  et  Pauli  in  sacrosanta  Lateratumi  ecclesia  assem'atis,  Romae,  1675, 
$Ji  S4«  S9»  106,  107,  115.  Delle  citazioni  del  Rainaldi  e  degli 
Uìsti  terrò  più  panicolare  proposito  altrove.  Il  Niquet  lo  allega 

antiquo  rerum  Romanae  urbis  diario  a  Laclio  Petronio,  Paulo 


4*4 


O.  Tomamuim 


qua,  3  Rainaldi,  Io  Chicoo  (Caooiuas),  3  VatarcQi, 
rOldotni,  il  padre  Casimiro,  3  Marini,  il  Sevenni,  il  So* 
resini,  il  Ganico,  il  Garampi  vi  si  ritienrono  con  colcos 
uluni  andie  segnalandone  i  manoscncd  in  booo  nanot^ 
per  sino  a  che  TedizionJ  non  ne  disuserò  il  testo;  di 
guisa  che  può  sembrare  non  estraneo  all'ultima  (beni  i 
compilazione  che  il  Libcr  pomtificalis  assmwr  od  se- 
colo IV  (i),  e  quasi  un  anello  di  congiunzioiie  tra  reflb- 
mtfrìdì  della  storia  dvile  di  Roma,  che  col  secolo  xv  muore, 


■  de  Magistris  ce  Stcphano  Infessora  cooscrìpto»  qaod  numaoT^j* 
«  habctur  in  bibliotheca  Folvii  Archingclt  Balneoregieiisb  a.  0  pi  Ci- 
smuro  (Stòria  tTAracdi,  pp.  416,  4tS,  424^  4^,  469)  ne  cita  t  o»^ 
Chigiano  1226,  Vaiìc.  6^89,  ;}94,unms  «  presso  il  ngtior  tatsà^ 
u  Pompeo  Frangipane  »  e  quello  •  presso  i!  signor  Fraiucsco  V^e* 
*  sio  s.  Marini,  Archiatri,  II,  200,  q.  14;  G.  Severano,  Mfmarù ìxrt 
di!U  setti  chieu  di  Roma,  Roma,  1650,  pp.  161,  511,  520,  574.  Git- 
Tico,   Acta  seìtcta   caeremoniaìia  S,  R.  f.   ex  variis   mus.  codicihì  ^ 
diariìj  iiuculi  xv,  xvi,  xvu,  Romae,  1755,  cita  Tlnfcssarx  a  e  }»^ 
e  Della  prefazione  (pp.  xiv-v)  osserva:  1  Illa  autem  ipsa  caosa,^»»*^ 
«me  ad  Burcardi  excerpta  buie  collectioni  inserenJa  pcrmovii ei4e*^* 
a  multo  magis  ìmpuHt  ut  ex  aliU  Lìbris  Diariìs  Romananim  RcroK*-" 
«  quos  in  ArchivUa  invent,  fragmenu  aliquoi  eruerem  ;  licct  ipsom** 

w  aliqui   Inter  Scripta  Rerum  Italìcarum  collocati  fuerioi  • ~ 

«  Idem  Muratorius  iterum  edidit  Dìarìum  Romae  scriptum  a  ^^^^~_ 
«  pbano  Infessura  Scriba  Senatus  popuUquc  Romani,  quad  anteailit^  "* 
«fuerat  cditum,  licct  lacera  non  mereretur  publicam  ob  acerbìutf'^^* 
rt  mordacìssimam,  qua  sìnc  debita  maioribus  reverenùa,  quorumdic^O 
«  acta  proscindit.  Ab  isto  Diario,  cuìus  varia  inveni  mss-,  vix  unuc** 
t*  alterumvc  fragmentum  crul,  cum  ferme  tantum  cxorta  diaidii  ^--* 
«  coQtcniìoncs  intcr  Romanos  procercs  narret,  quac  pcnìtus  «lie»^'^ 
«  sunp  a  meac  Collectionis  scopo  ».  Garampi,  Sa^^io  di  oiarrs;} 
sul  valore  dtllc  momU  pontificie^  App.  pp.  79-80,  16J-64,  171-731 

(l)  DUCHESKE,  Elude    sur  U  Liber  pontificalis,  p.  217;  Lai 
Zur  Kirchengeschichte  des  xvr.  und  xvu.  Jabrhwidert,  p.  i^fX  ^^',  - 
posilo  dei  Diaria  Sixti  IV,  auciore  Barlholonuo  Platina,  osservi:  <»''* 
«  Abhingigkcìt    Sacchis   von  Infessuras   Tagebùchern  stchi  ***** 
«Frage;  sein  Standpunkt,  ìst  aus  dcn  l'itac  Rem.  ?on/t>)V tim  bckin^^ 
a  und  hìcr  nicht  verleugnet  ». 


//  T)iario  di  Stefano  In  fessura 


485 


la  serie  dei  diurnisti  della  curia  che  col  secolo  xvr  (1)  s' ini- 
ìano. 

Il  Contelori,  il  quale  non  lo  allega  né  nella  sua  !lta 
yfariini  T,  né  ncìVElencbus  S,  R.  E.  cardinaìinm  ab  anno  13^4 
td  anttum  14JO  (si  ponga  mente  a  queir  anno  che  è  comune 
mnto  di  partenza  e  pel  Contelori  e  per  V  Infessura),  né  Io 
3ta  nella  Genealogia  familiae  Conntttw,  dove  pur  citò  il 


(i)  Il  Gregorovius  rimproverò  al  Ranke  d'aver  confuso  coi  ceri- 
Tionieri  pontifici  l'I  il  quale  fu  invece  scribasenato  e  poJestà  ad  Orte. 
-'abbaglio  parve  ncll' edizione  del  1874  della  Gtschichtó  der  romani- 
chili  und  ^ermamschtn  Vòlkcr,  Appendice  \ur  Kritik  ncucrcr  Gcschìcht- 
'hniberf  p.  98:  «  lafessura's  tagebOcher  sind  immcr  als  cine  Einlcitung 

ZM  Burcardus  betrachtet  worden,  und  voli  schòner  Notizen  »,  Gre- 
ORovius,  Gcsch,  d.  S(.  Koitu  VII,  606,  scrive  del  nostro  diarista: 
Seìn  hochverdicnsilìches  Werk  wurde  vielfach  benutzt.  Selbsi  Bur- 
clthard  welcher  Bischof  von  Morta  und  wol  rait  Infessura  bcfrcundet 
^var,  Schricb  ihtn  fùr  das  Jahr  1492  stelk'nweise  aus  ».  Cf.  ras. 
tt.  9136  del  Suares,  e.  39  e  sgg.  e  Vat.  9026,  apografo  del  Marini,  a 
^67  :  «  Suaresii,  De  Diariis  et  Actibus  Concistorialibus,  ex  orig.  in  BB  ». 

questo  si  citano:  i*  «  Diaria  ab  oHtu  Bonifacii  S  ad  Aìcxandrum  6 
«  B  B,  \'aTÌcana,  n.  5622,  codice  seu  Ephemcridis  »,  notando  in  mar- 
^e  :  «italice»;  2®  «  Diarium  dictitju  Mtstican^a,  collectum  e  qui- 
>Usdam  Diariis  olim  apud  Gcntiltm  Dulphinum  at  incerti  auLtoris 
•b  Urbano  V"  ad  Gregorium  XII""  ab  anno  1379  ad  1427  in  B  B 
■t    in  archivio  Vaticano  e  libris  Card.  S"»  Susannac  CobcUutii  »; 

«?  Diuria  Stephani  Infissurae  civis  Rotmini  a  Umporé  Curiae  Homaiiae 
C?d//i;  rcductae  in  Urbem  ad  Aìcxandrum  Vi  Poni,  sive  ab  a.  t)t.i 
^  /^9j  rerum  romanarum  suorum  tcmpontm».  E  cita  in  margine; 
-odex  Vatic.  $299  partim  italice,  pariim  latine,  incipit:  pontificai' 
•**»/«,  tt  dissali  :  piglia  tesauro  italice  ».  E  annota  a  e.  269:  «  Omnes 
-odices  Diariorum  Caeremonialium  reconditi  fuerunt  in  Biblìo- 
*»ccis  Farnesiorum  cardìnnlium  Alexandri  et  Rainutìi  exemplati  ut 
'^inoiat  p.  4,  d.  I  diar.  lo.  Paulus  Mucantius  ad  ann.  1590  «.Nel  ras. 
*t-  ^909  si  citano  a  p.  21  fra  i  mss.  di  cui  si  giovò  l'autore  della  Storia 
^  Serenissima  Nobiltà  dell'alma  città  di  Roma,  libro  apocrifo  di  Alfonso 
^^carelli,  i   *f  Diarii  di  Sttfam  Jttfcssura  delle   cerimonie   Eccìì^   (!) 

^Ualj  sono  manuscritii  in  tutto  faglio  nella  libraria  del  signor  Fran- 

^tsco  Mucante  maestro  delle  ceremonie  di  N.  S.  j». 


486 


O.   Tommasini 


Diario  del  Notaio  deli'Anliposto  (i),  lo  conobbe  per  ceno, 
ne  possedè  un  manoscritto,  e  un  codice  nel  musco  Britan- 
nico (add.  mss.  8433)  ce  ne  fornisce  la  prova.  Tutti  i  cul- 
tori della  storia  civile  e  di  quelle  discipline  che  le  valgono 
di  sussidio,  come  la  topografia,  la  genealogia,  la  numisnu- 
dca,  ne  invocarono  l'autorità.  Tune  le  combriccole  lette- 
rarie che  in  Roma  tennero  successivamente  il  campo,  h 
quella  di  Fulvio  Orsmi,  del  cardinal  Delfini  e  del  Sìrta 
a  quelle  della  regina  di  Svezia,  del  barone  de  Siùsà, 
degli  Albani,  del  Valesio,  del  Cancellieri,  tutte  ne  toro 
conto  (2). 

Se  non  che  il  diario  di  Stefano  Infessura  fu  creduto 
sulla  parola  assai  più  che  esaminato  ;  delia  persona  sua  bistè 
conoscere  quelle  notizie  che  negli  appunti  cronici  Jiè  «' 
se  stesso:  bastò  l'appunto,  che  si  spesso  ricorre  in  principio 
ai  manoscritti  del  diario,  ch'egli,  cioè,  fu  podestà  ad  One 
nel  1478  (3).  Ricerche  originali  non  si  fecero,  0  non» 
potè;  non  si  raccolsero  quelle  sparse  ne*  libri  a  st.i""' 
Valesio  e  il  Cornazzani,  pur  giovandosene  per  la 
la  genealogia  di  casa  Colonna,  non  videro  come  l' inllucitfJ 
di  casa  Orsina  erasi  provata  a  intorbidare  la  fonte  loro;  il 
Cancellieri,  che  pur  ricorse  a  lui  per  stabilire  l'origiue  J^l 
mercato  di  piazza  Navona,  le  solennità  dei  possessi  ponw- 
ficij  financo  il  «  sonare  a  gaio  »  delle  campane  di  Caiopitl*^ 


(i)  CoNTELORi,  Genealogia  familiat  Comitum,  p.  26.  Son  lo  Domila 
espressamente,  ma  lo  designa:  a  in  Diario  Italica  linguj  sciiproqu^* 
«  ìncipit  ab  anno  1481  n. 

(a)  De  Kolhac.  /.a  bihliothèqué  de  FuMo  Orsini,  Paris,  iWy.p**" 
sim;  JUSTI,  L/bfn  l^itikilmafms,  lì,  aap;  Id.  Aniiquarisik  Brùf* ''* 
Baron  VhiUpp  von  Stosch,  p.  22  e  sgg.  ;  Valesio,  Istoria  di  c<i3i  ^^ 
lonna,  ms.  archìvio  Colonna,  crcd.  XIV,  i.  26,  pp.  80,  171.  ^^ 

($)  Lo  JÒCHER  {JH^effuinti  dUiirUn  Ltxikcn)  Io  chiama  «on>*J" 
«  crctarius  des  Raths  zu  Roni,  war  erst  Stadt-Richicr  tu  OrU*- 
ra$s.  che,  secondo  le  sigle  indicate  in  seguito»  lo  danno  come  (W*^ 
di  Orte,  sono  A,  0\  R.  S,  V.  —  S'  in  due  note  diverse  \oòX*f 
«  testai  Ostiae  »  e  «  p.  Ortae  n. 


//  Diario  di  Stefano  Infessura 


4S7 


glio  (i),  della  famiglia  dell' Infessura  non  aggiunse  verbo  ; 
ti^  la  storia  dello  studio  romano  sospettò  che  dovesse  appa- 
rire il  nome  del  nostro  diarista  fra  quelli  de'  suoi  profes- 
sori. Di  guisa  che,  sino  a  questi  ukirai  tempi,  in  cui  la 
critica  si  è  esercitata  in  ogni  maniera  d'indagini  e  di  rap- 
presentazioni, il  valore  storico,  la  struttura  e  la  compagine 
intrinseca  degli  scritti  dell*  Infessura  rimasero  intentati. 
Qualche  dubbio  sulla  giustezza  d'alcuna  delle  sue  date 
•affacciarono  il  Muratori  (2),  il  Giorgi,  il  Papencordt.  Il  Gre- 
Soroviu-s,  pieno  di  simpatia  pel  nostro  scribasenato,  affermò, 
''ipetè,  congetturò,  ma  non  provò  nulla  sul  conto  di  lui  (3)  ; 


(1)  Cancellieri,  Le  campane  di  Campidoglio,  p.  43. 

(2)  Muratori,  Attnàli  d  Italia  Ad  ann.  1458,  1464,  1488;  Giorgi, 
*^iga  Nicolai  l' poni.  max.   ad  jidgm    veUrum    mùuutmntorum,  p.  159; 

Quantunque  altrove  (p.  169)  scriva:  «  ar  dubitare  non  sinii  inscriptio 
**  tiunc  aliala,  atque  Suphani  Infissurae  tcstimonium  »;  Papencordt, 
^^scbichU  dcr  Stadt  Rom  im  MitUUlUr,  pp.  471,  476. 

(^)  Grecorovius,  Gtschichte  der  Stadi  Rom,  VII,  605  :  «  Zu  wir- 
"*  klicher  Bedeutung  crhebt  sich  unter  diosen  ròmischen  Journalisten 
•*  crst  Stefano  Infessura.  Das  Leben  dieses  Mjnnes  ist  unbekannt, 
**  ausser  dass  man  durch  ihn  sclbsi  weiss,  er  sci  Im  Jahre  1478  praetor 
•«  in  Horta  gewesen,  dann  Schreiber  der  Senats  geworden.  Er  ver- 
*^  fasste  ein  Diarium  der  Stadt  Rom  teils  in  italienìscher,  tcils  in  la- 
*  teìnischer  Sprache,  dessen  Anfang  nur  fragmeniarisch  ist;  dean  er 
*^  beginnt  mii  1295,  springt  dann  zu  1405  ùbcr,  gibi  die  Geschichie 
♦«  der  ersten  Hàlfte  des  xv.  Jahrhunderts  wie  im  Auszuge  aus  anderen 
««  Chronìsten,  und  wird  darauf  sclbstandig  und  reichhaltìg  nnmcntlich 

*  von  Sixtus  IV  an  OtTenbar  fùlirtc  Infessura  einen  gròsseren  Pian  nicht 
«*  aus  (?!).  Er  ward  wie  Burciiliard  oline  IiLimanisiisclic  BiUung.  Vom 
«e  wbsenschaftlichen  und  kùnstelrischun  Lcben  in  Rom  nam  er  nicht 

*  die  geringste  Notiz.  Im  Hofbeamtcn  Burckhard  wagt  sich  nie  der 
«Mensch  hervor;  in  dem  rcchtlichen  Infessura  aberschlagi  das  Herz 
«  und  urtcilt  dcr  Verstand  cincs  frcimùtigen  Bùrgers.  Er  zcigt  sich 
•rais  praktischcn  Mann  von  cinfachcr  und  rauhcr  Art,  ah  ccht  rdmi- 
(T  schen  Patrioten,  Republicaner  aus  Neigung  und  Prtncip,  als  Feind 
a  der  Papstgewalt,  daher  er  sich  ofFen  als  Bewundcrer  Porcaro*s  be- 
«  kennt.  Dcshalb  fràgt  er  bei  seinem  Tadel  ùber  die  P^lpstc,  namenilich 
«den  ihm  so  ticf  verhassten  Sixtus  IV,  die  grellsten  Farben  auf.  Fai- 


O.  Tommasini 


il  Reuniont  male  lo  dipinse  come  il  rappresentante  vero 
deir  inesauribile  maldicenza  romana  (i),  quantunque  avesse 
ragione  d'affermare  che  per  i  Liutprandi  del  secolo  xv 
si  voglia  critica  non  meno  acuta  che  per  quei  del  x  ;  al 
Creighton  non  s' intende  ben  chiaro  se  talvolta  l'origina-* 
litA  di  lui  parve  più  preziosa  o  sospetta  (2);  il  Pastor,  fi- 
nalmente, dopo  averlo  rappresentato  come  un  violento  av- 
versario della  dominazione  papale,  ^opo  averlo  censurato, 
andando  sulle  orme  del  Giorgi,  per  cronologica  inesanezza, 
promette  poi  di  provare  nel  secondo  volume  della  sui 
storia  de* papi,  e  di  provare /«;jfit/«i,  che  l'Infessura,  secondo 
lui,  non  merita  fede  (3).  La  quale  promessa  non  trattiene 
l'esame  scientitico,  libero  da  preconcetti  aggressivi  ed  apo- 
logetici, dal   saggiare  una  buona  volta  la    compagine    di 

cr  schung  dcr  Gcschichtc  slnd  ìhm  nicht  nachzuwcisen.  Da  cr  das 
t  Papsihumdurchaus  von  sciner  weltlichen  Seitedarstellt,  gab  ihmdas 
«  Nepotenwestn  zu  moralischer  Enirùstung  und  bcttern  Ausfillen 
«  Grund  genug.  Nur  Ìsi  cr  cinseiiig;  von  dem  Guten  was  Sixtus  IV 
«  gcschatTcn  hat,  wciss  er  kaura  ein  Wort  zu  sagen.  Man  kann  ihn 
«  den  letzten  Republlcauer  der  Stadt  Rom  nennen;  eìnen  Mann  der 
«  tùchligsten  Gcsìnnung,  voli  bQrgerlichem  Ehrgefùhl  Das  òffcntlichc 
«  Lcben  zur  Zeìt  von  Sixtus  und  Innocenz  Vili  lehrt  cr  am  bcstcn 
«kcnncn;  dafQr  ist  er  Hauptquelle.  Scin  hocbverdicnstliches  W'erk 
«  wurde  vielfach  benuUt  ».  Nelle  partigiane  Gisihichtsiùgcn,  Padcrbom 
undMùnsler,  1887,  non  trovandosi  menzione  dell' Infcssura,  vuol  dire 
che  o  non  s'ebbe  come  un  «  Gegner  dcs  Papsthums  »  o  non  parve 
UDO  storico  mendace. 

(i)  Il  Relmost,  GcschichU  d<r  Stadi  Rom,  III,  par.  l*,  p.  367  :  «  dcr 
«  .ichte  Rcpriisentant  der  unverwùstlìchen  ròmischen  Medisancc  a. 

(2)  Creighton,  A  history  oj Uu papacy.  II,  5  io:  «  (Infessura's di^ry) 
«  grows  more  connecied  as  Ìi  approaches  bis  own  lime,  but  has  some 
«  Information,  not  given  elscwherc,  of  the  cvenis  ot"  the  years  1451 
«  and  1434  ». 

(3)  Pastor,  GfSchichU  dtr  PàpsU,  seit  dtm  Jttsgan^  dis  MitUlalUn, 
I,  343, in  nota:  «  Infessura,  oin  heftiger  Fcind  der  pàpstlichen  Herr- 

«  schafit  »;  p.  43),  nota  3:  « Auf  die  Unglaubwùrdigkctt  Infes- 

«  sura's  wird  der  zweitc  Band  dieses  Werkcs  noch  nìher  cingebcn 
tf  mùssen  u. 


questo  diario,  l'autore  del  quale  di  molte  delle  cose  che 
racconta  fu  senza  dubbio  testimonio  di  veduta.  Fino  a  che 
punto  fosse  egli  in  condizione  di  vedere  il  vero,  come 
1*^  raccontasse,  quanto  Io  colorasse  del  suo  umore  personale, 
guanto  accettasse  da'  contemporanei,  se  l'opera  sua  ci  perve- 
^sse  schietti  o  a  quali  alterazioni  andasse  soggetta  nel 
tramand.ircisi,  queste  sono  le  ricerche  che  sembra  necessario 
*ii  premettere,  prima  di  poter  portare  coscienzioso  giudizio 
della  fede  che  merita. 

É  cosa  certa  che,  se  non  fosse  pel  diario  di  Stefano, 
oramai  non  resterebbe  più  memoria  del  nome  e  della  ca- 
sata degl'Infessura  (i).  Di  tanti  documenti  a  lui  anteriori 
in  cui  s'incontrano  lunghe  liste  di  cittadini  romani,  come, 
ad  esempio,  nelle  tante  convenzioni  d'accordò  e  transazioni 
tra  il  Comune  di  Roma  e  i  pontefici,  quali  furono  pubbli- 
cate e  dal  Vitale  e  dal  Theiner,  il  cognome  dcgl'  Infes- 
sura  non  capita  mai;  ne  capita  in  documenti  privaci  a 
stampa,  o  in  altre  cronache,  se  si  eccettua  quella  mano- 
scritta, assai  sospetta,  di  cui  fa  parola  il  Bicci  (2),  che  già 
si  conservava  neirarchivio  dei  Boccapaduli.  In  questa,  tra 
gl'intervenuti  ad  una  festa  di  Testacelo,  sì  citano  «  \*estuti 
«all'antica...  li  riformatori  dello  studio  che  erano  Luca 
<i  Antonio  Boccapadura  et  l'aitro  Matteo  Infesura  ».  Pure 
non  è  dubbio  che  la  casata  degl'Infessura  fu,  tra  lo  popo- 
lari, delle  più  spettabili,  e  basterebbe  l'autoritA  di  Miircan- 


(1)  Nei  Ri-Bistri  del  camerlengo  d<iUu  Camera  di  Roma  (Arch.  di  Stato) 
il  nome  di  lui  apparisce  notato  nelle  seguenti  forme:  i"  Stefano  in 
fessura;  2**  infessura;  }•  ìnffcssura  ;  4*'infusura;  5"  Infusurj;  6" de  yn- 
fìxurìs. 

(a)  M.  Bicci,  Sotì^ia  delia  famiglia  Boccapaduli,  Roma,  1762,  p.  2;, 
in  nota.  La  cronìcaf  per  quanto  riferisce  il  Bicci,  fu  scritta  «  in  Roma 
«nello  rione  dell»  Monti  per  Nardo  Scoccìapile  nell'anno  1572  del 
«  mese  dì  agosto  per  santa  Maria  ».  Di  questa  cronica  il  Bicci  dì  un 
lungo  estratto  fra  i  documenti  (pp.  589-595).  Sembra  scritta  con 
preconcetti  genealogici  e  ad  esaltazione  specialmente  della  famiglia 
dei  Maddalenì. 


490 


O.   Tommasini 


tonio  Altieri  a  rendercene  testimonio.  Era  delle  romane 
natie  e  s'andava  assottigliAndo  e  nascondendo  fra  le  romane 
fatte  (i).  Le  memorie  manoscritte  che  se  ne  raccolsero, 
risalgono  sino  all'anno  13^7,  cioè  sino  all'avo  del  nostro 
Stefano  ;  ma  prima  della  metà  del  secolo  xvii  si  nHbuiano 
e  il  nome,  rerediti  e  le  cane  della  famìglia  trapassano  di- 
sperdendosi in  casate  commemorate  per  censo  lar£;o  e  rt- 
lazioni  profittevoli  colla  curia  (2). 

Nel  1397  Lello  degli  Infessura  comparisce  arbitro  tr^ 
Lorenzo  dì  Cecco  Palochi  e  Ludovico  de'  Papazzuni  «ai- 
tenziando  in  una  questione  di  loro  orti  contigui  per  1^ 
distruzione  d'una  fratta.  Egli  ebbe  ad  essere  pertanto^s^ 
condo  ogni  probabilità,  dottore  di  legge.  Nel  1408  assistè  ito 

(i)  M.  A.  Altieri,  li  nuptiali,  ed.  Narducci,  p.  15  :  «  Ronu,  JÌ* 

"  regina  et  dea  universale vedese  al  presente  tanto  nihìUu«f 

«  per  romani  naturali  terriase  obscurissinu  et  solitaria  btcba  Pfi*" 
««  cìpiando  dalli  Monti  et  per  Cavallo,  per  lo  Treio  et  per  li  C«P- 
«  niancatice  Ccrroni,  Novelli,  Paparoni»  Petrucci,  poi  Salveni,  S»*^ 
«Cagnoni,  Lupelli,  Pirroni  et  Vcnnettini,  Dammarì,  Fotcbi,  P™^' 
«  Masci,  Capogalli,  Mantaci,  Carvoni,  Palocchi,  Acorariì,  P 
«et  Valentini;  Palelli,  Arcioni,  Migni,  Caporaalestri,  ">. 
"  Negri;  et  poi  Mancini,  li  Scutli,  lì  Infessura,  ctc,  ». 

(2)  Nel  testamento  d'Agnese  Branca,  rogato  da!  notaio  Bo<** 
di  Paolo  di  Buccio  di  Angeli,  in  data  de'  X3  gennaio  1401,  ct^tìxf^ 
noU'arch.  di  S.  Spìrito,  e  citato  dall'ADiKOLFi  {Rema  mirtUHfi^' 
lU  26,  in  nota),  si  descrive  una  casa  che  confina  colla  «  JornoshcW 
«  dum  condam  Pctri  de  Columna,  ab  alio  latere  tenct  Lcllus  F<- 
asure,   retro   est   locus  qui  dicitur  la  Sede,  et  locus  qui  dìcitur  li 
"  Mesa  ».  Gr Infessura  s'imparentarono  coi  Giovenalì  e  l  Ghìslttf» 
Le  loro  carte  passarono  da  queste  casate  nei  Simoneni  e  di  q«K5S* 
poi  nella  famiglia  dei  conti   Savorgnan  di  Brazzl,  che  con  gno& 
cortesia  mi  concessero  di  averle  a  studio.  Rendo  grazie  in  quctfiK' 
casìone  alla  colta  e  gentile  signora  contessa  di  Braxzi,  anche  p^ 
altri  schiarimenti  verbali  che  mi  favori   rispetto   all'archìvio  1 
Slieo.  Le  pergamene  degl'  Infessura  fino  a*  tempi  dell'archìvliU  .^ 
matari  furono  vedute  nell'archivio  Brazzi;  poi  scomparvero.  Vcrfi 
App.  n.  1  le  Kothie  rtìativt  alla  famiglia  Jnfessuta  e  docummti  cht  ! 
riguardano. 


//  diario  di  Stefano  Infessura 


49  T 


*^trtura  e  alla  conferma  de'  capitoli  della  società  del  Santis- 
^*tno  Salvatore.  Poi  Giovan  Paolo,  suo  figliuolo,  nromatario 
^   speziale  della  regione  di  Trevi,  è  de*  caporioni  nel  1428; 
^on   risulta    con   cui   s'ammogliasse,  ma  ebbe  buona   fi- 
Sliuolanza;    la  Vannozza,    maritata   ad    un    Benedetto   di 
*^ elice  de  Fredis,  di  Valmontone,  antenato  di  quel  de  Fredis 
^he  diventò  famoso  per  aver  ritrovato,  scavando  in  una  sua 
"^'igna  presso  le  Sette  Sale,  nel  150^,  il  gruppo  del  Lao- 
<^oonie;  poi  Lello,  il    nostro  Stefano,  Lorenzo,   Antonio, 
Oomenico  e  Ceccolo  che  fu  celebrato  come  uom  faceto  e 
«e  da  supplire  ogni  defecto  »  (i).  Ma  non  sembra  che  costoro 
godessero  di  numerosa  prole  o  vivessero  a  lungo.  Lello 
era  già  morto  nel  1483,  E  appunto  in  quest'anno  Stefano, 
curatore  d'Antonina,  figlia  di  lui  e  sua  nipote,  comparisce 
come  «  eximius    iuris    utriusque  doctor  »,  e  stipula  patti 
dotali  fra   lei   ed  Antonio,  figlio  di    Giovan  Battista  della 
Pedacchia.  La  subarratio  segui  «  in  regione  Trivii  in  domo 
o  habitationis  dicti  d.  Stephani  ».  La  dote  era  di  400  fio- 
rini, da  pagarsi  metà  subito  in  contanti,  meti  fra  un  anno, 
dando    ipoteca  su  d'una  casa  del  «  q.  Lelio  de  Infessuris 
e  in  regione  Trevi  cui  ab  uno  latere  tenet  Laurentius  de 
«t  Infessuris  ipsius  d.  Stephani  et  q.  Lelii  germani  fratris». 
Lo  sposo  in  pegno  dotale  costituì  una  casa  paterna  posta 
«in  loco  qui  dicitur  la  Pedacchia»,  Le  nozze  si  fecero  in 
Ss.  Apostoli;  testimoni  spettabili  intervennero  all'atto  so- 
lenne. Ceccolo  aveva  pur  egli  già  nel  13 16  lasciato  vedova 
la  sua  Maria,  rimasa  con  due  figli;  Teofila  e  la  Lucrezia 
che  andò  a  marito  ne'  Patrizi.  Figlia  della  Vannozza,  Mad- 
dalena de    Fredis  sposò   Pietro  di  lacovo    «  condam  do- 
«  mini  Galeotti  de  Normandis  oliai  de  regione  Columpne 
0  et  nunc  de  regione  Trivii  ».  Cosi  gì'  Infessura  s' impa- 
rentarono coi  discendenti  di  quel  Galeotto  Nonnando  che 
re  Ladislao  fece  cavaliere  a  San  Marcello  nel  1404,  e  cui 

(1)  M.  A.  Altieri,  Li  nupiiali,  !oc.  cit. 


Ék 


cinque  anni  dopo,  a' 21  di  giugno,  la  fazione   orsina 
ecclesiastica  tagliò   la   testa.    E    Stefano    ammogliatosi 
Francesca^  vedova  già  d'un  Paparoni,  ebbe  pur  esso  d 
soli  figliuoli:  Marcello    e    Matteo,    Quest'ultimo  nel  ij 
era  già   morto  ;  quasi  fosse   destino  che  cittadini   amar^ 
della  libertà  dovessero  ormai  vivere  vita  agitata  e  brev*^ 

E  agitata  ebbe  a  menarla  nella  sua  giovinezza  ancl 
il  nostro  Stefano.  Si  trovò  a'  rumori  e  alle  giustizie  del 
cospirazione  di  Stefano  Porcari  ;  si  trovò  a  vederlo  appi 
cato  al  torrione  di  Castel  Sant'Angelo:  0  e  veddilo  io  -^ 
«  esclama  -  vestito  di  nero  in  ìuppetto  et  calze  nere  pcnncr  -^ 
«  quel)*  huomo  da  bene,  amatore  dello  bene  et  liberti  d  -^ 
«  Roma  i>  (i).  Egli  e  suo  padre  e  tutti  i  fratelli  ebberc::^ 
brigbe  con  Gasparraccio  della  Regola,  brighe  che  nel  1470  s;  i 
terminarono  con  atto  di  securtà  e  dì  pace  solenne  (2),  m^M 
che  prima  dovettero  turbare  non  poco  la  pace  della  famiglia  — 

L'anno  in  cui  Stefano  nacque  non  ci  risulta  da  docu — 
menti.  Sappiamo  che    nel  gennaio  del    1500   era  mono^^ 
dacché  appunto  in  quel  mese  Marcello  e  Matteo  suoi  figli 
convengono  col  camerlingo  della   chiesa  di  S.    Maria    ira 
Via  Lata,  promettendo   al  Capitolo  un'annua  cavallata  di 
mosto  in  compenso  d'una  messa  alla  settimana  in  giorno 
di  lunedi,  da  celebrare  in  perpetuo  a  suffragio  de'  morti 
nella  cappella  di  S,  Nicola,  di  cui  Stefano  Infessura  sin 
dal  148 1  aveva  acquistato  il  diritto  di  patronato  per  la  fa- 
miglia sua  e  pe'  discendenti.  Ma  Stefano  aveva  costituito 
vincolo  sopra  una  vigna  che  aveva  acquistato  per  la  cor- 
risposta alla  chiesa  della   cavallata   di  mosto  annuale  ;    e 


(1)  Qiiestn  passo  leggesì  nelle  cdùioDÌ  d^EccarJo  e  del  Muratori 
assai  gUAsto.  (E):  «  e  viddelo  io  vestito  di  acro  in  vìpetto  et  calie 
n  nere  le  perdete  quetrhuomo  da  bene  ».  -  (M)  :  «  e  lo  vidi  io  ve- 
ti stito  di  nero  in  gtuppctto»  e  calze  nere.  Perdette  la  vita  quell'uomo 
«  da  bene»  ecc.  ». 

(a)  Vedi  in  App.  n.  i  :  Xolì^w  rtUlh^  alla  famiglia  Infasura  <  (fo- 
tumtHti  cÌH  Ut  riguardano* 


//  diario  dì  Stefano  Infessura 


493 


F*c>ichè  questa  vigna  era  fatta  deserta  e  non  dava  frutto,  i 
figliuoli  convennero  nel  1500  coi  canonici  in  altro  modo 
Per  la  soddisfazione  del  debito.  È  probabile  che  Stefano 
<^ÌTca  a  quell'anno  uscisse  di  vita  e  fosse  sepolto  nella  tomba 
gentilizia  della  medesima  chiesa,  dove  giA  nel  1483  era 
s^to  deposto  suo  padre. 

Ora,  se  egli  nel    1500  era  morto  ;  se  nel  1478  si  tre- 
^?'ava  pretore  ad  Orte,  e  doveva  per  lo  meno  aver  com- 
piuto i  trent'anni  d'età;  se  ricorda  d'aver  visto  pendere  il 
F*orcari  appiccato,  è  da  credere  ch'egli  probabilmente  na- 
-scesse  circa  all'anno  1440.  Innanzi  al  1471  era  già  rino- 
mato per  la  sua  perìzia  nel  diritto  (r),  giacche  nel  primo 
libro  Dt  gestii  Pauli  II,  Gaspar  Veronese  ricorda  come  in 
una  pressa  delia  folla  sul  passaggio  di  quel  pontefice,  che 
non  visse  oltre  al   1471,  mentre  dal  Vaticano  si  recava  al 
palazzo  di  San  Marco  o  al  Laterano,  egli  e  Steflmo  Infes- 
sura, «  iuris  peritissimus  »,  ebbero  per  due  volte  a  correr 
pericolo.    É   singolare  che  Stefano  nulb  riferisca   di    tale 
accidente,  mentre  Gaspar  Veronese  conta  che  questo  fatto 
«  bis   accidit  )>,  si    verificò   due    volte.    Nel   rarissimo   li- 
bretto delle  lettere  d'Agapito  Porcio  0  Porcari,  dedicato  a 
"Luca  de  Leni,  che  mori  nel   1486,  pubblicato  senza  nota 
d'anno  o  nome  di   stampatore,  una  ne   A,  e  lo   afferma  il 
Marini  che  vide   l'opuscolo,  diretta  dal  Porcari  a  Stefano 
Infessura  (2).  E  questo  documento  ce   lo  mostra  in  rela- 
zione viva  anche  colla  famiglia  Porcari.  Fu  inoltre  lettore 


(i)  Marini,  Archiatri,  II,  185,  App,  di  docum*:  n  cum  aliquotiens 
«  ex  Sancii  Petri  sacratissimo  tempio  dìscederet  ad  Sanctì  Marci,  aul 
ff  Sancii  lohannis  Lateranensis,  tanta  erat  eius  videndi  unicuique  cu- 
te pidiias  et  ardor,  ut  essec  hommum  mirabilisque  pressura,  et  tanta 
a  Uctitìa  et  gaudìuni,  ut  nonculli  in  lleium  solverentur;  quod  Ga- 
«  spari  Veronensi  illius  Compatri  et  Stephaao  Enfesario,  ìuris  peritis- 
w  simo,  bis  accidit  j).  Il  Marini  che  stampò  «  Enfesario  n,  probabilmente 
dove  era  a  leggere  «  Enfesurio  «,  riconobbe  in  esso  l' Infessura  nostro. 

(2)  Marini,  Archiatri,  I,  177,  II,  200. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI  33 


494 


O.   Tommasini 


in  civile  nella  università  di  Roma  ;  e  ne*  pochi  registri  ddlj 
Deposiieria  della  gabella  per  lo  studio  che  ci  rinungoao 
all'Archivio  di  Stato  (i),  capiti  il  nome  di  lui  non  info 
qucnte  e  vi  s'incontra  compagno  con  quello  di  Mario  Sa* 
lomonio,  e  di  colui  ch'esso  e  i  contemporanei  chijmaroao 

(i)  Archmo  di  Stato  in  Roma,  Registro  della  DeposiUru  muf» 
bella  dello  studio,  anai  1481-82:  e.  40  v:  «  Alla  ditta  adi  JluoC^ 
«  dici  romani  per  mandato  de'  di  .xxnii.  di  giungnio  a  missorc  Sicfjw 
a  de  Infiuris  (sii-)  lettore  civile  per  la  ni".  »  —  e.  44  ;  «  Alla  JitU  i  ^ 
ff  detto  [23  gennaio]  f  quaranta  romani  per  mandato  de  t21  SL&&- 
tf  cembre  a  missore  Stefano  de  Ynfixuris  lettore  in  ditto  ftudioinunè 
«  per  la  prima  tersaria .  .  f.  .xvnu.  se.  42  ».  Ibid.:  Re^jiUo  ài  »Xi^ 
n  ìaus  Calaweus  dcpositatitis  pecuniurum  gahtlU  itudii  Almt  Vr 
a.  1482-1484:  e.  li:  u  Alla  gabella  dello  studio  a  dì  ]0  0 
«r  f.  venti  romani  per  mandato  de  dì  25  d'aprile  a  missore  Stctìw 
"  [nffessura  condotto  in  iure  civili  la  sera  per  le  mela  della  siu  ^^ 
«  conda  ler/eria  porto  ecc.  f.  .xx.»  —  e,  16:  «  A  la  delta  a  Ji  d«» 
«  [11  di  novembre]  f.  venti  a  missore  Stefano  Iniusura  per  resto  tklU 
«  seconda  terzerìa  conti  allui  f.  .xx.  «  —  e.  19  v:  n  A  la  JettJ  »  ^ 
«  detto  [14  di  marzo]  f.  quaranta  per  mandato  de  di  primo  di  luglio 
«  a  missore  Stefano  Infusori  in  detto  studio  condotto  in  iure  orSi 
«  per  la  sua  ultima  terzeria  dell'anno  passato  conti  alluì  f  jll»- 
e.  22:  "  A  la  detta  a  di  detto  [.xxvin.  giugno]  f.  cinquanta  pcrna^ 
<c  dato  de  di  .xxii.  de  dicicmbre  a  missore  Stefano  InfcJuri  pa  i* 
«  sua  prima  terzeria  del  presente  anno  f.  .l.  *  —  e.  28:  «  A  U  «te" 
«  a  di  detto  [18  di  marzo]  f.  trentacinquc  per  mandato  de  di  uni- 
<'  di  deciembre  a  missore  Stefano  Infcsura  per  parte  dclb  «w  p""* 
«  terzeria  del  presente  anno  f.  .xxxv.  u  — e.  28  v:  •  A  Ij  ^'  ' 
«  detto  [20  di  marzo]  f.  trentacinquc  per  mandato  de  di  .%\ 
a  X  missore  Stefano  Infesura  per  parte  della  sua  seconda  \<ìì^^ 
«  dell'anno  passato  f.  .xxxv.  »>. 

Questi  Registri  non  furono  cogniti,  per  quanto  sembrit  *!  Ot* 
NIFLE  {pie  Vmversiti'tUn  des  MilteUlUrs  Vis  14^0,  p.    J14  e  ^:    "  '^ 
non  si  sarebbe  ahriraenti  tenuto  pago   alle  notizie  e  al  - 
professori  del  Marini,  e  alle  affermazioni  del   Rena/xi,  del  t.  ■ 
del  Moroni.   Ad  ogni   modo  la   sola  presenza  di  Pomponi"^  ■  l-- 
l'influenza  grande  che  v'esercitò  non  sembra  che  corrobori'*-'^ 
mazione  del  Denifle,  p.  314:  cr  Die  Hochschulc  war  rwir  iin^i  ^^'. 
«  Eugens  Tod  manchen  Wechsclfallen  ausgesctzt,  ja  untcrSì***^* 
«  hitle  ihr  bald  wider  der  Untergang  gedroht,  allein  si«  Wie^  ^ 


//  T^iario  dt  Stefano  Infessura 


*•  mcsscr  Pomponio  n  e  che  fu  il  grande  Pomponio  Lero  (i). 
•^*  17  di  marzo  1487  sottoscrive  una  delle  tanti  leggi  sun- 
tuarie del  Comune. 

Queste  relazioni  rintracciate  ci  spiegano  già  la  ragione 
di  parecchi  notamenti  e  l' indole  speciale  del  suo  diario; 
^a  avremo  occasione  di  doverne  anche  altre  riconoscere 
*n  seguito,  senza  le  quali  non  si  riuscirebbe  a  intendere 
^orae  e  perchè  ceni  episodi  di  leggende  si  siano  potuti  in- 
indurre  nella  narrazione  di  lui. 

Ma,  oltre  che  del  diario,  egli  fu  autore  anche  d'altro  libro 
in  cui  probabilmente  si  sfogava  e  concentrava  luna  la  sua 
pratica  delle  leggi,  tuna  la  sua  perizia  nella  casistica  del 
diritto.  L'opera  s* intitolava:  Liber  de  communiter  accidenti" 
bus  ;  fu  della  biblioteca  del  cardinale  Slusio  ;  scomparve  con 
questa  (2).  Ora  ne  rimane  appena  ne*  catalogi  la  memoria, 

<«  mebr  docb  fonbesuhen  o.  A  meno  che  intenda  di  alludere  a  quel 
<lccadimento  che  veniva  non  da  minor  bontà  o  numero  de'  profes- 
sori, ma  in  seguito  di  quello  stato  di  cose  che  l'Infessura  riierisce  e 
che  probabilmente  sperimentò. 

(i)  Iacopo  Ghekardi,  il  Volterrano,  nel  suo  diario,  lo  chiama: 
«V  Pomponius  Romanus,  prìnceps  sodalitatis  lìtcrariac  j».  Archivio  di 
Slato  in  Roma,  Gaheila  dello  studio.  Depositano,  1483-84:  (1481-82), 
e:.  4j  V:  «  Alla  detta  gabella  f.  sessaniasey  |  romani  per  mandato  a 
•t  d\  .XX.  dì  die  a  Pomponio  lenore  in  rectoriche  per  sua  provisione 
«della  p.  J.  f.  .xxxii.  d.  46.  o.  —  Ibid.  (1482),  e.  14  r:  «A  la  detta 
«  a  di  detto  [30  giugno  1482]  f.  trentaire  b   .x.  den.  12  per  man- 
«  dato  de' di  25  daprile  a  m.  Pomponio  condotto  in  rettoricha  per 
«resto  della  sua  s***  terzeria  p.  Guliano  suo  «.  —  Ibid.  e.  15  v:  «A 
«  la  ghdbclU  dello  studio  a  di  .v.  dottobrc  f.  sessantasei  e  due  terzi 
«  per  mandato  de  dì  .11.  di  q**  per  m.  Pomponio  in  detto  studio  con- 
ce dotto  in  rettoricha  per  la  sua  terza  et  ultima  terzeria  conti  allui 
«  f.  .Lxvi.  se.  23  d.  8  a.  —  Ibid.  (1483),  c.  22  v:  «  A  la  delta  a  di  detto 
tt  f.  ottantuno  e  uno  terzo  per  mandato  de*  di  .xxii.  di  dicembre  a 
«  m.  Pomponio  per  la  sua  prima  terzeria  del  presente  anno  ». 

(2)  C(.  Bihliothica  Sìuiiana  Wxv  lihrorum  catalogtts  quoi  ex  Oìnttigena 
rti  lit£rana€  matiria  Ioannes  Guaìtcrus  Sanctae  Ro.  EccL  card.  Sìusius 
Uodiensis  sibi  Komae  ccn^esserat  Pdri  Aìoysii  baronis  Slusii  fratris  iussu, 
labore  ac  studio  Francisci  Deseine  Parisitnsis  digcsta  et  iti  qtixnquc partes 


49^ 


O.   Tommasini 


Ma  il  culmine  cui  arrivò  nciresercizio  de' suoi  civili  uffici»     ^ 
segnato  dalla  dignità  di  scrib;isenato,  a  cui  non  fu  per  ccncP^ 
levato  per  intromissione  papale  (i).  llgli  certamente  non  tu,  * 
come  ser  Marco  Guidi  (2),  deputato  airufficio  suo  in  grazia     ' 
di  un  breve;  né  vi  durò  più  del  termine  stabilito  dall'ele- 
zione. Quale  fosse  l'origine  e  la  natura  di  tal  magistrato  di- 
cemmo altrove,  indicando  le  particol.iri  attribuzioni  che  in 
principio  gli  spettarono  e  quella  cui  venne  riducendosi  a 
mano  a  mano.  Dall'essere  pertanto  la  loquela  «  amplissimi 
e  Senatus  et  metuendi  populj  romani  »,  quando  il  Senato  si 
stremò  nella  persona  d'un  solo  e  il  popolo  non  fu  più  me- 
tuendo,  lo  scribasenato  rimase  ritto  come  un  vecchio  titolo, 
e  più  come  scheletro  che  come  simbolo  del  passato.  Di  lui 
gli  statuti  della  cittA  facevano  appena  qualche  piccolo  cenno, 
dissimulandone,  piuttosto  che   determinandone  le  attribu- 
zioni, malvolentieri  accusandone  la  sopravvivenza,  e  dando 
appena  sentore  dell'  importanza  antica  coll'accenno  a  pri- 
vilegi di  libero  arbitrio,  come  dicevasi,  che  si   cautelavano 
non  potesse  aver  comuni  col  Senatore. 


distrihuia,  Romae,  1690;  Blume, /ter  Ital  III,  197.  Il  fondo  della 
Slusiana  entrò  nella  biblioteca  Imperiali,  e  fu  disperso  con  questa. 
Sul  card.  Slusìo  v.  Mabili.on,  Iter  Itaì»  p.  96. 

(1)  In  qualità  di  scribasenato,  l'Infcssura  comparisce  nei  seguenti 
documenti:  Arch.  di  Stato  in  Roma,  Kc^stro  del  camtrkngo  ddla  Ca- 
mera di  Homu  :  u  Anno  14S7,  a  di  .x.  di  ienaro.  In  questo  libro  se 
«  scriverano  per  rac  Baptista  Barapia  camcrlengho  della  Camera 
«tutte  le  spesse  che  se  t'arano  per  leronnimo  p°  p"  lo  mio  compa- 
tì gno  ».  —  (e.  2,  lin.  3)  :  o  Itera  più  pacavo  a  misere  Stefano  Infe- 
«tsura  cari,  doi  cioè  d.  o  t-  15  «  —  (e.  2  v,  lìn.  penuh.  et  uIl):  «  per 
«  la  noeta  dello  contratto  nostro  a  misser  Stefano  Infesura  carlini 
«  cinque,  cioè  d.  o  t.  37  1/2  ». 

Kell'archivio  storico  Comunale,  cod.  membranaceo  degli  Statula 
A,  V.  Komtf  (cred.  IV,  t.  88,  n.  ojjs.p.  tgi)  firma  «  die  .xvii.  martii 
«  1487  «  le  n  Reformationes,  constitutìoncs  et  statuta  super  dote,  ìo- 
V  calibus,  acconcio  et  omatu  ac  nuptìis  mulierum  et  super  exequiis  ». 

(2)  V.  Atti  i  Metn.  della  R.  Acc  dti  Lincei,  HI*,  p.  173  e  sgg,  il 
JU^istro  digli  Officiali  di  Roma  esemplato  dallo  scribasenato  Marco  GuiM* 


//  Diario  di  Stefano  Infessura 


497 


I  due  scribasenato,  del  resto,  insieme  colnotaio  della  Ca- 
^iiera  della  citti,  assistevano  ai  consigli  generali  del  Comuae, 
ne   scrivevano  le  proposte,  ne  stendevano  i  verbali  (dieta  et 
^-^^T-rn^ationes  consiìiarionitn),  ne  registravano  te  risoluzioni 
(jtaiHta)  e  le  riforme.  Spettava  ad  essi  di  sottoscrivere  di- 
plomi di  cittadinanza,  di  far  lenura  in  publica  forma,  nel 
giorno  di  sabato  o  di  mercato,  delle  sentenze  di  diffidazione 
o   raffidazione  di  cittadini,  traendone  stabilite  propine.  Re- 
centemente Ottone  de  Varris,  soprannominato  Otto  Poc- 
<^ia.,  protonotario,    aveva  ridotto   il   salario  loro,  per  una 
'^^orma  fatta  «  de  mandato  pape  ».  Ad  essi  appartenevasi 
^i    far  quegli  estratti  delle  pubbliche  lettere,  che  rendevano 
*^^rta  e  stabile  la  tradizione  degli  affari  in  mezzo  alle  ma- 
i^^strature  elettive  e  mutabili.    Rilevammo  altrove   come  i 
'^^^tai  avevano  maggior  incitamento  a  tener  dietro  a' pub- 
blici avvenimenti  e   registrarne  memoria  ne'  loro   proto- 
*^olli  per  la  straordinaria  condizione  di  diritto  in  cui  erano 
Ideisti  dagli  statuti  stessi,  essendo  ì  soli  che  non  avessero 
divieto  di  rielezione  a  quelli  offici  pe'  quali  particolarmente 
'^'Scessitasse  un  notaio  (i).  Lo  scribasenato  inoltre  aveva 
*^llettamento  ed  occasione  più  ampia  a  farsi  storico  de'  suoi 
^Ompi.  Gli  «  scribae,  qui  iiobiscum  in  ratìonibus  monumen- 
**  tisque  publicis  versantur  »,  aveva  osservato  Cicerone  ai 
^i^mpi  suoi  che  non  lasciavano  «  obscurum  suum  iudìciura 
<«  decretumque  «  (2),  solo  che  volessero. 


(i)  Cf.  il  Registro  di  M.  Gutài,  citato  negli  Atti  e  Mcm,  della  R.  Acc, 
*^i  Linai,  U\*i  p.  ij6,  Stefano  Cafari,  notaio,  corninciava  nel  1438 
il  suo  diario  con  queste  parole:  «In  isto  quinterno  continentur 
^  multa  et  diversa  in  dìversis  codici  bus  nostris  et 
««diversis  annis  ei  temporibus  sparsa  et  hic  suc- 
*«  ciocie    dcscripta,    ne  per  varia  volumina   quis  habeat  ìnqui- 

«  rcre  d.  Cf.  Arch.  dtìla  R.  Soc.  Rom.  di  si,  patr.  Vili,  5  59.  Questo  brano 
del  CafTaro  non  0  dì  poca  importanza  per  la  conoscenza  dell' ìstorìo- 

graiia  medievale  di  Roma. 

(a)  Cicero,  Pro  domo  sua,  XXVIII. 


L'occasione  dunque  non  mancava  all'Infessun  nellj 
stessa  sua  professione  e  qualità  a  farsi  storico  de  tempi 
suoi.  Registrare  ne'  protocolli  la  memoria  di  fatti  ch'erano 
in  relazione  coll'ufficio,  o  recavano  una  nuova  maniera  J^ 
datazione  de'  pubblici  atti,  o  colpivano  la  vita  ovile,  cota^ 
gli  straordinari  processi,  Tcsecuzioni  di  giustizie,  il  czo 
delle  derrate,  le  vicende  di  Campidoglio,  quelle  del  piil>- 
blico  studio,  la  morte  dei  pontefici,  la  loro  elezione,  c^ 
naturale  effetto  della  condizione  sua  rispetto  alla  citti  Ma 
forse  non  gli  mancavano  intrinseche  disposizioni  dell'anima 
all'ufficio  di  storico;  e  chi  consideri  gli  scuciti  frammenti 
ora  volgari  ora  latini  di  cui  consta  il  suo  diario,  non  dubita 
di  ravvisare  tra  le  diverse  parti  di  esso  ìdentìri  di  naturi, 
differenze  di  forma  e  d*  intendimenti  che  lasciano  far  con- 
gettura legittima  non  gii  di  un  più  grande  disegno,  coow? 
parve  al  Gregorovius,  ma  di  una  diversità  d'origine  e  foi« 
di  fine  nell'opera  di  lui. 

Se  non  che,  prima  di  discutere  la  compagine  Ji  '\\iCSXf 
non  è  inutile  di  tener  proposito  dei  manoscritti,  seconao 
ì  quali  è  giunta  sino  a  noi;  mondandola  dell' imbratto  che 
i  tempi  diversi  poterono  lasciarvi  sopra,  per  scrutarla  ari» 
sua  forma  più  prossima  airoriginale  primitivo. 

E  innanzi  tutto:  fu  chi  vide  mai  l'autografo  deirinf"**" 
sura?  II  Valesio,  dalla  raccolu  del  quale  è  pervenuto  il  ^'^ 
dice  all'archivio  storico  Capitolino,  di  cui  più  oltre  terremo 
parola,  annota  alla  seconda  carta  non  numerata  del  coi'-'^  ' 
stesso:  «  extat  autograph.  ms.  in  Archiv.'*  Varie"  signfl- 
«  n.  CXI  ».  Questo  ms,  CXI  é  evidentemente  il  roedeMin<* 
che  si  allega  negli  Annali  suoi  dal  Rainaldi  col  n.  U'» 
reso  per  le  stampe  con  un  III  (i).  Un  altro  ms,  del  mitóe^^ 

( i)  Però  potè  prendere  abbaglio  TEccardo  stampando  neUla 
redizionc  sua  che  il  Rainaldi  lo  indica  ncirarch.Vat,  «sub  numci 
Nel  ms.  Vallicelliano  S,  21  (n.  m.  01688),  che  contiene  F,  Ro} 
numcnta  prò  Annaìihtis  ah  antt.  i^j)  ad  14)^,  t.  XVII,  alla  e.  )  il  Rai 
naldi  cita:cr  Steph.  Inf.  IXI  u;ìbid.  a  e.  1$:  n  ms.  Vat. signat.  nu.  ni* 


77  ^Diario  di  Stefano  Jnfessura 


499 


ifcnannim^  cfac  reca  la  segnamra  cxScnia  P,  loji,  ed  è  del 
I XTU,  oftc  la  aoia  idendca  a  quella  che  s  iiìcoocra  nel 
ìàaxD  mi.  del  Valesio.  Ora,  noi  non  sappiamo  se  il  Vale- 
itdesae  Tallegato  ois.  dell'archivio  \'aticano  ;  probabti* 
[ncstc  QOQ  lo  vide  e  non  vide  che  il  okL  63S9  della  bi- 
[bfiottca  Vadcana,  che  egli  e  il  ms.  s<^>radetto  del  museo 
UGO  deano  insìenie.  Ma  quello  che  rìsulu  certo  si  è 
|«he  3  RaóiaUi,  il  quale  se  ne  servi  per  primo  citandolo  e 
{ pbbbficandcxie  brani,  non  lo  diede  mai  per  autografo;  e  che 
ad  ogni  modo  il  codice  auto  con  quel  numero  e  dal  Rai* 
[  BiUi  e  dal  Valeào,  nell'archiN-io  \'aticano  e  nella  biblio- 
i  tKaoQn  esiste  più,  né  se  ne  raccapezzano  tracce.  E  poiché 
I  ^  signori  archivisti  P.  Wenzel  e  G.  Palmieri  mi  fu  sem- 
pre fidlitata  nell'archivio  V^adcano  ogni  ricerca  con  gran- 
(uastma  cortesia,  di  che  rendo  loro  pubbliche  grazie,  ed  ò 
ogni  ngione  di  credere  alla  leoltA  delle  loro  atTermazioni, 
^Ottvien  dire  che  quel  codice  del  quale  sino  al  1701  rima- 
t^'i  memoria,  sia  dopo  quel  tempo  scomparso. 

Ora  ecco  quanto  dalle  citazioni  del  Rainaldi  si  può  rac- 
coglierif  intomo  a  quel  codice. 

n  Rainaldi  la  prima  volta,  fra  le  sue  autorìrl  indicate 
^  margine,  allega  il  Diarium  Steph,  Injissnrac  con  quello 
^  Paolo  di  Beoedetto  all'anno  1433,  in  occasione  della 
P<*8pa  per  1* incoronazione  dell'imperatore  Sigismondo  in 
Roma,  e  non,  come  scrive  l'Eckhart,  o  ab  anno  1484  usquc 
«4<lannum  1494  »  (1);  elo  cita,  come  dicemmo,  dal  u  ms. 
«arch.  Vat,  signat.  nu.  ni  0.  Ripete  un'altra  volta  la  me- 
desima citazione  all'anno  stesso,  e  prosegue  a  citarlo  per 


[adim.  S,  25  (o.  m.  01690),  Monum.  prò  Jfmalih,  144S  ad  14^6,  U  XX» 
ty4:  1  ms.  Varie,  «g.  n.IXI,  pag.  12.  Steph.  Infis.»;  ibM.  e  i6é  v: 
'f  Strph.  Id6ss.  ms.  Vatlc  sìg.  nu.  1 1 1  »;  ibid.  e.  170  v:  «  Steph.  lofìss.  : 
0  iTch.  Vat.  sign.  nu.  TV  (correiio  sopra  DC)  *;  ibìd.  e.  205:  «  Steph. 
llofiiS.  in  ms.  Varie,  sign.  IXI  nu.  111»:  nel  ms.  S,  24  (n.  m.  01691) 
44  v:  Sceph.  In6ssura  m.s.  arch.  Varie,  signat.  nu.  tu  ». 
(x)  EcokRO.  pref.  ed.  ciu 


500 


O.   Tommasini 


gli  anni  1434,  1436,  1438,  1440,  1447,  1449,  1450.  Mf  -^ 
nel  modo  medesimo.  Uni  volta,  pure  all'anno  1452,00 
«  Steph.  Infiss.  m.  s.  arch.  Vat.  signat,  n.  4  »,  Riprende | 
segnatura    consueta    pel    1453,    145  J,   14^4»   I4<^7>  M^ 
Al  1471  indica:  «  ms.  Vatic,  arch.  sign.  n.  11  ».  È  svisi 
o  errore   di  stampa,  o    segnatura    vera  d'un   diverso 
dice?  (i).  Al   1473  poi  torna  a  indicare  il  n.  ni  cofl 
«  cod.  m.  s.  Vat.  »  dando  luogo  a  dubitare  se  si  tratti  d'a 
codice  deirarchivio  segreto  0  della  biblioteca  VaticaDa;! 
presso  a  quella  citazione  aggiunge  dì  soprappiù  Taltn^É 
«  m.  s.  Valile,  bibl.  » ,  che  ci  rivela  come  fin  da  quel  tempo 
esistesse  nella  Vallicelliana  un  manoscritto  dell' Infessura(3| 
e  come  il  Rainaldi  ebbe  luogo  a  farne  raffronti  col  codicj 
Vaticano  perduto.  Segue   poi  a  citare  il  nostro  diario 
Tanno  1475,  1476,  1480,  nel  quale  ultimo  allega  conl'l 
fessura  anche  Iacopo  Volterrano,  come  se  anche  il  dii 
di  questo  si  comprendesse  nel  medesimo  manoscritto  ni 
Per  gli  anni  1481  e  1482  s'aggiunge  all' indicazione  solia 
quella  «  ex  m.  s.  arch.  Vat.  sign.  n.  49  »,  e  V  Infessura  sia 
compagna  con   a  alii  vetustorum  diariorum  auciores  »,  1 
i  quali  esplicitamente  all'anno   1494  si  menziona  quello* 
«  Sebastiano  Bracca  ».  Nel  1492  e  negli  anni  seguenti  i 
pita  di  veder  notato  «  m.s.  arch.  Vat.  sign.  n.  i  n  ctali» 
«ms.  sign.  eod.  num.  ».  Dunque  il  ms.  deirarchivio  seg 
citato  dal  Rainaidì  ebbe,  per  quel  che  pare,  a  consisterei! 
due  tomi  segnati  collo  stesso  numero;  in  questi  due  loa 
dovevano  comprendersi,  oltre  quel  dell*  Infessura,  i  diari  S^ 


(1)  Anche  all'anno  1480  (n.  io)  sMncootra  la  citazione:  iSu 
«  Infcss.  m.s.  Vat.  sìgn.  d.  121  »  chedà  luogo  alle  scesse  tntcrrogi>>^ 
senza  possibilità  di  certa  risposta. 

(2)  È  quello  segnato  1,  74  (n.  m.  00833)  con  una  postilla  nel  mii- 
gine  superiore  esterno  della  priraa  carta,  di  mano  del  Rainaidì  Jicsi 
«Exiaiin  m.  s.  archivii  Vaiic.  signat.  n.  lU.p.  127CIC.  ».  Fu  iriscrS 
per  commissione  del  p.    Cesare    Bcccilli;  e  però   innanii   \t  pril 
metà  del  secolo  xvii.  Nell'edìz.  questo  ms.  è  designato  colla  sigUl 


Il  diario  di  Stefano  Infessura 


JOI 


Sebastiano  di  Branca  di  Tedallini,  di  Iacopo  Volterraao  e 
del  Burcardo,  che  11  Rainaldi  cita  in  seguito  sotto  il  numero 
medesimo.  Se  non  che  niuno  dei  mss.  dell*  Infessura  o  degli 
altri  diaristi  indicati  che  si  trovano  neirarchivio  Vaticano, 
risponde  alle  condizioni  espresse   nelle   citazioni  del  Rai- 
naldi; non  il  codice  dell'armario  IX  ord.  i.  n  proveniente 
dairarchivio  di  Castello;  non  quello  dell'arm.  XV,  n.  ^i  ; 
non  quelli  in  cui  si  contengono  frammenti  del  nostro  dia- 
rista; al  quale  non  sembra  che  mai  toccasse  opposta  for- 
tuna a  quella  del  Burcardo  che,  com'è  noto,  dalla  biblio- 
teca Vaticana  fu  fatto  trnpassarc  nell'archivio  segreto  (i). 
Infatti  niuno  tra  i  molti  mss.  dell'  Infessura  che  si  trovano 
in  quella  biblioteca  app;irisce  che  sia  quivi    derivato  dal- 
l'archivio. Ben  è  vero  che  di  fatti  consimili  che  poterono 
col  volgere  del  tempo  inter\^enire  non  si  i  alcuna  nota  a 
registro  in  nessuna  delle  due  sedi  Vaticane,  per  quanto  mi 
^•■«inne  fatto  di  sapere;  ma  ad  ogni  modo  il  cod.  Vat,  1522,  che 
è   il  solo  il  quale,  diviso  in  due  tomi,  insieme  col  diario  del- 
'*  Infessura  contiene  parecchie  altre  scritture,  non  risponde 
'ifJntto  pel  resto  del  contenuto  alle  indicazioni  desunte  dalle 
epilazioni  del  Rainaldi.  Al  codice  iii  convenne  pertanto  di 
rinunciare,  dopo  averlo  anche  vanamente  ricercato  neirar- 
*^l^ivìo  dei  Ceremonieri  pontifici;  e  il  danno  parve  meno  sen- 
^itile,  dacché  per  le  cortesi  cure  di  monsignor  Stefano  Cic- 
^olini,  vicebibliotecario  della  Vaticana,  mi  fu  possibile  di 
■^nvenire  almeno  in  questa  il  codice  ^589  citato  dal  Valesio 
^    dall' indicato  ms.  del  museo  Britannico,  del  quale  pure  Ì 
^^taloghi  vaticani  non  lasciavano  alcun  sentore.  Ben  fu  ritro- 
■^ato  suir  inventario  antico  e,  coll'aiuto  di  questo,  ritratto 
^  luce. 

E  fu  vera  fonuaa  dacché,  per  quanto  la  copia  ch'esso  ci 
dà  non  sia  ottima  e  non  vada  immune  da  grossi  errori,  pure 
questi  medesimi  mettono  sulla  via  di  riconoscere  che  Ta- 


(i)  Arcìu  della  Soc.  Rom,  di  si.  patr.  I,  243-44. 


502  O.  Tommasini 


manuense  dovette  aver  sott' occhio  un  ms.  degli  ultimi  à< 
secolo  XV  o  dei  primi  del  xvi,  perchè  molte  delle  avari 
nella  lezione  nascono  appunto  dalle  cattive  interpretazior 
di  voci  e  nomi  che  erano  famigliari  a  tutti  in  quei  cemp 
da  cattive  interpretazioni  d'abbreviature  e  segni  che  tra  gì 
scrittori  di  quei  tempi  erano  appunto  più  in  uso. 

Ma  di  questo  avremo  agio  a  parlare  più  particolarmente 
quando  sarà  il  luogo  di  descrivere  i  manoscritti  di  cui  ci  gio 
vammo  per  la  nostra  edizione.  Ora  continuando  a  tene 
*  ragione  di  quelli  che  anticamente  furono  cogniri  come  esi 
stenti  in  librerie  di  privati  o  veduti  in  mano  a  studiosi,  ricor 
deremo  quello  che  Alfonso  Ceccarelli  «  dice  d'aver  visto  ir 
tutto  foglio  nella  librerìa  del  signor  Francesco  Mucante. 
maestro  delle  ceremonie  di  N.  S.  »,  e  che  pertanto  non  poti 
essere  posteriore  al  secolo  xvi;  Tic  antico  manoscritto  chi 
era  in  mano  del  signor  Angelo  Rovelli©  da  Camerino  »,  d: 
cui  fu  trascritto  il  codice  Chigiano  G,  II,  62  ;  quello  men- 
zionato in  un  codice  dell'archivio  dei  Cerimonieri  come 
esistente  «nella  libreria  Rosi»  (i);  l'altro  visto  dal  Man- 
dosio  «  apud  Io,  A.  Moraldum  »  (2);  quello  citato  dal  Ni- 
quec  nella  biblioteca  di  Fulvio  Arcangeli  da  Bagaorea  (5); 
rAnnovcriano  e  il  Berlinese  dcirHccarJo  (4);  l'Estense  che 
scr\M  al  Muratori  e  a  cui  pure  redizionc  di  lui  non  si  tentu 


v:"»  Arch.  Jcì  Cer:r;:on:cr'.  ron:,  :v.s.  A  I.  NcH'ircV-ivio  stes^so  nor 
si  trovar.o  p"r.  o;:t'i  :r.?s.  ^cl'"  Infessùra  che  dil  Fokmxhi,  KistrAL 
.ù'.':  .-••';.;>.;.";  :•;.;;..;;.•;;  .:..'.""«'.■■.  j\:  (.;'•:'•;,  v^agonj  Josignati  co 
numeri   ìs^   o   ;  ^4. 

V-'  ^^\N:v^^:o,  L,::.'-.  Kc:.  Cn:,  :*.  n.  62. 

.^;  N':^.;t.  '."  :.  .^.  C':./:  ,  :-^\  Nel  n:,i::oscr:"r'  di  lui  inJ:ca:c 
si  t:ov.;\,i:'.v'*  ir.s;e:rc  col  iìjrio  ò^'.'/!.  i^uel'o  ù;  Lelio  Petror.i  e  d'i 
\\w>  -:c:;o  M.ìs::.^ 

v-i^  \'c:'.:  ^n.^  J.:  "0Ì  ::circii;;onc  c.^r:ràj:s::nu  col'a  sÌìtIù  E,  con 
v'.;i  si  .ivS^::-..-.  r,^n  so'.o  \^  ".(..-ior.^  ici  coiici.  r.:j  quelb  djta  nel- 
rcJ'..--o".e  s.:.:  J-iin-cciriv"^.  che  u'vol:a  scjìc  per  :nesà:tj  ìe"urà 
Jel  inss. 


//  T)iario  di  Stefano  Infessura  J03 


^ki 


pre  fedele  (i);  il  Vaticano  5394  e  quello  àt\  Valesio, 
citato  da  fra  Casimiro  (2);  poi  quelli  descritti  da  bibliografi 
come  il  Montfaucon,  il  Fabricius  (3),  Ma  fu  cosa  impossi- 
bile il  riandar  sulle  tracce  di  codici  appartenuti  a  librerie 
private,  delle  quali  niente  si  potò  accertare,  neppure  quando 
e  come  cessassero.  Forse  qualcuno  di  quei  codici  entrò 
nelle  biblioteche  pubbliche;  forse  gli  avemmo  alle  mani, 
ma  mancò  ogni  mezzo  a  riconoscerli  e  costatarne  l'iden- 
tità. Per  quelli  poi  che  le  pubbliche  librerie  conservarono, 
fii  facile  aver  notizie  e  raffronti  di  passi  dubbi  o  caratteri- 
stici, segnatamente  per  via  di  circolari  e  di  lettere  che  in- 
dirizzammo a'  bibliotecari  d' Italia  e  d'Europa,  e  per  cortese 
corrispondenza  d'amici  e  compagni  di  studi,  ai  quali  pro- 
fessiamo viva  e  cordiale  riconoscenza  (4), 

(1)  Il  codice  Estense  di  cui  si  servi  il  Muratori  è  quello  conser- 
vato nella  biblioteca  deirArchivio  di  Stato  in  Modena. 

(2)  Fr.  Casimiro,  Storili  di  Aracodi,  pp.  .116-18,  cita  i  mss.  Chi- 
giano  1226;  Vat.  6389,  5593;  quei  del  Valesio,  ora  ncU'arch.  Ca- 
pitolino, e  (a  p.  424)  il  codice  n  presso  il  signor  marchese  Pompeo 
«  Frangipane  ».  Il  catalogo  della  biblioteca  della  rinomata  famiglia 
Frangipane  fu  pubblicato  in  Roma  dal  Monaldi  nel  17S7.  L'anno  sus- 

'  seguente  andò  venduta  all'asta. 

(5)  Montfaucon,  Bibl.  bibl,  fttss.  col.  1151;  Fabricius,  Bibl.  tat. 
wncd.  et  ittf.  lutatis,  V,  503. 
I         (4)  Rendo  pubbliche  grazie  in  questa  occasione  ai  signori  biblio- 
■•|C*rì,  archivisti,  colleghi  ed  amici  che  contribuirono  coUaloro  dottrina 
B^zienza  a  vantaggio  delle  mie  ricerche,  e  particolarmente  ai  signori 
■  cav.  Fr.  Carta,  gii\   bibliotecario  della  Vallicclliana,   cav.   I.  Giorgi 
della  biblioteca  Vittorio  Emanuele  di  Roma,  prof.  G.  Cugnoni  della 
dhigìana,  prof.  C.  Schiaparelli  della  Corsìniana,  dott.   Guido  Levi 
deirArchivio  di  Stato  in  Roma,  mons.  Stefano  Ciccolini  della  Va- 
ticana, mons.  P.  Wcnzcl  e  G.  Palmieri  dell'arch.  Vatic,  monss.  Ca- 
talJì  e  Sinistri  per  l'arch.  dei  Cerlm.  pontifici^  prof.  G.  Tomasseiti, 
archivista  della  casa  Orsini,  sig.  L.  Siraeoni,  archivista  della  fami- 
glia Colonna,  pur  troppo  mancato  ai  vìvi,  al  cav.  Carlo  Padiglione 
della  Brancacciana  di  Napoli,  al  prof.  A.  Bellucci  della  Comunale  di 
Perugia,  al  cav.  B.  Podestà  della  N.izionalc  di  Firenze,  al  cav.  Ales- 
'   Sandro  Gherardi  del  R.  Archivio  di  Stato  in  Firenze,  al  cav,  A.  Li- 


504 


O.   Tommasiìti 


Or  ceco  rdcnco  dei  mss-  dei  quali  ci  potemmo  { 
vare  nell' ordinare  la  critica  del  testo  da  aoi  stabilito: 

Roma.  —   Arch,  Vaticano,  arch.  di   Castello,  armar.  IX,  ord.  i  r. 
Ma.  cartaceo,  sec.  xvi  (0,350  XO|2So)i  rilegato  in  pcrgamcM;5ul 
dorso:  a  Infessurae  Hìstorise»  ;  di  carte  217  numerate  nel  retto: 
HistorU  .  avanti  .  chi  .  la  .  corti. ^isst  .  in  .  Franca  \  Manca  tìpn»- 
cipio.  Tra  le  linee  del  titolo  e  nel  margine  :  a  Delle  quali  se  oe 
«  tratta  brevemente  nella  prima,  et  seconda  pagina.  Seguita  il  ai(- 
«  desimo  Stefano  la  sua  historia  da  Gregorio  XI  insino  td  Airi- 
«Sandro  sesto  inclusive».    E  sull'altro  margine  ìnlcmo:  «Su 
ir  pUano  Infessura  |  cittadino  romano  |  fu  potestà  ad  Orta  |  sol 
«  Xysto  IIU,  e.   37  ».  Inc.  (e.  1):    a  Pontificalmente  etdisjcgii* 
Expl.  (e.  16;  v):  «  per  andare  a  campo  a  Ostia  j>.  Il  ms.  pma 
due  scritture   di  mano  diversa;  Tuna  va  sino  alla  carta  J04  ^| 
alla  lìnea:    «  gentes  Ecclesiac  et  coraes  Robertus  ìbiqucs 
et  quura  volebai  facere  ».  Indi  ò  notato  nel  margine  inferiore  iflta 
«Isiàm  clavcm  invcnies  infra  pag.   112,  versu   17.  Scquitut  aù*" 
«  Deinde  intendebat  ».  E  della  stessa  mano  nell'alto  del  foglio  105  t- 
uQuae  sequuntur  ab  ista  pagina  105  usque  ad  paginam  mrcpe* 
«  riuntur  Suntcnimdcscripta  supra  a  pag.  95  usque  ad  pag.  104^^ 
E  dalla  carta  105  in  poi  l'acido  dell'inchiostro  à  sovcmc  coff* 
o  macchiato  il  foglio.  Seguono  carte  bianche  dalla   166  sili  loj 
nella  quale  comincia:  S"*  Dno  Kro  |  Sixlo  Papae  Quinto  \  5» 
rium   Diariorum  feì:  ree:  Sixti  |  Papa€  Quarti  ab  anno  1471? « 
mi  annurn  14S4  .  cum  Indict.  È  un  sommario  del  Diar\9  di 
cop0  l'olt^rrano.  Expl.  (e.  1H8  r):  •  Augustinensis  erant»-  S«^ 
tano  Estratti  al  appuntì  storici,  Tultirao  de*quali  (a  e.  sijOrefl 
«  Notanda.  1^34.  Aili  23  di  marzo  Clemente  VII  per  suaseou 


sini  e  signor  Fr.  Bondìni  Piccolominì  deirArchivio  di  Stato  in  Sic^* 
al  cav.  Foucard  dell'arch.  di  Modena,  al  prof.  A.  Fabretti  in  Ton**^' 
al  cav.  Carlo  Castellani,  prefetto  della  Marciana  di  Vcnexia,  atlML  ^ 
gnor  L-  Délisle,  e  sig.  Elie  Berger  per  i  mss.  delle  biblioteche  * 
Parigi,  a  lord  Carllhorpe  che  mi  concesse  d'aver  le  varianti  richi<** 
dal  ms.  della  sua  biblioteca  d'Yclvcrton,  e  al  prof.  M.  Cwfht^'* 
che  volte  con  squisita  cortesia  recar\'ìsi  per  favorirmele.  ^^ 

O.  Hartwig  bibliotecario  deiruniversità  in  Halle,  all'am;^.  _., 
xani,  che  ovunque,  nei  suoi  viaggi,  prevenne  le  mìe  preghiere.  ^^ 
inunicandorai  notiue  e  riscontri. 


//  diario  di  Stefano  Infessura 


50J 


«  conststoriale  dichiarò  valido  il  matrimonio  tra  Catarina,  et  En- 
ee rìco  Ottavo  regi  d*  [nghiltcrra  n.  Seguono  carte  bianche  sino  al 
tìne.  A 

Arch.  sudd.  arm.  XV,  n.  éi.  Ms.  cartaceo,  sec.  xva  (o,2$o 
JX'  p^rgo).  Sul  dorso  della  rilegatura  a  lettere  dorate  é  impresso: 
JnJ^ilur  Diaria.  Consta  di  carte  222  non  numerate.  Inc.  (e.  i): 
«  NeU'nnno  1294  nella  vigilia  di  Natale  n.  ExpL  (e,  222  v)  :  «  per 
«  andare  a  campo  ad  Ostia  m.  La  cana  62  v  à  bianca.  Riprende 
a  e.  65  :  Df  bcfh  commisto  inUr  \  Sixtum  tt  Robertum  de  \  Arimino 
«  «  una  ti  Rii^em  f  FerdittanJum  Duc/mque  Ca  \  lubriae  ex  alia  parU, 
«  ttde  tncr  \  U dicti  Rùbi:rti\  anno  ;./co2.  Inc. (e.  6}):  «Cum  tempore 
«  Sixti  quarti».  Expl.  (e.  80 v):  «  et  verisimile  iam  est  a.  A  e.  81  : 
«  .MCCCCLxxxiv.  faccio  recordo  io  Stefano  »  e  seguita  sino  al  ter- 
mine (e.  221  v):  9  per  andare  a  campo  ad*  Ostia  ».  Manca  il  ms. 
di  due  carte,  interrompendosi  la  lezione  dall'ultima  linea  della 
e.  IO  V,  alle  parole:  a  accompagnati  da  moki  cittadini.  Dcll['anno 
*>  1407]  »  sino  a  :*«r  [e  per  questa  casciojne  le  moniche  di  San  Sii- 
li vestro  et  tucti  lì  cittadini  romani  »,  li  ms.  à  un'altra  lacuna  con- 
siderevole dopo  il  notamento  :  «  Deìnde  mense  martii  sequentis 
«anni  148$  n,  dopo  le  cui  ultime  parole:  «  dimiserunt  et  retroccs 
«serunt  »,  salca  al  notamento:  r  die  20  ìuliì  dominus  Prosper  de 
«  Colurana  ctc.  ».  A* 

Bibl.  Barberini.  Ms.  LIV,  $i(num.  ant.  3160).  Cartaceo,  se- 
colo XVII  (0,271  v'o,2io),  di  carte  514  non  numernte,  delle  quali 
ia  tre  prime  e  le  due  ultime  sono  bianche.  Contiene:  Su/ani  In- 
ftsiuroi  I  civis  romani  \  Diaria  \  nrum  romanarutn  suorum  tempo- 
rum  I  post  curiam  romanam  \  /x  Galliis  \  ad  Urb^m  r&vinam  usqm  \ 
ad  Altxandri  papoe  Sixti  \  creatioium.  Inc.  (e.  4):  «  Nell'anno  del 
«  Sig''  1 2q\  nella  vigilia  di  Natale  «.  Expl.  (e.  289  v)  :  «  per  andare 
a  a  campo  d'Ostia  ».  Segue  poi  (e.  290):  Aggiunt*i  dt' papi  che  \  man- 
cano neUi  Diarii  dell'  lufcssura  \  mentre  stettero  in  Francia.  Inc. 
(e.  290):  «f  Nell'anno  ijió  fu  in  Provenza  ».  Expl.  (e.  312  v): 
«  Deiranno  1404  Bonifatio  9  ultimò  i  giorni  suoi  ».  Segue:  »  Qui 
«si  ripigliano  i  Oiarii  in  questo  tempo  dell'Infessura  correvano». 
Recente  compilazione  dì  niun  valore.  B. 

Bibl.  sudd.  Ms.  LIV,  52  (num.  ant.  1087).  Cartaceo,  in-fol.  se- 
colo XVII  (0,290  •''0,210),  di  carte  277  numerate.  Contiene :5/*;^/jani 
InfiSiurae  |  Civis  romani  Diarium  rerum  ramattartim  \  Poit  Curiam 
romanam  ex  Galliis  ad  Urhcm  |  revcrsam  usque  ad  AUxaudri  papac  \ 
sexti  cnaiionem  \  Vi  manca  iì  principio.  Inc.  (e.  i):  «  Pontifical- 
tt  mente  ec  dìsscgli  ».  Expl.  (e.  142  v):  «per  andare  ad  campo  ad 
«  Ostia  ».  La  e.  14;  è  bianca;  a  e.  144  seguitano  Conclavi  di  Cie- 


506 


O.   Tommasini 


mente  V,  Niccolò  V,  Calisto  III,  Pio  U.  Paolo  II,  Pio  III»  Mar- 
cello  ri,   Paolo  V.  Clemente  Vili,  Gregorio  XV.  B* 

Bibl.  sudd.  Ms.  LV,  5,  Cartaceo,  in-f.  scc.xvm  (0,290  X  Oi^'o)» 
di  carte  234  non  numerate.  Diario  \  dilìa  \  Ciità'  ài   Roma  |  da    | 
Papa  Bonifacio  Ottai'o  \Jin  ad  \  Ahssandro  Sesto,  Inc.  (e.  t):  «  Xel — 
«Tanno  Domìni  mille  ducento  novanta  quattro».  Expl.  (e. 234 v)r 
n  per  andare  a  campo  ad  Ostia  ».  B* 

Bibl.  sudd.  Ms.  LV,  56.  Nella  risguarda:  «  N"  .V°  (mancava). 
Legato  nel  1831  u.  Cartaceo,  in-foL  sec.  xvn  (o.jaj  ;•'  0,227)^ 
di  carte  198  numerate.  Diario  |  Overo  istoria  di  Stefano  Infessura- 
la  I  tjual  comincia  da  Boriifatio  Vili  &  \  continua  fino  ad  Alcaan'- 
dro  VI  I  Dove  si  descrivono  cose  diverse  concernenti  \  lo  Stato  della 
città  di  Roma  \  per  lo  spatio  di  stxì  anni  in  circa  \  J/fl«ru  i7  prit»~ 
àpio.  Inc.  (e.  i):  «  Pontificalmente  e'dissegli  ».  Expl.  (e.  197  v): 
n  per  andare  a  campo  a  Uostia  ».  «  Ex  libris  Fran*^'  de  Puccìis  » 
sul  frontispizio.  B' 

Napoli.  —  Bibl.  Brancaccìana.  Ms.  ii,F,  io.  Cartaceo,  in-^,  ^cc.  xvii 
(0,260X0,198).  Miscellaneo.  Contiene:  O^servationi  fatti  m  alcuni 
chiese  di  Roma  et  in  particolare  ftella  basilica  Vaticana  (ce.  1-17  nu- 
merate nel  retto).  Segue:  Stephani  \  Infetsurae  Civis  Romani  Diaria  ^ 
Rerum  Roma  |  norum  suorum  temporum  post  Curiatn  Roma-  \  nam  «t 
Gdlliisad  Urbem  reversamad  \  Alexandri  Papae  Vlcreatiofum  (ce  1-29 j 
numerate  nel  retto).  Inc.  (e.  i)-  «  Nell'anno  Domini  1294  ».  Expl. 
(e.  2926):  «  per  andare  ad  campo  d'Ostia  a.  Indi  segue  dopo  una 
linea  tracciata  ad  inchiostro  e  la  nota  marginale:  «q"  è  postilla  »: 
w  quale  hebbe  finalmente  in  suo  potere  il  card'"  S"  Pietro  in 
a  Vincula  passo  in  Francia  ove  stette  tutto  il  pontificato  di  .\lcxan- 
«  dro  6"  li  fu  da  s.  Fran"  dì  Paola  chiamato  in  quel  tempo  in 
•  Francia  da  Ludovico  XI  predetto  il  pontificato  che  lo  consegui  : 
K  et  si  chiamò  Giulio  secondo  fu  pontefice  di  gran  cuore  et  di 
«grandissimo  valore;  adduraò  i  Francesi  et  ì  Venetiani  in  gran- 
«  dissima  maniera,  ritrovandosi  sempre  in  persona  sotto  ti  Padi- 
»  glionì,  et  nelll  exercìti  per  difesa,  et  recuperatione  dello  Stato 
«  Ecc"  et  della  giurisdltione  di  S'»  Chiesa  &  ».  B* 

Berlino.  —  Kftnigl.  Bibl.  Cod.  Beri.  ital.  fol.  J7.  Lib.  36  delle  cosi 
detti  Iti formaiioni  politiche.  Cartaceo,  in-4,  sec.  xvn  (0,000X0,000) 
(acquistato  nel  1699.  Cf.  Wilken,  Geich,  d.  Berliner  BihU  p,  55, 
È  quello  citato  dall' Eccardo,  loc.  cit.  II,  pref.  S  xxvii).  A  e,  5: 
Stephani  Infessurae  Cit*is  Romani  |  Diaria  Rerum  Romanarum  usqiu 
ad  Alexandri  Papae  Sexti  Creatiot/em,  Vi  manca  ti  principio.  Vi 
è  premessa  un'  aggiunta  di  4  fogli,  scritti  d'altra  mano  in  cor- 
sivo: Diario  delia  Città  di  Roma  di  Lelio  Petronio,  Stefano  Inf^ssura  t 


r  suol  anUnaii,  (Donde  fosse  V  Eccardo  ebbe  ansa  a  congetturare  del 
Peironi  e  (li  Paolo  dello  Mastro:  «  omnes  tres  successive  scribas 
«  Senatus  populiquc  romani  fuissc  verosimile  est  o).  Inc.  (e.  2): 
«  NelVanno  Domìni  mille  dugento  novaniaquattro  ».  Expl.  (e.  4): 
Ka  regnò  otto  anni  nel  papato  ».  Inc.  (e.  5):  «r  Pontificalmente  et 
lp«iiìs5Cglì  ».  Expl.:  «  per  andare  a  campo  ad  Ostia  ».  B' 

OLOGNA.  —  Bibl.  Universitaria.  Ms.  n.  848,  )n-4  (i).  Cartaceo,  se- 
colo xvn  (0,197  ■  Oi26o),  rilegato  in  pergamena,  di  carte  245  nu- 
merate. A  e.  I  rèi!  titolo:  SUpham  Infesturat,  Ciz'is  Romani,  Diaria 
rerum  Romatiarum  suorum  Umporum,  post  Curiam  Romanatn  ex  Gal- 
liis  ad  Vrbetn  reversam  usquc  ad  AUxandri  PapiU  Sexti  cnationem. 
Inc.  (e.  2  v):  «  Nell'anno  del  Signore  mille  ducento  novanta- 
quattro tt  (2),  Expl.  (e.  245)  :  «  per  andare  a  campo  ad  Ostia  ».  B^ 
toMA.  —  Ms. cartaceo  del sec.  XVI  (0,307  )<o,iio). SUphanxlnfessurat  \ 
Civis  Romani  Diaria  renwi  Romanuntttt  \  suorum  Umporum  \  Post 
Ciitiam  Romanam  ex  Galliis  ad  Urbem  reversam  {  usqtte  ad  AUxan- 
dri Papai  Sexti  creationem  \  Vi  manca  il  principio.  Inc.  (e,  i):  «  Pon- 
«  tìfìcalmente  e  dissegli  a,  Expl.  (e.  218  v)  :  «  per  andare  ad  campo 
«  ad  Ostia  ».  Dalla  p.  loo  appariscono  vestigi  di  numerazione 
antica,  che  giunge  colTultima  carta  n.  199.  Proviene  dalla  biblio- 
teca Gentili  del  Drago,  venduta  in  p.irte  al  libraio  Paync,  in  parte 
al  comm.  Corvìsieri,  che  acquistò  con  altri  cartacei  questo  ras. 
a  me  ceduto.  La  scrittura  n'è*  buona,  ma  l'acido  dell' inchiostro  i 
roso  spesso  la  carta  lun,2;o  le  lince,  spandendole  attorno  di  colore 
giallognolo  scuro,  più  particolarmente  verso  le  ultime  carte.  Offre 
in  genere  assai  buona  lenone;  conserva  molte  forme  del  volgare 
romanesco,  e  anche  dove  Tamanuense  non  fu  esatto  o  fu  men  fe- 
lice interprete  delle  abbreviature»  dà  agio  a  congetturare  la  con- 
dizione del  testo  più  antico  da  cui  fu  trascrìtto.  C 
Bibl.  Chigi.  Ms.  G,  II,  62.  Cartaceo,  sec.  xvi  (o,j07  ■  250), 
rilegato,  col  dorso  in  cuoio  giallo  e  le  coste  di  tavola.  Consta  di 
carte  262  numerate,  ad  eccezione  delle  tre  uUime,  cominciando 
la  numerazione  dalla  e.  37  e  terminandosi  alla  296  bianca.  Sulla 
copertina  :  «  La  presente  Istoria  è  copiala  da  un  antico  mano- 
n  scritto,  eh*  è  in  mano  del  s.  Angelo  Rovellìo  da  Camerino  ». 
Inc.  (e.  }8):  «  Historia  |  In  forma  di  Diario  di  Stefano  ]  Injessura 


(!)  Nel  cod.  519:  Conctavium  Ada  ab  Eugenio  !V  ad  Gregorium  XIII  e  In- 
ikerìu  «queliti  parte  de)  diano  dell'I  11  fi>«sura  che  va  dal  <)  agoMo  al  39  novembre 
4«1  1484- 

(t)  M  coptftla  «vera  kcrìtto:  •  cinquantaqualtro>.La  correKioi»iembr«  Ji  roano 
tlncrona. 


5o8 


O.   Tommasini 


Cittadino  Romano  :  «  Pontificalmente,  et  disscgli  ».  Expl.  (e.  :^j  v]' 
«  per  andare  ad  Campo  ad  Ostia  »».  C* 

Bibl  sudd.  Ms.  G,  II,  6t,  cartaceo,  sec.  xvu  (o,2J7  XaM. 
di  carte  461  numerate.  Stepbani  ìnjtssunu  \  Civù  4t  5cHhai\h' 
puìi  Romani  \  Optra  \  ctim  suii  htàitiìtus  |  LocupUtiisimii.  Nel  foglio 
successivo  distingue  le  opere  nelle  seguenti  pani:  SitmoruBisk- 
riche  dal  13^4  sino  al  14S4  (p.  i).  -  D«  Beilo  commisso  inttr  Pa^ 
Sijctum  iiij  et  Ferdittandum  Rc^em  Néapolis  Lihir  unicus  -  Oùm 
suorum  temporum  -   Fragmmta  latina  tt  italica  Pontificatai  Akian- 
dri  VI.  Inc.  (e.  i):  «Nell'anno  Domìni  1204  »••  Expl.  (e  4)2".' 
u  et  egli  si  chiamò  Giulio  i^  «.  Il  ms.  distingue  i  franimcntt 'ii  cuj 
ò  composta  l'opera  dell' Infcssura  come  tante  parti  iii^l  : 
Il  copista  vuol  essere  spesso  anche  un  racconciatore»  cLc 
far  scomparire  le  lacune,  e,  dove  non  può  dare  uniti  fonnilcilU 
storia,  ne  presenta  i  brani   come    indipendenti  rune  dall'ilio' 
Chiude  ogni  parte  con  un  Indtx  \  Rerum  metnofdhilium  0  cos  ufi 
/fidici  ddU  cose  piii  singolari,  secondo  che  questo  seguiti  iJ  -1 
frammento   latino  od  italiano  (ce.    173-1.S8,   227-254,  400-43''^- 
4>5-46i   r).  E  come  incorpora  il  principio  che  si  trova  ÌdR,*!' 
giunge  in  fine  U  postilla  dopo  il  comune  expl.  :  a  per  tnàvt  t 
«  campo  ad  Ostia,  quale  hebbe  finalmente  in  suo  potere.  Il  ^ 
R  dinaie  dì  S.  Pietro  in  Vincoli  passò  in  Francia,  e  vi  5t  ' 
«  il  pomìócato  d'Alessandro  VI,  e  li  fu  predetto  il  poutu; 
«  consegui  poi  da  s.  Francesco  di  Paola  chiamato  in  quel  ict?" 
a  in  Francia  da  Ludovico  XI;  et  egli  si  chiamò  Giulio  2''»;iiin»'" 
mente  racconcia  le  forme  del  volgare  e  del  latino  secondo  f*^' 
matica.  " 

BlbL  Corsini  i}44,  segn,  58  E,  21,  cartaceo,  secolo  tm.  •*> 
carte  $15  (0,197X0» '49)-  Somntario  di  Diarii  \  d*aUun 
daìfanno  1294  sino  al  14^4  \  autore  |  SU/ano  Jnfissura  \  ti  i  — 
gistri  \  civium  Rontanorum  cum  Compendio  ntué  AUssanin  é\" 
Compendio  non  Vho  messo  perche  non  Vbo  stimato  bene.  Inc.  (ci') 
«  Neiranno  del  Sig'*  1294  •.  Expl.  (e.  114  v):  «  per  porvi  il  «nipc 
«  ad  Ostia  ».  Lo  scrittore  non  solo  compendia,  ma  sopprime  non 
di  rado,  con  animo  d'apologista  ecclesiastico.  Più  spesso  tnc^' 
amplifica  da  ceremoniere,  assumendo  anche  particolari  dal  di'^ 
dì  Paolo  dello  Mastro: 


l-UioNE  coMuirr. 
■  Dell'anno  1475  »  di  6  di  iennaro 
re  Ferrante  venne  sd  Roma  tllo  per- 
dono • . 


Coà. 

•  »475-  fo  SI  p»  «nno  «irtot^»* 
celebrasse  dì  15  aimi,  ardali*^ 
Paolo  3*  e  coimucitto  daSJitot*^ 
6feiinaro  ^'eoae  ir  re  FetTiMCfl^** 


//  diario  di  Stefano  Infessura 


509 


•  E  lo  papa  colli  cardinali  lo  rece- 
perono  nelle  «cale  di  Santo  Pietro,  e 
collo  detto  imperatore  der^-tto  a  lui 
ci  giva  la  itiipcrairìce  sna  sposa  fi- 
gliaola  del  re  di  Portogallo,  iovane 
polita  e  bella,  tanto  quantu  %\  potesse 
dire,  con  molte  donne  e  damicclle,  et 
dopo  lo  imperatore  fa  collocato  in 
quello  palazzo  che  sta  sopra  le  scale 
di  Saato  Pietro  • . 
«(1464)  fo  fatto  papa  Paolo  U  car- 
dinale dì  S.  Marco  nipote  di  papa  E\x- 
genio  venetiano  • . 


• ..  e  andomo  alle  scale  di  S.  Pietro,  1 
capo  delle  quali  stara  il  papa  eoa  i 
cardinali,  e  l'imp"  gli  andò  a  baciare 
i  piedi.  Poi  l' imperatrice  clic  era  bella 
oltremodo  e  cirrondata  dalle  sue  dame 
e  damigelle  s' ingìaocchió  avanti  al 
papa,  gli  baciò  il  piede  e  la  mano,  e 
poi  assise  a  canto  alKimp"  quale  dopo 
fu  collocato  in  quel  palazzo  che  sta 
sopra  le  scale  di  S.  Pietro  •  . 
• ...  fu  fatto  papa  mona,  di  San  Marco 
venetiano  ncpote  d'Eugenio,  cai  pose 
nome  Paolo  II  quale  conce&se  la  ber- 
retta rossa  ai  cardinali  • . 


Ne]  notamenio  dell'anno  1478,  «  die  quatta  tnaiì  morse  ms. 
a  Pietro  de  Cesis  senatore  di  Roma  »,  manca  la  menzione  del- 
l'autore del  diario  che  si  trova  in  tutti  gli  altri  codici  :  tt  et  in  quel 
n  tempo  io  Stefano  Infessura  stava  per  podestà  di  Oria  ».  Ma  la 
vera  caratteristica  di  questo  ms.  è  Tesser  tutto  volgare,  trovan- 
dovisi  recato  in  italiano  il  BcUum  Sisti  IV  e  tutte  le  altre  parti 
che  trovansi  latine  negli  altri  manoscritti.  E  non  fu  senza  utilità 
averlo  a  riscontro,  giacché  non  di  rado  servi  a  raddirizzare  qual- 
che lezione  di  nomi  propri  che  nei  testi  latini  si  presentavano 
assai  guasti.  C3 

Bibl.  Casanatcnse.  Ms.  XX,  VI,  7,  cartaceo,  secolo  xvni  (0,261 
Xo»i9i)t  di  carte  445  numerate,  più  tre  in  principio  (i,  n,  iii), 
sulla  prima  delle  quali  è  il  titolo:  Suphanì  Inftsture  Civis  Romani  Dia- 
ria  \  Rerum  Romanarum  suorum  Umporum  post  Curiam  \  Rctnatìam 
ex  Galìis  ad  Urbein  rcv^rsam  ustjue  j  ad  Alcxandrt  Papae  Scxti  Crea- 
tionem,  Inc.  (e.  r):  t»  Nell'anno  Domini  mille  ducente  novanta- 
«  quattro  ».  Expi.  (e.  443  v)  :  «  per  andare  al  campo  di  Ostia  n.  C* 
*^  AXKOVER.  —  Bibl.  Reale  (Kònigl.  Biblioth.),  arm.  V,  s  (cf.  Archiv^  I, 
467):  Diario  ddU  città  di  Roma  di  Stephano  Infessura,  e  suoi  Antc^ 
natii  Scriba  del  popolo  e  Settato  Romano  dove  si  vedi  li  maggiori  suc- 
cèssi della  suddetta  città  di  Roma  t  di  tutta  Europa  in  tempo  delli  infra 
scritti  pontéfici,  Bonifacio  l'Ili,  Benedetto  XJ,  Clemente  K,  Urbano  V, 
Gregorio  XI,  Urbano  VI,  Bonifacio  IX,  Innocetttio  VII,  Gregorio  XII, 
Alessandro  V,  Giovanni  XII  detto  XIII,  Martino  III  detto  V,  Eu- 
genio IV,  Nicclao  V,  Calisto  III,  Pio  II,  Paulo  li,  Sisto  IV,  Inno- 
centio  Vili,  Alessandro  VI.  Inc.:  «Nell'anno  Domini  mille  dugento 
«  novanta  quattro  ».  Expl.:  (f  per  andare  a  campo  ad  Ostia  ».  È  il 
testo  pubblicato  dall'Eckhart,  alla  cui  edizione  mi  riferisco  nel 
citarne  le  lezioni,  sembrando  quella  condotta  con  grande  fedeltà, 
quantunque  salti  non  di  rado  agli  occhi  qualche  svarione  soprat- 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  wtoria  patria.  Voi.  XI.  34 


510 


O.   Tommastni 


tetto  rispetto  all'interpretazione  dei  nomi  propri  e  delle  zbbrc- 
viature.  L'Eckhart  nella  prefazione  (t.  II,  5  xvii)  cita  un  «coJe 
a  Berolincnsìs,  quem  postca  nacti  sumus  n  del  quale  si  gioi'à  io- 
siexne  coirHannoveriano  per  redizìone  sua.  Evìdenicracntc  t  il 
medesimo  citato  m\V Archiv^  VIII^  852,  n.  57.  -  E 

Firenze.  —  Bibl.  Naz.  Cod.  CXXVII  Gino  Capponi,  cartaceo,  del  «■ 
colo  xv]ii,  ìn-fol.  (0,260  X  o»i9o).  Ji  carte  92  numerate  È  il  quinte 
tra  sei  volumi  di  diari  compresi  sotto  il  medesimo  numero.  Con- 
tiene  il  Diario  di  Antonio  de  Petris  (1404-1413),  Segue  {c^J^' 
Diarii  delle  cose  succedute  \  tifila  citta  di  Roma  aUributti  ii  Sujt*' 
Infessura  \  DalV Anno  i3^^,sino  aU'Atmo  i)S^.  Nel  retto  dellicii: 
Altro  principio  di  Diarii  di  Stefano  Infmura  come  sta  nel  Codut  f'iti- 
catto  68ai  pa.  j8.  Inc.  (e.  58):  a  Pontificalmemc  e  dissclì •. Bxpl 
(e  6ó)i  «e  mori  a  Peroscia,  lo  quale  &  w.  Indi  è  notito  •$<* 
agutta  come  addietro  in  mezzo  alla  facciata  terza»,  ^tx»^^ 
bianche  le  ce.  61  v  e  62.  A  e.  6j  :  Diarii  di  Stefano  Jnftisuré  \  DtH 
cou  succiuiute  nella  città  di  Roma  |  doppo  il  ritento  delU  ' 
Avignone  I  sino  alla  creatone  di  Papa  Aìcsattdro  Siilo  j  t' 
lingua  Volgare  daJl'anno  \  140}  alVanno  148^,  Segue  (e  Ijp)-^- 
bello  commisso  etc.  Expl.  (e.  1  $ )  r)  !  «  per  andare  a  campo  Jd Ositi*- 
Seguono:  Annali  Romani  dai  1422  al  14S4  di  Paolo  de  MafiUtiS,^ 
Paolo  Pcirone,  del  Notaio  dell' Antiportico  (sic),  di  SehasUam  à%r»i* 
de  Tellini,  ed  altri  copiati  dal  cod.  Vat.  6825.  ^ 

BibL  sudd.  (sezione  Magliabechi).  Ms.  II,  III,  422,  Magl.XXXVIl. 
},  61,  cartaceo,  sec.  xvi,  in-fol,  (0,280X0.210),  di  carte  j6i  w?: 
numerate:  Historia  |  In  forma  di  \  Diario  \  di  \  Sttfano  iHjtssurtO^ 
tadino  \  Romano.  Inc.  (e.  i):  a  Pontificalmente  et  ditscglì  •.  Esf' 
(e.  565):  «  per  andare  a  campo  ad  Ostia  ».  f 

Bibl.  Riccardiana.  Ms.  11 82,  cartaceo,  in-4  (oi,28oVo,2»d),Ì(' 
sec.  xvui,  di  cane  510  numerate  di  diversa  scrittura;  postenon 
nelle  ce.  1-^65  inclusive;  anteriore  nelle  ce  367-510,  cod  quil^^^^ 
quaderno  del  sec.  xvii  e  xvl  Sul  retto  della  carta  che  serve  d' 
guardia  è  scritta  la  seguente  nota:  «  Si  averte  il  cortese  Icwo» 
•  che  in  questo  hbro  vi  sono  moltissimi  errori,  o  sicno  dell* 
«  o  dello  scrittore  j>.  Nella  prima  carta  k  il  titolo:  Suph*^ 
sure  I  Cii'is  Romani  Diario  rum  Romanorum  |  suorum  tempomm 
Cun'am  Romanam  ex  Galliis  ad  \  Vrhtm  revenam  usqua  ad  Ah 
Papae  Sexti  Creationem,  «  Vi  manca  il  principio  d.  Inc.   (e. 
K  Ponùfìcalmente  et  dissegli  ».  Expl.  (e.  Sior):  ir  de  quo  idhv> 
v  sub  iudice   lis  est  |  de  praecedentia  Inter  eos  nondum  decisi 
«  fol.  222  ». 

Roma.   —   Bibl.    Ferraioli   Ms.   cartaceo,   rilegato  m    pcrgsoKOi 


//  diario  di  Stefano  Tnfessura         '"  511 


K 


,  XVII  (0,240X0,186)  ;  à  scritto  sul  dorso  :  «  Infe.  324  »  ;  di  carte 
2x0  non  numerate.  Contiene:  Diarii  ài  Stefano  Infessura  Cittadino 
Romano  d^lìe  \  Cose  di  Roma  de  tempi  suoi  dof>ò  il  ritcrno  di  \  Francia 
d4Ìla  sedia  a  Roma  fino  alla  |  Creations  dipapa  Alessandro  6.  Inc.  (e.  i  r): 
«  Nello  anno  del  Sig/*  1 294  nella  vigilia  di  Natale  ».  Expl.  (e.  162  v): 
1'  «  per  andar  a  campo  ad  Ostia;  finis,  finis  ».  Sef^ue  della  stessa 
mano:  Diano  dsl  viaggio  fatto  dal  S/  Card.'  Pietro  Aldobrandino  \  nel- 
Vandar  a  Fiorenza  legato  di  N.  S/*  per  la  celebraticne  delle  \  no^\e  della 
Regima  di  Francia  \  e  di  poi  in  Francia  per  la  Pace.  Segue  similmente 
(e  175  r)  :  Ragioni  de'  Pretendenti  a  i  Ducati  di  Mantova  e  Mcu- 
ftrra  \  to  per  via  di  successione.  II  ma.  altera  le  caratteristiche  del 
volgare,  adattando  il  testo  alle  forme  grammaticali.  Sopprìme  le 
parole  in  lode  del  Porcari  all'anno  1453;  ^^^^  ^^  versione  della 
fazione  orsinesca  all'anno  1404;  non  à  rubriche  marginali.  F? 
Bibl.  sudd.  Ms.  cartaceo,  scc.  xvii  (0,280  ■  0,200),  rilegato 
in  pergamena;  à  notato  sul  dorso:  H.  H.  Diart  diversi;  di 
carte  i  j6  numerate  nel  retto;  assai  guaste  dairumidità  dalla  141 
in  poi.  Le  prime  otto  carte  sono  bianche  e  non  numerate.  Segue 
un'altra  carta  non  numerata  in  cui  sì  à  la  Tavola  de  qtuìlo  sta 
Intjuestc  I  libro.  Ac.  i  :  Ex  tribtu  Antiquis  Paf^inis  cuiusdam  Diarii  \ 
CenUlis  Delfini  ab  Archiepiscopo  Columna  datis  \  Inceriis  Atttoris. 
a  Questa  scrittura  io  la  hebbi  dal  S.'  Fabritio  Boccapadula  quale 
«  la  copio  nel  medemo  modo  come  lo  trovato  da  lui  et  prima  n. 
(Cf.  Muratori,  SS.  Ili*,  842-846).  Segue  la  Mesticanza  di  Paolo 
di  Liello  Pctroni.  Ine  (e  s)'  "  S*'  certo  che  ve  recordate  ».  Expl. 
(e.  28  r)  :  «  fo  chiamato  monsignor  de  Bologna  ».  Segue  (e.  2S  v)  : 
Memoria  de  occorrense  alla  giornata,  Inc.  :  «  A  di  .xxv.  de  iugno 
«  .KCcccLXXXii.  mori  papa  Pavolo  secondo».  Expl.  (e.  33  r)  : 
«  tj?4.  Circa  il  principio  de  gbre  rctomo  lo  re  de  Francia  nello 
«Stato  de  Milano».  Segue  (e.  53  v):  Da  un  diario  0  mano- 
scritto quale  hebhi  dal  S.  Curtio  Muti,  Comincia  cosi  :  «  Roma 
«  caput  mundi.  Nel  tempo  de  papa  Calisto  terzo.  Nel  1457  a  dì 
«  9  Sb""*  et  fo  de  lunedi  ».  Expl.  (e.  38  r)  :  «  et  a  di  14  se  parti 
«per  Napoli  a  (Frammenti  pubblicati  nel  Diario  di  Paolo  dello 
Mastro  (Cf.  Buonarroti,  1875,  X*,  114-166).  Segue  (e.  39):  Da  utt 
altro  diario  0  quinteruetto  avuto  pure  dal  S:  Curtio  Mutti  trov^'> 
cosi:  ■  Nel  tempo  che  in  Avignone  la  corte  Romana  faceva 
m  residenza  »,  Expl.  (e.  43  v)  :  a  scindici  2  »  (Cf.  .Muratori,  A.  J,  II, 
8;6-86i).  Segue  d'altra  mano  con  nuova  numerazione  (e.  i)  : 
Historic  avanti  che  la  Cortt  gisse  in  Francia.  «  Manca  lo  principio  ». 
Ine,  (e.  740):  a  Pontificalmente  et  dissegli  ».  Expl.  (e.  74  v)  ; 
M  per  andare  a  campo  a  Ostia  j».  Segue  (e.  7j)  Il  Diario  di  Stia- 


O.   Tommasini 


stiano  ili  Branca  de  Talinù  Expl.  (e.  95  v):  «questi  gctJiUomìm^ 
romani  ».  A  e.  94  segue:  «  Gennaro  .mcccclxxxi.  A  d\  jo  ia- 
s  nuarii  suspensus  fuit  Colutìa  »  {Diario  del  Notaio  d/ì  Xantiposlo), 
ExpL  (e.  Ili  vj  :  n  allì  25  luglio  morì  papa  Innoccntio  n.  Seguono 
(ibid.):  Attnali  di  Vittrho  copiati.  Inc.  (e,  ni  v):  o  Erano  detti 
«  viterbesi  arditi  ».  Expl.  (e.  117  v):  v  guastando  tutti  li  beni  de  fori 
0  poi  detto  imp^*  etc.  ».  Segue  postilla:  a  Non  trovo  più  scritto 
ir  in  questo  libro  prestaiome  da  Hipolito  Sasso  et  Fulvio  de  Ar- 
ti caugeli  a  me  Gio.  P'**  Cafarello  questo  presente  armo  1602 
a  et  da  me  copiato  de  mia  mano  tutto  ».  Allo  estremo  intemo 
del  foglio:  «  De  libro  ultimo  Bullarum  messo  in  altro  loco  ». 
Seguitano  tre  carte  bianche  ròse  da  tarli.  Indi  (e.  121)  :  Captato 
questo  diario  de  verbo  ad  verbum  conforme  stava  scritto  in  un  libretto 
hngho  àé  jogìio  piegato  coperto  in  carta  turchina  avuto  dal  s:  AU- 
Sandro  Orsino  che  sta  con  II  Car^'  Odcardo  Farnese  quale  haveva 
avuto  dal  5'  Aptelo  Colei  (sic)  che  se  presopone  fosse  fatto  da  uno  dt 
casa  loro.  Inc.  (e.  121):  «  Mecordl  a  di  p°  Xbre  1 521  fu  de  domc- 
«  nìcha  ».  Expl.  (e.  155  v):  «e  calonici  con  La  vardia  a  cavallo  ». 
Dalla  e.  126  sino  al  fme  i  fogli  son  guasti  e  disfatti  dall'umido. 
In  fine  si  trovano  alcuni  fogli  scuciti,  che  contengono  compi- 
lazione di  notizie  relative  alle  famiglie  de'  Frangipani  e  Benzooi. 
CoraVmerge  dalla  postilla  citata  alla  e.  1 17,  questo  codice  fu  scritto 
di  mano  di  Giovan  Pietro  Caffarellì  e  nella  famiglia  de*  CaffarcUi 
conservato.  Appartenne  poi  a  Pietro  Ercole  Visconti  (i).  F* 

Roma.  —  Bìbl.  Naz.  V.  Emanuele.  Ms.  ^04,  XVIII,  fondo  Gesuiti 
cartaceo,  sec.  xvii  e  xviii  (0,275 Xo»2os),  *^»  ^^^rte  19}  nucnerate. 
Contiene:  Monaldeschi  Lud.  Annali  (ce.  1-12  v);  Giovan  Pietro 
Scriniario,  Cronica sinehist.  rer.  not.  Romae  (ce.  15-26  r);St£ph.  Jnfes- 
surae  Civis  Romani  Diaria  rerum  romanar.  suorum  temporum  post  cu* 
riam  romanam  ex  Galliis  ad  Vrhem  reversam  usque  ad  Alexandri  papa4 
sffxti  creationem.  «  Vi  manca  il  principio  ».  Inc.  (e.  27):  •  Pon- 
te tìficalmente  et  disscgli  ».  Hxpl.  (e.  ri4v):  tr  Die  sexta  augusti 
K  card*"  omnes  intraverunt  conclave  quod  erat  apud...  ».  G 

Londra.  —  Museo  Britannico.  Additional  Manuscripts  84  u.  Mano- 
scritto cartaceo  in-8  grande,  del  fmc  del  x  vii  secolo  (0,277  Xo,205  ). 
È  intitolato:  Jnfetsurae  Civis  Romani  \  Diaria  rerum  Romanarum 
suorum  I  temporum  post  curiiim  Ro  |  manam  ex  Gallii;  ad  \  Urbcm 
reversam  usque  \  ad  Alexandri  Papat  Sexti  |  creationem.  Inc.  (e,  1  r 

(1)  F-'u  ucquiKtBto  recentemente  dal  Mg.  mtrch.  Gaetano  Ferraioli,  che  per 
tomma  cortesia,  precorrendo  ad  ogni  mia  domanda,  me  lo  inrlò  a  sTittlio.  L' allro 
codice  F',  anche  da  lui  cortesemente  traames&omi.  fu  recente  acquisto.  Appartenne 
prima  al  ftig   prof.  Ctennarellf. 


//  'Diario  di  Stefano  Infessura 


513 


secondo  la  numerazione  presente,  ma  c'è  una  numerazione  an- 
tica contemporanea  al  ms.  che  comincia  colla  carta  127  r)  : 
t  Nell'anno  Domini  mille  duecento  novanta  quattro  ».  Expl. 
(e.  294  r  della  numerazione  moderna  e  422  della  numerazione  an- 
tica) :  ff  per  andare  a  campo  ad  Ostia  ».  Segue  il  diario  del  Mo- 
oaldeschi.  L 

Mus.  sudd.  Addidonal  mss.  8432.  Manoscritto  cartaceo  in  pìcc. 
quarto,  sec.  xvii  (0,297X0,194):  SUphani  htfesturae  |  cìu,  Rom,  | 
Diaria  Rer.  Rovianarum  post  Aulam  \  Ponti ficiam  ex  Galliis  ad  Urbem 
rci'irsam  mque  ad  Akxandri  \  PP,  FI  creationem.  Inc.  (e.  i  r)  : 
«  Nell'anno  1294  nella  vigilia  di  Natale  ».  Expl.  (e.  }66r): 
«  per  andare  a  campo  ad  Ostia  ».  h* 

Mus.  sudd.  Add,  mss.  8435,  Manoscritto  cartaceo,  secolo  xvn 
(0,280X0,200)*  Il  ms.  contiene  il  diario  dell' Infessura  e  Le  fami' 
I       gli^  nohili  delVArenuìa  dì  Castallo  Metallino.  II  diario  dell'Infcs- 
'       sura  non  è  completo,  k  intitolato:  JnudU  \  di  |  SUfano  Infissura 
Dottore  et  |  Cittadino  Romano  dclU  co  |  se  fatte   in  Italia  e  special' 
mente  a  Roma,  DaWatmo  di  Christo  .mccc.  |  fin*al  anno  .mcdxcu. 
Inc.  (e.  2  r):  Historie  avanti  che  la  Chiesa  •^iise  in  Franca,  «  Manca 
t  il  principio  ».  Inc.  :  «  Pontiftcalmcntc  et  dissegli  ».  Expl.  (259  r): 
^_c  die  4  februarii  veneruni  ambas'"'^*  Turconim  et  dictum  est  Ma- 
^^kgaum  Turcuni  in  Constantinopolì  mortuum  esse  u.  Sulla  prima 
^^carta,  ossia  2  r,  a  margine  si  legge:  «  Felix  ContAorius »  di  mano 
contemporanea  del  Contelori  stessa  :  il  nome  è  scritto  per  traverso. 
^       Nel  frontispìzio,  dopo  le  parole  f*  fin'al  anno  mcdxcii  w  e  alquanto 
più  in  basso,  ò  scrìtto  di  mano  diversa  la  postilla  «dal  137S». 
A  e.  2  r,  a  margine  accanto  all' Ìncipit,  si  legge  la  postilla:  «  Ste- 
«  fano  Infessura  |  Cittadino  Romano  j  fu  Podestà  ad  Orta  |  sotto 
«  Sisto  mi,  i,  37  «  e  sempre  a  margine  accanto  alla  parola  tt  Pon- 
«tificalmenie  »  si  legge  la  postilla:  «  di  Bonifatio  8'"  ».  Non  pare 
sicuro  che  queste  postille  siano  della  stessa  mano  che  scrisse  il 
diario.  Il  nome  «  Felix  Contelorius  »  è  di  roano  diversa.  L' 

Mus.  sudd.  Addiiìonal  mss.  S434.  Manoscritto  cartaceo  del 
secolo  XVII  (0,315X0.215).  Contiene:  Diario  \  delia  città  di 
Roma  I  di  Lelio  Petronio,  Stefano  Infesstt  )  ni  e  suoi  Antenati  \  scriba 
eUl  Pop°  e  senato  Romano.  Dove  si  vede  li  "iti^i^'.'  successi  della  sud,* 
Cina  I  e  di  tutta  Europa  in  tempo  delV  Infratti  \  Pontefici  Boni- 
fatto  niL..  S'icoUi  V.  Inc.  (e.  2  r):  «  Nell'anno  Domìni  1294  ». 
Expl.  (e.  198  v):  «  per  andare  a  campo  ad  Ostia  ».  Seguono 
poi  della  stessa  mano  e  come  se  fossero  notamcntì  del  diarista 
medesimo  (e.  199  r):  v  A  à\  primo  decembre  1521  fu  de  dome- 
m  nica  a  cinque  bore  e  tre  quarti,  mori  papa  Lione  a.  Il  ms.  ter- 


514 


O.   Tommasini 


mina  colle  parole  (e.  3)3  v.)  :  «  U  mese  di  novembre  (1561)  furono 
<t  levati  tutti  li  depositi  dclli  corpi  morti,  in  alto  delle  chiese  ».  L3 
Mus.  sudd.  Ms.  26,  802.  Manoscritto  caruceo  del  5ec.  xvu 
(0,308X0,205),  di  carte  191  numerate:  SUphani  Infiauroé  \  civis 
romani  Diaria  \  Rerum  Romanarum  suorum  Umpofum  \  Post  CurUm 
Romanam  ex  G<ìUiis  aJ  \  Urhcm  rei'ersam  usqnc  ad  Aìexan  |  dri  papi 
stxti  creationcm.  «  Extat  autographum  in  arch"  Vaiic.  I3*  CXI.  In 
«  Bìbliotheca  Vaticana,  cod.  6)89  A.  Inc.  (e.  a  r):  «Vi  manca  il  prìn- 
ff  cipio.  Pontificalmente  e  dissegli  piglia  thesauro  0.  Expl.  (e  191  r): 
((  per  andare  a  campo  ad  Ostia  4,  L* 

Modena.  —  Bibl.  dell'Archivio  di  Stalo.  Sezione  Mss.  Cod.  cartaceo, 
sec.  xvn  (0,254X0,191),  di  quaderni  numerati  54,  scritto  in  una 
sola  colonna.  Inc.:  «Nell'anno  Domini  mille  duccnto  novanta- 
«quattro».  Expl.:  «  per  andare  a  campo  d'Ostia».  È  il  codice  su 
cui  condusse  la  sua  edizione  il  Muratori  (SS.  Ili,  3*,  11x0-1252).  Il 
Bibl.  del  marchese  G  Campori.  Ms.  cartaceo  in-4,  scc.  xvni 
(0,270  X  o,20'S).  Sitphani  Jnfcssunu  Civis  Romani  Diaria  rtrum  Ho- 
manorum  suorum  Umporum.  «  Manca  il  principio  ».  Inc.:  e  Pontifical- 
«  mente,  et  dissegli  ».  Expl.  :  «  con  le  altre  artiglierìe  per  andare 
«  a  campo  ad  Ostia  ».  M' 

Venezia.  —  Bibl.  Marciana.  Ms.  hai.  App.  ci.  VI,  n.  CXLIX,  canacco 
in-fol.  pìcc.  Proviene  dalla  biblioteca  di  S.  Michele  di  Murano, 
quivi  notato  col  n.  39.  Nel  catalogo  dì  S.  Marco  fu  attribuito  al 
sec  XV;  affermazione  ripetuu  ncWArchiv  (IV,  164).  Il  MittareUi 
(Bibììolh.  codd.  iftss,  monasUrii  5.  Michaclis  Vm,  prope  Slurianum, 
p.  526)  Tascrisse  al  sec.  xvi;  forse  è  degli  ultimi  dì  questo  secolo 
o  de^  primi  del  scc.  xvii.  Inc.  «  Manca  Ìl  princìpio.  Pontificai- 
M  mente  et  dissegli  ».  Hxpl.  :  ir  per  andare  ad  campo  ad  Ostia  ».  M' 

KoMA.  —  Arch.  de*  Cerimonieri  pontifìci.  M.  4.  Sul  dorso:  Stefatio  \ 
Infessu  I  Diario,  voi.  CCCLI,  t.  1°.  Ms.  cartaceo,  sec.  xvj  (0,540 
X  0,250).  In  fine  vi  è  inserto,  scucito,  VAnnaU  dt  lo  anno  1^75  di 
Ludovico  Motiaìdcsco  da  Onncto.  Inc.:  «  Pontificalmente  et  dissegli  » 
Expl.  :  ff  per  andare  a  campo  ad  Ostia  ».  M? 

Arch.  sudd  Ms.  A  i.  Cartaceo,  del  sec.  xvui  (0,298x250), 
di  carte  non  numerate.  Sul  dorso:  Vohimt  CCCLIL  Tomo  II 
Diarj.  Diario  d' In  fessura  \  Annali  Monaldéschi.  |  R^a^.di  Roma  |  7m- 
polo.  Nell'intorno;  SUphani  Infcssurat  \  *  \  Civis  Romani  Diaria 
Rtrum  I  Romanor,  \  suor.  \  Umporam  \  post  Curiam  Romanam  ex 
Galìis  \  ad  Vrbem  rcvcrsam  usqut  ad  \  AUxandri  papae  Scxti  erta- 
iionem.  Da  altra  mano  nel  margine  estemo  è  annotato:  v  con  le 
a  apostìlle  in  |  lettera  più  formata  |  di  un  certo  male  |  contento 
«  de' Romani».  Inc.:   «Nell'anno  Dni  mille   ducenio   novanta 


//  diario  di  Stefano  In/essura 


JiS 


'ìsr 


**  4)aattro  a.  Expl.:  n  per  andare  a  campo  ad  Ostia».  Nella  ri- 
■^  5^arda  si  trovano  le  seguenti  note  :  «  Authorem  memorat  Ciaccon. 
^^  in  Vi:.  Poniif.  io  Vita  Si«i  IV,  fol.  tiyi,  Iht  C,  in  Vita  Innocen- 
"•«  tiì  Vili,  fol.  1316,  Utt.  /.  Diario  di  Stefano  Ih  fessura  deWanuo  13^4 
^  sino  aU'antio  J494.  V'è  n'un  nella  libraria  Rosi  et  de  su  lessi  il 
^m  p°  d'aplc  1642  al  quale  manca  il  principio».  Annali  di  Lodovico 
■^tonaldeichi  daìl  1527  sino  ai  1^40.  -  Relaiicne  di  Paolo  Tifpcìc  sopra 
-M^io  4  pio  V  e'  cardJ*.  «  Un  scpolchro  della  famiglia  Infessura  si 
V  vede  nella  chiesa  dì  S.  M.^  in  Vìalata  avanti  d^arrivare  alla  porta 
«F  della  sagrestia  con  Tarme  infrancta  se  mal  non  mi  ricordo  ».  E 
segue  il  disegno  cognito,  te  II  diario  dì  Monaldeschì  dal  1324  al  1340 
*  è  in  fine  del  presente  volume».  Questo  ms.  i  singolare  impor- 
tanza, perché  presenta  come  nota  marginale  di  postillatori  alcun 
inciso  che  in  altri  mss.  entrò  a  compeneirarsi  nel  contesto.  M* 
-^k-:i>OLi.  —  Bibl.  Naz.  Ms.  X,  D,  25.  cartaceo,  secolo  xvn  (o.joy 
X  0,322),  in-fol.  Nel  retto  della  ci  è  il  titolo:  Suphani  \  Infes- 
sura Diaria  |  Rerum  Romanorum  \  post  Curiam  a  Gallis  reversam  \ 
usqtu  ad  I  Akxandri  papat  VI  \  Crtaiicnem.  Inc.  (e.  2r):  «  Nel- 
n  l'annoDomini  mille  ducente  cinquanta  quattro  ».Expl.  (e.  144  v): 
«per  andare  a  campo  d'Ostia».  Seguono  (a  e.  217):  Diario  di 
Ludovico  Mottaldesco,  -  ReJaiiotii  delU  differtn^e  tra  Paolo  V  e  Femxia 
al  j6o^.  -  LetUra  del  card,  dì  Parma  sulV accomodamento  tra  Paolo  V 
$  Vette^a,  -  Discorso  delle  differente  tra  Paolo  Ve  Venezia.  In  fine  è 
la  nota:  «  Delli  manuscrini  del  signor  Maurilio  d'Asti  s*è  otte- 
^^^^        «nuta  questa  copia  nel   1660».  N 

*^  OUA.  —  Bibl.  Vat.  Ms.  Vat.  Ottob.  11 16,  cartaceo,  sec  xvin  (0,304 
X  0,202),  di  ce.  190  non  numerate.  Stephani  Infessurae  \  Civis  Romani 
Diaria  rerum  Romanarum  \  suomm  tcmporum  \  post  Curiam  Roma- 
nam  ex  Gallis  ad  Vrhem  \  rei'ersam  usqw  ad  Aìfrx"  papae  \  sexli  crea- 
iionem,  «  Vi  manca  il  principio  ».  Inc.  (e.  i  r):  «  Pontificalmente  e 
«disseglì».  Expl.  (e.  189 v):  «per  andare  a  campo  ad  Ostia».  I 
titoli  delle  rubriche  marginali,  in  cui  i  popolani  di  Roma  son 
più  spesso  chiamati  romaneschi,  appanenp;ono  all'amanuense.  Per 
es.:  «  Insolenze  de  Romaneschi  -  Romaneschi  a  M.inno  -  ...  ca- 
«stigo  de*  Romaneschi  -  . ..  libertà  de'  Romaneschi  ».  Talvolta 
l'amanuense  postilla.  Il  consìglio  d'acconciare  Castello  dato  a  Bo- 
nifacio IX  vien  notato  come  «  conseglio  savio  ».  NelTultima  parte 
del  diario  si  trovano  insinuazioni  che  non  appaiono  in  mss.  più  an- 
tichi e  sono  manifeste  Interpolazioni  del  Burcardo.  A  e.  i65,adesem- 
pio,parlandodel  cardinal  Farnese,  fatto  cardinale  da  Alessandro  VI, 
vien  chiamato:  «  consanguineum  lulìae  bellae  eius  concubinae, 
«  quìn  imo  cratfr.  diete  luliae  et  fuit  postea  papa  Paulus  3"».    O 


r 


(FvmtÙGtanùS^àtSamA  L.IL>.  Ami^  \  M si^ kfinn 
Dw^nit  CìntHmt  gnMif  \dÉBt€mtftatmÙa^a^$cidm^t 

Citte  àaoo  «doppia  mitaoAiiope.  La   pift  andica  ti  ili  il  UJ 
al  37^  La  pìA  BodcTM  «UÌTs  al  i66n  praacgueado  per  odÌK 
■ndw  dove  Timka,  pò*  quatttvrx&d  cane  è  hncmsna.  ^sc:  ■  ^(^ 
•  tìficaloiaMev  et  £se^  •.  £ap4-:  «pcraniare  a  camposOnu». 
ìa  maf^bc  al  priiidpM»  si  l^ge:  «  Strphano  Infessiua  citui^ 
«iqnnD  fii  potetti  ad  Ona  sooo  XyslD  Oli  ».  )«dli  kòane  B 
fBLpKCKitta  ittoha  aaalo^  codO;  cotac»1c  eoo  <|ocsn} od pit!^ 
CBCtterasid;  è  p«&  acurtcaoc  NeiTkKc^olaxknw  rtUtiv^  ^  cui 
(e  r6|)  quoti  rien  deirto  :  «  coosaiigimieQm  loHae  bcIUc 
coocnbasasD  s.  La  sonora  è  di  dae  qnafici  :  la  prima  v»^ 
alla  e  29^  V.  Comincia  ralcra  alU  e.  x^  r  e  va  sìao  al  ^cc    0 
AaiLi,  —  R,   bibL  Ma.  HH,  la  a^  1086,  cartaceo,  delU  ftw  dei 
4iCC,  xv'i  (o^^OD  X<V>fc),  ìn-4  gr.  À  due  partì;  la  prima  xx0^ 

Ic  I  alla  ;5j«  Dppo  la  $54  btmca,  ripiglia  ìioa  Buava  oao^' 
aiooe  da  t  a  173.  Kctia  pcÉaa  ooipprendc  F  HiitorM  impf*^  ' 
di  I  Dùntf  I  iisiifmo  h^^as^rm  Gtalàw  JtW*.  Iflc.(c  0* <^]°^ 
m  tìficalmcnte  et  (fissegli  a.  £1^  (e  l>))-  *  po'  w^l^n  '  ^^^^^g^ 
ca  Osia  ».  Segue:  i>ìan0  |  itSTlstaria  |  <U  |  Cvmtip  dì  Ttt^  \    ^ 
lihv|^ruKi>.   Iac*  (c.   t):   «  Giidio   a**  mese   più   all'artf*^    ^ 
'      ExpL  (e  jyj)  ;  «  et  il  papa  se  ce  Usski  kttesiitre  ^  ,-<^ 

Pakigl  —  BibL  Naz.  Ms.  lat.  8988,  sulla  rì^oarda:  Goder  ^^^ 
hertinus  3^4,  Rt^im  ^30-2,  legato  in  marocch.  rosso  colle  *^\^ 
di  Colbert.  Nel  dorso  :  Diarium  SUpbani  Imfcsbinu.  Ms.  cartac^^ 
secolo  x^^^  (0,555  XOj^J)).  <!>  cane  391:  Commentarìi  ict^^ 
LV^Jll.ullm  o^  anno  .mccclxxvi.  usfu^  ad  Umpora  AUxamdri  ^^ 
anctOTi  Suphano  Infestura  ch'i  Romano  JCDCLXvra.  Inc.  (e  l)  :  e  N^^ 
«l'anno  Domini  mille  ducentonovantaquattroa.ExpL  (e  391):  <p^^ 
«  andare  a  campo  ad  Ostia  ».  Non  sembra  corrispondere  alla  à^ 
scrizione  dau  dal  Montfaucon,  desunta  dalla  nota  del  Pougct  «  e^ 
«  chronicis  bìbliothecae  Colbertìnae  »  {BibL  bibL  Mss.  CoL  1151).  P^ 

BibL  sudd.  Ms.  lai.  13755  (ancien  Saìnt-Gennaìn  fian^ass, 
Gévres,  1 16),  caruceo,  sec.  xvii  (o^soXjO»i^6)t  ^  ^^^^  S^J  (1006 
facce)  numerate.  Il  volume  è  legato  in  pergamena,  dnto  in  rosso 
sul  taglio.  Nel  i*"  foglio  à  uno  scudo  senza  stemma,  circondato  da 
diversi  accessori  e  sormontato  da  un  cappello,  sotto  a  coi  è 
scrìtto  il  titolo  :  SUpbani  \  Infestura^  \  civis  romani  dia  \  ria  nr. 
Tomanarum  \  suorum  Umporum  \  post  curiam  romanam  |  ex  GdHis 
ad  Urbem  re  \  vtrsam  uique  ad  AUxandri  \  pape   uxH  creatiomm, 


//  H>iario  di  Stefano  In  fessura 


sn 


^Bdc  (c  3  r)  :  «  Neiranno  Domini  mille  ducente  novanta  quat- 
ti tro  ».  Expl.  (e.  50}  r  e  v)  ;  «  per  andare  a  campo  ad  Ostia  ».  P* 

Perugia.  —  Bibl.  Comunale  Podiani.  Mss.  A,  30,  sec.  xvu  {0,290 
.•0,210),  cartaceo,  di  fogli  151  numerati,  con  alcune  carte  non 
numerate.  Suphuni  Infessunu  \  diaria  |  Rgrum  romanarum  suorum 
Umporum  \  post  Curiam  Romanam  ex  Galìiis  ad  Vrbtm  revtrsam  \ 
Vsque  ad  Ahxandri  papat  Sgxti  Creatiotum,  Inc.  (e.  i):  «  Nel- 
ff  l'anno  Domini  milleducento  novantaquatiro  nella  vigilia  di  Na- 

rtak  j).  Expl.  (e.  897):  «  de  futuro  bello  timetur  «.  P3 

Bibi.  sudd,  Mss.  E,  7,  sec.  xviu  (0,260X0,187),  cartaceo  di 
pagine 897.  Edi  mani  diverse  :  Tuna  va  dalla  e.  i  alla  151,  l'altra 
sino  alla  e.  16}.  Dalla  164-167  incl.  carte  bianche:  grande  in- 
curia e  studio  di  compendiare.  Dalla  167-173  si  osserva  una 
lena  mano.  A  questa  carta  s* interrompe  il  diario:  seguono 
quattro  carte  bianche.  Sul  1°  foglio  di  guardia  t  scritto  il  ti- 
tolo; sulKaltra  una  nota  del  Vermìglioli:  «  è  pubblicato  dal  Mura- 
«  tori,  Kc;r.  7/.  5fn^/.  11.  Inc.  (e.  i):  «Nell'anno  Domini  milleducento 
«  novantaquartro  nella  vigìlia  di  Natale  «.  Expl.  (e.  17  j):  «  ^deo 
^  «  quod  incontinenti  ».  P* 

H^'^i-  —  Bibl.  Na/.  Ms.  latino  12541,  cartaceo,  sec.  xvu  (0,266  X 
Oil9S)i^Ì  PP-  357  numerale,  legato  in  pergamena  (S.Germain  932). 
Inc.  (p.  i);  (t  Htstorie  avanti  che  la  corte  gisse  in  Francia.  Manca 
«il  principio.  Pontificalmcnie  e  dìssegli».  Expl.  (p.  357):  «  Ma- 
«  gnum  Turcum  in  Constantinopoli  mortuum  esse  ».  P' 

Bibl.  sudd  Ms.  latino  13752,  cartaceo,  sec.  xvn(o,2)OXO|t88), 
di  carte  465  numerate,  legato  in  pergamena  (Gévres  109).  Inc. 
(e.  34):  a  Nell'anno  Domini  mille  duecento  novanta  quattro  ».  Expl. 
(e  429  v):  a  per  andare  a*  campo  ad  Ostia  ».  Seguita  il  Diario  di 
Lodovico  Monaìdischi.  P* 

Bibl.  sudd.  Ms.  ita).  670-671,  cartaceo,  sec.  xvil  (0,245  Xo»i9<>)i 
due  tomi  di  235  e  241  carte  numerate,  legali  in  cuoio.  Inc. 
(n.  670,  ci):  «  Nell'almo  mille  ducento  novanta  quattro  »,  Expl. 
(n.  671,  e.  197V):  ce  per  andare  a  campo  d'Ostia».  Segue  (e.  202) 
il  Diario  di  Lodovico  Monaldachi  da  Orvieto  (Cf.  Mazzatinti,  Mss. 
a.  dàU  bibl  di  Francia,  p.  127).  P' 

Bibl.  sudd. Ms.  ital. 672, cartaceo, sec. xvu (0,248X0,200), di  carte 
501,  legato  in  marocchino  rosso  colTarme  di  Filippo  di  Béthune. 
Inc.  (e  I  r):  a  St^phani  Infessurae  \  Diaria  rerum  Romanarum  suorum 

a  temporum.  Vi  manca  il  principio pontificalmente  et  dissegli  ». 

Expl.  (e.  301  r)  :  «  per  andare  a'  campo  ad  Ostia  »  (Cf.  Mazza- 
tìnti,  op.  cii.).  P* 

Bibl.  sudd.  Ms,  ital.  193,  cartaceo,  dei  sec.  xvn  (0,257X0,185), 


518 


O.  Tommasini 


dì  carte  4^8  numerate,  legato  in  cuoio  colle  armi  di  Louis  Henry  de 
Loménie.  Inc.  (e.  2  r):  «  Nell'anno  Domini  mille  duccnio  cinquanta 
«  quattro  ».  Expl.  (e.  448):  «  per  andare  a  campo  ad  Ostia  ».  P* 

Roma.  —  Archivio  storico  Comunale,  Cred.  XIV,  to.  5.  Ms.  car- 
taceo, sec.  xvii-X7i!i  (o,20oXOii28).  Stóphani  Itipssurtu  |  cixn%  ro- 
mani I  Diaria  \  rerum  romanarum  \  ab  a.  .mccxciv.  ad  a,  |  .Mccccxciv, 
Alla  seconda  carta,  non  numerata,  si  trova  Tannocazìonc  :  e  Exiai 
«  autograph.  ms.  in  archiv"  Varie**  signat.  n.  CXI  et  in  bibllot. 
et  Vatic.  cod.  sign.  n.  6j8g  ».  Inc.  (e.  t)  !  «  pontificalmente  et  dis- 
cseglì  ».  Expl.  (e.  200):  ((  per  andare  a  campo  ad  Hostìa  ».  Alla 
e.  26 1  seguono  quattro  correzioni  notate  alle  ce.  1 5  6,  192,  1 28,  i  jg. 
E  dopo  cinque  carte  bianche  la  Kotiiìa  della  famiglia  Infts- 
sura,  che  termina  al  verso  del  foglio,  in  cui  è  disegnato  a 
penna  lo  stemma  della  famiglia,  che  è  di  un  elmo  nelKalto  di 
un'asta  confitta  sopra  tre  monti.  A  lato  è  la  firma:  «  Franc,*~ 
«  Valesìus  1701  ».  Il  testo  segue  generalmente  il  ms.  dell'archivio 
Vaticano  (A),  ma  aggiunge  le  forme  dialettali  non  conservate 
nel  testo  precedentemente  trascritto,  e  insinua  le  correzioni  che 
s'incontrano  nel  testo  del  ms.  bibl.  Vat.  6589.  A  e.  5,  dopo  Tin- 
testazionc:  SUphani  Infessurat  |  Civis  Romani  Diaria  rerum  Rth 
tnanantm  siwrurn  |  temponttn  post  Curiam  Romanam  ejc  GalUs  \  ad 
urhem  reversam  iisque  ad  AUxandri  |  VI  creationem^  riprende  rag- 
giunta :  <(  Nell'anno  Domini  1294  n  e  va  sino  a  e  5  :  n  et  fiiìt 
«  Benedictus  undeclmus  ».  R 

Bibl.  Vaticana.  Ms.  Vat.  6380,  cartaceo,  secolo  xvu  (o»264 
X 0.200).  Contiene:  Castallus  Metallinus.  Sotto  v'è  notato:  «  F. 
«  Abraham  Baovlus  S.  T.  Mgr.  Ordis  praed.""  Biblioihecae  Va- 
<f  ticanae  dd.  1626.  m.  ppa.  »  dalla  qual  nota  è  fatta  certa  rorìgme 
e  l'età  del  ms.  Inc.  (e.  ir):  «  Civis  romanus  unus  de  trcsdc- 
«  cim  ».  Expl.  (e.  25  r):  «  fede  severa».  A  e.  26,  Leggende  ro- 
mane: Prologo  Et  primo  capitolo  dove  se  demostra  la  \  rasciotu 
per  la  quale  questa  opera  \  fatta  fu,  «  Dice  lo  gloriosa  mis- 
K  sore  etc.  1.  Seguono  28  capitoli  sino  a  e.  87  v  :  «  lì  fu  tagliato 
et  la  testa  a  Roma  come  ve  diccrao».  Indi  è  annotato;  «  Qui  in 
tt  uno  manoscritto  che  fu  del  S.  Cardinal  Slusìo  |  seguiva  la  Vita 
H  di  Cola  di  Rienzo  sino  a  tutto  il  cap.  i  del  Lbro  2  come  si  | 
«  dice  nelP  indice  de*  capìtoli  in  principio  di  questa  istoria  >. 
Segue  a  e.  88:  Historie  avanti  la  corte  gissi  in  Francia  |  Manca 
lo  principio.  Nel  margine  supcriore  esterno:  «  vldetur  esse  | 
ff  Stephani  Infessu  ]  rac  Vide  Cod.  n.  5522  |  fol.  1  ».  Inc.  (e.  88): 
«  Pontificalmente,  et  disscli  ».  Expl.  (e,  226  v):  «  MagnumTurcum 
tf  in  Constaotinopoli  mortuum  esse  ».    È   annotato  in  Rnc  :  a  In 


//  diario  di  Stefano  In/essura 


5>9 


«  Cod.  Vat.  $532  subiunguntur  nonnulla  idìomate  italico  de  Re- 
<r  gni  Ncapolitanì  rebus  ut  vldere  est.  foÌ.  276.  |  Finis  ».  Segue 
■  e.  227  il  Diario  di  Sebastiano  Ìi  Branca  de  Talin.  Inc.:  «Conce 
«sia  de  cosa  che  essendo  discordia  tra  papa  Alessandro  sesto». 
Exp!.  (e.  272  r):  *  Gentilhuominì  romani  ».  Segue  (ce.  273-355): 
Diano  d* Antonio  Petri.  A  e.  3S5  v:  Ex  quihusàam  Diariis  incèrti 
Auctoris  olim  apud  GeiitiUm  Deìphinum  existcntiìms.  n  Desuni 
«  aliqua  w.  Inc.:  «Con  dicisette  migliara  di  cavalli  •>.  G)cp]. 
(e.  )59  V  ):  «  et  presence  li  castellani  ».  Segue  (ibid.)  :  Pauli  Ltlìi  \ 
Pitroni  diarium  \  alias  Mistican  \  ^a.  Inc.:  «  Dell'uscita  delli  Ro- 
«  mani  anno,  mccccxxxiii.  so  certo  che  ve  ricordate  ».  Expl. 
(e.  383  v):  «  fo  chiamato  mons,  Bologna  ».  In  margine:  «  qui 
*  finisce  I  il  Petronio  |  nel  cod,  dell*  |  Archìvio  secreto  |  che  è  il 
»  megliore  |  di  tutti  in  4°  \  Et  anche  nel  Vat  n.  5522  |  f,  587  j». 
Segue  (ibid.):  Mómorie  d'occorrenti  alla  giornata.  Inc.:  «  A  d\ 
«25  de  iugnio  1481  mori  Paulo  II».  Expl.  (e.  j87r):  «nello 
«Stato  de  Milano  ».  Nota  alla  e.  588  v:  «  Deirautore  del  relro- 
«  scritto  diario  »>:  «  È  citato  questo  Liello  Petrone  nell'indice  de' 
«libri  allegati  da  frai.  Onofrio  Panvinìo  nelle  Vite  de'  Pontefici 
•t  agiuntc  a  Platina.  Venne  in  luce  questo  fragmento  della  li- 
«  braria  di  Gentile  Delfino  Rom.''  dottissimo  et  ricco  di  molte 
N  belle  cose  di  curiosità  et  antichità  »  (i).  Segue  a  e.  38S  il  Diario 
dei  Notaio  di  Kantiposto:  «  lennaio  mcccclxxxi.  ».  Inc.:  «a  dì 
a  50  ianuarii  suspcnsus  fuit  Colutia  ».  Expl.  (e.  420  v):  n  alli  2$  lu- 
«  glio  mori  papa  Innocentio  ».  A  e,  421  :  Diario  di  Cola  CoììàM. 
Inc.:  «  a  di  primo  X.brc  1521  fii  de  domenica  a.  Expl.  (e.  443): 
«  iD  alto  delle  chiese  a.  Questo  ms.  conserva  meglio  degli  altri 
codici  le  forme  dialettali  affini  a  quelle  dei  Frammenta  bistoriae 
romanae,  quali  sarebbero  il  dittongamento,  rtìalgrado  la  posizione, 
della  vocale  tonica  breve  e  od  0,  U  per  W,  ecc.  La  parola  «  mis- 
«  sore  »  usata  sino  all'anno  1484  si  trova  primieramente  in  un 
notamento  di  questo  anno  mutata  in  «  missere  w:  a  missere  Liello 
«e  lacouo  della  Valle»,  forse  per  scioglimento  d' .ibbrcviatura 
fatta  dal  copista.  Inoltre  le  inesattezze  e  gli  errori  stessi  dcU'ama- 
nucnsc  autorizzano  la  congettura  che  esso  abbia  avuto  ÌDnanzì  un 
maooscritio  abbastanza  antico,  da  porgere  le  caratteristiche  della 
scrittura  degli  ultimi  del  secolo  xv  e  de*  primi  anni  del  secolo  xvi. 
Cosi  tal  volta  il  4  è  preso  per  g,  e  si  à,  per  esempio,  1469,  dove 

^Hl)  Circa  a  queste  provenienze  dalle  collezioni  del  Delfini  e  da  aver  prcseate 
qvei  che  annota  il  De  Nolhac  La  Hhliothèijue  de  Fulvio  Oryini,  p.  85  :  •  Je 
■  n*ai  pA»  reuouvc  ceuz  qui  vcnaicnt  de  Delfìni;  il»  ne  portaient  ìAnf,  doute  point 
•  é*ex-tibn'i  ■. 


pft  K\-:  '    0B  Tommasini 


■ .  fìortietuineote  iJtd  mas.  danno  1464,  Qyumdo,  lU'atmo  1441»  gli 
.jaM  Qus.  parl«nda4eIU.piee  tra  Bó^io^  IV  e  rUnpenttore  Si^ 
«ttondo.nounotvadesseze uniti  «,R'  reca:  «  hance  onid  «,  con 
..vqBHtnlfesto  errore.^ imerpretaaime  per  parte  del  copisudie  nule 
(ll^tcae  rabbrenasura  «  ad  esaere  ».  Né  per  quanto  il  Valesio  abbia 
i.  latto  «dilazione  del  testo  dell'archivio  Capitolino  con  qoeato  Va- 
'.  domo»  la  lezioi»  étl  due  manosciitti  manca  di  divergenze.  Al- 
.  Faa&ot  2405»  dove  R'  reca  :  «  aanto  Marco  delle  letame  »,  R  di 
;  .'solo:.  «  santo  Marco  «..All'anno  1407,  dopo  la  nod^  dell'eie- 
.  j^one  a  pontefice  del  cardinale  di  Cottantinopoli  «  lo  qoale  se 
.  «duam6  p^a  Gregorio  sa  v  queste  parole  die  si  trovano  in 
R'^  mancano  in  R.  Dove  R,  nel  141 3,  nota:  «  a  c&  36  di  aettem- 
«  bre  »,  R'  con  C,  M, £  nota:  «  a  cD  z6  dì  settembre  ».  Kd  1420^ 
.  dove  R*  legge  «  nnnipeti  »»R  i  :  «  rpnid  ».  La  mmte  di  Mar- 
tino V  è  posta  in  À:  «  a  di  19  fdmiarii»^  in  R'.*  «  ndl  detto 
,  .e  anno  ^  mese  »,  senza  la  menzione  del  giorno.  Si  riscontra  invece 
:4;jcmc6rdanza  più  frequente  con  SK  All'anno  1404  R'  omette  per 
incaria  la  nd>rica  de'  di  24  del  mese  d'agosto  che  si  trova  in 
'  orni  gli  altri  cOfUci.  Invece  all'anno  144B  reca  un  notamento  che 
;  4  trova  solo  in  'questo  ms.  È  probabile  che  il  ms.  G  sia  dtó- 
.  yato  da  un  apografo  condotto  sullo  8te^>  archetipo  di  R%  meno 
.acorretta  Qualche  brano  che  manca  in  C,  manca  pure  in  R'; 
come,  ad  es.,  quello  che  liferisce  la  morte  del  cardinale  di  S.  Si- 
$to  «  del  1474  a  di  $  de  iennaro  ».  Altrove,  all'anno  1452,  i  due 
.  codici  danno  : 

R.  C. 

«  et  dopo  lo  seguente  di  lo  .x.  de  «  et  dopo  Io  seguente   di  lo  .x«  de 

marzo   Io  imperatore  anco   la  detta  marzo   Io   imperatore    arr^   la  ditta 

sposa  andò  alla  messa...  » .  sposa  depò  la  messa  ». 

Bibl.  Vallìcellìana.  Ms.  I,  75  (n.  m.  00834),  cartaceo,  sec.  xvi 
(0,270  X  0,200),  di  carte  134  numerate.  Histonae  |  et  |  Diaria  \  stto- 
rum  Ttmporum  \  SUphanì  Jnfessurae  \  civis  Romani,  \  qui  futi  Po- 
Ustas  Ostiae  sub  Sixto  IV  \  summo  Pontifice,  Inc.  (C.  i):  «Manca 
«il  principio  I  Pontificalmente,  e  dissegli  ».  Expl.  (e.  134  v); 
«  per  andare  a  campo  ad  Ostia  ».  Segue  d'altro  carattere  la 
nota  :  «  Vedi  il  restante  d.*  relazione  nel  manoscritto  delle  opere 
«  del  med.°  Infessura  ove  è  la  lettera  I,  num.**  74,  pag.  147  ». 
A  e.  98  V,  lin.  8,  dopo  le  parole:  «  et  ne  deficerent  angu- 
«  stiae  in  Urbe  »,  manca  repisodio  della  morte  di  Bernardo  San- 
guigni, sia  che  il  copista  l'abbia  omesso  dì  proposito,  sia  che 
per  una  svista,   riprendendo  il    lavoro    intermesso,   abbia  luco- 


nincuto  a  trascrivere  dove  occorrevano  più  sotto  le  parole 
rtesse:  «  Et  ne  unJique  deficerent  angustìae  dictum  et  quidem 
'  affirmatum  fuit  in  Urbe  regem  Ferdìnandum  «,  ecc.  Similmente 
omesso  (e.  ITI  V,  Un.  pen)  il  lungo  episodio  dì  Falcone  de*  Si- 
Ei]baldi  a'  dì  4  di  settembre  1489  (Cf.  Muratori,  Script.  Ili, 
par.  3',  col.  1227-28;  EccARD,  Corpus  Script,  m.  aevi,  II,  1989-91). 
Ac\  notamento  w  die  19  Rbris  1489  »  manca  tutto  il  brano: 
Dcmum  dicitur  praefatum  D.  Francìschettum  0  sino  alle  parole  : 
I  non  reddere  servo  «  (Cf.  Muratori,  loc.  cìl  1230,  lin.  4-51; 
ccard,  loc.  cit.  1992,  lin.  48;  1995,  Hn.  8).  S 

Bìbl.  sudd.  Ms.  I,  74  (n.  m.  00855),  cartaceo,  sec.  xvi  e  xvti 
(0,278  X  0,210),  di  e.  2)7  di  diversa  scrittura.  Historiae  \  et  \  Dia- 
I  suorum  tcmporum  \  Stcpbam  Jnfcssurae  |  Civis  Romani  |  Qui  fuit 
itUsias    Ostiae  sub  Sixto  IV  \  summo  Pontifica  |  •  |  Acccdunt  \  Alia 
diaria  I  Sebastiani    Brancae    Felini  (sic)  |  Ab    anno   Dni  J4^J.   oJ 
fr.  j^Tj.  1  *  I  itétn  I  Diaria  aliar,  rerum  \  quae  Roinae.  et  alibi  ac- 
tid^runt  ab  anno  \  1481  ad  antium  14^2  \  *  [  Annales  Viterbii  ab  anno 
ttó^.  ad  annum  Dui   1242.    A    e.    i  :    Historie    avanti   che   la 
Corte  I  gisse  in  Francia.  Annotato  nel  margine  superiore  estemo  dì 
■  mano  del  Rainaldi  :  n  F.xtat  in  M.  S.  Archivi!  Vatic.  signat.  n.  i  ir, 
tpag.   127  &c.  ».  E  sopra  d'altra  mano:  Annali  di  Stephano  In- 
staura, dottore  e  cittadino  Romano  delle  cose  fatte  in  liaìia  et  special- 
mte  a  Roma  dell'anno  de  Christc  tjoo  sin  a  l'anno  14<}2.  Più  sotto, 
IbcI  margine  interno:  «  Stephano  Infessura  cittadino  romano  fu 
■«podestà  ad  Ona  sotto  Sixio  IV.  I,  57».  Inc.  (e.  i):   «  Ponti- 
lir  Realmente;  et  dissegU  ».  Expl.  (e.  147):  «  per  andare  a  campo 
I*  a  Astia  »,  quantunque  nel  verso  della  e.  146,  ove  ricomincia  la 
Iportc  volgare,  innanzi  alle  parole:  »  Conciosìa  cosa  che  essendo 
|«  discordia  i>  sia  il  titolo:  Diario  di  Sebastiano   Branca  de    Teìini, 
*con  manifesto  errore,  in  vece  che  alla  carta  147  v.  Alla  e,  146  v, 
nel  margine  esterno,  accanto  a!  testo  è  la  nota,  di  mano  del  Rai- 
naldi :  «  Così  sta  nel  d,*'  Cod.    M.  S.   segn.  n.°  ni  ».  E   simil- 
mente è  sua  scrittura  quella  che  segna  nel  margine  estemo  infe- 
riore della  e.  147  r,  ove   tL-rmìna    il  testo:  "Qui    finisce  la  d.» 
^m  historia    anche   nel   d."    Cod.  M.   S.  Archivio    Vatic.    segnato 
■  D.  Ili  ».  Dove  per  errore  ò  dato  il  titolo  del  diario  di  Branca 
de'  Tclini  è  apposto  un  richiamo  nel   margine  superiore  esterno 
a1    ff  M.    S.    biblioth.    Card.    Bi^rbcr.   sign.  nu.    1105  ».  È   pure 
|dì  mano  del  Raìnaldi   la   postilla  nel  margine   esterno  a  e.   7J  : 
rNcH'istessa  maniera  sta  nel  d.'^  Cod,  Vatic.  n.°  tu  ».   Segue 
►l'ano  ài  Branca  de  Telini^  da   e.  147  v  a  e.   192  v.   Segue  e.  193 
bianco.  A  e.    194  r:  «  Gennaro   1481  |  a  dì  30:  suspensus  fìiit 


O,  Tommasini 


i»  (Diario  ad  nciaio  dtit Antiposto),  A  e.  140V:  Jt 
M  yìÈfrho  (di  Lancillono).  Inc.  :  «  Erano  detti  Viterbesi  •.  ExpT 
(«»»46v)  «d  jna.    1245  :  «  poi  detto   Imperatore  •.  In  ttnc  h  U 
«OU  :  «  lo  Gio.  Aiit.°  Iannar€llì  ho  ricevuto  d^l  M/^  Rev. 
•  Ceure  BccciUi  se.  11  m."  quali  sono  per  pagamento  dì  q\ 
ft  scxittnra  «.  S' 

XOWVO,  --  Bibl.  Naz.  Ms.  n.  11,49  (legnatura  antica  nel  ciul< 
•lÉinpato  del  l'asini  LXXII.  I.  II,  ao),  cartaceo,  ice  xvj  (04^^ 
X  CKJooX  dicane  i9>,  rilegato  in  pergamena.  SuiramiportJ 
il  titolo:  Hìstoria  di  SUjuno  Juftssura  cittadino  romaHo.  k  Minci 
«principio»:  Inc.  (e.  3v):  <r  pontificalmenic,  et  di$$eglì  «.  Exp- 
(c-  194):  «  per  andare  ad  campo  ad  Ostia  «. 

ROHA-  —  Bibl.  Val.  Ms.  Val.  5294,  cartaceo,  scc  avi  (0,100X0^1 
Sulla  rilegatura  in  pergamena,  lo  stemma  del  Braschi.  Ni 
net  reno  delle   cane  sino   alla  i6\;  seguono  tre  carte  tó 
Suiralto  del  primo  foglio,  non  numerato:  «  guarda  non  «U 
«  O.  Siri.   Est   Ext*  rer.   Roraanar  ».   Diarium    Suplc  h 
JJ94.  Inc.  (e.  j)r   ••  manca  il  principio,    pontificfllrocn",  rt 
«scgli  •.  Expl.  (e.  j6}o):  «  dictum  est  Magnani  Turcum  in  &»■ 
«  staniinopoli    mortuum  esse  j».  E  segue  rannoiaziooc  dì  ibai*^ 
recente:  «  Sequunturnonnulla  alia  in  Cod.Vat.o.  5 $22, fot S7^ 
Come  apparisce  d.illa  nota  del  primo  foglio,  si  dubita  che  t\ 
appartenuto  al  card.  Sirleto. 

Bibl.  sudd.  Ms,  Vat,  i>22,  canacco,  ice.  x\'!  in  óne,  dWi*" 
due  partir  rilegate  in  pergamena  collo  stemma  del  Brascbi,  <' 
tenenti  varie  scritture,  alcune  degli  ultimi  del  sec.  xa 
del  xvii  (0,170  X  0,2 ?o).  La  parte  prima,  dì  carte  378  noni**" 
Del  retto,  contiene  :  Historit  acanti  cht  la  C^tt  giiu  "  F^^ 
E  nel  margine  esterno  supcriore  :  ••  Stefano  Inhssura  Qtni* 
■  fu  podestà  ad  Orta  sotto  Sixto  ÌIU,  e.  ^7,  45,  70^  p«g-  9^^^ 
«  Manca  il  principio  ».  Inc.  (e,  i  r):  «  Pontificalmente  et  dòMl^ 
Expl,  (e.  277  v)  ;  «  per  andare  a  campo  ad  Oflia  p.  Scf* 
(omo  11°  (e.  279  r)  :  Aìcunt  ìnstorit  di  Fiorén;a  dtvt  si  fé 
ticng  dimcìti  Cardinali  €t  Pupi  |  Et  sono  daiC  anno  T406  |  fòi  ^  '■/) 
Sttttt  aliqua  M^.  i'  Julii  2  Lton  2  Leon  X.  E  nel  mirgicc  *J 
periore  estemo:  «  edidit  Muratorius,  t.  19,  p,  g^o  7*< 
t  Memoria  che  a  dt  .vini,  d'ottobre  1406».  Expl.  (e  }^ 
«  eoa  più  dì  cfto  cavagli  ».  La  e.  ^}0  ^  bianca.  Segue  a  &  li' 
De  Ànibaìdo  de  Cacano  CarU  Io  XXll  :  «  Anibaldus  umilia 
•  Ceccano  nobilis  Ro:  creat.  Car."'  cpus.  Tuscubn.  j  I*^.  pf 
«  die  1)  cai.  lanuarii  an.  D.  1527  Avinione,  por  ' 
n  anno  12°  cum  csset  archiepùs  ncapolitan.  Dehoc  cu»    .f>- 


S' 

logo 


Il  Diario  di  Stefano  Jn/essura  523 


<c  Ugìtur  in  quodam  libro  historiar  Ro:  lingua  vernactila:  Correvano 
«  ano  Dni  lì^o  quanno  p.ipa  Chimento  ».  Expl.  (e.  556):  a  se- 
«  cunno  debiù  lìguram  sopito.  »  IbiJ.  segue  :  De  log  Cdr'*  Co- 
luna  snh  Clcm.  VI.  e  Molto  concepeo  papa  Chimento  ».  ExpL  (ibid.): 
«  camera  de  Roma  »,  Ibid.  v:  Dd  Ef^iàio  Card,  HispaH.  sub  Innoc.  VJ  : 
«  Papa  Innoc.  VI  la  p*  cosa  che  se  pusc  in  core  ».  ExpL:  «  lani 
«  de  Vico  prefetto  de  Vitcrvo  »  {Frammenti  d^ìU  ìsioric  remane). 
Segue  a  e.  557  :  Chronica  sencmis  de  Grcg.'*  XII.  «  Venne  con  gente 
«  d'arme  in  num^  di  400  ».  Espi.  :  «  e  di  II  a  Arimini  ».  A  e.  5}8  : 
Del  medJ*  Gr4g.°  XII  tratto  da  certi  altre  chronìcht:  v  Nel  anno  1406 
«  nel  à\  s.  Andrea  fu  crealo  pp.  Gregorio  XH  ».  ExpL:  «  se  ne 
«  rifuggi  a  Rimini  ».  Seguono  dopo  la  e.  559  sino  a  346  carte 
bianche.  A  e.  547:  Favolo  dello  Mastro,  1422.  Memoriule  de  Fa- 
volo de  Bfned^tto  de  Cola  \  dello  Mastro,  dillo  Rione  de  Ponte,  Inc. 
{c.  }85):  «  Inundatio  Tìberis  ».  Segue  bianca  la  e.  586.  A  e.  387: 
Dàlia  cecità  dei  Romani.  Inc.  :  r  Son  certo  che  vi  ricordate  ».  ExpL 
(e.  451  v):  «  et  poi  fu  chiamato  moosig.^  dì  Bologna»  (Mesti- 
cm^a  di  Paolo  di  Lello  Fettoni.  Cf.  Muratori,  Script.  XXIV,  1005). 
Bianco  il  foglio  432.  Segue  a  e.  433  :  n  Anno  Dtii  III  Herodes  oc- 
<  cidii  ».  ExpL  (e.  440  v):  «  ad  nutum  Urbani  ppe  Vldefinitum  ». 
A  e.  441:  ntu  ài  Cola  de  Rien\i:  Inc.:  «  Cola  de  Rienzì  fu  de 
«  linaio  vasso  ».  ExpL  (e.  564  v):  «  secano  debita  figura  supino» 
(Frammenti  delle  Historie  romane).  V* 

BibL  sudd.  Ms.  6825,  cartaceo,  sec.  xvi  (0,264X0,202),  di 
carte  267  numerate  nel  reno,  macchiate  e  chiuse  in  caru  vege- 
tale. Contiene  (e.  1  r):  Lettera  di  M.  Francesco  Petrarcha  a  Cola 
is  I  Riettyp  Tribuno  di  Roma  \  et  al  Popolo  Romafio(c.  t-ior).  Segue 
(c  II  r):  Lettera  di  \f.  Francesco  Petrarcha  al  Popolo  Romano  \  per 
Coia  de  Rienzo  prigion  del  Papa  |  in  Avignone  (e.  ii-i8r).  Segue 
(c  19  r):  Al  signor  Horatio  Farnese  duca  dì  Castro  a  Viterbo  j  sopra 
tm  caso  occorso  in  Roma  \  a  tempo  di  Paolo  ter^p  (e.  19-22  r),  Seguc 
Cc.  2}  r):  Orditu  t  Magnificen;^  dei  Magistrati  romani  |  a  Umpo  che 
la  cort^  del  papa  \  stava  in  Avignone  (e.  23-jor).  È  la  scrittura  sum- 
pata  d.Tl  Muratori,  A.  I.  II,  8)6-861.  Seguono  (e.  30  v)  il  cap.  V' 
«il  XVJI  degli  Statuta  Bohact<r\orum  del  1407.  Seguono  (e.  31-33  v) 
■punti  sulla  dignità  del  Cancellarius  Urbisenna  bolla  dì  Martino  V: 
TO  officio  et  dignitati  Confalomeratus  per  Petra  de  AstaìUs.  Seguita 
(e.  34-39  t)*  "  Ex  trìbus  aiuiquis  paginis  cuiusdam  Dìarìi  |  Gcn- 
tilis  Delphini,  ab  Archivio  Columra  |  daiis»  (edito  dal  Muratori, 
SS.  in*,  842-846).  Segue  (e.  4or-77v)  la  Mesiicania  di  Paolo  di 
LeUo  Fetroni.  Segue  (e.  78  r)  :  Historie  avanti  che  la  Corte  gisse  in 
rottcia.  V  Manca  il  principio  ».  È  notaio  nel  margine  estemo  da 


Tnano  più  recente:  «  Ste£.°  Infcssu  |  ra  Vide  |  eoa,  ms.  Vat.  1 5^12 
«  p.  I.  Inc.  (e.  78):  Pontificalmente,  e  dìssegli:».  ExpL  (e.  13I  v): 
<r  per  andare  a  campo  a  Ostia  ».  Segue  il  Diario  àA  KotMO  iil- 
YAnUposto.  T 

Londra.  —  Bibl.  Yelvcrton.  Ms.  cartaceo  del  scc.  xvi  jn  fine  (0,360 
X  0,200),  condotto  di  bella  scrittura  italiana,  rilegato  in  perg>- 
mena,  di  fogli  135  (pp.  270):  SUphani  hifastire  Civii  Remami  Dt^ 
Rerum  Romanarum  suontm  Umporum  post  Curiam  Romanam  ex  GjJ^u; 
ad  Urhem  rcversam  usque  ad  AUxandri  Pape  sexti  creuiiontm.  «Vi 
«manca  il  princìpio»».  Inc.  (e.  i):  »  Pontificalmente  e  disscg 
Expl.  (e.  270):  «per  andare  ad  campo  ad  Ostij  »  (C£  Ar 
Vn.  103).  "~ 


Chi  gitti  appena  uno  sguardo  su  tutta  questa  serii 
avvede  che  un  primo  criterio  di  raggruppamento  e  di 
stinzione  fra  i  molteplici  manoscritti  è  dato  dalla  divcST 
maniera  secondo  cui  principiano.  In  alcuni,  e  sono  i  più 
antichi  o  evidentemente  derivati  dai  più  antichi,  Yinmo 
parte  da  un  frammento  di  leggenda  che  non  i  perduto,  nep- 
pure ne*  più  corrotti,  le  tracce  dell'antico  volgare  romano. 
Altri  codici  invece  danno  evidente  l'assetto  secondo  gram- 
matica, e  ravvicinamento  del  periodo  al  tornio  dellj  narra- 
tiva, magari  a  costo  di  parere  una  stonatura  col  resto  Jcl 
diario,  in  cui  Telcmento  del  volgare  romano,  non  ostante 
Tazzimaiura  e  Tarbitrio  degli  amanuensi,  trapela  scnapf'-^ 
d'ogni  parte.  Secondo  la  diversità  dei  principio  abbiim*' 
pertanto  la  prima  distinzione  de'  codici  a  questo  tnodo: 

Cominciano  (ci.  i*):  w  pontificjlraente,edisselÌ  piglia  te!uuro'':A.B', 
B3.  C,  C\  F,  ?\  F\  G,  L',  L\  M\  M».  M3.  0, 
O',  P,  P«,  P«.  R,  R',  S,  S«,  T,  V,  V.  V»,  Y. 

ComÌDciano  (ci.  2'):  «  Nell'anno  del  S«  1294  neUa  vigilia  di  Kittlf*' 
A'.  B.  B%  B*,  BS  B^  C\  a.  C*.  E,  L,  L\U 
M,  M*,  N,  P'.  P^  P3.  P\  P<,  P7,  P». 


Ma  noi  vediamo  in  questa  prima  distinzione  aggnipp*^ 
nella  medesima  classe  M  ed  E,  ossia  il  testo  del  Murawn 
e  deir  Eckhart,  come  se  non  avessero  intrinseche  egra'* 


Il  njiario  di  Stefano  Infessura 


525 


^"^^ «urgenze  era  loro.  Pure  il  Muratori  stesso  ebbe  a  dame 
^^rit:ore  in  una  nota  dell'edizione  sua,  paragonando  il  testo 
^^    lui  dato  a  luce  con  quello  comparso  in  Germania.  Or 
^*^Co  le  due  lezioni: 


Ed.  MuR.  (i)  (lez.  A). 

tt  Deir^nno   1404  del  mese  di 
^^ttembre  die  primo  mori    papa 
«^onifatio  nono  et  lo  popolo    di 
"Itoma  si  levò  a  rumore  per  rivo- 
lere la  libertà  et  fu  sbarrata  Roma 
«t  tutto   dì   si   combatteva   alle 
sbarre:  li  Ursinì  et  la  Ecclesìa  da 
una  parte  et  li  Colonnesì  per  lo 
popolo et  furono  morti  pa- 
recchi da  parte  a  parte;  et  molti 
feriti  et  molti  cavalli  morti  el  f  u- 
rono   sconfitti    li    Colon- 
nesi    che   quasi    sempre   sì 
h  avevano     la     peggio;     se 
bene  buona   parte   dello  populo 
seguitavano  li  Colonnesi  ». 


Ed.  Ecc.  (2)  (lez.  B). 

A  Deiranno  1404  del  mese  di 
settembre  die  primo  si  morio  papa 
Bonifatio  nono  et  lo  popolo  di 
Roma  si  levò  a  rumore  per  ri- 
volere la  liberiate  et  fu  sbarrata 
tutta  Roma  et  tutto  dì  sì  com- 
batteva alle  sbarre;  liUrsioi  d*una 
parte  et  la  Ecclesia,  et  li  Collon- 

nesì  per  lo  populo et  furo 

morti  parecchi  da  pane  a  parte; 
ira  li  quali  ne  fu  morto  Poncel- 
letto  Ursino,  et  molti  feriti  et 
molti  cavalli  morti  et  furo 
sconfitti  li  Ursini  et  tor- 
narosene  a  Monte  lor- 
dano et  sempre  ne  bave- 
vano  la  peio  lì  Ursini  et 
la  niaìore  parte  dello  populo  sc- 
tavano  li  Colonnesi  ». 


Qui,  com'è  evidente,  non  si  tratta  solo  di  divergenza, 
ma  di  opposizione  diretta  e  determinata  da  interessi  gen- 
tilizi, da  opposizione  di  clientele  che  nascondevano  a\^er- 
sione  di  fazioni  e  di  parti  cittadine,  le  quali  toglievano  nome 
dalle  due  famiglie  sovrastanti  nella  cittA,  interessate  a  se- 
guitare o  il  popolo  o  la  fazione  ecclesiastica.  E  secondo 
queste  due  opposte  lezioni  si  distinguono  pertanto  nova- 
mente  i  rass.,  raccostandosi  0  separandosi  nelle  seguenti 
categorie  : 


(i)  Muratori,  Script  IIP,  col.  11 16. 

(2)  Io.  G.  EccARDo,  Corpus  hist.  med,  aei%  II,  col.  1867 

Archivio  della  R,  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI. 


35 


Si6 


O,  Tommasìni 


Di  parte  Orsina  0"-  A):  K\  B,  B%  B*,  B<,  C,  O.  C^  F,  L,  L^ 
U,  M,  M\  N.  P',  P»,  P3,  P*.  P*,  P7,  pi. 

Di  parte  Colonncsc  (lez.  B):  A,  B',  B3,  B^  C,  C*.  E,  F*.  G.  L*.  L\ 
M*.  M%  M3,  O,  O',  P,  PS  P\  R,  R',  S, 
S»,  T,  V,  \\  V\  Y. 

Ragguagliando  tra  loro  le  due  serie,  ci  è  dato  ravvisare 
<:be  b  classe  2'^  e  la  lez.  A,  la  classe  i*  e  la  lez.  B  quasi 
si  corrispondono.  Le  discrepanze  son  minime:  tre  codici 
(B^,  C%  E)  della  classe  2*  sono  acquisiti  alla  Icz.  B  ;  due 
della  classe  i*  (C,  F)  scendono  alla  lez.  A.  Donde  pos- 
siamo indune  che  l'alterazione  determinata  da  partigianeria 
gentilizia  fu  anteriore,  com'è  naturale,  a  quella  introdotta 
per  preconcetti  di  forma. 

Ora,  niente  è  più  ovvio  e  certo  di  questo  :  che  essendo 
r  Infessura  di  parte  popolare  e  de'  più  affezionati  alla  fa- 
miglia Colonna  (i),  la  lezione  colonnese  fu  l'autentica  nel 
diario  di  lui,  e  l'altra  la  falsificata;  che  essendo  quella  l'au- 
tentica, si  trova  appunto  sui  manoscritti  più  antichi  o  de- 
rivati dai  più  anticlii.  Ma  non  ò  quel  solo  passaggio  che 
dà  sentore  d'un  raffazzonamento  diparte  orsma  nel  testo  del 
cronista  nostro.  Altri  ve  n'ebbero,  ispirati  alla  parzialiti  mc- 


(i)  Egli  chiama  U  parte  popolare  e  dei  Colonna  u  la  parte  nostra  » 
einunnotamcnto  dell'anno  1484,  ove  ìl  Muratori  (ed.  cit.  iiójb,  52-41) 
legge  secondo  il  suo  codice:  a  et  in  quella  scaramucciavi  morirono 
«  parecchi  uomini  dall'una  parte  e  dall'altra»,  l'Eckhart  legge  rojilc 
(1930  b,  28-37}:  «vi  morsero  quattro  huomini  della  parte  costra 
«  dell'  Ecclesia  »,  dacché  è  evidente  in  queir  inciso  la  soppressione 
di  un  ti:  fl  CI  dell*  Ecclesia  ».  Circa  la  partigianeria  ecclesiastica 
degli  Orsini,  basti  citare  il  seguente  passo  nella  Oratio  quam  hahuU 
in  funtrc  Latini  card.  Ursini  in  aedi  S.  Salvatoris  (ms.  Vat.  Ut-  $626, 
f.  71-86)  Giovanni  Gatti  vescovo  di  Catania  :  a  protulit  hec  amplissima 
'ffdomus  pontificcs  maximos,  praestantissimos  cardinales,  quaraplurì- 
n  mos  Ecclesie  antìstitcs,  dignissimos  et  in  rebus  bellìcLs  [peritisjsìmos 
«  duces  consulares  et  trlumphales  viros  et  quod  omnibus  pracstan- 
a  tius  est  Ecclesìam  Romanam  idest  Chrisù  Ecclesiaro  sìn- 
«gulari    observantia    prosecuti   sunt». 


//  T)iario  di  Stefano  Infessura 


52  7 


desi 


ima. 


colla 


del 


non  corrotti 

^^o  sopra,  in  cui  il  cliente  baldanzoso  volta  a  dirittura  il 
^*^o  io  contrario,  con  offesa  spudorata  della  logica  e  della 
^^•^ria  (i).  In  molti  casi  questa  parzialità  si  limita  a  soppri- 
'^^re  l'inciso  che  pregiudica  !a  parte  amica,  o  che  favorisce 
o.'wcrsa.  Cosi,  per  esempio,  nell'edizione  dell'  Eckhart  (2) 
^   Incontra  un  brano  in  cui  son  raccontate  odiose  crudeltà 
*^^gli  Orsini,  che  nel  Muratori  comparisce  gii  mutilo,  che 
*-tianca  in  C*  e  che  si  trova  aggiunto  posteriormente  in  R, 
*tì  seguito  alla  collazione  che  fece  il  Valesio  di  questo  co- 
<iice   coU'altro  R'  della  Vaticana.  E  talvolta,  quand'anche 
le    edizioni   dell'Eckhart  e   del  Muratori   o   concordano  o 
poco  distano  tra   loro,   i    manoscritti   apertamente  discer- 
veano e  le  alterazioni  appaiono  determinate  dal  motivo  me- 
desimo o  gentilizio  o  apologetico  per  la  Chiesa: 

Ecc.  (1922,1.32-55).  ^^ 

MvR.  (1167,  L  25-24). 
'•  si  dovesse  coilegialraenie  an- 
<Jare  per  li  Officiali  e  per  lo  po- 
polo al  papa,  al  quale  sì  dovesse 
supplicare  che  daesse  pace  alli 
*3«tti  signori  Colonnesi  &  a  noi, 
attento  che  loro  fino  a  mo  non 
^  anno  peccato  in  niente  9. 


K  si  dovesse  collegialmente  an- 
dare per  li  Officiali  et  per  Io  po- 
polo al  papa,  al  quale  si  dovesse 
supplicare  che  daessc  pace  alli 
detti  signori  Colonnesi  ». 


(i)  Altri  esempi  di  faziosa  corruzione  del  testo 

Ed.  Ecc.    19321  lin.  3-j. 
•     Mui».  1176    •     7-8. 
^  quelli   della  parte  contrurù  della  Ec- 
^: ]e»ìi«  ne  pigliarono    la    meglio*. 

Similmente  : 
Kcc  (1937.  lin.  4^-48)  e  ms. 
«  de  gentibus  Ecclesie  circa  octogìnta 
^tienin!  reperti  vulacrati  et  inortni  et 
«%b«(uleru[it  tentoria  et  quidquìd  iniu^ 
^trat,  et  cnm  magna  Uetitin  reversi  fue* 
v^m  sd  dictum  castnjtn  • 

(2)  EccARDO,  loc.  cit.  col.  1918,  lin.  28-40:  «  Item  furono  messe 
«<  a  sacco»  ...«come  dì  sopra».  -  Muratori,  loc.  cit  col.  1164, 
lin.  4-16. 


"  quelli  dello  parte  contrarìa  della  Ec- 
clesia ne  pigliarono   la   peggio». 

Mu».  (iiHi,  lin.  28-30),  C»,  R. 
>  de  gentlbus  Ecclesi;ie  circa  octuaglnta 
fuerunt  reperti  vulnerati  et  mortui  e  l 
de  Columnenìtibuji  longe  maio- 
ras  qui  triite*  rcver»i  fucrunt  ad  dic- 
tum castram  • . 


528 


O.   Tommasini 


Cosi  tutto  il  resto  del  periodo  nel  ms.  è  soppresso;  e  altret- 
tanto si  osserva  in  R,  ove,  per  effetto  del  solito  riscontro 
col  codice  Vaticano,  si  trova  poi  aggiunto  in  margine.  Si- 
milmente, tanto  il  Muratori  (r  163,  lin.  30)  quanto  l'Eckhart 
(191 7,  lin.  41)  riferiscono  presso  a  poco  con  eguali  termini 
il  brano  relativo  agli  insulti  fatti  da  Girolamo  Riario  al  pro- 
tonotario  Colonna  nella  sua  presura: 

u  e  lo  protonoiaro  sotto  U  fede  del  detto  Virgilio  fo  menato  allo 
papa  in  iupctto,  avvenga  che  dopò  lì  fosse  prestata  una  cappa  nera, 
e  quando  se  menava  lo  conte  Hìeronimo  li  disse:  *  ah  ah  traditore, 
che  come  iongc  che  t*  impicco  per  la  gola*.  E  lo  signore  Virgilio  li 
rispose:  '  signore,  impìccarai  inanti  me  che  colui  ';  e  più  volte  cacciò 
lo  conte  Hicronimo  lo  stocco  et  amraenoUo  per  volerlo  occidere  et 
lo  detto  signore  Virgilio  sempre  si  contrappose  e  non  volse  mai 
che  li  facesse  male,  et  cos\  la  domenica  a  sera  fu  menato  dinanii 
allo  papa  ». 

Ma  in  C  tutto  questo  passaggio  diviene: 

«  e  lo  protonoiaro  sotto  la  fede  del  detto  Virgilio  fo  menato  allo 
papa  in  iupetto,  et  cosi  la  domenìcn  sera  fu  menato  dinante  allo 
papa  ». 

Ed  R,  quantunque  pur  esso  sopprima  nel  contesto  il  brano 
medesimo,  ne  accenna  alcune  frasi  in  noterelle  marginali 
e  interlineari  della  pagina  stessa,  e  poi  lo  riporta  intero  al 
notamento  primo  e.  133.  È  chiaro  pertanto  che  l'amanuense 
ecclesiastico,  pur  di  togliere  la  memoria  d'atti  brutali  di 
dosso  alla  famiglia  pontificale  dei  Riari,  sagrifìcava  anche  la 
menzione  d'un  po' di  lealtà  soldatesca  in  prò  di  Virginio 
Orsini  (i). 

(t)  Altra  consimile  soppressione  nel  ms.  C*  del  brano  conte- 
nutonell'ed.  Ecc.  (col.  1930,  Hn.  53-58)  eMuR.(col.  1174,110.  21-26). 
Lo  spirito  di  clientela  verso  la  casa  Comi,  ligia  agli  Orsini,  cagionò 
la  soppressione  del  passaggio  in  cui  si  raccontano  le  dimostrazioni 
crudeli  fatte  dal  cardinale  de^  Conti  per  la  strage  dei  Colonna  che  gli 
erano  nipoti  carnali  e  figli  di  una  sorella  (cf.  ed.  Ecc.  I9)i>  iu^*  21-26; 
MuR.  1175,  lin.  31-36). 


//  diario  di  Stefano  Infessura 


529 


Altro  esempio  :  cedutosi  Marino  alla  Chiesa,  si  manda 
*^*^  bando  per  rassicurare  il  contado  e  nelle  persone  e  nelle 
'"*^t*e.  Paolo  Orsini,  malgrado  il  bando,  fa  gran  preda  d'uo- 
*^*^ini  e  d^animali.  Ma  questa  ruberia  niramanuense  orsi- 
^^^'^co,  cui  e  dovuta  la  redazione  C*,  parve  meno  indegna  a 
""^ fistiare  della  riscossa  che  Prospero  Colonna  e  Antonello 
^-^xclli  in  breve  ne  fecero  (i). 

E  nel  passaggio  che  segue,  dove  le  due  edizioni  e  i  mss. 

T*^^  autorevoli  consentono,  la  primitiva  redazione  di  R,  cor- 

*"^t:ta  poi  a  e.  136,  n.  XVI,  e  quella  del  testo  chigiano,  che 

^"•^ppresenta  il  tipo  più  pieno  del  raffìizzonamcnto  di  parte 

^^t"sina  e  della  politica  ecclesiastica,  leggono  : 


M,  E. 

«  Et  insuper  questo  signor  Pro- 
serò et  Antonello  con  lor  gente 
T'opperò  et  sbalisciorono  le  genti 
della  Ecclesia  et  più  presto  loro 
guadagnerò    della    robba   di  co- 
storo   della  Ecclesia,  che  questi 
^  quelli  (2);  et  in  quella  batta- 
glia   vi    furono    morti   quindici 
huomini,    et   circa    a    centocin- 
quanta feriti  gravemente  di  questi 
della  Ecclesìa  et  di  quelli  di   là 
molto  pochi  j). 


R,  C. 

«  Et  insupcr  questo  sig'  Pro- 
spero et  Antonello  s'incontra- 
rono con  le  gente  della  Chiesa, 
et  ira  loro  seguì  una  gran  bat- 
taglia, dove  che  si  morsero  molte 
persone  da  una  parte  et  Taltra 
con  assai  feriti  ». 


Alcune  volte  è  adoperata  una  perifrasi  ambigua  per  cu- 


(r)  Ed.  Ecc.  col.  1929,  lin.  6-12;  MuR.  col.  1175,  Un.  24-51. 
In  C  si  omette  tutto  il  brano:  n  et  finalmente  rescossero  tutta  la 
fl  preda  et  li  prcsoni,  eccetto  sci  bovi,  li  quali  quando  si  combatteva 
«  forono  menati  in  qua  a.  Queste  due  ultime  parole  Liscian  supporre 
che  ri.  allora  si  trovasse  a  Marino:  ma  il  testo  C  surroga  invece: 
ff  CI  finalmente  non  lì  riuscendo  il  disegno  furono  costretti  a  ritirarsi 
*c  con  qualche  perdita  loro  ».  Idem  in  R  (e.  117)  che  rimanda,  per 
la  correzione,  a  e.  136,  n.  XVI, 

(2)  Ecc:  «  che  di  questi  e  di  quelli  ». 


530 


O.   Tommasini 


telare  la  fama   della  casata    cui  il  raffazzonatore  si  sente 
addetto  (i). 

Talvolta  apparisce  ancora  il  vestigio  di  una  maligniù 
compendiosa,  a  cui  per  detrarre  basta  il  tacere  e  il  soppri- 
mere : 


Ms.,  ed.  Ecc. 
(col.  1929,  1.  24-3O. 
«...  era  slato  forte- 
mente tormentato  per 
li  quali  tormenti  lui 
havcva  detto  alcune 
cose  le  quali  non  e- 
rano  vere.  Et  depò 
quando,  ^cc.  ». 


M95.  e  MuR. 

(col.  1174,  1.  IO- ti). 
«...  era  stato  forte- 
mente tormcntato,do- 
lendosi  extremamente 
della  suacattivasorte, 
per  li  quali  tormenti 
egli  aveva  delio  molte 
cose  le  quali  non  e- 
rano  vere.  E  dopo 
quando,  ecc.  ». 


CSR. 

tf  . . .  disseli  come  lui 
era  stato  fertemcdtc 
tormentato  dolcnJM 
extreraamente  delb 
sua  cattiva  sene,  et 
doppo  quando,  ecc.  >. 


Tal'altra  capita  sott' occhi  T  indizio  d'un  tentativo  di  rea- 
zione colonnesc,  sorta  forse  sotto  Io  stimolo  deiraduken- 
zione  orsinesca,  a  volgere  la  sincerità  della  narrazioac  dd- 
ri.  con  scapito  della  verità,  in  tutto  vanto  dei  Colonna.  E 
quantunque  non  ce  ne  paia  che  un  solo  esempio,  ed  anche 
un  po'  incerto,  pure  si  vuol  segnalarlo,  perchè  non  sembn 


(i)     Ed.Ecc 
fcol.  1963,1.61-63) 
Ms.  C.  C». 

•  El  interim  geo- 
Ics  Ecclesiae,  ani- 
malia  omnia  Crì>ì- 
norum  quae  ver&iis 
Galcram  et  parte» 
m«ntimas  erunt  dc- 
pnedAtie  sunt  t. 


Ed.  MuR. 
Ccol.1201,1. 67-71) 

■  Interim  gentes 
Eccle«iae  abdiue- 
runt  animalta  om* 
nia  UntÌDorumqiue 
versus  Galcram  el 
partct  maritim»  e- 
ranLSimi  literel  Ur- 
linj  animalia  omnia 
Romanoriimìjujein 
parttbus  Lntii  crant 
depraedati  tunt  • . 


(•)  S  :  •  ex  parie  ma  rilima  • . 


•  Interim  gentet 
Ecclesiae  abduice- 
nint  animalia  om- 
nia llr^inonim  qaae 
versus  C;ileram  et 
partcs  marilimasc- 
rant.  Et  bl  qui 
in  ci vit  atc  <- 
rant  ftmìliter ani- 
malia  Romanorum 
qoae  in  partibu» 
Latii  erant  deprae- 
dati  sunt  • . 


RAS'. 

.  Et  iMcf*«  fo- 
tcs    EccIttUe  ■!»- 
malia  omaii  Wr* 
nonini  qow  »•■' 
GaJeram  el  (**• 
maritinu*  {')  ** 
dcpr«ediU<   •*• 
cttitqui  i«  «*' 
vitate  Bfiitr 
miiiier  wcmni  • 
afta  anitniHiH*'' 
nonitn  .)■  ' 
tìbu*  Lj* 
milii«r    J: 
mni*. 


//  diario  di  Stefano  Infessura 


5Ì^ 


cKe  abbiamo  avvisato  il  male  star  tutto  da  un  lato,  o  che  le 
fandonie  possano  esser  sembrate  utili  ad  una  parte  sola: 


Ed.  Ecc. 

(col,    X929,  lin.  6-12) 

<<^ol.  1173,1.  24-51). 

"   Le  genti  dclI'Ec- 

c*esia    furono  sbara- 

^*=>ati  (i)e  rotti  e  de' 

^ro     uccisi    circa    a 

**^^  ci  intra  fanti  et  huo- 

^*nì   d'armi,  e  feriti 

**"ca  cinquanta,  e  fug- 

^^tido    lo    resto   per 

^'^«llo  tempo,   quan- 


(f  Le  genti  della 
Chiesa  furo  ributtate 
et  rotte  con  qualche 
loro  mortalità,  et 
quantunque  di  poi  sì 
rifecero  et  pigliarono 
Rìpi  lo  di  seguente  ». 


R. 

(f  Le  genti  della 
Chiesa  furono  sbar- 
risciate  et  rotte  e  de' 
loro  uccisi  circa  a 
dieci  intra  fanti  et 
huomini  d'armi  e  fe- 
riti circa  sessanta,  et 
fuggendo  Io  resto  s  e 
r  e  tirare  et  non 
possero  pigliare 
lo  d  °  castello». 


^que  dì  poi  si  rife- 
^*^ro  e  pigliaro   lì  di 
-»  ^guenti    contro    vo- 
toti dì  quelli    della 
^^rra  ». 

■Rifletterebbe  pertanto  in  questo  caso  un  bagliore  di  par- 
tigianeria   colonnese  in    opposizione  alla   redazione   orsi- 
"^^esca.  E  qui  è  da   osservare   inoltre    come  l'amanuense 
Infedele  che   raffazzonò   il  testo   del  ms.    chigiano  C*    si 
^gici   per  sue  preoccupazioni,   ma  si  senta  già  del  tutto 
^uori  dell'orizzonte  storico  de!  secolo  decimoquinto  e  dei 
5>rimi  decenni  del  decim'osesto;  in  cui  dieci  moni,  tra  fanti 
^  cavalli,  e  cinquanta  feriti  sembravano  strage  bastevole  per 
Xina  grande  battaglia;  quando  le  guerre  «  si  cominciavano 
«  senza  paura,  sì  trattavano  senza  pericolo  e  sì  finivano  senza 
«danno  »,  come  scriveva  il  Machiavelli  (2);  e  però,  non  sem- 
brandogli che  quel  numero  determinato  e  piccolo  di  feriti 
€  di  morti  fosse  dicevole  all'architettata  dignità  della  storia, 
pieno  di  compassione  pel  cer\^ello  piccino  del  cronista  con- 

(i)  Ed.  MtJR,  «  sbaragliate  ». 

(2)  Machiavelli,  Storù  jiorentiMj  lib.  V,  introd.  Principe^  XIL 


53^ 


Q,  Tommasini 


temporaneo  e  fedele,  lo  mutò  ncir espressione  generica  < 
secondo  luì,  dignitosa  di  u  qualche  loro  monaliti  t.  A 
lance  piccole  insidie  il  testo  dell*!,  soggiacque!  alcune 
delle  quali  non  furono  per  verità  premeditate. 

Infatti  non  è  maraviglia  che  le  rubriche  capricciose  i 
postillatori  entrassero  col  tempo  a  far  parte  del  testo 
diario;  che  vi  s'insinuassero  noterelle  di  testimoni  qus 
contemporanei  agli  avvenimenti.  Questa  è  ventura  comune 
di  tutti  i  manosaitd  che  passano  per  buon  numerctdi  copi^ 
Nò  sono  !  copisti  inetti  che  recano  ì  guasti  più  graxi. 

Della  varietà  delle  rubriche  da  loro  introdotte  demmo 
saggio,  a  quando   a  quando,  tra  le  varianti  delle  lezìoai. 
L*  insinuazione  più  disinteressata  e  rimarchevole  ci 
quella  che  %  infiltrò  anche  nel  testo  del  Muratori,  ^  pn 
sito  del  cadavere  della  bella  giovinetta,  ritrovato  int 
morbido,  imbalsamato,  olezzante  di  neri  profumi,  ado 
di  splendide  vesti  e  di  monili,  esposto  agli  occhi  del  popO 
meravigliato  in  Campidoglio,  ne'  primordi  del  pontificai 
d'Innocenzo  Vili.  Chi  fosse  quella  giovinetta  cosi 
sepcllita   con  tanto  amore  da  chi  le  sopravvisse,  fu  alla 
domanda  di  tutti  che  la  rimiravano,  a  cui  pareva  che  qui 
cuno  dovesse  poter  rispondere.  Per  la  bellezza  ra\Tebberp 
reputata  una  santa;  ma  la  Chiesa  non  aveva  ragione  dina 
noscerla;  e,  in  mancanza  di  questa,  gli  archeologi  HiM 
furono  chiamati  a  divinaria: 


Ed.  Ecc.  (195 1,  lin.  pen.). 
B  Cumque  Conservaioresineo- 
dcm  pilo  locura  iuxU  Cisternum 
in  reclaustro  cuiusdam  PaLitii  po- 
suisscnt,  a  dicto  Innocentìo  lussi 
in  locum  ìncognitum  de  nocte 
extra  portam  Pincianam  in  quo- 
dam  vico  vicino  eìus  in  quadans 
fovea  proiecta  faìt,  reportaverunt, 
ibique  eam  sepeliverunt  Et  ilUs 
primis  dìebus,  quìbus  inventa  est. 


Ed.  MuR.  (119J,  Un.  I)). 
«  duumquc   Conservaroro  i  ^ 
codem  pilo  ad  locum  iuxU  Clittf- 
nam  in    reclaustro    ciusJctn  P*_ 
latii  posulssent,  a  dicto  innon 
ìussì   in    locum    incognituni 
noac    extra    portam   riDciia*!" 
in  quodam  vico  %'icino  cìiu  t 
fovea    defossa   fuerat  rcport 
nint,  ibique  eam  sepclieruut  1 
creditur  fuisse  corpus! 


//  diario  di  Stefano  Infessura 


ad  diùtum  Palatiuia  inductJ  fuii, 
tantus  erat  concursus  honiinum 
eam  videre  cupìenduni,  ut  passim 
in  platea  Capitoliìvendenies  olerà 
CI  alia  ad  instar  fori  reperircn- 
tur  ». 


liaeCiceronìsdliae.  EtU- 
lis  primis  diebus  quìbus  inventa 
et  ad  dictum  Palatium  inducta 
fuit,  eie.  ». 


Il  Muratori,  che  divulgò  la  lezione,  che  Y  indica  come 
la  figliuola  di  Cicerone  ed  erroneamente  le  dà  nome  di 
Giulia,  la  crasse  dal  suo  codice  Estense  (M).  Degli  altri 
manoscritti  cogniti  ve  n'ha  due  soli  che  la  riferiscano  alla 
stessa  maniera;  il  Londinese  del  museo  Britannico  (add.  ms. 
8433,  segu.  od,  P,  1052-),  da  noi  contraddistinto  colla  si- 
gla L^,  e  il  Barberiniano  LV,  5  (B*).  Tutti  gli  altri  ne  tac- 
ciono, ad  eccezione  del  ms.  A,  i  deirarchivio  dei  Ceri- 
monieri pontifici,  nella  nostra  serie  indicato  colla  sigla  M*, 
il  quale,  al  passo  sopracitato,  riferirò  secondo  la  lezione 
deirEccardo,  aggiunge  la  postilla  marginale:  «  corpus  q, 
«  luliae  I  Ciceronis  filiae  |  fuissecreditur».  fi  evidente  che 
quello  «  luliae  »  fu  mal  trascritto  da  «Tulliae  w  o  «  Tul- 
»  liolae  »,  Stando  ad  Alessandro  degli  Alessandri,  chi  rischiò 
la  matta  divinazione  ebbe  ad  essere  Pomponio  Leto  (i);  ma 


(t)  Nella  lettera  di  Bartolomeo  Fonti  a  Francesco  Sassetti,  pub- 
bLcata  dallo  jAKrrscHEK,  DU  GeseUschaft  d^r  Rmaissanct  in  Itaìien,  1879, 
p.  X30,  si  dice  apertamente:  «t  et  genus  et  aetas  latet  huius  tam  ìn- 
«  xignis  et  admirandì  cadavcris  ».  — <f  Molli  credono  sia  stato  morto 
«degli  anni  iyo  »,  scrive  il  Notaio  del  Nantiposto  (Mur.  Rer. 
It.  Scr.  IIP,  1094.  Per  contro  sì  legge  in  Alexander  ab  Alexandro, 
Gmial  DÌ€r.  ID,  2,  p.  ao8:  <  Memini,  dum  Romae  agcrem,  in  vctustis 
«  scpulchris  quae  in  via  Appia  plurima  visuntur,  inter  aedificia  hor- 
»losque  interque  coagmenia  lapiJum  crucum  cadavcr  fuìsse,  multo 
«acvo  vctustum,  aJolcscentulac  roulieris  facìe,  capillo,  ocutis,  naribus 
«ei  rcUquts  Uncamentis  prorsus  integris  et  incorruptis;  nisi  qaod  ve- 
'stigia  lìquaminum  et  unguentorum  quibus  delibutum  fuerat,  appare- 
«  barn,  recenti  specie,  inscriptione  nulla,  qua  nomen  defunctae  inno- 
•  tescerci.  Pomponius  tamen  vìr.  ut  in  ea  aeiaie,  veterum  litterarum 
«  impense  doctus,  Tulliolam  Marci  Tulli  Ciceronis  filìam.  de  cuius 


554 


O.  Tommasini 


probabilmente  il  dotto  umanista,  interrogato  da  chi  clli^ 
deva  un  battesimo  scientifico  a  quella  bella  reliquia  che  b 
Chiesa  rifiutava  e  temeva,  si  limitò  a  ricordare  le  lettere 
di  Cicerone  a  Servio  Sulpicio  o  la  Selva  di  Stazio  sulli 
morte  di  Priscilla.  Il  volgo  poi  itct  il  resto,  e  sbagliò  forse 
e  diffuse  Io  sbaglio  del  nome  prima  ancora  che  un  incolto 
postillatore  Io  notasse  a  margini  del  diario  del  nostro  Stt 
fano.  Da*  margini  ebbe  ad  entrar  nel  testo,  ma  tardi,  e 
dopo  che  molti  altri  errori  vi  si  erano  già  infiltrati»  E  si- 
milmente nei  margini  dell'indicato  M*  si  leggono  altri  no- 
tnmenti  di  chi  sopravvisse  all'I,,  che  pure  entrarono  col 
tempo  a  far  maligno  corpo  nel  suo  diario  (i).  Che  quei 
notamenti  debbansi  ripetere  per  la  massima  parte  dai  pic- 
coli Procopi  della  curia,  registratori  delle  cerimonie  e  dtlk 
maldicenze,  si  desume  dalle  loro    stesse   parole  :  *<  ut  pff 


a  obttu  ad  Senìum  Sulpiciura  sunt  epistolae.  aut  PrìscUlAm  Atu- 
«  scantii  de  qua  Sylva  Papinii  extat,  fuissc  augurabatur.  IJ  qoibas 
u  argumentis  asseverct,  cum  nulla  ìnscrìptionis  vestigia  cabrai 
«  prorsus  nescimus  ».  Cf.  Matarazzo,  Cron.  di  Perugia,  IL  ito: 
RiccY,  Pago  Limonio,  ii2;  Tomassetti,  Camp.  r^m.  Ha  Liti», 
p.  jo. 

(i)  Fra  le  altre  note  relative  ai  cardinali  creati  da  Alessandro  VI 
si  legge:  «  Itera  unum  de  domo  Famesia  consjnguincum  lalia^ 
((  Bcllac  ciu5  concubìnac,  etc.  ".  E  di  Cesare  Borgia  :  «  Caesir  Borpi 
«  monstrum  infame  truculentissimum  ex  Vannozìa  catalana  sttH»* 
«  ptus  ».  Consimili  postille  s' incontrano  anche  in  C*.  In  C  C*  E.'* 
interpolazione  si  ritrova  nel  testo,  ove  si  aggiunge  a  proposito  w 
cardinale  Alessandro  :  «  de  domo  Famesia,  quin  ìmmo  crai  fr***-' 
(•  dictae  luliae  et  fuit  posten  papa  Paulus  III  a,  E  nei  m$s.  slc5S!t  io- 
sinuata  l'interpolazione  seguente  :  o  Ethuius  lulJac  imagÌDcmulp*' 
ff  traditione  m  maiorum  nostrorum  didictmus»  tn  pilwo 
n  apostolico,  in  loco  qui  a  nepotibus  inhabìtari  solct  in  magno  quodi* 
«  articulo  turris  Borgiae  toto  depicto  ac  inaurato  (et  a  quodam-.  i'' 
«  viso  in...)  super  quadam  ianua  videre  liccret.  Omnibus  cnim  [Uttf 
«  In  eo  enim  rcpraescntatur  beata  Virgo  cum  Infantalo  in  brachili^ 
n  pontifìce  Alexandro  ante  ipsam  genuflexo  ».  Le  parole  io  patcfltts 
mancano  in  C^ 


//  diario  di  Stefano  In/essura 


535 


«e  traditionem   maiorum   nostrorum    didicimus».    Quanto 
spasso  non  tradisce  anche  la  tradizione! 

Dopo  queste  discrepanze,  che  furono  effetto  di  tendenze 
più  o  meno  manifeste  dei  trascrittori,  i  quali  più  o  meno  vo- 
lontariamente raffazzonarono  il  testo  del  diario  (i),  seguitano 
quelle  che  derivarono  da  negligenza  dei  copisti  che  snlta- 
rono  spesso  da  un  incìso  all'altro,  dove  ricorreva,  più  o 
men  prossima,  la  parola  medesima.  Basti  un  esempio  per 
rnolti. 


E<i.  Ecc  (2010,  Un.  29),  C,  C». 

■  -..adeo  quod  noluìt  amplias 
redìre  ad  Urbtra,  sed  remansit  in 
arccm  dicue  Osliae  j». 


Ed.  MuR.  (1245,  Ìi°'  47) 
C,  P,  R.  S,  S'. 
«...  adeo  quod,  ut  fertur,  iratus 
recessit  et  per  mare  ad  Osiiam, 
et  cardinales  S.  Petri  ad  Vincula 
cum  eo;  qui,  ut  dicitur,  ex  eo 
quod  favit  dicto  regi,  factus  fuit 
inimicus  papae,  adeo  quod  noluit 
amplius  rediro  ad  Urbem,  sed  re- 
mansi:. . .  etc.  ». 


Se  non  che  la  forma  estrinseca  del   diario  ebbe  pur 

^^^^  ad  incitare  coloro  che,  essendo  o  credendosi  qualcosa 

'^^^glio  che  copisti,  vennero  con  esso  alle  prese.  E  di  questo 

*^t>iamo  argomento  non  tanto  dai  manoscritti,  quanto  dai 

""^^^menti  de'manoscritti  di  esso  (2), 


C  i)  V.  le  descrizioni  dei  mss.  B*,  C*. 
^        C^}  Ecco  U  Dota  di  quelli  che  ci  furono  cogniti: 
^*~^^«A.  —  Archiv.   Val.    Pio,   7  (to.  LII).  Ms.   cartaceo,  sec.  xviii, 
^0,275    <  0,190),   rilegato   in  pergamena.    Nella   risguarda   «Ex 
«t  bìbl.  Pìorum  175}  ».  A.  e.  16:  Ex  Diariis  Suphani  Infes  \  mrat 
Gxns  Romani  \  Xysti  iiìj  Papat  Ohitus  \  Conclave,  et  creatio  \  Inno- 
<€niii  FUI  I  pontificii  \  Maximi  \  1484.  Inc.:  «  Die  nona  augusti  P. 
«lacobus  de  Comitìbusn.  Expl.  (e.  46):  h  in  die  sancii  Stcphanì 
«  dcgii  ».  a 

Arcliiv.  Vaiic.  Ms.  cartaceo,  sec.  xvi  (0,500X0,205).  Poli- 
tica l'aria,  lom.  IV,  e.  189:  Ex  Diariis  Stephani  In  \  fissttrac  cixHs 
Romani  |  Xysti  iiij.  Conclave,  et  creatio  ìnnocmlii  viij,  |  Pont.  Max. 
Inc.:  «Die  nona  augusti  dorainus  lacobus  de  Comitibus  intravit 


536 


O.   Tommasini 


Le  pani  diverse  del  diario  parvero  presenursi  come 
sconnesse  tra  loro:  mancava  il  principio;  cominciavi  io 
italiano,  anzi  in  volgare;  seguitava  in  latino;  spesso  sgam- 
maticava  e  nell'uno  e  neiraltro  idioma.  C'era  pertanto  un 
bel  campo  dn  mietere:  ridirgli  il  princìpio  mancance;  ri- 
durlo tutto  ad  una  lingua  e  che  fosse  la  buona;  ordinarlo 
secondo  grammatica;  e  o  distinguer  bene  tra  loro  le  para 
diverse  o  ri  connetterle. 

Il  principio  si  rifece,  ordinandolo  ad  essere  uà  lap- 
picco  possibile  col  primo  capo  di  cui  si  aveva  il  dtob: 
Quando  la  corte  era  iti  Francia,  quando  cioè  fu  fatto  papi 
«  Tarcivescovo  di  Bordellaa.  Niente  era  pertanto  più  na- 
turale, se  non  che  si  facesse  esordio  regolare  alla  cronica 


«  Romam  »,  Eipl.  (e.  205  r)  :  «  Prcfccium  Urbis  id  C5i  ncpottm 
«  Xìstì,  ac  fratrem  cardìnalts  S^  Petti  ad  VìncuU  in  capluoetua 
«  generalem  in  die  sincri  Stefani  elegit  ».  b 

Archiv.  sudd.  arra.  HI,  121.  Ms.  cartaceo,  sec.  xvn  (0^>! 
0,150):  yUtiioric  diversa  di  Roma,  Nella  e.  i  :  «  Ex  V\bns  Congr. 
m  S.  Mauri  Romae  ».  Segue  l'indice  di  mano  del  Torrigi.  A  c.2S4- 
Diarie  ài  SUfano  Infissura  Cittaiino  \  Rofnano  ridotte  rn  CompmH* 
voìgan  I  manrandc  iì  f>rincipio,  t  \  parti  in  latino  copiato  *  ut/  ì^ff- 
Ine  :  «  U  conte  Romano  Orsino  venne  con  gìente  medito  Jxl 
«re  Roberto».  Expl.  (e.  269  v):  «Nel  1478  a  di  a;  d'aprile  w 
«uccìso».  Traduzione  e  compendio  sono  inesatti.  ' 

Archiv.  sudd.  Ms.  C,  XVI:  Memorie  divtru  di  Roma,  Ut,  lil- 
A  e.  244  V  :  Diario  di  Sttfamo  Infts'^ura  cittadino  \  rcmoMo  rnho.c  u 
comptndio  volgari  |  mamcoHdo  il  principio,  g  \  partt  in  UiJ»^  ^ 
pìAto  I  lUÌ  164J,  Ine,  :  n  II  conte  Romano  Orsino  venne  con  g€BK  '• 
Expl.:  «Nel  1.J78  a  di  27  d'aprile  fu  ucciso...»,  * 

Archiv.  sudd.  $2  t.  ;6.  BuIIm  div^nonam  «I  oBó  vàriA,  scc  t^i* 
A  e.  q6:  HistorU  avanti  cU  U  CorU  psst  in  Francia.  Nel  sur- 
gtee  supcriore  intemo:  «  Stcphano  Infcssura  |  cittadioo  K?- 
«  mano  lu  podestà  ad  Ona  j  Sorto Xisto  uij  .t.  57  ».  tee:  «  ..p®* 
«•  tlBcalmente,  et  disscglì  piglia  tesauro  ».  Expl.  (e.  98  r):  •  ptfd)i 
«  voleva  occidcre  Lodovico  Colonna  et  non  ti  venne  fatta  ».  Frun* 
mento  del  diario  «kiri.  di  sole  $  facce.  Passa  da'  nocamcnli^ 
Tanno  t%jS  3  quelli  del  1416  del  mese  di  agosto.  * 

Tontmo.  «-  Codice  miscellaneo  di  mtao  di  Girolamo  BagUonl,  1 


all'anno  in  cui  fu  fimo  pap:i  u  il  cardinale  di  San  Mar- 
tino in  Monte 0,  quello  che  aveva  lottato  con  Francia  e 
laugurato  un  contrasto  da  cui  pareva  dovesse  uscire  la 
ìrvitù  di  Francia  o  della  Chiesa.  E  s'incominciò  cosi: 
Nell'anno  Domini  mille  duecento  novantaquattro,  nella  vi- 
gilia dì  Natale  »,  Ed  ebbe  cosi  origine  tutto  il  brano,  dato 
all'Eckhart  (col.  186^-64),  e  dal  Muratori  (col.  iii-ij), 
che  nella  prima  edizione  finisce  alle  parole:  «regnò  otto. 
anni  nel  papato»;  nell'altra  alia  linea  23:  «e  fu  seppel- 
lito in  S.  Pietro  ». 


roto  nella  mctii  del  sec.  xvii,  come  si  ricava  da  una  postilla  ri- 
cordata da  A.  Fabretti  (Cronache  {Iella  citU'i  ili  Perui^ia,  II,  lOj), 
che  ora  possiede  il  ms.,  il  quale  ne  parla  nella  prefazione  al  voi.  2" 
dì  dette  cronache,  ed  ebbe  la  cortesia  di  fornirnii  altre  da  me  de- 
siderate notizie.  Il  ms.  misura  0,265  X0|I9S'  ^nc.  (f.  29  n.  m.  61): 
«e  torriccUi  e  le  porte  di  Roma,  massime  quella  di  Testacelo» 
(ad  an.  1451).  Kxpl.  (f.  40,  n.  m.  185):  «  sed  de  bis  condit'onibus 
«pacis  nibil  aliud  visum  fuit,  nìsi  quoJ  Orsini  stcterunt  in  do- 
ff  mibus  eorum  et  d.  Hubertus  recessit.  Et  pax  ut  sequitur  quae  n 
(ad  an.  i486).  f 

OKA.  —  Bìbl.  Vatic.  Ms.  Vat,  7858,  p.  2*,  e.  177  (ni  a.  4J4):  Ex 
SUphani  Infessurac  Civis  R.  Diario  \  rer.  Roman,  suorum  Umporum 
post  curiain  \  Roinanam  £x  Giilliis  ad  Urbem  revirsam  \  usque  ad 
ÀUxatuìri  6  creaiiomm.  (f  Si  conserva  anco  m.s.  nella  libraria  V"a- 
«tic.  I  Manca  il  principio»,  Inc.  (e.  177):  «  Il  conte  Romano  Or- 
ci sino  venne  con  gente  mandata  dal  re  Ruberto  0.  Expl  (e.  185  v)  : 
«  si  redire  non  posset  et  ».  Scrittura  pessima  di  mano  del  Tor- 
ridi; à  un  frego  sopra  ogni  faccia.  £  compendio  inesatto.         g 

Bibl.  sudd.  Ms,  Capp.  181,  cartaceo,  sec,  xvn  (0,140X0*205), 
rilegato  in  pergamena.  Nella  risguarda  t  la  data:  «  7bre  1737  ». 
Contiene  :  Diario  bistorico  d'ahjuauti  semiantichi  successi  \  di  Roma. 
Inc.  (e.  i):  ((Mentre  hcbbe  Francia  U  sedia  del  papato».  Expl. 
(e.  30  v):  «  ridusse  al  porto  la  navicella  di  Pietro  ».  Segue  (e.  31): 
Quando  fu  perduto  lo  Stato  da  Papa  Eugenio  IV.  Inc.:  «  Del  anno 
et  Domini  1454  ».  Expl.  (e.  $9):  «  doppo  fu  lasciato  senza  alcun  pa- 
M  gamcnto  ».  h 

Bibl.  Barberini.  Ms.  (1088  n.  am.)  XXXV,  37.  Citato  dal  Ma- 
«I,  Archiatri,  I,  199,  cartaceo,  sec.  xvii,  descritto  più  oltre,     i 


538 


O.   Tommasini 


Se  non  che  a  niuno  che  paragoni  questo  principio  rt- 
golare  con  quello  che  è  murilo,  sfugge  ch'esso  riposa  sul 
frammento  sincero  del  diario  dell*  L,  non  come  membro 
rotto  le  cui  parti  siano  disposte  a  risaldarsi  insieme,  mi  come 
un  cappello  qualunque  gitrato  sopra  una  testa  di  statuache 
non  à  modo  di  scuoterlo,  ma  cui  non  s'adatta  per  alcun 
verso.  Che  mentre  non  è  facile  andare  alla  fonte  o  spiega: 
la  genesi  della  leggenda  fantastica  e  frammentaria  con  cui 
l'autentica  narrazione  incomincia,  non  si  trova  diiEcoltii 
riconoscere  i  materiali  con  cui  il  fituzio  esordio  regobrc 
è  composto.  Poco  Villani,  poco  della  Vita  di  Bonifacio  Vili 
di  Bernard  Gui,  poco  di  Tolomeo  da  Lucca  ;  pochi  appunn 
degli  j4cta  coiisistorialia  e  de'  registri  de'  Cerimonieri  bisu* 
rono.  Il  dettato  poi  è  di  chi  sa  tornir  periodi  e  rannodarli 
con  espedienri  di  grammatica,  non  di  chi  segue  il  sempli^"^ 
impulso  del  pensiero,  di  chi  volle  racconciare,  non  di  chi 
scrisse  il  diario.  Dei  mss.  che  ce  lo  tramandano  nonn^* 
alcuno  che  offra  sentore  o  vestigio  del  dialetto  in  cui  fii 
scritto  tutto  il  resto  volgare,  del  quale  nessun  manoscritro 
i  potuto  interamente  purgarsi,  per  quanto  Tamanucns^ 
rabbia  causato  a  studio  o  per  negligenza.  Le  vwiaiiw 
stesse  fra  i  codici  che  danno  Tesordio  nuovo  sono  finii- 
tarissime  di  numero  e  di  natura,  e  si  riducono  per  lo  più 
a  errori  di  lettura  o  di  trascrizione.  Si  capisce  che  *io« 
l'Eckhart  d  «  Quieti  »,  il  Muratori  legga  «  Rieti  »,  e  «R'^' 
Ciardo  senese  »  in  luogo  di  «  Recciardo  Segese  »;  che  ilms-^ 
possa  leggere  «  Agamense  »  ed  R  «  Aponense  »  dove  '' 
Muratori  e  1'  Eckhart  stamparono:  «il  vescovo  Apamen«»- 
Ma  queste  differenze  intrinseche  ed  estrinseche  fra  l'esoruio 
e  il  resto  del  diario,  fra  il  modo  per  cui  ci  si  tramandi  il 
testo  di  quello  e  di  questo,  indussero  la  persuasione  che  1« 
due  pani  non  An  ragione  da  costituire  tutto  un  corpo  ;i>^ 
si  convenga  però  di  darle  per  tali.  Collocammo  quindi  U 
fittizia  introduzione  solo  in  fine  neircdizionc  nuova,  cooi"^ 
appendice  ;  e  ci  rassegnammo,  secondo  la  nota  dei  ms^»  P*^ 


//  diario  di  Stefano  In  fessura 


539 


i^torcvolì  alla  coavinzione  che  del  nostro  diario  e  aiaaca 
"  '^  principio  0, 

Per  qael  che  concerne  il  tentativo  di  ridurre  tutto  il 

^^*sto  ad  una  lingua  sola,  due  manoscritti  rimangono  a  te- 

^^'rnonio  delle  opposto  prove  :  l'uno,  il  Corsiniano  C^,  in 

^^<  tutti  i  notamenti  son  fatti  volgari,  anzi  italiani;  l'altro, 

^n  codice  Barberiniano,  in  cui  non  si  à  che  un  frammento 

*^^1  diario  stesso,  e  in  cui  precisamente  la  parte  italiana  si 

^*~Ova  parafrasata  nel  cosi  detto  buon  latino  delle  scuole. 

•*-l   nis,  fu  cognito  al  Marini,  e,  per  la  citazione  di  lui,  al 

*^-abricio.  Ma  il  Marini  lo  conobbe  male.  Lo  allegò  come 

^^    n>iarium  ms.  in  bibl.  Rarher.  cod.    1088,  p.  215;  il  qual 

^    non  è  altro  che  quello  dell' Infessura  fatto  latino,  ed  in 

**   alcuni  luoghi,  siccome  in  questo,  più  pieno  ».  Se  non  che 

^^■Jtto  il  più  pieno  è  nel  ripieno,  e  della  parte  che  mancava 

*^     il  Marini  non  s'avvide  o  non  dio  notizia. 

,  Ora,  questo  codice,  che  è  il  Barberiniano  XXXV,  37 

^•^-  a.  1088),  e  corrisponde  colla  segnatura  alle  indicazioni 

^^1  Marini   perfettamente,  e   un  cartaceo  del  secolo  xvii 

^'^cripiente.   Conriene  dalla  p.   r-io6:    Ada  \  in  hngissimo 

*^**»7i«7  schhmaU  \  Incipiente  sub  Clemente  VI  (i)  |  anno  Dni 

'^^  ^Sdirprofnpta  \  ex /iiro/y«t)Jjni.  Seguitano  poi  facciate  bian- 

^*>-c  sino  alla  iij,  in  cui  principiano:  Diaria  \  sub  Bonifatic 

■■^^on*?  et  Innocentio  VII,  Nel  margine  destro  occorrono,   a 

^^miglianza  degli  altri    mss.    del   diario,   note  marginali; 

^^>me:  «  eclypsis  maxima  in  hieme»,  «  populus  tumultuai 

^  sub   Columnensibus  et  Ursinis,   sede  vacante»;    ed  è 

^Ciesto  il  noto  passo  caratteristico  sopra  segnalato,  che  il 

^l'aduttore  rende  in  tal  modo: 

•  Anno  1401  mense  septembris  Bonifatius  Nonus  liiera  suum 
^lausit,  et  Romanus  populus  tumuUum  excitavit  libcrtatis  rccupe- 
"■^ndae  causa  et  iota  Urbs  repagulis  refena  esc,  quoiìdìe  dimicaniibu.s 
^rslnls  ex  una  prò  Ecclesia,  ex  altera  Columnensibus    prò  populo. 


(i)  Sopra,  a  lapis:  «  Urbano  et  ». 


540 


O.  Tommasini 


Interim    CapitoUum  et  turris  noticupata  del  Mercato  defeoersat^ 
favorem  populì;  quo  cognito  Ursini:  eadcm  die  Vespcri  in  Urt»a 
per   portam  Castri  S»*  Angeli  ingressi  sunt   ut  Capitolio  $upp< 
ferrent,  erant  enim  a  tnultìs  Romanis  comitati,  qui  Ecclesltc  | 
sequebantur  et   Jum  pervenìssent   ad  domum  illor.  de  Rubri>, 
lumnetises   cum  poputo    illis   occurreruat    et    pracHum  ibi  fac| 
est  in  quo  atrìnque  perierunt  non  pauci^inter  quos  PanccUoti 
sìnus,  sed  tandem  victores  remaiucrum  Columnenses  t  auiorìj 
pulì  parte  sequutì,  quare  Ursini  se  contraherc  coacti  suoi  ad  lord; 
Montem  ». 

Il  passo  relativo  alla  morte  del  Porcari  e  poi  hm 
giato  in  guisa  da  sopprimere  ogni  menzione  dclTIni 
nel  testo  volgare  si  afferma  testimonio  di  veduta: 

P.  178  V,  lin.   io;  ff  Die  9  ianaarii  die  Martis  suspensus  cs  5»- 
pìunus  Porcjrus  in  .\rce  S"   Angeli   uni  pinnanim  lurm  ^b«ì<' 
storsum(j(V)  est  dum  intras.  Hìc  Stephanus  fcii  vir  bonus,  imitorpiiiJ 
et  libertatis  Urbis,  quare  ut  patriam  liberam  redderet  dum  *-  "  "  " 
propter  indcbìtam  eius  relegationera  prodìtionem  praefitim  : 
rctur,  seìpsum  et  anìmum  suura  labcfactaNàt  et  peri^ 
bumAtus  in  Traspontina  ecclesia  scu  in  flumcn  proicc: 
suspensi  sunt  in  furcis  Capitoliois  absqiic  sacraraentis  EcclesiJi  A*" 
gelus  de  Mascìo  et  Clemens  eius  filius,  qui   ne  patrcm  ^;:<""'"'° 
vidcret,  pctiìtut  pileus  sìbi  ante  oculos  supcrponeretur;  qu^;. 
fuit;  Uquco  ettani   occubuìt  Savus  Octaviani  et  alìì 
numerus  novenarìus  fuit,  mortis  eorum  causa  in  seni, 
huiusmodi,  quìa  Stephanus  Porcarius  pontificem  Nicobum  : 
cardinales  capiivos  faccre  tenuvcrat  ut  raulus  postea  diript-:- 
mos  et  stupra  committcrcnt  ». 

Nò  parimenti,  ove  al  luogo  bea  cognito  T  L  icocui^* 
aQa  sua  potesteria  di  Orte,  nel  1478,  si  fa  menzione  i* 
cuna  di  lui.  La  frase  poi  corre  a  cai  guisa.  Dove  ^^' 
cenna  alla  porta  S.  Paolo,  il  traduttore  volge:  «'Friggili' 
«  nani  idest.  S.  Pauli»  ;  per  la  pona  del  Popolo,  ( 
n  mentaneara  portam  »  ;  dove  verrebbe  alle  prese  col  \  e 
e  colle  corruzioni  dà  mss.:  «si  ruppe  lo  arrizzatorc » O)* 
à  0  auditorio  fraao  0  (!).  Ecco  poi  saggi  dello  stile: 

(  I  )  Mss,  E,  S  :  «  *ccrizialore  ■  ;  C,  M  :  »  àccrixatore  »;  R  :  *  *!!?^ 
cadere  »  ;  S  :  «  assidatore  »  ;  R'  :  «  accidatorcs  »  ;  C^  »  «diixaio^'  '• 


Il  diario  di  Stefano  In  fessura 


54i 


Ed,  MuR.  (col.  1 1 18,  lin.  $6-8). 
«  E  rimase  Paolo  Orsino  at  soldo 
di  Santa  Chiesa   insieme  col  le- 
gato sopradetto  ». 
«  e  devolì  Marìtìma  et  Campagna 
per  cinque  anni  ». 

«  Eodem  anno  a  d\  12  di  iuglio 
se  parti  Io  papa  et  tornò  ad  Brac- 
ciano, et  a  d\  29  del  ditto  mese 
scori  Io  sole,  et  fo  la  eccUsse 
per  un  bora  vel  circa,  et  depò 
a  di  16  de  settembre  Io  papa 
tornò  a  Roma  ». 


Ms.  p.  124  v^  Un.  15. 

or  Et  sub  Ecclesia  mercbat  Paulus 
Ursinus  apud  eundcm  legatus»^ 

«  et  ad  quìnque  annos  Maritimae 
et  Campaniae  illum  praefecìt  j». 
P.  225,  lin.  13. 
«  Die  r  I  iulii  papa  Roma  di- 
scessit  et  Braccianum  petiit.  Die 
29  ciusdem  sol  obscuratus  cst^  et 
dcfcctus  apparuit  ad  horam  ;  die 
vero  16  septembrìs  pontifex  ad 
Urbem  rediit  ». 


Insomma  Todor  del  latino  gesuitico  di  Famiano  Strada 
o  del  Cordata  in  tutta  questa  versione  si  fiuta  mille 
tniglia  lontano.  Termina  allapag.  225  colle  parole:  e  pon- 
«t  tifex  ad  Urbem  rediit.  Reliqua  diariorum  Sixti  quarti 
<<  videas  in  voi.  cui  tit.:  Relaiiones  variae  et  Diaria  Sixti 
«*  Quarti  y>, 

Deirazziraatura  più  completa,  con  acconcia  separazione 
*li  parti  e  ricchezza  d'indici  per  ciascuna  di  esse,  e  abbon- 
danza di  rubriche  rimane  esempio  il  manoscritto  Chi- 
^iano  C*,  il  quale  mostra  tuno  quel  che  la  critica  storica 
*>  el  tempo  in  cui  venne  ordinato  poteva,  raffazzonando  se- 
<^ondo  suoi  criteri  il  testo,  anzi  che  tentare  di  ricondurlo, 
{^er  quanto  è  sperabile,  alla  originale  schiettezza. 

Ora,  accingendoci  a  tentar  la  compagine  del  diario  e 
^*-  trame  poi  la  caratteristica  dell'autore,  non  ci  sembra  su- 
Ji^erfluo  di  riassumere  anzitutto  in  uno  specchio  comples- 
sivo le  note  croniche  di  cui  è  concesto  (i)  : 


(i)  Indichiamo  con  numero  romano  i  mesi,  secondo  il  loro  ordine 

t> regressivo  dall'I  al  XII,  cominciando  dal  gennaio.  Le  cifre  arabe 

<l<}po  queste  indicano  i  giorni  dei  mesi.  I  puntolinì  dopo  il  numero 

vomano    significano  che  manca  nel  diario   1*  indicazione   del  giorno 

Archivio  delta  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XJ.  36 


J42 


O.   Tommasini 


(0  (1J03).  X8C0. 
1558,  ...» 
1J76.  ...« 

IJI4^  Cj). 

i}6i,  Vni  ai. 
1^8,  VII  16,  X... 
1579%  XI  9. 
i}89' 

1404,  I  j,  HI  17,  IX  I,  X  IO,  1%. 

1405,  rv  25,  vili  2,  j,  5, 6,20, 

,    2J,  23,  26,    IX    I. 

1407*,  m*ij,  XI 7%  14,  XII I. 

1408,  IV  18,  21. 

1409,  IV  25*,  VI  i9*,  21,27. 

1410,  X  ...,  XII  27.  jo. 

MM, IV  2' 

141  j,  VI  ...,  Ili  15,  VII  ... 
1414,   IX    13    (15)  .    16,   X  .„, 
XII  9». 


1416,  vili ....  xu .. 

Mt?» .Vili  28»,  XI  II*. 

1420.  IX  28,  (29). 
1422,  XI  ja 
1425,  V  ... 

1424,  VI  2',   16,  Vll3l»«*. 

I4JI,  II*  12,  19, 20,  ni  t, f. 

II*,  i6*. 
1432.  IV  15',  aj*.  VI  },  : 

VII  17*,  X22,  Vl4*.| 
M33.  IV  7  (8),    17.  Vii*,: 

VI  17,  vm  2s,xni.j 

U54%  X  5»  V  29.  V  3.,  VI! 
ao',  X  27. 

i4?6.  ni  20,  V  19.  VI},  vini 

1457.  IV...,  VII.. 

1438 ,  IV  11,  vni2j*.i 

XI  8.  2,  4. 

1439.  V...,  ^i-M  ui  19,1^1 


nel  mese;  dopo  il  numero  dell* anno,  che  manca  ogni  InJicaòov 
particolare.  I  numeri  in  parentesi  son  quelli  che,  desunti  dal  conica 
non  si  trovano  esplicitamente  determinati  nel  diano.  Nel  p5Cu4of'i^ 
cipio  s'incontrano  le  date  1294,  XII  24;  1295,  XI  \o, 

(2)  Data  erronea,  originata  probabilmente  dall'avcr  TI. ini«7^ 
tato  doppiamente  male  il  testo  latino  dì  Bernard  Cui  :  «  oi}:-'  ^-^ 
«  mae  .v.  id.  oct.,  sequenti  vero  die  fuii  in  tumulo,  qucm  sibi  Tirt»* 
«  praeparari  fecerat,  luraulatus  in  eccl.  S.  Petrì  a.  È  ovvio  che  TLp"** 
anzitutto  per  inavvertenza  gl'idi  d*ottobre  ai  13,  come  i  tnoicoaitf" 
del  calendario,  e  non  ai  15  di,  e  che  dopo  errò  anche  d*uo  gi*^ 
il  computo.  Gio.  Villani  {Cron.  Vili,  63)  ponendo  la  monedip*f* 
Bonifacio  a*  di  12,  sbagliò  pur  egli  probabilmente  nel  triJiint  u 
data  dal  latino.  Quanti  errori  coosimili  non  anno  forse  1'  ^''^^' 
ìstcssa  ! 

(3)  Alcuni  mss.  anno  1324,  altri  1314.  L*equivoco  della  cìJt- 
del  6  per  9,  del  9  per  2,  la  sostituzione  di  cifre  arabiche 
role  a  numeri  romani  o  viceversa  àn  dato  luogo  a  frvqac:: 
panze  dei  mss.  e  ad   errori  delle  edizioni  e  degli  storid  v--- 
sono  affidati.  Notiamo  con  asterisco  le  date  intorno  alle  quitJ^' 
discordanza  nel  tnss. 


^^^^H 

i                        //  T){ario  di  Stefano  In/essura             543      ^^| 

■ 

1 

"-M.O,  V  (26). 

1468,  XU24'.  (31). 

*^-%^  XII,  15. 

•^•^j-.V  27.  IX  28,  (29),  XII  8*. 

1469,  I   1,9,  2J. 

^^^1 

1470.  V  18,  VI  26,  XI 5,  vn  s. 

^^^B 

1471.  IV1.VU2J,  vili  6,9,25. 

^H 

"-=•^6,  VII"  5. 

^^^7,  l9.n  12,  2),IIl4,6^,ia, 

xu .« 

^H 

1472,1  ....  n  27',  Va8. 

^H 

VI8.2.r. 

1473.  I  23.IV29,  V(i),7.(8,9, 

^H 

*^»^8.  IV  as,  V  2j%  VIII    29. 

10),  VI  29. 

^H 

IX....  X  23,  XI  4,  xir 

1474.  I  5- 

^H 

20'. 

1475*.  I^.  ^I  "1- 

^H 

»-<M9.  IV  25,  27. 

1476,  IV  30,  18.  IV  25,  VI  to'. 

^1 

*<SO.  XII  19'. 

12,  13,  VII  6,  Xn  17.26. 

^H 

*-*Si.  

1477.  ni  tj.  VI  23.  26.  VUIai, 

^1 

■x^Sa,  m  8*.  9.  IO,  iS*,  IV32. 

IX  3,  XII  ...  15. 

^J 

x-^5j,  I  5,9-,  12%  30^31,  vn  8. 

1478.IV27.  V4,i2,VIIta\a9. 

^H 

X454,  X  12.  if. 

IX  16. 

^H 

14S5.  "1  "•-  ^4',  IV  8.  VI  29. 

1479»  XI  I- 

^H 

XI  21%  2J. 

1480,18.  V  17*.  VIII  2,  1X8. 

^H 

1456,  VII  ...,24,  Vili  22.  XII  24*. 

1481.  III  5,  V28MX,  i3\ 

^H 

145  7,  XII  24. 

1483,  IV  4,14,  V  21,  22,  VI  a.  3, 

^H 

Ms8*.  n...,  X*  i\  vir,  13% 

5,  6.  VII  12,8,  13,  16,21, 

^H 

viii,6, 14',  19.  rx3,xn 

27*,  20*,  VIlIi.S,  12*,  15, 

^1 

22. 

16,  19.22,  24,  30,  IX  ij, 

^H 

(1459)J";  I4$9»  I»  •"%  V  16, 

XII  27,  30. 

^H 

25.  X  5.29.(30). 

x483,Va7*.XI  15. 

^1 

1461,  m  27*.  (VI  29). 

1484,  V  jo,VI  I,  2.  4.$.  7.(10. 

^H 

1462,  IV  12,  V  4. 

(13).  18,   20*.  23,  25,  37, 

^H 

1464%  VI  19.  (VIII)  (0,  14.  28*. 

29*,  50,  VII  2,4,  16.(17). 

^H 

50,  IX  3,  16,  XI  6\  II*, 

(18),  20, 23,  24.  27,30,31^ 

^H 

XII  IO*. 

Vm...,  5.6,9*,  10,11,12, 

^H 

1465,  IV  22,  VI  2%  IX  14',  20. 

O3).   14,  (15),   (16),    17, 

^H 

XI  25. 

(18),  22,24,  25, 26. 29,  XI 

^H 

1467.  VII  8*,  IX  18,  29,  XI  20*. 

22. 

■ 

(i)  Quantunque  redizione  Muratori  (col,  il 39,  Un.  59)  legga  in 

_m 

questo  luogo:  «  eoJem  anno  a  d\ 

14  di  agosto  si  mori  Io  detto  papa 

^^^H 

«Pio  II»,  i  mss.  da  me  riscontrati  e  i'eJiziont;  d*Eckhard  non  re- 

^^^H 

cano  alcuna  menzione  del  mese. 

^H 

(2)  Il  Muratori  corregge:  «  mense  iuniì  »  ed  a  ragione;  ma  i  co- 

^H 

dici  da  me  riscontrati  danno:  «  mense  raay  ».  Lasciammo  però  V  ine- 

"^^1 

sattezza  air  I. 

f 

-| 

O.   Tommasini 


1485,16(0.  in..,Vl(25),(24). 

VII  14, 20, 21, Xi 6*,  19  ..., 

XI  ..,  (jo).  XII  IO,  15.16, 

38. 
i486,  I  4,  5,  6,  7,  21,  II  20*,  III 

17',  Vr,.,  30,  VI  (9)  (»). 

(12).  ...,  19,  (24).  28%  29. 

VII  2,  13,  17,  19%  26,  28, 

vin4, 11%  12. 14,15,24% 

IX... 

1487,  V  ...,Vl2oO).  26,  29,  VII 

S,VIII  9,17%  i8%25,  X 

1488,  I  X,  IV  7,  V  I,  VI  2,  15, 

VII  8%  15. 


1489,111  (ai)  (4),  VI  13,14,  j 

IX  4,  X  19,27,  XI  ij. 
1490. ,  V7,IX27,  28.  Xi 

XI 20, 30.  xn  28,  »)\| 

1491,  VI  1, 18,6, 9.  viii«^r 

24. 

1492,  Ilr,  IV(i9),(2a)(^l.Vd 

51,  VII*  16,  22,  2J,J6,1 

VII!  1,6,  30%n,26*,| 
5,  4,  XII  ... 

1493.  rv  25,  VI  IO.  u,  nj 
VII},  (7),  23,24,a«.( 

X  2t,  27. 

1494, 1  20,  Il  4,  rVaa. 


Da  questo  prospetto  vien  fatto,  innanzi  tutto,  dirilev 
i!  gran  numero  di  date  intorno  alle  quali  Ì  manoscritti  < 
scordano;  poi  la  relativa  scarsezza  del  notamenti  del  diifio, 
se  si  eccettuino  quelli  degli  anni  1482,  '84,  '85, '8tf,  'j^* 
*93  ;  poi  1=1  rarità  delle  note  croniche  ne*  singoli  anni,  che 
s*  incomincino  dal  gennaio;  e  finalmente  la  lunga  dista 
di  tempo,  per  mezzo  alla  quale  saltuariamente  proadc;^ 
soprattutto  i  molti  anni  e  lontani  fra  cui  si  trascorre  nel' 
r  introduzione. 

Ora,  da  quelle  date  rispetto  alle  quali  si  A  poca  cooi< 
danza  dei  manoscritti,  sorge  tosto  il  difficile  compito  J*B 


(i)  La  data  «  .xxii.   novembrìs  1884»  si  trova  intercalici 
questa. 

(3)  II  testo  à:  A  prima  hebdomada  iuniì  dìcVeneris».  De»tp 
tanto  intendersi  0  il  2  o  il  9  del  mese.    Cosi  intcrpretamoio  il  ^\ 
dal  dato:  «die  luuae  proxiraa  tunc  futura». 

(3)  Il  testo  à:  «die  vigesima  vel  circa». 

(4)  Il  testo  à:  «  mense  raartìi  in  die  qua  itur  ad  Ieru»alerti".^ 
la  domenica  lattare, 

(5)  I  mss.  anno:  «  die  dominica,  vidclicet  die  pasquae  et  seci»»' 
«die  dicti  mensis  ».  E  cosi  le  edizioni;  ma  parve  naturJiU  "*'*'?' ■ 
plìre  (t  vigesima  et  secunda  dicti  mensis»,  restituendo  colli  p'' 
sfuggita  agli  amanuensi  la  data  vera  della  pasqua  di  qucirioOO. 


//  diario  di  Stefano  Infessiira 


y45 


|ar 


le  cause  delI*iberrazioni,  più  che  non  emerga  la 
bilitA  di  facile  fede  rispetto  a  quelle  intorno  a  cui  si  à 
Dsenso  dei  codici.  Infatti,  i  codici  convengono,  per 
pio,  a  porre  l'elezione  di  Bonifacio  IX  nel  1382;  ma 
lon  vede  in  questo  caso  Tovvio  tramutamento  del  5» 
che  die  luogo,  probabilmente,  ad  una  universale  devia- 

dairautografo  ?  In  altri  casi,  per  converso,  è  una  du- 
lezione,  sempre  errata  e  diversamente  errata,  che  ci 
uce  a  ristabilire  la  giustezza  del  presunto  testo  originale. 

come  sogliono  tutti  i  cronisti  del  medio  evo,  indica 
spesso  il  giorno  dell'anno  dalla  festa  del  santo  che  ri- 
:  nei  calendario  ecclesiastico  ;  e  talvolta  accoppia  anche 
:a  indicazione  colla  data  astronomica.  Ora,  il  calendario 
,  per  esempio,  la  festa  di  san  Leonardo  a'  di  6  di  no- 
bre.  Questa  festa  era  tra  le  più  cognite  e  certe  in  Roma, 

il  nome  di  Nardo  occorreva  comune  neiruso  del  po- 
,  Dicendo  pertanto  TI.  nel  1464:  «lo  di  di  santo  Lo- 
"doft,  egli  sapeva  benissimo  di  dar  ad  intendere  la  data 
corrispondeva  alla  festa,  cioè  il  di  6  di  novembre.  E 
jngendo  in  seguito  l'accenno  di  «  doi  dì  seguenti  », 
hiaro  che  determinava  anche  il  di  otto  del  novembre 
rsuno.  Se  non  che  i  manoscritti  fecero  qui  un  gran 
jglio.  Alcuni  posero  accanto  all'  indicazione  della  festa 
siastica  la  data  «  a  di  5  »  ;  chi  copiò  omise  forse  l'asta 
mmero  romano  «a  di  .vi.»  nel  trascrivere  la  data 
i  in  cifre  arabiche;  e  aggiunse  di  soprappiù  per  trasan- 
za  «doi  di  sequenti  che  fo  a  di  17  n.  Altri  poi,  come 
'cr  non  saltare  di  pie  pari  dodici  giorni  in  luogo  di 
avvertito  della  seconda  trascurag^^ine  piuttosto  che 
rimo  errore  nella  datazione  dal  calendario  ecclesiastico, 
la  fesu  «  a  di  15  »,  ma  i  due  dì  seguenti  ai  18;  onde 
ito  di  congetturare  che  dovette  ben  esistere  un  buon 

primitivo  che  dava  la  lezione  corretta  :  «  a  di  ,vi,  »  e 

di  sequenti  che  fo  a  di  .viu.  »  ;  ma  questa  fu  poi 
a  da  chi  avanzò  il  fatto  di  dieci  giorni,  secondo  due 


TP 


O.  Tommasini 


maniere  diverse  di  corruzìoai,  che  appena  ora  si  p 
raccapezzare  e  medicare,  ragguagliandole  insieme. 

Con  tutto  ciò  non  è  a  credere  che  della  inesattezzi  JeUe 
note  cronologiche  sia  da  attribuire  tutta  la  colpa  a  trascu- 
raggine  d'amanuensi.  Pur  troppo,  anche  rispetto  ai  fatti  di 
cui  fu  testimonio  contemporaneo,  T I.  non  è  sempre  regi- 
stratore precìso.  ^M 

Del  convito  d*  Eleonora  d'Aragona,    in    cui  fu  pro^P 
tanta  dovizia  da  provocare  T  ironica  esclamazione  di  lui: 
«  in  qualche  cosa  bisogna  che  si  adoperi  lo  tesauro  delh 
«  Ecclesia!  »,  ci  sbaglia  la  data,  ponendola  sbadatamente, 
come  vedemmo,  nel  maggio,  anzi  che  nel  giugno,  quan- 
tunque la  designi  pur  giustamente  secondo  i  giorni  della 
settimana.  E  la  stessa   incertezza  si  rileva  nella  detenni- 
nazione  degli  anni,  sia  ch'egli  stesso  abbia  notato  o  eodcra 
tt  anno  t)  come  alla  prima  annotazione  deiranno  1449*^ 
adi  23  d'aprile»,  dov'era  necessario  di  segnare  invece  i 
margine  l'anno  nuovo  ;  sia  che  la  nota  marginale  sia  sfug- 
gita agli  amanuensi,  o  che,  pe'  tempi  anteriori  a*  suoi,  egli, 
attingendo  a  fonti  che  noveravano  gli  anni  ab  incarfiatiiym, 
abbia  fatto  male  la  riduzione,  o  mal  tradotto  dal  latino  rà 
volgare.  È  certo  che,  secondo  lo  stile  romano,  ci  chiiinJ 
it  primo  di  gennaio  a  lo  dì  di  capo  d'anno  a  (i);  ma  non 
è  men  vero  che  assai  di  rado  le  note  annali  ch'egli  r^ 
gistra    cominciano  prima  del  terzo  mese.    Può  essere  ef- 
fetto di   caso;  può  essere  che   tardi  egli   abbia  racoolio. 
come  il  notaio  Caffari,  «  multa  et  diversa  in  diversis  codi- 
ti cibus  diversis  annis  et  temporibus  sparsa»  ;  può  es< 
questo  tardo  raccozzamento  di  date  sparse  spieghi  anv^v . 
tercalamento  delle  dare  anteriori  dopo  le  posteriori,  non  in- 
frequente. Ma  quel  che  salta  agli  occhi  subito  è  che  i  du« 
nuclei  principali  del  diario  sono  il  brano  dt  bello  comifi^^ 
inter  Sixtum  et  donùnnm  Robcrtnm   (k   .-frimim  ex  un^,  '' 

(1)  Infessurae  Diar,  ad  ann.  1469. 


//  Diario  di  Stefano  Infessura 


547 


\regan  Ferdinandtim  dnccmque  Calabriat  ex  altera  parie  e 
ila  narrazione  della  presura  e  morte  del  protonotario  Co- 
lonna, tutti  e  due  composti  con  gran  sentiinento  di  affetto 
romanesco  e  di  clientela  verso  la  popolare  famìglia  dei 
Colonnesi  (i).  Tutto  il  resto  è  ravvicinamento  di  cellule 
Ipiù  o  meno  vaghe,  richiamate  da  parti  diverse,  senza  con- 
'tinuiti,  senza  proporzionata  importanza,  ma  ordinate  in- 
sieme tuttavia,  come  in  servizio  di  un  medesimo  sistema 
d'idee,  non  tanto  soggettivo  e  individuale,  quanto  popo- 
lare e  pubblico;  donde  risulta  il  pregio  principale  all'opera 
dell'  L 

Se  non  che,  se  abbiamo  già  avuto  luogo  a  discernere 
come  male  egli  si  dibatta  colle  relazioni  di  tempo,  non 
però  armeggia  meglio  con  quelle  di  spazio.  Prescindendo 
dagli  svarioni  degli  amanuensi  che  manomisero  i  nomi  dei 
luoghi  e  fecero  dei  Monte  degli  Orsini,  o  M.  Ursin  »,  «  Mar- 
«  cici  »,  «  Marini  »  e  peggio  (2),  che  scambiarono  Sulmona 
con  Sermoneta,  Troia  con  Stura  (Astura),  Mazzano  e  Naz- 
|zano  con  Genazzauo,  Genazzano  con  Genzano,  Teano  con 
Ceccano,  Capua  con  Mantova,  prescindendo  dagli  svarioni 
o  equivoci  che  fecero  comparire  Antonio  Caldora  per 
Antonio  da  Pontedera,  Baltasar  de  Rivo  per  Baltasar  da 
Offida,  noi  vediamo  T  L  confondere  Basilea  con  Costanza 

(i)  Cf.  Diar.  aJ  ann.  1404.  Come  la  Chiesa,  che  avea  stretto  col 
popolo  di  Roma  li  patto  di  Giacobbe  con  Esaù  famelico,  considerasse 
i  Ronianeschi,  veggasi  nel  Libro  lUUa  t'ita  d  delle  visioni  Òeìla  heaia  Frau"  ^ 
ctsca  àllramtnU  dilli  Poniiani,  di  prete  Giovanni  Mattiotti,  ed.  Ar- 
mellini, Roma,  Monaldi,  1882,  p.  113  :  «  . . .  poni  bene  cura  alli  spiriti 
M  romaneschi,  non  so  cica  liali,  et  sono  vili  et  tristi,  se  lassano  in* 
«  gannarc  alli  proprii  sieì,  alla  superbia  naturale  che  li  fa  vergognare  ». 
Questa  edizione  è  peraltro  tanto  inesatta,  che  chi  vuol  servirsi  di  questo 
prezioso  monumento  della  letteratura  dialettale  del  sec.  xv  come  ter- 
tninc  di  ragguaglio,  deve  ricorrere  al  ms.  dcU'archivio  Vaticano, 
fondo  di  Castel  S.  Angelo,  XII,  I,  2j. 

(2)  SoucHON,  Die   Papstwahkn  von  Boitifa^^    Vili  bis  Urhan   VI, 
p.  29:  a  dcr  schlechtc  Druck  liest  Mercici  ». 


J4S 


O.   Tommasini 


e  i  due  concili  che  nelle  due  citti  si  tennero;  coaiusid 
che  è  tutta  sua,  e  che  mostra  com'egli  non  andasse  colle 
sue  nozioni  geografiche  molto  oltre  le  porte  di  Roou. 
Che  an2Ì  le  stesse  menzioni  topografiche  dei  luoghi  i 
monumenti  della  città  addiuno  com'egli  si  tenesse  . 
più  presso  alle  fantasie  e  tradizioni  del  popolo  regis 
dal  Muffel  (i),  suo  contemporaneo,  che  alle  critiche J 
erudite  instaurazioni  del  Biondo  da  Forlì  e  alle  dixnna 
di  Pomponio  Leto  e  della  sua  Accademia,  pur  essi,  vu 
mente,  contemporanei  suoi.  Che,  se  anche  per  le  desig 
zioni  topografiche  è  a  mondarlo  delle  scorie  degli 
nuensi,  e  restituire^  ad  esempio,  «  pel  aviello  »  in  ve 
«pelacciello  »,  «  porta  Accia»  in  vece  di  a  poru  Avi* 
«  lopa  de  metallo  »,  la  famosa  lupa  Capitolina  al  Laterai 
invece   dell*  a  opera  de  metallo  »   (2),  pxssata  malamfl 


•    (i)  Cf.  N.  McFFELS,  Beschnibung  àtr  Stadi  Rom,  isS**  pMct 
tles  ìitUrarischen  Vere'mi  in  Stuttgart,  iSyó. 

(2)  Questa  lezione  originò,  come  è  ovvio,  dalla  cattiva  inicfpK' 
tazione  della  voce  n  lopa  »  da  pane  degli  amanuensi  e  de^li  ciitoi 
Questa  a  lopa  »,  che  aiuo  non  è  se  non  la  lupa  di  broruo,  ora  oci 
museo  Capitolino  e  che,  non  ostante  le  afTermazioni  autorevoli  9 
contrario,  è  lecito  dubitare  che  sia  monumento  romano  dell'cti  J^ 
tìca  repubblicana,  nella  edizione  della  ^ùstican•;a  dì  Paolo  PetxokIi 
diventò  «  la  Icpa  di  metallo  »  (Cf.  Muratori,  SS.  XXIV,  col.  lao)- 
I  copisti  che  non  intendevano  le  ragioni  dialettali  che  cella  regiotf 
romana  facevano  «  lopa  »  della  lupa  e  «  Montclopo  »  di  MontAtf^tS^ 
Montcluco)  credettero  poi  di  sciogliere  la  voce  «  lopa  >  e  d''intCTprrtit 
remissione  di  una  abbreviatura  nel />.,  d'onde  trassero  «  l'operi  ■D* 
questa  erronea  trascrizione  ebbe  ad  originare  la  lezione  1 
La  cosa  più  singolare  è  che  il  Rohault  de  Fleury  (Z^  Ì- 
moyen  àgc,  498),  pubblicando  estratti  del  catasto  della  basilici  li'* 
ranense  compilato  da  Agostino  delle  Celle  nel  1450,  staiiJpòi*^** 
■  una  posta  in  ncla  piaza  de  Sancto  Ianni  dove  sta  la  lopi  et  0^ 
«  de  metallo  »,  mentre  invece  nel  codice,  che  per  cortesia  del  t^ 
rendissimo  Capitolo  potemmo  osservare,  a  e.  xx  v  sì  legge  iniBWO' 
tamente:  «  dove  sta  la  lopa  et  Marche  de  metallo  »,  àot  Marco  A** 
rclio. 


//  'Diario  di  Stefano  Infessura 


SA9 


nelle  edizioni,  riman  sempre  a  suo  carico  la  «  colonna 
«  Adriatica  o,  ch'egli  indica  al  modo  stesso  del  Prospettivo 
«milanese  (i). 

Dapoichè  una  cosa  è  a  riconoscere:  che  dell'  I.  bisogna 
dire  quel  che  altra  volta  dicemmo  del  Godi  e  del  Bripio  (2). 
^gH  vive  immezzo  alla  cultura  del  Rinascimento  come  un 
'^^tno  del  medio  evo;  sa  di  giure  e  si  ravvoltola  nell'eser- 
^*^ìo  della  sua  pratica,  ma  la  fonte  gliene  riman  torbida 
^^  immota.  L'onda  classica  bensì  lo  lambisce,  ma  non  lo 
'^Vifica;  l'accademia    gì*  inocula,  come  un  pregiudizio  di 
'^^ùj  la  triste  passione  dei  distici  messi  a  servizio  de'  pette- 
^^^lezzi  e  dell'odio;  ma  il  latino  di  lui  non  è  mai  quel  del 
^lla,  bensì  quello  che  s'andava  travolgendo  in  curia  nel 
^^rgo  dei   cerimonieri;  quello,  a  un  dipresso,  dell'autore 
^^lle  Gesta  Bcnaìicii  XIII  (j\  dove  le  matclacia,  le  scutdiac 
^'^^  pl^iij  le  taxcat,  i  picherii  invadono,  colle  necessiti  bar- 
*^^che  del  linguaggio  vivo,  la  rigida  e  pulita  immobilità 
disila  lingua  morra.  Cosi  T  L  scrive  :  «  prò  bono  foro  u  per 
*«  a    buon  mercato  »  ;   «  in  capite  quìnque  dierum  >>  per  a  a 
*^apo  a  cinque  giorni  »  ed  a  erexit  se  in  pedcs  »  per  «  si  levò 
'^ti  piedi»,  e  poi:  magti::;eria,  funiarii,  forklicitjj  harilia,  boti- 
Siios,  butiglionem,  petias  drappi  imbrocati,  artdlaria,  Utidac  et 
f>adiglionc5,  partisciana,  sotolare.  Questo  latino  del  diario  suo 
tion  sarà  diverso  da  quello  delPaltro  libro  che  gli  si  attri- 
buisce :  De  comuniicr  acddcntìbus;    ma    che  distanza   da 
cjuesto  a  quel  del  Biondo,  del  Valla,  di  Poggio  e  del  Bruni! 
Del   resto  i  contatti  dell'  I.  col  mondo  classico  non  paiono 
né  molteplici  nò  frequenti.  Egli  cita  una  volta  Ovidio  (4); 
vana  volta  Giovenale  (5);  ma  l'allusione,  quantunque  strana, 


(i)  Prospettivo  MaxNESE,  AnliquarU  prospettiche  romane  in  Atti 
R.  Acc.  dei  Lincei,  III*  par,  3,  p.  51. 
(3)  Cf.  Arcb.  della  Soc.  Rom.  ài  st,  patria.  III,  8$  e  sgg, 

(3)  Muratori,  Script.  Ili,  777  e  sgg. 

(4)  Cf.  ediz.  Muratori,  loc.  cii.  col.  1225. 

(5)  Cf.  ediz.  cit.  col.  1250,  lin.  JO-31. 


550 


O,   Tommasini 


alla  Tulliola  di  Cicerone  vedemmo  che  non  gli  appartiene; 
è  amico  di  messer  Pomponio,  raccoglie  pasquilli  contro 
Sisto  IV,  Innocenzo  Vili,  Alessandro  VI,  ma  soloperdic 
la  curia  e  la  enti  ne  rigurgitano  ;  e  non  è  da  credere  che 
il  brutto  epigramma,  soppresso  nell'edizione  del  Muntori, 
riferito  in  quella  dell' Eckh;in  (i),  gli  spetti  come  ad 
autore  (2).  Allega  una  volta  il  Platina  (3)  come  autoriti 
storica;  un  volta  un  versetto  di  salmo,  per  malignarvi 
intorno  alla  fecondità  di  papa  Cibo,  giovane  e  genovese  (4); 
altra  volta  come  dictnm  Apostoli  una  sentenza  (5)  che  ni 
nelle  lettere,  nò  negli  Atti  degli  Apostoli  si  trova  ceno; 
ma  di  queste  inesattezze  di  citazioni  negli  scrittori  del  5^ 
colo  XV  non  è  penuria  né  maraviglia.  Bensì  la  vera  auto- 
rità che  lo  domina  e  gli  pervade  lo  spirito,  l'autorità  che  gli 
sostiene  il  senso  morale  ferito,  che  gli  nudrisce  1*  ironia  e 
la  speranza  civile  è  quella  della  profezia. 

Il  calabrese  abate  Giovacchino 
Dì  spirito  profetico  dotato, 

che  Dante  (6)  pose  immezzo  ai  campioni  dell'esercito  Ji 
Cristo,  nell'alto  del  Paradiso,  l'unico  profeta  che  in  tu::^ 

(i)  Ed.  EccARD,  loc.  cit.  col.  1949,  Un.  21  e  $gg.  O".  f^  .^- 
ElcutheropoH,  1544,  pp.  5,  76-78. 

(a)  Le  parole  che  precedono  ìmmediatameDte  repìgraaimi  ini- 
caio  variano  secondo  i  mss.  L*Eccardo  legge,  insieme  cooì«>I»-' 
B*,  F',  P*:  «  ego  tamen  susccpi  carmina  infrascriua  1.  A,  ^  >.  B', 
B3,  FS  G,  L»,  M3,  M*,  O,  O',  R',  S.  V,  V:  <r  ego  tamcn 
«  infrascripta  »  (B3  omette  poi  l'epigramma).  A*,  B,  B*,  I 
L,  L',  L3,  L*,  M,  P,  ?':  «  carmina  infrascripta  itiscripti  ».  f,  F^^* 
«  criraina  infrascripta  inscripsì  ».  S*  :  «  subscripsi  carmina  infraKript»»- 
P*:  «  infrascripta  carmina  rondiii».  Omettono  l'epigramma  e  ^'P* 
role  che  lo  precedono  B3,  C*.  C3,  V^ 

(j)  Ed.  Muratori,  loc.  cii.  coL  iai6,  lin.  $a:  «ut  legiwriflPl** 
a  lina  tempore  dictì  lohannis  papae  undecimì  ». 

(4)  Diur,  ad.  ano.   1484,  psul.  128,  v.  5, 

($)  Ad  ann.  1489  :  «  de  male  acquisitis  non  gaudcbit  tcrtios  hKm  '■ 

(6)  Paradiso,  XII,  140, 


fera  cristiana  egli  conobbe  dopo  gli  Apostoli,  è  anche  per 
'ri.  un  lume  lucente  che  accerta  il  passato  e  il  futuro.  È 
'lui  che  «  scripsit  de  pontificibus  futuris  usque  ad  nostra 
«  tempora  «;  è  lui  che  «  visse  a'  tempi  di  san  Cataldo  »,  del 
quale  ultimo  pur  sì  dissotterra  nel  1492,  a  terrore  di  re  Fer- 
dinando, una  profezia  novella  (i).  Quando  Bonifacio  Vili 
muore  come  un  cane,  nella  leggenda  con  cui  incomincia 
il  diario,  egli  non  fa  che  finire  «  la  sua  profetia:  intrabit 
«  ut  vulpis,  regnabit  ut  leo,  morietur  ut  canis  n  (2).  E  tutto 
quel  viluppo  di  dettami  profetici  che  pigliavano  nome  dalla 
Sibilla,  da  Merlino,  dall'abate  di  Fiora,  da  Cirillo,  le  cui 
tavole  argentee  esercitarono  gii  tanta  potenza  sulla  fantasia 
di  Cola  di  Rienzo  (3),  quelli  di  Telesforo  da  Cosenza  sopra 
d'ogni  altro,  tale  un  predominio  avevano  preso  suH'  im- 
maginazione del  popolo  da  sostenere  colla  speranza  nei  mu- 
ramenti, che  le  profezie  promettevano,  la  fede  dei  cristiani 
scossa  nel  veder  la  gii  unica  Chiesa  divisa  dallo  scisma,  por- 
tata via  dalla  sede  tradizionale  ed  eterna  di  Roma,  marcia 
per  la  potenza  mal  goduta,  per  le  ricchezze  mal  profuse 
del  clero,  per  la  povert;k  evangelica  dimenticata  (4).  E  se  si 


W, 


(i)  Infessura,  Diar.  ad  ann.  Cf.  AJ.  SS.  Boll,  io  raaìi,  II,  S70-578; 
VII,  679;  Ughelli,  //.  ^acra,  IX,  121. 

(2)  Questa  forma  della  profezìa  s*  incontra  in  Fr.  Pipini  Chrouicon, 
SS.  It.  IX,  741,  neìVAquila  volante  dì  Leonardo  Aretino,  V,  cxxv 
(ed.  Venezia,  i$o8):  e  Et  cosi  è  verificata  in  lui  la  prophetia  de  Mer- 
«  lino,  la  quale  dìcia  cosh  intrabit  ut  vulpis,  etc.  ».  Nelle  Io.  Abatis 

,  Prophetiacj  Vatic.  VI,  la  profezia  a  forma  diversa. 

(3)  Cf.  DòLLiNGER,  Der  fVeissaguttgsglaubeand  das  Propbetentbum  in 
àer  chrisiìichtn  Ztit,  p.  359;  Papencordt,  Cola  ài  Rim\o  una  stint  Zdt, 
p.  22S  e  sgg.;  Renan,  NouvdUs  Hudcs  d'bistoirc  uììgieuse,  p.  308;  Tocco, 
L'eresia  mi  medio  ct'o,  p.  291  e  sgg.  II  Denifle,  Dai  EvangcUum  acUr- 
num  uftd  die  Commission    \u    Anagni^  ne\V Archiv  fùr    Litteratur-  und 

j  KirchengtschichU  da  MìtUìalters,   I,  90-8,  dà  notizia  della  tradizione 
manoscritta  delle  opere  dell'abate  Gioacchino. 

(4)  DòLLiNGER,  loc.  cit.  «  In  der  Zeii  der  grossen  Kirchenircn- 
«  aung  (i  378-1455)  stand  das  Prophctenwesen  in  voller  Biute  ». 


552 


O.   Tommasini 


tollerava  l'aspetto  di  pontefici  studiosi  delle  basse  uri 
della  terra,  della  cheresia  corrotta,  della  fede  schernita  come 
cose  che  non  fossero,  come  contingenze  passeggere  e  desti- 
nate a  sparire,  era  per  fiducia  che  sarebbe  venuto  il  «  t 
«ricus  absque  temporali  dominatione  »,  il  papa  angeli 
scevro  del  temporale  dominio,  intento  solo  alle  cose  cele 
0  qui  solum  vitam  animarum  et  spiritualia  curabit  ■  i 
per  la  speranza  nell'era  del  Santo  Spirito,  che  doveva  seg 
a  quella  del  Padre  e  del  Figliuolo,  le  cui  colonne  sarebbero 
state  Tabarc  [oachlm,  san  Fancesco  e  san  Domenico,  come 
nel  principio  della  nuova  alleanza  erano  stati  Zaccaria,  Gio- 
vanni Battista  e  Gesù  (2).  Per  questo  il  profeta  di  Fiora 
era  stato  da  Dante  collocato  coi  due  gloriosi  isrituiori  di 
ordini  frateschi,  che,  come  notò  i!  Machiavelli,  rìtrisscro 
il  cristianesimo  verso  le  origini  sue  (3).  E  il  common- 
mento  profetico  che  agitando  i  luminari  del  secolo  uè 
da  questi  sino  alle  infime  plebi,  come  freme  nel  vcK 
dantesco  (4)  e  nella  cronaca  di  fra  Salimbene,  parla  in  qud 
del  nostro  scribasenaio.  Quell'onda  d'odio,  che,  come  se 
il  Renan  (>),  sono  le  predizioni  ioaclùmìstiche  contro  a  1 
nifacio  Vili,  dal  diario  di  Stefano,  rimbalza  ancora  con 
la  storia  di  lui,  narrata  dal  Tosti  (6).  Se  l'I.  accogbc  1 


(i)  Infessura,  Dfiir.,  ad  ann.  1491. 

(2)   GlRARDINO    DA    BOKGO    SaN    DON*NrNO,    InirodìUÌOf^ìiì 

PLESSis  d'Argentré,  ColUcUo  iudiciorumt  I,  163. 
(^)  Machiavelli,  Discorsi,  III,  1. 

(4)  C(.  BoNGiovANNi,  ProUgomcni  ad  nuot'O  Comento^  p.  l$7*^'' 
LIKGER,  Akadtvmchc   VortrùgCj  p.  94,  citando  il  passo  di  Annan'" 
da  Bologna:  «  Ma, come  dice  Merlino,  tutte  finiranno  poi  per  U  cK^ 
«  di  quel  forte  Veltro,  che  caccerà  qut'll'affaraata  lupa,  onde  Wffl 
<r  tanta  crudeltadc  »,  annota:  «  also  batte  sic  im  Volksmundc  bcr^ 
«  cini;   merlinische   Weissagung,  die  sich   den    Dante' schcn  ^c*'" 
«  aneignete,  gcbildet  ». 

(5)  E,  Renan, /oa^rAim  àe  Flort  et  Vh'angtU  H^mtU  Noirt^flfl' 
d*histoire  rtligieusi,  1884,  p.  308,  in  nota. 

(6)  Tosti,  Storia  di  Bonifacio  Vili  VI,    195  :  «  Ecco  rhoo»" 


//  diario  di  Stefano  lufessura 


^^ggenda  della  morte  di  Benedetto  XI  «  attossicato  in  un 

^^o  »,  è  pel  vaticinio  ioachimisrico  che  la  predice  (i).  Se 

*-*     mancare  dell'imperatore  Federico  III,  nel  1495,  annota 

'^  et  cum  eo  perierunt  omnes  propiietiae  »,  egli  è  appunto 

Perchè  vede  cadere  a  vuoto  tutte  le  predizioni  guelfe  che 

**-v-evano  dipinto  co'  più  foschi  colori  quel  qualsiasi  Federico 

^^desco,  che  fosse  venuto  dopo  il  secondo,  dopo  rHoheri- 

^^aufen  tanto  detestato  dalla  Chiesa,  persino  nella  memoria, 

^ol  quale  avrebbe  dovuto  esser  perito  T  impero  (2).  Per- 

^^nto,  sino  al  tempo  in  cui  TI.  chiude  la  sua  cronica,  dopo 

"■--^  morte  cioè  dell*  imperatore  Federigo  tanto  profeticamente 

*V)rmidabile,  quanto  storicamente   alla  Chiesa   innocuo,  è 

^^ampo  a  vedere,  come  i  contemporanei  facessero  continuo 

^^iscontro  colle  profezie  ai  fiitti  della  storia.  Ma  i  tentativi 

^  procedere  oltre  col  sistema  medesimo  cadono  poco  ap- 

jDresso  scoraggiati  e  sterili  in  Italia  (3),  dove  l'ultimo  ba- 


«r  della  progenie  dì  Scarioto...  neronicamente  regnando,  tu  morirai 

«t sconsolato...  perchè  tanto  desideri  il  babilonico  principato?  ecc.  ». 

lÈ  notevole  il  seguente  brano  della  storia  del  Tosti  che  par  proprio 

Spirato  dalla  fantastica  narrazione  dell' I.:   «  Segutvalo  Napoleone 

m  degli  Orsini  cardinale,  il  quale,  il  pontefice,  a  dar  segno  che  vera- 

«  mente  lo  avesse  perdonato,  umanamente  convitò  a  mensa.  Ma  il  sel- 

«  vaggio  uomo  osò  con  superbi  modi  parlargli  :  essere  ormai  tempo 

*<  che  dovesse  accogliere  in  grazia  i  Colonnesi  ». 

(i)  loACHiMi  ABATis  Calabri  Vaticinium  VII:  «  Haec  est  avis 
«t  nigerrima  corvini  generis,  nìgra  Neronis  opcram  dissipans,  subito 
«  morienir  in  terra  petrosa,  cum  videbii  fructum  pulchrum, 
«ad  vescendum  suavem,  tunc  cnutriet  in  gemma  qui  sibi 
«principìum  mìnìstrabit  mortisn. 

(2)  De  Leva,  Dante  qual  profeta,  relazione  estratta  dagli  Atti  dèi 
R,  Istituto  v£fu:to  di  scien^ej  lettere  ed  arti^  t.  VI,  scric  VI,  p.  14. 

(5)  Se  ne  scorge  traccia  nel  manoscritto  della  biblioteca  Boncom- 
pagni  di  Roma,  segnato  E,  7,  nel  quale  in  seguito  alle  Kotabilia  tem- 
porum  del  notaio  de  Tummulilli,  edile  dall'Istituto  Storico  Italiano, 
si  contengono  profezie  che  giungono  per  insino  ai  tempi  ò\  Niccolò  V, 
Calisto  III,  Pio  II  e  Paolo  II.  Ma  prescindendo  dalla  scorrettezza 
del  testo,  lo  stile  loro  ìi  perduto  quellVnfasi  apocalittica,  quel  «  bom- 


1 


554 


O.   Tommasini 


gliore  di  fuoco   profetico  par  che  si  spenga  col  rogo  lU 
Girolamo  Savonarola. 

E  dopo  l'influenza  dei  deaami  profetici,  quello  del  seiK 
timento  popolare  e  colonnese  è  il  più  caldo  e  cospicuo  del 
diiirio  di  Stefano.  La  catastrofe  di  papa  Bonifacio,  con  cui 
la  cronica  di  lui  sembra  che  incominciasse,  sta  come  segno 
della  vendetta  di  Dio  contro  chi  s'attenta  a  colpire  hntaJ 
tuosa  casa  dei  Colonna;  e  i  Riario  dovevano  meditare I^H 
sempio.  L'esilio  babilonico,  il  trapasso  della  Scdepontìficù 
in  Avignone,  da  cristiani  e  da  Romani  si  considerava  come 
la  principale  iattura  per  la  Chiesa  e  per  la  cittA;  e  il  pri 
principio  di  tale  iattura  il  popolo  voleva  ripeterlo  da  _ 
Orsina.  Cosi  V  L  racconta  che  fu  Napoleone  degli  Orsinf 
da  Monte  Giord.ino  che  a  ruppe  li  cardinali  «  esitanti, 
coronare  Clemente  V  fuori  di  Roma;  «  e  givosene  in  Fr 
«  et  tutti  li  altri  lo  seguitorono  et  all*hora  fu  coronai 
Ed  oggi  se  la  storia  imparziale  riduce  a  più  stretto  lii 


«  bastischer  Ausputs  )>,come  lo  chiama  U  Dòllincea  (loc.  ciL  p.  ip 
che  è  il  carattere  precìpuo  del  vaticinio  ioachimistico.  Invece  nel  c^ 
dice  Vaticano  Regio.  >8o,  membranaceo,  del  secolo  xv,  si  à  proprio 
rcscmpio  di  quel  nucleo  dì  profezie  che  si  rifletie  nel  diario  JcU'*- 
Dopo  i  vaticini  di  Merlino,  ne*  quali  l'ultimo  riscontro  si  fcn 
e.  n  V.  con:  «  Di"»  Gabriel  (Condolmario)  de  Venetiis,  deìnJL 
«nius  pp.  mi  cUectus  Roma  .ii.  die  martii  J431  »,  segue  a  <:     - 
il  UbeUiis  fratris  Tìtcìofori  presbiteri  et  hercmiU  simul  uuctcnUili.   •;'' 
scriplorum  prophetarum  et  vcrarum  cromcarum  dU  causis  stata  iopaif^ 
oc  fine  prcicntis   scismatis  et  tribtilationufn  futuramtn,   maximi  t^f^ 
futuri  Re^s  Aquihtiis  vocantis  se  Federicitm  Jmperatorem  /ft'*ii«  Uifw  * 
tempora  futuri  pape  vocati  Angelici  pasioru  ci  Karoli  re^is  Frof- 
imperaiOTìs  post  Feàericum   Tertium  supradictuttt,  Item  de  summ    ■ 
ficibus    Romane   Ecclesie  oc  status   universalis  EccUsie  a  tempori  ^Z* 
tetnpus  dicti  ultimi  atttixpi  ac  post  mortem  ipsiuJ  usque  ad  txirtsw^"^ 
iudicium  et   finem   mundi.  Le   rappresentazioni   figxiraie  cIk  ice»"*' 
pagnano  il  testo  aggiungono  pregio  ed   importarua   al  codice.  A^ 
ornamento  della  nuova  edizione  del  diario  dcll*I.  saranno  ripro^ 
quelle  che  rappresentano  il  a  pastor  angelicus  i*  e  la  venuti  di  F^ 
derico  HI  a  Roma. 


Il  diario  di  Stefano  In  fessura 


555 


ia    responsabilità  dell*  Orsini,   non  però  lo   scagiona  de! 

furto  (i). 

Similmente,  se  nel  diario  di  Stefano  vien  commemorato 
I*  infelice  Andrea  Zuccom^keh,  quel  domenicano  e  archiepi- 
<«  scopus  de  Cranea  »  (2)  che  gì'  Italiani  chiamarono  Zuccal- 
xnaglìo,  è  solo  perchè  «  multa  mala  dixerat  de  Ecclesia  Dei, 
<c  potissime  de  mala  vita  Sixti  et  comitis  Hicronimi,  et  de 

et  inhonesta  vita  omnium  praelatorum  »  ;  e  perchè  ai  Fio- 
rentini,   alla   lega,   non   meno    che    ai    Colonnesi,    quel 

(i)  Cf.  SouCHON,  Die  Papstwahlen  von  Bonifax.  VUlhii  Urban  VI  una 

<iii:  EnisUhun^  da  Scbismas  T}jS,  Braunschweig,  r88,  p.  29.  Cf.  ìbid. 

•a.pp.  Il,  KapoUonis  de  Ursinis  cardinalis  epistola  ad  Phiìippum,  ngem  Fran- 

corum,  de  slatti  Romance  EccUsiae  post  oHtum  Clemeiitis  V,  p.  185  e  sgg. 

Xn  essa  TOrsini  dice  apertamente  :  «  et  quondam  cum  multis  caut?lis 

«<  quibus  potuimus  hunc,  qui  deccssit,  elegimus,  per  quem  credeba- 

«e  mas  rcgnum  ei  regem  magnifice  esaltasse  ».  E  poco  olire:  «  Pro 

««  certo,   domine  mi  rex,  non   fuit  nec   est    intemionis  meae  sedem 

mt  mutare  de  Roma  nec  Apostolorum  sanctuaria  Tacere  remanere  de- 

«  serta,  quia  in  fundaraentis  fidei   scdes  universalis  Ecclesiae  Roma 

•«r  est  stabilita  ».  Bensi  riconosce  che  «  vobis  domino  nostro  et  mi  hi 

«devoto  vestro  et  ceteris  dominis  Italìcìs,  qui    solo    inluitu 

«regio  dcfunctum  elegimus,  praemissa  adscribunt ur   mala  et 

«  mundo   non  ventura  ». 

(2)  Il  Burckhardt,  Er^ischof  Andreas  vott  Krain  undder  Ut\te  Con- 
^ibversuch  in  Basel,  nelle  Beltrame  5^.  vaterl.  G&sch.  \.  Baseì.  V,  25,  lo 
<là  per  arcivescovo  di  Strigonio,  st.  Gran,  !in  Ungheria.  Ma  dalle 
serie  del  Gams  {Strics  cpp.  380)  sembra  che  sino  alPanno  1482  di 
-quest'ultima  sede  fosse  titolare  Giovanni  Peckcnschlager.  Invece, 
il  Frantz,  Sixius  IV  und  die  ReptihUk  Fioretti,  Regtnsburg,  1880,  p.  455, 
lo  fa  arcivescovo  della  Carniola,  gli  àà  per  refidenza  Laibach  e  ri- 
sene che  dovesse  il  suo  arcivescovato  all'alta  posizione  politica  che 
godeva  presso  Federico  111  impcratort.  Il  Burckhardt  trae  dai  docu- 
menti dcirarcfiivio  di  Basilea  molta  luce  intomo  al  tentativo  di  con- 
vocar un  nuovo  concilio  in  quella  città  per  citarvi  papa  Sisto  IV, 
ad  istigazione  deirarcivescovo  Andrea;  e  trova  che  la  notizia  data 
dall'I,  della  carcerazione  fatta  dì  lui  dal  conte  Girolamo  e  della 
deposizione  fattane  dal  papa  ò  per  lo  meno  «  cin  an  unrechter 
■  Stelle  angebrachtes  Einschiebsd  im  Juii  1482,  da  Andreas  schon 
«làngst  in  Basel  war». 


L 


556 


O.  Tommasini 


«  Crania  »  potè  parere,  quale  Baccio  Ugolini  lo  descrisse: 
«  un  huomo  per  fare  ogni  cosa,  purché  e*  tuffi  d  papi  e 
«  el  conte  »  (i);  per  le  speranze  che  i  «  conciliisii  »  d'Ialù 
riposero  in  lui. 

Ma  all' infuori  di  queste  influenze  del  pensiero  popolire 
che  s' insinua  fra  i  notamenti  dell'  I.  e  Y  inducono  a  regi- 
strare anche  l'insediamento  dei  fraticelli  eremiti  in  San  l 
vanni  al  Laterano  come  un  trionfo  del  popolo  (2),  1 
mancano  argomenti  per  riconoscere  qua  e  li  anche 
mento  personale  e  soggettivo  nelle  narrazioni  e  nelle  r^P 
strazioni  sue. 

Egli  naturalmente  panecipa  a  non  pochi  dei  fatti 
rende  testimonianza;  ma  di  non  tutti  ragguaglia  conD 
pnraneamente   all'accaduto.    Qualche   volta    anzi   par 
rileggi!,  dopo  certo  intervallo  di  tempo,   l'appunto  suo  ^^ 
vi  supplisca  nuove  notizie  o  commenri. 

Uno  degli  appunti  personali  che  copisti  e  bibliografi 
furono  solerti  a  raccogliere,  è  quello  in  cui  tiel  1478  egli 
si  dà  come  potestà  ad  Orte.  Ma  precisamente  in  quello 
ci  si  attesta  che  il  notamento  non  fu  contemporaneo  (j). 


(i)  Fabrosi,  Lauretitis  MeJicis  Maglifici  Fita,  II,  227  e  ^l-  - 
lere  di  Baccio  Ugolini  da  Basilea  u  a  dì  20  e  50  disepierobr-  . 
e  <r  a  dì  25  oct  ». 

(2)  V.  nel  Diario  all'anno  1440:  «  «foro  rimessi  in  Santo loim» 
R  li  fraticelli,  et  questo  fu  del  mese  di  iugno,  et  colla  procesnOK. 
«  et  foro  ad  accompagnarli  li  Consen'atorì  et  caporioni  dovi  ^ 
«  vecchi,  ctc.  ». 

(j)  Diar,  ad  ann.:  «  et  in  quel  tempo  io  Stefano  ^ 
«  stava  per  potfcstà  de  Horta  ».  Vanamente  ricercammo  nel: - 
Comunale  di  Orte  alcun  documanto  rìsguardante  la  potcstefìi  dt^ 
rinfessura.  Per  cortesia  del  sindaco  signor  Filiaccì,  vi  consuIonuDO 
quanto  interessa  la  storia  del  secolo  dcciraoquinto.  Ci  parve  rofliM* 
importanza  T  inventario  cominciato:  «Die  xxuij  nnvcmbris.  la  *► 
V  mine  dò!  amen.  Anno  dn:  ab  eiusdem  saluberrima  nfttJv'itate  miS^ 
«  Simo  quairigeniesimo  sectuagesimo  tcrtio  tndictìone  sexia  ictoy^W 
«  pontiticatus  santissimi  in  xpo  patris  dni  dnì  nostri  Sixil  dim»  ^ 


//  diario  di  Slefano  Irijessura 


557 


^^tto  la  data  del  a  io  giugno  1476»  in  cui  pone  Li  par- 
^^^iza  del  pontefice,  aggiunge  la  nota:  a  tornò  a  di  27  di 
"  ^*   dicembre».   Chi  non  vede  I* interpolazione  posteriore? 
^^^nto  più  che  dopo  seguita  a  narrare  fatti  del  giugno;  di 
^>iisà  che  il  Muratori,  considerando  T  interpolazione  come 
^^stranea  all'autore,  la  volle  espungere  dal  suo  testo.  Il  Por- 
^^arieialo  vidde»  pendere,  quantunque  poi  delle  altre  giu- 
*   Clizie  susseguite  alla  cospirazione  di  lui  ponga  la  data  «  in 
<«  questo  anno».  Del  protonoiarìo  Colonna,  della  cui  pre- 
I   Sura  ed  uccisione  riferisce  tanto  minuti  particolari,  registra 
la  risposta  fatta  ai  Conservatori  di  Roma  «etìarame  prae- 
c<  sente  o,  ma  poi  scrive:  «  et  io  Stefano  scrittore  di  queste 
«  historie  con  1Ì  miei  occhi  lo  vìddi  et  con  le  mie  mani  lo 
«  seppellii  «.  Egli  scrive,  cioè,  quando  il  fatto  è  già  abba- 
stanza remoto  da  lui.  Nel  riferire  l'assalto  dato  dai  Turchi 
a  Rodi  (1480)  nota:  «  come  fo  ditto  j>.  Conta  a  dì  6  d'a- 
gosto del  1482  della  rovina  della  torre  del  palazzo  di  San 
Marco  a  prout  nunc  oculata  fide  videri  potest  d,  E  anche  nel- 
r accennare  alle  fortificazioni  che  Alessandro  VI  fa  di  Castel 
Sant'Angelo  e  al  corridoio   che  conduce  dalla  fortezza  al 
Vaticano,  «prout  nunc  videtur»  scrive;  cioè  dopo  che  il 
lavoro  è  compiuto.  Pure  nel  1484,  quando  Cave  assediata 
crudelmente  si  rende  alla  Chiesa,  avvisa:    «H  quali  patti 


o  videntia  djgnissimi  pp.  quarti  die  veri  supradìcto  Hoc  est  inven- 
«  tariam  factum  icraporc  inagistratus  ser  Mani  Leonardi  consUiarii 
m  Petri  Nardi,  Cencii  Finochi  et  Macteì  Stefani  dominorum  priorum 
«  civitatis  Ortane,  vigore  r.eforraatìonls  et  decreti  Consilìi  generalis 
*f  populi  civitatis  Ortane  rerum  et  scrìpturarum  ac  librorum  tam 
«  civilium  quara  criminalium  spcctantium  et  pertinentìura  tam  ad 
«  Comunitatem  predictam  quam  ad  particularcs  civcs  in  ordine  ut 
o  infra  jj.  Nel  detto  inventario  s'indicano:  «  Item  uno  rescriplo  che 
fl  da  pena  de  .l'*.  ducati  che  non  se  dia  stendardo  ad  alcuno  potestà  ». 
E  più  oltre  :  «  Item  uno  quinterno  contenente  uno  processo  de  cip- 
«  ladini  condempnatì  in  tempo  d'Eugenio  per  materia  di  Stato  ». 
Seguita  poi  r  inventano  dei  libri  de' malefìci  e  quello  dei  danni 
dati  ;  manca  la  parte  relativa  all'anno  1478. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storta  patria.  Voi.  XI,  37 


L 


558 


O.   Tommasini 


«  mo'  veramente  non  si  possono  sapere,  perchè  chi  dice  in 
«un  modo  et  chi  in  un  altro;  credo   doppo  si  sapere  j 
«  verità  ». 

In  questa  condizione  di  cose,  accade  spesso  agli  se 
tori  die  la  morale  coscienza  dei  fatti  prenda,  malgrado  la 
migliore  sincerità  dell'animo,  il  posto  della  certezza  risul- 
tante da  argomenti  estrinseci,  e  che  quella  morale  coscienza 
non  di  rado  venga  in  cozzo  con  questa.  Gli  scrittori  d'au- 
tobiografie ne  danno  fi'equcnte  e  manifesta  riprova.  Ma  ; 
critico  uno  spostamento  di  date,  una  voce  riferita,  che  nq 
trovi  facile  conferma  in  documenti  scritti,  una  insinuaao 
di  leggende  può  far  luogo  ad  avvertenze  e  ad  indig 
non  scemare  il  complessivo  valore  d'una  fonte  di  storia. 

Ora,  il  nostro   I.   non  reca  in   mezzo  facilmente 
suo  racconto  i  documenti  che  vede.  Se  si  eccettua  uà 
lettera  del  conte  Girolamo  Riario   al  pontefice  di  cui  (U 
il  tenore  ma  sembra  non  guarentire  la  sostanza  (i);  un 
proclama  notificato  dal  duca   di  Calabria  ai  Conservatori, 
che  per  lo   meno  traduce  in   latino  (2);  del  resto  allega 
«  unam  cedui am  »   in  cui  si  contenevano  grazie  e  reinte- 
grazioni di  diritti  del  popolo  romano,  giurate  dai  canlìiuli 
nel  conclave  di  Innocenzo  Vili;  una  cedola,  la  cui  impor- 
tanza, dopo  la  pubblicazione  del  registro  degli  Officiali  di 
Roma  dello  scribasenato  M:irco  Guidi,  ò  più  agevole  di  ril^ 
vare,  e  che    troppo  duole  di  non   veder  incorpowtJ  se- 
condo il  suo  testo  autentico  nel  diario.  Similmente,  registri 
il  giuramento  di  papa  Cibo  rilasciato  in  scritto  ai  Conser- 
vatori a  piò  di  certi  capitoli  (j)  ch'egli  stesso  vide  «in  p^- 
latio  »)  ;  ma  non  registra  disgraziatamente  i  capitoli  formalit 
dei  quali  riferisce  appena  quanto  il  papa  violò  0  deluse.  PurJ 


(1)  ItjF.  Diar.  ad  ann.  1384:  «  Comes  Hìcronimus  scripw  Y^  \ 
tt  tifici  litteras  huìus  substantiae  d  e  poi  ne  reca  il  contenuto. 

(2)  Inf.  Diar.  ad  ann.  1484:  «  eadem  die  (26  iulii)  ». 
(5)  Ikf.  Diar.   ad  ann.   1484:  «  intra  quae  erat  Tcrbum  huìtu 

R  icnoris  vel  substantiae  ». 


//  T>iario  di  Slefano  Infessura 


559 


non  di  meno,  relememo  personale  medesimo  quando  entra 
nelle  notizie  che  di^  ne  corrobora  la  fede.  Sapendolo  let- 
tore in  civile  e  temporaneo  scribascnato  (r),  s'intende  che, 
fra  le  promesse  del  sacro  collegio,  dia  importanza  a  quelle 
che  mallevano;  «observare  ad  unguem  bullam  studii,  remo- 
0  vere  OfBciales  ad  vitam  »;  s'intende  che  tra  le  più  forti 
accuse  lanciate  sul  feretro  di  Sisto  IV  sia  quella  d'aver 
promesso  e  frodato  «  lectoribus  qui  in  studio  romano  pu- 
«  blice  legerunt  salaria  statura; ...  et  eos  insolutos  dimittere 
«  et  pecunias  debitas  ad  ÌUud  exercitium  ac  per  eum  saepis- 
a  sime  promìssas  illis  denegare  et  in  alios  usus  convertere  ». 
E  i  regesti  Vaticani  provano  che  questa  accusa  di  Stefano 
è  vera  (2),  e  che  non  infondate  son  quelle  d'aver  ridotto 


k 


(i)  Ncll'arch.  Vatic.  Rt^.  diversor.  hmoc.  Vlìl,  n.  44,  e.  274, 
questo  pontefice  nomina  scribascnato  per  un  quadriennio  e  due  mesi 
Giovan  Pietro  n  de  Spiritibus  »  cittadino  romano,  in  sostituzione  di 
Lorenzo  di  Martino  Evangelista  de  Lcnis,  dimissionario  «  dat.  Rome 
«  in  Cam.  ap.  die  .xm.  octob.  i486  a.  tertio  ».  A*  16  di  marzo  del 
1490  poi,  conoscendo  che  gli  si  devono  «  ducatos  centum  et  viginti 
«  auri  de  Camera  raiione  cuìusdam  domus  ...  in  Urbe  et  foro  Capì- 
«  tolii  site  prò  ampliatìone  platee  dìcti  fori  de  mandato  S"*'  d.  n,  et 
«  Cam.  aplice  demolite  »,  concede  a  lui  e  al  figliuolo  ed  credi  per  dieci 
anni  l'ufficio  di  scribascnato,  comandando  «  lU^**  duo  Alme  Urbis 
«  Senatori  et  dominis  Conservatoribus  sub  pena  arbitrii  nostri  et  sue- 
«  ccssores  tuos  durame  dicto  decennio  in  predicto  ofTicio  scribese- 
*  natus  elusque  libero  exercitio  manuteneant  et  conservent  «  (Diveis. 
Intt.   Vili,  t  47,  p.  117). 

(i)  Arch.  Vat.  Rc^.  divers.  Cam.  Sisti  IT  (t.  59).  e.  211  v:  a  Sp. 
«  V.  dno  Migliaduci  Cigala  pecuniarum  Camere  Alme  Urbis  deposi- 
«  tane  salutem  in  Dno.  Auctoritate  etc.  vobìs  harum  serie  mandamus 
«  quatenus  de  summa  ìllorum  centum  et  vigintiqulnque  floren.  de 
«  Camera  quos  his  diebus  ex  ordinatìone  nostra  rciinuistis  seu  reti- 
«  nere  debuistis  ex  salarììs  omnium  doctorum  in  studio  prefate  Urbis 
«  Icgcnttum  hoc  anno  solvatis  et  numcrctìs  vcn.  viro  dno  Nicolao 
«  de  Gigantibus  fior,  de  Cam.  sexaginta  quinque  dandos  magistrìs 
«  qui  laborani  in  dieta  fabrica.  In  deductionem  eorum  salariorum, 
«  quos  etc.  Dat. etc.  die  .vui\  februari  1475,  p. n.  a.  quarto».  Cf.ibid. 

7:  «  Pro  magistro  Paulo  de  Carapagnano  die.  xxxini.  feb.  1475  », 


5^0 


O.   Tommasini 


tune  le  pene  a  danaro,  violando  il  tribunale  del  Senatore^ 
e  gli  statuti,  e  d'aver  fatto  incetta  di  grani  col  suoi  geno- 
vesi (i).  Ed  è  cosa  maravigliosa    come  con  pochi  tnni| 
incisivi  il  nostro  scribasenato  riesca  a  far  rilevare  i  pa 
saggi  e  le  mutazioni  che  si  succedon  rapide  e  spiccate  tri| 
i  pontificati  brevi  e  avventurosi  del  veneziano  Barbo,  in  cui 
la  curia  è  veneta  e  parla  di  «zoieA  e  di   cpiezariei»; 


Ibid.  e.  222  v:  «  prò  lulìano  Gallo,  1475»  die  .11.  mensis  aprìlis».  Ibtd 
e.  2j8  v:  K  de  pecuniis  gabellac  studii  »  siano  pagati  ai  banchieri  P* 
e  compagni  a  quingentos  florenos  prò  fabrica  pontis  Sixti,  a.  I47U| 
«  die  Jtxi.*  iuliì  »,  Ibid.  e.  241  v  ;  ai  medesimi  «  fior.  655  de  pecunia  ga- 
<  bellac  studii  prò  fabrica  pontis  Sixii,  die  22  scpt.  147^,  anno  quinto  n' 
Ibid.  e.   244:  «de  pecuniis    gabelle  studii    Sabbe  de    Porcatiis  Hor.J 
«  de  Camera  ducentossexagìntaquaiuor  prò   totìdem  expcnsis  in  evi-J 
et  cuaiìonc  et  emendationc  aqueductus  foniìs  Trìvii  ».  Ibid.:  «  fior,  aui 
<t  de  Camera  in  auro  ducentos  et  quìnquaglnta  prò  e:(pcnsìs  in  : 
n  matonaia  qua  itur  eundo  a  Castro  S,  Angeli  ad  palatium  Aposta 
«  licum  u.  Ibid.  e.  24$  v:  altri  due   mandati  da  pagare  ade  pccuniiSj 
«  gabelle  studii  Urbis  «  pel  lastrico  di  ponte  S.  Angelo,  per  le  cor-J 
nici  di   ponte   Sisto  a  Francesco  Mei  scarpelliiio   da  Fircoic.  Ibili 
e.  261  V,  ibid.  e.  327,  ibid.  ce.  3 36,  339  v:  a  prò  reparatura acqucductut  1 
«  Trìvii  ».  E  finalmente  {Divers.  Ctimcr.  lib.  VI,  t.  41,  e.  220)  il  breve  J 
a  Nicolò  Calcagni:  «  gabelle  studii  'ac  Camere  Alme  Urbis  licncrali^ 
a  vicedepositario,  etc.  »  in  cui  gli  concede;  «  liceat  tibi  tam  prcfcaW 
H  et  peiics  te  cxistentìa   quam  futura  cmolumcnta  prcdicta   ia  tao»  j 
K  tuorumque  proprios  usus  et  utilitatem  convertere,  nec  ad  reJdea*  j 
«  dum  de  eis  computum  a  quoquo  compelli   aut  coflraari  po»ù. 
"Anno  1484  die  mensis  ianuarii,  p.  n.  a.  .xui.  ». 

(i)  Per  J^incctu  di  fromenio:  V.    arch.   Vat.    Sisii    li'  (Oii»*"'- 
Cam.  i4']2  ad  I4y6,  lib.  3),  n.  38,  e.  184:  «  Ltcentìa  emendi  ceru* 
«  quantiutes  frementi  et  ordei  ex  patrimonio  prò   Ex«»a  cìH*  Mio- 
«  tuano  ».  Ibid.  e.  191  v;  «  Commissione  ad  .\ngelo  da  Corncto*. 
Ibid.  e.  227  v;  «  Tracia  ex  porta  Tiberis  de  modiis  81  grani  pToBe-  < 
«  nedicto  Gallo  de  Monelia  noclero  ».  Ibid.  e.  257  v;  ««  prò  Jomini  , 
«  Angela  de  Ursinis  ».  E  finalmente  (Siili  IV  dtxcrs,  Cam^  I4j^)-t4^^* 
lib.  s,  t.  49,  e.  40):  «  Fatens,  Universis  et  sìngulis  prcscntcs  ter** 
n  inspecturis  sai.  etc.  Ut  necessitati  Alme  Urbis  nostre  quc  in  prc^cO-  J 
u  tiarum  maxiraam  grani  penuriam  sustinet  consuUmus,  fccimuicnu,! 
n  in  provìncia  nostra  Marchiae  Ancomune  certam  frumenti  qaiini* 


//  ^Diario  dì  Stefano  Infessura  $6\ 


quella  dei  Riarìo,  dei  Cibo  e  dei  Borgia,  in  cui  genovesi 
e  catalani  sfruttano  la  vigna  del  Signore,  e  gli  uffici  ne 
vanno  ai  marrani  e  i  favori  cedono  a  vaghezza  di  donne. 
H  Pallido  per  contrario  e  quasi  senza  impronta  corre  U 
pontificato  del  Piccolomini  per  l'I.  Pure  ei  fu  benefico 
ai  Colonna  ;  di  quella  casata  innalzò  a  prefetto  di  Roma 
Antonio,  principe  di  Salerno;  fu  alacre  e  giusto  pontefice, 
e  a  Stefano  non  sarebbero  mancate  cagioni  di  celebrarne 
le  gesta.  Invece  egli  appena  ce  lo  fa  vedere  di  sfug- 
gita, in  lettica,  fiacco.  La  breve  e  troppo  ironica  o  troppo 
grulla  risposta  che  il  papa  dà  alla  legazione  del  re  di 
Francia  in  concistoro,  non  è  neppure  accennata  da  lui'(r). 
Gli  episodi  stessi  dell'Innamorato,  di  Tiburzio^  di  Bonanno 
Specchio,  gittati  là  quasi  non  altrimenti  che  germi  di  no- 
velle, ci  comparirebbero  ben  diversi  per  V  importanza  e  il 
significato  loro,  se  egli  li  avesse  fatti  precedere  da  alcun  di 
quei  cenni  che  pur  non  mancano  nel  Memoriale  di  Paolo 
dello  Mastro  e  nelle  Cronache  del  Della  Tuccia.  «  Certi  gio- 
o  veni  romani  -scrive  il  primo  all'anno  1460  -  se  levarono 
«  su,  e  non  volevano  stare  a  commann.imenco  dello  Reggi- 


^Ftatem.  que  ad  ipsam  Almam  Urbem  nostrani  a  dilecto  filìo  Hiero- 
«nynio  de  Rìdoltìs  mercatore  norcnlìno  niitiitur.  Iniendenicsautcm 
«  granum  huiusmodì  nostrum  quantocìus  ce  sino  allquo  impcnso  vel 
o  molestia  componari,  nos  onines  et  singulos  hor:.miur  in  Domino, 
«et  nihilominus  stricte  mandaraus,  quantum  gratium  nostram  ca- 
li ram  habeiis.  ut  per  omnia  loca  et  passus  granum  huìusraodi  sìmul 
«  vel  scparatim  libere  et  nbsque  allcuius  datii  vel  gabelle  solutione 
«  seu  exaclione  vehì  et  deferri  permitUlis.  Itaque  merito  commeti- 
«  darì  valcatis.  Dat.  ut  supra  (21  nov.  1477).  L.  Grifus  d.  E  veggansi  : 
Capitula  Sitpcr  iraciis  graniti  àohanuratus saìis  provinciarum  Patrimonii 
ti  Marititne  (Ibìd.  e.  164  v),  i  quali  cominciano  con  questo  pream- 
bolo: a  Quia  ex  muhiplicibus  subdiiorum  nostrorura  qtierelis  ìntel- 
tf  leximuspcr  dohanerium  iraciarum  et  salis  officium  suum  non  recte 
«  administrantcm  non  kvia  damna  et  incomoda  Camere  nostre  Apo- 
fcsiolice  et  ipsis  subditìs  inferri  »,  scaricando  sul  capo  del  doganiere 
nmariclii  de*  mercanti. 
[t)  Cf.  De  Tummuullis,  Notabììia 


jé2 


O.   Tommasim 


e  mento  e  di  continuo  portavano  Tarmi,  e  facendosi  beffe 
e  dell'i  officiali,  lo  Reggimento  aveva  paura  di  questi.  Capo 
e  delli  compagni  era  Tiburzio  di  m.  Angelo  de  Masdo» 
(un  figliuolo  di  colui  che  fu  appeso  come  complice  nell-i 
cospirazione  del  Porcari)  «  e  Filippo  Soactaro,  e  dicensi 
«  ch'era  grande  compagnia  de  iovini,  e  fu  fatta  una  com- 
«  messìone  generale  fino  a  questo  di  25  de  maggio  che  as- 
«  signaro  Santa  Maria  Rotonna  e  ne  andò  lo  hanno  per 
«  Roma»  (i).  «  Si  levò  fra  quei  tempi  in  Roma  -  registri 
«  il  Della  Tuccia  -  una  gran  brigau  di  giovani  di  attivi 
«  condizione,  e  fero  setta  per  due  Romani  che  avevano  briga 
«  insieme.  Facevano  assai  ribalderie  di  furare  femine,  uc- 
«  cidere  uomini  e  rubare,  per  modo  che  né  il  Senatore  né 
«  altro  officiale  potevano  tener  ragione  né  far  giustizia,  e 
«  sotto  mantello  erano  favoreggiaci  da  molti  cittadini  n>* 
«  mani  »  (2).  Stato  di  cose  deplorevole  e  naturale:  i  pon- 
tefici avevano  malamente  uccisa  la  libertà  del  Comune;  gli 
officiali  di  questo  non  più  eletti,  non  più  tratti,  madepuuti 
dal  papa  e  razzolati  nell*  ingorda  e  bassa  turma  dei  devon 
alla  signoria  ecclesiastica,  mancavano  non  meno  d'autoriri 
che  di  coraggio.  La  gioventù  pertanto  che  non  avex-a  piti 
campo  onorato  ove  esercitare  vigorosamente  le  foae  sue, 
dispettosa  d*un  governo  che  voleva  parer  tollerabile  colli 
fiacchezza,  s'era  sviata  nell'anarchia  e  raccolta  nelle  tenebre 
dellesètte,dacuispcrava  assicurarsi  per  ingi urie  qucllapotenw 
che,  perduta  la  libertà,  non  poteva  più  aspettare  dal  giuJ^- 
Come  notammo  adunque,  qui  T  I.  sembra  che  snur- 
risca  il  criterio  storico,  sia  che  gli  sfugga  la  necessiti  Ji 
collegar  l'episodio,    come  un  effetto  colla  causa  sua;  >ia 
che  il  nesso  gliene  paia  così  ovvio  pei  posteri  come  loen 
pei  contemporanei;  sia  che  dell'episodio  stesso  esageri  l'iffl" 
portanza  a  sé  stesso. 


(i)  Paolo  dello  Mastro,  Diario,  loc.  cit.  p.  né. 
(a)  Delia  Tuccia,  Cronaca  di  Viterbo,  p.  261  e  sgg. 


//  T)iario  di  Stefano  Infessura 


5^ 


™  wSe  non  che,  a  tal  punto,  convìen  proporci  nettamente 
la  questione:  presiedette  o  no  criterio  storico  alJa  compo- 
sÌ2Ìone  del  diario  di  Ste&no  ?  fu  questo  meditato  con  un 
intendimento  unico,  o  sorse  dairaggruppamento  delle  note 
disperse  in  protocolli  d.i  notaio  o  in  registri  di  scriba? 

^b  Da  quanto  premettemmo,  ecco  quel  che  ci  sembra  non 
madeguato  di  concludere:  i  due  brani.  De  bello  Sixti  e  il 
Ricordo  della  presura  e  morte  del  protonotario  Colonna,  eb- 
bero a  nascere  probabilmente  indipendenti  l'uno  dall'altro; 
furono  scritti  però  in  diverso  idiomn  ed  ebbero  occasione 
dairaver  lo  scrittore  assistito  come  testimonio  oculare  alle 
vicende  narrate,  ed  impulso  dalla  simpatia  o  clientela  di 
lui  per  la  famiglia  Colonna.  Il  resto  poi  si  raccolse  intorno 
a  questi  due  nuclei,  accozzando  appunti  dispersi,  attingendo 
da  notamenti  forse  non  tutti  precedentemente  registrati 
dallo  stesso  L  Forse  il  monco  principio  del  diario  accenna  ad 
un  lavoro  giovanile,  frutto  d'una  naturale  tendenza  di  Ste- 
fano a  raccontare  le  vicende  del  Comune  romano,  ispira- 
usi  alla  fantasiosa  maniera  delle  Istorie  dello  filosofo  (i),  ad 


(i)  Designamo  con  questo  titolo  gV  Historiae  rovianae  Frammenta 
editi  dal  Muratori  {Anliq.  ìt.  HI,  251-548),  che  nei  molteplici  mss. 
ycngono  iniiiolaii:  Historia  di  N.  fiìosofo  romano  incovùnciando  dal- 
Vanno  i)oo  sino  al  15)7.  V.  bibl.  Chigi,  ms.  N,  51,  sec.  xvi  e  xvn,  a 
e.  6.  È  notevole  che  il  ms.  incomincia  a  e.  i  :  MorU  \  miserabili  e  ca- 
lamitosa I  di  papa  Boftifdtio  S  \  ndVanno  ijo).  Inc.:  a  HavenJo  lo  re 
«di  Francia  preso  sdegno  ».  Expl.  (e.  4  v):  ^  arrabbiò  di  dolore  e  di 
«quello  morie.  E  cos\  fue  adempito  quello  che  si  trovava  scritto 
«nella  elettione  de  papi,  che  diceva  così:  Intrahit  ut  lupus,  re^ahit 
n  ut  Uo  ti  morietur  ut  canìs  ».  La  Histcrìa  di  N.  filosofo  romano  termina 
ac.  128:  «  secundum  debiiam  figuram  supine  a.  Altro  ms.  Chigiano 
(G.  IV,  103,  sec.  xvi-vii)  contiene  pur  esso  frammenti  à'iìV Historia  di 
K.  fiìosofo  romano  (capi  5",  5",  18").  Ibìd.  ms.  G,  II,  65,  cartaceo,  sec.  xvi. 
Inc.  («-".i):  «Dice  lo  glorioso  missore  s.  Isidoro».  Expl.  (e,  14J  r): 
ir  ComoCola  de  Rienzi  morto  ». — Bibl.  Barberini,  ms.  LIV,io(n.a.  922), 
cartaceo,  sec.  xvii.  Contiene  in  principio  lo  stesso  Chronicon  incerti 
auctoris  italico  idiomaU  antiquo  conscriptum,  fol.  1-301,  Notato  al  mar- 
gine destro  superiore  :  «  Chronicon.  In  codice  Valicano  quod  a.*  1616 


564 


O.   Tommasini 


uno  stile  di  narrazione  volgare  che  arieggia  quello  d(j 
lAcsticanxj.ì  del  Pen'oni.  Pure  anche  in  quel  lavoro  gio 
nile,  Telemento  personale  e  lo  spirito  romanesco  di  eli* 
tela  verso  i  Colonnesì,  a  chi  ben  lo  disamina,  si  lascia  di 
leggieri  sorprendere,  e  non  consente  dubbio  che  anchequeOa 
parte  di  leggenda  debba  attribuirsi  a  lui. 

Ne  accemianimo  glA  i  motivi  più  remoti  ;  ora  ne  svele- 
remo i  più  prossimi,  scruundo  i  punti  essenziali  delb  leg- 
genda stessa.  Questi  si  riducono  a  due:  la  difesa  della  me- 
moria di  Bonifacio  Vili  innanzi  a  Clemente  V  e  al  re  di 
Francia;  l'incendio  della  camera  della  regina  e  il  salva- 
mento di  lei,  operato  con  meravigliosa  difficoltà  e  corag 
da  J^ietro  e  Stefano  Rosselli. 

Circa  al  primo  punto  è  facile  ravvisare  come  la 
razione  di  Stefano  entri  assolutamente  in  quella  cerchiai' 

«  d/  Abrah.  Bzovius  donavit,  et  in  codice  D.  Cassiani  Pulci 
«  extant».  —  Bibl.  Vat.  ras.  Vat.  688c,  cartaceo,  sec.  xvi:  V.  fh 
phi  Romani  \  bistorta  suorum  Umpontm  \  ab  anno  .mccc.  |  usqiu  éi^ 
num  I  j^>j.  Ms.  di  carte  7$  numerate  nel  retto  e  incollate  irs  1 
vegetale.  Inc.  (e.  i):  «  Come  lacovo  Saviello  senatore  fu  caccuioi 
«  CampUuoglio  i».  Expl.  (e    75  r>:  k  secunJura  debium  figuram  w* 
«  pino  j).  E  nel  verso:  «Questi  mancano».  E  seguono  alcuni  l'WJ 
di  capitoli,  parecchi  dei  quali  sono  e  in  più  e  diversi  da  quelli  recatila' 
Muratori  (loc.  cìl  p.  J48).  —  Un  altro  ras.  delle  Istorii  d^Uopkfopf^ 
malto  è  nelVarchivio  Vat.  (arm.  Il,  n.  69).  Qua!  esser  si  possi  tjucfl^ 
filosofo  romano,  non  vien  fatto  di  poter  affermare  in  modojlcuo^ 
Non  sembra  ch'ei  si  possa   identificare    con  quel  «  quìdini  cop^ 
«  mento  philosophus  homo  facinorosus  et  cxul  »  dì  cui  parla  il  nJ 
TINA  nella  Vita  di  Paolo  11  (Di;  vi tis ponti ff.  ed.  1529,  p.  174)  cornei 
un  accusatore  dell'Accaderaia.   Forse  ebbe   ad  essere   un  astrologa 
a'  servigi  del  Comune  di  Roma,  atteso  che  gli  astrologi  solcvjnop^ 
spesso  nell'età  di  mezzo  chiamarsi  filosofi,  comperano  stali  Ji   '  -' 
matematici  nelVantichità  classica.  Nei   citati  Kctabilia  Ump^< 
TuMMULELLi  (cap.  199,  p.  179)  SÌ  reca  in  mezzo  un  presagio  ii'u*'^ 
logi  a  nomed'uo  «  magister  leronimus  philosophus  Eufordicetoff*'^ 
«ali;  philosofi  concordantur».  Ad  ogni  modo  è  desiderabile  che  u"! 
nuova  edizione  preceduta  da   un   dilìgente  studio   crìtico  di  4"^ 
Fragimnta  historiae  romanac  vegga  presto  la  luce. 


7/  T)ìano  di  Stefano  Infissura 


J^5 


^^^g^'nde  intorno  a  papa  Bonifacio  e  al  suo  successore  che 
trova  nel  Villani,  in  Ferrcto  Vicentino,  neirautore  del  Pe- 
corone,  in  quello  degli  Excerpta  excbronicis  Urbevetanis,  nel- 
^  -^qttiìa  volante  attribuita  all' Aretino  la  traccia  sua  (i  ).  È  facile 
'^^vvisare  come  il  soffio  fiorentino  di  Giovanni  Villani  gli 
^^    entrato  più  particolarmente  neiranimo;  come  dalla  Cro- 
'"^*»    di  lui  abbia  preso  le  mosse  ;  poiché  dove  questi,  nel 
^5^^3.c:ilio  di  Vienna  in  Borgogna  fa  difendere  la  memoria 
^*-     p>apa  Bonifacio  «  per  misser  Ricciardo  da  Siena  cardinale 
*   ^^     sommo  legista,  e  per  messer  Gianni  di  Namurro  per 
**    ^^^ologia,  e  per  misser  fra  Gentile  cardinale  per  decreto,  e 
¥>^v   messer    Carroccio    e   messer    Guglielmo 
^J-  *  Ebole  catalani,  valenti  e  prodi  cavalieri  per  ap- 
I^   <2llo  di  battaglia,  per  la  qual  cosa  il  re  e' suoi  ri- 
asono  confusi  »,  Stefano  invece  fa  confondere  non  già 
^^,  ma  il  pontefice  da  due  cavalieri,  italiani  e  non  gii  di 
■«^alogna.  E  il  sentimento  che  anima  queste  leggendarie 
*^ioni,  destituite  dì  realtA  storica,  rivela  tuttavia  una  con- 
^  one  storica  e  morale  verissima  :  la  collera,  cioè,  di  Spagna 
i-''  Italia  al  vedere,  col  trasporto  della  sede  ad  Avignone, 
'  ^re  grettamente  infrancesata  la  Chiesa  cattolica;  e  chi  fra 
odemi  gitta  via  come  mondiglia  queste  fiabe  foggiate 
•^    commovimento  popolare  (2),  solo  perchè  contrastano 
^         X::!  computi  positivi  di  calendari  e  registri,  dimentica  che 
^*"      storia  vive  d'altra  cosa,  oltre  che  di  mappe  e  di  date,  e 
"^^j  come  la  vera  musica  non  si  batte  a  metronomo,  cosi 
^^'   morale  coscien2a  dei  popoli  traversa  il  tempo  resistendo 
^^    cronometri. 

Ma  come  mai   i   due   cavalieri   itaUani   si   personifica- 
'^"Ono  poi  dairi.  in  Pietro  e  Stefano  Rosselli  ?  donde  trasse 

(i)  Cf.  M.  Landau,  UcHrà§t%ìir  Geschkhtc  dér  iiaìimùchcn  'Novelle, 
^ien,  1875,  p.  29  e  sgg.;  Gaspary,  Gach.  dér  italUnischen  Litcra- 
tur  II,  72  ;  V.  gli  Excerpta  ex  chronic.  Urba:  nei  Bcitrage  ^ur  politischm 
Kirchlkh£H  uttiì  Cultur^Gcsch.  del  Dòllinger,  III,  317-555. 

(2)  C£  ScHOTTMULLER,  Der  Unttrgati^  d^s  Tcmplirs  Ordms,  p.  686. 


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$66  O,  Tommasini 

egli  la  storia  dell' abbrucUmento  della  camera  delb  re^ni 
e  del  salvamento  operato  da  loro?  nelle  croniche  onde 
leggende  dì  Francia  o  d' Italia  esiste  alcun  fondamente  pt^ 
sitjvo  aUa  fanUsìosa narrazione  dì  lui?  Queste  JomaDdcd 
proponemmo,  tì-avagUandod  nell'indagine  per  ogai^n 
Che  se  tra  le  fonti  storiche  d'Italia  sembrò  che  la  ùm 
del  Villani  stesse  a  base  della  narrazione  dì  StefenOitnk 
croniche  francesi  non  rilevammo  alcuna  analogia,  2m,  am 
era  naturale,  una  antilogia  completa,  siccome  in  GoJe&f 
de  Paris (i).  Nìuna  tracda  di  cavalieri  che  difeadesserocol' 
Tarmi  contro  «  Guillaume  de  Longarec  »  la  memoriji 
Bonifacio;  ninna  memoria  d'Incendio  nella  camera  tìli 
regina;  ninna  negli  HistariemdeFrance;  aìuna  nel  Pnit^kn 


(t)  GoDEFUOT  DE  Paris^  Otfoniqm  mèlrifmi   eà.  Badwoj^*! 

£a  «I  tn  nifi  tn^  cent  et  ^x 

Fu  Te  pape  Clyment  nquìt 

Dt  GaiJlauine  de  LoQgtrfil; 

Et  ce  f^t  ce  qu'il  requ^rec 

Que  le  pape  qm  ot  «tè, 

Bonìface,  feu»t  getc 

Tout  hors  de  SaÌDE-Pìerre  de  Rqsm^ 

Car  pas  n 'a volt  estti  tei  hommc 

Qae  Id  iiÉpulturc  éu<t; 

Aìnn  requéroit  >k}ye  Lt  fèutt 

De  là  jeiez  ce  ^as  respite, 

L,ti  OS  an  camme  d*un  hi^rìtt 

Alnsi  e  il  »i  bicn  se  maìntint 

A  h  court  du  pape^  et  soustint 

Cùntr<!  Honifice  nuJDt  età» 

Doni  il  fa  au  derrepler  cu, 

Et  cuBÙ  par  droite  »entence^ 

Eì  «  ne  fu  le  roy  de  Frnrice 

Aiitrem«m  le  fuat  avesu: 

Mai»  par  le  rot  fu  soulenu. 

Far  Miìienct  fu  eli  GuJItaame 

Condampni  de  Frutice  et  do  rùyvanie, 

Por  ce  4u*iu  pape  avoli  meifet. 

Et  por  ce  que  le  roi  le  fec, 

N'aTDiLx  p»k  que  f«jt  avoft 

Blu  sire  Dia,  I  qd  vU  ìroft  toìL 


Il  Diario  di  Stefano  Infessura 


5^7 


Francorumfacmora;  niuna  nella  Cronica  (i)  di  Jean  Golein: 
la  regina  stessa  di  Francia  e  di  Navarra,  a  la  très  sage 
«Jeanne»  era  morta  sin  dal  1305  (2).  Né  ci  ristemmo  di 
leggieri  dalla  ricerca  dei  Rosselli  tra  i  cavalieri  vissuu  a  quel 
tempo  alla  corte  francese;  anzi  solo  quando  una  voce  au- 
torevole ci  scoraggiò  dal  potcrveti  rintracciare,  volgemmo 
J3  ricerca  ad  altro  indirizzo  (3). 

Evidentemente,  se  il  fondamento  alla  leggenda  in  do- 

cuiuenti  sincroni  francesi  mancava,  questo  aveva  a  sorgere 

posteriore  e  interessato  da  motivo  domestico;  e  assai  pro- 

'^^bilmente  genealogico  o  «antropologico»,  come  si  disse 

*   C^Mnpi,  in  cui  le  maggiori  bugìe  s'architettarono  per  amor 

'^^Uii  schiatta.    Ora  l'interesse  piti  forte,  e  più  da  sospet- 

^^^5  parve  dover  avvisarlo  subito  nella  famiglia  dei  Roselli 

^^^Ssi;  non  già  di  quel  Niccolò  Roselli,  che  fu  cardinal  d'Ara- 

^*^i:ia  (4),  e  autore    delle  File  de  pimkfici;  ma  in  un'altra, 

*^^Xiana  e  per  qualche  modo   connessa  di   relazione   con 


(1)  Cf.  fra  le  Notices  et  cxtraiis  àes  mamtscrits,  XWII,  Delisle, 

'lotica  sur  Us  mamiscrits  lìe  Bernard  Gui,  p.  226  e  sgg.  Le  Cronicht  dì 

^Tate  Jean  Golein  consultai  nel  ms.  Vat  Regio.  697    membranaceo 

^-4,  sec.  XIV,  che  chiude  appunto  col  ritratto  di  Filippo  V  e  della 

*cgina  Giovanna  (a  e.  129  v). 

(2)  GODEFROY    DE   PaRIS»   Op.   cit.    p.    I  I4. 

(3)  Consultato  da  me  l'ili.  Paul  Meyer,  nel  1886  scrivevami  su 
questo  proposito:  «J'ai  le  regret  de  vous  informer  que  les  recher- 
ei ches  que  j*ai  fait  immédiatcraent  dans  les  documents  imprJmés  que 
«  nous  avons  dans  notre  bibliothèque  sur  le  r^gne  de  PhIlippe-lc-Bd 
«  n*ont  amene  aucun  rósultat.  Je  ne  saìs  si  on  serait  plus  hcureux 
«  en  consultant  dcs  documents  inédìts;  mais  j'en  doute  fort.  Si  un 
«  Roselli  avaii  figure  à  la  cour  du  roi,  il  est  asscz  probable  qu'il  se- 
«  rait  mcntìonné  dans  Pun  des  derniers  volumes  dcs  Historims  de 
s  FranUj  dont  les  tables  sont  remarquablement  détaillées,  et  où  du 
•creste  vous  avez  probablement  cherché  avant  moi.  Le  fait  auquel  se 
ff  rappone  le  récit  du  Diarie  me  paraìt  d'une  authentìcité  fort  con- 
«  testable  ». 

(4)  Cf.  Muratori,  5cr(/)^  III',  368;  Soucbon,  DU  PapstwahUnj 
app.  p.  179. 


5^8 


O.  Tommasini 


.  Avignoae  e  con  Francia.  Ora,  una  famiglia  romaiu  H 
Rosello  o  «  Roscello  a  è  memorata  dall'  Adjnolfi  ioiicme 
con  quelle  de'  Sinibaldi,  de'  Corte,  de*  Martuzzo»  <ldlo 
Schiavo,  de*  Petrucci,  le  quali  avevano  tombe  in  S.  Oni- 
rico e  Giulietta  (i).  Inoltre  nei  prolegomeni  al  regesroii 
Clemente  V  si  riproduce  dagli  editori  mi  breve  del  r^i 
di  papa  Eugenio  IV,  gi;ì  precedentemente  pubblicitoM 
Theincr,  a  un  Rosello  de'  Roseli],  chierico  di  cimerà,  i^ 
quale  con  Bartolomeo  dei  Brancaccio,  nobile  avignooese» 
ebbe  commissione  di  ritirare  dal  cardinale  Pietro  de  Fa» 
in  Avignone  i  privilegi,  le  reliquie,  le  insegne,  gli  or» 
menti,  i  regesti  che  gìA  dagli  archivi  del  LatcrinocJi 
S.  Pietro  «  ad  partes  Avinionenses  »  furono  reati  (i). 
Non  si  inno  notizie,  scrive  il  Gnchard,  circa  ti  succcJ» 
della  missione  del  Brancaccio  e  del  Roselli;  quello  àxt  è 
certo  si  è  che  una  gran  parte  degli  archivi  ch'era  nel  f^ 
lazzo  d'Avignone  non  fu  allora  riportata  in  Roma  (j) 
Ma  per  noi,  per  la  leggenda  di  cui  studiamo  Toriginc  e  k 

(0  Adinolfi,  Rottid  nell'età  di  meno,  I,  ój.Gf.  bibl.  Vatic.  1*2»- 
42;  Rcp$rtoriù  larcvacci,  faro.  Roselli,  p,  J42. 

(2)  Cf.  Regciti  a^mtis  V  Prolcg.  XLIV-V  ;  Theiner.  Cflift  i^ 
Ap.  Scd.  Ili,  8+9,  doc.  ccxcv.  Cf.  Gachard,  Lcs  arthivm  h  ^ 
ticatit  p.  7. 

(3)  Vi  fu  riportati  invece  a  tenapo  di  Urbano  Vili  e  il  Co^l^ 
lori  ripose  ntll'archivio  Vaticano  insieme  cogli  altri  libri  tonufiii^ 
Avignone  anche  il  diario  dcirinfcssura.  Nel  cod.  Vat.  9026,  p.  l^T* 
sì  ItfgS^  "  {Suaresii  di  àiariii  et  actihus  cc*tisistoriaL')  *  In  lìbm.  flO 
«  Avinìonensis  palatii  ex  archiviis  transbti  in  Urbeni  fucff  wf*  ^* 
«  bano  8**  S""  Mem""  PP.  coraplures  erant  provisionum  : 

o  lionum,  quos  111"""  Contclorus  bo.  me.  intulìt  archivio  '^ 
«  ìndustrius  ei  laboriosus.  i.  Diaria  ab  ùhitu  Bonifacii  S  tà  J)a^ 
«  drum  6  in  BB,  Vaticana  n.  5622  Codice  seu  EpliemcriJcs-  1  ^ 
«  rittm  dictum  Mesticanza,  j.  Dìariii  SUphani  Irtfcssura^  rif^»  i!/** 
n  a  tempore  cttriae  romuttae  e  GdìUis  rcductac  in  Vrh^tn  ad  Aìanulrs»  "* 
a  ponti  fu- 1  sivc  ab  anno  ip4  ad  14^)  rerum  Romotiorum  worum  ^if^ 
a  rum  n.  E  in  margine  annota:  «Cedex  Vatic.  5299  partiffl  iuEW 
cr  partim  latine;  incipit:  pontificalmente)». 


//  diario  di  Stefano  In  fessura 


569 


fila,  non  è  poco  aver  rintracciato  un  primo  rappicco   tra 
Avignone  e  la  famiglia  dei  Roselli   nel  secolo   decimo- 
quinto.  Questo    Rosello  dei   Roselli  dalla  sua  dimora  di 
Francia  ebbe  forse  a  recare  con  se  la  lusinga   che  taluno 
dei  suoi  antenati,  valente  in  armi,   seguitando  alcuno  dei 
cardinali  italiani  in  Francia,  si  trovasse  in  corte  del  re  o 
d<il   papa;  può  anche  aver  foggiato   a  conto   suo   la  sto- 
riella, e  cercato  o  goduto  che  altri  per  lui  Li  spacciasse  iu 
Atalia.  la  Roma  poi,  dove  T  istoriografia  volgare  sbucciava 
dalla  novella  o  s'andava  appena  staccando  da  questa,  dove 
^^-Ffistoria  di  Castalio  Metallino  (i),  le  Historic  dello  filo- 
sofo, la  Mcstican:(a   de'  Petroni,    il  Libro   Imperiale   stesso 
composto  «  per  passare  tempo  et  rubare  alla  fortuna  1Ì  ac- 
«  cidiosi  pensieri  »  e  ad  esaltazione  e  derivazione  da  Cesare 
*i^i  prefetti  Di  Vico  e  de'  Colonnesi  (2),  provano  come  gli 
Scrittori   acconciassero  la  fantasia    al  racconto,  e  come    il 
'"acconto   potesse  involgere  domestici  intendimenti  abbar- 
t>icati  alla  tradizione  classica;  la  leggenda  dei  Roselli  ebbe 
^  p>arer  modesta  e  a  trovare  facile  accoglienza  e  diffusione. 
^  el  ciclo  della  clientela  colonnese  ebbe  il  Roselli  stesso  a 
^c>varsi  compreso,   quando  Eugenio  IV,  nimicando  i  Co- 
^^Ona,  fin  dal  secondo  anno  del  suo  pontificato,  lo  deputò 
gcivcrnatore  di  Riofreddo,  di  Vallcfredda  e  Roviano,  e  delle 


(r)  Il  Ceccarelli,  nel  ms.  Vat.  4909,  a  p.  21  scrive:  «  L'Histo- 
^ia  di  Ca*.tallo  Metalltno  delle  famiglie  del  Rione  de  la  Re^olUt  il 
^ui  originale  aniicho  è  in  mano  del  s'  Cesare  Giovenale  et  una 
^opia  presso  airiU""  sig'  Gìovangiorgio  Cesarino  et  Paltra  presso 
^  s'  Fulvio  Archangeli  ».  Cita  ancora  ibid.  !'«  Historia  dtVorigine 
aitila  Famiglia  de.  Palosci  et  de  Normanni  che  sta  insieme  coWHistorìa 
«5eIMculino  in  4"  foglio  del  s*"  Fulvio  Archaugelo  ».  Allega  poi  le 
-Hiilorte.  dì  Francesco  Bandìnotto  Fiandrese  in  tutto  foglio,  tom.  due 
Vijvuti  dairarchivio  del  n.  s.  Monaldo  MonalJeschi  della  Cer\'3ra  ». 
^*^on  sarebbero  queste  le  Istorie  che  Giacinto  Mannì  «  reperir  in  ras.lo 
**  codice  nobilis  magnaiis  Caesaris  Baldinotti  DucÌs  »  e  che  pub- 
blicò il  Muratori  {AuL  It.  III)? 

(a)  Cf.  Arch.  deUa  Soc.  Rom,  di  si.  patr.  V,  54  e  sgg. 


<< 
*« 


570 


O.   Tommasini 


terre  possedute  da  Antonio  Colonna  di  Riofreddo  (i).Li 
guerra  con  questo  ramo  dei  Colonnesi  non  durò  a  lungo; 
e  probabilmente  se  Antonio  d:i  Riofreddo,  un  anno  dopo. 
ebbe  raandaro  di  tranare  accordo  col  papa  anche  io  niMic 
di  Prospero,  Edoardo,  Gianni  Andrea  e  Corradino  d'An* 


(i)  Archivio  Vatic.  Regesta  Eugmii  21'  (Secret,  lib.  XI),  Q.  (7^ 
fol.  LXXKXV  v:  <c  Eugenius  etc.  Dileclo  filio  Mag"  Rosello  de  RorUìj 
«  aplicae  Camere  clerico  terrarum  RivifrigiJi,  Ruviani,  V^ilhmfrtà 
«  Tibunine  dioc.  ac  nonnullanim  terrarum  et  locorum  Jivmwffl 
«  dioc.  ad  dilectum  filium  Antonìura  de  Rivofrìgìdo  de  CjIubiA 
w  qucm  cum  ìpsius  tcrris  el  locìs  sub  nostra  ci  Romane  Ecclcsicta- 
H  tela  et  proteccione  suscepìmus,  pertìnenciura  et  spcctandum  oom 
«  et  Romane  Ecclesie  nomine  gubernatorì  salutem  etc  Ouffi  <3m 
«  universalis  dominici  gregis  superna  nobis  disposicione  iniuficiaffi 
«  diligenter  attendìmus,  videntes  quod  circa  singula  per  Dosmflip» 
«  exoivcre  non  valemus  debitum  apostolice  servìtutìs,  viros  notabile 
*f  et  insignes  sciencia  ot  virtute  prò  benegerendis  negociis  DOStriltf 
n  diete  Ecclesie  dcputamus,  ut  ipsonim  coopcratione  inìunctuiQ  o4^ 
«  a  Deo  ministerium  fucilius  exequi  valeamus.  Sane  licct  cundont» 
n  christifidelium  statum  pacìfìcum  intenta  mentis  acSe  ittendinuft 
«  tamen  terras  Rivifrigidi,  Ruvìanì  et  VallamtVede  Tiburtinc  Jioctf 
<f  nonnuilas  alias  terras  et  loca  ad  praefitum  Antoniura  Jc  RivtJ&i* 
w  gido  de  Columna  spectantia  et  pertinencia  cum  omnibus  hiWu»- 
«  ribus  et  incoHs  corumdcra  singulari  carìtatis  et  bcnìvolcncie  ^ 
«  (ectu  intucmur.  Attendentes  itaquc  quod  tu  quem  in  vaip^^ 
rt  arduis  cximia  virtute  et  scientia  probatum  gractarum  Dominib  muJ* 
0  tifariam  insignivit,  pracfatas  terras  et  loca  di^nna  auistcfitc  irnw 
«  circumspecte  et  fidcliter  gubemabis,  te  in  pracfitìs  terris  cìlw* 
«  gubematorem  prò  nobis  et  dieta  Ecclesìa  in  temporalibui  e«^ 
(t  ralem  auctoritate  apostolica  ex  certa  sciencia  usque  ad  r  '*'" 
«  beneplacitum  facìmus,  constituimus  et  cciam  depuiamus»  t 
.1  lominus  nostro  et  eiusdem  Ecclesìe  nomine  praefatas  terra 
«  incolas  ot  singulares  personas  cuiuscumquc  status  v ci  co^  ' 
«  fuerint  nobis  et  diete  Ecclesie  rebellcs  ad  nostram  et  eiwJfoi  ^■ 
«  clcsie  obediencìara  et  devocionem  reducendi,  rccìpicnJi  ncco^ 
«  terras  el  loca  praefata,  habitaiores  et  incolas  dicto  nomine  it^^*' 
«  mandi,  regendi.  gubemandi  et  adminìstrandi  ac  in  eis  iarisdictoo* 
«  omnimodam  exercendi,  civìles  et  crimin;»les  causas  per  it  rei  i\^ 
«  audiendi  et  examinandi  ac  exequendi  atque  in  praefatis  ictni  * 
«  locis  potcsiates,  iudices  et  officìales  constituendi,  suspcnJcOffif*'** 


//  'Diario  di  Stefano  Infessura 


571 


tiochia,  e  se  l'accordo  riuscì  (i),  forse  il  governatore  Ro- 
selii  non  ne  andò  senza  merito. 

Stabilito  per  tal  modo  il  vincolo  di  relazione  probabile 
tra   i  Roselli  e  la  Francia,  tra  i  Roselli  e  i  Colonnesi,  nella 
clientela  de*  quali  TI.  viveva,  si  rende  men  difficile  il  con- 
getturare per  qual  guisa  la  leggenda  che  li  riguarda  trovò 
posto  nel  diario  di  esso;  sia  che    egU    medesimo    l'abbia 
*oggiata,  sia  che  l'abbia  raccolta  per  primo.  Certo  che  se 
^ssa  arieggia,   come  dicemmo,  lo  stilc    dei  Fragmenta  hi- 
^ta^iae  rotttanae,  certe  caratteristiche  filologiche  la  manten- 
gono stretta  al  tempo  in  cui  visse  V  L  Quando  Stefano  dei 
*vc>selli  mise  mano  alla  spada  e  il  pontefice  voleva  gli  fosse 

*  *Xaovcndi,  treugas  et  vindicìas  inducendi  et  firmandi,    occupataque 

*  >xiiusie  ab  illorum  detcntoribus  erìpiendi  et  recipìendì,  processus 
^  cj^woque»  condempnaciones  diffìdaciones  et  finas  criminales  latas  tol- 

*  l^aidi,  cassandi  ci  eosdem  reaffidandi,  ac  ecìara    contra    oranes    et 

*  ^ingulos  hostes  et  diciarum  tcrrarum  pacis  inquietaiores  et  turba- 

*  t^)res  exercitus  et  auxilia  indìcendi  et  congregandi,  et  demum  omnia 

*  -^lia  et  singala  quae  ad  huiusmodi  gubernatoratus  officium  cìusque 
*■  Viberum  exercitium  pertineni  de  consuetudine  vel  de  iure,  aliena- 
*"  Vìonc  tandem  rerum  immobilium  ac  proptcrca  raobilium  dumtaxat 
"  ^^xcepta,  et  que  ad  quietem  et  pacificum  statum  dictarum  tcrranim 

*  ^l  locorura,  habìtatorum  et  incolarum  predictorum  cedere  videris, 
"^    ^tiamsi  mandatum  exegerint  speciale,  faciendi,  mandandi  et  exequendi 

*  F^lenara  et  liberam  concedentes  harum  serie  potcstateni.  Mandantes 
^  ^amnibus  et  singuUs  pracdictarum  lerrarum  et  locorum  oQìcialibus, 
**  <=astellanls,  stipcndiariis  quoque  tam  equestrìbus  quam  pedestrìbus 
^  Ln  prefatis  terris  et  locis  ad  dìcti  Antoaii  stipendia  militantibus  nec 
*^  don  incolis  et  habitatoribus  supradictis  quod  tibi  piene  parcant  et 
**  iotcndant.  Alioquin  processus,  linas  et  pcnas  quos  et  quas  per  te 
**  proferrì  contigerit  ratas  habcbimus  ac  facìemus  auctore  Domino 
*•  Usque  ad  satisfactionem  condignam  inviolabiliter  observarì.  Tu  igitur 
^  ìpsius  gubematoratus  officìum  tibi  a  nobis  ut  premitiitur  iniunctum 
^  sic  excrcere  studcas  sollicite,  fideliter  et  prudcnler  quod  ex  lauda- 
^  bilibus  operibus  tuis  propter  nostram  ci  diete  Ecclesìe  gracìam  a 
^  largitore  munerum  superiorum  beatae  vitae  praemia  tribuantur. 
^  Dat.  etc,  .VI.  id,  iulii  anno  secundo  u. 

(i)  Cf.  Theiner,  Cedex  dipi.  Ap.  Sed.  Ili,  522  e  sgg. 


572  O.  Tommastni 


tagliata  la    testa^  «  lo  re  di   Fr^inza   lo  domandò  pe  ^ 
ahomo  morto  et  habbelo  »,  la  qua!  frase  sa  dei  tcmp  -^ 
delle  milbie  mercenarie  (i);  e  muore  non  appena  ì  mu-^ 
tati  costumi  della  guerra  non  più  la  raamengono  nell'uso* 
Del  resto,  non  è  questa  la  sola  leggenda  accolta  dalPL 
coti  quella  confidente  indifferenza  ad  appurarne   Toriginc 
che  nasce  all'udir  cosa  creduta  e  ripetuta  dal  popolo  a  à\i- 
biiar  della  quale  manca  la  necessiti  o  l'impulso.  Ad  afiro 
punto  del  diario,  nell'agosto  del  1482^  dopo  la  vittoria  di 
Roberto  Malatesta  a  Canipomorto  e  la  disfatta    del    duca 
di  Calabria,  Stefano  racconta  la  morte  di  lui,  trionfatore, 
seguita  iniprovvisaineotc  a  Roma  per  febbre,  appena  quin- 
dici giorni  dopo  LI  segnalato  trionfo.  I  maligni  sospettarono 
che  Roberto,  la  cui  potenza  dava  ombra  a  chi  ne  aveva  go- 
duto, fosse  stato  tolto  di  mezzo  col  veleno,  <*  Sunt  qui  dìcunt 
ftveneno  nccatum  -  scrive  TL  -  cui  papa  fecit  magnum 


(1)  È  sìgnìficaziaoe  che  i  dizionari  non  registrano.  A  noi  p^re 
chiara  la  rekijone  dcirMamo  morto  con  quella  óclhpajhe  mcrU,  proprio 
ddlfl  milìzia  itiercenarìa.  In  una  lettera  di  Iacopo  d^Appìàfio  al  concU 
storo  di  SÌL^na  «  t'x  Piombino  Jie  sxvin.  deccmbm  ,MCCGCXXXin.  », 
ringraziando  il  Comune  d*aver  prolungato  di  alcuni  giorni  la  vita  a 
«  Cacciaguerra  suo  uomo  d'armi,  in  considerazione  sua  e  del  cardi- 
«naie  dì  Mantua  »,  aggiungesì:  «de  novo  per  le  presenti  c*e  parso 
«suplìcare  quelle  se  veglino  degnare  farcenne  un  presente  come 
«de  homo  morto,  del  che  li  restaremo  ultra  alli  altri  oblighi 
«  obligatissimo  ».  (Arch.  di  St  in  Siena,  Lett.  concisL  ad  ann.). 

Questa  locuzione  non  si  trova  più  nella  redazione  della  leggenda 
quale  è  presentata  dai  mss.  e,  d,  g,  in  cui  è  data  nel  modo  seguente: 
«  II  re  di  Francia  pregò  il  papa  che  dovesse  restituire  al  cardinalato 
«  Pietro  e  Giacomo  e  che  ardesse  Tossa  di  Bonifacio  8  come  ere- 
«tico.  Et  perchè  non  fu  vero  papa,  non  ti  poteva  far  arcivescovo. 
«Et  Pietro  et  Stetano  delli  Roselli  misse  mano  alla  spada  e  disse: 
«  chi  vuol  dire  che  le  ossa  dì  Bonifatio  non  si  ardino,  mente  come 
«  traditore.  Il  papa  lo  fece  pigliare  e  volle  gli  fosse  tagliata  la  testa; 
«  ma  il  re  glielo  chiese  in  grazia  per  haver  salvato  la  regina  circun- 
«  data  dal  foco  in  sua  camera  ;  perchè  Stefano  e  Pietro  andaro  per 
«  un  trave  e  là  se  la  presero  in  collo,  e  liberarono.  Il  papa  cede  ». 


//  T)tario  di  Stefano  Lt fessura 


ce 


*  honorem  eiusque  corpus  sepelivit  in  ecclesia  Sancii  Patri 

*  <^um  marmorea  memoria  singulari  quae  ibi  videtur.  Sunt 
^  <liai  dicunc  quondam  Senenses  auxilio  cuiusdara  (la  mag- 

*  ^ior  parte  dei  mss.  reca  erroneamente  eiusdem)  (i)  magni 

*  ^^^pitanei  fuisse  liberatos  ab  oppressione  Florentinorum. 
^  T^raditur  quod  Senenses  ipsi  erant  maximopere  obligati 
'    ^t    quotidie  cogitabant  quid  posscnt  ei  dare  dignum  me- 

•"^tis  prò  tanto  munere,  quod   acceperunt  ab  eo;  et  tan- 

^^m  iudicabant  se  impares  tanto  beneficio;  etsi  fecissent 

**    ^Xam  domìnum  illius  civitatis,  adhuc  non    esset  satis.  Et 

**    ^Xianubus  illis  in  hac  altercatione,  quadam  die  in  concilio 

^    ^^«nerali,  quod  prò  ista  re  quotidie  faciebant,  quidam  Se- 

'•^v^nsis  surrexit,  et  dixit  se  invenisse  praemium  meritum 

^^    dignum  tali  viro,  et  quod  de  facili  posset  dictus  populus 

^"^    tacere  vel  concedere;  et  imposito  silentio  fuit  ei  iussum 

^*-    ut  dìceret  quidnam  esset  istud  praemium,  et  dixit:  occi- 

^^  damus  eum,  et  deinde  adoremus  eum  prò  sanerò  et  prò 

"^^tiostro  protectore  perpetuo,  et  ita  factum  fuit  a. 

Per  raffigurare  l'occasione  e  l'origine  di  questa  storiella 
Senese  introdotta  dal  nostro  scriba  nella  sua  cronica,  bisogna 
^suscitare  per  un  momento  le  circostanze  vive  deUa  città 
«  del  Campidoglio,  nel  momento  in  cui  il  nostro  cronista 
scriveva.  Ciò  era  sui  primi  dell'anno  1483,  quando  Lorenzo 
Land,  che  già  si  trovava  in  Roma  oratore  di  Siena  sua 
patria,  fu  assunto  all'officio  di  Senatore  (2).  Egli  aveva  con 


(i)  Dei  codici  da  noi  avud  a  continuo  riscontro  per  l'edizione 
recano  «  eìusdem  *>  C,  C*,  C,  E,  R»  S,  S'  ;  «  cuiusdam  u  soli  M.  R*. 
Che  dcbbasi  poi  leggere  «  cuiusdam  a  e  non  altrimenti  vien  poi  sta- 
bilito anche  dal  fatto  che,  per  quanto  consta  dai  documenti  del- 
l'archivio Senese,  Roberto  Malatesta  non  ebbe  mai  condotta  dalla 
città  di  Siena. 

(2)  Arch.  Vai.  Registro  di  Sisto  IV,  Offic,  659,  a.  e.  XLMiii: 
«  d.  f.  n.  V.  Laurentìo  de  Lantis,  equiti  ac  doctori  Senen.  A.  U.  n. 
«  Senatori.  Datum  Rome,  a.  .mcccclxxxhi.  quarto  kal.  apriUs,  p.  n. 
a  a.  decimo  s.  È  deputato  «  prò  semestri  incipiendo  immediate  post  fini- 

Archivio  detta  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI  38 


574 


O-   Tommasini 


sé  in  compagnia  un  suo  fratello,  che  uccellaio  poi  da*  (<^ 
nisciti  di  Siena,  convenuti  in  Roma  a  causa  de' tumulti  ti^ 
Noveschi  (i),  gli  fu  cagione  di  compromessa  non  piccola 
Aveva  con  sé  la  sua  brigata  senese;  e  di  Senesi  poi  foncx-^"* 
colava  la  citti,  dacché  i  forusciti  bramavano  coU'appogg^"*^ 
del  papa  e  del   conte  Girolamo   Riario  rovesciare,  al  s^^' 
lito,  il  governo  della  patria  loro.  Le  condizioni  di  mess^*^ 
Lorenzo  Lanti,  per  quanto  savio  e  avveduto  egli  fosse,  era — ^ 
dunque  tutt' altro  che  facili,  e  le  lettere  di   lui,  conservaci"  . 
nell'Archivio  di  Stato  in  Siena,  ne  dinno  fede.  L  suo  epfc  ^ 
stolario  pertanto  riesce  di  grande  utihti  storica,  poiché  1-  f- 
lettere  del  Senatore  di  Roma,  fonte  vivo  di  storia,  valgonc^-*^ 
di  riscontro  mirabile  alle  affermazioni    dello    scribasenato  ^^ 
Ne  feci  però  numerosi  estratti,  e  ne  pubblico  le  parti  più^^ 
considerevoli  in  appendice  a  questo  scritto,  aggiungendovi'i  ' 
alcune  lettere  di  Guidantonio  Vespucci,  orator  fiorentino,  -^ 
perchè  non  si  dubiti  che  Senatore  e  scribasenato  si  tengano 
vicendevolmente  il  sacco. 

Stabilita  ora  la  ragione  di  contatto  h^a  i  Senesi  e  Y  L, 
tra  r  I-  e  Lorenzo  Lanti,  è  a  congetturare  che  quegli,  allo 
spettacolo  delle  ostentate  essequie  di  Roberto  Malatesta,  se- 
polto a  San  Pietro  in  Vaticano  con  tanta  pompa,  presente 
il  papa,  ragguagliato  nell'epitaffio  a  Cesare,  morto  non  senza 
gioia  dei  prelati  (2),  udisse  da  qualche   senese  novellare 

if.  tum  ofHcium  d.  Ludovisi  Vorsi  militis  forlivicnsis  ».  Arch.  dì  Suto 
in  Siena,  Lttt.  al  Concistoro  ad  ann.  «  Laurentius  Lantius  orator  et 
«  Senator  Urbis,  ex  Capitolio  .xii.  aprlHs  148J:  hìeri  con  bona  gratìa 
(r  del  pontefice  ricevei  la  bacchetta  et  possessione  deU'otfitio  del  Se- 
0  nato  », 

(i)  Peggi,  Memorie  ilorico' critiche  di  Si^na,  I,  17  e  sgg. 

(2)  Ia.  VoLATERRANi  Diar.  Script,  XXIII,  179;  Guicciardini,  Storia 
di  Firenze,  cap.  Vii.  La  scritta  della  sua  tomba  fu:  (r  Veni,  vidi,  Wcì, 
a  lauream  pontìficis  retuli,  mors  sccundis  rebus  invìdit»,  U  Volter- 
rano, che  rappresenta  le  opinioni  della  curia,  scrive  :  «  Creditum  est 
«  a  plerisquc  (ut  est  in  omnibus  liberum  indicare)  Roberti  obitum 
0  magis  usui  quam  detrimento  fuisse  rebus  Ecclesiae  ;  erat  namque» 


//  diario  di  Stefano  Infessura 


575 


un  altro  capitano,  condotto  già  a  gran  prezzo  dalla  repub- 
tca  di  Siena,  per  averne  salvezza;  e  di  cui  la  repubblica 
rt>e  invece  paura;  tanto  che  quando  !a  paura  e  il  sospetto 
(perchiarono,  si  consultò  in  comune  che  cosa  fosse  da  fare. 
/u  chi  diede  avviso  di  levarlo  di  mezzo  e  compio  l'opera 
^n  gran  gioia  del  concistoro.  Ma  non  appena  fu  morto 
►i,  che  come  un  santo  ebbe  onori,  splendore  di  essequie, 
minaria  e  tumulo  in  duomo.  L'allusione  alla  morte  di 
Uberto  da  Correggio  (i)  sembra  in  tal  caso  assai  proba- 


It  ii  dìcebont,  tam  a  natura  quam  a  tam  recenti  Victoria  ita  animo 
datuSr  ut  nunquam  prò  hìs,  quae  egerat,  cxtìmasset  sibi  a  sumniis 
[►ontificibus  satisfieri  potuisse;  non  oppida  Arimìnensia  cura  appen- 
iicibus,  non  Fanensis  civiiaiis  el  Scuogalliae  vicarìalum  dignu  suìs 
ineritìs  crcdìdìsset.  Itaque  non  tam  prò  obitu  dolcndum  quam 
quod  non  convaluerìt  mirifìce  lactandura  ». 
(i)  Intorno  a  GUberto  da  Correggio  vedi  vniWArch.  star,  il,  serie  IV, 
IV;  Banchi,  //  Piccinino  iieììo  Staio  di  Sieva,  p.  224  e  sgg.  Le 
fonichedi  Gio.  Bisdomini,  ms.  nclI'Arch.  di  Stato  in  Siena,  ce.  553-4, 
ano:  0  a' 8  di  ybre  in  sabbato  el  sig""  di  Correggio  venne  in 
Siena,  e  subbilo  in  palazzo  de'  Sìg**'.  Essendo  a  ragionamento  in 
concestoro,  gli  fu  mostro  che  esso  haveva  mancato  del  debito  e 
lic  la  fede  e  che  era  truffatore.  E  alterandosi  e  venendosi  in  ira, 
iu  gittato  d*una  fcnesira  a  capo  la  porta  del  Sale,  e  così  mori.  E 
(fugli  fatto  un  bello  ecsequio  con  cento  para  di  torce,  e  fu 
«polio  in  duomo  appresso  al  campanile  ».  E  ibid.  nelle  Croniche  sanesi 
tóbuitc  a  Tommaso  Fecini,  a  e.  228:  odi  settembre  in  sabbato 
il  signore  di  Correggio  venne  in  Siena,  e  subbilo  andò  in  palazzo 
dc*Sìgnori,  accompagnato  con  più  cittadini,  el  essendo  a  ragiona- 
tncnto  nella  sala  del  papa  colla  Balia,  li  fu  mostrato  per  la  Balìa 
ch'esso  non  aveva  fatto  il  debito,  e  che  egli  era  truffatore;  e  mo- 
strandoli lettere,  le  negava,  e  venendo  in  ira,  li  fu  mostrato  sue 
lettere  più  vere,  in  modo  che  lui  voleva  uscire  fuore,  m.  Ludo- 
>^co  Petroni  sedendoli  a  lato,  Io  prese  per  le  stringhe  del  braccio 
e  fello  stare:  sonossi  il  campanello,  uscirono  fuori  alcuni,  che  lo 
gettarono  per  le  finestre  della  porta  del  Sale, e  mori.  Inde  a  un 
Ora  gli  fu  fatto  uno  bello  escquio  con  100  para  di  torce  e 
In  sotterrato  in  duomo  appresso  al  campanile  ».  Ma  ecco  il  verbale 
co,  quale  occorre  nelTArch.  di  Stato  in  Siena,  Balìa,  Dclìbe- 


57^ 


O.   Tommasini 


bile  e  Tunica  che  soccorra  a  spiegare  l'allusione  e  Pepi- 
sodio  recato  in  mezzo  dall' I. 

Ma  è  tempo  di  far  epilogo  delle  cose  esposte.  Intorno 
all'autore  del  diario  raccogliemmo  quelle  notizie  che  po- 
temmo per  dimostrarne  la  certezza  e  la  condizione  di  fatto, 
che  gli  rese  agevole  il  farsi  testimonio  dei  tempi  suoi,  l^' 
tomo  all'opera  di  lui  esercitammo  il  nostro  esame,  io*^*' 
gandone  l'origine,  il  nucleo  primitivo,  i  modi  del  successi-^*' 
svolgimento,  le  necessarie  discrepanze  di  forma  che  ne   •^ 


rosoni  lib.  I,  e.  65.  Il  notaio  è  ser  Antonio  di  ser  Giovaanì:  «  ^^^ 
«sabbati  .vi,  scptembris  (145$). 

«  Leonardo  priore 


ti  Dieta    die  de    sero   inicr  .xx.   ei  .xxi.   horam   dicti   magnìti^^ 
«  domìni  de   Balia  habenies  noiitiam  qualitcr  dxcius   dominus  G:^^^ 
a  bertus  ìntravii  civitatem  Senarum  et  se  contulerai  ad  mansioncr^ 
«  suani  in  domo  Laureniii  de   Mareschottis»  transmìserunt   ad  cur^"*^ 
«  plures  speciatissimos  cives  dominuni  Francischum  de  Aringhcnis'^' 
«  dominum    Nicolanm    de    Saraccnis    ci    Dinum    de  Martiis    stcrc-^ 


«  tos  (•),  et  alios  cives  sociaios  cum  pluribus  rotellinls  palatii,  quii 
«  omncs  ad  domura  praefatam  io  qua  dictus  dominus  Gilibertus 
<«  moram  trahebat  et  ipsum  de  dicto  loco  ad  palaiium  mapitÉ- 
tt  corura  dominorum  priorum  cum  honore  et  pacifice  sociati  fucrunt 
(t  Et  intrans  palatium  adscendendo  schalas  se  conduxìt  in  capcUa 
«  palatii,  in  qua  aliquantulum  requievit  Et  paulo  post  intrans  sa- 
a  lam  seu  cameram  pape  in  qua  dicti  domini  officialcs  Balie  resi- 
K  dcbant»  in  qua  et  cum  co  intravit  dominus  Lucha  de  Panna  suus 
a  canccllarius,  in  qua  ab  ipsis  ofBcialibus  honoritìce  receptiis  et  inter 
«  eos,  videlicet  inter  priores  sedendo  positus,  multa  colloquia  sìraul 
«habuerunt.  Inierea  dum  hec  tìebant,  ordine  dato,  fuìl  ianua  princì- 
«  palis  palatii  obserata,  cum  omnibus  aliis  hostiis  opporrunis  in  pa- 
a  latio,  usquc  ad  cappellani,  transmissis  postea  omnibus  familìis  ipsios 
«  diii  Gitibcrti   qui  eura  sociaverunt  in  sala  dele  Balestre,  obserata 


^ 


(*)  Qlietti  nomi  sodo  sud  studioumense  cuudUd  dal  cmceiUerc  •  le  kttne  «ttn- 
virute  da  altri  Mgni  per  caDfondcrae  la  lettura;  ma  la  coafusionc  non  i  tale  zbe  ami 
al  venga  a  capo  di  leggerli  e  di  riconoscere  coloro  che  ti  prettAroao  complici  a  si  bd- 
l'opera.  Esprìmo  la  mia  ricooosccnza  al  cav.  A.  Lìsini,  benemerito  direttore  4cU'A^ 
chivio  Senese,  par  avermi  cortesemente  aiutato  ad  interpretare  i  nomi  tApfihitftall. 


//  T)ìario  di  Stefano  Infessura 


577 


rono  effetto,  Tuniti  di  pensiero  che  bastò  a  mantenerne 

il    complesso;  la  parte  che  in  essa  è  riflesso  del  tempo  e 

delle  circostanze,  quella  che  è  dovuta  ai  sentimenti  e  alle 

relazioni  personali  dello  scrittore.    Certo,  TI.  non  fu  un 

umanista;  pure  un  critico  odierno,  che  della  società   del 

rinascimento  in  Italia  A  giudicato  assai  bene,  potè  trarre 

solo  dagli  scritti   di  lui  una  pittura  vivace  della  vita  ro- 

*^ana  nel  secolo  xv  (r).  L'L,  ardente  della  più  pura  fede 

^i~istiana,  rinfocolato   dalle  profezie  ioachimistiche,  ineso- 

'"'^bile  coi  pontefici  mal  cristiani  di   cui    visse   contempo- 

''^neo,  fu  dagli  apologisti  della  Chiesa  a  tutt'oltranza  tro- 

^  ^to  testimonio  incomodo,  ma  da  non  escludere  (2).  Scrisse 

*^  cappella  cum  custodibus,  magnifìcìs  dnis  in  consistono  exìsten 
**"  libus.  Et  quum  aniea  in  cancellarla  parva  camere  pape  intromìssì 
^  Jiierunt  aliqui  robusti  et  validissimi  iuvcncs,  cum  armis  opportunìs, 
^  «t  in  cursu  consìstorii  aliqui  pedites  et  robusti  iuvenes  cum  armis 
^  bene  muniti,  post  multa  colloquia  dictì  ìuvenes  intra  cameram  pape 
^  «istentcs,  dato  signo,  prout  sic  ordinatum  fuerat,  foras  exeunies, 
^*  eunidem  dominura  Gilibertum  cum  armis  aggressi  sunt,  eumque 
^  pluribus  vulneribus  percussum  interfecerunt.  Et  dum  hec  fiebant 
**  alii  pedites  e  consistono  cxeuntes,  in  camera  pape  cura  armis  suis 
^^  intraverunt,  et  nilaliud  fecerunt  quia  iam  mortuus  erat.  Capto  taraen 
^^  corpore  extra  fenestram  in  campo  fori  proiecerunt.  Capti  sunt  do- 
**  minus  Lucas  de  Parma  et  Guerrerus  Senensis  cius  canceliarii  cum 
^  pluribus  aliìs  suis  familiis,  et  post  predicta  lohannes  de  la  Gatta  eius 
^  cancellarius,  et  in  custodia  raancipati.  Verum  corpus  suum  ho- 
*  DO  ri  f  ice  in  cathedra  li  ecclesia  sepultum  et  tumulatum  est. 
^  Et  totus  populus  clamabat  hoc  bene  factum  esse  0. 

(i)  BuRKHARDT,  op.  cit.  in  Bcitfàge  ^ur  vaUrlÙndischin  GeschichU 
Ì9$  Basii,  V,  19-20. 

(2)  Ecco  a  qual  modo  giudicava  delle  condizioni  della  Chiesa, 
^  tempi  dcirinfessura,  un  testimonio  non  sospetto,  il  card.  Fa- 
tiesse,  Epp.  «Francisco  Gonzagae  card.  Mantuano»  (e.  272  r):  «Adde 
«t  publicum  odium  merito  ex  tanta  insania  in  nos  comparaium.  La- 
«  meniari  ecclcsias  vìdes,  quod  his  cumulis  cgenorum  panem  eri- 
^  pimus  :  dolere  populos  quod  veneranda  pastorJbus  loca  plaena  nunc 
^  mercenariis  vidcnt:  indignar!  prìncìpcs  quod  nuLlis  accessionibus 
«  nostra  ingluvies  saturatur.  Clamant  non  esse  nos  memores  pauper- 


L 


J78 


O.   Tommasini 


volgare  da  trivio  e  latino  da  curia;  ma  quando  ad  Anton 
di  Pietro  era  bastato  confessare  «  multa  essent  scribendaquae 
«  dimitto  in  calamo»  (i)>  e  il  Papiense  consigliava  al  Volter- 
rano di  non  propagar  notizie  «  ne  videremur  nimium  a- 


«  tatis antiquae ;  propter  quarti  crevit  Ecclesia:  non  vìderì  «lificifiulai 
«  Chrìsti,  qui  de  crasiìno  vetuit  esse  solHcitudmem  ;  et  dois  vtsco 
«  habcntem  dari  alteram  non  habenti  praccipìt.  Omnia  ad  privatim 
«  pompam  luxumque  referri.  Quodque  multorum  esse  oportrtt 
tf  iniustfl  dispensatione  ad  unum  aliquem  redigi.  Animac  aotera  tan 
n  esse  curam  exìguam  quam  magna  est  corporis.  Hìs  indignoiìcmibai 
R  pernitiosa  de  nobis  aliquando  incumur  Consilia  ì  ìnque  ApoBiolican 
ce  Sedcm  naiioncs  tumukuantur.  Id  autem  ut  plurimum  ac:i^t>t;  ol 
tt  possessum  nobis  ire  prohibilis  aut  ìndignis  prccibus  cogainur  ^uod 
«  datum  est  assequì,  aut  turpi  cessione  iriumphare  de  nobij  prioó- 
«  pcs  doceamus  ».  Nel  ras.  Vallicelliano  S,  ai  (n.  0168^),  /*.  Kfwsifi 
Monumenta  prò  annaìih.  ab  anno  14^^  ad  t4}^,  t.  XVIII,  il  Raivai^ 
scrive  (an.  1484),  e.  417  r,  presso  alle  parole  del  testo  :  «  Rccrudctota 
<t  Urbe  seditìo  Columncnses  inter  et  Ursinos  ».  (In  margine  è  dmId: 
«Stefano  Infessura  imbroglia  poca  cosa;  ma  Rafaelo  Vobionae^ 
«  p,  678,  col  2*  in  medio,  si  vede  che  le  armi  pontidcic  furono  ^ 
«  volte  contro  Lorenzo  Colonna  protonotarìo  ribelle  a  cu»  fu  u^iiti 
cr  la  testa.  Id  atfirraai  ms.  diarium,  p.  29).  Compulsusque  csiprctife 
«  advcrsus  illos  pacis  Icgcs  detrcctanies  arma  expedirc,  Hitfonyro 
«  Riarii  nepotis  sui  opera  usus.  —  Bisognerà  vedere  Panvino  che  bon 
«  non  mi  trovo  bavere.  De  eisdem  factis  aguni  etiam  Bmim  tep 
cr  pontificiam  partem  aequus  et  Stephaous  Infessura  iniqubsimos^ 
«  malevolcntia  in  Sixtum  sufTusus  invidiara  ìpsi  conficiis  mctviaoJ* 
«  conllare  nunquam  cessar,  in  sinlstrumque  sensum  pontifìcia  cO^nSU 
«  gcstaque  retorquct.  —  Si  potrà  copiar  dì  luì  ciò  che  si  inctìt*  ntt 
«  diario  dì  Lorenzo  Colonna,  decapitato  e  la  presa  della  Cavj  UOX 
«  da  Girola*^  Rìario  cui  ea  re  vicario  gratulatus  est  (Lìb.  brev.  utoi  tv 
«  Inter  liieras  non.  iuU)  ipsum  summis  laudibus  cflercns  quod  ro» 
«  suctudinem  egregie  usus  pulcherrimam  eam  ccnsuissct  victiniffl 
«  esse,  qua  a  capiivis  hostilique  sanguine  abstinuisset  m.  —  I 
del  Lantì  e  del  Vespucci  provano  poi  come  Y  I.  nel  riferifi. 
di  papa  Sisto  non  mettesse  niente  del  suo  e  non  gontìassc  wt*- 
Ni  il  Rflinildi  copiò  del  resto  ciò  che  Stefano  raccontò  di  Li 
Colonna  decapitato. 

(1)  Ant.  Petri  Diar,  passini  in  Script,  A.  XXIV^  974  e 


//  Diario  di  Stefano  Infessura 


579 


iosi  »  (i),  Stefano  invece  notò  coraggiosamente  quel  che 
sitava  e  vedeva.  «  L'aatiqua  casa  Colonna,  e  spetial- 
lente  quella  di  Pellestrina,  che  sempre  fo  nimica  della 
Chiesa  e  del  popolo  nostro  di  Roma  «  (2),  maledetta  da 
Paolo  Petroni,  fu   da  lui  benedetta,  rappresentata  giusta- 
mente come  popolare,  e  servita  con  fede.  Quando  Roma 
tumultuò  gridando  da  un  lato:  Chiesa  e  Orso,  Orso  e  Cre- 
scendi, e  dall'altra  :  Falle  e  Colonna,  Stefano  non  pur  compiè 
fedele  l'officio  suo  di  scrìbasenato,  ma  quello  d'amico  af- 
fezionato e  devoto  presso  la  salma  tormentata  di  Lorenzo 
Colonna,  l'infelice  protonotario;  mentre  il  notaio  dell'Anti- 
posio  alle  guerre  si  contentò  di  mettere  «  doi  carratelli  alla 
«  porta  carichi  de  sassi  et  pontellare  molto  bene  »  (3). 
Nota  individuale,  se   si   eccettua  a  quando   a  quando 
I  qualche  sprazzo  d'acre  'iroaiaj  manca   agli  scritti  dell'  L  ; 
però,  mentre  sembra  che  s'addentelli,  in  sul  principio  della 
'  cronica,  colle  narrazioni  leggendarie  di    Roma,   verso  il 
fine  tanto  s'accosta  alla  maniera  dei  diaristi  cerimonieri, 
che  una  parte  del  dinrio  suo  potè  incorporarsi  in  quella  del 
I  Burcardo  (4).  Con  tutti  gli  scrittori  di  diari  e  di  croniche 
■  a  lui  anteriori  e  contemporanei  A  comune  il  difetto  d'insinuar 
I  nel  racconto  più  quello  che  lo  tocca,  che  quello  che  A  impor- 
I  tanza  effettuale;  di  saltare  a  pie  pari  avvenimenti  di  prin- 


[xzm 


fi)  Card.   Papiensis,   Epp.   et  Comm.   Milano,    1506,    Ep.   62p 
•t  Papiensis   Volaterrano  ». 

(a)  Paolo  Petroni,  Mesticanza  in  Script.  XXIV,  11 14, 
i        ())  Cf.  Diar.  in  Script.  Ili*,   1088. 

(4)  Il  Thuasne  (/o/j.  Burchardi  Diarium,  IH,  xxn,  Paris,  1885) 
accennando  ad  una  lacuna  del  Burcardo  a\'vertc:  «  Pour  corabler 
«  ccttc  lacune,  les  copisies  ont  inierpolé  la  panie  correspondame  du 
(«journal  dMnfessura  dont  la  relation  s'arrétc  au  mois  d'avril  1494; 
|«lls  ont  eu  le  soin,  d'ailleurs,  de  signaler  en  marge  le  nom  de  Vé- 
l«crìvain  auquel  ils  avaient  fait  l*emprunt  et  répondu  d'avance  i  ceuz 
I  «  qui,  par  des  motifs  intéressés,  chercheraieni  à  discrèdiier  ces  deux 
•  joumaux,  cn  objectant  Icurs  poinis  de  ressemblancc  et  cn  jétani 
l«Ie  doute  sur  rauthemicité  du  lexie  de  chacun  tl'eux  j>.  Lo  stesso 


j8o 


O,  Tommasini 


cipale  rilievo  e  commemorare  bazzecole;  ma  pure  la  stoni 
di  Roma  del  secolo  decimoquinto  mancherebbe  d*un  ma- 
teriale prezioso,  se  il  diario  dell*  I,  non  le  fosse  stato  ser- 
bato. I  documenti  d'archivio  coi  quali  si  i  agio  di  rag- 
guagliarlo non  fanno  che  saggiarne  e  assodarne  il  valore; 
le  opere  d'arte,  cui  allude  e  che  sopravanzano,  confermano 
le  atfermazioni  sue;  ma  mollo  più  delle  notizie  cheesplia, 
son  pregevoli  quelle  che  racchiude  implicite  e  che  si  dicfaii- 
rano  all'occhio  di  chi  le  analizza  e  raSronta  col  lume  dei 
documenti  sincroni. 

Rosta  finalmente  che  si  accenni  al  sistema  seguito  per 
ristabilire  il  testo  e  al  modo  della  pubblicazione. 

S'incominciò,  com'era  naturale,  dal  far  comparozioae 
delle  due  edizioni  del  Muratori  e  dell*  Eckhan,  preso  x 
fondamento  Ìl  testo  J'un  codice  del  secolo  decimosesto,  il 
quale  conservando  in  molta  parte  intatte  le  forme  del  vol- 
gare romanesco  e  la  grafia  medievale  del  latino,  e  non  pre- 
sentando né  sovrabbondanza  di  rubriche  ne  indice,  davJ  * 
sperare  d'esser  rimasto  immune  da  arbitrarie  alterazioni  i 
copisti  e  d'aver  avuto  ad  esempio  una  buona  lezione  p^ 
antica.  Questo  codice  fu  designato  neirelcnco  colla  sigla  C 
Parve  indispensabile  ragguagliario  col  Vaticano  6389  (R^ 
e  col  Capitolino  (R),  gii  collazionato  e  corretto  dal  Va- 
lesio  ;  e  la  comparazione  tornò  tutt'altro  che  superfluo, 
mettendo  a  nudo  le  discrepanze  originali  tra  i  due  mss. 
e  quelle  che  vi  rimasero  poi,  a  collazione  fatta.  De!  resw, 
se  R'  offre  il  gran  pregio  di  non  alterar  mai  la  lezione  p«f 
preconcetto  dell'amanuense,  se  la  presenu  migliore  per  es- 
sere di  certo  condotto  sopra  miglior  codice  e  però,  anche 


Tbuasne  (op.  cÌl  U,  78-86)  incorpora  nella  sua  edizione  un  laoj(> 
passaggio   dell'Infessura,  tratto  da    manoscritti    in  cui,  siccome  tD- 
dicanimo  a    p.  5;4,    si  trovarono  bensì   intercalate   poncr 
nuazìoni,  ma  senza  dubbio  è  autentico,  e  pel  consenso  dei 
mss.  e  per  ragioni  intrinseche  spetta  al  diario  del   nostro  scrtM- 
senato. 


//  diario  di  Stefano  Infessura 


581 


dove  erra,  rimette  non  di  rado  sulla  via  di  raccapezzar  la 
forma  vera  del  testo,  guasta  attraverso  le  graduali  trasfor- 
mazioni d'errori  nei  trascrittori;  il  manoscritto  R,  segnata- 
mente nella  parte  latina  del  diario,  presenta  rettificazioni 
grammaticali  che  più  spesso  sembrano  risultare  dall' aver 
sciolto  senza  errore  l'abbreviature  di  cui  ebbe  ad  esser  irto 
l'archetipo,  che  dal  proposito  di  correggere  per  dar  garbo 
al  dettato,  con  intendimento  di  critico.  Inoltre,  nella  scrit- 
tura dei  numeri,  serba  traccia  dell'uso  piti  antico,  sia  notan- 
doli in  caratteri  romani,  sia  mescendo  caratteri  e  cifre  (i). 
Segna  bensì  !e  date  giornaliere  più  spesso  in  numeri  arabi, 
e  talvolta  dimostra  a  quali  corrompi  menti  del  testo  potè 
gradatamente  dar  luogo  quella  promiscuiti  di  pratica. 

Furon  poi  tenuti  a  costante  riscontro,  per  Topportuniti, 
i  manoscritti  Vallicellianì  S,  S';  e  questo  secondo,  che  gii 
servi  al  Rainaldi  e  porca  note  di  lui,  come  vedemmo,  parve 
concorrere  coll'altro  codice  Vaticano  per  supplire  al  danno 
dell'autografo  smarrito.  I  due  codici  Chigiani  C*,  C^  e  il 
Corsiniano  C^  rappresentarono  ciascuno  una  tendenza  pre- 
giudicata della  critica  rispetto  alla  schiettezza  del  testo,  che 
era  conveniente  di  non  perdere  di  vista  mai.  Dacché  il  primo 
offriva  le  alterazioni  indotte  nel  diario  dallo  studio  di  parte 
Orsina;  Tahro,  tutte  le  azzimature  nel  dettato,  di  che  po- 
teva esser  capace  quel  tal  secentista  dei  Promessi  sposi  che 
considerando  la  istoria  come  una  a  guerra  illustre  contro  il 
o  Tempo,  imbalsamava  co' suoi  inchiostri  le  imprese  dei 
«prencipi»;  e  però  ristringeva  in  canaletti,  secondo  lui, 
scevri  di  melma.  Tonda  libera  e  qualche  volta  0  manche- 
vole o  torbida  del  nostro  scribasenato.  Finalmente,  il  co- 
dice Corsiniano,  dando  tutto  il  testo  italiano,  potè  soccor- 
rere per  l'interpretazione  di  quelle  forme  dialettali,  corrotte 


^ 


(i)  Per  esempio:  — .  All'anno  1456  «  die  15  augusti  »  fa  succe- 
dere: «  mane  deinde  sequenti  .xn.  augusti  ».  E  evidente  Terronea 
leaura  del  1$  per  11  nella  prima  data. 


nelle  edizioni^  incerte  e  multiformi  nei  codici  ;  ed  offerse 
talvolta,  alla  comparazione  delle  date  storiche,  qualche  ele- 
mento di  più.  E  con  diligenza  raccogliemmo  poi  nella  col- 
lazione de'  codici  ovunque  fosse  residua  e  superstite  la  forma 
del  volgare  romano,  restituendola  al  testo.  Nei  passaggi 
poi  che  ritenemmo  caratteristici,  fu  procurato  il  ragguaglio 
di  lutti  i  manoscritti  che  ci   furono  a  conoscenza. 

Resta  poco  ad  aggiungere  delle  norme  seguite  per  U 
stampa,  le  quali  sono  precipuamente  quelle  detcrminate  nel* 
Tórganico  per  i  lavori  dciristituto  Storico  Italiano  (Bh//.  dil- 
VhU  Su  It.  IV,  8).  Al  capriccioso  impiego  delle  maiuscole 
e  alla  punteggiatura  secentistica  dell'edizioni  precedenti  e 
di  non  pochi  codici,  non  demmo  peso;  né  importano 
paleografica  al  promiscuo  uso  deirw  vocale  e  consonante. 
Nelle  varianti  relative  alla  lezione,  indicammo  i  codici 
secondo  le  sigle  con  cui  vennero  contradistinti  in  questo 
scritto,  curando  che  ne  venisse  conservata  la  serie  alti- 
betica,  ogni  volta  che  non  fu  necessità  di  ordinarle  in 
altra  guisa,  per  dare  ad  intendere  come  da  progressiva  al- 
terazione della  forma  schietta  si  potè  arrivare  airestrenia 
corruzione  del  testo,  o,  per  l' inverso,  come,  paragonando 
le  progressive  alterazioni  dei  manoscritti,  fu  possibile  di  ri- 
suscitare la  forma  prima  ed  originale. 


O.   TOMMASMI. 


registri  del  Camerlengo  della 
positcria  della  gabella  dello  studio,  il  codice  Cnpitolino 
dello  statuto  vecchio,  come  vedemmo,  fanno  ampia  testi- 
itioaianza  della  vita  di  Stefano  Infcssura.  I  Poeta  et  convett^ 
tioncs  cttm  fiìiis  domini  Sk/am  de  hifcssuris  (doc.  n.  v)  ci 
determinano  il  tempo  in  cui  era  morto.  Del  padre  e  dei 
fratelli  suoi  certifica  Tatto  di  pace  del  147 1  (doc.  n.  1).  Da 
un  rogito  del  1520  (arch.  Stor.  Comun.  di  Roma)  sappiamo 
che  sua  moglie  ebbe  nome  Francesca,  eh'  ei  la  sposò  gi;\ 
vedova  d'un  Paparoiii;  e  che,  morto  lui,  si  rimaritò  con 
Marco  Antonio  de'  Martinelli.  Oltre  1  numerosi  documenti 
sparsi  in  molti  archivi  di  Roma,  oltre  le  relìquie  delle  carte 
domestiche  che  rimangono  ancora  per  discendenza  e  re- 
taggi presso  la  famiglia  Savorgnan  di  BrazzA,  si  Anno  no- 
tizie della  famiglia  Infessura  negli  spogU  di  Alfonso  Cec-^ 
carelli  (bibl.  Vat.  ms.  Vat.  49  n),  nel  Repertorio  dello  laco- 
vacd  (bibl.  Vat.  ms.  Ottob.  2550),  in  quetlo  del  Magalotti 
(bibl,  Chigi,  ms.  G,  V,  139  e  G,  V,  144),  e  nel  manoscritto 
Casanatensc  delle  famiglie  romane  deirAmayden.  Anche  il 
Valesio  ne  raccolse  in  fondo  alla  sua  copia  del  diario  di 
Stefano  (arch.  Stor.  Capir,  t.  V,  cred.  xiv).  Sulla  tomba 
gentilizia  in  S.  Maria  in  Via  Lata  era  lo  stemma  consistente 
in   un  bacinetto  piantato  sopra  tre  monti.  Nel  ms.  M*  si 


584 


O.   Tommasini 


annota  che  la  detta  tomba  si  trovava    «  avanti   d^  arriva 
«  alla  porta  della  sagrestia  con  l'arme  infrancta  »  (V.  sopra  i 
p.  515).  Facemmo  ricerche  accuratissime,  col  cortese  aiuto  del 
parroco  della  chiesa;  ma  quella  lapide  più  non  esiste.  L'arme 
trovasi  delineata  nel  ms,  R,  nel  ms.  Vat.  8253,  p.  354  v, 
e  in  altro  ms.  autografo  di  Antonio  Caffarelli,  Repertorii 
a  e.  138,  presso  il  signor  comm.  C.  Corvisicri,  dai  qu 
due  ultimi  la  riproducemmo,  dacché  in  essi  meglio  serab 
rispondere  alla  descrizione  data  dal  Magalotti  (ms.  Chigiaa 
G,  V,  144):  c<  hanno  per  armi  un  cimo  chiuso  sopra  tre  mon 
«  d'oro  ni  campo  rosso  ».  L'elmo  chiuso  diventa  solo  «1 
tt  elmo  1)  nella  descrizione  dell' Amayden  (ras.  CasanaL 
p,  283)  ed  elmo  aperto  comparisce  a  dirittura  nel  diseg 
del  Valesio  e  nell'  incisione  data  JairAdinolfi  {Roma  ntWcé"^ 
ài  vu::j:j}y  II,  292).  La  sagoma  dello  scudo  poi  in  queste 
ultime  due   rappresentazioni  par   de!  tutto  cervellotici 
arbitraria.  L'epigrafe  riportata  nel  ms.  Vaticano  8253, 
e.  354  V,  dal  Gualdi  che  la  vide,  è  descritta  a  questo  modo^ 
«  lapide   sepulcrale   con  tassello  quadro,   arma  tre  moori 
«  uguali,  un  morione  antico  sopra  un  palo  sopra  i  trcmonnyj 
«  lettere  delineate  :  Sepulcrum  D.  lo.  Paulilufisurafiliorumi 
0  stwr,  defamìlia  descendentium  ohiit  anno  Dui,  .MCcccLXXXin«^ 
«  mar.  vi.  » .  Il  Martinelli  {Primo  trionfo  della  S""  Croce,  Roma, 
MDCLV,  p.  180)  dà  giA  diverso  il   testo   delTepigrafe  e 
dello  stemma  non  parla;  ma  in  S.  Maria  in  Via  Lata  ac-j 
cenna:  «  In  terra  è  il  sepolcro  dell' Infessura  diarista  conj 
«  quest'epitaffio,  ecc.  »,  Attìngono  a  lui  il  Valesio  e  il  .Maga- 1 
lotti.  Quest'ultimo  (ms.  G,  V,  144)  scrive  in  vece  di  Giovin  I 
Paolo  tt  Sepulcrum  Ioannis  Petri  «  e  trae  cosi  in  em)reil] 
}Amn\  {Archiatri,  II, 200).  Il  Galletti (/mrri/)/.  Rom.inf.atm, 
111,421)  dA  alla  scritta  la  disposizione  e  il  garbo  classico;di 
lui  copia  il  Forcella  {Iscri:^.  delle  chiese  di  Roma,  Vili,  389)- 
Nel  ms.  di  Tommaso  Landuzzi  (arch.  Capit.  diS.  Mafia! 
in  Via  Lata),  Lapideac  inscriptioncs  et  mctnoriac  quae  mWtl 
cxtant  in  parictibus  et  pavimento  insignis  eccL   rir^inii  Affl- 


//  diario  di- Stefano  In/essura 


J85 


tris  ad  Viam  Latam,  anno  .mdcccxix.  la  scritta  non  e  regi- 
strata; non  esisteva  più.  Lo  lacovacci  nel  suo  Repertorio 
citato  rimanda  al  ras.  Vat.  491 1,  che  comprende  il  Tùr-:^Q 
tomo  dilla  serenissima  nohììià  àeìV Aìma  città  di  Roma  del 
noto  falsario  Alfonso  Ceccarelli;  intorno  a  cui  annota  il 
Contelori  :  «  in  toto  opere  plurima  sunt  falsa,  aliqua  etiam 
«vera  ».  E  il  Ceccarelli  pone  gì' Infessuni  fra  i  nobili  per 
averli  trovati  «in  registro  nobilium  laniiliarum  urbis  Romae 
afaao  aNicoIao  de  Cerrinis  n  e  tali  gli  cita  ancora  (fol- 208) 
«  ex  catalogo  nobiliuni  familianim  urbis  Romae  Romani  de 
«  Calvis». 

Noi  diamo  la  serie  cronologica  dei  documenti  che  so- 
pravanzano relativi  alla  cas.ata  degl'  Infessura,  distinguendo 
con  asterisco  quelli  che  pubblichiamo  poi  per  intero,  e  ac- 
cennando, quando  ne  sia  il  caso,  colle  iniziali  quelli  tndi- 
I  cari  nelle  raccolte  deirAmaydea,  dello  lacovacci,  del  Ma- 
galorà,  del  Valesio; 

1597.  «  Comproraissum  ìnter  nobilcm  virum  Laurentium  Cecchi  Pa- 
^^  lochi  Jc  regione  Monlium  et  dominum  Lodovcura  de  Pappazuris 
^B  in  personam  discreti  viri  Lellì  Infessurae  die  9  decembris  1397. 
^H  Iflcobellus  Stephani  de  Caputgallìs  nntarius  in  quintemulo  ». 
^H  Arch.  di  Stato  in  Roma,  \ùtiii  Capitolini^  n.  477,  e.  2423*  (A. 
~      I.  M.  V,) 

^1408.  Nel  Catasto  5"»'  Salvatorìs:  «  Lellus  Infessurae  de  regione  Trivii 

^K     nominatur  pracsens  ad  lecturam  et  confimiatlonem  capttulorum 

^™      socictatis  die  8'  februarii  1408  ».  (I.  M.  V.) 

1428.  Lello  Infessura,  caporione  di  Trevi.  (M.) 

1463.  Nel  dcuo  Catasto  5*^'  Salcatoris:  «  Blasius  Mutii  Nanny  alias 

dictus  Lampa  sepultus  esl  apud  ecclesiam  S"'  Mariae  inier  Treyo 

prò  quo  habuit  Stcphanus  lannelli  camcrarìus  permanus  lohannis 

Paulì  de  Infessura,  ui  parei  in  libro  dicti  camerarii,  florenos  ,x.  ».  (I.) 

1471  •   Sicurtà  e  pace,  tra  Giovanpaolo  di  Lello  Infessura  a  nome 

suo  e  de'  figliuoli  Stefano,  Lello,  Renzo  e  Ceccolo  assenti  con 

Gasparaccio  dcU'Arenula,  a  die  .xvni.  marti!  ».  (Roma,  arch.  Notar. 

Coni.  Protocollo  di  Evangelista  Bistusd,  a,  1470-71,  e,  61  r.) 

72.  Immissione  in  possesso  fatta  da  «  lohanncs  Je  Buccamacììs  de 

regione  Trivii  raarescaUus  Curie  Capìtulìnc  et  domìni  Scnatoris 

commissarius  n  a  favore  dì  a  Paulus  lohannes  Infesura  aroma- 


SS6 


O.   Tommasini 


tarìu$  de  Regione  Trìvìi  de  quìbusdam  domibus  diniHs  et  nù- 
natis  ac  discopertis  posìtis  in  reg.  Montium,  in  contrad;i  quc  i 
citur  Caballus  marmoreus,  inter  bos  fincs  ab  uno  latcrc  tenei  i 
hcredum  Luce  lohannis  lacobì...  ab  alio  res  lohannis  de  Mara 
Hnis,  retro  tenet  ecclesia  Sancti  Saturnini,  ante  est  via  pubK 
die  8  iunii  in<i"  4^  ».  (Roma,  arch.  Notar.  Cora.  ProtocoUo  Bist» 
ioc.  cit.  e.  70  r.) 

1472.  Fidanze  e  patti  sponsalizf  »  inter  dominam  Vannotiam  &Uim 
lohannis  Paulide  Infessuris  de  reg,  Trivii,  uxorem  conJam  cximii 
legum  doctoris  Bencdicti  Felicis  deFredis  olim  de  Valleraonionc. 
matrem  M.idlialcne  eius  et  dictì  q.  dni  Benedicti  ftlic  «  facobam 
condam  domni  Galeotti  de  Norroandisolim  de  regione  Columpoe 
et  nunc  de  reg.  Trìvìi,  pater  lohannis  Galeotti.»  cum  dote  quiogcn- 
torum  florenorum  currentium  in  Urbe  ad  rationem  .slvil  solìd 
provisinorum  Senatus  prò  fìoreno  ei  cum  aliis...  quingentis  do 
prò  acconcio,  ornata  et  rebus  iocalìbus  ipsius  Madhalene  ». 
van  Paolo  Infessura  appare  come  fideiussore  della  figlia  Va^ 
nozza.  Il  pegno  dotale  è  a  unam  Jomum  terrineam  et  sobritmi 
et  tectaratn  cum  scalis,  camerìs  et  coquina  supra  se,  cum  tinello 
subtus  se,  cum  orto  post  se,  cum  porticali  columpnato  antcK.> 
positam  in  reg.  Montium  inter  hos  fìncs,  cui  ab  uno  latcre  teooi 
res  ecclesie  S.  Lorcnsoli  de  reg.  Montium,  ab  alio  res  Pauli  rni- 
gistri  Petra;  ante  est  via  pubblica  ».  (Roma,  arch.  Notar.  Coro. 
Prctoc.  Bistusci,  a,  1472-75,  ce.  75  r.-76r.) 

1474.  «  Lcllus  Ioannis  Pauli  de  Infessuris  de  regione  Trivii*  acc«Je 
come  testimonio  in  due  atti  risguardanti  due  legati  fatti  di  Bu 
tolomea  moglie  di  Giovanni  Tucci  e  da  Antonina  moglie  ^ 
Gìo.  Battista  Matuzzi  ali*  immagine  del  Salvatore  ad  SanctaS<io- 
ctorura  a'di  8  d'ottobre.  (Roraa^  arch.  Com.  AUi  on'jf.  vd.  )7i 
p.  68.) 

1481  •.  Vendita   di  due  pezze  di  vigna  fatta  «  exìmio  legum  doctodj 
domino  Stephano  Io.  Pauli  de  Infessuris  de  regione  Trivià»dJP»'j 
lozza  moglie  di  Domenico  di  Pietro  de  Zizi  «  de  regione  Colunmc  • 
{Protoc.  Bisttisci  cit.) 

1481  *.  Quitanza  per  dieci  fiorini  «  qui  fuerunt  et  suol  resìdnual 
quatraginta  Horenoram  similium  pretìi  cuiusdam  vìnce  vendite  pel 
dictum  Dominicum  et  dominam  Palotiam  diete  domino  St^| 
pli.nno  »  a*  d\  }0  ottobre.  {Prctoc.  Bistusci  ciU) 

1485  •.  «  Fidantiae  inter  eximium  I.  U.  D.  Stephanum  de  Infestar*' 
curatorem   (i)  honestac  puellae  Antaniae   filiae  q.  Lclii  tW^J 


(1)  1.0  1.  Ugge:   a  MKcrum». 


germani  ipsius  Stephani  ex  una  et  Antonìum  filium  lobanms  Ba- 
ptisiae  dell.1  Pedacchia  ex  alia,  die  19  maii  148;.  lobannes  Mat- 
thìas  de  Taglientibus  notarìus  ».  (L  M,  V.)  Aich.  di  Stato  in  Roma 
Not,  Capii,  n.  lyjo,  ce.  loo-ioi. 

1483.  Epitaffio  in  S.  Maria  in  Via  Lata:  «  Sepulchrum  Io.  Pauli  In- 
fessurae  Rlìor.  fìlìar.  et  alior.  descendent.  ex  eor.  faniilìa.  Obiit 
a.  D.  148;  die  6»  man.  «  (i).  (A.  I.  M.  V.) 

1487.  Stefano  Infcssura  firma  le  «  Rcformaiiones,  constitutioncs  et 
statuta  super  dote,  iocalìbus,  acconcio  et  omatu  ac  nuptiis  mu- 
Uerum  et  super  excquus  die  .xvii.  martiì  ».  (Arch.  Stor.  Com.  di 
Roma,  cred.  iV,  voi.  88.  p,  191.) 

1496.  n  Locatio  molendini  mmoris  dicti  «  la  mola  piccola  »  extra 
portam  I.aterancnscm  ^d  unum  milliare  ad  tertiam  generationcm 
facta  Matthaeo  de  Infessuris  prò  responsione  ducatorum  13  et 
lib.  5  piperis.  Bcmardus  de  Caputgallis  notarìus  ».  (1.)  Ardi, 
Capit.  Lateranense. 

Ì500  *.  «  Pacta  et  conventiones  inhìtc  cum  filiis  dni  Stefani  de  la- 
fesuris  prò  Capitulo  S.  M'^  in  Via  Lata  ».  (Arch.  di  S,  Maria  in 
Via  Lata,  Protoc.  instrum.  ab  anno  1495  ad   1514,  e.  16  v.) 

1505.  Nel  catasto  del  S"*»  Salvatore:  «  Dna  Pema  de  Cinciis  et 
uxor  quondam  Maithaei  Infessurae  sepulta  est  in  ecclesìa  S^  Tho- 
mae  de  Mercanello  (2),  prò  qua  soluti  fuerunt  floreni  quinqua- 
gìnta  perdictum  Matthaeum  d^o  Gabriello  camerario»,  (I.  M.  V.) 

1508.  Luca  Antonio  «  de  Infesuris  u  si  obbliga  a  pagare  15  ducati  a 
Pietro  Vizerro,  notaio  deJla  Rota,  per  funzioni  legali,  a'  di 
jx  maggio.  De  Toro  Ferd.  not.  (Arch.  Notar.  Com.  di  Roma, 
Atti  origifiaJi,  voi.  454.) 

1513.  Copia  a  Inftrum  dotalis  D,  Hier«*«  de  luvenalibus  de  anno  15  ij 
die  .XI.  augusti  ».  Rogano  i  notai  Gerolamo  de  Branchini  e 
Agapito  Susanna.  Giovan  Gerolamo  e  Giovan  Batti:ita  del  q. 
Biagio  Giovenale  de  Manctti  in  vece  e  nome  dì  Gìrolama  loro 
sorella  promettono  «  de  rato  et  ratihabvtione  u,  col  consenso  e 
la  presenza  di  Giuliano  di  Giovenale  de  Manetti  loro  zio  e  tu- 
tore, di  contrarre  matrimonio  col  «  nobilera  virum  Matheum 
q.  Stefani  de  Infesuris  regionis  Triviì  »  e:  «  cum  dote  et  no- 
mine dotis  sexcentorum  ducatorum  de  carlenis  monete  veteris 
cum  duobus  aliis  sìmilibus  ducatis  ducentis  prò  acconcio  et  or- 
natu  diete  d.  Hieronimc  ».   Ma   i  predetti:  a  Io.  Hieroniraus  et 


(1)  Il  Magalotti  lo  reca  dufi  volte:  t'una  ul  ms.  Chlg.  G,  V,  139,  p.  134 ;  l'altra 
■  G,  V,   144,  in  Oli  pone   >Ioannls   Petri  u    la  luogo  di  alo.   Pauli». 

(s)  Coli  in  I.  M.  :  •  a.  Toma  di  Murdaatllo  ■.  V.  che  du  M.  :  ■  a.  Tommuio  io 
Mcrcatello  ■. 


588 


O.  Tommasini 


Io.  fiaptista  cum  consensu  praedicti  prò  quingentìs  similibus  da- 
catis  parte  diete  dotis,  ex  nunc  dederunt  et  consignaveruni  eidem 
Maihco  presentì  et  legitime  stipulami  In  (undura  doulem  ci  pio 
fundo  dotali  tantam  quantitatem  et  portionem  in  duabus  partìbni 
de  quinque  portìonibus  medietatis  unius  tertiae  panis  casilis  d 
sui  lenimenti  vulgariter  noncupati  S^  Abrocolo  iuoctum  prò  in- 
diviso cum  aliìs  consortibus  etc.  ;  ex  qua  parte  et  qaandu&e 
dictus  Mailieus  recipiat  et  recipere  possìt  in  rcditìbus,  casco,  ber- 
raliìs  et  omnibus  aliis  computatis  due.  .xjl  quolihct  anno  prò 
fructìbus  et  non  ultra  ad  compuium  quatuor  ducatonioi  prò 
quoUbet  centenario  ».  E  gli  altri  cento  ducati  gli  vcngoo  pa- 
gati in  danari.  (Roma,  arch.  Brazzd,  Carie  à<l\a  JamgfU  Info- 
sur  a  cit.) 

1 5 16.  »  Emptio  domus  in  regione  Montìum  e  conspectu  ecclesìie 
S.  Basilii  facta  per  Peirum  Tragalli  (i)  de  Aiaaa  a  dna.  Mina 
relieta  q.  nobilissimi  CecchoU  de  Infcssurìs,  romana  matrooi, 
die  21  augusti  15  té  (2).  Thcodorus  de  Gualteronibus  dol'ìt.  ìa 
detta  Maria  vende  col  consenso  dei  suoi  propri  figli  Lucreoi 
e  Teoftlo  e  di  Cristofora  v  relieta  q.  Io.  Bapte  de  Lìanorìs  de 
Bononia  romana  ».  (I.  M.)  Arch.  di  Stato  in  Roma,  *Vc»t  Capitoi 
n.  899,  e.  248. 

1520.  Matteo  del  q.  Stefano  «de  Infessuris»  e  suoi  fratelli  e  Piolo 
«  de  Paparonibus  »,  fratello  di  madre,  essendo  debitori  di  Nicoli 
e  Ludovico  del  q.  Marco  Antonio  de'  MariineHi,  tìgli  anche  cJ 
eredi  di  Francesca  «  de  Infessuris  »,  per  la  somma  di  jSo  duati 
di  carlini  vecchi»  per  residuo  di  dote  e  acconcio  materno,  Jo?a 
lunga  lite,  considerati  ducati  152,  di  cui  Matteo  era  debitore. dJLnoo 
in  pagamento  ai  detti  Martinelli,  con  patto  di  riscatto,  doq'jc 
rubbia  del  casale  detto  Palocco  del  valore  dì  150  ducati.  L'ittof 
de*  29  dicembre,  rogato  da  Ercole  de  Grengolis,  pubblicato  à 
Giovanni  Nichelchin,  scrittore  dell'arch.  della  R.  C,  (arch.  Jcffli 
Scrittori  della  R.  C.  voi.  64,  Diversorum,  e.  48.  Vi  si  legge:  f  Cora 
sit  quod  nobiles  viri  dni  Nicolaus  et  Ludovicus  quondani  Si 
Marci  Antonil  de  Martinellis  et  filii  et  heredcs  quondam  «tìc 
Francisce  de  Infessuris  eorum  matris  fuerint  et  sìnt  crcditOfO 
prò  residuo  dotium  et  accontii  ipsius  q.dne  Franciscc  io  saanu 
et  quantitate  tricentorum  octuaginta  ducatorum  de  carlcnls  »Ì 
rationem  decem  carlcnorum  monete  vetcris  prò  quollbet  ducaw, 
domìnorum    Mathei  de    Infessuris  et   aliorum   eius   frainim  « 

(t)  Cosi  l'autogr.  I.  :    -  Martelli  b. 
(1)  ti  M.  pone   l'atto  nel   151$. 


//  diario  di  Stefano  In  fessura 


589 


eiìam  Pauli  de  Paparonibus  ipsorum  de  Infessuris  etiam  fratris 
ex  Uterc  matrìs  ctc.  »). 
537.  tf  Testaraentum  D.  Mariae  relictac  quondam  Ceccholi  de  In- 
fessuris, die  20  fcbruariì.  Alexius  de  Peregrinis  notarius».  Lascia 
erede  il  figlio  Teofilo  (\)  :  vuol  esser  sepolta  in  Araceli:  a  Lucre- 
zia, sua  figlia,  tt  uxor  d.  Baldaxaris  de  PatrìiUs  n,  una  casa  nel  rione 
Monti  e  una  vigna  k  infira  mocnia  Urbis,  in  loco  qui  dicìtur  Vìn- 
neto  ».  (I.)  Arch.  di  Staio  in  Roma,  Vot.  Capit.  n.  1259,  e.  202. 

1550.  «  D.  Matiheus  de  Infessuris  patruus  Marii  f.  et  ber.  q.  d.Io. 
Pauli  de  Infessuris  civìs  Ro.  promisii  per  se  ac  vice  et  nomine 
dicti  Marii ...  abbatisse  et  monialìbus  S"  Cecilie  in  regione  Trans- 
tyberim  tradcre,  ad  vttam  sanctimonialem  ducendam,  Francìscam, 
Virgiliam  et  Bartolomeam  sorores  camales  d'  Marii  cum  dote 
inedietatìs  casalìs  Palochii  prò  indivìso  cum  alia  medieiate  quam 
d»  Marius  dcdìt  monasterìo  S.  Xisti  prò  dote  Lucide,  lustinc,  et 
Livie  sororura  dicti  Marii  ad  presens  raonìaiiura  S^  Xisti.  Die 
8  ianuarii  ».  (Arch.  di  Stato  in  Roma,  Archivio  'di  S.  Cuilia 
in   TrasUi'eu,  a  e.   '^y/\bìd.  Atti  nìuliviyCC,  56,98,  loi,  lOS,  490.) 

15^0-51.  «  Mattheus  de  Infessuris,  consiliarius  prò  regione  Mon- 
tium  ».  (Arch.  Com.  di  Roma,  crcd.  I*,  voi.  16,  ce.  :-8,  ij.) 

'543*  **  Mattheus  de  Infessuris,  consiliarius  ut  sup,  ».  (Arch.  Com. 
di  Roma,  cred.  1*,  voi.  17,  e.  102.) 

1550.  «  Tesiamentum  Lucrctiae  de  Infessuris  relictae  quondam  do- 
mini Baldaxaris  Patritii  de  Urbino  ».  Lascia  erede  Maria  sua 
madre  :  vuol  esser  sepolta  in  Araceli.  «  Ioannes  Bapt  Amodeus 
notarius  ».  (I.)  Arch.  di  Stato  in  Roma,  Nat,  Capit.  n.  27,  e.  46. 

I5$q.  «  Testamentum  honestae  matronae  dominae  Hieronymae  de 
luvcnalibus  relictae  q.  diVi  Matthaei  de  Infessuris,  die  14  novcm- 
bris.  Curtius  Saccoccius  noturìus  ».  Lascia  erede  il  figlio  Dome- 

Inìco:  mille  scudi  a  Claudia  sua  figlia:  seimila  a  Bartolomeo, 
figlio  della  q.  Flamioia  sua  figlia:  vuol  sepoltura  nella  chiesa  degli 
Apostoli.  (I.  M.)  Arch.  dì  Slato  in  Roma,  NoL  Capii,  n.  15 17, 
e.  569  V. 

(1)  tn  una  Copia  di  umimento  iiitto  t  Romtt  l' tempi  dì  P&olo  HI.  poueduii  dal 
conun.  Corvisterì,  app«Hicc  ootata  «per  ctuijue  bocche»  nel  rioue  Monti  nTeo&lc  Infci- 
■  «ura  (puuiu)«,  —  L'archetipo  Ji  quel  ireosìmcDio  1 1  Londra,  ove  fu  portftto  dal  Payoe, 
<bc  ac  dece  act^uisto  iiui«rat  con  altri  mss.  dell'archivio  Gentile  del  Drago.  Autore  di 
quel  rtgUtro  «pparlice  uà  ut  «  lacobo  HcUìd  lo  quale  ba  scritto  el  preseate  libro*. 
IlAACa  alla  copid  la  parte  del  rioDc  di  Trevi,  ove  gì' Infetiura  avevano  casa.  La  corlÌ> 
^ana  del  rione  Monii  comparisce  col  nome  di  chi  le  faceva  le  spese  ;  dacché  ael  r^litro 
ddl'HclUn  ai  nota  lolo  ed  appena  il  nome  del  capo  della  caia  e  le  bocche  che  nungUno 
ia  qudU- 


i90 


O.  Tommasini 


t>6i.  Domenico  de  Infessura,  «  consìllarius  prò  regioni  Momituai, 
(Arch.  Stor.  Com.  di  Roma,  cred.  I,  voL  2r,  e.  yj.)  i$64.  « 
siliarius,  ut  supra  ».  (Ibìd.  voi.  22,  ce.  J4-J$.)  1$^.  Jd. 
cred.  I,  voi.  4,  e.  25.)  1573.  Id.  (Ibìd.  cred.  1,  voi.  3$,  e. 
1574.  «Caput  regio  prò  regione  Campì  Martìi  ».  (Ibid. 
voL  26,  e,  194.)  i>77.  <  ConsiliarJus  prò  reg.  Monti um  a.  (Ibìd 
cred.  I,  voi.  27,  e.  132.)  1581.  «  Consiliarius  ui  supra  ». 
cred.  I,  voi.  28,  e.  61  e  voi.  s,  e.  16.)  1588.  «  Consìliarìl 
supra  M.  (Ibid.  cred.  I,  voi.  29,  e.  197.)  i>93.  «  Ut  supra  ». 
cred.  1,  voi.  ?9,  p.  107.) 

156;.  a  Àlìud  testamentum  n.  d.  Hieronymae  de  luvenalibus 
q.  dui  Manhaci   de  Infcssuris,  die  xo  martìi   1563.    Curtiiu 
cocciusnot.  ».  Lancia  crede  il  tìglio  Domenico:  alla  lìgtiaCi 
seuecento  scudi:  al  nipote  Bartolomeo  un  legalo.  (L  R.) 
di  Staio  in  Roma,  iVo/.  Capii,  n.  t>2i,-c.  195. 

I  )  67.  Domenico  vende  una  casa  nel  rione  Monti  a  di  8  marzo.  O 
Saccocci  net.  (M.  V.)  Roma,  arch.  Capitol. 

1570.  «  Fidantiae  ìnter  d.  Io.  tacobum  (i)  de  Ostia  patretta  et  le- 
gitimum  administratorem  d.  Catherìnac  eius  61ìae  relìctac  q.  Stc* 
phani  de  Auria  (2)  ex  una,  et  mag.c"™  d.  Dominlcum  de  In- 
fessurìs  no.  rom.  ex  altera,  die  15  novembri».  Conitis  Saccocd 
not.  ».  La  dote  è  di  scudi  duemila.  (I.  .M.)  Arch.  dì  Staio  tn  Rorai. 
Kot.  Capii,  n.  IJ34,  ce.  556  V-J52  r. 

1583.  Anestazionc  di  aito  di  procura  «  die  vigcsinia  novcrabrù  i>6j« 
fatta  dal  notaio  Domenico  Stella  :  «  Fidem  facìo  ego  not*  pot- 
infrascrìptus  qualìter  die  xiit.  maiì  1518  in  me  personaliter  ico- 
stituta  d.  Caterina  q.  lacobì  Magne  et  uxor  magc*  dn*  Doraoii^ 
de  Infessuris  nob.  Ro.  de  Hostìa  quae  spontc  ratiiicandu  in  pnro  ■ 
et  ante  omnia  omnia  acta  et  actìtata  per  d.  Dominìcum  . 
thei  de  Infessura  eìusdem  procuratorem  maritum  quotr  • 
facia,  eie.  ».  (Roma,  arch.  Brazzà,  Carli  delia  famigìiù  hi-   *'- 

1592.  Domenico  Infessura  affitta  a  m'o  Giovanni  Antonio  Jel  4.  U<i 
menico  Antonini  e  a  m'"'>  Alessandro   del   q.  Giovanni  Bomic;- 
una  cava  dì  pozzolana  esistente  nella  sua  vigna  alle  Tcrr 
luogo   detto  ceVivaroij  per  scudi  quindici  al   mese,  ti 
Arconi  Gerolamo  notaio.  (Arch.  Com.  di  Roma,  Aiti  oni 
voi.  IO,  e.  261.) 

1)9}.  Caterina,  moglie  di  Domenico  (Infessura)  (3),  morta  nei 


(0  l.  ed  M.  iaaoi  •  Iicobuni  de  Ostia  >, 

(a)  M.  :  •  TaurU  ». 

())  Archivio  BrazzA,  CxrU  Jdtta  fenùglU  ia/cuitr«.,  U  usa  «cbeii: 


//  diario  di  Stefano  In  fessura 


de*  Monti,  sepolta  in  S.  Maria  in  Via  Lata.  (M.)  Roma,  bibl.  Chigi, 
ms,  G  V,  144,  p.  224. 

1604.  Giacomo  Goggi  fiorentino  vende  a  Giovanni  Franchino  Ta- 
viani  un.1  vigna  di  circa  venti  pezze  0  in  loco  dicto  Termini  scu 
V'ivano  »  per  scudi  tremila  e  cento,  vendutagli  già  da  Domenico 
hifcssura  romano,  per  atto  rogato  da  Pietro  Arcangelo  Roberti, 
notaio  dcU'A.  C.,  in  data  i"  settembre  1599.  ^  '^^  ^^  aprile,  Ga- 
spare de  Angelis  not.  (Arcb.  Stor.  Com.  di  Roma,  Atti  ori^nalx, 
voi.  266,  lib.  II,  e.  437.) 

1605  Concordia  tra  Domenico  del  q.  Matteo  «de  Infcssurìs  m  e  di 
Gìrolama  «  de  luvenalibus  «  e  Giacomo  Tolomeì  nepote  ex  filio 
di  Mario  Tolomei  e  di  Concordia  «  de  luvenalibus  »  circa  il  Ca- 
sale di  S.  Procolo  (S.  Abrocoli)  fuori  di  porta  S.  Sebastiano  con- 
finante con  Leone  de*  Massimi,  i  signori  De  Victorìis  e  Fabrizio 
de*  Massimi  0  Jìe  2*  octobrìs».  Gaspare  de  Angelis  in  solidum 
con  Biagio  Cigni  notai.  (Arch.  Stor.  Com.  di  Roma,  Alti  originali, 
voi.  266,  lib.  II,  e.  455.  Copia  anche  neirarchivio  Brazzà,  loc.  eli.) 

1605.  Domenico  cr  de  Infesurìs  »  dichiara  di  aver  ricevuto  da  Giacomo 
Goggi  come  padre  ed  amministratore  di  Alessandro  e  dalla  si- 
gnora Gìrolama  m  de  Infesuris  »  scudi  mille  per  l'acquisto  dì  al- 
cuni beni  in  quel  di  Nepi,  come  risulta  dall' istromcnto  fatto  da 
Pietro  Arcangelo  Roberti,  notaio  delTA.  C,  a  dì  1^  novembre. 
Gaspar  de  Angelis  not.  (Arch.  Stor.  Com,  di  Roma,  Alti  origi- 
ttaìi,  voi.  266,  e.  459.) 

1608.  Isirumento  di  concordia  tra  Domenico  Infessura  e  Iacopo  To- 
lomeì di  terreno  della  tenuta  detta  Muratella.  «  Cum  versae  fuerini 
liies  et  ditTerentiac  ab  antiquo  tempore  incepiac  imerq.  d.  Hierony- 
mam  luvenalem  et  q.  d.  Mattheum  Infessuram  eius  maritum  ex 
una,  et  q.  d.  Concordìam  luvenalem  uxorem  q.  d.  Marii  Tho- 
lomei  ex  altera  panìbus,  et  successive  continuatae  inter  ili.  d.  Do- 
raìnicum  Infessura  filium  et  heredem  d.  q.  Hicronymae,  et  q. 
d,  Petrum  Antonium  Tholomcum,  filium  et  hcreJcm  d.  q.  Con- 
cordìae,  et  post  eius  obitum  ìnter  ili.  d.  lacobum  Tholomeum, 
filium  eiusdera  q.  d.  Petri  Antonii,  eie.  Die  12  iulli  Antonius  An- 
geleiii  noi.  CapìtoL  >».  (Roma,  arch.  Brazzi,  Curtt  della  Jamigìia 
Infessura  cit.)  ^ 

1614.  Mandato  «  de  manutendo  »  simile  al  seguente  «  dìe  17  octobrìs  ». 
(Roma,  archivio  Brazzà.  Carte  cit.) 

1616.  Mandato  a  favore  di  Domenico  Infessura  perchè  possegga  «  prò 


mwan  «lU  i)  maggio  IS95  prete  moglie  U  Vrn  Fnsu  Vipereicbi  et  in  ilocc  hebbe  li 
■  di  lei  roblM  per  iftromento  dì  Gio.  Grillo  oot.  de)  v^  sotto  ». 


592 


O.   Tommasini 


indiviso  »  cogli  altri  creditori  del  q.  Iacopo  Tolomcì  in  piciJi:! 
e  quieta  quasI-possessioDc  o  ac  possessione  fnictuum  rcdJitni  et 
provcntus  pcrcìpiendi  rubiorum  vìginti  ceto  casaiis  noncupati  lU 
Moratella  »  positi  in  agro  Romano  extra  portatn  Ss.  PauU  et  S^ 
bastiani  cui  ab  uno  sunt  bona  M.  de  Victorìis,  ab  alio  laterv 
d.  Leonis  de  Maximls  et  ab  alio  111°°  et  Exc«o  d.  luliaci  Cc- 
sarini,  nuncupaii  «<  Piano  di  Frasonc  >»,  ab  alio  tcnutam  ArJcc,  x? 
alio  via  publica  tendens  ad  Ardeam,  eie.  die  i8  mji'.  «.  <Kon  i 
arch.  Brazzà,  Cark  cit.) 
1619.  Demonico  Infessura,  morto  di  anni  70,  a'  26  febbraio,  jcpoioj 
in  S.  Maria  in  Via  Lala.  (M.) 


Archivio  Notarile  Comunale. 
147 1.  Protocollo  di  Evangelista  Bistusci^  anno   147C 

Yesus. 
Indìctìone  quarta  mensìs  martii  die  .xviu. 
In  presenti:!  mei  notarli    ctc.  Egregìus  vir  lohannes  Paulus 
dam  Lelli  de  Infcsura,  aromatarius   de   regione  Trivii,  prò  se  ip* 
et  suo  proprio  nomine,  sponte  et  ex  certa  eius  scientia  et  non  p<r 
errQrein,pro  se  ipso  et  suo  proprio  nomine  ac  ut  pater  ci  K 
administrator  ac  vice    et  nomine  eximìi  legum  doctorìs  dot 
phani»  Lelii,  Laurentii,  Ceccholi,  Antonii  et  Dominici  eius 

absentium  prò  quibus  et  eorum  qucmlibei  dictus  lohannes  F- - 

et  bona  sua  principaliter  oblìgavit  et  promisìt  de  rato  et  rati  bibi- 
tione  et  se  facturum  et  curaiurum,  ita  talìter  et  curo  effectu  400Ì 
dìcti  eius  tìlii  et  quìlibel  ipsorum  infra&criptam  perpeuum  sceuriuten 
et  omnia  et  singula  infrascripta  perpetuo  ratifìcabunt.  omologibuK. 
acccptabunt  et  obscrvabunt,  rata,  grata  et  lìrma  habcbunt,  tcnrbuot 
et  observabunt,  et  contro  non  facient,  dicent  vel  venìent  jili<2U4  ri- 
tione,  iure,  modo,  tìtulo  sivc  causa,  sponte  promisìt  et  convenìl  G^ 
sparì  condam  Baptiste  lacoboni,  alias  dicto  Gasparraccio.  de  reiooRe 
Arcnule,  abstrnti  tanquani  presenti,  et  michi  notano  ut  publica  pff- 
sona  presenti,  recipienti  et  legitinic  stipulanti  prò  dicto  Gasbare  x^ 
omnium  quorum  nunc  interest  vel  in  futurum  potcrit  quomotfotibet 
interesse  quod  ipsc  lohannes  Paulus  prò  se  nec  dictì  eius  Gli)  ncc 
alter  enruni  per  scsc  ipsos,  alìum  vel  alios  corum  Domimbu»  et  prò 
eis  non  otTendent  nec  offendi  facient  supradìctum  Gasparcm  In  p<r- 
sona  vel  bonis,  sub  pena  et  ad  penam  quingcntnrum  ducaionffl 
auri  et  legis  tollenda  et  applicanda  dieta  pena  prò  medietJtc  CamtR 
Urbis  et  prò  alia  medìetaie  dicto  Gaspari^  loltcuda  et  appl>c<odi  t^ 


//  Diario  di  Stefano  In  fessura 


593 


QS  qaotìcns  per  ipsum  lohani^em  Paulum  vel  eius  fiUorum  seu 
tero  eorura  fuerit  contrafactum,  me  notano  ut  publica  persona  pre- 

nte,  recipiente  et  legitime  stipulante  vice  et  nomine  diete  Camere 

pactiSf  renumptians  dìctus  lohannes  Paulus  prò  se  et  quibus  supra 
nominibus  capitulo  statutorum  Urbis  loqucnte  de  pcnìs  conventiona- 
libus  non  exigenJis,  cum  hac  provisione  et  proiestatione  quod  pre- 
sens  perpetua  securitas  non  valeat  nec  teneat  nisi  fuerit  per  partem 
advcrsam  presrita  similis  securitas  et  quoti  non  intelligatur  fracta  nisi 
co  modo  et  forma  quo  pax  frangitur  secundum  formam  statutorum 
Urbis.  Et  ad  hcc  precibus  et  rogatu  dicti  lohannis  Pauli  prò  se  et 
dictis  eius  (ìliis  et  eorum  quemlibet  providì  et  discreti  viri  Paulus 
Mancini  et  Antonìus  condam  Laurcntii  de  Persona,  ambo  do  regione 
Trivii,  ìpsi  et  quilibet  ipsorum  in  solidum  sponte  promiserunt  et 
conveneruni  michì  notano  ut  publica  persona  presenti,  recipienti  et 
legitime  stipulanti  ut  supra  quod  dictus  lohannes  Paulus  nec  dicti 
€ius  fiUi  nec  alter  ipsorum  per  sese  ipsos,  alium  vel  alios  eorum  no- 
minibus et  prò  eis  non  offendent  nec  offendi  facienl  dictum  Gaspa- 
rem  in  persona  vel  bonis  ad  penam  predìctam  tollendam  et  appli- 
candam  ut  supra.  Cum  provisionibus  et  protestationibus  predictis 
prò  quibus  omnibus  et  sìnpulis  obser\'andis  et  plenarie  adimplcndis 
tam  dictas  lohannes  Paulus  prò  se  et  dicti  eius  filii  quam  dicti  co- 
rum  (ideiussores  et  quilibet  ipsorum  in  solidum  obligavcrunt  et  pi- 
gnori posucruDi  michi  notano  ut  publica  persona  presenti,  recipienti 
et  legitime  stipulanti  ut  supra,  sese  et  omnia  eorum  et  cuiusque 
ipsorum  bona  mobilia  et  immobllìa,  presentìa  et  futura.  Et  voluerunt 
prò  predictis  posse  cogi  etc.  Renumptiarunt  etc.  Et  maxime  dicti 
fideiussorcs  renumptiarunt  epistole  divi  Adriani  beneficio  nove  con- 
siitutìonis  et  omni  beneficio  fìdciussorum.  Et  gcneraliter  etc.  Et  ad 
maiorcm  cautelam  omnium  et  singulorum  predictorum  tam  dictus 
lohannes  Paulus  quam  dicli  eius  ftdeiussores  iuravcrunt  etc.  Q.ue 
quidcm  etc.  Rogavcrunt  me  noiarium  etc. 

Actum  Rome  in  regione  Triviì,  in  apotecha  spetìaric  dicti  lohannis 
Pauli,  presentìbus,  audientibus  et  intelligentibus  hììs  tcstibus  Nicolao 
Pctrì  Pauli  et  Nicolao  lannutii,  ambo  de  regione  Columpne,  te- 
sti bus  etc. 


^ 


481.  Ibid.  1429-83. 

Vesus. 
In  nomine  Domini.  Amen.  Anno   Domini  .m^.cccc^.lxxxi.  pon- 
tìficatus  Sanclìssimi  in  Christo  pairis  et  domini  nostri  domìni  Sixti 
divina  provìdentia  pape  quarti,  indictione  .xv.  mensis    octobris  die 
ultimo.    In  presentia  mei  notarii  et  testium  infrascriptorum  ad  bec 


594 


O.   Tommasini 


specialiter  vocatorum  et  rogatorutp  discretus  vir  Dorninicus  coatUm 
Petri  de  Zizi  de   regione  Colupne,   cum   consensu,  presentii,  verto 
et  voluntate  et  assensu  honeste  domine  Palotte  eius  uxorìs  ic  etÌAm 
dieta  domina  Palotìa  cum    consensu,   presentia,  verbo  et  '\*DluDtatc 
dicti  Dominici  cius  viri  unus  alteri    et  alter  alteri   con 
que  domina  Palotìa  primo  iuravit  ad   sancta    Dei   cvni 
nlbus  mei  nolani  infrascripti    etc.  centra  infrascripta   omnia  «  §»- 
gula   perpetuo    non   facere.  dicere  vcl  venire,  nec  non  quo  ad  (wc 
rcnumptiavit  auxilio  Velleiani  senatusconsulti  autentice:  si  qua  mo* 
licr  et  omni  suo  iure  dotali,  donatìonis  propter  nuptias,  alimcntonim, 
parafernorum  relictorum,  legì  lulie  de  funJo  dotali  etc.  quod  «t  <\nt 
in  favorcm  mulicrum  suoi  introducta  certificata  dieta  domini  Pilotù 
per  me  notarium  infrascriptum  de  dictis  Icgìbus  auxìlio  autentici  et 
iuramento  quid    sint,  quid    dìcant   et   quid    tmportent  de  verbo  ad 
verbum  materno  sermone  espositum  ad  omnem  ìpsius  dor 
nam  et  claram   inlelligcntìam   etc.    Et  generaliter  etc.  unus 
alter  alteri  consensìendo  eorum  propriis   et  sponianeìs  volum 
et  non  per  crrorem,    renumptiaverunt,  quietaverunt   et   rcfuu-;  .r' 
et  per  pactum  de  ulterìus  et  perpetuo  non  petendo  reroiscnmt  ciiouo 
legum  doctori  domino  Stephano  de   Infessuris   de  Urbe,  de  rcgioat 
Trivii,  presenti  eie,  vidclìccl  omnia  et  singula  iura,  nomina  et  acnoua 
reales  et  pcrsonas    utiles   et  dircctas,  tacìtas  et  expressas  etc.,  qoe. 
quas  et  quod  dicti  Dominicus   et  domina  Palotìa  cius  uxor  et  qoi* 
libet  ipsorum   habent  vel  habere  possum    etc.   sìbique  conpctunr  et 
conpeteri   eis   posscnl   quomodolibet  in  futurum  centra  dictuni  *t> 
minum  Stephanum  et  eius  bona  prctextu,  causa  et  occasione  d«cra 
florcnorum  currentium  in  Urbe  ad  ratìoncm  .klvii.  sci! 
visinorum  Senatus  per  florenum,  qui  fueruni  et  sunt  tl 
tragìnta  florenorum  sìmilium  pretii  cuiusdam  vince  vendite  per  dicluffl 
Domìnicum  et  dominam  Palottam  dicto  domino   Stephano,  de  qui 
venditione  patet  manu  mei  notarli  infrascripti,  et  generaliter  Jc  amiu 
alio  eo  quod  dicti  domina  Palotia  et  Dominicus  eius  vir  et  v 
ipsorum  ab  eodem  domino  Stephano   petere  et  exigcre  pos=-. 
casìonìbus  predictis,  ita  quod  prcsens  refutalio  et  quictatio  sii  -' -- 
ralis  et  generalissìma,  spccialis  et  specialissima,  et  si  ea  venl^w  u> 
tcUigantur  que  hic  espressa  non  sunt,  ac  sì  de  illis  cssct  facta  tneiiM 
specialìs.    Hanc    autem   refuiationem    et   quìetationcra   et  omn-  :' 
singula  que  dieta  sunt  et  ìnfradiceniur  fcceruni  dicii  Douiinic 
dìcu    domina    Palotia,  et  quilibct  ipsorum  ut  supra  eiJttn  do::i  'i^' 
Stephano  presentì,  etc.  Eo  quia  dicti  Dominicus  et  domina  VM^^ 
supradictos  deccm  Borenos  rcsìduum  pretii  vinee  predicte  ab  eoden 
domino  Stephano  presentialiter,  manualiiery  numeralìtcr  et  in  cffl^ 


Il  diario  di  Stefano  Infesstira  595 


mi  in  monetis  argcntcis  habucrunt  et  rcccpcrunt;  post  cjuam  ma- 

ualem    receptionem   supraJicù   Domìnicus    et   domina    Paloila    et 
ilibet   ipsorum    de    dìctis  .x.   Horenis    residuo  predicto  sese  bene 

ontentos,  quietos  et  saiisfactos  vocaverunt  et  renumptiaverunt  exce- 
piioni  non  habìte  eie.  Et  generaliter  etc.  Et  proniiserunt  dicii  Do- 
mìnicus et  domina  Palotia  unus  alteri  et   alter  alteri    consensiendo 

t  supra  et  quilibet  ipsorum  in  solidum  etc.  eidem  domino  Stephano 
'presenti  etc.  quod  dieta  ìura  supra  renumptiata  et  refulata  erant 
et  sunt  ipsorum  Dominici  et  Palotie,  et  quod  ad  ipsos  et  quemlibet 
ipsorum  spcctant  et  pertineni  pieno  iure  damìniì  vel  quasi,  et  quod 
non  sunt  alteri  vendita,  data,  donata,  cessa,  concessa,  obligata,  pi- 
gnorata, nec  aliquo  alio  modo  alienata,  alìenationis  largo  modo 
sumpto  vocabuio,  et  quod  de  eis  seu  ipsorum  parte  cum  aliqua  alia 
persona  etc.  factus  non  est  nec  factus  apparet  nec  apparebit  aliquis 
alius  contractus  etc,  et  si  conirarium  alìquo  tempore  appareret, 
voluerunt  teneri  et  obligati  esse  eidem  domino  Stephano  et  suis  he- 
redibus  et  successoribus  de  evìctione  etc.  in  forma  iuris  valida  etc. 
et  ad  refectìoncm  omnium  damnorum,  expcnsarum  et  interesse  etc. 
Pro  quibus  omnibus  et  sin^lis  observandis  et  plenarie  adimplendis 
tam  dictus  Dominìcus  quam  dieta  eius  uxor  et  quilibet  ipsorum  in 
solidum  obligaverunt  et  pignori  posuerunt  cidem  domino  Stephano 
presenti  etc.  sese  ipsos  et  omnia  et  sirigula  eorura  bona  etc.  Et 
voluerunt  prò  predictìs  posse  cogi  etc.  Rcnumptiaverunt  etc.  lura- 
verunt  etc. 

Acium  Rome  in  regione  Trivii,  in  domo  solite  habitationis  dicti 
domini  Stephani,  presentibus,  audicntibus  et  imelligeniibus  hiìs,  vi- 
delicet  Antonio  Sancto  Antonìì  luliani  aromatario  de  regione  Are- 
nule,  et  Cola  de  Montanariis  de  regione  Colupne,  testìbus  etc. 

I     1481.  Ibid.  1479-83  e.  82  r. 

^H  Yesus. 

^H^  Indictìone  .xini.  mensìs  iunìi  die  tertia. 

^H      In  nomine  Domini.  Amen.  In  presentia  mei  notarii  etc.  Honesta 

^Hdomina  domina  Palotia  uxor  Dominici  condam  Pietri  de  Tnx  de  re- 

^■gione  Colupne.  Que    domina  Palotia  primo  iuravii   ad   sancta  Dei 

cvangclia,  manìbus  tactis  per  cam  corporalitcr  scripturis,  in  manìbus 

I       mei  notarii  infrascrlpti  centra  infrascripta  omnia  et  singula  perpetuo 

non  facere,  dicere  vel  venire  aliqua  ratione,  iure,  modo,  titulo  sive 

I       causa,  nec  non  quoad  hec  renumptiavii  auxilio  Velleano  senatuscon- 

sulto  autentice:  si  qua  mulìer  et  onini  suo  iure  dotali  donationis,  propter 

nuptìas,  alimentorum,  parafcrnorum,  relictornm,  legi  lulìe  de  fundo 

dotali,  falcidie,  trebelleanice,  debito  iuris  nature,  quod  et  que  in  fa- 


V 


L 
P 


O-  Tommasini 


Ed  itiuUcruTD   Simt  imroJucti^  et  gencr^liter  onaolbotaifl^l 
l<gihu5,  Icgum  auftiiiis  iuiis  cinomcl  ei  civili^  etc^  i|Meit 
icta   vél    ilìquotj   preJictorutii    facere»  dicene  vcl   TCfltfe,eit 
pOiJOÌtb«:t  iuvarc,  meri  et  defendere  posset»  cenificsu  frin  AH 
1^   Pillotta    per   me  cot^num   infrascrìptam    de  4>ctb  hc^ 
ilo  autentica  et  iufamento    et   de  t'Orum    eBecdbisi,  ^ìà  À 
J  dicaot  et  quid  iniportcot  materno  sermone  expodtum  4c  *e« 
vcrbum,  asserena   se  Jt^  UIÌ&  plcnaiii  notitum  ac  dirun  tota 
ritiarn,  cum    cqnsensu,  pre:^eiiti3,  verbo  et  votuotatc  dica  Boift 
,j»  ciu»  vìn  presentii,  volemb»consepsieiitì5,«t  'm^ascr^Mis  ornato 
et   AingulU    9uum   conserisum  prestdittis,  AC  ctiam  dlctus  Donvàai 
cuni   consensu,  preacntU,  visrbo  ei  volunute  Jìcie  sue  avoris,  >M 
alirri  et  alter  alteri  consensjeiìJo  ipsì  ex  qoilibec  ìp^oruia  tom  a»- 
luiiktini  nuAtn  divisim,  omni  mdiori  modo.  vU,  iure  et  fonziv  <}mi 
tlttfU,  melius  et  efEcacius  Tacere  posunt,  eorum  propHìs  Immié  A 
«pomarik'm  tDluntacibus  et   non  per  etroTczn  TCDdidknmt,  doòdw; 
fcitf**uriiiit  c(  con  cesse  runt,  trajQS    Icrunt  et  mAfìdav^^unt  iti  pcrpCKMD 
eftliiild  Iv^xum  doctorl  doitiìno  !>ie[^ha»o  Io.  Paoli  éc  Iiafesurìa  dett^ 
I{inni3   Trivìl  prcseot),  ementi,  recipienti  et  legidnie  stipulanti  proK 
tMÌ»t]tic  hrrcklitius  et  ^uccessorìbus^  er  cui  vel  qmbus  dìccus  domlsos 
t)iKjilu»mi  Vkl  vius  hcredej  et  successore^  vczidcre,  d^c^  donare,  yyO' 
llttf^^fv  vili  Alienare   voluerìnt,  et  emeciti  de  suis  proprib  p^conìii, 
pfni^ul»  iUcUi  \i\.  Tuulo  eius  patre,  ex  sic  esse  vemm  confitente  ei    * 
Hfl)ifM«JiiU*i  vidclicet  duAs  petias  vmeanim  cura  vitibus  et  arborilwii 
InKHtvM*  «I  Int'ructifcn»  in  ea  e^htcntìbus»  plus  ve]  minus   quiota    | 
^%\t  uum   ccirtd   parte  vasche,  vascali^  ei   tmi   et  stati!  siti  In  viae*    . 
tpilii«  Jonilni  SKphanì,  cum  lurìl^us  et  pertinestiis  suìs  positìs  z^Xn 
jiOftiim  ÌMncÌi)n4iìi.  Inter  hos  fines^cui  ab  iìdo  laiere  tenent  et  sost   , 
(l'I  MkilìUit'  de  NnniMTidiì^,  a  duobus    aliis  laicribus  suni  re*   ìpsius 
t:in|t!orìs,  ab    alio    sunt   res    lacobi   Laurentìi  Kutii  lacobutii  vel  « 
i|itì  ctc,  positis   sub  proprietate  cappelle  Sanctì  Nicolai   site  in  ec- 
i  k'sìa  Sancte  Marie  in  Via  Lata,  ad   respondendum  perpetuo  diete 
cappelle  unam  cabalbtam  musti  ad  mensuram  Senatus  Urbis  ad  va- 
vcaiii  tempore  vindcmiarum  more  romano  liberam  et  exemptam  ab 
omni  alio  onere  scrvitut)^  reilditi  sìve  census,  cum  omnibus  et  sin- 
gulis  suìs  iuribus  etc.»  introitìbus  et   exìtibus  universis  ad  dìctas  res 
venJìtas  quomodolihet  «pcctantibus  et  pertinentibus  tam  de  consue- 
tudine quam  de  iure,  ad  habendum,  tenendum,  possidendum,  ven- 
dendum,  donandum  et  alienandum,  et  de  dìctis  rebus  venditìs  per* 
petuo  faciendum  et  disponendum  ad  libitum  voluntatis  ipsìus  emptoris 
et  suorum  heredum  et  succcssorum.  Item  eodem  titulo  vendidonis 
prefaii  venditores  et  quilibet   ipsorum  vendiderunt,  dedenmt,  cesse- 


//  T}iarÌQ  di  Stefano  Infessura  597 


ant  et  concesserunt  prefato  domino  Stephano  emptorì  presenti  etc. 
pmnia  et  singula  iura  etc.  que,  quas  et  quod  dìcti  vendltores  et 
^uilibct  ipsorum  habeni,  habuerum  vel  quomodolibet  in  futurum 
babere  posseni  eisque  conpciunt,  conpeticruni  vcl  quoniodoLìbei 
ompcterc  posscnt  in  dictìs  rebus  vendìtìs  et  ipsaruni  occasione, 
contra  quascunque  personas,  unìversitates  vel  loca,  nullo  iure  etc. 
sdcm  venditoribus,  in,  de  et  super  dictis  rebus  vendiiis  quo- 
Dodolìbet  de  cetero  reservatis,  volentes  et  raandames  dicti  vendi- 
i>rcs  quod  ipse  emptor  prò  dictis  iuribus  et  actionibus  suo  proprio 
traine  agat,  pctat,  exigat  etc,  utìlibus  et  dircctis  aciìonibus  uiatUr, 
ruatur  et  experiatur  in  iudìcio  ci  extra  iudicium,  ac  Je  ÌUis  faciat 
et  disponat  quemadraodum  dicii  venditores  et  quilibet  ipsorum  de 
dictìs  rebus  vendiiis  facere,  agere,  petere,  exigere,  recipere  et  di- 
spnncre  poterant  onte  presentem  contractum  venditionìs,  ponentes 
«undem  emptorcm  prcsentiim  etc.  in  predictis  in  locum,  ius  et  pri- 
%ilcgium  ipsorum  venditorura,  constituentesque  eundem  cmptorera 
io  predictis  procuratorem  et  vcrum  dommum,  sicut  in  rem  suam 
propriam.  Et  per  discrctuin  virum  Colam  dello  Roselo  testcm  In- 
frascriptum  de  regione  Trìvii  presentem  et  acceptantem^quem  dicti 
venditores  eorum  constituerunt  procuratorem,  investiri  etc.  prefatum 
ecnptorem  de  dictis  rebus  per  cum  cmptis  voluerunt  ac  iuxerunt,  ad 
quam  quidem  possessioncm  apprchcndendani  et  dciuceps  sibi  ipsì 
reiinendam  absquc  ipsius  emptoris  iurium  lesione  et  alicuìus  curie  vel 
iudicis  liceniìa  vel  mandato  vel  decreto  dicti  venditores  eidem  emplori 
presenti  etc.  auciorit.ite  propria  plenam  contulerunt  facultatem  et 
auctoritatem.  Et  donec  etc.  Hanc  autem  venditinnem,  dationcm, 
cessioncm  et  concessionem,  et  omnia  et  singula  que  dieta  sunt  et 
infradiccntur  feceruni  dicti  domina  Paloiia  et  Domìnicus  et  quilibct 
ipsorum  ut  supra  eìdem  domino  Stephano  emptori  presemi  etc. 
prò  prctio  et  nomine  pretii  quatraginta  Rorenorum  curreniium  in 
Urbe,  AÒ  rationem  .XLVU.  sollidorum  provisinorum  Scnatus  per  flo- 
renuro,  de  quibus  quatraginta  florenorum  prciio  predicto  supradicti 
venditores  et  quilibet  ipsorum  hahucrunt  et  manualiter  receperunt 
io  contanti  a  dicio  domino  Stephano  cmpiore  presente  et  solvente 
de  suis  propriis  pccuniis,  dicto  eius  patrc  presente,  et  sic  esse  verum 
confitente  et  acceptante  florenos  triginta  ad  rationcm  predictam 
manualiter,  numeraliter  et  in  contanti  in  monetis  argcnieis  capientes 
dictam  sumam  .xxx.  florenorum,  reliquos  alios  decem  florenos  su- 
pradicic  emptionis  prnmisii  solvere  et  satisfaccrc  eisdem  venditoribus 
in  vcnderaiis  proxirais  futuris.  Et  de  inde  etc.  cum  omnibus  daranis, 
expensis  et  interesse  etc.  Postque  manualem  receptionera  supradicti 
venditores  et  quilibet  ipsorum  sesc  de  dictis  .xxx,  florenis  per  eos 


O.  Tommasini 


itentos  et  satisfactos  vocavertmt  et 

aon   habiie  etc.  Et  gcncraliter  ctc  Et  a  plus 

florenorum  supradictc  res  veotiite  nlatf, 

jtuznm  valere  possent,  sive  fuerìt  parva  sivc  iiu|M 

^m  «  dcederet    dimidiam  iusti  pretU,  eidcn   eni'Coh 

'«■r  vivos   irrevocabilitcr   et  in   perpetuuni  dedertnrt, 

•^^  ■■,-v-sserum»  quia  sic  sìbi  bene  faccrc  placuit.  Et  yra- 

—  '.^iiitiorcs  eidem  emptorì  predenti  ecc.  t^uod  didc 
.mne  et  sunt  ipsorum  venditorum  ctc  et  <]aod  noi 
<nd)tc,  date,   donate  etc.    nec    aliquo    alio  modo  4t(e> 

:  lood  de  eis  factus  non  e»  nec  factus  apparti  aec  af- 

ilius  contractus   etc.    in  preiudìcium  pTcscotis  eoo- 

.ntorurn  in  co  et  dìcti  emptoris.  Et  promiscnmt  hok 

:»ditìcnìs   Tacere  consentire  omnem    personom   etc,  0 

ctam  ccclestam,  dominam  et  proprìetariaxD  ctc  EtpR>> 

>:i^r  dicii  venditores  cìdem  cmpiori  presenti  etc  bi,df 

:'5  rebus  venditis    Utem  non  inferrc    nec  tnicreoó  ^a> 

.^'cisentire,  quìn  yramo  ipsum  omptorem  eiusquc  hendes 

-  ..t»i>fes  defendere  etc.  ab  omni  molestante  persona  «at 
^LT-- 1"**  litem,  causam,  qucstionem  et  ocnnein  iudicium  ac  oanea 
—  f-'*-  m  dictis  rebus  venditis  movendum,  in  sesc  ipsos  eonuDyt 

^  et  successores    suscipere  et  defendere  ab  omni  moIcsiiBir 
c<c.  cum   propriis    advocatis    et  procuratoribtis  %  prìac^ 
.uè  ad  fìnem  omnibus  sumptibus  et  expeosis  ìpsorwn  mmA- 
,t   suoruro   beredum    et   succcssoruin    eie.  Et  DtcbUooDnBs 
><;  teneri   et  oblìgatos  esse  cìdem   emptorì  presenti   ctc  Je 
V*  dictarum  rerum  venditarum  in  forma  iuris  valida,  ctc  Et 
,ttoncm  omnium  dannorum  et  expcnsaruni  et  intercise  €tc- 
.'US   stare   et   credere   volucrunt  soli  et  sìmpUci  ucmncn» 
ìptoris   etc.    Et  precibus  et  rogata  dictorum  vcnditonuo,  et 
-  providi  et  discreti  viri  lacobus  coadam   Laurentìì  Niftìi  li- 
.ie  regione  Trivii,  et  lohannes  condara  Luce  Comanniftì  àt 
...    ^    Colupne,  scientes   se  ad  predìcia  non  teneri  nec  obl^v; 
><«  ecacri  et  obligatì  esse  volucrunt  ipsi  et  quilibct  ipsomm  ia  *>' 
:%iMai  spontc  etc  fideiusserunt  et  fìdeiussioncra  fcccmm  prò  dicxb 
«rfihttboribus  penes    et  apad  dìctum  emptorem   prcsentetn  eie  & 
^w   facturos   et   curataros   ita,  taliter  et  cum  efiectu  proaiierst 
;u«.'*«i  iicti  venditores  omnia  et  singula    per  eos  ut  sapcs  ftoaàtx 
^.-^««rvabunt  etc,  et  quod  diete    res  vendite  [non]   stmt  akc" 
,cv    ttc     et    [quod]   facient    consentire    omncm    pertOOiB  <' 
,.  %k1  sunt  ìpso[rum]  venditorum  etc  Aliter  ìpsi  fidcuissofci  ct^ 
)tvt  tpsorutn  in  soUdum  volucrunt   teneri  et   obllgatì  cnc  ciAefl 


aptorì  presenti  ctc.  ad  omnia  et  singula  ad  quo  dictì  venditores 
igorc  presentis  contracius  venJìtionis  obligati  exìstuni,  et  in  omnem 

sum,  causam  et  eventura  eviclionis    omnium  et  singulorum    pre- 

bcionim  et  diete  evictionis,  prò  quìbus  omnibus  et  singulis  obscr- 

ttdis  et  plenarie  adimplendis  tam  supradicti  principales  venditores 

lam  dictì  eorum  fìdciussorcs  et  quilibet  ìpsorum  in  solidum  obli- 

Bverunt  et  pignori  posuerunt  eidem  eraptori  presenti  etc.  sese 
3S  et  omnia  et  singula  eorum  bona  etc.  Et  voluerunt  prò  pre- 
llctis  posse  cogi  etc.  Renumptiantes  etc.   Et  specialiter  dicti    fìde- 

ssores  renumptiavcrunt  epistole  divi  Adriani  beneficio  nove  con- 
itutionis    et    omni    beneficio    fideiussionis,   et    generaliter    eie.    Et 

raverunt  etc. 
Actum  Rome  in  regione  Trivìi.  in  studio  domus  solite  habiiationis 

cti  cmploris,  presentibus,  audìentibus  et  intclligentibus  hiis  testibus» 
lldelicet  Dominico  Cola  de  Roscio  de  regione  Montium,  et  Petro 
9ndam  lulianì  de  Bonsignore  de  regione  Trivii,  testìbus,  etc. 

Archivio  di  Stato  in  Roma. 


Jj.  Notai  Capitolini^  n,  1750,  e,  loo-i. 

In  nomine  Domini.  Amen.  Anno  a  naiivìiate  Domini  nostri  lesu 

iristi  millesimo  .cccc^LXXMii.  pontificatus    S"*'  in   Chrìsto  patris 

d.  nostri  d.  Sixti  divina  providentia  pape  quarti,  indictione   prima 

pensis  maiì  die  .xviiii.  In  prcsentia  providi  viri  Mariani  Scalibastri 

mei  lohannis  Macthie  Petri  notariorum  et  lestium  infrascriptorum 

hec  specialiter  vocatorum  et  rogatorura,   Hec  sunt  fidantie  date, 

abite,  trattate  et  firmate  in  Dei  nomine  ecc.   inter  exlmium  legum 

»ctorem    d.  Stephanum    de    Infessuris,  curatorem    honcste    puelle 

atonine  eius  neptis  et  filie  quondam  Lelii  ipsius  d.  Stcphani  ger- 

nani  fratris,  de  qua  curatorta  patet  manu  Paiali  Stcphanutìi  public! 

"notarli,  presentis  et  fidem  facìentis;  prò  qua  se  et  bona  sua  prìnci- 

palìter  obligando  promisit  de  raio  et  rati  habitione  etc.  ex  una,  et 

Antonìum  filiura  lohannis  Baptiste  della  Pcdacchia  de  regione  Pince» 

cum    consensu,  pre^emia    et    voluntate    dicti    lohannis  Baptiste  sui 

pairìs  presentis    ctc,  et    qui    promisit   contra    infrascripta  omnia  et 

singula  non  Tacere,  dicerc  vel  venire  raiione  sue  minorts  etatìs  .xx. 

scu  .XXV.  annorum    restitutioncmque  in  integrum  non  petere   prin- 

cipalitcr  vel  incìdenter  etc.   ex  altera  pariibus.  Hinc  est  quod  dictus 

d.  Stcphanus  sponte  etc.  promisit  eie,   dicto   Antonio  presenti   etc 

dare  et  assignare  sibi  dictam  eius  oeptera  cum  dote  et  nomine  dotis 

quadrigentorum    fior,  in  Urbe  currentium  ad  rationem  .xlvii.  soli- 


^  ^l^glìglA  ^IMaMI  fMÉMH  voimute  prò  ornatu  <*t  ^ccomàaSOìi 
MHiiiL  ^  filMl  tt  «tom  49P«Rt  n   quo4am   coDtncm  impio 

V-"-  -"^xm»*  4Scti  «li  p«lH5»  spQMC  cft^  pnMiÈsit  et  coQ>ie3lt  dkto 
•'Mk  fntcnt^  cto  CI  Dobis  aocacns  pn:sifntìbus  eie  es  j^ 
|^%Miv>tt»  f<o  4kU  Antonia ji  eie  £c&k»  Atttonm^m  rcdpcr?  et 
MlMW  la  <to  k^ktìiEiani  tnorem  cam  Aatae  et  accoticio  ^ttScta, 
^  yraoi  «fiparet  io  dìcto  ìnscrunKOilD  i 
HiriJt  )nfr«acfifH«  et  promisu  tempore 

accepturtis  sud^cietiter  prò  dica  dode  <c 

ilotc  et  lucnoda  doDAdooc  proptcr  ' 
Ulit^us  in  Urbe  cQosuetts  et  SApìcORkS  i 
leUm  ptomiscrant  dkie  paites  ioccrr  ad 
octid  dkraza  prcxitiie  rxmsoratQ.  «J  j 
dVKiftonisa  alili   appìkAiuU    pco 
prò  «la  ntediec^:?  pAftì  Sdcm  iu%mÉJÌ,  ■ 
nuiorì  àrmìuie  pv^zionini  preaìiai^  ad 
|PiO  qolbos  ommbss  et  s^ngnlts   n^l^  nMfli  i 
ptffc*  ^  ttmccA  sesc  et  ofimia  cu 
hierani  prò  predict^  pa^e  cogl  eu^  i 
Itoer  cntaU  ci  ^^oIa  «oca»  bott  < 
tiuHottin  CAOFel43»  ommcm  predìciranat  er^  -:: 

Actum  Rome  in  ecclesia  Sancrorxnn  AposTolarna  ie  Urbe,  prt^ 
j^entìbus  hìis  testìbos  :  nobaibns  viris  d,  L<£o  ic  Siéaxtarììs  ^ 
A  Afi:«pìto  de  Capriolis  de  regione  Pìnec,  ei  Cìuìsaaceio  de  Novelli^ 
de  r^onc  Canìpitelli,  zc  cobilìbos  et  cgrc^às-  t^^  lohanne  àc 
Buccaxnatus  capite  rcsponis  Trivii,  d.  Sar^cic»  3c  Cnjii?v)U  legumi 
doctOTC  ie  rcpcme  Poutìs,  Francisco  de  Marranis  òe  Ttgjoue  Campi 
MATtiì  c:  Alto  3e  Kurris  de  regione  Tr-ri",  ad  jneficza  Tt>cstis  etc 

Jn  nomine  Domìni,  cadcm  die.  loco  et  tesùhns,  ei  suzìm  post 
pnedìcta.  In  prejsentìa  nosffronnn  noianonnn  esc  Dìczbs  Aamnias 
tìììtìs  dìctì  lohannìs  Bapà55e,  cum  consenso,  preseoù*,  ^«rÌK>  et  to- 
NwjtJiTc  d:cr*  loharnìs  Batiste  sci  parrìs  presene  vrieads  et  coo- 
?ì«vsìc7>r.s  oTc.  ^"inre  e^c.  oM"«\-ti  e:  in  pìpics  dficaSe  ac  loco  pi- 
C(K>rs  e:  ^-^*^^ccc  òo^Ì5  poscit  dicto  d.  Mcphano  pscsguC  cte. 
ot  TK>hì?  T;o:ir;-<  pre^enabn*  et  «dpularnibES  prò  ^isa  Arocniiu  efcc. 
>d<^oaAni.''£m  òoTnsn:  ipsìis^  lobarmìs  Hwòsse  ìcrnacsm^  caimani 
e?  rcipflUums  e:  Ci^ta  Iotììs  in  ca  exìsccntìScs,  e:  cum  daaàms  orto 
«^  osm  ciaì^srro  rer-o  eam.  et  caie  pmeo  in  dieso  danssir»  <  «ìi^—i 


mei  Mahini  ao- 
diae  dotìs  curare 
piitrìs  prescQtis  ^ 
proptcr  napt^ 
i^stitu&ida  JtcU 
le  si  cauteli^  i& 
Quam  panai- 
tniFA  tcn^lnniQ 
diicentorruifl 
Abne   Urbis  A 
etc  Et  pf«» 
osctilnm  oós^ 

etc.  Et»*- 

Et  geii*E*' 
ecc.  fil  i* 


//  diario  di  Stefano  Infessura 


60 1 


cum  aliis  dictis  membris  suis  universis,  posium  in  regione  Pince, 
loco  qui  dicitur  La  Pedacchia,  Inter  hos  fìnes,  cui  ab  uno  tenet 
Sabina  uxor  q.  lohannis  Cossa,  ab  alio  tcnent  ras  d.  Sancte  .... 
Ciro  sunt  res  ecclesie  S.  Marie  de  Araceli,  ante  est  via  publica. 
Jtcmctiam  quamdara  aliam  domumdicti  lohannis  Baptistc  tcrrineam 
ItX  soUratam,  sitam  in  regione  Pince,  in  loco  qui  dicitur  La  Scesa, 
intcr  hos  fìnes,  cui  ab  uno  tenent  res  Dominici  magistri  Pauli  Cnl- 
xoiarii,  ab  alio  tenent  res  Aloysii  Falconerii,  ante  est  vìa  publica. 
Itero  quamdam  altam  domum  dicti  lohannis  fì.iptistc  terrineam  tan- 
tum, sitam  in  dieta  regione  Pince,  in  loco  qui  dicitur  La  Pedacchja, 
cum  parte  putci  retro  uam  cxistcntis,  intcr  hos  fincs,  cui  ab  uno 
laterc  tenent  res  liercdum  q.  Caroli  de  Mutìs,  ab  alio  tenct  Domi- 
nicus  Pauli  Natii  Laurcntiì  Petri,  et  ab  alio  icnet  Christofcrus  ser 
Nardi,  ante  est  vìa  puhlica.  Itcm  etìam  quamdam  vìncam  ìpsius 
lohannis  Baptiste  sex  petiaruni  ìntervìneam  et  cannetum  cum  dua- 
bus  vaschis  et  tinis,  positam  extra  portam  Apie,  in  loco  qui  di- 
3iur  La  Valle  daccia.  inter  hos  fines,  cui  ab  uno  tenet  Marianus 
Principato,  ab  alio  tenent  res  dìcti  loh.  Baptiste,  et  ab  alio  rìvus 
quc  Apie,  vel  si  qui  ulìi  sunt  vel  eese  possunt  ad  dictas  domos  et 
^neam  plurcs  aut  veriorcs  confines  antiqui  vel  moderni,  et  nomina 
vocabula  veriorn  lìberas  etc,  et  generaliter  omnia  et  stngula 
psius  lohannis  Baptiste  et  Anionii  bona  etc.  que  nunc  habcnt  et 
fin  futurum  acquisiverini  dum  hoc  pignus  et  obligatio  perdurabuni, 
iHoc  auteni  pignus  et  hanc  obligationem  docalem  fecit  dìctus  Anto- 
ìnius,  cum  prcsentia,  conscnsu  et  volumate  dicti  lohannis  Baptiste 
jsui  patris  prcsentìs,  volentis  et  consensientis,  prò  quadrìngentìs  flo- 
I  rcnis  in  Urbe  currenlibus  dote  sìbi  Antonio  promissa  per  dìctum 
\à.  Sicphanum  prò  dieta  Antonina  sua  ncpte,  de  quibus  nunc  ma- 
knualiter  dìctus  Antonius  cum  consensu  dicti  sui  patris  habuit  et  re- 
Icepìt  florenos  ducemos,  de  quibus  ducentis  fiorenis  post  dìctam 
Imanualcm  recepiioncm  se  bene  quietum  etc.  vocavit  etc.  et  re- 
nuncìavit  exceptioni  non  habitoruni  etc.  ceterisquc  alìis  cxceptio- 
nibus  etc.  Rcliquos  ducenios  flcrenos  de  dieta  dote  dictus  d.  Ste- 
phanus  curaioris  nomine  ìpsius  Antonine  promisit  dicto  Antonio 
solvere  et  pagare  cum  cffeciu  infra  tcrminum  unius  anni  proxime 
^^niuri,  et  deìnde  aJ  omnem  ìpsius  Antonii  solam  et  simpliccm  pe- 
Uttoncra  etc,  cum  omnibus  et  singulis  dampnis  etc.  Et  prò  dictis 
«Uccntis  florcnis  obligavit  dìcto  Antonio  presenti  etc.  quamdam 
°*^nium  dicti  q.  Lelii  sui  fratris  et  patris  diete  Antonine,  terrineam. 

^Qtaratam  et  tcgulaiam positam  in  regione  Trivii,  inter  hos 

"*^cs,  cui  ab  uno  laterc  tenet  Laurentius  de  Infcssuris  ipsius  d.  Ste* 
phani   et  q.  Lelli  germani   fratris ante  via  publica,  vel  si 


602 


O,  Tommasìni 


qui    etc,  liberam   etc,    cum  pactìs  dotalibus    infrascripùs,  v\\ 
inter    dictas    partcs   solenipnì   et  Icgitima  stipulationc  intervenidite.' 
Brraatis,  vidclicct:  quod  sì  contìngat  dictam  Antonioam  premon  iicto 
Antonio  suo  futuro  viro  sinc  Icgitìraìs  et  naturaltbus  filii!»  ci  cii  0 
eorum    comuni  matrimonio  nascituris,  quod    tunc   et  va  dicto  casti 
promìsit  et  convcnit  dìctus  Antonìus  cuni  consenso    dictì  sui  pattis 
dictos  ducentos  Horenos  nunc  manualiter  receptos  et  alio2  duceotoa 
restanies,  si  tunc  recepii   reperirentur,  reddcre  ei  restituere  d,  Hie- 
ronime  matri  diete  Antonine,  si  tunc  vixerit,  aut  cui  lex   dedent,  in 
pecunia  numerata  et  non  in  alia  re  vel  specie  infra  spatium  liimiiii 
anni  a  die  obitus  diete  Antonine  computandi.  Si  cum  filili,  tunc  rt 
in  dicto  casu  dictus  Antonìus  dictam  dotem  lucretur  ad  usunifructom 
loto  tempore  vite  sue,  proprietatcm  vero  prò  comunibus  ùlii5  coo- 
servaqda  sccundum  formaro  iuris  et  statutorum  Urbis,  Si  vero  coo- 
tingat  dictum  Antonium  premorì  diete  Antonine  tam  cum  fìliis  qniCB 
sinc  filiis  ex  eis  et  ex  coruni  comuni  matrimonio  nasciturts,tuQC  et 
in  dicto  casu  promisit  et  convenit    dìctus  Antonìus  per  »c  soos^Dc 
hcredes  et  succcssorcs  rcddi  et  restituì  Tacere  diete  .\ntoniac  A\<tf» 
ducentos  nunc  receptos  et  dictos  alios  ducentos,  si  tunc  rvceptì  rt- 
perìrentur,  in  pecunia   numerala  et   non  in  alia  re  ve!  specie  infn 
terminum  dimidii  anni  a  die  obitus  ìpsius  Antonii  comput^tidì,  ctsic 
per  suos   heredes  et  successores  restituì  voluìt  etc.  Et    quia  omais 
dos  data  et    recepta   meretur  donatione  propter   nuptias  ^ccuoditm 
formam  iuris  et  statutorum  Urbis,  prò  tanto  dictus    Antonìus  ccn 
consensu  dictì  sui  patris  etc  donavit  propter  nuptias  dìctc  Antooin^ 
sue  future  uxorì  Domino  concedente  super  dictis  bonìs  supcrius  oKr 
gatis  llorenos  centura,  redducendos  ad  ,xxv.  fior,  prò 
tinario,  secunduni  formam  statutorum  Urbis,  cum  pict*-. 
videlicet:  quod  si  contìngat  dictum  Antonium  premon  Jjctc  Anto- 
nine sine  legitimìs  et  naturalibus  iìliìs  ex  eis  comunìtcr  niKÌcor^ 
quod  tunc  et  in  dicto  casu  dieta  Antonina  dictam  donadoncni  propta 
nuptias  lucretur  ad  proprìctatem  ad  faciendum   et  iìspoocii  ' 
ea    prò   suo    lìbito  voluntatis.    Si  cum  tilits,  quod  tunc  ci   : 
casu  dictam  donationem  lucretur  ad  usumfructum  toto  t^r 
sue,  proprietatcm  vero  prò  comunibus  eorum  tillis  cotiscrvi^.-- 
cundum  formam  ìorìs  et  statutorum   Urbis,  quia   sic   actuoi  etc.  & 
quando  predicta  fuerint  adimpleta,  tunc  hec  carta  nulla  sii;  iXxìS  lìcc^ 
diete  Antonine  et  cius  hcrcdibus  et  successorìbus  propria  auctoriUK 
ìntrandi   ecc.  Et  promìserunt   dictì   lohanncs    Baptista  ci   Anti 
buie  presenti  obligationi  et  pignori  dotali  faccre  consentire  d. 
phaniam  uxorem  dicti  loh.  Baptistc  et  matrcm  dìcti  Antonìi  et 
pcrsonam  adìaccntem  ad   omnem  pctitionem   etc.  diete  Ani 


//  ^Diario  di  Stefano  Infessura 


603 


[ttem  promiscrunt  in  solidum  quod  diete  domus  et  vinca  supra  obli- 
l^ate  sunt  ipsius  lobannis  Baptìste  et  ad  eum  speciant  ec  pertinent 
fpleno  iure  ctc.  Quod  si  contrarium  aliquo   tempore   apparerct   etc. 
P^olucrunt  in  solidum   lencri  et  obligatos  esse    de    evictione  etc.  et 
ad  omnia  dampna,  expensas  et  interesse  etc.  Et  ad  hec,  precibus  et 
rogaiu  ipsorum,  et  prò  cis  discreti  viri  lohannes  de  Sdarra  de  re- 
gione Montium  et   Petrus  Pauli  Cole  Rubei   de   regione  Trivii  et 
quilibet  ipsorum   in  solidum  sese  et  eorura  bona  principaliter  obli- 
gando   fideiusserunt  etc.  Et  versa  vice   dictus   d.  Stephanus.  curator 
prefate   Antonine,   promisit   etc.   dicto  Antonio  presenti  etc.  supra- 
^dictc  obligationi  diete  domus  facte  prò  dictis  ducentis  ilor.  consen- 
Src  facerc  omnem  personam  adiaccntem  ctc.  ad  omncm  pctitìoncm 
Seti  Antonii.  ttem  promisit  quod  dieta  domus  est  hcreditas   quon- 
laro  Lclìi  sui  frairis  et  pairis  diete  Antonine,  et  ad  dictos  pupillos 
ectat  et  pertìnet  etc.  Pro  quo  et  eius  precibus    et  rogatu  nobiles 
-iri  Petrus  Stephanutiì  et  Paulus  Stcphanutii  eius   germanus  fraicr 
quilibet  ipsorum  in   solidum  etc.  sese    et    eorura  bona  princìpa- 
iter  obligando  fideiusserunt  etc.    Pro    quibus   omnibus   et  singulis 
pbser\'andis   etc.  dìcii  lohannes  Bapiista  et  Anionius  et  eorum  fide- 
Drts  ex  una  et  dictus  d.  Stephanus  et  eius  fidciussorcs  ex  altera 
partJbus  singula  singulis   comode   referendo    obligaverunt    etc.   una 
pars  alteri  et  altera  alteri  se  et  omnia  et   singula  eorum  bona  etc. 
St    voluerunt    prò    predìciis    posse   cogi  eie.  Citra  etc.   Et   genera- 
Bter  eie.    Et    specialiter  dicti  (ideìussores  epìstole  divi  Adriani  etc. 
iuc  quìdem  etc.  Et  ad  maiorem  cautelam  predictorura  iuraverunt  etc. 
Actum  ut  supra  et  prescntibus  dictis  testibus. 
Eodcm  die  et  corani  dictis  testibus,   et  statim  post  prcdicia.  In 
presentia  nosirorum    notariorum   etc.  Dictus  Antonius    sponte  etc. 
Dbarravìt  dictam  Antoninam  in  suam  legitimam  uxorem  per  verba; 
ie  presenti  vis   volo,  anulique   suharratìonc  ut  mons  est,  cum  ver- 
bis  etc. 

Actum  Rome  in  regione  Trivii,  in  domo  habitationis  dicti  d.  Sie- 
phaoi,  presentibus  supradietis  testibus.  Ego  Marianus  lohannis  Sca- 
bastri,  civi«  romanus^  publicus  notarìus,  de   predictis  rogatus    una 
supradicto  lohanne  Macthia  notano  meo  collega  ad  fidem  etc. 

Arch.  S.  M.  in  Via  Lata 


Ì500.  ProthocoIL  itisirum.  ab  anno  1495  ad  1514,  a  e.  lév. 

Pgcta  et  conventiones  Inhite   cum  fìliis  domini  Stefani  de  lofe- 
Ittrìs  prò  capitulo  Sancte  Marie  in  Via  Lata. 


6o4 


O.  Tommasini 


In  Dei  nomine.  Amen.  Anno  Domini  i$oo,  pontifìcitu  domiai 
Alexandri  pape  sexli,  ìndictione  j'  mensìs  ianuarii  die  .xxvt.  in  pn^ 
sentia  mei  nourii  ecc.  Viri  nobile^  Marcellus  et  Mactheus  quocdim 
domini  Stefani  de  Infessuris  germani  fratres»  patroni  cappelle  uocti 
Angeli  site  in  ecclesia  beate  Marie  in  Via  Lata  de  Urbe,  prò  sex 
ipsis  ac  vice  et  nomine  alìorum  fratrum  prò  quibus  de  rato  prora- 
serunt  in  forma,  ei  venerabilis  vir  D.  Andreas  de  Cleroc 
nonicus  et  camerarius  prefate  ecclesìe  vice  et  nomine  . 
dorainorum  canonicorum  eiusdem  prò  quibus  et  de  rato  prooiiA 
in  forma,  parte  ex  altera,  quìa  prefatus  d.  Stefanus  pater  et  iucitf 
dictorum  fratrum  reliquit  diete  cappelle  unam  caballaiam  mustitf&o 
quolibet  supra  quandam  vìncam  que  nunc  deserta  est,  et  ex  ei  BulS 
frucius  percipìuntur.  Ideo  prò  bono  et  evidenti  uiilitate  diete  af* 
pelle  spome  etc.  devcnerunt  ad  Infrascripta  pacta  et  convcoeniR 
ad  hoc  ut  dieta  cappella  in  divinici  de^erviatur  in  hunc  raoduni,TV 
dclicet  quod  domini  prenominati  Marcellus  et  Mactheus  promisenitf 
et  convcnerunt  prefaio  domino  Andrec  presenti,  stipulanti  prò  $t  « 
prefatis  domìnis  canonicis  et  capìtulo,  in  vindemiìs  proximi!  fucris 
huius  presentis  anni  dare  et  satisfacere  eisdem  domìnis  canonicis  et 
capitulo  unam  caballatam  boni  et  puri  mustì  ad  racnsuram  SauDn 
Urbis,  vidcUcet  dominus  Marcellus  tria  barìlia  musti  et  dominusMi* 
thcus  barile  unum,  et  elapsis  dictìs  vindemiìs  facere  et  curare  cUffi 
cffeclu  ac  reperire  unum  fundum  sive  proprietatem  lerraruni  mci- 
larura  supra  quibus  ipsi  leneantiir  et  debeant  emerc  et  acquirct 
eorum  suptibus  dictam  rcsponsioncm  unius  cabaliate  musti  pp**  di£te 
cappelle  ex  dictis  terris  et  proprietate  annuatlm  tempore  viodedij- 
rum  debitam.  Et  versavice  prefatus  dominus  Andreas  nomine  quorasi 
supra  promisit  dictìs  prenoniinatìs  fratrìbus  prcsentibus  et  stipulai^ 
tibus  prò  dieta  cappella  et  alìis  successoribus.  In  ca  quìdcm  «2ÌA 
domini  canonici  et  capìtulum  facicnt  in  etTcctu  celebrare  uoJC 
missam  singulo  quoque  die  lune  qualibet  edomeda  prò  anima  ▼'•■ 
vorum  et  defunctoruni  ipsorum.  Qjuia  sic  actum  etc.  Pro  quieta 
omnibus  obligarunt  sese  dicti  fratrcs  et  d.  Andreas  proprio  nnmioc 
ac  bona  omnia  etc.  in  ampliorl  forma  etiam  cum  clausulis  et  con- 
stitutione  procuratorum  et  omni  potesiate  extendendi  etc.  Et  hirt- 
veruni  et  rogaverunt  me  notarium. 

Actum  Rome  in  regione  Trivit,  in  domo  mei  nourii,  prcscotikos 
hìs,  videlicei  viro  nobili  Dominico  de  Casalìbus  eiusdem  re^&ù 
et  Io.  Piccinino  de  Caballis  regionis  Columnc«  tcstibus.  BcrnirA» 
Petrì  de  Caput  gallìs  not. 


//  diario  di  Stefano  Infessura  ^07 


luti  di  là  et  per  le  lectare  s'è  affermato  el  medesimo.  Di  poi  $*è 
inteso  meglio  ci  numero  et  le  qualità  de  lì  prcgionl  de  li  quali 
mando  la  lista  inclusa  in  la  presente  cioè  J'alchunì  signori  condo- 
ctierì  e  altri  oltre  a  li  hominl  d*arme  che  erano  in  numero  più 
che  .ecc.  Dipoi  sono  arrivati  hierscra  alchunì  del  signor  Roberto,  li 
quali  dicano  poi  fatta  la  lista  predetta  da  li  villani  del  paese:  sacho- 
manni  et  altri  sono  andati  cerchando  hanno  trovati  per  boschi,  machie, 
valloni  e  altri  luoghi  più  che  cento  altri  homini  d*arme  che  si  erano 
ascbosi:  no  sono  arrivali  qui  in  Roma  che  sono  venuti  come  amici 
e  sono  stati  conosciuti  e  presi  et  per  le  campagne  di  Roma  in  più 
loci  e  bono  numero.  La  persona  del  duca  vedutosi  superare,  fuggi 
mentre  si  faceva  el  fatto  d*anne  e  con  bona  compagnia  verso  lì 
boschi  li  quali  sono  longo  la  marina  et  fu  seguito  circha  .nit.  miglia, 
tanto  entrò  nel  boscho,  et  fuggendo  fu  più  volte  quasi  postoli  le 
mani  addosso  et  per  grande  aiuto  haveva  da  quelli  Tachompagna- 
vano  fugg):  li  quali  continuo  andavano  ritenendosi  et  scharamuc- 
ciando  per  dare  tempo  a  la  fuga  del  duca  lo  quale  dicano  fu  ferito 
in  quella  fuga:  una  volta  li  caschò  el  cavallo  nel  passare  uno  fosso  ; 
el  luogo  del  fatto  d'arme  dicano  era  lontano  dal  mare  circha  .vin.  mi- 
gli. Per  infino  a  hiersera  non  era  nuova  akhuna  in  palalo  se  el 
duca  fusse  morto  o  vivo.  Disse  el  cancelliere  del  capitano  haveva 
mandato  a  tutti  li  loci  vicini  per  sapere  dove  el  duca  fusse  arrivato 
e  non  se  ne  trovava  cosa  certa. 

Q.uesta  mattina  è  venuto  ci  sindico  e  camarlingo  di  Civita  di- 
vina (i):  dicano  el  duca  per  certo  essarea  Ncpiunno  che  è  in  sul  mare 
et  quasi  solo.  De  le  genti  sue  dicesi  non  sì  sa  se  ne  sia  salvate  in 
loco  alchuno,  excepto  la  squadra  con  la  quale  el  duca  di  MaIR  era 
andato  vìa  per  schorta  de  li  carriaggi  prima  si  cominzasse  el  fatto 
d'arme  un  pezo.  Et  perù  dicano  el  duca  si  voleva  levare  dinanti  a 
costoro:  ma  furo  soUciti  agiognarlo  in  campo  in  atto  di  partire.  Di- 
cano che  li  Aragonesi  si  portorno  benissimo  di  quello  potevano, 
taliter  che  dell'una  parte  e  delFaltra  sono  morti  più  che  .mcc,  feriti 
numero  grandissimo,  morti  cavagli  assai.  Però  dicano  alchuni  essare 
morti  pochi  dì  quelli  del  papa.  San  Piero  ad  Vincula  dice  el  con- 
trario et  questa  Victoria  fuit  cruotissìma  con  perdita  dì  n;olti  homini: 
in  lo  intrare  si  fece  in  campo,  che  si  passò  per  bocha  de  le  bombar- 
darie,  dicessi  quasi  tutti  li  ianizari,  perchè  non  vanno  con  molta  arme, 
turo  amazaci.  Q.ucsia  mattina  mentre  era  ci  poa  a  Sancta  Maria  in 
Populo  a  la  messa   sono   venuti   li  sindici   di  Marino   a   portare  le 



(l)  Coti  U  n».  £  Civiu  LaviaU,  ch«  Plafeiso»  cltUmt  «  Civita  loaivlas  »  e  •  Civita 


6oS 


O.   Tommasini 


cUavì,  ieri  essendo  esciti  li  villani  li  serrorno  le  porti  et  sonosi  ini 
al  papa.  Civita  divina  ha  fatto  el  simigUante.  Dìccsi  le  bombarde  <iel 
duca  erano  a  Civita  divina  :  non  hebbe  tempo  a  levamele.  Ti  pcriiatt 
Stimasi  se  durasse  la  fortuna  del  mare  ch'el  duca  non  si  posse  imbai- 
chare  sarà  pigiato  là  dentro  in  Nettuno,  Fu  ferito  ci  conte  di  Pcti^luo, 
non  però  gravemente. 

Hieri  venne  cavallaro  di  Lombardia  con  nuova  certa  de  la  presi 
di  Rovigo  e  tutto  ci  Polesine.  Qui  t  fatta  grande  festa  et  io  per  pine 
de  le  S.  V.  col  pontefice  et  altri  s"  car.  ho  fatto  ci  debito  in  ralle- 
grarmi de  la  felicità  di  Sua  B.  cioè  con  li  suoi  cardinali  qaalì  soao 
contenti  de  la  Victoria.  Q.ucsti,dc  la  lista  entraranno  domane  in  Ronu 
diccsi  saranno  menati  per  lì  loci  dì  Roma  frequentati  et  con  mab 
strepito  a  mostrarli  al  popolo. 

Mentre  scrivevo  la  presente  sentii  uno  gmode  strepito  vtru 
Campo  di  Fiore.  Mandai  a  vedere.  Era  il  conte  Girolamo  che  rncDin 
con  lui  el  duca  dì  Melfi  con  alchuni  di  quelli  de  la  lista.  Di  H  i  tao 
pcKo  arrivò  cavagli  e  fantaria  in  bona  quantità  li  quali  ordìruQ- 
mente  andavano  a  due,  uno  de  la  Chiesa  et  uno  prcgionc  perlai  n]W>* 
tutti  a  pici  che  fu  el  numero  de  li  homini  d^armc  pregioni  secoo^^ 
mi  fu  riferito  .cclx.  in  circa,  li  feriti  gravemente  sono  rimasti.  Di  poi 
veniva  Io  stendardo  del  duca  strascinandosi  per  terra:  diretroalo 
stendardo  era  ci  resto  di  quelli  de  la  lista  et  più  altri  infrj  lì  <iui)i 
è  Kicolò  Petrucci.  Tutta  questa  turba  fu  menata  in  pala/o  il  poft. 
Dirietro  a  tutti  erano  parechie  squadre  per  guardia  di  costoro.  D» 
nuovo  non  c'è  altro  per  ora:  basti  questo  poco.  Mollo  a  V. S. j 
rjc.  Ex  Urbe  .xxiiii.  augusti  1482  ora  prìma  noctìs. 

E.  D.  V. 

Servìtor  Laureniìus  de  Lanùs. 


[in  un  fogìictto  a^^iunto'\  :  Duca  di  Melll  Rosseao  da  Cipu 
D.  Maticello  S.  Baptista  da  Colalto  S.  Atoysi  da  Opiu 
S.  Vicino  Orsino  S,  Hieronimo  da  Magnano  D.  lacobo  delli 
Mottella  lacomo  Caldera  Georgino  Dassarrara  U.  PifW 
Pavolo  de  la  Sassetta  El  maior  domo  Antonello  ì' 
lohanni  de  la  Vada  Ferrante  ciciliane  El  barone  ^ 
letta  Bisballe  Rainìro  da  Lorgnino  Molti  gentiloniinì  àt 
la  guardia  del  duca  di  Calabria  et  molti  homini  d'arme  assai  ia 
modo  sonno  più  di  .ccc Ì0> 


//  diario  di  Stefano  Infessura 


^09 


Concistoro^  Lett,  ad  ann.  1483.  Laurcutius  Lantus  dnis  pria- 
I         rihis  gubematoribus  comunis  et  capii,  ppli  civit,  Senar. 
Rome  -xvu.  ianuarii  1483,  ora  ,111.  noccis. 

El  prefecto  non  è  perancho  conducto  con  li  Fiorentini  secondo 
oggi  ma  decto  el  card,  di  Sanpiero  ad  Vincula.  Lo  quale  sì  lamenta 
tanto  delle  S.  V.  che  non  lo  potrei  dire  né  scrivare,  né  vele  accet- 
tare excusazione  alchuna,  et  che  la  fama  d'essare  condotto  da  le  S.  V. 
ha  fallo  che  la  lìga  nolo  ha  voluto  condurre.  Invero  sì  muove  senra 
ragione:  per  me  li  furo  offerti  .vi.  ducali  giatanti  mesi  quando  le 
S.  V.  melcomandaro  con  quelli  modi  etc,  El  lui  non  vobe  accettarli 
che  ne  voleva  .xìi.  per  .lxxx.  corazc  come  scrissi.  E  se  la  lega  lo 
volesse  condurre  quella  ombra  non  li  faria  danno.  Altra  cagione  lo 
move.  In  effecto  ce'lo  habbiamo  perduto.  Cosi  oggi  me  ha  ditto,  che 
non  faccino  caso  le  S.  V.  più  di  sua  benìvolentia.  lo  a  tutto  sempre 
ho  modestamente  risposto,  tamen  rimase  corrucciato.  Quello  che  si 
sia  sappino  le  S.  V.  chel  conte  e  Sangìorgio  sono  el  tutto,  lui  pò 
fare  poco  male  e  poco  bene.  Questo  è  in  effetto  e  questo  ho  da  buon 
loco;  pure  ho  voluto  advisare  le  S.  V.  del  tutto.  Le  quali  per  gratia 
questa  pane  terranno  in  bon  secreto. 

Ibid.  id.  eisd.  Ex  Urbe  .xxnr.  ianuari  1483, 

£1  card,  dì  Rovano  stanocte  passò  di  questa  vita  ale  .vn.  ore.  La 
robba  andò  in  casa  del  conte  exccpto  che  per  lo  cielo  dela  chiesa 
lì  tu  entralo  in  uno  suo  riposiìcolo  secreto  et  levato  oro  et  argento 
chi  dice  .xxxx.  et  chi  .lx.  due.  La  cosa  non  si  sapeva.  Tiensi  per  certo 
sia  stato  uno  canonico  de  Maximi,  uno  prete  spagnolo  et  uno  fameglio 
del  prete  di  quella  chiesa.  La  robba  andò  a  Venetia  già  più  dì  sub 
Colore  chel  canonaco  andava  a  Padua  a  studiare.  La  casa  sua  è  data 
A  SangiorgiOf  lì  benefitiì  en  parte  distribuiti.  El  camarlengato  a  San- 
piero a  Vincula  et  a  Sangìorgio  per  ancho  nolo  certo. 

Ibid.  id,  cisd.  Ex  Urbe  .xxv,  ianuarii  1483. 


El  cardinal  di  Sangìorgio  è  creato  camerlengo.  Qui  si  dicano 
delle  cose  assai  et  che  la  cita  nostra  babbi  hauio  garbuglo  questi  di 
passati:  io  ignaro  dì  queste  cose  non  so  che  rispondare  a  chi  mi  do- 


6 IO  0,   Tommasini 


mfJùà^  e  talvolta  sto  m  c^sa  per  dubio  dì  non  cesare  doinandìto  Jl 
ijuello  non  saprei  rìspODdare* 

Qui  k  carestìa  grande  di  tutte  k  cose. 


Lettera  di  Guìdanionio  Boninsegni  oratore  alla  Balla  di  Skm, 
Ex  Urbe  die  .xvii,  OLirtii  1484. 

Apresso  sabala  passato  la  S^^  del  papa  essendo  in  uno  suo  gìir* 
dtno  prc^e  un  poco   ùì  freddo  el  quale  11  de  altentdonc  et  non  p> 
chola,  cioè    <:olli<:a  ci  frt^bbe.  Del   che  ne  segui  che   essendo  «tato      1 
affermato  qua  da    utio  certo  astrologo  che   sua  S^*  doveva  morire 
mt^edima  a  di  16  del  prtscnte,  quasi  per  tutti  si  teneva  et  giudi- 
cava che  Sua  S^^  il  di  doveva  morire.  Et  alcuni  fbndugbi  di  geno- 
vesi a  Ripa   sgombrarono   et  redassero  le  robbe  a  luogo    salvo,  H 
cardinale   di  S*^**  Pietro  a  vincola  fé  alcuna    provisione  in  Castello     , 
S aneto  Agliaio.  Li  Orsini  anno  preso  ponte  Molle  ei  due  altri  poatì 
in  sul  Teverone  et  due  porti  di  Roma,  In  monte  Giordano  è  gente 
a&saì  et  bene    aordine.    Tutte  perù    gente  romana,    panegiam  dellì 
Orsini  ìnmodo  che  per  Èutti  si  stima  che,  seguendo  la  mont  sua.   ' 
qijt  haverebbe   a  essere    scandali  et  non    plcchoJi;   perchè  se    sene   ^ 
Jubbitò  al  tempo  dela  niòrte  del  pontetìce  pas5ato,  moho  più  sene 
dubbtta  hora,  perche  a  quel  tempo  lì  Colonnesi  erano  deboli  sfavo-  ; 
riti,  hora  si  sono   alquanta  riavuti,  favori  assai  di  tristi  et  makon-  . 
tenti  ,in  modo  che,  quando  seguita^sse  la  morte  del  ponteScCj  d  dnb^ 
bita  assai  non  fusse   più  scandali  hora  che  allora.  Questa    mattina 
per  molti  sì  afferma  la  Sua  S"  non  havere  troppo  male,  ma  pure 
iersera  havere  havuto  ìntramento  di  febbre  che  pure  ne  da  suspìtioae 
perchè  si  afferma,  oltre  al  primo  termine  che  fu  ieri  datoli  da  questo 
astrologo,  esserglìne  dati  due  altri  ;  uno  per  tutto  questo  mese  ;  l'altro 
per  tutto  maggio. 

Balia,  Laurentus  Lanius  dnis  prioribus  gubernatoribus  comunis 
et  capii,  ppìi  civit.  Senar.  Carteggio,  1884.  ExCapitoUo 
,xiiii.  aprilis  1484. 

—  Sappino  le  V.  S.  ch*el  papa  ha  posto  el  tutto  in  lo  governo  del 
conte  et  Sangiorgio:  el  temporale,  spirituale,  denari  et  ogni  cosa,  et 
non  mancharia  ìudice  che  desse  la  sententia  al  modo  loro.  Ora  che 
lo  pare  havere  conclusione  di  pace  minacciano  ogni  homo 

—  Mìsser  Nicolò  da  Castello  è  venuto  e  così  le  cose  di  là  si  pos- 


//  diario  di  Stefano  Infessiira 


6X1 


DO  raectarc  per  composte  et  assectate.  El  prothonotaro  colonnese 
bìeri  concluse  con  costoro  la  restitutione  de  li  conudi  ;  et  a  lui  e 
Catello  si  rende  li  denari.  Virginio  Orsino  si  pigia  quelli  contadi 
lS*Albi  et  Tagliacozzo. 


Ihid.  id.  cisd.  Ex  Capitolio  -xnii.  mai  1484, 

A  me  è  fadiga  assai  a  cavalchare  spesso,  perchè  quando  el  Se- 
natore esce  di  casa  mena  circha  cento  fra  cavagli  et  a  piedi. 


Jbid,  id,  eisd.  Ex  Cupitolio  ,xxii.  maii  1484. 

El  signor  Paolo  Orsino  non  è  più  condocto.  Ecci  ci  s.  Virgino. 
La  materia  di  Taglacozo  et  Albi  tra  loro  e  Colonnesì  è  più  intrigata 
che  mai:  Antonello  Savello  co   le   spalle  de  Colonnesi  a  questi  di 

iltò  li  alloggiamenti  del  s.  Paolo  et  li  tolse  molti  cavagli  vicino 
l  Lamentano.  lemotte  prese  una  terra  di  cas;i  Conti.  Sì  chiama  To- 
chia  vicino  a  Vellotrì.  Le  cose  stanno  qui  sollevate  assai 

Di  poi  scrissi  insino  a  qui,  veduto  fare  preparatione  di  gente  et 
d*arme  a  Monte  Giordano  casa  deli  Orsini,  li  Colonnesi  si  posero 
a  ordine  per  modo  che  tutta  la  nocte  passata  di  venardì,  venendo  ci 
sabato,  Roma  è  stata  in  arme,  ogniuna  de  le  parti  preveduta;  et  perchè 
hieri  era  deliberato  mandare  a  recuperare  Torricchia  et  penare  a  or- 
dine li  Orsini,  la  cosa  è  bollila  per  modo  che  stimo  el  papa  ci  vorrà 
pensare  meglo.  El  carie  Colonna  non  è  In  Roma,  Ecci  el  prothono- 
tario  da  Marino,  Savello  et  tanti  deli  loro  che  bastano  per  fare  ogni 
pericolo. 


P 


Ibid.  id.  eisd.  Ex  Capitolio  .xxix.  maii,  1484- 


Roma,  perchè  cole  spalle  de  Colonessi  fu  tolto  Torichio  a  li  Conti 
amici  degli  Orsini,  sta  tutta  in  arme  et  dubitasi  non  si  facci  un  d'i  qualche 
grande  tramazo.  Li  fuorusciti  nostri  si  sono  achosiatì  con  quelli  dela 
Valle  che  sono  Colonnesi  et  mtnacìano  ognomo. 


Ibid,  id.  eisd.  Ex  Capitolio  ultimo  mai  1484. 

Mag**  dfii  Patres  et  dnì  mei  humilì  recommendatione.  Vedendo  el 
pontifice  le  insolentìc  si  facevano  per  lo  s.  Antonello  Savello,  el  s.  Lu- 


6l2 


0.   Tommasini 


cido  et  molti  altri,  ac  etìam  la  poca  obedientia  del  pcpido  dì  Roqu. 
deliberò  hieri  bavere  in  poter  suo  el  prothonoiarìo  di  Colonna  sip.'^  di 
Marino,  Cavi  et  più  altri  loci  ;  lo  quale  con  lì  soi  partcgiani  si  fc*  forte 
in  casa  del  cardinale  Colonna,  lo  quale  era  absente.  El  chese&tcoiki 
ditto  prothonotario  coni!  suoi  partegiani  mandò  a  ochupane  uai  Jc  le 
porti  di  Roma,  cioè  porta  Maiore,  et  mandò  a  dire  a  li  frategli  et 
altri  s***  de  la  sua  factione  che  venissero  a  Roma  da  li  castelli  loro 
assai  vicini,  cioè  Colonnesi  et  Savelli.  El  papa  sapientissimo  votsepre- 
venire.  Convocate  le  genti  d*arme  sue  et  fantarie  con  tutto  Io  sfono 
di  casa  Orsina,  andò  el  conte  a  la  ditta  casa  de  Colonnesi  in  s^^uiilrt 
ordinatamente.  Et  subito  assalterò  dieta  casa  verso  la  montagna  ci 
dale  coste.  In  lo  primo  impeto  furo  morti  et  feriti  di  tuttcduc  le 
parti.  Et  durò  el  facto  d'arme  cìrcha  unora  e  terza  :  tandem  li  C> 
lonncsi  furo  venti.  El  prothonotario  preso  et  menalo  in  Castcl&tnda- 
gnolo  al  colchare  del  sole.  Fu  ammazzato  lo  s.  GiovanillippoSjvdto 
et  più  altri,  circha  .xxx.  in  tutto:  presi  alquanti  loro  partegiani  li  qu^ 
sì  crede  capitaranno  male:  la  casa  posta  a  sacho  et  poi  aru.  la 
porla  si  recuperò.  Questa  notte  li  partegiani  loro  principali  in  boni 
parte  sì  sono  assentati  e  naschosti.  Questo  ponto  si  combitic  in 
Trastcvare  certe  case  di  loro  partegiani.  Et  una  neirbola  d'uno  Rduo 
Franccscho  vanno  posto  fuoco.  Et  stimasi  saranno  gua5te  parccdùc 
case  et  molti  appichatì.  Per  insino  aora  è  fatto  assai.  Dirò  una  cosa 
per  bene  che  non  la  tengo  molto  cena. 

Uno  fuoruscito,  non  deli  picholi,  vedendo  aitachato  qucsio  re- 
more, hieri  dolendosi  de  la  fortuna,  disse  chel  s.  Paolo  Orsino  lu- 
veva  preso  liccntia,  et  non  haveva  preso  soldo  dal  papa,  per  renincSÉ 
n  Siena  a  rìmectargli  in  casa  et  che  a  tutto  era  fatto  booo  protredi- 
mcnto^  se  questa  cosa  de  Colonnesi  non  havcsse  turbato.  Le  parole 
dccte  tenete  per  certe  sopra  di  me.  Se  è  vero  non  so.  Per  mio  àt- 
bito  ho  voluto  dare  questo  adviso:  le  V.  S.  discemeraono  ci  vero 
et  anch'io  starò  a  vedere  li  andamenti.  Non  si  volc  bavere  |Uflr» 
né  temere  :  ma  aprire  li  ochi. 

A  li  .X.  di  giugno  a  Dio  piacendo  fornirò  l'offitìo  mio.  Et  ZK^ 
volesse  che  mai  lo  havessi  principialo,  per  le  molle  adversiti  ho  so- 
stenute. Et  maxime  di  non  essate  pagalo.  Per  l'amore  dì  Dio  S^  bùo 
recommandatemì  per  lectare  efficaci  come  ho  più  volte  suplica'.o- 
Tutti  lì  fuorusciti  lavorano  contra  di  me.  Et  hanno  deliberato  chcU 
V.  S.  non  ci  tengino  oratore  et  minacciano,  finito  Toffitio,  tonni  b 
vita.  Prego  le  V.  S    non  mi  abandonino  in  questo  perìcolo. 

Maestro  Ambrosio  di  Sancto  Ausiino  presente  latore  è  SUtn^u» 
più  d\  per  alchunc  sue  faccende  apancnenti  airOrdinc.  Et  per  qaaKO 
babbi  inteso  non  s'è  travaglaio  con  persone  suspecte  al  Rc^imtìto 


//  diario  di  Stefano  Injesstira 


613 


omnibus  lo  recomando  a  le  S.  V.  a  le  quali  molto  mi  raccomando. 
Capitolio  uUimo  maii  1484. 

*  Servitor  Laurentìus  Lantus 

Senaior  Urbis. 


bid.  id.  tisd.  Ex  Urbe  .xviii.  runii  1484. 


dm 


Non 


Magnifici  dni  Patres  et  dm  mei  sitig.  hùU  r»*.  Non  si  maravi- 
glino le  S.  V.  se  dapoi  scrissi  la  novìti  et  presura  del  prothonotario 
dì  ColoDDa,  non  ho  molto  frequentato  lo  scrìvere.  Enne  suta  cagione 
le  molte  ochupationì  et  cose  ochorse  dipoi  per  servitio  del  ponte- 
fice in  bavere  l'ochio  cbc  li  altri  Colonncsi  dì  fuora  et  di  dentro,  che 
li  tre  quarti  di  Roma  si  dice  essere  Colonnesi,  non  havcssero  fatto 
qualche  nuovo  scandalo.  Anchora  non  è  achorso  dipoi  cosa  notabile. 

Come  per  altra  scrissi,  el  campo  de  la  Chiesa  andò  contra  Marino 
et  si  fermò  a  Grottaferrata,  vicino  a  Marino  mancho  d^uao  mìglo: 
et  al  Borgecto  li  presso,  quegli  di  Marino  assaltare  ochultaniente  Grot- 
taferraia  in  aurora.  Fu  preso  m.  Sinolfn  commissario,  menato  a  Ma- 
rino et  subilo  relassato.  Leone  da  Momesecho  morì  d'uno  passatoio: 
furo  amazati  assai  cavagli  ale  mangiatoie.  EI  s.  Paolo  Orsino  sì 
salvò  in  lo  campanile.  Dipoi  si  sono  fortificati  di  gente  et  ripari  tale 
che  ognuno  si  sta  a  casa.  Li  Colonnesì  hanno  scritto  al  pontefice 
sono  boni  figliuoli  di  Sua  S^*,  et  non  hanno  colpa  alchuna.  Se  el  pro- 
thonotario loro  ha  errato,  ne  facci  iustiiìa.  Et  invochino  sempre  el 
noDie  de  la  Chiesa,  non  di  meno  voglano  lo  Stalo  per  se,  El  ponte- 
fice ha  decto  li  vole  disfare  per  ogni  modo.  Fanno  conto  bavere  in 
campo  squadre  .xvr.  fanti  800.  Dicesi  li  Colonnesi  si  partano  da  Ma- 
rino, et  fannose  forti  in  Rocha  di  Papa.  Le  V.  S.  pregino  Dio  che 
duri  la  guerra.  In  caso  s'aconciasse  queste  cose,  di  che  dubito  per 
molti  respecti,  questo  umore  si  porrìa  voltare  in  paese:  et  dico  a  le 
S.  V.  havìamo  da  regratiare  Dio.  Non  mi  extendo  più  perchè  sto  a 
sindacato  et  costoro  mi  tengano  le  mani  ne  capcgli:  da  lunedì  in  là 
sarò  mio  homo,  a  Dio  piacendo;  sarà  finito  et  allora  alzarò  la  visiera. 

Ho  conferito  tutto  con El  dico  che  bisogna  tenere  li 

ochi  aperti. 

De  la  materia  d'Orvieto  farò  quanto  V,  S.  mi  comandano  et  già 
ho  parlato  con  alchuni  de  la  Camera.  A\  camarlengo  et  a  chi  è  bi- 
sogno farò  tutto  iniendare.  Nec  plura.  Molto  a  V.  S,  mi  r.  Ex  Urbe 
-xvni.  iunii  1484. 
E.  D.  V. 

Servitor  et  orator 
Laureotius    Lantus. 


6i4  O,  Tommasini 


Ibid,  id.  dsd.  Ex  Capitolio  .xx.  iunii  1884. 

Scrìssi  la  niina  de  Colonnest.  Dipoi  è  seguito  chel  papa  ha  man- 
dato el  campo  a  Manno.  Per  ancho  non  se  acostato.  Sta  a  Gcot- 
taferrata.  Continuo  cresce  la  Chiesa,  cioè  fantarìa,  et  mectano  a  ordine 
questi  Orsini.  Dìcesi  che  lo  s.  di  Camerino,  lo  quale  è  soldato  de  li 
Venitìani,  aiutava  li  Colonnesi.  Per  ancho  non  se  scuperto  alchooo 

in  loro  favore 

È  stato  taglato  la  testa  al  s.  lacomo  de  Montefortino  perchi 

era  in  casa  de  Colonnesi  el  dì  de  la  novità. 

Ibid,  id.  eìsd.  Ex  Roma  .xxvl  iunii  1484. 

....  dipoi  è  seguito  che  havendo  in  tucto  deliberato  el  pontefice  di 
fare  punire  el  prothonotario  Colonna,  dì  levargli  la  testa,  proseguire 
la  impresa  contro  quella  casa,  essendo  carichi  molti  carri  di  bom- 
bardarìa  et  artaglarìe  che  ne  vidi  .xii.  innanti  Castello  Sancugnolo 
et  altre  preparationi  a  la  destructione  loro,  è  nata  pradcha  dachordo: 
la  cosa  sì  porta  molto  secreta.  El  papa  voleva  Marino,  Rocha  dì 
Papa  et  Ardea.  Li  Colonnesi  le  volevano  penare  in  potere  del  col- 
legio :  come  si  sia,  hieri  vennero  quattro  statichi  dì  Marino.  Quesu 
mattina  in  palazo  et  per  tutta  Roma  è  ditto  che  Marino  è  assegnato 
al  commissario  del  papa.  Pare  sìa  dato  principio  a  lo  achordo.  Al- 
chuni  dicano  non  è  per  achordo  tanto  strecto. 

Ibid,  id,  cisd,  Rome  ultimo  iunii  1884. 

Scrissi  sabato  per  lo  procaccio  quanto  ochoriva  et  quello  sen- 
tivo del  trattamento  dcla  concordia.  Dipoi  ò  successo  che  non  vo- 
lendo li  Colonnesi  consegnare  Roccha  di  Papa  et  Ardea  al  pontefice 
et  in  suo  proprio  potere,  questa  mattina  ale  .vini,  ore  fu  taglata 
la  lesta  al  prothonotario  Colonna:  li  carri  et  artapl.iric  continuo 
creschano:  el  papa  ha  deliberato  disfare  1Ì  Colonnesi  :  la  dieta  execu- 
tione  fu  fatta  in  Castello  JiSancto  Agnolo.  Non  s'è  mosso  alchuno. 
C^hi  ha  male  suo  danno.  Chi  è  vittorioso  usando  la  prudentia  dà 
legge  ad  altri.  El  populo  bolle  unipoco  e  poi  tace.  Cosi  hanno  fatto 
costoro.  Xon  so  che  seguirà  apresso  :  iMarino  è  in  potere  del  papa. 
Alchunì  dicano  li  Colonnesi  noi  potevano  tenere,  però  lo  lassano  per 
redursi  al  più  forte,  cioè  a  Rocha  di  Papa,  Ncctuno,  Cavi  et  altri 
loci:  alchuni  dicano  per  placare  la  mente  del  pontefice  persuasi  da 
cardinali  et  cittadini  de  Roma.  Dicesi  che  questa  notte  partiranno 
questi  carri  et  artaglarie,  per  che  loco  non  sì  può  sapere  et  forse  non 


//  n^ario  di  Stefano  Infessura 


è  deliberato:  chi  stima  a  Rocha  di  Papa  et  chi  ad  Ardea.  Per  li  Co- 
lonnesl  non  s'è  scuperto  alchuno  per  quanto  s'intenta. 

Come  per  altra  scrissi  tìnii  lotfitio.  Fui  sindìcato  et  absoluto.  Soli- 
cito  le  polize  e  pagamenti.  Ho  contraria  la  dispositione  delli  tempi, 

ce  ancho  trovo  molto  favore La  peste  fa  danno  assai  per  tutta 

Roma. 

Ibid,  id.  cisd.  Rome  ai.  iulii  1484. 

In  questo  ponto  che  sono  le  .vini,  ore  passa  el  conte  Girolamo 
con  le  squadre  qui  dinanti  a  casa  et  va  fuore  la  porta  di  Sangìovanni 
centra  lì  Colonnesì.  A  che  loco  in  particulare  non  so:  le  carra  de  le 
bombardane,  secondo  sento,  andaranno  apresso.  El  populo  di  Roma 
secondo  le  voluntà  parla  variamente.  Molti  laudano  et  molti  biasi- 
mano. Credesi  li  Colonncsi  faranno  male,  perchè  non  è  scoperto  al- 
chuno in  loro  favore. 


Ibid,  ii,  eisd.  Rome  .11.  iulii  1484. 

Scrìssi  la  morte  del  prothonotaro  CoIona.  Poi  la  partita  del  conte 
in  campo.  Oggi  li  carri  de  le  bombarde  et  tutte  annglarie  sono  par- 
tite con  la  fantaria  verso  le  terre  deli  Colonnesì.  In  questo  ponto  è 
suto  decto  chel  campo  si  pone  in  mezo  tra  Palìano  et  Cavi.  Tutto 
con  favore  di  casa  Orsina  si  fa,  et  gridasi  orso  orso.  Li  contadi  di 
Taglacozzo  et  Albi  sono  in  potere  del  s.  Virginio.  Slimasi  univer- 
salmente li  Colonncsi  capitano  male  questa  volta.  In  questo  ponto 
uno  di  Marino,  to  quale  mi  ha  venduto  orzo,  ma  dccto  la  cagione 
de  rarrendersi  Marino  :  fu  perchè  H  homini  di  quello  loco  non  vole- 
vano perdere  la  ricolta,  et  per  questo  li  S'^  presero  partito  di  las- 
sarlo, et  che  facessero  li  fatti  loro  lo  mcglo  potessino.  Si  li  Aquilani 
non  eschano  in  difesa  deli  Colonncsi,  per  eh  el  conte  di  Montorio 
è  loro  parente,  le  cose  loro  passano  male. 

IbiJ.  id,  cisdetiL  Rome  .viii.  iulii  1484. 

Roma  non  potrebbe  essare  peggio  contenta.  La  ricolta  è  stata 
robbata,  buona  parte  più  daglamici  che  da  li  inimici.  Et  Orsi  e  Co- 
lonna ogni  homo  ha  perduto  di  qua  da  Tevare. 

Ibid,  id,  cisdenu  Ex  Roma  .xi.  iulii  1484, 

Scrissi  di  quanto  era  ochorso  lì  preteriti  giorni.  Et  tandem  la  par- 
tita del  campo  con  le  artaglarie  et  bombarde.    Dipoi  non  c'è   altro 


6i6 


O.   Tommasini 


se  non  che  si  sono  accostati  a  Cavi,  fanno  li  ripari  per  piaotiR  le 
bombarde  et  hanno  presa  una  torre  di  guardia,  era  fuorc  di  Can 
ctrcha  uno  miglo.  Per  anche  nullo  sì  scuopre  in  favore  de  li  Colao- 
nesi.  È  vero  si  praticba  lo  achordo  et  questo  molto  piacerìa  al  re. 
£1  pontefice  si  mostra  duro:  chi  stima  di  sì  et  chi  del  no:  li  Coloo- 
nesi  hanno  impegnata  una  loro  terra  al  conte  di  Fondi;  hannoDcn- 
ceute  parechie  mìgliara  di  ducati.  Dubitasi  con  quegli  haraoao  fisQ 
dal  Aquila  e  cos^  potrebbe  abonazarc  la  cosa  et  nascìare  accorda 

Ibid,  id.  eisd.  Rome  .xvm.  iulii  1484. 

i^OD  è  successo  altro  doppo  la  mandata  de  le  bombarde  ci  ar- 

taglarie,  se  non  che  hanno  cominzato  a  trarre  a  Cavi.  Ne  si  $tatt 
però  habbino  fatto  lesione  notabile.  Dicesi  che  dentro  in  Cavi  sodo 
circha  80  Romani  partegiani  di  quelli  Colonnesi  horoini  di  bassa  mioB 
lì  quali  multo  stanno  intenti  a  la  difesa  con  circa  .ce.  fanti  fortstkn 
e  che  danno  molestia  assai  al  campo.  El  capo  loro  ò  el  s.  Antoodla 
Savello  ribello  del  papa.  Sento  Cavi  é  situata  in  modo  che  non  lì 
può  assidiare.  Vero  ò  le  bombarde  la  possano  guastare  quasi  tuta 
perché  sta  in  una  costiera  relevata.  È  suto  ditto  lo  s.  Cola  GacxzDO 
ò  andato  vicino  a  lanazano  per  sochorrarc  con  jcxxx.  homini  danac 
et  fanti.  Non  trovo  però  la  cosa  vera.  Molti  parlano  secondo  ci  d6 
siderio.  Per  ancho  di  vero  non  sMntende  habbino  aiuto  scoperto  da 
alchuno  potente.  La  cosa  passa  mezanamcnte.  Stimasi  che  li  homini 
desperati  di  sochorso  vedutosi  guastare  le  case  et  le  possessioaì  pi 
gliarano  partilo.  Et  essendo  Cavi  loco  principale  et  più  forte,  in  a» 
piglino  panilo,  li  altri  faranno  ci  medesimo;  et  cosi  la  guerra  po- 
trebbe finire  presto. 

Ibid,  id.  eisd.  Ex  Roma  .xxiiii.  luliì  1484. 

hieri  venne  al  pontefice  uno  auditore  del  conte  lo  quale  HsK 

che  la  rocha  dì  Cavi  era  per  terra  in  modo  che  al  campo  noti  po- 
teva fare  lesione  alchuna  et  che  le  mura  de  la  terra  vicino  la  roclii 
erano  per  terra  taliter  vi  si  può  entra  in  squadra,  e  da  U  ft>chi 
non  si  può  ricevare  lesione  in  lo  intrare,  in  tal  modo  è  ruÌDita.M^ 
strava  essare  venuto  per  intendare  se  la  S«*  del  pp.  si  cooicntiss<  w- 
lerla  a  patti  o  che  si  ponesse  a  sachomanno:  et  aflirmava  ditto  n- 
dìtore  a  più  cardinali  presente  me  essare  in  libert;k  del  conte  ^^it^ 
a  che  modo  si  contenta.  Alchuni  altri  dicano  essarvi  dctttro  grzofc 
fantarìa  e  non  si  dimostra  :  aspeciano  si  dia  la  baiuglia  per  co^li^c 
el  campo  in  disordine.  La  terra  anchora  è  mollo  ruinau  Ja  leeoni- 
barde,  et  più  volte  è  suto  tempo  da  scuprirsi  se  vi  fuisc  gcntt  ft>' 


//  diario  di  Stefano  Infessura 


617 


Testiera,  sì  per  assaltare  e  ripari  come  per  altre  oportunità.  Né  si  sente 
vi  sia  aiuto  forestiero.  Del  s.  Cola  Gaetano  et  del  conte  di  Montone 
non  fu  cosa  ver^.  La  più  parte  giudica  che  Cavi  sia  spacciata.  È  vero 
li  Colonnesi  hanno  lo  Piglio,  lanazano,  Rocha  di  Papa  et  Neptuno, 
loci  da  fare  resistcntia  come  Cavi  o  più. 

Questa  sectimana  due  cardinali  si  sono  parlati  col  cardinale  Co- 
lonna in  uno  loco  si  chiama  la  Maglana.  Dicesi  per  ordine  del  pp. 
et  eh  el  cardinale  preditto  sachorda  col  pontefice.  Se  fassc  vero  re- 
stana  a  fare  poco.  Et  cosi  la  guerra  sana  finita  perchè  le  cose  forti 
restanti  sono  sue  quasi  tutte. 
i 

Ibid.  id,  eisd,  Rome  .xxviii.  iulii  1484  a  ore  .xxiiir. 

Questa  nocte  passata  venne  nuova  di  campo  al  pon.  dal  conte 

et  a  li  oratori  del  caoctUiere  del  s.  Lodovico  Sforza  è  là  col  s.  conte 
come  hiersera  li  S"  dì  Cavi  renderò  quella  terra  in  potere  del  conte 

.  come  capitano  di  S^ncta  Chiesa,  salve  le  persone  et  robbe,  et  cosi  \ì 
Sri  et  lo  s^'  Antonello  Savello  e  frateglì  vennero  in  campo  a  baciare 
Umano  al  capìt*  ci  andarosi  con  Dìo  ad  altre  terre  vicine  acorapa- 
gnati  etc.  Dicessi  ò  suta  opera  del  prefato  s.  Antonello,  lo  quale  è 
acconcio  lui  et  li  frategli  in  questo  achorJo  co!  duca  di  Milano  con 
buone  conditioni.  Et  questo  è  vero.  Manchando  a  Colonnesi  ci  prc- 

I  fato  s"  che  faceva  el  tutto  et  era  capo  de  limpresa,  si  può  mectare 
questa  cosa  de  Colonnesi  al  parere  dì  molti  expedita.  Maxime  come 
per  altra  scrissi  el  car.le  Colonna  vole  essare  dachordo  col  papa  : 
ho  voluto  ìndutiare  ìnsino  a  questa  sera  lo  scrivare  per  bavere  la 

cosa  più  certa 

,.,..  Scorni  ingegnato  et  per  vìa  del  prefato  oratore  (i)  et  per 
altri  mezi  intendare  che  sia  la  cagione  che  le  cose  publìche  no- 
stre et  ancho  deli  privati  cittadini  nostri  hanno  tanto  malo  recapito 
in  questa  corte:  intra  lì  quali  so  io.  Emi  dìcto  che  il  conte  e  San- 
giorgìo  hanno  t.into  grande  sdegno  che  non  furo  compiaciuti  deli 
grani  domandare  a  le  S.  V.  che  non  lo  possano  dimenticare.  Et  di- 
cano con  cìaschuno  non  potere  haverc  piacere  alchuiio  da  questo 
presente  stato.  Et  volentieri  vi  rcndarcbbero  cambio. 

Ibid,  id,  eisd,  Rome  .111,  augusti  1484, 

El  campo  andò  alla  torre  di  Piscoli  come  per  altra  scrìssi  (2). 

,  Nuova  non  c^è  hoggi  che  habbi  fatto  :  seguitasi  contra  lì  Colonnesi. 


(1)  Fiorentino. 

(i)  Qpesu  lettera  niancA. 


6r8 


O.    Tommasini 


Dellachordo  se  ne  ragiona.  Però  l'oratore  fiorentino  dice  non  crede 
si  faccia  per  ora  et  chel  conte  mostra,  volergli  spacciare  in  tolto  « 
sdmaL  havere  quello  Stato  per  se. 


/Wrf.  iiL  eisd.  Ex  Roma  .xni.  augusti  1884. 


Qiiesta  nocte  a  le  tre  ore  piacque  al  Nostro  S"  Dìo  cìilaroare  a 
se  el  papn.  Rcquiesc^t  in  pace^  La  sua  infermità  t  stata  gocdoh: 
t^efi  a  otA  di  terza  fu  in  pericolo.  La  nocte  ne  civò  le  ma&l. 


4 


Ihià,  id,  eisd.  Rome  .xitiL  augusti  1484. 

Hìeri  per  Paclianino  advisai  k  V,  S.  de  la  morte  del  pomcficc 
et  volsi  prim^  vedLTc  che  derivare»  Dipoi  fia  corso  a  furore  di  po- 
pulo  a  casa  del  conte,  sacchcg^ìiìtaT  guasta,  portij  fincstrCf  ferratei 
giardino,  et  se  non  fusse  la  dìligentia  dell  conservatori  et  altri  of* 
fitiali  di  Roma  era  abruciata.  Oggi  el  conte  è  venuto  a  ponte  Wolk 
colla  gente  d'arme  da  ,x^  squadre  et  circha  800  fanti  cole  spalle 
deli  Orsini.  Stimasi  per  molti  faranno  prova  di  fare  papa  per  forri 
ab  intentione  loro.  Sono  stati  sacheggiatì  li  maga^eni  di  Ripa 
deli  Genovesi,  La  terra  è  tutta  in  arme.  Li  fuorusciti  nostri  atti  a 
cfò>  sono  arrnaii  a  la  casa  del  camerlengo.  La  città  è  tutta  in  arme 
e  CastelsanctagQolo  si  tiene  per  lo  conte. 


Ihid.  id,  eisd,  Rome  xvl  augusti  1484. 

Magnificidoraìni  Patres  et  domìni  mei  singuiarissìmihumìli  recete. 
Scrissi  sabato  quanto  per  insino  alora  era  ochorso.  Dipoi  el  colle- 
gio si  congregò  in  casa  del  camarlingo  et  deliberò  in  primis  bavere 
la  possessione  di  Castello  Santo  Agnolo.  Mandaro  al  castellano  lo 
quale  è  el  veschovo  di  Narni,  lo  quale  rispose  essare  vice  del  conte. 
Mandato  al  conte  fece  risposta  bavere  bauto^  el  castello  in  guardia 
dal  papa  et  promesso  conservarlo  al  successore  et  cosi  intendeva  vo- 
lere fate:  li  cardinali  congregati  un'altra  volta  udite  tali  risposte  con- 
sultaro  tra  loro:  li  pareri  sono  stati  diversi  et  tandem  con  poco  achordo 
si  partirò.  Dunde  è  seguito  che  lo  Orsino,  Conti,  vìcecancelliere  e 
Sangiorgio  si  sono  strecti  insieme  et  raunatisi  a  lo  loco  già  detto, 
dove  qualche  volta  v*è  andato  Novara,  Milano,  Girona  et  Agri  o 
alchuno  di  loro:  San  Pietro  ad  Vincola,  Molfecta,  Parma  e  San  Chi- 
mento  non  si  sono  voluti  mai  più  congregare,  Dunde  è  iuditio  di 
molti  che  li  predecti  quattro  s'intendano  col  conte,  cioè  San  Giorgio 


//  Diario  di  Stefano  Infessiira 


^19 


e  compagni  decti,  a  fare  papa  el  vicecancelltere  o  quello  de  Conti  per 

mantenimenio  del  conte,  casa  Orsina  e  de  !ì  seguaci  loro:  et  questo 
tacite  mi  ha  confessato  San  Piero  ad  Vinchula  e  qualche  altro,  per 
la  qual  cosa  aspectano  San  Marco,  Siena,  Foschari,  Saniamolo,  Ra- 
gona  e  Colonna.  Savelli  venne  hiersera  con  grande  stuolo  di  gente, 
jc»  o  più:  Colonna  s'aspecta  d'ora  in  ora  con  molto  maiore  e  tutti 
questi  signori  Colonnesi  e  Savelli  con  molta  gente  maxime  fanti.  Di 
cavagli  si  dice  hanno  circha  .c^.homini  d'arme.  Del  popolo  di  Roma 
li  tre  quarti.  Et  in  effetto  hanno  deliberato  bavere  el  Castello  a  petì- 
tione  del  collegio  prima  sì  venga  a  lectione  delpon.  et  non  si  voglano 
raunare  più  a  tale  cffecto.  Cosi  ciaschuno  solda  gente  e  empiesi  la 
casa.  Questi  cardinali  danno  tre  ducati  el  mese  e  le  spese.  El  conte 
era  venuto  co  le  genti  come  scrissi  fece  deliberare  tra  quegli  cardi- 
nali potò  congregare  che  nullo  barone  potesse  entrare  in  Roma.  E 
cosi  lui  entrò  in  castello.  £1  campo  col  s.  Virginio  andò  a  le  terre  sue 
più  proxime:  exceptuo  tre  squadre  che  sono  a  Roma.  Questi  altri  ba- 
roni non  obscrvano  tale  decreto.  Ogni  homo  è  in  arme.  La  cosa  sta 
in  modo  che  si  stima  si  fari  una  spartitura  prima  che  si  facci  papa. 
Alchuni  cardinali  si  vanno  mectendo  di  mezo,  Napoli,  Agri  e  simili: 
nondimeno  el  conte  sta  fermo  e  vole  co  la  parte  decta  restare  grande. 
Li  advcrsarii  non  voglano  comportare  e  così  si  stima  venuti  saranno 
quest'altri  si  farà  co  le  mani  e  dubitasi  di  cose  strane  che  Dio  cessi  se 
è  per  lo  meglio  per  noi.  Fu  vero  che  li  usciti  per  lo  trattato  havevano 
cominzato  ad  aviarsì.  LÌ  fanti  forestieri  volevano  essare  chiari  et 
denari  innanci.  Messer  Cino  e  compagni  non  furo  d'achordu  a  lo 
sborsare  e  contentarli  e  cosi  con  discordia  si  partirò  chi  qua  e  chi 
U.  A  Foce  era  la  fusta  di  Piombino,  la  sncctìa  di  Civita  Vechia, 
ci  brigantino  di  Corneto  per  levargli  secondo  dice  l'amico.  Marchione 
Zocho  havendoli  aspectaii  in  quelli  mari,  veduto  non  venivano,  venne 
a  Ostia.  Et  castellano  havcndo  saputo  b  morte  del  papa  a  quello 
incognita,  lo  prese  e  tolsegli  le  galee  e  così  Io  tiene  pregione.  Incre- 
scemi  non  bavere  possuto  usare  una  cortesia  a  quello  che  revelò,  che 
è  danno  e  vergogna. 

Li  Colonnesi  hanno  recuperato  Cavi,  Marufa,  la  Torre  e  tutto  et 
hanno  guadagnata  quasi  tutta  l'artigliarìa  e  bombardarla. 

Roma  è  tutta  in  arme.  Stancete  si  sono  già  afrontati  e  feritosi  molti. 
Ogni  homo  si  vendica,  robba,  fura  e  ogni  male  sì  fa,  ogni  ribaldo  ha 
liberti.  Io  cscho  di  casa  con  grande  pericolo  per  li  esciti  che  sono 
soldati  di  San  Giorgio;  se  mi  amazassero  saria  poco  honore.  Al  pu- 
blico  bisogna  bavere  la  scorta  de  li  amici  li  quali  non  ho,  cosi  ogni 
volta  bisogna  vorrei  ora  essare  ogni  di  co  li  cardinali  come  li  altri 
oratori  che  vanno  bene  accompagnati  e  recomandare,  trattare,  maneg- 


O.  Tomnmsini 


g^are  etc.  e  che  paresfcmo  vivi  tion  morti,  intendiref  advisa^re  etc 
"Non  lo  posso  fìaCy  non  ho  denaro  e  mx  sarà  for^a.  t^cìumecite  ve- 
ttSmii  con  Dio  se  le  V.  Sonori  provedaoo;  è  serrato  o^qI  cosa,  noQ 
si  trova  a  comprare  per  li  contantìp  ti  cav^gU  si  mor^Qo  di  fame,  ìOi 
stano:  mai  fxx  vìsftz  malore  penuria.  Non  può  andare  una.  besda  c^p-' 
fica  che  non  sia  tolta.  Non  so  più  cbe  dire,  U  far^a  mi  chieda  di  qui.. 

fi(o  vìntati  li  cardinali  nomine  publico^  condolutomi  eiotfeno  come., 
è  sc^to.  Hanno  'accectato  tt  rengratiato  le  V.  S,  a  k  quali  oii 
Rome  axL  aogosti  X4S4. 

B.D.V. 

Servito  r  L^urentias  L^ntus. 

Ihìd.  ti.  mi,  Rome  .tvm.  augusti  1484. 

Magnifid  domini  Patres  et  domìni  mei  ^ingularìs^iraì  btimiU^ 
ree  etc  Scrìssi  li  .zvi.  di  questo  quanto  era  achorso  in  stqo  alorx 
A^ongo  che  el  conte  entrò  in  Castello  Siintagnolo  et  poi  si  tomòe 
a  le  genti  d'arme  con  Vlrgixuo  Orsino  et  ^i  redusscro  a  l'Isola  e  la^ 
Storta,  laoghi  vicini  a  Roma,  DI  poi  entrò  el  cardinale  Colonna,  et 
s.  Prospero^  el  s.  Fabrìdo  Colonna  con  pid  altri  caporali.  Cavagli 
non  molti  ma  pande  fanterìa»  et  t  in  Sancco  Apostolo  col  czt.  di 
San  Piero  ad  Vincula.  Hicri  fero  mostra  di  fanti  40D0  per  chi  si  trovò 
a  vedere.  Aspectano  lo  s.  Antonello  Savello  e  li  firatelU  cmi  hoooa 
quantità  di  homioi  d'arme  et  continuo  scrìvano  fanti  et  mandano  de 
li  comandati  per  le  terre  loro.  La  città  maxime  verso  Capitolio,  San 
Marco,  Pellicciarìa  secondo  ho  veduto  questa  mattina  si  sbarra  et  di- 
cesi per  tutto  oggi  ogni  homo  si  vole  sbarrare,  fare  ripari  e  fornirsi 
Li  cardinali  hanno  fomite  le  case  loro  come  castegli  di  gente  et  ar- 
taglarie.  Le  genti  d'armi  di  Lombardia  vengano  et  sono  arrivate  le 
squadre  del  s.  lacomo  Conte  e  fìel  fratello  del  vescovo  di  Massa  et 
sono  entrate  in  Roma  parte  alloggiate  ne  li  Monti  et  parte  ho  visto 
stamattina  in  Borgo  presso  a  Sancto  Spìrito  da  quella  parte  di  drietro. 
Ogniuna  de  le  parti  si  guarda,  dicano  che  aspectano  la  venuta  di  questi 
altri  cardinali.  Questa  mactina  a  lo  exequio  del  pon.  che  si  cominzò 
hieri  vi  fu  elvicecancelliere,  Napoli,  Novara,  Madiscone,  Conti,  San- 
clemente,  Racanate,  Parma,  Camarlengo  et  Orsino.  Li  altri  non  vi 
vanno.  San  Pietro  molto  fornitola  chiesa  di  soldati,  pochi  altri  v'erano, 
Ò  visitati  li  cardinali  e  confortati  a  fare  questa  electiooe  quieta^  iusta 
et  secondo  el  solito.  Rispondano  bene  et  che  aspectano  questi  altri 
per  pigiare  buono  et  salutifero  partito.  £1  camarlengo  e  compagni 
fecero  lacomo  Conte  guardiano  di  Roma  a  provedere  che  non  si 
robbi  etc.  La  cosa  è  tanto  scorsa  che  ogni  6omo  straccorre  a  rob- 


//  diario  di  Stefano  Infessura 


621 


e  fare  ogni  ribaldarla,  per  modo  non  sì  può  mandare  e  cavagli 
:  né  muli  fuori  di  casa.  Non  c'6  tribunale  alchuno  che  ministri 
a  et  ciaschuno  che  può  se  la  fa  co  le  mani.  Chi  leva  suo  danno, 
a  buono  mantel  lo  lassa  a  casJ.  Li  meglo  cittadini  robbano 
estiert  senza  riguardo.  La  casa  dove  habito  è  in  mczo  de  le 
t  e  non  vi  posso  fare  venire  soma  né  bestia  carica:  stiamo  as- 
i.  Non  si  potrebbe  credare  come  le  cose  vanno  stranamente:  eia- 
o  arma  la  casa  per  paura  de  la  vita  et  de  la  robba. 
entre  scrivevo  la  presente  sentii  uno  grande  romore  verso  piaza 
.Mandai  a  vedere,  là  erano  parechie  centonara  de  homini  Or- 
Colonncsi  a  le  mani.  Durò  la  questione  assai  et  tandem  lì  Con- 
;ori  li  spartirò  per  mezo  del  s.  Mariano  Savello  lo  quale  retrasse 

resi.  Intesi  vi  erano  morti  .vi.  persone  e  feriti  assai. 
Antonello  Savello  in  questo  ponto  m'é   referito  entra  in 
rCOD  buona  compagnia  di  hominì  d*arme  e  cavagli.  Li  Conserva- 
raticano  achordo  tra  li  cardinali  et  che  si  facci  la  electionc  del 
in  la  Minerva. 

3me  per  l'altra  scrissi  non  ho  modo  a  andare  acompagnato  né 
e  secondo  saria  conveniente  a  l'onore  de  le  S.  V.  Piacci  a  quelle 
dere.  £1  pericolo  non  può  cssarc  maggiore  che  andare  per  Roma 
acompagnato:  bisognarla  a  la  staffa  parechi  buoni  compagni, 
a  V.  S.  mi  ree.  ce  non  voliate  consentire  sia  morto  per  mano 
isti  ribaldi.  Rome  .xvui.  augusti  1484. 

a  V. 

tServitor  Laurentius  Lantus 
orator. 
,  eisd,  Rome  .xx.  augusti  1484. 

ignìfìci  domini  Patres  et  domini  mei  singularissimì  humili 
;c  Scrissi  li  .xvm.  di  questo  quanto  era  ochorso.  Dipoi  la  sera 

qui  Siena  et  San  Marcho  et  invero  secondo  la  expectationc  era 
o  S.  R""'  penso  la  cosa  harà  buono  assccto.  Qui  era  venuto  lo 
A  da  Sermoneta  In  favore  de  li  Colonnesi  dicesì  con  tre  squa- 
.e  cose  si  scaldavano  molto  ut  sì  vedeva  el  pencolo  manifesto 
inde  uccisione  et  robbarie.  Hicrmattina  a  lo  exequio  si  congre- 
li  cardinali  exccpto  Colonna,  Savcllo,  Sanpicro  ad  Vincula, 
to  et  Milano  che  é  infermo  e  l'Orsino  che  era  andato  per  com- 
■  del  collegio  al  conte  e  altri  signori  Orsini.  Doppo  lo  exe^ 
j^ongregaro  in  la  sacrestia  ove  steclero  parechie  ore.  Non  si 
Icotire  altro  se  nan  lì  ragionamenti  fatti  di  componarc  queste 
die.  Hierì  raon.  S.  nostro  assai  andò   travagliandosi.  Questa 

mkivio  delta  R.  Società  romjTta  di  storia  patria    Voi,  XI. 


Il  nOiario  di  Stefano  Infessura 


623 


rentia  suta  tra  Matheo  et  Marco  et  stalo  bene    imponarc  silentio  a 
tale  caso.  Et  me^lo  saria  temperare  le  cose  che  non  ochorissero  si- 
bili errori  perchè  U  brigata  dì  fuore  giudica  Io  slato  vostro  non  es- 
sare   consolidato  né  fermo.  Li  amici  vostri  ne  pigiano  diffideniia  et 
"'-a^Ia   opinione  et  chi  ha  malo  animo  ne  ingagliardisce.  So  bene  che 
"1»    dice  l'oratore  fiorentino,  et  basti  per  ora.  Li  usciti  nostri  hanno 
^'   parere  mio  costì  imbasciadori  et  corrieri.  Per  quanto  posso  com- 
P'^endare  hebbero  l'adviso  quando  io  o  prima  et  già  havevano  comin- 
zato    a  seminare  che  eravate  in  arme,  et  più  cardinali  me  n'avevano 
^^^    domandato.  Ho  facto  intendarc  tutto  dove  bisogna.  El  corriere 
^^    Sa  qualche  cosa   che  si  trovò  tale   nuova  passata  innanii  a  lui. 
^    adviso  le  V.  S.  per  essare  morto  Sisto  non  bisogna  adorraentarM. 
_^  Ttiaterìa  del   trattato  di  che  scrìssi  fu  verissima  ci  io   per  decto 
*    più  ili  questi  esciti,  che  doppo  la  morte  del  papa  ne  hanno  ragio- 
^to,  et  molti  di  costoro  s'erano  adviati  verso  ci  paese  vostro.  Se 
^hupasscro  alchuno  de  li  loci  vostri  non  sarta  senza  alteratione.  So 
^no  le  V,  S.  haranno  provisto  e  cassari,  mutale  chiavi,  mutato  le 
**^rsoae  suspecte.  A  chi  vuole  fare  male  non  niancha  aiuto. 

Cetcrum  questa  mattina  secondo  mi  dice  Mon.  S"  nostro  R"** 
^  concluso  dare  8000  ducati  a  la  gente  d'arme,  li  quali  prestano  al- 
^huni  cardinali;  Castello  Sanciagnolo  si  pone  oggi  in  potere  del  col- 
^^gio  liberamente.  Al  conte  prestano  parechìe  squadre  et  uno  pre- 
dato, per  acompa«^narlo  securo  in  le  terre, sue  et  subito  deve  partire. 
^l  conclavi  si  farù  in  palazo  dove  è  solito.  Li  Colonnesì  et  Orsini 
fanno  tregua  per  uno  mese  doppo  la  creattone  del  pont.  Et  danno 
Securtà  Tuna  parte  a  l'altra,  comenzando  oggi,  tutte  le  genti  d'arme 
^schano  di   Roma. 

Scrivano  el  s""*  Lodovico  el  duca  di  Calabria  che  Deifebo  et  uno 
«3i  casa  Savello  si  partano  di  Lombardia  et  vengano  con  gente  d'arme 
per  racquìstare  lo  Stato  fu.del  conte  Adverso;  et  per  tale  cagione  el 
<:ollegio  manda  gente  d'arme  a  quello  Stato  per  defensione.  Cosi 
^^fon.  S**'  nostro  dice,  e  che  a  le  V.  S.  non  sìa  suspittionc  di  questa 
»-nandata.  Le  V.  S.  credo  intendaranno  el  camino  di  quelle  genti  et 
<:on  li  S"^'  fiorentini  provedaranno  che  passino  largo  da  li  paesi  vostri, 
<;he  non  faccino  danno  el  ancho  danJoli  passo  et  ricecto  non  saria 
^enza  scandolo  et  forse  contra  li  capìtuH  de  la  lega  havctc  con  la 
Chiesa,  et  darìa  al  nuovo  pont.  causa  di  malignare.  Le  V.  S.  sono 
p>rudenlissime. 

Le  pratiche  di  fare  et  nuovo  pon.  sono  frequentissime.  Come  le 
^',  S.  per  loro  prudcntia  comprendano,  li  pareri  sono  secondo  li  ape- 
rti. Comunamentc  da  la  corte  et  altri  non  passionati  per  utile  de  la 
Chiesa  sono  desiderati  Siena  e  San  Marco.  A  Siena  favorisce  el  re 


L 


é24  O-  Tammasini 


e  Id  Stato  <il  MUano  dicesl  per  contr^peso  di  Sati  Marco.  El  ^ce^ 
CaOCcUìere  noo  lassa  che  fare  per  se;  Conti,  sé  lo  tiene  per  certo     * 
wsart?,  parechi  altri  col  collo  torio  ;  ogni  homo  adopera  li  ferri  suoi 
et  suo  ingegno.  Dio  ccl  dia  buono,  credo  non  potiamo  altro  che  mc- 
glicirare. 

Postremo  io  tengo  le  V.  S.  prudenti  e  tnemorioK,  bavendo  t^ie 
volte  scritto  la  mia  tìtctìssiià   ec  clic  non   posso  più  stare  per  acjo 
bavere  hauto  mai    uno    denaro  del   nsio  servito  ne  bavere  più  clw 
vcudare  o  impegnare  et  maxime  esseoJo  ^dvkjito  di  costi  che  le 
V.  S*   non  fanno  pensiero   alchuno  dì  tnandirmi   denaro  Qè  per  le 
spese  né  altro.  Mi  pire  superfluo  noiarc  più  le  S.  V.  a  le  quali  fo 
noto  sarò  necessitato  fra  poclìi  d^  venirmi  con  Dio»  non  per  noti  vo- 
lere servire  ma  per  non  potere.  Solo  che  le  V,  S.  listveasero  provista    i 
a  le  spese  in  questo  grave  bisogno  non  mi  sarei  partito»  non  havendo    i 
facta  provisTonc  nò  volendola  f;ìre  come  harò  solo  el  basto  per  coor 
dormi  verrò  a  le  V,  S.  et  più  presto  voglio  patire  costì   ogni  suj*-   i 
plicio  che  pertftire  l'onore  mìo  qui,  dove  so  stato  settatore  e  oratore   i 
eoo  buona  grada  di  tutti.  Con  la  gratia  di  Dio  mi  difesi  dal  piopif  I 
San  Giorgio  ci  contL-  Girolamo  W  quali,  per  essare  quello  die  So,  al  j 
presente  Rtrg^imento  mi  voUerO  fare  fallire  io  cosiregarinì  a  pagare  i 
ogni  debito  et  loro  mi  riteaero  miile  due.  Ora  mi  vedo  eotrare  in  ' 
tino  altro  maiorc  laborinio  per  non  bavere  più  denaro.  Non  voglo  ' 
andare  in  prcgione  nt:  havemii  a  fuggire.  Le  S*  V.  mi  perdonino  4 
ìe  quali  mi  ree,  Rome  ,%%i\,  augusti  14S4*  A 

E.  D.  V. 

Servìtor  Laurentius  Lantus. 

Ibid.  id.  eisd,  Rome  .xxvi.  augusti  1484. 

Magnifici  domini  Patrcs  et  domini  mei  singularissimi  humili 
ree.  etc.  Per  lo.Rosso  fameglio  de  le  V.  S.  scrissi  la  concordia  (i)  fatta 
per  lo  collegio  de  li  cardinali.  Di  poi  ho  supraseduto  lo  scrivare  per 
bavere  visto  vacillare  le  cose.  El  primo  capo  de  la  concordia  fu,  ri- 
ceuti  li  .vin.  ducati  per  la  gente  d'arme  e  due  prelati  con  tre  squadre 
per  sua  secureza,  el  conte  si  dovesse  recto  itinere  per  le  terre  de  la 
Chiesa  andare  a  le  terre  sue.  Li  denari  furo  pagati  lunedì.  La  con- 
tessa era  in  Castello.  El  collegio  si  fidò  del  camarlengo  lo  quale  disse 
et  giurò  bavere  fornito  el  Castello  secondo  el  desiderio  loro,  reraossi 
conestabili  et  ogni  altro  sospetto»  aggiorno  al  veschovo  v'era  prima, 
ms.  Francesco  fratello  suo,  et  fatto  quanto  lo  collegio  haveva  ordinato. 

(1)  Ha.  «concoriU»^ 


//  'Diario  di  Stefano  Tn fessura 


S25 


latìel  vescovo  di  Nola  et  di  Caiazaper  compagnia,  dato  reca 
logno  per  lo  andare  loro.  Fu  detto  la  contessa  essare  ai- 
disposta  et  però  era  suprascduta  la  partita  sua  di  Castello, 
kente  creduto  a  San  Giorgio  che  tutti  li  cardinali  hi  cri  furo 
Ilio  et  posmodum  in  concistorio,  che  sono  .xxv.  cotnpu- 
O  e  Girona  sono  infermi.  Questi  giorni  continuo  el  castello 
^  fornirsi  di  vìttuaglia.  Questa  nocte  vi  sono  entrati  150  fanti 
'  questo  ho  da  uno  cardinale,  et  fecero  gran  festa  dipoi  furo 


modo  che  la  brigata  si  tiene  giontata  et  questa  mattina 


ultimo  offitio  o  vero  exequio;  non  vi  è  venuto  cardinale 
pnc  contraria  a  lì  Orsini  et  sono  tanto  sdegnati  che  hanno 
i  sollicitare  fanti  aspcctano  da  PAquila  et  Norcia  per  in- 
b;  credano  avergli  questa  noctc  et  deliberano  non  essare 
ati  nò  forzati.  Li  Conservatori  hanno  di  nuovo  fornito  ci 
b.  Ciaschuno  si  mecte  in  ordine.  Li  caporioni  hanno  co- 
ti rinieitìno  le  sbarre  dove  erano  levate  et  che  sì  stia  pro- 
cardinali  rimasero  in  palazo,  li  oratori  si  partirò  et  ho 
)co  che  lo  Stato  di  Milano  ha  preso  cura  de  lo  Stato  del 
fornitolo  di  genti,  per  modo  che  lui  sta  securo.  Se  in  le 
Ipaa  tengano  mano  ad  aiutarlo  non  intendo  bene; ciaschuno 
iacqua  et  parla  poco.  Se  li  tradimenti,  simulationi  et  in- 
Sro  perduti,  qui  sì  ritrovano  in  questi  giorni.  Havendo  scritto 
fino  a  qui,  tornò  ci  mìo  spenditore  e  mi  referì  essare  in 
anctagnolo  8  cardinali;  fui  a  cavallo  e  andai  là.  Lì  detti 
tali  mandati  dal  collegio  fecero  partire  la  contessa  e  tutti 
ti  fornirò  el  Castello  per  lo  collegio  e  così  la  cosa  pare 
\  questo  ponto  cavalcho  a  palazo  dove  si  dee  dire  la  messa 
fAncto  e  poi  entrare  in  conclave.  Dìo  cel  dia  buono,  a  me 
Ificato  stanocie  che  mi  tocha  a  guardare  ci  conclave  in 
b  S.  V.  a  le  quali  mi  ree.  Rome  .xxvi.  augusti  1484. 

V  Servitor  Laurentius  Lantus. 


psd.  Rome  .xxvil  augusti  1484. 

ci  domìni   Palres   et  domini    mei   sìngularissimì   humili. 
||r  altra  scrissi  come  giovedì  doppo  la  messa  delo  Spìnto 

Edinali  tucti  di  buono  achordo  entraro  in  conclavi.  Dove 
le  altri  oratori  so  deputato  a  la  guardia  del  conclavi  e 
}  di  e  nocte  in  palazo  a  nostre  spese.  Questa  mattina  ce 
[the  Deifcbo  ha  hauta  la  rocha  dì  Ronciglìone  in  la  quale 
pmola  che  Tà  venduta.  Lo  Suto  di  Milano  come  per  altra 


1 


6w6 


O.   Tommasint 


sotei  Ita  preso  cura  de  Io  Stato  del  come  Geronimo,  fornitolo 
OMO  d  bisogno  per  modo  che  lui  si  sta  a  piacere,  al  parere  mia 
ì3fccttnrtn  la  creatione  del  pon.  Ttaque  non  sì  può  errare  hareii 
Vecllk)  a  le  cose  vostre,  che  costoro  non  si  fichassero,  cine  li  fco 
nasciti,  in  qualche  loco  de  li  vostri  et  col  nuovo  pon.  si  trovnKff 
eoa  qualche  cosa  in  mano.  Ncc  plura  :  molto  a  V.  S.  mi  ree.  Roi 
.xxvu.  augusti  1484. 
B-  D.  V. 

Servitor  Lanrentius  Ltsiai 


inw 


Ibid.  id.  eisd,  Rome  die  .xxviui.  [augusti]  1484  aoiejum. 

Magnìfici  domini  Patres  et  domìni  mei  sìngularìssimi  humilirec 
Come  per  altra  scrissi  giovedì,  decta  la  messa  Je  Io  Spìrito  SncA 
H  cardinali  tucti  cntraro  in  conclavi  di  buono  achordo  iu  UcipdU 
secondo  è  solito.  Oggi  col  nome  di  Dio  a  ore  .xinu  hamio  ^à&- 
cato  havcre  clecto  e)  cardinale  di  Malfecta  in  summo  pontefice.  D* 
lo  disponga  al  bene  de  la  patria  nostra.  Piaccia  a  le  V.  S.  dm  <1 
portatore  di  questa  arrivando  in  .xxiiii.  ore  ducati  .x.  per  U  sui^- 
tiga.  Molto  ad  V.  5.  mi  reo.  Rome  die  .xxvna.  1484  a  ore  Jtfltt 

E.  D.  V. 

Servitor  Laurentius  Laottf. 


iMrf.  id.  eisd,  (i).  Rome  .1.  sectembrìs  1484. 

Magnilicì    domini  Patres  et   domini  mei  sìngularissimì  bmait 
ree.  ctc.  Advisai  le  V.  S.  per  due  cavallari  de  le  porte  di  MiUfloA 
la  electione  facta  del  pon.  Innocenzo  Vili  et  statim  post  crcitifl&M 
fui  intromisso  con  li  altri  oratori  stati  a  la  guardia  del  coodive  W 
obsculum  secondo  è  solito.  DÌ  poi  per  la  frequcntia  de  canfiniB  11 
quali  per  diverse  cagioni   hanno  continuato  el  patazo  non  ho  po'* 
suto  prima  di  questa  mattina    havere    colloquio   con   Sua  ^toà 
recomandai  per  parte  de  le  V.  S.  la  cittù  e  slato  di  quelle,  conpO- 
landomì  per  pane  di  V.  S.  in  primis  de  la  feliciti  de  la  S"  Siu»  b^ 
strando  a  quelle  essare  stata  ìucundissimo,  extcndendo  le  p"--'- 
condo  mi  parse  conveniente.  Sua  S»*  molto  benignamente  ; 
poi  commemorò  con  quanto  amore  et  revcrcutia  fu  da  le 
ceuto,  visitato  et  facto  cittadino;  el  che  disse  esserli  suto  ci: 
acettissimo  et  per  molti  respccti  havere  sempre  amata  la  cìtti  vo»> 
et  disse  queste  formali  parole:  Scrivete  a  quelli  vos:tri  S"  chcftiflifl 

(1)  D'ftltra  iBAao  e  presso  1*  m<Uriuo  i  stito  scritto:  «fscicBas  ti  fialai»MfV** 


Il  'Diario  di  Stefano  hifossura 


627 


dì  buono  animo,  li  portamenti  nostri  verso  quella  comunità  saranno 
tali  che  comprendaranno  ci  ricordiamo  cssare  loro  buono  cittadino. 
Accectai  con  debita  reverentia  Tofferta  et  renpratiaì  secondo  mi  parse 
convenirsi  mostrando  le  Vostre  S.  bavere  unica  speranza  in  la  Sua 
B.  presa  licentìa  partii.  Poi  visitando  el  cardinale  nostro  R™»  ho  in- 
teso da  Sua  S.  come  hiersera  Deifebo  resignò  Ronciglone  el  cassaro 
in  mano  del  pon.  et  si  remisse  lotalìter  a  la  clementia  di  quello.  De 
le  due  altre  terre  haveva  ochupatc  che  sia  da  farsi  è  rimesso  in 
Mon.  S.  nostro  et  tre  altri  cardinali.  Deifebo  è  stato  qui  dal  d\  de 
la  creatione  del  pon. 

Lo  oratore  fiorentino  ha  solicitato  a  Fiorenza  faccino  prova  di 
expedìrsi  di  Sarezana  prima  che  el  pon.  babbi  ordenate  et  consolidati 
le  cose  sue.  Dubita  non  facesse  pensiero  per  impedire  dare  qualche 
molestia  a  le  cose  vostre  :  per  divertarc  potrebbe  essare  deliberas- 
scno  volere  fare  la  impresa.  Le  V.  S.  prudentissime  haranno  cura  de 
le  cose  loro  maxime  a  lì  confini  et  so  ceno  in  ogni  caso  si  porta- 
ranno  co  la  solita  prudentia  taliter  che  non  si  scupriranno  nò  si 
provocaranno  ci  papa,  anzi  conservaranno  et  acresciaranno  la  beni- 
volentia. 

La  città  di  Roma  è  posta  in  assecto,  deposte  le  armi  la  brigata 
toma  a  bottega  con  quiete  e  tranquillità.  Li  fuorcsciii  frequentano  el 
pnlazo  perancho  non  hano  hauta  audìentia  starò  attento  ìntendare  li 
andamenti  loro. 

Come  per  altra  scrissi,  finiti  questi  pochi  denari  verrò  a  le  V.  S. 
Io  maxime  che  ho  intesa  la  electione  fatta  de  li  oratori^  el  che  è 
stato  bene  e  forse  saranno  li  primi  a  venire.  Per  ora  qui  non  sarà 
che  fare;  è  vero  però  ch^i  li  oratori  hanno  già  cominzato  a  ponare 
innanti  la  materia  de  la  liga  et  capitutl  da  farsi  e  già  si  maneggiano 
le  cose.  Per  mentre  starò  (che  sarà  poco)  sarò  col  fiorentino  e  ope- 
rato per  le  V.  S.  quanto  sia  bisogno.  Molto  a  quelle  mi  rac.  Rome 
.1.  sectembris  1484. 

E.  D.  V. 

Sen'ìtor  Laurentius  Lamus. 


Ibid.  id.  eisd.  Rome  .v.  septembris  1484. 

Magnifici  domini  Patres  et  domìni  mei  singularissimi  humill  ree. 
Vedendo  io  lì  esciti  nostri  frequentare  ci  palazo  et  vedendoli  acha- 
rczare  da  qualcuno,  dubitando  che  socto  spciie  di  carità  non  fusse 
mostro  al  pcn.  cosa  facesse  a  qualche  proposito  di  Sua  B.  per  bene 
e  conservatìone  de  la  libertà  vostra  con  utile  e  comodo  de  li  exciti 
predecti,  come  dimostrava  in  parole  Sixto  bone  memorie  per  paura 


628 


O.   Tommasini 


de  U  troppa  amicitìa  et  confìdentia  diceva  noi  havere    in  li  vicini 
vostri   etc.  Le  S.  V.   bene    m*inicndaoo.  Questa    mattina   havcnclo 
buona  comodità  di  poter  riposatamente  parlare   col  pon.    come  dj 
me  stesso  feci  cadere  al  proposito  di  parlare   di  questa   materia  ci 
con  acomodato    modo  li    dimostrai    li  contìnui   susptcti   in  che  ci 
teneva  Sixto  pon.,  le  versutie  et  pratiche  del   conte,  li   favori  si  U- 
cevano  a  li  cxcìti,  li  disfavorì  si  dimostravano  centra  la  città  vostri 
publice  et  privatim,  contra  li  cittadini  in  tutte  le  cose.   Li  appanri 
de  le  genti,  le  opere  si  davano  a  ochupare  de  le  cose  x'ostrt.  PtT 
tractati  si  maneggiavano  per  li  excit!  predetti.  Inducevano  per  font 
li  animi  vostri  a  fich.irvi  socto  a  cui  pensavate  potere  in  tali  necessiti 
essere  aiutati  per  necessità  et  quanto  erano  maggiori  li  suspecti  e  con- 
tìnui, bisognava  più  obligarsi  per  essare  aiutati  vedendo  1j  necessiti' 
Commemorai  la  V.  Hep.  sempre  essare  stata  obsequientìssima  a  qucsu 
Sedia,  le  S.  V.  havere  hauio  inestimabile  dolore  in  non  havere  possuto 
havere  quella  speranza  in  la  Sede  apostolica  a  tempo  di  Sixto  come 
per  lo  passato  et  che  da  le  V.  S.  non  era  mai  manchato  volere  essare 
buoni  et  amorevoli  fìgluoli  di  Sixto  pon.    Ma  che  Sua  S<^  istigato 
da  altri  non  vi  haveva  voluti,  ancho  date  le  provisioni  a  costoro  ec 
mantenutoli  etc.  Le  quali  cose  ero   certo  non   farà   nù    permcctarà 
Sua  B.  per  bene  costoro  si  vantino  del  contrario  e  cosi  la  città  vo- 
stra ne  tornarà  a  continuare  la  solita  BUaiione,  amore  e  revcrentia 
con  Sua  S^  padre  e  cittadino  nostro,  extendendo  le  parole  quanto 
mi   parse    convenirsi.    Magnifici    S.   miei,  sua   S^  mostrò    bavere 
carissimo  fussero  achaduti  questi  ragionamenti  et  udì  benignissima- 
mente. Po!  rispose  che  Sua  S**  come  cittadino  fu  sempre  affectio- 
nato  a  quella  patria  et  oggi  più  che  mai  e  lì  cffecti  lo  dimostraranno 
et  che  Sixto  bone  memorie  l'aveva  mandato  costì  et  Sua  B.  v'era 
venuta  volentieri  per  bene  et  comodo  di  quella  dove  haveva  trovali 
lì  animi  de  li  principali  bene  disposti,  et  che  Sua  B.  per  certo  harebbc 
facto  buono  fructo  se  el  papa  havesse  lassato  fare  a  lui.  Ma  el  conte 
et  messer  Lorenzo   da  Castello   havevano   voluto   sapere  troppo   et 
guidare  le  cose  per  altra  via  per  modo   che   loro  furo  cagione  di 
quello  successe,  et  di  poi  continuando  ìa  li  suoi  disegni  el  conte  era 
suio  causa  de  ogni  inconveniente  et  factovi  obbligare  etc.  con  le  in- 
telligentie  et  pratiche  teneva   con  li  esciti  et  amici  loro,   affermando 
essare  verissimo  quanto  dicevo  et  disse  che  Sua  S**  mostrata  cheel 
pensiero  suo  è  essare  padre  di  tutti  li  cristiani,  actendarà  a  quello  sia 
honorc  de  la  Sede  apostolica  et  di  simili  cose,  come  ò  trame  dì  fuo- 
rusciti, non  s'impacciarà  mai  come  quello  che  non  ha  posto  ci  pen- 
siero a  Tire  grande  nissuno  né  porrà  solo  actendare  a  trarre   quello 
sia  offitio  di  bono  pon.  et  de  li  vostri  fuorusciti  le  S.  V.  vedranno 


//  diario  di  Stefano  Infessura  629 


Sua  S*^  non  sMmpaccìarà  m^  né  lo  darà  favore  né  fomento  al- 
chuno  nò  di  loro  s'impaccìarà  in  nìun  moilo,  excepio  quando  ne  fusse 
richiesto  da  le  V.  S.  In  tale  caso  come  cittadino  e  padre  offeriri  in 
ogni  vostro  comodo  volersi  amorevolniente  travagliare  in  tutte  le  cose 
fussero  augumcnto  de  la  città  vostra:  et  che  le  V.  S.  ne  piglino  se- 
curtà  e  lo  irovaranno  bene  pronto  a  lì  comodi  et  honore  de  la  città 
vostra,  et  intorno  a  questa  parte  de  li  usciti  parlò  tanto  aperto  quanto 
sia  possibile.  Del  buono  amore  et  affeciione  vostra  la  quale  dissi  più 
ampiamente  le  V.  S.  per  li  nuovi  oratori  faranno  intendare  eie.  Ac- 
cedo amorevolmente  et  ringraiiò  dicendo  saranno  li  benvenuti  et  li 
vedremo  molto  volentieri.  Accectai  ci  bono  animo  di  Sua  S»*  et  rcn- 
gratia*  et  dissi  tutto  farei  intendare  a  le  S.  V.  per  Icctare;  ore  tenus, 
quando  sarò  a  li  pici  de  le  S.  V.  le  quali  di  sua  optìma  dispositione 
sono  certissime.  Sua  S*'  per  sua  clctiicntìa  mi  bacciò  in  faccia.  Cosi 
da  li  suoi  sacri  piedi  mi  partile  dissiche  Giovanni  di  ser  Lazaro  scri- 
vevo (i)  di  Sua  S<*,  lo  quale  è  qui  con  quella,  bene  informato  anchora 
lui  de  la  devotione  e  desiderio  del  populo  vostro,  a  le  giornate  dì 
tutto  potrà  più  particularmente  dare  piena  notitia  a  Sua  S**,  Ho  con- 
ferito poi  con  Giovanni  predictOj  mostrogli  el  bisogno,  et  mi  farà  of- 
fitio  dì  buono  cittadino  e  sarà  continuo  aprcsso  el  pon.  suo  familiare 
di  casa,  et  so  giovarà  in  ogni  cosa.  Tutto  ho  facto  con  buona  fede  per 
amore  porto  alla  patria  et  come  ho  dccto  per  guastare  e  disegni  et 
per  fare  advertei\te  el  papa  a  non  dar  lo  provisione  nò  travagliarsi 
di  loro.  Se  ho  facto  cosa  grata  a  le  V.  S.  so  molto  contento.  Quando 
bavessi  errato  le  V.  S.  imputino  tutto  al  mio  buono  animo,  che  harei 
facto  errore  per  non  conoscìare  piò,  non  posso  altro  che  errare,  do- 
mando perdono.  Molto  a  \ ,  S.  mi  rac.  Rome  .v.  septcmbris  1484, 

E      E.  D.  V. 
I  Servitor  Laurentius  de  Lantis. 

u< 


IbiéL  ii.  end.  Rome  .xiii-  septembris  1484. 


Magniticì  domini  etc.  Hìerì  col  nome  di  Dio  sì  fece  la  corona- 
tionedel  pon.  con  grandissima  tranquilliti,  con  tutte  le  seleniti  opor- 
lunc,  in  modo  si  consumò  tutto  el  giorno:  et  Mon.  S.  nostro  R'""  fu 
Tordenatore  del  tutto  et  è  stato  molto  commendato.  Oggi  Sua  S'^  ha 
dato  audientìa  solo  a  cardenali.  Frcquentarò  el  palaio  per  la  lìcentìa 
et  se  la  Sua  S^  mi  volesse  dire  alchana  cosa  come  parse  accennare 
dicendomi  che  doppo  la  coronatìone  tornassi  a  quella.  Ancora  pì- 
Eliaxò  lìcentia  da  li  cardinali  come  e  solito  et  poi  mi  conferirò  a  le 


€^0  O,    Tommasini 


V.  S,  Sabato  U  nocte  morì  el  cardinale  dì  Madisconc  francese,  era 
degno  s''^  requtescat  in  pace.  Li  fuorescJCi  erano  3.  Napoli  non  sono 
anchorsi  venuti.  Questi  di  qui  si  vamno  travagliando  ji$s^i  :  per  ascilo 
non  scoto  habbino  facto  cosa  alchufiacol  pon.  Penso  ^spcciìao  quegli 
altri.  Nec  plura*  MoUo  n  V.  S.  mi  rac.  Kotìie  .xul  scptembris  14&4. 
E,  D.  V. 

Servitor  Laurentitis  Lamiis. 

Ibid,  %i,  €Ìsd,  Rome  .xxi.  septembris  1484, 

Magnifici  domini  Patres  et  domìni  mei  singT-ilarissìnii  humìli 
ree.  Scrissi  sabato  quanto  ochorriva.  Di  poi  a  nulla  aitra  co&s  ho 
daio  opera  exccpto  ch^  a  UomanLUrc  licentia  al  pon.  la  che  ^on  ho 
hauia  per  non  ha  vere  possuto  impetrare  gratia  d'audietìtia*  Trovo 
tutta  la  famegUa  del  papa  intorbidata  et  hierl  mi  furo  hcit  parechic 
ribuffatc,  sono  quasi  tutti  Genovesi,  con  dinni  che  le  V.  S*  hanno 
hauto  poco  rcgu^rjg  al  pon.  et  a  li  Genovesi  in  havere  prestadall 
Fiorentini  li  carri  da  condurre  le  bombarde  coMra  PktrasaiicEa  iX 
altre  artagliarie,  et  fuimmaccìdCo  che  inantipa^si  troppo  ci  sari  fatto 
ìmendare  che  avianio  errato,  con  molte  parole  ampollose^  ec  qu" 
commemorano  k  cose  di  Sienp  quaniJo  el  poP-  allora  cardinale  fu 
costi  et  dicano  cose  assai  taliter  da  parecchi  à\  in  qua  mi  pare  es- 
sate tornato  al  pontificato  di  Sisto  et  ricomenzare  a  trovare  quelle 
diiHculti.  taliter  che  qualche  volta  m'è  venuto  volontà  di  partirmi 
senza  liccntia.  Non  di  meno  per  imcnJare  ranimo  dt  Sua  B.  ho  de- 
liberato parlare  con  quella  et  intendare  destramente  se  queste  cose 
sono  dì  mente  di  Sua  S*^.  Io  non  sapendo  altro  ho  excusatolo  meglio 
posso  et  decto  sono  male  informati,  et  loro  tanto  più  si  riscaldano 
affermando  el  si.  Le  V,  S.  sono  prudenti,  non  posso  stimare  che 
senza  grande  cagione  si  ponessero  in  tali  inimicitie  et  ora  più  che 
mai:  a  ogni  modo  o  vero  o  no  ricordo  con  ogni  reverentia  el  tenere 
le  cose  vostre  marittime  e  di  frontiera  bene  guardate.  Secondo  le 
parole  di  costoro  hanno  mala  intentione.  A  me  non  pare  potere  vi- 
vare  tanto  che  mi  levi  di  questi  travagli  et  malinconie.  El  s»"*  lacomo 
Conte  è  senza  inviamento  ;  desidera  servire  le  S.  V,  et  quando  vi  pe- 
sasse tutta  la  spesa,  offerisce  condursi  con  le  S.  V.  et  con  li  Fioren- 
tini insieme:  è  s"  da  farne  stima  in  le  armi  come  a  le  V.  S.  è  noto. 
Hammi  pregato  ve  scriva,  parendo  a  le  S.  V.  fare  risposta  a  questa 
parte  per  adviso  et  eo  maxime  in  caso  non  facesse  per  voi  ;  et  se  fusse 
al  proposito  vostro,  molto  più  che  costui  è  homo  che  sa  el  mestiero. 
Attendo  con  ogni  solicitudìne  per  la  licentia  et  giuro  a  Dio  so  con- 
dotto a  termino  che  non  posso  restare  né  partire  con  mio  honore, 


r\ 


//  n^iario  di  Stefano  Infessura 


6ii 


r  non  bavere  denari  che   mai  più  fui  tanto  dì  malavoglia  et  mi 
tare  le  V.  S.  poco  se  ne  curino  e  tanto  più  mi  duole  et  male  mìo. 
"Non   restarò  mai   di  fare  offitio  di  buono   e  leale  cittadino   mentre 
harò  lo  spirito.  Molto  a  V.  S.  rai  rccoraando.  Rome  .xxi.  septem- 
bris  1484. 
E.  D.  V. 

Servìtor  Laurentius  Lantua  orator. 


Ibid*  id,  eisi,  Rome  1°  octobris  1884. 

.....  Le  cose  di  Roma  stanno  quietissime  et  tranquille  quanto  mai 
fussero.  A  questo  pont.  dali  Romani  è  prestato  obcdicniia  grandis- 
sima, deposte  le  armi,  assectate  le  brighe.  La  iustitia  è  rigorosa  in 
modo  la  brigata  s'assecta  a  bene  vivare.  Le  forche  stanno  fornite 
modo  li  ribaldi  sono  spaventati 


u      «"  m( 

L 

^V       Lettere  di  Guidaktonio  Vesfucci  oratore  in  Roma 
Rome  .XXX.  mail  1484, 


Archivio  di  Stato  in  Firenze. 
Dieci  di  Balia,  Carteggio.  Responsiva. 


k 


Scripsivi  per  la  mìa  de  .xxvni.  come  el  sig.  Virginio  si  era  re- 
sotuto  volere  andare  ad  pigliare  li  contadi  per  forza,  veduto  eh'  el 
proihonotario  Colonna  non  mecteva  ad  cxecutione  alcuna  delle  sue 
promesse.  Hieri  el  conte  mi  dixe  come  omnìno  voleva  acordare 
questa  cosa  et  fare  il  tucto  perchè  non  si  venisse  allarme,  et  che  '1 
prothonotario  li  havea  mandato  a  dire  che  si  voleva  rimettere  nelle 
mani  dì  N.  S.  et  del  Rcvmo  camarlingo:  et  a  questo  efTecto,  per 
acozarsì  con  il  prefato  prothonotario,  hieri  a  horc  -.t\i.  ci  camar- 
lingo si  parti  di  palazo  et  venne  ad  casa  sua  et  mandò  per  il  pro- 
thonotario che  andasse  ad  casa  S.  Revma  S.,  el  quale  recusò  l'an- 
dare, allegando  che  gli  era  stato  detto  che  lo  volevano  ritenere  et 
che  lo  credeva  perchè  sapeva  dì  certo  casa  Orsina  si  armava,  et  per 
questo  sospetto,  questa  nocte  passata  e  Colonnesi  et  Orsini  continuo 
sono  stati  in  arme,  et  similiter  tutta  questa  terra  et  la  guardia  di 
N.  Sig*;  et  cosi  sono  stati  tutto  dì  tl'hoggi  non  aUrìmcntì  che  se 
fussino  nella  bataglia:  et  eccì  tra  luna  parte  et  laltra  tra  cerne  et 
fanti  forestieri  et  romaneschi  armati  de  le  persone  di  più  dì  vi  et  circa 
dugento  cinquanta  homini  d'arme,  de*  quali  el  maggior  numero  de 
li  homini  d*arme  et  cerne  et  forestieri  hanno  li  Orsini:  de'  Romane- 


6^2 


O,   Tommasini 


schì  e  Colonnesi.  Per  ancora  non  sono  venuti  alle  mani,  perchi 
N-  Sig*  et  questi  conservadori  di  Roma  molto  sì  sono  affatichiti  ai 
posar  questa  cosa  in  pace  et  fare  ch'cl  proihonotario  si  rimetta  in 
N.  Sig%  ma  a  questa  bora,  che  siamo  a  bore  .xxn.,  non  si  è  hno  con- 
clusione alcuna  et  dubito  se  costoro  s*azufono,  oltra  et  glande  bo- 
micidio  cbe  potrebbe  uscire  dì  tal  zuffa,  che  questa  terra  non  ridi 
ad  sacco.  È  cosa  dì  mala  natura  al  iudicio  mio  et  pel  pubblico  tx 
pel  privato,  perchè  intendendosi  per  lì  nimìci  queste  discordie,  di- 
venteranno più  insolenti  et  animosi,  et  faranno  di  nuovi  pensisi 
Dio  sia  quello  che  provegga  al  bisogno. 

£1  conte  tutto  dì  si  è  stato  a  palazo  et  dimostrasi  eoa  le  gesti 
de  la  guardia  in  favore  di  questi  Ursini. 

Post  scripta.  A  bore  .xxri.  et  mczo  questi  Orsini  ed  il  conte  in 
persona,  con  la  guardia  del  papa,  sono  iti  ad  trovare  questi  Cotom- 
nesi  ad  casa  loro  con  una  bella  geme:  et  tandem  doppo  una  { 
uccisione  d*hominì  hinc  inde,  hanno  preso  la  casa  del  cardinale 
prothonotario  Colomna,  et  messola  a  saccomanno:  et  continuarne: 
la  spianano:  ci  prothonotario  si  dice  essere  scampato:  del  ca 
naie  Colonna  non  vi  scrìvo  altro  perchè  non  è  in  la  terra. 

In  questo  punto,  che  siamo  a  bore  .xxnii.,  è  passato  dinanxi  rosdòl 
mìo  el  prothonotario  Colomna   preso   abbraccio  col  stg.  Virginio, 
con  un  mantclleuo  paonazo,  In  sur  uno  cavallo  leardo  magro:  quei 
seguirà  apresso  darò  notilìa  a  Vostre  Maga"*. 

Ibid.  id,  cisd,  Rome,  die  .i.  iunii  1484. 

Magnìfici  dfii  priores  honorandi,  commendationc  premissi  etc 
Per  la  mia  de'  .xxx.  detti  notiiia  a  V.  M.  come  lo  illmo  sig,  conic 
con  le  genti  della  guardia  di  N.  Sign'"^,  il  sig.  Virginio  con  le  »Uk 
genti  d'arme  e  i  suoi  partigiani  havevano  assaltato  el  protbocario  C'>- 
lonna,  et  t<mdem  lo  haveano  preso,  et  saccomannato  la  casa  sui  et 
del  cardinale  Colonna,  et  fere  tutta  bruciata.  In  decta  battaglia  loon 
dì  homini  di  nome  el  sig.  Filippo  Savello  per  la  parte  del  prothono- 
tario; per  la  parte  Orsina  uno  gcniilhomo  napoletano  ci  sette  ovcre 
octo  altri:  fu  menato  el  decio  protlionotario  la  sera  medesimi  il 
conspecto  di  N.  Signore,  el  quale  chiamandolo  continuo  bestiolino  ci 
Ci^rvellino,  ripetè  tutto  quello  havca  operaio  contro  Sua  BeatìtuJìnc 
nella  guerra  passata  :  et  come  tutto  li  havca  perdonato  et  rendutolì 
tutto  el  suo  Stato:  et  quanto  S.  B.  havea  humanamentc  tractatu  questo 
caso  de'  contadi  per  ridurre  la  cosa  dacordo  :  et  come  il  prcfito  pro- 
thonotario, poi  che  h.ivea  ridocto  el  sig.  Virginio  a  fare  quanto  esso 
voleva,  molte  volte  contra  le  promesse  factc  per  lui  di  dcpositirt 


//  T)iario  di  Stefano  Infessura  6}^ 


flecti  contadi,  havea  beffato  e  dileggiato  Sua  B°«,  et  ultimo  loco,  aon 
Fhavea  voluto  ubidire  a  Sua  Santità  quando  havea  mandato  per  lui, 
Ine  degnatosi  di  venire  sotto  la  fede  di  Sua  B".  immo  si  era  ribel- 
lato da  lui  et  cercato  di  mectere  sottosopra  Roma,  et  preso  una  porta 
della  terra,  et  facto  ragunata  di  genti  con  dire  che  Dio  havea  per- 
messo quod  omnino  ubidisse  di  venire  al  cospecto  di  Sua  Beatitudine, 
et  che  de  li  demeriti  suoi  bisognava  meritassi  qualche  pena.  Et  a 
questo  effecto  comandò  che  luì  fossi  menato  in  Castello  et  detenuto 
\\  come  quelli  vi  sono  per  la  vita.  E!  prolhonotario  con  poche  parole, 
non  scusandoci  passato,  dixc,  come  tucto  quello  haveva  fatto  al  pre- 
sente era  per  sua  sicurtà,  essendoli  stato  messo  in  testa  che  S.  B«e 
lo  voleva  detenere  andando  a  quella:  et  che  mai  havea  pensato  ri- 
bellarsi da  Sua  Santità  nò  machinarc  nulla  contro  a  quella.  Et  repli- 
cando N.  S.  che  da  lui  non  voleva  se  non  ubidientia,  li  fu  levato 
dinanzi,  et  menato  in  Castello,  secondo  havea  comandato. 

La  mattina  seguente  el  magnifico  raesser  Io.  Agnolo  et  io  andamo 
ad  casa  el  sig.  conte  dove  lo  trovamo  molto  allegro:  et  con  lui  ci 
ralicgramo  de  la  Victoria  hauta  :  di  che  prese  Sua  Sig'*  piacere  et 
gloria  assai:  et  dìxeci  come  sua  intenttone  era  in  su  quel  punto  im- 
piccarlo, se  non  fussi  ch'el  sig.  Virginio  li  obviò  dicendo  ci  pro- 
thonotario  essere  suo  prigione,  et  che  lo  voleva  menare  da  N.  Sig'=, 
et  che  li  pareva  omnino  da  tenerlo  vìvo  per  molti  buoni  rispecti;  et 
che  a  questo  effecto  lo  havea  campato;  dicendo  el  prefato  conte  es- 
serne contentissimo  non  lo  bavere  morto,  con  dire  che  omnino  vo- 
leva assicurarsi  di  questi  Colomnesi  et  bavere  le  loro  fortezze  et  terre 
nelle  mani,  videlicet  del  prothonotarìo  et  de'  fratelli  :  et  che  se  non 
Phaveva  lo  impiccherebbe:  et  in  nostra  prcsentia  commise  a  un  ma- 
ziere  dì  quelli  del  papa  che  andassi  ad  Marino  et  a  laltre  terre  del 
prothonotarìo  et  fratelli,  et  comandassi  lì  homini  di  quelle  terre,  che 
non  dessino  più  obedientia  a  decti  Colonnesi,  et  mandassino  le  chiavi 
et  giurare  fidelità  a  N.  Sig*^:  et  dimostrò  nel  suo  parlare  el  conte  che 
credeva  in  octo  di,  quando  decte  terre  facessino  repugnantia,  farle 
venire  per  forza  ad  ubidlenza.  Demonstrando  questa  cosa  essere  molto 
favorevole  per  la  comune  impresa;  perchè,  se  non  si  fusse  assectata, 
ci  sig.  Virginio,  né  S.  Sig*  sarebbono  potuti  ire  in  Lombardia.  Hora, 
bauto  che  haranno  decte  terre  et  li  contadi  (le  quali  cose  sperava 
avere  in  brevi),  et  Tuno  et  l'altro  saranno  presti.  Q.ue5ìta  ultima  parte 
credo  toccassi  S.  Sìg**,  o  perchù  credessi  cosi  essere  il  vero,  aut  per 
tagliarci  le  parole,  che  noi  non  havessinio  cagione  dì  sconfortarlo  di 
questa  impresa:  perchè  essendo  implicato  di  qua,  non  potrebbe  con 
tutte  le  forze  unite  attendere  a  la  comune  impresa.  Et  quamvis  per 
noi  sì  cognoscessì  questo  parlare  essere  facto  a  questo  effecto,  nìhilo- 


«34 


0.  Tommasini 


miniis  non  si  cessò  di  dimostrarli  che  quando  questa  impresa  noa 
riuscisse  così  facile  come  Sua  Sig;*  mostrava,  non  era  da  attcoiiere  i 
questa  per  obmcttere  quella  di  Lombardia:  et  maxime  lo  andare  Ji 
S.  Sig*  et  del  sig.  Virginio,  mostrandoli  quanto  era  di  rìpuunone 
et  di  utile  a  la  comune  impresa  lo  andar  loro.  S.  Sig*  a  questa  pinr 
niente  altro  rispose  se  non  che  sì  voleva  assicurare  et  che  non  du- 
bitava spacciare  questa  impresa  in  otto  di. 

Per  rerauncratione  di  quanto  havea  facto  lo  illmo.  sig.  coarti 
contro  a  Colomnesi,  la  San^^  del  papa,  in  su  I*hora  del  mangiare  Is 
mattina,  mandò  a  donare  a  S.  Stg'*  due  coppe  bellissime  d'arieoto, 
di  valuta  più  che  cinquecento  ducati,  le  quali  furono  del  5\ 
stanzo.  Et  furano  di  quelli  arientì  che  Sua  Beat*^  hebbe  ^cx  \ 
siitura  de  quella  illma  Madonna  dì  Pesaro:  et  uno  rinfrescatoìa  iit 
cristallo  con  molti  ornamenti  d*oro  et  arìento,  di  valuta  dì  ducati  mille. 
o  più,  el  quale  S.  Bcat^  hebbe  in  dono  dal  vescovo  dì  Castres  frift- 
cioso. 

In  questa  città  era  una  famiglia  che  si  chiamano  Della  Valle,  e 
quali  hanno  briga  mortale  con  un*jlcra  famiglia  di  qui  chiamata  Di 
Santa  Croce.  La  prima  era  adherente  con  casa  Colomna:  la  secoiKU 
con  casa  Urstna.  L'una  et  l*alcra  era  rìtenitore  di  quanti  sbioiiiti 
et  ribaldi  erano  in  questa  città,  et  stavano  in  modo  forti  in  casi,  che 
sanza  grande  sforzo  non  sì  sarebbono  potuti  cacciare  dalla  città.  Quod 
Della  Valle,  veduto  preso  il  prothonotarìo  Colomna,  la  nocie  sgoa- 
brorono  la  città  con  tutti  e  loro  partigiani,  et  simìlìter  sgombrorofin 
la  casa,  non  lasciato  in  casa  se  non  certe  vecchie.  N.  Signore  per 
estirpare  tutte  le  radice  ha  comandato  si  gìttino  in  terra  le  loro  case; 
et  cosi  continuo  si  gittone. 

Hiersera  al  tardi  vennono  .vii.  homlni  da  Marino,  castello  Je'  Co- 
lonnesi,  et  portorono  le  chiavi  di  decto  castello,  et  col  mandato  3d 
Comune  gìurorono  fedeltà  a  Nostro  Signore, 


Ibid.  id,  eisd.  Rome  .n.  iunii  1484. 

Magnifici  domini  priorcs  honorandi  commendatione  premissa  dc 
Per  la  mia  del  primo  advisai  V.  M.  quanto  era  successo  ocl  < 
dc^  Colonnesi:  di  poi  ci  fu  hierisera  al  tardi,  come  ci  duca  di  Cavi 
fratello  del  prothonotario,  era  in  Marino  con  alquante  gente  J*c 
et  fanti,  et  havea  mandato  ad  raccomandarsi  a  Kostro  Signore,* 
dire  che  de  la  persona  et  de  la  robba  sua  poteva  disporre  a  suol 
neplacìto. 

Questa  mattina  la  Santità  dt  N.  S.,  sotto  ci  governo  del  sig.Pl< 


//  diario  di  Stefano  Infessura 


635 


Orsino  et  dì  Lione  di  Monte  Scccho,  ha  mandato  circa  octanta  ho- 
aini  d*arma  et  circa  secento  fanti  per  dare  el  guasto  a  Marino  et 
rie  altre  terre  di  questi  Coionnesi  in  caso  che  non  si  arrendine:  et 
per  questo  si  iudica  che  lo  extirpare  affatto  questi  Colomncsi  harà 
pure  qualche  difficuhà,  come  per  la  mia  del  primo  vi  scripsi.  Di 
che  mi  è  parso  dare  notitia  a  Vostre  Magnitìcentie. 


Ibid.  id.  t'ìsd.  Rome  .un.  iunìi  1484. 

E'  Colomnesì  si  tengono  pure  forti  a  Marino:  et  dove  neirtiUima 
ia  dix;  essere  in  Marino  el  duca  di  Cavi,  voleva  dire  el  sìg.  Pro- 
pero.  Parmi  N.  Sig.  facci  venire  qui  quelle  genti  havevano  e  Ba- 
lioni  da  Perugia  per  seguitare  decta  impresa  contro  e  Colomnesì. 
Qui  nella  terra  a  tutti  e  loro  partigiani  è  stato  tolto   gli   officii  che 
Jiavevano  in  corte  et  sono  perseguitati,  chi  con  disfarli  le  case,  et 
ì  con  farli  ricomperare  qualche   somma   di  danari.  El  prothono- 
larìo  è  staio  esaminato  con  darli  la  stanghetta,  nò  da  luis^é  cavato 
cosa  di  fondamento:  non  se  gilè  dato  corda  per  cagione  d'una  fe- 
rita ha  nella   mano.  A  me   pnre  che  se  a  questi  Coionnesi  è  dato 
tempo,  che  questa  habia  a  essere  non  meno  pcrnitiosa   cosa  per  la 
lega,  che  si  sìa  la  guerra  del   reame,  se  U  inimici  danno   qualche 
auxilio  di  danari  a  li  predecti  Colomnesì,  et  è  la  cosa  in  luogo  che 
con  sicurt.i  et  con   honore  dì  N.  Sig'=  mal  si  può  ritirare  indrielo. 
Dio  sia  quello  che  provegga  al  comune  bisogno. 

El  sig.  Virginio,  questa  nocte,  con  alcune  gente  d'arme  e  ito  a 
pigliare  la  possessione  de  li   contadi  :  et  dì  quello   seguirì  ne   darò 
^Htiotizia  a  V^  Magnifìcentie  a  le  quali  mi  raccomando. 


Ibid*  id,  cisd,  Rome  .viir.  iunii  1484. 


Magnifici  dni  priores  honorandi,  comnienJatìone  premissa. 
Per  la  ultima  mìa  de'  .111.  advisai  V.*^  Magn."*  come  el  sìg.  Vir- 
i^ìnio  era  ito  con  alcune  gente  a  pigliare  et  contado  d'Albi  et  Ta- 
gliacoxo  per  forza:  per  noi  non  s'intende  di  poi  quello  sia  seguito. 
Le  gente  ecclesiastiche  ch'erano  ite  ad  campo  ad  Marino  sì  sono 
tirale  indrieto,  et  per  la  maggior  parte  si  sono  inviate  drieto  al 
^_*ig.  Virginio:  nò  credo  prima  si  offenda  a  Marino  che  la  impresa 
^Bde*  contadi  sia  tinita.  Quelli  dì  Marino  attendono  ad  segare  et  ri- 
^^porre  el  mietuto  in  Marino:  et  N.  Sig.  et  il  conte  attende  arragunare 
I  gente  insieme  per  quella  impresa  :  et  stimasi  ragiinerà  circa  .xvi.  squa- 
dre. Isto  interim  per  la  madre  del  prothonoiario  si  tracia  accordo 
^^^gi^^I.  Signore  et  col  conte  e  quali  non  se  ne  mostrano  alieni:  pure 


6^6 


O.   Tommasim 


o  non  ci  presto  feJc,  atteso  la  offesa  grande  a  la  natura  di  chi  hi 
offeso,  et  dubito  non  sia  praticha  per  adormentare.  Per  noi,  eoa 
quel  dextro  modo  si  può  non  si  obmeiie  cosa  alcuna  perch*^  ieoo 
accordo  habbì  luogo,  quamvis  el  come  con  noi  pocho  o  niente  eoo- 
ferisca  di  questa  praticha.  La  forma  de  Io  accordo  che  sì  tracia  bo 
intexo  variamente,  et  per  questo,  usque  io  non  habbia  la  cosa  eoa 
fundamento,  non  ne  darò  altro  adviso  a  V.  M. 

Per  altre  mie  vi  advisai  come  el  sìg.  Virginio  havca  dcposiud 
per  dare  al  prothonotario  circa  xiin,"  ducati,  e  quali  vanno  al  prt- 
sente  alla  MaestA  del  re.  Sua  Celsitudine  li  'havea  deputati  per  k 
prestanze  del  sig.  dì  Rimino  et  di  Pesaro  et  Feltrcschi:  panni  Uin- 
tentionc  del  sig.  conte  sia  che  sien  dati  al  duca  di  Caljbr; 
usque  nunc,  per  quello  intendo,  né  luna  cosa  né  laltra  ha  :m  ., 
fecto:  et  di  quello  seguirà  quamprimura  ne  darò  notitia  a  Voftrc  Sig*- 

El   prothonotario,  dopo  U  stanghetta  ha  hauto    le  stecche  St 
dita  et  a   lunghìe  et  il  dado  ali  nodi  del  braccio,    et   arrandcnjtoli 
con  una  corda  la  testa:  non  s'intende  quello  sì  habbia   ca- 
ci molto  segreto  sta  el  suo  processo.  La  madre  li  è   ita  a^  , 
et  per  quanto  lei  habbia  hauto  a  dire,  el  prothonotario  non  ha  con- 
fessato di  preiudicio  alcuno. 


Ibid,  id,  eisd,  Rome  .xi.  iunli  1484. 

Magnifici  domini  prìorcs  honorandi  commcndaiìone  premìsn  i 
L'ultima  mia  fu  de  .vai.  et  per  quella  advisai  V*  Magn''*  qu 
era  seguito  de  la  impresa  de'  Colomnesi.  Dipoi  merchoIeJl  ooatt 
successo  che  essendo  parte  de  le  gente  ecclesiastiche  in  Grofi 
rata,  che  è  una  badia  in  fortezza  del  rev.mo  S.  Pietro  in 
presso  a  Marino  circa  tre  miglia,  quelli  di  Marino  uscirono  fiM 
et  due  hore  innanzi  di  con  scale  et  per  una  certa  fogna  cntrort 
in  decto  luogo  et  trovorooo  quasi  ognuno  in  lecto  che  dormÌTiao: 
amazorono  nelle  stalle  circa  .xxv.  cavalli,  par  la  maggior  parte  d«l 
sig.  Paolo,  et  furono  ale  mani  con  li  Ecclesiastici.  Tandem  furono 
ributtati  di  fuori.  Micntedimeno  fu  mono  nella  mixtia  del! 
siasticì  Leone  da  Monte  Secco,  homo  dì  capo  et  molto  an 
conte,  et  era  fratello  di  Giovan  Battista  da  Monte  Secco.  La  mone 
sua  si  dice  variamente;  chi  dice  di  una  freccia  di  quelle  )ar|b( 
nella  gola;  chi  dice  di  uno  scoppietto  nel  petto.  Fu  cliam  prciO 
m.  Sinolfo  da  CastcUoctierì  cherìco  dì  Camera  et  commissario  tB 
N.  Sig^  in  quest.i  impresa,  et  menato  prigione  a  Marino.  El  sìg.  Piolo 
Orsino  et  il  sig.  Hieronymo  di  Tutiavilla  si  rifuggirono  nel  cjmp 
nile,  la  qual  fuga  fu  lo  scampo  loro.  N.   Signore  immediate  hif" 


//  diario  dì  Stefano  Infessura  637 


fece  fare  trecento  fanti,  et  non  solura  che  per  questo  non  sì  sia 
sbigottito,  ma  demostra  essere  molto  più  irritato  contra  decti  Co- 
lomncsì,  et  più  gagliardo  nella  impresa.  Ha  mandalo  Sua  Beat"  pel 
sig.  Virginio,  che,  lasciato  la  impresa  de*  contadi,  se  ne  venga  ad 
Marino,  dove  contìnuo  si  raguna  gente  ccclcsiastice  per  potere  cam- 
peggiare con  le  bombarde.  Et  fassi  per  li  Ecclesiastici  questa 
impresa  molto  facile;  che  cosi  piaccia  a  Dio  che  sìa  per  il  bene 
public©.  Io  Marino,  in  favore  de*  Colomnesi  ò  venuto  fanti  Aquilani, 
et  stimasi  sia  presidio  che  venga  dal  conte  di  Montorìo  el  quale  è 
molto  obblìgiito  a  casa  Colomna  per  li  gran  benefìcii  ricevuti  da 
papa  Martino.  La  Santità  dì  N.  Sig'  per  obvìare  a  questo  presidio 
ha  scripto  al  prefato  conte  che  sì  debbi  contenere  di  non  dare  adiuto 
a  Colomnesi,  alìter  procederà  contro  a  lui  con  le  censure  ei  in  tutti 
quelli  modi  potrà:  et  simìliter  ha  scripto  alla  Maestà  del  re  che 
debba  scrivere  alla  comunità  de  PAquila  et  al  predecto  de  Montorio 
che  non  prestino  alcuno  adiuto  a  Colonnesi  sotto  pena  de  la  di- 
sgratia  etc.  Che  se  per  questa  via  ^i  togliessi  a'  Colonnesi  quel  fa- 
vore, potrebbe  essere  la  impresa  sarebbe  facile  come  dice  N.  Sig.  et 
il  conte:  alìter  la  iudico  molto  dura.  Di  che  m' è  parso  dare  adviso 
a  Vostre  Magnìficentie. 

Ibid.  id,  dsd.  Rome  .xvi.  iunit  1484- 

Dimostrano  dubitare  Vostre  Magn"  che  per  queste  novità  de'  Co- 
lomnesi non  si  habbìno  a  ritardare  o  diminuire  li  provedìmentì  di 
Lombardia  :  et  ideo  m' imponete  eh'  io  faccia  ogni  istaotia  che  sìa 
possibile,  con  quella  dextreza  ricerca  la  materia,  dì  volgere  Tanimo 
di  N.  Signore  et  del  conte  al  sedare  queste  discordie  per  qualche 
modo  da  cordo:  et  quando  questo  non  si  possa,  non  sì  habbì  pi^rciò 
per  tale  cagione  ad  ritardare  o  diminuire  e  provvedimenti  in  Lom- 
bardia. A  che  vi  dico  el  dubio  di  V*  Sig'*  essere  mollo  ragione- 
vole: et  ideo  intendendo  noi  oratori  questo  inanzi  a  la  ricevuta  de 
la  vostra,  et  de  luna  cosa  et  de  laltra,  et  di  per  se  et  insieme,  ne  ha- 
biamo  facto  parole  et  ogni  pruova  con  la  Exc.  del  conte  :  et  quanto 
a  la  prima  parte  circa  Tacordo,  S.  Exc.  inanzi  succedesse  la  morte 
di  Lione  da  Monte  Seccho  ci  prestava  orecchi,  come  per  altra  vi 
scripsi:  doppo  decta  morte,  ritoccho  da  noi  più  volte,  non  solura 
non  ci  ha  prestato  horecchì,  ma  se  n*è  molto  crucciato,  adco  che 
dopo  la  ricevuta  de  la  vostra,  consultato  insieme  tra  noi  oratori  se 
era  bene  parlargliene  più,  havendo  hauto  simile  adviso  ci  raag"  dno 
Anello,  fu  intra  noi  concluso  che  non  era  de  directo  buono  ad  ra- 
gionarne, sed  incidtnter,  quando  si  vedessi  el  tempo  et  raptitudine 

Archivio  delia  R.  Società  romana  di  storia  patria»  Voi.  XI.  42 


O,   Tommasinì 


•ièm^*  r^vyaitepoiessmo  cadere  tali  ragìonimentì,  al*  bora  ciascuno 
t^iMae  la  sua  commissione.  Si  che  circa  questa  par.c^noD 

- :u  cim  Rlpon4ervì  se  non  che  veggo  indurato   ci  chore  òà 

i^MMie  n  id  coate  ad  seguitare  la  impresa,  et  11  Coloronesi  pia 
-^o.  .   :  ii^posti  ad  volere  perdere  lo  Stato  loro  honorevolmattt 

u,  _  i-^me  uua  parte  dacordo.    Quanto  a  la    seconda  pine, 

S*L  ^osto  non  volere   né   differire  né  diminuire  del  oa- 

i»L  .,:.:;  che  è  obligato  per  li  presidi!   de  ta  S*"'  Lega,  a- 

^,  ^  la  persona  del  sig.  Virginio.  Et  credo  veramente  nun- 

iì^ti-.  .  .  o  de  li  oblìghi  suoi:  perchè  queste  gente  che  N.  Si^ 
«i^v<.  4  .:;  questa  impresa  qua,  excepto  el  sig.  Virginio,  non  erano 
ttailb  te»  de  le  gente  ecclesiastiche,  et  per  quanto  ho  inteso  hoggl 
4il  ««crcMno  del  sig.  Lodovico,  N.  Sig'  di  nuovo  ha  condocao 
I^VMi  Bfeptista  Savello  con  cinquanta  homini  d'arme,  ci  quale  al 
paiMiKc  ^  con  la  Sig**  di  Vinegìa;  et  ha  S.  Exc*  mandato  e  daniri 
^Mt  U  ^tt.  Et  contìnuo  più  animosamente  si  dimostra  voler  faic  J 
igHBlO  c  obbligato  :  et  molto  più,  fìnìta  questa  impresa  de*  CoIomnesL 

fUtìL  a^  A$i.  Rome  .xx.  iuaiì  1484. 

MMgaiHci  domini  priores  honorandi,  commendadone  prctnissa  etc 
Btri  1 1  r  ■  al  tardi  venne  nuova  come  et  sig.  Virginio  bavcva  biud 
4g|&  Il  contadi,  excepto  la  roccha  di  Cervara,  la  quale  quam^is  tìi 
ik  li  cose  apartenente  al  sig.  Virginio,  nichìiomìnus  non  è  de  li  ccfih 
(«itt:  «t  per  questo  ha  licentiato  si  paghi  a  la  M^*  del  re  e  Jc"-  àit- 
^i  depositati  per  dare  al  duca  di  Calabria,  proraenendo  darli  4" 
pà  !f  A  it  tempo  convenuto  con  el  sig.  conte  :  et  a  questo  cffccto  » 
i|Miccìa  costi  una  staffetta  con  lectere  di  cambio  a  Filippo  Strotri  cbc 
gi^i  e  decti  .x°*.  ducati,  che  è  optimo  rìnfrescamento  a  Sua  E.\ceUenttt 

/Mi.  id.  tisd,  Rome  .xxv.  ìunii  1484. 

Magnifici  domini  priores  honorandi,  commendationc  prcmissa* 
Per  la  vostra  de'  .xxi.  V.  M'*  mi  cxonano  ad  adiutarc  per 
M^  li  può,  se  fusse  possibile  si  potessi  pigiare  qualche  formi  1 
^orJo  tra  la  Santità  di  N.  Sig*  et  questi  Colomnesi  :  ad  che  ti  dica 
i)M  per  tucti  questi  oratori  insieme  con  mecho,  et  dì  per  se,  qoaa^ 
iff<^Umo  ci  tempo,  non  sì  cessa  dì  battere  questo  chiovo:  nidù- 
lottittus  ìnsino  a  bora  s'è  facto  pocho  profìcto  :  et  bìcriscra  vc0U 
«iméA.  Matheo  da  Furh,  el  quale  per  altre  mie  vi  scripsi  essere  OfOr 
.(viijjrìo  in  campo,  con  certi  homini  da  Marino  per  tractare  iccontó 
.U  dare  quella  terra.  Non  so  che  frucio  si  faranno,  perchè  volcoA» 


//  diario  di  Stefano  Infessura 


539 


pò!  dare  quella  terra  sola,  liberare  le  altre»  sono  certo  faranno  po- 
tho  fructo:  con  ciò  sìa  che  io,  avendone  qualche  accenno  da  la 
kiadre  del  prothonotario,  la  proferissi  al  conte:  Sua  Slg*'  per  niente 
li  volle  prestare  orecchi.  Ingegnerommi  d' intendere  quello  seguirà, 
It  di  tucto  ne  adviserò  V.  M. 

ìnd^  id,  eisd,  .xxvi.  iunii  1484. 

E  Colonincsì,  Inteso  che  uno  figliolo  di  lacotno  Conte  era  andato 
n  Campagna  con  alcuni  hommì  d^arme  et  fanti;  et  dubitando  dì  non 
Perdere  quello  Stato  hanno  quivi,  et  maxime  Gliina:^ano;  et  vedendo 
pi  non  potere  tenere  Marino,  quello  hanno  abandonato  et  li  homini 
li  Marino  si  sono  dati  alla  Santità  del  papa.  Et  questa  mattina 
fui  B*  ne  ha  mandato  a  pigliare  la  possessione;  che  è  una  buona 
buova  per  questi  Romani,  che  dubitavano  che  tucto  el  Latio,  che  è 
|1  granaio  di  questa  terra,  non  potessi  sicuramente  fare  le  sue  ri- 
bolte. 

Intendesi  anchora,  ma  non  lo  afTcrnio  per  certo,  che  e  dectì 
uolomnesi  sgombrano  le  case  loro  che  hanno  in  Rocha  di  Papa;  che 
^are  segno,  o  di  volerla  abandonarc,  aut  di  non  credere  potere  re* 
^tere  alli  Ecclesiastici. 


flrid.  id,  eisL  .xxx. 


i.. 


lumi 


1884. 


Questa  mattina  fu  tagliato  la  testa  in  Castello  al  revdo  pro- 
Iponotario  Colomna,  cuius  anima  requiescac  in  pace.  In  su  la  terza 
bon  quattro  doppieri  fu  cavato  di  Castello  in  una  cassa  et  portato 
Id  una  chiesetta  quivi  apresso  al  Castello:  non  si  poteva  perciò  ve- 
dere il  corpo.  Et  fu  messa  decta  cassa  nel  meio  di  decta  chiesetta, 
jfoperta  d'un  panno  nero,  publice,  che  ognuno  vi  poteva  andare  ad 
rcderc.  Dìcesi,  la  madre  et  i  parenti  che  sono  qui  anderanno  pel 
porpo  per  honorarlo:  nichilommus  non  lo  so  certo;  di  quello  se- 
^tri  ve  ne  darò  notìtìa. 

I  Tornò  tre  di  fa  el  sig,  Virginio  da  li  contadi  con  gran  festa  de 
1^  parte  sua:  et  fra  due  di  sì  stima  insieme  col  conte  usciranno  in 
iSampo.  Non  si  lasciano  bene  intendere  se  anderanno  a  Roccha  dì 
^apa,  terra  dei  fratelli  del  prothanotario  Colonna,  aut  ad  Neptunno 
loMc  si  trova  il  rcvmo  cardinale  Colomna,  aut  ad  Cavi,  dove  si  truo- 
^ano  al  presente  e  fratelli  del  decto  prothonotario.  Tosto  se  ne  do- 
'erebbe  essere  chiaro  di  loro  ìntentionc,  de  ta  quale  darò  notitia  a 
^  Signorie. 


Storia  esterna  del  Codice  Vaticano 


DEL 


DIURNUS  ROMANORUM  PONTIFICUM 


'origine  e  le  vicende  del  prezioso  codice  che  con- 
tiene il  DlurutiS  Romanorum ponti fìcnnij  appartenuto 
un  tempo  alla  biblioteca  Sessoriana  di  S,  Croce  in 
Gerusalemme  e  custodito  ora  nell'archivio  segreto  Vati- 
cano, sono  ancora  involte  in  un'oscuriti  che  le  indagini 
dotte  e  pazienti  dell'  ultimo  editore,  Eugenio  De  Ro- 
zière  (i),  non  riuscirono  a  dissipare  completamente.  Rac- 
cogliere notizie  intorno  ai  possessori  del  codice,  riunire  le 
indicazioni  lasciate  dai  dotti  che  lo  studiarono  e  le  anno- 
tazioni dei  bibliotecari  che  lo  segnarono  nei  loro  ìndici,  e, 
risalendo  cosi  nel  passato,  cercare  di  avvicinarsi,  per  quanto 
è  possibile,  alla  origine  del  codice  e  di  determinarne  la 
storia;  ecco  lo  scopo  dei  presente  studio.  E  poichò  dalla 
storia  del  codice  non  può  disgiungersi  quella  degli  studi 
fatti  direnamente  su  di  esso,  cosi,  servendomi  delle  traccie 
tuttora  esistenti  o  di  cenni  e  racconti  di  alcuni  eruditi,  tenterò 
di  ricostituire  la  serie  degli  studi  fatti  su  quel  codice,  siano 
stati  essi  realmente  eseguiti  o  si  siano  arrestati  ad  un  punto 

(])  Liher  diurnus  ou  recueil  àes  formuUs  usiUis  par  ìa  chanc^lkrie 
pontifcaU  du  v*  au  xi*  siicU,.,,  par  E.  De  Roziére;  Parigi,  1869. 
Vengasi  U  nota  alla  p.  6S9. 


^42  L  Giorgi 

più  o  ineno  avinzato  dì  prepmzicmc.  Qwsaa 
prÌQdpalmente  a  cbùrìre  k  quesnonl  Lìsdate 
maestrale  prefazione  del  De  Rozjère,  ho  aDf 
sigilo  e  c^iriìuto  d«ll' illustre  prof.  Teodaco  toq  Sàsàà 
X^ienna.  Il  qu^Ie  jv^endo  ripreso  il  disegno  <E  na  Btffi 
edizione  éc\  Dmrms,  Lasciato  mterrooo  da!  compìaffwo  Ìr- 
tor  Dickamp^  e  s^uto  che  io  mi  occnpava  ddb  stom  da 
mjQOKtìtà  Sessorìanì  dì  S.  Croce,  voÙe,  eoo  corte»  pffi 
alla  doctrìna^  lasctare  a  me  le  ricerche  sulla  scoria  cstemiià 
codice.  Io  glieoe  ho  comimìcato  le  coQcIusìoaiy  dh'qgli  b 
riferito  nei  Ptckg^mefux  (i)  premessi  alla  duoti  sua  ci- 
zionc;  <ìui  ne  espongo  distesimeatc  il  cammmo  e  losfì- 
luppo« 


Cominciaiìdo  la  promessa  rassegna  a  ritroso  dai  tempi 
oosùi  Jd  dietro,  tnlasdando  di  parlare  degli  srudi  rcccaris- 
simi  del  Diekamp  e  del  Sickel,  de^  quali  si  troveranno  ampi 
raggu^li  nei  citati  Prolegomena  e  nella  nuova  edizione,  di 
quelli  del  DeRozière,  che  non  potè  vedere  il  codice  e  quanto 
potè  sapere  espose  nella  sua  prefazione,  di  quelli  del  car- 
dinal Pitra,  il  quale  ha  riprodotto  l'edizione  Gamier  del 
Diurnus  nel  voi.  CV  della  Patrologia  del  Migne  (a)  e  ne  ha 
trattato  brevemente  nei  suoi  Anahcta  novissitna  (j)\  frai 
dotti  che  studiarono  il  codice  delZ)i«rnM5  troviamo  primi  i 
nomi  del  Daremberg  e  del  Renan.  Incaricati  dal  Ministero 
d'istruzione  pubblica  di  Francia  di  fare,  insieme  ad  altri  studi, 

(i)  FroUgomcna  ^um  Liher  diurnus  L  von  Th.  R.  v.  Sickel  nel 
voi.  CXVII  delle  SitiungsberichU  dur  kaìs,  Ahdtmic  der  Wissemcbafl» 
in   Wien.  Philosopbische-historische  Classe. 

(2)  Tom.  CV,  col.  9-187. 

(5)  PiTRA,  Anakcta  novissima,  Spicikgii  SoUnnensis  dUra  coati- 
nuoHo,  I,  103-108. 


Storia  esterna  del  «  Diurnus  >» 


643 


ina  collazione  del  testo  del  Diurnus  dato  dal  Garnier  sul 
adice  gii  Sessoriano,  essi  vennero  in  Roma  nel  1850.  Cre- 
levano  che  il  codice,  appena  soppressa  l'edizione  dell' Holste, 
3sse  stato  tolto  dalla  biblioteca  di  S.  Croce  per  ordine  di 
Jessandro  VII,  e  che  nessuno,  meno  il  Mabillon,  Favesse 
iù  veduta.  Sapevano  in  modo  vago  che  stava  in  Vaticano, 
la  dove  precisamente,  ignoravano.  Si  rivolsero,  come  era 
laturale,  ;u  monaci  di  S.  Croce  in  Gerusalemme  e  IX  dal 
bibliotecario  D,  Alberico  Amatori  seppero  che  era  conser- 
tato neirarchivio  segreto  Vaticano (i). 

Che  i  due  dotti  francesi,  non  avendo  fatto  studi  spe- 
lali sulla  storia  del  codice,  lo  supponessero  trasportato  in 
'Vaticano  subito  dopo  soppressa  l'edizione  Holsteniana,  è 
cosa  che  fino  ad  un  certo  punto  si  comprende,  e  si  può 
pur  comprendere  come,  fermi  in  queir  idea,  non  ponessero 
mente  alle  parole  del  iVlabillon,  il  quale,  sebbene  non  lo 
dica  apertamente,  fa  intendere  abbastanza  bene  che  il  ms.  si 
trovava  sempre  in  S.  Croce  al  tempo  del  suo  viaggio  a 
Roma  (2),  Ma  è  strano  commessi,  che  certamente  conosce- 
vano YArchtv  del  Pcrtz  cosi  ricco  di  notizie  sui  fondi  di 
mss.  italiani,  anziché  cercare  11  la  notizia  del  luogo  dove 
era  custodito  il  Diiinms,  e  ve  l'avrebbero  trovata,  come  ve- 
dremo fra  breve,  si  rivolgessero  all' Amatori,  Il  quale  penso 
che  non  potesse  dar  loro  subito  V  indicazione  desiderata. 


k 


(1)  Archio&i  da  missions  srùntifqua  et  liiUrairei,  I,  243  t  sgg.  Il 
primo  volume  degli  Archivcs  é  divenuto  ormai  introvabile.  In  Roma, 
ch'io  sappia,  solo  il  sig.  marchese  Gaetano  Ferraioli  ne  possiede 
alcuni  fascìcoli  e  debbo  alla  inesauribile  cortesìa  di  lui  se  ho  potuto 
servirmi  della  relazione  Daremberg  e  Renan. 

(2)  Riavvicinando  il  passo  nel  quale  Mabillon  {ÌUr  Italicum,  p.  75), 
narrando  di  aver  potuto  fìnalraenie  trovare  il  codice  del  Diurnus, 
dice  ch'esso  aveva  appartenuto  aJ  Ilarione  Rancati,  col  breve  cenno 
che  dà  a  p.  90  della  Vita  del  Rancali  stesso  e  de'  codici  da  lui  rac- 
colti in  S,  Croce,  l'idea  che  si  presenta  prima  alla  mente  è  che, 
come  realmente  avvenne,  egli  trovasse  il  Diurnus  nella  biblioteca 
di  S.  Croce. 


/.  Giorgi 


f  fino  allora  che  il  Diurmis  si  trovasM 
oanaell'archivio  Vaticano.  In  una  lisudi 
pcrdud  dal  tempo  del  cardinal  Ocsozzì, 
X  ioit  Bibliotheca  membranacea  manuscripu 
^AWfi  nota  per  ultimo  il  Diumus  e  lo  dice 
ii^ìioteca  Vaticana  (i). 
anione  del  codice,  Daremberg  e  Renan  fe- 
1UÌ  liete  ricerche  intorno  al  Diunuts.  Videro  i 
•-■  I  dell'edizione  Holstenìana  (2)  del  celebre 
..irono   la  seguente   nota  scritta  di  maoOi 
Seaoat  su  quell'esemplare  :  I.  Ioacliim  Bess^^J 
"ucìs,  ex  dono  illustrissimi    abbuds   Comj»- 

li  cardinalis  Maresfusci.  —  Liber  iste  Diunuis 

ira  pontificum  rescriptus  funive  fuit  unius  nocris 
ex  codice  huius  nostrae   bibliothecae    Sanctic 
cum  eodem  Lucae  Holstenio  commodossec  P.  af^ 
^OL  Hìbrius  Rancatus. 

est,  quonìam  exempkria  huius  libri,  ne  pablì- 
x,  fuerunt  suppressa.  Notandum  tamen  quod^H 
'lastre  desuntquae  capite  primo  ab  Holstenio  pnB 
HMT  dTc:iSuscripttones,  quorum  tamen  in  mutilis  pri- 
mis alìqua  vcstigÌLi  reperiuntur,  sicuti  etquodcodei 
;  j(,iniiui.i>  absque  uHo  ordine  fere  continet,  cum  tamen  Hol- 
.  j^ifiiuin  (i'/r)  ensdein  per  materias  ordinaverit.  UnJe  Hol- 

.•  diarnus  Ri>manùrum  pontificum,  ex  ^uo  Lucas   /f 
...7  editionem  aìf  Abate  Hilarionc  Rancato  comodate  .•■■•■ 
ifi*  Bibliotheca  repericbatur,  modo  vero  asstrvatnr  in  Bibiitt^ 
.4.  Bvbl.  Nar.  Vitt.  Eraan.  cod.  Sessor.  554,  e.  285  r. 
'    Là  copia  deiredizione  di  Holste  donata  al  cardinale  fies^c^ 
.ite  poi   cardinale   Mario  Compagnoni   Marefotchi  e  dal  Bc- 
.i-v«:iata  a  S.  Croce  non  é  pervenuta  alla  Vìiiorio  Emamule* 
iS^fU  biblioteca  ha  una  copia  di  quell'edizione,  proveniente 
>«h«Ìo<cca  del  Collegio  Romano    ed  appartenuta    al  p,  Pietro  j 
'^sscggono  questo  raro  libro  anche  la  Vaticana,  TAng 
.  matense   di  Roma,  la  Palatina   di  Parma,  la  Fabronia 
.  la  Guamcriana  Fontaninìana  dì  S.  Daniele  del  FrìuU, 


Storia  esterna  del  u  T>iurnus  » 


H5 


stenius  sumpserit  laudatas  superscriptiones,  ipse  non  dicit 
et  ego  ignoro  », 

Senza  dire  di  alcuni  errori  di  trascrizione  grossolani  e 
asi  incredibili,  poiché,  ad  esempio,  non  è  da  supporre 
Ile  il  Besozzi  non  sapesse  scrivere  il  proprio  nome  e  quello 
el  card,  Marefoschi,  v'ò  un'osservazione  da  fare.  Se  Da- 
mberg  e  Renan  copiarono  dairesemplare  dell'edizione 
Holsteniana  di  S.  Croce  la  nota  autografa  del  Besozzi, 
come  mai  non  s'accorsero  ch'era  pure  di  mano  del  Besozzi 
l'altra  importante  nota:  «  Pretiosissimus  est  iste  codex,  etc.  » 
che  sta  innanzi  al  codice  e  che  fu  ugualmente  copiata  da 
loro  ?  Eppure  la  scrittura  grossa  e  inelegante  del  dotto  car- 
l  dinaie  ò  cosi  caratteristica  che  non  si  può  non  riconoscerla 
Ldfl  chi  l'abbia  veduta  anche  una  sola  volta. 
^H  Non  sodi  altri  studiosi  che  prima  del  iS^oefinoal  1832 
^■bbiano  consultato  il  D'mrniis  nell'archivio  Vaticano.  Nei 
^Brimi  giorni  del  1823  Giorgio  Enrico  Pertz,  che  da  due 
Hfinni  percorreva  T  Italia  cercando  materiali  e  notizie  pei  Mo- 
^^numcnta  GcrmanuUy  potò  penetrare  nell'archivio  Vaticano  e 
I  cominciarvi  le  sue  ricerche.  Merita  d'esser  riferita  la  breve 
ma  esatta  notizia  che  il  dotto  tedesco  di  del  Diurnns  nel 
I  volunie  V  àcW Archiv (^i^:  «  Der  zweite  undwcnn  ich  rich- 
«  tig  urtheile  fiir  die  Geschichte  wìchtigere  Theil  des  Ar- 
ti.  chivs  sind  die  Handschriften  oder  Urkundcnbùcher  von 
«  denen  ich  unter  andern  den  Liher  diurnus  Romarwrutn 
«  Pontifìctnu  sah,  und  die  Handschriften  des  Cencius  be- 
«  nutzte.  Jcner  ist,  Pergament  in  octav,  aus  dem  8"°  Jahr- 
«  hundcrt,  in  seincn  ersten  Blattcrn  selir  verletzt,  und  ver- 
«  dienc  eine  sorgfaltige  Vergleìchung  mit  den  Drucken,  um 
I  «  so  mehr,  als  in  diesen,  die  einzelnen  Bruckstucke  der 
L  «  ersten  Blàtter  willkurlich  zusammcngesctzt  zu  seyn  schei- 
^■it  nea 

^^     (i)  Àrchiv   der  Gescllschaft  fùr  ólUrc  Deutsche  Gcschichlskundc,  V, 


.'lorgt 


IL 


...  -ejolo  presente  cominciano  i  tempi 

...  Dùirmts,  Il  De  Roziòre,  abbauJoniU 

.'.  -T.'osso  fosse  trasportato  in  Variano 

.    - .  ^-0  VII  dopo  hi  soppressione  Jcll*ei- 

;,j  che  il  codice  seguisse  la  sorte  it^l 

,'  ■-■ce  trasportati  alla  biblioteca  Vaticani 

.  .:  •  ii  Xapolcone  I  del  3  settembre  rSii, 

-    Jrj  a  S.  Croce  dopo  la  restaurazione  i: 

.  '^'ggiunge  il  De  Rozicre  :  «  son  citic:ì:c 

-::jnnina  sans  doute  le  souverain  ponrifi' 

.  ians  ses  archives  »  (r).  Tale  con^itnim, 

-'avvicina  alla  vcriti  e  quasi,  dirò  coi,  '.^ 

•.:  non  la  raggiunge. 

•L;:ito,  in   cui  qualunque    indizio,  sebbene 

.   ■:-!si^mificante,  può   dar   molta  !::cc,  ò  r.c- 

,-;j    niiiiutamente    V  aspetto    cst.r:.^:.-  L- 


.'w,  di  (/"  170  Xt>'"  Ilo  senza  \i  lv.:.i:::r.. 

■  :;  colla  L*i2.Uiir;i.  Questa  si  com:\'r^  J."  ■..'■ 

.    ,  :  "ena  rÌtaL;liato  da  uno  pin  L;ranJv.  c':\j  ":":'■'■ 

..  '.'io  a  riciiprire  qualche  altro  vo!l::t;c,  C- '■'.- 

■,:  Ciro  due  piegature    clic    corrono  lìci  >^'> 

,■     :  atn'aver.so  alle  due  coperte  e  a!  Jor-^o.  N\;' 

...    •  :  l^W.x  prima  coperta  è  scritto: 

N     5 

H   h   h   h   h     97 

lix  Capsula  X 


Storia  esterna  del  «  n^iurnus  \> 


647 


5u!  dorso  nella  parte  superiore  fu  scritto  da  prima  di  mano 
rettolosa  e  trascurata  Diurnas,  la  qual  parola  è  ora  allo 
scoperto,  per  essere  lacero  e  consunto  negli  orli  un  cartellino 
in  carta  rossastra  che  vi  fu  appiccicato  sopra  posteriormente, 
Sul  canellino,  in  caratteri  stampatelli  maiuscoli  e  minuscoli 
Tacciati  a  mino,  è  una  scritta  della  quale  resta  quanto 
segue  : 

Code  I  '^CCX  I  I  I    *^iurnu  |    vom  P  |  ific 

Iella  parte  inferiore  del  dorso  è  scritto  di  mano  recentis- 
XI .  19.  Sopra  un  primo  foglietto  di  guardia  in  carta 
te  sono  le  seguenti  annotazioni  ; 

«  Cedex  i}S  I  Diiirnus  |  Romanorum  Pontijknm  \  Pretìo- 
sissimus  est  iste  Codex  scriptus  [  Longobardorum  tem- 
«  pore  fortassis  inter  j  septimum  et  octavum  seculum  d. 
^m        «  Pagina  6<)  sexta  synodus  que  habita  |  est  anno  68 1 
^M  dicitur  niiper   celebrata  |  ex  quo  inferri  potcst  coJicem 
^■k  scriptum  \  vel  sepdmo  scculo  vel  inchoantc  8*^». 
^B      L'ultima  c.irta  del  codice,  di  cui  non  resta  che  un  fram- 
^Bnento,  ha  nel  verso  la  segnatura  :  D  117. 
^P      Ragionerò  separatamente  di  ciascuna  di  queste  indica- 
zioni: 
^H       I.  A7.  /«?.  È  la  segnatura  presente  del  codice  apposta 
^Hi  mano  dell'attuale  sottoarchivista  D,  Gregorio  Palmieri. 
^■Corrisponde  al  catalogo  compilato  da  Pier  Donnino  De  Pretis 
'      custode  del!*archivio  Vaticano  (1827-1840).  L'annotazione 

Idei  catalogo  De  Pretis  è:  Armano  XI  i^,  Hoìslcnms  Diur- 
mus  Poniificnm  (i). 
I      2,  N  j,  i,  Hhhh  b  ^7,  4.  Ex  Capsula  X,  Queste  tre 
Sono  pure  segnature  d'archivio.  Della  prima  non  ho  trovato 
riscontro  in  nessuno  dei  cataloghi  ed   indici  dell'archivio 


(i)  La  segnaiurn  XI,  19,  e  rannotazionedel  De  Pretis,  HcIsUnius 
humus  Pontificumj  si  riferiscono  ad  un  esemplare  stampato  deircdi- 


6^S 


L  Giorgi 


Vaticano,  La  secon 

dei  documenti 

De  Bellini  intorno  al  i8jo. 

Diurnus  ; 


da  corrisponde  ad  un  indice  cronologico 

qucirarchivio  compilato  dal]*archivista 

Il  De  Bellini  registra  cosi  il 


et  H  h  h  h  h  Diurnus  Romanornm  Pontifìcum  qium  Lucas 
97         Holstenius  typis  mandaverai  cantra  votum 
Cardinalis  Botta,  D,  Garnerius  edidit  ». 

La  terza  è  pure  una  segnatura  d'archivio,  e  Ìl  prof.  Sickel 
crede  sia  stata  scritta  di  mano  di  Gaetano  Marini.  Si  ri- 
ferisce air/«(/fx  diplomatum  bullis  aureis  munitorum  dell'ar- 
chivio Vaticano, 

5.  Pagina  6p  scxta  synodus,  tic.  È  annotazione  di  uno 
studioso  che  ha  potuto  esaminare  tranquillamente  il  codice 
quando  era  ancora  nell'antica  sua  sede  in  S.  Croce.  È  di 
mano  del  dotto  abate  Gian  Colombino  Fatteschi,  cistcr- 
ciense anch'esso,  che  deve  aver  avuto  famigliariti  grande 
coi  suoi  confratelli  di  S.  Croce,  poiché  lasciò  gran  pane 
dei  suoi  mss,  all'abate  di  S.  Croce  D.  Sisto  Benigni. 

6.  Code  1  ^CCX  I  /  I  ^iiirnu  \  \om  P  |  ific.  È  una  se- 
gnatura dei  mss.  della  biblioteca  Sessoriana  sicuramente  pò-  . 
steriore  alla  morte  del  card.  Besozzi  (1755),  il  quale  aveva^f 
dato  a  quei  mss.  un'altra  numerazione.  Quale  fosse  questo  ^^ 
numero  romano,  ora  in  parte  illeggibile,  possiamo  sapere  ^j 
per  altra  via.  Quando,  sulla  fine  del  secolo  scorso,  era  in  ^| 
uso  questa  numerazione  in  cifre  romane,  un  bibliotecario  ^^ 
di  S.  Croce  compilò  una  lista  dei  mss.  col  titolo:  Codiccs  ^ 
biblioihecae  S"  Crucis  in  lerusalem  antiquiores  et  pretiosiores. 
E  fra  questi  è  notato:   u  CCCXVI  membranaceus  in   12 

zionc  di  Holste,  non  al  codice.  E  forse  resemplarc  a  stampa  era 
quello  col  frontespizio  dì  mano  di  HolsCe,  di  cui  porla  Zaccaria 
{Bibliothcca  rituaìis,  II,  n;  Dissertatio,  p.  ccLUi)  dicendolo  appar- 
tenuto al  Marini.  Probabilmente,  smarrito  o  spostato  il  volumetto 
impresso,  ìl  posto  e  la  segnatura  di  esso  sono  stati  attribuiti  ol 
dice. 


4 


1 


4 


Sioria  esterna  del  a^iurnus» 


649 


«  charactere  longobardico  intcr  vn  et  viii  saeculum  exa- 
«  ratus  in  principio  et  in  fine  tineis  et  antiquitate  corrosus. 
«  Est  Diurnus  Romanorum  Ponrificum:  Vide  15  A  »  (i). 
Tutto, infatti  corrisponde.  In  un  prospetto  topografico  della 
collocazione  de'  codici  Sessoriani,  compilato,  sempre  sulla 
fine  del  secolo  passato,  dal  bibliotecario  Cipriano  Treve- 
gari,ò  notato  che  il  palchetto  A  dello  scaffale  15  era  occu- 
pato dai  codici  numerati  CCIC-CCCXXXVI.  Com'è  natu- 
rale, il  primo  e  più  alto  palchetto  (A)  conteneva  tutti  codici 
di  piccolo  formato  cotne  il  Diurnus,  e  la  maggior  parte  di 
quei  codicettì  si  trovano  ancora  nel  fondo  Sessoriano  della 
Vinorio  Emanuele,  anzi  alcuni  d'essi  hanno  ancora  i  car- 
tellini rossastri  simili  a  quello  del  Diurnus  e  portanti  numeri 
fira  il  CCIC  e  il  CCCXXXVI.  Ma  in  qual  tempo,  dopo 
la  morte  del  card.  Besozzi,  sia  stata  data  ai  mss.  Scssoriani 
tale  numerazione  in  cifre  romane  non  può  esattamente 
determinarsi.  Nel  codice  CCCIII  -  uno  di  quelli  del  pal- 
chetto A  dello  scaffale  ij  -  ò  notato  che  fu  donato  a 
S.  Croce  dulFabate  Ripamonti  il  26  aprile  1783;  e  cosi, 
salvochè  fosse  stato  fiuto  uno  spostamento  per  far  luogo 
al  ms.  donato  dal  Ripamonti,  è  da  credere  che  la  nume- 
I  razione  sia  posteriore  al  26  aprile  1785.  Inoltre,  in  un  rozzo 
j  e  incompleto  indice  alfabetico  dei  testi  contenuti  nei  mss. 
Sessoriani,  al  tempo  in  cut  essi  avevano  questa  numera- 
zione in  cifre  romane,  scritto  dalla  stessa  mano  dell'elenco 
I  dei  Codices  aniiquiorcs  ti  pretiosioreSy  è  notata  una  miscel- 
lanea contenente  scritti  riguardanti  cose  politiche  evctitusque 
qui  Romae  conìì^crnni  (2).  Con  queste  sole  indicazioni  non 
m'è  riuscito  d' identificare  la  miscellanea,  la  quale  doveva 
•   portare  il  numero  CCLXXII  ;  ma  se,  com'ò  probabile,  essa 

f  (i)  Bibl.  Naz.  Vitt.  Eman.  cod.  Scssor.  490,  e.  214  r. 

I  (2)  Miscdlan^a  ccntimns  nonnulla  ad  Rem.  Ecch-siam^  summum  Pon- 

iifium  ei*entusque  qui  Romac  coniigcTuni  spulaniia  2^2.  Bibl.  Nax.  Vitt. 

Eman.  cod.  Sessor.  490,  e  194  v. 


le    Qon    bibliogcihcmijdacs 

compiuto  che  ha  v^ro  valore  di  documento. 

7.  Coikx  nS.  8.  Prctiosissimus,  etc,  Gioacchino  Besozzi, 
abate  di  S.  Croce,  poi  cardinale,  uomo  dotto  e  assai  be- 
nemerito della  biblioteca  Sessoriana,  scrisse  queste  due  note. 
>fel  fondo  dici  mss.  Sessoriani,  che  aumentò  di  molti  e  pre- 
gevoli, il  Besozzi  fece  ere  lavori.  Stabili  una  nuova  nume- 
razione, non  potendo  più  servire  Tantica  forse  per  le  lacune 
sopravvenute.  E  compilò  due  cataloghi  illustrativi,  uno  di 
142  de'  più  insigni  mss.  ranto  membranacei  che  cartacei, 
l'altro  di  58  mss.  di  minore  importanza  e  quasi  tutti  di 
nuovo  acquisto  (:)•  Ma  nessuno  dei  due  cataloghi  conti^ie 


(i)  Uno  ò  il  Coti.  S^ssor.   4.^3  intitolato:  Nottu  i^óntum  quadra- 
i^inta  duo  in  St^soriancs  :odÌces,  Toltro  <^  il  cod.  Seasor.  486  intitolata: 


Slon'a  esterna  del  *tT)iurnus  » 


6ji 


una  sola  parola  intorno  al  Diurnus,  Nò  è  difficile  ìmmagi- 
-_  nare  la  ragione  per  la  quale  l'opera  del  Besozzi  sul  Diurnus 
sì  limitò  ad  apporvi  il  numero  ij8  e  la  nota  Pretiosissi- 
mus,  tic.  Il  Besozzi,  bibliotecario  diligentissimo,  non  poteva 
lasciare  senza  il  numero  nuovo  un  codice  cosi  insigne,  e  con 
quella  nota  volle  avvertire  i  suoi  successori  del  pregio  sin- 
golarissimo di  esso,  ma  non  volle  comprenderlo  in  alcuno 
dei  due  cataloghi,  e  non  senza  ragione.  Avrebbe  dovuto 
parlare  diffusamente,  com'era  suo  costume,  del  contenuto 
e  dell'importanza  del  codice,  delle  edizioni  dell'Holste  e 
del  Garnier,  delle  cause  per  le  quali  la  prima  era  stata  sop- 
pressa, e,  quello  che  ò  più,  in  uno  scritto  destinato  ad  an- 
dare per  le  mani  degli  eruditi,  parlare  dell'esistenza  d'un 
codice  che  la  Sessoriana  doveva  custodire  come  un  tesoro, 
ma  sul  quale  è  certo  non  doveva  piacere  ai  monaci  di  ri- 
chiamare di  nuovo  l'attenzione  degli  studiosi.  Su  questo 
punto  è  pur  da  osservare  che  la  massima  parte  dei  mss.  Ses- 
soriani,  siano  o  no  compresi  ne'  due  cataloghi  del  Besozzi, 
portano  nei  fogli  di  guardia  numeri  e  annotazioni  simili  di 
mano  di  lui. 

9.  Diurnus  Romanorum  Pontificnm.  Questo  titolo  non  è 
di  mano  del  Besozzi,  che  anzi  la  nota  Pr^//Vi^i;mK;  v'ostata 
scritta  appresso  da  lui  come  illustrazione  del  titolo  stesso. 
Non  è  di  mano  dell'abate  Ilarione  Rancati  o  dell'abate 
Franco  Ferr.iri,  i  quali,  come  si  vedri  in  seguito,  chiama- 
rono costantemente  il  codice  Formularium  Pontificum.  De- 
v'essere stato  scritto  negli  ultimi  anni  del  secolo  xvn,  pro- 
babilmente dopo  la  visita  de!  xMabillon  a  S.  Croce. 

10.  D.  iij,  È  la  numerazione  che  portava  il  codice  al 
tempo  del  Rancati,  e  il  trovarla  scritta  nel  verso  del  fram- 
mento dell'ultima  carta,  prova  che  allora  il  codice  era  privo 
di  legatura.  Della  storia  del  codice  al  tempo  del  Rancati 


Kctac  cbronolo^^cac,  historìcae  et  criticac  in  manuscripta  Sessoriana,  Sono 
ambedue  autografi  licl  Besozzi. 


6jt  L  Giorgi 

paricri  tn  seguita;  frattanto  giova  stabilire  cheUlctraiD 
non  è  un'  ^ibbrvvÌAzion^  delli  parola  Diurnus  scooosóii 
.il  KiitK'uti.  1114  rivcU  un'iacenczza  nell*apporre  la  «epa- 
tura»  I  codici  del  Rancaci  cmn  divisi  in  due  saie,  otu 
di  i  \S  sci;nat.i  coti  numcrij  l'altra  dì  54  con  lertere;  prr 
t>i4biliucn{v  a!  Diurmis  s^i  stata  assegnata  priau  una  k&* 
torà,  poi  il  numero  che  riterme  in  seguito» 

Da  quanto  Ito  Jvtto  mtorao  a  questi  segni  «sterìon, 
mi  pare  si  posAa  concludere  sicuramente  che  il  codice  s 
trovAva  ancora  a  Sanw  Croce  negli  ultimi  anni  del  se- 
culo  xvui.  È  da  vedere  se  il  tempo  del  trasporto  affar- 
fhlvio  Vaticano  possa  essere  determinato  con  maggìoie 
csattowta.  Per  ciò  il  De  Rozi^re,  come  ho  accennato^  prende 
come  punto  di  partenza  il  decreto  imperiale  del  5  otto- 
l>rc  iHn  (l)*  Sebbene  quel  decreto  non  riguardi  le  biblio- 
teche, c^:no  b  che  i  mss*  Sc^oriani  socco  l'ara  mrnistraziooe 
francc.sie  furono  trasportali  alla  Vaticana;  ma  certo  é  pure 
che  ol  tcnìpo  del  trasporto  gi:\  fra  essi  non  si  trovara  più 
il  Diurfms,  Nella  prefanone  ai  Regesti  di  Cìemmu  l\  è 
stata  starapatA  recentemente  la  rcLizione  di  aaonsìgnor  Ma- 
rino Marini,  nipote  e  suL\'essore  di  Gaetano  Marini,  intomo 
alli  riconsei;na  e  a!  via^^io  dì  ritorno  a  Roma  deU'ai- 
chivio  segreto  Vaticano,  il  quale,  com'è  noto,  era  stato 
trasportato  per  intiero  a  Parigi  per  ordine  dì  Napoleone  I 
e  fu  restituito  dopo  la  restaurazione.  Ora  fra  i  cimeli  più 
importanti  de*  quali  vanta  la  ricuperazione  il  Marini  nel 
suo  rapporto,  ò  il  Lihcr  Jinrntis  (2),  Il  quale,  dunque,  è 
evidente,  faceva  parte  dell'archivio  segreto  Vaticano  prima 
che  questo  andasse  in  Francia.  Cosi  il  tempo  del  trasporto 
del  Dittrmis  airarchivio  Vaticano  deve  limitarsi  fra  gli  ul- 


(i)  Il  decreto  dei  3  settembre  1S81  inserito  nel  BulUtin  des  his 
(serie  IV,  n.  590,  decr.  n.  7218)  sì  riferisce  agli  archivi  delle  cor- 
porazioni soppresse  nei  dipartimenti  dì  Roma  e  del  Trasimeno. 

(2)  Rigtsìa  Ckmentis  V,  I,  CCXLnc. 


Ì rissimi  aani  del  secolo  xvitr,  epoca  in  cui  esso  compare 
Cora  fra  i  Codices  antiquiores  ci  pretiosiorcs  di  S.  Croce, 
I    1810,  anno  del  trasporto  deirarchivio  a  Parigi.  Ma  è 
cora  possibile  una  più  precisa  determinazione  di  tempo 
di   circostanze,   se  sì  rifletta,  che,  secondo  ogni  proba- 
DuitA,  fu  autore  o  consigliatore  del  craspono  del  Dìurnus 
Gaetano  Marini.  A  lui,  come  a   tutti  gli  eruditi  del  suo 
i^enipo,  doveva  esser  nota  in  genere  V importanza  del  D'utr- 
^■5,  e  v'ha  di  più  il  fatto  ch'egli,  versatissirao  in  tutto  ciò 
■5ne  riguardava  la  storia  del  papato,  conosceva  o  possc- 
eva  (i)  la  copia  dell'edizione  Holsteniana,  che  aveva  ap- 
tenuto  allo  stesso  Holste,  e  nella  quale  si    trovava  il 
»ntespizio  di  mano  di  lui  e  il  giudizio  autografo  del  car- 
iai Bona,  che  provocò  la  soppressione.  Di  più,  il  Marini 
sva  posto  quella  copia  a  disposizione  dell'amico  suo  Fran- 
Sco  Antonio  Zaccaria,  e  questi  se  n'era  largamente  ser- 
io per  la  dissertazione  sul  Dittrmis,  pubblicata  nel  voi,  2° 
Ila  Bihliotheca  ritualis,  cosicché  egli  doveva  essere  per- 
tamente  al  corrente  delle  ragioni  per  le  quali  fu  soppressa 
lizione  di  Holste,  L' importanza  intrinseca  e  randchiti 
pi  codice,  la  lunga  storia  delle  controversie  ch'esso  aveva 
scitato  e  della  soppressione,  l'interesse  che  doveva  avere 
•  Santa  Sede  a  custodire  essa  l'unico  codice  antico  su- 
stiie  dell'antichissima  raccolta  di  formolo  della  cancel- 
la pontificia,  i  pericoli  che  in  quegli  anni  di  rivolgimenti 
alitici  correvano  i  Ubri  e  i  manoscritti  delle  chiese  e  dei 
inventi,  sono  ragioni  più  che  sufficienti  per  render  pro- 
ibile  la  congettura,  la  quale,  se  non  erro,  è  confermata 


(i)  Malgrado  l'asserzione,  del  resto  non  troppo  esplicita,  di  Zac- 
caria {piturlaiiOy  p.  ccLUi),  mi  pare  assai  più  verosìmile  che  il  pre- 
xìoso  esemplare  a  stampa  col  rrontcspìzio  autografo  di  Holste  e  il 
giudizio  del  card.  Bona  app:irtencsse  aU'archtvio  Vaticano  anziché 
al  Marini.  Si  ricordi  Tannotazìone  del  catalogo  De  Pretis  e  quella 
più  significativa  del  catalogo  De  BelLlni,  le  quali,  a  parere  del  Sickel 
^niio,  si  riferiscono  a  quell'esemplare. 

Archivio  della  R.  Società  romana  Ji  storia  ^tria.  Voi.  XI. 


^54  ^'  Giorgi 

da  un  appunto  scritto  dal  Marini  sulla  sopraccoperta  d'uni 
lettera  esistente  ora  alla  e.  982  del  cod.  Vaticano  9114. 
Il  Marini  annota:  «  Ho  veduto  ed  esaminato  il  L.  diurno 
«  che  stava  in  S.  Croce ...  ed  ora  è  deirarchivio  Vaticano». 
Certo  non  dice  d'averlo  fatto  trasportare  esso,  ma  questo 
non  è  strano  in  un  appunto  d'uso  personale,  scritto  in 
fretta  da  un  uomo  della  modestia  del  Marini.  Nel  diritto 
della  sopraccoperta  è  T indirizzo:  «  Al  cittadiao  abbate Gac- 
c  tano  Marini, bibliotecario  ed  archivista  vaticanOD,  cosicché 
se,  com'è  più  probabile,  la  noterella  è  srata  scritta  poco  dopo 
ricevuta  la  lettera  cui  appaneneva  la  sopraccoperta,  il 
sporto  del  Dinrnns  in  Vaticano  verrebbe  a  cadere  p; 
mente  nel  breve  periodo  della  prima  Repubblica  Ro 
cioè  dal  15  febbraio  1798  al  30  settembre  1799.  Il 
rini,  che  salvò  l'archivio  di  Castel  S.  Angelo, 
tandolo  in  un  giorno  in  Vaticano,  pose  in  sicuro,  io 
forse  nel  tempo  stesso  il  Diurnus,  provocando  una 
luzione  per  la  quale  fu  trasportino  da  S,  Croce  nell'an 
Vaticano  (i). 


(i)  Alla  p.  107  del  suo  Commentario  dc^li  aneddoti  di  Gì 
Marini,  Marino  Marini  fa  merito  allo  zio  del  ritrovamenio 
copia  del  Diurnus  «  scritta  di  mano  delI'OIstenio  in  una  sola  notte  <. 
La  cosa  gli  sarebbe  stata  narrata  dal  can.  Baitagllni  cui  Tivrebbe 
più  volte  ripetuta  il  card.  Zelada  e  confermata  Gaetano  Mirini 
stesso.  E,  non  contento  di  queste  testimonianze,  cita,  male  a  propo- 
sito» i  passi  di  Zaccaria  relativi  all'cscmpUre  impresso  del  DxMims 
col  frontespizio  autografo  di  Holste  e  alle  noie  pure  autografe  £ 
HoUte  possedute  dal  Zelada.  Ma  è  chiaro  che  Marino  Marini,  ignaro 
della  non  facile  bibliografia  del  Diurnus,  confonde  stranamente  le 
cose  e  non  comprende  ciò  che  dice  Zaccaria.  Vedremo  più  tardi» 
è  possibile  che  Holste  copiasse  in  una  notte  il  Dinmui,  ma  ad  ogfli 
modo,  fatta  o  no  in  una  notte,  l'esistenza  della  copia  aotogrifi  Ji 
Holste  è  un  fatto  nuovo  e  della  più  grande  inverosimigUjuLU.  5c 
in  tanta  confusione  è  lecito  avanzare  una  congettura,  s  racconti  t)d 
Battaglini,  del  Zelada  e  dì  Gaetano  Marini  stesso  si  riferiscono  «1 
trasporto  del  codice  del  Diurnus  da  S.  Croce  all'archìvio  Vaticafto- 


Storia  esterna  del  «  ^lurnus  i 


iti 


III. 


Sebbene  custodito  con  cura  tanto  gelosa  da  far  credere 
che  si  volesse  dtssìmubrne  l'esistenza,  pure  il  codice  del 
DtnrnuSy  prima  del  trasporto  in  Vaticano,  non  rimase  cosi 
celato  nella  lontana  e  poco  accessibile  biblioteca  di  S.  Croce, 
che  dì  tratto  in  tratto  non  riuscisse  d'esaminarlo  e  studiarlo 
a  dotti,  specialmente  ecclesiastici,  di  gran  fama  e  di  nota 
prudenza. 

Non  è  possibile  che  il  Marini  non  lo  abbia  esaminato  an- 
die  prima  del  trasporto  in  Vaticano;  certo  deve  averlo  stu- 
diato e  probabilmente  collazionato  per  intiero  Tamico  di  lui 
I  Francesco  Antonio  Zaccaria,  il  quale  aveva  preparato  una 
nuova  edizione  del  Diurwts,  che  poi  non  si  decise  a  pubblicare, 
e  di  cui  resta  solo  la  prefazione  generale  nella  dissertazione 
inserita,  come  ho  già  accennato,  nel  voi.  2"  della  BihVtoibeca 
ritualis  edito  nel  lySr.  Per  un'altra  edizione,  che  poi  ri- 
mase allo  stato  di  disegno,  fu  collazionato  il  codice  sul 
principio  del  secolo  xvnt:  quella  che  si  proponeva  di  fare 
il  gesuita  francese  Daville.  Giusto  Fontanini  e  Domenico 
Passionei  lavorarono  insieme  alla  collazione  pel  Daville  (i)', 
dell'opera  loro  è  rimasta  qualche  traccia  nel  cod.  Otrobon. 
Vat.  3142,  che  contiene  pochi  passi  e  qualche  variante  del 
Diurnus,  preceduti,  alla  e.  84  r.  dalla  seguente  nota  di 
mano  del  Passionei  :  «  Alcune  varie  lezioni  del  diurno  che 
a  si  trova  ms.  nella  libreria  di  S.  Croce  in  Gerusalemme  in 
u  Roma.  —  I!  libro  suddetto  fu  intieramente  collazionato 
«  da  me  insieme  colPabate  Fontanini  e  lo  diedi  a  un  certo 
tt  padre  Diauille,  giesuita  francese,  affinchè  lo  stampasse, 
«  ma   egli  Immortttus   est   operi.   Questi  sono  poclii   fogli 


(i)  Galletti,  Mcmorù  per  servire  alla  vita  del  caràinaU  Dotmmco 
Passionei,  Roma,  1762,  p.  19;  Èlo^e  hisìorique  de  M.  k  cardinal  PaS' 
^Ofui,  La  Haye,  1765,  p.  9. 


fibo 


ù  può  ugy' 
ddtt£not0 
da  Iv  pcb 

éA  Dimrmm  ptt  nstùa 
fimaiic  lapiovtad 
ddbbtUiows  Go- 
di GtttdgmkUb  (3> 
l|ìfcM|wmm  dttstttfai 
ddGanuereti 
ttcssdcie 


►  4ora7oXo^*ttt 

tit  lesto  del  JMraf 

L  indice  ddlefennd^ 

DIVKSVS  PONTIFICVM 

sive  vetus 

FORMVLARVM    LIBER 

qiio  sancta  Ro.  Ecclesia 

onte  annos  mille  utebatur. 


^t"*  Tc^  I*.»>*.--  ScHOEPFLix,  ComtiuntatioHts  historicae  d  critìidi; 
'S4s>d<!t^  t*4.t.  ViCii  c'^twrt'oftVKtì  premesse  alla  sua  collaiione  dell'cd 
mI  Hciijai  cvnt'^ccCi  ii  Gomier,  j>p.  499-501,  Schocpfìin  non  affcnn» 
^x^^ictiirtKtc:  Sx"^T  consultato  il  codice;  ma  poiché  dice  dì  esso: 
%  ^i«  ulc  ■Jic'Jirc'ctniceus  venerandae  anùquitatis,  scrìptus  forma  quam 
A  ^vvaiK  .vtLiviriu  extjtque  adhuc  hodie  inter  codices  Cistercìenses 
«  S*  C^4<':^  socolium  Romae  »,  e  narra  d*aver  veduto  a  Roma  nn 
<^MMt»Un:  Jc','.i  HoL>:en:ana  presso  il  Fontanìni  e  uno  presso  il 
\  j;fN*iiv  ^  is?a:  probabile  che  lo  abbia  esaminato. 

^ì"»  lVìK"*o  alla  cortese  mediazione  del  presidente   della  Sodeti 


Storia  esterna  del  nT>{urnusn 


Il  codice  contiene  inoltre  il  testo:  AVXILII  PRESBY- 
ERI  prò  Formosi  Papae  eiusgut  ordinationum  defetisione 
BER, 

Il  codice  di  Castel  Gandolfo,  segnato  M.  V.  9,  appar- 
nuto  un  tempo  al  card.  Giuseppe  Maria  Tommasi,  è  car- 
.ceo,  di  0™  267  X  o"  191,  di  più  mani  della  fine  del  se- 
llo XVII  0  dei  primi  anni  del  xvni.  Contiene: 

i"  (e.  1  r)  Un  frammento  della  tavola  delle  formole 
econdo  redizione  di  Holste  (form.  XXXIV-LXVI); 
2°  (e.  n  r)  Un  brano  di  note  al  Diurnus  consistenti 
richiami  alla   collezione    di    canoni  di    Deusdedit,  alle 
[cttere  di  Gregorio  I  e  Gregorio  II  e  ad  Origene; 

3**  (e.  ni  r)    L'Index  formular um  codicis  tnannscripti 
tiquisshni,  copia  incompleta  dell*  indice  mandato  da  Hol- 
;e  al  Sirmond; 

4"  (e.  I  r)  Il  titolo  DIVRNVS  PONTIFICVM  etc, 
:n  tutto  simile,  salvo  qualche  lieve  variante  ortografica,  a 
quello  del  codice  Vaticano  ^8f8; 

5**  (e.  2  r)  L'Ordo  diurni^  indice  delle  formole  al-' 
quanto  diverso  da  quello  del  codice  Vaticano  6818; 

té"  (e,  6  r)  Il  testo  delle  formole; 
7°  (e,  9j  r)  Le  note  illustrative. 
La  parentela  fra  questi  due  manoscritti  è  evidente:  non 
inutile  indagare  in  che  precisamente  concordino  e  in  che 
ifieriscano. 
Il  titolo,  eguale  in  ambedue,  differisce  da  quello   che 
[ciste  voleva  dare  airedizione  sua   per   la   sostituzione 
elle  parole  Formulanim  Lihtr  alla  parola  Formulurium,  La 
successione  delle  formole  tanto    nQÌÌ'Ordo  diurni  che   nel 


^su< 


nostra,  comm.  Oreste  Tommasìni,  e  al  benevolo  concorso  del  pre- 
fetto di  Roma  e  del  sindaco  dì  Castel  Gandolfo  la  comunìcizione 
di  questo  codice  che  ìi  De  Rozìère  conobbe  solo  per  un  brevissimo 
cenno  datone  dal  Trova  nel  suo  Discorso  dilla  condi^iom  de'  Romani 
vinti  da'  Longobardi,  Milano,  1844,  p.  y$. 


6j8 


/.  Giorgi 


testo  è  quasi  uguale  nei  due  manoscritti  ;  le  prime  30  for- 
molo si  seguono  in  ambedue  coli' ordine  stesso  dell'etlidooc 
Holsteniana,  colla  sola  differenza  che  il  Vaticano  esclude 
e  quello  di  Castel  Gandolfo  include  le  formole  8,  aé,  2" 
di  quell'edizione;  circostanza  notevole,  perchè  quelle  fw* 
mole,  non  esistenti  nel  codice  di  S.  Croce,  furono  preaB 
la  prima  da  Dcusdedlt,  le  altre  due  dalle  lettere  di  Gre- 
gorio  1  e  inserite  da  Holste  nella  sua  edizione.  In  ambe- 
due i  manoscritti  vengono  appresso  22  formole,  non  J^ 
condo  l'ordine  di  Holste,  ma  secondo  quello  del  co&u 
di  S.  Croce;  poi  dalla  formoh  Episcopo  de  ordinando 
Uro  fino  alla  fine  si  riprende  in  ambedue  l'ordine  d 
zione  di  Holste,  Cosi  il  ms.  Vaticano  ^818  ha  lo^foraiolej 
mancandovi  le  tre  sopradette;  l'altro  di  Castel  Gaadolfo, 
che  contiene  quelle  tre,  ne  ha  in  tutto  109,  numerate  erro- 
neamente loS  perchè,  per  una  svista,  è  rimasta  scnn 
numero  la  fonnola  de  aliare  dedicando. 

Non  è  nell'indole  di  questo  studio  una  minuta  analisa 
del  testo  delle  formole  nei  due  mss.  che  è  pressoché  uguale; 
dirò  solo  che  da  alcuni  confronti  eseguiti  qua  e  là  rissiti 
ch'esso  è  stato  fissato  prendendo  per  base  il  codice  & 
S.  Croce  e  adottando  per  qualche  lacuna  o  per  quildic 
dubbio  la  lezione  di  Holste.  Un  particolare  notcvolissiino 
e  che  prova  lo  studio  posto  nel  riprodurre,  per  quanto  eia 
possibile  esaitameiue,  il  testo  del  codice  antichissimo,  lo 
troviamo  nelle  parole  finali  dell'ultima  formoli  (XCIX 
dell'ed.  De  Rozière).  Quantunque  nelle  poche  copie  dei- 
l'Holsteniana  messe  in  circohizione  sotto  Benedetto  XIH 
l'ultima  formola  non  sia  la  XCIX  dell'ed.  De  Rozière  colh 
quale  l'Holste  voleva  chiudere  Tedizione,  pure  sappiamo 
con  certezza  che  di  quella  formola  incompleta,  pere 
codice  di  S.  Croce  ò  mutilo,  THoIstc  non  leggi 
in  là  delle  parole  quae  reguìariUr.  Invece  nel  ms. 
cano  6818  le  parole  (jtiae  regulariler  son  seguite  dalle 
in  psalmis . . •  dea  salvatori., .  vigilias  excubias;  nel  ms.  di 


Storia  esterna  del  «  ^turnus  » 


6s9 


Castel  Gandolfo  da  queste  :  in  psalmis  et  hymnis  Domino 
"ìco  salvatori  nostro  decantandis  vigiks  exciilnas  a^uut.  Tutto 
3ò  si  spiega  agevolmente  esaminando  il  codice  di  S.  Croce. 
'Colle  parole  qtuu  rcgularltcr  finisce  la  e.  loi  v,;  della 
carta  102  resta  solo  un  frammento  scritto  da  ambe  le  parti 
e  che  Tumidità,  la  quale  consumò  il  rimanente  della  carta, 
rese  quasi  illeggibile.  Eccone  la  lettura  più  probabile: 


[e.  102  r]. 
in  psalmis 
deo  saluatori 
uigiles  e&cubias 
lentiis  exterioribus 
iugiter  ualeant  piis 
ficia  in  cccl  ìli  ex^ 
constai  tua  rei 
uUegiì  apostol 
postular 
tioncs 
que  h 
te 


[e.  102  v]. 

vel  cuncta  con 

sa  in  unum  per 

deo  Uudes  persolue 

sicut  a  deo  sibi 

uit  s..  iugiter  per 

at».  que  sub  uno  ab 

'oca  coDStituu 

nec  qui 

tur  uen 

sìbi  re 

uel 

nas 


^  Il  ms.  Vaticano  6818  e  quello  dì  Castel  Gandolfo  ci 
f  danno  un  tentativo  simile  di  lettura  del  frammento.  Nel 
primo  s'aggiunsero  le  prime  parole  leggibili,  notando  con 
puntolìni  le  lacune,  ma  leggendo  vigilias  invece  di  vigiles. 
Nel  secondo  invece  si  volle  fare  di  più:  si  ossen-ò  più  at- 
tentamente il  frammento,  si  lesse  rettamente  vigiìt's,  e  le  la- 
cune si  cominciarono  a  colmare  con  ingegnose  restituzioni. 
Un'altra  singolaritA  degna  di  osservazione  è  che  nelle 
prime  pagine  del  ms.  Vaticano  6818  la  nota  abbreviazione 
i7/.  del  codice  di  S.  Croce  ò  spiegata  illustris,  errore  :lbban- 
donato  però  ben  presto  In  seguito  e  che  non  si  ritrova 
affatto  nel  codice  di  Castel  Gandolfo. 

In  questo  ms.  le  note  illustrative  son  direne  a  ricercare 
nella  storia  l'uso  delle  formole  del  Diurntts ;  il  loro  merito 
principale  sta  nella  sobrietà  del  discorso  e  nell'abbondanza 


^^0 


/.  Giorgi 


dei  documenti.  L'autore,  certo  assai  dotto  negli  studi  ià- 
l'antichità  ecclesiastica,  e  a  cui  dovevano  esser  famigluri 
tutti  i  grandi  depositi  romani  di  manoscritti  e  specialmente 
la  biblioteca  Vaticana,  con  mano  esperta  e  sicura  ha  pasto 
a  contributo  le  lettere  dei  pontefici»  la  raccolta  di  cinooì 
di  Deusdedit,  il  regesto  di  Farfa,  ecc. 

Dopo  questo  rapido  esame  del  contenuto  dei  ducmss. 
non  può  dubitarsi  ch'essi  abbiano  uno  stesso  autore  e  che 
rappresentino  due  diversi  stati  di  preparazione  di  una  nuoti 
edizione  del  Diurnus,  Il  Vaticano  6818  che  non  ha  nott^ 
che  non  contiene  le  tre  formolo  estranee  al  codice  di 
S.  Croce,  che  ha  nel  principio  Terronea  spiegazione  dd- 
l'abbreviatura  ///.,  che  ha  un  tentativo  di  lettura  del  fram- 
mento  finale  più  inaperfetto  e  senza  supplementi,  è  eviden- 
temente un  primo  abbozzo;  quello  di  Castel  Gandolfo,  col 
suo  ricco  apparato  illustrativo,  colle  tre  formole  gii  intro- 
dotte da  Holste  nell'edizione  sua,  con  ulteriori  migl: 
menti  nel  testo,  è  una  posteriore  e  più  elaborata  pi 
razione. 

Ora  è  da  cercare  chi,  sulla  fine  del  seicento  o 
primi  del  settecento,  può  aver  pensato  e  condotto  cosi 
nanzi  senza  pubblicarla  una  nuova  edizione  del  DiumuL 
Su  questo  punto  lìon  posso  che  esporre  una  mia  con- 
gettura. 

L'autore  dei  due  mss.  ebbe  a  mano  e  studiò  tranquil- 
lamente e  a  lungo  il  codice  di  S.  Croce  e  l'edizione  Ji 
Holste.  Il  fatto  d'aver  potuto  aver  comunicazione  del 
codice  antichissimo  cosi  gelosamente  custodito  mostra  che 
egli  non  era  il  primo  venuto:  ma  anche  più  significativo 
è  Tuso  di  un  esemplare  della  Holsteniana.  Era  certo  un 
esemplare  anteriore  alla  rimozione  del  sequestro  e  alfirct- 
coloso  completamento  fatto  nel  1724,  perchè  la  scrittura 
dei  due  mss.  è  anteriore.  Se  poi  si  pensi  clic  l'autore  dei 
due  mss.  fece  suo,  con  un  lievissimo  mutamento  -  fonm*- 
larum  liber  invece  di  Formuìarium  -  il  titolo  immaginato 


Storia  esterna  del  «  T)ìurnus  »  661 


Nfic 


Holste  e  che  trovavasi  manoscritto  in  fronte  all'escm- 
arc  presentato  da  lui  per  ottenere  V  approvazione  della 
ria;  poiché  non  sembra  possibile  che   a  molta  distanza 
i  tempo  due  persone  differenti  potessero,  senza  intendersi, 
cogitare  ambedue  lo  stesso  titolo,  conviene  concludere 
e  l'autore  dei   due  mss.  abbia  avuto  a  sua  disposizione 
esemplare  a  stampa  col  titolo  manoscritto,  presentato  da 
Holste.  Ma  non  è  possibile  che  la  Congregazione  dell'Indice, 
negli  uffici  della  quale  doveva  trovarsi  quell'esemplare,  lo 
cotiscgnasse  ad  altri  che  a  persona  degna  della  più  assoluta 
ducia  e  preferibilmente  ad  uno  de*  suoi  consultori,  E  a 
uesto  punto  il  nome  che  mi  si  affaccia  subito  alla  mente 
è  quello  del  padre,  poi  cardinale  Giuseppe  Maria  Tommasi. 
Chi    meglio    del  dotto    teatino,   insigne  specialista    nello 
studio  dell'antica  liturgia,    aggregato  alla    Congregazione 
dell'Indice  fino  dal  1^73,  nominalo  esaminatore  apostoUco 
da  Innocenzo  XII,  poteva  accingersi  ad  una  nuova   edi- 
zione del  DìurniiS?  Forse  il  giudizio    severo  del  cardinal 
Bona  pesava  alla  Congregazione,  la  quale  doveva  deside- 
rare che,  dopo   r  edizione  soppressa    di  Holste    e   quella 
I      disapprovata  di  Garnier,  un  cosi  venerando  monumento 
fosse  pubblicato  di  nuovo  in  una  edizione  approvata  dalla 
I     curia  e  quasi  ufficiale.  E  il  nome  del  Tommasi,  cui  cer- 
tamente ha    appartenuto,  si  legge   per  ben  quattro  volte 
^nel  ms.  di  Castel  Gandolfo. 

^P  A  parer  mio  dunque  il  ms.  Vaticano  ^818  e  quello 
^di  Castel  Gandolfo,  sebbene  lavoro  materiale  di  più  co- 
pisti, rappresentano  due  stati  diversi  della  preparazione  di 
una  nuova  edizione  del  Diunms  curata  dal  Tommasi.  Se 
questa  congettura  è  giusta,  non  è  nemmen  difficile  deter- 
minare approssimativamente  i  limiti  di  tempo  entro  i  quali 
il  Tommasi  deve  aver  fatto  il  suo  lavoro  e  immaginare 
le  circostanze  in  mezzo  alle  quali  può  esser  sorta  l' idea 
della  nuova  edizione. 

Nel  171 3,  poco  dopo  il  suo  innalzamento  alla  dignità 


cardinalizia,  mori  il  Tommasi,  né  credo  che  il  disegno  & 
ripubblicare  il  Diurmis  gli  sorgesse  in  mente  prima  de 
colloqui  che  ebbe  col  Mabillon  nel  léSj  e  nel  16S6.IÌ 
grande  benedettino  nel  suo  viaggio  d'Italia  sìtrancnncin 
Roma  dal  giugno  1685  al  marzo  1686,  allontanandosene 
solo  neir ottobre  e  nel  novembre  per  visitare  Napoli.  Cau 
e  Montecassino.  Fin  dai  primi  tempi  della  sua 
chiese  notizie  del  codice  del  Diurmis  usato  da  Hol 
dopo  molte  ricerche  potè  consultarlo,  né  credo  d 
ricerche  e  al  ritrovamento  fosse  estraneo  il  Toraraaa. 
Mabillon  aveva  in  grande  estimazione  il  Tommasi, 
chiama  «  amicus  noster  in  primis,  tuodc^tia  et  pici 
(c  non  minus  quam  doarina  et  scriptis  commendandiis  •  (] 
e  per  una  singolare  coincidenza  le  due  menzioni 
di  lui  neir  lur  Itaìicum  (2)  sono  immediatatnentc 
ai  passi  nei  quali  parla  della  biblioteca  di  S.  Qoce  in 
Gerusalemme,  quasiché  il  pensiero  del  dono  monaco  fran- 
cese associasse  o  almeno  riavvicinasse  il  ricordo  del  Tom- 
masi con  quello  della  Sessoriana  di  S.  Croce  e  de  codia 
ivi  studiati.  Certo  il  Mabillon  aveva  gran  desiderio  di  ve- 
dere Tantichissimo  codice  del  Diurnus  studiato  da  Holstc^ 
«  cuius  exemplar  invenire  magnopere  avcbamus  »  (j),  e 
Io  cercò  a  lungo  e  seppe  ch'esso  si  trovava  nella  Sesso» 
nana  da  un  dotto  in  Roma,  «  ab  homine  docto  acocpi- 
«  mus  rt  (4).  Il  dotto  non  è  nominato,  e  si  C' 
delicata  riserva  del  Mabillon;  ma  non  è  imp: 
questi  fosse  Y  «  amicus  noster  in  primis  »,  il  Toi 
lavoro  cominciato  dal  Tommasi  verosimilmente  dopo  il 
dovette  trascinare  in  lungo,  ritardato  da  altri  studi 
cupazioni.  Lui  morto,  per  qualche  anno  nessuno  pei 


(1)  Mabillon,  lUr  Italicum,  p.  90. 

(2)  Mabillon,  //-  Ital  pp.  90,  132, 
(5)  Mabillon,  Jt.  Itul.  p.  7$. 

(4)  MABttLON,  IL  Hai  p.  7$. 


Storia  esterna  del  i*T)iurntis  » 


663 


DiurnuSy  finché  nel  1724  alcune  copie  dell'  edizione 
lolsteniana  ritrovate  in  Vaticano  furono,  com'  è  noto, 
rettolosamente  e  malamente  completate. 


IV. 


Avanzandoci   sempre  verso  i  tempi  più  antichi,  giun- 
no  al  periodo  che  corse  fra  il  governo  dell'abate  Gioac- 
chino Besozzi  e  quello  dell'abate  Ilanonc  Rnncui,  fondatore 
della  biblioteca  Sessoriana  (1724- 1626).  In  altro  luogo  rac- 
conterò la  storia  di  quella    biblioteca  e  specialmente   dei 
manoscritti  che,  raccolti  dal  Rancati,  rimasero  dopo  la  morte 
di   lui  a  S.  Croce;  qui  basterA  accennarne  quanto  e  neces- 
^sario  per  la  storia  del  nostro  codice, 
^fe      II   milanese  Ilarione  Rancati  (i),  per  tre  volte  abate 
^Ki  S.  Croce  in  Gerusalemme,  uomo  dottissimo  che  ebbe 
^^n  Roma  al  tempo   suo   influenza   e  riputa/Jone    grandi, 
raccolse  una  ricca    bibUoteca   della    quale  era  pane  assai 
I      pregevole  un  gruppo  di  codici  provenienti  da  diversi  mo- 
na^steri  cistcrciensi  d'Italia:  da  Nonantola,  da  S.  Salvatore 
di  Settimo  presso  Firenze,  da  S.  Martino  de'  Bocci  presso 
Parma,    da  S.  Maria  di   Casamari   presso    Veroli,  Esiste 
ancora  un  elenco  sommario  di  138  de'  migliori  codici  del 
Rancati    compilato    mentre    esso    viveva    e    forse    da    lui 
stesso  (2):  dei  medesimi  138  codici  e  di  altri  34  ch'e- 
'      rano  sparsi  per  la  biblioteca  esiste  una  più  larga    descri- 
zione che,  per    ordine  di  Alessandro  VII,  compilò,  dopo 


-|(x)  Cf.  Macedo,  Fr.  R.  P.  V.  abbatis  àomnì  HUarìonis  Rancnti  in  eius 
isprtusttitc  corporc  ad  Sanctae  Crucis  in  HicrujaUm  habita  laudatio; 
e  A.  Fumagalli,  l'ita  del  P.  D.  Ilarione  Rancati,  Brescia,  1763, 

(2)  Index  tnanuscriptorum  antiquorum  bibliothecae  P.  abbatti  D.  Hi- 
àariomj  quo  urna  utébatur.  Fra  le  carte  dì  F.  Ferrari  nel  cod.  Am- 
brosiano C.  S.  V.  II. 


664 


L  Giorgi 


la  morte  del  Rancati,  il  cistcrciense  Franco  Fémri,  com- 
pagno di  studi  al  Rancati  negli  ultimi  anni  della  viu  (i). 
Nell'elenco  sommario  di  cui,  fra  le  carte  del  Rancati 
conservate  nell'Ambrosiana  di  Milano,  esiste  ancora  la 
copia  adoperata  dal  Rancati  finché  visse  (2),  il  Diurrtus  h^È 
notato  :  A^.  irj  Formularium  Pontijictwi,  Nella  descrizione 
più  larga  del  Ferrari,  sotto  lo  stesso  n.  117,  il  Diurnus  e 
descritto  cosi  :  «  1 17  in-4**  pergam.  Formularium  pontificum^^ 
o  Plora  perlerunt  tani  in  principio  quam  in  fine,  ideoque 
«  exordium  sumit  a  formula  scribcndi  epistolas  episcopo, 
«  praesbiteris,  diaconibus  et  plebi  his  verbis:  Per  charissi- 
«  nium  nostrum  etc,  et  finit  in  formula  cuiusdam  privilegi!, 
«  cuius  hoc  estinitium:  Cum  in  exarandis  Dei  laudibus,  et 
t<  quod  nihilominus  truncum  est  et  explicit  una  cura  codice 
«  his  verbis:  quae  regala.  Hic  codex  conscriptus  fuit  Longo- 
<(  bardoruni  tempore.  CoIIigitur  ex  formula  privilegi!  cuius- 
<(  dam  prò  confiruiationc  donationis  patrimoni!  Alpium  Co- 
a  tiarum  S.  R.  E.  in  qua  fit  mentio  de  quadam  regina 
«  eiusque  tìliis  tamquam  prò  tane  viventibus,  quae  regina 
«  alia  esse  non  potest  ab  ea  quam  Luitprandus  rex  Longo- 
a  bardorum  non  multo  post  dictam  donationcm  ab  eo  factam 
«  uxorem  duxit  ut  scribit  Paulus  Dinconus  lib,  6  De  gestis 
txLon^^ob,  cap.  43,  licet  ipse  illam  Gualtrudam  norainet 
«  filiam  Baioariorum  ducis.  Porro  talis  donatio  a  Carolo 
«  Sigonio,  Rc^i  Itaìiae  lib.  3,  refcrtur  in  annum  716  ideo- 

(i)  Cod.  Chìgiano  R,  II,  64.  È  Tesemplarc  presentato  dal  Ferrari 
ad  Alessandro  VII.  Una  copia  di  questo  catalogo,  appartenuta  un 
tempo  alla  biblioteca  dì  St-Gcrmain-des-Prcs,  sì  trova  ora  alla  bi- 
blioteca Nazionale  di  Parigi  ed  è  il  n.  15075  del  fondo  dei  mss, 
latini.  Da  quella  copia  cavò  il  Montfaucon  la  lista  di  codici  di 
S.  Croce  inseriu  alle  pp.  193  e  194  del  tomo  I  della  Bibliosheca 
bibliollucarum. 

(2)  È  Vlndex  esistente  nell'Ambrosiana  fra  le  carte  del  Ferrari 
citato  alla  p.  precedente,  nota  2,  e  si  trova  riprodotto  innanii  al  citi-; 
logo  del  Ferrari  nel   codice  Chìgiano  R,  II,  64. 


Storia  estenta  del  ti^iurnusn 


Ì63 


«  que  circa  ea  tempora  videtur  scriptus  codcx  iste,  in  quo 
a  insuper  sexta  synodus  dicitur  nuper  celebrata  In  formula 
«  professionis  sive  indicalo  episcopi  et  etiam  Romani  pon- 
ce tificis;  synodus  autom  sesta  fuit  :ibsoIuta  anno  68 1  et  in 
tt  indiculo  epìscopi  de  Longobardia  habetur  expresse  quod 
«  liber  scriptus  fuerit  tempore  Longobardorum.  Habet  foL 
«  n.  99  )).  Lo  stato  attuale  del  codice,  guasto  in  principio 
e  in  fine  per  modo  che  delle  prime  quattro  carte  e  del- 
Tultima  restano  solo  piccoli  brani,  ù  presso  a  poco  qual'era 
a  quel  tempo;  basterebbe  a  provarlo  la  segnatura  D-  iiy 
apposta  nel  verso  del  frammento  dell'ultima  carta.  Di  nuovo 
non  v'è  che  la  rilegatura  e  la  carta  di  guardia  aggiunta 
sulla  fine  del  seicento. 

Ed  ora  eccoci  ad  uno  dei  punti  più  importanti,  ma  più 
oscuri  della  storia  del  codice.  Intorno  al  16^1  (i)  Luca 
Holstc  trova  a  S,  Croce  presso  il  Rancati  il  codice,  lo  tra- 
scrive, e  prepara  su  di  esso  quella  edizione  di  cui  vivo  non 
potè  ottenere  Tapprovazione,  e  che  fu  soppressa  dopo  la 
sua  morte.  Sulla  scoperta  deli'Holste,  e  sulla  comunicazione 
ch'esso  ebbe  del  codice  dal  Rancati  corse  una  specie  di 
'  leggenda,  raccontata  da  tutti  (2),  posta  in  dubbio  dal  solo 

^V  (z)  Il  I^c  Ro2Ìère  crede  che  Holstc  scoprisse  il  codice  a  S.  Croce 
verso  il  1644  o  il  1645;  il  Sickel  invece  stima  di  poter  riportare 
la  scoperta  al  1641  ;  ed  io  convengo  in  quest'opinione.  Holste  aveva 
molte  occupazioni  e  con  facilità  grande  concepiva  disegni  di  lavori 
che  poi  per  la  forza  delle  cose  era  costretto  a  condurre  innanzi 
lentamente  o  a  lasciare  incompiuti.  Cosi  è  verosìmile  che  assai 
prima  del  1644  egli  vedesse  per  la  prima  volta  il  codice  Nel  1641 
cominciò  il  secondo  governo  abbazialc  del  Kancati  in  S.  Croce,  e 
a  quel  tempo  le  relazioni  personali  e  letterarie  dì  lui  con  Holste 
erano  gii  intime,  come  lo  prova  la  commendatizia  del  Rancati  che 
riferisco  alla  p.  667. 

(2)  MABaLON,  Ikr  Itaìicum,  p.  75  ;  Museum  llulkum,  I,  35  ;  Besozzi, 
nella  nota  ms.  inserita  nell'esemplare  deiredìzione  Holsteniana  che 
esisteva  un  tempo  a  S.  Croce  (Archives  àts  missiom  scienlifiqtus,  I, 

^243»  nota  i);  Fumagalli,  DóIU  istituzioni  diplomatiche,  1,  113.  Anche 


666  L  Giorgi 

Biluze  (i)i  da  nessuno  esaminata  scriimeote*  Secondo 
questa  leggenda»  narrata  la  prima  volu  dal  Mabtlloa  nel- 
ì*  Iter  haìkum,  THolste»  riconosciuta  T  importanza  del  co- 
dice, avrebbe  chiesto  al  Rancati  di  prestarglielo  (2);  questi 
avrebbe  consentito,  ma  solo  per  pochissimo  tempo,  e  a 
quanto  pare,  per  coosultarb  semplicemente,  non  per  co- 
piarlo. VHoìstt^  ftirtimj  furtivi^  contro  ìa  ftdcdata^  avrebbe 
in  una  sola  notte  copiato  ratto  il  codice  egli  stesso  o  fitt© 
copiare  da  altri,  da  Leone  Altacd,  dicono  alcuni  (5),  Os- 
servò il  Baluze  e  riconobbe  anche  il  De  Rozièrc  essere 
maceriainience  Impossibile  che  il  codice  sia  stato  copiato 
in  noa  notte,  ma  nessuno  ha  spinto  più  in  là  Fesame  di 
questo  racconto. 

adtl^esempldre  d«lÌ*edl£Ìone  di  Hobte  esbtente  neir Angelica  (H,  9,  t) 
t  un*  nota  ras.  che  ctimìncla  cosi  ;  «  Liber  diumus  Rofoanonrtii 
«  ponciftcum  liuJus  ^tioiìii  per  Lucam  Holsteoiym  fait  ab  tsto  wnius 
Il  Qoctis  spAtìo  funitn  dcscrìptus  ex  antiquLs^mo  codice  bibti«ithccac 
«  mooasterìj  S.  Crucis  in  Tcrusaleto  qu«m  Celebris  P.  D.  HìluioD 
<r  Rmcjmii  cmsdetm  monistenl  abbas  ipsi  Holstem^  legendum  com- 
*  mcMJAverat.  Rara  est  ha  ce  tSxàò  etc»  ». 

(i)  De  RoutftE,  XLlv  nota  24. 

(2)  R  Studio  igìtur  ìncensus  exscrìbendì  Libri  (Holstenìos),  cmus 
«  praetium  nemo  erat,  qui  penitius  nosset,  a  Rancato  petiit,  ut  sibi 
ff  praestantissimum  codìcem  utendum  ad  brevissimum  temporìs  spa- 
a  dum  daret.  Rancatus  nonnìhil  repugnans  tandem  se  amici  doctis- 
«  sìmi  precibus  dedidìL  Holstenius  autem  librum,  ut  Mabillonins 
«  aliique  passim  narrant,  una  nocte  describendum  curavit  ».  Zaccaria* 
Disstrtatio,  CCLU. 

(})  Che  la  copia  del  Dtumus  in  una  notte  sia  stata  fatta  dal- 
PAlIaccì  e  non  da  Holste  è  una  variante  della  leggenda  che  s*ap- 
poggia,  come  mi  ha  fano  giustamente  osservare  ìl  prof.  Sickel,  sopra 
un  errore  dì  stampa  incorso  nella  prima  edizione  (1687-89)  del  Musittm 
lUdicum  e  corretto  nell*edìzione  del  1724.  Invece  di  stampare  «  quod 
or  Holstenius  commodato  cum  accepisset  >  si  stampò  «  quod  AUatìas 
«  commodato  cum  accepisset  ».  L^errore  rìprodono  pel  primo  dal  Cave 
nell'HiVtoria  UUraria  (I,  621)  è  stato  poi  ripetuto  dal  Fabricio  nella 
Bibliotheca  meà.  ti  in/*.  aitaXis  (II,  454)  e  dal  GncGUENÉ  nel  breve  cenno 
della  viu  dell' Allacci  inserito  nella  Busgraph'u  waivtruXU  del  Michaud. 


r\ 


Storia  esterna  del  «  I burnus  ^ 


667 


Il  Rancati,  teologo  e  canonista  di  gran  valore,  consul- 

tto  e  ascoltato   come  un  oracolo  durante   i  pontificati  di 

Jregorio  XV,  di  Urbano  Vili,  di  Innocenzo  X  e  di  Ales- 

indro  VII,  era   Tamìco  dei   dotti  e   dei  letterati   del   suo 

tmpo  (i)-    Delle  relazioni    d'amicizia   che  correvano  fra 

ji  e   r  Holste  è   testimonio  la  lettera  seguente  di  racco- 

andazione  del  Rancati  per  THolste,  In  essa,  caso  singolare, 

tratta  di  codici  che  l'Holste  desiderava  di  vedere  a  Ca- 

maldoli  e  dei  quali  il  Rancati  stesso  gli  aveva  dato  l' indi- 

rione  (2). 


Rcv«o  P'*  Prone  mio  Col™° 


II  sìg"  Luca  Holstenio  gendlhuomo  e  bibliothecario  del  sig*^* 
card**^  Barberino  per  la  sua  singolare  erudicione  stimatissimo  in 
questa  Corte  se  ne  viene  a  CamaldoU  per  vedere  in  cotesta  librerìa 
alcuni  manoscritti,  de*  quali  io  li  ho  dato  notizia.  Prego  la  V.  ptA 
Rev™'  acciò  con  particolare  carità  e  cortesia,  oltre  a  quella  che  con 
tutti  si  suole  dbhondantemente  usare  in  cotesto  luogo,  li  voglia  es- 
sere liberale  dcirhospìtio  et  ogni  altra  comraodità  per  il  tempo  che 
gli  occorrerà  dimorarvi,  che  oltre  al  beneficio  che  ella  farà  alle 
buone  lettere  obligarà  sommamente  ancor  me,  ìì  quale  porto  sin- 
goiar osservanza  e  venerazione  a  questo  gentilhuomo.  Né  occor- 
reodomi  altro  la  riverisco.  Di  Roma  li  26  giugno  1641. 
Di  V.  Pti  Rev"» 

^_  Dcvotiss^  Ser" 

^B  D>  H1LAR10KE  Rancati. 

^^      Al  Rev»"  P»-*  Prone  mio  Col'^o 

L       n  P*"'  maggiore  di  CaraalJoH. 

f  (1)  Narra  il  Ferrari  in  una  notizia  biografica  di  lui  che  trovasi 
[  nel  codice  Ambrosiano  B.  S.  VI.  ro  (voi  XIX  delle  carte  del  Rancati) 
ch'esso  avesse  due  voti  nel  conclave  in  cui  fu  eletto  Alessandro  VII, 
e  che  gli  antiqu.iri,  o  come  diremmo  noi  i  cìceronij  gli  conducessero 
i  principi  stranieri  "  per  la  curiosità  dì  veder  un  huomo  tanto  nomi- 
H  nato  ».  E  il  Fl:magai,li,  nella  citata  Vita  del  Rancati  (p.  144),  riferisce 
sulla  fede  di  Raimondo  Besorri  che,  udito  della  morte  del  Rancati, 
Alessandro  VII  esclamasse  :  «  Exttncta  est  lucerna  Urbis  et  Orbis  w, 
(2)  Ho  trovato  una  copia  di  questa  lettera  nella  biblioteca  Val- 
celliana^  nel  voi.  CLIV  delle  carte  dcU'AUacci. 


668 


7.  Gl'or 


g^ 


Questa  lettera  prova,  non  solo  Taniicìzia  del  Raacaii 
per  THolste,  ma  1*  impegno  che  il  primo  mene  va  per  liuur 
l'altro  nelle  sue  ricerche  erudite.  Ora  sì  può  credere  chflfa 
Rancati,  il  quale  canto  s'adoperava  per  aprire  al  dotioV 
desco  amico  suo  le  porte  delle  altre  biblioteche,  gli  chin- 
desse  in  faccia  quella  della  propria  ? 

Il  prestito  dei  codici  era  allora  cosa  abbastanza  coniDne, 
cosicché  non  si  può  pensare  ch'egli  avesse  difficolti  di 
privarsi  per  qualche  tempo  del  Diurnus  per  favorire  Fi- 
mico  SUO-  Piuttosto  è  da  cercare  se  non  possano  e&seni 
state  ragioni  speciali  per  negare  o  limitare  quanto  al  tempo 
e  al  modo  la  comunicazione  del  codice.  Il  punto  diiEdk 
è  qui.  Nel  1^41  poteva  il  Rancati  avere  intomo  ad  mu 
futura  edizione  del  codice  i  sospetti,  i  dubbi  e  le  difficolti 
che  sorsero  verso  il  1650  e  determinarono  tanti  anni  dopo 
la  soppressione  ?  Non  lo  credo. 

Neirelenco    sommario   del  Rancati,    nel    c;i    ' 
Lu-go  del  Ferrari  il  codice  è  cliiamato  sempre  / 
Pontificum,  Raccolta   delle  formolo  che  usavano  antkar: 
pontefici  romani  (i),  chiama  il  dotto  gesuita  Sirraond  l'alffo 
codice,  ora  perduto,  dc'gcsuiti  del  collegio  parigino  di  CIcT" 
mont.  L'applicazione  del  nome  di  Diurnus  o  meglio  ridcQ' 
tificazione  del  testo  contenuto  nei  codici  di  S,  Croce 
Clermont  colla  raccolta  ufficiale  citata  nelle  collezioni 
niclie  col  nome  di  Diurnus  è  opera  dell*  Holsie  (2)  0 


(i)   In   una  lettera   al  P.  Terenzio  Alciad   della  C.  J.  G. 
14  agosto  1635,  che  si  trova  a  p.  681  del  voL  FV  delle  opere* 

SlRMOND. 

(2)  È  questo  un  punto  assai  importante,  forse  il  più  imp 
della  storia  degli  studi  sul  Diurnus.  Il  Sirmond  conosceva  il 
lario  pel  codice  che  ne  possedeva  la  biblioteca  domestica  dei  {!^ 
suiti  del  collegio  di  Clermont  e  aveva  concepito  e  partecipato  al 
cardinale  Cobelluzzì  il  disegno  di  pubblicarlo»  ma  non  sapeva  ut 
fosse  la  raccolta  ufficiale  citata  dai  canonisti  col  nome  di  Diuntc 
Solo  airHohte,  il  quale  s*era  occupato  dì  Deusdcdìt,  poti  balciurc 


Storia  estet^ta  del  ^i^yiarnusn 


€69 


latarc  dal  tempo  degli  studi  di  lui  sul  codice  di  S.  Croce, 
da  quel  tempo  cominciano  le  diffidenze:  prima  d'allora 
lulla.  Nel  1616  il  Sirmond  promette  al  cardinale  Cobel- 
luzzi  (i)  un'edizione  delle  formole  del  codice  di  Clermont  ; 
lei  1635  il  Sirmond  stesso  scrivendo  al  P.  Terenzio  Alciati 
parla  senza  ritegno  del  celebre  passo  relativo  alla  condanna 
l'Onorio  che  motivò  poi  la  soppressione  dell'edizione  di 
lolste  (2).  Ma  più  tardi  è  dallo  stesso  Sirmond  che  comin- 
ciano gli  scrupoli  e  i  dubbi,  quando  il  formulario,  di  cui  si 


ti  pensiero  della  identità  del  Diurttus  coi  formulari  contenuti  nei  codici 
di  Parigi  e  di  Roma.  Quanto  fermo  fosse  Holste  nella  persuasione 
di  questa  identiti  Io  prova  la  lettera  seguente  colla  quale  egli  invìo 
a  Pietro  De  Marca,  arcivescovo  di  Tolosa,  alcuni  fogli  del  Diurnuu  11 
De  Rozière  parla  di  quest*  invìo,  noa  non  conosce  la  lettera  dì  cui  io  ho 
trovalo  la  minuta  autografa  alla  Barberiniana  (cod.  XXXI,  64)  e  una 
copiapiùrecentenellaVaUicelliana  fra  le  carte  delPAllacci(vol.  CLFV'). 
La  lettera  non  ha  data,  ma  dalla  risposta  del  De  Marca,  esistente 
pare  in  copia  in  quel  volume  delle  carte  Allacciane  e  che  è  dell'ot- 
tobre 1660  e  allude  al  ricevimento  delta  lettera  di  Holste  neiraprile, 
è  certo  che  fu  scritta  anch'essa  nel  1660.  Holste  scrive  così  al  dotto 
arcivescovo,  col  quale  entrava  allora  in  corrispondenza:  a  Mìtto  ctiam 
«  vetcrìs  formularli  quod  nunc  cxcuditur  capita  nonnulla  ex  quibus 
^«  perspicies  intcr  quotidìanas  et  frcquemes  literarum  poniiliciarum 
^Krformulis  monaiicriorura  quoque  exemptiones  coraprehendi.  Diur- 
^^tius  ille  solemnis  olim  Ecclcsiae  Romanae  liber  Gregorii  M.  tem- 
I  «  pora  antcccdit  cuius  literae  complures  hac  forma  scriptae  extant,  ut 
'  «  vidcre  est  lib.  8,  ep.  63  et  lib.  4,  episi.  20  et  21,  ubi  infine  ad- 
■  ditur  et  ccUra  secundum  morem.  Earum  autem  eplstoUrum  for- 
u  mulac  ìntcgrae  in  hoc  libro  extant.  Privilegia  autem  monasterio- 
«  rum  eidem  libro  adiuncta  Gregorii  aetate  in  usu  fuisse  scriniariìs 
«  Ecclcsìae  Romanae  testantur  formulae  quae  marmori  ìnsculptae 
*t  nunc  quoque  in  ecclesìa  SS.  Ioannis  et  Pauli  atquc  alibi  supersunt. 
Il  Venira  haec  prolixc  in  obscrvationibus  ad  librum  illum  explico  quas 
n  nunc  excudi  curo  et  brevi  ad  te  mittam.  Ioaiinis  IV  decrctum  ad 
o  rena  luara  facturum  existimavi.  De  aliis  simìlibus  proximc  copiosius 
m  scrìbam,  ne  d&sìderium  tuum  inani  ditatione  nunc  suspensum  te- 
«Deatn.  Vale  ». 

(i)  Sirmond,  Optra,  IV,  651-652. 

(2)  Lettera  del  Sirmond   citata  alla  p.  precedente,  nota  i. 
Archivio  della  W.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XL 


6'jo 


L  Giorgi 


poteva  prima  discutere  se  fosse  o  no  uffiòjlc,  è  i 
tiGcato  col  Ditirnm  Romdmntm  pottiifiiMm  qeao4>Duik 
iìu  L'Hokce  cbe  a  Parigi  doveva  aver  gii  wc^am  Ì  cbébi 
di  Clermoat  (t)»  trovato  e  copiato  tì  codice  Rancati «n 
e  fa  scriirere  dal  cardinal  Barberini  al  Sxr^ioiid  (l2  e  if  io- 
Tcmbre  1 646)  (2)  pregandolo  di  saj^ilBC  eoo  qad  afa 
die  lacufte  di  qtiello  dd  Raocad,  dd  quale  gfi  oualirà* 
dice  delle  rubriche.  Pregato    in  tal  mchlo»  3  ScnBOalfl-j 
^xmde  al  cardinal  BaTt»erìm  (é  decenibrc    ì6^  (j)  et  j 
mandava  e  mandi  di  lana  2  Roma  all'Holsfc  fl 
ClermonL  Però  nella  lettera  stessa  coQa  quale 
cardinale  f invio  del  codice   soggiunge:  «  xamqge 
«  sororìs  eìus  filio  (P.  Lambeck)  qui  hic  est  coodbaiABtf I 
m  Romam  pergens  ad  avunculum  dekrret,  scd  tx  ìtjgt  ' 
«  ad  tne  postea,  quod  factunim  coofido,  re  coaSccOf  bat] 
■  est  pineta  collatione,  remìttaL  Keque  enii 
«  tctD  D,  Holstenio  esse  puto  ui  in  bcetn  edar  ».  Coakztt] 
se  da  una  pane  abbiamo  I*acm  generoso    e  conESC 
r  invio  tmcocdiato  del  codice,  dalTahra  à  irai£scc  3 
di  una  possìbile  pubblkadoiie  di  esso. 

In  un* altra  lerren  direna  dal  Sìrmond  aII*Hc^ste  e  At^ 


(i)  De  RoziEJtE  (Introd.  xld)  crede  che  Holste 
del  codice  dì  Clennont  da  Pietro  Lambcck  soo  nìpoce»  ma  è  fife 
probabile  Popìnìone  del  Siceel  {Praie^omuma,  ì,  46,  nota  iX  3q|Bdc 
DOD  trovando  traccia  dì  óò  nella  corrispoodenaa  finora  noa  fra 
Hol^e  e  Laxnbeck,  ritiene  che  ne  avesse  coooscenra  gii  da  prima. 
Holste  era  gii  stato  a  Parigi  ed  era  in  strette  rrUrìnni  coi  dooi 
francesi.  Vci^gas  ìntomo  a  qocste  relazksii  la  Uiiq essante  mcJioria 
del  m:o  dotto  amico  Leon  G.  Pélxssizx,  Lcs  amis  J'Hcistemms,  nà 
MclsKCi'-'  Sir:h{-^^  tì  J'hùi:ir{  fmhìiis  par  TEcde  framfoiu  àc  Mfftm, 
toni.  Vili. 

(2^  Lettera  S  Holste  al  Sìnnoad  odia  raccoha  del  BoososLàDC: 
LvcAi  HoLSTENi:  £^£.4.-Jj*  aì  irrcrs^s^  n.  Lxsvn.  Lettera  dd  car- 
dinale  Ballerini   al   SìrmonJ  nel  voL  IV,  p.  6S;,  delle  Ofvrm  dd 

<^^^  Lettera  dd  Smnooi  al  card.  Baibenii  al  roL  IV,  p.  686. 


Storia  esterna  del  n^iurnus» 


leve  appartenere  a  tempo  alquanto  posteriore,  la  premura 
Jel  dono  gesuita  per  impedire  un'edizione  del  Dinrnus  è 

iche  più  palese.   In  questa  non  cela  la  maraviglia  e  la 
[preoccupazione  sua  nel  vedere    ricordata  la  condanna   di 

)norio  nella  forraola  dì  professione  di  fede  del  pontefice 
nuovamente  eletto,  e  dichiara  che  per  questa  sola  ragione 
s'astenne  egli  stesso  dal  farne  la  pubblicazione  promessa 
card.  Cobelluzzi.  et  Haec  una  me  potissimum  causa  de- 
|«  terruit  »  (i). 

Questi  scrupoli  e  questi  timori  nascevano  dalla  condi- 
EÌone  speciale  in  cui  si  trovava  il  Sirmond  per  gli  studi 

atti  e  pel  possesso  del  codice  di  Clermont.  A  Roma,  invece, 
nessuno  a  quel  tempo  poteva  aver  difficolti  o  far  riserve 

er  lo  studio  di  quel  codice  sconosciuto  di  formole,  molto 

iene  il  Rancati,  il  quale  era  amico  deirHolste  e,  come  lo 
prova  il  lunghissimo  elenco  de' suoi  scritti  e  la  sua  corri- 

pondenza,  non  s*era  mai  occupato  delle  formole  della  can- 

elleria  pontificia.  Il  racconto   dunque  della  riluttanza  del 
Uticari  a  prestare  il  codice  all'Holste,  della  concessione  di 

jdiarlo  per  poche  ore  e  della  copia  in  una  notte  b  una 

toriell.i  domestica  messa  fuori  per  salvare  la  responsabilità 

Rdel  Rancati  quando  del  permettere  o  no  la  pubblicazione 

deircdizione  Holsteniana  si  fece  a  Roma  una  vera  questione. 

A  tanta  distanza  di  tempo  e  dovendo  giudicare  solo  da 

parsi  frammenti  di  corrispondenze  (2)  le  relazioni  di  quei 


(i)  Lettera  del   Sìrmond   ad   Hoiste   senza  data,  pubblicata   da 
UCCARIA,  Disurtatio,  p.  ccLXxri.  l\  De  Rozière  la  crede  contempo- 
aea  all' invìo  del  codice:  io  la  ritengo  d'alquanto  posteriore,  poiché 
dal  contenuto  non  pare  sia  un'accompagnatoria  del  codice. 

(2)  lo  credo    che  la  cautela   di  coloro  che  ebbero  T incarico  di 
iinare  gli  scritti  e  le  corrispondenze  degli  eruditi  cattolici  del  se- 
llo xvn  dopo  la  loro  morte,  e  la  riservatezza  anche  maggiore  degli 
tichi  editori  dei  loro  epistolari,  ci  abbia  privato  forse  per  sempre  dei 
Migliori  documenti  intomo  alle  questioni  più  delicate  della  loro  vita 
e  della  loro  operosità  scientifica.  E  poi  il  formalismo  dominante  nel 


672 


L  Giorgi 


dotti,  non  è  possibile  asserire  nulla  con  cenezza;  ma  io 
credo  che  le  difficoltà  le  quali  finirono  per  deierminirc 
la  soppressione  vennero,  non  da  Roma,  ma  da  Parigi  e 
furono  suggerite  dallo  stesso  Sirmond.  Il  quale  vedendo 
che  malgrado  i  suoi  consigli  si  preparava  l'edizione  de! 
Diurnus,  deve  aver  dato  Tallarme  e  svegliati  i  sospetti  Jdli 
curia. 

Il  tramite  pel  quale  si  diffuse  la  leggenda  della  copialo 
una  notte  dev'essere  stato  il  racconto  del  Mabillon,  e  quoa 
non  può  averlo  avuto  da  altri  che  dai  monaci  di  S.  Croa. 
Quando  Mabillon  andò  a  S,  Croce  V  Holste  e  il  Ranon 
eran  morti  da  più  anni,  ma  il  ricordo  della  soppressioni 
Jeiredizione  di  Holste  durava,  anzi  s'era  ravvivato  per  U 
disapprovazione  con  cui  la  curia  aveva  accolto  la  nuovi 
edizione  del  Diurtius  fatta  dal  Garnier  sul  codice  di  Qtf- 
mont.  Era  dunque  spiegabile  la  gelosia  dei  cistercìcnsi  od 


seicento,  il  sentimento  religioso,  il  rispetto  profondo  per  b  ^uprom 
autorità  della  Chiesa  e  i  vincoli  di  amicìzia  che  esistevano  tVimoldJt 
quegli  eruditi  dovevano  legar  loro  le  lingue  e  le  peone,  e  intorno  1 
certe  questioni  imporre  molti  riguardi  e  reticenze.  Holste,  Sirtnonifl 
cardinal  Bona,  autore  del  giudizio  pel  quale  fu  soppressa  rediiione 
Holstcnìana,  Rancati,  erano  in  strette  relazioni  letterarie  e  pcrsotuB 
fra  loro  e  cogli  altri  dotti  d'Europa;  ma  nelle  loro  lencne,  ilmenn 
in  quelle  che  ci  son  pervenute,  si  cercherebbero  invano  notìzie  espli- 
cite intorno  alPandamento  di  cosa  cosi  delicata  come  U  sopprtv 
sionc  del  Diurtim.  Oltre  agli  epistolari  a  stampa  del  Sirmond,  àio- 
rHolste  e  del  Bon;i,  ho  consultato  i  manoscrittie  le  lettere  di  Uolwe 
esistenti  alla  Barberiniana  e  alla  Chigiana,  quelli  sparai  nelltf  urv 
dell'Allacci  conservate  nella  Vallìcelliana,  ho  esplorato  mìauuni<ctt 
i  grossi  volumi  della  corrispondenza  del  Rancati  che  sono  all'Ai 
brosiana  di  Milano,  ma  ben  poco  xiCh  riuscito  dì  trovare  olut  t  ilo* 
cumenii  già  noti  al  Zaccaria  e  al  De  Rozìère.  Speravo  bene  àx 
ricerca  ncirarchivio  del  Collegio  Austriaco  deirAnima  in  Ron 
dove  Holste  mori  e  nella  chiesa  del  quale  ebbe  scpolttira,  ma  iQ 
replicate  richieste  fatte  per  me  dal  prof.  Sìckcl  sì  1^  sempre 
che  l'archivio  non  conteneva  alcun  ms.  di  Holste  o  documi 
lativo  ad  esso. 


Storia  esterna  del  iiT>iurnusvt 


6^i 


istodire  e  quasi  ncirocculure  il  codice  (i)  e  l'artifizio  di 
lettere  in  bocca  al  Mabillon,  che  l'avrebbe  diffusa  per  tutto 
mondo  erudito,  la  strana  storia  che   scagionava  la  me- 
loria  del  Rancati  da  ogni  accusa  d'imprudenza. 


Colie  ricerche  precedenti  ho  tentato  di  rifare  la  storia 
>dema  del  codice;  ora  è  da  indagare  da  dove  proveniva 
lando  venne  nelle  mani  del  Rancaci.  E  questa  non  è  la 
:e  men  difficile  delle  mie  indagini. 
Verso  Tanno  1641  il  codice  si  trova  gii  fra  i  mss.  pos- 
luti  dal  Rancati.  Il  catalogo  illustrato  di  que*  mss.  com- 
iilato  nel  16^4  dal  Ferrari  ne  registra  172,  notando  le 
provenienze  di  alcuni,  ma  non  dice  nulla  di  quella  de!  Fot- 
vttilarittfn  poììtificum  che  è  al  n.  117  (2).  Dalle  poche  indica- 
zioni delle  antiche  provenienze  date  dal  Ferrari  e  più  da 
una  osservazione  minuta  dei  segni  esteriori  dei  mss.  di 
S.  Croce  che  furono  già  del  Rancati,  si  può  stabilire  che 
essi  venivano  da  cinque  monasteri:  i"*  S.  Silvestro  di  No- 
nantola,  2°  San  Salvatore  di  Settimo  (Firenze),  3"  S.  Mar- 
tino de*  Bocci  (Parma),  4**  S.  Maria  di  Casamari  (Verdi), 
5*  S.  Anastasio  ad  Aqtias  Salvias  (Roma).  I  codici  venuti 
da  S.  Anastasio  e  da  Casamari  son  pochissimi  di  numero  e 
non  antichissimi;  quelli  di  S.  Martino  de'  Bocci,  alquanto 


^B  (i)  Si  rammenti  la  riserva  del  Mabillon  nel  parlare  del  modo 
con  cui  rinvenne  il  codice  romano  del  Diunius  e  la  frase  della  let- 
tera di  D.  Michel  Germain  a  Claudio  Bretagne  citata  dal  De  Ro- 
ZIÉRE  (Introd.  CLUI)  e  pubblicata  dal  Valéry  nella  Corrtspotiàanu 
in^diU  di  Mabillon  et  de  Montfaucon  avec  V  Italie  (I,  205):  «  Nous  avons 
•r  pris  tout  ce  que  nous  .ivons  voulu  ì  Saintc-Croix  en  Jirusalcm, 
«  où   nous  avons  trouvé  très  secrétement  un  Dìurmts  rctnanus  an- 

a  cie-n  de  huit  cent  ans  oii  il  y  a  huit  ou  neuf  pìèces  nouveUes  u. 
(2)  Veggasi  a  p.  664  la  descrizione  del  codice  data  dal  Ferrari 


674  ^'  Giorgi 

numerosi,  soa  tutti  d'epoca  relativamente  recente,  I  coàd 
di  Settimo  sono  9  e  vanno  dal  ix  al  xiv  secolo:  ma  nella 
storia,  del  resto  poco  nota,  di  quel  monastero  (i)  non  v'ha 
nulla  che  possa  aver  relazione  colla  presenza  là  di  im  codice 
cosi  singolare  come  il  Diurnus.  Poiché  non  v'è  probabilità 
alcuna  che  il  Diurnus  possa  appartenere  ad  una  di  queste 
quattro  provenienze,  rimane  da  cercare  se  può  esser  venuto 
da  Nonantola. 

I  codici  che  nel  principio  del  secolo  xvii  trovavansl 
ancora  in  quel  celebre  monastero  passarono  pressoché 
tutti  (2)  nella  raccolta  Rancati,  della  quale  costituirona 
il  nucleo  principale  e  più  importante.  Ve  n'era  tra  essi  unt 
buon  numero  di  preziosi  per  Tantichità  e  pel  contenuto,  e 
non  pochi  di  quel  gruppo  scampati  alle  posteriori  disper- 
sioni e  rimasti  fino  ai  giorni  nostri  a  S.  Croce  sono  ora 
custoditi  nella  biblioteca  Nazionale  Vittorio  Emanuele.  Co- 
sicché v'è  già  una  ragionevole  presunzione  per  credere  che  il 
Diurmis  appartenga  alla  stessa  provenienza  degli  altri  codici 
antichi  e  preziosi  della  raccolta  Rancati.  Tale  presunzione 
non  può  acquistare  valore  di  prova  se  non  è  accompagnata 
da  indizi  più  sicuri;  questi  sono  da  cercare  nella  storia  della 
badia  Nonantolana. 

Neiranno  885,  narrano  gli  annali  di  Fulda  (3),  il  ponte- 
fice Adriano  III,  invitato  a  recarsi  in  Francia  dall' imperatore 
Carlo  il  Grosso,  il  quale,  come  ne  corse  la  fama,  voleva 
servirsi  doirautorità  di  lui  per  deporre  alcuni  vescovi  e  per 
far  dichiarare  erede  del  trono  il  figlio  Bernardo  natogli  da 
una  concubina,  parti  da  Roma  e,  passato  il  Po,  venne  a  mone 
e  fu  sepolto  a  Xonantola.  KclLiber  Poniificaìis  manca  affatto 

(i)  Cf.  Nic.  Baccetii  SiplimijTidc  historiae  libri  ì'Il;  Roma,  1724. 

(2)  Oltre  qualche  codice  liturgico,  restò  a  Nonantola»  dove  tuttora 
si  conserva,  il  codice  miscellaneo  che  contiene  la  l'ita  Adriani  }, 
della  quale  parlerò  in  seguilo. 

(5)  Atin.iì.s  FuUcti-ts,  par.  V,  p.  402  (nel  voi.  I  dei  Mon.  Ginn, 
bist.). 


Storia  esterna  del  »^iurnì4S** 


«75 


la  viu  di  Adriano  III,  ma  in  quella  del  successore  Ste- 
fano VI  si  dice  che  questi  fu  eletto  «  defuncto  recordandae 
«  memoriae  Hadriano  papa  super  fluvium  Scultenna  in  villa 
«  quae  Viulzachara  nuncupatur».  Dagli  scarsi  cenni  di  queste 
due  fonti  si  ricava  cosi  che  verso  l' agosto  dell'  885 
Adriano  III,  il  quale  era  in  viaggio  verso  la  Francia,  mori 
a  Viulzacara,  nome  longobardo  del  borgo  chiamato  ora 
S.  Cesario,  presso  il  fiume  Panaro,  ed  ebbe  sepoltura  nel 
vicino  monastero  di  Nonantola  (i). 

Di  questo  avvenimento,  del  quale  però  ignoriamo  quasi 
tutti  i  particolari,  era  naturale  che  s' impadronisse  presto  la 
leggenda.  Era  già  singolare  il  caso  che  i  funerali  di  un  pon- 
tefice venissero  celebrati  lontano  da  Roma  e  dalla  basilica 
Vaticana  dove  riposavano  quasi  tutti  i  suoi  predecessori;  più 
singolare  ancora  era  che  il  pontefice,  il  quale  veniva  a  chie- 
dere a  Nonantola  rospitalitA  del  sepolcro,  ponasse  il  nome 
stesso  di  quell'Adriano  I  che  aveva  cooperato  alla  fondazione 
di  Nonantola,  concedendole  le  reliquie  di  S,  Silvestro  (2)  e 
confermando  coll'autoriti  sua  le  concessioni  del  re  Astolfo 
per  le  quali  la  badia  Nonantokma  non  tardò  a  divenire  la 
più  ricca  e  magnifica  d'Italia.  L'uguaglianza  del  nome,  le 
relazioni  dei  due  Adriani  con  due  imperatori  franchi  che 
ebbero  nome  Carlo,  la  fama  dei  miracoli  e  il  culto  che  eb- 
bero ambedue  condussero,  e  presto,  a  scambiare  Adriano  III 
con  Adriano  I.  E  naturale  che  T  immaginazione  dei  monaci, 
sempre  avida  di  quello  che  tornava  a  più  grande  onore  del 
monastero,  non  s'acconient;tsse  di  credere  che  il  pontefice 
Adriano  sepolto  nella  basilica  Nonantolana  fosse  il  IH,  che 
ebbe    pontificato  cosi   breve  e  così   scarso   d'avvenimenti 

(i)  Veggas'i  la  carta  topografica  del  territorio  del  monastero 
Nonantolano  unita  al  voi.  I  delia  Storia  dclV augusta  Badia  di  S.  Silvestro 
di  Noftantcla  del  Tiraboscui. 

(2)  Cr.  la  ntd  Anselmi  abhatis  Nottanlulani  a  p.  567  e  segg.  degli 
Scriptorts  rerum  Laugobardicarum  et  Italicarum  sacculi  vi-uc  nella  serie 
in-4"  dei  Mon.  Gemi,  hist. 


67^ 


/-  Giorgi 


degni  di  memoria  da  esser  quasi  dimenticato  dal  Ubcr  Poi 
iificalis.  Perchè  non  avrebbe  dovuto  essere  invece  Adriano 
che  ebbe  regno  così  lungo  e  cosi  ricco  di  fatti  memorane 
che  era  venerato  come  un  santo  e  che,  per  soprappiù,  e 
stato  singolare  benefattore  di  Nonantola  ? 

Sorta  cosi  nell'immaginazione  dei  monaci  e  ferma 
negli  animi  loro  e  degli  abitatori  de*  luoghi  vicini  la  a 
denza  che  il  papa  Adriano  sepolto  a  Nonantola  e  venera 
da  loro  come  santo  fosse  Adriano  I,  non  si  doveva  tard 
molto  a  dar  forma  letteraria  a  quella  domestica  e  popola 
leggenda.  Infatd  già  in  un  codice  Nonantolano  delTxi  s 
colo  (i)  -  né  è  improbabile  che  ne  esistessero  in  altri  p 
antichi  -  troviamo  due  pretese  vite  di  Adriano  I,  una 
prosa,  che  è  quella  pubblicata  dal  Mabillon  nel  Museu 
Italicum  (2),  Taltra  in  versi,  che  fu  ediu  in  parte  d^ 
rUghellì  (3).  La  vita  poetica  è  un  rozzo  panegirico  pieno 
generalità  e  non  contiene  nulla  che  non  si  ritrovi  in  quel 
in  prosa;  questa,  formata  in  gran  parte  di  documenti,  è  i 
testo  veramente  notevole  e  che  ha,  a  parer  mio,  non  po< 
interesse  per  la  storia  del  Diumus.  Ne  espongo  il  coi 
tenuto. 

Doiv»  '/:nr!:o;.i2Ìone  :  Ir::hit  ::-.;  ft  .Vat.-ì;  ^TÌsL'Lzru 
AJ'i.:'::  I  r.iT.::  .y.ti.-u.ze  Ryi.u,  h  viu  comincia  colli  bre\ 
no::.:,;:  ^  Adnaau>  :i;::ur  narior.e  Rominus  ex  pinre  Thei 
V  xiorv^  e:  roci^^ne...  Via  Lati  sedi:  ir.nos  .xxi:i.  me: 
v-«  'ics  .\.  viics  .xv:.  Hic  :gir-:r  codino  Srephino  papa  rei?: 


.:^  v,.:.^.;:^ 


TI   i  •Z^'.'.' IW  l-^L-.'%  iil    PrLVG! 


:•  v^-   ■;  \.\   r.   -; 


'  I  questi  zzc  v-re  :;  i*Ì?  scirnr 
ì^irl   -1  T"A5CfCHi  i    T.   -i  e 


frta  esterna  del  nDturnusn 


677 


pio  ad  orJinem  episcopatus  communi  con- 
.1  clericorum  ac  populorum  ekctus  est  sicut 
le^rcium  demonstrat  quod  ita  se  habct  »  :  seguono, 
'••s,  il  dccrctum  che  è  la  formola  LXXXII 
-    v-'-ière,  e,  ricollegati  da  brevi  frasi  narrative, 
(form.  LXXXIII),  la  prima  professione  di  fede 
CXIV)  e  la  seconda  (form.  LXXXV).  A  queste 
succedono   una   succinta  relazione  delle  molestie 
_Ja  re  Desiderio  alla  Santa  Sede,  della  chiamata  di 
30,  della  caduta  del  regno  longobardo,   deiro- 
Jcll'ercsia   degriconoclasti    e  del   secondo  concilio 
riferendo  a  proposito  di  questo  la  divaUs  sacra  di 
30  e  d'Irene  ad  Adriano  I  e  la  risposta  di  questi. 
si  chiude  con  questo  passo,  che  riferisco  testual- 
perchè  costituisce  la  parte  veramente  originale  del 
acconto  : 


Hic  edam  cum  ad  regcm  Carolum  pergeret,  ut  vetcrum  pandit 
noria,  in  locum  qui  Spinura-Lambertì  vocatur,vitamfinivìt  .vni.  id. 
iU  et  ad  ecclcsiani  monasteriumque  beati  Silvestri,  quod  Nonan- 
la  dicitur,  pcrductus,  honorifice  scputtus  est:  ubi  etiam  usque  hodìe 
kiraculis  coruscare  dignoscìtur.  Cuìus  morte  Carolus  Francorura  rex 
dita,  nimium  condolult,  diuque  se  in  lami^ntis  dcdit.  Nam  ab  ipso 
Dmanorum  patricius  constitutus  fuerat,  regnumque  Italiae  ipso  fa- 
nte susceperat,  Cantores  etiam  doctoresque  ccclesiae  ab  eo  susce- 
Tal,  et  in  Metensiura  urbe  constiiucrat,  cuius  ccclesiae  cantores 
bquehodieRomrinaeEcclesiae  pluscetcris  GaUisin  cantu  concordant. 
Sepulto  itaque  summo  pontifice  et  universali  papa  Adriano  apo- 
oUcis  infuiis  involuto,  uti  mos  est  Romanum  scpelire  cpìscopuin, 
praedicto  Nonautulo  monastcrìo,  sicut  superius  praelibati  sumus, 
septem  de  ìam  dìcto  coenobìo  diaconi  et  monachi  stolidissimum 
consilium  rcpererunt  dlcentes:  quid  buie  sancto  et  animae  defunctì 
prodest,  quod  tantae  pulcrae  vesies  marccscunt  terreno  humore? 
McHus  certe  esset,  si  hacc  sancta  ecclesia  iilìs  honorem  haberet. 
Ideo  hac  veniente  nocte  omnes  simul  ad  sepulcrum  eius  pergamus, 
et  luctdis  ac  coruscìs  vestibus  eum  exuamus  et  vilioribus  vestibus 
induaraus.  Luce  igitur  discedcme,  et  tenebris  te  tram  obumbrantibus 
oranc5  ad  monumcntum  euntcs,  eum  cum  silemio  desepclicrunt,  et 
imeota  eius  arrìpuerunt.  Et  ut  lucìdìus  et  apettius  hoc  ab  omnibus 


é^  L  Giorgi 

^xateor»  ji&oc  unam  pulcram  planetatn,  quam  crassantcs  ci  ahsto- 
ICBOflb  io  ooscn3  monasterio  habemus.  Sed  ut  animi  simUium  de  ulì 
CÉsiaufc  conubescant,  hoc  ìn  ventate  scimus,  quia  nuUus  cvxàl  im* 
pHiiBI^  Omnis  tumque  ille  furìosus  tumultus  tn  eotlem  aooo  saac 
^itet  tehit  cursus,  nìsi  tantummodo  unus. 

Di  quali  fonti  principalmente  si  sia  servito  il  mi 
>ÌQttttQtolino  il  qiule  compilò  questa  Vita  non  è 
fiilD  ad  un  certo  punto  di  stabilire.  L'esordio  è  tratto  ibi 
t^tr  Pontificalis  o  da  un  catalogo  di  pontefici  con  cenni 
biogufici  presi  dal  L,  P.;  le  quattro  formole  dal  Ditinms; 
ti  bnr\-c  racconto  della  chiamata  di  Carlo  Ma^no  e 
Soa  del  regno  longobardo  dalla  Fifa  Karoìi  di  Eini 
I&  lettera  di  Costantino  e  d'Irene,  la  risposta  d'Adriano  e 
tutto  quel  che  riguarda  gì'  iconoclasti  dagli  atti  del  secondo 
concilio  di  Nicea;  i  cenni  intorno  alla  morte,  ai  funerali  e 
alla  profanazione  della  tomba  dalla  tradizione  locale  misn 
<£  storia  e  di  leggenda. 

Che  alla  compilazione  dell'esordio  abbia  servito  il  Uk<f 
Ptmtificalis  nel  suo  testo  intero,  ovvero  un  catalogo  di  pon- 
tede!,  è  una  questione  legata  a  quella  della  buona  o  cai 
fede  del  compilatore.  Se  questi  aveva  son' occhio  la 
notizia  biografica  d'Adriano  I  contenuta  in  un  catalogo  di 
pontefici,  l'uso  fattone  può  conciliarsi  perfettamente  col- 
Tx'isunto  preso  in  buona  fede  di  dar  forma  lettcr.iria  ^Ih 
tradizione  domestica,  riunendo  insieme  tutte  le  fonti  di  cui 
poteva  disporre.  Se  però  aveva  a  mano  il  testo  intero 
della  Vita  di  Adriano  I  quale  si  trova  nel  Libcr  Por:' 
U  mala  fede  è  evidente  e  inescusabilc.  Come  pou...  .. 
serirsi  che  Adriano  I  fosse  morto  a  Spilamberto  e  sepolto 
a  Nonantola  da  chi  aveva  innanzi  la  lunga  Vita  del  pon- 
tefice nella  quale  è  detto  chiaramente  che  esso  mori  1 
Roma  e  fu  sepolto  in  San  Pietro  ? 

Io  indino  a  credere  che  il  compilatore  abbia  adoperalo 
un  catalogo  e  sia  stato  in  piena  buona  fede.  Oltreché  nei 
diversi  inventari  dei  codici  di  Nonantola  non  appare,  cbc 


Storia  estenta  del  «T)n/r«w5» 


679 


>  sappia,  un  Liber  Poniificalis,  -  e  questo  non  sarebbe  argo- 
aenco  decisivo  come  dimostrerò  in  seguito  p.irhmdo  del 
^iurnus  -  pel  racconto  della  chiamata  di  Carlo  e  della  scon- 
itta  di  Desiderio  non  sarebbe  stato  costretto  a  ricorrere 
ad  una  fonte  straniera,  la  Vita  Karoìi  scritta  da  Einliardo. 
Dell'uso  fatto  dall'anonimo  compilatore  degli  atti  del 
secondo  concilio  di  Nicea  non  è  qui  il  luogo  di  parlare;  che 
'"il  cenno  relativo  a  Carlo  Magno  e  a  Desiderio  sia  un  con- 
ciso riassunto  del  più  lungo  racconto  di  Hinhardo  è  cliiaro 
dal  confronto  dei  due  testi  (i);  della  profanazione  della 
tomba  avrò  occasione  di  parlare  ora,  trattando,  come  fonte 
della  Fita  Adriani^  del  Dìiirnus  che  ò  l'oggetto  di  questo 
studio. 

Al  Dinruus  Tanonìmo  ha  attinto  più   largamente    che 

[alle  altre  fonti.  Delle  dieci   formole  che  contiene   riguar- 

'danti  l'elezione  e  l'ordinazione   del   pontefice,   quattro   ne 

ha  introdotte  nella  Fita:  il  decrcttim,  V ìudicuUnn  e  le  due 

professioni    di  fcde^    escludendone,    come  osservò   gii    il 

Mabillon,  le  sei  lettere  all'  imperatore,  all'esarca  e  agli  altri 

(dignitari  ravennati,  il  che  mostra  com'egli  sapesse  che  al 

tempo    d'Adriano  I   eran   cadute  in  disuso  le  formole  le 

.quali   ricordavano  il    vincolo   di  soggezione  della    Chiesa 


(i)  Il  compilatore  della  Vita  Adriani  ha  preso  da  Einhardo, 
abbreviandolo,  quel  tanto  che  gli  serviva  per  U  narrazione  sua. 
Metto  a  confronto  il  passo  nel  quale  il  sunto  deiranonlmo  ripro- 
duce firasi  e  parole  di  Einhardo: 


ElKMAIIDO 

{Hon.  Gfrm,  hist.  Script.  IT.  m), 

•  Karolus  vero  post   inchoatum  a  se 

bcllum  non  priiis  destitit  quam  et  Desi- 

Fdcrtum    regcm   quem    longa   obsidione 

erat  in  dcditìonein  siisciperet . .  . 

Fin»   tdmcn    huìu»    belli    fuit    subacU 

i^talia  et  rex  De&ìdcrius  perpetuo  exilio 

rdeportatu»  etfilìuseìus  Adalgisa»  Italia 

pubus  et  refi  a  Langobardorum  regibut 

ereptae  Adriano  Romanae  Ecclesìae  re- 

ctorì  restituue  •. 


Vita  Adriani 
(Mabillom,  \fus.  /tal.  1.  39). 
•  Qui  etiam  Caroins  non  prìos  destitil 
donec  Desiderium  bello  fatìgatum  per- 
petuo exilio  damtiAret  et  tlllutn  cius 
Italia  pelleret,  rev)ue  direptas  Adriano 
papoe  rcstitucret  •. 


6So 


L  Giorgi 


Romana  ali*  impero  d'Oriente.  L'anonimo  ebbe  certamente 
a  mano  un  codice  del  Diurnus  e  da  esso  tolse  il  testo  delle 
formole  che  supponeva  fossero  state  adoperate  in  occasione 
dell'elezione  di  Adriano  I. 

Ma  di  qual  codice  sì  sarà  egli  servito  ? 

Del  Diurnus,  formulario  il  quale  ilon  poteva  scr%-ire 
che  all'uso  quotidiano  del  pontefice  e  della  cancelleria  pon- 
tificia, i  codici  non  possono  essere  stati  mai  molto  nume- 
rosi. Son  noti  la  raritA  e  il  pregio  dei  codici  dell'alto  medio 
evo.  La  produzione  di  essi  distava  appena  ai  bisogni  della 
liturgia,  della  coltura  e  dell'amministrazione  :  chi  poteva 
pensare  a  sottoporsi  all'inutile  fatica  dì  moltiplicare  le  copie 
di  un  libro  inutile  per  tutti,  eccettochò  per  gli  ufficiali  delia 
curia  pontificia  ?  Tenuto  pur  conto  delle  distruzioni  e  di- 
spersioni di  libri  avvenute  in  ogni  tempo,  può  calcolarsi 
che,  salve  alcune  eccezioni,  il  numero  dei  codici  di  ciascun 
testo  giunti  fino  a  noi  deve  star  sempre  in  una  certa  pro- 
porzione colla  diffusione,  la  ricerca  e  la  voga  del  testo 
stesso  e  colla  frequenza  con  cui  venne  copiato.  Per  questa 
ragione,  non  solo  nei  cataloghi  moderni  dei  manoscritti,  i 
quali  si  può  dire  che  rappresentino  gli  avanzi  d'un  nau- 
fragio, ma  anche  nei  cataloghi  antichi  originali  abbondano 
i  testi  dei  quali  l'uso  e  la  ricerca  erano  più  frequenti  e  per 
conseguenza  più  larga  la  produzione.  Ora  di  copie  antiche 
del  Diurtms  giunte  fino  ai  tempi  moderni  non  si  cono- 
scono che  due,  il  codice  di  S.  Croce,  ora  Vaticano,  e  quello 
che  fu  già  dei  gesuiti  del  collegio  parigino  di  Clermont,  per- 
duto da  circa  un  secolo.  Nessuno  degli  antichi  cataloghi  di 
codici  registra  un  Diurnus  o  un  altro  codice  sotto  il  titolo 
del  quale  possa  supporsi  nascosto  un  testo  del  Diurnus.  Da 
ciò  io  non  intendo  concludere  che  i  codici  di  questo  for- 
mulario fossero  ugualmente  rari  tra  il  x  e  1*  xi  secolo,  epoca 
approssimativa  della  compilazione  della  Fita  Adriani^  ma 
certo  resistenza  fra  il  x  e  Txi  secolo  di  un  codice  del 
Diurnus  a  Nonantola,  da  dove  poi  nel  secolo  xvu  furon 


Storia  esterna  del  n^ìurnusyt  6Si 

si  i  codici  più  antichi  della  raccolta  Rancati,  nella  quale 
troviamo  un  Diurtuts,  è  un  fatto  che  sorprende  e  che  nie- 
rita  d'essere  attentamente  considerato.  Soprattutto  è  da 
esaminare  se  intorno  a  questa  singolare  coincidenza  venga 
ad  aggrupparsi  qualche  altro  indizio  Ìl  quale  confermi 
ridea  che  ci  si  offre  spontanea  alla  mente  dell' identitA  del 
codice  adoperato  dall'  anonimo  compilatore  della  Fila 
Adriani  con  quello  di  S.  Croce  che  appartenne  al  Rancati. 
Un  indizio  importante  e,  a  mio  credere,  decisivo  ci  è 
dato  dal  testo  medesimo  delle  formole  inserite  nelk  Fita. 
Il  codice  di  S.  Croce  e  il  codice  di  Clermont,  alquanto  dif- 
ferenti pel  numero  e  per  la  successione  delle  formole,  ci 
dàrmo  delle  formole  stesse  testi  somiglianti,  ma  non  per- 
fettamente identici;  e  qui  giova  ricordare  che  il  testo  del 
codice  perduto  di  Qcnuont  ci  è  stato  conservato  fino  ad 
un  ceno  punto  Jairedixione  del  Gamier  e  con  assai  mag- 
I  giore  esattezza  dal  Baluze  per  Tedizione  che  ne  aveva 
'  preparata  e  della  quale  il  De  Rozière  riferisce  le  varianti. 
Ora,  un  minuto  confronto  istituito  fra  il  testo  delle  quattro 
formole  inserite  nella  Fila,  e  quello  delle  formole  stesse 
nel  codice  dì  S.  Croce  e  nel  codice  di  Clermout,  ci  dA  che 
le  quattro  formole  della  Fila  hanno  tutte  le  lezioni  per  le 
quali  il  testo  del  codice  di  S.  Croce  differisce  da  quello  del 
codice  di  Clermont.  Le  poche  lezioni  per  le  quali  le  for- 
mole della  Fila  differiscono  dal  testo  del  codice  di 
S.  Croce  non  coincidono  col  testo  Claromontano,  ma 
sono  lievi  differenze  nuove,  errori  di  lezione,  sinonimie  e 
variati  ortografiche  facilmente  spiegabili  con  una  certa  li- 
berti e  con  una  certa  ignoranza  dell'anonimo  compila- 
tore (i). 

Tutto  dunque  induce  a  credere  che  rantichissimo  co- 
^^ce,  poi  Sessoriano  di  S.  Croce  ora  Vaticano,  si  trovasse 

^H    (i)  Veggasi  il  minuto  confronto  che  fa  dei  due  testi  il  Sickel 
^na  ProUgomena  II. 


/•  Giorgi 


a  Nonantola  e  che  ranonimo  nonantoUno^  compOatort 
della  Vita  Adriani,  ne  togliesse  di  peso  le  quattro  formolc, 
sostituendo,  com'era  necessario,  al  luogo  dcirahbreviaiiooe 
ili.  (i),  il  nome  d'Adriano  e  del  predecessore  Stefano,  e 
aggiungendo  in  fondo  al  duretum  la  data  a  mense  felmu- 
«rio  iadictione  .x.  »,  che  egli  crasse  forse  dallo  stesso 
catalogo  di  pontefici  che  gli  aveva  fornito  le  indicazioai  éAr 
Tesordìo. 

La  parte  veramente  originale  della  Vita  Adriani  ci  rivtfa 
pure  in  quale  occasione  il  codice  del  DiurnuSj  di  cui  dovevi 
esser  sede  naturale  la  libreria  privata  del  pontefice  o  lo 
scrinio  del  Laterano,  fu  portato  a  Nonantola. 

Ho  già  detto  come  allo  scambio  di  Adriano  III  per 
Adriano  I  desse  occasione  il  fatto  vero  della  mone  di 
Adriano  III  e  del  trasporto  e  seppellimento  di  lui  a  No- 
nantola. E  la  Vita  compilata,  per  cosi  dire,  di  maniera  e  su 
documenti  presuntivi,  sulla  fine  serba  ancora  qualche  ri- 
cordo deiravveaimento  storico,  il  quale  diede  origine  alh 
leggenda.  E  questo  è  il  racconto,  di  cui  ho  gii  riferito  il 
testo,  della  morte  e  dei  funerali  d'Adriano  e  della  rapina 
delle  vesti  preziose  di  lui  fatta  da  alcuni  monaci  di  Nonan- 
tola. Se  Adriano  III  morisse  a  Viulzacara,  come  asserisce 
il  Libir  Pofttificalis,  o  a  Spilamberto,  come  vuole  la  FiU,  t 
una  questione  estranea  allo  scopo  di  questo  studio;  hm 


(i)  L'esame  del  modo  col  quale  Tanommo  ha  sonicuito  PAbbre- 
vìazionc  i7/.  delle  formole  suggerisce  al  Sickel  uo'acuu  o&«m- 
zione  (Ptoìd£ometta  II),  Nulla  di  più  facile  pel  corapilaiorc  che  nid- 
terc  ai  debiti  luoghi  i  nomi  di  Stefano  e  d'Adriano,  né  difficile  pure 
dovè  essere  per  lui  aggiungere  la  data  in  fondo  al  à^cretum,  mx 
dove  trovare  il  nome  del  notaio  che  aveva  dovuto  scrivere  IWi^iJ»»» 
Pontificìs?  Il  compilatore  se  Té  cavata  con  una  ingenui  ghemù* 
nella.  Ha  raschiato  il  luogo  che  doveva  essere  occupato  dal  oonre 
e  ha  scritto  sopra  alla  rasura  la  parola  iìlum,  scioglienklo  cosi  b  un 
pronome  poco  compromettente  la  nota  abbreviatura  ilL  del  f5^ 
mularìo.  H  anche  questa  è  una  prova  di  pi£i  in  favore  delle  nosire 
conclusioni. 


'itorìa  esterna  del  «  Diurnus  »> 


683 


¥ 


è  più  attendibile  ruhima  versione  che  s'appoggia  alla 
adizione  domestica.  Quello  che  mi  sembra  avere  tutti  i 
Aratteri  della  verità,  e  che  difficilmente  si  sarebbe  potuto 
sventare,  è  il  racconto  del  disseppellimenro  e  della  spoglia- 
Ijone  del  cadavere,  confermato  dairesistenza  a  Nonantola 
Iella  ricca  pianeta  ai  tempi  deiranonimo,  e  tanto  più  cre- 
libile  in  quanto  che,  come  è  detto  esplìcitamente,  la  ra- 
aina  degli  abiti  sacri  del  defunto  non  aveva  per  movente 
cupidigia  personale  privata,  ma  il  desiderio  d'arricchire 
Ji  splendidi  paramenti  la  chiesa  del  monastero.  Era  un'esa- 
gerazione colpevole  del  sentimento,  del  resto  generale  nel 
medio  evo,  che  spingeva  monaci  e  abati  a  procurare  sopra 
ogni  altra  cosa  1*  ingrandimento,  la  ricchezza  e  lo  splendore 
dei  loro  monasteri.  E  se  al  cadavere  di  Adriano  III  Tal- 
tazza  della  dignità  e  la  venerazione  popolare  non  rispar- 
miarono la  profanazione  e  la  rapina,  tanto  meno  ò  da  cre- 
|ere  che  i  monaci  nonantolani  avessero  cura  di  rinviare 
'a  Roma  i  libri  e  le  altre  suppellettili  del  defunto  pontefice. 
Tutto  o  quasi  tutto  dovè  rimanere  a  Nonantola;  special- 
mente i  libri  che  il  pontefice  aveva  recato  seco  per  servir- 
sene durante  il  viaggio,  de' quali  i  Nonantolani  arricchirono 
la  loro  biblioteca,  più  specialmente  il  Ditinius,  di  un  codice 
del  quale  sarebbe  altrimenti  inesplicabile  l'esistenza  e  l'uso 
in  quel  monastero  (i). 


(i)  È  mia  ferma  convìnEione  che  il  Diurnus  non  sìa  il  solo  co- 
dice appartenuto  ad  Adriano  in,  rimasto  a  Nonantola  e  passato  nella 
raccolta  Rancati.  Se  quella  raccolta  fosse  stata  conservata  intatta 
a  S.  Croce  e  fosse  passata  intera  nella  biblioteca  Nazionale  di  Roma, 
uà  esame  minuzioso  dì  tutti  i  codici  più  antichi  ci  potrebbe  portare 
-  chi  sa?  '  a  ricostituire  il  catalogo  della  biblioteca  da  viaggio  di 
Adriano  HI.  Ma  anche  fra  i  più  antichi  codici  attualmente  superstiti 
del  gruppo  Rancati  ò  da  credere  si  nasconda  qualche  reliquia  di 
quella  biblioteca.  11  codice  55,  che  contiene  una  ricca  raccolta  dì 
lesti  ascetici  e  omiletici  scritta  in  caratteri  scmioncialì  del  vi  secolo, 
il  codice  63,  che  contiene  la  raccolta  di  canoni  Dionisio-Adriana, 
ed  altri  testi  giuridici  preceduti  da  un  catalogo  di  pontefici,  appar- 


^84 


/.  Giorgi 


Né  si  può  dubitare  che  Adrianp  III  possedesse  e  usasse; 
un  codice  del  Diurnns.  Pochi  atri  ci  restano  di  quel  pome- 
fice  che  ebbe  un  regno  cosi  breve,  ma  in  p,irecclii  di  quei 
pocKi  non  è  difficile  riconoscere  qua  e  là  l'uso  delle  formoit 
del  Diurnus.  Specialmente  notevole  è  un  privilegio  concesso 
da  Adriano  III  al  monastero  di  S.  Maria  di  Grasse  in 
Francia*  L*esordiodi  esso  è  tolto  dì  peso  dalla  formola  LXìV; 
!a  chiusa  contiene  frasi  prese  dalle  forinole  LXXXVI  e 
LXXXrX  (ed.  Sickel)  (i).  In  questi  passi  il  testo  com- 
dde  perfettamente,  e  quasi  sempre  anche  nella  forme  ono- 


I 


I 


tennero,  io  credo,  del  pari  che  il  Diurma,  ad  Adrianci  IH.  Panico* 
Urmeme  notevole  è  il  codice  63,  scrìtto  tutto  in  carotieri  del  tipo 
chiamato  cosi  impropriamente  longobardo  nel  ix  secolo.  Kcl  cito- 
logo dei  pontefici  che  ha  ìnnanùt  solo  anz  parte  ^  scritta  dalla  maoo 
dti  resto  del  codice  e  questa  si  arresta  a  Leone  IH;  il  resto  t  ag- 
giunto di  roano  più  recente.  E  quello  che  è  più  sitìgoìare  è  ii  ricns- 
lìeggiamento  che  il  catalogo  ha  subito  a  Non^ntola.  Con  inchlostrt} 
d'un  rosso  più  vivo  è  stato  ripassato  il  nome  di  S.  SìlvestfO  patrono 
della  badìa  Nonamotana,  e  anche  Tantìca  scrina  relativa  ai  Adriana  I 
è  stata  abrada  e  rUcritta  col  nuovo  ìnchiosiro  rosso  in  caratten 
più  spiccati,  di  forma  più  recente»  r  aturai  mente,  e  con  una  Edzìsle 
maiuscola  più  grande  delle  altre.  La  scritta  dice:  «  Adrianus  sedii 
«  annos  .xxin.  menses  .x.  dies  sedecim  ».  Ora,  mentre  il  Liber  Poati^' 
calis  e  gli  altri  cataloghi  conosciuti  hanno  k  dies  decemseptem  »,  questo 
e  la  Vita  Adriani  hanno  a  dies  sedecim  ».  Segno  evidente  che  iV 
compilatore  della  Vita  e  il  monaco  il  quale  ripassò  il  catalogo  dei 
pontefici  attinsero  alla  stessa  fonte.  Cosi  anche  quest^altro  codice  di 
Adriano  III  avrebbe  servito  alla  glorificazione  del  suo  omonimo  I 

(0 

Diumus  (ed.  Sickcl). 
Form.  LXIV. 

•  Convenic  apostolico  moderamint  pia 
religione  pollenttbus  benivola  compa*- 
sione  succurrere  et  poscentìam  animit 
alacri  devotioneimpertire  assen5uin;cx 
hoc  enim  lucri  potissimam  premium  a 
conditore  omnium  Deo  procul  dnbio 
promereiAur,  dum  venerabilia  loca  opdv 
tunae  ordinata  ad  meliorem  fuerìot  sioe 


Bolta  di  Adriano  III 
per  N.  I).  di  Grasse  (Bibl.  Nazion. 

di  Parigi,  fonds  lat.  cod.  5455). 
■  Convenit  apostolico  moderamini  pia 
religione  pollentibus  benivola  compas- 
sione succurrere.  Et  poscentinm  animi 
alacri  devotionc  ìmpertirì  assensum.  Ex 
hoc  enim  lucri  potissimum  praemium  a 
conditore  hominum  Domino  promere- 
mur  dum  venerabilia  loca  opportune 
ordinata  ad  meliorem  fuerint  sinedubìo 


, 


afiche,  col  testo  del  codice  di  S.  Croce.  Argomento  non 
leve  per  ritenere  che  il  pontefice  Adriano  possedesse  pre- 
isamente  quel  codice  che  dopo  la  morte  di  lui  dovè  rima- 
ere  a  Nonantola. 

In  mezzo  a  tanta  concordia  di  prove  e  d*  indizi  sorge 

,na  difficolti:    nessuno  degli  antichi  cataloghi    di   codici 

onantolani  registra   un   DiurnuSj  un  Fornmlarittin  o  un 

altro  codice  che   possa   supporsi    contenesse   il   testo   del 

Diumus,  Di  questa  difficoltà,  certo  non  lieve,  non  conviene 

né  dissimulare  ne  esagerare  il  valore. 

Della  biblioteca  Nonantolana  esistono  parecchi  cata- 
loghi; uno  inedito  del  principio  dell' xi  secolo  dei  libri 
t(  adquisiti  tempore  domniRodulfiabbatis  primi  (1002-103  3) 
«  per  Petruni  monachum  Ardenguni  »  (i),  uno  del  1166(2) 


ì      ftlarum  perducln.  Igitur  revercnlia  ve- 

)0'— 


•  Statuentes  tpostolica  censura  sub 
divini  iuJicii  ohtrsrarioiic  et  Dnathematis 
interdicium  ut  nulli  umquam  . . .  •. 


^ 


•  Si    quii   autem   (quod    non    opta- 


•  sciai  se  aoatbematì'ì  vinculo  inno- 
daium  «t  n  regno  Heì  atienua  exisrat  • . 


dubio  jitaturn  perducta.  Igìtur  quia  pe- 
li*>ti  a  nobis  quatcnus  .  .  .  ■ . 
Form.  LXXXIX. 
m  Statuentei  apostolica  censura  . . . 
sub  divini  iudicii  obte«ia1ione  et  ana- 
:hcrai:i5  interdictum  ut  nulli  um- 
qaam  .,.••. 

Form.  LXXXVI. 
>  Si    quts   autem,   quod    non    opta- 
mus  . .  .  • . 

Form.  LXXXIX. 
»  scia!   se  anaTliemntis   vinculo  cs*e 
innodatumet  arcgno  0ci  alìenum  ,  .     *  .  , 


In  questi  passi  è  pochissima  la  differenza  fra  il  testo  dei  due  co- 
dici. Noto  le  lezioni  intenìictum  e  itmotìatum  particolari  de!  codice  Va- 
ticano, mentre  il  codice  Claromontano,  se  qui  ÌI  Ganiicr  è  fedele, 
leggeva  inUrdicìo  e  innodatam.  Debbo  alla  cortesìa  del  eh.  Michel 
Deprez,  conservatore  dei  m;inoscrkti  nella  biblioteca  Nazionale  di 
Parigi,  la  copia  della  bolla  d'Adriano  III  per  N.  D.  di  Grasse. 

(1)  Qiiesio  catalogo  esìsterne  in  un  codice  della  biblioteca  Uni- 
versitaria di  Bologna  m'è  stato  comunicato  dal  mio  dotto  amico  il 
prof.  Augusto  Gaudenzi.  Lo  pubblicherò  npMa  prefazione  al  mio 
catalogo  dei  manoscritti  Sessoriani  della  Vittorio  Emanuele. 

(2)  Il  catalogo  del  1166  si  trova  alla  e.  62  v  del  codice  Sesso- 
nano    31,   dal   quale  lo  pubblicò  il   Mai   (SpiciUgìum  Romannmf   V, 

Archivio  detta  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi,  XI. 


6S6 


L  Giorgi 


edito  dal  Mai  e  riprodotto  dal  Becker  (r),  uno  del  se- 
colo XIV,  due  del  secolo  xv  (2).  Né  nei    due  primi  &c 

ho  attentamente  studiato  io  stesso,  né  nei  tre  più  rcccna 
che  a  richiesta  del  prof.  Sickel  ha  cortesemente  consuliao 
per  me  il  eh.  dott,  Donabaum  è  notato  alcun  codice  che 
possa  credersi  contenesse  il  Diurnas.  E  così  dinana  ad 
una  serie  di  fatti  e  d'indizi  i  quali  provano  T  esistenTa  a 
Nonantola  nell'  xi  secolo  d'un  codice  del  Diurnus^  starebbe 
l'assenza  di  esso  nei  cataloghi  di  codici  Nonaniolani  dil- 
r  XI  al  XV  secolo,  È  un  argomento  negarivo  di  cui  vak 
la  pena  di  discutere  il  valore. 

Che  il  Diurtuis  non  si  trovi  fra  i  codici  acquisuii 
da  Pietro  Ardeugo  al  tempo  dell'  abate  di  Nonantoli 
Rodolfo  I  é  naturale  e  conferma  la  mia  opinione  che, 
cioè,  non  per  acquisto  e  in  tempo  molto  anteriore  il  co- 
dice pervenisse  a  Nonantola.  Sembra  strano  invece 
ch'esso  non  debba  trovarsi  nell'elenco  del  Ji66f  risul- 
tato di  una  Inquisicio  intesa  a  ricercare  e  fissare  in  cana 
quali  fossero  allora  i  codici  posseduti  dal  monastero.  Mi 
ceno  è  che  la  inquisicio  non  fu  troppo  diligente  e  che 
quell'elenco  non  rappresenta  esattamente  la  biblioteca  Xo- 
nantolana  qual'era  nel  1166,  Infatti,  sebbene  la  idenbfia- 
zione  dei  codici  su  quell'elenco  non  sia  facile  cosa,  e  lo 
prova  il  tentativo  infelice  che  ne  ha  fatto  il  Mai,  si  puà 
assicurare  che  la  biblioteca  Nazionale  di  Roma  possiede 
ora  fra  i  Sessoriani  alcuni  codici  che  nel  secolo  xn  dove- 
vano trovarsi  certamente  a  Nonantola  e  che  pure  non  sono 
notati  in  quell'elenco.  Tali  sono,  ad  esempio,  il  codice  63 
del   IX  secolo   contenente  la  Collcctio   canonum    Dioniido- 


3xH-22i),  però  conaggÌQDte  e  divisioni  che  lo  sfìguraao.  Anche  qnd 
catalogo  sar:^  da  me  riprodotto  secondo  il  codice  ndU  prclióooc 
sopra  annunziata. 

(i)  Catato^'i  libliothecarum  antiqui,  pp.  220-2aj,  n.  loi. 

(2)  TiRABoscHi,  Storia  dtlU  BaMa  di  SonanS^U,  I,  187. 


Stona  esterna  del  «^iurnusn 


68j 


driana  e  il  codice  yj  del  vi  secolo  contenente  una  grande 
.ccolra  di  testi  omiletici  e  ascetici.  Del  primo  è  certa,  del 
secondo  probabilissima  la  provenienza  nonantolana,  eppure 
ambedue  non  figurano  nell'elenco  del  1166, 

Restano    i  cataloghi    dei   secoli  xiv  e   xv  :    quanto  a 

^    questi  non   sarà  inutile   qualche   considerazione   più  ge- 

Hperale. 

^B      Non  è  registrato  a  catalogo:  dunque  non  esiste  in  bi- 

^^lioteca;  è  prova  negativa  di  dubbio  valore,  specialmente 
se  si  tratti  d'identificare  manoscritti  negli  antichi  cata- 
loghi. Il  mio  studio  sui  due  cataloghi  Nonantolani  più 
antichi,  quello  del  dott.  Donabaum  sai  più  recenti  ci  fanno 
certi  che  in  quei  cataloghi  non  è  registrato  alcun  codice 
col  tìtolo  Diurnus  o  Formitìarinm  0  con  altro  titolo  che,  a 
giudìzio  nostro,  possa  nascondere  un  testo  del  Ditirnus. 
Ma,  qual  diligenza  o  quale  acutezza  di  divinazione  può 
assicurarci  che  in  quei  rozzi  elenchi  il  Diurnus  non  sia 
stato  realmente  registrato  con  un  titolo  fantastico  ?  Si  noti 
che  il  codice,  a  notizia  nostra  mutilo  in  princìpio  e  in 
fine  da  più  di  due  secoli,  poteva  aver  subito  qualche  guasto 
in  principio  fin  da  quando  pervenne  alla  biblioteca  di  No- 
nantola,  ed  è  naturale  che  per  trovare  un  nuovo  titolo  ad 
un  codice  il  quale  ne  mancava,  un  monaco  dell' xi  e  del  xii 
secolo  potesse  spaziare  quanto  voleva  nei  campi  dell'  im- 
maginazione e  della  propria  coltura. 

Ma  ammesso  pure  che  il  Diurnus  non  appaia  assoluta- 
mente e  non  sia  stato  notato  di  fatto  in  quegli  elenchi,  non 
è  argomento  bastevole  per  dubitare  dell'esistenza  di  esso 
a  Nonantola  provata  da  altri  fatti.  Una  collocazione  in 
luogo  separato,  ovvero  fra  le  reliquie  del  pontefice  Adriano 
venerato  come  santo  spiegherebbe  l'assenza.  E  anche  senza 
ricorrere  a  questa  ipotesi,  v'  ha  una  condizione  di  fatto 
che  potrebbe  spiegarla.  Oltre  i  codici  già  noti,  il  Rancati 
possedeva  un  gruppo  di  frammenti  aggiunto  alla  copia 
dell'  elenco    sommario    che  è  nell'Ambrosiana   col   titolo 


6S& 


L  Giorgi 


Frapnenta  codicum  (i)  e  formante  ora  una  miscelLuieai 
Il  Diurnus  murilo  e  guasco  in  principio  e  in  fine  eprmi 
di  legatura  può  esser  rimasto  inosservato  in  mezzo  a  i}oei 
frammenti.  Il  Rancati  separandolo  da  quei  brani  e  ins^ 
rendolo  nel  suo  elenco  può  avergli  restituito  quella  qualid 
di  libro  a  sé  e,  direi  quasi,  quella  individualitA  che^  per  b 
stato  suo  esteriore,  gli  era  stata  negata  e  gli  aveva  impe* 
dito  di  figurare  nei  cataloghi  Nonantolani. 

Non  sarebbe  difficile  trovare  anciie  altre  plausibili  spie- 
gazioni dell'assenza  del  Dittrnns  in  quei  cataloghi.  Spiegare 
in  un  modo  o  in  un  altro  la  cosa  è  una  questione  secon» 
daria;  più  importante  è  fissare  il  canone  critico  che  il  non 
trovare  registrato  un  codice  nei  cataloghi  di  una  biblioteca 
monastica  del  medio  evo  o  del  rinascimento  non 
prova  assoluta  che  il  codice  non  si  trovasse  in  quelli 
blioteca. 

Da  quanto  ho  esposto  fin  qui  mi  pare  di  poter  caS^ 
eludere  che  il  còdice  antichissimo  del  Diurnus  è  queto 
stesso  che  appartenne  alla  biblioteca  da  viaggio  del  pan* 
tefice  Adriano  III  e  che,  rimasto  dopo  la  morte  di  lui  a 
Nonantola  e  adoperato  dall'  anonimo  compilatore  delli 
Vita  Adriani  /,  fu  poi  nel  secolo  xvii,  insieme  cogli  altri 
codici  Nonantolani,  portato  a  Roma  a  S.  Croce  in  Geni- 
salemmc  dairabatc  Ilarionc  Rancati,  e  sulla  fine  del  se- 
colo xviu  collocato  nell*  archivio  segreto  Vaticano.  È  coù 
accertata  l'esistenza  di  una  reliquia  della  biblioteca  dome- 
stica pontificia  del  ix  secolo  nel  codice  del  Dinrim,  e 
non  solo  s'ha  un  altro  argomento  per  ritenere  ch'esso  sia 
stato  scritto  a  Roma  (2),  ma  si  può  ragionevolmente  sup- 

(i)  Qp est* annotazione  si  trova  in  fine  della  copia  del  ciulo^o 
Ferrari, fra  le  carte  del  Ferrari  stesso,  nell'Ambrosiana,  al  voL  C.5.  V» 
li.  I  Frugmcnta  codicum  vi  sono  notati  colla  segnatura  N  N  imme- 
diatamente successiva  a  quella  dcirultimo  codice  delU  5ccodiU  p4rtc 
segnato  M  M. 

(2)  SiCKEL,  PróUgomina  1,  iZ  t  sgg. 


Storia  esterna  del  a^ìurnus» 


689 


DTTc  che  provenga  dallo  scrinio  Lateranense.  Se  è  così, 
fcome  io  credo,  non  è  da  lamentare  che  il  codice  prezioso 
ia  stato  separato  dagli  altri  di  S.  Croce  sulla  fine  del 
•colo  nono  e  chiuso  nell'archivio  Vaticano.  Dopo  circa 
love  secoli  d'esilio,  quasi  per  diritto  di  postliminio,  il  Dittr- 
ìtis  veniva  cosi  restituito  alla  sua  sede   naturale;  reliquia 

jlata,  e  per  questo  più  veneranda,  di  una  serie  ricchissima 
libri  e  documenti  che  l'opera  distruggitrice  del  tempo 

degli  uomini  ci  ha  rapito  per  sempre  (i). 

I,  Giorgi. 


(i)  Sul  punto  di  licenziare  per  la  stampa  queste  mìe  ricerche, 
il  prof.  Sickel  ha  pubblicata  la  nuova  e  aspettata  edizione  sua  del 
Diurnus.  È  intitolata:  Z.iT'tJr  Di  urnus  Romano  rum  Ponti ficum.  Ex  unico 
codice  Vaticano  denuo  cdidit  Th,  E,  ab  Sickel,  Consilio  et  impcnsis  Aca- 
à^miae  Qiàsareae  Vindobonensis (Vienna^  Gerold,  18S9).  Grazie  all'usata 
cortesia  del  prof.  Sickel,  io  aveva  potuto  giovarmi  di  questa  edizione 
veramente  definitiva  anche  prima  che  fosse  pubblicata,  specialmente 
pel  confronto  del  testo  delle  forraole  LXIV,  LXXXVI,  LXXXIX 
colla  bolla  dì  Adriano  IH  per  N.  D.  di  Grasse. 


li  sodo  prof.  Castelhnij  prefetto  della  biblioteca  Nazio- 
nale di  S.  Marco,  ci  ha  trasmesso  un  documento  importante 
estratto  dal  codice  Marc.  174,  classe  X  dei  Latini.  Èia  let- 
tera originale,  per  veritd  molto  servile,  indirizzata  dai  Con- 
servatori di  Roma  ad  Alessandro  VI  per  rendere  conto  al 
pontefice  del  modo  com'eglino  avevano  eseguita  la  com- 
missione del  ricevimento  di  Carlo  Vili  nella  citti.  E  il  Ca- 
stellani aggiunge  in  proposito  le  seguenti  notizie: 

Livio  Podocatharo  Capriotto,  arcivescovo  di  Nicosia 
(Leucosia),  nipote  al  cardinale  Lodovico  Podocatharo^  ve- 
scovo di  Benevento,  trovandosi  in  Roma  addetto  alla  corte 
pontificia  nei  giorni  del  sacco  della  città  dalla  parte  degl'  im- 
periali (1527),  potè  in  quel  trambusto  impossessarsi  di  molte 
carte  preziose  custodite  in  quella  corte,  tra  le  quali  un  con- 
siderevole numero  d*ntti  e  lettere  tutte  autografe  indirizzate 
da  principi,  alti  dignitari  della  Chiesa,  da  magistrati  e  let- 
terati e  infin  da  santi  ai  pontefici  Sisto  IV,  Innocenzo  Vili 
ed  Alessandro  VI,  e  con  esse  si  trasferì  a  Venezia,  dove 
mori  nel  155^,  sepolto  onorevolmente  in  S.  Sebastiano, 
dove  tuttavia  s'ammira  lo  stupendo  monumento  erettogli 
da  Iacopo  Sansovino.  La  repubblica  prese  allora  possesso 
di  quelle  carte  e  le  depositò  nella  Segreta  di  Stato,  donde 
nel  1787  furono  trasferite  nella  «  Libraria  pubblica»  ora 
Marciana,  e  ivi  ora  si  conservano  in  cinque  codici,  segnati 
coi  nn.  174-178  della  classe  X  Latini, 


Varietà 


Il  Castellani  promette  continuare  lo  spoglio  dei  colid 
suddcscritti  e  comunicare  nuovi  documenti  se  corrispoo- 
denci  al  carattere  di  questa  pubblicazione. 

Beatìss.'"*  Pater  et  Clemenlìss.*  Dne  post  pedum  oscula  beaur. 
humiliter  còmendatis  etc.  Non  mìrctur  V.  S.***  si  ei  antchac  hanl 
scripscrìmus:  occupatìones  cnim  rerum,  ante  et  post  adventum  rcpi 
Francorum  providcndarum.  continuo  oos  detinuerunt.  OnmU  tama, 
que  per  V.  S.""  nobis  mandata  fuerunt  surama  cum  dìUgentia, 
cum  R."*''  Dnìs  legato  et  gubematore  vestro  dÌgnìs5imo  comnran 
cavimus  et  expedivimus.  Nam  et  ipsi  regi  oratores  civcs  nusinifll 
Qui  Sue  M.^^  Duntiart;nt,  qualiter  V.  S.'**  nobis  in  suo  disccssu 
presse  raandaveral,  ut  Suam  M.**™  leto  jnìmo  et  bonorìfìccntis 
sima  reciperemus,  et  detnde  pridie  eundem  ad  domum  visitiTÌimil 
Verum  cum  hoc  mane,  circa  lertiam  dici  horaxn,  ci  UrH 
omnibus  suis  dtscesscrìt,  omnes  V.  B.'*  feliccm  reJditum  uoqt 
optimi  domini  et  patris  summo  cum  desiderio  et  hìlaritatc  copii 
expectant.  Q.uam  ob  rem  cidcm  V.  B.'  ex  parte  totius  sui  devoti» 
simi  et  peculìaris  populi  Romani  humiliter  et  devote,  ac  ex  ip!s4 
corde  supplicamus  ut  ad  hanc  suam  Almam  Urbetn  quam  primuza 
comode  potuerit  reJdire  dignetur.  Quod  nobis  et  ioti  vrò  prete 
Romano  populo  ac  omnibus  curialibus  crit  gratìssimum  ac  paio* 
cundura:  et  ad  aropUssimum  decus  perpetuamque  glorìam  V.  B." 
adscribetur  et  nobis  preciperc  velit  que  in  posterum  Tacere  dcbea- 
mus.  Nam  suis  mandatis  tanquara  veri  ser^*uli  et  obcdientìss.'  fili 
perpetuo  ut  teneraur  obtemperantes  crìmus,  nullit  parcentcs  taborìbai 
ac  sudorìbus  prout  hactcnus  efìTccimus  prò  felici  statu  S.*'*  V,  que 
fcliciter  valcat.  Cui  nos  et  hunc  vestrum  fìdelem  populum  sem^ 
humiliter   commendamus.  Ex   vostra    Alma    Urbe    die    tenia  ìaoìì 

.MCCCCLXXXXV. 

E.  V.  B.i* 

Fidelìssìmì  ser\'un  Comerratores  Caitt-* 
v.re  Alme  Urbis. 

[ah  extra]  f  Sanctìss."'  et  clemenliss."*  D.  N.  pape. 


Soci  presenti,  i  signori  O.  Tomraasini,  presidente, 
R-  Ambrosi  De  Magistris,  D.  Carutti,  G.  Coletti,  A.  Cor- 
visieri,  C,  Corvisieri,  G.  Cugnoni,  E.  De  Paoli,  B.  Fon- 
tana, I.  Giorgi,  L  Guidi,  C.  Mazzi,  A.  Monaci,   E.  Mo- 

^^aci,  G.  Navone,  E.  Stevenson,  G-  Levi,  segretario. 

^H      La  seduta  è  aperta  alle  ore  3  30  pom. 

^M      II  Segretario  legge  il  processo  verbale  della   seduta 

^precedente,  il  quale  viene  approvato. 

Il  Presidente  commemora  una  perdita  grave  e  dolorosa 
fatta  dagli  studi  e  dalla  Società  per  la  immatura  morte  del 
socio  Paolo  Ewald,  venuto  meno  quando  stava  per  rac- 
cogliere il  fhitto  di  lunghi  studi,  diligenti  e  sagaci  intomo 
alle  lettere  di  Gregorio  Magno.  A  questo  lavoro,  di  cosi 
capitale  imponanza  per  la  storia  di  Roma,  rimarrà  colle- 
gato il  nome  di  lui,  caro  a  quanti  dei  soci  ebbero  la  ven- 
tura dì  apprezzarne  le  personali  qualit^k  nei  vari  soggiorni 
da  lui  fatti  in  Roma. 

I  soci  sindacatori  A.  Corvisieri  e  B.  Fontana  pro- 
pongono l'approvazione  del  conto  consuntivo  1886,  che 
é  approvato  airunanimitd  senza  discussione. 

II  Segretario  legge  il  processo  verbale  dello  spoglio 
delle  schede  pervenute  alla  presidenza  per  proposte  di  nuovi 
socL  In  conformiti  di  esso,  a  termini  dello  statuto,  si 
procede  allo  scrutinio  segreto  sul  nome  del  prof.  Dome- 


C/Itti  della  Socielà 


nico  Comparetti,  che  risultò  eletto  a  socio  con  runammhi 
de'  suffragi  sopra  sedici  votanti. 

Procedutosi  alla  elezione  del  segretario,  il  sodo  hrr, 
risultò  eletto  con   13  voti  sopra   i^  votanti. 

Il  PRESiDE>rTE  propone  quindi  alla  discussione  lo  schemi 
già  distribuito  ai  soci  per  la  compilazione  del  Coitx  H^ 
maticus  Urbis,  che  corrisponde  ad  un  antico  voto  delb 
Società,  reso  ora  dì  più  agevole  esecuzione  per  Tincong- 
giamento  e  offerta  di  aiuto  da  parte  dell'  Istituto  Storico 
Italiano.  In  un  lavoro  cosi  capitale  per  la  storia  di  Roma 
e  di  natura  veramente  sociale,  confida  nel  conco 
tutti  i  soci. 

Il  socio  De  Paoli  vivamente  approva  la  proposu 
come  soprintendente  agli  Archivi  romani,  dichiara 
comunicherà  alla  Società  tutti  quei  documeud  chi 
in  originale,  sia  in  copia,  sia  in  sunto  si  trovino  nclTar- 
chivio  di  Stato.  La  maggior  parte  delle  serie  dell'archivio 
non  va  al  di  là  del  secolo  xv.  Oltre  però  che  dalla  col- 
lezione delle  pergamene,  e  dagli  indici  di  S-  Silvestro  in 
Capite,  S.  Cecilia,  ecc.,  può  sperarsi  di  raccogliere  hion 
numero  di  documenti  anche  per  i  secoli  anteriori  al  \t 
dai  sommari  aggiunti  ai  processi.  Quanto  allo  schenulo 
approva  ;  solo  chiede  se,  come  gli  sembra,  tra  le  fonti  di 
esplorare  non  siano  da  comprendersi  gli  epistolari  e  k 
iscrizioni. 

Il  Presidente  risponde  che  non  v'à  dubbio  che 
gli  epistolari  e  le  iscrizioni  siano  da  comprendersi  tra  le 
fonti    pel    Codex   diplomaticus    UrbsSj   quando  contenj 
notizie  di  documenti  o  diplomatici  o  relativi  alla  e 
zione  della  città;  mentre  quelle  sole  relative  alla  stoi 
cosmme,  ecc.,  potranno  servire  per  la  Hhtoria    Ur^ 
plomatica,   come    nello    schema  è  notato.    L'elenco 
varie  categorie  di  fondi  da  esplorare,  aggiunto  allo  se 
non  devesi  del  resto  considerare  come  una  completa  e 
sativa  enumerazione. 


chema»! 


Q/itti  della  Società 


^95 


k 


n  socio  barone  Carutti  di  Cantogno  applaude  alla 

obile  intrapresa,  che  dice  degna  dell'Italia  nuova.  Ulsti- 

to  Storico  Italiano  non  poteva  meglio  auspicare  l'opera 

a  che  promovendo  questo  lavoro.  Egli  come  presidente 

.ella  Deputazione  dì  storia  patria  per  le  antiche  provincie, 

grazia  la  Società  Romana  che  pronta  e   coraggiosa  ri- 

'ndc  all'  invito  e  s'accinge  a  compierlo.   Desidererebbe 

conoscere  con  quali  criteri  è  stato  determinato  il  termine 

cronologico  da  cui  incominciare  il  Codcx, 

Il  Presidente  risponde  che  nell'atto  di  compilare  lo 
schema  fu  riconosciuta  la  difficoItA,  allo  stato  attuale  delle 
ricerche,  di  stabilire  un  lìmite  cronologico.  Perciò  parve  di 
non  porre  alcun  termine  ai  qucm,  mentre  tino  a  che 
si  anno  atti  relativi  alla  vita  giuridica  e  civile  del  Comune 
di  Roma,  questi  dovranno  trovar  posto  nel  Codice,  Quanto 
al  termine  a  quo  non  volendo  pregiudicare  la  questione 
se  sì  debba  cominciare  dalla  cessazione  dell' impero  o  dal 
trasporto  di  esso  a  Costantinopoli,  e  volendo  lasciare  libero 
il  campo  alle  indagini,  si  propone  di  cominciare  dal  tempo 
di  Gregorio  Magno,  termine  intermedio  da  cui  si  può 
prendere  le  mosse  cosi  per  discendere  come  per  risalire 
fin  dove  le  ricerche  e  i  documenti  lo  consentiranno. 

I  soci  De  Paoli  e  Carutti  ringraziano  degli  schiari- 
menti. 

Nessun  altro  chiedendo  la  parola,  il  Presidente  pone 
a  votazione  lo  schema,  avvertendo  che  verri  aperta  appo- 
sita rubrica  ncli' Archivio  per  pubblicarvi  i  lavori  prepara- 
tori, e  le  adesioni  relative  aKa  pubblicazione  del  Codex, 
Lo  schema  del  Codex  Urbis  diphmatictts  è  approvato. 
La  seduta  è  levata  alle  ore  5  pomeridiane. 


6^6 


oliti  della  Società 


Preparazioìu  dtl  Codex  diplomaticus  urbis  Romae. 
(Kelazione  airistìtuto  Storico). 

Roma,  a  dì  20  novembre  tSSS. 

Mi  reco  a  debito  di  ragguagliare  ristituto  Storico  1» 
liane  dell'inizio  che  questa  R.  Società  Romana  di  stoni 
patria  d  dato  alla  preparazione  del  Codice  diplomaAcè  M 
Roma,  in  seguito  alla  deliberazione  presa  dall'Istituto  me- 
desimo nella  seduta  del  31  maggio  1887, 

Grata  dell'incarico  ricevuto,  che  corrispondeva  ad  s 
antico  desiderio  dei  colleghi,  la  Società  procedeva  per 
mezzo  del  suo  Consiglio  direttivo  a  proporre  le  basi  e  le 
linee  principali  delPopera,  sottoponendo  ai  singoli  sod  oao 
schema,  in  cui  s'indicavano  i  termini  di  tempo  e  di  luogo 
e  il  limite  logico  rispetto  alla  comprensione  dei  documend 
da  incorporare  nella  raccolta. 

Questo  schema  venne  fatto  oggetto  di  discussiooc  per 
lettera  coi  sod  lontani,  e  coi  presenti  nell'assemblea  g^ 
nerale  del  di  9  gennaio  ultimo  decorso,  in  cui,  notificare 
tutte  le  osservazioni,  lo  schema  rimase  definitivamente  ap- 
provato nella  forma  della  drcolare  che  mi  pregio  di  ic- 
eluderle  (V.  Archivio,  XI,  6^-66), 

Le  osservazioni  d'autorevoli  colleghi  si  erano  aggirac 
e  intorno  al  termine  cronologico  iniziale,  e  intomo  ai  do- 
cumenti a  cui  si  limitava  la  comprensione  deiropcra,  e 
intomo  ni  fondi  scientifid  che  si  proponevano  ad  oggetto 
di  esplorazione.  I  soci  barone  D.  Camtti  e  W.  von  G^^ 
sebrecht  obbiettarono  circa  l'incertezza  del  termine  j  quo. 
Il  von  Giesebrecht  nel  febbraio  scriveva  da  Monaco  :  %  Dtf 
«  Pian,  wie  er  in  December  vorigen  Jahrs  in  eineia  Gir- 
V  Oliar  dargelegt  ist,  scheint  mir  durchaus  zu  billigen,  nuf 
0  mòchte  ich  dcr  Erwagung  anheimsicUen  ob  nicht  ah 
e  Ausgangspunkider  Untergang  des  abendliindiscben  Reìchs 
«  zu  vahlen  sei  »►  Il  comm.  dott.  E.  De  Paoli,  sopraimcn- 


fai  della  Società 


697 


Ite  al  R.  Archivio  di  Stato  in  Roma,  proponeva  che 
le  altre  fonti  si  osservasse  se  noa  fosse  bene  attingere 
iche  ad  iscrizioni  ed  epistolari.  Il  prof.  Villari  notava 
che  la  storia  del  Comune  di  Roma  trovandosi  più  d'ogni 
altra  connessa  a  quella  di  rutta  l'Italia,  le  ricerche  per  le 
fonti  manoscritte  bisognerebbe  farle  non  solo  nelle  biblio- 
teche ed  archivi  romani,  ma  anche  in  quelli  del  resto  d'I- 
talia; né  forse  converrebbe  escludere  del  tutto  gli  archivi 
stranieri;  ed  aggiungeva  Tinvito  di  tener  conto  anche  delle 
pubblicazioni  periodiche,  molte  delle  quali  hanno  documenti 
importanti  per  la  storia  costituzionale  di  Roma. 

Alle  quali  osservazioni  la  Società  rispose  accettandole, 
per  quanto  concerneva  la  moItiplicitA  dei  fondi  da  esplo- 
rare, confidando  che  il  R.  Istituto  Storico  Italiano  avrebbe 
determinato,  d'accordo  colla  Società  stessa,  le  modalità  se- 
condo le  quali  è  possibile  d'incoraggiare  e  sostenere  viaggi, 
dimore  e  ricerche  di  studiosi  a  quest'effetto.  Neil' esame  del 
materiale  già  edito  nulla  deve  essere  omesso  o  trascurato, 
essendo  tracciate  le  linee  generali  dello  schema  solo  per 
indicare  e  non  già  per  escludere.  Il  punto  di  partenza  del 
Codice  non  venne  recisamente  determinato  perchè,  se  ve- 
ramente al  cessar  dell'impero  occidentale  si  tronca  e  muta 
l'antica  vita  costituzionale  di  Roma,  questa  era  già  infirmata 
da  una  serie  non  piccola  di  vicende  storiche,  prima  fra 
le  quali  l'edific:izionc  d'una  seconda  Roma  sul  Bosforo,  che 
rassomigliasse  e  decapitasse  la  prima  ;  per  cui,  stabilitasi  la 
rivalità  tra  la  città  dell'oriente  e  quella  deiroccidence,  s'apri 
la.  via  alle  vitali  agitazioni  del  medio  evo,  fitte  più  chiare  ad 
intendere,  se  sì  parte  da  quella  legge  che  vedevasi  impressa 
ad  una  colonna  in  mezzo  allo  srrategio  di  Costantinopoli. 
La  questione  si  riduce  pertanto  a  cominciare  il  Codice  o 
da  un  brano  degli  Excerpta  di  Malco  (^Script.  Bi:^.  Dcxippi 
€t  alior,  fragni,  pp.  235-236)  o  da  un  frammento  della 
Storia  ecclesiastica  di  Socrate  Scolastico  (I,  16);  la  quale 
determinazione  potrà  meglio  aver  luogo   nel    distinguere 


698 


a/liii 


quella  parte  del  materiale  che 
sere  incorporato  nel  Codice 
Roma,  alla  cui  compilazione  pc 
occasione  la  preparazione  di  qi 
potranno  pertanto  aver  luogo 
non  avranno  ragione  d'esser  o 
delle  schede  sari  fatta  dalla  1 
posta  alla  redazione  definitivaì 
opportuno  di  ordinare  gli  sp^ 
i  due  lavori  potessero  aver  ci 
stribuito  tra  i  soci  un  certo  1 
allega  l'esempio,  curando  che' 
sopra  enunciati.  La  scheda  si 
Tapprovazione  dei  colleghi:  a 
terminare  il  limite  entro  al  i 
studij  intendevano  di  restringa 
carono  adesioni.  .\iresplorazi^ 
dichiararono  d'accingersi  i  a 
mente  per  le  lettere  di  GregI 
per  lo  spoglio  dei  regesti  edi 
per  quelli  pubblicati  dal  Pottj 
pontijicum  Romanorum;  ed  esscj 
ancora  di  curare  l'esame  d^ 
segreto  e  della  biblioteca  Vat 
tuno  accordo  il  lavoro;  il  prq 
col  comm.  G*  B.  De  Rossi,  q 
scrizioni,  e  di  mettere  a  dispai 
appunti  intorno  alla  serie  dei  | 
di  curare  la  collazione  dei  d^ 
letti  nel  Primicerio  e  Vestiari 
possibile,  ai  documenti  cust<j 
di  S.  Maria  in  Via  Lata  Topeil 
e  Tavv,  R.  Ambrosi  di  esplon 
vincia,  comunicando  l'uno  do^ 

Àl^ 


il  rev. 


Leone 


oAtti  della  Società 


^99 


rati  membranacei  della  proto-badia  Subkcense,  che 
fssono  avere  importanza  pel  nostro  assunto;  il  cav.  Luigi 
imi  di  esaminare  gli  archivi  di  Toscana,  dell'Umbria,  e 
gnatamcntc  di  Perugia,  Todi,  Gubbio,  Spoleto,  Orvieto, 
erni,  Narni,  Assisi,  e  di  far  indagini  nell'archivio  Vati- 
no,  preferendo  fra  tutti  gli  altri  atti  quelli  che  si  conten- 
mo  nei  registri  del  Patrimonio  di  San  Pietro  non  pub- 
icari  da  altri;  il  comm.  dottor  Enrico  De  Paoli,  come 
praintendente  agli  archivi  romani,  di  comunicare  tutti 
tei  documenti  che  sia  in  originale,  sia  in  copia,  sia  in 
nto  si  trovano  nel  R.  Archivio  di  Stato;  il  prof.  P.  Vii- 
ri  di  ricercare  gli  archivi  di  Firenze  e  di  fornire  la  col- 
sione  e  la  copia  dei  documenti  reperti  ;  il  prof.  Ernesto 
onaci  di  fare  lo  spoglio  delle  croniche  Muratoriane;  il 
>nor  Th.  Hodgkin  quello  delle  lettere  di  Cassiodoro;  il 
noscritto  di  percorrere  le  collezioni  nnnalistiche  e  ricer- 
re  le  fonti  inedite,  specialmente  del  decimoquarto  e  de- 
noquinto  secolo  ;  i  signori  prof.  G.  Cugnoni,  bibhotecario 
Ha  Chigiana,  C.  Castellani,  prefetto  della  Marciana  in 
^aezia,  H.  Winkelmann,  bibliotecario  della  università  di 
jidelberg,  di  contribuire  coi  preziosi  fondi  scientifici 
Ile  librerie  cui  sopraintendono  a  vantaggio  del  Codice 
ìhmatico  di  Roma. 

Necessitando  poi  di  stendere  Tesarne  al  maggior  nu- 
*ro  di  collezioni  e  d'archivi  privati  e  pubblici  della  nostra 
jione,  fu  indirizzata  alle  più  illustri  famiglie  e  alle  Am- 
nistrazioni  civili  ed  ecclesiastiche  principali  della  città 
circolare  che  segue; 


Roma,  li  31  maggio  1888. 


On.  ed  III.  Signore, 


Fin  dalFanno  18.J.S  un  giornale  letterario  e  scientifico  di  Roma 
lonziava  con  gioia  «  come  alcuni  signori  e  alcuni  capì  d'Ammìni* 
izioni  ecclesiastiche  in  Roma,  pregi:indo  la  utilità  che  dalle  aa- 
le  carte  possono  trarre  la  storia  ed  il  foro  nella  trattazione  delle 
ise  civili,  decretarono  rordinamento  de*  loro  archivi  domestici  o  di 


700 


Q^iti  della  Società 


quelli  sottoposti  alla  loro  presidenza  ».  Il  Saggiatort^  che  ic  ^ 
Tanno  pubblicava  cosV  bella  notizia  (an.  2,  voi.  IV^  p.  jr^),  ag^i» 
geva  lodi  al  Carine!,  conservatore  dell'archivio  Caeuni  e  onfi&soet 
del  cartulario  della  Fabbrica  di  5.  Pietro,  deirarchivio  del  nurdiae 
Patrìzi-Naro  e  del  prìncipe  di  Piombino. 

Ora  questa  R.  Società  Romana,  che  per  invito  dell*  Istitoio  Sto- 
rico Italiano  sì  accìnge  a  pubblicare  il  Codcx  diplomMicìài  L>K< 
reputando  che  le  belle  disposizioni  d'allora  abbiano  fnjtdiicato,  eoo- 
fida  che  alla  storia  patria  non  verrà  meno  in  questa  occasiooe  il  sr- 
tese  contributo  delle  grandi  e  generose  famigtie  e  delle  potenti  J^ 
ministrazioni  civili  ed  eeclesìastiche  per  cui  la  storia  dclU  ptfm  i 
gloria  domestica  e  chiede  che  all'alta  intrapresa  che  le  t  conuDoa 
concorra  il  favore  dei  singoli,  e  si  conceda  pertanto,  con  quelle  tiu^ 
leverìe  che  piCi  sembrano  desiderabili  e  d'accordo  coi  signori  irt^ 

visti,  che  la  Società  faccia  esplorazione,  collazione  e  pubblio*  ' 

quei  documenti  che  è  sperabile  si  trovino  ìn  cotesto   sper 
chivio,  di  tale  qualità  che  non  debbano   mancare  a  un  Codtct  t:  ti 
una  Storia  diplomatica  di  Romiu 

La  R.  Società  Romana  di  storia  patria  confida  che  la  pregUicn 
che  avanza  verrà  dairon."**  S.  V.  presa  in  considerazione  e  siri  btu 
di  notificare  nella  rubrìca  della  sua  pubblicazione  periodica  ri^emU 
alla  preparazione  del  Cod£x  diplomati  e  ìis  Urbis,  quella  risposta  ;bc 
alPon.  S.  V.  piacerà  di  farle  pervenire. 
Con  ossequio,  ecc. 


Famiglie  ed  Amministrazioni  alle  quali  fu  indirizzau: 
Famiglie  nobili. 

Aldobrandini  principe  don  Camillo  —  Altieri  principe —  Barb<^ 
rìni  principe  don  Enrico  —  Bolognctti-Cenci  principe  don  Vèrginio  — 
Borghese  principe  don  Paolo  —  Caetani  duca  don  Ononto  —  Ci- 
pranica  marchese  Camillo  —-  CardclU  conte  Alessandro  —  Où^ 
principe  don  Mario  —  Colonna  principe  don  Giovanni  —  Del  Bu£ilo 
Della  Valle  marchese  —  Dona  principe  don  Gìo\'annì  Andrej  —  G»- 
brielli  principe  don  Placido  —  Orsini  principe  don  Filippo  —  SfortJ 
Cesarinì  duca  don  Francesco. 


Capitoli,  Collegiate  e  Monasteiiu 

Capìtolo  di  S.   Anastasia  —  di  S.  Angelo  in  Pescheria 
Ss.   Celso  e  Giuliano  —  dì  S.  Eustachio  —  dì  S.  Giovanni  in  I> 
terano  —  di  S.  Girolamo  degli  Schiavoni  —  dei  Ss.  Lorenzo  e  J 


Ospedale  di  S.  Giacomo 
sìa. 

Archxconfraternite  e  Confraternite. 

Archiconfraternita  degli  Adoratori  alla  Colonna  —  degli  Amanti 
Gesù  e  Maria  —  di  S.  Andrea  e  S.  Francesco  —  di  S.  Antonio 
Padova  —  dei  Bergamaschi  —  dei  Ss.  Carlo  ed  Ambrogio   — 
^5.  Caterina  da  Siena  —  del  SS.  Corpo  di  Cristo  —  del  SS.  Cro- 
sso Agonizzante  —  del  SS.  Crocefisso  —  dei  Curiali  —  dì  S.  Gio- 
oi  dei  Fiorentini  —  dei  Lucchesi  —  di  S.  Maria  della   Mercede 
'  di  S.  Maria  dell'Orazione  e  Morte  —  del  SS.  Sacramento  —  dì 
Spirito. 

Risposero  all'  invito  con  singolare  cortesia  i  signori  : 
principe  Paolo  Borghese,  marchese  Camillo  Capranica, 
Onorato  Caetani  duca  di  Sentioneta,  principe  Mario  Chigi, 
principe  Colonna,  principe  F.  Orsini,  duca  F.  Sforza  Ce- 
sarini;  il  rev.  abate  di  S.  Paolo,  don  Francesco  Leopoldo 
Zelli,  pel  Capitolo  di  S.  Lorenzo  in  Damaso  il  chiarissimo 
monsignor  David  Farabulini,  le  Amministrazioni  ospita- 
liere di  S.  Spirito  in  Sassia,  del  Salvatore  ad  Sanaa  San- 
aorum;  l'archivista  dei  Bergamaschi;  ed  è  luogo  a  sperare 
che  questi  nobili  esempi  vinceranno  altre  ritrosie. 

Discliiusa  la  via  al  lavoro,  questo  venne  incominciato 
e  in  apposita  rubrica  del  nostro  Archivio  se  ne  renderà 
conto.  I  contributi  dello  Stevenson,  dell'Ambrosi,  dagli  ar- 
chivi di  Anagni  e  di  Velletri  e  quelli  dell'Allodi  dall'abadia 
Sublacense  vi  troveranno  immediatamente  il  loro  posto; 
cosi  in  seguito  i  successivi. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  itoria  patria.  Voi.  XI.  46 


Se  non  che  impona  che  l'opera  sociale  sia  ben  disd) 
plinata  eoa  nella  preparazione  come  nella  compLladonij 
e  se  è  desiderabile  che,  in  quella  guisa  che  sì  reputeri  pfl 
opponimi  da  cotesto  R.  Istituto  Storico,  si  faciiin  l'espio^ 
rmooe  d'archivi  e  di  biblioteche,  senza  la  quale  sarebbi 
riDO  accingersi  all'Intrapresa,  importa  pure  che  un  primo 
saggio  della  pubbllcaziaae  vengi  circoscritto  dentro  a  ris 
stretti  limm  cronologid;  dacché  se  in  tutte  le  opere  il  aw 
nunctameoto  è  difficile»  di  questa,  che  non  è  lieve»  nec»| 
sàa  ben  fissare  Tindok  e  i  modi,  acciocché  il  prindpid 
del  &tto  sia  gi::da  eloquente  anche  a  chi  segue  ad  attefl-i 
deve  iOe  ncercfae  preparatorie. 

n  Presi  den  ce 
O.    TOM\tAStNL 


BIBLIOGRAFIA 


Alessandro  Gherardi.  Nuovi  documenti  e  studi  intorno  a  Gi- 
roìamo  Savonarola.  Seconda  edizione  emendata  e  accre- 
sciuta. —  Firenze,  Sansoni,  1887  (12%  pp.  xn-400). 

Merita  lode  il  pensiero  del  cav.  A.  Gherardi,  di  (are  uaa  nuova 
edizione  di  questo  libro,  non  che  T  incoraggiamento  dato  all'opera  dal 
Ministero  della  pubblica  istruzione;  perchè  Tedizione  prima  stampata 
asoli  50  esemplari  era  quasi  irreperibile;  e  chi  non  poteva,  o  per  do- 
veri d'uHìcio  o  per  altro,  recarsi  ad  esaminarla  in  qualcuna  delle 
princìpalìssime  biblioteche  del  Regno,  doveva  appagarsi  d'argomen- 
tarne la  grande  importanza  dalle  rassegne  e  dai  libri,  che  ne  par* 
lavano  o  che  facevano  tesoro  dei  documenti  e  degli  studi  in  qnelU 
raccolti, 

Questa  lode  ha  da  esser  poi  tanto  maggiore,  in  quanto  non  si 
uatta  di  una  semplice  ristampa;  ma  il  libro  ci  si  presenta  veramente 
migliorato  e  accresciuto  dì  molte  cose, alcune  delle  quali. d'importanza 
non  lieve.  Come  sanno  quelli,  che  han  visto  o  questa  o  la  prima  edi- 
zione, il  libro  è  diviso  in  ere  parti,  delle  quali  la  prima,  genealogica  e 
bibliografica,  ha  a  fondamento  gli  studi  del  compianto  cav.  Napoleone 
Cittadella  di  Ferrara  sulla  famiglia  e  sulla  casa  del  Savonarola  e  sa 
tutte  le  pubblicazioni,  che  ne  illustran  la  vita  ;  la  seconda,  sopra  tutte 
importante,  è  formata  da  documenti  inediti  scoperti  in  gran  parte  dal 
p.  Ceslao  Bayonne,  domenicano  studiosissimo  delle  cose  del  Savona- 
rola, e  qui  pubblicati,  ordinati,  illustrati;  la  terza  contiene  la  tratta- 
zione di  certe  quisttoni  cronologiche,  alcune  delle  quali  rilevantis- 
sime. Or  nella  presente  edizione  la  parte  prima  è  accresciuta  dì  certe 
notizie  intorno  a  un  amore  giovenile  del  S.  per  Laodaraia  figliuola 
naturale  di  Roberto  Strozzi,  la  quale  non  aveva  degnato  la  mano 
del  giovine  nato  di  più  umil  casata  (i);  e  soprattutto  di  molte  no- 
tizie bigUografìche,  che  hanno  indotto  il  Gh.,  anziché  a  fare  un  sup- 


(i)  Par.  I,  $  II.  pp.  s-8.  Le  notizie  lon  tratte,  parte  da  un  tratto  del  Fulntra  iìK- 
gtnti$  di  pu.  BiSEDCTTo,  giA  edito  in  parte  e  icorrettameote  dal  Meier  e  dall'Aquarone  ; 
In  pane  da  gualche  nuovo  docaoMato,  dei  ^oali  n'è  pubblicalo  uno  a  p..  {,  n.  i. 


704 


bibliografia 


plemento  alla  bibliografìa  del  Cittadella  e  All'aggiunta  fattivi  i 
prima  edizione,  a  riunire  tutti  i  vecchi  e  nuo\n  materiali  in  un  t 
unico,  che  è  riuscito  davvero  un  bd  saggio  dì  bìbliograàa  bìogi 
del  frate  ferrarese.  La  parte  terza  è  soltanto  trattata  con  ma^ 
ampiezza^  specialmente  richiesta  dal  modo  nel  quale  et^no  stJte 
cate  quelle  questioni  nella  nuova  edizione  dciropcra  ìn^i^i 
prof.  Villarì.  Quanto  alla  seconda,  dirò  colle  parole  ste««e  dell 
torCj  che  «si  avvantaggia  qui  notabilmente  sulla  prima  edizj 
a  Ventìsci  sono  i  documenti  nuovi  con  le  opportune  illustrazioi 
«Basterà  ch'io  accenni  ai  principalissimi,  che  sono:  alcuni  \ 
«  della  Storia  manoscritta  di  Piero  Parenti,  che,  insieme  eoa 
e  lettera  di  madonna  GugUclmina  della  Stufa,  formano  ti  quiittfl 
•cragrafo,  interamente  nuovo;  diverse  note  di  spese  in: 
«Signoria  e  dai  Dieci  per  il  fatto  dell'esperimento  dti 
eia  cattura  e  il  supplizio  del  S.  e  dei  compagni  (^J  ix  e  &j,  v 
«  brani  di  cronache,  pur  manoscritte,  dì  due  frati  minori,  che  ha 
«e  tra  i  documenti  relativi  alla  memoria  di  fra  Girolamo  (5  ^) 
«Anche  i  documenti  delle  relazioni  del  Nostro  coi  Pratesi,  c^y. 
«  illustrati  dal  comm.  Guasti,  ritornano,  con  qualche 
«e  U  ritoccati,  iu  questa  edizione  u  (2).  E  su  questa  b_  . 

che  forma  quasi  tutto  il  volume  del  libro,  fermeremo  paTticoUcflU 
la  nostra  attenzione,  cosi  sulle  aggiunte,  come  su  quel  che  ^J 
prima  edizione  sì  conteneva,  giacché  la  sua  scarsa  dìt?usion« 
quasi  farla  considerare  come  un'opera  nuova;  e  lo  faremo  sc^e 
Kordine  dei  dodici  paragrafi,  nei  quali  la  materia  è  distribuii, 
quanto  la  qunlìtJ  degli  argomenti  di  ciascuno  lo  consentiva, 
condo  la  successione  dei  tempi. 

Contiene  il  primo,  che  si  riferisce  ai  primordi  della  vita  rcligl 
del  S.,  due  lettere  dell' illustre  medico  e  letterato  bolognese  Ciov; 
Garzoni,  lettore  di  filosofia  nel  patrio  ateneo,  che  nella  prinu  ìoà 
il  S.  di  esser  venuto  «  ad  urbem  Bononiensera  tamquam  .id  mere 
turam  bonarum  artìum  »,  e  gli  preconizzava  che  si  òaic 
sua  scuola,  granJe  oratore,  come  altri,  che  ricordava,  m 
noi  giungono  ignoti  (5);  neiraltra  usava  espressioni,  che  non 
mostrano  troppo  contento  del  discepolo  (4). 

Il  secondo  è  formato  da  una  nota,  tratu  dalle  cane  del  ìOQVì 
di  S.  Marco,  dello  limosine  ricevute  in  vari  tempi  da  esso 
per  le  prediche  del  S.;  la  quale,  se  pare  in  se  stessa  di 
pure  mi  sembra  che  possa  essere  utile  a  stabilire  U  croaol 
prima  dimora  del  S.  a  Firenze,  sulla  quale   è  regnata   cojlj 
mente,  e  quasi   può   dirsi   fmo  alla  nuova   edizione  delt'o] 


(1)  Veramenic  ^tce  :  ^  x;  nu  è  un  error  di  tump*  erideoie. 
(s)  PreCàziooe,  pp.  x»xi.  * 

(j)  Doc.    I.  p.  58. 

(4)  Doc.  »,  p.  39.  Secondo  lui  il  S.  aveva  dlcbianita  U  goen 
gramneatc  Apollo.  La  lettere  «obo  unbwliK  fenx»  ^u. 


bibliografia 


705 


\^larì»  che  della  pubblicazione  del  Gh.  sì  giovò,  cosi  gran  confu- 
sione (i). 

Il  terzo    contiene  i  documenti  che  concernono  alla  costituzione 
della  provincia  toscana  dei  domenicani  riformati,  ossia  alU  separa- 


[  (1}  Vero  é  per  «ttro,  che  sppoato  questi  documenti  mi  eoiuiurrdibcro  ad  alloatADArBii 

da  qtunio  il  V.  fcrìste  nelli  nuova  ediiione  dell'operi  iua,  spccUlmeaie  intorno  all'anoo, 
nel  qiuJe  il  S.  venne  la  prima  volu  «  Firente,  e  dì  cui,  per  verìti,  non  mì  paien  di 
poter  essere  inienninite  sicuro,  quando  feci  una  rassegna  del  volume  I  di  quell'opera 
(pubblic  Del  GioriuU  ttor.  dsllt  Utt.  U,  X,  ajS  sgg.),  ceoza  aver  potuto  cootultare  ni 
riscoatrorc,  per  le  ragiooi  che  io  princìpio  ho  accennate,  la  pubblicazione  del  Gb.  II 
quale,  nella  3*  parte  di  questo  libro,  si  occupa  appunto  di  tal  questione  (||  1,  p.  369  S(;g.). 
«d  osserva  giustamenie:  t"  che  l'autoriti  dell'Ubaldini  Traie  dì  S.  Marco,  che  professò 
nel  1490,  e  che  nei  mot  annali  del  convento  lasciò  scritta  la  data  del  1481  accettata  dal 
p.  Marchese,  non  e  punto  rocn  valida  di  quella  di  fra  Placido  Cinoziì,  cbc  professò  in 
S.  Marco  ad  1496,  e  che  scrìsse  nelU  sua  tjnstcla  biografica,  a  cui  attinsero  tutti  gli 
altri  amichi  biografi,  la  data  del  1481,  olla  qtule  il  V.,  nella  KConJa  edizione,  ritorna; 
a"  che  i  biagra6,  compreso  il  Cinozzi,  nel  dar  la  cagione  di  questa  venuta,  parlano  della 
guerra  di  Venezia  coatro  Ferrara  come  gid  mossa  e  ÌacommcÌata,  e  però  non  vale  a  so- 
iicDere  la  data  del  14^1  l'acuu  osservazione  del  V.,  che  le  la  guerra  cominciò  nel  1483, 
<*  i  Torbidi,  le  incrrteuc,  1  preparativi  erano  gii  assai  prima  cominciati  ■  (loc.  cit.  pp.  371- 
]73.  Cf.  VuLARi,  La  itùria  di  G.  S.  ecc.  nuova  ed.  pp.  js,  7J-74)-  Al  che,  d'altra  parie, 
potrebbe  anche  aggiungersi  cbe  ì  torbidi  e  le  incertenc  furono  nel  14S1  cosà  veraneate 
incerti,  cbe  poco  ne  poteva  trasparire  in  modo  da  far  temere  sicura  la  guerra,  e  far  prea- 
dere  ai  domenicani  di  Ferrara  il  provvedimento  di  chiuder  lo  studio,  o,  come  dice  il  Buft- 
LswACcni  (Fila  dtl  p.  f.  G.  S.  Lucca,  1764,  p.  14),  di  tiravmrt  il  camtnto;  i  prepirativl 
poi  ci  conducono  senz'altro  al  1481.  [ofatti,  ancfae  seguendo  soltanto  la  testimonianza 
del  Naviglio  (Storùt  dtlla  R.f,  cciu^drui,  in  R.  I.  S.  XXIII),  che  ci  ripona  più  indietro 
di  tutti,  perchè  fa  cominciare  i  primi  screxì  fra  la  Repubblica  e  il  duca  nel  luglio  del  14S1. 
non  vi  fu  vera  minaccia  di  guerra  per  tutto  quell'anno,  tiu  un  grande  ondare  e  venire 
d'ambasciatori,  con  qualche  soddisfazione  data  dal  duca  alla  Repubblica,  e  con  arti  sue  per 
tirare  in  lungo  e  veder  di  liberarsi  dagli  obblighi  che  aveva  con  quella.  Solo  aì  3  dì  no- 
vembre, una  deliberazione  del  Senato  di  Vcoesia  dì  far  fabbricare  nell'arsenale  tre  bastie, 
da  mettersi  poi  in  certi  luoghi  dì  confino  con  alcuni  fanti.  E  più  tardi  si  mandavano  genti 
in  certe  castella  del  Padovano,  ■  non  gii  per  desiderio  di  muover  guerra  al  duca  di  Per* 
«rara,  ma  per  ìndur  quello  con  questo  modo  all'accordo*.  E  il  duca,  pur  tenendo  am- 
basciatori a  Venezia,  ne  mandò  ai  suol  collegati  re  di  Napoli,  Milano  e  Fiorentini,  i 
quali  protestarono  presso  il  pipa  (e  l'udìenia  ci  descrive  Ucoro  Voltcsiuno,  in  R.  l. 
S.  XXItr,  col.  s;K  e)  che  scriste  ai  Veneziani  un  breve  *  esortandoli  a  non  turbare  la  pace 
«  d*  Italia  •,  al  quale  essi  rispondevano  il  14  dì  gennaio  del  148S.  Seguitarono  poi  ancora 
le  pratiche,  ma  coraìnciaruno  ìostemc  le  condotte  e  gli  arroamcoti,  finché  il  19  d'aprile  fu 
Ueetuiato  da  Venezia  l'ambasciator  di  Ferrara;  e  nondimeno  sd  giorni  dopo  «  il  canceU 
>  liero  del  Visdomino  restato  in  Ferrara,  il  giorno  di  S.  Marco  andò  nella  processione 
■  solenne  eollu  stendardo  di  S.  Msrco  spiegato,  secondo  il  solito  dei  Visdomini  •.  Pure 
il  ."l  di  maggio  (il  Samuto,  VUat  ituum,  in  R.  I.  S,  XXII»  lai)  e,  dice  il  3)  fo  bandita 
solenoeroente  la  guerra  a  Venezia  in  piazza  di  S.  Marco  0oc,  cit.  col.  1169-1172}.  Ma  le 
dovessimo  seguire  il  Diario  ferrarese  d'anonimo  (R.  I.  S.  XXIV),  pii^  imporuote  al  coso 
nostro  pel  luogo  dove  fu  scrìtto,  e  che  in  sostanza  dal  Nsvagero  non  discorda,  le  prìne 
minacce  e  lagnanze  di  Venezia  a]  duca  furono  •  da  sancto  Michaele  »,  cìoi  alla  fic  di  set- 
tembre del  1481  (col.  a{6  a),  e  le  bastie  piantate  presso  a  Rovigo,  cbe  intimorirono  il 
duca  e  Io  fecero  rivolgere  agli  alleati  ed  al  pspA.  «  di  zenaro  *  14B1,  e  soltanto  il  {  di 
aprile,  in  venerdì  santo,  una  scorrerta  del  Veneziani  verso  Codigoro,  che  dette  origine  a 
proteste  reciproche  (col.  zj^-aj?.  Cf.  Nsvaacio,  1171  e).  Certi  provvedimenti  a  difesa 
aveva  cominciati  il  duca,  ma  dopo  la  risposta  rassicurante  del  papa  (ivi),  olla  quale  per 
verità  contrastavano  un  poco  i  gran  favorì,  che  usava  ai  Veneziani  (NavaGGao,  1171  a. 
Cf.  lacos.  VoLSTfcaa.  161  c-s,  SsHifTO,  op.  cit.  1114  e),  ì  quali  nel  marzo,  come  ne  fii 
fede  il  Sonuto,  che   assegna   le   date  precise,    ìncotaindarono   a  aoldor  gente   (loc.    cit. 


706 


bibliografia 


zione  della  congregazione  toscana,  o  di  S.  Marco,  dilb  ^^-^'^-^ 
lombarda;  fatto  tanto  bramato  dal  S.,  che  lo  sperava  pr: 
condo  di  riforma  e  dell'ordine  suo,  e  della  vita  fiorentina,  e  ^■.  l^-) 
la  Chiesa.  Al  rogito  di  ser  Giovanni  da  Montevarchi,  col  qtukBCì 


1314  e).  Pure  U  lotaxloiie.  che  U  Giù,  per  coocUiart  te  oppone  scsmbm,  pMf>«  •  ^ 
in  iofuiui,  aon  i  aUra  che  quelli  del  p.  Marchese  d«tui  eoa  ma|tpore  CMOiflh" 
che  il  S.  veoiiM  a  Firenze  prima  del  3;  dì  oqatzd  del  M^a.  qaaiula  «ecoAd*  W  iil^ 
rentino  dura»  ancora  ranno  1481,  noa  mi  sembra  troppo  fondata.  OltrMkt  •viMt* 
po'  nrano  che  l'UhaUìnl  non  aegniuc  Io  stile  Gorcniina,  ma  j]  conoac  {tam^  €^ 
parte,  che  col  raffi^Dto  del  reato  dei  suoi  annali,  chi  ha  il  modo  di  cooKltartì  fttil^ 
voloiente  Tcrìficare);  «e  i  vero  quel  che  tcrìvooo  i  biografi  (vedine  le  p«r«U  aMT  ■ 
Gh.  a  p.  171,  n.  a)  che  quando  11  S.  venne  a  Flrcnac  1«  guerra  era  ffii  mtoUm^  lÉM* 
per  lo  meno  nel  nieie  di  raag^o,  quando  doq  c'£   più    tra  I  doe  itili  weMma  AftHMa 

Ma  rimarrebbe  quell'argomento,  che  parrc  a  me  il  più  forte  di  tonit  <W<  f|d»ftft 
quaresima  predicata  io  S.  Lorcnxo.  che  il  Barlamaccbi  (p.  14).  aeptendo  il  GmiÈL  ^ 
cera  «  U  prima...,  che  successe  alla  sua  Tenuta  io  Ftrenac  •   e  et»  aoQ  p«u««  ìmwì— 
se  non  quella  del   i^8t   pi'ti.LABÌ,  op.   cit.   1,  73).   Or  questa   lista    il'f h  mwtns  Ja  Uf^ 
di  mcxEO.  Non  apparisce  da  queita  che  11  S.  predicasse  n  Firentc  nel   t^%K  K  anf^ 
vento  nel  monastero  delle  Murate  fp.  )9);  nel  148},  la  quareuma  txiio  9BUam  ^m^^ 
e  in  Orsammichele  (p.   40)  :   nh  questa  dupliciti  di   luogo  fa  dìScohA,   perche  la  |n^ 
ijooe  poteva  non  esser  quotidiana;  dopodiché  troriamo  quest'altra   panila  M  Ifll  {^ 
«  A  di  !j  aprite,  lire  39.8  avemmo  contanti  dal  Capitolo  di   S.  Loreofo.  per  kMito 
«delle  prediche  di  fra  Girolamo  da  Ferrara.  L.  )9-8  ».  Ecco  il  qutreaimAlc  À  S.  Lì^b> 
(la  Pasqua  cadde  io  quell'anDO,  se  non  erro,  Ìl  18  d'aprile),  che  noa    t  poi  yrc  *■* 
se  n  Cinozzi  e  dietro  a  lui   chi  lo  sepil  credi,  ]xr  un  facile  error  di  tatXK-  • 
Invece  che  il  se:oado  dacché  il  S.  era  in  Firecue;  tanto  più  che,   ttu|«vi« 
fn,  al  14S4  sta  la  predicazione  simultanea  del  S.  in  S.  Lorenzo  e  dì  fra  Karias»  ^  :•  ^- 
che  il  Villarl  aveva  dovuto  rìgtture  e  che  i  biografi  attestano.  Ki  £a  oetaco^  U  fBk 
caaiooc  di  S.  Gemignano,  che  ai  dice  £itta  nelle  quaresime  degli  anni  t^lf  e   X^  (^a- 
L&ai,  op.  cit.   I,   84),    poiché  queste  date  sono  state  argomentate  dalla    pwolc  Ad  |i^ 
proceaao  del  S.  (mollo  malsicure  a  itabtlirri  su  una  data,  perché  riftcae  di  d^m^  OB* 
enerva  il  Gh.    a  p.  %-j\)  e  nell'idea,   chiarita   falsa  dal  Ch.  nel  ^   ti  èi  ^mtm  W* 
parte,  che  nel   1486  si  lenesM  ìl  capitola  dì  Reggio,   che   fu    Invece  c«av«c«la  ali  1|b 
Or  da  quelle  parole  del  processo  (poiché  nnxi   vai  la  pena  di  cjtnrc  la  lilljm  iia    in  r 
rata,  come  altre  sne,  del  p.  Uaroo  della  Casa,  che  riferi  qncUa  prwScaiìoaaai' 
e  1484,  ia  p.  H*Rcns.ss,  Awtrtimtnio  premesso  alla  pubblicai.  dcUe  lencR  -' 
iiar.  it.  App.  Vin,  p    78,  n.   $.  Cf-  p.  80)  non   apparisce  in  seataaaa  ■•  aon  {«>■». -ai 
a  S.  Gcmigoaao  il  S.  prodìcA  imt  smmi  (TuLaii,  op.   cit.    II,  p.  e  I),  scnes  cha  aiff*  * 
possa  dire  se  furono  avvcoti  o   quaresime.  Ma  è  probabile  che  fonerò  te  ^aifcavi  M 
due  anni  148^  e  i486,  nei  quali  non  apparisce  dal  re^tra  Jì  coi  pvhbBcs  gk  cflraii  ' 
Gh.  ch'egli  predicasse  in  Fìrenie,  ^ve  invece  lo  ritroviamo  ad    1487,  ttl  ■j^^.lr  ars*  < 
la  seguente  panila  (tvì):   •  Dalle  monache  e  monastero  di  Santa  Vcrd.  ' 
■  fionni  j  larghi,  per  le  prediche  di  fra  Girolamo  e  dì  fra  Tomaso  B^ 
sia  che  ì  due  predicatori  si  fossero  attenuti,  sia,  come  ci  par  più  proba'xie.  ;•«  ^ztvtt 
quella  quarcaima  il  S.  fosse  stato  richiamato  da  Fireaxe  in  Lombardia,  •  d  BnAiaH> 
seguitato  ■  preiicar«  io  sua  vece.   E  cosi  viene  ad  accorciarsi  U  tempo  della  4^tn  da 
S.  in  Lombardia  accennato  da  lui  nel  processo  nel  solito   modo    ìadclcmtBita  (•  ^f 
stetti  aoaì  circa  iiij  »,  loc  cit.)  ;  ma  intonu>al  quale,  salvo  il  q«arciÌB«ke  £  purtt.  l^ 
a&tto  lian  saputo  dirci  ì  biografi. 

Anche  della  intricata  questione  della  seconda  venuta  dal  S.  a  Fireata  f«g>0aa  arf* 
bene  il  Gh.  nello  vicaso  paragrafo  della  urea  pane,  lUsdo  gioato  peso  al  a  Kal^Aiv- 
•  guni,  die  dominico  •  del  L»mft»émm  mmUtianum,  che  porta  al  t«fa  il  péadlfAi  li^ 
pwfiCMfiont  pubblica  in  S.  Marco,  t  pur  appimando  a  dover»  It  TrariafiianM  dKÌ^ 
dasacTo  il  prof.  Vìllari  ed  altri  a  por  la  sua  venuta  io  Fireaac  sai  148^4  •  Meealftt^ 
nanai  due  ipotesi  a  spiegare  la  cooiraddisione,  che  Is  qoel  paaao  del  C^MwaAa*  *  *" 
scaotra;  delle  quali,  per  veriti,  mi  pare  la  pifi  probabile  quella  che  al  Gh.  jm  ^MktàM 


bibliografia 


707 


;ti  di  S.  Marco  chiedevano  k  separazione,  protestando  di  bra- 
'la  e  chiederla  spontaneamente  e  firmandosi  di  propria  mano  (i), 
>e  lettere  generalizie  di  fra  Gioacchino  Turrìano,  che  ag^cga- 
vano  il  S.  alla  nuova  congregazione  (2),  e  ne  lo  costituivano  provin- 
ciale (3),  e  più  tardi  vicario  generale  (4),  e  la  congregazione  stessa 
proteggevano  dal  mal  animo  dei  frati  lombardi  (5)  e  ne  estendevano 
ad  altri  conventi  la  giurisdizione  (6);  altri  documenti  s'aggiungono 
qui,  che  mostrano  il  gran  favore  che  la  Signoria  di  Firenze  dava 
con  zelo  premuroso  all'opera  dì  fra  Girolamo  e  alla  sua  difTusione, 
sta  per  mezso  del  suo  ambasciatore  a  Roma  Puccio  Pucci  (7)  e  del 
segretario  Antonio  da  Colle  (8),  sia  scrivendo  direttaraente  al  car- 
I  dinalc  Oliviero  CaratTa,  protettore  dell'ordine  domenicano  (9). 

Il  paragrafo  quarto  è  il  più  noto  e  pubblico  di  tutti,  perchè  for- 
mato dallo  studio  del  comm.  Guasti,  che  fu  stampato  Tanno  1876 
india  Rivista  univenaU  di  Firenze,  e  ha  per  titolo:  Il  5.  e  i  Pratesi. 
Trova  qui  il  suo  luogo  opportuno,  perchè  in  esso  il  Guasti,  dopo 


'thra 


*tìm  U  S.  fcrìvcste  1489  secando  lo  stile  Sorentioo,  rifereadoal  ti  primi  meii  di  quell'anno, 
'  e  poi  seguiuxtc  :  •  quo  quidem  anno  »,  senza  avvertire  che.  scrìvendo  ts  qaello  stile,  l'anno 
finiva  col  14  di   mano.  A  quel  modo  non  occorre  supporre   errata  la  data  delta  lettera  da 
i  VmYÌM.  (dAlLa  quale,  giusiamcate  osserva  il  Gb.,   non  resta  provata  ni  la  sua  andata  a  Ge- 
I  DOVA,  ne  molto  meno  che  egli  predicasse  tatto  il  quaresimale  io  quella  Cini),  e  si  ^>ìtga 
I  va  po'   meglio  anclie  quel)'  «  anni  circa  ìiii  •  del  processo  citato,  specUlmcole  ic  il  S.  tra 
I    sempre   a  Firenze  a  principio  del   1487. 
(1)  Doc.  1;  p.  4*  HS' 
(a)  Doc.  j;  p.  $4. 
(5)  Doc.  4;  p,  s6 
(4)  Doc.  17;  p.  66. 
($)  Docc.  a.  5;  pp.   52,   s«. 

(£)  Docc.  Il,  16,  ift;  pp.  61.  6$,  6S.  lì  primo  t  veramente  una  tenera  del  priore  di 
^Fiesole,  che  parla  dell'aggregazione  a  S.  Marco  dei  conventi  di  Fiesole  e  di  Pisa;  ìJ  se- 
condo vi  aggrega  U  convento  di  S.  Maria  del  Sasso;  il  terao  di  gìurisdtxìone  al  S.  svile 
ttniaric  domenicane  di  5.  Lucia  dì  Firenie.  S'aggiunga  il  doc.  1  ),  col  quale  il  generale 
4av«  Cscoltà  al  S.  dì  mandar  fuori  dal  convento  quanti  frati  gli  piacesse,  per  iraitar  questi 
negasi,  p.  63. 

(7)  Lettera  della  Signoria,  del  2  gingilo  1494.  Raccomanda  d'insistere  col  card,  di 
Xapolì,  per  ottenere  l'aggregaàone  a  S.  Marco  dei  conventi  di  Fiesole  e  di  Pisa.  Oocu* 
meato  i;  i  p    64. 

(t)  Lettere  della  Signorìa  scritte  allo  stesso  fine,  e  anche  per  l'aggregaaìone  del  cod- 
ismo 4ì  S.  Domenico  di  S.  Gìmigoano,  il  a8  novembre  e  il  17  decembre  149J,  1*  li  gvn- 
naio  eli  7  d'aprile  del  1494.  Docc  7,  8,  9,   10;  pp    ^9,  60 

(9)  Lettere  della  Signoria,  scrìtte  allo  stesso  fine,  il  26  novembre  149),  il  1$  maggio  e 
il  2  di  giugno  del  1494.  Docc.  6.  12,  14;  pp,  j8,  62,  6).  Dicevano  e  ripetevano  al  cardi- 
nale: •  Nibi!  nobis  facere  potè*  In  presentia  graiius  •.  £  assai  notevole  che  tutte  queste 
pratiche  ti  fxnno,  come  li  vede,  dalli  Signoria,  prima  della  cicciata  Jt  Piero  dei  Medici 
e  quando  questi  poteva  molto  In  Firenze  (Cf.  anche  i  documenti  pubblicati  dal  VIUatì  Ìd 
appendice  al  volume  1  dell'opera  sua,  sotto  i  numeri  Xl,  xiii,  :«tv  dall'i  al  4)  e  ne  vien 
confermato  quello  cbe  U  S.  disse  nel  terzo  processo,  che  anche  la  separazione  del  con- 
vento di  S.  Marco  dalla  congregazione  lombarda  ■  era  suto  per  mezo  di  Piero  de'  Me- 
«  dici  •  (ViLt-ARi,  op.  cÌL  II,  claaavj).  Or  questo  non  ni i  par  senza  qualche  peso  a  Car 
ritenere  un  po'  dìfHcile  cbe  il  S.  «  fosse  scoperto  contrario  alla  politica  medicea,  dichia- 
mndola  tinumica,  e  intimando  perfino  a  Loreoio,  ai  letto  dì  morte,  di  rendere  a  Fireiue 
laUbcrtA. 


7o8 


bibliografia 


accennato  il  bisogno  di  rìfomia  che  sì  sentiva  cosi  destro  cose 
fuori  dei  cenobi  nel  secolo  xv,  prende  appunto  le  mosse  datl'ontf* 
vanza  introdotta  in  S.  Marco,  e  dalla  separazione  della  con|7cgh 
zione  toscana  dalla  provincia  lombarda  (i),  per  poi  venire  all'ilb- 
strazione  dì  certi  inediti  documenti,  che  ci  dicono  qual  fosse  U  fj*«ii 
che  la  riforma  trovò  in  Prato,  e  come  s'unisse  alla  nuova  'x 

il  convento  pratese  di  S.  Domenico;  come  a  favorir  la  rii  c>sa 

premura  insieme  e  i  Difensori  di  Prato  e  la  Signoria  di  Firenze,  p^ovT^ 
dcndo  d'altra  abitazione  i  domenicani  conventuali  e  assicurando  gli  os- 
servanti dalle  molestie  di  questi  (2).  Segue  poi  a  dirci  YK.  come  tB 
Prato  risonasse  con  gran  frutio  la  voce  del  S.,  e  come  sian  da  rKerifii 
a  questa  predicazione  alcuni  fatti,  che  il  Burlamacchi  fa  avrcnuDi 
Pisa  (5);  come  i  Pratesi  in  gran  numero  s'innamorassero  dcili  nti 
cristianamente  costumata  e  civilmente  lìbera,  che  il  S.  predicjri.  e 
v'aderissero  con  pubbliche  soscritioni,  a  quanto  sembra  poterai  *^ 
gomentare  da  un  curioso  e  notevole  documento  (4),  sebbene  noa  Dia* 
cassero  neppur  \\  al  S.  e  alla  vita  costumata,  ch'egli  predicar*,  te 
nemici  (5);  come  la  riforma  penetrasse  a  Prato  anche  in  raoniitcri 
d'altro  ordine  (6);  come  perdurasse  anche  con  tutte  le  pen. 
che  seguirono  la  mone  di  fra  Girolamo  (7),  e  mantencs-s-: 
spirito  santamente  liberale  del  convento  di  S.  Marco,  del  qu4Ìc  l'A- 
ci  presenta  un  esempio,  nel  ritratto,  col  quale  chiude  splendi  da  ©crtr 
il  suo  studio  (8),  di  fra  Cipriano  Cancelli  del  Ponte  a  Sicve,  ùx 
fu  priore  in  S.  Domenico  di  Prato,  e  confortò  l'agonia  di  quel  e^^^ 
roso  amatore  della  libertà  di  Firenze,  che  fu  Pier  Paolo  Bos: 
tesso  un  elogio  ispirato  a  sensi  liberi  e  generosi  a  Luca  dcUi  .  . 
il  cui  schietto  racconto  non  si  può  leggere  senza  fremito  e  Ksa 
lacrime. 

Gid  altrove  abbiamo  avuto  occasione  dì  rilevare  V  im|>ortama  dd 
paragrafo  quinto,  aggiunto,  come  abbìam  visto,  di  sana  pianta  ifi 
questa  edizione,  per  quanto  concerne  alla  parte,  che  ebbe  U  S.  ndU 
provvisione  del  Governo  di  Firenze,  fatta  nel  marzo  del  149$,  di  con- 
ceder perdono  e  pace  universale  per  le  cose  politiche  del  tempo 
trascorso,  e  facoltà  d'appellarsi  al  Consiglio  maggiore  dalle  coniasse 
capitali  pronunziate  dalla  Signoria  0  dagli  Otto  (9).  Qm  aggiu&g^ 
remo  che  la  pubblicazione  di  quel  tratto  impoaanti&slixio  della  rcr- 

<i)  $  1;  p.  60  ijg. 

<»)  55  «»  3i  P-  7>  «BR- 

())   5   4i   P>     8j    Igg.   Ci.     VlLLAKI,    Op.    dt.     l\\.    IT.     p.    4A4,     S.     t,    40T«    é    ^^H^ 

come  nuccue  l'errore  del  BufIacuccM. 
(4)  $  5  ;  p.  «6  «gg- 
<I)  5$  <-  8;  pp    »i,  9S  »KS. 
<*)  J  7  ;  P-  92  igg. 

(7)  S  9;  P-  97  »«»• 

(8)  S  »o;  p.   104  «gg. 
{9}  Kelia  receationc  del  voltine  II  dell'opcr*  più  volte  lo^u  dei  Vlll^ 

xiooe),  injcrìu  net   Givrmalt  tìorteo  drlla  ttHtratur%  lUliam»  di  Torino,  XIL 


bibliografia 


709 


bosa  cronaca  di  Piero  Parenti  non  solo  ci  dà  notuia  dì  fatti  trascu- 
rati dai  più  dei  biografi  (i),  o  ce  ne  fa  meglio  conoscere  altri  da 
loro  travisati  o  alterati  (2)  ;  ma  soprattutto  ci  rappresenta  in  modo 
vivissimo  quel  che  le  carte  non  registrano,  cioè  quale  fosse  la  vita 
di  quei  giorni  in  Firenze,  la  passione  che  il  popolo,  quasi  trascinato 
ed  affascinalo,  prendeva  alle  quistioni  politiche,  che  i  predicatori, 
con  forme  or  più  or  meno  coperte,  trattavano  dal  pergamo,  snatu- 
rando forse  alquanto  lo  spirito  della  predicazione,  sebbene  si  prote- 
stassero di  parlare  pel  bene  morale,  e  civile,  e  religioso  del  popolo. 
La  narrazione  del  predicar  simultaneo  di  fra  Girolamo  e  di  fra  Do- 
menico da  Ponzo,  il  quale  già  anche  altrove  e  con  miglior  successo 
aveva  trattato  di  cose  dì  Stato  (}),  e  che  ora,  forse  istigato  dal  duca 
dì  Milano,  combatteva  dal  pulpito  di  S.  Croce  la  legge  dell'appello 
dalle  sei  fave,  che  ÌI  S.  in  S.  Maria  del  Fiore  propugnava,  ci  fa  vi- 
vere in  quell'ambiente,  e  ci  fa  comprendere  in  che  cosa  consistesse 
e  come  si  esercitasse  rauioritù  di  quei  frati  nelle  faccende  politiche, 
intomo  alle  quali  deliberavano  coloro,  che  uscivano  di  chiesa  esal- 
tati o  atterriti  dalla  potente  parola  dell'oratore.  Il  quadro  vien  poi 
compiuto  dalla  lettera  qui  pubblicata  dì  madonna  Guglielmina  della 
Stufa  cr  la  prima  -  come  nota  l'editore  -  che  venga  in  luce  d'una  di 
n  quelle  centinaia,  anzi  migliaia  dì  donne,  che  frequentavano  le  pre- 
«  diche  del  S.  »  (4).  V^appare  l'esaltazione  deiranimo  accanto  alla 
mitezza  dei  santi  affetti  religiosi  e  domestici  ;  accanto  alle  espres- 
sioni tenere  e  affettuose  pel  marito  lontano  e  pel  bambino  malazzato, 
v*è  come  il  compendio  per  sorami  capì  d*una  predica  Ji  fra  Giro- 
iamo,  e  Tesortazione  al  marito  di  fare  le  inortificaziom  che  quegli 
suggeriva,  non  che,  in  un  poscritto,  quella  d'imporre  silenzio,  egli 
commissario  in  Arezzo,  airavversario  del  S.,  fra  Domenico  da  Ponzo, 
che  in  tjuella  città  allora  predicava  (5). 

Qui  comincia  la  parte  più  rilevante  di  tutto  il  libro:  gli  arti- 
coli VI,  VII,  Vili,  intitolali:  «  prima  interdizione  delle  prediche  al  S. 
e  relative  pratiche  dei  Fiorentini  col  papa  »;  «  dalla  istituzione  della 
congregazione  loscana-romana  alla  scomunica  del  S.  »;  «  documenti 
relativi  alPultìma  predicazione  del  S.  »;  chiariscono  e  compiono  e, 
per  certi  rispetti,  contengono  la  storia  del  tempo  più  notevole  della 
vita  di  questo,  e  gcttan  luce  sul  fatto,  che  ò  in  essa  massimamente 


k 


(t)  Per  «empio  dclU  cmJtuudA  daU  ti  S.  d'etsersi  appropriato  dd  depoiiti  dì  coie 
prezloM  fatti  da  più  cittadini  in  S.  Marco,  nella  cacciata  di  Piero;  della  qua)  cosa  lolo 
aveva  parlato  il  Perrciu,  attingendo  U  aotiiia  da  altre  fonti  (p.  iij). 

(])  Cosi  la  dispuu,  se  coi)  può  chunartì,  fitta  in  palagio  dei  Signori  fra  il  S.  «  fra 
Domenico  da  Ponzo  e  fra  Tommaso  da  Kieti  il  iS  dì  gennaio  del  149;  (daucfae  rìnilta 
appunto  dal  racconto  del  Parenti),  e  che  per  Ìl  BurUmacehi  (pp.  68-69)  fu  uo  concilio 
di  tutti  i  teologi  di  Firenze,  coropreto  Manilio  FÌcìdo  (pp.    in,  il],   114). 

())  Vedi  Giacomo  Grasso,  Dacumtnti  riguardanti  U  coiHiu^iom  di  nm*  kgA  coniro  U 
Ttirto  mi  i4St;  Genova.  1S80,  pp.  9,  )2,  71  (docc.  xv,  xxxiii). 

(4)  P-  las- 

(%)  Doc.  li  pp.  118-139. 


7IO 


bibliografia 


importante  per  la  storia,  e  che  fu  al  fiero  domenicano  più  fecODdo 

di  conseguenze  funeste,  cioè  a  dire  sulla  sua  contesa  col  pooicfice 
Alessandro  VI,  della  quale  poi  nel  due  paragrafi  successivi  vedisai 
notevolmente  illustrata  la  catastrofe. 

Nei  carteggi  degli  ambasciatori  fiorentini  a  Roma,  che  vco^obi 
qui  pubblicati  insieme  con  qualche  altro  documento,  noi  segotisn 
veramente  a  passo  a  passo  lo  svolgimento  di  quel  dissidio,  che  ri- 
dusse il  S.  alla  condanna  e  al  patibolo  ;  e  per  non  istare  a  in  osi 
i  particolari,  cì  pare  che  ne  risulti  dimostrato  chiaramente.  :'^"ih  > 
parte  fu  gii  osservalo  da  altri  (i),  che  il  papa  non  fu  me 
da  odio  particolare  contro  il  frate  ferrarese,  né  da  sdegno  ù<.iii.  *■■ 
dite  invettive,  che  questi  pronunziava  dal  pergamo  contro  i  costumi 
corrotti  del  clero,  ma  tia  cagioni  tutte  politiche;  e  che,  com<  scm>e 
il  Guicciardini  «  tenendo  per  se  stesso  poco  conto  di  lui,  si  ei 
«  mosso  a  procedergli  contro  più  per  le  suggestioni  e  stimoli  Jc^ 
«  avversari,  che  per  altra  cagione  »  (2).  E  questi  avversari  non  ffiflJ 
soltanto  Piero  dei  Medici  e  i  suoi  fautori,  e  gli  Arrabbiati  n-.- 
Governo  del  1495  e  però  del  frate,  che  quasi  poteva  dirscii'. 
datore;  ma  anche  gli  Stati  o  i  principi  italiani  collegati  ai  ddoniik) 
re  Carlo  Vili,  i  quali  allora  potevano  molto  suITanimo  dd  piipi, 
che  era  stato  fino  allora  e  così  si  mantenne,  lìnchò  Carlo  non  moa 
fieramente  avverso  ai  Francesi.  Eletto  a  dispetto  del  re  crisliaiiis&inK), 
che  avrebbe  voluto  sul  trono  pontificale  Giuliano  della  Rovere  (j), 
egli,  quantunque  stretto  in  una  lega  poco  favorevole  al  re  F 
nando,  con  Venezia  e  col  Moro  (4),  al  quale  era  largo  e  di  d. 
e  di  favori  (>),  era  pur  sempre  ritenuto  «  aragonese  e  ghibcl. 
anche  quando  la  paura  degli  apparecchi  di  Carlo  gli  eoa: 
certe  tergiversazioni,  per  le  quali  a  momenti  sembrava  riacc 
a  Francia  (6);  e  quando  i  fatti  li  mostravano  apertamente  favorrvofi 
all'impresa  del  re,  non   risparmiava  minaccte  a  Lodov"  r-'i 

che  mìnaccìe  al  cardinale  Ascanio,  al  quale  era  pur  nb:  ^: 


(1)  X>ti  compunto  prof.  Aktomio  Cosci,  ad  koo  stUiUo  mtitoUta:  Gtftimma  Smm»^ 
roU  e  i  nuovi  dotumenti  intorni'  at  mtàttim'?,  pubbl,  n^WAreh.  %hrr.  itél.  MZK  IT,  L  f* 
pmstiin. 

(1)  Storia  d'julia,  lìl,  vi, 

(3)  GRKCORovtus.  Storia  dilla  tittÀ  di  Rjìm  del  mèdia  fvo^  i*t.  XIII,  iv,  ii  VUtlf^llT 
detla  uaduztonc  iulitna;  Venezia,   187V 

(4)  Siretu  il  35  d'aprile  <lel  149].  V.  ButcR,  Dir  Bt^ùbun^  iw  Mféàtt^  y»  fili' 
rtitb  wahreud  der  Jihrt  I4f4-ìi<f4,  tee.  p.  }!$;  Leipzig,  1B79.  Dt  Cittfttl,  lft«« 
ile  Charìtt  l'Ili  rai  dt  Franet,  I,  viii,  34$:  Parìa,  iS6ft.  Ivi  t  malia  i^tà  «||0ai^ 
l' imponaaxa  che  a  questa  lega  ai  poteva  da^e. 

(5)  Ivi,  p.  J17.  £  V.  a  p.  S39  la  lettera  di  FraBOcsco  della  Casa  muitts  da  S«Ai  • 
Piero  dei  Medici  il   1"  d{  giugno  del  149}. 

(6)  Vedi  la  lettera  di  Geaille  Becchi  a  Piero  dei  MeJld  del  14  dicembre  u^f^,  c^*S 
p.  (44.  Per  le  tergiversazioni  del  papa,  v.  pastini  il  cap.  Vili  di  ()ueIl*Of«r«  WUiMM*Ì 
tpccialineiue  poi  pp.   314,  315. 

(7)  Ivi.  p.  329,  E  già  prìmA  il  papa  l'aveva  rìmpnaverato,  e  Ajcanio  oc  «««va  iB» 
le  icue.  Ivi,  p.  333. 


bibliografia 


711 


¥ 


principale  autore  della  sua  esaltazione  (i).  E  con  tutte  te  sue  in- 
nezze,  pure  sempre  e  costantemente  rifiutò  di  dare  al  re  francese 
investitura  del  Regno,  prima  a  Péron  de  Basche,  che  gliene  usò 
ntro  minacciose  parole  (2);  poi  al  Brissonct  e  all'Aubigny  (5),  che 
ir  ricolmava  dì  paurose  carezze  umilissimamcnic  (4);  infine  al  re 
stesso,  quando  la  solita  paura  e  la  riluttanza  dei  Romani  a  resistergli 
glieravevano  fatto  ammettere  in  Roma  (j),  e  con  lui  trattava  e  con- 
cbiudeva  un  accordo,  coi  cannoni  francesi  puntati  a  Castel  S.  An- 
gelo, dove  aveva  cercato  rifugio  (6).  Con  che  animo,  lo  dimostra- 
rono la  fuga  di  Cesare  Borgia,  e  la  morte  di  Zizim,  e  la  sollecitu- 
dine, con  cui  Alessandro  annunziava  ai  signori  dì  Romagna  e  di 
Marca  la  conclusione  della  lega  di  Venezia,  alia  quale  aderiva  (7), 
non  che  il  monitorio  di  depor  le  armi  e  non  muover  più  contro  gli 
Stati  italiani,  ch^egli  faceva  a  re  Carlo,  dopo  la  battaglia  del  Taro  (8). 
A  questa  polìtica  s'opponevano  oramai  in  Italia  soltanto  i  Fio- 
rentini, che  la  speranza  di  riavere  da  Carlo  Pisa  e  gli  altri  luoghi 
del  loro  dominio  perduti  nel  1494,  avevano  staccati  da  quell'osti- 
nata unione  a  casa  d'Aragona,  che  era  stata  la  rovina  di  Piero 
dei  Medici;  e  il  papa  credeva,  e  non  senza  buon  fondamento,  che 
a  questa  amicizia  per  Francia,  pur  conforme  alle  antiche  tradizioni 
fiorentine,  li  avesse  indotti  e  ora  ve  li  confermasse  la  parola  dì  quel 
frate,  che  aveva  salutato  e  rappresentalo  Carlo  Vili  come  Io  stru- 
mento scelto  da  Dio  a  flagellare  colle  armi  I*  Italia  e  la  Chiesa,  non 
che  a  reintegrare  Firenze  delle  perdite  fatte;  e  che  a  quest'opera 
l'aveva  confortato  e  lo  confortava  non  soltanto  andando  a  lui  come 


(i)  Lo  chiose  anche,  come  i  noto,  in  Cutel  5.  Angelo.  CC  Grscokovius,  loc.  dt. 
e  IV.  5.  p.  418. 

(3)  •  Non  pArliamo  più  della  iave*titura,  perchè  U  tp«da  tari  (pjcllo  che  cht«rirà  U 
■  ragiona  ».  Lettera  dì  No^'i  Tornalntoni,  da  Roma,  a  Piero  dei  Medici  dcIl'S  agono  149]. 
Ip  Bcs»,  op.  cit.  p.  ;4j.  Cosi  credo  debba  leggerli;  non  farà,  come  leuc  e  intese  l'e- 
Jiiore  (cf.  p.  )22). 

(3)  n  i£  di  maglio  del  1494.  GaECoKovlus,  op.  cit.  XIII,  iv,  ;,  pp.  401-403.  Il 
De  Cbcrricr  dice  cbe  (]ueiti  ambasciatori  Ajrono  Stuart  d'Aubìgny.  Matharon  e  Pèron  tic 

op.  dt.  t,  viti,  401.  Ma  veramente  gli  ambascLatorì  furono  ^oatiro,  dot  i  tre 
da  lui,  e  eoa  essi  il  Brisioneu  V.  dvESTaiiri  Diijakdiks,  SigotiatÌ4mt  dipt> 
mMti^uét  de  U  FrsHct  axnt  li  T»t(Ani,  \,  410,  41^;  e  la  lettera  dei  Dieci  di  Rreaie  a 
Cuidantoaio  Vespucci  e  Pier  Capponi  ambasciatosi  in  Francia,  dal  7  maggio  1494,  edita 
dal  Caproni,  Storia  dtUa  Rtf.  di  Firtn^t,  ti,  $51,  appendice,  a.  vii;  Firenze,  iSv;. 

(4)  Bcsii,  op.  cit.  pp.  33),  )]4.  Bea  lice  a  questo  proposito  il  Di  CstuiiiK  (ivi, 
p.  403):  ■  Alexandre  VI,  toul  ea  dèsiranl  pASuanèmeni  de  fermer  l'Italie  aos  FranfAif, 
«  Toulait  èviter  d'en  venir  <à  une  nipture  manifesta  avec  Icar  roi».  E  quando  gli  aiaba- 
sciatori  furono  partiti,  fi  scopri  più  risoluto  cbe  mai  in  favor  d'Aragona  (ivi,  p,  404). 

(5)  Gmcosovics,  op.  dt.  pp.  423-433,  4)$.  Cf.  pp.  416,417.  Db  CnEasua,  op.  dt. 
IT,  ir,  70-74  e  86;  e  cf.  tv.   175. 

(é)  Svi,  p.  4}i-4]3  ;  De  OtEausa,  op.  dt.  II,  ti,  84;  Coxmiksi,  Xlitnoirtt,  VII,  Ktl, 
ed.    Bncfaon  (Paris,  1836),  p.  aio. 

(7)  Con  breve  del  7  aprile  149$*  ^^  ^  Guooftovict  (op.  dt.  p.  441}.  La  lega  era 
•uiUi  condusa  il  ji  di  marzo.  De  CrtiaaiEa,  1»^.  cit.  II,  iv,  160^ 

(8)  ti  s  d'agosto  del  149;.  Gbccoxovids,  op.  dt.  p.  447.  Il  Di  CuBiain  (op.   di. 
VII,   391)  poDC  la  cosa,  in  modo  oa  po' diverso,  al   jj   d'agtMXo, 


712 


'Bibliografia 


ambasciatore  della  sua  patria  adottiva,  ma  scrìvendogli  anche  in  per- 
sona propria  lettere,  che  parevan  dettate  da  spìrito  profetico.  Indi  Ì 
brevi  del  25  di  luglio,  dell'S  di  settembre  e  del  16  d'ottobre  del  149J, 
col  primo  dei  quali  s*  invitava  il  S.  a  recarsi  a  Roma^  a  render  ra- 
gione delle  cose  che  egli  si  diceva  profetasse;  col  secondo  gli  s'or- 
dinava minacciosamente  e  sotto  pena  di  scomunica  dì  cessare  dalle 
prediche  e  andare  dove  gli  comandasse  il  superiore  della  congrega 
zione  lombarda;  col  terzo,  mite  e  carerrevole,  per  effetto  della  ri- 
sposta fatta  dal  S.  Ìl  29  di  settembre,  pur  lodandolo  di  bonti  e  ào- 
clliii,  si  rinnovavano  con  bel  garbo  e  la  proibizione,  e  Y  invito  di 
recarsi  a  Roma  quando  che  fosse  (i). 

I  documenti  qui  pubblicati  nell'articolo  VI,  che  vanno  dal  i^  di 
novembre  del  149$  al  2)  d'aprile  del  1496  e  contengono  le  pratiche 
fatte  dalla  Signorìa  e  dai  Dieci  di  Firenze  col  cardinale  di  Napoli  e 
con  altri,  sia  direttamente,  sia  per  mezzo  dell'ambasciatore  raess.  Ric- 
ciardo Becchi,  perchò  il  papa  revocasse  V  interdizione  e  desse  licenza 
al  S.  di  predicare  nell'avvento  e  nella  quaresima  (2),  non  che  l'or- 
dine espresso  fano  al  frate  Tu  dì  febbraio  di  ricominciare  le  pre- 
diche, con  la  solita  formula:  sìih  pena  indignationis  dictorum  domino- 
rum  (0>  e  un  frammento  di  consulta  che  mostra  non  tutti  ì  cittadini 
di  Firenze  essere  stati  su  questo  punto  soddisfatti  e  tranquilli  (4);  ci 
mostrano  in  più  luoghi  come  Alessandro  VI  si  movesse  contro  al 
frate  per  suggestioni  altrui,  com'era  comune  opinione  (5),  tanto  che 
egli  stesso  opponeva  alle  preghiere  fiorentine  prima  d'ogni  altra  cosa 
la  contrarietà  della  lega  (6),  e  poneva  Taderirc  alla  lega  come  con- 
dizione prima  di  quella  e  d'ogni  altra  grazia  spirituale,  che  i  Fioren- 
tini volessero  impetrare  da  lui  (7).  E  Ascanio  Sforza  ci  apparisce 
anche  qui  fra  quelli  che  più  raccolgono  e  ripetono  caldamente  U  bia- 
simo contro  Firenze  e  contro  il  frate  (8),  del  quale  si  diceva  ogni 
male  in  lettere  che  venivano  da  Firenze  (9),  probabilmente  non  solo 


(1)  Le  (Utc  ^i  questi  brCTÌ  furono  cie»sc  ia  lodo  da)  GfisKuiDi  nel  5  <v  dcIU  f>artc 
iena  dell'opera  di  cut  parliamo,  dorè  fu  pubblicato  acche  U  testo  orìgìaalc  di  (]ucUo  dd 
16  d'ottobre  (p.  390).  Della  graodc  Importania  dì  qacsta  de  le  nni  nazione  ebbi  gì4  «  ptf* 
lare  Della  citau  recensione  del  voi.  I  dall'opera  del  prof.  VilUrì. 

(a)  SoQ  quattro  lettere  della  Signoria  al  card,  dì  Napoli,  del  15  e  17  novembre  149^ 
e  del  z8  gennaio  e  ^  febbraio  1496;  cinque  dei  Dieci  a  mea».  Ricciardo,  e  nudici  di 
questo  •  loro. 

(j)  Doc.  6;  p.   in. 

(4)  Fra  gli  altri  Pier  Capponi.  Doc.  9;  p.  ij£. 

())  Vedi  ipecialmcnte  i  docc.  1,  7,  io,  11.  ij  ;  pp.  131,  154,  i]^,  lyft,  139.  Cf.  Ovic- 
ci&iiDiHit  Storia  jSflr«eliii4,  xiv.  iji;  Firenie»  18^9. 

(€)  •  Dicendomi  Sua  Beatitudine,  la  Lega  non  Tolera  conccdcsd  t  fin  leronimo  po- 

•  te»ii  predicare,  né  a  coiesia  ctpti  faceisl  grafia  alcuna*.    Cosi    icrivera    il    Becchi  ai 
Dicci  il  3  di  marzo  del   1496-  Doc.  7;  p.  1)4. 

(7Ì  ■  Insomma,  mi  diie,  fate  imendere  a  ^ne'  Signori,  non  htrtaao  onQa  da  aol,  M 

•  non  entrano  nella  Lega  ».  Ivi. 

(«)  Doc.  8;  p    ij$. 

(♦)  Doee.  17,  19;  pp.  141,  14J. 


bibliografia 


713 


cittadini  di  parte   contraria   ai    Piagnoni,    ma   dagli   agenti    del 
>ro  (i),  che  cercava  per  ogni  via  di  condurre  Fironze  ai  suoi  fini, 
|tencva  le  mani  nei  ctpclli  al  papa,  che  si  era  detto  ch'egli  tenesse 
le  suo  cappellano.  Eppure  Topposizione  di  Alessandro  al  S.  è  in 
sto  tempo  assai  debole,  perchè  egli  si   contenta    dì    manifestare 
l'ambasciatore  il  suo  disgusto,  perche  i  Fiorentini  gli  permettano, 
gli  abbiano  ordinato  di  predicare,  per  certe  dubbie  parole  del 
rd.  Caraffa  e  senza  che  P interdizione  sia  stata  revocata  (2);  ma  né 
anova  il  divieto,  nò  minaccia  o  fulmina  pene,  per  quanto  fra  Giro- 
lamo non  sia  meno  ardito  di  prima^  x\b  risparmi  ^ul  pulpito   le  al- 
lusioni chiarissime  e  anche  violente  ai  costumi  del  tempo  e  in  par- 
ticolare alla  corte  di  Roma  (5). 
i  Ma  i  fatti,   che   frattanto    avvenivano  e  in  Firenze  e  fuori   eran 

)  tali  da  impensierirlo,  e  ci  rendon  ragione  dei  provvedimenti  più  se- 
I  veri,  coi  quali  egli  cercò  poi  di  strappare  il  frate  da  Firenze,  poiché 
i  le  lettere  a  Carlo  Vili  (4)  e  la  riforma  dei  fanciulli  (5)  e  la  perdu- 
ranxa  dei  Fiorentini  nell'amicizia  francese  avevano  chiarito  inefficace 
'  ed  insufficiente  farlo  scender  dal  pulpito.  Carlo  V^III,  che  non  depose 
I  tnai  il  pensiero  di  tornare  in  Italia  (6),  appiccava  pratiche  col  duca 
I  di  Ferrara,  col  marchese  di  Mantova,  col  signor  di  Bologna,  e  na- 
turalmente ancl)c  coi  Fiorentini,  per  ritentare  l'impresa  del  Regno,  e 
I  macchinava  col  cardinale  Della  Rovere  il  modo  d'insignorirsi  di 
I     Genova  (7);  e  che  cosa  si  pensasse  in  Italia  di  queste  pratiche  e  degli 

^^^  (i)  Confrontili  iaiatti    U  «osunu   delle    accuse    che  si  dsrano  a  fra  Girolamo  e  al 

Fioreattni  espone  nella  lettera  iraponante  del  Reechi,  del  36  dì  manco  (doc.  17;  p.  141), 

I       con   le  letlcrs  degli  agenti    ducali    pabblìcatc  dal  Dkl   Lcmco  (in  A^eh.  iter.   ital.   nuova 

seri*,  XVIII),  e  in  pirticolarc  la  $*  accusa,  coi  dece,  iti  e  adi  quella  raccolta  (pp.  7, 11). 

E  quanto  alla  ficieiza  ed  all'eSicada  dell'opera  del  Moro  e  del  fratello  luo  contro  U  S-, 

vedaci   il  doc.   VII,   che   k  una  leiierd    d'Asunio    al    duca    scritta  ìl  l  ;   d'aprile  del   1496. 

(s)   Vedi   ipcdalmcnte  Ì  docc.   8,   io,  ss.  I   aemici  del  S.   poi  nef;avano,  per  niBlif^oilA, 

I      anche  le  dubbie  parole    del    Caraffa,  e  dicevano   che  la  licenza  US.   «se  la  toUe  da  si, 

i      •  dot*  li  t  permciso  che  non  li  sia  deveuu  •.  Cosi  scrìveva  Frane.  Traacbedioo  al  duca 

I     Afc  Bologna,  il  ao  dì  febbraio  del  1496.  Del  Lungo,  doc.   vi,  p.  9. 

^^^{3)  Baatcri  rammentare  che  ìl  S.   faceva  allora  Ìl  quaresimale  su  A-moi. 

^^■'(4)  Dì  cene  lettere  del  S.  a  Carlo'  Vili  iniercetute  dal  duca  di  Milano  e  da  lui  man- 

^^bc  a  Flrenic,  e  che  non  i  possibile  che  egli  non  facesse  conoscete  a  Roma,  parla  una 

lettera  del   Srmcon  del   38  di  agosto  del  1496,  che  è  l'xi  dei   documenti  pubblicati  dal 

Del  Lungo.  La  sosiarua  di  quella  somtgUerebbe  molto  a  quella  delle  lettere  scritte  al  re 

dal  S»,  f9xt  dMitiitmnit  ra^mi    mtmpi>litani,    pubblicale   dal    VtLUUii  (op.    cil.    I,  doc.    xav, 

pp.  evi);  sgg.),  le  quali  per  altro  forooo  probabilmente  icritte  assai  prima.  Ed  Infatti  U  S, 

cSceva  allora  dì  non  avere  scrìtto  al  re  da  >  molti  di  •.  Ha  ad  ogni  modo,  autentiche  o 

6nte  cbe  fostero,  a   Koma  dovettero  taser  date  per  autentiche;  e  le   reiezioni  del  S.   col 

I      re  di  Francia  dovevano  esservi  note,  perchi  U  S.  diceva  che  al  re  soleva  scrivere  puhili- 

tswunu  (Del  Lvmgo,  doc.  cit.).  i 
il  (()  ViLLSRi,  op.  cit.  Ili,  II.  Per  lo  scalpore,  cbe  dì  qoau  rifornu  si  fece  a  Rome, 

^^■di  specialmente,  fra  i  docomenii   editi  dal  Gh.^   la  citata  lettera  del    Becchi  dei  36  di 

ì^^    (O  *  £<  li  evolt  lon  ctzur  tousjours  de  fisirc  oti  accompllr  le  rctoor  en  Italie  ■.  Com- 
)     jfixss,  Uhnoirti.  Vili,  xviii.  364. 

^7)  Ivi.  Vili,  sv,  aj6,  sgg.  Cf.  Goiccuuuiiai,  SUrì^  d'IisJi*^  III,  111  e  v. 


7H 


bibliografia 


apparecchi,  che  poi  non  approdarono  altro  che  alle  vsne  mosse  èA 

cardinale  contro  Savona  e  del  Trivulrio  contro  Alessandria,  lo  prvti 
un  sonetto  importantissimo  del  Pistoia  recentemente  pubblicato  (i) 
Vero  è  che  scendeva  d*altra  pane  ai  favori  della  lega  l'impcmart 
Massimiliano  (2);  ma  non  però  mutavano  i  sentimenti  dei  Ftoreoùn. 
anzi  può  dirsi  che  questi  li  affermassero  con  più  risoluteira,fidtflC 
negli  aiuti  di  Francia  e  detcrrainati  a  resìstere  alla  lega,  che  si  riteom 
favorevole  ai  Medici  e  nemica  de)  governo  popolare  (3).  In  favoic 
del  quale  la  Signoria  chiamava  il  S^  rìlunante  pel  divieto  di  Ront 
a  predicare  in  palazzo,  e  proprio  nella  sala  del  Consiglio  maggior^ 
il  20  dì  agosto  (4);  e  due  mesi  dipoi  lo  faceva  predicar  oofi* 
mente^  per  rinfrancare  il  popolo  atterrito  dal  pericolo  di  Livflno 
assediata  da  MassimUìano  e  dalle  navi  dei  Veneziani  (  j).  Egli  lo  fece, 

(1)  RmtEit,  /  lowttt  dtt  Pùlirio  fimi»»   tmfwfnfo    Triwmt^immOf   loo.   343;   cfa  iM  ■ 
par  nule  rìporurc  per  iaiero: 

Io  vidi  l'aiiro  di  dentro  a  Leone 
depiou  lutti  cooie  un  S«b«stiuo: 
11  papa  icnza  mitra  e  sceptro  io  mAno 
con  Mirco  In  brìglia,  incantato  U  biscione. 

Alfea  sotto  e  Marzocco  si  ripone, 
Gena  e  Partenopcin  grembo  a  Vulcano^ 
£rcol  congela  in  rìpa  all'Adriano 
^an  quantità  di  sai  sopra   il  aabbione, 

Vedeai,  in  Eaculapio  conrcrttto, 
unar  la  Eipcrìa  a  lo  stato  pristino 
il  Franco  re,  a  lui  dar  l'acijutsito. 

'N  un  altro  lato  col  capo  canino 
gli  è  il  gallo  coi  tiranni  ìncrudetitOt 
rimettendo  gli  oppressi  a  bon  cammino. 

Poi  nel  culto  divino 
riforma  più  la  fede  a  miglior  leg^ 
e  dà  novo  pestar  al  santo  gregge. 

Un  breve  ri  si  Ugge, 
qua!  dice:  il  franco  Re,  Re  de  cristiani 
tolto  lia  la  cerva  umil  di  bocca  a'  cani. 

È  tanto  chiaro,  e  ne  apparisce  cosi  eridente  quale  dovecse  essere.  iat«l«BaAiM**^ 
cote,  l'animo  del  papa,  che  non  occorre  aggiungere  una  parola  di  commento;  scp^ms^ 
fosse  utile  raramentare  che  ■  Lione  11  re  teneva  il  foo  campo,  r  ci»  Ercoli  d'Eaie  ifV* 
per  mo  roeuo  liberarsi  dal  vecchio  obbligo  di  ricevere  Ìl  sai*  da  VcaMàa,  che  m  *^ 
una  delle  caute  della  guerra  del  1483. 

(2)  E  a  questo  credo  si  rifcriKa  (come  dlcon  chiaro  1  due  primi  wti,  e  lo  <oafa** 
il  luogo,  che  ocoipa  nell'apografo  Trlvulziaoo,  >iov't  a  p.  519)  l'iltro  lonctio  i«I  rii^ 
Etto  ti  ré  ed  romani  e  'It<  iU'  fdlH,  che  malAmenle  neU'edinoiie  di  Livorno  ltC4  ^'^ 
rito  alla  discesa  in  Italia  di  Luigi  \II  (p.   |s). 

(])  Oltre  la  citata  consulta,  ediu  in  pane  dal  Gh.,  e  che  t  anienore  a  qiHJM  <■*  ** 
dansi  le  lettere  del  Somenfi  pubbtìcste  dal  Villari  sotto  il  n.  xxxt  MU'a|f*a^  * 
volume  I  dell'opera  sua,  e  in  particolar  modo  t'uliima.  do««  questa  ra^4W  m»^^ 
trarietl  dei  Fiorentini  alla  tega  t  detta  espressamente  (p.  caJ). 

(4)  ViLURit  op.  cit.  Ili,  IV,  voi    I,  470.  , 

(l)  Qpesta  paura  dei  Fioreotiiil  (Marxoua  già  w'J  ài  fémfé^  !'**V^)  *  1*  ^*''*  ^^^ 
S.  sbeffava  il  Piiioia  nel  sonetto:    Mario  è  FtrramÀe^    Alfonso  $  F^rtm^mr.  eht  i  ti  W 
dell'apografo  Trirulziano. 


bibliografia  715 


confortando  il  popolo  a  sperare  più  neiraiuto  divino,  che  nel  terreno, 
e  in  particolare  nelle  fallaci  promesse  di  Francia  (i):  ma  ciò  non  ira- 
jiedl  che  Pagante  del  Moro  non  interpretasse  in  tutt*altro  senso  le 
ic  parole  dandone  notizia  al  suo  signore  (2),  che  era  quanto  dire 
che  a  Roma.  II  mal  successo  dell'impresa  tentata  dal  re  dei  Ro- 
lani  riempi  naturalmente  i  Fiorentini  di  gioia  (5),  e  accrebbe  cre- 
lito    al  S.  e  animo  ai    suoi    seguaci   e   alla  parte  amica   dì  Fran- 
ìa  (4)  ;  e  allora  appunto  noi  troviamo^  che  mentre  il   Moro  fa  la 
ana  prova  di  trarre,  per  mezzo  del  suo  agente,  il  S.  alla  parte  della 
lega  (j),  il  pontefice,  risoluto  a  levarlo  una  buona  volta  di  mezzo  a 
Firenze,  spedisce  il  breve  del  7  di  novembre,  consigliato  anche  dal 
generale  dei  domenicani  e  dal  cardinale  protettore  dcirordinc,  col 
uale  si  stabiliva  una  congregazione  riunita  delle  provincie  toscana 
romana  dell'ordine  dei  predicatori  (6);  e  che  se  per  un  lato  esten- 
leva  a  maggior  numero  di  conventi  le  regole  dei  domenicani  osser- 
vanti, per  un  altro,  costituendo  come  convento  principale  e  privile- 
giato della  provincia  quello  di  Santa  Maria  sopra  Mincr\'a,  e  scemava 
importanza  a  S.  Marco,  e  soprattutto  dava  modo  di  levar  di  Firenze  e 
di  Toscana  il  Savonarola;  il  quale  ribellandosi,  come  fece,  all'ingiun- 
zione che  il  breve  conteneva,  incorreva  nella  pena  della  scomunica 
in  quello  minacciata.    E  poco   dipoi,  per  lenure   anche   altrimenti 
'animo  dei  Fiorentini,  e  indurli  a  aderire  alla  lega  con  quella  spe- 
:za,  che  invano  ponevano  nel  re  di  Francia,  egli  fa  loro  Tofferta 
della  restituzione  di  Pisa,  quasi  ìn  pagamento  della  loro  separazione 
da  quello,  e  chiede  rinvio  di  un  nuovo  ambasciatore,  col  quale  pra- 
ticar queste  cose,  e  che  la  Signoria  consentì  a  mandare  nella  persona 
di  ser  Alessandro  Bracci  il  4  di  marzo  del  1497  (7),  Notevolissime 
sono  le  parole,  che  usò  con  questo  il  pontefice  nel  primo  colloquio 

(1)  Vedi  il  sunto  di  quetti  predica  fttio  dal  VtLLfcRt  (op.  cit.  Itt,  v,  voi.  I,  485). 
(j)  Vedi  U  ktura  del  Somenzi  del  28  di  ottobre  1496  edita  dal  Del  Lungo  (doc.  xvi): 

•  •oprs  tncio  eibonó  queno  popolo  %&  volere  star  laMo  alla  fede,  doi  del  re  de  Franxa 

•  (licet  ch'el  non  la  dica),  et  ha  aSrmato  che  tuno  qneilo  ha  predecto  delle  cose  future 

•  mtA  raro  atnxa  nuncha  »,  ecc. 
(j)  Gii  6a    da  quando  poterono  entrare  in  LÌTono  i  soccorsi  mandati  da  Marfiglia, 

il  )0  d'onobre.  Vedine  la  viva  descrirìone  nel  Villaii,  loc.  cIt.  p.  487.  Più  die  mai  poi 
quando,  poeti  giorni  dopo  (il  13  di  DOTembre),  Mauìmiliano  deverà  partirsi  aconuio  dal- 
TuMdio;  e  lo  doveva  confessare  lo  stesso  Pistola,  per  quanto  cercasse  dì  fu*  anche  di 
ciò  «n  argontcnlD  di  loda  per  l'imperatore  alleato  e  congiunto  del  Moro: 

tC^uinio  dì  Haximian  sìa  l'acqua  e  il  foco, 
lo  ingegno,  che  natura  e  il  del  gU  di, 
Livorno  il  dice  e  Marzocco  lo  sa, 
che  al  SDo  partir  tra  il  pianto  ha  riso  un  poco- 
(Son.  }4t  dell'apog.  Trtv.)- 
{4)  Vedi  quel  clic  scriveva  il  13  di  novembre  del  1496  da  Bologna    al  duca  Francesco 
Trucbctiiao  (Dsl  Lcmgo,  doc.  xix;  p.  17). 
(0  Vedi  là  lettera  del  Somenzi  del  7  novembre    1496  ediu  d«l  Viluuu,  Ioc  di,  pft- 
|ÌAa  cxseIx. 
(()  Vedasi  In  Villasi,  op.  cii.  I,  Append.  d,  xxxiii,  p.  cali)  sgg. 
(7)  GitaaiLSi,  Nmwì  ioammH,  tu.  $  vit,  pp.  147,   14B. 


in  ( 
^l'an 

~deU 


7i6 


bibliografia 


che  ebbe  con  lui,  e  tali  che  le  avrebbe  potute  dire  un  buon  I 
del  secolo  XIX,  e  avrebber  potuto  essere  scelte  come  ÌI  verbo 
nuova  Italia  assai  meglio  di  quelle  d*altri  uomini,  che  forse  rviai 
bero  mai  in  mente  il  significato  dato  ai  nostd  giorni  a  certe  loro  pt^ 
role.  Lamentata  la  venuta  dei  Francesi  come  orìgine,  da  cui  eraoo 
«  derivati  tucti  li  mali,  tucte  le  spese  et  tuctì  gli  affanni,  che  bi  pi- 
ti tito  Italia  »,  e  rilevata  la  parte  che  n*era  toccata  a  Firenze,  cod- 
chiudeva:  a  per  cognoscere  noi  che,  riloraando  dì  nuovo  lì  Fnaitti 
u  in  Italia,  sarebbe  con  manifesto  perìcolo  et  con  intollerabili 
tt  et  danni  de*  comuni  Stati,  maxime  quando  lì  potentati  di  quella  I 
CT  fussìno  trovati  concordi;  nostro  precipuo  studio  et  intento  e.  CQ 
«  sa  el  nostro  Signore  Dio,  di  unire  insieme  et  fare  uno  intero  et  I 
«  desìmo  corpo  di  tucta  Italia  »  (i);  e  detto  delle  pratiche  incoa 
ciate  per  far  riaver  Pisa  ai  Fiorentini,  vi  poneva  per  condizione  •  \ 
«voi  vi  accostiate  a  noi  et  siate  buoni  Italiani,  lassando  UFn 
o  in  Francia  »  (2),  che  sarebbe  stato  «  comune  beneficio  di  tucial 
»  lia;  perche  non  intendiamo  che  in  Italia  Franzcsi  babbìano  ilcofl^ 
«speranza  dì  ricetto  o  d'altro;  perche  quando  se  ne  vedranno  pritit. 
n  leveranno  il  pensiero  dalle  cose  di  Italia  ».  E  (inalmcnte  a  pro^i 
della  sinceriti  Ji  quanto  asserìva, aggiungeva:  «  Et  noi,  perchè  siisa 
a  buoni  Italiani,  benché,  quando  manchò  il  re  Ferrando  ultimamauc 
«  potessimo  con  iusto  et  honesto  titolo  far  venire  quel  reame  od  xt 
t(  di  Spagna;  tnmen  per  beneficio  di  Italia,  provedemo  succcdnscìl 
«  re  Federigho  »  (3).  Non  istaremo  a  cercare  quanta  sinceriti  6  (ùsk 
in  queste  espressioni,  forse  veramente  sincere  nel  momento  io  aà 
vcnivan  pronunziate;  pur  troppo  sappiamo  quale  abuso  i»  fico 
per  tutto  11  secolo  xv  e  anche  dopo,  di  questo  povero  nome  d*tH 
e  come  il  bene  d'Italia  fosse  via  via  quel  che  giovava  all'utìlìij^ 
ciascuno  che  ne  parlasse,  tanto  da  far  parere  dolorosamente  vera  qua 
sentenza  del  Foscolo: 

Amor  d'Iulift?  A  btuo  intento  é  vdo 
Spesso  (4). 

Questo  medesimo   Alessandro  Vi  pensò  molto  diversamcnre  p?« 
tempo  dipoi,  pur   desiderando  anche  allora,  com'era  i 
ritalia  concorde  nel  volere  di  lui  (5),  quando  la  ripug- 
e  risoluta  dì  Federigo  e  Carlotta  d'Aragona  per  le  norie  di  quo 
col  tristo  cardinal  di  Valenza  (6),  e  la  speranza  di  far  qucsio  gra 
e  polente  in  Francia  e  in  Romagna  lo  condussero  a  aderire  t^''^ 
fausto  primo  tranato  di  Blois  e  a  farsi  tutto  francese  (7).  Ma  nei  w  ' 


(1)  GtismARDt,   Nuovi  docmmtmti,  J  vii,  p.    [50. 

(a)  Ivi.  p.  i$i. 

0)  Ivi,  p.   isa. 

(4)  Ricorda,  atto  II,  AC  111. 

(;)  ViLL^Ri,  Nietol^  \facbijwlli  «  i  tuoi  ttmpi.  Introduzione,  f.  i;;. 

(6)  Vedi  apecialnicnte  Crioohdvils,  op.  ctt.  Xltl,  v,   1,  p.  49». 

(7)  Ivi.  p.  499. 


IBibliografia 


717 


I 


ci  occupiamo  egli  seguiva  in  Italia  la  parte  poliiica- 
orc,  ed  era  veramente  il  più  ardente  avversario  che  i 
.'ssero  in  tutta  la  penisola  ;  avversione  che  ci  spiega  in 
condotta  verso  la  Repubblica  di  Firenze  e  verso  il  S., 
luì,  come  abbiamo  già  notato,  11  principale  autore 
tà  fiorentina  nell'amicizia  francese.  Tristi  tempi  per- 
fori che  mai  cominciavano  ora  pel  priore  dì  S.  Marco, 
ezxo  per  l'ingiunzione  del  pontefice,  alla  quale  non  ob- 
lenti,  che  pubblicando  V Apolo^eticus  che  la  combatteva  (i), 
>ul  pulpito  a  predicare  l'avvento  e  poi  la  quaresima,  fru- 
tendimenii  politici  del  papa,  che  doveva  pertanto  mag- 
idcgnarscnc;  e  d'altra  parte,  come  dimostrano  i  do- 
l'artìcolo  VII  "del  libro  che  esaminiamo,  alienava  dal  S. 
lìmi  di  coloro,  che  fmo  allora  l'avevano  favorito.  Cosi 
ell'ordine,  cosi  il  cardinale  Caraffa,  che  avevano  sempre 
lato  ogni  favore  e  a  lui  e  alle  sue  riforme,  e  che  nel  pro- 
costituzione della  congregazione  nuova,  o  non  avevano 
;  riposto  del  pontefice,  o  più  probabilmente  non  n'erano 
Iti,  ma  era  anzi  parso  loro  un  buon  modo  a  togliere  il 
ego,  dove  rimanendo  andava  incontro  a  cena  rovina, 
avrebbe  potuto  travolgere  poi  anche  la  congregazione 
rrvanti,  alla  quale  essi  deitcr  favore  anche  dopo  la  morte 
becche  si  sia  di  ciò,  certo  è  ad  ogni  modo  che  d'ora  in 
no  anch'essi,  e  specialmente  il  cardinale  di  Napoli,  uniti 
U  S.,  i  quali  si  fanno  più  baldanzosi  e  più  fieri,  perchè 
enza  di  lui  dà  loro  maggior  modo  di  tener  desta  e  aìz- 
lamente  contro  di  luì  l'ira  del  papa,  come  se  n'hanno  in 
nenù  testimonianze  continue. 

,  La  jfm«  ili  G.  S.  IH,  li,  491  <gg. 

tto,  che  non  iroviuno  cosa  che  posM  parer  rooua  lU  aninoiiiA  coatro  il 
ti,  che  n  Gb.  pubblici  (^  vii,  i,  a)  intorno  all'isiiiuiìone  della  nuova 
che  anzi,  it  oominAr  coadiutore  del  {irocuratorc  della  nuova  provìncia  il 
Sicilia  al  S.  alTczionatis^nio  (doc.  1  ;  p.  144)  poteva  addolcire  per  questo 
ntiovo  prò vve<fi mento  e  della  oomina  a  procuratore  del  p.  Fraocesco  Mei  ; 
3xa  del  14  gennaio  1497  (doc.  1;  p.  146)  per  la  k]uale  il  p.  Giacomo  di  Si- 
fftitar  dei  suoi  frati  a  eerti  conventi,  «  et  reli^uoa  frairei  ibidem  moram 
cri  HicTonytuo  doo  graioi,  liceniiabit  *,  lasciava  apparire  verso  dì  lui  uni 

defcrenz/.  Q.uanto  ai  fjivori  dati  da)  Torriano,  dopo  morto  il  S..  alla 
ofcana  dei  domenicani  rìformati,  vedi  il  $  9  dello  studio  del  Guaiti,  che 
sai'opera  (pp.  jS-ioi).  Vero  t  che  egli  conferroò  e  raiìBcd  nel  marzo 
ere    ordinanze   del   p.    Mei  contro  i   frati,    che   non  solo  parlassero  delle 

GiroUroo,  o  ne  venerassero  le  relìquie,  o  parlaiicro  di  Piagnoni  o 
,  ma  «Dcbe  faccsscr  di  quelle  nuove  funzioni  e  cerimonie  dal  S,  introdotte 
'5  Xllt  docc.  33,  3),  34,  35)1  ma  questi  provvedimenti  d  dicevan  fatti 
MrCurbaltones  et  acaudata  super  loqautionibus  et  cootcntionibus  dogmatis 
r«tris  Hieronymi  Ferrarìcnsis  *  (doc.  ij;  p.  331),  e  il  generale  stesso  più 
I  ai  trasgretiori  le  pene,  pur  ordinando  in  fulumm  «  quod  qui  de  fratre 
un  secoloiibus  vel  etiam  cum  fralribus  seminaverìl  scandalum,  incurrat 
orla  colpae  »  (doc.  16,  del  ao  luglio  1499;  p.  334),  e  quanto  a  quesu 
)sene,  più  lardi  (il  1$  di  novembre:  doc.  27,  ivi),  nel  priore  di  S.  Marco. 


A5ociWa  romana  di  itùria  patria.  Voi.  XI  47 


CofbSTo  kroravaxio  anche  U  nuterìa  dtsposu,  pel  sospetto  clie  il 
pontefice  avcra  tiei  movim^iEÌ  dei  FmnccB  in  Ugmu  e  in  Piqpopte, 
che  lo  «nerriTSDO  assai,  e  che  davano  mo^o  if^li  atnbasdUsacì  éeSÌM 
le^  e  specialmente  al  Vcfx^ani^  dì  ìfl^ìnaargH  fieifiiùmo  t9ìp0à 
nAggiori  contro  ;  frateschi  ed  tì  &2te  (r).  Quando  pnt  ^adU  Aiffia 
ìmqireta  fti  and.ita  a  vuoto,  allóra  se  ne  ùnWdaiuxmao  pia  che  mi. 
e  1  Ftnrnxe  Arrabbiati  e  Coropogtiace^  prodnaijdo  deirabfcMitliiwrntn 
d^  PugDOcii  (2)p  tasto  seppur  ^re,  e  coDe  ppticlie  e  caIIc  vìoleoie, 
ette,  col  preteno  della  pestiletiu  (;%  anche  U  Sif^oorìa  proibì  a  fri 
Girolamo  il  predicare;  e  a  Rotna  Mariano  da  Ghuuzxano,  Gijiiiri 
da  Camerino  e  altri  psirticobn  nemici  da  lai«  proóctando  «ocfat  U 
tmnalto  avvenuto  il  5  di  maggio  in  Fircmet  unendo  ropen  ìam  1 
ipiella  di  Piero  e  GìoTanoi  dei  Medici  e  dei  loro  £aixtor\  e  «otxtà  diSfl 
sdegno  del  cardinale  Carai!a  per  la  dUofeb^i^ixa  del  S.  al  breve  de 
7  dì  novembre.  Indosserò  il  papa  a  fulminare  fcintm  di  \m  la  scorno^ 
mca  in  quel  breve  commìoau  (4)-  E  1^  scoxniaiica  fa  prommma  e 
£itto>ae  il  breve  ii  li  di  maggio  (5),  sebbene  non  venire  poi  pobUF 
cm  m  Firatze  fìr^o  il  iS  di  g:iugQO,  come  il  Gh,  nella  tcrta  pine 
rileva  (6),  per  ragioni  che  da  questi  docnaiemi  appariscono.  In  (jadO 


{  ITU)  4a£.  \i  f*  t\t  :  CM  orvuri  4*0*  l«f«*  •  te  ^«rimAan  a  -***■'-", 
nm  8  pof*  ^  icitcr  pruìi^  coi  HofeuÌBi^   •  non  «i  nrfcB^  *|QCf  U  JpcfTifi  ! 

•  1ts1Ì4DÌ.  et  di  qucatd  tuiamr*  beoc  U  l«f«  ;  «  ck*  iMirfiì  &««  Sutdttf  gH  d 
.  winK^icCTC.  et  ch<  tWQ  duna  M  BdB  f0olè;  ti  tecoÈ&a  li—B  le  cdM  ic* 
r  ii  UJUM)  iBuuJ  o  tiruut  ■«djrì«w; , . ,  eim   vokn   l«el«iBW  d  p«|«  et  ianll   _  _ 

•  imwd  T<f  (iute  d  Hteeesto  dì  Lanbwdi»  et  Gc«ov^  Et  m^abo  ^joac*  vo«a»  sk^^*1 
»  Wion«  tr  diiftu  tiiTtJÉ  proicdtre  ìj*  cdii^^  «t  perro*^rhQÌ  iti  fr^te  -  ,  .  et  *efi  rr*^ 
«  dono  ignan  modo   vogliate   pìglUre  partito  et  esser   buoni    IuU*nì,  Oicntre  credete   ^^ 

•  frate  et  che  luì  governa  et  sanu  lui  non  ti  fa  nulU  ».  E  infarti  il  papa,  pochi  gior^*^ 
innanzi,  aveva  detto  a  ser  Alessandro  Bracci,  a  proposito  della  géiglisriàM  dei  Fìomti9^' 
che  non  volevano  aderire  alla  lega  :  ■  Koi  crediamo  bene  che  la  nascha  dal  fonduncnC^ 
«  che  voi  fate  nella  prophetia  dì  «quello  vostro  parabolano;  ma  se  noi  potesnnko  parUr"^ 
«  prcscniialmesie  a  quel  vostro  popolo,  credcrremo  con  le  vere  ragione  che  sì  ;  ' 

•  allegare,  persuaderlo  et  indurlo  totalmente  al  ben  sno,  et  trario  dalla  ceóti  et  < 
«in  che  vi   ha    indocti  ci    frate».  (Lettera  del  is  marzo,  doc.  4  ;  p.  1$].  E  cf.  la  Ic^" 
tera  del  Becchi  del  25  di  marzo,  doc.  6;  p.   is6). 

(2)  Vedi  il  sommario  di  una  lettera  del  Somenzi  del  z  d'aprile  1497,  pi^bUcau  d^^ 
Del  Lungo  (doc.  XX,  p.  18):  •  corno  li  seguali  del  frate  restano  scornati,  ut  sasno  pi^^ 
■  che  dire  In  favore  de'  Francesi,  veduto  che  non  gli  t  renssita  l'impresa  coatro  lo  Hk-^ 
«  lostrttsimo  duca  di  Milano  ». 

(j)  Lettera  dei  Died  a  ser  Alessandro  Bracci,  del  6  di  ma^o  1497*  in  qoesto  $  vii  ^ 
doc.  9;  p-  159. 

(4>  Lettere  del  Becchi  ai  Dieci,  del  primo  (doc  9;  p.  158)  e  del  18  dt  maggio  (doc  lOS 
p.  16})  e  del  30  dello  stesso  mese  (doc.  14;  pp.  ì6é,  167);  e  confrontìnsì  le  lettere  cbe^ 
scrìveva  il  Bracci  il  27  di  maggio  (doc.  ti,  verso  la  fine;  p.  165)  e  il  14  di  giiigao(doc.  i6f 
p.  167). 

(;)  Vedi  il  breve  orì^nale  nella  StorU  del  Villaii  (voi.  II,  app.  doc  ▼,   p   szxix). 

(6)  Nel  ^  V,  dove  trae  argomento  dalla  citata  lettera  di  ser  Alessandro  Bracci.  deX 
27  di  maggio,  ad  avvalorare  l'autorìti  del  Parenti  e  del  Landncd  (pp.  391-393).  E  eoa  q«csi9 
terminerò  di  occuparmi  di  questa  parte  terza,  avendo  accennato  a  tutti  1  cìnqve  paragrafi 
che  contiene  e  rilevatane    l'importanza,   eccettuato   soltanto  0  111,  nel  qtialc  il  Gh.  di' 


bibliografia 


719 


lungo  inten-allo  la  Signoria  e  Tufficio  dei  Dieci  fecero  più  pratiche 
per  mezzo  dei  loro  ambasciatori,  per  vedere  clie  il  papa  o  revocasse, 
,0  non  lasciasse  pubblicare  quel  breve,  con  dire  massimamente  che 
xgU  era  stato  male  informato  dei  tatù  di  fra  Girolamo  (i).  H  sebbene 
l'Alessandro  VI  mostrasse  maravigliarsi  e  sdegnarsi  che  «  le  S.  V.  lo 
;>«  reputassino  st  leggieri,  che  si  movessi  senza  giusta  cagione,  o  senza 
';«  fondamento  ji(2j;pure  non  sembrava  irremovibile,  ed  ascoltava  ta- 
cendo le  giustificazioni  del  frate,  o  dava  parole  incerte,  che  non  tron- 
cavano ogni  speranza,  quantunque  non  iscemassero  il  timore  (}). 
■Anzi  la  lettera  del  S.  del  22  di  maggio  l'aveva  così  rabbonito,  ch'egli 
^avrebbe  forse  gradito,  se  non  altro,  di  ritardare  la  pubblicazione  del 
breve  (4).  Ma  i  nemici  del  frate  non  se  ne  stavano,  ne  bastava  loro 
un'incerta  vittoria  (5):  e  anche  dopo  pubblicala  la  scomunica  segui- 
tarono a  battere  il  ferro  caldo  e  a  riscaldarlo  più  che  mai,  perchè  da 
Firenze  venivano  a  Roma  lettere  sopra  lettere,  ie  quali  recavano  tali 
notizie,  da  far  vani  tutti  gli  sforzi  dei  due  oratori  (6).  Ma  il  male  più 
[grave  anche  questa  volta  il  S.  se  lo  fece  da  sé,  con  la  lettera  a  tutti 
i  fedeli  cristiani  contro  la  scomunica  surrettizia.  Le  pratiche  inco- 
rxnincìate  dal  Bracci  coi  sei  cardinali  riformatori  delle  cose  ecclesia- 
^che  gli  facevano  sperare  almeno  la  sospensione,  se  non  la  revoca 
biella  censura;  ma  il  papa  lo  fece  chiamare  e  alla  presenza  di  altri 
;FioTentini  «  fece  dogUenza  che  Dio  sapeva  che  di  fra  Hieronymo  havea 
■r  cominciato  a  disporsi  bene,  commendandolo  di  alcune  epistole  havea 
'«r  ricevuto  da  lui  a*  giorni  passati,  dicendo  averle  factc  leggere  in 
jc  consìstono;  ma  che,  havendo  veduto  una  sua  epistola,  in  forma,  et 
«  facta  dopo  le  censure,  haveva  deliberato  procedere  contro  di  lui  in 
;«tucti  li  modi  permessi  da*  sacri  canoni  centra  contumaces  et  re- 
kbelles  Sancte  Matris  Ecclesìe;  usando  intomo  a  ciò  parole  molto 
le  passionate  «  (7). 

Pure  questa  passione  non  era  così  costante,  né  sempre  questo 
[sdegno  così  fiero,  che  non  desse  ancora  qualche  speranza  d'aver 
la  esser  placato,  o  mitigato;  e  la  Signoria  dì  Firenze  e  l'ufficio 
dei  Dicci  non  cessarono  mai  di  spender  Topera  loro  in  favore 
del  frate  e  di  far  pratiche  continue  a  Roma  per  impetrarne  l'asso- 
luzione, quantunque  fosse  uno  strano  praticare;  perché  a  Roma  non 


inoftrt  con  buone  ngìoai  cbe  deve  correggerti  in   1491    la   tUti  d'una   lettera  del   S.  a 
ScefsDO  à(L  Codiponte,  che  portA  nel   codice  «  nelle   stampe  (jDclJa  del  33    maggio    1493, 
Ci)  Vedi  pastini  ì  ilocumenti  di   t^ueito  p«rAgrmfo,  dal  n.  il  (lett.  dei  Dieci  ÀI  Bracd, 
del  30  dì  maggio)  ulla  tine. 

(3)  Letter*  del  Bracci,  del  37  di  maggio  (dac.  13:  p.   i€s). 
(j)  Ui. 

(4)  Lettere  del  Bracci  del   14  e  del  27  di  giugno  (docc.    16  e   19;  pp.   167,   171   agg.) 

(5)  «  L.'absolutiooe  non  e  per  baverù  a  questi  tempi;  che  cbi  ha  fare  non  dorme, 
•  Veggo  molti  preparamenti  in  contrario,  et  tutto  viene  di  comi  >.  Coii  icriven  il  Becchi 
{]  19  dì  Inglio  (doc.  21;  p.   17]). 

(ti)  Vedi  la  citala  lettera  del  Bracci  del  37  di  giugno  (p.   i?!). 
(7)  Ivi. 


720 


bibliografia 


sì  negava  rìcisamentc  la  cosa,  ma  vi  si  poneva  soltanto  U  cao£ 
zione  che  il  S.  si  sottoponesse  a  quel  che  il  breve  del  7  di  novcnbrt 
disponeva  e  si  recasse  a  Roma  a  gìustifìcarsi,  e  dai  magistriQ  èì 
Firenze  sì  rispondeva  sempre  al  solito  modo,  ridicendo  il  gran  bene 
operato  da  fra  Girolamo  nella  loro  c'wxii  e  il  desiderio,  che  in  qocsti 
si  aveva  di  udire  la  sua  parola,  e  schivando  di  parbre  delle  cooé- 
zìoni,  che  Roma  poneva,  o  mostrando  che  Pesecuzione  nonne  é^ 
desse  in  tutto  da  loro  o  dal  S.,  il  quale  d'ihra  parte,  come  si  SJpcn» 
a  quelle  condizioni  non  avrebbe  mai  consentito.  Così  s'andò  tniusii 
lungamente.  Tredici  lettere  scritte  a  questo  fine  dai  Dieci  a^ti  im- 
basciatori  e  dalla  Signoria  al  cardinale  Caraffa  dal  2  di  lu^l^  il  i£ 
decembrc  del  1497  furono  gii  pubblicate  dal  p.  Marchese  (i),e«iJ 
Gh.  ne  pubblica  qui  in  parte  altre  quattro  del  nuovo  oratore  messe; 
Domenico  Bonsi,  scritte  ai  Dieci  dal  5  al  12  di  febbraio  del  J-i^i'Jl 
precedute  da  un  capìtolo  della  commissione  a  luì  fatta  il  9  di  ca- 
naio, col  quale  gli  s'ordinava  di  darsi  ogni  maggior  premuri  «  t^ 
«  pressoi»  Santità  del  papa  et  del  reverendissimo  cardinale  di  Xì;>o&, 
ff  et  in  ogni  altro  luogo  dove  fusse  necessario,  per  la  integra  et  libci 
«  absolutìone  per  il  venerabile  predicatore  frate  Hieronymo  #  (5J; 
commissione  molto  spinosa,  a  quanto  apparisce  dalle  lettere  stesK 
Il  papa  oramai  cercava  dì  fare  intendere,  com'era  di  fatti»  che  quelli 
per  lui  era  una  quiscionc  di  poca  importanza,  e  sfuggiva  di  parlinx, 
premendogli  di  stringere  i  panni  addosso  al  Governo  di  Firente,  ptf 
condurlo,  colla  speranza  di  Pisa,  a  slaccarsi  da  Franci;i  (4},c«de 
parlava,  lo  faceva  per  mostrarvisi  contrario  e  dire  che  molti  cardiaifi 
*t  stimavono  assai  non  essere  havuto  rìghuardo  alle  censure  •((}. 
Infatti  il  Bonsi  non  s'adoperava  presso  dì  questi  con  maguior  frutto, 
ma  dovcv.i  scrivere;  «  Truovocì  più  ditììcoltà  non  vorrei  •*  (6). 

Ognuno  intende  agevolmente   se  queste  dìfBcoltù  sccmawfTfl  0 
crescessero,  quando  1'  11  di  febbraio,  domenica  di  Seni- 
fidente  forse  nel  favore  della  Signoria,  risali  il  pergau^ 
del  Fiore  e  incominciò   quelle   prediche    sull'  Esodo,  che 
più  fiere  ch'egli  dicesse  mai,  e  quelle  in  cui  più  apenaroi.;. 
delle  cose  sue,  e  più  liberamente  manifestò  il  suo  sentimi 
nullità  della  scomunica  pronunziatagli  contro;  quelle  in  e- 
famosa  espressione  del  Jtrro  rotto,  di  cui  tanto  seppcr  vaiti' 
nemici  a  incitargli  contro  più  fonc  lo  sdegno  del  papa,  e  a:..  :■ 
rirc  Taudace  scongiuro,  che  il  Signore  lo  mandasse  all'lnfcn».  * 
egli  chiedesse  mai  assoluzione  da  quella  scomunica  (7).  Era  un  i*^ 

(j)  Pubblicaiionc  cii.  Sono  i  Jocc.  v-xvii  (pp.  iSJ-i£)).  Le  àmu  d«Ii'uUl»o*<* 
documenti  e  eorrena  t^ui  Aaì  Gn.  (p.  174,  j). 

(])  $  vai.  docc.  1,  ).  4.  j;  p.  17^  sgg.  Sono  del  {.6*8,  11  fcbtMìo  M*! 
0)  Ivi,  doc.  1;  p.  I7S. 
(4)  Docc.  4  e  Si  p.  176. 
(l>  Doc.  4  ;  ivi. 

(6)  Doc,  s  ;  ivi. 

(7)  VlLLASi,  Siaris,  «t.   IV,   V,  irol.   U,  87  «gg. 


bibliografia 


721 


in  mano  ai  suoi  avversari,  i  quali  non  desideravano  dì 
la  Firenze,  da  Venezia,  da  Milano  giungevano  alla  corte 
formazioni  ed  eccitamenti,  che  aggiungeviino  k'gna  a  un 
p-ande  (i).  Allora  lo  sdegno  di  Alessandro  VI  vcra- 
mpò  (2),  sebbene  apparisca  dai  documenii  che  allora 
ediche  del  frate  lo  irritasse  la  pertinacia  dei  Fiorentini 
arsì  da  Francia  (3).  Già  si  sapeva,  dalla  lettera  del  Bonsi 
ibbraio,  che  cosa  avesser  detto  della  cosa  il  Taverna  e 
>rza,  che  pur  mostravano  a  lui  di  volersi  interpor  presso 
avore  dei  Fiorentini  (4):  c'è  da  figurarsi  che  favore  po- 
I  Qui  viene  in  luce  anche  l'opinione  e  Topera  d'altri,  e 
re  dell'ambasciatore  di  Venezia,  che  era  nemica  di  Fi- 
le bramosa  d'aver  per  sé  Pisa  in  dominio  non  che  in 
e  nemica  dei  Francesi  e  della  parte  fratesca  che  in  loro 
foi  lo  udiamo  continuamente  parlare  al  pap.i  e  ai  car- 
io dei  Fiorentini,  vitjperandoli  come  discordi  e  falliti,  e 
ome  spregiatori  della  dignità  della  Sede  Apostolica,  poiché 
dicar  fra  Girolamo;  e  a  narrare  il  contenuto  delle  pre- 
,  agravando  la  cosa  »,  benché  pur  troppo  a  sdegnare 
non  occorresse  aggravarla  (5).  E  intanto  i  nemici  del 
"iorcntini  prendevano  animo  sempre  maggiore,  tanto  da 
ino  a  mano  armata  la  casa  del  Bonsi  (6). 
di  tutto  questo  fu  il  breve  del  26  di  febbraio^  non  meno 
spro  contro  i  Fiorentini,  che  contro  il  S.;  nel  quale  il 
gali  tutti  i  fatti  pei  quali  questi  si  era  tirato  addosso  le 
ilevato  quel  che  negli  ultimi  tempi  aveva  più  inasprito 
jsiolica,  e  il  favore  che  molti  gli  davano,  «  vobis  prohl- 
>stras  scientibus  et  in  vllarum  contemptum  id  permicten- 
icludeva  che  il  frate  gli  fosse  mandato  a  Romn^o  almeno 
I  tal  guardia,  che  non  potesse  convers^ir  con  alcuno. 
(3rte,  quod  non  crcdimus,  facere  contempscritìs,  signi- 
ibis  quod,  prò  servanda  auctoritate  et  dignìtatc  nostra 
inctae  Sedis,  civìtatem  istam  vestram,  quae  hominem  ita 


cUliaeDtc  in  più  pArtt  Q  doc.  8  (lenera  del  Boiui  aì  Died  del  a$  Ai  Teb- 

doc.  6, 

lettera  del  Bonsi  del  33  di  febbraio  (doc.  6  ;  p.  178),  spccÌAlmente  lul  prin- 
c  dcH'ambMciatore  m  Kspose  il  papa,  ic  expreuameple  vi  Tolevate  obblt- 
ri  ■'  Francesi,  venendo  in    luUa  •  ;  e  poiché  <)uegli  gli  ebbe  risposto  in 

e  inconcludenti,  •  allora  rispose  Sua  Beatitudine»  che  bene  conosce?a, 
I  decto  lo  oratore  vinizìano,  che  voi  non  eri  per  spicchirrl  dal  re  dì 
e  ogni  cou  fiaciavatc  di  suo  contea timento.  Et  a  un  tricto  si  leva  tu, 
Itro  udire  da  me;  et  lucendo  dì  camera,  dove  era,  tnì  ■«  volte  dicendo  : 
cmreafra  Girolamo i  lo  non  harci  mai  creduto  che  cosimi  bavcssi  tracuio*. 
■  dal  p.  Marche»,  loc.  cìt,  doc  xviii;  p.  164. 

8,  II,  la;  pp.   178,  181,  iBf. 
el  Bonsi  del  33  e  del  a$  febbraio,  e  del  16  sum>;  docc.  6,  8,  33  ;  pp.  178, 


J22 


bibliografia 


«  pemhiosum,  cxcommunicatum  et  poblice  nontUmm  ic  Ai  bcft 
d  suspectum,  contra  mandau  nostri,  stistìnere  pnsmmàk^nsbm' 
«  ftìco  supponemus  ìnierdicto,  et  ad  alU  grjvton  roMÉi^^Cj 
«  cxpcdire  noverimu»,  procedere  corabumis  ■  (iX 

n  colpo  era  gravissimo,  poiché  rinicrdetto  Cacc^s  vanti 
mento;   e  più   grave   si   faceva  pel  frate,  roquaatocbè  bc3«t| 
gnorìa,  tratta   appunto  in  quel   giorno,    gli   riosma  ^  im  ' 
contraria  e  gonfaloniere  Pietro  Popoleschi    a  Ini   trn 
Pure  egli  non  si  perdeva  d*jnimo  e  seguitava  a  proScve 
mamente,  sebbene  si  riducesse  dal  duomo  a  S.  Harc0;c, 
naturale,   ne   andavano   a  Roma  le  nuove,  e  più  *^r*r^  li 
Topcra  dei  nemici  di  lui  (j).  Appena  entrata  ir  oKeiov  b  " 
convocava  molti  cittadini  a  consulta,  per  inter- 
sa quel  che  fosse  da  rispondere  al  breve  de!   : 
sulta,  sebbene  non  fosse   troppa  la   conc  :  o^i&oìl^ 

prevalse  assalii  numero  di    coloro,  che    ^    -  .?  dowtfiì  ÉSti 

papa  qualche  soddisfazione,  pur  non   conceiicndoglì  ni  U  pco* 
del  frate,   né  che   questi   cessasse    dal    predicare;   ma  dk 
esser  segno  bastante   d'ossequio  alla  Santa   Sede  il  suo 
duomo  a  S.  Marco  (4),  E  i  Signori  scrivevano  il  gionio  «w^ 
lettera  al   pontefice  in    questo    senso,   più    ardita  e  caldi  it 
scrìtte  in  favore   del    S.   da  magistrati  composti  dì  suo»  ftóllì* 
nella  quale  non  facevano  che  dirne  le  Iodi  e  conchiudcre  àf  •• 
potevano  obbedire  alle  ingiunzioni  del  pontefice  (5).  Ciò,  wt«p** 
ad  alcuno  (6),  per  isplrito  di  moderazione  e  per  riguardo  tcw» 
Girolamo;  o,  come  sembra  al  Gh.  (7),  per  dcfcrcn/a  il  pir^* 
maggior  numero  dei  Richiesti  chiamati  a  consulta  e  «pecUte* 
dei  Dieci;  o,  come  ci  par  mollo  più  probabile.  0  e 
upcr  irritare  il  pontefice  »  siccome  scrisse  il  prof.  ^ 
adduce  una  validissima  prova^   traendoia   da   una   Ict'.n- 
Somenzi  (9).   Certamente   se   questo   vollero   rottconcr- 


(1)  Vedasi  pubblicato  ààX  Villaii,  SiorU  cit.  toI  II,  Afip.  doc.  xiv«  f-  '*'V 
(a)  Ivi,  IV.  V.  Tol.  Il,  10).  H  lettera  del  Somcnii  del  i  dì  muto,  ift«t^-  ^  '^ 
4,  p.  li'!-  ^ 

(5)  Vedi  p.  es.  U  lettera  J'A&camo  Sforu  ti  fmxello,    del  i"  U  oum  t|^  1^ 
blicatA  dal  Del  Ll'huo  (toc.  cit.  doc.  xxik,  p.  14). 

(4)  Vedi  là  coniutta  pubblicala  dal    turi  in  Jreb.  ttor.  ital,  mHc  fll,  t  vkP"  £ 
doc.    III.   E   un   buon  sunto    nell'opera    pl^   volle    citata    del    Viiiaìi,  fV*  ><  ^ 
loj  agg. 

(f)  Pubblicata  dal  p.  Ma>cii»i»,  toc.  du  doc-  vu,  pp.   ■6s-i<7. 

(6)  Al  prof.  Cosci  nel  iuo  articolo  «opri  ricordato,  p.  4$^ 

(7)  Vedi  i  preaenti  Xuoti  Je*fumemtÌ,  tee.  pp.    186,  loi. 

(8)  U  tiorii  Ji  G.  5.  !V.  V.  voi.  M,  107. 

(y)  Il  auAle,  dandone  aotitìa    al    auo  «ignore  il   a   di    tnmrto, 
»  Uiera  s«  t  scrlpta  in  nome  de  la  Signoria,  et  ({uellA  lu  coatenou- . 

•  queito  effccto, . .  .  acciò  la  Sua  Salititi  babbi  a  procedere  piò  ■.'- 
a  ci  acciò  «nchora  che  epaa  Signorìa  pocii  poi    più  iuttificatamest- 

•  frale,  acoxa  cbe  gli  posaa  esacre  dAto  charicbo  da  pcnona  •.fu  W.^^--. 


bibliografia 


723 


papa  di  esser  beffato  da  quella  n  trista  lettera  »,  per  la  quale  ram- 
pognò fieraracDte  gli  oratori  fiorentini,  che  glie  la  presentarono  (i); 
e  sollecitato  e  aizzato  da  Ascanio  Sforza  e  da  altri,  avrebbe,  a  quanto 
sembra,  spedito  subito  Pinterdeito,  se  non  avesse  alquanto  placato 
il  suo  sdegno  mons,  Podocattaro  vescovo  di  Capaccio  suo  segre- 
tario, e  che  ebbe  più  tardi  da  lui  Ìl  cappello  cardinalizio  (2).  Si  dovè 
forse  ai  buoni  uffici  di  questo,  se  il  papa  si  contentò  di  rinnovare 
le  sue  miuaccie  in  modo  più  perentorio,  ma  con  un  breve  scritto 
forse  in  forma  più  rimessa  che  non  si  sarebbe  aspettato  ;  perchè  in 
esso  ìl  papa  scendeva  quasi  a  discutere,  riconoscendo  il  bene  operato 
a  Firenze  da  fra  Girolamo,  e  giustificando  il  proprio  sdegno,  e  di- 
mostrando non  potersi  diro  la  Santa  Sede  male  informala  dei  fatti 
del  frate.  Tornava  in  fine  a  minacciar  T interdetto,  se  non  si  ottem- 
perasse alle  condizioni  già  poste;  ma  quasi  pregando  di  non  esser 
costretto  a  lanciarlo,  per  l'amore  che  egli  portava  a  Firenze,  ed 
esprimendo  il  desiderio  d*una  resipiscenza  del  S,,  che  potesse  davvero 
procacciargli  l'assoluzione  (3). 

I  Dieci  intanto,  prima  che  questo  breve  giungesse  a  Firenze,  ma 
quando  già  erano  informati  per  lettere  del  Bonsi  dello  sdegno  del 
papa,  non  sapevano  fare  altro,  che  scrivere  all'ambasciatore  una  delle 
solite  lettere  fiacche  e  inconcludenti,  nella  quale  dicevano  di  mara- 
vigliarsi che  il  papa  si  fosse  alquanto  risentito  per  la  risposta  della  Si- 
gnoria, e  che  veramente  nulla  era  che  potesse  irritarlo  nelle  prediche 
del  frate,  quando  si  interpretassero  «  secondo  il  vero  loro  senso,  come 
a  veramente  si  debbono  le  chose  che  si  scrivono  allegorìchamente  et 
«  con  gran  misterio  et  fondamento  »  ;  sicché  vedesse  egli  d*  indurre 


(i)  Vc4i  U  lettera,  ebe  Kriu«  U  Boasi  ù  Oied.  il  7  di  muico;  pubblieatt  d«l  p.  Mia- 
cilE»,  \oc.  cit.  iloc.  %■%.,  p.  t68;  e  (]uelU,  per  vero  molto  fnCBO  importante,  ch'egli  scrUie 
alU  Signoria,  cJita   c^ui  dal  Gri.   doc.    i&  i  p.    19J. 

(s)  Vedi  la  lettera  del  Ben»  alla  Signorìa,  del  9  di  marzo,  edita  qui  dal  Gh.  (doc.  19  ; 
pp.  191- 193).  E  per  l'opera  d'Aacanio  Sforxa,  vedi  la  lettera,  che  gli  Krlvera  il  duca 
Il  2$  di  marzo;  pubblicata  à»\  DtL   Loaco  (loc.   cit.  doc.   xxxiii,   p.   jS). 

(3)  Il  Gti,  pubblica  <]ui  (doc.  so;  pp.  t<^,  Bgg>)  U  brere,  dall'originale,  che  ealitc 
oell'arcbivio  di  Firenze,  in  una  leiioae  molto  direraa  da  quella,  oella  quale  fu  edito  dal 
PeutEKS  (op.  dt.  doc.  xi\  che  lo  trasse  da  una  copia  della  biblioteca  Mirciaaa.  identica 
a  un'altra  icoperta  dal  Vitlari  nel  cod-  RiccarJ.  ao;;.  Egli  suppone  che  (|uc»ie  due  copie 
(senza  inteatazioae  ni  d«ta)  sieno  trutte  da  una  bona  f4tta  stender  dal  papa,  prima  che 
le  parole  del  Podocanaro  lo  riducessero  a  più  miti  consigli,  e  che  11  breve  in  quella  forma 
non  foft»  spedito  mai  (p.  191).  La  quale  ipotesi  (seppure  non  si  tratta  anche  qui  di  una 
di  quelle  parafrasi  allora  tanto  comuni,  e  che  Ìl  prof.  MlUrì  ammette,  per  esempio,  a 
proposito  dtlls  lettera  del  S.  al  papa  del  ij  marzo  1498  nella  veni  otte  che  ne  pubblicai  Ìl 
RuDiLaACH.  Vedi  op.  cit.  II,  130,  in  notaj  d  sembra  molto  probabile,  essendo  quasi 
asiurdo  r  invio  simultaneo,  o  quasi,  di  due  brevi  coil  diveriì  intorno  alla  medesima  cosa. 
Quanto  alle  parole  dì  G.  A.  Vcspucci  che  diceva,  nella  concalta  del  14  marzo,  questo  breve 
meno  imperioso  di  quel  primo,  non  vedo  pcrchi  non  potessero  alluder*  al  brere  del  s6  di 
febbraio,  come  oppone  il  Villsri  (op.  ctt.  pp.  ll{-ll6,  n.  a),  li  quale  ritiene  che  am- 
bedue i  brevi  fossero  spediti  a  Firenze  ;  perche  e  dal  sunto  resse  che  ne  abbiamo  fatto  e 
soprairuto  dalla  lettura  dei  brevi,  apparisce  chiaro  che  U  breve  del  aé  di  febbraio  fu 
nella  forma  assai  più  impiota,  che  questo  del  9  di  mano. 


II,'!.  »,♦#». 


724 


^ibliograjia 


il  papa  a  concedere  alla  Repubblica  tutti  i  desiderali  (avori  (i).  E 
davvero  troppa  semplicità  o  troppa  sfrontatezza;  e  il  Bensì  era  sua 
oramai  di  dover  mostrarsi  partecipe  anch'egU  o  deiruna  o  delTilt 
t;mto  che  rispose  eoa  una  lettera,  che  al  Gh.  sembra  singoUrmei 
ardita  (2),  sebbene  in  altri  tempi  anche  più  ardito  linguaggio  awa 
tenuto  talora,  coll'uflìcio  dal  quale  dipendevano,  gli  ambasciatori  I 
rentini(5).  Nella  quale,  insegnato  loro  a  intendere  a  dovere  le  sue  h 
tere.  come  essi  volevano  insegnare  al  papa  a  intender  le  espressioni  < 
S.,  mostrava  che  egli  ne  sarebbe  beffato  et  rihuctato,  se  volesse  inii 
dicendo  le  solite  parole  in  difesa  di  quelle  prediche,  che  andavano  su 
paté  per  Roma  ed  esacerbavano  gli  animi  di  lutti;  e  che  il  papa< 
indignatis&imo,  e  più  si  sdegnerebbe,  se  non  vedesse  da  Firenze  ns^ 
non  di  parole,  ma  di  fatti;  infine  chiedeva  licenza  del  ritomo,  pere 
vedeva  l'opera  sua  a  Roma  inutile  per  la  Repubblica  e  a  sé  perii 
Iosa  (4).  Non  pare  che  i  Dieci  se  ne  commovessero  troppo,  né  e 
mutassero  opinione  rispetto  al  S.,  almeno  a  giudicare  dalla  Uctie 
colla  quale  risposero  al  Bonsì.  sebbene  mostrassero,  per  ossequio  al 
Santa  Sede,  d*aver  consentito  air  inibizione  del  predicare  faitt  al 
dalla  Signoria  (5).  Il  contegno  della  quale  in  tutto  questo  mese, 
apparenza  benignissimo  a  fra  Girolamo,  pare  a  me  che  giasdfic 
sempre  più  l'opinione  del  Villari,  fondata,  come  abbiam  visto,  sol 
notevole  affermazione  del  Somenzi.  1  Signori,  che  sapevano  l'ania 
del  papa  e  che  importanza  avesse  per  lui  la  risposta  che  al  « 
nuovo  breve  sì  farebbe,  procedevano  con  singolare  lentezza.  Dof 
essersi  indugiati  tre  giorni,  chiamarono  a  consulta,  sia  per  rispefl 
alle  consuetudini  della  Repubblica,  sìa  per  perder  più  tempo  e  ^ 
gnare  il  papa  ognor  più,  un  grandissimo  numero  di  cittadini,  i  ^ui 
manifestarono,  come  era  da  aspettarsi,  pareri  molto  discordi,  sebbtì 
alquanti  sì  mostrassero  favorevoli  al  S.  e  alcuni  usassero  parole  moh 
forti  contro  il  pontefice,  ma  i  più  consigliassero  di  dargli  qDildi 
soddisfazione  (6).  Lasciarono  quindi  passare  altri  tre  giorni,  e  poi  dù 
nurono  a  praticare  19  cittadini  scelti  fra  quelli  della  precedente  ca 
sulta,  i  quali  presentarono  una  relazione,  in  conseguenza  della  qua) 
sì  decretava  «  persuadendura  esse  fratri  leronymo  ut  omnìno  a  pr« 
a  dicatione  cessaret;  sicque  satisfieret  pontifici.  Cetcra  autem  qocK 
«teris  apostofìcis  petebaotur  indigna  iudicata  stmt  Rcìpublìcc;  skqpi 


(1)  Lecttra  del  10  dì  nuno,  Joc.  ii;  p.  197. 

(»)  P.  »«. 

())  Vedi,  f.  ea.,  te  lettere  che  KrÌMc  talora  ù  Dieci  neswr  Ri&al4«  èti^ 
particoUrt  ^ncllt  cbc  icriate  dal  canpo  coacra  Locca,  dov'era  cowwJtirttt,  1 
tuie  f  il  16  di  mftrro  del  i4)0*  C«mmitsitwà  éi  Kmatéa  étfH  Aléi^i  fd  G 
wrm^t,  pubbUciie  d«  CiiA«a  GvuTi,  III,  }oé,  «SA. 

(4)  Lctiers  del  x6  dì  laarxa,  doc,   zi  ;   pp.    tyt-aoii 

(5)  Lrttcra  del  14  di  marra,  doc.  3S;  p.  107;  t  vedi  UlcClara  M  tt»  « 
di  ricercr  quella  del  Boasi,  doc.  aj;  p.  aoi, 

(C)  Cooaulu  del  14  di  mano»  pubUicaia  dal  Lu»t.  toc.  dt.  dAC  *,  pfL 
uta  e  rìporiau  in  pane  djj  Villau*  op>  eie  IV,  ti,  voL  U,  ni  af(. 


bibliografia 


725 


h 


fld  oratorem  qui  Rome  erat  dominutn  Dominìcurn  Bonsium  Htere 
date  sunt  j»(i).  Al  S.  veniva  quest'ordine  notìficato   quella  sera, 
egli  obbediva,   e   faceva  il    18   di   marzo    del    149B   rultima  sua 
edica  mesta,  ma  pur  risoluta  e  minacciosa  (2).  Ma  la  risposta  a 
orna  si  mandava  con  tanta  lentezza,  che  non  vi  giungevi  prima  del 
22  (}),  e  non  si  faceva  direttamente  al  papa,  ma  alPoratore  (4), 
:he  non  era  una  prova  dì  far  troppo  conto  del  breve  di  quello.  II 
;ui  sdegno  sì  veniva  pertanto  accrescendo,  tanto  più    che   seguita- 
ano  a  venire  con  assai  maggior  prontezza  altri  avvisi  da  Firenze 
a  irritarlo  più  che  mai  (5).    E    convocati    alcuni  cardinali,  fra 
quali  fu,  naturalmente,  Ascanio  Sforza,  n'aveva  avuto  parere  di  non 
chieder  più    la    sospensione   delle  prtidìche    del  frate,  «  ma  di  vo- 
«  lerlo  a  ogni  modo  qui  nelle  mani;  et  che  non   solamente  proce- 
tc  dessi  allo  interdecto,  ma  facessi  porre  te  nuni  addosso  a  questi 
«  della  natione  nostra  che  sono  qui,  et  tenere  le  loro  robe  al  sicuro; 
M  et  di  poi  richiedere  le  S.  V.  che  li  mandìnr^  fra  G.  infra  uno  ter- 
«  mine  preftxo;  et  non  lo  faccendo  voi,  mettere  detti  della  natione 
«  in  Castel  Sancto  Agnolo  et  le  robe  confischare  alla  Camera  Apo- 
«  stolìcha  »  (6).  Cos\  scrìveva  il  Bonsi,  al  quale  forse  la  cosa  era  stata 
riferita  con  qualche  esagerazione,  e  forse  per  intimidire  il  Governo 
dì  Firenze;  ma  intanto  i  mercanti  fiorentini  che  erano  a  Roma   ne 
scrivevano  anch'essi  alla  Signoria,  tutti  sgomenti,  supplicandola  ad 
ovviare  e  dare  al  papa  la  richiesta  soddisfazione  (7).  Ma  la  Signorìa 
non  sì  mostrava  per  nulla  impensierita  e  lasciava  che  a  Firenze,  se 
fra  Girolamo  taceva,  predicassero  fra  Domenico  da  Pescia  e  fra  Ma- 
riano degli  Ughi,  certo  non  con  temperanza  maggiore;  e  perchè  Ìl 
papa  se  n'era  lagnata  col  Bonsi,  quando  questi  fu  ad   annunziargli 
la  sospensione  delle  prediche  di  fra  Girolamo  (8),  rispondevano  in 
modo,  che  par  giustamente  al  Gh.  assai  singolare  (9):  «  che  altri 
«r  frati  di  S.  Marco  predicano  In  vilipendio  dì  Sua  Sanctìtà,  noi  ìn- 
«  formatoci  non  ritragghiamo  cotesto  da  nessuno  u  (io).  Così  quanto 


(i)  Pradcft  del  17  di  mano,  pubblicata  e.  1.  Joc.  v;  pp.  Jj-Sf. 

(>)  ViLLARi,  St(/TÌa  cit.  IV,  vt,  voi.  II,  11)  »g£.  e  in  particolare  p.   138. 

(3)  Vedi  la  lettera  del  Bonsl  del  34  dì  mano,  editi  qui  dal  Gh.  doe.  ]t  ;  p,  310.  Ecf. 
qaeUc  del  16,  del  19,  del  ao.  nelle  qualt  «quella  risposta  solleduva  (docc.  i2,  2%,  27  ; 
pp.   199,  IO).  307). 

(4)  Vedi  il  poscritto  della  lettera  dei  Dicci  al  Bodsì  del  18  di  marzo  (doc.  3]  ;  p.  203), 
e  la  loro  lettera  del  34  (doc.  18;  p.  307)  fatu  per  mostrarsi  al  papa  (vedi  11  doc.  39; 
p.   308). 

(5)  Vedi  la  lettera  del  Bona!  del  aj  di  loarzo  (doc.  )o  ;  p.  309).  Il  papa  aveva  gìA 
«aputo  cose  nuove  da  una  lettera  del  19  di  oiarxo  prima  d'avere  la  risposta  fattagli  fare 
dàUA  SigvoKa  il   iB. 

(£)  Lettera  del  Bonai  del  18  di  mano,  doc.  34;  p.  «M- 

(7)  l.a  lettera  dei  mercanti  t  pure  del  iS  di  mano;  edita  <]ul  al  n.  ì6,  pp.  30(-3o6. 

(8)  Vedi  la  citau  lettera  del  Bonsi  del  a)  di  marzo. 

(9)  P.   30«. 

(io)  Vedi  la  lettera  dei  Signori  al  Botui,  scritta  il  31  A  meno,  nelU  raccoha  del  p.  Hai* 
cmsa,  doc  xxtt  ;  p.  171. 


726 


bibliografia 


al  non  essersi  degnati  di  rispondere  direttamente  al  brcTc,  della  qtut 
cosa  Alessandro   aveva  mostrato   rincrescimento,   allegavano,  nella 
lettera,  colla  quale  finalmente  risposero  il  jt  dì  mano,  un  pretoio 
di  assai  poco  valore,  dicendo  di  non  potere  scrìvere  a  un  papa  <  sue 
«  decreto  coUegarum  nostrorum,  qui  singulis  horarum  momentiscoe- 
«  gregari  non  possunt  "  (i).  Altro  che  sinpilis  hordrum  mo»n«lu;  con 
una  dilaxlonc  di  venti  giorni!  Nondimeno  il  papa  pareva  ìn  questo 
tempo  assai  calmo  ;  ma  chi  gli  era  attorno  pensava  ad  iiuarlo  col 
dirgli  un  fatto  nuovo   e  grave.   Sia    che  veramente,   come  fu  nt^ 
rato,  ma  pare  al  Gh.  poco  probabile  pel  silenzio  dei  carteggi  (sX  ' 
Milano  sMntercettasse  e  dal  Moro  si  mandasse  al  papa  una  li 
del  S.  a  re  Carlo  VIU  per  incitarlo  a  convocare  un  concilio 
porre  Alessandro  (});  sia,  come  suppone  il  Villari  (4),  che  I 
tera  intercetta  fosse  una  dì  Domenico  Mazzinghi,  scrìtta  col  mede- 
simo scopo  e  per  ordine  di  fra  Girolamo  a  Gìovachino   Guasconi, 
ambasciatore  in  Francia;  sia  che  qualche  voce  imprudente  o  traditrice 
uscita  di  S.  Marco,  o  qualche  invenzione  calunniosa  dorila  corte  di 
Milano  avesser  messo  dì  tale  cosa  il  sospetto  nelPanimo  del  pap; 
certo  è  che  questi  alla  fìne  dì  marzo  non  sì  contentava  più  che  il  5 
tacesse.  Temeva,  come  apparisce  soprattutto  dal  terzo  processo,  che 
le  ripetute  minaccie  del  frate  di  dar  volta  alla  chtavUU  avesser  fon- 
damento in  pratiche  appiccate  da  luì  o  con  cardinali  poco  ami'd  del 
papa,  o  con  prìncipi  d'Italia  o  dì  fuori,  per  radunar  un  concìlio,  che 
seguisse  Tesempio  dato  da  quello  di  Costanza  e  malamente  rìoDO- 
vato  a  Basilea.  E  s'intende  però   comVgli,   aderendo  tinalmenie  in 
parte  ai  consigli  datigli  il  17  di  marzo,  dicesse  il  ;t  al  Bonsì  d*avcr  de- 
liberato dì  mandare  a  Firenze  un  prelato,  «  il  quale  ricerchassì  per- 
<i  suadere  fra  Jeronimo  che  si  disponesse  al  venire  qui,  solo  per  00 
<t  strarsi  obscquente  alla  Sua  Santìti,  et  a  questa  Santa  Sede,  et  che 
tf  venendo  non  gli  sarebbe  fatta  alcuna  lesione  »  ^cc.  (5),  A  questo 
l'ambasciatore  si  era  opposto  recisamente,  allegando  più  ragioni;  mi 
ormai  era  avvenuto,  e  ne  giungevano  a  Roma  le  notìzie,  quel  otto 
che  doveva  dar  mano  a  toglier  vìa  questo  nuovo  dissidio  fra  il  papi 
e  la  Signoria  ed  a  chiarir  senza  dubbi  l'avversione  di  questa  al  S 
Il  25  dì  marzo,  come  apparisce  da  una  lettera  di   Girolamo  Btn- 
vdeni  pubblicata  dal  Gh.  (6),  Francesco  di  Puglia,  predicando  io  Saou 

(1)   RaCCOIU   del    p.    MARCMt»,    doC.   XXUI  (    p.    173. 

(a)  P.  Jii. 

())    BVHLAHACCNI,    Op.    dt.   p.    ft6. 

(4)  op.  eìt.  IV.  TI,  voi,  li,  pp.  i]S-i}<.  C'è  verADenie  una  diAUetli.  yvM  I 
Mazxinghi  disse,  nel  processo,  d'avere  avuto  la  rijpoita.  (Ivi^  p.  cctsti].  •  H  f^^* 
deli' 11  d'aprile  ò  riporuia  alla  pagina  scgucote);  ma  U  V.  cerca  d'climiurli,  •Off^'*' 
che  la  lettera  fosie  tiundat*  dupUcaia,  o  che  il  Moro  l'aveaR  laadau  a»ltfv  al  ■*  ^ 
stino  dopo  averne  fitio  fare  uoa  copia  ;  che  non  mi  pare  ipotoi  troppo  probiMt  H*^ 
p.  cclxiv,  n.   1). 

(5)  Lettera    del  Bonaì  del  )i  di  mano,  doc.   51  (altimo  4cl  5  nit);  fv  ti*- 

(6)  ^  IX,  doc.  I  ;  p.  216. 


bibliografia  727 


^ 


Croce,  aveva  lanciato  quella  sfìiÌ2,  che  fu  ruhtma  rovina  del  frate 
ferrarese.  I  commenti  che  son  qui  pubblicati  nel  J  ix  sono  impor- 
tanti soprattutto  a  mostrare  la  contrarietà  risoluta  che  incontrò  a  Roma 
la  proposta  della  barbara  prova,  che  duole  veder  tanto  favorita  e 
sollecitatane  U  licenza  dall'oratore  della  Signorìa  (i);  ma  gli  animi 
erano  allora  a  Firenze  così  potentemente  agitati,  che  la  cosa  non 
pare  fuori  del  naturale.  Sia  che  il  papa,  come  capo  della  Chiesa, 
non  volesse,  o  che  non  volessero  i  cardinali  accordare  essi  una  cosa 
che  allo  spirico  della  Chiesa  ripugnava;  sia  che  Alessandro  temesse, 
come  i  Piagnoni  supposero  (2),  che  da  quella  prova  il  S.  avesse  ad 
uscire  vittorioso  e  accresciuto  di  credito  e  d'autoriti;  sia  che,  volendo 
a  ogni  costo  il  S.  a  Roma,  non  curasse  d'approvar  tutto  quello  clie 
potesse  ritardare  o  impedir  quest'effetto,  o  non  volesse  che  il  frate, 
morendo,  avesse  a  portar  con  sé  nella  tomba  i  segreti  che  a  lui  pre- 
meva di  strappargli;  certo  ò  che  papa  e  corte  furon  sempre  all'espe- 
rimento contrari,  nò  ebber  risposta  le  richieste  d'approvazione  o  dì 
licenza  della  Signoria  e  dei  frati  di  S.  Marco,  se  non  in  quelle  disap- 
provazioni, che  il  fìonsi  sentiva  darsi  (in  tre  giorni  dopo  quello  del- 
l'esperimento, del  quale  non  era  peranco  giunta  a  Roma  la  nuova  (j). 
Che  se  poi  Alessandro  VI  fece  scriver  lodi  alla  Signoria,  e  fu 
largo  coi  Fiorentini  d'assoluzioni  e  indulgenze,  e  spedi  un  breve  gra- 
tulatorio e  laudativo  ai  frati  di  S.  Croce;  lo  fece  quando,  insìem  colla 
notizia  della  prova  fallita,  gli  fu  giunta  quella  del  confino  e  poi  della 
cattura  del  S.  e  dei  due  suoi  compagni  (.(),  che  l'assicurava  da  ogni 


(i)  Vedi  ì  doec.  a-7  del  5  ix  pKHlm.  • 

(a)  BuR-LAMAcciti,  op.  cìt.  p.  113. 

(})  heixttk  del  Boail  «1    Dìcd  del  10  d'aprile  1498    Doc.   i  del  5  x  =   '  Sunune,  M* 

•  scndo  io  col  c^i.  di  Perniai,  m'affermò,  non  obBUote  che  tuvestc  ledo  U  lettera  de' 

•  frati   tliligentemente,    nsere  del  mcddimo  proposito;     bencbò   li  pareste   grave    cota    U 

•  cooaeotjmcmo  di  tuito  numero  •  ;  p.  aj6.  L«  lettera  dei  frati,  che  £  del  j  d'aprìU, 
à  ti  doc.  ì  del  5  IX  (pp.  219-320}.  E  cosi  due  giorni  avanti  parlando  roratore  di  quffto 
al  medesimo  cardinale  ed  al  papa,  ■  l'uno  et  l'altro  di  loro  entrarono  ìn  au  t)ueito  aito 
«  dello  cxperiraento  del  fuoJio,  dannandolo  motto.  Et  subìunie  il  papa,  che  al  moravi- 
«  ^ava  cbc  costi  ai  attcndesoi  a  tali  coie,  et  che  e'  sarebbe  bene  levarle  via  •  (doc.  7, 
tetterà  del  Borni  del  19  di  aprile;  p.  221,  e  zi.  più  aotto  a  p.  222).  £  il  disgusto  di  lui 
appare  selle  prime  parole,  che  fece  al  Bond,  quando  questi  per  la  prima  volta  glia  ne 
fMrlA;  a  Vedete  dove  queite  cOM  it  conducono  I  *  (Lettera  del  B.  del  4  d'aprile,  doc.  }; 
p.   117). 

(4)  Del  confino  teppe   U  papa  dal  Bonsi  la  mattina  del  10  d'aprile,  ■  et  ne  monstrò 

•  essere  bene  conicoto ....  monitrò  CMcrli  molto  acccpto  la  vostra  buona  dlspotiiiooe  verao 

•  la  Sua  Santiil  :   delta  i^uale  mi  dixe  che  assai  per   sua  parte  ve  ne  ringratìassi  ;  et  che 

•  «sa  paracìssimo  od  ogni  vostro  baneficio  operarsi  come  per  auoi  buoni  Èfjtiuoli.  Monitrò 

•  etiamdlo  piacergli    assai  la  speranza  che  per  epsa  vostm   oc  date  di   comporre  bene  et 

•  a  pace  et  unione  lucia  la  città  ».  (L«tt.  del  B.  del  10  d'aprile,  5  ^,  docc.  1  e  2  ;  p.  127). 
La  attente  mattina  ai  recA  auUto  l'oratore  a  dargli  notìzia  di  quel  che  era  avvenuto  poi; 
ed  «|>U  ■  monttrò  non  solo  essergli  grato  et  a.'ceptìsatmo  la  captura  di  questi  tre  frati, 
■  B»  eoo    molle   amorevoli    parole  ve    ne  rìngratiù    sommamente,    d'ogni    opera   intorno 

•  acciò  £acta  :  coraendjiridovene  grnndìsaimameme,  et  dicendo  che  non  è  cosa  circa  a'chasì 

•  di  Pisa  e  altri  11  grande,  che  lui  non  deaidcri  racciere  in  beneficio  vostro  •,  ecc.  (Lctt.  del- 
1*11  aprile,  doc.  j;  pp.    ^^•J•^^Z).\  E  soltanto  il  giorno  dì  poi  (la  d'aprile)  porttvaBO  da 


bibliografia  729 


¥ 


Roraa,  e  come  il  Bonsì  aveva  fino  da  princìpio  fatto  intendere 
papa,  che  certe  cose  interne  della  loro  città  s'avessero  a  risapere 
c  pubblicar  fuori  (i);  e  però  continuamente  si  rifiutarono  dì  con- 
ceder tal  cosa,  sia  espressamente,  sia  cercando  di  guadagnar  tempo 
col  tacere,  sebbene  il  papa  ne  li  ricercasse  con  insistenza  grandis- 
sima, e  ne  facesse  una  condizione  necessaria  dei  favori  materiali 
e  spirituali,  che  essi  gli  chiedevano  (2).   Tanto  che  alla  fine  toccò 

lui  a  cedere,  e  contentarsi  che   i  tre  frati  venissero  interrogati  a 
irenze  da   qualche  suo  commissario    mandatovi   ir  per  intenderne 

tina  cosa  più  che  un'altra  attinente  j)  (3)  alla  Sua  Santità;  0  facesse 
questo  perche  la  piega  che  le  cose  prendevano  a  Firenze  gli  avesse 
oramai  tolto  ogni  paura  dell'animo,  o  perchè  avesse  inteso  dai  sunti 
dei  processi  comunicatigli  che  non  c'era  da  cavarne  nulla,  che  po- 
tesse gravemente  compromettere  alcuno  della  curia.  Ed  è  cosa 
assai  curiosa  quella  che  rileva  il  Gh.,  che  questa  soluzione  non  fu 
dal  papa  proposta  e  dalla  Signoria  accettata,  né  viceversa,  perchè 
un  giorno  prima  che  la  lettera  del  Bonsi  giungesse  a  Firenze,  una 
pratica  aveva  consigliato  lo  stesso  partito,  e  secondo  il  consigUo 
di  quella  n'era  stato  scrìtto  all'oratore  (4). 

Né  ci  mostrano  questo  soltanto  i  documenti  pubblicati  in  questo 
paragrafo;  ma  anche  l'effetto,  che  la  notizia  di  questi  fatti  produsse 
fuori  di  Firenze,  e  in  particolare  in  Francia  e  a  Milano,  così  sui 
capì  degli  Stati  (3),  come  sugli  ambasciatori  fiorentini,  i  quali,  in 
quei  due  luoghi,  appartenevano  alla  parte  del  frate,  e  non  nasco- 
sero il  loro  dolore  e  il  loro  disgusto,  tantoché  all'uno  di  loro,  Fran- 
cesco Pepi,  i  Dieci  rimproveravano  la  passione  con  cui  scriveva  (6), 
e  se  non  lo  richiamavano,  mandavano  almeno  un  altro  oratore  di 
ben  altri  sentimenti,  Guidantonio  Vcspucci,  col  pretesto  d'  informar 
meglio  il  duca  Lodovico  delle  cose  presenti  (7).  La  lettera  poi  del 


(1)  L«it.  cìt.  del  Borni  dell'ii  d'aprile;  e  leti.  cii.  della  Signoria  al  Boiui  del  ;, 
e  al  papA  del  6  di  maggio  (p.  HucHEfi,  docc.  xxjtvi  e  xxxvii,  pp.  187,  189')  Nelle 
i]tL«li  troviamo  delta  ancbe  ua*ahr<i  ragione,  che  fa  diipiaccrc:  ■  Acccdii  tiuc  ctiara  «^uod- 

•  dare  dcsiJenunt  totiua  populi  viJendi  luppUcìum  eìus,  quo  tot  aoais  vani»  poUìcitatio- 

•  nibu»  deluai  lunt  «. 

(1)  Vedi  4pcci«lmentc  le  leitere  del  Beasi  dei  17,  19  e  aj  d'jiprìle  edite  qui  ($x,  docc.  ij 
e  J3;  pp-  139  sgft-  >t6).  E  fin  nei  brevi  delle  tue  «oncestìoai  il  papa  ioaistcva  tu  quel 
ponto.  V.  j  brevi  del  taedel  17  d'aprite  pubblicati  qui  dal  Ga.  (docc.  6  e  14*  pp-  a)i*  243)- 

())  Lett.  del  Bun&ì  Jcl  j  dì  maggio,  ediu  qui  (doc.  37;  p.  363). 

(4)  P.  >«i- 

(5)  Il  doc.  9  (p.  35;}  t  una  lettera  di  larghissima  lode  e  congratulazione  scritta  alla 
^gnorìa  l'ii  d'aprile  da  Lodovico  il  Moro,  che  contrasta  un  po'  col  modo  nel  quale  s'era 
eapreaao,  scrivendo  il  giorno  ìnnanxi  alla  Signoria  stessa,  l'ani  bandai  ore  Francesco  Pepi 
(doc.  S;  p.  334').  Il  doc.  13  k  una  lettera  dei  Perugini,  del  ts  d'aprile,  che  coaliene  umì 
prolTen«,  roa  oetsuna  congratulazione,  ansi  rammarico  dd  tumulto  avvenuto  1  neanche 
il    ricordo   del  frate. 

(6^  Lett.  del  33  d'aprile,  edita  qui  (doc.  19;  p.  3$:). 

(7)  Lett.  del  31  d'aprile,  e.  t.  (doc.  18;  p.  3So).   La  ragione  la  diceva  chiara  il  So- 
t(  scrivendone  al  duca  l'ii  d'aprile.  Vedi  Del  Lungo,  pubbl.    dt.    doc.  xli,  p.  36. 


il   nc< 


Guasconi  ambasciatore  in  Francia  (i)  è  anche  per  allro 
tante,  perchè,  insieme  coi  passi  d'altri  inediti  documenti,  o 
il  Gh.  r  illustra  da  par  suo  (2),  rettifica  quanto  s'at^oracntzl 
lettera  dì  Luigi  XII  alla  Signoria  di  Firenze  scrìtta  il  4  i£i 
e  pubblicata  dal  p.  Marchese  ($),  cioè  che  quel  re  s'adopts 
favori  del  S.  soltanto  quando  questi  era  già  morto  ;  poich 
risce  di  qui  com'egli  già  avesse  saputo  i  casi  di  Fìrenxc 
aprile,  e  da  altri  prima  che  dairambasciatore,  e  come  pei 
mandasse  a  Firenze  Niccola  Alamanni,  il  quale  non  pot£  Ù 
per  trovar  la  materia  troppo  mal  disposta.  Cosi  ci  mostrai 
di  questi  documenti  come  parecchi  dì  quelli  che  erano  al  fìi 
voti  da  luì  s'alienassero  (4),  e  come  lo  rìnnega5sero  pcr€a 
intimi  fra  ì  suol  frati  (5),  ingannati  dalle  false  dichiaraci 
processi,  che  altri  documenti  vengono  a  dimostrare  palpah 
in  che  modo  si  facessero,  e  come  in  quelli  la  parzialità  e  V\ 
fosscr  Tunica  regola  dei  giudici,  che  compirono  colla  condii 
tre  frati  una  svergognata  ingiustizia  (6).  Non  si  può  seia 
certa  commozione  e  un  senso  di  dolore  e  dì  sdegno  per 
questa  parte  del  libro,  né  gran  parte  dei  documenti  racco 
paragrafo  XII,  sotto  il  titolo:  p  Documenti  relativi  alla  mcnj 
fra  Girolamo  m  (7);  quelli  in  particolare,  nei  quali  \-ediarao  £1 
trattore  del  S.  un  suo  vecchio  maestro  (8),  e  scrivere  contrt 
ancor  vìvo  e  carcerato  un'aspra  e  feroce  invettiva  diretu  i 
gnoria  di  Firenze  (9)   Ugolino  Verino,  poco  ionarm 


(1)  £  del  ai  d'apnle  (doe.  17;  p.  14!). 

(3)  P.  M6-M7- 

(5)  Loc.  cit.  tloc.  XL,  p.  19J. 

(4)  Fn  gli  altri  il  Boo*t  ;  qUAntuni^ac  piO  cbe  dalU  «t 
>dcl  PugUcM  (edita  qui,  doc.  31  ;  p.  SS4)  ^  pou«  tffomenuif  il  nt 

JaIW  lettere  che  tfrirevs  «Ji  Roms  «oche  prìau  della  c«dctJ  del   S.   E  t'one' 
«uo  di  C«scitu  Frsacekco  FortuoAtt,   cbc  tcracr*  d'avere  «  cucrc  implica»  ad 

(P.  5S«). 

({)  Fino  fra  Kkcolò  da  MUaoo,  ■  col  fl  S.  «««va  fino  far  U  launtt  Adi 
ai  frtndpi.  Vedi  la  lettera  sua  aifli  cttminatori  •  pacndopropbatae  fratru  Hàenmjnl 
•  rarii  •  del  aa  d'aprile,  cdìu  4]ui.  doc.  xo:  p.  i^a.  Q^tuo  agB  altri  (mi,  vcA  le  di 
del  BoTui  ai  Dieci  e  alla  Simona,  del  15  d'aprile  (docc.  xs,  14  ;  pp.  t%é,      "  ' 

tcrt  loro  al   papi,  edìU  AmÌ   PtUlKt  C/drOMM    5MvÌHr«Ìr,    App.    4«c 
della  ]"  edii.). 

(6)  Vedine  ooa  bqot*  proT*  oclle  due  lettere  di  Plarfrai 
Calcina,  che  TtngTtno  la  hioe  per  la  prima  Tolta  bi  ^«wta  «vconda  adizìoaK 
e  16;  pp.  Ji9.  afe). 

(7)  Non  wò  «  far  parola  dd  5  <Lt.  b^  quale  il  Gh.  ha    rae<olio  tre 
dd  S.,  dì  no*  graode  importanaa,  il  tnto  oKgìiutc  d'm'alna,  di  <ni  ■  « 
tanto  osa  tradtuìooc,  e  usa  dtligcatùniDa  e  ipcno  iniporTantìsaima  £oUaalu»c 
tcn  tdhc,  delle  ^uali.  nwaochè  iH  «m  ioU,  *aa  qui  loltaato  riponmte  la 
Icrioai  pdbWirtW. 

(•)  D  Garaoai  più  aopra  rùerActo  (5  **'•  *1ac«-  S  '  )i  PF-   ]09*  !>*)•  La 
pMi  accrte  di  quote  kttcn  del  G.,  .:fae  e  dd  |  di  Infilo   149»,  Tie*4>    ->  l-^«^  1 
prima  ^ralia.  L'altra  del  14  A  piapw  era  aacbe  Della  prima  ediaonic  1 


bibliografia 


da  aver  sottoscritto  rattcstazione  in  suo  favore  fatta  da  molti 
Cittadini  di  Firen7.e  Tanno  I-197,  e  da  avergli  dedicato  un  poe- 
metto latino,  che  il  Gh.  qui  pubblica  :  De  christiattae  reli^onis  ac 
vitdc  monastica^  felicitate  (i).  Negli  altri  apparisce  in  tutta  U  sua 
acerbità,  che  giunse  talora  a  cose  quasi  stolidamente  ridicole  (2), 
la  persecuzione  contro  la  memoria  del  Ferrarese,  mossa  così  dai 
suoi  nemici  reggenti  il  governo  di  Firenze,  sia  che  fossero  repub- 
blicani Arrabbiati  (}),  sia  che  fossero  Palleschi  0  duchi  di  casa  Me- 
dici (.})  ;  come  dai  superiori  dell'ordine  domenicano,  che  fino  un 
secolo  dopo  ch'egli  era  morto,  vietavano  a  tutti  ì  frati  e  a  tutte  le 
monache  di  tenerne  ritratti  e  (in  di  pronunziarne  il  nome  (5).  E 
apparisce  in:>ieme  il  perdurare  in  mezzo  n  tante  persecuzioni  della 
devozione  quasi  popolare  al  nome  e  alla  memoria  di  lui,  che  si 
manifestò  fino  a  un  secolo  e  mezzo  fa  in  una  fiorita,  che  si  faceva 
in  piazza  della  Signoria  nel  giamo  anniversario  della  sua  morte  (6), 
i  attcstata  dalle  stesse  condanne  pronunziate  contro  chi  la  propa- 
gava (7).  Né  era  solo  dì  persone  volgari,  perchè  rimangono  uffizi 
propri  latini  composti  per  lui,  uno  del  quali  viene  appunto  qui 
pubblicato  (8).  D'altra  parte  poi  è  noto  che,  sbolliti  i  primi  furori 
e  cessate  le  paure  e  le  passioni,  che  avevano  mosso  quella  perse- 
cuzloDC,  la  cosa  mutò;  e  santi  della  Chiesa  e  pontefici  cbbcr  quasi 


Il     ^lì 


(1)  P.  395  <gg.  E  vedi  la  lettera,  che  gli  «▼€▼>  muidaio  Iniutui,  a  p.  290  sgg. 

(s)  Tile  ci  pare  il  confino  delU  caropanA  pia^mona  nel  campanile  dei  frati  minori  di  S.  Mi- 
nuto al  Monte,  intorno  al  quale  il  Uh.  aggiunge  qui  tre  tlclìberaziont  dei  Signori  (docc.  8. 
9.  io;  p-  JiO  *  quelle  gii  edite  dal  Villari  (  op.  cit.  Il,  ipp.  n.  xxxii,  p.  ccxcj  )  ;  e  altri 
ottu  documenti  (docc.  ti-i9;  pp.  JiS^SgO  sullo  5calporc  grande,  che  ai  fc^c  per  questa 
con,  finché  la  campana  non  fu  tornata  a  S.  Marco  il  6  di  giugno  del  1509. 

(1)  Vedi,  oltre  i  gi^  ctiati  nella  nota  precedente,  i  docc.  4,  1.  6  di  questo  paragrafo. 
Ssbbeae  «  documenti  7  (p.  Ji3)  e  xi  (p.  327}  moxtrino  che  la  perseeaxione  non  fu  dio- 
tuma,  com'era  d'altra  parte  assai  naturale,  perdio  potevano  pur  giungere  al  supremo 
nagiitrato  di  quelli  che  erano  stati  nnceramente  araici  del  frate,  come  fu  di  Giovacctiino 
GuAtcoci,  che  fu  gonfaloniere  per  settembre  e  ottobre  nel   1499. 

(4)  V.  doc.  ]i  (p.  J18.  De  11  ber  a  X  ione  degli  Otto  del  16  mano  IS)3).  Uà  la  penc- 
cozione  pi6  Aera  contro  t  frati  dt  S-  Marco  fu  quella  del  duca  Cosimo  I,  che  lì  cacciò 
da  4]uel  convento  con  decreto  del  31  d'agovto  1(4}.  ma  dov£  poi  rinsediarreli  per  volere 
del  pontefice  Paolo  III  il  t  di  dicembre  di  quell'anno  nieJctiroo;  con  quanta  sua  stiiia 
apparisce  dalle  leitcre  del  carteggio  medìceo,  che '^uì  pubblica  il  Gh.  fdoec.  }2'yS).  poiché 
e^U  s'era  meaio  a  questa  cosa  con  una  riaolute/.z!  ed  una  baldaniosa  QStinatcu-a  singo- 
la (redi  specialmente  le  prime  tre  lettere;  p.  )4i  igg.)*  allegando  ■  che  la  orìgioe 
«  di  ratta  questa  materia  naKie  dalla  falsa  dottrina  et  mali  costumi  che  fra  Girolamo 
•  Sarooorola  insegnò  a'  suoi  frati  di  Santo  Marco  »  (iett.  del  14  d'ottobre,  all'ambaicia- 
torc  AleasanJro  Del  Caccia,  doc.  j;;  pp.  )4)-44).  Il  Gh.  pubblica  qui  Inoltre  anche  una 
BUTazione  del  fatto,  che  si  trova  in  una  cronaca  latina  manoscrltu  del  convento  di 
S.  Umico  (p.  340  sgg.). 

($)  Doc.  19:  p.  3ÌO.  Ordinanza  del  generale  dei  domenicani  Sino  Fabbri  del  ;  d'a- 
prile tsBf.  E  cf.  i  docc.  ia-30  (pp.   )S9-n7)<  alcuni  dei  quali  abbiam  gii  ricordali. 

(O  V«di  doc.  44;  p.  3*^7;  e  r  Ìllu5tra£Ìone,  che  lo  precede. 
7)  Doc    ji  cii.  (p.   j)8). 

I)  Doc.  41:  pp.  ;t8    i(;g.  Un  altro  ne  pubblicò,  com'ft  noto,   il  conte  Carlo   Cap- 
e  vi  fece  un  proemio  Catare  Guasti  (Prato,   t36o). 


1 


per  santo  il  Savonarola  (i):  i  miscredenti  lo  dcfiigrarono  (2). 
telici  lo  esaltarono;  e  soprattutto  Tordine,  che  avanti  delF 
supplizio  lo  rigeciò  dal  suo  seno,  se  ne  gloriò  poi  e  se  ne  g) 
ne  cercò  e  ne  cerca  l'esaltazione  con  cura  amorosa  (?);  e  «'è 
testimonianza,  oltre  la  Vita,  che  scrisse  nel  secolo  passato  il  p 
santi  e  soprattutto  gli  studi  importanti  e  bellissimi  del  p.  Mar 
anche  il  presente  libro,  ispirato  e  in  gran  parte  composto 
studio  amoroso  del  p.  Bayonne.  Al  qual  proposito,  per  ahro 
possiamo  posare  la  penn*i,  senza  tnbutare  una  giusta  e  grandi 
lode  al  Gh.,  per  la  modestia  veramente  singolare,  colla  quali 
nella  prefazione,  dà  in  sostanza  il  maggior  merito  nelU  et 
sizione  dell'opera  al  p.  Bayonne  e  al  cav.  Cittadella  (4) 
senza  considerare  quanto  di  proprie  ricerche  egli  sxtì  aggiunti 
loro,  certamente  per  un  lato  la  faticosa  collazione,  per  un  d 
soprattutto  il  modo  com'egli  ha  saputo  ordinare  e  illustrare 
documenti,  non  son  cose  da  fame  poca  stima  ;  perchè  rivi 
un*  intelligente  operosità  e  un'erudizione  ^oda,  sicura  e  t 
quali  se  le  possono  augurare  tutti  gli  studiosi  di  cose  storìclM 

F.  C.  Pelucw 

ProUgomcna  ^um  Liber  Diurnus  I  voa  Th.  R,  vonSi 

wirkl.  Mitglicde  der  Kais.  Akadeniie  der  Wissenscha 
Mit  einer  Tafel.  [Sitzungsberichte  der  Kais.  Alcai 
derWissenschaften  in  Wien.  Philosophischc-Historc 
Classe.  Band  CXVIL] 

L'illustre  direttore  dell'  Isuwto  austriaco  di  studi  storici,  pro£ 
doro  von  Sickel,  attende  da  alcuni  anni  a  preparare  una  nuovi 
«ione  del  Diurnus  RomdHorum  pontxficum.  U  testo  della  celebre 
colta  di  formole  accompagnato  da  una  Priufatio  e  dt  un 
rtrum  ti  vahorum  uscirà  fra  poco:  frattanto  in  questa  prima 
dei  Proy^omota,  presentata  alla  classe  filosoftco-storica  dclTJ 
demìa  Imperiale  dì  Vienna,  il  Stckel  comincia  a  pubblìcirr 
quelle  ricerche  e  quegli  studi  sul  Diurnus  che  lo  hanno 
alle  conclusioni  enunciate  nella  prefazione,  tutto  quclT^parAfl 


(■)  ViLLAU.  L»  ifVù,  n».  CoacIiuioDc.  Il,  %\6.  E  in 
del  Goafd.  pan*  II,  5  '^>  P-  94!  '  Dcir.4rc&.   itvr.   iti 
•e^BA  fiitu  ìa  Gina  Capponi  ddU  duu  pubbiicazioac  dcU'nttiio  fir . 

(1)  Vbli  Q  priocipia  dell*  pcehnone  tfel  prof.  VlUcri  alkjtfia*  t^Aoti^  ><^* 
tal  S. 

(})  Aacln  da  qncvri  docvmcatl,  pur  Uicimdo  i]ucl  ete  «ppwfKC  Ai&c 
BBO  t,  e  ■ycUiment*  Ì«  qocdU  al   Del  Ctccù  dtua,  ti  «e4e 
•i  Ciceiae  pma  conto  in  S.  lUrco  di  tjoel  cbc  i  Ini  «vcca*  appvtantfD  e  li  l 
rd^oi*  (V«fi  i  doec  41-4)  del  t£4;  ;  p.  )<4  HCK-)* 

(4)  Vedi  la  pn&òoae,  ìa  pnacipio,  e  •  p.  vii. 


bibliografia 


733 


somma,  che  non  era  strettamente  necessario  all'imelligenza  dei  testo 
e,  unito  alla  prefazione^  ne  avrebbe  ingrossato  vii  troppo  la  mole. 
In  questa  prima  pane  dei  pToUgomtna  tratta  dei  due  manoscritii  an- 
tichi del  Diurrtus  e  dei  gruppi  di  formo! e  contenuti  in  ambedue; 
nelle  altre,  che  usciranno  in  seguito,  discorrerà  del  tempo  in  cui  fu 
redatto  il  Diurruss  e  dell' liso  fatto  di  esso  dal  compilatore  della  yita 
/Idriani  I  Konantuìuna  e  da  Deusdedic  nella  sua  collezione  di  canoni. 

Il  capitolo  riguardante  il  codice  Vaticano  si  apre  con  una  minu- 
tissima descrizione.  La  composizione  e  lo  staio  del  codice,  le  dilTe- 
renti  qualità  della  pergamena,  la  disposizione,  la  specie  e  alcune  sin- 
golarità della  scrittura  ;  tutto  è  osservato  con  squisito  acume  critico. 
Un  risultato  importante  è  quello  che  l'autore  trac  da  alcune  dif- 
ferenze riscontrate  esaminando  la  scrittura  che  a  primo  aspetto  pare 
uniforme  :  quelle  differenze  corrispondono  alla  divisione  ch'egli  darà 
pili  tardi  dei  tre  gruppi  di  formole  che  concorsero  a  formare  il 
Diurnus  Vaticano.  E  ne  conclude  non  essere  lo  scrittore  del  codice 
Vaticano  die  ha  unito  in  un  sol  corpo  i  tre  gruppi  ;  egli  li  ha  tro- 
vati gìÀ  uniti  in  un  codice,  ma  scrìtti  da  mani  dìfTerenti.  Com'è 
naturale,  la  copia  riproduce  qua  e  là  alcune  particolarità  grafiche 
degli  archetipi  primitivi. 

Anche  le  indagini  sull'età  del  codice  confermano  i  risultati  degli 
studi  ulteriori  dell'autore  sul  tempo  cui  appartiene  la  serie  di  for- 
mole contenuta  in  esso.  Raccolte  e  discusse  le  opinioni  dei  dotti 
che  hanno  giudicato  dell'età  del  codice,  dal  MabìUon  al  Delislc, 
enumerati  i  codici  di  scrittura  minuscola  con  data  certa  vicina  a 
quella  cui  s'attribuisce  comunemente  il  codice  Vaticano  del  Diurnus, 
notate  le  differenze  per  le  quali  si  distinguono  le  scritture  anteriori 
alla  riforma  carolina  e  alla  scuola  dì  Tours  da  quelle  posteriori, 
giunge  a  stabilire  che  il  codice  fu  scritto  sotto  Adriano  1.  A  pro- 
varne poi  l'origine  romana,  oltre  alla  qualità  del  testo  che,  secondo 
ogni  verosimiglianza,  non  poteva  essere  scritto  che  a  Roma,  adduce 
il  fatto  dello  sviluppo  e  dell'uso  in  Roma  di  una  minuscola  preca- 
rolìna  figlia  della  scrittura  semionciale  e  la  somiglianza  della  scrit* 
tura  del  codice  Vaticano  con  quella  del  codice  409  di  Montpellier 
ch'egli,  per  ragioni  storiche  e  filologiche,  ritiene  pure  di  provenienza 
romana.  Ad  un  minuto  esame  delle  abbreviazioni  che  lo  conferma 
neiropinione  che  il  Diurnus  Vaticano  sia  stato  scritto  prima  della 
riforma  carolina,  segue  uno  studio  più  speciale  deirabbreviazìone  ili, 
usata  in  ambedue  i  manoscritti  del  Diurnus  ed  in  altri  codici  di  for- 
mole, e  adoperata  anche  da  coloro  che  più  tardi,  nell'undecimo  se- 
colo, introdussero  in  altre  compilazioni  formole  tratte  dal  Diurnus, 
L'ultimo  paragrafo  del  primo  capitolo  è  dedicato  alla  storia  di  questo 
codice  dal  xvii  secolo  in  poi,  che  il  Sìckel  ricostruisce  tenendo  conto 
di  tutti  i  segni  esteriori  esistenti  nel  codice  e  fissando  di  ciascuno  il  si- 
gnifìcato  e  il  valore. 

Intorno  al  codice,  ora  perduto,   che    appartenne    alla  biblioteca 


Archivio  delia  R.  Società  romana  di  itoria  patria.  Voi.  XI. 


734 


bibliografia 


dei  gesuiti  del   collegio  di  Clermont  a  Parigi,  chiamato  dal  Sic 
Codex  Oarcmoutanm,  riassume  quanto  era  stato  gii  narrato  dal  1 
Rozière.  R:iccoglie  e  valuta  le  descrizioni  che  ci  sort  rimaste  dì  i 
codice  L-  i  giudizi  pronun/.iatì  sull'età  di  esso  dai  dotti  che  lo  i 
narOQO.  Confrontando  questi  giudizi  col  contenuto,  noto  per  gU  sai^ 
del  Balurc  che  ne  aveva  preparata  una  nuova  edirione,  stabiU 
l'epoca  più   remota  cui  si  può  attribuire  il  codice  dì  Clcr 
principio  del  nono  secolo,  poiché  la  redazione  del  Diumus  dataci^ 
esso  deve   collocarsi   intorno  al  tempo  deirdczione  di  Leone 
della  ricostituzione  dell'impero  di  Occidente. 

Col  capìtolo  sulla  redazione  del  testo  dei  due  ccmÌìcì   tinìscej 
prima  pane  ora  pubblicata  dei   Prohgomtna.  Bisognerebbe  riprodd 
testualmente,  poiché  non  è  possibile   riassumerli»  gli  argomemi  { 
terni  ed  estemi  coi  quali  il  Sickcl  prova  la  preesistenza  e  la  I 
nei  due  codici  di  tre  gruppi  di  formole.  Chi  osservi  la  prima  ta»i 
di  concordanza  dell'edizione  De  Roziére  e  paragoni  U  successa 
delle  formole  nel  codice  Vaticano    con  quella  del  codice   di 
mont  vede  già  disegnarsi  nettamente  le  tre  serie.  La  prima,  cha 
Sickcl  chiama  ColUctio  I,  comprende  le  formole  I-LXHI;  la  secon4 
che    chiama    ytppendix    /,    le  formole  LXIV-LXXXI;  1:»  terza, 
chiama  ColUctio  lly  le  formole  LXXXII-XCIX  del  codice  Vaticaij 
Dall'altra  parte  il  codice  di  Clermont    riproduce  quasi  esattarae 
la  CoUiitio  /,  ma  fonde  in   una  serie,  ordinata  diversamente,  V 
pendix  I  e  la  Coìkitìo  II  del  codice  Vaticano,  aggiungendo  altre 
mole  che  il  Sickel  chiama  Appendix  IL  II  capitolo  sì  chiude  colH 
same  delle    formole  supplementari  estranee    ai  due    codici  antìd 
introdotte  nelle  edizioni  del  Diunius.  Il  Sickel  disapprova  queste 
serzionì  colle  quali  gli  editori  anteriori  hanno  pensato  dì  completi 
la  raccolta;   parlando  della  formola  107,  dell'edizione  De  Roiìi 
dimostra  ch'essa  è  stata  fabbricata  dal  Garnicr  alterando  il  testo  1 
una  Epistola  vocatoria  colla  quale  l'arcivescovo  invitava  il  clero  e  | 
popolo  di  una  diocesi  soggetta  ad  intervenire  airordinazione  del  ' 
scovo  da  loro  eletto. 

Con  un'analisi  cosi  completa  e  cosi  felice  nei  risultati  U  SU 
ha  lasciato  a  gr.in  distanza  da  sé  tutti  coloro  che  antecedente 
s'erano  occupati  delle  quebtioni  intorno  al  Dìumm  trattate  in  qac 
prima  parte  dei  Pro^'OWt-Hd.  E  nel  cammino    non   breve    né 
delle  sue  indagini  ha  accennato  a  fatti  ed  ha  enunciato  opinio 
possono  fornire  argomenti  a  nuovi  ed  interessanti  studi.  Le 
che    adduce    per    provare  resistenza  di  una  scuola   gratìca 
anteriore  alla  riforma  di  Carlo  Magno  meriterebbero  d'c5Jtf  j 
come  traccia  e  programma  di  tutta  una  serie  di  ricerche  din 
investigare  e  accertare  quali  altri  codici  ci  siano  rimasti  di 
scuola,  dell'esistenza  della  quale  non  è  più  possibile  dubhjre. 


bibliografia 


735 


Spuimina  palaeografica  regcstoruin  Romanornm  ponti ficum  ab 
Innocentio  III  ad  Urbanum  F.  Romae,  ex  archivo  Va- 
ticano, 1888. 

Tra  le  pubblicazioni  che  ebbero  origine  dal  Giubileo  sacerdotale 
di  Leone  XIII  questa  dei  facsimili  dei  regesti  pontifici  merita  sin- 
cero plauso  per  l' indole  serenamente  scientifica,  e  per  V  importanza 
e  opportunità  sua.  Mentre  numerosi  studiosi  sì  affaticano  sui  detti 
regesti  sia  con  intento  storico  sia  con  intento  diplomatico,  riesce 
di  sommo  vantaggio  e  sussìdio  una  compiuta  serie  di  facsimili,  scelti 
con  piena  conoscenza  così  dei  singoli  volumi  dei  regesti  come  dei 
vari  aspetti  sotto  i  quali  vanno  considerati  e  dei  vari  quesiti  che  essi 
offrono.  L' impresa  non  polevasi  meglio  condurre  che  dai  solerti  cu- 
stodi dello  stesso  archivio  Vaticano,  che  alla  dottrina  e  perizia  pa- 
leografica congiungono  per  ragione  dell'  ufficio  estesa  consuemdine 
del  materiale  affidato  alle  loro  cure.  Sono  sessanta  tavole  eseguite 
in  eliotipia  deUMng.  Augusto  Martelli,  corredate  di  una  sobria  pre- 
fazione di  14  pagine,  e  delle  illustrazioni  dei  singoli  facsimili,  nelle 
quali  si  dichiarano  e  descrivono  i  facsimili  stessi  e  i  volumi  dai  quali 
sono  presi,  notandone  le  particolarità  riguardanti  la  paleografia  o 
attinenti  alla  diplomatica  o  alla  consuetudine  della  cancelleria  pon- 
tificia, con  opportuni  accenni  e  riferimenti  agli  altri  volumi  dei 
regesti. 

Nella  prefazione  sì  tratta  particolarmente  il  quesito  se  la  trascrizione 
delle  lettere  papali  nei  regesti  venisse  eseguita  sugli  originali  o  sulle 
minute.  L'attento  esame  de'  regesti,  e  il  raffronto  con  bolle  originali, 
recanti  nel  dorso  V  annotazione  della  eseguita  registrazione  condu- 
cono a  conchiuderc  che  almeno  dal  secolo  xiii  in  poi,  di  regola,  la 
registrazione  facevasi  sugli  originali,  Parecchie  delle  bolle  citate  ap- 
partengono air  archivio  Capitolare  di  S.  Pietro,  la  cui  custodia  t 
pure  afìfidata  ad  uno  degli  egregi  collaboratori  della  presente  opera. 
Non  si  trascura  però  dì  indicare  vari  casi  in  cui  eccezionalmente  la 
copia  del  regesto  deriva  evidentemente  dalle  minute.  La  prefazione 
chiude  indicando  quali  regesti  si  possono  considerare  con  certezza  o 
con  molta  probabilità  per  archetipi;  e  ne  vengono  anzi  tutto  esclusi 
quelli  di  Innocenzo  III  per  motivi  già  esposti  dal  Delìsle  e  dal  De- 
niflc,  uno  dei  redattori  delle  illustrazioni. 

Basteranno  pochi  cenni  a  convincere  Io  studioso  della  bontà  dei 
criteri  seguiti  nella  scella  delle  pagine  facsirailate.  Come  ò  noto,  la 
serie  dei  regesti  pontifici  conservati  comincia  con  quelli  dì  Inno- 
cenzo III.  Ad  essi  appartengono  le  prime  8  tavole,  di  cui  la  2*  offre 
la  forma  più  arcaica  di  scrittura,  altre  sono  notevoli  per  alcune  gra- 
fiche illustrazioni,  la  8*  riproduce  dal  rcgcstum  imperii  un  privilegio  di 
Ottone  IV  con  la  imitazione  del  monogramma. 

Tra  quelle  di  Onorio  III  figurano  molto  opportunamente  i  primi 
fogli   del  regesto  11;  la  tav.  it    contiene  l'ep.  al  cardinale  legato 


73^  bibliografia 


in  Terra  Santa  con  varie  aggiunte  fatterì  per  rendere  più  cesfA 
renumcrazione  deHc  somme  erogate  dal  pontefice  per  U  Oodft 
Tahra  contiene  la  stessa  lettera  nel  nuovo  primo  fo^io  dd 
rifatto  in  conseguenza  dì  dette  correzionL  E  come  nella 
fa  dato  posto  anche  ai  volumi  dei  regesti  conservati  nella 
Kadonalc  di  Parigi,  cosi  con  molta  opportunità  furono  pure 
crate  due  tavole  giudiziosamente  scelte  (r;  e  i6)  al 
legazione  del  cardinale  Ugolino  d' Ostia-  Tra  a  f^r^^mf!! 
gorìo  I\  la  uv.  17  rappresenta  l'indice  più  antico  dì  on 
mentre  la  tav.  30  reca  il  più  antico  esempio  delU  distìnzioQe 
lettere  in  curiali  e  comuni  La  21  (Innocenzo  W)  è  nocerolc 
un'  epistola  appartenente  ad  altro  anno  inserta  per  errore  ed 
lau  con  la  parola  va-cat.  Tra  i  regesti  di  Urbano  IV  è  notevole  Ì 
26**  rt^esium  àt  liUris  hemficiùrum,  con  annotazioni  marginali  recasdi 
giudizio  degli  esaminatori  sui  chierici  ammessi  al  benefìcio.  Le  a* 
vole  27,  28,  29,  jo,  $7,  40.  41,  43»  47  e  49  (Urbano  IV  -de 
mente  V)  pongono  in  cvidetiza  una  particolare  serie  di  regesti  (pt 
recchi  della  biblioteca  di  Parigi),  quella  cioè  dei  regesti  camerali  1 
ìndole  ed  uso  amministrativo,  di  lettera  meno  eleganif^  di  più  piccoìl 
formato,  senza  lettere  miniate  e  sovente  nemmeno  rubricate. 

Dal  regesto  dì  Clemente  IV  è  trascelta  tra  l*altre  la  papna  (1 
in  cui  è  memoria  della  sottrazione  dì  esso  a\'venuta  nel  fc 
momento  della  morte  dì  Bonifacio  Vili.  Il  primo  foglio  del 
di  Gregorio  X  (tav.  $2)  presenta  un  tipo  particolare  di  scrittura, 
il  fregio  rettangolare   che  racchiude  Vlndpit  ricorda  per  a' 
Tornato  iniziale  dei  libri  greci,   facendo  pensare   ali*  Oriente 
Gregorio  fu  chiamato  al  soglio  pontilìcio. 

La  tav.  41  di  Nicolò  IV  contiene  in  margine  una  lettera  di 
anno  anteriore,  ivi  registrau  d'ordine  del  papa  per  identità  de!  «og* 
getto.  Dei  regesti  di  Bonifacio  Vili  la  tav.  45  riproduce  il  verbale  dei 
notai  della  curia  che,  a  tempo  di  Clemente  V,  operarono  TabrasioM 
della  nota  lettera  contro  il  re  dì  Francia;  la  tav.  46  il  testo  ddU 
bolla  Vnam  tanctam  e  il  principio  della  detta  abrasione  ;  la  tav.  4J 
è  dau  ad  uno  speciale  registro  (lihtr  parfulus)  contenente  le  lectert 
dirette  al  cardinale  legato  Nicolò  BoccasinL 

Con  la  tav.  49  sì  passa  ai  regesti  dei  papi  avìgnonesi,  che  si 
suddivìdono  in  due  serie  :  gli  originali  che,  ad  eccezione  del  pritno 
anno  dì  Clemente  V,  sono  cartacei,  e  le  copie  di  essi  eseguite  su  per> 
gamena.  Anche  per  questi  sì  è  avuto  cura,  nella  scelta  dei  facsimìli  e 
nelle  illustrazioni,  dì  porre  in  evidenza  i  caratteri  speciali  delle  due 
serie,  i  rapporti  che  intercedono  tra  loro  e  le  notazioni  marginali  che 
le  rivelano.  I  regesti  cartacei,  fatti  per  tenersi  al  corrente  nella  spe- 
dizione dei  crescenti  affari,  sono  scritti  con  minore  accuratezza  e 
quasi  in  corsivo. 

La  copia  in  pergamena,  in  forma  più  elegante  e  calligrafica,  co< 
minciò  ai  tempi  di  Giovanni  K\II  a  f^rsi  lenta  e  interrotta,  sicché 


* 


bibliografia  757 


onti  delia  Camera  u  ha  la  prova  che  i  regesti  degE  nltìnii 
dì  quel  pontificato  furono  trascritd  sotto  Benedetto  2UL  Dopo 
o  papa  cessò  Tuso  di  tale  seconda  copia  membranacea. 

noto  come  Urbano  V,  venendo  a  Roma,  ordinò  la  copia  dei 
ti  anteriori,  che  non  volle  porre  ai  rìschi  di  un  viaggio;  e  come 

di  lui  gli  stessi  regesti  antichi  furono  corredati  di  indio.  La 
$9  riproduce  una  pagina  del  regesto  di  Innocenzo  III  coA  och 
:  e  la  tav.  60  offre  un  saggio  dei  detti  indici 

G.  L. 


NOTIZIE 


II  fascicolo  6  del  BolUitino  storico  italiano  contiene  le  relazioni 
dei  professori  D'Ancona  e  Medin  sulli  raccolta  di  rime  storiche 
del  scc  XV,  fatta  «  dall' infaticabile  annalista  veneziano  Marino  Sa- 
QUto  »  dal  cod.  autografo  della  Marciana;  delVavv.  Brando  Brandi 
sulle  ConstUntiones  5.  M.  EccUsiai  del  card.  Egidio  d'AIbomoz  ;  Glosse 
Prtaccursianc  che  il  prof.  Pietro  Cogliolo  ha  trane  da  frammenti  di  co- 
dici membranacei  esistenti  neirArchivio  di  Staio  ;  la  relazione  su  Gli 
statuti  dtlU  Società  dJU  atyni  e  àeìU  arti  in  Bologna  del  prof.  Gau- 
DENZI  ;  una  Confessione  di  vassailaf^gio  a  Ramone  ài  Sorrento  (i  182)  edita 
da  I.  Giorgi  e  il  Quaicrnus  Adamati  Conti  expcmarii^  che  ci  dà  il 
consumo  giornaliero  del  pane  in  un  castello  dell'  Emilia  nel  scc.  xiix, 
a  cura  dello  stesso  Giorgi;  Gli  antichi  statuti  dei  comune  di  Bàlogfta 
del  Gaudenzi. 

I  Benedettini  di  Monte  Cassino  hanno  iniziata  la  pubblicazione 
del  Codice  diplomatico  Cassimse:  il  1°  volume  contiene  il  Codex  dipi. 
CaUtunns,  pars  I  (787-1055). 

II  volume  V  del  Codice  diplomatico  della  Vestfalia,  edito  da  quella 
Società  storica  e  archeologica,  contiene  i  documenti  pontifici  a  cura 
del  dottor  H.  Finke  :  DiV  Papsturkunden  Westfaìens  bis  ^um  Jahre  x^jS. 

La  Società  Napoletana  di  storia  patria  ha  dato  in  luce  un  vo- 
lume di  cronache,  che  contiene  :  Ji^noti  monachi  cisterciensis  5.  Mariae 
de  Ferraria  chronica  et  Riccardi  de  Sancìo  Germano  chronica  priora  a 
cura  del  prof.  Gaitoenzi. 


n  signor  Giovanni  Filippi  nella  pregevole  illustrazione  su  l'i^rl^ 
dti  mercanti  di  Calimala  in  Firgnu  sd  il  suo  più  antico  statuto  (To- 


740 


V^ti^ie 


rìno.  Fratelli  Bocca,  1889)  ha  raccolto  una  buona  serie  (fi  1 
fra  i  quali  una  lettera  di  Matteo  Kos$o  ■  de  filns  Uni  «  eNko3à  ie* 
Conti  senatori  di  Roma  (127J)  al  Comime  di  Firenze  per  tìttaat 
che  Paolo  tiglio  di  Nicolò  de  Rainerìo  non  sia  impedito  dal  pcflff 
tingere  del  panno  da  lui  portato  a  Firenze  dall'  InghiltcrTa,  nOBonMi 
contrario  statuto  dell*arte  di  Calimala. 

Il  16  dicembre  deiranno  testé  decorso  mort  il  come  PaoIo  Ehi 
a  Saint-Maurice  nel  Vallese.  Fu  membro  dell'Accademia  deDe  oca* 
EÌoni  e  belle  lettere  di  Francia  ;  fondò  la  SocUti  d&  TOrìmd  Itfb  e 
la  sostenne  in  gran  parte  colla  operositl  e  coQa  grnfrmiri  ni 
Nel  1884  fii  eletto  a  membro  della  R.  Societi  Romana  di  stona  ftÒL 


Ci  giunge  la  triste  nuora  della  morte  £  Cesare  Guasti,  set- 
tario della  Crusca,  sopraintendente  ali* Archivio  di  Suco  in  Rreve. 
vicepresidente  della  R.  Deputazione  Toscana  di  storia  paoù. 

Si  è  cominciato  a  pabblìcare  a  Tolosa,  sotto  il  tìtc^o  £  ÉmA 
du  Miiif  ona  suova  rivista  trimestrale  d*archcolo^a,  scorta  e  fife- 
lopa,  e  si  aimuncia  imminente  la  pubblicazione  in  Friburgo  A ■■ 
Dtmtsche  ZdUchrift  fùr  Geschicbtsu/issenscbùftf  la  cui  redazifloe  è  A 
data  al  donor  L.  Qnidde.  Questa  rìvisu  si  propooe  anche  ìb  pVK 
di  sostituirsi  alle  cessate  Forschtmgm  ^ur  [kuttcÌHm  Gt«kit%È$, 

L*edlzìone  del  Li^m'  dimnms  Romamontm  pomtìfkmM  carata  dil  ! 
ckel,  è  comparsa  in  questi  giorni,  coi  tipi  del  Gcrold  dì  Viea 

Col  titolo  di  Bihhotbica  hihìiofraphica  italum  i  sigDorì  Fnmgrfi 
ed  Ottino  hanno  pubblicato  un  manuale  per  la  bibliognfia  ìuiai 
simile  a  quelli  che  per  la  blbltograna  in  generale  eraao  stali  orifafli 
dal  Pctzholdt  e  dal  Vallèe.  Questo  manuale  <  o^e  la  cooifScts  » 
nessi  di  tutti  gli  scritti  bibliografici  itahami,  ^■'vfffiì  a  csasctts  pa- 
rola di  questa  &ase  la  maggiore  estensione  poss3»lc  •.  CouìUb*- 
vole  è  il  numero  delle  indicaziom  che  vi  si  trovano  per  U  fitei 
volta  raccolte;  F ordinamento  delle  materie  è  ciiiaro  e  aètaont 
pratico:  diligentissima  ci  sembra  la  esecnciooe  dì  tatto  il  UvofO,  e 
nott  si  può  dnbitare  ddla  moha  sna  ntilki  per  gli  stodinSL  0  «M 
cn  sttio  nesso  a  ooocorso  dal  IGnistcro  della  poMia 
ed  è  a  tocstt»  fibra  dei  signori  Ottìao  e  FoBagdi  àt 


tooo6 


il 


Archiv  fflr  Literatur-  imd  Kirchen-Geschlchte  dea  Mittel- 
alters.  Voi.  IV,  fase.  j.  —  Denifle,  Die  alteste  Taxrolle  der  Apo- 
stolischen  Pònitemiarie  (Il  piìi  antico  ruolo  delle  tasse  della  Peni- 
tenzierìa  apostolica).  -  Urkundenzur  Geschichte  der  mitielalterlichen 
Unì versit àteo  (Documenti  per  la  storia  delle  università  net  medio 
evo).  -  Der  plagiator  Nicolaus  von  Strassburg  (Il  plagiano  Nicolò 
di  Strasburgo).  -  Ursprung  der  Historia  Nerainis  (Origine  deirHìstoria 
Neminìs).  -  Zur  Geschichte  des  Cultes  Urbans  V  (Per  la  storia  del 
colto  di  Urbano  V). 


Archivio  storico  dell'arte.  Anno  I,  fase.  6-10.  —  D.  Gkoli,  Le 
demolizioni  in  Roma.  Il  palazzo  Alleviti.  -  I.  Timarchi,  La  R.  Cal- 
cografia in  Roma.  -  D.  Gnoli,  Un  nuovo  documento  sulla  casa  d] 
Raffaello.  *  Fumi,  Gli  alabastri  nelle  finestre  del  duomo  d'Orvieto.  - 
D.  Gnoli,  Disegni  del  Bernini  per  Tobelisco  della  Minerva  in  Roma.  - 
Venturi.  Di  un  andchìssimo  candelabro  pel  cero  pasquale  (Cori). 

Archivio  storico  italiano.  Serie  V,  tom.  II,  disp.  $•.  —  Antonio 
Guasti,  Alcuni  brevi  di  Clemente  VII  sulle  ferite  e  la  morte  di 
Giovanni  de'  Medici.  —  Dìsp.  6*.  A.  Zanelli,  Lettere  inedite  di  Lu- 
dovico Antonio  Muratori  al  card.  Angelo  Maria  Qucrini. 


\cp\ 


Archivio  trentino.  Anno  VII,  fasci.  —  A.  Panizza,  I  processi 
mtro  le  streghe. 


Archivio  veneto.  Tomo  XXXV,  parte  1*.  —  E.  Simonsfeld, 
Sulle  scoperte  del  dottor  Roberto  Galli  nella  cronaca  Altinatc.  — 
Pane  2'.  G.  GitnuATO,  Memorie  venete  nei  monumenti  di  Roma.  - 


74^ 


T^eriodici 


G.  PiETROGRANDE,  Di  Mìchelc  Lotiigo  archivista.  —  Tomo  XXXM, 
pane  l'ca*.  F.  Cerone,  II  papa  e  I  Veneziani  nella  quarta  croófU. 

Atti  della  Società  ligure  di  storia  patria.  Voi.  XIX,£isci- 
Desimoni»  Nuove  giuntele  correzioni  ad  regesti  delle  lettere  poifi- 
ficie  riguardanti  la   Liguria. 

Atti  e  memorie  della  R«  Deputazloae  di  storia  patria  pir 

le  Provincie  di    Romagna.   Terza    scric,  voL   VI,  fase  !•}.  — 

G.  Ferraro,  Viaggio  de!  card.  Rossetti  fauo  nel  1644  da  Co!    "^ 
Ferrara,  scritto  dal  suo  segretario  Armanni  Vincenzo.  -  C.\: 
Le  origini  dello  studio  di  Bologna. 

Bibliothèque  de  Técole  des  chartes.  XLIX,  fase  3  e  J.  — 
E.  MoLiNiER,  Inventaire  du  trésor  du  Saint-Siège  sous  BonifaceNin. 

—  Fase.  465.?.  FouRNiER,  Une  forme  particuiièrt  Jes  ùujjb 
décréules,  d*après  un  ms.  de  la  Grande-Chartreuse. 

Bollettino  della  Commissione  archeologica  comunale  ài 
Roma.  Serie  III,  anno  XVI,  fase.  7.  —  G.  Gatti,  DI  un  sacdlfl 
compitale  neH'anuchtssìma  regione  Esquìlina  -  O.  ^L4Rt;ccfi:«  U 
recenti  scoperte  presso  il  cimitero  di  San  Valentino  sulla  ni 
Flaminia.  -  G.   B.  De  Rossi,   Del  «  praeposìtus  de  via  Fbmixiijr 

-  C  L.  Visconti,  Trovamenti  di  oggetti  d*ane  e  di  andchiti  ó/i* 
rata.  —  Fase.  8.  E.  Stevensov,  Il  settizonio  Scvcriano  e  la  toru- 
rione  dei  suoi  avanzi  sotto  Sisto  V.  -  G.  Gatti,  Trovamenti  rispl)^ 
danti  la  topografia  e  la  epigrafia  urbana.  -  C.  L,  VtscoxTt,  Sflórie 
del  movimento  edilìzio  della  citti  in  relazione  con  l'afcbciòlo^ 
e  con  l'arte.  -  G.  Gatti,  Scoperte  recentissime.  —  Fase.  9  e  »ft 
G.  Ghirardini,  Di  una  statua  d*efeba  scoperta  suir£squtlino.-LCi.'«- 
TARELLi,  Anabolìcarìl  -  G.  ToMASsmri,  Notìzie  del  movimento  eJl- 
lirio  della  città  in  relazione  con  l'archeologia  e  con  l'arte.  -  G.  GATTt 
Trovamenti  rìsguardanti  la  topografia  e  la  cpigrilìa  urbafl*.  — 
Fase.  1 1.  G.  Gatti,  Trovamenti  rìsguardanti  la  topografia  e  U  epi- 
grafia urbana.  -  C.  L.  Visconti,  Trovamenti  di  oggctà  d'arte  c4i 
antichità  figurata.  -  I.  Ginoi,  Bibliografìa.  —  Fase.  12  Maki'CCA 
Recenti  scoperte  presso  il  cimitero  di  S.  Valentino  sulla  vii  Flvni' 
nia.  -  Elenco  degli  oggetti  di  arte  antica  scoperti  nel  iMé. 

BoUettiDo  storico  della  Svizzera  italiana.  Anno  X,  ^  7 
*-  Curiosici  di  storia  italiana  del  sec.  xv.  -  Lettera  suU' ifloodancpc 
del  Tevere  nel  1476.  r 


Periodici 


743 


Giornale  ligustico.  Anno  XV,  fase.  9-10.  —  G.  Rezasco,  Del 
segno  degli  Ebrei.  —  Fase.  ii-i2.  F.  Sforza,  Il  viaggio  di  Pio  VI  a 
Vienna  oel  2783. 


Jahrbuch    (Histoxisches)    im  auftrage   der  Gòrres-Gesell* 

schaft.  Voi.  IX.  fase.  5  e  4.  —  Punk,  Der  Papstkatolog  Hegesipp5(U 
catalogo  ilei  Pjpì  dì  Egesippo).  -  F.  v.  Pflugk-Harttuno,  Uber 
pàpstlichc  Schrcibschulen  dcr  ilteren  Zeit  (Sulle  scuole  pontificie  di 
scrittura  delTepoca  più  antica).  -  Schkuerer»  Die  politischc  Stellung 
des  Papstums  zur  zeii  Theoderichs  dcr  Grossen  (La  condizione  po- 
litica del  papato  al  tempo  dì  Teodorico  il  Grande).  -  Kirch,  DieAn- 
natcn  und  Dire  Verwaltung  in  dcr  2.  Halfte  der  1$  Jahrhunderi  (Le 
annate  e  il  loro  valore  nella  seconda  metà  del  sec.  xv). 

Journal  of  archaeology  (The  american).  Voi.  IV,  n.  3.  — 
A.  L.  Frothingmam  Ir..  Documenti:  Donazioni  di  papa  Nicolò  IH 
alla  basilica  di  S.  Pietro  in  Vaticano  (1280).  -  Apertura  della  tomba 
di  papa  Bonifazio  Vili  netU  basilica  Vaticana  nel  léO). -Donazioni 
del  cardinal  Francesco  Tcbaldcschi  nel  1378  alla  stessa  basilica. 

Hittheilungen  des  Instituts  fOr  Osterrelchiscbe  Geschichts- 
forschung.  Voi.  IX  (1888),  fase.  2-5-4.  —  P.  Schlifeb  Boichorst 
Kleinere  Forschungen  zur  Geschichie  des  Mittelaliers  (Piccole  ri- 
cerche per  la  storia  del  M.  E.).  -  H.  Hoogeveg,  Der  Krcuzzug  von 
Damiette  1218-1221  (La  Crociata  di  Daniiata)  -  F.  Thaner,  Zur 
rechtlichcn  Bcdeutung  dcr  pàpstlichen  Regesten  (Valore  giuridico 
dei  regesti  pontifici).  -  H.  V.  Sauerland,  Rede  dcr  Gesandtschaft 
der  Herzog  .Albrecht  III  von  Oesterreich  an  Papst  Urbain  VI  bei  der 
Rùckkehr  der  Lànder  der  Herzogs  Leopold  IH  unter  die  ròraische 
Obedienz,  verfasst  von  Heinrich  Hembuche  (.Discorso  dell' ambasciata 
del  duca  Alberto  HI  d'Austria  a  Urbano  VI  perii  ritorno  dei  paesi 
del  duca  Leopoldo  III  all'obbedienza  della  Chiesa  Romana,  composto 
da  Enrico  Hembuche).  -  H,  Amma!<!N,  Herrog  Leopold  HI  von  Oe- 
sterreich und  Papst  Grcgor  XI  im  J,  1572  (Il  duca  Leopoldo  III 
d'Austria  e  papa  Gregorio  XI  ncU'a.  1572). 

Quartalschrìft  (ROmische)  fflr  christliche  Alterthumskunde 
und  fflr  Kirchengeschichte.  ^  I.  P.  Kirsch,  Ort  des  Marty- 
riums  des  Apostcls  Paulus  (Il  luogo  del  martirio  di  Paolo  apostolo).  - 
NuRNBERGER,  Documenic  zum  Ausglcich  zwischcn  Paul  V  und  der 
Republik  Venedig  (Documenti  sul  trattato  tra  Paolo  V  e  U  Repub- 
blica veneta). 


744 


Teriodia 


Revue  de  rhistoire  des  religione  (Annales  du  musèc  Gai- 
met),  XVIII,  fase,  x,  —  G.  Lafaye,  BuUetin  archéologique  de  Urc- 
Ugion  Romaine  (1887),  -  G.  Lapaye.  Un  nouvcau  dieu  S)-rien  à  Rome. 

Revae  des  questìons  hiatoriqaes.  XXIIl,  fase.  88.  —  Ch.  de 
SiCEDT,  L*organisation  des  églìses  chréciennes  jusqu'au  milìea  do 
troisièmc  siede.  —  XXJV,  fase.  89.  Vacandard,  Saint-Bernard  et  k 
schisme  d'Anaclet  II  en  Italie.  -  Battifol,  La  Vaticane  depuis 
Paul  ni.  -  De  Circourt,  Le  due  Louis  d*Orléans,  frère  de  Char- 
les VI,  scs  entreprises  en  Italie  (1392-X396). 

Revne  historiqae.  XXXIX,  fase.  i.  —  Paul  Viollet,  La  pot 
tique  romaine  dans  les  Gaules  après  les  campagnes  de  Cesar. 

Revue  (NouveUe)  historique  de  droit  fran^ais  et  étrasger. 
XII,  fase.  3.  —  J,  Tardif,  Les  nouveUes  tablettes  de  ciré  de  Pom- 
pei. —  Fase.  4.  Saleilles,  Le  domaìne  public  à  Rome  et  son  appli- 
cation en  malière  artistique. 

Rivista  italiana  di  numismatica.  I,  fase.  5.  —  F.  0)4 
Appunti  di  numismatica  romana. 

Rivista  storica  italiana.  Anno  V,  fase.  2.  —  A^  Coen,  Vczio 

Agorio  Preiestaio.  -  G,  De  Leva,  La  politica  papale  nella  contro- 
versia deirimerim  di  Augusta.  -  Recensioni  di:  L.  Hobapfel,  Ròmi- 
sche  Chronologie;  G.  Schepps,  Priscillian;  P.  Villari,  La  storia  di 
Savonarola. 

Studi  e  docnmenti  di  storia  e  diritto.  IX,  fase.  2-5-4.  — 
I.  F.  Gamurrini,  S.  SÌIviae  Aquitanae  peregrinatio  ad  loca  sancta, 
annis  fere  585- }88,  -  Talamo,  Le  origini  del  cristianesimo  ed  il 
pensiero  stoico.  -  P,  De  Nolhac,  Les  correspoodancs  dWIde  Ma- 
nuce.  -  V.  SciALOL\,  Di  una  nuova  collezione  delle  «  Disscnsiones 
dominonim  ».  -  G.  Bossi,  La  guerra  annibalica  in  Italia  da  Canne 
al  Meiauro. 


Zeitschrift  fiir  katholische  Theologie.  XII,  fase.  4.  — 
H.  Kellker,  Die  ròmische  Statth alter  von  Syrìen  und  Judia  nir  Zeit 
Christi  und  der  .\postel  (1  governatori  romani  della  Siria  e  Giudei 
al  tempo  di  Cristo  e  degli  apostoli). 


PUBBLICAZIONI 

RELATIVE   ALLA   STORIA   DI    ROMA 


290.  Abraham  F.    Tiberius  und  Sejan  (Tiberio  e  Sejano). 

Berlin,  Gacriner,  1888. 

291.  Afzelius.  Studier  till  ràtts-och  sutsphilosophìens  historia, 
I.  Ciceros  ràrts-och  statsphìiosophi,  jemte  ett  tillagg  om  den  ro- 
merskakratten  och  ràtt  svetenskapen  (Studi  per  la  storia  della  fi- 
losofia politica  e  giuridica.  I.  La  filosofia  giuridica  e  politica  di 
Cicerone,  con  un*appcndice  sul  diritto  e  sulla  scienza  del  diritto 
a  Roma).  Vpsaìa,  1887. 


393.    Amadori  C. 
nografici. 


Roma  sotto  i  patrizi  e  della  dittatura  ;  studi  mo- 
Ahssandriaf  Jacquemod^  1888. 


29}.  André  I.-I.  Études  sur  le  xrv*  siècle.  Hisioire  de  la  papauti 
k  Avignon.  2*  èdition  revuc  et  corrigée  par  Tauteur. 

Avigtton,  Segum,  1888. 

294.  Arnold  F.  C.  Die  Neronìsche  Christenverfolgung.  Eine  kri- 
tische  Untersuchung  rur  Gcschichte  der  àliesien  Kirchc  (La  per- 
secuzione di  Nerone.  Ricerche  critiche  per  la  storia  della  Chiesa 
nei  primi  tempi).  ^f^p'^S»  R^^^^^''»  1888. 

295.  AuER  H.  Di^r  Tempel  der  Vesta  und  das  Haus  der  Vesta- 
linnen  am  Forum  Romanum  (Il  tempio  di  Vesta  e  la  casa  delle 
Vestali  al  Foro  Romano),  ìVien,  TcupsKy  im  Comm.  18S8. 

296.  Avvenimenti  tragici  e  giustizie  clamorose  seguite  in  Roma, 
raccolte  per  opera  e  studio  del  direttore  del  Cracm  (Costantino 
Maes).  Roma,  Metastasio,  1888. 

297.  Babuder  G.     Riflessioni  morali  e  politiche  di  tre  grandi  sto- 


74^    Pubblicazioni  relative  alla  storia  di  Q^oma 


nei  ed  uomini  di  Stato:  Tucidide,  Cornelio  Tacho  eKicalòK*- 
chiaveili.  Studio.  Programma  di  Capodistria.  i9tt 

298.  Balzani  Ugo.     The  popes  and  the  Hohenjtaufcn  (I  ppit 
gli  liohcDstaufca).  London,  Lon^mans,  Grwi  arsJ  Cu.  i&9a 

299.  Baracconi  G.    I  rioni  di  Roma.    Città  di  CasUUo,Làf\,ìPA 

300.  Bcncdìcts  XrV  Bricfc  an  don  Canonicus  Pier  Francesco  Pqp 

in  Bologna  (1729-1758)  nebst  Bcnedicts  Diariora  dc$  Cooclircj 
von  1740,  herausgcgeben  von  Franz  Xavier  Kraus.   3.  Ausgtóe 
vermehrt  rait  Flaminio  Scarselli's,  Bìographie   des  Papsici  tari 
ciner  Bibliographic  scincr  Wcrke.  Mit  dcn  Bildniist 
und  des  Canonicus  Francesco  Peggi  (Le  lettere  di  I> 
al  can.  P.  F.  Peggi  in  Bologna,  col  diario  del  conclave  dei  17*) 
scrìtto  da  Benedetto,  pubblicati  da  F.  ?C  K.  Seconda  e<ÌÌziuAf, 
aumentata  della  biografia  di  Benedetto,  scritta  da  Flimìnìo  Scl^ 
scili,  e  da  una  bibliografìa  delle  opere  scrìtte  da  quel  p<    : 
Con  i  ritratti  del  papa  e  del  Peggi.  Prtibur^,  Mo' 

501.  Bérard  e.     Appendice  aux  antiquités  romaines  et  du  moyi 
ige  dans  la  vallèe  d*Aoste.  Turìn,  ParavUj  iMS 

502.  Besson   (Mgr.).    Frédéric-Franijoìs-Xavicr   de  Mèrode;  ai- 
nistrc  et  auraònier  de  Pie  IX.  Sa  vìe  et  ses  ccuvrcs.  5*  èiìlìa 

\BtsanQon,  J>^quin,  18 

503.  BoRALEVi  G.     I  primi  mesi  del  pontificato  di  Paolo  IV;  1 

Lix'omOt  Giusti,  iS 

J04.     BuRN  R.    Roman  lìteratur  in  relation  to  Roman  art  (Li  Ì 
teratura  romana  nei  suoi  rapporti  coirarte  romana). 

London,  MacmHUn^  1 

305.     BusiRi-Vici  A.     La  colonna  santa  del  tempio  dì  Gerusalo 
ed  il  sarcofago  di  Probo  Anìcio,  prefetto  di  Roma;  notine  1 
riche  con  documenti  e  disegni.  Rom'i^  GuUi,  iSi 

jo6,     Cagnat  R.     Épìgraphie  gallo-roraaìne  de  la  Mosclle.  5'^ 
cule.  Parti,  Dumouhif  fi  t^,  '* 

J07.     Canova  A.     Lettere  inedite  al  cardinale  Ercole  CoowlvirF 
blicate  da  Alessandro  Ferraioli  (Trattano  del  trasporto  Jtl 
numenti  romani  a  Parigi).  Roma,  For;MÌ,  (9 

308.     Carle  G.     Le  orìgini  del  diritto  romano:  ricostruzlooc  fton 


"Pubblicajioni  relative  alla  stona  di  'T^oma     747 


dei  concetti  che  stanno  a  base  del  diritto  pubblico  e  privato  di 
Roma.  Torino,  Bona,  1888. 

509.  Carré  de  Malberg  R.  Histoire  de  Texceptìon  en  droit  ro- 
main.  Saint- Amanà,  Dfstenay,  1888. 

3 IO.  Cavalcaselle  G.  B.  Storia  della  pittura  in  Italia  dal  secolo  n 
al  secolo  xvi.  Voi.  IV  (Gap.  XI  :  Piaori  nel  Napoletano,  nella 
Sicilia  e  nella  provincia  di  Roma  del  secolo  xiv  e  parte  del  xv). 

Firenze,  Le  Motmier,  1888, 

jii.  Cenni  sulla  vita  di  S.  S.  Leone  XIII  desunti  dalla  stampa  cat- 
tolica settimanale  di  Perugia  e  da  altri  periodici  religiosi 

Mon\a,  Paolitii  ed  Annoni,  1888. 

312.  Chambalu  a.  Die  Verbàltnisse  der  4.  Katilinarìschen  Rcde 
zu  dcn  von  Cicero  in  dcr  Senatssitzung  des  5  Deiember  63 
wirklich  gehaltcnen  Reden  (I  rapporti  tra  la  4*  Catilinaria  e  i 
discorsi  realmente  pronunciati  da  Cicerone  nella  seduta  del  Se- 
nato del  5  dicembre  65).  Keuufied,  Hcuser,  1888. 

315.  CocHiN  H.  Note  sur  Stefano  Colonna,  prévòt  de  Saint-Omer 
et  cardinal.  Saini-Omtr,  Omont^  1888. 

514.  CocLiOLO  P.  Storia  del  diritto  privato  romano  dalle  origini 
air  impero.  Voi.  I.  Piren^e,  Barbèra,  1889. 

515.  Cola  (De)  F.    Lo  stretto  dirìno  e  Tcquità  nel  diritto  romano. 

Messina,  tip.  dell' Avveniu,  1S88, 

316.  CoLOMiATTi  E.     Codex  iurìs  pontificii  seu  canonici. 

Turino,  Difossi,  1888. 


317.    CoRROYER  E.    L'architecture  romainc. 


Paris,  Quantin,  1S88. 


318.  Couturier  G.    Huiiième   centenaìre   de   Grégoìrc  VII.   Dis- 
cours.  Sohsmas,  Schmiib,  1888. 

319.  Covino  A.    Storia  romana.  Quinta  edizione. 

Torino,  Paravia,  1888. 

320.  Crostarosa  F.    La  croce  in  Campidoglio. 

Roma,  Befani,  1888. 

321.  CzYCZKiEwiEZ  A.     Zyàc  rodzinne  danj-ncb  Rrymiara  (La  vita 
di  famiglia  degli  antichi  Romani).  Programma  di  Tamopol.     1887. 


748    Pubblicazioni  relative  alla  storia  di  ^a 


322.    Dahmen  J.    Das  Pontifikat  Gregors  II  aacb  dea  Qpdki 
beitct  (n  pontificalo  dì  Grcgorìo  II  studiato  sulle  fooiiV 

Dms4Uorf,  Schomm^iUk 

523.  Decker  (De)  P.  La  Chiesa  e  l'ordine  sociale  cristiano.  Ptin 
traduzìoae  italiana  autorizzata  dall'autore.      Firtn^t,  Garà^M 

324.  Decreto  di  condanna  di  Galileo,  staio  pronunciato  dilli  o 
prema  Congregazione  del  S.  Ufficio,  secondo  il  lesto  icUe  ojot 
di  Galileo  Galilei,  pubblicate  in  Padova  nel  secolo  sconi^fidli 
stamperia  del  Seminario.  MQamo,  katzi,  1 

325.  Delaunay  D.    Les  institutions  de  l'ancienne  Rome.  lUi 
nonne  polilique  et  lob  agraires  :  Gouverncment  et  adminiitrjiM 
de  Tempìrc.  CbdUauroux,  M^tsii,  iS9k 

326.  De  Leva  G.     Paolo  Paruta  nella  sua  legazione  dì  Romi 

327.  Deltour  F.    Histoire  de  la  littérature   ronufoe  Prcniòs^ 
partìc.  Bar~lc~Duc,  ComU-Jacqwt,  il 

528.     Demole  E.     Histoire  d^un  aureus  inédit  de  Tempcretir 
lille.  GcmH'4,  Gterf,  1 

329.  Denzinger  H.  Enchiridion  symbolorum  et  dcfinitÌoouni,qOB 
de  rebus  fidei  et  morura  a  conciliis  occumcnicis  et  sammis  ^ 
tifìcibus  emanarunt.  Edilio  VI  aucta  et  emendata  ab  Ign.  StiU. 

330.  Deschamps  du  Manoir  G.    Leone  XIII  ed  il  suo  pomiSa 
Traduzione  dal  francese. 

Firenze,  tip,  dei  Minormni  corrÌf;tadi,  18 

331.  Die  ròmische   Campagna.   Eine  kuhurhistorische  Siudìe  v»  ' 
einem  Priester  aus  der  Diozcse  Breslau  (L.i  campagm  1 
Studio  di  storia  della  civiltà,  per  un  prete  dclU  diocesi  dì  1 
slavia).  Seùu,  Hiu^t  iS 

332.  DiLLON  G.  F.  Unsere  liebe  Frau  vom  guteo  Raihc  Etf 
kurze  Gcschichie  und  Beschreibung  dcs  uralten  nctligthun»  a 
Genazzano  und  der  wunderbaren  Uebcnragung  dcsGnadcnbiU 
im  Jahrc  1467.  Dcutsch  bcarbeitet  von  R.  v.  Baumbach  (U> 
donna  del  Buon  Consiglio.  Breve  storia  dcirantichlssimo 
tuarìo  di  Genazzano  e  della  miracolosa  traslftxtonc  dell' u 
gine  nel  1467).  EinsitUm,  Bm;i^  wJ  C  iW? 


Tubblica\ioni  relatipe  alla  storia  di  T^ma    749 


335.  Drechsler  F.  L  Ein  Beìtrag  zur  Kritik  Uteioìscher  Scbrift- 
steller  (Contributo  alla  crìtica  degli  scrittori  latini).  Programma 
di  Olmùtz.  1887. 

334.  DùBi  H.     Die   alten  Bemcr  und  die  rdmischen  Alterthùmer 
Il            (I  vecchi  Bernesi  e  le  antichità  romane). 

I  Bern,  Huber  toid  C.  1888. 

335.  DucROCQ.  T.  Étudc  d^histoirc  financièrc  et  monétaire  (Con- 
tiene, ^a  altro,  articoli  sulle  monete  consolari  romane,  sulla  storia 

Idei  sesterzio,  sulla  monetazione  dì  Costantino,  ecc.)- 
Poitiers,  Ouàin,  1888. 

336.  EsMARCH  K.     Ròmische  Rechtsgeschichte  (Storia  giuridica  di 
I             Roma).  }■  edizione.  Cassel,  Vigaud,  1888. 

'       337.    Fabbri  F.     Brevis  explanatio  constitutionis  Apostolicae  Sedis 

a  romano    pontifìce   Pio  IX  anno  1869  editac.   Editio   seconda. 

L  Lucac,  Puulini,  1888. 

338.  Feis  (De)  L.  B.  La  Bocca  della  Verità  in  Roma  e  il  Tritone 
di  Properzio.  Genova,  tip.  Sordo-muti,  1S88. 

339.  Ferroglio  G.    Sunto  delle  lezioni  di  statistica,  dettate  nella 
1            regia  università  di  Torino  (Cap.  IV:  La  proprietà  territoriale  e 

I  i  coltivatori  della  terra  presso  i  Romani),      Torino,  Bruno,  1888. 

340.  Fisch  a.     Les  origines  du  catholicisme  romain,  cu  comment 

II  rÉglise  chrétienne  des  premiers  siècles  est-elle  devenuc  roraaine, 
palennc  et  persécuiricc  ?  AUn^cn,  Ltpa^e,  1888. 

341.  Frate  (Del)  Oronte.  Scene  e  costumi  medievali  di  Civita- 
Castellana.  Parte  L  Kepi,  Ruggieri,  1888. 

342.  Freida  a.  Il  papato  e  la  civiltà  ;  conferenza  tenuta  nel  sa- 
lone del  consolato  operaio  dì  Milano  la  sera  del  19  gennaio  18S8. 

'  Milano,  Guerra,  1888. 

345.     Caddi  L.    Le  origini  dello  Stato  romano:  studio  storico  in- 
[  tomo  ai  primitivo  ordinamento  politico  di  Roma. 

'  Milano,  Bdìini,  1888. 

344.    Gaetani  d^ Aragona  don  Onorato.    Istoria  generale  della 
L  casa  Gaetani.  Caserta,  Turi,  2888. 

'       345.     Giesebrecht  W.    Geschlchte  der  deuischen  Kaiserzeit.  5  Band, 

a  Abth.  Friedrich  I.  Kàmpfe  gegen  Alexander  III,  den  Lombar- 

I  Archivio  delia  K.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI. 


49 


JcnbuoJ  litid  Heinrich  den  Lòwen  (Storia  bell'era  imperale  té- 
A,  5  voL  p^r.  2^:   Federico  1,  lotte  contrc»  Àle^aadio  IH, 
lA.lega  Lombarda  ed  Enrica  il  Leone). 

Leip^gf  Duttch&r  una  C  rS8à, 

)46.    Gottlob  A.    Au5  der  Camera  Apostolica,  des  1$  Jhs* 

Inmhruch,   Wnin^r,  iS&S. 

Gic£iF  F^    De  rarigw  du  tevurneac  rouiiiia»  Thèse. 

J4S4  Guìd^  nuovUsLma  di  Rema  secondo  gU  schivi  più  recenti,  tx^t- 
rcdJU  dì  una  carta  topografica  conforme  alle  ultime  trasformi* 
ùoni  ddb  città,  Roma,  Viàoni^  i&S3. 

J49»  Hauel  P.  De  pontiBcum  Romanotum  inde  ab  Augusto  usque 
ad  Aurelianum  condicione  publica.  Brillati,  Kofhntr^  t838- 

J|0.  HòFER  P.  Die  Vanisschlacht|  ihf  VeiUuf  uud  Schaupbtz 
(La  bitt^tglia  di  Viro,  come  e  dove  ebbe  luogo), 

^P^i>  DunektT  uni  C  i8«8. 

551.  Inscfiptiones  christianae  urbis  Roraae  septirao  saeeulo  ansi- 
quìores.  Edidìc  loannes  BapL  De  Rossi.  VoL  II,  pan  L 

Roma£^  ex  off.  Uhn  P.  Cuggiani,  ì838* 

).5a.    JaffA  L.    Regesta  pontificuin  Romanorum  ab  condita  Ecde^ 

ad  annum  post  Christum  nalum  MCXCVin.  Ed.  II,  fase,  ij-15 
(ultimus).  Leipzig,  Veit  und  C.  1888. 

35J,  JuGE  W,  R.  Society  in  Rome  under  the  Caesars  (La  società 
a  Roma  sotto  i  Cesari),  London,  1888. 

354.  Kliment  J.  Orlivu  verejného  zivou  rìmského  na  vyvin  a 
ràz  rimského  recnictivi  (Dell'influenza  della  vita  pubblica  romana 
sulla  formazione  e  sul  tipo  deU'ane  oratoria  romana).  Programma 
dì  Trebitzsch.  1887. 

3J5.  KopRivsÈK  L.  Die  Gegner  des  Hellenismus  in  Rom  bis  zur 
Zeit  Cìcero's  (Gli  avversari  dell'ellenismo  in  Roma  fino  ai  tempi 
di  Cicerone).  Programma  di  Rudolfswerth.  1887. 

3  $6.  KòRBER.  ROmìsche  Mùnzen  des  mainzer  Centralmuscums 
(Monete  romane  del  museo  Centrale  di  Magonza).  Programma 
di  Magonza.  1S87. 


^ubblica-^ioni  relative  alla  storia  di  T{oma    751 


J57.  Krieger  B.  Quibus  fontibus  Valerius  Maximus  usus  stt  in  eìs 
cxcmpHs  enarrandis  quae  ad  priora  rerum  romanarum  tempora 
pcrtinenL  Dìssertatio  ìnauguralis. 

Wk  Berlin,  Mayer  und  MùUer,  iSSS^ 

J58.  Krippner  P.  Jak  prospivalo  rimské  biistnictfvi  v  pr\-nim  stolctf 
pò  Kr.  ?  (Quale  utile  arrecò  la  poesia  romana  nei  primi  secoli 
dopo  Cristo?).  Programma  di  Prerau.  1887. 

359.     Rrucer  P.    Geschichte  der  Quellcn  und  Litteratur  dcs  rOmi- 

■  schen  Rechts  (Storia  delle  fonti  e  letteratura  del  diritto  romano). 
LcipVi»  Duncker  und  Humbìot,  1888. 

36a  Lacour-Gayet,  Antonie  le  Picux  et  son  temps;  essai  sur 
l'histoirc  de  Tcmpirc  romain  au  milieu  du  11'  sièclc. 

Paris,   Thorin,  1888. 

j6l.    LACotiR-GxYET.    De  P.  Clodio  Pulchro  tribuno  plebis. 
■  Paris,   Thorin,  1888. 

^62.    LÉCRivArs*  C.    De  agris  publicis  imperatori isque  ab  Augusti 

•tempore  usque  ad  finem  imperii  romani. 
Toulouse,  Chaut'in,  1888. 

363.  Lécrivain'  C.  Le  Sénat  romain  depuis  Dioclétien  à  Rome 
et  à  Constantinople.  Totthuse,  Chauxnn,  1888. 

364.  Lemaire  H.     Rome:  Basilìque  de  Saint-Pìerre  au  Vatican. 

Paris,  Rousscl,  1888. 

365.  Leroy-Beaulieu  a.  Un  empereur,  un  roi,  un  pape,  une  rcs- 
tauration.  ^  Sceanx^  Charake  et  fih,  1888. 

366.  Livius  T.  S.  Peter,  bishop  of  Rome,  or  the  Roman  episco- 
pale of  the  prince  of  the  apostles  (S.  Pietro,  vescovo  di  Roma, 
a  Tepiscopato  romano  del  prìncipe  degli  apostoli). 

London,  Burns  and  OaUs,  1888. 

367.  Marcellino  p.  da  Civezza.  Il  romano  pontiiìcato  nella  storia 
d*Italia.  Seconda  edizione  riveduta  e  curata  dairautore. 

Prato,  Gìachitti,  1888. 

368.  Marquardt  J.  De  Torganisarion  financière  chcz  les  Romaìns 
(Forma  il  tomo  X  del  v  Manuel  des  antiquités  romaincs  «,  par 

^LT.  Mommsen  et  J«  Marquardt). 

^^^  ChatiBoH-sur-Seint,  Pichat,  (888. 


Pubblicazioni  relative  alla  storia  di  T^ma 


jóg.    Mefistofele. 
papale. 


Vent*anni  prima:  impressioal  e  rìconiì  dì  Rotoi 
Perugia,  Baridli,  i8St 


370.  Merkel  J.  Abhandlungen  aus  dem  Gebìcte  des  rdnùicheo 
Rechts.  j.  Ueber  die  Entstehung  des  ròmìschen  Beamten^ehifan 
und  ùbcr  ròmische  GerichisgebQhren    (Disscnazir'  ^jo 

del  dirino  romano.  Dispensa  5*:  SulKorìgine  dello  :^-  _  .:^ 

impiegati  e  ddle  spese  giudiziarie  a  Roma).  • 

Haile,  Kisméytr,  lISL 

571.  Mever  W.  Episiolacimperatorum  Romanorum  ex  coUecMe 
canonum  Avellanae  ediue.         Gòtiingtn,  DieltricVs  AViif,  iftSft- 

372.  MouMSEN  T.  Le  provincìe  romane  da  Cesare  a  Dloclcsiioo. 
Par.  L  Trad.  di  E.  De  Ruggiero.  Roma,  Patqudiuà,  18S& 


57}.      NlKMlEC    W. 
lomca. 


De  quaestoribus   romanis.   Prograiama  di  E»- 


^74.    Pais  e.     Straboaiana.  Contribmo  allo  studio  delle  fonti  éS^ 
ramministrazione  romana  (Dalla  Rivista  di  filologia  classica,  iSSé). 

—  Alcune  ossen-azioni  sulla  storia   e  suiramministnxiiaoe 


della  Sicilia  durante  il  dominio  romano. 


PaUrm0,  ]88&. 


375.  Parrini  C.  Storia  di  Roma  antica  dalle  origini  Italiche  sino 
alla  caduta  dell'impero  di  occidente,  corredata  di  tavole  oooo- 
togiche.  Seconda  edizione.  Firmai,  Pa^i,  18^ 

376.  Paruta  P.  La  legazione  di  Roma  (i592-i;9$).  Mooonicoti 
storici  pubblicati  dalla  Regia  Deputazione  Veneta  di  storia  patria. 
Serie  IV:  Miscellanea.  Voi.  VII-IX-  Tm^^iu,  y^tniim,!^ 

377.  Pasinetti  S.  L'opera  di  Leone  XIII  pel  rindovamcnio  e  U 
pacificazione  della  società  :  discorso  letto  nella  solenne  accadcnù 
tenuta  in  Bergamo  in  onore  di  S.  S.  Leone  XIII  il  j  aprile  i^ 

Bergamo,  S,  Alasandro,  18SS. 

378.  Pastor  L.  Histoirc  des  papes  depuis  la  fin  du  moyco  i^ 
Ouvrage  écrìte  d'apr^s  un  grand  nombre  de  documents  isèdìu 
cxtraits  des  archives  secrÈtes  du  Vatican  et  autrcs.  Tradoii  de 
Tallcmand  par  Furcy  Raynaud.  Pani,  Phn,  tS&^ 

379.  PoREKA  F.  La  geografìa  in  Roma  e  ti  mappamondo  Vaticano: 
conferenza  tenuta  alla  Società  geografica  italiana  i!  '  no- 
vembre 1887.                                                         Ropiu,  ^l 


Tubblica\iom  relative  alla  storia  di  T^ma     753 


380.    Prammer    L     Sallustianische    Misccllea    (Miscellanea    Sallu. 
stiana);  Programma  di  Vienna.  1887. 

}8x.     Prou  M.     Étude  sur  les  relations  poUtiques  du  pape  Urbaìn  V 
^kvec  les  roìs  de  France  Jean  II  et  Charles  V  (1362-1  no)* 
V  Mafon,  Protdt  frhes,  1888. 


Ragnau  (Mgr).     La  «  Société  de  Rome  »  du  comte  Vasili. 

Lyon,  VHU  et  Perrusstì,  |888. 


383.    Ralphinge  W.    Society  in  Rome  under  the  Caesars  (La  so- 
cietà a  Roma  sotto  i  Cesari).  London,  [888. 


Rau  L.  Eìn  ròraìscher  Pftuger.  Vortrag  Qber  cine  unbeach- 
[lete  Aniikc  ròmischc  Marraorgruppc  in  Bcrlìncr  K..  Museum  (Un 
aratore  romano.  Conferenza  intorno  ad  un  gruppo  marmoreo  ro- 
mano fin  qui  inosservato  e  conservato  nei  Regio  museo  di  Ber- 
lino). Frankfurt,  Kelkr,  1888. 

385.  Rcgistres  (Les)  d'Innocent  IV,  recueil  des  bulles  de  ce  pape, 
publièes  ou  analysées  d'après  les  m:muscrits  originaux  du  Vatican 
et  de   la  bibliothèque  Nationale  par  Elie   Bcrger.   8*  fascìcule. 

■  Introduciion:  Sainl-Louìs  et  Innocent  IV. 
Chaiilhn-sur-Seine,  Pichot,  l888. 

586.  Resoconto  delle  conferente  dei  cultori  di  archeologia  cristiana 
in  Roma  dal  1875  al  1887.  Roma,  tip.  dilla  Paté,  1888. 

387.  RiBERi  G.  Vita  di  S.  Santità  Leone  XIII,  esposta  ad  esempio 
del  vivere  familiare,  civile  e  religioso.  Seconda  edizione. 

Torino,  tip.  Salaiana,  1888. 

388.  Rivalta  V.  Discorso  sopra  la  scuola  delle  leggi  romane  in 
Ravenna  e  il  collegio  dei  giureconsulti  ravennati. 

^k  Ravenna,  tip.  5.  Apollinare,  1888. 

389.  Robert  P.  M.  Épigraphic  gallo-roniaino  de  la  Moselle.  j*  fa- 
scìcule. Paris,  Dumoulin  et  C*',  1888. 

390.  RoBiou  F.  Les  institutions  de  Tancienne  Rome.  III.  Eco- 
nomie politìque  et  lois  agraires;  gouvemement  et  administration 
de  l'empire.  ChdUauroux,  Majcstf,  1888, 

391.  Rosa  U.  Lapidi,  terrecoite  e  monete  romane  recentemente 
trovate  in  Susa.  Torino,  Paravia,  1888. 

392.  ScARSELLi  F.     Biografia  di  Benedetto  XTV.  Vedi  n.  299. 


754    Vubblicaiioni relative  alla  storia  dirama 


393.  ScHWARZ  W.  De  vita  ci  scriptis  luliani  ìnipcratoris.  Db»- 
Uzione  di  Bonaa.  Bonn,  Bibr^Mà,  xStt. 

394.  Septem  Notis  Carolus.  Il  papato  ed  il  giudirio  àó  più 
grandi  uomini  italiani.  (Ai  fautori  della  conciliazione). 

Cremona,  Roni}  t  Signori^  t886. 

395.  SoMMERFELDT  G.  Die  Romfahn  Kaiser  Heinrìchs  \TI,  iji» 
1313  (Il  viaggio  a  Roma  dell'imperatore  Enrico  VII). 

Konigihcrg,  Grafi  tmd  Utt^tr^  t&8& 

396.  SokdermGhlen  M.  Spuren  dcr  Varasschlacht  (Traccic  d(5i 
battaglia  dì  Varo).  Btrlin,  Lsìtit,  i^ 

597.  SoNNLNO  G.  Di  uno  scisma  in  Roma  ai  tempi  di  Valcoti- 
ntono   I.  Livorno,  Gmti,  tUt 

398.  Steinwender  T,  Die  ròmische  Bùrgerschaft  in  ihrcm  Ver- 
bàltniss  zum  Heere  (La  cittadinanza  romana  ne*  suoi  rapp^ 
coU'escrciio).  Programma  di  Danzig.  i^- 

399.  Stephens  W.  R.  W.  Hildebrand  and  hls  timc5  (Ildebraodo 
e  i  suoi  tempi).  London,  LonumMns,  iSSS- 

400.  Stocchi  G.  La  prima  conquista  della  Briiannia  per  opct 
dei  Romani.  Firenze,  Ciìlm,  iÌX^- 

401.  Tawe  H.    Essai  sur  Tìte-Live.  5*  édition  revue  et  corrigie. 

FariSg  Laburt,  tSSl 

402.  Tamassia  G.  Longobardi,  Franchi  e  Chiesa  romana  fino  ai 
tempi  di  re  Liutprando.  Bologna,  ZoHtchtiii,  i9Ìl* 

405.  ToLRA  DE  BoRDAS  I.    Le  comtc  Pellegrino  Rossi. 

Amiois,  Dcìatire-I^tmod,  18A 

404.  ToRRACA  F.  Discussioni  e  ricerche  letterarie  (Coli  di  Rienio 
e  la  canzone  «  Spirto  gentil  »  di  Petrarca). 

Lix'cmo,  ViiOt  t88^ 

40$.  VALENTtNi  W.  Iscrizioni  dollari  latine,  dì  alcuni  voti,  aogiiH 
e  acclamazioni  di  antichi  cocd  romani;  dissertazione. 

Orxuto,   Tonni,  ttXL 

406.  Vita  dì  5.  Leone  Magno  papa  e  dottore  dì  S.  Chlesj. 

Asti,  MùheUric,  iStt- 


Tubblìcajtoni  relative  alla  sioria  di  T^ma    755 


407.  Wagner  F.  De  omìnibus  quae  ab  Augusti  temporibus  usque 
ad  Dioclcnani  aetaiem  Cacsarìbus  facta  traduniur.  Dissertatio 
inauguralis,  Jena,  Keuenhahn,  1888. 

408.  Walter  F.  Studien  zu  Tacìtus  und  Cunius.  Programma  dì 
Monaco.  1887. 


W: 


Weckerling  a.  Die  rómische  Abilieilung  des  Paulus-Mu- 
seums  der  Stadt  Worms  (La  sezione  romana  del  museo  Paulus 
della  città  dì  Worms).  Programma  di  Worms.  1887. 

410.  Weise  P.  duaestionum  Catonianarum  capita  quinque.  Dis- 
sertazione dì  Gottìngen.  1887. 

412.  WiERZBOwsKi  T.  Vincent  Laureo,  évèque  de  Mondovi,  nonce 
apostolique  cn  Pologne  1574-1578,  et  scs  dépòches  au  cardinal 

E  de  Cóme,  ministre  secrt^lairc  d'État  du  pape  Grégoire  XIII,  éclar- 
cissantes  la  polìtique  du  Saint-Siège  dans  les  années  susdites  re- 
lativement  à  la  Pologne,  la  France,  TAuiriche  ei  la  Russie,  re- 
cueillies  aux  archivcs  secrctes  du  Vatican, 
Varsavia,  Bcrgcr,  1888. 
*ji2.  WiSTT-fLANUS  H.  Grcgor  VII.  und  Heinrich  IV.  Krìiischc  Be- 
^^  leuchlung  der  Schrift  «  Heinrich  IV.  und  Gregor  VII.  »  von  D/ 
^b  W.  Martcns  (Gregorio  VII  ed  Enrico  IV.  Esame  critico  dello 
^H  scritto  di  W.  Martcns:  «Enrico  IV  e  Gregorio  VII»), 
^f  Danxigt  Lcbmannscht,  1887. 

1415.    Wlassak  M.    Rómische  Processgesetze.  Ein  beitrag  xur  Gc- 
b     schichte  des  Formulan'crfahrens  (Leggi  processuali  romane.  Con- 
I     tributo  alla  storia  della  procedura  formulare). 
I  Leipzig,  Dunckttr  urtd  Humhlot,  1888. 

414.  Zalla  A.  Storia  di  Roma  antica  dalle  origini  italiche  fino 
alla  caduta  deirimpcro  d'occidente,  corredata  di  tavole  cronolo- 
giche. Seconda  edizione.  Fircnie^  P^^h  1889. 

Il     415.    Zeller  B.    Henri  IV,  le  Saint-Siège  et  TEspagne.  L'édit  de 

^B     Nantes  et  la  paix  de  Vervins  (1594-1598). 

^H  CcuìommUn,  BroJard  d  Galhis,  1888. 

^^16.  ZiMMERMANN*  A.  Der  Kulturgeschìchtliche  Wcrth  der  ròmi- 
schen  Inschriften  (Il  valore  che  hanno,  per  la  sioria  della  civiltà, 
le  iscrizioni  romane).  Hamburg,  ].  F.  Richter,  1888. 


75^     ^ubblica\ioni  relative  alla  storia  dinoti 


417.  ZiNzow  A.  Der  Vaterbegrìff  bei  òen  rSmiscken  GotlhriM 
Eioe  Religìonsgeschichilkhe  Darstdlung  (Ti  concetto  delU  pj8 
□ita  Ideile  divinità  roixiane.  Studio  dì  storia  della  relìgìoQc).  f\ 
gramma  di  ?yrit£.  iS 


rKDlCE  SISTEMATICO 

DELLE     PUBBLICAZIONI    RELATIVE    A    SOMA 

REGISTRATE   NEL    PRESENTE   VOLUME. 


-J 


L  Storia  di  Rojìa.  Città  e  territohio. 

a)  Narrazioni  r  f,  55, 36,  47,  60,  67,  8j,  go,  94^  lOo,  lai,  U 
IJ7,  138,  142,  17S,  190,  191,  194,  201,  20J,  239,  14$,  as^4 
269,  273,  2S4,  519,  J75,  414, 

y  Fonti:   ifiOp  Ì05,  226,  24^,  276,  396,  376. 
_        cj  Crìtica:  151,  i64p  170,  177,  192,  ao£,  2is,  260,  364,  a< 
375,  276,  -90,  292,  312,  J43,  3S7,  361,  380,  401,  416. 

n.  Storu  dell'  Impero  romano. 

a)  Narrazioni:  51»  34.  97»  98.  Mo*  »90»  191*  i9+«  ^S?!  J' 
595»  400. 

h)  Fonti:    371, 

e)  Critica:  82,  195,  350^  360,  361,  37*,  374,  374*^ì«,  j8j,3< 
407.  40S. 

III.  Storia  della  Chiesa  e  del  Papato. 

a)  Narraiioni:  9,  34,  31,  33,  yi,  jj,  61,  66,  69,  70,  77,  Ì 
91,  92,  97,  98,  103,  104,  117,  iig,  121,  139,  149,  150,  J74»  i: 
1S7,  197,  207,  218,  228,  247,  2Wi  261,  27H,  279,  286,287,3: 
367,  37S,  387,  593,  399,  402,  406. 

h)  Fonili  37,  45,  65,  7S,  86^  106,  110,  ir6,  lio,  124»  '' 
184,  1S8,  225,  234,  23S,  537,  344,  UU  287,  300,  324,  346,  I 
3715,  385»  4n, 

e)  Critica;  32,  50,  63,  82,  151,  154,  181,  182,  195,  314»  3 
227,  220,  230,  23},  249,  289,  293,  394,  30J,  322,  326,  340p  3 
381.  397,  412,  41J. 


Vuhblicaponi  relative  alla  storia  di  ^^pma    757 


rv.  Storia  delle  istituzioni  e  della  coltura  in  Roma. 

a)  Diritto  civile  e  canonico  e  istituzioni  politiche  e  civili:  ij, 
21,  22.  25»  jo,  38,  44,  64,  68,  74,  81,  94,  95.  99»  107»  108,  in. 
123,  140,  167,  168,  171,  172,  186,  202,  206,  210,  211,  212,216, 

217,  219,    221,   222,   236,   342,    256,    268,   271,    272,  280,   281,  283, 

287,  288.  291,  308,  309,  314.  3»S»  316,  32S.  J29,  336,  337,  339, 
347,  35  5.  359.  362,  363»  368.  370,  373,  388,  390,  398.  413. 

Ih)  Lettere,  scienze  ed  arti:  2,  3,  35,  53,  54,  56,  57,  80,  85, 
115,  13S,  141,  144,  146,  161,  162,  168,  176,  180,  193,  200t  231, 
232,  241,  248,  262,  263,  270,  282,  28J,  291,  297,  304,  507,  310, 

■  317.  3271  355.  354,  355,  35».  3^4,  40i.  404. 
e)  Usi  e  costumi:   14,  58,  147,  173,  213,  225,  238,  248,  254, 
3»!.  341»  353.  369,  382,  383. 

à)  Controversia:  10,  15,  16,  23,  27,  28,  42,  43,  84,  105,  129, 
■  145.  x6o,  2SS,  318,  323,  342.  365,  366,  577,  394. 

V.  Discipline  ausiliari. 

»a)  Archeologia:  4,  7.  11,  17,  19,  26,  29,  41,  46,48,  59i  76, 
78, 79, 85, 89,  96.  98,  loi,  107.  113,  126,  X30,  136.  143.  n"t 

156,  IS7,  158,  159,  165,  169,  173.  189,  198,  250,  253,  270,  289, 

Ì301,  305,  320,  334,  338,  384,  386,  391,  409,  410,  417. 
h)  Epigrafia:   49,  73,  78,  114,  306,  351,  389,  391,  405,  416. 
e)  Numismatica:    18,  163,  328,  335,  356,  391. 
d)  Paleografia:    155,  267. 
e)  Diplomatica:  37.^5,  75.  «6,  87»  i24.  183,  184,245,  352,385. 
f)  Geografia  e  topografia:   5,  6,  8,  12,  20,  39,  40,  52,  54,  62, 
72,93,100,  112,128.  132,  133,  134,  i$5,  166.  179,  185,  196.  203, 
209.238,240,259,274.  277,  295,299.331,532.348,  364.  379.  396. 
^  Genealogìa  e  biografia:    71,  102,  118,  125,  146,  148,  152, 
178,  199,  204,  220,  227,  266,  300,  302,  311,  313,  344,403. 


INDICE  GENERALE 

delU  materie  contenute  nei  quattro  fascicoli 
del  wolume  XI 


G,  CUGNOM.    Memorie  della  viu  e  degli  scrini  del  car- 
Afule  Giuseppe  Antonio  Sala pag. 

Id.   (CoDtinQazione  e  fine) 215 

ALBERTO  PARISOTTI.    Eroluzione  del  tipo  di  Roma  nelle 

rappresentanze  ógorate  deU'anticluti  clasaca.    ...        $9 

Q,  TOMASSETTL    DelU  campagna  romana 149 

Id.  (Comìnnazione) 367 

EMILIO  MOTTA.    Docnmenti  milanesi  intorno  a  Paolo  II 

e  al  card.  Riarìo 253 

A.  GABRIELLL    L'epistole  di  Cola  di  Rienzo  e  Tepistolo- 

grafia  medievale 381 

O.  TOMMASINL    II  Diario  di  Stefano  Messm-a.  Studio  pre- 
paratorio alla  nuova  edizsooe  dì  esso 481 

L  GIORGI.    Storia  estema  del  codice  Vaticano  del  «  Diumns 

Romanorum  Pontificom» 641 

Varietà: 

F.  GALLINA.  Iscrizioni  etiopiche  ed  arabe  di  S.  Stefano 
dei  Mori 281 

A.  LUZfO,  R.  REKIER.  Relarione  inedtu  sulla  mone 
del  duca  di  Gandia *    .    ,    .      296 

C.  CASTELLANL  Lettera  dei  Conservatori  ad  Ales- 
sandro VI  sul  ricevimento  di  Carlo  Vili  in  Roma  .    .      691 


Indice  generale  del  volume  XI  761 

[Sitsungiberìchte  dcr  K«U.  Akademie  der  WUsenscluftea  ia  Wkn.  FU- 

losophiache-Hutoriiche  CUsse.  Bud  CXVII.J  (I.  6.) pcg.  733 

Specimint  pftUeograficft  regestorom  Ronuaonun  pontificam  «b  Iano> 

eentìo  III  «d  Urlwniim  V.  —  Romu,  ex  «rchÌTio  Vaticano,  1SS8  (G.  Z»)  73; 

Notìzie 193 

I<L 361 

W 759 

Periodici  (Articoli  e  documenti  relativi  alla  stona  di  Roma)  .  195 

Id- J63 

M 741 

Pabblicaziotii  relative  alla  storia  di  Roma 201 

W J67 

W 745 


FIKE  DEL  VOLUME  XI. 


Pubblicazioni  ricevute  in  dono  dalla  Società 


DALLARI  dott.  Umberto.  1  rotuli  de!  lettori,  legisti  e  artisti  dello 
Studio  bolognese  dal  1384  ai  1799.  —  Botopia,  tip.  Frat.  Mer- 
larli, 1888,  pag.  216,  ìn-4. 

FILIPPI  Giovanni.  L'arte  dei  mercanti  di  Catimala  in  Firenze  ed 
il  suo  più  antico  statuto.  —  Torino,  tip.  Guadagnini  e  Cande- 
letti,  1889,  pag.  196,  ic-8. 

IGNOTI  MONACHI  CISTERCIENSIS  S.  MARIAE  DE  FER- 
RARIA  Chronica  et  RYCCARDI  DE  SANCTO  GERMANO 
Chronica  priora.  —  Neapolij  ex  Regio  lyp.  Franciscì  Giannini  et 
Fil.   1888,  pag.  164,  in-4. 

SANDONNINI  T.  Ancora  del  soggiorno  di  Calvino  a  Ferrara. — 
Modena,   1888,  pag.  8,  in- 16. 

FORCELLA  Vincenro.  Iscrizioni  delle  chiese  e  degli  altri  edifici 
di  Milano  dal  secolo  vni  ai  giorni  nostri.  —  Milatio,  tip.  Bor- 
tototti,   1889,  pag,  515,  in-4. 

CODEX  DIPLOMATICUS  CAIETANUS  cditus  cura  et  studio 
monachorum  S.  Bencdictì  archìcoenobii  Mentis  Casini.  —  Mentis 
Casini,  typ.  Archìcoenobii  Montis  Casini,  1887,  voi.  I.  pag.  426, 
in-4  gr- 

BALZANI  Ugo.  The  Popes  and  the  Hohenstaufen.  —  London, 
tip.  Longmans,  Green  &  Co.  1889,  pag.  261,  in-S, 

TOMMASINI  Oreste.  Il  registro  degli  ufficiali  del  Comune  di 
Roma  esemplato  dallo  scribasenato  Marco  Guidi.  —  Roma,  dp. 
dei  Lincei,  1888. 

GABRIELLI  ANNIBALE.  Su  la  poesia  dei  Goliardi.  —  Città  di 
CasUlìOt  Lapi,  pag.  43,  in-i6. 


J 


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DATE  DUE 

STANFORD  UNIVERSITY   IJBR^ 
STANFORD,   CALIFORNIA 
94505 

3 

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